ANNO LXXV - N. 4 OTTOBRE - DICEMBRE 2023 RASSEGNA AV V O C AT U R A DELLO STATO PUBBLICAZIONE TRIMESTRALE DI SERVIZIO COMITATO SCIENTIfICO: Presidente: Michele Dipace. Componenti: Franco Coppi -Natalino Irti -Eugenio Picozza - Franco Gaetano Scoca. DIRETTORE RESPONSABILE: Giuseppe Fiengo - CONDIRETTORI: Maurizio Borgo, Stefano Varone. COMITATO DI REDAZIONE: Giacomo Aiello -Lorenzo D’Ascia -Gianni De Bellis -Wally Ferrante -Sergio Fiorentino -Paolo Gentili -Maria Vittoria Lumetti -Francesco Meloncelli -Carlo Maria Pisana Marina Russo. CORRISPONDENTI DELLE AVVOCATURE DISTRETTUALI: Andrea Michele Caridi -Stefano Maria Cerillo Pierfrancesco La Spina -Marco Meloni -Maria Assunta Mercati -Alfonso Mezzotero -Riccardo Montagnoli -Domenico Mutino -Nicola Parri -Adele Quattrone -Antonino Ripepi -Piero Vitullo. HANNO COLLABORATO INOLTRE AL PRESENTE fASCICOLO: Lorenzo D’Ascia, Eva Ferretti, Gabriele Finelli, Maurizio Fiorilli, Michele Gerardo, Gaetana Natale, Gabriella Palmieri Sandulli, Valeria Romano, Francesco Scognamiglio. E-mail Giuseppe fiengo rassegna@avvocaturastato.it maurizio.borgo@avvocaturastato.it stefano.varone@avvocaturastato.it ABBONAMENTO ANNUO ..............................................................................€ 40,00 UN NUMERO .............................................................................................. € 12,00 Per abbonamenti ed acquisti inviare copia della quietanza di versamento di bonifico bancario o postale a favore della Tesoreria dello Stato specificando codice IBAN: IT 42Q 01000 03245 348 0 10 2368 05, causale di versamento, indirizzo ove effettuare la spedizione, codice fiscale del versante. I destinatari della rivista sono pregati di comunicare eventuali variazioni di indirizzo AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO RASSEGNA -Via dei Portoghesi, 12, 00186 Roma E-mail: rassegna@avvocaturastato.it - Sito www.avvocaturastato.it Stampato in Italia - Printed in Italy Autorizzazione Tribunale di Roma - Decreto n. 11089 del 13 luglio 1966 indice -sommario A ricordo dell’Avv. Ines Sisto Monterisi. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . TEMI ISTITUZIONALI Secondo Congresso nazionale dei giudici amministrativi italiani. Indirizzo di saluto dell’Avvocato Generale dello Stato, Avv. Gabriella Palmieri Sandulli. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . D.P.C.M. 9 luglio 2024 recante “Autorizzazione all’Avvocatura dello Stato ad assumere la rappresentenza e la difesa del Consorzio di Bonifica Interno “Bacino Aterno e Sagittario” nei giudizi attivi e passivi avanti le autorità giudiziarie, i collegi arbitrali, le giurisdizioni amministrative e speciali, Circolare A.G. del 29 agosto 2024 prot. 532446 n. 47. . . . . . . . D.P.C.M. 9 luglio 2024 recante “Autorizzazione all’Avvocatura dello Stato ad assumere la rappresentenza e la difesa della “Sviluppo Lavoro Italia S.p.A.” nei giudizi attivi e passivi avanti le autorità giudiziarie, i collegi arbitrali, le giurisdizioni amministrative e speciali, Circolare A.G. del 29 agosto 2024 prot. 532456 n. 48. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Trasmissione Direttiva n. 41/2016 aggiornata al 6 febbraio 2024 relativa alla costituzione di parte civile dell’Agenzia delle Entrate, Circolare A.G. del 3 settembre 2024 prot. 539321 n. 49 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Nomina dell’Agente del Governo davanti alla Corte di giustizia e al Tribunale dell’Unione europea . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . CONTENZIOSO COMUNITARIO ED INTERNAZIONALE Maurizio fiorilli, Lorenzo D’Ascia, La Corte Europea dei Diritti del- l’Uomo dichiara la legittimità della confisca italiana dell’Atleta Vittorioso attribuito a Lisippo (Corte EDU, Sez. I, sent. 2 maggio 2024, ricorso n. 35271/19, causa J. Paul Getty e altri c. Italia) . . . . . . . . . . . . . CONTENZIOSO NAZIONALE Michele Gerardo, Focus sugli esiti dei ricorsi nei contenziosi avverso le interdittive antimafia presso il Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania - Napoli . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Antonino Ripepi, “Paura della firma”, principio della fiducia ed evoluzione della Pubblica Amministrazione. Disamina di Corte costituzionale, 16 luglio 2024, n. 132. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Gabriele finelli, Liquidazione dei compensi ai patrocinatori a spese dello Stato. Minimo del compenso e disposizioni speciali: un punto fermo? (Cass. civ., ord. 14 febbraio 2024 n. 4048). . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . I PARERI DEL COMITATO CONSULTIVO Valeria Romano, Authorities (Autorità Nazionale Anticorruzione) ed esercizio dell’azione civile nel processo penale. Sul previo rilascio dell’atto autorizzativo di cui all’art. 1, co. 4, legge 3 gennaio 1991, n. 3 . . . . . . . pag. 1 ›› 4 ›› 5 ›› 6 ›› 9 ›› 11 ›› 85 ›› 96 ›› 130 ›› 135 Eva ferretti, Uffici legali istituiti presso gli enti pubblici (Ente Nazionale per l’Aviazione Civile): disciplina sulla corresponsione dei compensi professionali. In merito all’adozione del regolamento di cui all’art. 9 D.L. 24 giugno 2014, n. 90 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 143 Giacomo Aiello, Rapporti tra Amministrazione Straordinaria delle grandi imprese in crisi e misure cautelari adottate in applicazione del Codice Antimafia. Obblighi procedurali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ›› 149 Giacomo Aiello, La categoria delle “fondazioni private in controllo pubblico” e quella delle “fondazioni pubbliche”. In merito alla natura giuridica della Fondazione Enea Tech e Biomedical. Ente vigilato dal Ministero delle imprese e del made in Italy . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ›› 154 Esercizio del diritto di prelazione di cui all’art. 6 della L. 28 ottobre 1999, n. 410, asseritamente spettante ad una Società cooperativa agricola in relazione alla cessione di un ramo d’azienda da parte di Consorzio Agrario in liquidazione coatta amministrativa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ›› 159 LEGISLAZIONE ED ATTUALITà Antonino Ripepi, La dirigenza pubblica nell’elaborazione giurisprudenziale più recente . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ›› 165 Gaetana Natale, L’evoluzione storica della pratica clinica: l’arte medica si confronta con gli algoritmi dell’Intelligenza Artificiale Generativa . . ›› 182 CONTRIBUTI DI DOTTRINA Gaetana Natale, Innovare nella Pubblica Amministrazione: profili etici, normativi e manageriali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ›› 191 Gaetana Natale, Informe al Parlamento de Andalucía. . . . . . . . . . . . . . . ›› 201 francesco Scognamiglio, La rinuncia abdicativa al diritto di proprietà ›› 210 RECENSIONI Sergio De felice, Michele Gerardo, Diritto amministrativo. 1. Parte generale; 2. Parte speciale; 3. Giustizia amministrativa, Amazon Libri, 2024. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ›› 227 Un saluto, Avv. Gianni De Bellis . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Comunicato dell’Avvocato Generale, Pensionamento Avv. Cinzia Melillo Comunicato dell’Avvocato Generale, Pensionamento Avv. Salvatore Colangelo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Comunicato dell’Avvocato Generale, Pensionamento Avv. Lucrezia Principio Testini . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Comunicato dell’Avvocato Generale, Pensionamento Avv. Rita Santulli D’Anna. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . A ricordo dell’Avv. Ines Sisto Monterisi Con profondo dispiacere comunico che è venuto a mancare l’avv. Ines Sisto Monterisi, già Avvocato Distrettuale di Bari (*) Il Segretario Generale Avv. Maurizio Greco (*) E-mail Segreteria Generale, mercoledì 28 agosto 2024 12:39 temiiStituzionali Secondo congreSSo nazionale dei giudici amminiStrativi italiani Indirizzo di saluto dell’Avvocato Generale dello Stato Avv. Gabriella Palmieri Sandulli Sono molto lieta di porgere il saluto istituzionale, a nome dell’Avvocatura dello Stato e mio personale, al Secondo Congresso Nazionale dei Giudici Amministrativi Italiani -I 50 anni di funzionamento dei Tribunali amministrativi regionali e ringrazio particolarmente per l’invito il Presidente del Consiglio di Stato e gli Organizzatori. Il Congresso ha una doppia significativa valenza: rappresenta, da un lato, una importante opportunità di riflessione comune su temi di grande interesse professionale non solo per i Magistrati, ma anche per gli Avvocati; e, dall’altro, un’occasione di confronto istituzionale in una valutazione prospettica che guardi al futuro, tenendo conto anche delle innovazioni tecnologiche e degli sviluppi applicativi dell’IA; peraltro, in un anno in cui ricorre un anniversario importante, qual è, appunto, quello dei 50 anni di funzionamento dei Tribunali Amministrativi Regionali. Le Sessioni odierne, le Relazioni e la Tavola rotonda di domani ne sono la dimostrazione perché toccano tematiche di grande importanza ordinamentale e tematiche più strettamente attinenti sia a un bilancio sui 50 anni di funzionamento dei Tribunali amministrativi regionali, sia a una valutazione in prospettiva futura come l’argomento oggetto della Tavola Rotonda di domani. Temi declinati con particolare cura nelle Sessioni che si svolgeranno nei due giorni calendarizzati, per esaminarne efficacemente, con gli illustri Relatori che si susseguiranno, i profili più significativi per la riflessione e l’approfondimento anche nelle diverse ottiche di valutazione e dalle diverse angolazioni. L’Istituto che ho l’onore di presiedere e io personalmente, manteniamo RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO -N. 4/2023 da sempre - per tradizione - ottimi rapporti con la Giustizia amministrativa. Anche perché l’attività dell’Avvocatura dello Stato si svolge in misura rilevantissima dinanzi alla Magistratura amministrativa. Basti ricordare come dato numerico significativo che, nel 2023, i depositi al giudice amministrativo, in tutta Italia, ammontavano a circa 90 mila, con un aumento, nel quinquennio, superiore al 40 per cento. L’Avvocatura dello Stato offre un utile contributo sia nello svolgimento dell’attività strettamente giurisdizionale, nella quale si esprime la sua missione istituzionale, sia nei settori di natura organizzativa, collaterali, ma non meno importanti, come il costante contributo fornito nel progetto che ha portato alla nascita e al consolidamento dell’efficienza del processo amministrativo telematico. Sinergia e proficuo scambio tra tutti i protagonisti del processo amministrativo hanno contribuito all’elaborazione di soluzioni condivise che, tenendo conto dell’interesse di tutte le parti del giudizio, costituiscono presupposto essenziale per una sempre più efficiente amministrazione della giustizia. Il Futuro della Giustizia e il ruolo dell’Avvocatura è anche quello della piena collaborazione istituzionale che contraddistingue da sempre i reciproci rapporti. Due brevissime riflessioni sugli argomenti del Congresso. L’evoluzione del quadro normativo interno, come visto, è sempre più influenzato e compenetrato con l’ordinamento eurounitario. Lo stretto legame del Giudice amministrativo con l’ordinamento eurounitario si è, ad esempio, espresso nelle controversie successive alla decisione in sede di rinvio pregiudiziale della Corte di giustizia. Ricordo per tutte la questione, estremamente rilevante ai fini della corretta applicazione del protocollo di Kyoto, del cambiamento climatico (di cui si occuperà la Sessione IV), dei presupposti per l’aggregazione delle fonti di emissione ai fini del calcolo della potenza complessiva di un impianto e, conseguentemente, degli effetti inquinanti (sentenza n. 823/22; decisione della CGUE del 29 aprile 2021, nella causa C-617/19), con riferimento alla nozione di “impianto” unitario, rilevante ai fini del calcolo delle emissioni come definito dalla direttiva 2003/87/CE. L’importanza del rinvio pregiudiziale, che sarà anche trattato nella Sessione II, quale strumento di cooperazione “da giudice a giudice”, è stata, d’altronde, spesso sottolineata dalla stessa Corte di giustizia come “chiave di volta” del sistema giurisdizionale della Ue. È proprio nel meccanismo del rinvio pregiudiziale che si enfatizza lo stretto e necessario legame collaborativo tra la giurisdizione amministrativa e l’Avvocatura dello Stato, che già presente (a monte) nei giudizi nazionali a quibus, è chiamata a rappresentare le ragioni del Governo italiano anche innanzi alla Corte di giustizia, per poi, (a valle), a rappresentarne gli esiti e le TEMI ISTITUzIONALI conseguenze alla ripresa del giudizio dinnanzi al giudice nazionale. Un circuito virtuoso dunque. L’attenzione del Giudice amministrativo si è rivolta anche alle nuove e delicate questioni che l’evoluzione tecnologica porta all’attenzione degli operatori del diritto: i moderni strumenti di comunicazione ed elaborazione dei dati, l’intelligenza artificiale e l’utilizzo dell’algoritmo nell’ambito di un procedimento amministrativo al fine di valutarne la legittimità; argomenti che saranno l’oggetto della Sessione IV. Si tratta di una congiuntura particolare, ricordando il Forum intergovernativo del G7 che si è interrogato sull’impatto dell’I.A. e sull’algoretica, e aggiungo che anche l’algocrazia impone una riflessione meditata; che il 17 maggio scorso il Consiglio d’Europa ha adottato la prima Convenzione internazionale, giuridicamente vincolante, che impegna gli Stati aderenti al rispetto di alcune essenziali garanzie per i diritti umani, la democrazia e lo Stato di diritto nell’utilizzo dei sistemi di I.A.; che l’Ue ha approvato la prima disciplina al mondo organica dell’I.A. (l’AI Act); che il 2023 è stato l’anno della diffusione massiva dell’I.A. D’altronde, già nel PNRR l’I.A. è contemplata tra gli obiettivi generali e strutturali del piano. La trasversalità dell’utilizzo dell’I.A. confluisce negli obiettivi della Giustizia, come tema di carattere generale che viene poi declinato nella specifica applicazione anche processuale. È un altro tassello che contribuisce a delineare il futuro della Giustizia e il ruolo importante e significativo che svolge l’Avvocatura dello Stato. Nel ringraziare per il cortese invito, formulo i più sinceri auguri di buon lavoro. Roma, 18 ottobre 2024 Palazzo Spada RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO -N. 4/2023 Avvocatura Generaledello Stato CIrColAre n. 47/2024 oggetto: D.P.C.M. 9 luglio 2024 recante “Autorizzazione all’Avvocatura dello Stato ad assumere la rappresentanza e la difesa del Consorzio di Bonifica Interno “Bacino Aterno e Sagittario” nei giudizi attivi e passivi avanti le autorità giudiziarie, i collegi arbitrali, le giurisdizioni amministrative e speciali”. Si comunica che con D.P.C.M. del 9 luglio u.s., pubblicato nella Gazzetta Ufficiale -Serie Generale -n. 191 del 16 agosto 2024, l’Avvocatura dello Stato è stata autorizzata ad assumere la rappresentanza e la difesa del consorzio di Bonifica interno “Bacino aterno e Sagittario” nei giudizi attivi e passivi avanti le autorità giudiziarie, i collegi arbitrali, le giurisdizioni amministrative e speciali. L’AVVOCATO GENERALE Gabriella PALMIERI SANDULLI TEMI ISTITUzIONALI Avvocatura Generaledello Stato CIrColAre n. 48/2024 oggetto: D.P.C.M. 9 luglio 2024 recante “Autorizzazione all’Avvocatura dello Stato ad assumere la rappresentanza e la difesa della “Sviluppo lavoro Italia S.p.A.” nei giudizi attivi e passivi avanti le autorità giudiziarie, i collegi arbitrali, le giurisdizioni amministrative e speciali”. Si comunica che con D.P.C.M. del 9 luglio u.s., pubblicato nella Gazzetta Ufficiale -Serie Generale -n. 192 del 17 agosto 2024, l’Avvocatura dello Stato è stata autorizzata ad assumere la rappresentanza e la difesa della “Sviluppo lavoro italia S.p.a.” nei giudizi attivi e passivi avanti le autorità giudiziarie, i collegi arbitrali, le giurisdizioni amministrative e speciali. L’AVVOCATO GENERALE Gabriella PALMIERI SANDULLI RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO -N. 4/2023 Avvocatura Generaledello Stato CIrColAre n. 49/2024 oggetto: Trasmissione Direttiva n. 41/2016 aggiornata al 6 febbraio 2024 relativa alla costituzione di parte civile dell’Agenzia delle entrate. Si fa seguito alla Circolare n. 50/2016 con cui è stata trasmessa la Direttiva interna n. 41/2016 dell’Agenzia delle Entrate -Direzione Centrale e si inoltra la versione aggiornata al 6 febbraio 2024 della predetta Direttiva (riservata, non producibile in giudizio e non richiamabile negli atti) relativa alla costituzione di parte civile dell’Agenzia delle Entrate. In relazione al contenuto della Direttiva, sul quale è stata previamente sentita questa Avvocatura Generale, si richiama, in particolare, l’attenzione sul paragrafo 2, aggiornato alla luce della riforma del processo penale di cui al D.Lgs. n. 150 del 2022 e della sentenza delle Sezioni Unite civili della Corte di cassazione n. 28962/2022 in tema di danno da evasione o elusione fiscale. In sintesi, tra le novità di maggiore rilievo si segnalano: -la differente disciplina rispetto al previgente regime, nel quale la costituzione di parte civile era ammessa per l’udienza preliminare o, in alternativa, fino a che non fossero compiuti gli adempimenti previsti dall’articolo 484 c.p.p.; nel testo del novellato articolo si prevede, invece, che la costituzione debba avvenire a pena di decadenza già in sede di udienza preliminare, oppure prima che siano compiuti gli adempimenti di cui agli articoli 484 o 554-bis c.p.p. con riferimento a quei processi penali in cui non è previsto lo svolgimento dell’udienza preliminare; -la nuova interpretazione del novellato art. 78, comma 1, lett. d), c.p.p. (Cass. SS.UU. penali 21 settembre 2023, n. 38481), secondo cui le ragioni della domanda di costituzione di parte civile devono essere illustrate secondo gli stilemi dell’atto di citazione del processo civile, come previsto dall’art. 163, comma 3, n. 4 c.p.c., dovendosi, perciò, specificare i motivi in forza dei quali si sostiene che dal reato siano scaturite conseguenze pregiudizievoli, nonché il titolo che legittima la pretesa risarcitoria; -i nuovi criteri generali ai fini della valutazione dell’opportunità di effettuare la costituzione di parte civile (cfr. paragrafo 2.1); -i nuovi criteri per la quantificazione del danno patrimoniale e non patrimoniale alla luce dei rilevanti principi di diritto in tema di danno da reato conseguente ad evasione o ad elusione fiscale affermati da cass. SS.uu. civili 12 ottobre 2022, n. 29862 (cfr. paragrafo 2.4), secondo cui: “Il danno causato dall’evasione fiscale, allorché questa integri gli estremi di un reato commesso dal contribuente o da persona che del fatto TEMI ISTITUzIONALI di quest’ultimo debba rispondere direttamente nei confronti dell’erario, non può farsi coincidere automaticamente con il tributo evaso, ma deve necessariamente consistere in un pregiudizio ulteriore e diverso, ricorrente qualora l’evasore abbia con la propria condotta provocato l’impossibilità di riscuotere il credito erariale; il danno causato dall’evasione fiscale, allorché questa integri gli estremi di un reato commesso da persona diversa dal contribuente e non altrimenti obbligata nei confronti dell’erario, può coincidere sia con il tributo evaso, sia con ulteriori pregiudizi, ma nella prima di tali ipotesi il risarcimento sarà dovuto a condizione che l’erario alleghi e dimostri la perdita del credito o la ragionevole probabilità della sua infruttuosa esazione; nel giudizio di danno promosso dall’erario nei confronti di persona diversa dal contribuente, cui venga ascritto di avere concausato la perdita del credito erariale, spetta all’amministrazione provare l’esistenza del credito, la perdita di esso ed il nesso causale tra la lesione del credito e la condotta del convenuto; spetta, invece, al convenuto dimostrare che la perdita del credito sia avvenuta per negligenza dell’amministrazione, negligenza che rientra nella previsione di cui all’art. 1227, primo comma, c.c.”. -il nuovo procedimento per la richiesta di autorizzazione alla costituzione di parte civile, che contempla -alla luce del vigente regime processuale -una rimodulazione dei termini delle fasi istruttorie prodromiche all’eventuale rilascio dell’autorizzazione (cfr. paragrafo 2.5). In particolare, i nuovi termini sono: a) 40 giorni prima dell’u.P. per la motivata richiesta di parere all’Avvocatura dello Stato da parte della competente Direzione Regionale dell’Agenzia delle Entrate; b) 30 giorni prima dell’u.P. per la risposta dell’Avvocatura alla richiesta di parere; c) successivo immediato invio del parere favorevole dall’Agenzia delle Entrate alla P.C.M., la quale ha chiesto di riceverlo almeno 15 giorni prima dell’U.P. (cfr. allegata nota 23 dicembre 2022 n. 34037 della P.C.M. -DAGL). Per l’ipotesi in cui l’Avvocatura esprima parere negativo alla costituzione di parte civile, la Direttiva prevede che “... la Direzione regionale, ove ritenga comunque opportuna la costituzione di parte civile, ne informa l’Ufficio coordinamento gestionale per l’eventuale richiesta di autorizzazione alla Presidenza del Consiglio dei Ministri. La Divisione contribuenti se ritiene di aderire alla richiesta della Direzione regionale, acquisisce previamente (anche per vie brevi) il parere del- l’Avvocatura generale dello Stato, trasmettendo a quest’ultima la richiesta di parere della Direzione”. RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO -N. 4/2023 Al riguardo si ritiene opportuno che ogni parere sfavorevole reso all’Agenzia delle Entrate in relazione alla costituzione di parte civile sia comunicato anche a questa Avvocatura Generale (facendo riferimento al Cs. 41056/2016). Allegati: (omissis) L’AVVOCATO GENERALE Gabriella PALMIERI SANDULLI TEMI ISTITUzIONALI nomina dell’Agente del Governo davanti alla Corte di giustizia e al Tribunale dell’Unione europea (*) In considerazione del lungo tempo trascorso (15 anni e sei mesi) e dei numerosi impegni istituzionali che svolgo come Avvocato Generale dello Stato, al fine di assicurare continuità nell’esercizio di tale delicato compito e garantire, al contempo, una adeguata sostituzione, ho ritenuto opportuno di suggerire al Governo di procedere ad un avvicendamento, individuando, tra gli Avvocati dello Stato -tra i quali ai sensi dell’art. 42, comma 3, della legge n. 234 del 24 dicembre 2012 -deve essere nominato l’Agente di Governo -la figura più idonea per qualità e competenza. D’intesa con il Governo, la scelta è ricaduta sull’Avv. Sergio Fiorentino, che, come noto a tutti, ha sviluppato una particolare competenza nel diritto dell’Unione europea, sia attraverso approfondimenti scientifici, sia nell’esercizio dell’attività di difesa del Governo italiano in numerosissime controversie dinanzi al Tribunale e alla Corte di giustizia dell’Unione Europea ed è, pertanto, in grado, collaborando, peraltro, attivamente e direttamente con l’Avvocato Generale, di assicurare, e nel migliore dei modi, anche la necessaria continuità, in chiave di efficienza ed efficacia, nelle funzioni di Agente del Governo italiano. Continuerò come Avvocato Generale a seguire il contenzioso eurounitario che rimane nell’attribuzione della mia Sezione e, pertanto, rimane invariata la consueta modalità di trasmissione per il visto delle note in partenza, degli atti da depositare in Corte di giustizia e al Tribunale e delle comunicazioni da inviare al Dipartimento per gli Affari europei ai fini del coordinamento ex art. 42 della legge n. 234/2012. All’Avvocato Fiorentino i miei più calorosi complimenti per la prestigiosa nomina e gli auguri più affettuosi di buon lavoro. Gabriella Palmieri Sandulli (*) e-mail Gabriella Palmieri Sandulli, Avvocato Generale dello Stato, giovedì 26 settembre 2024 13:25. ContEnziosoComUnitArioEDintErnAzionALE La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo dichiara la legittimità della confisca italiana dell’Atleta Vittorioso attribuito a Lisippo Maurizio Fiorilli* Lorenzo D’Ascia** Con la sentenza pubblicata il 2 maggio 2024, la Corte europea dei diritti dell’uomo ha stabilito che la confisca della statua dell’Atleta di Fano, attribuita a Lisippo, disposta dall’autorità giudiziaria italiana è conforme alla Convenzione dei diritti dell’uomo. La sentenza non è stata oggetto di richiesta di rinvio alla Grande Camera ed è, quindi, definitiva. Si conclude così un procedimento giudiziario iniziato nel 2007, nel quale Avvocatura dello Stato, Autorità Giudiziaria (Procura della Repubblica di Pesaro e Procura Generale presso la Corte di Cassazione) e Nucleo TPC dei Carabinieri hanno contribuito ad ottenere una sentenza di confisca per il rientro della statua in Italia. La vicenda risale al 1964, quando, al largo della costa adriatica di Pedaso, alcuni pescatori italiani hanno rinvenuto una statua in bronzo e l’hanno traghettata presso il porto della cittadina di Fano, in località Carrara. La statua è stata poi esportata clandestinamente e infine acquistata dal Getty Trust che ne ha fatto una delle opere iconiche della propria collezione. Con pronuncia dell’8 giugno 2018, il Giudice dell’Esecuzione del Tribunale di Pesaro ha disposto la confisca della Statua. Tra le argomentazioni poste dal Giudice dell’Esecuzione a sostegno del (*) Vice Avvocato Generale dello Stato emerito. (**) Avvocato dello Stato. RASSEGNA AVVoCATuRA dELLo STATo -N. 4/2023 predetto pronunciamento vi sono state la considerazione del rinvenimento della Statua in acque territoriali italiane, come dimostrato dalle dichiarazioni rese nel dicembre del 1977 dal capitano del peschereccio coinvolto (che aveva riferito di essersi trovato a poche miglia dalle coste marchigiane), e del rinvenimento del bene da parte di imbarcazioni battenti bandiera italiana, e dunque in territorio italiano ai sensi dell’articolo 4 del codice della navigazione. Sono state inoltre evidenziate: -l’attribuibilità della Statua allo scultore greco Lisippo, che l’aveva verosimilmente realizzata nel corso di un viaggio a Roma e Taranto, in un’epoca di fiorenti relazioni tra la Grecia e Roma; -la nullità dell’acquisto a non domino del Trust e la negligenza dello stesso nell’acquistare la Statua senza la previa conduzione di un’istruttoria autonoma e adeguata in ordine alla legittimità dei precedenti trasferimenti secondo il diritto italiano: circostanza, questa, ostativa alla possibilità di considerare il Trust persona estranea al reato ovvero soggetto nei cui confronti l’applicazione della confisca fosse preclusa; -il carattere non vincolante della sentenza italiana definitiva del 1970, pronunciata in relazione a crimini diversi ovvero in ragione della mancata esecuzione della rogatoria internazionale. La confisca è stata disposta dal Tribunale di Pesaro anche in relazione al delitto di cui all’art. 301, d.P.R. n. 43/1973, per il reato di contrabbando. All’esito di ricorso per cassazione, interposto dal Getty Trust, con sentenza n. 22 del 30 novembre 2018, depositata il 2 gennaio 2019, la Corte di Cassazione ha confermato l’ordine di confisca. Segnatamente, la Suprema Corte ha precisato che “In tema di illecito trasferimento all’estero di cose di interesse storico ed artistico, non può ritenersi estraneo alla commissione del reato -e, pertanto, non destinatario della confisca obbligatoria del bene ai sensi dell’art. 174 d.lgs. n. 42 del 2004 -non solo colui che, con il suo comportamento, anche solo colposo, abbia dato causa al fatto costituente illecito penale, ma anche colui che abbia tratto consapevole giovamento dalla sua commissione, dovendosi individuare il contenuto di tale giovamento in qualsivoglia condizione di favore, pure non materiale, derivata dal fatto costituente reato”. In relazione al luogo di rinvenimento della Statua, su cui la parte ricorrente (il Getty Trust) si era limitata a un’apodittica contestazione della statuizione del Tribunale di Pesaro secondo cui la stessa era stata rinvenuta in acque territoriali italiane, senza esperire un puntuale motivo di ricorso per cassazione, la Corte ha sottolineato che la stessa era stata in ogni caso rinvenuta da pescherecci battenti bandiera italiana, che erano salpati dalle coste italiane e che ivi avevano poi ricondotto il bene. La Statua, del resto, nell’antichità era verosimilmente andata perduta durante un trasporto a mezzo di un’imbarcazione salpata da coste greche o italiche e in ogni caso diretta verso queste ultime: di CoNTENzIoSo ComuNITARIo Ed INTERNAzIoNALE guisa che, considerata anche la possibilità di inferire l’esistenza di un continuum tra la civiltà greca, importata in territorio italico, e la successiva esperienza culturale romana, esisteva un significativo legame culturale tra la Statua e il contesto nazionale, tale da giustificarne comunque la speciale tutela come parte del patrimonio artistico nazionale. Ancora, in ordine all’efficacia della sentenza della Corte d’Appello del 1970, la Suprema Corte ha rilevato che, in quella sede, era stato contestato ai soggetti ivi imputati il delitto di ricettazione, laddove il successivo procedimento dinanzi al Tribunale di Pesaro era stato relativo all’illecita esportazione di un bene culturale e al mancato assolvimento degli oneri doganali, con ciò dovendosi definitivamente escludere la violazione del principio del ne bis in idem. Infine, il Getty Trust ha presentato un ricorso alla Corte Edu avverso la decisione di confisca confermata dalla Corte di Cassazione, sollevando una serie di censure convenzionali. Il ricorso è stato iscritto a ruolo con il n. 32571/19. Le censure convenzionali riguardavano la violazione degli articoli 6, 7 e 1 Prot. 1 della Convenzione. Con decisione parziale definitiva (richiamata nella lettera di comunicazione del ricorso del 17 settembre 2021), la Corte Edu ha dichiarato la inammissibilità delle censure per violazione degli articoli 6 e 7 della Convenzione. In particolare, il ricorso deduceva: a) la violazione dell’art. 7 della Convenzione (nulla poena sine lege), poiché la confisca della statua costituiva una “pena”, ai fini dell’art. 7, ed era stata illecitamente applicata a un soggetto che non era stato attinto da alcuna sentenza di condanna penale per il reato di esportazione illecita; inoltre, la confisca avrebbe riguardato eventi per i quali vi sono state solo archiviazioni dei procedimenti penali, e in circostanze in cui avrebbe operato l’amnistia disposta nel 1975; b) la violazione dell’art. 6 della Convenzione, per avere applicato la confisca sulla base di una dichiarazione di colpevolezza di soggetti che non hanno partecipato al processo (diritto all’equo processo), e per reati per i quali era maturata la prescrizione o comunque doveva applicarsi l’amnistia (principio della presunzione di innocenza). La Corte Edu ha ritenuto queste censure manifestamente infondate e inammissibili, stabilendo quindi che il museo ha avuto accesso a un processo equo, che non è stata violata la presunzione di innocenza né è stato violato il principio di legalità della pena. A seguito della decisione parziale di inammissibilità e manifesta infondatezza, il procedimento dinanzi alla Corte Edu si è concentrato sulle censure di violazione dell’art. 1 Prot. 1 Convenzione. Le questioni affrontate dalla Corte sul merito della presunta violazione dell’art. 1 Prot. 1 sono state le seguenti: RASSEGNA AVVoCATuRA dELLo STATo -N. 4/2023 1) titolarità o meno del Getty Trust di un interesse sostanziale tutelato dall’art. 1 Prot. 1; 2) esistenza di una interferenza dello Stato italiano con il pacifico godimento del bene; 3) conformità della interferenza al principio di legalità; 4) perseguimento di un interesse pubblico o generale; 5) proporzionalità della misura rispetto all’obiettivo perseguito. La Corte Edu ha raggiunto le seguenti conclusioni: 1. Sulla titolarità del Getty di un interesse tutelato dall’art. 1 Prot. 1. Il Governo italiano ha eccepito che il bene è stato acquistato sulla base di un contratto comunque invalido per il diritto italiano e californiano, e che non si è determinato alcun legittimo affidamento in capo al Getty Trust visto che lo Stato italiano ha avuto un comportamento che non è mai stato di tolleranza o inerzia di fronte alla situazione contra legem. La Corte ha ricordato che, in base alla sua giurisprudenza, in presenza di alcune circostanze un bene, anche se non legalmente acquistato, possa essere considerato oggetto di un “possesso” tutelato dall’art. 1 Prot. 1. Nel caso di specie le circostanze speciali sarebbero, secondo la Corte: a) il fatto che diverse legislazioni nazionali possano essere applicate in astratto alla determinazione della proprietà della statua (§ 263); b) le autorità italiane hanno invitato il Getty a partecipare al giudizio sulla confisca nella qualità di attuale detentore del bene, così riconoscendo l’esistenza di un qualche diritto; c) il tempo di possesso ininterrotto del bene maturato dal 1977 ha avuto l’effetto di conferire alla ricorrente un diritto al pacifico godimento del bene tale da equivalere a un “possesso” (§ 265). Sul punto deve registrarsi l’opinione dissenziente del giudice polacco che ritiene il ricorso inammissibile per l’assenza di un interesse tutelato dall’art. 1 Prot. 1. 2. Sulla esistenza di una interferenza dello Stato italiano con il pacifico godimento del bene. La Corte ha ritenuto che vi sia stata una interferenza con il pacifico godimento del bene. data la complessità e particolarità della vicenda, la Corte Edu ritiene che al caso di specie siano applicabili: a) o la regola generale dell’art. 1, primo comma, primo periodo (diritto al pacifico godimento): nell’eventualità che sia esclusa l’esistenza di una valida proprietà; b) o la regola dell’art. 1, secondo comma (misure di controllo dell’uso dei beni): nell’eventualità che sia affermata la valida proprietà del bene. Non trova invece comunque applicazione l’art. 1, comma 1, secondo periodo, visto che non si configura una privazione in senso stretto del bene. CoNTENzIoSo ComuNITARIo Ed INTERNAzIoNALE L’ingerenza c’è stata, ma in ogni caso la sua giustificazione va valutata tenendo conto del fatto che, a causa della natura unica e insostituibile dei beni culturali, gli Stati godono di un ampio margine di discrezionalità in materia di patrimonio culturale. 3. Sulla conformità della interferenza al principio di legalità. La base legale della confisca è l’art. 174, comma 3, d.lgs. n. 42/2004: su questo profilo la Corte Edu rileva che non vi erano contestazioni da parte della ricorrente, che ha però eccepito la qualità della base legale sotto il profilo della chiarezza e prevedibilità. La Corte Edu ha respinto la censura rilevando la chiarezza e prevedibilità della base legale, per quanto concerne: a) livello di diligenza richiesto al terzo acquirente per evitare la confisca: la Corte Edu ha rilevato che, sia al momento dell’acquisto della statua (§ 315) che al momento dell’adozione della confisca (§ 306), la nozione di diligenza necessaria per essere “persona estranea al reato” era chiaramente stabilito dalla giurisprudenza italiana; b) applicabilità della confisca anche quando il reato è caduto in prescrizione: la Corte Edu sottolinea che la confisca nel caso in esame non ha natura punitiva (e quindi non rientra nell’art. 7), ma ha una funzione prioritariamente recuperatoria, volta all’interesse generale violato dall’esportazione illegale, ossia a ripristinare la situazione originaria di dominio pubblico (§ 314); inoltre al momento dell’acquisto c’era già giurisprudenza italiana per cui la confisca non presupponeva necessariamente la commissione del reato (con conseguente irrilevanza della prescrizione dello stesso reato) (§§ 315-316); c) applicabilità della confisca quando il bene si trova al di fuori del territorio dello Stato: la Corte Edu ha evidenziato la totale infondatezza dell’eccezione della ricorrente, che non ha fornito alcun elemento concreto per affermare che non fosse prevedibile l’applicazione della confisca quando il bene era stato portato all’estero, tanto più che la stessa era proprio il presupposto necessario per la presentazione di domande di cooperazione internazionale volte al recupero del bene esportato illecitamente (§ 318); d) assenza di un termine per l’applicazione della misura: gli Stati godono di un margine di discrezionalità quando si tratta di recuperare un bene unico e insostituibile, e del resto l’assenza del termine si ravvisa in diversi Paesi, anche all’interno del Consiglio d’Europa (§§ 322-323). 4. Sul perseguimento di un interesse pubblico o generale. La Corte Edu ha ritenuto che la confisca persegua un interesse generale legittimo ai sensi dell’art. 1, Prot. 1, evidenziando i seguenti profili: a) la protezione del patrimonio culturale, in particolare contro le esportazioni illecite di beni culturali, è in sé un obiettivo legittimo ai fini della Con RASSEGNA AVVoCATuRA dELLo STATo -N. 4/2023 venzione (§ 340), confermato dal diritto internazionale (Convenzione uNE- SCo, Convenzione unidroit, direttiva 2014/60/uE) (§ 341); b) la misura era in concreto volta a proteggere il patrimonio culturale: e infatti: i) la circostanza dell’appartenenza della statua al patrimonio culturale italiano è stata accertata dal giudice nazionale, all’esito di lunghe discussioni nel corso delle quali gli argomenti del Getty Trust sono stati tutti presi in considerazione, e con una decisione pienamente motivata e rispettosa delle disposizioni giuridiche (§ 348): quindi le autorità nazionali hanno ragionevolmente dimostrato che la statua faceva parte del patrimonio culturale italiano (§ 359); ii) l’accertamento del ritrovamento della statua in acque territoriali italiane, ancorché passato in giudicato per essere stato affermato dal GIP di Pesaro e non oggetto di una specifica censura né con il ricorso per cassazione nè con il ricorso alla Corte Edu (§ 332), non è rilevante, essendo emerso che la nave che ha ripescato la statua aveva bandiera italiana (§ 351); iii) la giurisdizione dello Stato sui beni ritrovati da una nave che batta la sua bandiera è pacifica nel diritto internazionale (§§ 352 e ss.); iv) l’obbligo di denuncia del bene ritrovato sancito dal codice della navigazione italiano è confermato dalle norme internazionali (§ 355), e il Getty era a conoscenza della sua violazione; v) anche se il bene non fosse stato di proprietà statale, la confisca è prevista per la violazione delle norme di controllo culturale e doganale, e la tutela -attraverso la confisca -del diritto degli Stati di autorizzare o meno l’esportazione di beni culturali privati è conforme a norme internazionali (Convenzione unidroit 1995; regolamento uE n. 116/2009) (§ 358). 5. Sulla proporzionalità della misura rispetto all’obiettivo perseguito. La Corte ha precisato, in via generale, che l’esistenza di un giusto equilibrio tra le esigenze dell’interesse generale e quelle della protezione del diritto dell’individuo si fonda su un esame di tutte le circostanze, e non richiede necessariamente un risarcimento economico (previsto solo per il caso di espropriazione, che non si ravvisa in questa fattispecie). Secondo la Corte Edu, occorre in particolare verificare se le autorità nazionali, nel disporre la confisca, hanno tenuto conto sia del comportamento dell’acquirente del bene che quello delle autorità nazionali. La Corte ha concluso che lo Stato dispone di un ampio margine di discrezionalità su ciò che è “conforme all’interesse generale”, in particolare quando si tratta di questioni relative al patrimonio culturale. Tenuto conto del forte consensus nel diritto internazionale ed europeo per quanto riguarda la necessità di proteggere i beni culturali dall’esportazione illegale e di restituirli al loro paese d’origine, del comportamento negligente della ricorrente, nonché del vuoto giuridico del tutto eccezionale in cui le autorità nazionali hanno constatato nel caso di specie, la Corte conclude che esse non hanno ecceduto il loro margine di discrezionalità (§ 408). CoNTENzIoSo ComuNITARIo Ed INTERNAzIoNALE La Corte Edu ha in particolare rilevato quanto segue: a) sul comportamento del Getty Trust. La Corte Edu ritiene che i rappresentanti del Trust avessero, come minimo, motivi molto seri per dubitare della legittima provenienza della statua, dal momento che: i) i procedimenti penali svoltisi tra il 1966 e il 1970 per il reato di ricettazione e appropriazione di un bene archeologico rubato appartenente allo Stato, conclusi con sentenza della Corte d’Appello di Perugia del 18 novembre 1970, non escludevano che la statua facesse parte del patrimonio culturale italiano, ma si sono limitati ad assolvere gli imputati sulla base di prove insufficienti circa il luogo esatto in cui era stata trovata la statua; la sentenza del 1970 non poteva essere invocata per concludere che la statua era stata legittimamente esportata dall’Italia, in quanto riguardava le circostanze della sua scoperta e non della sua esportazione; ii) nel corso delle trattative i rappresentanti del Trust erano a conoscenza dei tentativi delle autorità italiane di recuperare la statua e che le pretese di queste ultime sull’oggetto sono state più volte menzionate dai legali dei venditori; iii) Getty Senior aveva chiaramente subordinato l’acquisto della statua all’ottenimento della prova della sua legittima provenienza e che è stato chiaramente informato dell’esistenza di “alcune possibili complicazioni legali”. I rappresentanti del Trust avevano quindi il chiaro dovere di adottare tutte le misure che ci si poteva ragionevolmente aspettare da loro per indagare sulla provenienza legittima della statua prima di acquistarla; invece: i) essi non hanno proceduto ad una valutazione attenta e obiettiva della provenienza della statua basandosi solo sulle assicurazioni degli avvocati dei venditori, alcune delle quali erano molto generiche e idonee a suscitare seri dubbi sulla loro buona fede; ii) non hanno chiesto, né i venditori hanno fornito, alcuna prova della legittima esportazione della statua dall’Italia, pur essendo a conoscenza delle disposizioni nazionali applicabili che richiedono una licenza di esportazione, indipendentemente dal rilascio della proprietà, così non rispettando le istruzioni impartite da Getty Senior. b) sul comportamento delle autorità nazionali. La Corte ha ritenuto che le autorità nazionali, venute a conoscenza del- l’acquisto della statua nel 1977, hanno reagito prontamente e diligentemente (§ 394). Viene ravvisata una qualche negligenza delle autorità italiane solo in ragione del mancato esperimento di alcuni tentativi di accertamento tramite Interpol e sul non aver attivato prima la procedura iniziata nel 2007, ma la stessa è giustificata dal fatto che le autorità operavano in una situazione di vuoto giu RASSEGNA AVVoCATuRA dELLo STATo -N. 4/2023 ridico, non esistendo strumenti giuridici vincolanti che avrebbero consentito di recuperare la statua o di ottenere la piena collaborazione delle autorità straniere (§ 400). Inoltre, tale negligenza si è verificata in un contesto in cui il detentore del bene non era in buona fede, e non ha comportato alcun arricchimento senza causa per lo Stato (a differenza di Beyeler, § 407). c) sull’assenza di un risarcimento o indennizzo. La Corte Edu ritiene che l’assenza di un indennizzo non abbia implicato un onere eccessivo a carico del Trust, atteso che l’acquisto è avvenuto quanto meno con negligenza (§ 401) e non poteva ignorare che la legislazione italiana prevede una confisca senza indennizzo nei confronti dei soggetti che acquisivano la proprietà in mala fede (ammesso che nel caso di specie il Getty Trust avesse acquistato la proprietà del bene, circostanza molto contestata) (§§ 401-402). Quindi il Getty Trust ha accettato il rischio che la statua venisse confiscata senza indennizzo, il che esclude che possa configurarsi un onere sproporzionato (§ 404). Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, Prima sezione, sentenza 2 maggio 2024, ricorso n. 35271/19, causa J. Paul Getty e altri c. italia -Pres. marko Bošnjak; Giud. Alena Poláčková, Krzysztof Wojtyczek, Lətif Hüseynov, Ivana Jelić, Gilberto Felici, Raffaele Sabato (*) Art. 1 P1 • Il pacifico godimento dei propri beni • Provvedimento di confisca proporzionato emesso dalle autorità italiane per recuperare dal Getty museum degli Stati uniti una statua in bronzo di epoca greca classica • Trust del ricorrente sufficientemente influenzato dalla misura contestata anche se non ancora eseguita • ordinanza impugnata implicava la responsabilità dello Stato convenuto ai fini dell’Art. 1 • Interesse proprietario sufficientemente consolidato e rilevante da configurare un “possesso” • Art. 1 P1 applicabile • Base legale della misura contestata sufficientemente chiara, prevedibile e compatibile con lo Stato di diritto • mancanza di termine per azioni di recupero non comporta automaticamente interferenza imprevedibile o arbitraria • Tutela del patrimonio culturale e artistico del paese è finalità legittima ai fini della Convenzione • Forte consenso nel diritto internazionale ed europeo sulla necessità di proteggere beni culturali dall’esportazione illegale e di restituirli al paese d’origine • Autorità italiane ragionevolmente dimostravano che la Statua faceva parte del patrimonio culturale italiano e apparteneva legalmente allo Stato all’emissione del provvedimento di confisca • Conclusioni dei giudici nazionali non sono né manifestamente erronee né arbitrarie • ordine impartito “nell’interesse pubblico o generale” al fine di tutelare il patrimonio culturale italiano • Natura di acquisto della transazione giustificava un livello di diligenza elevato • Trust non ha agito con la necessaria diligenza nell’acquisto (*) traduzione non ufficiale della sentenza a cura della Dott.ssa Edina Eszeny. CoNTENzIoSo ComuNITARIo Ed INTERNAzIoNALE della Statua • mancanza di legittima aspettativa di conservare la Statua o di ottenere l’eventuale risarcimento • Autorità nazionali operavano in vuoto giuridico, poiché al momento dell’esportazione della Statua e dell’acquisto da parte del Trust non erano in vigore strumenti giuridici internazionali vincolanti • Ampio margine di apprezzamento nelle questioni relative al patrimonio culturale non oltrepassato. (Preparato dalla Cancelleria. Non impegna la Corte) INTRoduzIoNE 1. La causa concerne il provvedimento di confisca adottato nei confronti del “Giovane Vittorioso” (Victorious Youth), detto anche “Atleta di Fano” (Athlete of Fano) o “Lisippo di Fano” (Lysippus of Fano), una statua in bronzo risalente al periodo greco classico (“il Bronzo” o “la Statua”) in possesso del J. Paul Getty Trust (“il Trust” o “il primo ricorrente”). Le autorità giudiziarie nazionali hanno stabilito che la Statua, protetta dalla legge italiana sui beni culturali e dalle leggi doganali, era stata esportata illegalmente dall’Italia e poi acquistata per negligenza dal Trust, nonostante l’assenza di una licenza di esportazione e i ripetuti tentativi delle autorità italiane di recuperarla in quanto patrimonio culturale italiano e a causa del mancato pagamento dei dazi doganali di esportazione. 2. Il Trust e i membri del suo consiglio di amministrazione (“i trustee”) hanno sostenuto che l’adozione del provvedimento di confisca costituiva una violazione del loro diritto al pacifico godimento dei loro beni, come garantito dall’articolo 1 del Protocollo n. 1. Hanno inoltre lamentato il rischio di essere privati di tale diritto nel caso in cui le autorità italiane riuscissero a ottenere il riconoscimento e l’esecuzione della confisca negli Stati uniti d’America (uSA), dove la Statua è tuttora conservata ed esposta, presso la Getty Villa di malibu, in California, uno dei due campus del Getty museum. IN FATTo 3. Il primo ricorrente è un’ente giuridico senza scopo di lucro, fondato dal sig. J. Paul Getty Senior (“sig. Getty Senior”) e registrato negli Stati uniti nel 1953. I quattordici candidati individuali sono tutti cittadini americani e membri del consiglio di amministrazione del primo ricorrente. Essi sono stati rappresentati dall’avvocato T. otty, che esercita a Londra. 4. Il Governo è stato rappresentato dal suo agente, il Sig. L. d’Ascia, Avvocato dello Stato. 5. I fatti oggetto della causa possono essere riassunti come segue. I. IL CoNTESTo dEL CASo A. scoperta della statua 6. Nel 1964 un’antica Statua greca di Bronzo raffigurante un giovane, nota come “Giovane Vittorioso”, fu rinvenuta nelle acque al largo di Pedaso, sulla costa adriatica, da pescatori italiani che la portarono al porto di Fano. 7. Successivamente la Statua fu portata a Carrara, frazione del comune di Fano. 8. Essa fu poi acquistata dai signori P.B., F.B. e G.B., che la collocarono nella casa del sig. G.N. a Gubbio. 9. Nel 1965 il Bronzo fu venduto a terzi sconosciuti e il suo luogo di residenza rimase ignoto. B. Procedimento penale per il reato di ricettazione di un bene archeologico rubato appartenente allo stato 10. I signori P.B., F.B., G.B. e G.N. sono stati accusati di ricettazione in relazione al furto RASSEGNA AVVoCATuRA dELLo STATo -N. 4/2023 di un oggetto archeologico protetto di proprietà dello Stato, ai sensi dell’articolo 67 della legge n. 1089 del 1° giugno 1939 (“legge n. 1089/1939”; cfr. paragrafo 114). 11. Il 18 maggio 1966 il Tribunale di Perugia li assolse. Esso osservò (i) che gli elementi di prova erano insufficienti per concludere che la Statua fosse stata rinvenuta nelle acque territoriali italiane e quindi appartenesse allo Stato, e (ii) che, anche se fosse stata rinvenuta nelle acque territoriali italiane, gli elementi di prova erano insufficienti per dimostrare che gli imputati fossero a conoscenza della sua origine illecita, dal momento che il venditore li aveva rassicurati sul fatto che era stata rinvenuta in acque jugoslave. di conseguenza, non fu possibile dimostrare che “sapevano o avrebbero dovuto sapere” che stavano ricevendo e gestendo “merce rubata”. 12. Il 27 gennaio 1967 la Corte d’appello di Perugia ribaltò la sentenza di primo grado. Il Sig. P.B., il Sig. F.B. e il Sig. G.B. furono condannati per ricettazione e gestione di merce rubata, mentre il Sig. G.N. fu condannato per concorso in occultamento del prodotto o del profitto di un reato. 13. Il 22 maggio 1968 la sentenza fu annullata dalla Corte di Cassazione, che osservò che il reato di ricettazione presupponeva il furto di un oggetto archeologico appartenente allo Stato. La Corte concluse inoltre che la sentenza non era stata sufficientemente motivata per quanto riguardava il ritrovamento del Bronzo sul territorio italiano e rinviò la causa alla Corte d’Appello di Perugia. 14. Il 18 novembre 1970 la Corte d’Appello di Perugia assolse gli imputati. Essa ha ritenuto che il ritrovamento della Statua nelle acque territoriali italiane non fosse stato provato in modo diretto e convincente e che, di conseguenza, non sussistessero i reati contestati agli imputati. C. Esportazione della statua in Germania e la prima indagine sull’esportazione illegale 15. Il Bronzo è riapparso a monaco di Baviera, in Germania, nei locali di un mercante d’arte tedesco, il sig. H.H., che lo custodiva per conto di una società registrata e con sede nel Liechtenstein (cfr. paragrafo 23). 16. Il 27 luglio 1973 un funzionario del ministero degli Interni italiano scrisse alla polizia criminale di monaco di Baviera informandola delle circostanze in cui la Statua era stata esportata e che era in possesso del sig. H.H. Si chiese di intervenire con urgenza per impedire qualsiasi rivendita e per consentire agli esperti italiani di esaminare e fotografare la Statua. 17. Le azioni intraprese dalla polizia tedesca sono citate in una lettera del 17 agosto 1973 del sig. H.H. al suo avvocato italiano: “Il [30 luglio] 1973, la polizia criminale di monaco di Baviera, accompagnata da due funzionari italiani, è entrata nella nostra galleria, presentando l’ordine di arrestare [la parola qui è intesa come “sequestrare”] la nostra Statua greca in Bronzo, e -se necessario -di cercarla nei nostri locali, nonché nella mia casa privata. L’argomento è quello del sospetto di ricettazione e del sospetto di aver contrabbandato la Statua dall’Italia, illegalmente. ... Il [31 luglio] si sono svolti vari colloqui, tra il nostro avvocato e il giudice istruttore, nonché con i due capi della polizia criminale di monaco, incaricati della questione... il nostro avvocato è riuscito a sottolineare che il sospetto di aver ricevuto merce rubata era del tutto infondato, così come il sospetto di aver contrabbandato l’oggetto da qualsiasi paese. Ha anche avvertito che non si devono fare fotografie e che non si devono dare informazioni inutili a nessuno, né alle autorità. ... CoNTENzIoSo ComuNITARIo Ed INTERNAzIoNALE La polizia criminale di monaco ha rinunciato a tutte le intenzioni iniziali di vedere la Statua, di avere copie dei nostri documenti di importazione o di ricevere qualsiasi altro dettaglio e prova. I due ordini sopra citati... sono stati semplicemente ritirati e restituiti alla polizia -siamo stati noi a insistere [sic] per avere una documentazione completa di questi atti, in particolare una copia dell’ordine ritirato e dell’ordine del Pubblico ministero di interrompere il caso”. 18. Il 1° agosto 1973 la polizia tedesca interrogò il sig. H.H., che espresse dubbi sulla corrispondenza tra la Statua oggetto dell’indagine su richiesta delle autorità italiane e la Statua in suo possesso. In ogni caso, egli dichiarò di averla ricevuta dalla società Artemis, di non avere alcun motivo di dubitare della validità del titolo di quest’ultima e che, se le autorità italiane avessero avuto qualche pretesa plausibile, avrebbero dovuto avviare un procedimento civile. 19. Il 3 agosto 1973 le autorità tedesche presentarono denuncia contro il sig. H.H. Tuttavia, il 22 agosto 1973 la Procura di monaco di Baviera archiviò il caso in quanto “l’atto criminale della ricettazione non [poteva] essere provato ... con la certezza necessaria per un’incriminazione”. 20. L’anno successivo il pretore di Gubbio aprì un’indagine per l’esportazione illecita di un bene culturale ai sensi dell’articolo 66 della legge n. 1089/1939 (cfr. paragrafo 113). Il 9 febbraio 1974 il magistrato inviò una lettera di richiesta alle autorità tedesche, chiedendo loro di: (i) sequestrare la Statua, se necessario, dopo aver perquisito i luoghi in cui poteva essere trovata; (ii) sentire il sig. H.H. in quanto sospettato di aver commesso tale reato e chiedergli le circostanze in cui era entrato in possesso della Statua e ogni altra informazione sulla sua provenienza e proprietà; (iii) fornire fotografie della stessa; (iv) informare dell’adempimento delle richieste; e (v) trattenere la Statua prima di inviarla in Italia. 21. Il 2 aprile 1974 la Procura di monaco di Baviera respinse la richiesta delle autorità italiane e interrompe l’indagine nei confronti del sig. H.H. 22. Nel 1976 le autorità italiane interruppero le indagini perché gli autori del presunto crimine rimasero sconosciuti. II. L’ACQuISTo dELLA STATuA dA PARTE dEL PRImo RICoRRENTE 23. mentre la Statua si trovava in Germania, il Trust ha avviato le trattative per l’acquisto con il sig. H.H., rappresentante del venditore, che ha agito per conto del proprietario, una società registrata e con sede nel Liechtenstein (cfr. paragrafo 15). 24. Il 30 agosto 1972 il sig. N.B., consulente del sig. Getty, informò il rappresentante del venditore che il sig. Getty aveva dichiarato che, a condizione e nell’ipotesi di ottenere un titolo di proprietà chiaro e soddisfacente per il sig. S.P. (avvocato del sig. Getty), avrebbe raccomandato agli amministratori di acquistare la Statua. La lettera segnalava l’esistenza di “alcune possibili complicazioni legali”, poiché “non [era] noto quando [l’oggetto avesse] lasciato la Grecia o l’Italia, o quando [fosse stato] scoperto”. I rappresentanti del Trust hanno chiesto al venditore di fornire informazioni per consentire una corretta valutazione della legalità del- l’acquisto. 25. In una lettera datata 31 agosto 1972, il sig. Getty Senior informò il rappresentante del venditore di aver raccomandato ai trustee l’acquisto della Statua per 3.500.000 dollari statunitensi (uSd). Inoltre, chiese una copia delle decisioni dei tribunali italiani nei procedimenti penali riguardanti le circostanze del ritrovamento del Bronzo nel mare Adriatico (cfr. paragrafi 10-14). RASSEGNA AVVoCATuRA dELLo STATo -N. 4/2023 26. Il 4 ottobre 1972 l’avvocato italiano del venditore, il sig. G.m., assicurò all’avvocato del sig. Getty che, secondo la legge italiana, l’Italia non poteva rivendicare alcun diritto sulla Statua. Egli ha sostenuto, in particolare, che non si poteva provare che la Statua oggetto di negoziazione fosse la stessa che era stata oggetto del suddetto procedimento penale. In ogni caso, ha osservato che il procedimento penale aveva concluso che non si poteva provare che la Statua fosse stata trovata nelle acque territoriali italiane (cfr. paragrafo 14), che il governo italiano non aveva rivendicato la proprietà della Statua in quel procedimento penale e che quindi si trattava di un oggetto ordinario appartenente ai suoi clienti a titolo privato. 27. La lettera fu accompagnata da una traduzione delle sentenze italiane emesse nel procedimento penale (cfr. paragrafi 10-14), redatta dall’avvocato V.G., dello studio legale italiano che rappresentava il venditore. 28. Il 30 giugno 1973 il consulente del sig. Getty inviò una lettera al sig. Getty Senior in merito alla possibilità che il Getty Trust e il metropolitan museum di New York acquistassero congiuntamente la Statua. 29. Il 25 agosto 1973 il rappresentante del venditore assicurò al sig. J.F. (allora curatore delle antichità del Getty museum) la disponibilità del venditore a condividere tutte le informazioni disponibili. Per quanto riguarda l’origine della Statua, la lettera recitava come segue: “Nel frattempo una delle principali preoccupazioni del sig. Getty è stata dimostrata in modo assolutamente soddisfacente: anche gli italiani ammettono che abbiamo un titolo chiaro su questo Bronzo: [il consulente del sig. Getty] sarà adeguatamente informato su questo, dai nostri avvocati italiani...”. 30. Il 25 settembre 1973, l’avvocato V.G., un altro legale italiano del venditore, inviò una lettera al consulente del sig. Getty, contenente informazioni sull’indagine aperta dalla procura di monaco. La parte rilevante della lettera recitava come segue: “Secondo il procuratore distrettuale di monaco, l’accusa originariamente sollevata contro il nostro cliente non è fondata. Questo dovrebbe risolvere una volta per tutte un caso privo di qualsiasi fondamento giuridico ... d’altra parte, le autorità italiane sembrano perfettamente consapevoli che nessuna accusa può essere mossa in questo Paese contro i nostri clienti dopo la sentenza emessa dalla Corte d’Appello [di Perugia] il [18 novembre] 1970 che, come sapete, è definitiva. Inoltre, la prescrizione applicabile esclude qualsiasi accusa di esportazione illegale, anche se questa potrebbe essere una notazione superflua, poiché nessuna accusa di questo tipo potrebbe mai essere mossa contro i nostri clienti che hanno acquistato la Statua all’estero”. 31. In una lettera del 1° ottobre 1973, gli avvocati italiani del venditore informarono ulteriormente il consulente del sig. Getty delle circostanze relative all’acquisto della Statua, della sua proprietà e delle rivendicazioni dello Stato italiano: “In allegato troverete copia dell’ordinanza emessa dal Procuratore distrettuale di monaco. Come sapete, l’ordinanza in questione è il più recente sviluppo degli intrecci legali che hanno fatto seguito alle eccitanti speculazioni sollevate nel marzo 1973 da Il Messaggero, un giornale romano di una certa importanza locale. A questo proposito ritengo che dobbiate essere a conoscenza di alcuni fatti che, anche se di conoscenza generale, potrebbero essere considerati rilevanti da un potenziale acquirente del Bronzo. Il nostro studio ha inizialmente assistito gli attuali proprietari della Statua (Etablissement d.C. di Vadu[z]), per quanto riguarda l’indiscutibile buon titolo della loro acquisizione, avvenuta nel giugno 1971. Il nostro parere ha fatto seguito all’indagine legale e fattuale approfondita sul luogo in cui si trova il Bronzo e sui precedenti storici e giudiziari relativi a ritrovamenti di opere d’arte in acque internazionali. CoNTENzIoSo ComuNITARIo Ed INTERNAzIoNALE In seguito abbiamo continuato ad agire per il gruppo di Washington, rivelando le considerazioni legali su cui si basava il nostro parere, (1) al Getty museum di malibù, uno degli acquirenti proposti del Bronzo. ... Le affermazioni de Il Messaggero, per quanto drammaticamente fuorvianti, sono state più pregiudizievoli per le autorità governative italiane preposte alla sorveglianza delle opere d’arte che per la reputazione dei nostri clienti. Ciò spiega la richiesta informale di spiegazioni che abbiamo ricevuto dal sig. [L.G.], un alto funzionario del ministero del- l’Istruzione, tramite i buoni uffici di un amico comune. durante un incontro con il sig. [L.G.], avvenuto nel marzo del 1973 nel nostro ufficio, gli rivelammo le nostre scoperte e gli dicemmo la semplice verità che, per quanto a conoscenza dei nostri clienti, il Bronzo aveva un solo vero paese di origine: La Grecia, circa 2.400 anni fa. Il sig. [L.G.] era apertamente sollevato di poter confermare al suo ministro che, dopo la sentenza della Corte d’Appello [di Perugia] del 1970, nessuna accusa di negligenza poteva essere mossa al Governo e dichiarò che per quanto riguardava il ministero dell’Istruzione la questione poteva essere accantonata. In realtà abbiamo potuto appurare per vie confidenziali che l’indagine condotta in Germania dalla Polizia italiana non era altro che l’iniziativa personale e in qualche modo arbitraria di un noto personaggio della Polizia che, in una faida interna con funzionari di un altro dipartimento, ha acquisito una certa notorietà insinuando che un certo numero di opere fossero un bottino di guerra nazista o un contrabbando dall’Italia... mi permetto di aggiungere, sapendo che il contenuto di questa lettera sarà trattato con la massima riservatezza, che ho appreso personalmente da uno dei poliziotti [sic] che si è occupato della questione, che la polizia italiana considera la stessa definitivamente chiusa”. 32. In una lettera del 3 novembre 1973 il rappresentante del venditore informò il curatore delle antichità del Getty museum che il venditore non avrebbe venduto il Bronzo per meno di 4.000.000 dollari. 33. Il 6 giugno 1976, mentre le trattative erano ancora in corso, il sig. Getty Senior morì. 34. L’8 giugno 1977 i trustee discussero l’acquisto. Si è convenuto di aggiornare il parere legale ottenuto dall’avvocato italiano nell’ottobre 1972 (cfr. paragrafo 26). 35. In una lettera dell’8 luglio 1977, il rappresentante del venditore scrisse al curatore del Getty museum di aver incaricato l’ufficio londinese del venditore di inviargli per posta la documentazione completa sugli aspetti legali riguardanti la Statua. La lettera affermò che il fascicolo conteneva “tutti i documenti possibili”, ossia: (i) “la documentazione completa del caso nei tribunali italiani”; (ii) “tutti i documenti relativi al primo tentativo di appropriazione della Statua da parte degli italiani”; e (iii) “tutti i documenti relativi al secondo tentativo di appropriazione della Statua da parte degli italiani”. 36. La lettera includeva un parere legale ottenuto dal venditore il 7 gennaio 1974 dal sig. P.R., un avvocato tedesco, che affermò che la proprietà della Statua era stata validamente acquisita dai pescatori che l’avevano trovata e quindi validamente trasferita ai venditori. 37. Il Trust ha acquistato il Bronzo il 27 luglio 1977 per 3.950.000 uSd tramite un contratto stipulato nel Regno unito. L’acquisto è stato annunciato ufficialmente tramite un comunicato stampa. La clausola 2(a) del contratto di acquisto tra il venditore e il Getty museum stabiliva quanto segue: (1) La virgola è presente nella versione originale della lettera. RASSEGNA AVVoCATuRA dELLo STATo -N. 4/2023 “Possiede un buon titolo di proprietà sulla Statua, libero da ogni diritto e rivendicazione altrui, e ... ha il potere e l’autorità di stipulare ed eseguire i propri obblighi ai sensi del presente Contratto in conformità ai termini e alle disposizioni dello stesso”. 38. La Statua è entrata negli Stati uniti attraverso il porto di Boston il 15 agosto 1977 ed è arrivata alla Getty Villa di malibu nel marzo 1978, dove è esposta fino ad oggi. III. I TENTATIVI dI RECuPERo dA PARTE dELLE AuToRITÀ ITALIANE 39. dopo l’arrivo della Statua negli Stati uniti, le autorità italiane hanno avviato un’indagine sulle circostanze dell’acquisto e dell’ingresso della Statua nel territorio statunitense. A. richiesta internazionale di indagine 40. Nel dicembre 1977 le autorità doganali italiane, tramite l’Interpol di Roma, inviarono una richiesta di indagine, la quale fu inoltrata all’Agenzia delle dogane degli Stati uniti a Washington d.C. Si chiedeva di verificare se la Statua fosse entrata correttamente negli Stati uniti, di ottenere copie di tutti i documenti di ingresso e di intervistare il personale del Getty museum per determinare quali azioni avessero intrapreso per accertarsi della legittimità del- l’acquisto. La richiesta fu inoltrata il 27 dicembre 1977 all’ufficio dell’Agente Speciale incaricato a Los Angeles. 41. L’agente speciale condusse un’indagine tra il 3 e l’11 gennaio 1978. I risultati dell’indagine furono inclusi in un rapporto del 17 gennaio 1978, in cui si concludeva che l’ingresso della Statua nel territorio statunitense non sembrava aver violato le leggi doganali degli Stati uniti. 42. Il 23 maggio 1978 l’ufficio Centrale del ministero per i Beni Culturali e Ambientali italiano chiarì che l’ufficio Esportazione aveva accertato che non era stata rilasciata alcuna licenza di esportazione per la Statua. 43. Il 30 maggio 1979 il Reparto Tutela Patrimonio Culturale dei Carabinieri ricevette una nota dalle autorità statunitensi tramite l’Interpol a Roma, in cui si chiedeva di chiarire se le autorità italiane ritenessero che la Statua fosse protetta dalla legge italiana sui beni culturali e se fosse stata esportata illegalmente dall’Italia. 44. A seguito dell’interruzione delle indagini nazionali (cfr. paragrafi 54-55), le autorità italiane non diedero seguito alla questione. I documenti a disposizione della Corte mostrano che l’indagine fu chiusa dall’Interpol e dalle autorità statunitensi nel 1984. B. seconda indagine sull’esportazione illecita 45. In data imprecisata, il magistrato di Gubbio aprì un’indagine per esportazione illecita di un bene culturale. 1. Raccolta delle dichiarazioni 46. I carabinieri di Imola furono informati che il sig. R.m., un commerciante locale, aveva visto la Statua ricoperta di incrostazioni marine nel 1964, quando era ancora presso i pescatori che l’avevano trovata. Interrogato il 24 novembre 1977, egli consegnò ai carabinieri una fotografia della Statua scattata in quell’occasione. 47. Nel dicembre 1977 i carabinieri interrogarono nuovamente i capitani dei pescherecci e i pescatori che avevano trovato la Statua. Essi dissero di aver trovato l’oggetto per caso, mentre stavano pescando a poche miglia dalla costa italiana, non lontano dalla costa di Pedaso. 2. Lettera di richiesta alle autorità britanniche 48. Il 14 gennaio 1978 il magistrato di Gubbio inviò una lettera di richiesta alle autorità britanniche, chiedendo loro di collaborare alle indagini sulle circostanze dell’acquisto della Statua e del suo transito in territorio britannico. 49. Il 2 maggio 1978 le autorità britanniche fornirono informazioni sul transito della Statua. CoNTENzIoSo ComuNITARIo Ed INTERNAzIoNALE Tuttavia, esse respinsero le altre richieste, osservando, tra l’altro, che il Regno unito non era parte della Convenzione dell’uNESCo sui mezzi per proibire e prevenire l’importazione, l’esportazione e il trasferimento di proprietà illecite di beni culturali (cfr. paragrafo 150), che era stata invocata dalle autorità italiane. 3. Lettera di richiesta alle autorità statunitensi 50. Il 17 febbraio 1978 l’ambasciata italiana negli Stati uniti ricevette una lettera di richiesta da parte della Procura della Repubblica di Perugia, a seguito di un’istanza del magistrato di Gubbio, in cui si chiedeva alle autorità statunitensi assistenza giudiziaria nelle indagini sulle circostanze dell’ingresso della Statua in territorio statunitense e del suo sequestro. 51. Il 27 febbraio 1978 il dipartimento di Stato americano respinse la richiesta in quanto, in base alla circolare del Segretario di Stato americano del 3 febbraio 1976, il sequestro di beni in territorio statunitense non poteva essere effettuato tramite una richiesta di assistenza giudiziaria accompagnata da una lettera di richiesta. L’archiviazione chiarì che le autorità italiane avrebbero potuto avviare un procedimento dinanzi alle autorità giudiziarie statunitensi in conformità con il diritto statunitense. 4. Ulteriori indagini 52. Il 9 marzo 1978 il magistrato di Gubbio ordinò al Nucleo Tutela Patrimonio Culturale dei Carabinieri di perlustrare l’area marina dove era avvenuto il ritrovamento per determinarne l’esatta ubicazione. 53. Il 13 settembre 1978 il Nucleo Tutela Patrimonio Culturale dei carabinieri rispose che la ricerca richiesta era impossibile per motivi tecnici e per il rischio di intraprendere azioni in acque jugoslave. 5. Interruzione delle indagini 54. Il 25 novembre 1978 il magistrato di Gubbio interruppe le indagini sull’esportazione illecita di un bene culturale in quanto gli autori del reato rimanevano sconosciuti e i reati erano caduti in prescrizione. 55. A seguito della richiesta di informazioni inoltrata dalle autorità statunitensi attraverso l’Interpol (cfr. paragrafo 43), il 25 agosto 1980 il magistrato di Gubbio inviò una lettera alla Procura della Repubblica di Perugia, confermando che l’indagine era stata interrotta e che il “procedimento penale in questione non risulta[va]... suscettibile di ulteriori approfondimenti da parte della magistratura ordinaria, alla quale [era] in particolare preclusa la possibilità di disporre ulteriori provvedimenti finalizzati al recupero della Statua”. Essa riteneva che, a suo avviso, ogni competenza in materia spettasse al ministero degli Affari Esteri e al ministero per i Beni Culturali e Ambientali, che avrebbero potuto tentare di recuperare la Statua ricorrendo ai mezzi indicati nella nota del dipartimento di Stato americano (cfr. paragrafo 51). 6. Ulteriori procedimenti 56. dai documenti a disposizione della Corte risulta che il 3 novembre 1989 la Procura di Pesaro dispose il sequestro e l’esame di alcune incrostazioni marine rimosse dalla Statua dopo il suo ritrovamento. 57. Secondo i risultati dell’esame scientifico, datato 9 luglio 1992, non fu possibile trarre informazioni chiare dalla valutazione. 58. Le autorità raccolsero le dichiarazioni di alcuni individui che erano stati coinvolti nel- l’occultamento della Statua dopo il suo ritrovamento. 59. dal materiale presentato dalle parti non è chiaro quando fossero state interrotte queste indagini. RASSEGNA AVVoCATuRA dELLo STATo -N. 4/2023 C. tentativi amministrativi e diplomatici da parte delle autorità italiane per il recupero del Bronzo 60. Il 28 settembre 1982 si è svolto un incontro tra i rappresentanti del Trust e quelli del ministero per i Beni Culturali e Ambientali italiano. Il contenuto della discussione non è conosciuto. 61. Il 19 aprile 1984 il ministero per i Beni Culturali e Ambientali italiano riconobbe di aver ricevuto una nota dall’Interpol di Washington nel quale si affermava che fino a quando non fossero state fornite prove concrete sulla proprietà della Statua, essa non avrebbe potuto essere recuperata. 62. Nel 1989 il direttore Generale per i Beni Archeologici del ministero per i Beni Culturali e Ambientali scrisse al direttore del Getty museum, chiedendo la restituzione del Bronzo all’Italia. Nella lettera si sottolineava “l’inconsistenza etica e giuridica delle ragioni che [sembravano] essere state addotte [dal Trust] per trattenere il Bronzo”, si ribadiva che “l’[oggetto era stato] ritrovato da un’imbarcazione italiana e immediatamente trasportato sul suolo italiano, dove [era] rimasto a lungo prima di essere esportato senza una regolare licenza”, e si richiamava la Convenzione uNESCo del 1970, che nel frattempo era stata ratificata sia dal- l’Italia che dagli Stati uniti. Il 15 maggio 1989 il Trust rispose che non esisteva alcun rapporto tra la Statua e l’Italia e rifiutò di restituire il Bronzo. 63. Nel 1995 il ministero degli Affari Esteri italiano, attraverso l’Ambasciata d’Italia a Washington, incaricò il console italiano a Los Angeles di negoziare la restituzione del Bronzo con l’allora curatrice delle antichità del Getty museum. Quest’ultima ribadì che il Trust aveva acquistato la Statua in buona fede, sette anni dopo la sentenza di assoluzione emessa nel procedimento penale italiano e sei anni prima che gli Stati uniti aderissero alla Convenzione uNESCo del 1970. Aggiunse che non è realistico aspettarsi che il Bronzo venga restituito incondizionatamente. 64. La curatrice delle antichità del Getty museum ha quindi respinto la richiesta di restituzione sulla base del fatto che i presunti reati erano caduti in prescrizione e che il Trust aveva agito in buona fede al momento dell’acquisto della Statua. I rappresentanti del Trust proposero un accordo in base al quale il Getty museum avrebbe finanziato il restauro di opere d’arte in Italia e prestato la Statua per lunghi periodi di esposizione in Italia, in cambio della fine della disputa sulla sua proprietà. 65. Tra il 2006 e il 2007 il ministero per i Beni e le Attività Culturali e il Trust hanno negoziato il rientro in Italia di circa quaranta oggetti archeologici. Le parti hanno deciso congiuntamente di rinviare i negoziati relativi alla Statua. Secondo il Governo, l’accordo conteneva un’espressa clausola di riservatezza che impediva alle parti di produrlo in tribunale. Pertanto, hanno scelto di non fornire l’accordo alla Corte. IV. I PRoCEdImENTI INTERNI E IL PRoVVEdImENTo dI CoNFISCA 66. L’11 maggio 2006 il Los Angeles Times ha pubblicato un articolo contenente alcune dichiarazioni di T.H., allora direttore del metropolitan museum di New York, in merito alla Statua. 67. Il 5 aprile 2007 gli attivisti locali hanno presentato un esposto alla Procura della Repubblica di Pesaro, chiedendo di agire per ottenere il rientro del Bronzo in Italia. 68. Il 12 aprile 2007 la Procura di Pesaro ha denunciato i capitani dei due pescherecci, nonché i signori P.B., F.B., G.B. (cfr. paragrafo 8) e alcuni sconosciuti. Essi sono stati accusati di aver esportato il Bronzo senza la necessaria licenza, di non aver denunciato la Statua alle CoNTENzIoSo ComuNITARIo Ed INTERNAzIoNALE autorità competenti dopo il ritrovamento e di aver violato i controlli di frontiera per importarla in Italia. 69. Il 24 aprile 2007 i carabinieri italiani hanno raccolto una dichiarazione del sig. T.H. (cfr. paragrafo 66), il quale ha affermato di aver visto la Statua per la prima volta a monaco di Baviera nel 1972, presso la galleria del sig. H.H., e che durante le discussioni tra il Getty Trust e il metropolitan museum di New York sull’acquisto congiunto della Statua, il sig. Getty Senior aveva riferito preoccupazioni sulle circostanze in cui la Statua era stata scoperta ed esportata. Il sig. T.H. ha inoltre dichiarato che “il sig. Getty [aveva] posto come condizione per l’acquisto del Bronzo l’acquisizione di autorizzazioni scritte da parte delle autorità italiane”. A. interruzione del procedimento penale e archiviazione della richiesta di confisca 70. Il 12 luglio 2007 la Procura della Repubblica di Pesaro ha chiesto al giudice per le indagini preliminari (“GIP”) del Tribunale di Pesaro l’archiviazione del procedimento “in quanto prescritto e perché alcune delle persone indagate sono decedute”. Il pubblico ministero ha chiesto la confisca (2) del Bronzo in quanto esportato illegalmente. 71. Con ordinanza del 19 novembre 2007, il GIP del Tribunale di Pesaro ha disposto l’archiviazione del procedimento. 72. Il GIP ha respinto la richiesta di confisca, osservando che le disposizioni nazionali relative alla confisca dei beni culturali esportati illegalmente (cfr. paragrafi 113 e 121), come modificate alla luce della giurisprudenza della Corte Costituzionale (cfr. paragrafo 125), non consentivano l’imposizione di tale misura “nei confronti di persona estranea al reato”. Pertanto, ha ritenuto che la confisca non potesse essere ordinata perché il Trust non era coinvolto nei reati in questione, e poiché la buona fede dei suoi rappresentanti non poteva essere esclusa con certezza. In particolare, la Statua era stata acquistata dopo che una sentenza definitiva adottata dalle autorità giudiziarie italiane aveva escluso il reato di ricettazione. B. il procedimento di esecuzione e la prima ordinanza di confisca 73. Il 29 novembre 2007, la Procura di Pesaro ha presentato un incidente di esecuzione. 74. Il 10 dicembre 2008 il GIP del Tribunale di Pesaro ha informato il Trust, in qualità di attuale detentore del bene, del suo diritto di partecipare all’udienza e di presentare osservazioni. Il Trust ha partecipato al procedimento attraverso il suo rappresentante. 75. Con un’ordinanza interlocutoria del 12 giugno 2009, il GIP ha respinto un’opposizione del Trust alla ricevibilità del procedimento esecutivo. 76. Il 10 febbraio 2010 il GIP ha ordinato la confisca della Statua, “ovunque essa si trovi”. Il GIP ha ritenuto che la misura fosse obbligatoria ai sensi della legislazione nazionale applicabile, in quanto finalizzata al recupero del possesso di un bene culturale appartenente allo Stato. 77. Il GIP ha inoltre osservato che un provvedimento di confisca, data la sua finalità di “recupero”, potrebbe essere imposto nel procedimento di esecuzione anche se i relativi reati sono caduti in prescrizione, se la persona che possiede o era in possesso dell’oggetto non è una “persona estranea al reato”: secondo la giurisprudenza in materia, la misura potrebbe essere (2) La traduzione inglese redatta dalla Cancelleria utilizza l’espressione “confiscation” in conformità con il termine italiano “confisca” nell’articolo 174 § 3 del decreto n. 42/2004 (cfr. paragrafo 121), a causa della natura penale di tale disposizione. Tuttavia, laddove la versione originale dei testi citati nella presente sentenza utilizzava il diverso termine “sequestro”, il testo oiginale non è stato modificato. RASSEGNA AVVoCATuRA dELLo STATo -N. 4/2023 imposta a persone che non hanno commesso il reato se è possibile accertare e attribuire loro un “difetto di vigilanza” (cfr. paragrafo 124). A questo proposito, il GIP ha osservato che i rappresentanti del Trust non avevano condotto un’indagine adeguata sull’origine legittima della Statua e, pertanto, erano stati quantomeno negligenti. 78. Il GIP ha rilevato che l’indagine non era riuscita a identificare il luogo di ritrovamento della Statua e ha concluso che probabilmente era stata ritrovata in acque internazionali. Tuttavia, il GIP ha ritenuto che lo Stato italiano ne avesse acquisito la proprietà. Egli ha osservato, in particolare, che il Bronzo era stato scoperto da una nave battente bandiera italiana. Tenendo conto del principio di diritto internazionale consuetudinario della libertà dell’alto mare e del corrispondente principio della giurisdizione esclusiva dello “Stato di bandiera”, era applicabile l’articolo 4 del Codice della Navigazione italiano (cfr. paragrafo 116). In base a tali disposizioni, le navi battenti bandiera italiana fanno parte del territorio dello Stato. di conseguenza, il Bronzo era stato rinvenuto in territorio italiano, la legge sul patrimonio italiano era applicabile e l’Italia aveva quindi acquisito la proprietà della Statua. 79. Il GIP ha inoltre osservato che, in linea di principio, non si può ordinare la confisca di beni culturali che, per definizione, appartengono allo Stato. Tuttavia, quando il bene culturale in questione si trovava al di fuori del territorio dello Stato, poteva essere recuperato esclusivamente attraverso meccanismi di cooperazione giudiziaria internazionale, che necessitavano di una confisca formale o di un ordine simile. La decisione osservava che non esistevano esempi di giurisprudenza, ma solo pareri accademici, che affermassero che la misura in questione non poteva essere imposta nei casi in cui i beni culturali fossero situati al di fuori del territorio italiano. 80. Il 13 febbraio 2010, i ricorrenti hanno presentato un ricorso per cassazione presso la Corte di Cassazione. Con sentenza n. 6558 del 22 febbraio 2011, il tribunale ha riqualificato il ricorso come opposizione alla confisca ai sensi dell’articolo 667 § 4 del Codice di Procedura Penale e ha disposto il trasferimento del caso al GIP del Tribunale di Pesaro. 81. Il 3 maggio 2012 egli ha respinto l’obiezione dei ricorrenti. C. Annullamento del provvedimento di confisca per mancanza di udienza pubblica 82. Il primo ricorrente ha presentato ricorso in Cassazione contro tale decisione, lamentando, inter alia, l’iniquità del procedimento in quanto le udienze dinanzi al GIP non si erano svolte in pubblico. 83. Con ordinanza n. 24356 del 4 giugno 2014, la Corte di Cassazione ha sollevato una questione di legittimità costituzionale nei confronti degli articoli 666 § 3, 667 § 5 e 676 del Codice di Procedura Penale, laddove tali disposizioni non consentivano, su richiesta delle parti, lo svolgimento del procedimento relativo all’opposizione a un provvedimento di confisca nelle forme dell’udienza pubblica. 84. Con la sentenza n. 97 del 15 giugno 2015, la Corte Costituzionale ha dichiarato incostituzionali le suddette disposizioni in quanto non consentivano lo svolgimento pubblico dei procedimenti esecutivi. 85. Con sentenza del 27 ottobre 2015, la Corte di Cassazione ha accolto il ricorso relativo alla mancanza di un’udienza pubblica. di conseguenza, egli ha annullato la sentenza del 3 maggio 2012 (cfr. paragrafo 81), rinviando il caso al GIP del Tribunale di Pesaro per una nuova decisione sui ricorsi dei ricorrenti. D. riapertura del procedimento esecutivo e del secondo provvedimento di confisca 1. Ordinanza dell’8 giugno 2018 del GIP del Tribunale di Pesaro 86. Con ordinanza dell’8 giugno 2018, il GIP del Tribunale di Pesaro ha confermato il CoNTENzIoSo ComuNITARIo Ed INTERNAzIoNALE provvedimento di confisca. Il GIP ha osservato che la misura era finalizzata al recupero della Statua in quanto parte del patrimonio dello Stato e, in ogni caso, era stata esportata illegalmente dall’Italia senza la necessaria licenza e il pagamento dei relativi dazi doganali. 87. Per quanto riguarda l’accertamento dei fatti, il GIP ha ritenuto che il ritrovamento del Bronzo fosse avvenuto in acque territoriali italiane sulla base delle dichiarazioni rese nel dicembre 1977 dai capitani delle due imbarcazioni, che avevano ricordato che al momento del ritrovamento stavano pescando a poche miglia dalla costa (cfr. paragrafo 47). 88. Il GIP ha inoltre affermato che, ai sensi dell’articolo 510 del Codice della Navigazione, il ritrovamento della Statua avrebbe dovuto essere denunciato alle autorità competenti e che, ai sensi dell’articolo 511 dello stesso Codice, la proprietà di qualsiasi bene culturale ritrovato in mare passa allo Stato. 89. Tuttavia, il GIP ha osservato che il primo ricorrente aveva sopravvalutato la rilevanza del luogo esatto del ritrovamento. Egli ha ritenuto che, a prescindere da tale questione, lo Stato italiano avesse acquisito la proprietà del Bronzo in quanto scoperto da una nave battente bandiera italiana e quindi all’interno del territorio italiano, ai sensi dell’articolo 4 del Codice della Navigazione italiano (cfr. paragrafo 116). Inoltre, sebbene gli esperti di antichità avessero avanzato diverse ipotesi (che il Bronzo fosse un originale, una copia romana, un reperto itinerante o parte di una collezione imperiale), il Bronzo era molto probabilmente opera dell’artista greco Lisippo e il suo legame con l’Italia doveva essere considerato “certo non marginale”, in quanto al momento della creazione della Statua, l’artista aveva molto probabilmente visitato Roma e Taranto. All’epoca, Grecia e Roma intrattenevano buone relazioni e, in seguito, la civiltà romana si sviluppò come continuazione di quella ellenica. Ciò è sufficiente, secondo il GIP, a stabilire un legame significativo tra il bene culturale e l’Italia. 90. Inoltre, secondo il GIP, la proprietà del Trust era nulla in quanto il suo predecessore legale (dante causa) e coloro che avevano scoperto il Bronzo e lo avevano esportato prima di loro, avevano violato la legge italiana sulla tutela degli oggetti di interesse artistico e storico. 91. La decisione ha affermato che, anche se il Trust non aveva commesso alcun reato, non si trattava di una “persona estranea al reato”, in particolare di una persona che al momento dell’acquisto aveva ignorato, senza colpa, l’origine illecita degli oggetti e non ne aveva tratto alcun profitto (cfr. paragrafi 124-128). In particolare, il GIP ha ritenuto che il Trust sia stato negligente acquistando la Statua senza un’adeguata e indipendente indagine sulla legittimità ai sensi della legge italiana dei precedenti trasferimenti e, invece, affidandosi semplicemente alle assicurazioni e alle valutazioni legali dei legali dei venditori. 92. Infine, il GIP ha ritenuto che la sentenza penale definitiva emessa nel 1970 (cfr. paragrafo 14) non fosse vincolante ai fini della confisca, in quanto emessa in un procedimento avviato per reati diversi. Per quanto riguarda le altre decisioni emesse nei procedimenti relativi al reato di esportazione illecita svolti negli anni ‘70, era stato deciso di non procedere al processo solo a causa della mancata risposta delle autorità di altri Paesi alle richieste delle autorità italiane (cfr. paragrafi 49, 51 e 54). Secondo il GIP, se lo Stato italiano non aveva recuperato la Statua per più di trent’anni, la colpa ricadeva su coloro che non avevano espletato le necessarie formalità di importazione ed esportazione e non avevano pagato i relativi dazi doganali, in quanto il rispetto di tali obblighi avrebbe permesso allo Stato di essere informato della situazione e di prendere le dovute misure al riguardo. 2. La sentenza della Corte di Cassazione del 2 gennaio 2019 93. Il rappresentante del primo ricorrente ha presentato due distinti ricorsi per motivi di diritto alla Corte di Cassazione. RASSEGNA AVVoCATuRA dELLo STATo -N. 4/2023 94. Il provvedimento di confisca è stato confermato da una decisione definitiva della Corte di Cassazione del 2 gennaio 2019 (sentenza n. 22/19). 95. La Corte di Cassazione ha ritenuto che la confisca disposta ai sensi dell’articolo 174 § 3 del decreto legislativo n. 42/2004 (cfr. paragrafo 121) non costituisce una sanzione. oltre ad essere connessa all’avvenuta commissione di un reato, per il quale tuttavia non era necessaria una condanna penale (cfr. paragrafo 98), essa aveva una funzione prioritariamente recuperatoria, idonea ad essere perseguita anche nei confronti di soggetti estranei alla commissione del reato (cfr. paragrafo 96), in quanto finalizzata ad assicurare il rispetto dell’interesse pubblico violato da un’esportazione illecita attraverso il ripristino della “situazione originaria di dominio pubblico” (cfr. paragrafo 99) sull’oggetto. La Corte di Cassazione ha rilevato che, dopo la sua scoperta, la Statua non era stata denunciata alle autorità nazionali competenti ai sensi della legislazione marittima applicabile (cfr. paragrafi 88 e 116). Inoltre, è stata successivamente esportata senza il pagamento dei relativi dazi doganali e senza la necessaria licenza. 96. Per quanto riguarda la questione se il Trust fosse stato negligente o avesse agito in malafede quando aveva acquistato la Statua, la Corte di Cassazione ha ribadito che la nozione di “persona estranea al reato” ai sensi della pertinente giurisprudenza interna (cfr. paragrafi 124128) richiedeva di accertare se il “destinatario” del provvedimento avesse cooperato alla commissione del reato di esportazione illecita o se, per negligenza o in malafede, avesse “consapevolmente beneficiato” della sua commissione e, di conseguenza, avesse acquistato o acquisito l’oggetto nonostante la conoscenza del reato. 97. La Corte di Cassazione ha osservato che la valutazione del GIP circa la malafede o la negligenza del Trust era stata ragionevole, osservando che: (i) durante le trattative, mr Getty Senior aveva espresso seri dubbi sulla provenienza della Statua; (ii) i rappresentanti del Trust avevano chiesto informazioni esclusivamente al rappresentante del venditore che, pur essendo un professionista del settore, aveva un chiaro interesse a presentare la provenienza come legittima; (iii) i rappresentanti del Trust avevano omesso di chiedere alle autorità italiane competenti se fossero state rispettate le formalità di esportazione e le altre disposizioni della legge italiana sul patrimonio culturale. di conseguenza, i rappresentanti del Trust avevano acquistato la Statua senza valutare, con la diligenza richiesta dalla particolare natura e gravità dell’operazione e dai precedenti di cui erano a conoscenza, la sua legittima provenienza. 98. Per quanto riguarda la possibilità di imporre la misura in assenza di una condanna penale, la Corte di Cassazione ha osservato che la legislazione nazionale in materia prevedeva la confisca obbligatoria dei beni culturali esportati illegalmente senza il pagamento dei relativi dazi doganali (cfr. paragrafo 110) e senza la relativa licenza (cfr. paragrafo 121). Ha inoltre chiarito che, secondo la sua precedente giurisprudenza, la misura poteva essere imposta anche quando il procedimento non portava a una condanna penale perché il reato in questione era caduto in prescrizione. 99. Secondo la Corte di Cassazione, la misura mirava effettivamente a ristabilire un “dominio pubblico” sui beni del patrimonio culturale, rispetto ai quali, in assenza di eccezioni specifiche nella legislazione nazionale applicabile, esisteva una “presunzione di proprietà pubblica”. A questo proposito, nessun’altra misura meno restrittiva avrebbe potuto perseguire lo stesso obiettivo. 100. Per quanto riguarda la possibilità di considerare la Statua come parte del patrimonio culturale italiano, la Corte di Cassazione ha ritenuto che il luogo esatto del ritrovamento fosse irrilevante, per due motivi. In primo luogo, la Statua era stata rinvenuta da una nave battente CoNTENzIoSo ComuNITARIo Ed INTERNAzIoNALE bandiera italiana ed era quindi entrata nel territorio dello Stato (cfr. paragrafo 78). In secondo luogo, la Corte di Cassazione ha ritenuto che, al momento dell’affondamento della Statua, fosse possibile dedurre quanto segue: “da tale sommarissima rassegna non può che dedursi la esistenza di un continuum fra la civiltà greca, importata in territorio italico, e la successiva esperienza culturale romana; continuum del quale costituisce una conferma proprio la presenza al largo di Pedaso, in quelle che ora sono le marche, della statua dell’“atleta vittorioso” (3) 101. La Corte di Cassazione ha inoltre affermato quanto segue: “ ... Invero in relazione ad essa può ragionevolmente dedursi che, sia che fosse trasportata da una nave salpata a sua volta dal territorio italico -è, infatti, come detto documentata la presenza di Lisippo sicionio in quella che era Taranto -sia che fosse stata trasportata da una nave partita dalle coste ioniche della penisola greca, il luogo di destinazione fosse uno dei porti adriatici della penisola italiana, ad ulteriore testimonianza della appartenenza, ab illo tempore, del manufatto all’orbita culturale del nostro Paese”. 102. La Corte di Cassazione ha inoltre respinto il ricorso relativo alla mancanza di prevedibilità della base giuridica, osservando che l’articolo 174 del decreto n. 42/2004 ha incorporato la disposizione precedentemente inclusa nell’articolo 66 della Legge n. 1089/1939 e nell’articolo 123 § 3 del decreto Legislativo n. 490 del 29 ottobre 1999 (“decreto 490/1999”), e che la nozione di “persona estranea al reato” era chiaramente stabilita nella precedente giurisprudenza disponibile. 103. Per quanto riguarda l’effetto vincolante della sentenza della Corte d’Appello di Perugia del 18 novembre 1970, la Corte di Cassazione ha osservato che le accuse mosse agli imputati in quel caso avevano riguardato l’eventuale commissione del reato di ricettazione, mentre nel più recente caso sottoposto al Tribunale di Pesaro i fatti contestati riguardavano l’esportazione (3) La Corte di Cassazione ha stabilito quanto segue: “non vi è dubbio che la statua dell’“atleta vittorioso”… costituisce parte del patrimonio artistico dello Stato. Tale rilievo si fonda non solo sulla indubbia circostanza che l’opera è stata rinvenuta da un peschereccio italiano ed issata a bordo di esso, già in tal modo entrando all’interno del territorio nazionale, ma essa è giustificata dalla appartenenza di essa a quella continuità culturale che ha, fin dal primordi del suo sviluppo, legato la civiltà dapprima italica e poi romana alla esperienza culturale greca, di cui quella romana ben può dirsi la continuatrice. È ben vero, come sapientemente ricordato dalla difesa del [sig S.C.]… , l’opera di pervasione territoriale dei Romani nella Grecia propriamente detta era militarmente iniziata solo nel 146 avanti Cristo con la caduta di Corinto e la sconfitta della Lega Achea (sebbene, vada ricordato, fosse già precedente la conquista della macedonia, fattore non casualmente ricordato ove si consideri che proprio lo scultore Lisippo deve parte della sua fama al fatto di essere stato autore di statue di bronzo raffiguranti, con icastica espressività, le fattezze di Alessandro il macedone, che lo prediligeva fra gli artefici; cfr. infatti, Antologia Planudea, epigramma 119), tanto che solo in epoca proto imperiale orazio, nella sua Epistola ad Augusto, ricordò, nel celeberrimo distico, come Graecia capta, ferum victorem cepit / et artes intulit agresti Latio (Horati Epistulae, 2, 1, v. 156 e seg.), ma non può trascurarsi di considerare quanto maggiormente risalente fosse stata la influenza greca sul territorio italico; molte delle più importanti figure storico culturali greche ebbero i natali in quelle che erano allora le colonie greche in territorio italico (Gorgia nasce a Leontini, Archimede a Siracusa, solo per citarne alcuni fra i maggiori), altri vi hanno abitato sino a rivendicarne l’appartenenza (è noto che Erodoto, nato ad Alicarnasso in Asia minore, si definisse “turio”, per la sua lunga presenza nella colonia greca di Turi, nella odierna Puglia); è altrettanto noto come le prime espressioni artistico letterarie riferite alla latinità fossero immediatamente riconducibili a personalità formatesi in ambiente greco (per tutti Livio Andronico, anche in questo caso giunto a Roma -al seguito di Livio Salinatore, da cui prese il nomen -dalla natia Taranto, città ove era stato ed aveva operato anche Lisippo di Sicione)”. RASSEGNA AVVoCATuRA dELLo STATo -N. 4/2023 illegale della Statua, che costituiva un bene culturale, al di fuori del territorio dello Stato, e la sua importazione nello Stato senza il pagamento dei dazi doganali e senza che fosse stata debitamente denunciata all’autorità preposta alla tutela del patrimonio storico e artistico. E. il tentativo delle autorità italiane di ottenere il riconoscimento e l’esecuzione del provvedimento di confisca negli stati Uniti 104. Il 4 luglio 2019 la Procura di Pesaro ha inviato alle autorità statunitensi una lettera di richiesta internazionale tramite il ministero della Giustizia italiano (lettera n. 720/2021). Essa comprendeva una richiesta di riconoscimento ed esecuzione del provvedimento di confisca ai sensi del Trattato di assistenza giudiziaria in materia penale tra l’Italia e gli Stati uniti d’America, firmato il 9 novembre 1982 (cfr. paragrafi 131-132), che è stato integrato dal Trattato Stati uniti d’America -unione Europea firmato il 3 maggio 2006 (cfr. paragrafo 133), nonché dalla Convenzione delle Nazioni unite contro la criminalità organizzata transnazionale, adottata dall’Assemblea generale il 15 novembre 2000 (cfr. paragrafo 135). 105. Sulla base delle informazioni a disposizione della Corte, il procedimento è ancora in corso nella sua prima fase. In base alle disposizioni applicabili, l’ufficio del Procuratore Generale degli Stati uniti (US Attorney General’s Office) deve certificare la richiesta di assistenza giudiziaria e presentarla al tribunale nazionale competente a decidere sulla richiesta di riconoscimento ed esecuzione. QuAdRo GIuRIdICo E PRASSI PERTINENTE I. IL dIRITTo INTERNo A. La Costituzione 106. L’articolo 9 della Costituzione italiana, in vigore all’epoca dei fatti, recita come segue: “La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione”. B. Legge n. 1089 del 1° giugno 1939 sulla tutela degli oggetti di interesse artistico o storico 107. Al momento del ritrovamento del Bronzo, la tutela dei beni culturali era regolata dalla Legge n. 1089/1939, successivamente consolidata con altre disposizioni dal decreto Legislativo n. 490 del 20 ottobre 1999 (cfr. paragrafo 120) e successivamente sostituita dal decreto Legislativo n. 42 del 22 gennaio 2004 (cfr. paragrafo 121). 108. Le sezioni 1 e 2 fornivano una definizione di oggetti di interesse artistico, storico, archeologico o etnografico. 109. L’articolo 23 prevedeva che gli oggetti citati negli articoli 1 e 2 fossero inalienabili e imprescrittibili se di proprietà dello Stato, delle province e dei comuni. 110. Le sezioni 30 et seq. regolavano la circolazione dei beni culturali posseduti da privati. La sezione 36, in particolare, subordinava l’esportazione di oggetti archeologici al rilascio di un certificato di libera circolazione, noto come “licenza di esportazione”. 111. L’acquisizione della proprietà dei beni culturali rinvenuti era regolata dalla sezione 44, che nella parte pertinente recitava come segue: “1. Le cose ritrovate appartengono allo Stato. 2. Al proprietario dell’immobile sarà corrisposto dal ministro, in denaro o mediante rilascio di una parte delle cose ritrovate, un premio, che in ogni caso non può superare il quarto del valore delle cose stesse. ...” 112. Il primo paragrafo dell’articolo 64 prevedeva che se la cosa non poteva più essere rin CoNTENzIoSo ComuNITARIo Ed INTERNAzIoNALE tracciata o risultava esportata dal Regno, il trasgressore era tenuto a corrispondere allo Stato una somma pari al valore della cosa. 113. La sezione 66 regolava la confisca dei beni culturali esportati illegalmente. Le parti rilevanti del provvedimento, in vigore al momento dell’esportazione della Statua dall’Italia, recitavano come segue: “1. È punita con la, multa da lire 2.000 a lire 150.000, l’esportazione, anche soltanto tentata, delle cose previste dalla presente legge: (a) quando la cosa non sia presentata alla dogana; ... 2. La cosa è confiscata. La confisca ha luogo in conformità delle norme della legge doganale relative alle cose oggetto di contrabbando. ... 4. ove non sia possibile recuperare la cosa, sono applicabili le disposizioni dell’art. 64”. 114. La sezione 67 prevedeva che chiunque si impossessasse di cose di antichità e d’arte, rinvenute fortuitamente ovvero in seguito a ricerche od opere in genere, fosse punito ai sensi dell’articolo 624 del Codice Penale. C. Codice Civile 115. L’articolo 826 del Codice Civile, che regola il patrimonio indisponibile dello Stato, delle province e dei comuni, recita come segue: “I beni appartenenti allo Stato, alle province e ai comuni, i quali non siano della specie di quelli indicati dagli articoli precedenti, costituiscono il patrimonio dello Stato o, rispettivamente, delle province e dei comuni. Fanno parte del patrimonio indisponibile dello Stato ... le cose d’interesse storico, archeologico, paletnologico, paleontologico e artistico, da chiunque e in qualunque modo ritrovate nel sottosuolo ...”. D. Codice della navigazione 116. Le disposizioni pertinenti del Codice della Navigazione italiano recitano come segue: Articolo 4: Navi e aereomobili italiani in località non soggette alla sovranità di alcuno Stato “Le navi italiane in alto mare e gli aeromobili italiani in luogo o spazio non soggetto alla sovranità di alcuno Stato sono considerati come territorio italiano” Articolo 510: Diritti ed obblighi del ritrovatore “1. Chi trova fortuitamente relitti in mare ... entro tre giorni dal ritrovamento, o dall’approdo della nave se il ritrovamento è avvenuto in corso di navigazione deve farne denuncia all’autorità marittima più vicina e, quando sia possibile, consegnare le cose ritrovate al proprietario, o, se questi gli sia ignoto e il valore dei relitti superi le lire cinquanta, all’autorità predetta. ...” Articolo 511: Custodia e vendita delle cose ritrovate “Per la custodia delle cose ritrovate, per la vendita delle medesime e per la devoluzione delle somme ricavate si applica il disposto dell’articolo 508. Tuttavia gli oggetti di interesse artistico, storico, archeologico o etnografico ... quando il proprietario non curi di ritirarli, ovvero non si presenti nei termini indicati nel terzo comma del predetto articolo, sono devoluti allo Stato, salvo in ogni caso il diritto del ritrovatore all’indennità ed al compenso stabiliti nell’articolo precedente”. E. Decreto del Presidente della repubblica n. 43 del 23 gennaio 1973 (testo unico delle disposizioni legislative in materia doganale) RASSEGNA AVVoCATuRA dELLo STATo -N. 4/2023 117. Tale decreto contiene disposizioni in materia di dogana e contrabbando, che recitano come segue: Articolo 292: Altri casi di contrabbando “Chiunque, fuori dei casi preveduti negli articoli precedenti, sottrae merci al pagamento dei diritti di confine dovuti, è punito con la multa non minore di due e non maggiore di dieci volte i diritti medesimi” Articolo 301: Delle misure di sicurezza patrimoniali. Confisca “1. Nei casi di contrabbando è sempre ordinata la confisca delle cose che servirono o furono destinate a commettere il reato e delle cose che ne sono l’oggetto ovvero il prodotto o il profitto. ...” F. Legge 15 maggio 1997, n. 127 (misure urgenti per lo snellimento dell’attività amministrativa e dei procedimenti di decisione e di controllo) 118. L’articolo 12, comma 3, della legge n. 127/1997 prevedeva che “le disposizioni di cui agli articoli 24 e seguenti della legge 1° giugno 1939, n. 1089” fossero applicabili alle alienazioni di beni immobili di interesse storico e artistico dello Stato, dei comuni e delle province. G. Legge n. 88 del 30 marzo 1998 (norme sulla circolazione dei beni culturali) 119. L’articolo 23 della legge n. 88/1998 ha emendato l’articolo 66 della legge n. 1089/1939 (cfr. paragrafo 113) alla luce della sentenza della Corte Costituzionale n. 2 del 19 gennaio 1987 (cfr. paragrafo 125). L’articolo 66, paragrafo 3, della disposizione emendata stabiliva che la misura della confisca dei beni culturali esportati illegalmente non poteva essere imposta “a persona estranea al reato” ai sensi della pertinente giurisprudenza nazionale (cfr. paragrafi 122-128). H. Decreto Legislativo n. 490 del 29 ottobre 1999 (testo unico delle disposizioni legislative in materia di beni culturali e ambientali) 120. Questo decreto ha consolidato le disposizioni della Legge n. 1089/1939 e le altre disposizioni in materia di beni culturali. La disposizione pertinente recitava come segue: Articolo 123: Esportazione illecita “... 3. Il giudice dispone la confisca delle cose [esportate illecitamente], salvo che queste appartengano a persona estranea al reato. La confisca ha luogo in conformità delle norme della legge doganale relative alle cose oggetto di contrabbando. ...” i. Decreto Legislativo n. 42 del 22 gennaio 2004 (Codice dei beni culturali e del paesaggio) 121. Tale decreto aveva lo scopo di coordinare e armonizzare le disposizioni relative alla tutela del patrimonio culturale contenute nella legislazione sopra citata. Le disposizioni pertinenti recitano come segue: Articolo 2: Patrimonio culturale “1. Il patrimonio culturale è costituito dai beni culturali e dai beni paesaggistici. 2. Sono beni culturali le cose immobili e mobili che, ai sensi degli articoli 10 e 11, presentano interesse artistico, storico, archeologico, etnoantropologico, archivistico e bibliografico e le altre cose individuate dalla legge o in base alla legge quali testimonianze aventi valore di civiltà. ...” Articolo 10: Beni culturali CoNTENzIoSo ComuNITARIo Ed INTERNAzIoNALE “1. Sono beni culturali le cose immobili e mobili appartenenti allo Stato ... che presentano interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico. ...” Articolo 54: Beni inalienabili “... 2. Sono altresì inalienabili: (a) le cose immobili e mobili appartenenti [allo Stato], che siano opera di autore non più vivente e la cui esecuzione risalga ad oltre cinquanta anni, fino alla conclusione del procedimento di verifica previsto dall’articolo 12; ...” Articolo 65: Uscita definitiva “1. È vietata l’uscita definitiva dal territorio della Repubblica dei beni culturali mobili indicati nell’articolo 10, commi 1, 2 e 3. ... 3. Fuori dei casi previsti dai commi 1 e 2, è soggetta ad autorizzazione, secondo le modalità stabilite nella presente sezione e nella sezione II di questo Capo, l’uscita definitiva dal territorio della Repubblica: (a) delle cose, a chiunque appartenenti, che presentino interesse culturale, siano opera di autore non più vivente e la cui esecuzione risalga ad oltre settanta anni, il cui valore ... sia superiore ad euro 13.500; ...” Articolo 91: Appartenenza e qualificazione delle cose ritrovate “1. Le cose indicate nell’articolo 10, da chiunque e in qualunque modo ritrovate nel sottosuolo o sui fondali marini, appartengono allo Stato e, a seconda che siano immobili o mobili, fanno parte del demanio o del patrimonio indisponibile, ai sensi degli articoli 822 e 826 del codice civile...” Articolo 174: Uscita o esportazione illecite “1. Chiunque trasferisce all’estero cose di interesse artistico, storico, archeologico, etnoantropologico, bibliografico, documentale o archivistico, nonché quelle indicate all’Articolo 11, comma 1, lettere f), g) e h), senza attestato di libera circolazione o licenza di esportazione, è punito con la reclusione da uno a quattro anni o con la multa da euro 258 a euro 5.165. 2. La pena prevista al comma 1 si applica, altresì, nei confronti di chiunque non fa rientrare nel territorio nazionale, alla scadenza del termine, beni culturali per i quali sia stata autorizzata l’uscita o l’esportazione temporanee. 3. Il giudice dispone la confisca (4) delle cose, salvo che queste appartengano a persona estranea al reato. La confisca ha luogo in conformità delle norme della legge doganale relative alle cose oggetto di contrabbando. ...”. II. GIuRISPRudENzA INTERNA A. Concetto di “persona estranea al reato” 122. L’articolo 66 della legge n. 1089/1939 (cfr. paragrafo 113) consentiva di imporre la misura della confisca dei beni culturali esportati illegalmente a terzi che possedevano o erano (4) Cfr. nota n. 3. RASSEGNA AVVoCATuRA dELLo STATo -N. 4/2023 in possesso di tali beni, indipendentemente dal fatto che fossero responsabili o coinvolti nella loro esportazione illegale. Nella sentenza n. 260 del 21 gennaio 1974, la Corte di Cassazione ha precisato che ciò ha lo scopo di “scoraggiare la facile collusione tra il terzo e il contrabbandiere al fine di eludere la legge”. 123. Nella giurisprudenza successiva, si è ritenuto che la misura non potesse essere imposta a terzi “estranei al reato” e si è chiarito il significato di questa nozione. 1. La Corte Costituzionale 124. Nella sentenza n. 229 del 17 luglio 1974, la Corte Costituzionale ha stabilito che la confisca degli oggetti di contrabbando (cfr. paragrafo 117) può essere imposta a persone che non hanno commesso il reato solo se si può accertare una “difetto di vigilanza”. Per evitare l’imposizione di una “responsabilità obiettiva” a terzi che possedevano o erano in possesso di un tale oggetto, era necessario stabilire che, anche se non erano consapevoli della commissione del reato di contrabbando, la loro condotta negligente aveva permesso o facilitato la sua commissione. 125. Nella sentenza n. 2 del 19 gennaio 1987, la Corte Costituzionale ha applicato lo stesso ragionamento alla confisca di beni culturali esportati illegalmente (cfr. paragrafo 113), confermando che l’imposizione della misura a terzi richiedeva una valutazione di “non-imputabilità di un difetto di vigilanza”: un soggetto estraneo al reato era una persona “che non sia autore del reato e non ne abbia tratto in alcun modo profitto”. 126. Con la sentenza n. 3 del 9 gennaio 1997, la Corte Costituzionale ha dichiarato l’articolo 301 § 1 del decreto n. 43/1973 (cfr. paragrafo 117) incostituzionale nella misura in cui non consentiva al proprietario di oggetti di contrabbando di evitare la confisca dimostrando di aver agito in buona fede, ossia che l’acquisto era stato concluso ignorando, senza colpa, l’origine illecita degli oggetti. 2. Corte di Cassazione 127. Per quanto riguarda la confisca di oggetti di contrabbando, nelle sentenze n. 9803 del 7 febbraio 1975 e n. 1344 del 2 luglio 1976, la Corte di Cassazione ha confermato che la nozione di “persona estranea al reato” richiedeva di valutare se all’interessato potesse essere rimproverato, quanto meno, un “difetto di vigilanza”. In altre parole, per dimostrare la propria “estraneità al reato”, i terzi dovevano dimostrare che non era possibile attribuire loro alcuna negligenza. Più recentemente, nella sentenza n. 11269 del 10 dicembre 2019, in un caso riguardante la confisca di beni culturali esportati illegalmente, la Corte di Cassazione ha stabilito che i terzi hanno “l’onere della prova [del loro] affidamento incolpevole ingenerato da una situazione di apparenza che rendeva scusabile l’ignoranza o il difetto di diligenza”. 128. La Corte di Cassazione ha applicato lo stesso principio anche ad altri tipi di confisca, confermando che, in generale, i terzi sono autorizzati a provare la loro buona fede e l’assenza di negligenza nell’uso o nell’acquisto dell’oggetto in questione (cfr., ad esempio, le sentenze n. 4008 del 2 dicembre 1997 e 47312 del 20 dicembre 2011 sulla confisca del prodotto o del profitto dei reati; la sentenza n. 26529 del 2 luglio 2008 sulla confisca nei reati ambientali; le sezioni unite, sentenza n. 14484 del 19 gennaio 2012 sulla confisca inflitta nei casi di guida in stato di ebbrezza; e la sentenza n. 7979 del 23 febbraio 2015 sulla “confisca allargata”). B. natura e finalità della confisca di beni culturali esportati illegalmente 129. La giurisprudenza nazionale ha chiarito che, a differenza della confisca dei proventi di reato a seguito di condanna, la confisca dei beni di contrabbando e dei beni culturali esportati CoNTENzIoSo ComuNITARIo Ed INTERNAzIoNALE illegalmente ha natura obbligatoria. La Corte di Cassazione ha stabilito che la misura deve essere disposta “non solo quando il contrabbando sia stato giudizialmente accertato, ma anche quando l’imputato sia stato assolto o dichiarato non punibile o non perseguibile per motivi soggettivi che non interrompano la relazione dell’oggetto con l’introduzione illegale nel territorio dello Stato estero” (cfr. sentenza n. 4215 dell’8 gennaio 1980). Se il fatto era accertato (cioè il contrabbando o l’esportazione), la misura doveva essere imposta indipendentemente dalla presenza di una condanna penale (cfr. sentenze n. 611 del 18 febbraio 1983, n. 49438 del 4 novembre 2009 e n. 11269 del 10 dicembre 2019 e, più recentemente, n. 9101 del 2 marzo 2023). 130. La Corte di Cassazione (cfr. sentenze n. 42458 del 10 giugno 2015 e n. 11269 del 10 dicembre 2019) ha stabilito che, sebbene imposta in un procedimento penale, la misura non aveva una funzione punitiva primaria. Essa è stata definita come una “misura recuperatoria di carattere amministrativo”. Secondo la Corte di Cassazione, la misura aveva sia la funzione di riottenere il controllo su oggetti che, essendo extra commercium, erano di proprietà dello Stato e non potevano essere appropriati da privati, sia quella di impedire che oggetti di interesse culturale di proprietà privata uscissero dal territorio dello Stato senza essere sottoposti al controllo dello Stato. di conseguenza, una volta accertato il fatto (l’esportazione illegale), la misura doveva essere imposta indipendentemente dal fatto che la persona che possedeva o era in possesso degli oggetti avesse commesso il reato, fatta salva la valutazione se potesse essere qualificata come “persona estranea al reato”, e indipendentemente dal fatto che vi fosse stata una condanna formale per tale reato. III. QuAdRo GIuRIdICo INTERNAzIoNALE Ed EuRoPEo A. strumenti internazionali di cooperazione giudiziaria tra gli stati Uniti d’America e l’italia 1. Trattato di mutua assistenza in materia penale tra il governo degli Stati Uniti d’America e il Governo della Repubblica italiana 131. Il Trattato è stato firmato a Roma il 9 novembre 1982. L’Italia lo ha ratificato sulla base della legge n. 224 del 26 maggio 1984, mentre gli Stati uniti lo hanno ratificato il 16 agosto 1984. È entrato in vigore il 13 novembre 1985. 132. Il Trattato prevede l’obbligo di fornire assistenza reciproca in materia penale. Le disposizioni pertinenti recitano come segue. Articolo 1: Obbligo di concedere assistenza “1. Le Parti Contraenti, su richiesta ed in conformità con le disposizioni del presente Trattato, si impegnano a prestarsi reciproca assistenza per le istruttorie e i procedimenti penali. 2. Tale assistenza comprenderà: ...; (g) sequestro e confisca di beni. ...” Articolo 2: Esecuzione di una richiesta “2. La richiesta sarà eseguita in conformita con le disposizioni del presente Trattato e con le leggi dello Stato richiesto. Si dovranno osservare le modalita indicate nella richiesta, a meno che non siano vietate dalla legislazione dello Stato richiesto”. 2. Accordo sulla mutua assistenza giudiziaria tra l’Unione europea e gli Stati Uniti d’America 133. Questo accordo, concluso il 19 luglio 2003, è un trattato quadro che integra i trattati di cooperazione bilaterale conclusi dagli Stati uniti e dagli Stati membri dell’uE. RASSEGNA AVVoCATuRA dELLo STATo -N. 4/2023 134. L’articolo 18 stabilisce che Le Parti Contraenti si forniranno reciproca assistenza nel “sequestro, immobilizzazione e confisca dei frutti e dei proventi dei reati”. 3. Convenzione delle Nazioni Unite contro la criminalità organizzata transnazionale 135. La Convenzione delle Nazioni unite contro la criminalità transnazionale è stata adottata con la risoluzione 55/25 dell’Assemblea generale del 15 novembre 2000 ed è entrata in vigore il 29 settembre 2003. La Convenzione è stata ratificata dagli Stati uniti e dall’Italia rispettivamente il 3 novembre 2005 e il 2 agosto 2006. 136. L’articolo 13 stabilisce gli obblighi di cooperazione internazionale tra gli Stati membri ai fini della confisca dei proventi di reato derivanti dai reati previsti dalla Convenzione. B. Diritto internazionale sulla responsabilità degli stati per atti illeciti a livello internazionale 1. Progetto di articoli della Commissione di diritto internazionale sulla responsabilità degli Stati per gli atti internazionalmente illeciti 137. Il Progetto di articoli sulla responsabilità degli Stati per atti internazionalmente illeciti (Draft Articles on the Responsibility of States for Internationally Wrongful Acts -“ARSIWA”), adottato dalla Commissione di diritto internazionale (International Law Commission -ILC) nel 2001, formula le condizioni generali di diritto internazionale affinché lo Stato sia considerato responsabile di azioni e omissioni illecite e le conseguenze giuridiche che ne derivano. 138. Nel paragrafo 13 del Commentario all’articolo 14 (“Estensione nel tempo della violazione di un obbligo internazionale”), l’ILC ha tracciato una distinzione tra atti o reati illeciti a livello internazionale e azioni preparatorie che possono precedere e che non devono essere confuse con l’atto o il reato stesso. In particolare, l’ILC ha osservato quanto segue: “... la Corte [internazionale di giustizia] ha distinto tra l’effettiva commissione di un atto illecito e la condotta di carattere preparatorio. La condotta preparatoria non costituisce di per sé una violazione se non ‘predetermina la decisione finale da prendere’. Se ciò avviene in un determinato caso dipenderà dai fatti e dal contenuto dell’obbligazione principale. Ci saranno questioni di giudizio e di grado, non determinabili in anticipo con l’uso di una formula particolare”. 139. L’articolo 47 § 1 dell’ARSIWA stabilisce quanto segue:: Articolo 47: Pluralità di Stati responsabili “1. ove più Stati siano responsabili del medesimo atto internazionalmente illecito, può essere invocata la responsabilità di ciascuno di tali Stati in relazione a quell’atto”. 2. La giurisprudenza della Corte internazionale di giustizia 140. Nella sentenza sul progetto Gabčíkovo-Nagymaros (Ungheria c. Slovacchia) (25 settembre 1997, § 79) la Corte internazionale di giustizia (CIG -International Court of Justice) ha stabilito quanto segue: “79. ... un atto o un reato illecito è spesso preceduto da azioni preparatorie che non vanno confuse con l’atto o il reato stesso. È altrettanto opportuno distinguere tra l’effettiva commissione di un atto illecito (istantaneo o continuato) e la condotta precedente a tale atto che ha carattere preparatorio e che ‘non si qualifica come atto illecito’ (does not qualify as a wrongful act)”. C. Diritto marittimo internazionale 1. Diritto internazionale consuetudinario 141. Come ampiamente riconosciuto, il principio della libertà dell’alto mare è chiaramente stabilito dal diritto internazionale consuetudinario. Nella sentenza sul caso “Lotus” del 7 settembre 1927, la Corte Permanente di Giustizia Internazionale (CPGI -Permanent Court of International Justice) ha riconosciuto che un aspetto fondamentale di tale principio è che la CoNTENzIoSo ComuNITARIo Ed INTERNAzIoNALE libertà di navigazione si esercita sotto la giurisdizione esclusiva dello Stato di bandiera. In particolare, il PCGI ha dichiarato quanto segue: “È certamente vero che -a parte alcuni casi particolari definiti dal diritto internazionale le navi in alto mare non sono soggette ad alcuna autorità se non a quella dello Stato di cui battono la bandiera. In virtù del principio della libertà dei mari, cioè dell’assenza di sovranità territoriale in alto mare, nessuno Stato può esercitare alcun tipo di giurisdizione su navi straniere... un corollario del principio della libertà dei mari è che una nave in alto mare è assimilata al territorio dello Stato di cui batte la bandiera, poiché, proprio come sul proprio territorio, tale Stato esercita la propria autorità su di essa e nessun altro Stato può farlo. Tutto ciò che si può dire è che, in virtù del principio della libertà dei mari, una nave si trova nella stessa posizione del territorio nazionale ...”. 2. Convenzione internazionale concernente l’alto mare 142. La Convenzione sull’alto mare è stata conclusa a Ginevra il 29 aprile 1958 ed è entrata in vigore il 30 settembre 1962. L’Italia ha depositato lo strumento di adesione il 17 dicembre 1964. 143. L’articolo 1, che forniva una definizione di “alto mare”, recita come segue: “Per «alto mare» s’intendono tutte le porzioni di mare che non siano territoriali o non appartengono alle acque interne d’uno Stato”. 144. L’articolo 2, che ha codificato il principio consuetudinario della libertà dell’alto mare, recita come segue: “L’alto mare è libero a tutte le nazioni e nessuno Stato può legittimamente pretendere di sottomettere una porzione qualsiasi alla propria sovranità. La libertà sull’alto mare è disciplinata dai presenti articoli e dalle altre norme del diritto internazionale. Esso consiste, per tutti gli Stati, nella libertà di: (1) navigazione; ... ogni Stato che fruisce di queste libertà e di altre, riconosciute dalle norme del diritto internazionale, deve tener conto dell’interesse che gli altri Stati hanno per l’alto mare”. 3. Convenzione di Ginevra sul mare territoriale e la zona contigua 145. Anche la Convenzione sul mare territoriale e la zona contigua è stata conclusa a Ginevra il 29 aprile 1958 ed è entrata in vigore il 10 settembre 1964. L’Italia ha depositato lo strumento di adesione il 17 dicembre 1964. 146. L’articolo 1 recita come segue: “1. La Sovranità di uno Stato si estende oltre il territorio e le acque interne sulla zona di mare adiacente alle coste e chiamata mare territoriale. 2. detta sovranità si esercita secondo le condizioni stabilite nella presente convenzione e le norme del diritto internazionale”. 4. Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare 147. La Convenzione sull’alto mare (cfr. paragrafo 142) e la Convenzione sul mare territoriale e la zona contigua (cfr. paragrafo 145) sono state sostituite, per gli Stati che le avevano ratificate, dalla Convenzione delle Nazioni unite sul diritto del mare (United Nations Convention on the Law of the Sea -“uNCLoS”). La Convenzione è stata conclusa a montego Bay il 10 dicembre 1982 ed è entrata in vigore il 16 novembre 1994. L’Italia l’ha ratificata il 13 gennaio 1995 sulla base della legge n. 689 del 2 dicembre 1992. 148. Le disposizioni pertinenti recitano come segue: Articolo 1: Uso dei termini e ambito d’applicazione RASSEGNA AVVoCATuRA dELLo STATo -N. 4/2023 “1. Ai fini della presente convenzione: (1) per «Area» si intende il fondo del mare, il fondo degli oceani e il relativo sottosuolo, al di là dei limiti della giurisdizione nazionale; ...” Articolo 149: Reperti archeologici e storici “Tutti i reperti di natura archeologica e storica rinvenuti nell’Area vanno conservati o ceduti nell’interesse di tutta l’umanità, tenendo in particolare conto i diritti preferenziali dello Stato o della regione d’origine, o dello Stato cui per origini culturali si riferiscono, o dello Stato di origine storica e archeologica” Articolo 303: Oggetti archeologici e storici scoperti in mare “1. Gli Stati hanno l’obbligo di tutelare gli oggetti di carattere archeologico e storico scoperti in mare e cooperano a questo fine. 2. Al fine di controllare il commercio di questi oggetti, lo Stato costiero può, in applicazione dell’articolo 33, presumere che la loro rimozione dal fondo del mare, nella zona prevista da quell’articolo, senza la sua autorizzazione, si risolva in una violazione, nell’ambito del suo territorio o del suo mare territoriale, delle leggi e dei regolamenti indicati in tale articolo. 3. Il presente articolo non pregiudica i diritti dei proprietari identificabili, le disposizioni sul recupero dei relitti e le altre norme di diritto marittimo, o le leggi e la prassi in materia di scambi culturali. 4. Il presente articolo non pregiudica gli altri accordi internazionali e le norme di diritto internazionale relative alla protezione degli oggetti di carattere archeologico o storico”. D. Legge sulla tutela del patrimonio culturale 1. Il diritto internazionale 149. diversi trattati regolano le questioni relative alla protezione internazionale del patrimonio culturale. I paragrafi seguenti contengono una descrizione non esaustiva di tali trattati. Per ogni trattato è indicata la data di entrata in vigore e se è vincolante per l’Italia e/o gli Stati uniti. (a) Convenzione sui mezzi per proibire e prevenire l’importazione, l’esportazione e il trasferimento di proprietà illeciti di beni culturali 150. La Convenzione uNESCo concernente le misure da adottare per interdire e impedire l’illecita importazione, esportazione e trasferimento di proprietà dei beni culturali (“Convenzione uNESCo del 1970”) è stata firmata a Parigi il 14 novembre 1970 ed è entrata in vigore il 24 aprile 1972. 151. L’Italia l’ha ratificata il 2 ottobre 1978 sulla base della legge n. 873 del 30 ottobre 1975. 152. Gli Stati uniti l’hanno ratificata il 2 settembre 1983. 153. L’articolo 21 stabiliva che la Convenzione sarebbe entrata in vigore per ogni Stato tre mesi dopo il deposito del suo strumento di ratifica o accettazione. Al momento del deposito della ratifica, gli Stati uniti hanno fatto una dichiarazione che escludeva l’applicazione retroattiva della Convenzione e chiariva che le procedure di restituzione previste dall’articolo 13 sarebbero state applicate solo per i beni culturali “usciti dal Paese di origine dopo l’entrata in vigore della presente Convenzione per gli Stati interessati”. 154. Le disposizioni pertinenti della Convenzione uNESCo del 1970 recitano come segue: Articolo 1 “1. Gli Stati parti della presente Convenzione riconoscono che l’importazione, l’esporta CoNTENzIoSo ComuNITARIo Ed INTERNAzIoNALE zione e il trasferimento illeciti di proprietà di beni culturali costituiscono una delle cause principali di impoverimento del patrimonio culturale dei paesi d’origine di questi beni e che una collaborazione internazionale costituisce uno dei mezzi più efficaci per proteggere i rispettivi beni culturali contro tutti i pericoli che ne sono le conseguenze. ...” Articolo 3 “Sono considerati illeciti l’importazione, l’esportazione e il trasferimento di proprietà di beni culturali effettuati in contrasto con le disposizioni adottate dagli Stati partecipanti in virtù della presente Convenzione” Articolo 4 “Gli Stati parti della Convenzione riconoscono che ai fini della medesima i beni culturali appartenenti alle categorie indicate qui di seguito fanno parte del patrimonio culturale di ciascuno Stato: a. beni culturali creati dal genio individuale o collettivo di cittadini dello Stato considerato e beni culturali importanti per lo Stato considerato, creato sul territorio di tale Stato da cittadini stranieri o da apolidi residenti su tale territorio; b. beni culturali trovati sul territorio nazionale; ...” Articolo 13 “Gli Stati parti della presente Convenzione s’impegnano inoltre, nel quadro della legislazione di ciascuno Stato: ... d. a riconoscere inoltre, il diritto imprescrittibile di ciascuno Stato parte della presente Convenzione, di classificare e dichiarare inalienabili alcuni beni culturali che per questo motivo non devono essere esportati, e a facilitare il recupero di tali beni da parte dello Stato interessato nel caso in cui essi siano stati esportati”. 155. Le Linee guida operative dell’uNESCo per l’attuazione della Convenzione del 1970 hanno chiarito il concetto di “legame tra il patrimonio e lo Stato” ai sensi dell’articolo 4. I passaggi pertinenti prevedono quanto segue: “18. L’articolo 4, lettere da a) a e), stabilisce le categorie di beni culturali che possono far parte del patrimonio culturale di uno Stato, di proprietà dello Stato stesso o di un privato. Gli Stati parti della Convenzione sono tenuti a riconoscere un legame tra queste categorie e lo Stato in questione quando l’oggetto in questione è stato creato da un individuo o dal “genio collettivo” di cittadini, stranieri o apolidi residenti nel suo territorio; si trova nel suo territorio nazionale ...”. 156. Il Rapporto 2014 sulla valutazione del lavoro di definizione degli standard dell’uNE- SCo nel settore della cultura ha chiarito, inter alia, la prassi degli Stati membri in merito alla definizione della proprietà del patrimonio culturale non scoperto. I passaggi pertinenti recitano come segue (le note a piè di pagina sono omesse): “74. [Ai sensi dell’] Art. 13 (d) della Convenzione ... gli Stati parti sono incoraggiati a stabilire la proprietà dello Stato per tutto ciò che è ritenuto appropriato dalle autorità nazionali e per i beni culturali non ancora scavati o scavati illecitamente dal territorio nazionale. Questa disposizione può essere utile per richiedere la restituzione di questi oggetti a livello nazionale o anche all’estero. Per gli oggetti scavati legalmente, la legislazione nazionale può mantenere la proprietà dello Stato o consentire la proprietà privata. 75. I risultati dell’indagine di valutazione hanno mostrato che circa l’83% degli Stati RASSEGNA AVVoCATuRA dELLo STATo -N. 4/2023 parti che hanno risposto all’indagine ha stabilito la proprietà statale del patrimonio culturale non scoperto. In Turchia, ad esempio, la legge prevede che ‘i beni culturali mobili di cui è nota l’esistenza o che saranno scoperti su un bene immobile di proprietà di una persona reale e giuridica soggetta al diritto civile’ siano di proprietà dello Stato. I proprietari o gli occupanti del terreno o del corso d’acqua in cui è stato scoperto il bene culturale devono informare un museo o un’autorità locale, che deve proteggere e mettere in sicurezza il bene e informare il ministero della Cultura e del Turismo. In Egitto i ritrovamenti accidentali di antichità mobili o di frammenti di antichità immobili devono essere denunciati e diventano proprietà dello Stato con un risarcimento al ritrovatore, mentre in Cina i reperti culturali mobili che rimangono nel sottosuolo, nelle acque interne o nei mari territoriali entro i confini della Cina sono di proprietà dello Stato. Lo Stato possiede anche le reliquie culturali rinvenute in Cina. 76. In numerosi Paesi, d’altra parte, i beni culturali non scoperti possono anche essere proprietà privata. Questo è il caso del Perù, ad esempio, dove tale proprietà privata è comunque soggetta ad alcune limitazioni contenute nella legislazione in materia. In mali gli oggetti mobili e immobili scoperti durante gli scavi archeologici su terreni pubblici o privati dello Stato sono di proprietà dello Stato. Se il materiale archeologico mobile viene scoperto su un altro terreno (privato), la proprietà sarà condivisa con il proprietario privato, mentre lo Stato ha il diritto di prelazione sui beni culturali. ...”. (b) Convenzione sui beni culturali rubati o esportati illegalmente 157. A seguito dei lavori preparatori iniziati nel 1986, il 24 giugno 1995 è stata conclusa a Roma la Convenzione uNIdRoIT sui beni culturali rubati o esportati illegalmente (“Convenzione uNIdRoIT del 1995”), entrata in vigore il 1° luglio 1998. È stata redatta con l’obiettivo di raggiungere una maggiore efficacia nella lotta internazionale contro il traffico illecito di beni culturali e integra la Convenzione uNESCo del 1970 per quanto riguarda le questioni di diritto privato non direttamente trattate da quest’ultima. 158. La Convenzione è stata ratificata dall’Italia l’11 ottobre 1999 sulla base della Legge n. 213 del 7 giugno 1999. L’articolo 12 stabiliva che sarebbe entrato in vigore nei confronti dell’Italia dopo sei mesi, mentre l’articolo 10 afferma che non ha effetto retroattivo e quindi non si applica agli oggetti rubati o esportati prima della sua entrata in vigore. 159. Non è applicabile alle relazioni tra Italia e Stati uniti, in quanto questi ultimi non l’hanno firmata né ratificata. 160. Le disposizioni pertinenti recitano come segue: Articolo 1 “La presente Convenzione si applica alle richieste di carattere internazionale: ... (b) di ritorno di beni culturali esportati dal territorio di uno Stato contraente in violazione della sua legge che regolamenta l’esportazione di beni culturali, al fine di proteggere il suo patrimonio culturale (in seguito indicati come “beni culturali illecitamente esportati”)” Articolo 2 “Ai sensi della presente Convenzione sono considerati come beni culturali i beni che, a titolo religioso o profano, sono importanti per l’archeologia, la preistoria, la storia, la letteratura, l’arte o la scienza e che appartengono ad una delle categorie enumerate nell’annesso alla presente Convenzione” Articolo 5 CoNTENzIoSo ComuNITARIo Ed INTERNAzIoNALE “(1) uno Stato contraente può richiedere al giudice o ad ogni altra autorità competente di un altro Stato contraente che sia ordinato il ritorno di un bene culturale illecitamente esportato dal territorio dello Stato richiedente. ... (3) Il giudice o ogni altra autorità competente dello Stato convenuto ordina il ritorno del bene culturale quando lo Stato richiedente ... dimostri che il bene ha per detto Stato un’importanza culturale significativa. ... (5) ogni richiesta di ritorno deve essere promossa entro un termine di tre anni dal momento in cui lo Stato richiedente ha conosciuto il luogo dove si trovava il bene culturale e l’identità del suo possessore e, in tutti i casi, entro un termine di cinquant’anni dalla data di esportazione o dalla data alla quale il bene avrebbe dovuto essere riconsegnato in virtù dell’autorizzazione di cui al paragrafo 2 del presente articolo” Articolo 6 “1. Il possessore di un bene culturale che ha acquistato detto bene dopo la sua illecita esportazione ha diritto, al momento del ritorno, al pagamento da parte dello Stato richiedente di un equo indennizzo, con riserva che il possessore non sapeva né avrebbe dovuto ragionevolmente sapere, al momento dell’acquisizione, che il bene era stato illecitamente esportato. 2. Per determinare se il possessore sapeva o avrebbe dovuto ragionevolmente sapere che il bene culturale era stato illecitamente esportato, si terrà conto delle circostanze dell’acquisizione, in particolare della mancanza del certificato di esportazione richiesto in virtù della legge dello Stato richiedente. ...” Articolo 9 “1. La presente Convenzione non impedisce ad uno Stato contraente di applicare tutte le norme più favorevoli alla restituzione o al ritorno di beni culturali rubati o illecitamente esportati di quelle in essa previste. ...” 161. La Relazione esplicativa afferma che l’assenza di statuti o termini per il recupero e la confisca di opere d’arte esportate illegalmente è una caratteristica distintiva dei Paesi ad alto rischio di furti o esportazioni illegali: “I Paesi più a rischio di furto o di esportazione illegale del loro patrimonio culturale si sono difesi adottando misure legali drastiche, come decretare il divieto totale di esportazione, concedere lo status di ‘proprietà pubblica’ a determinati beni culturali (che implica, ad esempio, l’assenza di termini di prescrizione, l’esproprio in caso di esportazione illegale, ecc.) ...”. (c) Convenzione sulla protezione del patrimonio culturale subacqueo 162. La Convenzione uNESCo sulla protezione del patrimonio culturale subacqueo (“Convenzione uNESCo del 2001”) è stata adottata a Parigi il 2 novembre 2001 ed è entrata in vigore il 2 gennaio 2009. 163. È stata ratificata dall’Italia l’8 gennaio 2010 sulla base della Legge n. 157 del 10 novembre 2009. 164. La Convenzione non è stata firmata né ratificata dagli Stati uniti. 165. Le disposizioni pertinenti recitano come segue: Articolo 1: Definizioni “Ai fini della presente Convenzione:: RASSEGNA AVVoCATuRA dELLo STATo -N. 4/2023 1. (a) Per «patrimonio culturale subacqueo» s’intendono tutte le tracce di esistenza umana che presentano un carattere culturale, storico o archeologico e che sono sommerse, parzialmente o totalmente, periodicamente o in permanenza, da almeno 100 anni, e in particolare: (i) i siti, le strutture, gli edifici, gli oggetti e i resti umani, nonché il loro contesto archeologico e naturale; (ii) le navi, gli aeromobili, gli altri veicoli o qualunque parte degli stessi, con il loro carico o altro contenuto, nonché il loro contesto archeologico e naturale; e ... 5. Per «Area» s’intendono i fondi marini e il loro sottosuolo al di là dei limiti della giurisdizione nazionale ... 7. Per «intervento avente un impatto fortuito sul patrimonio culturale subacqueo» s’intende un’attività la quale pur non avendo come oggetto, principalmente o parzialmente, il patrimonio culturale subacqueo, è suscettibile di pregiudicare materialmente questo patrimonio o di arrecargli qualsiasi altro danno. ...” Articolo 2: Obiettivi e principi generali “1. ... 6. Gli elementi del patrimonio culturale subacqueo che sono stati recuperati sono messi in deposito, custoditi e gestiti in modo tale da garantire la loro conservazione a lungo termine. 7. Il patrimonio culturale subacqueo non deve essere oggetto di alcuno sfruttamento commerciale. ... 8. In conformità con la prassi degli Stati e il diritto internazionale, in particolare la Convenzione delle Nazioni unite sul diritto del mare, nessuna disposizione della presente Convenzione può essere interpretata nel senso di modificare ... uno qualsiasi dei diritti di uno Stato concernente le sue navi e i suoi aeromobili di Stato. ... 11. Nessuna azione o attività svolta in base alla presente Convenzione può autorizzare a far valere, sostenere o contestare una rivendicazione di sovranità o di giurisdizione nazionale” Articolo 3: Relazione fra la presente Convenzione e la Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare “Nessuna disposizione della presente Convenzione pregiudica i diritti, la giurisdizione e i doveri degli Stati in virtù del diritto internazionale, ivi compresa la Convenzione delle Nazioni unite sul diritto del mare. La presente Convenzione è interpretata e applicata nel contesto e in conformità con le disposizioni del diritto internazionale, ivi compresa la Convenzione delle Nazioni unite sul diritto del mare”. 166. La Convenzione uNESCo del 2001 non ha regolato l’acquisizione della proprietà dei beni culturali situati sott’acqua. Tuttavia, essa escludeva l’applicabilità del diritto di salvataggio e del diritto dei reperti: Articolo 4: Relazione con le norme concernenti il salvataggio e i ritrovamenti “Nessuna attività relativa al patrimonio culturale subacqueo cui la presente Convenzione si applica è sottoposta alle norme concernenti il salvataggio e i ritrovamenti, salvo se: è autorizzata dalle autorità competenti; è pienamente conforme alla presente Convenzione; e CoNTENzIoSo ComuNITARIo Ed INTERNAzIoNALE è garantita la protezione massima del patrimonio culturale subacqueo in ogni operazione di recupero”. 167. La Convenzione ha regolato la protezione del patrimonio culturale subacqueo nelle diverse aree marine, in conformità con il grado di diritti sovrani di cui godono gli Stati in base al diritto internazionale in tali aree. In particolare, ai sensi dell’articolo 7, gli Stati costieri hanno il diritto sovrano esclusivo di regolare e autorizzare le attività dirette al patrimonio culturale subacqueo nel loro mare territoriale, mentre ai sensi degli articoli da 9 a 11 hanno la responsabilità di proteggere il patrimonio culturale subacqueo nella zona economica esclusiva, sulla piattaforma continentale e nell’“Area” (vale a dire il fondale marino, il fondo dell’oceano e il suo sottosuolo, al di là dei limiti della giurisdizione nazionale; cfr. articolo 1 dell’uN- CLoS, citato nel precedente paragrafo 148), e devono richiedere ai loro cittadini e alle navi battenti la loro bandiera che scoprono un patrimonio culturale subacqueo di segnalare tali scoperte alle autorità. 168. Gli articoli da 14 a 17 della Convenzione uNESCo del 2001 stabiliscono inoltre diversi obblighi volti a impedire ai cittadini e alle imbarcazioni degli Stati parti di intraprendere attività incompatibili con la protezione del patrimonio culturale subacqueo. L’articolo 18, in particolare, stabilisce quanto segue: Articolo 18: Sequestro e messa a disposizione degli elementi del patrimonio culturale subacqueo “1. Ciascuno Stato contraente prende provvedimenti per procedere al sequestro, sul suo territorio, degli elementi del patrimonio culturale subacqueo, recuperati in modo non conforme alle disposizioni della presente Convenzione. ... 4. Lo Stato contraente che ha sequestrato elementi del patrimonio culturale subacqueo, si accerta che se ne disponga nell’interesse generale, in considerazione degli adempimenti obbligatori di preservazione e di ricerca, della necessità di ricostituire le collezioni disperse, delle esigenze in materia di accesso del pubblico, di esposizione e di educazione nonché degli interessi di ogni Stato avente un legame verificabile, in particolare culturale, storico o archeologico, con il patrimonio culturale subacqueo in questione”. 169. La Regola 2 dell’Allegato (“Regole concernenti gli interventi sul patrimonio culturale subacqueo”) stabilisce quanto segue: “Lo sfruttamento commerciale del patrimonio culturale subacqueo a fini di transazione o di speculazione oppure la sua irrimediabile dispersione è fondamentalmente incompatibile con la sua protezione e corretta gestione. Gli elementi del patrimonio culturale subacqueo non possono essere oggetto di transazioni né di operazioni di vendita, acquisto o baratto alla stregua di beni commerciali”. 2. Gli strumenti del Consiglio d’Europa (a) Convenzione sulla protezione del patrimonio archeologico 170. La Convenzione europea per la protezione del patrimonio archeologico è stata conclusa a Londra il 6 maggio 1969 ed è entrata in vigore il 20 novembre 1970. Come chiarito nella Relazione esplicativa, non ha applicazione retroattiva. 171. La Convenzione è stata ratificata dall’Italia il 16 settembre 1974 sulla base della legge n. 202 del 12 aprile 1973 ed è entrata in vigore per l’Italia il 17 dicembre 1974. 172. L’articolo 1 definisce il “patrimonio archeologico” come tutte le vestigia, gli oggetti e le tracce dell’esistenza umana, delle epoche e delle civiltà per le quali “la principale o una delle principali fonti d’informazione scientifica è costituita da scoperte o scavi archeologici”. RASSEGNA AVVoCATuRA dELLo STATo -N. 4/2023 La Relazione esplicativa chiarisce ulteriormente l’ambito territoriale di applicazione della Convenzione: “... la Convenzione si applica all’intero territorio di ciascuno degli Stati contraenti, come delimitato dal diritto internazionale generale... Inoltre, la definizione data non pregiudica in alcun modo gli effetti della Convenzione in materia di competenza territoriale dell’uno o del- l’altro Stato contraente che, nel suo caso, potrà essere riconosciuta in un momento futuro in conformità alle norme di diritto internazionale relative ai fondali marini”. 173. Ai sensi dell’articolo 8, le misure previste dalla Convenzione non possono costituire una limitazione al commercio e alla proprietà legale dei beni culturali, né essere in contrasto con le norme giuridiche relative alla trasmissione di tali beni. (b) Convenzione per la protezione del patrimonio archeologico (Revised) 174. La versione rivista della Convenzione europea per la protezione del patrimonio archeologico è stata adottata a La Valletta il 16 gennaio 1992 ed è entrata in vigore il 25 maggio 1995. 175. L’Italia l’ha ratificata il 30 giugno 2015 sulla base della legge n. 57 del 29 aprile 2015 ed è entrata in vigore nei confronti dell’Italia il 31 dicembre 2015. 176. La Relazione esplicativa stabilisce che il termine patrimonio archeologico definito all’articolo 1 comprende gli oggetti che si trovano sott’acqua all’interno della giurisdizione dello Stato. La parte pertinente recita come segue: “L’elenco degli elementi di cui al paragrafo 3 afferma che essi fanno parte del patrimonio archeologico, sia che si trovino sulla terraferma che sott’acqua. Questo deve essere qualificato dal terzo dei criteri che compaiono nel paragrafo 2, secondo cui l’elemento della passata esistenza umana deve essere situato nell’area di giurisdizione di uno Stato. Ciò non fa altro che affermare ciò che è insito in qualsiasi convenzione internazionale. A questo proposito, sottolinea che l’area effettiva della giurisdizione statale dipende dai singoli Stati e, a questo riguardo, ci sono molte possibilità. dal punto di vista territoriale, l’area può essere coestesa al mare territoriale, alla zona contigua, alla piattaforma continentale, alla zona economica esclusiva o a una zona di protezione culturale. Tra i membri del Consiglio d’Europa alcuni Stati limitano la loro giurisdizione sui naufragi, ad esempio, al mare territoriale, mentre altri la estendono alla loro piattaforma continentale. La convenzione riveduta riconosce queste differenze senza indicare una preferenza per l’una o l’altra”. (c) Convenzione sui reati relativi ai beni culturali 177. La Convenzione del Consiglio d’Europa sui reati relativi ai beni culturali è stata adottata a Nicosia il 3 maggio 2017 ed è entrata in vigore il 1° aprile 2022. 178. Essa è stata ratificata dall’Italia il 1° aprile 2022 sulla base della Legge n. 6 del 21 gennaio 2022 ed è entrata in vigore nei suoi confronti il 1° luglio 2022. 179. L’articolo 12 stabilisce i principi relativi alla giurisdizione degli Stati membri sui reati relativi ai beni culturali: “1. Ciascuna Parte adotta le misure necessarie per stabilire la giurisdizione sui reati di cui alla presente Convenzione, nel momento in cui il reato viene commesso: (a) nel suo territorio; (b) a bordo di una nave battente bandiera di tale Parte; (c) a bordo di un aeromobile registrato secondo le leggi di tale Parte; o (d) da uno dei suoi cittadini. 2. Ciascuna Parte adotta le misure necessarie per stabilire la giurisdizione su qualsiasi reato di cui alla presente Convenzione, quando il presunto autore del reato è presente sul suo terri CoNTENzIoSo ComuNITARIo Ed INTERNAzIoNALE torio e non può essere estradato in un altro Stato, unicamente sulla base della sua nazionalità. ...”. 180. Le parti pertinenti della Relazione esplicativa della Convenzione recitano come segue: “73. Questo articolo stabilisce vari requisiti in base ai quali le Parti devono stabilire la giurisdizione sui reati di cui alla presente Convenzione. ... 75. Il paragrafo 1, lettera a), si basa sul principio di territorialità. ogni Parte è tenuta a punire i reati previsti dalla Convenzione quando sono commessi sul suo territorio. 76. Il paragrafo 1, lettere b) e c) si basano su una variante del principio di territorialità. Questi commi prevedono che ciascuna Parte stabilisca la giurisdizione sui reati commessi su navi battenti la sua bandiera o su aeromobili registrati secondo le sue leggi. Questo obbligo è già in vigore nella legislazione di molti Paesi, poiché navi e aerei sono spesso sotto la giurisdizione dello Stato in cui sono registrati. Questo tipo di giurisdizione è utile quando la nave o l’aeromobile non si trova nel territorio del Paese al momento della commissione del reato, per cui il paragrafo 1, lettera a, non sarebbe disponibile come base per affermare la giurisdizione. Nel caso di un crimine commesso su una nave o un aeromobile al di fuori del territorio e dell’alto mare della Parte di bandiera o di registro, potrebbe accadere che senza questa norma non ci sarebbe alcun Paese in grado di esercitare la giurisdizione. Inoltre, se un reato viene commesso a bordo di una nave o di un aeromobile che sta semplicemente attraversando le acque o lo spazio aereo di un altro Stato, possono esserci notevoli impedimenti pratici all’esercizio della giurisdizione da parte di quest’ultimo ed è quindi utile che anche lo Stato di registrazione abbia giurisdizione”. 181. L’articolo 14 § 3 della Convenzione recita come segue: “3. Ciascuna Parte adotta le necessarie misure legislative e di altro tipo, in conformità con il diritto interno, per consentire il sequestro e la confisca: (a) degli strumenti utilizzati per commettere i reati di cui alla presente Convenzione; (b) dei proventi derivanti da tali reati o dei beni il cui valore corrisponde a tali proventi”. 3. Gli strumenti dell’Unione europea (a) Direttiva relativa alla restituzione dei beni culturali usciti illecitamente dal territorio di uno Stato membro 182. La direttiva (uE) 2014/60 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 15 maggio 2014, relativa alla restituzione dei beni culturali usciti illecitamente dal territorio di uno Stato membro e che modifica il regolamento (uE) n. 1024/2012 (rifusione) (“direttiva 2014/60/uE”) si applica, ai sensi dell’articolo 1, alla restituzione dei beni culturali classificati o definiti da uno Stato membro tra i beni del patrimonio nazionale usciti illecitamente dal territorio di tale Stato membro. 183. Le disposizioni pertinenti recitano come segue: Articolo 1 “La presente direttiva si applica alla restituzione dei beni culturali classificati o definiti da uno Stato membro tra i beni del patrimonio nazionale, di cui all’articolo 2, punto 1, che sono usciti illecitamente dal territorio di tale Stato membro. Articolo 2 Ai fini della presente direttiva si intende per: (1) «bene culturale»: un bene che è classificato o definito da uno Stato membro, prima o dopo essere illecitamente uscito dal territorio di tale Stato membro, tra i beni del «patrimonio artistico, storico o archeologico nazionale» secondo la legislazione nazionale o delle procedure amministrative nazionali, ai sensi dell’articolo 36 TFuE; RASSEGNA AVVoCATuRA dELLo STATo -N. 4/2023 (2) «bene uscito illecitamente dal territorio di uno Stato membro»: un bene: (a) uscito dal territorio di uno Stato membro in violazione delle norme di detto Stato membro sulla protezione del patrimonio nazionale oppure in violazione del regolamento (CE) n. 116/2009, ... Articolo 3 I beni culturali usciti illecitamente dal territorio di uno Stato membro sono restituiti secondo la procedura e le modalità stabilite dalla presente direttiva. ... Articolo 8 1. Gli Stati membri dispongono nella loro legislazione che l’azione di restituzione di cui alla presente direttiva si prescrive nel termine di tre anni a decorrere dalla data in cui l’autorità centrale competente dello Stato membro richiedente è venuta a conoscenza del luogo in cui si trovava il bene culturale e dell’identità del suo possessore o detentore. In ogni caso l’azione di restituzione si prescrive entro il termine di trent’anni a decorrere dalla data in cui il bene culturale è uscito illecitamente dal territorio dello Stato membro richiedente. Tuttavia, nel caso di beni che fanno parte delle collezioni pubbliche di cui all’articolo 2, punto 8, e dei beni appartenenti a inventari delle istituzioni ecclesiastiche o altre istituzioni religiose negli Stati membri in cui sono oggetto di misure speciali di tutela in virtù del diritto nazionale, l’azione di restituzione si prescrive entro il termine di settantacinque anni, tranne negli Stati membri in cui l’azione è imprescrittibile e nel caso di accordi bilaterali tra Stati membri che prevedano un termine superiore a settantacinque anni.. ... Articolo 9 Fatte salve le disposizioni degli articoli 8 e 14, il giudice competente ordina la restituzione del bene culturale dopo aver accertato che si tratta di un bene culturale ai sensi dell’articolo 2, punto 1, uscito illecitamente dal territorio nazionale. Articolo 10 Qualora sia ordinata la restituzione del bene, il giudice competente dello Stato membro richiesto accorda al possessore un equo indennizzo in base alle circostanze del caso concreto, a condizione che il possessore dimostri di aver usato, all’atto dell’acquisizione, la diligenza richiesta. Per determinare l’esercizio della diligenza richiesta da parte del possessore si tiene conto di tutte le circostanze dell’acquisizione, in particolare della documentazione sulla provenienza del bene, delle autorizzazioni di uscita prescritte dal diritto dello Stato membro richiedente, della qualità delle parti, del prezzo pagato, del fatto che il possessore abbia consultato o meno i registri accessibili dei beni culturali rubati e ogni informazione pertinente che avrebbe potuto ragionevolmente ottenere o di qualsiasi altra pratica cui una persona ragionevole avrebbe fatto ricorso in circostanze analoghe. ... Lo Stato membro richiedente è tenuto a pagare tale indennizzo al momento della restituzione. Articolo 12 Il pagamento dell’equo indennizzo di cui all’articolo 10 e delle spese di cui all’articolo 11 lascia impregiudicato il diritto dello Stato membro richiedente di esigere il rimborso di detti CoNTENzIoSo ComuNITARIo Ed INTERNAzIoNALE importi da parte delle persone responsabili dell’uscita illecita del bene culturale dal suo territorio. Articolo 13 La proprietà del bene culturale dopo la restituzione è disciplinata dalla legge dello Stato membro richiedente. Articolo 14 La presente direttiva riguarda unicamente i beni culturali usciti illecitamente dal territorio di uno Stato membro a decorrere dal 1° gennaio 1993”. (b) Regolamento relativo all’esportazione di beni culturali 184. Le disposizioni pertinenti del Regolamento (CE) n. 116/2009 del Consiglio del 18 dicembre 2008 relativo all’esportazione di beni culturali (“Regolamento 116/2009/CE”) recitano come segue: Articolo 2: Licenza di esportazione “1. L’esportazione di beni culturali al di fuori del territorio della Comunità è subordinata alla presentazione di una licenza di esportazione. ... Articolo 4: Presentazione della licenza La licenza di esportazione è presentata, a sostegno della dichiarazione di esportazione, al momento dell’espletamento delle formalità doganali di esportazione, presso l’ufficio doganale competente per accettare tale dichiarazione. Articolo 9: Sanzioni Gli Stati membri determinano le sanzioni da irrogare in caso di violazione delle norme del presente regolamento e adottano ogni provvedimento necessario per assicurare l’applicazione delle sanzioni stesse. Le sanzioni devono essere efficaci, proporzionate e dissuasive. (c) Regolamento relativo all’introduzione e l’importazione di beni culturali 185. Le disposizioni pertinenti del Regolamento (uE) 2019/880 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 17 aprile 2019, relativo all’introduzione e all’importazione di beni culturali (“Regolamento 2019/880/uE”) prevedono quanto segue: Articolo 13: Introduzione e importazione di beni culturali “1 È vietata l’introduzione dei beni culturali di cui alla parte A dell’allegato, rimossi dal territorio del paese in cui sono stati creati o scoperti in violazione delle disposizioni legislative e regolamentari di tale paese. ...” 186. La parte A dell’allegato al Regolamento 2019/880/uE cita, alla lettera (c), “prodotti di scavi archeologici (inclusi regolari e clandestini) e di scoperte archeologiche terrestri o subacquee” e, alla lettera (g)(ii), “opere originali dell’arte Statuaria e dell’arte scultoria, di qualsiasi materia”. IN dIRITTo I. QuESTIoNE PRELImINARE: LA RICHIESTA dEI NuoVI TRuSTEE 187. Il 22 settembre 2022 il rappresentante dei ricorrenti ha informato la Corte che quattro trustee che avevano originariamente presentato il presente ricorso (il sesto, il settimo, il nono e il tredicesimo ricorrente) non facevano più parte del consiglio di amministrazione del primo ricorrente. La lettera indicava inoltre che quattro membri del consiglio di amministrazione di recente nomina (le signore K. Singh, m. Schmidt Campbell, A.m. Sweeney e J. miller Studenmund) erano disposti a prendere il posto dei ricorrenti nel presente caso. RASSEGNA AVVoCATuRA dELLo STATo -N. 4/2023 188. Il Governo non ha voluto commentare. Tuttavia, ha sollevato l’obiezione che i trustee non avevano lo status di vittima. 189. La Corte ritiene che la questione se i nuovi trustee possano subentrare ai ricorrenti originari dipenda dal fatto che questi ultimi possano affermare di essere vittime, ai sensi del- l’articolo 34 della Convenzione, della violazione lamentata. La Commissione si occuperà pertanto di tale questione dopo aver affrontato l’obiezione preliminare del Governo (cfr. paragrafi 203-208). II. PRESuNTA VIoLAzIoNE dELL’ARTICoLo 1 dEL PRoToCoLLo N. 1. 190. I ricorrenti hanno lamentato, ai sensi dell’articolo 1 del Protocollo n. 1 della Convenzione, una presunta interferenza ingiustificata nel loro diritto al pacifico godimento dei loro beni. Hanno sostenuto che la misura di confisca era illegittima, ai sensi di questa disposizione, a causa della mancanza di prevedibilità della base giuridica; che non aveva perseguito alcuno scopo legittimo in quanto, a loro avviso, la Statua non faceva parte del patrimonio culturale italiano; e che aveva imposto loro un onere eccessivo. L’articolo 1 del Protocollo n. 1 prevede quanto segue: “ogni persona fisica o giuridica ha diritto al rispetto dei suoi beni. Nessuno può essere privato della sua proprietà se non per causa di pubblica utilità e nelle condizioni previste dalla legge e dai principi generali del diritto internazionale. Le disposizioni precedenti non portano pregiudizio al diritto degli Stati di porre in vigore le leggi da essi ritenute necessarie per disciplinare l’uso dei beni in modo conforme all’interesse generale o per assicurare il pagamento delle imposte o di altri contributi o delle ammende”. A. sulla ricevibilità 1. Le obiezioni del Governo in merito alla ricevibilità del ricorso con specifico riguardo alla posizione dei trustee (a) Le osservazioni del Governo 191. Il Governo ha obiettato che i trustee non potevano affermare di essere vittime della presunta violazione denunciata in quanto, da un lato, non erano “proprietari” della Statua e facevano valere un diritto attribuibile al Trust, e, dall’altro, non “godevano” nemmeno della proprietà in questione, in quanto si limitavano ad amministrare la proprietà del Trust a beneficio degli utenti del museo. 192. Per quanto riguarda il primo argomento, hanno osservato che (i) il contratto di acquisto era stato concluso in nome e per conto del Trust, (ii) il Trust era stato il “destinatario” dell’atto impugnato e (iii) il Trust, attraverso il suo rappresentante legale, aveva partecipato al procedimento nazionale. 193. Per quanto riguarda il secondo argomento, il Governo ha sottolineato che i trustee hanno fornito un servizio al Trust, nella misura in cui hanno amministrato i suoi beni a beneficio finale degli utenti del museo. Alcuni dei trustee, secondo l’atto costitutivo del trust, ricevevano un compenso, che non era una forma di godimento dei beni in questione, ma una remunerazione per tale servizio. 194. Secondo il Governo, riconoscere lo status di vittima sia al Trust che ai trustee sarebbe una duplicazione, poiché il diritto di proprietà che si sostiene sia stato violato è quello del Trust. Sostiene che i ricorrenti hanno riconosciuto questo fatto, affermando nel loro ricorso che quest’ultimo “è stato presentato a nome del Trust e dei singoli trustee per eccesso di prudenza”. CoNTENzIoSo ComuNITARIo Ed INTERNAzIoNALE 195. Il Governo si è inoltre basato sulla giurisprudenza della Corte, secondo la quale la presentazione di un ricorso da parte di una persona giuridica (attraverso il suo rappresentante) rendeva irricevibili i ricorsi dei suoi amministratori o azionisti se riguardavano lo stesso diritto. Hanno inoltre affermato che i singoli non possono lamentarsi di una violazione dei loro diritti in un procedimento in cui non sono stati parti, anche se sono stati azionisti o amministratori di una società che è stata parte del procedimento. A questo proposito, il Governo ha osservato che la parte in causa nel procedimento nazionale era il Trust. di conseguenza, per quanto riguarda i trustee, il ricorso era irricevibile per mancato esaurimento delle vie di ricorso interne. (b) Le osservazioni dei ricorrenti 196. I ricorrenti hanno presentato cinque argomenti sulla base dei quali, a loro avviso, il loro status di vittime dovrebbe essere riconosciuto dalla Corte. 197. In primo luogo, hanno sostenuto che i diritti dei trustee erano stati “colpiti direttamente” dal provvedimento di confisca perché, in base all’atto costitutivo del Trust (trust instrument), essi erano gli unici titolari dei beni del Trust, che detenevano in conformità con gli scopi caritatevoli del Trust. 198. In secondo luogo, i ricorrenti hanno sostenuto che esisteva una “relazione giuridica” secondo la quale i beni del Trust venivano posti sotto la proprietà e il controllo legale dei trustee in quanto, secondo la legge californiana, i trustee “[potevano], in nome dell’istituzione, citare e difendere in relazione alla proprietà del trust”. 199. In terzo luogo, essi hanno sostenuto, in alternativa, che i trustee potevano essere riconosciuti come vittime indirette della presunta violazione, poiché la relazione giuridica creata dal Trust rendeva quest’ultimo e i trustee così strettamente identificati l’uno con l’altro che non sarebbe servito a nulla distinguere tra i due. 200. In quarto luogo, i trustee ritenevano di essere stati, almeno nella sostanza, parti del procedimento nazionale, in conformità al diritto californiano e in ottemperanza all’ordinanza della Tribunale Superiore di Los Angeles (Los Angeles Superior Court), che aveva autorizzato i trustee “a utilizzare il nome ‘J. Paul Getty Trust’ per riferirsi al [Trust] come entità operativa complessiva in relazione alle attività del Trust che [erano] gestite separatamente dal J. Paul Getty museum”. I ricorrenti hanno affermato che l’Avv. S.C., che aveva rappresentato il Trust nel procedimento nazionale, aveva tenuto i trustee pienamente informati di tale procedimento. di conseguenza, se la Corte dovesse ritenere che i trustee possano affermare di essere vittime delle presunte violazioni, essi sostengono di aver correttamente esaurito le vie di ricorso interne in quanto hanno partecipato de facto al procedimento interno attraverso il rappresentante legale del Trust, e qualsiasi altro procedimento avviato da loro sarebbe stato chiaramente inefficace in quanto avrebbe sollevato gli stessi argomenti sollevati dal Trust. 201. Per quanto riguarda il quinto argomento dei ricorrenti, essi hanno osservato che sia il diritto italiano che quello californiano riconoscono il locus standi di un trustee per far valere una violazione di diritti relativi a beni in trust. 202. Infine, i ricorrenti hanno chiesto alla Corte di riconoscere che il caso in questione presentava alcune “circostanze eccezionali” che giustificavano la conclusione che i trustee erano vittime delle presunte violazioni e hanno sottolineato che, dato che il ricorso era stato presentato a nome sia del Trust che dei trustee, la conclusione della Corte sulla presente questione non dovrebbe essere determinante per la ricevibilità del ricorso nel suo complesso. (c) La valutazione della Corte 203. La Corte ribadisce che per poter presentare un ricorso ai sensi dell’articolo 34, un in RASSEGNA AVVoCATuRA dELLo STATo -N. 4/2023 dividuo deve essere in grado di dimostrare di essere stato “colpito direttamente” dalla misura contestata (cfr., tra le altre autorità, Roman Zakharov c. Russia [GC], no. 47143/06, § 164, CEdu 2015, e Centre for Legal Resources per conto di Valentin Câmpeanu c. Romania [GC], no. 47848/08, § 96, CEdu 2014, con ulteriori riferimenti). Ciò significa che deve esistere un legame sufficientemente diretto tra i ricorrenti e il danno che essi ritengono di aver subito a causa della presunta violazione (cfr. Brudnicka e altri c. Polonia, no. 54723/00, § 26, CEdu 2005-II, e Gorraiz Lizarraga e altri c. Spagna, no. 62543/00, § 35, CEdu 2004-III). 204. Nel caso di specie, la questione da valutare è se i trustee avessero un interesse giuridico distinto, diverso da quello del Trust, che sarebbe stato colpito dalla misura contestata (cfr., mutatis mutandis, Albert e altri c. Ungheria [GC], no. 5294/14, §§ 120-45, 7 luglio 2020, e contrasta con Edwards c. Malta, n. 17647/04, § 54, 24 ottobre 2006). 205. La Corte osserva che le parti non hanno contestato e che tutto il materiale in suo possesso indica che è il Trust, come entità giuridica separata, ad aver acquistato ed essere in possesso della Statua (cfr. paragrafi 37-38), e che è stato il destinatario del provvedimento nazionale impugnato (cfr. paragrafi 74-75). Inoltre, tutte le decisioni dei tribunali italiani durante il procedimento interno riguardavano solo il Trust. 206. Inoltre, i trustee hanno riconosciuto che: (i) amministravano i beni del Trust nell’interesse degli utenti del museo (cfr. paragrafo 197); (ii) in base al diritto nazionale applicabile, erano autorizzati ad agire e difendersi in giudizio “in nome dell’istituzione [il Trust]” e quindi non in nome proprio (cfr. paragrafo 198); (iii) si identificavano così strettamente con il Trust che sarebbe stato inutile distinguere le loro posizioni giuridiche (cfr. paragrafo 199); e (iv) avevano partecipato, in concreto, al procedimento interno, attraverso i rappresentanti del Trust, dato che i loro interessi erano de facto identici (cfr. paragrafo 200). La Corte ritiene pertanto che le osservazioni dei trustee dimostrano che essi avrebbero potuto presentare il presente ricorso nell’interesse del Trust, ma non nel loro nome e interesse. Tuttavia, poiché il Trust ha presentato il ricorso in modo indipendente, tali argomenti sono privi di rilevanza, come riconosciuto anche dai ricorrenti (cfr. paragrafo 202). 207. La Corte deduce quindi che il provvedimento di confisca ha colpito solo gli interessi del primo ricorrente, ovvero il Trust. di conseguenza, non può considerare i trustee come “vittime” ai sensi dell’articolo 34 della Convenzione. 208. Tenuto conto di quanto precede, la Corte accoglie l’eccezione preliminare del Governo e conclude che il ricorso, nella misura in cui è stato presentato dai trustee, è incompatibile ratione personae con le disposizioni della Convenzione ai sensi dell’articolo 35 § 3 (a) e deve essere respinto in conformità con l’articolo 35 § 4. di conseguenza, nella valutazione ulteriore, la Corte si riferirà al primo ricorrente (il Trust) come “il ricorrente”. 209. Alla luce di quanto sopra, la Corte ritiene che non sia necessario pronunciarsi sull’opportunità di concedere ai nuovi membri del consiglio di amministrazione del Trust la possibilità di subentrare ai ricorrenti in questione (cfr. paragrafi 187-189). 2. L’obiezione del Governo riguardo allo status di vittima del ricorrente (a) Le osservazioni del Governo 210. Il Governo ha sostenuto che il ricorrente non poteva affermare di essere vittima della presunta violazione dell’art. 1 del Protocollo n. 1. 211. A loro avviso, la giurisprudenza della Corte ha riconosciuto lo status di vittima potenziale solo in circostanze eccezionali. Il Governo ha riconosciuto che il caso in esame presentava analogie con un caso in cui, sebbene la misura contestata non fosse ancora stata eseguita, la Corte aveva accolto un ricorso sulla base del fatto che l’attuazione della misura CoNTENzIoSo ComuNITARIo Ed INTERNAzIoNALE avrebbe causato un danno irreparabile al ricorrente. Tuttavia, il caso in questione presentava almeno due caratteristiche diverse. In primo luogo, l’esecuzione della misura spettava a uno Stato diverso da quello che l’aveva emessa e che non era parte della Convenzione; in secondo luogo, tale esecuzione non era automatica ma presupponeva una decisione autonoma e valutativa da parte delle autorità di uno Stato terzo, che non era tenuto a dare esecuzione alla richiesta delle autorità italiane. 212. Secondo il Governo, tali osservazioni erano in linea con i principi fondamentali sulla responsabilità dello Stato per atti illeciti internazionali, alla luce dei quali la misura contestata non era attribuibile alle autorità italiane, né rientrava nella giurisdizione dell’Italia. 213. Per quanto riguarda l’attribuzione, il Governo si è basato sulla distinzione tracciata dai travaux préparatoires dell’ARSIWA (cfr. paragrafo 137) e dalla sentenza della CIG nel caso Gabčikovo-Nagymaros Project (cfr. paragrafo 140) tra le azioni preparatorie che potrebbero precedere un atto illecito o un reato e l’atto illecito internazionale stesso. Secondo il Governo, il provvedimento di confisca non costituisce di per sé una violazione della Convenzione in quanto non è stato eseguito e, anche supponendo che venga eseguito, sarebbe imputabile alle autorità statunitensi. Il Governo ha inoltre sostenuto che le violazioni sostanziali della Convenzione, a differenza di quelle procedurali, sarebbero imputabili esclusivamente allo Stato che potrebbe interferire materialmente con i diritti in questione. A loro avviso, la giurisprudenza della Corte ha portato alla conclusione che il fatto che le decisioni che incidono sui diritti umani siano prese nell’ambito territoriale di applicabilità della Convenzione non giustifica l’applicabilità di quest’ultima quando gli effetti di tali decisioni si producono al di fuori di tale ambito. 214. Il Governo ha anche osservato che la Statua si trovava in territorio americano e che le autorità italiane non avevano alcuna giurisdizione sulla sua rimozione fisica. 215. Inoltre, il Governo ha affermato che la proprietà di un bene non determina automaticamente l’esistenza dello status di vittima. Ciò che si richiedeva era la probabilità di una violazione della Convenzione. Tuttavia, secondo il Governo, è improbabile che le autorità statunitensi applichino il provvedimento di confisca italiano. Il Governo ha sostenuto che l’onere della prova in merito alla probabilità di esecuzione della misura spettava al ricorrente, ma che non era riuscito ad assolverlo. 216. Il Governo ha sottolineato che le autorità giudiziarie nazionali non hanno riconosciuto lo status di vittima del ricorrente. 217. Per quanto riguarda il danno che il ricorrente avrebbe già subito, il Governo ha osservato che, in assenza di una misura di confisca o di qualsiasi altra violazione della Convenzione, l’esistenza di ripercussioni negative sulle sue finanze era irrilevante. (b) Le osservazioni dei ricorrenti 218. Il ricorrente ha sostenuto di essere stato significativamente colpito dalla misura anche prima dell’esecuzione, che il suo status di vittima era stato riconosciuto dalle autorità giudiziarie nazionali e che il procedimento di esecuzione era ancora in corso. 219. Per quanto riguarda gli effetti della misura, i ricorrenti hanno sostenuto che, secondo la giurisprudenza della Corte, un provvedimento di confisca o misure simili costituiscono un’interferenza con il diritto di un individuo al pacifico godimento dei propri beni anche prima dell’esecuzione. Inoltre, il ricorrente ha sostenuto che la Corte di Cassazione ha riconosciuto che la sua proprietà della Statua è stata annullata dalla mera “adozione” piuttosto che dall’ “esecuzione” del provvedimento di confisca. 220. In ogni caso, il ricorrente ha sostenuto di poter essere considerato una vittima poten RASSEGNA AVVoCATuRA dELLo STATo -N. 4/2023 ziale sulla base di prove ragionevoli e convincenti della probabilità che si verifichi una violazione. A questo proposito, il Trust ha sottolineato che le autorità italiane (i) hanno fatto ripetuti tentativi di sequestrare la Statua, (ii) hanno informato il ricorrente che il provvedimento di confisca era stato confermato dal più alto tribunale nazionale e che “il ministero non [aveva] quindi altra scelta se non quella di eseguire tale decisione e rivendicare il [Bronzo] come sua proprietà”, e (iii) ha ammesso di aver già intrapreso iniziative per l’esecuzione dell’ordine negli Stati uniti. 221. Il ricorrente ha anche invocato il principio secondo cui il riconoscimento della legittimazione attiva ad agire nel procedimento nazionale è un fattore che la Corte deve prendere in considerazione per valutare lo status di vittima del ricorrente. 222. Il ricorrente ha inoltre affermato che la misura aveva già avuto gravi conseguenze sulla sua sfera. da un lato, ciò ha compromesso la sua reputazione; dall’altro, a causa del rischio che la Statua possa essere sequestrata, il Trust non può prestare la Statua a musei stranieri o ad altre istituzioni per renderla disponibile per l’esposizione e lo studio, in conformità con la missione del Trust e con la sua prassi precedente. In particolare, nel 2015 il Bronzo era stato esposto nella mostra “Power and Pathos” ospitata inizialmente al Getty museum e poi alla National Gallery of Art di Washington d.C. Tuttavia, il Bronzo non ha potuto essere trasportato in Italia, a Firenze, per l’ultima tappa della mostra, a causa del rischio di sequestro. In terzo luogo, il ricorrente ha sostenuto che la decisione delle autorità italiane di “rivedere tutte le partnership” con il Getty museum ha interrotto il rapporto di lunga data, anche in settori in cui il Trust e l’Italia collaboravano da tempo. 223. Infine, il ricorrente ha osservato che le speculazioni del Governo sul possibile rifiuto degli Stati uniti di eseguire il provvedimento di confisca erano irrilevanti, in quanto le autorità italiane stavano attualmente tentando di eseguire la misura. Inoltre, secondo il ricorrente, far dipendere il riconoscimento dello status di vittima dalla cooperazione di uno Stato che non è parte della Convenzione la priverebbe di qualsiasi forma di riparazione ai sensi della stessa. Ciò consentirebbe a un governo convenuto di non essere ritenuto responsabile di misure adottate in violazione della Convenzione, la cui applicazione richiedeva la cooperazione di uno Stato terzo. (c) La valutazione della Corte 224. La Corte osserva che le obiezioni del Governo includono argomenti che riguardano questioni diverse, in particolare (i) se il ricorrente possa affermare di essere una vittima diretta o potenziale della presunta violazione e (ii) se l’Italia possa essere ritenuta responsabile ai sensi della Convenzione per l’esecuzione della misura. (i) Se il ricorrente è stato colpito sufficientemente dall’atto impugnato 225. La Corte ribadisce fin da subito che interpreta il concetto di “vittima” in modo autonomo e a prescindere da concetti interni come quelli relativi all’interesse o alla capacità di agire, anche se dovrebbe tenere conto del fatto che il ricorrente era parte del procedimento interno (cfr. Aksu c. Turchia [GC], nn. 4149/04 e 41029/04, § 52, CEdu 2012). Il termine “vittima”, nel contesto dell’articolo 34 della Convenzione, indica la persona direttamente o indirettamente colpita dalla presunta violazione (cfr. Vallianatos e altri c. Grecia [GC], nn. 29381/09 e 32684/09, § 47, CEdu 2013 (estratti), e Gorraiz Lizarraga e altri, sopra citata, § 35) o che corre il rischio di esserne colpita direttamente (cfr. Monnat c. Svizzera, n. 73604/01, § 31, CEdu 2006-X). Tuttavia, affinché un ricorrente possa affermare di essere una vittima in tale situazione, deve produrre prove ragionevoli e convincenti della probabilità di una violazione che lo riguardi personalmente; il semplice CoNTENzIoSo ComuNITARIo Ed INTERNAzIoNALE sospetto o la congettura sono insufficienti (cfr. Centro per le risorse legali per conto di Valentin Câmpeanu, sopra citata, § 101). 226. Alla luce di quanto sopra, la Corte ha chiarito che non è possibile affermare di essere “vittima” di un atto che è privato, temporaneamente o permanentemente, di qualsiasi effetto giuridico (cfr. Monnat, sopra citata, § 31, e la giurisprudenza ivi citata, e Sisojeva e altri c. Lettonia (cancellazione) [GC], n. 60654/00, § 92, CEdu 2007-I). 227. A questo proposito, la Corte ha ritenuto che un provvedimento che trasferiva la proprietà di un bene allo Stato, anche se non era ancora stato eseguito nel senso di privare l’individuo del possesso del bene, aveva comunque comportato un’interferenza con il diritto di proprietà a causa della possibilità di uno sfratto o di un’altra forma di ordine di esecuzione, in assenza di qualsiasi garanzia che il provvedimento non sarebbe stato eseguito in futuro (cfr. The Holy Monasteries c. Greece, 9 dicembre 1994, § 65, Series A no. 301 A). Allo stesso modo, la Corte ha ritenuto che un provvedimento di confisca, anche se era stato impugnato e non era quindi definitivo e non era ancora esecutivo, fosse equivalso a una misura di controllo dell’uso dei beni (cfr. Raimondo c. Italia, 22 febbraio 1994, §§ 28-29, Serie A n. 281 A), e che una misura che portava alla futura confisca di beni acquisiti illegalmente fosse già equivalente a un controllo dell’uso dei beni (cfr. Bokova c. Russia, n. 27879/13, §§ 50-51, 16 aprile 2019). 228. Alla luce di quanto sopra, e al fine di pronunciarsi sullo status di vittima del ricorrente, la Corte ritiene necessario valutare se il Trust sia stato colpito sufficientemente dal provvedimento impugnato, anche se non ancora eseguito. A tal fine è necessario valutare se, alla luce delle circostanze specifiche del caso, il provvedimento di confisca in questione non sia privato di qualsiasi effetto giuridico. 229. Per quanto riguarda gli effetti della misura anche prima dell’esecuzione, la Corte osserva che il ricorrente è stato in grado di dimostrare che la misura gli aveva impedito di esporre la Statua durante una mostra in Italia a causa del rischio di sequestro (cfr. paragrafo 222). 230. Per quanto riguarda le potenziali conseguenze dell’esecuzione del provvedimento negli Stati uniti, la Corte osserva che, in conformità agli accordi internazionali in vigore tra questo Paese e l’Italia, le autorità italiane hanno presentato una lettera di richiesta volta a ottenere il riconoscimento e l’esecuzione del provvedimento di confisca (cfr. paragrafi 104105). Non è persuaso dall’argomentazione del governo secondo cui è improbabile che l’applicazione avvenga, poiché la cooperazione nell’applicazione di misure simili è prevista da precisi obblighi internazionali vincolanti per le autorità statunitensi. Spettava quindi al Governo fornire alla Corte la documentazione, come esempi di giurisprudenza e prassi, per dimostrare che, per qualsiasi motivo, la loro richiesta sarebbe stata respinta e quindi l’esecuzione era improbabile. 231. Alla luce di quanto sopra, la Corte ritiene che il ricorrente sia stato in grado di dimostrare di essere stato colpito dalla misura contestata anche prima della sua esecuzione. Inoltre, le autorità italiane non sono né legalmente obbligate né disposte a desistere dall’esecuzione della misura e, al contrario, hanno preso provvedimenti in tal senso. Pertanto, la Corte ritiene che il ricorrente possa affermare di essere vittima, ai sensi dell’articolo 34 della Convenzione, della presunta violazione dell’articolo 1 del Protocollo n. 1. (ii) Se l’Italia possa essere ritenuta responsabile ai sensi della Convenzione per l’esecuzione della misura 232. Per quanto riguarda la seconda parte dell’obiezione del Governo, la Corte ribadisce che l’esercizio della giurisdizione è una condizione necessaria affinché uno Stato contraente RASSEGNA AVVoCATuRA dELLo STATo -N. 4/2023 possa essere ritenuto responsabile di atti o omissioni ad esso imputabili che diano luogo a un’accusa di violazione dei diritti e delle libertà sanciti dalla Convenzione (cfr. Ucraina c. Russia (re Crimea) (dec.) [GC], nn. 20958/14 e 38334/18, § 264, 16 dicembre 2020, e Ucraina e Paesi Bassi c. Russia (dec.) [GC], nn. 8019/16, 43800/14 e 28525/20, § 564, 30 novembre 2022). Il concetto di “giurisdizione” ai fini dell’articolo 1 della Convenzione deve essere considerato come riflesso del significato del termine nel diritto pubblico internazionale (cfr. Ucraina c. Russia (re Crimea), sopra citata, § 344). dal punto di vista del diritto internazionale pubblico, la competenza giurisdizionale di uno Stato è principalmente territoriale. Si presume che sia esercitata normalmente su tutto il territorio dello Stato interessato. Tuttavia, la Corte ha riconosciuto che, in deroga al principio di territorialità, gli atti degli Stati contraenti compiuti o che producono effetti al di fuori del loro territorio possono costituire un esercizio di giurisdizione ai sensi dell’articolo 1 della Convenzione (cfr. H.F. e altri c. Francia [GC], nn. 24384/19 e 44234/20, § 185, 14 settembre 2022, e M.K. e altri c. Polonia, nn. 40503/17 e altri 2, § 128, 23 luglio 2020). 233. In ogni caso, la questione dell’esistenza di circostanze eccezionali che richiedano e giustifichino la constatazione da parte della Corte che lo Stato stava esercitando una giurisdizione extraterritoriale deve essere determinata con riferimento ai fatti specifici (cfr. Carter c. Russia, n. 20914/07, § 124, 21 settembre 2021). In particolare, la Corte ha ritenuto che quando, in base a una consuetudine, a un trattato o a un altro accordo, le autorità di uno Stato contraente esercitano funzioni esecutive o giudiziarie sul territorio di un altro Stato, lo Stato contraente può essere responsabile delle violazioni della Convenzione che ne derivano, purché gli atti in questione siano imputabili ad esso piuttosto che allo Stato territoriale (cfr. Al-Skeini e altri c. Regno Unito [GC], no. 55721/07, § 135, CEdu 2011, e H.F. e altri c. Francia, sopra citata, § 186). 234. La Corte deve quindi valutare se l’Italia possa essere ritenuta responsabile ai sensi della Convenzione per l’esecuzione del provvedimento di confisca in questione. 235. Passando alle circostanze del caso di specie, la Corte osserva che il provvedimento di confisca è stato adottato in Italia e che le autorità italiane hanno presentato una richiesta alle autorità statunitensi al fine di ottenerne il riconoscimento e l’esecuzione negli Stati uniti (cfr. paragrafo 104) in virtù di diversi accordi internazionali che legano l’Italia e gli Stati uniti (cfr. paragrafi 131-135). Pertanto, in caso di applicazione della misura, le autorità statunitensi provvederanno alla rimozione fisica della Statua. 236. Tuttavia, la Corte non è persuasa dall’argomentazione del Governo secondo cui l’atto in questione non sarebbe imputabile all’Italia e quindi non sarebbe in grado di coinvolgere la sua responsabilità ai sensi della Convenzione. A loro avviso, l’adozione del provvedimento di confisca da parte delle autorità italiane era un atto “preparatorio”, ai sensi dell’ARSIWA, mentre l’atto illecito in sé, ossia l’esecuzione del provvedimento, sarebbe imputabile esclusivamente agli Stati uniti e rientrerebbe nella loro giurisdizione (cfr. paragrafo 212). 237. In generale, ai sensi dell’articolo 1 del Protocollo n. 1, la Corte ha affermato che gli Stati membri possono essere ritenuti responsabili, ai sensi della Convenzione, per le misure adottate nel contesto delle richieste di cooperazione giudiziaria internazionale (cfr. Shorazova c. Malta, n. 51853/19, § 111, 3 marzo 2022). 238. Inoltre, la Corte ha esaminato questioni simili nei casi di estradizione e ha osservato che, sebbene un individuo privato della libertà nel contesto di una procedura di estradizione si trovi sotto l’autorità e il controllo dello Stato richiesto, non si può ignorare che la privazione della libertà ha la sua unica origine nella misura adottata dallo Stato richiedente in base agli CoNTENzIoSo ComuNITARIo Ed INTERNAzIoNALE accordi internazionali pertinenti concordati sia dallo Stato richiedente che dallo Stato richiesto (cfr. Stephens c. Malta (n. 1), n. 11956/07, §§ 50 54, 21 aprile 2009; Toniolo c. San Marino e Italia, no. 44853/10, § 56, 26 giugno 2012; Vasiliciuc c. Repubblica di Moldova, no. 15944/11, §§ 21-25, 2 maggio 2017; e Gilanov c. Repubblica di Moldova, no. 44719/10, §§ 41-44, 13 settembre 2022). La Corte ha stabilito che lo Stato richiedente ha la responsabilità di garantire che la richiesta di trattenere un individuo in attesa di una procedura di estradizione sia compatibile sia con il suo diritto nazionale, sostanziale e procedurale (cfr. Stephens, sopra citata, § 52), sia con la Convenzione (cfr. Vasiliciuc, § 24, e Gilanov, § 43, entrambi sopra citati). 239. Il principio che si può trarre da questa giurisprudenza, come già chiarito dalla Corte, è che un atto iniziato da un Paese richiedente sulla base del proprio diritto interno e seguito dal Paese richiesto in risposta ai propri obblighi convenzionali può essere attribuito al Paese richiedente anche se l’atto è stato eseguito dal Paese richiesto (cfr. Toniolo, sopra citata, § 56). 240. Alla luce dei principi sopra enunciati, la Corte ritiene che, avviando una richiesta di esecuzione dell’ordinanza di confisca, l’Italia avesse l’obbligo di garantire che l’ordinanza fosse compatibile con la Convenzione (cfr. paragrafo 222). Pertanto, la Corte ritiene che la misura lamentata dal ricorrente ai sensi dell’articolo 1 del Protocollo n. 1 sia in grado di coinvolgere la responsabilità dell’Italia ai fini dell’articolo 1 della Convenzione. (iii) Conclusioni 241. Alla luce di quanto sopra (cfr. paragrafi 231 e 240), le obiezioni del Governo sullo status di vittima del ricorrente devono essere respinte. 3. L’obiezione del Governo relativa all’esistenza di un interesse proprietario protetto dal- l’articolo 1 del Protocollo n. 1. (a) Le osservazioni del Governo 242. Il Governo ha obiettato che il ricorrente non aveva alcun interesse proprietario protetto dall’articolo 1 del Protocollo n. 1, che pertanto non era applicabile alle circostanze del caso di specie. 243. Il Governo ha sostenuto che, ai sensi dell’articolo 826 del Codice civile, la Statua faceva parte del patrimonio inalienabile dello Stato e quindi non era mai stata di proprietà del ricorrente, in quanto era stata acquistata a non domino (da una persona non proprietaria). 244. Il Governo ha inoltre contestato l’esistenza di una legittima aspettativa da parte del ricorrente: il comportamento delle autorità nazionali non era mai stato di tolleranza o di inazione in risposta alla situazione contra legem creata dall’acquisto della Statua, e non avevano mai trattato il ricorrente come un proprietario de facto. 245. Secondo il Governo, sia la legge italiana che quella californiana, a prescindere da quale fosse applicabile in base alle pertinenti norme di diritto internazionale privato, non consentivano l’acquisto di un bene da un proprietario non legittimo se l’acquirente non agiva in buona fede. 246. Inoltre, il Governo ha contestato l’affermazione del ricorrente secondo cui la Corte di Cassazione avrebbe riconosciuto la sua proprietà della Statua. A loro avviso, nel dichiarare che la Statua non era soggetta alla regola del possesso avverso, la Corte di Cassazione aveva affermato che essa faceva parte del patrimonio culturale italiano. Inoltre, secondo il Governo, la Corte di Cassazione aveva basato la sua decisione sul presupposto che la Statua fosse stata ritrovata nelle acque territoriali italiane e fosse di proprietà dello Stato. 247. Il Governo ha anche contestato l’affermazione del ricorrente secondo cui la misura poteva essere imposta solo nei confronti di beni di proprietà privata, in quanto la confisca in RASSEGNA AVVoCATuRA dELLo STATo -N. 4/2023 questione aveva carattere di recupero e perseguiva l’obiettivo di riprendere un bene dello Stato in quanto facente parte del patrimonio culturale. 248. Al contrario, l’affermazione dei ricorrenti secondo cui il Bronzo era una “Statua greca” creata in Grecia e transitata solo brevemente in Italia non era supportata da alcuna prova. 249. Inoltre, il Governo ha contestato il riferimento del ricorrente a “molteplici riconoscimenti” da parte di altri Stati della proprietà del Bronzo da parte del Trust. Esso ha sostenuto che tali riconoscimenti non hanno dato luogo ad alcuna aspettativa legittima in quanto, da un lato, non potevano essere vincolanti per le autorità italiane e, dall’altro, i soggetti che avevano effettuato tali “riconoscimenti” potevano non essere a conoscenza della reale proprietà del Bronzo. (b) Le osservazioni del ricorrente 250. Secondo il ricorrente, il Bronzo costituiva chiaramente un “possesso” ai sensi dell’articolo 1 del Protocollo n. 1. 251. Il Trust ha affermato che è indiscutibile che abbia negoziato e acquistato il Bronzo nel luglio 1977 per 3.950.000 uSd. 252. Il ricorrente ha sottolineato che il contratto di acquisto non è mai stato dichiarato nullo e che le autorità italiane non hanno intrapreso alcuna azione al riguardo, nonostante sapessero da quasi cinquant’anni che il Bronzo era stato acquistato dal Trust e portato negli Stati uniti. 253. A suo avviso, inoltre, secondo la legge californiana, avrebbe acquisito la proprietà della Statua dopo tre anni di possesso. 254. Inoltre, il ricorrente ha osservato che il suo interesse proprietario era stato riconosciuto dai tribunali nazionali nei procedimenti interni. In particolare, la Corte di Cassazione non aveva contestato la validità della proprietà, che era un prerequisito logico per ordinare la confisca. 255. Il ricorrente ha inoltre sottolineato che l’affermazione del Governo secondo cui la Statua sarebbe sempre appartenuta al “patrimonio inalienabile dello Stato” mancava di qualsiasi base probatoria. Questa affermazione dipendeva dalla falsa premessa che il Bronzo fosse stato trovato sul territorio italiano, fatto che il ricorrente ha sempre contestato. A suo avviso, il Bronzo era una statua greca, creato in Grecia, che era transitato in Italia solo per un breve periodo e non era mai stato in possesso delle autorità italiane. 256. Il ricorrente ha anche basato l’esistenza del suo interesse proprietario sul fatto che la sua proprietà della Statua era stata presumibilmente riconosciuta in più occasioni da istituzioni pubbliche o finanziate con fondi pubblici (musei e istituti di ricerca) di altri Stati membri del Consiglio d’Europa. 257. I ricorrenti hanno inoltre sostenuto che, a prescindere dall’esistenza di un titolo giuridico, il possesso a lungo termine della Statua (più di quarant’anni) era sufficiente a stabilire un diritto di proprietà o almeno una “legittima aspettativa” di poter continuare a godere di tale possesso. 258. Infine, i ricorrenti hanno sostenuto che la legge italiana relativa a ciò che costituisce il “patrimonio inalienabile dello Stato” non preclude espressamente ai privati il diritto di proprietà sui beni culturali. (c) La valutazione della Corte 259. La Corte osserva che le parti non erano d’accordo sul fatto che il ricorrente avesse un interesse proprietario tutelabile ai sensi dell’art. 1 del Protocollo n. 1. di conseguenza, la Corte deve determinare se la posizione giuridica del ricorrente, in seguito all’acquisto della Statua, fosse tale da attirare l’applicazione di tale disposizione e, quindi, se le circostanze del CoNTENzIoSo ComuNITARIo Ed INTERNAzIoNALE caso, considerate nel loro insieme, conferissero al Trust la titolarità di un interesse sostanziale protetto dall’articolo 1 del Protocollo n. 1 (cfr. Beyeler, c. Italia [GC], n. 33202/96, §§ 99100, CEdu 2000-I). 260. Il concetto di “proprietà” di cui alla prima parte dell’articolo 1 del Protocollo n. 1 ha un significato autonomo che non si limita alla proprietà di beni fisici ed è indipendente dalla classificazione formale nel diritto interno: anche alcuni altri diritti e interessi costituenti beni possono essere considerati come “diritti di proprietà”, e quindi come “possessi” ai fini di questa disposizione (cfr. Iatridis c. Grecia [GC], no. 31107/96, § 54, CEdu 1999-II, e Molla Sali c. Grecia [GC], n. 20452/14, § 124, 19 dicembre 2018). Pertanto, il fatto che il diritto interno di uno Stato non riconosca un particolare interesse come un “diritto” o addirittura un “diritto di proprietà” non impedisce necessariamente che l’interesse in questione, in alcune circostanze, possa essere considerato un “possesso” (cfr. Depalle c. Francia [GC], no. 34044/02, § 68, CEdu 2010, e Molla Sali, sopra citata, § 126). 261. Passando alle circostanze del caso in esame, la Corte osserva che le parti non hanno contestato il fatto che il Trust abbia acquistato il Bronzo nel luglio 1977 per 3.950.000 uSd (cfr. paragrafo 37). La Corte deve tuttavia considerare che il Governo ha contestato la validità, sia secondo la legge italiana che quella statunitense, di tale titolo, a causa di una violazione della legge italiana sul patrimonio, dato che i beni culturali appartenenti allo Stato sono inalienabili e imprescrittibili (cfr. paragrafi 109, 115 e 121). 262. A questo proposito, la Corte ribadisce che, in generale, l’inalienabilità e l’imprescrittibilità del suolo pubblico non le hanno impedito di concludere che erano in gioco “possessi” ai sensi dell’articolo 1 del Protocollo n. 1, in particolare nei casi in cui i titoli di proprietà dei ricorrenti non erano contestabili ai sensi del diritto interno, in quanto essi potevano legittimamente considerarsi “giuridicamente certi” della validità di tali titoli prima che fossero annullati a favore dello Stato (cfr. mutatis mutandis, Bellizzi c. Malta, no. 46575/09, § 70, 21 giugno 2011, con ulteriori riferimenti). Inoltre, la Corte ritiene che il principio della certezza del diritto e della tutela del legittimo affidamento avrebbe imposto al Governo di contestare la validità di tale titolo dinanzi ai competenti tribunali interni (cfr., mutatis mutandis, Bölükbaş e altri c. Turchia, n. 29799/02, §§ 31 32, 9 febbraio 2010; Valle Pierimpiè Società Agricola S.P.A. c. Italia, no. 46154/11, § 48, 23 settembre 2014; e Elif Kızıl c. Turchia, no. 4601/06, §67, 24 marzo 2020), a prescindere da quali sarebbero stati in conformità alle norme di diritto internazionale privato applicabili. 263. In particolare, la Corte ritiene che nel caso di specie diverse leggi nazionali potrebbero essere astrattamente applicabili alla determinazione della proprietà del ricorrente sulla Statua. In particolare, il ricorrente, una persona giuridica statunitense (cfr. paragrafo 3), ha negoziato l’acquisto della Statua in Germania con una società con sede nel Liechtenstein (cfr. paragrafo 23) e l’ha acquistata tramite un contratto concluso nel Regno unito (cfr. paragrafo 37). 264. Inoltre, la Corte osserva che l’esistenza di un interesse proprietario del ricorrente sulla Statua è stata stabilita dal diritto italiano, come dimostrato dal fatto che le autorità italiane hanno invitato il ricorrente, in qualità di attuale detentore del bene, a partecipare al procedimento interno in cui è stato adottato il provvedimento di confisca (cfr. paragrafo 74). 265. La Corte osserva inoltre che il ricorrente è stato in possesso della Statua senza alcuna interruzione, ad eccezione di quelle derivanti da contratti di prestito legittimi, dal 1977. Ritiene pertanto che, a prescindere dalle osservazioni di cui sopra sull’esistenza di una proprietà legittima, il tempo trascorso abbia avuto in ogni caso l’effetto di conferire al ricorrente un interesse proprietario al godimento pacifico della Statua che era sufficientemente consolidato e RASSEGNA AVVoCATuRA dELLo STATo -N. 4/2023 ponderato da equivalere a un “possesso” (cfr., mutatis mutandis, Beyeler, § 104; Edwards, § 55; Depalle, § 68, tutti sopra citati; cfr. anche Hamer c. Belgio, n. 21861/03, § 76, CEdu 2007 V (estratti), e Mkhchyan c. Russia, no. 54700/12, § 63, 7 febbraio 2017). 266. Alla luce di quanto sopra, la Corte baserà la sua analisi sul presupposto che nelle circostanze del caso di specie, considerate nel loro complesso, il ricorrente aveva un interesse proprietario al godimento pacifico della Statua che era sufficientemente consolidato e ponderato da equivalere a un “possesso” ai sensi della regola espressa nella prima frase dell’articolo 1 del Protocollo n. 1, che è quindi applicabile ratione materiae alla denuncia in esame. 267. di conseguenza, la Corte respinge l’obiezione del Governo sull’applicabilità dell’articolo 1 del Protocollo n. 1 alla Convenzione. 4. Conclusioni complessive sulla ricevibilità 268. La Corte osserva che il ricorso non è manifestamente infondato né irricevibile per altri motivi elencati nell’articolo 35 della Convenzione. Pertanto, il ricorso deve essere dichiarato ricevibile. B. sul merito 1. Sussistenza di un’ingerenza e la norma applicabile dell’articolo 1 del Protocollo n. 1. (a) Le osservazioni del ricorrente 269. Il ricorrente ha sostenuto che se il Bronzo era un “possesso” ai sensi dell'articolo 1 del Protocollo n. 1, è fuor di dubbio che l’ordine di confisca abbia costituito un’interferenza con il suo godimento pacifico. (b) Le osservazioni del Governo 270. Il Governo ha negato che fosse stata commessa un’interferenza, ai sensi dell’articolo 1 del Protocollo n. 1, con gli interessi proprietari del ricorrente protetti da tale disposizione. Si sono basati sugli stessi argomenti utilizzati per contestare l’esistenza di un interesse proprietario protetto dalla suddetta disposizione della Convenzione e lo status di vittima del ricorrente. 271. Il Governo ha inoltre sostenuto che se la Corte dovesse riconoscere che nel caso di specie si è verificata un’ingerenza, dovrebbe applicarsi solo la prima regola sancita dall’articolo 1 del Protocollo n. 1. Secondo loro, il ricorrente non aveva chiaramente una proprietà formale. dal momento che la Statua, sulla base del diritto interno pertinente, apparteneva al patrimonio inalienabile dello Stato, non si era verificata alcuna privazione della proprietà. In subordine, hanno sostenuto che l’interferenza in questione rientrava nel secondo paragrafo, in quanto forma di “controllo dell’uso della proprietà”. (c) La valutazione della Corte 272. La Corte ribadisce che l’articolo 1 del Protocollo n. 1, che garantisce il diritto alla protezione della proprietà, contiene tre norme distinte: la prima norma, contenuta nella prima frase del primo paragrafo, è di carattere generale ed enuncia il principio del pacifico godimento della proprietà; la seconda norma, contenuta nella seconda frase del primo paragrafo, riguarda la privazione del possesso e la sottopone a determinate condizioni; la terza norma, enunciata nel secondo paragrafo, riconosce agli Stati contraenti il diritto, tra l’altro, di controllare l’uso della proprietà in funzione dell’interesse generale (cfr. Sporrong e Lönnroth c. Svezia, 23 settembre 1982, § 61, Serie A n. 52, e Immobiliare Saffi c. Italia [GC], n. 22774/93, § 44, CEdu 1999-V). Le tre regole, tuttavia, non sono “distinte” nel senso di non collegate tra loro. La seconda e la terza norma riguardano casi particolari di interferenza con il diritto al pacifico godimento della proprietà e devono quindi essere interpretate alla luce del principio generale enunciato nella prima norma (cfr., tra le tante autorità, J.A. Pye (Oxford) Ltd e J.A. Pye (Ox CoNTENzIoSo ComuNITARIo Ed INTERNAzIoNALE ford) Land Ltd c. Regno Unito [GC], no. 44302/02, § 52, CEdu 2007 III, e Broniowski c. Polonia [GC], no. 31443/96, § 134, CEdu 2004-V). 273. La Corte ha già riconosciuto che il ricorrente è stato in grado di dimostrare che l’adozione del provvedimento di confisca ha limitato la sua capacità di disporre pienamente della Statua (cfr. paragrafo 229) e la possibilità che le autorità italiane riescano ad ottenerne il riconoscimento e l’esecuzione nel procedimento che hanno avviato negli Stati uniti in conformità agli accordi internazionali in vigore tra i due Paesi (cfr. paragrafo 230). Alla luce di queste constatazioni, la Corte riconosce che l’emissione del provvedimento di confisca ha rappresentato un’interferenza con gli interessi proprietari del ricorrente tutelati dall’articolo 1 del Protocollo n. 1. 274. Per quanto riguarda la natura dell’interferenza, la complessità della situazione giuridica impedisce di classificarla in una categoria precisa. Il Governo ha sostenuto che, in base alla legge italiana, il Trust non è mai diventato proprietario della Statua in quanto appartenente al patrimonio culturale italiano a causa delle circostanze in cui è stata ritrovata e del suo legame culturale con il Paese, non è stata denunciata alle autorità nazionali competenti dopo il ritrovamento ed è stata successivamente esportata senza che fossero state rispettate le necessarie formalità doganali. Tuttavia, il ricorrente ha acquistato la Statua all’estero da un terzo e ne è in possesso da molto tempo. Per accertare se il ricorrente sia diventato proprietario, sarebbe necessario valutare le catene di trasferimento successive all’esportazione della Statua e la legge applicabile a tale contratto, questioni molto controverse tra le parti. 275. Alla luce di queste considerazioni, la Corte ritiene che, da un lato, in assenza di una valida proprietà, sia applicabile solo la regola generale dell’articolo 1 del Protocollo n. 1, perché in ogni caso la misura impugnata ha limitato il diritto del ricorrente di utilizzare il suo “possesso” (cfr., mutatis mutandis, Sporrong e Lönnroth, sopra citati, § 60, e Pialopoulos e altri c. Grecia, no. 37095/97, § 56, 15 febbraio 2001). 276. d’altra parte, supponendo l’esistenza di una valida proprietà, si applica la terza regola. La Corte ha infatti affermato che quando una misura di confisca è stata imposta indipendentemente dall’esistenza di una condanna penale, ma piuttosto a seguito di un distinto procedimento giudiziario “civile” (ai sensi dell’articolo 6 § 1 della Convenzione) volto al recupero di beni che si ritiene siano stati acquisiti illecitamente, tale misura, anche se comporta la confisca irrevocabile dei beni, costituisce un controllo sull’uso dei beni (cfr. Gogitidze e altri c. Georgia, no. 36862/05, § 94, 12 maggio 2015, e la giurisprudenza ivi citata; Bokova, sopra citata, § 51; e Aktiva DOO c. Serbia, n. 23079/11, § 78, 19 gennaio 2021). La Corte ha anche ritenuto che il sequestro e la confisca di beni, la cui importazione era vietata dalla legge, equivalga a una misura di controllo dell’uso della proprietà (cfr. AGOSI c. Regno Unito, 24 ottobre 1986, § 51, Serie A n. 108). Lo stesso vale per la confisca di merci importate senza che siano state rispettate le necessarie dichiarazioni doganali (cfr. Yaşaroğlu c. Türkiye, n. 78661/11, § 53, 12 settembre 2023). 277. In ogni caso, la Corte non ritiene necessario pronunciarsi sull’applicazione della seconda frase del primo paragrafo dell’articolo 1 del Protocollo n. 1 nel caso di specie (cfr., per un approccio simile, Aktiva DOO, sopra citata, § 78, e Denisova e Moiseyeva c. Russia, n. 16903/03, § 55, 1° aprile 2010). da tempo ritiene che la situazione di cui alla seconda frase del primo paragrafo di questa disposizione sia solo un caso particolare di interferenza con il diritto al pacifico godimento della proprietà, garantito dalla norma generale di cui alla prima frase. La Corte ritiene pertanto di dover esaminare la situazione denunciata alla luce di tale norma generale (cfr., mutatis mutandis, Gladysheva c. Russia, n. 7097/10, § 71, 6 dicembre RASSEGNA AVVoCATuRA dELLo STATo -N. 4/2023 2011, e la giurisprudenza ivi citata, e Alentseva c. Russia, no. 31788/06, § 59, 17 novembre 2016), pur tenendo conto delle circostanze specifiche del caso. 278. A questo proposito, la Corte osserva che, a prescindere dalla norma applicabile del- l’articolo 1 del Protocollo n. 1, il caso in esame riguarda una questione molto particolare, vale a dire la protezione del patrimonio culturale e il recupero di un bene culturale esportato illegalmente attraverso una misura che, sebbene adottata nell’ambito di un procedimento penale, ha effetti civili (cfr. paragrafi 129-130). 279. La specificità dell’oggetto del presente caso è ulteriormente dimostrata dal fatto che misure analoghe volte al recupero di beni culturali esportati illecitamente sono state progressivamente disciplinate dal diritto internazionale (cfr. l’articolo 13, paragrafo 1, lettera d), della Convenzione uNESCo del 1970, citata al paragrafo 154, l’articolo 5 della Convenzione uNIdRoIT del 1995, citata al paragrafo 160, e l’articolo 14, paragrafo 3, della Convenzione del Consiglio d’Europa sui reati relativi ai beni culturali, citata al paragrafo 181) e dal diritto dell’unione europea (cfr. la direttiva 2014/60/uE, citata ai paragrafi 182-184). Inoltre, l’articolo 18 della Convenzione uNESCo del 2001 prevede espressamente che il patrimonio culturale subacqueo recuperato in modo incompatibile con tale Convenzione debba essere confiscato (cfr. paragrafo 165). 280. Alla luce di quanto sopra, la Corte ritiene che, a prescindere dalla norma applicabile ai sensi dell’articolo 1 del Protocollo n. 1, la giustificazione dell’ingerenza in questione nel caso di specie debba essere valutata tenendo conto del fatto che, a causa della natura unica e insostituibile dei beni culturali, gli Stati godono di un ampio margine di apprezzamento in materia di patrimonio culturale (cfr. Petar Matas c. Croazia, no. 40581/12, § 40, 4 ottobre 2016; SCEA Ferme de Fresnoy c. Francia (dec.), no. 61093/00, CEdu 2005 XIII (estratti); Kozacıoğlu c. Turchia [GC], no. 2334/03, § 54, 19 febbraio 2009; e Sinan Yildiz e altri c. Turchia (dec.), no. 37959/04, 12 gennaio 2010). 281. La Corte ribadisce che, affinché un’ingerenza sia compatibile con l’articolo 1 del Protocollo n. 1, deve essere legittima, di interesse generale e proporzionata, ossia deve raggiungere un “giusto equilibrio” tra le esigenze dell’interesse generale della comunità e quelle della tutela dei diritti fondamentali dell’individuo (cfr., ad esempio, Pařízek c. Repubblica Ceca, n. 76286/14, § 42, con ulteriori riferimenti, 12 gennaio 2023). La Corte esaminerà queste tre fasi in successione. 2. Conformità all’articolo 1 del Protocollo n. 1 (a) La conformità della misura con il principio di legalità (i) Le osservazioni del ricorrente 282. Il ricorrente ha ammesso che la legge italiana impone a chiunque voglia esportare un oggetto potenzialmente di interesse culturale di dichiararlo a un ufficio esportazioni e di ottenere l’autorizzazione. Se l’ufficio esportazioni negava l’approvazione e dichiarava l’oggetto di interesse culturale, non poteva essere esportato senza una licenza o un certificato speciale. 283. Tuttavia, il ricorrente lamentava che l’articolo 174 § 3 del decreto n. 42/2004 non era in vigore quando il Bronzo era stato scoperto e poi acquistato dallo stesso, e che la legge allora in vigore era stata modificata più volte tra il 1965 e la data di adozione del provvedimento di confisca. Secondo il ricorrente, la giurisprudenza prevalente prima del 2015 aveva considerato la misura in questione di natura penale e, di conseguenza, la sua imposizione non poteva essere prevista per due motivi. In primo luogo, il ricorrente non era stato coinvolto nella commissione del reato di esportazione illegale e, in secondo luogo, l’acquisto della Statua era stato concluso al di fuori della giurisdizione italiana. CoNTENzIoSo ComuNITARIo Ed INTERNAzIoNALE 284. Inoltre, secondo il ricorrente, la disposizione in vigore al momento dell’acquisizione della Statua era stata dichiarata incostituzionale nella misura in cui consentiva di imporre la misura della confisca a terzi “non coinvolti nel reato” (cfr. paragrafo 125). La disposizione attualmente in vigore è stata introdotta dall’articolo 23 della legge n. 88/1998 (cfr. paragrafo 119). Pertanto, quando aveva acquistato la Statua, non poteva ragionevolmente prevedere lo standard di diligenza che le era stato richiesto, soprattutto perché l’interpretazione da parte dei tribunali nazionali della nozione di “persona estranea al reato” era stata, a suo avviso, incoerente. 285. Il ricorrente ha inoltre affermato che, quando la Statua era stata esportata dall’Italia, l’opinione prevalente era che la misura contestata non potesse essere applicata quando l’oggetto in questione si trovava al di fuori dell’Italia e che, prima di una riforma legislativa del 2022 (che ha introdotto gli articoli 518-undecies e 518-duodevicies nel Codice penale), il diritto interno non chiariva se la misura potesse essere imposta anche quando il reato era caduto in prescrizione. 286. Infine, il ricorrente ha sostenuto che l’articolo 174, paragrafo 3, del decreto n. 42/2004 mancava di chiarezza in quanto non imponeva alcun termine entro il quale lo Stato poteva imporre la misura e che, di conseguenza, le autorità italiane avevano potuto confiscare la Statua più di trent’anni dopo essere venute a conoscenza della sua ubicazione. Il ricorrente ha invocato gli articoli 77 e 78 del decreto n. 42/2004, come recentemente modificato, che fissano un termine di tre anni dalla data in cui lo Stato richiedente è venuto a conoscenza del- l’ubicazione del bene per le richieste di restituzione di beni culturali presentate nei confronti dell’Italia. (ii) Le osservazioni del Governo 287. Il Governo ha sostenuto che l’articolo 174, paragrafo 3, del decreto n. 42/2004 non era stato applicato retroattivamente a danno della ricorrente, in quanto si era limitato a trasporre, in un’unica disposizione, la norma già esistente dell’articolo 66 della legge n. 1089/1939 (cfr. paragrafo 113), che era stata incorporata nell’articolo 301 del dPR n. 43 del 23 gennaio 1973 in materia doganale (cfr. paragrafo 117). 288. Hanno inoltre sostenuto che le successive modifiche legislative a cui fa riferimento il Trust sono state in realtà favorevoli al ricorrente, in quanto hanno introdotto l’impossibilità di imporre la misura a coloro che potevano dimostrare di essere “persone estranee al reato” ai sensi della giurisprudenza interna consolidata, nonché il diritto a un’udienza pubblica durante il procedimento giudiziario volto all’imposizione della misura contestata. 289. Il Governo ha allegato le sentenze della Corte Costituzionale e della Corte di Cassazione che chiariscono la nozione di “persona estranea al reato” e ha sostenuto che, alla luce di tali sentenze, lo standard di diligenza richiesto al ricorrente era chiaro e prevedibile. 290. Il Governo ha inoltre affermato che non è vero che la misura non può essere applicata quando il bene culturale si trova al di fuori del territorio italiano e che, in realtà, i tribunali nazionali avevano già osservato che il ricorrente si era limitato a citare pareri accademici al riguardo. 291. Per quanto riguarda l’asserita mancanza di chiarezza della base giuridica, a causa dell’assenza di un termine, il Governo ha sostenuto che il caso in questione si differenziava dai casi in cui la Corte aveva ritenuto di sollevare una questione ai sensi della Convenzione, in quanto riguardava una misura non di natura penale e volta al mero recupero di un bene già di proprietà dello Stato. 292. Infine, il Governo ha osservato che, anche in assenza di un termine, alcune limitazioni procedurali si applicavano al caso in questione. In particolare, dopo una prima decisione del RASSEGNA AVVoCATuRA dELLo STATo -N. 4/2023 giudice dell’esecuzione sulla questione della confisca, qualsiasi nuova domanda relativa agli stessi fatti sarebbe dichiarata irricevibile se non fosse accompagnata da nuovi elementi (come una modifica della legge o la pronuncia di una sentenza pertinente da parte di un tribunale superiore o sovranazionale). (iii) La valutazione della Corte (1) Principi generali 293. La Corte ribadisce che il primo e più importante requisito dell’articolo 1 del Protocollo n. 1 è che qualsiasi interferenza da parte di un’autorità pubblica nel godimento pacifico dei beni deve essere legittima. Lo Stato di diritto, uno dei principi fondamentali di una società democratica, è insito in tutti gli articoli della Convenzione (cfr. Ex Re di Grecia e altri, § 79, e Beyeler, § 108, entrambi sopra citati). Quando parla di “legge”, l’articolo 1 del Protocollo n. 1 allude allo stesso concetto a cui la Convenzione fa riferimento altrove quando utilizza tale termine -un concetto che comprende il diritto statutario e la giurisprudenza (cfr. Bežanić e Baškarad c. Croazia, nn. 16140/15 e 13322/16, § 62, 19 maggio 2022, e Tokel c. Turchia, n. 23662/08, § 74, 9 febbraio 2021). 294. L’esistenza di una base giuridica nel diritto interno non basta, di per sé, a soddisfare il principio di legalità. Il requisito della legittimità richiede anche il rispetto delle disposizioni pertinenti del diritto interno (cfr. East West Alliance Limited c. Ucraina, n. 19336/04, § 167, 23 gennaio 2014, e Zlínsat, spol. S r.o. c. Bulgaria, n. 57785/00, §§ 97-98, 15 giugno 2006). Inoltre, la base giuridica deve avere una certa qualità, ossia deve essere sufficientemente accessibile, precisa e prevedibile nella sua applicazione e nelle sue conseguenze (cfr. Centro Europa 7 S.r.l. e Di Stefano c. Italia [GC], no. 38433/09, § 187, CEdu 2012), essere compatibile con lo Stato di diritto e fornire sufficienti garanzie procedurali contro l’arbitrarietà (cfr. Vistiņš e Perepjolkins c. Lettonia [GC], n. 71243/01, § 96, 25 ottobre 2012). 295. Per quanto riguarda la nozione di “prevedibilità” in materia civile, la sua portata dipende in misura considerevole dal contenuto dello strumento in questione, dal settore che è destinato a coprire e dal numero e dallo status dei destinatari (cfr., tra le altre autorità, Vistiņš e Perepjolkins c. Lettonia, sopra citata, § 97, 25 ottobre 2012). La legge applicabile deve inoltre fornire garanzie procedurali minime commisurate all’importanza del principio in questione (cfr. Centro Europa 7 S.r.l. e Di Stefano, sopra citata, § 97, e la giurisprudenza ivi citata). 296. La Corte ha affermato che una legge può comunque soddisfare il requisito della prevedibilità anche se l’interessato deve avvalersi di un’adeguata consulenza legale per valutare, in misura ragionevole rispetto alle circostanze, le conseguenze che una determinata azione può comportare. Ciò è particolarmente vero per le persone che svolgono un’attività professionale, abituate a procedere con un elevato grado di cautela nell’esercizio della loro professione. Per questo motivo ci si può aspettare che essi prestino particolare attenzione nel valutare i rischi che tale attività comporta (cfr. Lekić c. Slovenia [GC], no. 36480/07, § 97, 11 dicembre 2018, e la giurisprudenza ivi citata). Lo stesso può dirsi per le persone che svolgono attività commerciali (cfr., tra le altre autorità, Forminster Enterprises Limited c. Repubblica Ceca, no. 38238/04, § 65, 9 ottobre 2008; Lekić, sopra citata, § 97, con ulteriori riferimenti; e NIT S.R.L. v. the Republic of Moldova [GC], no. 28470/12, § 161, 5 aprile 2022). 297. La Corte ha riconosciuto nella sua giurisprudenza che, per quanto una disposizione giuridica possa essere formulata in modo chiaro, in qualsiasi sistema di diritto esiste un inevitabile elemento di interpretazione giudiziaria. Ci sarà sempre bisogno di chiarire i punti dubbi e di adattarsi alle circostanze che cambiano. Anche in questo caso, la certezza è altamente auspicabile, ma può portare con sé un’eccessiva rigidità e la legge deve essere in grado CoNTENzIoSo ComuNITARIo Ed INTERNAzIoNALE di tenere il passo con il mutare delle circostanze. di conseguenza, molte leggi sono inevitabilmente formulate in termini più o meno vaghi e la loro interpretazione e applicazione sono questioni di prassi (cfr. OAO Neftyanaya Kompaniya Yukos c. Russia, n. 14902/04, § 568, 20 settembre 2011). Il ruolo del giudizio conferito ai tribunali è proprio quello di dissipare i dubbi interpretativi che permangono (cfr. Bežanić e Baškarad c. Croazia, nn. 16140/15 e 13322/16, § 63, 19 maggio 2022). Ciò significa che il requisito della prevedibilità che il termine “legge” implica non può essere letto nel senso di escludere la graduale chiarificazione delle norme attraverso l’interpretazione giudiziaria di caso in caso, a condizione che lo sviluppo risultante rimanga coerente con l’essenza della disposizione e possa essere ragionevolmente previsto (cfr. Kopytok c. Russia, n. 48812/09, § 34, 15 gennaio 2019). Al contrario, un’interpretazione giurisprudenziale incoerente delle disposizioni nazionali pertinenti è un fattore che potrebbe portare a risultati imprevedibili o arbitrari e privare gli individui di un’effettiva tutela dei loro diritti e che, di conseguenza, è in contrasto con il requisito della legittimità (cfr. Carbonara e Ventura c. Italia, n. 24638/94, § 65, CEdu 2000 VI). 298. Per quanto riguarda le garanzie procedurali a disposizione dell’individuo, la Corte ha affermato che esse saranno particolarmente importanti per determinare se lo Stato convenuto, nel fissare il quadro normativo, sia rimasto all’interno del suo margine di apprezzamento (cfr. Connors c. Regno Unito, n. 66746/01, § 83, 27 maggio 2004). Ciò che è richiesto a titolo di salvaguardia dipenderà, almeno in una certa misura, dalla natura e dalla portata dell’interferenza in questione (cfr. Oleksandr Volkov c. Ucraina, n. 21722/11, § 170, CEdu 2013). (2) Applicazione dei principi suddetti al caso di specie 299. La Corte nota che le parti non hanno contestato il fatto che la misura contestata avesse un fondamento nel diritto interno, ossia l’articolo 174 § 3 del decreto Legislativo n. 42/2004 (cfr. paragrafo 121), in vigore al momento dell’adozione del provvedimento di confisca; e osserva che questa disposizione riproduceva, con lievi modifiche, la norma contenuta nell’articolo 66 della legge n. 1089/1939 (cfr. paragrafo 113), che era in vigore al momento del ritrovamento della Statua e del suo acquisto da parte del ricorrente, e che è stata successivamente recepita nell’articolo 123 § 3 del decreto n. 490/1999 (cfr. paragrafo 120 supra). 300. Tuttavia, le parti sono in disaccordo sulla qualità di tale base giuridica, ai sensi del- l’articolo 1 del Protocollo n. 1, in particolare per quanto riguarda la chiarezza e la prevedibilità: (i) dello standard di diligenza richiesto all’acquirente di un bene culturale per l’imposizione della misura contestata; (ii) della possibilità di imporre la misura anche se il reato era caduto in prescrizione; (iii) della possibilità di imporre la misura quando il bene si trovava al di fuori del territorio italiano; e (iv) dell’assenza di un termine per l’imposizione della misura. -Standard di diligenza richiesto all’acquirente di un bene culturale per l’imposizione della misura contestata 301. Per quanto riguarda la prevedibilità dello standard di diligenza richiesto a un acquirente di beni culturali, la Corte osserva che tale aspetto è stato progressivamente chiarito nel diritto interno e nella giurisprudenza. 302. L’articolo 66, comma 3, della legge n. 1089/1939 (cfr. paragrafo 113), imponeva la confisca obbligatoria degli oggetti di interesse culturale esportati illegalmente o tentati di esportazione illegale, e prevedeva che venisse effettuata in conformità alle disposizioni sulla confisca delle merci di contrabbando, ossia l’articolo 301, comma 1, del decreto n. 43/1973 (cfr. paragrafo 117). 303. Le condizioni per imporre tale misura sono state chiarite dalla giurisprudenza nazionale. In particolare, con la sentenza n. 229 del 1974, la Corte Costituzionale ha dichiarato in RASSEGNA AVVoCATuRA dELLo STATo -N. 4/2023 costituzionale l’articolo 301 § 1 del decreto n. 43/1973 nella misura in cui consentiva l’imposizione della misura a una “persona estranea al reato”, ossia a chi non era a conoscenza o comunque non ha agevolato, per “difetto di vigilanza”, la commissione del reato di contrabbando (cfr. paragrafo 124). Questo approccio è stato successivamente seguito dalla Corte di Cassazione (cfr. paragrafo 127). 304. Per quanto riguarda in particolare la disposizione relativa alla confisca dei beni culturali esportati illegalmente, ossia l’articolo 66, comma 3, della legge n. 1089/1939, nella sentenza n. 2 del 19 gennaio 1987 la Corte Costituzionale ha espressamente chiarito che per “persona estranea al reato” si intende una persona “che non sia autore del reato e non ne abbia tratto in alcun modo profitto” per difetto di vigilanza (cfr. paragrafo 125), mentre nella sentenza n. 3 del 9 gennaio 1997 ha osservato che un individuo che si considerava estraneo al reato doveva dimostrare che l’acquisto era avvenuto ignorando, senza colpa, l’origine illecita dell’oggetto (paragrafo 126). 305. A seguito delle sentenze citate, la nozione di “persona estranea al reato” è stata espressamente inserita nel testo dell’articolo 66, comma 3, della legge n. 1089/1939 attraverso l’articolo 23 della legge n. 88/1998 (cfr. paragrafo 119) e poi recepita nell’articolo 123, comma 3, del decreto 490/1999 (cfr. paragrafo 120) e, successivamente, nell’articolo 174, comma 3, del decreto legislativo n. 42/2004 (cfr. paragrafo 121), la disposizione applicata nel caso del ricorrente. 306. La Corte ritiene pertanto che, al momento dell’emissione del provvedimento di confisca, ossia nel momento in cui si è verificata l’ingerenza in questione nel presente caso (cfr. paragrafo 273), la nozione di “persona estranea al reato” fosse chiaramente stabilita dalla giurisprudenza italiana. La Corte osserva che la Corte di Cassazione ha respinto il reclamo del ricorrente sulla mancanza di prevedibilità della base giuridica della confisca per questo motivo (cfr. paragrafo 102). La Corte non vede alcun motivo per dissentire da questa valutazione. 307. Per quanto riguarda la questione se i rappresentanti del ricorrente abbiano agito con la diligenza richiesta quando hanno acquisito la Statua (cfr. paragrafi 283-284), essa sarà esaminata dalla Corte nell’ambito della valutazione della proporzionalità (cfr. paragrafi 380-390). - Imposizione della misura anche se il reato è caduto in prescrizione 308. Per quanto riguarda il fatto che fosse prevedibile che la misura contestata potesse essere imposta quando il reato in questione, in particolare l’esportazione illegale di un bene culturale, non era stato commesso dal proprietario ed era caduto in prescrizione nei confronti dell’imputato, la Corte ribadisce che ogni confisca deve essere vista nel suo contesto (cfr. Balsamo c. San Marino, nn. 20319/17 e 21414/17, § 64, 8 ottobre 2019). 309. A questo proposito, la Corte deve esaminare se la misura avesse un carattere esclusivamente punitivo, così da dover essere basata esclusivamente su una condanna, in un procedimento in cui il proprietario era l’imputato. 310. In primo luogo, la Corte ritiene che anche nel caso di confische punitive, quando i tribunali nazionali ritengono che tutti gli elementi del reato siano stati commessi, pur interrompendo il procedimento in quanto prescritto, una confisca è possibile se i diritti della difesa sono stati rispettati (cfr. G.I.E.M. S.R.L. e altri c. Italia, n. 1828/06 e altri 2, § 261, 28 giugno 2018, con riferimento a una situazione in cui, tuttavia, la misura non era proporzionata). 311. In secondo luogo, la Corte ribadisce che è una caratteristica comune a diverse giurisdizioni che i tribunali penali prendano decisioni di natura non punitiva (cfr. Balsamo, sopra citata, § 63). La Corte ha già affermato in precedenza che la confisca non è una misura limitata alla sfera del diritto penale, ma che si riscontra ampiamente nella sfera del diritto ammini CoNTENzIoSo ComuNITARIo Ed INTERNAzIoNALE strativo, dove gli oggetti passibili di confisca includono, ad esempio, beni importati illegalmente (cfr. AGOSI, sopra citata, § 64). 312. La Corte ha inoltre affermato che questi tipi di confisca, siano essi effettuati o meno da tribunali di giurisdizione penale, essendo di natura riparatoria, non rientrano nell’ambito di applicazione dell’articolo 7 della Convenzione (cfr. Ulemek c. Serbia (dec.), no. 41680/13, §§ 55-58, 2 febbraio 2021, e la giurisprudenza ivi citata; in contrasto con, ad esempio, Welch c. Regno Unito, n. 17440/90, §§ 28-35, 9 febbraio 1995; Varvara c. Italia, n. 17475/09, § 72, 29 ottobre 2013; e G.I.E.M. S.R.L. e altri, sopra citata, § 233). 313. di conseguenza, ha ritenuto che questi tipi di confisca, essendo finalizzati al recupero di un bene di interesse pubblico, possano essere applicati a terzi che possiedono gli oggetti in questione in assenza di una loro partecipazione al procedimento penale, di una condanna penale o di un accertamento di colpevolezza, a condizione che il fatto del possesso acquisito illegalmente sia stato oggettivamente accertato (cfr., tra le altre autorità, Yildirim c. Italia (dec.), n. 38602/02, 10 aprile 2003; Telbis e Viziteu c. Romania, no. 47911/15, § 49, 26 giugno 2018; Balsamo, sopra citata, §§ 60-65; e Voiculescu e altri c. Romania (dec.), no. 502/15, §§ 12-14, 22 febbraio 2022), e che le persone interessate abbiano avuto il diritto di presentare le proprie argomentazioni alle autorità competenti (cfr. Yildirim (dec.), e Balsamo, § 63, entrambi sopra citati); in questo contesto, una ragionevole possibilità di sottoporre il caso alle autorità, dopo la conclusione del procedimento penale, è sufficiente ai fini dell’articolo 1 del Protocollo n. 1 (cfr. Zaghini c. San Marino, n. 3405/21, § 67, 11 maggio 2023). 314. Nelle circostanze specifiche del caso di specie, la Corte osserva che la confisca in questione, applicabile sia all’imputato di esportazione illecita di beni culturali sia a terzi, estranei al reato, in possesso degli stessi oggetti, non aveva uno scopo punitivo primario. A prescindere dal fatto che possa essere una sanzione anche nei confronti di chi è accusato di un reato, secondo la Corte di Cassazione tale misura, di natura amministrativa, risponde a una “funzione prioritariamente recuperatoria”. Essa aveva sia la funzione di riottenere il controllo su oggetti che, essendo extra commercium, erano di proprietà dello Stato e non potevano essere appropriati da privati (anche terzi), sia quella di impedire che oggetti di interesse culturale di proprietà privata uscissero dal territorio dello Stato senza essere sottoposti al suo controllo, sulla base del solo accertamento del fatto (esportazione illecita) e indipendentemente dal fatto che l’individuo che possedeva o era in possesso degli oggetti avesse commesso un reato (fatta salva la valutazione della possibilità di qualificarlo come “persona estranea al reato”), o che vi fosse stata una condanna formale per tale reato (cfr. paragrafo 130). La misura era quindi finalizzata al recupero di un oggetto specifico, al fine di garantire il rispetto del- l’interesse pubblico violato da un’esportazione illegale attraverso il ripristino della “situazione originaria di dominio pubblico” (cfr. paragrafo 99). 315. La Corte osserva inoltre che, al momento dell’acquisto della Statua da parte del Trust nel 1977, la giurisprudenza nazionale prevedeva già che la confisca potesse essere imposta a terzi che possedevano o erano in possesso dell’oggetto di contrabbando, se si poteva dimostrare che erano stati almeno negligenti (cfr. paragrafo 124). La possibilità di imporre la misura non era quindi legata alla commissione o alla partecipazione al reato. 316. È vero che solo nel 1980 ha la Corte di Cassazione espressamente chiarito che la misura doveva essere imposta anche nei casi in cui l’imputato accusato di esportazione illegale fosse stato assolto o dichiarato altrimenti non punibile per motivi che non escludevano il fatto materiale del reato, in particolare l’esportazione illegale (cfr. paragrafo 129). Tuttavia, alla luce della finalità principalmente recuperatoria della misura (cfr. paragrafo 314), e dato che RASSEGNA AVVoCATuRA dELLo STATo -N. 4/2023 era già chiaro che poteva essere imposta a terzi che non avevano commesso il reato ma erano almeno negligenti (cfr. paragrafo 315), la Corte ritiene che si trattasse di una mera precisazione che era coerente con l’essenza della disposizione e che poteva quindi essere ragionevolmente prevista (cfr. paragrafo 297). 317. di conseguenza, la Corte ritiene che la base giuridica non mancasse di chiarezza e prevedibilità per quanto riguarda la possibilità di applicare la misura quando il reato era caduto in prescrizione. -Possibilità di imporre la misura quando l’oggetto si trova al di fuori del territorio dello Stato 318. Per quanto riguarda l’osservazione del ricorrente secondo cui la misura sarebbe stata imposta in violazione del diritto interno, in quanto quest’ultimo non consentiva la confisca di oggetti situati al di fuori del territorio dello Stato, la Corte osserva che i tribunali nazionali hanno già affrontato la questione, osservando che l’argomentazione del ricorrente era stata avanzata solo in pareri accademici e che non vi erano esempi di giurisprudenza che giustificassero tale conclusione. Al contrario, l’adozione del provvedimento di confisca era una condizione necessaria per presentare richieste di cooperazione giudiziaria internazionale finalizzate al recupero di un bene culturale situato al di fuori del territorio dello Stato (cfr. paragrafo 79). 319. Come osservato dal Governo, la Corte nota che il ricorrente non ha fornito altri argomenti pertinenti, né davanti ai tribunali nazionali né davanti alla Corte. 320. La Corte, ribadendo che il suo potere di controllare l’osservanza del diritto interno è limitato ai casi di applicazione manifestamente erronea delle disposizioni giuridiche impugnate o di conclusioni arbitrarie (cfr. Beyeler, sopra citata, § 108, BENet Praha, spol. s r.o. c. Repubblica Ceca, no. 33908/04, § 97, 24 febbraio 2011, e BTS Holding, a.s. c. Slovacchia, no. 55617/17, § 65, 30 giugno 2022), ritiene che nel caso di specie il ricorrente non abbia fornito alcuna documentazione in grado di corroborare la sua tesi e di dimostrare che le autorità giudiziarie nazionali abbiano applicato il diritto interno in modo arbitrario o irragionevole. -Assenza di un termine per l’imposizione del provvedimento 321. Per quanto riguarda il reclamo del ricorrente relativo all’assenza di un termine per l’adozione del provvedimento, la Corte ha precedentemente affermato che una legge nazionale può mancare di prevedibilità quando lascia aperto il termine per l’esercizio di determinati poteri o azioni da parte delle autorità nazionali (cfr. Beyeler, § 109, e Dimitrovi, § 46, entrambi sopra citati). 322. Tuttavia, la Corte ribadisce che l’esistenza di sufficienti garanzie procedurali deve essere valutata tenendo conto, almeno tra gli altri fattori, della natura e della portata dell’interferenza in questione (cfr. Ivashchenko c. Russia, n. 61064/10, § 170, 13 febbraio 2018). La Corte deve quindi tenere conto del fatto che nel campo del patrimonio culturale gli Stati godono di un ampio margine di apprezzamento, anche perché la misura in questione persegue l’obiettivo di recuperare un oggetto unico e insostituibile (cfr. paragrafo 280). 323. A questo proposito, la Corte osserva che l’assenza di una prescrizione o di un termine per le azioni di recupero dei beni culturali rubati o esportati illegalmente sembra essere una caratteristica distintiva di diversi Paesi, anche all’interno del Consiglio d’Europa (cfr. la Relazione esplicativa della Convenzione uNIdRoIT del 1995, citata al paragrafo 161). 324. Alla luce di quanto sopra, la Corte ritiene che l’assenza di un termine non sia un fattore che, da solo, possa automaticamente portare alla conclusione che l’ingerenza in questione sia stata imprevedibile o arbitraria e quindi incompatibile con il principio di legalità ai sensi del CoNTENzIoSo ComuNITARIo Ed INTERNAzIoNALE l’art. 1 del Protocollo n. 1. In ogni caso, come la Corte ha già affermato, questo elemento di incertezza nello statuto e il notevole margine di manovra concesso alle autorità da questo punto di vista sono considerazioni materiali da prendere in considerazione per determinare se la misura denunciata abbia raggiunto un giusto equilibrio tra gli interessi concorrenti (cfr. Beyeler, sopra citata, § 110; Alentseva, sopra citata, § 66; e, mutatis mutandis, Zelenchuk e Tsytsyura c. Ucraina, nn. 846/16 e 1075/16, § 106, 22 maggio 2018; e Béla Németh c. Ungheria, n. 73303/14, § 40, 17 dicembre 2020; (cfr. paragrafi 391-400)). (3) Conclusioni sulla conformità della misura al principio di legalità 325. Alla luce di quanto sopra, la Corte conclude che la base giuridica della misura contestata era sufficientemente chiara, prevedibile e compatibile con lo Stato di diritto, e che pertanto era conforme al principio di legalità ai sensi dell’articolo 1 del Protocollo n. 1. (b) se la misura è stata adottata nell’interesse pubblico o generale (i) Le osservazioni del ricorrente 326. Pur ammettendo che la tutela del patrimonio culturale fosse una finalità legittima ai sensi della Convenzione, il ricorrente ha sostenuto che, contrariamente a quanto affermato dalle autorità giudiziarie nazionali e ribadito dal Governo, la Statua non faceva parte del patrimonio culturale italiano. La misura contestata non era quindi giustificata da alcun interesse pubblico o generale. 327. Il Trust ha sottolineato che la Convenzione uNESCo del 1970 non ha effetto retroattivo e che quindi non è applicabile al caso in questione. In ogni caso, la Statua non rientrava in nessuna delle categorie previste dall’articolo 4 per l’identificazione del patrimonio culturale di uno Stato. Secondo il ricorrente, la Statua non era una creazione del “genio individuale o collettivo” italiano, essendo molto probabilmente opera dello scultore greco Lisippo, e non c’era alcuna prova che fosse stata creata sul territorio italiano. Il Trust ha inoltre affermato che non esistevano prove che dimostrassero il ritrovamento dei Bronzi nelle acque territoriali italiane e che il Governo non poteva basarsi sulla nozione storica di un “continuum” tra la cultura greca e quella romana, in quanto tale connessione era molto tenue e, in ogni caso, non aveva alcuna rilevanza ai sensi della Convenzione uNESCo del 1970 o del diritto internazionale generale. 328. Il ricorrente ha inoltre ammesso che, secondo la giurisprudenza della Corte, è legittimo che uno Stato adotti misure volte ad acquisire il controllo sui beni culturali al fine di facilitare nel modo più efficace l’ampio accesso del pubblico alle opere d’arte legalmente presenti sul suo territorio. Tuttavia, secondo il Trust, questo principio giustificava il mantenimento della Statua al Getty museum, dove era stata resa accessibile al pubblico e conservata con cura. Per contro, il Governo non ha chiarito come intendeva facilitare in modo più efficace l’accesso alla Statua per il pubblico in generale. 329. Infine, il ricorrente ha sostenuto che, se la Corte dovesse ritenere che la misura contestata abbia perseguito uno scopo legittimo, a tale scopo dovrebbe essere attribuito un peso limitato nell’esercizio di bilanciamento tra interessi concorrenti. (ii) Le osservazioni del Governo 330. Il Governo ha sostenuto che la Statua fa indubbiamente parte del patrimonio culturale italiano e che la misura di recupero ha quindi perseguito il legittimo obiettivo di garantire il rispetto sostanziale del patrimonio culturale nazionale e la sua protezione per l’interesse generale alla sua custodia, conservazione e possibile fruizione generale. Hanno ritenuto che questa dichiarazione fosse coerente con il quadro giuridico nazionale e internazionale relativo all’identificazione del patrimonio culturale di uno Stato. RASSEGNA AVVoCATuRA dELLo STATo -N. 4/2023 331. Per quanto riguarda il quadro giuridico nazionale, il Governo ha sostenuto che la Statua è un oggetto di “interesse artistico, storico ... che testimonia i valori della civiltà”, come stabilito dall’articolo 2 § 1 del decreto Legislativo n. 42/2004, che appartengono allo Stato, come stabilito dall’articolo 10, paragrafo 1. Secondo loro, ai sensi dell’articolo 54 § 1 di tale decreto, tali oggetti erano inalienabili, impedendo così qualsiasi valido trasferimento di proprietà o un’acquisizione a non domino. 332. Per quanto riguarda il quadro giuridico internazionale, il Governo ha sostenuto che, ai sensi dell’articolo 4 § 1 (b) della Convenzione uNESCo del 1970, i beni culturali che si trovano sul territorio nazionale fanno parte del patrimonio culturale di uno Stato. Secondo il Governo, nel procedimento interno era stato accertato che la Statua era stata rinvenuta nelle acque territoriali italiane e i ricorrenti non avevano sollevato tale questione nel ricorso per cassazione e nel ricorso alla Corte. 333. Il Governo ha inoltre affermato che, secondo la prassi internazionale, i beni culturali rinvenuti in mare nel corso del XX secolo erano comunemente accettati come appartenenti allo Stato costiero in cui erano stati rinvenuti, anche se di origine ellenica. Secondo il Governo, questo argomento è stato riconosciuto anche dal Getty museum, che ha restituito diverse opere d’arte di origine ellenica rinvenute in territorio italiano. 334. Inoltre, il Governo ha sostenuto che non si poteva escludere che la Statua facesse parte del patrimonio culturale italiano sulla base dell’articolo 4 § 1 (a) della Convenzione uNESCo del 1970, che si riferiva ai “beni culturali creati dal genio individuale o collettivo di cittadini dello Stato considerato e beni culturali importanti per lo Stato considerato, creato sul territorio di tale Stato da cittadini stranieri o da apolidi residenti su tale territorio”. Il Governo ha sostenuto che non si poteva stabilire con certezza che la Statua fosse opera di Lisippo e che, anche supponendo che l’avesse creata, egli avesse vissuto nell’Italia meridionale. Secondo il Governo, la teoria dei ricorrenti sull’origine greca della Statua era priva di fondamento e non teneva conto del continuum tra la civiltà greca e la successiva esperienza culturale romana, a cui la Corte di Cassazione aveva fatto riferimento nel procedimento interno. (iii) La valutazione della Corte 335. A prescindere dalla norma applicabile dell’articolo 1 del Protocollo n. 1, qualsiasi ingerenza da parte di un’autorità pubblica nel pacifico godimento dei beni può essere giustificata solo se risponde a un legittimo interesse generale (cfr. Beyeler, § 111, e Lekić, § 106, entrambi sopra citati). Il principio del “giusto equilibrio” insito nell’articolo 1 del Protocollo n. 1 presuppone di per sé l’esistenza di un interesse generale della comunità (cfr. Đokić c. Bosnia- Erzegovina, n. 6518/04, § 57, 27 maggio 2010). 336. La Corte ritiene che la sostanza dell’interesse generale richiamato dal Governo e fortemente contestato dal ricorrente richieda un esame approfondito (cfr., mutatis mutandis, S.A.S. c. Francia [GC], no. 43835/11, § 114, CEdu 2014 (estratti), e Y.Y. c. Turchia, n. 14793/08, § 77, CEdu 2015 (estratti)), in quanto il caso di specie lascia alcuni dubbi sulla realizzazione dello scopo invocato per giustificare la misura contestata. 337. La Corte valuterà quindi se l’interesse generale menzionato dal Governo possa essere considerato legittimo ai fini della Convenzione e se, nelle circostanze specifiche del caso di specie, la misura fosse volta a soddisfare tale interesse. 338. Nel farlo, la Corte terrà conto del fatto che la Convenzione non può essere interpretata nel vuoto, ma in armonia con i principi generali del diritto internazionale. Come indicato nel- l’articolo 31, paragrafo 3, lettera c), della Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati del 1969, si dovrebbe tenere conto di “ogni norma pertinente di diritto internazionale, applicabile alle CoNTENzIoSo ComuNITARIo Ed INTERNAzIoNALE relazioni fra le parti” (cfr. Demir e Baykara c. Turchia [GC], no. 34503/97, § 67, CEdu 2008; Neulinger e Shuruk c. Svizzera [GC], no. 41615/07, § 131, CEdu 2010; Naït-Liman v. Switzerland [GC], no. 51357/07, § 174, 15 marzo 2018; e X e altri c. Bulgaria [GC], n. 22457/16, § 179, 2 febbraio 2021). Inoltre, la Corte ribadisce di aver sempre fatto riferimento al carattere “vivente” della Convenzione, che deve essere interpretata alla luce delle condizioni attuali, e di aver tenuto conto dell’evoluzione delle norme di diritto nazionale e internazionale nell’interpretazione delle disposizioni della Convenzione (cfr. Demir e Baykara, sopra citata, § 68). 339. In particolare, nel determinare se gli Stati avessero un legittimo interesse generale ai fini dell’articolo 1 del Protocollo n. 1, la Corte ha spesso preso in considerazione se le misure contestate costituissero un obbligo ai sensi di altri trattati internazionali (cfr., ad esempio, Karapetyan, sopra citata, § 34; Gyrlyan c. Russia, no. 35943/15, § 23, 9 ottobre 2018; e Denisova e Moiseyeva, sopra citata, § 58). (1) La protezione del patrimonio culturale come interesse legittimo in generale 340. La Corte sottolinea che la protezione del patrimonio culturale e artistico di un paese è un obiettivo legittimo ai fini della Convenzione, tenendo conto anche del margine di apprezzamento di cui godono le autorità nazionali nel determinare ciò che è nell’interesse generale della comunità (cfr. Beyeler, sopra citata, § 112; SCEA Ferme de Fresnoy, sopra citata; Debelianovi v. Bulgaria, n. 61951/00, § 54, 29 marzo 2007; Valette e Doherier c. Francia (dec.), n. 6054/10, § 20, 29 novembre 2011; Fürst von Thurn und Taxis c. Germania (dec.), n. 26367/10, § 21, 14 maggio 2013; e Petar Matas, sopra citata, § 40). La conservazione del patrimonio culturale e, se del caso, il suo utilizzo sostenibile, hanno come obiettivo, oltre al mantenimento di una certa qualità della vita, la salvaguardia delle radici storiche, culturali e artistiche di una regione e dei suoi abitanti. In quanto tali, sono un valore essenziale, la cui tutela e promozione spetta alle autorità pubbliche (cfr. Debelianovi c. Bulgaria, no. 61951/00, § 54, 29 marzo 2007; Kozacıoğlu, sopra citata, § 54; Potomska e Potomski c. Polonia, no. 33949/05, § 64, 29 marzo 2011; Bogdel v. Lithuania, no. 41248/06, § 60, 26 novembre 2013; Petar Matas, sopra citata, § 35; Kristiana Ltd. v. Lithuania, no. 36184/13, § 104, 6 febbraio 2018; e Malliakou e altri c. Grecia, n. 78005/11, § 57, 8 novembre 2018; cfr. anche, mutatis mutandis, Ahunbay e altri c. Turchia (dec.), n. 6080/06, § 22, 29 gennaio 2019). 341. La legittimità dello scopo di proteggere il patrimonio culturale è ulteriormente dimostrata dai successivi sviluppi del quadro giuridico internazionale ed europeo (cfr. paragrafo 338). A questo proposito, la Corte osserva che diversi strumenti internazionali sottolineano l’importanza di proteggere i beni culturali dall’esportazione illegale, come la Convenzione dell’uNESCo del 1970 (cfr. paragrafi 150-156) e la Convenzione uNIdRoIT del 1995 (cfr. paragrafi 157-160). Analogamente, lo stesso scopo è sottolineato nel diritto dell’unione europea, in particolare nella direttiva 2014/60/uE (cfr. paragrafi 182-183) e nel regolamento 116/2009/CE (cfr. paragrafo 184). Inoltre, altri strumenti prevedono la protezione in termini generali del patrimonio culturale, come la Convenzione europea per la protezione del patrimonio archeologico (cfr. paragrafi 170-173) e la sua versione riveduta (cfr. paragrafi 174176), la Convenzione uNESCo sulla protezione del patrimonio culturale subacqueo (cfr. paragrafi 162-169) e la Convenzione del Consiglio d’Europa sui reati relativi ai beni culturali (cfr. paragrafi 177-181). 342. Alla luce di quanto sopra, la Corte ritiene che non possa essere messa in discussione la legittimità, ai sensi della Convenzione, delle misure statali volte a proteggere il patrimonio culturale dall’esportazione illecita dal Paese d’origine, o a garantirne il recupero e la restitu RASSEGNA AVVoCATuRA dELLo STATo -N. 4/2023 zione nel caso in cui l’atto illecito abbia comunque avuto luogo, in entrambi i casi al fine di facilitare nel modo più efficace l’ampio accesso del pubblico alle opere d’arte. (2) Se la misura fosse finalizzata alla tutela del patrimonio culturale nelle circostanze specifiche del caso di specie 343. Tuttavia, le parti non erano d’accordo sul fatto che la misura contestata perseguisse lo scopo di proteggere il patrimonio culturale nelle circostanze specifiche del caso in questione. Il disaccordo tra le parti riguardava il luogo del ritrovamento della Statua e la sua rilevanza per determinare se la misura fosse stata adottata nell’interesse generale della protezione del patrimonio culturale. La Corte valuterà quindi se la misura di confisca era volta a perseguire lo scopo legittimo invocato dal Governo ed era idonea a perseguire tale scopo (cfr., mutatis mutandis, Bayev e altri c. Russia, nn. 67667/09 e altri 2, § 83, 20 giugno 2017, e Macatė c. Lituania [GC], n. 61435/19, § 188, 23 gennaio 2023). 344. La Corte ribadisce che è sensibile alla natura sussidiaria del suo ruolo e che deve essere cauta nell’assumere il ruolo di tribunale di prima istanza di fatto quando ciò non è reso inevitabile dalle circostanze di un caso particolare. Non spetta alla Corte sostituire la propria valutazione dei fatti a quella dei tribunali nazionali e, di norma, spetta a questi ultimi valutare le prove di cui sono investiti. Sebbene la Corte non sia vincolata dalle conclusioni dei tribunali nazionali, in circostanze normali richiede elementi convincenti che la inducano a discostarsi dalle conclusioni di fatto raggiunte da tali tribunali (cfr. Radomilja e altri c. Croazia [GC], nn. 37685/10 e 22768/12, § 150, 20 marzo 2018). 345. Nel caso di specie, le questioni controverse sono state discusse a lungo nel procedimento nazionale, durante il quale le argomentazioni del ricorrente sono state debitamente prese in considerazione (cfr. paragrafi 77-78, 87-89, 98 e 100). La Corte prenderà quindi come punto di partenza per la sua valutazione le conclusioni sull’accertamento dei fatti e sull’interpretazione del diritto interno raggiunte dai giudici nazionali. 346. A questo proposito, la Corte osserva che il procedimento interno non ha portato a una conclusione definitiva sul ritrovamento della Statua nelle acque territoriali italiane o in alto mare. Tuttavia, questo fatto non è stato considerato decisivo. La Corte di Cassazione ha chiarito che la Statua faceva parte del patrimonio culturale italiano e quindi apparteneva allo Stato, in quanto era stata rinvenuta da una nave battente bandiera italiana (cfr. paragrafo 100) e successivamente era stata portata in Italia senza che fossero stati rispettati i relativi obblighi di segnalazione alle autorità (cfr. paragrafi 95 e 116). Secondo la Corte di Cassazione, la misura contestata mirava quindi a ripristinare la proprietà dello Stato sul bene (cfr. paragrafo 95). Inoltre, a prescindere dalla questione della proprietà, la Statua era un oggetto di interesse culturale e la sua esportazione avrebbe pertanto richiesto l’ottenimento di una licenza di esportazione da parte dell’autorità nazionale competente e il pagamento dei relativi dazi doganali (cfr. paragrafo 98). In base alle disposizioni nazionali applicabili, la violazione di questi obblighi comportava la confisca obbligatoria del bene culturale esportato illegalmente (cfr. paragrafi 113 e 121). L’obiettivo della misura contestata era quindi quello di recuperare un bene culturale che apparteneva allo Stato come parte del suo patrimonio culturale o che, pur essendo di proprietà privata, era stato comunque esportato illegalmente. 347. Per quanto riguarda la questione se le constatazioni di cui sopra siano sufficienti per ritenere che la misura sia stata adottata nell’interesse generale della protezione del patrimonio culturale, la Corte ribadisce che la nozione di “interesse pubblico” è necessariamente estesa (cfr., tra le altre autorità, Jahn e altri c. Germania [GC], n. 46720/99 e altri 2, § 91, CEdu 2005 VI) e che le autorità nazionali sono in linea di principio in una posizione migliore rispetto CoNTENzIoSo ComuNITARIo Ed INTERNAzIoNALE al giudice internazionale per valutare ciò che è di interesse pubblico (cfr. Savickis e altri c. Lettonia [GC], n. 49270/11, § 184, 9 giugno 2022). Come già osservato, lo Stato ha un ampio margine di discrezionalità per quanto riguarda ciò che è “conforme all’interesse generale”, in particolare quando si tratta di questioni relative al patrimonio culturale (cfr. Beyeler, § 112; Kozacıoğlu, § 53; e Sinan Yildiz e altri (dec.), tutti sopra citati). La Corte rispetterà il giudizio delle autorità nazionali a meno che non sia “manifestamente privo di ragionevole fondamento” (cfr., mutatis mutandis, Garib c. Paesi Bassi [GC], no. 43494/09, § 137, 6 novembre 2017, e la giurisprudenza ivi citata, e Béláné Nagy c. Ungheria [GC], no. 53080/13, § 113 CEdu 2016, e la giurisprudenza ivi citata). 348. La Corte ritiene che le autorità nazionali abbiano adempiuto al loro dovere di dimostrare ragionevolmente che la misura contestata perseguiva l’obiettivo di tutelare il patrimonio culturale, in quanto non vi è nulla nel caso in esame che suggerisca che le autorità italiane abbiano applicato le disposizioni giuridiche in questione in modo manifestamente erroneo o per giungere a conclusioni arbitrarie (cfr., mutatis mutandis, Alentseva, sopra citata, § 64). 349. La Corte osserva che accordi simili sono contemplati nei principi e nelle norme di diritto internazionale in materia. 350. Per quanto riguarda la proprietà dello Stato, la Corte di Cassazione ha affermato che la Statua fa parte del patrimonio culturale italiano. Ha tenuto conto del fatto che era stata trovata da una nave battente bandiera italiana (cfr. paragrafo 100). Come chiarito nell’ordinanza dell’8 giugno 2018 del GIP del Tribunale di Pesaro (cfr. paragrafo 89; cfr. anche paragrafo 78), ai sensi dell’articolo 4 del Codice della Navigazione italiano, le navi italiane in alto mare e gli aeromobili italiani nello spazio aereo non soggetto alla sovranità di alcuno Stato sono considerati parte del territorio italiano (cfr. paragrafo 116). La Statua è stata successivamente portata in territorio italiano dove, ai sensi dell’articolo 50 del Codice della Navigazione, il ritrovamento avrebbe dovuto essere segnalato all’autorità marittima competente (cfr. paragrafo 116). Inoltre, secondo la Corte di Cassazione, esisteva un continuum tra la cultura greca classica e quella romana (cfr. paragrafo 100). 351. Per quanto riguarda il luogo del ritrovamento, la Corte osserva che il riferimento dei giudici nazionali all’articolo 4 del Codice della Navigazione italiano non è stato manifestamente arbitrario o irragionevole alla luce del diritto internazionale consuetudinario e, in particolare, dei principi della libertà dell’alto mare e della giurisdizione esclusiva dello Stato di bandiera in alto mare (cfr. paragrafi 141-144). 352. La giurisdizione dello Stato di bandiera sui beni culturali rinvenuti in mare non è stata contraddetta dai successivi sviluppi del diritto internazionale. In particolare, la Convenzione europea per la protezione del patrimonio archeologico ha chiarito di essere stata adottata senza pregiudicare le norme relative alla giurisdizione degli Stati sugli oggetti rinvenuti sul fondo marino (cfr. paragrafo 172), mentre la sua versione riveduta è stata adottata senza pregiudicare le norme di diritto internazionale che stabiliscono se la giurisdizione degli Stati sul fondo marino sia limitata al mare territoriale o si estenda anche, ad esempio, alla zona economica esclusiva o alla piattaforma continentale (cfr. paragrafo 176). 353. da parte sua, l’articolo 303 § 3 dell’uNCLoS ha chiarito che il dovere di proteggere i beni culturali ritrovati in mare non pregiudica l’applicazione delle leggi nazionali relative all’identificazione dei legittimi proprietari (cfr. paragrafo 148), consentendo così l’applicazione del diritto marittimo e del patrimonio culturale nazionale. 354. Infine, la Corte osserva che l’articolo 13 § 1 (d) della Convenzione uNESCo del 1970 ha riconosciuto “il diritto imprescrittibile di ciascuno Stato parte della presente Con RASSEGNA AVVoCATuRA dELLo STATo -N. 4/2023 venzione, di classificare e dichiarare inalienabili alcuni beni culturali che per questo motivo non devono essere esportati, e a facilitare il recupero di tali beni da parte dello Stato interessato nel caso in cui essi siano stati esportati” (cfr. paragrafo 154). La Relazione sulla Valutazione del Lavoro di Normazione del Settore Culturale dell’uNESCo (Report on the Evaluation of UNESCO’s Standard-setting Work of the Culture Sector), pubblicata in 2014, ha chiarito che in base a tale disposizione, “gli Stati parti [sono stati] incoraggiati a stabilire la proprietà dello Stato [...] per i beni culturali non ancora scavati o scavati illecitamente dal territorio nazionale”, dato che tale disposizione potrebbe “essere utile per richiedere la restituzione di questi oggetti a livello nazionale o anche all’estero” (cfr. paragrafo 156). Il rapporto affermava inoltre che circa l’83% degli Stati che avevano risposto all’indagine aveva stabilito la proprietà dello Stato sul patrimonio culturale non scoperto. 355. Per quanto riguarda l’obbligo di segnalare il ritrovamento di beni culturali subacquei stabilito dal Codice della Navigazione italiano (cfr. paragrafo 116), la Corte osserva che esso era conforme agli obblighi di segnalazione alle autorità successivamente stabiliti dalla Convenzione uNESCo del 2001 (cfr. paragrafo 167). 356. Alla luce di quanto sopra, non si può affermare che la conclusione delle autorità nazionali secondo cui la Statua faceva parte del patrimonio culturale italiano ed era di proprietà dello Stato fosse arbitraria o manifestamente irragionevole. 357. In ogni caso, la questione della proprietà dello Stato determinata dal luogo del ritrovamento non era decisiva, in quanto la Corte di Cassazione ha chiarito che questa misura era applicabile anche agli oggetti di proprietà privata che, essendo di interesse culturale, venivano esportati senza che venissero rispettate le relative formalità doganali (cfr. paragrafo 98). 358. A questo proposito, la Corte osserva che i principi applicati dalla Corte di Cassazione in merito all’imposizione della confisca in caso di esportazione illegale sono confermati dagli sviluppi del quadro giuridico internazionale. In particolare, l’articolo 1 della Convenzione uNIdRoIT del 1995 prevede che essa si applichi alla restituzione di beni culturali usciti dal territorio di uno Stato contraente in violazione della sua legge che regola l’esportazione di beni culturali (cfr. paragrafo 160), rinviando quindi al diritto interno per quanto riguarda le formalità che devono essere rispettate per esportare beni culturali e la cui violazione giustifica le richieste di restituzione. Per quanto riguarda il diritto dell’unione europea, l’articolo 2 del Regolamento 116/2009/CE stabilisce che “l’esportazione di beni culturali al di fuori del territorio della Comunità è subordinata alla presentazione di una licenza di esportazione” (cfr. paragrafo 184). 359. Alla luce di quanto sopra, la Corte ritiene che le autorità nazionali abbiano ragionevolmente dimostrato che la Statua fa parte del patrimonio culturale italiano. Inoltre, hanno ragionevolmente sostenuto che la misura perseguiva in ogni caso l’obiettivo di riottenere il controllo su un oggetto di interesse culturale che era stato portato sul continente senza che fossero stati rispettati i relativi obblighi di segnalazione alle autorità e che era stato successivamente esportato senza la necessaria licenza e il pagamento dei relativi dazi doganali, indipendentemente dal fatto che fosse di proprietà dello Stato. (iv) Conclusioni in merito al fatto che la misura sia stata adottata nell’interesse generale 360. di conseguenza, la Corte ritiene che la misura in questione sia stata adottata “nell’interesse pubblico o generale”, ai sensi dell’articolo 1 del Protocollo n. 1, di proteggere il patrimonio culturale italiano. (c) La proporzionalità della misura rispetto all’obiettivo perseguito (i) Le osservazioni del ricorrente CoNTENzIoSo ComuNITARIo Ed INTERNAzIoNALE 361. Il ricorrente ha sostenuto di aver subito un onere eccessivo a causa dell’assenza di un termine entro il quale imporre la misura contestata (cfr. paragrafo 286). 362. Il ricorrente ha inoltre sostenuto che le autorità nazionali non avevano agito “in tempo utile”, in quanto il procedimento che aveva portato al provvedimento impugnato era stato avviato più di trent’anni dopo che erano venute a conoscenza dell’identità del proprietario della Statua e della sua ubicazione. Tale ritardo si era protratto ben oltre il limite di tre anni previsto dall’articolo 5 § 5 della Convenzione uNIdRoIT del 1995 (cfr. paragrafo 160) e il ritardo di quattro anni che la Corte aveva ritenuto eccessivo nel caso Beyeler (citata sopra). Il ricorrente ha sostenuto che, contrariamente a quanto affermato dal Governo, non poteva essere incolpato di aver contribuito al ritardo poiché i suoi rappresentanti avevano collaborato con l’indagine degli agenti delle forze dell’ordine statunitensi e non avrebbero avuto l’obbligo di verificare con le autorità italiane, prima di acquistare la Statua, se fosse stata rilasciata una licenza di esportazione prima della sua esportazione dall’Italia. 363. Secondo il ricorrente, nemmeno il comportamento delle autorità è stato “appropriato e coerente”, poiché il procedimento che ha portato al provvedimento impugnato è stato avviato nonostante l’assoluzione delle persone che avevano scoperto la Statua e l’archiviazione di diverse richieste di cooperazione giudiziaria internazionale. Inoltre, il Trust ha sottolineato che le indagini per il reato di esportazione illecita erano state interrotte nel novembre 1978 dal magistrato di Gubbio e che, nella lettera inviata il 25 agosto 1980 da tale magistrato alla Procura della Repubblica di Perugia, era stato spiegato che “il procedimento penale in questione [non] appariva suscettibile di ulteriori approfondimenti da parte dell’autorità giudiziaria ordinaria, alla quale [era] impedito di emettere provvedimenti finalizzati al recupero della Statua”. 364. Il ricorrente ha inoltre sostenuto di aver subito un onere eccessivo a causa dell’assenza di un risarcimento per la confisca del Bronzo. 365. Infine, il ricorrente ha sottolineato che al momento dell’acquisto della Statua, i suoi rappresentanti avevano agito in modo “aperto e onesto” e che nessuna colpa o malafede poteva essere loro attribuita, in quanto avevano fatto affidamento sulle garanzie fornite dagli avvocati italiani che avevano rappresentato il venditore, nonché sul rigetto delle richieste di cooperazione giudiziaria internazionale avanzate dalle autorità italiane. (ii) Le osservazioni del Governo 366. Il Governo ha sostenuto che sia il comportamento delle autorità sia il diritto interno applicabile erano compatibili con il principio della certezza del diritto e che la misura era proporzionata all’obiettivo perseguito. 367. Essi sostengono che il caso in esame si differenzia dai casi in cui la Corte ha ritenuto che i ritardi delle autorità nazionali nel reagire all’appropriazione illegale di beni da parte dei ricorrenti abbiano costituito una violazione del principio della certezza del diritto, in quanto non si trattava del recupero di beni di proprietà di privati in bona fide, ma di beni di proprietà dello Stato acquisiti per negligenza dal Trust. 368. Il Governo ha inoltre sostenuto che nel caso di specie non si è posto alcun problema di certezza del diritto, poiché il diritto interno ha sempre affermato chiaramente l’inalienabilità del patrimonio culturale dello Stato e la natura imprescrittibile delle azioni di restituzione a favore dello Stato. 369. Per quanto riguarda il dovere di agire in tempo utile, il Governo ha affermato che tale valutazione deve tenere conto del comportamento delle autorità nazionali e delle altre circostanze particolari del caso. Il Governo ha sottolineato che, nonostante alcune difficoltà og RASSEGNA AVVoCATuRA dELLo STATo -N. 4/2023 gettive (come l’impossibilità per le autorità italiane di vedere e fotografare la Statua quando si trovava in Germania), la polizia aveva avviato un’indagine e il magistrato di Gubbio aveva presentato diverse richieste di cooperazione giudiziaria internazionale, che erano state respinte per motivi procedurali o perché non contenevano elementi sufficienti per procedere. Secondo il Governo, le difficoltà incontrate dalle autorità sono state causate anche dalla mancanza di cooperazione e trasparenza da parte dei rappresentanti del Trust. Infine, hanno osservato che la piena divulgazione dei documenti in possesso del Getty museum è avvenuta solo il 21 dicembre 2009, nel corso del procedimento presso il Tribunale di Pesaro. Solo da quel momento in poi lo Stato è stato in grado di valutare se i ricorrenti avessero agito in malafede. 370. Il Governo ha sostenuto che le autorità hanno cercato costantemente e diligentemente di recuperare la Statua, il che dimostra che non hanno acconsentito alla sua acquisizione da parte del Trust. In particolare, avevano intrapreso diversi tentativi diplomatici e giudiziari di recupero a partire dal momento in cui il Trust aveva acquistato la Statua, ma avevano intrapreso un’azione più seria nel 2006 a causa delle nuove prove disponibili che erano emerse in quell’anno. 371. Inoltre, il Governo ha sostenuto che la negligenza dei ricorrenti, dato il grado di professionalità richiesto in operazioni simili, era stata definitivamente accertata nei procedimenti interni. In ogni caso, hanno ribadito che i rappresentanti del ricorrente avrebbero potuto adempiere ai loro obblighi di diligenza chiedendo ai venditori di consegnare i loro documenti di proprietà, chiedendo alle autorità italiane se fosse stata rilasciata una licenza di esportazione quando la Statua aveva lasciato l’Italia e verificando se fossero state violate le disposizioni in materia di dichiarazioni e dazi doganali. Si sono invece affidati alle assicurazioni dei venditori e a documenti che qualsiasi imprenditore onesto e diligente avrebbe considerato insufficienti. 372. Il Governo ha anche sostenuto che la misura era stata proporzionata, in quanto non aveva avuto uno scopo punitivo e non era finalizzata a prevenire una situazione di potenziale pericolo per l’oggetto. L’obiettivo era piuttosto quello di recuperare i beni pubblici nell’interesse della conservazione del patrimonio culturale. Considerato questo obiettivo, non avrebbe avuto senso prendere in considerazione una misura alternativa. 373. Infine, il Governo ha sostenuto che l’assenza di indennizzo per la confisca è compatibile con i principi stabiliti dalla giurisprudenza della Corte, in quanto l’indennizzo è solo uno dei fattori della valutazione del giusto equilibrio, che varia in relazione al tipo di interferenza. Hanno inoltre osservato che l’articolo 7 § 1 (b) (ii) della Convenzione uNESCo del 1970 prevede il pagamento di un indennizzo solo ai proprietari bona fide di un oggetto. (iii) La valutazione della Corte (1) Principi generali 374. La Corte ribadisce che la preoccupazione di raggiungere un “giusto equilibrio” tra le esigenze dell’interesse generale della comunità e quelle della tutela dei diritti fondamentali dell’individuo si riflette nella struttura dell’articolo 1 del Protocollo n. 1 nel suo complesso, indipendentemente dai paragrafi interessati in ciascun caso, e comporta la necessità di un ragionevole rapporto di proporzionalità tra i mezzi impiegati e l’obiettivo da raggiungere (cfr., tra le altre autorità, East West Alliance Limited, sopra citata, § 168). L’equilibrio richiesto sarà alterato se la persona interessata ha dovuto sopportare “un onere individuale eccessivo” (cfr., ad esempio, James e altri c. Regno Unito, 21 febbraio 1986, § 50, Serie A n. 98). 375. Nel contesto della regola generale stabilita nella prima frase del primo paragrafo del- l’articolo 1, l’accertamento dell’esistenza di tale equilibrio richiede un esame complessivo dei vari interessi in gioco (cfr. Belova c. Russia, no. 33955/08, § 37, 15 settembre 2020), il CoNTENzIoSo ComuNITARIo Ed INTERNAzIoNALE che può richiedere un’analisi non solo delle condizioni di risarcimento -se la situazione è simile a una presa di proprietà -ma anche, come nel caso in esame, del comportamento delle parti in causa, compresi i mezzi impiegati dallo Stato e la loro attuazione (cfr. Beyeler, sopra citata, § 114, e Vod Baur Impex S.R.L. c. Romania, n. 17060/15, § 69, 24 aprile 2022). 376. Per quanto riguarda il comportamento del ricorrente, il comportamento del proprietario del bene, compreso il grado di colpa o di cura che il proprietario ha mostrato, è un elemento dell’insieme delle circostanze che devono essere prese in considerazione (cfr. AGOSI, sopra citata, § 54, e Yașar c. Romania, n. 64863/13, § 60, 26 novembre 2019). La Corte deve quindi determinare se le autorità nazionali hanno tenuto conto del grado di colpa o di diligenza del ricorrente o, almeno, del rapporto tra la condotta del ricorrente e i reati commessi (cfr. Silickienė c. Lituania, n. 20496/02, § 66, 10 aprile 2012, e S.C. Service Benz Com S.R.L. c. Romania, no. 58045/11, § 29, 4 luglio 2017). In particolare, la Corte ha affermato che un acquirente di un bene deve indagare attentamente sull’origine dello stesso per evitare possibili richieste di confisca (cfr. Belova, sopra citata, § 41). 377. Per quanto riguarda il comportamento delle autorità nazionali, la Corte sottolinea la particolare importanza del principio di “buon governo”, che richiede che, quando è in gioco una questione di interesse generale, in particolare quando la questione incide sui diritti umani fondamentali come quelli che riguardano la proprietà, le autorità pubbliche devono agire in tempo utile e in modo appropriato e, soprattutto, coerente (cfr. Petar Matas, § 43; Belova, § 37; e Beyeler, § 120, tutti sopra citati). Tuttavia, il principio di “buon governo” non dovrebbe, come regola generale, impedire alle autorità di correggere errori occasionali, anche quelli derivanti dalla loro stessa negligenza (cfr. Moskal c. Polonia, n. 10373/05, § 73, 15 settembre 2009, e Romeva c. Macedonia del Nord, n. 32141/10, § 70, 12 dicembre 2019). In situazioni simili, è necessario valutare se l’errore è stato causato dalle autorità stesse, senza alcuna colpa da parte di terzi, o se la colpa o la negligenza può essere attribuita al privato (cfr., mutatis mutandis, Moskal, § 73, e Romeva, § 71, entrambi sopra citati). 378. I termini di risarcimento previsti dalla legislazione nazionale pertinente sono importanti per valutare se la misura contestata rispetta l’equo equilibrio richiesto e, in particolare, se impone un onere sproporzionato al ricorrente (cfr. Maurice c. Francia [GC], n. 11810/03, § 87, CEdu 2005 IX, e Ex Re di Grecia e altri c. Grecia [GC], n. 25701/94, § 89, CEdu 2000-XII). Nel contesto della regola generale enunciata dall’articolo 1 del Protocollo n. 1 e delle misure relative al controllo dell’uso della proprietà, la mancanza di risarcimento è un fattore da prendere in considerazione per determinare se sia stato raggiunto un giusto equilibrio, ma non è di per sé sufficiente a costituire una violazione dell’articolo 1 del Protocollo n. 1 (cfr. Depalle, sopra citata, § 91; Berger-Krall e altri c. Slovenia, n. 14717/04, § 199, 12 giugno 2014; e O’Sullivan McCarthy Mussel Development Ltd c. Irlanda, no. 44460/16, § 124, 7 giugno 2018). (2) Applicazione dei principi sopra citati al caso di specie 379. La Corte deve quindi esaminare se: (i) il ricorrente ha agito con la necessaria diligenza, (ii) le autorità nazionali hanno agito in tempo utile e in modo appropriato e coerente, e (iii) i ricorrenti hanno dovuto sostenere un onere eccessivo, a causa della mancanza di risarcimento. - Condotta del ricorrente 380. La Corte ha già rilevato che lo standard di diligenza previsto dalla legge italiana era sufficientemente chiaro e prevedibile (cfr. paragrafo 306). 381. La Corte ritiene inoltre che la natura della transazione giustifichi uno standard di diligenza elevato nel caso di specie (cfr. paragrafo 306). RASSEGNA AVVoCATuRA dELLo STATo -N. 4/2023 382. La Corte osserva inoltre che norme simili sono oggi stabilite dall’articolo 4 della Convenzione uNIdRoIT del 1995, che richiede di valutare se l’acquirente di un bene culturale abbia tenuto conto del prezzo pagato, abbia consultato qualsiasi registro ragionevolmente accessibile di beni culturali rubati e qualsiasi altra informazione e documentazione pertinente che avrebbe potuto ragionevolmente ottenere, e se abbia consultato agenzie accessibili o abbia preso qualsiasi altra misura che una persona ragionevole avrebbe preso nelle circostanze (cfr. paragrafo 160). 383. da parte sua, la direttiva 2014/60/uE, che nel considerando 16 ha ricordato che il Consiglio dell’unione europea aveva raccomandato agli Stati membri di prendere in considerazione la ratifica della Convenzione uNIdRoIT del 1995, ha incorporato una norma analoga nell’articolo 10, paragrafo 2. In particolare, quest’ultima stabilisce che per determinare se il possessore ha esercitato la dovuta cura e attenzione, si devono prendere in considerazione tutte le circostanze dell’acquisizione, in particolare la documentazione sulla provenienza del- l’oggetto, le autorizzazioni per il prelievo richieste dalla legge dello Stato membro richiedente, la natura delle parti, il prezzo pagato, se il possessore ha consultato un registro accessibile dei beni culturali rubati e tutte le informazioni pertinenti che avrebbe potuto ragionevolmente ottenere, o ha adottato qualsiasi altra misura che una persona ragionevole avrebbe preso nelle circostanze (cfr. paragrafo 183 above). 384. Come ribadito in precedenza, la Corte non può in linea di principio contestare la valutazione delle prove effettuata dalle autorità nazionali, a meno che non vi siano ragioni per ritenere che essa sia arbitraria o irragionevole (cfr. paragrafo 344). Per quanto riguarda la valutazione dello status di buona fede di un acquirente di beni immobili, la Corte ha messo in discussione le conclusioni delle autorità nazionali in casi in cui la buona fede dei ricorrenti è stata negata senza alcuna giustificazione adeguata e, in particolare, quando le autorità nazionali non hanno basato la loro conclusione su alcuna azione da parte dei ricorrenti che avrebbe potuto dimostrare la loro cattiva fede (cfr. Beinarovič e altri c. Lituania, n. 70520/10 e altri 2, § 144, 12 giugno 2018, e Seregin e altri c. Russia, n. 31686/16 e altri 4, §§ 108-09, 16 marzo 2021). La Corte esaminerà quindi attentamente l’adeguatezza della motivazione delle autorità nazionali in tal senso (cfr. Osipkovs e altri c. Lettonia, n. 39210/07, § 83, 4 maggio 2017). 385. La Corte ritiene che le autorità nazionali abbiano esaminato le prove disponibili per dimostrare che i rappresentanti del ricorrente sono stati quantomeno negligenti, e hanno preso in considerazione le argomentazioni del ricorrente, che è stato in grado di difendersi a diversi livelli di giurisdizione. Ad eccezione dell’ordinanza del 12 luglio 2007 del GIP del Tribunale di Pesaro (cfr. paragrafo 72), tutte le decisioni nazionali hanno stabilito che il ricorrente non era un acquirente bona fide (cfr. Belova, sopra citata, § 41), osservando che, pur essendo a conoscenza dell’esistenza di almeno alcuni dubbi sulla legittima provenienza della Statua, i suoi rappresentanti non avevano condotto un’indagine adeguata e indipendente e si erano limitati a fare affidamento sulle assicurazioni fornite dai legali dei venditori (cfr. paragrafi 77, 91 e 97). 386. Alla luce delle conclusioni dei tribunali nazionali, la Corte ritiene che i rappresentanti del Trust avessero, come minimo, ragioni molto importanti per dubitare della legittima provenienza della Statua (cfr., mutatis mutandis, Vukušić c. Croazia, n. 69735/11, § 66, 31 maggio 2016). In particolare, come osservato dal GIP e dalla Corte di Cassazione, il procedimento penale svoltosi tra il 1966 e il 1970 per il reato di ricettazione di un bene archeologico appartenente allo Stato, conclusosi con la sentenza del 18 novembre 1970 della Corte d’Appello di Perugia, non escludeva che la Statua facesse parte del patrimonio culturale italiano, ma si li CoNTENzIoSo ComuNITARIo Ed INTERNAzIoNALE mitava ad assolvere gli imputati per insufficienza di prove circa il luogo esatto di ritrovamento della Statua (cfr. paragrafi 14, 92 e 103). Tale sentenza non poteva essere invocata per concludere che la Statua fosse stata esportata legalmente dall’Italia, in quanto riguardava le circostanze della sua scoperta e non della sua esportazione. Inoltre, la Corte di Cassazione ha sottolineato che durante le trattative i rappresentanti del Trust erano a conoscenza dei tentativi di recupero della Statua da parte delle autorità italiane, e le rivendicazioni di queste ultime sull’oggetto sono state più volte menzionate dagli avvocati dei venditori (cfr. paragrafi 2627, 30-31, 36 e 97). Tutte queste circostanze sono ancora più significative se si considera che il sig. Getty Senior ha chiaramente subordinato l’acquisto della Statua all’ottenimento della prova della sua legittima provenienza, e che è stato chiaramente informato dell’esistenza di “alcune possibili complicazioni legali”, poiché “non [era] noto quando [l’oggetto avesse] lasciato la Grecia o l’Italia, o quando [fosse stato] scoperto” (cfr. paragrafo 24). 387. In queste circostanze, la Corte ritiene che, data la natura della transazione, i rappresentanti del Trust avessero il chiaro dovere di prendere tutte le misure che ci si poteva ragionevolmente aspettare da loro per indagare sulla provenienza legittima della Statua prima di acquistarla (cfr. Belova, sopra citata, § 41). 388. Tuttavia, come osservato dal GIP e dalla Corte di Cassazione, i rappresentanti del Trust non hanno effettuato una valutazione attenta e obiettiva della provenienza della Statua (cfr. paragrafi 92 e 97). Si sono affidati alle assicurazioni degli avvocati dei venditori, alcune delle quali erano molto generiche e in grado di sollevare seri dubbi sulla loro buona fede (cfr. paragrafo 91). Ad esempio, nella lettera del 1° ottobre 1973 i legali del venditore garantirono la legittimità della transazione basandosi su informazioni ricevute da un alto funzionario del ministero dell’Istruzione italiano “tramite i buoni uffici di un amico comune”, su altre informazioni accertate “per vie confidenziali” o “apprese personalmente da uno dei poliziotti [sic] che si [era] occupato della questione” (cfr. paragrafo 31). 389. La Corte osserva inoltre che, dopo la morte del sig. Getty Senior avvenuta il 6 giugno 1976 (cfr. paragrafo 33), l’8 giugno 1977 i trustee decisero di limitarsi a richiedere un nuovo parere legale aggiornato agli stessi avvocati che avevano rappresentato i venditori (cfr. paragrafo 34). Gli avvocati ribadirono gli stessi pareri precedenti e rassicurarono il Trust sulla validità della proprietà. Tuttavia, alla Corte non è stato fornito alcun elemento di prova al riguardo (cfr. paragrafi 35-36). Inoltre, la Corte osserva che i rappresentanti del Trust non chiesero, né i venditori fornirono, alcuna prova della legittima esportazione della Statua dal- l’Italia, anche se erano a conoscenza delle disposizioni nazionali applicabili che richiedevano una licenza di esportazione, a prescindere dalla questione della proprietà (cfr. paragrafo 110). Pertanto, i trustee autorizzarono la transazione senza rispettare le istruzioni impartite dal sig. Getty Senior (cfr. paragrafo 386). 390. Tutti questi elementi, attentamente esaminati e ribaditi dalle autorità giudiziarie nazionali, hanno portato a ritenere che i rappresentanti del Trust nell’acquisto della Statua siano stati quantomeno negligenti, se non in malafede. La Corte ritiene che tale valutazione non sia arbitraria o manifestamente irragionevole. - Condotta delle autorità nazionali 391. La Corte ritiene che nel valutare l’adeguatezza della condotta delle autorità statali debba tenere conto, da un lato, della complessità delle questioni giuridiche e fattuali affrontate dalle stesse e, dall’altro, dello stato di incertezza in cui i ricorrenti potrebbero essersi trovati a causa dei ritardi imputabili alle autorità (cfr., mutatis mutandis, Beinarovič e altri c. Lituania, n. 70520/10 e altri 2, § 142, 12 giugno 2018). RASSEGNA AVVoCATuRA dELLo STATo -N. 4/2023 392. Tuttavia, non si può dire che la condotta delle autorità nazionali abbia fatto sorgere dubbi sulla loro intenzione di recuperare la Statua come parte del patrimonio culturale italiano e a causa del mancato pagamento dei dazi doganali all’esportazione. 393. A questo proposito, va notato che è incontestabile che le autorità nazionali siano venute a conoscenza dell’acquisto della Statua da parte del ricorrente subito dopo il suo arrivo negli Stati uniti, avvenuto il 15 agosto 1977 (cfr. paragrafo 38), dato che già nel dicembre 1977 avevano adottato misure volte a indagare sulle circostanze della transazione (cfr. paragrafo 39). È quindi da quel momento che la Corte deve valutare se le autorità nazionali hanno agito in tempo utile e in modo appropriato e coerente. 394. Alla luce di tutto il materiale in suo possesso, la Corte ritiene che le autorità italiane abbiano risposto prontamente e diligentemente. In particolare, il 13 dicembre 1977 le autorità doganali italiane inviarono una richiesta di indagine tramite l’Interpol di Roma, che fu inoltrata al servizio doganale statunitense (cfr. paragrafo 40). da parte sua, il magistrato di Gubbio aprì una nuova indagine sull’esportazione illegale (cfr. paragrafo 45), nel corso della quale: (i) il 24 novembre 1977, le autorità nazionali ascoltarono le testimonianze (cfr. paragrafi 4647); (ii) il 14 gennaio e il 17 febbraio 1978 presentarono lettere di richiesta alle autorità britanniche e statunitensi rispettivamente (cfr. paragrafi 48-51); (ii) e intrapresero ulteriori indagini (cfr. paragrafi 52-53). 395. In questo contesto, la Corte ritiene che non si possa rimproverare alle autorità giudiziarie nazionali di aver interrotto le indagini il 25 novembre 1978 per mancanza di prove sufficienti, dato che lo fecero perché le loro richieste di cooperazione giudiziaria erano state respinte dalle autorità estere (cfr. paragrafo 54). 396. Per quanto riguarda la lettera inviata il 25 agosto 1980 dal magistrato di Gubbio alla Procura della Repubblica di Perugia, con la quale si affermava che le autorità giudiziarie nazionali erano impossibilitate a prendere ulteriori provvedimenti volti al recupero della Statua (cfr. paragrafo 55), la Corte non può essere d’accordo con il ricorrente e ritenere che, su questa base, avesse una legittima aspettativa di non essere oggetto di un procedimento di confisca. Il ricorrente non era parte del procedimento a cui la lettera si riferiva e non ne era a conoscenza prima che il 12 aprile 2007 venisse avviato il procedimento che ha portato all’imposizione del provvedimento impugnato (cfr. paragrafo 68). 397. dai documenti disponibili risulta invece che, anche se l’indagine penale è stata interrotta, le altre autorità nazionali hanno agito nel modo suggerito in quella lettera, in cui il magistrato riteneva che ulteriori azioni volte al recupero della Statua dovessero essere intraprese dalle autorità esecutive. A questo proposito, la Corte osserva che (i) il 28 settembre 1982 il ministero per i Beni Culturali e Ambientali negoziò la restituzione della Statua con il Getty museum (cfr. paragrafo 60); (ii) nel 1989 il ministero presentò formalmente una richiesta di restituzione, che fu respinta dal rappresentante del ricorrente (cfr. paragrafo 62); (iii) nel 1995 il ministero ha formalmente incaricato il console italiano a Los Angeles di continuare le trattative per la restituzione della Statua, ma i rappresentanti del ricorrente hanno rifiutato (cfr. paragrafo 63); e (iv) tra il 2006 e il 2007 hanno avuto luogo ulteriori trattative, sebbene le parti non ne abbiano rivelato il contenuto alla Corte (cfr. paragrafo 65). 398. La Corte, tuttavia, deve anche prendere atto del fatto che una certa negligenza è attribuibile anche alle autorità italiane. In particolare, dai documenti messi a disposizione della Corte risulta che, dopo l’interruzione della prima indagine sull’esportazione illegale, le autorità italiane non diedero seguito alla procedura avviata con le autorità statunitensi attraverso l’Interpol (cfr. paragrafo 44) e non presero in considerazione se seguire la procedura indicata CoNTENzIoSo ComuNITARIo Ed INTERNAzIoNALE nella circolare del Segretario di Stato americano del 3 febbraio 1976, che suggerì che le autorità italiane avrebbero potuto avviare un procedimento dinanzi ai tribunali statunitensi in conformità con la legge americana (cfr. paragrafo 51). 399. La Corte non è inoltre convinta dall’argomentazione del Governo secondo cui il procedimento che ha portato alla misura di confisca non avrebbe potuto essere avviato prima, poiché le prove della malafede del ricorrente sono emerse solo nel 2007. Per lo stesso motivo per cui tali prove sono emerse in questi procedimenti, la Corte ritiene che le autorità avrebbero ottenuto tali prove prima se avessero avviato tali procedimenti prima. Tuttavia, la Corte ammette che l’avvio di tale procedimento era l’unico mezzo disponibile per ottenere la cooperazione del ricorrente e delle autorità statunitensi nella raccolta delle prove necessarie. 400. In particolare, il fatto che le autorità italiane non abbiano avuto successo nei loro tentativi di recuperare la Statua non può essere attribuito a loro. La Corte deve infatti tenere conto del fatto che essi hanno operato in un vuoto giuridico, in quanto all’epoca in cui la Statua è stata esportata e acquistata dal ricorrente non erano in vigore strumenti giuridici internazionali vincolanti che avrebbero permesso a quest’ultimo di recuperarla o, quanto meno, di ottenere la piena collaborazione delle autorità nazionali straniere. - L’assenza di risarcimento 401. Per quanto riguarda la questione se il ricorrente abbia subito un onere eccessivo a causa della mancanza di qualsiasi forma di risarcimento, la Corte ha già rilevato che il ricorrente ha acquisito la Statua, quanto meno, per negligenza (cfr. paragrafo 390) e ritiene che ciò possa essere considerato una considerazione cruciale ai sensi dell’articolo 1 del Protocollo n. 1 (cfr., mutatis mutandis, Ivanova e Cherkezov c. Bulgaria, no. 46577/15, § 75, 21 aprile 2016). In particolare, nel valutare se una misura di confisca imposta a terzi proprietari di beni abbia raggiunto un giusto equilibrio, la Corte considera la condotta del proprietario del bene una circostanza rilevante (cfr. Yașar c. Romania, n. 64863/13, § 60, 26 novembre 2019, e Silickienė, sopra citata, § 67). 402. Anche supponendo che il Trust abbia ottenuto una valida proprietà, cosa peraltro molto contestata, la Corte osserva che il ricorrente non poteva ignorare, alla luce della giurisprudenza interna sulla confisca di beni culturali esportati illegalmente di proprietà di terzi “estranei al reato” (cfr. paragrafi 124-130), del principio secondo cui nessun risarcimento era dovuto in caso di imposizione di questa misura a proprietari che si riteneva avessero agito in malafede o, quantomeno, per negligenza (cfr., mutatis mutandis, Depalle, sopra citata, § 91, e Brosset- Triboulet e altri c. Francia [GC], n. 4, § 1), Francia [GC], no. 34078/02, § 94, 29 marzo 2010). 403. Inoltre, la Corte ritiene che il ricorrente, acquistando per negligenza la Statua in assenza di qualsiasi prova della sua legittima provenienza e con piena consapevolezza delle pretese delle autorità italiane su di essa, abbia ignorato i requisiti di legge (Ivanova e Cherkezov, sopra citata, § 75). 404. Secondo la Corte, quindi, il ricorrente ha accettato, almeno implicitamente, il rischio che la Statua potesse essere confiscata in assenza di qualsiasi risarcimento (cfr. Dzirnis c. Lettonia, n. 25082/05, §§ 91-95, 26 gennaio 2017, e Gladysheva, sopra citata, § 80). di conseguenza, la mancanza di un indennizzo non può, secondo la Corte, essere considerata come una misura sproporzionata rispetto all’interesse generale perseguito, in particolare il recupero di un bene culturale esportato illegalmente. (3) Conclusioni relative alla proporzionalità 405. Alla luce di quanto sopra, la Corte conclude che il Trust non ha agito con la diligenza RASSEGNA AVVoCATuRA dELLo STATo -N. 4/2023 richiesta al momento dell’acquisto della Statua (cfr. paragrafi 386-390) e che questa situazione ha indubbiamente un certo peso nella valutazione (cfr. Beyeler, sopra citata, § 116). Inoltre, poiché il ricorrente era a conoscenza dell’assenza di un termine per l’adozione della misura di confisca finalizzata al recupero dei beni culturali esportati illegalmente, non si può dire che abbia maturato una legittima aspettativa di conservare la Statua, dato che diverse autorità statali stavano lavorando ininterrottamente al suo recupero (cfr. paragrafi 394-397). Allo stesso tempo, e sempre alla luce delle disposizioni nazionali applicabili, non si può dire che sia sorta una legittima aspettativa da parte del ricorrente in merito alla possibilità di ottenere un risarcimento (cfr. paragrafo 402). 406. d’altra parte, sebbene le autorità nazionali abbiano intrapreso diverse iniziative volte al recupero della Statua (cfr. paragrafi 394-397), la Corte ha anche osservato che esse non hanno sempre seguito diligentemente le procedure pertinenti (cfr. paragrafo 398) e che il Governo non è riuscito a convincere la Corte del motivo per cui il procedimento che ha portato all’imposizione della misura contestata non ha potuto essere avviato prima del 2007 (cfr. paragrafo 399). La Corte ritiene che anche queste constatazioni abbiano un peso nella sua valutazione (cfr. Beyeler, cit., § 120). 407. Tuttavia, a differenza del caso Beyeler, in cui il bene culturale in questione era legittimamente di proprietà di un privato, nel caso di specie la negligenza delle autorità nazionali non ha comportato un arricchimento senza causa da parte loro, in quanto hanno ragionevolmente dimostrato che la Statua faceva parte del patrimonio culturale italiano (cfr. paragrafi 346 e 348-52). Inoltre, nel caso di specie, gli errori occasionali commessi dalle autorità nazionali non si sono verificati in una situazione in cui nessuna colpa o negligenza poteva essere attribuita al ricorrente che agisce in buona fede, ma piuttosto sono stati commessi come parte di una risposta alla condotta del ricorrente, che è stata considerata dalle autorità giudiziarie nazionali almeno negligente, se non in malafede (cfr. paragrafi 377 e 390). Infine, nel caso di specie, le autorità nazionali hanno operato in un vuoto giuridico, poiché nessuno degli strumenti internazionali che avrebbero potuto aiutarle a recuperare un bene culturale esportato illegalmente era in vigore all’epoca dei fatti (cfr. paragrafo 279). Al contrario, la Corte sottolinea che oggi, in uno scenario simile, le autorità nazionali avrebbero l’obbligo di rispettare rigorosamente i termini e le procedure previsti dalla Convenzione uNIdRoIT del 1995 e dalle disposizioni nazionali che hanno attuato la direttiva 2014/60/uE, nei casi in cui sono applicabili (cfr. paragrafi 160 e 183). 408. Alla luce delle conclusioni di cui sopra, e tenendo conto del fatto che lo Stato ha un ampio margine di discrezionalità per quanto riguarda ciò che è “conforme all’interesse generale”, in particolare quando si tratta di questioni relative al patrimonio culturale (cfr. Beyeler, § 112; Kozacıoğlu, § 53; e Sinan Yildiz e altri (dec.), tutti citati sopra), il forte consenso nel diritto internazionale ed europeo riguardo alla necessità di proteggere i beni culturali dal- l’esportazione illegale e di restituirli al loro paese d’origine (cfr. paragrafi 340-342 e la giurisprudenza ivi citata), la condotta negligente del ricorrente, nonché il vuoto giuridico del tutto eccezionale in cui le autorità nazionali si sono trovate nel caso di specie, la Corte conclude che esse non hanno oltrepassato il loro margine di apprezzamento. 409. di conseguenza, la Corte ritiene che non vi sia stata alcuna violazione dell’articolo 1 del Protocollo n. 1. PER QuESTI moTIVI, LA CoRTE 1. Accoglie, all’unanimità, l’obiezione del Governo sulla legittimazione attiva dei membri CoNTENzIoSo ComuNITARIo Ed INTERNAzIoNALE del consiglio di amministrazione del primo ricorrente e dichiara che essi non hanno la legittimazione attiva a presentare il presente ricorso; 2. Ritiene, all’unanimità, che non sia necessario pronunciarsi sulla legittimazione attiva dei nuovi membri del consiglio di amministrazione del primo ricorrente a proporre il presente ricorso; 3. Respinge, a maggioranza, le altre obiezioni preliminari sollevate dal Governo e dichiara, a maggioranza, il ricorso ai sensi dell’articolo 1 del Protocollo n. 1 ricevibile; 4. Ritiene, all’unanimità, che non vi sia stata alcuna violazione dell’articolo 1 del Protocollo n. 1 della Convenzione. Fatta in inglese e notificata per iscritto in data 2 maggio 2024, in applicazione dell’articolo 77 §§ 2 e 3 del Regolamento della Corte. Ilse Freiwirth marko Bošnjak Cancelliere aggiunto Presidente CoNTeNziosoNAzioNAle Focus sugli esiti dei ricorsi nei contenziosi avverso le interdittive antimafia presso il Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania - Napoli Michele Gerardo* Sommario: 1. introduzione -2. ricorsi avverso informative antimafia -3. ricorsi ex artt. 31 e 117 c.p.a. avverso il silenzio inadempimento della P.a. sulla istanza di aggiornamento delle informative antimafia, sulla istanza di iscrizione nella white list, con riguardo al procedimento pendente di interdittiva antimafia -4. ricorsi in materia di accesso ai documenti ex art. 116 c.p.a. - 5. Conclusioni. 1. introduzione. L’importante contenzioso in materia di interdittive antimafia è distribuito in modo disomogeneo sul territorio nazionale, con diversificazioni dipendenti -intuitivamente -dall’intensità della presenza delle consorterie criminali nelle varie Regioni. Nell’anno 2022 sono stati incardinati -72 contenziosi antimafia nella Regione Calabria (dove è radicata la ’ndrangheta); in specie: 56 presso il T.a.r. Calabria Catanzaro e 16 presso il T.a.r. Calabria - sezione staccata di Reggio Calabria); -68 contenziosi antimafia nella Regione Campania (dove è presente la camorra); in specie: 66 presso il T.a.r. Campania Napoli e 2 presso il T.a.r. Campania - sezione staccata di Salerno); -63 contenziosi antimafia nella Regione Sicilia (dove è presente la mafia); in specie: 55 presso il T.a.r. Sicilia Palermo e 8 presso il T.a.r. Sicilia - sezione staccata di Catania). (*) Avvocato dello Stato. Relazione presentata dall’Autore all’incontro culturale “Dialoghi in prefettura -misure antimafia e iniziativa d’impresa” organizzato dalla Prefettura di Napoli in data 22 maggio 2024. RASSeGNA AVVoCATuRA DeLLo STATo -N. 4/2023 invece nel Friuli-Venezia Giulia, nel Trentino-Alto Adige e nel Molise, nel 2022, non sono stati incardinati contenziosi in materia antimafia (1). Di seguito si procederà alla disamina sulla tipologia di contenzioso e sui suoi esiti presso il Tribunale Amministrativo Regionale Campania Napoli, coinvolgente le Prefetture di Napoli, Caserta e Benevento. ossia in una realtà nella quale, come confermato dai dati statistici, è molto diffuso il contenzioso in esame in conseguenza della pervasiva presenza della camorra che si ramifica nel tessuto economico condizionando anche l’agire delle amministrazioni locali (circostanza che conduce anche, in notevole entità, ex art. 143 D.L.vo 18 agosto 2000, n. 267 -T.u. enti locali -allo scioglimento dei consigli comunali in conseguenza a fenomeni di infiltrazione e di condizionamento di tipo mafioso o similare) (2). Al fine di avere una visione completa ed aggiornata del fenomeno si procederà all’analisi dei giudizi avverso le interdittive antimafia instaurati nel- l’anno 2023 -ultimo anno per il quale abbiamo i dati definitivi -presso il T.a.r. della Campania Napoli. Nell’anno trascorso, il 2023, sono stati incardinati sulla materia 104 contenziosi (3). i ricorsi in materia di interdittive antimafia sono stati 76, mentre il restante, in numero di 28, ha riguardato i ricorsi ex artt. 31 e 117 c.p.a. avverso il silenzio inadempimento della P.A. Per un quadro completo del contenzioso giurisdizionale, a questi appena descritti, occorre aggiungere i ricorsi ex art. 116 c.p.a. in materia di accesso ai documenti in numero di 12. infine, per una visione esaustiva della materia occorre altresì tenere pre (1) Dati ricavati da C. PLuChiNo, relazione annuale dell’avvocatura dello Stato sul contenzioso antimafia - 2022, in rass. avv. Stato, 2023, 2, pp. 13 ss. (2) in sede di inaugurazione dell’Anno Giudiziario 2024 il Presidente del T.a.r. Campania Napoli ha evidenziato che “l’organizzazione sistemica criminale operante nel territorio della Campania, si afferma nel tessuto sociale ed economico per la sua tendenza ad inserirsi nei settori dell’imprenditoria legale piegandone le regole e gli equilibri ai propri scopi tendenti a consolidare il proprio potere ed a perseguire il profitto. Le organizzazioni camorristiche mostrano ormai una grande disinvoltura nel creare un vero e proprio sistema economico ramificato finalizzato, da un lato, al riciclaggio dei proventi da attività illecite e, dall’altro, ad accumulare ulteriori risorse economiche. operando in contemporanea su due crinali, il mercato illecito e quello legale. in questo senso la camorra, al pari di altre organizzazioni criminali operanti in italia, non pratica alcuna separazione fra loro ma anzi ne favorisce una costante osmosi, strumentale a garantire un’ininterrotta circolazione dei flussi finanziari. La capacità di controllo capillare nel territorio in cui operano comporta inevitabilmente un progressivo condizionamento degli insediamenti produttivi, soprattutto quelli micro o medi, con effetti quantomeno distorsivi delle buone regole della concorrenza e del rispetto del libero mercato. in questo senso, la normativa della documentazione antimafia si colloca a pieno titolo nell’ambito della disciplina pro-concorrenziale, dal momento che la presenza di imprese legate alla criminalità organizzata impedisce lo sviluppo di una economia di mercato”. (3) Dati ricavati dalla Relazione sull’attività del T.a.r. Campania Napoli del Presidente Vincenzo Salamone in occasione dell’inaugurazione dell’Anno Giudiziario 2024. CoNTeNZioSo NAZioNALe sente che le interdittive costituiscono una minima parte degli atti adottati all’esito del procedimento antimafia (atteso che in numerosi casi i procedimenti non sfociano in provvedimenti pregiudizievoli per le imprese attenzionate). Tanto è stato rilevato dal Prefetto di Napoli in sede di inaugurazione dell’anno giudiziario 2024 del Tribunale Amministrativa Regionale per la Campania Napoli lo scorso 22 febbraio 2024. 2. ricorsi avverso informative antimafia. il grosso delle informative è stato adottato dalla Prefettura di Napoli (in numero di circa 40), il doppio rispetto alla Prefettura di Caserta (circa 23), numero quest’ultimo proporzionalmente rilevante, conseguenza della presenza sul territorio del clan dei Casalesi (fazione Zagaria, fazione Schiavone). Pochi sono stati i ricorsi che hanno interessato la Prefettura di Benevento (4-5 ricorsi). Di solito, il provvedimento recante informazione antimafia enuncia -per i motivi ivi indicati -che sussistono, con riguardo ad una data impresa situazioni relative a tentativi di infiltrazione mafiosa di cui agli artt. 84, comma 4, e 91, comma 6, D.L.vo 6 settembre 2011, n. 159 (Codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione), richiamando -ove non sussistano ragioni di urgenza -la nota di comunicazione di avvio del procedimento e vari atti istruttori, tra cui il verbale del Gruppo interforze Antimafia. Allorché viene proposto ricorso al T.a.r. avverso le informative, la sentenza definitoria del giudizio, prima di esaminare il merito, reca quasi sempre una premessa con la quale si illustra il modus operandi con il quale il giudice procederà al fine del decidere. Vi è una sorta di catalogo standard. All’uopo, il Collegio giudicante enuncia che la giurisprudenza amministrativa consolidata, sulla materia, evidenzia che a) l’interdittiva antimafia, per la sua natura cautelare e per la sua funzione di massima anticipazione della soglia di prevenzione, non richiede la prova di un fatto, ma solo la presenza di una serie di indizi in base ai quali non sia illogico o inattendibile ritenere la sussistenza di un collegamento con organizzazioni mafiose o di un condizionamento da parte di queste; b) pertanto, ai fini della sua adozione, da un lato, occorre non già provare l’intervenuta infiltrazione mafiosa, bensì soltanto la sussistenza di elementi sintomatico presuntivi dai quali -secondo un giudizio prognostico latamente discrezionale -sia deducibile il pericolo di ingerenza da parte della criminalità organizzata; d’altro lato, detti elementi vanno considerati in modo unitario, e non atomistico, cosicché ciascuno di essi acquisti valenza nella sua connessione con gli altri (all’uopo il giudice napoletano richiama la pacifica giurisprudenza in materia compendiata in Cons. Stato, 18 aprile 2011, n. 2342). Sotto tale profilo, rileva il complesso degli elementi concreti emersi nel corso del procedimento: in altri termini, una visione ‘parcellizzata’ di un singolo RASSeGNA AVVoCATuRA DeLLo STATo -N. 4/2023 elemento, o di più elementi, non può che far perdere a ciascuno di essi la sua portata nel legame sistematico con gli altri; c) inoltre, in linea di principio, l’interdittiva antimafia può legittimamente fondarsi anche su fatti risalenti nel tempo, purché, però, questi, riguardati nel loro complesso, siano, comunque, idonei -almeno in termini indiziario -sintomatico -presuntivi -in conformità al criterio del più probabile che non -a giustificare il necessario giudizio di attualità e di concretezza del pericolo di infiltrazione mafiosa nella gestione dell’attività di impresa (viene all’uopo richiamata la giurisprudenza rilevante, tra cui: T.a.r. Campania, Napoli, 7 maggio 2018, n. 3045; T.a.r. Campania, Napoli, 7 gennaio 2019, n. 73; Cons. Stato, 2 gennaio 2020, n. 2). il mero decorso del tempo è in sé un elemento neutro, che non smentisce da solo la persistenza di legami vincoli e sodalizi e, comunque, non dimostra da solo l’interruzione di questi, se non corroborato da ulteriori e convincenti elementi indiziari. Peraltro, occorre considerare che l’infiltrazione mafiosa, per la natura stessa delle organizzazioni criminali dalla quale promana e per la durevolezza dei legami che essi instaurano con il mondo imprenditoriale, ha una stabilità di contenuti e, insieme, una mutevolezza di forme, economiche e giuridiche, capace di sfidare il più lungo tempo e di occupare il più ampio spazio disponibile (anche per questo aspetto il giudice napoletano richiama la giurisprudenza rilevante, tra cui: T.a.r. Campania, Napoli, 13 gennaio 2020, n. 155 e Cons. Stato, 7 ottobre 2015, n. 4657); d) l’Amministrazione può dare rilievo anche ai rapporti di parentela tra titolari di un’impresa e familiari che siano soggetti affiliati, organici o contigui a contesti malavitosi laddove tali rapporti, per loro natura, intensità, o per altre caratteristiche concrete, lascino ritenere, secondo criteri di verosimiglianza, che l’impresa ovvero che le decisioni sulla sua attività possano essere influenzate, anche indirettamente, dalla criminalità organizzata. Specialmente, nei contesti sociali in cui attecchisce il fenomeno mafioso, all’interno della famiglia ben può verificarsi un’influenza reciproca di comportamenti e possono sorgere legami di cointeressenza, di solidarietà, di copertura o quanto meno di soggezione o di tolleranza. Tale influenza può essere, quindi, desunta dalla considerazione che la complessa organizzazione della mafia ha una struttura clanica, si fonda e si articola, a livello particellare, sul nucleo fondante della famiglia, sicché in una famiglia mafiosa, anche il soggetto che non sia attinto da pregiudizio mafioso può subire, nolente, l’influenza del capofamiglia e dell’associazione. Deve essere, quindi, esclusa ogni presunzione di irrilevanza dei rapporti di parentela, ove gli stessi risultino indizianti di una situazione complessiva tale da non rendere implausibile un collegamento, anche non personale e diretto, tra soggetti imprenditori ed ambienti della criminalità organizzata (viene all’uopo richiamato l’autorevole precedente di cui al T.a.r. Campania, Napoli 9 dicembre 2019, n. 5796). inoltre, la giuri CoNTeNZioSo NAZioNALe sprudenza consolidata ha già chiarito che la valutazione del rischio di inquinamento mafioso deve basarsi sul criterio del “più probabile che non”, che gli elementi posti a base dell’informativa possono essere anche non penalmente rilevanti o non costituire oggetto di procedimenti o di processi penali o possono anche essere già stati oggetto del giudizio penale, con esito di proscioglimento o di assoluzione, e che la relativa valutazione del Prefetto risulta sindacabile in sede giurisdizionale solo in caso di manifesta illogicità, irragionevolezza e travisamento dei fatti (si richiama, nell’argomentare, la giurisprudenza rilevante, tra cui Cons. Stato, 14 luglio 2020, n. 4542); e) ove non sia stata effettuata la comunicazione di avvio del procedimento, il T.a.r. della Campania enuncia che l’art. 92, comma 2 bis, D.L.vo n. 159/2011 esclude dalla comunicazione le fattispecie in cui ricorrano particolari esigenze di celerità del procedimento. Come evidenziato dalla giurisprudenza del giudice napoletano, “pur dopo la modifica introdotta all’art. 92 D.lgs. n. 159 del 2011 citato, non possano essere del tutto trascurate le esigenze sottese alla previsione di esclusione del contraddittorio procedimentale in tema di interdittive. La generalizzata e inderogabile estensione dell’obbligo di comunicazione di avvio del procedimento potrebbe, in concreto, comportare il rischio di compromettere l’attività di contrasto al fenomeno mafioso, presidiata dall’esigenza di rapidità (...). in tal senso, assume un connotato specifico la deroga dettata dalle ragioni di celerità (generalmente fissata dall’art. 7 della L. n. 241 del 1990), la quale deve tenere conto della delicatezza della materia e del superiore interesse perseguito, consentendo perciò all’autorità procedente di omettere la comunicazione di avvio del procedimento, ogni qualvolta siano rappresentabili elementi che militino in tal senso. La sussistenza delle ragioni di celerità è rimessa alla valutazione dell’amministrazione, che deve darne contezza nel provvedimento, ed è sindacabile nei limiti di un evidente travisamento o di palesi indizi di eccesso di potere. Pertanto, la Pubblica amministrazione, ove ritenga esistenti i presupposti di celerità che legittimano l’omissione della comunicazione dell’avvio del procedimento, deve dare contezza, nel provvedimento finale” (così T.a.r. Campania, Napoli, 9 giugno 2023, n. 3569). È intuitiva l’importanza di questo catalogo ricorrente nelle sentenze e costante nel tempo: la prevedibilità delle decisioni giurisdizionali contribuisce ad orientare la condotta dei protagonisti (imprese ed Amm.ne). 3. ricorsi ex artt. 31 e 117 c.p.a. avverso il silenzio inadempimento della P.a. sulla istanza di aggiornamento delle informative antimafia, sulla istanza di iscrizione nella white list, con riguardo al procedimento pendente di interdittiva antimafia. 3.a) il grosso dei ricorsi in esame (20 ricorsi) ha ad oggetto l’accertamento dell’illegittimità del silenzio inadempimento serbato dalle ammini RASSeGNA AVVoCATuRA DeLLo STATo -N. 4/2023 strazioni resistenti in relazione all’istanza di aggiornamento ex art. 91, comma 5, ultima parte, del D.L.vo n.159/2011 presentata dal ricorrente in relazione a pregressa interdittiva antimafia, con domanda di accertamento dell’obbligo delle Amministrazioni intimate di provvedere sulla menzionata istanza e comunque in ordine alla conclusione del procedimento di cui al citato art. 91, comma 5, D.L.vo 159/2011 e richiesta di condanna delle stesse a provvedere in ordine alla predetta istanza e/o comunque a concludere il predetto procedimento, entro un termine definito, instando per la nomina di un Commissario ad acta ex art. 117, comma 3, del codice del processo amministrativo (c.p.a.). All’uopo va rilevato che il procedimento in esame trova disciplina in un frammento di norma, ossia nell’art. 91, comma 5, ultimo periodo, D.L.vo n. 159 del 2011 secondo cui: “il Prefetto, anche sulla documentata richiesta dell’interessato, aggiorna l’esito dell’informazione al venir meno delle circostanze rilevanti ai fini dell’accertamento dei tentativi di infiltrazione mafiosa”. Sul punto il giudice napoletano, con giurisprudenza costante, ha fornito due importanti chiarimenti. il primo in ordine alla natura e alla disciplina del procedimento, il secondo in ordine ai tempi del procedimento, decorsi i quali matura il silenzio inadempimento. Quanto al primo chiarimento, viene precisato dal T.a.r. della Campania che la norma di cui al citato art. 91, comma 5, ultimo periodo introduce un obbligo per la P.A. di provvedere sull’istanza di aggiornamento, come può evincersi sia mediante l’interpretazione letterale -atteso che il legislatore ha utilizzato il termine “aggiorna” -sia mediante quella funzionale, tenuto conto che la relativa ratio è quella di perseguire il bilanciamento, tra l’interesse pubblico a non consentire alla P.A. di contrattare con soggetti sospettati di collusione con la criminalità organizzata e quello privato di garantire il diritto al libero esercizio dell’attività economica privata, allorquando venga accertato “il venir meno delle circostanze rilevanti ai fini dell’accertamento dei tentativi di infiltrazione mafiosa”. A seguito della presentazione di una documentata istanza di aggiornamento, si apre, dunque, un nuovo procedimento nel quale viene svolta dalla Prefettura una nuova approfondita istruttoria al fine di accertare se i fatti sopravvenuti siano tali da aver determinato il venir meno del rischio di infiltrazione mafiosa. All’esito della rinnovata istruttoria il Prefetto potrà adottare nell’esercizio di un potere tipicamente discrezionale -o un provvedimento liberatorio, oppure una nuova interdittiva, nella quale dovrà dare conto della rinnovata ponderazione degli elementi indiziari originari alla luce delle documentate sopravvenienze allegate dall’istante (viene all’uopo richiamato l’autorevole precedente di cui al T.a.r. Calabria -Reggio Calabria, 23 settembre 2022 n. 633). Spesso l’Amm.ne evidenzia di non aver ancora concluso il CoNTeNZioSo NAZioNALe procedimento, tenuto conto del gran numero di richieste analoghe ricevute e dell’esigenza di acquisire nel corso dell’istruttoria i contributi delle Forze dell’ordine. Quanto al secondo chiarimento, viene in rilevo il contenuto dell’art. 92 del D.L.vo n. 159 del 2011 in ordine al procedimento della interdittiva antimafia. All’uopo si osserva che il rilascio dell’informazione antimafia è immediatamente conseguente alla consultazione della Banca dati nazionale antimafia -BDNA (dove rimangono riportate comunicazioni ed informative), con il corollario che, qualora dalla consultazione della BDNA emergano elementi suscettibili di opportuni approfondimenti il Prefetto dispone le necessarie verifiche nel termine di 30 giorni dalla data della consultazione o, nei casi di particolare complessità e previa comunicazione all’amministrazione interessata, nei successivi 45 giorni (facendo applicazione analogica della previsione di cui all’art. 92 del D.L.vo n. 159/2011; conf. T.a.r. Lombardia, Milano, 3 settembre 2018, n. 2040 secondo cui: “la disposizione normativa succitata impone al Prefetto di aggiornare le informative in questione, “anche sulla documentata richiesta dell’interessato” nello stesso termine massimo di quarantacinque giorni assegnato al Prefetto dall’art. 92 del Codice delle leggi antimafia per rilasciare, in via ordinaria, l’informazione antimafia interdittiva, non potendo rimanere l’istanza senza riscontro alcuno, in violazione della regola generale di cui all’art. 2, comma 2, della legge n. 241/1990”). in questo quadro si innesta la riforma introdotta con il D.L. 6 novembre 2021, n. 152, conv. L. 29 dicembre 2021, n. 233, che ha aggiunto all’art. 92 il comma 2 bis, stabilendo che l’Amministrazione comunica i motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza, con assegnazione di un termine non superiore a 20 giorni per presentare osservazioni, disponendo che la comunicazione “sospende, con decorrenza dalla relativa data di invio il termine di cui all’articolo 92, comma 2” (art. 92, comma 2 bis, penultimo periodo). Ne consegue che -ai fini del predetto bilanciamento tra l’interesse pubblico a non consentire alla pubblica Amministrazione di contrattare con soggetti sospettati di collusione con la criminalità organizzata e quello privato di garantire il diritto al libero esercizio dell’attività economica privata -in tali casi l’Amministrazione è tenuta a pronunciarsi in ordine all’istanza di revisione della suddetta certificazione nel termine di conclusione del procedimento -applicabile anche all’aggiornamento dell’informativa -stabilito dall’art. 92 del codice delle leggi antimafia per il rilascio delle informazioni antimafia in quanto, a seguito all’istanza di aggiornamento, la Prefettura deve svolgere un’istruttoria analoga a quella necessaria per il rilascio della prima informazione. Decorsi gli indicati termini, matura il silenzio inadempimento. 3.b) Altra fetta dei ricorsi in esame (6 ricorsi) ha ad oggetto l’accertamento del silenzio inadempimento sulla richiesta di iscrizione nella Anagrafe RASSeGNA AVVoCATuRA DeLLo STATo -N. 4/2023 Antimafia, nell’ elenco (c.d. white list) previsto dall’art. 1, comma 52 (4), L. 6 novembre 2012, n. 190 (recante disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell’illegalità nella pubblica amministrazione, c.d. Legge Severino). 3.c) Si è avuto lo scorso anno anche un ricorso per l’accertamento del silenzio inadempimento formatosi sul procedimento avviato dalla Prefettura di Caserta volto ad adottare un’informazione interdittiva antimafia di data ditta con declaratoria dell’obbligo di provvedere in merito con provvedimento espresso e motivato. Circa gli esiti dei ricorsi in esame si osserva quanto segue: -nel corso del giudizio la Prefettura ha confermato il giudizio di permeabilità mafiosa a carico della impresa ricorrente con nuovo espresso provvedimento interdittivo (o adottato il provvedimento interdittivo nel caso sub c). in questo caso il giudizio è stato definito con la pronuncia di sentenza di improcedibilità, dichiarativa della sopravvenuta carenza di interesse, ai sensi dell’art. 35, co. 1, lett. c), c.p.a. (tanto è accaduto per 10 ricorsi); -nel corso del giudizio la Prefettura ha accolto positivamente l’istanza di aggiornamento della posizione antimafia o ha iscritto il ricorrente nella white list. in quest’altro caso il giudizio è stato definito con la pronuncia di sentenza dichiarativa della cessazione della materia del contendere, ai sensi dell’art. 34, co. 5, c.p.a. (ciò per 4 ricorsi, di cui 3 sulla white list). -persiste l’inerzia: il ricorso è stato accolto con la pronuncia di ordine all’ufficio Territoriale del Governo di concludere il procedimento avviato con la predetta istanza di aggiornamento, entro 30 giorni (o 90 giorni, in casi di particolare complessità) dalla comunicazione o notificazione della sentenza; in caso di ulteriore inadempimento, si preannuncia che verrà nominato un Commissario ad acta, su istanza della ricorrente interessata (tanto è accaduto per 8 ricorsi). All’evidenza, in questi casi viene in rilievo un giudizio ad esito vincolato, (4) Secondo cui “Per le attività imprenditoriali di cui al comma 53 [ossia quelle maggiormente esposte a rischio di infiltrazione mafiosa, come estrazione, fornitura e trasporto di terra e materiali inerti; confezionamento, fornitura e trasporto di calcestruzzo e di bitume; guardiania dei cantieri; servizi funerari e cimiteriali] la comunicazione e l’informazione antimafia liberatoria da acquisire indipendentemente dalle soglie stabilite dal codice di cui al decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, è obbligatoriamente acquisita dai soggetti di cui all’articolo 83, commi 1 e 2, del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, attraverso la consultazione, anche in via telematica, di apposito elenco di fornitori, prestatori di servizi ed esecutori di lavori non soggetti a tentativi di infiltrazione mafiosa operanti nei medesimi settori. il suddetto elenco è istituito presso ogni prefettura. L’iscrizione nell’elenco è disposta dalla prefettura della provincia in cui il soggetto richiedente ha la propria sede. Si applica l’articolo 92, commi 2 e 3, del citato decreto legislativo n. 159 del 2011. La prefettura effettua verifiche periodiche circa la perdurante insussistenza dei tentativi di infiltrazione mafiosa e, in caso di esito negativo, dispone la cancellazione dell’impresa dal- l’elenco”. CoNTeNZioSo NAZioNALe con affermazione di principi sulla tempistica procedimentale. il notevole numero dei ricorsi in esame è una spia delle difficoltà dell’Amm.ne -per carenza di idoneo organico, di idonee risorse umane (carenze, peraltro, diffuse in parecchie Amm.ni) - a definire i procedimenti nei termini di legge. Attesa la rilevantissima importanza degli interessi in gioco (libertà di impresa, tutela sociale, giudizio strutturato su base ordinariamente preventiva) occorre evitare tali disfunzioni amministrative e definire nei tempi di legge il procedimento. All’uopo occorrerebbe aumentare l’organico delle risorse umane o, altrimenti, riorganizzare le risorse umane disponibili, fissando priorità. 4. ricorsi in materia di accesso ai documenti ex art. 116 c.p.a. È intuitiva la genesi dei ricorsi in materia di accesso ai documenti: pende un procedimento per la valutazione della adozione di misura interdittiva ai sensi dell’art. 89 bis D.L.vo n. 159/2011 nei confronti di un soggetto, avviato dalla Prefettura, sulla base di atti d’ufficio; l’Amm.ne, con nota -nel trasmettere a soggetto attenzionato la comunicazione ai sensi dell’art. 92, comma 2bis, D.L.vo n. 159/2011 -rappresenta che: “sono emersi elementi indiziari e sintomatici di permeabilità delle dinamiche imprenditoriali a forme di condizionamento alla criminalità”; l’interessato, ricevuta la comunicazione di avvio del procedimento, spesso chiede l’accesso agli atti, ai documenti presupposti all’emanazione della comunicazione di avvio del procedimento antimafia (es. decreto di perquisizione, le trascrizioni di eventuali intercettazioni contenute in verbali ovvero brogliacci; rapporti e le note citate nella predetta comunicazione prefettizia). La Prefettura spesso, rigetta, tout court, globalmente, la richiesta di accesso. Tanto sulla base dell’art. 3, lett. c), del D.M. 16 marzo 2022 secondo cui sono sottratti al diritto d’accesso “i documenti istruttori inerenti ai procedimenti relativi al rilascio della documentazione antimafia, nonché i documenti, comunque prodotti o acquisiti, la cui conoscenza può pregiudicare l’attività di prevenzione delle infiltrazioni della criminalità organizzata, e i provvedimenti prefettizi in materia di antimafia”. L’interessato insorge avverso il rigetto della richiesta di accesso con ricorso al giudice amministrativo. i ricorsi in materia -lo scorso anno -sono stati tutti accolti dal T.a.r. per la Campania e, per l’effetto, è stato ordinato all’Amm.ne di consentire alla parte ricorrente l’accesso, mediante estrazione di copia, ai documenti richiesti, nei sensi e nei termini di cui in motivazione. il giudice, all’uopo, ha enunciato che la mancata ostensione deve essere motivata con riferimento alle concrete ragioni che impediscono la divulgazione del documento (all’uopo il giudice napoletano richiama la pacifica giurisprudenza in materia: ex multis T.a.r. Lazio, Roma 2 aprile 2021, n. 3973; T.a.r. Calabria, Catanzaro, 24 agosto 2011, n. 1146; T.a.r. Abruzzo, L’Aquila, RASSeGNA AVVoCATuRA DeLLo STATo -N. 4/2023 26 marzo 2015, n. 36). A fronte della documentata esigenza di difendere i propri interessi in sede giurisdizionale da parte del ricorrente, l’Amministrazione non può limitarsi ad affermare che i documenti non sono ostensibili in virtù del solo D.M. ma deve circostanziare quale è, nel caso di specie, il pregiudizio in concreto recato dall’accesso ai superiori interessi protetti dalla disposizione primaria. Né è possibile ritenere che il pregiudizio sarebbe in re ipsa, nella natura stessa degli atti. Ne consegue che, in sede di esame dell’istanza di accesso, l’Amministrazione è tenuta ad effettuare un delicato bilanciamento tra le eventuali esigenze di tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica e le altrettanto fondamentali esigenze di tutela della parte privata, connesse all’inviolabile diritto costituzionale alla difesa sancito dall’art. 24 della Costituzione. Ne deriva la potestà di oscurare con idonea tecnica, tra cui anche l’apposizione di “omissis”, nelle parti dei documenti che, motivatamente, devono eventualmente essere mantenute riservate. Tanto rilevato, va fatta una riflessione: il notevole numero dei ricorsi in esame è una spia -come per la casistica esaminata al precedente punto 3 delle difficoltà operative dell’Amm.ne, della inidonea disponibilità delle risorse umane. A ranghi ridotti, l’Amm.ne -in modo rapido -rigetta le richieste di accesso, atteso che è molto dispendioso discriminare tra quello che è ostensibile e quello che non lo è. Sicché si aspetta l’eventuale protesta dell’interessato con il ricorso giurisdizionale. Tale modus operandi dovrebbe essere evitato al fine di evitare l’insorgere di liti del genere (ricorsi autonomi avverso il diniego di accesso) ed al fine, altresì, di aggravare i procedimenti giurisdizionali (con riguardo ai ricorsi incidentali, nella pendenza di un giudizio, avverso il diniego di accesso). A quest’ultimo riguardo va rilevato che, spesso, i soggetti attinti da informativa antimafia, in uno alla proposizione del ricorso giurisdizionale presentano altresì istanza istruttoria (contenuta nel ricorso) con la quale richiedono l’acquisizione in giudizio di data documentazione. Con ordinanza presidenziale, in prima battuta, o con ordinanza collegiale, all’esito della camera di consiglio in sede di sospensiva, il T.a.r. per la Campania ha ordinato all’Amm.ne resistente di depositare in giudizio gli atti istruttori in base ai quali è stato adottato il gravato provvedimento interdittivo. in esecuzione del suddetto provvedimento, la Prefettura produce in giudizio gli atti richiesti. Di seguito, poi, spesso, con atto di motivi aggiunti il ricorrente -letto il contenuto della documentazione acquisita nel giudizio -impugna i suddetti atti contestando ulteriormente la legittimità del provvedimento prefettizio alla stregua di ulteriori motivi. È evidente -per quanto ora riportato -come una condotta disfunzionale in sede di gestione delle richieste di accesso aggrava il procedimento giurisdizionale. CoNTeNZioSo NAZioNALe 5. Conclusioni. A volo d’uccello deve essere rilevato che il giudice amministrativo napoletano -sulla materia in esame -procede con la massima efficienza: definisce in tempi rapidi la complessa materia. i riti speciali sul silenzio e sull’accesso vengono definiti in pochi mesi; i riti ordinari sulle interdittive vengono definiti in un anno o poco più. Tanto con sentenze sistematiche ed altresì complete. Va rilevato altresì che -pur con le segnalate difficoltà organizzative in termini di risorse umane -anche l’attività amministrativa nei procedimenti di interdittiva antimafia sulla materia è connotata da una grande efficienza. A comprova di ciò vi è un indice inequivocabile: quasi tutti i provvedimenti interdittivi resistono all’attacco mosso in sede giurisdizionale, atteso che quasi tutti i ricorsi avverso gli stessi sono rigettati con sentenze che resistono anche nel grado di impugnazione. Come cittadini, prima che come giuristi, occorre rimarcare tale importante dato. RASSeGNA AVVoCATuRA DeLLo STATo -N. 4/2023 “Paura della firma”, principio della fiducia ed evoluzioni della Pubblica Amministrazione. Disamina di Corte costituzionale, 16 luglio 2024, n. 132 Antonino Ripepi* Sommario: 1. Premessa -2. inquadramento -3. Principio della fiducia e “paura della firma” - 4. analisi della motivazione della sentenza - 5. Conclusioni. 1. Premessa. Con l’epocale sentenza n. 132, depositata in data 16 luglio 2024, la Corte costituzionale ha statuito che non è incostituzionale la temporanea esclusione, sino al 31 dicembre del corrente anno, della responsabilità amministrativa per colpa grave dei soggetti sottoposti alla giurisdizione della Corte dei conti, con riferimento alle sole condotte commissive; contestualmente, il Giudice delle leggi ha invitato il legislatore ad una riforma organica e strutturale della materia, le cui linee direttrici (sia pur con riferimento a un diverso, ma contiguo e inscindibile settore, ossia il sistema preventivo-amministrativo dell’anticorruzione) erano state suggerite dallo scrivente in un recente lavoro (1). il tema, stante la fondamentale rilevanza che riveste per tutti i pubblici dipendenti, merita di essere trattato in modo ampio e approfondito. Muoviamo dal particolare per pervenire al generale. 2. inquadramento. Se è consentita una riflessione personale, poteva dirsi prevedibile la declaratoria di infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale con riferimento alla normativa (D.L. n. 76/2020) strettamente legata al “periodo covid-19”. infatti, l’art. 21, comma 2, del D.L. 16 luglio 2020, n. 76 (Misure urgenti per la semplificazione e l’innovazione digitale), convertito, con modificazioni, nella legge 11 settembre 2020, n. 120, prevede, sino al 31 dicembre 2024 e in conseguenza di proroghe, per le condotte commissive degli agenti pubblici, una temporanea limitazione della responsabilità amministrativa alle sole ipotesi dolose. La disposizione, come tutti ricorderanno, si giustificava in relazione al peculiarissimo contesto economico e sociale in cui l’emergenza pandemica da Covid-19 aveva determinato la prolungata chiusura delle attività produttive, (*) Procuratore dello Stato, Referente Distrettuale della “Rassegna Avvocatura dello Stato”. (1) Sia consentito il rinvio ad A. RiPePi, anticorruzione e fiducia: un binomio possibile (?), in ratio iuris, 15 aprile 2024, https://www.ratioiuris.it/anticorruzione-e-fiducia-un-binomio-possibile/, nonché, seppure più in generale, a iD., Principio della fiducia ed estensione del sindacato giurisdizionale del giudice amministrativo, in Giurisprudenza italiana, n. 4/2024, 890-893. CoNTeNZioSo NAZioNALe con danni enormi per l’economia nazionale e ricadute negative sulla stessa coesione sociale e la tutela dei diritti e di interessi vitali per la società. Per superare la grave crisi e rimettere in movimento il motore dell’economia, il legislatore, non irragionevolmente (a giudizio della Corte), ha ritenuto indispensabile che l’amministrazione pubblica operasse senza remore e non fosse, al contrario, a causa della sua inerzia, un fattore di ostacolo alla ripresa economica. Le successive proroghe, invece, sono state ritenute giustificabili in quanto connesse all’inderogabile esigenza di garantire l’attuazione del PNRR e la conseguente ripresa di un sentiero di crescita economica sostenibile, oltre che il superamento di alcuni divari economici, sociali e di genere. La Corte costituzionale ha inoltre affermato che, nel valutare la proporzionalità dell’intervento legislativo, non può prescindersi dal rilievo che la disposizione censurata origina da un contesto eccezionale, ha natura temporanea ed ha comunque un oggetto delimitato, riguardando solo le condotte commissive e non quelle “inerti” ed “omissive”. Ma, sia consentito rilevarlo, ciò che più merita di essere evidenziato è l’invito a una rivalutazione, in ottica sistematica, del sistema di responsabilità amministrativa dei dipendenti pubblici, suggerendo «la ricerca, a regime, di nuovi punti di equilibrio nella ripartizione del rischio dell’attività tra l’amministrazione e l’agente pubblico, con l’obiettivo di rendere la responsabilità ragione di stimolo e non disincentivo all’azione» (2). Cerchiamo, dunque, di inquadrare il tema in modo ampio, così come propone anche la Corte costituzionale. Nella sentenza in commento viene tracciato un mirabile affresco dell’evoluzione della Pubblica Amministrazione nell’ultimo ventennio. i tasselli principali della riforma dell’Amministrazione italiana sono costituiti dalla l. 8 giugno 1990, n. 142 (“ordinamento delle autonomie locali”), dalla l. 7 agosto 1990, n. 241 (“Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi”), dal decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29 (“Razionalizzazione della organizzazione delle Amministrazioni pubbliche e revisione della disciplina in materia di pubblico impiego, a norma dell’articolo 2 della legge 23 ottobre 1992, n. 421”), nonché dalla l. 15 marzo 1997, n. 59 (Delega al Governo per il conferimento di funzioni e compiti alle regioni ed enti locali, per la riforma della pubblica amministrazione e per la semplificazione amministrativa). Tali fonti normative hanno segnato il passaggio da un’amministrazione che, secondo il modello dello Stato di diritto liberale, doveva dare semplicemente esecuzione alla legge, adottando un singolo e puntuale atto amministrativo, a quella che è stata definita “amministrazione di risultato”, in cui la (2) Corte cost., 16 luglio 2024, n. 132. RASSeGNA AVVoCATuRA DeLLo STATo -N. 4/2023 dirigenza, resa finalmente autonoma dal potere politico, è responsabile del conseguimento degli obiettivi affidati dai vertici. il decisore pubblico, pertanto, è sempre meno relegato all’esecuzione di ciò che è già deciso con legge, ma è orientato al risultato, e -perciò -sempre più ampiamente investito del compito di «scegliere, nell’ambito della cornice legislativa, i mezzi di azione ritenuti più appropriati, di ponderare i molteplici interessi pubblici e privati coinvolti dalla decisione amministrativa, di legare insieme in un disegno unitario differenti atti e provvedimenti, e di assicurare l’efficienza, operando in un orizzonte temporale ben preciso (il tempo, a partire dall’art. 2 della legge n. 241 del 1990, non è più una variabile indipendente dell’agire amministrativo)» (3). La Corte rimarca come l’ampia discrezionalità, peraltro esercitata in un ambiente in cui la complessità istituzionale, sociale e giuridica è andata progressivamente crescendo, sia una componente essenziale e caratterizzante tale tipo di amministrazione. infatti, la necessità di scegliere, entro un termine predeterminato, sovente tra un ventaglio ampio di possibilità e in un ambito non più integralmente tracciato dalla legge, accresce inevitabilmente la possibilità di errori da parte dell’agente pubblico, ingenerando il rischio della sua inazione. Per evitare tale pericolo, come ricorda il Giudice delle leggi, l’art. 3, comma 1, lettera a), D.L. n. 543/1996, come convertito (modificando l’art. 1, comma 1, della legge n. 20 del 1994), ha escluso la colpa lieve dalla configurazione dell’elemento soggettivo della responsabilità amministrativa, che pertanto è stata circoscritta ai casi di dolo o colpa grave. La Corte costituzionale ha, storicamente, sempre confermato la legittimità costituzionale di tale sistema, evidenziando «l’intento di predisporre, nei confronti degli amministratori e dei dipendenti pubblici un assetto normativo in cui il timore della responsabilità non esponga all’eventualità di rallentamenti ed inerzie nello svolgimento dell’attività amministrativa» (4). eppure, il fenomeno volgarmente noto come “paura della firma” non si è mai dissolto. in disparte il periodo pandemico, del quale si è detto, si abbia riguardo (con riferimento alla normativa “a regime” e, dunque, svincolata da esigenze emergenziali e transeunti) al d.lgs. n. 36/2023, recante il “nuovo codice dei contratti pubblici”, uno dei settori in cui, come noto, il decisore pubblico è senz’altro più “a rischio”, considerati i rilevanti interessi economici coinvolti e le conseguenti responsabilità. Come rileva autorevolmente anche la Corte costituzionale, l’art. 2 reca un evidente riferimento al “principio della fiducia”: di che si tratta, e, soprattutto, con una domanda tipica del buon giurista, “a cosa serve”? (3) Corte cost., 16 luglio 2024, n. 132. (4) Corte cost., 20 novembre 1998, n. 371. CoNTeNZioSo NAZioNALe 3. Principio della fiducia e “paura della firma”. il principio della fiducia prevede quale termine di riferimento l’«azione legittima, trasparente e corretta dell’amministrazione, dei suoi funzionari e degli operatori economici» (art. 2, c. 1, D.Lgs. n. 36/2023). Non è un caso che si tratti di un “principio” e non di una “regola”. Come ha ricordato di recente un autorevole filosofo del diritto, «le regole implicano certamente un livello piuttosto ridotto di fiducia sia nei confronti dei consociati, sia nei confronti dei funzionari e degli apparati burocratici, sia di coloro che sono chiamati ad intervenire in caso di disobbedienza alle norme» (5). La normazione per principi, invece, implica un maggiore intervento del- l’interprete, chiamato a concretizzare il precetto e, conseguentemente, una maggiore fiducia nei confronti degli apparati burocratici e degli esecutori in generale, che devono modulare la portata del principio a seconda della situazione concreta che si palesa all’attenzione di chi deve applicarlo (6). ora, il principio della fiducia ha portata bidirezionale, concernendo sia la P.A. che il cittadino, in quanto «ad un’amministrazione trasparente e corretta deve rapportarsi un cittadino -nella specie, un operatore economico -altrettanto trasparente e corretto» (7). il principio in esame, che non ha valenza esclusivamente e semplicemente declamatoria, come rivela il comma 4 dell’art. 2 in tema di copertura assicurativa dei dipendenti e formazione degli stessi, è animato da una filosofia di fondo descritta in modo illuminante dalla Relazione di accompagnamento: si tratta di «un segno di svolta rispetto alla logica fondata sulla sfiducia (se non sul “sospetto”) per l’azione dei pubblici funzionari, che si è sviluppata negli ultimi anni […] e che si è caratterizzata da un lato per una normazione di estremo dettaglio, che mortificava l’esercizio della discrezionalità, dall’altro per il crescente rischio di avvio automatico di procedure di accertamento di responsabilità amministrative, civili, contabili e penali che potevano alla fine rivelarsi prive di effettivo fondamento», le quali hanno generato «“paura della firma” e “burocrazia difensiva”», a loro volta «fonte di inefficienza e immobilismo e, quindi, un ostacolo al rilancio economico, che richiede, al contrario, una pubblica amministrazione dinamica ed efficiente» (8). (5) T. GReCo, La legge della fiducia. alle radici del diritto, Laterza, 2021, 116. (6) T. GReCo, op. cit., 118. (7) F. SAiTTA, i principi generali del nuovo Codice dei contratti pubblici, 2023, disponibile in https://www.giustiziainsieme.it/it/diritto-e-processo-amministrativo/2799-i-principi-generali-del-nuovocodice- dei-contratti-pubblici. (8) Consiglio di Stato, relazione agli articoli e agli allegati dello Schema definitivo di Codice dei contratti pubblici in attuazione dell’articolo 1 della legge 21 giugno 2022, n. 78, recante “Delega al Governo in materia di contratti pubblici”, disponibile in https://www.giustizia-amministrativa.it/documents/ 20142/17550825/3_CoDiCE+CoNTraTTi+rELaZioNE.pdf/d3223534-d548-1fdc-4be4e9632c641eb8? t=1670933091420, 14. RASSeGNA AVVoCATuRA DeLLo STATo -N. 4/2023 Si tratta del fenomeno della “burocrazia difensiva”, cui il nuovo Codice vorrebbe porre rimedio dando, «sin dalle sue disposizioni di principio, il segnale di un cambiamento profondo, che -fermo restando ovviamente il perseguimento convinto di ogni forma di irregolarità -miri a valorizzare lo spirito di iniziativa e la discrezionalità degli amministratori pubblici, introducendo una “rete di protezione” rispetto all’alto rischio che accompagna il loro operato » (9). Si tratta di un vero e proprio cambio di paradigma culturale, ancor prima che giuridico-normativo, che aveva già manifestato un punto di emersione con il D.L. n. 76/2020, teso a limitare i confini della responsabilità (penale ed erariale) dei dipendenti pubblici, concepita quale fattore alla base di rallentamenti e inerzie nello svolgimento dell’attività amministrativa, non ammissibili in un’epoca in cui il Paese si avviava a superare i danni cagionati dalla pandemia attraverso l’utilizzo dei fondi collegati al PNRR. in tale contesto, e in disparte il recentissimo intervento abolitivo dell’art. 323 c.p., il legislatore ha ritenuto opportuno contenere in via transitoria la responsabilità per colpa grave alla sola ipotesi omissiva, quale stimolo all’azione e all’adozione di decisioni necessarie per evitare la paralisi burocratica. È fuor di dubbio che tale intervento normativo abbia attirato numerose critiche, incentrate sull’indebita equiparazione della condotta gravemente colposa (ma non sanzionabile) al comportamento rispettoso del dovere costituzionale di adempiere le funzioni pubbliche con disciplina e onore e pienamente conforme agli obblighi di servizio (10), sul rischio di deresponsabilizzazione della dirigenza pubblica (11), sulla implicita legittimazione di un ampio catalogo di fattispecie gravemente lesive dell’integrità patrimoniale pubblica ex artt. 81 e 97 Cost. (12), sull’impatto negativo dell’attenuazione dei controlli giurisdizionali contabili sulle strategie di prevenzione della corruzione, dovuto alla creazione di ampie aree di deresponsabilizzazione e di impunità nell’ipotesi di utilizzo improprio degli aiuti comunitari (13). Tuttavia, è altrettanto certo che il concetto di lotta alla “burocrazia difensiva” sia riemerso, a distanza di quasi tre anni, nella ratio dell’art. 2 D.Lgs. n. (9) Consiglio di Stato, relazione cit., 15. (10) L. CARBoNe, Una responsabilità erariale transitoriamente “spuntata”. riflessioni a prima lettura dopo il d.l. 16 luglio 2020, n. 76 (c.d. “decreto semplificazioni”), in federalismi.it, n. 30/2020, 10. (11) M. GeRARDo, i quattro pilastri governativi per l’utilizzo efficiente del recovery Fund: scelta di “buoni” progetti, semplificazione delle procedure, reperimento di adeguate professionalità, limitazione delle responsabilità gestorie. analisi e rilievi, in rassegna avvocatura dello Stato, n. 4/2020, 233. (12) D. iMMoRDiNo, responsabilità erariale e “buona amministrazione” nell’evoluzione dell’interesse pubblico, in rivista Corte dei conti, n. 3/2022, 75. (13) F. ALBo, Limitazione della responsabilità amministrativa e anticorruzione: il PNrr è adeguatamente protetto?, 2021, disponibile in https://dirittoeconti.it/limitazione-della-responsabilitaamministrativa- e-anticorruzione-il-pnrr-e-adeguatamente-protetto/. CoNTeNZioSo NAZioNALe 36/2023 e sia stato espressamente citato dalla Relazione di accompagnamento al nuovo codice dei contratti, simbolo di un chiaro (e perdurante) intento del legislatore che, in quanto frutto del recepimento di istanze sociali ben definite, non può essere tout court ignorato dall’interprete (14). oggi, finalmente, la Corte costituzionale fornisce una risposta autorevole a questo problema, tracciando la via che il legislatore futuro (si spera!) dovrà seguire. 4. analisi della motivazione della sentenza. e sembra opportuno, proprio su questo punto, soffermarsi su un punto della motivazione della sentenza, che chi scrive aveva già cercato di valorizzare, negli stessi termini, per suggerire un ripensamento del sistema amministrativo dell’anticorruzione, che è legato -come noto -a doppio filo alla responsabilità amministrativo-contabile. Nei decenni successivi alla riforma della responsabilità amministrativa attuata dalla L. n. 20/1994, la complessità dell’ambiente in cui operano gli agenti pubblici si è accresciuta a dismisura, rendendo più difficili le scelte amministrative in cui si estrinseca la discrezionalità e più facile l’errore, anche grave. La Corte, sul punto, richiama alcune tendenze. in primo luogo, evidenzia come l’individuazione delle norme da applicare al caso concreto sia estremamente problematica e «sovente non dia luogo a risultati univoci, a causa di un sistema giuridico multilivello in cui operano fonti di provenienza diversa (eurounitaria, statale, regionale e locale), spesso tra loro non coordinate». A ciò si aggiungono le difficoltà interpretative derivanti da una caotica produzione legislativa, alimentata dalla “fame di norme” delle società moderne e dal ricorso frequente da parte della legge a “compromessi dilatori”, che «trasferiscono quasi interamente sull’amministrazione il compito di determinare l’assetto di interessi ed esigenze tra loro confliggenti». Ancora, non possono non essere tenuti in considerazione i costanti tagli alle risorse finanziarie, umane e strumentali delle amministrazioni, a causa delle ben note esigenze di bilancio e di spending review, in presenza di un elevatissimo debito pubblico. «Amministrare con mezzi spesso inadeguati -rileva la Corte -accresce il rischio che il dipendente pubblico commetta un errore, che potrebbe essere qualificato in sede di responsabilità amministrativa come frutto di grave negligenza ». in terzo luogo, vi sono alcune tendenze strutturali delle odierne società e dei loro sistemi amministrativi. «Da un lato, il pluralismo sociale e il pluralismo istituzionale si proiettano (14) A. RiPePi, anticorruzione e fiducia, cit. RASSeGNA AVVoCATuRA DeLLo STATo -N. 4/2023 nei procedimenti amministrativi e nelle istituzioni pubbliche, rendendo sempre più problematica ed esposta alla contestazione la ponderazione di tali interessi in cui si risolve l’esercizio della discrezionalità amministrativa. Dall’altro, vi è il moltiplicarsi dei rischi provocati dalla stessa attività umana e che spesso sono conseguenze non intenzionali dello sviluppo tecnologico ed economico (rischi ambientali, sanitari, connessi al clima, legati alle dinamiche delle catene globali del valore, finanziari, inerenti alla sicurezza pubblica, et cetera)». Tali evoluzioni hanno accentuato la “fatica dell’amministrare”, rendendo difficile l’esercizio della discrezionalità amministrativa e stimolando, come reazione al rischio percepito di incorrere in responsabilità, proprio la “burocrazia difensiva”. ebbene, tali argomentazioni fanno il paio con quelle, molto meno autorevoli, di chi tentava di valorizzare -esattamente negli stessi termini -la discrezionalità del decisore amministrativo nell’ottica di una proposta di riforma del sistema anticorruzione. in quella sede (15) si è osservato come i fattori abilitanti della corruzione possano essere espressi attraverso una formula matematica, secondo cui C = M + D – T – A: il livello di corruzione (C) si associa alla presenza di posizioni monopolistiche di rendita (M) e all’esercizio di poteri discrezionali (D), ed è inversamente collegato al grado di trasparenza (T) e di accountability (A) dell’agente (Commissione “Garofoli”, La corruzione in italia. Per una politica di prevenzione. rapporto della Commissione per lo studio e l’elaborazione di proposte in tema di trasparenza e prevenzione della corruzione nella pubblica amministrazione, 2012, disponibile in https://www1.interno.gov.it/mininterno/ export/sites/default/it/sezioni/sala_stampa/documenti/anticorruzione/ 2012_10_23_rapporto_corruzione_in_italia.html_8783072.html, 20). Dunque, nelle classiche teorie dell’anticorruzione, la discrezionalità figura quale fattore che, potenzialmente, può agevolare fenomeni corruttivi (e, per quel che rileva in questa sede, può determinare risposte severe in chiave sanzionatoria amministrativo-contabile). Si tratta, tuttavia, di una filosofia di fondo non condivisibile e, anzi, controproducente, in quanto mortifica l’iniziativa del pubblico dipendente, in netto contrasto con il principio della fiducia che, come anticipato, è oggi desumibile da una norma cogente di legge, senza trascurare l’ulteriore conseguenza negativa dell’incremento dei costi di transazione e controllo (16). Tali acquisizioni, come si è avuto modo di evidenziare in altra sede (17), (15) A. RiPePi, anticorruzione e fiducia, cit. (16) A. ZATTi, Un quadro in tumultuoso divenire, in P. PReViTALi -R. PRoCACCiNi -A. ZATTi (a cura di), Trasparenza e anticorruzione: la nuova frontiera del manager pubblico, Pavia university Press, 2016, 12. (17) A. RiPePi, Principio della fiducia ed estensione del sindacato giurisdizionale del giudice amministrativo, in Giurisprudenza italiana, n. 4/2024, 890-893. CoNTeNZioSo NAZioNALe sono frutto di una precisa evoluzione storica, legata soprattutto al settore degli appalti pubblici (che, non a caso, genera numerosissime fattispecie di responsabilità amministrativa). Le vicende di Tangentopoli dimostrarono l’inadeguatezza dell’assetto normativo allora vigente e suggerirono l’irrigidimento del sistema, con preferenza per l’azzeramento della discrezionalità dei funzionari pubblici e il ricorso alla gara per esigenze di trasparenza, unitamente alla diffusione del criterio di aggiudicazione del prezzo più basso, che avrebbe reso meccanicistiche (18) le procedure nella misura in cui il privato si limitava a indicare il corrispettivo in denaro, «la sola cosa rimasta in bianco dello schema adottato dalla pubblica amministrazione» (19). il D.Lgs. n. 163/2006 confermò questa tendenza alla iper-regolamentazione, ma fu accusato di rigidità e di sostanziale inidoneità a combattere il fenomeno corruttivo; inoltre, andò consolidandosi la consapevolezza del fatto che a poco serve limitare la discrezionalità dei funzionari se il quadro normativo è denso e incerto, aperto a diverse possibili interpretazioni, nell’ambito di una complessità che rende difficile distinguere condotte in buona fede o meno, con il rischio di eccessiva pressione sugli operatori pubblici e conseguente paralisi dell’azione amministrativa (20). il D.Lgs. n. 50/2016 avrebbe dovuto risolvere questo problema di “bulimia e incertezza legislativa, ponendo ex ante le regole certe (perché prodotte dell’autorità di regolazione e validate dal Consiglio di Stato), tramite linee guida prontamente aggiornate e aggiornabili a fronte di eventuali modifiche legislative sopravvenute» (21). Nonostante gli aspetti indubbiamente positivi, quali l’istituzione della Banca Dati Nazionale dei Contratti pubblici, ne è risultato un complesso normativo in cui la parola “corruzione” era reiterata numerose volte, senza trascurare l’impressione generalizzata di una certa sfiducia nei confronti delle stazioni appaltanti e l’eccessiva preoccupazione di evitare reati piuttosto che garantire il buon funzionamento del mercato dei contratti pubblici (22). D’altronde, lo stesso legislatore sembra aver manifestato insofferenza nei confronti del soffocamento dell’iniziativa dei dipendenti preposti all’aggiudicazione delle gare, come dimostra l’imporsi di modelli alternativi, quali il “contromodello Genova”, il decreto “sblocca-cantieri” e, da ultimo, l’avvento (18) M.A. SANDuLLi -A. CANCRiNi, i contratti pubblici, in F. MeRLoNi -A. VANDeLLi (a cura di), La corruzione amministrativa. Cause, prevenzioni e rimedi, Passigni editori, 2010, 441-443. (19) S. FANTiNi - h. SiMoNeTTi, Le basi del diritto dei contratti pubblici, Giuffré, 2019, 23. (20) S. ToRRiCeLLi, Disciplina degli appalti e strumenti di lotta alla “corruzione”, in Diritto pubblico, n. 3/2018, 953-977; M. CAFAGNo, Contratti pubblici, responsabilità amministrativa e “burocrazia difensiva”, in il diritto dell’economia, n. 3/2018, 33. (21) e. CARLoNi, L’anticorruzione. Politiche, regole, modelli, il Mulino, 2023, 240. (22) M. DeLSiGNoRe -M. RAMAjoLi, La prevenzione della corruzione e l’illusione di un’amministrazione senza macchina, rTDP, n. 1/2019, 61 ss. RASSeGNA AVVoCATuRA DeLLo STATo -N. 4/2023 del PNRR. Come avvertito anche dalla Corte costituzionale nella pronuncia in commento, infatti, si tratta di un contesto in cui si avverte l’esigenza di realizzare le opere pubbliche nel minor tempo possibile al fine di rendicontare in sede europea, come dimostra -prima ancora dell’entrata in vigore del nuovo codice dei contratti -l’impostazione del D.L. n. 77/2021, recante «un binario parallelo per gli investimenti che riguardano il Pnrr» (23). L’affresco storico rapidamente tratteggiato dimostra come l’eccessiva enfatizzazione della “lotta alla discrezionalità”, nel settore dei contratti pubblici così come in qualsiasi altro ambito dell’azione amministrativa, possa condurre a conseguenze paradossali, pervenendo a una visione razionalistica e meccanicistica della pubblica amministrazione che, con l’eliminazione dell’elemento personale come fattore di insicurezza, riesce a concepirsi in modo ideale. Si tratta dell’estremizzazione di quell’impostazione di base secondo cui «il civil servant è intrinsecamente visto come un potenziale corrotto, a cui va messa una stretta briglia con finalità contenitive e preventive» (24). Che tale impostazione non sia condivisibile lo dimostra lo stesso legislatore, allorquando fa riferimento all’iniziativa e autonomia decisionale dei funzionari pubblici (art. 2, c. 2, D.Lgs. n. 36/2023), nonché la Relazione di accompagnamento, la quale afferma che «il nuovo codice vuole dare, sin dalle sue disposizioni di principio, il segnale di un cambiamento profondo, che fermo restando ovviamente il perseguimento convinto di ogni forma di irregolarità -miri a valorizzare lo spirito di iniziativa e la discrezionalità degli amministratori pubblici» (25). La discrezionalità, infatti, è il nucleo essenziale del potere amministrativo, implicante la ponderazione di interessi primari e secondari, pubblici e privati, che è il proprium della funzione amministrativa. un sistema anticorruzione e di responsabilità amministrativa che voglia dirsi rivisitato nelle fondamenta e adeguato alla nuova visione legislativa, più che irreggimentare i procedimenti e i processi sino a soffocare qualsiasi spiraglio di discrezionalità, dovrebbe focalizzarsi sull’adeguatezza della motivazione, presupposto, fondamento, baricentro ed essenza stessa del legittimo esercizio del potere amministrativo nonché presidio di legalità sostanziale insostituibile (Corte cost., ord. 26 maggio 2015, n. 92). Solo la motivazione, a prescindere dal singolo e atomistico adempimento procedimentale, può dare evidenza delle scelte compiute e delle ragioni di fatto e di diritto che le sorreggono, così consentendo la comprensibilità del (23) P. LAZZARA, introduzione al sistema dei contratti della pubblica amministrazione, in iD. (a cura di), il diritto dei contratti pubblici. Temi e questioni, Aracne, 2021, 22. (24) A. ZATTi, Un quadro in tumultuoso divenire, cit., 12. (25) relazione agli articoli e agli allegati del Codice, cit., 15. CoNTeNZioSo NAZioNALe provvedimento, il sindacato giurisdizionale e il controllo diffuso da parte della collettività (26). Tale rivoluzione culturale condurrebbe a superare quello che autorevole dottrina definisce “declino della decisione motivata” e che incide negativamente sulla legittimazione dei pubblici poteri, che un sistema anticorruzione virtuoso dovrebbe aiutare a recuperare, più che ad annullare del tutto (27). esaurita la panoramica sull’importanza della motivazione, e tornando alla sentenza oggetto del nostro commento, la Corte evidenzia come il consolidamento dell’amministrazione di risultato e i profondi mutamenti del contesto in cui essa opera giustifichino la ricerca legislativa di nuovi punti di equilibrio, «che riducano la quantità di rischio dell’attività che grava sull’agente pubblico, in modo che il regime della responsabilità, nel suo complesso, non funga da disincentivo all’azione». infatti, come avviene anche per altre forme di responsabilità e come può dirsi anche per il sistema anticorruzione, è necessario ricercare un equilibrio tra i pericoli di overdeterrence e underdeterrence. Non esiste una disciplina che li escluda entrambi, e il legislatore è chiamato inevitabilmente a decidere di contrastare prevalentemente l’uno o l’altro, e inversamente di considerare socialmente più accettabile un pericolo anziché l’altro. Questo non significa che il legislatore possa, per il futuro, prevedere una riforma a regime ordinario che limiti la responsabilità amministrativa alla sola ipotesi del dolo; mentre ciò è giustificabile con riferimento alle istanze del periodo emergenziale, estendere in modo incondizionato tali connotati comporterebbe, per l’appunto, una pericolosa underdeterrence. in tale evenienza, infatti, non si realizzerebbe una ragionevole ripartizione del rischio, che invece sarebbe addossato in modo assolutamente prevalente alla collettività, la quale dovrebbe sopportare integralmente il danno arrecato dall’agente pubblico. i comportamenti macroscopicamente negligenti non sarebbero scoraggiati e, pertanto, la funzione deterrente della responsabilità amministrativa, strumentale al buon andamento dell’amministrazione, ne sarebbe irrimediabilmente indebolita. Tuttavia, la Corte non si esime dal fornire qualche “suggerimento” al legislatore. in primo luogo, si propone di considerare l’introduzione di una tipizzazione della colpa grave, per evitare l’incertezza generata dalla declinazione giudiziaria di tale nozione. (26) B. MARCheTTi, il principio di motivazione, in M. ReNNA -F. SAiTTA (a cura di), Studi sui principi del diritto amministrativo, Giuffré, 2011, 521-522, ove l’Autrice evidenzia l’evoluzione dalla concezione garantistica per il privato allo strumento di accountability delle decisioni delle amministrazioni internazionali con ampi riferimenti di diritto comparato. (27) M. RAMAjoLi, il declino della decisione motivata, in L. GiANi -M. iMMoRDiNo -F. MANGA- NARo, Temi e questioni di diritto amministrativo, editoriale Scientifica, 2019, 168-169. RASSeGNA AVVoCATuRA DeLLo STATo -N. 4/2023 Ancora, si consiglia l’introduzione di un limite massimo di addebitabilità del danno al dipendente pubblico, superato il quale il danno resta a carico dell’amministrazione nel cui interesse esso agisce, e forme di rateizzazione dell’adempimento. Con riguardo, poi, al c.d. potere riduttivo (28), si dovrebbe ponderare l’abbinamento all’attuale fattispecie ordinaria, affidata alla discrezionalità del giudice, di «ulteriori fattispecie obbligatorie normativamente tipizzate nei presupposti». È meritevole di considerazione, poi, anche il rafforzamento delle funzioni di controllo della Corte dei Conti e, in chiave di tutela dell’affidamento, l’introduzione di una esenzione da responsabilità colposa per i funzionari che si adeguino alle sue indicazioni. Ancora, sulla medesima scia di quanto si è detto con riferimento al delicato settore dei contratti pubblici (art. 2 D.Lgs. n. 36/2023), occorrerebbe incentivare l’utilizzo delle polizze assicurative per il rischio di responsabilità erariale, e tanto nell’interesse sia dell’agente pubblico che della stessa amministrazione danneggiata. Si suggerisce, inoltre, di valutare l’opportunità di introdurre «una eccezionale esclusione della responsabilità colposa per specifiche categorie di pubblici dipendenti» (anche solo in relazione a determinate tipologie di atti) «in ragione della particolare complessità delle loro funzioni o mansioni». infine, occorre scongiurare la attuale moltiplicazione delle forme di responsabilità degli amministratori per i medesimi fatti materiali, che spesso non sono coordinate tra loro. 5. Conclusioni. Com’è agevole osservare, si tratta di proposte di riforma simili, se non in parte identiche, a quelle già proposte da chi scrive nel settore anticorruzione, e che appaiono espressione di un principio più generale: la fiducia. Al di là di discorsi banalmente e vuotamente retorici, il dipendente pubblico è “al servizio della Nazione” (29) e, in quanto tale, dev’essere opportunamente incentivato e incoraggiato. il prezioso operato della magistratura contabile non deve necessariamente esplicarsi solo in chiave repressivo-sanzionatoria, specie laddove il rischio di errore è agevolato dalla confusione normativa, dalla complessità tecnica di interi settori normativi e dalla difficoltà di bilanciare numerosi interessi in gioco, ma ben può evolversi valorizzando le componenti del controllo, soprattutto quello collaborativo (secondo una tendenza che, pure, è possibile registrare nel nostro sistema). (28) su cui v. TeNoRe, La nuova Corte dei conti, Giuffré, 2022, 379 ss. (29) F. MeRLoNi -R. CAVALLo PeRiN, al servizio della Nazione. Etica e statuto dei funzionari pubblici, FrancoAngeli, 2009. CoNTeNZioSo NAZioNALe Allo stesso modo, imprimere al sistema anticorruzione una “impropria curvatura penalistica” (30) non è certo la soluzione dei problemi legati alla maladministration. Sia chiaro (ma dovrebbe essere evidente all’esito di questo complesso e, si spera, non troppo noioso argomentare) che i corrotti vanno puniti e che gli errori gestionali nell’amministrazione della cosa pubblica vanno senz’altro contrastati. Quest’obiettivo, però, può essere perseguito abbandonando quella retorica (purtroppo diffusa in parte dell’opinione pubblica) del dipendente pubblico “fannullone”, scarsamente preparato e propenso a contegni poco trasparenti, che ha alimentato (silenziosamente quanto ineluttabilmente) tutti gli interventi normativi che hanno determinato aggravamenti delle varie forme di responsabilità dei dipendenti pubblici. invece, un approccio basato sulla fiducia, che non è professione di mero “buonismo”, ma è al centro di notevoli elaborazioni dottrinali (31) e, soprattutto, configura un principio giuridico, e dunque cogente, potrà determinare quel cambio di paradigma che, oggi, la Corte costituzionale ci invita a percorrere, tracciandone la via. Corte costituzionale, sentenza del 16 luglio 2024 n. 132 -Pres. A.A. Barbera, red. G. Pitruzzella. ritenuto in fatto 1.– Con ordinanza del 18 dicembre 2023, iscritta al n. 19 del registro ordinanze 2024, la Corte dei conti, sezione giurisdizionale per la Regione Campania, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 28, 81, 97 e 103 della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 21, comma 2, del decreto-legge 16 luglio 2020, n. 76 (Misure urgenti per la semplificazione e l’innovazione digitale), convertito, con modificazioni, nella legge 11 settembre 2020, n. 120, ai sensi del quale «[l]imitatamente ai fatti commessi dalla data di entrata in vigore del presente decreto e fino al 30 giugno 2024, la responsabilità dei soggetti sottoposti alla giurisdizione della Corte dei conti in materia di contabilità pubblica per l’azione di responsabilità di cui all’articolo 1 della legge 14 gennaio 1994, n. 20, è limitata ai casi in cui la produzione del danno conseguente alla condotta del soggetto agente è da lui dolosamente voluta. La limitazione di responsabilità prevista dal primo periodo non si applica per i danni cagionati da omissione o inerzia del soggetto agente». 1.1.– il rimettente premette in punto di fatto che: – la Procura regionale della Corte dei conti ha evocato in giudizio i militari dell’Arma dei carabinieri T.T., M.V., V.C., V.L., F.B. e S.R., per sentirli condannare, in favore del Comando (30) S. BATTiNi, La riforma deformata della Costituzione amministrativa italiana: una retrospettiva a vent’anni dal d.lgs. n. 165 del 2001, in istituzioni del federalismo, n. 2/2021, 319. (31) T. GReCo, op. cit. RASSeGNA AVVoCATuRA DeLLo STATo -N. 4/2023 Legione carabinieri Campania, al risarcimento del danno erariale quantificato in complessivi euro 2.413.150,00 per il primo, convenuto in via principale a titolo di dolo, ed in euro 2.013.350,00 per gli altri, convenuti in via sussidiaria a titolo di colpa grave, «in conseguenza di un ammanco di cassa dovuto a plurime riscossioni» di settantotto assegni non autorizzati, avvenute tra il 7 maggio 2010 e il 20 gennaio 2021; – in particolare, secondo il pubblico ministero contabile, dalle indagini di un’apposita commissione di inchiesta e da quelle delegate ai carabinieri dalla competente procura penale militare emergerebbe che l’ammanco in questione è da attribuirsi alla condotta dolosa del brigadiere T.T., che, in quegli anni, aveva ricoperto il ruolo di cassiere e non aveva riversato le somme riscosse con i menzionati assegni nelle casse del servizio amministrativo del Comando; – la negoziazione degli assegni non autorizzati non sarebbe stata preceduta dall’emissione di un ordine di pagamento né seguita dalla predisposizione di un ordine di riscossione: l’assenza di evidenze contabili avrebbe consentito al cassiere di eludere sia le verifiche giornaliere sia quelle mensili, nonché quelle straordinarie; – all’esito del «compendio probatorio acquisito», la Procura regionale ha ritenuto che, oltre alla responsabilità del cassiere, debba essere sottoposta al vaglio giudiziale, «per la pregnanza delle funzioni agli stessi intestate», ai sensi dell’art. 451 del decreto del Presidente della Repubblica 15 marzo 2010, n. 90 (Testo unico delle disposizioni regolamentari in materia di ordinamento militare, a norma dell’articolo 14 della legge 28 novembre 2005, n. 246), la condotta di quei militari che, nel periodo in contestazione, avevano svolto i ruoli di capi del servizio amministrativo e della gestione finanziaria, ai quali viene contestato in via sussidiaria il minor danno di euro 2.013.350,00; – la Procura ha così distinto la contestazione nei confronti del cassiere, a titolo di dolo, dalle due contestazioni (commissiva per la firma degli assegni e omissiva per il mancato controllo sulla documentazione contabile e sui conti), a titolo di colpa grave, nei confronti dei capi del servizio amministrativo e della gestione finanziaria, sui cui graverebbe, al pari del cassiere, la responsabilità della gestione dei fondi, essendo costoro, ai sensi dell’art. 503 del d.P.R. n. 90 del 2010, autorizzati a firmare gli assegni «con firma congiunta cd. a due a due»; – secondo la Procura, dunque, ferma restando la responsabilità a titolo doloso del cassiere, «una prima e più consistente quota di responsabilità» sarebbe ravvisabile, a titolo di colpa grave, in capo ai soggetti che avevano «illecitamente apposto la seconda firma di traenza sugli assegni determinativi delle ingiustificate e dannose fuoriuscite», senza operare le debite verifiche sulla regolarità e correttezza del procedimento di spesa (tale contestazione è mossa a tre dei convenuti, per gli assegni e i correlativi importi dettagliatamente indicati nell’ordinanza di rimessione); – «[u]na seconda quota di siffatta concorrente responsabilità», anch’essa di natura gravemente colposa, sarebbe, invece, riconducibile alla violazione dei peculiari obblighi di controllo disattesi dai responsabili alternatisi nelle due distinte posizioni di garanzia (tale contestazione è mossa a cinque dei convenuti, per gli assegni e gli importi anche in tal caso dettagliatamente indicati nell’ordinanza di rimessione); – la Procura regionale, nel chiedere la condanna dei convenuti, ha quindi eccepito l’illegittimità costituzionale dell’art. 21, comma 2, del d.l. n. 76 del 2020, come convertito, in riferimento agli artt. 3, 28, 81, 97 e 103 Cost., «in quanto norma di presumibile applicabilità nella vicenda ma irragionevolmente limitatrice della responsabilità amministrativa alle sole ipotesi» di condotte commissive dolose; CoNTeNZioSo NAZioNALe – sempre secondo il pubblico ministero contabile, infatti, nel giudizio a quo la rilevanza delle questioni sarebbe evidente in relazione alle condotte gravemente colpose ascritte ai convenuti V.L. e S.R., poiché il primo, «in quanto convenuto (anche) a titolo di responsabilità amministrativa per condotta commissiva (in relazione all’apposizione della seconda firma di traenza sugli assegni illecitamente negoziati) finirebbe, in applicazione della citata normativa, per essere esentato da responsabilità per il danno erariale connesso alla firma di alcuni assegni in quanto emessi successivamente al 17 luglio 2020, data di entrata in vigore del decreto semplificazioni del luglio 2020»; mentre il secondo sarebbe chiamato a rispondere a titolo di colpa grave, per l’intero arco temporale e per i medesimi fatti, «avendo posto in essere […] una condotta (solo) omissiva (omesso controllo in relazione alla formazione ed alla registrazione contabile dei titoli, firmati dal V.L., illecitamente negoziati)»; – in punto di non manifesta infondatezza, ad avviso della Procura erariale, l’art. 21, comma 2, del d.l. n. 76 del 2020, come convertito, ingenererebbe una irrazionale disparità di trattamento, «priva di qualsiasi valida giustificazione ed al di fuori della stessa ratio che la disciplina intende perseguire». 1.2.– Ciò premesso in punto di fatto, il rimettente, prima di illustrare la rilevanza e la non manifesta infondatezza delle questioni, ritiene di dovere tratteggiare il quadro «ordinamentale della responsabilità erariale». Come affermato da questa Corte (si cita la sentenza n. 203 del 2022), la responsabilità amministrativa troverebbe fondamento nell’art. 82, primo comma, del regio decreto 18 novembre 1923, n. 2440 (Nuove disposizioni sull’amministrazione del patrimonio e sulla contabilità generale dello Stato), ai sensi del quale «[l]’impiegato che, per azione od omissione, anche solo colposa, nell’esercizio delle sue funzioni, cagioni danno allo Stato, è tenuto a risarcirlo», e la relativa giurisdizione sarebbe attribuita alla Corte dei conti dal successivo art. 83. Con l’entrata in vigore della Costituzione, poi, sarebbe stato positivizzato, all’art. 28, il principio di responsabilità dei funzionari e dei dipendenti dello Stato e degli enti pubblici secondo le leggi penali, civili ed amministrative per gli atti illegittimi dagli stessi compiuti. La successiva disciplina positiva in tema di responsabilità amministrativa si rinverrebbe negli artt. 18 e seguenti del decreto del Presidente della Repubblica 10 gennaio 1957, n. 3 (Testo unico delle disposizioni concernenti lo statuto degli impiegati civili dello Stato). in particolare, l’art. 18 -precisa il giudice a quo -dispone che l’impiegato delle amministrazioni dello Stato, anche ad ordinamento autonomo, è tenuto a risarcire alle amministrazioni medesime i danni derivanti da violazioni di obblighi di servizio, così regolando la responsabilità amministrativa da danno diretto senza fare riferimento al dolo o alla colpa grave. L’art. 22 -prosegue il rimettente -ha invece imposto al pubblico dipendente danneggiante il risarcimento dei pregiudizi derivanti a terzi per effetto della sua condotta, stabilendo che l’azione nei suoi confronti può essere esercitata congiuntamente con quella diretta nei confronti dell’amministrazione, qualora, in base alle norme e ai principi vigenti dell’ordinamento giuridico, sussista anche la responsabilità dello Stato; la medesima disposizione prevede che l’amministrazione, che abbia risarcito i terzi dei danni cagionati dal dipendente, si rivale contro quest’ultimo innanzi alla Corte dei conti. Ai sensi dell’art. 22, poi, è considerato danno ingiusto quello derivante da ogni violazione dei diritti dei terzi che il pubblico dipendente abbia commesso con dolo o colpa grave, restando salve le responsabilità più gravi previste dalle leggi vigenti (art. 23). Solo rispetto al danno indiretto, dunque, il legislatore avrebbe «post[o] in rilievo» il dolo e la colpa grave, e tale regime sarebbe rimasto invariato fino alla legge 14 gennaio 1994, n. RASSeGNA AVVoCATuRA DeLLo STATo -N. 4/2023 20 (Disposizioni in materia di giurisdizione e controllo della Corte dei conti), che, nel testo originario, avrebbe nuovamente disciplinato l’azione di responsabilità «amministrativa/erariale » senza alcuna specifica indicazione circa l’elemento soggettivo richiesto. Con l’art. 3, comma 1, lettera a), del decreto-legge 23 ottobre 1996, n. 543 (Disposizioni urgenti in materia di ordinamento della Corte dei conti), convertito, con modificazioni, nella legge 20 dicembre 1996, n. 639 -prosegue ancora il rimettente -è stato modificato l’art. 1, comma 1, della legge n. 20 del 1994, stabilendosi che la responsabilità dei soggetti sottoposti alla giurisdizione della Corte dei conti in materia di contabilità pubblica è personale e limitata ai fatti e alle omissioni commessi con dolo o colpa grave, ferma restando l’insindacabilità nel merito delle scelte discrezionali. il legislatore, «[a]ll’interno di un sistema che nel nostro ordinamento in generale fonda la responsabilità su condotte connotate dall’elemento soggettivo della colpa e del dolo», avrebbe così inteso limitare la responsabilità «amministrativa/erariale» alle ipotesi di dolo e colpa grave. Al riguardo, questa Corte avrebbe avuto modo di affermare che tale assetto risponde «alla finalità di determinare quanto del rischio dell’attività debba restare a carico dell’apparato e quanto a carico del dipendente, nella ricerca di un punto di equilibrio tale da rendere, per dipendenti ed amministratori pubblici, la prospettiva della responsabilità ragione di stimolo, e non di disincentivo» (si cita la sentenza n. 371 del 1998; nonché le sentenze n. 123 del 2023 e n. 203 del 2022). Secondo la giurisprudenza costituzionale, dunque, la colpa grave costituirebbe per la responsabilità amministrativa «il minimum individuato, ovvero il punto di equilibrio in un generale sistema della responsabilità fondato sulla colpa e sul dolo». Su tale quadro normativo e giurisprudenziale si innesterebbe, infine, la disposizione censurata, che, per le sole condotte commissive e per il periodo da essa presa in considerazione, circoscrive la responsabilità amministrativa alle ipotesi dolose, con esclusione, dunque, di quelle gravemente colpose. Tale disposizione si collocherebbe all’interno di una serie di interventi legislativi di tipo emergenziale volti alla gestione e al superamento dell’emergenza da CoViD-19. La sua vigenza -aggiunge il rimettente -era infatti stabilita, all’inizio, fino al 31 luglio 2021, termine prorogato più volte e, da ultimo, fino al 30 giugno 2024. La giurisprudenza della Corte dei conti avrebbe definito «“scriminante”» l’esenzione prevista dalla disposizione in parola e l’avrebbe applicata, per i fatti verificatisi nel periodo sopra indicato, «mandando esenti da responsabilità» coloro che avevano, con condotte commissive gravemente colpose, cagionato un danno erariale. il giudice contabile, inoltre, in piena concordanza con la giurisprudenza della Corte di cassazione penale, avrebbe affermato che non possono ritenersi di tipo omissivo tutte le condotte colpose, quand’anche naturalisticamente commissive, quali quelle oggetto del giudizio a quo. Sarebbe infatti evidente che la colpa è caratterizzata sempre da componenti omissive, «perché sul piano ontologico essa corrisponde alla mancata adozione di cautele necessarie ad evitare l’insorgere dell’evento, per negligenza, imperizia o imprudenza, o alla mancata osservanza di regole cautelari», ma ciò atterrebbe alla struttura dell’elemento soggettivo della colpa e non potrebbe essere confuso con la natura commissiva della condotta posta in essere. 1.3.– in punto di rilevanza, la Corte dei conti osserva, in primo luogo, che, al momento dei fatti oggetto del giudizio, la disposizione censurata prevedeva «soltanto una diversa durata» della sua applicazione, «prima fino al 31 luglio 2021» e poi, ad opera delle modifiche apportate dalla legge di conversione, fino al 31 dicembre 2021. CoNTeNZioSo NAZioNALe essa, in secondo luogo, sarebbe rilevante «ai fini della decisione di una consistente parte della domanda giudiziale». Rispetto alla fattispecie di danno individuata nella illecita sottrazione di somme per il periodo dal 2010 al 2021, il processo sarebbe «“cumulato”» sia sotto il profilo oggettivo che soggettivo, avendo ad oggetto la richiesta di risarcimento: a) dell’intero danno, in via principale, nei confronti del cassiere che avrebbe, con una condotta dolosa, causato l’ammanco, formando gli assegni per prelevare le somme e alterando le registrazioni contabili; b) di una quota di tale danno, in via sussidiaria, nei confronti di coloro che, con colpa grave, avrebbero «“sulla fiducia”» apposto la seconda firma sugli assegni in questione; c) di un’altra quota di danno, sempre in via sussidiaria, nei confronti di coloro che, con colpa grave, avrebbero violato gli obblighi di controllo su di essi gravanti in qualità di responsabili del servizio amministrativo e della gestione finanziaria, così non impedendo l’illecita sottrazione. essendo stati nove di questi assegni firmati in data successiva all’entrata in vigore del d.l. n. 76 del 2020, «per tali episodi e solo per essi» («es. situazione convenuto V.L.»), dovrebbe trovare applicazione la disposizione censurata, recante una «norma di chiara natura sostanziale », che prevede un’esenzione da responsabilità per le condotte commissive gravemente colpose. Sarebbe dunque evidente il nesso di pregiudizialità tra le questioni di legittimità costituzionale sollevate e la decisione del caso concreto rimessa al giudice a quo: infatti, laddove la disposizione venisse dichiarata costituzionalmente illegittima, il «collegio giudicante sarebbe titolato a valutare l’intera condotta commissiva gravemente colposa, accertando se essa abbia concorso alla produzione della quota di danno addebitata» e stabilendo «se sussista o meno la responsabilità erariale e se il convenuto co-firmatario degli assegni debba o meno […] risarcire in via sussidiaria la quota di danno addebitatagli». in caso contrario, applicando la disposizione censurata, «non si potrebbe che mandare esente da responsabilità il suddetto convenuto per la condotta in parola serbata successivamente al 17 luglio 2020». 1.4.– in punto di non manifesta infondatezza, il rimettente ritiene che la disposizione censurata violi, in primo luogo, l’art. 103 Cost. Secondo la Corte dei conti, il sistema della responsabilità nel nostro ordinamento si fonda, quanto all’elemento soggettivo, «sul binomio colpa e dolo, al netto di ipotesi di responsabilità oggettiva». in relazione alla responsabilità «amministrativa/erariale», il legislatore avrebbe ritenuto di «discostarsi da questo binomio, individuando nella colpa grave il punto di equilibrio del sistema tra la colpa e il dolo» (si cita la sentenza di questa Corte n. 371 del 1998). «La misura individuata (colpa grave)» esprimerebbe «il quantum di rischio che deve ricadere sul datore di lavoro amministrazione pubblica per i danni causati dai dipendenti, nell’ottica, da un lato, di non disincentivare l’attività eliminando l’inerzia nell’attività amministrativa e, dall’altro, di non incentivare condotte foriere di danno». Tale «convinzione» sarebbe stata ribadita dalla giurisprudenza costituzionale nel giudizio avente ad oggetto una disposizione della Provincia autonoma di Bolzano che aveva introdotto «fattispecie di colpa grave “tipizzate”», ove si sarebbe affermato che non è conforme ai principi dell’ordinamento l’ulteriore attenuazione, in via generale, delle ipotesi di responsabilità (si cita la sentenza n. 340 del 2001). Alla luce di ciò, l’art. 21, comma 2, del d.l. n. 76 del 2020, come convertito, che «introduce l’esenzione generalizzata da responsabilità per le condotte commissive connotate dall’ele RASSeGNA AVVoCATuRA DeLLo STATo -N. 4/2023 mento soggettivo della colpa grave», violerebbe «patentemente i principi individuati dalla giurisprudenza costituzionale anche con riferimento all’art. 103 Cost.». La disposizione -aggiunge il rimettente -«è inserita nell’ambito della legislazione di tipo emergenziale, che aveva come scopo espresso quello di rispondere all’esigenza di gestione e superamento della pandemia» da CoViD-19. il suo dichiarato fine sarebbe stato quello di consentire una più rapida adozione di provvedimenti amministrativi «nell’ottica del rilancio dell’economia del Paese duramente penalizzata dal periodo pandemico, superando la c.d. “paura della firma” e la “burocrazia difensiva”, tendenti a bloccare l’azione amministrativa per evitare di essere esposti al risarcimento da danno erariale in caso di errore». Tuttavia, incongruamente, il legislatore non avrebbe limitato l’applicazione della norma alle attività inerenti alla gestione dell’emergenza pandemica e a quelle in grado di determinare il rilancio dell’economia. La disposizione censurata, dunque, «nella sua connotazione generalista», apparirebbe «irragionevole, sproporzionata nella misura e non funzionale alla finalità dichiaratamente perseguita », «realizzando un generalizzato “scudo erariale”». Siffatta «incongrua conseguenza» sarebbe «con ogni evidenza irragionevole e contraria al comune sentire», e la sua estensione a «tutti gli ambiti di attività dell’amministrazione» sarebbe non proporzionata «rispetto alla finalità di una disposizione nata nel contesto emergenziale», come sarebbe dimostrato dal caso di specie, in cui essa si applicherebbe ad una ipotesi di «sottrazione fraudolenta e per scopi personali di somme dell’amministrazione, senza che eserciti alcuna influenza sui fatti la circostanza che essi si sono succeduti anche durante la pandemia». Allo stesso tempo, la norma non sarebbe funzionale allo scopo: «attraverso la volontà di arginare la c.d. “paura della firma”, si è […] estensivamente disciplinata l’esenzione da responsabilità, includendo qualunque condotta attiva gravemente colposa», ivi comprese quelle che non si risolvono nell’adozione di provvedimenti amministrativi, ossia qualunque «condotta fattuale, come ad esempio la rottura con colpa grave di un macchinario ospedaliero, il danneggiamento con colpa grave di auto dell’amministrazione, il danno indiretto provocato da un medico che dimentica la garza nell’addome dopo un’operazione, etc». inoltre, ove si considerino le finalità indicate nelle premesse del d.l. n. 76 del 2020, ossia la necessità e urgenza di introdurre interventi di semplificazione in materia di responsabilità del personale delle amministrazioni al fine di fronteggiare le ricadute economiche pregiudizievoli conseguenti all’emergenza epidemiologica, si dovrebbe «evidenziare che un conto è “alleggerire” le conseguenze della lesione dei diritti e interessi dei terzi nell’esercizio dell’attività provvedimentale, negoziale, materiale, altro è abbassare la soglia della “diligentia quam in suis” nei rapporti interni». in relazione a quest’ultimi e ai danni provocati (come nel caso di specie) direttamente al- l’amministrazione, la soglia di attenzione o diligenza richiesta non potrebbe «essere abbassata e, soprattutto, tale abbassamento» non potrebbe essere giustificato «attraverso la necessità di fronteggiare le conseguenze economiche» derivanti dalla pandemia. in definitiva, secondo il rimettente, la disposizione censurata violerebbe l’art. 103 Cost., «sottraendo alla giurisdizione della Corte dei conti l’assoggettabilità a responsabilità delle condotte attive gravemente colpose a far data dalla sua entrata in vigore». 1.5.– Le considerazioni sopra svolte, secondo il giudice a quo, verrebbero in rilievo anche come violazione dei principi di buon andamento e imparzialità dell’amministrazione, di cui all’art. 97, secondo comma, Cost. CoNTeNZioSo NAZioNALe il principio del buon andamento si declinerebbe «sia nel senso di assicurare un’attività amministrativa nel rispetto della legge, sia nel senso di assicurare l’efficienza e l’adeguatezza dell’agire amministrativo». Sarebbe evidente che l’esenzione da responsabilità prevista dall’art. 21, comma 2, del d.l. n. 76 del 2020, come convertito, «non favorisce la legalità dell’azione amministrativa», poiché «“rende legittime o lecite” condotte gravemente colpose, con la convinzione in colui che agisce che, in assenza del dolo, non ha alcun rilievo se agisca legittimamente o lecitamente, tanto non sarà tenuto a risarcire i danni prodotti». La disposizione censurata, in altri termini, disincentiverebbe il pubblico dipendente, «“legalizzando” l’agire a prescindere dal rispetto delle norme minime cautelari e delle regole di prudenza, perizia e diligenza, senza apportare alcun beneficio alla funzionalità dell’Amministrazione, anzi fortemente incidendo sulla stessa». Tali conseguenze non potrebbero trovare giustificazione nell’avere la norma carattere emergenziale e straordinario. Ancora, verrebbero in rilievo anche il principio di efficienza dell’amministrazione, «come endiadi del buon andamento», «nonché il principio di cui al primo comma dell’art. 97 Cost., in base al quale la pubblica amministrazione deve assicurare l’equilibrio di bilancio e la sostenibilità del debito pubblico (unitamente all’art. 81 Cost.)». Sarebbe «ben chiaro che la sottrazione di risorse, come nel caso di specie anche cospicue, è sintomo di inefficienza dell’amministrazione […] e concorre all’inefficienza complessiva del sistema il fatto che l’assetto normativo attuale non consenta all’amministrazione di ricevere adeguato ristoro nel caso di condotte attive causative di danno e connotate da inescusabile imperizia, negligenza, etc». L’errore grave e inescusabile del dipendente pubblico resterebbe infatti a carico della collettività se non determinato da un’omissione, e rimarrebbe frustrato l’interesse pubblico al- l’azione efficiente ed economica della pubblica amministrazione. infine, il principio del buon andamento sarebbe collegato anche a quello di responsabilità dei pubblici dipendenti, sancito dall’art. 28 Cost., secondo il quale i funzionari e i dipendenti dello Stato e degli enti pubblici sono direttamente responsabili, secondo le leggi penali, civili e amministrative, degli atti compiuti in violazione dei diritti. Se il legislatore «può perimetrare discrezionalmente tale responsabilità, dando contenuto all’art. 28 Cost. attraverso la legge, non può eliminarla tout court per le condotte colpose, svuotandola di gran parte del suo contenuto riferibile ai danni erariali, che non poco contribuiscono ai deficit dei bilanci pubblici». Alla luce di tali considerazioni sarebbe evidente la violazione dell’art. 97, commi primo e secondo, Cost., anche «unitamente» agli artt. 28 e 81 Cost. 1.6.– Secondo il rimettente, sarebbe violato anche l’art. 3 Cost., poiché l’art. 21, comma 2, del d.l. n. 76 del 2020, come convertito, creerebbe una «evidente discriminazione», risultando la norma «irragionevolmente ampia nel suo comprendere qualunque condotta commissiva gravemente colposa che esula dalle finalità» ad essa sottese. Ancora, in forza della disposizione censurata, il giudice contabile nell’ambito del medesimo giudizio potrebbe giudicare sussistente la responsabilità erariale solo per le condotte commissive gravemente colpose poste in essere fino al 17 luglio 2020 (data di entrata in vigore del decreto-legge in parola). il rimettente afferma di essere consapevole della discrezionalità di cui gode il legislatore nel determinare che «da un certo momento in poi una condotta sia rilevante o meno ai fini RASSeGNA AVVoCATuRA DeLLo STATo -N. 4/2023 della tutela dell’interesse pubblico all’utilizzo corretto delle risorse di un’amministrazione», e pur tuttavia «la ratio della norma in contestazione, evincibile anche dall’originario arco temporale limitato di vigenza della relativa disciplina», sarebbe rinvenibile «nel dover essere una disposizione esclusivamente inerente alla gestione dell’emergenza pandemica». L’intento del legislatore, cioè, sarebbe quello «di voler agevolare il rilancio dell’economia, in crisi a causa della pandemia, ponendo un rimedio alla ormai nota c.d. “paura della firma” e consentendo ai pubblici dipendenti di poter così adottare provvedimenti senza alcuna eccessiva preoccupazione». Considerata tale ratio, il caso di specie oggetto del giudizio a quo mostrerebbe chiaramente la «portata irragionevolmente ampia della norma, tale da comprendere e mandare esente da responsabilità erariale anche situazioni, per le quali, con ogni evidenza, non sarebbe giustificabile detta esenzione». La violazione dell’art. 3 Cost. si coglierebbe anche sotto altro profilo. Nella prospettazione del pubblico ministero contabile, alla produzione del danno erariale avrebbero concorso sia «l’omissione dei controlli addebitabile ad alcuni soggetti, sia la formazione dei titoli di pagamento addebitabile a quelli che hanno sottoscritto gli assegni». in forza della disposizione censurata e per il periodo della sua vigenza, tuttavia, la responsabilità erariale potrebbe sussistere solo rispetto ai primi. Si coglierebbe, «con tutta evidenza […], la discriminazione irragionevole operata dalla norma fra coloro che nell’ambito dell’amministrazione hanno obblighi di controllo e vigilanza e coloro che hanno la gestione attiva e i compiti di predisporre i provvedimenti amministrativi ». in altri termini, «va esente da responsabilità colui che con colpa grave pone in essere l’atto illegittimo ovvero l’attività illecita per i fatti commessi dopo l’entrata in vigore della norma censurata, e invece non è esente da responsabilità […] chi aveva “solo” il compito di controllare/ vigilare sullo stesso». Da ultimo, non potrebbe non sottolinearsi anche la discriminazione che si verrebbe ad acuire tra lavoratori del settore privato e del settore pubblico, perché, «rispetto ai primi, i secondi, che già godono di un’esenzione per colpa lieve, nell’attualità sono ancora più avvantaggiati essendo responsabili […] solo per condotte attive dolose o omissive gravemente colpose». 2.– Con atto depositato in data 19 marzo 2024, è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, eccependo la non fondatezza delle questioni sollevate. 2.1.– osserva l’interveniente che il d.l. n. 76 del 2020, a seguito della grave crisi economica provocata dall’emergenza epidemiologica, con la finalità di favorire la ripresa economica, ha inteso «corrispondere alla necessità e urgenza» di assicurare la semplificazione delle procedure amministrative in materia di contratti pubblici, di edilizia e di responsabilità del personale delle amministrazioni, nonché di introdurre misure di semplificazione in materia di digitalizzazione della pubblica amministrazione, ambiente e green economy. in particolare, il Capo iV del Titolo ii del decreto-legge in parola si occuperebbe delle misure di semplificazione in materia di responsabilità dei pubblici dipendenti, delimitandola attraverso una «diversa determinazione dell’ambito di applicazione» delle sanzioni penali e contabili, «con l’obiettivo di garantire una maggiore discrezionalità nell’attuazione dell’azione amministrativa, spesso irrigidita dal rischio di procedimenti giudiziari (il c.d. fenomeno del- l’amministrazione difensiva)». CoNTeNZioSo NAZioNALe in questo contesto troverebbe origine la disposizione in questa sede censurata, ossia l’art. 21, comma 2, che, per i fatti commessi successivamente alla sua entrata in vigore e fino al 31 dicembre 2024, limita la responsabilità amministrativa, per le condotte commissive, alle sole fattispecie dolose. 2.2.– Secondo l’interveniente, nel merito, le questioni non sono fondate. La giurisprudenza costituzionale avrebbe avuto occasione di richiamare la peculiare connotazione della responsabilità amministrativa per danno erariale rispetto alle altre forme di responsabilità previste dall’ordinamento, connotazione che «deriva dalla accentuazione dei profili sanzionatori rispetto a quelli risarcitori (sentenze n. 453 e n. 371 del 1998)» (si cita la sentenza n. 355 del 2010). A differenza di quanto accade per la responsabilità civile, quella amministrativa avrebbe carattere strettamente personale; il relativo debito risarcitorio non sarebbe trasmissibile agli eredi, salvo il caso dell’illecito arricchimento del dante causa e, conseguentemente, degli stessi eredi; ancora, la responsabilità di cui si tratta sarebbe connotata da una «funzione non esclusivamente ripristinatoria del patrimonio dell’ente pubblico, “nella combinazione di elementi restitutori e di deterrenza” (sentenze n. 203 del 2022 e n. 371 del 1998)»; il risarcimento che ne consegue sarebbe parziario e non solidale, assoggettato al potere riduttivo del giudice contabile ed integrato, quanto all’elemento soggettivo, dal dolo o dalla colpa grave. Tale configurazione differenziata della responsabilità erariale sarebbe stata ritenuta costituzionalmente legittima da questa Corte (si citano le sentenze n. 203 del 2022 e n. 453 del 1998). il complesso normativo risultante dal d.l. n. 76 del 2020, come convertito, poi, si porrebbe in linea di logica continuità con le modifiche che l’art. 3, comma 1, lettera a), del d.l. n. 543 del 1996, come convertito, ha apportato all’art. 1 della legge n. 20 del 1994, stabilendo che la responsabilità amministrativa dei dipendenti pubblici è personale e limitata ai fatti ed alle omissioni commessi con dolo o con colpa grave. il Presidente del Consiglio dei ministri osserva quindi che la responsabilità amministrativo- contabile, che presenterebbe alcuni tratti comuni alla responsabilità penale, quali la personalità e la non trasmissibilità agli eredi, «viene definita come la “misura” prevista dall’ordinamento contro colui che, legato da un rapporto di servizio con la pubblica amministrazione, arreca un danno suscettibile di valutazione economica allo Stato o ad altro ente od organismo pubblico, con dolo o colpa grave, in violazione dei suoi doveri di servizio». Ancora, questa Corte più volte avrebbe riconosciuto la legittimità costituzionale della norma che «fissa la responsabilità amministrativa in materia contabile al minimum della colpa grave» (si citano le sentenze n. 355 del 2010, n. 453 e n. 371 del 1998). in relazione alla disposizione censurata, gioverebbe richiamare la relazione illustrativa al disegno di legge di conversione del d.l. n. 76 del 2020, da cui emergerebbe la precipua volontà del legislatore di limitare la responsabilità erariale «al solo profilo del dolo per le azioni e non anche per le omissioni, in modo che i pubblici dipendenti abbiano maggiori rischi di incorrere in responsabilità in caso di non fare (omissioni e inerzie) rispetto al fare, dove la responsabilità viene limitata al solo profilo del dolo». L’art. 21, comma 2, del d.l. n. 76 del 2020, come convertito, dunque, circoscriverebbe la reazione punitiva dell’ordinamento unicamente a chi omette di agire, oltre a chi agisce con dolo, «perseguendo l’intendimento di contrastare il rischio della paralisi amministrativa su cui incide, evidentemente, il timore del pubblico dipendente di incorrere in responsabilità allorché adotti una condotta attiva e operosa». RASSeGNA AVVoCATuRA DeLLo STATo -N. 4/2023 Andrebbe poi evidenziato che l’esenzione dalla responsabilità erariale non esclude l’azione innanzi al giudice ordinario per fare valere la responsabilità civile del dipendente pubblico, che rinverrebbe il proprio fondamento negli artt. 22 e seguenti del d.P.R. n. 3 del 1957. Dall’autonomia dei due giudizi (quello contabile e quello civile) conseguirebbe che è comunque consentito alle pubbliche amministrazioni danneggiate promuovere dinanzi al giudice ordinario l’azione risarcitoria, facendo valere il proprio interesse particolare e concreto (si citano Corte di cassazione, sezioni unite civili, ordinanze 5 agosto 2020, n. 16722 e 10 settembre 2013, n. 20701). in presenza di «condotte antigiuridiche lesive dell’erario», poste in essere da dipendenti delle amministrazioni pubbliche, potrebbero cioè attivarsi entrambe le forme di responsabilità innanzi ai giudici rispettivamente competenti, «nel caso dell’azione civile senza l’applicazione del potere riduttivo del quantum debeatur e degli altri presupposti che delimitano l’azione di responsabilità contabile». 3.– Con memorie depositate fuori termine, si sono costituiti in giudizio T.T. e S.R., parti convenute nel giudizio a quo. Considerato in diritto l.− Con ordinanza del 18 dicembre 2023, iscritta al n. 19 del registro ordinanze 2024, la Corte dei conti, sezione giurisdizionale per la Regione Campania, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 28, 81, 97 e 103 Cost., questioni di legittimità costituzionale dell’art. 21, comma 2, del d.l. n. 76 del 2020, come convertito, che prevede, per le condotte commissive, una temporanea limitazione della responsabilità amministrativa alle sole ipotesi dolose. in particolare, la disposizione censurata, al momento della pubblicazione dell’ordinanza di rimessione, stabiliva che, «[l]imitatamente ai fatti commessi dalla data di entrata in vigore del presente decreto e fino al 30 giugno 2024, la responsabilità dei soggetti sottoposti alla giurisdizione della Corte dei conti in materia di contabilità pubblica per l’azione di responsabilità di cui all’articolo 1 della legge 14 gennaio 1994, n. 20, è limitata ai casi in cui la produzione del danno conseguente alla condotta del soggetto agente è da lui dolosamente voluta. La limitazione di responsabilità prevista dal primo periodo non si applica per i danni cagionati da omissione o inerzia del soggetto agente». il rimettente muove alla disposizione in parola una serie di censure, articolate con riferimento a diversi parametri costituzionali e strettamente intrecciate tra loro. in sostanza, secondo il giudice a quo, l’art. 21, comma 2, del d.l. n. 76 del 2020, come convertito: a) esenta da responsabilità amministrativa i pubblici dipendenti che hanno tenuto una condotta attiva gravemente colposa, così incidendo su un «punto di equilibrio» riconosciuto dalla giurisprudenza costituzionale quale «principio generale» e deresponsabilizzando l’operato dei pubblici dipendenti medesimi, in violazione degli artt. 3 e 97 Cost.; b) pur essendo finalizzato a consentire la ripresa dell’economia duramente penalizzata dalla pandemia, ricomprende qualsiasi condotta attiva e non solo quelle inerenti alla gestione del- l’emergenza epidemiologica o in grado di rilanciare il sistema economico, e non distingue tra attività provvedimentali e materiali, e tra condotte causative di danni verso l’amministrazione e verso terzi, in violazione degli artt. 3 e 97 Cost.; c) opera una «discriminazione irragionevole» tra coloro che hanno la gestione attiva e i compiti «di predisporre i provvedimenti amministrativi» e coloro che hanno obblighi di con CoNTeNZioSo NAZioNALe trollo e vigilanza, i quali ultimi continuano a rispondere anche per condotte commissive connotate da colpa grave, in violazione dell’art. 3 Cost.; d) discrimina tra i lavoratori del settore privato e quelli del settore pubblico, «perché, rispetto ai primi, i secondi, che già godono di un’esenzione per colpa lieve, nell’attualità sono ancora più avvantaggiati essendo responsabili […] solo per condotte attive dolose o omissive gravemente colpose», in violazione dell’art. 3 Cost.; e) sottrae alla giurisdizione della Corte dei conti «l’assoggettabilità a responsabilità» delle condotte attive gravemente colpose, ossia di un’ampia area di condotte foriere di danno erariale, in violazione dell’art. 103 Cost.; f) “svuota” la responsabilità del pubblico dipendente e, al contempo, impedisce all’amministrazione di ricevere adeguato ristoro nel caso di condotte attive gravemente colpose e causative di danno, «che non poco contribuiscono ai deficit dei bilanci pubblici», in violazione degli artt. 28 e 81 Cost. 2.− il termine finale della delimitazione della responsabilità introdotta dalla disposizione censurata è stato più volte modificato, come pure evidenziato dallo stesso rimettente. Tale termine, originariamente fissato al 31 luglio 2021, è stato in un primo momento, in sede di conversione, spostato al 31 dicembre 2021; poi al 30 giugno 2023, indi al 30 giugno 2024 e, infine, al 31 dicembre del medesimo anno (ad opera, rispettivamente, dell’art. 51, comma 1, lettera h, del decreto-legge 31 maggio 2021, n. 77, recante «Governance del Piano nazionale di rilancio e resilienza e prime misure di rafforzamento delle strutture amministrative e di accelerazione e snellimento delle procedure», convertito, con modificazioni, nella legge 29 luglio 2021, n. 108; dell’art. 1, comma 12-quinques, lettera a, del decreto-legge 22 aprile 2023, n. 44, recante «Disposizioni urgenti per il rafforzamento della capacità amministrativa delle amministrazioni pubbliche», convertito, con modificazioni, nella legge 21 giugno 2023, n. 74; e dell’art. 8, comma 5-bis, del decreto-legge 30 dicembre 2023, n. 215, recante «Disposizioni urgenti in materia di termini normativi», convertito, con modificazioni, nella legge 23 febbraio 2024, n. 18). 3.− in via preliminare e in primo luogo, deve escludersi che l’ultima modifica normativa di cui si è dato conto -l’unica sopravvenuta all’ordinanza di rimessione -imponga la restituzione degli atti al giudice a quo per una nuova valutazione sulla rilevanza, perché lo ius superveniens, limitandosi a spostare in avanti il termine finale di vigenza della norma censurata, non ha inciso sulla sua applicazione ai fatti pregressi (tra le tante, sentenza n. 257 del 2017). Va parimenti esclusa, in secondo luogo, la necessità di una restituzione degli atti per una nuova valutazione sulla non manifesta infondatezza, dal momento che l’intervento normativo, nel prolungare l’efficacia della disciplina censurata, lungi dal muoversi nella direzione auspicata dal rimettente, aggrava i denunciati vizi di legittimità costituzionale (tra le tante, sentenze n. 213 del 2021, n. 51 del 2019, n. 125 e n. 33 del 2018). Piuttosto, poiché lo ius superveniens, al pari delle precedenti proroghe, ha inciso solo sull’orizzonte temporale della disposizione, lo scrutinio di legittimità costituzionale va condotto sulla disposizione medesima come da ultimo modificata, «rimanendo sostanzialmente invariata la norma in essa contenuta e, con essa, le censure che la investono (ex plurimis, sentenze n. 44 del 2018 e n. 84 del 1996)» (sentenza n. 165 del 2020). 4.− in punto di rilevanza, il rimettente deduce che nove degli assegni con cui è stata operata la sottrazione fraudolenta ad opera del cassiere sono stati co-firmati da alcuni dei convenuti nel giudizio a quo in epoca successiva all’entrata in vigore del decreto-legge e prima del 20 gennaio 2021. RASSeGNA AVVoCATuRA DeLLo STATo -N. 4/2023 Trattandosi di condotte commissive ricomprese nell’arco temporale indicato dalla disposizione censurata e gravemente colpose -perché compiute in macroscopica violazione del- l’obbligo di verifica della regolarità e correttezza del procedimento di spesa gravante sui medesimi convenuti -esse, in forza della disposizione censurata, non potrebbero essere prese in considerazione al fine di accertare la loro quota di responsabilità. il giudice a quo precisa, poi, che tali condotte non potrebbero essere considerate omissive il che escluderebbe la rilevanza delle questioni, dal momento che la disposizione censurata esonera da responsabilità per colpa grave unicamente quelle commissive -sol perché ai menzionati convenuti è rimproverato di avere apposto le firme omettendo di esercitare i dovuti controlli. Siffatta motivazione regge al controllo “esterno” rimesso a questa Corte e limitato alla verifica della sua non manifesta implausibilità, erroneità o contraddittorietà (tra le tante, sentenze n. 50 del 2024, n. 164 del 2023, n. 192 del 2022 e n. 32 del 2021). La condotta produttiva di danno erariale contestata ad alcuni dei convenuti è infatti quella di avere co-firmato assegni poi indebitamente riscossi dal cassiere e, dal punto di vista naturalistico, non vi è dubbio che abbia natura commissiva. Lo stesso giudice contabile, chiamato ad individuare l’ambito di operatività della disposizione oggi censurata, ha in diverse occasioni fatto riferimento a tale approccio naturalistico per distinguere tra condotte commissive e omissive (Corte dei conti, sezione giurisdizionale per la Sardegna, sentenza 9 febbraio 2024, n. 32; sezione giurisdizionale per il Trentino-Alto Adige, sentenza 21 giugno 2023, n. 19; sezione giurisdizionale per la Regione siciliana, sentenza 13 giugno 2023, n. 305; sezione giurisdizionale per l’emilia-Romagna, sentenza 21 aprile 2022, n. 72). 5.– Prima di esaminare il merito delle questioni, è necessario brevemente tratteggiare le caratteristiche salienti della responsabilità amministrativa dei soggetti sottoposti alla giurisdizione della Corte dei conti. 5.1.– Come già ricordato da questa Corte (sentenza n. 203 del 2022), la responsabilità in questione rinviene la sua prima vigente fonte normativa nell’art. 82, primo comma, del r.d. n. 2440 del 1923, secondo cui «[l]’impiegato che, per azione od omissione, anche solo colposa, nell’esercizio delle sue funzioni, cagioni danno allo Stato, è tenuto a risarcirlo». essa è esercitata innanzi alla Corte dei conti dal pubblico ministero contabile ed è principalmente regolata, sul piano sostanziale, dall’art. 1 della legge n. 20 del 1994, mentre gli aspetti processuali della correlativa azione sono ora disciplinati dal decreto legislativo 26 agosto 2016, n. 174 (Codice di giustizia contabile, adottato ai sensi dell’articolo 20 della legge 7 agosto 2015, n. 124). i fondamentali tratti della responsabilità in questione, per come stratificatisi nel tempo anteriormente alla disposizione censurata, sono i seguenti: – è una responsabilità personale, il cui debito non è trasmissibile agli eredi (salve le ipotesi di illecito arricchimento del dante causa e di conseguente indebito arricchimento degli eredi stessi: art. 1, comma 1, della legge n. 20 del 1994); – l’elemento psicologico richiesto per l’integrazione dell’illecito è il dolo o la colpa grave, con esclusione della colpa lieve (art. 1, comma 1, della legge n. 20 del 1994, per come modificato dall’art. 3, comma 1, lettera a, del d.l. n. 543 del 1996, come convertito); – dà luogo ad un’obbligazione non solidale ma parziaria (art. 1, comma 1-quater, della legge n. 20 del 1994, ai sensi del quale «[s]e il fatto dannoso è causato da più persone, la Corte dei conti, valutate le singole responsabilità, condanna ciascuno per la parte che vi ha preso»); CoNTeNZioSo NAZioNALe – non si estende al «merito delle scelte discrezionali» (art. 1, comma 1, della legge n. 20 del 1994); – in caso di decisioni di organi collegiali, «si imputa esclusivamente a coloro che hanno espresso voto favorevole» e, in caso di «atti che rientrano nella competenza propria degli uffici tecnici o amministrativi», non si estende ai titolari degli organi politici che in buona fede li abbiano approvati ovvero ne abbiano autorizzato o consentito l’esecuzione (art. 1, comma 1-ter, della legge n. 20 del 1994); – il giudice può esercitare il cosiddetto “potere riduttivo” (art. 83, primo comma, del r.d. n. 2440 del 1923, secondo cui la Corte dei conti, «valutate le singole responsabilità, può porre a carico dei responsabili tutto o parte del danno accertato o del valore perduto»); – è caratterizzata dall’operare di una estesa compensatio lucri cum damno (art. 1, comma 1-bis, della legge n. 20 del 1994, secondo cui «[n]el giudizio di responsabilità, fermo restando il potere di riduzione, deve tenersi conto dei vantaggi comunque conseguiti dall’amministrazione di appartenenza, o da altra amministrazione, o dalla comunità amministrata in relazione al comportamento degli amministratori o dei dipendenti pubblici soggetti al giudizio di responsabilità »); – il suo termine prescrizionale è di cinque anni, «decorrenti dalla data in cui si è verificato il fatto dannoso, ovvero, in caso di occultamento doloso del danno, dalla data della sua scoperta » (art. 1, comma 2, della legge n. 20 del 1994). 5.2.– La dottrina prevalente e la stessa giurisprudenza costituzionale sottolineano il carattere composito della responsabilità in esame, in ragione del concorrere delle funzioni di prevenzione, risarcitoria e sanzionatoria (tra le più recenti, sentenze n. 123 del 2023 e n. 203 del 2022). La responsabilità amministrativa per danno erariale, pur combinando «elementi restitutori e di deterrenza» (sentenza n. 371 del 1998) e nonostante in più aspetti si discosti dall’archetipo della comune disciplina civilistica (sentenze n. 123 del 2023, n. 203 del 2022, n. 355 del 2010 e n. 453 del 1998), non smarrisce la sua natura risarcitoria di fondo (tra le tante, Corte dei conti, sezione giurisdizionale per la Regione siciliana, sentenza 21 gennaio 2021, n. 59; sezioni riunite giurisdizionali, sentenze 18 giugno 2015, n. 28, 27 dicembre 2007, n. 12, e 1° marzo 1996, n. 26; nello stesso senso, Corte europea dei diritti dell’uomo, seconda sezione, sentenza 13 maggio 2014, Rigolio contro italia), essendo ancorata al danno subito, dal momento che in assenza dello stesso e oltre lo stesso non può esservi responsabilità. 6.– Nel merito, la questione avente priorità logica è quella con cui il rimettente dubita che il legislatore possa discostarsi, senza porsi in contrasto con gli artt. 3 e 97 Cost., dal principio generale dell’ordinamento che vedrebbe nella imputabilità a titolo di dolo e colpa grave il giusto «punto di equilibrio del sistema», che individua «il quantum di rischio che deve ricadere sul datore di lavoro amministrazione pubblica per i danni causati dai dipendenti, nell’ottica, da un lato», di incentivare l’operato attivo degli amministratori e, dall’altro, di «non incentivare condotte» negligenti e «foriere di danno». 6.1– La questione non è fondata. 6.2.– L’art. 21, comma 2, del d.l. n. 76 del 2020, come convertito, ha introdotto una disciplina provvisoria (prorogata con successivi decreti-legge fino al 31 dicembre 2024), che, quanto alle condotte attive, limita la responsabilità dei soggetti sottoposti alla giurisdizione della Corte dei conti alle sole ipotesi dolose. il legislatore, con la disposizione in esame, ha così modificato, in via temporanea, la disciplina dell’elemento soggettivo della responsabilità amministrativa, che l’art. 1, comma 1, della RASSeGNA AVVoCATuRA DeLLo STATo -N. 4/2023 legge n. 20 del 1994 (come modificato dall’art. 3, comma 1, lettera a, del d.l. n. 543 del 1996, come convertito) àncora, a regime, al dolo e alla colpa grave. il riassetto della responsabilità amministrativa recato proprio da quest’ultima legge era una componente di un processo riformatore di più ampio respiro che ha avuto luogo negli anni Novanta del secolo scorso. i suoi tasselli principali erano costituiti dalla legge 8 giugno 1990, n. 142 (ordinamento delle autonomie locali), dalla legge 7 agosto 1990, n. 241 (Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi), dal decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29 (Razionalizzazione della organizzazione delle Amministrazioni pubbliche e revisione della disciplina in materia di pubblico impiego, a norma dell’articolo 2 della legge 23 ottobre 1992, n. 421), nonché dalla legge 15 marzo 1997, n. 59 (Delega al Governo per il conferimento di funzioni e compiti alle regioni ed enti locali, per la riforma della pubblica amministrazione e per la semplificazione amministrativa), dalla legge 15 maggio 1997, n. 127 (Misure urgenti per lo snellimento dell’attività amministrativa e dei procedimenti di decisione e di controllo), e dal decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112 (Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle regioni ed agli enti locali, in attuazione del capo i della legge 15 marzo 1997, n. 59). Attraverso un articolato e complessivo processo di riforma si introduceva un nuovo modello di pubblica amministrazione. in particolare, quest’ultima, come stabilito dalla legge n. 241 del 1990, oltre che dal principio di legalità, sarebbe stata retta dai criteri di economicità ed efficacia (art. 1). i dirigenti, poi, in forza della legge n. 142 del 1990 e del d.lgs. n. 29 del 1993, si sono visti compiutamente attribuire il compito di conseguire gli obiettivi assegnati dagli organi di governo e, conseguenzialmente, sono stati configurati quali responsabili per i risultati effettivamente raggiunti. Tali fondamentali innovazioni -tra le altre -marcavano il passaggio da un’amministrazione che, secondo il modello dello Stato di diritto liberale, doveva dare semplicemente esecuzione alla legge, adottando un singolo e puntuale atto amministrativo, a quella che è stata definita “amministrazione di risultato”, cioè un’amministrazione che deve raggiungere determinati obiettivi di policy e che risponde dei risultati economici e sociali conseguiti attraverso la sua complessiva attività. Con la descritta evoluzione del sistema, il legislatore, anche a mezzo del riassetto della responsabilità amministrativa operato dalla legge n. 20 del 1994 e dalle successive modifiche, intendeva promuovere un’amministrazione sempre meno relegata all’esecuzione del già deciso con la legge, ma orientata -appunto -al risultato, e perciò sempre più ampiamente investita del compito di scegliere, nell’ambito della cornice legislativa, i mezzi di azione ritenuti più appropriati, di ponderare i molteplici interessi pubblici e privati coinvolti dalla decisione amministrativa, di legare insieme in un disegno unitario differenti atti e provvedimenti, e di assicurare l’efficienza, operando in un orizzonte temporale ben preciso (il tempo, a partire dall’art. 2 della legge n. 241 del 1990, non è più una variabile indipendente dell’agire amministrativo). L’ampia discrezionalità, peraltro esercitata in un ambiente in cui la complessità istituzionale, sociale e giuridica è andata progressivamente crescendo, è una componente essenziale e caratterizzante tale tipo di amministrazione. La necessità di scegliere, entro un termine predeterminato, sovente tra un ventaglio ampio di possibilità e in un ambito non più integralmente tracciato dalla legge, accresce inevitabilmente la possibilità di errori da parte dell’agente pubblico, ingenerando il rischio della sua inazione. CoNTeNZioSo NAZioNALe Per evitare tale pericolo, come ricordato, l’art. 3, comma 1, lettera a), del d.l. n. 543 del 1996, come convertito (modificando l’art. 1, comma 1, della legge n. 20 del 1994), ha escluso la colpa lieve dalla configurazione dell’elemento soggettivo della responsabilità amministrativa, che pertanto è stata circoscritta ai casi di dolo o colpa grave. il sistema di tale responsabilità -anche attraverso il quale, unitamente ai controlli, si estrinseca il ruolo fondamentale della Corte dei conti di organo posto al servizio (anche) dello Stato- comunità e garante imparziale della corretta gestione delle risorse pubbliche (tra le tante, sentenze n. 80 del 2017 e n. 40 del 2014) -doveva, infatti, per necessità di armonia istituzionale, atteggiarsi in modo differente col cambiare del modello di amministrazione cui afferisce. 6.3.– Questa Corte, chiamata a giudicare della legittimità costituzionale della da ultimo menzionata scelta legislativa, in una decisione che costituisce la testata d’angolo della sua giurisprudenza nella materia, ha chiarito che già i relativi lavori preparatori evidenziavano «l’intento di predisporre, nei confronti degli amministratori e dei dipendenti pubblici un assetto normativo in cui il timore della responsabilità non esponga all’eventualità di rallentamenti ed inerzie nello svolgimento dell’attività amministrativa» (sentenza n. 371 del 1998). Pertanto, «[n]ella combinazione di elementi restitutori e di deterrenza che connotano l’istituto qui in esame, la disposizione risponde […] alla finalità di determinare quanto del rischio dell’attività debba restare a carico dell’apparato e quanto a carico del dipendente, nella ricerca di un punto di equilibrio tale da rendere, per dipendenti ed amministratori pubblici, la prospettiva della responsabilità ragione di stimolo, e non di disincentivo» (così, la citata sentenza n. 371 del 1998). in questa prospettiva va inquadrata la disciplina della responsabilità amministrativa in generale e del suo elemento soggettivo in particolare, e tale ottica è stata in seguito più volte ribadita (sentenze n. 203 del 2022 e n. 355 del 2010). essa, dunque, si sostanzia nella scelta della ripartizione del rischio dell’attività tra l’apparato e l’agente pubblico, al fine di trovare un giusto punto di equilibrio. Quest’ultimo va individuato tenendo conto, in particolare, di due esigenze. Da una parte, la responsabilità amministrativa, oltre a una funzione risarcitoria, variamente modulabile, ha una funzione deterrente. La sua stessa esistenza scoraggia i comportamenti non solo dolosi ma anche gravemente negligenti dei funzionari pubblici, che pregiudicano il buon andamento della pubblica amministrazione (art. 97 Cost.) e gli interessi degli stessi amministrati, la cui contribuzione al funzionamento della macchina pubblica potrebbe essere dissipata senza alcun beneficio per la collettività. Dall’altra parte, vi è l’esigenza di impedire che, in relazione alle modalità dell’agire amministrativo, il rischio dell’attività sia percepito dall’agente pubblico come talmente elevato da fungere da disincentivo all’azione, pregiudicando, anche in questo caso, il buon andamento. il punto di equilibrio può non essere fissato dal legislatore una volta per tutte, ma modulato in funzione del contesto istituzionale, giuridico e storico in cui opera l’agente pubblico, e del bilanciamento che il legislatore medesimo -nel rispetto del limite della ragionevolezza -intende effettuare, in tale contesto, tra le due menzionate esigenze. La stessa scelta legislativa della limitazione della responsabilità alle ipotesi dolose e gravemente colpose, positivamente scrutinata da questa Corte con la citata sentenza n. 371 del 1998, si collocava nel processo di trasformazione dell’amministrazione di cui si è fatto cenno. in linea con le considerazioni testé svolte, nella giurisprudenza costituzionale è del resto costante l’affermazione che la concreta configurazione della responsabilità amministrativa e RASSeGNA AVVoCATuRA DeLLo STATo -N. 4/2023 la definizione del margine di discostamento dai principi comuni della materia sono rimessi alla discrezionalità del legislatore (sentenze n. 123 del 2023, n. 203 del 2022, n. 355 del 2010, n. 371 del 1998, n. 411 del 1988 e ordinanza n. 168 del 2019), «con il solo limite della non manifesta irragionevolezza e arbitrarietà della scelta» (sentenza n. 355 del 2010; nello stesso senso, sentenza n. 371 del 1998, ordinanze n. 168 del 2019, n. 219, n. 221 e n. 286 del 2011). 6.4.– Nel tempo trascorso successivamente alla ricordata legislazione di riforma degli anni Novanta del secolo scorso e alla sentenza n. 371 del 1998, la scelta a favore di un’amministrazione di risultato si è andata via via consolidando (ad esempio, con il decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, recante «Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche», con la legge 15 luglio 2002, n. 145, recante «Disposizioni per il riordino della dirigenza statale e per favorire lo scambio di esperienze e l’interazione tra pubblico e privato», e con il decreto legislativo 27 ottobre 2009, n. 150, recante «Attuazione della legge 4 marzo 2009, n. 15, in materia di ottimizzazione della produttività del lavoro pubblico e di efficienza e trasparenza delle pubbliche amministrazioni»). Particolarmente emblematico di questa tendenza è il recente decreto legislativo 31 marzo 2023, n. 36 (Codice dei contratti pubblici, in attuazione dell’articolo 1 della legge 21 giugno 2022, n. 78, recante delega al Governo in materia di contratti pubblici). Quest’ultimo, nel- l’enunciare i principi generali che reggono l’azione amministrativa nella materia colloca, rispettivamente agli artt. 1 e 2, il «principio del risultato» e quello correlato della «fiducia». in particolare, l’art. 1 stabilisce, al comma 4, che il principio del risultato costituisce «criterio prioritario per l’esercizio del potere discrezionale e per l’individuazione della regola del caso concreto, nonché per […] valutare la responsabilità del personale che svolge funzioni amministrative o tecniche nelle fasi di programmazione, progettazione, affidamento ed esecuzione dei contratti». Quanto al principio della fiducia, il nuovo codice dei contratti afferma che esso «favorisce e valorizza l’iniziativa e l’autonomia decisionale dei funzionari pubblici, con particolare riferimento alle valutazioni e alle scelte per l’acquisizione e l’esecuzione delle prestazioni secondo il principio del risultato» (art. 2, comma 2). Coerentemente con la valorizzazione del principio del risultato e di quello della fiducia, e a riprova della stretta correlazione che esiste tra modello di amministrazione pubblica e regime della responsabilità amministrativa, il codice dei contratti ha ridotto la quota di rischio a carico del dipendente pubblico. infatti, da un lato, ha operato una tipizzazione della colpa grave rilevante in sede di responsabilità amministrativa (art. 2, comma 3), e, dall’altro, ha posto a carico dell’amministrazione una serie di obblighi, tra cui quello di adottare azioni per la copertura assicurativa dei rischi per il personale (artt. 2, comma 4, e 15, comma 7). 6.5.– Nei decenni successivi alla riforma della responsabilità amministrativa del 1994 la complessità dell’ambiente in cui operano gli agenti pubblici è divenuta ancora maggiore, sul piano istituzionale, giuridico e fattuale, rendendo più difficili le scelte amministrative in cui si estrinseca la discrezionalità e più facile l’errore, anche grave. A questo riguardo è sufficiente richiamare alcune tendenze. in primo luogo, va sottolineato come l’individuazione delle norme da applicare al caso concreto sia estremamente problematica e sovente non dia luogo a risultati univoci, a causa di un sistema giuridico multilivello in cui operano fonti di provenienza diversa (eurounitaria, statale, regionale e locale), spesso tra loro non coordinate. A ciò si aggiungono le difficoltà interpretative derivanti da una caotica produzione legislativa, alimentata dalla “fame di norme” delle società moderne e dal ricorso frequente da parte della legge a “compromessi dilatori”, che trasferiscono quasi interamente sull’ammini CoNTeNZioSo NAZioNALe strazione il compito di determinare l’assetto di interessi ed esigenze tra loro confliggenti. in secondo luogo, non possono non essere tenuti in considerazione i costanti tagli alle risorse finanziarie, umane e strumentali delle amministrazioni, a causa delle ben note esigenze di bilancio, in presenza di un elevatissimo debito pubblico. Amministrare con mezzi spesso inadeguati accresce il rischio che il dipendente pubblico commetta un errore, che potrebbe essere qualificato in sede di responsabilità amministrativa come frutto di grave negligenza. in terzo luogo, vi sono alcune tendenze strutturali delle odierne società e dei loro sistemi amministrativi. Da un lato, il pluralismo sociale e il pluralismo istituzionale si proiettano nei procedimenti amministrativi e nelle istituzioni pubbliche, rendendo sempre più problematica ed esposta alla contestazione la ponderazione di tali interessi in cui si risolve l’esercizio della discrezionalità amministrativa. Dall’altro, vi è il moltiplicarsi dei rischi provocati dalla stessa attività umana e che spesso sono conseguenze non intenzionali dello sviluppo tecnologico ed economico (rischi ambientali, sanitari, connessi al clima, legati alle dinamiche delle catene globali del valore, finanziari, inerenti alla sicurezza pubblica, et cetera). Sull’agente pubblico si scarica così la difficile scelta tra quale delle due esigenze privilegiare: l’esigenza di precauzione, con i suoi costi, ovvero quella di favorire l’iniziativa economica, la creazione di posti di lavoro, la raccolta di risorse sui mercati finanziari, e cioè tutte attività che, in caso di concretizzazione di qualcuno dei rischi menzionati, sono suscettibili di cagionare danni all’amministrazione e alla collettività. Gli sviluppi sinteticamente richiamati hanno accentuato la “fatica dell’amministrare”, rendendo difficile l’esercizio della discrezionalità amministrativa e stimolando, come reazione al rischio percepito di incorrere in responsabilità, la “burocrazia difensiva”. Quest’ultima risulta peraltro alimentata anche dall’incertezza provocata da una disciplina che si affida a un concetto giuridico indeterminato, quale quello della colpa grave, anziché procedere a una sua tipizzazione. 6.6.– il consolidamento dell’amministrazione di risultato e i profondi mutamenti del contesto in cui essa opera giustificano la ricerca legislativa di nuovi punti di equilibrio che riducano la quantità di rischio dell’attività che grava sull’agente pubblico, in modo che il regime della responsabilità, nel suo complesso, non funga da disincentivo all’azione. Come avviene anche per altre forme di responsabilità, è necessario ricercare un equilibrio tra i pericoli di overdeterrence e underdeterrence. Non esiste una disciplina che li escluda entrambi e il legislatore è chiamato inevitabilmente a decidere di contrastare prevalentemente l’uno o l’altro, e inversamente di considerare socialmente più accettabile un pericolo anziché l’altro. 6.6.1.– Le ricordate trasformazioni, tuttavia, non potrebbero concretizzarsi, sullo specifico piano dell’elemento soggettivo, in un regime ordinario che limitasse la responsabilità amministrativa alla sola ipotesi del dolo. in tale evenienza, infatti, non si realizzerebbe una ragionevole ripartizione del rischio, che invece sarebbe addossato in modo assolutamente prevalente alla collettività, la quale dovrebbe sopportare integralmente il danno arrecato dall’agente pubblico. i comportamenti macroscopicamente negligenti non sarebbero scoraggiati e, pertanto, la funzione deterrente della responsabilità amministrativa, strumentale al buon andamento dell’amministrazione, ne sarebbe irrimediabilmente indebolita. 6.6.2.– Diverso, però, è il caso in cui la disciplina che circoscriva alle sole ipotesi di dolo RASSeGNA AVVoCATuRA DeLLo STATo -N. 4/2023 l’elemento soggettivo della responsabilità riguardi esclusivamente un numero limitato di agenti pubblici o determinate attività amministrative, allorché esse presentino, per le loro caratteristiche intrinseche, un grado di rischio di danno talmente elevato da scoraggiare sistematicamente l’azione e dare luogo alla “amministrazione difensiva”. Non a caso, questa Corte, con la sentenza n. 108 del 1967, ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale di una disposizione che, per quanto qui rileva, limitava la responsabilità degli agenti contabili e degli ordinatori di spesa delle sovrintendenze alle sole condotte dolose per il quinquennio antecedente alla sua entrata in vigore. Nel respingere la censura di violazione del principio di eguaglianza, la sentenza citata ha osservato che il trattamento differenziato riservato ai suddetti funzionari era sorretto da criteri logici e razionali di tipo soggettivo (lo «stato di disagio e apprensione» dei funzionari medesimi) e oggettivo («in relazione alle obiettive particolarità della situazione»), nonché della stessa transitorietà della disciplina. in altra occasione, si è chiarito che il legislatore, con il limite della ragionevolezza, al fine di «garantire un più sollecito ed efficiente svolgimento dell’azione amministrativa», è libero di disciplinare diversamente «la determinazione e la graduazione dei tipi e dei limiti di responsabilità che, in relazione alle varie categorie di dipendenti pubblici o alle particolari situazioni regolate, appaiano come le forme più idonee a garantire l’attuazione dei […] principi costituzionali» (sentenza n. 1032 del 1988). 6.6.3.– Parimenti, può essere ritenuta non irragionevole una disciplina provvisoria che limiti al dolo l’elemento soggettivo della responsabilità amministrativa, avuto riguardo a un contesto particolare che richieda tale limitazione al fine di assicurare la maggiore efficacia dell’attività amministrativa e, attraverso essa, la tutela di interessi di rilievo costituzionale. una disciplina provvisoria che limiti l’elemento soggettivo al dolo può essere non irragionevole, anche se indebolisce la funzione deterrente, in quanto radicata nella particolarità di uno specifico contesto in cui la tutela di fondamentali interessi di rilievo costituzionale richieda che l’attività amministrativa si svolga in modo tempestivo e senza alcun tipo di ostacoli, neppure di quelli che derivano dal timore di incorrere (al di fuori delle ipotesi dolose) nella responsabilità amministrativa. 6.7.– Questo è il caso della disposizione oggetto di censura, che origina in un contesto del tutto peculiare e che pone una disciplina provvisoria, la cui efficacia cesserà il 31 dicembre 2024. Tale disposizione è stata introdotta dal d.l. n. 76 del 2020, che, come esplicitato nel suo preambolo, è stato adottato in ragione della «straordinaria necessità e urgenza di realizzare un’accelerazione degli investimenti e delle infrastrutture attraverso la semplificazione delle procedure in materia di contratti pubblici e di edilizia, operando senza pregiudizio per i presidi di legalità», e di «introdurre misure di semplificazione procedimentale e di sostegno e diffusione dell’amministrazione digitale, nonché interventi di semplificazione in materia di responsabilità del personale delle amministrazioni, nonché di adottare misure di semplificazione in materia di attività imprenditoriale, di ambiente e di green economy, al fine di fronteggiare le ricadute economiche conseguenti all’emergenza epidemiologica da Covid-19». Nel Capo iV del Titolo ii del decreto-legge in esame, dedicato alle responsabilità dei dipendenti pubblici, il legislatore è intervenuto, con l’art. 21, sulla disciplina della responsabilità amministrativa, e, all’art. 23, ha modificato in senso restrittivo la disciplina del reato di abuso d’ufficio. Come ha osservato questa Corte, quando ha deciso le questioni di legittimità costituzionale sollevate sul citato art. 23, il d.l. n. 76 del 2020 si occupa, nel Capo menzionato, CoNTeNZioSo NAZioNALe «delle due principali fonti di “timore” per il pubblico amministratore (e, dunque, dei suoi “atteggiamenti difensivistici”): la responsabilità erariale e la responsabilità penale» (sentenza n. 8 del 2022). Nella medesima sentenza, si è osservato che, «[b]enché l’esigenza di contrastare la “burocrazia difensiva” e i suoi guasti, agendo sulle cause del fenomeno, fosse già da tempo avvertita, la scelta di porre mano all’intervento è maturata solo a seguito dell’emergenza pandemica da CoViD-19, nell’ambito di un eterogeneo provvedimento d’urgenza volto a dare nuovo slancio all’economia nazionale, messa a dura prova dalla prolungata chiusura delle attività produttive disposta nella prima fase acuta dell’emergenza». La disposizione censurata, pertanto, può trovare idonea giustificazione in relazione al peculiarissimo contesto economico e sociale in cui l’emergenza pandemica da CoViD-19 aveva determinato la prolungata chiusura delle attività produttive, con danni enormi per l’economia nazionale e conseguente perdita di numerosi punti del prodotto interno lordo (PiL), e che aveva ovvie ricadute negative sulla stessa coesione sociale e la tutela dei diritti. Per superare la grave crisi e rimettere in movimento il motore dell’economia, il legislatore ha ritenuto indispensabile che l’amministrazione pubblica operasse senza remore e non fosse, al contrario, a causa della sua inerzia, un fattore di ostacolo alla ripresa economica. Tale esigenza era legata alla tutela di interessi vitali della società italiana, dotati di una sicura rilevanza costituzionale, tra cui, a titolo esemplificativo, si menzionano l’eguaglianza (art. 3 Cost.), il diritto al lavoro (artt. 4 e 35 Cost.), i vari diritti sociali la cui effettività richiede che nel bilancio pubblico possano confluire risorse con cui sostenere finanziariamente le correlate prestazioni pubbliche (artt. 32, 33, 34 e 38 Cost.), e la libertà di iniziativa economica (art. 41 Cost.). L’esigenza di contrastare nel modo più efficace possibile la tendenza alla “burocrazia difensiva” -che si è accentuata per effetto delle trasformazioni strutturali precedentemente sintetizzate -induceva il legislatore, nel contesto descritto, allo spostamento temporaneo della configurazione dell’elemento soggettivo verso il polo dell’underdeterrence. L’obiettivo di stimolare l’attività degli agenti pubblici in un contesto specifico e provvisorio, evitando che la responsabilità amministrativa possa operare come disincentivo, si riflette, poi, coerentemente, nella limitazione dell’intervento legislativo alle sole condotte attive, «in modo che i pubblici dipendenti abbiano maggiori rischi di incorrere in responsabilità in caso di non fare (omissioni e inerzie) rispetto al fare, dove la responsabilità viene limitata al dolo» (così la relazione illustrativa del d.l. n. 76 del 2020. 6.8.– Le proroghe della disposizione censurata sono state operate nella fase successiva alla crisi economica provocata dalla pandemia. in questa nuova fase si è manifestata la necessità di «semplificare e agevolare la realizzazione dei traguardi e degli obiettivi stabiliti» (così, il dossier del servizio studi del Senato n. 394/3 del 26 luglio 2021, relativo al d.l. n. 77 del 2021) dal Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR), in attesa, peraltro, di una «complessiva revisione della disciplina sulla responsabilità amministrativo-contabile» (così, l’art. 1, comma 12-quinquies, lettera a, del d.l. n. 44 del 2023, come convertito). il PNRR è il mezzo con cui, all’interno di ciascuno Stato, si realizzano gli obiettivi di Next Generation EU (NGeu), il quale è uno strumento europeo temporaneo di politica economica che, per il periodo compreso tra il 2021 e il 2026, mobilita risorse complessive per circa 807 miliardi di euro. NGeu -il cui obiettivo principale consiste nel superare la crisi determinata dalla pandemia RASSeGNA AVVoCATuRA DeLLo STATo -N. 4/2023 stimolando una crescita delle economie europee che sia sostenibile e che, pertanto, promuova la loro «doppia transizione verde e digitale» -è composto di sette programmi, di cui il recovery and resilience Facility (RRF) è di gran lunga il principale con una copertura fino a circa 724 miliardi di euro. L’italia, cui sono attualmente destinati 194,4 miliardi di euro, è il maggior beneficiario del RRF, per due ordini di ragioni, indicate nello stesso PNRR. La pandemia ha colpito l’economia italiana più di altri Paesi europei, segnando una caduta del PiL nel 2020 superiore a quella media dell’ue, e ha mostrato in particolare le debolezze del suo sistema sanitario, a lungo sottovalutate. A questa motivazione di ordine congiunturale si aggiunge un’altra di ordine strutturale legata alle fragilità della nostra economia e alle sue ricadute negative sulla società. Per attivare un sentiero di crescita economica sostenibile, il PNRR prevede un complesso di investimenti e di riforme organizzate, ad oggi, in sette Missioni (a loro volta suddivise in sedici Componenti e 216 Misure), caratterizzate da tre obiettivi trasversali: 1) parità di genere; 2) protezione e valorizzazione dei giovani; 3) superamento dei divari territoriali. L’attuazione del PNRR avviene secondo un cronoprogramma con milestones definite e il trasferimento delle risorse avviene periodicamente per tranches, a seguito di un procedimento di verifica del conseguimento da parte dello Stato dei traguardi intermedi. Nel peculiare contesto che si è sintetizzato, ogni indugio e ritardo delle amministrazioni pubbliche può compromettere il rispetto del cronoprogramma stabilito, bloccando, alla scadenza prevista, l’erogazione da parte dell’ue della tranche di risorse stanziate. Compromettere l’attuazione del PNRR equivale a impedire la ripresa di un sentiero di crescita economica sostenibile e il superamento di alcuni divari economici, sociali e di genere. Con la conseguenza che l’inerzia amministrativa, nel contesto descritto, viene a pregiudicare gravemente interessi di grande rilevanza costituzionale, quali il rispetto degli obblighi assunti in sede ue (artt. 11 e 117, primo comma, Cost.), la tutela dell’ambiente (art. 9 Cost.) e la realizzazione di un’economia sostenibile (art. 41 Cost.), l’equilibrio di bilancio e la sostenibilità del debito pubblico (art. 81 Cost.), gli interessi delle future generazioni (art. 9 Cost.), l’eguaglianza, anche di genere (art. 3 Cost.), e la coesione territoriale (artt. 5 e 119 Cost). il che, anche per tale fase, rende ragionevole il punto di equilibrio che, limitatamente alle condotte attive, provvisoriamente limita l’elemento soggettivo della responsabilità amministrativa al solo dolo. 7.– Con la seconda questione, il rimettente lamenta la violazione dei principi di ragionevolezza e buon andamento della pubblica amministrazione, sotto il profilo del difetto di proporzionalità e congruità dello spettro applicativo della disposizione. Secondo il giudice a quo, infatti, la pur legittima finalità perseguita da quest’ultima sarebbe tradita dalla ricomprensione nel suo ambito di operatività delle condotte materiali, di quelle non inerenti alla gestione dell’attività pandemica e al rilancio dell’economia, nonché di quelle foriere di danni diretti all’amministrazione. 7.1.– Deve innanzitutto precisarsi, che -a differenza di quanto in alcuni passaggi sembra assumere la Corte dei conti e come risulta evidente dalle considerazioni rassegnate nel paragrafo che precede -la norma censurata non è finalizzata a fare fronte alla gestione dell’emergenza pandemica. essa, invece, persegue, nella sua logica iniziale, il fine ultimo di contribuire al rilancio dell’economia a seguito della sua ben nota crisi, ingenerata, in primo luogo, dalla pandemia; e, in relazione alle proroghe, quello di consentire l’imprescindibile raggiungimento degli obiettivi posti dal PNRR. CoNTeNZioSo NAZioNALe 7.2.– Anche tale questione non è fondata. 7.3.– Nel valutare la proporzionalità dell’intervento legislativo, deve in primo luogo osservarsi che esso origina, come già chiarito, da un contesto eccezionale, ha natura temporanea ed ha comunque un oggetto delimitato, riguardando solo le condotte commissive e non quelle “inerti” ed “omissive”. 7.4.– in secondo luogo, può convenirsi con il rimettente che la limitazione della responsabilità amministrativa per tutte le condotte attive possa apparire, prima facie, di dubbia legittimità costituzionale, ove si parta dal rilievo che lo spostamento del cennato punto di equilibrio è stato originariamente dettato dalla necessità di raggiungere il fine ultimo di favorire la ripartenza dell’economia, fine rispetto al quale alcune di quelle condotte -specie quelle materiali - potrebbero ritenersi irrilevanti. Deve tuttavia essere considerato, in senso contrario, che l’attività della pubblica amministrazione è sempre funzionalizzata alla cura di interessi pubblici, sia quando si estrinseca attraverso atti e provvedimenti, sia quando si estrinseca attraverso comportamenti materiali, e l’operato dei pubblici dipendenti, a qualsiasi livello, può incidere sull’efficacia ed efficienza dell’amministrazione medesima. Parallelamente, la “burocrazia difensiva” non si annida necessariamente nelle sole attività procedimentali o provvedimentali o nei grandi centri decisionali, ma è in grado di interessare trasversalmente l’intero operato della pubblica amministrazione. Ciò -nel peculiarissimo contesto dato e unitamente alla obiettiva difficoltà di individuare ex ante e in maniera esaustiva le attività immediatamente rispondenti all’urgente bisogno di favorire la ripresa economica -rende non manifestamente incongrua la scelta legislativa iniziale di combattere la “burocrazia difensiva” su “grande scala”, ingenerando un complessivo clima di fiducia tra gli agenti pubblici, volto a favorire la spinta dell’intera macchina amministrativa. Per le stesse ragioni si giustifica, nella fase successiva, la mancata distinzione tra attività legate all’attuazione del PNNR e attività ad essa estranee, specie ove si consideri che, nel concreto dispiegarsi dell’attività amministrativa, vi possono essere attività ed opere che, per quanto non ricomprese nel Piano, ad esse risultano strettamente connesse o funzionali. 7.5.– Né, da questa angolazione, assume alcun rilievo la distinzione tra attività del pubblico dipendente che possano cagionare danni indiretti (quelli, cioè, subiti dall’amministrazione per essere stata condannata al risarcimento in favore di terzi) e attività che possano cagionare danni diretti, per le quali ultime mai vi sarebbe, secondo il rimettente, un collegamento con la finalità di fronteggiare le conseguenze economiche derivanti dalla pandemia. Con la misura in esame, il legislatore ha difatti inteso favorire la realizzazione di investimenti non solo privati ma anche pubblici, con la conseguenza che un atteggiamento difensivo rispetto a quest’ultimi, pur potendo in ipotesi (ma non sempre) non cagionare danni a terzi, ben potrebbe determinare un rallentamento di un’opera o di un servizio utili all’incremento della ricchezza collettiva. 8.– Parimenti non fondata è poi la questione con cui si lamenta la violazione del principio di eguaglianza, sull’assunto che la disposizione in esame operi una «discriminazione irragionevole » tra coloro che hanno la gestione attiva e il compito «di predisporre i provvedimenti amministrativi» e coloro che hanno “solo” obblighi di controllo e vigilanza, i quali ultimi, a differenza dei primi, continuerebbero a rispondere anche per condotte commissive connotate da colpa grave. Come osservato dallo stesso rimettente in punto di rilevanza, infatti, anche l’esercizio della funzione di controllo, al pari di quella di amministrazione attiva, può esplicarsi sia in condotte RASSeGNA AVVoCATuRA DeLLo STATo -N. 4/2023 naturalisticamente commissive che omissive: in entrambi i casi, l’esenzione da responsabilità prevista dalla disposizione censurata riguarda esclusivamente le prime, donde l’insussistenza della denunziata disparità di trattamento. 9.– Ancora non fondata è la questione con cui è dedotto un ulteriore profilo di violazione del principio di eguaglianza, per avere l’art. 21, comma 2, del d.l. n. 76 del 2020, come convertito, apprestato un trattamento di favore ai dipendenti pubblici rispetto a quelli privati, dal momento che i primi, i quali «già godono di un’esenzione per colpa lieve, nell’attualità sono ancora più avvantaggiati», «essendo responsabili nel periodo di vigenza della norma solo per condotte attive dolose o omissive gravemente colpose». Le categorie prese in considerazione dal rimettente, infatti, non sono omogenee, in quanto soggette a statuti diversi (tra le tante, sentenze n. 178 del 2015, n. 120 del 2012 e n. 146 del 2008), anche e soprattutto in punto di responsabilità: quella del dipendente privato è pienamente risarcitoria e integralmente disciplinata dal codice civile, mentre quella del pubblico dipendente ha la natura sopra ricordata, in più punti derogatoria delle regole generali. 10.– inammissibili per inconferenza del parametro sono, da ultimo, le questioni con cui il rimettente deduce la violazione degli artt. 28, 81 e 103 Cost. il primo degli evocati parametri, infatti, concerne esclusivamente la responsabilità del pubblico dipendente verso terzi e non quella amministrativo-contabile (sentenze n. 1032 del 1988, n. 70 del 1983 e n. 164 del 1982). il secondo, invece, «attiene ai limiti al cui rispetto è vincolato il legislatore ordinario nella sua politica finanziaria, ma non concerne le scelte che il medesimo compie nel ben diverso ambito della disciplina della responsabilità amministrativa (da ultimo, v. sentenza n. 327 del 1998)» (sentenza n. 371 del 1998; nello stesso senso, sentenza n. 355 del 2010). L’art. 103 Cost., infine, secondo la giurisprudenza di questa Corte, non è suscettibile di vulnus ad opera di disposizioni, quale quella di specie, che disciplinino, sul piano sostanziale, gli elementi della responsabilità amministrativa, riguardando esso il diverso profilo esterno del riparto di giurisdizione tra il giudice contabile e gli altri giudici (tra le tante, sentenze n. 355 del 2010, n. 371 e n. 327 del 1998, e n. 70 del 1983). 11.– il consolidamento dell’amministrazione di risultato e i mutamenti strutturali del contesto istituzionale, giuridico e sociale in cui essa opera, come si è già messo in evidenza, giustificano la ricerca, a regime, di nuovi punti di equilibrio nella ripartizione del rischio dell’attività tra l’amministrazione e l’agente pubblico, con l’obiettivo di rendere la responsabilità ragione di stimolo e non disincentivo all’azione. in assenza di simili interventi, il fenomeno della “burocrazia difensiva”, dopo la scadenza del regime provvisorio oggetto della disposizione censurata, sarebbe destinato a rispandersi e la percezione da parte dell’agente pubblico di un eccesso di deterrenza tornerebbe a rallentare l’azione amministrativa. Ne sarebbero pregiudicati, oltre al principio costituzionale del buon andamento della pubblica amministrazione, anche altri rilevanti interessi costituzionali. Pertanto, una complessiva riforma della responsabilità amministrativa è richiesta per ristabilire una coerenza tra la sua disciplina e le più volte richiamate trasformazioni dell’amministrazione e del contesto in cui essa deve operare. il legislatore non potrà limitare, come si è avuto cura di puntualizzare, l’elemento soggettivo al dolo -limitazione che ha trovato giustificazione esclusivamente in una disciplina provvisoria radicata nelle caratteristiche peculiari del contesto ricordato -ma potrà, nell’esercizio della discrezionalità che ad esso compete, attingere al complesso di proposte illustrate nelle numerose analisi scientifiche della materia, anche modulandole congiuntamente e conside CoNTeNZioSo NAZioNALe rando profili diversi da quello dell’elemento psicologico, in modo da rendere più equa la ripartizione del rischio di danno, così alleviando la fatica dell’amministrare senza sminuire la funzione deterrente della responsabilità amministrativa. 11.1.– Si allude, in primo luogo, alla ipotesi di un’adeguata tipizzazione della colpa grave già conosciuta in specifici settori dell’ordinamento, posto che, come ricordato, l’incertezza della sua effettiva declinazione affidata all’opera postuma del giudice costituisce uno degli aspetti più temuti dagli amministratori. Altra ipotesi da vagliare con attenzione è la generalizzazione di una misura già prevista per alcune specifiche categorie, ossia l’introduzione di un limite massimo oltre il quale il danno, per ragioni di equità nella ripartizione del rischio, non viene addossato al dipendente pubblico, ma resta a carico dell’amministrazione nel cui interesse esso agisce, misura, questa, cui può accompagnarsi anche la previsione della rateizzazione del debito risarcitorio. L’opportunità del cosiddetto “tetto” non può essere esclusa in ragione dell’esistenza del menzionato potere riduttivo, dal momento che il primo, fissato ex ante dal legislatore, varrebbe obbligatoriamente per tutti, mentre il secondo è fisiologicamente rimesso ad un apprezzamento discrezionale ex post del giudice contabile. Piuttosto, sarebbe utile valutare una modifica anche della disciplina del potere riduttivo, prevedendo, oltre all’attuale ipotesi generale affidata alla discrezionalità del giudice, ulteriori fattispecie obbligatorie normativamente tipizzate nei presupposti. Del pari, meritevole di considerazione potrebbe essere il rafforzamento delle funzioni di controllo della Corte dei conti, con il contestuale abbinamento di una esenzione da responsabilità colposa per coloro che si adeguino alle sue indicazioni. Altro aspetto che potrebbe essere preso in considerazione, nell’interesse sia dell’agente pubblico che della stessa amministrazione danneggiata, è quello della incentivazione delle polizze assicurative (che, allo stato attuale, non sono obbligatorie), incentivazione, peraltro, cui ha già fatto ricorso, come rammentato, il nuovo codice dei contratti pubblici. Ancora, come già osservato, potrebbe essere vagliata una eccezionale esclusione della responsabilità colposa per specifiche categorie di pubblici dipendenti, anche solo in relazione a determinate tipologie di atti, in ragione della particolare complessità delle loro funzioni o mansioni e/o del connesso elevato rischio patrimoniale. Da ultimo, il legislatore potrebbe intervenire per scongiurare l’eventuale moltiplicazione delle responsabilità degli amministratori per i medesimi fatti materiali e spesso non coordinate tra loro. PeR QueSTi MoTiVi LA CoRTe CoSTiTuZioNALe 1) dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 21, comma 2, del decreto-legge 16 luglio 2020, n. 76 (Misure urgenti per la semplificazione e l’innovazione digitale), convertito, con modificazioni, nella legge 11 settembre 2020, n. 120, sollevate, in riferimento agli artt. 28, 81 e 103 della Costituzione, dalla Corte dei conti, sezione giurisdizionale per la Regione Campania, con l’ordinanza indicata in epigrafe; 2) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 21, comma 2, del d.l. n. 76 del 2020, come convertito, sollevate, in riferimento agli artt. 3 e 97 Cost., dalla Corte dei conti, sezione giurisdizionale per la Regione Campania, con l’ordinanza indicata in epigrafe. Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 6 giugno 2024. RASSeGNA AVVoCATuRA DeLLo STATo -N. 4/2023 liquidazione dei compensi ai patrocinatori a spese dello stato. Minimo del compenso e disposizioni speciali: un punto fermo? NoTa a CaSSaZioNE CiviLE, SEZioNE SECoNDa, orDiNaNZa 14 FEbbraio 2024 N. 4048 Ad un anno di distanza sull’argomento compensi minimi liquidabili ai patrocinatori a spese dello Stato/difensori d’ufficio, l’apprezzabilissima Cassazione civile, Sez. ii, ord. 14 febbraio 2024 n. 4048, resa in seguito a ricorso proposto dall’Avvocatura Generale, sconfessa l’orientamento interpretativo fatto proprio in precedenza nella pronunzia n. 22761 del 27 luglio 2023 resa dalla stessa Sezione ii (1). in particolare, con motivazione del tutto condivisibile e, invero, concorde con quanto si era rilevato, la Corte evidenzia come l’applicazione delle speciali previsioni normative di cui al d.P.R. n. 115/2002 debba configurarsi “un contenuto sacrificio delle aspettative economiche del professionista, che non ne svilisce il ruolo, posto che la riduzione prevista dall’art. 106-bis cit. non riduce il compenso ad un valore meramente simbolico, né viene determinato a prescindere dalla valutazione della natura, contenuto e pregio dell’attività (Cass. 4759/2022)”. Ed infatti “la riduzione ai sensi del successivo art. 106 bis cit. è certamente applicabile alla difesa d’ufficio (sebbene solo per le prestazioni svolte dopo l’entrata in vigore della disposizione: cfr. Corte cost. 13/2016; Cass. 3534/2021), estendendosi all’ipotesi in esame i criteri e le modalità di calcolo del compenso previsti per il patrocinio a spese dello Stato” (Cass. 22257/22 cit. e successive)”. in punto diritto si rimarca che: “la norma [art. 106 bis cit.] costituisce disposizione speciale, applicabile alle liquidazioni del compenso previsto per il difensore di ufficio dell’imputato irreperibile, per le quali sussistono le medesime esigenze di contemperamento tra la tutela dell’interesse generale alla difesa del non abbiente ed il diritto dell’avvocato ad un compenso equo, che avevano condotto questa Corte a ritenere manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale del d.P.r. n. 115 del 2002, art. 130 in tema di gratuito patrocinio (Cass. 9808/2013, Corte cost. 350/2005, Corte cost. 201/2006 e 270/2012)”. Le considerazioni del 2023, in ordine alla ritenuta prevalenza del D.M. n. 55/2014 in forza della previsione di cui all’art. 13 della l. 247/2012, vengono, quindi, correttamente rimeditate. (1) Sul punto mi sia consentito rinviare a GABRieLe FiNeLLi, Prestazione professionale forense. L’inderogabilità dei minimi tariffari per la liquidazione dei compensi (art. 82 d.P.r. n. 115/2002, art. 13 l. n. 247/2012, artt. 4 e 12 D.m. n. 55/2014), Annotazione a Cassazione civile, Sezione ii, sentenza 27 luglio 2023 n. 22761 in rass. avv. Stato, 2022, iV, pp. 145-155. CoNTeNZioSo NAZioNALe Del resto, la specialità della normativa in materia di difesa d’ufficio e gratuito patrocinio rispetto ai criteri previsti in via generale per la liquidazione giudiziale ordinaria dei compensi ovvero per l’esposizione di parcelle da parte dei professionisti porta necessariamente ad escludere l’esistenza di un principio di inderogabilità dei minimi derivante dal predetto D.M. (come sostengono nel libero foro). La stessa ratio sottesa alla speciale disciplina, e cioè il contenimento della spesa pubblica unito a una valutazione competente e vicina alla causa del giudice della liquidazione in sede di valutazione del pregio dell’attività professionale, impedisce, poi, l’insorgenza di qualsivoglia lesione della dignità professionale ovvero di qualsivoglia lesione al diritto di difesa generalmente considerato. inoltre, come si era rilevato, nella motivazione della sentenza del 2023 non risultava essere stata effettivamente presa posizione rispetto alla speciale disciplina del cit. art. 82 d.P.R. n. 115/2002 e al rapporto tra questa norma e il D.M. Si muoveva, invero, dall’assunto apodittico della rilevanza ai fini della decisione della sola interpretazione delle norme del D.M., quindi riunendo sotto lo stesso “tariffario” prestazione professionale in regime di libero foro, prestazione professionale del difensore d’ufficio e prestazione del patrocinatore a spese dello Stato. e, infatti, la Corte prendeva le mosse dall’art. 13 della l. 247/2012 che, al suo sesto comma, così dispone: “i parametri indicati nel decreto emanato dal ministro della giustizia, su proposta del CNF, ogni due anni, ai sensi dell’articolo 1, comma 3, si applicano quando all’atto dell’incarico o successivamente il compenso non sia stato determinato in forma scritta, in ogni caso di mancata determinazione consensuale, in caso di liquidazione giudiziale dei compensi e nei casi in cui la prestazione professionale è resa nell’interesse di terzi o per prestazioni officiose previste dalla legge”. il richiamo in tale norma alle “prestazioni officiose” avrebbe dovuto, quindi, essere intrepretato, secondo detta pronunzia del 2023, nel senso della sua estensione a tutte le prestazioni dei difensori e, quindi, in regime sia privatistico, che pubblicistico. Si ricorda, poi, l’ulteriore problematica della possibile violazione dei principi eurounitari in materia di concorrenza che potrebbe portare la surrettizia reintroduzione per queste vie di tariffe minime professionali (si era in passato evidenziata CGue, ii Sez., 25 febbraio 2024, causa C-438/22). Con il nuovo recente intervento, quindi, si supera un pericoloso (per l’Amministrazione) precedente, affermandosi i seguenti principi di diritto: -“in tema di patrocinio a spese dello Stato, il difensore di ufficio dell’imputato irreperibile ha diritto ad un compenso che non deve essere superiore ai valori medi delle tariffe professionali vigenti, potendo quindi applicarsi il valore della tariffa in vigore e riducendolo del 50% corrispondente, cui aggiungere l’ulteriore decurtazione di cui all’art. 106-bis del d.P.r. n. 115 del RASSeGNA AVVoCATuRA DeLLo STATo -N. 4/2023 2002: siffatta modalità di liquidazione non costituisce violazione del minimo tariffario, da un lato in quanto si tratta di disposizione speciale, applicabile soltanto alle liquidazioni del compenso previsto per il difensore di ufficio dell’ imputato irreperibile, e dall’altro lato in quanto, per detta specifica ipotesi, si ravvisano le medesime esigenze di contemperamento tra la tutela dell’interesse generale alla difesa del non abbiente ed il diritto dell’avvocato ad un compenso equo (Cass. n. 4759 del 14 febbraio 2022)” (2) -“la riduzione ai sensi del successivo art. 106 bis cit. è certamente applicabile alla difesa d’ufficio (sebbene solo per le prestazioni svolte dopo l’entrata in vigore della disposizione: cfr. Corte cost. 13/2016; Cass. 3534/2021), estendendosi all’ipotesi in esame i criteri e le modalità di calcolo del compenso previsti per il patrocinio a spese dello Stato” (Cass. 22257/22 cit. e successive)” -in materia di compenso per il difensore d’ufficio, la successiva applicazione -sul compenso determinato nella misura di quello spettante al difensore di persona ammessa al beneficio del patrocinio a spese dello Stato -della ulteriore decurtazione di cui al d.P.r. n. 115 del 2002, art. 106-bis, non costituisce violazione del minimo tariffario. Ad ogni buon conto, appare evidente come l’orientamento di legittimità sia ondivago e necessiti di un intervento nomofilattico, anche al fine di evitare discordanti liquidazioni nei vari uffici Giudiziari con conseguente incerta (e ingiustificata) spesa pubblica. Gabriele Finelli* Cassazione civile, sezione seconda, ordinanza 14 febbraio 2024 n. 4048 -Pres. rel. P. D’Ascola -Ministero della giustizia (avv. gen. Stato) c. A.A. (rappresentato e difeso da se stesso). FATTi Di CAUsA e RAGioNi DellA DeCisioNe Su istanza dell’avv. A.A. il tribunale di Ancona liquidava compensi professionali spettantigli quale difensore di ufficio di o.G. -imputato divenuto irreperibile -nel procedimento penale n. 426/2017 svoltosi avanti al giudice di pace di Ancona. L’istante proponeva opposizione lamentando l’omessa liquidazione delle spese relative alla fase istruttoria e la applicazione dei minimi tariffari con l’ulteriore decurtazione ex art. 12 comma 2 dm 55/2014 e di quella prevista dall’art. 106 bis del d.p.r. 115/2002. (2) Si evidenzia il richiamo espresso proprio all’ordinanza Cass. n. 4759 del 14 febbraio 2022 in GABRieLe FiNeLLi, Prestazione professionale forense. L’inderogabilità dei minimi tariffari per la liquidazione dei compensi (art. 82 d.P.r. n. 115/2002, art. 13 l. n. 247/2012, artt. 4 e 12 D.m. n. 55/2014), Annotazione a Cassazione civile, Sezione ii, sentenza 27 luglio 2023 n. 22761 in rass. avv. Stato, 2022, iV, pp. 145-155. (*) Procuratore dello Stato. CoNTeNZioSo NAZioNALe Contumace il ministero della Giustizia, il giudice delegato con ordinanza 8745 del 2 luglio 2019 confermava la liquidazione in base al “valore minimo” degli onorari, ma escludeva le due decurtazioni; determinava l’onorario in euro 855,00. il Ministero della Giustizia ha proposto ricorso per cassazione, al quale l’intimato ha resistito con controricorso illustrato da memoria. Con l’unica censura il Ministero lamenta la violazione degli artt. 106 bis, 116 e 117 del d.p.r. 115/2002. Deduce che erroneamente è stata negata l’applicazione della riduzione percentuale prevista dall’art. 106 bis, in quanto la figura del difensore di ufficio va equiparata a quella del difensore della parte ammessa al patrocinio a spese dello Stato nel processo penale. La doglianza è fondata. in tema di patrocinio a spese dello Stato, il difensore di ufficio dell’imputato irreperibile ha diritto ad un compenso che non deve essere superiore ai valori medi delle tariffe professionali vigenti, potendo quindi applicarsi il valore della tariffa in vigore e riducendolo del 50% corrispondente, cui aggiungere l’ulteriore decurtazione di cui all’art. 106-bis del d.p.r. n. 115 del 2002: siffatta modalità di liquidazione non costituisce violazione del minimo tariffario, da un lato in quanto si tratta di disposizione speciale, applicabile soltanto alle liquidazioni del compenso previsto per il difensore di ufficio dell’imputato irreperibile, e dall’altro lato in quanto, per detta specifica ipotesi, si ravvisano le medesime esigenze di contemperamento tra la tutela dell’interesse generale alla difesa del non abbiente ed il diritto dell’avvocato ad un compenso equo (Cass. n. 4759 del 14 febbraio 2022). in tal senso si è espressa la giurisprudenza nelle more occupatasi del tema, cui il Collegio intende dare continuità. Come già affermato da questa Corte (cfr. n. 22257 del 2022), «La liquidazione delle spettanze del difensore della persona ammessa al beneficio del patrocinio a spese dello Stato non deve superare il valore medio della tariffa, né tale valore di partenza può essere ridotto al di sotto del minimo (Cass. 4759/2022; Cass. 31404/2019; Cass. 26643/2011). Sul compenso così determinato, anche se nei valori minimi, la successiva applicazione della ulteriore decurtazione di cui al d.P.R. n. 115 del 2002 , art. 106-bis, non costituisce violazione del minimo tariffario: la norma costituisce disposizione speciale, applicabile alle liquidazioni del compenso previsto per il difensore di ufficio dell’imputato irreperibile, per le quali sussistono le medesime esigenze di contemperamento tra la tutela dell’interesse generale alla difesa del non abbiente ed il diritto dell’avvocato ad un compenso equo, che avevano condotto questa Corte a ritenere manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale del d.P.R. n. 115 del 2002, art. 130 in tema di gratuito patrocinio (Cass. 9808/2013, Corte cost. 350/2005, Corte cost. 201/2006 e 270/2012). Anche in questo caso, infatti, si configura un contenuto sacrificio delle aspettative economiche del professionista, che non ne svilisce il ruolo, posto che la riduzione prevista dall’art. 106bis cit. non riduce il compenso ad un valore meramente simbolico, né viene determinato a prescindere dalla valutazione della natura, contenuto e pregio dell’attività (Cass. 4759/2022)». ed infatti «la riduzione ai sensi del successivo art. 106 bis cit. è certamente applicabile alla difesa d’ufficio (sebbene solo per le prestazioni svolte dopo l’entrata in vigore della disposizione: cfr. Corte cost. 13/2016; Cass. 3534/2021), estendendosi all’ipotesi in esame i criteri e le modalità di calcolo del compenso previsti per il patrocinio a spese dello Stato» (Cass. 22257/22 cit. e successive). il Tribunale di Ancona -nell’escludere l’applicabilità della riduzione di cui all’art. 106 bis d.P.R. n. 115/2002 (introdotto dall’art. 1 comma 606 lett. b della legge n. 147 del 2013 e, RASSeGNA AVVoCATuRA DeLLo STATo -N. 4/2023 posto che il procedimento penale risale al 2017, applicabile alla fattispecie perché la normativa sopravvenuta regola la liquidazione relativamente ai procedimenti penali conclusi dopo la sua entrata in vigore) al caso di difensore di ufficio di imputato in procedimento penale -si è dunque discostato da questo principio. La violazione di legge sussiste e determina la cassazione del provvedimento con rinvio allo stesso ufficio giudiziario in persona di diverso magistrato, anche per le spese del presente giudizio. P.Q.M. la Corte accoglie il ricorso, cassa la ordinanza impugnata e rinvia al tribunale di Ancona in diversa composizione, che provvederà anche sulla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità. Così deciso in Roma nella Camera di consiglio della 2^ sezione civile tenuta il 14 giugno 2023. PARERIDELCOMITATOCONSULTIVO Authorities (Autorità Nazionale Anticorruzione) ed esercizio dell’azione civile nel processo penale. Sul previo rilascio dell’atto autorizzativo di cui all’art. 1, co. 4, legge 3 gennaio 1991, n. 3 Parere del 12/10/2023-635019-635020, al 30264/2023, avv. valeria romano 1. Si trasmette, con i relativi allegati, la nota emarginata pervenuta presso la Scrivente dall’Autorità in indirizzo affinché codesta Avvocatura -in quanto territorialmente competente -possa esprimersi sulla ricorrenza dei presupposti di cui agli artt. 74 e ss. c.p.p. per la costituzione di parte civile dell’Anac nel giudizio indicato in oggetto intrapreso a carico (...) in relazione ai reati di cui agli artt. 482, 476 e 368 c.p. A tal fine, l’Autorità in indirizzo potrà inviare direttamente alla competente Avvocatura Distrettuale un dettagliato rapporto sui fatti di causa indicando, in particolare, le voci di danno subite in conseguenza dei fatti per i quali si procede nonché specificando e documentando, con riguardo al lamentato danno all’immagine, il livello e l’intensità del clamore suscitato dalla notizia dei fatti addebitati al funzionario e la relativa incidenza sul prestigio ed il decoro dell’Amministrazione nonché sull’elevata aspettativa di piena conformità ai criteri di legalità e correttezza che i consociati ripongono nell’operato di codesta Autorità. Ciò posto, poiché l’Amministrazione in indirizzo, con la nota in riscontro, ha “colto l’occasione” per domandare -in termini generali -se ai fini del- l’esercizio dell’azione civile in favore dell’Anac nel processo penale sia o meno necessario il preventivo rilascio, da parte della Presidenza del Consiglio dei Ministri, dell’autorizzazione di cui all’art. 1, comma 4, della legge 3 gennaio 1991, n. 3 si espone sul punto, per quanto di competenza della Scrivente Avvocatura Generale, quanto segue analizzando -in primis -i caratteri del rASSeGnA AvvoCAturA Dello StAto -n. 4/2023 l’atto autorizzatorio disciplinato all’art. 1, comma 4, della legge 3 gennaio 1991, n. 3 ed -in secondo luogo -verificando l’applicabilità della disposizione in parola alle Autorità indipendenti in generale ed all’Anac in particolare. 2. Come noto, a mente dell’articolo 1, comma 4, della legge 3 gennaio 1991, n. 3 “la costituzione di parte civile dello Stato nei procedimenti penali deve essere autorizzata dal Presidente del Consiglio dei ministri”. A differenza di quanto accade per i giudizi innanzi a tutte le altre Autorità giurisdizionali (1), per l’esercizio dell’azione civile nel processo penale, il legislatore -con la richiamata disposizione -richiede un quid pluris rappresentato dalla necessita della preventiva acquisizione di un atto di autorizzazione rilasciato -previo parere tecnico della competente Avvocatura dello Stato in ordine alla sussistenza dei presupposti sostanziali e di rito per l’esercizio della facoltà che la legge processuale attribuisce alla persona danneggiata dal reato nel giudizio penale -dal Presidente del Consiglio dei Ministri ovvero -ex art. 19, comma 1, lett. r) della legge 23 agosto 1988, n. 400 -dal Segretario Generale della Presidenza del Consiglio dei Ministri oppure, ove delegato, dal Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, attestante la delibazione della volontà dell’organo politico di esercitare l’azione civile nel giudizio penale “quando vengono in rilievo interessi pubblici, patrimoniali e non patrimoniali, di rilevanza tale da rendere opportuno che l’avvocatura dello Stato affianchi l’azione del pubblico ministero” (2). trattasi di un atto che, dal punto di vista soggettivo, viene assunto dal- l’organo politico di vertice del Governo ovvero -ex art. 19 della legge 23 agosto 1988, n. 400 -da figure collegate da un rapporto fiduciario con l’organo politico cui l’art. 1, comma 4, della legge 3 gennaio 1991, n. 3 direttamente assegna il potere autorizzatorio. Dal punto di vista oggettivo e contenutistico, l’autorizzazione in esame -ponendosi a valle delle valutazioni tecnico-giuridiche operate dall’Avvocatura dello Stato sull’ammissibilità dell’azione per l’accertamento della responsabilità e la condanna al risarcimento per danni arrecati dal compimento di fattispecie criminose -costituisce l’esito -come evidenziato in dottrina (3) -di “complesse valutazioni di merito” che tengono conto di “ragioni di ordine istituzionale” nonché di motivazioni “metagiuridiche e di opportunità” (4) che condizionano la decisione del soggetto pubblico sul se prendere o meno parte nella vicenda giudiziaria in sede penale perché -come altresì posto in rilievo in dottrina -“mentre il privato utilizza la (1) Mezzotero -roMei, il patrocino delle Pubbliche aniministrazioni. la difesa innanzi alle giurisdizioni ordinarie e speciali, CSA editrice, pag. 57. (2) PAlAtiello -Bruni, la difesa dello Stato nel processo, utet, 2011. in termini anche PAvone, lo Stato in giudizio. enti pubblici ed avvocatura dello Stato, Giuffrè, 2002. (4) PAlAtiello - Bruni, la difesa dello Stato nel processo, cit. PAreri Del CoMitAto ConSultivo costituzione di parte civile a tutela di un interesse meramente patrimoniale (pienamente ed efficacemente tutelabile anche in sede civile), la presenza dello Stato nel processo tende assumere connotazioni peculiari e simboliche divenendo lo strumento per la tutela delle istituzioni e della legalità” (5). Per, quanto in questa sede maggiormente rileva, si è discusso, in dottrina, in ordine alla ratio della previsione di subordinare l’azione civile dello Stato nel processo penale ad un atto autorizzativo ad hoc. Sul punto, un primo orientamento interpretativo ha -invero -ritenuto la scelta di condizionare l’esercizio dell’azione civile nel processo penale alla previa acquisizione della delibazione attestate la volontà dell’organo politico di prendere parte al giudizio innanzi all’Autorità giudiziaria penale come motivata da ragioni di tipo meramente organizzativo e di ordine pratico “in considerazione dell’esiguo personale togato dell’avvocatura” (6) nonché dalla “specifica necessità di assicurare l’indirizzo unitario delle scelte processuali dello Stato in sede penale”. Altri interpreti hanno -ad avviso della Scrivente con maggiore aderenza al dato normativo specie nella parte in cui riserva la competenza soggettiva al rilascio dell’atto autorizzatorio al massimo livello del Governo -ritenuto che la ratio della scelta legislativa vada rinvenuta nella delicatezza delle valutazioni coinvolte nella scelta dello Stato di prendere parte al giudizio penale (7) non surrogabili con il parere tecnico-giuridico dell’Avvocatura dello Stato. 3. tanto rilevato con riguardo all’esegesi dell’articolo 1, comma 4, della legge 3 gennaio 1991, n. 3, si pone -nel caso in esame -un evidente problema ermeneutico relativo all’ambito applicativo della norma innanzi analizzata perché, sebbene la disposizione si riferisca -dal punto di vista letterale -a tutte le ipotesi di costituzione di parte civile dello “Stato” nei procedimenti penali, la previsione di un atto autorizzatorio adottato -come visto -per ragioni di opportunità e valutazioni di merito dall’organo di vertice politico, ove ritenuta estendibile anche alle determinazioni delle Autorità Amministrative indipendenti di esercitate l’azione per le restituzioni o il risarcimento del danno attraverso la costituzione di parte civile nel processo penale, potrebbe, come ben colto dall’Amministrazione in indirizzo, incidere sul proprium -già a livello nominalistico -delle Autorità indipendenti consistente nella sottrazione delle relative scelte dai poteri di direttiva e di indirizzo politico governativo. Da diverso angolo prospettico, la questione dell’ambito applicativo dell’art. 1, comma 4, cit. presenta profili di problematicità interpretativa anche tenuto conto che potrebbe opinarsi -sulla scorta del tenore letterale (5) PAlAtiello - Bruni, la difesa dello Stato nel processo, cit. (6) PAlAtiello - Bruni, la difesa dello Stato nel processo, cit. (7) Mezzotero -roMei, il patrocino delle Pubbliche amministrazioni. la difesa innanzi alle giurisdizioni ordinarie e speciali, CSA editrice, pag. 57. rASSeGnA AvvoCAturA Dello StAto -n. 4/2023 della disposizione in parola nella parte in cui riferisce la necessità del previo rilascio dell’atto autorizzativo indistintamente a tutte le ipotesi di costituzione di parte civile dello “Stato” nei procedimenti penali -che l’estraneità delle Autorità indipendenti al circuito politico-governativo e la relativa autonomia organizzativa funzionale e strutturale non costituiscano una sufficiente ragione di esonero dalla applicazione della disciplina recata dalla norma in parola tanto in considerazione della circostanza per cui le authorities, -come già affermato dalla Scrivente in una recente consultazione (8) nonché come chiarito dal Consiglio di Stato in numerosi arresti -sono “amministrazioni della Stato” ed -in quanto tali -prima facie -sussumibili nel raggio applicativo dell’articolo 1, comma 4 cit. “poiché, composte da soggetti ai quali è attribuito lo status di pubblici ufficiali e poiché esercitano, in virtù del trasferimento di funzioni e compiti propri dello Stato, potere normativo secondario e poteri sanzionatori di ispezione e di controllo, ed, hanno, in conclusione, poteri direttamente incidenti sulla vita dei consociati che si giustificano solo in forza della natura pubblica che deve -necessariamente -essere loro riconosciuta” (9). 4. Ciò posto, al fine di sciogliere l’indicato nodo interpretativo bisogna in difetto di precedenti giurisprudenziali in materia e di contributi dottrinali sulla specifica questione in esame -ricorrere ai criteri di interpretazione della legge previsti dall’art. 12 delle preleggi al c.c. primo tra tutti il criterio di interpretazione letterale del dato normativo che impone, nel caso in esame, di interrogarsi sul corretto significato da ascrivere alla nozione di “Stato” impiegata dal legislatore nel testo dell’art. 1, comma 4, cit. (10). ebbene, in termini generalissimi e senza alcuna pretesa di esaustività, la parola “Stato” -nella vasta produzione dottrinale sul tema -non ha un si (8) Affare legale 51786/2018 Avv. De Socio prot. 21532 del 14 gennaio 2020 avente ad oggetto “richiesta di parere in merito al contributo unificato da corrispondere in cause in cui è parte l’autorità Garante della Concorrenza e del mercato”. (9) Cons. Stato Sez. vi, Sent., 28 novembre 2012, n. 6014. t.a.r. lazio roma Sez. iii, Sent., 2 giugno 2013, n. 5946. (10) in tale ottica pare utile osservare come nel lessico legislativo -il termime “Stato” sia non di rado impiegato in disposizioni di varia natura ponendosi successivamente, per l’interprete, il problema, di delineare e circoscriverne la nozione. Per quel che in questa sede maggiormente rileva, la giurisprudenza -con una metodologia che la Scrivente in questa sede intende mutatis mutandis adottare -ha affrontato il problema della sussumibilità nel termine “Stato” -utilizzato dalle disposizioni che prevedono l’esenzione a favore dello stesso delle imposte di registro (art. 57, comma 8, del d.P.r. n. 131 del 1986), ipotecaria e catastale (art. 1, comma 2, del d.lgs. n. 347 del 1990) e di bollo (tabella Allegato B, punto 22, del d.P.r. n. 642 del 1972) -della società a partecipazione pubblica rete Ferroviaria italiana (“r.F.i. spa”) -gestrice dell’infrastruttura ferroviaria nazionale, facente parte del Gruppo “Ferrovie dello Stato spa” (società con socio unico partecipata interamente dal MeF) nonché il problema della sussumibilità delle pubbliche università nella nozione di “Stato” impiegata -in tema iMu -dall’art. 7, comma 1, lett. a), del d.lgs. n. 504 del 1992. Sul punto v. nota a piè di pagina n. 22. PAreri Del CoMitAto ConSultivo gnificato univoco, ma è stata declinata -in estrema sintesi dalla c.d. teoria duale dello Stato (11) -in almeno due essenziali accezioni: lo Stato-Governo (o Stato-Apparato o anche Stato-Persona) c.d. anche “Stato ad amministrazione compatta” e lo Stato-comunità c.d. anche “Stato ad amministrazione disaggregata” (12). nel primo significato il termine “Stato” designa una particolare forma di organizzazione del potere politico che esercita il monopolio della forza legittima (13) in un determinato territorio e su un determinato popolo e che si avvale -a tal fine -di un apparato burocratico amministrativo gerarchizzato cui l’ordinamento attribuisce formalmente il potere di emanare e di portare, anche coattivamente, ad esecuzione le norme ed i comandi medianti i quali lo Stato fa valere la sua supremazia (14). in tale ottica, quindi, “il fenomeno dello Stato si ha quando un popolo, stabilito sopra un territorio determinato, si trova sottoposto ad una autorità costituita per il suo governo, cioè ad un ente sovraordinato investito di una potestà politica suprema” (15). nel secondo significato il termine “Stato” inteso come “Stato-comunità”, designa il passaggio “da uno Stato ad amministrazione compatta a uno Stato ad amministrazione disaggregata” connotato dalla moltiplicazione dei centri di cura degli interessi generali non collocati all’interno di strutture gerarchiche dello Stato-Governo, ma a latere dello Stato-Persona sicché “l’amministrazione da unitaria diventa differenziata, da gerarchica frammentata, da uniforme differenziata, tanto che è invalso il termine «adhocrazia» per indicare che si sono attenuate o perdute le tre caratteristiche tradizionali, della unitarietà, della gerarchia e della uniformità dello Stato-apparato” (16). in tale seconda accezione di “Stato” ed in tale nozione di “amministrazione dello Stato” si collocano -ad avviso della Scrivente -le Autorità Amministrative indipendenti quali corpi amministrativi dotati di particolari competenze tecniche preposti alla cura di interessi ordinamentali di rango particolarmente elevato che abbisognano dell’apporto qualificato di organismi muniti di una posizione di terzietà dallo Stato-Governo. tale assunto pare av (11) Per tutti MArtineS, diritto Costituzionale, Milano, 1997, 189 e segg. “l’odierna concezione duale dello Stato sostiene... l’esistenza di due significati irriducibili del termine in questione (Stato) ... da un lato cioè lo Stato in senso largo si presenta come un corpo sociale giuridicamente organizzato; d’altro lato, lo Stato in senso stretto ha generalmente la veste di una «concreta e limitata persona giuridica »... la concezione duale dello Stato rappresenta in effetti, la chiave per intendere una serie di norme o di situazioni giuridiche le quali rimarrebbero altrimenti prive di senso”. (12) CASSeSe, lo Stato ad amministrazione disaggregata, in rivista trimestrale di diritto pubblico, 2020, n. 2, Giuffrè, p. 467. (13) WeBer, la politica come professione, Armando editore, 1997. (14) PAlADin, diritto costituzionale, Padova, 1998, 12 e segg. (15) DonAti, elementi di diritto costituzionale, Cedam, 1932. (16) CASSeSe, lo Stato ad amministrazione disaggregata, in rivista trimestrale di diritto pubblico, 2020, n. 2, Giuffrè, p. 467. rASSeGnA AvvoCAturA Dello StAto -n. 4/2023 valorato dalla prevalente giurisprudenza amministrativa e contabile secondo la quale -più in particolare -“la collocazone delle a.a.i. al di fuori del circuito di responsabilità delineato dall’articolo 95 della Costituzione non ne determina l’estromissione dal perimetro delle amministrazioni dello Stato, dal momento che la Costituzione, accanto al modello di amministrazione statale ministeriale, contempla, agli articoli 97 e 28, un modello alternativo di amministrazione statale diversa dai ministeri, nel quale vanno ricondotti gli ordinamenti sezionali con funzioni di regolazione e di garanzia nei settori di loro competenza” (17). ed infatti, come ancor più precisamente sottolineato rispettivamente dal Consiglio di Stato e dalla Corte dei Conti, le authorities sono definibili come “esponenti dello Stato-comunità” (18) e -più in particolare “sono da considerarsi amministrazioni statali non governative (...) aventi natura amministrativa non in quanto organismi appartenenti allo Stato-persona bensì allo Stato-comunità” (19). 5. Alla luce di quanto esposto è ora possibile verificare se le Autorità Amministrative, in generale, ed Anac, in particolare, siano sussumibili nella nozione di “Stato” di cui all’art. 1, comma 4, della legge 3 gennaio 1991, n. 3. Sul punto ritiene la Scrivente che la parola “Stato” impiegata nella citata disposizione debba ritenersi come riferita allo “Stato-Governo” o “Stato-Persona”. A tale esito è dato pervenire, da un lato, richiamando -in chiave sistematica -le caratteristiche soggettive ed oggettive -innanzi descritte (20) dell’atto autorizzatorio tipizzato all’art. 1, comma 4, cit. quale atto riservato al massimo organo del Governo ed adottato per ragioni di ordine politico-istituzionale, ma -altresì -attraverso il canone ermeneutico, di cui all’art. 12 delle preleggi al c.c., dell’intenzione del legislatore ricordando, in particolare, come la compiuta normazione del fenomeno delle A.A.i. nel nostro sistema giuridico sia intervenuta, in larga misura (21), successivamente alla predetta disposizione, senza -quindi -che il legislatore abbia inteso estendere il regime autorizzatorio ivi previsto alle Autorità Amministrative indipendenti. la conclusione interpretativa circa l’inapplicabilità della disposizione in esame alle Autorità amministrative indipendenti sembra, inoltre, avvalorata (17) t.a.r. lombardia Milano Sez. i, Sent., 30 giugno 2020, n. 1248. (18) Cons. Stato, Parere, 2 agosto 2016, n. 1767; Cons. Stato, Sez. vi, 11 novembre 2008, n. 5622. (19) Corte dei Conti Sez. ii App., Sent., 29 luglio 2013, n. 497. (20) v., supra, § 2. (21) Sebbene, infatti, come noto, le prime leggi istitutive delle A.A.i. risalgano ai primi anni novanta del novecento -si pensi alla legge 10 ottobre 1990, n. 287 istitutiva dell’Autorità Garante della concorrenza e del mercato -il processo di affermazione e normazione delle authorities è stato connotato da una certa gradualità nel nostro ordinamento ed, infatti, l’espressione “autorità indipendenti” è stata impiegata dal legislatore -per la prima volta -solo dall’art. 1, comma 4, della legge 15 marzo 1997, n. 59. PAreri Del CoMitAto ConSultivo ex art. 14 delle preleggi, dalla natura eccezionale, e dunque di stretta interpretazione, del regime autorizzatorio previsto per il solo esperimento dell’azione di danno nel processo penale sicché, anche in tale logica, la parola “Stato” deve intendersi riferita, in senso restrittivo, allo “Stato-persona”, e non “a qualsiasi soggetto che svolga attività amministrativa” (22). tale ultima deduzione interpretativa appare alla Scrivente confermata -sul piano giurisprudenziale ed a fortiori -dall’univoco orientamento della Corte di Cassazione che -fornendo un’interpretazione restrittiva della nozione di “Stato” di cui al citato art. 1, comma 4, della legge 3 gennaio 1991, n. 3 -ha escluso che la legittimazione alla costituzione di parte civile dell’Agenzia delle entrate sia subordinata all’autorizzazione della Presidenza del Consiglio di cui al già citato art. 1, comma 4, della legge 3 gennaio 1991, n. 3 tanto sull’assunto per cui la predetta Agenzia -pur rientrante nel novero delle Agenzie di cui al decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300 e nella previsione dell’art. 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 -costituisce una “figura organizzatoria autonoma alla quale sono affidate funzioni originariarnente statali al di fuori dello schema del rapporto organico” ed è “pertanto autonomamente legittimata a costituirsi parte civile, senza necessità della previa autorizzazione della Presidenza del Consiglio dei ministri” (23). 6. le considerazioni innanzi svolte con riguardo alle Autorità amministrative indipendenti in generale valgono, in particolare, per l’Autorità in indirizzo. l’autonomia e l’indipendenza sia funzionale che organizzativa riconosciuta tanto ai componenti quanto all’organizzazione dell’Autorità nazionale Anticorruzione nel suo complesso dall’art. 52-quater del d.l. 24 aprile 2017, n. 50 nonché il rilievo per cui, ex art. 13, comma 1, del d.lgs. 27 ottobre (22) “in tema di iCi, l’esenzione prevista dalla norma agevolatrice di cui all’art. 7, comma 1, lett. a), del d.lgs. n. 504 del 1992 è di stretta interpretazione, sicché non può essere applicata in senso estensivo, ricomprendendo nella nozione di Stato anche enti, come le pubbliche Università, che, pur essendo emanazione statale, non rivestono, dopo la norma introdotta dalla l. n. 168 del 1989, la qualità di organi, bensì quella di enti pubblici autonomi, dotati di personalità giuridica propria nonché di un proprio statuto e regolamento” Cass. civ. Sez. v Sent., 16 gennaio 2009, n. 938. Si richiama, altresì, quanto al metodo ermeneutico, Cass. civ. Sez. v ord., 13 agosto 2020, n. 17034 “nelle disposizioni normative che, in tema di imposta di registro (art. 57, ottavo comma, del d.P.r 26 aprile 1986, n. 131), e imposta potecaria e catastale (art. 1, secondo comma, del d.lgs. 31 ottobre 1990, n. 347) e di imposta di bollo (Tabella allegato B, punto 22, del d.P.r 26 ottobre 1972, n. 642), prevedono l’esenzione dello Stato od usano, sempre a fini di esenzione, l’espressione “a favore dello Stato” o “nell’interesse dello Stato”, la parola “Stato” deve intendersi riferita allo “Stato persona” e non a qualsiasi soggetto, pubblico o privato, che svolga attività amministrativa oggettiva, anche se trattasi di società di capitali in mano pubblica operante in un comparto (nella specie quello ferroviario) interessato dalla privatizzazione degli anni novanta, essendo la stessa intervenuta successivamente alle predette disposizioni senza che il legislatore abbia inteso estendere il regime di esenzione tributaria ai nuovi soggetti”. (23) Cass. pen. Sez. ii, sent., 9 febbraio 2022, n. 4583; Cass pen. Sez. ii, sent., 28 febbraio 2012, n. 7739; Cass. pen. Sez. ii, sent., 6 dicembre 2010, n. 43302. rASSeGnA AvvoCAturA Dello StAto -n. 4/2023 2002, n. 150, l’Autorità nazionale Anticorruzione “opera in posizione di indipendenza di giudizio e di valutazione e in piena autonomia” depongono infatti -sul piano normativo -nel senso per cui l’Autorità può autonomamente formare la propria volontà di procedere giudizialmente, in sede penale, per far valere pretese risarcitorie o restitutorie correlate a fatti penalmente rilevanti, che abbiano procurato all’Amministrazione stessa danni suscettibili di ristoro in sede giurisdizionale godendo, a tal fine, di autonomia valutativa e decisionale non subordinata all’esercizio -da parte di altri soggetti istituzionali -di poteri autorizzatori che ne condizionino le determinazioni. 7. Pur in difetto -per le ragioni esposte -di un obbligo giuridico di ottenere la preventiva autorizzazione della Presidenza del Consiglio dei Ministri ex art. 1, comma 4, della legge 3 gennaio 1991, n. 3, rilevato che l’indipendenza dell’AnAC non esclude la cooperazione con le altre istituzioni pubbliche, visto in particolare, l’art. 13, comma 1, del d.lgs. 27 ottobre 2009, n. 150 in base al quale “l’autorità nazionale anticorruzione opera in posizione di indipendenza di giudizio e di valutazione e in piena autonomia, in collaborarazione con la Presidenza del Consiglio dei ministri” l’Amministrazione in indirizzo potrà -fermo restando il previo rilascio del parere dell’Avvocatura dello Stato sulla ricorrenza dei presupposti di cui agli artt. 74 e ss. c.p.p. per la costituzione di parte civile -valutare, caso per caso, in base alla natura del procedimento penale di volta in volta in rilievo nonché in base alle caratteristiche ad alla gravità delle imputazioni formulate nei singoli casi se informare la Presidenza del Consiglio dei Ministri -Dipartimento per gli affari giuridici e legislativi circa le proprie determinazioni sulla costituzione nel giudizio penale. la questione è stata sottoposta all’esame del Comitato Consultivo del- l’Avvocatura dello Stato di cui all’art. 26 della legge 3 aprile 1979 n. 103, che si è espresso in senso conforme nella seduta del 12 ottobre 2023. PAreri Del CoMitAto ConSultivo Uffici legali istituiti presso gli enti pubblici (Ente Nazionale per l’Aviazione Civile): disciplina sulla corresponsione dei compensi professionali. In merito all’adozione del regolamento di cui all’art. 9 D.L. 24 giugno 2014, n. 90 Parere del 13/10/2023-638073, al 26448/2023, avv. eva FerreTTi Con la nota indicata in epigrafe codesto ente ha chiesto alla Scrivente di rendere parere in ordine alla sussistenza dell’obbligo in capo alle Amministrazioni dotate di un ufficio legale interno, di provvedere all’adozione del regolamento di cui all’art. 9 del d.l. 24 giugno 2014, 90 -convertito con modificazioni dalla l. 11 agosto 2014, n. 114 -. Come è noto, la disposizione richiamata ha disciplinato la riforma dei principi e dei limiti della ripartizione degli onorari dell’Avvocatura generale dello Stato e delle avvocature degli enti pubblici, precisando, in particolare, al comma 5 che “i regolamenti dell’avvocatura dello Stato e degli altri enti pubblici e i contratti collettivi prevedono criteri di riparto delle somme di cui al primo periodo del comma 3 e al primo periodo del comma 4 in base al rendimento individuale, secondo criteri oggettivamente misurabili che tengano conto tra l’altro della puntualità negli adempimenti processuali. i suddetti regolamenti e contratti collettivi definiscono altresì i criteri di assegnazione degli affari consultivi e contenziosi, da operare ove possibile attraverso sistemi informatici, secondo principi di parità di trattamento e di specializzazione professionale” e al comma 8, nel disporre l’efficacia temporale delle norme, che “il primo periodo del comma 6 si applica alle sentenze depositate successivamente alla data di entrata in vigore del presente decreto. i commi 3, 4 e 5 e il secondo e il terzo periodo del comma 6 nonché il comma 7 si applicano a decorrere dal- l’adeguamento dei regolamenti e dei contratti collettivi di cui al comma 5, da operare entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto. in assenza del suddetto adeguamento, a decorrere dal 1° gennaio 2015, le amministrazioni pubbliche di cui al comma 1 non possono corrispondere compensi professionali agli avvocati dipendenti delle amministrazioni stesse, ivi incluso il personale dell’avvocatura dello Stato”. orbene, il quesito sottoposto da codesto ente, che è dotato di un proprio ufficio legale ma non di un relativo regolamento di funzionamento, riguarda in sostanza l’eventuale natura precettiva della disposizione richiamata e, in particolare se la stessa sia o meno idonea ad imporre alle pubbliche amministrazioni l’obbligo di provvedere all’adozione dei regolamenti per la disciplina dei compensi e per il funzionamento della rispettiva Avvocatura, con conseguente possibile inadempimento in caso di mancata adozione, censurabile attraverso l’azione ex artt. 31 e 117 c.p.a. rASSeGnA AvvoCAturA Dello StAto -n. 4/2023 A ricostruzione del quadro prospettato a sostegno del quesito codesto ente richiama il C.C.n.l. riferibile al personale non dirigenziale enAC -quadriennio normativo 1998-2001 e biennio economico 1998-1999, il quale all’art. 94 stabilisce che “l’ente disciplina la corresponsione dei compensi professionali degli avvocati, dovuti a seguito di sentenza favorevole all’ente, secondo i principi di cui al regio decreto 27 novembre 1933, n. 1578”, nonché alcune decisioni della magistratura amministrativa e contabile in relazione alla natura dei compensi in esame. Completando il quadro normativo di riferimento, richiama altresì le disposizioni del regio decreto-legge 27 novembre 1933, n. 1578 e con l’art. 23 della legge 31 dicembre 2012, n. 247. tanto premesso e ricostruito in punto di normativa di settore, occorre verificare se nel caso di specie sussista o meno in capo all’ente un obbligo di provvedere all’adozione della disciplina di natura regolamentare citata dall’art. 9 del d.l. 90/2014 e, specularmente, un diritto degli Avvocati dipendenti del- l’Amministrazione a vedersi riconosciuti gli onorari nei termini previsti da detta norma. tuttavia, dal quadro normativo esaminato non si ritiene che sia possibile evincere una previsione legislativa che imponga all’ente una regolamentazione della disciplina degli uffici legali. Al contrario, tale determinazione sembrerebbe essere rimessa alle valutazioni di stretto merito amministrativo che competono a codesto ente. tale obbligo non appare possa discendere dal regio decreto 1578 del 1933, il quale se pur richiamato dal CCnl siglato da codesto ente, al titolo vi, artt. 57 ss. (Degli onorari degli avvocati e dei procuratori e del rimborso delle spese), si pone unicamente quale testo di riferimento recante i principi generali relativi ai compensi degli Avvocati del libero foro senza determinare l’obbligatorietà della regolamentazione della materia per gli Avvocati dipendenti degli enti pubblici. Parimenti, il prefato obbligo non è ricavabile dall’art. 23 della legge 247/2012, il quale si limita a stabilire che agli Avvocati degli enti pubblici è “assicurata la piena indipendenza ed autonomia nella trattazione esclusiva e stabile degli affari legali dell’ente ed un trattamento economico adeguato alla funzione professionale svolta”. né può dirsi che detto obbligo sia ricavabile dal tenore testuale dell’art. 9 del d.l. 90/2014. tale disposizione, ad avviso della Scrivente, si limita infatti a delineare i principi a cui ancorare la ripartizione degli onorari e la distribuzione dei carichi di lavoro, rimandando ai regolamenti dei singoli enti di riferimento e alle indicazioni della contrattazione collettiva per quanto concerne la misura e le modalità di ripartizione; facendo in tal modo riferimento, evidentemente, a quelli già esistenti al momento dell’entrata in vigore della novella legislativa, stante la previsione dell’obbligo di adeguarli a dette previsioni entro tre mesi PAreri Del CoMitAto ConSultivo dall’adozione della legge di conversione e con espresso avviso che in assenza di detto adeguamento nulla potrà essere corrisposto dalle amministrazioni. Al riguardo, si ritiene che il mancato adeguamento sia equivalente all’assenza di regolamentazione. . . Parimenti, detti principi vincolano nei contenuti, ma non nell’adozione, l’eventuale scelta dell’ente di dotarsi di una regolamentazione e della negoziazione della disciplina pattizia. la disposizione non sembrerebbe, quindi, imporre agli enti pubblici l’adozione di un regolamento ma appare, piuttosto, volta a ridisegnare la disciplina e i limiti della ripartizione dei compensi professionali rimandando, quanto a misura e modalità della ripartizione, alle eventuali disposizioni dei regolamenti dei singoli enti di riferimento e alle indicazioni di disciplina offerte dalla contrattazione collettiva. Pur comprendendo il carattere non univoco della disciplina di riferimento, in assenza di disposizioni espresse in ordine all’obbligo di adozione di puntuali regolamenti e della sussistenza del diritto agli emolumenti, militano a sostegno della ricostruzione prospettata anche alcune pronunce delle Corti di ultima istanza. Dirimente appare quanto statuito dal Consiglio di Stato, sez. iii, con la sentenza n. 4814/2018, con la quale in merito a quanto disposto dall’art. 9 del d.l. 90/2014 il supremo consesso amministrativo ha chiarito che “il testo della citata disposizione porta ad escludere la sussistenza di un vero e proprio diritto in capo agli avvocati degli enti pubblici diversi dalla avvocatura di Stato e degli altri enti nazionali, ove si consideri che la suddetta disposizione rimanda a fonte regolamentare o contrattuale la disciplina della materia dei compensi degli avvocati degli enti pubblici [..] Pertanto, correttamente la sentenza di primo grado afferma che, il citato art. 9, comma 6, d.l. n. 90/2014, lungi dal limitarsi ad individuare le modalità di liquidazione di un vero e proprio diritto degli avvocati, circoscrive alle norme regolamentari o contrattuali vigenti la vera e propria fonte del- l’eventuale riconoscimento degli onorari in questione agli avvocati. a tale conclusione conducono sia l’interpretazione letterale sia quella sistematica della citata disposizione”. tale impostazione appare rispondente al caso di specie anche in considerazione della soggettività giuridica dell’enAC quale ente pubblico non economico. Quanto alle isolate pronunce del giudice amministrativo che sembrerebbero individuare nella normativa esaminata un obbligo di provvedere in capo all’amministrazione, si osserva che è lo stesso Consiglio di Stato nella richiamata pronuncia ad escludere, la rilevanza e la pertinenza del precedente del t.a.r. toscana del 9 marzo 2017, n. 355 in quanto, a suo stesso avviso, concernente altra problematica. né può ritenersi suggestiva l’isolata pronuncia rASSeGnA AvvoCAturA Dello StAto -n. 4/2023 del t.a.r. napoli del 16 marzo 2023, richiamata da codesto ente, che si pone in contrasto con il citato arresto del Consiglio di Stato. non vi è dubbio difatti, che a fronte di un orientamento così divergente debba riconoscersi valore preminente alla pronuncia del supremo Consesso amministrativo, anche in virtù della sua funzione nomofilattica. . e ancora, ritenuto che un eventuale obbligo non possa discendere dalla novella introdotta con il d.l. 90/2014, non può parimenti dirsi che l’obbligo di adottare il regolamento possa discendere per l’ente dalla normativa pattizia contenuta nel richiamato CCnl, siglato dallo stesso. in primo luogo, ciò deve essere escluso atteso che con riferimento alla natura vincolante delle disposizioni della contrattazione collettiva dell’ente pubblico dotato di Avvocatura interna, volte a prevedere l’adozione di un’apposita disciplina è intervenuta con reiterate e univoche pronunce la Corte di Cassazione. in particolare, con l’ordinanza n. 15597/2022 la Corte ha chiarito la portata di natura meramente programmatica della clausola pattizia contenuta nei contratti collettivi, dai quali ad avviso della medesima non discendono né immediati vincoli a carico della Pubblica Amministrazione né aspettative giuridicamente tutelate in capo all’avvocatura dipendente. in particolare, l’utilizzo del verbo “disciplina”, secondo la Corte, evidenzierebbe l’intenzione delle parti contraenti di rimettere all’ente e alla futura contrattazione decentrata integrativa la regolamentazione di questi aspetti. resta invece la facoltà (e non l’obbligo) dell’ente stesso di intervenire con una disciplina unilaterale, che ove mancante farebbe venir meno il diritto alla retribuzione ad hoc. l’ordinanza richiama a sua volta la sentenza della Suprema Corte n. 27316, del 7 ottobre 2021, osservando che il chiaro e univoco tenore letterale della norma pattizia conferma la volontà di lasciare ampio spazio agli enti provvisti di Avvocatura, consentendogli, di regolare la corresponsione dei compensi professionali dovuti a seguito di sentenza favorevole, fermo ovviamente il rispetto dei principi contenuti nel r.D. n. 1578/1933. nello stesso senso si è altresì espressa la Corte di legittimità, sezione lavoro, con ordinanza del 10 maggio 2022 n. 14761. Anche la novella legislativa esaminata, del resto, delinea un profilo puntuale tanto della eventuale regolamentazione che della contrattazione collettiva, la quale pertanto non può limitarsi a demandare ad un’ulteriore disciplina ma deve piuttosto prevedere il contenuto minimo previsto dall’art. 9, comma 5, del d.l. 90/2014 (“i contratti collettivi prevedono criteri di riparto delle somme di cui al primo periodo del comma 3 e al primo periodo del comma 4 in base al rendimento individuale, secondo criteri oggettivamente misurabili che tengano conto tra l’altro della puntualità negli adempimenti processuali. i suddetti regolamenti e contratti collettivi definiscono altresi i criteri di as PAreri Del CoMitAto ConSultivo segnazione degli affari consultivi e contenziosi, da operare ove possibile attraverso sistemi informatici, secondo principi di parità di trattamento e di specializzazione professionale”). ne deriva che non può riconoscersi portata vincolante alla locuzione “disciplina”. Premesso e condiviso quanto affermato e argomentato dalla Suprema Corte, sembra, inoltre militare a favore dell’esclusione della portata precettiva e vincolante delle disposizioni richiamate anche la considerazione per cui sia le previsioni del r.D. n. 1578/1933, a cui fa espresso richiamo la predetta norma pattizia, che quelle dell’art. 9 del d.l. 90/2014, nel delineare i principi sulla distribuzione degli onorari prevedono per gli Avvocati degli enti diversi dall’Avvocatura dello Stato la riconoscibilità degli onorari derivanti dalle sentenze favorevoli all’Amministrazione ma con compensazione integrale delle spese processuali. orbene, la liquidazione degli onorari derivanti dalla compensazione delle spese impone necessariamente che vi sia un apposito stanziamento all’uopo previsto e la relativa copertura nel bilancio dell’ente, nei limiti peraltro oggi imposti dal richiamato decreto-legge (non superiore al corrispondente stanziamento per l’anno 2013). D’altronde, neppure parrebbe giuridicamente possibile definire un trattamento diverso e meno favorevole per gli avvocati di codesto ente laddove venisse imposta una disciplina analoga a quella dell’avvocatura dello Stato e diversa da quelli degli altri enti nel mancato riconoscimento delle spese compensate. È di tutta evidenza che la necessità di prevedere un preventivo stanziamento nel bilancio dell’ente porta ad escludere che si possa riconoscere una portata precettiva e non meramente programmatica alla normativa pattizia e consente di confermare l’assenza di uno specifico obbligo di regolamentazione in capo all’amministrazione. Si ritiene, inoltre, opportuno rilevare che un ulteriore elemento che induce a propendere per la natura non precettiva della disposizione pattizia richiamata da codesto ente può essere rinvenuto nel mancato adeguamento della medesima contrattazione collettiva da cui la stessa è tratta, nei termini prescritti dall’esaminato art. 9, comma 8, del d.l. 90/2014 come condizione necessaria per poter regolamentare il riparto degli onorari. Si è visto, infatti, che in mancanza di adeguamento dei regolamenti e della contrattazione collettiva le amministrazioni non sono tenute alla liquidazione degli onorari; sicché sembrerebbe convincente la tesi per cui il legislatore non ha ritenuto che ricorra una pretesa giuridicamente rilevante da parte dei soggetti interessati a conseguire il predetto riparto degli onorari. Appare dunque, alla luce del quadro normativo di riferimento e della giurisprudenza esaminata, che non vi siano norme che impongano a codesto ente, l’adozione del regolamento concernente la distribuzione degli onorari tra gli Avvocati e che detto regolamento sia piuttosto demandato all’autonomia organizzativa dello stesso. rASSeGnA AvvoCAturA Dello StAto -n. 4/2023 Sulle questioni di cui al presente parere è stato sentito il Comitato Consultivo di questa Avvocatura, il quale nella seduta del 12 ottobre 2023, si è espresso in conformità. PAreri Del CoMitAto ConSultivo Rapporti tra Amministrazione Straordinaria delle grandi imprese in crisi e misure cautelari adottate in applicazione del Codice Antimafia. Obblighi procedurali Parere del 17/11/2023-718425, al 35471/2023, avv. GiaComo aiello Con la nota che si riscontra codesto Ministero pone alcuni quesiti, a loro volta articolati in una serie di ulteriori domande, in merito ai rapporti tra la procedura di amministrazione straordinaria di cui al D.lgs. n. 270/99 e le misure di prevenzione adottate dall’Autorità giudiziaria consistenti nel sequestro o nella confisca dell’azienda, accompagnate dalla nomina di un amministratore giudiziale ed in relazione alla spettanza, nonché ai criteri di calcolo, del compenso eventualmente dovuto ai Commissari straordinari nelle fattispecie richiamate. il problema si è posto con riferimento alla società (...) ed alla (...), entrambe in A.S., rispetto alle quali il tribunale penale di (...) nell’ambito del procedimento n. 27/2011 r.g. M.P. a carico di (...) ha disposto la confisca ed il sequestro delle aziende. Alla luce della predetta circostanza il primo quesito si sostanzia in una richiesta d’indirizzo per i casi di coesistenza della procedura di amministrazione straordinaria e quella di gestione dell’impresa da parte dell’Amministratore giudiziale. il medesimo quesito concerne pure i poteri delle Autorità di vigilanza, anche per i casi in cui sopravvenga la revoca della misura di prevenzione, ed interroga infine su quali siano gli obblighi in capo agli organi della procedura di A.S., laddove questa proceda, nonchè il dies ad quem per il riconoscimento del compenso ai Comitati di sorveglianza. occorre intanto osservare che il D.lgs. n. 270/99, da cui discende la disciplina articolata e complessa dell’Amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi, contiene, nel comma 1 bis dell’art. 2, una specifica previsione che ammette la possibilità di sottoporre alla procedura di A.S. delle grandi imprese in crisi e quindi la sua possibile coesistenza, con l’applicazione di misure di confisca già adottate nell’ambito di un parallelo procedimento penale a carico degli imprenditori o dei titolari del capitale sociale delle aziende in bonis. la disposizione citata statuisce infatti che “le imprese confiscate ai sensi della legge 31 maggio 1965, n. 575, e successive modificazioni, possono essere ammesse all’amministrazione straordinaria, alle condizioni e nelle forme previste dal presente decreto, anche in mancanza dei requisiti di cui alle lettere a) e b) del comma 1”. rispetto alle imprese confiscate ai sensi del Codice antimafia la norma ri rASSeGnA AvvoCAturA Dello StAto -n. 4/2023 chiamata ammette la compatibilità tra la vicenda della confisca e l’esercizio di una procedura concorsuale caratterizzata dalle finalità conservative dell’azienda. il medesimo D.lgs. 270/1999 non contiene invece alcuna previsione in merito i rapporti tra la procedura di amministrazione straordinaria che ne occupa, allorquando l’applicazione delle misure di prevenzione patrimoniale alla cui categoria appartengono il sequestro e la confisca, intervenga in un momento cronologicamente successivo alla sua apertura. Per rispondere al quesito deve quindi farsi anzitutto riferimento all’articolo 36 dello stesso D.lgs. 270/1999 che, per tutto quanto non previsto dal medesimo decreto, rinvia alle disposizioni sulla liquidazione coatta amministrativa in quanto compatibili. il Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza di cui al D.lgs. n. 14/2019 reca la disciplina della liquidazione coatta amministrativa negli artt. 293 e ss. l’art. 317 del D.lgs. n. 14/2019 dispone che “1. le condizioni e i criteri di prevalenza rispetto alla gestione concorsuale delle misure cautelari reali sulle cose indicate dall’articolo 142 sono regolate dalle disposizioni del libro i, titolo iv del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, salvo quanto previsto dagli articoli 318, 319 e 320. 2. Per misure cautelari reali di cui al comma 1 si intendono i sequestri delle cose di cui è consentita la confisca disposti ai sensi dell’articolo 321, comma 2, del codice di procedura penale, la cui attuazione è disciplinata dall’articolo 104-bis delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale”. il primo comma della norma richiamata reca un espresso rinvio al Codice Antimafia ed in particolare a quelle disposizioni, tra cui gli artt. 63 e 65 del D.lgs. n. 159/2011 che disciplinano il rapporto tra l’amministrazione dei beni confiscati alla mafia e le altre procedure concorsuali tra le quali rientra anche la liquidazione coatta amministrativa in virtù dell’espresso rinvio di cui all’art. 321 del D.lgs. n. 14/2019. Gli artt. 63 e 65 D.lgs. n. 159/2011 prevedono in particolare che, se il fallimento è successivo al provvedimento di sequestro o confisca, i beni che vi sono assoggettati sono esclusi dalla massa attiva fallimentare. laddove le misure di prevenzione riguardino beni appartenenti ad aziende sottoposte alla procedura di liquidazione coatta amministrativa, le cui regole trovano applicazione nell’ambito dell’amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi (in virtù del citato art. 36, D.lgs. n. 270/1999), il Pubblico Ministero chiede al tribunale l’adozione di provvedimenti conservativi ex art. 195, comma 2, r.D. 267/1942 (ora art. 297, comma 3, D.lgs. n. 14/2019 - v. art. 294). nel caso in cui la misura di prevenzione venga adottata sui beni compresi nel fallimento dichiarato in precedenza, il giudice delegato al fallimento, sentito il curatore ed il comitato dei creditori, dispone, al sensi del comma 1 del- l’art. 64, D.lgs. n. 159/2011, con decreto non reclamabile la separazione di tali PAreri Del CoMitAto ConSultivo beni dalla massa attiva del fallimento e la loro consegna all’amministratore giudiziario. le disposizioni richiamate indicano un’evidente preminenza degli effetti delle misure cautelari adottate in applicazione del Codice Antimafia rispetto a quelle di gestione e liquidazione del patrimonio aziendale variamente previste a tutela del ceto creditorio o dell’interesse alla conservazione e rilancio delle aziende, nel caso dell’Amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi. Alla luce di quanto precede può dunque rispondersi al primo quesito nel senso della piena ammissibilità teorica della coesistenza dell’amministrazione giudiziale delle aziende sequestrate o confiscate in attuazione del D.lgs. n. 159/2011, con l’amministrazione straordinaria in commento, a patto che residuino degli asset aziendali da gestire (come ad esempio nel caso in cui il sequestro abbia interessato solo un ramo d’azienda). Se, invece il sequestro o la confisca di prevenzione hanno per oggetto l’intera azienda assoggettata alla procedura di Amministrazione straordinaria ovvero, nel caso di società di persone, l’intero patrimonio personale dei soci illimitatamente responsabili, applicandosi in via analogica il comma 7 dell’art. 64 D.lgs. n. 159/2011, si dovrebbe chiedere la chiusura della procedura di cui all’art. 2 D.lgs. n. 270/1999 al tribunale competente. È noto infatti che si ha il sequestro di azienda quando il provvedimento cautelare abbia ad oggetto non il singolo bene ma tutti quei beni che siano funzionalmente destinati all’esercizio dell’attività di impresa, anche se non di proprietà dell’imprenditore prevenuto, ma utilizzati nell’attività a vario titolo. ed, infatti, è proprio l’insieme e l’organizzazione dei beni che caratterizzano l’azienda. Peraltro, di quest’ultima fanno parte anche i rapporti giuridici che non sono beni materiali in senso stretto ma che vi rientrano comunque: si pensi ai contratti di lavoro e a qualunque vincolo negoziale, in generale. il sequestro dell’azienda attribuisce quindi all’amministratore giudiziale nominato dall’autorità giudiziaria, il potere/dovere di svolgere l’attività di impresa gestendone anche i rapporti giuridici che ineriscono l’azienda, pur non essendo beni in senso stretto. Questa è la ragione per la quale, quando l’azienda sequestrata appartiene ad una società, gli amministratori sociali sono sospesi dai loro poteri gestori che sono esercitati dall’amministratore giudiziario il quale dunque si sostituisce all’imprenditore sequestrato senza assumerne la qualità in quanto il potere gestorio è esercitato in funzione della custodia dell’azienda. laddove quindi il sequestro o la confisca dell’azienda sopravvengano nel corso della procedura di Amministrazione straordinaria dovrebbe trovare applicazione il comma 1 dell’art. 69 D.lgs. n. 270/1999 il quale statuisce che “Qualora, in qualsiasi momento nel corso della procedura di amministrazione straordinaria, risulta che la stessa non può essere utilmente proseguita, il tri rASSeGnA AvvoCAturA Dello StAto -n. 4/2023 bunale, su richiesta del commissario straordinario o d’ufficio, dispone la conversione della procedura in fallimento”. Passando alla seconda parte del primo quesito con cui si chiede quali siano i poteri delle autorità di vigilanza e degli organi preposti alla procedura di A.S., in caso di revoca del sequestro o della confisca, si dovrebbe applicare in via analogica il comma 10 dell’art. 64 del Codice Antimafia in base al quale: “Se il sequestro o la confisca sono revocati prima della chiusura del fallimento, i beni sono nuovamente ricompresi nella massa attiva. l’amministratore giudiziario provvede alla consegna degli stessi al curatore, il quale prosegue i giudizi di cui al comma 9”. nella terza parte del primo quesito codesto ufficio chiede, per il caso di prosecuzione della procedura di A.S., quali siano gli obblighi che permangono in capo ai commissari straordinari ed al Comitato di sorveglianza ed il dies ad quem per il riconoscimento del compenso. Ad avviso della Scrivente, fino alla chiusura della procedura di A.S. i suoi organi sono tenuti all’adempimento di tutti gli obblighi previsti dalla disciplina di settore ed i compensi sono interamente dovuti, nel caso di prosecuzione dell’A.S., fino al momento dell’adozione del decreto del tribunale competente che ne dispone la chiusura. *** il secondo quesito posto da codesta Amministrazione attiene alla determinazione del compenso dovuto ai commissari straordinari. la prima parte del quesito riguarda la validità dei criteri di calcolo definiti dal combinato disposto dell’art. 47 D.lgs. n. 270/1999 e dei DDMM 3 novembre 2016 o 25 gennaio 2012, n. 30 applicabili a seconda che l’attività commissariale sia stata svolta prima o dopo il 24 novembre 2016. Atale quesito si deve dare risposta affermativa per i casi nei quali l’attività dei commissari sia stata correttamente svolta fino al momento della chiusura di A.S. È comunque evidente che l’erogazione del compenso rimane altresì subordinata al mantenimento dei requisiti di professionalità ed onorabilità dei commissari giudiziali e straordinari delle procedure di amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi ai sensi dell’art. 39, comma 1 D.lgs. n. 270/1999, come ulteriormente disciplinati dal DM 10 aprile 2013, n. 60. rientra inoltre nei poteri di codesta Amministrazione esprimere una valutazione ampiamente discrezionale in relazione al pregiudizio alla credibilità, o circa le possibili negative ricadute sulla gestione operativa, od infine, al danno all’immagine che possono derivare dalla permanenza del commissario nell’incarico allorquando, come nel caso descritto nella richiesta di parere, sembrano essere maturati entrambi i presupposti della notifica di informazione di garanzia al commissario straordinario per delitto non colposo e vi sia stato l’avvio del procedimento per l’applicazione di misure di prevenzione ai sensi del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159. PAreri Del CoMitAto ConSultivo rimane comunque fermo il principio per cui il compenso è in ogni caso dovuto fino al momento della sospensione. lo stesso dovrà essere invece denegato nel caso in cui il Comitato di sorveglianza esprima parere non favorevole sul risultato della gestione e la circostanza venga documentalmente provata dall’Amministrazione, che sarebbe altrimenti esposta ad azioni giudiziali da parte del Commissario straordinario avente diritto. Con la seconda parte del secondo quesito si chiede invece se la liquidazione del compenso debba essere subordinata ad un preventivo assenso del- l’Autorità giudiziaria in merito all’attendibilità delle risultanze fornite con autodichiarazione dei commissari, circa l’attività svolta. Siffatto adempimento non sembra tuttavia dovuto non essendo previsto, né dalla disciplina di carattere primario, né dalla fonte secondaria. la fattispecie è infatti diversa da quella della liquidazione del compenso al commissario giudiziale che, dopo l’apertura dell’A.S. o la dichiarazione di fallimento, spetta comunque al tribunale ex art. 3 DM 3 novembre 2016. Con la terza parte del secondo quesito si chiede infine se, con riferimento al caso di specie, debbano trovare applicazione gli artt. 11 DM 3 novembre 2016 e 75 D.lgs. n. 270/1999 o se si debbano considerare decaduti gli organi nominati in seno alla procedura di A.S. Si ritiene di avere già fornito risposta al problema della decadenza degli organi della procedura di A.S. che non si pone come fatto automatico, ma che discende, per le considerazioni che precedono, da un provvedimento del tribunale competente che dichiara la chiusura della procedura medesima, stante il fatto che non può più essere utilmente proseguita. Conseguentemente, nei casi in cui il sequestro o la confisca dell’azienda ne impediscano l’ulteriore gestione da parte del commissario straordinario, il compenso dovrà essere quantificato in relazione agli artt. 11 DM novembre 2016 e 75 D.lgs. n. 270/1999. **** trattandosi di questione di particolare rilevanza è stato sentito il Comitato Consultivo, che, nella seduta del 16 novembre 2023, si è espresso in conformità. rASSeGnA AvvoCAturA Dello StAto -n. 4/2023 La categoria delle “fondazioni private in controllo pubblico” e quella delle “fondazioni pubbliche”. In merito alla natura giuridica della Fondazione Enea Tech e Biomedical. Ente vigilato dal Ministero delle imprese e del made in Italy Parere del 12/01/2024-25784, al 41481/2023, avv. GiaComo aiello Con la nota che si riscontra viene chiesto il parere della Scrivente in relazione alla natura giuridica della Fondazione enea tech e Biomedical, chiedendo codesto ufficio se questa appartenga alla categoria delle fondazioni private in controllo pubblico oppure a quella delle fondazioni pubbliche. Detta fondazione è stata costituita nell’ambito della più articolata disposizione normativa di cui all’art. 42, comma 5, del Dl n. 34/2020, che ha, anzitutto, previsto l’istituzione presso codesto Ministero di un fondo, denominato “Fondo per il trasferimento tecnologico”, con il compito di finanziare iniziative volte, tra l’altro, allo sviluppo, alla riconversione industriale ed alla promozione della ricerca nel settore biomedicale. Mediante la dotazione finanziaria del fondo, si possono sostenere le iniziative imprenditoriali d’interesse, anche attraverso la partecipazione al capitale di rischio e di debito. la norma prevede che codesto Ministero possa avvalersi dell’eneA, per l’attuazione di una parte delle iniziative richiamate, nell’ambito delle competenze ad esso già attribuite in materia di trasferimento tecnologico. Per l’attuazione delle finalità di cui alla norma in esame, il comma 5 ha autorizzato l’eneA alla costituzione della fondazione di diritto privato denominata “Fondazione enea tech e Biomedical”. la fondazione è vigilata da codesto Ministero cui spetta l’adozione del- l’atto d’indirizzo per definirne gli obbiettivi strategici. il patrimonio della fondazione è costituito dalle risorse specificamente assegnate dalla legge in commento (pari a 12 milioni di euro), ivi compresse quelle ulteriori che codesto Ministero può trasferire a valere sul fondo sopra indicato sulla base di un’apposita convenzione. l’art. l, comma 1, dello Statuto, approvato da codesto Ministero il 24 novembre 2021, in piena consonanza con la fonte normativa fin qui illustrata, qualifica la Fondazione enea tech e Biomedical come una fondazione privata senza scopo di lucro sottoponendola alla disciplina degli artt. 14 e ss. cc. riferisce codesto ufficio che, in sede di bilancio consuntivo del 2022, la fondazione si è poi qualificata come fondazione di partecipazione volta a favorire il partenariato pubblico privato e regolata dagli artt. 14 e ss. cc. Codesto ufficio solleva, tuttavia, perplessità in merito all’esatta qualifica PAreri Del CoMitAto ConSultivo zione giuridica della fondazione in esame, segnalando l’esistenza di alcuni indici strumentali e di funzionamento che ne rileverebbero la natura pubblicistica. tra questi vengono annoverati: l’elemento teleologico, il finanziamento interamente pubblico, la governance di nomina ministeriale, l’iscrizione nel- l’elenco istat delle pubbliche amministrazioni (sebbene gli effetti di tale iscrizione siano stati nuovamente sospesi per l’anno in corso, con riferimento all’applicazione delle disposizioni in materia di contenimento della spesa pubblica, per effetto dell’art. 3, comma 2-bis, del Dl n. 132/2023) e l’iscrizione nell’Anagrafe delle stazioni appaltanti dell’AnAC. Così riassunti i termini essenziali della vicenda da cui trae spunto la presente consultazione, deve, anzitutto, premettersi che la fondazione di partecipazione rappresenta lo strumento attraverso il quale un ente pubblico persegue uno scopo di utilità generale, che può essere anche orientato a creare una partnership pubblico‑privata per usufruire di maggiori disponibilità finanziarie e di adeguata capacità manageriale nella gestione dei servizi, venendosi così a ridurre il rischio associato all’attività della produzione di servizi. trattandosi di un negozio giuridico a struttura aperta, per individuare la disciplina applicabile, occorre avere riguardo alla fattispecie concreta e, in particolare, alle clausole statutarie. una volta definito il modello teorico della fondazione di partecipazione, si pone il problema se essa rientri nell’alveo dei cosiddetti “organismi partecipati” e se, di conseguenza, debbano applicarsi le norme finanziarie che pongono limiti, divieti e restrizioni di spesa all’ente pubblico fondatore. Secondo la giurisprudenza prevalente, la soluzione deve essere determinata caso per caso, valutando la struttura e le regole di funzionamento poste dallo statuto di ciascuna fondazione di partecipazione. la soluzione positiva del problema si ha quando si riconosce alla fondazione di partecipazione una valenza pubblicistica in quanto caratterizzata da elementi che la qualificano come un “organismo di diritto pubblico”. la giurisprudenza, ritiene che, affinché un soggetto giuridico di diritto privato possa confluire all’interno del settore pubblicistico, debbano essere necessariamente presenti, contemporaneamente, alcune condizioni: -la fondazione di partecipazione deve essere dotata di personalità giuridica; -l’organismo deve essere istituito per soddisfare esigenze di interesse generale, aventi carattere non industriale o commerciale; -la sua attività deve essere finanziata in modo maggioritario dallo Stato, dagli enti pubblici territoriali o da altri organismi di diritto pubblico, oppure la gestione deve essere soggetta al controllo di questi ultimi, oppure, ancora, l’organo di amministrazione o di vigilanza è costituito da componenti dei quali più della metà sia designata dallo Stato, dagli enti pubblici territoriali o da altri organismi di diritto pubblico. rASSeGnA AvvoCAturA Dello StAto -n. 4/2023 le situazioni in cui l’ente pubblico può partecipare ad una fondazione sono le più diverse. una prima ampia categoria di fondazioni comprende i casi di attività “esternalizzate” dalla pubblica amministrazione, per ragioni di miglior efficienza astrattamente assicurate dalla diversa figura giuridica e/o di maggiore funzionalità del diritto comune rispetto alle regole pubblicistiche. Si tratta, dunque, sempre di attività di pubblico interesse, tipiche della configurazione che la legge ha dato al particolare ente pubblico interessato all’esternalizzazione, che mutano solo nella veste formale in cui vengono poi esercitate. Da qui una perdurante rilevanza pubblicistica di quest’attività, che obbliga l’ente pubblico a mantenere una posizione di controllo e di garanzia sull’operato della fondazione partecipata. Al di là della gravosità di queste regole, è stata anche contestata l’apparente contraddizione tra la “forma fondazione” e la loro possibile qualificazione come “organismi di diritto pubblico”. in realtà, siamo di fronte ad un fenomeno -assai comune -per cui il medesimo soggetto può assumere un diverso rilievo giuridico, di diritto comune o di diritto pubblico, a seconda delle circostanze considerate. il Giudice di legittimità ha osservato sul punto che è incontestato, tanto in dottrina, quanto in giurisprudenza, che la sottoposizione al regime pubblicistico può non riguardare l’intera vita dell’ente, ma solo alcuni segmenti della sua attività ossia quelli strettamente legati all’affidamento dei contratti, ferma restando la possibilità per l’ente di ricorrere a strumenti di diritto privato per il raggiungimento delle finalità istituzionali (Cass. Su 19 aprile 2021, n. 10244). ne consegue che, la nozione di “organismo di diritto pubblico” non implica una nuova categoria di persona giuridica, ma serve solo a definire le occasioni in cui un soggetto giuridico, come definito dal diritto nazionale, deve osservare le regole comunitarie a garanzia del mercato e della concorrenza. le fondazioni di partecipazione devono, invece, esprimere compiutamente un partenariato pubblico privato, quali enti di forma privatistica in cui più soggetti, privati e pubblici, perseguono fini di utilità sociale. tutto ciò premesso in relazione agli aspetti generali dell’istituto, l’interpretazione della fattispecie in esame non può prescindere dal dato formale della qualificazione giuridica in senso privatistico della fondazione definita nell’art. 42, comma 5, Dl n. 34/2020, per superare la quale si dovrebbe ipotizzare una contrarietà della disposizione al diritto comunitario, con l’effetto della sua disapplicazione, oppure la sua eventuale difformità dal dettato costituzionale, ai fini di un’interpretazione costituzionalmente orientata, che però non può mai avere una valenza abrogativa. l’affermazione legislativa della natura privata della Fondazione che ne PAreri Del CoMitAto ConSultivo occupa non sembra, tuttavia, porsi in contrasto né con l’uno, né con l’altro plesso normativo, per cui occorre valutare se gli aspetti sintomatici evocati nella nota che si riscontra siano suscettibili di alterare il quadro definitorio fin qui richiamato. in mancanza di un’espressa qualificazione legislativa in senso pubblicistico, la giurisprudenza di legittimità ha ritenuto insufficiente ad attribuire la natura pubblicistica all’ente la presenza di taluni indici sintomatici quali la natura pubblica degli enti che concorrono a formarlo (Cass. Su 23 novembre 1993, n. 11541; Cass. Su 17 aprile 1982, n. 2334); il perseguimento delle finalità riguardanti i soggetti che lo hanno formato (Cass. n. 11541/1993 cit.), specie se la coincidenza degli scopi e delle attività dell’ente non è integrale con i fini e gli scopi della pubblica amministrazione (Cass., n. 2334/1982 cit.); la partecipazione ai suoi organi dei rappresentanti dei soggetti che l’hanno formato (Cass., n. 11541/1993 cit.) (1). Alla luce di quanto precede, le circostanze che la fondazione in esame sia stata costituita da amministrazioni o enti pubblici, che abbia finalità di interesse generale (che possono ben essere perseguite anche da soggetti privati ed in particolare lo sono dalle fondazioni) e che vada considerata organismo di diritto pubblico ai fini dell’applicazione della disciplina in tema di appalti pubblici, non possono considerarsi decisive ai fini dell’inclusione della Fondazione enea tech e Biomedical nella categoria delle fondazioni pubbliche. Anche la considerazione dell’impiego di fondi pubblici non sembra dirimente visto che è stata prevista dal medesimo legislatore che ha affermato, al contempo, la natura privata della Fondazione e posto che comunque lo statuto ammette pure la possibilità di apporti di capitale privato al patrimonio dell’ente. inoltre, le modalità attraverso le quali si svolge la vigilanza del Ministero possono considerarsi compatibili con la natura privatistica dell’ente i cui bilanci ed atti programmatori non sono sottoposti alla preventiva approvazione dell’ente vigilante, ma solo ad un esame preventivo per la formulazione di eventuali osservazioni. infine, la disposizione statutaria di cui all’art. 2 che assegna al Ministero (1) il Consiglio di Stato ha, peraltro, affermato che: “il semplice riconoscimento legislativo, in capo all’ente pubblico, del potere di nomina dei componenti del consiglio di amministrazione della società, per esempio, se certo è sintomatico del rilievo in senso lato pubblicistico che la società stessa presenta, non può tuttavia indurre, singolarmente considerato, a qualificare come pubblico l’ente societario medesimo, non comportando un’alterazione dei normali meccanismi di funzionamento propri del modello: ed invero, una volta nominato, l’amministratore entra a far parte della società, all’interno della quale dovrà operare, in assenza di ulteriori anomalie di funzionamento legislativamente contemplate, secondo le regole codicistiche e a prescindere dall’originario rapporto fiduciario che ha determinato la sua nomina” (Sez. vi, 5 marzo 2002, n. 1303). rASSeGnA AvvoCAturA Dello StAto -n. 4/2023 i poteri tipicamente propri dell’Autorità governativa di cui all’art. 25 c.c., può ritenersi compatibile con la natura privata della fondazione. occorre d’altro canto rilevare che alla Fondazione non risultano attribuiti poteri di spessore pubblicistico o prerogative derogatorie della disciplina di diritto comune, che, anzi, sembra essere stata pienamente osservata da codesto Ministero nella costituzione e nella gestione della fondazione medesima (2). nel disegno del legislatore, proprio la natura privata può del resto rendersi più congeniale alla realizzazione dei molteplici obbiettivi indicati nello statuto (cfr. art. 3.2) ed all’eventuale promozione del partenariato pubblico privato rispetto all’ambito della ricerca e dell’innovazione nel settore bio-medicale. Per le ragioni che precedono, si ritiene che la Fondazione in esame, benché non a base privata e pur essendo emanazione di un apparato pubblico, appartenga alla categoria degli enti di diritto privato in controllo dell’Amministrazione di cui all’art. 22 D.lgs. n. 33/2013 e che l’esistenza degli elementi di chiara matrice pubblicistica richiamati nella nota che si riscontra, non possa metterne in dubbio la natura privatistica. Dalle considerazioni che precedono discende che le procedure assunzionali potranno essere effettuate in regime privatistico assicurandone comunque la massima trasparenza ed accessibilità dall’esterno, in considerazione del loro stretto legame con l’impiego di risorse pubbliche. Per quanto riguarda, invece, gli adempimenti contabili, cui pure viene fatto cenno nella richiesta di parere, gli stessi dovranno uniformarsi alle previsioni statutarie con il pieno coinvolgimento dell’Amministrazione vigilante per il tramite del proprio rappresentante e di quelli nominati di concerto con eneA in qualità di fondatore, nell’ambito del consiglio direttivo. **** trattandosi di questione di particolare rilevanza è stato sentito il Comitato Consultivo, che, nella seduta dell’11 Gennaio 2024, si è espresso in conformità. (2) Cfr. Cons. di Stato, Sez. v, 28 giugno 2012, 3820; t.a.r. del lazio, Sez. iii-ter, 30 maggio 2013, n. 5462. PAreri Del CoMitAto ConSultivo Esercizio del diritto di prelazione di cui all’art. 6 della L. 28 ottobre 1999, n. 410, asseritamente spettante ad una Società cooperativa agricola in relazione alla cessione di un ramo di azienda da parte di Consorzio Agrario in liquidazione coatta amministrativa Parere del 12/01/2024-26405, al 43652/2023, 1. Con nota n. 0363683 del 1° dicembre 2023, codesto Ministero ha chiesto alla Scrivente di esprimere il proprio parere “in ordine alla natura e alle modalità di esercizio del diritto riconosciuto dall’articolo 6 della legge 410/1999 alle cooperative agricole, e di specie se possa validamente ed efficacemente esercitarsi prescindendo dalla partecipazione alla gara e in momento successivo alla stessa”. Ha, altresì, chiesto di precisare “con quali modalità e termini deve essere comunicata e/o pubblicizzata la vendita e/o l’offerta al fine di consentire l’esercizio dei diritti cui alla sopra citata disposizione, anche rispetto la posizione del diverso aggiudicatario provvisorio”. la nota sottolinea il carattere di urgenza della richiesta di parere. 2. Con la successiva nota di protocollo 0369874 del 6 dicembre 2023 codesto Ministero ha trasmesso il parere pro veritate del Prof. Avv. Antonio nuzzo in materia di diritto di prelazione di cui all’articolo 6 della legge 410 del 1999, nonché l’atto con cui la (...) Cooperativa Agricola a r.l aveva esercitato il diritto di prelazione di cui alla citata disposizione. veniva segnalata nuovamente l’urgenza della richiesta di parere, rappresentando che il Commissario liquidatore aveva espresso la propria intenzione di uniformarsi al citato parere pro veritate. ** ** osserva la Scrivente quanto segue. 3. la più volte segnalata urgenza della richiesta di parere e il carattere sostanzialmente pacifico delle circostanze di fatto inducono a ridurre ad un’estrema sintesi l’esposizione delle vicende che hanno originato la presente richiesta di parere. 3.1. tali circostanze attestano l’avvio di una procedura competitiva di vendita di un ramo d’azienda del consorzio agrario di Benevento da parte del commissario liquidatore mediante pubblicazione su una serie di quotidiani di larga diffusione e su siti specializzati. A seguito di questa pubblicazione il ramo d’azienda messo in vendita veniva aggiudicato provvisoriamente alla società agricola a r.l. (...), risultata unica offerente, al prezzo di euro 3.740.000. 3.2. Come precisato nel Chiarimento n. 2 pubblicato dal commissario liquidatore, veniva data comunicazione dell’aggiudicazione provvisoria al Consorzio Agrario provinciale di lecce (il solo consorzio agrario in bonis esistente rASSeGnA AvvoCAturA Dello StAto -n. 4/2023 nella regione Campania e nelle regioni confinanti) ai sensi dell’articolo 6 della legge 410/1999, nonché alle società cooperative agricole operanti nella provincia di Benevento e nella regione Campania. la notizia dell’aggiudicazione provvisoria veniva pubblicata anche sul quotidiano il Mattino. 3.3. Mentre il Consorzio Agrario provinciale di lecce comunicava di non voler esercitare il diritto di prelazione, la Società cooperativa agricola a r.l. (...) comunicava in data 3 novembre 2023 di “avvalersi della prelazione”. tale comunicazione, come già ricordato, è stata ribadita con atto notificato in data 4 dicembre 2023 al Commissario liquidatore e al Consorzio agrario di Benevento, in cui si dichiara “di esercitare il diritto di prelazione ex art. 6 della legge del 28 ottobre 1999 n. 410 e dell’art. 38 della legge 27 luglio 1972 n. 392”. 3.4. Da qui nasce la richiesta di parere, con la quale si chiede in primo luogo se il diritto di prelazione di cui all’articolo 6 della legge 28 ottobre 1999 n. 410 possa essere esercitato anche da una società cooperativa agricola che non abbia partecipato alla procedura competitiva. 4. ritiene la Scrivente che, pur con la dovuta cautela derivante dall’assenza di precedenti giurisprudenziali sulla specifica questione giuridica oggetto di parere, al quesito non possa essere data risposta positiva per le ragioni che saranno di seguito esposte. 5. Si ritiene, innanzitutto, utile riportare il testo della disposizione (art. 6 l. 28 ottobre 1999, n. 410 nuovo ordinamento dei consorzi agrari). art 6. - diritto di prelazione. 1. nel caso di vendita di beni immobili o di vendita in blocco dei beni mobili, di cessione di azienda o di ramo di azienda dei consorzi agrari sottoposti a liquidazione coatta amministrativa, autorizzate ai sensi dell’articolo 210 del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, è attribuito, a parità di condizioni, il diritto di prelazione ai consorzi agrari, costituiti nella regione o in regione confinante che siano in amministrazione ordinaria. Qualora detti consorzi non esercitino tale diritto, le società cooperative agricole costituite e operanti nella provincia e successivamente nella regione stessa sono preferite, a parità di condizioni, rispetto agli altri offerenti, sempre che siano in amministrazione ordinaria. 2. Per l’esercizio del diritto di prelazione si applicano le procedure ed i termini previsti dall’articolo 38 della l. 27 luglio 1978, n. 392. 3. l’esercizio del diritto di prelazione consente altresì l’uso della denominazione del consorzio agrario soggetto a liquidazione coatta amministrativa, sempre che riguardi il complesso dei beni o la cessione di azienda, nonché il compimento delle operazioni di cui all’articolo 2, comma 2. 6. Ad un piano esame letterale della disposizione emerge che essa tiene distinta: a) la posizione dei consorzi agrari, ai quali viene espressamente attribuito “il diritto di prelazione” (sempre che siano costituiti nella regione o in PAreri Del CoMitAto ConSultivo una regione confinante e siano in amministrazione ordinaria), e b) la posizione delle cooperative agricole alle quali viene attribuito -secondo l’espressione letterale usata dal legislatore -il diritto di essere “preferite a parità di condizioni, rispetto agli altri offerenti” (sempre che siano costituite nella Provincia e, successivamente nella regione, e siano in amministrazione ordinaria). 7. Si tratta, dunque, di stabilire se la diversa dizione legislativa sia motivata da una semplice imprecisione lessicale non tale da compromettere, in tesi, l’intento legislativo di fare riferimento in entrambi i casi ad un vero e proprio “diritto di prelazione” in senso tecnico; ovvero, piuttosto, se la diversa locuzione utilizzata con riferimento alle cooperative non risponda al deliberato intendimento legislativo di distinguere la posizione di favore riconosciuta alle cooperative rispetto al diritto potestativo attribuito ai consorzi. 8. in prima battuta, occorre rilevare che non vi sono elementi, testuali né sistematici, tali da far propendere per la tesi della imprecisione tecnica, riscontrandosi, al contrario, diversi elementi suscettibili di configurare una scelta legislativa pienamente consapevole nel senso di differenziare le due posizioni. 9. in proposito, appare utile una breve ricognizione sistematica della normativa in esame. Benché la legge 410/1999 abbia influito profondamente sulla disciplina dei consorzi agrari (in precedenza caratterizzati dalla attribuzione di tratti squisitamente pubblicistici connessi alla funzione di “organi di esecuzione” delle operazioni di ammasso obbligatorio e volontario dei prodotti agricoli) e benché sia ora previsto l’assoggettamento dei consorzi alla disciplina delle ordinarie cooperative agricole con la scomparsa delle funzioni parapubbliche sopra menzionate, nondimeno, rimangono alcuni elementi che depongono per la persistente peculiarità di ta1i soggetti che ne rendono la relativa natura non perfettamente assimilabile a quella delle ordinarie cooperative. oltre alla previsione particolare degli scopi (descritti in modo specifico dall’art. 2 della l. 410/1999 e mutuati dall’originaria disciplina contenuta nel D.lgs. 1235/1948) (1) giova ricordare che l’entrata in vigore del D.l. n. 181/2006 (contenente una più spiccata conformazione dei consorzi agrari alle normali cooperative) è stata, però, più volte prorogata fino alla sua definitiva abrogazione per effetto della l. 244/2007 (legge finanziaria per il 2008), e al successivo intervento contenuto nel D.l. 85/2008, convertito nella l. 121/2008, che, com’è noto, ha attribuito la vigilanza al Ministero dello Svi (1) 2. Scopi. 1. i consorzi agrari hanno lo scopo di contribuire all’innovazione ed al miglioramento della produzione agricola, nonché alla predisposizione e gestione di servizi utili all’agricoltura. 2. i consorzi possono inoltre compiere operazioni di credito-agrario di esercizio in natura, ai sensi dell’articolo 153 del decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, nonché di anticipazione ai produttori in caso di conferimento di prodotti agricoli all’ammasso volontario, e possono partecipare a società i cui scopi interessino l’attività consortile o promuoverne la costituzione. rASSeGnA AvvoCAturA Dello StAto -n. 4/2023 luppo economico (ora delle imprese e made in italy) di concerto con Ministero dell’agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste. 10. in quadro giuridico, dunque, in cui i consorzi agrari continuano tuttora a differenziarsi -quanto alla peculiarità degli scopi e ad alcuni tratti del regime giuridico -rispetto alle cooperative agricole, va letto 1’art. 6 della l. 410/1999 (disposizione che -è opportuno notare -il legislatore ha ritenuto di mantenere in vigore, insieme all’art. 2 concernente la descrizione degli scopi, malgrado le numerose modifiche normative che via via andavano succedendosi nel tempo in ordine al loro regime giuridico). 11. ebbene, è proprio in forza di tali persistenti peculiarità, giuridiche e storiche, dei consorzi agrari che sembra possa essere spiegata la posizione poziore che, nel contesto del richiamato art. 6, viene attribuita ai consorzi agrari rispetto alle cooperative agricole, in primo luogo, laddove è unicamente con riferimento ai primi che il legislatore menziona espressamente e formalmente un “diritto di prelazione”, al cui mancato esercizio soltanto consegue la possibilità di prendere in considerazione le istanze di eventuali cooperative agricole dotate dei requisiti di legge; e, in secondo luogo, laddove, con riferimento a queste ultime, non di “prelazione” si parla, ma di semplice “preferenza”, a parità di condizioni, “rispetto agli altri offerenti”, il che sembra implicare, come rilevato nel parere “pro veritate” trasmesso con la nota a margine, la partecipazione delle cooperative alla procedura concorsuale insieme ad “altri offerenti”. 12. È bensì vero che la relazione di accompagnamento al disegno di legge governativo che ha portato all’approvazione della legge 410 del 1999 si esprime nel senso della “attribuzione del diritto di prelazione a consorzi agrari costituiti nella regione o in quella confinante e, in via subordinata, ad altre società cooperative agricole operanti nella regione, nell’ipotesi di vendita di beni immobili o mobili di consorzi in liquidazione coatta amministrativa”. nondimeno -in un contesto sufficientemente chiaro come quello che scaturisce dalla lettura testuale della disposizione in esame -questo passaggio della relazione sembra possa essere inteso quale espressione descrittiva sintetica volta ad evidenziare -in modo complessivo ed unitario -che entrambe le tipologie di soggetti (consorzi agrari e cooperative agricole) godono di una, sia pur diversificata, posizione di favore rispetto a qualsiasi altro soggetto. 13. Siffatta interpretazione, a parere della Scrivente, è in qualche modo confermata dalla disposizione contenuta nel terzo comma del menzionato art. 6 (a norma del quale “l’esercizio del diritto di prelazione consente altresì l’uso della denominazione del consorzio agrario soggetto a liquidazione coatta amministrativa”), disposizione che -perfettamente coerente con la perimetrazione dal diritto di prelazione ai solo consorzi agrari -rimarrebbe distonica rispetto ad una scelta esegetica che intendesse estendere il diritto di prelazione alle cooperative. PAreri Del CoMitAto ConSultivo 14. Giova, infine, tener presente che una lettura estensiva del dettato normativo finirebbe per mettere in discussione l’affidamento nelle trattative da parte dei soggetti che hanno partecipato alla procedura concorsuale, consentendo alla cooperativa in questione di intervenire in una procedura concorsuale (che si svolgeva, è bene notarlo, senza incanto) ad asta già chiusa, surrogandosi all’aggiudicatario senza assumere il rischio della presentazione di un’offerta economica da comparare con quella dell’altro/altri offerenti. trattasi, a ben vedere, di una rilevante limitazione delle garanzie fondamentali della correttezza e buona fede nelle trattative contrattuali, che potrebbe essere ammessa solo in presenza di una disposizione normativa inequivocabile, nel caso in esame -a parere della Scrivente -non fondatamente rinvenibile nella disposizione contenuta nell’art. 6 l. 410/1999. 15. Per le suddette ragioni, anche per evitare i rischi del probabile contenzioso che sarebbe intrapreso dalla aggiudicataria provvisoria, si ritiene che al quesito possa essere data risposta nel senso che la posizione di favore riconosciuta dall’art. 6 della legge 410/1999 alle cooperative presuppone la loro partecipazione alla gara. Sul presente parere è stato sentito il Comitato Consultivo di cui alla l. 103/1979 che, nella seduta dell’11 gennaio 2024, si è espresso in conformità. LEGISLAZIONEEDATTUALITÀ La dirigenza pubblica nell’elaborazione giurisprudenziale più recente Antonino Ripepi* Sommario: 1. il polimorfismo della dirigenza tra Stato, regioni ed Enti Locali -2. L’accesso alla qualifica dirigenziale -2.1. rapporto tra accesso alla qualifica e svolgimento del- l’incarico dirigenziale -2.2. il conferimento dell’incarico dirigenziale: cenni alla natura giuridica -2.3. regime di conferimento degli incarichi e perimetro di individuazione dei destinatari -3. il trattamento economico del dirigente pubblico -4. La responsabilità dirigenziale e la responsabilità disciplinare -5. il recesso dal rapporto di lavoro e le tutele previste - 6. Conclusioni. 1. il polimorfismo della dirigenza tra Stato, regioni ed Enti Locali. Come autorevolmente osservato in dottrina, “l’ambito applicativo del nuovo assetto della dirigenza pubblica è delineato dal testo unico secondo diversi livelli, in relazione al riconoscimento, anche costituzionale, dell’autonomia organizzativa delle varie amministrazioni” (1). Tale diversità di livelli e di piani si scorge nella molteplicità delle disposizioni dedicate alla regolamentazione del fenomeno: l’art. 13 D.Lgs. n. 165/2001 predica l’applicabilità del relativo Capo (dedicato alla dirigenza) “alle amministrazioni dello Stato, anche ad ordinamento autonomo”; l’art. 27 dello stesso decreto dispone che le Regioni a statuto ordinario e le “altre pubbliche amministrazioni” debbano (*) Procuratore dello Stato, Referente Distrettuale della “Rassegna Avvocatura dello Stato”. L’articolo riproduce il testo della relazione, recante il medesimo titolo, tenuta dall’Autore in data 1° giugno 2024 nell’ambito del convegno “Riflessioni sul pubblico impiego. Inquadramento sistematico, tutele, prospettive di riforma”, tenutosi a Lucca nel contesto delle “Conversazioni sul lavoro del Convento di S. Cerbone”. (1) APICeLLA, Lineamenti del pubblico impiego privatizzato, Giuffré, 2012, p. 81. RASSeGnA AvvoCATURA DeLLo STATo -n. 4/2023 adeguare i propri ordinamenti ai principi sanciti dall’art. 4 e dal citato Capo, ma “tenendo conto delle relative peculiarità”; medesimo limite, relativo alle “peculiarità dei rispettivi ordinamenti”, è previsto dall’art. 1, comma 3, D.Lgs. n. 165/2001 in relazione alle Regioni a statuto speciale (2). Un quadro variegato e complesso, dunque, che Legislatore, giurisprudenza e dottrina non sono ancora riusciti a ricondurre a unità, tanto da far affermare, in tempi recenti, che “un assestamento interpretativo sul riparto di potestà normativa tra Stato ed enti territoriali in materia non è stato ancora raggiunto” (3). Fallito il tentativo, nel periodo 2015-2016, di ricondurre l’articolazione del sistema della dirigenza pubblica nei tre ruoli della dirigenza statale, regionale e locale, l’accesso ai quali sarebbe avvenuto tramite procedure di reclutamento e requisiti omogenei, occorre soffermare l’attenzione sulla più recente giurisprudenza in materia. La Corte di cassazione, infatti, aveva già da tempo escluso una radicale divaricazione dello stato giuridico della dirigenza locale rispetto a quella statale, in quanto, secondo tale prospettazione, il legislatore si è limitato a demandare agli atti normativi degli enti locali il mero adeguamento ai loro ordinamenti ed alle loro peculiarità dei principi generali già operativi (4). emblematica di tale orientamento, in tempi relativamente recenti, è Cass. civ., sez. lavoro, 22 febbraio 2017, n. 4621, secondo cui alla qualifica dirigenziale corrisponde soltanto l’attitudine professionale all’assunzione di incarichi dirigenziali di qualunque tipo. Pertanto, anche in difetto della espressa previsione di cui all’art. 19 del D.Lgs. n. 165/2001, stabilita per le Amministrazioni statali, tale indirizzo ritiene non applicabile l’art. 2103 c.c. neanche alla dirigenza locale e regionale; pertanto, la regola del rispetto di determinate specifiche professionalità acquisite appare non compatibile con lo statuto (unitario, sembrerebbe) del dirigente pubblico. D’altronde, con specifico riferimento agli enti Locali, l’art. 109 D.Lgs. n. 267/2000 prevede espressamente il principio del conferimento degli incarichi dirigenziali a tempo determinato. Sintomatica di tale tendenza della dirigenza pubblica a “riunificarsi secondo il «modello» della disciplina statale” (5) è anche la giurisprudenza della Corte costituzionale. In tempi recenti, Corte cost. n. 84/2022 ha ritenuto costituzionalmente illegittimo l’art. 3 L.R. Lombardia n. 7/2021, laddove disponeva la proroga di (2) MARI, Le amministrazioni destinatarie delle norme sulla dirigenza. margini di applicabilità delle norme nelle diverse amministrazioni in il lavoro nelle pubbliche amministrazioni. Commentario a cura di CARInCI e ZoPPoLI, Torino, 2004, p. 1004. (3) CeRbone, La dirigenza degli enti locali tra legge, autonomia normativa e contrattazione collettiva in istituzioni del Federalismo, n. 2/2021, p. 1. (4) Cass. civ., sez. lavoro, 15 febbraio 2010, n. 3451. (5) APICeLLA, op. cit., p. 84. LeGISLAZIone eD ATTUALITà dodici mesi dei contratti di lavoro subordinato a tempo determinato in essere al momento della sua entrata in vigore, stipulati per il conferimento degli incarichi dirigenziali presso la Giunta regionale. La Corte muove dalla premessa sistematica secondo cui gli interventi legislativi che incidono sui rapporti lavorativi pendenti sono ascrivibili alla materia “ordinamento civile”; evidenzia, poi, che il legislatore regionale ha realizzato un’interferenza “a valle” del rapporto di lavoro, adottando una formulazione onnicomprensiva, che investe tutti i contratti ancora efficaci, prorogandoli di dodici mesi rispetto alla scadenza naturale, quale che essa sia e, quindi, a prescindere dalla durata complessiva. Tuttavia, in relazione a quest’ultima, l’art. 19, comma 6, D.Lgs. n. 165/2001 prevede una durata massima di tre anni per gli incarichi apicali o di funzione dirigenziale di livello generale, nonché di cinque anni per quelli di direzione degli uffici di livello dirigenziale non generale. ne consegue che la suddetta “interferenza a valle”, attuata dal legislatore regionale, non possa dirsi conforme a Costituzione (6). non si colloca in controtendenza rispetto a tale orientamento Corte cost. n. 128/2020, ove è stata dichiarata infondata la questione di legittimità costituzionale sollevata con riferimento alla L.R. Toscana n. 22/2019, che prevedeva una proroga degli incarichi di “posizione organizzativa”, categoria concettuale tipica dell’impiego presso gli enti sub-statali e assimilabile, sotto numerosi profili, alla dirigenza tecnicamente intesa. Infatti, in tale occasione, la Corte ha ricordato come, mentre i profili privatizzati del rapporto di lavoro regionale rifluiscono nella materia dell’ “ordinamento civile”, i profili “pubblicistico-organizzativi” ad esso afferenti rientrano, invece, nell’ordinamento e organizzazione amministrativa regionale, e quindi nella competenza legislativa residuale della Regione prevista dall’art. 117, quarto comma, Cost. (7). La proroga degli incarichi di posizione organizzativa già in essere, disposta dalla citata L.R. Toscana, si iscrive in questo quadro di riferimento, “in quanto dettata da evidenti ragioni di natura organizzativa, volte ad assicurare -specie in settori interessati dal trasferimento di personale e delle relative funzioni ai sensi della legge n. 56 del 2014 -la necessaria continuità dell’azione amministrativa (sentenza n. 252 del 2016). A questo non semplice innesto di (6) Le cadenze argomentative di tale pronuncia sono del tutto simili a quelle di Corte cost. n. 310/2011, che ha dichiarato incostituzionale l’art. 15 della legge reg. Calabria n. 34 del 2010 laddove stabiliva che “Per eccezionali ragioni di continuità nell’azione amministrativa restano validi gli incarichi dirigenziali conferiti, per la copertura dei posti vacanti, in data anteriore al 17 novembre 2010, ai sensi dell’articolo 10, commi 4, 4-bis e 4-ter, della legge regionale 7 agosto 2002, n. 31, nonché i consequenziali effetti giuridici” sulla scorta di argomentazioni similari. Sul punto, v. osservatorio di giurisprudenza sul lavoro pubblico a cura di APICeLLA, in Giust. civ., 2012, I, fasc. 3; C. cost. 12 novembre 2010 n. 324, ivi, 2011, I, 235. (7) In tal senso anche Corte cost. nn. 149/2012, 241/2018 e 25/2020. RASSeGnA AvvoCATURA DeLLo STATo -n. 4/2023 personale in mobilità nell’assetto organizzativo regionale si collega una scelta discrezionale ispirata al principio di buon andamento e di imparzialità del- l’amministrazione, di cui all’art. 97, secondo comma, Cost. (sentenze n. 23 del 2019 e n. 15 del 2017)” (8). 2. L’accesso alla qualifica dirigenziale. Proprio il riferimento all’art. 19 D.Lgs. n. 165/2001 ci consente di transitare all’esame di un’altra macro-tematica: l’accesso alla qualifica dirigenziale, argomento per il quale la giurisprudenza sembra aver disegnato un quadro di riferimento abbastanza consolidato, che funge da guida per l’interprete in un assetto multilivello delle fonti, reso ancor più complesso da successive integrazioni e modifiche normative (9). In particolare, la giurisprudenza costituzionale ha più volte ribadito la regola del concorso pubblico, in attuazione dei principi di efficienza, imparzialità e buon andamento; per l’effetto, ha dichiarato incostituzionali disposizioni di legge che derogavano, senza giustificate ragioni, a tale principio (10). In tempi relativamente recenti, la Corte costituzionale ha dichiarato fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 8, comma 24, D.L. n. 16/2012, sollevata in relazione agli artt. 3, 51, 97 Cost., nei limiti in cui detta norma autorizzava le Agenzie delle dogane, delle entrate e del territorio a espletare procedure concorsuali per la copertura delle posizioni dirigenziali vacanti, ma facendo salvi, per il passato, gli incarichi dirigenziali già affidati dalle Agenzie in parola a propri funzionari privi della relativa qualifica. La medesima impostazione di fondo sembra animare Corte cost. n. 255/2022, che ha dichiarato incostituzionale l’art. 5 L.R. Sardegna n. 17/2021 laddove prevedeva requisiti di accesso alla dirigenza non conformi al quadro regolativo nazionale, con particolare riferimento agli artt. 19 e 28 D.Lgs. n. 165/2001. La suddetta legge, infatti, consentiva al personale transitato, mediante progressione verticale, nella qualifica apicale di partecipare alle procedure di accesso alla dirigenza senza possedere il necessario requisito del titolo di studio della laurea e di computare, ai fini dell’anzianità di servizio necessaria per partecipare alle prove, anche quella relativa a carriere non apicali (11). (8) Corte cost. n. 128/2020, punto 5 del Considerato in diritto. (9) TenoRe (a cura di), il manuale del pubblico impiego privatizzato, v edizione, ePC editore, 2023, pp. 690 ss. (10) Corte cost. n. 218/2002, con nota di GenTILe, La Consulta conferma il metodo del concorso quale strumento di reclutamento dei dipendenti pubblici in Le nuove leggi civili commentate, 2002, pp. 747 ss. (11) nIGLIo -SIMoneTTI (a cura di), Testo Unico del Pubblico impiego, II edizione, Maggioli, 2023, p. 109. LeGISLAZIone eD ATTUALITà Aspetti più specifici in punto di accesso alla qualifica dirigenziale sono considerati, poi, dalla nota sentenza dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, 25 giugno 2018, n. 9, la quale statuisce la necessità di disapplicare l’art. 1, comma 1, D.P.C.M. n. 174/1994 e l’art. 2, comma 1, d.P.R. n. 487/1994 nella misura in cui impediscono in assoluto ai cittadini di altri Stati membri dell’Ue di assumere i posti dei livelli dirigenziali delle amministrazioni dello Stato e laddove non consentono una verifica in concreto circa la sussistenza o meno del prevalente esercizio di funzioni autoritative in relazione alla singola posizione dirigenziale, per contrasto con l’art. 45, par. 4, TFUe. L’Adunanza Plenaria, infatti, ha ritenuto non condivisibile la tesi, pur argomentata da parte della giurisprudenza (12), secondo cui tutti i posti dei livelli dirigenziali delle amministrazioni dello Stato, a prescindere dall’esame dei compiti e delle funzioni in concreto esercitati (che non necessariamente implicano la responsabilità di salvaguardare gli interessi generali dello Stato), sarebbero qualificabili sempre e comunque come posti con funzioni di vertice amministrativo e implicherebbero necessariamente l’esercizio prevalente di funzioni di stampo autoritativo, impostazione valevole anche per i compiti e le funzioni demandati ai direttori degli istituti e musei di rilevante interesse nazionale, fattispecie concreta che aveva generato la questione interpretativa sottoposta al Supremo Collegio. La valutazione, a giudizio dell’Adunanza Plenaria, dev’essere invece condotta in concreto, allo scopo di superare il c.d. test di proporzionalità. Tale impostazione non arreca alcun vulnus all’art. 51 Cost., atteso che tale ultima norma costituzionale non mira a riservare ai cittadini italiani l’accesso ai pubblici uffici, ma mira a garantire l’uguaglianza dei cittadini senza discriminazioni o limiti, e nel prevedere la possibilità di parificare -con legge nazionale -ai cittadini gli italiani non appartenenti alla Repubblica, si caratterizza come una norma ‘aperturista’ e non come ‘preclusiva’ (13). 2.1. rapporto tra accesso alla qualifica e svolgimento dell’incarico dirigenziale. Come autorevolmente osservato, “il lavoro pubblico è dunque caratterizzato dalla separazione, ignota al diritto privato, tra rapporto fondamentale (a tempo determinato o indeterminato) ed incarico dirigenziale, sempre a termine: c.d. «sistema binario»” (14). ne consegue che l’acquisizione della qualifica dirigenziale conferisca esclusivamente la capacità di essere titolare di funzioni dirigenziali; solo con il conferimento dell’incarico il dirigente viene (12) Cons. Stato, sez. vI, sentenza/ordinanza n. 677/2018. (13) Cons. Stato, sez. II, parere, 20 gennaio 1990, n. 234. (14) APICeLLA, op. cit., p. 87. RASSeGnA AvvoCATURA DeLLo STATo -n. 4/2023 incardinato nell’organizzazione amministrativa e diviene, in senso tecnico, organo dell’Amministrazione (15). Il dirigente, dunque, non può vantare alcun diritto soggettivo perfetto al conferimento di uno specifico incarico, con conseguente impossibilità di applicazione dell’art. 2103 c.c., poiché la relativa disciplina si fonda sui connotati della temporaneità e, ancor più a monte, della fiduciarietà; tra il momento del superamento della procedura concorsuale e quello, successivo, dell’attribuzione delle funzioni, considerata anche la discrezionalità di cui gode l’Amministrazione, il dirigente può dirsi titolare esclusivamente di un interesse legittimo, con tutti i corollari in punto di riparto di giurisdizione (a meno che non si ritenga ammissibile la controversa figura del c.d. interesse legittimo di diritto privato). Tale impostazione è radicata in giurisprudenza (16) ed è stata, in tempi molto recenti, autorevolmente confermata da Cass. civ., sez. lavoro, ord. 7 febbraio 2023, n. 3676, la quale ha rimarcato che non si può confondere il contratto di conferimento dell’incarico dirigenziale con il rapporto di servizio, che comporta l’accesso alla qualifica dirigenziale e che è a tempo indeterminato. Il primo è, in effetti, a termine, ma è necessariamente tale, in quanto l’attuale sistema è caratterizzato dalla temporaneità degli incarichi, la cui scadenza, però, non fa venir meno il rapporto di lavoro con l’ente, che resta disciplinato dall’originario contratto di servizio a tempo indeterminato anche nell’ipotesi in cui al dirigente venga assegnato, anziché un ufficio dirigenziale, un incarico di consulenza, di studio, di ricerca o, con specifico riferimento alla dirigenza medica, di natura professionale e di alta specializzazione. Tale impostazione, a ben vedere, rispecchia l’impostazione dottrinale prima richiamata, alla luce della quale l’inapplicabilità dell’art. 2103 c.c. è stata desunta dalla descritta scissione tra rapporto fondamentale e conferimento dell’incarico (17). Il dirigente pubblico, in definitiva, può rimanere senza incarico senza che, sol per questo, perda la qualifica dirigenziale: ciò accade, ad esempio, nel periodo precedente all’assegnazione del primo incarico, negli intervalli tra la scadenza di un incarico e il conferimento di un altro e nelle ipotesi di collocamento in disponibilità ai sensi dell’art. 21, comma 1, D.Lgs. n. 165/2001 (18). 2.2. il conferimento dell’incarico dirigenziale: cenni alla natura giuridica. Si è già evidenziato come, per effetto dell’assunzione, il dirigente acquisti (15) TenoRe, il manuale cit., p. 693. (16) T.a.r. Calabria-Catanzaro, sez. II, 9 marzo 2011, n. 354; Trib. bologna, sez. lavoro, 11 settembre 2013. (17) APICeLLA -CURCURUTo -SoRDI -TenoRe, il pubblico impiego privatizzato nella giurisprudenza, Giuffré, 2005, p. 475. (18) Cass. civ., sez. lavoro, 1° febbraio 2007, n. 2233. LeGISLAZIone eD ATTUALITà la qualifica dirigenziale, venga iscritto nei ruoli e instauri il rapporto di servizio, acquisendo il diritto al trattamento economico, mentre l’attribuzione delle funzioni dirigenziali è indispensabile ai fini dell’instaurazione del rapporto d’ufficio (19). È stato acutamente osservato che “il rapporto tra atto unilaterale di conferimento e contratto inerente allo svolgimento delle funzioni dirigenziali sembra mutuare il tradizionale modulo del contratto accessivo ad atto amministrativo” (20): gli incarichi di direzione trovano, infatti, esclusivo fondamento nell’atto unilaterale, essendo rimessa al modulo consensuale la sola definizione dei profili retributivi. Tale impostazione rinviene, quali sicuri referenti normativi, l’art. 19, comma 2, D.lgs. n. 165/2001 (21) nonché, per l’universo delle autonomie locali, l’art. 109 D.Lgs. n. 267/2000, rilevante nella misura in cui stabilisce che gli incarichi dirigenziali sono attribuiti dall’organo di vertice dell’amministrazione (art. 50, comma 10) attraverso atti di regolazione, che ben difficilmente potrebbero essere qualificati come attività di gestione del rapporto di lavoro. La giurisprudenza, tuttavia, segue una differente impostazione, il cui iter logico può essere sintetizzato come segue. Come evidenziato da una sentenza di cardinale importanza (22), gli atti di conferimento di incarichi dirigenziali non concretano procedura concorsuale, poiché i relativi destinatari non solo sono già in servizio, ma sono anche in possesso della relativa qualifica professionale. Pertanto, i suddetti atti di conferimento conservano natura privata, in quanto atti interni di organizzazione, anche dopo la riforma attuata con la L. n. 145/2002, il cui art. 3 introduce nel corpo dell’art. 19 D.Lgs. 165/2001 la locuzione “provvedimento”, riferendola all’atto di conferimento dell’incarico, ma significativamente non vi aggiunge l’attributo “amministrativo”, presente, invece, in tutte le norme che disciplinano gli atti di esercizio del potere pubblico. I predetti atti di conferimento di incarichi dirigenziali mantengono, pertanto, in tale impostazione, la natura di determinazioni assunte dall’amministrazione con la capacità e i poteri del privato datore di lavoro (23). Tali coordinate di fondo sono state, in tempi recentissimi, condivise anche dalla giurisprudenza amministrativa e applicate al diverso (ma collegato, per tutte le ragioni già esposte nel par. 1) mondo degli enti Locali: si legge in T.a.r. (19) bATTInI, il rapporto di lavoro con le pubbliche amministrazioni, CeDAM, 2000, pp. 401 ss. (20) APICeLLA, Lineamenti cit., p. 91. (21) Come modificato e integrato dalla L. n. 145/2002, prevedendo, in particolare, che il contratto “accessivo” abbia essenzialmente il ruolo di prevedere la retribuzione nel rispetto dei principi di cui all’art. 24 D.Lgs. n. 165/2001. (22) Cass. civ., Sez. Unite, ord. 7 luglio 2005, n. 14252. (23) A tale ricostruzione aderisce, più di recente, anche Cass. civ., Sez. Unite, 1° luglio 2016, n. 13530, la quale rinvia espressamente a Cass. civ., Sez. Unite, ord. 7 luglio 2005, n. 14252, ciò che risulta emblematico del grado di consolidamento dell’indirizzo in esame. RASSeGnA AvvoCATURA DeLLo STATo -n. 4/2023 Sicilia-Palermo, sez. Iv, sentenza 13 marzo 2024, n. 981, che la controversia in materia di selezione per il conferimento di incarichi di natura direttiva a tempo determinato ai sensi dell’art. 110 D.Lgs. n. 267/2000 è devoluta alla giurisdizione del giudice ordinario, difettando tale procedura dei requisiti del concorso e connotandosi, per contro, per il carattere fiduciario della scelta, seppure motivata, da parte del Sindaco, nell’ambito di un elenco di soggetti ritenuti idonei sulla base dei requisiti di professionalità indicati nell’avviso. Tale modalità selettiva si distingue dal concorso pubblico per le assunzioni ai pubblici impieghi, le cui controversie sono invece riservate, ai sensi dell’art. 63 D.Lgs. n. 165/2001, alla cognizione del giudice amministrativo. L’indirizzo in esame si è imposto nonostante l’auspicio di quella parte della dottrina che, evidenziando la scelta, da parte della “riforma brunetta” e del D.Lgs. n. 150/2009, a favore di una accentuata procedimentalizzazione della fase di conferimento, con applicazione di regole proprie dell’attività autoritativa delle pubbliche amministrazioni (predeterminazione legale, trasparenza, selettività, esternazione delle ragioni giustificatrici delle scelte), ne valorizzava la possibile assimilazione alle procedure concorsuali (24), con tutto ciò che ne deriva in punto di natura giuridica degli atti e riparto di giurisdizione. 2.3. regime di conferimento degli incarichi e perimetro di individuazione dei destinatari. Sul punto, la giurisprudenza della Corte di cassazione è consolidata: si richiamano, usualmente, i parametri di cui agli artt. 97 Cost. (imparzialità e buon andamento) nonché i canoni privatistici di correttezza e buona fede (artt. 1175 e 1375 c.c.) quali principi-guida delle procedure di conferimento e revoca, che, come già chiarito, in tale impostazione non rivestono natura pubblicistica, ma rientrano tra gli atti di gestione del rapporto di lavoro (25). Tuttavia, è interessante osservare come una parte della giurisprudenza amministrativa abbia espressamente richiamato l’art. 7 L. n. 241/1990 (26), in tema di omessa comunicazione dell’avvio del procedimento di revoca al dirigente interessato, strumentale allo scopo di consentire il contraddittorio con il medesimo, sebbene la giurisprudenza civile affermi costantemente che tale legge non può trovare applicazione proprio a causa della natura privatistica degli atti (27), a fronte dei quali, al più, potrebbe sussistere un mero interesse legittimo di diritto privato (28). (24) APICeLLA, Lineamenti cit., p. 94. (25) Cass. civ., sez. lavoro, 30 ottobre 2014, n. 23062. (26) T.a.r. Campania-napoli, sez. vII, 27 maggio 2005, n. 7184. (27) Cass. civ., sez. lavoro, 22 dicembre 2004, n. 23760. (28) APICeLLA - CURCURUTo - SoRDI -TenoRe, op. cit., p. 439. LeGISLAZIone eD ATTUALITà In tempi recenti, la Suprema Corte ha statuito che la non corretta procedimentalizzazione del conferimento di incarichi dirigenziali da parte dell’Amministrazione costituisca un illecito suscettibile di produrre un danno da perdita di chance. In particolare, “il candidato escluso, al fine di conseguire il risarcimento dei danni derivanti dalla perdita di “chance” -che, come concreta ed effettiva occasione favorevole di conseguire un determinato bene, non è una mera aspettativa di fatto, bensì un’entità patrimoniale a sé stante, giuridicamente ed economicamente suscettibile di autonoma valutazione -ha l’onere di provare, benché solo in modo presuntivo o secondo un calcolo di probabilità, che la condotta illecita ha impedito la concreta realizzazione di alcuni dei presupposti per il raggiungimento del risultato sperato, il quale non è limitato alla sola procedura concorsuale nella quale si è verificata l’illegittimità, ma può riguardare anche una successiva procedura collegata alla prima” (29). Per quanto concerne l’individuazione dei destinatari, il terzo periodo del comma 6 dell’art. 19 D.Lgs. n. 165/2001 prevede testualmente che “tali incarichi sono conferiti, fornendone esplicita motivazione, a persone di particolare e comprovata qualificazione professionale, non rinvenibile nei ruoli dell’Amministrazione, che abbiano svolto attività in organismi ed enti pubblici o privati ovvero aziende pubbliche o private con esperienza acquisita per almeno un quinquennio in funzioni dirigenziali, o che abbiano conseguito una particolare specializzazione professionale, culturale e scientifica desumibile dalla formazione universitaria e postuniversitaria, da pubblicazioni scientifiche e da concrete esperienze di lavoro maturate per almeno un quinquennio, anche presso amministrazioni statali, ivi comprese quelle che conferiscono gli incarichi, in posizioni funzionali previste per l’accesso alla dirigenza, o che provengano dai settori della ricerca, della docenza universitaria, delle magistrature e dei ruoli degli avvocati e procuratori dello Stato”. Si tratta di un principio, quello dell’individuazione all’esterno quale extrema ratio, che innerva anche l’art. 7, comma 6, D.Lgs. n. 165/2001 in tema di collaborazioni coordinate e continuative all’interno della P.A. La giurisprudenza è intervenuta a precisare l’ambito applicativo di tale disposizione di legge, osservando come, innanzitutto, la preventiva verifica di personale idoneo debba essere effettuata esclusivamente nei ruoli “dirigenziali” interni all’Amministrazione e non in qualsivoglia posizione, sebbene la disposizione sia formulata “a trama ampia” (30); la valutazione circa la sussistenza di adeguate professionalità all’interno dell’Amministrazione va effettuata secondo canoni di paraconcorsualità, valorizzando in motivazione la sussistenza dei requisiti di particolare specializzazione professionale, culturale (29) Cass. civ., sez. lavoro, ord. 16 dicembre 2022, n. 37002. (30) Corte conti, sez. centr. Contr., delibera n. 4/2022/PRev, adunanza del 3 agosto 2022. RASSeGnA AvvoCATURA DeLLo STATo -n. 4/2023 e scientifica del prescelto (31); tali canoni si applicano anche a Regioni ed enti Locali (32) e rappresentano espressione dei principi di economicità, efficienza e buona amministrazione (33). Resta d’invariata attualità l’affermazione secondo cui, in difetto di un’esplicita gerarchia tra criteri di selezione tracciata dall’art. 19 D.Lgs. n. 165/2001, spetta alle Amministrazioni che conferiscono l’incarico procedere ad una “pesatura” dei criteri indicati dalla legge e, dunque, predeterminare i punteggi da assegnare ai risultati raggiunti in passato, alle attitudini e capacità dei partecipanti, alle loro competenze organizzative specifiche, ecc. (34). Si ricorda, incidentalmente, che il D.L. n. 80/2021 ha raddoppiato le percentuali che consentono alle Pubbliche Amministrazioni impegnate nell’attuazione del PnRR di attribuire incarichi dirigenziali a soggetti esterni non appartenenti al relativo ruolo e, per altro verso, ha eliminato ogni limite quantitativo agli incarichi assegnabili a dirigenti di altre PP.AA.; inoltre, il D.L. n. 36/2022 ha concesso, seguendo la medesima impostazione di fondo dell’esaminata Adunanza Plenaria n. 9/2018, di conferire incarichi dirigenziali a funzionari di cittadinanza italiana di organizzazioni internazionali o dell’Unione europea (35). 3. il trattamento economico del dirigente pubblico. La giurisprudenza ha tradizionalmente affermato il principio di omnicomprensività del trattamento economico dirigenziale, normativamente previsto dall’art. 24 D.Lgs. n. 165/2001, in virtù del quale esso remunera tutte le funzioni ed i compiti attribuiti in ragione dell’ufficio ricoperto dall’Amministrazione presso la quale il dirigente presta servizio o su designazione della stessa. Sul punto, la Corte di Cassazione ha statuito che il principio in esame non è derogato dall’art. 16 della L. n. 448/2001, che riguarda i compensi provenienti da terzi corrisposti direttamente in favore dell’Amministrazione, in una fattispecie relativa all’attività di Presidente del nucleo di valutazione assegnata ad un dirigente dell’Ufficio scolastico provinciale (36). (31) Corte conti, sez. giur. Lombardia, 7 giugno 2017, n. 28682, ove si legge: “Con riferimento ai requisiti per il conferimento di incarichi dirigenziali esterni, giova ribadire, sul piano dei referenti normativi e smentendo talune preliminari eccezioni formulate dalle difese dei convenuti, che, secondo la condivisibile giurisprudenza sopra richiamata, e in base ad una piana e corretta interpretazione, il disposto dell’art. 19, e dunque anche del relativo co. 6, d.lgs. n. 165/2001, trova applicazione anche per gli enti locali e territoriali, come confermato da univoca giurisprudenza di legittimità e di merito (Cass., sez. lav., 13 gennaio 2014, n. 478; C. conti, sez. giur. Toscana, 13 maggio 2001 n. 175, C. conti, sez. giur. Veneto, 15 novembre 2010 n. 231, C. conti, sez. giur. Lombardia, 24 marzo 2009 n. 165, C. conti, sez. giur. Campania, 25 febbraio 2009 n. 127)”. (32) v. nota precedente. (33) Cass. civ., sez. lavoro, 22 febbraio 2017, n. 4621. (34) APICeLLA, Lineamenti cit., p. 97. (35) TenoRe, il manuale cit., p. 734. (36) Cass. civ., sez. lavoro, 25 ottobre 2019, n. 27385. LeGISLAZIone eD ATTUALITà Incidentalmente, si ricorda che proprio la retribuzione dirigenziale (rectius, gli obblighi di pubblicazione relativi alla stessa) è stata oggetto della fondamentale Corte cost. 21 febbraio 2019, n. 20, che ha ritenuto irragionevole il bilanciamento operato dalla legge tra due diritti, quello alla riservatezza dei dati personali, inteso come diritto a controllare la circolazione delle informazioni riferite alla propria persona, e quello dei cittadini al libero accesso ai dati e alle informazioni detenuti dalle pubbliche amministrazioni, giacché l’art. 14, commi 1-bis e 1-ter, D.Lgs. 14 marzo 2013, n. 33, estendeva a tutti i dirigenti pubblici gli stessi obblighi di pubblicazione previsti per i titolari di incarichi politici (37), con una disposizione non conforme al generale canone di proporzionalità. Come noto, la retribuzione dirigenziale si articola in fondamentale e accessoria (38). È stato rilevato che tale articolazione conferma la distinzione esistente tra qualifica e posizione organizzativa dirigenziale attribuita con il provvedimento di incarico; in altri termini, al reddito sicuro correlato alla qualifica dirigenziale, che costituisce la ragion d’essere del trattamento economico fondamentale, “il dirigente al quale sia stato conferito un incarico aggiunge il trattamento economico accessorio, ossia una parte della retribuzione direttamente collegata alle funzioni attribuite, alle connesse responsabilità e ai risultati conseguiti” (39). Il trattamento accessorio si compone, innanzitutto, della retribuzione di posizione. essa è composta di una parte fissa e di una parte variabile, la cui somma complessiva corrisponde al valore economico degli incarichi attribuiti in base alla graduazione delle funzioni. Come evidenziato di recente dalla Suprema Corte, “la corresponsione della parte variabile della retribuzione di posizione richiede la «pesatura» delle singole attività dirigenziali, da cui deriva la determinazione della quota di pertinenza del singolo medico, che, altrimenti, deve essere corrisposta, nella sola quota minima ed «invariabile » prevista dalla contrattazione collettiva” (40). Pertanto, la giurisprudenza di legittimità non aderisce al diverso orientamento, più risalente nel tempo e riconducibile al Consiglio di Stato, per il quale non è configurabile alcun diritto alla retribuzione di posizione, neppure nella misura minima, in quanto il provvedimento relativo al formale conferimento delle funzioni (37) La pubblicazione riguardava, in particolare, i compensi percepiti per lo svolgimento dell’incarico e i dati patrimoniali ricavabili dalla dichiarazione dei redditi e da apposite attestazioni sui diritti reali sui beni immobili e mobili iscritti in pubblici registri, sulle azioni di società e sulle quote di partecipazione a società. (38) Cass. 15 maggio 2007 n. 11084, nell’osservatorio di giurisprudenza sul lavoro pubblico a cura di APICeLLA, in Giust. civ. 2008, I, 1801; in dottrina, ZILIo GRAnDI, il trattamento economico dei dirigenti pubblici tra legge, contrattazione e giurisprudenza, Lavoro e diritto, n. 4/2002. (39) APICeLLA, Lineamenti cit., p. 107. (40) Cass. civ., sez. lavoro, 20 dicembre 2023, n. 35581. RASSeGnA AvvoCATURA DeLLo STATo -n. 4/2023 dirigenziali (che danno titolo alle connesse indennità) ha carattere costitutivo (41). Circa la parte variabile della retribuzione di posizione, un recente orientamento (42) ha affermato alcuni principi, che possono essere sintetizzati come segue: -il mancato completamento del procedimento finalizzato all’adozione del provvedimento graduazione delle funzioni e di pesatura degli incarichi legittima il dirigente medico interessato a chiedere il risarcimento del danno per perdita della chance di percepire la parte variabile della retribuzione di posizione (non l’adempimento di tale obbligazione); -qualora la retribuzione di posizione per qualsiasi motivo non sia in tutto o in parte erogata e se da ciò derivi la disponibilità di importi sul corrispondente fondo, essi vengono imputati alla retribuzione di risultato del medesimo anno, che può, così, subire un incremento. In tal modo, lo stesso identico evento che è alla base dell’inadempimento (omessa graduazione e corresponsione dell’indennità di posizione parte variabile) è al tempo stesso ragione del beneficio consistente nell’incremento della retribuzione di risultato; -non è, tuttavia, ammissibile trasgredire il principio di parità di trattamento dettato dall’art. 45 D.Lgs. n. 165/2001. La retribuzione, infatti, trova (necessario) fondamento nella contrattazione collettiva e per il principio di pari trattamento, di cui al suddetto art. 45, sono vietati, da parte del datore di lavoro, trattamenti individuali migliorativi o peggiorativi rispetto a quelli previsti dalla contrattazione collettiva (43), sebbene ciò non escluda differenziazioni operate in quella sede, in quanto la disparità trova titolo, non in scelte datoriali unilaterali lesive della dignità del lavoratore, ma in pattuizioni del- l’autonomia negoziale delle parti collettive. Per quanto concerne, invece, la retribuzione di risultato, particolarmente valorizzata a far data dalla “riforma brunetta” e successive modifiche e integrazioni (44), essa è connotata da una giustificazione autonoma rispetto alla retribuzione di posizione, in quanto è connessa al raggiungimento di obiettivi (45). La giurisprudenza afferma principi comuni a quelli relativi alla parte variabile della retribuzione di posizione, specie in punto di diritto al risarcimento (41) Cons. St., sez. Iv, 31 marzo 2005 n. 1438, in Foro amm. -C.d.S. 2005, 797; Cons. St., sez. III, 15 aprile 2003 n. 539, ivi 2003, 1705. (42) Cass. civ., sez. lavoro, sent. 30 marzo 2023, n. 9040; Cass. civ., sez. lavoro, ord. 27 ottobre 2023, n. 29855; Cass. civ., sez. lavoro, ord. 26 ottobre 2023, n. 29716. (43) Cass. civ., sez. lavoro, ord. 8 giugno 2022, n. 18523; Cass. civ., sez. lavoro, ord. 13 aprile 2022, n. 12106; Cass. civ., sez. lavoro, ord. 5 aprile 2022, n. 11008. (44) In quanto essa valorizza l’apporto manageriale del dirigente, stimolandone la produttività: ZILIo GRAnDI, op. cit., spec. pp. 570 ss. (45) Cass. civ., sez. lavoro, 20 dicembre 2023, n. 35581. LeGISLAZIone eD ATTUALITà del danno in favore del dirigente laddove, per causa non imputabile a quest’ultimo (ma esclusivamente all’Amministrazione) il sistema di valutazione della performance (46) non sia stato predisposto, con conseguente impossibilità di assegnare obiettivi e valutarne, ex post, il conseguimento (a pena di responsabilità erariale laddove gli emolumenti siano comunque corrisposti (47)). Dal momento che, tuttavia, il dirigente non acquisisce alcun diritto alla retribuzione di risultato in assenza di obiettivi (48), l’unica componente di danno risarcibile coincide con la perdita di chance (49). 4. La responsabilità dirigenziale e la responsabilità disciplinare. Quanto sinora esaminato rileva non solo ai fini dell’attribuzione del trattamento economico accessorio, ma costituisce presupposto per l’attuazione della responsabilità dirigenziale. Infatti, alle disposizioni relative alla verifica dei risultati è attribuita la funzione di norma di chiusura del meccanismo di direzione fondato sul binomio politica-amministrazione e sulla individuazione delle rispettive competenze (50). Si è notato come, in punto di assetto della responsabilità dirigenziale, si sia “ben lontani dagli schemi classici della responsabilità tendenti a sanzionare un singolo comportamento riconosciuto come illegittimo, poiché commesso dolosamente o colposamente, ma rivolta a colpire oggettivamente una condotta sistematica ed operativa non idonea al raggiungimento degli obiettivi fissati in sede di programmazione generale” (51). Si tratta, in altri termini, di un modello eccentrico, di una sorta di responsabilità ad hoc (52). Sembra che, di tale profilo, si sia occupata più la dottrina che non la giurisprudenza. Tuttavia, occorre segnalare una rilevante sentenza della Corte di cassazione che, oltre a tracciare alcuni essenziali principi in materia di responsabilità dirigenziale, afferma la necessità di distinguerla da quella disciplinare. (46) Su cui v. Gobbo -PAPI -bIGonI -DeIDDA GAGLIARDo, La valutazione delle performance nelle pubbliche amministrazioni nella prospettiva del valore pubblico, in MARChI -LoMbARDI -AnSeLMI, il governo aziendale tra tradizione e innovazione, FrancoAngeli, 2016, pp. 161-184. Per un approccio che unisce valutazione della performance all’amministrazione per processi, sia consentito il rinvio a RI- PePI, amministrare per processi. il PNrr, il Piao e il Business Process reengineering nelle Pubbliche amministrazioni: un’occasione da non perdere, in rassegna avvocatura dello Stato, n. 1/2023. (47) Corte dei conti, sez. giurisdizionale d’appello per la Regione Siciliana, sentenza n. 138/A/2021. (48) Cass. civ., sez. lavoro, 28 settembre 2018, n. 23607. (49) Cass. civ., sez. lavoro, ordinanza 23 maggio 2022, n. 16583. (50) PASToRI e SGRoI, Dirigenti pubblici, in Enc. dir., Aggiornamento, v, Milano, 2001, 374; API- CeLLA, Lineamenti cit., p. 111. (51) veRGARA, riflessioni sulla responsabilità dirigenziale, in rivista ratio iuris, 2022. (52) TenoRe -PALAMARA -MARZoCChI bURATTI, Le cinque responsabilità del funzionario pubblico: civile, penale, amministrativo, disciplinare e dirigenziale. Normativa dottrina e giurisprudenza, II edizione, Giuffrè, 2013. RASSeGnA AvvoCATURA DeLLo STATo -n. 4/2023 Si legge in sentenza che “anche nel caso di “inosservanza delle direttive imputabili al dirigente”, ossia di comportamento nel quale potrebbe essere ravvisato un tipico inadempimento fonte di responsabilità disciplinare, il discrimine va ravvisato nel collegamento con la verifica complessiva dei risultati, sicché l’addebito assumerà valenza solo disciplinare nella ipotesi in cui l’amministrazione ritenga che la violazione in sé dell’ordine e della direttiva, in quanto inadempimento contrattuale, debba essere sanzionata; dovrà, invece, essere ricondotta alla responsabilità dirigenziale qualora la violazione medesima abbia inciso negativamente sulle prestazioni richieste al dirigente ed alla struttura dallo stesso diretta. La fattispecie dedotta in giudizio impone ulteriori precisazioni del principio innanzi richiamato perché, una volta individuato, con riferimento all’ipotesi della violazione di direttive, il discrimine fra le due forme di responsabilità, “l’indissolubile intreccio” che fa prevalere, quanto alle forme procedimentali, quelle disciplinate dall’art. 21 del D.Lgs n. 165 del 2001, non si potrà ritenere sussistente per il solo fatto che sia stata contestata la violazione di direttive, perché ciò equivarrebbe all’espungere in via definitiva dall’ambito della responsabilità disciplinare del dirigente l’inadempimento consistito nella omessa ottemperanza agli ordini impartiti dal datore di lavoro. La commistione fra le due forme di responsabilità deve, pertanto, ritenersi sussistente solo qualora la contestazione presenti aspetti che la rendano contemporaneamente sussumi- bile nell’una e nell’altra forma di responsabilità, il che si verifica nell’ipotesi in cui il procedimento venga avviato con riferimento ad una pluralità di addebiti, di cui alcuni riconducibili alla responsabilità disciplinare altri a quella dirigenziale. in conformità al principio affermato da questa Corte nella recente sentenza n. 24905/2017, il Collegio ritiene che la responsabilità dirigenziale per “violazione di direttive”, proprio perché presuppone uno stretto collegamento con il raggiungimento dei risultati programmati, deve riferirsi a quelle direttive che siano strumentali al perseguimento dell’obiettivo assegnato al dirigente perché solo in tal caso la loro violazione può incidere negativamente sul risultato, in via anticipata rispetto alla verifica finale. Correlativamente, non si può confondere il rispetto delle direttive con il corretto adempimento degli altri obblighi che discendono dal rapporto di lavoro con il dirigente (diligenza, perizia, lealtà, correttezza e buona fede tanto nel proprio diretto agire quanto nell’esercizio dei poteri di direzione e vigilanza sul personale sottoposto). La loro violazione, infatti, in sé e per sé considerata, mentre può essere ritenuta idonea a ledere il vincolo fiduciario che deve legare il dirigente all’amministrazione, non rileva ai fini della responsabilità dirigenziale, nella quale ciò che conta è il mancato raggiungimento del risultato (Cass. 24905/2017)” (53). (53) Cass. civ., sez. lavoro, 9 maggio 2018, n. 11161. LeGISLAZIone eD ATTUALITà Un’ulteriore e rilevante pronuncia evidenzia i profili di distonia delle due forme di responsabilità (54), seguendo un iter logico sintetizzabile come segue: 1) l’elemento oggettivo, consistente nell’inadempimento di obblighi di legge o contrattuali in caso di responsabilità disciplinare, nel mancato raggiungimento degli obiettivi gestionali in caso di responsabilità dirigenziale; 2) l’elemento psicologico, che si concreta in dolo o colpa nel caso di responsabilità disciplinare, mentre la responsabilità dirigenziale è molto vicina al modello oggettivo, pur dovendosi sempre valutare l’imputabilità al dirigente del mancato risultato; 3) la responsabilità disciplinare concerne l’esattezza e la correttezza dei singoli adempimenti dell’attività del dirigente pubblico a prescindere dall’incidenza sui risultati dell’attività; la responsabilità dirigenziale riguarda il rendimento complessivo e si rivolge all’esigenza dell’amministrazione di rimuovere in maniera tempestiva il dirigente dimostratosi inidoneo alla funzione e, come tale, non in grado di raggiungere il risultato prefissato, indipendentemente dal verificarsi di un fatto sanzionabile o dalla produzione di un danno (55). Considerata la peculiare natura della responsabilità disciplinare, la giurisprudenza afferma che, anche laddove l’incolpato sia un dirigente, sia necessario rispettare i principi previsti in materia (es. competenza dell’U.P.D. (56), eccettuate le sanzioni del rimprovero verbale e censura; puntualità e precisione della contestazione; garanzia del principio del contraddittorio e del diritto di difesa) (57). 5. il recesso dal rapporto di lavoro e le tutele previste. Su tale ultima questione, non può omettersi il riferimento a un contrasto (54) Cass. civ., sez. lavoro, 8 giugno 2021, n. 15954. (55) bUSICo, responsabilità disciplinare e responsabilità dirigenziale del dirigente pubblico medico, in Lavoro Diritti Europa, 1° settembre 2021. (56) Laddove, invece, la responsabilità dirigenziale è accertata a seguito di specifici processi di valutazione e col parere del Comitato dei garanti sulle ipotesi di recesso (bUSICo, op. cit.). (57) Cass. civ., sez. lavoro, 17 giugno 2010 n. 14628: “Nel rapporto di lavoro alle dipendenze delle Pubbliche amministrazioni, ai sensi del D.Lgs. 3 febbraio 1993, n. 29, art. 59, comma 4, trasfuso nel D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, art. 55, tutte le fasi del procedimento disciplinare sono svolte esclusivamente dall’ufficio competente per i procedimenti disciplinari (U.c.p.d.) il quale è anche l’organo competente alla irrogazione delle sanzioni disciplinari, ad eccezione del rimprovero verbale e della censura, con la conseguenza che il procedimento instaurato da un soggetto o organo diverso dal predetto ufficio, anche se questo non sia ancora stato istituito, è illegittimo e la sanzione irrogata è, in tal caso, affetta da nullità, risolvendosi in un provvedimento adottato in violazione di norme di legge inderogabili sulla competenza e con la ulteriore precisazione che la previsione legislativa non è suscettibile di deroga ad opera della contrattazione collettiva, sia per l’operatività del principio gerarchico delle fonti, sia perché l’art. 59, cit. comma 3, attribuisce alla contrattazione collettiva solo la possibilità di definire la tipologia e l’identità delle sanzioni e non anche quella di individuare il soggetto competente alla gestione di ogni fase del procedimento disciplinare”. RASSeGnA AvvoCATURA DeLLo STATo -n. 4/2023 giurisprudenziale che sembra essersi diradato dopo l’intervento di Cass. civ. sez. lavoro, 9 giugno 2016, n. 11868. Solo un anno prima, infatti, Cass. civ. sez. lavoro, 26 novembre 2015, n. 24157 era intervenuta affermando che l’art. 51, comma 2, D.Lgs. n. 165/2001, nella parte in cui prevede che alle PP.AA. si applichi la L. 20 maggio 1970, n. 300 e successive modifiche e integrazioni, fosse da intendersi alla stregua di disposizione di rinvio mobile al testo dell’art. 18 Stat. lav., inclusa, dunque, la sua versione novellata dall’art. 1, comma 42, L. 28 giugno 2012, n. 92. Diverso l’orientamento espresso dalla citata Cass. civ. sez. lavoro, 9 giugno 2016, n. 11868 (a oggi non rimessa in discussione da evoluzioni giurisprudenziali), secondo cui, in base al combinato disposto dei commi 7 e 8 dell’art. 1 della L. n. 92/2012, il nuovo testo dell’art. 18 St. lav., come modificato dalla riforma c.d. Fornero, deve applicarsi al pubblico impiego soltanto laddove espressamente previsto e, ove tale richiamo espresso manchi, spetta al legislatore intervenire per l’armonizzazione delle discipline. Dunque, anche la tutela a fronte di recessi illegittimi dal rapporto di lavoro costituisce un profilo di differenziazione rispetto all’omologa qualifica del settore privato (58) (per la quale, eccettuate alcune ipotesi, continua a vigere un regime di generale libera recedibilità), il che dimostra l’inconciliabilità delle due figure, come evidenziato in dottrina (59) e stigmatizzato dalla giurisprudenza già da diverso tempo (60). (58) In tema, vedi l’ottimo lavoro di GALARDI, il dirigente d’azienda. Figure sociali, fattispecie e disciplina, Giappichelli, 2020. (59) CARInCI, Simbologia e realtà di un gemellaggio: il dirigente privato ed il dirigente pubblico privatizzato, in Quad. Dir. Lav. rel. ind., 31, 2009, pp. 7 ss. (60) Il riferimento corre a Cass. civ., sez. lavoro, 1° febbraio 2007, n. 2233: “Nel caso in cui il dirigente pubblico non abbia raggiunto l’obiettivo previsto dall’incarico non è soggetto a risoluzione del rapporto di lavoro come il dirigente privato, ma a sanzioni relative all’incarico dirigenziale (quali l’affidamento di un incarico dirigenziale di rilievo organizzativo, livello di responsabilità e valore economico inferiore, la perdita della retribuzione di posizione e il collocamento a disposizione per la durata massima di un anno); il rapporto fondamentale di lavoro permane ciononostante stabile. Solo le mancanze più gravi possono portare a recedere dal rapporto di lavoro e, con esso, dall’incarico sovrastante. La disciplina del recesso dal rapporto di lavoro dei dirigenti pubblici non è quella dell’art. 2118 cod. civ., propria dei dirigenti privati, ma segue i canoni del rapporto di lavoro dei dipendenti privati con qualifica impiegatizia, in coerenza con la tradizionale stabilità del rapporto di pubblico impiego”. Di segno diverso appaiono le dichiarazioni del Ministro Zangrillo: “Dobbiamo smettere di distinguere il dirigente pubblico dal dirigente privato. I dirigenti sono uguali in tutte le organizzazioni. Quindi dobbiamo essere capaci di dare al dirigente gli strumenti per svolgere il suo lavoro. Innanzi tutto, dobbiamo renderli consapevoli della responsabilità che hanno e valorizzare il merito. Il merito è un concetto fondamentale sul quale mi batterò moltissimo perché penso che sia cruciale per la crescita del nostro Paese” (disponibile in https://www.funzionepubblica.gov.it/articolo/ministro/15-11-2022/zangrillo-dirigentipubblici- privati-uguali-merito-fondamentale). LeGISLAZIone eD ATTUALITà 6. Conclusioni. Dalla disamina svolta risulta un quadro giurisprudenziale tendenzialmente stabile. L’elaborazione della Corte di cassazione ha contribuito a delineare chiari percorsi interpretativi in una materia (per la verità, già ampiamente regolamentata dal Legislatore) di grande rilevanza sistematica nella disciplina del pubblico impiego. Gli indirizzi appaiono tendenzialmente consolidati, eccettuati alcuni casi (già evidenziati, per i quali si rinvia alle apposite sedi) di contrasto rispetto a diverse posizioni assunte dalla giurisprudenza amministrativa. La Corte costituzionale, a sua volta intervenuta a chiarire il perimetro dei rapporti Stato-Regioni-enti Locali in questa complessa materia, ha aderito alle posizioni già da tempo esplicitate dal Supremo consesso civile. non resta che attendere ulteriori sviluppi, i quali, verosimilmente, potrebbero indirizzarsi verso una sempre maggiore accentuazione dell’orientamento all’obiettivo e al risultato, e, di conseguenza, alla responsabilizzazione del dirigente pubblico. RASSeGnA AvvoCATURA DeLLo STATo -n. 4/2023 L’evoluzione storica della pratica clinica: l’arte medica si confronta con gli algoritmi dell’Intelligenza Artificiale Generativa Gaetana Natale* La storia della medicina delinea l’evoluzione che nel corso dei secoli hanno subito i concetti di “salute” e di “malattia”. Dal giuramento di Ippocrate formulato nel v secolo a.C. nell’antica Grecia e la teoria dei 4 umori di Galeno al Trattato di Pratica della Chirurgia di Rogerio Frugardi in Italia intorno al 1220 a.C o alla De curis mulierum di Trotula de Ruggiero, dalla nascita del microscopio avvenuto durante il rinascimento, all’evoluzione della teoria dei germi fino alla metà del XX secolo con l’introduzione degli antibiotici, la medicina risulta incentrata sul recupero di un equilibrio psicofisico, cd. “omeostasi” detta anche la “fissità del rimedio interno” che rappresenta il fine ultimo della cura. Ma cosa avrebbe pensato Ippocrate se nella pratica clinica basata essenzialmente sui sintomi del paziente si fosse trovato oggi ad utilizzare “dati”“algoritmi predittivi”e“digital twin” che possono fare diagnosi in pochi secondi? Come cambia la pratica clinica quando il rapporto con il paziente si modella sul cd. “sistema inferenziale” attraverso l’incrocio di dati sanitari basata su una logica statistica bayesiana e i modelli logici complessi di Gödel? La formula del regimen Sanitatis Salernitanum pubblicato tra il XII e il XIII secolo “se tibi deficiant medici: mens lieta, vita quieta e moderata dieta” poteva essere elaborata da un algoritmo if this than that? L’intelligenza artificiale dovrà essere considerata sempre un additional e non un replacement, addittiva e non sostitutiva del medico umano, unico capace non solo di to cure, ma anche di to care, non solo di curare la malattia, ma anche di prendersi cura del paziente come persona. In ambito medico, il Giuramento di Ippocrate rappresenta la bussola morale che guida ogni medico nell’esercizio della professione sanitaria. L’importanza del Giuramento in medicina è testimoniata dal fatto che ogni medico, prima di intraprendere il percorso professionale, abbia l’obbligo di prestarlo in forma solenne. Infatti, il testo del Giuramento elenca tutti precetti morali che il buon medico deve possedere per esercitare correttamente l’ufficio sanitario. A tal proposito, giova soffermarsi brevemente anche sulla rilevanza che il Giuramento di Ippocrate ha avuto nel corso della storia medica: seppure con (*) Avvocato dello Stato e Professore di Sistemi Giuridici Comparati. Costituisce il presente scritto la relazione presentata dall’autrice al 49° Congresso della Società di Storia internazionale della medicina, Salerno 9 -12 ottobre 2024. Un ringraziamento al Dott. Francesco Lanciano per la revisione del testo. LeGISLAZIone eD ATTUALITà forme e valori diversi, esso rappresenta una costante della storia della medicina sin dal v sec. a.C., secolo della sua stesura. Mai nessun medico, infatti, ha osato discostarsi dal prestarlo, nonostante i radicali cambiamenti che hanno interessato la scienza medica nel corso dei millenni. Se si rappresentasse l’intera storia della medicina con una linea retta, si potrebbero facilmente distinguere quattro momenti fondamentali. Il primo corrisponde alla formulazione della “Teoria degli Umori” da parte dello stesso Ippocrate di Coo. La Teoria umorale rappresenta, infatti, il primo tentativo di fornire una spiegazione razionale all’insorgenza delle malattie, tentando di superare così le concezioni spiritualiste, magiche e superstiziose. Secondo questa Teoria, all’interno del corpo umano coesisterebbero quattro umori di base (bile nera, bile gialla, flemma e sangue, corrispondenti ai quattro elementi naturali, ossia terra, fuoco, acqua e aria) in costante equilibrio tra loro. Il buon funzionamento dell’organismo, infatti, sarebbe riconducibile proprio all’equilibrio degli umori, mentre la malattia sarebbe determinata dallo squilibrio dei quattro. Dunque, la patologia si manifesta nel momento in cui un umore prevale sugli altri. Proprio nella tesi dell’equilibrio umorale appena descritta si riscontra l’archetipo del concetto di omeostasi, ossia la teoria fisiologica secondo cui il corpo umano sarebbe predisposto al raggiungimento di un equilibrio di funzionamento ottimale. Tra il II e III secolo d.C., la Teoria umorale viene rivista ed ampliata dal medico romano Galeno. Questi ordina gerarchicamente i quattro umori di base; ponendo all’apice della gerarchia il sangue, poiché rappresentante l’elemento dell’aria e, dunque, della forza vitale che anima l’uomo, e sotto la bile nera, la bile gialla e il flemma. In aggiunta, Galeno individua le sedi dei quattro umori (cuore, milza, fegato e cervello) e concepisce i liquidi corporali in chiave spirituale, arrivando ad affermare che le infinite combinazioni di umori siano all’origine degli infiniti caratteri propri della natura umana. Agli umori, dunque, vengono associati quattro temperamenti (melanconico, collerico, flemmatico e sanguigno). Il sistema umorale così riformulato è destinato a perdurare lungo tutto il Medioevo, periodo in cui si verifica la fusione della dottrina medica con la morale religiosa cristiana, e per gran parte dell’era moderna (per lo meno fino a quando non iniziano a comparire nuove dottrine in aperto contrasto con la medicina tradizionale, si pensi, ad esempio, alla dottrina dei miasmi). Il secondo momento fondamentale può essere collocato durante il periodo rinascimentale: si tratta dell’invenzione del microscopio. Fino alla fine del XvI secolo, pochi erano gli oggetti capaci di ingrandire le cose: quarzi, cristalli, vasche piene d’acqua, insomma, tutti strumenti molto rudimentali. Intorno al 1590, in una bottega di fabbricanti di lenti olandese, un ignoto inventore, basandosi sui modelli del più celebre telescopio, costruisce il primo prototipo di microscopio. A differenza del telescopio, il microscopio non ha RASSeGnA AvvoCATURA DeLLo STATo -n. 4/2023 riscosso un immediato successo. Gli uomini del Rinascimento, infatti, erano più attratti dallo studio dei movimenti dei corpi celesti, che non dall’analisi del mondo microscopico. nonostante ciò, il microscopio è sicuramente da annoverare tra gli strumenti che hanno permesso l’evoluzione della scienza medica. Infatti, proprio grazie a questo strumento, i dottori sono riusciti a indagare i misteri del micromondo, ottenendo così ragguardevoli scoperte. Si pensi, ad esempio, alla scoperta, avvenuta nel corso del XvII secolo, della cellula, l’unità base che compone ogni essere vivente, oppure si ragioni su come, a cavallo tra il XvIII e XIX secolo, lo studio degli organismi unicellulari batterici abbia determinato l’abbandono della Teoria umorale in favore di quella dei germi, gettando così le basi per il passaggio dalla medicina tradizionale alla medicina moderna. e proprio la Teoria dei germi costituisce il terzo momento fondamentale dell’evoluzione della scienza medica. Come la Teoria degli Umori, la Teoria dei germi cerca di spiegare sul piano eziologico l’origine delle malattie, ma, a differenza della prima, questa non ricollega la malattia a uno squilibrio dei diversi umori, postula, invece, che i responsabili della trasmissione delle malattie siano dei piccoli organismi, così piccoli da risultare invisibili ad occhio nudo: i germi (in sostanza, batteri e virus). L’autore della Teoria dei germi è Louis Pasteur, il padre della microbiologia. nel corso del XIX secolo, il chimico francese è riuscito a dimostrare l’esattezza scientifica della propria teoria, provando altresì l’infondatezza di tutte le altre tesi alternative, a partire proprio dalla Teoria degli umori di Ippocrate di Coo. Pasteur, inoltre, ha provato empiricamente la fallacia della tesi aristotelica della “generazione spontanea”, che postulava come gli esseri viventi potessero originarsi spontaneamente, senza quindi scaturire da altri organismi. Di conseguenza, con la formulazione della Teoria dei germi si assiste a una vera e propria rivoluzione concettuale nella storia del pensiero scientifico e medico. nonostante ciò, alcuni concetti teorizzati, o per lo meno delineati, dalla Teoria degli umori continuano a persistere. Un esempio è quello di cura inteso come recupero dell’equilibrio psicofisico (si fa riferimento in altri termini all’omeostasi), riformulato in chiave scientifica nel corso nel XX secolo. Ultimo momento fondamentale che ha segnato l’evoluzione della medicina è rappresentato dalla scoperta degli antibiotici e dei vaccini. Se prima della loro invenzione i medici potevano solo limitarsi a diagnosticare le patologie infettive e a somministrare rimedi che non andavano a colpire la carica batterica, dopo questo momento la medicina ha sviluppato nuovi rimedi posti a salvaguardia della salute dell’individuo. Il vaccino nasce nel corso del XIX secolo -lo stesso Pasteur ne aveva sviluppati diversi -e ha un’efficacia preventiva: in breve, somministrando a un paziente un ceppo “depotenziato” della malattia contro cui lo si vuole vaccinare, l’organismo di costui sviluppa degli anticorpi specifici che riescono a combattere la malattia, evitando così gli ef LeGISLAZIone eD ATTUALITà fetti acuti del morbo una volta che il paziente lo contrae naturalmente. viceversa, gli antibiotici, scoperti solo nella prima metà del XX secolo, combattono la malattia uccidendo direttamente i batteri responsabili del morbo. oltre a ciò, si evidenzia come proprio nel XX secolo sia terminata la rielaborazione, in chiave moderna e scientifica, del concetto di omeostasi. Infatti, la tesi della “costanza del mezzo interno” (millieu interieur) di Claude bernarde, secondo la quale il corpo vivente lavora attivamente per mantenere costanti le condizioni ottimali per il proprio funzionamento, viene completata dal fisiologo americano Walter bradford Cannon mediante l’introduzione di quattro postulati: -la costanza di un sistema aperto richiede meccanismi adatti a mantenere in equilibrio il sistema (si pensi ai meccanismi di regolazione utilizzati dall’organismo per mantenere costanti i livelli di glucosio o la temperatura corporea); -per mantenere stazionarie le condizioni del sistema è necessario che ogni fattore adatto a mutarne condizioni incontri dei fattori che resistano al cambiamento (per esempio, l’aumento glicemico ingenera nel soggetto la necessità di bere, in modo tale da ridurre la concentrazione di zucchero nel corpo); -la regolazione del sistema omeostatico è frutto dell’operazione di numerosi meccanismi che agiscono in modo simultaneo o in successione (si pensi all’insulina e al glucagone che rispettivamente diminuiscono o aumentano lo zucchero nel sangue); -non è possibile costituire per caso un sistema omeostatico, questo è necessariamente il risultato di un’autoregolazione organizzata. Il concetto di omeostasi così riformulato delinea un nuovo approccio della scienza medica verso il corpo umano, che considera la cura come elemento necessario per riequilibrare i meccanismi di autoregolazione del corpo umano. Allo stesso modo, anche la scoperta dei vaccini, ma soprattutto degli antibiotici, deve essere considerata una pietra miliare per la scienza medica: innumerevoli sono, infatti, le vite salvate grazie alla somministrazione di questi medicinali. oggigiorno, si sta assistendo a una nuova fase dell’evoluzione della scienza medica dovuta alla progressiva implementazione dell’intelligenza artificiale nei meccanismi di diagnosi delle patologie. Grazie al progresso tecnologico, è stato possibile sviluppare algoritmi tali da creare veri e propri sistemi capaci di elaborare i dati immessi dall’utente e di fornire una risposta di senso compiuto. A tal proposito, non si può non pensare a ChatGPT, la nota intelligenza artificiale sviluppata dalla startup openAI, in grado di comunicare attivamente con l’utente umano. Si evidenzia come l’applicazione dei software LLM (Large Language model) non è limitata all’uso personale: le intelligenze artificiali, se ben sviluppate, possono trovare soluzioni a numerose questioni. Come non citare, ad esempio, il fenomeno emergente dei Digital Twin (“gemelli digitali”), agglo RASSeGnA AvvoCATURA DeLLo STATo -n. 4/2023 merati di dati che costituiscono l’equivalente digitale di una risorsa fisica, potenziale o effettiva. In quanto agglomerati di dati, i Digital Twin possono essere facilmente elaborati e aggregati dagli algoritmi. Il fine è quello di simulare diversi scenari così da individuare quello più adatto alle esigenze dell’utente. Secondo gli analisti, l’impiego dei gemelli digitali potrebbe migliorare il processo di produzione di beni, la gestione delle supply chain e, addirittura, essere impiegato per creare sistemi efficienti di manutenzione predittiva. Si stima una riduzione media dei tempi di produzione del bene di circa il 25% e un risparmio sui costi di gestione di circa il 10-15%. Un altro esempio di implementazione degli algoritmi su piattaforme tradizionali è rappresentato da Compass news, un sito internet di notizie sviluppata dall’imprenditrice italiana Matilde Giglio. La particolarità di questa piattaforma di news è quella di utilizzare l’intelligenza artificiale per aggregare notizie dal mondo, rielaborarle in forma breve e proporle all’utente. Il sistema, dunque, seleziona gli articoli relativi alle notizie più rilevanti, li aggrega e, infine, li rielabora in diversa forma. Spostando il tema verso l’ambito medico, la radiomica rappresenta il perfetto esempio di intelligenza artificiale applicata alla medicina. Utilizzata in ambito oncologico, la radiomica cerca di diagnosticare la presenza di tumori nei pazienti attraverso l’interpretazione delle immagini dei tessuti. A tal proposito, giova premettere come alcuni tumori siano caratterizzati da alterazioni molecolari (ad esempio genomiche). Dunque, per diagnosticare queste patologie generalmente è necessario prelevare, attraverso biopsia o intervento chirurgico invasivo, un campione del tessuto neoplastico per poi analizzarlo in laboratorio. Con la radiomica, invece, il medesimo studio può essere effettuato in modo non invasivo, analizzando le immagini dei tessuti dei pazienti, in luogo dei campioni degli stessi. Poiché i tumori sono eterogenei nel loro volume e sono soggetti ad alterarsi nel tempo, questo tipo di esami può essere ripetuto nel tempo per verificare la progressione della malattia. Con la radiomica le immagini catturate dagli apparecchi vengono, infatti, trasformati in dati numerici (i cosiddetti “Big Data”) che definiscono molte delle caratteristiche del tumore, come la forma, il volume o la struttura tissutale, nonché l’ambiente circostante. Tali informazioni, dunque, oltrepassano la semplice osservazione visiva. Una volta terminata la conversione, i dati vengono immessi in un algoritmo predittivo, dove vengono elaborati, processati ed aggregati. Il risultato mette in relazione i dati ottenuti dalle immagini con le caratteristiche molecolari e genomiche del tumore, dando così indicazioni circa l’aggressività della patologia, le terapie più indicate per il trattamento della stessa e la probabile risposta del paziente alle cure. Sempre rimanendo all’interno della sfera sanitaria, ma spostandosi LeGISLAZIone eD ATTUALITà verso un ramo diverso, colpisce come alcune società stiano sviluppando macchinari che, grazie all’impiego di sofisticati algoritmi comparativi e predittivi, non solo svolgono analisi non invasive sul corpo umano, ma riescono addirittura a formulare risultati diagnostici, utili soprattutto per indirizzare il personale medico verso la strada corretta per curare la malattia. Un esempio è neko body Scan, un dispositivo in grado di effettuare in appena 15 minuti un check completo del paziente. La macchina segnala all’operatore non solo i problemi di salute del paziente, ma fornisce indicazioni sulle patologie che egli potrebbe sviluppare nel tempo. L’apparecchio, sviluppato da una startup danese con sede a Stoccolma, si presenta come una cabina di forma tubulare. Una volta entrato, il paziente viene sottoposto a una serie di esami: mappatura del corpo bidimensionale e tridimensionale, analisi del flusso sanguigno attraverso rilevazione con telecamera di calore, analisi del sangue, misurazione della pressione oculare e forza di presa. effettuate tutte le rilevazioni, i dati raccolti vengono elaborati da una intelligenza artificiale e i risultati sono quindi comunicati al personale medico umano, che li verifica e, successivamente, li comunica al paziente. Si noti come l’intermediazione umana è parte integrante del processo di comunicazione tra macchina e paziente, ciò accade in quanto l’intelligenza artificiale deve essere concepita come additiva all’azione del medico umano e non sostitutiva. Dell’apparecchio colpisce soprattutto la capacità di individuare nel soggetto i sintomi di una eventuale patologia in fase iniziale o i fattori di rischio che, nel corso del tempo, potrebbero far insorgere nel paziente determinate malattie, come il diabete. Sotto il profilo giuridico, l’implementazione delle intelligenze artificiali nei meccanismi di diagnosi e cura delle patologie, pone delle questioni che vale la pena analizzare. Due sono i principali profili problematici: il primo è relativo alla responsabilità medica e a come questa dovrà applicarsi nei confronti degli errori commessi dalle intelligenze artificiali nello svolgimento dell’attività medicale, il secondo ha cura della tutela della riservatezza dell’individuo i cui dati sono utilizzati dal sistema informatico; si cercherà, dunque, di comprendere se l’attuale normativa in materia di tutela della privacy sia sufficiente a proteggere l’integrità dei diritti riconosciuti all’individuo a seguito dell’utilizzo di algoritmi predittivi. Quanto alla prima problematica, quella relativa alla responsabilità medica, giova constatare come, sotto il profilo della gestione del rischio, la sicurezza delle cure somministrate sia “parte costitutiva del diritto alla salute” (art. 1, comma 1, L. n. 24/2017, cosiddetta “Legge Gelli-bianco”) e come tale sicurezza si realizzi “anche mediante l’insieme di tutte le attività finalizzate alla prevenzione e alla gestione del rischio connesso all’erogazione di prestazioni RASSeGnA AvvoCATURA DeLLo STATo -n. 4/2023 sanitarie e l’utilizzo appropriato delle risorse strutturali, tecnologiche e organizzative” (art. 1, comma 2, L. n. 24/2017). A tutela di quanto appena esposto, l’art. 3 della Legge n. 24/2017, ha istituito l’osservatorio nazionale delle buone pratiche sulla sicurezza nella sanità, un organo costituito presso il Ministero della Sanità con il compito di supervisionare lo stato della buona pratica sanitaria e di guidare l’azione dei medici verso pratiche assistenziali migliori. Considerato questo impianto normativo, appare opportuno indagare sul profilo della responsabilità in caso di impiego di intelligenze artificiali per l’attività medicale. A tal proposito, si rileva come nella materia vengano in essere due interessi contrapposti: da una parte quello del paziente a veder risarcito interamente il danno subito a causa dell’AI, dall’altro quello generale, diretto a non disincentivare gli erogatori del servizio sanitario dall’impiego delle intelligenze artificiali. Si deve, a questo punto, considerare che l’intelligenza artificiale impiegata, per quanto avanzata possa essere, non può e non potrà mai essere considerata soggetto di diritto, ma solo mero oggetto di diritto. Pertanto questa non può che essere assimilata a uno strumento nelle mani del medico, il quale deve essere individuato il vero titolare della responsabilità del danno cagionato al paziente. Quanto al profilo della responsabilità medica, questa, di natura evidentemente colposa e contrattuale, deve essere accertata sul canone codicistico della diligenza professionale, ai sensi dell’art. 1176, comma 2, del Codice civile. Come già articolato in precedenza, si evidenzia come la condotta di colui che esercita la professione medica debba essere ancorata al rispetto delle linee guida e delle buone pratiche clinico-assistenziali, ai sensi dell’art. 5 della L. n. 24/2017. Di conseguenza, la responsabilità medica dell’operatore sanitario deve essere anche commisurata sul rispetto delle linee guida e delle buone pratiche clinico-assistenziali delineate dal Ministero della Salute. Si ritiene, però, non sussistere alcuna responsabilità in capo al medico in caso di danni riconducibili al malfunzionamento dell’algoritmo. Questa ipotesi, infatti, fuoriesce dalla sfera di controllo dell’agente sanitario, in virtù proprio dell’elevato grado di autonomia del sistema informatico utilizzato, nonché dell’opacità di funzionamento dello stesso (non a caso, quando si parla di intelligenze artificiali, molto spesso le si definisce “black box”, scatole nere, perché gli unici elementi noti sono i dati conferiti alla macchina e risultati ottenuti, viceversa il processo di elaborazione resta avvolto dal segreto industriale). Ciò considerato, emerge in modo chiaro come l’impiego di intelligenze artificiali in medicina non potrà mai sostituire l’attività terapeutica svolta dal medico curante. L’intelligenza artificiale, dunque, deve essere considerata necessariamente un additional e non un replacement, deve aiutare il medico e LeGISLAZIone eD ATTUALITà non sostituirlo. Tutto ciò perché il medico umano è l’unico capace non solo di curare la malattia (to cure), ma anche di prendersi cura attivamente del paziente (to care). Da ultimo, si deve considerare come l’art. 7 della Legge Gelli-bianco configura anche un profilo di responsabilità contrattuale in capo alla struttura sanitaria in cui il medico opera. La norma, infatti, dispone che “la struttura sanitaria o sociosanitaria pubblica o privata che, nell’adempimento della propria obbligazione, si avvalga dell’opera di esercenti la professione sanitaria, anche se scelti dal paziente e ancorché non dipendenti della struttura stessa, risponde, ai sensi degli articoli 1218 e 1228 del Codice civile, delle loro condotte dolose o colpose. La disposizione di cui al comma 1 si applica anche alle prestazioni sanitarie svolte in regime di libera professione intramuraria ovvero nell’ambito di attività di sperimentazione e di ricerca clinica ovvero in regime di convenzione con il Servizio sanitario nazionale nonché attraverso la telemedicina”. Di conseguenza, anche la struttura può essere chiamata a risarcire il danno cagionato al paziente, a patto che non dimostri che questo derivi da causa ad essa non imputabile (art. 1218 c.c.). In relazione al secondo profilo problematico, quello concernente la tutela della privacy dell’individuo, è necessario fare alcune considerazioni. La questione appare rilevante in quanto, per funzionare, l’algoritmo necessita di un input di dati sensibili, dati che, quindi, sono soggetti ad attività di conservazione, archiviazione e trasmissione, anche all’estero e in territori extracomunitari. Di conseguenza, l’attività è in astratto idonea a ledere il diritto alla riservatezza riconosciuto dall’ordinamento al paziente, specie se si considerano i dati inerenti al loro stato di salute. Il D.Lgs. n. 196/2003 (il cosiddetto “Codice della privacy”) nulla dice a riguardo: il Titolo v della Parte I del testo normativo, che regola per l’appunto il trattamento dei dati personali in ambito sanitario, tace limitandosi ad operare un rimando alle norme generali in materia di trattamento dei dati personali. Si ritiene che l’applicazione della normativa europea in materia di trattamento dei dati personali (Regolamento Ue n. 2016/679, cosiddetto “GDPR”) possa risolvere gran parte delle questioni collegate al trattamento dei dati sensibili da parte degli algoritmi predittivi. Ciononostante, residuano delle zone d’ombra. La macchina, per funzionare, deve disporre di una vasta quantità di dati e molto spesso accade che siano utilizzati proprio i dati forniti dagli utenti. A causa della difficile conoscibilità dei processi di ragionamento del software generativo non è possibile ricostruire nel dettaglio quali siano i dati utilizzati per addestrare l’intelligenza artificiale (attraverso processi di machine learning), né tantomeno quali informazioni dei pazienti vengano conservate all’interno del software al fine di migliorare la macchina. RASSeGnA AvvoCATURA DeLLo STATo -n. 4/2023 In questa ottica, un eventuale intervento legislativo diretto a rafforzare la tutela della riservatezza degli individui dovrebbe mirare a ridurre, da una parte, l’inconoscibilità dei processi decisionali interni agli algoritmi e, dall’altra, obbligare coloro che hanno sviluppato il software a rendere pubblici i dati utilizzati sia per addestrare l’IA, sia per migliorarla in un momento successivo alla messa sul mercato dell’algoritmo. CONTRIBUTIDIDOTTRINA Innovare nella Pubblica Amministrazione: profili etici, normativi e manageriali Gaetana Natale* Il tema dell’innovazione nella pubblica amministrazione rappresenta una questione di grande momento che tocca diversi profili nodali attinenti al funzionamento della macchina amministrativa. Non si tratta solo di migliorare le tecnologie o i processi: siamo dinanzi ad una sfida più complessa che impone una revisione profonda e strutturale di alcune categorie chiave. Tra queste, spiccano i concetti di fiducia, risultato, efficienza e buon andamento della pubblica amministrazione. Innovare, quindi, non significa soltanto introdurre nuove tecnologie o semplificare i procedimenti. Innovare significa ridefinire il modo in cui intendiamo questi valori e richiede di dare vita a una nuova assiologia, cioè ad un nuovo sistema di attribuzione valoriale e di significato ai principi richiamati, così da renderli adeguati alle esigenze del presente. Il volume “Innovare nella Pubblica Amministrazione: profili etici, normativi e manageriali”, curato dalla Professoressa Paola Adinolfi e dal Professor Paolo Tartaglia Polcini, costituisce uno strumento utile per riflettere sulla trasformazione in atto e, in un certo senso, ne rappresenta un vero e proprio “indice rivelatore”. Esso richiama, tra l’altro, un concetto che è stato sottolineato anche dal Ministro dell’Università e della Ricerca, Anna Maria Bernini, durante un’importante occasione istituzionale: l’inaugurazione dell’anno ac (*) Avvocato dello Stato e Professore di Sistemi Giuridici Comparati. Costituisce il presente scritto l’intervento dell’Autrice al Convengo “Innovare nella Pubblica Amministrazione: profili etici, normativi e manageriali” tenutosi presso l’Università degli Studi di Salerno in data 15 marzo 2024. Un ringraziamento alla Dott.ssa Maria Giulia Arciero per la revisione del testo e la redazione delle note. RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO -N. 4/2023 cademico 2023-2024 presso una rinomata università romana, la LUMSA. In quell’occasione, il Ministro ha messo in luce come, rispetto agli anni ‘90 e 2000, in cui la tendenza era quella di promuovere un modello di specializzazione settoriale e verticale, oggi si rende necessaria una visione completamente diversa. Non è più sufficiente concentrarsi su competenze iper-specializzate e isolate, ma occorre abbracciare un’idea di “contaminazione dei saperi” finalizzata a favorire l’empowerment delle competenze trasversali e delle soft skills, adottando la massima operativa seguita dai botanici: “Il genio è nel- l’ibridazione, ossia nella contaminazione dei saperi!”. Il Dipartimento CIRPA attribuisce grande importanza a concetti fondamentali come il benessere organizzativo, il change management e il trust management. Si tratta di temi ormai pienamente riconosciuti sia a livello legislativo che giurisprudenziale. Un esempio concreto è rappresentato dal Piano Integrato di Attività e Organizzazione (PIAO) (1), introdotto con il De- creto-Legge del 2021, che incorpora questi principi all’interno della gestione amministrativa. Un altro riferimento normativo rilevante è l’articolo 7 del Decreto legislativo n. 165 del 2001, che esplicitamente menziona il benessere organizzativo come parte integrante delle responsabilità della pubblica amministrazione. In questo contesto, il ruolo del dirigente assume una funzione chiave: non è più visto come un mero esecutore di norme, ma come un facilitatore di processi, un attore strategico che contribuisce a ottimizzare l’organizzazione. La “ingegnerizzazione” dei processi amministrativi, ossia la loro strutturazione (1) Il PIAO è stato introdotto dall’art. 6 del Decreto-Legge 9 giugno 2021, n. 80 “Misure urgenti per il rafforzamento della capacità amministrativa delle pubbliche amministrazioni funzionale all’attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) e per l’efficienza della giustizia”. Nella relazione illustrativa al DDL di conversione (Legge 6 agosto 2021, n. 113) è stata messa in evidenza la funzione semplificatrice che il PIAO è chiamato ad assolvere, ivi sottolineandosi, per l’appunto, che lo strumento in questione vuole “assorbire, razionalizzandone la disciplina in un’ottica di massima semplificazione, molti degli atti di pianificazione cui sono tenute le amministrazioni (ad esempio, il piano triennale dei fabbisogni, il piano della performance, il piano di prevenzione della corruzione ed il piano organizzativo del lavoro agile), racchiudendoli in un unico atto”. Anche il Consiglio di Stato, Sezione Consultiva per gli Atti Normativi, si è recentemente pronunciato sul tema, prima in occasione della formulazione del Parere n. 506 del 2022 sullo “Schema di decreto del Presidente della Repubblica recante “Individuazione e abrogazione degli adempimenti relativi ai piani assorbiti dal piano integrato di attività e organizzazione ai sensi dell’articolo 6, comma 5, del decreto-legge 9 giugno 2021, n. 80, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2021, n. 113”, poi con il successivo Parere n. 902/2022. Nei richiamati pareri è stata espressa una posizione favorevole e complessivamente ottimistica circa l’attuazione dei Piani; tuttavia, è stata manifestata una certa preoccupazione circa il rischio di trasformare questo strumento di semplificazione in un aggiuntivo aggravio burocratico, in un c.d. “layer of bureaucracy” ulteriore. Simili considerazioni sono state formulate dagli esperti, si vedano A. CORRADO, La difficile strada della semplificazione imboccata dal PIAO, Federalismi.it, n. 27/2022 e V. ZANGhERI, Il benessere delle comunità territoriali e gli strumenti per realizzarlo, IV Conferenza annuale Icon-S Italian Chapter, “Politica e istituzioni tra trasformazioni e riforme” -Università Bocconi, Milano, 13 e 14 ottobre 2023. CONTRIBUTI DI DOTTRINA e ottimizzazione, ha l’obiettivo di generare valore pubblico, migliorando l’efficienza e l’efficacia dei servizi offerti ai cittadini. Questa nuova concezione dell’organizzazione amministrativa e del public management è debitrice delle teorizzazioni in tema di lean management, lean organization e lean production (2) che, seppur applicate inizialmente nelle imprese del settore privato, delineano un approccio essenziale anche per l’azione amministrativa pubblica. Infatti, un’amministrazione snella e flessibile può meglio realizzare il risultato, esso stesso espressione dell’efficienza e dell’efficacia richieste all’azione amministrativa. Anche la giurisprudenza, sia amministrativa che della Corte di Cassazione, ha adottato un orientamento che mira a superare l’idea tradizionale della pubblica amministrazione come mero esecutore di una sequenza rigida di adempimenti burocratici. Al contrario, si sta promuovendo una visione più flessibile e creativa dell’amministrazione, che valorizza la capacità di adattarsi e di innovare. Questa nuova impostazione riconosce alla pubblica amministrazione una dimensione “privatistica”, nel senso che essa può introdurre varianti e modifiche sul piano organizzativo per migliorare il proprio funzionamento. Tutto questo ha l’obiettivo finale di creare valore pubblico, rispondendo in maniera più efficace e dinamica alle esigenze della collettività. Dunque, la modernizzazione della pubblica amministrazione passa attraverso un cambiamento culturale e organizzativo che valorizza il benessere, la fiducia e la capacità di innovare. Un insieme di obiettivi che si propone di realizzare assegnando un ruolo più dinamico ai dirigenti e abilitando una maggiore flessibilità nelle prassi operative. Nel contempo, però, il salto digitale impone soprattutto una valorizzazione di alcuni principi che sono stati ricevuti anche dal Nuovo Codice dei Contratti Pubblici (3): il principio del risultato e il principio della fiducia (4). (2) Nel volume di D.T. JONES e J.P. Womack, Lean thinking: banish waste and create wealth in your corporation, New York, 1996, sono stati definiti I cinque principi chiavi del lean thinking e della lean organization che consentono di massimizzare il valore prodotto riducendo, al contempo, gli sprechi e le inefficienze: i. Value: Define value from the customer’s perspective; ii. Mapping: Identify all steps in the process to locate waste; iii. Flow: Ensure a smooth, uninterrupted flow of value-adding activities; iv. Pull: Produce only in response to actual customer demand and v. Perfection: Continuously improve processes to reduce waste and increase efficiency. (3) Già molto è stato scritto in tema di principi generali posti a presidio del Nuovo Codice dei contratti pubblici. Si segnalano, ex multis, gli interessanti contributi presenti in R. URSI (a cura di), Studi sui principi generali del Codice dei contratti pubblici, Napoli, 2024. (4) In particolare, la più recente giurisprudenza del massimo organo giurisdizionale amministrativo, si è soffermata sul concetto di risultato e su quello di amministrazione di risultato. Quanto al primo, è stato affermato che “il richiamo alla nozione di risultato integra i parametri di legittimità dell’azione amministrativa con riguardo ad una categoria che implica verifiche sostanziali e non formali, di effettività del raggiungimento degli obiettivi (di merito, e di metodo) oltre che di astratta conformità al paradigma normativo” (Consiglio di Stato, Sez. III, Sent. n. 11322 del 29 dicembre 2023). Del resto, il principio di legalità e il principio di risultato non sono tra loro contrapposti: sempre il Consiglio di Stato, RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO -N. 4/2023 Qualche anno fa in alcuni convegni parlavo del concetto di trust worthy, cioè del recupero della fiducia del cittadino nella pubblica amministrazione, e devo dire che qualcuno avanzava dei sorrisi sarcastici, nell’accezione greca “sarkasmos” -che significa straziare le carni, perché mi veniva detto: «ma avvocato, questo è il libro dei sogni!». Ebbene, a distanza di qualche tempo, la centralità di tale aspetto si manifesta con estrema chiarezza ed ha assunto un valore cogente. A ciò ha contribuito l’elaborazione dogmatica dei principi di fiducia e di risultato, intesi come meta- norme con funzione normo-genetica. Oggi il dibattito si è spostato sulla funzione di tali principi e ci si chiede se questi, unitamente agli altri contenuti nei primi 18 articoli del Nuovo Codice dei Contratti Pubblici, siano innovativi ovvero ricognitivi della giurisprudenza. Ci si interroga, inoltre, sulla loro portata: deve intendersi come monodimensionale o presenta una capacità precettiva? Infatti, il ponte tra i valori e le regole concrete sono, appunto, queste meta-norme con funzione normo-genetica, che vedono nel concetto di risultato e di efficienza, o di outcome result, un indice rivelatore della legittimità dei provvedimenti amministrativi stessi. E qui, ma l’ho già detto anche di persona all’interessato, la tesi elaborata dal Professor Perongini è illuminante. Perongini cerca di superare la contradictio tra principio di risultato e principio di legalità attraverso l’ingresso del primo nella fattispecie normativa che si veste, in tal modo, di legalità (5). con la sentenza n. 1924 del 27 febbraio 2024, ha chiarito che “il valore del risultato concorre ad integrare il paradigma normativo del provvedimento e dunque ad “ampliare il perimetro del sindacato giurisdizionale piuttosto che diminuirlo”, facendo “transitare nell’area della legittimità, e quindi della giustiziabilità, opzioni e scelte che sinora si pensava attenessero al merito e fossero come tali insindacabili”. Il principio di risultato è stato inteso come declinazione del principio di buon andamento. Infatti, come evidenziato dal Consiglio di Stato con la sentenza n. 2866 del 26 marzo 2024, già prima della positivizzazione del principio di risultato, avvenuta con l’introduzione del Decreto legislativo n. 36 del 2023, si dava per consolidato “il carattere immanente al sistema della c.d. amministrazione di risultato (che la dottrina ha ricondotto al principio di buon andamento dell’attività amministrativa, già prima del- l’espressa affermazione contenuta nell’art. 1 del citato d.lgs. n. 36 del 2023 con specifico riferimento alla disciplina dei contratti pubblici)”. (5) “In altri termini, il “risultato della esecuzione del contratto” -secondo l’impianto dello schema definitivo -altro non è che l’interesse pubblico alla realizzazione dell’opera pubblica, all’espletamento del servizio, al conseguimento della fornitura. La realizzazione dell’opera pubblica, l’espletamento del servizio e il conseguimento della fornitura -vale a dire il risultato -diventano elementi della fattispecie normativa, sono inglobati nella norma. Il risultato diventa elemento della fattispecie normativa. In tal modo la distonia fra risultato e principio di legalità appare definitivamente superata”, così S. PERONGINI, Il principio del risultato e il principio di concorrenza nello schema definitivo di codice dei contratti pubblici, in occasione del Convegno “Il contenzioso in materia di contratti pubblici ed appalti nel quadro di un’analisi socio-giuridica”, organizzato dall’Ufficio studi e formazione della Giustizia Amministrativa in collaborazione con il T.a.r. per l’Emilia-Romagna e la SPISA -Università di Bologna, 14 e 15 dicembre 2022. Relazione disponibile a: https://spec.unibo.it/spisa/it/risorseonline/ relazioni-book-contributi/perongini-sergio-il-principio-del-risultato-e-il-principio-diconcorrenza- nello-schema-definitivo-di-codice-dei-contratti-pubblici-pdf.pdf, spec. p. 6. ID., Il principio del risultato e il principio di concorrenza nello schema definitivo di codice dei contratti pubblici, Diritto e società, 2022, pp. 551-569. CONTRIBUTI DI DOTTRINA Chiaramente la Corte dei Conti dovrà valutare la realizzazione di questo risultato, e se gli indici rivelatori della legittimità dei provvedimenti sono l’istruttoria e la motivazione, bisognerà che il funzionario, o il dirigente, acquisisca questo livello di awareness, di consapevolezza, in relazione al valore del principio di risultato. Quest’ultimo, inteso come concretizzazione dell’interesse pubblico, diventa causa giustificativa del provvedimento. Sul punto, la dottrina amministrativa, anche risalente, è copiosa. Già Federico Cammeo sosteneva che la prefigurazione di un interesse pubblico è sufficiente affinché si possa ritenere valida una causa giustificativa del provvedimento. Detto in altri termini, basta la profilazione di un interesse pubblico a configurare la nozione di interesse legittimo, inteso come interesse qualificato alla legittimità dell’attività amministrativa (6). Il processo di digitalizzazione, che si sta delineando sempre più chiaramente all’orizzonte, comporta la necessaria evoluzione e il costante adeguamento di altri due concetti, quello di discrezionalità tecnica e quello di discrezionalità amministrativa. Com’è noto, questo processo di digitalizzazione è anche un obiettivo fissato dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR). Il Piano è esso stesso al centro delle trasformazioni in atto. La dottrina, a seconda degli aspetti considerati, attribuisce al PNRR sia una valenza normativa che una valenza politica, evidenziandone la rilevanza non solo come misura emergenziale, ma anche come possibile componente strutturale del- l’Unione Europea. Ne è dimostrazione la discussione che ruota attorno al c.d. “momento hamilton”. Si tratta di un dibattito che si sta sviluppando anche a Bruxelles, all’interno delle istituzioni europee, in concomitanza con la nuova configurazione del Patto di Stabilità. Quest’ultimo, nell’ottica assunta dai sostenitori di una maggiore integrazione, dovrebbe condurre all’identificazione di un debito pubblico europeo. In un siffatto contesto, alcuni avanzano l’ipotesi che il PNRR possa trasformarsi da misura temporanea a strumento permanente e strutturale all’interno dell’Unione Europea. Questo potrebbe preludere a un processo di integrazione normativa sempre più ampio, che potrebbe portare, ottimisticamente, verso un’unione fiscale e bancaria europea. Ma perché si parla di “momento hamilton”? Alexander hamilton è stato il primo Segretario del Tesoro degli Stati Uniti e svolse un ruolo cruciale nel consolidare i debiti delle colonie americane, un’azione che facilitò il passaggio verso una federazione unita. Questo parallelo storico è significativo: sebbene l’Europa sia ancora lontana da un simile traguardo, la direzione intrapresa potrebbe indicare un percorso simile di integrazione finanziaria e politica. (6) F. CAMMEO, Corso di diritto amministrativo, Rist. con note di aggiornamento, Padova, 1960, passim. RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO -N. 4/2023 Per quanto riguarda l’Italia, il nostro Paese ha richiesto una quantità significativa di risorse, oltre 200 miliardi di euro, ed è l’unico Stato membro ad aver fatto una richiesta così ampia. Questa situazione ci obbliga a riflettere su due aspetti fondamentali. Come è stato evidenziato, una parte di questi fondi è costituita da grant in aid, ovvero aiuti a fondo perduto destinati alla realizzazione di riforme strutturali. Tuttavia, un’altra parte di queste risorse sono loans, ovvero prestiti che dovranno essere restituiti. Per questo motivo, diventa essenziale attuare le riforme previste nei tempi prestabiliti dal cronoprogramma. Ed è proprio per evitare rallentamenti e fasi d’inerzia nell’attuazione dei progetti ricompresi sotto l’ombrello del PNRR che si torna a parlare di riformare o, financo, di abrogare il reato di abuso d’ufficio (7). In particolare, tra le ragioni che militano a favore dell’abolitio crimis, è sovente indicata la c.d. “paura della firma”, anche conosciuta come “amministrazione difensiva” o “burocrazia del non fare”. Con tali locuzioni si vuole descrivere lo stato d’ansia patito da funzionari e dirigenti, generato dal timore d’incorrere in responsabilità penale, da cui deriverebbero importanti ripercussioni sulla loro attività, che risulterebbe rallentata, pregiudicata e financo immobilizzata (8). A ciò si aggiunga che, a fronte del nuovo debito contratto dallo Stato, l’attuazione del PNRR è imposta soprattutto da un dovere etico: dobbiamo garantire che la posizione debitoria del Paese non divenga un ostacolo insostenibile per le future generazioni. Solo gestendo e spendendo i fondi per le riforme e i progetti definiti nel PNRR si può incentivare una ripresa economica più solida e sostenibile nel lungo termine. Digitalizzare, come è stato detto dal Prefetto Esposito, significa anche individuare un nesso logico conseguenziale tra l’esercizio della funzione pubblica e il centro di imputazione della responsabilità, il centro di imputazione degli effetti giuridici. Digitalizzare significa introdurre chiaramente il passaggio dall’analogico al digital first, e questo anche nell’ambito dei contratti pub (7) Lo scorso 25 agosto 2024 -successivamente alla Relazione presentata al Convegno -è entrata in vigore la c.d. Legge Nordio, recante “Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale, all’ordinamento giudiziario e al codice dell’ordinamento militare”. Tra le numerose novelle introdotte, l’art. 1 lettera b) ha abrogato l’art. 323 c.p. Nonostante la dottrina rileva potersi trattare di un’ipotesi di abrogatio sine integrale abolitione, per via della quasi concomitante introduzione dall’art. 314 bis c.p., rubricato “indebita destinazione di denaro o cose mobili”, sono state avanzate preoccupazioni sugli effetti che l’abrogazione potrebbe determinare, in particolare in relazione al rischio di impunità. Sul punto è intervenuta anche la Commissione europea, in occasione del “Rapporto sullo Stato di diritto 2024”. Nel Capitolo dedicato all’Italia ha evidenziando che “la nuova legge che abroga il reato di abuso d’ufficio e limita l’ambito di applicazione del reato di traffico di influenza potrebbe avere implicazioni per l’individuazione e l’indagine di casi di frode e corruzione”. (8) Sul punto, v. S. BATTINI, Abuso d’ufficio e burocrazia difensiva nel groviglio dei rapporti tra poteri dello Stato, Giornale dir. amm., 2022; B. ROMANO, La continua riforma dell’abuso di ufficio e l’immobilismo della pubblica amministrazione, in www.ilpenalista.it, 2020. CONTRIBUTI DI DOTTRINA blici attraverso il principio once only, che si sta evolvendo anche in win only. Inoltre, l’introduzione dell’intelligenza artificiale, che è già una realtà, è già futuro, pone il problema di adeguare, con una sorta di attività di ortopedia interpretativa, le categorie giuridiche tradizionali a quelle che sono le specifiche tecniche. Sappiamo già che la giurisprudenza e il Consiglio di Stato, ma anche la Cassazione, per quanto riguarda gli smart contracts, parla di accesso al codice sorgente, invocando l’articolo 22 del GDPR, quindi una procedura non completamente automatizzata, che conserva un centro di imputazione -gli human group -che rimane umano. In particolare, sempre in tema di accesso al codice sorgente, il Consiglio di Stato si è pronunciato, con la sentenza n. 2270 dell’8 aprile 2019, adoperando un bilanciamento “Ermessen” tra il principio di trasparenza delle decisioni della Pubblica Amministrazione e le necessarie implicazioni della tutela del diritto di privativa legato al codice sorgente (9). Il Supremo organo giurisdizionale amministrativo, in tale sede, ha riconosciuto che ad alcune condizioni l’utilizzo di una procedura automatizzata deve considerarsi legittimo, oltre che vantaggioso. Tale approccio è giustificato dal fatto che, quando ci si trova di fronte a procedure seriali o standardizzate, una gestione automatizzata permette di giungere a una decisione in tempi più rapidi, favorendo così l’interesse pubblico e rispettando i principi di efficienza e buon funzionamento, come stabilito dall’articolo 97 della Costituzione. D’altra parte, il Supremo Consesso ha sottolineato che “l’utilizzo di procedure robotizzate non può essere motivo di elusione dei principi che conformano il nostro ordinamento e che regolano lo svolgersi dell’attività amministrativa”. Pertanto, se è vero che “l’algoritmo, ossia il software, deve essere considerato a tutti gli effetti come un atto amministrativo informatico” che si fonda su una “regola tecnica”, è altrettanto vero che l’atto così formato e la regola tecnica che esso incorpora, devono soggiacere ai principi fondamentali dell’azione amministrativa, tra cui la trasparenza e la conoscibilità, nonché il pieno sindacato del giudice amministrativo, il quale deve poter valutare “la correttezza del processo informatico in tutte le sue componenti: dalla sua costruzione, all’inserimento dei dati, alla loro validità, alla loro gestione”. Proprio il rilievo che assume il sindacato del giudice amministrativo, in un contesto dove le regole tecniche si fanno parte integrante di quelle giuridiche, mi fa tornare alla memoria una lezione che ho tenuto presso la Scuola Superiore della Magistratura. In quell’occasione, ho posto ai magistrati ordinari questa domanda: «nel momento in cui le pronunzie realizzano la tutela e (9) La controversia che ha dato origine alla decisione riguardava l’impugnazione delle proposte di assunzione derivanti dal piano straordinario di mobilità dei docenti. Per approfondire si rinvia a G. NATALE, Il processo di digitalizzazione e i suoi riflessi nel diritto. L’evoluzione della digitalizzazione dei contratti pubblici: cosa cambia dal 1 gennaio 2024 con il nuovo Codice dei Contratti Pubblici D.lgs. 36/2023?, Rassegna Avvocatura dello Stato, n. 2, 2023, pp. 173-195. RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO -N. 4/2023 la concretizzano nell’accesso del cittadino al codice sorgente, per capire come è stato costruito l’algoritmo -che è un if this then that, cioè una sequenza di passaggi elementari in un tempo finito, che deve però sposare anche il concetto di valutazione comparativa degli interessi -chi di voi ha mai letto un codice sorgente?». Ebbene, le risposte sono state molto esigue, perché il codice sorgente è un codice alfanumerico. E non è un caso, vedete, che nel nuovo codice dei contratti pubblici, predisposto dalla commissione speciale formata da consiglieri di Stato, ma anche da economisti, sia stato introdotto l’articolo 30 che, nel richiamare la possibilità della pubblica amministrazione di utilizzare algoritmi di intelligenza artificiale, prevede che la tutela del cittadino, e quindi anche quella del centro di imputazione di responsabilità, non si concretizzi solo nell’accesso al codice sorgente ma nell’accesso a tutti gli elementi che concorrono alla formazione della logica algoritmica. Sul punto cito Francesco Decarolis, l’economista della Bocconi, perché mi ha molto colpito (10). In altre parole, aumenta l’onere istruttorio della pubblica amministrazione e l’algoritmo non esclude quegli istituti partecipativi che realizzano la vera tutela del cittadino. La cosa più importante da tener presente per i centri di imputazione di responsabilità è la competenza della Corte dei Conti. Si tratta di una giurisdizione che indica una maggiore equità, perché la Corte dei Conti può ridurre l’addebito, non prevede l’intrasmissibilità agli eredi e non prevedere solidarietà, quindi è una giurisdizione che, sebbene in certa misura rappresenti una spada di Damocle sul funzionario, nell’applicazione concreta, invocando la motivazione e la completa istruttoria quale indici redattori della legittimità del provvedimento, risulta essere una giurisdizione equa. Funzionari e dirigenti amministrativi hanno tutta la mia considerazione perché l’attività di amministrazione attiva è difficilissima e ne sono ben consapevole, svolgendo una esperienza di presidente di un collegio consultivo tecnico. Infatti, si richiede al povero responsabile unico del procedimento di essere addirittura un project manager, cioè di possedere una competenza che vede molto spesso protagonisti gli ingegneri votati al diritto. Infatti, si richiede loro di valutare il progetto, di validarlo, tenendo conto dei piani di progettazione di fattibilità tecnica, economica ed esecutiva. In un simile contesto la realizzazione della competenza trasversale si pone ancora più pregnante. Però, ripeto, questo tipo di motivazione legata alla logica algoritmica potrebbe in qualche modo rivelarsi essenziale per individuare questi scenari di innovazione e di imputazione soggettiva. Certo è che con la digitalizzazione bisognerà cambiare schema mentale, qualcuno dice che serva addirittura “rompere i nostri schemi di verità”. Occorrerà sviluppare l’intelligenza, ma non quella artificiale, l’intelligenza (10) F. DECAROLIS, Chi ha paura dell’intelligenza artificiale?, Eco, Italia, 2024. CONTRIBUTI DI DOTTRINA umana, cioè non basata sulla logica statistica bayesiana. Perché l’algoritmo è un tipo di intelligenza basata sull’incrocio di dati, ma non è l’intus legis, non è leggere dentro il testo e il contesto. Bisognerà sviluppare quell’intelligenza emotiva di cui parla Goleman (11), nonché l’intelligenza multipla di cui parla Gardner (12), poiché questi tipi di intelligenza sono sempre più rilevanti nella pubblica amministrazione. Allora, la mia voce vuole essere la voce operativa di un Avvocato dello Stato che non rifugge dalla teorizzazione, ma che deve necessariamente tradurre in regole operative il portato delle elaborazioni concettuali e che deve farlo attraverso queste coordinate che vanno ad individuare, come il mio Maestro dice, un nuovo orizzonte di senso. Si tratta, in definitiva, di realizzare un necessario equilibrio tra quelli che sono i punti fermi dell’innovazione tecnologica e quelle che sono la tutela dei diritti, senza dimenticare la tutela dei funzionari della pubblica amministrazione che dovranno affrontare una notevole complessità aggiuntiva. Proprio lo scorso dicembre è stato approvato il regolamento sull’intelligenza artificiale (13), si era prevista un’approvazione ad aprile, ma è stata anticipata. Molti sono i punti di forza, molti sono anche i punti di debolezza, perché è un tipo di regolamento che comincerà a entrare in gioco anche come strumento interpretativo dei provvedimenti nazionali. Qualcuno dice che l’Europa rischia di diventare un nano tecnologico a fronte di un gigante regolatorio, però, in ogni caso, il regolamento sull’intelligenza artificiale rappresenta una base giuridica importante laddove l’approccio legato alla categoria del rischio potrà individuare i tipi di certificazione per questo tipo di strumento che verranno sempre più utilizzati dalla pubblica amministrazione. “Abbiamo creato le regole del gioco, ma esiste il campo da gioco?”, qualche acuto osservatore ha domandato. Il 1° gennaio 2024 dovevano entrare in funzione queste piattaforme certificate e dopo un primo ottimismo, in altri termini, l’ANAC si è affrettata ad adottare delle delibere cercando di far slittare gli affidamenti diretti (14). Non (11) D. GOLEMAN, Emotional intelligence: Why it can matter more than IQ for character, health and lifelong achievement, New York, 1995, passim. (12) h. GARDNER, Frames of Mind: The Theory of Multiple Intelligences, New York, 1983, passim. (13) Per una disamina approfondita del Regolamento (UE) 2024/1689 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 13 giugno 2024 che stabilisce regole armonizzate sull’intelligenza artificiale, c.d. “Regolamento sull’intelligenza artificiale”, sia consentito rinviare a G. NATALE, Intelligenza artificiale, neuroscienze, algoritmi. Aggiornato al nuovo Regolamento Europeo AI Act, Pisa, 2024, ed alle fonti bibliografiche ivi riportate. (14) In materia di affidamenti diretti di importo inferiore a 5000 euro, con il Comunicato del Presidente del 10 gennaio 2024, l’ANAC ha fornito le “Indicazioni di carattere transitorio sull’applicazione delle disposizioni del codice dei contratti pubblici in materia di digitalizzazione degli af RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO -N. 4/2023 scendo nel tecnico, a settembre 2024, s’impone la necessità del Codice Identificativo per Gara (CIG) su alcuni dati essenziali, dato corretto, verificato, che costituisce data mining, che costituisce un valore. Ecco, quindi c’è una spinta gentile, però è anche vero che rimane ferma la competenza umana nel definire delle regole del gioco che devono tenere presente anche le nostre capacità cognitive. Perché vedete, il funzionario porrà in essere un processo di digitalizzazione. Il tutto avviene nel momento in cui alcuni neuroscienziati affermano la necessità della carta come strumento di apprendimento. Sul punto cito, per esempio, il Professore Giuseppe Riva, docente di psicologia clinica. In alcune università si è addirittura tornati al cartaceo, e qualcuno diceva: «ma come?! Abbiamo fatto tanto per digitalizzarci e adesso torniamo indietro?!». Per esempio, in Svezia e in Spagna alcune ricerche scientifiche hanno rilevato che l’utilizzo del cartaceo sviluppa una parte del cervello definita neurone space, cioè neurone spazio, che non è un neurone specchio, ma che consente di geolocalizzarci. Questo cosa vuol dire? Che è suffragato il c.d. “effetto Flynn” teorizzato da James Robert Flynn, uno scienziato che dal 1999 al 2009 ha dimostrato come l’uso eccessivo del digitale ci faccia perdere delle facoltà cognitive in base al principio ‘don’t use it, lose it’, cioè, ‘se non usi una competenza, la perdi’. Quanti di noi ricordano che al liceo ricordavamo i numeri di telefono di tutti i nostri compagni di classe e oggi invece memoria minuitur, nisi eam exerceas?! Allora, con questo livello di awareness, di consapevolezza della necessità che ormai l’innovazione tecnologica non può essere bloccata ma va indirizzata, va contenuta, si profila innanzi a noi una grande sfida. Questo libro che abbiamo scritto indica una strada nell’approccio empirico di cui parlava il Professor Perongini. Vi lascio allora con una frase che proprio il pragmatismo americano afferma, nella vita non ci sono problemi ma solo sfide: no problems, just the challenges! fidamenti di importo inferiore a 5.000 euro”. Nel provvedimento l’Autorità consente che si utilizzi per gli affidamenti diretti sottosoglia, fino al 30 settembre 2024, l’interfaccia web messa a disposizione dalla piattaforma contratti pubblici, in quanto reputata “una modalità suppletiva (…) in caso di impossibilità o difficoltà di ricorso alle PAD, per il primo periodo di operatività della digitalizzazione”. Per quanto riguarda gli ulteriori tasselli che compongono il mosaico della digitalizzazione amministrativa, l’ANAC ha recentemente adottato le Delibere n. 262, del 20 giugno 2023, che disciplina l’FVOE, la n. 264, del 20 giugno 2023, in tema di atti, informazioni e dati relativi al ciclo di vita dei contratti pubblici oggetto di trasparenza e la n. 601, del 19 dicembre 2023, che integra e modifica la precedente delibera fornendo ulteriori dettagli sulle modalità di adempimento degli obblighi di pubblicazione previsti per le stazioni appaltanti e gli enti concedenti di cui al Decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33 (c.d. “decreto trasparenza”). La portata delle Delibere ANAC richiamate, nonché la loro contestualizzazione nel panorama della transizione digitale della P.A., è ricostruita in profondità da G. NATALE, Il processo di digitalizzazione e i suoi riflessi nel diritto. L’evoluzione della digitalizzazione dei contratti pubblici: cosa cambia dal 1 gennaio 2024 con il nuovo Codice dei Contratti Pubblici D.lgs. 36/2023?, cit., 2023. CONTRIBUTI DI DOTTRINA Informe al Parlamento de Andalucía di Gaetana Natale* Un sincero agradecimiento por la amable invitación que he recibido para participar en esta importante conferencia en Sevilla, ciudad sede del Centro Europeo para la Transparencia de Algoritmos. Mi intervención será en español para mostrar mi admiración por España, un país siempre proyectado hacia la innovación tecnológica. Italia, España, Portugal y Brasil son países amigos comprometidos con el resto del mundo en la creación de principios, modelos de reglas para afrontar el gran reto de la Inteligencia Artificial generativa garantizando el respeto de los derechos humanos fundamentales. El pasado 12 de julio se publicó el Reglamento Europeo sobre Inteligencia Artificial, basado en el cd Risk Assessment, es decir, en el concepto de Evaluación de Riesgos (inaceptable, alto, mínimo). Pero, ¿qué tipo de regulación introduce: hetero-regulación o co-regulación con las grandes plataformas? La reciente sentencia del Departamento de Justicia de Columbia en Estados Unidos de América que condenó a GOOGLE (basándose en el concepto matemático de la cadena de Markov) por competencia desleal y abuso de posición dominante nos enfrenta al gran poder estratégico de las HI Tech, un nuevo Estado digital con un PIB superior al de los estados nación. ¿Podrán los conceptos de transparencia, seguridad, explicación del algoritmo sin discriminación garantizar el respeto de los procesos democráticos en la secuencia de pasos elementales en un tiempo finito, if this than that representado por una lógica estadística bayesiana de deep learning y machine learning? ¿Podrá la ley, la norma jurídica future proof (prueba de futuro), tra- zar las coordenadas hermenéuticas de un desarrollo tecnológico cada vez más rápido? ¿Podrá la accountability del GDPR (rendición de cuentas según el Reglamento General de Protección de Datos RGPD) proporcionar protección contra el fenómeno de las llamadas alucinaciones y desinformación? ¿Es ne- cesario distinguir entre una normativa nacional sobre Cybersecurity (Ciberseguridad) y el Reglamento europeo sobre inteligencia artificial? El reglamento europeo se ha denominado reglamento de certificación, pero no define los criterios ni los centros de responsabilidad. hay que encontrar un punto de conciliación entre el cd rule of law y rule of technology, (estado de derecho y estado de tecnología) como pidió también (*) Avvocato dello Stato e Professore di Sistemi Giuridici Comparati. Costituisce il presente scritto il discorso tenuto dall’Autrice presso il Parlamento Andaluso in collaborazione con l’ECAT, Centro Europeo per la Trasparenza degli Algoritmi con sede in Siviglia, lo scorso 30 settembre 2024. RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO -N. 4/2023 recientemente el Papa Francisco en el G/7, poniendo siempre en el centro a la persona humana. hoffmann define la Inteligencia Artificial como una «Inteligencia Amplificadora » capaz de crear el cd brain enhancement, es decir, la potenciación de las capacidades humanas a través de los Large Language Model, anticipados por los Processing Language de los que hablaba M. Carthy allá por los años 70 a través de la llamada computabilidad de funciones recursivas (el llamado Skolem). Pero el algoritmo no es un simple mere tool: entra en el proceso de configuración del pensamiento humano, condicionándolo y orientándolo mediante mecanismos de perfilado y de scraping, es decir, de arrastre de datos. El habeas corpus se convierte en habeas data y habeas mentem: la cuestión sigue siendo qué quedará de la autonomía del pensamiento humano. Se ha llamado a la inteligencia artificial la cuarta revolución industrial, pero en realidad es algo más: es el nuevo Galileo Galilei según los más grandes filósofos de la ciencia. Se considere el concepto de interactive structive de harari o en los mecanismos de convolución cerebral de cd back propagation de Geoffrey hinton. ¿Conseguirá la primera regulación europea superar los conceptos de «atopia » y «anomia» mencionados por el gran jurista italiano Natalino Irti? Los juristas tenemos ahora la gran tarea de regular un fenómeno complejo, la regulación dirigida a definir los centros de imputación de efectos jurídicos y responsabilidades. Sin embargo, este reglamento con muchas cláusulas en blanco no aborda la cuestión de la cd strict liability, que se remitió a una propuesta de directiva de 21 de septiembre de 2022, cuyas negociaciones se estancaron el pasado noviembre de 2023. ¿Por qué se estancaron estas negociaciones? Porque, en un intento de definir no un derecho uniforme, sino un nivel mínimo de armonización, introdujo una presunción de causalidad en caso de culpa. Esta presunción de causalidad no es compatible con la cultura jurídica europea, que sigue considerando que las dos teorías, la teoría condicional y la teoría de la «causalidad adecuada», siguen siendo válidas para definir la responsabilidad objetiva o la presunción de culpa. La inteligencia artificial de tipo generativo es una inteligencia spontaneus, es decir, una inteligencia que ha aprendido a aprender y evoluciona, alimentándose de datos, independientemente de la voluntad del productor, del programador, del formador que opera con el prompt y el cd training, formación de sistemas. habría que hipotetizar una responsabilidad solidaria de todos los implicados, previendo un sistema de seguro obligatorio. Pero, ¿qué seguro podría cubrir un riesgo indefinido? La nueva normativa europea pretende introducir el cumplimiento volun CONTRIBUTI DI DOTTRINA tario a través del AI Pact, permitiendo a las grandes plataformas colaborar con la Comisión Europea incluso con «sandboxes» regulatorios para definir los tipos de programas de inteligencia artificial que se pondrán en el mercado. En mi reciente libro sobre Inteligencia Artificial y Neurociencia, señalé que la técnica reguladora más avanzada no es tanto la experimentación reguladora como la llamada técnica de Prospectiva, es decir, la anticipación de escenarios futuros para protegernos especialmente de ciberataques que pueden paralizar por completo los servicios de un país. El pasado mes de julio, Italia aprobó una nueva ley nº 90 sobre ciberseguridad, elevando los niveles de seguridad, y en el Senado se está examinando y aprobando un proyecto de ley delegado por el Gobierno italiano que introduce un nuevo delito en materia de manipulación de algoritmos, configurando la inteligencia artificial como circunstancia agravante de numerosos delitos como estafa, fraude informático y manipulación bancaria. Como abogado del Estado italiano, defiendo al Ministerio de Justicia y al Ministerio de Sanidad, entre otros ministerios: las actividades judiciales y sanitarias son dos actividades que la nueva normativa europea define como de alto riesgo. El diseño de ley italiano permite en el ámbito judicial el uso de la inteligencia artificial «exclusivamente» y repito «exclusivamente» para la investigación jurisprudencial y doctrinal, pero no para la valoración de la prueba y la redacción de resoluciones, aunque en América Latina la inteligencia artificial se utiliza para definir la pensión alimenticia en casos de separación y divorcio o para definir el mínimo o el máximo de la pena. Pero el caso Loomis y el caso Compass sobre el bias (es decir, los prejuicios) que tales sistemas pueden crear en la evaluación del juez para calcular la reincidencia deberían servirnos de lección. Los sistemas de inteligencia artificial pueden afectar a lo que Esser denominó «la precomprensión del juez». En muchos congresos médicos a los que he asistido, he sido testigo de la aplicación de sistemas de inteligencia artificial que mejoran increíblemente la capacidad de curación. Tenemos algoritmos en dispositivos que pueden predecir un infarto una hora antes de que se produzca, evaluar todos los parámetros de salud para hacer un diagnóstico y un pronóstico médico muy rápidamente bajo control humano. El cd Digital Twin del proyecto Qbio Gemini permite al médico realizar primero todo tipo de operaciones en nuestro gemelo virtual, comprobar la interacción de los fármacos, nuestra reacción a la anestesia y nuestra capacidad de recuperación y curación. Las personas con lesión medular total pueden caminar gracias a sistemas RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO -N. 4/2023 biomiméticos que imitan los impulsos cerebrales con un conjunto de electrodos conectados al cerebro humano; los llamados neurolinks permiten ralentizar los procesos neurodegenerativos del Alzheimer y el Parkinson. Las víctimas de ictus pueden hablar gracias a los algoritmos Keep Voice y la investigación farmacológica, mediante ensayos clínicos mejorados, ha lo- grado vencer la resistencia a los antibióticos al encontrar el remedio contra el Staphylococcus Aureus. La radiología está evolucionando hacia la radiómica, cd omics con image segmentation y el consiguiente paso de los datos morfológicos a los funcionales según el esquema input-ou-put-response prediction. La inteligencia artificial entra en la tecnología de la rehabilitación, el blockchain entra en la atención sanitaria continua e integrada. Telemedicina, teleconsulta, telemonitorización: se convertirá en la medicina del futuro cd care connected respetando la humanización, no del to cure, sino del to care, atendiendo al paciente como persona. No obstante, es necesario definir los límites de la responsabilidad médica en caso de que el producto sanitario que lleva la marca CE evolucione independientemente de la voluntad del profesional sanitario. La inteligencia artificial hace realidad el llamado Entaglement, el entrelazamiento de datos, del que hablaba Albert Einstein. La inteligencia artificial, ahora también presente con ChatGPT en nuestros teléfonos móviles, está entrando en todos los campos del conocimiento humano. Recientemente he sido invitada tanto por ingenieros, para evaluar la creación de obras de construcción digitales con medidas de seguridad reforzadas para que los trabajadores eviten accidentes laborales, como por arqueólogos para aplicar algoritmos y haces de sincrotrón con contraste de fases a la lectura de papiros carbonizados de herculano. En octubre asistiré a una conferencia de profesores de conservatorios de música para entender cómo la inteligencia artificial multimodal consigue inventar piezas musicales, planteando también un problema de protección de los derechos de autor en relación con el concepto de «altura creativa». ¿Deben concederse los derechos de autor a la máquina o al hombre que introduce los datos para la creación de textos musicales? Todos los campos del saber están dispuestos a acoger el potencial de la inteligencia artificial. Pero hay que preguntarse: ¿es inteligente esa inteligencia en el sentido latino de «intus-legere», es decir, leer «dentro» del texto y del «contexto» de una rama del saber. Pues bien, la inteligencia artificial razona por «inference», por inferencia y no por el principio de causalidad. ¿Qué significa esto? CONTRIBUTI DI DOTTRINA Significa que cruza una enorme masa de datos según la lógica estadística, pero puede confundir las fuentes del derecho con las noticias de los medios de comunicación, inventando referencias normativas y precedentes jurisprudenciales, las llamadas alucinaciones intrínsecas al sistema según los investigadores autorizados. Pondré un ejemplo. Podemos construir un algoritmo de la siguiente ma- nera: en caso de motivación ilógica de una medida administrativa, esa medida es ilegítima. Para ese algoritmo en caso de motivación ilógica, la medida administrativa siempre será ilegítima, pero no podrá explicar «el porqué» de esa ilegitimidad. La inteligencia artificial de tipo generativo puede crear noticias falsas, puede alterar la percepción de la realidad fenoménica: tiene pensamiento rápido, pero no el pensamiento lento del que habla Kaneman, y no tiene la inteligencia «emocional» tan estudiada por Goleman o la inteligencia múltiple de Gardner, no tiene la conciencia sui de la que habla Faggin. ¿Cómo proteger entonces los derechos fundamentales del individuo cuando se utilizan estos sistemas; cómo llevar a cabo la llamada evaluación de impacto? El Tribunal de Casación sobre el tema del acceso al esquema ejecutivo de los smart contract y el Consejo de Estado italiano en numerosas sentencias sobre la adopción de medidas algorítmicas han dictaminado que la protección del ciudadano consiste en el acceso al código fuente, atenuando los límites de la protección de la patente industrial. Pero, ¿quién de ustedes ha visto alguna vez un código fuente? Se trata de un código alfanumérico difícil de interpretar para evaluar la correcta introducción de los datos y su calidad con el fin de evitar el llamado Garbage in-Garbage out. El nuevo Código de Contratos Públicos italiano D.Lgs. 36/2023 en el art. 30, al afirmar la necesidad de un derecho a la explicación y permitir para los contratos públicos certificados plataformas digitales del digital due process, ha previsto que el ciudadano pueda acceder no sólo al código fuente, sino a todos los demás elementos que contribuyen a la creación de una lógica algorítmica para entender el camino lógico-motivacional subyacente a la medida administrativa. ¿Podemos los juristas regular la inteligencia artificial con las categorías jurídicas tradicionales? Autorizados profesores italianos de derecho administrativo creen que los algoritmos pueden definir nuevas «figuras sintomáticas de exceso de poder», y es una tesis con la que estoy de acuerdo. Pero creo que para poder regular un fenómeno los juristas debemos comprenderlo en su funcionamiento concreto. Sin comprensión no hay regulación. RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO -N. 4/2023 En Italia se ha incluido un examen obligatorio de codificación, de pensamiento computacional, en todas las facultades de humanidades y también en las de derecho, y se han creado nuevas carreras como Inteligencia Artificial y Filosofía. Esto no significa desvirtuar nuestra formación en humanidades, pero sí adquirir modelos conceptuales transversales que nos permitan dialogar con las demás ciencias. La inteligencia artificial es un ecosistema de disciplinas (lógica, matemáticas, filosofía, informática, derecho) que deben dialogar entre sí. Los juristas no sólo debemos conocer el test de Turing, las leyes de Asimov, la ley de Moore, sino comprender los complejos sistemas lógicos de Goedel, la teoría del muestreo de Shannon con la que podemos ver Netflix, el cristal giratorio de la física cuántica, los prototipos de modelos complejos desordenados del Premio Nobel, Parisi. El jurista debe adentrarse en tal complejidad e intentar comprenderla. Sin una comprensión de tales fenómenos, no puede haber una regulación adecuada. Esta regulación no solo debe tener un enfoque europeo, sino global, tratando de elaborar convenios internacionales con el resto del mundo. Europa debe dialogar tanto con América como con China, no sólo por razones comerciales (pensemos en el problema de los microchips, los microprocesadores, las tierras raras), sino también para crear un sistema internacional de control de las grandes plataformas que han adquirido ahora un papel de estrategia y equilibrio geopolítico. Cuando Tim Berners Lee creó Internet en el CERN de Ginebra, la idea era crear un escenario democrático en el que se protegieran la libertad de expresión y el intercambio de opiniones. hoy, las grandes plataformas son los nuevos Estados digitales y dominan la escena mundial: la regulación global debe conducir a su mayor responsabilidad y a la protección de la autodeterminación individual. El sistema del notice and take down no es suficiente (la llamada cláusula del buen samaritano) para las meras actividades de conduit, catch y di hosting. Los datos son el new oil, el nuevo combustible, porque los datos son data mining; los datos expresan valor y la tecnología, como dice Murder, es una forma de poder. ¿Puede el derecho regular ese poder? Sí, concienciando sobre el potencial y los riesgos de la Inteligencia Artificial e intentando crear un equilibrio de intereses. Debemos reflexionar sobre el hecho de que la palabra algoritmo deriva del nombre de un matemático persa y que la palabra robot procede del checo y significa «trabajo forzado». Tales derivaciones etimológicas deben llevarnos a pensar que tales sistemas CONTRIBUTI DI DOTTRINA no pueden constituir el binomio siervo-maestro del que habla hegel en su célebre Fenomenología del Espíritu. Siempre es el hombre con sus elecciones quien decide si una tecnología está destinada al bien o al mal. La advertencia sobre las armas autónomas que lanzó el Papa en el G7 de Italia debería hacernos valorar como extremadamente clarividente el Protocolo Rome Calls for AI ETHICS elaborado por el Pontífice con algunas grandes plataformas. El profesor Benanti habla en Italia de «algorética» y «algocracia» queriendo definir un tipo de tecnología antropocéntrica y no antropomórfica. Los sistemas cada vez más inteligentes plantean el problema de la subjetividad jurídica que debe atribuirse a los humanoides, como argumentó Teubner. Pero, ¿qué distingue al hombre de la máquina? Sin duda la conciencia y el pensamiento crítico encaminados a definir una regulación jurídica de la llamada posverdad o verdad de lo posible adyacente. ¿Cómo debe ser esta regulación: hetero-regulación, co-regulación, estructural o funcional, general o separada para sectores homogéneos teniendo en cuenta los llamados casos de uso o the purpose of benefit, o sea, la finalidad del beneficio? ¿Qué deben decidir los Estados y qué las grandes plataformas? La opacidad de los algoritmos puede amenazar la democracia de un país. Pensemos que Tik Tok ha sido vetado a funcionarios de la Comisión Europea, miembros del Congreso estadounidense e incluso ciudadanos de a pie de algunos estados norteamericanos como Montana. Los llamados Bruxelles Effects también están influyendo en la legislación estadounidense, aunque las dos sentencias Schrems del Tribunal de Justicia de la Unión Europea hace tiempo que establecieron que los datos de Europa a Estados Unidos solo pueden transferirse a través de las llamadas cláusulas de salvaguardia junto con las executive order del Presidente estadounidense. Al defender al Estado italiano ante el Tribunal de Justicia de la Unión Europea en numerosos casos contra Facebook y Google por competencia desleal y abuso de posición dominante, conseguí que se atemperara el principio de One stop shop, osea el principio de ventanilla única y de consistency mechanism. Italia fue el primer país en bloquear Chat GPT por el tratamiento ilícito de datos personales obtenidos sin un sistema de responsabilidad, consentimiento informado y de privacy by design e by default. No se trataba de bloquear el desarrollo tecnológico, sino de establecer normas para proteger derechos humanos fundamentales, como la libertad de pensamiento y la autodeterminación. RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO -N. 4/2023 Lo que está en juego es el dato neural, que tiene importancia ontológica, metodológica, epistemológica: el pensamiento es el ser, decía Parménides en la antigua Grecia. hoy debe afirmarse una cultura definida como «Digital humanist», digital y humanista a la vez, destinada a crear una síntesis entre techne y episteme. La regla de los botánicos debe prevalecer en el estudio de la inteligencia artificial: el genio está en la hibridación. En nuestro caso, la hibridación consiste en aplicar los principios de las humanidades y del derecho a una tecnología cada vez más avanzada. España ha creado una Autoridad de Supervisión de la Inteligencia Artificial, convencida de que lo que se necesita es la llamada transversalidad de competencias, una opción que comparto plenamente y que también he llevado adelante en Italia. ¿Autoridades administrativas independientes o agencias gubernamentales centradas en la protección de la seguridad nacional? Esta es la elección a la que tendrán que enfrentarse los distintos países, teniendo en cuenta, además, que tras la aprobación del Digital Service Act, muchas plataformas gatekeepers se opusieron a los poderes de inspección y detección, al poder de inspección y control de los Estados que no pueden renunciar a proteger a sus ciudadanos de las noticias falsas y de la llamada información contaminante. En mi libro dividí entre algoritmo y derecho administrativo, algoritmo y derecho penal, y algoritmo y derecho administrativo. Pero mi estudio multi- disciplinar partió de la neurociencia y la epigenética de Eric Kandel, Premio Nobel de Medicina, para mostrar cómo están cambiando nuestras facultades cognitivas con el dominio de los algoritmos. Cada vez son más frecuentes los casos de Digital addiction, es decir de dependencia digital, de Pruning, ósea corte neuronal, de FIOM, es decir de fear of missing out, miedo a no estar continuamente conectado, con aumento de la neurosis y de los estados de ansiedad. Se habla del llamado Efecto Flynn, es decir, una bajada del nivel cognitivo en los jóvenes que reciben «información» y no «conocimiento verdadero», o más bien conocimientos no relacionados, pero no correlacionados. El concepto de tecnología trustworthy nos empuja a confiar cada vez más en los algoritmos, desencadenando un verdadero proceso de cambio antropológico. Nuestra memoria empieza a disminuir: memoria minuitur nisi eam exerceas decían los latinos, porque nuestros teléfonos móviles contienen todos los datos que necesitamos para realizar las actividades cotidianas normales. Sin nuestros teléfonos móviles, nos sentimos perdidos. El Derecho puede ayudarnos a crear un nivel de conciencia crítica cre CONTRIBUTI DI DOTTRINA ando el llamado pre-emptive remedy, remedio preventivo: si Descartes decía cogito ergo sum (pienso, luego existo), hoy cada uno de nosotros puede decir 'digito, video ergo sum'. Utilizo mi teléfono móvil y, por lo tanto, soy, existo. El teléfono móvil se ha convertido en la «Bildung», el elemento identificador del propio ser. Debemos intentar seguir siendo humanos en las tres dimensiones del espacio, el tiempo y las relaciones humanas. La inteligencia artificial debe concebirse como aditiva, pero no sustitutiva del pensamiento humano: addictional, but not replacement. Einstein afirmó que «el hombre podrá crear muchas máquinas que resolverán muchos problemas, pero ninguna máquina podrá poner un problema; en la vida no hay problemas, sólo grandes retos». La inteligencia artificial representa hoy el gran reto para seguir siendo humanos. Gracias por su atención. RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO -N. 4/2023 La rinuncia abdicativa al diritto di proprietà Francesco Scognamiglio* SOMMARIO: 1. Premessa -2. La rinuncia abdicativa al diritto di proprietà immobiliare alla luce della giurisprudenza amministrativa e, in particolare, dell’Adunanza Plenaria n. 2 del 2020 -3. L’ordinanza di rinvio pregiudiziale del Tribunale di L’Aquila ex art. 363 bis c.p.c. e il provvedimento del Primo Presidente della Cassazione dichiarativo dell’ammissibilità del rinvio pregiudiziale alle Sezioni Unite ex art. 363 bis c.p.c. -4. Le tesi a favore del- l’ammissibilità della figura della rinuncia abdicativa e le tesi contrarie. Il parere dell’Avvocatura Generale dello Stato, A.L. n. 37243/2017 -5. E se il limite all’ammissibilità del “negozio abdicativo del diritto di proprietà” stesse a monte? -6. L’applicabilità del modello dell’art. 1333 c.c. agli atti di rinuncia alla proprietà - 7. Ricadute applicative. 1. Premessa. Il presente contributo prende l’abbrivio dall’ormai decisivo parere del- l’Avvocatura Generale dello Stato A.L. 37243/2017 ed ha lo scopo di rimarcare ancora una volta una delle chiavi di lettura emerse nell’ambito del dibattito sorto intorno ad un tema di stringente attualità, quale è quello della rinuncia abdicativa alla proprietà di beni immobili. La tesi prevalentemente seguita dalla giurisprudenza ordinaria, che sarà esaminata nel prosieguo, ritiene che la rinuncia abdicativa al diritto di proprietà immobiliare sia un negozio unilaterale inter vivos a contenuto patrimoniale (art. 1324 c.c.), ammesso nel nostro ordinamento. Come negozio unilaterale inter vivos a contenuto patrimoniale, seppure di segno esclusivamente negativo, l’unico limite alla sua ammissibilità sarebbe da accertare in concreto, esaminando se l’atto di rinuncia sia in grado di superare il vaglio di meritevolezza, ex art. 1322 c.c., o il giudizio di liceità della causa in concreto, ex art. 1418, comma 2, c.c. La tesi diversa è che un negozio abdicativo della proprietà di beni immobili non sia configurabile in astratto in quanto esso, incidendo sulla sfera giuridica altrui, potrebbe determinare un effetto patrimonialmente svantaggioso per lo Stato, da quest’ultimo in alcun modo rifiutabile. 2. La rinuncia abdicativa al diritto di proprietà immobiliare alla luce della giurisprudenza amministrativa e, in particolare, dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 2 del 2020. Prima di procedere alla disamina delle diverse tesi sull’ammissibilità del negozio di rinuncia abdicativa alla proprietà affiorate nella giurisprudenza civile, è opportuno esaminare le conclusioni raggiunte dalla giurisprudenza am (*) Procuratore dello Stato. CONTRIBUTI DI DOTTRINA ministrativa di merito e dal Consiglio di Stato sul tema della rinuncia abdicativa alla proprietà di immobili nell’ambito delle cosiddette procedure di espropriazione “indiretta” (1). L’Adunanza Plenaria ha rivisto, nel tempo, il proprio orientamento sulla rinuncia abdicativa alla proprietà immobiliare nell’ambito delle cosiddette procedure di espropriazione indiretta: inizialmente, riteneva che la rinuncia abdicativa implicita nella domanda di risarcimento del danno per perdita della proprietà fosse un modo idoneo a far cessare lo stato di occupazione di un fondo contra ius (2). La posizione espressa dall’Adunanza Plenaria rappresentava quanto affermato, fino a quel momento, da concorde giurisprudenza sia di legittimità (3), sia amministrativa (4) sulla possibilità di manifestare in via implicita la volontà di rinuncia alla proprietà su fondo illegittimamente occupato da una Pubblica Amministrazione tramite la proposizione di una domanda giudiziale di risarcimento del danno per perdita della proprietà pari al valore venale del bene occupato. Alla base di tale indirizzo favorevole alla dismissibilità della proprietà di fondi implicita alla domanda giudiziale di risarcimento del danno per perdita della proprietà deponevano il “principio di concentrazione della tutela ricavabile ex art. 111 Cost.”, […] “ [le] maggiori garanzie di compensare integralmente l’utilità (rectius: il bene) perduto dal privato, poiché, il quantum deve essere corrisposto al soggetto espropriato a titolo di risarcimento del danno (che è ordinariamente integrale)”, […] “la connessione del risarcimento del danno alla proposizione della relativa domanda da parte del privato in giudizio, con implicita rinuncia abdicativa, e traduzione in un debito di valore, con tutte le note implicazioni in tema di interessi legali e rivalutazione” (5). Tesi successivamente superate dalla giurisprudenza amministrativa che (1) Cfr. sentenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo del 6 marzo 2007 -Ricorso n. 43662/98 -Scordino c. Italia. (2) Cons. Stato, Ad. Plen., n. 2 del 9 febbraio 2016: “in linea generale, quale che sia la sua forma di manifestazione (vie di fatto, occupazione usurpativa, occupazione acquisitiva), la condotta illecita dell’amministrazione incidente sul diritto di proprietà non può comportare l’acquisizione del fondo e configura un illecito permanente ex art. 2043 c.c. -con la conseguente decorrenza del termine di prescrizione quinquennale dalla proposizione della domanda basata sull’occupazione contra ius, ovvero, dalle singole annualità per quella basata sul mancato godimento del bene -che viene a cessare solo in conseguenza: (…) c) della rinunzia abdicativa (e non traslativa, secondo una certa prospettazione delle SS.UU.) da parte del proprietario implicita nella richiesta di risarcimento del danno per equivalente monetario a fronte della irreversibile trasformazione del fondo”. (3) Cass. civ., Sez. Un., 19 gennaio 2015, n. 735. (4) CGA, 25 maggio 2009, n. 486. (5) Cons. Stato, ord. n. 3347 del 3 luglio 2014. RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO -N. 4/2023 ha valorizzato la centralità dell’istituto di cui all’art. 42 bis d.P.R. 327/2001 come meccanismo residuale di acquisizione della proprietà alla mano pubblica (6), nonché la grave incertezza che si ingenererebbe in capo all’Amministrazione se si attribuisse al privato “espropriato” il potere di determinare la sorte dell’immobile ablato (7). Inoltre, tali sentenze mettono in evidenza la difficoltà a rinvenire nel- l’art. 827 c.c. un fondamento normativo esaustivo per spiegare la vicenda traslativa in favore dell’Autorità espropriante (8). Ed ancora una certa difficoltà a spiegare come la rinuncia alla proprietà possa avvenire mediante ricorso giurisdizionale redatto da un soggetto, al più munito di procura ad litem, ma non sostanziale e quindi non idonea a disporre del diritto conteso sul bene immobile (9). In aggiunta a questi argomenti di carattere “amministrativistico”, il T.a.r. Piemonte, in una delle sentenze più significative di questo filone interpretativo, ha svolto alcune riflessioni di carattere generale sulla figura della rinuncia abdicativa alla proprietà di bene immobile, giungendo a negarne l’esistenza nel nostro ordinamento. Per il T.a.r., “la rinunzia c.d. abdicativa si identifica nel negozio consistente nella dismissione di un diritto dal patrimonio del rinunciante: è un negozio unilaterale, perché il titolare del diritto se ne priva limitandosi a dismetterlo senza trasferirlo ad altri; è un negozio non recettizio, perché non ha un destinatario immediato e qualora produca un accrescimento del patrimonio di altro soggetto tale accrescimento non costituisce un effetto conseguente in via diretta alla manifestazione di volontà e non può essere lo scopo del rinunciante; ha efficacia immediata (salvo la presenza di condizioni) e, per questo, è normalmente irrevocabile (tranne la rinuncia all’eredità); opera ex nunc, comportando la dismissione di un diritto già acquistato” (10). (6) T.a.r. Piemonte, sent. del 28 marzo 2018 n. 368: “(…) La possibilità di adottare il decreto di acquisizione sanante con riferimento a qualsiasi fattispecie di occupazione illegittima, futura o passata, connotata da una rinuncia abdicativa del privato o meno, consente invece di affermare che l’art. 42 bis ha definitivamente certificato l’impossibilità per il privato di rinunciare unilateralmente al diritto di proprietà di un fondo illegittimamente occupato per scopi di pubblica utilità, di guisa che la contraria opzione accreditata dalla sentenza n. 735/2015 potrebbe e dovrebbe, all’attualità, ritenersi superata”; Cons. Stato, Ad. Plen., sent. del 20 gennaio 2020 n. 2. (7) T.a.r. Piemonte, sent. del 28 marzo 2018 n. 368. (8) Cons. Stato, Ad. Plen., sent. del 20 gennaio 2020 n. 2: “-non spiega esaurientemente la vicenda traslativa in capo all’Autorità espropriante; -la rinuncia viene ricostruita quale atto implicito, secondo la nota dogmatica degli atti impliciti, senza averne le caratteristiche essenziali; -soprattutto, e in senso decisivo e assorbente, non è provvista di base legale in un ambito, quello del- l’espropriazione, dove il rispetto del principio di legalità è richiamato con forza sia a livello costituzionale (art. 42 Cost.), sia a livello di diritto europeo”. (9) Cons. Stato, Ad. Plen., sent. del 20 gennaio 2020 n. 2. (10) T.a.r. Piemonte, sent. del 28 marzo 2018 n. 368. CONTRIBUTI DI DOTTRINA Ciò detto, il Tribunale amministrativo ha esaminato gli indici normativi (11) dai quali si desumerebbe l’ammissibilità della rinuncia abdicativa alla proprietà ritenendoli del tutto inconferenti sulla base delle seguenti argomentazioni. Il richiamo contenuto all’art. 1350 c.c., rubricato, “Della forma del contratto”, è rivolto a disciplinare i contratti, cioè gli atti che per definizione intercorrono tra due o più persone (12). Il T.a.r. è giunto ad analoghe considerazioni muovendo dall’art. 2643 c.c.: “Gli atti tra vivi di rinunzia” di cui al n. 5 sarebbero solo quelli finalizzati, a far venir meno l’efficacia, in tutto o in parte, di precedenti contratti che hanno costituito, modificato o trasferito diritti reali immobiliari (c.d. “rinunce traslative”). L’interpretazione suggerita dal T.a.r. dell’ambito applicativo dell’art. 2643, n. 5, c.c. consentirebbe anche di superare le incongruenze rispetto all’art. 2644 c.c. Se la rinunzia di cui all’art. 2643, comma 5, c.c. fosse quella unilaterale, abdicativa alla proprietà, non si porrebbe mai la necessità di regolare il conflitto tra titoli di acquisto derivativi. Venendo in considerazione un acquisto ex lege che si verifica automaticamente in conseguenza della rinunzia abdicativa, nessun eventuale atto dispositivo posteriore alla rinunzia potrebbe mai risultare opponibile all’acquirente ex lege. L’art. 2644 c.c. assolverebbe, in caso di atti di rinuncia abdicativa alla proprietà, ad una mera funzione di pubblicità notizia, frustrata dalla dottrina e dalla prassi notarile, che ritengono che la rinunzia abdicativa a diritti reali debba essere pubblicizzata “contro” il rinunziante, ma “a favore” di nessuno. In base alla ricostruzione sposata dal T.a.r., nemmeno il richiamo alla previsione di cui all’art. 1118, comma 2, cod. civ. sarebbe appropriato. Ciò si spiegherebbe con il fatto che, in materia di proprietà comune, vige, il principio (11) T.a.r. Piemonte, sent. del 28 marzo 2018 n. 368: “21.5. Numerose sono le disposizioni del codice civile che fanno riferimento alla rinunzia: se ne parla con riguardo all’eredità e al legato (art. 478, 519 ss., 649, 650 c.c.), alle cause di estinzione dei diritti reali di godimento, specificamente in tema di enfiteusi (art. 963 c.c.) e di servitù (art. 1070 c.c.). La rinuncia è espressamente considerata dal legislatore in materia di garanzie dell’obbligazione (art. 1238, 1240 c.c.), di prescrizione e decadenza (art. 2937, 2968 c.c.), in materia di ipoteca (art. 2878, 2879 c.c.), di contratto di mandato (art. 1722, 1727 c.c.), e in materia di rapporto di lavoro (art. 2113 c.c. come novellato dall’art. 6 l. 11 agosto 1973, n. 533). La rinunzia “liberatoria” riferita alla proprietà immobiliare è poi ammessa dal codice civile nell’art. 1104, con riferimento ai diritti del comunista sulla cosa comune, nonché all’art. 882 c.c., con riferimento ai diritti di comproprietà sul muro comune; essa è invece espressamente esclusa dall’art. 1118 comma 2, con riferimento ai diritti del condomino sulle cose comuni”. (12) T.a.r. Piemonte, sent. del 28 marzo 2018 n. 368: “Si tratterebbe dunque, più propriamente, di una rinunzia traslativa, alla quale le parti possono ricorrere sia in esecuzione della concordata risoluzione di un precedente contratto traslativo della proprietà su beni immobili -dalla quale consegue il venir meno delle obbligazioni contrattuali per entrambe le parti -, sia in esecuzione di una pattuizione che preveda il venir meno degli effetti del contratto precedentemente concluso per una sola delle parti, in questo caso del solo rinunziante”. RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO -N. 4/2023 opposto, chiaramente enunciato all’art. 1104 comma 1: “Ciascun partecipante deve contribuire nelle spese necessarie per la conservazione ed il godimento della cosa comune e nelle spese deliberate dalla maggioranza, salva la facoltà di liberarsene con la rinunzia al suo diritto”; principio che si trova ribadito anche dall’art. 882, comma 2, c.c. in tema di rinuncia alla comproprietà del muro comune. Sempre per il T.a.r., in caso di rinuncia del comunista al diritto sulla cosa comune o rinuncia ad un diritto reale minore, il legislatore avrebbe ammesso tali forme di atti abdicativi perché tutte funzionali alla corretta gestione ed alla valorizzazione del bene immobile. Di converso, il T.a.r. Piemonte ha avanzato dubbi che gli oneri della corretta gestione di immobile in proprietà possano essere “dismessi” così agevolmente, ricadendo in capo allo Stato ai sensi dell’art. 827 c.c. Un’interpretazione estensiva di tale norma consentirebbe l’acquisto della proprietà di immobili in favore dello Stato, senza che l’Amministrazione statale abbia la possibilità di esprimere il proprio consenso né di venirne a conoscenza (13) e con la conseguenza di far venir meno l’obbligo di pagare le varie imposte in capo al privato collegate alla proprietà del bene oggetto di rinunzia (fondiarie, IMU, tari, etc.). Infine, con riferimento alle occupazioni illegittime, pur ammettendo che il privato abbia la possibilità di rinunziare alla proprietà vantata sul bene occupato divenendo contestualmente titolare del diritto ad essere risarcito del valore venale dell’immobile, si finirebbe per gravare l’amministrazione “occupante” di un obbligo risarcitorio al quale però non fa da contraltare l’acquisto della proprietà del bene, il quale, per effetto di questa rinunzia “atipica”, passerebbe invece a far parte del patrimonio dello Stato ex lege, ai sensi dell’art. 827 c.c. 3. L’ordinanza di rinvio pregiudiziale del Tribunale di L’Aquila ex art. 363 bis c.p.c. ed il provvedimento del Primo Presidente della Cassazione dichiarativo dell’ammissibilità del rinvio pregiudiziale alle Sezioni Unite ex art. 363 bis c.p.c. Dalle riflessioni avviate dalla giurisprudenza amministrativa sull’ammissibilità tout court del negozio di rinuncia abdicativa alla proprietà di immobile, anche nella giurisprudenza civile si è dipanato un vivace dibattito sul tema della rinuncia alla proprietà immobiliare. I punti principali sono sintetizzati dall’ordinanza del Tribunale di L’Aquila emessa nell’ambito del procedimento iscritto al R.G. n. 329/2021 (14), con cui è stato disposto il rinvio pregiudiziale degli atti alla Corte di cas (13) T.a.r. Piemonte, sent. del 28 marzo 2018 n. 368. (14) Trib. L’Aquila, ord. del 15 gennaio (dep. 17 gennaio) 2024, R.G. n. 329/2021. CONTRIBUTI DI DOTTRINA sazione ritenendo che per la questione di diritto, concorressero le condizioni ex art. 363 bis c.p.c. Con decreto del 28 febbraio 2024 (15) il Primo Presidente della Corte di cassazione ha dichiarato ammissibile il rinvio pregiudiziale sollevato dal Tribunale di L’Aquila e rimesso la questione alle Sezioni Unite della Cassazione. Nell’ordinanza di rinvio pronunciata ai sensi dell’art. 363 bis c.p.c. emerge che le Amministrazioni attrici (ossia il MEF e l’Agenzia del Demanio) avevano adito il Tribunale di L’Aquila al fine di ottenere la declaratoria di nullità, invalidità ed in ogni caso inefficacia nei confronti dello Stato dell’atto del 23 marzo 2018, con cui i convenuti avevano rinunciato alla proprietà dei terreni siti nel Comune di Bomba. Terreni, secondo la prospettazione attorea, inservibili e privi di reale valore economico in quanto tutti sottoposti a vincolo idrogeologico. In punto di diritto, MEF e Agenzia del Demanio avevano rilevato in primo luogo l’inesistenza nel nostro ordinamento giuridico di una generica facoltà di rinuncia abdicativa al diritto di proprietà immobiliare. In subordine, avevano dedotto comunque la nullità dell’atto di rinuncia, attesa la non meritevolezza e/o illiceità della causa in concreto, ex artt. 1322 e 1343 c.c. In ulteriore subordine, la rinuncia si sarebbe dovuta considerare nulla e dunque priva di effetti pregiudizievoli nei confronti dello Stato per illiceità del motivo (ai sensi dell’art. 1345 c.c.), per essere l’operazione realizzata in frode alla legge (a mente dell’art. 1344 c.c.) ovvero, infine, compiuta in violazione del divieto di abuso del diritto ex art. 833 c.c. Ripercorsa la vicenda in fatto, il Tribunale di L’Aquila esponeva, in primis, l’indirizzo favorevole, fatto proprio anche dal parere dell’Avvocatura Generale dello Stato, di cui oltre. La rinuncia abdicativa, per il Tribunale, si differenzierebbe dalla rinuncia c.d. traslativa per la mancanza del carattere traslativo-derivativo dell’acquisto e per la mancanza della natura contrattuale, con la conseguenza che l’effetto in capo al terzo si produce ipso iure, a prescindere dalla volontà del rinunciante, quale mero effetto di legge, senza che per il suo perfezionamento sia richiesto, pertanto, l’intervento o l’espressa accettazione del terzo né che lo stesso debba esserne notiziato. A tal proposito, il Tribunale abruzzese illustrava diversi argomenti a sostegno. Il primo argomento di natura normativa: l’art. 1350 n. 5 c.c., il quale richiede a pena di nullità la forma scritta per “gli atti di rinunzia ai diritti indicati ai numeri precedenti”, e l’art. 2643, n. 5, c.c., che analogamente indica tra gli atti soggetti a trascrizione “gli atti tra vivi di rinunzia ai diritti menzionati nei numeri precedenti”. In entrambi i casi, infatti, tra i ‘numeri precedenti’ (e precisamente al n. 1) è inclusa “la proprietà di beni immobili”, in guisa tale (15) Cass. civ., decreto del Primo Presidente della Cassazione depositato il 29 febbraio 2024. RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO -N. 4/2023 da sottendere la possibilità, in linea generale, di rinunciare unilateralmente al diritto di proprietà su beni immobili. Ulteriore elemento in favore della generale ammissibilità dell’istituto in parola era rinvenuto nell’art. 1118, comma II, c.c.: tale norma, infatti, nel prevedere che “il condomino non può rinunziare al suo diritto sulle parti comuni”, ancora una volta presuppone la possibilità di rinunciare, in linea generale, al diritto dominicale sugli immobili. Ultimo argomento a sostegno dell’ammissibilità della rinuncia abdicativa alla proprietà degli immobili l’art. 827 c.c., rubricato significativamente “Beni immobili vacanti”, secondo cui “i beni immobili che non sono in proprietà di alcuno spettano al patrimonio dello Stato”, presupponendo, dunque, che non possano esistere beni immobili privi di proprietario. La disposizione in parola condividerebbe una ratio comune con l’art. 586 c.c. il quale dispone che, in mancanza di successibili, l’eredità sia devoluta allo Stato, e che l’acquisto operi di diritto senza bisogno di accettazione e non possa farsi luogo a rinunzia. Di converso, il Tribunale di L’Aquila individuava come argomenti di segno contrario all’ammissibilità della figura della rinuncia abdicativa, i medesimi già sviluppati dalla sentenza del T.a.r. Piemonte, sopra riepilogata. 4. Le tesi a favore dell’ammissibilità della figura della rinuncia abdicativa e le tesi contrarie. Il parere dell’Avvocatura Generale dello Stato, A.L. n. 37243/2017. Il dibattito nella giurisprudenza civile, che l’ordinanza di rimessione ex art. 363 bis c.p.c. fotografa, ha visto una parte delle Corti di merito (16) individuare diversi argomenti a sostegno dell’ammissibilità della figura della rinuncia abdicativa, sulla scorta di quanto affermato dalla dottrina maggioritaria (17). Un argomento è, senz’altro, rappresentato dalla generale disponibilità di un diritto patrimoniale, come la proprietà: come qualsiasi altro diritto patrimoniale, il diritto di proprietà deve essere suscettibile di rinunzia. Del resto, il diritto di proprietà è connotato da plurime facoltà e, tra queste, quella più estrema di rinunciare al diritto stesso. Nei diritti assoluti, la facoltà di rinuncia assume un’ampia estensione, poiché essi consistono in situazioni soggettive attive efficaci erga omnes, cui corrisponde un generico dovere di astensione da parte della generalità dei consociati, con la configurazione più rigorosa di (16) Trib. Torino, sez. II civ., ord. dell’8 giugno 2022; Trib. Torino, sez. II civ., del 15 giugno 2023; Trib. Torino, sez. II civ., ord. n. 1922 del 24 ottobre 2023; Trib. Torino, sez. II civ., n. 1374 del 10 agosto 2023; Trib. Genova, III sez. civ., ord. del 1 marzo 2018; Trib. Napoli, sent. n. 3459 del 27 marzo 2024; Trib. Perugia, II sez. civ., del 30 aprile 2021. (17) C.M. BIANCA, Diritto civile, VI, La proprietà, Milano 2016, 406 e 407. CONTRIBUTI DI DOTTRINA un effetto abdicativo. L’art. 832 c.c., ravvisando nel proprietario “colui che ha il diritto di godere e disporre delle cose nel modo pieno ed esclusivo”, non circoscrive i possibili modi di disporre del bene e, quindi, non esclude tra quest’ultimi la facoltà di abdicare allo stesso. Un ulteriore argomento a sostegno dell’ammissibilità del negozio abdicativo della proprietà viene tratto dal principio generale dell’autonomia negoziale ex art. 1322 c.c., in assenza di un divieto espresso. L’argomento ricorrente addotto a sostegno della tesi in esame, costituito dall’art. 827 c.c. comporta che la rinuncia al diritto di proprietà oltre che l’effetto suo proprio di estinzione del diritto in capo al rinunciante, abbia anche un effetto indiretto e cioè l’acquisto a titolo originario della proprietà dell’immobile da parte dello Stato. Dando applicazione all’art. 827 c.c., l’acquisto dell’immobile in proprietà avverrebbe ex lege, non richiedendo accettazione e, non ammettendo l’ordinamento immobili vacanti, non sarebbe rifiutabile. Una delle pronunce (18) che aderiscono a questo orientamento favorevole osserva come, a ritenere non applicabile l’art. 827 c.c. al caso di specie, si arriverebbe a determinare un’abrogazione implicita dello stesso, con esito asimmetrico rispetto a quanto ammesso per la derelictio di beni mobili ex art. 923 c.c. e per la rinuncia all’eredità ex art. 519 c.c., capace di determinare, come esito ultimo, l’applicazione dell’art. 586 c.c. per l’eredità vacante. A questo argomento dirimente i sostenitori dell’indirizzo ermeneutico favorevole affiancano anche ulteriori indici testuali, desunti dall’art. 1350, n. 5, c.c. che prevede la forma scritta per gli atti tra vivi di rinuncia “ai diritti indicati nei numeri precedenti”, e l’art. 2653, n. 5, c.c. che prevede la trascrizione degli “atti tra vivi di rinuncia ai diritti menzionati negli articoli precedenti”, diritti tra cui rientra il diritto di proprietà sui beni immobili. Inoltre, nell’ordinamento le espresse figure di rinuncia a diritti reali minori, come gli artt. 882, 1070 e 1104 c.c. e l’art. 1118, co. 2, c.c. che, nel sancire espressamente l’irrinunciabilità da parte del condòmino al diritto sulle parti comuni, a contrario dimostra che, salva l’eccezione prevista, il diritto di proprietà è rinunciabile. Orbene, qualificata la rinuncia de qua come un negozio giuridico unilaterale non recettizio inter vivos, l’indirizzo favorevole non esclude la possibilità di giungere ad una declaratoria di nullità dei negozi di rinuncia, accertando, mediante il ricorso all’art. 1324 c.c., la validità (ovvero l’invalidità) del negozio unilaterale atipico di rinuncia abdicativa sotto il profilo della causa in concreto perseguita dall’autore della rinuncia. A tale scopo, la giurisprudenza di merito è ricorsa a varie figure: in alcuni casi, ha ritenuto l’atto atipico di rinuncia abdicativa suscettibile di un giudizio (18) Trib. Milano, sez. IV civ., R.G. n. 8808/2021 del 3 novembre 2021. RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO -N. 4/2023 di meritevolezza ex art. 1322 c.c.; in altri casi, ha sindacato, la liceità della causa ex art. 1343 c.c. o la natura fraudolenta dello stesso ex art. 1344 c.c. o l’illiceità del motivo perseguito dall’autore con la rinuncia del diritto di proprietà ex art. 1345 c.c. sulla scorta del parere dell’Avvocatura Generale dello Stato. Nel parere summenzionato (19), l’Avvocatura ha qualificato come negozio atipico la rinuncia alla proprietà immobiliare. Considerato il contenuto patrimoniale, per l’Avvocatura Generale non può non estendersi al negozio unilaterale dismissivo della proprietà il giudizio di meritevolezza ex art. 1322 c.c. in virtù del meccanismo imperniato sull’art. 1324 c.c. Il giudizio di meritevolezza condotto sull’atto di rinuncia dovrebbe attingere non la causa astratta del nudo patto, ossia la dismissione del diritto di proprietà, ma la causa in concreto della rinuncia stessa. Infatti, nel caso di trasferimento in capo all’Erario ex art. 827 c.c. dei costi necessari per le opere di manutenzione o di demolizione dell’immobile, con la relativa responsabilità (sia civile: ex artt. 2051 e 2053 c.c., che penale: cfr. art. 449 c.p.) per i danni che dovessero occorrere a cose e/o a persone nel caso di crollo e/o rovina del medesimo immobile, tale atto di rinuncia sarebbe nullo in ragione della non meritevolezza e/o illiceità della relativa causa in concreto ex artt. 1322 e 1343 c.c. Ecco perché in palese contrasto con le istanze solidaristiche immanenti nella funzione sociale della proprietà ex art. 42 Cost., e (comunque) con gli obblighi di solidarietà economica e sociale desumibili dall’art. 2 Cost., nonché con il limite del rispetto della sicurezza dei consociati ex art. 41, comma 2, Cost., l’una e gli altri costituenti limite inderogabile delle prerogative dominicali ex art. 832 c.c. Nello stesso parere si evidenzia come si possa giungere a dichiarare la nullità del negozio di rinuncia della proprietà immobiliare ex art. 1418 c.c. per illiceità dello stesso, invocando l’applicazione dell’art. 1345 c.c. A tal fine, viene osservato come la natura unilaterale del negozio di rinuncia alla proprietà immobiliare appaia tale da non ostare all’applicazione dell’art. 1345 c.c. La disposizione dettata per gli atti bilaterali o plurilaterali, come i contratti, è stata in diverse occasioni dalla Cassazione ritenuta compatibile ex art. 1324 c.c. anche coi negozi unilaterali, purché sia accertata l’illiceità del motivo e la circostanza che esso abbia rappresentato la ragione esclusiva che ha indotto l’autore a compiere il negozio, ma anche che il motivo sia percepibile oggettivamente da elementi estrinseci. Infine, per l’Avvocatura Generale dello Stato, anche nell’ipotesi in cui questa duplice indagine intorno alla causa e ai motivi della rinuncia non dovesse condurre a sancire l’invalidità in concreto del negozio concluso, la rinuncia si (19) Parere della Terza Sezione dell’Avvocatura Generale, A.L. n. 37243/2017, avv. Giovanni Palatiello, in Rass. avv. Stato, 2019, III, 217-226. CONTRIBUTI DI DOTTRINA potrebbe ritenere compiuta “in frode alla legge” ex art. 1344 o comunque, capace di integrare una forma di abuso del diritto vietata ex art. 833 c.c. Del resto, basterebbe a ritenere fraudolenta l’operazione negoziale compiuta dall’autore dell’atto dismissivo, la semplice circostanza che con la rinuncia e l’effetto dell’acquisto ex lege in favore dello Stato della proprietà di un immobile “dannoso” si intende conseguire il risultato di sottrarsi all’applicazione di norme imperative, come l’art. 2051, l’art. 2043 e l’art. 1229 c.c., della normativa fiscale in materia di proprietà immobiliare, se non, addirittura, all’applicazione di norme penali ex artt. 426, 449 c.p. (rispettivamente, le fattispecie incriminatrici di “Inondazione, frana e valanga”e“Danneggiamento a seguito di frana”). 5. E se il limite all’ammissibilità del “negozio abdicativo del diritto di proprietà” stesse a monte? Un’altra parte della giurisprudenza di merito (20), pure considerata nel- l’ordinanza di rimessione ex art. 363 bis c.p.c., ritiene che la figura della rinuncia abdicativa alla proprietà immobiliare non sia ab origine configurabile, condividendo, in questo, le argomentazioni già spese dal T.a.r. Piemonte n. 368/2018. In più, in alcune delle pronunce di merito, in precedenza citate, la tesi dell’inconfigurabilità della rinuncia abdicativa alla proprietà è stata suffragata dall’ulteriore argomento, di cui si dirà in prosieguo: “un effetto acquisitivo in capo allo Stato della proprietà di un bene derelitto e il conseguente trasferimento in capo allo stesso, senza preventivo consenso, degli oneri e delle obbligazioni inerenti il bene oggetto di dismissione, appare in contrasto con il generale principio in forza del quale nessuno può essere obbligato ad acquisire un bene, un credito o altro vantaggio patrimoniale neppure a titolo gratuito, desumibile da una pluralità di norme quali gli artt. 1236, 1411, 1372 c.c.” (21). In effetti, ad avviso di chi scrive, è proprio quest’argomento, affiorato nel dibattito giurisprudenziale, quello più convincente per negare l’ammissibilità tout court della figura della rinuncia abdicativa al diritto di proprietà su immobili. Gli argomenti, emersi nella giurisprudenza civile di merito, a sostegno della tesi favorevole alla rinuncia abdicativa al diritto di proprietà di immobili, si rivelano invero poco persuasivi. Se è vero, infatti, che la rinuncia al diritto patrimoniale “disponibile” per definizione rappresenta nient’altro che una modalità di disposizione del diritto (20) Trib. Milano, sez. IV civ., R.G. n. 8808/2021 del 3 novembre 2021; Trib. Milano, sez. IV civ., R.G. n. 4530/2022 del 20 maggio 2022; Corte di appello di Genova, sent. n. 50 del 17 gennaio 2022; Trib. Genova, 5 febbraio 2019; Trib. Genova, III sez. civ., sent. del 18 luglio 2023; Trib. Imperia, n. 253 del 20 agosto 2018. (21) Trib. Torino, sez. II civ., ord. n. 1922 del 24 ottobre 2023. RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO -N. 4/2023 stesso, è altrettanto vero che lo stesso codice all’art. 832 c.c. stabilisce che il proprietario ha il diritto di “godere e disporre delle cose in modo pieno ed esclusivo, entro i limiti e con l’osservanza degli obblighi stabiliti dall’ordinamento giuridico”. Tali obblighi conformano il contenuto di poteri e facoltà del proprietario, determinando l’impossibilità per il proprietario di abbandonare il bene immobile, con inevitabile trapasso in capo allo Stato e alla collettività dei rischi e della responsabilità per violazione delle norme imperative sopra richiamate. D’altronde, se sussistono norme idonee a conformare il contenuto della proprietà, vietando lo “ius abutendi” del titolare della proprietà, ossia la facoltà di distruggere il bene in proprietà dello stesso in ragione delle superiori finalità sociali della proprietà (basti pensare alla normativa sui beni culturali) (22), a fortiori una facoltà ben “più lieve” come quella di abbandonare l’immobile può ritenersi esclusa dal novero dei poteri del proprietario qualora essa entri in insanabile collisione con le finalità sociali sottese all’esercizio della proprietà sulla cosa. Del resto, sussiste una profonda e incolmabile distanza tra l’abbandono della cosa mobile di scarso valore, ritenuto dalla dottrina maggioritaria (23) un atto giuridico in senso stretto, ossia un atto reale, in cui l’effetto ex lege associato all’atto è l’estinzione della proprietà e la suscettibilità dell’acquisto della proprietà per occupazione, e l’abbandono del bene immobile, che in ragione del maggior valore della cosa oggetto di derelizione avrebbe natura indubbiamente negoziale. Eppure, il legislatore nel disciplinare l’occupazione della cosa mobile (art. 923 c.c.), prevede solo in riferimento a questa forma di derelizione della cosa mobile l’effetto automatico dell’estinzione del diritto di proprietà con acquisto automatico della proprietà per occupazione. A supplire alla mancanza di una norma simmetrica, che regoli oltre al- l’estinzione della proprietà l’effetto indiretto dell’acquisto della proprietà, sarebbe secondo i fautori della tesi favorevole all’ammissibilità dell’abbandono di beni immobili, l’art. 827 c.c., prima menzionato. Nondimeno, questo argomento non persuade. La scelta del legislatore “storico” di inserire nel corpo del codice del 1942 la previsione in questione discende dalla volontà dichiarata di colmare una lacuna del codice del 1865 per i beni immobili che possano risultare senza proprietario, come l’ipotesi di romanistica memoria dell’ “insula in flumine nata” (24). (22) Si veda, a tal proposito, l’art. 20, del d.lgs. n. 42 del 22 gennaio 2004, rubricato “Interventi vietati”, comma 1: “I beni culturali non possono essere distrutti, deteriorati, danneggiati o adibiti ad usi non compatibili con il loro carattere storico o artistico oppure tali da recare pregiudizio alla loro conservazione”. (23) C.M. BIANCA, Diritto civile, VI, La proprietà, Milano 2016, 404 e 405. CONTRIBUTI DI DOTTRINA La natura di norma di chiusura della disposizione summenzionata, a differenza delle disposizioni simmetriche in tema di abbandono di beni mobili (artt. 936 e ss. c.c.), è chiarita anche da autorevole dottrina che osserva come il citato articolo, più che fondare l’ammissibilità di un atto di abbandono di beni immobili, rappresenterebbe una “clausola di chiusura dello statuto del- l’appartenenza proprietaria in campo di immobili” (25). Per la dottrina, l’ipotesi prevista dall’art. 827 c.c. “non va confusa con quella di cui all’art. 586, secondo cui l’eredità è devoluta allo Stato in mancanza di altri successibili, poiché diversi ne sono i presupposti fattuali e, quindi, differenti i connotati tecnico-giuridici; tuttavia, non si può escludere che siano estensibili alla fattispecie di cui all’art. 827 c.c. taluni principi fissati per la successione necessaria dello Stato, come, ad esempio, quello relativo alla responsabilità per debiti, che non può oltrepassare il valore dei beni acquistati” (26). Quest’ultimo passaggio argomentativo rappresenta efficacemente la distanza tra le due fattispecie di chiusura summenzionate, che i fautori dell’ammissibilità del negozio unilaterale di rinuncia abdicativa sottovalutano: ossia, l’art. 586 c.c., pur contemplando la devoluzione automatica in caso di assenza di successibili in favore dello Stato, limita la responsabilità dello Stato “erede necessario” per debiti ereditari e i legati nei limiti del valore dei “beni acquistati”. Diversamente, in caso di negozio unilaterale inter vivos di rinuncia abdicativa, un’eguale possibilità di rifiutare un “acquisto dannoso” o di impedire che allo Stato vengano annessi anche effetti patrimonialmente svantaggiosi non sarebbe in alcun modo contemplata. La rinuncia alla proprietà su un immobile, del resto, non avrebbe utilità, se non si producesse come effetto indiretto l’acquisto della proprietà in favore dello Stato. Quest’ultima riflessione riflette la tesi che appare condivisibile: l’ammissibilità di un negozio unilaterale di rinuncia abdicativo della proprietà deve ritenersi esclusa dalla presenza nel nostro ordinamento del principio di intangibilità della sfera giuridica altrui se non in presenza di effetti patrimonialmente vantaggiosi per il terzo interessato e/o sempre con il potere di rifiuto eliminativo di tale attribuzione in favore del terzo. L’esistenza di un principio siffatto nell’intelaiatura del sistema civile si ricava dalle figure di cui agli artt. 1236 c.c., 1333 c.c. e 1411 c.c. e dalla di (24) Relazione del Ministro Guardasigilli Grandi al Codice Civile del 1942, Libro terzo “Della proprietà”, Dei beni, Dei beni appartenenti allo Stato, agli enti pubblici e agli enti ecclesiastici, par. n. 398: <>. (25) G. PALMA, I beni appartenenti allo Stato in Trattato Rescigno, 7, Torino, 1982, 197. (26) G. PALMA, I beni appartenenti allo Stato in Trattato Rescigno, 7, Torino, 1982, 197. RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO -N. 4/2023 sposizione di cui all’art. 1987 c.c., che stabilisce la tipicità delle promesse unilaterali. Una parte della dottrina (27), a tal proposito, richiamando la lettera della Relazione del Ministro Guardasigilli al Re, osserva come “non si potrebbe concedere alla promessa unilaterale di operare illimitatamente, senza scompaginare il campo di applicazione del contratto ed atomizzare gli elementi costitutivi di questo”. Questa dottrina rileva come l’art. 1987 c.c. non si riferisce solo agli atti contemplati nel titolo quarto del libro delle obbligazioni e che “nello stesso nuovo codice, agli artt. 14 e 15 dello stesso nuovo codice, il regolamento della fondazione comprende indubbiamente la possibilità che esso sorga da una nuova promessa unilaterale obbligatoria, soggetta alla particolare norma ivi dettata per la revoca”. La possibilità di ipotizzare un negozio unilaterale diventa ancora più rara quando esso abbia ad oggetto effetti reali, non sussistendo, osserva questa dottrina, per i diritti reali una norma come l’art. 1173 c.c. per le fonti delle obbligazioni che contempla, oltre ai contratti, gli “atti”. Pur dissentendo dall’orientamento dottrinale che propende per l’esclusività del contratto, la dottrina (28) che ammette la possibilità di negozi unilaterali a effetti patrimonialmente vantaggiosi esclude, comunque, la configurabilità di negozi atti a produrre effetti pregiudizievoli a carico di terzi. Se l’effetto fosse patrimonialmente vantaggioso, al terzo si dovrebbe sempre accordare la libertà di non essere destinatario di un beneficio altrui, potendo, con un atto unilaterale diretto a rimuovere ab origine l’effetto del negozio altrui, ossia un atto di rifiuto (29). (27) F. GALGANO, I contratti, in Giur. sist. di dir. civ. e comm. diretta da G. ALPA e M. BESSONE, I, Torino, 1991, 367. (28) C.M. BIANCA, Diritto civile, III, Il contratto, Milano 2000, 11, 12, 13 e 14; F. GAZZONI, Manuale di diritto privato, Napoli, 2017, 869-875. (29) F. GAZZONI, Manuale di diritto privato, Napoli 2017, 870: “… Il contrasto di opinioni è il risultato, per molti versi, della polemica in ordine alla necessità o meno del consenso ogniqualvolta si modifichi l’altrui sfera giuridico-patrimoniale. Da questo punto di vista va tenuto conto del fatto che esistono negozi unilaterali atti a produrre tale modificazione a prescindere da ogni manifestazione di consenso. Si pensi, nel caso di atti mortis causa, al legato ovvero, nel caso di negozi inter vivos, alla donazione obnuziale che si perfeziona senza necessità di accettazione (art. 785) o secondo una tesi, all’abbandono del fondo servente ex art. 1070. Più in generale lo schema del contratto a favore di terzi dimostra la possibilità di produrre effetti favorevoli nella sfera giuridica di un terzo rimasto assolutamente estraneo e la circostanza che l’atto da cui deriva tale effetto sia bilaterale o unilaterale è, dal punto di vista del terzo, del tutto irrilevante. Il principio della c.d. relatività e del valore inter-partes della regola negoziale è dunque un principio non assoluto ma relativo, nel senso che il legislatore può derogarvi ed ha dimostrato di volervi derogare quando il terzo vede incrementato il proprio patrimonio, sempre che gli sia consentito di sottrarsi a tale attribuzione incrementativa. Pertanto, mentre sono tassative le ipotesi di negozi unilaterali che incidono nella sfera altrui senza alcuna possibilità di reazione da parte dell’oblato (che si trova in una posizione di soggezione) costituisce invece principio generale, come tale valido anche a prescindere da una tassativa previsione caso per caso, che un negozio unilaterale possa incrementare l’altrui patrimonio, salvo rifiuto”. CONTRIBUTI DI DOTTRINA 6. Il raffronto con la categoria dei negozi unilaterali a rilievo bilaterale ex art. 1333 c.c. A sostegno della tesi dell’inconfigurabilità di un negozio di rinuncia abdicativa alla proprietà, oltre alla difficoltà ad ammettere in generale negozi unilaterali atipici, rilevano anche le difficoltà che una parte degli interpreti rinvengono nel concepire “un negozio unilaterale a rilievo bilaterale” produttivo di effetti reali ex art. 1333 c.c. Una delle tesi affiorate in dottrina, infatti, sulla natura del “contratto con obbligazioni a carico del solo proponente” ex art. 1333 c.c. è che esso non abbia natura contrattuale: la proposta è irrevocabile ex lege non appena pervenuta a conoscenza dell’oblato e la legge non prevede un termine di efficacia della proposta, che è sempre necessario in caso di proposta irrevocabile. Inoltre, l’art. 1333, comma 2 c.c. pone un termine al potere di rifiuto, decorso il quale il contratto (secondo la terminologia legislativa) si intende concluso. L’oblato porrebbe in essere, aderendo a questa tesi, un negozio unilaterale di rifiuto “eliminativo” di una situazione sostantiva, già operante, poiché la proposta è già pienamente efficace una volta giunta a sua conoscenza. I fautori di tale tesi (30), infatti, obiettano che a voler intravedere nella struttura delineata dall’art. 1333 c.c. un contratto, bisognerebbe rinvenire nel non-rifiuto il valore di un’accettazione presunta, tacita o di un comportamento legalmente tipizzato. Tutto ciò con enormi difficoltà a combinare tale dato con l’osservanza delle regole sulla capacità, sui vizi del consenso e sulla rilevanza dell’intento, nel contegno omissivo dell’oblato, senza dire della necessità di osservare la forma solenne ad substantiam per alcuni contratti, in presenza di un’accettazione “silente”. In più, non sarebbe in alcun modo esaustiva la spiegazione di coloro che ricostruiscono lo schema dell’art. 1333 c.c. come un “contratto a formazione unilaterale”, per cui sarebbe sufficiente la manifestazione di volontà di una sola parte per la costituzione di rapporto giuridico, senza che esso si differenzi in nulla dal negozio unilaterale (31). Ciò premesso, quindi, aderendo alla tesi del negozio unilaterale a rilievo bilaterale per il “contratto” concluso ai sensi dell’art 1333 c.c., sussistono dubbi che la prestazione a carico del “proponente” possa essere la costituzione di un diritto reale minore o il trasferimento della proprietà di un immobile (32). Questa perplessità è da rinvenirsi nella circostanza che “l’acquisto della proprietà, dell’usufrutto e dell’uso possono nuocere all’oblato”. In un negozio concluso ex art. 1333 c.c., in cui il vantaggio patrimoniale per l’oblato è il trasferimento della proprietà a titolo gratuito, sullo stesso be (30) F. GAZZONI, Manuale di diritto privato, Napoli 2017, 871-872. (31) F. GAZZONI, Manuale di diritto privato, Napoli 2017, 871-872. (32) R. SACCO e G. DE NOVA, Il contratto, in Trattato di diritto civile diretto da Rodolfo Sacco, I, Torino, 2004, 282-288. RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO -N. 4/2023 neficiario dell’attribuzione andrebbero a incidere quella pletora di oneri e pesi di cui un immobile in proprietà grava sempre il suo titolare: obblighi di manutenzione e conservazione, obblighi fiscali e di custodia. Tali perplessità, a fortiori, non possono che accompagnare la configurabilità di un negozio unilaterale, ossia quello di rinuncia abdicativa alla proprietà di un immobile in cui il “destinatario” dell’attribuzione, lo Stato non solo non è messo a conoscenza dell’acquisto della proprietà in suo favore, ma non è neanche titolare del potere di rifiuto riconosciuto all’ “oblato” dal- l’art. 1333 c.c, sì da cancellare retroattivamente l’incremento patrimoniale avvenuto. In conclusione, se sussistono dubbi sull’ammissibilità di un negozio unilaterale di trasferimento di bene in proprietà a titolo gratuito (assolutamente vantaggioso) ex art. 1333 c.c. a maggior ragione si deve concludere per l’inammissibilità di un atto unilaterale di abbandono di un bene immobile, in cui l’alienazione dell’immobile (attribuzione patrimoniale di dubbia vantaggiosità) in favore di un terzo come lo Stato sarebbe solo l’effetto mediato del negozio e non l’effetto principale. 7. Ricadute applicative. Aderendo alla tesi della piena ammissibilità di un negozio di rinuncia abdicativa della proprietà su immobili, lo Stato sarebbe l’unico, tra i soggetti di diritto del nostro ordinamento, a dover sempre acquistare inter vivos, senza alcun potere di rifiuto eliminativo, la proprietà di cespiti, la cui “appetibilità” è quantomeno opinabile guardando la casistica esaminata dalla giurisprudenza di merito. Inoltre, l’unico rimedio a favore dello Stato per opporsi ad un atto unilaterale siffatto, non potrebbe che essere la declaratoria della nullità della rinuncia ex art. 1418 c.c., 1322 c.c., 1324 c.c. e 1343 c.c., deducendo l’assenza di una valida causa in concreto dietro alla rinuncia anche tenendo conto delle caratteristiche dell’immobile in concreto “derelitto”. Al contrario, aderendo alla tesi dell’inconfigurabilità tout court della rinuncia abdicativa, il rimedio ben più “certo” e “sottratto alle peculiarità del caso” non potrebbe che essere quello di invocare la nullità della rinuncia per impossibilità giuridica dell’oggetto ex artt. 1325 e 1346 c.c. Le soluzioni “rimediali” in favore dell’Amministrazione cui giungono i due orientamenti interpretativi esposti risultano notevolmente differenziate in termini di certezza del diritto. Un esame sulla “causa in concreto” dei singoli negozi di rinuncia abdicativa, o sul motivo esclusivo alla base della scelta del rinunciante, non può che condurre ad esiti applicativi imprevedibili, in contrasto con la esigenza di certezza dell’azione amministrativa delle Amministrazioni difese. Le Amministrazioni, una volta ricevuta la comunicazione del notaio rogante di aver ricevuto da un privato, titolare di diritto di proprietà un atto di CONTRIBUTI DI DOTTRINA rinuncia della proprietà immobiliare (33), non potranno che procedere ad un’istruttoria approfondita sul contenuto dell’atto, sullo scopo concreto perseguito dall’autore della rinuncia con il negozio concluso e sullo stato di conservazione dell’immobile. E, quindi, nel caso, intraprendere l’actio nullitatis per far accertare l’invalidità del negozio di rinuncia abdicativa concluso, qualora dall’indagine condotta dovesse palesarsi un intento fraudolento dell’autore dell’atto dismissivo (34). Tutto ciò, aggravato dalla possibilità di esporre anche il notaio che abbia ricevuto il negozio di rinuncia abdicativa alla proprietà di un immobile “dannoso” al rischio di procedimento disciplinare, soprattutto se costui abbia avuto modo di avvedersi dal contenuto della rinuncia dell’intento pratico dell’autore del negozio giuridico di “disfarsi” semplicemente di un immobile del genere (35). Di converso, l’orientamento interpretativo propugnato pare tale da evitare quest’incertezza operativa sia al notaio che riceve dal proprietario la volontà di rinunciare alla proprietà di un immobile “periclitante”, sia all’Agenzia del Demanio. I negozi di abbandono della proprietà sarebbero tutti irrimediabilmente nulli perché con oggetto giuridicamente impossibile, trattandosi di un risultato giuridicamente irrealizzabile ex art. 1346 c.c. per quanto sopra osservato. L’autonomia negoziale dei privati, interessati a dismettere la proprietà di propri immobili in favore dello Stato non potrebbe, in alcun modo, essere conculcata da una tale conclusione. I proprietari, già ora, possono disporre di propri immobili a titolo di donazione in favore dello Stato, se sorretti da spirito di liberalità o procedere a concludere negozi di trasferimento gratuito ex art. 1333 c.c., laddove l’intento pratico sia economicamente non disinteressato, come sostengono i fautori dell’applicabilità del modello generale dell’art. 1333 c.c. ai negozi siffatti (36). Quest’identità di risultato si può dire già raggiunta a livello fiscale, ove il trattamento tributario applicato all’attribuzione del bene in proprietà allo Stato sia per effetto di rinuncia abdicativa, sia in conseguenza di liberalità do- nativa o di trasferimento a titolo gratuito, è il medesimo (37). Il comma 2 dell’art. 1 del d.lgs. n. 346/1990 stabilisce espressamente che (33) Parere della Terza Sezione dell’Avvocatura Generale, A.L. n. 37243/2017, avv. Giovanni Palatiello, emesso in conformità all’avviso del Comitato consultivo espresso nella seduta del 2 febbraio 2018, seguito da nota del Direttore Generale del Ministero della Giustizia, Ufficio Centrale degli Archivi Notarili del 15 marzo 2018 indirizzata a tutti i Consigli Notarili. (34) A riprova di quanto sostenuto si consideri che nella sola sede, di appartenenza dell’Autore del contributo, sono impiantati due affari contenziosi ai numeri CT 1332/2018 e CT 755/2020 con procedimenti pendenti dinanzi al Tribunale di Potenza in primo grado ancora in fase di trattazione, in cui sono state depositate memorie istruttorie ex art. 183, comma 6 c.p.c. (35) Cfr. art. 28, comma 1, legge n. 89 del 16 febbraio 1913. (36) GAZZONI, Manuale di diritto privato, Napoli, 2017, 869-875. (37) Cfr. art. 1, rubricato “Oggetto dell’imposta”, commi 1 e 2 d.lgs. del 31 ottobre 1990, n. 346. RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO -N. 4/2023 la rinuncia a diritto reale è fattispecie assimilata al trasferimento dello stesso (38) e, quindi, assoggettata all’imposta di successione e/o donazione. Tanto considerato, in attesa del pronunciamento (39) delle Sezioni Unite della Cassazione sul tema, si auspica che sulla questione si giunga ad una soluzione soddisfacente anche per il terzo interessato dalle vicende abdicative della proprietà, ossia lo Stato. (38) Invero, la prassi notarile già ritiene il negozio di rinuncia abdicativa alla proprietà su bene immobile una fattispecie soggetta all’ambito applicativo dell’imposta in questione, tanto da applicare l’esenzione contenuta all’art. 3, comma 1 d.lgs. n. 346/1990 per i “trasferimenti in favore dello Stato”. (39) Le Sezioni Unite hanno fissato la discussione della questione pregiudiziale ex art. 363 bis c.p.c. per l’udienza pubblica del 27 maggio 2025. RECENSIONI Sergio De Felice, Michele gerarDo (*), Diritto amministrativo. 1. Parte generale; 2. Parte speciale; 3. giustizia amministrativa. (Pubblicazione indiPendente, amazon libri, 2024. Parte generale PP. 676; Parte sPeciale PP. 656; giustizia amministrativa PP. 448) Il testo -frutto degli stimoli della esperienza degli autori, rispettivamente, consigliere di Stato ed avvocato dello Stato -si propone una serie di obiettivi. In primo luogo, esporre in modo chiaro la materia del diritto amministrativo. In assenza di un codice amministrativo la materia, dalle amplissime propaggini e con stratificazioni successive nel corso di centocinquant’anni, è oggettivamente complessa e difficile da dipanare. Sicché, già esporre in modo chiaro la stessa è di per sé cosa utile. A tal fine vi è una esposizione spesso didascalica e schematica, al fine di aiutare il lettore a fissare i tratti caratterizzanti del diritto sostanziale, anche nel prisma giurisdizionale. Sovente viene trascritta la disposizione rilevante, in modo da offrire al lettore un testo, per quanto possibile autosufficiente, che consenta di distinguere la norma dall’opinione dottrinaria o giurisprudenziale. In secondo luogo, vi è l’obiettivo di esporre in modo equilibrato la materia. Il diritto amministrativo è un mare magnum normativo, nel quale il lettore, se non orientato, facilmente rischia di affogare. All’uopo è operata una esposizione degli istituti caratterizzanti il diritto amministrativo (c.d. diritto amministrativo generale), con esposizione altresì degli ambiti operativi di più ampio utilizzo (c.d. diritto amministrativo speciale), quali ad esempio le autorizzazioni di polizia, le espropriazioni, i servizi pubblici, i contratti ad evidenza pubblica, i beni culturali, i beni paesaggistici, l’urbanistica, l’edilizia, l’ambiente. L’esposizione degli istituti caratterizzanti, quali il procedimento (*) Sergio De Felice, Consigliere di Stato. Michele Gerardo, Avvocato dello Stato. rASSEGNA AVVoCATUrA DELLo STATo -N. 4/2023 ed il provvedimento amministrativo, dovrebbe consentire al lettore di acquisire gli strumenti per l’analisi consapevole ed autonoma degli ambiti operativi specifici, invero innumerevoli, del diritto amministrativo. Nella ricostruzione degli istituti, viene tenuto conto della manualistica in materia, a partire dai padri del diritto amministrativo italiano: M.S. Giannini e A.M. Sandulli. Viene tenuto conto altresì delle voci dottrinali tratte dalle principali enciclopedie giuridiche (quali, tra l’altro, Digesti, Enciclopedia del diritto, Enciclopedia giuridica Treccani), della giurisprudenza, specie amministrativa, e dei contributi dottrinali contenuti nelle riviste giuridiche rilevanti. Vengono esposti gli elementi costitutivi degli istituti, privilegiando la sintesi, con l’indicazione degli eventuali orientamenti maggioritari in dottrina e in giurisprudenza, non rinunciando gli autori ad esporre motivatamente il proprio punto di vista. Ulteriore obiettivo è quello di fornire al lettore una sorta di prontuario da consultare su aspetti oggetto di interesse. Al fine di consentirne una facile ed immediata fruizione, l’opera è dotata, oltre che di indice sistematico, di un indice analitico e di un sommario all’inizio di ogni capitolo. Ciò evidenziato, è intuitiva la platea dei possibili destinatari del testo: studenti universitari per lo studio della materia; studenti post-universitari per la preparazione ai concorsi pubblici; funzionari amministrativi delle pubbliche amministrazioni, operatori nel processo (magistrati ed avvocati) per un ausilio nel loro lavoro. volume 1: diritto amministrativo, Parte generale. Il volume si apre con l’esposizione delle fonti del diritto nell’ordinamento giuridico italiano, con particolare riguardo a quelle del diritto amministrativo (regolamenti, statuti e ordinanze contingibili e urgenti). Si prosegue con l’esposizione di: soggetti di diritto e interessi giuridici; nozione, regime e vicende dell’ente pubblico; articolazioni degli enti pubblici in uffici e organi; enti territoriali o politici; enti ausiliari; enti strumentali; enti autonomi; autorità amministrative indipendenti; enti operanti nell’economia ed enti privati partecipati dalla P.A. (tra cui società a partecipazione pubblica, società controllate da enti pubblici, società a partecipazione mista pubblico- privata, società in house). Vengono trattate: le situazioni giuridiche soggettive coinvolgenti la P.A., tra cui il pubblico potere e l’interesse legittimo; l’attività della P.A. (atti amministrativi, sub specie di provvedimenti, atti, accordi, comportamenti; atti negoziali; operazioni) e i principi generali che la regolano; la trasparenza e l’accesso, documentale e civico, ai documenti. Vi è quindi la trattazione del provvedimento amministrativo, con l’esposizione di: nozione, carattere, tipologie, requisiti, interpretazione, efficacia, patologie e vicende (eliminatorie e conservative) che lo riguardano. rECENSIoNI 229 Il volume si chiude con la trattazione del procedimento amministrativo, sotto l’aspetto strutturale e funzionale, e della tipologia dei procedimenti: semplici, complessi, composti; collegati (per presupposizione; per parallelismo); dichiarativi; ampliativi (autorizzatori e concessori); restrittivi (ablatori personali; ablatori reali, con distinzione rispetto ai procedimenti espressione di potere conformativo); sanzionatori; di secondo grado; di controllo, con particolare riguardo ai controlli svolti dalla Corte dei conti. volume 2: diritto amministrativo, Parte speciale. Il volume esordisce con l’esposizione degli aspetti generali dei pubblici servizi e con l’analisi dei pubblici servizi più rilevanti, sia economici che non economici. Si prosegue con l’esposizione di: aspetti generali in ordine all’attività di diritto privato della P.A. e ai momenti consensuali nell’attività di diritto pubblico della medesima; tipologia negoziale e disciplina dell’attività di diritto privato della P.A., con particolare riguardo alla disciplina contenuta nel codice dei contratti pubblici (D.L.vo 31 marzo 2023, n. 36) nelle varie fasi. Vengono trattate: le obbligazioni della P.A.; le risorse finanziarie della P.A.; le risorse umane della P.A. con esposizione del rapporto di lavoro pubblico, sia negli aspetti sostanziali che processuali, delle procedure concorsuali, delle responsabilità dei dipendenti pubblici, dei contratti collettivi, del ciclo della performance e delle tecniche di prevenzione della corruzione. Quindi vi è la trattazione dei beni pubblici e privati della P.A. e altresì dei beni di interesse pubblico, ossia: beni culturali e paesaggistici; rete strumentale al servizio pubblico; beni collettivi; aree naturali protette; strade vicinali. Vi è, inoltre, la trattazione di: urbanistica ed edilizia, con l’esposizione dell’articolazione verticale od orizzontale degli atti di pianificazione, delle misure per attenuare le sperequazioni urbanistiche collegate alla zonizzazione del territorio, della tipologia di interventi edilizi e dei titoli abilitativi; espropriazione e altri atti ablatori, con particolare riguardo a: fasi dell’espropriazione, momenti negoziali, retrocessione, utilizzazione senza titolo di un bene per scopi di interesse pubblico. Infine vi è la trattazione della materia ambientale e in specie: le procedure VAS, VIA, AIA e le tutele preventive e repressive, con particolare riguardo all’azione giudiziaria per il risarcimento del danno ambientale. volume 3: diritto amministrativo, giustizia amministrativa. In via preliminare vi è l’esposizione della giustizia nell’amministrazione e la descrizione delle diverse giurisdizioni che intervengono nelle controversie che coinvolgono una P.A. Vi è in particolare l’esame della giurisdizione amministrativa (generale di legittimità, esclusiva, di merito) e della giurisdizione ordinaria. Vi è altresì la descrizione dei meccanismi preventivi (tentativo di rASSEGNA AVVoCATUrA DELLo STATo -N. 4/2023 conciliazione e ricorsi amministrativi) e alternativi (arbitrato e ricorso straordinario al Capo dello Stato) alla giurisdizione. Si prosegue con l’esposizione di: principi e regole della giurisdizione amministrativa; presupposti processuali -tra cui la competenza -e condizioni dell’azione della giurisdizione amministrativa; oggetto e soggetti del processo amministrativo; gli atti del processo amministrativo e la loro dimensione temporale e spaziale, con illustrazione degli aspetti rilevanti del processo amministrativo telematico (c.d. PAT); azioni, eccezioni e pronunce del processo amministrativo (con particolare riguardo all’effetto caducatorio, ripristinatorio e conformativo delle sentenze di annullamento e all’ordine logico delle questioni nella decisione della causa). Vi è quindi la trattazione: del processo amministrativo di primo grado; delle impugnazioni (appello, ricorso per cassazione, revocazione, opposizione di terzo, ricorso alla Corte europea dei diritti dell’uomo); del procedimento cautelare; dei procedimenti esecutivi; dei riti speciali, con particolare riguardo al rito abbreviato (accelerato) relativo alle procedure di affidamento di pubblici lavori, servizi e forniture e al rito sulle operazioni elettorali. Nella chiusa vi è la trattazione del giudicato amministrativo: ambito soggettivo e oggettivo del giudicato; giudicato parziale; giudicato implicito; giudicato interno ed esterno. M.G. Un saluto, Avv. Gianni De Bellis* Sembrava così lontano … e invece è già arrivato. Il prossimo mese lascerò l’Avvocatura dello Stato dopo oltre 42 anni di servizio. È il momento in cui ci si ferma per guardare indietro, come riavvolgendo un nastro, a ricordi che sembrano così vicini solo perché ancora nitidi nella memoria. Penso al mio approdo (quel lontano 12 luglio del 1982) da Procuratore dello Stato all’Avvocatura di Brescia, così importante per la mia formazione, dove ho trascorso 11 anni (e lasciato un pezzetto di cuore …) prima del trasferimento a Roma. Penso ai grandi maestri (di diritto e di vita) che ho avuto la fortuna di incontrare in questi anni e che mi hanno trasmesso la passione per un lavoro che ha assorbito gran parte delle mie energie, spese però con l’entusiasmo di utilizzarle al meglio e sempre nell’interesse della collettività alla cui tutela in fondo siamo votati. Non so davvero come sarà la mia nuova vita senza tutto questo … Penso a quante persone straordinarie ho conosciuto -e mi riferisco ai colleghi ma anche al nostro prezioso personale amministrativo -con le quali ho condiviso non solo la stima, la serietà e l’abnegazione nel lavoro, ma anche spesso -i momenti di storia personale che la vita ci riserva. Sono troppi per poterli citare tutti, ma di ciascuno conserverò il ricordo. Penso infine ai tanti giovani colleghi (di una bravura straordinaria!) verso cui in questi anni ho potuto realizzare la mia passione per l’insegnamento; nei loro occhi ho rivissuto le incertezze e le ansie dei miei primi anni di lavoro, ma nei quali vedo lo stesso identico entusiasmo di appartenere ad una Istituzione pubblica così particolare, spesso poco conosciuta, ma di importanza fondamentale per il buon funzionamento dello Stato. Ed è proprio questo entusiasmo che mi rende più sereno questo distacco, come un momento inevitabile di una storia che si ripete. Ringrazio tutti e vi auguro ogni bene. Gianni De Bellis (*) Vice Avvocato Generale. (*) COMUNICATO DELL’AVVOCATO GENERALE Lascia il servizio, dopo trent’anni di significativa presenza in Avvocatura, l’Avv. Cinzia Melillo. Alla carissima Collega e Amica vanno i saluti e gli auguri più affettuosi miei e di tutti gli Avvocati e Procuratori dello Stato e del Personale dell’Avvocatura. Gabriella Palmieri Sandulli ... solo oggi (quando per tutti è il momento del ritorno) mi accorgo davvero che io, invece, non riprenderò il mio posto tra voi, perché dal 1° di agosto sono in pensione. È un grande cambiamento, reso necessario dalla consapevolezza che servire lo Stato in una funzione istituzionale vitale come la nostra significa anche farsi indietro quando le energie non sono più pari al compito. Ringrazio l’Avvocatura che mi ha dato un lavoro bellissimo, consentendomi di perseguire l’interesse della collettività secondo giustizia e coscienza, e contribuendo, con l’esigere tutti i giorni a tal fine le mie migliori energie, anche a dare senso alla mia vita e a riequilibrarla nei momenti difficili; mi ha offerto, ancora, il modello e l’insegnamento professionali di colleghi di altissimo livello, che io sono ben lungi dall’aver raggiunto, ma che avranno per sempre la mia stima, la mia gratitudine ed il mio affetto incondizionati; mi ha consentito, infine, di trascorrere la mia esistenza tra persone, togate e non, di grande valore umano e spirituale, tra le quali ho avuto la fortuna di poter scegliere gli affetti e le amicizie importanti della vita. Spero, in cambio di tutto questo, di aver potuto anch’io aggiungere un mattone alla costruzione di uno Stato, di istituzioni e di rapporti umani migliori. Ringrazio e abbraccio tutti i colleghi avvocati (specialmente quelli su cui la mia assenza degli ultimi mesi ha pesato di più), e tutti i colleghi amministrativi, che mi hanno sempre offerto strumenti sicuri ed affidabili per il mio lavoro, insieme alla loro notevole carica umana e, spesso, a tutta la loro pazienza (penso ad es. al mio frequente dimenticare l’ora di uscita...); ringrazio infine di cuore quanti mi hanno inviato una parola di saluto diretta e personale. Buon lavoro e soprattutto buona vita a tutti, e arrivederci ad ogni successiva sede conviviale, a cui certo non mancherò! Cinzia Melillo Avvocato dello Stato (*) E-mail Segreteria Particolare, giovedì 1 agosto 2024 08:02. (*) COMUNICATO DELL’AVVOCATO GENERALE Oggi lascia il servizio, dopo oltre ventotto anni di significativa presenza, l’Avv. Salvatore Colangelo in servizio presso l’Avvocatura Distrettuale di Lecce. Al caro Collega e Amico che si è sempre distinto per la Sua professionalità e per la Sua dedizione alla cura degli interessi del Paese, vanno i saluti e gli auguri più affettuosi miei e di tutti gli Avvocati e Procuratori dello Stato e del Personale dell’Avvocatura. Gabriella Palmieri Sandulli Ringrazio l’Avvocato Generale per le gentili parole di commiato e con l’occasione saluto tutti i Colleghi e tutto il Personale dell’Avvocatura, un’Istituzione che mi ha accolto e dato l’opportunità di svolgere il mandato a suo tempo conferitomi nel modo più prestigioso e proficuo. A tutti, anche a quelli che non ho avuto il piacere di conoscere, il mio augurio di buon lavoro. Un saluto particolare a Fernando Musio e ad Antonio Tarentini che mi hanno consentito, da Distrettuali, di operare con grande autonomia, e un pensiero affettuoso ad Antonio Volpe che ringrazio per le sue belle parole di saluto. Salvatore Colangelo Avvocato dello Stato (*) E-mail Segreteria Particolare, sabato 5 ottobre 2024 08:00. (*) COMUNICATO DELL’AVVOCATO GENERALE Oggi lascia il servizio, dopo oltre quarantadue anni di significativa presenza, l’Avv. Lucrezia Principio Testini, in servizio alla Distrettuale di Bari. Alla carissima Collega e Amica che ha onorato l’Istituto con la Sua professionalità, la Sua dedizione alla cura degli interessi del Paese, vanno i saluti e gli auguri più affettuosi miei e di tutti gli Avvocati e Procuratori dello Stato e del Personale dell’Avvocatura. Gabriella Palmieri Sandulli ... nel ringraziare l’Avvocato Generale per gli affettuosi auguri, vi saluto tutti con grande amicizia. Nel corso di questi lunghi anni ho avuto l’onore di conoscere, direttamente e indirettamente, le tante realtà lavorative del nostro Istituto. Nelle varie peculiarità ho sempre riconosciuto un comune denominatore: la professionalità e lo spirito di abnegazione che hanno caratterizzato e continuano a contraddistinguere gli Avvocati e i Procuratori dello Stato. Come non essere grata di aver fatto parte di questa realtà e come non sentire già una leggera nostalgia per questi anni faticosi, ma stimolanti e appaganti? Ai giovani Colleghi, entrati da poco nell’Avvocatura dello Stato, auguro gli stessi entusiasmi e le soddisfazioni professionali che noi, in pensione o in procinto di pensione, abbiamo avuto. Lucrezia Principio Testini Avvocato dello Stato semel semper (*) E-mail Segreteria Particolare, martedì 5 novembre 2024 08:26. (*) COMUNICATO DELL’AVVOCATO GENERALE Oggi lascia il servizio, dopo quarantasei anni di significativa presenza, l’Avv. Rita Santulli, Avvocato Distrettuale di Salerno. Alla cara Rita, Collega e Amica che ha sempre svolto le sue funzioni onorando l’Istituto con grande professionalità e con profonda dedizione alla cura degli interessi del Paese, vanno i saluti e gli auguri più affettuosi miei e di tutti gli Avvocati e Procuratori dello Stato e del Personale dell’Avvocatura. Gabriella Palmieri Sandulli ... da domani -come si dice in linguaggio giuridico -“cesserò dal servizio per raggiunti limiti di età ” ma non per questo smetterò di essere e di sentirmi “avvocato dello Stato ”: èuna qualifica -o meglio uno stato mentale -che mi porto addosso da 46 anni, tanto da essere diventata ormai per me una seconda pelle. In tutto questo lungo periodo -tranne i primi anni trascorsi in una grande Distrettuale ho svolto la professione in una sede “di provincia ” ma non per questo “provinciale ”: qui sono state affrontate alcune delle più perniciose emergenze che ha vissuto il nostro Paese -terremoto del 1980, alluvione di Sarno del 1998, emergenza rifiuti a partire dagli inizi degli anni 2000 -con le inevitabili ricadute sul contenzioso dello Stato, in aggiunta al resto delle problematiche spalmate su tutto il territorio nazionale e, considerato l’esiguo numero di colleghi assegnati alla Sede, davvero ognuno di noi si è occupato di tutto. Ne ho tratto un patrimonio di conoscenze e di esperienze che forse non avrei potuto acquisire in nessun’altra Amministrazione, che ho messo al servizio della nostra Istituzione con l’obiettivo -certamente non sempre raggiunto -di dimostrarne la professionalità coniugata con il decoro, la competenza accompagnata alla signorilità, doti che da sempre caratterizzano -o dovrebbero caratterizzare -il ruolo svolto da ciascuno di noi nell’esercizio di una professione che è “unica ” per la rilevanza giuridica degli interessi coinvolti e per la grande poliedricità dei contenuti trattati. Ricordo, in questo momento, tutti i colleghi con cui ho condiviso un percorso di vita, da ognuno dei quali ho tratto insegnamenti che mi hanno formato sul piano personale e professionale; ricordo i tanti giovani praticanti che con me hanno mosso i primi passi nella professione, in molti dei quali ho rivisto gli entusiasmi dei miei primi anni di servizio e non nascondo l’orgoglio e l’emozione di sapere che tre di loro sono diventati colleghi brillanti ed apprezzati. Mi congedo da tutti voi e dall’Istituto con la consapevolezza di aver ricevuto molto più di quanto ho dato, augurandovi di apprezzare sempre la buona sorte che -in aggiunta ai meriti di ognuno -vi ha fatto avvocati dello Stato, consci del privilegio di svolgere una funzione (*) E-mail Segreteria Particolare, venerdì 8 novembre 2024 08:11. che è di prestigio ma, nel contempo, è fonte inesauribile di sollecitazioni che ci spingono continuamente a “migliorare l’ottimo ”, forti del senso delle Istituzioni che deve sempre improntare il nostro agire. ... Rita Santulli D’Anna Avvocato Distrettuale di Salerno Finito di stampare nel mese di novembre 2024 Stabilimenti Tipografici Carlo Colombo S.p.A. Vicolo della Guardiola n. 22 - 00186 Roma