Avvocatura dello Stato

ISTITUZIONALE

Illegittimità dei contratti di lavoro a tempo determinato: commento avv. Adorno a sentenza della CdA Perugia

Ultimo aggiornamento: 11/03/2011 14:23:54
Stampa

La Corte d’appello ha preliminarmente affermato la legittimità della disciplina interna su divieto di conversione dei contratti a tempo determinato nel pubblico impiego,sia sotto il profilo costituzionale (perché impone il rispetto dell’art. 97 Cost), sia con riferimento alla normativa comunitaria. Sotto tale aspetto, la Corte ha fatto riferimento alla clausola 5 dell’accordo quadro allegato alla direttiva 1999/CEE/70, che lascia agli stati membri l’individuazione della sanzione alternativa alla conversione del rapporto, e che va letta alla luce della sentenza Kiriaki della CGUE (23.04.09). Il difetto di coordinamento fra l’art. 36 T.U. n. 165/01 (che pone il suddetto divieto) e il d. lgs. n. 368/01 (che ammette la conversione in via generale), va risolto applicando non già il principio temporale nella successione delle leggi, bensì quello di specialità: il divieto di conversione opera in un settore specifico e determinato. Tanto premesso, e con riferimento al rapporto di lavoro scolastico, la Corte ha ritenuto che, sul piano positivo, la normativa di riferimento “debba essere, piuttosto, individuata nell’insieme delle leggi speciali in materia di reclutamento del personale della scuola succedutesi nel tempo (con le ordinanze ministeriali d’attuazione), a cominciare dal d.Lgs 16 aprile 1994, n. 297, in seguito modificato e integrato. Di conseguenza, l’indagine del giudice non può essere diretta ad accertare la violazione del D.Lgs n. 368/01, inapplicabile alla materia in esame; piuttosto, deve accertare se la stipulazione di una serie di contratti di lavoro con la parte ricorrente abbia dato luogo, da parte dell’amministrazione resistente, a un abuso dello strumento delle assunzioni a termine, alla stregua della direttiva 70/1999 CE e dell’accordo quadro a essa allegato, e, dunque, costituisca una condotta illegittima, tale da far sorgere nella lavoratrice il diritto al risarcimento”. La Corte, a tale riguardo, preliminarmente muove, sul piano generale e astratto, dalle “esigenze peculiari che, nel settore dell’amministrazione scolastica, le assunzioni a tempo determinato sono destinate a soddisfare”, dalla variabilità dell’organico “in dipendenza del variare, di anno in anno, del numero degli utenti del servizio scolastico”, e dalle “ragioni di contenimento della spesa pubblica”, rilevando che la corretta gestione del servizio scolastico, di rilevanza costituzionale, impone “di evitare il sovradimensionamento degli organici … esuberi di personale e costi inutili nei momenti di calo demografico o di diminuzione, per qualsiasi motivo, delle iscrizioni”. Di conseguenza, “la necessità di assicurare la costante erogazione del servizio scolastico, finalizzato al soddisfacimento di un interesse costituzionalmente garantito, rende giustificato e ragionevole il ricorso alle assunzioni a termine”. Da quanto precede, segue che “Già queste considerazioni di carattere generale inducono a escludere l’esistenza di un abuso nel ricorso dell’amministrazione scolastica allo strumento del contratto a tempo determinato”. Proseguendo nella propria analisi, la Corte rileva che i singoli contratti “siano stipulati ai sensi di una specifica disposizione legislativa, regolamentate o ministeriale, che contiene in sé l’enunciazione delle ragioni organizzative poste a fondamento dell’assunzione a tempo determinato” e che, pertanto vi è, da parte del legislatore, una “valutazione compiuta ex ante e in via generale e astratta, richiamata per relationem in ciascun contratto concluso con il singolo lavoratore [delle …] ragioni dell’assunzione a termine, diretta a garantire l’erogazione di un servizio pubblico di rilevanza costituzionale”. E tanto basta a esplicitare “le ragioni organizzative, tecniche e produttive che sono destinate a soddisfare”. Più approfonditamente, poi, la Corte analizza la normativa di riferimento, distinguendo le tre tipologie di supplenza di cui all’art. 4 l. n. 124/99: quelle su organico di diritto sono attribuite “allorché non sia possibile provvedere con il personale di ruolo delle dotazioni organiche provinciali o mediante utilizzazione del personale in soprannumero, se non vi sia stato assegnato a qualsiasi titolo personale di ruolo. Si tratta, di regola, di posti in sedi disagiate o comunque di scarso gradimento, per i quali non vi sono domande di assegnazione da parte del personale di ruolo. La scopertura di questi posti non è prevedibile, e si manifesta solo dopo l’esaurimento delle procedure di trasferimento, assegnazione provvisoria, utilizzazione di personale soprannumerario e immissione in molo; solo allora, verificato che sono rimasti privi di titolare, quei posti possono essere coperti -in attesa dell’espletamento delle procedure concorsuali per l’assunzione di personale di ruolo- mediante l’assegnazione delle supplenze su organico di diritto, dette anche annuali”. Quelle su organico di fatto sono relative a posti che “non sono tecnicamente vacanti, ma si rendono di fatto disponibili. Ciò può avvenire, ad esempio, per un aumento imprevisto della popolazione scolastica nel singolo istituto, la cui pianta organica resti tuttavia immutata, oppure per l’aumento del numero di classi, dovuto a motivi contingenti, ad esempio di carattere logistico”. Le supplenze temporanee, sono “conferite per ogni altra necessità, come la sostituzione di personale assente o la copertura di posti resi disponibili, per qualsivoglia ragione”. Quale conseguenza, si afferma che “Nessun abuso può essere ipotizzato nelle ipotesi di assunzione per la sostituzione di docenti assente per malattia o altra causa, con diritto alla conservazione del posto, né in quelle di supplenze su organico di fatto, giacché le esigenze che esse soddisfano sono effettivamente contingenti e imprevedibili, e tali da far escludere, di per sé, una condotta abusiva. Restano le supplenze su organico di diritto: si deve, dunque, accertare se l’assegnazione ripetuta alla medesima persona di questo tipo d’incarichi possa configurare un abuso, nel senso in cui questo termine è utilizzato dalla normativa europea sui contratti a tempo determinato”. Sotto tale aspetto, la Corte ha rilevato che tanto la direttiva, quanto l’accordo quadro prevedono che “l’utilizzazione di contratti a tempo determinato basata su ragioni oggettive è un modo di prevenire gli abusi” e demandano ai singoli ordinamenti nazionali l’individuazione di forme e mezzi opportuni e adeguati a realizzare il fine: la prevenzione degli “abusi derivanti dall’utilizzazione di una successione di contratti a termine”, individuando, fra le altre le “ragioni obiettive per la giustificazione del rinnovo dei contratti a tempo determinato”. Tale nozione di ragione oggettiva è stata interpretata dalla CGUE e dalla giurisprudenza nazionale secondo principi che la Corte richiama espressamente “nel senso che essa si riferisce a circostanze precise e concrete caratterizzanti una determinata attività e, pertanto, tali da giustificare in questo particolare contesto l’utilizzazione dei contratti di lavoro a tempo determinato successivi … tali circostanze possono risultare segnatamente dalla particolare natura delle mansioni per l’espletamento delle quali siffatti contratti sono stati conclusi e delle caratteristiche inerenti a queste ultime, o, eventualmente, dal perseguimento di una legittima finalità di politica sodale”. In ogni caso, “il principio ge­nerale5 affermato dalla direttiva in questione -per cui il contratto a termine costituisce comunque un‘eccezione rispetto alla regola generale del contratto a tempo indeterminato- non postula necessariamente l’esigenza di ragioni obiettive che giustifichino l’assunzione precaria, bensì la necessità che le normative interne dei singoli Stati membri prevedano presupposti specifici per la conclusione del contratto a termine.” Muovendo da tali premesse sistematiche, normative e giurisprudenziali la Corte afferma che “nel conferimento delle supplenze da pane dell’amministrazione scolastica non sembra potersi ravvisare alcun abuso”. Infatti, “ciascun incarico è svincolato dai precedenti, di cui non costituisce né prosecuzione né proroga, e spesso attiene alla copertura di posti situati in sedi diverse”, poi “l’amministrazione scolastica […] ha l’obbligo di attenersi alle graduatorie”, e, inoltre, “il supplente chiamato a ricoprire l’incarico poi, non è <>, bensì è <> secondo criteri predeterminati, che l’amministrazione è tenuta a rispettare. In sostanza, una volta individuato nella graduatoria il lavoratore da assumere, l’attribuzione dell’incarico costituisce un vero e proprio obbligo per l’amministrazione”. Il che significa che “l’amministrazione scolastica non può esimersi dall’individuare, per soddisfare le esigenze di sostituzione descritte, quei soggetti che hanno accumulato maggiore punteggio e che quindi occupano le posizioni migliori nella graduatoria, ossia proprio coloro che più volte siano stati assunti con contratto a termine”. Conclusivamente, e per fugare ogni dubbio in ordine alla insussistenza dell’abuso (rectius alla sussistenza elle ragioni obiettive che giustificano il rapporto a termine, individuate nella peculiarità del settore), la Corte valorizza anche il ragionamento seguito da altri giudici di merito riportando quanto statuito dalla Corte d’appello di Firenze in ordine alle peculiari caratteristiche del rapporto di lavoro scolastico: “è l’integrale sistema di reclutamento degli insegnanti [e del personale non docente, n.d.3.] ad essere sottratto alla disciplina generale dettata dal codice civile, dalle norme speciali del lavoro nell’impresa e dallo stesso art. 36 T. U. in ragione della sua intrinseca specialità ….al punto che, sul piano ontologico, può senza dubbio essere affermato che le assunzioni nella scuola pubblica in regime di precariato (o di premo/o) non sono assunzioni a termine in senso tecnico, ma si configurano come speciale e progressivo sistema di «reclutamento», destinato a concludersi fisiologicamente con l’immissione «in ruolo» e la ricostruzione della carriera”.

Avv. Ugo Adorno

Motivazioni della sentenza  della Corte di Appello di Perugia, udienza del 1 dicembre 2010