ANNO LXXV - N. 2 
APRILE - GIUGNO 2023 


RASSEGNA 
AV V O C AT U R A 
DELLO STATO 

PUBBLICAZIONE 
TRIMESTRALE DI SERVIZIO 



COMITATO 
SCIENTIfICO: 
Presidente: 
Michele 
Dipace. 
Componenti: 
Franco 
Coppi 
-Natalino 
Irti 
-Eugenio 
Picozza - Franco Gaetano Scoca. 


DIRETTORE 
RESPONSABILE: 
Giuseppe Fiengo 
- CONDIRETTORI: 
Maurizio Borgo, 
Stefano Varone. 


COMITATO 
DI 
REDAZIONE: 
Giacomo Aiello -Lorenzo 
D’Ascia 
-Gianni 
De 
Bellis 
-Wally 
Ferrante 
-Sergio 
Fiorentino 
-Paolo 
Gentili 
-Maria 
Vittoria 
Lumetti 
-Francesco 
Meloncelli 
-Marina 
Russo. 


CORRISPONDENTI 
DELLE 
AVVOCATURE 
DISTRETTUALI: 
Andrea 
Michele 
Caridi 
-Stefano 
Maria 
Cerillo 
Pierfrancesco 
La 
Spina 
-Marco 
Meloni 
-Maria 
Assunta 
Mercati 
-Alfonso 
Mezzotero 
-Riccardo 
Montagnoli 
-Domenico 
Mutino 
-Nicola 
Parri 
-Adele 
Quattrone 
-Antonino 
Ripepi 
-Piero 
Vitullo. 


HANNO 
COLLABORATO 
INOLTRE 
AL 
PRESENTE 
fASCICOLO: 
Ennio 
Antonio 
Apicella, 
Sara 
Cardarelli, 
Paolo 
Del 
Vecchio, 
Massimo 
Di 
Benedetto, 
Michele 
Gerardo, 
Leonello 
Mariani, 
Melvio 
Maugeri, 
Gaetana 
Natale, 
Gabriella 
Palmieri 
Sandulli, 
Carmela 
Pluchino, 
Valeria 
Romano, 
Mariarita 
Romeo, 
Antonio 
Trimboli. 


E-mail 
Giuseppe fiengo 
rassegna@avvocaturastato.it 


maurizio.borgo@avvocaturastato.it 
stefano.varone@avvocaturastato.it 


ABBONAMENTO 
ANNUO 
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UN 
NUMERO 
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Stato 
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codice 
IBAN: 
IT 
42Q 
01000 
03245 
348 
0 
10 
2368 
05, 
causale 
di 
versamento, 
indirizzo 
ove 
effettuare 
la 
spedizione, 
codice 
fiscale 
del 
versante. 


I 
destinatari 
della 
rivista 
sono 
pregati 
di 
comunicare 
eventuali 
variazioni 
di 
indirizzo 


AVVOCATURA 
GENERALE 
DELLO 
STATO 
RASSEGNA 
-Via dei Portoghesi, 12, 00186 Roma 
E-mail: rassegna@avvocaturastato.it - Sito www.avvocaturastato.it 


Stampato in Italia - Printed in Italy 


Autorizzazione 
Tribunale di Roma - Decreto n. 11089 del 13 luglio 1966 



indice 
-sommario 


TEMI 
ISTITUZIONALI 


Intervento 
dell’Avvocato 
Generale 
dello 
Stato 
in 
occasione 
della 
cerimonia 
di 
presentazione 
della “Relazione 
sull’attività della Giustizia Amministrativa” 
anno 2023. Inaugurazione dell’Anno Giudiziario 2024 
. . . . 

Intervento 
dell’Avvocato 
Generale 
dello 
Stato 
in 
occasione 
della 
cerimonia 
di inaugurazione dell’Anno Giudiziario 2024 del T.a.r. Lazio. . . . . . 

Intervento 
dell’Avvocato 
Generale 
Aggiunto 
in 
occasione 
della 
cerimonia 
di 
inaugurazione 
dell’Anno Giudiziario 2024 presso la Corte 
di 
appello 
di Roma. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 

Carmela 
Pluchino, 
Relazione 
annuale 
dell’Avvocatura 
dello 
Stato 
sul 
contenzioso 
antimafia. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 

Ennio 
Antonio 
Apicella, 
Riforme 
legislative 
ed 
efficienza 
del 
processo, 
Intervento 
introduttivo 
al 
Convegno 
annuale 
di 
studi 
organizzato 
dall’Avvocatura 
distrettuale dello Stato di Catanzaro, 23 giugno 2023 
. . . . . . . 

D.P.C.M. 
22 
dicembre 
2023 
recante 
“Autorizzazione 
all’Avvocatura 
dello 
Stato 
ad 
assumete 
la 
rappresentanza 
e 
la 
difesa 
della 
società 
Giubileo 
2025 
S.p.A. 
nei 
giudizi 
attivi 
e 
passivi 
avanti 
le 
autorità 
giudiziarie, 
i 
collegi 
arbitrali, le 
giurisdizoni 
amministrative 
e 
speciali”, Circolare 
A.G. 
prot. 100597 del 12 febbraio 2024 n. 12 
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 
CONTENZIOSO 
NAZIONALE 


Antonino 
Ripepi, 
Gli 
automatismi 
sanzionatori 
nella 
più 
recente 
giurisprudenza 
di 
legittimità. Disamina di 
Corte 
Costituzionale, 9 novembre 
2023, n. 201 
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 

Antonio 
Trimboli, 
Atto 
di 
disobbedienza 
o 
affermazione 
della 
propria 
funzione 
nomofilattica? 
La 
soluzione 
offerta 
dalle 
Sezioni 
Unite 
28 
marzo 
2024 n. 78 al 
quesito posto dalla ordinanza della Sezione 
IV 
del 
2 luglio 
2023 
n. 
30386 
in 
tema 
di 
appello 
promosso 
avverso 
sentenza 
di 
condanna 
dell’imputato anche 
ai 
fini 
civili 
con reato prescritto nelle 
more 
del 
giudizio 
di gravame 
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 

Paolo 
Del 
Vecchio, 
Investimenti 
nel 
servizio 
di 
distribuzione 
del 
gas 
e 
prerogative 
regolatorie 
di 
ARERA 
alla 
luce 
degli 
orientamenti 
recenti 
del 
giudice 
amministrativo 
(T.a.r. 
Lombardia, 
sentt. 
23 
maggio 
2023 
nn. 
1228, 1229,1230, 1231) 
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 

Wally 
ferrante, 
Interdittiva 
antimafia 
e 
contraddittorio 
procedimentale 
dopo 
la 
novella 
del 
2021 
(Cons. 
St., 
Sez. 
III, 
sent. 
15 
febbraio 
2024 
n. 
1517) 
. 
. 


I PARERI 
DEL 
COMITATO 
CONSULTIVO 


Giacomo Aiello, Provvedimento di 
rigetto dell’istanza d’iscrizione 
nelle 
White 
lists 
prefettizie 
ex 
art. 1, comma 52 bis 
l. n. 190/12 e 
conseguenze 
in tema di 
revoca delle 
concessioni 
di 
sovvenzioni, finanziamenti 
e 
contributi 
pubblici 
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 

pag. 
1 
›› 
4 
›› 
8 
›› 
13 
›› 
46 
›› 
58 
›› 
59 
›› 
70 
›› 
81 
›› 
100 
›› 
111 



Massimo 
Di 
Benedetto, 
Quesito 
in 
materia 
di 
successione 
nel 
tempo 
delle 
norme 
(Regolamenti 
UE 
nn. 2023/461 e 
2023/467 pubblicati 
nella Gazzetta 
ufficiale dell’Unione europea) 
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 

Melvio 
Maugeri, 
Esercizio 
di 
pubblici 
poteri: 
sull’immunità 
degli 
Stati 
rispetto alla giurisdizione esercitata dai Giudici stranieri 
. . . . . . . . . . . 

Antonio 
Trimboli, 
Estensione 
del 
principio 
di 
retroattività 
della 
lex 
mitior 
agli illeciti amministrativi. Limiti 
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 

Valeria 
Romano, Alloggio di 
servizio dell’Arma dei 
Carabinieri: qualificazione 
come 
“casa familiare”, separazione 
personale 
dei 
coniugi 
ed effetti 
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 

Valeria 
Romano, Alloggio di 
servizio del 
Ministero della Difesa: separazione 
personale 
dei 
coniugi, 
soggetto 
tenuto 
alla 
corresponsione 
del 
“canone” 
per 
l’occupazione 
“sine 
titulo” 
dell’alloggio, 
procedura 
di 
recupero coattivo dell’immobile. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 

LEGISLAZIONE 
ED 
ATTUALITà 


Gaetana 
Natale, 
Il 
processo di 
digitalizzazione 
e 
i 
suoi 
riflessi 
nel 
diritto. 
L’evoluzione 
della 
digitalizzazione 
dei 
contratti 
pubblici: 
cosa 
cambia 
dal 
1 
gennaio 
2024 
con 
il 
nuovo 
Codice 
dei 
Contratti 
Pubblici 
D.lgs. 
36/2023? 
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 

Gaetana 
Natale, Sara 
Cardarelli, La dimensione 
giuridica dell’istruzione 
e del merito: i principi basilari per lo sviluppo dell’Italia 
. . . . . . . . . . . 

Gaetana 
Natale, La complessità degli 
accertamenti 
psico-attitudinali 
nei 
concorsi pubblici 
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 

CONTRIBUTI 
DI 
DOTTRINA 


Michele 
Gerardo, 
I 
principi 
e 
le 
responsabilità 
del 
nuovo 
Codice 
dei 
contratti 
pubblici. Tecniche rivolte a vincere la c.d. “paura della firma” 
. . 

Antonino Ripepi, L’interpretazione 
al 
crocevia tra diritto e 
musica. Un 
processo circolare. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 

Mariarita 
Romeo, 
Qualità 
della 
normazione 
e 
comprensibilità 
delle 
leggi 
................................................... 


pag. 
121 
›› 
125 
›› 
129 
›› 
134 
›› 
148 
›› 
173 
›› 
196 
›› 
204 
›› 
209 
›› 
224 
›› 
234 



TEMIISTITUZIONALI
PRESENTAZIONE 
DELLA 
RELAZIONE 
SULL’ATTIVITÀ 
DELLA 
GIUSTIZIA 
AMMINISTRATIVA 
PER 
L’ANNO 
2023 
INAUGURAZIONE 
ANNO 
GIUDIZIARIO 
2024 


Intervento dell’Avvocato Generale dello Stato 
Avv. Gabriella Palmieri Sandulli 


Signor Presidente della Repubblica, Autorità, 

Signor Presidente del Consiglio di Stato, 


Signor Presidente 
Aggiunto, 


Signor Segretario Generale, 


sono 
onorata 
di 
prendere 
la 
parola 
in 
questa 
solenne 
Cerimonia 
per 
portare 
il 
saluto 
dell’Istituto 
che 
ho 
il 
privilegio 
di 
dirigere, 
nel 
segno 
della 
consolidata 
reciproca 
collaborazione 
istituzionale, della 
quale 
ringrazio Lei, Signor Presidente, 
tutti i Magistrati e il Personale amministrativo. 


* 


Sinergia 
e 
proficuo scambio tra 
tutti 
i 
protagonisti 
del 
processo amministrativo 
hanno 
contribuito 
all’elaborazione 
di 
soluzioni 
condivise 
che, 
tenendo 
conto 
dell’interesse 
di 
tutte 
le 
parti 
del 
giudizio, 
costituiscono 
presupposto 
essenziale 
per una sempre più efficiente amministrazione della giustizia. 


Nel 
2023, infatti, è 
stato sottoscritto il 
Protocollo d’intesa 
sullo svolgimento 
delle 
udienze 
e 
delle 
camere 
di 
consiglio “in presenza”, presso il 
Consiglio 
di 
Stato 
e 
il 
Consiglio 
di 
Giustizia 
Amministrativa 
per 
la 
Regione 
siciliana, nella 
fase 
di 
superamento dello stato di 
emergenza 
epidemiologica, 
per 
elaborare 
“…le 
migliori 
pratiche 
e…soluzioni 
organizzative…”; 
ed 
è 
stato 
anche 
possibile 
affrontare 
le 
sfide 
poste 
dall’attuazione 
del 
PNRR in tema 
di 
effettiva 
realizzazione 
dei 
programmi 
previsti, compresi 
i 
delicati 
interventi 
del Commissario Straordinario per il Giubileo 2025. 


Con lo spirito collaborativo proprio dell’Avvocatura 
dello Stato auspico 
si possa proseguire in questo percorso. 



RASSeGNA 
AvvoCAtURA 
deLLo 
StAto -N. 2/2023 


* 


L’attività 
dell’Avvocatura 
dello Stato si 
svolge 
in misura 
rilevantissima 
dinanzi alla Magistratura amministrativa. 


Il 
numero 
di 
nuovi 
contenziosi 
che, 
per 
l’anno 
2023, 
la 
vedono 
coinvolta, 
dinanzi 
al 
Consiglio 
di 
Stato, 
come 
appellante 
o 
come 
resistente 
supera, 
infatti, 
i 5700 affari (sostanzialmente analogo a quello del 2022). 


L’Avvocatura 
dello 
Stato 
offre 
un 
utile 
contributo 
sia 
nello 
svolgimento 
dell’attività 
strettamente 
giurisdizionale, 
nella 
quale 
si 
esprime 
la 
sua 
missione 
istituzionale, 
sia 
nei 
settori 
di 
natura 
organizzativa, 
collaterali, 
ma 
non 
meno 
importanti, 
come 
il 
costante 
contributo 
fornito 
nel 
progetto 
che 
ha 
portato 
alla 
nascita 
e 
al 
consolidamento 
dell’efficienza 
del 
processo 
amministrativo 
telematico. 


Se 
nel 
2023 i 
depositi 
al 
giudice 
amministrativo, in tutta 
Italia, ammontavano 
a 
circa 
90 
mila, 
con 
un 
aumento, 
nel 
quinquennio, 
di 
più 
del 
40 
per 
cento (nel 
2018 erano 63 mila), oltre 
11.000 sono stati 
i 
depositi 
effettuati 
dinanzi 
al Consiglio di Stato (come già nel 2022). 

In coerenza 
con l’attenzione 
verso le 
nuove 
tecnologie 
(la 
giustizia 
amministrativa 
è 
stata 
il 
primo plesso giurisdizionale 
nazionale 
ad applicare 
modalità 
esclusivamente 
telematiche 
dal 
2018) e, come 
ricordato da 
Lei, Signor 
Presidente 
nella 
Sua 
Relazione 
odierna, 
nella 
prospettiva 
dell’utilizzo 
degli 
algoritmi 
e 
dell’intelligenza 
artificiale, il 
Consiglio di 
Stato ha 
reso nel 
tempo 
(già 
nel 
2019 alcune 
sentenze 
gemelle 
n. 8472, 8473 e 
8474; 
e 
n. 2270), sottolineando 
gli 
indiscutibili 
vantaggi 
derivanti 
dall’automazione 
del 
processo 
decisionale 
amministrativo 
mediante 
utilizzo 
di 
procedure 
gestite 
da 
un 
sistema 
informatico 
per 
mezzo 
di 
algoritmi, 
in 
conformità 
ai 
canoni 
di 
efficienza 
ed economicità 
dell’azione 
amministrativa; 
affrontando, poi, anche 
il 
profilo 
della 
trasparenza 
algoritmica, enunciando importanti 
principi 
in tema 
di 
utilizzo 
di 
algoritmi 
come 
strumento per automatizzare 
il 
procedimento amministrativo 
e, nello stesso tempo, tutelare 
i 
cittadini 
e 
il 
diritto a 
conoscere 
la 
base 
algoritmica 
(sentenza 
n. 
881/20); 
delineando 
il 
concetto 
di 
algoritmo 
(sentenza 
n. 7891/21); 
e 
tenendo conto della 
differenza 
tra 
utilizzazione 
-da 
parte 
del 
sistema 
di 
machine 
learning 
-dell’algoritmo 
tradizionale, 
che 
applica 
software 
e 
parametri 
preimpostati 
ai 
fini 
della 
decisione, e 
i 
sistemi 
veri 
e 
propri 
di 
intelligenza 
artificiale, 
in 
cui 
è 
l’algoritmo 
a 
elaborare 
costantemente 
nuovi 
criteri 
di 
interferenza 
fra 
i 
dati 
che 
determinano la 
decisione 
secondo un processo 
automatico. 


* 


Per ragioni 
di 
brevità, citerò solo alcune 
(tra 
le 
tante) rilevanti 
sentenze 
rese dal Consiglio di Stato nell’ultimo anno. 


La 
sentenza 
n. 
10187, 
la 
prima 
resa 
nella 
materia 
di 
“congelamento” 
dei 
beni 
degli 
oligarchi 
russi 
in 
conseguenza 
dell’invasione 
dell’Ucraina 
e 
che 
ha 
affermato 
importanti 
principi 
di 
diritto, 
quali 
la 
non 
necessità 
dell’avviso 
ex 



teMI 
IStItUzIoNALI 


art. 
7 
L. 
n. 
241/1990 
e 
la 
rilevanza 
del 
criterio 
di 
appartenenza 
sostanziale 
del 
bene 
e/o 
delle 
risorse 
economiche 
“congelate”, 
sulla 
base 
delle 
c.d. 
fonti 
aperte. 


In tema 
di 
esercizio dei 
poteri 
speciali 
di 
cui 
al 
d.l. n. 21/2012, del 
c.d. 
“golden power”, da 
parte 
del 
Governo a 
tutela 
delle 
attività 
economiche 
di 
rilevanza 
strategica, le 
sentenze 
n. 289 
e 
n. 6575 
(quest’ultima 
relativa 
alla 
vicenda 
della partecipazione azionaria di 
vivendi in tIM). 


Con la 
prima, che 
opera 
una 
dettagliata 
ricostruzione 
del 
sistema, è 
stato 
significativamente 
affermato 
che 
“l’apprezzamento 
della 
strategicità 
di 
un’operazione 
in relazione 
all’interesse 
nazionale 
da parte 
del 
Consiglio dei 
Ministri 
ha tratti 
altamente 
discrezionali, posto che 
lo stesso concetto di 
interesse 
nazionale 
non è 
… 
un dato oggettivo preesistente 
in natura, bensì 
… 
la 
risultante di valutazioni ed opzioni politiche”. 


* 


È 
continuato 
anche 
nell’anno 
appena 
trascorso 
l’impegno 
innanzi 
alle 
giurisdizioni sovranazionali. 


Un processo di 
osmosi 
con la 
giurisdizione 
europea 
come 
dimostrano le 
regole dettate in tema di limiti dimensionali degli atti processuali. 


In questo delicato compito il 
Consiglio di 
Stato ha 
continuato a 
svolgere 
un importante ruolo di indirizzo, essendo, peraltro, giudice di ultima istanza. 


Nel 
2023, infatti, i 
Giudici 
amministrativi 
hanno proposto 16 domande 
pregiudiziali 
alla 
Corte 
di 
giustizia 
dell’Unione 
europea, 
di 
cui 
11 
provenienti 
dal 
Consiglio 
di 
Stato 
e 
riguardanti 
delicate 
tematiche, 
come 
la 
questione 
dello 
status 
dei 
magistrati 
onorari, la 
compatibilità 
della 
disciplina 
sull’incameramento 
della 
cauzione 
provvisoria 
quale 
conseguenza 
automatica 
dell’esclusione 
di 
un 
operatore 
economico, 
il 
mercato 
dell’energia 
e 
le 
fonti 
di 
finanziamento delle 
Autorità di regolazione. 


Proprio nel 
meccanismo del 
rinvio pregiudiziale 
si 
evidenzia 
la 
collaborazione 
istituzionale 
tra 
il 
Consiglio di 
Stato e 
l’Avvocatura 
dello Stato, che 
già 
presente 
(nella 
maggior 
parte 
dei 
casi) 
nei 
giudizi 
nazionali 
a 
quibus,è 
chiamata 
a 
rappresentare 
le 
ragioni 
del 
Governo 
italiano 
anche 
innanzi 
alla 
Corte 
di 
giustizia, 
per 
poi, 
(a 
valle), 
a 
rappresentarne 
gli 
esiti 
e 
le 
conseguenze 
alla 
ripresa 
del 
giudizio 
dinnanzi 
al 
giudice 
nazionale. 
Un 
circuito 
virtuoso 
dunque. 


* 


Concludo 
questo 
mio 
intervento 
confermando 
che 
l’Avvocatura 
dello 
Stato 
continuerà 
con 
il 
massimo 
impegno 
a 
svolgere 
gli 
importanti 
compiti 
ad 
essa assegnati. 

Grazie per l’attenzione. 


Roma, 5 febbraio 2024 
Palazzo Spada 



RASSeGNA 
AvvoCAtURA 
deLLo 
StAto -N. 2/2023 


CERIMONIA 
DI 
INAUGURAZIONE 
DELL’ANNO 
GIUDIZIARIO 
2024 
DEL 
TRIBUNALE 
AMMINISTRATIVO 
REGIONALE 
DEL 
LAZIO 


Intervento dell’Avvocato Generale dello Stato 
Avv. Gabriella Palmieri Sandulli 


Signor Presidente, 
Signori Magistrati, 
Autorità, Colleghi 
Avvocati, 
Gentili Ospiti, 


1. 
Con grande 
piacere, anche 
quest’anno, prendo la 
parola 
in questa 
Cerimonia 
per portare il saluto dell’Istituto che ho l’alto onore di dirigere. 
Questa 
partecipazione 
è 
divenuta 
ormai 
una 
significativa 
consuetudine 
di 
proficuo scambio e 
confronto tra 
l’Avvocatura, del 
Foro libero e 
Pubblica 


- unitariamente intesa - e la Magistratura amministrativa. 
2. 
Nella 
Sua 
Relazione, 
Signor 
Presidente, 
Lei 
ha 
ricordato 
l’attività 
svolta 
e 
i 
risultati 
raggiunti 
non 
solo 
nell’anno 
appena 
trascorso, 
ma 
anche 
in 
quelli 
trascorsi 
dall’inizio 
del 
Suo 
mandato 
presidenziale; 
attività 
e 
risultati 
frutto, 
ancora 
una 
volta, 
del 
grandissimo 
impegno 
profuso 
dai 
Magistrati 
e 
da 
tutto 
il 
Personale 
amministrativo, 
ai 
quali 
va, 
dunque, 
il 
più 
vivo 
ringraziamento. 
L’intensa 
attività 
giurisdizionale 
del 
t.a.r. 
Lazio 
vede 
nell’Avvocatura 
dello Stato, quale 
difensore 
istituzionale 
delle 
pubbliche 
Amministrazioni, il 
principale interlocutore. 


Alcuni 
dati 
numerici 
ne 
sono 
un’evidente 
rappresentazione: 
nel 
2023 
sono 
stati 
impiantati 
in 
Avvocatura 
Generale 
oltre 
14.000 
nuovi 
affari 
di 
competenza 
delle 
Sezioni 
romane 
del 
t.a.r. Lazio e 
sono stati 
effettuati 
oltre 
30.000 depositi, 
a 
conferma 
della 
consistente 
mole 
e 
dell’aumento del 
contenzioso segnalato 
anche da Lei, Signor Presidente, nella Sua Relazione. 


3. 
Il t.a.r. del 
Lazio è, d’altronde, un organo giudiziario che 
costituisce 
un 
unicum 
nel 
panorama 
sia 
nazionale 
che 
europeo, 
concentrando 
in 
sé 
le 
competenze 
di 
t.a.r. 
regionale 
e 
di 
t.a.r 
centrale 
in 
quanto 
decide 
sugli 
atti 
dei 
Ministri 
e 
del 
Governo, sull’esercizio di 
poteri 
fondamentali 
dello Stato, come, 
ad esempio, quelli 
speciali 
di 
cui 
al 
d.l. n. 21/2012, del 
cd. “golden power”, a 
tutela 
delle 
attività 
economiche 
di 
rilevanza 
strategica; 
degli 
organi 
a 
rilevanza 
costituzionale, come 
il 
CSM; 
delle 
Autorità 
indipendenti, ed è 
considerato il 
giudice 
naturale 
del 
mercato, incidendo nei 
più rilevanti 
settori 
della 
vita 
economica 
del Paese. 
Prosegue, 
infatti, 
da 
un 
lato, 
il 
notevole 
impegno 
che 
deriva 
dall’attuazione 
del 
PNRR 
che 
ha 
un 
impatto 
incisivo 
sulla 
giustizia 
amministrativa, 
sia 
in 
termini 
di 
organizzazione 
e 
smaltimento 
dell’arretrato, 
sia 
in 
termini 
di 
gestione 
di 
un 
complesso 
contenzioso 
che 
vede 
coinvolti 
interessi 
pubblici 
e 
privati. 



teMI 
IStItUzIoNALI 


A 
ciò si 
aggiunge, dall’altro, il 
delicato contenzioso connesso all’evento 
giubilare che interesserà, nel 2025, la città di Roma. 


Segnalo, 
pertanto, 
le 
decisioni 
che 
hanno 
riguardato 
i 
provvedimenti 
relativi 
alla 
complessiva 
attuazione 
del 
Piano 
di 
gestione 
dei 
rifiuti 
di 
Roma 
capitale 
approvato 
dal 
Commissario 
straordinario 
per 
il 
Giubileo 
del 
2025 
e, 
in 
particolare, 
il 
bando 
di 
gara 
per 
la 
realizzazione 
dell’impianto 
di 
termovalorizzazione. 


I contenziosi 
sono stati 
definiti 
in primo grado con le 
sentenze 
nn. 12165 
e 
12198, 
pubblicate 
il 
19 
luglio 
2023, 
che 
hanno 
rigettato 
i 
vari 
ricorsi, 
ritendo 
infondate, in linea 
con le 
difese 
dell’Avvocatura 
dello Stato, tutte 
le 
censure 
addotte. 
In 
particolare, 
con 
la 
sentenza 
n. 
12165 
del 
2023, 
è 
stato 
respinto 
anche 
il 
motivo con il 
quale 
i 
ricorrenti 
lamentavano la 
violazione 
dei 
criteri 
di 
priorità 
nella 
gestione 
dei 
rifiuti, 
previsti 
dall’art. 
179 
d.lgs. 
n. 
152 
del 
2006, 
da 
valutarsi 
tenendo conto del 
“complesso delle 
normative 
e 
degli 
atti 
di 
pianificazione 
della gestione 
dell’intero ciclo dei 
rifiuti 
non, atomisticamente, in 
funzione di uno specifico atto di pianificazione”. 


4. 
Rilevante 
è 
il 
contenzioso 
relativo 
ai 
provvedimenti 
delle 
Autorità 
amministrative 
indipendenti, 
quali 
tra 
le 
altre, 
l’Autorità 
Garante 
della 
Concorrenza 
e 
del 
Mercato 
che 
esercita 
un’attività 
sia 
di 
public 
enforcement 
del 
diritto 
della 
concorrenza, 
sia 
di 
tutela 
dei 
consumatori. 
Numerose 
pronunce 
hanno 
confermato 
le 
sanzioni 
irrogate 
dall’AGCM 
nei 
confronti 
di 
vari 
operatori 
economici 
del 
settore 
delle 
informazioni 
digitali, 
del 
settore 
bancario 
o 
dei 
fornitori 
di 
servizi 
essenziali 
a 
seguito 
della 
liberalizzazione 
dei 
relativi 
mercati 
(come 
energia 
e 
gas), 
in 
ragione 
della 
notevole 
asimmetria 
informativa 
tra 
professionista 
e 
consumatore 
a 
cui 
deve 
fare, 
secondo 
la 
disciplina 
del 
Codice 
del 
consumo, 
da 
controbilanciamento 
un 
atteggiamento 
particolarmente 
accorto 
del 
primo. 
Rilevantissimo 
è 
anche 
il 
contenzioso 
che 
coinvolge 
l’Autorità 
per 
le 
Garanzie 
nelle 
Comunicazioni 
e, 
in 
particolare, 
ricordo, 
fra 
i 
tanti, 
quello 
relativo 
ai 
provvedimenti 
con i 
quali 
si 
richiedono ai 
fornitori 
di 
servizi 
di 
intermediazione 
on line 
e 
di 
motori 
di 
ricerca 
on line 
stabiliti 
in altro paese 
europeo, ma 
operanti 
in Italia, specifici 
oneri 
amministrativi 
e 
patrimoniali, consistenti, rispettivamente, 
nell'iscrizione 
in un registro comportante 
la 
trasmissione 
di 
rilevanti 
informazioni 
sulla 
propria 
organizzazione 
e 
nella 
corresponsione 
di 
un 
contributo 
economico, 
e 
la 
cui 
mancata 
osservanza 
è 
presidiata 
da 
sanzioni 
amministrative 
pecuniarie; 
nel 
quale 
il 
t.a.r. del 
Lazio ha 
proposto una 
questione 
interpretativa 
pregiudiziale 
alla 
Corte 
di 
giustizia 
dell’Unione 
europea. 

Il 
t.a.r. 
del 
Lazio 
concentra 
su 
di 
sé 
anche 
le 
controversie 
relative 
alla 
giustizia sportiva all’esito dei gradi di giudizio propri di tale ordinamento. 


Notevole 
impatto 
hanno 
avuto, 
ad 
esempio, 
le 
pronunce 
in 
materia 
di 
ammissione 
ai 
campionati 
di 
calcio, 
nonché 
le 
sentenze 
non 
definitive, 
nn. 
17923 
e 
17925 
del 
2023, 
di 
rimessione 
in 
Corte 
costituzionale 
della 
questione 
relativa 



RASSeGNA 
AvvoCAtURA 
deLLo 
StAto -N. 2/2023 


ai 
limiti 
al 
rinnovo dei 
mandati 
degli 
organi 
del 
Comitato olimpico nazionale 
italiano (CoNI) e 
paralimpico (CIP) e 
delle 
federazioni 
sportive 
nazionali 
e 
paralimpiche, questione 
definita 
dalla 
Corte 
con la 
sentenza 
n. 184 del 
2023, 
di cui segnalo il punto 6.5 del 
Considerato in diritto 
(1). 

5. 
L’evoluzione 
del 
quadro normativo interno è 
sempre 
più influenzato e 
compenetrato con l’ordinamento eurounitario, come 
Lei, Signor Presidente, 
ha rilevato nella Sua Relazione. 
Il 
t.a.r. 
del 
Lazio 
nel 
2023, 
ha 
sollevato, 
pur 
non 
essendo 
giudice 
di 
ultima 
istanza, cinque questioni pregiudiziali dinnanzi alla Corte di giustizia. 


oltre 
a 
quella 
supra 
ricordata, meritano di 
essere 
segnalate, per il 
significativo 
impatto sull’esercizio delle 
prerogative 
proprie 
dell’Autorità 
Garante 
della 
Concorrenza 
e 
del 
Mercato, le 
ordinanze 
relative 
alle 
cause 
C-510/23 e 
C-511/23, dove 
è 
stata 
posta 
la 
questione 
pregiudiziale 
-di 
grande 
rilievo ordinamentale 
-sulla 
compatibilità 
con l’ordinamento Ue 
di 
una 
norma 
nazionale, 
per 
come 
interpretata 
nel 
diritto 
vivente, 
che 
impone 
all’Autorità 
garante 
della 
concorrenza 
e 
del 
mercato un termine 
decadenziale 
di 
novanta 
giorni 
decorrente 
dal 
momento 
in 
cui 
l’Autorità 
ha 
conoscenza 
degli 
elementi 
essenziali 
della 
violazione 
-per 
l’avvio 
del 
procedimento 
istruttorio 
volto 
all’accertamento 
di una pratica commerciale scorretta (2). 

Inoltre, 
l’ordinanza 
relativa 
alla 
causa 
C-483/23, 
in 
tema 
di 
interpretazione 
del 
regolamento Ue 
269/2014, con particolare 
riferimento alla 
disposizione 
di 
cui 
all’art. 
2.1 
sul 
delicato 
tema 
del 
“congelamento” 
dei 
beni 
appartenenti 
a 
soggetti 
legati 
alle 
attività 
belliche 
della 
Federazione 
Russa 
a 
danno dell’Ucraina (3). 

(1) Punto 6.5. del 
Considerato in diritto:“Accertata la legittimità del 
fine 
perseguito, occorre 
verificare 
se 
la norma censurata abbia introdotto, fra le 
diverse 
misure 
idonee 
a soddisfarlo, la meno restrittiva 
degli 
interessi 
coinvolti, fra i 
quali, in particolare, l’interesse 
delle 
federazioni 
sportive 
e 
delle 
discipline 
sportive 
associate 
a 
regolare 
autonomamente 
la 
propria 
organizzazione 
e 
i 
meccanismi 
di 
copertura delle 
cariche 
elettive, il 
diritto di 
candidarsi 
di 
chi 
ha già svolto tre 
mandati 
e 
la libera scelta 
dei componenti dell’assemblea elettiva. 
L’esito di 
tale 
verifica è 
negativo, poiché 
il 
divieto definitivo introdotto dalla norma censurata risulta 
eccessivo 
rispetto 
alla 
finalità 
pur 
legittimamente 
perseguita, 
come 
emerge 
con 
immediata 
evidenza 
dalle 
stesse 
concrete 
vicende 
oggetto dei 
giudizi 
a quibus. Più in generale, è 
la drasticità di 
una misura 
quale 
il 
divieto 
definitivo 
e 
irreversibile 
di 
ricoprire 
cariche 
direttive 
di 
un’associazione 
privata 
(le 
strutture 
territoriali 
delle 
federazioni 
sportive 
e 
delle 
discipline 
sportive 
associate, 
nel 
caso 
della 
norma 
censurata) per 
avere 
già ricoperto in passato le 
medesime 
cariche 
per 
un determinato periodo, che 
si 
risolve 
in una compressione 
oltre 
il 
necessario degli 
interessi 
indicati, determinandone 
il 
contrasto con 
il 
principio 
di 
proporzionalità. 
L’obiettivo 
perseguito 
dalla 
norma, 
di 
favorire 
il 
ricambio 
e 
limitare 
rendite 
di 
posizione, può infatti 
-e 
dunque 
deve 
-essere 
perseguito in modi 
che 
limitino nei 
termini 
di 
quanto strettamente 
necessario il 
sacrificio dell’interesse 
dell’aspirante 
candidato che 
abbia in precedenza 
rivestito cariche direttive”. 
(2) 
Conclusa 
la 
fase 
scritta 
c’è 
termine 
fino 
all’8 
aprile 
(27 
marzo 
+ 
10 
giorni) 
per 
presentare 
istanza di fissazione dell’udienza dibattimentale. 
(3) Anche 
per questa 
causa 
pregiudiziale, conclusa 
la 
fase 
scritta 
c’è 
termine 
fino all’8 aprile 
(27 
marzo + 10 giorni) per presentare istanza di fissazione dell’udienza dibattimentale. 

teMI 
IStItUzIoNALI 


6. 
Come 
ha 
ricordato nella 
Sua 
Relazione, la 
prima 
cerimonia 
di 
inaugurazione 
della 
Sua 
Presidenza 
è 
stata 
celebrata 
il 
21 febbraio 2020, epoca 
prepandemica, 
era 
il 
secondo 
anno 
che 
l’Avvocatura, 
anche 
dello 
Stato, 
prendeva 
la 
parola 
in tale 
occasione, che 
si 
avviava 
a 
diventare 
una 
significativa 
consuetudine 
di 
scambio e 
confronto tra 
le 
Avvocature 
e 
la 
Magistratura 
amministrativa; 
e 
si 
consolidava 
proprio a 
partire 
dal 
2020, con l’invito rivolto alle 
stesse 
dal 
Presidente 
del 
Consiglio 
di 
Stato 
alla 
analoga 
Cerimonia, 
a 
conferma 
di 
quello spirito di 
collaborazione 
istituzionale 
che 
sussiste 
e 
deve 
esserci 
tra 
il Giudice amministrativo e gli 
Avvocati. 
era 
anche 
l’occasione 
per 
rinnovare 
a 
lei, 
Signor 
Presidente, 
a 
nome 
dell’Avvocatura 
dello 
Stato 
e 
mio 
personale, 
le 
più 
sincere 
congratulazioni 
per la 
prestigiosa 
nomina 
che 
rappresentava 
l’alto riconoscimento delle 
Sue 
elevatissime doti professionali e umane. 

A 
distanza 
di 
quattro 
anni 
quelle 
congratulazioni 
si 
sono 
confermate 
quello che 
volevano rappresentare 
quando sono state 
formulate: 
non un esercizio 
di 
stile 
e 
di 
protocollo, ma 
la 
configurazione 
di 
quella 
che 
sarebbe 
stata 
la 
cifra 
della 
Sua 
Presidenza 
del 
t.a.r. Lazio, il 
t.a.r. più importante 
d’Italia 
per qualità e quantità del contenzioso trattato. 

Una 
Presidenza 
caratterizzata 
da 
grande 
equilibrio e 
sobrietà, da 
un dialogo 
costante 
e 
costruttivo 
con 
gli 
Avvocati, 
dalla 
sapienza 
nella 
gestione 
delle 
questioni più delicate. 


A 
cominciare 
dall’emergenza 
epidemiologica, 
che, 
come 
Lei 
ha 
ricordato 
nella 
Sua 
Relazione, ha 
costretto a 
misurarsi 
non solo con nuove 
modalità 
organizzative 
sia 
processuali 
sia 
logistiche, ma 
anche 
con la 
necessità 
di 
un diverso 
approccio concettuale nella trattazione da remoto delle cause. 


Lei, 
Signor 
Presidente, 
con 
la 
Sua 
elevata 
dimensione 
istituzionale, 
è 
riuscito 
a 
superare 
anche 
i 
momenti 
più complessi 
e 
a 
risolvere 
le 
questioni 
più 
difficili 
e 
sempre 
con la 
consapevolezza 
di 
perseguire 
la 
migliore 
soluzione 
nell’interesse pubblico. 


Grazie, quindi, Signor Presidente, a 
nome 
dell’Avvocatura 
dello Stato e 
mio personale, per l’alta 
opera 
che 
ella 
ha 
svolto con sapienza, equilibrio e 
senso delle 
Istituzioni 
e 
che 
continuerà 
proficuamente 
a 
svolgere, a 
beneficio 
di tutti gli operatori del diritto e dei cittadini. 

Considero un privilegio aver potuto condividere 
in chiave 
di 
leale 
collaborazione 
istituzionale gli anni della Sua Presidenza. 
Grazie per l’attenzione. 


Roma, 8 marzo 2024 



RASSeGNA 
AvvoCAtURA 
deLLo 
StAto -N. 2/2023 


CERIMONIA 
DI 
INAUGURAZIONE 
DELL’ANNO 
GIUDIZIARIO 
2024 
PRESSO 
LA 
CORTE 
DI 
APPELLO 
DI 
ROMA 


Intervento dell’Avvocato Generale 
Aggiunto 
Avv. Leonello Mariani 


Signor Presidente, 

signor Procuratore Generale, 

signori Magistrati, signori 
Avvocati, 

Autorità tutte, Signore e Signori, 


è 
con 
molto 
piacere 
-e 
di 
tanto 
ringrazio 
Lei, 
signor 
Presidente 
-che 
l’Avvocatura 
dello 
Stato 
riprende 
la 
consuetudine 
di 
intervenire 
a 
questa 
solenne 
cerimonia 
porgendovi, 
nell’occasione, 
il 
saluto 
dell’Avvocato 
Generale, 
avv. 
Gabriella 
Palmieri 
Sandulli, 
di 
tutti 
gli 
avvocati 
e 
procuratori 
dello 
Stato 
e 
mio 
personale. 


Ho ascoltato con grande 
interesse 
la 
relazione 
del 
Presidente 
della 
Corte 
dalla 
quale 
emerge 
nitidamente 
il 
quadro 
dello 
stato 
dell’amministrazione 
della 
giustizia 
in questo importante 
distretto, quadro che, nonostante 
le 
innegabili 
difficoltà 
connesse 
all’entrata 
in vigore 
della 
riforma 
della 
giustizia, è 
caratterizzato 
da 
importanti 
risultati, 
raggiunti 
con 
encomiabile 
impegno 
e 
dedizione 
da parte di tutti: magistrati, avvocati e personale amministrativo. 

• 
I decreti-legislativi 
n. 149 e 
n. 150 del 
2022, che 
quella 
riforma 
hanno 
attuato, 
hanno 
tra 
l’altro 
opportunamente 
recepito 
le 
innovazioni 
procedimentali 
ed organizzative 
a 
suo tempo introdotte, in via 
d’urgenza, per contrastare 
la 
diffusione 
del 
coronavirus 
e 
contenerne 
gli 
effetti 
negativi 
sullo 
svolgimento 
dell’attività giudiziaria. 
Ex malo bonum, dicevano gli antichi. 


Si 
è 
trattato, 
in 
effetti, 
di 
una 
vicenda 
emblematica 
di 
come, 
sotto 
la 
spinta 
incalzante 
di 
un’emergenza 
sanitaria 
e 
sociale 
senza 
pari, il 
progresso tecnologico 
e, in particolare, quello informatico, abbia 
consentito di 
mutare 
rapidamente 
-ma 
sarebbe 
meglio 
dire, 
di 
rivoluzionare 
-, 
in 
molti 
casi 
in 
meglio, 
consolidati stili di vita e di lavoro. 


e, ovviamente, neppure 
il 
sistema 
processuale 
e 
giudiziario poteva 
rimanerne 
immune 
al 
punto che 
si 
suole 
ormai 
discorrere, anche 
nel 
linguaggio legislativo, 
di “giustizia digitale”. 


Non 
è 
questa 
la 
sede 
per 
affrontare 
funditus 
un 
tema 
così 
ampio 
e 
complesso: 
e, 
tuttavia, 
consentitemi 
di 
svolgere 
alcune 
brevi 
osservazioni 
al 
riguardo. 


• 
Fisiologicamente, 
la 
giustizia 
digitale 
trova 
espressione 
nella 
disciplina 
delle 
“comunicazioni”, 
delle 
“notificazioni” 
e 
dei 
“depositi”, 
decisamente 
orientata 
-dopo 
l’entrata 
in 
vigore 
della 
riforma 
-nel 
senso 
dell’obbligatorietà 
dell’adempimento telematico, con un’operatività 
residuale 
e 
marginale 
delle 
ormai antiche, e in prospettiva desuete, forme “analogiche”. 

teMI 
IStItUzIoNALI 


In linea 
con la 
delega 
legislativa, e 
al 
pari 
di 
quanto già 
previsto per le 
“comunicazioni”, 
la 
notifica 
telematica 
rappresenta 
oggi 
la 
“regola”, 
cui 
è 
possibile 
derogare 
soltanto nei 
casi, limitati 
e 
marginali, in cui 
il 
destinatario sia 
“legittimamente” 
privo di 
“domicilio digitale” 
ovvero si 
verifichino malfunzionamenti 
di sistema. 

In tale ambito la riforma pone tuttavia alcuni delicati problemi. 


• 
Ad esempio, in materia 
civile, quanto al 
perfezionamento della 
notificazione 
telematica 
si 
è 
recepito il 
principio di 
“scissione 
soggettiva” 
di 
produzione 
degli 
effetti, 
acquisito 
ormai 
da 
tempo 
al 
sistema 
processuale, 
disponendo che 
essa 
si 
intende 
perfezionata, per il 
notificante, nel 
momento 
in cui 
è 
generata 
la 
“ricevuta di 
accettazione” 
e, per il 
destinatario, quando è 
generata la “ricevuta di avvenuta consegna”. 
ebbene, 
l’anticipazione 
degli 
effetti 
della 
notifica 
nel 
momento 
in 
cui 
viene 
generato il 
messaggio di 
“avvenuta accettazione” 
garantisce 
il 
raggiungimento 
dell’obiettivo 
perseguito 
dal 
legislatore 
quando 
la 
notifica 
telematica 
è compiuta direttamente dall’avvocato. 

Ma 
quid iuris 
nei 
casi 
residuali 
in cui 
l’ordinamento processuale 
prevede 
ancora che all’adempimento provveda l’ufficiale giudiziario? 


In 
questi 
casi, 
l’art. 
149-bis, 
comma 
3, 
cod. 
proc. 
civ. 
prevede 
che 
la 
notifica 
“si 
intende 
perfezionata 
nel 
momento 
in 
cui 
il 
gestore 
rende 
disponibile 
il 
documento 
informatico 
nella 
casella 
di 
posta 
elettronica 
certificata 
del 
destinatario”. 


Si 
tratta, all’evidenza, di 
una 
disposizione 
che 
nega 
tutela 
al 
notificante 
e 
rischia 
di 
porsi 
in contrasto con i 
principi 
enunciati 
dalla 
Consulta 
nella 
sentenza 
n. 477 del 2002 sulle notifiche postali. 


di 
qui, la 
necessità 
di 
un intervento “correttivo”, che 
-in considerazione 
della 
menzionata 
giurisprudenza 
costituzionale 
-dovrebbe 
estendere 
anche 
a 
questa 
ipotesi 
il 
principio di 
“scissione 
soggettiva” 
degli 
effetti, individuando 
il 
momento perfezionativo della 
notifica 
-per il 
richiedente 
-in una 
data 
diversa 
da 
quella 
indicata 
dalla 
norma 
e, segnatamente, in quella, antecedente, 
di 
presentazione 
dell’istanza 
all’ufficiale 
giudiziario, così 
com’è 
del 
resto già 
previsto in ambito “analogico” dall’art. 149, comma 3, cod. proc. civ. 

• 
Ulteriori 
problemi 
ermeneutici 
pongono 
poi 
quelle 
norme 
che 
hanno 
rimodulato 
la 
stessa 
attività 
d’udienza, 
codificando 
alcune 
novità 
procedimentali 
inaugurate 
durante 
la 
pandemia 
e, 
quindi, 
consentendo 
al 
giudice 
di 
disporre 
che 
essa 
si 
svolga 
“da 
remoto” 
oppure 
mediante 
deposito 
di 
“note 
scritte”. 
Il 
codice 
non ha 
delimitato la 
tipologia 
delle 
udienze 
suscettibili 
di 
svolgimento 
con le 
modalità 
sopra 
descritte, rimettendosi 
in sostanza 
alla 
valutazione 
discrezionale 
del 
giudice, 
al 
quale 
è 
“imposta” 
la 
celebrazione 
dell’udienza 
“in 
presenza” 
soltanto 
quando 
sia 
richiesta 
la 
presenza 
di 
soggetti 
diversi da difensori, parti, P.M. ed ausiliari. 


tuttavia, 
l’udienza 
“cartolare” 
merita, 
a 
mio 
avviso, 
un’applicazione 
molto parca, limitata 
alle 
sole 
udienze 
destinate 
a 
formalità 
procedimentali 
di 



RASSeGNA 
AvvoCAtURA 
deLLo 
StAto -N. 2/2023 


scarsa 
incidenza 
sulle 
dinamiche 
effettive 
del 
contraddittorio 
e 
sulla 
formazione 
del convincimento del giudice. 

L’udienza 
“da remoto” 
invece 
è 
tecnologicamente 
più innovativa 
e 
consente 
di 
proiettare 
nella 
nuova 
dimensione 
“digitale” 
i 
tradizionali 
principi 
processuali di oralità ed immediatezza. 

Si 
tratta, quindi, di 
una 
modalità 
procedimentale 
che 
può risultare 
preferibile 
alla 
presenza 
“fisica” 
in aula, non soltanto nei 
casi 
in cui 
le 
parti 
siano 
effettivamente 
impossibilitate 
a 
recarsi 
presso gli 
uffici 
giudiziari, ma, più in 
generale, 
tutte 
le 
volte 
-e 
l’esperienza 
giudiziaria 
e 
forense 
dimostra 
che 
sono 
veramente 
tante 
-in 
cui 
la 
presenza, 
per 
così 
dire 
“corporea”, 
dei 
difensori 
non 
sia 
essenziale 
ai 
fini 
del 
contraddittorio, 
soprattutto 
se, 
come 
di 
regola 
accade, 
la difesa è già stata compiutamente svolta per iscritto. 


• 
tuttavia, l’attuazione 
di 
tali 
“innovazioni” 
dipende 
-a 
monte 
-dal 
delicato 
problema 
relativo 
alla 
“sindacabilità” 
dei 
provvedimenti 
adottati 
in 
materia 
dal giudice. 
difatti, 
la 
determinazione 
concernente 
lo 
svolgimento 
dell’udienza 
“in 
presenza”, “da remoto” 
o mediante 
deposito di 
“note 
scritte” 
sembrerebbe 
prima 
facie 
-ampiamente 
discrezionale, 
dato 
che 
i 
relativi 
decreti 
-come 
noto 


- non sono impugnabili. 
Peraltro, 
sebbene 
la 
legge 
non 
lo 
imponga, 
appare 
comunque 
doverosa 
una 
“motivazione” 
da 
parte 
del 
giudice, almeno nei 
casi 
in cui 
si 
discosti 
dalla 
volontà delle parti. 

In altri 
termini, se 
una 
parte 
richiedesse 
espressamente 
la 
trattazione 
“da 
remoto”, anziché 
“in presenza”, rappresentando concrete 
esigenze 
di 
opportunità 
o 
necessità, 
il 
giudice 
-in 
assenza 
di 
ragioni 
contrarie 
-dovrebbe 
in 
linea 
di 
principio accogliere 
l’istanza, pena 
la 
possibile 
nullità 
del 
diniego per 
violazione del contraddittorio e lesione del diritto di difesa. 


Allo stesso modo, per il 
caso inverso, in cui, per ragioni 
comprovate 
ed 
obiettive, si richieda la fissazione dell’udienza “in presenza”. 


• 
Come 
si 
evince 
dalla 
normativa 
esaminata, 
la 
“rivoluzione 
digitale” 
-in 
ambito 
civile 
-è 
ormai 
in 
fase 
avanzata; 
per 
contro, 
in 
ambito 
penale, 
si 
registrano 
ostacoli 
maggiori, 
stante 
l’innegabile 
delicatezza 
degli 
interessi 
in 
gioco. 
Storicamente, 
uno 
dei 
primi 
innesti 
della 
telematica 
nel 
processo 
penale 
si 
è 
avuto 
in 
occasione 
del 
processo 
per 
la 
“strage 
di 
Capaci”, 
in 
relazione 
al 
quale 
fu 
avvertita 
la 
necessità 
di 
garantire, 
mediante 
il 
cd. 
“esame 
a 
distanza”, 
la 
sicurezza 
di 
coloro 
che 
erano 
stati 
ammessi 
a 
programmi 
o 
a 
misure 
di 
protezione. 


Ma 
a 
parte 
tale 
istituto, la 
spinta 
verso la 
“digitalizzazione” 
del 
processo 
penale 
è 
stata 
decisamente 
più graduale, almeno fino a 
quando non è 
intervenuta 
l’emergenza 
sanitaria, 
che 
ha 
posto 
esigenze 
sino 
ad 
allora 
inimmaginabili 
di 
“digitalizzazione”, al 
fine 
di 
consentire 
lo svolgimento del 
processo nel 
rispetto 
delle previsioni sul distanziamento sociale. 

Per questo verso si 
è 
trattato, nella 
sostanza, di 
una 
sorta 
di 
“prova gene



teMI 
IStItUzIoNALI 


rale” 
della 
riforma 
“Cartabia”, con la 
quale 
il 
legislatore 
ha 
ormai 
inteso superare 
la 
tradizionale 
modalità 
di 
redazione, 
trasmissione 
e 
conservazione 
degli atti in forma “cartacea”. 


In 
questa 
prospettiva, 
si 
stabilisce 
che 
gli 
atti 
siano 
redatti 
nella 
forma 
del 
“documento informatico” 
nativo e 
non più -come 
in precedenza 
-in originale 
“analogico” scansionato. 


Il 
documento, inoltre, deve 
essere 
sottoscritto con “firma digitale”. Ma 
se, da 
un lato, tale 
modalità 
di 
sottoscrizione 
contribuisce 
alla 
maggiore 
efficienza 
del processo, dall’altro, disvela problematiche inedite. 

Ne 
è 
un esempio il 
fatto che 
la 
firma 
digitale 
opera 
sulla 
base 
di 
un certificato, 
che 
ha 
validità 
triennale, 
ma 
che 
potrebbe 
anche 
essere 
revocato 
o 
sospeso 
prima di tale termine. 


Si 
tratta 
di 
un 
aspetto 
tutt’altro 
che 
meramente 
tecnico, 
dato 
che, 
in 
questo 
ambito, 
la 
normativa 
processuale 
penale 
si 
intreccia 
con 
quella 
del 
CAd, 
il 
cui 
art. 24, comma 
4-bis, stabilisce 
che, quando il 
certificato elettronico è 
revocato, 
scaduto o sospeso, la 
firma 
digitale 
eventualmente 
apposta 
equivale 
a 
“mancata sottoscrizione”. 

Né 
tale 
vizio potrebbe 
ritenersi 
“sanato” 
dall’avvenuto deposito telematico 
dell’atto -non più corredato da 
una 
sottoscrizione 
valida 
-oppure 
dalla 
sua 
notifica 
a 
mezzo PeC, dato che 
è 
lo stesso codice 
a 
richiamare 
-tanto per 
i 
depositi 
(art. 111-bis) quanto per le 
notifiche 
(art. 148) -il 
rispetto della 
normativa 
in tema 
di 
“documenti 
informatici” 
(cfr. Cass. pen., n. 45316/23). Si 
tratta 
di 
problemi 
che 
forse 
non 
sono 
stati 
ancora 
adeguatamente 
soppesati, 
ma che arrecano un grave 
vulnus 
al regime di validità degli atti. 

di 
qui, l’esigenza 
di 
un’interpretazione 
“teleologica”, che 
salvaguardi 
la 
“tutela 
dei 
diritti”. 
La 
“nullità” 
per 
omessa 
sottoscrizione 
“a 
penna” 
-in 
effetti 
-era 
posta 
a 
presidio 
di 
ineludibili 
diritti 
fondamentali, 
la 
cui 
violazione 
viene 
appunto sanzionata con l’invalidità dell’atto. 

diversamente, 
ricondurre 
al 
regime 
delle 
“nullità” 
anche 
il 
documento 
informatico firmato validamente 
-ma 
che 
vede 
poi 
scadere, o revocare 
o sospendere 
il 
certificato di 
firma 
-non corrisponde 
affatto alle 
menzionate 
esigenze 
di tutela, dando anzi luogo ad un “diniego di giustizia”. 


In quest’ottica, si 
potrebbe 
quindi 
argomentare 
dal 
“principio della certezza 
del 
compimento dell’atto” 
per affermare 
che 
la 
validità 
della 
sottoscrizione 
“digitale” 
dovrebbe 
sempre 
essere 
valutata 
al 
momento 
della 
sua 
“apposizione”, restando -di 
conseguenza 
-irrilevanti 
tutte 
le 
vicende 
successive 
relative alla sorte dei certificati. 

• 
da 
ultimo, le 
innovazioni 
legislative 
sommariamente 
passate 
in rassegna 
se, 
da 
un 
lato, 
comportano 
-sia 
in 
ambito 
civile 
che 
penale 
-una 
innegabile 
semplificazione 
degli 
adempimenti 
processuali; 
allo 
stesso 
tempo, 
pongono 
un ulteriore problema: quello relativo alla “garanzia” e “sicurezza” dei dati. 
In 
ambito 
processuale, 
la 
sicurezza 
dei 
dati 
non 
è 
soltanto 
protezione 
tecnica 



RASSeGNA 
AvvoCAtURA 
deLLo 
StAto -N. 2/2023 


per 
così 
dire 
“esterna” 
e, 
quindi, 
“cybersecurity”, 
volta 
a 
prevenire 
“attacchi” 
digitali 
da 
parte 
degli 
“hacker”, 
ma 
rappresenta 
una 
delle 
condizioni 
per 
garantire 
la 
stessa 
attuazione 
dei 
diritti 
fondamentali 
delle 
parti 
processuali. 


Per 
questo 
motivo, 
la 
previsione 
dell’osservanza 
di 
misure 
tecniche 
“adeguate” 
rappresenta 
un 
fil 
rouge 
dell’intera 
riforma 
“Cartabia”, che 
rinvia 
costantemente 
alla 
normativa 
tecnica 
predisposta 
dal 
Ministero della 
Giustizia, 
recentemente 
intervenuto 
con 
il 
decreto 
ministeriale 
n. 
217 
del 
2023, 
in 
vigore 
dal 14 gennaio. 


In 
effetti, 
tale 
decreto 
individua 
le 
numerose 
regole 
tecniche 
per 
espletare 
gli 
adempimenti 
processuali 
connessi 
alla 
“digitalizzazione”. Il 
giurista, pertanto, 
non può fare 
a 
meno di 
interrogarsi 
su quali 
potrebbero essere 
le 
conseguenze 
della loro violazione. 


Pur 
trattandosi 
di 
un 
tema 
indubbiamente 
complesso 
che 
non 
può 
essere 
affrontato 
in 
questa 
sede, 
si 
auspica 
comunque 
che, 
in 
applicazione 
del 
principio 
di 
tassatività 
delle 
nullità 
-nei 
casi 
in 
cui 
la 
riforma 
non 
abbia 
espressamente 
stabilito 
un’ipotesi 
di 
invalidità 
-, 
si 
privilegi 
la 
“conservazione” 
dell’atto, 
al 
fine 
di 
evitare 
che 
meri 
“formalismi” 
possano 
in 
concreto 
pregiudicare 
gli 
obiettivi 
di 
“celerità, 
efficienza 
ed 
efficacia” 
perseguiti 
dal 
legislatore. 


È 
evidente 
che, 
in 
tale 
prospettiva, 
il 
raggiungimento 
degli 
obiettivi 
stabiliti 
dalla 
riforma 
presuppone 
-anzi, 
impone 
-un 
deciso 
cambio 
di 
mentalità 
da 
parte 
di 
tutti 
gli 
operatori 
-in 
primis, 
da 
parte 
dei 
giudici 
e 
dei 
difensori 
-, 
i 
quali 
debbono 
essere 
in 
grado 
-e, 
ancor 
prima, 
porsi 
nella 
condizione 
-di 
cogliere 
gli 
innegabili 
portati 
positivi 
delle 
illustrate 
novità 
tecnologiche 
e 
processuali. 


• 
In 
questo 
quadro 
l’Avvocatura 
dello 
Stato 
è 
pronta, 
quale 
difensore 
pubblico, a fare la sua parte. 
Il 
nuovo 
Regolamento 
di 
organizzazione 
adottato 
con 
il 
d.P.C.M. 
n. 
210 
del 
2023 
ed 
entrato 
in 
vigore 
lo 
scorso 
12 
gennaio, 
ha 
infatti 
ridisegnato 
-anche 
presso 
il 
mio 
Istituto 
-la 
figura 
del 
“Responsabile 
per 
la 
transizione 
digitale”. 


Auspico, quindi, che 
tale 
“ufficio” 
possa 
essere 
lo strumento per potenziare 
ulteriormente 
il 
contributo 
che 
l’Avvocatura 
dello 
Stato 
ha 
fornito 
in 
questi 
anni 
allo 
sviluppo 
della 
“giustizia 
digitale”, 
non 
solo 
in 
ambito 
civile 
e 
penale, ma anche presso le giurisdizioni “speciali”. 

La 
“trasversalità” 
dell’attività 
difensiva 
demandata 
all’Istituto 
rappresenta, 
infatti, 
una 
preziosa 
risorsa 
per 
individuare 
soluzioni 
uniformi 
e 
coerenti 
nel-
l’ambito 
dei 
diversi 
processi 
giurisdizionali 
telematici 
e 
per 
garantire 
un’effettiva 
circolazione 
delle 
best 
practices 
sperimentate 
presso 
i 
vari 
plessi 
giudiziari. 


Con 
queste 
considerazioni 
e 
questo 
auspicio 
concludo, 
dunque, 
il 
mio 
intervento, 
ringraziando 
Lei, 
Signor 
Presidente, 
e 
tutti 
i 
presenti 
per 
avermi 
ascoltato 
e 
formulando 
l’augurio 
di 
un 
sereno 
e 
proficuo 
lavoro 
nell’anno 
giudiziario 
a venire. 


Roma, 27 gennaio 2024 



temi 
iStituzionali 


AvvocAturA 
dello 
StAto 


relazione annuale sul contenzioso antimafia - 2022(*) 


Sommario: 1. orientamenti 
giurisprudenziali 
-2. Pronunce 
della Corte 
Costituzionale 


-3. Questioni 
di 
massima e 
modifiche 
normative 
-4. Contenziosi 
del 
Comitato di 
Coordinamento 
per 
l’alta Sorveglianza delle 
infrastrutture 
e 
degli 
insediamenti 
Prioritari 
(CCaSiiP) 
e 
Struttura di 
missione 
antimafia Sisma 2016 -5. Scioglimenti 
dei 
Comuni 
per 
mafia -6. annotazioni 
delle 
interdittive 
antimafia nel 
Casellario informatico dell’aNaC -7. Dati 
relativi 
ai contenziosi in materia di antimafia 2022. 
1. orientamenti giurisprudenziali. 
di 
seguito 
si 
segnalano 
alcune 
pronunce 
di 
interesse 
pubblicate 
nel 
2022, 
rese in giudizi riguardanti provvedimenti antimafia. 


il 
consiglio di 
Stato, nella 
sentenza 
20 giugno 2022, n. 5024, con riferimento 
alla 
rilevanza dei 
legami 
familiari 
e 
dei 
procedimenti 
penali, 
ha 
statuito 
che 
“Non 
dev’essere 
provata, 
infatti, 
la 
regia 
familiare, 
ma 
l’intensità 
dei 
rapporti 
familiari 
… 
e 
ciò anche 
in relazione 
al 
contesto socio ambientale 
di 
riferimento 
in 
cui 
la 
stessa 
struttura 
organizzativa 
delle 
consorterie 
mafiose 
ha 
tradizionalmente 
una 
base 
familiare. 
Detta 
intensità 
non 
va 
vista 
unicamente 
rispetto alla prospettiva del 
vincolo di 
sangue 
o di 
coniugio, non intendendosi 
certo 
‘far 
scontare 
ai 
figli 
le 
colpe 
dei 
padri’, 
né 
porre 
limiti 
al 
naturale 
affetto 
coniugale, 
ma 
anche 
e 
soprattutto 
come 
accettazione 
cosciente 
e 
consapevole 
di 
una logica, quella mafiosa, che 
può essere 
veicolata dai 
legami 
di sangue per condivisione o anche per mera accettazione. 


Non è 
quindi 
necessario provare 
che 
le 
attività siano direttamente 
o indirettamente 
gestite 
dal 
congiunto mafioso, ma è 
sufficiente 
che 
i 
legami 
familiari 
-che 
nel 
caso 
di 
specie 
divengono 
un 
vero 
e 
proprio 
contesto 
familiare 


-siano tali 
da far 
presumere 
che 
la regia sia familiare, clanistica, che, in altri 
termini, il 
legame 
familiare 
possa costituire 
la porta d’accesso del 
contagio e 
della deviazione 
della società dai 
fini 
che 
le 
sarebbero naturalmente 
propri. 
E 
ciò vieppiù a dirsi 
in un contesto territoriale 
pervaso dal 
controllo dei 
clan, 
come 
fatto palese, peraltro, dallo scioglimento del 
Comune 
di 
-omissis- proprio 
per tale causale. 
10.7. 
La 
circostanza 
poi 
che 
il 
padre 
del 
sig. 
-omissis-sia 
in 
custodia 
cautelare 
non 
esclude 
certo 
la 
regia 
familiare, 
essendo 
ben 
noto 
che 
i 
capi 
mafia possono esercitare 
poteri 
e 
influenze 
anche 
da dietro le 
mura delle 
carceri, 
come 
peraltro 
fatto 
palese 
dalla 
stessa 
interlocuzione 
intercorsa 
tra 
i 
due 
circa l’apertura del ristorante -omissis-. 
(*) 
Relazione 
a 
cuRa 
dell’avvocato 
dello 
Stato 
caRmela 
Pluchino, RefeRente 
dell’avvocatuRa 
dello 
Stato 
PeR 
il 
contenzioSo 
antimafia. 



RaSSegna 
avvocatuRa 
dello 
Stato -n. 2/2023 


11. rileva inoltre 
-ad ulteriore 
integrazione 
del 
significativo quadro indiziario 
-la valenza sintomatica del 
rinvio a giudizio del 
signor 
-omissis- per 
violazione 
dell’articolo 12 quinquies 
della legge 
356 del 
1992 con l’aggravante 
del metodo mafioso di cui all’articolo 7 della legge 203 del 1991. 
Deve, 
invero, 
rilevarsi 
che, 
ai 
sensi 
dell’art. 
84, 
comma 
4, 
lett. 
a), 
del 
d.lgs. 
n. 
159 
del 
2011, 
le 
situazioni 
relative 
ai 
tentativi 
di 
infiltrazione 
mafiosa 
che 
danno luogo all’adozione 
dell’informazione 
antimafia interdittiva, di 
cui 
al 
comma 
3, 
sono 
desunte, 
fra 
l’altro, 
«dai 
provvedimenti 
che 
dispongono 
una 
misura 
cautelare 
o 
il 
giudizio, 
ovvero 
che 
recano 
una 
condanna 
anche 
non 
definitiva per 
taluni 
dei 
delitti 
di 
cui 
agli 
articoli 
353, 353-bis, 629, 640-bis, 
644, 
648-bis, 
648-ter 
del 
codice 
penale, 
dei 
delitti 
di 
cui 
all’articolo 
51, 
comma 
3-bis, 
del 
codice 
di 
procedura 
penale 
e 
di 
cui 
all’articolo 
12-quinquies 
del 
d.l. 8 giugno 1992, n. 306 convertito, con modificazioni, dalla l. 7 agosto 
1992, n. 356». 


rispetto ai 
suddetti 
titoli 
di 
reato, richiamati 
nell’art. 84, comma 4, lett. 
a), del 
d.lgs. n. 159 del 
2011, il 
legislatore 
ha, dunque, inteso operare 
una selezione 
a monte 
delle 
condotte 
che 
riflettono in sé 
il 
pericolo di 
infiltrazione 
mafiosa, in quanto si 
tratta di 
fattispecie 
che 
destano maggiore 
allarme 
sociale, 
intorno alle 
quali 
con maggiore 
regolarità statistica gravita il 
mondo 
della 
criminalità 
organizzata 
di 
stampo 
mafioso. 
D’altro 
canto, 
l’ipotesi 
d’accusa 
per 
il 
delitto di 
cui 
all’art. 12 quinquies 
della legge 
356 del 
1992 (rientrante 
già 
di 
per 
sé 
nell’elenco 
dei 
c.d. 
delitti 
spia) 
con 
l’aggravante 
del 
metodo mafioso di 
cui 
all’articolo 7 della legge 
203 del 
1991, siccome 
posta 
a base 
del 
decreto che 
dispone 
il 
giudizio, vale 
a concretare 
quel 
qualificato 
fattore 
indiziante 
che 
accredita la sussistenza del 
pericolo di 
un condizionamento 
mafioso 
delle 
imprese 
che 
subiscono 
l’influenza 
di 
un 
imputato 
per 
fatti 
commessi in contiguità con ambienti della criminalità organizzata. 


E 
ciò 
in 
considerazione 
del 
fatto 
che 
il 
suddetto 
provvedimento 
è 
stato 
emesso a conclusione 
delle 
indagini 
preliminari 
ed esprime 
in sé, in una necessaria 
valutazione 
di 
sintesi, la prognosi 
più prossima sull’attitudine 
dimostrativa 
dei risultati investigativi acquisiti. 


Trattasi 
di 
un catalogo di 
reati 
che, nella valutazione 
ex 
ante 
fattane 
dal 
legislatore, 
integrano 
una 
'spia' 
di 
per 
sé 
sola 
sufficiente 
ad 
imporre, 
nella 
logica 
anticipata e 
preventiva che 
permea la materia delle 
informative 
antimafia, 
l’effetto 
interdittivo 
nei 
rapporti 
con 
la 
pubblica 
amministrazione. 
Pertanto, 
il 
Prefetto 
-ove 
abbia 
contezza 
della 
commissione 
di 
taluni 
dei 
delitti 
menzionati 
nell’art. 
84, 
comma 
4, 
lett. 
a), 
e 
sino 
a 
quando 
non 
sia 
emessa 
una 
sentenza 
assolutoria 
-può 
limitarsi 
ad 
'attestare' 
la 
sussistenza 
del 
rischio 
infiltrativo 
siccome 
desunto dalla mera ricognizione 
della vicenda penale 
nei 
termini 
e 
nei 
limiti 
in 
cui 
è 
contemplata 
dalla 
disposizione 
più 
volte 
richiamata 
(devono 
esserci, 
cioè, 
almeno 
provvedimenti 
che 
dispongono 
una 
misura 
cautelare 
o 
il 
giudizio, 
ovvero 
che 
recano 
una 
condanna 
anche 
non 
definitiva) 



temi 
iStituzionali 


(Consiglio di 
Stato, sez. iii, 27 novembre 
2018, n. 6707; 28 ottobre 
2016, n. 
4555)”. 


con la 
sentenza 
30 giugno 2022, n. 5462 il 
consiglio di 
Stato, con riferimento 
alla 
rilevanza dei 
legami 
familiari, ha 
statuito nel 
senso che 
segue: 
“il 
punto 
di 
approdo 
dell’elaborazione 
giurisprudenziale 
di 
cui 
si 
è 
dato 
conto 
può essere, dunque, sintetizzato nel 
principio secondo cui 
i 
legami 
familiari 
non 
sono 
sufficienti 
a 
denotare 
il 
pericolo 
di 
condizionamento 
mafioso, 
se 
non 
si 
colorino di 
ulteriori 
connotati 
-di 
cui 
è 
onere 
dell’amministrazione 
dare 
conto 
nel 
contesto 
motivazionale 
del 
provvedimento 
interdittivo, 
fermo 
restando 
che 
grava sull’impresa dimostrare 
la legittima provenienza delle 
sue 
risorse 
economiche 
-atti 
ad attribuire 
ad essi 
valore 
sintomatico di 
un collegamento 
che 
vada 
oltre 
il 
mero 
e 
passivo 
dato 
genealogico, 
ma 
si 
traduca 
nella volontaria condivisione 
di 
aspetti 
importanti 
di 
vita quotidiana ovvero, 
nelle 
ipotesi 
di 
maggiore 
evidenza 
dell’influenza 
mafiosa, 
nella 
sussistenza 
di 
cointeressenze economiche e commistioni imprenditoriali. 


Tali 
ulteriori 
elementi 
qualificanti 
tuttavia, per 
consentire 
di 
fondarvi 
il 
ragionamento logico-presuntivo che 
mette 
capo alla valutazione 
di 
permeabilità 
criminale 
dell’impresa, 
devono 
essere 
dotati 
di 
sufficienti 
requisiti 
di 
certezza 
storico-fattuale, 
mentre 
la 
catena 
deduttiva 
che 
di 
essi 
si 
alimenta 
per 
approdare 
alla conclusione 
interdittiva deve 
ispirarsi 
a canoni 
di 
logica 
e 
verosimiglianza, la cui 
corretta applicazione 
spetta in ultima analisi 
al 
giudice, 
nella eventuale sede contenziosa, verificare. 


12.2. Di 
contro, nessun elemento risulta allegato che 
suffraghi, nell’attualità, 
anche 
la condivisione 
di 
aspetti 
della vita quotidiana ovvero forme 
di 
cointeressenze 
economiche 
o 
comunque 
collegamenti, 
anche 
dettati 
da 
frequentazione, 
tali 
da 
far 
supporre 
una 
comunanza 
di 
attività 
di 
guisa 
che 
le 
emergenze 
processuali 
non evidenziano elementi 
valutativi 
idonei 
a far 
trasmodare 
il 
mero 
rapporto 
di 
parentela 
-peraltro 
suffragato 
da 
un 
vincolo 
nemmeno così intenso - agli effetti della prevenzione antimafia”. 
nella 
sentenza 
7 
marzo 
2022, 
n. 
1622 
il 
consiglio 
di 
Stato 
ha 
tracciato 
le 
coordinate 
interpretative 
degli 
artt. 
84, 
85 
e 
91 
del 
codice 
Antimafia, 
affermando 
quanto 
segue: 
“La 
vicenda 
si 
iscrive 
nel 
tracciato 
delle 
seguenti 
disposizioni 
di 
legge: 
-l’art. 
85, 
comma 
3, 
del 
codice 
antimafia, 
il 
quale 
prevede 
che 
“l’informazione 
antimafia 
deve 
riferirsi 
anche 
ai 
familiari 
conviventi 
di 
maggiore 
età 
dei 
soggetti 
di 
cui 
ai 
commi 
1, 
2, 
2-bis, 
2-ter 
e 
2quater”, 
in 
coerenza 
con 
il 
quadro 
normativo 
introdotto 
con 
la 
legge 
19 
marzo 
1990, 
n. 
55; 
l’art. 
91, 
comma 
5, 
del 
codice 
antimafia, 
ai 
sensi 
del 
quale 
“il 
Prefetto 
competente 
estende 
gli 
accertamenti 
pure 
ai 
soggetti 
che 
risultano 
poter 
determinare 
in 
qualsiasi 
modo 
le 
scelte 
o 
gli 
indirizzi 
del-
l’impresa”; 
-l’art. 
84, 
comma 
4 
lett. 
a), 
per 
il 
quale 
il 
Prefetto 
desume 
il 



RaSSegna 
avvocatuRa 
dello 
Stato -n. 2/2023 


tentativo 
di 
infiltrazione 
mafiosa, 
tra 
gli 
altri, 
“dai 
provvedimenti 
che 
dispongono 
una 
misura 
cautelare 
o 
il 
giudizio, 
ovvero 
che 
recano 
una 
condanna 
anche 
non 
definitiva 
per 
taluni 
dei 
delitti 
di 
cui 
agli 
articoli 
353, 
353 
bis, 
603 
bis, 
629, 
640 
bis, 
644, 
648 
bis, 
648 
ter 
del 
codice 
penale, 
dei 
delitti 
di 
cui 
all’articolo 
51, 
comma 
3-bis, 
del 
codice 
di 
procedura 
penale 
e 
di 
cui 
all’articolo 
12-quinquies 
del 
decreto-legge 
8 
giugno 
1992, 
n. 
306 
convertito, 
con 
modificazioni, 
dalla 
legge 
7 
agosto 
1992, 
n. 
356”. 


8.2. il 
combinato disposto delle 
disposizioni 
sopra citate 
stabilisce 
una 
presunzione 
di 
possibile 
ingerenza 
nella 
gestione 
dell’impresa 
da 
parte 
di 
soggetti 
legati 
da particolari 
rapporti 
di 
familiarità con coloro che 
ne 
hanno la 
formale titolarità. 
alla 
stregua 
di 
tale 
criterio 
presuntivo, 
la 
prognosi 
di 
pericolo 
che 
il 
Prefetto 
è 
chiamato 
a 
formulare 
deve 
essere 
calibrata 
principalmente: 
a) 
sulla 
intensità del 
vincolo familiare 
tra il 
titolare 
dell’impresa e 
i 
soggetti 
che 
risultano 
comunque 
in 
grado 
di 
incidere 
sulle 
scelte 
della 
stessa; 
b) 
sulla 
gravità 
degli 
indizi 
di 
contiguità 
criminale 
riferentisi 
al 
familiare 
controindicato 
ai 
fini antimafia. 


8.3. il 
quadro regolativo si 
completa con le 
indicazioni 
fornite 
dalla giurisprudenza 
di 
questa 
sezione 
(v., 
ex 
multis, 
Cons. 
Stato, 
sez. 
iii, 
n. 
4431/2019 
e 
n. 803/2019), la quale 
si 
è 
già fatta carico di 
precisare 
che 
tanto il 
contesto 
ambientale 
e 
parentale 
nel 
quale 
opera 
l’impresa 
attinta 
da 
informativa, 
quanto la sua struttura organizzativa, possono rilevare 
quali 
elementi 
sintomatici 
accessori, in grado di 
denotare, in concorso con altri, il 
possibile 
rischio 
di infiltrazione o di condizionamento mafioso. 
Nell’ambito 
di 
questa 
giurisprudenza, 
per 
quanto 
qui 
rileva, 
si 
è 
ulteriormente 
precisato che: 


--l’amministrazione 
può dare 
rilievo anche 
ai 
rapporti 
di 
parentela tra 
titolari 
e 
familiari 
che 
siano soggetti 
affiliati, organici 
o contigui 
a contesti 
malavitosi 
laddove 
tali 
rapporti, per 
loro natura, intensità, o per 
altre 
caratteristiche 
concrete, 
lascino 
ritenere, 
secondo 
criteri 
di 
verosimiglianza, 
che 
l’impresa 
ovvero 
che 
le 
decisioni 
sulla 
sua 
attività 
possano 
essere 
influenzate, 
anche indirettamente, dalla criminalità organizzata; 


--tale 
influenza 
può 
essere 
desunta 
dalla 
doverosa 
constatazione 
che 
l’organizzazione 
mafiosa tende 
a strutturarsi 
secondo un modello “clanico”, 
che 
si 
fonda e 
si 
articola, a livello particellare, sul 
nucleo fondante 
della famiglia, 
sicché 
in una famiglia mafiosa anche 
il 
soggetto che 
non sia attinto 
da 
pregiudizio 
mafioso 
può 
subire, 
nolente, 
l’influenza, 
diretta 
o 
indiretta, 
del 
capofamiglia e dell’associazione; 


--a comprovare 
la verosimiglianza di 
tale 
pericolo assumono rilevanza 
da un lato, sia circostanze 
obiettive, come 
la convivenza, la cointeressenza di 
interessi 
economici, 
il 
coinvolgimento 
nei 
medesimi 
fatti 
che 
pur 
non 
abbiano 
dato luogo a condanne; sia le 
peculiari 
realtà locali, ben potendo l’ammini



temi 
iStituzionali 


strazione 
evidenziare 
come 
sia 
stata 
accertata 
l’esistenza 
su 
un’area 
più 
o 
meno estesa del 
controllo di 
una “famiglia” 
e 
del 
sostanziale 
coinvolgimento 
dei suoi componenti; 


--il 
riferimento ai 
vincoli 
familiari 
con soggetti 
controindicati, doverosamente 
rilevato 
nei 
provvedimenti 
prefettizi, 
non 
esprime, 
dunque, 
alcuna 
presunzione 
tesa 
ad 
affermare 
che 
il 
legame 
parentale 
implica 
necessariamente 
la 
sussistenza 
del 
pericolo 
di 
infiltrazione 
mafiosa, 
ma 
vale 
a 
descrivere 
la situazione, concreta ed attuale, nella quale l’impresa si trova ad operare; 


--la rilevanza sintomatica di 
tali 
legami 
può risultare 
ulteriormente 
corroborata, 
oltre 
che 
dai 
caratteri 
ad essa intrinseci 
o estrinseci 
sin qui 
riepilogati, 
anche 
dal 
fatto 
che 
la 
parte 
ricorrente, 
una 
volta 
messa 
a 
conoscenza 
della misura interdittiva, non abbia dato prova di 
alcuna sua scelta di 
allontanarsi 
o di 
emanciparsi 
dal 
contesto familiare 
di 
riferimento, dovendosi 
al 
riguardo ulteriormente 
precisare 
che 
il 
Prefetto può anche 
tenere 
conto dei 
concreti 
e 
documentati 
elementi 
forniti 
dall’interessato, dai 
quali 
si 
possa desumere 
che 
la sua attività lavorativa sia cominciata e 
proseguita sulla base 
di 
risorse 
‘lecitamente 
acquisite’, comunque 
non riferibili 
a contesti 
caratterizzati 
dalla 
illegalità 
(essendo 
un 
onere 
per 
l’interessato 
medesimo 
il 
dar 
conto 
di 
tali 
elementi, 
sulla 
base 
del 
principio 
che 
tiene 
conto 
della 
‘vicinanza 
alla fonte della prova’). 


8.4. 
Quanto 
alle 
valutazioni 
indiziarie 
ritraibili 
dalla 
composizione 
della 
compagine 
imprenditoriale, la giurisprudenza di 
questa sezione 
ha già affermato, 
tra 
l’altro, 
che 
la 
circostanza 
della 
natura 
individuale 
dell’impresa 
non 
può essere 
svalutata a dato di 
valenza meramente 
formale, essendo essa valutabile 
in 
relazione 
ai 
caratteri 
del 
contesto 
criminale 
di 
matrice 
mafiosa 
nel 
quale essa opera, per come delineato dalle risultanze istruttorie. 
9. Nel 
caso di 
specie, gli 
elementi 
di 
contestualizzazione 
della relazione 
parentale 
emergono 
effettivamente 
dal 
testo 
dell’atto 
impugnato 
in 
primo 
grado 
e 
pongono 
capo 
ad 
una 
trama 
di 
inferenze 
presuntive 
niente 
affatto 
opache 
o irrilevanti ai fini preventivi. 
9.1. È 
innanzitutto innegabile 
la valenza sintomatica e 
latamente 
condizionante 
del 
rapporto di 
convivenza, stanti 
le 
implicazioni 
solidali 
che 
impegnano 
reciprocamente 
sotto 
i 
plurimi 
profili 
della 
convivenza 
quotidiana, 
della 
condivisione 
dei 
mezzi 
materiali 
e 
di 
un progetto di 
vita comune, cui 
conseguono 
obblighi di fattiva e reciproca assistenza. 
È 
riconosciuta, d’altra parte, la valenza sintomatica del 
rapporto parentale 
sopra 
indicato 
che 
“per 
la 
sua 
natura, 
intensità 
o 
per 
altre 
caratteristiche 
concrete 
lasci 
ritenere 
per 
la logica del 
più probabile 
che 
non che 
l’impresa 
abbia una regia familiare” (Cons. St., sez. iii, n. 1743/2016). 


9.2. 
La 
naturale 
e 
logica 
carica 
inferenziale 
degli 
elementi 
caratterizzanti, 
come 
vincolo strettamente 
solidale 
e 
potenzialmente 
condizionante, il 
rapporto 
di 
convivenza, 
può 
al 
più 
essere 
attenuata 
da 
argomenti 
di 
senso 

RaSSegna 
avvocatuRa 
dello 
Stato -n. 2/2023 


contrario 
(nel 
caso 
in 
esame 
del 
tutto 
assenti), 
riferiti 
ad 
un 
allentamento 
dell’unione, quantomeno di fatto. 


9.3. 
D’altra 
parte, 
se 
tra 
gli 
elementi 
indiziari 
di 
rilievo 
ai 
fini 
della 
prevenzione 
antimafia 
è 
pacificamente 
inclusa 
la 
frequentazione 
di 
soggetti 
controindicati 
o 
malavitosi, 
non 
si 
vede 
come 
si 
possa 
negare 
rilevanza, 
a 
fortiori, 
alla 
contiguità 
che 
si 
instaura 
in 
un 
regime 
di 
vita 
caratterizzato 
da 
una 
consuetudine 
stretta 
e 
quotidiana, 
oltre 
che 
da 
cointeressenze 
affettive 
così 
nitide 
come 
quelle 
proprie 
di 
una 
convivenza 
(specie 
quando 
vi 
siano 
figli 
comuni). 
9.4. La giurisprudenza di 
questa stessa Sezione 
(sentenza n. 8489/2021) 
fornisce 
indiretta conferma di 
quanto sopra, laddove 
riconosce 
che 
se 
il 
mero 
legame 
di 
parentela 
non 
è 
sufficiente 
a 
contaminare 
con 
i 
sospetti 
di 
contiguità 
alla criminalità organizzata, va tuttavia considerato che 
il 
giudizio è 
diverso 
qualora 
ai 
legami 
familiari 
corrisponda 
anche 
la 
condivisione 
di 
aspetti 
della 
vita quotidiana (e 
non vi 
sia alcun segno di 
allontanamento dai 
condizionamenti 
della 
famiglia, 
ovvero 
di 
scelta 
di 
uno 
stile 
di 
vita 
e 
di 
valori 
alternativi): 
tali considerazioni rilevano anche nel caso di convivenza. 
9.5. 
Ciò 
chiarito, 
mette 
conto 
considerare 
che, 
nel 
caso 
di 
specie, 
sul 
conto 
della 
signora 
-omissis-rileva 
il 
dato 
informativo 
che 
la 
indica 
come 
soggetto 
già 
rinviato 
a 
giudizio 
per 
gravi 
reati 
sintomatici 
a 
fini 
antimafia. 
La 
gravità 
delle 
vicende 
penali 
che 
coinvolgono 
la 
donna 
si 
salda 
a 
quella 
delle 
vicende 
che 
hanno 
interessato 
il 
padre 
convivente 
dell’appellato: 
e 
la 
relazione 
di 
convivenza tra i 
tre 
si 
somma alla continuità dell’attività di 
impresa 
tramandata dal 
padre 
al 
figlio, quali 
circostanze 
che 
concorrono a rendere 
ancora più significativo e 
pregnante 
il 
corredo delle 
controindicazioni 
antimafia poste a base dell’atto prefettizio. 
9.6. Gli 
stessi 
elementi, lungi 
dall’essere 
stati 
considerati 
in modo atomistico 
e 
avulso da elementi 
di 
contorno, sono stati 
inquadrati 
nel 
contesto 
socio-ambientale 
di 
riferimento 
dell’impresa, 
notoriamente 
caratterizzato 
dalla pervasiva presenza di 
organizzazioni 
camorristiche 
e 
certamente 
assumibile 
quale 
dato inferenziale 
o presuntivo della sussistenza del 
pericolo di 
condizionamento, anche 
se 
non di 
vera e 
propria infiltrazione 
mafiosa. in siffatti 
contesti 
criminosi, infatti, il 
legame 
di 
parentela deve 
ritenersi 
di 
per 
sé 
rilevante 
ove 
si 
consideri 
la funzione 
ed il 
valore 
altamente 
simbolico e 
vincolante 
che 
il 
c.d. “vincolo di 
sangue” 
assume 
nella cultura della camorra e 
nella 
struttura 
clanica 
di 
queste 
famiglie, 
le 
quali 
attraverso 
matrimoni 
e 
“comparati” 
costituiscono 
o 
consolidano 
alleanze, 
intensificando 
in 
tal 
modo 
la propria egemonia sul territorio di riferimento. 
Si 
è 
già 
detto, 
nella 
disamina 
di 
fattispecie 
simili, 
che 
“tale 
influenza 
può 
essere 
desunta 
non 
dalla 
considerazione 
che 
il 
parente 
di 
un 
mafioso 
sia 
anch’egli 
mafioso, ma per 
la doverosa considerazione 
che 
la complessa organizzazione 
della 
mafia 
ha 
una 
struttura 
clanica, 
sicché 
anche 
il 
soggetto 



temi 
iStituzionali 


che 
non sia attinto da un pregiudizio mafioso può subire 
nolente 
l’influenza 
del capofamiglia” (Cons. St., sez. iii, n. 1743/2016). 


9.7. 
La 
parte 
appellata, 
d’altra 
parte, 
non 
ha 
allegato 
alcun 
elemento 
atto a depotenziare 
la pregnanza dei 
suddetti 
legami 
parentali, sotto il 
profilo 
della loro attualità, concretezza e 
consistenza, il 
che 
apre 
il 
campo ad ovvie 
e 
del 
tutto 
ragionevoli 
inferenze 
presuntive 
che 
dagli 
stessi 
è 
lecito 
trarre 
in 
considerazione 
sia 
del 
carattere 
primario 
dei 
vincoli 
familiari 
considerati; 
sia 
della loro pluralità e convergenza su un unico nucleo ristretto. 
10. Non è 
idoneo ad intaccare 
tale 
valutazione 
neppure 
il 
rilievo che 
a 
carico dell’appellato non sono evidenziati 
pregiudizi, dal 
momento che, per 
un 
verso, 
è 
noto 
che 
le 
organizzazioni 
mafiose 
tendono 
a 
preporre 
alle 
imprese 
soggetti 
incensurati 
in modo da “schermare” 
l’infiltrazione; per 
altro verso, 
è 
lo 
stesso 
art. 
91, 
comma 
5, 
del 
d.lgs. 
n. 
159/2011 
a 
prevedere 
che 
“il 
Prefetto 
competente 
estende 
gli 
accertamenti 
pure 
ai 
soggetti 
che 
risultano poter 
determinare 
in 
qualsiasi 
modo 
le 
scelte 
e 
gli 
indirizzi 
dell’impresa” 
e 
che 
ai 
sensi 
dell’art. 85, comma 3, “gli 
accertamenti 
antimafia si 
estendono anche 
ai familiari conviventi di maggiore età”. 
È, del 
resto, pacificamente 
riconosciuto che 
il 
Prefetto non indaga l’appartenenza, 
organica o esterna, dell’imprenditore 
all’associazione 
mafiosa, 
ma valuta la sussistenza del 
pericolo che 
l’impresa possa subire 
un condizionamento 
mafioso, 
diventando 
strumento, 
anche 
indiretto, 
dell’organizzazione 
criminale per il perseguimento dei suoi scopi illeciti. 


Ed a questo proposito deve 
tenersi 
conto del 
fatto che 
gli 
scopi 
della associazione 
mafiosa 
comprendono 
anche 
attività 
collaterali 
quali 
la 
“ripulitura”, 
il 
riciclaggio 
dei 
proventi 
illegali 
ed 
il 
controllo 
del 
territorio 
di 
riferimento della cosca, attuato anche 
attraverso il 
condizionamento, diretto 


o 
indiretto, 
delle 
svariate 
intraprese 
economiche 
che 
in 
esso 
si 
insediano 
o 
intendono 
insediarsi. rispetto a questi 
scopi, spesso attuati 
attraverso una pluralità 
di 
imprese 
satellitari 
alla 
cosca, 
non 
è 
di 
decisiva 
rilevanza 
la 
mole 
delle 
singole 
e 
strumentali 
attività di 
impresa, potendo tutte 
cumulativamente 
concorrere agli scopi di fiancheggiamento innanzi menzionati. 
11. 
Dunque, 
anche 
la 
configurazione 
strettamente 
individuale 
dell’impresa 
non indebolisce, ma semmai 
rafforza l’ordine 
di 
considerazioni 
sin qui 
tracciato, 
in 
quanto 
evidenzia 
una 
sua 
maggiore 
esposizione 
al 
rischio 
di 
condizionamento 
(v. Cons. Stato, sez. iii, n. 4740/2012 e 
sez. Vi, n. 5879/2010), 
proprio per 
il 
fatto che 
l’organizzazione 
è 
minimamente 
strutturata, risponde 
ad 
una 
singola 
figura 
apicale 
dominante 
(strettamente 
contigua 
a 
soggetti 
controindicati), al 
cui 
potere 
di 
indirizzo non si 
contrappone 
alcun elemento 
di 
bilanciamento; ed opera in una piccola dimensione 
territoriale 
caratterizzata 
dalla forte pervasività della forza intimidatrice mafiosa. 
Si 
tratta di 
considerazioni 
anche 
queste 
munite 
di 
un sostrato “fattuale” 
(la 
dimensione 
dell’impresa, 
il 
quadro 
socio-territoriale 
nel 
quale 
essa 
opera, 



RaSSegna 
avvocatuRa 
dello 
Stato -n. 2/2023 


gli 
elementi 
sintomatici 
della 
sua 
vicinanza 
ad 
epicentri 
malavitosi) 
-oltre 
che 
rappresentative 
delle 
peculiarità 
sociologiche 
sussistenti 
ed 
astraibili 
dal 
tracciato 
criminale 
di 
riferimento 
-che 
si 
prestano 
ad 
essere 
integrate 
ed 
orientate 
da 
valutazioni 
presuntive 
che 
concorrono 
a 
delineare 
in 
termini 
sufficientemente 
puntuali 
e 
aderenti 
al 
“reale” 
la 
peculiare 
situazione 
ambientale 
nella quale 
l’impresa è 
attiva ed a fondare 
una legittima ipotesi 
prognostica 
sulla dinamica relazionale 
nella quale 
la stessa, del 
tutto verosimilmente, si 
trova ad operare. 


… 
Del 
resto, come 
noto, la valutazione 
di 
verosimiglianza e 
il 
giudizio 
probabilistico 
sono 
strumenti 
tipici 
della 
logica 
indiziaria 
propria 
delle 
misure 
di 
prevenzione 
antimafia, 
notoriamente 
avulsa, 
come 
ripetutamente 
sottolineato 
dalla 
giurisprudenza 
anche 
costituzionale, 
dall’aspirazione 
ad 
attingere 
le certezze tipiche dell’accertamento della responsabilità penale. 


… 
D’altra 
parte, 
per 
la 
consolidata 
giurisprudenza 
non 
è 
sufficiente 
il 
mero 
decorso 
del 
tempo 
ai 
fini 
del 
superamento 
del 
pericolo 
di 
permeabilità 
mafiosa, 
ma 
occorre 
il 
sopraggiungere 
anche 
di 
fatti 
positivi 
(il 
cui 
onere 
di 
allegazione 
non 
può 
che 
ricadere 
sull’interessato), 
idonei 
a 
dar 
conto 
di 
un 
nuovo 
e 
consolidato 
operare 
dei 
soggetti 
cui 
veniva 
ricollegato 
il 
pericolo, 
che 
persuasivamente 
giustifichi 
lo 
scostamento 
dalla 
situazione 
rilevata 
in 
precedenza. 


Le 
dette 
coordinate 
ermeneutiche, riferentisi 
a ipotesi 
di 
reiterazione 
di 
provvedimento interdittivo, risultano pienamente 
applicabili 
anche 
ad ipotesi 
come 
quella in esame, in cui, invece, fatti 
asseritamente 
“risalenti” 
sono impiegati 
per la prima volta dall’autorità accertante”. 


il 
consiglio di 
Stato Sez. iii, 21 ottobre 
2022, n. 9021 in merito ai 
presupposti 
delle 
misure 
del 
controllo 
giudiziario 
e 
dell’interdittiva 
ha 
chiarito 
che 
“non sono coincidenti, né 
vi 
è 
alcun automatismo di 
implicazioni 
valutative 
tra 
lo 
scrutinio 
svolto, 
rispettivamente, 
dall’amministrazione 
e 
dal 
giudice 
penale, poiché 
la prima esprime 
un giudizio statico o retrospettivo su un fenomeno 
infiltrativo già compiutosi, mentre 
il 
secondo effettua una prognosi 
sulla capacità dell’impresa di 
emendarsi 
e 
di 
reinserirsi 
nel 
circuito dell’economia 
legale. 
Ne 
consegue 
che 
l’esito 
favorevole 
del 
controllo 
a 
richiesta 
non 
rileva in modo diretto nel 
procedimento amministrativo, il 
quale 
riguarda gli 
elementi 
esistenti 
al 
momento 
della 
emanazione 
dell’interdittiva 
e, 
dunque, 
ciò che 
solo può ammettersi 
è 
che 
alla positiva conclusione 
del 
controllo faccia 
seguito 
un 
procedimento 
di 
riesame 
dell’interdittiva 
già 
adottata, 
nelle 
forme 
dell’autotutela revocatoria o di 
un aggiornamento ai 
sensi 
dell’art. 91, 
comma, 5 D.Lgs. n. 159 del 
2011, riesame 
sul 
quale 
l’esito positivo del 
controllo 
non svolge comunque alcun effetto automatico”. 


il 
consiglio di 
Stato Sez. iii, 20 ottobre 
2022, n. 8926 in tema 
di 
revoca 
delle 
misure 
interdittive, ha 
statuito che 
“non è 
sufficiente 
il 
mero decorso 



temi 
iStituzionali 


del 
tempo 
ai 
fini 
del 
superamento 
del 
pericolo 
di 
permeabilità 
mafiosa, 
ma 
occorre 
il 
sopraggiungere 
anche 
di 
fatti 
positivi, 
idonei 
a 
dar 
conto 
di 
un 
nuovo 
e 
consolidato 
operare 
dei 
soggetti 
cui 
veniva 
ricollegato 
il 
pericolo, 
che 
persuasivamente 
giustifichi 
lo 
scostamento 
dalla 
situazione 
rilevata 
in 
precedenza. Le 
dette 
coordinate 
ermeneutiche, riferentisi 
a ipotesi 
di 
reiterazione 
di 
provvedimento interdittivo, appaiono pienamente 
applicabili 
anche 
ad ipotesi, in cui, invece, fatti 
asseritamente 
“risalenti” 
sono impiegati 
per 
la 
prima volta dall’autorità accertante”. 


con 
la 
sentenza 
26 
settembre 
2022, 
n. 
8296, 
con 
riferimento 
all’informazione 
interdittiva 
antimafia, 
resa 
ai 
sensi 
dell’art. 
91, 
comma 
7-bis, 
del 
d.lgs. 
n. 
159 
del 
2011, 
emessa 
dall’autorità 
Prefettizia, 
ha 
evidenziato 
che 
“gli 
elementi 
di 
fatto valorizzati 
dal 
provvedimento Prefettizio -informazione 
interdittiva antimafia -devono essere 
valutati 
non atomisticamente, bensì 
in 
chiave 
unitaria, secondo il 
canone 
inferenziale, che 
è 
alla base 
della teoria 
della prova indiziaria, al 
fine 
di 
valutare 
l’esistenza o meno di 
un pericolo di 
una 
permeabilità 
dell’impresa 
a 
possibili 
tentativi 
di 
infiltrazione 
da 
parte 
della criminalità organizzata”. 


ed 
ancora, 
il 
consiglio 
di 
Stato 
Sez. 
iii, 
29 
agosto 
2022, 
n. 
7516 
ha 
affermato: 
“La 
misura 
interdittiva 
antimafia, 
essendo 
il 
potere 
esercitato 
espressione 
della 
logica 
di 
anticipazione 
della 
soglia 
di 
difesa 
sociale, 
finalizzata 
ad 
assicurare 
una 
tutela 
avanzata 
nel 
campo 
del 
contrasto 
alle 
attività 
della 
criminalità 
organizzata, 
non 
deve 
necessariamente 
collegarsi 
ad 
accertamenti 
in 
sede 
penale 
di 
carattere 
definitivo 
e 
certi 
sull’esistenza 
della 
contiguità 
del-
l’impresa 
con 
organizzazione 
malavitose, 
e 
quindi 
del 
condizionamento 
in 
atto 
dell’attività 
di 
impresa, 
ma 
può 
essere 
sorretta 
da 
elementi 
sintomatici 
e 
indiziari 
da 
cui 
emergano 
sufficienti 
elementi 
del 
pericolo 
che 
possa 
verificarsi 
il 
tentativo 
di 
ingerenza 
nell’attività 
imprenditoriale 
della 
criminalità 
organizzata; 
in 
particolare, 
non 
è 
necessario 
un 
grado 
di 
dimostrazione 
probatoria 
analogo 
a 
quello 
richiesto 
per 
dimostrare 
l’appartenenza 
di 
un 
soggetto 
ad 
associazioni 
di 
tipo 
camorristico 
o 
mafioso, 
potendo 
l’interdittiva 
fondarsi 
su 
fatti 
e 
vicende 
aventi 
un 
valore 
sintomatico 
e 
indiziario 
e 
con 
l’ausilio 
di 
indagini 
che 
possono 
risalire 
ad 
eventi 
verificatosi 
a 
distanza 
di 
tempo”. 


il 
consiglio di 
Stato Sez. iii, 28 giugno 2022, n. 5375, in tema 
di 
impugnazione 
delle 
misure 
interdittive, ha 
anche 
chiarito che 
“il 
giudice 
amministrativo 
è 
chiamato 
a 
valutare 
la 
gravità 
del 
quadro 
indiziario, 
posto 
a 
base 
della valutazione 
prefettizia in ordine 
al 
pericolo di 
infiltrazione 
mafiosa, e 
il 
suo 
sindacato 
sull’esercizio 
del 
potere 
prefettizio, 
con 
un 
pieno 
accesso 
ai 
fatti 
rivelatori 
del 
pericolo, consente 
non solo di 
sindacare 
l’esistenza o meno di 
questi 
fatti, che 
devono essere 
gravi, precisi 
e 
concordanti, ma di 
apprezzare 



RaSSegna 
avvocatuRa 
dello 
Stato -n. 2/2023 


la ragionevolezza e 
la proporzionalità della prognosi 
inferenziale 
che 
l’autorità 
amministrativa 
trae 
da 
quei 
fatti 
secondo 
un 
criterio 
che, 
necessariamente, 
è 
probabilistico per 
la natura preventiva, e 
non sanzionatoria, della misura 
in 
esame. 
il 
sindacato 
per 
eccesso 
di 
potere 
sui 
vizi 
della 
motivazione 
del 
provvedimento 
amministrativo, anche 
quando questo rimandi 
per 
relationem 
agli 
atti 
istruttori, 
scongiura 
il 
rischio 
che 
la 
valutazione 
del 
Prefetto 
divenga, 
appunto, 
una “pena del 
sospetto” 
e 
che 
la portata della discrezionalità amministrativa 
in 
questa 
materia, 
necessaria 
per 
ponderare 
l’esistenza 
del 
pericolo 
infiltrativo in concreto, sconfini nel puro arbitrio”. 


il 
consiglio 
di 
Stato 
Sez. 
iii, 
4 
aprile 
2022, 
n. 
2465 
ha 
statuito 
che 
il 
condizionamento 
mafioso, ai 
sensi 
dell’art. 91, comma 6, del 
d.lgs. n. 159 del 
2011,“si 
può 
desumere 
anche 
dalla 
presenza 
di 
un 
solo 
dipendente 
“infiltrato”, 
del 
quale 
la 
mafia 
si 
serva 
per 
controllare 
o 
guidare 
dall’esterno 
l’impresa, 
ciò 
che 
può 
risultare 
da 
atti 
investigativi 
(intercettazioni), 
frequentazioni, ed altri 
elementi 
sintomatici, nonché 
dalla assunzione 
o dalla 
presenza di 
dipendenti 
aventi 
precedenti 
legati 
alla criminalità organizzata, 
pur 
quando 
non 
emergano 
specifici 
riscontri 
oggettivi 
sull’influenza 
delle 
scelte dell’impresa”. 


ed ancora, che 
“in tema di 
valutazione 
del 
rischio mafioso, non è 
il 
dato 
in sé 
che 
un’impresa possa avere 
alle 
proprie 
dipendenze 
soggetti 
controindicati 
a rilevare, quanto piuttosto che 
la presenza degli 
stessi 
possa essere 
ritenuta 
indicativa, 
alla 
luce 
di 
un 
quadro 
indiziario 
complessivo, 
del 
potere 
della 
criminalità 
organizzata 
di 
incidere 
sulle 
politiche 
di 
assunzione 
dell’impresa”. 


Si 
segnala 
anche 
corte 
di 
cassazione 
Penale, Sez. v, 22 dicembre 
2022, 


n. 48913, che 
si 
è 
pronunciata 
sui 
presupposti 
per 
l’applicazione 
del 
controllo 
giudiziario 
su 
richiesta 
volontaria 
(art. 
34 
bis 
del 
d.lgs. 
n. 
159/2011) 
di 
un’impresa destinataria di 
informazione 
interdittiva antimafia impugnata 
innanzi 
al 
giudice 
amministrativo 
(che, nel 
frattempo, abbia 
adottato 
il modello 231 e nominato un organismo di 
vigilanza). 
Premesso 
che 
il 
ricorso 
per 
cassazione 
avverso 
il 
provvedimento 
della 
corte 
d’appello 
che, 
in 
sede 
di 
impugnazione, 
decide 
sulla 
ammissione 
al 
controllo 
giudiziario ex 
art. 34-bis, comma 
6, d.lgs. 6 settembre 
2011, n. 159, è 
ammissibile 
solo per violazione 
di 
legge, essendo, in tal 
caso, applicabili 
i 
limiti 
di 
deducibilità 
di 
cui 
agli 
artt. 10, comma 
3, e 
27 del 
medesimo decreto 
(si 
veda, 
sul 
punto, 
cass., 
Sez. 
5, 
n. 
34856 
del 
6 
novembre 
2020, 
Rv. 
279982), 
la 
corte 
ha 
richiamato l’orientamento giurisprudenziale 
secondo cui 
«ai 
fini 
dell’applicazione 
del 
controllo 
giudiziario 
su 
richiesta 
volontaria 
di 
un’impresa 
destinataria di 
informazione 
interdittiva antimafia impugnata dinanzi 
al 
giudice 
amministrativo, 
ai 
sensi 
dell’art. 
34-bis 
del 
d.lgs. 
16 
settembre 
2011, 


n. 159, il 
tribunale 
competente 
in tema di 
misure 
di 
prevenzione 
è 
tenuto a ve

temi 
iStituzionali 


rificare 
sia il 
carattere 
occasionale 
della agevolazione, che 
il 
libero svolgimento 
dell’attività economica può determinare 
nei 
soggetti 
di 
cui 
al 
comma 1 
della 
medesima 
disposizione, 
sia 
la 
concreta 
possibilità 
dell’impresa 
stessa 
di 
riallinearsi 
con il 
contesto economico sano, affrancandosi 
dal 
condizionamento 
delle infiltrazioni mafiose». 


tale 
orientamento è 
stato ribadito da 
una 
recente 
pronuncia, nella 
quale 
si 
è 
evidenziato come 
«in tema di 
misure 
di 
prevenzione, ai 
fini 
dell’ammissione 
alla misura del 
controllo giudiziario, ai 
sensi 
dell’art. 34-bis, comma 6, 
d.lgs. 6 settembre 
2011, n. 159, richiesta dall’impresa destinataria dell’informazione 
antimafia interdittiva che 
abbia impugnato detto provvedimento, il 
tribunale 
sia 
tenuto 
a 
valutare, 
in 
termini 
prognostici 
-sulla 
base 
del 
dato 
patologico 
acquisito dall’accertamento amministrativo con l’informazione 
antimafia 
interdittiva 
-se 
il 
richiesto 
intervento 
giudiziale 
di 
“bonifica 
aziendale” 
risulti 
possibile, 
in 
quanto 
l’agevolazione 
dei 
soggetti 
di 
cui 
all’art. 
34, 
comma 
1, 
d.lgs. 
cit., 
debba 
ritenersi 
occasionale, 
escludendo 
tale 
evenienza, 
pertanto, nel caso di cronicità dell’infiltrazione mafiosa». 


il 
presupposto 
indefettibile 
per 
l’applicazione 
del 
controllo 
giudiziario 
su 
richiesta 
volontaria 
di 
un’impresa 
destinataria 
di 
informazione 
interdittiva 
antimafia 
impugnata 
dinanzi 
al 
giudice 
amministrativo è, dunque, la 
natura 
occasionale 
dell’agevolazione 
mafiosa, prevista 
dall’art. 34 bis, co. 1, d.lgs. 6 
settembre 
2011, n. 159, che 
non può configurarsi 
nel 
caso della 
cronicità 
del-
l’infiltrazione mafiosa. 


ciò 
premesso, 
il 
collegio 
ha 
ritenuto 
che 
la 
corte 
territoriale 
abbia 
fatto 
buon 
governo 
di 
tali 
principi, 
evidenziando 
«il 
completo 
asservimento 
della 
società 
ricorrente 
alla 
finalità 
di 
controllo 
degli 
appalti 
comunali 
perseguiti 
dall’associazione 
a 
delinquere 
di 
stampo 
mafioso, 
egemone 
in 
quel 
territorio, 
asservimento 
che 
oggettivamente 
qualifica 
in 
termini 
di 
cronicità 
l’infiltrazione 
mafiosa, 
rendendo 
sul 
punto 
una 
motivazione 
congrua 
che, 
certo, 
non 
può 
definirsi 
apparente 
o 
errata 
dal 
punto 
di 
vista 
giuridico 
… 
ne 
risente 
anche 
l’ulteriore 
profilo 
“prognostico”, 
su 
cui 
la 
Corte 
territoriale 
del 
pari 
si 
sofferma, 
evidenziando 
come 
sia 
proprio 
il 
contesto 
criminale 
di 
riferimento, 
dal 
quale 
la 
società 
appellante 
ha 
ricavato 
vantaggi 
e 
favori, 
dunque 
la 
cronicità 
dell’infiltrazione 
mafiosa, 
a 
non 
consentire 
di 
attribuire 
rilievo 
per 
il 
futuro 
alle 
misure 
adottate 
dalla 
società, 
che, 
nella 
prospettiva 
del 
ricorrente, 
renderebbero 
l’impresa 
impermeabile 
dai 
condizionamenti 
mafiosi». 


Sotto 
questo 
profilo 
-ha 
concluso 
la 
corte 
-«la 
decisione 
assunta 
appare 
conforme 
all’orientamento 
giurisprudenziale, 
secondo 
cui 
la 
verifica 
dell’occasionalità 
dell’infiltrazione 
mafiosa, 
non 
deve 
essere 
finalizzata 
ad 
acquisire 
un 
dato 
statico, 
consistente 
nella 
cristallizzazione 
della 
realtà 
preesistente, 
ma 
deve 
essere 
funzionale 
a 
un 
giudizio 
prognostico 
circa 
l’emendabilità 
della 
situazione 
rilevata, proprio in relazione 
al 
contesto criminale 
di 
riferimento, 



RaSSegna 
avvocatuRa 
dello 
Stato -n. 2/2023 


mediante 
gli 
strumenti 
di 
controllo previsti 
dall’art. 34-bis, commi 
2 e 
3, del 
d.lgs. n. 159 del 2011». 


2. Pronunce della Corte Costituzionale. 
con 
sentenza 
n. 
180/2022 
la 
corte 
costituzionale 
ha 
dichiarato 
inammissibili, 
per 
richiesta 
di 
intervento 
manipolativo 
implicante 
scelte 
discrezionali 
affidate 
al 
legislatore, 
le 
questioni 
di 
legittimità 
costituzionale 
sollevate 
dal 
t.a.r. calabria, sez. di 
reggio calabria, in 
riferimento agli 
artt. 3, primo comma, 4 e 
24 cost. -dell’art. 92 del 
d.lgs. n. 159 del 
2011, 
nella parte 
in 
cui 
non 
prevede 
il 
potere 
del 
prefetto di 
escludere 
le 
decadenze 
e 
i 
divieti 
stabiliti 
dal 
comma 
5 
dell’art. 
67 
del 
medesimo 
d.lgs., 
quando 
valuti 
che, 
in 
conseguenza 
degli 
stessi, 
verrebbero 
a 
mancare 
i 
mezzi di sostentamento all’interessato e alla sua famiglia. 


la 
consulta 
ha 
statuito che 
le 
misure 
di 
prevenzione 
personali 
e 
l’informazione 
antimafia 
costituiscono 
misure 
anticipatorie 
in 
funzione 
di 
difesa 
della 
legalità 
e 
da 
esse 
conseguono i 
medesimi 
effetti 
interdittivi; 
rispetto ad 
un’esigenza 
di 
primario rilievo, qual 
è 
la 
garanzia 
di 
sostentamento dell’interessato 
e 
della 
sua 
famiglia, non trova 
pertanto alcuna 
giustificazione 
la 
differente 
disciplina dei poteri attribuiti al giudice e al prefetto. 


tuttavia 
l’estensione 
della 
deroga 
prevista 
per 
il 
giudice 
dal 
citato 
art. 
67, 
comma 
5, al 
procedimento amministrativo, comportando il 
trasferimento del 
relativo potere 
ad una 
diversa 
autorità, determinerebbe 
l’innesto, nel 
sistema 
vigente, di 
un istituto inedito, con attribuzione 
al 
prefetto di 
nuovi, specifici 
poteri 
istruttori, 
e 
richiederebbe 
scelte 
riservate 
alla 
discrezionalità 
legislativa, 
alla 
quale 
parimenti 
appartiene 
la 
possibilità 
di 
utilizzare 
al 
medesimo scopo 
gli 
strumenti 
del 
controllo giudiziario e 
delle 
misure 
di 
prevenzione 
collaborativa, 
innovandoli ulteriormente. 


la 
necessità 
di 
accordare 
tutela 
alle 
esigenze 
di 
sostentamento del 
soggetto 
colpito da 
interdittiva 
deve 
trovare 
soddisfazione 
in tempi 
rapidi 
attraverso 
un 
intervento 
legislativo 
non 
più 
procrastinabile 
(Precedenti: 
S. 
118/2022 - mass. 44817; S. 22/2022). 


in particolare, il 
giudice 
delle 
leggi 
ha 
statuito nel 
senso che 
segue: 
“in 
definitiva, il 
decreto-legge 
n. 152 del 
2021, come 
convertito, ha introdotto la 
possibilità, 
per 
l’impresa 
sospettata 
di 
agevolazione 
mafiosa 
solo 
occasionale, 
di 
evitare 
l’informazione 
e 
i 
suoi 
effetti 
interdittivi, 
e 
di 
continuare 
ad 
operare, 
sia 
pur 
risultando 
sottoposta 
a 
vigilanza 
e 
assumendo 
l’impegno 
di 
adoperarsi 
per 
una 
bonifica, 
sì 
da 
superare 
gli 
elementi 
di 
“compromissione” 
riscontrati. 


Queste 
misure 
di 
prevenzione, 
da 
adottarsi 
in 
via 
amministrativa 
dal 
prefetto, 
risultano per 
certi 
profili 
simili 
a quelle 
che 
l’autorità giudiziaria può 
disporre 
con il 
controllo giudiziario di 
cui 
all’art. 34-bis 
cod. antimafia. La 
significativa innovazione 
recata dalla riforma, con il 
nuovo strumento di 
cui 
all’art. 94-bis, consiste 
proprio nella possibilità di 
anticipare 
alla fase 
ammi



temi 
iStituzionali 


nistrativa quelle 
misure 
di 
bonifica dell’impresa (cosiddette 
di 
self 
cleaning) 
ricomprese 
nell’ambito dell’istituto del 
controllo giudiziario, e 
disposte, appunto, 
in sede giurisdizionale. 


Ebbene, per 
quanto si 
tratti 
di 
novità di 
sicuro rilievo, né 
la previsione 
che 
ha introdotto il 
contraddittorio necessario, né 
quella che 
consente 
le 
misure 
amministrative 
preventive 
di 
collaborazione, 
possono 
trovare 
applicazione, 
ratione 
temporis, 
nel 
giudizio 
principale, 
quest’ultimo 
avendo 
ad 
oggetto 
una 
informazione 
antimafia 
adottata 
nella 
vigenza 
delle 
precedenti 
regole. Sicché, non è 
prospettabile 
la restituzione 
degli 
atti 
al 
giudice 
a quo, 
affinché 
proceda 
ad 
una 
nuova 
valutazione 
dei 
requisiti 
di 
rilevanza 
e 
non 
manifesta infondatezza delle 
sollevate 
questioni 
(da ultimo, sentenze 
n. 91, n. 
54 e n. 27 del 2022). 


il 
dubbio, 
che 
potrebbe 
astrattamente 
porsi 
con 
riferimento 
all’applicabilità 
delle 
nuove 
misure 
preventive 
di 
collaborazione 
ad 
un’impresa 
già 
attinta 
da 
informazione 
antimafia, 
è 
eliminato 
in 
radice 
dalla 
norma 
transitoria 
di 
cui 
all’art. 
49, 
comma 
2, 
del 
decreto-legge 
n. 
152 
del 
2021, 
come 
convertito, 
ove 
si 
prevede 
che 
l’art. 
94-bis 
cod. 
antimafia 
si 
applichi 
«anche 
ai 
procedimenti 
amministrativi 
per 
i 
quali, 
alla 
data 
di 
entrata 
in 
vigore 
del 
presente 
decreto, 
è 
stato 
effettuato 
l’accesso 
alla 
banca 
dati 
nazionale 
unica 
della 
documentazione 
antimafia 
e 
non 
è 
stata 
ancora 
rilasciata 
l’informazione 
antimafia». 


Nel 
presente 
caso, l’informazione 
antimafia è 
stata già adottata, sicché 
il 
prefetto non avrebbe 
modo di 
ricorrere 
alle 
nuove 
misure 
collaborative. È, 
inoltre, 
del 
tutto 
ipotetica 
e 
solo 
eventuale 
la 
possibilità 
che, 
una 
volta 
decorso 
il 
periodo di 
validità dell’informazione 
antimafia subita dall’impresa ricorrente, 
il 
prefetto, 
chiamato 
a 
riconsiderare 
le 
circostanze 
di 
fatto, 
possa, 
a 
questo 
punto, 
applicare 
le 
nuove 
misure 
collaborative 
(ove, 
ovviamente, 
ritenga 
che 
l’agevolazione 
sia solo occasionale). analogamente, è 
a dirsi 
della 
possibilità che 
-nel 
corso della rinnovata valutazione, condotta al 
fine 
di 
verificare 
se 
sussistano 
elementi 
diversi 
rispetto 
a 
quelli 
che 
avevano 
portato 
alla prima informazione 
-l’interessato abbia accesso al 
contraddittorio con 
il prefetto, ai sensi del nuovo art. 92-bis cod. antimafia. 


Le 
innovazioni 
legislative 
in parola, peraltro, non si 
muovono nella direzione 
proposta 
dal 
rimettente 
(sentenza 
n. 
125 
del 
2018), 
non 
contenendo 
alcun 
riferimento 
alle 
esigenze 
che 
ispirano 
l’art. 
67, 
comma 
5, 
cod. 
antimafia 
(norma assunta a tertium 
comparationis 
nell’ordinanza di 
rimessione), cioè 
la tutela di 
bisogni 
primari 
di 
sostentamento economico della persona attinta 
da una misura di 
prevenzione 
e 
della sua famiglia. al 
contrario, la novella in 
esame, e 
specificamente 
quella concernente 
le 
misure 
amministrative 
di 
prevenzione 
collaborativa, pur 
essendo indirizzata a consentire 
l’eventuale 
prosecuzione 
delle 
attività 
imprenditoriali, 
è 
prevalentemente 
guidata 
da 
esigenze 
di 
tutela della sicurezza pubblica: giacché 
il 
presupposto per 
la sua applica



RaSSegna 
avvocatuRa 
dello 
Stato -n. 2/2023 


zione, analogamente 
a quanto previsto per 
l’applicazione 
del 
controllo giudiziario 
ai 
sensi 
dell’art. 34-bis 
cod. antimafia, è 
il 
carattere 
solo occasionale 
dell’agevolazione 
cui 
sono 
riconducibili 
i 
tentativi 
di 
infiltrazione 
mafiosa, 
non già la condizione 
di 
bisogno delle 
persone 
interessate 
(tanto che 
la parte 
costituita ha significativamente 
chiesto che 
le 
questioni 
di 
legittimità costituzionale 
siano estese alla nuova disciplina). 


1. 
-Passando 
al 
merito, 
è 
bene 
chiarire 
che 
il 
nucleo 
delle 
censure 
articolate 
dal 
rimettente 
ruota 
intorno 
all’asserita 
violazione 
dell’art. 
3, 
primo 
comma, 
Cost., 
mentre 
il 
richiamo 
operato 
ai 
parametri 
di 
cui 
agli 
artt. 
4 
e 
24 
Cost. 
assume 
un 
ruolo 
puramente 
ancillare 
rispetto 
alla 
doglianza 
principale. 
Quanto 
a 
quest’ultima, 
l’ordinanza 
di 
rimessione 
coglie 
un 
aspetto 
realmente 
critico 
della 
disciplina, 
in 
ordine 
al 
quale 
questa 
stessa 
Corte, 
nella 
sentenza 
n. 
57 
del 
2020, 
ha 
auspicato 
«una 
rimeditazione 
da 
parte 
del 
legislatore». 
Non è, del 
resto, implausibile 
il 
confronto che 
il 
giudice 
rimettente 
propone 
tra la differente 
disciplina dei 
poteri 
attribuiti 
al 
giudice 
delle 
misure 
di 
prevenzione, e 
quelli 
conferiti 
al 
prefetto nell’ambito dell’informazione 
antimafia. 
Ben 
vero 
che 
si 
tratta 
di 
contesti 
normativi 
non 
del 
tutto 
sovrapponibili: 
da una parte, una misura di 
prevenzione, adottata con provvedimento definitivo 
di 
un giudice 
che, nell’ambito di 
un giudizio, ha accertato la pericolosità 
sociale 
della persona; dall’altra, una misura amministrativa, caratterizzata 
dalla 
massima 
anticipazione 
della 
soglia 
di 
prevenzione, 
adottata 
nei 
confronti 
di 
un’impresa che 
si 
sospetta intrattenere 
(o che, secondo la giurisprudenza 
amministrativa, addirittura si 
teme 
possa intrattenere) rapporti 
con la criminalità 
organizzata. 


Tali 
elementi 
di 
differenziazione 
non possono tuttavia considerarsi 
a tal 
punto 
significativi 
da 
richiedere 
necessariamente 
un 
diverso 
regime 
giuridico 
quanto ad una esigenza di 
primario rilievo, quale 
è, nell’un caso e 
nell’altro, 
la 
garanzia 
di 
sostentamento 
del 
soggetto 
colpito 
dall’una 
e 
dall’altra 
misura, 
e della sua famiglia. 


Va anzitutto osservato che 
in entrambi 
i 
casi 
si 
è 
in presenza di 
misure 
anticipatorie in funzione di difesa della legalità. 


Quanto 
all’informazione 
antimafia, 
ciò 
è 
argomentato, 
sia 
dalla 
giurisprudenza 
amministrativa 
-che 
esclude 
in 
materia 
logiche 
sanzionatorie 
e 
ragiona 
di 
un provvedimento con natura «cautelare 
e 
preventiva» (Consiglio di 
Stato, adunanza plenaria, sentenza 6 aprile 
2018, n. 3 e, tra le 
più recenti, sezione 
terza, sentenza 4 gennaio 2022, n. 21) -sia dalla stessa giurisprudenza 
costituzionale (sentenze n. 118 del 2022, n. 178 del 2021 e n. 57 del 2020). 


Quanto 
alle 
misure 
di 
prevenzione 
personali, 
questa 
Corte 
ha 
avuto 
modo 
di 
chiarire 
che, 
pur 
fondate 
su 
elementi 
tali 
da 
far 
ritenere 
la 
sussistenza 
di 
pregresse 
attività 
criminose, 
esse 
non 
manifestano 
carattere 
sanzionatorio-
punitivo 
ed 
hanno 
«chiara 
finalità 
preventiva», 
essendo 
intese 
a 



temi 
iStituzionali 


ridurre 
il 
rischio 
che 
il 
soggetto, 
limitato 
nella 
sua 
libertà 
di 
movimento 
e 
sottoposto 
a 
vigilanza 
in 
base 
alle 
prescrizioni 
indicate 
all’art. 
8 
cod. 
antimafia, 
commetta 
ulteriori 
reati. 
Si 
tratta, 
insomma, 
di 
strumenti 
deputati 
al 
«controllo, 
per 
il 
futuro, 
della 
pericolosità 
sociale 
del 
soggetto 
interessato: 
non 
già 
[alla] 
punizione 
per 
ciò 
che 
questi 
ha 
compiuto 
nel 
passato» 
(sentenza 
n. 
24 
del 
2019). 


alle 
limitazioni 
e 
agli 
strumenti 
di 
vigilanza 
imposti 
dal 
decreto 
che 
abbia 
in 
via 
definitiva 
applicato 
la 
misura 
di 
prevenzione 
(quelli 
che 
delineano 
il 
contenuto tipico della misura), l’art. 67 cod. antimafia aggiunge 
ulteriori 
effetti 
pregiudizievoli, «gravemente 
“inabilitanti”» (sentenza n. 93 del 
2010), 
il 
cui 
obiettivo è 
di 
contrastare 
l’attività economica dei 
soggetti 
colpiti 
«tramite, 
in 
particolare, 
il 
reimpiego 
del 
danaro 
proveniente 
da 
attività 
criminosa» 
(sentenza n. 510 del 2000). 


Si 
tratta dei 
medesimi 
effetti 
(e, invero, potenzialmente 
degli 
unici 
effetti, 
a differenza di 
quel 
che 
accade 
per 
le 
misure 
di 
prevenzione, da cui 
ne 
derivano 
altri, 
diversi) 
che 
conseguono 
all’informazione 
antimafia. 
Come 
già 
detto, tale 
ultimo provvedimento, infatti, può basarsi, sia sulla sussistenza di 
una delle 
cause 
di 
decadenza previste 
dall’art. 67 cod. antimafia (dunque, in 
ipotesi, 
proprio 
su 
una 
misura 
di 
prevenzione 
applicata 
con 
provvedimento 
definitivo), 
sia 
sulla 
sussistenza 
«di 
eventuali 
tentativi 
di 
infiltrazione 
mafiosa» 
(art. 
84, 
comma 
3, 
cod. 
antimafia), 
desumibili 
da 
una 
serie 
di 
elementi 
indicati 
negli 
artt. 84, comma 4, e 
91, comma 6, cod. antimafia. il 
provvedimento potrebbe 
essere 
assunto in presenza di 
situazioni 
non necessariamente 
già vagliate 
dalla 
magistratura, 
e 
da 
cui 
non 
sono 
dunque 
già 
scaturite 
ulteriori 
conseguenze a carico dei soggetti interessati. 


La ratio dell’informazione 
antimafia, in funzione 
di 
«massima anticipazione 
della soglia di 
prevenzione» (tra le 
più recenti, Consiglio di 
Stato, sezione 
prima, 
sentenza 
18 
giugno 
2021, 
n. 
1060), 
è 
del 
resto 
quella 
di 
apprestare 
la 
«salvaguardia 
dell’ordine 
pubblico 
economico, 
della 
libera 
concorrenza 
tra 
le 
imprese 
e 
del 
buon 
andamento 
della 
Pubblica 
amministrazione
» 
(in 
questo 
senso 
la 
già 
citata 
sentenza 
del 
Consiglio 
di 
Stato, 
adunanza 
plenaria, n. 3 del 
2018, e 
la sentenza della sezione 
terza, 3 maggio 2016, n. 
1743). 


in 
tale 
contesto, 
tuttavia, 
solo 
nei 
confronti 
del 
soggetto 
attinto 
da 
misura 
di 
prevenzione 
e 
non 
in 
riferimento 
a 
quello 
colpito 
da 
interdittiva 
gli 
interessi 
di 
rilievo pubblicistico in tal 
modo perseguiti 
sono destinati 
a cedere 
il 
passo 
all’insopprimibile 
esigenza 
di 
non 
mettere 
a 
rischio 
la 
possibilità 
del 
soggetto 
di sostentare sé stesso e la propria famiglia. 


Vien così 
da rilevare 
che 
proprio nell’ambito di 
un procedimento finalizzato 
al 
rilascio 
dell’informazione 
interdittiva 
-fondato 
sulla 
rilevazione 
di 
elementi 
di 
pericolo 
non 
necessariamente 
già 
passati 
al 
vaglio 
della 
magistratura, 
e 
relativo 
ad 
attività 
economiche 
operanti 
spesso 
in 
un’area 
contigua, 



RaSSegna 
avvocatuRa 
dello 
Stato -n. 2/2023 


o addirittura solo potenzialmente 
contigua, alla criminalità organizzata -il 
legislatore 
dovrebbe, 
a 
fortiori, 
consentire 
la 
valutazione 
dell’effetto 
prodotto 
dalle interdizioni sul sostentamento dei soggetti interessati. 
La 
limitata 
durata 
temporale 
dell’interdittiva, 
prevista 
dall’art. 
86, 
comma 2, cod. antimafia, non parrebbe, d’altra parte, elemento sufficiente 
a 
giustificare 
la deteriore 
disciplina riservata a coloro che 
siano raggiunti 
da 
tale provvedimento (analogamente, già sentenza n. 57 del 2020). 


Non erra, a tal 
proposito, il 
rimettente 
quando osserva che 
dodici 
mesi 
di 
interruzione 
dell’attività 
imprenditoriale 
potrebbero 
determinare 
conseguenze 
irrimediabili sulla sua sopravvivenza. 


ancora, 
non 
appare 
misura 
idonea 
a 
scongiurare 
un 
contrasto 
con 
il 
principio 
di 
uguaglianza 
l’applicazione 
del 
controllo 
giudiziario 
(e, 
dopo 
l’entrata 
in vigore 
del 
d.l. n. 152 del 
2021, come 
convertito, delle 
richiamate 
misure 
di 
prevenzione 
amministrativa 
collaborativa, 
comunque 
non 
applicabili, 
ratione 
temporis, 
al 
caso 
di 
specie), 
che 
pure 
risponde 
all’apprezzabile 
finalità 
di 
contemperare 
le 
esigenze 
di 
difesa sociale 
e 
di 
tutela della concorrenza con l’interesse 
alla continuità aziendale. infatti, non diversamente 
da quanto è 
stato 
ultimamente 
previsto 
ai 
fini 
dell’applicazione 
delle 
misure 
di 
prevenzione 
amministrativa 
collaborativa, anche 
per 
poter 
accedere 
al 
controllo giudiziario 
non assume 
rilievo decisivo la condizione 
economica dell’interessato, quanto 
il 
grado di 
pericolosità dell’infiltrazione 
mafiosa, ovvero la «bonificabilità», 
in 
termini 
prognostici, 
dell’impresa 
(Corte 
di 
cassazione, 
sezione 
sesta 
penale, 
sentenze 
13 maggio -15 giugno 2021, n. 23330 e 
sezione 
seconda penale, 28 
gennaio - 5 marzo 2021, n. 9122). 


2. -alla luce 
di 
tali 
considerazioni, non è 
dubbio che 
l’ordinanza di 
rimessione 
sottolinei 
correttamente 
l’esistenza 
di 
una 
ingiustificata 
disparità 
di 
trattamento, che necessita di un rimedio. 
a 
questo 
scopo, 
tuttavia, 
e 
allo 
stato, 
non 
appare 
strumento 
idoneo 
la 
pronuncia 
di 
accoglimento 
delineata 
nell’ordinanza 
di 
rimessione, 
che 
chiede 
di 
trasporre, 
nella 
disciplina 
relativa 
alla 
informazione 
interdittiva, 
la 
deroga 
attualmente 
prevista 
dall’art. 
67, 
comma 
5, 
cod. 
antimafia 
con 
riferimento 
alle sole misure di prevenzione personali. 


2.1. 
-in 
primo 
luogo, 
occorre 
considerare 
che, 
secondo 
la 
prospettazione 
del 
rimettente, 
una 
pronuncia 
di 
tal 
fatta 
avrebbe 
l’effetto 
di 
attribuire 
all’autorità 
prefettizia, 
nell’ambito 
del 
procedimento 
che 
conduce 
al 
rilascio 
dell’informazione 
antimafia, 
un 
potere 
valutativo 
-quello 
finalizzato 
a 
verificare 
se, 
per 
effetto 
delle 
decadenze 
e 
dei 
divieti 
di 
cui 
all’art. 
67 
cod. 
antimafia, 
vengano 
meno 
i 
mezzi 
di 
sostentamento 
all’interessato 
e 
alla 
sua 
famiglia 
-che 
attualmente 
il 
codice 
affida, 
invece, 
all’apprezzamento 
del-
l’autorità 
giudiziaria, 
nel 
contesto 
del 
procedimento 
e 
delle 
garanzie 
proprie 
di 
un 
giudizio. 
Non solo si 
tratterebbe, quindi, di 
estendere 
la disciplina derogatoria in 



temi 
iStituzionali 


questione 
dal 
settore 
delle 
misure 
di 
prevenzione 
a quello dell’informazione 
antimafia, 
ma, 
altresì, 
di 
attribuirne 
l’applicazione 
ad 
un’autorità 
diversa, 
trasferendola dall’autorità giudiziaria a quella amministrativa. 


Da 
questo 
punto 
di 
vista, 
è 
richiesta 
una 
pronuncia 
connotata 
da 
un 
«cospicuo 
tasso di 
manipolatività» (sentenze 
n. 80 e 
n. 21 del 
2020, n. 219 del 
2019 
e 
n. 23 
del 
2016; 
in 
termini, ordinanze 
n. 126 
del 
2019 
e 
n. 12 
del 
2017), 
che 
determinerebbe 
l’innesto, nel 
sistema vigente, di 
un istituto inedito, e 
che 
presupporrebbe, 
oltretutto, 
l’attribuzione 
all’autorità 
prefettizia 
di 
nuovi, 
specifici 
poteri istruttori, allo stato inesistenti. 


2.2. -in secondo luogo, l’informazione 
antimafia, sebbene 
comporti 
accertamenti 
su persone 
fisiche 
(indicate 
all’art. 85 cod. antimafia), mira a verificare 
la sussistenza di 
eventuali 
tentativi 
di 
infiltrazione 
mafiosa tendenti 
a 
condizionare 
l’attività di 
«società o imprese» (art. 84, comma 3, cod. antimafia) 
cui 
tali 
soggetti 
siano collegati. il 
provvedimento in questione 
riguarda, 
dunque, gli 
operatori 
economici, che 
siano persone 
giuridiche 
o imprese 
individuali, 
come 
recentemente 
sottolineato dallo stesso rimettente 
(Tar 
Calabria, 
sentenze 10 maggio 2022, n. 781 e 3 gennaio 2022, n. 2). 
2.3. 
il 
caso 
da 
cui 
originano 
le 
presenti 
questioni 
di 
legittimità 
costituzionale 
concerne 
specificamente 
una 
impresa 
individuale 
e, 
benché 
ciò 
non 
sia 
del 
tutto 
esplicitato 
nell’ordinanza 
di 
rimessione, 
le 
censure 
sollevate 
dal 
rimettente 
risultano 
ritagliate 
su 
tale 
specifica 
situazione. 
Del 
resto, 
proprio 
per 
effetto 
del 
rapporto 
di 
sostanziale 
immedesimazione 
che 
nella 
fattispecie 
in 
esame 
sussiste 
tra 
imprenditore 
e 
impresa, 
stride 
con 
il 
principio 
di 
uguaglianza 
la 
circostanza 
che 
il 
prefetto 
non 
possa 
valutare, 
come 
invece 
può 
fare 
il 
giudice 
nei 
confronti 
del 
soggetto 
prevenuto, 
l’incidenza 
degli 
effetti 
interdittivi 
sulle 
capacità 
di 
sostentamento 
dell’«interessato» 
e 
della 
sua 
«famiglia». 
in 
definitiva, 
è 
particolarmente 
in 
ipotesi 
di 
questo 
genere, 
appunto 
di 
sostanziale 
sovrapposizione 
fra persona e 
attività economica, che 
emerge 
la 
disparità di trattamento lamentata dal giudice a quo. 


Tuttavia, 
a 
ben 
vedere, 
anche 
una 
pronuncia 
di 
illegittimità 
costituzionale 
che 
ritagli 
il 
dispositivo 
di 
accoglimento 
sulla 
specifica 
situazione 
del 
giudizio 
a 
quo 
presenterebbe 
delicate 
implicazioni. 
Dovrebbe 
invero 
essere 
frutto 
di 
scelta discrezionale, come 
tale 
anch’essa spettante 
al 
legislatore, riservare, 
nell’ambito dell’informazione 
interdittiva, alla sola peculiare 
fattispecie 
del-
l’impresa individuale 
l’applicabilità di 
una deroga quale 
quella prevista dal-
l’art. 
67, 
comma 
5, 
cod. 
antimafia, 
oppure, 
eventualmente, 
ampliarne 
i 
destinatari, coinvolgendo ulteriori 
soggetti 
economici 
(ad esempio le 
società 
di 
persone, 
o 
addirittura 
anche 
quelle 
di 
capitali), 
risultando 
altresì 
necessario 
precisare, in tali 
ultime 
ipotesi, quale 
o quali 
soggetti, collegati 
all’impresa, 
dovrebbero essere oggetto di considerazione. 


2.4. 
-in 
terzo 
luogo, 
vi 
è 
da 
considerare 
che 
le 
misure 
di 
prevenzione 
personali 
hanno, 
come 
accennato, 
un 
proprio 
e 
tradizionale 
contenuto 
tipico 


RaSSegna 
avvocatuRa 
dello 
Stato -n. 2/2023 


delineato 
all’art. 
8 
cod. 
antimafia 
-cui 
i 
divieti 
e 
le 
preclusioni 
elencati 
all’art. 
67 cod. antimafia si 
aggiungono in via accessoria. invece, le 
misure 
interdittive 
antimafia (laddove 
non si 
basino a loro volta su provvedimenti 
dell’autorità 
giudiziaria, 
già 
produttivi 
di 
conseguenze 
autonome) 
esauriscono 
i 
propri 
effetti 
pregiudizievoli 
proprio 
nei 
divieti 
e 
nelle 
decadenze 
di 
ordine 
economico 
previste 
dal 
medesimo 
articolo, 
sicché 
l’eventuale 
inibizione 
in 
toto 
della 
loro 
applicazione, sia pur 
in nome 
di 
fondamentali 
esigenze 
quali 
quelle 
rappresentate 
dal 
giudice 
a 
quo, 
significherebbe 
privarle 
di 
oggetto 
e, 
perciò, 
di 
qualunque 
utilità, frustrando gli obbiettivi cui esse mirano. 


Per 
scongiurare 
un simile 
paradossale 
effetto, bisognerebbe 
almeno ritenere 
che 
l’art. 67, comma 5, cod. antimafia non richiede 
di 
escludere 
“in 
blocco” 
tutte 
le 
decadenze 
e 
i 
divieti 
in esso richiamati, ma solo quelli 
essenziali 
a dare 
continuità all’attività economica da cui 
il 
soggetto, e 
la sua famiglia, 
traggano 
alimento. 
interpretazione, 
peraltro, 
non 
del 
tutto 
piana, 
non 
impedita dalla lettera della disposizione 
in questione, e 
tuttavia nemmeno facilitata 
dall’inesistenza 
di 
una 
significativa 
giurisprudenza 
in 
materia: 
ciò 
che, 
insieme 
al 
richiesto 
trasferimento 
del 
potere 
valutativo 
in 
merito 
dal 
giudice 
al 
prefetto, accentua ulteriormente 
il 
carattere 
manipolativo della pronuncia 
prospettata 
dal 
rimettente, 
che, 
anche 
da 
questo 
punto 
di 
vista, 
chiama 
in causa scelte spettanti alla discrezionalità legislativa. 


2.5. 
infine, 
appartiene 
allo 
stesso 
modo 
alla 
discrezionalità 
legislativa 
decidere 
se 
e 
come 
utilizzare 
allo scopo invocato dal 
giudice 
a quo, innovandoli 
ulteriormente, 
alcuni 
utili 
strumenti, 
quali 
il 
controllo 
giudiziario 
o 
le 
misure 
amministrative 
di 
prevenzione 
collaborativa 
(già 
di 
recente 
oggetto 
di 
modifiche), al 
fine 
di 
meglio contemperare 
l’interesse 
pubblico alla sicurezza 
e 
la 
generale 
libertà 
del 
mercato, 
da 
una 
parte, 
e 
il 
diritto 
della 
persona 
a 
veder 
garantiti 
i 
propri 
mezzi 
di 
sostentamento, dall’altra: inserendo esplicitamente, 
tra le 
valutazioni 
che 
tali 
misure 
consentono, la possibilità di 
decidere 
selettive 
deroghe 
agli 
effetti 
interdittivi 
e 
alle 
decadenze 
di 
cui 
all’art. 
67 
cod. 
antimafia, 
proprio 
in 
vista 
di 
assicurare 
alle 
persone 
coinvolte 
i 
necessari 
mezzi di sostentamento economico. 
3. -in definitiva, come 
si 
vede, non può essere 
una pronuncia di 
questa 
Corte, 
allo 
stato, 
a 
farsi 
carico 
-allo 
scopo 
di 
sanare 
l’accertato 
vulnus 
al 
principio di 
uguaglianza -dei 
complessi 
profili 
fin qui 
segnalati. Per 
queste 
ragioni, 
le 
questioni 
di 
legittimità 
costituzionale 
devono 
essere 
dichiarate 
inammissibili. 
Pure, 
deve 
trovare 
soddisfazione 
in 
tempi 
rapidi 
la 
necessità 
di 
accordare 
tutela alle 
esigenze 
di 
sostentamento dei 
soggetti 
che 
subiscono, insieme 
alle 
loro 
famiglie, 
a 
causa 
delle 
inibizioni 
all’attività 
economica, 
gli 
effetti 
del-
l’informazione interdittiva. 


Del 
resto, 
a 
fortiori 
in 
contesti 
interessati 
da 
reali 
o 
potenziali 
infiltrazioni 
criminali, 
la 
possibilità 
di 
trarre 
sostentamento 
da 
attività 
economiche 
che 



temi 
iStituzionali 


potrebbero risultare 
legali 
e 
“sane” 
(ovvero essere 
rese 
tali 
anche 
perché 
opportunamente 
“controllate”) costituisce 
non solo oggetto di 
un diritto individuale 
costituzionalmente 
tutelato, 
ma 
anche 
interesse 
pubblico 
essenziale, 
proprio in nome 
della difesa della legalità e 
della necessaria sottrazione 
di 
spazi di intervento e di influenza alla criminalità organizzata. 


Si 
è 
già 
ricordato 
che 
nella 
sentenza 
n. 
57 
del 
2020 
questa 
Corte 
aveva 
sottolineato 
come 
l’omessa 
previsione, 
in 
capo 
al 
prefetto, 
della 
possibilità 
di 
esercitare, 
adottando 
l’informazione 
interdittiva, 
i 
poteri 
attribuiti 
al 
giudice 
dall’art. 
67, 
comma 
5, 
cod. 
antimafia, 
nel 
caso 
di 
adozione 
delle 
misure 
di 
prevenzione, 
«merita[sse] 
indubbiamente 
una 
rimeditazione 
da 
parte 
del 
legislatore». 


Questa rimeditazione, tuttavia, non risulta finora avvenuta. Per 
tale 
ragione, 
in considerazione 
del 
rilievo dei 
diritti 
costituzionali 
interessati 
dalle 
odierne 
questioni, 
questa 
Corte 
non 
può 
conclusivamente 
esimersi 
dal 
segnalare 
che 
un ulteriore 
protrarsi 
dell’inerzia legislativa non sarebbe 
tollerabile 
(analogamente, sentenza n. 22 del 
2022) e 
la indurrebbe, ove 
nuovamente 
investita, 
a provvedere direttamente, nonostante le difficoltà qui descritte”. 


3. Questioni di massima e modifiche normative. 
in sede 
di 
applicazione 
della 
disciplina 
dettata 
dal 
codice 
antimafia 
e 
dei 
recenti 
orientamenti 
giurisprudenziali 
sono 
emerse 
alcune 
problematiche 
di 
interesse, che di seguito si ritiene utile evidenziare. 


l’art. 
92, 
comma 
2 
bis 
del 
d.lgs. 
159/2011 
prevede 
quanto 
segue: 
“il 
prefetto, 
nel 
caso in cui, sulla base 
degli 
esiti 
delle 
verifiche 
disposte 
ai 
sensi 
del 
comma 2, ritenga sussistenti 
i 
presupposti 
per 
l’adozione 
dell’informazione 
antimafia 
interdittiva 
ovvero 
per 
procedere 
all’applicazione 
delle 
misure 
di 
cui 
all’articolo 94-bis, (…) 
ne 
dà tempestiva comunicazione 
al 
soggetto interessato, 
indicando 
gli 
elementi 
sintomatici 
dei 
tentativi 
di 
infiltrazione 
mafiosa. 
(…) 
in ogni 
caso, non possono formare 
oggetto della comunicazione 
di 
cui 
al 
presente 
comma elementi 
informativi 
il 
cui 
disvelamento sia idoneo a 
pregiudicare 
procedimenti 
amministrativi 
o attività processuali 
in corso, ovvero 
l’esito 
di 
altri 
accertamenti 
finalizzati 
alla 
prevenzione 
delle 
infiltrazioni 
mafiose”. 


la 
norma, pertanto, prevede 
la 
mera 
comunicazione 
degli 
elementi 
sintomatici 
dei 
tentativi 
di 
infiltrazione 
mafiosa, indicando altresì 
i 
limiti 
entro 
cui possono essere comunicati i succitati elementi sintomatici. 


il 
d.m. 16 marzo 2022, concernente 
la 
“Disciplina delle 
categorie 
di 
documenti 
sottratti 
al 
diritto di 
accesso ai 
documenti 
amministrativi, in attuazione 
dell’art. 
24, 
comma 
2, 
della 
legge 
7 
agosto 
1990, 
n. 
241, 
come 
modificato 
dall’articolo 
16 
della 
legge 
11 
febbraio 
2005, 
n. 
15”, 
all’art. 
3, 
comma 
1 indica 
le 
categorie 
di 
documenti 
inaccessibili 
per motivi 
di 
ordine 
e 
sicurezza 
pubblica, 
ovvero 
ai 
fini 
di 
prevenzione 
e 
repressione 
della 
criminalità 
sottratti 
all’accesso ed, alla 
lett. e), specifica 
che 
rimangono esclusi 
“i 
docu



RaSSegna 
avvocatuRa 
dello 
Stato -n. 2/2023 


menti 
istruttori 
inerenti 
ai 
procedimenti 
relativi 
al 
rilascio della documentazione 
antimafia, 
nonché 
i 
documenti, 
comunque 
prodotti 
o 
acquisiti, 
la 
cui 
conoscenza 
può 
pregiudicare 
l’attività 
di 
prevenzione 
delle 
infiltrazioni 
della 
criminalità organizzata, e 
i 
provvedimenti 
prefettizi 
in materia di 
antimafia”. 


ciò premesso, si 
è 
posto il 
problema 
dei 
limiti 
dell’accesso nei 
casi 
in 
cui 
il 
procedimento di 
rilascio delle 
informazioni 
antimafia risulti 
in 
fase 
istruttoria, 
in 
assenza 
di 
una 
specifica 
disposizione 
normativa 
al 
riguardo, 
che sarebbe auspicabile. 


Si 
è 
ragionevolmente 
ritenuto 
-da 
parte 
di 
alcune 
Prefetture 
-che, 
in 
tali 
casi, 
avendo 
la 
Prefettura 
comunicato 
“gli 
elementi 
sintomatici 
dei 
tentativi 
di 
infiltrazione 
mafiosa”, 
nei 
limiti 
previsti 
dalla 
normativa, 
in 
piena 
aderenza 
a 
quanto 
prescritto 
dall’art. 
92, 
comma 
2 
bis 
del 
d.lgs. 
159/2011, 
non 
sussistono 
i 
presupposti 
di 
legge 
per 
accogliere 
la 
richiesta 
di 
accesso, 
potendo 
il 
relativo 
diritto 
essere 
esercitato, 
nei 
limiti 
di 
legge, 
in 
un 
momento 
successivo, 
ove 
il 
procedimento 
di 
rilascio 
si 
concluda 
sfavorevolmente 
per 
la 
società 
interessata. 


non risultano allo stato pronunce su tale aspetto. 


altra 
questione 
emersa 
riguarda 
l’applicabilità dell’art. 35-bis 
comma 
3 del 
d.lgs. n. 159/2011 nel 
caso di 
sequestro preventivo disposto ai 
sensi 
dell’art. 321 c.p.p., 
con particolare 
riferimento alla 
sospensione 
degli 
effetti 
delle certificazioni antimafia interdittive. 


l’art. 
35-bis 
-responsabilità 
nella 
gestione 
e 
controlli 
della 
pubblica 
amministrazione, al 
comma 
3, dispone 
quanto segue: 
“al 
fine 
di 
consentire 
la 
prosecuzione 
dell’attività dell’impresa sequestrata o confiscata, dalla data di 
nomina 
dell’amministratore 
giudiziario 
e 
fino 
all’eventuale 
provvedimento 
di 
dissequestro dell’azienda o di 
revoca della confisca della stessa, o fino alla 
data di 
destinazione 
dell’azienda, disposta ai 
sensi 
dell’articolo 48, sono sospesi 
gli 
effetti 
della 
pregressa 
documentazione 
antimafia 
interdittiva, 
nonché 
le procedure pendenti preordinate al conseguimento dei medesimi effetti”. 


la 
norma 
in questione 
è 
collocata 
sistematicamente 
nel 
libro i -Le 
misure 
di 
prevenzione, capo i -L’amministrazione 
dei 
beni 
sequestrati 
e 
confiscati, 
titolo 
iii 
-L’amministrazione, 
la 
gestione 
e 
la 
destinazione 
dei 
beni 
sequestrati e confiscati. 


occorre 
anche 
considerare 
che 
-ai 
sensi 
dell’art. 
104-bis 
disp. 
att. 
c.p.p. 
-amministrazione 
dei 
beni 
sottoposti 
a 
sequestro 
e 
confisca. 
Tutela 
dei 
terzi 
nel 
giudizio:“1. 
in 
tutti 
i 
casi 
in 
cui 
il 
sequestro 
preventivo 
o 
la 
confisca 
abbiano 
per 
oggetto 
aziende, 
società 
ovvero 
beni 
di 
cui 
sia 
necessario 
assicurare 
l’amministrazione, 
esclusi 
quelli 
destinati 
ad 
affluire 
nel 
Fondo 
unico 
giustizia, 
di 
cui 
all’articolo 
61, 
comma 
23, 
del 
decreto-legge 
25 
giugno 
2008, 
n. 
112, 
convertito, 
con 
modificazioni, 
dalla 
legge 
6 
agosto 
2008, 
n. 
133, 
l’autorità 
giudiziaria 
nomina 
un 
amministratore 
giudiziario 
scelto 
nell’albo 
di 
cui 
all’articolo 
35 
del 
codice 
di 
cui 
al 
decreto 
legislativo 
6 
set



temi 
iStituzionali 


tembre 
2011, 
n. 
159, 
e 
successive 
modificazioni. 
Con 
decreto 
motivato 
del-
l’autorità 
giudiziaria 
la 
custodia 
dei 
beni 
suddetti 
può 
tuttavia 
essere 
affidata 
a 
soggetti 
diversi 
da 
quelli 
indicati 
al 
periodo 
precedente. 
1-bis. 
Si 
applicano 
le 
disposizioni 
di 
cui 
al 
Libro 
i, 
titolo 
iii, 
del 
codice 
di 
cui 
al 
decreto 
legislativo 
6 
settembre 
2011, 
n. 
159, 
e 
successive 
modificazioni 
nella 
parte 
in 
cui 
recano 
la 
disciplina 
della 
nomina 
e 
revoca 
dell’amministratore, 
dei 
compiti, 
degli 
obblighi 
dello 
stesso 
e 
della 
gestione 
dei 
beni. 
in 
caso 
di 
sequestro 
disposto 
ai 
sensi 
dell’articolo 
321, 
comma 
2, 
del 
codice 
o 
di 
confisca 
ai 
fini 
della 
tutela 
dei 
terzi 
e 
nei 
rapporti 
con 
la 
procedura 
di 
liquidazione 
giudiziaria 
si 
applicano, 
altresì, 
le 
disposizioni 
di 
cui 
al 
titolo 
iV 
del 
Libro 
i 
del 
citato 
decreto 
legislativo 
[…]”. 


dal 
combinato disposto degli 
artt. 321 c.p.p. e 
104 bis 
disp. att. c.p.p. si 
evince 
che 
la 
nomina 
dell’amministratore 
giudiziario è 
finalizzata 
alla 
prosecuzione 
dell’attività 
aziendale, al 
fine 
di 
consentire 
l’amministrazione 
dinamica 
dell’azienda e non la semplice custodia dei beni sequestrati. 


d’altra 
parte, 
a 
fronte 
delle 
innumerevoli 
tipologie 
di 
sequestri 
si 
è 
avvertita 
l’esigenza 
di 
unificare 
il 
più 
possibile 
la 
disciplina 
concernente 
la 
gestione 
dei 
beni 
sequestrati, 
individuando 
nel 
codice 
antimafia 
il 
corpus 
normativo 
di 
riferimento. 
Questa 
tendenza 
unificante 
del 
legislatore 
è 
stata 
confermata 
dagli 
interventi 
di 
cui 
alla 
legge 
n. 
161/2017, 
al 
d.lgs. 
n. 
21/2018, 
al 
d.lgs. 
n. 
13/2019 
e 
al 
d.lgs. 
n. 
150/2022, 
che 
hanno 
interessato 
l’art. 
104 
bis 
disp. 
att. 
c.p.p. 


tuttavia, il 
comma 
1-bis 
dell’art. 104-bis 
disp. att. c.p.p., nel 
prevedere 
l’applicazione 
delle 
disposizioni 
di 
cui 
al 
libro 
i, 
titolo 
iii, 
del 
d.lgs. 
n. 
159/2011, la 
limita 
alla 
“parte 
in cui 
recano la disciplina della nomina e 
revoca 
dell’amministratore, dei 
compiti, degli 
obblighi 
dello stesso e 
della gestione”, 
non 
includendo 
espressamente 
l’art. 
35 
bis, 
rientrante 
nel 
capo 
i 
“L’amministrazione dei beni sequestrati e confiscati”. 


il 
carattere 
speciale 
di 
tale 
ultima 
previsione 
nonché 
il 
contesto 
normativo 
di 
riferimento, 
inducono 
a 
ritenere 
non 
estensibile 
-in 
assenza 
di 
una 
espressa 
previsione 
-l’applicazione 
dell’art. 35-bis 
anche 
al 
sequestro preventivo, che 
peraltro è 
ispirato da 
una 
diversa 
ratio, attinente 
al 
“pericolo che 
la libera disponibilità 
di 
una 
cosa 
pertinente 
al 
reato 
possa 
aggravare 
o 
protrarre 
le 
conseguenze 
di esso ovvero agevolare la commissione di altri reati”. 


alla 
luce 
delle 
considerazioni 
che 
precedono non si 
ritiene, dunque, che 
nei 
casi 
di 
sequestro preventivo ex 
art. 321 c.p.p. si 
determini 
la 
sospensione 
degli 
effetti 
delle 
certificazioni 
antimafia 
interdittive 
adottate 
o 
delle 
procedure 
pendenti a ciò preordinate. 


tali 
considerazioni 
hanno 
ricevuto 
l’avallo 
della 
giurisprudenza 
amministrativa. 
il 
t.a.r. 
lazio 
-sez. 
latina, 
con 
la 
sentenza 
n. 
650/2023, 
ha 
al 
riguardo 
statuito 
quanto 
segue: 
“Con 
il 
provvedimento 
n. 
-omissis-impugnato 
la 
Prefettura 
ha 
rigettato 
l’istanza 
ritenendo 
non 
estensibile 
il 
disposto 
dell’art. 
35-bis 
comma 
3 
del 
D.lgs. 
159/2011 
al 
sequestro 
preventivo, 
essendo 
quest’ultimo 



RaSSegna 
avvocatuRa 
dello 
Stato -n. 2/2023 


ispirato 
a 
diversa 
ratio 
legis 
in 
quanto 
finalizzato 
ad 
impedire 
che 
la 
libera 
disponibilità 
di 
una 
cosa 
pertinente 
al 
reato 
possa 
aggravarne 
le 
conseguenze 
o 
agevolare 
la 
commissione 
di 
altri 
illeciti 
e 
facendo, 
altresì, 
presente 
la 
perduranza 
degli 
effetti 
dell’interdittiva 
del 
6 
ottobre 
2020, 
in 
quanto 
confermata 
dalla 
sentenza 
del 
Consiglio 
di 
Stato 
n. 
491 
del 
16 
gennaio 
2023. 


10. 
Ciò 
posto, 
deve 
in 
primo 
lungo 
escludersi 
la 
fondatezza 
del 
primo 
motivo di censura. 
10.1. 
Sostiene, 
in 
proposito, 
la 
ricorrente 
che 
-in 
disparte 
l’insussistenza 
di 
ogni 
possibilità 
di 
sottoposizione 
al 
pericolo 
infiltrativo 
in 
ragione 
della 
sottoposizione 
della società alla misura cautelare 
del 
sequestro preventivo dal 
combinato disposto dell’art. 104-bis 
delle 
disp. att. al 
c.p.p., dell’art. 321 
c.p.p. 
e 
dell’art. 
35-bis 
comma 
3 
D.lgs. 
n. 
159/2011 
emergerebbe 
l’automatica 
perdita di 
efficacia della misura interdittiva, cosicché 
la Prefettura, in difetto 
di 
ulteriori 
elementi 
eventualmente 
sopravvenuti, 
sarebbe 
tenuta 
a 
disporre 
la propria reiscrizione nella white list. 
10.2. La tesi non può essere condivisa. 
10.3. occorre 
premettere 
che 
l’art. 104-bis 
disp. att. al 
c.p.p. prevede, al 
comma 1, che 
«in tutti 
i 
casi 
in cui 
il 
sequestro preventivo o la confisca abbiano 
per 
oggetto 
aziende, 
società 
ovvero 
beni 
di 
cui 
sia 
necessario 
assicurare 
l’amministrazione, (…) 
l’autorità giudiziaria nomina un amministratore 
giudiziario 
scelto nell’albo di 
cui 
all’articolo 35 del 
codice 
di 
cui 
al 
decreto legislativo 
6 
settembre 
2011, 
n. 
159, 
e 
successive 
modificazioni»; 
mentre 
al 
comma 1-bis 
dispone 
che 
«Si 
applicano le 
disposizioni 
di 
cui 
al 
Libro i, titolo 
iii, del 
codice 
di 
cui 
al 
decreto legislativo 6 settembre 
2011, n. 159, e 
successive 
modificazioni 
nella 
parte 
in 
cui 
recano 
la 
disciplina 
della 
nomina 
e 
revoca 
dell’amministratore, dei 
compiti, degli 
obblighi 
dello stesso e 
della gestione 
dei 
beni. 
in 
caso 
di 
sequestro 
disposto 
ai 
sensi 
dell’articolo 
321, 
comma 
2, 
del 
codice 
o di 
confisca ai 
fini 
della tutela dei 
terzi 
e 
nei 
rapporti 
con la procedura 
di 
liquidazione 
giudiziaria si 
applicano, altresì, le 
disposizioni 
di 
cui 
al titolo iV del Libro i del citato decreto legislativo». 
10.4. L’art. 35-bis 
del 
D.lgs. 159/2011 dispone, al 
comma 3, che 
«al 
fine 
di 
consentire 
la 
prosecuzione 
dell’attività 
dell’impresa 
sequestrata 
o 
confiscata, 
dalla 
data 
di 
nomina 
dell’amministratore 
giudiziario 
e 
fino 
all’eventuale 
provvedimento 
di 
dissequestro 
dell’azienda 
o 
di 
revoca 
della 
confisca 
della 
stessa, 
o 
fino 
alla 
data 
di 
destinazione 
dell’azienda, 
disposta 
ai 
sensi 
dell’articolo 48, sono sospesi 
gli 
effetti 
della pregressa documentazione 
antimafia 
interdittiva, 
nonché 
le 
procedure 
pendenti 
preordinate 
al 
conseguimento 
dei medesimi effetti». 
10.5. Le 
disposizioni 
di 
attuazione 
al 
c.p.p. richiamano, pertanto, le 
disposizioni 
del 
“Codice 
antimafia” 
esclusivamente 
per 
quanto riguarda la disciplina 
della 
nomina 
e 
revoca 
dell’amministratore, 
dei 
compiti, 
degli 
obblighi 
dello stesso e della gestione dei beni. 

temi 
iStituzionali 


10.5.1. 
Tra 
queste, 
ad 
avviso 
del 
Collegio, 
non 
può 
ricomprendersi 
la 
speciale 
previsione 
di 
cui 
all’art. 35-bis 
comma 3 del 
D.lgs. citato, essendo 
interdetta una interpretazione analogica o estensiva della stessa. 
Sul 
punto 
deve, 
infatti, 
richiamarsi 
quanto 
affermato 
dalla 
giurisprudenza, 
secondo cui 
la disposizione 
in argomento, che 
per 
la sua natura eccezionale 
deve 
essere 
interpretata 
secondo 
«canoni 
di 
rigorosa 
tassatività» 
(...), 
«… 
regolamenta una peculiare 
ipotesi 
di 
sospensione 
degli 
effetti 
dell’interdittiva 
antimafia conseguente 
all’adozione 
di 
un provvedimento di 
sequestro 


o di 
confisca di 
natura prevenzionale, sull’evidente 
presupposto che 
la sotto-
posizione 
dell’impresa 
all’invasivo 
monitoraggio 
di 
un 
organo 
statuale 
integri 
una condizione 
sufficiente 
per 
neutralizzare 
il 
rilevato pericolo di 
ingerenza 
della criminalità organizzata nella gestione 
della stessa» (Tar 
Calabria, sez. 
staccata di reggio Calabria, 11 ottobre 2021 n. 780). 
10.5.2. 
Non 
possono, 
peraltro, 
condurre 
a 
differenti 
conclusioni 
le 
pur 
articolate 
tesi 
sostenute 
da parte 
ricorrente 
in merito alla collocazione 
della 
norma 
nel 
“capo” 
richiamato 
dal 
c.p.p. 
nonché 
a 
proposito 
dell’affermata 
affinità 
“teleologico-funzionale” 
tra 
i 
due 
sistemi 
normativi, 
non 
potendosi 
fondatamente 
ritenere 
che 
il 
riferimento operato dall’art. 104-bis 
disp. att. c.p.p. 
alla disciplina del 
Libro i, Titolo iii del 
Codice 
possa, per 
quanto detto in ordine 
alla natura della disposizione, essere 
esteso in via analogica a tutte 
le 
disposizioni 
inerenti 
il 
regime 
giuridico 
dell’amministrazione 
giudiziale, 
in 
applicazione 
del 
noto 
principio 
secondo 
il 
quale 
ubi 
lex 
voluit, 
dixit; 
parimenti 
ininfluenti 
devono ritenersi 
le 
considerazioni 
dalla stessa spiegate 
in merito 
alla correlazione 
del 
sequestro disposto dal 
GiP 
del 
Tribunale 
di 
Latina con 
reati 
fiscali, dovendo l’analisi 
dell’applicabilità della disposizione 
invocata 
essere 
condotta in via generale 
ed astratta, prescindendo dunque 
dalle 
peculiarità 
del singolo caso. 
10.5.3. 
La 
riferita 
eccezionalità 
della 
disposizione 
in 
argomento, 
e 
la 
sua 
conseguente 
inapplicabilità 
a 
casi 
non 
espressamente 
previsti, 
tra 
cui 
il 
sequestro 
preventivo ex 
art. 321 c.p.p. -privano, dunque, di 
condivisibilità la 
censura 
veicolata 
con 
il 
motivo 
all’esame, 
così 
che 
gli 
argomenti 
motivazionali 
spiegati 
dalla Prefettura a supporto del 
diniego impugnato devono ritenersi 
esenti dalle censure mosse”. 
4. Contenziosi 
del 
Comitato di 
Coordinamento per 
l’alta Sorveglianza delle 
infrastrutture 
e 
degli 
insediamenti 
Prioritari 
(CCaSiiP) e 
Struttura di 
missione 
antimafia Sisma 2016. 
il 
comitato 
di 
coordinamento 
per 
l’alta 
Sorveglianza 
delle 
infrastrutture 
e 
degli 
insediamenti 
Prioritari 
(ccaSiiP) costituisce 
lo snodo centrale 
del 
sistema 
di 
monitoraggio antimafia 
nel 
settore 
delle 
infrastrutture 
e 
degli 
insediamenti 
prioritari. 


il 
contenzioso 
registrato 
in 
questi 
ultimi 
anni 
ha 
riguardato 
essenzialmente 



RaSSegna 
avvocatuRa 
dello 
Stato -n. 2/2023 


la 
Struttura 
di 
missione 
antimafia 
Sisma 
2016, istituita 
(cfr. art. 30 del 
d.l. 


n. 189 del 
17 ottobre 
2016, conv. dalla 
l. n. 229 del 
15 dicembre 
2016) per 
garantire 
la 
legalità 
delle 
attività 
di 
ricostruzione 
nei 
territori 
del 
centro italia 
colpiti 
dal 
sisma 
del 
2016, con il 
compito di 
verificare 
la 
documentazione 
antimafia 
degli operatori economici impegnati nei lavori. 
al 
riguardo è 
richiesta 
alle 
imprese 
interessate 
l’iscrizione 
nell’apposita 
“anagrafe 
antimafia 
degli 
esecutori”, 
un 
elenco 
gestito 
dalla 
Struttura 
di 
missione 
in 
raccordo 
con 
le 
Prefetture 
delle 
Province 
interessate 
dal 
Sisma. 
la 
Struttura 
svolge 
attività 
di 
prevenzione 
e 
di 
contrasto 
alle 
infiltrazioni 
della 
criminalità 
organizzata 
nei 
lavori, nella 
gestione 
dei 
servizi 
e 
nel 
reperimento 
delle 
forniture 
necessarie 
alla 
ricostruzione 
dei 
comuni 
del 
centro 
italia 
colpiti 
dagli eventi sismici del 2016. 


nel 
2022 risultano essere 
stati 
instaurati 
innanzi 
al 
t.a.r. lazio n. 5 contenziosi 
e 
la 
Struttura 
ha 
affrontato, tra 
le 
altre, le 
problematiche 
inerenti 
all’istituto 
della “prevenzione collaborativa”. 


in 
particolare, 
uno 
dei 
contenziosi 
instaurati 
si 
è 
concluso 
con 
la 
sentenza 
n. 
3402/2023 
resa 
in 
materia 
di 
accesso 
ai 
documenti 
che 
ha 
respinto 
il 
ricorso, 
motivando 
nel 
senso 
che 
segue: 
“La 
ricorrente 
ha 
dunque 
impugnato 
il 
parziale 
diniego 
di 
accesso, 
evidenziando 
come 
la 
documentazione 
ostesa 
fosse 
talmente 
piena 
di 
“omissis” 
da 
impedire 
il 
diritto 
di 
difesa 
in 
vista 
della 
successiva 
audizione, 
oltre 
che 
priva 
di 
motivazione. 
Si 
è 
costituito 
il 
ministro 
dell’interno, 
deducendo 
che 
il 
nulla 
osta 
all’ostensibilità 
degli 
atti 
era 
stato 
tempestivamente 
richiesto 
agli 
Uffici 
interessati, 
i 
quali 
tuttavia 
lo 
avevano 
negato, 
autorizzando 
solo 
l’invio 
della 
documentazione 
con 
gli 
“omissis” 
necessari 
ai 
sensi 
di 
quanto 
disposto 
dall’art. 
3 
lett. 
c) 
del 
Dm 
13 
marzo 
2022, 
che 
vieta 
l’ostensione 
dei 
documenti 
istruttori 
inerenti 
ai 
procedimenti 
relativi 
al 
rilascio 
della 
documentazione 
antimafia 
quando 
sussiste 
il 
rischio 
di 
pregiudicare 
l’attività 
di 
prevenzione 
delle 
infiltrazioni 
della 
criminalità 
organizzata. 


Quanto ai 
dedotti 
profili 
di 
mancanza di 
motivazione, l’amministrazione 
ha rappresentato che 
una motivazione 
più dettagliata avrebbe 
frustrato l’esigenza 
di 
segretezza posta a tutela dei 
superiori 
interessi 
pubblici, che 
impongono 
di 
mantenere, 
in 
questa 
fase 
nel 
procedimento, 
i 
documenti 
endoprocedimentali 
integralmente 
o parzialmente 
inaccessibili. infine, il 
ministero 
ha 
evidenziato 
che 
nella 
comunicazione 
ex 
art. 
92 
comma 
2 
bis 
del 
D.Lgs. 
159/2011, 
inviata 
alla 
società 
in 
data 
18 
ottobre 
2022, 
erano 
stati 
esaustivamente 
indicati 
gli 
elementi 
informativi 
che 
avevano 
indotto 
l’amministrazione 
a 
ritenere 
persistente 
il 
rischio 
di 
infiltrazione 
mafiosa, 
considerato 
che 
la società era già risultata destinataria di un’interdittiva nell’anno 2016. 


… 
a 
fondamento delle 
proprie 
statuizioni 
l’amministrazione 
ha invocato 
il 
combinato 
disposto 
degli 
articoli 
92 
comma 
2-bis 
del 
D.Lgs. 
159/2011 
e 
dell’art. 3 lett. c) del 
Dm 13 marzo 2022. il 
comma 2-bis 
dell’art. 92 cit. pre



temi 
iStituzionali 


vede 
che 
“il 
prefetto, nel 
caso in cui, sulla base 
degli 
esiti 
delle 
verifiche 
disposte 
ai 
sensi 
del 
comma 2, ritenga sussistenti 
i 
presupposti 
per 
l’adozione 
dell’informazione 
antimafia 
interdittiva 
ovvero 
per 
procedere 
all’applicazione 
delle 
misure 
di 
cui 
all’articolo 94-bis, e 
non ricorrano particolari 
esigenze 
di 
celerità del 
procedimento, ne 
dà tempestiva comunicazione 
al 
soggetto interessato, 
indicando 
gli 
elementi 
sintomatici 
dei 
tentativi 
di 
infiltrazione 
mafiosa. 
Con tale 
comunicazione 
è 
assegnato un termine 
non superiore 
a venti 
giorni 
per 
presentare 
osservazioni 
scritte, eventualmente 
corredate 
da documenti, 
nonché 
per 
richiedere 
l’audizione, 
da 
effettuare 
secondo 
le 
modalità 
previste 
dall’articolo 93, commi 
7, 8 e 
9. in ogni 
caso, non possono formare 
oggetto della comunicazione 
di 
cui 
al 
presente 
comma elementi 
informativi 
il 
cui 
disvelamento sia idoneo a pregiudicare 
procedimenti 
amministrativi 
o attività 
processuali 
in corso, ovvero l’esito di 
altri 
accertamenti 
finalizzati 
alla 
prevenzione 
delle 
infiltrazioni 
mafiose. La predetta comunicazione 
sospende, 
con decorrenza dalla relativa data di 
invio, il 
termine 
di 
cui 
all’articolo 92, 
comma 2. La procedura del 
contraddittorio si 
conclude 
entro sessanta giorni 
dalla data di ricezione della predetta comunicazione”. 


ai 
sensi 
dell’art. 3 lettera “c” 
del 
Dm 13 marzo 2022 sono sottratti 
all’accesso, 
tra 
gli 
altri, 
“i 
documenti 
istruttori 
inerenti 
ai 
procedimenti 
relativi 
al 
rilascio 
della 
documentazione 
antimafia, 
nonché 
i 
documenti, 
comunque 
prodotti 
o acquisiti, la cui 
conoscenza può pregiudicare 
l’attività di 
prevenzione 
delle 
infiltrazioni 
della criminalità organizzata, e 
i 
provvedimenti 
prefettizi 
in materia di antimafia”. 


Posta 
la 
sopra 
indicata 
cornice 
normativa, 
rileva 
il 
Collegio 
che, 
con 
comunicazione 
ai 
sensi 
dell’art. 
92 
comma 
2-bis 
del 
D.Lgs. 
nr. 
159/2011, 
inviata 
alla 
società 
in 
data 
18 
ottobre 
2022, 
sono 
stati 
esposti 
gli 
elementi 
ostativi 
emersi 
nel 
corso 
dell’istruttoria, 
individuati 
dall’amministrazione 
nei 
seguenti 
fatti, ritenuti indice di possibile condizionamento mafioso: 
… 


Emerge 
pertanto 
dagli 
atti 
che 
l’amministrazione 
ha 
comunicato 
alla 
società 
ricorrente 
specifici 
e 
dettagliati 
elementi 
ritenuti 
sintomatici 
del 
rischio 
di 
infiltrazione 
mafiosa, 
assegnando 
un 
termine 
per 
controdedurre, 
in 
vista 
della 
seguente 
audizione, 
conformemente 
a 
quanto 
previsto 
dall’art. 
92 
comma 2-bis del D.Lgs. nr. 159/2011. 


in 
adempimento 
della 
medesima 
disposizione 
normativa, 
la 
richiesta 
di 
accesso 
agli 
atti 
proposta 
dalla 
ricorrente 
-tesa 
in 
sostanza 
a 
conoscere 
gli 
esiti 
degli 
approfondimenti 
info-investigativi 
relativi 
alla 
riscontrata 
contiguità 
tra 
la 
-omissis--omissis-srl 
e 
la 
-omissis--omissis-srl, 
ovvero 
agli 
elementi 
di 
criticità 
riscontrati 
a 
carico 
di 
-omissis--non 
è 
stata 
accolta, 
in 
quanto 
l’amministrazione 
ha 
ritenuto 
che 
gli 
atti 
richiesti 
integrassero 
proprio 
quegli 
elementi 
informativi 
il 
cui 
disvelamento 
può 
essere 
potenzialmente 
idoneo 
a 
pregiudicare 
procedimenti 
amministrativi 
o 
attività 
processuali 
in 
corso, 
ovvero 
l’esito 
di 
altri 
accertamenti 
finalizzati 
alla 
prevenzione 
delle 
infiltrazioni 
mafiose. 



RaSSegna 
avvocatuRa 
dello 
Stato -n. 2/2023 


Tale 
valutazione 
appare 
al 
Collegio 
esente 
dai 
vizi 
dedotti 
dalla 
ricorrente. 
risulterebbe 
infatti 
contraddittorio consentire, per 
il 
tramite 
di 
una richiesta 
di 
accesso, la conoscenza di 
quelle 
informazioni 
che 
il 
Legislatore 
ha 
inteso 
espressamente 
esentare 
dall’obbligo 
generalizzato 
di 
esibizione, 
durante 
la peculiare 
fase 
istruttoria che 
contraddistingue 
il 
procedimento relativo 
all’emanazione 
dell’interdittiva 
antimafia. 
Trattasi, 
all’evidenza, 
di 
un 
procedimento complesso, nel 
quale 
le 
legittime 
esigenze 
cognitive 
e 
partecipative 
dell’operatore 
economico 
sono 
state 
compendiate 
mediante 
il 
peculiare 
meccanismo 
di 
cui 
all’art. 
92 
comma 
2-bis 
cit., 
norma 
che 
si 
colora 
di 
elementi 
di 
spiccata 
specialità 
nel 
prevedere 
la 
possibilità 
di 
comunicare, 
nel 
corso 
del 
procedimento, solo gli 
elementi 
sintomatici 
dei 
tentativi 
di 
infiltrazione 
mafiosa, 
vietando 
espressamente 
la 
diffusione 
degli 
ulteriori 
elementi 
informativi 
indicati dalla disposizione. 


Ciò 
appare 
del 
resto 
coerente 
con 
la 
peculiare 
tipologia 
di 
istruttoria 
che 
connota 
il 
procedimento 
finalizzato 
all’emanazione 
dei 
provvedimenti 
antimafia, 
che 
si 
pongono su di 
un piano di 
anticipazione 
della soglia di 
difesa 
sociale 
e 
sono 
finalizzati 
ad 
assicurare 
una 
tutela 
avanzata 
nel 
campo 
del 
contrasto 
alla criminalità organizzata. Per 
tale 
motivo, si 
tratta di 
provvedimenti 
ispirati 
a 
una 
logica 
di 
massima 
anticipazione 
dell’azione 
di 
prevenzione, 
sorretta 
da elementi 
sintomatici 
e 
indiziari 
da cui 
emergano sufficienti 
elementi 
di 
pericolo 
di 
dette 
evenienze 
e 
quindi 
il 
tentativo 
d’ingerenza 
della 
criminalità 
organizzata, purché 
di 
tali 
aspetti 
si 
dia adeguato conto nella motivazione, in 
relazione alle risultanze dell’istruttoria svolta. 


in tale 
ambito, tuttavia, le 
legittime 
facoltà partecipative 
dell’operatore 
privato 
non 
vengono 
obliterate, 
ma 
subiscono 
alcune 
limitazioni 
funzionali 
al 
corretto 
ed 
efficacie 
svolgimento 
dell’istruttoria, 
che 
potrebbe 
essere 
compromesso 
dal 
disvelamento 
di 
tutti 
gli 
elementi 
info-investigativi 
in 
possesso 
dell’amministrazione, che 
risultano, durante 
la fase 
procedimentale, ancora 
al vaglio delle 
autorità preposte. 


in tale 
quadro, l’art. 92 cit. rappresenta un giusto contemperamento tra 
le 
legittime 
aspettative 
di 
accesso alle 
informazioni 
sintomatiche 
di 
rischio di 
infiltrazione 
mafiosa e 
le 
esigenze 
di 
segretezza necessarie 
a non compromettere 
l’esito delle 
verifiche; di 
qui 
l’obbligo per 
l’amministrazione 
di 
comunicare 
i 
soli 
elementi 
sintomatici 
del 
tentativo 
di 
infiltrazione 
mafiosa, 
assegnando 
un 
termine 
per 
presentare 
osservazioni 
scritte, 
fatta 
eccezione 
per 
gli 
elementi 
informativi 
il 
cui 
disvelamento sia idoneo a pregiudicare 
procedimenti 
amministrativi 
o attività processuali 
in corso, ovvero l’esito di 
altri 
accertamenti finalizzati alla prevenzione delle infiltrazioni mafiose. 


Tale 
esenzione 
ha l’evidente 
finalità di 
mantenere 
il 
riserbo sull’attività 
istruttoria 
condotta 
dall’amministrazione, 
fino 
a 
che 
l’azione 
di 
accertamento 
non sia stata conclusa mediante 
emanazione 
del 
provvedimento finale 
e 
mira 
ad evitare 
un pregiudizio per 
l’azione 
amministrativa, potendo la conoscenza 



temi 
iStituzionali 


degli 
elementi 
info-investigativi 
ostacolare 
o rendere 
più difficoltoso l’accertamento 
della condizione 
di 
permeabilità oggetto di 
indagine 
da parte 
delle 
forze 
di 
polizia. Questa limitazione, peraltro, non sacrifica in misura irragionevole 
i 
diritti 
dell’operatore 
economico, in quanto è 
temporalmente 
limitata 
al 
periodo 
di 
svolgimento 
dell’istruttoria, 
venendo 
automaticamente 
meno 
con 
l’emanazione 
del 
provvedimento conclusivo, momento in cui 
il 
diritto di 
accesso 
si riespande nella consueta massima ampiezza. 


Per 
la 
medesima 
ragione, 
non 
può 
pretendersi 
un 
onere 
motivazionale 
particolarmente 
approfondito 
da 
parte 
dell’amministrazione, 
che 
pregiudicherebbe 
la 
riservatezza 
degli 
elementi 
info-investigativi 
ancora 
al 
vaglio 
delle 
autorità preposte, sia nel 
procedimento in corso di 
svolgimento, sia in quelli 
eventualmente connessi. 


Né 
può 
ravvisarsi, 
come 
sostenuto 
dalla 
ricorrente, 
alcuna 
violazione 
della 
normativa 
sovranazionale 
ed, 
in 
specie, 
dell’art. 
1 
e 
dell’art. 
6 
della 
CEDU, 
ovvero 
dell’art. 
41 
della 
Carta 
di 
Nizza. 
Quanto 
alle 
prime 
due 
disposizioni, 
si 
rileva 
che 
i 
diritti 
partecipativi 
dell’interessato 
non 
risultano 
compromessi, 
attesa 
l’esaustiva 
rappresentazione 
degli 
elementi 
ostativi 
emersi 
nel 
corso dell’istruttoria e 
l’assegnazione 
di 
un congruo termine 
per 
controdedurre, 
prima 
dell’emanazione 
del 
provvedimento 
conclusivo. 
Quanto 
all’art. 
41 
della 
Carta 
di 
Nizza, 
è 
opportuno 
richiamare 
quanto 
ripetutamente 
affermato 
dalla 
giurisprudenza 
comunitaria 
in 
relazione 
al 
contenuto 
del 
“diritto 
ad una buona amministrazione”: questo non è 
violato ogni 
qualvolta il 
destinatario 
del 
provvedimento 
“sia 
messo 
in 
condizione 
di 
far 
conoscere 
utilmente 
il 
proprio 
punto 
di 
vista 
sugli 
elementi 
presi 
in 
considerazione” 
(cfr. 
Corte 
Giust. 
causa 
C-135/1992; 
causa 
C-49/1988), 
“facendo 
conoscere 
la 
propria opinione 
su tutti 
gli 
elementi 
di 
fatto e 
di 
diritto rilevanti” 
(Trib. UE 
causa T-450/1993). 


Com’è 
stato 
ampiamente 
evidenziato, 
la 
ricorrente 
è 
stata 
sufficientemente 
edotta degli 
elementi 
indiziari 
emersi 
nel 
corso dell’istruttoria e 
messa 
in 
condizione 
di 
controdedurre, 
sia 
mediante 
memorie, 
sia 
in 
sede 
di 
audizione. 


all’esito di 
tali 
sub-fasi, sarà pertanto onere 
dell’amministrazione 
concludere 
il 
procedimento con un provvedimento correttamente 
motivato, in ordine 
a tutti 
gli 
elementi 
di 
fatto e 
di 
diritto emersi 
nel 
corso dell’istruttoria, 
ivi 
comprese 
le 
memorie 
difensive 
partecipate 
dalla 
ricorrente, 
che 
avrà 
modo 
di 
impugnare 
il 
provvedimento 
dinanzi 
ad 
un’autorità 
giurisdizionale 
terza 
ed imparziale, facendo peraltro valere 
il 
proprio diritto all’ostensione 
degli 
atti ritenuti necessari alla propria difesa”. 


5. Scioglimenti dei Comuni per mafia. 
con 
riferimento 
ai 
contenziosi 
riguardanti 
gli 
scioglimenti 
dei 
comuni 
per mafia, nell’anno 2022 ne risultano n. 18. 



RaSSegna 
avvocatuRa 
dello 
Stato -n. 2/2023 


dalla 
relazione 
del 
ministro 
dell’interno 
sulle 
attività 
delle 
commissioni 
per la 
gestione 
degli 
enti 
sciolti 
per mafia 
(anno 2022) emerge 
che 
nell’anno 
di 
riferimento 
sono 
stati 
36 
i 
comuni 
interessati 
complessivamente 
da 
gestioni 
commissariali straordinarie. 


gli 
scioglimenti 
di 
consigli 
comunali 
disposti 
nel 
2022 sono stati 
n. 11, 
di cui 4 in campania, 3 in calabria, 2 nel lazio e 2 in Puglia. 


con 
la 
sentenza 
n. 
66/2022 
del 
t.a.r. 
lazio, 
confermata 
all’esito 
del 
giudizio 
d’appello, 
con 
riferimento 
ad 
un 
caso 
di 
scioglimento 
di 
comune 
per 
mafia, 
dopo 
essere 
stata 
disposta 
l’estromissione 
della 
convenuta 
Presidenza 
della 
Repubblica, 
in 
quanto 
“relativamente 
agli 
atti 
adottati 
nella 
forma 
del 
decreto 
del 
Presidente 
della 
repubblica 
nell’esercizio 
di 
un 
potere 
neutrale 
di 
garanzia 
e 
controllo 
di 
rilievo 
costituzionale 
su 
atti 
di 
altri 
organi 
o 
autorità, 
la 
legittimazione 
passiva 
deve 
infatti 
riconoscersi 
non 
già 
al 
Presidente 
della 
repubblica, 
bensì 
all’autorità 
alla 
quale 
l’atto 
è 
ascrivibile 
nella 
sostanza, 
cui 
spetta 
la 
qualifica 
di 
autorità 
emanante. 
all’esercizio 
di 
un 
simile 
potere 
di 
controllo 
neutrale 
deve 
appunto 
ricondursi 
anche 
l’adozione 
dei 
decreti 
che 
dispongono 
lo 
scioglimento 
di 
organi 
comunali 
e 
la 
nomina 
di 
una 
Commissione 
Straordinaria 
ai 
sensi 
dell’art. 
143 
TUEL, 
rispetto 
ai 
quali 
la 
legittimazione 
passiva 
deve, 
dunque, 
essere 
attribuita 
unicamente 
alla 
Presidenza 
del 
Consiglio 
dei 
ministri 
ed 
al 
ministero 
dell’interno 
(Tar 
Lazio, 
Sez. 
i, 
1 
giugno 
2020 
n. 
5843; 
26 
novembre 
2019, 
n. 
13536; 
22 
febbraio 
2019, 
n. 
2386 
e 
16 
febbraio 
2017, 
n. 
2485)”, 
si 
è 
statuito 
quanto 
segue: 
“Con 
riferimento 
al 
quadro 
così 
descritto 
le 
contestazioni 
contenute 
nel 
ricorso 
si 
palesano 
inidonee 
a 
confutare 
le 
valutazioni 
operate 
dall’amministrazione, 
poiché 
non 
elidono 
gli 
elementi 
sostanziali 
che 
emergono 
da 
quanto 
riportato, 
incentrandosi 
sull’ipotetico 
diverso 
significato 
o 
l’irrilevanza 
di 
alcune 
circostanze 
che 
però 
non 
possono 
essere 
riguardate 
singolarmente, 
ma 
devono 
essere 
apprezzate 
con 
riferimento 
al 
contesto 
delineato. 


Deve 
anche 
aggiungersi 
che 
nelle 
relazioni 
poste 
a 
fondamento 
del 
provvedimento 
di 
scioglimento non sono stati 
solo gli 
aspetti 
di 
rilevanza penale 
ad essere 
stati 
stigmatizzati, ma anche 
la tendenza dell’attività degli 
organi 
politici 
a 
non 
porre 
in 
essere 
ciò 
che 
era 
loro 
compito 
nel 
dare 
luogo 
ad 
un’opera di 
vigilanza e 
controllo dell’apparato burocratico, al 
fine 
di 
evitare 
ingerenze 
da parte 
della criminalità organizzata (nel 
medesimo senso T.a.r. 
Lazio, sez. i, sentenza n. 10049/2017). 


alla luce 
delle 
considerazioni 
sopra riportate 
il 
provvedimento di 
scioglimento 
in 
esame 
deve 
ritenersi 
pienamente 
legittimo, 
nel 
rispetto 
dei 
principi 
affermati 
dalla giurisprudenza in materia e 
sopra richiamati, essendo stata 
correttamente 
evidenziata 
la 
presenza 
di 
contatti 
ripetuti 
e 
collegati 
alle 
scelte 
gestorie 
dell’amministrazione 
comunale 
degli 
organi 
di 
vertice 
politico-amministrativo 
con soggetti 
appartenenti 
alla criminalità locale, e 
la completa 
inadeguatezza dello stesso vertice 
politico-amministrativo a svolgere 
i 
propri 



temi 
iStituzionali 


compiti 
di 
vigilanza e 
di 
verifica nei 
confronti 
della burocrazia e 
dei 
gestori 
di 
pubblici 
servizi 
del 
Comune, 
che 
impongono 
l’esigenza 
di 
intervenire 
ed 
apprestare 
tutte 
le 
misure 
e 
le 
risorse 
necessarie 
per 
una 
effettiva 
e 
sostanziale 
cura e 
difesa dell’interesse 
pubblico dalla compromissione 
derivante 
da ingerenze 
estranee 
riconducibili 
all’influenza 
ed 
all’ascendente 
esercitati 
da 
gruppi 
di 
criminalità 
organizzata 
(Cons. 
Stato, 
Sez. 
iii, 
6 
marzo 
2012, 
n. 
1266). 


Sulla base 
delle 
circostanze 
sopra riportate 
risulta esaustivamente 
argomentata, 
e 
ampiamente 
supportata dagli 
elementi 
emersi 
nel 
corso del 
procedimento, 
la 
valutazione 
della 
permeabilità 
dell’attività 
dell’ente 
rispetto 
a 
possibili 
ingerenze 
e 
pressioni 
da parte 
della criminalità organizzata specificamente 
individuata, 
senza 
che 
emerga 
alcun 
vizio 
logico 
o 
incongruità 
di 
tale 
valutazione, come, peraltro, accertato anche 
nel 
parallelo giudizio di 
incandidabilità 
innanzi 
al 
Tribunale 
di 
avellino, conclusosi 
con l’ordinanza n. 
-omissis-, prodotta dall’amministrazione. 


Tutti 
questi 
elementi, considerati 
nel 
loro insieme 
e 
inseriti 
nello sfondo 
di 
riferimento, 
devono 
ritenersi 
pienamente 
integranti 
i 
presupposti 
di 
concretezza, 
univocità e 
rilevanza richiesti 
dall’art. 143 del 
d.lgs. n. 267/2000 ai 
fini 
dello 
scioglimento 
del 
Consiglio 
comunale, 
allo 
scopo 
di 
evitare 
anche 
solo 
il 
rischio 
di 
infiltrazione 
da 
parte 
della 
malavita 
organizzata 
già 
presente 
sul territorio. 


Tale 
conclusione 
esonera il 
Collegio dall’esaminare 
le 
contestazioni 
avverso 
gli 
altri 
specifici 
episodi 
individuati 
nella relazione 
prefettizia come 
ulteriori 
sintomi 
della vicinanza dell’apparato amministrativo alla criminalità 
organizzata, la cui 
eventuale 
fondatezza non determinerebbe 
la caducazione 
dell’atto 
(cfr., 
in 
fattispecie 
similare, 
Tar 
Lazio 
roma, 
sez. 
i, 
10 
gennaio 
2019, 
n. 338)”. 


al 
riguardo 
giova 
evidenziare 
che, 
alla 
stregua 
del 
costante 
orientamento 
giurisprudenziale, 
per 
l’apparato 
probatorio 
preordinato 
a 
confermare 
la 
ricorrenza 
del 
condizionamento di 
tipo mafioso sull’ente 
è 
sufficiente 
l’evidenziazione 
di 
eventi, anche 
di 
semplice 
pericolo o di 
natura 
meramente 
indiziaria, 
che 
facciano apparire 
plausibile 
l’assoggettamento dell’amministrazione 
comunale 
alle 
ingerenze 
di 
associazioni 
di 
stampo mafioso (ex 
multis, t.a.r. per 
il 
lazio 
-Roma, 
Sez. 
i, 
sentenza 
16 
novembre 
2020, 
n. 
11940; 
t.a.r. 
per 
il 
lazio -Roma, Sezione 
i, sentenza 
18 giugno 2019, n. 7862; 
c.d.S., Sez. iii, 
sentenza 10 gennaio 2018 n. 96). 


ed invero, il 
giudizio prognostico di 
verosimiglianza 
fondato attendibilmente 
sulla 
logica 
del 
“più probabile 
che 
non” 
è 
applicabile 
anche 
allo scioglimento 
del 
consiglio 
comunale, 
che 
ha 
funzione 
anticipatoria 
e 
non 
sanzionatoria 
(cfr. 
ex 
multis, 
consiglio 
di 
Stato, 
Sezione 
iii, 
sentenza 
18 
luglio 
2019, n. 5077; 
id., sentenza 
11 settembre 
2017, n. 4285; 
id., sentenza 
20 gennaio 
2016, n. 196; 
id. 
sentenza 20 gennaio 2016, n. 197). 



RaSSegna 
avvocatuRa 
dello 
Stato -n. 2/2023 


È 
stato anche 
precisato che 
«con la norma di 
cui 
all’art. 143 cit., la finalità 
perseguita dal 
legislatore 
è 
quella di 
offrire 
uno strumento di 
tutela avanzata, 
in 
particolari 
situazioni 
ambientali, 
nei 
confronti 
del 
controllo 
e 
dell’ingerenza 
delle 
organizzazioni 
criminali 
sull’azione 
amministrativa 
degli 
enti 
locali, in presenza anche 
di 
situazioni 
estranee 
all’area propria dell’intervento 
penalistico 
o 
preventivo 
(Cons. 
Stato, 
Sez. 
iii, 
23 
marzo 
14, 
n. 
2038), 
nell’evidente 
necessità 
di 
evitare, 
con 
immediatezza, 
che 
l’amministrazione 
locale 
rimanga 
permeabile 
all’influenza 
della 
criminalità 
organizzata 
per 
l’intera 
durata del 
suo mandato elettorale, … 
senza che 
per 
questo debba individuarsi 
un 
atteggiamento 
punitivo 
o 
sanzionatorio 
nei 
confronti 
dei 
singoli 
amministratori 
eletti» (da 
ultimo, consiglio di 
Stato, Sezione 
iii, sentenza 
16 
dicembre 2021, n. 8408). 


6. 
annotazione 
delle 
interdittive 
antimafia 
nel 
casellario 
informatico 
del-
l’anac. 
l’impianto 
del 
casellario 
informatico 
detenuto 
dall’autorità 
nazionale 
anticorruzione 
si 
basa 
sull’acquisizione 
sistematica 
delle 
informazioni 
inerenti 
il 
comportamento 
tenuto 
dagli 
operatori 
economici 
in 
fase 
di 
gara 
o 
nel 
corso 
dell’esecuzione 
del 
contratto, 
di 
cui 
le 
annotazioni 
riportate 
nel 
casellario 
sono 
il 
riflesso. 
ciò 
per 
consentire 
alle 
stazioni 
appaltanti 
di 
definire 
il 
giudizio 
prognostico 
sull’affidabilità 
degli 
operatori 
economici 
concorrenti 
ad 
un 
affidamento. 


le 
informazioni 
antimafia 
interdittive 
sono 
comunicate 
all’anac, 
ai 
sensi 
dell’art. 91, co. 7-bis, del 
d.lgs. n. 159/2011, ai 
fini 
dell’inserimento nel 
casellario informatico. 


l’annotazione 
dell’interdittiva 
antimafia 
rappresenta 
una 
misura 
anticipata 
a 
protezione 
degli 
appalti 
pubblici 
e, 
più 
in 
generale, 
dell’attività 
della 
pubblica 
amministrazione, diretta 
a 
prevenire 
ogni 
possibile 
inquinamento da 
operazioni poste in essere da organizzazioni mafiose. 


l’annotazione 
è 
inserita 
nel 
casellario 
informatico 
con 
funzione 
di 
“pubblicità-
notizia”, 
diretta 
ad 
informare 
tutte 
le 
amministrazioni 
aggiudicatrici 
circa 
la 
notizia 
ostativa 
alla 
partecipazione 
alle 
procedure 
di 
gara 
ovvero finalizzata 
alla risoluzione dei contratti in essere. 


nel 
corso dell’anno 2022 sono state 
iscritte 
nel 
casellario n. 1.129 annotazioni 
relative ai provvedimenti antimafia interdittivi. 


tali 
annotazioni 
hanno riguardato anche 
le 
misure 
previste 
dall’art. 32, 
co. 10, del 
decreto-legge 
n. 90/2014, disposizione 
che 
consente 
di 
adottare 
le 
misure 
straordinarie 
di 
commissariamento 
anche 
nei 
casi 
in 
cui 
sia 
stata 
emessa dal Prefetto un’informazione antimafia interdittiva. 


a 
tale 
riguardo l’autorità 
ha 
ritenuto di 
integrare 
le 
annotazioni, nei 
confronti 
dell’operatore 
economico 
interdetto, 
con 
la 
notizia 
dell’adozione 
del 
provvedimento prefettizio, in merito al 
suo commissariamento, ai 
sensi 
del



temi 
iStituzionali 


l’art. 
32, 
comma 
1, 
lettera 
b), 
del 
decreto-legge 
n. 
90/2014, 
al 
fine 
di 
assicurare 
la 
conoscibilità 
del 
provvedimento prefettizio alle 
amministrazioni 
aggiudicatrici 
di 
contratti 
pubblici 
e 
a 
tutti 
gli 
altri 
soggetti 
indicati 
nell’art. 
3, 
comma 
1, lettera b) del d.P.R. n. 207/2010. 


nel 
corso del 
2022 le 
integrazioni 
alle 
annotazioni 
riguardanti 
le 
informazioni 
relative 
ai 
commissariamenti 
ex 
art. 32, co. 10, del 
decreto-legge 
n. 
90/2014 sono state 
pari 
a 
14, corrispondenti 
al 
numero di 
operatori 
economici 
destinatari delle previste misure di gestione straordinaria. 


Per quanto concerne 
l’istituto del 
“controllo giudiziario delle 
aziende”, 
introdotto 
dall’art. 
34-bis 
del 
d.lgs. 
n. 
159/2011, 
l’anac 
ha 
ritenuto 
che, 
qualora 
l’impresa, 
già 
destinataria 
di 
un’interdittiva 
antimafia, 
sia 
successivamente 
soggetta 
all’applicazione 
del 
controllo giudiziario, non debba 
procedersi 
all’oscuramento 
dell’annotazione, 
bensì 
debba 
disporsi 
la 
sola 
integrazione 
della 
notizia 
nel 
casellario 
informatico 
degli 
operatori 
economici. 
ciò 
in 
quanto 
l’applicazione 
del 
controllo ex 
art. 34-bis 
non rimuove 
il 
provvedimento prefettizio, 
ma 
ne 
sospende 
l’efficacia 
nei 
limiti 
temporali 
stabiliti 
dal 
provvedimento 
del giudice penale. 


Per le 
società 
destinatarie 
di 
interdittiva 
antimafia, successivamente 
assoggettate 
all’applicazione 
di 
detta 
misura 
del 
controllo 
giudiziario, 
su 
istanza 
del 
medesimo operatore 
economico, l’autorità 
ha 
dunque 
proceduto, per i 
n. 
46 
casi 
comunicati, 
all’integrazione 
dell’annotazione 
con 
specifico 
riferimento 
all’applicazione della misura in argomento. 


l’interdittiva 
antimafia, 
quale 
provvedimento 
amministrativo, 
può 
essere 
impugnato dall’impresa 
destinataria 
dinanzi 
al 
giudice 
amministrativo; 
in tali 
casi 
l’autorità 
è 
tenuta 
ad 
integrare 
l’annotazione 
richiamando 
le 
pronunce 
del 
t.a.r. e del consiglio di Stato. 


l’annotazione 
può 
essere 
integrata 
anche 
dalle 
successive 
notizie 
trasmesse 
dalla 
stessa 
Prefettura 
che 
ha 
adottato 
il 
provvedimento 
interdittivo 
antimafia, 
qualora 
accerti 
che 
non 
sussistono 
le 
cause 
di 
decadenza, 
di 
sospensione 
o di 
divieto di 
cui 
all’art. 67 del 
d.lgs. n. 159/2011, né 
elementi 
che 
facciano 
ritenere 
sussistente 
il 
pericolo 
di 
infiltrazione 
mafiosa, 
ai 
sensi 
degli 
artt. 
84 e 91 del codice antimafia. 


7. Dati relativi ai contenziosi in materia di antimafia 2022. 
Si 
allegano di 
seguito i 
dati 
relativi 
ai 
contenziosi 
antimafia, distinti 
per 
sedi dell’avvocatura e riguardanti l’anno 2022. 



RaSSegna 
avvocatuRa 
dello 
Stato -n. 2/2023 


contenziosi 
Antimafia 
Anno 2022 
certIFIcAZIoNe ANtIMAFIA 
distrettuale 
nr. affari 
Roma 
256 
ancona 
1 
Bari 
13 
Bologna 
35 
Brescia 
6 
cagliari 
2 
catanissetta 
4 
catania 
8 
catanzaro 
56 
firenze 
10 
genova 
5 
l’aquila 
4 
lecce 
9 
messina 
0 
milano 
11 
napoli 
66 
Palermo 
51 
Perugia 
4 
Potenza 
15 
torino 
23 
trento 
0 
trieste 
0 
venezia 
6 
Salerno 
2 
campobasso 
0 
Reggio calabria 
16 
totale 
603 



temi 
iStituzionali 


contenziosi 
Antimafia 
Anno 2022 
ScIoGlIMeNto deI coMuNI Per 
INFIltrAZIoNI MAFIoSe 
distrettuale 
nr. affari 
Roma 
12 
ancona 
0 
Bari 
0 
Bologna 
0 
Brescia 
0 
cagliari 
0 
catanissetta 
1 
catania 
1 
catanzaro 
0 
firenze 
0 
genova 
0 
l’aquila 
0 
lecce 
1 
messina 
0 
milano 
0 
napoli 
1 
Palermo 
1 
Perugia 
0 
Potenza 
0 
torino 
0 
trento 
0 
trieste 
0 
venezia 
0 
Salerno 
0 
campobasso 
0 
Reggio calabria 
1 
totale 
18 



RaSSegna 
avvocatuRa 
dello 
Stato -n. 2/2023 


riforme legislative ed efficienza del processo 
(*) 


Avv. Ennio Antonio Apicella 
Avvocato distrettuale dello Stato di Catanzaro 


1.-l’argomento delle 
riforme 
processuali 
è 
oggi 
di 
strettissima 
attualità, 
a 
seguito dell’ormai 
piena 
entrata 
in vigore 
del 
“pacchetto” 
cartabia 
(1), che 
introduce 
notevoli 
modifiche 
nell’impianto dei 
codici 
di 
rito civile 
e 
penale, 
con molte 
e 
rilevanti 
innovazioni, accolte 
dagli 
operatori 
del 
settore 
quando 
con scetticismo e scarso entusiasmo, quando con critiche aspre e serrate. 

Per queste 
ragioni 
e, soprattutto, per il 
notevole 
impatto della 
novella 
su 
fondamentali 
istituti 
processuali, sono fiorite 
numerose 
iniziative 
di 
studio e 
riflessione sulle novità legislative di fine 2022. 


il 
convegno 
di 
oggi, 
tuttavia, 
presenta 
un 
tratto 
peculiare 
e, 
consentitemi, 
per quanto ci risulta, al momento unico anche nel panorama nazionale. 


la 
nostra 
iniziativa, infatti, propone 
una 
lettura 
trasversale 
delle 
riforme 
legislative, recenti 
e 
meno recenti, che 
riguardano i 
giudizi 
dinanzi 
al 
giudice 
ordinario e amministrativo, nella chiave unica dell’efficienza del processo. 


con 
l’organizzazione 
di 
questo 
secondo 
convegno 
annuale, 
l’avvocatura 
dello Stato di 
catanzaro ha 
inteso stimolare 
il 
dibattito giuridico nella 
nostra 
realtà 
territoriale, promuovendo il 
confronto tra 
competenze 
ed esperienze 
diverse, 
tutte 
appartenenti 
al 
“sistema giustizia”, ed assicurando così 
continuità 
all’iniziativa dello scorso anno in tema di legislazione antimafia. 

2.-il 
processo 
è 
un 
“cantiere 
aperto”. 
forse 
sarebbe 
meglio 
dire 
un 
“cantiere 
eterno”. 

gli 
ultimi 
trenta 
anni 
hanno 
visto 
succedersi 
ripetute 
riforme 
del 
processo 
civile 
e 
di 
quello penale, quasi 
tutte 
all’insegna 
del 
recupero di 
efficienza, declinata 
soprattutto 
sotto 
il 
profilo 
della 
ragionevole 
durata, 
anche 
in 
riferimento 
alle indicazioni della corte europea dei diritti dell’uomo. 

le 
medesime 
ragioni 
di 
fondo muovono il 
più recente 
“pacchetto Cartabia”, 
attuativo del 
Piano nazionale 
di 
ripresa 
e 
resilienza, che 
collega 
il 
valore 


(*) 
Intervento introduttivo al 
convegno di 
studi 
organizzato dall’Avvocatura distrettuale 
dello Stato, 
Catanzaro, 23 giugno 2023. 


Nel 
corso 
del 
convegno 
sono 
emerse 
alcune 
considerazioni 
sullo 
stato 
dell’attività 
giudiziaria 
in 
Italia, 
che 
si 
ritiene 
opportuno condividere 
con 
i 
colleghi 
dell’Avvocatura dello Stato e 
gli 
altri 
lettori 
della 
Rassegna. 


(1) legge 
delega 
26 novembre 
2021 n. 206; 
d.lgs. 10 ottobre 
2022 n. 149, attuazione 
della 
legge 
26 novembre 
2021, n. 206, recante 
delega 
al 
governo per l’efficienza 
del 
processo civile 
e 
per la 
revisione 
della 
disciplina 
degli 
strumenti 
di 
risoluzione 
alternativa 
delle 
controversie 
e 
misure 
urgenti 
di 
razionalizzazione 
dei 
procedimenti 
in materia 
di 
diritti 
delle 
persone 
e 
delle 
famiglie 
nonché 
in materia 
di 
esecuzione forzata. 

temi 
iStituzionali 


dell’efficienza 
all’effettività 
della 
tutela 
ed 
assume 
come 
obiettivo 
fondamentale 
la riduzione dei tempi dei giudizi. 


il 
Piano 
afferma 
che 
tutti 
gli 
interventi 
programmati 
in 
materia 
di 
giustizia 
convergono al 
comune 
scopo di 
riportare 
il 
processo italiano a 
un modello di 
efficienza 
e 
competitività 
e 
dichiara 
che 
l’efficienza 
dell’amministrazione 
della 
giustizia 
rappresenta 
un valore 
in sé, radicato nella 
cultura 
costituzionale 
europea, 
che 
richiede 
di 
assicurare 
“rimedi 
giurisdizionali 
effettivi” 
per la 
tutela 
dei diritti, specie dei soggetti più deboli. 

l’efficienza 
del 
settore 
giustizia 
è 
condizione 
indispensabile 
per 
lo 
sviluppo 
economico 
e 
per 
un 
corretto 
funzionamento 
del 
mercato. 
esiste 
una 
stretta 
e 
naturale 
compenetrazione 
tra 
giustizia 
ed 
economia: 
qualsiasi 
progetto 
di 
investimento, 
per 
essere 
reputato 
credibile, 
deve 
potersi 
innestare 
in 
un’economia 
tutelata, 
e 
comunque 
non 
rallentata, 
da 
un 
eventuale 
procedimento 
giudiziario, 
così 
come 
deve 
essere 
posto 
al 
riparo 
da 
possibili 
infiltrazioni 
criminali. 


nonostante 
queste 
affermazioni 
di 
principio, ampiamente 
condivisibili, 
il 
P.n.r.r. individua 
come 
problema 
fondamentale 
da 
aggredire 
solo i 
tempi 
di 
celebrazione 
dei 
processi, 
rilevando 
che 
l’eccessiva 
durata 
incide 
negativamente 
sulla 
percezione 
della 
qualità 
della 
giustizia 
e 
ne 
offusca 
il 
valore, secondo 
la nota massima per cui “giustizia ritardata è giustizia denegata”. 


emerge 
nelle 
linee 
di 
intervento programmate 
dal 
Piano una 
forte 
spinta 
verso la 
produttività 
del 
magistrato, ma 
essa 
è 
perseguita 
esclusivamente 
attraverso 
la 
ricerca 
della 
riduzione 
dei 
tempi 
processuali 
e 
risulta 
completamente 
sganciata 
da 
qualsiasi 
interesse 
per 
la 
qualità 
del 
“prodotto”, 
che 
appare 
invece 
imprescindibile. Questa 
idea 
sembra 
riecheggiare 
quella 
aziendalizzazione 
delle 
funzioni 
pubbliche 
che 
notevoli 
guasti 
ha 
già 
cagionato 
in 
altri 
settori 
cruciali 
per lo sviluppo del 
Paese 
e 
per la 
sicurezza 
sociale, primo fra 
tutti 
la sanità pubblica. 

a 
me 
pare, 
invece, 
che 
il 
canone 
di 
efficienza 
processuale 
possa, 
e 
debba, 
essere 
declinato 
non 
solo 
nella 
ragionevole 
durata 
dei 
processi 
(come 
peraltro 
ci 
impongono 
la 
costituzione 
e 
il 
diritto 
internazionale), 
ma 
ancor 
prima 
nella 
certezza 
delle 
situazioni 
giuridiche, 
intesa 
soprattutto 
come 
prevedibilità 
della 
decisione 
giudiziale 
e, 
dunque, 
delle 
conseguenze 
dei 
comportamenti 
umani. 


ciò 
comporta 
anzitutto 
stabilità 
degli 
orientamenti 
giurisprudenziali 
e 
uniformità 
delle 
decisioni, 
ma 
significa 
anche 
riduzione 
dei 
margini 
di 
discrezionalità 
del 
giudice, non sempre 
adeguatamente 
esercitata 
e 
che 
comunque 
costituisce possibile fonte di dannose incertezze. 

la 
creatività 
interpretativa 
esprime 
una 
netta 
disarmonia 
con 
i 
criteri 
dettati 
dall’art. 
12 
disp. 
prel. 
c.c. 
(interpretazione 
letterale, 
analogia 
legis, 
analogia 
iuris), 
nonché, 
nelle 
sue 
espressioni 
più 
esasperate 
(c.d. 
creazionismo 
giudiziario), 
con 
gli 
stessi 
orizzonti 
tracciati 
dall’art. 
101 
cost.: 
sog



RaSSegna 
avvocatuRa 
dello 
Stato -n. 2/2023 


gezione 
del 
giudice 
alla 
legge 
e 
collegamento 
con 
la 
sovranità 
popolare 
(2). 


in 
proposito, 
mi 
piace 
qui 
ricordare 
il 
monito 
del 
Presidente 
della 
Repubblica 
in 
occasione 
della 
recente 
inaugurazione 
a 
castel 
capuano 
della 
terza 
sede 
della 
Scuola 
superiore 
della 
magistratura: 
“l’uniformità delle 
decisioni 
non rappresenta un limite 
all’attività decisionale, ma ne 
costituisce 
un punto 
di 
approdo, giacché 
è 
diretta a promuovere 
la prevedibilità delle 
decisioni 
e, 
dunque, 
la 
loro 
comprensibilità. 
a 
questi 
necessari 
requisiti 
contribuisce 
anche 
l’uso di un linguaggio consono e misurato” (3). 


Secondo 
l’alto 
magistero, 
dunque, 
la 
prevedibilità 
delle 
decisioni 
è 
lo 
strumento 
per 
assicurarne 
la 
comprensibilità. 
Si 
tratta 
di 
garantire 
la 
credibilità 
e, 
dunque, 
l’affidabilità 
della 
funzione 
giustizia, 
temi 
sui 
quali 
già 
il 
Presidente 
della 
Repubblica 
aveva 
richiamato l’attenzione 
degli 
“operatori” 
della 
giustizia 
(magistrati 
e 
avvocati) nel 
messaggio indirizzato al 
Parlamento nel 
giorno 
del Suo secondo giuramento (4). 


l’esigenza, 
del 
resto, 
è 
pienamente 
avvertita 
dalla 
magistratura 
più 
accorta 
e autorevole. 

il 
già 
Primo 
Presidente 
della 
corte 
suprema, 
Pietro 
curzio, 
proprio 
a 
proposito 
del 
rapporto 
tra 
giudice 
e 
precedente, 
rileva: 
“quanto 
più 
aumentano 
articolazione 
e 
disordine 
del 
quadro normativo, tanto più si 
percepisce 
l’esigenza 
di 
una giurisprudenza che 
sia in grado di 
ricucire 
le 
maglie 
della rete, 
di 
ridurre 
le 
aporie, di 
dare 
senso e 
coerenza al 
sistema. in analoga misura, 
più aumenta il 
soggettivismo dei 
giudici, il 
loro proporsi 
come 
monadi 
autoreferenziali, 
tanto più è 
sentita l’esigenza di 
una risposta convergente 
e 
coerente 
alla domanda di giustizia. 


E 
se 
questo è 
vero in generale, lo è 
ancor 
di 
più con riferimento alle 
regole 
processuali. 
il 
processo 
è 
il 
luogo 
in 
cui 
più 
che 
mai 
deve 
essere 
garantita 
l’esigenza di certezza e stabilità delle regole del gioco” (5). 


3.-È 
allora 
necessario 
riflettere, 
senza 
pretesa 
di 
anticipare 
le 
conclusioni 
del 
convegno, sul 
fatto che 
gran parte 
delle 
riforme 
del 
processo civile 
degli 
ultimi 
trenta 
anni 
si 
siano 
risolte 
esclusivamente 
in 
una 
rilevante 
compressione 
dei 
diritti 
processuali 
delle 
parti, 
soprattutto 
attraverso 
un 
irrigidimento 
del 
sistema 
delle preclusioni. 

mi 
riferisco ai 
plurimi 
sbarramenti 
preclusivi 
dell’art. 183 c.p.c. quanto 
alle 
allegazioni 
dei 
fatti 
e 
alle 
istanze 
istruttorie, 
che 
condizionano 
pesante


(2) l. longhi, riflessioni 
sulla certezza dei 
diritti, in Nomos, Quadrimestrale 
di 
teoria generale, 
diritto pubblico comparato e storia costituzionale, 3-2017. 
(3) napoli, 15 maggio 2023. 


(4) “La magistratura e 
l’avvocatura sono chiamate 
ad assicurare 
che 
il 
processo riformatore 
si 
realizzi, 
facendo 
recuperare 
appieno 
prestigio 
e 
credibilità 
alla 
funzione 
giustizia, 
allineandola 
agli 
standard europei”. 
(5) così, P. cuRzio, il giudice e il precedente, in Questione giustizia, 4/2018, 41. 

temi 
iStituzionali 


mente 
il 
diritto di 
difesa 
e 
risultano accettabili 
solo se 
inseriti 
nell’ambito di 
un 
procedimento 
giudiziario 
efficiente, 
e 
non 
solo 
sotto 
il 
profilo 
della 
durata; 
ma 
penso anche 
al 
famigerato procedimento sommario degli 
artt. 702-bis 
ss. 
c.p.c., 
oggi 
abrogati, 
che 
rendeva 
particolarmente 
gravosa 
la 
posizione 
del 
convenuto, consentendo fissazioni 
di 
udienze 
con termini 
a 
difesa 
molto ravvicinati, 
ma 
che 
nessun beneficio ha 
recato in termini 
di 
ragionevole 
durata 
del processo. 


la 
compressione 
del 
diritto 
di 
difesa, 
così 
operata, 
suscita 
forti 
dubbi 
sulla 
razionalità 
del 
sistema 
e, di 
conseguenza, sulla 
sua 
conformità 
alla 
carta 
fondamentale, 
essendo 
rimasta 
del 
tutto 
sganciata 
da 
qualsivoglia 
efficienza 
nella 
erogazione 
del 
“servizio 
giustizia”, 
e 
ciò 
non 
solo 
in 
ordine 
alla 
durata 
del 
procedimento, 
ma 
anche 
riguardo ai 
profili 
della 
prevedibilità 
e 
qualità 
della 
decisione. 


dunque, 
a 
preclusioni 
sempre 
più 
rigide 
non 
ha 
corrisposto 
nessuna 
o, 
nella migliore delle ipotesi, scarsissima efficienza processuale. 


Senza 
alcuna 
pretesa 
di 
completezza, attesa 
la 
complessità 
della 
problematica, 
altro 
tema 
“capitale” 
del 
processo 
civile, 
sempre 
nella 
chiave 
di 
lettura 
odierna, mi pare quello della perdita della collegialità. 


anche 
in 
questo 
caso, 
il 
sostanziale 
abbandono 
della 
collegialità 
in 
primo 
grado ci 
è 
stato somministrato dal 
legislatore 
come 
misura 
di 
efficientamento 
e 
semplificazione 
ma, mentre 
nessun risultato ha 
prodotto in termini 
di 
abbreviazione 
dei 
tempi 
processuali, 
esso 
costituisce 
una 
delle 
ragioni 
-secondo 
me, la 
principale 
-del 
progressivo scadimento del 
livello qualitativo delle 
decisioni, 
sottratte 
al 
necessario 
confronto 
tra 
le 
diverse 
esperienze 
e 
competenze 
che convergono nel collegio. 

non è 
un caso che 
la 
qualità 
delle 
decisioni 
della 
corte 
d’appello, dove 
la 
collegialità 
è 
stata 
conservata, appare 
molto più elevata, anche 
in presenza 
di carichi di lavoro poderosi. 


uno sguardo fugace 
al 
processo penale, purtroppo, non pare 
più incoraggiante, 
quanto all’efficienza del rito. 


anche 
di 
recente 
la 
procedura 
penale 
è 
stata 
caratterizzata, da 
un lato, da 
interventi 
palesemente 
contrastanti 
con 
il 
canone 
di 
efficienza, 
quale 
la 
sospensione 
della 
prescrizione 
del 
reato 
dopo 
la 
sentenza 
di 
primo 
grado, 
che 
oggettivamente 
favorisce 
un allungamento dei 
tempi 
di 
definizione 
del 
giudizio 
complessivamente 
considerati; 
dall’altro, 
da 
più 
recenti 
misure 
draconiane, 
quale 
l’improcedibilità 
per decorso del 
tempo, che 
costituisce 
un rimedio all’inefficienza 
del 
sistema 
piuttosto 
ipocrita, 
soprattutto 
nei 
confronti 
della 
vittima 
del reato. 


anche 
altri 
istituti 
del 
processo penale 
con finalità 
deflattiva 
sono stati 
costruiti senza una adeguata considerazione del principio di efficienza. 


mentre 
nella 
messa 
alla 
prova, il 
giudizio si 
risolve 
in una 
mera 
verifica 
circa 
la 
congruità 
e 
l’adeguatezza 
del 
programma 
sottoposto al 
giudice 
e, suc



RaSSegna 
avvocatuRa 
dello 
Stato -n. 2/2023 


cessivamente, 
nella 
valutazione 
sul 
comportamento 
serbato 
dall’imputato 
nello 
svolgimento del 
programma 
(che, se 
positiva, sfocia 
in una 
sentenza 
di 
non 
doversi 
procedere), la 
definizione 
per particolare 
tenuità 
costituisce 
un vero e 
proprio 
esito 
del 
processo 
e 
richiede 
la 
verifica 
di 
plurime 
circostanze 
ostative 
e 
l’esercizio dell’ordinaria 
discrezionalità 
del 
giudice 
sulla 
significatività 
del 
fatto. Sarebbe 
stato forse 
preferibile 
realizzare 
le 
finalità 
deflattive 
attraverso 
una 
fase 
filtro meramente 
formale, priva 
di 
verifiche 
soggettive 
e 
imperniata 
sui profili quali/quantitativi dell’imputazione. 


non abbiamo ancora 
dati 
attendibili 
sull’istituto di 
nuovo conio, e 
di 
derivazione 
comunitaria, della 
giustizia 
riparativa 
e, dunque 
sull’efficacia 
della 
mediazione, su base 
volontaria, tra 
autore 
del 
reato e 
persona 
offesa, che 
mira 
a 
realizzare 
l’improcedibilità 
dell’azione 
penale 
attraverso 
la 
remissione 
tacita 
della 
querela 
e 
funge, al 
tempo stesso, da 
elemento moderatore 
della 
pena, o 
da 
condicio iuris 
per la sospensione condizionale. 


4.-i ripetuti 
interventi 
riformatori 
degli 
ultimi 
trenta 
anni, dunque, oltre 
a 
non aver saputo affrontare 
risolutivamente 
il 
problema 
della 
durata 
del 
processo, 
non 
hanno 
fornito 
nessun 
contributo 
specifico 
sui 
temi 
della 
stabilità 
degli 
orientamenti 
giurisprudenziali 
e 
della 
uniformità 
delle 
decisioni, 
elementi 
imprescindibili 
per 
raggiungere 
un 
grado 
di 
certezza 
delle 
situazioni 
giuridiche 
che 
sia 
accettabile 
per individui 
e 
operatori 
economici 
e 
non dissuada 
gli 
investitori 
stranieri dall’operare nel nostro Paese (6). 


come 
ha, da 
tempo, argomentato la 
migliore 
dottrina, è 
nell’esperienza 
giuridica, nel 
momento in cui 
l’astratto incontra 
il 
concreto che 
devono realizzarsi 
prevedibilità 
e 
certezza 
del 
diritto. la 
certezza 
si 
configura 
come 
prevedibilità 
in 
relazione 
alla 
decisione, 
ovvero 
come 
possibilità 
di 
effettiva 
previsione 
della 
valutazione 
delle 
conseguenze 
giuridiche 
delle 
proprie 
azioni 
ed è 
legata 
alle 
modalità 
attraverso le 
quali 
i 
giudici 
decidono il 
caso (7). in 


(6) l’operatore 
economico vede 
aggiungersi 
al 
rischio di 
impresa 
insito nella 
natura 
dell’attività 
esercitata 
un’alea 
ulteriore 
alla 
quale 
non è 
culturalmente 
preparato, quella 
di 
decisioni 
giudiziali 
del 
tutto imponderabili 
e 
incontrollabili 
(al 
netto dell’esperimento dei 
mezzi 
di 
impugnazione), perché 
slegate 
da 
criteri 
interpretativi 
certi, necessari 
al 
corretto funzionamento dell’economia 
di 
mercato e 
dei 
meccanismi 
di 
creazione 
e 
(re-)distribuzione 
della 
ricchezza 
ad essa 
correlati. va 
da 
sé 
che 
il 
disorientamento 
provato dall’attore 
economico di 
fronte 
alla 
giustizia 
risulta 
viepiù acuito e 
aggravato nel 
caso 
del 
comune 
cittadino (nelle 
vesti, a 
seconda 
dei 
casi, di 
consumatore, utente, contribuente, contraente 
debole), spesso sprovvisto degli 
strumenti 
economici 
e 
culturali 
necessari 
per poter avere 
un accesso 
pieno ed effettivo alla tutela dei propri diritti. così, l. longhi, riflessioni, cit. 
(7) 
f. 
caRnelutti, 
Nuove 
riflessioni 
intorno 
alla 
certezza 
del 
diritto, 
in 
Discorsi 
intorno 
al 
diritto, 
vol. ii, Padova, 1953, 158, diversamente 
da 
f. loPez 
de 
oñate, La certezza del 
diritto, milano, 1968, 
50, secondo il 
quale 
la 
certezza 
si 
realizza 
nel 
momento in cui 
il 
diritto introduce 
le 
norme 
nella 
vita 
sociale, 
qualificando i 
comportamenti 
possibili 
e 
facendo «sapere 
a 
ciascuno ciò che 
egli 
può volere» ed 
è, 
dunque, 
legata 
alla 
comprensione 
e 
conoscibilità 
della 
disposizione. 
Su 
questi 
problemi, 
più 
di 
recente, 
c. caRia, Certezza del 
diritto e 
prevedibilità. Una riflessione 
sul 
tema, in Diritto @ Storia, rivista internazionale 
di scienze giuridiche e tradizione romana, 2016, quaderno n. 14. 

temi 
iStituzionali 


tal 
senso, la 
certezza 
del 
diritto trova 
il 
proprio ambito di 
elezione 
nell’esercizio 
della 
funzione 
giurisdizionale, che 
consiste 
proprio nell’affermare 
con 
certezza 
il 
diritto 
nei 
casi 
controversi 
o, 
se 
si 
preferisce, 
nel 
ripristinare 
il 
valore 
della certezza allorché sia insorta una controversia (8). 

non 
meno 
importante 
è 
il 
profilo 
della 
stabilità 
ed 
uniformità 
degli 
orientamenti 
applicativi 
per la 
pubblica 
amministrazione, poiché 
la 
giurisprudenza 
orienta l’azione amministrativa. 


ma vi è di più. 


come 
accennavo, sono rimasti 
del 
tutto in ombra, nelle 
varie 
stagioni 
riformatrici, 
il 
tema 
della 
semplicità 
delle 
regole 
processuali 
e 
quello, davvero 
cruciale, del 
rapporto inscindibile 
tra 
produttività 
del 
giudice 
e 
qualità 
della 
decisione, 
intesa 
come 
capacità 
di 
assicurare 
una 
risposta 
alta 
e 
adeguata, 
come 
ha 
molto opportunamente 
rilevato la 
Presidente 
della 
corte 
d’appello di 
catanzaro 
nella 
relazione 
per 
l’inaugurazione 
dell’anno 
giudiziario 
2023: 
“si 
pensi 
al 
salto di 
qualità che 
può rappresentare 
un archivio di 
giurisprudenza 
locale, cui 
tutti 
gli 
operatori 
possano attingere; alla conoscenza e 
consapevolezza 
da parte 
del 
singolo magistrato dell’esito dei 
suoi 
provvedimenti 
nei 
successivi gradi di giudizio; a format condivisi per i provvedimenti seriali”. 

dunque, 
stabilità 
e 
uniformità 
degli 
orientamenti 
giurisprudenziali 
in 
funzione 
di 
certezza 
del 
diritto, conoscenza 
e 
consapevolezza 
dell’esito dei 
provvedimenti 
nei 
successivi 
gradi 
di 
giudizio, 
qualità 
delle 
decisioni, 
sono, 
e 
devono essere, tutte 
componenti 
imprescindibili 
del 
canone 
di 
efficienza 
processuale. 


come 
ha 
da 
tempo 
segnalato 
la 
migliore 
dottrina, 
l’efficienza 
del 
processo 
appare sempre più condicio sine qua non 
dell’effettività della tutela (9). 


in questo senso, un ruolo importante 
possono giocare 
i 
capi 
degli 
uffici, 
ai 
quali 
il 
Piano nazionale 
di 
ripesa 
e 
resilienza 
affida 
il 
compito di 
verificare 
che 
i 
ruoli 
e 
i 
carichi 
di 
lavoro garantiscano funzionalità 
ed efficienza 
dell’ufficio, 
e 
quello di 
monitorare 
pendenze 
e 
sopravvenienze 
allo scopo di 
accertarne 
tempestivamente le cause ed eliminarne gli effetti. 

a 
me 
pare, tuttavia, che 
il 
ruolo decisivo che 
i 
dirigenti 
degli 
uffici 
giudiziari 
possono 
svolgere, 
proprio 
in 
funzione 
dell’efficienza 
del 
sistema, 
vada 
ben oltre 
e 
debba 
essere 
quello di 
promuovere 
e 
incoraggiare, con autorevolezza 
e 
prestigio, l’uniformità 
degli 
orientamenti, quantomeno all’interno dei 
singoli 
uffici 
giudiziari, con una 
preziosa 
opera 
di 
riduzione 
delle 
distorsioni 
alle quali oggi ancora siamo costretti ad assistere. 

mi 
riferisco a 
divergenze 
interpretative 
anche 
rilevanti 
e 
all’adozione 
di 
provvedimenti 
anche 
antitetici, su identiche 
questioni, da 
parte 
di 
giudici 
appartenenti 
al 
medesimo ufficio, che 
difficilmente 
possono essere 
comprese 
da 


(8) ancora l. longhi, ibidem. 
(9) m. luciani, Garanzie ed efficienza nella tutela giurisdizionale, in rivista aiC, 4/2014. 

RaSSegna 
avvocatuRa 
dello 
Stato -n. 2/2023 


chi 
attende 
risposte 
in termini 
di 
giustizia 
sostanziale 
e 
che 
alimentano un facile 
clima di sfiducia e di ostilità nei confronti del sistema giudiziario. 


troppo debole 
e 
comunque 
troppo spesso trascurata 
è 
la 
previsione 
del-
l’ordinamento giudiziario (10) che 
attribuisce 
ai 
presidenti 
di 
sezione 
il 
compito 
di 
curare 
lo 
scambio 
di 
informazioni 
sulle 
esperienze 
giurisprudenziali 
all’interno della sezione. 


mi 
pare 
che 
la 
mancanza 
di 
una 
indicazione 
stringente 
in 
tal 
senso 
sia 
davvero la 
lacuna 
più grave 
del 
P.n.r.r., ma 
ritengo allo stesso tempo che 
questo 
sia 
davvero il 
risultato minimo che 
il 
“servizio giustizia” 
debba 
assicurare 
ai suoi utenti, proprio in una prospettiva di affidabilità e credibilità. 


5.-Sensibilmente 
diversa 
appare 
la 
vicenda 
del 
processo 
amministrativo. 

da 
un lato, il 
vasto strumentario a 
disposizione 
del 
giudice 
esprime 
appieno 
la 
modernità 
del 
codice 
del 
2010 ed è 
stato via 
via 
irrobustito dalle 
successive 
novelle, anche recenti. 

mi 
riferisco soprattutto al 
rito abbreviato -in questo caso, veramente 
abbreviato 
-in alcune 
materie 
sensibili, o super-sensibili 
(in specie 
gli 
appalti 
pubblici, ma 
non soltanto) ed alla 
decisione 
in forma 
semplificata, che 
il 
giudice 
amministrativo 
utilizza 
ampiamente, 
specialmente 
per 
la 
soluzione 
di 
questioni 
pregiudiziali, 
ma 
anche 
al 
più 
recente 
divieto 
di 
cancellazione 
della 
causa 
dal 
ruolo e, ancora, all’espressa 
previsione 
di 
ragioni 
eccezionali 
per il 
rinvio della 
trattazione 
che, molto opportunamente, viene 
interpretata 
in maniera 
rigorosa. 


dall’altro, sul 
piano culturale, il 
giudice 
amministrativo -anche 
in virtù 
della 
oggettiva, minore 
complessità 
del 
rito e 
dei 
tratti 
tipici 
del 
proprio sindacato, 
pur sempre 
mediato dagli 
atti 
in cui 
si 
svolge 
la 
funzione 
amministrativa 
-ha 
saputo cogliere 
pienamente 
la 
sfida 
dell’efficienza, anche 
riguardo ai 
tempi 
di 
conseguimento della 
decisione, che 
accentuano il 
tratto della 
specificità 
da sempre caratteristico della tutela giurisdizionale amministrativa. 

alcune 
peculiarità 
del 
processo amministrativo possono sembrare 
un paradosso, 
se 
lette 
alla 
luce 
del 
principio di 
efficienza 
ed in parallelo con la 
disciplina 
del processo civile. 


da 
un 
lato, 
l’inesistenza 
(o 
la 
minima 
applicazione 
(11)) 
delle 
preclusioni 
nella 
“fase” 
introduttiva 
del 
processo 
e 
la 
loro 
sostanziale 
operatività 
solo 
nella 
“fase” 
decisoria, a 
ridosso dell’udienza 
di 
discussione. dall’altro, la 
piena 
applicazione 
il 
principio di 
collegialità 
decisoria, con l’esclusione 
dei 
provvedimenti 
provvisori 
presidenziali 
nei 
casi 
di 
estrema 
gravità 
e 
urgenza 
e 
del 
procedimento 
monitorio, 
che 
sfocia 
comunque 
in 
decisione 
collegiale 
nel 
caso 
di opposizione (ed in disparte i provvedimenti istruttori). 

(10) art. 47-quater. 


(11) art. 15, comma 3, c.p.a. 

temi 
iStituzionali 


com’è 
evidente, 
dunque, 
la 
compressione 
dei 
diritti 
processuali 
delle 
parti 
(ossia, preclusioni 
rigide 
ed anticipate) ed il 
disinteresse 
per la 
qualità 
della 
decisione 
(perdita della collegialità), non costituiscono la 
tecnica 
normativa 
per rendere efficiente, o anche solo maggiormente efficiente, il processo. 

non 
si 
vuole, 
certo, 
qui 
sostenere 
una 
semplicistica 
“transumanza” 
dinanzi 
al 
giudice 
civile 
degli 
istituti 
processuali 
tipici 
del 
giudice 
amministrativo, 
preclusa 
dalla 
profonda 
diversità 
dei 
caratteri 
delle 
rispettive 
cognizioni 
e, soprattutto, dalla 
diversa 
consistenza 
degli 
accertamenti 
di 
fatto che 
i 
due 
plessi 
giurisdizionali 
sono chiamati 
a 
compiere 
(12), ma 
piuttosto auspicare 
la 
generalizzazione 
di 
una 
maggiore 
sensibilità 
sui 
temi 
dell’efficienza 
processuale, 
declinata in quelle componenti essenziali che ho appena ricordato. 


naturalmente, 
il 
problema 
della 
discrezionalità 
si 
pone 
anche 
nel 
processo 
amministrativo, 
e 
forse 
anche 
in 
misura 
maggiore 
rispetto 
al 
processo 
civile 
(13). 


tuttavia, la 
discrezionalità 
del 
giudice 
amministrativo appare 
esercitata 
in maniera 
più ponderata, probabilmente 
perché 
la 
valutazione 
collegiale 
è 
in 
grado di temperarne le asperità. 


infine, l’ultimo paradosso, o simil-paradosso del rito amministrativo. 

un processo le 
cui 
regole 
affondano nella 
tradizionale 
capacità 
creativa 
del 
giudice 
amministrativo, che 
il 
codice 
non è 
riuscito ad imbrigliare, appare 
oggi 
in 
grado 
di 
assicurare 
non 
solo 
l’adeguamento 
alle 
mutevoli 
esigenze 
economiche 
e 
sociali, 
ma 
persino 
un 
accettabile 
grado 
di 
uniformità 
e 
stabilità 
degli 
orientamenti 
interpretativi 
e, 
così, 
una 
maggiore 
affidabilità 
del 
“sistema”. 


6.-c’è, poi, il 
tema 
della 
digitalizzazione, che 
pure 
è 
essenziale 
per l’efficienza 
del processo e per la certezza del diritto (14). 

anche 
sotto questo profilo, profonde 
differenze 
segnano l’esperienza 
dinanzi 
al giudice ordinario e amministrativo. 


Prescindendo dal 
processo penale, nel 
quale 
si 
compiono ancora 
timidamente 
i 
primi 
passi, nel 
processo civile 
la 
digitalizzazione 
paga 
un prezzo altissimo 
alla complessità del rito. 

Senza 
alcuna 
pretesa 
di 
completezza, appaiono in generale 
troppo laboriosi 
gli 
adempimenti 
materiali 
che 
gravano sulle 
parti 
e, soprattutto, emerge 
una 
eccessiva 
discrezionalità 
delle 
cancellerie, 
se 
non 
dei 
singoli 
addetti 
a 
cia


(12) anche 
se 
alcuni 
meccanismi 
“acceleratori”e“semplificatori” 
del 
processo amministrativo 
potrebbero essere utilmente mutuati nel processo civile. 
(13) tanto da 
far assimilare 
il 
giudice 
amministrativo ad un interprete 
senza 
spartito: 
f. Saitta, 
interprete 
senza 
spartito? 
Saggio 
critico 
sulla 
discrezionalità 
del 
giudice 
amministrativo, 
napoli, 
2023. 
(14) 
come 
accorta 
dottrina 
ha 
segnalato 
da 
oltre 
un 
ventennio: 
m. 
coSSutta, 
meccanizzare 
il 
giudizio per 
conseguire 
certezza del 
diritto, in L’ircocervo. rivista elettronica italiana di 
metodologia 
giuridica, teoria generale del diritto e dottrina dello Stato, 2002. 

RaSSegna 
avvocatuRa 
dello 
Stato -n. 2/2023 


scuna 
cancelleria, 
riguardo 
ad 
attività 
similari 
svolte 
in 
uffici 
giudiziari 
diversi, 
che 
troppo spesso vengono trattate 
secondo criteri 
o, peggio, secondo prassi 
differenti. Si 
avverte 
la 
necessità 
di 
ruolo più incisivo del 
ministero al 
fine 
di 
uniformare le attività dei singoli uffici giudiziari. 


Queste 
difficoltà, purtroppo, onerano i 
difensori 
di 
una 
serie 
di 
adempimenti 
materiali 
ripetitivi 
e 
reiterati, che 
rischiano di 
essere 
più impegnativi 
e 
dispendiosi in termini di tempo della stessa redazione degli atti defensionali. 


ancora 
una 
volta, 
profondamente 
diversa 
è 
la 
situazione 
del 
processo 
amministrativo 
telematico, 
nel 
quale 
gli 
adempimenti 
a 
carico 
delle 
parti 
sono 
molto semplificati 
e 
l’interlocuzione 
con le 
segreterie 
degli 
uffici, se 
necessaria, 
è estremamente più fluida. 


nel 
processo amministrativo, soprattutto, la 
piattaforma 
telematica 
consente 
ai 
magistrati 
del 
collegio di 
conoscere 
in tempo reale 
se 
la 
decisione 
è 
stata impugnata e di acquisirne consapevolmente l’esito. 


ma, in questa 
sede, preme 
soprattutto evidenziare 
la 
mancanza 
di 
uniformità 
delle 
regole 
tecniche 
tra 
i 
diversi 
ordini 
di 
giurisdizione, che 
sia 
in grado 
di semplificare effettivamente le attività defensionali. 

l’attuale 
babele 
delle 
regole 
tecniche 
costituisce 
una 
oggettiva 
complicazione 
per i 
professionisti, alla 
quale 
sarebbe 
necessario porre 
urgente 
rimedio. 
la 
diversità 
nella 
regolazione 
tecnica 
di 
fenomeni 
processuali 
similari 
risale 
probabilmente 
alle 
distinte 
competenze 
amministrative 
che 
presiedono 
all’organizzazione 
delle 
diverse 
attività 
giurisdizionali 
e 
sono 
ripartite 
tra 
i 
plessi 
della 
giustizia 
amministrativa 
e 
contabile, il 
ministero della 
giustizia 
(per i 
processi 
dinanzi 
al 
giudice 
ordinario) e 
il 
ministero dell’economia 
(per 
il processo tributario). 


tali 
distinte 
competenze, 
tuttavia, 
non 
devono 
impedire 
-se 
non 
l’unicità 
di 
gestione, quantomeno -l’istituzione 
di 
un meccanismo destinato ad uniformare 
le 
specifiche 
tecniche 
che 
non 
sono 
condizionate 
dalla 
diversità 
delle 
regole 
di esercizio della giurisdizione. 

ferme 
restando 
le 
peculiarità 
delle 
regole 
collegate 
alla 
diversità 
delle 
discipline 
processuali, gli 
adempimenti 
con finalità 
strumentali 
(per tutti, l’accesso 
al 
fascicolo telematico e 
le 
modalità 
di 
deposito degli 
atti) dovrebbero 
poter essere 
eseguiti 
in maniera 
uniforme, in unico sistema 
e 
con identità 
di 
“ambiente” 
informatico, semmai 
anche 
mediante 
interoperabilità 
tra 
i 
diversi 
plessi giurisdizionali. 


manca 
nel 
programma 
di 
oggi 
una 
relazione 
specifica 
sulla 
digitalizzazione, 
ma 
esigenze 
di 
ragionevole 
durata 
dell’evento ci 
hanno costretto a 
sacrificare 
questo, pur importante, profilo dell’efficienza processuale. 


7.-abbiamo 
invece 
voluto 
prevedere 
uno 
specifico 
spazio 
sull’intelligenza 
artificiale 
e 
sul 
contributo che 
ne 
può derivare 
all’incremento dell’efficienza 
processuale. 



temi 
iStituzionali 


l’applicazione 
dell’intelligenza 
artificiale 
al 
processo è 
ancora 
piena 
di 
incognite: 
vi 
sono 
gli 
entusiasti, 
che 
prevedono 
l’imminente 
scomparsa 
di 
gran 
parte 
dei 
giudici 
e 
avvocati, e 
vi 
sono gli 
scettici, che 
pensano che 
l’attività 
giurisdizionale 
sia 
qualcosa 
di 
così 
intrinsecamente 
umano che 
non potrà 
mai 
essere sostituita da algoritmi e modelli matematici. 

Probabilmente 
nessuna 
delle 
due 
tendenze 
è 
giusta, anche 
se 
sappiamo 
che 
in alcuni 
Paesi 
l’intelligenza 
artificiale 
è 
già 
stata 
utilizzata 
per redigere 
le 
sentenze 
e 
che, in altri, le 
controversie 
di 
minore 
entità 
sono direttamente 
decise mediante algoritmi. 


la 
comparsa 
dell’intelligenza 
artificiale 
vanta 
il 
merito indubbio di 
farci 
riflettere 
sull’incidenza 
del 
“fattore 
umano” 
nella 
funzione 
giurisdizionale, 
sulla 
possibilità 
che 
questo fattore 
possa 
essere 
emulato da 
una 
macchina 
e, 
quindi, su quanto ciò possa 
costituire 
un prezioso strumento a 
supporto del-
l’attività 
del 
giudice 
e 
dell’avvocato, pur non potendo mai 
diventarne 
un sostituto, 
come “agente decisionale”. 

certamente 
il 
grado 
di 
compenetrazione 
tra 
questa 
tecnologia 
e 
il 
sistema 
giudiziario sarà 
alto. non solo avvocati 
e 
magistrati 
potranno disporre 
di 
una 
grande 
quantità 
di 
documentazione 
e 
di 
dati 
legali 
(ossia 
di 
precedenti), ma 
soprattutto, 
attraverso 
la 
comprensione 
e 
l’elaborazione 
di 
questa 
mole 
di 
dati, 
nei 
prossimi 
anni 
l’intelligenza 
artificiale 
sarà 
in 
grado 
di 
rispondere 
a 
domande 
sempre più complesse. 

lo 
sviluppo 
di 
questo 
settore 
dovrà 
ovviamente 
seguire 
regole 
etiche: 
va 
gestito 
il 
rischio 
che 
l’intelligenza 
artificiale 
generi 
documenti 
falsi 
o 
fuorvianti, 
come 
è 
già 
accaduto, o realizzi 
contenuti 
violando la 
proprietà 
intellettuale, 
con 
conseguenti 
profili 
risarcitori. 
in 
proposito, 
bisognerà 
definire 
se 
obbligato 
al 
risarcimento 
del 
danno 
sia, 
e 
fino 
a 
che 
punto, 
l’utilizzatore, 
il 
gestore, o il proprietario della piattaforma. 


la 
scelta 
del 
tema, 
dunque, 
non 
è 
casuale, 
anche 
perché 
sull’uso 
del-
l’intelligenza 
artificiale 
nei 
sistemi 
giudiziari 
si 
va 
verso 
la 
formazione 
di 
principi 
etici 
condivisi 
a 
livello 
europeo, 
essendo 
già 
presente, 
sin 
dalla 
fine 
del 
2018, 
una 
«Carta 
etica 
europea 
sull’uso 
dell’intelligenza 
artificiale 
nei 
sistemi 
giudiziari», 
mentre 
risale 
all’aprile 
del 
2021 
una 
proposta 
di 
regolamento 
presentata 
dalla 
commissione 
europea 
nell’ambito 
della 
strategia 
europea 
per 
l’i.a., 
con 
l’obiettivo 
di 
favorire 
la 
ricerca 
e 
lo 
sviluppo 
industriale 
nel 
rispetto 
dei 
diritti 
fondamentali 
degli 
individui 
e 
della 
sicurezza 
dei 
sistemi. 


mi 
sembra 
di 
poter affermare 
che, nel 
futuro prossimo, pur mantenendo 
ben 
saldo 
il 
controllo 
umano 
sulle 
decisioni, 
l’intelligenza 
artificiale 
cambierà 
completamente 
l’approccio 
a 
importanti 
questioni 
giuridiche, 
sostanziali 
e 
processuali. 
Soprattutto, l’intelligenza 
artificiale 
sarà 
in grado di 
fornire 
un contributo 
determinante 
alla 
certezza 
del 
diritto 
proprio 
sotto 
il 
profilo 
della 
prevedibilità 
delle 
decisioni, 
e 
dunque 
attraverso 
l’uniformità 
e 
la 
stabilità 



RaSSegna 
avvocatuRa 
dello 
Stato -n. 2/2023 


degli 
orientamenti, ma 
anche 
della 
riduzione 
della 
discrezionalità 
del 
giudice, 
del “soggettivismo”, per dirla con il presidente curzio. 


8.-Su 
tutti 
questi 
temi, 
che 
probabilmente 
avrebbero 
richiesto 
uno 
spazio 
di 
approfondimento ben più ampio di 
quello possibile 
nella 
giornata 
odierna, 
abbiamo sollecitato le riflessioni di autorevoli relatori. 

anche 
il 
convegno 
di 
quest’anno 
è 
stato 
pensato 
con 
il 
taglio 
caratteristico 
di 
molte 
iniziative 
delle 
istituzioni 
europee, prevedendo la 
presenza 
di 
numerose 
relazioni, di 
durata 
necessariamente 
contenuta 
e 
su argomenti 
specifici, 
anche 
in 
considerazione 
dell’uditorio 
particolarmente 
specializzato 
che 
siamo 
riusciti a convenire anche in questa occasione. 

ciò consente 
di 
acquisire 
il 
valore 
aggiunto di 
prospettive 
visuali 
differenti, 
proprie 
delle 
diverse 
esperienze 
e 
competenze 
dei 
singoli 
relatori 
con 
riferimento al processo civile, penale e amministrativo. 


mi 
piace 
altresì 
sottolineare 
che 
anche 
nel 
convegno di 
quest’anno, pur 
incentrato su temi 
squisitamente 
processuali, abbiamo voluto mantenere 
uno 
dei 
tratti 
salienti 
delle 
nostre 
iniziative 
di 
studio, quello di 
assicurare 
visibilità 
alla prospettiva dell’amministrazione. 


ho 
già 
detto 
del 
ruolo 
fondamentale 
che 
possono 
svolgere 
i 
capi 
degli 
uffici 
giudiziari 
per l’aumentare 
l’efficienza 
del 
sistema. oggi 
il 
Presidente 
del 
tribunale 
di 
frosinone, 
che 
svolge 
funzioni 
amministrative 
oltre 
che 
giurisdizionali, 
porterà 
la 
prospettiva 
del 
dirigente 
dell’ufficio, al 
quale 
compete 
assicurarne 
l’ordinario funzionamento proprio nell’ottica 
dell’efficienza 
e 
della 
funzionalità. 


dopo 
aver 
ascoltato 
la 
posizione 
della 
più 
autorevole 
associazione 
imprenditoriale 
del 
nostro 
Paese 
sui 
profili 
più 
generali 
dei 
temi 
in 
discussione, 
abbiamo 
anche 
previsto 
l’intervento 
di 
un 
imprenditore, 
in 
grado 
di 
riferirci 
cosa 
significhi 
un 
processo 
efficiente 
per 
una 
impresa. 
ciò 
soprattutto 
al 
fine 
di 
scongiurare 
ogni 
autoreferenzialità 
nell’affrontare 
le 
delicate 
questioni 
che 
oggi 
ci 
occupano, 
dando 
voce 
alle 
aspettative 
degli 
utenti 
finali 
del 
“servizio 
giustizia”. 


le 
conclusioni 
di 
questo convegno di 
studi 
non potevano che 
essere 
affidate 
a 
Bruno Sassani, che 
ringrazio per la 
graditissima 
presenza 
e 
che 
considero 
uno dei 
miei 
due 
maestri 
(15). al 
professore 
Bruno Sassani 
devo essere 
grato, dobbiamo tutti 
essere 
particolarmente 
grati 
per averci 
insegnato, oltre 
venti 
anni 
fa, a 
ragionare 
in termini 
di 
efficienza 
del 
processo e 
di 
confronto 
tra sistemi processuali affini, come quelli civile e amministrativo. 

9.-anche 
questo secondo convegno di 
studi 
è 
stato ideato e 
attuato nel 
segno 
di 
una 
fattiva 
collaborazione 
istituzionale, 
alla 
quale 
l’avvocatura 
dello 
Stato di catanzaro ispira costantemente la propria attività. 


(15) unitamente al compianto antonio Romano tassone. 

temi 
iStituzionali 


collaborazione 
istituzionale 
per la 
quale 
devo davvero sinceramente 
ringraziare 
il 
Prefetto di 
catanzaro, che 
ci 
ospita 
in questa 
prestigiosa 
Sala 
del 
tricolore 
che 
restituisce, 
anche 
plasticamente, 
la 
dimensione 
istituzionale 
della 
nostra 
iniziativa, la 
Presidente 
della 
corte 
d’appello e 
il 
Presidente 
del 
tribunale 
amministrativo 
regionale, 
anche 
per 
il 
loro 
incoraggiamento 
a 
sostenere 
il 
peso organizzativo di 
un evento complesso come 
questo, così 
come 
il 
presidente 
del 
consiglio 
distrettuale 
dell’ordine 
degli 
avvocati, 
che 
ha 
voluto 
confermare la piena collaborazione all’iniziativa. 


Ringrazio per la presenza tutte le numerose 
autorità intervenute. 


un vivo ringraziamento va 
altresì 
agli 
enti 
che 
hanno inteso patrocinare 
questa iniziativa, ritenendola meritevole di particolare attenzione tra le tante: 
unindustria 
calabria 
e 
la 
Banca 
montepaone 
con la 
sua 
fondazione, ente 
del 
terzo settore. 


10.-ora 
taccio, per non sottrarre 
altro spazio alle 
autorità 
ed agli 
autorevoli 
relatori 
che 
hanno 
accolto 
il 
nostro 
invito 
a 
far 
conoscere 
il 
loro 
pensiero 
ed a contribuire fattivamente a questo dibattito. 


Prego, dunque, il 
Segretario generale 
dell’avvocatura 
dello Stato, maurizio 
greco, 
di 
assumere 
la 
presidenza 
del 
convegno, 
ringraziandolo 
vivamente 
per il sostegno a questa iniziativa e la presenza personale di oggi. 



RaSSegna 
avvocatuRa 
dello 
Stato -n. 2/2023 


Avvocatura 
Generaledello 
Stato 


CIRColARE 
N. 12/2024 


oggetto: 
D.P.C.M. 
22 
dicembre 
2023 
recante 
“Autorizzazione 
all’Avvocatura 
dello Stato ad assumere 
la rappresentanza e 
la difesa della società 
Giubileo 
2025 
S.p.A. 
nei 
giudizi 
attivi 
e 
passivi 
avanti 
le 
autorità 
giudiziarie, 
i collegi arbitrali, le giurisdizioni amministrative e speciali”. 


Si 
comunica 
che 
con d.P.c.m. del 
22 dicembre 
2023, pubblicato in gazzetta 
ufficiale 
n. 29 del 
5 febbraio 2024, l’avvocatura 
dello Stato è 
stata 
autorizzata 
ad 
assumere 
la 
rappresentanza 
e 
la 
difesa 
della 
società 
Giubileo 
2025 


S.p.A. 
nei 
giudizi 
attivi 
e 
passivi 
avanti 
le 
autorità 
giudiziarie, i 
collegi 
arbitrali, 
le giurisdizioni amministrative e speciali. 
l’avvocato geneRale 
gabriella 
PalmieRi Sandulli 



Contenziosonazionale
Gli automatismi sanzionatori nella più recente 
giurisprudenza di legittimità. Disamina di 
Corte costituzionale, 9 novembre 2023, n. 201 


Antonino Ripepi* 


1. Premessa. 
Con la 
pronuncia 
in esame, la 
Corte 
costituzionale 
ha 
dichiarato l’illegittimità 
costituzionale 
dell’art. 
69, 
quarto 
comma, 
del 
codice 
penale, 
nella 
parte 
in 
cui 
prevede 
il 
divieto 
di 
prevalenza 
della 
circostanza 
attenuante 
di 
cui 
all’art. 
74, comma 
7, del 
d.P.R. 9 ottobre 
1990, n. 309 (testo unico delle 
leggi 
in materia 
di 
disciplina 
degli 
stupefacenti 
e 
sostanze 
psicotrope, prevenzione, cura 
e 
riabilitazione 
dei 
relativi 
stati 
di 
tossicodipendenza), sulla 
recidiva 
di 
cui 
all’art. 
99, quarto comma, c.p. 


2. Analisi delle questioni giuridiche sottese. 
L’esame 
delle 
questioni 
giuridiche 
affrontate 
dalla 
sentenza 
in 
commento, 
afferenti 
al 
problematico 
rapporto 
tra 
recidiva 
e 
istituti 
di 
favore 
per 
il 
reo, 
postula 
un 
necessario 
inquadramento 
della 
generale 
tematica 
del 
principio 
di 
proporzionalità 
e 
degli 
automatismi 
sanzionatori, 
da 
tempo 
esaminata 
dalla 
giurisprudenza 
costituzionale, 
che 
fa 
da 
sfondo 
alla 
sentenza 
che 
ci 
si 
appresta 
a 
commentare. 


Il 
principio 
di 
proporzionalità 
(1), 
sebbene 
non 
espressamente 
sancito 
dalla 
Costituzione, è 
recentemente 
divenuto oggetto di 
applicazione 
da 
parte 


(*) Procuratore 
dello Stato -Avvocatura 
Distrettuale 
di 
Reggio Calabria, Referente 
distrettuale 
per la 
“Rassegna dell’Avvocatura dello Stato”. 


(1) Su cui 
v. E. ADDAntE, Il 
principio di 
proporzionalità sanzionatoria in materia penale, Pisa 
University Press, 2020. 

RASSEGnA 
AVVoCAtURA 
DELLo 
StAto -n. 2/2023 


della 
giurisprudenza 
penale 
e 
fondamento di 
numerose 
sentenze 
della 
Corte 
costituzionale. 


La 
proporzionalità, infatti, informa 
di 
sé 
le 
branche 
del 
diritto che 
implicano 
la 
relazione 
tra 
potere 
autoritativo e 
situazioni 
giuridiche 
soggettive 
del 
cittadino. 
In 
quanto 
tale, 
essa 
è 
un 
principio 
proprio 
del 
diritto 
amministrativo 
(2), 
ove 
il 
mezzo 
deve 
essere 
idoneo 
al 
perseguimento 
dello 
scopo 
nonché 
necessario, 
nella 
misura 
in cui 
non sussistano altre 
soluzioni 
meno lesive 
degli 
interessi del privato. 

In 
diritto 
penale, 
la 
proporzionalità 
implica 
un 
rapporto 
di 
ragionevolezza 
tra 
la 
gravità 
del 
fatto e 
la 
cornice 
edittale, nonché 
la 
pena 
applicata 
in concreto, 
avuto 
riguardo 
alla 
finalità 
rieducativa 
di 
questa 
ex 
art. 
27, 
terzo 
comma 
Cost. 


Si 
comprende, dunque, come 
il 
rapporto di 
necessaria 
proporzionalità 
tra 
reato 
e 
pena 
sia 
indispensabile 
in 
quel 
ramo 
del 
diritto 
che 
incide 
sul 
bene 
fondamentale 
della libertà personale. 

Questa 
esigenza 
è 
elevata 
al 
rango di 
principio dall’art. 49, par. 3 della 
Carta 
dei 
diritti 
fondamentali 
dell’Unione 
Europea 
(3). Considerato che 
essa 
ha 
lo stesso valore 
giuridico dei 
trattati, lo Stato italiano è 
tenuto al 
rispetto 
di 
tale 
principio ex 
artt. 11 e 
117, primo comma 
Cost., sebbene 
esso non sia 
espressamente previsto da alcuna disposizione costituzionale. 

In ambito nazionale, il 
principio in esame 
è 
stato valorizzato dalla 
Corte 
costituzionale 
(sentenze 
n. 251 del 
2012, n. 105 e 
n. 106 del 
2014, n. 205 del 
2017, n. 73 del 
2020, n. 55 e 
n. 143 del 
2021) quale 
parametro di 
costituzionalità 
unitamente 
agli 
affini 
principi 
di 
uguaglianza/ragionevolezza 
e 
rieducazione 
della 
pena 
(artt. 3 e 
27 Cost.). Da 
un canto, infatti, la 
cornice 
edittale 


(2) 
S. 
CASSESE, 
Le 
basi 
costituzionali, 
in 
S. 
CASSESE 
(a 
cura 
di), 
Trattato 
di 
diritto 
amministrativo. 
Diritto 
amministrativo 
generale, 
I, 
Milano, 
2000, 
pp. 
195-196; 
V. 
CERULLI 
IRELLI, 
Osservazioni 
generali 
sulla legge 
di 
modifica della l. n. 241/1990 
-I parte, in rivista 
on line 
www.giustamm.it; 
M. IMMoRDIno 
-A. 
PoLICE 
(a 
cura 
di), 
Principio 
di 
legalità 
e 
amministrazione 
di 
risultati, 
torino, 
2004; 
F. 
PAtRonI 
GRIFFI, Il 
principio di 
legalità, 2019, in www.giustizia-amministrativa.it; 
D. SIMEoLI, Appunti 
sul 
principio 
di 
legalità amministrativa, in 
Questione 
Giustizia, 2016, 4, pp. 174-189; 
A. MASSERA, Principi 
generali 
dell’azione 
amministrativa 
tra 
ordinamento 
nazionale 
ed 
ordinamento 
comunitario, 
in 
Dir. 
amm., 
2005, 
pp. 
707 
ss.; 
F. 
FRAnCARIo, 
Dalla 
legge 
sul 
procedimento 
amministrativo 
alla 
legge 
sul 
provvedimento amministrativo (sulle 
modifiche 
ed integrazioni 
recate 
dalla legge 
15/2005 alla legge 
241/1990), in rivista on line 
www.giustamm.it. 
(3) C. SotIS, I principi 
di 
necessità e 
proporzionalità della pena nel 
diritto dell’Unione 
Europea 
dopo Lisbona, Relazione 
al 
Convegno “Le 
droit 
pénal 
de 
l’Union européenne 
au lendemain du traité 
de 
Lisbonne”, 
Università 
di 
Paris 
1 
Panteheon 
-Sorbonne 
-Palais 
du 
Luxemburg, 
27 
e 
28 
gennaio 
2011, 
in Diritto Penale 
Contemporaneo, 2011; 
G. RUGGIERo, La proporzionalità nel 
diritto penale. Natura e 
attuazione, Editoriale 
Scientifica, 2018; 
F. VIGAnò, La proporzionalità della pena tra diritto costituzionale 
italiano 
e 
diritto 
dell’Unione 
europea: 
sull’effetto 
diretto 
dell’art. 
49, 
paragrafo 
3, 
della 
Carta 
alla luce 
di 
una recentissima sentenza della Corte 
di 
giustizia. nota 
a 
Corte 
di 
giustizia 
UE, Grande 
Sezione, 
sentenza 
8 marzo 2022, N.E., C-205/20, in Sistema penale, 26 aprile 
2022; 
n. RECChIA, Il 
principio 
di 
proporzionalità 
nel 
diritto 
penale. 
Scelte 
di 
criminalizzazione 
e 
ingerenza 
nei 
diritti 
fondamentali, Giappichelli, 2020. 

ContEnzIoSo 
nAzIonALE 


non può essere 
talmente 
ampia 
da 
rendere 
il 
giudice 
legislatore 
del 
caso concreto, 
generando il rischio di ingiustificabili disparità di trattamento. 

Su 
questo 
sfondo 
concettuale 
dev’essere 
trattata 
la 
questione 
del 
rapporto 
tra automatismi sanzionatori e discrezionalità giudiziale. 

La 
locuzione 
automatismi 
sanzionatori, 
di 
origine 
dottrinale 
(4), 
individua 
un 
insieme 
eterogeneo 
di 
istituti 
caratterizzati 
dal 
ricorso 
del 
legislatore 
a 
presunzioni 
assolute. 
Queste 
ultime 
si 
differenziano 
dalle 
presunzioni 
semplici 
le 
quali, ammettendo la 
prova 
contraria, non pongono questioni 
di 
compatibilità 
con il sistema penale sostanziale e processuale. 

Le 
presunzioni 
assolute, peraltro, non sono in astratto incompatibili 
con 
i 
principi 
costituzionali 
di 
rieducazione 
della 
pena 
e 
consequenziale 
individualizzazione 
del 
trattamento 
sanzionatorio, 
imposta 
anche 
dal 
principio 
di 
personalità 
della 
responsabilità 
penale. tuttavia, devono rispondere, secondo 
canoni di ragionevolezza, a massime di esperienza e non a mere congetture. 

Un 
ambito 
tematico 
nel 
quale 
è 
possibile 
apprezzare 
la 
tensione 
dialettica 
tra 
automatismi 
e 
discrezionalità 
è, sicuramente, il 
rapporto tra 
la 
recidiva 
e 
il 
giudizio di bilanciamento delle circostanze. 

Infatti, ai 
sensi 
dell’art. 69, ultimo comma, c.p., “le 
disposizioni 
del 
presente 
articolo si 
applicano anche 
alle 
circostanze 
inerenti 
alla 
persona 
del 
colpevole, 
esclusi 
i 
casi 
previsti 
dall’articolo 
99, 
quarto 
comma, 
nonché 
dagli 
articoli 
111 
e 
112, 
primo 
comma, 
numero 
4), 
per 
cui 
vi 
è 
divieto 
di 
prevalenza 
delle 
circostanze 
attenuanti 
sulle 
ritenute 
circostanze 
aggravanti”. 
L’intervento 
riformatore 
del 
2005, 
infatti, 
ha 
inciso 
in 
modo 
eccessivamente 
severo 
-a 
giudizio 
di 
rilevante 
parte 
della 
dottrina 
-sull’istituto della 
recidiva 
e 
sugli 
effetti 
secondari 
prodotti 
dalla 
medesima, 
tra 
cui 
quelli 
inerenti 
al 
bilanciamento 
delle 
circostanze. 


Presto, tuttavia, la 
Corte 
costituzionale 
ha 
ritenuto opportuno erodere 
la 
discrezionalità legislativa, non esercitata in modo corretto. 

Segnatamente, 
il 
quarto 
comma 
dell’art. 
69 
c.p. 
è 
stato 
più 
volte 
dichiarato 
incostituzionale 
laddove 
impedisce 
la 
prevalenza 
delle 
attenuanti 
con riferimento 
a 
circostanze 
unificate 
dalla 
comune 
natura 
di 
fatti 
di 
lieve 
entità 
o 
ravvedimento 
operoso, 
quali 
gli 
artt. 
648, 
secondo 
comma 
e 
609-bis, 
terzo 
comma 
c.p., nonché l’art. 73, commi 5 e 7, d.P.R. n. 309/1990. 


Le 
argomentazioni 
della 
Corte 
costituzionale 
sono 
simili 
per 
tutte 
le 
fattispecie 
e 
sono 
incentrate 
sui 
principi 
di 
uguaglianza 
e 
proporzionalità. 
Qualsiasi 
ipotesi 
di 
automatismo, 
infatti, 
preclude 
la 
necessaria 
individualizzazione 
del 
trattamento 
sanzionatorio. 
Il 
giudice, 
pertanto, 
potrà 
valutare 
per 
ogni 
singola 
fattispecie 
concreta 
l’effettiva 
capacità 
a 
delinquere 


(4) G. LEo, Automatismi 
sanzionatori 
e 
principi 
costituzionali, in treccani, Libro dell’anno del 
Diritto 2014; 
G. LEo 
-F. VIGAnò, Politiche 
sanzionatorie 
e 
sindacato di 
proporzionalità, in Libro del-
l’anno del Diritto 2018. 

RASSEGnA 
AVVoCAtURA 
DELLo 
StAto -n. 2/2023 


del 
reo 
e 
dichiarare 
l’aggravante 
equivalente 
o 
subvalente 
rispetto 
alle 
citate 
circostanze 
attenuanti. 


nel 
caso di 
specie, il 
giudice 
a quo, nell’ambito di 
un procedimento penale, 
ha 
ritenuto che 
sussistesse 
la 
responsabilità 
degli 
imputati 
per il 
delitto 
di 
cui 
all’art. 74 d.P.R. n. 309/1990 (“Associazione 
finalizzata 
al 
traffico illecito 
di 
sostanze 
stupefacenti 
o psicotrope”). tuttavia, alcuni 
di 
essi 
sono divenuti 
collaboratori 
di 
giustizia 
e 
hanno 
reso 
dichiarazioni 
etero 
e 
autoaccusatorie, 
di 
decisiva 
importanza 
per 
lo 
sviluppo 
delle 
indagini. 
Pertanto, 
si 
configuravano 
gli 
estremi 
per 
l’applicazione 
della 
circostanza 
attenuante 
di 
cui 
all’art. 
74, 
comma 
7, 
d.P.R. 
n. 
309/1990, 
che 
prevede 
una 
diminuzione 
di 
pena 
dalla 
metà 
a 
due 
terzi 
per chi 
si 
sia 
efficacemente 
adoperato 
per 
assicurare 
le 
prove 
del 
reato 
o 
per 
sottrarre 
all’associazione 
risorse 
decisive per la commissione dei delitti. 

Inoltre, si 
è 
reso necessario applicare, con riferimento ad alcuni 
imputati, 
la 
recidiva 
reiterata 
e 
infraquinquennale, 
in 
quanto 
«intranei 
a 
sodalizi 
camorristici 
e 
quindi 
dediti 
per 
scelta 
di 
vita 
a 
commettere 
gravissimi 
reati», 
ciascuno 
con numerosi 
precedenti 
penali 
espressivi 
sia 
di 
una 
accentuata 
colpevolezza, 
sia di una «tendenza a delinquere davvero incontenibile». 


Ad avviso del 
rimettente, l’attenuante 
di 
cui 
all’art. 74, comma 
7, d.P.R. 


n. 
309/1990 
avrebbe 
dovuto 
essere 
considerata 
prevalente 
sulle 
aggravanti 
contestate, 
nonché 
sulla 
recidiva 
di 
cui 
all’art. 
99, 
quarto 
comma, 
c.p. 
tale 
prevalenza 
sarebbe 
stata, però, preclusa 
dall’art. 69, quarto comma, c.p., con 
la 
conseguente 
necessità 
di 
applicare 
agli 
imputati 
collaboranti 
pene 
nella 
sostanza 
corrispondenti 
a 
quelle 
già 
irrogate 
ai 
coimputati 
non dissociatisi 
dal-
l’associazione. 
ne 
derivava, nella 
prospettazione 
del 
rimettente, la 
non manifesta 
irrilevanza 
della 
questione, sollevata 
con riferimento ai 
parametri 
di 
cui 
agli 
artt. 3 
e 
27 Cost., relativi, rispettivamente, alla 
disparità 
di 
trattamento e 
all’asserita 
violazione dei principi di proporzionalità e funzione rieducativa della pena. 


3. La decisione della Corte. 
La 
sentenza 
in esame 
costituisce 
piana 
applicazione 
(nonché 
conferma) 
dei principi sopra esposti. 


La 
Corte 
costituzionale, 
infatti, 
richiamando 
espressamente 
la 
propria 
precedente 
sentenza 
n. 
74/2016, 
osserva 
che 
“si 
è 
in 
quell’occasione 
osservato 
che 
l’attenuante 
di 
cui 
all’art. 
73, 
comma 
7, 
t.u. 
stupefacenti 
«è 
espressione 
di 
una 
scelta 
di 
politica 
criminale 
di 
tipo 
premiale, 
volta 
a 
incentivare, 
mediante 
una 
sensibile 
diminuzione 
di 
pena, 
il 
ravvedimento 
post-delittuoso 
del 
reo, 
rispondendo, 
sia 
all’esigenza 
di 
tutela 
del 
bene 
giuridico, 
sia 
a 
quella 
di 
prevenzione 
e 
repressione 
dei 
reati 
in 
materia 
di 
stupefacenti». 
E 
si 
è 
aggiunto 
che 
il 
divieto 
assoluto 
di 
operare 
tale 
diminuzione 
di 
pena 
in 
presenza 
di 
recidiva 
reiterata 
del 
reo 
«impedisce 
alla 
disposizione 
premiale 
di 
pro



ContEnzIoSo 
nAzIonALE 


durre 
pienamente 
i 
suoi 
effetti 
e 
così 
ne 
frustra 
in 
modo 
manifestamente 
irragionevole 
la 
ratio, 
perché 
fa 
venire 
meno 
quell’incentivo 
sul 
quale 
lo 
stesso 
legislatore 
aveva 
fatto 
affidamento 
per 
stimolare 
l’attività 
collaborativa
». 
Ciò 
anche 
considerando 
che 
la 
scelta 
di 
collaborare 
-pur 
non 
comportando 
necessariamente 
la 
resipiscenza 
del 
reo 
e 
potendo 
essere 
il 
frutto 
di 
mero 
calcolo 
-implica 
comunque 
«il 
distacco 
dell’autore 
del 
reato 
dal-
l’ambiente 
criminale 
nel 
quale 
la 
sua 
attività 
in 
materia 
di 
stupefacenti 
era 
inserita 
e 
trovava 
alimento, 
e 
lo 
espone 
non 
di 
rado 
a 
pericolose 
ritorsioni, 
determinando 
così 
una 
situazione 
di 
fatto 
tale 
da 
indurre 
in 
molti 
casi 
un 
cambiamento 
di 
vita» 
(punto 
5 
del 
Considerato 
in 
diritto). 
tali 
considerazioni 
non 
possono 
non 
valere 
anche 
rispetto 
alla 
circostanza 
attenuante 
di 
cui 
all’art. 
74, 
comma 
7, 
t.u. 
stupefacenti”. 


Anzi, rispetto all’attenuante 
ora 
in esame, le 
considerazioni 
svolte 
dalla 
sentenza 
n. 74 del 
2016 valgono a 
maggior ragione, dal 
momento che 
-come 
l’esperienza 
del 
contrasto alle 
differenti 
forme 
di 
criminalità 
organizzata 
nel 
nostro Paese 
ha 
ampiamente 
mostrato, dagli 
anni 
ottanta 
in poi 
-il 
contributo 
dei 
collaboratori 
di 
giustizia 
intranei 
ai 
sodalizi 
criminosi 
è 
di 
grande 
importanza 
ai 
fini 
della 
scoperta 
dell’organigramma 
dell’associazione 
e 
delle 
sue 
attività delittuose. 

ne 
discende 
la 
declaratoria 
di 
illegittimità 
costituzionale 
dell’art. 
69, 
quarto 
comma, 
c.p. 
nella 
parte 
in 
cui 
prevede 
il 
divieto 
di 
prevalenza 
della 
circostanza 
attenuante 
di 
cui 
all’art. 74, comma 
7, del 
d.P.R. 9 ottobre 
1990, n. 
309 (testo unico delle 
leggi 
in materia 
di 
disciplina 
degli 
stupefacenti 
e 
sostanze 
psicotrope, prevenzione, cura 
e 
riabilitazione 
dei 
relativi 
stati 
di 
tossicodipendenza), 
sulla recidiva di cui all’art. 99, quarto comma, c.p. 


La 
pronuncia 
in 
esame, 
in 
definitiva, 
costituisce 
conferma 
di 
un 
filone 
giurisprudenziale 
ormai 
consolidato, ma 
sempre 
foriero di 
interessanti 
riflessioni 
sulle 
coordinate 
ermeneutiche 
di 
fondo 
del 
nostro 
sistema 
penale, 
nonché 
del 
ruolo sempre 
più pregnante 
della 
Corte 
costituzionale 
nella 
delineazione 
del medesimo. 


Corte 
Costituzionale, 
sentenza 
9 
novembre 
2023 
n. 
201 
-Pres. 
A.A. 
Barbera, 
Red. 
F. 
Viganò 
-Giudizio 
di 
legittimità 
costituzionale 
dell’art. 
69, 
quarto 
comma, 
del 
codice 
penale, 
promosso 
dal 
Giudice 
dell’udienza 
preliminare 
del 
tribunale 
ordinario di 
napoli 
con ordinanza 
del 
16 
dicembre 2022. 


(omissis) 


In altre 
parole, in assenza 
di 
una 
declaratoria 
di 
illegittimità 
costituzionale 
del 
divieto 
contenuto nel 
censurato art. 69, quarto comma, cod. pen. -che 
impedisce 
la 
prevalenza 
del-
l’attenuante 
di 
cui 
all’art. 
74, 
comma 
7, 
t.u. 
stupefacenti 
sulla 
recidiva 
di 
cui 
all’art. 
99, 
quarto 
comma, cod. pen. -gli 
imputati 
dal 
giudizio a quo 
«subirebbero un trattamento sanzionatorio 
pari 
o 
addirittura 
peggiore 
rispetto 
ai 
coimputati 
che 
essi 
hanno 
contribuito 
in 
materia 
decisiva 
a far arrestare e a far condannare». 



RASSEGnA 
AVVoCAtURA 
DELLo 
StAto -n. 2/2023 


Di qui la rilevanza delle questioni. 


1.2.– 
Quanto 
alla 
non 
manifesta 
infondatezza, 
il 
rimettente 
lamenta 
anzitutto 
il 
contrasto 
della disciplina censurata con il principio di ragionevolezza di cui all’art. 3 Cost. 


1.2.1.– 
L’«astratto 
e 
assoluto 
automatismo» 
insito 
nel 
divieto 
di 
prevalenza 
dell’attenuante 
della 
collaborazione 
ex 
art. 74, comma 
7, t.u. stupefacenti 
sulla 
recidiva 
reiterata 
produrrebbe 
un risultato disarmonico rispetto alla 
ratio 
dell’attenuante 
medesima, che 
è 
quella 
di 
favorire 
il 
più possibile 
la 
dissociazione 
da 
un contesto associativo di 
elevata 
pericolosità. 


Da 
un 
lato, 
infatti, 
l’art. 
74, 
comma 
7, 
accorderebbe 
un 
«fortissimo 
“sconto” 
di 
pena 
(dalla 
metà 
a 
due 
terzi) come 
“ricompensa” 
per chi, allontanandosi 
dal 
sodalizio e 
mettendo, 
spesso, anche 
a 
rischio l’incolumità 
propria 
e 
dei 
familiari, “si 
sia 
efficacemente 
adoperato 
per assicurare 
le 
prove 
del 
reato o per sottrarre 
all’associazione 
risorse 
decisive 
per la 
commissione 
dei 
delitti”» 
e 
costituirebbe 
«un 
importante 
tassello 
nella 
lotta 
al 
narcotraffico», 
quale 
«strumento per tentare 
di 
scardinare 
quel 
patto di 
collaborazione 
e 
di 
omertà, spesso 
impenetrabile, che 
è 
alla 
base 
delle 
organizzazioni 
criminali, anche 
di 
quelle 
finalizzate 
allo 
spaccio 
di 
stupefacenti». 
Dall’altro 
lato, 
sarebbe 
«più 
che 
verosimile» 
che 
soggetti 
di 
spessore 
criminale 
tale 
da 
rivestire 
il 
ruolo 
di 
capi 
o 
promotori 
di 
un’associazione 
dedita 
al 
narcotraffico 
siano anche recidivi reiterati. 


Sicché 
l’attenuante 
in questione, non potendo spiegare 
tutta 
la 
sua 
valenza 
per i 
recidivi 
reiterati 
-in ragione 
del 
divieto contenuto nel 
censurato art. 69, quarto comma, cod. pen. perderebbe 
«gran 
parte 
della 
sua 
ragion 
d’essere, 
dal 
momento 
che 
tali 
soggetti 
non 
avrebbero 
alcun 
beneficio 
a 
dissociarsi, 
vedendo 
al 
massimo 
eliso 
l’aumento 
per 
la 
recidiva, 
sempre 
che 
ciò non avvenga 
già 
per effetto di 
altre 
attenuanti»; 
con conseguente 
«totale 
neutralizzazione 
della 
valenza 
positiva 
del 
contributo dichiarativo» degli 
imputati 
e 
«sostanziale 
“tradimento” 
del 
patto 
che 
lo 
Stato 
intende 
instaurare 
con 
chi 
si 
dissocia 
onde 
pervenire 
alla 
disarticolazione 
del sodalizio». 


Il 
rimettente 
richiama 
diffusamente, 
sul 
punto, 
le 
argomentazioni 
della 
sentenza 
n. 
74 
del 
2016 
di 
questa 
Corte, 
che 
ha 
dichiarato 
l’illegittimità 
costituzionale 
dell’art. 
69, 
quarto 
comma, 
cod. 
pen., 
nella 
parte 
in 
cui 
prevedeva 
il 
divieto 
di 
prevalenza, 
sulla 
recidiva 
reiterata, 
della 
circostanza 
attenuante 
prevista 
dall’art. 
73, 
comma 
7, 
t.u. 
stupefacenti 
per 
chi 
si 
dissoci, 
in 
quel 
caso, 
da 
fatti 
di 
traffico 
di 
stupefacenti 
commessi 
al 
di 
fuori 
di 
un 
contesto 
associativo. 


Le 
considerazioni 
allora 
espresse 
da 
questa 
Corte 
-secondo 
cui 
la 
norma 
censurata, 
impedendo 
alla 
disposizione 
premiale 
di 
produrre 
pienamente 
i 
suoi 
effetti, 
ne 
frustrava 
in 
modo 
manifestamente 
irragionevole 
la 
ratio, 
perché 
faceva 
venire 
meno 
quell’incentivo 
(la 
sensibile 
diminuzione 
di 
pena) 
sul 
quale 
lo 
stesso 
legislatore 
aveva 
fatto 
affidamento 
per 
stimolare 
l’attività 
collaborativa 
-varrebbero 
a 
fortiori 
nel 
caso 
di 
specie. 
E 
invero, 
stante 
la 
maggiore 
gravità 
del 
reato 
associativo 
di 
cui 
all’art. 
74 
t.u. 
stupefacenti, 
rispetto 
al 
delitto 
di 
cui 
all’art. 
73, 
«ancora 
più 
impellente 
risult[erebbe] 
essere 
l’esigenza 
di 
favorire 
la 
dissociazione 
di 
chi 
fa 
parte 
del 
sodalizio». 
Inoltre, 
poiché 
«il 
reato 
associativo 
comporta 
l’adesione 
a 
un 
pactum 
sceleris 
dal 
quale 
non 
ci 
si 
libera 
in 
alcuni 
ambienti 
se 
non 
a 
prezzo 
della 
vita», 
non 
potrebbe 
non 
riconoscersi 
a 
colui 
che 
si 
dissoci 
un 
“premio” 
«quantomeno 
della 
stessa 
portata». 


1.2.2.– Peraltro, la 
circostanza 
che, alla 
luce 
della 
sentenza 
n. 74 del 
2016, sia 
possibile 
ritenere 
prevalente 
sulla 
recidiva 
reiterata 
l’attenuante 
di 
cui 
all’art. 73, comma 
7, t.u. stupefacenti, 
ma 
non 
quella, 
«in 
tutto 
analoga», 
di 
cui 
all’art. 
74, 
comma 
7, 
rivelerebbe 
un 
ulteriore 
profilo di irragionevolezza del censurato art. 69, quarto comma, cod. pen. 


1.2.3.– 
L’irragionevolezza 
del 
divieto 
emergerebbe 
altresì 
dal 
raffronto 
con 
il 
regime 



ContEnzIoSo 
nAzIonALE 


della 
circostanza 
attenuante 
prevista 
per i 
delitti 
di 
tipo mafioso dall’art. 8 del 
decreto-legge 
13 maggio 1991, n. 152 (Provvedimenti 
urgenti 
in tema 
di 
lotta 
alla 
criminalità 
organizzata 
e 
di 
trasparenza 
e 
buon andamento dell’attività 
amministrativa), convertito, con modificazioni, 
nella 
legge 
12 
luglio 
1991, 
n. 
203, 
poi 
trasfuso 
nell’art. 
416-bis.1, 
terzo 
comma, 
cod. 
pen. 
Detta 
attenuante 
-caratterizzata, 
secondo 
il 
rimettente, 
dalla 
medesima 
ratio 
di 
quella 
che 
sorregge 
la 
disposizione 
censurata 
-per 
consolidata 
giurisprudenza 
non 
è 
soggetta 
al 
giudizio 
di 
bilanciamento tra 
circostanze 
eterogenee 
ed è 
di 
applicazione 
obbligatoria 
(Corte 
di 
cassazione, 
sezioni 
unite 
penali, sentenza 
25 febbraio -18 marzo 2010, n. 10713; 
sezione 
sesta 
penale, 
sentenza 
13 aprile-4 luglio 2017, n. 31983), laddove 
la 
circostanza 
attenuante 
dell’art. 
74, comma 
7, del 
d.P.R. n. 309 del 
1990 non solo è 
soggetta 
al 
giudizio di 
bilanciamento, ma 
non può neppure prevalere sulla recidiva reiterata. 


1.2.4.– osserva 
ancora 
il 
rimettente 
che 
questa 
Corte, con le 
sentenze 
n. 251 del 
2012, 


n. 
105 
e 
n. 
106 
del 
2014, 
n. 
205 
del 
2017, 
n. 
73 
del 
2020, 
n. 
55 
e 
n. 
143 
del 
2021, 
ha 
dichiarato 
l’illegittimità 
costituzionale 
dell’art. 
69, 
quarto 
comma, 
cod. 
pen., 
nella 
parte 
in 
cui 
prevedeva 
il 
divieto 
di 
prevalenza, 
sulla 
recidiva 
reiterata, 
di 
una 
pluralità 
di 
circostanze 
attenuanti, 
«connesse 
a 
ipotesi 
delittuose 
di 
lieve 
entità 
o comunque 
di 
minor rimproverabilità 
sotto il 
profilo 
dell’elemento 
soggettivo, 
in 
relazione 
alle 
quali 
il 
divieto 
di 
prevalenza 
si 
tradurrebbe 
nel-
l’imposizione di una pena sproporzionata al recidivo reiterato». 
A 
fronte 
di 
tali 
declaratorie, sarebbe 
irragionevole 
la 
vigente 
disciplina 
che 
impedisce 
la 
prevalenza 
della 
diminuente 
di 
cui 
all’art. 74, comma 
7, t.u. stupefacenti, ossia 
di 
un’attenuante 
a 
effetto speciale, che 
prevede 
una 
riduzione 
di 
pena 
di 
gran lunga 
più incisiva 
(dalla 
metà 
ai 
due 
terzi), rispetto ad altre 
circostanze 
a 
efficacia 
comune, il 
cui 
divieto di 
prevalenza 
è 
già 
stato ritenuto costituzionalmente 
illegittimo, quali 
quelle 
di 
cui 
agli 
artt. 89 e 
116, secondo 
comma, cod. pen. (rispettivamente, sentenze n. 73 del 2020 e n. 55 del 2021). 


L’attenuante 
di 
cui 
all’art. 
74, 
comma 
7, 
non 
potrebbe 
d’altra 
parte 
essere 
paragonata, 
per 
ratio 
e 
valenza 
in 
termini 
di 
riduzione 
della 
pena, 
alle 
circostanze 
attenuanti 
generiche, 
rispetto 
alle 
quali 
la 
Corte 
di 
cassazione 
ha 
ritenuto 
manifestamente 
infondato 
il 
dubbio 
di 
illegittimità 
costituzionale 
circa 
il 
divieto 
di 
prevalenza 
sulla 
recidiva 
reiterata 
(è 
citata 
la 
sentenza 
della 
sezione 
sesta 
penale, 
23-31 
marzo 
2017, 
n. 
16487), 
sul 
rilievo 
che 
trattasi 
di 
circostanze 
comuni 
rispetto 
a 
cui 
il 
divieto 
non 
determina 
una 
manifesta 
sproporzione 
del 
trattamento 
sanzionatorio. 
La 
diminuente 
di 
cui 
all’art. 
74, 
comma 
7, 
a 
effetto 
speciale, 
prevedrebbe 
una 
riduzione 
di 
pena 
di 
gran 
lunga 
superiore 
a 
un 
terzo 
(dalla 
metà 
a 
due 
terzi) 
e 
avrebbe 
una 
finalità 
del 
tutto 
diversa 
e 
peculiare 
rispetto 
alle 
attenuanti 
generiche. 


1.3.– Il 
rimettente 
ravvisa 
infine, nel 
censurato divieto di 
prevalenza, un vulnus 
al 
principio 
di 
proporzionalità 
della 
pena 
di 
cui 
all’art. 27, terzo comma, Cost., «sia 
sotto il 
profilo 
della 
sua 
funzione 
rieducativa 
che 
di 
quella 
retributiva, in quanto una 
pena 
che 
non tenga 
in 
debito conto della 
proficua 
collaborazione 
prestata 
per effetto di 
una 
dissociazione 
post-delictum, 
spesso sofferta, e 
che 
può esporre 
a 
gravissimi 
rischi 
personali 
e 
familiari, da 
un lato 
non 
può 
correttamente 
assolvere 
alla 
funzione 
di 
ristabilimento 
della 
legalità 
violata, 
dall’altro 


- soprattutto - non potrà mai essere sentita dal condannato come rieducatrice». 
Rammenta 
in 
proposito 
il 
giudice 
a 
quo 
che 
l’impossibilità 
di 
prevalenza 
dell’attenuante 
ex 
art. 74, comma 
7, comporta 
l’inflizione 
agli 
imputati 
di 
«un trattamento sanzionatorio pari 


o addirittura 
peggiore 
rispetto ai coimputati che essi hanno contribuito in maniera decisiva a 
far 
arrestare 
e 
a 
far 
condannare 
e, 
altresì, 
peggiore 
rispetto 
all’ipotesi 
in 
cui 
non 
avessero 
“collaborato”
». 
2.– 
È 
intervenuto 
in 
giudizio 
il 
Presidente 
del 
Consiglio 
dei 
ministri, 
rappresentato 
e 
di



RASSEGnA 
AVVoCAtURA 
DELLo 
StAto -n. 2/2023 


feso 
dall’Avvocatura 
generale 
dello 
Stato, 
chiedendo 
che 
le 
questioni 
siano 
dichiarate 
non 
fondate. 


2.1.– 
L’ordinanza 
di 
rimessione 
sarebbe 
anzitutto 
affetta 
da 
un’«intima 
contraddizione»: 
in un contesto criminoso di 
«inaudita 
gravità, se 
non di 
natura 
eversiva», il 
giudice 
a quo 
da 
un lato avrebbe 
evidenziato l’«irriducibile 
tendenza 
a 
delinquere» degli 
imputati, e 
dall’altro 
lato avrebbe 
inopinatamente 
applicato le 
circostanze 
attenuanti 
generiche 
agli 
associati 
giudicati 
in separato procedimento, in tal 
modo «paralizzando l’aumento di 
pena 
per i 
recidivi 
giudicati 
separatamente 
con il 
bilanciamento d’equivalenza» e 
creando «una 
potenziale 
di-
simmetria 
con gli 
imputati 
odierni 
quanto (a 
parità 
di 
posizioni 
e 
stante 
la 
collaborazione 
fornita) 
alla 
pena 
irrogabile 
che 
non si 
discosta 
da 
quella 
irrogata 
ai 
consorti 
non collaboranti». 
L’errore 
del 
rimettente 
nel 
riconoscere 
le 
attenuanti 
generiche 
-non accordabili 
per la 
mera, 
generica 
necessità 
di 
adeguare 
la 
pena 
all’entità 
del 
fatto (sono citate 
Corte 
di 
cassazione, sezione 
prima 
penale, sentenza 
18 maggio -11 ottobre 
2017, n. 46568 e 
sezione 
quarta 
penale, 
sentenza 
28 ottobre 
-1° 
dicembre 
2020, n. 33867) -non potrebbe 
essere 
posto a 
fondamento 
della dedotta illegittimità costituzionale della norma censurata. 


2.2.– 
Le 
censure 
del 
rimettente 
si 
appunterebbero, 
in 
realtà, 
sull’eccessiva 
asprezza 
delle 
pene 
previste 
dall’art. 
74 
t.u. 
stupefacenti, 
e 
solo 
«indirettamente 
e 
per 
ricaduta» 
riguarderebbero 
il 
divieto di 
prevalenza 
dell’attenuante 
di 
cui 
all’art. 74, comma 
7, t.u. stupefacenti 
sulla 
recidiva 
reiterata; 
divieto, quest’ultimo, che 
sarebbe 
però del 
tutto ragionevole, «di 
fronte 
ad 
imputati 
avvezzi 
a 
irredimibili 
atti 
di 
delinquenza 
secondo i 
canoni 
tratteggiati 
dall’art. 99, 
quarto comma, c.p.». 


2.3.– né 
potrebbe 
essere 
considerato irragionevole 
che 
-in forza 
della 
sentenza 
n. 74 
del 
2016 di 
questa 
Corte 
-sia 
possibile 
per il 
giudice 
ritenere 
prevalente 
l’attenuante 
prevista 
dall’art. 
73, 
comma 
7, 
t.u. 
stupefacenti, 
ma 
non 
quella 
contenuta 
nel 
successivo 
art. 
74, 
comma 


7. Le 
argomentazioni 
spese 
in quella 
pronuncia 
non sarebbero infatti 
trasponibili 
al 
caso di 
specie, in ragione 
della 
«gravissima 
pericolosità 
dell’associazione 
a 
delinquere 
finalizzata 
al 
traffico di 
stupefacenti 
in carcere 
ad uso di 
detenuti» e 
delle 
«qualificate 
recidive 
tutte 
comprovanti 
uno stato di vita nel delitto irredimibile». 
2.4.– né, ancora, produrrebbe 
alcun vulnus 
costituzionale 
la 
circostanza 
che 
il 
recidivo 
reiterato, per il 
divieto di 
prevalenza 
dell’attenuante 
di 
cui 
all’art. 74, comma 
7, t.u. stupefacenti, 
non 
possa 
fruire 
dello 
stesso 
sconto 
di 
pena 
di 
cui 
godrebbe 
chi 
recidivo 
non 
sia, 
in 
quanto «in assenza 
di 
attenuanti 
generiche, il 
reo recidivo qualificato con la 
collaborazione 
e 
grazie 
ad essa 
evita 
l’aumento di 
pena» connesso alla 
recidiva 
reiterata. Sicché 
«la 
funzione 
di 
incentivo 
alla 
collaborazione» 
sussisterebbe 
«in 
ampia 
misura 
anche 
per 
il 
soggetto 
recidivo 
qualificato che 
evita, comunque, un incremento di 
pena 
ben importante». Le 
pene 
da 
irrogare 
agli 
imputati 
del 
giudizio a quo, «[a]lla 
luce 
dei 
fatti 
processuali», non sarebbero dunque 
manifestamente 
sproporzionate e contrarie all’art. 27, terzo comma, Cost. 


2.5.– 
nemmeno, 
infine, 
si 
potrebbero 
ricavare 
profili 
di 
irragionevolezza 
della 
disciplina 
censurata 
dal 
raffronto con il 
regime 
di 
applicazione 
dell’attenuante, non soggetta 
a 
bilanciamento, 
di 
cui 
all’art. 
416-bis.1 
cod. 
pen., 
che 
non 
costituirebbe 
un 
tertium 
comparationis 
omogeneo. 
E 
invero, 
l’ipotesi 
di 
dissociazione 
prevista 
in 
relazione 
a 
reati 
di 
tipo 
mafioso, 
per 
«l’irriducibile 
peculiarità 
socio-criminale 
del 
fenomeno mafioso», non potrebbe 
costituire 
un 
«valido raffronto né 
interno (diverso lo sconto di 
pena 
tra 
essa 
e 
la 
collaborazione 
prevista 
dall’art. 
74, 
settimo 
comma, 
D.P.R. 
n. 
309/1990) 
né 
esterno 
([…] 
la 
dissociazione 
mafiosa 
nella quasi totalità dei casi riguarda affiliati già pluripregiudicati)». 



ContEnzIoSo 
nAzIonALE 


Considerato in diritto 


1.– Con l’ordinanza 
di 
cui 
in epigrafe, il 
GUP 
del 
tribunale 
di 
napoli 
ha 
sollevato, in 
riferimento 
agli 
artt. 
3 
e 
27, 
terzo 
comma, 
Cost., 
questioni 
di 
legittimità 
costituzionale 
dell’art. 
69, quarto comma, cod. pen., nella 
parte 
in cui 
prevede 
il 
divieto di 
prevalenza 
della 
circostanza 
attenuante 
di 
cui 
all’art. 74, comma 
7, t.u. stupefacenti 
sulla 
recidiva 
di 
cui 
all’art. 99, 
quarto comma, cod. pen. 


2.– L’Avvocatura 
generale 
dello Stato, pur dolendosi 
dell’«intima 
contraddizione» che 
emergerebbe 
dalla 
motivazione 
del 
rimettente 
-il 
quale 
denuncerebbe 
una 
irragionevole 
equiparazione 
del 
trattamento 
sanzionatorio 
tra 
imputati 
collaboranti 
e 
condannati 
non 
collaboranti, 
che 
egli 
stesso avrebbe 
creato riconoscendo inopinatamente 
a 
questi 
ultimi 
le 
attenuanti 
generiche 
-, non solleva 
propriamente 
alcuna 
eccezione 
di 
inammissibilità, limitandosi 
a 
sostenere 
la non fondatezza nel merito delle questioni sollevate. 


In effetti, le questioni sono ammissibili. 


Il 
rimettente 
argomenta 
in punto di 
fatto, con motivazione 
diffusa 
e 
certo non implausibile: 
a) che 
i 
quattro imputati 
nel 
giudizio a quo 
sono responsabili 
del 
delitto di 
associazione 
finalizzata 
al 
traffico di 
sostanze 
stupefacenti 
di 
cui 
all’art. 74, commi 
1 e 
2, t.u. stupefacenti, 
tre 
di 
essi 
a 
titolo 
di 
capi 
e 
il 
quarto 
a 
titolo 
di 
partecipe; 
b) 
che 
nei 
confronti 
di 
tutti 
gli 
imputati 
deve 
essere 
altresì 
ritenuta 
sussistente 
la 
recidiva 
di 
cui 
all’art. 99, quarto comma, cod. pen. 
in relazione 
ai 
numerosi 
precedenti 
penali 
di 
ciascuno, espressivi 
di 
una 
loro accentuata 
colpevolezza 
e 
pericolosità; 
c) che 
agli 
stessi 
devono altresì 
essere 
riconosciute 
le 
attenuanti 
generiche 
e 
l’attenuante 
speciale 
prevista 
dall’art. 
74, 
comma 
7, 
t.u. 
stupefacenti, 
la 
quale 
prevede 
la 
diminuzione 
della 
pena 
dalla 
metà 
a 
due 
terzi 
«per chi 
si 
sia 
efficacemente 
adoperato 
per assicurare 
le 
prove 
del 
reato o per sottrarre 
all’associazione 
risorse 
decisive 
per la 
commissione 
dei 
delitti»; 
d) che 
tale 
ultima 
attenuante 
meriterebbe 
di 
essere 
considerata 
prevalente, 
per tutti 
gli 
imputati, sulla 
contestata 
recidiva; 
e) che 
tale 
esito è, tuttavia, precluso 
dal censurato art. 69, quarto comma, cod. pen. 


tanto basta 
ai 
fini 
del 
vaglio della 
rilevanza 
delle 
questioni 
sollevate, che 
questa 
Corte 
è 
chiamata 
a 
compiere. L’argomento della 
sostanziale 
equivalenza 
tra 
le 
pene 
che 
dovrebbero 
essere 
irrogate 
ai 
quattro imputati 
e 
quelle 
già 
inflitte, in esito a 
un separato procedimento, ai 
loro ex associati 
non collaboranti 
è 
utilizzato dal 
giudice 
a quo in chiave 
meramente 
rafforzativa 
della 
dimostrazione 
della 
rilevanza 
delle 
questioni, ma 
non è 
essenziale 
rispetto a 
tale 
dimostrazione, e 
appare 
piuttosto attenere 
al 
merito delle 
questioni, con le 
quali 
si 
lamenta 
in 
via 
generale 
-e 
non solo con riferimento al 
caso concreto, pur indicato come 
emblematico l’eccessività 
delle 
conseguenze 
sanzionatorie 
cui 
condurrebbe 
l’applicazione 
della 
disposizione 
censurata, al duplice metro degli artt. 3 e 27, terzo comma, Cost. 


nessuna 
«intima 
contraddizione» tale 
da 
viziare 
la 
tenuta 
logica 
dell’ordinanza 
è, dunque, 
ravvisabile 
in punto di 
motivazione 
sulla 
rilevanza 
o sulla 
non manifesta 
infondatezza 
delle questioni. 


3.– nel merito, la questione sollevata in relazione all’art. 3 Cost. è fondata. 


3.1.– La 
disposizione 
di 
cui 
all’art. 69, quarto comma, cod. pen., introdotta 
dalla 
legge 
5 dicembre 
2005, n. 251 (Modifiche 
al 
codice 
penale 
e 
alla 
legge 
26 luglio 1975, n. 354, in 
materia 
di 
attenuanti 
generiche, di 
recidiva, di 
giudizio di 
comparazione 
delle 
circostanze 
di 
reato 
per 
i 
recidivi, 
di 
usura 
e 
di 
prescrizione) 
-la 
cosiddetta 
legge 
“ex 
Cirielli” 
-è 
stata 
oggetto 
di 
molteplici 
pronunce 
di 
illegittimità 
costituzionale 
parziale, che 
hanno colpito il 
divieto di 
prevalenza 
di 
altrettante 
circostanze 
attenuanti 
sulla 
recidiva 
reiterata 
di 
cui 
all’art. 
99, 
quarto 
comma, cod. pen. (per una 
recente 
dettagliata 
rassegna 
di 
tali 
pronunce 
e 
delle 
loro diverse 



RASSEGnA 
AVVoCAtURA 
DELLo 
StAto -n. 2/2023 


linee 
argomentative, sentenza 
n. 94 del 
2023, punto 10 del 
Considerato in diritto; 
nonché, in 
seguito, sentenze n. 141 e n. 188 del 2023). 


In 
particolare, 
la 
sentenza 
n. 
74 
del 
2016 
ha 
già 
dichiarato 
costituzionalmente 
illegittimo 
l’art. 69, quarto comma, cod. pen. nella 
parte 
in cui 
prevedeva 
il 
divieto di 
prevalenza 
della 
parallela 
circostanza 
attenuante 
di 
cui 
all’art. 73, comma 
7, t.u. stupefacenti, che 
-rispetto al 
delitto 
di 
traffico 
di 
sostanze 
stupefacenti 
compiuto 
al 
di 
fuori 
di 
un 
contesto 
associativo 
prevede 
la 
diminuzione 
della 
pena 
dalla 
metà 
a 
due 
terzi 
«per chi 
si 
adopera 
per evitare 
che 
l’attività 
delittuosa 
sia 
portata 
a 
conseguenze 
ulteriori, 
anche 
aiutando 
concretamente 
l’autorità 
di 
polizia 
o l’autorità 
giudiziaria 
nella 
sottrazione 
di 
risorse 
rilevanti 
per la 
commissione 
dei 
delitti». 


Si 
è 
in 
quell’occasione 
osservato 
che 
l’attenuante 
di 
cui 
all’art. 
73, 
comma 
7, 
t.u. 
stupefacenti 
«è 
espressione 
di 
una 
scelta 
di 
politica 
criminale 
di 
tipo 
premiale, 
volta 
a 
incentivare, 
mediante 
una 
sensibile 
diminuzione 
di 
pena, 
il 
ravvedimento 
post-delittuoso 
del 
reo, 
rispondendo, 
sia 
all’esigenza 
di 
tutela 
del 
bene 
giuridico, 
sia 
a 
quella 
di 
prevenzione 
e 
repressione 
dei 
reati 
in 
materia 
di 
stupefacenti». 
E 
si 
è 
aggiunto 
che 
il 
divieto 
assoluto 
di 
operare 
tale 
diminuzione 
di 
pena 
in 
presenza 
di 
recidiva 
reiterata 
del 
reo 
«impedisce 
alla 
disposizione 
premiale 
di 
produrre 
pienamente 
i 
suoi 
effetti 
e 
così 
ne 
frustra 
in 
modo 
manifestamente 
irragionevole 
la 
ratio, 
perché 
fa 
venire 
meno 
quell’incentivo 
sul 
quale 
lo 
stesso 
legislatore 
aveva 
fatto 
affidamento 
per 
stimolare 
l’attività 
collaborativa». 
Ciò 
anche 
considerando 
che 
la 
scelta 
di 
collaborare 
-pur 
non 
comportando 
necessariamente 
la 
resipiscenza 
del 
reo 
e 
potendo 
essere 
il 
frutto 
di 
mero 
calcolo 
-implica 
comunque 
«il 
distacco 
dell’autore 
del 
reato 
dall’ambiente 
criminale 
nel 
quale 
la 
sua 
attività 
in 
materia 
di 
stupefacenti 
era 
inserita 
e 
trovava 
alimento, 
e 
lo 
espone 
non 
di 
rado 
a 
pericolose 
ritorsioni, 
determinando 
così 
una 
situazione 
di 
fatto 
tale 
da 
indurre 
in 
molti 
casi 
un 
cambiamento 
di 
vita» 
(punto 
5 
del 
Considerato 
in 
diritto). 


3.2.– 
tali 
considerazioni 
non 
possono 
non 
valere 
anche 
rispetto 
alla 
circostanza 
attenuante 
di 
cui 
all’art. 
74, 
comma 
7, 
t.u. 
stupefacenti, 
che 
parimenti 
prevede 
la 
diminuzione 
della 
pena 
dalla 
metà 
a 
due 
terzi 
«per 
chi 
si 
sia 
efficacemente 
adoperato 
per 
assicurare 
le 
prove 
del 
reato 
o 
per 
sottrarre 
all’associazione 
risorse 
decisive 
per 
la 
commissione 
dei 
delitti
». 


Rispetto all’attenuante 
ora 
in esame, anzi, le 
considerazioni 
svolte 
dalla 
sentenza 
n. 74 
del 
2016 valgono a 
maggior ragione, dal 
momento che 
-come 
l’esperienza 
del 
contrasto alle 
differenti 
forme 
di 
criminalità 
organizzata 
nel 
nostro 
Paese 
ha 
ampiamente 
mostrato, 
dagli 
anni 
ottanta 
in poi 
-il 
contributo dei 
collaboratori 
di 
giustizia 
intranei 
ai 
sodalizi 
criminosi 
è 
di 
grande 
importanza 
ai 
fini 
della 
scoperta 
dell’organigramma 
dell’associazione 
e 
delle 
sue 
attività 
delittuose. 
Il 
che 
è, 
in 
effetti, 
accaduto 
anche 
nel 
caso 
oggetto 
del 
giudizio 
a 
quo, 
come 
puntualmente evidenziato dall’ordinanza di rimessione. 


Di 
talché 
appare 
contraddittorio che, per effetto del 
generale 
divieto introdotto nell’art. 
69 cod. pen. dalla 
legge 
“ex Cirielli”, questo sostanzioso incentivo alla 
collaborazione 
venga 
meno laddove 
il 
potenziale 
collaboratore 
sia 
-come 
spesso accade, trattandosi 
di 
associati 
a 
delinquere - già stato più volte condannato. 


La 
particolare 
gravità 
del 
delitto 
associativo 
che 
viene 
ora 
in 
considerazione, 
sulla 
quale 
insiste 
l’Avvocatura 
generale 
dello 
Stato, 
costituisce 
semmai 
una 
ragione 
in 
più 
per 
assicurare 
agli associati che intendano collaborare l’incentivo promesso in via generale dal legislatore. 


né 
potrebbe 
ritenersi, come 
ancora 
sostiene 
l’Avvocatura 
generale 
dello Stato, che 
un 
incentivo alla 
collaborazione 
sia 
comunque 
rappresentato, per il 
recidivo, dalla 
prospettiva 
di 



ContEnzIoSo 
nAzIonALE 


ottenere 
il 
riconoscimento 
dell’attenuante 
in 
parola 
come 
meramente 
equivalente 
rispetto 
alla 
recidiva 
reiterata. 
Infatti, 
tale 
prospettiva 
comporterebbe 
pur 
sempre, 
per 
il 
collaborante, 
l’applicazione 
delle 
elevate 
pene 
previste 
dall’art. 
74 
t.u. 
stupefacenti 
(vent’anni 
di 
reclusione 
nel 
minimo per i 
capi, appena 
al 
di 
sotto della 
pena 
minima 
prevista 
per l’omicidio volontario): 
pene 
che 
rischiano di 
scoraggiare 
qualsiasi 
scelta 
collaborativa, e 
che 
il 
legislatore 
ha 
invece 
inteso diminuire 
-addirittura 
sino ai 
due 
terzi 
-per favorire 
simili 
scelte, ritenute 
essenziali 
a 
fini 
di 
indagini. tanto più a 
fronte 
della 
circostanza, già 
evidenziata 
dalla 
sentenza 
n. 74 del 
2016, che 
la 
collaborazione 
processuale 
espone 
sempre 
a 
gravi 
rischi 
la 
propria 
persona 
e 
la 
propria famiglia. 


Ciò ridonda 
in un vizio di 
irragionevolezza 
intrinseca 
della 
disciplina, che 
finisce 
per 
frustrare 
lo 
scopo 
perseguito 
dal 
legislatore 
mediante 
la 
previsione 
della 
circostanza 
attenuante. 


Dal che la violazione - già sotto questo assorbente profilo - dell’art. 3 Cost. 


4.– Resta 
altresì 
assorbita 
l’ulteriore 
censura 
svolta 
dal 
rimettente 
in riferimento all’art. 
27, terzo comma, Cost. 


PER QUEStI MotIVI 


LA CoRtE CoStItUzIonALE 


dichiara 
l’illegittimità 
costituzionale 
dell’art. 
69, 
quarto 
comma, 
del 
codice 
penale, 
nella 
parte 
in 
cui 
prevede 
il 
divieto 
di 
prevalenza 
della 
circostanza 
attenuante 
di 
cui 
all’art. 
74, 
comma 
7, del 
d.P.R. 9 ottobre 
1990, n. 309 (testo unico delle 
leggi 
in materia 
di 
disciplina 
degli 
stupefacenti 
e 
sostanze 
psicotrope, prevenzione, cura 
e 
riabilitazione 
dei 
relativi 
stati 
di 
tossicodipendenza), sulla recidiva di cui all’art. 99, quarto comma, cod. pen. 


Così 
deciso in Roma, nella 
sede 
della 
Corte 
costituzionale, Palazzo della 
Consulta, il 
25 ottobre 2023. 



RASSEGnA 
AVVoCAtURA 
DELLo 
StAto -n. 2/2023 


atto di disobbedienza o affermazione 
della propria funzione nomofilattica? 

la 
soluzione 
offerta 
dalle 
sezioni 
Unite 
28 
marzo 
2024 
n. 
78 
al 
quesito 
posto dalla ordinanza della sezione 
iV 
del 
2 luglio 2023 n. 30386 in 
tema 
di 
appello promosso avverso sentenza di 
condanna dell’imputato anche 
ai fini civili con reato prescritto nelle more del giudizio di gravame 


Secondo 
quanto 
è 
dato 
apprendere 
dall’informazione 
provvisoria, 
le 


S.U. 
del 
28 
marzo 
c.a. 
n. 
78 
Rel. 
Serrao 
hanno 
risolto 
il 
seguente 
quesito 
posto 
dalla 
sez. 
IV 
con 
l’ordinanza 
di 
rimessione 
del 
2 
luglio 
2023 
n. 
30386: 
“Se, 
nel 
giudizio 
di 
appello 
promosso 
avverso 
la 
sentenza 
di 
condanna 
del-
l’imputato 
anche 
al 
risarcimento 
dei 
danni, 
il 
giudice, 
intervenuta 
nelle 
more 
l’estinzione 
del 
reato 
per 
prescrizione, 
possa 
pronunciare 
l’assoluzione 
nel 
merito, 
anche 
a 
fronte 
di 
prove 
insufficienti 
o 
contraddittorie, 
sulla 
base 
della 
regola 
di 
giudizio 
processual-penalistica 
dell’ 
‘oltre 
ogni 
ragionevole 
dubbio’, 
ovvero 
debba 
far 
prevalere 
la 
declaratoria 
di 
estinzione 
del 
reato 
per 
prescrizione, 
pronunciandosi 
sulle 
statuizioni 
civili 
secondo 
la 
regola 
processual-civilistica 
del 
‘più 
probabile 
che 
non’ 
” 
adottando 
questa 
soluzione: 
“In 
coerenza 
con 
i 
principi 
sanciti 
dall’art. 
27 
Cost., 
dall’art. 
6 
della 
Cedu 
e 
dagli 
artt. 
48 
e 
53 
della 
Carta 
di 
Nizza, 
il 
giudice 
può 
pronunciare 
l’assoluzione 
nel 
merito 
alla 
stregua 
dei 
principi 
enunciati 
da 
Sez. 
U, 
n. 
35490 
del 
28 
maggio 
2009, 
Tettamanti, 
Rv. 
244273”. 
In attesa 
delle 
motivazioni, quanto affermato nel 
comunicato della 
Corte 
appare 
meritevole 
di 
attenzione, poiché 
sin d’ora 
attesta 
una 
presa 
di 
distanza 
dalla pronuncia (interpretativa di rigetto) della Consulta n. 182/2021. 


In 
quella 
occasione 
il 
Giudice 
delle 
leggi 
aveva 
avuto 
modo 
di 
pronunciarsi 
sull’art. 
578 
c.p.p. 
chiarendo 
che: 
“il 
giudice 
dell’impugnazione 
penale 
(giudice 
di 
appello 
o 
Corte 
di 
cassazione), 
spogliatosi 
della 
cognizione 
sulla 
responsabilità 
penale 
dell’imputato 
in 
seguito 
alla 
declaratoria 
di 
estinzione 
del 
reato 
per 
sopravvenuta 
prescrizione 
(o 
per 
sopravvenuta 
amnistia), 
deve 
provvedere 
-in 
applicazione 
della 
disposizione 
censurata 
-sull’impugnazione 
ai 
soli 
effetti 
civili, 
confermando, 
riformando 
o 
annullando 
la 
condanna 
già 
emessa 
nel 
grado 
precedente, 
sulla 
base 
di 
un 
accertamento 
che 
impinge 
unicamente 
sugli 
elementi 
costitutivi 
dell’illecito 
civile, 
senza 
poter 
riconoscere, 
neppure 
incidenter 
tantum, 
la 
responsabilità 
dell’imputato 
per 
il 
reato 
estinto”. 


nella 
sua 
analisi 
la 
Corte 
muoveva 
dalla 
differenza 
esistente 
tra 
la 
disposizione 
oggetto di 
incidente 
di 
costituzionalità 
e 
l’art. 578 bis 
c.p.p. (confisca 
a 
reato prescritto o amnistiato), il 
quale 
solo prevede 
il 
“previo accertamento 
della responsabilità dell’imputato”. 


Ciò 
comporterebbe 
-secondo 
la 
Consulta 
-che 
nella 
diversa 
ipotesi 
di 
cui 



ContEnzIoSo 
nAzIonALE 


all’art. 
578 
c.p.p. 
il 
giudice 
dell’impugnazione 
penale, 
nel 
decidere 
sulla 
domanda 
risarcitoria, 
non 
è 
chiamato 
a 
verificare 
se 
si 
sia 
integrata 
la 
fattispecie 
penale 
tipica 
contemplata 
dalla 
norma 
incriminatrice, 
in 
cui 
si 
iscrive 
il 
fatto 
di 
reato 
di 
volta 
in 
volta 
contestato 
e 
ora 
prescritto 
o 
amnistiato: 
il 
giudice 
deve 
solo 
accertare 
se 
sia 
integrata 
la 
fattispecie 
civilistica 
dell’illecito 
aquiliano 
(art. 
2043 
cod. 
civ.); 
lo 
deve 
fare 
applicando 
lo 
statuto 
della 
prova 
penale, 
ma 
la 
regola 
di 
giudizio 
non 
deve 
essere 
quella 
processual 
-penalistica 
“dell’oltre 
ogni 
ragionevole 
dubbio”, 
bensì 
quella 
di 
conio 
civilistico 
“del 
più 
probabile 
che 
non”, 
ossia 
che 
consente 
di 
ritenere 
adeguatamente 
dimostrata 
(e 
dunque 
processualmente 
provata) 
una 
determinata 
ipotesi 
fattuale 
se 
essa, 
avuto 
riguardo 
ai 
complessivi 
risultati 
delle 
prove 
dichiarative 
e 
documentali, 
appare 
più 
probabile 
di 
ogni 
altra 
ipotesi 
e 
in 
particolare 
dell’ipotesi 
contraria. 


Ebbene, l’informativa 
provvisoria 
sembrerebbe 
abdicare 
a 
questa 
impostazione 
proprio 
dove 
richiama 
i 
principi 
espressi 
dalle 
S.U. 
del 
2009, 
secondo 
cui 
“All’esito del 
giudizio, il 
proscioglimento nel 
merito, in caso di 
contraddittorietà 
o insufficienza della prova, non prevale 
rispetto alla dichiarazione 
immediata di 
una causa di 
non punibilità, salvo che, in sede 
di 
appello, sopravvenuta 
una causa estintiva del 
reato, il 
giudice 
sia chiamato a valutare, 
per 
la presenza della parte 
civile, il 
compendio probatorio ai 
fini 
delle 
statuizioni 
civili, oppure 
ritenga infondata nel 
merito l’impugnazione 
del 
P.M. proposta 
avverso 
una 
sentenza 
di 
assoluzione 
in 
primo 
grado 
ai 
sensi 
dell’art. 
530, comma secondo, cod. proc. pen.”. 


Per quel 
che 
a 
noi 
interessa, ossia 
il 
caso di 
impugnazione 
di 
sentenza 
di 
condanna 
anche 
sugli 
aspetti 
civili 
con reato prescritto, la 
Cassazione 
sposta, 
quindi, il 
baricentro della 
delibazione 
del 
giudice 
penale 
sull’imputato e 
non 
più sul 
danneggiato, con la 
conseguenza 
pratica 
che 
nella 
ricostruzione 
della 
responsabilità 
civile 
aumenta 
il 
grado 
di 
difficoltà 
della 
loro 
dimostrazione, 
poiché 
la 
regola 
di 
giudizio 
sarà 
quella 
maggiormente 
selettiva 
“dell’oltre 
ogni 
ragionevole 
dubbio”, ossia 
la 
condanna 
è 
consentita 
solo a 
condizione 
che 
la 
prospettazione 
di 
un’alternativa 
ricostruzione 
dei 
fatti 
non 
abbia 
il 
benché 
minimo 
riscontro nelle emergenze processuali. 


nulla 
esclude 
però che 
quanto affermato dal 
giudice 
di 
legittimità 
possa 
confinarsi 
al 
solo caso in cui 
vi 
sia 
stata 
una 
precedente 
condanna 
dell’imputato, 
non anche 
laddove 
vi 
sia 
stata 
invece 
un’assoluzione 
con impugnazione 
della 
sola 
parte 
civile, essendo qui 
messo in discussione 
il 
solo aspetto civilistico 
della 
vicenda, con conseguente 
riattivazione 
della 
regola 
del 
più probabile 
che non. 


Antonio Trimboli* 


(*) Avvocato dello Stato e 
Dottore 
di 
Ricerca 
in Diritto Pubblico -indirizzo Penale 
e 
Procedura 
Penale 
presso l’Università di Roma 
tor Vergata. 



RASSEGnA 
AVVoCAtURA 
DELLo 
StAto -n. 2/2023 


Cassazione 
penale, 
sezione 
Quarta, 
ordinanza 
(ud. 
8 
giugno 
2023) 
2 
luglio 
2023 
n. 
30386 


-Pres. S. Dovere, Est. V. Pezzella. 
ConSIDERAto In DIRItto 


1. 
Assume 
rilievo 
assorbente, 
ai 
fini 
dell’odierno 
decidere, 
la 
fondatezza 
del 
terzo 
motivo 
di 
ricorso che, ad avviso del 
Collegio, per le 
ragioni 
che 
si 
andranno ad illustrare, impone 
la 
rimessione alle Sezioni Unite ai sensi dell’art. 618, comma 1-bis cod. proc. pen. 
2. 
In 
premessa, 
va 
evidenziato 
che, 
diversamente 
da 
quanto 
ritenuto 
dal 
responsabile 
civile, 
la 
questione 
posta 
con 
il 
citato 
motivo 
sia 
scrutinabile 
da 
questo 
giudice 
di 
legittimità 
in 
sede 
penale, 
in 
quanto 
la 
costituzione 
di 
parte 
civile 
risale 
al 
2011 
e 
le 
Sezioni 
Unite, 
come 
si 
apprende 
dalla 
notizia 
di 
decisione 
(n. 
16076 
del 
25 
maggio 
2023), 
chiamate 
a 
decidere 
se 
l’art. 
573, 
comma 
1-bis, 
cod. 
proc. 
pen., 
introdotto 
dall’art. 
33 
del 
d.lgs. 
10 
ottobre 
2022, 
n. 
150, 
si 
applichi 
a 
tutte 
le 
impugnazioni 
per 
i 
soli 
interessi 
civili 
pendenti 
alla 
data 
del 
30 
dicembre 
2022 
o, 
invece, 
alle 
sole 
impugnazioni 
proposte 
avverso 
le 
sentenze 
pronunciate 
a 
decorrere 
dalla 
suddetta 
data, 
hanno 
affermato 
il 
principio 
per 
cui 
la 
norma 
in 
questione 
si 
applica 
alle 
impugnazioni 
per 
i 
soli 
interessi 
civili 
proposte 
relativamente 
ai 
giudizi 
nei 
quali 
la 
costituzione 
di 
parte 
civile 
sia 
intervenuta 
in 
epoca 
successiva 
al 
30 
dicembre 
2022, 
data 
di 
entrata 
in 
vigore 
della 
citata 
disposizione 
ai 
sensi 
dell’art. 
99-bis 
del 
predetto 
d.lgs. 
n. 
150 
del 
2022. 
3. 
Il 
tema 
che 
il 
terzo 
motivo 
di 
ricorso 
devolve 
alla 
valutazione 
di 
questa 
Corte 
è 
quello 
dei 
limiti 
del 
sindacato 
del 
giudice 
di 
appello 
e 
della 
regola 
di 
giudizio 
applicabile 
allorquando 
siano presenti 
le 
parti 
civili, a 
fronte 
del 
gravame 
nel 
merito proposto da 
un imputato che 
non 
rinunci 
alla 
prescrizione 
e 
di 
un 
reato 
che, 
all’atto 
della 
decisione 
da 
assumere, 
si 
presenti 
ormai prescritto. 
Come 
ricordano le 
pp.cc. ricorrenti, nel 
caso in esame 
la 
Corte 
etnea, pur avendo dato 
atto della 
intervenuta 
prescrizione 
del 
reato (ampiamente 
maturata 
alla 
data 
di 
trattazione), 
ha 
affermato di 
dover procedere 
comunque 
alla 
valutazione 
del 
fatto nel 
merito sulla 
scorta 
della 
costituzione 
della 
parte 
civile 
nel 
processo, e, conseguentemente, ha 
assolto l’imputato 
perché 
il 
fatto non sussiste 
ritenendo non raggiunta 
la 
prova 
di 
colpevolezza 
dello stesso secondo 
il paradigma dell’oltre ogni ragionevole dubbio di cui all’art. 533 cod. proc. pen. 

La 
sentenza 
impugnata 
è 
stata, 
dunque, 
pronunciata 
nel 
solco 
dell’insegnamento 
di 
Sez. 
U, n. 35490 del 
28 maggio 2009, tettamanti, Rv. 244273 e 
di 
tutta 
la 
giurisprudenza 
delle 
sezioni 
semplici degli anni successivi conforme a quella decisione. 

Le 
Sezioni 
Unite 
tettamanti 
hanno 
enunciato 
il 
seguente 
principio 
di 
diritto: 
«allorquando, 
ai 
sensi 
dell’art. 
578 
cod. 
proc. 
pen., 
il 
giudice 
di 
appello 
-intervenuta 
una 
causa 
estintiva 
del 
reato 
-è 
chiamato 
a 
valutare 
il 
compendio 
probatorio 
ai 
fini 
delle 
statuizioni 
civili 
per 
la 
presenza 
della 
parte 
civile, 
il 
proscioglimento 
nel 
merito 
prevale 
sulla 
causa 
estintiva, 
pur nel caso di accertata contraddittorietà o insufficienza della prova». 

La 
pronuncia 
accorda 
al 
giudice 
di 
appello, in casi 
come 
quelli 
in esame, il 
potere 
di 
addivenire 
ad 
una 
sentenza 
di 
assoluzione 
dell’imputato, 
all’esito 
di 
una 
valutazione 
del 
compendio 
probatorio secondo la 
regola 
di 
giudizio dell’oltre 
ogni 
ragionevole 
dubbio, pur dovendo 
ormai 
accertare 
soltanto la 
fondatezza 
della 
domanda 
di 
risarcimento del 
danno. Ed è 
quanto ha fatto la Corte catanese. 

La 
giurisprudenza 
delle 
sezioni 
semplici 
successiva 
alle 
Sezioni 
Unite 
del 
2009 
si 
è 
mossa 
nel 
solco del 
dictum 
di 
queste 
ultime, ribadendo in più occasioni 
che 
all’esito del 
giudizio, 
il 
proscioglimento nel 
merito, in caso di 
contraddittorietà 
o insufficienza 
della 
prova, 
non prevale 
rispetto alla 
dichiarazione 
immediata 
di 
una 
causa 
di 
non punibilità, salvo che, in 



ContEnzIoSo 
nAzIonALE 


sede 
di 
appello, sopravvenuta 
una 
causa 
estintiva 
del 
reato, il 
giudice 
sia 
chiamato a 
valutare, 
per 
la 
presenza 
della 
parte 
civile, 
il 
compendio 
probatorio 
ai 
fini 
delle 
statuizioni 
civili, 
oppure 
ritenga 
infondata 
nel 
merito l’impugnazione 
del 
P.M. proposta 
avverso una 
sentenza 
di 
assoluzione 
in primo grado ai 
sensi 
dell’art. 530, comma 
2, cod. proc. pen. (così, tra 
le 
tante, Sez. 
6, n. 4855 del 
7 gennaio 2010, Damiani, Rv. 246138; 
Sez. 6, n. 16155 del 
20 marzo 2013, 
Galati, Rv. 255666 che 
ha 
chiarito che 
i 
motivi 
di 
impugnazione 
dell’imputato devono essere 
esaminati 
compiutamente, 
non 
potendosi 
dare 
conferma 
alla 
condanna 
al 
risarcimento 
del 
danno in ragione 
della 
mancanza 
di 
prova 
dell’innocenza 
dell’imputato, secondo quanto previsto 
dall’art. 129, comma 2, cod. proc. pen.). 

Ancora, più recentemente, è 
stato ribadito che 
all’esito del 
giudizio, il 
proscioglimento 
nel 
merito non prevale 
rispetto alla 
dichiarazione 
immediata 
di 
una 
causa 
di 
non punibilità, 
salvo il 
caso in cui 
il 
giudice, in sede 
di 
appello, sopravvenuta 
una 
causa 
estintiva 
del 
reato, 
sia 
chiamato ad apprezzare, ai 
sensi 
dell’art. 578 cod. proc. pen. il 
compendio probatorio ai 
fini 
delle 
statuizioni 
civili, nel 
qual 
caso non può limitarsi 
a 
farlo secondo il 
criterio di 
economia 
processuale 
ex art. 129 cod. proc. pen. ma 
lo deve 
valutare 
secondo gli 
ordinari 
criteri 
di 
esaustività 
e 
completezza 
dello 
scrutinio 
giurisdizionale 
(così 
in 
motivazione, 
Sez. 
4, 
n. 
20568 del 
11 aprile 
2018, D.L., Rv. 273259; 
conf. Sez. 4 -n. 53354 del 
21 novembre 
2018, 
zuccherelli, Rv. 274497). 

Giova 
rammentare 
che, nella 
ricordata 
sentenza 
n. 35490/2009, tettamanti, dirimendo 
un precedente 
contrasto giurisprudenziale, le 
Sezioni 
Unite 
hanno tra 
l’altro affermato che 
la 
pronuncia 
assolutoria 
a 
norma 
dell’articolo 
129, 
comma 
2, 
cod. 
proc. 
pen., 
è 
consentita 
al 
giudice 
solo quando emergano dagli 
atti, in modo assolutamente 
non contestabile, delle 
circostanze 
idonee 
ad 
escludere 
l’esistenza 
del 
fatto, 
la 
commissione 
del 
medesimo 
da 
parte 
del-
l’imputato 
o 
la 
sua 
rilevanza 
penale, 
in 
modo 
tale 
che 
la 
valutazione 
che 
il 
giudice 
deve 
compiere 
al 
riguardo 
sia 
incompatibile 
con 
qualsiasi 
necessità 
di 
accertamento 
o 
di 
approfondimento. 
Si 
è 
precisato, in quella 
pronuncia, che 
il 
controllo demandato al 
giudice 
deve 
appartenere 
più al 
concetto di 
“constatazione”, ossia 
di 
percezione 
“ictu oculi”, che 
a 
quello di 
“apprezzamento”. 
L’evidenza 
richiesta 
dal 
menzionato 
art. 
129, 
comma 
2, 
cod. 
proc. 
pen., 
presuppone 
la 
manifestazione 
di 
una 
verità 
processuale 
talmente 
chiara 
ed 
obiettiva 
da 
rendere 
superflua 
ogni 
dimostrazione 
oltre 
la 
correlazione 
ad un accertamento immediato, concretizzandosi 
pertanto un quid pluris 
rispetto a quanto la legge richiede per l’assoluzione ampia. 

In 
assenza 
di 
parte 
civile, 
dunque, 
la 
formula 
di 
proscioglimento 
nel 
merito 
prevale 
sulla 
dichiarazione 
di 
estinzione 
del 
reato per intervenuta 
prescrizione 
soltanto nel 
caso in cui 
sia 
rilevabile, con una 
mera 
attività 
ricognitiva, l’assoluta 
assenza 
della 
prova 
di 
colpevolezza 
a 
carico 
dell’imputato 
ovvero 
la 
prova 
positiva 
della 
sua 
innocenza, 
e 
non 
anche 
nel 
caso 
di 
mera 
contraddittorietà 
o insufficienza 
della 
prova 
che 
richiede 
un apprezzamento ponderato 
tra 
opposte 
risultanze 
(così 
questa 
Sez. 4, n. 23680 del 
7 maggio 2013, Rizzo ed altro, Rv. 
256202; conf. Sez. 6, n. 10284 del 22 gennaio 2014, Culicchia, Rv. 259445). 

Diversamente, 
se 
l’imputato 
intende 
ottenere 
una 
valutazione 
più 
approfondita 
delle 
sue 
ragioni, che 
vada 
oltre 
l’evidenza 
della 
sua 
innocenza 
o della 
sua 
non colpevolezza, deve 
rinunciare 
alla 
prescrizione 
(per un’applicazione 
di 
tale 
principio, costante, vedasi, in ultimo 
Sez. 4. n. 22687 del 21 aprile 2023, Fratoni, n.m.). 

Evidentemente, in un sistema 
così 
congegnato, le 
ragioni 
di 
economia 
processuale 
vengono 
meno in presenza 
della 
parte 
civile, in quanto, in tal 
caso, il 
giudice 
penale, pur in presenza 
di 
un 
reato 
prescritto, 
è 
comunque 
chiamato 
a 
valutare 
i 
motivi 
d’impugnazione 
proposti 
dall’imputato 
compiutamente, 
non 
potendosi 
dare 
conferma 
alla 
condanna 
al 
risarcimento 
del 



RASSEGnA 
AVVoCAtURA 
DELLo 
StAto -n. 2/2023 


danno in ragione 
della 
mancanza 
di 
prova 
dell’innocenza 
dell’imputato, secondo quanto previsto 
dall’art. 129, comma 2 cod. proc. pen. 

Perciò, in tal 
caso, nel 
sistema 
delineato dalle 
Sezioni 
Unite, l’imputato, pur non rinunciando 
alla 
prescrizione, ha 
maggiori 
margini 
per vedersi 
assolto nel 
merito, qualora 
la 
prova 
a 
suo carico, in sede 
di 
scrutinio per la 
valutazione 
della 
conferma 
o meno delle 
statuizioni 
civili 
a 
suo 
carico, 
si 
sia 
rivelata 
contraddittoria 
o 
insufficiente 
e 
tale 
da 
non 
superare 
la 
soglia 
del ragionevole dubbio. 

4. Fondatamente, tuttavia, le 
pp.cc. ricorrenti 
eccepiscono che 
tale 
modus 
operandi 
si 
pone 
in contrasto con la 
recente 
pronuncia 
della 
Corte 
costituzionale 
n. 182 del 
7 luglio 2021 
(dep. il 30 luglio 2021, in G.U. del 4 agosto 2021) 
Con quella 
pronuncia 
i 
giudici 
delle 
leggi 
hanno affrontato la 
questione 
di 
legittimità 
costituzionale 
dell’art. 
578 
cod. 
proc. 
pen., 
denunciato 
come 
in 
contrasto 
con 
l’art. 
117, 
comma 
1, Cost., in relazione 
all’art. 6, paragrafo 2, della 
Convenzione 
per la 
salvaguardia 
dei 
diritti 
dell’uomo 
e 
delle 
libertà 
fondamentali 
(CEDU), 
firmata 
a 
Roma 
il 
4 
novembre 
1950, 
ratificata 
e 
resa 
esecutiva 
con legge 
4 agosto 1955, n. 848, nonché 
in contrasto con lo stesso art. 117, 
comma 
1, e 
con l’art. 11 Cost., in relazione 
agli 
artt. 3 e 
4 della 
direttiva 
(UE) 2016/343 del 
Parlamento 
europeo 
e 
del 
Consiglio 
del 
9 
marzo 
2016, 
sul 
rafforzamento 
di 
alcuni 
aspetti 
della 
presunzione 
di 
innocenza 
e 
del 
diritto 
di 
presenziare 
al 
processo 
nei 
procedimenti 
penali, 
e 
all’art. 48 della 
Carta 
dei 
diritti 
fondamentali 
dell’Unione 
europea 
(CDFUE), proclamata 
a 
nizza il 7 dicembre 2000 e adottata a Strasburgo il 12 dicembre 2007. 

La 
Corte 
di 
Appello 
di 
Lecce, 
che 
aveva 
rimesso 
la 
questione 
con 
due 
ordinanze 
del 
6 
novembre 
2020 
e 
dell’11 
dicembre 
2020, 
sospettava 
che 
la 
denunciata 
previsione 
normativa 
-«nella 
parte 
in 
cui 
stabilisce 
che, 
quando 
nei 
confronti 
dell’imputato 
è 
stata 
pronunciata 
condanna, 
anche 
generica, 
alle 
restituzioni 
o 
al 
risarcimento 
dei 
danni 
cagionati 
dal 
reato, 
a 
favore 
della 
parte 
civile, 
il 
giudice 
di 
appello, 
nel 
dichiarare 
estinto 
il 
reato 
per 
prescrizione, 
decide 
sull’impugnazione 
ai 
soli 
effetti 
delle 
disposizioni 
e 
dei 
capi 
della 
sentenza 
che 
concernono 
gli 
effetti 
civili» 
-violasse 
il 
diritto 
alla 
presunzione 
di 
innocenza, 
garantito 
dalla 
norma 
convenzionale 
(come 
interpretata 
dalla 
giurisprudenza 
della 
Corte 
europea 
dei 
diritti dell’uomo) e da quelle dell’ordinamento dell’Unione europea assunte a parametri in 
terposti, 
in 
quanto 
imporrebbe 
al 
giudice 
dell’impugnazione 
di 
formulare, 
sia 
pure 
in 
via 
incidentale 
ed 
al 
solo 
fine 
di 
provvedere 
sulla 
domanda 
risarcitoria, 
un 
nuovo 
giudizio 
sulla 
responsabilità 
penale 
dell’imputato, 
sebbene 
questa 
sia 
stata 
esclusa 
in 
ragione 
della 
declaratoria 
di 
estinzione 
del 
reato. 


In 
altri 
termini, 
il 
giudice 
rimettente 
osservava 
come, 
in 
base 
al 
riferito 
consolidato 
orientamento 
del 
giudice 
della 
nomofilachia, anche 
nell’applicazione 
dell’art. 578 cod. proc. pen. 
non potrebbe 
prescindersi 
dalla 
formulazione 
di 
un implicito giudizio di 
colpevolezza, al 
fine 
di 
confermare 
la 
condanna 
risarcitoria. Ma, in tal 
modo, la 
disposizione 
censurata 
lederebbe 
il 
principio di 
presunzione 
di 
innocenza 
garantito all’imputato dalla 
norma 
convenzionale 
e 
da 
quelle 
europee, tutte 
assunte 
a 
parametri 
interposti, in quanto la 
prima, come 
interpretata 
dalla 
Corte 
EDU, escluderebbe 
la 
possibilità 
che 
in un procedimento successivo a 
quello penale 
conclusosi 
con un risultato diverso da 
una 
condanna, possano essere 
emessi 
provvedimenti 
che 
presuppongono 
un 
giudizio 
di 
colpevolezza 
della 
persona 
in 
ordine 
al 
reato 
precedentemente 
contestatole; 
parimenti 
le 
seconde, 
alla 
luce 
della 
giurisprudenza 
della 
Corte 
di 
giustizia 
dell’Unione 
europea, imporrebbero agli 
Stati 
membri 
di 
garantire 
che 
le 
decisioni 
giudiziarie 
diverse 
da 
quelle 
sulla 
colpevolezza 
non presentino una 
persona 
come 
colpevole 
finché 
la 
sua 
colpevolezza 
non sia 
stata 
legalmente 
provata. L’evocazione 
dell’art. 11 Cost. 



ContEnzIoSo 
nAzIonALE 


non 
avrebbe 
-nella 
prospettazione 
delle 
ordinanze 
di 
rimessione 
-una 
sua 
distinta 
autonomia, 
come parametro diretto, ma confluirebbe nella denuncia degli indicati parametri interposti. 

I 
giudici 
delle 
leggi 
hanno 
ritenuto 
la 
questione 
proposta 
non 
fondata, 
dettando, 
con 
una 
sentenza 
interpretativa 
di 
rigetto, una 
lettura 
costituzionalmente 
orientata 
dell’art. 578 cod. 
proc. pen. 

Premette 
la 
Corte 
costituzionale 
al 
§ 
6.2. 
che 
l’art. 
578 
cod. 
proc. 
pen. 
«mira 
a 
soddisfare 
un’esigenza 
di 
tutela 
della 
parte 
civile; 
quella 
che, quando il 
processo penale 
ha 
superato il 
primo 
grado 
ed 
è 
nella 
fase 
dell’impugnazione, 
una 
risposta 
di 
giustizia 
sia 
assicurata, 
in 
quella 
stessa 
sede, alle 
pretese 
risarcitorie 
o restitutorie 
della 
parte 
civile 
anche 
quando non 
possa 
più esserci 
un accertamento della 
responsabilità 
penale 
dell’imputato ove 
questa 
risulti 
riconosciuta 
in una 
sentenza 
di 
condanna, impugnata 
e 
destinata 
ad essere 
riformata 
o annullata 
per essere, nelle more, estinto il reato per prescrizione». 

Per quello che 
rileva 
in questa 
sede, al 
§ 11 i 
giudici 
delle 
leggi, dopo avere 
illustrato in 
precedenza 
la 
portata 
e 
il 
significato 
del 
diritto 
alla 
presunzione 
di 
innocenza 
nell’ordinamento 
convenzionale 
e 
in quello europeo, rilevano che 
«occorre 
ora 
verificare 
se 
il 
giudice 
dell’appello 
penale, 
che, 
in 
applicazione 
della 
disposizione 
censurata, 
è 
chiamato 
a 
decidere 
sull’impugnazione 
ai 
soli 
effetti 
civili 
dopo 
aver 
dichiarato 
l’estinzione 
del 
reato, 
debba 
effettivamente 
procedere 
ad 
una 
rivalutazione 
complessiva 
della 
responsabilità 
penale 
del-
l’imputato, 
nonostante 
l’intervenuta 
estinzione 
del 
reato 
per 
prescrizione 
e 
il 
proscioglimento 
dall’accusa 
penale». La 
risposta 
è 
che: 
«In realtà 
(...) si 
ha 
che, nella 
situazione 
processuale 
di 
cui 
alla 
disposizione 
censurata, che 
vede 
il 
reato essere 
estinto per prescrizione 
e 
quindi 
l’imputato prosciolto dall’accusa, il 
giudice 
non è 
affatto chiamato a 
formulare, sia 
pure 
incidenter 
tantum, 
un 
giudizio 
di 
colpevolezza 
penale 
quale 
presupposto 
della 
decisione, 
di 
conferma 
o di riforma, sui capi della sentenza impugnata che concernono gli interessi civili». 

Al 
successivo 
§ 
12 
si 
aggiunge 
che: 
«Anzitutto, 
un 
tale 
giudizio 
non 
è 
richiesto 
dal 
tenore 
testuale 
della 
disposizione 
censurata 
(art. 
578 
cod. 
proc. 
pen.) 
che, 
a 
differenza 
di 
quella 
immediatamente 
successiva 
(art. 
578-bis 
cod. 
proc. 
pen.), 
non 
prevede 
il 
«previo 
accertamento 
della 
responsabilità 
dell’imputato». E 
al 
successivo § 13 i 
giudici 
delle 
leggi 
spiegano che: 
«Inoltre 
tale 
esegesi 
-a 
ben 
vedere 
-non 
trova 
ostacolo 
nella 
giurisprudenza 
di 
legittimità 
che 
il 
giudice 
rimettente 
richiama 
a 
fondamento delle 
sue 
censure 
di 
illegittimità 
costituzionale 
con 
riferimento 
sia 
ai 
rapporti 
tra 
l’immediata 
declaratoria 
delle 
cause 
di 
non 
punibilità 
e 
l’assoluzione 
per 
insufficienza 
o 
contraddittorietà 
della 
prova 
(artt. 
129 
e 
530, 
comma 
2, 
cod. 
proc. pen.), sia 
all’individuazione 
del 
giudice 
competente 
per il 
giudizio di 
rinvio in seguito 
a 
cassazione 
delle 
statuizioni 
civili 
(art. 622 cod. proc. pen.), sia 
all’impugnabilità 
con revisione 
(art. 630, comma 
1, lettera 
c, cod. proc. pen.) della 
sentenza 
del 
giudice 
di 
appello di 
conferma 
della 
condanna 
risarcitoria 
in seguito a 
proscioglimento dell’imputato per prescrizione 
del 
reato. Da 
una 
parte 
il 
principio di 
diritto (Corte 
di 
cassazione, sezioni 
unite 
penali, 
sentenza 
28 
maggio15 
settembre 
2009, 
n. 
35490) 
-secondo 
cui, 
in 
deroga 
alla 
regola 
generale, 
il 
proscioglimento nel 
merito, in caso di 
contraddittorietà 
o insufficienza 
della 
prova, prevale 
rispetto 
alla 
dichiarazione 
immediata 
di 
una 
causa 
di 
non 
punibilità, 
quando, 
in 
sede 
di 
appello, 
sopravvenuta 
l’estinzione 
del 
reato, il 
giudice 
sia 
chiamato a 
valutare, per la 
presenza 
della 
parte 
civile, il 
compendio probatorio ai 
fini 
delle 
statuizioni 
civili 
-presuppone, per un verso, 
il 
carattere 
“pieno” 
o “integrale” 
della 
cognizione 
del 
giudice 
dell’impugnazione 
penale 
(il 
quale 
non 
può 
limitarsi 
a 
confermare 
o 
riformare 
immotivatamente 
le 
statuizioni 
civili 
emesse 
in primo grado, ma 
deve 
esaminare 
compiutamente 
i 
motivi 
di 
gravame 
sottopostigli, avuto 
riguardo al 
compendio probatorio e 
dandone 
poi 
conto in motivazione); 
per altro verso, non 



RASSEGnA 
AVVoCAtURA 
DELLo 
StAto -n. 2/2023 


presuppone 
(né 
implica) che 
il 
giudice, nel 
conoscere 
della 
domanda 
civile, debba 
altresì 
formulare, 
esplicitamente 
o 
meno, 
un 
giudizio 
sulla 
colpevolezza 
dell’imputato 
e 
debba 
effettuare 
un accertamento, principale 
o incidentale, sulla 
sua 
responsabilità 
penale, ben potendo contenere 
l’apprezzamento richiestogli 
entro i 
confini 
della 
responsabilità 
civile 
(in seguito, ex 
plurimis, 
Corte 
di 
cassazione, 
sezione 
sesta 
penale, 
sentenza 
20 
marzo-8 
aprile 
2013, 
n. 
16155; 
sezione 
quarta 
penale, sentenze 
21-28 novembre 
2018, n. 53354 e 
16 novembre12 dicembre 
2018, n. 55519) 
». 

Punto nodale 
della 
pronuncia 
costituzionale, che 
consente 
ai 
giudici 
delle 
leggi 
di 
ritenere 
l’art. 578 cod. proc. pen. costituzionalmente 
legittimo è, dunque, l’interpretazione 
dello 
stesso 
nel 
senso 
che 
(§ 
14): 
«Il 
giudice 
dell’impugnazione 
penale, 
nel 
decidere 
sulla 
domanda 
risarcitoria, non è 
chiamato a 
verificare 
se 
si 
sia 
integrata 
la 
fattispecie 
penale 
tipica 
contemplata 
dalla 
norma 
incriminatrice, in cui 
si 
iscrive 
il 
fatto di 
reato di 
volta 
in volta 
contestato; 
egli 
deve 
invece 
accertare 
se 
sia 
integrata 
la 
fattispecie 
civilistica 
dell’illecito aquiliano (art. 
2043 cod. civ.). Con riguardo al 
‘fatto’ 
-come 
storicamente 
considerato nell’imputazione 
penale 
-il 
giudice 
dell’impugnazione 
è 
chiamato a 
valutarne 
gli 
effetti 
giuridici, chiedendosi, 
non già 
se 
esso presenti 
gli 
elementi 
costitutivi 
della 
condotta 
criminosa 
tipica 
(commissiva 
od omissiva) contestata 
all’imputato come 
reato, contestualmente 
dichiarato estinto per prescrizione, 
ma 
piuttosto se 
quella 
condotta 
sia 
stata 
idonea 
a 
provocare 
un ‘danno ingiusto’ 
secondo 
l’art. 2043 cod. civ., e 
cioè 
se, nei 
suoi 
effetti 
sfavorevoli 
al 
danneggiato, essa 
si 
sia 
tradotta 
nella 
lesione 
di 
una 
situazione 
giuridica 
soggettiva 
civilmente 
sanzionabile 
con il 
risarcimento 
del 
danno. nel 
contesto di 
questa 
cognizione 
rilevano sia 
l’evento lesivo della 
situazione 
soggettiva 
di 
cui 
è 
titolare 
la 
persona 
danneggiata, 
sia 
le 
conseguenze 
risarcibili 
della 
lesione, che possono essere di natura sia patrimoniale che non patrimoniale». 

Sub § 14.1 si 
legge 
poi 
che: 
«La 
natura 
civilistica 
dell’accertamento richiesto dalla 
disposizione 
censurata 
al 
giudice 
penale 
dell’impugnazione, 
differenziato 
dall’(ormai 
precluso) 
accertamento 
della 
responsabilità 
penale 
quanto 
alle 
pretese 
risarcitorie 
e 
restitutorie 
della 
parte 
civile, emerge 
riguardo sia 
al 
nesso causale, sia 
all’elemento soggettivo dell’illecito. Il 
giudice, 
in 
particolare, 
non 
accerta 
la 
causalità 
penalistica 
che 
lega 
la 
condotta 
(azione 
od 
omissione) all’evento in base 
alla 
regola 
dell’«alto grado di 
probabilità 
logica» (Corte 
di 
cassazione, 
sezioni 
unite 
penali, sentenza 
10 luglio-11 settembre 
2002, n. 30328). Per l’illecito 
civile 
vale, invece, il 
criterio del 
‘più probabile 
che 
non’ 
o della 
‘probabilità 
prevalente’ 
che 
consente 
di 
ritenere 
adeguatamente 
dimostrata 
(e 
dunque 
processualmente 
provata) una 
determinata 
ipotesi 
fattuale 
se 
essa, avuto riguardo ai 
complessivi 
risultati 
delle 
prove 
dichiarative 
e 
documentali, 
appare 
più 
probabile 
di 
ogni 
altra 
ipotesi 
e 
in 
particolare 
dell’ipotesi 
contraria 
(in tal 
senso è 
la 
giurisprudenza 
a 
partire 
da 
Corte 
di 
cassazione, sezioni 
unite 
civili, 
sentenze 11 gennaio 2008, n. 576, n. 581, n. 582 e n. 584)». 

Ancora, 
secondo 
Corte 
costituzionale 
182/2021 
(§ 
14.2): 
«L’autonomia 
dell’accertamento 
dell’illecito 
civile 
non 
è 
revocata 
in 
dubbio 
dalla 
circostanza 
che 
esso 
si 
svolga 
dinanzi 
al 
giudice 
penale 
e 
sia 
condotto 
applicando 
le 
regole 
processuali 
e 
probatorie 
del 
processo 
penale 
(art. 
573 
cod. 
proc. 
pen.). 
L’applicazione 
dello 
statuto 
della 
prova 
penale 
è 
pieno 
e 
concerne 
sia 
i 
mezzi 
di 
prova 
(sarà 
così 
ammissibile 
e 
utilizzabile, ad esempio, la 
testimonianza 
della 
persona 
offesa 
che 
nel 
processo civile 
sarebbe 
interdetta 
dall’art. 246 cod. proc. 
civ.), sia 
le 
modalità 
di 
assunzione 
della 
prova 
(le 
prove 
costituende 
saranno così 
assunte 
per 
cross 
examination 
ex art. 499 cod. proc. pen. e 
non per interrogatorio diretto del 
giudice), le 
quali 
ricalcheranno pedissequamente 
quelle 
da 
osservare 
nell’accertamento della 
responsabilità 
penale: 
ove 
ne 
ricorrano 
i 
presupposti, 
dunque, 
il 
giudice 
dell’appello 
penale, 
rilevata 



ContEnzIoSo 
nAzIonALE 


l’estinzione 
del 
reato, 
potrà 
-o 
talora 
dovrà 
(Corte 
di 
cassazione, 
sezioni 
unite 
penali, 
sentenza 
28 gennaio -4 giugno 2021, n. 22065) -procedere 
alla 
rinnovazione 
dell’istruzione 
dibattimentale 
al 
fine 
di 
decidere 
sull’impugnazione 
ai 
soli 
effetti 
civili 
(art. 
603, 
comma 
3-bis, 
cod. 
proc. pen.)». 

In 
conclusione, 
per 
i 
giudici 
delle 
leggi 
(§ 
16) 
«il 
giudice 
dell’impugnazione 
penale 
(giudice 
di 
appello o Corte 
di 
cassazione), spogliatosi 
della 
cognizione 
sulla 
responsabilità 
penale 
dell’imputato in seguito alla 
declaratoria 
di 
estinzione 
del 
reato per sopravvenuta 
prescrizione 
(o per sopravvenuta 
amnistia), deve 
provvedere 
-in applicazione 
della 
disposizione 
censurata 
-sull’impugnazione 
ai 
soli 
effetti 
civili, confermando, riformando o annullando la 
condanna 
già 
emessa 
nel 
grado precedente, sulla 
base 
di 
un accertamento che 
impinge 
unicamente 
sugli 
elementi 
costitutivi 
dell’illecito 
civile, 
senza 
poter 
riconoscere, 
neppure 
incidenter 
tantum, la responsabilità dell’imputato per il reato estinto». 

5. orbene, come 
sopra 
illustrato, la 
sentenza 
costituzionale, così 
come 
i 
giudici 
rimettenti, 
si 
sono posti 
il 
problema 
della 
compatibilità 
con quanto affermato dalle 
SU 
tettamanti. 
La 
verifica, 
tuttavia, 
in 
ragione 
del 
quesito 
di 
costituzionalità 
proposto, 
è 
stata 
effettuata 
esclusivamente 
nell’ottica 
di 
accertare 
se 
il 
meccanismo decisionale 
di 
cui 
all’art. 578 cod. 
proc. pen. consentisse, in presenza 
di 
un reato prescritto, allorquando il 
giudice 
è 
chiamato 
ad operare 
un vaglio dei 
profili 
di 
responsabilità 
civile, di 
far persistere 
nel 
processo una 
valutazione 
di 
responsabilità 
penale. Quesito che 
ha 
trovato risposta 
negativa, in virtù dell’interpretazione 
costituzionale data alla norma. 

Il 
tema 
che, 
ad 
avviso 
di 
questa 
Corte, 
è 
rimasto 
in 
ombra 
concerne 
la 
compressione 
dello spazio per l’assoluzione 
dell’imputato, pur in assenza 
dell’evidenza 
della 
prova 
dell’innocenza 
di 
cui 
all’art. 129, comma 
2, cod. proc. pen., a 
fronte 
di 
un compendio probatorio 
che non consenta di superare il limite del ragionevole dubbio. 

La 
sentenza 
costituzionale 
n. 182/2021 impone 
al 
giudice, in casi 
come 
quello in esame 
(e, 
si 
noti, 
non 
solo 
quando 
si 
faccia 
questione 
di 
nesso 
causale 
ma 
anche 
quando 
si 
controverta 
sull’elemento 
soggettivo: 
cfr. 
§ 
14.1.), 
di 
rapportarsi 
ad 
una 
fattispecie 
di 
illecito 
che 
non 
coincide 
più con quella 
di 
reato e 
impone 
l’uso della 
regola 
di 
giudizio civilistica 
del 
più probabile 
che 
non in luogo di 
quella 
dell’oltre 
ogni 
ragionevole 
dubbio; 
laddove 
la 
permanente 
centralità 
dell’ente 
reato 
e 
la 
persistente 
vincolatività 
della 
regola 
di 
giudizio 
formulata 
dall’art. 
533 cod. proc. pen. -pur nella 
delibazione 
in chiave 
civilistica 
(cfr. Sez. 4, n. 11193 del 
10 
febbraio 2015, Rv. 262708, per la 
quale 
«l’azione 
civile 
che 
viene 
esercitata 
nel 
processo penale 
è 
quella 
per il 
risarcimento del 
danno patrimoniale 
o non, cagionato dal 
reato, ai 
sensi 
dell’art. 
185 
cod. 
pen. 
e 
74 
cod. 
proc. 
pen; 
con 
la 
conseguenza 
che 
nella 
sede 
civile, 
coinvolta 
per 
effetto 
della 
presente 
pronunzia, 
la 
natura 
della 
domanda 
non 
muta. 
Si 
dovrà 
cioè 
valutare 
incidentalmente 
l’esistenza 
di 
un 
fatto 
di 
reato 
in 
tutte 
le 
sue 
componenti 
obiettive 
e 
subiettive, 
alla 
luce 
delle 
norme 
che 
regolano la 
responsabilità 
penale»; 
in senso conforme 
ancora 
Sez. 
4, n. 5901 del 
18 gennaio 2019, Rv. 275122) -sono le 
premesse 
della 
soluzione 
interpretativa 
delineata dalla sentenza 
tettamanti. 

In 
altri 
termini, 
l’interpretazione 
costituzionalmente 
orientata 
della 
Corte 
costituzionale 
certamente 
garantisce 
l’imputato rispetto alla 
possibilità 
che, in sede 
di 
valutazione 
della 
responsabilità 
civile, vengano rappresentati 
enti 
giuridici 
(il 
reato) e 
giudizi 
(di 
reità) che 
contrastano 
con 
la 
presunzione 
di 
innocenza, 
rinvigorita 
dalla 
dichiarazione 
di 
estinzione 
del 
reato. tuttavia, al 
contempo, essa 
pare 
interdire 
la 
possibilità 
dell’assoluzione 
nel 
merito in 
luogo della declaratoria di prescrizione. 

D’altro canto, il 
riferimento operato dalla 
Corte 
costituzionale 
ad una 
“declaratoria 
di 



RASSEGnA 
AVVoCAtURA 
DELLo 
StAto -n. 2/2023 


estinzione 
del 
reato” 
per 
sopravvenuta 
prescrizione 
emessa 
dal 
giudice 
dell’impugnazione 
penale 
(si 
veda, 
in 
particolare, 
il 
già 
riportato 
§ 
16 
del 
Considerato 
in 
diritto) 
non 
pare 
in 
grado 
di 
sostenere 
che 
l’interpretazione 
data 
all’art. 
578 
cod. 
proc. 
pen. 
trovi 
applicazione 
solo nel 
caso in cui 
risulti 
esclusa 
la 
possibilità 
di 
un’assoluzione 
nel 
merito. Come 
se 
dapprima 
dovesse 
essere 
condotta 
l’indagine 
secondo le 
direttive 
delle 
Sez. U. tettamanti 
-con 
quella 
pienezza 
ed integralità 
della 
cognizione 
del 
giudice 
dell’impugnazione 
alla 
quale 
fa 
riferimento 
la 
sentenza 
n. 
182/2021 
-e 
successivamente, 
ove 
esclusa 
la 
possibilità 
di 
assoluzione 
nel 
merito, dovesse 
farsi 
applicazione 
di 
quelle 
dettate 
dalla 
Corte 
costituzionale. Ciò perché, 
nella 
costante 
interpretazione 
di 
questa 
Corte, 
l’accertamento 
dell’estinzione 
del 
reato 
per 
prescrizione 
non 
prevede 
una 
cesura 
tra 
esso 
e 
la 
successiva 
delibazione 
della 
domanda 
civile; 
detto altrimenti, non vi 
è 
alcuna 
declaratoria 
di 
estinzione 
del 
reato che 
anticipi 
le 
statuizioni 
sugli 
interessi 
civili. Anzi, è 
proprio su questo presupposto -della 
mancanza 
di 
una 
formale 
declaratoria 
di 
estinzione 
-che, dopo aver incidentalmente 
rilevato il 
completo decorso dei 
termini 
di 
prescrizione 
del 
reato, 
il 
giudice 
dell’impugnazione, 
ormai 
impegnato 
nella 
verifica 
della 
fondatezza 
del 
ricorso ai 
fini 
civili, può ritornare 
sui 
propri 
passi 
e 
concludere 
formalizzando 
la 
sola 
pronuncia 
assolutoria. 
Si 
deve 
credere 
che, 
ove 
effettivamente 
implicata, 
la 
portata 
della 
innovazione 
avrebbe 
senz’altro 
indotto 
la 
Corte 
costituzionale 
ad 
esplicitare 
a 
chiare 
lettere 
il 
diverso percorso processuale 
conseguente 
all’interpretazione 
data 
all’art. 578 cod. 
proc. pen. 

6. 
Letto nell’ottica 
della 
sentenza 
n. 182/2021, il 
terzo motivo di 
ricorso proposto dalle 
pp.cc. ricorrenti sarebbe fondato ed assorbente rispetto ad ogni altra doglianza. 
Ciò perché 
il 
giudice 
di 
appello, trovatosi 
di 
fronte 
ad un reato prescritto, adottando la 
lezione della Corte costituzionale avrebbe dovuto: 


1. ai 
fini 
penali, valutata 
l’insussistenza 
della 
evidenza 
della 
prova 
dell’innocenza 
del-
l’imputato, concludere per l’estinzione del reato per intervenuta prescrizione. 
2. ai 
fini 
civilisti, valutata 
la 
responsabilità 
del 
-omissis-in rapporto alla 
fattispecie 
del-
l’illecito 
aquiliano, 
applicata 
la 
regola 
di 
giudizio 
del 
più 
probabile 
che 
non, 
pronunciarsi 
unicamente 
sul diritto delle parti civili al risarcimento del danno. 
All’inverso, 
il 
motivo 
risulterebbe 
infondato 
facendo 
applicazione 
del 
principio 
espresso 
dalle Sez. U. tettamanti, essendosi la Corte distrettuale attenuta ad esso. 

Di 
conseguenza, l’odierno 
thema decidendi 
impone 
una 
riflessione 
circa 
il 
valore, vincolante 
o meno, delle 
sentenze 
interpretative 
di 
rigetto della 
Corte 
costituzionale, pronunce 
con cui 
i 
giudici 
delle 
leggi, nel 
comporre 
il 
denunciato contrasto tra 
la 
norma 
di 
legge 
ordinaria 
e 
il 
contenuto delle 
norme 
costituzionali, indicano il 
percorso interpretativo idoneo ad 
evitare la demolizione della norma di legge ordinaria. 

Sul 
tema 
del 
valore 
ermeneutico di 
tali 
pronunce, ancora 
recentemente 
si 
è 
condivisibilmente 
sottolineata 
(Sez. 1, n. 27696 del 
1 aprile 
2019, Immobiliare 
Peonia, Rv. 275888) 
l’insussistenza 
di 
ragioni 
per discostarsi 
dall’insegnamento offerto da 
Sez. U. n. 25 del 
16 dicembre 
1998, 
dep. 
1999, 
Alagni, 
Rv. 
212074 
circa 
il 
dovere 
del 
giudice 
comune 
di 
uniformare 
l’interpretazione 
di 
una 
decisione 
ai 
contenuti 
di 
una 
simile 
decisione 
del 
giudice 
delle 
leggi, 
salva 
l’emersione 
di 
validi 
motivi 
contrari 
di 
cui 
occorre 
fornire 
una 
puntuale 
e 
rafforzata 
spiegazione. 

tali 
motivi 
non appaiono sussistenti 
nel 
caso che 
ci 
occupa 
ritenendo il 
Collegio che, 
per quanto interpretativa 
di 
rigetto, la 
sentenza 
n. 182/2021 costituisca 
termine 
di 
riferimento 
non eludibile 
perché 
la 
condivisibile 
soluzione 
rinvenuta 
appare 
comporre 
in un ragionevole 
equilibrio i 
diversi 
valori 
in gioco, ponendosi 
nella 
linea 
di 
tendenza 
anche 
normativa 
di 
una 



ContEnzIoSo 
nAzIonALE 


sempre 
più evidente 
distinzione 
tra 
azione 
penale 
e 
azione 
civile 
(cfr. ex 
multis, Sez. Un. n. 
22065 
del 
28 
gennaio 
2021, 
Cremonini, 
Rv. 
281228 
e 
l’impianto 
complessivo 
della 
stessa 
Riforma 
Cartabia), mentre 
la 
pronuncia 
delle 
Sez. U. tettamanti 
è 
espressione 
di 
un diritto vivente 
per 
il 
quale 
la 
presunzione 
di 
innocenza 
non 
è 
chiamata 
a 
svolgere, 
nell’ambito 
dei 
rapporti 
tra 
azione 
penale 
ed azione 
civile, il 
ruolo di 
principio ordinatore, e 
si 
inscrive 
in un 
contesto culturale 
che 
trasmette 
all’azione 
civile 
le 
regole 
del 
giudizio penale 
in cui 
è 
stata 
ospitata 
(si 
veda, per il 
carattere 
paradigmatico, quanto affermato da 
Sez. U, n. 6141 del 
25 
ottobre 
2018, dep. 2019, Milanesi, Rv. 274627: 
«non può dubitarsi 
che 
la 
decisione 
che 
accoglie 
l’azione 
civile 
esercitata 
nel 
processo 
penale 
costituisca 
una 
pronunzia 
di 
condanna 
che 
presuppone 
l’accertamento della 
colpevolezza 
dell’imputato per il 
fatto di 
reato, secondo 
quanto 
espressamente 
stabilito 
dagli 
artt. 
538 
e 
539 
c.p.p., 
e 
che, 
dunque, 
in 
presenza 
di 
siffatta 
situazione 
processuale, all’imputato debba 
essere 
riconosciuto lo status 
di 
soggetto “condannato”, 
sia pure soltanto alle restituzioni ed al risarcimento del danno»). 

Pertanto, 
a 
parere 
di 
questo 
Collegio, 
la 
decisione 
cui 
si 
dovrebbe 
pervenire 
nel 
presente 
procedimento si 
contrapporrebbe 
al 
decisum 
di 
Sez. U. tettamanti, dovendone 
disapplicare 
il 
principio secondo cui 
all’esito del 
giudizio, il 
proscioglimento nel 
merito, in caso di 
contraddittorietà 
o 
insufficienza 
della 
prova, 
prevale 
rispetto 
alla 
dichiarazione 
immediata 
di 
una 
causa 
di 
non 
punibilità, 
quando, 
in 
sede 
di 
appello, 
sopravvenuta 
una 
causa 
estintiva 
del 
reato, 
il 
giudice 
sia 
chiamato a 
valutare, per la 
presenza 
della 
parte 
civile, il 
compendio probatorio 
ai fini delle statuizioni civili. 

Ma, com’è 
noto, la 
legge 
23 giugno 2017, n. 103 ha 
dettato nuove 
regole 
in materia 
di 
rapporti 
tra 
sezioni 
unite 
e 
sezioni 
semplici, introducendo con il 
nuovo comma 
1-bis 
dell’articolo 
618 cod. proc. pen. un’ipotesi 
di 
rimessione 
“obbligatoria”, che 
scatta 
ogni 
qual 
volta 
una 
delle 
sezioni 
semplici 
ritenga 
di 
non condividere 
il 
principio di 
diritto enunciato dalle 
sezioni 
unite. 

La 
norma 
trova 
evidente 
applicazione 
anche 
nel 
caso di 
novum 
che 
dipenda 
da 
una 
sentenza 
interpretativa di rigetto della Corte costituzionale. 

In tal 
senso depone, in primo luogo, la 
lettera 
dell’art. 618 comma 
1-bis, cod. proc. pen. 
che non discrimina le ragioni su cui si fonda l’opposizione al precedente. 

In 
secondo 
luogo, 
va 
considerata 
la 
diversa 
disciplina 
prevista 
dal 
comma 
1 
dell’art. 
618, 
che 
per 
il 
caso 
di 
contrasto 
giurisprudenziale, 
in 
essere 
o 
potenziale, 
alimentato 
da 
pronunce 
delle 
sezioni 
semplici, 
definisce 
una 
ipotesi 
di 
rimessione 
discrezionale 
(«... 
può 
con 
ordinanza 
rimettere 
alle 
sezioni 
unite»). 
All’indomani 
della 
novella 
recata 
dalla 
legge 
n. 
103/2017, 
anche 
la 
dottrina 
ha 
evidenziato 
che, 
a 
parte 
il 
meccanismo 
previsto 
dall’art. 
610 
cod. 
proc. 
pen., 
accanto 
alla 
rimessione 
facoltativa 
si 
è 
insediata, 
con 
il 
comma 
1-bis 
dell’art. 
618, 
un’ipotesi 
di 
rimessione 
obbligatoria, 
il 
cui 
scopo 
è 
quello 
di 
rafforzare 
il 
ruolo 
assegnato 
alle 
sezioni 
unite 
nella 
funzione 
nomofilattica. 
obbligatorietà 
della 
rimessione 
che 
non 
trova 
eccezioni. 
Piuttosto, 
l’ampiezza 
dell’obbligo 
sembra 
dipendere 
dall’interpretazione 
della 
locuzione 
‘principio 
di 
diritto 
enunciato’ 
leggibile 
nella 
disposizione 
della 
quale 
ci 
si 
sta 
occupando. 


Infatti, sul punto si è già registrato un duplice orientamento. 

Secondo il 
primo, più restrittivo, espresso da 
Sez. 1 n. 49744 del 
7 dicembre 
2022, Petrillo, 
Rv. 
283840, 
il 
vincolo 
riguarda 
esclusivamente 
l’oggetto 
del 
contrasto 
interpretativo 
rimesso e 
non si 
estende 
ai 
temi 
accessori 
o esterni 
(nella 
specie 
la 
Corte 
ha 
ritenuto tema 
accessorio, 
rispetto alla 
questione 
devoluta 
e 
decisa 
dalle 
Sezioni 
Unite 
con sentenza 
n. 8545 
del 
19 
dicembre 
2019, 
avente 
ad 
oggetto 
la 
natura 
oggettiva 
o 
soggettiva 
della 
circostanza 



RASSEGnA 
AVVoCAtURA 
DELLo 
StAto -n. 2/2023 


aggravante 
finalistica 
di 
cui 
all’art. 416-bis.1 cod. pen., quello del 
concorso esterno nel 
reato 
di associazione di tipo mafioso). 

Secondo altra 
pronuncia, invece, in tema 
di 
giudizio di 
legittimità, il 
principio di 
diritto 
affermato dalle 
sentenze 
delle 
Sezioni 
Unite 
della 
Corte 
di 
cassazione 
è 
vincolante, ai 
sensi 
dell’art. 618, comma 
1-bis, cod. proc. pen., anche 
in relazione 
agli 
aspetti 
preliminari 
e 
conseguenziali 
ad 
esso, 
ancorché 
relativi 
a 
profili 
non 
specificamente 
devoluti 
ma 
che 
si 
rendano, 
tuttavia, 
necessari 
per 
meglio 
delimitare 
il 
significato 
e 
la 
portata 
applicativa 
del 
principio 
stesso che, in tal 
modo, riveste 
carattere 
unitario (Sez. 6, n. 23148 del 
20 gennaio 2021 Bozzini, 
Rv. 281501). 

nel 
caso in esame, tuttavia, non si 
pone 
il 
problema 
di 
aderire 
ad uno dei 
due 
orientamenti, 
perché 
il 
dissenso, nel 
caso che 
ci 
occupa, attiene 
esattamente 
al 
principio di 
diritto 
espresso dalle Sez. U. tettamanti. 

7. 
In ragione 
di 
ciò, s’impone 
per il 
Collegio che 
la 
decisione 
del 
ricorso venga 
rimessa 
alle Sezioni Unite. 
P.Q.M. 
Rimette il ricorso alle Sezioni Unite. 
Così deciso in Roma 1’8 giugno 2023. 



ContEnzIoSo 
nAzIonALE 


investimenti nel servizio di distribuzione del gas 
e prerogative regolatorie di 
aReRa alla luce 
degli orientamenti recenti del giudice amministrativo 
(*) 


Con le 
sentenze 
nn. 1228, 1229, 1230 e 
1231 del 
23 maggio 2023 il 
t.a.r. Lombardia 
Milano, 
Giudice 
amministrativo competente 
funzionalmente 
sui 
provvedimenti 
dell’Autorità 
di 
regolazione 
per 
energia, 
reti 
e 
ambiente 
(ARERA) 
ha 
segnato 
un 
momento 
molto 
importante 
nella 
riaffermazione 
della 
natura 
e 
dei 
poteri 
delle 
Autorità 
indipendenti, ritenendo legittime 
le 
deliberazioni 
nn. 525 e 
528/2022/R/gas 
di 
ARERA 
che 
avevano disapplicato una 
legge 
nazionale 
(e 
in 
particolare 
l’art. 
114 
ter 
D.L. 
34 
del 
19 
maggio 
2020 
che 
aveva 
aggiunto 
un 
comma, il 4 bis, all’art. 23 del D.lgs. 164/2000). 


Il 
t.a.r. ribadisce 
con forza, e 
senza 
nemmeno il 
ricorso al 
rinvio pregiudiziale 
ex 
art. 
267 
tUE 
(peraltro 
facoltativo 
per 
il 
Giudice 
di 
prima 
istanza), 
innanzitutto 
l’indipendenza 
delle 
Autorità 
nazionali 
di 
regolamentazione, un’indipendenza 
che 
viene 
affermata 
a 
livello 
europeo in modo più chiaro e 
più pieno di 
quanto facciano la 
nostra 
Costituzione 
e 
le 
nostre 
leggi 
nazionali. 
E 
nella 
lente 
dell’indipendenza 
si 
ingrandiscono 
e 
si 
riaffermano 
le 
prerogative 
dell’Autorità 
nazionale 
di 
regolamentazione, 
chiaramente 
espresse 
dalle 
direttive 
2009/72/CE 
e 
2009/73/CE, 
che 
sottolineano 
il 
valore 
della 
cooperazione 
tra 
organi 
dello 
Stato, 
tutti 
protesi 
verso quello che 
è 
il 
cd. “effetto utile” 
dell’azione 
amministrativa, come 
bene 
supremo da 
tutelare, 
al di là di ogni steccato. 


tali 
pronunce 
hanno, 
peraltro, 
avuto 
successivamente 
anche 
una 
conferma 
da 
parte 
dello 
stesso legislatore, che 
è 
“ritornato sui 
suoi 
passi”, cosa 
che 
ha 
confermato ulteriormente 
la 
bontà 
dell’azione 
dell’AnR e 
quell’anelito verso l’effetto utile, in quanto con decreto legge 


n. 
69 
del 
13 
giugno 
2023, 
all’art. 
22, 
comma 
1, 
è 
stata 
prima 
proposta 
l’abrogazione 
del 
comma 
4 bis 
(1) (ovvero quello introdotto proprio dall’art. 114 ter 
del 
D.L. 34 del 
19 maggio 
2020) e 
poi 
è 
stato reintrodotto, ma 
in modo assolutamente 
diverso nel 
contenuto in sede 
di 
conversione con la L. 10 agosto 2023 n. 103. 
Intervento di Paolo del Vecchio 

Avvocato dello Stato 
Direttore della Direzione legale di 
Arera 


SOMMARIO: 1. Premessa -2. La cd. “tassa sul 
tubo” 
(art. 6 l.r. 2/2002) -3. La questione 
del 
2023 -4. Articolo 114 ter 
D.L. 34/2020 conv. in L. 77/2020 e 
sent. 2924/22 del 
Consiglio 
di 
Stato 
-5. 
La 
disapplicazione 
dell’art. 
114 
ter 
D.L. 
34/2020 
con 
le 
delibere 
nn. 
525/2022/R/gas 
e 
528/2022/R/gas. Il 
contenzioso e 
le 
varie 
censure 
-6. La difesa dell’Autorità. 
In particolare 
sulla “riserva di 
amministrazione” 
-7. I tre 
tipi 
di 
“indipendenza” 
delle 


(1) Anche sulla scorta di un caso: EU Pilot in Commission, 2022/10193/EnER. 
(*) 
Intervento 
nell’ambito 
della 
seconda 
giornata 
di 
studi 
organizzata 
dall’Ufficio 
studi 
e 
formazione 
della Giustizia amministrativa in 
collaborazione 
con 
l’Autorità di 
regolazione 
per 
energia, reti 
e 
ambiente 
(ARERA) dal 
titolo “Il 
ruolo di 
ARERA 
al 
tempo della crisi 
energetica” presso la Sala di Pompeo del Consiglio di Stato il 6 novembre 2023. 



RASSEGnA 
AVVoCAtURA 
DELLo 
StAto -n. 2/2023 


ANR 
-8. Le 
sentenze 
del 
Tar 
Lombardia del 
23 maggio 2023 nn. 1228, 1229, 1230 e 
1231 


9. Conclusioni. 
1. Premessa. 
Innanzitutto 
rivolgo 
un 
sentito 
ringraziamento 
al 
Presidente 
Maruotti 
ed 
all’Ufficio 
Studi 
presieduto 
dal 
Presidente 
Carmine 
Volpe 
e 
coordinato 
dal 
Presidente 
nicola 
Durante 
e 
dal 
Consigliere 
Vincenzo 
neri 
per 
l’organizzazione 
in 
Consiglio 
di 
Stato 
di 
questa 
seconda 
giornata 
dedicata 
all’energia 
(la 
prima, 
ricordo, 
si 
tenne 
a 
maggio 
2022 
sotto 
la 
presidenza 
del 
compianto 
Franco 
Frattini). 


È 
un 
momento 
di 
particolare 
importanza 
per 
l’energia 
ed 
è 
sempre 
più 
necessario 
mettere 
a 
confronto 
le 
realtà 
tecniche 
con 
quelle 
giuridiche, 
in 
quanto 
mai 
come 
in 
questi 
ultimi 
anni 
risultano 
essere 
assolutamente 
connesse. 
Due 
mondi 
che 
si 
parlano 
sempre 
di 
più. 
E 
in 
questo 
confronto 
assume 
un 
ruolo fondamentale 
il 
giudice 
amministrativo, proprio perché 
complementare 
rispetto 
all’attività 
dell’Autorità 
di 
regolazione 
per 
energia, 
reti 
e 
ambiente 
(di 
seguito anche solo ARERA). 


Spesso 
tale 
complementarietà 
è 
stata 
messa 
in 
discussione, 
in 
particolare 
da 
chi, partendo dalla 
discussione 
sulla 
natura 
delle 
Autorità 
indipendenti, è 
arrivato persino a 
sostenere 
la 
natura 
giurisdizionale 
delle 
Autorità 
(si 
pensi 
alla 
questione 
di 
legittimità 
costituzionale 
rimessa 
alla 
Corte 
dall’Autorità 
garante 
per la 
concorrenza 
e 
il 
mercato -di 
seguito anche 
solo AGCM 
-conclusasi 
poi con la sent. 13/2019). 


Un tema, quello della 
natura 
delle 
Authorities, molto arato in dottrina 
e 
che 
ho potuto verificare, molto più modestamente, sul 
campo, avendo avuto 
la 
chance 
di 
guidare 
prima 
il 
servizio giuridico dell’Autorità 
per le 
garanzie 
nelle 
comunicazioni 
(AGCoM) e 
ora 
quello dell’Autorità 
di 
regolazione 
per 
energia, 
reti 
e 
ambiente 
(ARERA), 
in 
due 
momenti 
storici 
particolarmente 
densi e delicati per entrambe le 
Autorità. 


Il 
primo, quello delle 
comunicazioni, nel 
periodo delle 
famose 
questioni 
della 
“tariffazione 
a 
28 
giorni”, 
della 
questione 
Mediaset 
-Vivendi, 
del 
cd. 
beauty 
contest, del 
nuovo regolamento sul 
diritto d’autore; 
il 
secondo, questo 
dell’energia, in anni 
“difficili” 
caratterizzati 
dall’aumento dei 
costi 
delle 
materie 
prime, dalle 
guerre 
che 
influenzano le 
importazioni 
e 
dal 
passaggio dal 
mercato dell’energia tutelato a quello libero. 


Ebbene 
in 
entrambe 
le 
esperienze 
vissute, 
ho 
notato 
che 
il 
ruolo 
del 
Giudice 
amministrativo 
si 
è 
sempre 
rivelato 
di 
estrema 
importanza, 
proprio 
per 
il 
supporto 
che 
riesce 
a 
garantire 
sia 
all’attività 
di 
regolazione 
che 
a 
quella 
di 
enforcement 
dell’Autorità. 
Ricordo 
in 
particolare 
quanto 
sia 
stato 
importante 
il 
ruolo 
del 
tar 
del 
Lazio 
nel 
contenzioso 
sulla 
tariffazione 
a 
28 
giorni. 
Una 
complementarietà 
con 
l’attività 
dell’Autorità 
fatta 
di 
conferme, 
riforme 
o 
anche 
correzioni 
dei 
provvedimenti 
adottati, 
in 
quel 
contemperamento 
di 
interessi 
assolutamente 
indispensabile 
per 
coniugare 
interesse 
pubblico 
e 
mercato. 



ContEnzIoSo 
nAzIonALE 


D’altronde 
la 
nascita 
delle 
Autorità 
(l’erompere 
per 
usare 
la 
notissima 
espressione 
di 
Predieri) segnò il 
passaggio dallo Stato imprenditore 
allo Stato 
regolatore, 
uno 
Stato 
quest’ultimo 
che 
assegnava 
alle 
Autorità 
amministrative 
indipendenti un ruolo strategico. 


Dopo 
di 
me 
ci 
saranno 
interventi 
che 
tratteranno 
proprio 
della 
delicata 
funzione 
di 
regolazione. 
ARERA 
si 
divide 
tra 
la 
funzione 
di 
regolazione 
e 
quella 
di 
enforcement. 
In particolare 
quest’ultima 
si 
sta 
implementando negli 
ultimi 
tempi 
e 
ne 
abbiamo avuto esempi 
concreti 
proprio di 
recente, in occasione 
della 
valutazione 
delle 
clausole 
inserite 
dagli 
operatori 
nei 
contratti 
a 
seguito 
del 
D.L. 
cd. 
“aiuti 
bis” 
oppure 
nelle 
tante 
pieghe 
del 
passaggio 
dal 
mercato tutelato al mercato libero. 


Il 
tema 
di 
cui 
vi 
parlerò è 
(e 
non poteva 
non essere) un tema 
a 
metà 
tra 
diritto 
e 
regolazione 
perché 
è 
un 
tema 
che 
ha 
visto 
l’Autorità 
“sotto 
i 
riflettori” 
per una 
attività 
nè 
consueta 
né 
frequente, e 
cioè 
quella 
consistente 
nella 
disapplicazione 
di una legge nazionale da parte di un’Autorità indipendente. 


2. La cd. “tassa sul tubo”(art. 6 L.r. 2/2002). 
Per trovate 
un “precedente” 
nell’esperienza 
di 
ARERA 
siamo dovuti 
risalire 
al 
2002, cioè 
alla 
famosa 
cd. “tassa 
sul 
tubo”, una 
tassa 
introdotta 
dal-
l’art. 6 della 
L.r. n. 2 del 
2002 della 
Regione 
siciliana, anche 
se 
in quel 
caso 
si 
trattava 
di 
una 
questione 
completamente 
diversa, perché 
era 
un tributo introdotto 
per alimentare 
un fondo che 
doveva 
prevenire 
eventuali 
impatti 
ambientali 
provocati 
dalla 
costruzione 
di 
gasdotti 
sul 
territorio siciliano (1). Ed 
anche 
in quel 
caso ci 
furono una 
serie 
di 
reazioni, poiché 
in realtà 
questa 
cosa 
comportava 
poi 
anche 
un incremento di 
costi 
che 
andavano chiaramente 
a 
incidere 
sul distributore Snam Rete Gas prima e sull’utenza finale poi. 


L’Autorità 
fece 
una 
segnalazione 
al 
Parlamento 
(del. 
113/02), 
una 
al 
Governo 
(del. 96/02) ed una 
alla 
Commissione 
europea 
(del. 112/02). Ed, infine, 
procedette alla disapplicazione della citata previsione di legge regionale, con 
delibera 
n. 
120 
del 
2002, 
nella 
quale 
si 
manifestava 
la 
contrarietà 
alla 
cd. 
tassa 
sul 
tubo, in quanto la 
stessa 
si 
poneva 
in violazione 
dell’art. 3, comma 
2, direttiva 
n. 98/30/CE 
(direttiva 
che 
autorizzava 
gli 
Stati 
membri 
ad imporre 
ai 
gestori 
obblighi 
di 
servizio pubblico anche 
a 
tutela 
dell’ambiente 
purchè 
fossero 
“chiaramente 
definiti, 
trasparenti, 
non 
discriminatori 
e 
verificabili”) 
e 
con 
gli 
artt. 
23, 
26 
e 
28 
trattato 
CE 
che 
vietano 
“l’imposizione 
di 
dazi 
doganali 
e di tasse equivalenti”. 


(1) 
Il 
tributo 
aveva 
“lo 
scopo 
di 
finanziare 
investimenti 
finalizzati 
a 
ridurre 
e 
prevenire 
il 
potenziale 
danno 
ambientale 
derivante 
dalle 
condotte 
installate 
sul 
territorio 
della 
regione 
siciliana”, 
il 
cui 
gettito 
“è 
destinato a finanziare 
iniziative 
volte 
alla salvaguardia, alla tutela e 
al 
miglioramento della qualità 
dell’ambiente 
con 
particolare 
riguardo 
alle 
aree 
interessate 
dalla 
presenza 
delle 
condotte” 
(art. 
6, 
comma 1). 

RASSEGnA 
AVVoCAtURA 
DELLo 
StAto -n. 2/2023 


Detta 
delibera 
fu impugnata 
dinanzi 
al 
tar Lombardia 
proprio da 
Snam, 
ma il ricorso fu rigettato (con sent. n. 130/03). 


Contemporaneamente, 
però 
ci 
fu 
anche 
un 
ricorso 
della 
Commissione 
europea 
alla 
Corte 
di 
giustizia 
che 
accertò l’incompatibilità 
di 
quella 
norma 
con 
l’articolo 
23 
del 
trattato 
di 
funzionamento 
dell’Unione 
europea, 
motivando 
sul divieto di introduzione di nuove tasse (2). 


3. La questione del 2023. 
Il 
caso venuto in trattazione 
nel 
2023 ha 
riguardato il 
servizio di 
distribuzione 
gas, 
attività 
di 
servizio 
pubblico 
particolarmente 
importante, 
che 
vede 
interessata 
una 
filiera 
di 
soggetti 
che 
va 
dai 
produttori 
ai 
distributori, ai 
venditori, 
ai 
clienti 
finali 
all’utenza 
e 
quindi 
un percorso particolarmente 
lungo. 
Percorso disciplinato dall’articolo 23 del decreto legislativo 164 del 2000. 


tale 
norma 
attribuisce 
ad ARERA 
la 
determinazione 
della 
tariffa 
di 
distribuzione, 
con la 
quale 
si 
assicura 
una 
congrua 
remunerazione 
del 
capitale 
investito, 
così 
come 
specificatamente 
espresso 
dal 
quarto 
comma 
dell’articolo 
23 
in 
cui 
si 
dice 
proprio 
che 
l’Autorità 
dispone 
anche 
transitoriamente 
appositi 
strumenti di perequazione. 


La 
tariffa, nella 
sostanza, riconosceva 
i 
costi 
di 
investimento, ma 
“fino 
ad un certo punto”: 
questo limite, questo “tetto” 
poi 
era 
modulabile 
a 
seconda 
dei 
casi, con un riconoscimento più ampio per le 
aree 
in corso di 
metanizzazione, 
vale 
a 
dire 
quei 
territori 
cd. “in avviamento”, dove 
vi 
era 
la 
necessità 
di 
remunerare 
meglio 
e 
di 
più 
alcuni 
costi 
di 
investimento. 
In 
quei 
casi 
il 
comma 
4 consentiva tale maggiore riconoscimento. 


L’Autorità, 
sulla 
scorta 
di 
quanto 
disposto 
dalla 
legge, 
è 
intervenuta 
in 
vari 
momenti 
sulla 
questione, 
con 
alcune 
delibere 
particolarmente 
importanti, 
la 
573 del 
2013 e 
soprattutto la 
704 del 
2016, stabilendo il 
cd. “tetto” 
al 
riconoscimento 
dei 
costi, assicurando sempre 
la 
“congrua 
remunerazione 
del 
capitale 
investito” (prevista dal comma 2 dell’art. 23). 


In particolare 
la 
delibera 
n. 704 del 
2016 “scontentava” 
Comuni 
ed imprese 
di 
distribuzione 
della 
fascia 
climatica 
F 
(Comuni 
montani 
del 
trentino 
e 
comuni 
interessati 
ai 
processi 
di 
metanizzazione 
del 
Mezzogiorno, 
quali 
quelli nelle zone cilentane) ed è stata impugnata innanzi al 
tar Lombardia. 


tali 
Comuni 
risultavano accomunati 
dall’esigenza 
di 
un maggiore 
riconoscimento 
dei 
costi, 
senza 
essere 
necessariamente 
soggetti 
al 
tetto 
e 
miravano 
ad 
un 
riconoscimento 
integrale 
degli 
stessi, 
prescindendo 
anche 
dall’eventuale 
analisi costi 
-benefici. 


Da 
ciò, quindi, i 
ricorsi 
avverso le 
citate 
delibere 
dinanzi 
al 
tar Lombardia 
che, con quattro sentenze 
del 
2018 (3), ha 
respinto i 
ricorsi, ribadendo la 


(2) CGUE, sez. II, sent. 21 giugno 2007, C-173/05. 
(3) Sentt. 1200, 1201, 1202 e 1203 del 2018 del 
t.a.r. Lombardia - Milano. 

ContEnzIoSo 
nAzIonALE 


legittimità 
delle 
scelte 
che 
erano state 
fatte 
dall’Autorità. Dette 
sentenze 
sono 
state 
poi 
appellate 
e 
il 
Consiglio di 
Stato, appunto, ha 
confermato in tre 
casi 
su 
quattro 
(4), 
le 
decisioni 
del 
tar 
Lombardia, 
affermando, 
quindi, 
il 
principio 
secondo 
cui 
non 
si 
può 
avere 
“una 
metanizzazione 
ad 
ogni 
costo” 
e 
soprattutto 
che 
la 
metanizzazione 
non 
può 
rappresentare 
l’unico 
obiettivo, 
di 
fronte 
al 
quale 
devono recedere 
tutti 
gli 
altri 
elementi 
di 
contemperamento, cioè 
le 
valutazioni 
reali, 
e 
in 
particolare 
la 
ponderazione 
sul 
riconoscimento 
dei 
costi 
stessi. 


non si 
può, in altre 
parole, riconoscere 
a 
quei 
Comuni 
o imprese 
di 
distribuzione 
quanto 
speso 
in 
modo 
pieno, 
senza 
alcun 
limite, 
sol 
per 
il 
fatto 
che 
hanno metanizzato aree nuove (le cd. aree in avviamento). 


nelle 
more 
di 
tali 
giudizi, il 
cd. “tetto” 
è 
stato confermato dall’Autorità 
con la 
delibera 
570 del 
2019 (che 
ha 
approvato le 
tariffe 
2020 
-2025), prevedendo, 
in linea 
con quello che 
si 
faceva 
precedentemente, l’analisi 
costi 
benefici 
sia 
nei 
criteri 
dei 
bandi 
di 
gara 
sia 
per 
i 
riconoscimenti 
successivi, 
perché 
questo contemperamento doveva 
avvenire 
ex 
ante 
che 
ex 
post 
ai 
fini 
del 
riconoscimento 
effettivo. 


4. Articolo 114 ter 
D.L. 34/2020 conv. in L. 77/2020 e 
sent. 2924/22 del 
Consiglio 
di Stato. 
Con il 
decreto legge 
n. 34 del 
2020, tristemente 
noto per tanti 
altri 
motivi 
(perché 
era 
uno 
dei 
decreti 
legge 
della 
pandemia) 
è 
stato 
introdotto, 
con 
la 
tecnica 
della 
novella, 
all’art. 
114 
ter, 
un 
nuovo 
comma, 
il 
4 
bis, 
all’art. 
23 
del 
D.lgs. 164/2000. Con tale 
comma 
il 
Legislatore 
ha, di 
fatto, “sovrascritto” 
i 
giudicati 
delle 
sentenze 
del 
Consiglio 
di 
Stato 
sopra 
citate, 
prevedendo 
per 
Comuni 
e 
imprese 
di 
distribuzione 
di 
cui 
alla 
zona 
climatica 
F 
una 
sorta 
di 
presunzione 
assoluta 
di 
efficienza 
e 
convenienza 
economica 
di 
ogni 
investimento 
(a 
prescindere 
dall’analisi 
costi 
-benefici), 
garantendo 
loro 
un 
integrale 
riconoscimento. 


Come 
se 
l’estensione 
e 
i 
potenziamenti 
di 
rete 
degli 
impianti 
esistenti 
nei 
Comuni 
in corso di 
metanizzazione 
o già 
metanizzati, si 
considerassero efficienti 
e 
già 
valutati 
positivamente 
da 
sé 
ai 
fini 
dell’analisi 
costi 
e 
benefici 
(rendendo 
superflua 
quest’ultima 
attività). E 
con una 
palese 
invasione 
di 
campo 
sulle 
attribuzioni 
dell’Autorità 
da 
parte 
del 
potere 
legislativo, attribuzioni 
che 
oltre 
tutto avevano ricevuto un vaglio di 
legittimità 
dal 
doppio grado di 
giurisdizione 
del giudice amministrativo. 


E 
ciò 
prescindendo 
anche 
dal 
fatto 
che 
appariva 
alquanto 
paradossale 
che 
un 
intervento 
del 
genere 
fosse 
previsto 
in 
una 
decretazione 
d’urgenza 
sulla 
pandemia, 
pur 
non 
avendo 
alcun 
nesso 
specifico 
con 
i 
temi 
della 
salute 
e 
della 
pandemia 
stessa 
e 
che, 
oltretutto, 
comportava 
un 
aggravio 
di 
costi 
per 
l’Erario, 


(4) Sentt. 778, 779 e 780/2020 del Consiglio di Stato. 

RASSEGnA 
AVVoCAtURA 
DELLo 
StAto -n. 2/2023 


in quanto andava 
a 
prevedere 
un riconoscimento integrale 
di 
costi 
di 
investimento, 
senza 
applicazione 
del 
“price 
cap”, in un momento in cui 
forse 
vi 
era 
un’esigenza di attenzione alla spesa pubblica. 

Con una 
segnalazione, la 
406 del 
2020 a 
Parlamento e 
Governo, ARERA 
aveva 
già, nell’immediatezza 
della 
novella, denunciato il 
fatto che 
venivano 
soppresse 
delle 
prerogative 
delle 
Autorità 
indipendenti. E 
con la 
segnalazione 
1832 del 
2022 anche 
AGCM 
ha 
denunciato i 
fatti 
al 
Parlamento e 
al 
Governo 
per 
anticoncorrenzialità, 
ribadendo 
anche 
l’impatto 
negativo 
sotto 
il 
profilo 
ambientale. 


A 
seguito della 
novella 
del 
2020 rimaneva 
pendente 
l’ultimo giudizio in 
appello (dei 
4 di 
cui 
al 
tar Lombardia 
sopra 
citati 
avverso la 
delibera 
704 del 
2016). 
tre 
sentenze 
d’appello 
avevano 
già 
confermato 
le 
decisioni 
del 
Giudice 
di 
primo 
grado, 
ma 
tutto 
ciò 
avveniva 
prima 
del 
D.L. 
34/2020. 
nel 
predisporre 
la 
difesa 
per 
resistere 
al 
quarto 
appello 
(proposto 
dal 
Comune 
di 
Renon) 
l’Autorità 
ha 
formulato una 
serie 
di 
eccezioni 
ed ha 
posto alcune 
questioni: 
in particolare 
una 
questione 
di 
legittimità 
costituzionale 
e 
un’altra 
questione 
di 
compatibilità 
con le 
direttive 
europee 
con contestuale 
richiesta 
di 
rimessione 
delle questioni all’una o all’altra Corte. 


Dinanzi 
a 
tali 
questioni, l’Avvocatura 
generale 
dello Stato non ha 
potuto 
che 
rilevare 
un potenziale 
conflitto nel 
caso in cui 
si 
fosse 
verificata 
una 
(o 
entrambe) le rimessioni e quindi, ha dovuto declinare il patrocinio. 


L’Autorità, preso atto di 
ciò, ha 
affidato la 
difesa 
a 
legali 
del 
libero foro, 
ai 
sensi 
di 
quanto prevede 
in questi 
casi 
l’art. 5 t.U. 1611/33, ribadendo entrambe 
le 
suddette 
questioni. 
Il 
Consiglio 
di 
Stato, 
con 
sentenza 
2924 
del 
2022, 
ha 
dichiarato l’improcedibilità 
dell’appello, sulla 
scorta 
dell’intervenuta 
modifica 
legislativa, senza 
entrare 
nel 
merito della 
stessa 
e 
senza 
considerare 
se 
quell’intervento legislativo fosse 
in contrasto con norme 
costituzionali 
o eurounitarie. 


Il 
Consiglio di 
Stato, però, ha 
dato in un passaggio molto interessante 
il 
“gancio” 
per la 
successiva 
disapplicazione 
da 
parte 
dell’Autorità, aprendo ad 
eventuali 
forme 
di 
contestazione 
del 
portato normativo da 
parte 
di 
ARERA: 
“La novella legislativa in via astratta è 
applicabile 
alla controversia dedotta 
in giudizio. La sua concreta applicazione 
è 
comunque 
soggetta alla valutazione 
della potestà regolatoria dell’Autorità di 
regolazione 
per 
energia, reti 
e 
ambiente 
che 
potrà stabilire 
le 
modalità esecutive 
di 
quanto previsto e, se 
del 
caso, 
di 
contestarne 
il 
portato 
giuridico 
nelle 
forme 
previste”. 
Quindi, 
pur 
partendo 
dal 
nuovo dato normativo (senza 
contestarlo nel 
merito), il 
Consiglio di 
Stato 
ha 
posto 
in 
primo 
piano 
la 
potestà 
regolatoria 
e 
quindi 
le 
prerogative 
dell’Autorità 
indipendente 
sia 
nella 
concreta 
applicazione 
della 
norma 
che 
nella eventuale contestazione della stessa “nelle forme previste”. 



ContEnzIoSo 
nAzIonALE 


5. 
La 
disapplicazione 
dell’art. 
114 
ter 
D.L. 
34/2020 
con 
le 
delibere 
525/2022/R/gas e 528/2022/R/gas. Il contenzioso e le varie censure. 
L’Autorità, quindi, ha 
colto questo passaggio della 
sentenza. n. 2924/22 
per 
contestare 
il 
portato 
giuridico 
di 
quella 
normativa 
sopravvenuta, 
nelle 
forme 
della 
disapplicazione 
della 
legge, 
forte 
anche 
del 
precedente 
sopra 
menzionato 
del 2002. 


tale 
disapplicazione 
trovava 
giustificazione 
anche 
nel 
particolare 
momento 
storico, caratterizzato dalla 
crisi 
dei 
prezzi 
del 
gas 
naturale 
e 
dal 
conflitto 
russo 
-ucraino, 
alla 
luce 
dei 
quali 
l’art. 
114 
ter 
sembrava 
ancora 
più 
irragionevole: 
infatti 
da 
un 
lato 
incentivava 
la 
realizzazione 
di 
nuove 
metanizzazioni 
e 
sviluppi 
di 
rete 
slegati 
da 
ogni 
valutazione 
in 
termini 
di 
costi 
benefici 
a 
fronte 
di 
uno scenario internazionale 
in cui 
il 
gas 
naturale 
diveniva 
una 
risorsa 
potenzialmente 
scarsa 
e 
dall’altro determinava 
un incremento tariffario 
che 
andava 
a 
stressare 
ulteriormente 
possibili 
dinamiche 
rialziste 
dei 
prezzi a svantaggio dei consumatori finali. 


Conseguentemente 
l’Autorità 
ha 
espresso 
il 
proprio 
orientamento 
a 
disapplicare 
l’art. 
114 
ter, 
in 
quanto 
con 
tale 
norma 
il 
Legislatore 
si 
era 
sostituito 
all’Autorità, 
comprimendone 
in 
modo 
inedito 
(e 
indebito) 
le 
prerogative, 
le 
quali 
oltre 
ad 
essere 
previste 
dallo 
stesso 
Legislatore 
nazionale 
(dalla 
L. 
481/945 
e 
dallo 
stesso 
art. 
23 
d.lgs. 
164/00) 
trovano 
il 
loro 
fondamento 
in 
alcuni 
principi 
del 
diritto 
dell’Unione 
europea 
e 
in 
particolare 
negli 
articoli 
39 
e 
41 
della 
direttive 
2009/73/CE, 
che, 
come 
confermato 
dalla 
Corte 
di 
giustizia 
del-
l’Unione 
europea, 
riservano 
tali 
competenze 
all’Autorità 
di 
regolamentazione. 


La 
disapplicazione 
è 
stata 
attuata 
mediante 
due 
delibere, la 
525/2022 che 
ha 
riguardato il 
cd. tetto agli 
investimenti 
ai 
fini 
dei 
riconoscimenti 
tariffari 
relativi 
alle 
località 
considerate 
e 
la 
delibera 
528/2022 
che 
ha 
disciplinato 
i 
criteri 
di 
valutazione 
dei 
bandi 
di 
gara, subordinando il 
riconoscimento tariffario 
degli investimenti agli esiti dell’analisi costi 
-benefici. 


tali 
delibere 
sono 
state 
impugnate 
in 
otto 
casi 
e, 
anche 
in 
tali 
frangenti, 
l’Avvocatura 
ha 
dovuto 
declinare 
il 
patrocinio 
di 
ARERA, 
in 
virtù 
delle 
questioni 
sollevate 
in 
sede 
di 
difesa 
sempre 
attinenti 
alla 
legittimità 
costituzionale 
ed 
europea. 
La 
difesa 
è 
stata, 
pertanto, 
affidata 
a 
vari 
studi 
legali 
di 
chiara 
fama. 


In particolari i ricorsi avevano quattro punti di caduta: 


a) 
che 
non 
vi 
sarebbe 
alcuna 
antinomia 
tra 
l’art. 
114 
ter 
e 
la 
Direttiva 
2009/73/CE 
in 
quanto 
la 
norma 
italiana 
sarebbe 
espressioni 
di 
un 
indirizzo 
politico generale; 
b) 
che 
ARERA 
non avrebbe 
alcuna 
“riserva 
di 
amministrazione” 
nel 
valutare 
l’efficienza degli investimenti; 
c) 
dubbi sulla natura 
self -executing 
della direttiva europea; 
d) 
un’asserita 
lesione 
di 
un “legittimo affidamento” 
sorto a 
seguito della 
novella del 2020. 

RASSEGnA 
AVVoCAtURA 
DELLo 
StAto -n. 2/2023 


6. La difesa dell’Autorità. In particolare 
sulla “riserva di 
amministrazione”. 
In realtà su tutte le censure sono state svolte adeguate controdeduzioni. 


Sulla 
natura 
non 
innovativa 
dell’intervento 
legislativo, 
v’è 
da 
dire 
che 
l’art. 114 ter non solo non ha 
natura 
innovativa, ma 
sovrascrive 
i 
precedenti 
giudicati 
del 
Giudice 
amministrativo e 
presenta 
evidenti 
profili 
di 
incostituzionalità, 
come 
si 
diceva 
sopra, in particolare 
di 
contrasto con gli 
artt. 3, 24, 
97, 101, 113 della 
Costituzione. Una 
sorta 
di 
legge-provvedimento inserita 
in 
decreto d’urgenza per materia completamente diversa. 


Ma 
è 
sulla 
“riserva 
di 
amministrazione” 
di 
ARERA 
che 
si 
è 
“giocata” 
la 
partita 
più importante 
della 
difesa. Su tale 
questione 
il 
Consiglio di 
Stato già 
nel 
2022 
si 
era 
pronunciato 
in 
termini: 
“Si 
premette 
in 
linea 
generale 
che 
ARERA 
esercita 
in 
subiecta 
materia 
(determinazione 
delle 
tariffe) 
competenze 
riservate 
ed esclusive, come 
pure 
correttamente 
messo in evidenza nella sentenza 
di 
primo grado. Si 
veda al 
riguardo quanto previsto dall’art. 41 della 
direttiva 2009/73/CE in materia di mercato interno del gas naturale” (5). 

È 
proprio sulla 
questione 
di 
compatibilità 
“europea” 
che 
si 
apre 
il 
fronte 
più critico per la 
novella 
del 
2020, in quanto gli 
articoli 
39 e 
41 della 
direttiva 
2009/73/CE 
affermano 
l’indipendenza 
dell’Autorità, 
ma 
un’indipendenza 
addirittura 
“rafforzata” 
cioè 
tesa 
in alcune 
particolari 
materie, a 
garantire 
l’imparzialità 
e la non discriminazione, nell’ambito della regolazione. 


L’articolo 
39, 
al 
paragrafo 
quattro, 
prevede 
che 
vada 
garantita 
“l’indipendenza 
dell’autorità di 
regolamentazione 
... 
affinchè 
essa eserciti 
i 
suoi 
poteri 
con imparzialità e 
trasparenza” 
e 
al 
paragrafo 5) lettera 
a) che: 
“… 
inoltre 
gli 
Stati 
membri 
sono 
tenuti 
a 
‘tutelare 
l’indipendenza 
dell’autorità 
di 
regolamentazione’ 
e 
di 
garantire 
a queste 
ultime 
di 
poter 
prendere 
decisioni 
autonome, 
in maniera indipendente da qualsiasi organo politico”. 


tra 
queste 
decisioni 
rientrano anche 
quelle 
in materia 
tariffaria 
di 
cui 
all’art. 
41, paragrafo 1, lettera 
a) della 
medesima 
direttiva 
2009/73/CE, in base 
alla 
quale 
spetta 
all’autorità 
di 
regolamentazione 
“stabilire 
o 
approvare, 
in 
base 
a criteri 
trasparenti, tariffe 
di 
trasporto o di 
distribuzione 
o le 
relative 
metodologie di calcolo”. 


D’altronde 
la 
stessa 
Corte 
di 
giustizia 
(6), in una 
importantissima 
decisione 
del 
settembre 
2021, ha 
rilevato che 
“ 
… l’articolo 37, paragrafo 6, lettere 
a) 
e 
b) 
della 
direttiva 
2009/73, 
dal 
canto 
loro, 
conferiscono 
in 
particolare 
all’Autorità nazionale 
di 
regolamentazione 
(ANR) la competenza per 
fissare 


o 
per 
approvare 
quantomeno 
le 
metodologie 
utilizzate 
per 
calcolare 
o 
per 
stabilire 
le 
condizioni 
di 
connessione 
o di 
accesso alle 
reti 
nazionali, comprese 
le 
tariffe 
applicabili, nonché 
le 
condizioni 
della prestazione 
di 
servizi 
di 
bi(
5) Cons. Stato n. 265/2022. 
(6) Commissione c/ Germania, C-718/18, sentenza del 2 settembre 2021. 

ContEnzIoSo 
nAzIonALE 


lanciamento. 
L’espressione 
“quantomeno”, 
letta 
alla 
luce 
rispettivamente 
del 
considerando 36 della direttiva 2009/72 e 
del 
considerando 32 della direttiva 
2009/73 indica che 
la determinazione 
delle 
metodologie 
per 
calcolare 
o per 
stabilire 
le 
condizioni 
di 
connessione 
e 
di 
accesso 
alle 
reti 
nazionali, 
comprese 
le 
tariffe 
applicabili, 
rientra 
nelle 
competenze 
riservate 
direttamente 
alle 
ANR 
da tali direttive”. 


Sulla 
questione 
della 
natura 
self 
-executing 
delle 
direttine 
2009/72/CE 
e 
2009/73/CE 
non sembrano esservi 
dubbi. La 
portata 
di 
tale 
efficacia 
diretta 
è 
tale 
che 
neppure 
gli 
orientamenti 
generali 
di 
governo possono travalicare 
tale 
competenza. Ed anche 
l’Adunanza 
Plenaria 
si 
è 
espressa 
in termini, in quanto 
“ritiene 
che 
l’obbligo 
di 
non 
applicare 
la 
legge 
anticomunitaria 
gravi 
in 
capo 
all’apparato amministrativo, anche 
nei 
casi 
in cui 
il 
contrasto riguardi 
una 
direttiva 
self 
-executing. 
In 
termini 
generali, 
va, 
anzitutto, 
osservato 
che 
la 
sussistenza di 
un dovere 
di 
non applicazione 
da parte 
della P.A. rappresenta 
un approdo ormai 
consolidato nell’ambito della giurisprudenza sia europea 
sia nazionale” (7). 

La 
Plenaria, quindi, allarga 
il 
campo della 
disapplicazione 
non solo alla 
contrarietà 
ai 
regolamenti 
europei, ma 
anche 
alle 
direttive 
e 
il 
tar Lombardia 
ha 
respinto 
anche 
tale 
censura, 
ritenendo 
pacificamente 
che 
sia 
la 
dir. 
2009/72 
che la dir. 2009/73 fossero direttamente applicabili. 


7. I tre tipi di “indipendenza” delle 
ANR. 
Sempre 
nella 
medesima 
pronuncia, 
la 
Corte 
di 
Giustizia 
traccia 
tre 
tipi 
di 
indipendenza: 
una 
prima 
forma, 
forse 
la 
più 
importante, 
di 
indipendenza 
è 
“l’indipendenza 
piena 
rispetto 
ai 
soggetti 
economici 
e 
ai 
soggetti 
pubblici, 
siano 
essi 
organi 
amministrativi 
o 
organi 
politici, 
e 
in 
quest’ultimo 
caso 
titolari 
del 
potere 
esecutivo 
o 
di 
quello 
legislativo, 
è 
funzionale 
a 
garantire 
che 
le 
decisioni 
prese 
dalle 
ANR 
siano 
realmente 
imparziali 
e 
non 
discriminatorie, 
escludendo 
la 
possibilità 
di 
un 
trattamento 
privilegiato 
delle 
imprese 
e 
degli 
interessi 
economici 
collegati 
al 
governo, 
alla 
maggioranza 
o 
comunque 
al 
potere 
politico. 
Inoltre 
la 
rigorosa 
separazione 
rispetto 
al 
potere 
politico 
consente 
alle 
ANR 
di 
inserire 
la 
loro 
azione 
in 
una 
prospettiva 
a 
lungo 
termine 
che 
è 
necessaria 
per 
realizzare 
gli 
obiettivi 
delle 
direttive 
2009/72 
e 
2009/73. 
Ne 
consegue 
che 
un’interpretazione 
dell’art. 
37, 
paragrafo 
1, 
lettera 
a) 
e 
paragrafo 
6, 
lettere 
a) 
e 
b) 
della 
direttiva 
2009/72 
nonché 
dell’art. 
41, 
paragrafo 
1, 
lettera 
a) 
e 
paragrafo 
6, 
lettere 
a) 
e 
b) 
della 
direttiva 
2009/73, 
nel 
senso 
che 
un 
governo 
nazionale 
può 
fissare 
o 
approvare 
le 
metodologie 
di 
calcolo 
delle 
tariffe 
di 
accesso 
alla 
rete 
e 
dei 
servizi 
di 
bilanciamento 
da 
utilizzare 
da 
parte 
delle 
ANR, 
vanificherebbe 
gli 
obiettivi 
perseguiti 
dalle 
direttive” 
(punti 
103-113). 


(7) Adunanza Plenaria nn. 17 e 18/2021. 

RASSEGnA 
AVVoCAtURA 
DELLo 
StAto -n. 2/2023 


Ed ancora 
“l’articolo 35 paragrafo 4, lettera a) e 
paragrafo 5, lettera a) 
della direttiva 2009/72 nonché 
l’articolo 39, paragrafo 4, lettera a) della direttiva 
2009/73 prevedono che 
le 
ANR 
esercitino la loro competenza in modo 
indipendente 
da qualsiasi 
ente 
pubblico o da qualsiasi 
organo politico…”e 
sull’indipendenza 
la 
Corte 
la 
definisce 
uno “status 
che 
garantisce 
all’organo 
interessato la possibilità di 
agire 
in piena libertà rispetto agli 
organismi 
nei 
confronti 
dei 
quali 
deve 
essere 
garantita l’indipendenza di 
tale 
organo, al 
riparo 
da qualsiasi 
istruzione 
e 
influenza esterna (v. in tal 
senso, sentenza 11 
giugno 
2020, 
Prezident 
Slovenskej 
Republiky, 
C-378/19, 
EU:C:2020:462, 
punti 32 e 33)”. 


Ma 
l’indipendenza 
non si 
esplica 
solo nei 
rapporti 
col 
Legislatore 
o con 
l’Esecutivo, ma 
anche 
nei 
rapporti 
interni 
ossia 
tra 
Autorità 
indipendenti 
e 
in 
ciò 
appare 
esemplificativa 
la 
recentissima 
sentenza 
del 
4 
luglio 
2023 
resa 
dalla 
Corte 
di 
Giustizia 
nel 
caso Meta c. Bundeskartellamt, che 
in un significativo 
passaggio ha 
statuito che 
“… 
gli 
Stati 
membri, ivi 
incluse 
le 
loro autorità amministrative, 
devono 
rispettarsi 
ed 
assistersi 
reciprocamente 
nell’adempimento 
dei 
compiti 
derivanti 
dai 
Trattati… 
e 
astenersi 
da qualsiasi 
misura che 
rischi 
di mettere in pericolo la realizzazione degli obiettivi dell’Unione” 
(8). 

Vi 
è 
poi 
un’altra 
forma 
di 
indipendenza, più risalente 
ma 
nel 
contempo 
anche 
una 
forma 
estremamente 
caratterizzante 
per le 
AnR, e 
cioè 
quella 
del-
l’indipendenza 
dell’AnR 
dai 
regolati 
ben 
prevista 
dalla 
direttiva 
2003/55/CE. 


8. Le 
sentenze 
del 
Tar 
Lombardia del 
23 maggio 2023 nn. 1228, 1229, 1230 e 
1231. 
Le 
sentenze 
del 
tar 
Lombardia 
del 
23 
maggio 
2023 
nn. 
1228, 
1229, 
1230 
e 
1231 hanno respinto i 
ricorsi, seguendo le 
trame 
del 
ragionamento della 
difesa. 


In primis 
quello relativo alla 
innovatività 
della 
legge 
nel 
caso di 
specie: 
non solo non c’è, ma 
vi 
è 
una 
chiara 
ed evidente 
sovrascrittura 
dei 
giudicati 
intervenuti 
in precedenza. Sovrascrittura 
fatta 
con una 
vera 
e 
propria 
legge 
provvedimento. 
Con tutti 
i 
limiti 
connessi, anche 
di 
dubbia 
legittimità 
costituzionale: 
contrasto con l’art. 3 per quanto riguarda 
la 
disparità 
di 
trattamento 
che 
si 
creava 
con 
gli 
altri 
comuni 
italiani, 
sottoposti 
al 
cd. 
“tetto”; 
con 
l’articolo 
77 per quanto riguarda 
i 
requisiti 
del 
decreto legge, quindi, la 
necessità 
e 
l’urgenza, 
posto che 
in questo caso non c’era 
effettivamente 
necessità 
e 
urgenza; 
con 
l’articolo 
97 
della 
Costituzione, 
quindi, 
per 
quanto 
riguarda 
l’imparzialità 
e 
il 
buon andamento; 
con i 
vari 
articoli 
che 
riguardano anche 
le 
funzioni 
giurisdizionali, 
come gli articoli 101 e 113 e via dicendo. 


(8) Sent. 4 luglio 2023, Meta c. Nundeskartellamt 
e, in tal 
senso, sentenze 
del 
7 novembre 
2013, 
UPC Nederland, C-518/11, EU:C:2013:709, punto 59, nonché 
dell’1 agosto 2022, Sea Watch, C-14/21 
e C-15/21, EU:C:2022:604, punto 156. 

ContEnzIoSo 
nAzIonALE 


Sul 
secondo motivo, il 
tar ha 
riconosciuto appieno la 
cd. “riserva 
di 
amministrazione” 
in capo all’Autorità, sulla 
falsariga 
di 
quanto aveva 
già 
fatto il 
Consiglio di 
Stato con una 
sentenza 
molto interessante, la 
265 del 
2022 sopra 
citata 
prendendo in considerazione 
proprio la 
direttiva 
2009/73/CE, e 
in particolare 
sulla 
scorta 
di 
quanto disposto dagli 
articoli 
39 e 
41 che 
impongono 
agli 
Stati 
membri, e 
a 
tutte 
le 
articolazioni 
istituzionali, il 
divieto di 
interferire 
con 
l’esercizio 
delle 
competenze 
riservate 
alle 
autorità 
nazionali 
di 
regolamentazione, 
tra 
le 
quali 
rientra 
la 
fissazione 
delle 
tariffe 
di 
distribuzione 
o le 
relative metodologie di calcolo. 


Una competenza con “riserva rafforzata”, come si diceva sopra. 


Su tale 
punto il 
tar ha 
richiamato una 
giurisprudenza 
della 
Corte 
di 
Giustizia 
che 
da 
tempi 
non 
sospetti 
ha 
sempre 
attribuito 
all’amministrazione 
il 
potere 
-dovere 
di 
disapplicare. Si 
ricordi, a 
tale 
proposito, la 
giurisprudenza 
CIF 
(9), 
secondo 
cui 
tutti 
gli 
organi 
dello 
Stato 
hanno 
il 
dovere 
di 
disapplicare 
all’occorrenza 
la 
normativa 
nazionale 
che 
contrasta 
con 
i 
principi 
unionali. 
tale 
dovere 
trae 
origine 
proprio 
dal 
principio 
di 
leale 
cooperazione 
sancito 
dall’art. 
4, 
paragrafo 
3 
tUE. 
Lo 
Stato 
agisce 
disapplicando 
(o 
meglio 
reagisce) 
disapplicando, 
in 
quanto 
pone 
in 
essere 
ogni 
azione 
idonea 
a 
garantire 
l’effetto 
utile 
dei 
principi 
e 
delle 
norme 
dell’Unione 
europea. 
Pertanto 
in 
un 
caso 
come 
quello 
in 
esame, 
nel 
momento 
in 
cui 
vi 
è 
stato 
un 
intervento 
legislativo 
sopravvenuto, 
volto ad interferire 
ed a 
pregiudicare 
la 
regolazione 
tariffaria 
riservata 
dall’ordinamento 
dell’Unione 
all’Autorità 
nazionale 
di 
regolazione, 
quest’ultima 
ha 
il 
potere 
-dovere 
di 
disapplicare 
la 
norma 
e 
porre 
quell’intervento 
legislativo fuori dal sistema. 


Pertanto 
appare 
particolarmente 
importante 
tale 
passaggio, 
in 
quanto 
rende 
in modo “plastico” 
proprio quanto accaduto: 
l’Autorità 
di 
regolazione 
non è 
intervenuta 
esercitando un potere 
“improprio”, ma 
è 
dovuta 
intervenire 
proprio perché 
era 
stato violato, con l’improprio intervento legislativo, quel 
clima di leale cooperazione tra gli organi dello Stato. 


Quindi 
la 
disapplicazione 
è 
stata 
necessitata 
da 
ciò: 
dal 
dover garantire 
nuovamente 
quell’effetto utile, quel 
giusto contemperamento di 
competenze 
che 
non poteva 
portare 
un altro potere 
dello Stato ad ingerirsi 
in un una 
sfera 
di competenza non propria. 


E 
potrebbe 
rincararsi 
la 
dose, 
aggiungendo 
che 
vieppiù 
non 
poteva, 
anche 
perché 
quella 
competenza 
riservata 
all’AnR 
era 
stata 
anche 
ribadita 
ed 
avallata 
dalle 
pronunce 
del 
Giudice 
amministrativo, che 
si 
era 
espresso per la 
legittimità 
dell’azione dell’AnR. 


Allora 
sovrascrivere 
quei 
giudicati 
ha 
rappresentato 
una 
doppia 
violazione: 
quella 
generale 
ed “europea” 
dettata 
dal 
dovere 
di 
cooperazione 
di 
cui 


(9) 
Sentenza 
CGUE 
9 
settembre 
2003, 
Consorzio 
Industrie 
Fiammiferi 
(CIF) 
c. 
Autorità 
Garante 
Concorrenza e Mercato, C-198/01. 

RASSEGnA 
AVVoCAtURA 
DELLo 
StAto -n. 2/2023 


sopra 
e 
quella 
nazionale 
data 
dal 
fatto che 
sulla 
materia 
specifica 
erano intervenuti 
i Giudici competenti per giurisdizione. 


Ed 
è 
proprio 
qui 
che 
probabilmente 
si 
radica 
quella 
competenza 
riservata 
di 
cui 
vi 
parlavo prima, perché 
la 
metodologia 
di 
calcolo o lo stabilire 
le 
condizioni 
di 
connessione 
rappresentano chiaramente 
competenze 
riservate 
soltanto 
all’Autorità di regolazione. 


Questi 
casi 
di 
interferenza 
del 
governo 
o 
del 
potere 
legislativo 
sull’attività 
delle 
Autorità 
non 
sono 
nuovi: 
basti 
pensare 
alla 
sentenza 
GS 
Media 
in 
materia 
di 
comunicazioni 
(10): 
anche 
in quel 
caso la 
Corte 
di 
giustizia 
ritenne 
assolutamente 
illegittima 
l’interferenza 
del 
governo 
e 
del 
potere 
legislativo 
sulle 
competenze 
di 
concessione 
di 
licenze 
audiovisive. Vi 
era 
stata, anche 
in quel 
caso, una sorta di invasione nella sfera di indipendenza dell’Autorità. 


Le 
quattro 
pronunce 
in 
esame 
appaiono 
vieppiù 
interessanti 
perché 
hanno 
deciso direttamente 
le 
questioni, senza 
rimettere 
la 
questione 
di 
compatibilità 
alla Corte di giustizia. 


È 
vero che 
i 
tar hanno, ai 
sensi 
dell’art. 267 tUE, solo la 
facoltà 
di 
rimettere, 
ma 
dalla 
motivazione 
appare 
una 
convinzione 
del 
Giudice 
tale 
da 
non 
lasciare spazio a dubbi. 


Si 
è 
evitata 
quella 
sorta 
di 
“ineluttabilità 
del 
rinvio” 
che 
negli 
ultimi 
caratterizza 
molti 
contenziosi, un rinvio talvolta 
operato per finalità 
incomprensibili, 
posto che 
spesso una 
vera 
questione 
da 
portare 
a 
Lussemburgo non c’è. 

ora, 
mentre 
per 
i 
tar 
il 
trattato 
parla 
di 
facoltà, 
il 
tema 
si 
pone 
soprattutto 
nei 
casi 
di 
Giudice 
di 
ultima 
istanza, come 
Consiglio di 
Stato o Corte 
di 
Cassazione, 
per 
i 
quali 
l’art. 
267 
sopra 
citato 
prevede 
un 
obbligo 
di 
rinvio: 
ebbene 
il 
mio personale 
auspicio è 
che 
si 
superi 
quella 
fase 
di 
“giustizia 
difensiva” 
e 
tale 
obbligo venga 
per il 
futuro esercitato, tramite 
il 
filtro della 
motivazione. 
Mi 
spiego. Se 
il 
Consiglio di 
Stato (o la 
Cassazione) analizza 
e 
motiva 
la 
questione 
di 
compatibilità 
con 
il 
diritto 
europeo 
e 
ritiene 
di 
non 
rimetterla 
alla 
Corte 
di 
Giustizia, non viene 
meno ai 
propri 
doveri 
e 
quindi 
all’obbligo previsto 
dall’art. 267. Valuta, motiva 
anche 
perché 
non rinvia 
e 
giudica. Magari 
la 
questione 
è 
stata 
già 
trattata 
e 
vi 
è 
giurisprudenza 
consolidata 
sul 
punto 
(11) 
ovvero la 
risposta 
al 
quesito non lascia 
dubbi 
interpretativi. Quale 
responsabilità 
potrebbe 
mai 
esservi 
per un magistrato o un collegio che 
operi 
così? 
Potrebbe 
mai 
ipotizzarsi 
un’azione 
di 
responsabilità 
o 
una 
procedura 
di 
infrazione 
in casi 
del 
genere? 
Al 
più responsabilità 
vi 
saranno quando, a 
fronte 
di 
un obbligo, 
il 
Consiglio di 
Stato (o la 
Cassazione) non offra 
alcuna 
motivazione 
ad 
un mancato rinvio ovvero non esamini proprio la questione. 


nel 
contempo si 
rimodula 
anche 
la 
sfera 
della 
situazione 
giuridica 
soggettiva 
del 
ricorrente, in quanto a 
quell’obbligo di 
cui 
all’art. 267 non neces


(10) Sent. 
GS Media, 8 settembre 2016, C-160/15. 
(11) Sent. CILFIT, 6 ottobre 1982, C-283/81. 

ContEnzIoSo 
nAzIonALE 


sariamente 
deve 
corrispondere 
sempre 
un 
diritto 
a 
vedere 
la 
propria 
questione 
portata all’attenzione della Corte di Giustizia. 


Quindi, nel 
caso di 
specie, vi 
è 
un motivo in più di 
apprezzamento per le 
decisioni 
del 
tar 
meneghino: 
la 
questione 
tra 
un 
potere 
legislativo 
intervenuto 
sulla 
materia 
e 
un’Autorità 
che 
ha 
disapplicato la 
norma 
è 
stata 
risolta 
convintamente 
dal Giudice amministrativo nazionale. 


Sul 
terzo motivo, vale 
a 
dire 
i 
dubbi 
paventati 
sulla 
natura 
self 
executing 
della 
direttiva, 
il 
tar 
ha 
aderito 
alle 
prospettazioni 
della 
difesa 
di 
ARERA, 
stabilendo 
che, 
“… 
malgrado 
il 
carattere 
generico 
e 
non 
incondizionato 
di 
alcune 
delle 
previsioni 
contenute 
nella direttiva, lo specifico divieto di 
interferenza 
nelle 
competenze 
riservate 
all’Autorità, 
ha 
chiaramente 
un 
carattere 
specifico 
e 
puntuale, 
che 
non 
richiede 
l’emanazione 
di 
alcun 
atto 
applicativo, 
consistendo 
al 
contrario in un obbligo di 
non fare 
immediatamente 
produttivo di 
effetti 
in 
favore 
del 
soggetto 
a 
favore 
del 
quale 
è 
stato 
previsto, 
ossia 
l’autorità 
di regolamentazione, espressamente ivi menzionata” 


Una 
volta 
assodato che 
quella 
direttiva 
fosse 
self-executing, non c’è 
dubbio 
che 
c’è 
la 
potestà 
di 
disapplicare 
da 
parte 
dell’apparato amministrativo e 
anche 
da 
parte 
dell’Autorità 
indipendente, come 
confermato anche 
dalle 
sentenze 
17 e 
18 del 
2021 dell’Adunanza 
Plenaria 
del 
Consiglio di 
Stato. L’obbligo 
di 
non 
applicare 
la 
legge 
anticomunitaria 
grava 
in 
capo 
all’apparato 
amministrativo 
anche 
nei 
casi 
in 
cui 
il 
contrasto 
riguardi 
una 
direttiva 
self 
executing, 
e 
quindi 
non solo in caso di 
un regolamento (si 
richiama 
la 
sentenza 
CIF, v. nota 9). 


Vi 
era 
poi 
un’ultima 
censura 
che 
riguardava 
un’asserita 
violazione 
del-
l’aspettativa 
maturata 
dai 
ricorrenti, 
a 
seguito 
della 
novella 
legislativa, 
sul 
fatto 
che 
per loro vi 
sarebbe 
stato un riconoscimento integrale 
dei 
costi 
di 
investimento 
e che quindi l’Autorità si sarebbe adeguata. 


Ma 
anche 
in 
questo 
caso 
il 
tar 
ha 
reso 
atto 
all’Autorità 
di 
aver 
preso 
sin 
da 
subito 
le 
distanze 
dalla 
novella: 
“A 
seguito 
dell’entrata 
in 
vigore 
del-
l’art. 
114 
ter 
che 
ha 
modificato 
il 
regime 
previgente, 
Arera 
si 
è 
prontamente 
attivata, 
chiedendone 
in 
sostanza 
l’abrogazione, 
rendendone 
edotti 
gli 
operatori, 
ed 
illustrando 
le 
proprie 
posizioni, 
non 
potendo 
conseguentemente 
essere 
ritenuta 
responsabile 
di 
aver 
ingenerato 
alcun 
legittimo 
affidamento 
sul 
riconoscimento 
tariffario 
degli 
investimenti 
effettuati, 
come 
del 
resto 
statuito 
anche 
nella 
fattispecie 
decisa 
nella 
sentenza 
C.S. 
n. 
779/20 
cit… 
In 
conclusione, 
oltre 
a 
manifestare 
la 
sua 
motivata 
contrarietà 
all’art. 
114 
ter 
cit. 
fin 
dalla 
sua 
entrata 
in 
vigore, 
Arera 
non 
vi 
ha 
dato 
applicazione, 
limitandosi, 
invece, 
con 
la 
deliberazione 
435/20 
cit., 
a 
prefigurare 
la 
possibilità 
di 
rivedere 
gli 
ambiti, 
al 
fine 
di 
mitigarne 
e 
bilanciarne 
gli 
effetti, 
come 
anche 
espressamente 
precisato 
nel 
Documento 
per 
la 
consultazione 
n. 
337/22 
cit.”. 



RASSEGnA 
AVVoCAtURA 
DELLo 
StAto -n. 2/2023 


9. Conclusioni. 
Le 
sentenze 
del 
Giudice 
amministrativo in esame 
segnano un momento 
molto importante 
nell’affermazione 
della 
natura 
e 
dei 
poteri 
delle 
Autorità 
indipendenti, 
in 
quanto, 
partendo 
dall’intervento 
legislativo 
sopravvenuto, 
il 
Giudice 
amministrativo va 
oltre 
e 
riafferma 
con forza 
e 
senza 
nemmeno il 
ricorso 
al 
rinvio 
pregiudiziale 
ex 
art. 
267 
tUE, 
innanzitutto 
l’indipendenza 
delle 
Autorità 
nazionali 
di 
regolamentazione, un’indipendenza 
che 
forse 
viene 
affermata 
a 
livello europeo in modo più forte 
e 
più pieno di 
quanto facciano la 
nostra 
Costituzione 
e 
le 
nostre 
leggi 
nazionali. 
E 
nella 
lente 
dell’indipendenza 
si 
ingrandiscono e 
si 
riaffermano le 
prerogative 
dell’Autorità 
nazionale 
di 
regolamentazione, 
chiaramente 
espresse 
dalle 
direttive 
2009/72/CE 
e 
2009/73/CE, 
che 
sottolineano 
il 
valore 
della 
cooperazione 
tra 
organi 
dello 
Stato, 
tutti 
protesi 
verso 
il 
cd. 
“effetto 
utile” 
dell’azione 
amministrativa, 
come 
bene supremo da tutelare, al di là di ogni steccato. 


tali 
pronunce 
hanno, 
peraltro, 
avuto 
successivamente 
anche 
una 
conferma 
da 
parte 
dello 
stesso 
legislatore, 
cosa 
che 
conferma 
ulteriormente 
la 
bontà 
dell’azione 
dell’AnR e 
quell’anelito verso l’effetto utile, in quanto con 
decreto 
legge 
n. 
69 
del 
13 
giugno 
2023, 
all’art. 
22 
comma 
1, 
era 
stato 
proposta 
l’abrogazione 
del 
comma 
4 
bis 
(12) 
(ovvero 
quello 
introdotto 
proprio 
dall’art. 
114 ter 
del D.L. 34 del 19 maggio 2020). 


Successivamente, 
in 
sede 
di 
conversione, 
con 
la 
L. 
10 
agosto 
2023 
n. 
103 
è 
stato 
reintrodotto 
un 
comma 
4 
bis, 
ma 
con 
una 
formulazione 
completamente 
diversa. 
Le 
modificazioni 
sono 
state, 
infatti, 
sostanziali, 
in 
quanto 
non 
si 
parla 
più di 
riconoscimento integrale 
e 
di 
considerare 
gli 
impianti 
“efficienti 
e 
già 
valutati 
positivamente 
ai 
fini 
dell’analisi 
costi 
-benefici 
per 
i 
consumatori”, 
ma 
si 
dice 
che 
“sono valutati, ai 
fini 
dell’analisi 
costi 
benefici, tenendo conto 
delle 
esternalità positive 
in relazione 
al 
contributo degli 
interventi 
medesimi 
al 
processo 
di 
decarbonizzazione 
nonché 
all’incremento 
del 
grado 
di 
efficienza 
e 
flessibilità delle 
reti 
e 
degli 
impianto stessi… 
a tal 
fine 
ARERA, nel 
determinare 
le 
tariffe 
di 
cui 
al 
presente 
articolo, tiene 
conto dei 
maggiori 
costi 
di 
investimento 
nei 
comuni 
di 
cui 
al 
primo 
periodo 
nonché 
della 
necessità 
di 
remunerare 
nei 
comuni 
medesimi 
interventi 
funzionali 
a 
garantire 
l’immissione 
in rete di gas da fonte rinnovabile”. 


(12) Anche sulla scorta di un caso: EU Pilot in Commission, 2022/10193/EnER. 

ContEnzIoSo 
nAzIonALE 


tribunale 
amministrativo 
regionale 
per 
la 
lombardia, 
sezione 
Prima, 
sentenza 
23 
maggio 
2023 n. 1228 
-Pres. A. Vinciguerra, Est. M. Gatti 
-Amalfitana 
Gas 
S.r.l. (avv.ti 
L. Giuri 
e 
M. Massimino) c. Autorità 
di 
Regolazione 
per Energia 
Reti 
e 
Ambiente 
-Arera, (avv.ti 
A. 


F. Canta 
e 
B. nascimbene) (ric. 3517/2022); 
Sudtirolgas 
S.p.A 
(avv.ti 
L. Giuri 
e 
M. Massimino) 
c. Autorità 
di 
Regolazione 
per Energia 
Reti 
e 
Ambiente 
-Arera, (avv.ti 
A.F. Canta 
e 
B. 
nascimbene) (ric. 3513/2022). 
FAtto 
Con 
i 
presenti 
ricorsi 
le 
istanti 
hanno 
impugnato 
i 
provvedimenti 
con 
cui 
Arera 
ha 
disapplicato 
l’art. 114-ter del 
D.L. 19 maggio 2020 n. 34, dettato in materia 
di 
riconoscimento in tariffa 
degli 
investimenti 
effettuati 
dagli 
operatori, per realizzare 
la 
rete 
di 
distribuzione 
del 
gas 
metano 
nelle località di “nuova metanizzazione”. (...) 


DIRItto 
(...) Entrambi 
i 
giudizi 
vertono in ordine 
alla 
fissazione 
di 
un limite, da 
parte 
di 
Arera, al 
riconoscimento 
in tariffa 
degli 
investimenti 
effettuati 
dagli 
operatori, per realizzare 
la 
rete 
di 
distribuzione del gas metano nelle località non ancora servite, definite in “avviamento”. 
(...) L’art. 33 del 
testo Unico della 
regolazione 
della 
qualità 
e 
delle 
tariffe 
dei 
servizi 
di 
distribuzione 
e 
misura 
del 
gas 
per 
il 
periodo 
di 
regolazione 
2020-2025, 
ha 
pertanto 
previsto 
che 
“si 
applica 
un tetto ai 
costi 
riconosciuti 
a 
copertura 
dei 
costi 
di 
capitale 
nelle 
località 
di 
avviamento”, 
nei termini ivi indicati. 
L’art. 114-ter del 
D.L. 19 maggio 2020 n. 34, convertito con modificazioni, dalla 
L. 17 luglio 
2020, n. 77, ha 
introdotto il 
comma 
4 bis 
all’art. 23 del 
D.Lgs. n. 164/00, prevedendo invece 
che 
“[l]e 
estensioni 
e 
i 
potenziamenti 
di 
reti 
e 
di 
impianti 
esistenti 
nei 
comuni 
già 
metanizzati 
e 
le 
nuove 
costruzioni 
di 
reti 
e 
di 
impianti 
di 
comuni 
da 
metanizzare” 
appartenenti 
a 
determinate 
zone 
territoriali 
(territori 
montani 
appartenenti 
alla 
zona 
climatica 
F 
di 
cui 
al 
dPR 
n. 
412/93; 
territori 
oggetto di 
programmi 
di 
metanizzazione 
del 
Mezzogiorno), “si 
considerano 
efficienti 
e 
già 
valutati 
positivamente 
ai 
fini 
dell’analisi 
dei 
costi 
e 
dei 
benefici 
per i 
consumatori”, 
e sono ammessi dall’Autorità a “integrale riconoscimento tariffario”. 
Secondo quanto evidenziato nella 
delibera 
n. 525/22 cit., detta 
norma 
“pone 
in capo all’Autorità 
l’obbligo di 
riconoscere 
un’integrale 
copertura 
tariffaria 
degli 
investimenti 
relativi 
al 
potenziamento o alla 
nuova 
costruzione 
di 
reti 
e 
impianti 
in comuni 
metanizzati 
o da 
metanizzare 
in specifiche 
località 
del 
Paese, introducendo, a 
tal 
fine, una 
presunzione 
assoluta 
che 
sancisce, 
come 
se 
fosse 
stata 
positivamente 
verificata, 
l’efficienza 
e 
la 
convenienza 
per 
i 
consumatori 
(in termini 
di 
costi-benefici) degli 
investimenti 
compiuti 
nelle 
predette 
località, superando 
la 
regola 
generale 
prevista 
per gli 
sviluppi 
infrastrutturali 
delle 
reti 
di 
distribuzione 
del 
gas 
naturale, 
che, 
invece, 
richiede 
lo 
svolgimento 
di 
analisi 
costi-benefici”, 
e 
pertanto, 
“vieta 
all’Autorità 
di 
applicare 
il 
c.d. tetto agli 
investimenti 
ai 
fini 
dei 
riconoscimenti 
tariffari 
relativi alle località interessate”. 
(...) 
Secondo 
quanto 
indicato 
nella 
delibera 
n. 
525/22, 
cit., 
“con 
tale 
disposizione 
il 
legislatore 
nazionale 
si 
è 
sostituito all’Autorità, sia 
con riferimento all’attività 
istruttoria 
relativa 
alla 
valutazione 
dell’efficienza 
degli 
investimenti, sia 
nella 
decisione 
di 
riconoscere 
incondizionatamente 
i 
relativi 
costi, 
con 
ciò 
contravvenendo 
ai 
limiti 
negativi 
che 
discendono 
per 
il 
legislatore 
nazionale 
dagli 
articoli 
39, 
par. 
4, 
e 
41, 
par. 
1, 
lettera 
a), 
della 
direttiva 
2009/73/CE” 
(nel 
proseguo “Direttiva”), ritenendo conseguentemente 
di 
disapplicare 
l’articolo 114-ter cit. 
(...) I.2.1) In via 
preliminare, il 
Collegio dà 
atto che 
il 
presente 
giudizio non verte 
sull’astratta 
possibilità 
per 
il 
legislatore 
nazionale 
di 
incentivare 
l’estensione 
della 
rete 
di 
trasporto 
del 



RASSEGnA 
AVVoCAtURA 
DELLo 
StAto -n. 2/2023 


gas 
in determinati 
territori, ciò che 
è 
ovviamente 
pacifico, quanto invece, sulle 
modalità 
a 
tal 
fine 
concretamente 
adottate, e 
pertanto, se 
le 
stesse 
siano o meno conformi 
alle 
regole 
dettate 
dal diritto comunitario, a tutela della concorrenza, e dell’efficienza del mercato energetico. 
(...) 
In 
particolare, 
secondo 
quanto 
previsto 
dall’art. 
39 
par. 
4) 
della 
Direttiva, 
gli 
Stati 
membri 
“garantiscono l’indipendenza 
dell’autorità 
di 
regolamentazione”, e 
provvedono affinché 
essa 
sia 
dotata 
“dei 
poteri 
necessari 
per 
assolvere 
con 
efficacia 
e 
rapidità” 
i 
propri 
compiti 
(art. 
41, 
par. 4), tra 
cui 
rientra 
quello di 
“stabilire 
o approvare, in base 
a 
criteri 
trasparenti, tariffe 
di 
trasporto o distribuzione o le relative metodologie di calcolo” (art. 41 par. 1, lett. a). 
Secondo la 
Corte 
di 
Giustizia, “la 
determinazione 
delle 
metodologie 
per calcolare 
o per stabilire 
le 
condizioni 
di 
connessione 
e 
di 
accesso alle 
reti 
nazionali, comprese 
le 
tariffe 
applicabili, 
rientra 
nelle 
competenze 
riservate 
direttamente 
alle 
Autorità 
nazionali 
di 
Regolazione”, 
la 
cui 
autonomia 
deve 
estendersi, 
oltreché 
nei 
confronti 
di 
qualsiasi 
organo 
politico, 
anche 
verso il legislatore nazionale (sentenza 2 settembre 2021, C-718/18, punto n. 130). 
(...) Come 
detto, in base 
a 
quanto previsto dall’114-ter cit., i 
costi 
sostenuti 
dai 
gestori 
per gli 
interventi 
di 
metanizzazione, 
vengono 
automaticamente 
ricompresi 
nella 
tariffa, 
senza 
che 
l’Autorità 
si 
pronunci 
al 
riguardo, come 
invece 
richiesto dalla 
Direttiva 
2009/73/CE, ciò che 
configura 
un’illegittima 
imposizione, 
quantomeno, 
rispetto 
alla 
definizione 
della 
relativa 
metodologia 
di 
calcolo, per dover necessariamente 
tenere 
conto dei 
costi 
storici 
effettivamente 
sostenuti. 
De 
iure 
condendo, 
l’art. 
4 
del 
Disegno 
di 
legge 
annuale 
per 
il 
mercato 
e 
la 
concorrenza, 
dettato 
in materia 
di 
verifica 
dell’efficienza 
degli 
investimenti 
nella 
rete 
di 
distribuzione 
del 
gas 
ai 
fini 
della 
copertura 
tariffaria, 
prevede 
peraltro 
l’abrogazione 
della 
norma 
disapplicata 
da 
Arera. 


I.2.2) 
Gli 
obiettivi 
di 
politica 
sociale 
ed 
energetica 
sottesi 
all’art. 
114 
ter 
cit., 
avrebbero 
invece 
potuto e 
dovuto essere 
perseguiti 
dal 
legislatore 
senza 
incidere 
direttamente 
sul 
regime 
tariffario, 
come 
detto, riservato all’Autorità 
di 
Regolazione, ed avvalendosi 
invece 
di 
altri 
strumenti, 
quali 
ad 
esempio 
agevolazioni 
economiche 
in 
favore 
dei 
gestori 
che 
abbiano 
realizzato 
le nuove reti, contributi o trattamenti fiscali di vantaggio, ecc. 
cialis derogat generali). 
(...) II.2) Il 
motivo va 
respinto atteso che, come 
sopra 
evidenziato, gli 
artt. 39 e 
41 della 
Direttiva, 
impongono agli 
Stati 
membri, in tutte 
le 
loro articolazioni 
istituzionali, il 
divieto di 
interferire 
con l’esercizio delle 
competenze 
riservate 
alle 
autorità 
nazionali 
di 
regolamentazione, 
tra 
le 
quali 
rientra 
la 
fissazione 
delle 
tariffe 
di 
distribuzione, o le 
relative 
metodologie 
di calcolo. 
Malgrado 
il 
carattere 
generico 
e 
non 
incondizionato 
di 
alcune 
delle 
previsioni 
contenute 
nella 
Direttiva, 
lo 
specifico 
divieto 
di 
interferenza 
nelle 
competenze 
riservate 
alle 
Autorità, 
ha 
chiaramente 
un carattere 
specifico e 
puntuale, che 
non richiede 
l’emanazione 
di 
alcun atto applicativo, 
consistendo 
al 
contrario 
in 
un 
obbligo 
di 
non 
fare, 
immediatamente 
produttivo 
di 
effetti 
in favore 
del 
soggetto a 
favore 
del 
quale 
è 
stato previsto, ossia, “l’autorità 
di 
regolamentazione”, 
espressamente ivi menzionata. 
(...) IV.2) In via 
preliminare, occorre 
dare 
atto che, come 
evidenziato nella 
citata 
sentenza 
del 
Consiglio di 
Stato n. 779/20, la 
fissazione 
da 
parte 
di 
Arera 
di 
un “tetto” 
al 
riconoscimento in 
tariffa degli investimenti nelle località di avviamento, ha in passato costituito la regola, (...) 
(...) 
A 
seguito 
dell’entrata 
in 
vigore 
dell’art. 
114 
ter 
cit., 
che 
ha 
modificato 
il 
regime 
previgente, 
Arera 
si 
è 
prontamente 
attivata, 
chiedendone 
in 
sostanza 
l’abrogazione, 
rendendone 
edotti 
gli 
operatori, ed illustrando le 
proprie 
posizioni, non potendo conseguentemente 
essere 
ritenuta 
responsabile 
di 
aver 
ingenerato 
alcun 
legittimo 
affidamento 
sul 
riconoscimento 
tariffario 
degli 

ContEnzIoSo 
nAzIonALE 


investimenti 
effettuati, 
come 
del 
resto 
statuito 
anche 
nella 
fattispecie 
decisa 
nella 
sentenza 


C.S. n. 779/20 cit. 
Con Segnalazione 
n. 406 del 
27 ottobre 
2020, indirizzata 
al 
Parlamento ed al 
Governo, Arera 
ha 
infatti 
illustrato gli 
impatti 
ed i 
profili 
di 
criticità 
sui 
principi 
in materia 
di 
regolazione 
dei 
servizi di pubblica utilità e sulla regolazione tariffaria apportati dall’art. 114 ter, (...) 
(...) In conclusione, oltre 
a 
manifestare 
la 
sua 
motivata 
contrarietà 
all’art. 114 ter cit. fin dalla 
sua 
entrata 
in vigore, Arera 
non vi 
ha 
dato applicazione, limitandosi 
invece, con la 
deliberazione 
435/20 cit., a 
prefigurare 
la 
possibilità 
di 
rivedere 
gli 
ambiti, al 
fine 
di 
mitigarne 
e 
bilanciarne 
gli 
effetti, 
come 
anche 
espressamente 
precisato 
nel 
Documento 
per 
la 
consultazione 
n. 337/22 cit., in cui 
ha 
tuttavia 
altresì 
evidenziato che 
“una 
revisione 
degli 
ambiti 
tariffari 
richiede 
che 
siano approfonditi 
anche 
ulteriori 
profili, e 
che 
siano contemperate 
anche 
ulteriori 
esigenze e interessi pubblici”, (...) 
P.Q.M. 
Il 
tribunale 
Amministrativo 
Regionale 
per 
la 
Lombardia 
(Sezione 
Prima), 
definitivamente 
pronunciando sui ricorsi, come in epigrafe proposti, li respinge entrambi. 
Spese compensate. 
ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. 
Così deciso in Milano nella camera di consiglio del giorno 19 aprile 2023. 


tribunale 
amministrativo 
regionale 
per 
la 
lombardia, 
sezione 
Prima, 
sentenza 
23 
maggio 
2023 n. 1229 
-Pres. A. Vinciguerra, Est. M. Gatti 
-Italgas 
Reti 
S.p.A. (avv.ti 
M. Luciani 
e 
n. Bertacchi) c. Autorità 
di 
Regolazione 
per Energia 
Reti 
e 
Ambiente 
-Arera 
(avv.ti 
G.M. 
Roberti e M. Serpone); ed altri. 


FAtto 
Con il 
presente 
ricorso, l’istante 
ha 
impugnato i 
provvedimenti 
con cui 
Arera 
ha 
disapplicato 
l’art. 114-ter del 
D.L. 19 maggio 2020 n. 34, dettato in materia 
di 
riconoscimento in tariffa 
degli 
investimenti 
effettuati 
dagli 
operatori, per realizzare 
la 
rete 
di 
distribuzione 
del 
gas 
metano 
nelle località di “nuova metanizzazione”. (...) 


DIRItto 
Il 
presente 
giudizio verte 
in ordine 
alla 
fissazione 
di 
un limite, da 
parte 
di 
Arera, al 
riconoscimento 
in tariffa 
degli 
investimenti 
effettuati 
dagli 
operatori, per realizzare 
la 
rete 
di 
distribuzione 
del gas metano nelle località non ancora servite, definite in “avviamento”. 
A 
partire 
dall’anno 2017, ciò ha 
avuto luogo con la 
finalità 
di 
“evitare 
distorsioni 
in termini 
di 
efficienza 
nelle 
decisioni 
di 
investimento 
delle 
imprese 
esercenti 
il 
servizio 
di 
distribuzione, 
dovute 
al 
fatto 
che 
i 
distributori 
potevano 
ribaltare 
i 
costi 
dagli 
stessi 
sostenuti 
anche 
sui 
clienti 
finali 
non appartenenti 
alle 
località 
servite, ma 
comunque 
compresi 
nel 
macro-ambito tariffario, 
così 
diluendone 
l’impatto, senza 
curarsi 
della 
sostenibilità 
dell’investimento” 
(delibera 


n. 525/2022), ciò che 
ha 
ricevuto l’avvallo della 
giurisprudenza 
amministrativa, secondo cui, 
“la 
metanizzazione 
non è 
quindi 
un obiettivo sempre 
perseguibile, ma 
va 
raccordato ad una 
valutazione 
in concreto dei 
costi 
da 
affrontare 
per ottenerla” 
(C.S., Sez. VI, nn. 778, 779 e 
780 del 2020). 
(...) L’art. 114-ter del 
D.L. 19 maggio 2020 n. 34, convertito con modificazioni, dalla 
L. 17 
luglio 2020, n. 77, ha 
introdotto il 
comma 
4 bis 
all’art. 23 del 
D.Lgs. n. 164/00, prevedendo 

RASSEGnA 
AVVoCAtURA 
DELLo 
StAto -n. 2/2023 


invece 
che 
“[l]e 
estensioni 
e 
i 
potenziamenti 
di 
reti 
e 
di 
impianti 
esistenti 
nei 
comuni 
già 
metanizzati 
e 
le 
nuove 
costruzioni 
di 
reti 
e 
di 
impianti 
di 
comuni 
da 
metanizzare” 
appartenenti 
a 
determinate 
zone 
territoriali 
(territori 
montani 
appartenenti 
alla 
zona 
climatica 
F 
di 
cui 
al 
dPR n. 412/93; 
territori 
oggetto di 
programmi 
di 
metanizzazione 
del 
Mezzogiorno), “si 
considerano 
efficienti 
e 
già 
valutati 
positivamente 
ai 
fini 
dell’analisi 
dei 
costi 
e 
dei 
benefici 
per i 
consumatori”, e sono ammessi dall’Autorità a “integrale riconoscimento tariffario”. 
Secondo quanto evidenziato nella 
delibera 
n. 525/22 cit., detta 
norma 
“pone 
in capo all’Autorità 
l’obbligo di 
riconoscere 
un’integrale 
copertura 
tariffaria 
degli 
investimenti 
relativi 
al 
potenziamento o alla 
nuova 
costruzione 
di 
reti 
e 
impianti 
in comuni 
metanizzati 
o da 
metanizzare 
in specifiche 
località 
del 
Paese, introducendo, a 
tal 
fine, una 
presunzione 
assoluta 
che 
sancisce, 
come 
se 
fosse 
stata 
positivamente 
verificata, 
l’efficienza 
e 
la 
convenienza 
per 
i 
consumatori 
(in termini 
di 
costi-benefici) degli 
investimenti 
compiuti 
nelle 
predette 
località, superando 
la 
regola 
generale 
prevista 
per gli 
sviluppi 
infrastrutturali 
delle 
reti 
di 
distribuzione 
del 
gas 
naturale, 
che, 
invece, 
richiede 
lo 
svolgimento 
di 
analisi 
costi-benefici”, 
e 
pertanto, 
“vieta 
all’Autorità 
di 
applicare 
il 
c.d. tetto agli 
investimenti 
ai 
fini 
dei 
riconoscimenti 
tariffari 
relativi alle località interessate”. 
Arera 
ha 
tuttavia 
ritenuto 
di 
non 
poter 
applicare 
tale 
norma, 
in 
quanto 
contrastante 
con 
il 
diritto 
comunitario, 
ciò 
che, 
in 
sostanza, 
costituisce 
il 
thema 
decidendum 
dei 
presenti 
giudizi. 
Secondo 
quanto 
indicato 
nella 
delibera 
n. 
525/22, 
cit., 
“con 
tale 
disposizione 
il 
legislatore 
nazionale 
si 
è 
sostituito all’Autorità, sia 
con riferimento all’attività 
istruttoria 
relativa 
alla 
valutazione 
dell’efficienza 
degli 
investimenti, 
sia 
nella 
decisione 
di 
riconoscere 
incondizionatamente 
i 
relativi 
costi, 
con 
ciò 
contravvenendo 
ai 
limiti 
negativi 
che 
discendono 
per 
il 
legislatore 
nazionale 
dagli 
articoli 
39, 
par. 
4, 
e 
41, 
par. 
1, 
lettera 
a), 
della 
direttiva 
2009/73/CE” ritenendo conseguentemente di disapplicare l’articolo 114-ter cit. 
(...) I.2.1) In via 
preliminare, il 
Collegio dà 
atto che 
il 
presente 
giudizio non verte 
sull’astratta 
possibilità 
per 
il 
legislatore 
nazionale 
di 
incentivare 
l’estensione 
della 
rete 
di 
trasporto 
del 
gas 
in determinati 
territori, ciò che 
è 
ovviamente 
pacifico, quanto invece, sulle 
modalità 
a 
tal 
fine 
concretamente 
adottate, e 
pertanto, se 
le 
stesse 
siano o meno conformi 
alle 
regole 
dettate 
dal diritto comunitario, a tutela della concorrenza, e dell’efficienza del mercato energetico. 
Quest’ultimo, è 
infatti 
regolato da 
un sistema 
dualistico, che 
vede 
concorrere 
gli 
interventi 
del 
potere 
esecutivo e 
legislativo, a 
cui 
è 
riservata 
la 
definizione 
dei 
criteri 
generali 
e 
le 
funzioni 
che 
più direttamente 
si 
ricollegano a 
decisioni 
di 
politica 
energetica, e 
l’Autorità, che 
sulla loro base, definisce la regolamentazione di dettaglio. 
(...) 
In 
particolare, 
secondo 
quanto 
previsto 
dall’art. 
39 
par. 
4) 
della 
Direttiva, 
gli 
Stati 
membri 
“garantiscono l’indipendenza 
dell’autorità 
di 
regolamentazione”, e 
provvedono affinché 
essa 
sia 
dotata 
“dei 
poteri 
necessari 
per 
assolvere 
con 
efficacia 
e 
rapidità” 
i 
propri 
compiti 
(art. 
41, 
par. 4), tra 
cui 
rientra 
quello di 
“stabilire 
o approvare, in base 
a 
criteri 
trasparenti, tariffe 
di 
trasporto o distribuzione o le relative metodologie di calcolo” (art. 41 par. 1, lett. a). 
Secondo la 
Corte 
di 
Giustizia, “la 
determinazione 
delle 
metodologie 
per calcolare 
o per stabilire 
le 
condizioni 
di 
connessione 
e 
di 
accesso alle 
reti 
nazionali, comprese 
le 
tariffe 
applicabili, 
rientra 
nelle 
competenze 
riservate 
direttamente 
alle 
Autorità 
nazionali 
di 
Regolazione”, 
la 
cui 
autonomia 
deve 
estendersi, 
oltreché 
nei 
confronti 
di 
qualsiasi 
organo 
politico, 
anche 
verso il legislatore nazionale (sentenza 2 settembre 2021, C-718/18, punto n. 130). 
(...) Come 
detto, in base 
a 
quanto previsto dall’114-ter cit., i 
costi 
sostenuti 
dai 
gestori 
per gli 
interventi 
di 
metanizzazione, 
vengono 
automaticamente 
ricompresi 
nella 
tariffa, 
senza 
che 
l’Autorità 
si 
pronunci 
al 
riguardo, come 
invece 
richiesto dalla 
Direttiva 
2009/73/CE, ciò che 



ContEnzIoSo 
nAzIonALE 


configura 
un’illegittima 
imposizione, 
quantomeno, 
rispetto 
alla 
definizione 
della 
relativa 
metodologia 
di 
calcolo, per dover necessariamente 
tenere 
conto dei 
costi 
storici 
effettivamente 
sostenuti. 
De 
iure 
condendo, 
l’art. 
4 
del 
Disegno 
di 
legge 
annuale 
per 
il 
mercato 
e 
la 
concorrenza, 
dettato 
in materia 
di 
verifica 
dell’efficienza 
degli 
investimenti 
nella 
rete 
di 
distribuzione 
del 
gas 
ai 
fini 
della 
copertura 
tariffaria, 
prevede 
peraltro 
l’abrogazione 
della 
norma 
disapplicata 
da 
Arera. 
(...) conferma 
l’impossibilità 
di 
incidere 
direttamente 
sul 
regime 
tariffario, che 
come 
detto, 
viene 
espressamente 
riservato all’Autorità 
di 
Regolazione 
da 
disposizioni 
specifiche 
(artt. 39 
e 
41 
cit.), 
chiaramente 
prevalenti, 
sulla 
base 
del 
criterio 
di 
specialità 
(lex 
specialis 
derogat 
generali). 
(...) 
In 
attuazione 
del 
principio 
secondo 
cui 
gli 
Stati 
possono 
elaborare 
“orientamenti 
di 
politica 
generale” 
in materia 
energetica, i 
commi 
3 e 
4 dell’art. 23 cit. prevedono che 
le 
tariffe 
per il 
trasporto e 
la 
distribuzione 
debbano “tenere 
conto” 
della 
necessità 
di 
non penalizzare 
le 
aree 
del 
Mezzogiorno e 
quelle 
“in corso di 
metanizzazione”, assegnando così 
ad Arera 
“un obiettivo 
ex lege” 
(C.S., Sez. II, 5 ottobre 
2022, n. 8523), da 
perseguirsi 
mediante 
l’esercizio dei 
suoi 
poteri, e 
non tramite 
la 
loro avocazione, come 
ha 
invece 
avuto luogo con l’art. 114 ter 
cit., che ha inserito ex novo il comma 4 bis all’art. 23 cit. 
(...) II.2) Il 
motivo va 
respinto atteso che, come 
sopra 
evidenziato, gli 
artt. 39 e 
41 della 
Direttiva, 
impongono agli 
Stati 
membri, in tutte 
le 
loro articolazioni 
istituzionali, il 
divieto di 
interferire 
con l’esercizio delle 
competenze 
riservate 
alle 
autorità 
nazionali 
di 
regolamentazione, 
tra 
le 
quali 
rientra 
la 
fissazione 
delle 
tariffe 
di 
distribuzione, o le 
relative 
metodologie 
di calcolo. 
Malgrado 
il 
carattere 
generico 
e 
non 
incondizionato 
di 
alcune 
delle 
previsioni 
contenute 
nella 
Direttiva, 
lo 
specifico 
divieto 
di 
interferenza 
nelle 
competenze 
riservate 
alle 
Autorità, 
ha 
chiaramente 
un carattere 
specifico e 
puntuale, che 
non richiede 
l’emanazione 
di 
alcun atto applicativo 
(...) 


P.Q.M. 
Il 
tribunale 
Amministrativo 
Regionale 
per 
la 
Lombardia 
(Sezione 
Prima), 
definitivamente 
pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge. 
Spese compensate. 
ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. 
Così deciso in Milano nella camera di consiglio del giorno 19 aprile 2023. 


RASSEGnA 
AVVoCAtURA 
DELLo 
StAto -n. 2/2023 


interdittiva antimafia e contraddittorio 
procedimentale dopo la novella del 2021 


CONSIGLIO 
DI 
STATO, SEzIONE 
TERzA, SENTENzA 
15 FEBBRAIO 
2024 N. 1517 


La 
sentenza 
del 
Consiglio 
di 
Stato 
del 
15 
febbraio 
2024 
n. 
1517, 
con 
ampia 
motivazione, 
ha 
rigettato 
il 
motivo 
di 
appello 
attinente 
all’inosservanza 
del 
contraddittorio procedimentale 
di 
cui 
all’art. 92 comma 
2 bis 
del 
codice 
antimafia, introdotto dall’art. 48 d.l. n. 152 del 
2021, convertito dalla 
legge 
n. 
233 del 
2021, ritenendo nella 
specie 
sussistenti 
quelle 
“particolari 
esigenze 
di 
celerità del 
procedimento” che ne giustificano l’omissione. 


In 
particolare, 
la 
sentenza 
ha 
ricordato 
che 
“secondo 
la 
giurisprudenza 
del 
Consiglio 
di 
Stato 
formatasi 
prima 
della 
entrata 
in 
vigore 
della 
riforma 
del 
2021 (art. 48, comma 
1, lettera 
a), n. 2), d.l. n. 152 del 
2021) -il 
principio del 
contraddittorio, valevole 
in ambiti 
ordinari, in materia 
di 
interdittiva 
doveva 
essere 
ragionevolmente 
bilanciato, 
anche 
attraverso 
il 
suo 
ridimensionamento, 
così 
da 
dare 
ingresso ad interessi 
antagonistici 
di 
pari 
rango dettati 
dalla 
necessità 
di 
arginare 
il 
fenomeno 
mafioso 
che, 
per 
la 
sua 
estrema 
insidiosità, 
aumenta 
gravemente 
il 
rischio 
di 
vanificare 
il 
complesso 
lavoro 
degli 
organi 
deputati alle indagini. 

L’esigenza 
di 
assicurare 
il 
suddetto 
bilanciamento 
aveva 
indotto 
il 
legislatore 
-fino 
alle 
modifiche 
introdotte 
dall’art. 
48, 
comma 
1, 
lettera 
a), 
n. 
2), 
d.l. 


n. 
152 
del 
2021 
-a 
non 
prevedere, 
all’interno 
del 
sistema 
regolatorio 
conchiuso 
del 
Codice 
antimafia, 
l’obbligo 
di 
una 
preventiva 
comunicazione 
di 
avvio 
del 
procedimento 
evidentemente 
in 
ragione 
del 
fatto 
che 
più 
si 
avanzano 
le 
garanzie 
partecipative 
più 
è 
concreto 
il 
rischio 
che 
la 
discovery 
anticipata 
di 
elementi 
o 
notizie 
a 
disposizione 
degli 
inquirenti 
ponga 
nel 
nulla 
gli 
sforzi 
e 
le 
risultanze 
raggiunte. 
tanto 
proprio 
a 
cagione 
della 
natura 
subdola, 
insidiosa, 
a 
volte 
silente, 
del 
fenomeno 
mafioso 
posto 
che 
l’autorità 
amministrativa, 
nelle 
parole 
della 
Corte 
costituzionale, 
ha 
il 
compito 
di 
“prevenire 
tali 
evenienze, 
con 
un 
costante 
monitoraggio 
del 
fenomeno, 
la 
conoscenza 
delle 
sue 
specifiche 
manifestazioni, 
la 
individuazione 
e 
valutazione 
dei 
relativi 
sintomi, 
la 
rapidità 
di 
intervento” 
(Corte 
cost. 
26 
marzo 
2020, 
n. 
57), 
rapidità 
necessitata 
dalla 
capacità 
delle 
mafie 
di 
rimescolare 
gli 
elementi 
disponibili 
fino 
a 
far 
scomparire 
quelle 
che 
già 
erano 
tracce, 
sintomi, 
segni 
di 
conoscenza 
spesso 
solo 
indiretta”. 
Il 
Consiglio 
di 
Stato 
ha 
inoltre 
soggiunto 
che 
“la 
circostanza 
che 
lo 
stesso 
Legislatore 
abbia 
inteso 
procedimentalizzare 
la 
partecipazione 
del 
soggetto 
destinatario del 
provvedimento interdittivo porta 
a 
ritenere 
le 
deroghe 
all’obbligo 
di 
dare 
comunicazione 
di 
inizio 
del 
procedimento 
circoscritte 
ai 
soli 
casi 
di 
effettivo 
e 
dimostrato 
carattere 
di 
urgenza 
nonché 
ad 
un 
quadro 
fattuale 
talmente 
chiaro da 
rendere 
siffatta 
comunicazione 
solo foriera 
di 
inutile 
rallentamento 
nella definizione del procedimento. 


ContEnzIoSo 
nAzIonALE 


tale 
seconda 
circostanza 
si 
è 
verificata 
nel 
caso di 
specie, in considerazione 
dei 
gravi 
indizi 
di 
pregnanza 
e 
contiguità 
agli 
ambienti 
della 
criminalità 
organizzata, 
come 
illustrati 
nel 
provvedimento 
prefettizio 
ed 
in 
questa 
sede 
confermati, tali 
da 
rendere 
superflua 
la 
fase 
partecipativa 
risultando evidenti 
i 
presupposti 
per 
concludere 
che 
è 
“più 
probabile 
che 
non” 
il 
collegamento 
soggiacente 
alla 
criminalità 
organizzata 
(in particolar modo al 
clan omissis)”. 


Wally Ferrante* 


Consiglio di 
stato, sezione 
iii, sentenza 15 febbraio 2024 n. 1517 
-Pres. M.L. torsello, 
Est. G. Ferrari. -omissis 
(avv.ti 
L. tozzi 
e 
A. D’Angelo) c. Ministero dell’interno e 
Prefettura 


- UtG di napoli (avv. gen. Stato); ed altri. 
FAtto 


1. Con provvedimento omissis 
la 
Prefettura 
di 
napoli 
ha 
respinto la 
domanda 
della 
omissis 
di 
iscrizione 
alla 
White 
list 
e 
di 
emissione 
dell’informativa 
ostativa 
antimafia. L’interdittiva 
è 
stata 
impugnata 
dinanzi 
al 
tar napoli 
e, nelle 
more 
della 
decisione 
di 
merito, la 
società 
ha 
proposto istanza 
per la 
misura 
del 
controllo giudiziario di 
cui 
all’art. 32, d.l. n. 90 del 
2014, 
poi 
accordata 
per 
un 
anno 
con 
decreto 
del 
tribunale 
di 
napoli 
-Sezione 
Misure 
di 
Prevenzione 
del 
omissis. A 
seguito della 
attivazione 
del 
controllo giudiziario la 
società 
è 
stata 
iscritta 
per 
un anno (fino al 
25 giugno 2022) nell’elenco della 
White 
list 
della 
Prefettura 
di 
napoli. Con 
decreto omissis 
il 
tribunale 
di 
napoli 
-Sezione 
Misure 
di 
Prevenzione 
ha 
revocato la 
misura 
del 
controllo 
giudiziario 
sul 
rilievo 
che 
“non 
emergono 
elementi 
da 
cui 
desumere 
l’opportunità 
di prorogare l’attività di controllo né la necessità di disporre altre misure più invasive”. 
Con provvedimento interdittivo 9 gennaio 2023 la 
Prefettura 
di 
napoli 
ha 
confermato la 
sussistenza 
di 
tentativi 
di 
infiltrazione 
mafiosa 
tendenti 
a 
condizionare 
le 
scelte 
e 
gli 
indirizzi 
della 
società 
e, per l’effetto, ha 
rigettato l’istanza 
di 
conferma 
di 
iscrizione 
della 
società 
nella 
White 
list. 
Con decreto n. omissis 
del 
tribunale 
di 
napoli 
-Sezione 
Misure 
di 
Prevenzione 
la 
omissis 
è 
stata 
nuovamente 
ammessa 
per due 
anni 
alla 
misura 
del 
controllo giudiziario ex art. 
34 bis, d.lgs. n. 159 del 
2011 e, per l’effetto, è 
stata 
iscritta 
nella 
White 
list 
della 
Prefettura 
di 
napoli. 
2. I due 
provvedimenti 
di 
contestuale 
diniego di 
iscrizione 
alla 
White 
List 
e 
di 
emissione 
del-
l’informativa 
ostativa 
antimafia 
nn. omissis 
del 
omissis 
e 
omissis 
sono stati 
impugnati 
dalla 
omissis 
dinanzi 
al 
tar Campania, sede 
di 
napoli, rispettivamente 
con ricorsi 
n. omissis 
e 
n. 
omissis, deducendo l’illegittima 
omissione 
della 
fase 
partecipativa 
nonché 
la 
mancanza 
dei 
presupposti 
della 
revoca 
della 
misura 
del 
controllo giudiziario di 
cui 
all’art. 32, d.l. n. 90 del 
2014, riconosciuto dal 
tribunale 
di 
napoli 
-Sezione 
Misure 
di 
Prevenzione 
con decreto del 
omissis, del 
diniego di 
iscrizione 
alla 
White 
list 
e 
dell’informativa 
ostativa 
antimafia. La 
società 
ha 
altresì 
impugnato 
le 
revoche 
di 
otto 
finanziamenti 
disposte 
il 
16 
gennaio 
2023 
da 
omissis 
e 
la 
revoca 
della 
aggiudicazione 
decisa 
dal 
Comune 
di 
omissis 
con provvedimento n. 
omissis 
nonché l’annotazione al casellario informatico disposta dall’A.n.A.C. 
(*) Avvocato dello Stato. 



RASSEGnA 
AVVoCAtURA 
DELLo 
StAto -n. 2/2023 


3. Il 
tar Campania, sede 
di 
napoli, con sentenza 
della 
sez. I, n. omissis, dopo aver riunito i 
ricorsi 
nn. omissis 
e 
omissis, ha 
dichiarato improcedibile 
il 
ricorso n. omissis 
sul 
rilievo che 
l’informazione 
interdittiva 
antimafia 
del 
omissis, con lo stesso impugnato, è 
stata 
sostituita 
dall’informazione 
interdittiva 
del 
9 gennaio 2023, di 
modo che 
l’annullamento della 
precedente 
informazione 
non 
eliminerebbe 
il 
pregiudizio 
lamentato 
dalla 
società; 
ha 
invece 
respinto 
il ricorso n. omissis 
proposto avverso l’interdittiva del 9 gennaio 2023. 
4. 
La 
sentenza 
è 
stata 
impugnata 
con 
appello 
notificato 
e 
depositato 
in 
data 
29 
settembre 
2023, 
reiterando in chiave 
critica 
i 
motivi 
dedotti 
in primo grado nonché 
evidenziando la 
motivazione 
carente e contraddittoria in cui è incorsa la Prefettura nei provvedimenti impugnati. 
5. Si 
sono costituiti 
in giudizio il 
Ministero dell’interno e 
la 
Prefettura 
-UtG 
di 
napoli, che 
hanno sostenuto l’infondatezza, nel merito, dell’appello. 
6. 
Si 
è 
costituita 
in 
giudizio 
omissis, 
che 
ha 
sostenuto 
l’infondatezza, 
nel 
merito, 
dell’appello. 
7. Il Comune di 
omissis 
non si è costituito in giudizio. 
8. L’Autorità nazionale 
Anticorruzione -A.n.A.C. non si è costituita in giudizio. 
9. Alla pubblica udienza del 25 gennaio 2024 la causa è stata trattenuta in decisione. 
DIRItto 
1. 
Preliminarmente 
il 
Collegio 
rileva 
la 
tardività 
della 
documentazione 
prodotta 
dall’appellante 
in allegato alla 
memoria 
di 
replica 
depositata 
in data 
3 gennaio 2023. Di 
tale 
documentazione 
il 
Collegio non terrà 
conto ai 
fini 
del 
decidere, come 
comunicato alle 
parti 
in udienza 
ai 
sensi 
dell’art. 73, comma 3, c.p.a. 
2. Come 
esposto in narrativa 
la 
omissis 
operante 
dal 
2012 principalmente 
nell’attività 
di 
raccolta, 
trasporto, 
smaltimento 
e 
compattazione 
di 
rifiuti 
solidi 
urbani 
e 
assimilabili, 
rifiuti 
tossici 
e 
nocivi, rifiuti 
ospedalieri, di 
laboratorio e 
simili, rifiuti 
speciali 
ed industriali, urbani 
pericolosi, 
rifiuti 
marittimi 
-ha 
impugnato 
la 
sentenza 
del 
tribunale 
Amministrativo 
Regionale 
della 
Campania, sede 
di 
napoli, sez. I, n. omissis 
che, dopo aver riunito i 
ricorsi 
nn. omissis 
e 
omissis, ha 
dichiarato improcedibile 
il 
ricorso n. omissis 
sul 
rilievo che 
l’informazione 
interdittiva 
antimafia 
omissis, con lo stesso impugnato, è 
stata 
sostituita 
dall’informazione 
interdittiva 
del 
9 
gennaio 
2023, 
di 
modo 
che 
l’annullamento 
della 
precedente 
informazione 
non 
eliminerebbe 
il 
pregiudizio lamentato dalla 
società; 
ha 
invece 
respinto il 
ricorso n. omissis, 
proposto 
per 
l’annullamento 
del 
provvedimento 
di 
contestuale 
diniego 
di 
iscrizione 
alla 
White 
list 
e 
di 
emissione 
dell’informativa 
ostativa 
antimafia 
n. omissis 
nonché 
dell’annotazione 
al 
casellario 
informatico 
disposta 
dall’A.n.A.C. 
e 
dei 
successivi 
provvedimenti 
con 
i 
quali 
il 
Comune 
di 
omissis 
ha 
revocato l’aggiudicazione 
di 
una 
commessa 
in favore 
della 
omissis 
e 
omissis 
s.p.a., 
ha 
revocato 
otto 
finanziamenti 
(riferibili 
alle 
seguenti 
posizioni: 
prima 
posizione 
n. omissis). 
La 
società 
è 
amministrata 
da: 
omissis 
con il 
51% delle 
quote 
del 
capitale 
sociale; 
omissis 
(familiare 
convivente 
di 
omissis 
e 
figlio di 
omissis) con il 
49% delle 
quote. Istitutore 
è 
omissis. 
Fanno parte 
della 
compagine 
societaria: 
omissis, organo di 
vigilanza; 
omissis 
revisore 
legale; 
omissis, responsabile ricoperta anche da 
omissis. 
L’interdittiva si concentra sulle figure che ruotano intorno alla società. 
In particolare, omissis 
è 
stato controllato: 
il 
23 ottobre 
2015, con omissis, deferito all’A.G. 
dal 
nucleo 
Investigativo 
dei 
Carabinieri 
di 
omissis 
in 
data 
31 
ottobre 
2013 
per 
favoreggiamento 
personale 
aggravato e 
procurata 
inosservanza 
di 
pena, per aver aiutato, in concorso con altre 
persone, 
il 
latitante 
omissis 
a 
sottrarsi 
all’esecuzione 
della 
pena, 
con 
l’aggravante 
di 
cui 
all’art. 
7, 
l. 
n. 
203 
del 
1991, 
per 
aver 
favorito 
con 
tale 
condotta 
criminosa 
l’associazione 
camorristica 
denominata 
clan 
omissis 
(di 
cui 
è 
elemento 
di 
spicco 
omissis), 
operante 
nei 
Comuni 
di 
omissis 

ContEnzIoSo 
nAzIonALE 


in Campania 
e 
limitrofi; 
il 
13 maggio 2015 con omissis, sottoposto in data 
19 febbraio 2010 
alla 
misura 
cautelare 
degli 
arresti 
domiciliari, 
in 
esecuzione 
di 
ordinanza 
emessa 
dal 
GlP 
presso il 
tribunale di 
omissis 
per usura. 
Familiare 
convivente 
di 
omissis 
è 
omissis, moglie 
di 
omissis, già 
socio unico e 
procuratore 
speciale 
della 
società 
omissis 
(poi 
denominata 
omissis), 
oggetto 
di 
una 
informativa 
interdittiva 
del 
17 settembre 
2003, per tentativi 
di 
infiltrazione 
nella 
ditta 
da 
parte 
della 
criminalità 
organizzata 
attraverso la 
figura 
di 
omissis, ritenuto affiliato al 
clan omissis 
unitamente 
al 
fratello 
omissis. 
La 
omissis 
era 
inoltre 
cessionaria 
della 
ditta 
in 
liquidazione 
omissis 
di 
cui 
era 
socio 
anche 
omissis, controllato a 
bordo di 
una 
autovettura 
con omissis, pluripregiudicato (ritenuto vicino 
al 
clan omissis) sul 
cui 
conto sussistono segnalazioni 
di 
polizia 
per violenza 
privata, ricettazione, 
associazione mafiosa, estorsione. 
omissis 
è 
convivente 
con omissis, controllato in occasione 
di 
accertamenti 
effettuati 
per identificare 
soggetti 
vicini 
e/o fiancheggiatori 
di 
omissis, detenuto e 
ritenuto elemento gravitante 
in organizzazioni 
criminali, con precedenti 
per reati 
in materia 
di 
stupefacenti, estorsione 
aggravata 
e 
tratto in arresto in esecuzione 
di 
o.c.c. per omicidio aggravato perchè 
ritenuto esecutore 
materiale 
dell’omicidio di 
omissis 
nella 
faida 
locale 
che 
vedeva 
contrapposti 
diversi 
gruppi criminali. 
A 
carico di 
omissis 
risulta 
aperto un procedimento penale 
in occasione 
di 
una 
indagine 
finalizzata 
a 
smantellare 
una 
associazione 
a 
delinquere 
dedita 
al 
traffico illecito di 
rifiuti, archiviato 
per insufficienza degli elementi indiziari a suo carico. 


3. 
Chiarita 
in 
punto 
di 
fatto, 
con 
riferimento 
agli 
elementi 
essenziali 
ed 
in 
modo 
non 
esaustivo, 
la 
cornice 
sulla 
quale 
si 
fondano le 
due 
interdittive, il 
Collegio rileva 
come, nonostante 
l’appellante 
non 
abbia 
chiaramente 
circoscritto 
l’ambito 
della 
impugnativa 
proposta, 
deve 
ritenersi 
che 
la 
stessa 
-pur se 
impostata 
sulla 
dimostrazione 
generica 
della 
mancata 
contiguità, compiacente 
o soggiacente, agli 
ambienti 
della 
criminalità 
organizzata 
-sia 
limitata 
al 
capo della 
sentenza 
n. omissis 
che 
ha 
respinto il 
ricorso proposto (nella 
via 
dei 
motivi 
aggiunti) avverso 
l’interdittiva 
del 
9 gennaio 2023. Il 
richiamo, nel 
petitum, a 
questa 
sola 
interdittiva 
nonché 
la 
mancanza 
di 
censure 
avverso la 
decisione 
di 
definire 
in rito e 
non nel 
merito l’impugnazione 
della 
prima 
interdittiva 
del 
21 gennaio 2021 inducono il 
Collegio a 
circoscrivere 
il 
proprio 
esame al capo della sentenza che ha respinto l’atto (secondo) di motivi aggiunti. 
4. Con il 
primo motivo di 
appello la 
società 
contesta 
la 
sentenza 
del 
tribunale 
per avere 
erroneamente 
ritenuto 
sussistere 
ragioni 
d’urgenza 
giustificanti 
l’omessa 
comunicazione 
di 
avvio del 
procedimento, tanto più che 
la 
recente 
riforma 
(d.l. 6 novembre 
2021, n. 152, convertito, 
con modificazioni, dalla 
l. 29 dicembre 
2021, n. 233), che 
ha 
novellato il 
Codice 
antimafia, 
ha 
introdotto 
il 
contraddittorio 
nel 
procedimento 
di 
rilascio 
dell’interdittiva 
antimafia. 
Il motivo non è suscettibile di positiva valutazione. 
È 
ben 
vero 
che 
nella 
fattispecie 
all’esame 
del 
Collegio 
-in 
cui 
si 
discute 
della 
interdittiva 
adottata 
in data 
9 gennaio 2023 -trova 
applicazione 
la 
disciplina 
di 
cui 
ai 
commi 
2-bis, 2-ter 
e 
2-quater 
dell’art. 
92, 
d.lgs. 
6 
settembre 
2011, 
n. 
159, 
introdotti 
dall’art. 
48, 
comma 
1, 
lettera 
a), n. 2), d.l. n. 152 del 
2021, che 
ha 
procedimentalizzato l’iter di 
adozione 
della 
interdittiva 
scandendo 
i 
termini 
per 
la 
partecipazione 
del 
suo 
destinatario. 
La 
novella 
introdotta 
con 
il 
comma 
2-bis 
dell’art. 92, d.lgs. n. 159 del 
2011 ha 
disposto che 
il 
Prefetto, nel 
caso in cui 
ritenga 
sussistenti 
i 
presupposti 
per 
l’adozione 
dell’informazione 
antimafia 
interdittiva 
e 
non 
ricorrano 
particolari 
esigenze 
di 
celerità 
del 
procedimento, 
ne 
dà 
tempestiva 
comunicazione 
al 
soggetto interessato. È 
risultata 
così 
superata 
la 
prassi, avallata 
dalla 
giurisprudenza 
del 
Con

RASSEGnA 
AVVoCAtURA 
DELLo 
StAto -n. 2/2023 


siglio di 
Stato (31 ottobre 
2023, n. 9357; 
21 gennaio 2020, n. 820; 
3 marzo 2020, n. 1576; 
6 
maggio 
2020, 
n. 
2854), 
secondo 
cui 
la 
comunicazione 
di 
avvio 
del 
procedimento, 
prevista 
dall’art. 
7, 
l. 
n. 
241 
del 
1990, 
e 
del 
preavviso 
di 
rigetto, 
di 
cui 
all’art. 
10-bis 
della 
stessa 
legge, 
sono 
adempimenti 
non 
necessari 
in 
materia 
di 
certificazione 
antimafia, 
in 
cui 
il 
contraddittorio 
procedimentale 
ha 
natura 
meramente 
eventuale, ai 
sensi 
dell’art. 93, comma 
7, d.lgs. n. 159 
del 
2011. Sulla 
questione 
concernente 
le 
garanzie 
della 
partecipazione 
procedimentale 
in favore 
del 
soggetto nei 
cui 
confronti 
il 
Prefetto si 
propone 
di 
rilasciare 
una 
informazione 
antimafia 
si 
è 
pronunciata 
la 
Corte 
di 
Giustizia 
UE, 
Sezione 
IX, 
con 
ordinanza 
del 
28 
maggio 
2020, che 
ha 
dichiarato irricevibile 
il 
ricorso non essendo stata 
dimostrata 
l’esistenza 
di 
un 
criterio 
di 
collegamento 
tra 
il 
diritto 
dell’Unione 
e 
l’informazione 
antimafia 
adottata. 
La 
Corte 
ha 
tuttavia 
precisato, 
per 
inciso, 
che 
“il 
rispetto 
dei 
diritti 
della 
difesa 
costituisce 
un 
principio 
generale 
del 
diritto dell’Unione, che 
trova applicazione 
quando l’amministrazione 
intende 
adottare 
nei 
confronti 
di 
una persona un atto che 
le 
arrechi 
pregiudizio” 
e 
che 
in forza 
di 
tale 
principio 
i 
destinatari 
di 
decisioni 
che 
incidono 
sensibilmente 
sui 
loro 
interessi 
devono 
essere 
messi 
in condizione 
di 
manifestare 
utilmente 
il 
loro punto di 
vista 
in merito agli 
elementi 
sui 
quali l’amministrazione intende fondare la sua decisione. 
nondimeno la 
Sezione 
aveva 
ritenuto che 
l’assenza 
di 
una 
necessaria 
interlocuzione 
procedi-
mentale 
in questa 
materia 
non costituisce 
un vulnus 
al 
principio di 
buona 
amministrazione, 
perché, come 
la 
stessa 
Corte 
di 
Giustizia 
UE 
(9 novembre 
2017, in C-298/16, § 35 e 
giurisprudenza 
ivi 
citata) ha 
affermato, il 
diritto al 
contraddittorio procedimentale 
e 
al 
rispetto dei 
diritti 
della 
difesa 
non 
è 
una 
prerogativa 
assoluta, 
ma 
può 
soggiacere 
a 
restrizioni, 
a 
condizione 
che 
“queste 
rispondano 
effettivamente 
a 
obiettivi 
di 
interesse 
generale 
perseguiti 
dalla 
misura 
di 
cui 
trattasi 
e 
non 
costituiscano, 
rispetto 
allo 
scopo 
perseguito, 
un 
intervento 
sproporzionato 
e inaccettabile, tale da ledere la sostanza stessa dei diritti così garantiti”. 
Conseguentemente 
-secondo la 
giurisprudenza 
del 
Consiglio di 
Stato formatasi 
prima 
della 
entrata 
in 
vigore 
della 
riforma 
del 
2021 
(art. 
48, 
comma 
1, 
lettera 
a), 
n. 
2), 
d.l. 
n. 
152 
del 
2021) -il 
principio del 
contraddittorio, valevole 
in ambiti 
ordinari, in materia 
di 
interdittiva 
doveva 
essere 
ragionevolmente 
bilanciato, anche 
attraverso il 
suo ridimensionamento, così 
da 
dare 
ingresso ad interessi 
antagonistici 
di 
pari 
rango dettati 
dalla 
necessità 
di 
arginare 
il 
fenomeno mafioso che, per la 
sua 
estrema 
insidiosità, aumenta 
gravemente 
il 
rischio di 
vanificare 
il complesso lavoro degli organi deputati alle indagini. 
L’esigenza 
di 
assicurare 
il 
suddetto bilanciamento aveva 
indotto il 
legislatore 
-fino alle 
modifiche 
introdotte 
dall’art. 
48, 
comma 
1, 
lettera 
a), 
n. 
2), 
d.l. 
n. 
152 
del 
2021 
-a 
non 
prevedere, 
all’interno 
del 
sistema 
regolatorio 
conchiuso 
del 
Codice 
antimafia, 
l’obbligo 
di 
una 
preventiva 
comunicazione 
di 
avvio del 
procedimento evidentemente 
in ragione 
del 
fatto che 
più si 
avanzano 
le 
garanzie 
partecipative 
più è 
concreto il 
rischio che 
la 
discovery 
anticipata 
di 
elementi 


o notizie 
a 
disposizione 
degli 
inquirenti 
ponga 
nel 
nulla 
gli 
sforzi 
e 
le 
risultanze 
raggiunte. 
tanto 
proprio 
a 
cagione 
della 
natura 
subdola, 
insidiosa, 
a 
volte 
silente, 
del 
fenomeno 
mafioso 
posto che 
l’autorità 
amministrativa, nelle 
parole 
della 
Corte 
costituzionale, ha 
il 
compito di 
“prevenire 
tali 
evenienze, con un costante 
monitoraggio del 
fenomeno, la conoscenza delle 
sue 
specifiche 
manifestazioni, la individuazione 
e 
valutazione 
dei 
relativi 
sintomi, la rapidità 
di 
intervento” 
(Corte 
cost. 
26 
marzo 
2020, 
n. 
57), 
rapidità 
necessitata 
dalla 
capacità 
delle 
mafie 
di 
rimescolare 
gli 
elementi 
disponibili 
fino 
a 
far 
scomparire 
quelle 
che 
già 
erano 
tracce, 
sintomi, segni di conoscenza spesso solo indiretta. 
Ritiene 
il 
Collegio che 
la 
circostanza 
che 
lo stesso Legislatore 
abbia 
inteso procedimentalizzare 
la 
partecipazione 
del 
soggetto 
destinatario 
del 
provvedimento 
interdittivo 
porta 
a 
ritenere 

ContEnzIoSo 
nAzIonALE 


le 
deroghe 
all’obbligo di 
dare 
comunicazione 
di 
inizio del 
procedimento circoscritte 
ai 
soli 
casi 
di 
effettivo 
e 
dimostrato 
carattere 
di 
urgenza 
nonché 
ad 
un 
quadro 
fattuale 
talmente 
chiaro 
da 
rendere 
siffatta 
comunicazione 
solo foriera 
di 
inutile 
rallentamento nella 
definizione 
del 
procedimento. 
tale 
seconda 
circostanza 
si 
è 
verificata 
nel 
caso di 
specie, in considerazione 
dei 
gravi 
indizi 
di 
pregnanza 
e 
contiguità 
agli 
ambienti 
della 
criminalità 
organizzata, 
come 
illustrati 
nel 
provvedimento 
prefettizio ed in questa 
sede 
confermati, tali 
da 
rendere 
superflua 
la 
fase 
partecipativa 
risultando 
evidenti 
i 
presupposti 
per 
concludere 
che 
è 
“più 
probabile 
che 
non” 
il 
collegamento soggiacente alla criminalità organizzata (in particolar modo al clan omissis). 


5. non è suscettibile di positiva valutazione il secondo motivo di appello. 
Rileva 
il 
Collegio l’inconferenza 
del 
richiamo al 
decreto n. omissis, con il 
quale 
il 
tribunale 
di 
napoli 
-Sezione 
Misure 
di 
prevenzione 
ha 
riammesso la 
omissis 
al 
controllo giudiziario 
ex 
art. 34-bis, d.lgs. n. 159 del 
2011. Appare 
dirimente 
ed assorbente 
il 
rilievo, nel 
merito, 
per cui 
la 
valutazione 
del 
giudice 
della 
prevenzione 
penale 
si 
fonda 
su parametri 
non sovrapponibili 
alla 
ricognizione 
probabilistica 
del 
rischio 
di 
infiltrazione, 
che 
costituisce 
invece 
presupposto 
del 
provvedimento 
prefettizio, 
e 
rispetto 
ad 
essa 
si 
colloca 
in 
un 
momento 
successivo. 
non è 
pertanto casuale 
che 
nella 
sistematica 
normativa 
il 
controllo giudiziario (e 
le 
relative 
valutazioni: 
inclusa 
quella 
sull’ammissione) 
presupponga 
l’adozione 
dell’informativa: 
rispetto 
alla 
quale 
rappresenta 
un 
post 
factum 
(Cons. 
Stato, 
sez. 
III, 
29 
novembre 
2023, 
n. 
10279). 
Pretendere 
di 
sindacare 
la 
legittimità 
del 
provvedimento prefettizio alla 
luce 
delle 
risultanze 
della 
(successiva) delibazione 
di 
ammissibilità 
al 
controllo giudiziario, finalizzato proprio ad 
un’amministrazione 
dell’impresa 
immune 
da 
(probabili) 
infiltrazioni 
criminali, 
appare 
dunque 
operazione 
doppiamente 
viziata: 
perché 
inevitabilmente 
diversi 
sono gli 
elementi 
(anche 
fattuali) 
considerati 
-anche 
sul 
piano diacronico -nelle 
due 
diverse 
sedi, ma 
soprattutto perché 
diversa 
è 
la 
prospettiva 
d’indagine, id est 
l’individuazione 
dei 
parametri 
di 
accertamento e 
di 
valutazione 
dei 
legami 
con 
la 
criminalità 
organizzata 
(Cons. 
Stato, 
sez. 
III, 
n. 
1049 
del 
2021). 
Analogamente, 
la 
valutazione 
finale 
del 
giudice 
della 
prevenzione 
penale 
si 
riferisce 
alla 
funzione 
tipica 
di 
tale 
istituto, che 
è 
un controllo successivo all’adozione 
dell’interdittiva, ed ha 
riguardo alle 
sopravvenienze 
rispetto a 
tale 
provvedimento (Cons. Stato, sez. III, n. 319 del 
2021). 
Giova 
aggiungere 
che, come 
chiarito dalla 
Sezione 
(14 luglio 2023, n. 6896), non merita 
adesione 
la 
tesi 
secondo 
la 
quale 
il 
giudizio 
di 
pericolo 
di 
esposizione 
a 
forme 
di 
condizionamento 
malavitoso delle 
imprese, per come 
affermato e 
motivato nelle 
informazioni 
interdittive 
impugnate, 
debba 
o possa 
essere 
confutato alla 
luce 
degli 
svolgimenti 
e 
delle 
sopravvenienze 
intervenuti 
nella 
parallela 
sede 
penale 
e 
delle 
misure 
di 
prevenzione 
e 
di 
controllo 
giudiziario, 
poiché 
un 
tale 
approccio 
condurrebbe 
a 
un’impropria 
sovrapposizione 
ex 
post 
del 
giudizio 
dell’Autorità giudiziaria penale alla valutazione compiuta 
ex ante 
dall’Autorità prefettizia. 
5. 
Quanto 
ai 
presupposti 
indicati 
dalla 
Prefettura 
alla 
base 
del 
provvedimento 
del 
gennaio 
2023 vale 
premettere 
che 
elemento fondante 
il 
diniego di 
iscrizione 
alla 
White 
list 
e 
l’interdittiva 
è 
la 
sussistenza 
di 
“eventuali 
tentativi” 
di 
infiltrazione 
mafiosa 
“tendenti 
a 
condizionare 
le 
scelte 
e 
gli 
indirizzi 
delle 
società 
o imprese 
interessate”. Eventuali 
tentativi 
di 
infiltrazione 
mafiosa 
e 
tendenza 
di 
questi 
ad influenzare 
la 
gestione 
dell’impresa 
sono nozioni 
che 
delineano 
una 
fattispecie 
di 
pericolo, propria 
del 
diritto della 
prevenzione, finalizzato, appunto, 
a 
prevenire 
un evento che, per la 
stessa 
scelta 
del 
legislatore, non necessariamente 
è 
attuale, 
o inveratosi, ma 
anche 
solo potenziale, purché 
desumibile 
da 
elementi 
non meramente 
immaginari 
o aleatori. 

RASSEGnA 
AVVoCAtURA 
DELLo 
StAto -n. 2/2023 


Il pericolo di infiltrazione mafiosa è, dunque, la probabilità che si verifichi l’evento. 
L’introduzione 
delle 
misure 
di 
prevenzione, come 
quelle 
qui 
in esame, è 
stata 
dunque 
la 
risposta 
cardine 
dell’ordinamento 
per 
attuare 
un 
contrasto 
all’inquinamento 
dell’economia 
sana 
da 
parte 
delle 
imprese 
che 
sono 
strumentalizzate 
o 
condizionate 
dalla 
criminalità 
organizzata. 
In 
tale 
direzione 
la 
verifica 
della 
legittimità 
del 
diniego 
di 
iscrizione 
alla 
White 
list 
deve 
essere 
effettuata 
sulla 
base 
di 
una 
valutazione 
unitaria 
(e 
non atomistica, cosicché 
ciascuno di 
essi 
acquisti 
valenza 
nella 
sua 
connessione 
con 
gli 
altri) 
degli 
elementi 
e 
dei 
fatti 
che, 
visti 
nel 
loro complesso, possono costituire 
una 
ipotesi 
ragionevole 
e 
probabile 
di 
permeabilità 
della 
singola 
impresa 
ad ingerenze 
della 
criminalità 
organizzata 
di 
stampo mafioso sulla 
base 
della 
regola 
causale 
del 
“più probabile 
che 
non”, integrata 
da 
dati 
di 
comune 
esperienza, evincibili 
dall’osservazione 
dei 
fenomeni 
sociali 
(qual 
è 
quello mafioso), e 
che 
risente 
della 
estraneità 
al 
sistema 
delle 
informazioni 
antimafia 
di 
qualsiasi 
logica 
penalistica 
di 
certezza 
probatoria 
raggiunta 
al 
di 
là 
del 
ragionevole 
dubbio (Cons. Stato, sez. III, 31 gennaio 2024, n. 999; 
id. 
31 gennaio 2024, n. 964; id. 5 gennaio 2024, n. 193). 
Da 
quanto sopra 
esposto consegue 
che 
in relazione 
sia 
all’interdittiva 
che 
al 
diniego di 
iscrizione 
nella 
White 
list 
-iscrizione 
che 
presuppone 
la 
stessa 
accertata 
impermeabilità 
alla 
criminalità 
organizzata 
-è 
sufficiente 
il 
pericolo di 
infiltrazione 
mafiosa 
fondato su un numero 
di 
indizi 
tale 
da 
rendere 
logicamente 
attendibile 
la 
presunzione 
dell’esistenza 
di 
un condizionamento 
da parte della criminalità organizzata. 


6. 
Ciò 
chiarito, 
e 
passando 
all’esame 
del 
complesso 
di 
elementi 
a 
supporto 
del 
provvedimento 
del 
gennaio 
2023 
-che 
ne 
costituiscono 
l’impianto 
motivazionale 
-ricorda 
il 
Collegio 
che 
non rileva 
la 
circostanza 
che 
alcuni 
fatti 
richiamati 
nell’interdittiva 
sono risalenti 
nel 
tempo 
e 
ciò in quanto l’interdittiva 
antimafia 
può essere 
legittimamente 
fondata 
anche 
su fatti 
che 
sono datati, purché 
dall’analisi 
complessiva 
delle 
vicende 
esaminate 
emerga, comunque, un 
quadro 
indiziario 
che 
sia 
idoneo 
a 
giustificare 
il 
necessario 
giudizio 
di 
attualità 
e 
di 
concretezza 
del 
pericolo di 
infiltrazione 
mafiosa 
(Cons. Stato, sez. V, 11 aprile 
2022, n. 2712; 
id. 6 giugno 
2022, n. 4616). 
tale 
conclusione, 
con 
riferimento 
alla 
circostanza 
che 
omissis 
sia 
stato 
controllato 
con 
soggetti 
vicini 
alla 
criminalità 
organizzata, è 
rafforzata 
dalla 
pluralità 
di 
tali 
episodi, indice 
dell’abitualità 
della frequentazione di soggetti gravati da precedenti penali. 
Ai 
fini 
di 
considerare 
“più 
probabile 
che 
non” 
la 
vicinanza 
della 
omissis 
alla 
criminalità 
organizzata, 
attraverso 
i 
suoi 
soci, 
è 
anche 
il 
rapporto 
di 
parentela 
con 
soggetti 
vicini 
a 
tali 
ambienti. 
Ed invero, la 
“più probabile 
che 
non” 
vicinanza 
del 
socio unico della 
omissis 
al 
clan locale 
è 
evidente, attraverso rapporti 
di 
parentela 
con omissis 
(controllato a 
bordo di 
una 
autovettura 
con 
omissis, 
pluripregiudicato 
vicino 
al 
clan 
omissis) 
nonchè 
con 
omissis 
(familiare 
convivente 
di 
omissis), 
moglie 
di 
omissis; 
il 
direttore 
tecnico 
della 
omissis, 
è 
convivente 
con 
omissis 
(controllato 
in 
occasione 
di 
accertamenti 
effettuati 
per 
identificare 
soggetti 
vicini 
e/o 
fiancheggiatori 
di 
omissis, detenuto e ritenuto elemento gravitante in organizzazioni criminali). 
La 
Corte 
costituzionale 
(sentenza 
n. 
57 
del 
26 
marzo 
2020) 
ha 
fatto 
riferimento 
a 
situazioni 
indiziarie, 
che 
sviluppano 
e 
completano 
le 
indicazioni 
legislative, 
costruendo 
un 
sistema 
di 
tassatività 
sostanziale, 
individuate 
da 
questa 
Sezione. 
tra 
queste: 
i 
provvedimenti 
“sfavorevoli” 
del 
giudice 
penale; 
le 
sentenze 
di 
proscioglimento 
o 
di 
assoluzione, 
da 
cui 
pure 
emergano 
valutazioni 
del 
giudice 
competente 
su 
fatti 
che, 
pur 
non 
superando 
la 
soglia 
della 
punibilità 
penale, 
sono 
però 
sintomatici 
della 
contaminazione 
mafiosa; 
la 
proposta 
o 
il 
provvedimento 
di 
applicazione 
di 
taluna 
delle 
misure 
di 
prevenzione 
previste 
dallo 
stesso 
d.lgs. 
n. 
159 
del 
2011; 
i 
rapporti 
di 
parentela, 
laddove 
assumano 
una 
intensità 
tale 
da 
far 
ritenere 
una 
conduzione 
familiare 

ContEnzIoSo 
nAzIonALE 


e 
una 
“regia 
collettiva” 
dell’impresa, 
nel 
quadro 
di 
usuali 
metodi 
mafiosi 
fondati 
sulla 
regia 
“clanica”; 
i 
contatti 
o 
i 
rapporti 
di 
frequentazione, 
conoscenza, 
colleganza, 
amicizia; 
le 
vicende 
anomale 
nella 
formale 
struttura 
dell’impresa 
e 
nella 
sua 
gestione, 
incluse 
le 
situazioni 
in 
cui 
la 
società 
compie 
attività 
di 
strumentale 
pubblico 
sostegno 
a 
iniziative, 
campagne 
antimafia, 
antiusura, 
antiriciclaggio, 
allo 
scopo 
di 
mostrare 
un 
“volto 
di 
legalità” 
idoneo 
a 
stornare 
sospetti 


o 
elementi 
sostanziosi 
sintomatici 
della 
contaminazione 
mafiosa; 
la 
condivisione 
di 
un 
sistema 
di 
illegalità, 
volto 
ad 
ottenere 
i 
relativi 
“benefici”; 
l’inserimento 
in 
un 
contesto 
di 
illegalità 
o 
di 
abusivismo, 
in 
assenza 
di 
iniziative 
volte 
al 
ripristino 
della 
legalità. 
A 
supportare 
il 
provvedimento interdittivo sono dunque 
sufficienti 
anche 
i 
rapporti 
di 
parentela, 
laddove 
assumano 
una 
intensità 
tale 
da 
far 
ritenere 
una 
conduzione 
familiare 
e 
una 
“regia 
collettiva” dell’impresa, nel quadro di usuali metodi mafiosi fondati sulla regia “clanica”. 
Proprio con riferimento ai 
rapporti 
di 
parentela 
tra 
titolari, soci, amministratori, direttori 
generali 
dell’impresa 
e 
familiari 
che 
siano soggetti 
affiliati, organici, contigui 
alle 
associazioni 
mafiose, la 
Sezione 
(29 maggio 2023, n. 5227; 
7 febbraio 2018, n. 820) ha 
chiarito che 
l’Amministrazione 
può 
dare 
loro 
rilievo 
laddove 
tale 
rapporto, 
per 
la 
sua 
natura, 
intensità 
o 
per 
altre 
caratteristiche 
concrete, 
lasci 
ritenere, 
per 
la 
logica 
del 
“più 
probabile 
che 
non”, 
che 
l’impresa 
abbia 
una 
conduzione 
collettiva 
e 
una 
regia 
familiare 
(di 
diritto 
o 
di 
fatto, 
alla 
quale 
non risultino estranei 
detti 
soggetti) ovvero che 
le 
decisioni 
sulla 
sua 
attività 
possano essere 
influenzate, 
anche 
indirettamente, 
dalla 
mafia 
attraverso 
la 
famiglia, 
o 
da 
un 
affiliato 
alla 
mafia 
mediante 
il 
contatto con il 
proprio congiunto. nei 
contesti 
sociali 
in cui 
attecchisce 
il 
fenomeno mafioso, all’interno della 
famiglia 
si 
può verificare 
una 
“influenza 
reciproca” 
di 
comportamenti 
e 
possono 
sorgere 
legami 
di 
cointeressenza, 
di 
solidarietà, 
di 
copertura 
o 
quanto meno di 
soggezione 
o di 
tolleranza; 
una 
tale 
influenza 
può essere 
desunta 
non dalla 
considerazione 
(che 
sarebbe 
in sé 
errata 
e 
in contrasto con i 
principi 
costituzionali) che 
il 
parente 
di 
un mafioso sia 
anch’egli 
mafioso, ma 
per la 
doverosa 
considerazione, per converso, 
che 
la 
complessa 
organizzazione 
della 
mafia 
ha 
una 
struttura 
clanica, si 
fonda 
e 
si 
articola, a 
livello 
particellare, 
sul 
nucleo 
fondante 
della 
‘famiglia’, 
sicché 
in 
una 
‘famiglia’ 
mafiosa 
anche 
il 
soggetto, 
che 
non 
sia 
attinto 
da 
pregiudizio 
mafioso, 
può 
subire, 
nolente, 
l’influenza 
del 
‘capofamiglia’ 
e 
dell’associazione. 
hanno 
dunque 
rilevanza 
circostanze 
obiettive 
(a 
titolo 
meramente 
esemplificativo, 
ad 
es., 
la 
convivenza, 
la 
cointeressenza 
di 
interessi 
economici, 
il 
coinvolgimento 
nei 
medesimi 
fatti, 
che 
pur 
non 
abbiano 
dato 
luogo 
a 
condanne 
in 
sede 
penale) 
e 
rilevano 
le 
peculiari 
realtà 
locali, 
ben 
potendo 
l’Amministrazione 
evidenziare 
come 
sia 
stata 
accertata 
l’esistenza 
-su un’area 
più o meno estesa 
-del 
controllo di 
una 
‘famiglia’ 
e 
del 
sostanziale 
coinvolgimento dei suoi componenti. 
7. 
Quanto 
agli 
esiti 
dei 
giudizi 
penali 
(è 
richiamato 
dalla 
appellante, 
ad 
es., 
il 
proscioglimento 
di 
omissis) va 
rilevato che 
la 
misura 
cautelare 
di 
cui 
trattasi 
mira 
a 
prevenire 
e 
a 
impedire 
sul 
nascere 
meri 
tentativi 
di 
condizionamento malavitoso della 
gestione 
dell’impresa 
o di 
esposizione 
dell’impresa 
al 
pericolo concreto di 
infiltrazione 
della 
malavita 
organizzata, mentre 
il 
processo penale 
mira 
ad accertare 
e 
reprimere 
reati 
consumati 
o tentati; 
la 
misura 
interdittiva 
richiede, per la 
sua 
legittima 
adozione, solo la 
presenza 
di 
un quadro indiziario significativo 
dei 
suddetti 
tentativi 
o della 
suddetta 
esposizione 
al 
pericolo di 
condizionamento, acquisito 
sulla 
base 
dei 
poteri 
di 
accertamento riconducibili 
all’Autorità 
di 
prevenzione, mentre 
la 
condanna 
penale 
richiede 
la 
piena 
prova 
del 
reato, in tutte 
le 
componenti 
della 
sua 
fattispecie, 
oltre 
ogni 
ragionevole 
dubbio, sulla 
base 
dei 
pieni 
e 
illimitati 
poteri 
di 
indagine 
e 
di 
accertamento 
propri 
della 
sede 
penale. Si 
tratta, dunque, di 
due 
realtà 
giuridiche 
distinte, temporalmente 
distanti e di regola non commensurabili. 

RASSEGnA 
AVVoCAtURA 
DELLo 
StAto -n. 2/2023 


Di 
conseguenza, 
la 
consolidata 
giurisprudenza 
amministrativa 
formatasi 
in 
questa 
materia 
(da 
ultimo, Cons. Stato, sez. III, 22 novembre 
2023, n. 9982), dalla 
quale 
il 
Collegio non intende 
discostarsi, 
correttamente 
distingue 
nettamente 
le 
due 
aree 
di 
intervento 
e 
le 
diverse 
procedure, 
quella 
(amministrativa) della 
prevenzione 
in funzione 
di 
tutela 
della 
pubblica 
sicurezza, che 
costituisce 
la 
soglia 
di 
massimo 
avanzamento 
della 
prevenzione, 
rispetto 
a 
quella 
(giudiziaria) 
della 
repressione 
dei 
reati 
commessi 
(Corte 
cost. nn. 180 e 
118 del 
2022; 
n. 178 del 
2021; 
n. 
57 del 
2020; 
Cons. Stato, Ad. plen., 6 aprile 
2018, n. 3; 
id., sez. III, 4 gennaio 2022, n. 21; 
id., 
sez. I, pareri, 20 marzo 2023, n. 487). 
Altrettanto pacifica 
è 
la 
condivisa 
giurisprudenza 
che 
ha 
chiarito che 
gli 
elementi 
posti 
a 
base 
dell’informativa 
possono essere 
anche 
non penalmente 
rilevanti 
o non costituire 
oggetto di 
procedimenti 
o 
di 
processi 
penali 
o, 
addirittura 
e 
per 
converso, 
possono 
essere 
già 
stati 
oggetto 
del 
giudizio penale, con esito di 
proscioglimento o di 
assoluzione 
(Cons. Stato, sez. III, 22 
maggio 2023, n. 5024; 16 maggio 2023, n. 4856; 29 settembre 2022, n. 9558). 
Se 
la 
logica 
e 
la 
ragion d’essere 
stessa 
dell’istituto delle 
informazioni 
antimafia 
consistono 
nella 
massima 
anticipazione, 
in 
funzione 
preventiva, 
della 
reazione 
dell’ordinamento 
alle 
prime 
manifestazioni 
di 
possibili 
tentativi 
di 
infiltrazione 
malavitosa 
nella 
conduzione 
e 
negli 
indirizzi 
dell’impresa, 
allora 
è 
da 
respingere 
l’idea 
che 
gli 
sviluppi 
e 
le 
acquisizioni 
successivi 
alla 
data 
di 
adozione 
dell’informativa 
interdittiva, 
emersi 
e 
acquisiti 
nella 
sede 
penale, 
possano 


o debbano essere 
posti 
a 
raffronto con le 
considerazioni 
e 
i 
giudizi 
in precedenza 
espressi 
dal 
Prefetto 
e 
fungere 
da 
parametro 
di 
giudizio 
ex 
post 
della 
legittimità 
dell’interdittiva 
stessa 
(Cons. Stato, sez. III, 22 novembre 2023, n. 9982). 
Vale 
aggiungere 
che 
tali 
conclusioni 
non implicano che 
i 
suddetti 
sviluppi 
ed esiti 
siano assolutamente 
irrilevanti 
o non debbano essere 
presi 
in alcuna 
considerazione 
dal 
Giudice 
amministrativo, 
ma 
solo 
che 
possono 
incidere 
sul 
giudizio 
di 
legittimità 
soltanto 
quando 
forniscano la 
prova 
certa 
ed evidente 
di 
un macroscopico errore 
originario di 
cognizione 
del 
fatto e 
di 
giudizio nel 
quale 
sia 
incorsa 
l’Autorità 
prefettizia, ipotesi 
che, a 
giudizio del 
Collegio, 
non ricorre nella fattispecie concreta qui in esame. 
Come 
chiarito dalla 
Sezione 
(14 luglio 2023, n. 6896), non merita 
adesione 
la 
tesi 
secondo la 
quale 
il 
giudizio di 
pericolo di 
esposizione 
a 
forme 
di 
condizionamento malavitoso delle 
imprese, 
per 
come 
affermato 
e 
motivato 
nelle 
informazioni 
interdittive 
impugnate, 
debba 
o 
possa 
essere 
confutato alla 
luce 
degli 
svolgimenti 
e 
delle 
sopravvenienze 
intervenuti 
nella 
parallela 
sede 
penale 
e 
delle 
misure 
di 
prevenzione 
e 
di 
controllo giudiziario, poiché 
un tale 
approccio 
condurrebbe 
a 
un’impropria 
sovrapposizione 
ex 
post 
del 
giudizio 
dell’Autorità 
giudiziaria 
penale 
alla valutazione compiuta 
ex ante 
dall’Autorità prefettizia. 
In tal 
senso la 
Sezione 
ha 
più volte 
sottolineato (sentenza 
16 giugno 2022, n. 4912) che 
l’impugnazione 
dell’interdittiva 
antimafia 
si 
configura 
quale 
giudizio 
non 
sul 
rapporto 
ma 
sull’atto, 
la 
cui 
legittimità 
va 
scrutinata 
alla 
stregua 
del 
canone 
tempus 
regit 
actum, 
sulla 
base 
dello 
stato di 
fatto e 
di 
diritto sussistente 
al 
momento della 
sua 
adozione 
(sentenza 
12 settembre 
2023, n. 8269). Pertanto, sono tendenzialmente 
irrilevanti, in punto di 
scrutinio della 
legittimità 
dell’informativa 
adottata 
anche 
sulla 
base 
di 
atti 
emanati 
dalla 
Autorità 
giudiziaria 
penale, 
le 
successive 
vicende 
del 
medesimo procedimento penale, fatta 
salva 
la 
facoltà 
per la 
parte 
interessata 
di 
avanzare, 
sulla 
base 
delle 
stesse 
sopravvenienze, 
una 
motivata 
istanza 
di 
riesame 
della misura interdittiva (ord. 19 maggio 2023, n. 2013). 
Ed 
invero, 
ciò 
che 
retrospettivamente 
-alla 
luce 
degli 
approfondimenti 
probatori 
successivamente 
effettuati 
nella 
sede 
penale 
e 
nella 
sede 
delle 
misure 
di 
controllo 
giudiziario 
di 
competenza 
dell’Autorità 
giudiziaria 
-può 
perdere 
di 
consistenza 
o 
rivelarsi 
non 
assistito 
da 
sufficienti 

ContEnzIoSo 
nAzIonALE 


basi 
probatorie, 
ben 
può, 
invece, 
se 
considerato 
dall’angolo 
prospettico 
anticipatorio 
della 
Prefettura 
e 
nel 
momento 
temporale 
dell’adozione 
della 
misura 
interdittiva, 
risultare 
più 
che 
sufficiente 
a 
sorreggere 
la 
logicità, 
la 
razionalità 
e 
dunque 
la 
legittimità 
della 
misura 
adottata. 
naturalmente 
le 
sopravvenienze 
rilevano prospetticamente 
de 
futuro, in quanto premessa 
e 
presupposto di 
una 
revisione, da 
parte 
della 
competente 
Autorità 
prefettizia, della 
posizione 
dell’impresa 
prevenuta, essendo espressamente 
previsto dalla 
normativa 
di 
settore 
l’aggiornamento 
periodico, anche 
su domanda 
di 
parte 
(art. 91, comma 
5, ultimo periodo, del 
codice 
delle 
leggi 
antimafia, secondo cui 
“il 
Prefetto, anche 
sulla documentata richiesta dell’interessato, 
aggiorna 
l’esito 
dell’informazione 
al 
venir 
meno 
delle 
circostanze 
rilevanti 
ai 
fini 
dell’accertamento dei tentativi di infiltrazione mafiosa”). 
Ciò che 
risulta 
del 
resto essere 
fisiologicamente 
avvenuto nel 
caso di 
specie, nel 
quale 
la 
Prefettura 
di 
napoli 
ha 
adottato l’interdittiva 
e 
negato l’iscrizione 
della 
omissis 
nell’elenco dei 
fornitori 
di 
beni, prestatori 
di 
servizi 
ed esecutori 
di 
lavori 
non soggetti 
a 
tentativo di 
infiltrazione 
mafiosa. Ed è 
proprio in tale 
“dinamicità” 
intrinseca 
al 
sistema 
delle 
misure 
di 
prevenzione 
antimafia 
che 
-come 
si 
ribadirà 
più avanti 
-si 
coglie 
il 
punto di 
equilibrio e 
di 
raccordo 
tra 
prevenzione, 
meccanismi 
di 
accompagnamento 
e 
di 
sostegno 
al 
risanamento 
e 
alla 
bonifica 
dell’impresa e accertamento penale dei reati. 
Alla 
luce 
dei 
criteri 
di 
giudizio ora 
richiamati 
il 
Collegio giudica 
dunque 
infondata 
e 
da 
respingere 
la 
censura, 
dedotta 
e 
riproposta 
nell’appello 
e 
nella 
memoria 
di 
parte 
appellante, 
volta 
a 
utilizzare 
le 
sopravvenienze 
penali 
per dimostrare 
una 
supposta 
illegittimità 
della 
interdittiva 
impugnata. 


8. non costituisce 
prova 
della 
illegittimità 
del 
provvedimento prefettizio la 
circostanza 
che 
signor omissis 
abbia 
ottenuto il 
porto d’armi, circostanza 
questa 
che 
può al 
più giustificare 
una 
nuova 
verifica, da 
parte 
dell’Autorità 
competente, dell’esistenza 
dei 
presupposti 
per il 
rilascio 
del 
titolo, anch’esso di 
natura 
cautelare 
e 
dunque 
fondato sulla 
mancanza 
di 
qualsiasi 
pericolo di 
abuso e 
sulla 
rispecchiata 
figura 
del 
richiedente. Il 
porto d’armi 
può essere 
riconosciuto 
soltanto a 
fronte 
della 
perfetta 
e 
completa 
sicurezza 
circa 
il 
loro buon uso, in modo 
da 
scongiurare 
dubbi 
o perplessità, sotto il 
profilo prognostico, per l’ordine 
pubblico e 
per la 
tranquilla convivenza della collettività (Cons. Stato, sez. III, 20 gennaio 2023, n. 726). 
9. Gli 
elementi 
sopra 
rappresentati, letti 
in una 
visione 
unitaria 
e 
non atomistica, sono sufficienti 
a 
supportare 
l’impugnato diniego di 
iscrizione 
nella 
White 
list 
e 
l’interdittiva, con la 
conseguenza 
che 
il 
Collegio 
può 
prescindere 
dall’esaminare 
gli 
ulteriori 
singoli 
fatti 
contestati 
dall’appellante 
(ad es. avere 
o meno reagito all’estorsione), la 
cui 
fondatezza 
non sarebbe 
in 
grado di incidere sulla conclusione alla quale è pervenuto il Prefetto di napoli. 
Gli 
elementi 
di 
fatto valorizzati 
dal 
provvedimento prefettizio devono essere, infatti, valutati 
non atomisticamente, ma 
in chiave 
unitaria, secondo il 
canone 
inferenziale 
-che 
è 
alla 
base 
della 
teoria 
della 
prova 
indiziaria 
-quae 
singula 
non 
prosunt, 
collecta 
iuvant, 
al 
fine 
di 
valutare 
l’esistenza 
o meno di 
un pericolo di 
una 
permeabilità 
dell’impresa 
dell’appellante 
a 
possibili 
tentativi 
di 
infiltrazione 
da 
parte 
della 
criminalità 
organizzata, secondo la 
valutazione 
di 
tipo 
induttivo 
che 
la 
norma 
attributiva 
rimette 
al 
potere 
cautelare 
dell’amministrazione, 
il 
cui 
esercizio 
va scrutinato alla stregua. 
10. In conclusione, il 
coacervo di 
indizi 
che 
resistono ai 
motivi 
di 
appello sono sufficienti 
a 
supportare l’impugnata interdittiva. 
Come 
si 
è 
detto, la 
verifica 
della 
legittimità 
dell’informativa 
deve 
essere 
effettuata 
sulla 
base 
di 
una 
valutazione 
unitaria 
degli 
elementi 
e 
dei 
fatti 
che, visti 
nel 
loro complesso, possono 
costituire 
un’ipotesi 
ragionevole 
e 
probabile 
di 
permeabilità 
della 
singola 
impresa 
ad 
ingerenze 

RASSEGnA 
AVVoCAtURA 
DELLo 
StAto -n. 2/2023 


della 
criminalità 
organizzata 
di 
stampo mafioso sulla 
base 
della 
regola 
causale 
del 
“più probabile 
che 
non”, integrata 
da 
dati 
di 
comune 
esperienza, evincibili 
dall’osservazione 
dei 
fenomeni 
sociali 
(qual 
è 
quello 
mafioso), 
e 
che 
risente 
della 
estraneità 
al 
sistema 
delle 
informazioni 
antimafia 
di 
qualsiasi 
logica 
penalistica 
di 
certezza 
probatoria 
raggiunta 
al 
di 
là 
del 
ragionevole 
dubbio (Cons. Stato, sez. III, 20 aprile 
2022, n. 2985; 
id. 18 aprile 
2018, n. 
2343). 


11. L’infondatezza 
dei 
motivi 
dedotti 
avverso l’interdittiva 
del 
9 gennaio 2023 comporta 
la 
conferma 
dei 
provvedimenti 
di 
revoca 
degli 
otto 
finanziamenti 
disposti 
in 
data 
16 
gennaio 
2023 da 
omissis 
e 
della 
aggiudicazione 
disposta 
dal 
Comune 
di 
omissis 
con provvedimento 
n. 
omissis, 
nonché 
della 
annotazione 
al 
casellario 
informatico 
disposta 
dall’A.n.A.C., 
tutti 
impugnati per illegittimità derivata dalla asserita illegittimità del provvedimento prefettizio. 
12. Le 
questioni 
vagliate 
esauriscono la 
vicenda 
sottoposta 
alla 
Sezione, essendo stati 
toccati 
tutti 
gli 
aspetti 
rilevanti 
a 
norma 
dell’art. 112 c.p.c. Gli 
argomenti 
di 
doglianza 
non espressamente 
esaminati 
sono stati, infatti, dal 
Collegio ritenuti 
non rilevanti 
ai 
fini 
della 
decisione 
e, 
comunque, inidonei a supportare una conclusione di segno diverso. 
13. Per il coacervo di ragioni sopra esposte l’appello deve essere respinto. 
Sussistono 
giusti 
motivi 
per 
disporre 
la 
compensazione 
delle 
spese 
e 
degli 
onorari 
del 
giudizio 
nei 
confronti 
delle 
parti 
costituite 
e 
per esonerare 
dalla 
rifusione 
delle 
spese 
nei 
confronti 
del 
Comune 
di 
omissis 
e 
della 
Autorità 
nazionale 
Anticorruzione 
-A.n.A.C., 
non 
costituiti 
in 
giudizio. 
P.Q.M. 
Il 
Consiglio di 
Stato in sede 
giurisdizionale 
(Sezione 
terza), definitivamente 
pronunciando 
sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge. 
Compensa 
le 
spese 
e 
gli 
onorari 
del 
giudizio nei 
confronti 
del 
Ministero dell’interno e 
del-
l’Ufficio territoriale 
del 
Governo di 
napoli 
e 
della 
omissis 
s.p.a.; 
nulla 
per le 
spese 
nei 
confronti 
del Comune di 
omissis 
e della 
Autorità nazionale 
Anticorruzione -A.n.A.C. 
ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa. 
Ritenuto che 
sussistano i 
presupposti 
di 
cui 
all’art. 52, comma 
1, d.lgs. 30 giugno 2003, n. 
196, 
a 
tutela 
dei 
diritti 
o 
della 
dignità 
della 
parte 
interessata, 
manda 
alla 
Segreteria 
di 
procedere 
all’oscuramento 
delle 
generalità 
nonché 
di 
qualsiasi 
altro 
dato 
idoneo 
ad 
identificare 
parte 
appellante. 
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 25 gennaio 2024. 



PareridelComitatoConsultivo
Provvedimento di rigetto dell’istanza d’iscrizione 
nelle 
White lists prefettizie ex art. 1, co. 52 bis l. n. 190/12 
e conseguenze in tema di revoca delle concessioni 
di sovvenzioni, finanziamenti e contributi pubblici 


Parere 
del 
22/12/2023-799040, al 34327/2023, 
avv. Giacomo 
aiello 


Con la 
nota 
che 
si 
riscontra 
codesto Ministero ha 
richiesto alla 
Scrivente 
un 
parere 
in 
relazione 
alle 
determinazioni 
da 
assumere 
nei 
confronti 
di 
un 
operatore 
economico 
beneficiario 
di 
un 
contributo 
pubblico 
nei 
cui 
confronti 
venga 
adottato un provvedimento di 
diniego di 
iscrizione 
nell’elenco dei 
fornitori, 
prestatori 
di 
servizi 
ed esecutori 
non soggetti 
a 
tentativo d’infiltrazione 
mafiosa (cd. White list) (1). 


Più 
in 
particolare 
codesto 
Ufficio 
ha 
chiesto 
se 
si 
debba 
procedere 
alla 
revoca 
dell’agevolazione 
sempre 
e 
comunque, ma 
entro il 
termine 
di 
prescrizione 
indicandosi 
nell’eventualità 
il 
termine 
della 
sua 
decorrenza, oppure 
se 
si 
debba 
considerare 
consolidata 
la 
posizione 
giuridica 
del 
privato in virtù del 
principio del legittimo affidamento ed in quali specifici casi e limiti. 


In considerazione 
degli 
aspetti 
trattati 
si 
è 
ritenuto opportuno estendere 
il 
quesito al 
Ministero dell’Interno, per la 
parte 
di 
sua 
competenza, il 
quale 
ha 
espresso 
il 
proprio 
avviso 
con 
nota 
del 
7 
novembre 
2023 
estesa 
per 
conoscenza 
a codesto Ufficio. 


Il 
predetto 
dicastero, 
nel 
ribadire 
che 
i 
contributi 
pubblici 
possono 
essere 
erogati 
solo 
se 
il 
beneficiario 
è 
in 
regola 
con 
la 
normativa 
antimafia 
e 
che 
gli 
stessi 
devono 
essere 
quindi 
revocati 
quando 
un’interdittiva 
antimafia 
venga 
emessa 
successivamente 
all’assegnazione 
del 
contributo, 
ha 
concluso 
in 
via 
generale 
che 
l’impresa 
beneficiaria 
del 
contributo 
non 
può 
invocare 


(1) Disciplinate dal DPCM 18 aprile 2013 entrato in vigore il 14 agosto 2013. 

rASSeGnA 
AvvOCAtUrA 
DeLLO 
StAtO -n. 2/2023 


una 
tutela 
dell’affidamento 
nelle 
ipotesi 
in 
cui 
il 
quadro 
indiziario 
emerso 
dalle 
informative 
antimafia 
sia 
tale 
da 
lasciare 
intravedere 
il 
pericolo 
di 
infiltrazioni 
malavitose. 


Sulla 
base 
degli 
elementi 
di 
valutazione 
raccolti 
in 
esito 
all’istruttoria 
svolta, al 
fine 
di 
rispondere 
ai 
predetti 
quesiti 
appare 
preliminarmente 
necessario 
richiamare la disciplina applicabile ai casi di specie. 


Il 
primo comma 
dell’art. 67 del 
D.lgs. n. 159/2011 prevede 
che 
“le 
persone 
alle 
quali 
sia 
stata 
applicata 
con 
provvedimento 
definitivo 
una 
delle 
misure 
di 
prevenzione 
previste 
dal 
libro i, titolo i, capo ii non possono ottenere: 


a) 
licenze o autorizzazioni di polizia e di commercio; 
b) 
concessioni 
di 
acque 
pubbliche 
e 
diritti 
ad esse 
inerenti 
nonché 
concessioni 
di 
beni 
demaniali 
allorché 
siano richieste 
per 
l’esercizio di 
attività 
imprenditoriali; 
c) 
concessioni 
di 
costruzione 
e 
gestione 
di 
opere 
riguardanti 
la pubblica 
amministrazione e concessioni di servizi pubblici; 
d) 
iscrizioni 
negli 
elenchi 
di 
appaltatori 
o 
di 
fornitori 
di 
opere, 
beni 
e 
servizi 
riguardanti 
la pubblica amministrazione, nei 
registri 
della camera di 
commercio per 
l’esercizio del 
commercio all’ingrosso e 
nei 
registri 
di 
commissionari 
astatori presso i mercati annonari all’ingrosso; 
e) 
attestazioni di qualificazione per eseguire lavori pubblici; 
f) 
altre 
iscrizioni 
o provvedimenti 
a contenuto autorizzatorio, concesso-
rio, o abilitativo per 
lo svolgimento di 
attività imprenditoriali, comunque 
denominati; 
g) 
contributi, finanziamenti 
o mutui 
agevolati 
ed altre 
erogazioni 
dello 
stesso tipo, comunque 
denominate, concessi 
o erogati 
da parte 
dello Stato, 
di 
altri 
enti 
pubblici 
o delle 
Comunità europee, per 
lo svolgimento di 
attività 
imprenditoriali; 
h) 
licenze 
per 
detenzione 
e 
porto 
d’armi, 
fabbricazione, 
deposito, 
vendita 
e trasporto di materie esplodenti”. 
L’applicazione 
delle 
speciali 
misure 
di 
prevenzione 
è 
regolata 
dagli 
articoli 
da 4 a 9 del D.lgs. 159/2011 e rientra nella competenza dell’AGO. 


Il 
primo comma 
dell’art. 83 del 
medesimo D.lgs. n. 159/2011 impone 
invece 
alle 
“pubbliche 
amministrazioni 
e 
gli 
enti 
pubblici, 
anche 
costituiti 
in 
stazioni 
uniche 
appaltanti, gli 
enti 
e 
le 
aziende 
vigilati 
dallo Stato o da altro 
ente 
pubblico 
e 
le 
società 
o 
imprese 
comunque 
controllate 
dallo 
Stato 
o 
da 
altro ente 
pubblico nonché 
i 
concessionari 
di 
lavori 
o di 
servizi 
pubblici”, di 
acquisire 
la 
documentazione 
antimafia 
di 
cui 
all’articolo 
84 
prima 
di 
stipulare, 
approvare 
o 
autorizzare 
i 
contratti 
e 
subcontratti 
relativi 
a 
lavori, 
servizi 
e 
forniture 
pubblici, 
ovvero 
prima 
di 
rilasciare 
o 
consentire 
i 
provvedimenti 
indicati 
nell’articolo 67. 


L’art. 
84 
D.lgs. 
159/2011 
distingue 
poi 
tra 
comunicazione 
ed 
informativa 
antimafia. 



PArerI 
DeL 
COMItAtO 
COnSULtIvO 


Mentre 
la 
prima 
consiste 
nell’attestazione 
della 
sussistenza 
o 
meno 
di 
una 
delle 
cause 
di 
decadenza, di 
sospensione 
o di 
divieto di 
cui 
all’articolo 67, la 
seconda 
coincide 
con la 
prima 
per quanto riguarda 
l’attestazione 
della 
sussistenza 
o meno di 
una 
delle 
cause 
di 
decadenza, di 
sospensione 
o di 
divieto di 
cui 
all’articolo 67, a 
cui 
però si 
aggiunge, fatto salvo quanto previsto dall’articolo 
91, comma 
6, l’attestazione 
della 
sussistenza 
o meno di 
eventuali 
tentativi 
di 
infiltrazione 
mafiosa 
tendenti 
a 
condizionare 
le 
scelte 
e 
gli 
indirizzi 
delle società o imprese interessate indicati nel comma 4 
(2). 


Quest’ultimo 
descrive 
il 
tentativo 
di 
infiltrazione 
mafiosa 
nell’ambito 
delle 
seguenti 
fattispecie: 
“le 
situazioni 
relative 
ai 
tentativi 
di 
infiltrazione 
mafiosa 
che 
danno 
luogo 
all’adozione 
dell’informazione 
antimafia 
interdittiva 
di cui al comma 3 sono desunte: 


a) 
dai 
provvedimenti 
che 
dispongono 
una 
misura 
cautelare 
o 
il 
giudizio, 
ovvero 
che 
recano 
una 
condanna 
anche 
non 
definitiva 
per 
taluni 
dei 
delitti 
di 
cui 
agli 
articoli 
353, 
353-bis, 
603-bis, 
629, 
640-bis, 
644, 
648-bis, 
648-ter 
del 
codice 
penale, 
dei 
delitti 
di 
cui 
all’articolo 
51, 
comma 
3-bis, 
del 
codice 
di 
procedura 
penale 
e 
di 
cui 
all’articolo 
12-quinquies 
del 
decreto-legge 
8 
giugno 
1992, 
n. 
306 
convertito, 
con 
modificazioni, 
dalla 
legge 
7 
agosto 
1992, 
n. 
356; 
(224) 
b) 
dalla 
proposta 
o 
dal 
provvedimento 
di 
applicazione 
di 
taluna 
delle 
misure 
di prevenzione; 
c) 
salvo 
che 
ricorra 
l’esimente 
di 
cui 
all’articolo 
4 
della 
legge 
24 
novembre 
1981, n. 689, dall’omessa denuncia all’autorità giudiziaria dei 
reati 
di 
cui 
agli 
articoli 
317 
e 
629 
del 
codice 
penale, 
aggravati 
ai 
sensi 
dell’articolo 
7 
del 
decreto-legge 
13 
maggio 
1991, 
n. 
152, 
convertito, 
con 
modificazioni, 
dalla legge 
12 luglio 1991, n. 203, da parte 
dei 
soggetti 
indicati 
nella lettera 
b) dell’articolo 38 del 
decreto legislativo 12 aprile 
2006, n. 163, anche 
in assenza 
nei 
loro confronti 
di 
un procedimento per 
l’applicazione 
di 
una misura 
di prevenzione o di una causa ostativa ivi previste; 
d) 
dagli 
accertamenti 
disposti 
dal 
prefetto anche 
avvalendosi 
dei 
poteri 
(2) Il 
sistema 
della 
informativa 
disciplinato dall’art. 10, commi 
2 e 
7, del 
d.P.r. 3 giugno 1998 n. 
252 e 
dall’art. 4, commi 
4 e 
6 del 
d.lg. 8 agosto 1994, n. 490, costituisce 
la 
massima 
anticipazione 
di 
tutela 
preventiva 
intesa 
come 
risposta 
dello Stato verso il 
crimine 
organizzato, al 
fine 
di 
difendere 
le 
istituzioni 
e, 
conseguentemente, 
la 
collettività, 
da 
organizzazioni 
criminali 
come 
la 
mafia, 
che 
si 
caratterizzano 
per 
il 
peculiare 
«mimetismo» 
che 
consente 
loro 
di 
agire, 
per 
lo 
più, 
non 
militarmente 
contro le 
istituzioni 
democratiche, ma 
sforzandosi 
di 
condizionarne 
l’operato, piegandolo ai 
propri 
interessi 
ed aumentando così, per tale 
tramite, la 
propria 
capacità 
eversiva 
e 
di 
controllo criminale 
del 
territorio; 
proprio in ragione 
delle 
peculiarità 
del 
fenomeno mafioso, l’informazione 
prefettizia 
prescinde 
dall’accertamento, in sede 
penale, di 
uno o più reati 
connessi 
all’associazione 
di 
tipo mafioso e 
non richiede, 
non postula 
la 
prova 
di 
fatti 
di 
reato o della 
effettiva 
infiltrazione 
mafiosa 
nell’impresa, essendo 
sufficiente 
il 
«tentativo di 
infiltrazione», avente 
lo scopo di 
condizionare 
le 
scelte 
dell’impresa, anche 
se 
tale 
scopo 
non 
si 
è 
in 
concreto 
realizzato; 
pur 
tuttavia 
è 
insufficiente 
a 
fondare 
l’informativa 
antimafia 
la 
circostanza 
che 
tre 
soci 
della 
impresa 
oggetto di 
valutazione 
siano in rapporto di 
parentela 
o affinità 
con soggetti 
imputati 
di 
reati 
di 
mafia, in mancanza 
di 
ulteriori 
elementi 
idonei, o anche 
semplici 
indizi 
significativi (t.a.r. Catania, sez. Iv, 22 maggio 2009, n. 941). 

rASSeGnA 
AvvOCAtUrA 
DeLLO 
StAtO -n. 2/2023 


di 
accesso 
e 
di 
accertamento 
delegati 
dal 
ministro 
dell’interno 
ai 
sensi 
del 
decreto-legge 
6 settembre 
1982, n. 629, convertito, con modificazioni, dalla 
legge 
12 ottobre 
1982, n. 726, ovvero di 
quelli 
di 
cui 
all’articolo 93 del 
presente 
decreto; 


e) dagli 
accertamenti 
da effettuarsi 
in altra provincia a cura dei 
prefetti 
competenti su richiesta del prefetto procedente ai sensi della lettera d); 
f) 
dalle 
sostituzioni 
negli 
organi 
sociali, 
nella 
rappresentanza 
legale 
della 
società 
nonché 
nella 
titolarità 
delle 
imprese 
individuali 
ovvero 
delle 
quote 
societarie, 
effettuate 
da chiunque 
conviva stabilmente 
con i 
soggetti 
destinatari 
dei 
provvedimenti 
di 
cui 
alle 
lettere 
a) e 
b), con modalità che, per 
i 
tempi 
in 
cui 
vengono 
realizzati, 
il 
valore 
economico 
delle 
transazioni, 
il 
reddito 
dei 
soggetti 
coinvolti 
nonché 
le 
qualità 
professionali 
dei 
subentranti, 
denotino 
l’intento di eludere la normativa sulla documentazione antimafia”. 
Giova 
in 
proposito 
rammentare 
che 
l’informativa 
antimafia 
ex 
art. 
10 
comma 
7 lett. c), d.P.r. n. 252 del 
1998 ha 
per oggetto la 
individuazione 
di 
circostanze 
dalle 
quali 
l’autorità 
prefettizia 
trae 
un 
giudizio 
che 
è 
di 
sola 
“possibilità” 
che 
le 
organizzazioni 
criminali 
esercitino 
influenza 
nella 
gestione 
dell’impresa. 


rispetto 
all’informativa 
antimafia 
infatti, 
“il 
giudice 
amministrativo 
è 
chiamato 
a 
valutare 
la 
gravità 
del 
quadro 
indiziario, 
posto 
a 
base 
della 
valutazione 
prefettizia 
in 
ordine 
al 
pericolo 
di 
infiltrazione 
mafiosa, 
e 
il 
suo 
sindacato 
sull’esercizio 
del 
potere 
prefettizio, 
con 
un 
pieno 
accesso 
ai 
fatti 
rivelatori 
del 
pericolo, 
consente 
non 
solo 
di 
sindacare 
l’esistenza 
o 
meno 
di 
questi 
fatti, 
che 
devono 
essere 
gravi, 
precisi 
e 
concordanti, 
ma 
di 
apprezzare 
la 
ragionevolezza 
e 
la 
proporzionalità 
della 
prognosi 
inferenziale 
che 
l’autorità 
amministrativa 
trae 
da 
quei 
fatti 
secondo 
un 
criterio 
che, 
necessariamente, 
è 
probabilistico 
per 
la 
natura 
preventiva, 
e 
non 
sanzionatoria, 
della 
misura 
in 
esame” 
(t.a.r. 
Catanzaro, 
sez. 
I, 
6 
febbraio 
2023, 
n. 
185; 
t.a.r. 
Catania, 
Sez. 
Iv, 
14 
febbraio 
2023, 
n. 
444). 


Per 
l’interdittiva 
antimafia 
non 
è 
infatti 
richiesta 
la 
prova 
dell’attualità 
delle 
infiltrazioni 
mafiose, 
dovendosi 
solo 
dimostrare 
la 
sussistenza 
di 
elementi 
dai 
quali 
è 
deducibile, secondo il 
principio del 
“più probabile 
che 
non” 
il 
tentativo di 
ingerenza, o una 
concreta 
verosimiglianza 
dell’ipotesi 
di 
condizionamento 
sulla 
società 
da 
parte 
di 
soggetti 
uniti 
da 
legami 
con cosche 
mafiose, 
e 
dell’attualità 
e 
concretezza 
del 
rischio 
(cfr. 
Consiglio 
di 
Stato, 
sez. 
III, 
22 maggio 2023, n. 5024; Sez. III, 1 dicembre 2023, n. 10427). 


In 
forza 
di 
tale 
giudizio, 
qualora 
giustificato 
da 
circostanze 
oggettive, 
l’ordinamento ammette 
che 
l’ordinaria 
capacità 
d’agire 
dell’operatore 
economico 
venga 
sottoposta 
ad un limite 
autoritativo, che 
impedisce 
la 
conclusione 
di contratti con la p.a. 


Più in particolare 
si 
è 
ritenuto che 
il 
provvedimento di 
interdittiva 
antimafia 
determina 
una 
particolare 
forma 
di 
incapacità 
ex 
lege, 
parziale 
(in 
quanto 



PArerI 
DeL 
COMItAtO 
COnSULtIvO 


limitata 
a 
specifici 
rapporti 
giuridici 
con 
la 
PA) 
e 
tendenzialmente 
temporanea, 
il 
che 
impedisce 
al 
soggetto che 
ne 
è 
attinto di 
pretendere 
somme 
anche 
di 
natura 
risarcitoria 
e 
perfino 
scaturenti 
dall’actio 
judicati 
(Consiglio 
di 
Stato, 
Ad. 
Plen., 6 aprile 2018, n. 3) (3). 


tuttavia, 
in 
quanto 
volto 
a 
prevenire 
un 
rischio, 
l’apprezzamento 
dell’Autorità 
ha 
ad oggetto tipicamente 
un giudizio di 
pericolo, che 
concretizza 
l’anticipazione 
della 
soglia 
di 
tutela 
ad 
un 
livello 
di 
sicurezza 
particolarmente 
elevato, fondato su presupposti 
di 
carattere 
prognostico e 
probabilistico, ma 
non di 
certezza, né 
-quanto all’oggetto -di 
accertamento di 
una 
condizione 
effettiva di interrelazione tra l’imprenditore ed ambienti criminali. 


In altre 
parole, l’effetto tipico dell’interdittiva 
è 
non già 
l’accertamento 
della 
“criminalità” 
dell’imprenditore 
o della 
sua 
vicinanza 
collaborativa 
con 
organizzazioni 
criminali, bensì 
la 
individuazione 
del 
solo “rischio” 
che 
l’impresa 
non sia libera di determinarsi. 


trattandosi 
di 
un giudizio circa 
un pericolo concreto e 
non astratto, esso 
va 
condotto secondo i 
rigorosi 
limiti 
che 
il 
Legislatore 
attribuisce 
all’istituto, 
tra 
i 
quali 
(oltre 
quello che 
richiede, in presenza 
di 
una 
fattispecie 
di 
illecito a 
forma 
libera, una 
motivazione 
“forte” 
del 
provvedimento, a 
bilanciamento di 
una 
previsione 
normativa 
corrispondentemente 
“povera”, ossia 
non compiutamente 
tipizzata 
dal 
legislatore) 
quello 
che 
prevede 
che 
l’esercizio 
del 
potere 
interdittivo 
sia 
riservato 
a 
contratti 
di 
valore 
al 
di 
sopra 
di 
una 
certa 
soglia 


(t.a.r. reggio Calabria, sez. I, 13 febbraio 2012, n. 147). 
La 
giurisprudenza 
amministrativa 
è 
pervenuta 
nel 
corso 
del 
tempo 
alla 
conclusione 
pressocchè 
unanime 
che: 
“il 
diniego 
di 
iscrizione 
nell’elenco 
dei 
fornitori, 
prestatori 
di 
servizi 
ed 
esecutori 
non 
soggetti 
a 
tentativo 
di 
infiltrazione 
mafiosa 
(la 
c.d. 
white 
list) 
è 
disciplinato 
dagli 
stessi 
principi 
che 
regolano 
l’interdittiva 
antimafia, 
in 
quanto 
si 
tratta 
di 
misure 
volte 
alla 
salvaguardia 
del-
l’ordine 
pubblico 
economico, 
della 
libera 
concorrenza 
tra 
le 
imprese 
e 
del 
buon 
andamento 
della 
Pubblica 
amministrazione. 
in 
relazione 
al 
diniego 
di 
iscrizione 
nella 
white 
list, 
è 
sufficiente 
il 
pericolo 
di 
infiltrazione 
mafiosa 
fondato 
su 
un 
numero 
di 
indizi 
tale 
da 
rendere 
logicamente 
attendibile 
la 
presunzione 
del-
l’esistenza 
di 
un 
condizionamento 
da 
parte 
della 
criminalità 
organizzata” 
(Cfr. 
da 
ultimo 
t.a.r. 
Catania 
sez. 
Iv 
14 
febbraio 
2023, 
n. 
414) 
(4). 


(3) In proposito è 
opportuno rammentare 
che 
l’Adunanza 
Plenaria 
del 
Consiglio di 
Stato si 
è 
pronunciata 
in relazione 
ad un’ipotesi 
nella 
quale 
si 
discuteva 
della 
possibilità 
di 
erogare 
somme 
di 
danaro 
spettanti 
a 
titolo di 
risarcimento del 
danno in favore 
di 
un soggetto attinto prima della definizione 
del 
giudizio risarcitorio 
da 
un’informativa 
antimafia 
conosciuta solo successivamente 
alla formazione 
del giudicato 
e taciuta dal soggetto stesso. 
(4) Il 
diniego di 
iscrizione 
nell’elenco dei 
fornitori, prestatori 
di 
servizi 
ed esecutori 
non soggetti 
a 
tentativo 
di 
infiltrazione 
mafiosa 
é 
disciplinato 
dagli 
stessi 
principi 
che 
regolano 
l’interdittiva 
antimafia, 
in quanto si 
tratta 
di 
misure 
volte 
alla 
salvaguardia 
dell’ordine 
pubblico economico, della 
libera 
concorrenza 
tra 
le 
imprese 
e 
del 
buon andamento della 
Pubblica 
amministrazione 
(Consiglio di 
Stato sez. 
III 9 aprile 2021, n. 2899). 

rASSeGnA 
AvvOCAtUrA 
DeLLO 
StAtO -n. 2/2023 


Analoghi 
principi 
sono 
stati 
affermati 
dal 
Giudice 
penale 
il 
quale 
ha 
statuito 
che: 
“in 
materia 
di 
misure 
di 
prevenzione, 
la 
richiesta 
di 
controllo 
giudiziario 
dell’azienda 
ai 
sensi 
dell’art. 
34-bis, 
comma 
6, 
d.lg. 
6 
settembre 
2011, 
n. 
159, 
può 
essere 
proposta 
dal 
destinatario 
del 
rigetto 
della 
richiesta 
di 
iscrizione 
nelle 
cd. 
“white 
list” 
o 
del 
suo 
rinnovo, 
in 
ragione 
dell’equivalenza 
dei 
presupposti 
legittimanti 
il 
diniego 
di 
quella 
iscrizione 
con 
quelli 
a 
fondamento 
dell’interdittiva 
antimafia” 
(Cassazione 
penale 
sez. 
II 
17 
novembre 
2022, 
n. 
2156). 


Lo 
scopo 
della 
normativa 
appare 
comunque 
quello 
di 
realizzare 
un 
bilanciamento 
tra 
i 
valori 
costituzionali 
della 
salvaguardia 
dell’ordine 
pubblico 
economico, 
della 
libera 
concorrenza 
tra 
le 
imprese 
e 
del 
buon andamento della 
Pubblica 
amministrazione 
(conf. 
Cassazione 
penale, 
sez. 
II, 
17 
novembre 
2022, n. 2156; 
t.a.r., roma, sez. II, 28 febbraio 2023, n. 3385). 


Una 
volta 
appurata 
la 
sostanziale 
equivalenza 
tra 
l’informativa 
antimafia 
interdittiva 
ed il 
diniego d’iscrizione 
nella 
white 
list 
(5), occorre 
valutare 
gli 
effetti 
di 
quest’ultimo nel 
rapporto giuridico che 
si 
instaura 
a 
seguito del 
riconoscimento 
di 
una 
contribuzione 
pubblica 
in 
favore 
di 
un 
operatore 
economico, 
secondo le 
varie 
scansioni 
temporali 
in cui 
si 
articola 
la 
sua 
erogazione. 


Se 
infatti 
appare 
pacifico che, quando il 
diniego interviene 
dopo l’emissione 
del 
decreto 
di 
riconoscimento 
del 
contributo, 
ma 
prima 
della 
sua 
concreta 
erogazione, 
è 
sufficiente 
disporne 
la 
revoca, 
un 
maggiore 
approfondimento 
meritano 
le 
diverse 
ipotesi 
nelle 
quali 
vi 
sia 
stata 
anche 
la 
parziale 
o 
totale 
erogazione del contributo. 


nel 
caso 
di 
parziale 
erogazione 
del 
contributo, 
il 
diniego 
d’iscrizione 
nella 
white 
list 
impedirà 
il 
pagamento 
delle 
rate 
successive 
e 
determinerà 
l’obbligo 
di recupero di quanto già versato. 


Quando invece 
il 
contributo sia 
stato già 
erogato nella 
sua 
interezza, bisogna 
anzitutto precisare 
che 
non può essere 
legittimamente 
evocata 
alcuna 
lesione 
dell’affidamento dell’interessato laddove 
l’interdittiva 
prefettizia 
sia 
stata 
comminata 
prima 
ancora 
che 
l’intera 
cifra 
finanziata 
fosse 
corrisposta 
e 
la 
successiva 
revoca 
del 
finanziamento 
si 
è 
sì 
perfezionata 
a 
distanza 
di 
tempo, 
ma 
in ragione 
della 
necessità 
di 
attendere 
gli 
esiti 
dei 
ricorsi 
legittimamente 


L’informazione 
antimafia 
e 
con essa 
i 
conseguenti 
provvedimenti 
negativi, quali 
il 
diniego di 
iscrizione 
nelle 
c.d. White 
list, implica 
una 
valutazione 
discrezionale 
da 
parte 
dell’autorità 
prefettizia 
in merito al 
pericolo di 
infiltrazione 
da 
parte 
delle 
organizzazioni 
criminali, capace 
di 
condizionare 
le 
scelte 
e 
gli 
indirizzi 
dell’impresa; 
pericolo 
che 
deve 
essere 
valutato 
secondo 
un 
ragionamento 
induttivo, 
di 
tipo 
probabilistico, 
che 
non 
richiede 
di 
attingere 
un 
livello 
di 
certezza 
oltre 
ogni 
altro 
ragionevole 
dubbio, 
tipica 
dell’accertamento 
finalizzato 
ad 
affermare 
la 
responsabilità 
penale, 
e 
quindi 
fondato 
su 
prove, 
ma 
implica 
una 
prognosi 
assistita 
da 
un 
attendibile 
grado 
di 
verosimiglianza, 
sulla 
base 
di 
indizi 
gravi, 
precisi 
e 
concordanti, sì 
da 
far ritenere 
più probabile 
che 
non appunto il 
pericolo di 
infiltrazione 
mafiosa 
(t.a.r. 
napoli sez. I 2 febbraio 2021, n. 691). 


(5) 
Iscrizione 
che 
si 
rende 
obbligatoria 
per 
tutte 
le 
imprese 
che 
svolgono 
le 
attività 
indicate 
nell’art. 
1, comma 53 della 1. n. 190/2012. 

PArerI 
DeL 
COMItAtO 
COnSULtIvO 


proposti 
avverso la 
ripetuta 
interdittiva 
(così 
t.a.r., reggio Calabria 
sez. I, 11 
maggio 2020, n. 332). 


Più 
in 
generale 
secondo 
la 
consolidata 
giurisprudenza 
amministrativa, 
elaborata 
con riferimento a 
questi 
casi, in presenza 
di 
informative 
tipiche 
successive, 
le 
determinazioni 
amministrative 
in ordine 
alla 
revoca 
dei 
finanziamenti 
per 
lo 
svolgimento 
di 
attività 
imprenditoriali 
assumono 
di 
regola 
carattere 
vincolato (6), non potendo l’ordinamento tollerare, per evidenti 
ragioni 
di 
ordine 
pubblico 
e 
di 
tutela 
dell’Amministrazione 
dai 
condizionamenti 
della 
criminalità 
organizzata, la 
sopravvivenza 
di 
rapporti 
di 
tipo concessorio 
con imprese interessate da tentativi di infiltrazione mafiosa (7). 


Con riferimento, invece, ai 
rapporti 
esauriti 
descritti 
nella 
nota 
che 
si 
riscontra, 
rispetto ai 
quali 
sia 
decorso il 
termine 
triennale 
o quinquennale 
dalla 
conclusione/entrata 
in 
funzione 
dell’investimento, 
del 
termine 
di 
mantenimento 
obbligatorio dei 
beni 
agevolati 
(legge 
n. 488/92, Contratti 
di 
sviluppo 
etc.), 
ovvero 
vi 
sia 
stato 
l’integrale 
rimborso 
del 
finanziamento 
agevolato 
concesso 
(legge 
46/82, PIA 
Innovazione, etc.), o ancora 
sia 
intervenuta 
l’erogazione 
delle 
quote 
annuali 
di 
contributo 
collegate 
al 
piano 
di 
ammortamento 
(nuova 
Sabatini), 
occorre 
valutare 
se 
l’eventuale 
recupero 
del 
contributo 
deve 
essere 
contemperato con il 
principio del 
legittimo affidamento del 
suo beneficiario. 


Occorre 
anzitutto premettere 
che 
per rapporto esaurito si 
deve 
intendere 
quella 
situazione 
giuridica 
consolidata 
ed intangibile 
che 
in relazione 
alla 
casistica 
esaminata 
si 
connota 
per il 
pieno adempimento delle 
obbligazioni 
giuridiche 
poste 
a 
carico del 
beneficiario del 
contributo il 
quale 
di 
regola 
viene 
accertato 
a 
seguito 
di 
controlli 
effettuati 
dall’Amministrazione 
sulla 
rendicontazione 
degli interventi finanziati. 


Il 
pagamento del 
saldo da 
parte 
dell’Amministrazione 
si 
accompagna 
infatti 
al 
positivo superamento di 
tutte 
le 
verifiche 
prescritte 
dalle 
singole 
leggi 
di spesa. 


L’esaurimento 
del 
rapporto 
attesta 
peraltro 
anche 
il 
raggiungimento 
delle 
finalità 
economiche 
e 
sociali 
che 
le 
disposizioni 
di 
sostegno finanziario della 
politica industriale intendono conseguire. 


Applicando 
i 
richiamati 
criteri 
ermeneutici 
a 
queste 
specifiche 
fattispecie 


(6) Il 
che 
porta 
al 
di 
fuori 
dell’ambito della 
revoca 
prevista 
dall’art. 21 
quinquies 
L. n. 241 del 
1990 che è un atto di autotutela decisoria, con effetti caducatori 
ex nunc. 
(7) La 
giurisprudenza 
è 
del 
resto pacifica 
nell’affermare 
che 
“è 
preclusa 
al 
soggetto colpito dal-
l’interdittiva 
antimafia 
ogni 
possibilità 
di 
ottenere 
contributi, finanziamenti 
e 
mutui 
agevolati 
ed altre 
erogazioni 
dello stesso tipo, comunque 
denominate, concessi 
o erogati 
da 
parte 
dello Stato, di 
altri 
enti 
pubblici 
o delle 
Comunità 
europee, per lo svolgimento di 
attività 
imprenditoriali, stante 
l’esigenza 
di 
evitare 
ogni 
esborso 
di 
matrice 
pubblicistica 
in 
favore 
di 
imprese 
soggette 
ad 
infiltrazioni 
criminali” 
(cfr. t.a.r. Lazio roma 
Sez. Iv, 11 dicembre 
2023, n. 18550; 
Cons. St. Sez. III, 4 marzo 2019, n. 1500, 
nonché Cons. St. Ad. Plen., 6 aprile 2018, n. 3; 
t.a.r. Piemonte, Sez. I, 20 gennaio 2020, n. 52). 

rASSeGnA 
AvvOCAtUrA 
DeLLO 
StAtO -n. 2/2023 


si 
deve 
ritenere 
che 
la 
speciale 
incapacità 
giuridica, 
accertata 
a 
seguito 
del-
l’emissione 
dell’informativa 
interdittiva 
determina 
l’obbligo della 
ripetizione 
del 
contributo pubblico laddove, la 
stessa 
sussista 
nel 
momento della 
concessione 
o dell’erogazione del saldo del contributo medesimo. 


Appare 
corretto 
riferirsi 
esclusivamente 
a 
tali 
momenti 
e 
non 
anche 
al 
momento di 
scadenza 
del 
termine 
triennale 
o quinquennale 
di 
mantenimento 
dell’investimento 
previsto 
da 
talune 
misure 
agevolative, 
ponendosi 
questa 
circostanza 
quale 
condizione 
risolutiva 
dell’efficacia 
del 
finanziamento che 
tuttavia 
non 
incide 
sul 
suo 
pieno 
perfezionamento 
che 
risale 
necessariamente 
alla 
sua concessione o dell’erogazione del saldo. 


rispetto alle 
ipotesi 
nelle 
quali 
l’informativa 
interdittiva 
interviene 
in un 
momento 
successivo 
all’esaurimento 
del 
rapporto, 
occorre 
verificare 
se 
la 
stessa 
dipenda 
da 
fatti 
cronologicamente 
antecedenti 
o successivi 
ai 
due 
momenti 
sopra indicati. 


nel 
primo caso dovrà 
procedersi 
senza 
dubbio al 
recupero del 
contributo 
non potendosi 
opporre 
alcun legittimo affidamento del 
soggetto beneficiario 
posto che 
la 
costante 
giurisprudenza 
ha 
chiarito che, in materia 
di 
erogazione 
di 
fondi, affinché 
vi 
sia 
un affidamento legittimo e, dunque, tutelabile, sono 
necessari 
non solo un requisito oggettivo, che 
coincide 
con la 
necessità 
che 
il 
vantaggio sia 
chiaramente 
attribuito da 
un atto all’uopo rivolto e 
che 
sia 
decorso 
un 
arco 
temporale 
tale 
da 
ingenerare 
l’aspettativa 
del 
suo 
consolidamento, 
ma 
anche 
un requisito soggettivo, che 
coincide 
con la 
buona 
fede 
non 
colposa 
del 
destinatario 
del 
vantaggio 
(cfr. 
Consiglio 
di 
Stato, 
sezione 
III, 
sentenza 
8 luglio 2020, n. 4392), sicché 
l’affidamento non è 
legittimo ove 
chi 
lo 
invoca versi in una situazione di dolo o colpa. 


Occorre 
inoltre 
rilevare 
che 
di 
regola 
il 
finanziamento 
viene 
concesso 
sotto la 
condizione 
risolutiva 
del 
possesso dell’iscrizione 
nell’elenco (8), con 
l’unico limite 
della 
prescrizione 
decennale 
ex art. 2946 c.c., previsto per la 
ripetizione 
dell’indebito oggettivo. 


Quanto 
alla 
sua 
decorrenza, 
si 
ritiene 
che 
il 
dies 
a 
quo 
coincida 
con 
il 
momento 
dell’avvenuto 
pagamento 
del 
saldo 
posto 
che 
l’impossibilità 
di 
far 
valere 
il 
diritto, 
alla 
quale 
l’art. 
2935 
cod. 
civ. 
attribuisce 
rilevanza 
di 
fatto 
impeditivo 
della 
decorrenza 
della 
prescrizione, 
è 
solo 
quella 
che 
deriva 
da 
cause 
giuridiche 
che 
ne 
ostacolino 
l’esercizio 
e 
non 
comprende 
anche 
gli 
impedimenti 
soggettivi 
o 
gli 
ostacoli 
di 
mero 
fatto, 
per 
i 
quali 
il 
successivo 
art. 
2941 
cod. 
civ. 
prevede 
solo 
specifiche 
e 
tassative 
ipotesi 
di 
sospensione, 


(8) A 
tale 
ipotesi 
deve 
ritenersi 
parificata 
quella 
in cui 
negli 
atti 
di 
concessione 
viene 
specificato 
che 
la 
stessa 
può 
essere 
revocata 
quando 
il 
beneficiario 
perde 
i 
requisiti 
di 
ammissibilità 
all’agevolazione 
previsti 
dalla 
normativa 
di 
riferimento (come 
ad esempio stabilito dal 
Decreto MISe 
del 
23 settembre 
2005 che 
all’art. 6.7 chiarisce 
che 
l’ammissione 
all’intervento del 
fondo è 
assoggettata 
alla 
vigente 
normativa 
antimafia (Cons. St. Sez. vI 26 luglio 2023, n. 7317). 

PArerI 
DeL 
COMItAtO 
COnSULtIvO 


tra 
le 
quali, 
salva 
l’ipotesi 
di 
dolo 
prevista 
dal 
n. 
8 
del 
citato 
articolo, 
non 
rientra 
l’ignoranza, 
da 
parte 
del 
titolare, 
del 
fatto 
generatore 
del 
suo 
diritto 
(come 
nel 
caso 
della 
sopravvenuta 
conoscenza 
da 
parte 
dell’Amministrazione 
dell’intervenuto 
diniego 
d’iscrizione 
nella 
white 
list), 
il 
dubbio 
soggettivo 
sull’esistenza 
di 
tale 
diritto, 
né 
il 
ritardo 
indotto 
dalla 
necessità 
del 
suo 
accertamento 
(9). 


A 
questo proposito è 
utile 
richiamare 
la 
più recente 
giurisprudenza 
amministrativa 
laddove 
ha 
ritenuto che, anche 
nell’ipotesi 
in cui 
l’accertamento 
dell’incapacità 
giuridica 
del 
soggetto beneficiario (dovuta 
al 
rilascio dell’informativa 
interdittiva) intervenga 
successivamente 
all’erogazione 
del 
contributo, 
si 
deve 
escludere 
che 
“possa 
esservi 
legittima 
ritenzione 
delle 
somme” 
(Cons. St. Ad. Plen. n. 23/2020). 


La 
medesima 
giurisprudenza 
aggiunge 
poi 
che 
il 
rapporto tra 
la 
PA 
ed il 
beneficiario del 
contributo deve 
ritenersi 
precario, senza 
che 
possa 
insorgere 
il suo affidamento sul mantenimento del beneficio. 


Il 
problema 
di 
realizzare 
un 
giusto 
bilanciamento 
tra 
l’interesse 
alla 
tutela 
delle 
libera 
concorrenza 
senza 
i 
condizionamenti 
mafiosi 
e 
l’interesse 
alla 
continuità 
dell’azione 
d’impresa 
ed alla 
stabilità 
dei 
rapporti 
economici, emerge 
con particolare 
risalto nel 
diverso caso in cui 
l’informativa 
interdittiva, intervenuta 
successivamente 
all’esaurimento 
del 
rapporto 
giuridico 
nei 
termini 
sopra 
richiamati 
e 
comunque 
riferita 
a 
fatti 
accertati 
dalla 
Prefettura 
risalenti 
ad un momento cronologicamente 
successivo a 
quello nel 
quale 
sia 
stato concesso 
ed 
erogato 
il 
finanziamento 
(ad 
esempio 
per 
un 
cambiamento 
della 
compagine 
sociale 
o 
della 
composizione 
soggettiva 
degli 
organi 
di 
amministrazione 
dell’impresa), 
spinge 
ad 
ipotizzare 
una 
soluzione 
parzialmente 
diversa. 


rispetto a 
questi 
casi 
ed in assenza 
di 
pronunciamenti 
giurisprudenziali 
espressi 
sul 
punto, 
si 
può 
infatti 
pervenire 
alla 
conclusione 
che 
l’incapacità 
giuridica, parziale 
e 
temporanea 
sopraggiunta 
debba 
essere 
valutata 
tenendo 
conto dell’indicazione 
degli 
elementi 
sintomatici 
dei 
tentativi 
di 
infiltrazione 
mafiosa, contenuta 
nel 
diniego d’iscrizione 
nella 
white 
list, a 
partire 
dai 
quali 
la stessa sia stata dichiarata. 


Come 
nel 
caso 
dell’interdizione 
o 
dell’inabilitazione 
che 
determina 
la 
totale 
o parziale 
incapacità 
giuridica 
ad agire 
della 
persona 
fisica 
con effetti 
ex 
nunc, si 
deve 
ritenere 
che 
il 
diniego d’iscrizione 
nella 
white 
list 
provochi 
l’incapacità 
ad avere 
rapporti 
con la 
PA 
della 
persona 
fisica 
o giuridica 
o anche 
degli 
enti 
collettivi 
a 
partire 
dai 
fatti 
valutati 
dalla 
Prefettura 
come 
rappresentativi 
di un giudizio prognostico di compromissione mafiosa. 


Alla 
luce 
di 
quanto 
precede 
codesta 
Amministrazione 
potrà 
valutare 
caso 
per caso di 
limitare 
eventualmente 
la 
retroattività 
degli 
effetti 
dell’interdittiva 


(9) Cfr. Cass. civ. Sez. lavoro Sent., 26 maggio 2015, n. 10828. 

rASSeGnA 
AvvOCAtUrA 
DeLLO 
StAtO -n. 2/2023 


fino a 
tali 
momenti, laddove 
gli 
stessi 
siano ben determinati 
dal 
punto di 
vista 
temporale, così 
evitando di 
dare 
luogo alla 
revoca 
del 
contributo con la 
sua 
conseguente ripetizione. 


**** 


trattandosi 
di 
questione 
di 
particolare 
rilevanza 
è 
stato 
sentito 
il 
Comitato 
Consultivo, che, nella 
seduta 
del 
21 dicembre 
2023, si 
è 
espresso in conformità. 



PArerI 
DeL 
COMItAtO 
COnSULtIvO 


Quesito in materia di successione nel tempo delle norme 
(regolamenti ue nn. 2023/461 e 2023/467 pubblicati 
nella Gazzetta ufficiale dell’unione europea) 


Parere 
del 
20/07/2023-482844, al 23738/2023, 
avv. maSSimo 
di 
Benedetto 


Con riferimento alla 
pratica 
in oggetto, ed esaminata 
la 
documentazione 
trasmessa, questa 
Avvocatura osserva quanto segue. 


Con 
nota 
del 
7 
giugno 
2023, 
codesto 
Dicastero 
esponeva 
che 
i 
regolamenti 
in oggetto, pubblicati 
nella 
Gazzetta 
ufficiale 
dell’Ue 
in data 
11 marzo 
2023, 
hanno 
modificato 
in 
modo 
rilevante 
i 
disciplinari 
di 
produzione 
delle 
Denominazioni 
di 
origine 
protetta 
“Prosciutto 
di 
Parma” 
e 
“Prosciutto 
San 
Daniele”. 


rilevato che 
i 
citati 
regolamenti 
non prevedono disposizioni 
transitorie, 
codesta 
Amministrazione 
richiedeva 
alla 
Scrivente 
di 
voler 
chiarire 
se 
i 
requisiti 
previsti 
dai 
nuovi 
disciplinari 
di 
produzione 
delle 
DOP 
“Prosciutto 
di 
Panna” 
e 
“San 
Daniele” 
debbano 
intendersi 
immediatamente 
efficaci 
e 
vincolanti 
per 
gli 
operatori 
delle 
filiere 
interessate, 
anche 
nel 
caso 
in 
cui 
il 
ciclo 
produttivo 
sia 
iniziato 
antecedentemente 
all’entrata 
in 
vigore 
dei 
regolamenti 
2023/461 e 2023/467. 


In data 
20 giugno 2023, questo Generale 
Ufficio inviava 
una 
richiesta 
di 
supplemento 
istruttorio, 
che 
codesto 
Dicastero 
riscontrava 
in 
data 
5 
luglio 
2023, rappresentando, per quanto di 
persistente 
interesse 
in questa 
sede 
consultiva, 
elementi 
di 
fatto che 
sono premesse 
imprescindibili 
nella 
prospettiva 
del richiesto consulto; e, in via segnata, rappresentando che: 


- il ciclo produttivo dei prodotti in esame dura diversi mesi; 
-tale 
ciclo 
produttivo 
consta 
di 
diverse 
fasi, 
strutturalmente 
e 
concettualmente 
distinte tra loro; 
-il 
controllo 
circa 
l’osservanza 
della 
dedicata 
disciplina 
e, 
comunque, 
del 
disciplinare 
è 
operato, in primo luogo, dagli 
operatori 
del 
mercato stessi 
(autocontrollo), 
i 
quali, al 
termine 
di 
ciascuna 
delle 
fasi 
del 
ciclo produttivo, autocertificano 
la 
conformità 
del 
loro operato al 
disciplinare; 
in secondo luogo, 
l’organismo 
di 
certificazione 
e 
controllo, 
a 
campione, 
verifica 
gli 
operatori 
durante 
il 
ciclo produttivo, oltre 
a 
necessariamente 
intervenire 
nel 
segmento 
finale 
del 
pluricitato 
ciclo, 
allorché 
l’operatore 
ne 
richieda 
l’intervento 
per 
l’apposizione del marchio. 


tanto dovutamente 
premesso, questo Generale 
Ufficio ritiene 
che 
la 
risoluzione 
del 
quesito formulato da 
codesto Dicastero passi 
necessariamente 
per l’applicazione 
al 
caso che 
ne 
occupa 
dei 
generali 
principi 
in punto di 
risoluzione 
delle antinomie nell’ordinamento giuridico. 


non si 
ritiene, per converso, di 
intrattenersi 
sulla 
diversa 
questione 
della 



rASSeGnA 
AvvOCAtUrA 
DeLLO 
StAtO -n. 2/2023 


successione 
di 
norme 
procedimentali 
regolatrici 
di 
procedimenti 
amministrativi 
(e 
del 
principio condensato nel 
noto brocardo latino tempus 
regit 
actum, 
che 
tale 
fenomeno 
successorio 
regola), 
per 
l’assorbente 
ragione 
che 
il 
ciclo 
produttivo gestito dai 
privati 
non parrebbe 
qualificabile 
come 
procedimento 
amministrativo stricto sensu 
inteso (1). 


In particolare, è 
noto che 
la 
successione 
cronologica 
di 
norme 
equiordinate 
nella 
gerarchia 
delle 
fonti 
e 
tra 
loro incompatibili 
concreta 
un’antinomia 
da 
risolvere 
a 
mezzo 
del 
criterio 
cronologico, 
secondo 
cui 
la 
norma 
successiva 
abroga 
la 
precedente. 
In 
via 
segnata, 
la 
norma 
abrogata, 
a 
differenza 
della 
norma 
invalidata 
(quale 
è, ad esempio, quella 
colpita 
da 
declaratoria 
di 
incostituzionalità), 
non 
è 
definitivamente 
espunta 
dall’ordinamento 
giuridico, 
ma, 
pur cessando di 
avere 
efficacia 
per il 
futuro, continua 
a 
disciplinare 
i 
fatti 
verificatisi 
prima 
dell’abrogazione, e 
quindi 
sotto la 
sua 
vigenza; 
l’abrogazione, 
infatti, delimita 
l’efficacia 
temporale 
di 
una 
norma, senza 
però incidere 
sulla 
validità della medesima (2). 


Ciò posto, la 
sussunzione 
del 
caso concreto nell’astratto perimetro concettuale 
poc’anzi 
delineato 
impone 
all’interprete 
lo 
sforzo 
di 
individuare 
in 
cosa esattamente, nel 
caso che 
ne 
occupa, debbano individuarsi 
i 
“fatti 
verificatisi 
prima 
dell’abrogazione”; 
solo questi, infatti, continuano ad essere 
regolati 
dalla 
disciplina 
abrogata, 
laddove 
le 
situazioni 
fattuali 
future 
e 
comunque 
quelle 
non 
definitesi, 
perché 
ancora 
in 
fieri, 
trovano 
regolazione 
nella norma successiva. 


Orbene, 
nel 
caso 
concreto, 
siccome 
il 
ciclo 
produttivo 
è 
composto 
da 
varie 
fasi, 
le 
quali 
sono 
dotate 
di 
una 
propria 
autonomia, 
pare 
alla 
Scrivente 
che 
ciascuna 
di 
tali 
fasi 
possa 
rilevare, nella 
prospettiva 
della 
successione 
di 
norme 
nel 
tempo, come 
“fatto” 
a 
sé; 
con la 
conseguenza 
che 
la 
disciplina 
successiva 
non 
potrà 
applicarsi 
a 
quelle 
fasi 
del 
ciclo 
produttivo 
che, 
al 
momento 
del-
l’entrata in vigore della nuova norma, erano già terminate. 


Altrimenti 
argomentare, 
del 
resto, 
si 
risolverebbe 
in 
un’errata 
applicazione 
del 
citato criterio cronologico, e 
comunque 
in una 
violazione 
della 
più 


(1) La 
questione, lungi 
dal 
risolversi 
in una 
precisazione 
terminologica 
in punto di 
categorie 
di 
astratto diritto, è 
invece 
pregna 
di 
precipitati 
applicativi 
concreti. Infatti, qualora 
si 
considerasse 
il 
ciclo 
produttivo come 
procedimento amministrativo stricto sensu 
inteso, difficilmente 
si 
potrebbe 
escludere 
che 
le 
varie 
“fasi” 
di 
tale 
ciclo siano tutte 
ricomprese 
nella 
fase 
istruttoria 
del 
procedimento; 
con la 
conseguenza, 
però, che 
il 
principio tempus 
regit 
actum 
imporrebbe 
allora 
di 
considerare 
la 
sopravvenienza 
normativa, 
siccome 
incisiva 
su 
di 
una 
fase 
del 
procedimento 
non 
ancora 
definitasi; 
ciò 
che 
concreterebbe 
un approdo ermeneutico diverso da 
quello che 
-cfr. infra -si 
ritiene 
possa 
raggiungersi 
prendendo le 
mosse dalla diversa, più generale questione della successione di norme nel tempo. 
(2) Si 
fa 
riferimento alle 
antinomie 
fra 
norme. e 
tuttavia, si 
precisa 
che, nel 
caso che 
ne 
occupa, 
la 
sostanza 
della 
questione 
non muterebbe 
anche 
a 
voler considerare 
i 
regolamenti 
della 
Commissione 
di 
cui 
sopra 
atti 
amministrativi 
generali, e 
non normativi; 
infatti, anche 
per l’atto amministrativo vige 
la 
regola 
(su 
cui 
si 
fonda 
l’istituto 
dell’abrogazione 
e, 
di 
riflesso, 
il 
criterio 
cronologico 
di 
cui 
s’è 
scritto) 
della tendenziale non retroattività. 

PArerI 
DeL 
COMItAtO 
COnSULtIvO 


generale 
regula 
iuris 
(art. 
11 
preleggi) 
che 
vuole 
che 
la 
legge 
(lato 
sensu 
intesa, 
in questa 
prospettiva; 
e 
quindi, più in generale, la 
norma) sia, salva 
espressa 
previsione di segno contrario, non retroattiva. 


A 
conforto 
della 
proposta 
interpretativa 
di 
cui 
sopra, 
vale 
pure 
rilevare 
come 
l’adesione 
alla 
diversa 
ermeneusi, secondo cui 
il 
nuovo disciplinare 
dovrebbe 
essere 
applicato, 
per 
intero, 
a 
tutti 
i 
cicli 
produttivi 
non 
ancora 
definitisi 
al 
momento 
della 
sua 
entrata 
in 
vigore 
(e 
quindi, 
in 
tesi, 
anche 
a 
quei 
cicli 
produttivi 
che 
durano 
da 
più 
di 
un 
anno 
e 
che 
abbiano 
già 
chiuso 
varie 
fasi, 
sempre 
nel 
rispetto 
del 
disciplinare 
all’epoca 
vigente), 
rischierebbe 
di 
generare 
un 
contenzioso, 
dall’esito 
non 
scontato 
(3), 
in 
tema 
di 
pretese 
risarcitorie 
da 
parte 
di 
operatori 
suppostamente 
offesi 
nel 
legittimo 
affidamento. 
Pertanto, 
l’impostazione 
ermeneutica 
qui 
sostenuta, 
nel 
rispetto 
dei 
canoni 
esegetici 
offerti 
dall’ordinamento 
e 
comunque 
dei 
generali 
principi 
in 
tema 
di 
risoluzione 
delle 
antinomie 
edi 
successione 
di 
norme 
nel 
tempo, 
appare 
altresì 
più 
prudente 
nella 
prospettiva 
della 
tutela 
del 
pubblico 
interesse 
sub 
specie 
di 
contenimento 
di possibili esborsi di pubblici danari. 


Da 
ultimo e 
per completezza, si 
precisa 
che 
non persuade 
neppure 
la 
tesi 
(4), estrema 
nel 
senso opposto a 
quella 
da 
ultimo criticata, che 
vorrebbe 
che 
ai 
cicli 
di 
produzione 
iniziati 
prima 
dell’entrata 
in vigore 
del 
nuovo disciplinare 
possa continuare ad applicarsi, per intero, il precedente disciplinare. 


Difetta, in vero, un argomento giuridico che 
permetta 
di 
riconoscere 
una 
cogenza 
ultrattiva 
al 
disciplinare 
abrogato, 
anche 
con 
riferimento 
a 
fasi 
del 
ciclo 
produttivo 
non 
ancora 
iniziate 
al 
momento 
della 
sua 
abrogazione. 
né 
pare 
percorribile, in via 
esegetica, la 
strada 
dell’assimilazione 
dell’inizio del 
ciclo 
produttivo 
alla 
pubblicazione 
del 
bando 
di 
pubblica 
gara 
(la 
quale 
ultima, 
in 
linea 
di 
principio, 
è 
regolata 
dalla 
disciplina 
vigente 
al 
momento 
del 
bando, 
non 
rilevando 
le 
sopravvenienze 
normative), 
di 
bel 
nuovo 
difettando 
argomenti, 
fattuali e giuridici, che giustifichino un’assimilazione di tal fatta. 


***** 


In 
conclusione, 
questo 
Organo 
Legale, 
comunque 
segnalando 
che 
casi 


(3) 
Sebbene 
non 
parrebbero 
sussistere 
gli 
elementi 
costitutivi 
dell’offesa 
al 
legittimo 
affidamento 
propriamente 
inteso, è 
pur vero che 
trattasi, come 
noto, di 
argomento sul 
quale 
le 
evoluzioni 
giurisprudenziali 
sono frequenti 
e 
fluide, mercé 
altresì 
la 
differente 
valenza 
che 
al 
principio del 
legittimo affidamento 
è 
attribuito dalla 
normativa 
eurounionale 
(in seno alla 
quale 
rileva 
come 
regola 
di 
validità) e 
da 
quella 
domestica, in particolare 
civilistica 
(in cui 
rileva, in linea 
di 
principio, unicamente 
come 
regola 
di 
condotta). Pertanto, se 
il 
principio di 
certezza 
del 
diritto e 
l’istituto dell’affidamento legittimo non 
sono di 
per sé 
base 
normativa 
sufficientemente 
solida 
per giustificare 
un’eventuale 
ultrattività 
della 
disciplina 
previgente, 
essi 
sono 
comunque 
elementi 
che 
meritano 
considerazione 
nella 
prospettiva 
di 
maggiormente 
apprezzare 
la 
tesi 
che 
qui 
si 
propone, atteso che 
la 
loro eventuale 
offesa 
(qualora 
si 
dovesse 
ritenere 
consumata) 
potrebbe 
implicare 
questioni 
risarcitorie 
di 
non 
trascurabile 
impatto 
sulle 
pubbliche 
finanze. 
(4) 
Ipotizzata 
come 
una 
delle 
possibili 
soluzioni 
nella 
nota 
di 
codesto 
Dicastero 
del 
7 
giugno 
2023. 

rASSeGnA 
AvvOCAtUrA 
DeLLO 
StAtO -n. 2/2023 


quali 
quello oggi 
all’esame 
della 
Scrivente 
renderebbero auspicabile 
l’approvazione, 
da 
parte 
del 
Legislatore 
(domestico o eurounionale), di 
dedicate 
disposizioni 
transitorie, 
ciò 
che 
semplificherebbe 
il 
quadro 
giuridico, 
depurandolo dalle 
incertezze 
dovute 
alle 
possibili 
proposte 
interpretative 
allo 
stato innestabili 
sul 
complicato sostrato, normativo e 
tecnico-fattuale, di 
riferimento, 
rende il richiesto parere nei termini che seguono: 


«in 
tema 
di 
modifiche 
ai 
disciplinari 
operate 
dai 
regolamenti 
Ue 
nn. 
2023/461 
e 
2023/467, 
ciascuna 
fase 
del 
ciclo 
produttivo 
deve 
essere 
conforme 
al 
disciplinare 
vigente 
al 
momento della sua esecuzione, con la conseguenza 
che 
le 
fasi 
di 
tale 
ciclo definitesi 
prima dell’entrata in vigore 
del 
nuovo disciplinare 
dovranno 
essere 
rispettose 
della 
precedente 
regolazione; 
per 
converso, 
per 
le 
fasi 
non ancora definitesi 
al 
momento dell’entrata in vigore 
del 
nuovo 
disciplinare, sarà questo a doversi applicare». 


***** 


Il 
presente 
parere 
è 
stato sottoposto all’esame 
del 
Comitato Consultivo 
di 
questa 
Avvocatura 
che, 
nella 
seduta 
del 
20 
luglio 
2023, 
si 
è 
espresso 
in 
conformità. 



PArerI 
DeL 
COMItAtO 
COnSULtIvO 


esercizio di pubblici poteri: sull’immunità degli stati 
rispetto alla giurisdizione esercitata dai Giudici stranieri 


Parere 
del 
21/10/2023-654904, al 19691/2023, 
ProcUratore 
dello 
Stato 
melvio 
maUGeri 


In 
riscontro 
alla 
nota 
sopra 
indicata, 
con 
la 
quale 
codesto 
Ministero 
ha 
trasmesso 
l’atto 
introduttivo 
del 
giudizio 
incardinato 
presso 
il 
tribunale 
di 
omissis 
in Slovenia dagli eredi di 
omissis, si rappresenta quanto segue. 


Costituisce 
norma 
di 
diritto 
internazionale 
generalmente 
riconosciuta 
(art. 
10 Cost.) quella 
che 
prevede 
l’immunità 
degli 
Stati 
rispetto alla 
giurisdizione 
esercitata dai Giudici stranieri. 


tale 
regola, espressione 
della 
pariordinazione 
fra 
Stati 
tutti 
egualmente 
sovrani, è 
derogata 
solamente 
in presenza 
di 
una 
accettazione 
della 
giurisdizione 
straniera 
da 
parte 
dello Stato nonché 
in altri 
casi 
essenzialmente 
riconducibili 
all’attività 
posta 
in essere 
da 
quest’ultimo (non già 
iure 
imperii, ma) 
iure 
gestionis 
(cfr. Convenzione 
europea 
sull’immunità 
degli 
Stati 
conclusa 
il 
16 maggio 1972 e 
Convenzione 
delle 
nazioni 
Unite 
sulle 
immunità 
giurisdizionali 
degli Stati e dei loro beni del 2 dicembre 2004)(1). 


In 
tal 
senso 
si 
è 
espressa 
anche 
la 
Corte 
di 
Giustizia 
dell’Unione 
europea: 
“Per 
quanto riguarda, da un lato, il 
principio di 
diritto internazionale 
consuetudinario 
relativo 
all’immunità 
giurisdizionale 
degli 
Stati, 
va 
ricordato 
che 
la 
corte 
ha 
dichiarato 
che, 
allo 
stato 
attuale 
della 
prassi 
internazionale, 
l’immunità 
giurisdizionale 
degli 
Stati 
non ha valore 
assoluto, ma è 
generalmente 
riconosciuta quando la controversia riguarda atti 
di 
sovranità compiuti 
iure 
imperii. Per 
contro, essa può essere 
esclusa se 
il 
ricorso giurisdizionale 
verte 
su atti 
che 
non rientrano nell’esercizio di 
pubblici 
poteri” 
(Corte 
di 
Giustizia 
Ue, sentenza del 3 settembre 2020, C-186/19). 


nel 
caso 
in 
esame 
la 
distinzione 
tra 
acta 
iure 
imperii 
e 
acta 
iure 
gestionis 


(1) Sebbene 
la 
prima 
Convenzione 
non risulti 
ratificata 
dalla 
Slovenia 
e 
la 
seconda, oltre 
a 
non 
essere 
stata 
ratificata 
dal 
predetto Paese, non risulti 
entrata 
in vigore 
per il 
mancato avveramento della 
condizione 
prevista 
dal 
suo art. 30 (decorso del 
termine 
di 
trenta 
giorni 
dall’intervento della 
trentesima 
ratifica), le 
stesse 
ben possono essere 
considerate 
come 
codificazioni 
del 
diritto internazionale 
consuetudinario, 
come 
del 
resto riconosciuto, nel 
nostro ordinamento, dalle 
Sezioni 
Unite 
della 
Corte 
di 
Cassazione 
con 
ordinanza 
n. 
25045 
del 
16 
settembre 
2021: 
“il 
principio 
di 
diritto 
internazionale 
dell’immunità assoluta, secondo cui 
uno Stato estero non può essere 
assoggettato ad atti 
di 
autorità da 
parte 
di 
un altro Stato, in ragione 
dell’assenza di 
qualsiasi 
gerarchia tra Stati 
sovrani, è 
stato nel 
corso 
del 
tempo rimodulato dalla giurisprudenza e 
dalla dottrina, pervenendosi 
all’elaborazione 
della teoria 
della cosiddetta immunità ristretta (o relativa), in forza della quale 
l’immunità non opera allorché 
gli 
atti 
compiuti 
da Stati 
stranieri 
nell’ordinamento locale 
non siano riconducibili 
all’esercizio di 
poteri 
sovrani. la circostanza che 
l’immunità giurisdizionale 
vada riconosciuta solo nel 
caso in cui 
la controversia 
riguardi 
atti 
di 
sovranità compiuti 
iure 
imperii 
è 
confermata dalla convenzione 
delle 
nazioni 
Unite 
del 
2 dicembre 
2004 sulle 
immunità giurisdizionali 
degli 
Stati 
e 
dei 
loro beni, la quale, pur 
non 
essendo ancora entrata in vigore, riflette il diritto consuetudinario esistente”. 

rASSeGnA 
AvvOCAtUrA 
DeLLO 
StAtO -n. 2/2023 


è 
particolarmente 
rilevante 
in 
quanto, 
ove 
venisse 
in 
rilievo 
un 
atto 
del 
secondo 
tipo, 
si 
rientrerebbe 
nel 
campo 
di 
applicazione 
del 
regolamento 
Ue 
n. 
1215/2012, 
il 
quale, 
se 
da 
un 
lato 
non 
si 
applica 
“alla 
responsabilità 
dello 
Stato per 
atti 
o omissioni 
nell’esercizio di 
pubblici 
poteri 
(acta iure 
imperi)” 
(art. 
1), 
dall’altro 
stabilisce 
che 
“una 
persona 
domiciliata 
in 
uno 
Stato 
membro 
può essere 
convenuta in un altro Stato membro: 2) in materia di 
illeciti 
civili 
dolosi 
o colposi, davanti 
all’autorità giurisdizionale 
del 
luogo in cui 
l’evento 
dannoso è 
avvenuto o può avvenire” 
(art. 7, par. 1, n. 2; 
nella 
stessa 
direzione 
va 
anche 
l’art. 55 della 
Legge 
ZMZPP, vale 
a 
dire 
la 
Legge 
slovena 
sul 
diritto 
internazionale 
privato, sulla 
cui 
base 
le 
controparti 
argomentano la 
scelta 
di 
rivolgersi al 
tribunale sloveno). 



A 
tal 
proposito, 
i 
Giudici 
europei 
hanno 
chiarito 
che, 
“sebbene 
talune 
controversie 
tra un’autorità pubblica e 
un soggetto di 
diritto privato possano 
rientrare 
nell’ambito di 
applicazione 
del 
regolamento n. 1215/2012 qualora 
il 
ricorso giurisdizionale 
verta su atti 
compiuti 
iure 
gestionis, la situazione 
è 
diversa 
qualora 
l’autorità 
pubblica 
agisca 
nell’esercizio 
di 
pubblici 
poteri 
(v., 
in 
tal 
senso, 
sentenze 
del 
12 
settembre 
2013, 
Sunico 
e 
a., 
c-49/12, 
eU:c:2013:545, 
punto 
34, 
nonché 
del 
7 
maggio 
2020, 
rina, 
c-641/18, 
eU:c:2020:349, punto 33 e 
giurisprudenza citata). 38 infatti, la manifestazione 
di 
prerogative 
dei 
pubblici 
poteri 
di 
una delle 
parti 
della controversia, 
in virtù dell’esercizio da parte 
di 
questa di 
poteri 
che 
esorbitano dalla sfera 
delle 
norme 
applicabili 
ai 
rapporti 
tra 
i 
privati, 
esclude 
una 
simile 
controversia 
dalla «materia civile 
e 
commerciale» ai 
sensi 
dell’articolo 1, paragrafo 
1, 
del 
regolamento 
n. 
1215/2012 
(sentenza 
del 
3 
settembre 
2020, 
Supreme 
Site 
Services 
e 
a., c-186/19, eU:c:2020:638, punto 57 e 
giurisprudenza citata). 
39 
la 
corte 
ha 
altresì 
dichiarato 
che 
la 
finalità 
pubblica 
di 
talune 
attività 
non 
costituisce, di 
per 
sé, un elemento sufficiente 
per 
qualificare 
tali 
attività come 
svolte 
iure 
imperi 
allorché 
esse 
non corrispondono all’esercizio di 
poteri 
che 
esorbitano 
dalla 
sfera 
delle 
norme 
applicabili 
nei 
rapporti 
tra 
privati 
(sentenza 
del 
3 
settembre 
2020, 
Supreme 
Site 
Services 
e 
a., 
c-186/19, 
eU:c:2020:638, punto 66 e 
giurisprudenza citata)” 
(Corte 
di 
Giustizia 
Ue, 
sentenza del 6 ottobre 2021, C-581/20). 


tanto precisato, si 
osserva 
che, nel 
caso di 
specie, il 
fatto asseritamente 
illecito di 
cui 
dovrebbe, in tesi, rispondere 
lo Stato italiano consiste 
nell’aver 
sottoposto omissis 
ad “ingiusta custodia cautelare”, peraltro in “pessime 
condizioni” 
(pag. 3 atto avversario), cosa 
che 
gli 
avrebbe 
provocato, al 
ritorno in 
territorio 
sloveno, 
dei 
disturbi 
psicologici 
che 
sarebbero 
stati 
alla 
base 
dei 
fatti 
avvenuti 
in data 
omissis, allorquando lo stesso, dopo aver tentato di 
uccidere 
la moglie, si suicidò. 


Orbene, 
se 
ciò 
che 
caratterizza 
gli 
acta 
iure 
imperii 
è 
-come 
visto 
l’esercizio 
“di 
poteri 
che 
esorbitano 
dalla 
sfera 
delle 
norme 
applicabili 
ai 
rapporti 
tra 
i 
privati” 
(cfr. 
Corte 
di 
Giustizia 
Ue, 
sentenza 
del 
21 
aprile 
1993, 



PArerI 
DeL 
COMItAtO 
COnSULtIvO 


C-172/91; 
Corte 
di 
Giustizia 
Ue, 
sentenza 
del 
7 
maggio 
2020, 
C-641/18; 
Corte 
di 
Giustizia 
Ue, 
sentenza 
del 
3 
settembre 
2020, 
C-186/19), 
non 
vi 
è 
dubbio 
che 
a 
tale 
categoria 
giuridica 
vada 
ricondotto 
il 
potere 
di 
limitazione 
della 
libertà 
personale, 
nell’esercizio 
della 
funzione 
giurisdizionale 
e 
per 
la 
salvaguardia 
dell’ordine 
pubblico, 
espressione 
di 
prerogative 
statali 
che 
rinvengono 
il 
loro 
fondamento 
negli 
artt. 
13, 
25 
e 
117 
Cost. 


tale 
circostanza, 
oltre 
ad 
essere 
pacifica 
per 
le 
stesse 
controparti, 
le 
quali 
qualificano la 
condotta 
in questione 
come 
fonte 
di 
“responsabilità dello Stato 
per 
atti 
e 
omissioni 
nell’esercizio di 
pubblici 
poteri 
(acta iure 
imperi)” 
(pag. 
5 atto avversario), esclude, per le 
ragioni 
sopra 
esposte, la 
soggezione 
dello 
Stato italiano e 
di 
codesto Ministero alla 
giurisdizione 
slovena 
e, conseguentemente, 
l’applicabilità 
di 
quelle 
normative 
di 
diritto 
internazionale 
privato 
che, 
in 
materie 
di 
obbligazioni 
extracontrattuali, 
individuano 
il 
Giudice 
munito 
di 
giurisdizione 
in 
quello 
del 
Paese 
in 
cui 
si 
è 
verificato 
l’evento 
dannoso 
(cfr. 
art. 7 del 
regolamento Ue 
n. 1215/2012 e 
art. 55 della 
Legge 
ZMZPP 
sopra 
citati). 


Sotto 
il 
profilo 
processuale 
va 
poi 
precisato 
che 
su 
ciascun 
Stato 
grava 
l’obbligo 
di 
astenersi 
dall’esercitare 
la 
propria 
giurisdizione 
nei 
confronti 
di 
altri 
Stati 
sovrani 
(2), 
con 
la 
conseguenza 
che 
il 
rilievo 
dell’immunità 
può 
e 
deve 
essere 
effettuato 
d’ufficio, 
a 
prescindere, 
cioè, 
da 
una 
eccezione 
di 
parte 
(3). 


Laddove, 
in 
contrasto 
con 
quanto 
sopra 
detto, 
dovesse 
essere 
emessa 
una 
sentenza 
nei 
confronti 
dello Stato italiano, quest’ultimo sarebbe 
legittimato a 
non darle 
esecuzione, come 
disposto dall’art. 20 della 
Convenzione 
europea 
sull’immunità 
degli 
Stati 
conclusa 
il 
16 
maggio 
1972 
nonché 
dall’art. 
23 
della 
Convenzione 
delle 
nazioni 
Unite 
sulle 
immunità 
giurisdizionali 
degli 
Stati 
e 
dei loro beni del 2 dicembre 2004. 


Fermo 
quanto 
sopra 
detto, 
valuterà 
codesto 
Ministero 
la 
possibilità 
di 
costituirsi 
ugualmente 
in giudizio. In tal 
caso, però, sarebbe 
opportuno limitare 
la 
difesa 
-che 
andrebbe 
curata 
da 
professionisti 
abilitati 
secondo 
le 
norme 


(2) emblematico, in tal 
senso, l’art. 6, par. 1, della 
Convenzione 
delle 
nazioni 
Unite 
sulle 
immunità 
giurisdizionali 
degli 
Stati 
è 
dei 
loro beni 
del 
2 dicembre 
2004: 
“Uno Stato attua l’immunità degli 
Stati 
prevista 
nell’articolo 
5 
astenendosi 
dall’esercitare 
la 
sua 
giurisdizione 
in 
un 
procedimento 
davanti 
ai 
propri 
tribunali 
contro 
un 
altro 
Stato 
e, 
a 
tal 
fine, 
vigilando 
affinché 
i 
suoi 
tribunali 
decidano 
d’ufficio 
che l’immunità dell’altro Stato prevista nell’articolo 5 sia rispettata”. 
(3) 
Cfr. 
l’art. 
15 
della 
Convenzione 
europea 
sull’immunità 
degli 
Stati 
conclusa 
il 
16 
maggio 
1972: 
“Uno 
Stato 
contraente 
beneficia 
dell’immunità 
dalla 
giurisdizione 
dinnanzi 
ai 
tribunali 
di 
un 
altro 
Stato contraente 
se 
al 
procedimento non siano applicabili 
gli 
articoli 
1 
a 14; il 
tribunale 
non può decidere 
su tale 
procedimento neppure 
laddove 
lo Stato non compaia”; 
nonché 
l’art. 8, par. 4, della 
Convenzione 
delle 
nazioni 
Unite 
sulle 
immunità 
giurisdizionali 
degli 
Stati 
e 
dei 
loro beni 
del 
2 dicembre 
2004: 
“la non comparizione 
di 
uno Stato in un procedimento davanti 
a un tribunale 
di 
un altro Stato 
non può essere 
interpretata come 
consenso del 
primo Stato all’esercizio della giurisdizione 
di 
tale 
tribunale”. 

rASSeGnA 
AvvOCAtUrA 
DeLLO 
StAtO -n. 2/2023 


dell’ordinamento 
sloveno, 
che 
l’Amministrazione 
dovrebbe 
remunerare 
-alla 
mera 
invocazione 
dell’immunità 
dalla 
giurisdizione 
straniera, 
senza 
entrare 
nel 
merito della 
controversia 
così 
da 
non incorrere 
nella 
decadenza 
prevista 
dall’art. 8 della 
Convenzione 
delle 
nazioni 
Unite 
sulle 
immunità 
giurisdizionali 
degli Stati e dei loro beni del 2 dicembre 2004 (4). 


Parimenti, 
si 
rimette 
alla 
discrezionalità 
dell’Amministrazione 
in 
indirizzo 
la 
scelta 
di 
comunicare, per il 
tramite 
dei 
competenti 
canali 
diplomatici, 
l’insussistenza della giurisdizione slovena nel caso di specie. 


Sul 
presente 
parere 
si 
è 
espresso in senso conforme 
il 
Comitato Consultivo 
nella seduta del 12 ottobre 2023. 


(4) Art. 8 della 
Convenzione 
delle 
nazioni 
Unite 
sulle 
immunità 
giurisdizionali 
degli 
Stati 
e 
dei 
loro beni 
del 
2 dicembre 
2004: 
“1. Uno Stato non può invocare 
l’immunità giurisdizionale 
in un procedimento 
davanti 
a un tribunale 
di 
un altro Stato se 
... b) è 
intervenuto nel 
merito del 
procedimento o vi 
ha partecipato in qualche 
modo 
... 2. non è 
considerato consenso all’esercizio della giurisdizione 
di 
un 
tribunale 
di 
un altro Stato il 
fatto che 
uno Stato intervenga in un procedimento o vi 
partecipi 
con il 
solo 
scopo di: a) invocare l’immunità ...”. 
In termini 
meno restrittivi 
si 
esprime, invece, l’art. 3 della 
Convenzione 
europea 
sull’immunità 
degli 
Stati 
conclusa 
il 
16 
maggio 
1972: 
“Uno 
Stato 
contraente 
non 
beneficia 
dell’immunità 
dalla 
giurisdizione 
dinnanzi 
a un tribunale 
di 
un altro Stato contraente 
se, prima d’invocarla, entra nel 
merito della controversia”. 



PArerI 
DeL 
COMItAtO 
COnSULtIvO 


estensione del principio di retroattività 
della lex mitior agli illeciti amministrativi. limiti 


Parere 
reSo 
in 
via 
ordinaria 
del 
30/11/2023-746650-746651, 
al 32946/2023, avv. antonio 
trimBoli 


Preso atto del 
parere 
inviato alla 
Scrivente, di 
cui 
si 
apprezza 
la 
puntuale 
ricostruzione 
dell’evoluzione 
giurisprudenziale 
sul 
tema 
in 
oggetto, 
nonché 
la 
correttezza 
degli 
assunti 
ove 
si 
tratti 
di 
sanzioni 
pecuniarie 
solo 
formalmente 
amministrative, ma 
nella 
sostanza 
penali, si 
ritiene 
però di 
dover giungere 
nel 
caso 
in 
esame 
a 
conclusioni 
diverse, 
non 
trovandoci 
al 
cospetto 
di 
una 
sanzione 
amministrativa 
-punitiva. 


La 
tematica 
generale 
riguarda 
le 
condizioni 
di 
operatività 
per gli 
illeciti 
amministrativi 
del 
principio di 
retroattività 
della 
lex 
mitior 
in luogo del 
principio 
del 
tempus 
regit 
actum, qualora 
la 
norma 
costitutiva 
dell’illecito amministrativo 
venga abrogata a seguito di 
ius superveniens. 


nello specifico, la 
fattispecie 
amministrativa 
che 
viene 
in essere 
è 
rappresentata 
dall’art. 
13 
bis, 
co. 
II 
del 
d.lgs. 
n. 
28/1993, 
norma 
che 
così 
dispone: 
“1. 
chiunque 
effettua 
gli 
scambi 
di 
animali 
e 
prodotti 
di 
origine 
animale 
senza 
la 
preventiva 
registrazione 
di 
cui 
agli 
articoli 
5 
e 
11 
è 
punito, 
salvo 
che 
il 
fatto 
costituisca 
reato, 
con 
la 
sanzione 
amministrativa 
pecuniaria 
da 
lire 
tre 
milioni 
a lire 
quaranta milioni. in caso di 
recidiva sono sospesi 
la licenza o il 
permesso 
di 
importazione 
per 
tre 
mesi. 
2. 
chi, 
essendovi 
obbligato 
in 
applicazione 
degli 
articoli 
5 
e 
11, 
non 
provvede 
alla 
stipula 
della 
prevista 
convenzione 
è 
punito, salvo che 
il 
fatto costituisca reato, con la sanzione 
amministrativa 
pecuniaria da lire 
cinque 
milioni 
a lire 
cinquanta milioni. 3. l’operatore 
registrato 
o convenzionato che 
non ottempera agli 
obblighi 
contratti 
con la registrazione 
o con la convenzione 
è 
punito, salvo che 
il 
fatto costituisca reato, 
con 
la 
sanzione 
amministrativa 
pecuniaria 
da 
lire 
un 
milione 
a 
lire 
tre 
milioni 
per 
ogni 
singolo obbligo violato”, la 
quale 
è 
stata 
poi 
abrogata 
dalla 
entrata 
in vigore 
del 
successivo d.lgs. n. 23/2021 che 
ha 
fatto venire 
meno l’obbligo 
di 
stipula 
della 
convenzione 
con 
le 
competenti 
autorità 
veterinarie, 
mantenendo 
invece 
l’obbligo di 
registrazione 
la 
cui 
mancanza 
è 
però sanzionata 
in 
modo più tenue rispetto al passato. 


Preliminarmente, l’analisi 
del 
tema 
sopra 
tracciato impone 
un esame 
del 
caso concreto oggetto del 
parere 
genetico, così 
da 
comprendere 
se 
l’applicazione 
della 
nuova 
normativa 
possa 
aver 
luogo 
in 
virtù 
del 
principio 
del 
tempus 
regit 
actum 
senza 
la 
necessità 
di 
scomodare 
il 
diverso principio di 
matrice 
penalistica. 


La 
risposta 
dipende 
dal 
carattere 
che 
si 
voglia 
riconoscere 
all’illecito in 
questione 
rispetto al 
momento consumativo: 
istantaneo; 
permanente 
o istantaneo 
con effetti permanenti. 



rASSeGnA 
AvvOCAtUrA 
DeLLO 
StAtO -n. 2/2023 


Il 
caso 
concreto 
-secondo 
quanto 
riportato 
dall’Amministrazione 
interessata 
-riguardava 
“una operazione 
effettuata nel 
2021 della Guardia di 
Finanza 
-omissis 
-sviluppata 
su 
impulso 
del 
ministero 
della 
Salute, 
di 
contrasto 
alla introduzione 
illecita nel 
territorio italiano di 
coralli 
e 
pesci 
tropicali, in 
particolare 
da 
parte 
di 
Società 
attive 
nel 
territorio 
regionale 
lombardo, 
le 
aa.tt.SS. competenti, tra le 
quali 
anche 
atS Brescia, hanno elevato ad altrettante 
Società 
sei 
verbali 
di 
contestazione 
di 
violazione 
amministrativa 
concernenti 
le 
mancate 
convenzione 
e 
registrazioni 
presso 
Uvac 
lombardia, 
prescritte 
dal 
d.lgs. n. 28/1993, artt. 5 e 
11”, precisando che 
“ 
... l’accertamento 
fosse 
avvenuto 
a 
norma 
abrogata, 
pur 
se 
vigente 
all’atto 
del 
compimento 
della violazione 
”. 


ritiene 
la 
Scrivente 
di 
dover 
classificare 
l’illecito 
in 
questione 
come 
istantaneo 
ad 
effetti 
permanenti, 
nel 
quale 
perdurano 
nel 
tempo 
solo 
le 
conseguenze 
della 
violazione, pur quando sia 
già 
cessata 
la 
condotta 
illecita. Invero, nonostante 
l’assenza 
di 
precedenti 
giurisprudenziali 
relativi 
all’illecito de 
quo, militerebbe 
a 
favore 
di 
questa 
collocazione 
il 
dato letterale 
contenuto agli 
artt. 5, 
co. 
Iv 
(“Gli 
operatori 
che 
si 
fanno 
consegnare 
prodotti 
provenienti 
da 
un 
altro 
Stato membro o che 
procedono al 
frazionamento completo di 
una partita di 
detti 
prodotti: 
... 
a) 
sono 
soggetti 
a 
preventiva 
registrazione”) 
e 
11, 
co. 
III 
d.lgs. 
n. 
28/1993 
(“... 
una 
convenzione 
da 
stipulare 
con 
la 
competente 
autorità 
al 
momento della registrazione 
preliminare 
prevista dall’art. 5 ...”), il 
quale 


-ponendole 
come 
antecedenti 
il 
ricevimento e/o frazionamento e/o consegna 
etc. degli 
animali 
e/o dei 
prodotti 
di 
origine 
animale 
-descrive 
un fatto destinato 
ad esaurirsi 
in una 
dimensione 
unitaria 
logica 
e 
cronologica, da 
identificare 
in quella 
che 
precede 
lo svolgimento dell’attività 
di 
commercio in senso 
lato, a prescindere dalla sussistenza dei relativi effetti. 
Il 
richiamato inquadramento non permette, pertanto, di 
guardare 
all’atto 
dell’accertamento quale 
momento della 
consumazione 
dell’illecito, con conseguente 
applicazione 
della 
norma 
più favorevole 
in virtù del 
solo principio 
del 
tempus 
regit 
actum, ma 
a 
quello della 
violazione, che 
-essendo avvenuta 
durante 
la 
vigenza 
della 
vecchia 
normativa 
-richiede 
di 
affrontare 
la 
tematica 
di cui all’oggetto onde individuare correttamente la normativa da applicare. 


Sul 
punto -come 
bene 
evidenziato nel 
parere 
della 
Distrettuale 
-appare 
opportuno muovere da alcune premesse generali. 


Come 
noto, 
in 
tema 
di 
sanzioni 
amministrative, 
in 
passato, 
si 
è 
ritenuto 
non 
applicabile 
il 
principio 
di 
matrice 
penalistica 
che 
prevede, 
in 
caso 
di 
successione 
di 
leggi 
nel 
tempo, 
l’applicazione 
retroattiva 
della 
norma 
più 
favorevole. 


Le 
ragioni 
di 
tale 
limitazione 
sono da 
ricondurre, in primo luogo, nella 
mancanza 
in 
seno 
alla 
l. 
689/1981 
di 
una 
norma 
analoga 
a 
quella 
di 
cui 
all’art. 
2, co. III e 
Iv 
c.p., che 
stabilisce 
per le 
norme 
penali 
relative 
al 
se, al 
come 
e 
al 
quanto 
della 
punizione 
l’applicazione 
retroattiva 
delle 
disposizioni 
più favorevoli 
al 
reo, 
e, 
in 
secondo 
luogo, 
in 
ragione 
del 
principio 
contenuto 
nell’art. 



PArerI 
DeL 
COMItAtO 
COnSULtIvO 


11 delle 
Preleggi, per il 
quale 
la 
legge 
di 
regola 
“non ha effetto retroattivo”. 
La 
ratio 
sottostante 
a 
questa 
interpretazione 
era 
da 
rinvenirsi 
nella 
convinzione 
secondo la 
quale, in un sistema 
sanzionatorio come 
quello amministrativo, la 
finalità 
di 
rafforzare 
l’efficacia 
general 
-preventiva 
della 
sanzione, fosse 
prevalente 
rispetto al 
favor 
per il singolo trasgressore. 


Partendo 
da 
questi 
presupposti, 
la 
giurisprudenza 
maggioritaria 
del 
tempo 


(C. stato, 3 giugno 2010, n. 3497; t.a.r. lombardia milano, 2 aprile 
2010, 
n. 963; t.a.r. lazio roma, 15 marzo 2012, n. 2562; Cass. (s.u.), 12 aprile 
2012, n. 5756), con l’avallo della 
Consulta 
(C. Cost., 28 novembre 
2002, n. 
501), ritenne 
che, relativamente 
alle 
sanzioni 
amministrative, valesse 
il 
principio 
generale 
per il 
quale 
“la legge 
applicabile 
è 
quella vigente 
al 
momento 
della commissione 
dell’illecito, a prescindere 
da eventuali 
previsioni 
più favorevoli 
che 
siano 
state 
successivamente 
introdotte” 
con 
la 
sola 
eccezione 
dei 
casi 
in 
cui 
la 
retroattività 
della 
legge 
più 
favorevole 
venisse 
espressamente 
prevista dalla legge stessa. 
L’orientamento finora 
brevemente 
descritto ha, tuttavia, subito un revirement 
in tempi 
recenti 
su impulso della 
giurisprudenza 
della 
Corte 
eDU, la 
quale 
ritiene 
di 
dover applicare 
le 
garanzie 
previste 
dal 
sistema 
penale 
(artt. 6 
e 
7 
CeDU) 
anche 
agli 
illeciti 
amministrativi, 
laddove 
nella 
sostanza 
presentino 
carattere penale. 


Antesignana 
di 
questo indirizzo è 
la 
nota 
pronuncia 
Engel 
c. Paesi 
Bassi 
(Cedu 
8 giugno 1976), la 
quale 
chiarisce 
come 
-al 
fine 
di 
verificare 
se 
un 
illecito 
abbia 
o 
meno 
carattere 
penale 
-debbano 
essere 
presi 
in 
considerazione 
tre 
criteri: 
qualificazione 
dell’illecito nel 
diritto interno, struttura 
dell’illecito 
e 
gravità 
della 
sanzione. 
L’operatività 
di 
tali 
criteri 
è 
alternativa, 
ma 
può 
essere 
anche 
cumulativa 
ove 
l’analisi 
separata 
di 
un singolo criterio non permetta 
di 
arrivare 
a 
una 
soluzione 
chiara 
(Cfr. 
sent. 
Cedu 
4 
marzo 
2014, 
Grande 
stevens 
e altri c. italia). 


La 
citata 
impostazione 
trova 
fondamento nel 
principio di 
legalità 
penale 
sovranazionale 
(art. 7 CeDU, ma 
anche 
49 della 
Carta 
di 
nizza), il 
quale 
ha 
riguardo a 
una 
nozione 
di 
materia 
penale 
fondata 
su criteri 
sostanziali, a 
cui 
la 
giurisprudenza 
domestica 
ha 
fatto ricorso in diverse 
occasioni 
(es. C. Cost. 
196/2010: 
in ordine 
alla 
confisca 
del 
veicolo nel 
reato di 
guida 
in stato di 
ebbrezza; 
s.u. 
31617/2015 
lucci: 
sulla 
confisca 
per 
equivalente; 
C. 
Cost. 
149/2022: 
sulla 
fattispecie 
amministrativa 
ex 
art. 174 bis 
L. n. 633/194; 
etc.), 
giungendo attraverso l’applicazione 
dei 
criteri 
dettati 
dalla 
sentenza 
engel 
a 
riconoscere 
carattere 
penale 
a 
sanzioni 
e/o 
illeciti 
qualificati 
dal 
legislatore 
come amministrativi. 


Condizione 
indispensabile 
onde 
poter estendere 
le 
garanzie 
penalistiche 
agli 
illeciti/sanzioni 
aventi 
formalmente 
altra 
qualifica 
è, pertanto, che 
quest’ultimi 
presentino 
nella 
sostanza 
carattere 
punitivo 
alla 
luce 
dell’ordinamento 
convenzionale. 



rASSeGnA 
AvvOCAtUrA 
DeLLO 
StAtO -n. 2/2023 


In 
questi 
esatti 
termini 
vengono 
in 
rilievo 
due 
pronunce 
del 
Giudice 
delle 
leggi 
(sent. 193/2016 
e 
sent. 63/2019), le 
quali 
-proprio con riguardo al 
principio 
della 
retroattività 
della 
legge 
più 
favorevole 
-hanno 
chiarito 
come 
l’ambito 
applicativo 
dello 
stesso 
non 
possa 
generalizzarsi 
al 
sistema 
delle 
sanzioni 
amministrative 
complessivamente 
considerato, 
ma 
solo 
a 
quelle 
specifiche 
discipline 
sanzionatorie 
idonee 
ad acquisire 
caratteristiche 
“punitive” 
secondo 
l’ordinamento convenzionale. 


Stando 
così 
le 
cose, 
la 
soluzione 
del 
caso 
concreto 
impone 
un 
actio 
finum 
regundorum 
della 
sostanza 
penale 
condotta 
attraverso 
una 
rigorosa 
applicazione 
dei 
criteri 
definiti 
dalla 
sentenza della Cedu 
engel 
del 
1976, specie 
quelli 
ulteriori 
dettati 
per 
evitare 
che 
il 
sindacato 
giurisdizionale 
in 
materia 
sanzionatoria 
risulti 
illusorio, 
ove 
l’illecito 
sia 
qualificato 
a 
priori 
ex 
lege 
come 
amministrativo. 


In questi 
termini, tralasciando il 
primo dei 
criteri 
consistente 
nella 
qualificazione 
giuridica 
dell’illecito 
all’interno 
dell’ordinamento 
nazionale, 
l’accento 
va 
posto 
sul 
secondo 
(struttura 
della 
norma; 
alla 
genericità 
o 
alla 
specificità 
dei 
destinatari 
e 
alla 
caratura 
del 
bene 
protetto) e 
sul 
terzo (grado 
di severità della sanzione) criterio di analisi della fattispecie sanzionatoria. 


ebbene, l’applicazione 
dell’evocato protocollo convenzionale 
evidenzia 
la 
prevalenza 
di 
indici 
militanti 
per una 
funzione 
general 
preventiva 
della 
fattispecie 
sanzionatoria 
ex 
art. 13 
bis, co. II del D.lgs. n. 28/1993. 


In primo luogo, la 
norma 
sanzionatoria, benché 
in prima 
battuta 
sembrerebbe 
descrivere 
un illecito comune 
(“chiunque”), delinea 
invece 
un illecito 
proprio 
diretto 
non 
alla 
generalità 
dei 
consociati, 
ma 
ad 
una 
specifica 
categoria: 
gli 
operatori 
che 
si 
occupano 
di 
commercializzazione 
e 
importazioni 
di 
animali 
e/o prodotti 
animali 
in ambito intracomunitario, come 
si 
evince 
dal 
fatto che 
in caso di 
recidiva 
“sono sospesi 
la licenza e 
il 
permesso di 
importazione 
per 
tre 
mesi”. non pare 
sia 
indicativo in senso contrario l’utilizzo da 
parte 
del 
legislatore 
del 
termine 
“è 
punito”, laddove 
si 
consideri 
come 
spesso la 
legislazione 
non 
brilli 
per 
l’uso 
di 
una 
terminologia 
conforme 
alla 
materia 
disciplinata, 
optando 
per 
esempio 
per 
un 
linguaggio 
comune 
(es. 
il 
termine 
affare anziché contratto contenuto all’art. 1754 c.c.) 


e 
ancora, 
le 
sanzioni 
pecuniarie 
contemplate 
sono 
determinate 
nel 
rispetto 
del 
principio 
di 
proporzionalità, 
attraverso 
la 
previsione 
di 
una 
ragionevole 
forbice 
edittale 
che 
permette 
di 
parametrare 
la 
risposta 
sanzionatoria 
al 
caso 
concreto ed inoltre 
il 
loro ammontare 
non appare 
eccessivo (“da € 2.582,28 a 
€ 25.822,00”). tale 
osservazione 
pare 
possa 
trovare 
riscontro nei 
precedenti 
giurisprudenziali, 
che 
hanno 
riconosciuto 
il 
carattere 
punitivo 
di 
una 
sanzione 
amministrativa 
ove 
questa 
sia 
determinabile 
con il 
sistema 
dei 
moltiplicatori, 
nel 
caso de 
quo 
mancante 
(sent. Cedu 
4 marzo 2014, Grande 
stevense 
e 
altri c. italia; C. Cost. 63/2019; C. Cost. 149/2022). 


Infine, le 
misure 
interdittive 
accessorie 
(sospensione 
della 
licenza 
o del 



PArerI 
DeL 
COMItAtO 
COnSULtIvO 


permesso 
di 
importazione) 
non 
sono 
disposte 
sempre, 
ma 
sono 
subordinate 
alla 
reiterazione 
della 
condotta 
(“in caso di 
recidiva”), altresì 
la 
loro durata 
è 
circoscritta 
nel 
tempo (“per 
tre 
mesi”). Peraltro, la 
circostanza 
di 
trattarsi 
di 
misure 
interdittive 
non 
esclude 
il 
carattere 
general-preventivo 
delle 
stesse, 
laddove 
si 
consideri 
come 
la 
nostra 
Corte 
Costituzionale 
-pur riconoscendo 
una 
particolare 
carica 
afflittiva 
-ha 
negato carattere 
punitivo a 
sanzioni 
ben 
maggiori 
quali 
le 
misure 
di 
prevenzione 
(sent. 24 del 
2019) e 
quelle 
previste 
dall’art. 75 del d.P.r. 309/1990 (sent. 148/2022). 


ll 
carattere 
general 
-preventivo della 
fattispecie 
amministrativa 
non pare 
possa 
poi 
dirsi 
recessivo in ragione 
della 
previsione 
della 
c.d. clausola 
di 
sussidiarietà 
(“salvo che 
il 
fatto costituisca reato”), la 
quale 
evidenzia 
solo la 
ragionevole 
scelta 
legislativa 
di 
sanzionare 
aliunde 
differenti 
e 
più 
gravi 
gradazioni della condotta e dell’offesa al bene protetto. 


Stando così 
le 
cose, deve 
ritenersi 
prevalente 
la 
natura 
amministrativa 
e 
non penale 
della 
sanzione 
di 
cui 
si 
discute, con consequenziale 
applicazione 
dell’indirizzo tradizionale 
della 
giurisprudenza 
di 
legittimità 
secondo cui 
“in 
tema di 
sanzioni 
amministrative, i 
principi 
di 
legalità, irretroattività e 
di 
divieto 
di 
applicazione 
analogica di 
cui 
alla l. 24 novembre 
1981, n. 689, art. 
1, comportano l’assoggettamento della condotta illecita alla legge 
del 
tempo 
del 
suo 
verificarsi, 
con 
conseguente 
inapplicabilità 
della 
disciplina 
posteriore 
più favorevole, sia che 
si 
tratti 
di 
illeciti 
amministrativi 
derivanti 
da depenalizzazione, 
sia che 
essi 
debbano considerarsi 
tali 
ab origine, senza che 
possano 
trovare 
applicazione 
analogica, 
attesa 
la 
differenza 
qualitativa 
delle 
situazioni 
considerate, gli 
opposti 
principi 
di 
cui 
all’art. 2 c.p., commi 
2 e 
3, 
i 
quali, recando deroga alla regola generale 
dell’irretroattività della legge, 
possono, al 
di 
fuori 
della materia penale, trovare 
applicazione 
solo nei 
limiti 
in cui 
siano espressamente 
previsti 
dal 
legislatore”(Cfr. da ultimo: sez. ii, 
sent. n. 16276 del 19 maggio 2022, Ced 664886). 


Alla 
luce 
dell’analisi 
sopra 
effettuata 
deve 
escludersi 
nel 
caso 
l’operatività 
del 
principio 
di 
retroattività 
della 
lex 
mitior, 
con 
l’effetto 
di 
rigettare 
sul 
punto 
le 
istanze 
formulate 
dalle 
controparti 
in 
via 
di 
autotutela, 
facendo 
applicazione 
del diverso principio del 
tempus regit actum. 



rASSeGnA 
AvvOCAtUrA 
DeLLO 
StAtO -n. 2/2023 


alloggio di servizio dell’arma dei Carabinieri: 
qualificazione come “casa familiare”, 
separazione personale dei coniugi ed effetti 


Parere 
del 
21/07/2023-486373, al 41556/2022, 
ProcUratore 
dello 
Stato 
valeria 
romano 


1. il quesito. 
Si 
riscontra 
la 
nota 
in 
riferimento 
con 
la 
quale 
l’Amministrazione 
in 
indirizzo 
ha 
formulato 
una 
richiesta 
di 
parere 
compendiabile 
in 
quattro 
questioni 
tra 
loro 
collegate 
da 
un 
rapporto 
di 
reciproca 
presupposizione 
logica 
e 
giuridica: 


a) 
se 
gli 
alloggi 
di 
servizio 
dell’Arma 
dei 
Carabinieri 
connessi 
all’incarico 
(ASGI) 
disciplinati 
all’art. 
362, 
comma 
1, 
lett. 
a) 
del 
d.P.r. 
15 
marzo 
2010, 
n. 
90 
(tUOM) 
ed 
all’art. 
295, 
comma 
1, 
lett. 
a) 
del 
D.lgs. 
15 
marzo 
2010, 
n. 
66 
(COM) 
siano 
o 
meno 
qualificabili 
come 
“casa 
familiare” 
intesa 
-secondo 
l’insegnamento 
giurisprudenziale 
consolidato 
-come 
“l’habitat 
domestico, 
il 
luogo 
degli 
affetti, 
degli 
interessi 
e 
delle 
consuetudini 
della 
famiglia 
durante 
la 
convivenza 
dei 
suoi 
componenti” 
(Cass. 
civ. 
Sez. 
I, 
20 
gennaio 
2006, 
n. 
1198); 
b) 
se 
-ove 
astrattamente 
qualificabile 
come 
“casa 
familiare” 
-l’alloggio 
ASGI sia 
-conseguentemente 
-suscettibile 
di 
essere 
oggetto di 
un provvedimento 
giurisdizionale 
di 
assegnazione 
ai 
sensi 
dell’art. 
337 
sexies 
c.c. 
in 
favore 
del 
coniuge 
separato, diverso dal 
titolare 
della 
concessione, affidatario della 
prole 
ovvero se 
sia 
di 
impedimento all’assegnazione 
al 
soggetto diverso dal 
pubblico 
dipendente 
titolare 
della 
concessione 
dell’alloggio 
la 
circostanza 
desumibile 
dall’art. 363 del 
d.P.r. 15 marzo 2010, n. 90 -per cui 
l’alloggio di 
servizio 
dell’Arma 
dei 
Carabinieri 
è 
indissolubilmente 
correlato 
con 
il 
rapporto 
d’impiego ed è 
destinato ad assolvere 
esclusivamente 
all’esigenza 
di 
pronta 
e 
immediata 
presenza 
del 
militare 
assegnatario 
nel 
luogo 
di 
svolgimento 
dei 
servizi 
d’istituto; 
c) nel 
caso in cui 
l’alloggio di 
servizio sia 
assegnato, in sede 
di 
separazione, 
al 
coniuge 
del 
titolare 
del 
rapporto di 
servizio, se 
-per effetto dell’assegnazione 
della 
casa 
familiare 
-il 
coniuge 
dell’assegnatario dell’immobile 
subentri 
nel 
rapporto 
concessione 
originariamente 
instaurato 
tra 
l’Amministrazione 
ed il dipendente ovvero nel solo godimento del bene; 
d) 
se 
il 
provvedimento di 
assegnazione 
sia 
o meno opponibile 
all’Amministrazione 
e 
se 
vi 
siano e 
quali 
siano gli 
strumenti 
giuridici 
fruibili 
dal 
soggetto 
pubblico titolare 
del 
patrimonio abitativo per assicurare 
la 
destinazione 
del 
bene 
pubblico all’assolvimento degli 
scopi 
istituzionali 
dell’Amministrazione 
prescritti dall’art. 363 del d.P.r. 15 marzo 2010, n. 90. 

PArerI 
DeL 
COMItAtO 
COnSULtIvO 


2. Patrimonio alloggiativo del 
ministero della difesa e 
dell’arma dei 
Carabinieri. 
Così 
scomposto 
il 
quesito 
formulato, 
la 
relativa 
soluzione 
postula 
un 
breve 
inquadramento 
sulla 
disciplina 
del 
patrimonio 
alloggiativo 
dell’Arma 
dei 
Carabinieri. Detta 
disciplina 
è 
recata 
-come 
noto -dagli 
artt. 295 e 
296 
del 
D.lgs. 15 marzo 2010, n. 66 nonché 
dagli 
artt. da 
362 a 
388 del 
d.P.r. 15 
marzo 
2010, 
n. 
90 
e 
presenta 
-per 
quel 
che 
in 
questa 
sede 
maggiormente 
rileva 
-tratti 
di 
peculiarità 
e 
differenziazione 
rispetto 
alla 
regolamentazione 
generale 
in materia 
di 
alloggi 
destinati 
al 
personale 
dell’esercito italiano, della 
Marina 
militare 
e 
dell’Aeronautica 
militare 
ed al 
personale 
civile 
del 
Ministero della 
Difesa 
recata 
sia 
dagli 
artt. 278-294 D.lgs. 15 marzo 2010, n. 66 sia 
dagli 
artt. 
311-361 del d.P.r. 15 marzo 2010, n. 90. 


In linea 
generale, come 
noto, in base 
alla 
disciplina 
di 
cui 
agli 
artt. 313 


d.P.r. 15 marzo 2010, n. 90 e 
279 del 
D.lgs. 15 marzo 2010, n. 66 gli 
alloggi 
di 
servizio per il 
personale 
del 
Ministero della 
Difesa 
sono classificati 
nelle 
seguenti categorie: 
-asGC: 
alloggi 
di 
servizio gratuiti 
per consegnatari 
e 
custodi 
concessi 
unicamente 
al 
personale 
dipendente 
cui 
è 
affidata, 
in 
modo 
continuativo, 
la 
custodia 
dell’edificio 
o 
dell’impianto 
nel 
quale 
insiste 
l’alloggio, 
nonché 
al 
personale 
militare 
e 
civile 
cui 
siano affidate 
in modo continuativo mansioni 
di consegnatario di deposito o magazzino (art. 280 Com); 
-asi: 
alloggi 
di 
servizio connessi 
all’incarico, assegnati 
al 
personale 
dipendente 
cui 
sono affidati 
incarichi 
che 
richiedono l’obbligo di 
abitare 
presso 
la località di servizio (art. 281 Com); 
-asir: 
alloggi 
di 
servizio 
connessi 
all’incarico, 
con 
annessi 
locali 
di 
rappresentanza 
assegnati 
a 
titolari 
di 
incarichi 
che 
comportano 
obblighi 
di 
rappresentanza, 
dotati 
di 
locali, 
appositamente 
predisposti, 
annessi 
agli 
alloggi 
stessi (art. 282 Com); 


-ast: 
alloggi 
di 
servizio di 
temporanea 
sistemazione 
per le 
famiglie 
dei 
militari 
assegnati 
in base 
a 
criteri 
di 
rotazione 
al 
personale 
che 
presta 
servizio 
nella località in cui è situato l’alloggio (art. 283 Com); 
-aPP: 
alloggi 
di 
servizio 
per 
le 
esigenze 
logistiche 
del 
personale 
militare 
in transito e dei relativi familiari di passaggio (art. 284 Com); 


-sli: 
alloggi 
di 
servizio per le 
esigenze 
logistiche 
del 
personale 
militare 
imbarcato e dei relativi familiari di passaggio (art. 284 Com); 
-asC: 
alloggi 
collettivi 
di 
servizio nell’ambito delle 
infrastrutture 
militari 
per ufficiali, sottufficiali 
e 
volontari 
in servizio permanente 
destinati 
alla 
sede (art. 285 Com). 
In tema 
di 
alloggi 
di 
servizio, all’Arma 
dei 
Carabinieri, quale 
Forza 
armata 
in servizio permanente 
di 
pubblica 
sicurezza, si 
applica 
una 
normativa 
autonoma 
rispetto 
a 
quella 
innanzi 
tratteggiata, 
contenuta 
negli 
artt. 
295 
e 
296 
del Com e negli artt. 362 e ss. del 
tuom. 



rASSeGnA 
AvvOCAtUrA 
DeLLO 
StAtO -n. 2/2023 


L’Arma dispone - infatti - di sole tre tipologie di alloggi: 


-asir: 
l’Arma 
dispone 
di 
un 
solo 
alloggio 
Asir 
attribuito 
al 
Comandante 
Generale. Sino al 
31 dicembre 
2014 era 
previsto un secondo Asir attribuito al 
vice 
Comandante, poi 
riclassificato in ASGI (legge 
23 dicembre 
2014, n. 190 
Disposizioni 
per 
la 
formazione 
del 
bilancio 
annuale 
e 
pluriennale 
dello 
Stato). 


-asGi: 
alloggi 
di 
servizio 
gratuiti 
connessi 
all’incarico, 
costituiti 
presso 
i 
reparti 
periferici 
con compiti 
operativi, segnatamente 
di 
controllo del 
territorio 
e di pubblica sicurezza. 


-astC: alloggi di servizio in temporanea concessione. 
Per 
quel 
che 
in 
questa 
sede 
maggiormente 
rileva, 
come 
messo 
in 
evidenza 
anche 
dalla 
Corte 
dei 
conti 
nella 
deliberazione 
12 
novembre 
2015 
n. 
10/2015/G 
“la 
finalità 
degli 
asgi 
è 
quella 
di 
assicurare 
la 
diuturna 
e, 
soprattutto, 
immediata, 
disponibilità 
del 
personale, 
stante 
l’imprevedibilità 
degli 
interventi 
connessi 
con 
la 
tutela 
della 
sicurezza 
pubblica 
e 
la 
repressione 
dei 
reati 
nonché 
l’efficienza 
dei 
servizi 
e 
la 
sicurezza 
delle 
caserme 
che, 
spesso, 
a 
causa 
delle 
ridotte 
dimensioni 
dei 
reparti, 
non 
è 
possibile 
presidiare 
attivamente 
sulle 
24 
h., 
benché 
vi 
siano 
custodite 
armi, 
carteggio 
classificato 
e 
altri 
materiali 
sensibili. 
ne 
discende 
che 
la 
giustificazione 
dell’istituto 
giuridico 
risiede 
nel 
compito, 
attribuito 
all’Arma 
dei 
carabinieri 
di 
esercitare 
le 
funzioni 
di 
polizia 
per 
mezzo 
di 
un’articolazione 
ordinativa 
polverizzata 
sul 
territorio”. 


Dall’esame 
della 
relativa 
disciplina 
risulta 
che 
gli 
incarichi 
ai 
quali 
competono 
gli 
ASGI sono stabiliti 
per legge 
e 
sono indicati 
nell’allegato “A” 
del-
l’art. 383 del 
tuom. Il 
Comandante 
Generale 
dell’Arma 
procede 
-a 
monte 
per 
ogni 
singola 
infrastruttura 
a 
indicare, con propria 
determinazione, quale 
specifica 
unità 
abitativa 
sia 
attribuita 
a 
ciascun incarico (c.d. “attribuzione 
sinottica”) 
mentre 
-a 
valle 
-i 
singoli 
alloggi 
sono assegnati 
dal 
Comandante 
di 
corpo al 
titolare 
dell’incarico cui 
sono attribuiti. Quando l’attribuzione 
corrisponde 
ad 
un 
incarico 
per 
il 
quale 
sono 
presenti 
più 
destinatari, 
l’assegnazione 
è 
determinata 
dall’Amministrazione, nell’esercizio della 
discrezionalità 
tecnica 
che 
le 
compete, ai 
militari 
la 
cui 
presenza 
e 
reperibilità 
è 
ritenuta 
di 
maggiore 
interesse 
per 
l’Istituzione, 
in 
funzione 
delle 
specifiche 
mansioni 
che 
assolvono. ne 
consegue 
-come 
messo in luce 
della 
già 
citata 
deliberazione 
12 novembre 
2015 n. 10/2015/G 
della 
Corte 
dei 
conti 
“che, essendo l’aSGi 
funzionale 
all’incarico e 
non un mero beneficio, non sono previste 
né 
istanze, 
né 
graduatorie 
e 
le 
situazioni 
attinenti 
alla 
sfera 
personale 
e 
familiare, 
nonché 
la condizione 
economica, sono elementi 
che 
possono rilevare 
solo a parità di 
altri requiti”. 


Svolta 
tale 
premessa 
è 
ora 
possibile 
meglio 
analizzare 
la 
questione 
se 
l’alloggio 
di 
servizio dell’Arma 
dei 
Carabinieri 
connesso all’incarico (ASGI) sia 


o 
meno 
qualificabile 
come 
“casa 
familiare” 
suscettibile 
di 
assegnazione 
ai 
sensi 
dell’art. 
337 
sexies 
c.c. 
in 
favore 
del 
coniuge 
separato 
diverso 
dal 
titolare 

PArerI 
DeL 
COMItAtO 
COnSULtIvO 


della 
concessione. 
Sulla 
questione 
la 
Scrivente 
non 
ha 
rilevato 
precedenti 
giurisprudenziali 
specifici, 
sicché 
occorre 
muovere 
dall’analisi 
della 
giurisprudenza 
formatasi 
con riguardo alla 
qualificabilità 
come 
casa 
familiare 
non già 
degli 
alloggi 
ASGI riservati 
al 
personale 
dell’Arma 
dei 
Carabinieri, ma 
degli 
alloggi 
della 
Difesa 
di 
cui 
agli 
artt. 
278-294 
D.lgs. 
15 
marzo 
2010, 
n. 
66 
e 
artt. 
311-361 del d.P.r. 15 marzo 2010, n. 90. 


3. sulla qualificabilità degli 
alloggi 
del 
ministero difesa come 
“casa 
familiare”. 
Sulla 
qualificabilità 
degli 
alloggi 
del 
Ministero Difesa 
come 
“casa 
familiare” 
e 
sul 
problema 
della 
relativa 
possibilità 
di 
essere 
oggetto di 
provvedimenti 
di 
assegnazione 
ex 
art. 
337 
sexies 
c.c. 
in 
caso 
di 
separazione 
tra 
l’originario 
concessionario 
ed 
il 
coniuge 
affidatario 
della 
prole 
è 
dato 
ravvisare 
due opposti indirizzi giurisprudenziali. 


3.i. 
Secondo 
un 
primo 
orientamento, 
non 
può 
in 
alcun 
modo 
qualificarsi 
alla 
stregua 
di 
casa 
familiare 
un 
alloggio 
demaniale 
concesso 
ad 
un 
militare 
in 
servizio 
permanente 
per 
motivi 
correlati 
all’incarico 
di 
responsabilità 
conferito 
dall’Amministrazione. 
Secondo 
i 
fautori 
della 
tesi 
in 
esame, 
infatti, 
l’alloggio 
di 
servizio 
è 
legislativamente 
deputato 
ad 
assicurare 
il 
soddisfacimento 
dell’esigenza 
pubblicistica 
di 
immediata 
presenza 
e 
disponibilità 
del 
militare, 
non 
potendo 
-pertanto 
-considerarsi 
quale 
bene 
liberamente 
disponibile 
dal 
dipendente 
per 
ragioni 
di 
carattere 
familiare. 
tanto 
è 
stato 
affermato 
da 
parte 
della 
giurisprudenza 
amministrativa 
formatasi 
in 
materia 
che, 
in 
un 
caso 
di 
separazione 
con 
assegnazione 
della 
casa 
familiare 
al 
coniuge 
del 
concessionario, 
ha 
specificato 
il 
potere/dovere 
dell’Amministrazione 
di 
dichiarare 
decaduto 
il 
dipendente 
dalla 
concessione 
ai 
sensi 
dell’art. 
330 
d.P.r 
n. 
90/2010, 
allorquando 
l’alloggio 
venga 
impiegato 
per 
fini 
non 
conformi 
alla 
sua 
specifica 
funzione. 
Difatti 
“la 
concessione 
non 
può, 
per 
sua 
natura, 
essere 
oggetto 
di 
cessione 
da 
parte 
del 
concessionario 
a 
terzi, 
neppure 
a 
seguito 
di 
un 
intervenuto 
provvedimento 
di 
separazione 
o 
di 
divorzio 
che 
assegni 
temporaneamente 
l’alloggio 
stesso 
al 
coniuge 
separato 
o 
divorziato” 
atteso 
che 
la 
ratio 
della 
concessione 
degli 
alloggi 
di 
servizio 
“consiste 
nella 
esigenza 
di 
facilitare 
lo 
svogimento 
del 
servizio 
da 
parte 
del 
militare, 
capofamiglia, 
che 
risulta 
destinatario 
del 
rapporto 
concessorio, 
con 
la 
conseguenza 
che 
la 
revoca 
della 
concessione, 
prima 
della 
sua 
naturale 
scadenza, 
può 
derivare 
dalla 
perdita 
della 
qualità 
di 
militare 
in 
servizio 
del 
concessionario, 
o 
per 
altri 
fatti 
che 
attestino 
l’incompatibilità 
della 
destinazione 
effettiva 
con 
la 
finalità 
della 
concessione 
stessa 
come 
anche 
per 
eventuali 
inadempiene 
contrattuali” 
(cfr. 
t.a.r. 
Lazio 
roma 
Sez. 
I 
bis, 
Sent., 
(ud. 
12 
luglio 
2011) 
7 
ottobre 
2011, 
n. 
7804). 
3.ii. 
L’orientamento innanzi 
esposto -cui 
sembra 
aderire 
l’Amministrazione 
in indirizzo -è 
tuttavia 
minoritario nel 
panorama 
pretorio sul 
tema. ed 

rASSeGnA 
AvvOCAtUrA 
DeLLO 
StAtO -n. 2/2023 


infatti, secondo l’interpretazione 
prevalente 
della 
giurisprudenza 
del 
giudice 
ordinario, “l’alloggio assegnato in concessione 
... 
è 
qualificabile 
come 
“casa 
familiare”, 
in 
quanto 
viene 
ceduto, 
ancorché 
in 
correlazione 
con 
le 
prestazioni 
lavorative, al 
fine 
di 
soddisfare 
le 
esigenze 
abitative” 
non solo del 
dipendente 
ma 
anche 
dei 
componenti 
della 
sua 
famiglia, sicché 
-in caso di 
separazione 
e/o divorzio -tale 
“alloggio può ben essere 
attribuito al 
coniuge 
diverso dal 
concessionario, se 
affidatario della prole, ai 
sensi 
della l. 1 dicembre 
1970, 


n. 898 
”, seppure 
con l’ulteriore, non indifferente, precisazione 
che 
quest’ultimo 
-per effetto dell’assegnazione 
della 
casa 
familiare 
-subentra 
sì 
nel 
godimento 
del 
bene, 
con 
conseguente 
obbligo 
di 
pagare 
il 
corrispettivo 
per 
l’utilizzo 
dell’alloggio 
al 
concedente, 
ma 
“non 
nel 
rapporto 
concessorio, 
ormai 
cessato” 
(Cass. Civ., Sez. I, 8 marzo 2018, n. 5575 che 
richiama 
Cass. 
civ. Sez. I, 9 luglio 1989, n. 3247). 
In 
senso 
analogo 
si 
è 
espresso 
anche 
il 
giudice 
amministrativo 
secondo 
il 
quale 
“l’alloggio 
di 
servizio 
assegnato 
in 
concessione 
ai 
militari 
è 
qualificabile 
come 
“casa 
familiare” 
con 
la 
conseguenza 
che 
in 
caso 
di 
separazione 
o 
divorzio 
lo 
stesso 
può 
ben 
essere 
attribuito 
al 
coniuge 
diverso 
dal 
concessionario, 
se 
affidatario 
della 
prole 
il 
quale 
subentra 
nel 
godimento 
del 
bene, 
con 
il 
conseguente 
obbligo 
di 
pagare 
il 
corrispettivo 
per 
l’utilizzo 
dell’alloggio, 
ma 
non 
nel 
rapporto 
concessorio, 
ormai 
cessato” 
(Cons. 
Stato 
Sez. 
II, 
8 
ottobre 
2020, 
n. 
5981 
e 
t.a.r. 
Lazio 
roma 
Sez. 
I 
bis, 
7 
gennaio 
2019, 
n. 
148). 


tanto 
brevemente 
rappresentato, 
occorre 
sottolineare 
che 
-mentre 
il 
primo 
degli 
indirizzi 
giurisprudenziali 
innanzi 
riassunti 
risulta, 
dall’esame 
della 
giurisprudenza 
sul 
punto, 
argomentato 
essenzialmente 
sulla 
natura 
esclusiva 
della 
destinazione 
pubblicistica 
ed istituzionale 
dell’alloggio e 
sulla 
relativa 
indisponibilità 
in 
sede 
di 
separazione 
tra 
i 
coniugi 
-il 
secondo 
orientamento è 
fondato su plurimi 
argomenti 
dei 
quali 
bisogna 
verificare, al 
fine di fornire una risposta al quesito sottoposto, le eventuali criticità. 


4. 
argomenti 
a 
sostegno 
della 
tesi 
per 
cui 
l’alloggio 
di 
servizio 
oggetto 
concessione 
dell’amministrazione 
militare 
è 
qualificabile 
come 
“casa familiare” 
suscettibile 
-in 
caso di 
separazione 
-di 
essere 
assegnato ex art. 
337 sexies 
c.c. al coniuge diverso dal concessionario. 
4.i. 
in primis, l’indirizzo pretorio maggioritario -per giungere 
alla 
conclusione 
della 
qualificabilità 
come 
“casa 
familiare” 
dei 
cespiti 
che 
compongono 
il 
patrimonio 
alloggiativo 
del 
Ministero 
della 
Difesa 
-valorizza 
un 
argomento che 
muove 
dalle 
finalità 
dell’istituto dell’assegnazione 
della 
“casa 
familiare” 
di 
cui 
all’art. 337 sexies 
c.c. In proposito si 
evidenzia, più in particolare, 
come 
l’istituto 
della 
assegnazione 
della 
casa 
familiare 
risulti 
finalizzato 
all’esclusiva 
tutela 
dell’interesse 
della 
prole 
minorenne 
e 
non 
economicamente 
autosufficiente 
a 
conservare 
la 
propria 
sede 
abitativa 
ed il 
proprio ambiente 

PArerI 
DeL 
COMItAtO 
COnSULtIvO 


domestico in caso di 
separazione 
tra 
i 
coniugi 
non potendo detto interesse 
essere 
sacrificato rispetto a 
quello della 
funzionalizzazione 
dell’alloggio ad esigenze 
pubblicistiche (1). 


4.ii. Si 
rinviene 
altresì 
-in alcune 
pronunzie 
che 
aderiscono all’orientamento 
in 
esame 
-un 
argomento 
basato 
sulla 
distinzione 
-nell’ambito 
degli 
istituti 
che 
governano la 
crisi 
del 
matrimonio -tra 
il 
divorzio e 
la 
separazione. 
Più in particolare, si 
osserva 
-in alcuni 
arresti 
giurisprudenziali 
-che 
la 
separazione 
ha 
carattere 
transitorio e, a 
differenza 
del 
divorzio, essa 
non produce, 
come 
effetto legale, lo scioglimento del 
matrimonio né, a fortiori, la 
perdita 
dello status 
di 
coniuge. Si 
opina, quindi, nel 
senso che 
“è 
evidente, pertanto, 
che 
con la pronuncia di 
separazione 
personale, non sono venuti 
meno la coabitazione 
e 
l’affectio coniugalis 
(convivenza spirituale 
e 
materiale); a differenza 
della sentenza di 
divorzio che 
viene 
inviata dal 
tribunale 
direttamente 
all’ufficale 
dello 
stato 
civile 
del 
comune 
ove 
è 
avvenuto 
il 
matrimonio 
affinché 
costui 
la annoti 
a fianco dell’atto di 
matrimonio e 
la trasmetta ai 
comuni 
di 
nascita 
e 
residenza 
degli 
interessati 
per 
le 
variazione 
dello 
stato 
civile” 
(t.a.r. 
Lazio roma 
Sez. I bis, Sent., (ud. 10 gennaio 2012) 20 marzo 2012, n. 2659). 
Muovendo 
da 
tali 
premesse, 
in 
taluni 
arresti 
pretori, 
è 
stato 
affermato 
che 
poiché 
per 
effetto 
della 
sola 
pronuncia 
di 
separazione 
personale 
non 
verrebbe 
meno “la permanenza del 
nucleo familiare”, in caso di 
separazione 
non verrebbe 
neppure 
integrata 
l’ipotesi 
di 
decadenza 
del 
concessionario 
di 
cui 
all’art. 
330, c. 1, lett. f) del 
d.P.r. 15 marzo 2010, n. 90 che 
prevede 
che 
“il 
concessionario 
decade 
dalla concessione 
(...) per 
mancata occupazione 
stabile 
con 
il proprio nucleo familiare, dichiarato nella originaria domanda”. 
4.iii. 
In 
terzo 
luogo, 
molteplici 
pronunzie 
con 
effetti 
caducatori 
dei 
provvedimenti 
con 
i 
quali 
l’Amministrazione 
aveva 
intimato 
il 
rilascio 
degli 
alloggi 
di 
servizio nei 
confronti 
dei 
coniugi 
non concessionari 
delle 
unità 
abitative, 
risultano 
argomentate 
sulle 
base 
delle 
disposizioni 
recate 
dai 
Decreti 
Ministeriali 
7 maggio 2014 e 
24 luglio 2015 che 
-dopo aver individuato una 
serie 
di 
categorie 
svantaggiate 
aventi 
diritto 
al 
mantenimento 
del 
godimento 
bene, 
pur 
alla 
ricorrenza 
di 
condizioni 
che 
astrattamente 
ne 
avrebbero 
imposto 
l’intimazione 
al 
rilascio -estendevano la 
disciplina 
di 
tutela 
anche 
ai 
coniugi 
separati 
disponendo che 
“possono, inoltre, mantenere 
la conduzione 
(...) i 
coniugi 
di 
personale 
militare 
e 
civile 
della 
difesa 
titolare 
di 
concessione 
di 
alloggi 
di 
servizio che, alla data di 
entrata in vigore 
del 
presente 
decreto, siano divorziati, 
ovvero 
legalmente 
separati” 
(art. 
4 
comma 
2 
D.M. 
7 
maggio 
2014 
Piano 
(1) Sul 
punto diffusamente 
Cass. n. 18603 del 
2021 e 
Cass. n. 32231 del 
2018, secondo cui 
il 
godimento 
della 
casa 
familiare 
a 
seguito della 
separazione 
dei 
genitori 
ai 
sensi 
dell’art. 337 sexies 
c.c. è 
attribuito 
tenendo 
prioritariamente 
conto 
dell’interesse 
dei 
figli, 
occorrendo 
soddisfare 
l’esigenza 
di 
assicurare 
loro la 
conservazione 
dell’ 
“babitat” 
domestico, da 
intendersi 
come 
il 
centro degli 
affetti, degli 
interessi e delle consuetudini in cui si esprime e si articola la vita familiare. 

rASSeGnA 
AvvOCAtUrA 
DeLLO 
StAtO -n. 2/2023 


annuale 
di 
gestione 
del 
patrimonio 
abitativo 
in 
dotazione 
al 
Ministero 
della 
difesa 
per gli 
anni 
2012-2013). In proposito la 
Corte 
dei 
Conti 
-con la 
deliberazione 
n. 
10 
del 
2015 
della 
Sezione 
Centrale 
di 
Controllo 
sulla 
gestione 
delle 
Amministrazioni 
dello 
Stato 
-ha 
espressamente 
qualificato 
i 
soggetti 
contemplati 
all’art. 2 e 
all’art. 4 del 
D.M. del 
7 maggio 2014 come 
“occupanti 
sine 
titulo 
protetti” 
ossia 
soggetti 
nei 
cui 
confronti 
non 
è 
possibile 
procedere 
al 
c.d. 
“recupero coattivo”. 


4.iv. 
Infine, 
dall’esame 
delle 
motivazioni 
delle 
pronunzie 
che 
aderiscono, 
all’orientamento 
che 
ammette 
la 
qualificabilità 
degli 
alloggi 
del 
Ministero 
della 
Difesa 
come 
“casa 
familiare”, 
pare 
evincersi 
l’argomento 
per 
cui 
la 
concessione 
degli 
alloggi 
facenti 
parte 
del 
patrimonio del 
Dicastero della 
Difesa 
sarebbe 
asservita 
non unicamente 
alle 
esigenze 
pubblicistiche 
di 
pronto svolgimento 
dei 
compiti 
istituzionali, ma 
ad una 
duplice 
finalità: 
da 
un lato la 
necessità 
di 
pronta 
e 
immediata 
presenza 
nel 
luogo 
di 
svolgimento 
della 
prestazione 
lavorativa, e 
-dall’altro -il 
“soddisfacimento delle 
esigenze 
abitative 
della famiglia del 
militare” 
(Cass. Civ., Sez. I, 8 marzo 2018, n. 5575) 
sicché 
-in 
definitiva 
-“la 
ratio 
complessiva 
del 
sistema 
è 
quella 
di 
riconoscere 
il 
beneficio del 
godimento di 
un alloggio al 
militare 
in attività di 
servizio sia 
per 
alleviarne 
le 
difficoltà 
abitative, 
sia 
per 
garantire 
le 
esigenze 
di 
buon 
funzionamento 
della P.a.” 
(Cons. Stato Sez. Iv, Sent., (ud. 10 novembre 
2016) 1 
febbraio 2017, n. 411). 
Sulla 
scorta 
degli 
argomenti 
innanzi 
riassunti, la 
giurisprudenza 
ha 
ribadito 
-anche 
di 
recente 
-che 
“in caso di 
separazione 
l’alloggio di 
servizio assegnato 
ad 
un 
militare, 
in 
correlazione 
con 
le 
prestazioni 
lavorative 
dallo 
stesso svolte, può essere 
attribuito al 
coniuge 
diverso dal 
concessionario, se 
affidatario 
della 
prole, 
subentrando 
quest’ultimo 
per 
effetto 
dell’assegnazione 
della casa familiare 
sì 
nel 
godimento del 
bene” 
(t.a.r. Lazio roma 
Sez. I bis, 
24 maggio 2021, n. 5981). 


5. spunti 
critici 
in 
relazione 
all’indirizzò giurisprudenziale 
maggioritario. 
Ciò posto, al 
fine 
di 
poter fornire 
una 
risposta 
al 
quesito formulato, occorre 
verificare 
-come 
anticipato -se 
gli 
argomenti 
posti 
a 
sostegno dell’indirizzo 
giurisprudenziale 
maggioritario 
innanzi 
riassunti 
siano 
immuni 
da 
rilievi 
critici 
ed i 
relativi 
esiti 
possano estendersi, per quel 
che 
in questa 
sede 
maggiormente 
rileva, anche 
al 
patrimonio alloggiativo dell’Arma 
dei 
Carabinieri. 


5.i. 
Come 
innanzi 
esposto, 
il 
primo 
argomento 
valorizzato 
dai 
fautori 
del-
l’indirizzo interpretativo secondo il 
quale 
l’alloggio di 
servizio assegnato in 
concessione 
dall’Amministrazione 
militare 
è 
qualificabile 
come 
“casa 
familiare” 
suscettibile 
-in caso di 
separazione 
-di 
essere 
attribuito al 
coniuge 
diverso 
dal 
concessionario 
ex 
art. 
337 
sexies 
va 
ricercato 
nella 
preminenza 

PArerI 
DeL 
COMItAtO 
COnSULtIvO 


accordata 
all’interesse 
della 
prole 
minorenne 
e 
non economicamente 
autosufficiente 
a 
conservare 
la 
propria 
sede 
abitativa 
ed 
il 
proprio 
ambiente 
domestico. 
Detto argomento pare 
-invero -alla 
Scrivente 
ridimensionato quando 
la 
famiglia 
-nella 
sua 
originaria 
composizione 
-abbia 
fissato la 
propria 
sede 
in un alloggio di 
servizio dell’Arma 
del 
Carabinieri 
sinotticamente 
connesso 
all’incarico perché 
-come 
rilevato in dottrina 
-“in questi 
casi 
a rigore 
-non 
può neppure 
parlarsi 
di 
un un vero e 
proprio “radicamento” 
del 
nucleo familiare, 
al 
quale 
ricondurre 
l’interesse 
prioritario 
della 
prole 
alla 
conservazione 
della 
comunità 
domestica, 
essendo 
il 
personale 
militare 
(e 
le 
loro 
famiglie) 
sottoposto normalmente 
a frequenti 
cambiamenti 
di 
residenza” 
(2). Sul 
punto 
pare 
altresì 
rilevante 
sottolineare 
che 
-come 
evidenziato 
dalla 
Corte 
dei 
Conti`(3) -“gli 
asgi 
servono anche 
a garantire 
l’elevata mobilità del 
personale 
obbligato a frequenti 
riorganizzazioni 
della vita familiare, per 
cui 
l’assegnazione 
dell’alloggio si 
configura come 
strumento imprescindibile 
per 
il 
trasferimento degli 
interessati”. A 
superamento dell’argomento fondato sull’assiomatica 
prevalenza 
dell’interesse 
della 
prole 
minorenne 
a 
mantenere 
il 
proprio 
habitat 
familiare 
sull’interesse 
pubblico 
alla 
destinazione 
istituzionale 
del 
patrimonio alloggiativo del 
Ministero della 
Difesa 
non può non osservarsi 


-inoltre 
-che 
gli 
alloggi 
di 
servizio dei 
quali 
si 
discute 
fanno parte 
del 
patrimonio 
indisponibile 
dello Stato (4) con conseguente 
non sottraibilità 
alla 
loro 
destinazione 
se 
non 
nei 
casi 
e 
nelle 
forme 
previste 
dalle 
leggi 
che 
li 
riguardano 
(art. 828, comma 
2, cod. civ.). In altri 
termini, dall’inclusione 
degli 
alloggi 
in 
parola 
nel 
patrimonio indisponibile 
dello Stato gravati 
-per 
definitionem 
ex 
art. 
828, 
comma 
2, 
cod. 
civ. 
-“da 
uno 
specifico 
vincolo 
di 
destinazione 
all’uso 
pubblico” 
si 
desume 
che 
il 
delicato 
bilanciamento 
tra 
l’interesse 
particolare 
dei 
figli 
e 
l’interesse 
pubblico connesso al 
mantenimento della 
destinazione 
istituzionale 
degli 
immobili 
in esame, operato dalla 
giurisprudenza 
nel 
senso 
della 
prevalenza 
del 
primo, 
è 
-invero 
-già 
stato 
operato 
dal 
legislatore 
nel 
senso della 
non sottraibilità 
dei 
beni 
in parola 
rispetto al 
soddisfacimento del-
l’interesse 
pubblico a 
mantenere 
in prossimità 
della 
sede 
di 
servizio il 
dipendente 
che 
svolga 
determinati 
incarichi 
per 
garantire 
le 
esigenze 
di 
buon 
funzionamento dell’Amministrazione. 
5.ii. 
Quanto all’argomento, basato sulla 
distinzione 
-nell’ambito degli 
istituti 
che 
governano la 
crisi 
del 
matrimonio -tra 
il 
divorzio e 
separazione 
va 
rilevato 
che, 
pur 
essendo 
indubbio 
che 
“la 
separazione 
personale 
dei 
coniugi, 
a differenza del 
divorzio, non risolve, ma mantiene 
il 
coniugio, in sé 
non po(
2) 
CAPPeLLO 
G., 
l’assegnazione 
della 
casa 
familiare 
nella 
giurisprudenza, 
in 
Famiglia 
e 
diritto, 
2011, 1, 92. 
(3) Deliberazione 12 novembre 2015 n. 10/2015/G. 


(4) Cons. Stato Sez. Iv, Sent., (ud. 10 novembre 
2016) 1 febbraio 2017, n. 411, Cons. Stato Sez. 
II, Sent., (ud. 15 febbraio 2022) 23 agosto 2022, n. 7409. 

rASSeGnA 
AvvOCAtUrA 
DeLLO 
StAtO -n. 2/2023 


tendo escludere 
la ripresa della convivenza” 
è 
anche 
vero che 
“tale 
connotazione 
ontologica più formale 
che 
sostanziale, non consente 
di 
escludere 
l’attualità 
della situazione 
di 
separazione” 
(5). Più nel 
dettaglio, in base 
agli 
artt. 
150-158 del 
codice 
civile 
-la 
separazione 
comporta 
la 
sospensione 
dei 
doveri 
reciproci 
dei 
coniugi 
(quali 
ad 
es: 
il 
dovere 
di 
coabitazione, 
il 
dovere 
di 
fedeltà 
e 
di 
collaborazione) 
sicché 
-sebbene 
siano 
persistenti 
taluni 
precisi 
doveri 
giuridici 
e 
morali 
nonché 
il 
mantenimento dello status 
di 
coniuge 
-viene 
-di 
fatto -meno l’elemento caratterizzante 
l’essenza 
stessa 
del 
nucleo familiare, 
ossia 
l’effettivo 
stato 
di 
coabitazione 
tra 
i 
coniugi 
con 
conseguente 
integrazione 
dell’ipotesi 
di 
decadenza 
del 
concessionario di 
cui 
all’art. 330, c. 1, lett. 


f) del 
d.P.r. 15 marzo 2010, n. 90 già 
citato per cui 
“il 
concessionario decade 
dalla concessione 
(...) 
per 
mancata occupazione 
stabile 
con il 
proprio nucleo 
familiare, dichiarato nella originaria domanda”. 
5.iii. 
Quanto 
agli 
argomenti 
basati 
sulla 
disciplina 
recata 
dai 
Decreti 
Ministeriali 
7 
maggio 
2014 
e 
24 
luglio 
2015 
nonché 
sulla 
ritenuta 
duplice 
finalità 
(istituzionale 
e 
familiare) 
della 
concessione 
degli 
alloggi 
di 
servizio, 
si 
espone 
-in 
chiave 
critica 
-quanto 
segue. 
L’art. 
306, 
comma 
2, 
del 
D.lgs. 
n. 
66 
del 
2010 prevede 
che 
il 
Ministro della 
Difesa, entro il 
31 marzo di 
ogni 
anno, con 
proprio decreto, definisca 
un piano di 
gestione 
del 
patrimonio abitativo, con 
l’indicazione 
dell’entità, dell’utilizzo e 
della 
futura 
destinazione 
degli 
alloggi 
di 
servizio, 
nonché 
di 
quelli 
non 
più 
ritenuti 
utili 
nel 
quadro 
delle 
esigenze 
dell’Amministrazione 
e 
-quindi 
-transitabili 
in regime 
di 
locazione 
ovvero 
alienabili, anche 
mediante 
riscatto. In proposito, consta 
alla 
Scrivente 
che, in 
osservanza 
di 
tale 
disposizione, sia 
stato emanato il 
D.M. 7 maggio 2014, recante 
il 
piano 
per 
le 
annualità 
2012-2013, 
ed 
il 
D.M. 
24 
luglio 
2015, 
per 
le 
annualità 
2013-2014, 
che 
-in 
effetti 
-hanno 
previsto 
-valorizzando 
“esigenze 
differenti 
rispetto a quelle 
ordinarie, in quanto connesse 
a scopi 
del 
tutto diversi 
(“lato 
sensu” 
sociali 
e 
abitative) 
rispetto 
alla 
normale 
destinazione 
degli 
alloggi” 
-una 
particolare 
tutela 
per 
il 
coniuge 
separato, 
diverso 
dal 
titolare 
della concessione. 
Si 
tratta 
-tuttavia 
-di 
una 
disciplina 
temporanea 
ed eccezionale 
“la cui 
vocazione 
anche 
solidaristica appare 
obiettivamente 
eterogenee 
rispetto alle 
finalità funzionali 
al 
servizio a vario titolo sottese 
all’assegnazione 
delle 
diverse 
tipologie 
di 
alloggi” 
(Cons. Stato Sez. II, Sent, (ud. 8 marzo 2022) 19 
aprile 
2022, 
n. 
2952) 
che 
-quindi 
-ad 
avviso 
della 
Scrivente 
conferma 
-a 
contrario -che, in difetto di 
una 
precisa 
disposizione 
derogatoria, la 
finalità 
esclusiva 
del 
sistema 
degli 
alloggi 
di 
servizio è 
quella 
di 
assicurare 
la 
rispondenza 
dell’effettivo 
utilizzo 
dei 
cespiti 
alle 
finalità 
istituzionali 
stabilite 
ex 
lege 
con 
conseguente 
superamento 
anche 
dell’argomento 
-speso 
in 
giurisprudenza 


(5) Cons. Stato Sez. II, Sent., (ud. 22 settembre 2020) 8 ottobre 2020, n. 5981. 

PArerI 
DeL 
COMItAtO 
COnSULtIvO 


-relativo alla 
pretesa 
contemporanea 
funzionalità 
dell’alloggio per garantire 
le 
esigenze 
del 
nucleo 
familiare 
del 
concessionario 
in 
quanto 
privo 
-in 
disparte 
i D.M. indicati - di ogni fondamento normativo (6). 
6. 
Considerazioni 
in 
ordine 
al 
regime 
di 
opponibilità 
del 
provvedimento 
di assegnazione dell’alloggio come “casa familiare”. 
Constatata 
-alla 
stregua 
delle 
osservazioni 
che 
precedono 
-la 
non 
inconfutabilità 
degli 
argomenti 
posti 
a 
sostegno 
dell’orientamento 
giurisprudenziale 
secondo il 
quale 
la 
funzionalizzazione 
degli 
alloggi 
di 
servizio dell’Arma 
dei 
Carabinieri 
all’adempimento dei 
servizi 
di 
istituto non osta 
all’assegnazione 
degli 
alloggi 
in 
parola 
come 
“casa 
familiare”, 
occorre 
verificare 
se 
possano 
essere 
formulate 
ulteriori 
considerazioni 
a 
supporto 
della 
tesi 
che 
oltre 
a 
negare 
-a 
monte 
-la 
sussumibilità 
dei 
cespiti 
facenti 
parte 
del 
patrimonio 
alloggiativo 
del 
Ministero della 
Difesa 
nella 
nozione 
di 
“casa 
familiare” 
esclude 
-a 
valle 


-l’opponibibilità 
-nei 
confronti 
dell’Amministrazione 
militare 
-del 
provvedimento 
di 
assegnazione 
ex 
art. 337 sexies 
c.c. avente 
ad oggetto un alloggio 
di servizio. 
Sul 
punto, ritiene 
la 
Scrivente 
che 
l’ordinario regime 
giuridico di 
esclusiva 
destinazione 
ex 
lege 
degli 
alloggi 
all’assolvimento 
delle 
esigenze 
pubblicistiche 
dell’Amministrazione 
non 
possa 
essere 
derogato 
dall’emissione 
di 
un 
provvedimento 
giurisdizionale 
di 
assegnazione 
al 
coniuge 
separato 
affidatario 
della 
prole, 
atteso 
che 
si 
è 
in 
presenza 
di 
una 
pronuncia 
giudiziaria 
non 
assunta 
nel 
contraddittorio con il 
legittimo proprietario del 
bene 
e 
-pertanto -a 
questi 
inopponibile. 


A 
supporto 
dell’enunciata 
tesi 
dell’inopponibilità 
-nei 
confronti 
dell’Amministrazione 
militare 
-del 
provvedimento 
di 
assegnazione 
emesso 
ai 
sensi 
dell’art. 337 sexies 
c.c. assunto al 
di 
fuori 
del 
contraddittorio con il 
soggetto 
pubblico 
titolare 
del 
cespite, 
non 
pare 
inconferente 
richiamare 
la 
giurisprudenza 
intervenuta 
sul 
problema 
-in generale 
-della 
delimitazione 
soggettiva 
degli 
effetti 
del 
provvedimento 
giudiziale 
di 
assegnazione 
della 
casa 
familiare 
e 
della 
tutela 
dei 
preesistenti 
diritti 
dei 
terzi 
sia 
nel 
caso 
in 
cui 
la 
casa 
coniugale 
sia 
stata 
oggetto 
di 
un 
contratto 
locazione, 
sia 
nell’ipotesi 
in 
cui 
la 
casa 
sia 
stata concessa in comodato. 


6.i. 
Sul 
punto, la 
giurisprudenza 
ha 
affermato che 
nel 
caso in cui 
la 
casa 
coniugale 
sia 
stata 
concessa 
in locazione, il 
provvedimento di 
assegnazione 
della 
casa 
familiare 
a 
seguito di 
separazione 
è 
opponibile 
e 
produce 
i 
suoi 
effetti 
anche 
nei 
confronti 
del 
proprietario locatore 
determinando una 
cessione 
ex 
lege 
del 
contratto di 
locazione 
a 
favore 
del 
coniuge 
assegnatario e 
l’estin(
6) tra 
le 
azioni 
più recenti 
risulta 
solo predisposto uno “Schema 
di 
decreto ministeriale 
concernente 
il 
piano 
di 
gestione 
del 
patrimonio 
abitativo 
della 
Difesa”. 
Atto 
del 
Governo 
420 
-Senato: 
Dossier 
n. 
119 
7 
settembre 
2022 
nel 
quale 
si 
conferma 
che 
“ultimo 
piano 
gestionale 
degli 
alloggi 
militari 
è 
stato 
recato relativamente all’anno 2014 dal decreto del ministero della difesa 24 luglio 2015”. 

rASSeGnA 
AvvOCAtUrA 
DeLLO 
StAtO -n. 2/2023 


zione 
del 
rapporto in capo al 
coniuge 
originariamente 
conduttore, anche 
nel-
l’ipotesi 
in 
cui 
entrambi 
i 
coniugi 
abbiano 
sottoscritto 
il 
contratto 
di 
locazione. 
A 
tale 
conclusione 
in 
punto 
di 
opponibilità, 
nei 
confronti 
del 
terzo 
proprietario 
non 
coinvolto 
nel 
giudizio 
di 
separazione, 
dell’ordinanza 
di 
assegnazione 
del-
l’immobile 
quale 
casa 
coniugale 
la 
giurisprudenza 
è 
pervenuta 
in 
forza 
dell’art. 
6 
della 
L. 
n. 
392 
del 
1978 
a 
mente 
del 
quale 
“in 
caso 
di 
separazione 
personale 
... 
nel 
contratto 
di 
locazione 
succede 
al 
conduttore 
l’altro 
coniuge, 
se 
il 
diritto 
di 
abitare 
nella 
casa 
familiare 
sia 
stato 
attribuito 
dal 
giudice 
a 
quest’ultimo”. 
Detta 
successione 
ex 
lege, secondo la 
giurisprudenza, non modifica 
la 
natura 
del 
rapporto 
e 
la 
natura 
del 
diritto 
in 
base 
al 
quale 
il 
conduttore 
detiene 
la 
cosa 
locata, ma 
ha 
quale 
unico effetto quello di 
consentire 
ad un soggetto diverso 
dall’originario 
conduttore 
di 
sostituirsi 
nella 
titolarità 
del 
contratto, 
con 
la 
conseguente 
attribuzione 
dei 
relativi 
diritti 
e 
l’assunzione 
delle 
relative 
obbligazioni 
di 
guisa 
da 
giustificare 
l’automatismo 
legislativo 
e 
1’ininfluenza 
di 
qualsivoglia 
apporto volitivo, di 
adesione 
o di 
accettazione 
da 
parte 
del 
locatore 
ceduto (7). 


6.ii. 
nel 
caso, 
poi, 
di 
casa 
familiare 
attribuita 
in 
comodato, 
il 
coniuge 
affidatario 
della 
prole 
minorenne, o maggiorenne 
non autosufficiente, assegnatario 
della 
casa 
familiare, 
può 
opporre 
al 
comodante 
che 
chieda 
il 
rilascio 
dell’immobile, l’esistenza 
di 
un provvedimento di 
assegnazione, pronunciato 
in un giudizio di 
separazione 
o divorzio cui 
il 
comodante 
non ha 
partecipato, 
solo se 
il 
contratto di 
comodato precedentemente 
stipulato abbia 
contemplato 
la 
destinazione 
del 
bene 
a 
casa 
familiare 
(8). In tali 
casi 
-infatti 
-il 
provvedimento 
di 
assegnazione 
non modifica 
la 
natura 
ed il 
contenuto del 
titolo che 
giustifica 
il 
godimento dell’immobile 
ma 
determina, invece, una 
concentrazione 
di 
detto godimento, che 
continua 
ad essere 
assoggettato al 
regime 
del 
precedente rapporto, nella persona del solo coniuge assegnatario. 
Ciò 
posto 
e 
procedendo 
per 
astrazione 
è 
dato 
ricavare 
che 
sia 
nel 
caso 
della 
assegnazione 
della 
casa 
in 
locazione 
sia 
in 
quello 
della 
casa 
in 
comodato, 
la 
giurisprudenza 
giustifica 
l’opponibilità 
al 
terzo 
dell’ordinanza 
di 
assegnazione 
sul 
rilievo 
per 
cui 
il 
provvedimento 
giudiziale 
garantisce, 
in 
pratica, 
la 
permanenza 
della 
situazione 
di 
fatto 
originaria. 
In 
altri 
termini, 
in 
entrambe 
le 
ipotesi 
in 
cui 
il 
provvedimento 
ex 
art. 
337 
sexies 
c.c. 
viene 
con


(7) Cass. 7 novembre 2019, n. 28615. 


(8) Cass. civ., sez. Sez. Unite, del 
29 settembre 
2014, n. 20448. Sul 
punto si 
segnala 
anche 
Cass. 
civ., Sez. Unite, (ud. 10 giugno 2004) 21 luglio 2004, n. 13603 nella 
parte 
in cui 
sottolinea 
“non può 
ipotizzarsi 
una funzionalizzazione 
assoluta del 
diritto di 
proprietà del 
terzo a tutela di 
diritti 
che 
hanno 
radice 
nella 
solidarietà 
coniugale 
o 
postconiugale. 
È 
peraltro 
evidente 
che, 
così 
come 
i 
limiti 
soggettivi 
ed 
oggettivi 
del 
provvedimento 
di 
assegnazione 
non 
consentono 
una 
compressione 
dei 
diritti 
vantati 
dal 
dominus, che 
non è 
stato parte 
del 
giudizio nel 
quale 
il 
provvedimento stesso è 
stato emesso, per 
converso 
non è 
configurabile 
un ampliamento della posizione 
giuridica del 
coniuge 
assegnatario, nei 
confronti 
dello stesso proprietario, rispetto a quella vantata dall’originario comodatario”. 

PArerI 
DeL 
COMItAtO 
COnSULtIvO 


siderato 
opponibile 
al 
terzo 
rimasto 
estraneo 
al 
giudizio 
di 
separazione, 
il 
provvedimento 
giurisdizionale 
non 
ha 
alcuna 
efficacia 
attributiva, 
bensì 
produce 
effetti 
di 
esclusione 
di 
uno 
dei 
coniugi 
dall’utilizzazione 
dell’abitazione, 
poiché 
si 
limita 
a 
concentrare 
la 
detenzione 
dell’immobile 
a 
favore 
del 
coniuge 
assegnatario. 


Gli 
esiti 
giurisprudenziali 
in tema 
di 
opponibilità 
del 
provvedimento di 
assegnazione 
pronunciato 
in 
un 
giudizio 
di 
separazione 
o 
divorzio 
nei 
confronti 
del 
locatore 
e 
del 
comandante 
rimasti 
estranei 
alla 
gestione 
della 
crisi 
della 
famiglia, sembrano alla 
Scrivente 
non estensibili 
al 
caso in cui 
il 
terzo 
proprietario 
sia 
un’Amministrazione 
pubblica 
ed 
il 
cespite 
oggetto 
di 
assegnazione 
sia 
un alloggio di 
servizio tanto perché 
il 
coniuge 
non assegnatario non 
subentra 
-in difetto di 
una 
specifica 
norma 
analoga 
all’art. 6 della 
L. n. 392 
del 
1978 -“nel 
rapporto concessorio, ormai 
cessato” 
(9), ma 
a 
questi 
viene 
al 
contrario -attribuito sul 
bene 
altrui 
un diritto atipico di 
godimento del 
bene 
in difetto -tuttavia 
-della 
preventiva 
integrazione 
del 
contraddittorio con il 
legittimo proprietario del bene, risultando - pertanto - a questi inopponibile. 


A 
supporto di 
detta 
posizione 
si 
richiama 
quanto statuito da 
t.a.r. Lazio 
roma 
Sez. I bis, Sent., (ud. 5 maggio 2010) 14 giugno 2010, n. 17547 in relazione 
alla 
sentenza 
di 
divorzio per cui 
“la sentenza di 
divorzio, che 
assegna 
la casa familiare 
all’ex 
moglie, non è 
opponibile all’amministrazione, ancor 
più se 
si 
considera che 
questa non ha partecipato al 
relativo giudizio e 
non 
ha, 
conseguentemente, 
potuto 
opporre 
eventuali 
proprie 
ragioni 
contrarie 
(cfr. 
art. 2909 cod. civ.). né 
si 
rinviene 
una norma che 
consenta all’ex 
coniuge 
di 
continuare 
a godere 
dell’immobile 
demaniale 
(tant’è, che 
l’amministrazione, 
potrebbe 
anche 
agire 
per 
la liberazione 
dell’immobile 
manu militari 
non essendo 
lo stesso occupato dall’ex concessionario)” (10). 


A 
ciò si 
aggiunge 
che 
-ove 
si 
opinasse 
diversamente 
-si 
consentirebbe 
al 
militare 
di 
disporre 
in sede 
di 
separazione 
consensuale 
del 
bene 
cedendone 


-di 
fatto -il 
godimento al 
coniuge 
non assegnatario affinché 
venga 
utilizzato 
come 
casa 
familiare, così 
ammettendosi 
la 
validità 
di 
negozi 
in danno o sul 
patrimonio 
del 
terzo 
(ossia, 
il 
Ministero 
della 
Difesa). 
È 
-infatti 
-evidente 
che 
l’assegnazione 
della 
casa 
coniugale, nell’ambito del 
procedimento di 
separazione 
giudiziale, ha 
quale 
ineliminabile 
presupposto la 
disponibilità, per 
uno 
o 
per 
entrambi 
i 
coniugi, 
dell’immobile 
che 
ne 
costituisce 
l’oggetto, 
mentre 
nel 
caso di 
assegnazione 
di 
un alloggio demaniale, il 
provvedimento di 
as(
9) Cass. civ., Sez. I, 8 marzo 2018, n. 5575 che 
richiama 
Cass. civ. Sez. I, 9 luglio 1989, n. 3247. 
(10) In questo senso si 
è 
espressa 
anche 
la 
giurisprudenza 
di 
legittimità. Si 
veda, in particolare, 
Cass. civ., Sez. III, ord., (ud. 11 dicembre 
2017) 15 marzo 2018, n. 6392 “l’eventuale 
provvedimento di 
assegnazione 
della casa familiare 
contenuto nelle 
condizioni 
di 
separarazione 
personale 
dei 
coniugi 
(..) non impediva alla amministrazione 
proprietaria del 
bene 
immobile 
di 
agire 
per 
il 
recupero del 
possesso 
dell’alloggio (cfr. corte 
cass. Sez. 1, Sentenza n. 1258 del 
2 febbraio 1993; id. Sez. 1, Sentenza n. 
5236 de1 27 maggio 1994; id. Sez. 2, Sentenza n. 1866 de1 21 febbraio 1998)”. 

rASSeGnA 
AvvOCAtUrA 
DeLLO 
StAtO -n. 2/2023 


segnazione 
non 
si 
limiterebbe 
a 
regolare 
i 
rapporti 
patrimoniali 
e 
personali 
dei 
coniugi, 
“ma 
attribuirebbe 
una 
sorta 
di 
diritto 
di 
utilizzo, 
con 
evidente 
travolgimento 
del 
regime 
proprio 
dell’immobile 
interessato” 
(t.a.r. 
emilia-romagna 
Bologna 
Sez. I, Sent., (ud. 18 aprile 
2013) 2 maggio 2013, n. 344). In questo 
senso il 
Giudice 
amministrativo ha 
chiarito inoltre 
che 
“all’amministrazione 
militare 
-cui 
non 
può 
essere 
opposto 
un 
provvedimento 
giudiziale 
che 
finirebbe 
in tal 
modo per 
statuire 
su vincoli 
preordinati 
alla realizzazione 
di 
interessi 
pubblici 
specifici 
privando 
l’organo 
statale 
dei 
suoi 
poteri 
amministrativi 
in ordine 
all’uso di 
beni 
riconducibili 
al 
patrimonio indisponibile 
-è 
chiamata a questo punto a prendere 
atto dell’uso esclusivo dell’immobile 
da 
parte 
di 
soggetto 
non 
abilitato 
a 
permanervi 
in 
mancanza 
del 
titolare 
e, in ragione 
della conseguente 
violazione 
del 
vincolo di 
destinazione 
assegnato 
al 
bene, 
è 
tenuta 
ad 
assumere 
le 
conseguenti 
determinazioni 
ovvero 
la rimozione 
(nelle 
forme 
-a seconda dei 
casi 
-della decadenza, della revoca 


o della declaratoria di 
cessazione) della concessione 
dell’alloggio e 
la conseguente 
intimazione 
agli 
occupanti 
di 
rilasciare 
l’immobile” 
(t.a.r. emiliaromagna 
Bologna 
Sez. I, Sent., (ud. 18 aprile 
2013) 2 maggio 2013, n. 344). 
7. Peculiarità della disciplina del 
patrimonio alloggiativo dell’arma 
dei Carabinieri. 
Ferme 
le 
considerazioni 
innanzi 
esposte 
in senso critico rispetto all’indirizzo 
giurisprudenziale 
che 
qualifica 
gli 
alloggi 
della 
Difesa 
di 
cui 
agli 
artt. 
278-294 
D.lgs. 
15 
marzo 
2010, 
n. 
66 
e 
artt. 
311-361 
del 
d.P.r. 
15 
marzo 
2010, 


n. 90 come 
“case 
familiari” 
suscettibili 
di 
essere 
oggetto di 
provvedimenti 
di 
assegnazione 
opponibili 
all’Amministrazione, la 
Scrivente 
deve 
-comunque 
-esprimere 
i 
propri 
dubbi 
sull’automatica 
estensibilità 
della 
giurisprudenza 
maggioritaria 
- anche 
ove 
ritenuta 
non superata 
dalle 
osservazioni 
che 
precedono 
- al patrimonio alloggiativo dell’Arma dei Carabinieri. 
va, infatti, sottolineato che 
la 
giurisprudenza 
che 
si 
è 
espressa 
nel 
senso 
per cui 
in caso di 
separazione, l’alloggio di 
servizio può essere 
attribuito al 
coniuge 
diverso dal 
concessionario se 
affidatario della 
prole 
ha 
avuto -nella 
maggior 
parte 
dei 
casi 
-ad 
oggetto 
gli 
alloggi 
asi 
(comuni 
a 
tutte 
le 
forze 
Armate) 
e 
non asGi 
(propri 
del 
regime 
degli 
alloggi 
per il 
personale 
dell’Arma 
dei 
Carabinieri), 
la 
cui 
assegnazione, 
rispetto 
ai 
primi, 
impone 
requisiti 
più 
stringenti 
come 
chiaramente 
emerge 
dalla 
lettura 
delle 
relative 
norme, 
che 
prevedono: 
-


-l’art. 
313 
lett. 
c) 
del 
tuom 
(ASI), 
subordina 
l’assegnazione 
alla 
“costante 
presenza 
del 
titolare 
nella 
sede 
del 
servizio 
per 
il 
soddisfacimento 
delle 
esigenze di funzionalità e sicurezza del servizio medesimo”; 


-l’art. 363 c. 2 del 
tuomi 
(ASGI), subordina 
l’assegnazione 
alla 
“costante 
e 
immediata 
disponibilità, nonché 
l’efficienza dei 
servizi 
e 
la sicurezza 
delle caserme”. 

PArerI 
DeL 
COMItAtO 
COnSULtIvO 


La 
differenza 
tra 
gli 
alloggi 
ASGI 
e 
gli 
ASI 
ha 
invero 
indotto 
anche 
il 
Giudice 
contabile 
a 
sottolineare 
“l’opportunità 
di 
istituire 
anche 
per 
l’esercito, 
la 
marina 
e 
l’aeronautica 
la 
categoria 
degli 
asgi 
a 
similitudine 
di 
quanto 
avviene 
nell’arma 
dei 
carabinieri, 
al 
fine 
di 
contenere, 
se 
non 
eliminare 
del 
tutto 
per 
il 
futuro, il 
fenomeno utenze 
occupate 
sine 
titulo” 
perché 
i 
primi 
-ancor 
meglio dei 
secondi 
-“garantirebbero la diretta strumentalità tra l’alloggio e 
la 
funzione 
assolta”, 
eliminando 
il 
rischio 
“di 
proliferazione 
delle 
utenze 
senza 
titolo che, nel 
corso degli 
anni, ha accentuato il 
diffuso fenomeno di 
immobilizzazione 
del patrimorno alloggiativo della difesa” (11). 


Alla 
luce 
delle 
coordinate 
ermeneutiche 
innanzi 
tracciate, si 
offre 
la 
seguente 
soluzione 
del 
quesito 
formulato, 
fermo 
restando 
che 
l’Amministrazione 
in indirizzo sarà 
chiamata 
-di 
volta 
in volta 
-a 
dare 
applicazione 
ai 
principi 
esposti 
in punto di 
diritto graduandoli, secondo una 
ragionevole 
applicazione 
del 
noto principio di 
proporzionalità, in base 
alle 
specificità 
dei 
casi 
concreti 
sottoposti al suo vaglio. 


8. Conclusioni. 
In 
base 
a 
quanto 
innanzi 
esposto, 
tenuto 
conto 
delle 
peculiarità 
del 
regime 
degli 
alloggi 
per il 
personale 
dell’Arma 
dei 
Carabinieri, considerata 
-per le 
ragioni 
evidenziate 
-la 
non inconfutabilità 
degli 
argomenti 
valorizzati 
della 
giurisprudenza 
maggioritaria, valutato l’alto rango dell’interesse 
dell’Amministrazione 
a 
ripristinare 
la 
destinazione 
istituzionale 
dell’alloggio per l’efficiente 
espletanento 
delle 
proprie 
funzioni 
di 
pubblica 
sicurezza, 
rilevato 
altresì 
che 
nel 
caso in esame 
è 
stato disposto l’affidamento condiviso ad entrambi 
i 
genitori 
della 
prole, si 
ritiene 
che 
l’Amministrazione 
in indirizzo -resa 
edotta 
dei 
connessi 
rischi 
processuali 
derivanti 
dall’adesione 
ad un indirizzò giurisprudenziale 
minoritario 
-possa 
valutare 
di 
procedere 
all’emissione 
di 
un 
motivato 
avviso di 
rilascio dell’immobile 
attenendosi 
-per gli 
aspetti 
redazionali 
ed operativi 
-alle 
indicazioni 
recate 
dalla 
circolare 
n. 27/579-1-2021 in allegato 
qui 
pervenuta 
-in fase 
di 
interlocuzione 
informale 
ed istruttoria 
sul 
quesito 
-dal 
Comando Generale 
dell’Arma 
dei 
Carabinieri 
cui 
il 
presente 
parere 
è indirizzato per opportuna conoscenza. 


Sul 
presente 
parere 
si 
espresso 
in 
senso 
conforme 
il 
Comitato 
Consultivo 
dell’Avvocatura dello Stato nella seduta del 20 luglio 2023. 


(11) Deliberazione 12 novembre 2015 n. 10/2015/G. 



rASSeGnA 
AvvOCAtUrA 
DeLLO 
StAtO -n. 2/2023 


alloggio di servizio del ministero della difesa: 
separazione personale dei coniugi, 
soggetto tenuto alla corresponsione del “canone” 
per l’occupazione “sine titulo” dell’alloggio, 
procedura di recupero coattivo dell’immobile 


Parere 
del 
07/12/2023-763707, al 26189/2023, 
ProcUratore 
dello 
Stato 
valeria 
romano 


1. il tema generale ed il quesito formulato. 
Il 
tema 
oggetto del 
presente 
parere 
riguarda 
il 
delicato problema 
-già 
in 
parte 
esaminato della 
Scrivente 
in sede 
consultiva 
(1) -della 
gestione 
del 
patrimonio 
alloggiativo del 
Ministero della 
Difesa 
attenendo, più in particolare, 
alla 
questione 
giuridica 
dell’incidenza 
delle 
vicende 
legate 
alla 
crisi 
del 
vincolo 
matrimoniale 
del 
dipendente 
concessionario 
di 
un 
alloggio 
di 
servizio 
sulla 
concessione 
del 
bene 
nonché 
sull’obbligo di 
pagare 
il 
corrispettivo per 
il 
relativo 
utilizzo 
all’Amministrazione 
concedente 
quando 
il 
rapporto 
concessorio 
sia 
ormai 
cessato e 
l’immobile 
risulti 
occupato -in virtù di 
un provvedimento 
giudiziale 
ex 
art. 
337 
sexies 
cc. 
o 
di 
un 
accordo 
di 
separazione 
consensuale 
-da 
un soggetto che, altrimenti, non essendo militare 
in servizio 
dotato dei 
requisiti 
per l’accesso alla 
concessione, non avrebbe 
alcun titolo di 
occupare 
il 
cespite 
destinato ex 
lege 
alla 
soddisfazione 
delle 
esigenze 
istituzionali 
dell’ente concedente. 


Si 
tratta 
-come 
noto -di 
un tema 
di 
particolare 
rilievo per l’Amministrazione 
in indirizzo considerato che 
-come 
si 
legge 
nello “schema di 
decreto 
ministeriale 
concernente 
il 
piano 
di 
gestione 
del 
patrimonio 
abitativo 
della 
difesa -atto del 
Governo 420 
” 
-il 
patrimonio alloggiativo dell’AD, in dotazione 
al 
1° 
gennaio 2022, è 
composto da 
15.762 alloggi 
di 
servizio destinati 
al 
personale 
dipendente, 
del 
quale 
una 
consistente 
quota 
di 
circa 
il 
25 
per 
cento 
è 
composto da 
utenze 
sottratte 
alla 
destinazione 
istituzionale 
prevista 
ex 
lege 
perché 
occupate 
dai 
coniugi 
separati 
degli 
originari 
concessionari 
la 
cui 
“immobilizzazione” 
(2) 
comporta 
la 
sottrazione 
di 
un 
considerevole 
numero 
di 
cespiti 
alla 
potenziale 
assegnazione 
al 
personale 
che 
ne 
avrebbe 
diritto in ragione 
delle funzioni svolte. 


In 
tale 
contesto, 
con 
la 
nota 
emarginata, 
lo 
Stato 
Maggiore 
della 
Difesa 
ha 
chiesto 
alla 
Scrivente 
di 
fornire 
delle 
generali 
coordinate 
interpretative 
nonché 
le 
necessarie 
linee 
di 
indirizzo 
tecnico-giuridico 
per 
la 
gestione 
delle 
ipotesi 
in 
cui 
-con 
riguardo 
agli 
alloggi 
asi 
(alloggi 
di 
servizio 
connessi 
all’incarico) 
di 
cui 
all’art. 
281 
d.lgs. 
15 
marzo 
2010, 
n. 
66 
-“l’ex 
co


(1) CS/41556/2022 - Proc. romano del 21 luglio 2023. 
(2) Così deliberazione Corte dei Conti 12 novembre 2015 n. 10/2015/G. 

PArerI 
DeL 
COMItAtO 
COnSULtIvO 


niuge 
del 
concessionario 
originario, 
a 
cui 
il 
giudice 
ha 
assegnato 
l’abitazione 
quale 
“casa 
familiare 
a 
tutela 
della 
prole 
minore” 
non 
provveda 
al 
pagamento 
degli 
oneri 
eventualmente 
dovuti 
(canone 
di 
locazione 
e/o 
spese 
condominiali) 
” 
chiedendo 
-più 
in 
particolare 
-di 
chiarire 
chi 
sia 
-tra 
il 
dipendente 
originario 
titolare 
della 
concessione 
ed 
il 
coniuge 
separato 
che 
occupa 
l’alloggio 
-il 
soggetto 
tenuto 
alla 
corresponsione 
del 
“canone 
di 
occupazione” 
e 
se 
si 
possa 
procedere 
-nell’ipotesi 
di 
mancato 
incameramento 
della 
somma 
da 
parte 
dell’Amministrazione 
titolare 
del 
cespite 
-ad 
attivare 
la 
procedura 
di 
recupero 
coattivo 
dell’immobile 
pur 
in 
presenza 
di 
un 
provvedimento 
giudiziale 
di 
assegnazione 
dell’alloggio 
di 
servizio 
come 
“casa 
familiare”. 


Più 
in 
particolare, 
nel 
formulare 
il 
quesito 
in 
riscontro, 
l’Amministrazione 
in indirizzo mostra di muovere dai seguenti assunti concettuali: 


a) la qualificabilità degli alloggi 
ASI come “casa familiare”; 
b) 
la 
suscettibilità 
di 
detti 
alloggi 
di 
essere 
oggetto di 
provvedimenti 
giurisdizionali 
di 
assegnazione 
ai 
sensi 
dell’art. 337 sexies 
c.c. in favore 
del 
coniuge 
separato, diverso dal titolare della concessione, affidatario della prole; 
c) 
la 
pacifica 
opponibilità 
e 
“cogenza” 
nei 
confronti 
dell’Amministrazione 
titolare del cespite del provvedimento giurisdizionale di assegnazione; 
d) 
la 
non 
esperibilità 
delle 
procedure 
di 
autotutela 
esecutiva 
-di 
cui 
all’art. 
823 c.c. -volte 
alla 
liberazione 
coatta 
degli 
immobili 
occupati 
dai 
coniugi 
separati 
affidatari 
della 
prole 
anche 
se 
morosi 
rispetto al 
pagamento del 
canone 
di occupazione; 
e) 
la 
collocazione, 
a 
seguito 
dell’assegnazione 
dell’alloggio 
quale 
casa 
familiare, esclusivamente 
in capo al 
concessionario originario dell’obbligo di 
corresponsione 
del 
quantum 
dovuto 
per 
l’utilizzo 
dell’immobile 
non 
sussistendo 
-secondo l’Amministrazione 
in indirizzo -“un diretto obbligo in capo 
alla P.a. di 
richiedere 
il 
pagamento del 
canone 
di 
occupazione 
ad entrambi 
gli 
ex-coniugi”e“restando a carico della ex 
coniuge 
l’obbligo di 
provvedere 
a rifondere 
il 
concessionario originario nei 
modi 
e 
nelle 
forme 
che 
gli 
stessi 
riterranno opportune”. 
Partendo 
da 
tali 
assunti, 
nel 
formulare 
il 
quesito 
innanzi 
riassunto, 
lo 
Stato 
Maggiore 
della 
Difesa 
ha 
altresì 
trasmesso alla 
Scrivente 
due 
note 
rispettivamente 
dello 
Stato 
Maggiore 
dell’Aeronautica 
(3) 
e 
del 
Comando 
Supporto 
enti 
di 
vertice 
(4) che 
-nel 
porre, in particolare, la 
questione 
dell’individuazione 
-tra 
il 
coniuge 
non militare 
affidatario della 
prole 
ed il 
dipendente 
originario 
concessionario 
-del 
soggetto 
legittimato 
passivo 
delle 
pretese 
economiche 
dell’Amministrazione 
titolare 
degli 
alloggi 
in concreto utilizzati 
come 
case 
familiari 
-hanno richiamato un precedente 
parere 
reso dalla 
Scri


(3) M_D 
ArM001 reG2023 0052081 23.05.2023. 
(4) M_D 
ArM024 reG2022 0011582 1.03.2022. 


rASSeGnA 
AvvOCAtUrA 
DeLLO 
StAtO -n. 2/2023 


vente 
sulla 
materia 
(5) nel 
quale 
-diversamente 
da 
quanto esposto sub e 
-si 
è 
affermato il 
principio per cui 
“il 
pagamento del 
canone 
di 
utilizzo dell’immobile 
deve 
far 
carico alla ex 
moglie 
del 
militare, assegnataria della ‘casa familiare’ 
e che la abita con i figli minori” (6). 


Letta 
la 
documentazione 
ed 
esaminate 
tutte 
le 
citate 
note, 
va 
-in 
primis 
-rilevata 
la 
non 
completa 
sovrapponibilità 
delle 
linee 
interpretative 
seguite 
dallo 
Stato 
Maggiore 
della 
Difesa 
e 
dallo 
Stato 
Maggiore 
dell’Aeronautica 
quanto 
alle 
condizioni 
per 
poter 
procedere 
alla 
liberazione 
coattiva 
degli 
immobili 
occupati 
“sine 
titulo”: 
lo 
Stato 
Maggiore 
della 
Difesa 
-da 
un 
lato 
si 
è, 
infatti, 
espresso 
nel 
senso 
della 
preclusione 
assoluta 
all’autotutela 
anche 
in 
caso 
di 
morosità, 
da 
parte 
degli 
occupanti 
sine 
titulo 
c.d. 
protetti, 
nel 
versamento 
del 
quantum 
dovuto 
per 
1’utilizzo 
dell’immobile 
ex 
art. 
286, 
c. 
3bis, 
del 
COM, 
mentre 
lo 
Stato 
Maggiore 
della 
Aeronautica 
ha 
preso 
posizione 
nel 
senso 
della 
fruibilità 
dell’autotutela 
ex 
art. 
823 
cc., 
ove 
“l’ex 
coniuge 
del 
concessionario 
originario, 
a 
cui 
il 
giudice 
ha 
assegnato 
l’abitazione 
quale 
casa 
familiare 
a 
tutela 
della 
prole 
minore, 
non 
provveda 
al 
pagamento 
degli 
oneri 
eventualmente 
dovuti 
(canone 
di 
locazione 
e/o 
spese 
condominiali)”. 
Sempre 
a 
valle 
dell’esame 
della 
documentazione 
a 
corredo 
della 
richiesta 
di 
parere 
in 
riscontro, 
va 
altresì 
preso 
atto 
del 
contrasto 
tra 
l’esegesi 
del 
dato 
normativo 
fornita 
dalle 
Amministrazioni 
in 
indirizzo 
e 
quello 
offerto 
dall’Avvocatura 
dello 
Stato 
(7) 
in 
punto 
di 
individuazione 
del 
soggetto 
obbligato 
alla 
corresponsione 
degli 
importi 
relativi 
all’occupazione 
dell’utenza 
assegnata 
come 
“casa 
familiare”. 


tanto preliminarmente 
rilevato in ordine 
alla 
perimetrazione 
del 
quesito 
formulato ed alle 
diverse 
interpretazioni 
in materia, la 
Scrivente 
-in considerazione 
del 
non trascurabile 
impatto economico-patrimoniale 
e 
sociale 
delle 
tematiche 
poste 
-ritiene 
di 
dover ordinatamente 
e 
partitamente 
analizzare 
le 
questioni 
oggetto della 
nota 
in riscontro secondo il 
relativo ordine 
logico-giuridico 
muovendo 
-in 
particolare 
-dalla 
verifica 
della 
correttezza 
della 
premessa 
concettuale 
del 
contenuto della 
nota 
dell’Amministrazione 
in indirizzo 
consistente 
nella 
ritenuta 
pacifica 
qualificabilità 
degli 
alloggi 
ASI 
come 
“casa 
familiare”. 


2. 
Qualificabilità 
degli 
alloggi 
asi 
come 
“casa 
familiare”: 
esclusione. 
Sul 
problema 
della 
qualificabilità 
dei 
cespiti 
facenti 
parte 
del 
patrimonio 
alloggiativo del 
Ministero della 
Difesa 
come 
“casa 
familiare” 
e 
sulla 
relativa 
suscettibilità 
di 
essere 
oggetto ex 
art. 337 sexies 
c.c. di 
un provvedimento di 
assegnazione 
in favore 
del 
coniuge 
diverso dal 
concessionario opponibile 
al


(5) Ct 4951/2020 Avv. Pampanelli. 
(6) protocollo n. 165498 del 20 marzo 2020. 
(7) v., Ct 4951/2020. 

PArerI 
DeL 
COMItAtO 
COnSULtIvO 


l’Amministrazione 
titolare 
dell’immobile, 
la 
Scrivente 
si 
è 
già 
espressa 
in 
sede 
consultiva 
rendendo il 
parere 
di 
massima 
CS 
/41556/2022 del 
21 luglio 2023 
che, per pronta 
consultazione, si 
allega 
alla 
presente 
nota. In tale 
occasione, 
la 
Scrivente 
ha 
aderito -per le 
ragioni 
ivi 
esplicate 
-all’impostazione 
giurisprudenziale 
secondo la 
quale 
non può qualificarsi 
-in punto di 
diritto -alla 
stregua 
di 
“casa 
familiare” 
un alloggio demaniale 
concesso ad un militare 
in 
servizio permanente 
per motivi 
correlati 
all’incarico conferito dall’Amministrazione. 
A 
tale 
conclusione 
la 
Scrivente 
è 
pervenuta 
-invero 
-con 
particolare 
riguardo 
agli 
alloggi 
asGi 
(categoria 
di 
alloggi 
riservata 
al 
personale 
del-
l’Arma 
dei 
Carabinieri 
e 
disciplinati 
all’art. 
363, 
c. 
2, 
del 
tuom) 
con 
argomentazioni 
che, 
per 
quel 
che 
in 
questa 
sede 
rileva, 
si 
ritengono 
estendibili 
anche agli alloggi 
asi 
oggetto della nota in riferimento. 


2.1. 
Come 
già 
posto in evidenza 
del 
predetto parere, gli 
alloggi 
asi 
(comuni 
a 
tutte 
le 
Forze 
Armate) si 
distinguono dagli 
asGi 
(la 
cui 
fruizione 
è 
riservata 
al 
personale 
dell’Arma 
dei 
Carabinieri), la 
cui 
assegnazione, rispetto 
ai 
primi, 
impone 
requisiti 
più 
stringenti 
come 
emerge 
dalla 
lettura 
delle 
relative 
norme che prevedono quanto segue: 
-l’art. 313 lett. c) del 
tuom 
(ASI) finalizza 
l’assegnazione 
alla 
titolarità 
di 
un incarico che 
richiede 
la 
“costante 
presenza del 
titolare 
nella sede 
di 
servizio 
per 
il 
soddisfacimento delle 
esigenze 
di 
funzionalità e 
sicurezza del 
servizio 
medesimo”; 
-l’art. 
363 
c. 
2 
del 
tuom 
(ASGI) 
subordina 
l’assegnazione 
dell’immobile 
alla 
titolarità 
di 
un 
incarico 
che 
richiede 
la 
“costante 
e 
immediata 
disponibilità, 
nonché l’efficienza dei servizi e la sicurezza delle caserme”. 


ebbene 
-per 
quel 
che 
in 
questa 
sede 
specificatamente 
rileva 
-la 
surrichiamata 
differenza 
-pur rimarcando la 
strumentalizzazione 
esclusiva 
degli 
alloggi 
ASGI alle 
esigenze 
di 
servizio dell’Arma 
dei 
Carabinieri 
-non appare 
alla 
Scrivente 
idonea 
a 
giustificare 
un diverso regime 
-per gli 
alloggi 
ASI rispetto 
agli 
alloggi 
ASGI -delle 
conseguenze 
giuridiche 
nel 
caso in cui 
intervenga 
un 
provvedimento 
di 
separazione 
dal 
coniuge 
del 
militare 
concessionario tanto sulla 
scorta 
del 
vincolo di 
destinazione 
funzionale 
che 


-ex lege 
-accomuna i 
beni 
facenti 
parte 
di 
entrambe 
le 
categorie 
alloggiative 
in quanto parimenti 
preordinati 
a 
consentire 
la 
permanenza 
nella 
sede 
di 
lavoro 
del 
militare, 
in 
una 
prospettiva 
di 
agevolazione 
dell’espletamento 
del 
servizio da 
parte 
del 
militare 
in vista 
del 
conseguimento degli 
scopi 
istituzionali 
dell’Amministrazione 
di 
appartenenza. 
tanto 
è 
evidente 
-con 
riguardo 
agli 
alloggi 
ASI -dall’esame 
della 
relativa 
disciplina 
sia 
nella 
fase 
genetica 
del 
rapporto 
concessorio 
avente 
ad 
oggetto 
detti 
immobili, 
sia 
nella 
fase 
di 
esaurimento degli effetti dell’atto concessorio. 
a) Quanto alla 
costituzione 
del 
rapporto concessorio, in base 
al 
disposto 
dell’art. 
281 
del 
d.lgs. 
15 
marzo 
2010, 
n. 
66, 
gli 
alloggi 
ASI 
vengono 
assegnati 
al 
personale 
dipendente 
cui 
sono affidati 
incarichi 
che 
richiedono “l’obbligo” 

rASSeGnA 
AvvOCAtUrA 
DeLLO 
StAtO -n. 2/2023 


di 
abitare 
presso la 
località 
di 
servizio e 
“pertanto il 
criterio di 
assegnazione 
è 
guidato ed orientato esclusivamente 
dalle 
necessità funzionali 
legate 
alle 
peculiarità 
del 
servizio 
(il 
reddito 
è 
solo 
criterio 
assolutamente 
residuale 
a 
parità di altre condizioni)” (8). 


b) Quanto alla 
fase 
di 
esaurimento degli 
effetti 
della 
concessione 
avente 
ad oggetto alloggi 
ASI, l’art. 319 del 
d.P.r. 15 marzo 2010, n. 90 stabilisce 
che 
la 
durata 
delle 
concessioni 
è 
“fissata per 
gli 
alloggi 
aSGc, aSir 
e 
aSi 
per 
il 
periodo di 
permanenza nell’incarico per 
il 
quale 
è 
stato concesso l’alloggio” 
sicché 
il 
venir meno della 
relazione 
fra 
attività 
di 
servizio e 
occupazione 
dell’alloggio o comunque 
la 
circostanza 
fattuale 
che 
il 
militare 
non si 
serva 
dell’alloggio come 
sua 
abitazione 
determinano la 
perdita 
del 
titolo alla 
concessione dell’immobile ai sensi dell’art. 330 del medesimo d.P.r. 
2.2. 
L’estendibilità 
delle 
considerazioni 
esposte 
-per 
gli 
alloggi 
asGi 
-nel 
parere 
CS/41556/2022 
del 
21 
luglio 
2023 
anche 
agli 
alloggi 
asi 
può 
desumersi 
-ad 
avviso 
della 
Scrivente 
-anche 
ricorrendo 
al 
parametro 
interpretativo 
rappresentato 
dal 
tertium 
comparationis 
con 
gli 
alloggi 
ast. 
Come 
noto, 
gli 
alloggi 
da 
ultimo 
menzionati 
sono 
assegnati 
-a 
norma 
del-
l’art. 
283 
del 
d.lgs. 
15 
marzo 
2010, 
n. 
66 
-tenuto 
conto 
del 
reddito 
degli 
istanti, 
ai 
militari 
che 
prestano 
generico 
servizio 
nella 
località 
in 
cui 
è 
situato 
l’alloggio 
“per 
la 
sistemazione 
temporanee 
delle 
proprie 
famiglie” 
e 
-dunque 
-non 
esclusivamente 
sulla 
base 
delle 
esigenze 
proprie 
e 
peculiari 
del 
servizio. 
ne 
deriva 
che 
“solo 
chi 
ottiene 
un 
alloggio 
aSt 
sulla 
base 
della 
necessità 
proprie 
e 
della 
situazione 
reddituale 
e 
familiare 
presenta 
delle 
necessità 
di 
carattere 
sociale 
che 
meritano 
di 
essere 
salvaguardate, 
sia 
pur 
in 
via 
eccezionale. 
non 
così 
per 
i 
titolari 
di 
alloggio 
aSi 
poichè 
essi 
sono 
ammessi 
esclusivamente 
sulla 
base 
delle 
esigenze 
di 
servizio 
che 
impongono 
la 
presenza, 
a 
prescindere 
da 
considerazioni 
di 
carattere 
mutualistico” 
(9). 
Alla 
stregua 
di 
quanto 
esposto, 
la 
conclusione 
della 
non 
qualificabilità 
del-
l’alloggio 
ASI 
quale 
casa 
familiare 
pare 
alla 
Scrivente 
confermata 
dal 
rilievo 
per 
cui 
anche 
per 
gli 
alloggi 
ASt 
-per 
i 
quali 
appare 
obiettivamente 
meno 
stringente 
la 
connessione 
funzionale 
con 
l’espletamento 
del 
servizio 
-la 
giurisprudenza 
amministrativa 
ha 
affermato 
che 
“gli 
alloggi 
di 
servizio 
‘aSt’ 
(categoria 
degli 
“alloggi 
di 
servizio 
di 
temporanea 
sistemazione 
per 
le 
famiglie 
dei 
militari”) 
ricevono 
un 
vincolo 
di 
destinazione, 
preordinato 
a 
consentire 
la 
permanenza 
nella 
sede 
di 
lavoro 
del 
militare 
e 
del 
suo 
nucleo 
familiare, 
in 
una 
prospettiva 
di 
agevolazione 
dell’espletamento 
del 
servizio 
da 
parte 
del 
militare 
stesso, 
destinatario 
della 
concessione 
dell’immobile 
ed 
effettivo 
fruitore 
del 
beneficio”. 
Sicché 
anche 
nel 
caso 
di 
alloggi 
ASt 
“l’amministrazione 
militare 
-cui 
non 
può 
essere 
opposto 
un 
provvedimento 


(8) Così Cons. Stato Sez. Iv, Sent., (ud. 30 ottobre 2012) 4 dicembre 2012, n. 6186. 
(9) Così ancora Cons. Stato Sez. Iv, Sent., (ud. 30 ottobre 2012) 4 dicembre 2012, n. 6186. 

PArerI 
DeL 
COMItAtO 
COnSULtIvO 


giudiziale 
di 
separazione 
che 
finirebbe 
in 
tal 
modo 
per 
statuire 
su 
vincoli 
preordinati 
alla 
realizzazione 
di 
interessi 
pubblici 
specifici 
privando 
l’organo 
statale 
dei 
suoi 
poteri 
amministrativi 
in 
ordine 
all’uso 
di 
beni 
riconducibili 
al 
patrimonio 
indisponibile 
-è 
chiamata 
a 
questo 
punto 
a 
prendere 
atto 
dell’uso 
esclusivo 
dell’immobile 
da 
parte 
di 
soggetto 
non 
abilitato 
a 
permanervi 
in 
mancanza 
del 
titolare 
e, 
in 
ragione 
della 
conseguente 
violazione 
del 
vincolo 
di 
destinazione 
assegnato 
al 
bene, 
è 
tenuta 
ad 
assumere 
le 
conseguenti 
determinazioni, 
ovvero 
la 
rimozione 
(nelle 
forme 
-a 
seconda 
dei 
casi 
-della 
decadenza, 
della 
revoca 
o 
della 
declaratoria 
di 
cessazione) 
della 
concessione 
dell’alloggio 
e 
la 
conseguente 
intimazione 
agli 
occupanti 
di 
rilasciare 
l’immobile” 
(t.a.r. 
emilia-romagna 
Bologna 
Sez. 
I, 
Sent., 
(ud. 
18 
aprile 
2013) 
2 
maggio 
2013, 
n. 
344; 
Cons. 
Stato, 
Sez. 
Iv, 
15 
luglio 
1999 


n. 
1254; 
t.a.r. 
emilia-romagna, 
Bologna, 
Sez. 
II, 
21 
aprile 
2005 
n. 
640). 
2.3. 
In 
disparte 
l’argomento 
positivo 
fondato 
sulla 
funzionalizzazione 
ex 
lege 
degli 
alloggi 
ASI 
alle 
esigenze 
istituzionali 
e 
quello 
basato 
sulla 
comparazione 
con 
il 
regime 
degli 
alloggi 
ASt, 
l’estensione 
delle 
conclusioni 
cui 
la 
Scrivente 
è 
pervenuta 
nel 
parere 
CS/41556/2022 
anche 
agli 
alloggi 
ASI 
pare 
corroborata 
da 
un 
argomento 
di 
sistema 
rappresentato 
dal 
necessario 
rispetto 
del 
generale 
principio 
di 
rotazione 
nella 
titolarità 
delle 
concessioni 
dei 
beni 
pubblici 
(10). 
A 
mente 
di 
detto 
principio, 
infatti, 
è 
-in 
linea 
di 
massima 
-necessario 
assicurare 
l’effettiva 
turnazione 
dei 
concessionari 
di 
beni 
pubblici 
consentendo 
l’accesso 
alle 
opportunità 
offerte 
dalle 
concessioni 
demaniali 
a 
tutti 
i 
potenziali 
candidati 
evitando 
la 
cristallizzazione 
di 
relazioni 
esclusive 
con 
il 
bene 
pubblico 
e 
1’immobilizzazione 
dei 
beni 
a 
scopi 
diversi 
da 
quelli 
pubblicistici 
cui 
gli 
stessi 
sono 
asserviti. 
In 
questo 
senso 
la 
giurisprudenza 
-anche 
di 
legittimità 
-ha 
affermato 
che 
dal 
rapporto 
concessorio 
avente 
ad 
oggetto 
i 
beni 
del 
patrimonio 
alloggiativo 
del 
Ministero 
della 
Difesa 
origina 
un 
diritto 
di 
godimento 
“necessariamente 
temporaneo 
e 
soggetto 
a 
turnazione 
in 
ragione 
delle 
esigente 
di 
servizio” 
(11) 
di 
talché 
deve 
ritenersi 
che 
a 
detta 
regola 
-in 
difetto 
di 
norme 
di 
segno 
opposto 
-non 
siano 
sottratte 
le 
concessioni 
di 
alloggi 
ASI. 
Dall’applicazione 
del 
principio 
di 
rotazione 
nella 
titolarità 
delle 
concessioni 
dei 
beni 
pubblici, 
deriva 
il 
logico 
corollario 
per 
cui 
le 
deroghe 
-in 
chiave 
solidaristica 
-che 
eccezionalmente 
ammettono 
un 
consolidamento 
del 
diritto 
di 
godimento 
del 
bene 
pubblico 
oltre 
il 
limite 
temporale 
ab 
initio 
stabilito 
dalla 
concessione 
debbono 
considerarsi 
eccezionali 
ed 
-in 
quanto 
tali 
-ristrette 
ai 
casi 
specificatamente 
previsti 
in 
sede 
normativa. 
Sotto 
detto 
ultimo 
profilo 
-come 
pure 
(10) 
recentemente 
oggetto 
di 
attenzione 
giurisprudenziale 
con 
riguardo 
alle 
concessioni 
demaniali 
per finalità 
turistico-ricreativa. Si 
v., Cons. Stato, Ad. Plen., 9 novembre 
2021, n. 18, in 
Foro it., 2022, 
3, 3, 121. 
(11) Cass. civ., Sez. v, 17 maggio 2017, n. 12331. 

rASSeGnA 
AvvOCAtUrA 
DeLLO 
StAtO -n. 2/2023 


messo 
in 
evidenza 
nel 
parere 
di 
massima 
allegato 
-risulta 
alla 
Scrivente 
che 
l’eccezionale 
e 
transitoria 
(12) 
disciplina 
recata 
dai 
Decreti 
Ministeriali 
7 
maggio 
2014 
e 
24 
luglio 
2015 
-nella 
parte 
in 
cui 
riconosceva 
al 
coniuge 
assegnatario 
della 
prole 
la 
possibilità 
di 
“mantenere 
la 
conduzione” 
dell’alloggio 
(art. 
4 
comma 
23 
D.M. 
7 
maggio 
2014) 
-non 
sia 
stata 
reiterata 
con 
conseguente 
riespansione 
del 
regime 
ordinario 
di 
disciplina 
degli 
alloggi 
di 
servizio 
contenuta 
nel 
libro 
secondo 
del 
codice 
dell’ordinamento 
militare 
(artt. 
278 
e 
ss. 
del 
d.lgs. 
15 
marzo 
2010, 
n. 
66) 
e 
nel 
libro 
secondo 
del 
testo 
Unico 
delle 
disposizioni 
regolamentari 
in 
materia 
di 
ordinamento 
militare 
(artt. 
311 
e 
ss. 
del 
d.P.r. 
15 
marzo 
2010, 
n. 
90) 
rilevando, 
in 
particolare, 
l’art. 
320 
del 
d.P.r. 
15 
marzo 
2010, 
n. 
90 
che 
regolamenta 
le 
fattispecie 
di 
“deroghe 
particolari” 
anche 
per 
il 
personale 
che 
fruisce 
di 
alloggio 
ASI 
tra 
le 
quali 
non 
vi 
è 
alcun 
riferimento 
alla 
tutela 
del 
coniuge 
separato 
quale 
elemento 
ostativo 
al 
recupero 
degli 
alloggi 
detenuti 
da 
occupanti 
sine 
titulo. 


2.4. 
Dalle 
considerazioni 
che 
precedono, 
integrate 
con 
le 
motivazioni 
già 
esposte 
con 
il 
parere 
CS 
/41556/2022, 
pare 
alla 
Scrivente 
ragionevole 
giungere 
alla 
conclusione 
per 
cui 
gli 
alloggi 
ASI 
non 
sono 
sussumibili 
nella 
nozione 
giuridica 
di 
casa 
familiare. Ove 
tuttavia 
-come 
accade 
nella 
prassi 
-un alloggio 
ASI 
sia, 
cionondimeno, 
oggetto 
di 
un 
provvedimento 
giurisdizionale 
di 
assegnazione 
emesso ai 
sensi 
dell’art. 337 sexies 
c.c. -si 
pone 
il 
conseguente 
problema 
-in 
punto 
di 
diritto 
-dell’opponibilità 
dell’assegnazione 
ope 
iudicis 
dell’alloggio nei confronti dell’Amministrazione. 
3. sul 
regime 
di 
opponibilità ai 
terzi 
del 
provvedimento di 
assegnazione 
della casa familiare. 
Anche 
con 
riguardo 
al 
problema 
dell’opponibilità 
-nei 
confronti 
del 


(12) 
L’art. 
306, 
comma 
2, 
del 
d.lgs. 
n. 
66 
del 
2010 
prevede 
-dopo 
la 
modifica 
apportata 
dal 
D.Lgs. 
26 aprile 
2016, n. 91 -che 
ogni 
due 
anni, entro il 
mese 
di 
marzo, il 
Ministro della 
difesa, sentite 
le 
competenti 
Commissioni 
parlamentari, 
definisca 
con 
proprio 
decreto 
il 
piano 
di 
gestione 
del 
patrimonio 
abitativo 
della 
Difesa, con l’indicazione 
dell’entità, dell’utilizzo e 
della 
futura 
destinazione 
degli 
alloggi 
di 
servizio, nonché 
degli 
alloggi 
non più ritenuti 
utili 
e 
quindi 
transitabili 
in regime 
di 
locazione 
ovvero 
alienabili, anche 
mediante 
riscatto. In proposito, consta 
alla 
Scrivente 
che, in osservanza 
di 
tale 
disposizione, 
siano stati 
emanati 
i 
seguenti 
D.M. a) Decreto del 
Ministro della 
difesa 
del 
28 gennaio 2010, 
concernente 
il 
piano di 
gestione 
del 
patrimonio abitativo della 
Difesa 
per l’anno 2008 (registrato alla 
Corte 
dei 
conti 
il 
14 aprile 
2010, registro n. 4, foglio n. 77); 
b) il 
decreto del 
Ministro della 
difesa 
in 
data 
23 giugno 2010, concernente 
il 
piano di 
gestione 
del 
patrimonio abitativo della 
Difesa 
per l’anno 
2009 (registrato alla 
Corte 
dei 
conti 
il 
23 luglio 2010, registro n. 8, foglio n. 325); 
c) il 
decreto del 
Ministro 
della 
difesa 
in 
data 
11 
giugno 
2012, 
concernente 
il 
piano 
di 
gestione 
del 
patrimonio 
abitativo 
della 
Difesa 
per gli 
anni 
2010 e 
2011 (registrato alla 
Corte 
dei 
conti 
il 
23 luglio 2010, registro n. 5, foglio n. 
365); 
d) il 
D.M. 7 maggio 2014, recante 
il 
piano per le 
annualità 
2012-2013; 
e) il 
D.M. 24 luglio 2015, 
per le 
annualità 
2013-2014. tra 
le 
azioni 
più recenti 
risulta 
solo predisposto uno “Schema 
di 
decreto 
ministeriale 
concernente 
il 
piano di 
gestione 
del 
patrimonio abitativo della 
Difesa”. Atto del 
Governo 
420 -Senato: 
Dossier n. 119 7 settembre 
2022 nel 
quale 
si 
conferma 
che 
“ultimo piano gestionale 
degli 
alloggi 
militari 
è 
stato 
recato 
relativamente 
all’anno 
2014 
dal 
decreto 
del 
Ministro 
della 
Difesa 
24 
luglio 
2015”. 

PArerI 
DeL 
COMItAtO 
COnSULtIvO 


Ministero 
della 
Difesa 
-del 
provvedimento 
con 
il 
quale 
il 
Giudice 
della 
separazione 
dispone 
l’assegnazione 
della 
casa 
familiare 
a 
favore 
del 
coniuge 
diverso 
dall’originario 
concessionario 
dell’alloggio, 
la 
Scrivente 
si 
è 
già 
espressa 
-nel 
menzionato 
parere 
CS/41556/2022 
-in 
termini 
negativi 
(13). 
tale 
posizione 
è 
stata 
assunta, 
in 
estrema 
sintesi, 
sulla 
scorta 
dei 
principi 
generali 
in 
tema 
di 
efficacia 
soggettiva 
del 
giudicato 
alla 
luce 
del 
disposto 
dell’art. 
2909 
c.c. 
valorizzando 
il 
rilievo 
per 
cui 
-nel 
caso 
di 
assegnazione 
giudiziale 
dell’alloggio 
ex 
art. 
337 
sexies 
c.c. 
-si 
è 
in 
presenza 
di 
una 
pronuncia 
giudiziaria 
avente 
ad 
oggetto 
un 
bene 
del 
Ministero 
della 
Difesa 
non 
assunta 
nel 
contraddittorio 
con 
il 
legittimo 
proprietario 
del 
cespite 
e 
-pertanto 
-a 
questi 
inopponibile 
in 
assenza 
di 
una 
previsione 
normativa 
come 
quella 
recata 
in 
tema 
di 
contratto 
di 
locazione 
dall’art. 
6 
della 
legge 
27 
luglio 
1978, 
n. 
392 
a 
mente 
del 
quale 
“nel 
contratto 
di 
locazione 
succede 
al 
conduttore 
l’altro 
coniuge 
se 
il 
diritto 
di 
abitare 
nella 
casa 
familiare 
sia 
stato 
attribuito 
dal 
giudice 
a 
quest’ultimo” 
ed 
in 
forza 
della 
quale 
-in 
caso 
di 
assegnazione 
ope 
iudicis 
di 
una 
casa 
familiare 
oggetto 
di 
un 
contratto 
di 
locazione 
-si 
determina 
una 
cessione 
ex 
lege 
del 
relativo 
contratto 
a 
favore 
del 
coniuge 
assegnatario 
e 
l’estinzione 
del 
rapporto 
in 
capo 
al 
coniuge 
originariamente 
conduttore 
(14). 
La 
posizione 
assunta 
dalla 
Scrivente 
in 
termini 
negativi 
circa 
l’opponibilità 
nei 
confronti 
del 
Dicastero 
-concedente 
del 
provvedimento 
di 
assegnazione 
dell’alloggio 
al 
coniuge 
diverso 
dal 
concessionario 
è 
stata 
altresì 
argomentata 
sulla 
scorta 
della 
giurisprudenza 
di 
legittimità 
sull’inopponibilità 
del 
provvedimento 
di 
assegnazione 
ex 
art. 
337 
sexies 
cc. 
nei 
confronti 
del 
comodante 
che 
chieda 
il 
rilascio 
dell’immobile 
-ove 
il 
contratto 
di 
comodato 
precedentemente 
stipulato 
non 
abbia 
esplicitamente 
contemplato 
la 
destinazione 
del 
bene 
a 
casa 
(15). 


Ciò posto, a 
valle 
della 
nota 
in riscontro ed a 
seguito di 
un ulteriore 
approfondimento 
sul 
tema, si 
offrono le 
ulteriori 
seguenti 
considerazioni 
al 
fine 
di 
sottolineare 
come 
al 
medesimo esito cui 
si 
è 
giunti 
nella 
precedente 
consultazione 
sia 
dato pervenire, oltre 
che 
-come 
già 
esposto nel 
precedente 
parere 
-facendo applicazione 
dei 
principi 
generali 
in tema 
di 
giudicato e 
della 
giurisprudenza 
in tema 
di 
opponibilità 
al 
locatore 
ed al 
comandante 
del 
provvedimento 
ex 
art. 337 
sexies 
c.c., anche 
analizzando la 
questione 
attraverso lo 
strumentario concettuale 
proprio del 
diritto di 
famiglia 
soffermandosi 
-più in 
particolare 
-sulla 
natura, sulla 
funzione 
e 
sugli 
effetti 
del 
provvedimento di 
assegnazione 
della 
casa 
familiare 
nonché 
sul 
regime 
della 
relativa 
trascrizione. 
tali 
profili 
appaiono 
-invero 
-di 
particolare 
rilievo 
nella 
presente 
sede 
perché 
è 
proprio in base 
a 
detta 
pronunzia 
giurisdizionale 
che 
-secondo l’imposta


(13) v., § 6. 
(14) Cass. civ. Sez. III Sent., 7 novembre 2019, n. 28615. 
(15) Cass. civ. Sez. Un., del 29 settembre 2014, n. 20448. 

rASSeGnA 
AvvOCAtUrA 
DeLLO 
StAtO -n. 2/2023 


zione 
dominante 
qui 
oggetto di 
vaglio critico -il 
coniuge 
(o l’ex coniuge) assegnatario 
della 
casa 
familiare 
che 
non 
sia 
già 
titolare 
di 
diritti 
reali 
o 
personali 
nei 
confronti 
del 
dominus 
né 
abbia 
direttamente 
intrattenuto rapporti 
contrattuali 
con il 
proprietario, può continuare 
a 
godere 
dell’immobile 
“utendo jure” 
del cespite. 


3.1. 
ebbene, 
come 
è 
risaputo, 
il 
provvedimento 
di 
assegnazione 
della 
casa 
familiare 
è 
-oggi 
-disciplinato 
dall’art. 
337 
sexies 
c.c. 
Come 
altresì 
noto, 
sotto 
il 
profilo teleologico, il 
provvedimento giurisdizionale 
in parola 
è 
volto a 
tutelare 
l’interesse 
della 
prole 
a 
permanere 
nell’ambiente 
domestico 
in 
cui 
è 
cresciuta. 
Sotto 
il 
profilo 
contenutistico 
il 
provvedimento 
emesso 
ai 
sensi 
dell’art. 
337 sexies 
c.c. implica, quindi, “l’accertamento che 
l’immobile 
oggetto del-
l’assegnazione 
si 
identifica 
con 
il 
luogo 
degli 
affetti, 
degli 
interessi, 
e 
delle 
abitudini 
in cui 
si 
esprime 
la vita familiare 
e 
si 
svolge 
la continuità delle 
relazioni 
domestiche, centro di 
aggregazione 
e 
di 
unificazione 
dei 
componenti 
del 
nucleo, 
complesso 
di 
beni 
funzionalmente 
organizzati 
per 
assicurare 
l’esistenza 
della comunità familiare” (16). 
Sul 
piano degli 
effetti 
del 
provvedimento di 
assegnazione 
della 
casa 
familiare, 
si 
è 
-invece 
-a 
lungo discusso con particolare 
riguardo alla 
corretta 
qualificazione 
giuridica 
del 
diritto che 
si 
costituisce 
in capo all’assegnatario 
in forza 
del 
provvedimento giudiziale 
in parola. Alcuni 
autori 
(17) si 
sono sul 
punto -espressi 
nel 
senso di 
qualificare 
il 
diritto del 
coniuge 
assegnatario 
come 
“diritto reale 
di 
abitazione” 
assimilabile 
al 
diritto reale 
d’abitazione 
di 
cui 
all’art. 1022 c.c. tale 
ricostruzione 
è 
stata 
oggetto di 
plurimi 
rilievi 
critici 
tra 
i 
quali 
il 
denunciato contrasto con il 
principio di 
tipicità 
dei 
diritti 
reali 
che 
non consente 
al 
giudice 
di 
ampliare 
il 
catalogo dei 
diritti 
reali 
fissato ex 
lege 
né 
di 
modificarne 
il 
contenuto 
in 
via 
interpretativa. 
Per 
quel 
che 
in 
questa 
sede 
rileva, 
le 
richiamate 
argomentazioni 
critiche 
sono 
state 
accolte 
dalla 
giurisprudenza 
di 
legittimità 
che 
ha 
escluso 
che 
quello 
riconosciuto 
dal 
provvedimento 
di 
cui 
all’art. 
337 
sexies 
c.c. 
sia 
configurabile 
come 
un 
diritto 
reale 
qualificando, 
al 
contrario, 
il 
diritto 
del 
soggetto 
assegnatario 
della 
casa 
familiare 
come 
un 
diritto 
personale 
di 
godimento 
sui 
generis 
e 
atipico 
sul 
cespite 
sorretto 
da 
ragioni 
di 
protezione 
della 
prole 
e 
temporaneo 
perché 
destinato 
ad 
esaurirsi 
al 
raggiungimento dell’indipendenza 
dei 
figli`(18). La 
questione 
della 
natura 
giuridica 
del 
diritto 
del 
soggetto 
assegnatario 
della 
casa 
coniugale 
non 
ha 
come 
evidente 
-rilievo meramente 
teorico essendo destinato ad impattare 
sul 
regime 
di 
opponibilità 
ai 
terzi 
degli 
effetti 
del 
provvedimento giurisdizionale 


(16) Cass. civ. Sez. III, Ord., (ud. 3 dicembre 2018) 10 aprile 2019, n. 9990 . 
(17) BIAnCA, diritto civile, 2, Giuffre, Milano, 1931, 146. 
(18) Muovendo dalla 
qualificazione 
del 
diritto dell’assegnatario come 
diritto personale 
di 
godimento, 
la 
giurisprudenza 
è 
giunta 
-in taluni 
arresti 
-ad escludere 
l’obbligo dell’assegnatario di 
pagare 
le 
imposte 
comunali 
sugli 
immobili 
oggetto 
di 
assegnazione 
Cass. 
civ. 
Sez. 
I, 
19 
settembre 
2005, 
n. 
1847. 

PArerI 
DeL 
COMItAtO 
COnSULtIvO 


emesso ex 
art. 337 sexies 
c.c. essendo -in linea 
di 
massima 
-di 
più agevole 
affermazione 
l’opponibilità 
del 
provvedimento 
di 
assegnazione 
a 
fronte 
del 
carattere 
reale 
ed 
erga 
omnes 
del 
diritto 
del 
beneficiario 
ed 
-invece 
-più 
complessa 
la 
ricostruzione 
del 
regime 
di 
opponibilità 
ai 
terzi 
del 
diritto 
riconosciuto 
ope 
iudicis 
ove 
si 
acceda 
alla 
tesi 
-oggi 
dominante 
-della 
natura 
di 
diritto di 
godimento atipico della 
posizione 
giuridica 
soggettiva 
attiva 
vantata 
dall’assegnatario della casa familiare 


3.2. 
Svolta 
tale 
premessa 
sulle 
finalità, 
sul 
contenuto 
e 
sugli 
effetti 
del 
provvedimento di 
assegnazione 
della 
casa 
familiare, occorre 
verificare 
come 
dette 
caratteristiche 
si 
riverberino sul 
tema 
-in questa 
sede 
di 
maggiore 
interesse 
-del 
regime 
di 
opponibilità 
del 
provvedimento di 
assegnazione 
nei 
confronti 
dei 
terzi. A 
tal 
fine 
pare 
utile 
ripercorrere 
-sebbene 
in chiave 
sintetica 
le 
principali evoluzioni normative e giurisprudenziali in materia. 
Con la 
riforma 
del 
diritto di 
famiglia 
-legge 
19 maggio 1975, n. 151 -il 
Legislatore 
è 
intervenuto 
-per 
la 
prima 
volta 
-in 
materia 
di 
assegnazione 
della 
casa 
familiare 
disponendo, all’art. 155, comma 
4, c.c., che, nel 
solo caso di 
separazione 
tra 
i 
coniugi, 
“l’abitazione 
nella 
casa 
familiare 
spetta 
di 
preferenza, 
e 
ove 
sia possibile, al 
coniuge 
cui 
vengono affidati 
i 
figli”, nulla 
prevedendo 
circa 
il 
regime 
di 
opponibilità 
del 
provvedimento 
giudiziale 
di 
assegnazione. 
Successivamente, 
con 
l’art. 
11 
comma 
6 
della 
legge 
6 
marzo 
1987, 
n. 
74, 
il 
diritto 
di 
assegnazione 
della 
casa 
familiare 
è 
stato 
espressamente 
riconosciuto 
anche 
in 
caso 
di 
divorzio 
stabilendosi 
altresì 
che 
“l’assegnazione, 
in quanto trascritta, è 
opponibile 
al 
terzo acquirente 
ai 
sensi 
dell’art. 1599 
del 
codice 
civile” 
(19). 
Per 
quel 
che 
in 
questa 
sede 
interessa, 
il 
richiamo 
all’art. 
1599 c.c. risultava 
ispirato all’esigenza 
di 
evitare 
disparità 
di 
trattamento tra 
il 
coniuge 
assegnatario 
di 
unità 
abitativa 
di 
proprietà 
dell’altro 
coniuge 
rispetto 
al 
coniuge 
assegnatario 
di 
immobile 
locato 
poiché 
-come 
visto 
-ex 
art. 
6 
della 
legge 
27 luglio 1978, n. 392 -solo in caso di 
assegnazione 
ope 
iudicis 
di 
una 
casa 
familiare 
oggetto di 
un contratto di 
locazione 
si 
determinava 
la 
cessione 
ex 
lege 
del 
relativo contratto a 
favore 
del 
coniuge 
assegnatario. Seppur motivata 
dalla 
descritta 
finalità, l’art. 155, comma 
4, cc., costituì 
l’oggetto di 
un 
ampio dibattito interpretativo. Più in particolare, l’utilizzo della 
locuzione 
“in 
quanto trascritta” 
determinò l’insorgere 
di 
due 
diversi 
indirizzi 
giurisprudenziali: 
secondo un primo orientamento, avendo il 
provvedimento di 
assegnazione 
data 
certa, 
il 
diritto 
del 
coniuge 
assegnatario 
doveva 
ritenersi 
comunque 
opponibile, anche 
se 
non trascritto, entro il 
novennio a 
far data 
dall’assegna


(19) Si 
riporta, per comodità 
di 
consultazione, l’art. 1599 cc. “1. il 
contratto di 
locazione 
è 
opponibile 
al 
terzo acquirente, se 
ha data certa anteriore 
all’alienazione 
della cosa. 2. la disposizione 
del 
comma precedente 
non si 
applica alla locazione 
di 
beni 
immobili 
iscritti 
in pubblici 
registri, se 
l’acquirente 
ne 
ha conseguito il 
possesso in buona fede. 3. le 
locazioni 
di 
beni 
immobili 
non trascritte 
non 
sono opponibili 
al 
terzo acquirente, se 
non nei 
limiti 
di 
un novennio dall’inizio della locazione. 4. l’acquirente 
è in ogni caso tenuto a rispettare la locazione, se ne ha assunto l’obbligo verso l’alienante”. 

rASSeGnA 
AvvOCAtUrA 
DeLLO 
StAtO -n. 2/2023 


zione, ai 
sensi 
e 
per gli 
effetti 
dell’art. 1599, comma 
1, c.c.; 
ove, invece, detto 
provvedimento fosse 
stato trascritto nei 
registri 
immobiliari, l’opponibilità 
si 
sarebbe 
estesa 
oltre 
il 
novennio, in applicazione 
di 
quanto disposto dall’art. 
1599, comma 
3, c.c. In base 
ad un diverso orientamento, al 
contrario, la 
trascrizione 
del 
provvedimento di 
assegnazione 
doveva 
ritenersi 
sempre 
quale 
condicio sine 
qua non ai 
fini 
della 
opponibilità 
ai 
terzi. La 
composizione 
del 
contrasto giurisprudenziale 
succintamente 
tratteggiato venne 
-in estrema 
sintesi 
-rimesso 
al 
vaglio 
delle 
Sezioni 
Unite 
della 
Corte 
di 
Cassazione 
che 
-con 
la 
sentenza 
n. 11096 del 
26 luglio 2002 -enunciarono il 
principio per cui 
il 
provvedimento di 
assegnazione 
doveva 
ritenersi 
opponibile 
comunque 
entro 
il 
novennio, 
in 
quanto 
atto 
dotato 
per 
propria 
natura 
di 
data 
certa, 
essendo 
l’onere 
della 
trascrizione 
previsto 
ai 
soli 
fini 
dell’opponibilità 
ultranovennale. 


Dopo 
l’intervento 
delle 
Sezioni 
Unite 
il 
problema 
del 
regime 
dell’opponibilità 
ai 
terzi 
del 
provvedimento 
di 
assegnazione 
della 
casa 
coniugale 
risultava 
-invero 
-non 
del 
tutto 
delineato 
nella 
dottrina 
e 
nella 
giurisprudenza 
gius-familiare. 
Il 
problema 
dell’opponibilità 
dell’assegnazione 
della 
casa 
familiare 
ex 
art. 
155 
, 
comma 
4, 
cc., 
c.c. 
era 
stato 
-infatti 
-esaminato 
dalla 
giurisprudenza 
delle 
Sezioni 
Unite 
esclusivamente 
con 
riguardo 
ai 
terzi 
acquirenti 
dell’immobile 
dopo 
il 
provvedimento 
di 
assegnazione, 
residuando 
-quindi 
-il 
tema 
del 
regime 
di 
opponibilità 
del 
provvedimento 
di 
assegnazione 
della 
casa 
familiare 
nei 
confronti 
di 
terzi 
titolari 
del 
diritto 
di 
proprietà 


o 
di 
altro 
diritto 
reale 
sull’immobile 
anteriormente 
al 
dissolvimento 
dell’unità 
familiare 
ed 
alla 
vicenda 
attributiva 
dell’alloggio 
al 
coniuge 
separato 
o 
divorziato. 
Detta 
ipotesi 
-che 
direttamente 
viene 
in 
rilievo 
ai 
fini 
della 
presente 
trattazione 
-venne 
affrontata 
in 
una 
successiva 
sentenza 
a 
Sezioni 
Unite 
della 
Corte 
di 
cassazione 
(20). 
In 
proposito, 
ribadita 
l’esigenza 
di 
bilanciamento 
tra 
gli 
opposti 
interessi, 
entrambi 
di 
rilievo 
costituzionale, 
della 
conservazione 
del 
residuo 
nucleo 
familiare 
e 
della 
disponibilità 
del 
bene 
da 
parte 
del 
legittimo 
titolare, 
il 
limite 
del 
sacrificio 
imposto 
dal 
dovere 
di 
solidarietà 
fu 
individuato 
nell’esigenza 
di 
impedire 
“una 
funzionalizzazione 
assoluta 
del 
diritto 
di 
proprietà 
del 
terzo 
a 
tutela 
di 
diritti 
che 
hanno 
radice 
nella 
solidarietà 
coniugale 
o 
post-coniugale”, 
essendo 
il 
terzo 
del 
tutto 
estraneo 
al 
rapporto 
coniugale 
ed 
al 
giudizio 
seguito 
alla 
fase 
patologica 
di 
quel 
rapporto, 
derivando 
da 
ciò 
che 
“la 
disciplina 
della 
opponibilità 
dell’assegnazione 
nei 
confronti 
del 
terzo 
proprietario 
dell’immobile 
riguarda 
le 
sole 
ipotesi 
in 
cui 
detta 
titolarità 
sia 
stata 
acquisita 
successivamente 
alla 
vicenda 
attributiva 
dell’allog(
20) Si 
v., Cass. civ. Sez. Unite, 21 luglio 2004, n. 13603 che 
ha 
affrontato il 
caso del 
proprietario 
dell’immobile 
che 
affermava 
il 
proprio diritto a 
rientrare 
in possesso del 
bene 
concesso in comodato al 
figlio ed assegnato, con ordinanza 
presidenziale 
emessa 
nel 
giudizio di 
separazione 
personale 
tra 
i 
coniugi, 
alla 
moglie, 
affidataria 
dei 
figli 
minori: 
pertanto 
la 
concessione 
in 
comodato 
dell’immobile 
da 
parte 
del 
terzo 
proprietario 
si 
collocava 
in 
un 
momento 
anteriore 
al 
provvedimento 
di 
assegnazione 
della 
casa familiare. 

PArerI 
DeL 
COMItAtO 
COnSULtIvO 


gio 
al 
coniuge 
separato 
o 
divorziato, 
e 
non 
quelle 
in 
cui 
l’acquisto 
della 
proprietà 
o 
di 
altro 
diritto 
reale 
sia 
anteriore, 
non 
potendo 
il 
provvedimento 
giudiziale 
incidere 
negativamente 
ed 
in 
modo 
diretto 
su 
una 
situazione 
preesistente 
facente 
capo 
ad 
un 
soggetto 
estraneo 
al 
giudizio 
nel 
quale 
è 
stata 
disposta 
l’assegnazione” 
(21). 


A 
seguito 
delle 
due 
sentenze 
delle 
Sezioni 
Unite 
innanzi 
richiamate 
si 
era 


- quindi - strutturato un assetto così sintetizzabile: 
a) 
opponibilità 
immediata 
infra-novennale 
anche 
in 
assenza 
di 
trascrizione 
del 
provvedimento nei 
confronti 
dei 
terzi 
acquirenti 
dell’immobile 
già 
oggetto di assegnazione giurisdizionale al coniuge separato; 
b) 
inopponibilità 
della 
pronunzia 
giurisdizionale 
nei 
confronti 
dei 
terzi 
titolari 
di 
diritto di 
proprietà 
o di 
altro diritto reale 
anteriore 
all’assegnazione 
ope iudicis. 
Anche 
il 
predetto 
assetto 
non 
era 
andato 
esente 
da 
critiche 
rilevandosi 
in 
particolare 
con 
riguardo 
all’opponibilità 
immediata 
infra-novennale 
-sub 


a) 
-in 
assenza 
di 
trascrizione 
e 
quindi 
in 
presenza 
di 
un 
affidamento 
incolpevole 
del 
terzo 
acquirente 
-come 
la 
tutela 
avanzata 
della 
prole 
fondata 
sugli 
obblighi 
di 
mantenimento 
di 
educazione 
e 
di 
istruzione 
di 
cui 
all’art. 
30 
della 
Costituzione 
se 
idonea 
a 
limitare 
il 
diritto 
di 
proprietà 
dei 
soggetti 
direttamente 
tenuti 
all’adempimento 
di 
quegli 
obblighi 
(id 
est 
il 
coniuge 
proprietario 
non 
assegnatario 
dell’immobile), 
non 
avrebbe 
potuto 
consentire 
di 
limitare 
il 
diritto 
di 
proprietà 
del 
terzo 
estraneo 
al 
disciolto 
nucleo 
familiare 
ed 
acquirente 
successivamente 
all’assegnazione 
in 
assenza 
di 
trascrizione 
del 
titolo 
giudiziale 
(22). 
3.3. 
A 
fronte 
del 
complesso dibattito innanzi 
tracciato, il 
legislatore 
interveniva 
nuovamente 
sul 
tema 
con 
la 
legge 
8 
febbraio 
2006 
n. 
54 
con 
la 
quale 
veniva 
introdotto 
l’art. 
155 
quater 
c.c. 
il 
quale, 
così 
statuiva 
“il 
provvedimento 
di 
assegnazione 
e 
quello 
di 
revoca 
sono 
trascrivibili 
e 
opponibili 
a 
terzi 
ai 
sensi 
dell’articolo 2643 c.c.”. tale 
previsione 
è 
stata, poi, da 
ultimo collocata 
dal 
d.lgs. 
28 
dicembre 
2013, 
n. 
154, 
all’art. 
337 
sexies 
c.c. 
-oggi 
vigente 
-che 
analogamente 
dispone 
che 
“il 
provvedimento di 
assegnazione 
e 
quello di 
revoca 
sono trascrivibili e opponibili a terzi ai sensi dell’articolo 2643”. 
(21) Cass. civ. Sez. Unite, 21 luglio 2004, n. 13603. 
(22) Come 
osservato in dottrina 
“l’interesse 
dei 
figli 
ad abitare 
nella casa familiare 
può ritenersi 
sì 
tutelato 
dall’art. 
30 
cost., 
ma 
solo 
in 
quanto 
inerisce 
al 
diritto-dovere 
dei 
genitori 
di 
mantenerli, 
istruirli 
ed educarli; esso è 
pertanto meritevole 
di 
essere 
garantito dall’ordinamento giuridico proprio 
nei 
confronti 
dei 
genitori, e 
non già di 
altri 
soggetti 
(e 
segnatamente 
del 
terzo acquirente 
dell’immobile 
ovvero dei 
creditori 
che 
lo abbiano pignorato). d’altro canto, e 
a maggior 
ragione, la tutela della proprietà 
privata che 
è 
sancita dall’art. 42 cost., riguardando anche 
i 
modi 
mediante 
i 
quali 
essa è 
acquistata, 
rende 
meritevole 
di 
salvaguardia da parte 
dell’ordinamento giuridico il 
ragionevole 
affidamento 
dei 
terzi 
sull’inesistenza di 
oneri 
o pesi 
che 
limitino il 
godimento del 
bene” 
così 
SIrenA, 
l’opponibilità 
del 
provvedimento 
di 
assegnazione 
della 
casa 
familiare 
dopo 
la 
legge 
sull’affidamento 
condiviso, 
in 
riv. dir. civ., 2011, 5, 20559. 

rASSeGnA 
AvvOCAtUrA 
DeLLO 
StAtO -n. 2/2023 


Dal 
raffronto testuale 
tra 
la 
nuova 
disposizione 
legislativa 
e 
l’originaria 
norma 
di 
cui 
all’art. 155, comma 
4, cod. civ. (come 
introdotto dalla 
riforma 
del 
diritto 
di 
famiglia), 
è 
dato 
ricavare 
i 
seguenti 
profili 
differenziali: 
1) 
è 
espressamente 
richiamato 
l’art. 
2643 
cc., 
anziché 
l’art. 
1599 
c.c.; 
2) 
è 
stato 
statuito 
che 
il 
provvedimento 
giudiziale 
(trascritto) 
sia 
opponibile 
“a 
terzi” 
senza 
ulteriori 
specificazioni, 
anziché 
al 
“terzo 
acquirente” 
dell’immobile. 
Per 
comprendere 
-quindi 
-alla 
luce 
dell’evoluzione 
normativa 
e 
giurisprudenziale 
innanzi 
riassunta 
-l’attuale 
regime 
di 
opponibilità 
ai 
terzi 
del 
provvedimento 
di 
assegnazione 
della 
casa 
coniugale 
occorre 
-ad avviso della 
Scrivente 
-soffermarsi 
sui profili differenziali innanzi richiamati. 


ebbene, poiché 
l’art. 2643 c.c. -oggi 
richiamato in luogo dell’art. 1599 


c.c. 
-detta 
un 
elenco 
di 
atti 
trascrivibili 
si 
tratta 
-in 
primis 
-di 
individuare 
quale 
tra 
-le 
ipotesi 
elencate 
nella 
disposizione 
-sia 
quella 
nella 
quale 
sussumere 
l’assegnazione 
della 
casa 
familiare. In proposito, muovendo dal 
presupposto 
-innanzi 
esplicato -per cui 
il 
provvedimento di 
assegnazione 
della 
casa 
familiare 
attribuisce 
un 
diritto 
personale 
di 
godimento 
dell’immobile 
e 
non 
un 
diritto reale 
di 
abitazione, si 
può ipotizzare 
-ad avviso della 
Scrivente 
-che 
la 
trascrizione 
del 
provvedimento di 
assegnazione 
della 
casa 
coniugale 
sia 
-in 
generale 
-riconducibile 
al 
combinato disposto dell’art. 2643, n. 14, c.c. con 
l’art. 
2643, 
n. 
8, 
c.c. 
Ciò 
posto, 
come 
evidenziato 
in 
giurisprudenza, 
il 
richiamo 
operato 
dall’art. 
336 
sexies 
c.c. 
all’art. 
2643 
c.c. 
“implica” 
(23) 
il 
rinvio 
anche 
al 
successivo art. 2644 c.c. a 
mente 
del 
quale 
“gli 
atti 
enunciati 
nell’articolo 
precedente 
non hanno effetto riguardo ai 
terzi 
che 
a qualunque 
titolo hanno 
acquistato 
diritti 
sugli 
immobili 
in 
base 
a 
un 
atto 
trascritto 
o 
iscritto 
anteriormente 
alla trascrizione degli atti medesimi”. 
Ciò posto, occorre 
coordinare 
il 
quadro positivo innanzi 
richiamato alle 
ipotesi 
-oggetto della 
nota 
in riscontro -in quanto le 
fattispecie 
sottoposte 
al 
vaglio 
della 
Scrivente 
sono 
connotate 
da 
elementi 
di 
spiccata 
specialità 
rispetto 
alle 
fattispecie 
comuni 
previste 
dalla 
richiamata 
disciplina. La 
disciplina 
comune 
della 
trascrizione 
è 
infatti 
-in 
generale 
-volta 
a 
tutelare 
il 
principio 
della 
certezza 
nei 
traffici 
giuridici 
e 
con esso la 
salvaguardia 
del 
ragionevole 
affidamento 
dei 
terzi 
sull’inesistenza 
di 
oneri 
o pesi 
che 
limitino il 
godimento del 
bene 
oggetto 
della 
vicenda 
circolatoria. 
nel 
caso 
-invece 
-degli 
alloggi 
di 
servizio 
rientranti 
nel 
patrimonio 
del 
Ministero 
della 
Difesa 
si 
è 
di 
fronte 
a 
beni 
che 
seguono 
un 
regime 
del 
tutto 
specifico 
-dettato 
dagli 
artt. 
278-294 


(23) Cass. civ. Sez. III, Sent., 15 aprile 
2022, n. 12387 ove 
si 
legge 
“l’evocato articolo, dettato in 
materia di 
separazione 
personale, ha previsto, dunque, che 
“il 
provvedimento di 
assegnazione 
e 
quello 
di 
revoca sono trascrivibili 
ed opponibili 
ai 
terzi 
ai 
sensi 
dell’art. 2643 cc.” 
... posto che 
la regola sul-
l’opponibilità non è 
dettata dall’art. 2643 c.c., bensì 
dall’art. 2644 c.c.; deve 
desumersene 
che 
il 
legislatore 
ha 
per 
un 
verso 
voluto 
affermare 
la 
trascrivibilità 
dell’assegnazione 
in 
parola 
come 
regola 
generale, e 
al 
contempo richiamare 
per 
implicito la correlata regola di 
risoluzione 
dei 
conflitti 
dettata 
dall’art. 2644 c.c.”. 

PArerI 
DeL 
COMItAtO 
COnSULtIvO 


d.lgs. 15 marzo 2010, n. 66 e 
dagli 
artt. 311-361 del 
d.P.r. 15 marzo 2010, n. 
90 
-in 
quanto 
ex 
lege 
appartenenti 
al 
Dicastero 
della 
Difesa 
e 
-sempre 
ex 
lege 


-funzionalizzati 
a 
scopi 
pubblicistici 
ed istituzionali 
ed all’uopo inventariati 
in 
appositi 
registri 
disciplinati 
all’art. 
234 
del 
d.lgs. 
15 
marzo 
2010, 
n. 
66. 
Sicché 
-in 
ragione 
di 
detti 
peculiari 
caratteri 
-si 
ritiene 
di 
dover 
confermare 
l’avviso 
espresso 
nel 
precedente 
parere 
circa 
l’inopponibilità 
-anche 
ove 
trascritto 
-del 
provvedimento di 
assegnazione 
dell’alloggio di 
servizio quale 
casa 
familiare 
anche 
tenendo conto che 
-nei 
casi 
in rilievo -la 
priorità 
del 
titolo domenicale 
pubblico sancito ex 
lege 
rispetto all’atto di 
assegnazione 
giudiziale 
della 
casa 
familiare 
è 
il 
presupposto 
concettuale 
dell’intera 
vicenda 
perché 
posta 
a 
fondamento dell’atto concessorio in favore 
dell’originario concessionario 
che 
ha 
-successivamente 
-disposto del 
bene 
del 
terzo funzionalizzato a 
scopi pubblicistici in sede di separazione. 
4. l’autotutela esecutiva. limiti e priorità. 
Dalle 
considerazioni 
che 
precedono, 
integrate 
con 
le 
motivazioni 
già 
esposte 
con 
il 
parere 
CS 
/41556/2022, 
è 
dato 
trarre 
la 
conseguenza 
per 
cui 
sia 
una 
eventuale 
assegnazione 
convenzionalmente 
operata 
dai 
coniugi 
in 
base 
ad 
un 
accordo 
inter 
partes 
(non 
opponibile 
all’Amministrazione 
terza 
ed 
anzi 
nullo 
per 
impossibilità 
giuridica 
dell’oggetto, 
ex 
artt. 
1346-1418 
c.c.) 
(24) 
sia 
un 
eventuale 
provvedimento 
giudiziale 
di 
assegnazione 
del-
l’alloggio 
ASI 
quale 
casa 
familiare 
(non 
opponibile 
all’Amministrazione 
per 
le 
ragioni 
esposte) 
-da 
un 
lato 
legittimano 
l’Amministrazione 
all’intrapresa 
di 
un’opposizione 
di 
terzo 
ex 
art. 
404 
c.p.c. 
avverso 
i 
provvedimenti 
di 
assegnazione 
alla 
stessa 
inopponibili 
e 
-dall’altro 
-non 
impediscono 
all’A.D. 
proprietaria 
del 
bene 
immobile 
di 
agire 
per 
il 
recupero 
della 
disponibilità 
materiale 
dell’alloggio 
attraverso 
le 
più 
agevoli 
forme 
-che 
a 
differenza 
dello 
strumento 
di 
cui 
all’art. 
404 
c.p.c. 
non 
richiedono 
l’intermediazione 
giudiziale 
-dell’autotutela 
esecutiva 
(25) 
ed 
anzi 
-in 
difetto, 
per 
le 
ragioni 
esposte, 
di 
una 
norma 
che 
consenta 
al 
coniuge 
separato 
di 
continuare 
a 
godere 
dell’immobile 
demaniale 
-“il 
recupero 
coattivo 
del-
l’immobile 
occupato 
sine 
titulo 
costituisce 
per 
l’amministrazione 
della 
difesa 
un 
atto 
dovuto. 
infatti, 
questa 
è 
vincolata 
ad 
agire 
in 
autotutela 
per 


(24) GIACOMO 
OBertO, l’assegnazione 
consensuale 
della casa familiare 
nella crisi 
coniugale, in 
Famiglia e 
diritto, 1998, 6, 573. Per la 
definizione 
consensuale 
della 
separazione 
a 
seguito di 
procedimento 
mediante 
convenzione 
di 
negoziazione 
assistita, ai 
sensi 
del 
d.l. 12 settembre 
2014, n. 132, art. 
6, conv. in legge 
10 novembre 
2014, n. 162, valgono le 
medesime 
conclusioni 
esposte 
in relazione 
al-
l’inopponibilità 
del 
provvedimento giurisdizionale 
di 
assegnazione 
atteso che 
-ai 
sensi 
del 
comma 
3 
della 
medesima 
norma 
-“l’accordo raggiunto ... produce 
gli 
effetti 
e 
tiene 
luogo dei 
provvedimenti 
giudiziali...”. 
(25) 
Così 
t.a.r. 
Campania 
napoli 
Sez. 
vII, 
9 
febbraio 
2023, 
n. 
928. 
In 
senso 
conforme 
si 
v., 
anche 
t.a.r. Lazio roma sez. I bis, 4 gennaio 2016, n. 19, t.a.r. napoli, sez. vII, 19 giugno 2023 n. 3708. 

rASSeGnA 
AvvOCAtUrA 
DeLLO 
StAtO -n. 2/2023 


ripristinarne 
la 
destinazione 
istituzionale 
come 
alloggio 
di 
servizio 
ai 
dipendenti 
che 
svolgano 
determinati 
incarichi”. 


4.1. La 
doverosità 
del 
provvedimento di 
recupero del 
bene 
alla 
pubblica 
disponibilità 
nei 
termini 
innanzi 
enunciati 
non esclude 
-ad avviso della 
Scrivente 
-che 
il 
potere-dovere 
in parola 
debba 
essere 
esercitato, in base 
al 
noto 
principio di 
proporzionalità, assegnando priorità 
al 
rilascio degli 
alloggi 
occupati 
da 
soggetti 
morosi 
e 
per i 
quali 
sia 
concretamente 
possibile 
la 
tempestiva 
riassegnazione 
ai 
nuovi 
conduttori 
(26) ed -al 
contrario -concedendo 
un 
adeguato 
spatium 
temporis 
all’occupante 
per 
riorganizzare 
la 
sistemazione 
della 
famiglia 
nel 
caso di 
specifiche 
situazioni 
di 
debolezza 
economica 
o disagio 
familiare 
che 
giustificano 
-per 
ragioni 
solidaristiche 
-la 
temporanea 
sottrazione 
dei 
beni 
dalla 
loro 
finalità 
istituzionale 
e 
la 
riallocazione 
degli 
stessi 
a 
finalità 
di 
“protezione” 
di 
utenti 
che 
non 
sono 
in 
grado 
di 
reperire 
un’abitazione sul libero mercato. 
La 
graduazione 
dell’esercizio del 
potere 
di 
autotutela 
potrà, perciò, avvenire 
facendo applicazione - più in particolare ‑: 


-dell’art. 
332, 
co. 
2, 
del 
d.P.r. 
15 
marzo 
2010, 
n. 
90 
che 
consente 
di 
concedere 
“proroghe 
temporanee 
al 
rilascio 
degli 
alloggi 
di 
servizio, 
previste 
dal-
l’articolo 
286, 
comma 
3, 
del 
codice: 
a) 
ai 
concessionari 
di 
alloggi 
aSGc, 
aSir 
e 
aSl 
quando 
non 
vi 
sono 
esigenze 
di 
reimpiego 
immediato 
dell’alloggio” 


-dell’art. 
333 
del 
d.P.r. 
15 
marzo 
2010, 
n. 
90 
(recupero 
degli 
alloggi) 
nella 
parte 
in cui 
stabilisce 
che 
“1. Se 
l’alloggio non è 
lasciato libero nel 
termine 
fissato, il 
comando competente 
per 
il 
rilascio della concessione 
emette 
ordinanza di 
recupero coattivo ... 6. Ferma restando la cessazione 
della concessione, 
in caso di 
recupero di 
alloggi, gli 
atti 
esecutivi 
sono differiti 
al 
momento 
in cui insorga in altro personale titolo a usufruire dell’alloggio”. 


4.2. 
L’Amministrazione 
potrà 
-al 
contrario -valutare 
di 
esercitare 
prioritariamente 
l’azione 
di 
recupero coattivo nei 
casi 
-invero non infrequenti 
in 
base 
all’incidenza 
giurisprudenziale 
delle 
pronunzie 
sul 
tema 
(27) 
-in 
cui 
l’alloggio 
di 
servizio sia 
stato assegnato a 
soggetti 
che, seppur facenti 
parte 
della 
categoria 
dei 
coniugi 
separati 
affidatari 
della 
prole, non rientrino nella 
categoria 
degli 
“utenti 
sine 
titulo protetti” 
così 
come 
delineata 
in base 
alla 
disciplina 
-pur 
eccezionale 
e 
temporanea 
-di 
cui 
ai 
citati 
Decreti 
Ministeriali 
7 
maggio 2014 e 24 luglio 2015. 
Sotto detto profilo, occorre 
notare 
come 
l’art. 4 del 
DM. 7 maggio 2014, 
significativamente 
intitolato “condizioni 
eccezionali 
di 
deroga ai 
limiti 
di 
du


(26) 
tanto 
perché 
la 
liberazione 
coattiva 
dell’immobile 
occupato 
sine 
titulo 
da 
un 
soggetto 
adempiente 
rispetto al 
canone 
di 
occupazione 
senza 
l’immediata 
riassegnazione 
del 
cespite 
provocherebbe 
evidentemente 
- invece che un vantaggio una perdita economica per l’Amministrazione. 
(27) t.a.r. Lazio roma 
Sez. I bis, Sent., 1 febbraio 2016, n. 1352; 
t.a.r. Lazio roma 
Sez. I bis, 
Sent., 1 luglio 2020, n. 7475; 
t.a.r. Lazio roma Sez. I bis, Sent., 14 aprile 2015, n. 5414. 

PArerI 
DeL 
COMItAtO 
COnSULtIvO 


rata delle 
concessioni 
e 
disposizioni 
relative 
al 
pagamento dei 
canoni 
di 
occupazione 
degli 
alloggi 
di 
servizio per 
limitate 
categorie”, prevedeva 
due 
distinte 
classi di beneficiari: 


-Al 
comma 
1 contemplava 
una 
categoria 
di 
beneficiari 
che 
si 
estendeva, 
oltre 
ai 
militari 
in 
servizio, 
anche 
a 
quelli 
in 
quiescenza 
ed 
al 
coniuge 
superstite 
consentendo a 
detti 
soggetti 
di 
mantenere 
la 
conduzione 
dell’alloggio di 
servizio 
al 
quale 
non 
avrebbero 
avuto 
titolo 
subordinatamente 
alla 
condizione 
che 
“né 
gli 
utenti, né 
i 
loro conviventi 
siano proprietari 
di 
altro alloggio abitabile 
sul 
territorio nazionale” 
e 
che 
“il 
reddito annuo lordo complessivo dei 
componenti 
il 
nucleo 
convivente 
non 
superi, 
per 
l’anno 
2009, 
l’importo 
di 
euro 
54.485,73, 
incrementato 
di 
euro 
3.500,00, 
per 
ogni 
figlio 
a 
carico” 
(28). 
-Il 
comma 
2 
dell’art. 
4 
in 
esame 
recitava: 
“2. 
Possono, 
inoltre, 
mantenere 
la conduzione 
i 
coniugi 
superstiti 
non legalmente 
separati 
né 
divorziati, nonché 
i 
coniugi 
di 
personale 
militare 
e 
civile 
della 
difesa 
titolare 
di 
concessione 
di 
alloggi 
di 
servizio che, alla data di 
entrata in vigore 
del 
presente 
decreto, 
siano divorziati, ovvero legalmente separati”. 


Dette 
previsioni 
hanno 
-come 
noto 
-avuto 
carattere 
attuativo 
dall’art. 
306, comma 
2, del 
d.lgs. 15 marzo 2010, n. 66 che, appunto, demandava 
al 
piano 
di 
gestione 
la 
determinazione 
dei 
parametri 
reddituali 
per 
il 
mantenimento 
dell’alloggio occupato sine 
titulo 
stabilendo -più in particolare 
-che 
“il 
piano indica altresì 
i 
parametri 
di 
reddito sulla base 
dei 
quali 
gli 
attuali 
utenti 
degli 
alloggi 
di 
servizio, ancorché 
si 
tratti 
di 
personale 
in quiescenza o 
di 
coniuge 
superstite 
non legalmente 
separato, nè 
divorziato, possono mantenerne 
la conduzione, purché 
non siano proprietari 
di 
altro alloggio di 
certificata 
abitabilità”. 


ebbene, 
sulla 
scorta 
della 
lettura 
in 
combinato 
dell’art. 
4 
del 
D.M. 
7 
maggio 
2014 
con 
l’art. 
306, 
comma 
2, 
di 
d.lgs. 
15 
marzo 
2010, 
n. 
66, 
nonché 
alla 
luce 
della 
ratio 
delle 
previsioni 
sub-legali, 
la 
giurisprudenza 
amministrativa 
ha, 
sul 
punto, 
significativamente 
chiarito 
che 
“il 
primo 
comma 
del-
l’art. 
4 
detta 
i 
requisiti 
(reddito 
basso 
e 
mancata 
disponibilità 
di 
altra 
abitazione) 
per 
beneficiare 
delle 
condizioni 
eccezionali 
di 
deroga 
ai 
limiti 
di 
durata 
della 
concessione 
e 
-quindi 
-attiene 
all’ambito 
“oggettivo” 
delle 
condizioni 
necessarie 
per 
fruire 
di 
un 
alloggio 
di 
servizio 
pur 
senza 
averne 


(28) 
Si 
tratta 
di 
una 
previsione 
che 
-in 
sintesi 
-esentava 
una 
determinata 
categoria 
di 
utenti 
dall’obbligo 
di 
rilascio 
degli 
alloggi 
di 
servizio 
in 
ragione 
di 
evidenti 
esigenze 
di 
tutela 
della 
loro 
condizione 
di 
debolezza 
socioeconomica. 
La 
finalità 
solidaristica 
della 
disciplina 
in 
esame 
risulta 
confermata 
dagli 
stessi 
lavori 
parlamentari 
ove 
si 
legge 
che 
l’innovazione 
è 
stata 
determinata 
dalla 
considerazione 
dell’attuale 
fase 
di 
crisi 
economica 
che 
colpisce 
le 
categorie 
di 
utenti 
che 
hanno 
occupato 
abusivamente 
gli 
alloggi 
in 
questione 
“per 
stato 
di 
necessità” 
ed 
ai 
quali 
viene 
consentito 
di 
permanere 
in 
questi 
al 
fine 
di 
“porre 
efficace 
rimedio 
alla 
situazione 
gravosa 
che 
molti 
utenti, 
soprattutto 
quelli 
non 
più 
giovanissimi, 
ormai 
in 
pensione 
e 
talvolta 
con 
problemi 
di 
salute, 
sono 
costretti 
a 
vivere”. 
Si 
v., 
resoconto 
sommario 
della 
seduta 
n. 
60 
della 
Commissione 
Difesa, 
giovedi 
17 
aprile 
2014, 
in 
www.parlamento.it 

rASSeGnA 
AvvOCAtUrA 
DeLLO 
StAtO -n. 2/2023 


titolo, 
mentre 
il 
secondo 
comma, 
fermi 
restando 
i 
predetti 
presupposti 
fattuali 
(reddito 
basso 
e 
mancata 
disponibilità 
di 
altra 
abitazione) 
si 
limita 
ad 
estendere 
l’ambito 
soggettivo 
dei 
legittimati, 
contemplando 
anche 
personale 
che 
altrimenti 
non 
avrebbe 
alcun 
titolo 
individuale 
ad 
occupare 
un 
alloggio 
di 
servizio 
del 
ministero 
della 
difesa”. 
Sicché 
“è 
evidente 
che 
il 
legislatore 
delegato 
ha 
demandato 
al 
piano 
di 
gestione 
la 
possibilità 
di 
prevedere 
il 
mantenimento 
dell’alloggio 
all’utente 
ormai 
privo 
di 
titolo 
solo 
se 
povero 
e 
privo 
di 
abitazione 
alternativa 
(...) 
d’altronde 
una 
diversa 
impostazione 
ermeneutica 
condurrebbe 
all’assurdo 
risultato 
di 
sottrarre 
alloggi 
di 
servizio 
al 
personale 
militare 
a 
cui 
devono 
essere 
assegnati 
(ed 
alle 
relative 
famiglie) 
per 
concederli 
in 
uso 
ad 
un 
prezzo 
di 
gran 
lunga 
inferiore 
a 
quello 
di 
mercato 
ad 
una 
categoria 
di 
personale 
non 
più 
in 
servizio, 
senza 
alcuna 
ragione 
volta 
a 
giustificare 
tale 
impiego 
antieconomico 
di 
beni 
pubblici 
e 
soprattutto 
determinando 
un 
ingiusticato 
favoritismo 
a 
favore 
di 
alcuni 
occupanti 
sulla 
sola 
base 
di 
uno 
‘status’” 
(29). 


Alla 
stregua 
delle 
considerazioni 
esposte 
e 
della 
giurisprudenza 
richiamata, 
tenuto 
conto 
della 
doverosità 
dei 
provvedimenti 
di 
recupero 
degli 
alloggi 
occupati 
sine 
titulo 
alla 
pubblica 
disponibilità, l’Amministrazione 
potrà 
valutare 
di 
assegnare 
priorità 
alle 
azioni 
in autotutela 
aventi 
ad oggetto cespiti 
che 


-a 
valle 
di 
una 
apposita 
ad attenta 
ricognizione 
a 
cura 
della 
P.A. titolare 
degli 
immobili 
-risultino 
assegnati 
sì 
al 
coniuge 
separato 
dell’originario 
concessionario, 
ma 
in 
difetto 
dei 
presupposti 
oggettivi 
-da 
mantenersi 
per 
tutta 
la 
durata 
dell’occupazione 
e 
da 
valutarsi 
con 
riferimento 
all’occupante 
-della 
situazione 
di 
necessità 
economica 
ed abitativa 
dell’assegnatario, non sussistendo, in tal 
caso, ad avviso della 
Scrivente 
alcuna 
giustificazione 
opponibile 
all’Amministrazione 
per la 
sottrazione 
dei 
beni 
alla 
loro finalità 
istituzionale 
e 
la 
rial-
locazione 
degli 
stessi 
ai 
fini 
della 
sistemazione 
del 
personale 
in servizio che 
ha maturato i relativi requisiti. 
In proposito si 
segnala, infatti, come 
l’orientamento del 
giudice 
amministrativo 
sia 
nel 
senso di 
accogliere 
le 
azioni 
di 
accertamento del 
diritto di 
assegnazione 
dell’alloggio 
di 
servizio 
e 
di 
risarcimento 
dei 
danni 
subiti 
proposte 
dai 
soggetti 
che 
hanno maturato i 
requisiti 
per accedere 
all’alloggio ma 
non 
hanno potuto usufruirne 
in ragione 
dell’occupazione 
dei 
cespiti 
ove 
l’Amministrazione 
non 
dimostri 
“che 
la 
mancata 
assicurazione 
della 
disponibilità 
dell’alloggio di 
servizio o di 
altro alloggio demaniale 
o comunque 
reperibile 
sul 
libero mercato immobiliare, sia riconducibile 
a causa non imputabile, ovvero 
a factum 
principis 
o a caso fortuito”. Cons. Stato Sez. II, Sent., (ud. 15 
febbraio 2022) 23 agosto 2022, n. 7409; 
t.a.r. veneto venezia 
Sez. 1, Sent., 
(ud. 20 dicembre 2017) 9 gennaio 2018, n. 24. 


(29) t.a.r. Lazio roma Sez. I bis, Sent., (ud. 22 maggio 2020) 1 luglio 2020, n. 7475. 

PArerI 
DeL 
COMItAtO 
COnSULtIvO 


5. Forme di tutela diverse dal recupero coattivo. 
Si 
è 
-sin qui 
-esplicato l’avviso interpretativo fatto proprio dalla 
Scrivente 
secondo il 
quale 
gli 
alloggi 
ASI facenti 
parte 
del 
patrimonio del 
Ministero 
della 
Difesa 
non sono suscettibili 
di 
assegnazione 
come 
casa 
familiare 
ed il 
relativo provvedimento ex 
art. 337 sexies 
c.c. è 
inopponibile 
all’Amministrazione, 
la 
quale 
-in difetto di 
specifiche 
norme 
derogatorie 
-è 
tenuta 
ad 
esercitare, in stretta 
osservanza 
del 
principio di 
proporzionalità, il 
proprio potete 
d’autotutela amministrativa. 


Attesa 
-tuttavia 
-l’opinabilità 
delle 
questioni 
giuridiche 
affrontate 
in 
considerazione 
della 
presenza 
di 
un indirizzo pretorio di 
segno opposto a 
quello 
qui 
illustrato (30), tenuto conto -altresì 
-dell’opportunità 
di 
evitare 
azioni 
di 
recupero indiscriminate 
soprattutto in presenza 
di 
particolari 
situazioni 
di 
disagio 
economico, valutata 
-comunque 
-la 
necessità 
di 
graduare 
nel 
tempo gli 
interventi 
di 
recupero forzoso per non gestire 
in contemporanea 
un eccessivo 
numero 
di 
procedure, 
la 
Scrivente 
ritiene 
di 
doversi 
soffermare 
sull’individuazione 
delle 
forme 
di 
tutela 
del 
patrimonio alloggiativo del 
Ministero in indirizzo 
che 
presuppongono concettualmente 
la 
permanenza 
nella 
disponibilità 
materiale 
del 
cespite 
del 
coniuge 
sine 
titulo 
diverso dal 
concessionario concentrandosi, 
in particolare, sul 
problema 
-specificatamente 
posto nella 
nota 
in 
riscontro 
-dell’individuazione 
del 
soggetto 
passivo 
dell’obbligazione 
di 
pagamento 
del c.d. canone di occupazione. 


5.1. 
In 
proposito, 
diversamente 
dalla 
posizione 
assunta 
dall’Amministrazione 
in 
indirizzo, 
secondo 
la 
quale 
andrebbe 
allocato 
esclusivamente 
in 
capo 
al 
concessionario 
originario 
obbligo 
di 
corresponsione 
del 
quantum 
dovuto 
per 
l’utilizzo 
dell’immobile, 
non 
pare 
che 
possano 
profilarsi 
dubbi 
sulla 
collocazione, 
a 
carico 
dell’occupante, 
dell’obbligo 
di 
corrispondere 
il 
canone 
per 
la 
fruizione 
-pure 
non 
titolata 
-dell’immobile, 
tanto 
in 
forza 
sia 
del 
chiaro 
dato 
normativo 
sia 
della 
giurisprudenza 
-sul 
punto 
-della 
Corte 
di 
cassazione. 
Sul 
piano normativo, l’art. 286 del 
Codice 
dell’ordinamento militare 
recita: 
“3. 
agli 
utenti 
non 
aventi 
titolo 
alla 
concessione 
dell’alloggio, 
fermo 
restando 
per 
l’occupante 
l’obbligo 
di 
rilascio, 
è 
applicato, 
anche 
se 
in 
regime 
di 
proroga, un canone 
pari 
a quello risultante 
dalla normativa sull’equo canone 
maggiorato del 
venti 
per 
cento per 
un reddito annuo lordo complessivo 
del 
nucleo familiare 
fino a euro 30.987,00 e 
del 
cinquanta per 
cento per 
un 
reddito 
lordo 
annuo 
complessivo 
del 
nucleo 
familiare 
oltre 
detto 
importo. 
l’amministrazione 
della difesa ha facoltà di 
concedere 
proroghe 
temporanee 
secondo le modalità definite con il regolamento”. 


Sul 
piano 
giurisprudenziale 
-come 
osservato 
nel 
parere 
Ct 
4951/2020 
-la 
Corte 
di 
cassazione 
ha 
affermato 
che 
il 
coniuge 
diverso 
dal 
concessio


(30) v., parere CS/41556/2022. 

rASSeGnA 
AvvOCAtUrA 
DeLLO 
StAtO -n. 2/2023 


nario 
-per 
effetto 
dell’assegnazione 
della 
casa 
familiare 
-“subentra 
al 
coniuge 
non 
nel 
rapporto 
concessorio, 
ormai 
cessato, 
ma 
negli 
obblighi 
incombenti 
all’occupante 
e 
per 
quanto 
qui 
rileva 
in 
quello 
di 
dare 
il 
corrispettivo 
convenuto 
per 
l’utilizzo 
dell’alloggio 
al 
concedente” 
(31). 
Sempre 
sul 
piano 
giurisprudenziale, 
in 
tal 
senso 
depone 
anche 
il 
richiamo 
alla 
recente 
pronunzia 
delle 
Sezioni 
Unite 
in 
tema 
di 
danno 
da 
occupazione 
secondo 
la 
quale 
“in 
caso 
di 
occupazione 
senza 
titolo 
di 
un 
bene 
immobile 
da 
parte 
di 
un 
terzo, 
il 
fatto 
costitutivo 
del 
diritto 
del 
proprietario 
al 
risarcimento 
del 
danno 
da 
perdita 
subita 
è 
la 
concreta 
possibilità, 
andata 
perduta, 
di 
esercizio 
del 
diritto 
di 
godimento, 
diretto 
o 
indiretto, 
mediante 
concessione 
a 
terzi 
dietro 
corrispettivo” 
(32). 


Dal 
quadro 
positivo 
e 
pretorio 
tracciato 
-diversamente 
da 
quanto 
sembra 
sostenuto nella 
nota 
in riscontro -deve 
pertanto dedursi 
la 
certa 
sussistenza 
in 
capo all’occupante 
-dell’obbligo giuridico di 
pagare 
l’ammontare 
quantificato 
all’art. 286 del 
Codice 
dell’ordinamento militare, residuando -invece 
margini 
di 
opinabilità 
interpretativa 
con 
riguardo 
alla 
natura 
giuridica 
della 
richiamata 
responsabilità. 


Secondo un indirizzo esegetico, più in particolare, al 
coniuge 
occupante 
sine 
titulo 
va 
ascritta 
una 
responsabilità 
di 
natura 
aquiliana 
perché 
l’utilizzo, 
senza 
averne 
titolo, 
dell’immobile 
impedisce 
l’assegnazione 
dello 
stesso 
bene 
a 
militari 
in 
servizio 
determinando 
un 
danno 
a 
carico 
dei 
legittimi 
aspiranti 
assegnatari 
del 
medesimo alloggio di 
servizio (costretti 
a 
rivolgersi 
al 
libero 
mercato delle 
locazioni), nonché 
della 
PA 
(che 
non beneficia 
del 
fatto che 
il 
dipendente 
alloggi 
in prossimità 
della 
sede 
di 
servizio dovendosi 
fare 
carico 
anche 
degli 
oneri 
fiscali 
legati 
all’immobile 
e 
delle 
spese 
per consentire 
una 
sistemazione 
alternativa 
del 
personale 
in 
difetto 
di 
alloggi 
immediatamente 
fruibili). 
Secondo 
tale 
prospettiva, 
“il 
canone 
di 
occupazione 
dovuto 
dagli 
utenti 
non aventi 
titolo alla concessione 
di 
alloggi 
di 
servizio del 
ministero 
della difesa è 
funzionalmente 
e 
strutturalmente 
diverso dal 
corrispettivo dedotto 
in un contratto di 
scambio, posto che 
il 
godimento senza titolo, in linea 
di 
principio, dà luogo a una fattispecie 
risarcitoria ex 
art. 2043 c.c.”. Sicché, 
come 
altresì 
osservato 
in 
giurisprudenza, 
“il 
canone 
di 
occupazione 
costituisce, 
nella 
sostanza, 
una 
forma 
di 
liquidazione 
forfettaria 
del 
danno 
subito 
dal-
l’amministrazione 
per 
l’illecita 
occupazione 
determinata 
in 
base 
a 
quanto 
fissato 
dalla legge” (33). 


Da 
diverso 
angolo 
prospettico 
potrebbe, 
tuttavia, 
notarsi 
come 
l’indirizzo 
innanzi 
riportato, 
pur 
cogliendo 
l’intrinseca 
lesività 
rispetto 
al 
diritto 
domenicale 
scaturente 
dalla 
condotta 
dell’ex 
coniuge 
del 
concessionario, 


(31) Cass. civ., Sez. I, 8 marzo 2018, n. 5575. 
(32) Cass. civ. Sez. Unite Sent., 15 novembre 2022, n. 33645. 
(33) Cons. Stato Sez. Iv Sent., 17 giugno 2016, n. 2698. 

PArerI 
DeL 
COMItAtO 
COnSULtIvO 


trascura 
di 
considerare 
che 
la 
condotta 
di 
occupazione 
-che 
atomistica-
mente 
analizzata 
integrerebbe 
gli 
estremi 
di 
una 
condotta 
antigiuridica 
rilevante 
ai 
sensi 
dell’art. 
2043 
c.c. 
-deve, 
nei 
casi 
in 
esame, 
essere 
inscritta 
nel 
più 
ampio 
contesto 
della 
crisi 
del 
vincolo 
matrimoniale 
del 
militare 
e 
comunque 
da 
considerarsi 
in 
qualche 
modo 
legittimata 
-almeno 
per 
le 
ipotesi 
di 
separazione 
giudiziale 
-dall’esistenza 
di 
un 
provvedimento 
di 
assegnazione 
che 
-sebbene 
non 
opponibile 
all’Amministrazione 
-impedisce 
di 
considerare 
che 
una 
condotta 
autorizzata 
dal 
Giudice 
(consistente 
nel 
permanere 
nell’alloggio) 
possa 
al 
contempo 
costituire 
la 
fonte 
di 
una 
responsabilità 
aquiliana. 
tale 
osservazione 
potrebbero 
invero 
condurre 
a 
considerare 
la 
responsabilità 
dell’occupante 
-almeno 
per 
le 
ipotesi 
di 
separazione 
giudiziale 
-come 
una 
responsabilità 
indennitaria 
da 
fatto 
lecito 
ex 
art. 
2041 
c.c. 
in 
cui 
la 
misura 
dell’indennizzo 
risulta 
ex 
lege 
quantificata 
ex 
art. 
286 
del 
Codice 
dell’ordinamento 
militare. 


Pur 
nella 
diversità 
di 
prospettive 
interpretative 
sulla 
natura 
giuridica 
della 
responsabilità 
dell’occupante, 
poiché 
in 
entrambe 
le 
ipotesi 
il 
quantum 
debeatur 
è 
stabilito ex 
lege 
costituendo una 
posta 
attiva 
certa, liquida 
ed esigibile 
dell’ente 
concedente, l’Amministrazione 
dovrà 
attivarsi 
-come 
già 
suggerito 
dalla 
Scrivente` 
(34) 
-per 
il 
recupero 
del 
credito 
nei 
confronti 
dell’ex 
consorte 
del 
militare 
attraverso il 
procedimento d’ingiunzione 
previsto per il 
recupero 
delle 
entrate 
patrimoniali 
dello Stato (art. 2 e 
ss. del 
r.D. n. 639 del 
1910 e 
succ. modif. e integr.). 


5.2. 
Proseguendo sul 
tema 
dell’individuazione 
dei 
soggetti 
passivi 
delle 
pretese 
economiche 
della 
Pubblica 
Amministrazione, occorre 
ora 
analizzare 
la 
questione 
della 
ravvisabilità 
in 
capo 
all’originario 
concessionario 
-a 
seguito 
dell’assegnazione 
della 
casa 
coniugale 
in 
favore 
dell’altro 
coniuge 
-di 
un’obbligazione 
pecuniaria 
nei 
confronti 
dell’Amministrazione 
da 
soddisfarsi, nel 
caso, mediante ritenuta diretta sullo stipendio. 
Secondo 
un 
primo 
orientamento 
interpretativo 
-avallato 
da 
parte 
della 
giurisprudenza 
amministrativa 
(35) 
e 
fatto 
proprio 
nella 
nota 
della 
Scrivente 
Ct 
4951/2020 
-nessuna 
prestazione 
sarebbe 
dovuta 
in 
favore 
dell’Amministrazione 
titolare 
del 
cespite 
da 
parte 
del 
soggetto 
originario 
concessionario: 
tanto 
sulla 
scorta 
del 
rilievo 
per 
cui 
l’assegnazione 
della 
casa 
familiare 
al 
coniuge 
dell’originario 
concessionario 
comporta, 
nella 
prospettiva 
del 
dipendente 
originario 
concessionario, 
l’integrazione 
dell’ipotesi 
prevista 
alla 
lettera 
f) 
dell’art. 
330 
del 
d.P.r. 
15 
marzo 
2010, 
n. 
90 
del 
testo 
unico 
delle 
disposizioni 
regolamentari 
in 
materia 
di 
ordinamento 
militare, 
il 
quale 
stabilisce 
i 
casi 
di 
decadenza 
della 
concessione 
dell’alloggio 
demaniale 
prevedendo 
che 
il 
concessionario 
decada 
dalla 
titolarità 
della 
concessione 
“per 
la 


(34) Ct 4951/2020. 


(35) t.a.r. emilia-romagna Bologna Sez. I, Sent., (ud. 22 marzo 2017) 1 aprile 2017, n. 272. 

rASSeGnA 
AvvOCAtUrA 
DeLLO 
StAtO -n. 2/2023 


mancata 
occupazione 
stabile 
con 
il 
proprio 
nucleo 
familiare, 
dichiarato 
nella 
originaria 
domanda, 
entro 
sei 
mesi 
dalla 
data 
di 
consegna 
dell’alloggio”. 
Secondo 
siffatta 
tesi 
-in 
definitiva 
-l’originario 
concessionario 
non 
potrebbe 
essere 
chiamato 
a 
rispondere 
né, 
ex 
art. 
1218 
c.c., 
per 
inadempimento 
contrattuale 
-in 
quanto 
non 
più 
legato 
all’Amministrazione 
dal 
vincolo 
concessorio 
ormai 
decaduto 
-né 
potrebbe 
essere 
chiamato 
a 
rispondere, 
ex 
art. 
2043 
c.c., 
a 
titolo 
extracontrattuale, 
non 
essendo 
il 
dipendente 
l’autore 
dell’occupazione 
sine 
titulo 
dell’immobile. 


Un 
secondo 
indirizzo 
pretorio 
ha 
ravvisato 
in 
capo 
all’originario 
concessionario 
-dopo 
il 
perfezionarsi 
della 
separazione 
e 
successivamente 
alla 
cessazione 
del 
rapporto 
concessorio 
-una 
responsabilità 
di 
natura 
extracontrattuale 
nei 
confronti 
della 
P.A., 
di 
natura 
solidale, 
ex 
art. 
2055 
c.c., 
con 
quella 
-parimenti 
extracontrattuale 
-del 
coniuge 
occupante 
sine 
titulo. 
Secondo 
l’indirizzo 
pretorio 
in 
esame, 
infatti, 
la 
mancata 
restituzione 
del-
l’immobile 
si 
configurerebbe 
come 
una 
condotta 
antigiuridica 
agevolatrice 
dell’occupazione 
posta 
in 
essere 
dal 
coniuge 
assegnatario 
della 
casa 
familiare 
integrando 
una 
corresponsabilità 
nella 
condotta 
di 
occupazione 
sine 
titulo 
tutte 
le 
volte 
in 
cui: 
“il 
militare, 
senza 
restituire 
l’alloggio 
medesimo 
ma 
disponendone 
in 
sede 
di 
separazione 
dalla 
coniuge, 
gliel’ha 
ceduto 
affinché 
fosse 
da 
lei 
adoperato 
come 
casa 
familiare, 
ma 
non 
s’è 
avveduto, 
per 
un 
verso 
e 
come 
per 
tutti 
i 
negozi 
in 
danno 
o 
sul 
patrimonio 
del 
terzo 
(ossia, 
il 
ministero 
della 
difesa), 
che 
tale 
accordo 
ha 
avuto 
solo 
effetti 
obbligatori 
e 
non 
reali 
e, 
per 
altro 
verso, 
che 
è 
anch’egli 
e 
non 
la 
sola 
coniuge 
a 
dover 
esser 
reputato 
responsabile 
di 
un’occupazione 
non 
titolata 
del 
bene 
de 
quo, 
con 
ogni 
conseguenza 
sugli 
obblighi 
di 
pagamento 
del 
relativo 
canone” 
(36). 


5.3. 
ritiene 
la 
Scrivente 
di 
non 
poter 
dare 
continuità 
né 
all’uno 
né 
all’altro 
indirizzo dovendosi 
sussumere 
-con maggiore 
rigore 
-la 
posizione 
dell’originario 
concessionario 
che 
non 
riconsegni 
l’immobile, 
ma 
ne 
disponga 
in 
sede 
di 
separazione, 
nelle 
disposizioni 
di 
cui 
agli 
artt. 
329 
del 
d.P.r. 
15 
marzo 
2010 
n. 90 e 1591 c.c. 
-L’art. 329 del 
d.P.r. 15 marzo 7010 n. 90 stabilisce 
che 
“il 
concessionario 
deve 
lasciare 
l’alloggio libero da persone 
e 
cose 
entro novanta giorni 
dalla data di perdita del titolo, fatta salva la concessione di proroga”. 
-L’art. 
1591 
c.c. 
(Danni 
per 
ritardata 
restituzione) 
stabilisce 
che 
“il 
conduttore 
in 
mora 
a 
restituire 
la 
cosa 
è 
tenuto 
a 
dare 
al 
locatore 
il 
corrispettivo 
convenuto 
fino 
alla 
riconsegna, 
salvo 
l’obbligo 
di 
risaricire 
il 
maggior 
danno”. 
La 
norma 
-applicabile 
anche 
in 
tema 
di 
mancata 
riconsegna 
di 
beni 
demaniali 
oggetto 
di 
concessione 
revocata 
“essendo 
espressione 
di 
un 
principio 
riperibile 
a 
tutti 
i 
tipi 
di 
contratto 
con 
i 
quali 
viene 
concessa 
l’utiliz


(36) Cons. Stato Sez. Iv, Sent., (ud. 10 novembre 2016) 1 febbraio 2017, n. 411. 

PArerI 
DeL 
COMItAtO 
COnSULtIvO 


zazione 
del 
bene 
dietro 
corrispettivo, 
allorché 
il 
concessionario 
non 
restituisca 
il 
bene 
oltre 
il 
termine 
finale 
del 
rapporto” 
(37) 
-fissa 
un 
duplice 
obbligo: 
quello 
(che 
sussiste 
sempre) 
di 
dare 
al 
locatore 
il 
corrispettivo 
convenuto 
fino 
alla 
riconsegna, 
l’altro 
(eventuale) 
di 
risarcire 
il 
maggior 
danno 
patito 
dal 
locatore 
(38). 


Ad 
avviso 
della 
Scrivente, 
deve 
ritenersi 
che 
ove 
il 
concessionario 
decaduto, 
tenuto 
ex 
art. 
1591 
c.c. 
ed 
ex 
art. 
329 
del 
d.P.r. 
15 
marzo 
2010, 


n. 
90 
alla 
restituzione 
dell’immobile, 
con 
la 
sua 
condotta 
non 
solo 
non 
restituisca 
l’immobile, 
ma 
ne 
consenta 
l’immissione 
in 
godimento 
ad 
altri, 
assume 
-nei 
confronti 
della 
Pubblica 
Amministrazione 
datrice 
di 
lavoro 
e 
concessionaria 
del 
bene 
-la 
qualità 
di 
debitore 
inadempiente 
ed 
-in 
quanto 
tale 
-di 
responsabile 
ex 
art. 
1218 
c.c. 
a 
titolo 
di 
responsabilità 
contrattuale 
delle 
conseguenze 
patrimoniali 
del 
mancato 
rilascio 
dell’immobile 
alla 
Amministrazione 
concedente. 
ed 
invero, 
la 
decadenza 
dell’atto 
concessorio 
ex 
art. 
330 
del 
d.P.r. 
15 
marzo 
2010 
n. 
90 
non 
determina 
-come 
sostenuto 
dal 
primo 
e 
dal 
secondo 
orientamento 
-l’esaurimento 
di 
tutti 
gli 
effetti 
giuridici 
del 
rapporto 
concessorio, 
ma 
-al 
contrario 
-comporta 
il 
sorgere 
dell’obbligo, 
in 
capo 
al 
concessionario-decaduto, 
di 
rilasciare 
l’alloggio 
al 
fine 
di 
renderlo 
tempestivamente 
disponibile 
per 
il 
soddisfacimento 
delle 
esigenze 
istituzionali 
dell’Amministrazione 
titolare 
del 
cespite, 
in 
primis 
la 
riassegnazione 
ad 
altro 
dipendente 
avente 
titolo. 
Sul 
punto 
-infatti 
-la 
giurisprudenza 
della 
Corte 
di 
Cassazione, 
proprio 
con 
riguardo 
all’assegnazione 
al 
coniuge 
separato 
di 
un 
immobile 
del 
Ministero 
della 
Difesa, 
ha 
significativamente 
affermato, 
con 
riguardo 
all’obbligo 
di 
restituzione 
dell’immobile, 
che 
“il 
rilascio 
dell’immobile 
occupato 
da 
terzi, 
nella 
specie 
immessi 
nel 
godimento 
del 
bene 
dal 
concessionario, 
non 
libera 
quest’ultimo 
(l’originario 
concessionario) 
dalla 
obbligazione 
in 
questione, 
non 
potendo 
considerarsi 
“esatto 
adempimento” 
la 
mera 
comunicazione 
della 
cessazione 
di 
abitazione 
da 
parte 
dell’obbligato: 
ed 
infatti, 
perchè 
quest’ultimo 
possa 
raggiungere 
la 
prova 
liberatoria 
dalla 
responsabilità 
per 
inadempimento, 
a 
norma 
dell’art. 
1218 
cod. 
civ., 
occorre 
che 
si 
accerti 
che 
dette 
persone 
si 
siano 
immesse 
nel 
godimento 
del 
bene 
senza 
che 
ciò 
sia 
stato 
consentito 
o 
comunque 
agevolato 
dal 
comportamento 
del 
conduttore, 
oppure 
che 
(37) Cass. n. 3067/1977; n. 4310/1974, 15301/2000 e Cass. n. 9977/2011. 
(38) Il 
primo di 
tali 
obblighi, concretandosi 
in un debito determinato sin dal 
momento della 
sua 
nascita 
in 
una 
espressione 
monetaria, 
appartiene 
alla 
categoria 
dei 
debiti 
di 
valuta, 
sottoposti 
al 
principio 
nominalistico, il 
secondo, non essendo fin dall’origine 
un debito di 
natura 
pecuniaria, ma 
traducendosi 
in un concreto e 
specifico ammontare 
monetario solo al 
momento della 
pronuncia 
giudiziale 
di 
liquidazione, 
importa 
che 
deve 
tenersi 
conto della 
svalutazione 
monetaria 
verificatasi 
tra 
il 
mancato rilascio e 
la 
liquidazione 
del 
danno 
(cfr. 
Corte 
cass. 
Sez. 
3, 
Sentenza 
n. 
67 
del 
14 
gennaio 
1971; 
id. 
Sez. 
3, 
Sentenza 
n. 14243 del 
17 dicembre 
1999; 
id. Sez. 3, Sentenza 
n. 3183 del 
14 febbraio 2006; 
id. Sez. 3, Sentenza 
n. 3183 del 14 febbraio 2006). 

rASSeGnA 
AvvOCAtUrA 
DeLLO 
StAtO -n. 2/2023 


questi 
abbia 
esercitato 
diligentemente 
tutti 
i 
mezzi 
offerti 
dall’ordinamento 
per 
ottenerne 
l’estromissione, 
senza 
raggiungere 
il 
risultato 
richiesto” 
(39). 
Pertanto, 
né 
la 
circostanza 
che 
il 
militare 
sia 
decaduto 
dalla 
concessione 
né 
il 
rilievo 
per 
cui 
l’immobile 
non 
restituito 
dal 
concessionario 
non 
sia 
occupato 
direttamente 
dal 
militare 
ma 
dai 
suoi 
familiari 
non 
conviventi 
spostano 
-come 
sostenuto 
dal 
primo 
e 
dal 
secondo 
indirizzo 
esposto 
-i 
termini 
della 
questione 
in 
punto 
di 
ravvisabilità 
di 
una 
responsabilità 
da 
inadempimento 
ex 
art. 
1218 
c.c., 
perché 
è 
sempre 
lo 
stipulante 
ad 
essere 
obbligato 
nei 
confronti 
del 
concedente 
alla 
restituzione 
della 
cosa 
e, 
in 
caso 
di 
ritardo, 
alla 
corresponsione 
di 
quanto 
dovuto, 
potendo 
costui 
sottrarsi 
al 
pagamento 
solo 
attraverso 
la 
riconsegna 
dell’immobile. 


Sulla 
scorta 
delle 
argomentazioni 
svolte 
la 
Scrivente 
ritiene 
dunque 
che 
anche 
il 
militare 
originario concessionario possa 
essere 
legittimamente 
destinatario 
della 
pretesa 
economica 
dell’Amministrazione, 
la 
quale 
potrà 
all’uopo 
avvalersi del mezzo della ritenuta diretta sullo stipendio. 


Circa 
il 
quantum 
della 
ritenuta, la 
Corte 
di 
Cassazione 
-evidentemente 
muovendo da 
un assunto opposto rispetto a 
quello della 
qualificabilità 
degli 
alloggi 
del 
Ministero della 
Difesa 
come 
case 
familiari 
(40) -ha 
chiarito che 
“l’inerzia 
della 
Pa 
nel 
promuovere 
azioni 
per 
il 
rilascio, 
non 
determina 
il 
venir 
meno del 
diritto a trattenere 
il 
canone 
a titolo di 
corrispettivo sino alla riconsegna 
e 
influisce 
semmai 
sulla esclusione 
del 
diritto al 
risarcimento del 
maggior 
danno, 
configurandosi 
come 
fattore 
idoneo 
a 
comportare 
in 
generale 
l’inutilizzabilità in concreto della presunzione 
di 
colpa prevista come 
regola 
generale 
dell’art. 1218 cc. e 
nel 
caso particolare, la inoperatività dell’ultimo 
inciso dell’art. 1591 c.c. in buona sostanza, l’inerzia della Pa 
rileva ai 
soli 
fini 
della esclusione 
del 
carattere 
doloso o colposo dell’inadempimento alla 
mora restituendi decorrente dalla data della scadenza convenzionale” (41). 


6. Conclusioni. 
Sulla 
scorta 
del 
quadro tecnico-giuridico delineato con il 
presente 
parere 
e 
con il 
precedente 
CS 
/41556/2022, pare 
alla 
Scrivente 
di 
poter fornire 
le 
richieste 
linee di indirizzo nei termini di seguito sintetizzati. 


-va 
confermata 
l’adesione 
all’indirizzo 
giurisprudenziale 
secondo 
il 
quale 
non può qualificarsi 
-in punto di 
diritto -alla 
stregua 
di 
una 
“casa 
familiare” 
un alloggio ASI concesso -ex 
art. 281 del 
d.lgs. 15 marzo 2010, n. 
66 -al 
personale 
militare 
in servizio esclusivamente 
per motivi 
correlati 
all’incarico 
conferito dall’Amministrazione; 


(39) sul 
punto Cass. civ. Sez. III, Ord., (ud. 11 dicembre 
2017) 15 marzo 2018, n. 6392 che 
richiama 
Corte 
cass. Sez. 1, Sentenza 
n. 1605 del 
29 maggio 1971; 
id. Sez. 3, Sentenza 
n. 4242 del 
03 
maggio 1994; id. Sez. 3, Sentenza n. 19139 del 29 settembre 2005. 
(40) Cass. civ., Sez. I, 8 marzo 2018, n. 5575. 
(41) Cass. civ. Sez. III, Ord., (ud. 11 dicembre 2017) 15 marzo 2018, n. 6392. 

PArerI 
DeL 
COMItAtO 
COnSULtIvO 


-in assenza 
-nel 
quadro normativo vigente 
-di 
espresse 
norme 
derogatorie 
come 
quelle 
recate 
dai 
Decreti 
Ministeriali 
7 
maggio 
2014 
e 
24 
luglio 
2015 
esplicitamente 
poste 
a 
tutela 
del 
coniuge 
assegnatario 
della 
prole 
-l’Amministrazione 
-cui 
non è 
opponibile 
il 
provvedimento giudiziale 
di 
assegnazione 
della 
casa 
coniugale 
-deve 
provvedere 
al 
recupero 
dei 
beni 
occupati 
sine 
titulo 
alla 
pubblica 
disponibilità 
per la 
soddisfazione 
delle 
esigenze 
di 
sistemazione 
del 
personale 
che 
-in ragione 
delle 
funzioni 
svolte 
-ha 
maturato 
i requisiti per accedere alla concessione; 
-il 
potere 
di 
autotutela 
esecutiva 
-seppur doveroso -deve 
essere 
esercitato, 
a 
valle 
di 
un’attenta 
opera 
di 
ricognizione 
dello stato del 
patrimonio alloggiativo, 
secondo il 
principio di 
proporzionalità 
e 
adeguatezza 
rispetto allo 
scopo indirizzando la tutela reale: 
prioritariamente 
nei 
confronti 
degli 
occupanti 
sine 
titulo 
che 
non versino 
in una 
situazione 
di 
necessità 
economica 
ed abitativa 
potendo disporre 
di 
redditi 
più 
elevati 
rispetto 
a 
quelli 
originariamente 
previsti 
nei 
Decreti 
Ministeriali 
7 
maggio 
2014 
e 
24 
luglio 
2015 
e 
-comunque 
-potendo 
usufruire 
di 
soluzioni 
abitative alternative facendo ricorso al mercato; 


con preferenza 
rispetto agli 
immobili 
occupati 
da 
soggetti 
morosi 
e 
per i 
quali 
sussistano 
esigenze 
e 
condizioni 
di 
reimpiego 
immediato 
in 
favore 
di 
altro personale avente titolo a beneficiare dell’alloggio. 


-Ove 
l’autotutela 
esecutiva 
non sia 
possibile, né 
conforme 
al 
principio 
di 
proporzionalità 
e 
-comunque 
-nelle 
more 
del 
perfezionamento delle 
procedure 
di 
liberazione 
delle 
utenze, 
l’Amministrazione 
potrà 
tutelare 
le 
proprie 
ragioni 
patrimoniali 
-senza 
duplicazioni 
-sia 
nei 
confronti 
del 
militare 
originario 
concessionario a 
mezzo di 
ritenuta 
diretta 
sullo stipendio, sia 
nei 
confronti 
del 
coniuge 
affidatario 
della 
prole 
attraverso 
il 
procedimento 
d’ingiunzione 
per il 
recupero delle 
entrate 
patrimoniali 
dello Stato (art. 2 e 
ss. 
del r.D. n. 639 del 1910 e succ. modif. e integr.). 
Sul 
presente 
parere 
si 
espresso 
in 
senso 
conforme 
il 
Comitato 
Consultivo 
dell’Avvocatura dello Stato nella seduta del 6 dicembre 2023. 



LegIsLazIoneeDattuaLItà
Il processo di digitalizzazione e i suoi riflessi nel diritto. 
L’evoluzione della digitalizzazione dei contratti pubblici: 
cosa cambia dal 1 gennaio 2024 con il nuovo Codice 
dei Contratti Pubblici D.lgs. 36/2023? 


Gaetana Natale* 


Sommario: 1. il 
processo di 
digitalizzazione 
e 
i 
suoi 
riflessi 
nel 
diritto -2. Vantaggi 
e 
criticità delle 
nuove 
tecnologie 
-3. responsabilità amministrativa nei 
casi 
in cui 
le 
decisioni 
vengano adottate 
da un algoritmo -4. Vantaggi 
della blockchain in materia di 
contratti 
pubblici 
-5. 
Cosa 
cambia 
con 
il 
Nuovo 
Codice 
dei 
Contratti 
pubblici 
D.lgs. 
36/2023 
dal 
1 
gennaio 
2024 con il nuovo concetto di “ciclo di vita del Contratto”? 


1. il processo di digitalizzazione e i suoi riflessi nel diritto. 
L’innovazione 
tecnologica 
rappresenta 
oggi 
per 
il 
giurista 
l’indice 
di 
evoluzione 
sistematica 
sia 
del 
diritto 
civile 
sia 
del 
diritto 
amministrativo, 
ponendo 
in primis 
nella 
scienza 
ermeneutica 
un quesito di 
fondo: 
fino a 
che 
punto la 
tecnologia 
può 
influire 
e 
modificare 
le 
categorie 
giuridiche 
nel 
rispetto 
dei 
principi 
fondamentali 
contenuti 
nelle 
carte 
costituzionali 
nazionali 
(c.d. 
Grundnorm) 
e 
sovranazionali? 
In altri 
termini, l’adeguamento interpretativo delle 
categorie 
giuridiche 
alle 
categorie 
informatiche 
o 
algoritmiche 
sta 
configurando 
un 
vero 
e 
proprio 
“diritto 
digitale” 
attraverso 
quella 
che 
da 
più 
parti 
viene 
definita 
la 
“tecnificazione 
dei 
principi” 
(Civitarese 
Matteucci 
e 
Torchio, 
2016), 
immanenti 
in 
un 
ordinamento 
giuridico, 
in 
quanto 
fonti 
metagiuridiche 
con funzione normogenetica? 


Per 
rispondere 
a 
questo 
quesito 
di 
fondo 
occorre 
descrivere 
sul 
piano 
nor


(*) Avvocato dello Stato, Dottore 
di 
ricerca 
in Comparazione 
e 
diritto civile, Consigliere 
giuridico del 
Garante per la tutela dei dati personali. 



rASSEGNA 
AvvOCATurA 
DELLO 
STATO -N. 2/2023 


mativo lo stato dell’arte 
in materia 
di 
digitalizzazione 
ed evidenziare 
le 
problematiche 
emerse dalla casistica giurisprudenziale. 

Il 
tema 
dell’utilizzo delle 
tecnologie 
dell’informazione 
e 
della 
comunicazione 
per 
lo 
svolgimento 
dell’attività 
amministrativa 
è 
al 
centro 
del 
dibattito 
mondiale ed europeo (1) da circa un ventennio. 

Con 
la 
“terza 
rivoluzione 
industriale” 
(Schwab, 
2016) 
(2) 
il 
mondo 
in 
cui 
viviamo è 
profondamente 
cambiato: 
i 
personal 
computer in pochi 
anni 
sono 
entrati 
nelle 
case 
delle 
persone 
e 
hanno rivoluzionato le 
modalità 
di 
comunicazione 
tra 
i 
soggetti 
(3). 
Grazie 
all’impiego 
di 
questi 
strumenti, 
inoltre, 
la 
conoscenza 
è 
divenuta 
a 
“portata 
di 
mano” 
e 
chiunque, 
con 
il 
mero 
ausilio 
di 
una 
connessione 
internet, può accedere 
in pochi 
secondi 
alle 
informazioni 
di 
cui necessita. 


L’avvento della 
nuova 
società 
tecnologica 
non poteva 
non incidere 
sul-
l’operato della Pubblica 
Amministrazione. 

È 
proprio 
grazie 
al 
repentino 
diffondersi 
delle 
ICT 
(information 
and 
Communications 
Technology) 
che 
il 
Legislatore 
ha 
sentito 
l’esigenza 
di 
creare 
un’Amministrazione 
al 
passo con i 
tempi, così 
da 
poter trarre 
tutti 
i 
vantaggi 
derivanti dall’utilizzo della digitalizzazione. 

La 
principale 
fonte 
normativa 
di 
tale 
processo 
di 
ammodernamento 
è 
rinvenibile 
nel 
Codice 
dell’Amministrazione 
Digitale 
(di 
seguito 
anche 
solo 
CAD), introdotto con il 
D.lgs. 7 marzo 2005 n. 82, modificato ad opera 
del 
D.lgs. 13 dicembre 2017 n. 217. 

Tale 
Codice 
ha 
sancito espressamente 
il 
principio del 
“Digital 
first”, introducendo 
all’art. 2 l’obbligo per le 
Amministrazioni 
di 
assicurare 
<< 
la disponibilità, 
la 
gestione, 
l’accesso, 
la 
trasmissione, 
la 
conservazione 
e 
la 
fruibilità dell’informazione 
in modalità digitale>> (si 
veda 
Boccia, Contessa 
e De Giovanni, 2018). 


La 
Corte 
costituzionale 
dal 
canto 
suo 
ha 
ulteriormente 
avvalorato 
tale 
principio, 
stabilendo 
nella 
nota 
sentenza 
n. 
251/2016 
che 
le 
prestazioni 
e 
i 
servizi 
digitali 
debbano 
considerarsi 
Lep, 
ossia 
livelli 
essenziali 
delle 
prestazioni 
rientranti 
nella 
competenza 
esclusiva 
statale 
ex 
art. 
117, 
comma 
2, 
lett. 
m) 
della Costituzione. 

La 
complessità 
delle 
situazioni 
giuridiche 
soggettive 
che 
vengono in ri


(1) Già 
nel 
maggio 2010 la 
Commissione 
Europea 
ha 
lanciato l’Agenda 
Digitale 
Europea 
che 
definisce 
gli 
obiettivi 
da 
perseguire 
per 
lo 
sviluppo 
dell’economia 
e 
della 
cultura 
digitale 
nell’ambito 
della 
Strategia Europea 2020. 
(2) La 
terza 
rivoluzione 
industriale 
è 
spesso definita 
come 
“rivoluzione 
digitale” 
o “informatica” 
in quanto ha 
avuto scaturigine 
dalla 
creazione 
di 
semiconduttori 
negli 
anni 
Sessanta 
e 
ha 
visto lo sviluppo, 
negli anni Settanta e Ottanta, dei personal computer e, negli anni Novanta, della rete internet. 
(3) 
La 
relazione 
annuale 
dell’AGCM 
per 
l’anno 
2017 
ha 
evidenziato 
che 
in 
Italia 
il 
90,7% 
delle 
famiglie 
nelle 
quali 
vi 
è 
almeno 
un 
minorenne 
ha 
a 
disposizione 
una 
connessione 
a 
banda 
larga 
fissa 
e 
mobile, 
mentre 
tale 
dato 
scende 
al 
20,7% 
per 
le 
famiglie 
formate 
unicamente 
da 
infra-sessantacinquenni. 

LEGISLAzIONE 
ED 
ATTuALITà 


lievo in tale 
delicata 
materia 
ha 
indotto il 
Legislatore 
a 
prevedere 
la 
giurisdizione 
esclusiva 
del 
giudice 
amministrativo nel 
caso in cui 
tale 
diritto fondamentale, 
scaturente 
dal 
principio 
del 
“digital 
by 
default”, 
venga 
compresso 
(Boccia, Contessa e De Giovanni, 2018) (art. 1, comma 1-ter 
del CAD). 

Dunque, 
anche 
l’Amministrazione 
si 
è 
dovuta 
dotare 
di 
strumenti 
digitali 
per lo svolgimento della propria attività. 

Il 
CAD 
ha 
richiesto 
l’introduzione 
di 
tecnologie 
quali 
la 
posta 
elettronica 
certificata, 
l’identità 
digitale, 
i 
pagamenti 
elettronici 
e, 
soprattutto, 
ha 
previsto 
il 
diritto dei 
cittadini 
di 
partecipare 
al 
procedimento amministrativo con modalità 
informatizzate. Tale 
diritto, previsto dall’art. 4 del 
codice, permette 
ai 
cittadini 
di 
accedere 
alle 
informazioni 
detenute 
dalla 
P.A. mediante 
strumenti 
informatici, nonché 
di 
inviare 
tutti 
i 
documenti 
necessari 
con modalità 
telematiche. 


In alcuni 
casi, la 
modalità 
telematica 
non costituisce 
una 
mera 
modalità 
operativa 
o un formalismo giuridico, ma 
lo stesso elemento di 
configurabilità 
del 
provvedimento amministrativo. Si 
pensi 
alla 
SCIA 
(Segnalazione 
Certificata 
di 
Inizio di 
Attività) per la 
quale 
è 
richiesto l’invio della 
segnalazione 
al 
SuAP 
(Sportello 
unico 
delle 
Attività 
Produttive) 
unicamente 
con 
modalità 
digitali 
(v. 
T.a.r. 
Bari 
sentenza 
16 
ottobre 
2015 
n. 
1330) 
(si 
veda 
Deodati, 
2017), pena 
l’impossibilità 
di 
ritenere 
sussistente 
un silenzio-assenso sull’attività 
intrapresa. 


Il 
Codice 
dell’Amministrazione 
Digitale 
ha, 
quindi, 
segnato 
il 
primo 
passo verso la 
digitalizzazione 
della 
Pubblica 
Amministrazione 
e 
tale 
Codice, 
per quanto non sia 
stato ancora 
completamente 
attuato, rappresenta 
il 
livello 
minimo di informatizzazione richiesto oggi alle 
Amministrazioni. 

Infatti, l’attuazione 
del 
D.lgs. n. 82 del 
2005 ha 
trovato non poche 
resistenze 
nella 
mancanza 
di 
risorse 
economiche 
e 
nella 
scarsa 
formazione 
in 
materia 
di digitalizzazione dei funzionari e dei cittadini. 

Secondo 
l’indice 
DESI 
(Digital 
Economy 
and 
Society 
index) 
l’Italia 
si 
posiziona 
nella 
parte 
più alta 
della 
classifica 
degli 
Stati 
europei 
in relazione 
all’offerta 
di 
servizi 
pubblici 
digitali, 
mentre 
in 
riferimento 
all’utilizzo 
effettivo 
di tali strumenti da parte dei cittadini il nostro Paese è tra gli ultimi (4). 

Al 
fine 
di 
perseguire 
gli 
obiettivi 
individuati 
dall’Agenda 
Digitale 
Europea, 
il 
Governo italiano ha 
adottato la 
strategia 
per la 
crescita 
digitale 
20142020 
e, nel 
2017, il 
piano triennale 
per l’informatica 
nella 
P.A. Quest’ultimo 
prevede 
una 
maggiore 
diffusione 
degli 
strumenti 
già 
disponibili 
nel 
nostro 
Paese 
quali 
il 
Sistema 
Pubblico 
di 
Identità 
Digitale, 
il 
Fascicolo 
Sanitario 
Elettronico, 
la 
fatturazione 
elettronica, il 
PagoPA, il 
Digital 
Security (CErT-PA) 


(4) 
Tale 
dato 
è 
confermato, 
altresì, 
dall’Eurostat 
dal 
quale 
emerge 
che, 
nonostante 
la 
maggioranza 
degli 
italiani 
richieda 
una 
maggiore 
snellezza 
nei 
rapporti 
con 
la 
pubblica 
amministrazione, 
i 
servizi 
pubblici 
digitali 
vengono utilizzati 
solo dal 
13% dei 
cittadini 
a 
fronte 
di 
una 
media 
europea 
pari 
al 
30%. 

rASSEGNA 
AvvOCATurA 
DELLO 
STATO -N. 2/2023 


(5), cloud computing, gli 
open data, e 
l’SPC (Sistema 
Pubblico di 
connettività). 
Si 
pensi, nell’ambito delle 
previsioni 
del 
Codice 
dei 
Contratti 
Pubblici 
di 
cui 
al 
D.lgs. n. 50 del 
2016 (6) all’E-Procurement, agli 
appalti 
elettronici 
end-to-end, al 
MEPA 
(Mercato Elettronico della 
Pubblica 
amministrazione), 
allo 
SDAPA 
(Sistema 
dinamico 
di 
acquisizione 
della 
Pubblica 
amministrazione), 
alle 
altre 
piattaforme 
telematiche 
di 
negoziazione, 
alle 
aste 
elettroniche, 
al catalogo elettronico. 

Il 
c.d. Decreto Semplificazioni 
(7) ha, altresì, previsto un espresso riconoscimento 
giuridico delle 
tecnologie 
della 
Blockchain 
e 
degli 
Smarts 
Contracts. 


Dal 
1 
gennaio 
2024 
sono 
entrate 
in 
vigore 
tutte 
le 
disposizioni 
del 
nuovo 
Codice 
dei 
Contratti 
pubblici 
D.lgs. 
36/2023 
relative 
alle 
piattaforme 
di 
approvvigionamento 
digitale 
certificate, 
il 
fascicolo 
virtuale 
dell’operatore 
economico 
per 
favorire 
non 
solo 
il 
principio 
dell’once 
only, 
ma 
anche 
quello 
del 
winner 
only 
e 
la 
Banca 
Dati 
nazionale 
dei 
Contratti 
Pubblici 
che 
assicura 
la 
pubblicazione 
dei 
dati 
individuati 
all’art. 
28, 
co. 
3, 
del 
nuovo 
Codice, 
tra 
cui 
quelli 
già 
previsti 
dall’art. 
1, 
co. 
32, 
della 
Legge 
190/2012 
(pertanto 
abrogato 
dal 
D.lgs. 
36/2023). 
Ciò 
significa, 
come 
riportato 
nel 
Comunicato 
anac 
del 
10 
gennaio 
2024, 
che 
non 
è 
più 
prevista, 
per 
alcuna 
procedura 
contrattuale, 
la 
predisposizione 
del 
file 
XML 
e 
l’invio 
ad 
anac 
entro 
il 
31 
gennaio 
della 
Pec, 
nella 
quale 
indicare 
il 
luogo 
di 
pubblicazione 
di 
detto 
file. 
vedremo 
più 
avanti 
cosa 
comporteranno 
tali 
modifiche. 


Ciò detto, giova 
evidenziare 
che 
le 
novità 
in materia 
di 
digitalizzazione 
della 
Pubblica 
amministrazione 
sopradescritte 
debbono 
essere 
considerate 
ormai 
come 
un 
dato 
di 
fatto 
all’interno 
di 
un 
paese 
sviluppato 
e 
che 
il 
dibattito 
europeo e mondiale si è spostato verso nuovi orizzonti. 

Negli 
ultimi 
anni 
si 
è 
passati 
a 
parlare 
di 
una 
“quarta rivoluzione 
industriale”, 
che 
realizza 
il 
passaggio 
dalla 
interconnessione 
degli 
esseri 
umani 
mediante 
l’impiego 
delle 
nuove 
tecnologie 
all’interconnessione 
di 
quest’ultime 
tra 
di 
loro 
(Schwab, 
2016). 
Se 
fino 
a 
pochi 
anni 
fa 
le 
ICT 
erano 
viste 
come 
uno strumento idoneo a 
rendere 
più rapido l’operato dell’uomo, i 
nuovi 
algoritmi 
tentano 
di 
riprodurre 
interamente 
il 
funzionamento 
della 
mente 
umana 
così 
da 
permettere 
la 
realizzazione 
automatizzata 
di 
numerose 
attività. 

In 
ambito 
amministrativo 
sono 
molteplici 
gli 
studiosi 
che 
auspicano 
la 
realizzazione 
di 
procedimenti 
amministrativi 
quasi 
interamente 
automatiz


(5) Ossia 
una 
struttura 
che 
opera 
all’interno dell’Agenzia 
per l’Italia 
digitale 
(AGID) con l’obiettivo 
di fronteggiare e prevenire gli incidenti di sicurezza informatica. 
(6) Modificato dal 
c.d. Decreto Sblocca 
Cantieri, decreto legge 
n. 32/2019, convertito in legge 
n. 
55/2019, su cui, in modo approfondito, si 
v. DE 
NICTOLIS, Le 
novità del 
D.L. Sblocca cantieri, in riv. 
Urbanistica e appalti, n. 4 del 2019, pag. 443. 
(7) v. art. 8 ter 
del D.L. 14 dicembre 2018 n. 135, convertito nella legge n. 12/2019. 

LEGISLAzIONE 
ED 
ATTuALITà 


zati, 
nei 
quali 
sia 
ridotto 
al 
minimo 
l’intervento 
dell’uomo 
(si 
veda 
Cavallaro 
e 
Smorto, 
2019). 
Ciò 
soprattutto 
per 
permettere 
ai 
funzionari 
di 
concentrarsi 
esclusivamente 
sulle 
mansioni 
più 
complesse, 
che 
per 
loro 
natura 
richiedono 
l’intervento 
dell’essere 
umano; 
nonché 
di 
tralasciare 
quelle 
attività 
ripetitive 
e 
sequenziali 
che 
possono 
essere 
più 
efficientemente 
svolte 
da 
un 
elaboratore. 


Sono molteplici 
i 
vantaggi 
che 
deriverebbero dall’impiego di 
dispositivi 
intelligenti 
all’interno del 
procedimento amministrativo. In particolare, oltre 
alla 
maggiore 
celerità 
dell’agire 
amministrativo, 
il 
corretto 
utilizzo 
di 
tali 
strumenti 
garantirebbe 
un passo in avanti 
nel 
perseguimento degli 
obiettivi 
di 
imparzialità, 
trasparenza, buon andamento, efficienza ed economicità. 


Non 
mancano 
però 
aspetti 
di 
criticità 
dell’impiego 
delle 
nuove 
tecnologie 
di 
cui 
il 
giurista 
deve 
farsi 
carico per coordinare 
l’avvento dell’innovazione 
con la tradizione degli istituti giuridici del nostro ordinamento. 


2. Vantaggi e criticità delle nuove tecnologie. 
Le 
nuove 
tecnologie 
sono 
“neutre” 
e 
ragionano 
mediante 
l’utilizzo 
di 
schemi 
logici 
composti 
da 
molteplici 
passaggi 
senza 
lasciarsi 
influenzare 
dai 
pregiudizi tipici dell’essere umano. 

Tuttavia, ciò non basta 
per escludere 
la 
presenza 
di 
bias 
nei 
risultati 
da 
esse 
prodotti: 
i 
dati 
elaborati 
dalle 
macchine 
(ossia 
gli 
input) 
sono 
forniti 
dagli 
esseri umani e, quindi, spesso possono essere influenzati da “pre-giudizi”. 

Dunque, le 
predizioni 
degli 
algoritmi, per quanto neutre 
e 
razionali 
nella 
fase della formazione, rischiano di fondarsi su presupposti non imparziali. 

Le 
decisioni 
automatizzate, quindi, potrebbero portare 
a 
un incremento 
della diseguaglianza e a una maggiore discriminazione. 

Si 
profila 
come 
necessaria, pertanto, l’affermazione 
di 
un “accountable 
algoritms”, 
ossia 
di 
un 
meccanismo 
automatizzato 
capace 
di 
qualificarsi 
come 
“trustworthy”, ossia altamente affidabile. 


Sotto questo profilo, il 
bilanciamento “Ermessen” 
tra 
il 
principio di 
trasparenza 
delle 
decisioni 
della 
Pubblica 
Amministrazione 
e 
le 
necessarie 
implicazioni 
della 
tutela 
del 
diritto di 
privativa 
legato al 
codice 
sorgente 
è 
stato 
di 
recente 
affrontato 
dal 
Consiglio 
di 
Stato 
con 
la 
sentenza 
n. 
2270 
dell’8 
aprile 
2019. 
Nell’ambito 
di 
una 
controversia 
relativa 
all’impugnazione 
delle 
proposte 
di 
assunzioni 
conseguente 
al 
piano 
straordinario 
di 
mobilità 
dei 
docenti, 
il 
Consiglio di 
Stato ha 
per un verso ammesso che 
in alcuni 
casi, come 
quello 
relativo alla 
“buona 
scuola”, il 
ricorso a 
una 
procedura 
automatizzata 
deve 
ritenersi 
legittimo, 
anzi 
utile 
e 
vantaggioso, 
poiché 
in 
presenza 
di 
procedure 
seriali 
o 
standardizzate 
consente 
di 
addivenire 
a 
una 
decisione 
in 
tempi 
più 
celeri, 
a 
garanzia 
dell’interesse 
pubblico e 
dei 
principi 
di 
efficienza 
e 
di 
buon andamento 
ex 
art. 
97 
Cost. 
D’altra 
parte, 
il 
Supremo 
Consesso 
afferma 
che 
<<l’utilizzo 
di 
procedure 
robotizzate 
non può essere 
motivo di 
elusione 
dei 
principi 



rASSEGNA 
AvvOCATurA 
DELLO 
STATO -N. 2/2023 


che 
conformano 
il 
nostro 
ordinamento 
e 
che 
regolano 
lo 
svolgersi 
dell’attività 
amministrativa>>. 
Ciò 
significa 
che, 
se 
è 
vero 
che 
<<l’algoritmo, 
ossia 
il 
software, 
deve 
essere 
considerato a tutti 
gli 
effetti 
come 
un atto amministrativo 
informatico>> 
che 
si 
fonda 
su 
una 
“regola 
tecnica”, 
è 
altrettanto 
vero 
che 
l’atto così 
generato e 
la 
regola 
tecnica 
che 
esso incorpora, devono essere 
soggetti 
ai 
principi 
fondamentali 
dell’azione 
amministrativa, 
tra 
cui 
la 
trasparenza 
e 
la 
conoscibilità, 
nonché 
il 
pieno 
sindacato 
del 
giudice 
amministrativo, 
il 
quale 
deve 
poter valutare 
<<la correttezza del 
processo informatico in tutte 
le 
sue 
componenti: dalla sua costruzione, all’inserimento dei 
dati, alla loro validità, 
alla loro gestione>>. 

Il 
punto è 
che 
può accadere 
che 
l’algoritmo inteso come 
regola 
tecnica, 
assuma 
un ruolo che 
si 
spinge 
al 
di 
là 
del 
mero presupposto tecnico su cui 
si 
fonda 
la 
decisione, 
potendo 
giungere 
a 
costituire 
un 
sistema 
di 
formazione 
della 
stessa 
volontà 
procedimentale. In altri 
termini 
l’algoritmo potrebbe 
costituire 
non solo un “mere 
tool”, ossia 
un elemento di 
esecuzione 
di 
dati 
e 
informazioni 
nella 
fase 
istruttoria 
del 
procedimento amministrativo, ma 
anche 
un elemento costitutivo del 
provvedimento amministrativo nella 
fase 
più propriamente 
decisoria. 

Il 
tema 
evoca 
il 
rapporto tra 
tecnica 
e 
amministrazione 
e 
la 
soluzione 
potrebbe 
essere 
quella 
che 
individua 
nel 
sapere 
tecnico e 
scientifico, e 
dunque 
nell’algoritmo, il 
presupposto tecnico della 
decisione 
amministrativa. Ma 
per 
altro 
verso 
il 
quid 
novi 
dell’algoritmo 
consiste 
nella 
possibilità 
che 
esso, 
in 
quanto 
strumento 
di 
formazione 
della 
volontà 
dell’amministrazione, 
possa 
sostituirsi 
alla 
decisione 
finale. Pertanto, sulla 
scorta 
delle 
argomentazioni 
condotte 
dal 
giudice 
amministrativo, come 
pure 
dalle 
indicazioni 
contenute 
nel 
recente 
regolamento uE 
2016/679 sulla 
tutela 
dei 
dati 
personali, appare 
utile 
provare 
a 
cogliere 
nella 
<<sequenza 
di 
passaggi 
elementari, 
univoci 
e 
non 
contestabili 
in un tempo finito (if 
this, then that)>> che 
caratterizzano un algoritmo 
e 
che, dunque, costituiscono l’essenza 
della 
decisione 
automatizzata, 
i 
principi 
fondamentali 
dell’ordinamento 
che 
assicurano 
il 
corretto 
dispiegarsi 
del procedimento amministrativo. 

Occorre, dunque, enucleare 
un complesso di 
regole 
e 
principi 
che 
definiscano 
“un giusto processo tecnologico” 
(technological 
due 
process) secondo 
un’espressione 
che 
riassume 
l’esigenza 
che 
gli 
algoritmi 
che 
ci 
governano riflettano 
i 
valori 
fondanti 
e 
condivisi 
della 
nostra 
società 
e 
siano 
soggetti 
al 
controllo democratico. Occorre 
considerare 
come 
fondante 
il 
rapporto tra 
algoritmi 
e 
diritti 
fondamentali 
della 
persona 
alla 
luce 
degli 
artt. 
13 
e 
14 
del 
regolamento 
uE 
2016/679, 
secondo 
cui 
l’interessato 
deve 
essere 
informato 
dell’eventuale 
esecuzione 
di 
un 
processo 
decisionale 
automatizzato 
e 
dell’art. 
22 del 
suddetto regolamento che 
esclude 
la 
possibilità 
che 
la 
decisione 
sia 
basata 
unicamente sul trattamento automatizzato. 

Sull’onda 
di 
tali 
problematiche 
alcuni 
Stati 
europei 
hanno iniziato a 
re



LEGISLAzIONE 
ED 
ATTuALITà 


golamentare 
l’utilizzo 
degli 
algoritmi 
da 
parte 
della 
pubblica 
amministrazione. 

Ad 
esempio, 
la 
Francia, 
con 
una 
legge 
del 
7 
novembre 
2016, 
ha 
introdotto 
nel 
“codice 
dei 
rapporti 
tra 
pubblico e 
amministrazione” 
due 
articoli 
relativi 
all’amministrazione 
algoritmica. 
Il 
primo 
articolo, 
L. 
331-3-1, 
prevede 
che, 
nel 
caso in cui 
le 
decisioni 
individuali 
vengano prese 
sulla 
base 
di 
una 
elaborazione 
algoritmica, il 
soggetto privato deve 
essere 
informato della 
natura 
automatizzata 
della 
decisione 
e, 
a 
sua 
richiesta, 
la 
P.A. 
deve 
fornire 
maggiori 
informazioni 
circa 
le 
modalità 
di 
adozione 
della 
stessa 
da 
parte 
del 
software. 
Il 
secondo, r. 311-3-1-2 prevede 
che, in caso di 
richiesta 
di 
accesso, la 
P.A. 
debba 
fornire 
in forma 
intellegibile 
il 
grado e 
le 
modalità 
di 
contributo del-
l’elaborazione 
algoritmica 
al 
processo 
decisionale, 
i 
dati 
trattati 
e 
le 
loro 
fonti, 
i 
parametri 
di 
trattamento applicati 
alla 
situazione 
della 
persona 
interessata 
e, 
se 
applicabile, la 
loro ponderazione 
e, infine, le 
operazioni 
eseguite 
dall’algoritmo 
(si veda 
Auby, 2018). 

Il 
tema 
centrale 
nella 
decisione 
automatizzata 
diviene, 
così, 
quello 
della 
sua 
“spiegabilità” 
(explainability), 
attraverso 
l’individuazione 
di 
strumenti 
che 
consentano 
di 
interpretare 
il 
codice 
sorgente 
per 
ricostruire 
i 
passaggi 
logici 
che 
lo 
compongono 
e 
stabilire, 
per 
questa 
via, 
i 
passaggi 
e 
le 
procedure 
che 
hanno 
determinato 
i 
risultati. 
Sotto 
tale 
profilo 
la 
spiegabilità 
della 
procedura 
automatizzata, 
la 
cui 
necessità 
è 
stata 
sottolineata 
dal 
Consiglio 
di 
Stato, 
non 
si 
allontana 
molto 
dalla 
necessaria 
motivazione 
del 
provvedimento: 
l’amministrazione 
che 
assume 
una 
decisione 
attraverso 
il 
ricorso 
a 
un 
algoritmo 
deve 
essere 
in 
grado 
di 
spiegare 
l’iter 
logico-giuridico 
che 
conduce 
alla 
decisione 
finale. 


Trasparenza 
e 
conoscenza, o spiegabilità, della 
procedura 
automatizzata 
assicurano, 
a 
loro 
volta, 
un’adeguata 
partecipazione 
del 
privato 
alla 
procedura 
algoritmica. 

L’esigenza 
è 
quella 
di 
evitare 
che 
l’automatizzazione 
della 
procedura 
possa 
generare 
un processo di 
spersonalizzazione 
della 
decisione, con un duplice 
effetto distorsivo: 
per un verso, perché 
impedisce 
la 
virtuosa 
partecipazione 
del 
privato 
al 
procedimento, 
in 
quanto 
manca 
nelle 
procedure 
automatizzate 
un 
interlocutore 
al 
quale 
il 
privato 
possa 
rivolgersi; 
per 
altro 
verso, 
perché 
rischia 
di 
generare 
una 
polverizzazione 
della 
responsabilità 
conseguente 
alla decisione assunta. 

D’altra 
parte, se 
l’algoritmo si 
proietta 
nella 
decisione 
finale, sino a 
sostituirla 
del 
tutto, ancora 
di 
più, i 
profili 
di 
interesse 
si 
concentrano sulle 
prospettive 
di 
tutela 
e 
sulle 
garanzie 
dei 
privati 
dinanzi 
a 
una 
decisione 
pubblica 
assunta 
attraverso 
procedure 
automatizzate. 
In 
tal 
caso, 
oltre 
ai 
menzionati 
principi 
di 
trasparenza 
e 
partecipazione, 
assume 
particolare 
rilievo 
il 
“principio 
di 
responsabilità”. 
Su 
tale 
principio 
si 
è 
elaborato 
il 
concetto 
di 
illegittimo 
esercizio del 
potere 
che 
legittima 
l’azione 
di 
risarcimento del 
danno nei 
confronti 
della Pubblica amministrazione di cui all’art. 30 c.p.a. 


rASSEGNA 
AvvOCATurA 
DELLO 
STATO -N. 2/2023 


Ma 
molte 
altre 
sono le 
problematiche 
che 
il 
digital 
first 
pone 
nell’ambito 
del diritto amministrativo. 

Ci 
si 
chiede, 
infatti, 
se 
l’utilizzo 
del 
digitale, 
che 
consente 
di 
svolgere 
operazioni 
in tempo reale, possa 
incidere 
sulla 
concezione 
fasica 
del 
procedimento 
amministrativo 
che 
si 
sviluppa 
tradizionalmente 
secondo 
una 
scansione 
temporale 
strutturata 
in 
fasi 
(fase 
dell’iniziativa, 
fase 
istruttoria, 
fase 
decisoria 
e 
fase 
integrativa 
dell’efficacia) 
o 
se 
la 
violazione 
delle 
norme 
sul 
procedimento 
telematico possa 
ingenerare 
illegittimità 
non invalidanti, ai 
sensi 
del-
l’art. 21-octies 
della L. n. 241/1990. 


3. responsabilità amministrativa nei 
casi 
in cui 
le 
decisioni 
vengano adottate 
da un algoritmo. 
un’altra 
criticità 
dell’utilizzo 
degli 
algoritmi 
nell’azione 
della 
P.A. 
sta 
nella 
individuazione 
del 
soggetto responsabile 
delle 
“cattive 
decisioni” 
prese 
dai 
software. 

Chi 
è 
il 
responsabile 
in 
caso 
di 
malfunzionamenti 
del 
sistema? 
Lo 
sviluppatore 
o il dipendente pubblico? Oppure il 
software 
stesso? 


Il 
dibattito in materia 
è 
ancora 
aperto sia 
a 
livello europeo che 
nazionale. 

L’Europa 
si 
è 
occupata 
di 
tale 
aspetto con la 
risoluzione 
del 
Parlamento 
Europeo 
del 
16 
febbraio 
2017, 
recante 
raccomandazioni 
alla 
Commissione 
concernenti norme di diritto civile sulla robotica (2015/2103 (INL)). 

Quest’ultima, partendo dalla 
considerazione 
secondo la 
quale 
siamo all’alba 
di 
una 
nuova 
rivoluzione 
industriale, 
ritiene 
necessario 
che 
gli 
Stati 
membri 
inizino a 
predisporre 
norme 
di 
diritto civile 
sulla 
robotica 
e, in particolare, 
si 
occupino 
della 
responsabilità 
contrattuale 
ed 
extracontrattuale 
dei 
robot secondo la c.d. “teoria della competenza specifica”. 


Attualmente 
il 
quadro giuridico dell’uE 
per la 
responsabilità 
extracontrattuale 
prevede 
la 
c.d. responsabilità da prodotto 
(secondo la 
quale 
il 
produttore 
di 
un prodotto è 
responsabile 
dei 
malfunzionamenti 
dello stesso) e 
la 
responsabilità per 
le 
azioni 
dannose 
(in virtù della 
quale 
è 
l’utente 
responsabile 
per i 
danni 
scaturenti 
dai 
comportamenti 
posti 
in essere 
in modo non conforme 
alle caratteristiche del prodotto). 

Tuttavia, 
questa 
bipartizione 
mal 
si 
concilia 
con 
le 
caratteristiche 
delle 
nuove 
intelligenze 
artificiali: 
quest’ultime 
hanno un grado di 
autonomia 
dal-
l’uomo sempre maggiore e sono in grado di adottare decisioni proprie. 

L’Europa, 
riconoscendo 
l’esigenza 
di 
creare 
diverse 
categorie 
di 
robot 
autonomi 
intelligenti 
sulla 
base 
della 
capacità 
della 
macchina 
a) di 
acquisire 
in autonomia 
i 
dati 
direttamente 
dall’ambiente 
mediante 
l’utilizzo di 
sensori, 


b) di 
apprendere 
mediante 
l’esperienza 
e 
l’interazione 
con altre 
macchine, c) 
della 
tipologia 
di 
supporto fisico del 
robot 
e 
d) della 
capacità 
di 
adeguare 
il 
suo comportamento e 
le 
sue 
azioni 
all’ambiente, ha 
ritenuto di 
dover mitigare 
la 
responsabilità 
del 
soggetto umano in relazione 
ai 
danni 
arrecati 
dalle 
mac

LEGISLAzIONE 
ED 
ATTuALITà 


chine 
in base 
alla 
categoria 
di 
appartenenza 
delle 
stesse. Maggiore 
sarà 
l’intervento 
umano nella 
fase 
della 
formazione 
della 
macchina 
e 
maggiore 
sarà 
la responsabilità civile dello stesso. 


Tuttavia, il 
Parlamento non ha 
sciolto il 
nodo gordiano 
relativo al 
tipo di 
responsabilità 
applicabile, ossia 
se 
applicare 
una 
forma 
di 
responsabilità 
oggettiva 
del 
soggetto “formatore” 
dell’AI ovvero un approccio legato alla 
possibilità 
di gestione dei rischi da parte dello stesso. 

Dall’altro 
lato, 
per 
risolvere 
la 
questione 
relativa 
al 
risarcimento 
patrimoniale 
dei 
danni, 
il 
Parlamento 
ha 
ritenuto 
auspicabile 
introdurre 
un 
regime 
di 
assicurazione 
obbligatoria 
per 
le 
AI 
al 
pari 
di 
quello 
utilizzato 
per 
le 
automobili. 


Infine, 
la 
risoluzione 
richiede, 
altresì, 
il 
riconoscimento 
di 
uno 
status 
giuridico 
per i 
robot 
più sofisticati 
che 
li 
veda 
assimilati 
a 
persone 
giuridiche 
responsabili 
patrimonialmente 
dei 
danni 
causati; 
mentre 
per 
le 
intelligenze 
artificiali 
più 
basilari, 
che 
si 
limitino 
a 
adottare 
decisioni 
automatizzate, 
è 
previsto 
il riconoscimento di una forma di personalità elettronica. 

A 
livello 
giurisprudenziale 
in 
Italia 
sul 
punto 
si 
è 
pronunciato 
il 
T.a.r. 
Trento, che 
con sentenza 
n. 149 del 
15 aprile 
2015 ha 
affermato <<orbene, 
osserva 
il 
Collegio 
come 
l’informatica 
costituisca 
sicuramente, 
per 
la 
pubblica 
amministrazione, uno strumento ormai 
doveroso e 
imprescindibile, puntualmente 
disciplinato 
dall’ordinamento 
(d.lgs. 
7 
marzo 
2005, 
n. 
82, 
e 
relative 
norme 
attuative) al 
fine 
di 
raggiungere 
crescenti 
obiettivi 
di 
efficienza e 
efficacia 
dell’azione 
amministrativa. Sarebbe 
nondimeno gravemente 
errato vedere 
nel 
procedimento 
informatico 
una 
sorta 
di 
amministrazione 
parallela, 
che 
opera in piena indipendenza dai 
mezzi 
e 
dagli 
uomini, e 
che 
i 
dipendenti 
si 
devono limitare 
a osservare 
con passiva rassegnazione 
(se 
non con il 
sollievo 
che 
può derivare 
dal 
discarico di 
responsabilità e 
decisioni): le 
risposte 
del 
sistema 
informatico 
sono 
invece 
oggettivamente 
imputabili 
all’amministrazione, 
come 
plesso, 
e 
dunque 
alle 
persone 
che 
ne 
hanno 
la 
responsabilità. 
Così, 
se 
lo 
strumento 
informatico 
determina 
situazioni 
anomale, 
vi 
è 
anzitutto 
una 
responsabilità 
di 
chi 
ne 
ha 
predisposto 
il 
funzionamento 
senza 
considerare 
tali 
conseguenze; 
ma 
v’è 
altresì 
la 
responsabilità, 
almeno 
omissiva, 
del 
dipendente 
che, 
tempestivamente 
informato, 
non 
si 
è 
adoperato 
per 
svolgere, 
secondo i 
principi 
di 
legalità e 
imparzialità, tutte 
quelle 
attività che, in concreto, 
possano 
soddisfare 
le 
legittime 
pretese 
dell’istante, 
nel 
rispetto, 
comunque 
recessivo, delle procedure informatiche>>. 

Da 
ultimo, è 
evidente 
che 
in un mondo in cui 
i 
robot 
sono in grado di 
stipulare 
contratti 
e 
di 
dare 
loro esecuzione 
autonomamente 
è 
necessario riscrivere, 
altresì, la normativa relativa alla responsabilità contrattuale. 

Tuttavia, per ora 
tale 
aspetto non è 
stato trattato dall’unione 
Europea 
in 
maniera approfondita. 

Si 
segnala, a 
tal 
riguardo, nell’ambito del 
nostro ordinamento nazionale 
il 
“Libro Bianco sull’intelligenza artificiale 
al 
servizio del 
cittadino”, curato 



rASSEGNA 
AvvOCATurA 
DELLO 
STATO -N. 2/2023 


dalla 
task 
force 
promossa 
dall’Agenzia 
per l’Italia 
digitale, al 
fine 
di 
studiare 
le 
opportunità 
offerte 
dall’Intelligenza 
artificiale 
nel 
miglioramento 
dei 
servizi 
pubblici e del rapporto tra pubblica amministrazione e cittadini. 

Di 
recente, sono state, altresì, adottate, dal 
gruppo di 
esperti 
sull’intelligenza 
artificiale 
della 
Commissione 
Europea 
in 
materia 
di 
ICT, 
le 
Linee 
Guida 
Etiche 
per 
una intelligenza artificiale 
affidabile, le 
quali 
prevedono una 
lista 
non esaustiva 
dei 
requisiti 
minimi 
dell’intelligenza 
artificiale. In particolare, 
gli 
sviluppatori 
devono garantire: 
la 
possibilità 
di 
controllo e 
di 
supervisione 
dell’attività 
del 
computer da 
parte 
dell’essere 
umano, il 
rispetto della 
privacy, 
la 
sicurezza 
e 
la 
robustezza 
tecnica 
e 
il 
perseguimento degli 
obiettivi 
di 
trasparenza, 
non discriminazione, giustizia, massimizzazione 
del 
benessere 
sociale 
ed ambientale. 


La 
problematica 
ambientale 
diventa 
centrale 
nell’analisi 
della 
quarta 
rivoluzione 
industriale definita rivoluzione 4.0. 

Le 
nuove 
intelligenze 
artificiali, difatti, necessitano di 
ingenti 
quantità 
di 
energia 
per 
funzionare 
e, 
vista 
la 
velocità 
con 
la 
quale 
diventano 
obsolete, 
comportano la produzione di numerosi rifiuti. 

È 
proprio per far fronte 
a 
tali 
problematiche 
che 
il 
Parlamento europeo, 
con la 
risoluzione 
del 
16 febbraio 2017 recante 
raccomandazioni 
alla 
Commissione 
Europea, 
ha 
ribadito 
la 
necessità 
di 
instaurare 
un 
regime 
di 
economia 
circolare 
dei 
rifiuti 
elettronici 
e 
di 
utilizzare 
fonti 
di 
energia 
rinnovabili 
per 
permettere il loro funzionamento. 


È 
relativamente 
recente 
la 
notizia 
che 
in 
Sardegna 
è 
stata 
avviata 
una 
sperimentazione 
per 
il 
monitoraggio 
del 
territorio 
attraverso 
satelliti 
radar 
che 
tra 
i 
diversi 
obiettivi 
si 
propone 
anche 
quello di 
individuare 
manufatti 
e 
edifici 
abusivi. In particolare, la 
NeMea 
Sistemi, che 
dal 
2015 è 
socia 
del 
distretto 
aerospaziale 
della 
Sardegna, intende 
calcolare 
un algoritmo che 
consentirà 
di 
misurare 
se 
i 
fabbricati 
si 
innalzano oppure 
no, offrendo alla 
pubblica 
amministrazione 
uno 
strumento 
formidabile 
per 
individuare 
abusi 
edilizi 
a 
tutela 
delle aree protette. 

volendo 
ampliare 
l’angolo 
visuale 
di 
un’attenta 
analisi 
giuridica 
non 
può 
non considerarsi 
che 
il 
pensiero computazionale 
che 
consente 
di 
passare 
dal-
l’algoritmo al 
coding 
non ha 
inciso solo sui 
concetti 
tradizionali 
di 
procedimento 
e 
provvedimento amministrativo, ma 
anche 
sul 
concetto privatistico di 
contratto. 

Si 
sta, infatti, realizzando un mutamento genetico dello strumento contrattuale 
sempre 
più 
espressione 
di 
eterodeterminazione 
e 
non 
di 
autodeterminazione 
delle parti. 

Si 
pensi 
alla 
figura 
degli 
smart-contracts: 
pur non essendo dei 
contratti 
in senso giuridico possono integrare 
atti 
della 
vicenda 
contrattuale, laddove 
gli 
algoritmi 
che 
li 
costituiscono siano programmati 
per il 
compimento di 
atti 
che 
costituiscono 
fasi 
(o 
esauriscono) 
la 
conclusione 
o 
esecuzione 
del 
con



LEGISLAzIONE 
ED 
ATTuALITà 


tratto. 
È 
così 
possibile 
che 
uno 
smart-contract 
o 
più 
smart-contracts 
siano 
programmati 
in maniera 
tale 
da 
individuare 
quando coincidono le 
richieste 
di 
due 
o più parti 
(ai 
fini 
della 
conclusine 
di 
un contratto) ovvero per trasferire 
un determinato bene 
digitale 
al 
verificarsi 
di 
certe 
condizioni, avendo intercettato 
un algoritmo che 
è 
programmato per il 
pagamento, al 
verificarsi 
della 
medesima condizione. 

Ad 
esempio, 
un 
protocollo 
può 
essere 
istruito 
al 
fine 
di 
vendere/acquistare 
un 
certo 
tipo 
di 
bene 
(es. 
partecipazioni 
azionarie) 
una 
volta 
che 
il 
prezzo 
raggiunga 
una 
certa 
soglia 
o ulteriori 
condizioni 
vengano soddisfatte 
(secondo la 
sequenza informativa dell’if-then). 


È, 
altresì, 
possibile 
che 
uno 
smart-contract 
svolga 
un 
ruolo 
nella 
sola 
fase 
di 
esecuzione 
del 
contratto, prevedendo il 
pagamento on line 
una 
volta 
che 
il 
bene sia consegnato al compratore, ovvero nei rapporti di durata. 

una 
delle 
più note 
manifestazioni 
di 
smart-contract 
sono quelle 
che 
applicano 
un 
registro 
decentralizzato 
ai 
rapporti 
di 
scambio 
costituite 
dalla 
blockchain, 
che 
è 
la 
tecnologia 
alla 
base 
del 
software-protocollo 
bit-coin 
per 
il 
trasferimento moneta/valore digitale. 

La 
Blockchain 
è 
una 
piattaforma 
senza 
intermediari 
-e 
perciò decentralizzata, 
priva 
di 
sorveglianza 
o 
intervento 
di 
terzi 
sulle 
operazioni 
-per 
la 
conclusione, 
formalizzazione 
e 
gestione 
di 
rapporti 
di 
scambio digitali 
(ambiente 
informatico 
dematerializzato) 
di 
beni 
dematerializzati. 
Il 
controllo 
è 
decentralizzato 
grazie 
ad 
un 
data 
base 
pubblico 
e 
condiviso 
da 
tutti: 
i 
miner 
del 
network 
rappresentati da tutti gli utenti del 
Bitcoin. 


Il 
sistema 
di 
registri 
decentralizzati 
opera 
come 
un 
sistema 
di 
contabilità: 
i 
blocchi 
di 
operazioni 
vengono man mano validati 
ed eseguiti 
con una 
tempistica 
serrata 
di 
dieci 
minuti, in maniera 
tale 
da 
non poter essere 
modificati 
dopo questo intervallo. 

Oltre 
alla 
pseudonimia 
degli 
utenti, l’utilità 
di 
questo registro decentralizzato 
sta 
nel 
fatto che, tramite 
la 
piattaforma, qualsiasi 
bene 
virtuale 
o tangibile, 
ma 
rappresentato digitalmente, può essere 
trasferito mediante 
la 
stessa 
ed è 
registrato in maniera 
indelebile. Questa 
tecnologia 
veloce 
riduce 
i 
rischi 
di errori dell’intermediario. 

Se 
si 
guarda 
al 
funzionamento 
della 
blockchain 
dalla 
prospettiva 
delle 
vicende 
giuridiche 
della 
fase 
esecutiva, 
appare 
evidente 
che 
l’automazione 
delle 
operazioni 
riduce 
il 
rischio di 
inadempimento implicito nella 
conclusione 
del 
contratto. 
L’esecuzione 
viene 
affidata 
ad 
una 
rete 
e 
non 
può 
essere 
influenzata 
una volta lanciato lo smart-contract 
nella 
blockchain. 

L’automazione 
può 
inerire 
esclusivamente 
alla 
formazione 
di 
un 
contratto: 
ciò si 
realizza 
qualora 
un algoritmo sia 
impiegato nella 
definizione 
del 
contenuto 
contrattuale, 
ossia 
nella 
definizione 
delle 
obbligazioni 
delle 
parti 
prima o dopo la conclusione del contratto (c.d. gap filler). 

Si 
parla 
a 
tal 
proposito di 
Self-driving contracts, allorquando le 
parti 
in



rASSEGNA 
AvvOCATurA 
DELLO 
STATO -N. 2/2023 


dividuano un obiettivo comune, lasciando all’algoritmo, che 
in questo caso è 
una 
forma 
di 
intelligenza 
artificiale 
(analytics), il 
compito di 
definire 
il 
contenuto 
del contratto. 

un 
esempio 
del 
genere 
è 
già 
chiaro 
in 
quelle 
assicurazioni 
in 
cui 
il 
premio 
varia 
a 
seconda 
dello stile 
di 
guida 
per come 
monitorato dall’applicazione 
per 
smartphone 
che 
permette 
di 
conoscere 
l’esatta 
posizione 
del 
veicolo, 
la 
sua 
velocità 
e 
la 
quantità 
dei 
chilometri 
percorsi. Allo stato attuale, la 
valutazione 
tramite 
analytics, 
tuttavia, 
non 
modifica 
automaticamente 
il 
contenuto/oggetto 
del 
contratto. 
un 
punteggio 
elevato 
corrisponde 
ad 
una 
certificazione 
di 
basso 
profilo di 
rischio e 
se 
l’assicurazione 
decide 
di 
inserire 
la 
valutazione 
nel 
calcolo 
della 
tariffa, il 
cliente 
usufruisce 
di 
uno sconto al 
momento del 
rinnovo 
della polizza. 

Abbiamo, 
poi, 
i 
contratti 
c.d. 
High 
Frequency 
Trading 
o 
Dynamic 
Pricing, 
come 
il 
servizio amazon’s 
Dash replenishment. Quest’ultimo consente 
a 
dispositivi 
tra 
loro 
connessi 
tramite 
sensori 
di 
ordinare 
beni 
su 
Amazon, 
quando lo stesso si stia esaurendo presso l’utente del servizio. 


Alla 
luce 
degli 
esempi 
sopradescritti, 
il 
giurista 
non 
può 
non 
chiedersi 
fino 
a 
che 
punto 
l’intelligenza 
artificiale 
possa 
riprodurre 
il 
processo 
decisorio 
dell’uomo, 
atteso 
che 
il 
contratto 
è 
la 
sede 
naturale 
dell’autonomia 
delle 
parti. 


Ci 
si 
chiede 
se 
l’algoritmo 
possa 
costituire 
una 
dichiarazione 
contrattuale 
tacita, ovvero costituire 
un inizio di 
esecuzione 
valevole 
alla 
conclusione 
del 
contratto o al compimento di altro atto esecutivo. 

Più critico è 
il 
problema 
del 
malfunzionamento del 
programma 
e 
del 
governo 
della responsabilità. 

Tale 
tematica 
è 
presente 
anche 
nell’ambito 
del 
diritto 
amministrativo 
come 
sopra 
esposto, ma 
nell’ambito del 
diritto civile 
assume 
delle 
connotazioni 
particolari. 

Il 
malfunzionamento dell’algoritmo va 
valutato nell’ambito della 
distribuzione 
del 
rischio contrattuale 
in un’accezione 
ampia 
che 
non si 
riduce 
alla 
gestione 
delle 
sopravvenienze, 
ma 
al 
rischio 
di 
inadempimento 
e 
diminuita 
soddisfazione economica dell’affare. 

Il 
malfunzionamento dell’algoritmo rientrerebbe 
nel 
caso fortuito o nel 
generale 
concetto 
del 
rischio 
nell’attività 
di 
impresa 
che 
pone 
la 
responsabilità 
su una 
valutazione 
fondata 
sulla 
colpa, imprescindibile 
elemento soggettivo 
da valutare ai fini dell’inadempimento qualificato della prestazione. 

Occorrerebbe 
de 
iure 
condendo 
distinguere 
in 
base 
al 
grado 
di 
autonomia 
dell’agente 
(rectius: 
algoritmo), se 
mere 
tool 
o dotato di 
ability 
to learn and 
decide. 


Quest’ultima 
prospettiva 
è 
stata 
fatta 
propria 
dalla 
recente 
risoluzione 
del 
Parlamento Europeo del 
16 febbraio 2017 recante 
raccomandazioni 
alla 
Commissione 
concernenti 
norme 
di 
diritto 
civile 
sulla 
robotica 
che, 
come 



LEGISLAzIONE 
ED 
ATTuALITà 


sopra 
esposto, pone 
non solo un problema 
di 
riconoscimento della 
personalità 
elettronica 
per i 
robot 
autonomi 
e 
decisionali, ma 
anche 
di 
responsabilità 
contrattuale 
delle macchine. 


Ma 
il 
vero banco di 
prova 
del 
processo di 
digitalizzazione 
nella 
sua 
componente 
di 
interconnessione, 
interoperabilità 
e 
cooperazione 
applicativa 
è 
rappresentato 
dagli appalti pubblici. 

È 
proprio all’interno di 
tale 
settore 
che 
l’esigenza 
di 
digitalizzazione 
si 
fa 
sentire 
maggiormente: 
l’E-Public 
Procurement 
è 
visto 
a 
livello 
europeo 
come 
uno 
degli 
strumenti 
atti 
a 
risolvere 
le 
problematiche 
endemiche 
della 
contrattazione 
pubblica, quali 
la 
corruzione, la 
scarsità 
dei 
controlli 
sull’utilizzo 
delle 
risorse 
da 
parte 
delle 
Amministrazioni 
e 
la 
limitata 
concorrenza 
tra 
le imprese nel mercato delle commesse pubbliche. 

A 
conferma 
del 
ruolo centrale 
delle 
ICT 
nella 
riduzione 
dell’inefficienza 
delle 
procedure 
di 
affidamento troviamo la 
normativa 
europea 
e 
italiana 
degli 
ultimi venti anni. 

Le 
numerose 
riforme 
in materia, che 
hanno più volte 
modificato la 
disciplina 
di 
settore 
negli 
ultimi 
anni 
sono 
connesse 
tra 
di 
loro 
da 
un 
filo 
conduttore 
comune: 
ossia, la 
spinta 
verso la 
“digitalizzazione” 
della 
procedura 
di 
aggiudicazione. 


Lo 
Stato 
italiano 
è 
stato 
precursore 
nel 
settore 
delle 
gare 
elettroniche: 
già 
nel 
2000 
il 
Consiglio 
dei 
ministri 
adottò 
il 
Piano 
Nazionale 
per 
l’e-Government 
che 
al 
punto n. 12 (Azione 
12 con un richiamo alla 
legge 
finanziaria 
del 
2000 


L. n. 488/1999) pose 
le 
basi 
per la 
realizzazione 
di 
un sistema 
elettronico di 
approvvigionamento. 
Il 
sistema 
si 
fondava 
su 
due 
pilastri 
importanti: 
la 
pubblicazione 
dei 
bandi 
di 
gara 
per via 
telematica, così 
da 
permettere 
a 
un maggior numero di 
privati 
di 
averne 
conoscenza, e 
l’attivazione 
di 
un’asta 
telematica 
permanente 
in cui 
domanda 
e 
offerta 
potessero incontrarsi 
in tempo reale, garantendo alla 
Pubblica 
Amministrazione le migliori condizioni contrattuali. 

Successivamente 
intervennero 
le 
direttive 
europee 
2004/17/CE 
e 
2004/18/CE 
(dette 
direttive 
di 
terza 
generazione) che, rispettivamente 
ai 
considerando 
nn. 13 e 
21, evidenziavano la 
necessità 
di 
creare 
una 
procedura 
di 
affidamento 
elettronica 
al 
passo 
con 
lo 
sviluppo 
tecnologico 
dei 
Paesi 
europei, 
con l’obiettivo di 
gestire 
in maniera 
ottimale 
le 
risorse 
dell’Amministrazione. 

Nello 
specifico, 
la 
Direttiva 
2004/18/CE 
promuoveva 
l’utilizzo 
delle 
tecnologie 
dell’informazione 
nell’ambito 
degli 
appalti, 
introducendo 
una 
serie 
di 
tecniche 
di 
acquisto elettronico quali 
il 
Sistema 
Dinamico di 
Acquisizione, le 
aste elettroniche e i cataloghi elettronici. 

Tali 
direttive 
furono recepite 
in Italia 
con il 
primo Codice 
dei 
Contratti 
Pubblici 
(D.lgs. 12 aprile 
2006 n. 163), il 
quale 
prevedeva, tra 
l’altro, la 
pubblicazione 
dei 
bandi 
e 
degli 
avvisi 
di 
gara 
in 
rete, 
nonché 
la 
trasmissione 
degli 
stessi 
mediante 
procedura 
elettronica 
alla 
Commissione 
Europea, 
il 
ricorso 



rASSEGNA 
AvvOCATurA 
DELLO 
STATO -N. 2/2023 


all’asta 
elettronica 
come 
strumento per l’aggiudicazione 
di 
contratti 
che 
non 
avessero 
ad 
oggetto 
prestazioni 
intellettuali 
e 
l’istituzione 
del 
sistema 
dinamico 
di acquisizione. 


Più di 
recente, nel 
2014, sono state 
adottate 
dall’unione 
Europea 
le 
direttive 
di 
c.d. “quarta 
generazione” 
(2014/23/uE 
sui 
contratti 
di 
concessione, 
2014/24/uE 
sugli 
appalti 
nei 
settori 
ordinari 
e 
2014/25/uE 
sugli 
appalti 
nei 
settori 
speciali) 
che 
prevedono 
l’utilizzo 
dei 
mezzi 
telematici 
e 
informatici 
come 
strumenti 
ordinari 
del 
processo di 
aggiudicazione 
dei 
contratti 
pubblici. 


Queste 
direttive, oltre 
ad affinare 
ed estendere 
l’ambito di 
applicazione 
dei 
vecchi 
strumenti, 
quali 
aste 
elettroniche, 
i 
cataloghi 
elettronici 
e 
il 
Sistema 
Dinamico di 
Acquisizione, introducono nuovi 
elementi 
quali 
il 
Documento di 
gara unico Europeo o il registro Online dei Certificati (e-certis). 


L’obbligo 
di 
gestire 
gli 
appalti 
mediante 
strumenti 
elettronici 
deve 
essere 
introdotto 
in 
maniera 
graduale 
nel 
nostro 
ordinamento 
e, 
segnatamente, 
le 
Direttive 
europee 
hanno 
previsto 
dei 
termini 
ultimi 
per 
la 
realizzazione 
degli 
obiettivi di medio termine. 

In 
particolare, 
tutti 
gli 
Stati 
membri 
avrebbero 
dovuto 
garantire: 
entro 
marzo 2016 la 
notifica 
elettronica 
dei 
bandi 
e 
degli 
avvisi 
e 
l’accesso elettronico 
ai 
documenti 
del 
bando 
di 
gara; 
entro 
marzo 
2017 
la 
presentazione 
esclusivamente 
con 
mezzi 
elettronici 
delle 
offerte 
per 
le 
centrali 
di 
committenza 
ed 
entro settembre 
2018 tale 
ultimo obbligo avrebbe 
dovuto essere 
esteso a 
tutte 
le amministrazioni aggiudicatrici. 

Le 
direttive 
sono 
state 
recepite 
nel 
nostro 
Stato 
con 
il 
D.lgs. 
18 
aprile 
2016 n. 50 che 
rafforza 
l’utilizzo delle 
ICT 
in materia 
di 
appalti 
e 
all’art. 44 
prevede 
la 
digitalizzazione 
delle 
procedure 
di 
affidamento. Tale 
articolo non 
è 
stato 
modificato 
dal 
Decreto 
Sblocca 
-Cantieri, 
ma, 
come 
sopra 
esposto, 
prevede 
la 
digitalizzazione 
della 
sola 
fase 
di 
affidamento dei 
contratti 
pubblici, 
escludendo, 
quindi, 
la 
fase 
di 
pianificazione, 
programmazione 
e 
progettazione 
e quella successiva all’aggiudicazione dell’esecuzione del contratto. 

L’Agenzia 
per l’Italia 
Digitale 
ha 
dedicato il 
punto 6 del 
Piano Triennale 
per l’Informatica 
della 
Pubblica 
Amministrazione 
2019-2021 all’e-procurement 
e 
ha 
disposto un piano di 
azione 
volto a 
realizzare 
un “quadro complessivo 
delle 
procedure 
telematiche 
di 
acquisto 
e 
di 
negoziazione 
delle 
Pa 
e 
delle 
banche 
dati 
necessarie 
al 
funzionamento dei 
processi 
di 
procurement”. A 
tal 
fine 
l’AGID 
ha, inoltre, istituito un gruppo di 
lavoro in tema 
di 
procedure 
telematiche 
di 
acquisto 
che 
ha 
prodotto 
un 
documento 
di 
supporto 
per 
la 
stesura 
del 
Decreto Ministeriale 
di 
cui 
all’art. 44 del 
già 
menzionato Codice 
dei 
Contratti 
Pubblici. 

Dall’altro lato, la 
Commissione 
Europea 
con una 
serie 
di 
Comunicazioni 
destinate 
al 
Parlamento 
Europeo 
e 
al 
Consiglio 
(COM(2012)179 
e 
COM(2017)572) ha 
più volte 
auspicato la 
realizzazione 
dei 
c.d. “appalti 
elettronici 
end to end”, ossia 
di 
una 
“procedura per 
gli 
appalti 
elettronici 
intera



LEGISLAzIONE 
ED 
ATTuALITà 


mente 
automatizzata, in cui 
tutte 
le 
fasi, dalla pubblicazione 
(e-notification) 
al pagamento (e-payment) sono effettuate per via elettronica”. 

Se 
questo 
è 
l’auspicio 
della 
Commissione 
Europea, 
occorre 
comprendere 
il 
livello 
attuale 
dell’informatizzazione 
dei 
contratti 
pubblici, 
chiarendone 
i 
profili applicativi. 

Ma 
partiamo dal 
processo di 
digitalizzazione 
c.d. “verticale” 
del 
Codice 
previgente 
D.lgs. 
50/2016 
per 
poi 
approdare 
alle 
novità 
del 
nuovo 
Codice 
D.lgs. 36/2023. 


L’art. 56 del 
previgente 
Codice 
dei 
Contratti 
pubblici 
disciplinava 
l’asta 
elettronica. Quest’ultima 
non rappresentava 
una 
vera 
e 
propria 
procedura 
di 
gara, bensì 
una 
modalità 
di 
aggiudicazione 
della 
gara 
stessa 
attuata 
con l’ausilio 
di 
un dispositivo elettronico, alla 
quale 
la 
Pubblica 
amministrazione 
poteva 
ricorrere in presenza di determinati requisiti. 


L’asta 
elettronica, 
in 
particolare, 
garantiva 
l’automatismo 
nella 
valutazione 
delle 
offerte, 
e, 
pertanto, 
era 
necessario 
che 
le 
specifiche 
tecniche 
richieste 
fossero 
individuate 
in 
maniera 
rigorosa 
in 
modo 
da 
poter 
essere 
verificate 
in via 
automatica. Questa 
procedura 
era 
idonea 
a 
soddisfare 
i 
requisiti 
di 
trasparenza, economicità 
e 
rapidità 
delle 
gare 
ed era 
volta 
ad ampliare 
il 
novero dei 
soggetti 
partecipanti 
realizzando una 
maggiore 
concorrenza. Ad 
esempio, le 
Amministrazioni 
erano obbligate 
a 
rendere 
noto in qualsiasi 
momento 
a 
ciascun 
partecipante 
la 
propria 
classificazione. 
Inoltre, 
mediante 
la 
valutazione 
numerica 
ed interamente 
automatizzata 
venivano ridotti 
i 
tempi 
di 
attesa 
e 
gli 
oneri 
in capo all’Amministrazione. Come, altresì, evidenziato 
dal 
Consiglio di 
Stato con la 
sentenza 
n. 3042/2014, le 
aste 
elettroniche, rispetto 
alle 
gare 
tradizionali, 
permettevano 
una 
maggiore 
adesione 
delle 
imprese 
“spazialmente 
distanti 
rispetto 
alla 
sede 
di 
svolgimento 
delle 
gare”, 
soprattutto grazie all’abbattimento dei costi per la partecipazione. 

Infine, dovevano essere annoverate le procedure di gara interamente gestite 
dai 
sistemi 
telematici 
di 
negoziazione: 
in questi 
casi 
i 
documenti 
di 
gara 
erano necessariamente 
documenti 
informatici 
sottoscritti 
con firma 
digitale. 
Tali 
procedure 
erano 
interamente 
gestite 
da 
una 
piattaforma 
telematica 
(ad 
esempio 
il 
MEPA), 
nel 
pieno 
rispetto 
dei 
principi 
di 
trasparenza 
e 
imparzialità. 

Il 
MEPA 
(Mercato Elettronico della 
Pubblica 
Amministrazione) consiste 
nel 
mercato digitale 
predisposto dalla 
Consip, nel 
quale 
le 
Amministrazioni 
possono 
approvvigionarsi 
dei 
beni, 
servizi, 
e 
lavori 
di 
cui 
abbisognano, 
purché 
si 
tratti 
di 
acquisti 
per 
importi 
sotto 
la 
soglia 
comunitaria 
ex 
art. 
35 
del 
Codice 
dei contratti pubblici D.lgs. 50/2016. 

La 
Consip S.p.A. è 
la 
principale 
centrale 
di 
committenza 
italiana: 
è 
una 
società 
per 
azioni 
a 
capitale 
interamente 
pubblico, 
e 
in 
particolare 
è 
interamente 
partecipata 
dal 
Ministero dell’Economia 
e 
delle 
Finanze, che 
opera 
nel 
solo interesse dello Stato. 

Giova 
precisare 
che 
nel 
caso 
del 
MEPA, 
così 
come 
accade 
per 
lo 
SDAPA, 



rASSEGNA 
AvvOCATurA 
DELLO 
STATO -N. 2/2023 


a 
differenza 
delle 
Convenzioni 
e 
degli 
Accordi 
Quadro, la 
Consip non è 
parte 
contrattuale. 
Quest’ultima 
si 
limita 
esclusivamente 
a 
fornire 
le 
piattaforme 
telematiche. 
Il 
ricorso 
al 
MEPA 
è 
previsto 
espressamente 
dall’art. 
36 
del 
Codice 
dei 
Contratti 
Pubblici 
D.lgs. 
50/2016, 
anche 
se 
l’obbligo 
per 
le 
Pubbliche 
amministrazioni 
centrali 
e 
periferiche 
dello Stato, ad esclusione 
di 
alcune 
categorie, 
di 
ricorrere 
a 
questa 
piattaforma 
di 
acquisto è 
stata 
introdotta 
fin dalla 
legge 
finanziaria 
del 
2007. In questa 
piattaforma 
telematica 
di 
negoziazione 
le 
Amministrazioni 
possono scegliere 
tra 
un’ampia 
varietà 
di 
prodotti 
offerti 
da 
fornitori 
abilitati, 
mentre 
i 
fornitori 
potranno 
abilitarsi 
per 
i 
bandi 
per 
i 
quali 
soddisfano le 
condizioni 
generali 
e 
i 
requisiti. una 
volta 
abilitati, spetta 
agli 
stessi 
pubblicare 
le 
loro 
offerte 
sulla 
piattaforma. 
Le 
PP.AA. 
che 
intendono 
acquistare 
beni 
e 
prodotti 
su tale 
mercato dovranno accedere 
alla 
vetrina 
o visitare 
il 
catalogo 
prodotti 
ed 
effettuare 
gli 
ordini. 
Inoltre, 
è 
possibile 
instaurare 
negoziazioni 
dirette 
con il 
venditore 
per ottenere 
prezzi 
e 
condizioni 
di 
fornitura 
migliorativi. L’utilizzo di 
tale 
strumento comporta 
un notevole 
risparmio 
di 
tempo per le 
Amministrazioni 
e 
garantisce 
la 
trasparenza 
e 
la 
tracciabilità 
del processo di acquisto. 

Il 
Sistema 
Dinamico 
di 
Acquisizione 
della 
Pubblica 
Amministrazione, 
analogamente 
al 
MEPA, è 
un mercato digitale 
nel 
quale 
le 
Amministrazioni 
possono effettuare 
un processo di 
acquisizione 
interamente 
elettronico. A 
differenza 
di 
quanto 
avviene 
nel 
MEPA, 
in 
questa 
piattaforma 
possono 
essere 
aggiudicati 
appalti 
per importi 
superiori 
alla 
soglia 
europea. Anche 
in questo 
la 
Consip 
pubblica 
i 
bandi 
istitutivi 
per 
le 
varie 
categorie 
merceologiche 
ai 
quali 
i 
fornitori 
possono 
abilitarsi. 
Tuttavia, 
a 
differenza 
di 
quanto 
avviene 
nel 
MEPA, le 
Amministrazioni 
pubblicano e 
aggiudicano appalti 
specifici 
e 
non 
possono 
procedere 
ad 
effettuare 
ordini 
diretti. 
Dunque, 
l’ammissione 
al 
bando 
istitutivo 
della 
Consip 
permette 
alle 
imprese 
solo 
di 
poter 
partecipare 
alla 
procedura 
di appalto specifico indetta dall’Amministrazione. 

Ma 
il 
vero 
elemento 
di 
innovatività 
è 
l’introduzione 
della 
tecnologia 
Block Chain nell’ambito delle procedure degli appalti pubblici. 

L’idea 
di 
introdurre 
la 
block-chain 
nell’ambito della 
Pubblica 
Amministrazione 
deriva 
da 
una 
serie 
di 
raccomandazioni 
adottate 
dal 
World 
Economic 
Forum 
e 
da 
una 
serie 
di 
sollecitazioni 
emerse 
dalla 
conferenza 
“anti-corruption 
& 
integrity 
forum”, organizzata 
dall’Organizzazione 
per la 
cooperazione 
e lo sviluppo economico a marzo 2019. 

Prima 
delle 
suddette 
raccomandazioni 
alcuni 
paesi 
si 
erano già 
dotati 
di 
piani anticorruzione utilizzando la tecnologia 
block-chain. 


Il 
Messico, 
ad 
esempio, 
nel 
settembre 
2017 
ha 
introdotto 
un 
progetto 
chiamato 
“Blockchian HaCKmaX”, volto a 
dare 
avvio al 
processo di 
digitalizzazione 
dell’azione 
amministrativa, 
soprattutto 
mediante 
l’introduzione 
della 
blockchain 
per risolvere 
il 
problema 
della 
dilagante 
corruzione 
nel 
settore 
dei 
contratti 
pubblici. Successivamente 
nel 
marzo 2018 il 
Messico ha 
approvato 



LEGISLAzIONE 
ED 
ATTuALITà 


la 
“ley 
para regular 
las 
instituciones 
de 
tecnologia financiera”, con la 
quale, 
tra 
l’altro, ha 
riconosciuto alle 
criptovalute 
la 
qualifica 
di 
patrimonio digitale, 
in collaborazione 
con l’unidad de 
Gobierno Digital, ossia 
l’Agenzia 
del 
Governo 
messicano che 
si 
occupa 
della 
promozione 
delle 
ICT 
nel 
settore 
della 
Pubblica 
Amministrazione. 

Questo comprova 
che 
il 
problema 
della 
lotta 
alla 
corruzione 
di 
rilevanza 
internazionale 
può 
trovare 
nella 
tecnologia 
uno 
strumento 
di 
contrasto 
altamente 
efficace. vediamo perché. 


4. Vantaggi della blockchain in materia di contratti pubblici. 
La 
blockchain 
è 
un registro distribuito (8) che 
può contenere 
varie 
informazioni 
(ad 
esempio, 
in 
materia 
appalti 
potrebbe 
contenere 
tutte 
le 
transazioni 
e 
gli 
altri 
dati 
importanti 
relativi 
ad un’azienda 
-si 
veda 
l’art. 30 del 
Nuovo 
Codice 
D.lgs. 36/2023 o l’art. 106 in materia 
di 
Polizza 
Fideiussoria 
blockchain 
per dare certezza alla garanzia fideiussoria). 

La 
peculiarità 
di 
tale 
sistema 
sta 
nel 
fatto che 
tutte 
le 
informazioni 
contenute 
nel 
registro sono immutabili 
e, nel 
momento in cui 
un soggetto introduce 
un nuovo input 
o va 
a 
modificare 
quelli 
precedenti, rimane 
traccia 
di 
tali 
operazioni sul registro. 


tracciabilità 
dell’intero 
ciclo 
della 
contrattazione 
pubblica: 
date 
le 
caratteristiche 
della 
blockchain, far sì 
che 
l’intera 
procedura 
di 
contrattazione 
pubblica 
venga 
eseguita 
mediante 
l’impiego 
di 
tale 
strumento 
andrebbe 
ad 
aumentare 
esponenzialmente 
la 
trasparenza 
dell’azione 
amministrativa. Chiunque, 
anche 
il 
semplice 
cittadino, 
potrebbe 
controllare 
la 
correttezza 
della 
procedura 
di 
affidamento ed esprimere, inoltre, un feedback 
sul 
tipo di 
contratto 
effettivamente stipulato. 


un ulteriore 
vantaggio della 
blockchain 
sta 
nel 
fatto che 
attaccare 
il 
suddetto 
sistema 
è 
quasi 
impossibile. 
Infatti, 
al 
di 
là 
dei 
costi 
eccessivi 
di 
tale 
operazione, 
ogni 
mutamento 
anomalo 
dei 
dati 
contenuti 
nel 
registro 
verrebbe 
immediatamente 
registrato, 
rendendo 
facilmente 
rintracciabili 
i 
colpevoli. 
Ciò 
in quanto la 
blockchain 
è 
composta 
da 
blocchi 
di 
codici, scritti 
mediante 
un 
linguaggio criptografico, collegati 
tra 
loro e, qualora 
si 
decida 
di 
cambiare 
il 
precedente, 
si 
dovrebbero 
cambiare 
i 
successivi. 
Inoltre, 
tale 
modifica 
dovrebbe 
essere riportata in tutti i registri tra loro collegati. 

Riduzione 
delle 
asimmetrie 
informative 
nella 
fase 
antecedente 
all’offerta: 
grazie 
ai 
registri 
condivisi, 
le 
informazioni 
verrebbero 
condivise 
con 
tutti 
i 
partecipanti 
in 
tempo 
reale. 
Così 
facendo, 
da 
un 
lato, 
si 
garantirebbe 
una 
maggiore 
partecipazione 
delle 
PMI 
alla 
fase 
dell’affidamento 
dei 
contratti 
pubblici 
e, dall’altro, verrebbero tutelati 
gli 
interessi 
delle 
pubbliche 
amministra


(8) Ossia 
i 
suoi 
contenuti 
sono condivisi 
in tempo reale 
con tutti 
i 
soggetti 
che 
hanno accesso al 
sistema. 

rASSEGNA 
AvvOCATurA 
DELLO 
STATO -N. 2/2023 


zioni. Quest’ultime, soprattutto se 
piccole 
amministrazioni, venendo a 
conoscenza 
dell’esigenze 
delle 
altre 
potrebbero 
unirsi 
nella 
richiesta 
di 
fornitura 
dei 
servizi 
e, 
di 
conseguenza, 
aumentare 
il 
loro 
potere 
contrattuale. 
Inoltre, 
sarebbero messe 
in grado di 
conoscere 
anche 
i 
prezzi 
fatti 
alle 
altre 
pubbliche 
amministrazioni per i medesimi servizi. 

Decentralizzazione 
della fase 
della valutazione 
dell’offerta: 
l’offerta 
potrebbe 
essere 
valutata 
da 
parte 
di 
soggetti 
esterni 
alla 
P.A. 
aventi 
determinati 
requisiti 
in termini 
di 
conoscenze 
tecniche 
(9) e 
i 
cui 
dati 
sensibili 
sarebbero 
sconosciuti 
alle 
imprese. Così 
si 
garantirebbe 
una 
maggiore 
trasparenza, imparzialità, 
efficienza 
con 
una 
consequenziale 
riduzione 
dei 
processi 
corruttivi. 


Si 
ricorda 
che, ai 
sensi 
dell’art. 44 del 
Codice 
dei 
Contratti 
pubblici 
previgente 
rubricato “Digitalizzazione 
delle 
procedure”, è 
stato approvato di 
recente 
il 
D.M. 148/2021 per l’interoperabilità 
delle 
offerte 
tecniche 
al 
fine 
di 
controllare 
il 
c.d. valore 
soglia. I decreti 
semplificazione 
D.L. 76 e 
D.L. 77 
approvati 
negli 
anni 
2020 
e 
2021 
hanno 
introdotto 
dei 
forti 
incentivi 
e 
premialità 
nei 
punteggi 
per stimolare 
il 
processo di 
digitalizzazione 
che 
prevede 
uno 
sviluppo 
sempre 
più 
significativo 
del 
c.d. 
BIM 
(Building 
Information 
Modelling). 
Con 
tale 
termine 
si 
indica 
una 
metodologia 
di 
digitalizzazione 
tramite 
specifica 
piattaforma 
delle 
opere 
pubbliche 
per 
evitare 
le 
c.d. 
“varianti 
in corso d’opera” con aumento dei costi e delle c.d. “esternalità negative”. 


Occorre, 
però, 
considerare 
che 
alla 
base 
di 
tali 
tecnologie 
deve 
essere 
configurata 
e 
sviluppata 
una 
vera 
e 
propria 
“strategia digitale”, attraverso la 
formazione 
ed 
il 
potenziamento 
della 
figura 
del 
manager 
per 
l’innovazione 
tecnologica che 
esalti 
il 
profilo della 
scienza 
dell’organizzazione 
nei 
processi 
produttivi sia per la Pubblica 
Amministrazione che per le imprese private. 

Di 
tale 
necessità 
si 
è 
fatto interprete, di 
recente, il 
legislatore 
italiano che 
con 
l’art. 
1, 
commi 
228, 
230 
e 
231 
della 
legge 
145/2018 
(legge 
di 
bilancio 
2019) ha, -con successivo decreto del 
Ministero dello Sviluppo Economico 
del 
7 maggio 2019 e 
consequenziale 
decreto direttoriale 
del 
29 luglio 2019 -, 
introdotto 
la 
figura 
del 
Manager 
per 
l’Innovazione, 
prevedendo, 
attraverso 
una 
tecnica 
premiale 
nell’ambito del 
Piano Nazionale 
Impresa 
4.0., finanziamenti 
alle 
imprese 
che 
si 
avvalgono di 
qualificate 
figure 
professionali 
idonee 
ad attivare 
e 
supportare 
il 
processo 
di 
innovazione 
tecnologica. 
I 
settori 
volti 
a 
creare 
tale 
dinamismo 
economico 
sono 
i 
più 
vari: 
big 
data, 
cloud, 
fog,e 
quantum 
computing, cyber 
security, integrazione 
delle 
tecnologie 
della 
Next 
Production 
revolution 
(NPr), 
prototipazione 
rapida, 
robotica 
avanzata 
e 
collaborativa, 
interfaccia 
uomo-macchina, 
integrazione 
e 
sviluppo 
digitale 
dei 
processi 
aziendali, 
programmi 
di 
digital 
marketing 
legati 
al 
c.d. 
Branding, 
programmi 
di 
open 
innovation, 
strumenti 
di 
finanza 
alternativa 
e 
digitale 
come 
l’equity crowdfunding 
e l’invoice financing. 


(9) Si v. artt. 230 e 231 della legge n. 145/2018 (legge di bilancio 2019). 

LEGISLAzIONE 
ED 
ATTuALITà 


L’innovazione 
tecnologica 
richiede, dunque, formazione 
e 
strategia, affinché 
si 
possa 
valorizzare 
l’expansion of 
capabilities, lo sviluppo dei 
talenti, 
attraverso l’educazione 
al 
pensiero strategico volto a 
realizzare 
uno sviluppo 
sostenibile per il benessere dell’uomo e dell’ambiente. 

Il 
diritto, insieme 
alla 
scienza 
dell’organizzazione, nella 
complessità 
del 
fenomeno in corso diviene 
uno degli 
strumenti 
essenziali 
per la 
realizzazione 
di 
un dinamismo evolutivo che 
veda 
l’uomo non sottomesso alla 
Digital 
Domination, 
ma protagonista attivo e consapevole delle proprie scelte future. 


5. 
Cosa 
cambia 
con 
il 
Nuovo 
Codice 
dei 
Contratti 
pubblici 
D.lgs. 
36/2023 
dal 
1 gennaio 2024 con il nuovo concetto di “ciclo di vita del Contratto” 
? 
Dal 
1 
gennaio 
2024 
entrano 
in 
vigore 
le 
disposizioni 
della 
parte 
II 
del 
Libro 
I 
del 
Nuovo 
Codice 
dei 
Contratti 
Pubblici 
D.lgs. 
36/2023: 
tale 
mese 
segna 
il 
passaggio evolutivo dall’enunciazione 
dei 
principi 
ricognitivi 
ed innovativi 
contenuti 
nei 
primi 
18 articoli 
(principio del 
risultato, della 
fiducia, 
dell’accesso 
al 
mercato, 
intesi 
come 
metanorme 
con 
funzione 
normogenetica) 
alle regole operative. 


E 
qui 
si 
affacciano 
le 
prime 
problematiche, 
perché 
nessuna 
proroga 
è 
stata 
prevista 
nel 
Milleproroghe 
2024, 
ossia 
all’interno 
del 
Decreto 
Legge 
30 
dicembre 
2023 
n. 
215 
recante 
“Disposizioni 
Urgenti 
in 
materia 
di 
termini 
normativi”. 
Il 
legislatore 
giustamente 
ha 
voluto 
dare 
una 
spinta 
in 
avanti, 
cercando 
di 
dare 
termini 
precisi 
per 
avviare 
il 
“reale 
processo 
di 
digitalizzazione” 
che 
si 
prospetta 
diverso 
dalla 
mera 
“informatizzazione”. 
Il 
nuovo 
Milleproroghe 
è 
arrivato, 
infatti, 
proprio 
a 
ridosso 
dell’operatività 
della 
Parte 
II, 
Libro 
I 
del 
Nuovo 
Codice 
dei 
contratti 
pubblici 
che 
a 
partire 
dal 
1 
gennaio 
2024 
ha 
davvero 
innovato 
il 
mondo 
degli 
appalti 
pubblici 
e 
che 
può 
essere 
definita 
certamente 
la 
sfida 
più 
ambiziosa: 
la 
digitalizzazione 
del 
ciclo 
di 
vita 
dei 
contratti 
pubblici. 
una 
sfida 
cui 
il 
“sistema 
Italia” 
ha 
avuto 
9 
mesi 
di 
gestazione 
per 
consentire 
alle 
pubbliche 
amministrazioni 
di 
garantire 
l’esercizio 
dei 
diritti 
di 
cittadinanza 
digitale 
e 
operare 
secondo 
i 
principi 
di 
neutralità 
tecnologica, 
di 
trasparenza, 
nonché 
di 
protezione 
dei 
dati 
personali 
e 
di 
sicurezza 
informatica. 
I 
mesi 
potrebbero 
sembrare 
pochi, 
ma 
come 
si 
è 
cercato 
di 
descrivere 
nei 
precedenti 
paragrafi, 
si 
è 
cominciato 
a 
parlare 
di 
digitalizzazione 
già 
con 
il 
D.lgs. 
n. 
50/2016 
con 
un 
progetto 
di 
riforma 
che 
non 
è 
diventato 
operativo. 
È, 
dunque, 
cominciata 
la 
nuova 
era 
della 
digitalizzazione 
dei 
contratti 
pubblici 
da 
cui, 
inevitabilmente, 
non 
si 
potrà 
più 
tornare 
indietro 
nonostante 
le 
problematiche 
e 
criticità 
che 
stanno 
investendo 
tutto 
il 
comparto 
in 
questa 
prima 
fase 
di 
“start 
up”. 


Le 
due 
principali 
criticità 
riguardano: 
1) 
Affidamenti 
diretti 
di 
importo 
inferiore 
a 
5000 
euro 
e 
2) 
Le 
Piattaforme 
di 
Approvvigionamento 
Digitale 
che 
costituiscono il 
presupposto per la 
c.d. “qualificazione 
della 
stazione 
appaltante”, 
oggi circa 3000. 

relativamente 
agli 
affidamenti 
diretti 
di 
importo inferiore 
a 
5000 euro, 



rASSEGNA 
AvvOCATurA 
DELLO 
STATO -N. 2/2023 


l’ANAC è 
già 
intervenuta 
con il 
comunicato del 
10 gennaio 2024 contenente 
le 
indicazioni 
di 
carattere 
transitorio sull’utilizzo delle 
piattaforme 
certificate 
fino al 30 settembre 2024. 


Il 
nuovo 
Codice 
è 
strettamente 
incentrato 
sull’operatività 
delle 
Piattaforme 
Certificate 
da 
Agid 
che 
definiscono 
dei 
nuovi 
modelli 
organizzativi 
della 
domanda 
pubblica 
attraverso sistemi 
dinamici, gare 
aggregate 
c.d. joint 
procurement 
per 
realizzare 
quella 
che 
è 
definita 
la 
net.o.industry, 
l’ecosistema 
digitale 
dei 
contratti 
pubblici 
richiamato anche 
dal 
Digital 
Compass 
a livello europeo. 


Cambia 
cosa 
si 
compra, 
come 
si 
compra, 
da 
chi 
si 
compra 
nell’ottica 
di 
uno 
sviluppo 
sostenibile 
e 
di 
giustizia 
sociale. 
Le 
piattaforme 
pubbliche 
certificate 
sono 
la 
sfida 
più 
rilevante 
del 
nuovo 
codice 
con 
piena 
tracciabilità 
delle 
operazioni 
di 
aggiudicazione, 
esecuzione 
e 
pagamento. 
Tra 
P.A. 
e 
operatore 
economico 
si 
dovrà 
realizzare 
una 
“fiducia 
digitale”, 
in 
termini 
di 
accordo 
collaborativo 
win-win, 
c.d. 
“fairworking 
alliance” 
quale 
causa 
qualificante 
del 
contratto 
pubblico, 
superando 
la 
c.d. 
caccia 
all’errore. 


È 
rilevante 
notare 
che 
si 
configura 
un 
danno 
erariale 
per 
il 
dirigente 
pubblico 
che 
non consentirà 
l’interoperabilità 
delle 
banche 
dati 
con l’introduzione 
del 
Fascicolo 
virtuale 
degli 
operatori 
economici 
(artt. 
22-24 
del 
Nuovo 
Codice 
c.d. 
Ecosistema 
Nazionale 
dell’approvigionamento 
digitale), 
fascicolo che 
consentirà 
all’operatore 
di 
inserire 
una 
sola 
volata 
i 
documenti 
necessari, 
realizzando 
il 
c.d. 
Digital 
identity 
Wallet 
previsto 
anche 
a 
livello 
europeo. 
Si 
realizza 
una 
fiducia 
digitale 
c.d. 
trustworthy 
per 
una 
tecnologia 
che 
diventa 
“abilitante” 
in 
un’ottica 
prospettica 
non 
solo 
dal 
punto 
di 
vista 
della 
domanda, ma 
anche 
dell’offerta 
innestando dei 
meccanismi 
virtuosi. È 
una 
fiducia 
più elevata 
che 
va 
oltre 
la 
c.d. “fiducia 
temperata” 
contenuta 
negli 
istituti 
del 
soccorso istruttorio, dell’inversione 
procedimentale 
e 
dell’autocertificazione. 
Si 
pensi 
al 
nuovo art. 109 del 
Nuovo Codice 
relativo alla 
reputazione 
dell’impresa 
con 
verifica 
costante 
della 
performance 
nella 
fase 
di 
esecuzione 
del 
contratto 
con 
monitoraggio 
digitale 
delle 
prestazioni: 
i 
c.d. 
pagamenti Sal con certificazioni, le penali, le varianti in corso d’opera. 

L’anac 
con 
Delibera del 
20 giugno 2023 n. 262 ha 
precisato meglio gli 
usi, 
le 
funzionalità, 
i 
controlli, 
le 
cause 
di 
esclusione 
e 
le 
procedure 
di 
selfcleaning, 
il 
concetto 
di 
riuso 
in 
tutte 
le 
procedure 
dei 
documenti 
trasmessi 
con 
un 
sistema 
di 
flusso 
di 
informazioni 
senza 
più 
oneri 
gravosi 
a 
carico 
degli 
operatori 
economici. 
Si 
pensi 
all’art. 
101 
sul 
soccorso 
istruttorio 
che 
si 
attiva 
solo 
se 
i 
documenti 
non 
risultano 
dal 
fascicolo 
virtuale, 
così 
la 
reputazione 
del-
l’impresa 
ex 
art. 
109 
diventa 
un 
elemento 
essenziale 
del 
fascicolo 
virtuale 
stesso. Degno di 
nota 
è 
l’art. 99 del 
Nuovo codice 
sulle 
cause 
di 
esclusione: 
le 
informazioni 
contenute 
sempre 
nel 
fascicolo virtuale 
sono essenziali 
per la 
P.A., utile, ma non esaustivo per le cause di esclusione non automatica. 


LEGISLAzIONE 
ED 
ATTuALITà 


Dagli 
operatori 
economici 
in 
questi 
due 
mesi 
stanno 
provenendo 
altre 
ulteriori 
istanze di semplificazione. 

Ad 
esempio, 
imporre 
all’ANAC 
l’implementazione 
di 
una 
piattaforma 
di 
rilascio 
del 
Codice 
Identificativo 
di 
Gara 
CIG 
che 
richieda 
solo 
le 
minime 
informazioni 
necessarie 
per 
“tracciare” 
l’affidamento 
e 
i 
relativi 
pagamenti 
(oggetto, 
settore, 
importo, 
contraente); 
stabilire 
che 
la 
richiesta 
del 
CIG 
possa 
essere 
effettuata 
dal 
responsabile 
unico 
del 
Progetto 
(ruP), 
dal 
responsabile 
per 
la 
fase 
di 
affidamento 
o 
da 
un 
loro 
delegato; 
limitare 
le 
esigenze 
di 
trasparenza 
e 
di 
trasmissione 
di 
informazioni 
ad 
Anac 
alle 
sole 
informazioni 
già 
trasmesse 
in 
fase 
di 
rilascio 
del 
CIG 
eliminando, 
quindi, 
la 
necessità 
di 
compilare 
successive 
schede 
ed 
informazioni 
(data 
di 
inizio, 
fine, 
somme 
liquidate, 
ecc.); 
salva 
diversa 
scelta 
della 
stazione 
appaltante, 
limitare 
l’attività 
di 
verifica 
del 
possesso 
dei 
requisiti 
di 
ordine 
generale 
unicamente 
a 
quelli 
di 
immediato 
riscontro 
(regolarità 
contributiva, 
fallimento, 
liquidazione, 
casellario 
ANAC, 
ecc.). 


La 
delibera 
anac 
n. 
601 
del 
19 
dicembre 
2023 
ha, 
infatti, 
apportato 
modifiche 
e 
integrazioni 
alla 
delibera 
n. 262 del 
20 giugno 2023, focalizzandosi 
meglio sulla trasparenza dei contratti pubblici. 

Inizialmente, 
il 
provvedimento 
aveva 
identificato 
gli 
atti, 
le 
informazioni, 
e 
i 
dati 
relativi 
al 
ciclo 
di 
vita 
dei 
contratti 
pubblici 
soggetti 
a 
trasparenza. 
Con 
la 
nuova 
delibera, l’Autorità 
fornisce 
ulteriori 
dettagli 
e 
chiarezza 
sulle 
modalità 
di 
adempimento 
di 
tali 
obblighi 
di 
pubblicazione. 
Il 
provvedimento 
identifica 
gli 
atti, 
le 
informazioni 
e 
i 
dati 
relativi 
al 
ciclo 
di 
vita 
dei 
contratti 
pubblici 
soggetti 
a 
trasparenza, 
come 
richiesto 
dall’articolo 
37 
del 
decreto 
trasparenza 
D.lgs. n. 33/13, dall’art. 1 co. 32 della 
Legge 
190/12 e 
dall’articolo 
28 del 
Nuovo Codice 
dei 
Contratti 
pubblici. Tali 
obblighi 
si 
applicano a 
tutte 
le 
stazioni 
appaltanti 
ed enti 
concedenti 
rientranti 
nell’ambito soggettivo del 
decreto 
trasparenza. 
Per 
adempiere 
agli 
obblighi 
di 
pubblicazione 
dei 
contratti 
pubblici, le 
stazioni 
appaltati 
e 
gli 
enti 
concedenti 
devono comunicare 
tempestivamente 
alla 
BDNCP 
(Banca 
Dati 
nazionale 
dei 
Contratti 
Pubblici) 
tutti 
i 
dati 
e 
le 
informazioni 
specificati 
nell’articolo 10 del 
provvedimento. La 
trasmissione 
avviene 
attraverso le 
piattaforme 
di 
approvvigionamento digitale 
e 
i dati sono consultabili tramite la PCP. 

Le 
stazioni 
appaltanti 
e 
gli 
enti 
concedenti 
devono anche 
inserire 
un 
collegamento 
ipertestuale 
sulla 
propria 
sezione 
“amministrazione 
trasparente” 
che 
rimandi 
ai 
dati 
completi 
nella 
BDnCP, 
garantendo 
così 
trasparenza 
sull’intera procedura contrattuale, dall’avvio all’esecuzione. 


La 
pubblicazione 
dei 
dati 
e 
delle 
informazioni 
relative 
ai 
contratti 
pubblici 
è 
soggetta 
a 
rigidi 
criteri 
di 
qualità, al 
fine 
di 
garantire 
un accesso informativo 
adeguato. Questi 
criteri 
sono: 
l’integrità, l’aggiornamento costante, completezza, 
tempestività, 
semplicità 
di 
consultazione, 
comprensibilità, 
omogeneità, 
facile 
accessibilità, 
conformità 
ai 
documenti 
originali, 
indicazione 
della provenienza, riutilizzabilità. 


rASSEGNA 
AvvOCATurA 
DELLO 
STATO -N. 2/2023 


riguardo 
alla 
durata 
della 
pubblicazione, 
il 
decreto 
trasparenza 
stabilisce 
che 
le 
informazioni 
devono rimanere 
accessibili 
per 
almeno cinque 
anni, 
garantendo una 
periodica 
disponibilità 
delle 
informazioni 
anche 
a 
distanza 
di 
tempo dall’esecuzione 
del 
contratto. Ciò contribuisce 
a 
mantenere 
la 
tracciabilità 
e 
la 
consultabilità 
delle 
informazioni 
nel 
lungo periodo, promuovendo 
la responsabilità e la trasparenza nel settore dei contratti pubblici. 

Qualora 
le 
informazioni 
relative 
ai 
contratti 
pubblici 
non 
siano 
pubblicate 
conformemente 
alle 
disposizioni 
stabilite, 
si 
attua 
la 
disciplina 
sull’accesso 
civico 
semplice. 
La 
richiesta 
è 
presentata 
al 
Responsabile 
per 
la 
Prevenzione 
della 
Corruzione 
e 
la 
trasparenza 
(RPCt) 
della 
stazione 
appaltante 
o 
del-
l’ente 
concedente. 
Il 
rPCT 
è 
il 
punto 
di 
riferimento 
per 
la 
gestione 
delle 
richieste 
di 
accesso 
e 
verifica 
dell’adempimento 
degli 
obblighi 
di 
pubblicazione. 


L’accesso civico generalizzato 
è 
un ulteriore 
strumento che 
permette 
ai 
cittadini 
di 
richiedere 
informazioni 
anche 
dopo la 
conclusione 
del 
periodo di 
pubblicazione 
obbligatoria. Le 
stazioni 
appaltanti 
sono tenute 
a 
conservare 
e 
rendere 
disponibili 
le 
richieste 
di 
accesso civico generalizzato in conformità 
con l’art. 35 del 
nuovo Codice 
che 
ha 
recepito l’orientamento giurisprudenziale 
dell’Adunanza plenaria n. 10/2020. 

Occorre 
considerare 
che 
l’art. 19 comma 
3 prevede 
che 
le 
informazioni 
e 
i 
dati 
dei 
procedimenti 
digitali 
“sono 
gestiti 
e 
resi 
fruibili 
in 
formato 
aperto”. 
Occorre 
chiedersi 
se 
la 
violazione 
di 
tali 
norme 
comporterà 
l’illegittimità 
del-
l’atto o se 
piuttosto la 
suddetta 
violazione 
comporterà 
la 
sola 
responsabilità 
del 
funzionario e 
della 
stazione 
appaltante 
che 
abbiano utilizzato una 
piattaforma 
non conforme. 

Per realizzare 
tale 
lawfulness 
by 
design and by 
default 
è, comunque, fondamentale 
che 
le 
stazioni 
appaltanti 
e 
gli 
enti 
concedenti 
individuino chiaramente 
i 
soggetti 
responsabili 
della 
comunicazione 
e 
pubblicazione 
delle 
informazioni. Tale 
obbligo è 
cruciale 
per garantire 
un’efficace 
adempimento 
degli 
obblighi 
e 
per assicurare 
la 
responsabilità 
nella 
gestione 
delle 
informazioni 
relative ai contratti pubblici. 

Occorre, dunque, tener presente tale schema: 


1) 
Individuazione dei soggetti responsabili; 
2) 
Piani 
di 
programmazione 
delle 
misure 
di 
Prevenzione 
della Corruzione 
e 
della trasparenza, quali 
strumenti 
strategici 
attraverso i 
quali 
le 
stazioni 
appaltanti 
e 
gli 
enti 
concedenti 
stabiliscono le 
misure 
per 
prevenire 
la 
corruzione 
e 
promuovere 
la 
trasparenza 
nel 
contesto 
dei 
contratti 
pubblici; 
3) 
Ruolo chiave 
nella Prevenzione 
della Corruzione 
e 
trasparenza: 
l’inclusione 
delle 
responsabilità 
relative 
alla 
comunicazione 
e 
pubblicazione 
nei 
Piani 
di 
Programmazione 
delle 
Misure 
di 
Prevenzione 
della 
Corruzione 
e 
della 
Trasparenza 
sottolinea 
l’importanza 
di 
tali 
aspetti 
nel 
promuovere 
pratiche 
etiche e trasparenti. 

LEGISLAzIONE 
ED 
ATTuALITà 


Sappiano, però, che 
la 
norma 
ha 
bisogno di 
sanzioni 
in caso di 
sua 
inosservanza 
e 
occorre 
considerare 
le 
sanzioni 
amministrative 
pecuniarie 
che 
possono 
variare 
da 
500 
a 
10.000 
euro 
secondo 
quanto 
previsto 
dal 
Decreto 
Legge 


n. 179/2012. Non vi 
possono essere 
norme 
“senza 
spada” 
, anche 
se 
S. Tommaso 
attribuiva alle regole una funzione più orientativa che coercitiva. 
L’analisi 
sintetica 
di 
tale 
ultima 
delibera 
dell’Anac 
pone 
in evidenza 
che 
dal 
1 
gennaio 
2024 
occorre 
immettersi 
nelle 
c.d. 
“specifiche 
tecniche”, 
occorre 
“sporcarsi 
le 
mani”, passare 
dall’enunciazione 
dei 
principi 
alla 
concreta 
operatività 
delle 
regole. Per i 
giuristi 
si 
affaccia 
una 
grande 
sfida, ossia 
quella 
di 
conciliare 
la 
propria 
formazione 
giuridica 
con 
una 
formazione 
tecnica 
sempre 
più dettagliata. Il 
Ministro dell’università 
A. Bernini, all’inaugurazione 
del-
l’anno 
accademico 
dell’università 
Lumsa 
di 
roma, 
ha 
affermato 
che 
oggi 
dobbiamo adeguarci 
a 
ciò che 
sostengono i 
botanici 
“Il 
genio è 
nell’ibridazione, 
ossia nella contaminazione dei saperi”. 


Bibliografia 

AuBy, J.B. 
(2018), Le 
droit 
administratif 
face 
aux 
défis 
du numérique, L’actualité 
Juridique 
Droit 
administratif, 15, 835-844. 
BOCCIA, 
C., 
CONTESSA, 
C., 
DE 
GIOvANNI, 
E. 
(2018), 
Codice 
dell'amministrazione 
digitale: 
(D.lgs. 7 marzo 2005, n. 82 commentato e 
annotato per 
articolo. aggiornato al 
D.lgs. 13 dicembre 
2017, n. 217). Con una guida operativa al Codice, La 
Tribuna. 
CAvALLArO, M.C., SMOrTO, G. 
(2019), Decisione 
pubblica e 
responsabilità dell’amministrazione 
nella società dell’algoritmo, Federalismi.it, 16. 
CIvITArESE 
MATTEuCCI, S., TOrChIO, L. 
(2016), La tecnificazione, Firenze university Press. 
DEODATI, M. 
(2017), il nuovo procedimento amministrativo digitale, Maggioli. 
SChwAB, K. (2016), La quarta rivoluzione industriale, FrancoAngeli, Milano. 



rASSEGNA 
AvvOCATurA 
DELLO 
STATO -N. 2/2023 


La dimensione giuridica dell’istruzione e del merito: 
i principi basilari per lo sviluppo dell’Italia 


Gaetana Natale* 
Sara Cardarelli** 


Il 
grado di 
civiltà 
di 
un paese 
è 
dato dal 
grado di 
istruzione 
della 
sua 
popolazione. 
L’istruzione 
rappresenta 
il 
pilastro su cui 
costruire 
una 
società 
democratica 
in cui 
i 
cittadini, sviluppando specifiche 
competenze 
professionali, 
siano sempre 
più consapevoli 
dei 
loro diritti 
e 
doveri. Sulla 
base 
di 
tale 
principio 
l’ONu 
con 
l’obiettivo 
4 
dell’Agenda 
2030 
mira 
a 
garantire 
un’istruzione 
di 
qualità 
inclusiva 
ed equa 
e 
promuovere 
opportunità 
di 
apprendimento continuo 
per tutti. Questo obiettivo, considerando il 
processo di 
apprendimento 
un processo non statico, ma 
dinamico, mira 
a 
realizzare 
un punto di 
contatto 
tra 
istruzione 
di 
base 
e 
formazione 
professionale, 
ponendo 
l’accento 
sull’equità 
e 
sulla 
qualità 
dell’istruzione 
in 
un’ottica 
di 
apprendimento 
che 
si 
estenda 
lungo tutto l’arco della vita. 

L’Obiettivo 4 ha il seguente tenore: 


“obiettivo 4. Fornire 
un’educazione 
di 
qualità, equa ed inclusiva, e 
opportunità 
di apprendimento per tutti 


4.1 Garantire 
entro il 
2030 ad ogni 
ragazza e 
ragazzo libertà, equità e 
qualità nel 
completamento dell’educazione 
primaria e 
secondaria che 
porti 
a 
risultati di apprendimento adeguati e concreti 
4.2 Garantire 
entro il 
2030 che 
ogni 
ragazza e 
ragazzo abbiano uno sviluppo 
infantile 
di 
qualità, ed un accesso a cure 
ed istruzione 
pre-scolastiche 
così da essere pronti alla scuola primaria 
4.3 Garantire 
entro il 
2030 ad ogni 
donna e 
uomo un accesso equo ad 
un’istruzione 
tecnica, professionale 
e 
terziaria -anche 
universitaria -che 
sia 
economicamente vantaggiosa e di qualità 
4.4 
aumentare 
considerevolmente 
entro 
il 
2030 
il 
numero 
di 
giovani 
e 
adulti 
con competenze 
specifiche 
-anche 
tecniche 
e 
professionali 
-per 
l’occupazione, 
posti di lavoro dignitosi e per l’imprenditoria 
4.5 
Eliminare 
entro 
il 
2030 
le 
disparità 
di 
genere 
nell’istruzione 
e 
garantire 
un accesso equo a tutti 
i 
livelli 
di 
istruzione 
e 
formazione 
professionale 
delle 
categorie 
protette, tra cui 
le 
persone 
con disabilità, le 
popolazioni 
indigene 
ed i bambini in situazioni di vulnerabilità 
4.6 Garantire 
entro il 
2030 che 
tutti 
i 
giovani 
e 
gran parte 
degli 
adulti, 
(*) Avvocato dello Stato, Professore 
di 
Sistemi 
Giuridici 
Comparati 
e 
Presidente 
del 
Collegio dei 
revisori 
dei Conti della Scuola Superiore Meridionale. 
(**) 
Dottoressa 
in 
Giurisprudenza, 
ammessa 
alla 
pratica 
forense 
presso 
l’Avvocatura 
Generale 
dello 
Stato. 



LEGISLAzIONE 
ED 
ATTuALITà 


sia uomini 
che 
donne, abbiano un livello di 
alfabetizzazione 
ed una capacità 
di calcolo 

4.7 
Garantire 
entro 
il 
2030 
che 
tutti 
i 
discenti 
acquisiscano 
la 
conoscenza 
e 
le 
competenze 
necessarie 
a promuovere 
lo sviluppo sostenibile, anche 
tramite 
un’educazione 
volta ad uno sviluppo e 
uno stile 
di 
vita sostenibile, ai 
diritti 
umani, alla parità di 
genere, alla promozione 
di 
una cultura pacifica e 
non 
violenta, 
alla 
cittadinanza 
globale 
e 
alla 
valorizzazione 
delle 
diversità 
culturali e del contributo della cultura allo sviluppo sostenibile 
4.a 
Costruire 
e 
potenziare 
le 
strutture 
dell’istruzione 
che 
siano 
sensibili 
ai 
bisogni 
dell’infanzia, 
alle 
disabilità 
e 
alla 
parità 
di 
genere 
e 
predisporre 
ambienti 
dedicati 
all’apprendimento 
che 
siano 
sicuri, 
non 
violenti 
e 
inclusivi 
per 
tutti 
4.b 
Espandere 
considerevolmente 
entro 
il 
2020 
a 
livello 
globale 
il 
numero 
di 
borse 
di 
studio 
disponibili 
per 
i 
paesi 
in 
via 
di 
sviluppo, 
specialmente 
nei 
paesi 
meno 
sviluppati, 
nei 
piccoli 
stati 
insulari 
e 
negli 
stati 
africani, 
per 
garantire 
l’accesso 
all’istruzione 
superiore 
-compresa 
la 
formazione 
professionale, 
le 
tecnologie 
dell’informazione 
e 
della 
comunicazione 
e 
i 
programmi 
tecnici, 
ingegneristici 
e 
scientifici 
-sia 
nei 
paesi 
sviluppati 
che 
in 
quelli 
in 
via 
di 
sviluppo 
4.c 
aumentare 
considerevolmente 
entro il 
2030 la presenza di 
insegnanti 
qualificati, anche 
grazie 
alla cooperazione 
internazionale, per 
la loro attività 
di 
formazione 
negli 
stati 
in via di 
sviluppo, specialmente 
nei 
paesi 
meno sviluppati 
e i piccoli stati insulari in via di sviluppo”. 
Dalla 
lettura 
di 
tale 
Obiettivo 
occorre 
chiedersi 
che 
tipo 
di 
concetto 
di 
educazione e di istruzione è concepito a livello internazionale? 


La 
Svizzera, 
rispetto 
ad 
altri 
Paesi, 
vanta 
una 
struttura 
particolarmente 
avanzata, 
sia 
dal 
punto 
di 
vista 
della 
formazione 
professionale 
(sistema 
duale) 
sia 
per quanto concerne 
l’istruzione 
di 
base 
(governance 
decentralizzata, sistema-
passerella, bilinguismo). Attraverso i 
suoi 
aiuti, la 
Svizzera 
lavora 
a 
favore 
dell’accesso 
a 
un’istruzione 
di 
qualità 
per 
tutti 
e 
rinsalda 
il 
legame 
tra 
istruzione 
di 
base, 
formazione 
professionale 
e 
integrazione 
socio-professionale 
con l’obiettivo di 
migliorare, in prospettiva, lo sviluppo economico e 
sociale. 


In Italia 
l’art. 34 Costituzione 
(c.d. Grundnorm, norma 
fondamentale), 
nel 
ribadire 
che 
la 
cultura 
(dal 
latino 
“colere” 
coltivare) 
è 
un 
valore 
fondamentale 
dell’ordinamento 
repubblicano, 
sancisce 
specificamente 
il 
diritto 
allo 
studio e 
regola 
le 
condizioni 
per renderlo effettivo nel 
rispetto del 
principio 
che 
la 
scuola 
è 
aperta 
a 
tutti 
e 
che 
l’istruzione 
obbligatoria 
è 
gratuita 
(1). 
Compito 
della 
repubblica 
nelle 
vesti 
di 
Kulturstaad 
(termine 
tedesco che 
indica 
lo Stato libero di 
cultura) è 
di 
promuovere 
l’istruzione: 
una 
vera 
democrazia, 


(1) L’articolo 34 della Costituzione sancisce che “La scuola è aperta a tutti. 
L’istruzione inferiore, impartita per almeno otto anni, è obbligatoria e gratuita. 
i capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi. 
La repubblica rende 
effettivo questo diritto con borse 
di 
studio, assegni 
alle 
famiglie 
ed altre 
provvidenze, 
che devono essere attribuite per concorso”. 

rASSEGNA 
AvvOCATurA 
DELLO 
STATO -N. 2/2023 


infatti, 
necessita 
di 
cittadini 
liberi 
e 
ben 
istruiti 
che 
siano 
in 
grado 
di 
elaborare 


il 
c.d. 
pensiero 
critico. 
Curare, 
organizzare 
e 
diffondere 
la 
formazione 
culturale 
e 
civile 
di 
un popolo significa 
garantire 
la 
continuazione 
e 
la 
qualità 
della 
libertà 
e 
della 
democrazia. 
Istruire 
significa 
anche 
formare 
plurime 
competenze 
sia 
umanistiche 
che 
tecniche 
all’interno 
della 
società 
attraverso 
un 
binomio 
indissolubile 
tra 
scuola 
e 
formazione 
professionale 
che 
risponda 
ai 
bisogni 
concreti 
della 
collettività. Ciò è 
facilmente 
deducibile 
dall’etimologia 
del 
termine 
“educare” 
dal 
latino 
“ex 
ducere”, 
ossia 
tirare 
fuori 
le 
potenzialità 
di 
ogni 
individuo che 
secondo le 
proprie 
qualità 
e 
doti 
contribuisce 
al 
benessere 
di 
un 
paese. 
Già 
nell’antica 
roma 
Quintiliano 
esaltava 
il 
valore 
educativo 
della 
scuola 
come 
“comunità” 
(2), 
in 
cui 
gli 
individui 
possono 
sviluppare 
quelle 
che 
Gardner definirà 
molti 
secoli 
più tardi 
le 
c.d. “intelligenze 
multiple”: 
intelligenza 
operativa, intelligenza 
speculativa, intelligenza 
matematica, intelligenza 
sociale e intelligenza emotiva (3). 
Sul 
piano 
giuridico 
sovranazionale 
è 
importante 
ricordare 
che 
il 
diritto 
all’istruzione 
è 
garantito 
anche 
dall’art. 
14 
della 
Carta 
dei 
Diritti 
Fondamentali 
dell’unione 
europea 
(4) 
e 
che 
la 
Convenzione 
di 
new 
York 
sui 
diritti 
del 
fanciullo 
stabilisce 
nel 
diritto 
internazionale: 
gli 
Stati 
devono 
garantire 
che 
tutti 
i 
bambini 
-senza alcuna forma di 
discriminazione 
-beneficino 
di 
speciali 
misure 
di 
protezione 
e 
assistenza; 
abbiano 
accesso 
a 
servizi 
come 
l’istruzione 
e 
l’assistenza 
sanitaria, possano sviluppare 
le 
loro personalità, 
abilità e talenti al massimo potenziale. 

Sulla 
specificità 
della 
personalità 
di 
ogni 
bambino è 
di 
fondamentale 
importanza 
ricordare 
ciò che 
affermava 
durante 
il 
periodo dell’illuminismo wilhelm 
von 
humboldt 
(1767-1835), 
teorico 
politico, 
filosofo 
della 
storia, 
filologo classico, ministro dell’istruzione 
in Prussia 
e 
membro di 
delegazione 
al 
Congresso 
di 
vienna: 
se 
la 
diversità 
e 
la 
pluralità 
sono 
la 
ricchezza 
del-
l’umanità, allora 
l’educazione 
deve 
essere 
un processo di 
rafforzamento della 
soggettività, 
dell’originalità 
e 
dell’autonomia 
dell’individuo. 
È 
questa 
una 
metodologia 
di 
insegnamento 
che 
verrà 
ripresa 
da 
numerosi 
pedagogisti 
come 
Pestalozzi (5) e Montessori (6). 

(2) M.F. QuINTILIANO, institutio oratoria, I secolo d.C. 
(3) h. GArDNEr, Formae mentis. Saggio sulla pluralità dell’intelligenza, 1983. 
(4) L’articolo 14 della 
Carta 
dei 
Diritti 
Fondamentali 
dell’unione 
Europea, rubricato Diritto al-
l’istruzione, sancisce 
che 
“1. ogni 
persona ha diritto all’istruzione 
e 
all’accesso alla formazione 
professionale 
e 
continua. 
2. 
Questo 
diritto 
comporta 
la 
facoltà 
di 
accedere 
gratuitamente 
all’istruzione 
obbligatoria. 3. La libertà di 
creare 
istituti 
di 
insegnamento nel 
rispetto dei 
principi 
democratici, così 
come 
il 
diritto dei 
genitori 
di 
provvedere 
all’educazione 
e 
all’istruzione 
dei 
loro figli 
secondo le 
loro 
convinzioni 
religiose, filosofiche 
e 
pedagogiche, sono rispettati 
secondo le 
leggi 
nazionali 
che 
ne 
disciplinano 
l’esercizio”. 
(5) J.h. PESTALOzzI, Leonardo e Geltrude, 1781. 
(6) M. MONTESSOrI, La mente del bambino, 1952. 

LEGISLAzIONE 
ED 
ATTuALITà 


L’Agenda 
ONu 
2030 
con 
l’art. 
4 
rappresenta, 
dunque, 
oggi 
l’affermazione 
moderna 
di 
un diritto all’istruzione 
sempre 
più inclusivo nella 
profonda 
convinzione 
che 
“un 
bambino, 
l’insegnante, 
un 
libro 
e 
una 
penna 
possono 
cambiare 
il 
mondo”, 
nota 
frase 
di 
Malala 
yousafzai, 
premio 
Nobel 
per 
la 
pace 
nel 2012. 


Il 
diritto all’istruzione 
si 
profila, dunque, come 
un diritto fondamentale 
di 
ogni 
individuo, perché 
come 
affermava 
Albert 
Einstein “non bisogna mai 
considerare 
lo studio come 
un dovere, ma come 
un’invidiabile 
opportunità di 
imparare” (7). 


In Italia, sempre 
più numerosi 
sono i 
casi 
in cui 
la 
giurisprudenza 
è 
chiamata 
a pronunciarsi in materia di istruzione. 

A 
titolo esemplificativo, nell’agosto 2023 il 
T.a.r. Lazio si 
è 
pronunciato 
su un ricorso con il 
quale 
i 
ricorrenti 
contestavano la 
decisione 
del 
Consiglio 
dei 
docenti, del 
Consiglio di 
classe 
e 
del 
Consiglio di 
istituto che, prendendo 
atto 
di 
numerose 
insufficienze 
lievi 
ed 
una 
grave, 
non 
avevano 
ammesso 
la 
figlia 
alla 
seconda 
media 
(8). La 
pronuncia 
si 
inserisce 
in un filone 
recente 
in 
cui 
sono stati 
annullati 
numerosi 
giudizi 
del 
consiglio di 
classe 
ed ammessi 
alle 
classi 
successive 
o 
alla 
maturità 
studenti 
con 
varie 
insufficienze 
anche 
gravi. Nel 
caso di 
specie, i 
giudici 
amministrativi 
hanno infatti 
accolto il 
ricorso 
dei 
genitori, in linea 
con il 
principio più volte 
affermato dal 
Consiglio 
di 
Stato secondo cui 
l’ammissione 
alle 
classi 
successive 
della 
scuola 
secondaria 
di 
primo grado è 
disposta, in via 
generale, anche 
nel 
caso di 
parziale 
o 
mancata 
acquisizione 
dei 
livelli 
di 
apprendimento di 
una 
o più discipline. Di 
conseguenza, la 
non ammissione 
si 
presenta 
come 
extrema ratio, ossia 
come 
un’eccezione 
che 
si 
realizza 
solo qualora 
siano stati 
adottati, senza 
successo, 
gli 
accorgimenti 
previsti 
per evitare 
tale 
conclusione 
(quali 
appunto l’attivazione 
delle 
specifiche 
strategie 
per 
il 
miglioramento 
dei 
livelli 
di 
apprendimento, 
come 
previsto dall’art. 6 del 
D.lgs. n. 62 del 
13 aprile 
2017) e 
solo se 
l’esito 
dell’esame 
predittivo 
e 
ragionato 
delle 
possibilità 
di 
recupero, 
in 
un 
più 
ampio 
periodo 
scolastico, 
risulti 
irrimediabilmente 
sfavorevole 
(ex 
multis 
Consiglio 
di Stato, sentenze n. 4107 del 2020 e n. 5917 del 2019). 


In un’altra 
occasione 
(9), il 
Consiglio di 
Stato è 
intervenuto affermando 
l’illegittimità 
degli 
atti 
amministrativi 
che 
escludono 
i 
docenti 
assunti 
con 
contratto 
a 
tempo 
determinato 
dall’erogazione 
della 
Carta 
del 
Docente, 
benefit 
istituito con l’entrata 
in vigore 
della 
riforma 
Buona 
Scuola 
(10) consistente 
in 
un 
contributo 
annuale 
da 
spendere 
in 
servizi 
e 
prodotti 
correlati 
o 
propedeutici 


(7) A. EINSTEIN, il lato umano, 1972. 
(8) T.a.r. Lazio, sez. III bis, sentenza n. 13042 del 3 agosto 2023. 
(9) Consiglio di Stato, sentenza n. 1842 del 16 marzo 2022. 
(10) Legge n. 107/2015. 

rASSEGNA 
AvvOCATurA 
DELLO 
STATO -N. 2/2023 


al 
mondo 
della 
formazione 
e 
della 
cultura. 
In 
particolare, 
oggetto 
della 
censura 
è 
stata 
la 
nota 
del 
Ministero 
dell’Istruzione, 
dell’università 
e 
della 
ricerca 
(M.I.u.r.) 
n. 
15219 
del 
2015 
che, 
fornendo 
indicazioni 
operative 
in 
ordine 
all’utilizzo della 
Carta, prevedeva 
l’assegnazione 
della 
stessa 
ai 
soli 
docenti 
di 
ruolo e 
non anche 
ai 
docenti 
a 
tempo determinato. Ad avviso del 
Consiglio 
di 
Stato, 
il 
sistema 
delineato 
nella 
nota 
introduceva 
una 
palese 
discriminazione 
a 
danno 
dei 
c.d. 
docenti 
precari, 
in 
violazione 
dei 
principi 
costituzionali 
di 
uguaglianza, buon andamento, imparzialità, nonché 
del 
diritto-dovere 
di 
formazione 
professionale 
e 
aggiornamento, 
tutelato 
dalla 
Costituzione 
al 
comma 
2 
dell’articolo 
35 
(11). 
Infatti, 
posto 
che 
la 
Pubblica 
Amministrazione, 
per 
l’erogazione 
del 
servizio scolastico, si 
serve 
indistintamente 
di 
personale 
docente 
assunto con contratto a 
tempo determinato ovvero indeterminato, vige 
in capo alla 
stessa 
il 
dovere 
di 
curare 
la 
formazione 
e 
l’aggiornamento di 
tale 
personale, complessivamente 
inteso, anche 
al 
fine 
di 
garantire 
la 
qualità 
complessiva 
dell’offerta formativa. 


Nel 
panorama 
dell’istruzione 
grande 
incidenza 
ha 
poi 
avuto 
la 
recente 
pronuncia 
del 
T.a.r. Lazio con cui 
è 
stata 
dichiarata 
l’illegittimità 
del 
TOLC 
medicina 
2023/2024 
(12). 
Pronunciandosi 
su 
uno 
dei 
numerosi 
ricorsi 
proposti 
da 
candidati 
esclusi, 
i 
giudici 
amministrativi 
hanno 
ritenuto 
che 
le 
prove 
somministrate 
ai 
candidati 
non fossero omogenee 
in quanto a 
difficoltà 
complessiva, 
così 
come 
individuata 
tramite 
il 
meccanismo 
del 
coefficiente 
di 
equalizzazione. 
Pertanto, 
la 
pronuncia 
ha 
annullato 
i 
provvedimenti 
che 
hanno 
disciplinato 
le 
prove 
di 
ammissione 
alla 
facoltà 
di 
Medicina 
e 
Chirurgia 
e 
Odontoiatria 
e 
Protesi 
Dentaria 
per 
l’anno 
accademico 
2023/2024 
(13), 
i 
bandi 
di 
concorso per l’accesso ai 
corsi 
di 
laurea 
a 
numero programmato delle 
suddette 
Facoltà 
delle 
università 
intimate, nonché 
la 
graduatoria 
unica 
nazionale 
del 
concorso per l’ammissione 
alle 
medesime. Il 
T.a.r. Lazio ha 
tuttavia 
fatto 
salve 
le 
immatricolazioni 
avvenute 
sulla 
base 
degli 
atti 
impugnati 
o in corso 
di 
perfezionamento, ritenendo che, pur dovendosi 
escludere 
che 
gli 
atti 
di 
cui 
è 
stata 
accertata 
l’illegittimità 
possano 
produrre 
conseguenze 
ulteriori, 
tuttavia 
non 
potessero 
essere 
eliminati 
gli 
effetti 
già 
prodotti 
in 
esecuzione 
degli 
stessi. 


Il 
Ministero dell’università 
e 
della 
ricerca 
sta 
lavorando ad una 
riforma 
organica 
al 
fine 
di 
superare, a 
partire 
dall’anno accademico 2025/2026, il 
sistema 
dei 
quiz. Tuttavia, quanto al 
prossimo anno accademico, il 
23 febbraio 
2024 
il 
Ministro 
Anna 
Maria 
Bernini 
ha 
firmato 
il 
decreto 
ministeriale 
che 
definisce 
le 
modalità 
delle 
prove 
di 
ammissione 
ai 
corsi 
di 
laurea 
in Medicina 
e 


(11) L’articolo 35 comma 
2 della 
Costituzione 
sancisce 
che 
la 
repubblica 
“Cura la formazione 
e 
l’elevazione professionale dei lavoratori”. 
(12) T.a.r. Lazio, sez. III, sentenza n. 863 del 17 gennaio 2024. 
(13) D.M. n. 1107/2022 e 
D.D. n. 1925/2022 relativi 
alle 
modalità 
di 
svolgimento del 
TOLC e 
successiva 
formazione 
delle 
graduatorie 
di 
merito 
per 
l’accesso 
ai 
corsi 
di 
laurea 
magistrale 
in 
Medicina, 
Odontoiatria e 
veterinaria. 

LEGISLAzIONE 
ED 
ATTuALITà 


Chirurgia, 
Odontoiatria 
e 
veterinaria 
(14). 
Per 
ciascuna 
delle 
due 
sessioni 
previste, 
la 
prova 
di 
ammissione 
sarà 
svolta 
in presenza, presso la 
sede 
scelta 
dal 
candidato, 
ed 
in 
formato 
cartaceo. 
I 
quesiti 
saranno 
estratti 
da 
un’apposita 
banca dati pubblica, complessivamente composta da almeno 7.000 quesiti. 

Nel 
panorama 
europeo, numerosi 
sono gli 
Stati 
che 
prevedono meccanismi 
di 
accesso 
al 
corso 
di 
laurea 
in 
Medicina, 
analogamente 
al 
sistema 
italiano. 
A 
titolo 
esemplificativo, 
l’accesso 
ai 
corsi 
di 
laurea 
in 
Medicina 
e 
Odontoiatria 
è 
a 
numero chiuso, e 
dunque 
richiede 
il 
superamento di 
un esame 
specifico, 
anche 
in Germania, Austria, Inghilterra, Svizzera 
e 
Finlandia. In particolare, 
il 
sistema 
universitario finlandese 
si 
distingue, oltre 
che 
per l’elevato livello 
qualitativo 
dell’insegnamento, 
per 
l’ampia 
accessibilità 
dell’offerta 
formativa, 
interamente 
gratuita 
per i 
cittadini 
dell’unione 
Europea. Il 
modello educativo 
finlandese 
in 
generale, 
nel 
porsi 
la 
missione 
dichiarata 
di 
supportare 
la 
crescita 
degli 
allievi 
verso l’umanità 
e 
la 
partecipazione 
eticamente 
responsabile 
alla 
società, 
fornendo 
loro 
le 
conoscenze 
e 
le 
abilità 
necessarie 
alla 
vita, 
offre 
a 
tutte 
le 
persone 
un’equa 
opportunità 
di 
accesso 
all’istruzione 
non 
solo 
di 
base, 
ma 
anche 
avanzata, 
che 
è 
pubblica 
e 
gratuita 
(gratuità 
che 
si 
estende, 
per 
alcuni 
livelli, anche 
ai 
pasti, ai 
libri 
di 
testo ed ai 
trasporti 
necessari). Tale 
sistema 
egualitario, 
senza 
tasse 
di 
accesso 
e 
di 
mantenimento, 
favorisce 
un 
ampliamento 
della 
base 
di 
accesso 
e, 
di 
conseguenza, 
una 
maggior 
probabilità 
di 
completamento del percorso scolastico obbligatorio. 

un 
modello 
diverso 
è 
invece 
adottato 
dalla 
Francia, 
ove 
non 
è 
prevista 
una 
prova 
di 
ingresso 
per 
i 
corsi 
dell’area 
medico-sanitaria. 
A 
partire 
dal 
2010, 
infatti, 
il 
sistema 
francese 
prevede 
che 
il 
primo 
anno 
di 
studi 
dei 
corsi 
dell’area 
medica 
sia 
ad 
accesso 
libero. 
Il 
c.d. 
PACES 
(Première 
année 
Commune 
aux 
Etudes 
de 
Santé) 
è 
uguale 
per 
tutti 
gli 
aspiranti 
studenti 
di 
Medicina, 
Odontoiatria, 
Farmacia 
e 
Ostetricia; 
tuttavia, 
al 
termine 
del 
primo 
e 
del 
secondo 
semestre, 
gli 
studenti 
sono 
chiamati 
a 
sostenere 
due 
test 
selettivi 
a 
risposta 
multipla 
vertenti 
su 
materie 
propedeutiche, 
quali, 
ad 
esempio, 
fisica, 
biologia, 
chimica, 
matematica, 
anatomia, 
istologia. 
Sulla 
base 
dei 
risultati 
ottenuti, 
viene 
stilata 
una 
graduatoria 
e 
gli 
studenti 
passano 
direttamente 
alla 
prosecuzione 
del 
corso 
ovvero 
colmano 
la 
capacità 
formativa 
superando 
prove 
complementari. 


Selezione 
prima 
o 
selezione 
dopo? 
Le 
opinioni 
a 
riguardo 
sono 
molto 
differenti, 
ma 
occorre 
considerare 
altri 
aspetti 
per rivalutare 
la 
dimensione 
del-
l’istruzione 
e 
della 
formazione 
dalla 
scuola 
elementare 
all’università 
in 
Italia. 


1) 
ridare 
alla 
Scuola, 
intesa 
come 
“ambiente 
mentalizzante” 
e 
come 
“Agenzia 
educativa” 
l’importanza 
e 
il 
rilievo che 
merita, perché 
senza 
formazione 
e senza competenze non vi può essere sviluppo. 
2) 
riconoscere 
e 
premiare 
il 
merito, poiché 
il 
messaggio educativo che 
(14) D.M. n. 472/2024. 

rASSEGNA 
AvvOCATurA 
DELLO 
STATO -N. 2/2023 


la 
Scuola 
deve 
trasmettere 
è 
che 
chi 
si 
impegna 
e 
si 
sacrifica 
deve 
essere 
valutato 
con obiettività, imparzialità e con il giusto apprezzamento. 


3) 
riattribuire 
autorevolezza 
agli 
insegnanti 
che 
formano 
i 
nuovi 
cittadini 
e 
i 
nuovi 
professionisti 
e 
che 
devono avere 
il 
giusto peso in una 
società 
civile. 
(Sono sempre 
più frequenti 
le 
aggressioni 
agli 
insegnanti 
negli 
ultimi 
tempi). 
4) 
Favorire 
la 
trasversalità 
delle 
competenze 
e 
la 
contaminazione 
dei 
saperi 
in un periodo storico in cui 
deve 
definirsi 
un nuovo concetto di 
Digital 
Humanist, ossia 
la 
fusione 
di 
cultura 
umanistica 
e 
di 
cultura 
scientifica 
(c.d. 
materie STEM). 
5) 
Formare 
gli 
insegnanti 
sulla 
psicologia 
dell’età 
evolutiva 
attraverso 
gli 
antichi 
concetti 
di 
“assimilazione 
e 
accomodamento” 
del 
Piaget 
(15), poiché 
si 
registra 
una 
sempre 
maggiore 
fragilità 
emotiva 
e 
psichica 
anche 
nella 
fascia 
universitaria 
per 
la 
c.d. 
emercence 
adulthood, 
ansia 
di 
stato 
che 
si 
riversa 
sulle 
aree relative ai circuiti della ricompensa, regolazione e relazione. 
6) 
Potenziare 
e 
migliorare 
l’edilizia 
scolastica, perché 
si 
impara 
meglio 
in un ambiente sicuro ed accogliente. 
7) 
valorizzare 
nelle 
scuole 
di 
ogni 
ordine 
e 
grado 
l’educazione 
fisica, 
l’educazione 
alimentare 
e 
lo sport 
trasmettendo ai 
giovani 
l’importanza 
del-
l’attività 
ginnica 
per un buono stato di 
salute 
che 
consente 
di 
strutturare 
bene 
il 
proprio 
organismo 
in 
età 
adulta 
con 
finalità 
preventive 
e 
con 
notevole 
risparmio 
per il servizio sanitario: 
mens sana in corpore sano. 
8) 
Introdurre 
un sistema 
strutturato di 
cura 
e 
assistenza 
per gli 
allievi 
disabili 
e 
con 
difficoltà 
di 
apprendimento 
trasmettendo 
i 
concetti 
di 
“inclusione” 
e di “solidarietà” 
ex 
artt. 2, 3 e 32 della nostra Costituzione. 
9) 
Trasmettere 
il 
rispetto per l’ambiente 
e 
per le 
risorse 
naturali 
valorizzando 
il concetto di “sviluppo sostenibile”. 
L’istruzione 
gioca 
un ruolo centrale 
altresì 
nel 
piano nazionale 
ripresa 
e 
resilienza 
(PNrr), programma 
che 
rientra 
nel 
più ampio progetto NextGeneration 
Eu, 
strumento 
di 
rilancio 
economico 
attivato 
dall’unione 
Europea 
e 
dedicato agli 
Stati 
membri 
per far fronte 
ai 
danni 
economici 
e 
sociali 
causati 
dalla 
crisi 
pandemica 
del 
2020. In particolare, il 
PNrr si 
articola 
in Componenti, 
a 
loro volta 
raggruppate 
in missioni. La 
quarta 
missione, dedicata 
alla 
Istruzione 
e 
ricerca, si 
articola 
in due 
componenti 
per un totale 
di 
30,09 miliardi 
di euro: 


1. 
La 
prima 
componente 
mira 
a 
colmare 
o ridurre 
in misura 
significativa 
le 
carenze 
che 
caratterizzano tutti 
i 
gradi 
di 
istruzione, potenziando l’offerta 
dei 
servizi 
e 
prevedendo 
investimenti 
strutturali 
e 
di 
valorizzazione 
del 
capitale 
umano che interessano l’intera filiera dell’istruzione. 
2. 
La 
seconda 
componente 
mira 
a 
sostenere 
gli 
investimenti 
in ricerca 
e 
(15) J. PIAGET, il giudizio e il pensiero nel bambino, 1924. 

LEGISLAzIONE 
ED 
ATTuALITà 


sviluppo, 
a 
promuovere 
l’innovazione 
e 
la 
diffusione 
delle 
tecnologie, 
nonché 
a rafforzare le competenze. 


Tali 
risorse 
e 
finanziamenti 
devono 
trovare 
una 
concreta 
realizzazione 
attraverso 
la 
realizzazione 
di 
progetti 
esecutivi, in quanto tali 
finanziamenti 
europei 
sono in parte 
grant 
in aid, ma 
in parte 
loans, ossia 
prestiti 
che 
proprio le 
future 
generazioni 
dovranno 
restituire. 
Non 
è 
un 
caso 
che 
l’ultimo 
Decreto 
PNrr preveda 
l’individuazione 
di 
soggetti 
responsabili 
della 
mancata 
attuazione 
dei 
progetti 
con possibilità 
di 
commissariamento e 
di 
intervento sostitutivo 
da parte dello Stato. 


Se 
questo è 
l’aspetto economico dell’istruzione 
e 
della 
formazione, occorre 
svolgere 
un’ulteriore 
considerazione: 
oggi 
gli 
insegnanti 
devono 
confrontarsi 
con 
una 
“realtà 
immateriale” 
che 
sono 
i 
social, 
gli 
algoritmi 
e 
l’intelligenza artificiale 
in cui 
prevale 
un concetto di 
“verità altra”, il 
c.d. 
muro 
di 
significato, 
non 
ispirato 
ai 
criteri 
della 
continenza 
e 
della 
pertinenza. 
I 
ragazzi 
sin 
dalla 
scuola 
elementare 
con 
l’utilizzo 
dei 
cellulari 
vivono 
in 
“filter 
bubbles” 
che 
non consentono di 
formare 
una 
personalità 
nelle 
tre 
dimensioni 
essenziali 
per lo sviluppo cognitivo del 
minore, ossia 
lo spazio, il 
tempo e 
la 
relazione. viene 
ceduta 
alla 
dimensione 
digitale 
gran parte 
della 
vita 
reale 
e 
sociale, determinando una 
“deprivazione 
psicologica ed emotiva” 
dei 
ragazzi 
che 
gli 
insegnanti 
devono cercare 
di 
arginare 
con altri 
strumenti 
educativi 
per 
attenuare 
il 
c.d. 
pruning, 
ossia 
la 
potatura 
di 
facoltà 
cognitive 
che 
l’uso 
eccessivo 
del 
digitale 
può 
determinare. 
Gli 
insegnanti 
devono 
aiutare 
i 
ragazzi 
a 
compiere 
un “processo di 
concettualizzazione 
della tecnologia”, insegnando 
il 
suo uso razionale 
e 
utile 
per un concreto apprendimento che 
non resti 
a 
livello 
di “informazione”, ma di “vera conoscenza”. 


Si 
realizza 
nell’attività 
di 
insegnamento 
il 
c.d. 
Dilemma 
di 
Collinridge, 
ossia 
l’applicazione 
del 
principio 
di 
precauzione: 
innovation 
more, 
innovation 
well. 


La 
scuola 
deve 
rimanere 
“l’ambiente 
mentalizzante”, dove 
la 
doxa 
diventa 
episteme, 
dove 
si 
apprende 
il 
valore 
del 
limite 
e 
delle 
regole, 
dove 
si 
acquisisce il rispetto per l’altro. 


Einstein affermava 
“non puoi 
risolvere 
un problema con lo stesso livello 
di 
conoscenza che 
lo ha creato”. Lo studio ci 
costringe 
a 
uscire 
dalla 
zona 
di 
comfort 
e 
a 
sviluppare 
un pensiero critico che 
ci 
consente 
di 
progredire 
come 
persone e come cittadini. 

“io 
non 
posso 
insegnare 
nulla. 
Posso 
solo 
farli 
pensare”: 
le 
parole 
di 
Socrate 
restano immortali anche nell’era digitale. 



rASSEGNA 
AvvOCATurA 
DELLO 
STATO -N. 2/2023 


La complessità degli accertamenti 
psico-attitudinali nei concorsi pubblici 


Gaetana Natale* 


Nel 
corso degli 
ultimi 
4 anni 
caratterizzati 
dalla 
pandemia 
Covid gli 
accertamenti 
psico-attitudinali 
nei 
concorsi 
pubblici 
hanno 
avuto 
una 
sempre 
maggiore 
attenzione 
da 
parte 
della 
giurisprudenza 
amministrativa. Se 
è 
vero 
che 
nessuno di 
noi 
è 
normale 
visto da 
vicino “de 
perto ninguém 
é 
normal” 
(in 
questa 
battuta 
lapidaria 
è 
contenuto il 
pensiero rivoluzionario di 
Franco Basaglia, 
padre 
della 
legge 
180 che 
chiuse 
per sempre 
i 
manicomi) i 
concetti 
di 
normalità 
e 
di 
anormalità 
trovano nell’ambito del 
diritto una 
loro tassonomia, 
intesa 
come 
“classificazione 
“ 
e 
“categorizzazione” 
che 
deve 
rispondere 
a 
criteri 
oggettivi. Ma 
fino a 
che 
punto il 
concetto di 
categoria 
deve 
integrarsi 
con 
quello 
di 
funzione 
nell’ambito 
degli 
accertamenti 
psico-attitudinali 
ai 
fini 
dell’assunzione 
nella 
P.A. e 
in particolar modo nelle 
procedure 
dell’arruolamento 
nelle forze armate? 


Il 
Consiglio 
di 
Stato 
con 
la 
nota 
sentenza 
dell’adunanza 
Plenaria 
29 
marzo 
2023 
n. 
12 
(Pres. 
Maruotti, 
Est. 
Di 
Matteo) 
ha 
affermato 
che 
l’“inidoneità 
attitudinale 
sopravvenuta” 
al 
servizio 
è 
condizione 
diversa 
dalla 
patologia 
“inidoneità 
psicologica 
sfociata 
in 
una 
malattia” 
e 
non 
può 
comportare 
il 
transito 
nell’amministrazione 
civile. 
Ma 
come 
si 
distingue 
l’inidoneità 
attitudinale 
dalla 
inidoneità 
psicologica 
nell’ambito 
dell’attività 
istruttoria 
del 
procedimento 
amministrativo 
e 
come 
si 
dimostra 
nell’ambito 
del 
processo? 
vari 
sono 
i 
test 
utilizzati, 
accanto 
al 
test 
BHS 
-Beck 
Hopelessness 
Scale 
e 
Z 
test 
Diapositive 
per 
il 
disturbo 
del 
controllo 
degli 
impulsi 
attuali 
o 
pregressi, 
il 
più 
noto 
è 
il 
Test 
minnesota 
multiphasic 
Personality 
inventory, 
sviluppatosi 
nell’università 
del 
Minnesota 
durante 
la 
seconda 
guerra 
mondiale. 
hathaway 
e 
McKinley 
partirono 
dalla 
elicitazione 
di 
aree 
nelle 
affermazioni 
(item) 
riguardante 
una 
vasta 
gamma 
di 
psicopatologie, 
distinguendo 
tre 
scale 
di 
validità 
(Scale 
Lie, 
Scale 
K 
correction, 
Scale 
i 
infrequency), 
3 
scale 
di 
controllo 
e 
tre 
aree 
di 
analisi 
(area 
nevrotica, 
area 
sociopatica 
e 
area 
psicotica). 


Tali 
valutazioni 
che 
rientrano 
nel 
concetto 
giuridico 
indeterminato 
di 
“discrezionalità 
tecnica” 
impongono al 
giudice 
amministrativo un sindacato in


(*) Avvocato dello Stato, assegnato alla 
v 
sezione 
dell’Avvocatura 
Generale 
dello Stato preposta 
alla 
difesa 
tecnica 
di 
tutte 
le 
Forze 
Armate; 
dottore 
di 
ricerca 
in Comparazione 
e 
diritto civile; 
Consigliere 
giuridico del Garante per la tutela dei dati personali. 


relazione 
presentata 
dall’Autrice 
presso 
il 
Centro 
Nazionale 
di 
reclutamento 
dell’Esercito 
alla 
presenza 
di 
psicologi 
militari 
dell’Esercito, 
dell’Arma 
dei 
Carabinieri, 
della 
Marina 
e 
dell’Aeronautica 
-Foligno, 
13 dicembre 2023. 



LEGISLAzIONE 
ED 
ATTuALITà 


trinseco, ma 
“non sostitutivo” 
che 
arriva 
al 
“core” 
dell’accertamento tecnico 
sotto 
il 
profilo 
non 
della 
opinabilità, 
ma 
della 
maggiore 
o 
minore 
attendibilità. 

Ma 
è 
davvero così 
lineare 
tale 
valutazione 
quando è 
in gioco l’accertamento 
di 
un equilibrio psicologico? 
Il 
cervello umano ha 
una 
tale 
complessità 
da imporre anche al giurista un preliminare studio della sua struttura. 

La 
sede 
delle 
emozioni 
è 
l’amigdala, piccola 
gloriosa 
mandorla 
che, essendo 
una 
struttura 
sottocorticale, 
non 
dispone 
di 
capacità 
logiche 
ed 
analitiche 
e 
di 
strumenti 
cognitivi 
che 
permettono di 
valutare 
il 
tipo di 
pericolo con cui 
si 
interfaccia. Quando lo stato di 
stress 
o di 
paura 
aumenta, l’attivazione 
del-
l’amigdala 
crea 
una 
forte 
interferenza 
con i 
lobi 
prefrontali, i 
quali 
smettono 
di 
funzionare 
correttamente. In ambito militare 
è 
importante 
che 
la 
c.d. “attivazione 
emozionale” 
dell’amigdala 
non interferisca 
con le 
capacità 
razionali 
di 
controllo dei 
lobi 
prefrontali. Essendo questi 
ultimi 
deputati 
al 
pensiero logico, 
tutti 
i 
processi 
razionali 
potrebbero essere 
inficiati 
dalla 
produzione 
di 
catelocamine, come adrenalina e cortisolo. 

Sono 
noti 
gli 
studi 
sul 
funzionamento 
dell’amigdala 
condotti 
da 
Joseph 
Le 
Doux 
o 
quelli 
relativi 
alla 
motion 
sickness 
di 
Mica 
endsly 
o 
anche 
quelli 
relativi 
alla 
gestione 
dello 
stress 
enucleato 
dalla 
psiconeuroimmunologia 
basata 
sui 
concetti 
di 
percezione-emozione, 
comprensione 
e 
protezione. 
erik 
Kandel, 
studioso 
dell’epigenetica, 
sprouting 
c.d. 
gemmazione 
incentrata 
sulla 
c.d. 
plasticità 
del 
cervello, 
ha 
dimostrato 
che 
l’apprendimento 
e 
l’esperienza 
modificano 
le 
connessioni 
tra 
i 
neuroni 
cerebrali. 
Ciò 
significa 
che 
i 
cervelli 
non 
sono 
tutti 
uguali: 
anche 
i 
gemelli 
omozigoti, 
con 
i 
lori 
genomi 
identici 
hanno 
un 
cervello 
leggermente 
differente 
se 
sono 
stati 
esposti 
ad 
esperienze 
di 
tipo 
diverso. 


Occorre 
considerare, inoltre 
che 
il 
cervello si 
divide 
in: 
a) il 
cervello razionale 
(che 
occupa 
solo 
il 
30% 
dello 
spazio 
all’interno 
del 
cranio 
ed 
è 
la 
parte 
più recente 
dell’encefalo), b) “cervello rettilineo” 
e 
c) il 
sistema limbico 
che 
costituisce 
quello 
che 
Le 
Doux 
definisce 
“il 
cervello 
emotivo”. 
Il 
cervello 
emotivo 
è 
il 
cuore 
del 
sistema 
nervoso 
centrale. 
Il 
suo 
compito 
fondamentale 
è 
quello di 
farci 
da 
guardia 
del 
corpo per proteggerci 
da 
eventuali 
situazioni 
in 
grado 
di 
mettere 
a 
repentaglio 
la 
nostra 
incolumità 
psicofisica. 
L’informazione 
sensoriale 
del 
mondo esterno che 
ci 
arriva 
attraverso il 
sistema propriocettivo 
converge 
nel 
talamo, un’area 
del 
sistema 
limbico simile 
ad un server di 
posta 
elettronica, cioè 
un primo centro di 
smistamento di 
ogni 
informazione. I messaggi 
che 
arrivano al 
talamo non richiedono che 
la 
persona 
sia 
consapevole 
di 
quello che 
viene 
rilevato. Queste 
sensazioni 
vengono poi 
trasmesse 
in due 
direzioni: 
in alto verso i 
lobi 
frontali 
dove 
raggiungono la 
consapevolezza 
cosciente 
la 
c.d. 
“via 
lunga” 
e 
in 
basso 
verso 
l’amigdala, 
quella 
che 
Le 
Doux 
definisce 
la 
“via 
breve”. 
L’amigdala, 
elaborando 
le 
informazioni 
che 
riceve 
dal 
talamo più velocemente 
dei 
lobi 
frontali, ha 
il 
potere 
di 
decidere 
se 
le 
informazioni 
in arrivo costituiscano una 
minaccia 
o meno per la 
sopravvivenza, 
anche prima della consapevolezza del pericolo stesso. 



rASSEGNA 
AvvOCATurA 
DELLO 
STATO -N. 2/2023 


In ambito militare 
è 
importante 
il 
processo di 
gestione 
delle 
emozioni: 
la 


c.d. valutazione cognitiva. 
Poiché 
abbia 
inizio il 
processo di 
valutazione 
cognitiva 
delle 
emozioni, 
il 
primo passo è 
quello di 
imparare 
a 
osservare 
le 
proprie 
emozioni 
per analizzarle 
correttamente. Nell’ambito delle 
c.d. intelligenze 
multiple 
di 
cui 
parlava 
gardner 
oggi 
non viene 
insegnata 
una 
competenza 
fondamentale 
quella 
che 
Daniel 
goleman 
definisce 
“intelligenza emotiva”. Sulla 
base 
anche 
dello 
studio 
elaborato 
da 
Pavlov 
(stile 
emotivo 
o 
stile 
di 
attaccamento) 
la 
personalità 
dell’individuo è 
data 
da 
una 
base 
genetica, alla 
quale 
si 
deve 
aggiungere 
uno 
stile emotivo che può essere di tipo “sicuro”, “evitante” e “ambivalente”. 


Sulla 
base 
della 
mia 
esperienza 
come 
Avvocato dello Stato che 
difende 
le 
Forze 
Armate 
innanzi 
al 
giudice 
amministrativo 
ormai 
da 
molti 
anni, 
ciò 
che 
viene 
spesso 
riscontrato 
negli 
accertamenti 
psico-attitudinali 
è 
il 
c.d. 
Stato 
d’Ansia, mood Disorder, un’ansia 
che 
non è 
un’ansia 
“adattiva 
ma 
impeditiva”, 
ma 
anche 
il 
c.d. 
DoC, 
disturbo 
ossessivo-compulsivo 
e 
gli 
intrusive 
thoughts 
c.d. pensieri intrusivi. 

Fino a che punto si può sostenere in giudizio tale tipo di inidoneità? 


L’ansia, intesa 
come 
“emozione 
primaria” 
si 
può considerare 
come 
una 
risposta 
iniziale 
di 
orientamento, dovuta 
all’attivazione 
del 
sistema 
reticolare 
attivante 
come 
studiato 
da 
giuseppe 
Moruzzi 
e 
Horace 
Magoun 
(G. 
Mo-
ruzzi, 
hw 
Magoun 
“Brain 
stem 
reticular 
formation 
and 
activation 
of 
the 
EEG”, 
Electroencephalography 
and 
clinical 
Neurophysiology 
1, 
1949). 
Questi 
due 
ricercatori 
verso 
la 
metà 
del 
ventesimo 
secolo 
hanno 
scoperto 
una 
regione 
del 
tronco encefalico implicante 
uno stato di 
allerta 
definito in termini 
tecnici 
“arousal”, 
ossia 
risveglio. 
Successivamente 
si 
è 
scoperto 
che 
le 
funzioni 
di 
arousal 
non erano riconducibili 
a 
un unico sistema 
integrato nel 
tronco encefalico, 
ma 
all’attività 
di 
tanti 
agglomerati 
neuronali 
differenti. 
Tali 
studi 
hanno 
portato ad individuare 
la 
necessità 
di 
imparare 
ad incanalare 
l’ansia 
in modo 
operativo, qualità essenziale nelle Forze 
Armate. 

Il 
noto 
psichiatra 
Bessel 
van 
der 
Kolk 
afferma 
che 
nell’attivazione 
di 
un’emozione 
occorre 
valutare 
la 
“variabile 
contesto” 
(cioè 
analizzare 
l’ambiente 
circostante 
e 
“variabile 
altro”), 
la 
relazione. 
Alcuni 
elementi 
dopo 
esperienze 
traumatiche, possono funzionare 
da 
“trigger”, cioè 
essere 
in grado di 
scatenare 
una 
forte 
emozione 
in virtù di 
qualche 
analogia. Occorre 
allora 
riscrivere 
l’amigdala, la 
c.d. “desensibilizzazione 
sistematica” 
(vedi 
il 
recente 
libro 
della 
psicologa 
dell’Aeronautica 
vittoria 
Lugli 
“in 
volo 
con 
le 
emozioni”, 
2023 sul 
fenomeno della 
c.d. chinetosi): 
alcuni 
sintomi 
sono la 
conseguenza 
della 
mancata 
elaborazione 
di 
eventi 
traumatici 
particolarmente 
importanti. 
L’archivio 
delle 
emozioni 
che 
oggi 
sappiamo 
essere 
all’interno 
del 
sistema 
limbico e 
che, più nello specifico, coinvolgono l’amigdala, dopo eventi 
traumatici 
subisce 
delle 
trasformazioni 
per 
cui 
alcuni 
circuiti 
vengono 
alterati 
con 
la 
comparsa 
di 
sintomi 
che 
non rimangono “nobili”, ma 
invalidanti 
o, addirit



LEGISLAzIONE 
ED 
ATTuALITà 


tura, di 
patologie 
psichiche. L’amigdala 
archivia 
e 
conserva 
al 
suo interno in 
modo duraturo tutte 
quelle 
esperienze 
che 
rappresentano una 
minaccia 
reale 
e 
presunta 
per 
l’incolumità 
psicofisica. 
una 
volta 
che 
le 
esperienze 
vengono 
registrate 
non 
possono 
essere 
cancellate, 
ma 
solo 
riscritte. 
Per 
riscrivere 
l’amigdala 
bisogna 
procedere 
con molta 
cautela, seguendo un percorso graduale 
per 
far 
sì 
che 
gli 
eventi 
traumatici 
memorizzati 
in 
ogni 
loro 
dettaglio 
vengano 
gradualmente 
sostituti 
da 
nuovi 
elementi. 
un 
cervello 
sano 
è 
un 
cervello 
proattivo 
ed è 
un cervello che 
nutre 
un elemento fondamentale 
per il 
nostro equilibro: 
la speranza, ossia la proiezione positiva verso il futuro. 


Richard 
Davidson, professore 
di 
psicologia 
e 
psichiatria 
all’università 
del 
wisconsin, ha 
definito la 
speranza 
un’emozione 
formata 
da 
due 
componenti: 
una 
affettiva 
e 
una 
cognitiva. Sperare 
in qualcosa 
(ad esempio una 
brillante 
carriera 
nelle 
Forze 
Armate) 
significa 
impiegare 
facoltà 
cognitive 
che 
servono 
ad 
elaborare 
informazioni 
e 
dati 
rilevanti 
necessari 
per 
le 
strategie 
atte 
a 
realizzare 
l’evento desiderato. Ma 
la 
speranza 
implica 
anche 
una 
“previsione 
affettiva”, 
ossia 
quel 
sentimento 
confortante, 
tonificante 
e 
rasserenante 
che si prova prefigurando mentalmente il futuro sperato. 

Fabrizio 
Benedetti, 
professore 
di 
fisiologia 
umana 
e 
neurofisiologia 
all’università 
di 
Torino, è 
tra 
i 
massimi 
esperti 
mondiali 
del 
c.d. “effetto placebo”. 
Nel 
suo ultimo libro “La speranza è 
un farmaco” 
ritiene 
che 
siano le 
parole 
il 
mezzo più importante 
per infondere 
speranza: 
parole 
empatiche, di 
fiducia, conforto, motivazione. Sulla 
base 
di 
tali 
autorevoli 
considerazioni 
è 
sempre 
necessario 
che 
i 
test 
eseguiti 
siano 
accompagnati 
in 
virtù 
del 
principio 
tempus 
regit 
actum 
dal 
colloquio individuale 
con i 
psicologi 
della 
Commissione 
valutatrice 
in 
sede 
concorsuale, 
nella 
consapevolezza 
che 
i 
“mestieri 
più 
difficili 
sono 
nell’ordine 
il 
genitore, 
l’insegnante 
e 
lo 
psicologo”. 
Sono 
queste 
le 
parole 
di 
sigmund 
Freud 
il 
quale 
aggiungeva 
“Psiche 
è 
un 
vocabolo 
greco 
che 
significa 
“anima”. 
Perciò 
per 
psichico 
si 
intende 
trattamento 
dell’anima; 
si 
potrebbe 
quindi 
pensare 
che 
voglia 
dire 
trattamento 
dei 
fenomeni 
patologici 
della 
vita 
dell’anima. 
ma 
il 
significato 
dell’espressione 
è 
diverso. 
Trattamento 
psichico vuol 
dire 
invece 
trattamento a partire 
dall’anima, trattamento di 
disturbi 
psichici 
o somatici, con mezzi 
che 
agiscono in primo luogo e 
direttamente 
sulla 
psiche 
umana. 
Questo 
mezzo 
è 
costituito 
soprattutto 
dalla 
parola, 
e 
le 
parole 
sono uno strumento fondamentale 
del 
trattamento psichico. Certo, 
difficilmente 
il 
profano potrà comprendere 
come 
le 
“sole” 
parole 
del 
medico 
possano rimuovere 
disturbi 
patologici 
somatici 
e 
psichici. Penserà che 
gli 
si 
chieda di 
credere 
nella magia. E 
non ha tutto il 
torto; le 
parole 
dei 
nostri 
discorsi 
di tutti i giorni sono solo magia attenuata”. 


CONTRIBUTIDIDOTTRINA
I principi e le responsabilità nel nuovo Codice 
dei contratti pubblici. Tecniche rivolte a vincere 
la c.d. “paura della firma” 


Michele Gerardo* 

Sommario: 1. introduzione 
-2. La disciplina sulla responsabilità nel 
nuovo codice 
dei 
contratti. 
in 
specie: 
disciplina 
riguardante 
la 
responsabilità 
precontrattuale 
-3. 
La 
disciplina 
sulla responsabilità nel 
nuovo codice 
dei 
contratti. in specie: disciplina riguardante 
la responsabilità 
amministrativo 
-contabile 
del 
dipendente 
della P.a. -4. motivi 
sottostanti 
alla 
disciplina sulla responsabilità amministrativa contabile 
emergente 
dal 
Codice 
dei 
contratti 
in raccordo con l’art. 21 D.L. n. 76/2020 -5. aporie 
della disciplina sulla responsabilità amministrativa 
contabile 
emergente 
dal 
Codice 
dei 
contratti 
in raccordo con l’art. 21 D.L. n. 
76/2020 - 6. Che fare? - 7. Conclusioni. 


1. introduzione. 
Il 
nuovo 
Codice 
dei 
contratti 
pubblici 
(D.L.vo 
31 
marzo 
2023, 
n. 
36, 
di 
seguito 
C. 
contr.) 
si 
apre 
con 
l’enunciazione 
dei 
principi 
della 
materia 
-rectius: 
le 
norme 
generali 
-regolatori 
tanto 
della 
fase 
pubblicistica 
(procedura 
di 
affidamento), 
ossia 
della 
scelta 
del 
contraente 
della 
P.A., 
quanto 
della 
fase 
privatistica, 
ossia 
l’esecuzione, 
del 
contratto 
ad 
evidenza 
pubblica 
(appalto 
e 
concessione). 
Si 
rileva 
in 
dottrina 
che 
“i 
principi 
mirano 
a 
esprimere 
la 
‘visione’ 
complessiva 
della 
regolamentazione 
della 
materia 
che, 
in 
quanto 
tale, 
orienta 
l’interpretazione 
e 
l’applicazione 
delle 
singole 
disposizioni. 
Può 
dunque 
ben 
dirsi 
che 
i 
principi 
esprimono 
una 
sorta 
di 
‘plusvalore’ 
giuridico 
rispetto 
alle 


(*) Avvocato dello Stato. 

Relazione 
predisposta 
dall’Autore 
in occasione 
del 
Convegno “I principi 
e 
le 
responsabilità 
nel 
nuovo 
Codice 
dei 
contratti 
pubblici” 
tenutosi 
presso l’Università 
degli 
Studi 
di 
Napoli 
Federico II (4 dicembre 
2023). 



RASSeGNA 
AvvoCAtURA 
DeLLo 
StAto -N. 2/2023 


singole 
norme. 
il 
ricorso 
ai 
principi, 
inoltre, 
assolve 
a 
una 
funzione 
di 
completamento 
dell’ordinamento 
giuridico 
(sebbene 
il 
Codice 
individui 
due 
diversi 
plessi 
normativi 
di 
riferimento 
per 
colmare 
le 
lacune, 
su 
cui 
si 
tornerà 
più 
avanti) 
e 
di 
indirizzo/garanzia 
per 
gli 
interessi 
pubblici 
e 
privati 
in 
gioco” 
(1). 


Nei 
detti 
principi 
sono 
contenute 
varie 
enunciazioni 
inerenti 
la 
materia 
della 
responsabilità 
degli 
attori 
coinvolti. Si 
vuole 
in questa 
sede 
operare 
una 
disamina 
della 
interferenza 
dei 
principi 
permeanti 
la 
materia 
dei 
contratti 
pubblici 
con la disciplina della responsabilità. 


A 
quest’ultimo 
riguardo 
si 
osserva, 
a 
volo 
d’uccello, 
che 
la 
parte 
pubblica 
(committente 
e 
concedente) e 
la 
parte 
privata 
(appaltatore 
e 
concessionario) 
nei 
contratti 
pubblici 
-come 
qualsivoglia 
soggetto di 
diritto -sono sottoposti 
alle 
ordinarie 
responsabilità; 
analogo discorso vale 
per i 
loro organi. ossia 
e 
tra l’altro: 


a) 
le 
persone 
fisiche 
riconducibili 
alle 
dette 
parti 
(organo, 
rappresentante, 
dipendente) possono incorrere nella responsabilità penale; 
b) 
le 
parti 
ed 
i 
loro 
organi 
(e/o 
rappresentanti 
e/o 
dipendenti) 
sono 
esposti 
alla 
responsabilità 
civile, 
aquiliana, 
verso 
terzi. 
Con 
la 
particolarità 
che 
gli 
organi 
(e 
simili) rispondono degli 
illeciti 
solo per dolo o colpa 
grave 
(art. 23, 
comma 1, d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3); 
c) 
sussiste 
la 
responsabilità 
precontrattuale 
per danni 
arrecati 
nella 
fase 
dell’evidenza pubblica; 
d) 
sussiste 
-nei 
reciproci 
rapporti 
-la 
responsabilità 
contrattuale 
per 
danni 
arrecati 
dall’una 
all’altra 
parte 
nella 
fase 
successiva 
alla 
stipula 
del 
contratto; 
e) 
infine 
gli 
organi 
(e 
simili) 
della 
parte 
pubblica 
sono 
esposti 
alla 
responsabilità 
disciplinare, amministrativo-contabile 
e, se 
dirigenti, alla 
responsabilità 
manageriale. 
Allorché 
si 
operi 
nell’ambito dei 
contratti 
pubblici 
questa 
disciplina 
subisce 
precisazioni 
e 
deroghe 
giusta 
le 
statuizioni 
contenute 
nel 
nuovo codice 
dei contratti e nella legislazione complementare. 


2. La disciplina sulla responsabilità nel 
nuovo codice 
dei 
contratti. in specie: 
disciplina riguardante la responsabilità precontrattuale. 
La 
materia 
della 
responsabilità 
è 
stata 
variamente 
incisa 
dai 
principi 
generali 
posti 
all’esordio 
del 
codice 
dei 
contratti. 
Un 
primo 
intervento 
ha 
riguardato 
la responsabilità precontrattuale. 


La 
regola 
di 
diritto 
comune 
stabilisce 
che 
“Le 
parti, 
nello 
svolgimento 
delle 
trattative 
e 
nella formazione 
del 
contratto, devono comportarsi 
secondo 
buona fede” 
(art. 1337 c.c.). La 
violazione 
di 
questo precetto determina 
la 
responsabilità 
precontrattuale, 
costituente 
una 
species 
di 
quella 
aquiliana 
(2). 


(1) 
Così 
G. 
NAPoLItANo, 
il 
nuovo 
Codice 
dei 
contratti 
pubblici: 
i 
principi 
generali, 
in 
Giorn. 
Dir. 
amm., 2023, 3, p. 287. 

CoNtRIbUtI 
DI 
DottRINA 


va 
rilevato che 
la 
responsabilità 
precontrattuale 
della 
P.A. viene 
ormai 
generalmente 
ammessa 
anche 
nell’ambito 
di 
procedimenti 
di 
gara 
diversi 
dalla 
trattativa 
privata 
(3). 
Ciò 
in 
quanto 
anche 
nello 
svolgimento 
dell’attività 
autoritativa 
l’amm.ne 
è 
tenuta 
a 
rispettare, 
oltre 
alle 
norme 
di 
diritto 
pubblico, 
le 
norme 
generali 
dell’ordinamento 
civile 
-richiamate 
nell’art. 
1, 
comma 
2 
bis, L. 7 agosto 1990, n. 241 -che 
impongono di 
agire 
con lealtà 
e 
correttezza 
e 
la 
loro 
violazione 
può 
configurare 
una 
responsabilità 
da 
comportamento 
scorretto, che 
incide 
sul 
diritto soggettivo dei 
privati 
di 
autodeterminarsi 
liberamente 
nei 
rapporti 
negoziali 
(4). La 
responsabilità 
in esame 
postula 
che 
il 
concorrente 
abbia 
maturato un ragionevole 
affidamento nella 
stipula 
del 
contratto, 
da 
valutare 
in 
relazione 
al 
grado 
di 
sviluppo 
della 
procedura, 
e 
che 
questo 
affidamento non sia a sua volta inficiato da colpa (5). 


Sicché 
sussiste 
tale 
responsabilità 
nel 
caso in cui 
l’amm.ne, in modo negligente, 
avvia 
trattative 
senza 
controllare 
l’effettiva 
disponibilità 
di 
risorse 
finanziarie 
(necessarie 
a 
sostenere 
gli 
impegni 
contrattuali 
ove 
le 
trattative 
giungano a 
buon fine) e 
-dopo avere 
convolto l’interlocutore 
in trattative 
inutili 
-recede 
in modo ingiustificato dalle 
stesse 
rendendosi 
conto della 
impotenza 
finanziaria 
oppure, in fase 
avanzata, revoca 
l’atto di 
aggiudicazione 
o, 
l’autorità tutoria opera il diniego dalla approvazione del contratto (6). 


Ciò 
rilevato 
in 
via 
generale, 
si 
osserva 
che 
-nel 
Codice 
dei 
contratti 
nell’ambito 
dei 
principi 
di 
buona 
fede 
e 
di 
tutela 
dell’affidamento 
amministrativo 
(7) 
è 
enunciato 
che 
“in 
caso 
di 
aggiudicazione 
annullata 
su 
ricorso 
di 
terzi 
o in autotutela, l’affidamento non si 
considera incolpevole 
se 
l’illegittimità 
è 
agevolmente 
rilevabile 
in base 
alla diligenza professionale 
richiesta ai 


(2) Questa 
qualificazione 
non è 
incontroversa. Secondo Cass. S.U. 28 aprile 
2020, n. 8236 la 
responsabilità 
precontrattuale 
costituisce 
una 
specie 
di 
responsabilità 
contrattuale 
da 
contatto 
sociale 
qualificato. 
(3) Conf. ex 
plurimis: 
Cons. Stato, Ad. Plen., 5 settembre 
2005, n. 6; 
da 
ultimo: 
Cons. Stato, Ad. 
Plen., 
4 
maggio 
2018, 
n. 
5 
secondo 
cui 
la 
responsabilità 
precontrattuale 
da 
comportamento 
scorretto 
della 
stazione 
appaltante 
sussiste 
in relazione 
a 
tutte 
le 
fasi 
della 
procedura 
ad evidenza 
pubblica, anche 
prima 
e 
a 
prescindere 
dell’aggiudicazione, 
e 
può 
derivare 
non 
solo 
da 
comportamenti 
anteriori 
al 
bando, 
ma 
anche 
da 
qualsiasi 
comportamento successivo che 
risulti 
contrario -all’esito di 
una 
verifica 
da 
condurre 
necessariamente in concreto - ai doveri di correttezza e buona fede. 
(4) Conf. Cons. Stato, Ad. Plen., n. 5/2018 cit. 
(5) Conf. Cons. Stato, Ad. Plen., 29 novembre 2021, n. 21. 
(6) Conf. Cons. Stato, 5 maggio 2016, n. 1797 secondo cui 
in caso di 
revoca 
legittima 
degli 
atti 
di 
aggiudicazione 
di 
gara 
per 
sopravvenuta 
indisponibilità 
di 
risorse 
finanziarie 
può 
sussistere 
la 
responsabilità 
precontrattuale 
dell’amm.ne 
che 
abbia 
tenuto 
un 
comportamento 
contrario 
ai 
canoni 
di 
buona 
fede 
e 
correttezza 
soprattutto perché, accortasi 
delle 
ragioni 
che 
consigliavano di 
procedere 
in 
via 
di 
autotutela 
mediante 
la 
revoca 
della 
già 
disposta 
aggiudicazione 
non 
abbia 
immediatamente 
ritirato 
i 
propri 
provvedimenti, prolungando inutilmente 
lo svolgimento della 
gara, così 
inducendo le 
imprese 
concorrenti a confidare nelle 
chances 
di conseguire l’appalto. 
(7) Giusta 
il 
comma 
1 dell’art. 5 C. contr. “Nella procedura di 
gara le 
stazioni 
appaltanti, gli 
enti 
concedenti 
e 
gli 
operatori 
economici 
si 
comportano reciprocamente 
nel 
rispetto dei 
principi 
di 
buona 
fede e di tutela dell’affidamento”. 

RASSeGNA 
AvvoCAtURA 
DeLLo 
StAto -N. 2/2023 


concorrenti. Nei 
casi 
in cui 
non spetta l’aggiudicazione, il 
danno da lesione 
dell’affidamento 
è 
limitato 
ai 
pregiudizi 
economici 
effettivamente 
subiti 
e 
provati, 
derivanti 
dall’interferenza 
del 
comportamento 
scorretto 
sulle 
scelte 
contrattuali 
dell’operatore 
economico” 
(art. 5, comma 
3, C. contr.); 
è 
enunciato 
altresì 
che 
“ai 
fini 
dell’azione 
di 
rivalsa della stazione 
appaltante 
o dell’ente 
concedente 
condannati 
al 
risarcimento 
del 
danno 
a 
favore 
del 
terzo 
pretermesso, 
resta 
ferma 
la 
concorrente 
responsabilità 
dell’operatore 
economico 
che 
ha 
conseguito 
l’aggiudicazione 
illegittima 
con 
un 
comportamento 
illecito” 
(art. 5, comma 4, C. contr.). 


Questa 
disciplina, 
con 
portata 
dichiarativa 
di 
regole 
giuridiche 
tutto 
sommato 
già 
ricavabili 
dal 
sistema, tende 
-in modo equilibrato -a 
contenere, per 
la 
parte 
pubblica, 
i 
pregiudizi 
scaturenti 
dalla 
caducazione 
della 
aggiudicazione 
(specie quelli relativi al risarcimento del danno). 


3. La disciplina sulla responsabilità nel 
nuovo codice 
dei 
contratti. in specie: 
disciplina riguardante 
la responsabilità amministrativo 
-contabile 
del 
dipendente 
della P.a. 
I principi 
generali 
del 
Codice 
dei 
contratti 
-ed in particolare 
il 
principio 
del 
risultato ed il 
principio della 
fiducia 
-vanno ad incidere 
prevalentemente 
sulla 
responsabilità 
amministrativo 
-contabile 
degli 
organi 
e 
dei 
dipendenti 
della P.A. 

Come 
noto, nell’evenienza 
che 
il 
danno sia 
stato arrecato -dall’organo o 
dal 
dipendente 
della 
P.A. 
-direttamente 
o 
indirettamente 
all’amm.ne 
di 
appartenenza 
o 
ad 
altra 
amm.ne, 
la 
responsabilità 
civile 
assume 
connotati 
particolari 
e 
speciali, ricorrendo la 
fattispecie 
della 
responsabilità 
amministrativa, attribuita 
alla 
giurisdizione 
della 
Corte 
dei 
conti 
(8). trattasi 
-venendo in rilievo 
una 
responsabilità 
inerente 
ad 
uno 
specifico 
rapporto 
giuridico 
preesistente 
inter 
partes 
-di 
responsabilità 
contrattuale, seppure 
con significative 
deroghe 
al normale regime del codice civile. 


I 
funzionari, 
gli 
impiegati, 
gli 
agenti, 
anche 
militari, 
che 
nell’esercizio 
delle 
loro 
funzioni, 
per 
errore 
ed 
omissione 
imputabili 
anche 
solo 
a 
colpa 


o 
negligenza 
cagionino 
danno 
allo 
Stato 
e 
ad 
altra 
P.A. 
dalla 
quale 
dipendono 
sono, 
infatti, 
sottoposti 
alla 
giurisdizione 
della 
Corte 
dei 
conti 
nei 
casi 
e 
modi 
previsti 
dalla 
legge 
sull’amministrazione 
del 
patrimonio 
e 
sulla 
con(
8) 
Sulla 
responsabilità 
amministrativa: 
M. 
SCIASCIA, 
Diritto 
delle 
gestioni 
pubbliche, 
II 
edizione, 
Giuffrè, 2013, pp. 796-822; 
P. SANtoRo, manuale 
di 
contabilità e 
finanza pubblica, v 
edizione, Maggioli, 
2012, 
pp. 
687-714; 
M. 
GeRARDo, 
A. 
MUtAReLLI, 
il 
processo 
nelle 
controversie 
di 
lavoro 
pubblico, 
Giuffrè, 
2012, 
pp. 
100-105; 
C.e. 
GALLo, 
M. 
GIUStI, 
G. 
LADU, 
M.v. 
LUPò 
AvAGLIANo, 
L. 
SAMbUCCI, 
M.L. SeGUItI, Contabilità di 
Stato e 
degli 
enti 
pubblici, v 
edizione, Giappichelli, 2011, pp. 145-189; 
S. 
bUSCeMA, A. bUSCeMA, Contabilità di 
Stato e 
degli 
enti 
pubblici, Iv 
edizione, Giuffrè, 2005, pp. 294309; 
C. ANeLLI, F. Izzo, C. tALICe, 
Contabilità pubblica, Giuffrè, 1996, II edizione, pp. 955-1034; 
A. 
beNNAtI, manuale di contabilità di Stato, Jovene, 1990, XII edizione, pp. 753-901. 

CoNtRIbUtI 
DI 
DottRINA 


tabilità 
generale 
dello 
Stato 
e 
da 
leggi 
speciali; 
la 
Corte, 
valutate 
le 
singole 
responsabilità, 
può 
porre 
a 
carico 
del 
responsabile 
tutto 
o 
parte 
del 
danno 
arrecato 
o 
del 
valore 
perduto 
(in 
tal 
senso 
art. 
52 
R.D. 
12 
luglio 
1934 
n. 
1214). 
Regole 
analoghe 
sono 
sparse 
in 
varie 
disposizioni 
(es. 
art. 
83 
R.D. 
18 
novembre 
1923 
n. 
2440; 
art. 
18 
d.P.R 
10 
gennaio 
1957, 
n. 
3; 
art. 
61 
L. 
11 
luglio 
1980, 
n. 
312 
con 
riguardo 
alla 
responsabilità 
patrimoniale 
del 
personale 
direttivo, 
docente, 
educativo 
e 
non 
docente 
della 
scuola 
materna, 
elementare, 
secondaria 
ed 
artistica 
dello 
Stato 
e 
delle 
istituzioni 
educative 
statali). 


Gli 
elementi 
costitutivi 
della 
responsabilità 
amministrativa 
possono così 
sinteticamente 
individuarsi: 
a) 
rapporto 
di 
servizio; 
b) 
comportamento 
dannoso; 
c) danno; 
d) nesso causale; 
e) elemento psicologico. La 
responsabilità 
è 
circoscritta 
ai 
fatti 
e 
alle 
omissioni 
commessi 
con 
dolo 
o 
colpa 
grave. 
La 
colpa 
grave 
consiste 
nella 
violazione 
della 
diligenza 
minima 
(mentre 
integra 
la 
colpa 
lieve 
la 
violazione 
della 
ordinaria 
diligenza). 
La 
colpa 
grave 
esclude 
la 
volontarietà, 
ma 
non si 
esaurisce 
solo -come 
la 
colpa 
c.d. lieve 
-nella 
negligenza, 
imprudenza 
o imperizia, dovendo le 
stesse 
esser elevate, macroscopiche. Si 
deve 
trattare, 
insomma, 
di 
violazioni 
grossolane 
del 
dovere 
di 
diligenza, 
di 
prudenza 
e 
di 
perizia 
(non intelligere 
quod omnes 
intelligunt). L’illustrato regime 
normativo 
esonera 
da 
responsabilità 
il 
dipendente 
che 
versa 
in 
colpa 
lieve 
nell’evidente 
obiettivo 
di 
non 
gravare 
il 
dipendente 
di 
preoccupazioni 
eccessive 
in ordine 
alle 
conseguenze 
patrimoniali 
della 
propria 
condotta. Preoccupazioni 
che 
-in particolare 
in una 
fase 
storica 
legislativamente 
dinamica, 
in cui 
la 
P.A. si 
trova 
a 
operare 
in una 
realtà 
normativa 
estremamente 
complessa 
e 
talvolta 
disarticolata 
-condurrebbero fatalmente 
all’inerzia 
e 
alla 
paralisi 
amministrativa. 


Il 
giudizio 
di 
responsabilità 
viene 
instaurato 
da 
un 
attore 
pubblico 
(il 
Procuratore 
Regionale 
presso la 
Sezione 
Giurisdizionale 
della 
Corte 
dei 
conti) il 
quale 
agisce 
nell’interesse 
della 
comunità 
intera, assorbendo, perciò nella 
sua 
funzione anche la difesa della P.A. danneggiata. 


Con 
riguardo 
al 
principio 
del 
risultato 
(9), 
il 
comma 
4 
dell’art. 
1 
C. 
contr. 
enuncia 
che 
il 
principio del 
risultato costituisce 
criterio prioritario per “valutare 
la responsabilità del 
personale 
che 
svolge 
funzioni 
amministrative 
o tecniche 
nelle 
fasi 
di 
programmazione, 
progettazione, 
affidamento 
ed 
esecuzione 
dei 
contratti”. Il 
tenore 
generico della 
previsione 
parrebbe 
riferibile 
a 
tutte 
le 
ipotesi 
di 
responsabilità 
del 
dipendente 
pubblico; 
tuttavia 
il 
terreno preferenziale 
è 
quello della 
responsabilità 
amministrativo-contabile. Anche 
questa 
di


(9) 
Giusta 
il 
comma 
1 
dell’art. 
1 
C. 
contr. 
“Le 
stazioni 
appaltanti 
e 
gli 
enti 
concedenti 
perseguono 
il 
risultato 
dell’affidamento 
del 
contratto 
e 
della 
sua 
esecuzione 
con 
la 
massima 
tempestività 
e 
il 
migliore 
rapporto 
possibile 
tra 
qualità 
e 
prezzo, 
nel 
rispetto 
dei 
principi 
di 
legalità, 
trasparenza 
e 
concorrenza”. 

RASSeGNA 
AvvoCAtURA 
DeLLo 
StAto -N. 2/2023 


sposizione, 
in 
fondo, 
non 
è 
rivoluzionaria; 
ha 
una 
portata 
dichiarativa 
delle 
regole giuridiche operanti in materia. 


Il 
principio 
della 
reciproca 
fiducia 
nell’azione 
legittima, 
trasparente 
e 
corretta 
dell’amministrazione, dei 
suoi 
funzionari 
e 
degli 
operatori 
economici 
ex 
art. 2 C. contr. (10) viene 
declinato anche 
nel 
senso che 
“Nell’ambito delle 
attività 
svolte 
nelle 
fasi 
di 
programmazione, progettazione, affidamento ed esecuzione 
dei 
contratti, 
ai 
fini 
della 
responsabilità 
amministrativa 
costituisce 
colpa grave 
la violazione 
di 
norme 
di 
diritto e 
degli 
auto-vincoli 
amministrativi, 
nonché 
la palese 
violazione 
di 
regole 
di 
prudenza, perizia e 
diligenza e 
l’omissione 
delle 
cautele, verifiche 
ed informazioni 
preventive 
normalmente 
richieste 
nell’attività 
amministrativa, 
in 
quanto 
esigibili 
nei 
confronti 
del-
l’agente 
pubblico 
in 
base 
alle 
specifiche 
competenze 
e 
in 
relazione 
al 
caso 
concreto. 
Non 
costituisce 
colpa 
grave 
la 
violazione 
o 
l’omissione 
determinata 
dal 
riferimento 
a 
indirizzi 
giurisprudenziali 
prevalenti 
o 
a 
pareri 
delle 
autorità 
competenti” 
(art. 2, comma 
3, C. contr.). Si 
enuncia 
altresì 
“Per 
promuovere 
la fiducia nell’azione 
legittima, trasparente 
e 
corretta dell’amministrazione, 
le 
stazioni 
appaltanti 
e 
gli 
enti 
concedenti 
adottano azioni 
per 
la copertura 
assicurativa 
dei 
rischi 
per 
il 
personale, 
nonché 
per 
riqualificare 
le 
stazioni 
appaltanti 
e 
per 
rafforzare 
e 
dare 
valore 
alle 
capacità 
professionali 
dei 
dipendenti, 
compresi 
i 
piani 
di 
formazione 
di 
cui 
all’articolo 
15, 
comma 
7” 
(art. 
2, comma 4, C. contr.). 

La 
vera 
novità 
contenuta 
nell’art. 2 cit. è 
la 
previsione 
della 
copertura 
assicurativa 
in uno alla 
norma 
secondo cui 
non costituisce 
colpa 
grave 
la 
violazione 
o l’omissione 
determinata 
dal 
riferimento a 
indirizzi 
giurisprudenziali 
prevalenti 
o a 
pareri 
delle 
autorità 
competenti. Per il 
resto la 
disposizione 
è 
ricognitiva 
dello stato della 
giurisprudenza 
contabile 
in materia 
(come 
la 
previsione 
secondo 
cui 
costituisce 
colpa 
grave 
la 
palese 
violazione 
di 
regole 
di 
prudenza, perizia 
e 
diligenza 
e 
l’omissione 
delle 
cautele, verifiche 
ed informazioni 
preventive 
normalmente 
richieste 
nell’attività 
amministrativa, 
in 
quanto 
esigibili 
nei 
confronti 
dell’agente 
pubblico 
in 
base 
alle 
specifiche 
competenze 
e 
in 
relazione 
al 
caso 
concreto) 
oppure 
di 
contenuto 
generico 
(è 
il 
caso 
della 
previsione 
secondo cui 
costituisce 
colpa 
grave 
la 
violazione 
di 
norme 
di 
diritto). 


Con 
riguardo 
alla 
copertura 
assicurativa 
si 
ricorda 
che 
l’art. 
3, 
comma 
59, 
L. 
24 
dicembre 
2007, 
n. 
244 
vieta, 
sotto 
comminatoria 
della 
nullità 
testuale, 
la 
stipulazione 
del 
contratto di 
assicurazione 
con il 
quale 
un ente 
pubblico assicuri 
propri 
amministratori 
per 
i 
rischi 
derivanti 
dall’espletamento 
dei 
compiti 
istituzionali 
connessi 
con 
la 
carica 
e 
riguardanti 
la 
responsabilità 
per 
danni 
ca


(10) Giusta 
il 
comma 
1 dell’art. 2 C. contr. “L’attribuzione 
e 
l’esercizio del 
potere 
nel 
settore 
dei 
contratti 
pubblici 
si 
fonda sul 
principio della reciproca fiducia nell’azione 
legittima, trasparente 
e 
corretta 
dell’amministrazione, dei suoi funzionari e degli operatori economici”. 

CoNtRIbUtI 
DI 
DottRINA 


gionati 
allo Stato o ad enti 
pubblici 
e 
la 
responsabilità 
contabile; 
con la 
previsione 
altresì 
che 
in 
caso 
di 
violazione 
della 
disposizione, 
l’amministratore 
che 
pone 
in 
essere 
o 
che 
proroga 
il 
contratto 
di 
assicurazione 
e 
il 
beneficiario 
della 
copertura 
assicurativa 
sono 
tenuti 
al 
rimborso, 
a 
titolo 
di 
danno 
erariale, 
di 
una 
somma 
pari 
a 
dieci 
volte 
l’ammontare 
dei 
premi 
complessivamente 
stabiliti 
nel 
contratto medesimo. Il 
divieto in esame 
-ritenuto dalla 
giurisprudenza 
contabile 
espressione 
di 
un principio generale 
-è 
oggetto di 
valutazioni 
contrastanti 
e 
de 
jure 
condendo 
se 
ne 
propone 
l’abrogazione, per curare 
la 
patologia 
definita 
della 
amministrazione 
difensiva, 
o 
della 
“paura 
della 
firma”. 
Sul 
punto, in materia 
di 
contratti 
pubblici, l’art. 2, comma 
4, C. contr. innova 
significativamente il quadro preesistente. 


Le 
due 
citate 
disposizioni 
-sia 
quella 
relativa 
alla 
copertura 
assicurativa 
che 
quella 
enunciante 
che 
non costituisce 
colpa 
grave 
la 
violazione 
o l’omissione 
determinata 
dal 
riferimento a 
indirizzi 
giurisprudenziali 
prevalenti 
o a 
pareri 
delle 
autorità 
competenti 
-hanno la 
finalità 
di 
disinibire 
gli 
operatori 
pubblici 
dalla 
c.d. paura 
della 
firma 
nelle 
vicende 
negoziali 
ove 
si 
è 
esposti 
tenuto 
conto dell’elevato valore 
dei 
contratti 
-a 
rilevantissime 
responsabilità. 
Le 
due 
disposizioni 
in esame 
si 
raccordano intimamente 
con l’art. 21, comma 
2, D.L. 16 luglio 2020, n. 76, conv. L. 11 settembre 
2020, n. 120 sulla 
esclusione 
-ad tempus, fino al 
30 giugno 2024 -della 
responsabilità 
per condotte 
commissive 
con 
colpa 
grave 
dei 
soggetti 
sottoposti 
alla 
giurisdizione 
della 
Corte 
dei 
conti 
per l’azione 
di 
responsabilità 
amministrativo contabile. La 
disposizione 
da 
ultimo 
citata 
testualmente 
dispone: 
“Limitatamente 
ai 
fatti 
commessi 
dalla data di 
entrata in vigore 
del 
presente 
decreto e 
fino al 
30 giugno 
2024, la responsabilità dei 
soggetti 
sottoposti 
alla giurisdizione 
della Corte 
dei 
conti 
in materia di 
contabilità pubblica per 
l’azione 
di 
responsabilità di 
cui 
all’articolo 1 della legge 
14 gennaio 1994, n. 20, è 
limitata ai 
casi 
in cui 
la produzione 
del 
danno conseguente 
alla condotta del 
soggetto agente 
è 
da 
lui 
dolosamente 
voluta. 
La 
limitazione 
di 
responsabilità 
prevista 
dal 
primo 
periodo non si 
applica per 
i 
danni 
cagionati 
da omissione 
o inerzia del 
soggetto 
agente”. 
Nella 
Relazione 
illustrativa 
al 
D.L. 
cit. 
relativamente 
all’art. 
21 
si 
enuncia 
che 
“la 
responsabilità 
dei 
soggetti 
sottoposti 
alla 
giurisdizione 
della 
Corte 
dei 
conti 
in 
materia 
di 
contabilità 
pubblica 
per 
l’azione 
di 
responsabilità 
viene 
limitata al 
solo profilo del 
dolo per 
le 
azioni 
e 
non anche 
per 
le 
omissioni, 
in modo che 
i 
pubblici 
dipendenti 
abbiano maggiori 
rischi 
di 
incorrere 
in 
responsabilità 
in 
caso 
di 
non 
fare 
(omissioni 
e 
inerzie) 
rispetto 
al 
fare, 
dove 
la responsabilità viene limitata al dolo”. 


Le 
due 
disposizioni 
si 
raccordano altresì 
con la 
novella 
dell’art. 323 c.p. 
-operata 
dall’art. 
23 
D.L. 
n. 
76/2020 
-diretta 
a 
specificare 
l’ambito 
applicativo 
del 
reato di 
abuso d’ufficio che 
era 
connotato da 
margini 
di 
indeterminatezza, 
con deficit 
di 
tassatività. Come 
è 
noto è 
stato previsto che 
le 
parole 
“di 
norme 
di 
legge 
o 
di 
regolamento” 
sono 
sostituite 
dalle 
seguenti: 
“di 
specifiche 
regole 



RASSeGNA 
AvvoCAtURA 
DeLLo 
StAto -N. 2/2023 


di 
condotta espressamente 
previste 
dalla legge 
o da atti 
aventi 
forza di 
legge 
e 
dalle 
quali 
non residuino margini 
di 
discrezionalità”. Nella 
Relazione 
illustrativa 
al 
D.L. 
Semplificazioni 
relativamente 
all’art. 
21 
si 
enuncia 
che 
“La 
disposizione 
interviene 
sulla 
disciplina 
dettata 
dall’articolo 
323 
del 
codice 
penale 
(abuso 
d’ufficio), 
attribuendo 
rilevanza 
alla 
violazione 
da 
parte 
del 
pubblico 
ufficiale 
o 
dell’incaricato 
di 
pubblico 
servizio, 
nello 
svolgimento 
delle 
pubbliche 
funzioni, di 
specifiche 
regole 
di 
condotta espressamente 
previste 
dalla legge 
o da atti 
aventi 
forza di 
legge, attribuendo, al 
contempo, rilevanza 
alla circostanza che 
da tali 
specifiche 
regole 
non residuino margini 
di 
discrezionalità per 
il 
soggetto, in luogo della vigente 
previsione 
che 
fa generico 
riferimento alla violazione 
di 
norme 
di 
legge 
o di 
regolamento. Ciò al 
fine 
di 
definire 
in maniera più compiuta la condotta rilevante 
ai 
fini 
del 
reato 
di abuso di ufficio” (11). 


4. motivi 
sottostanti 
alla disciplina sulla responsabilità amministrativa contabile 
emergente 
dal 
Codice 
dei 
contratti 
in 
raccordo 
con 
l’art. 
21 
D.L. 
n. 
76/2020. 
La 
disciplina 
sulla 
responsabilità 
amministrativa 
contabile 
emergente 
dal 
Codice 
dei 
contratti 
in 
raccordo 
con 
l’art. 
21 
D.L. 
n. 
76/2020 
prende 
atto 
del-
l’esistente, 
cercando 
di 
razionalizzarlo. 
ossia 
che, 
nell’attuale 
momento 
storico, 
l’attività 
contrattuale 
è 
regolata 
da 
una 
normativa 
complessa 
e 
viene 
svolta 
con 
risorse 
umane 
con 
formazione 
non 
adeguata 
ai 
compiti 
da 
svolgere. 
La 
descritta 
complessità 
determina 
-ad 
una 
osservazione 
empirica 
-la 
c.d. 
paura 
della 
firma. 
La 
paura 
della 
firma 
-come 
un 
cane 
che 
si 
morde 
la 
coda 
-è 
a 
sua 
volta 
causa 
di 
inefficienza 
dell’azione 
amministrativa: 
allungamento 
dei 
tempi 
di 
formazione 
ed 
esecuzione 
dei 
contratti 
pubblici; 
lievitazione 
dei 
costi. 
La 
scarsa 
performance 
determina, 
tra 
l’altro, 
la 
perdita 
dei 
finanziamenti 
U.e.; 
finanziamenti 


U.e. 
che 
per 
gli 
enti 
locali 
costituiscono 
l’unica 
vera 
risorsa 
per 
le 
spese 
di 
investimento. 
L’Italia, 
dopo 
la 
Polonia, 
è 
il 
paese 
che 
-storicamente 
-beneficia 
dei 
maggiori 
contributi 
provenienti 
dall’U.e.; 
tuttavia 
la 
gran 
parte 
dei 
detti 
fondi 
è 
stata 
perduta 
per 
l’incapacità 
di 
rispettare 
le 
procedure. 
Prendendo atto dell’esistente, la 
recente 
legislazione 
punta 
a 
disinibire 
il 
pubblico 
funzionario 
ed 
a 
schiodarlo 
dalla 
c.d. 
amministrazione 
difensiva 
(ossia 
inerzie 
e 
differimenti 
per non prendere 
decisioni). La 
voluntas 
del 
legislatore 
è 
chiara: 
occorre 
agire. 
All’uopo 
si 
offre 
uno 
scudo 
rispetto 
alla 
responsabilità 
amministrativa 
per chi 
agisce, mentre 
-a 
mo’ 
di 
stimolo all’azione 
chi 
è inerte risponde nel modo ordinario. tanto con vari ritrovati: 


(11) La 
correlazione 
tra 
il 
principio della 
reciproca 
fiducia 
ex 
art. 2 C. contr. e 
gli 
artt. 21 e 
23 
D.L. n. 76/2020 viene 
evidenziata 
dalla 
prof.ssa 
Margherita 
Ramajoli 
nel 
suo contributo nel 
Codice 
dei 
contratti 
pubblici. annotato articolo per 
articolo D.lgs. 31 marzo 2023 n. 36, vol. I, editoriale 
Scientifica, 
2023, p. 48. tali 
aspetti 
sono poi 
ulteriormente 
dettagliati 
dal 
presidente 
Paolo Contessa 
in sede 
di 
commento organico all’art. 2 del Codice (nel medesimo contributo, pp. 145-147). 

CoNtRIbUtI 
DI 
DottRINA 


a) 
se 
si 
agisce 
(non 
anche 
nei 
casi 
di 
omissione 
o 
inerzia 
del 
soggetto 
agente) si 
risponde 
solo per dolo. ossia 
-nella 
sostanza 
-si 
è 
grandemente 
ridotta 
la 
sfera 
di 
operatività 
della 
responsabilità 
amministrativo 
contabile 
atteso 
che 
“La 
prova 
del 
dolo 
richiede 
la 
dimostrazione 
della 
volontà 
dell’evento 
dannoso” 
(art. 1, comma 
1, L. 14 gennaio 1994, n. 20) (12). All’evidenza, la 
dimostrazione 
della 
volontà 
dell’evento dannoso comporta 
il 
restringimento 
delle ipotesi di responsabilità erariale; 
b) non si 
risponde 
per colpa 
grave 
ove 
ci 
si 
conformi 
agli 
indirizzi 
giurisprudenziali 
prevalenti 
o 
a 
pareri 
delle 
autorità 
competenti. 
In 
disparte 
alle 
modalità 
di 
individuazione 
degli 
indirizzi 
prevalenti 
nella 
giurisprudenza, il 
rischio collegato a 
questa 
novella 
è 
che 
funzionari 
pavidi 
si 
attivino per avere 
pareri 
a 
conforto 
del 
loro 
orientamento 
operativo. 
tanto 
in 
continuità 
con 
l’amministrazione 
difensiva. Come 
il 
medico effettua 
medicina 
difensiva 
prescrivendo 
esami 
spesso 
inutili, 
così 
si 
corre 
il 
rischio 
che 
l’amministratore 
pubblico si procuri “pezze d’appoggio” (pareri, ecc.) a futura memoria; 
c) possibilità della copertura assicurativa dei rischi per il personale. 
I plurimi 
interventi 
puntano ad aumentare 
le 
barriere 
protettive 
a 
difesa 
del 
dipendente 
pubblico, sul 
convincimento che 
tanto dovrebbe 
determinare 
una 
maggiore 
efficienza. 
La 
disciplina 
della 
responsabilità 
-ad 
una 
lettura 
pacata 
dei 
dati 
somministrati 
dal 
legislatore 
-costituisce 
in realtà 
una 
tessera 
di 
un più ampio progetto per rapidizzare 
e 
rendere 
efficiente 
l’azione 
amministrativa 
con quello che si ha. 


5. 
aporie 
della 
disciplina 
sulla 
responsabilità 
amministrativa 
contabile 
emergente 
dal Codice dei contratti in raccordo con l’art. 21 D.L. n. 76/2020. 
Con 
la 
sopramenzionata 
disciplina 
la 
responsabilità 
viene 
attutita. 
Si 
prende 
atto 
dell’esistente 
cercando 
di 
ricavarne 
il 
massimo. 
tanto 
per 
fare 
fronte 
al 
timore 
delle 
responsabilità. La 
sopramenzionata 
disciplina, tuttavia, 
presenta vari aspetti di criticità. 


a) Sotto l’aspetto di politica del diritto. 
Se 
l’obiettivo 
perseguito 
dal 
legislatore 
-spesa 
pubblica 
efficiente 
-è 
me(
12) Si 
rileva 
in dottrina 
che 
“in esito alla novella in esame, in definitiva, viene 
codificato l’indirizzo 
minoritario per 
cui 
il 
dolo c.d. “erariale” 
da oggi 
deve 
intendersi 
sostanziato dalla volontà del-
l’evento 
dannoso, 
che 
si 
accompagni 
alla 
volontarietà 
della 
condotta 
antidoverosa. 
Di 
talché 
per 
accreditare 
la sussistenza del 
“dolo erariale” 
d’ora in avanti 
non basterà più dare 
prova della consapevole 
violazione 
degli 
obblighi 
di 
servizio ma servirà dimostrare 
la volontà di 
produrre 
l’evento dannoso. 
il 
dolo si 
potrà concretare 
pertanto ove 
si 
cumulino, con la conoscenza della causa del 
danno, 
dati 
della realtà che 
comprovino il 
ricorrere 
di 
ulteriori 
consapevolezze 
circa l’effettività e 
lo specifico 
contenuto del 
danno medesimo. in altri 
termini, il 
dolo “erariale” 
deve 
essere 
adesso inteso come 
stato 
soggettivo 
caratterizzato 
dalla 
consapevolezza 
e 
volontà 
dell’azione 
o 
omissione 
contra 
legem, 
con 
specifico 
riguardo alla violazione 
delle 
norme 
giuridiche 
che 
regolano e 
disciplinano l’esercizio delle 
funzioni 
amministrative 
ed 
alle 
sue 
conseguenze 
dannose 
per 
le 
finanze 
pubbliche”: 
così 
D. 
IRoLLo, 
responsabilità erariale sempre più “light”, in il Quotidiano per la p.a. 
(22 luglio 2020). 

RASSeGNA 
AvvoCAtURA 
DeLLo 
StAto -N. 2/2023 


ritorio, 
tuttavia 
lo 
strumento 
della 
limitazione 
della 
responsabilità 
erariale 
non 
costituisce uno strumento funzionale al detto obiettivo. 


Anzi, 
di 
fronte 
all’esigenza 
della 
corretta 
gestione 
delle 
risorse 
pubbliche, 
potrebbe 
ben 
prevedersi 
un 
rafforzamento 
della 
responsabilità 
in 
capo 
agli 
operatori 
pubblici, richiedendo il 
requisito del 
dolo e 
della 
colpa, anche 
lieve. 


All’uopo 
occorre 
esigere 
dalla 
dirigenza 
pubblica 
italiana 
il 
massimo 
sforzo. Laddove 
si 
ritenga 
che 
le 
forze 
della 
dirigenza 
pubblica 
siano insufficienti 
occorre 
esternalizzare, attingendo dal 
mercato le 
risorse 
umane 
funzionali 
alla 
bisogna. 
La 
restrizione 
della 
responsabilità 
erariale 
può 
condurre 
a 
danni maggiori rispetto a quelli che si cerca di evitare (13). 


b) Sotto l’aspetto dell’orientamento dei comportamenti. 
Il 
diritto morirà 
-osservò un giurista 
-quando il 
mondo sarà 
composto 
solo da 
buoni, che 
del 
diritto non hanno bisogno, o solo da 
cattivi, che 
del 
diritto 
non hanno paura. essendo il 
mondo composto da 
varia 
tipologia 
di 
persone, 
il 
diritto ha 
una 
essenziale 
funzione 
di 
orientamento dei 
comportamenti 
con 
la 
fissazione 
di 
regole 
e 
conseguenze 
(spiacevoli) 
nel 
caso 
di 
inosservanza. 


eliminare 
il 
requisito 
della 
colpa 
nella 
responsabilità 
amministrativa 
indebolisce 
la 
funzione 
del 
diritto. 
Secondo 
la 
communis 
opinio, 
nella 
colpa 
vi 
è 
un 
rimprovero 
all’agente 
per 
non 
avere 
osservato 
regole 
precauzionali 


(14) 
cagionando 
un 
danno. 
Regole 
che, 
se 
osservate, 
avrebbero 
consentito 
di 
prevedere 
e, 
quindi, 
di 
evitare 
il 
danno. 
(13) 
e. 
AMANte, 
La 
“nuova” 
responsabilità 
amministrativa 
a 
seguito 
del 
D.L. 
n. 
76 
del 
2020, 
in 
Urbanistica 
e 
appalti 
1/2021, 
p. 
63 
rileva: 
“il 
legislatore 
ripropone, 
per 
tale 
via, 
l’assunto 
secondo 
cui 
dalla 
limitazione 
di 
responsabilità 
conseguirebbe 
vantaggio 
per 
l’efficacia 
dell’azione 
amministrativa: 
convincimento, 
quest’ultimo, 
diffuso 
e 
radicato 
(anche 
a 
livello 
dottrinario 
e 
di 
giurisprudenza 
costituzionale), 
quanto 
indimostrato; 
anzi, 
l’esperienza 
insegna 
che 
le 
conclamate 
inefficienze 
della 
pubblica 
amministrazione 
dipendono 
non 
solo 
da 
altri 
fattori 
strutturali 
(tra 
i 
quali, 
in 
primis, 
il 
caos 
normativo), 
ma 
soprattutto 
aumentano 
laddove 
minore 
è 
la 
responsabilità 
degli 
agenti 
(si 
pensi 
all’ingiustificata 
durata 
dei 
processi, 
fonte 
di 
continue 
condanne 
dello 
Stato 
ex 
lege 
n. 
89 
del 
2001, 
prive 
in 
ultima 
analisi 
di 
responsabili)”. 
Anche 
A. 
CANALe, 
il 
d.l. 
semplificazioni 
e 
il 
regime 
transitorio 
in 
tema 
di 
responsabilità 
amministrativa: 
i 
chiaroscuri 
della 
riforma, 
in 
Diritto 
& 
Conti 
30 
Marzo 
2021, 
rileva 
che 
“la 
premessa 
da 
cui 
si 
è 
mosso 
il 
Legislatore 
è 
che 
il 
rischio 
di 
incorrere 
nella 
responsabilità 
amministrativa 
indurrebbe 
i 
dirigenti 
alla 
c.d. 
burocrazia 
difensiva, 
alla 
quale 
si 
deve 
la 
colpa 
dei 
ritardi 
nella 
realizzazione 
di 
piani, 
progetti, 
opere. 
Tuttavia 
la 
“premessa”, 
opportunamente 
rilanciata 
dagli 
organi 
di 
informazione, 
tanto 
da 
assurgere 
a 
verità 
assoluta 
(nel 
senso 
che 
si 
dà 
oramai 
per 
scontato 
che 
l’azione 
amministrativa 
sia 
bloccata 
per 
la 
paura 
del 
processo 
contabile 
e 
della 
Corte 
dei 
conti), 
non è 
dimostrata, non è 
stata oggetto di 
alcun serio approfondimento, non è 
stata supportata da alcuna 
analisi, 
né 
da 
alcun 
dato, 
né 
sono 
stati 
forniti 
esempi, 
anche 
ricavabili 
ex 
post 
da 
un’analisi 
delle 
migliaia 
di 
sentenze 
pronunciate 
dalle 
sezioni 
giurisdizionali 
della 
Corte 
dei 
conti, 
tutte 
accessibili 
nella 
banca 
dati 
della 
stessa 
Corte 
dei 
conti. 
in 
verità, 
illustri 
studiosi 
hanno 
evidenziato 
che 
la 
“paralisi 
del 
fare”, 
che 
esiste 
e 
certamente 
va 
contrastata, 
è 
tuttavia 
ascrivibile 
in 
larga 
misura 
alla 
farraginosità 
delle 
regole, 
alla 
esondazione 
o 
ipertrofia 
normativa, 
alla 
tortuosità 
dei 
percorsi 
decisionali, 
alla 
impreparazione 
della 
dirigenza 
o 
almeno 
di 
parte 
di 
essa, 
ad 
una 
serie 
di 
concause 
che 
potremmo 
cumulativamente 
qualificare 
come 
“cattiva 
amministrazione”. 
(io 
aggiungo 
anche 
la 
riduzione 
dei 
controlli 
preventivi; 
e 
con 
riferimento 
ai 
cantieri 
bloccati 
anche 
le 
lacune 
progettuali 
e 
le 
criticità 
delle 
analisi 
di 
fattibilità)”. 

CoNtRIbUtI 
DI 
DottRINA 


Nel 
momento in cui 
si 
rinuncia 
al 
requisito della 
colpa, l’ordinamento rinuncia 
a 
pretendere 
dal 
dipendente 
il 
rispetto 
delle 
regole 
precauzionali. 
Il 
che 
è 
una 
grande 
incoerenza 
sistematica. 
Il 
rispetto 
di 
tali 
regole 
è 
coessenziale 
alla qualità della prestazione resa dal dipendente. 


Il 
rispetto delle 
direttive, delle 
leges 
artis 
-indirizzanti 
l’attività 
del 
prestatore 
di 
attività 
lavorativa 
affinché 
questa 
conduca 
ad 
un 
risultato 
utile 
e 
non 
fonte 
di 
danni 
per la 
controparte 
-è 
un elemento costitutivo nei 
contratti 
di 
lavoro, 
sia 
subordinato (art. 2094 c.c.) che 
autonomo (art. 2222 c.c.) anche 
sub 
specie 
professionale 
(art. 
2236 
c.c.). 
Finanche 
nei 
casi 
in 
cui 
la 
prestazione 
lavorativa 
è 
gratuita 
è 
prevista 
la 
responsabilità 
per colpa, tutt’al 
più la 
stessa 
è 
valutata 
con minor rigore 
(arg. 
ex artt. 1710 comma 
1, 1768 comma 
2, 2030, 
comma 2 c.c.). 


Quale 
datore 
di 
lavoro ragionevole 
pagherebbe 
mai 
un dipendente 
rinunciando 
a priori a certe qualità della prestazione? 


c) Sotto l’aspetto della 
coerente 
integrazione 
degli 
ordinamenti, unioni-
stico e nazionale. 
Notevoli 
fondi 
da 
gestire 
con i 
contratti 
pubblici 
sono di 
provenienza 
europea 
(si 
consideri 
solo il 
recovery 
Fund). vengono in rilievo, quindi, procedimenti 
nei 
quali 
intervengono 
organi 
delle 
istituzioni 
dell’Unione 
europea 
ed organi delle istituzioni della Repubblica Italiana. 


Per quanto detto innanzi, gli 
organi 
delle 
istituzioni 
della 
Repubblica 
Italiana 
beneficiano di 
una 
notevole 
attenuazione 
della 
responsabilità 
amministrativa 
(in 
gergo: 
scudo 
contabile), 
laddove 
gli 
organi 
delle 
istituzioni 
dell’Unione 
europea, in assenza 
di 
“scudi”, sottostanno alle 
ordinarie 
regole 
sulla 
responsabilità 
amministrativa 
giusta 
l’art. 
340, 
comma 
4, 
t.F.U.e. 
secondo 
cui 
“La 
responsabilità 
personale 
degli 
agenti 
nei 
confronti 
dell’Unione 
è 
regolata dalle 
disposizioni 
che 
stabiliscono il 
loro statuto o il 
regime 
loro 
applicabile” 
in 
uno 
all’art. 
22 
dello 
Statuto 
dei 
funzionari 
dell’Unione 
europea 
secondo cui 
“il 
funzionario può essere 
tenuto a risarcire, in tutto o in parte, 
il 
danno subito dall’Unione 
per 
colpa personale 
grave 
da lui 
commessa nel-
l’esercizio o in occasione 
dell’esercizio delle 
sue 
funzioni. La decisione 
motivata 
è 
presa dall’autorità che 
ha il 
potere 
di 
nomina, secondo la procedura 
prescritta in materia disciplinare. La Corte 
di 
Giustizia dell’Unione 
europea 
ha competenza anche 
di 
merito per 
decidere 
delle 
controversie 
cui 
possa dar 
luogo la presente disposizione”. 


orbene, 
nel 
medesimo 
procedimento 
di 
spesa 
si 
assiste 
-a 
fronte 
dei 
danni 
conseguenza 
della 
colpa 
personale 
grave 
nella 
gestione 
di 
risorse 
pub


(14) Di 
fonte 
sociale 
(regole 
di 
diligenza, di 
prudenza, di 
perizia: 
colpa 
generica) o di 
fonte 
normativa 
(legge, regolamenti, ordini, discipline: 
colpa 
specifica). tanto argomentandosi 
dall’art. 43 c.p. 
per il 
quale 
la 
fattispecie 
presenta 
l’elemento psicologico della 
colpa 
“quando l’evento, anche 
se 
preveduto, 
non è 
voluto dall’agente 
e 
si 
verifica a causa di 
negligenza o imprudenza o imperizia, ovvero per 
inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline”. 

RASSeGNA 
AvvoCAtURA 
DeLLo 
StAto -N. 2/2023 


bliche 
-alla 
responsabilità 
erariale 
ove 
nella 
filiera 
intervenga 
un 
funzionario 
dell’U.e. 
(15) 
e 
all’immunità 
erariale 
ove 
nella 
filiera 
intervenga 
un 
funzionario 
della 
Repubblica 
Italiana. 
ed 
anche 
questo 
non 
è 
coerente, 
oltre 
che 
ingiusto. 


A 
questi 
rilievi 
critici 
si 
potrebbe 
tuttavia 
obiettare: 
va 
bene, vi 
possono 
anche 
essere 
aporie, 
ma 
se 
lo 
strumentario 
predisposto 
dal 
legislatore 
funziona 
si 
possono pure 
superare 
le 
questioni 
di 
principio; 
con considerazione 
pragmatica 
dei dati in gioco, meglio qualsivoglia azione rispetto all’inerzia. 

Ma 
un simile 
sistema 
di 
contenimento della 
responsabilità 
erariale 
funziona? 


Diremmo di 
no. L’art. 2, commi 
3 e 
4 C. contr. ed altresì 
l’art. 21 D.L. n. 
76/2020 valgono unicamente 
per la 
responsabilità 
erariale. Restano immutate 
le 
altre 
fattispecie 
di 
responsabilità 
del 
dipendente: 
penale 
(salva 
la 
novella 
dell’art. 323 c.p.), civile verso terzi, disciplinare, manageriale. 


Per i 
principi, vi 
può essere 
un concorso di 
fattispecie, ossia 
uno stesso 
comportamento può integrare 
più ipotesi 
di 
responsabilità 
(16). La 
redazione 
e 
gestione 
di 
una 
linea 
di 
interventi 
in violazione 
colposa 
di 
direttive 
ad hoc 
con sperpero di 
danaro pubblico può, in ipotesi, integrare 
responsabilità 
erariale 
e responsabilità disciplinare. 


In 
questa 
evenienza, 
un 
dirigente, 
pur 
non 
rispondendo 
verso 
l’ente 
di 
appartenenza 
per il 
danno arrecato, sarebbe 
passibile 
di 
sanzione 
disciplinare 
ed 
esposto alla responsabilità manageriale. 

Sicché 
non 
è 
detto, 
non 
è 
sicuro, 
che 
lo 
strumentario 
predisposto 
dal 


(15) Particolare 
attenzione, a 
livello unionistico, è 
data 
al 
profilo del 
recupero dei 
fondi 
indebitamente 
versati. A 
tal 
fine, il 
Regolamento n. 241 del 
2021 all’art. 8 fa 
espresso rinvio alla 
normativa 
generale 
del 
Regolamento 
finanziario, 
che 
prevede 
la 
responsabilità 
degli 
agenti 
finanziari, 
che 
sono 
tenuti 
“a 
risarcire 
il 
danno 
alle 
condizioni 
dello 
statuto” 
(art. 
92 
Reg. 
finanziario 
Ue); 
il 
riferimento 
è 
al 
citato 
art. 22 dello Statuto dei 
funzionari 
Ue. A. CANALe, il 
d.l. semplificazioni 
e 
il 
regime 
transitorio in tema 
di 
responsabilità amministrativa: i 
chiaroscuri 
della riforma, 
cit., osserva: 
“il 
rinvio all’art. 22 dello 
Statuto dei 
funzionari 
U.E., che 
espressamente 
richiama la colpa grave 
per 
il 
risarcimento del 
danno è 
poi 
di 
particolare 
rilievo, 
in 
quanto, 
oltre 
all’azione 
recuperatoria, 
pare 
prevedere 
anche 
la 
risarcibilità 
dei 
danni 
arrecati 
con colpa grave: è 
ovvio, con riferimento agli 
interventi 
finanziati 
con fondi 
europei 
del 
recovery 
Fund. E 
dunque, l’Europa, in estrema sintesi, ci 
fornisce 
i 
mezzi 
finanziari 
per 
la ripresa, 
ma 
esige, 
giustamente, 
una 
sana 
gestione 
finanziaria 
ed 
efficaci 
azioni 
di 
contrasto, 
non 
solo 
di 
carattere 
penale 
ma anche 
recuperatorie, nei 
casi 
di 
impiego illecito dei 
fondi 
del 
recovery 
Fund, nonché 
risarcitorie 
nei 
termini 
di 
cui 
all’art. 22 dello Statuto funzionari 
UE, che 
entra nel 
quadro normativo che 
regola 
l’attuazione 
del 
recovery 
Fund per 
effetto del 
già menzionato art. 8 del 
reg. 241. Queste 
ultime 
azioni, quella recuperatoria e 
quella risarcitoria, chiamano in causa innegabilmente 
la “giustizia contabile”, 
che 
deve 
poter 
contare, con specifico riferimento alle 
misure 
da attuare 
con il 
recovery 
Fund, 
su 
tutti 
gli 
strumenti 
giuridici 
necessari 
per 
adempiere 
agli 
obblighi 
posti 
dal 
regolamento 
a 
carico 
dello Stato italiano”. 
(16) 
Circostanza 
confermata 
dall’art. 
2, 
comma 
9, 
L. 
7 
agosto 
1990, 
n. 
241 
secondo 
cui: 
“La 
mancata 
o 
tardiva 
emanazione 
del 
provvedimento 
costituisce 
elemento 
di 
valutazione 
della 
performance 
individuale, 
nonché 
di 
responsabilità 
disciplinare 
e 
amministrativo-contabile 
del 
dirigente 
e 
del 
funzionario inadempiente”. 

CoNtRIbUtI 
DI 
DottRINA 


legislatore 
funzioni 
e 
il 
dipendente 
si 
disinibisca 
nell’azione 
amministrativa. 


6. Che fare? 
Per quanto esposto la 
disciplina 
sulla 
responsabilità 
come 
strumento per 
rapidizzare 
e 
rendere 
efficiente 
l’azione 
amministrativa 
-come 
emergente 
dal 


C. 
Contr. 
e 
dall’art. 
21, 
comma 
2, 
D.L. 
n. 
76/2020 
-presenta 
vari 
profili 
di 
criticità. 
Rilevati 
i 
punti 
critici, 
quali 
sono 
le 
tecniche 
per 
rendere 
efficiente 
l’azione amministrativa nel campo dei contratti pubblici? 
La 
risposta 
è 
quella 
più 
semplice. 
Si 
è 
rilevato 
innanzi 
che 
nell’attuale 
momento 
storico, 
l’attività 
contrattuale 
è 
regolata 
da 
una 
normativa 
complessa 
e 
viene 
svolta 
con 
risorse 
umane 
con 
formazione 
non 
adeguata 
ai 
compiti 
da 
svolgere. 
Se 
tale 
è 
il 
dato, 
le 
tecniche 
essenziali 
per 
recuperare 
l’efficienza 
sono 
due: 
a) 
normativa 
(e 
procedimenti) 
chiara; 
b) 
personale 
competente 
ad 
hoc, 
formato 
oppure 
-ove 
questo 
non 
fosse 
possibile 
-ricorrere 
al 
mercato, 
esternalizzare. 
In 
questo 
contesto 
la 
c.d. 
paura 
della 
firma 
viene 
sterilizzata. 


Sul 
versante 
della 
normativa 
chiara 
poco possono gli 
operatori. occorre 
un nuovo codice. 

È 
auspicabile, quindi, una 
semplificazione 
generalizzata 
di 
tutte 
le 
procedure 
negoziali. 
Un 
modello 
di 
pronta 
fruizione 
è 
il 
c.d. 
modello 
inglese, 
ossia 
la 
recezione 
immediata 
delle 
direttive 
U.e. in materia 
negoziale. Gli 
inglesi 
-ma 
questa 
è 
storia 
perché 
sono usciti 
dall’U.e. -con il 
loro taglio pratico, 
preso atto che 
le 
direttive 
in materia 
sono dettagliate, si 
sono limitati 
a 
tradurle in inglese 
tout court 
senza adottare norme di attuazione. 


All’uopo potrebbe 
essere 
adottata 
una 
legge 
con un articolo unico del 
seguente 
tenore: 
“articolo unico 


1. 
il 
D.L.vo 
31 
marzo 
2023, 
n. 
36 
è 
abrogato; 
le 
relative 
disposizioni 
continuano 
ad applicarsi alle procedure pendenti. 
2. 
L’aggiudicazione 
dei 
contratti 
di 
concessione 
è 
regolata 
dalla 
direttiva 
2014/23/UE 
del 
Parlamento 
europeo 
e 
del 
Consiglio, 
del 
26 
febbraio 
2014; 
l’aggiudicazione 
dei 
contratti 
di 
appalto 
pubblico 
è 
regolata 
dalla 
direttiva 
2014/24/UE 
del 
Parlamento 
europeo 
e 
del 
Consiglio, 
del 
26 
febbraio 
2014; 
l’aggiudicazione 
dei 
contratti 
di 
appalto 
degli 
enti 
erogatori 
nei 
settori 
del-
l’acqua, 
dell’energia, 
dei 
trasporti 
e 
dei 
servizi 
postali 
è 
regolata 
dalla 
direttiva 
2014/25/UE 
del 
Parlamento 
europeo 
e 
del 
Consiglio, 
del 
26 
febbraio 
2014. 
Per 
tutto 
quanto 
non 
previsto 
dalle 
direttive 
innanzi 
indicate 
si 
applicano 
il Codice Civile ed i principi generali di correttezza e buona fede. 


3. La presente 
legge 
entra in vigore 
il 
giorno successivo alla pubblicazione 
sulla Gazzetta ufficiale” (17). 

RASSeGNA 
AvvoCAtURA 
DeLLo 
StAto -N. 2/2023 


Sul 
versante 
del 
personale 
ad hoc 
occorre 
promuovere 
una 
specifica 
professionalità 
sulla 
materia 
della 
contrattualistica 
pubblica, 
mediante 
idonea 
preparazione, 
formazione, 
rafforzamento 
delle 
capacità 
professionali 
dei 
dipendenti. All’uopo molto possono gli 
operatori, specie 
le 
Università 
(corsi 
ad hoc, corsi attuali con aspetto teorico pratico). 

Si 
potrà 
obiettare 
che 
la 
evidenziata 
risposta 
semplice 
è 
lapalissiana, 
del 
tutto 
ovvia, 
è 
la 
scoperta 
dell’acqua 
calda. 
Sarà 
pure 
una 
risposta 
qualificabile 
come 
ovvia, 
ma 
evidenzia 
l’unica 
risposta 
ai 
problemi 
fattuali. 
È 
calda 
anche 
l’acqua 
contenuta 
nel 
principio 
del 
risultato 
(art. 
1, 
comma 
1, 


C. 
contr.: 
“Le 
stazioni 
appaltanti 
e 
gli 
enti 
concedenti 
perseguono 
il 
risultato 
dell’affidamento 
del 
contratto 
e 
della 
sua 
esecuzione 
con 
la 
massima 
tempestività 
e 
il 
migliore 
rapporto 
possibile 
tra 
qualità 
e 
prezzo, 
nel 
rispetto 
dei 
principi 
di 
legalità, 
trasparenza 
e 
concorrenza”). 
Cosa 
prescrive 
il 
principio 
del 
risultato 
con 
riguardo 
-operando 
un 
esempio 
semplice 
-alla 
condotta 
del 
contadino 
che 
va 
a 
comprare 
gli 
stivali 
al 
mercato 
del 
paese? 
Prescrive: 
compra 
gli 
stivali 
migliori 
al 
prezzo 
più 
economico 
(questa 
è 
una 
delle 
quattro 
ipotesi 
logicamente 
possibili) 
(18). 
Anche 
questo 
è 
ovvio. 
Se 
il 
legislatore 
ha 
avvertito 
la 
necessità 
di 
affermare 
il 
principio 
del 
risultato 
è 
perché 
esso 
è 
stato 
smarrito 
per 
lungo 
tempo 
nel 
nostro 
ordinamento 
per 
varie 
ragioni, 
tra 
cui 
la 
superfetazione 
della 
finalità 
ritenuta 
primaria 
di 
tutela 
della 
concorrenza 
(sicché 
la 
funzione 
di 
committenza 
è 
quasi 
scomparsa, 
come 
se 
il 
compito 
primario 
dello 
Stato 
fosse 
diventato 
quello 
di 
indire 
e 
gestire 
le 
gare 
per 
garantire 
la 
concorrenza 
e 
promuovere 
il 
mercato, 
dimenticando 
che 
la 
gara 
è 
un 
mezzo, 
non 
un 
fine) 
e 
gli 
eccessi 
formalistici 
della 
disciplina 
e 
della 
rigidità 
degli 
obblighi 
di 
gara 
conseguenti 
a 
disposizioni 
adottate 
con 
finalità 
astratte 
di 
prevenzione 
della 
corruzione 
e 
tutela 
della 
legalità 
con 
l’affidamento 
dei 
compiti 
di 
vigilanza 
sulla 
sua 
corretta 
applicazione, 
ed 
altresì 
di 
poteri 
normativi 
e 
regolamentari, 
all’ANAC 
(19). 
(17) 
tale 
proposta 
non 
è 
isolata 
nella 
comunità 
giuridica. 
Si 
rileva 
che 
“recentemente 
il 
Presidente 
del 
Consiglio 
di 
Stato 
Filippo 
Patroni 
Griffi, 
ha 
espresso 
in 
modo 
chiaro 
che 
la 
materia 
dei 
contratti 
pubblici 
potrebbe 
essere 
in 
poco 
tempo 
semplificata 
ritornando 
alle 
direttive 
UE 
e 
abbattendo 
il 
cosiddetto 
goldplating, 
l’“indoramento”, 
l’aggravamento 
anomalo 
attuato 
di 
solito 
dallo 
Stato 
italiano 
nelle 
leggi 
(spesso 
decreti 
delegati) 
di 
recepimento 
delle 
direttive”: 
S. 
De 
FeLICe, 
alcune 
idee 
per 
una 
Pa 
migliore 
per 
il 
Paese. 
Non 
solo 
per 
il 
recovery, 
in 
Sito 
Giustizia 
amministrativa, 
approfondimenti 
Dottrina, 
pubblicato 
il 
20 
febbraio 
2021, 
ove 
si 
rileva 
altresì 
“Certo, 
c’è 
la 
esigenza 
di 
disciplinare 
gli 
aspetti 
interni, 
ma 
in 
una 
materia 
caratterizzata 
da 
tante 
fonti 
del 
diritto 
quali 
regolamenti 
e 
direttive 
europee, 
normativa 
statale 
primaria 
e 
secondaria 
(allo 
stato, 
non 
l’auspicato 
regolamento 
unico, 
ma 
varie 
decine 
di 
regolamenti, 
linee 
guida 
anac 
e 
anche 
leggi 
regionali 
su 
materie 
secondarie, 
quali 
la 
composizione 
delle 
commissioni), 
bandi 
(il 
bando 
è 
definito 
la 
lex 
specialis 
della 
gara), 
capitolati, 
contratti, 
si 
può 
e 
si 
deve 
provare 
a 
espungere 
il 
troppo 
e 
il 
vano, 
e 
guarire 
dal 
“morbo” 
del 
troppo 
diritto”. 
(18) Secondo l’ordine 
dei 
possibili 
le 
altre 
tre 
opzioni 
sono: 
compra 
gli 
stivali 
migliori 
al 
prezzo 
più elevato; 
compra 
gli 
stivali 
peggiori 
al 
prezzo più economico; 
compra 
gli 
stivali 
peggiori 
al 
prezzo 
più elevato. 

CoNtRIbUtI 
DI 
DottRINA 


7. Conclusioni. 
I matrimoni 
con i 
fichi 
secchi 
non funzionano. Le 
tecniche 
contenute 
nel 
nuovo codice 
dei 
contratti 
-in continuità 
con la 
recente 
legislazione 
speciale 


-rivolte 
a 
vincere 
la 
c.d. “paura 
della 
firma” 
sono, a 
nostro giudizio, inidonee 
a recuperare l’efficienza nella materia dei contratti pubblici. 
L’efficienza 
nella 
materia 
dei 
contratti 
pubblici 
passa 
necessariamente 
attraverso 
una 
semplificazione 
delle 
norme 
(e 
procedure) 
e 
risorse 
umane 
dotate 
della specifica professionalità nella materia. 


(19) Per questi 
rilievi: 
G. NAPoLItANo, il 
nuovo Codice 
dei 
contratti 
pubblici: i 
principi 
generali, 
cit., pp. 289-290. 

RASSeGNA 
AvvoCAtURA 
DeLLo 
StAto -N. 2/2023 


L’interpretazione al crocevia tra diritto e musica. 
Un processo circolare 


Antonino Ripepi* 


- PrEFazioNE 
-

Quale 
figlia e 
nipote 
di 
artisti 
-il 
soprano Nicoletta Panni 
e 
il 
baritono 
Giuseppe 
De 
Luca 
-ho 
sempre 
ritenuto 
che 
il 
diritto 
fosse 
quanto 
di 
più 
sterile 
potesse 
esistere 
se 
comparato alla creatività dell’arte, sia essa musicale, pittorica 
o scultorea. Per 
questo ho trovato intrigante 
la chiave 
di 
lettura del-
l’autore 
-che 
riveste 
il 
duplice 
ruolo 
di 
giurista 
e 
di 
musicista 
-circa 
il 
parallelismo tra diritto e 
musica attraverso “l’interpretazione” 
della norma 
di 
legge 
o 
del 
brano 
musicale. 
Secondo 
tale 
prospettiva, 
l’interprete 
crea 
a 
sua 
volta 
rispetto 
al 
testo 
originario 
del 
legislatore 
o 
del 
compositore 
e 
diviene 
in entrambi 
i 
casi 
un artista. resta il 
fatto che 
il 
dialogo tra ordinamenti 
giuridici 
è 
ben più complesso di 
quello che 
la musica assicura con il 
suo “linguaggio 
universale”, intelligibile 
da chiunque 
attraverso i 
secoli 
ed i 
confini 
nazionali. 

Wally Ferrante** 


Sommario: 1. Diritto e 
musica: due 
discipline 
performative 
-2. La circolarità dell’interpretazione 
giuridica e 
musicale 
-3. Differenze 
tra interpretazione 
giuridica e 
musicale 



4. L’improvvisazione: analogia o differenza? -5. L’impatto della tecnologia sulla musica e 
sul diritto: una questione di stringente attualità - 6. Conclusioni. 
1. Diritto e musica: due discipline performative. 
Le 
relazioni 
intercorrenti 
tra 
diritto 
e 
musica 
costituiscono 
oggetto 
di 
studio, 
da 
parte 
della 
dottrina, ormai 
da 
diverso tempo, al 
punto da 
giustificare 
la 
creazione 
di 
un’autonoma 
branca 
della 
ricerca 
scientifica, 
denominata 
Law 
and music. 

In 
chiave 
storica, 
infatti, 
la 
musica 
e 
il 
diritto 
sono 
legati 
da 
“pratiche 
istituzionali 
comuni, contiguità 
culturali 
profonde, funzioni 
simboliche 
convergenti 
ed 
emblematicamente 
racchius(e) 
nello 
stesso 
universo 
semantico 
del 
vocabolo 
“νόμοι” 
(1), 
termine 
con 
cui 
Platone, 
all’interno 
delle 
“Leggi”, 
iden


(*) Procuratore 
dello Stato -Avvocatura 
Distrettuale 
di 
Reggio Calabria, Referente 
distrettuale 
per la 
“Rassegna 
dell’Avvocatura 
dello Stato”. Laureato in Pianoforte 
principale, organo e 
composizione 
organistica 
presso il Conservatorio di Musica F. Cilea di Reggio Calabria. 


(**) Avvocato dello Stato. 


(1) 
G. 
ReStA, 
il 
Giudice 
e 
il 
Direttore 
d’orchestra. 
Variazioni 
sul 
tema: 
«diritto 
e 
musica», 
in 
materiali 
per una storia della cultura giuridica, n. 2/2011, p. 437. 

CoNtRIbUtI 
DI 
DottRINA 


tificava 
sia 
la 
legge 
che 
il 
canto (2). D’altronde, i 
neumi 
gregoriani, figure 
ritmiche 
e 
melodiche 
proprie 
della 
letteratura 
medievale, condividono con il 
diritto 
proprio l’etimologia del νόμος. 


Nonostante 
tale 
parallelismo sia 
coltivato da 
autorevoli 
studiosi, i 
quali 
giungono a 
equiparare 
il 
giudice 
al 
direttore 
d’orchestra 
(3) o rinvengono nel 
νόμος 
l’elemento 
di 
collegamento 
tra 
musica 
e 
diritto 
(4), 
non 
tutte 
le 
voci 
dottrinali si rivelano favorevoli alla suddetta analisi comparata. 


In 
particolare, 
basil 
Markesinis, 
all’interno 
del 
volume 
Good 
and 
Evil 
in 
art 
and 
Law, 
nel 
commentare 
l’articolo 
di 
Levinson 
e 
balkin 
dedicato 
a 
diritto, 
musica 
e 
a 
tutte 
le 
arti 
performative 
(5), 
afferma 
che 
“(…) 
though 
pieces 
such 
as 
Levinson/balkin 
article 
give 
their 
authors 
the 
opportunity 
to 
display 
the 
breadth 
of 
their 
reading, 
they 
rarely 
-I 
feel 
-show 
in 
concrete 
terms 
and 
by 
means 
of 
specific 
examples 
how 
the 
study 
of 
the 
one 
branch 
of 
intellectual 
creativity 
can aid the 
work of the 
others. thus, if one 
looks, for instance 
at 
the 
Levinson/balkin 
article 
one 
finds 
concluding 
observations 
that 
are 
couched 
in 
general 
terms 
that 
appear to support 
the 
interaction between disciplines 
but 
which, 
in 
practice, 
do 
not 
seem 
to 
stand 
up 
to 
thorough 
scrutiny 
from 
the 
lawyer’s 
point 
of 
view. 
While 
admiring 
the 
imagination 
of 
the 
authors 
and 
envying 
the 
broad 
sweep 
of 
their 
reading, 
I 
regret 
to 
say 
that 
I 
belong 
to 
those 
who 
will 
not 
find 
that 
statements 
such 
as 
the 
above 
(along 
with 
the 
supporting 
text) 
will 
help 
illuminate 
the 
enterprise 
of 
constitutional 
analysis 
or 
interpretation” 
(6). 


Lo studio dei 
rapporti 
tra 
diritto e 
musica, dunque, è 
considerato -nel-
l’analisi 
in esame 
-privo di 
ricadute 
concrete, quasi 
alla 
stregua 
di 
un gioco 
intellettuale, dotato di mero valore descrittivo. 


In 
un’ottica 
diversa, 
ma 
comunque 
tesa 
a 
negare 
qualsiasi 
parallelismo 
tra 
le 
due 
discipline, 
Alfredo 
Parente 
sosteneva 
il 
carattere 
sostanzialmente 
tecnico 
dell’interpretazione, 
per 
cui 
l’interprete 
non 
si 
sarebbe 
mai 
potuto 
considerare 
artista. 
Interpretare, 
in 
questa 
impostazione, 
consiste 
nell’eseguire 
passivamente 
e 
obiettivamente, 
tentando 
di 
riprodurre 
l’identità 
del-
l’autore 
(7). 


(2) 
PLAtoNe, 
Leggi, 
III, 
700, 
in 
opere, 
II, 
trad. 
it. 
di A. 
zadro, 
bari, 
1966, 
pp. 
692-693: 
«Da 
noi 
infatti 
allora 
la 
“musica” 
si 
distingueva 
in 
certi 
suoi 
aspetti 
e 
figure 
e 
un 
certo 
aspetto 
del 
canto 
era 
costituito 
di 
preghiere 
agli 
dei: 
si 
chiamavano 
col 
nome 
di 
“inni”; 
il 
suo 
contrario 
era 
un 
altro 
aspetto 
del 
canto 
(proprio 
questi 
si 
sarebbero 
dovuti 
chiamare 
thrènoi), 
e 
un 
altro 
erano 
i 
“peana” 
e 
poi 
ce 
n’era 
un 
altro 
detto 
“ditirambo”, 
ed 
è 
la 
“nascita 
di 
Dioniso”, 
credo. 
Inoltre 
un’altra 
specie 
di 
canto 
chiamavano 
proprio 
con 
questo 
nome 
di 
“leggi” 
(nòmoi), 
come 
fosse 
diversa, 
e 
le 
dicevano 
“canti 
citaredici”». 
(3) G. ReStA, op. cit. 
(4) e. PICozzA, il 
nomos 
nella musica e 
nel 
diritto, in G. ReStA 
(a 
cura 
di), L’armonia nel 
diritto: 
contributi a una riflessione su diritto e musica, Roma tre-press, 2020. 
(5) 
S. 
LevINSoN 
-M. 
bALkIN, 
Law, 
music 
and 
other 
Performing 
arts, 
Stanford, 
University 
of 
Pennsylvania Law review, 1597, 1991. 
(6) b. MARkeSINIS, Good and Evil in art and Law, Springer, 2009, pp. 10-11. 
(7) A. PAReNte, La musica e le arti. Problemi di estetica, bari, 1946, p. 108. 

RASSeGNA 
AvvoCAtURA 
DeLLo 
StAto -N. 2/2023 


tanto 
premesso, 
occorre 
precisare 
che 
il 
fondamento 
della 
presente 
ricerca 
muove 
dalla 
comune 
considerazione 
del 
diritto 
e 
della 
musica 
in 
termini 
di 
discipline 
performative: 
sia 
il 
giurista 
che 
il 
musicista, 
infatti, 
devono 
ascrivere 
senso a 
un insieme 
di 
grafemi, ordinati 
secondo un programma 
intelligente, 
a seconda dei casi, dal legislatore o da un compositore. 

In 
entrambi 
i 
casi, 
il 
processo 
ermeneutico 
transita 
attraverso 
una 
pluralità 
di 
fasi: 
il 
giurista 
è 
chiamato, innanzitutto, a 
ricostruire 
il 
significato lessicale 
dell’enunciato conformemente 
al 
disposto dell’art. 12 preleggi 
e 
al 
canone 
interpretativo 
in 
claris 
non 
fit 
interpretatio; 
a 
valle 
di 
tale 
operazione, 
si 
schiude 
un 
momento 
ermeneutico 
intriso 
di 
maggiore 
creatività, 
consistente, 
ad 
esempio, 
nell’interpretazione 
dei 
cc.dd. 
concetti 
giuridici 
indeterminati 
o 
nella 
concretizzazione 
delle 
clausole 
generali, 
oppure 
nella 
personale 
ricostruzione 
dell’ordinamento giuridico in chiave sistematica. 

Allo stesso modo, il 
musicista 
deve, in un primo momento, connotato da 
maggiore 
vincolatività, decodificare 
la 
partitura 
alla 
stregua 
di 
un linguaggio 
che, in via 
universale, individua 
l’altezza 
e 
la 
frequenza 
dei 
suoni, nonché 
la 
loro estensione 
nel 
tempo, così 
come 
i 
momenti 
di 
pausa; 
una 
volta 
superata 
tale 
fase, si 
apre 
la 
dimensione 
virtuale 
destinata 
all’espressione 
della 
soggettività 
dell’interprete, che 
può discrezionalmente 
individuare 
il 
tempo di 
esecuzione 
di 
un 
“adagio” 
o 
la 
forza 
muscolare 
da 
impiegare 
(a 
seconda 
dello 
strumento impiegato) per l’espressione di un “fortissimo”. 


Se 
tale 
analogia 
è 
fondata, come 
appare, il 
tema 
dell’interpretazione 
rappresenta 
allora, 
più 
di 
qualsiasi 
altro, 
il 
trait 
d’union 
tra 
i 
due 
vasti 
campi 
della 
cultura 
umana. In entrambe 
le 
ipotesi, infatti, l’interprete 
attribuisce 
senso a 
un 
complesso 
di 
grafemi, 
non 
limitandosi 
a 
una 
mera 
esecuzione 
della 
volontà 
altrui, bensì 
dando luogo a 
un processo circolare 
in cui 
non è 
dato distinguere 
il 
soggetto interpretante 
dall’oggetto interpretato. In questo modo la 
disposizione 
legislativa, così 
come 
l’opera 
d’arte, divengono il 
luogo ideale 
in cui 
si 
incontrano l’ideatore, l’interprete e il destinatario del messaggio. 


In 
questa 
direzione 
si 
pone 
il 
pensiero 
di 
autorevoli 
giuristi. 
Affermava 
Carnelutti 
che 
“il 
giurista 
vorrebbe 
esser 
musico 
per 
fare 
che 
gli 
uomini 
possano 
sentirne 
l’incanto. 
Non 
si 
interpreta 
soltanto 
nel 
campo 
del 
diritto. 
La 
figura 
dell’interprete 
ha 
un 
posto 
di 
primo 
piano 
anche 
nella 
fenomenologia 
dell’arte; 
eleonora 
Duse, 
Paganini 
o 
toscanini 
hanno 
in 
vittorio 
Scialoja 
e 
in 
Paolo 
emilio 
bensa 
due 
fratelli. 
Se 
il 
diritto 
non 
fosse 
arte, 
l’interpretazione 
non 
ci 
avrebbe 
che 
fare. 
L’interpretazione 
giuridica 
è 
interpretazione 
artistica; 
se 
non 
fosse 
tale 
non 
sarebbe 
interpretazione. 
L’interpretazione 
giuridica 
e 
l’interpretazione 
musicale 
non 
sono 
due 
cose 
diverse, 
ma 
una 
cosa 
sola” 
(8). 


(8) F. CARNeLUttI, arte del diritto 
(ristampa con prefazione di C. Consolo), torino, 2017, p. 45. 

CoNtRIbUtI 
DI 
DottRINA 


A 
sostegno di 
tale 
impostazione, un giurista 
del 
calibro di 
Salvatore 
Pugliatti 
identifica 
l’interpretazione 
con 
la 
ricreazione 
dell’opera, 
la 
quale 
implica 
“una 
umana 
partecipazione, che 
di 
quei 
segni 
sparsi 
e 
morti 
faccia 
una 
sola 
parola 
viva, 
intieramente 
sciogliendo 
ogni 
frammento 
esteriore, 
oggettivo, 
nella libera creatività del soggetto” (9). 


2. La circolarità dell’interpretazione giuridica e musicale. 
Come 
già 
accennato, dal 
momento che 
entrambe 
le 
discipline 
si 
fondano 
su 
processi 
ermeneutici, 
si 
verifica 
quella 
circolarità 
tra 
soggetto 
interpretante 
e 
oggetto 
interpretato 
che 
era 
già 
stata 
lumeggiata 
da 
filosofi 
del 
calibro 
di 
Gadamer 
e 
Schleiermacher: 
interpretare 
significa 
muovere 
dalle 
parti 
che 
compongono 
il testo al tutto e, viceversa, dal tutto alle parti (10). 


Mentre 
in musica 
tale 
osservazione 
si 
manifesta 
in tutta 
la 
propria 
autoevidenza, 
in quanto l’interprete, nel 
dare 
voce 
al 
compositore, esprime 
anche 
sé 
stesso sul 
piano emotivo, prima 
ancora 
che 
razionale, il 
discorso potrebbe 
apparire difficilmente applicabile all’ermeneusi giuridica. 


Infatti, 
secondo 
un’impostazione 
tanto 
risalente 
quanto 
radicata, 
“quando 
il 
giudice 
ardisce 
di 
arrogarsi 
il 
potere 
di 
interpretare 
le 
leggi, vale 
a 
dire 
di 
sostituire 
la 
sua 
volontà 
a 
quella 
del 
legislatore, l’arbitrio è 
dappertutto, nessuno 
può prevedere 
il 
corso che 
prenderà 
il 
suo capriccio” 
(11); 
lo stesso Autore 
avvertiva 
che 
“la 
legge 
scritta 
è 
il 
progresso, 
la 
legge 
non 
scritta 
è 
una 
legge 
congetturale, 
una 
finzione 
di 
legge” 
(12). 
Si 
tratta 
dell’impostazione 
teorica 
sottesa 
alla 
figura 
del 
giudice 
bouche 
de 
la loi, portato dell’epoca 
napoleonica 
e 
teso 
a 
garantire 
la 
prevalenza 
della 
legge 
scritta 
sull’arbitrio 
giudiziario (13). 


tuttavia, 
tali 
considerazioni 
appaiono 
inattuali 
se 
confrontate 
con 
l’odierna 
crisi 
del 
sistema 
delle 
fonti 
del 
diritto 
(14), 
ormai 
svincolato 
dal-
l’unico punto di 
riferimento di 
segno statualistico (15). La 
tradizionale 
e 
monolitica 
prospettazione 
del 
fenomeno 
giuridico 
quale 
“diritto 
dello 
Stato”, 


(9) S. PUGLIAttI, L’interpretazione musicale, Messina, 1940 (ristampa 1991), p. 40. 
(10) H.G. GADAMeR, Verità e 
metodo 
[III ed., 1972], II, (trad. it., Milano, 1994), pp. 312 ss., ma 
spec. pp. 340 ss., secondo cui in ogni processo ermeneutico si verifica la circolarità. 
(11) J. beNtHAM, an introduction the 
Principles 
of 
morals 
and Legislation, I, bruxelles, 1829, p. 
84. 
(12) ivi, p. 85. 
(13) 
A. 
CAvANNA, 
Storia 
del 
diritto 
moderno 
in 
Europa. 
Le 
fonti 
e 
il 
pensiero 
giuridico. 
II, 
Giuffré, 
2005, pp. 532 ss. v. anche 
A. zoPPINI, il 
diritto privato e 
i 
suoi 
confini, Il 
Mulino, 2020, che 
si 
esprime 
in questi 
termini: 
“Lo Stato era 
sovrano nella 
genesi 
normativa 
-in cui 
si 
traduce 
la 
volontà 
generale 
-, 
il 
garante 
della 
funzione 
e 
della 
terzietà 
del 
giudice, vera 
bouche 
de 
la loi, infine 
l’institore 
dell’ufficio 
pubblico 
chiamato 
a 
eseguire 
con 
la 
forza 
il 
comando 
giuridico. 
Affermare 
che 
a 
tutt’oggi 
la 
normatività 
possa 
identificarsi 
col 
monopolio statuale, con il 
territorio della 
sovranità 
nazionale, costituisce 
una 
risposta 
largamente insufficiente e certamente inadeguata” (p. 18). 
(14) Su cui v. N. LIPARI, Le fonti del diritto, Giuffré, 2008. 
(15) A. zoPPINI, il diritto privato e i suoi confini, 
cit., pp. 22 ss. 

RASSeGNA 
AvvoCAtURA 
DeLLo 
StAto -N. 2/2023 


ordinato in un sistema 
predefinito, si 
è 
ormai 
dissolta 
in favore 
di 
un quadro 
meno 
definito, 
caratterizzato 
dal 
proliferare 
di 
fonti 
non 
scritte 
(16) 
(come 
nel 
caso della 
lex 
mercatoria) oppure 
scritte, ma 
non vincolanti 
(si 
pensi 
alla 
soft 
law); 
anche 
laddove 
i 
connotati 
della 
forma 
scritta 
e 
della 
precettività 
siano 
conservati, si 
registrano comunque 
aspetti 
derogatori 
rispetto al 
tradizionale 
processo 
di 
produzione 
del 
diritto 
(es. 
regolamenti 
approvati 
dalle 
Autorità 
amministrative 
indipendenti, le 
quali, per controbilanciare 
il 
deficit 
di 
democraticità, 
consentono 
la 
partecipazione 
degli 
interessati 
attraverso 
il 
c.d. 
notice 
and comment) (17). 


In questo contesto, tipico della 
postmodernità, un autorevole 
civilista 
ha 
recentemente 
osservato che 
“se 
dunque 
si 
sposta 
l’asse 
portante 
dell’ordinamento 
dal 
momento 
potestativo 
e 
autoritario 
del 
comando 
a 
quello 
applicativo 
del 
suo operante 
riconoscimento, collocandolo nella 
duttile 
realtà 
dell’esperienza, 
non c’è 
difficoltà 
ad ammettere 
che 
la 
vita 
di 
una 
comunità 
giuridica 
si 
esprime 
e 
si 
risolve 
in una 
costante 
ed instancabile 
prassi 
interpretativa. Il 
comando non esiste 
nella 
immutabile 
astrattezza 
del 
suo enunciato, ma 
vive 
nello spazio e 
nel 
tempo in un inevitabile 
attrito con l’esperienza, all’interno 
della 
quale 
i 
consociati 
attuano modelli 
di 
comportamento accettando e 
riconoscendo 
precetti, ai 
quali 
attribuiscono significati 
in funzione 
di 
ben individuate 
contingenze storiche” (18). 


Ne 
risulta 
destituita 
di 
fondamento 
l’immagine 
posticcia 
del 
“giudice 
bocca 
della 
legge”, in favore 
di 
una 
reinterpretazione 
dello stesso in termini 
di 
“voce 
della 
collettività 
che 
esprime 
la 
sua 
interpretazione, 
trasformando 
l’astratto enunciato in modello concreto, attraverso indici 
di 
valore, criteri 
di 
comportamento, prassi 
attuative. (…) Se, uscendo dalle 
strettoie 
dello statalismo 
e 
dall’assolutismo 
giuridico, 
si 
supera 
l’artificiosa 
distinzione 
tra 
soggetto 
e 
oggetto nelle 
modalità 
attuative 
del 
procedimento interpretativo, non ha 
più 
senso porre 
il 
punto di 
riferimento oggettivo (…) al 
di 
fuori 
della 
comunità 
interpretante, 
che 
sarebbe 
dunque 
chiamata 
ad 
applicare 
e 
ad 
intendere 
il 
diritto 
prodotto dall’autorità” (19). 


(16) R. bIN 
- G. PItRUzzeLLA, Le fonti del diritto, Giappichelli, 2023, pp. 253 ss. 
(17) 
S. 
NICoDeMo, 
Gli 
atti 
normativi 
delle 
autorità 
indipendenti, 
Padova, 
Cedam, 
2002; 
M.A. 
CAbIDDU 
-D. 
CALDIRoLA, 
L’attività 
normativa 
delle 
autorità 
indipendenti, 
in 
«Amministrare», 
2000; 
F. 
PoLItI, 
regolamenti 
delle 
autorità 
amministrative 
indipendenti, 
in 
«enc. 
Giur.», 
2001; 
S. 
MARzUCCHI, 
regolamenti 
delle 
autorità 
indipendenti, 
in 
Dizionario 
di 
diritto 
pubblico, 
a 
cura 
di 
S. 
CAS-
SeSSe, 
Milano, 
Giuffrè, 
2006; 
P. 
LAzzARA, 
La 
potestà 
regolamentare 
della 
Commissione 
Nazionale 
per 
le 
Società 
e 
la 
Borsa 
in 
materia 
di 
intermediazione 
finanziaria, 
in 
«Foro 
Amm.», 
2000; 
F. 
CINtIoLI, 
Potere 
regolamentare 
e 
sindacato 
giurisdizionale, 
torino, 
Giappichelli, 
2007, 
pp. 
107 
ss.; 
S. 
SANtoLI, 
Principio 
di 
legalità 
e 
potestà 
regolamentare 
delle 
autorità 
amministrative 
indipendenti, 
in 
«Giur. 
Cost.», 
2003; 
G. 
De 
MINICo, 
regole, 
comando 
e 
consenso, 
torino, 
Giappichelli, 
2004; 
P. 
CA-
RettI 
(a 
cura 
di), 
i 
poteri 
normativi 
delle 
autorità 
indipendenti, 
in 
osservatorio 
sulle 
fonti 
2003-2004, 
torino, 
Giappichelli, 
2005. 
(18) N. LIPARI, il diritto civile tra legge e giudizio, Giuffré, 2021, p. 21. 
(19) ivi, pp. 21-22. 

CoNtRIbUtI 
DI 
DottRINA 


L’ampia 
citazione 
di 
uno dei 
più importanti 
civilisti 
contemporanei 
consente, 
dunque, di 
apprezzare 
le 
analogie 
tra 
interpretazione 
giuridica 
e 
musicale. 
In 
entrambi 
i 
casi, 
infatti, 
la 
distinzione 
tra 
soggetto 
interpretante 
e 
oggetto 
da 
interpretare 
è 
solo 
fittizia 
e 
la 
disposizione 
normativa 
(o 
la 
partitura) 
diviene 
il 
luogo 
virtuale 
in 
cui 
l’autore 
e 
l’ermeneuta 
si 
incontrano 
idealmente. 
“A 
ben 
vedere, 
in 
ogni 
processo 
ermeneutico 
(ossia, 
per 
ogni 
possibile 
oggetto) 
si 
verifica 
quella 
circolarita 
di 
cui 
parla 
Gadamer, e 
agisce 
quel 
fattore 
di 
Vorverständnis 
che 
inevitabilmente 
(e 
in parte 
piu o meno rilevante, inconsciamente) 
condiziona l’osservatore” (20). 


In 
musica, 
il 
senso 
profondo 
di 
tale 
affermazione 
si 
può 
cogliere 
volgendo 
il 
pensiero 
alla 
(quasi 
leggendaria) 
figura 
di 
Glenn 
Gould, 
universalmente 
considerato 
uno dei 
più grandi 
interpreti 
delle 
opere 
per tastiera 
di 
Johann Sebastian 
bach nella 
misura 
in cui 
ha 
saputo cogliere 
lo spirito di 
quella 
musica 
e 
trasmetterlo agli ascoltatori come pochi altri (21). 


3. Differenze tra interpretazione giuridica e musicale. 
Nonostante 
le 
indubbie 
analogie, 
occorre 
riconoscere 
che 
“si 
deve 
comunque 
evitare 
di 
esagerare. La 
musica 
è 
davvero un’altra 
cosa. La 
musica 
è 
arte, 
il 
diritto 
no” 
(22). 
La 
musica 
nutre 
lo 
spirito 
ed 
è 
esigenza 
dell’individuo; 
il diritto è un’esigenza della società (23). 


I 
profili 
di 
(necessaria) 
distinzione 
tra 
i 
due 
ambiti 
del 
sapere 
che 
si 
ritiene 
di poter individuare sono tre. 


In 
primo 
luogo, 
il 
giurista, 
a 
differenza 
del 
musicista, 
è 
vincolato 
da 
criteri 
interpretativi 
che 
condividono, 
con 
l’oggetto 
dell’ermeneusi, 
la 
medesima 
sostanza 
normativa: 
l’art. 
101 
Cost., 
che 
statuisce 
il 
principio 
della 
esclusiva 
soggezione 
del 
giudice 
alla 
legge; 
l’art. 
12 
preleggi, 
già 
richiamato; 
gli 
artt. 
1362 
ss. 
c.c. 
per 
quanto 
concerne 
l’interpretazione 
di 
contratti 
e 
provvedimenti 
amministrativi; 
l’art. 
1367 
c.c., 
che 
fissa 
il 
generale 
canone 
dell’interpretazione 
utile 
e 
del 
divieto 
di 
interpretatio 
abrogans. 
tali 
limitazioni 
non 
esistono 
in 
ambito 
musicale, 
al 
punto 
da 
giustificare 
la 
poetica 
affermazione 
di 
Rilke: 
“tu, 
musica: 
acqua 
alla 
nostra 
fontana, 
raggio 
che 
cade, 
tu 
suono 
che 
specchia, 
che 
tu 
desti 
beata 
al 
tocco 
del 
risveglio, 
tu 


(20) 
F. 
RIMoLI, 
interpretazione, 
forma, 
funzione: 
sulle 
presunte 
affinità 
tra 
l’agire 
giuridico 
e 
l’agire 
musicale, in G. ReStA 
(a 
cura 
di), L’armonia nel 
diritto: contributi 
a una riflessione 
su diritto e 
musica, Roma tre-press, 2020, p. 307. 
(21) 
Sul 
punto, 
la 
bibliografia 
è 
sterminata. 
Si 
rinvia, 
in 
particolare, 
a 
M. 
CLARkSoN, 
Glenn 
Gould. 
Un 
genio 
innamorato, 
trad. 
it. 
di 
S. 
PezzANI, 
Postmedia 
books, 
2013; 
G. 
PAyzANt, 
Glenn 
Gould. 
La 
musica, l’uomo, orthotes, 2016. Si 
v. anche 
il 
video del 
convegno “il 
caso Glenn Gould: L’interpretazione 
abrogatrice tra musica e diritto”, in https://www.youtube.com/watch?v=7JUNfbNzWCm. 
(22) 
S. 
NARDI, 
Pulchrum 
et 
iustum 
convertuntur. 
Sulla 
relazione 
tra 
musica 
e 
diritto, 
in 
rassegna 
di diritto della moda e delle arti, fasc. 1/2022, p. 26. 
(23) Sono le 
conclusioni 
cui 
giunge 
G. zAGRebeLSky, in M. bRUNeLLo 
-G. zAGRebeLSky, interpretare. 
Dialogo tra un musicista e un giurista, Il Mulino, 2016, pp. 62 ss. 

RASSeGNA 
AvvoCAtURA 
DeLLo 
StAto -N. 2/2023 


quiete 
che 
il 
puro 
afflusso 
rinnova. 
tu, 
più 
di 
noi 
..., 
tu 
da 
qualsiasi 
fine 
liberata 
...” 
(24). 


In secondo luogo, il 
fine 
dell’interpretazione 
giuridica 
e 
musicale 
sono 
diversi: 
se 
in 
entrambe 
occorre 
inquadrare 
un 
testo 
entro 
un 
contesto, 
nella 
musica 
l’interprete 
effettua 
scelte 
interpretative 
per 
suscitare 
emozioni; 
nel 
diritto, 
invece, il 
giurista 
deve 
individuare 
un comportamento da 
seguire, considerando 
sia 
il 
bilanciamento 
di 
interessi 
sottostante 
alla 
statuizione 
del 
legislatore, sia 
principi 
che 
sono propri 
ed esclusivi 
della 
disciplina 
in esame, 
quali 
la 
ragionevolezza, 
recentemente 
indicata 
da 
autorevole 
dottrina 
quale 
vera e propria sostanza del fenomeno giuridico (25). 


Infine, 
esaminando 
il 
fenomeno 
dalla 
prospettiva 
del 
destinatario 
dell’interpretazione, 
ossia 
il 
cittadino 
sottoposto 
a 
un 
ordinamento 
giuridico 
o 
il 
fruitore/
ascoltatore 
di 
una 
qualunque 
opera 
musicale, 
si 
coglie 
una 
distinzione 
evidente: 
i 
destinatari 
ultimi 
delle 
norme 
giuridiche 
“subiscono” 
un’interpretazione 
già 
compiuta, un prodotto interpretativo che 
è 
connotato dalla 
precisa 
funzione 
di 
orientare, con valenza 
precettiva, i 
loro comportamenti. Diversamente, 
l’opera 
musicale 
agisce 
sul 
foro interno del 
destinatario, aspirando a 
condizionare 
la 
parte 
emotiva 
dell’ascoltatore, “senza 
peraltro offrire 
alcuna 
possibilità 
di 
verificare 
i 
risultati 
di 
tale 
tentativo 
di 
condizionamento 
emotivo, 
se 
così 
lo si 
può definire. Per cui, anche 
se 
un compositore 
ha 
concepito un 
brano 
musicale 
col 
fine 
di 
produrre 
nell’ascoltatore 
un 
determinato 
sentimento, 
con 
ogni 
evidenza 
quest’ultimo 
è 
del 
tutto 
libero 
di 
provare 
un 
sentimento 
differente, 
e 
non esiste 
strumento alcuno capace 
di 
verificare 
l’efficacia 
di 
tale 
meccanismo” (26). 


4. L’improvvisazione: analogia o differenza? 
Come 
noto, 
in 
alcuni 
stili 
musicali, 
con 
particolare 
(ma 
non 
esclusivo) 
riferimento 
al 
Jazz, 
il 
ruolo 
dell’interprete 
è 
particolarmente 
spiccato: 
egli 
è 
libero 
di 
esprimersi 
mediante 
un’improvvisazione 
che, 
a 
ben 
vedere, 
non 
è 
completamente 
svincolata, 
ma 
si 
distende 
e 
si 
estende 
su 
un 
pattern 
di 
fondo, 
armonico 
e 
ritmico, 
ideato 
dal 
compositore. 
La 
partitura 
rappresenta, 
dunque, 
l’occasione 
offerta 
all’interprete 
di 
costruire 
nuove 
trame, 
nuovi 
intrecci 
melodici, 
a 
partire 
dal 
tema 
ideato 
dal 
compositore, 
con 
il 
quale 
il 
primo 
dialoga 
idealmente. 


Sulla 
base 
di 
tale 
premessa, 
il 
fenomeno 
musicale 
sembrerebbe 
divergere 
radicalmente 
dall’esperienza 
giuridica. 
Il 
giurista, 
per 
definizione, 
si 
avvale 
di 
testi 
scritti 
che 
ne 
vincolano in modo assoluto l’operato e 
li 
interpreta 
attenendosi 
rigorosamente 
a 
regole 
predefinite 
per 
esigenze 
di 
certezza 
del 
diritto. 


(24) R.M. RILke, musica, in rainer 
maria rilke. Canto remoto, a 
cura 
di 
S. MoRI 
CARMIGNANI, 
Passigli Poesia, 2012. 
(25) N. LIPARI, Diritto civile e ragione, Giuffré, 2019, pp. 11 ss. 
(26) A. PoRCIeLLo, Diritto e 
musica: armonia o dissonanza?, in materiales 
de 
Filosofía del 
Derecho, 
n. 5/2018, p. 5. 

CoNtRIbUtI 
DI 
DottRINA 


In 
realtà, 
l’accostamento 
tra 
improvvisazione 
e 
diritto 
non 
è 
così 
peregrino, 
e 
ciò emerge 
laddove 
si 
osservi 
il 
fenomeno giuridico in chiave 
processuale. 


È 
stato scritto: 
“senza 
disconoscere 
la 
componente 
razionale 
e 
argomentativa 
del 
ragionamento giuridico, vi 
sono situazioni 
di 
fronte 
alle 
quali 
il 
giurista 
è 
costretto 
ad 
elaborare 
performances 
giuridiche 
in 
una 
condizione 
di 
limitazione 
materiale 
e 
temporale. 
Pur 
se 
guidata 
dal 
giudice, 
l’evoluzione 
processuale 
può a 
volte 
presentare 
dei 
momenti 
in cui 
l’inaspettato, l’imprevisto, 
più del 
totalmente 
ignoto, possono presentarsi 
sotto la 
forma 
di 
un’eccezione 
inattesa. 
(…) 
In 
questi 
casi 
(…) 
il 
giurista 
è 
obbligato 
a 
fornire 
soluzioni 
giuridiche 
quasi 
nell’immediato, (…) in una 
performance 
giuridica 
quasi dal carattere estemporaneo” (27). 


esistono, 
dunque, 
situazioni 
eccezionali 
in 
cui 
il 
giurista 
è 
costretto 
a 
uscire 
dagli 
schemi 
argomentativi 
che 
si 
era 
prefigurato, 
reagendo 
a 
situazioni 
impreviste 
attraverso soluzioni 
immediate 
e 
frutto di 
una 
performance 
estemporanea 
che 
qualcuno ha 
definito, appunto, improvvisativa. In tale 
accezione, 
il parallelismo tra diritto e musica sembra chiaro. 


5. 
L’impatto 
della 
tecnologia 
sulla 
musica 
e 
sul 
diritto: 
una 
questione 
di 
stringente 
attualità. 
Si 
tratta 
di 
un aspetto che 
lega 
trasversalmente 
i 
due 
campi 
del 
sapere 
in 
esame 
e 
che 
appare 
opportuno 
trattare 
in 
conclusione, 
stante 
la 
modernità 
dello 
stesso. 


L’impiego 
della 
tecnologia, 
infatti, 
potrebbe 
incidere 
in 
modo 
decisivo 
sull’attività ermeneutica in entrambi i settori. 


In ambito musicale, il 
problema 
è 
stato posto in quanto l’uso della 
tecnologia 
per eseguire 
le 
composizioni 
comporterebbe 
l’annullamento della 
fisiologica, 
umana 
e 
irripetibile 
distinzione 
tra 
un 
interprete 
e 
l’altro. 
Si 
pensi 
all’ofanim 
di 
Luciano berio, o al 
Prometeo 
di 
Luigi 
Nono, che 
contemplano 
espressamente l’uso della tecnologia per l’esecuzione della partitura. 


Parimenti, 
l’interpretazione 
di 
una 
disposizione 
affidata 
ad 
un 
sistema 
tecnologico 
potrebbe 
condurre 
a 
una 
omologazione 
interpretativa, 
sino 
agli 
estremi 
della 
giustizia 
predittiva. La 
questione 
è 
di 
stringente 
attualità 
ove 
si 
abbia 
riguardo 
all’uso 
della 
blockchain 
technology 
in 
ambito 
contrattuale 
(28) 


o 
all’impiego 
dell’algoritmo 
nel 
procedimento 
amministrativo 
(29); 
non 
a 
(27) v. NItRAto 
Izzo, Diritto e 
musica: performance 
e 
improvvisazione 
nell’interpretazione 
e 
nel 
ragionamento giuridico, Dossier: Diritto e 
Narrazioni, Temi 
di 
diritto, letteratura e 
altre 
arti, Atti 
del 
secondo convegno nazionale della ISLL, bologna 3-4 giugno 2010, pp. 121-122. 
(28) 
L. 
PARoLA 
-P. 
MeRAtI 
-G. 
GAvottI, 
Blockchain 
e 
smart 
contract: 
questioni 
giuridiche 
aperte, 
in i contratti, 6/2018, pp. 681 ss. 
(29) N. MUCIACCIA, algoritmi 
e 
procedimento decisionale: alcuni 
recenti 
arresti 
della giustizia 
amministrativa, in Federalismi, n. 10/2020. 

RASSeGNA 
AvvoCAtURA 
DeLLo 
StAto -N. 2/2023 


caso, in quest’ultima 
ipotesi, alcuni 
Autori 
hanno suggerito di 
limitare 
la 
rilevanza 
di 
quest’ultimo all’attività 
amministrativa 
vincolata, poiché 
la 
discrezionalità 
amministrativa 
presuppone 
quella 
capacità 
di 
scelta 
tra 
più 
soluzioni 
consentite 
dalla 
legge 
e 
quel 
bilanciamento tra 
interessi 
primari 
e 
secondari, 
pubblici e privati di cui solo l’intelligenza umana può dirsi capace (30). 


In questa 
sede, si 
ritiene 
di 
condividere 
le 
conclusioni 
recentemente 
formulate 
da 
altro Autore: 
“La 
tecnologia 
è 
e 
deve 
rimanere 
uno strumento, se 
del 
caso, di 
interpretazione, che 
può essere 
utile 
all’operatore 
del 
diritto per 
l’elaborazione 
dei 
dati 
che 
quantitativamente 
interessano o riguardano la 
fattispecie 
concreta, 
ma 
che, 
quanto 
meno 
attualmente, 
non 
può 
sostituirsi 
al 
criterio 
qualitativo necessario per ritenere 
l’interesse 
sotteso a 
quella 
fattispecie, 
ad esempio, meritevole 
o immeritevole 
di 
tutela. Un tale 
giudizio presuppone 
un armamentario di 
valori 
che 
la 
tecnologia 
non ha. Solo l’uomo giurista, infatti, 
proprio in quanto opera 
nella 
vita 
di 
relazione 
e 
ha 
una 
specifica 
sensibilità 
nel 
saper 
interpretare 
la 
forza 
di 
espansione 
assiologica 
dei 
principi 
generali, 
è 
in 
grado 
di 
interpretare, 
se 
del 
caso 
con 
l’aiuto 
della 
tecnologia, 
ma senza che questa lo possa sostituire” (31). 


Le 
medesime 
considerazioni 
valgono per la 
musica 
e 
per l’arte 
in generale. 
La 
tecnologia 
può affiancare 
l’esecutore 
allo scopo di 
dare 
corpo sonoro 
a 
eventuali 
fantasie 
timbriche 
dei 
compositori 
o, in alcuni 
casi, per leggere 
in 
chiave 
moderna 
le 
melodie 
del 
passato, ma 
non può sostituire 
tout 
court 
l’attività 
dell’interprete. 

Infatti, 
tornando 
idealmente 
alle 
premesse 
da 
cui 
abbiamo 
preso 
le 
mosse, 
quasi 
come 
in una 
struttura 
ringkomponiert, l’eventuale 
rilevanza 
esclusiva 
della 
tecnologia, in funzione 
sostitutiva 
dell’essere 
umano, violerebbe 
palesemente 
la 
circolarità 
interpretativa 
tra 
soggetto 
interpretante 
e 
oggetto 
del-
l’ermeneusi di cui si è detto. 


Invero, 
parafrasando 
la 
riflessione 
di 
un 
illustre 
civilista 
in 
modo 
da 
adattarla 
all’esperienza 
musicale 
e 
artistica, all’interno del 
diritto e 
della 
musica 
“si 
determina 
una 
singolare 
commistione 
per 
cui 
ogni 
momento 
dichiaratamente 
applicativo o di 
analisi 
influenza 
ciò che 
solo astrattamente 
può essere 
pensato 
come 
l’oggetto 
da 
analizzare” 
(32). 
Il 
fenomeno 
giuridico 
e 
quello 
musicale 
non 
possono 
essere 
definiti 
in 
una 
individuata 
oggettività, 
perché 
vanno considerati 
“stimolo e 
insieme 
esito, padre 
e 
ambiguamente 
figlio del-
l’attività percettiva e valutativa del soggetto” (33). 


(30) S. veRNILe, L’adozione 
delle 
decisioni 
amministrative 
tramite 
formule 
algoritmiche, in Dialoghi 
di 
diritto 
amministrativo. 
Lavori 
del 
laboratorio 
di 
diritto 
amministrativo 
2019, 
a 
cura 
di 
F. 
APeRIo 
beLLA 
-A. CARboNe 
- e. zAMPettI, Roma 
tre-press, 2020, pp. 107 ss. 
(31) S. NARDI, L’interpretazione 
giuridica e 
l’interpretazione 
musicale 
e 
il 
loro impatto con la 
tecnologia, in Diritto mercato tecnologia, 9 ottobre 2021, p. 12. 
(32) N. LIPARI, il diritto civile, 
cit., p. 22. 
(33) ivi, pp. 22-23. 

CoNtRIbUtI 
DI 
DottRINA 


In 
tale 
quadro, 
l’unica 
funzione 
della 
tecnologia 
può 
essere 
quella 
di 
affiancare 
l’essere 
umano, 
senza 
mai 
sostituirlo. 
In 
quest’ottica, 
Günter 
Hirsch, 
già 
presidente 
del 
Bundesgerichtshof, 
ha 
di 
recente 
assimilato 
la 
funzione 
del 
giudice 
a 
quella 
del 
buon 
pianista: 
“suonare 
il 
piano 
richiede 
ragione, 
cuore 
e 
mezzi 
tecnici. 
ogni 
componente 
dovrebbe 
svilupparsi 
in 
egual 
misura. 
Senza 
ragione 
sarà 
un 
fiasco, 
senza 
tecnica 
un 
amatore, 
senza 
cuore 
una 
macchina” 
(34). 


6. Conclusioni. 
In definitiva, alla 
luce 
delle 
considerazioni 
esposte, sembra 
di 
poter affermare 
che, nonostante 
le 
indubbie 
differenze 
tra 
interpretazione 
giuridica 
e 
musicale, dal 
paragone 
tra 
i 
due 
ambiti 
dell’espressione 
umana 
possano ricavarsi 
interessanti 
suggestioni. 
In 
entrambi 
i 
casi, 
infatti, 
si 
innesca 
un 
processo 
circolare 
tra 
soggetto e 
oggetto dell’interpretazione, che 
difficilmente 
può essere 
riprodotto 
da 
una 
macchina. 
entrambe 
le 
forme 
di 
espressione 
dell’essere 
umano 
consentono 
di 
manifestare 
l’irripetibile 
soggettività 
di 
colui 
o 
colei 
che, nell’ascrivere 
senso a 
segni 
grafici 
nel 
rispetto di 
canoni 
ermeneutici 
generali, 
ne 
è 
-a 
sua 
volta 
-plasmato 
e 
condizionato, 
in 
un’evoluzione 
incessante 
che rappresenta la vera “formatività” (35) dell’essere umano. 


(34) G. HIRSCH, Verso uno stato dei 
giudici? a 
proposito del 
rapporto tra giudice 
e 
legislatore 
nell’attuale momento storico, in Criminalia, 2007, pp. 107 ss., 120. 
(35) 
D. 
CANANzI, 
Formatività 
e 
norma. 
Elementi 
di 
teoria 
estetica 
dell’interpretazione 
giuridica. 
Lezioni 
-vol. 1, 2019. 

RASSeGNA 
AvvoCAtURA 
DeLLo 
StAto -N. 2/2023 


Qualità della normazione e comprensibilità delle leggi 


Mariarita Romeo* 


Sommario: 
1. 
Premessa 
-2. 
Qualità 
della 
normazione 
e 
legislazione 
statale 
-3. 
L’orientamento 
della Corte 
costituzionale: la recente 
sentenza n. 110 del 
5 giugno 2023 -4. Qualità 
della normazione e legislazione regionale - 5. Uno sguardo alle prospettive future. 


1. Premessa. 
Di 
qualità 
della 
normazione 
si 
parla 
ormai 
da 
decenni: 
si 
tratta 
di 
un 
tema 
che 
ritorna 
periodicamente 
alla 
ribalta 
nel 
dibattito politico e 
che, indubbiamente, 
involge 
aspetti 
formali 
e 
sostanziali 
insieme, strettamente 
connessi 
ai 
principi fondamentali dell’ordinamento. 

esso ha 
poi 
assunto una 
maggiore 
urgenza 
nei 
tempi 
attuali, nei 
quali 
il 
numero 
di 
leggi 
e 
di 
disposizioni 
da 
conoscere 
e 
rispettare 
è 
esponenzialmente 
aumentato. e 
non solo per la 
c.d. ipertrofia 
legislativa 
di 
cui 
spesso è 
stato accusato 
il nostro sistema (1). 


Non dobbiamo dimenticare, infatti, che 
le 
fonti 
del 
diritto si 
sono moltiplicate 
in misura 
proporzionale 
alle 
diverse 
“sembianze” 
che 
ha 
assunto la 
figura 
originariamente 
unica 
del 
“legislatore”: 
negli 
anni, invero, al 
legislatore 
statale 
si 
è 
affiancato il 
legislatore 
regionale 
e, in modo sempre 
più “pervasivo”, 
il 
legislatore 
eurounitario, 
tramite 
regolamenti 
e 
direttive 
self-executing 
che 
producono inevitabili 
riflessi 
sulla 
vita 
del 
singolo cittadino (il 
caso delle 
concessioni demaniali è forse uno dei più recenti ed eclatanti). 


Nel 
quadro 
così 
descritto, 
occorre 
considerare 
almeno 
due 
ulteriori 
fattori, 
l’uno ormai 
esauritosi, l’altro in atto, ai 
quali 
può aggiungersene 
un terzo ancora 
in fieri. 


Si 
fa 
riferimento, 
in primis, al 
lungo periodo di 
emergenza 
sanitaria 
conseguente 
alla 
pandemia, che 
ha 
giustificato il 
frequente 
ricorso alla 
decretazione 
d’urgenza 
ed 
ha 
incentivato 
la 
prassi 
dell’affastellarsi 
in 
un 
unico 
provvedimento di disposizioni eterogenee (2). 


(*) esperto giuridico-amministrativo presso il Consiglio regionale della Calabria. 


(1) Sul 
tema 
dell’ipertrofia 
normativa 
o inflazione 
legislativa, v. L. toRCHIA, L’efficienza della 
pubblica 
amministrazione 
fra 
ipertrofia 
legislativa 
e 
atrofia 
dei 
risultati 
in 
rassegna 
aSTriD, 
n. 
11/2019; 
F. RIMoLI, Certezza del 
diritto e 
moltiplicazione 
delle 
fonti: spunti 
per 
un’analisi, in F. MoDU-
GNo 
(a 
cura 
di), Trasformazioni 
della funzione 
legislativa. Crisi 
della legge 
e 
sistema delle 
fonti, vol. II, 
Milano 2000; 
b.G. MAttAReLLA, La trappola delle 
leggi. molte, oscure, complicate, bologna 
2011; 
A. 
GReCo, 
La 
semplificazione 
dell’ordinamento 
democratico, 
in 
Federalismi.it, 
n. 
13/2009; 
R. 
PAGANo, 
Tecnica legislativa e sistemi d’informatica giuridica, in informatica e diritto, 1988, n. 3, 73 ss. 
(2) Sulla 
crisi 
del 
sistema 
delle 
fonti, accentuata 
dall’emergenza 
sanitaria 
v. A. RUGGeRI, il 
coronavirus, 
la sofferta tenuta dell’assetto istituzionale 
e 
la crisi 
palese, ormai 
endemica, del 
sistema delle 
fonti, 
in 
Consulta 
onLine, 
I/2020, 
www.giurcost.org. 
Sulla 
legislazione 
ai 
tempi 
del 
Covid, 
v., 
ex 
multis, 

CoNtRIbUtI 
DI 
DottRINA 


Secondariamente, appare 
opportuno valutare 
l’impatto sulla 
produzione 
normativa 
sia 
dell’attuazione 
del 
PNRR sia 
della 
prossima 
definitiva 
approvazione 
del 
disegno di 
legge 
governativo riguardante 
l’attuazione 
dell’autonomia 
differenziata 
delle 
Regioni 
a 
Statuto 
ordinario, 
di 
cui 
all’art. 
116, 
comma 
3, 
della 
Costituzione 
(3), 
la 
cui 
realizzazione 
rischia 
di 
incidere 
sul 
disordine 
normativo già 
esistente, disorientando ancor di 
più il 
cittadino, destinato 
a 
confrontarsi 
con 
discipline 
potenzialmente 
differenti 
a 
seconda 
del 
territorio regionale di riferimento. 


2. Qualità della normazione e legislazione statale. 
A 
livello statale, la 
qualità 
della 
normazione, intesa 
sia 
come 
chiarezza 
dei 
testi 
di 
legge, sia 
sotto forma 
di 
semplificazione 
e 
razionalizzazione 
della 
legislazione, 
è 
un 
tema 
sotto 
osservazione 
almeno 
dalla 
fine 
del 
secolo 
scorso, 
quando 
a 
partire 
dal 
1997 
vennero 
approvate 
le 
c.d. 
leggi 
bassanini 
finalizzate 
ad avviare una profonda riorganizzazione amministrativa (4). 


Più 
recentemente, 
dopo 
due 
anni 
particolarmente 
difficili, 
il 
2020 
e 
il 
2021, caratterizzati 
dalla 
pandemia 
e 
dalla 
necessità 
di 
far fronte 
in tempi 
ra-

L. DI 
MAJo, La tecnica normativa nel 
contesto della crisi 
epidemiologica da Covid-19, in Diritti 
regionali, 
n. 2/2020, www.dirittiregionali.it 
; 
M. CARLI 
(a 
cura 
di), Qualità della normazione, in Le 
rubriche 
dell’osservatorio, osservatorio sulle fonti, n. 1/2022 e n. 2/2022. 
(3) Il 
disegno di 
legge 
proposto dal 
Ministro per gli 
Affari 
regionali 
e 
le 
Autonomie 
Roberto Calderoli 
recante 
“Disposizioni 
per 
l’attuazione 
dell’autonomia differenziata delle 
regioni 
a statuto ordinario 
ai 
sensi 
dell’articolo 116, terzo comma, della Costituzione”, approvato dal 
Consiglio dei 
ministri 
il 
2 febbraio 2023 e 
dal 
Senato in prima 
lettura 
a 
fine 
gennaio 2024, è 
attualmente 
in discussione 
alla 
Commissione 
Affari costituzionali della Camera. 
(4) 
Si 
tratta, 
in 
particolare, 
delle 
leggi 
n. 
59 
del 
15 
marzo 
1997 
e 
n. 
127 
del 
15 
maggio 
1997. 
viene 
qui 
in rilievo, in tema 
di 
semplificazione 
normativa, soprattutto il 
Capo III della 
legge 
n. 59/1997 e, con 
riguardo 
ai 
rapporti 
con 
le 
Regioni, 
l’art. 
20 
ter, 
a 
norma 
del 
quale 
“1. 
il 
Governo, 
le 
regioni 
e 
le 
province 
autonome 
di 
Trento 
e 
di 
Bolzano, 
in 
attuazione 
del 
principio 
di 
leale 
collaborazione, 
concludono, 
in 
sede 
di 
Conferenza permanente 
per 
i 
rapporti 
tra lo Stato, le 
regioni 
e 
le 
province 
autonome 
di 
Trento 
e 
di 
Bolzano o di 
Conferenza unificata, anche 
sulla base 
delle 
migliori 
pratiche 
e 
delle 
iniziative 
sperimentali 
statali, 
regionali 
e 
locali, 
accordi 
ai 
sensi 
dell’articolo 
4 
del 
decreto 
legislativo 
28 
agosto 
1997, 
n. 281, o intese 
ai 
sensi 
dell’articolo 8 della legge 
5 giugno 2003, n. 131, per 
il 
perseguimento delle 
comuni 
finalità di 
miglioramento della qualità normativa nell’ambito dei 
rispettivi 
ordinamenti, al 
fine, 
tra l’altro, di: 
a) favorire 
il 
coordinamento dell’esercizio delle 
rispettive 
competenze 
normative 
e 
svolgere 
attività di 
interesse comune in tema di semplificazione, riassetto normativo e qualità della regolazione; 
b) definire 
principi, criteri, metodi 
e 
strumenti 
omogenei 
per 
il 
perseguimento della qualità della regolazione 
statale 
e 
regionale, in armonia con i 
principi 
generali 
stabiliti 
dalla presente 
legge 
e 
dalle 
leggi 
annuali 
di 
semplificazione 
e 
riassetto normativo, con specifico riguardo ai 
processi 
di 
semplificazione, 
di riassetto e codificazione, di analisi e verifica dell’impatto della regolazione e di consultazione; 
c) concordare, in particolare, forme 
e 
modalità omogenee 
di 
analisi 
e 
verifica dell’impatto della regolazione 
e 
di 
consultazione 
con 
le 
organizzazioni 
imprenditoriali 
per 
l’emanazione 
dei 
provvedimenti 
normativi statali e regionali; 
d) 
valutare, 
con 
l’ausilio 
istruttorio 
anche 
dei 
gruppi 
di 
lavoro 
già 
esistenti 
tra 
regioni, 
la 
configurabilità 
di 
modelli 
procedimentali 
omogenei 
sul 
territorio 
nazionale 
per 
determinate 
attività 
private 
e 
valorizzare 
le 
attività dirette 
all’armonizzazione 
delle 
normative 
regionali” 
(articolo così 
modificato dalla 
legge 
n. 
246 del 2005). 

RASSeGNA 
AvvoCAtURA 
DeLLo 
StAto -N. 2/2023 


pidi 
all’emergenza 
onde 
contenerne 
le 
conseguenze 
a 
livello economico e 
sociale 
(cui 
si 
è 
fatto 
fronte 
soprattutto 
con 
l’adozione 
di 
decreti-legge), 
è 
seguita 
l’approvazione 
del 
Piano Nazionale 
di 
ripresa 
e 
resilienza, che 
ha 
impegnato 
il 
Governo 
nell’attuazione 
-in 
tempi 
rigidamente 
scadenzati 
-di 
riforme 
in 
settori 
nevralgici 
come 
la 
giustizia 
ed i 
contratti 
pubblici, obiettivi 
raggiunti 
attraverso lo strumento delle deleghe legislative (5). 


entrambi 
questi 
avvenimenti 
hanno 
fatto 
emergere 
-l’uno 
in 
prospettiva 
emergenziale, 
l’altro 
in 
un’ottica 
strutturale 
-l’esigenza 
di 
disporre 
di 
norme 
certe 
e 
chiare, 
di 
immediata 
ed 
omogenea 
applicazione. 
In 
relazione 
a 
ciò, 
a 
livello 
centrale 
si 
sono 
registrate, 
nell’arco 
di 
questi 
ultimi 
anni, 
alcune 
novità. 


Così, il 
decreto-legge 
n. 77 del 
2021, convertito con modificazioni 
dalla 
legge 
n. 108/2021, ha 
previsto la 
creazione 
della 
c.d. “Unità 
per la 
razionalizzazione 
e 
il 
miglioramento della 
regolazione”, poi 
effettivamente 
istituita 
con 
DPCM 
del 
28 
giugno 
2021 
al 
fine 
di 
favorire 
l’attuazione 
del 
PNRR. 
tra 
i 
compiti 
del 
nuovo organismo, ai 
sensi 
dell’art. 5 del 
decreto-legge, vi 
è 
anche 
quello di 
proporre 
rimedi 
atti 
a 
superare 
le 
disfunzioni 
derivanti 
dalla 
normativa 
vigente 
onde 
garantire 
la 
maggiore 
coerenza 
ed 
efficacia 
della 
normazione: 
ciò 
al 
fine 
di 
giungere 
ad 
un 
sostanziale 
miglioramento 
della 
regolazione, che abbracci l’intero ordinamento giuridico. 


Come 
auspicato 
dal 
coordinatore 
della 
suddetta 
Unità 
nella 
sua 
audizione 
dell’11 maggio 2022 (6), quest’ultima, nel 
perseguimento dei 
suoi 
obiettivi, 
può trovare 
un interlocutore 
privilegiato nel 
Comitato per la 
legislazione 
che 
opera 
presso la 
Camera 
dei 
deputati 
sin dal 
1997 e 
che 
periodicamente 
svolge 
indagini conoscitive sui profili critici della produzione normativa. 


Qui 
è 
possibile 
dar conto della 
seconda 
novità 
intervenuta 
nel 
corso del 
2022, 
ovvero 
l’istituzione 
presso 
il 
Senato, 
attraverso 
una 
modifica 
del 
suo 
Regolamento (con l’introduzione 
dell’art. 20-bis), di 
un Comitato analogo a 
quello 
già 
operante 
presso 
la 
Camera, 
con 
il 
compito 
-fra 
l’altro 
-di 
esprimere 
valutazioni 
e 
pareri 
“… 
sulla qualità dei 
testi, con riguardo alla loro omoge


(5) A 
tal 
proposito, si 
parla 
sempre 
più insistentemente 
di 
un fenomeno di 
“fuga 
dalla 
legge”, per 
sottolineare 
la 
progressiva 
riduzione 
del 
ricorso alla 
legge 
ordinaria, cui 
corrisponde 
l’evidente 
crisi 
del 
Parlamento, quale 
ente 
rappresentativo della 
collettività, non solo nel 
nostro Paese, ma 
in generale 
nel-
l’ambito delle 
democrazie 
più mature. Danno conto di 
questa 
tendenza: 
R. zACCARIA, il 
linguaggio del 
legislatore 
e 
della Corte 
costituzionale, in rivista aiC, n. 1/2023 e, ancora 
prima, sempre 
R. zACCARIA 
(a 
cura 
di), Fuga dalla legge? Seminari 
sulla qualità della legislazione, brescia 
2011; 
F. CINtIoLI, Audizione 
davanti 
ai 
Comitati 
per la 
legislazione 
di 
Senato e 
Camera 
dei 
deputati 
del 
9 gennaio 2024, resa 
nell’ambito dell’indagine 
conoscitiva 
sui 
profili 
critici 
della 
produzione 
normativa 
e 
proposte 
per il 
miglioramento 
della 
qualità 
della 
legislazione: 
https://www.camera.it/leg19/1 
(nella 
sezione 
relativa 
al 
Comitato 
per la legislazione). 
(6) Si 
fa 
riferimento all’audizione 
del 
prof. Nicola 
Lupo, in qualità 
di 
coordinatore 
dell’Unità 
per 
la 
razionalizzazione 
e 
il 
miglioramento della 
regolazione, in tema 
di 
qualità 
della 
legislazione 
ed emergenza, 
avvenuta 
l’11 maggio 2022 dinanzi 
al 
Comitato per la 
legislazione 
istituito presso la 
Camera 
dei 
deputati, https://www.camera.it/leg18/1. 

CoNtRIbUtI 
DI 
DottRINA 


neità, alla semplicità, chiarezza e 
proprietà della loro formulazione, nonché 
all’efficacia 
di 
essi 
per 
la 
semplificazione 
e 
il 
riordinamento 
della 
legislazione 
vigente” 
(comma 
5). Circostanza 
che 
dovrebbe 
essere 
sintomatica 
di 
una 
rinnovata 
attenzione 
da 
parte 
delle 
istituzioni 
deputate 
rispetto 
all’esigenza 
di 
garantire 
la qualità (formale e sostanziale) della legislazione. 


Proprio 
al 
Comitato 
per 
la 
legislazione 
si 
devono 
alcune 
recentissime 
audizioni 
(del 
12 e 
del 
26 febbraio) che 
offrono numerosi 
ed interessanti 
spunti 
sulle 
disfunzioni 
del 
sistema, 
tra 
cui 
quelle 
della 
Presidente 
emerita 
della 
Corte 
costituzionale Marta Cartabia e del prof. Massimo Luciani (7). 


La 
prima, oltre 
a 
stigmatizzare 
il 
fenomeno della 
disomogeneità 
tra 
de-
creti-legge 
e 
legge 
di 
conversione 
e 
quello della 
frammentarietà 
della 
produzione 
normativa, ha 
rilevato la 
scarsa 
qualità 
normativa 
che 
spesso si 
traduce 
in difficoltà 
interpretative 
o addirittura 
nella 
contraddittorietà 
con altre 
norme 
vigenti, 
imputandola 
soprattutto 
alla 
mancanza 
di 
un’adeguata 
istruttoria 
nelle 
sedi competenti. 


Del 
pari, 
il 
prof. 
Luciani 
ha 
affrontato 
la 
problematica 
de 
qua, 
auspicando 
l’aggiornamento 
delle 
direttive 
sul 
drafting 
legislativo 
ed 
un 
migliore 
raccordo 
(nelle 
fasi 
finali 
del 
procedimento) 
tra 
le 
strutture 
tecniche 
interessate; 
soprattutto, 
però, ha 
sottolineato che 
l’esigenza 
di 
chiarezza 
non è 
solo politica, ma 
giuridico-costituzionale, 
in 
quanto 
il 
principio 
di 
legalità 
implica 
la 
leggibilità 
e comprensibilità delle norme. 


entrambi, nell’affrontare 
la 
tematica 
in questione, non hanno potuto fare 
a 
meno 
di 
menzionare 
la 
recente 
sentenza 
della 
Corte 
costituzionale 
n. 
110 
del 
2023, che 
ha 
dichiarato l’incostituzionalità 
di 
una 
legge 
per radicale 
oscurità. 


3. L’orientamento della Corte 
costituzionale: la recente 
sentenza n. 110 del 
5 
giugno 2023. 
Nel 
giugno 
2023, 
in 
effetti, 
la 
Corte 
costituzionale 
ha 
pronunciato 
una 
sentenza 
che 
è 
passata 
quasi 
in 
sordina 
tra 
i 
non 
addetti 
ai 
lavori, 
ma 
che 
invece 
deve 
ritenersi 
un tassello importante 
lungo il 
percorso accidentato dell’affermazione 
della qualità della normazione (8). 


occorre 
premettere 
al 
riguardo che 
nella 
nostra 
Costituzione 
non si 
rinviene 
una 
norma 
specifica 
che 
disciplina 
la 
tecnica 
legislativa, cosicchè, pur 


(7) Si 
tratta 
delle 
audizioni 
di 
esperti 
svolte 
nell’ambito dell’indagine 
conoscitiva 
congiunta 
dei 
Comitati 
per 
la 
legislazione 
di 
Senato 
e 
Camera 
dei 
deputati 
sui 
profili 
critici 
della 
produzione 
normativa 
a partire dal 9 gennaio 2024, ancora in corso. 
oltre 
a 
quella 
del 
prof. 
Cintioli 
di 
cui 
alla 
nota 
5, 
è 
possibile 
leggere 
le 
relazioni 
depositate 
dalla 
Presidente 
Cartabia 
e 
dal 
prof. 
Luciani 
sul 
sito 
istituzionale 
della 
Camera 
dei 
deputati, 
nella 
sezione 
relativa 
ai 
documenti 
acquisiti 
dal 
Comitato 
per 
la 
legislazione 
in 
sede 
di 
audizione, 
https://www.camera.it/leg19/1. 
(8) Sulla 
pronuncia 
v. F. SCALIA, Leggi 
“oscure 
e 
violazione 
dell’art. 3 della Costituzione. il 
processo 
di 
formazione 
delle 
leggi 
e 
l’auspicabile 
contributo della Corte 
dei 
Conti: un profilo ancora da 
esplorare 
per 
un 
miglioramento 
della 
elaborazione 
delle 
leggi, 
in 
rivista 
della 
Corte 
dei 
conti, 
n. 
5/2023, 
www.corteconti.it. 

RASSeGNA 
AvvoCAtURA 
DeLLo 
StAto -N. 2/2023 


volendo 
sollevare 
dinanzi 
alla 
Corte 
una 
questione 
del 
genere, 
non 
risulta 
agevole 
individuare 
un 
autonomo 
vizio 
di 
legittimità 
costituzionale 
collegato 
alla 
scarsa qualità di redazione delle norme. 

Nonostante 
ciò, non sono mancate 
alcune 
decisioni 
della 
Consulta 
-seppur 
non recentissime 
-orientate 
a 
valorizzare 
gli 
aspetti 
in argomento attraverso 
una 
combinazione 
di 
norme 
costituzionali 
(articoli 
3, 
25, 
54, 
72 
e 
97 
Cost.), dalle 
quali 
si 
giungerebbe 
a 
desumere 
la 
sussistenza 
nel 
nostro ordinamento 
di un principio generale di qualità della legislazione (9). 


Dopo circa 
un decennio, proprio lo scorso giugno la 
Corte, nello scrutinare 
la 
legittimità 
costituzionale 
di 
diversi 
articoli 
di 
una 
legge 
di 
stabilità 
regionale 
(quella 
della 
Regione 
Molise, 
la 
n. 
8 
del 
2022), 
ha 
avuto 
modo 
di 
affrontare 
nuovamente 
l’argomento 
e, 
nell’ambito 
della 
sentenza 
n. 
110, 
ha 
dichiarato tra 
l’altro l’incostituzionalità 
dell’art. 7, comma 
18, l.r. Molise 
n. 
8/2022 per contrasto con l’art. 3 Cost., ovvero per la 
violazione 
del 
principio 
di ragionevolezza ivi enunciato. 


La 
norma 
censurata, 
dettata 
in 
materia 
di 
edilizia 
e 
urbanistica, 
consentiva 


-presumibilmente 
-la 
realizzazione 
di 
interventi 
o opere 
ulteriori 
nell’ambito 
delle 
fasce 
di 
rispetto 
del 
piano 
paesistico 
regionale. 
“Presumibilmente” 
perché 
il 
Governo ha 
censurato la 
radicale 
inintelligibilità 
della 
disposizione, caratterizzata 
dall’utilizzo di 
espressioni 
vaghe 
e 
suscettibili 
delle 
più diverse 
interpretazioni. 
La 
Consulta, 
riprendendo 
le 
eccezioni 
sollevate 
dalla 
Presidenza 
del 
Consiglio 
dei 
ministri, 
ha 
rilevato 
che 
la 
norma 
de 
qua 
abbondava 
di 
termini 
imprecisi, 
o 
comunque, 
di 
ardua 
intelligibilità, 
oltre 
che 
apparire 
in 
difetto 
di 
qualsiasi 
riferimento 
al 
contesto 
normativo 
nel 
quale 
avrebbe 
dovuto 
inserirsi. 
Le 
spiegazioni 
fornite 
dalla 
difesa 
regionale, 
contraddittorie 
e 
confuse, 
non 
hanno 
fatto 
altro 
che 
avvalorare 
il 
carattere 
criptico 
di 
molti 
dei 
termini 
impiegati. 


Ma 
ciò che 
a 
noi 
più interessa 
è 
che 
la 
Corte, partendo dal 
caso particolare, 
ha 
inteso approfondire 
la 
questione 
più generale: 
ovvero se 
una 
disposizione 
dal 
significato 
radicalmente 
oscuro 
possa 
-per 
ciò 
solo 
-definirsi 
in 
contrasto 
con 
il 
principio 
di 
ragionevolezza 
di 
cui 
al 
su 
menzionato 
art. 
3 
Cost. 


La 
risposta 
fornita 
dai 
giudici 
della 
Consulta 
è 
stata 
senz’altro positiva, 
convintamente 
argomentata 
attraverso la 
rassegna 
dei 
precedenti 
sul 
tema 
e 
la 
comparazione 
con 
gli 
altri 
ordinamenti 
europei 
affini 
al 
nostro, 
ovvero 
il 
francese 
e 
il 
tedesco, dove 
la 
giurisprudenza 
ha, da 
tempo, riconosciuto il 
valore 
costituzionale del principio di precisione e chiarezza normativa (10). 


(9) 
In 
tal 
senso, 
è 
possibile 
citare 
Corte 
cost. 
nn. 
70/2013, 
8/2013, 
182/2007, 
128/2008 
e 
364/2010. 
(10) 
La 
giurisprudenza 
del 
Conseil 
constitutionnel 
francese 
sottolinea 
come 
disposizioni 
sufficientemente 
precise 
riducono il 
rischio di 
applicazioni 
arbitrarie 
ed evitano di 
addossare 
alle 
autorità 
amministrative 
e 
giurisdizionali 
il 
compito 
di 
stabilire 
regole, 
che 
spetta 
invece 
al 
legislatore. 
A 
sua 

CoNtRIbUtI 
DI 
DottRINA 


Per quel 
che 
riguarda 
il 
nostro ordinamento, l’esigenza 
di 
norme 
chiare 
e 
comprensibili 
è 
sorta 
e 
si 
è 
affermata 
in primis 
con riguardo alle 
disposizioni 
di carattere penale, in ciò agevolata dai principi di legalità e di tassatività costituzionalmente 
ricavabili dall’art. 25, comma 2, Cost. 


L’eventuale 
indecifrabilità 
delle 
norme 
incriminatrici 
può 
mettere 
a 
repentaglio 
valori 
fondamentali 
come 
la 
libertà 
personale 
dell’individuo, nella 
misura 
in cui, invece, un precetto espresso in modo preciso consente 
ad ogni 
consociato 
di 
poter 
orientare 
in 
modo 
consapevole 
la 
propria 
condotta, 
avendo 
ben chiare le conseguenze cui va incontro in base all’ordinamento. 


Per 
questi 
motivi, 
secondo 
la 
Corte 
costituzionale, 
debbono 
sussistere 
requisiti 
minimi 
di 
riconoscibilità 
e 
di 
intelligibilità 
del 
precetto penale 
da 
valutare 
come 
altrettanti 
requisiti 
minimi 
di 
razionalità 
dell’azione 
legislativa, atti 
a garantire la libertà e la sicurezza giuridica dei cittadini (11). 


Ma 
l’intelligibilità 
della 
legge 
rileva 
anche 
sotto 
un 
altro, 
altrettanto 
importante 
profilo, 
in 
quanto 
essa 
consente 
l’effettiva 
separazione 
tra 
i 
poteri 
dello 
Stato: 
l’oscurità 
della 
norma, 
infatti, 
riduce 
il 
carattere 
vincolante 
del 
precetto 
nei 
confronti 
sia 
del 
potere 
amministrativo 
sia 
del 
potere 
giudiziario, 
aumentando 
la 
loro 
discrezionalità 
ed 
il 
rischio 
di 
esporre 
il 
cittadino 
all’arbitrio 
della 
sua 
applicazione, 
che 
diviene 
inevitabilmente 
disomogenea. 
Davanti 
ad 
una 
norma 
dal 
significato 
assai 
ambiguo, 
infatti, 
il 
giudice 
si 
ritroverà 
autorizzato 
a 
sostituirsi 
al 
legislatore 
ed 
a 
creare 
egli 
stesso 
la 
norma 
da 
rispettare 
ed 
applicare 
alla 
fattispecie 
sottoposta 
alla 
sua 
valutazione. 


Rispetto alle 
precedenti, però, la 
sentenza 
del 
giugno scorso va 
oltre, in 
quanto 
-all’esito 
della 
sua 
ricostruzione 
-la 
Consulta 
giunge 
ad 
affermare 
esplicitamente 
la 
portata 
generale 
dell’esigenza 
di 
adottare 
norme 
chiare 
ed il 
più possibile univoche nel loro significato. 


Il 
principio, 
pertanto, 
supera 
i 
confini 
penalistici 
e 
si 
estende 
sia 
ai 
rapporti 
tra 
pubblica 
amministrazione 
e 
cittadini, 
sia 
ai 
rapporti 
reciproci 
tra 
questi 
ultimi, 
posto 
che 
“anche 
in 
questi 
ambiti, 
ciascun 
consociato 
ha 
un’ovvia 
aspettativa 
a 
che 
la 
legge 
definisca 
ex 
ante, 
e 
in 
maniera 
ragionevolmente 
affidabile, 
i 
limiti 
entro 
i 
quali 
i 
suoi 
diritti 
e 
interessi 
legittimi 
potranno 
trovare 
tutela, 
sì 
da 
poter 
compiere 
su 
quelle 
basi 
le 
proprie 
libere 
scelte 
d’azione”. 


In conclusione, quando una 
disposizione 
normativa 
utilizza 
espressioni 
linguistiche 
che 
-malgrado 
l’applicazione 
di 
tutti 
i 
possibili 
canoni 
ermeneutici 


volta, il 
tribunale 
costituzionale 
federale 
tedesco afferma 
che 
il 
mancato rispetto di 
standard minimi 
di 
comprensibilità 
e 
di 
non 
contraddizione 
dei 
testi 
normativi 
determina 
la 
loro 
illegittimità 
costituzionale. 


v. paragrafo 4.3.5 del considerato in diritto della sentenza n. 110 e la giurisprudenza ivi citata. 
(11) Così, Corte 
cost., 22 aprile 
1992, n. 185; 
ma, ancora 
prima, Corte 
cost. n. 364 del 
1988, secondo 
cui 
“Nelle 
prescrizioni 
tassative 
del 
codice 
il 
soggetto deve 
poter 
trovare, in ogni 
momento, cosa 
gli 
è 
lecito e 
cosa gli 
è 
vietato: ed a questo fine 
sono necessarie 
leggi 
precise, chiare, contenenti 
riconoscibili 
direttive di comportamento”. 

RASSeGNA 
AvvoCAtURA 
DeLLo 
StAto -N. 2/2023 


-rimangono di 
significato radicalmente 
oscuro, e 
pertanto “foriere 
di 
intollerabile 
incertezza nella loro applicazione 
concreta”, se 
ne 
deve 
riconoscere 
il 
contrasto con il canone di ragionevolezza di cui all’art. 3 Cost. 
Come 
ha 
osservato anche 
il 
prof. Luciani 
nell’audizione 
sopra 
menzionata, 
una legge oscura tradisce la funzione che le è stata conferita dallo Stato 
e 
risulta 
violativa 
dello 
stesso 
principio 
di 
legalità, 
in 
quanto 
-essendo 
incomprensibile 
-“… 
non 
è 
idonea 
a 
costituire 
la 
base 
normativa 
di 
qualsivoglia 
atto della pubblica amministrazione. È 
dunque 
affetta da un vizio di 
assoluta 
radicalità” 
e 
ciò -a 
parere 
dello studioso -per violazione, più che 
dell’art. 3, 
dell’art. 23 Cost., che sancisce il principio della riserva di legge. 

4. Qualità della normazione e legislazione regionale. 
Appare 
significativo 
rilevare 
come 
la 
Corte 
abbia 
svolto 
le 
riflessioni 
appena 
esposte 
proprio 
in 
occasione 
del 
vaglio 
di 
legittimità 
di 
una 
legge 
regionale. 


Ciò 
conferma 
che 
le 
stesse 
esigenze 
di 
chiarezza, 
comprensibilità 
e 
precisione 
individuate 
per 
la 
legge 
statale 
devono 
ritenersi 
valevoli 
nella 
stessa 
misura 
anche 
per 
la 
legge 
regionale, 
soprattutto 
in 
seguito 
all’ampliamento 
delle 
competenze 
legislative 
delle 
Regioni 
dovuto 
alla 
riforma 
del 
titolo 
v 
(12). 


Anzi, mentre 
la 
nostra 
Costituzione 
-come 
già 
osservato -difetta 
di 
una 
norma 
espressa 
dedicata 
alla 
qualità 
della 
normazione, la 
maggior parte 
delle 
Regioni 
(13) 
vi 
hanno 
specificamente 
provveduto 
nell’ambito 
dei 
rispettivi 
Statuti 
(14) o, al 
più, hanno demandato il 
relativo compito all’approvazione 


(12) Al 
riguardo, cfr. A. MoReLLI, Le 
norme 
regionali 
sulla qualità della regolazione: problemi 
e 
prospettive, in AA.vv. il 
regionalismo italiano dall’Unità alla Costituzione 
e 
alla sua riforma, a 
cura 
di S. MANGIAMeLI, ISSRFA-CNR, vol. II, Milano 2012, 67 ss. 
(13) All’appello manca 
forse 
solo la 
Regione 
Calabria: 
infatti, se 
si 
esclude 
l’art. 44 St., che 
prevede 
la 
possibilità 
di 
adottare 
testi 
unici, 
né 
nello 
Statuto 
calabrese 
né 
nel 
Regolamento 
interno 
consiliare 
sono 
presenti 
disposizioni 
specifiche 
sulla 
qualità 
della 
normazione. 
L’ultima 
iniziativa 
in 
tal 
senso 
risale 
a 
qualche 
anno fa, quando, nella 
seduta 
del 
29 maggio 2017, la 
Commissione 
Riforme 
del 
Consiglio regionale 
calabrese 
approvò all’unanimità 
la 
proposta 
di 
riforma 
statutaria 
n. 2/X 
del 
9 novembre 
2016, 
diretta 
tra 
l’altro 
ad 
introdurre 
nello 
Statuto 
disposizioni 
volte 
alla 
promozione 
ed 
alla 
tutela 
della 
qualità 
normativa. tuttavia, il 
progetto, pur essendo giunto più volte 
in Aula 
per la 
discussione 
finale, non è 
mai 
stato sottoposto all’approvazione 
definitiva 
dell’Assemblea 
legislativa. Ciò non significa 
che, a 
livello 
amministrativo, 
la 
Regione 
Calabria 
non 
abbia 
adottato 
misure 
per 
garantire 
la 
qualità 
della 
propria 
normazione: 
tra 
queste, l’adozione 
con D.C.R n. 280 del 
7 agosto 2008, del 
Manuale 
contenente 
regole 
e 
suggerimenti 
per la 
redazione 
dei 
testi 
normativi 
promosso dalla 
Conferenza 
dei 
Presidenti 
delle 
Assemblee 
legislative 
delle 
Regioni 
e 
delle 
Province 
autonome, la 
redazione 
della 
scheda 
di 
analisi 
tecnico-
normativa 
per ogni 
proposta 
di 
legge, l’inserimento nei 
testi 
di 
legge 
di 
clausole 
valutative. Sotto 
un diverso profilo, invece, nell’agosto 2020, con D.P.G.R. n. 109/2020 la 
Regione 
aveva 
istituito, su 
iniziativa 
dell’allora 
Presidente 
Jole 
Santelli, 
la 
Commissione 
per 
la 
revisione, 
l’aggiornamento 
e 
la 
semplificazione 
della 
normativa 
regionale 
nonché 
per 
la 
predisposizione 
degli 
schemi 
di 
testi 
unici, 
che 
tuttavia non ha potuto operare per la conclusione anticipata della XI legislatura. 
(14) A 
titolo esemplificativo, uno degli 
Statuti 
di 
più recente 
approvazione, quello della 
Regione 
basilicata, approvato nel 
novembre 
2016, recita 
all’art. 44 che 
“i testi 
normativi 
sono improntati 
all’organicità, 
alla chiarezza, alla semplicità di 
formulazione 
e 
al 
rispetto delle 
regole 
di 
tecnica legislativa 
e della qualità della legislazione”. 

CoNtRIbUtI 
DI 
DottRINA 


di 
una 
legge 
regionale 
ad hoc 
(15) ovvero a 
disposizioni 
inserite 
nel 
proprio 
Regolamento 
interno 
(16). 
Diverse 
Regioni, 
inoltre, 
hanno 
ritenuto 
di 
istituire 
al 
loro interno organi 
specifici, aventi 
il 
compito, tra 
gli 
altri, di 
migliorare 
la 
chiarezza dei testi (17). 


Anche 
le 
Regioni, 
dunque, 
partendo 
dalla 
loro 
legge 
fondamentale, 
hanno 
riconosciuto l’importanza 
di 
redigere 
testi 
normativi 
chiari 
e 
intelligibili, tendenza 
che 
si 
è 
rafforzata 
a 
seguito dell’Accordo tra 
Governo, Regioni 
ed Autonomie 
locali 
in 
materia 
di 
semplificazione 
e 
miglioramento 
della 
qualità 
della 
regolamentazione, stipulato il 
29 marzo 2007 in sede 
di 
Conferenza 
unificata, 
dove 
si 
è 
stabilito 
di 
conformare 
il 
processo 
normativo 
ai 
principi 
di 
qualità della regolazione condivisi in ambito europeo. 


Così, 
analogamente 
a 
quanto 
avvenuto 
a 
livello 
centrale, 
anche 
le 
Regioni 
si 
sono 
dotate 
di 
regole 
di 
drafting 
da 
osservare 
nella 
redazione 
dei 
testi 
legislativi, 
ufficializzate 
e 
condivise 
nel 
2007, 
quando 
in 
sede 
di 
Conferenza 
dei 
Presidenti 
delle 
Assemblee 
legislative 
è 
stato 
approvato 
il 
Manuale 
per 
le 
Regioni 
contenente 
regole 
e 
suggerimenti 
per 
la 
redazione 
dei 
testi 
normativi 
(18). 


(15) Fra 
le 
diverse, la 
legge 
della 
Regione 
toscana 
è 
una 
delle 
più risalenti 
e 
delle 
più innovative, 
avendo introdotto anche 
la 
motivazione 
delle 
leggi 
e 
dei 
regolamenti 
(art. 9): 
si 
tratta 
della 
legge 
regionale 
22 ottobre 
2008, n. 55 recante 
“Disposizione 
in materia di 
qualità della normazione”. v. anche 
la 
legge 
della 
Regione 
Liguria 
8 giugno 2011, n. 13 “Norme 
sulla qualità della regolazione 
e 
sulla semplificazione 
amministrativa” 
o la 
legge 
della 
Regione 
Puglia 
2 novembre 
2011, n. 29 “Semplificazione 
e qualità della normazione”. 
(16) Così, ad esempio, la 
Regione 
emilia-Romagna, il 
cui 
Regolamento interno, approvato con 
la 
deliberazione 
assembleare 
n. 143 del 
28 novembre 
2007, dedica 
alle 
procedure, modalità 
e 
strumenti 
per la 
qualità 
della 
normazione 
e 
per il 
controllo sull’attuazione 
delle 
leggi 
un intero Capo, e 
precisamente 
il Capo I del 
titolo vI. 
(17) 
tra 
queste, 
può 
essere 
menzionata 
la 
Regione 
Abruzzo, 
che 
ha 
istituito 
un 
apposito 
Comitato 
per la 
legislazione, con finalità 
anche 
di 
riordino e 
semplificazione 
della 
normativa 
vigente 
e 
di 
valutazione 
delle 
politiche 
pubbliche. Il 
Comitato è 
stato inserito nell’ambito della 
legge 
regionale 
14 luglio 
2010, n. 26, recante 
“Disciplina generale 
sull’attività normativa regionale 
e 
sulla qualità della normazione”. 
(18) A 
livello regionale, il 
lavoro di 
studio ed approfondimento sui 
contenuti 
del 
Manuale 
di 
redazione 
dei 
testi 
normativi 
non si 
è 
mai 
arrestato in questi 
anni, anche 
grazie 
alla 
formazione 
di 
gruppi 
di 
lavoro che 
hanno coinvolto rappresentanti 
di 
Giunte 
e 
Consigli 
regionali, linguisti 
ed esperti 
di 
informatica 
giuridica. L’ultimo aggiornamento del 
Manuale 
è 
proprio di 
marzo 2024 ed è 
disponibile 
in una 
versione 
ancora 
non 
definitiva 
sul 
sito 
www.parlamentiregionali.it. 
Il 
Manuale 
si 
presenta 
rinnovato 
non 
solo nella 
struttura 
(risultando adesso suddiviso in due 
Sezioni, l’una 
illustrativa 
del 
linguaggio normativo, 
l’altra 
con finalità 
pratico-applicative) ma 
anche 
nei 
contenuti. oltre 
a 
risultare 
arricchito da 
appendici 
riguardanti 
i 
profili 
sostanziali 
della 
qualità 
della 
normazione 
e 
gli 
strumenti 
per 
favorire 
l’efficacia 
della 
legislazione, 
occorre 
evidenziare 
anche 
l’integrazione 
del 
preambolo 
con 
un 
nuovo 
principio 
redazionale, quello della 
sostenibilità 
amministrativa 
del 
testo normativo, nel 
senso che 
una 
legge 
può definirsi 
amministrativamente 
sostenibile 
quando è 
formulata 
“in modo che 
le 
pubbliche 
amministrazioni 
possano concretamente 
ed efficacemente 
applicarla”. Non solo, ma 
nell’ambito dei 
principi 
viene 
attribuito 
riconoscimento 
anche 
alle 
finalità 
divulgative 
dell’attività 
di 
comunicazione 
istituzionale, 
quale 
strumento che 
favorisce 
l’accessibilità 
e 
la 
comprensibilità 
della 
legge 
da 
parte 
dei 
cittadini, così 
contribuendo all’affermazione del principio di certezza del diritto. 

RASSeGNA 
AvvoCAtURA 
DeLLo 
StAto -N. 2/2023 


L’operato 
del 
legislatore 
regionale 
è 
stato 
parimenti 
oggetto 
di 
sindacato 
da 
parte 
della 
Corte 
costituzionale, 
sotto 
il 
profilo 
della 
chiarezza 
e 
semplicità 
di 
formulazione 
delle 
disposizioni 
adottate. 
Significativa, 
al 
riguardo, 
appare 
la 
sentenza 
n. 
70 
del 
2013: 
in 
questo 
caso, 
la 
questione 
di 
legittimità 
della 
norma 
regionale 
è 
stata 
accolta 
con 
riferimento 
all’art. 
97 
Cost., 
ovvero 
al 
principio 
di 
buon 
andamento 
della 
pubblica 
amministrazione, 
laddove 
si 
è 
riconosciuto 
che 
l’adozione, 
per 
regolare 
l’azione 
amministrativa, 
di 
una 
disciplina 
normativa 
“foriera 
di 
incertezza”, 
“può 
tradursi 
in 
cattivo 
esercizio 
delle 
funzioni 
affidate 
alla 
cura 
della 
pubblica 
amministrazione”. 


In 
effetti, 
dopo 
l’entusiasmo 
iniziale 
seguito 
alla 
riforma 
del 
titolo 
v 
della 
Costituzione, 
e 
testimoniato 
dall’enunciazione 
dei 
principi 
di 
qualità 
della 
normazione 
nell’ambito degli 
Statuti 
di 
seconda 
generazione, il 
legislatore 
regionale 
sembra essere caduto negli stessi errori di quello statale. 

A 
parte 
le 
peculiarità 
che 
possono essere 
proprie 
solo della 
produzione 
normativa 
statale 
(si 
pensi 
agli 
eccessi 
del 
frequente 
ricorso ai 
decreti-legge 
ed alle 
deleghe 
legislative, ai 
maxi 
emendamenti 
ecc..), tra 
le 
pratiche 
più comuni 
e 
meno 
encomiabili 
diffusesi 
anche 
in 
ambito 
regionale, 
possiamo 
citare 
quelle 
dell’utilizzo di 
formule 
ed espressioni 
imprecise 
ed ambigue, dell’approvazione 
di 
leggi 
comprensive 
di 
disposizioni 
tra 
loro del 
tutto eterogenee 
(le 
c.d. omnibus), della 
novellazione 
effettuata 
a 
stretto giro, anche 
a 
più riprese, 
rispetto 
all’approvazione 
della 
legge 
oggetto 
di 
modifica, 
delle 
integrazioni 
normative 
che 
non 
vengono 
coordinate 
al 
contesto 
nel 
quale 
si 
introducono. 


occorre 
considerare, inoltre, quale 
fattore 
condizionante 
il 
corretto rapporto 
tra 
principio di 
certezza 
del 
diritto e 
qualità 
legislativa 
regionale, l’elevato 
contenzioso 
costituzionale 
tra 
Stato 
e 
Regioni 
stratificatosi 
negli 
anni 
immediatamente 
successivi 
alla 
riforma 
del 
titolo 
v, 
cagionato 
dalla 
imprecisa 
definizione 
delle 
materie 
di 
rispettiva 
competenza 
e 
caratterizzato dall’orientamento 
restrittivo assunto dalla 
Corte 
costituzionale 
nella 
decisione 
dei 
relativi 
giudizi, a tutela dell’unità ed indivisibilità della Repubblica. 


Attualmente, 
invece, 
il 
contenzioso 
risulta 
drasticamente 
ridotto 
rispetto 
alla 
prima 
decade 
degli 
anni 
Duemila 
(19), 
soprattutto 
a 
seguito 
del 
consolidarsi 
delle 
forme 
di 
leale 
collaborazione 
fra 
Stato 
e 
Regioni 
esercitate 
per 


(19) Si 
tratta 
di 
un 
dato 
riferito 
dal 
Presidente 
della 
Corte 
costituzionale 
prof. 
Augusto 
Antonio 
barbera, 
nell’ambito 
della 
Relazione 
annuale 
sull’attività 
della 
Corte 
relativa 
all’anno 
2023, 
svoltasi 
lo 
scorso 
18 
marzo, 
consultabile 
al 
seguente 
link: 
https://www.cortecostituzionale.it/actionrelazioniPresidenti.
do, 
dove 
alla 
pag. 
5 
si 
legge 
che 
il 
sensibile 
decremento 
del 
contenzioso 
tra 
Stato 
e 
Regioni 
“…è 
verosimilmente 
imputabile 
ai 
meccanismi 
di 
raccordo 
politico 
fra 
Governo 
e 
regioni 
che 
permettono 
loro 
di 
mediare 
tra 
le 
reciproche 
posizioni 
e 
di 
raggiungere 
punti 
di 
composizione…”, 
fermo 
restando 
il 
possibile 
successivo 
controllo 
di 
costituzionalità 
in 
via 
incidentale 
che 
potrebbe 
avere 
luogo 
sulla 
normativa 
regionale 
da 
parte 
della 
medesima 
Corte. 

CoNtRIbUtI 
DI 
DottRINA 


l’esame 
delle 
leggi 
regionali 
di 
nuova 
adozione, 
soggette 
al 
termine 
di 
impugnazione 
in 
via 
principale 
da 
parte 
del 
Governo, 
di 
cui 
all’art. 
127 
Cost. 


Si 
tratta 
di 
una 
prassi 
consistente 
nello svolgimento di 
un contraddittorio 
preventivo 
tra 
i 
due 
interlocutori, 
riguardante 
i 
contenuti 
della 
legge 
regionale 
appena 
pubblicata, che 
può comportare 
l’assunzione, da 
parte 
della 
Regione, 
dell’impegno nei 
confronti 
del 
Governo a 
modificare 
o abrogare 
una 
o più disposizioni 
della 
stessa 
legge, onde 
evitare 
la 
loro impugnazione 
dinanzi 
alla 
Consulta 
(20). È 
una 
pratica 
molto utile 
perché 
rappresenta 
un indubbio strumento 
di 
deflazione 
del 
contenzioso 
dinanzi 
alla 
Corte, 
e, 
inoltre, 
favorisce 
un 
confronto 
aperto 
tra 
Stato 
e 
Regione 
sui 
sospetti 
profili 
di 
incostituzionalità 
della 
norma 
o 
legge 
attenzionata, 
che 
può 
anche 
concludersi 
a 
favore 
della 
Regione, qualora 
quest’ultima 
riesca 
a 
chiarire 
i 
dubbi 
anticipatamente 
sollevati 
dal Governo. 

Nonostante 
ciò, 
anche 
il 
confronto 
preventivo 
può 
presentare 
degli 
inconvenienti, 
sia 
per 
i 
tempi 
ristretti 
entro 
cui 
inevitabilmente 
si 
svolge, 
sia 
in 
quanto 
sul 
suo 
esito 
possono 
talora 
incidere 
rapporti 
di 
forza, 
valutazioni 
non 
prettamente 
giuridiche, 
ma 
più 
propriamente 
politiche; 
a 
volte, 
può 
succedere 
che 
le 
Regioni 
si 
dimostrino 
troppo 
repentine 
nel 
cedere 
ai 
rilievi 
mossi 
dal 
Governo, 
pur 
di 
non 
dover 
affrontare 
un 
giudizio 
di 
impugnativa 
costituzionale. 


Così, in alcuni 
casi, l’intervento della 
Corte, quale 
terzo imparziale, può 
apparire 
l’unico modo efficace 
per dirimere 
definitivamente 
eventuali 
dubbi 
emersi 
nella 
fase 
pre-contenziosa, 
o 
per 
ricevere 
utili 
direttive 
per 
l’attività 
legislativa 
futura o, ancora, per meglio regolare i rapporti reciproci. 


5. Uno sguardo alle prospettive future. 
Certezza 
del 
diritto, 
principio 
di 
eguaglianza 
e 
di 
non 
discriminazione, 
separazione 
dei 
poteri: 
è 
intorno 
a 
questi 
pilastri 
che 
ruota 
il 
tema 
della 
qualità 
della 
normazione, 
quale 
presupposto 
di 
garanzia 
per 
la 
loro 
effettiva 
attuazione, 
a livello sia statale sia regionale. 


Più 
di 
dieci 
anni 
fa, 
nell’ambito 
di 
un 
seminario 
sul 
tema 
della 
buona 
scrittura 
delle 
leggi, Giuliano Amato sosteneva 
la 
pessima 
qualità 
della 
nostra 
legislazione, 
sottolineando 
che 
la 
chiarezza 
della 
lingua 
legislativa 
merita 
specifica 
attenzione 
nella 
misura 
in cui, molto spesso, l’oscurità 
di 
una 
legge 
dipende 
dalla 
circostanza 
che 
il 
suo 
oggetto 
sia 
rimasto 
oscuro 
nella 
stessa 
mente 
di 
chi 
l’ha 
ideata: 
da 
qui, l’esigenza 
che 
chi 
scrive 
abbia 
approfondito la 
materia 
e 
se 
ne 
sia 
impadronito, in modo da 
poterla 
dominare 
anche 
linguisticamente 
(21). 


(20) 
Lo 
svolgimento 
di 
questa 
attività, 
a 
riprova 
della 
centralità 
assunta, 
è 
stato 
di 
recente 
oggetto 
di 
una 
nuova 
direttiva 
da 
parte 
del 
Presidente 
del 
Consiglio 
dei 
ministri, 
in 
data 
23 
ottobre 
2023, 
recante 
“Esame 
delle 
leggi 
delle 
regioni 
e 
delle 
Province 
autonome 
di 
Trento e 
di 
Bolzano e 
delle 
questioni 
di 
legittimità 
costituzionale 
ai 
sensi 
e 
per 
gli 
effetti 
dell’articolo 
127 
della 
Costituzione. 
razionalizzazione 
dell’attività istruttoria del Governo”, reperibile sul sito istituzionale del Governo, www.governo.it. 

RASSeGNA 
AvvoCAtURA 
DeLLo 
StAto -N. 2/2023 


Legge 
“chiara”, poi, non equivale 
necessariamente 
a 
legge 
“semplice”: 
è 
stato 
osservato 
che 
l’esigenza 
di 
chiarezza 
e 
precisione 
del 
testo 
normativo 
spesso si 
contrappone 
all’opposta, altrettanto importante, esigenza 
della 
sua 
intellegibilità 
e 
semplicità 
(22). 
Infatti, 
un 
testo 
può 
definirsi 
preciso 
nella 
misura 
in cui 
identifica 
esattamente 
le 
fattispecie 
cui 
fa 
riferimento, il 
che 
può 
richiedere 
-a 
seconda 
del 
settore 
di 
intervento -l’impiego di 
un linguaggio 
prettamente 
tecnico; 
tuttavia, una 
terminologia 
“troppo” 
tecnica 
può pregiudicare 
la 
comprensibilità 
del 
medesimo testo da 
parte 
della 
generalità 
dei 
destinatari. 


La 
buona 
qualità 
della 
legge, 
dunque, 
dipende 
dalla 
realizzazione 
del 
difficile 
equilibrio 
tra 
queste 
contrapposte 
esigenze, 
impendendo 
che 
l’una 
abbia 
il sopravvento sull’altra. 

Questi 
concetti 
sono 
stati 
molto 
efficacemente 
riassunti 
dal 
prof. 
Fabio 
Cintioli 
nella 
sua 
recentissima 
audizione 
dinanzi 
ai 
Comitati 
per 
la 
legislazione 
(23): 
se 
rinunciare 
a 
nozioni 
e 
concetti 
giuridici 
non 
è 
proponibile 
perché 
equivarrebbe 
a 
far 
precipitare 
l’ordinamento 
nell’incertezza, 
tuttavia 
la 
terminologia 
giuridica 
va 
espressa 
in 
modo 
chiaro 
e 
con 
un 
linguaggio 
allo 
stesso 
tempo 
tecnico, 
armonico 
ed 
esauriente 
(24). 
L’esperto 
suggerisce 
di 
iniziare 
a 
scrivere 
“disposizioni 
più 
brevi, 
più 
chiare, 
più 
corrette 
sul 
piano 
dell’uso 
dei 
concetti 
giuridici…”, 
rinunciando 
“… 
alla 
tecnica 
dei 
continui 
rinvii 
e 
della 
novellazione 
su 
novellazione 
del 
testo 
normativo” 
per 
puntare 
su 
norme 
autoesplicative. 


Dunque, 
ciò 
che 
emerge 
dal 
dibattito 
costantemente 
in 
corso 
tra 
gli 
esperti 
è 
che 
occorre, prima 
di 
tutto, migliorare 
la 
padronanza 
della 
lingua 
come 
presupposto 
indispensabile 
per trasporre 
in modo corretto gli 
obiettivi 
che 
si 
intendono 
perseguire in buone regole e, di conseguenza, in buone norme. 


In questo quadro, le 
Regioni 
si 
sono inserite 
cercando di 
mutuare 
tutte 
le 
possibili 
buone 
prassi 
del 
legislatore 
statale, approntando strutture 
analoghe 
a 
quelle 
centrali, provvedendo alla 
formazione 
di 
personale 
tecnico, dotandosi 
di 
regole 
e 
istruzioni 
di 
redazione 
dei 
testi, con risultati 
tuttavia 
altalenanti. Si 
è 
riscontrato, infatti, che 
molte 
delle 
novità 
introdotte 
a 
livello regionale 
e 
ri


(21) Così 
G. AMAto, ricordi 
in tema di 
chiarezza della legislazione, in R. zACCARIA 
(a 
cura 
di), 
La buona scrittura delle 
leggi, Roma, 2012, pagg. 21 e 
ss., dove 
si 
rileva 
che, tuttavia, la 
chiarezza 
è 
a 
volte 
intenzionalmente 
evitata: 
ciò avviene 
quando la 
norma 
rappresenta 
il 
risultato del 
compromesso 
difficilmente 
raggiunto tra 
le 
parti 
politiche 
per addivenire 
ad un accordo sulla 
sua 
approvazione. L’ambiguità 
linguistica, allora, è 
funzionale 
a 
consentire 
una 
lettura 
del 
testo che 
si 
presti 
a 
differenti 
interpretazioni. 
(22) In questi termini, R. zACCARIA, il linguaggio del legislatore, cit., p. 143. 
(23) v.F. CINtIoLI, audizione davanti ai Comitati per la legislazione, cit. 
(24) 
Secondo 
Cintioli, 
“Sarebbe 
illusorio 
pensare 
che 
rinunciando 
alla 
terminologia 
giuridica 
ed 
alle 
sue 
nozioni 
si 
possa 
parlare 
con 
più 
efficacia 
ai 
cittadini. 
La 
nozione 
giuridica, 
i 
concetti 
giuridici 
esprimono un significato preciso e 
si 
riannodano insieme 
in un tessuto che 
deve 
formare 
una regola da 
affidare solidamente alle cure dell’interprete”. 

CoNtRIbUtI 
DI 
DottRINA 


guardanti 
la 
razionalizzazione 
del 
sistema 
delle 
fonti 
regionali 
e 
locali, la 
redazione 
di 
testi 
unici, 
l’istituzione 
di 
comitati 
per 
la 
qualità 
delle 
leggi, 
gli 
strumenti 
di 
valutazione 
delle 
politiche 
pubbliche, 
sono 
state 
portate 
avanti 
con scarsa convinzione (25). 


Inoltre, 
ad 
alterare 
ulteriormente 
gli 
equilibri, 
potrebbe 
presto 
intervenire 
l’attuazione 
del 
regionalismo 
asimmetrico 
di 
cui 
al 
disegno 
di 
legge 
Calderoli. 


In 
disparte 
il 
dibattito 
sul 
favore 
o 
meno 
nei 
confronti 
dell’autonomia 
differenziata 
e 
sui 
connessi 
profili 
finanziari, 
si 
tratta 
indubbiamente 
di 
una 
prova 
di 
maturità 
alla 
quale 
saranno sottoposte 
le 
Regioni 
cui 
verranno concesse 
le 
ulteriori 
forme 
di 
autonomia, nell’ambito di 
materie 
che 
andrebbero -almeno 
inizialmente - assai limitate e solo progressivamente estese. 


Il 
rischio è 
quello di 
aumentare 
la 
confusione 
e 
di 
accrescere 
le 
disuguaglianze: 
come 
si 
è 
constatato durante 
l’emergenza 
pandemica, quando l’inadeguato 
coordinamento 
tra 
Stato, 
Regioni 
ed 
enti 
locali 
ha 
dato 
luogo 
a 
conflitti 
di 
competenza, 
il 
potenziamento 
della 
governance 
multilivello 
potrebbe 
comportare 
ulteriori 
problemi 
anche 
sotto 
il 
profilo 
qualitativo 
delle 
leggi. 


tra 
gli 
studiosi, vi 
è 
anche 
chi 
ritiene, in modo assai 
severo, che 
le 
Regioni, 
nate 
per 
essere 
un 
forte 
legislatore, 
in 
realtà 
non 
lo 
sono 
mai 
state 
e 
probabilmente 
non lo diverranno mai (26). 


Al 
riguardo, se 
è 
vero che 
una 
parte 
consistente 
della 
produzione 
normativa 
regionale 
contiene 
-quasi 
inevitabilmente 
-disposizioni 
di 
“ordinaria 
amministrazione” 
(come, ad esempio, variazioni 
di 
bilancio o riconoscimenti 
di 
debiti 
fuori 
bilancio, proroghe 
di 
termini, ecc..), va 
anche 
considerato che 
le 
Regioni 
sono enti 
piuttosto “giovani”, entrati 
in funzione 
da 
poco più di 
cinquant’anni, 
che 
hanno 
dovuto 
conquistarsi 
nel 
tempo 
i 
loro 
spazi 
di 
autonomia, 
in un lungo processo ancora 
in itinere. 

Senza 
concentrarci 
sul 
dato 
quantitativo, 
in 
grado 
di 
dire 
poco 
o 
nulla 
sulla 
qualità 
delle 
norme 
regionali, 
si 
può 
evidenziare 
che 
in 
alcuni 
casi 
proprio 
le 
Regioni 
si 
sono dimostrate 
più efficienti 
del 
legislatore 
statale, colmando 
per prime 
vuoti 
normativi 
e 
introducendo discipline 
innovative 
(o tentando di 


(25) 
Questa 
situazione 
è 
stata 
addebitata, 
tra 
l’altro, 
all’aspra 
conflittualità 
esistente 
tra 
Stato, 
Regioni 
ed enti 
locali, dipendente 
dalle 
incerte 
materie 
di 
competenza 
legislativa 
e 
amministrativa 
da 
A. 
MoRRoNe, 
La 
qualità 
della 
legislazione 
regionale, 
in 
istituzioni 
del 
federalismo, 
n. 
1/2011. 
Non 
bisogna 
dimenticare, poi, che 
il 
compimento di 
azioni 
efficaci 
di 
valutazione 
delle 
politiche 
pubbliche 
richiede 
anche la destinazione di adeguate risorse finanziarie, non sempre disponibili. 
(26) È 
questa 
l’opinione 
di 
P. CIARLo, L’inevitabile 
nanismo legislativo delle 
regioni 
e 
il 
loro avvenire 
amministrativo, 
in 
Diritti 
regionali, 
n. 
1/2023, 
www.dirittiregionali.it, 
il 
quale 
ritiene 
che, 
sebbene 
la 
missione 
costituzionale 
delle 
Regioni 
sia 
sempre 
stata 
la 
funzione 
legislativa, la 
stessa 
non è 
mai 
decollata 
(anzi, allo stato sarebbe 
del 
tutto isterilita), e 
ciò sia 
per la 
loro asserita 
incapacità 
di 
far valere 
a 
livello 
centrale 
la 
loro 
autonomia, 
sia 
per 
la 
crisi 
italiana 
del 
sistema 
partitico. 
Secondo 
l’Autore, 
il 
futuro delle 
Regioni 
dovrà 
puntare 
sulle 
competenze 
amministrative, più che 
sulla 
funzione 
legislativa. 

RASSeGNA 
AvvoCAtURA 
DeLLo 
StAto -N. 2/2023 


introdurle) (27). In questa 
fase 
di 
ridotta 
centralità 
e 
rappresentatività 
del 
Parlamento, 
valorizzando 
il 
principio 
di 
sussidiarietà, 
le 
Regioni 
-per 
la 
loro 
prossimità 
alla 
popolazione 
dei 
rispettivi 
territori 
-potrebbero accentuare 
la 
loro 
capacità 
di 
esprimere 
bisogni 
e 
istanze 
dei 
cittadini, dando loro immediata 
risposta 
anche 
sul 
piano 
legislativo, 
ovvero 
facendosene 
portatrici 
a 
livello 
centrale. 


Ci 
sono 
anche 
ulteriori 
segnali 
positivi: 
tra 
questi, 
proprio 
il 
recentissimo 
aggiornamento del 
Manuale 
di 
redazione 
dei 
testi 
normativi 
promosso dalla 
Conferenza 
dei 
Presidenti 
delle 
Assemblee 
legislative, 
laddove 
a 
livello 
statale 
trovano 
ancora 
applicazione 
le 
regole 
stabilite 
nelle 
circolari 
del 
Presidente 
del 
Senato, del 
Presidente 
della 
Camera 
dei 
deputati 
e 
del 
Presidente 
del 
Consiglio 
dei ministri risalenti al 2001. 

tra 
le 
novità 
del 
Manuale, elaborato in modo da 
comprendere 
la 
trattazione 
sia 
degli 
aspetti 
formali, sia 
degli 
aspetti 
sostanziali 
che 
consentono la 
redazione 
di 
una 
legge 
chiara, precisa, accessibile, è 
possibile 
citare 
la 
Parte 
II della 
Sezione 
II dedicata 
alle 
formule 
standardizzate, da 
utilizzare 
nella 
redazione 
di 
disposizioni 
normative 
come 
modello redazionale 
di 
carattere 
generale, 
consentendo 
di 
strutturare 
in 
modo 
uniforme 
la 
disciplina 
di 
determinate 
fattispecie; 
e, ancora, l’approfondimento, in appendice, relativo 
al 
contributo che 
gli 
strumenti 
informatici 
e 
l’intelligenza 
artificiale 
possono 
fornire per migliorare la qualità del testo normativo (28). 

Nella 
presentazione 
di 
questo nuovo Manuale, tra 
l’altro, si 
assimila 
lo 
scrivere 
una 
buona 
legge 
alla 
costruzione 
di 
un ponte, in quanto in entrambi 
i 
casi 
determinante 
per il 
loro funzionamento e 
la 
“tenuta” 
dovrebbe 
essere 
la 
progettazione tecnica, piuttosto che la decisione politica. 


Ci 
sembra, 
dunque, 
un 
buon 
punto 
da 
cui 
ripartire, 
per 
adeguare 
il 
linguaggio 
normativo alla 
rapida 
evoluzione 
della 
società 
dovuta 
alla 
digitaliz


(27) 
Si 
può 
fare 
riferimento, 
ad 
esempio, 
alle 
discipline 
regionali 
in 
materia 
di 
lobbying 
(fra 
queste, 
in 
particolare, 
la 
l.r. 
Calabria 
n. 
4/2016, 
la 
l.r. 
Puglia 
n. 
30/2017, 
la 
l.r. 
toscana 
n. 
5/2002) 
laddove 
invece 
una 
tale 
regolamentazione 
non è 
stata 
ancora 
adottata 
a 
livello statale. Si 
pensi 
anche 
al 
recente 
ammonimento 
del 
Presidente 
della 
Corte 
costituzionale 
Augusto barbera, in sede 
di 
Relazione 
annuale 
sul-
l’attività 
della 
Corte 
costituzionale 
per 
l’anno 
2023, 
nei 
confronti 
del 
legislatore 
statale, 
affinché 
intervenga 
senza 
ulteriore 
indugio 
a 
disciplinare 
il 
fine 
vita 
e 
la 
condizione 
anagrafica 
dei 
figli 
di 
coppie 
dello stesso sesso, mentre 
nel 
frattempo si 
stanno moltiplicando le 
iniziative 
delle 
Regioni 
in supplenza 
del 
Parlamento (ad. es. la 
proposta 
di 
legge, di 
iniziativa 
popolare, sul 
suicidio medicalmente 
assistito, 
recentemente discussa in seno al Consiglio regionale del 
veneto). 
(28) 
Su 
questo 
importante 
ed 
attualissimo 
argomento 
si 
è 
svolta 
a 
Firenze 
il 
12 
maggio 
2022 
un’interessante 
giornata 
di 
studi 
sul 
tema 
“Tecnica legislativa ed innovazione 
tecnologica”, organizzata 
nell’ambito del 
progetto assemblee 
rappresentative 
ed innovazione 
tecnologica dopo la pandemia: la 
“reingegnerizzazione” 
delle 
procedure 
parlamentari 
e 
del 
drafting legislativo (Legitech). Gli 
atti 
del 
convegno 
sono 
reperibili 
al 
seguente 
link: 
https://www.osservatoriosullefonti.it/mobilesaggi/
speciali/speciale-tecnica-legislativa-ed-innovazione-tecnologica-2-2022. 
tra 
questi, 
v. 
in 
particolare 
M. PIetRANGeLo, Tecniche 
normative 
e 
informatizzazione 
nelle 
assemblee 
legislative 
regionali, 
in osservatorio sulle fonti, n. 2/2022. 

CoNtRIbUtI 
DI 
DottRINA 


zazione, nonché 
la 
dimostrazione 
che 
il 
legislatore 
regionale 
intende 
rivestire 
un ruolo attivo nella formulazione di leggi più chiare ed efficaci. 

Nel 
perseguire 
in concreto questa 
aspirazione, per tutti 
gli 
operatori 
possono 
essere 
preziose 
le 
parole 
di 
Rodolfo 
Pagano, 
secondo 
cui 
“fare 
una 
buona 
legge 
richiede 
(soggettivamente) varie 
qualità: conoscenze 
giuridiche, competenza 
nella 
materia 
trattata, 
capacità 
di 
sintesi 
e 
chiarezza 
redazionale, 
valutazione 
politica 
degli 
interessi 
in 
gioco, 
previsione 
della 
attuabilità 
delle 
disposizioni” (29). 


(29) In R. PAGANo, Tecnica legislativa e sistemi d’informatica giuridica, cit., p. 82. 

Finito di stampare nel mese di maggio 2024 
Stabilimenti 
Tipografici Carlo Colombo S.p.A. 
Vicolo della Guardiola n. 22 - 00186 Roma