ANNO LXXV - N. 1 
GENNAIO - MARZO 2023 


RASSEGNA 
AV 
V 
O 
C 
AT 
U 
R 
A 
DELLO 
STATO 


PUBBLICAZIONE 
TRIMESTRALE DI SERVIZIO 



COMITATO 
SCIENTIfICO: 
Presidente: 
Michele 
Dipace. 
Componenti: 
Franco 
Coppi 
-Natalino 
Irti 
-Eugenio 
Picozza - Franco Gaetano Scoca. 


DIRETTORE 
RESPONSABILE: 
Giuseppe Fiengo 
- CONDIRETTORI: 
Maurizio Borgo, 
Stefano Varone. 


COMITATO 
DI 
REDAZIONE: 
Giacomo Aiello -Lorenzo 
D’Ascia 
-Gianni 
De 
Bellis 
-Wally 
Ferrante 
-Sergio 
Fiorentino 
-Paolo 
Gentili 
-Maria 
Vittoria 
Lumetti 
-Francesco 
Meloncelli 
-Marina 
Russo. 


CORRISPONDENTI 
DELLE 
AVVOCATURE 
DISTRETTUALI: 
Andrea 
Michele 
Caridi 
-Stefano 
Maria 
Cerillo 
Pierfrancesco 
La 
Spina 
-Marco 
Meloni 
-Maria 
Assunta 
Mercati 
-Alfonso 
Mezzotero 
-Riccardo 
Montagnoli 
-Domenico 
Mutino 
-Nicola 
Parri 
-Antonino 
Ripepi 
-Piero 
Vitullo. 


HANNO 
COLLABORATO 
INOLTRE 
AL 
PRESENTE 
fASCICOLO: 
Enrico 
De 
Giovanni, 
Davide 
Di 
Giorgio, 
Federico 
D’Orazio, 
Emanule 
Feola, 
Andrea 
Ferri, 
Michele 
Gerardo, 
Alberto 
Giovannini, 
Giovanni 
Grasso, 
Domenico 
Maimone, 
Gaetana 
Natale, 
Nicoletta 
Ortu, 
Gabriella 
Palmieri 
Sandulli, 
Carlo 
Maria 
Pisana, 
Valeria 
Romano, 
Luigi 
Simeoli, 
Antonio 
Trimboli, 
Stefano 
Lorenzo 
Vitale. 


E-mail 
Giuseppe fiengo 
rassegna@avvocaturastato.it 


maurizio.borgo@avvocaturastato.it 
stefanovarone@avvocaturastato.it 


ABBONAMENTO 
ANNUO 
..............................................................................€ 40,00 
UN 
NUMERO 
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ed 
acquisti 
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copia 
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bancario 
o 
postale 
a 
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della 
Tesoreria 
dello 
Stato 
specificando 
codice 
IBAN: 
IT 
42Q 
01000 
03245 
348 
0 
10 
2368 
05, 
causale 
di 
versamento, 
indirizzo 
ove 
effettuare 
la 
spedizione, 
codice 
fiscale 
del 
versante. 


I 
destinatari 
della 
rivista 
sono 
pregati 
di 
comunicare 
eventuali 
variazioni 
di 
indirizzo 


AVVOCATURA 
GENERALE 
DELLO 
STATO 
RASSEGNA 
-Via dei Portoghesi, 12, 00186 Roma 
E-mail: rassegna@avvocaturastato.it - Sito www.avvocaturastato.it 


Stampato in Italia - Printed in Italy 


Autorizzazione 
Tribunale di Roma - Decreto n. 11089 del 13 luglio 1966 



i 
n 
d 
i 
c 
e 
-s 
o 
m 
m 
a 
r 
i 
o 
Tragedia 
del 
Vajont. 
A 
ricordo 
della 
figura 
dell’avvocato 
dello 
Stato 
Vincenzo 
Camerini 
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 
A ricordo 
dell’Avv. Americo Rallo 
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 
dell’Avv. Giuseppe Massimo Dell’Aira 
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 
TEMI 
ISTITUZIONALI 
Intervento 
dell’Avvocato 
Generale 
dello 
Stato 
in 
occasione 
della 
cerimonia 
di inaugurazione dell’Anno Giudiziario 2024 
. . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 
1 
Nuovo 
Regolamento 
recante 
norme 
per 
l’organizzazione 
e 
il 
funzionamento 
degli 
uffici 
dell’Avvocatura 
dello 
Stato, 
D.P.C.M. 
29 
novembre 
2023 n. 210 (G.U. n. 301 del 28 dicembre 2023) 
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . ›› 
4 
CONTENZIOSO 
COMUNITARIO 
ED 
INTERNAZIONALE 
Carlo 
Maria 
Pisana, 
Le 
“clausole 
di 
esclusiva” 
nella 
decisione 
della 
Corte 
di 
Giustizia 
dell’Unione, 
sentenza 
19 
gennaio 
2023 
in 
causa 
C-680/20 
(Unilever 
vs 
AGCM) e 
altre 
situazioni 
giuridiche 
“escludenti” 
nella giurisprudenza 
della Corte 
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ›› 
17 
CONTENZIOSO 
NAZIONALE 
Antonino Ripepi, Giovanni 
Grasso, La fisionomia attuale 
della recidiva, 
nel 
prisma 
della 
recente 
giurisprudenza 
di 
legittimità. 
Disamina 
della 
sentenza delle Sezioni Unite del 25 luglio 2023 n. 32318 
. . . . . . . . . . . . ›› 
37 
Antonio Trimboli, Costituzione 
di 
parte 
civile 
dopo la riforma Cartabia: 
brevi 
considerazioni 
a 
caldo 
sulla 
sentenza 
delle 
Sezioni 
Unite 
del 
21 
settembre 
2023 n. 38481 
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ›› 
63 
I PARERI 
DEL 
COMITATO 
CONSULTIVO 
Enrico 
De 
Giovanni, 
Rimborso 
spese 
legali 
sostenute 
dal 
pubblico 
dipendente 
ai 
sensi 
dell’art. 18 d.l. n. 67/1997, conv. l. n. 135/97. Corretta definizione 
degli ambiti applicativi 
della disposizione 
. . . . . . . . . . . . . . . . ›› 
83 
Luigi 
Simeoli, Davide 
Di 
Giorgio, In tema di 
tutela ambientale 
dell’ecosistema 
marino 
e 
di 
quello 
lagunare. 
Ambito 
di 
applicazione 
dell’art. 
109, 
d.lgs. 152/2006 (T.U.A.), del D.M. 173/2016 
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ›› 
86 
Domenico 
Maimone, 
Sui 
requisiti 
per 
il 
riconoscimento 
delle 
“Fondazioni 
di 
partecipazione” 
tra 
i 
soggetti 
collettivi 
di 
cui 
all’art. 
13 
della 
legge 349/1986 
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ›› 
95 
Valeria 
Romano, 
Cessione 
pro 
soluto 
e 
in 
blocco 
di 
crediti 
derivanti 
da 
operazioni 
di 
finanziamento 
rimborsati 
mediante 
cessione 
del 
quinto 
dello 
stipendio; 
cessione 
effettuata 
nel 
contesto 
di 
una 
operazione 
di 
c.d. 
cartolarizzazione 
ai 
sensi 
degli 
artt. 
1 
e 
4 
della 
L. 
30 
aprile 
1999 
n. 
130, 
dell’art. 
58 
del 
D.Lgs. 
n. 
385 
del 
1° 
settembre 
1993 
(il 
“Testo 
Unico 
Bancario”) 
›› 
104 



Emanuele 
feola, Convenzione-quadro stipulata dalla Consip S.p.A. per 
la fornitura di 
carburante 
mediante 
“buoni 
acquisto”. Possibilità per 
le 
Amministrazioni 
dello 
Stato 
di 
avviare 
una 
procedura 
autonoma 
di 
scelta 
del contraente 
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 
113 


Stefano Lorenzo Vitale, Determinazione 
del 
valore 
di 
lite 
in caso di 
ricorso 
avverso un avviso di 
accertamento contenente 
il 
contestuale 
provvedimento 
di 
irrogazione 
della 
sanzione 
ex 
art. 
17 
comma 
1 
D.lgs. 
n. 
472/1997 
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ›› 
119 


LEGISLAZIONE 
ED 
ATTUALITà 


Alberto 
Giovannini, 
Il 
partenariato 
pubblico-privato 
nel 
nuovo 
codice 
dei contratti pubblici. Prime impressioni 
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ›› 
123 


Gaetana Natale, Artificial Intelligence and privacy rights 
. . . . . . . . . . . . ›› 
140 


Gaetana 
Natale, 
The 
fundamental 
rights 
of 
the 
person in the 
digital 
horizon. 
Law and technology: a possible combination? . . . . . . . . . . . . . . . . ›› 
151 

Antonino Ripepi, Amministrare 
per 
processi. Il 
PNRR, il 
PIAO 
e 
il 
Business 
Process 
Reengineering nelle 
Pubbliche 
Amministrazioni: un’occasione 
da non perdere. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ›› 
160 


CONTRIBUTI 
DI 
DOTTRINA 


Gerardo Michele, Efficienza del 
processo e 
strumenti 
alternativi 
di 
risoluzione 
delle controversie 
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ›› 
173 


Gaetana 
Natale, federico D’Orazio, La responsabilità medica alla prova 
dell’IA 
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ›› 
191 


Nicoletta 
Ortu, 
La 
stabile 
messa 
a 
libro 
paga 
dell’agente 
pubblico 
e 
il 
contrastato rapporto tra corruzione 
per 
l’esercizio della funzione 
e 
corruzione 
per atto contrario ai doveri d’ufficio. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ›› 
213 


Andrea 
ferri, Rapporti 
tra procedimento penale 
e 
procedimento disciplinare: 
un excursus 
giurisprudenziale 
sul 
lavoro privato e 
quello alle 
dipendenze 
di pubbliche amministrazioni 
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ›› 
236 


Comunicato dell’Avvocato Generale, Avv. Giuseppina Buongiorno. . . . 
Comunicato dell’Avvocato Generale, Avv. Stefano Vivacqua 
. . . . . . . . . 
Comunicato 
dell’Avvocato 
Generale, 
Avv. 
Giovanna 
Maria 
Cuccia 
Russo 
Comunicato 
dell’Avvocato 
Generale, 
Avv. 
Ines 
Sisto 
Monterisi. 
. 
. 
. 
. 
. 
. 
. 
. 
Comunicato 
dell’Avvocato 
Generale, 
Avv. 
Filippo 
Patella 
. 
. 
. 
. 
. 
. 
. 
. 
. 
. 
. 
. 



Tragedia del Vajont. A ricordo della figura 
dell’avvocato dello Stato Vincenzo Camerini 


Il 
9 ottobre 
2023 il 
Presidente 
Sergio Mattarella nei 
luogi 
del 
disatro del 
Vajont 
ha ricordato la tragedia umana accaduta alle 
10,30 della sera del 
9 
ottobre 1963. Paesi, comunità, vite distrutti. 1910 morti. 

Il 
processo si 
tenne 
a L’Aquila, a ben 550 chilometri 
dal 
luogo del 
disastro, 
per 
legitima suspicione 
a motivo dei 
problemi 
di 
ordine 
pubblico, iniziò 
il 25 novembre 1968 e si concluse la sera del 17 dicembre 1969. 


Lo 
Stato 
era 
rappresentato 
dall’Avvocatura 
distrettuale 
di 
L’Aquila 
nella 
persona 
dell’avvocato 
dello 
Stato 
Vincenzo 
Camerini, 
persona 
di 
grande 
professionalità 
e 
di 
vasta 
cultura 
unitamente 
a 
raffinata 
educazione 
e 
grande 
umiltà, che 
rappresentò lo Stato anche 
nelle 
fasi 
del 
processo di 
appello, dal 
20 luglio 1970 al 3 ottobre 1970. 


Dal 
15 marzo al 
25 marzo 1971 a Roma si 
svolse 
il 
processo di 
Cassazione, 
fu sempre 
incaricato l’avvocato dello Stato Vincenzo Camerini 
che 
si 
studiò 25mila pagine, contenute in 256 faldoni. 


Dal 
18 maggio 2023 l’“Archivio Processuale 
del 
Distrastro della Diga 
del 
Vajont” 
è 
iscritto 
nel 
Registro 
Internazionale 
del 
Programma 
Unesco 
Memory 
of 
the 
World, 
per 
la 
tutela 
e 
la 
valorizzazione 
del 
patrimonio 
archivistico 
più importante del mondo. 


Ricordo a cura di Sigilfredo Riga, Funzionario dell’Avvocatura distrettuale dello Stato di L’Aquila. 



A ricordo dell’ 
Avv. Americo Rallo 


Con profondo dispiacere, comunico che 
è 
venuto a mancare 
l’Avvocato 
dello Stato Americo Rallo 
(*) 


Il Segretario Generale 
Avv. Maurizio Greco 


(*) E-mail Segreteria Generale, martedì 14 novembre 2023 17:26 



A ricordo dell’ 
Avv. Giuseppe Massimo Dell’Aira 


Con profondo dispiacere, comunico che 
è 
venuto a mancare 
l’Avv. Giuseppe 
Massimo Dell’Aira, Avvocato Generale Onorario (*) 


Il Segretario Generale 
Avv. Maurizio Greco 


(*) E-mail Segreteria Generale, domenica 21 gennaio 2024 15:43 



TEMIISTITUZIONALI
CERIMONIA 
DI 
INAUGURAZIONE 
DELL’ANNO 
GIUDIZIARIO 
2024 


Intervento dell’Avvocato Generale dello Stato 
Avv. Gabriella Palmieri Sandulli 


Signor Presidente della Repubblica, Autorità, 
Signora Prima Presidente della Corte di cassazione, 
Signor Procuratore Generale, 
Signore e Signori 


prendo la 
parola 
in questa 
solenne 
Cerimonia 
per porgere 
il 
saluto del-
l’Istituto che ho l’alto onore e il privilegio di dirigere. 


2. 
Nella 
Sua 
approfondita 
e 
ampia 
Relazione 
la 
Prima 
Presidente 
ha 
riferito 
in 
modo 
analitico 
e 
dettagliato 
i 
risultati 
raggiunti 
dalla 
Suprema 
Corte 
anche 
nell’anno 2023, frutto, ancora 
una 
volta, del 
grandissimo impegno profuso 
dai 
Magistrati 
e 
da 
tutto 
il 
Personale 
amministrativo, 
ai 
quali 
va 
il 
più 
vivo ringraziamento. 
Nel 
2023 è 
proseguita 
la 
collaborazione 
dell’Avvocatura 
dello Stato con 
la 
Corte 
di 
cassazione 
sia 
per 
lo 
svolgimento 
di 
udienze 
tematiche, 
sia 
per 
l’individuazione 
di 
significative 
questioni 
da 
sottoporre 
alle 
Sezioni 
Unite 
al 
fine 
di 
determinare 
un 
indirizzo 
univoco 
necessario 
per 
la 
riduzione 
del 
contenzioso 
pendente 
anche 
dinanzi 
ai 
giudici 
di 
merito, 
in 
effetti, 
avvenuto 
per 
i 
giudizi 
relativi 
alla 
protezione 
internazionale, alla 
espulsione 
di 
cittadini 
extracomunitari 
e alla cd. Legge Pinto. 

3. 
Proseguendo 
nella 
collaborazione 
istituzionale 
con 
la 
Procura 
Generale 
della 
Cassazione 
e 
il 
Consiglio 
Nazionale 
Forense, 
è 
stato 
sottoscritto, 
lo 
scorso 1° 
marzo 2023, il 
Protocollo d’intesa 
sul 
processo civile 
al 
dichiarato 
scopo di 
“manifestare 
la volontà comune 
di 
costruire 
insieme 
una prassi 
organizzativa 
e un’interpretazione condivisa”, un Testo Unico dei Protocolli. 

RASSeGNA 
AvvOCATURA 
DeLLO 
STATO -N. 1/2023 


4. 
In linea 
con quanto già 
auspicato in occasione 
della 
Cerimonia 
dello 
scorso anno, a 
garanzia 
di 
una 
giustizia 
non solo celere, ma 
anche 
effettiva, 
nel 
Protocollo è 
stato previsto che 
l’utilizzo della 
decisione 
ai 
sensi 
dell’articolo 
380-bis 
c.p.c. 
sia 
preceduto 
dalla 
formulazione 
di 
una 
proposta 
sufficientemente 
esaustiva 
per consentire 
al 
difensore 
una 
meditata 
valutazione 
sulla 
scelta processuale da compiere nell’interesse della parte rappresentata. 
5. 
In tema 
di 
definizione 
celere 
e 
uniforme 
dei 
giudizi 
civili 
si 
segnalano, 
nel 
contenzioso che 
interessa 
l’Avvocatura 
dello Stato, le 
prime 
applicazioni 
anche 
dell’istituto 
del 
“rinvio 
pregiudiziale” 
previsto 
dall’articolo 
363-bis 
c.p.c.; 
si 
tratta 
di 
uno 
strumento 
che 
può 
e 
deve 
essere 
implementato 
per 
la 
sua 
rilevante 
potenzialità 
in 
termini 
di 
deflazione 
del 
contenzioso 
e 
di 
indirizzo 
uniforme della giurisprudenza. 
6. 
L’attività 
professionale 
dell’Avvocatura 
dello Stato si 
svolge 
non soltanto 
dinanzi 
alle 
Sezioni 
Civili, con il 
nutrito e 
rilevante 
contenzioso tributario, 
ma anche dinanzi alle Sezioni penali. 
Mi 
limito, per ragioni 
di 
brevità, a 
menzionare 
la 
significativa 
sentenza 


n. 43790/23, che, in accoglimento delle 
tesi 
sostenute 
dall’Avvocatura 
dello 
Stato, ha 
dettato, nell’ambito di 
un procedimento per reato di 
strage 
(art. 285 
c.p.), 
importanti 
principi 
in 
tema 
di 
omessa 
notifica 
dell’avviso 
di 
udienza 
preliminare 
alle 
Amministrazioni 
dello Stato in quanto persone 
offese, la 
Presidenza 
del 
Consiglio dei 
Ministri, Organo di 
vertice 
che 
rappresenta 
lo Stato e 
il Ministero dell’Interno, tutore dell’ordine e della sicurezza pubblica. 
7. 
L’anno 
appena 
trascorso 
ha 
segnato 
sia 
la 
compiuta 
digitalizzazione 
dell’attività 
giudiziaria 
in virtù del 
Decreto Legislativo n. 149/2022, sia 
l’obbligatorietà 
del processo telematico anche dinanzi alla Corte di cassazione. 
L’Avvocatura 
dello 
Stato 
ha 
contribuito 
in 
modo 
significativo 
al 
percorso 
di 
innovazione 
iniziato 
anni 
fa, 
fornendo, 
insieme 
al 
Consiglio 
Nazionale 
Forense, 
il 
proprio 
contributo 
sui 
tavoli 
tecnici; 
dichiarandosi 
disponibile 
per 
quelli 
che 
saranno 
attivati 
sui 
temi, 
indicati 
dal 
Procuratore 
Generale 
nella 
Sua 
Relazione, 
relativi 
all’intelligenza 
artificiale, 
alla 
giustizia 
predittiva 
e 
alle 
tecniche 
di 
machine 
learning, 
in 
Avvocatura 
già 
analizzati 
per 
ottimizzare 
la 
strategia 
processuale 
a 
partire 
dai 
dati, 
anche 
in 
chiave 
deflattiva 
del 
contenzioso. 


Il 
passaggio 
al 
regime 
di 
obbligatorietà 
ha, 
ovviamente, 
inciso 
sui 
dati 
relativi 
ai 
depositi 
telematici, che, innanzi 
alla 
Corte 
di 
cassazione, sono passati, 
per l’Avvocatura 
dello Stato, dai 
3500 dell’anno 2022 ai 
quasi 
13 mila 
dell’anno 2023, con un aumento, dunque, del 400 per cento. 


8. 
Per 
rappresentare 
la 
complessa 
attività 
dell’Avvocatura 
dello 
Stato 
qualche 
dato statistico: 
nel 
2023, i 
nuovi 
affari 
trattati 
sono stati 
147.478 con 

TeMI 
ISTITUzIONALI 


un incremento, in generale, di 
circa 
il 
13% rispetto al 
2022, ritornando, dunque, 
ai livelli del 2019 precedenti alla pandemia. 

Per quanto riguarda 
gli 
esiti 
dei 
giudizi 
in cui 
è 
parte 
l’Avvocatura 
dello 
Stato in Cassazione 
si 
conferma 
ancora 
una 
volta 
una 
percentuale 
di 
successo 
nelle cause patrocinate nella media superiore al 65%. 


Tali 
dati 
sottolineano 
la 
gravosità 
del 
lavoro 
e 
l’impegno 
dell’Avvocatura 
dello 
Stato 
per 
assicurare 
l’ottimale 
svolgimento 
dei 
propri 
compiti 
istituzionali. 


9. 
Da 
ultimo, dall’osservatorio privilegiato di 
Agente 
del 
Governo della 
Repubblica 
italiana, ricordo come 
sia 
efficacemente 
proseguito il 
dialogo tra 
la Corte di cassazione e la Corte di giustizia dell’Unione europea. 
Nel 
2023 
sono 
state 
proposte 
sei 
questioni 
di 
rinvio 
pregiudiziale 
in 
diversi 
ambiti, 
mandato 
d’arresto 
europeo, 
disciplina 
delle 
accise, 
diritti 
dei 
lavoratori, 
diritti 
dei 
consumatori, 
confermando 
l’importanza 
di 
tale 
strumento 
di 
cooperazione 
da 
giudice 
a 
giudice, 
che 
assume 
una 
funzione 
fondamentale 
per 
l’integrazione 
tra 
l’ordinamento 
interno 
e 
quello 
eurounitario 
nel 
rispetto 
delle 
tradizioni 
costituzionali 
nazionali 
e 
dei 
principi 
supremi 
che 
ne 
sono 
la 
base. 


10. 
Concludo 
questo 
mio 
intervento 
confermando 
che 
l’Avvocatura 
dello 
Stato continuerà 
a 
profondere 
il 
massimo impegno per essere 
sempre 
all’altezza 
delle rilevanti funzioni attribuite e al servizio del Paese. 
Grazie per l’attenzione. 


Roma, 25 gennaio 2024 
Palazzo di Giustizia, Aula Magna 



RASSEGNA 
AVVOCATURA 
DELLO 
STATO -N. 1/2023 


NUOVO 
REGOLAMENTO 
RECANTE 
NORME 
PER 
L’ORGANIZZAZIONE 
E 
IL 
FUNZIONAMENTO 
DEGLI 
UFFICI 
DELL’AVVOCATURA 
DELLO 
STATO 


Si 
rappresenta 
che 
è 
stato pubblicato, sulla 
G.U. n. 301 del 
28 dicembre 
2023, 
il 
nuovo 
Regolamento 
(D.P.C.M. 
n. 
210 
del 
29 
novembre 
2023, 
allegato 
alla 
presente) 
recante 
norme 
per 
l’organizzazione 
e 
il 
funzionamento 
degli 
uffici 
dell’Avvocatura dello Stato 
(*). 


Il Segretario Generale 
Avv. Maurizio Greco 


DECRETO DEL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI 
29 novembre 2023, n. 210 
Regolamento recante norme per l’organizzazione e il funzionamento 
degli uffici dell’Avvocatura dello Stato. (23G00218) 
(GU n. 301 del 28-12-2023) 
Vigente al: 12-1-2024 


IL PRESIDENTE 


DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI 


Vista 
la 
legge 
23 agosto 1988, n. 400, recante 
«Disciplina 
dell’attività 
di 
Governo e 
ordinamento 
della 
Presidenza 
del 
Consiglio 
dei 
ministri» 
e, 
in 
particolare, 
gli 
articoli 
17 
e 
19, 
comma 1, lettera r); 


Visto il 
decreto-legge 
22 aprile 
2023, n. 44, convertito, con modificazioni, dalla 
legge 
21 
giugno 2023, n. 74, recante 
«Disposizioni 
urgenti 
per il 
rafforzamento della 
capacità 
amministrativa 
delle amministrazioni pubbliche» e, in particolare, l’articolo 1, commi 2 e 3; 


Visto 
il 
decreto-legge 
11 
novembre 
2022, 
n. 
173, 
convertito, 
con 
modificazioni, 
dalla 
legge 
16 dicembre 
2022, n. 204, recante 
«Disposizioni 
urgenti 
in materia 
di 
riordino delle 
attribuzioni 
dei Ministeri» e, in particolare, l’articolo 13; 


Visto 
il 
decreto-legge 
29 
settembre 
2023, 
n. 
132, 
convertito, 
con 
modificazioni, 
dalla 
legge 
27 
novembre 
2023, 
n. 
170, 
recante 
«Disposizioni 
urgenti 
in 
materia 
di 
proroga 
di 
termini 
normativi 
e versamenti fiscali» e, in particolare, l’articolo 14, comma 2; 


Visto il 
regio decreto 30 ottobre 
1933, n. 1611, recante 
«Approvazione 
del 
T.U. delle 
leggi 
e 
delle 
norme 
giuridiche 
sulla 
rappresentanza 
e 
difesa 
in giudizio dello Stato e 
sull’ordinamento 
dell’Avvocatura dello Stato» e, in particolare, l’articolo 17; 


Visto il 
regio decreto 30 ottobre 
1933, n. 1612, recante 
«Approvazione 
del 
regolamento 
per la 
esecuzione 
del 
T.U. delle 
leggi 
e 
delle 
norme 
giuridiche 
sulla 
rappresentanza 
e 
difesa 
in giudizio dello Stato e sull’ordinamento dell’Avvocatura dello Stato»; 


Vista 
la 
legge 
3 aprile 
1979, n. 103, recante 
«Modifiche 
dell’ordinamento dell’Avvocatura 
dello Stato» anche 
con riferimento alle 
competenze 
del 
consiglio degli 
avvocati 
e 
procuratori 
dello Stato definite dall’articolo 23; 


Vista 
la 
legge 
14 gennaio 1994, n. 20, recante 
«Disposizioni 
in materia 
di 
giurisdizione 
e 
controllo della Corte dei conti» e, in particolare, l’articolo 3; 


Visto il 
decreto legislativo 7 agosto 1997, n. 279, recante 
«Individuazione 
delle 
unità 
pre


(*) 
E-mail Segretario Generale, venerdì 5 gennaio 2024 15:14. 



TEMI 
ISTITUzIONALI 


visionali 
di 
base 
del 
bilancio dello Stato, riordino del 
sistema 
di 
tesoreria 
unica 
e 
ristrutturazione 
del rendiconto generale dello Stato»; 


Visto il 
decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300, recante 
«Riforma 
dell’organizzazione 
del 
Governo, 
a 
norma 
dell’articolo 
11 
della 
legge 
15 
marzo 
1997, 
n. 
59» 
e, 
in 
particolare, 
l’articolo 4; 


Vista 
la 
legge 
7 giugno 2000, n. 150, recante 
«Disciplina 
delle 
attività 
di 
informazione 
e 
di comunicazione delle pubbliche amministrazioni»; 


Visto il 
decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, recante 
«Norme 
generali 
sull’ordinamento 
del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche»; 


Visto il 
decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, concernente 
«Codice 
in materia 
di 
protezione 
dei 
dati 
personali, 
recante 
disposizioni 
per 
l’adeguamento 
dell’ordinamento 
nazionale 
al 
regolamento (UE) n. 2016/679 del 
Parlamento europeo e 
del 
Consiglio, del 
27 aprile 
2016, 
relativo alla 
protezione 
delle 
persone 
fisiche 
con riguardo al 
trattamento dei 
dati 
personali, 
nonché alla libera circolazione di tali dati e che abroga la direttiva 95/46/CE»; 


Visto il 
decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, recante 
«Codice 
dell’amministrazione 
digitale
»; 


Visto 
il 
decreto 
legislativo 
27 
ottobre 
2009, 
n. 
158, 
recante 
«Attuazione 
della 
legge 
4 
marzo 
2009, n. 15, in materia 
di 
ottimizzazione 
della 
produttività 
del 
lavoro pubblico e 
di 
efficienza 
e trasparenza delle pubbliche amministrazioni»; 


Vista 
la 
legge 
31 dicembre 
2009, n. 196, recante 
«legge 
di 
contabilità 
e 
finanza 
pubblica»; 


Vista 
la 
legge 
6 novembre 
2012, n. 190, recante 
«Disposizioni 
per la 
prevenzione 
e 
la 
repressione 
della corruzione e dell’illegalità nella pubblica amministrazione»; 


Visto 
il 
decreto 
legislativo 
14 
marzo 
2013, 
n. 
33, 
recante 
«Riordino 
della 
disciplina 
riguardante 
il 
diritto di 
accesso civico e 
gli 
obblighi 
di 
pubblicità, trasparenza 
e 
diffusione 
di 
informazioni 
da parte delle pubbliche amministrazioni»; 


Visto il 
decreto-legge 
4 ottobre 
2018, n. 113, convertito, con modificazioni, dalla 
legge 
1° 
dicembre 
2018, n. 132, recante 
«Disposizioni 
urgenti 
in materia 
di 
protezione 
internazionale 
e 
immigrazione, sicurezza 
pubblica, nonché 
misure 
per la 
funzionalità 
del 
Ministero dell’interno 
e 
l’organizzazione 
e 
il 
funzionamento dell’Agenzia 
nazionale 
per l’amministrazione 
e 
la 
destinazione 
dei 
beni 
sequestrati 
e 
confiscati 
alla 
criminalità 
organizzata» e, in particolare, 
l’articolo 15, comma 01; 


Vista 
la 
legge 
30 dicembre 
2018, n. 145, recante 
«Bilancio di 
previsione 
dello Stato per 
l’anno 
finanziario 
2019 
e 
bilancio 
pluriennale 
per 
il 
triennio 
2019-2021» 
e, 
in 
particolare, 
l’articolo 1, comma 318; 


Vista 
la 
legge 
27 dicembre 
2019, n. 160, recante 
«Bilancio di 
previsione 
dello Stato per 
l’anno 
finanziario 
2020 
e 
bilancio 
pluriennale 
per 
il 
triennio 
2020-2022» 
e, 
in 
particolare, 
l’articolo 1, commi 171 e 172; 


Visto 
il 
decreto-legge 
31 
dicembre 
2020, 
n. 
183, 
convertito, 
con 
modificazioni, 
dalla 
legge 
26 febbraio 2021, n. 21, recante 
«Disposizioni 
urgenti 
in materia 
di 
termini 
legislativi, di 
realizzazione 
di 
collegamenti 
digitali, 
di 
esecuzione 
della 
decisione 
(UE, 
EURATOM) 
2020/2053 
del 
Consiglio, 
del 
14 
dicembre 
2020, 
nonché 
in 
materia 
di 
recesso 
del 
Regno 
Unito 
dal-
l’Unione europea» e, in particolare, l’articolo 1-bis, comma 2; 


Visto il 
decreto del 
Presidente 
della 
Repubblica 
29 ottobre 
2021, n. 214, concernente 
«Regolamento 
recante 
norme 
per 
l’organizzazione 
e 
il 
funzionamento 
degli 
uffici 
dell’Avvocatura 
dello Stato»; 


Visto 
il 
decreto 
del 
Presidente 
del 
Consiglio 
dei 
ministri 
14 
novembre 
2005, 
recante 
«Ride



RASSEGNA 
AVVOCATURA 
DELLO 
STATO -N. 1/2023 


terminazione 
delle 
dotazioni 
organiche 
del 
personale 
amministrativo 
delle 
aree 
funzionali, 
delle 
posizioni 
economiche 
e 
dei 
profili 
professionali, 
con 
riferimento 
alle 
singole 
strutture, 
dell’Avvocatura 
generale 
dello 
Stato)», 
pubblicato 
nella 
Gazzetta 
Ufficiale 
n. 
31 
del 
7 
febbraio 
2006; 


Considerata 
l’organizzazione 
proposta 
coerente 
con 
i 
compiti 
e 
le 
funzioni 
attribuite 
all’Avvocatura 
di Stato dalla normativa di settore vigente; 


Sentiti 
l’Organismo paritetico per l’Innovazione 
(OPI) e 
il 
Comitato Unico di 
garanzia 
per 
le pari opportunità e il benessere di chi lavora contro le discriminazioni (CUG); 


Sentito il 
Consiglio di 
amministrazione 
dell’Avvocatura 
dello Stato nella 
seduta 
del 
13 ottobre 
2023; 


Preso atto che 
sulla 
proposta 
di 
riorganizzazione, l’Amministrazione 
ha 
informato le 
Organizzazioni 
sindacali in data 5 ottobre 2023; 


Vista 
la 
deliberazione 
preliminare 
del 
Consiglio dei 
ministri, adottata 
nella 
riunione 
del 
23 
ottobre 2023; 


Udito 
il 
parere 
del 
Consiglio 
di 
Stato, 
espresso 
dalla 
sezione 
consultiva 
per 
gli 
atti 
normativi 
nell’adunanza del 7 novembre 2023; 


Vista 
la 
deliberazione 
del 
Consiglio 
dei 
ministri, 
adottata 
nella 
riunione 
del 
27 
novembre 
2023; 


Di concerto con i Ministri per la pubblica amministrazione e dell’economia e delle finanze; 


Adotta 


il seguente regolamento: 


Art. 1 


Oggetto e ambito di applicazione 


1. 
Le 
disposizioni 
del 
presente 
regolamento 
disciplinano 
l’organizzazione 
e 
il 
funzionamento 
degli 
uffici 
dell’Avvocatura 
dello Stato, nel 
rispetto delle 
previsioni 
del 
regio decreto 
30 ottobre 
1933, n. 1611, della 
legge 
3 aprile 
1979, n. 103, e 
delle 
altre 
norme 
di 
legge 
che 
disciplinano la specifica materia. 
Art. 2 
Criteri di organizzazione 


1. Gli 
uffici 
amministrativi 
dell’Avvocatura 
dello Stato sono ordinati 
secondo i 
seguenti 
criteri: 
a) 
articolazione degli uffici per funzioni omogenee; 
b) 
collegamento 
e 
coordinamento 
delle 
attività 
degli 
uffici, 
nel 
rispetto 
del 
principio 
di 
collaborazione, 
anche 
attraverso la 
comunicazione 
interna 
ed esterna 
e 
l’interconnessione 
mediante 
sistemi informatici e statistici pubblici; 
c) 
trasparenza, attraverso apposita 
struttura 
per l’informazione 
ai 
cittadini 
e 
alle 
amministrazioni 
e, 
per 
ciascun 
procedimento, 
attribuzione 
a 
un 
unico 
ufficio 
della 
responsabilità 
complessiva 
dello stesso, nel rispetto della legge 7 agosto 1990, n. 241; 
d) 
armonizzazione 
degli 
orari 
di 
servizio e 
di 
apertura 
degli 
uffici 
con le 
esigenze 
di 
funzionamento 
degli 
uffici 
giurisdizionali 
e 
con 
gli 
orari 
delle 
amministrazioni 
pubbliche 
dei 
Paesi e delle istituzioni dell’Unione europea. 
Art. 3 
L’Avvocato generale 


1. 
L’Avvocato generale, fatta 
salva 
ogni 
altra 
attribuzione 
prevista 
da 
norme 
di 
legge 
o di 
regolamento, 
quale 
organo 
di 
governo 
dell’Istituto, 
esercita 
le 
funzioni 
di 
indirizzo 
e 
a 
tal 
fine 
assegna le risorse finanziarie al Segretario generale quale centro di responsabilità. 
2. 
L’Avvocato generale 
dello Stato definisce 
gli 
obiettivi 
ed i 
programmi 
da 
attuare 
avvalendosi 
del 
Segretario generale 
e 
verifica 
la 
rispondenza 
dei 
risultati 
della 
gestione 
ammini

TEMI 
ISTITUzIONALI 


strativa 
alle 
direttive 
generali 
impartite. A 
tal 
fine, anche 
sulla 
base 
delle 
proposte 
del 
Segretario 
generale, adotta 
ogni 
anno le 
direttive 
generali 
da 
seguire 
per l’azione 
amministrativa 
e 
per la gestione. 


3. 
L’Avvocato generale 
è 
il 
titolare 
dell’informazione 
e 
della 
comunicazione 
istituzionale. 
4. 
L’Avvocato generale in particolare: 
a) 
presiede il Consiglio di amministrazione; 
b) 
conferisce, 
con 
propri 
decreti, 
adottati 
su 
proposta 
del 
Segretario 
generale, 
in 
conformità 
a 
quanto previsto dalle 
norme 
vigenti, gli 
incarichi 
di 
direzione 
degli 
uffici 
di 
livello dirigenziale 
generale, di prima fascia, sottoscrivendo i relativi contratti; 
c) 
definisce l’organizzazione degli uffici di livello dirigenziale; 
d) 
nomina 
i 
componenti 
degli 
organi 
collegiali 
previsti 
dal 
presente 
regolamento e 
da 
altre 
norme, salvo che non sia diversamente stabilito; 
e) svolge 
le 
funzioni 
di 
direzione, di 
indirizzo e 
di 
controllo che 
gli 
sono attribuite 
dalle 
leggi e dai regolamenti; 
f) 
valuta 
la 
corrispondenza 
dei 
risultati 
dell’attività 
amministrativa 
ai 
propri 
atti 
di 
indirizzo; 
g) nomina 
con appositi 
decreti 
gli 
esperti 
a 
supporto della 
propria 
Attività 
di 
agente 
di 
governo 
a difesa dello Stato italiano dinanzi alla Corte europea dei diritti dell’uomo. 
5. L’Avvocato generale 
si 
avvale 
nella 
propria 
attività, oltre 
che 
della 
collaborazione 
del 
Segretario 
generale, 
anche 
delle 
strutture 
di 
supporto 
di 
cui 
all’articolo 
4 
e 
può 
avvalersi 
della 
collaborazione di avvocati e procuratori dello Stato, fiduciariamente scelti. 
Art. 4 
Strutture di supporto all’Avvocato generale 


1. Le strutture di supporto all’Avvocato generale sono: 
a) 
il Servizio di segreteria; 
b) 
il Servizio studi e formazione professionale; 
c) 
il Servizio di comunicazione istituzionale; 
d) 
il Servizio del cerimoniale. 
2. 
Il 
Servizio 
di 
segreteria 
è 
struttura 
di 
livello 
non 
dirigenziale 
ed 
è 
composta 
da 
personale 
individuato nell’ambito dei 
dipendenti 
di 
ruolo dell’Avvocatura 
o di 
altre 
amministrazioni 
in 
posizione 
di 
comando o distacco. Il 
Servizio svolge 
attività 
di 
supporto ai 
compiti 
dell’Avvocato 
generale 
e 
provvede 
al 
coordinamento degli 
impegni 
dello stesso; 
assiste, altresì, l’Avvocato 
generale 
negli 
organismi 
a 
cui 
partecipa 
e 
adempie, 
su 
suo 
mandato, 
a 
compiti 
specifici 
riguardanti 
l’attività 
e 
i 
rapporti 
istituzionali 
del 
medesimo. Al 
servizio può essere 
preposto 
un responsabile titolare di posizione organizzativa. 
3. 
Il 
Servizio studi 
e 
formazione 
professionale 
è 
struttura 
di 
livello non dirigenziale 
ed è 
costituito da 
avvocati 
o procuratori 
dello Stato nominati 
dall’Avvocato generale 
e 
coordinati 
dall’Avvocato generale 
aggiunto o da 
un Vice 
Avvocato generale. L’incarico dei 
componenti 
dura tre anni ed è rinnovabile. 
4. 
Il 
Servizio 
studi 
e 
formazione 
professionale 
coadiuva 
l’Avvocato 
generale 
nelle 
seguenti 
attività: 
a) 
predisposizione 
delle 
relazioni 
periodiche 
previste 
dall’articolo 15 del 
regio decreto 30 
ottobre 1933, n. 1611; 
b) 
elaborazione di studi e ricerche della normativa e della giurisprudenza rilevanti; 
c) 
rilevazione e analisi dell’attività parlamentare; 
d) 
elaborazione 
dei 
programmi 
di 
formazione 
e 
aggiornamento 
professionale 
degli 
avvocati 
e procuratori dello Stato. 

RASSEGNA 
AVVOCATURA 
DELLO 
STATO -N. 1/2023 


5. Il 
Servizio di 
comunicazione 
istituzionale 
è 
struttura 
di 
livello non dirigenziale 
che 
cura 
i 
rapporti 
con il 
sistema 
e 
gli 
organi 
di 
informazione 
nazionali 
e 
internazionali 
ed effettua 
il 
monitoraggio dell’informazione 
italiana 
ed estera 
e 
ne 
cura 
la 
rassegna, con particolare 
riferimento 
ai 
profili 
che 
attengono ai 
compiti 
istituzionali 
dell’Avvocatura. Il 
coordinatore 
del 
servizio è 
fiduciariamente 
scelto dall’Avvocato generale 
tra 
gli 
avvocati 
ovvero procuratori 
dello 
Stato 
e 
può 
svolgere 
anche 
il 
ruolo 
di 
portavoce 
dell’Avvocato 
generale, 
ove 
autorizzato 
da 
quest’ultimo, per la 
cura 
dei 
rapporti 
di 
carattere 
istituzionale 
con gli 
organi 
di 
informazione. 
L’incarico di 
coordinatore 
dura 
tre 
anni 
ed è 
rinnovabile. Il 
servizio può avvalersi 
di 
personale 
amministrativo individuato tra 
il 
personale 
in servizio ovvero, in mancanza 
di 
adeguata 
professionalità, 
di 
risorse 
esterne 
nel 
rispetto 
delle 
previsioni 
normative 
vigenti 
e 
in 
possesso di 
comprovata 
esperienza 
maturata 
sul 
campo delle 
comunicazioni 
istituzionali 
ovvero 
dell’editoria. 
6. 
Il 
Servizio 
del 
cerimoniale 
è 
struttura 
di 
livello 
non 
dirigenziale 
che 
cura 
l’organizzazione 
e 
la 
gestione 
degli 
eventi 
di 
interesse 
dell’Avvocato 
generale. 
Il 
coordinatore 
del 
predetto 
servizio 
è 
fiduciariamente 
scelto dall’Avvocato generale 
tra 
gli 
avvocati 
e/o procuratori. Dura 
in 
carica 
tre 
anni 
ed è 
rinnovabile. Il 
servizio può avvalersi 
di 
personale 
amministrativo individuato 
tra il personale in servizio. 
Art. 5 
Responsabile per la transizione digitale 


1. 
Il 
Responsabile 
per la 
transizione 
digitale 
è 
nominato dall’Avvocato generale, sentito il 
Segretario 
generale, 
tra 
gli 
avvocati 
dello 
Stato 
dotati 
di 
specifiche 
competenze 
ed 
esperienze 
professionali 
allo svolgimento del 
predetto incarico. L’incarico dura 
fino a 
cinque 
anni 
ed è 
rinnovabile non più di una volta. 
2. 
Il 
Responsabile 
per la 
transizione 
digitale 
cura 
i 
rapporti 
con le 
autorità 
e 
le 
amministrazioni 
che 
hanno 
competenze 
in 
ambito 
informatico, 
anche 
con 
riferimento 
ai 
processi 
giurisdizionali 
telematici, e 
definisce 
la 
strategia 
per l’assolvimento dei 
compiti 
di 
cui 
al 
decreto 
legislativo 7 marzo 2005, n. 82, secondo le 
direttive 
dell’Avvocato generale, nell’ottica 
della 
transizione 
verso modalità 
operative 
digitali, in conformità 
alle 
linee 
di 
indirizzo per l’informatica 
nella 
pubblica 
amministrazione 
e, in generale, alle 
vigenti 
disposizioni 
in materia 
di 
informatizzazione 
della 
pubblica 
amministrazione. 
Per 
lo 
svolgimento 
dei 
suoi 
compiti 
il 
Responsabile 
per la transizione digitale si avvale della Direzione generale competente. 
Art. 6 
Responsabile della prevenzione della corruzione 
e della trasparenza 


1. Il 
Responsabile 
della 
prevenzione 
della 
corruzione 
e 
della 
trasparenza 
(RPCT) è 
nominato 
dall’Avvocato generale, sentito il 
Segretario generale, di 
norma 
tra 
i 
Dirigenti 
di 
ruolo 
in servizio presso l’Avvocatura 
dello Stato in possesso di 
adeguata 
conoscenza 
dell’organizzazione 
e del funzionamento dell’amministrazione. 
2. 
Il 
RPCT 
svolge 
i 
compiti 
stabiliti 
dall’articolo 
1, 
comma 
7, 
della 
legge 
6 
novembre 
2012, 
n. 190. 
3. 
Il 
RPCT 
per i 
suoi 
compiti 
si 
avvale 
del 
personale 
in servizio presso la 
Direzione 
generale 
del personale. 
Art. 7 
Responsabile della protezione dei dati personali 


1. 
Il 
Responsabile 
della 
protezione 
dei 
dati 
personali 
è 
nominato dall’Avvocato generale, 
sentito il 
Segretario generale, tra 
gli 
avvocati 
o i 
procuratori 
dello Stato dotati 
di 
specifiche 

TEMI 
ISTITUzIONALI 


competenze 
ed esperienze 
professionali 
in materia. L’incarico, non rinnovabile, dura 
fino a 
cinque anni. 


2. 
Il 
Responsabile 
della 
protezione 
dei 
dati 
personali 
svolge 
i 
compiti 
stabiliti 
dal 
Regolamento 
(UE) n. 2016/679 del 
Parlamento europeo e 
del 
Consiglio, del 
27 aprile 
2016, e 
dal 
decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196. 
Art. 8 
Organismo indipendente di valutazione 


1. 
L’Organismo 
indipendente 
di 
valutazione 
ha 
il 
compito 
di 
valutare 
il 
funzionamento 
complessivo del 
sistema 
della 
valutazione, della 
trasparenza 
e 
integrità 
dei 
controlli 
interni 
e 
di 
garantire 
la 
correttezza 
dei 
processi 
di 
misurazione 
e 
valutazione 
della 
performance 
individuale 
del 
personale 
amministrativo. 
L’organismo 
di 
valutazione 
opera, 
gratuitamente, 
in 
posizione di autonomia e risponde esclusivamente all’Avvocato generale dello Stato. 
2. 
Per 
lo 
svolgimento 
dei 
propri 
compiti, 
l’organismo 
può 
accedere 
agli 
atti 
e 
ai 
documenti 
concernenti 
le 
attività 
dell’Avvocatura 
di 
interesse 
e 
può richiedere 
ai 
titolari 
degli 
Uffici 
dirigenziali 
di 
riferimento le 
informazioni 
necessarie. Sugli 
esiti 
delle 
proprie 
attività 
l’organismo 
riferisce secondo i criteri e le modalità normativamente previste. 
3. 
L’organismo di 
valutazione 
è 
composto da 
un Vice 
Avvocato generale 
dello Stato, che 
lo presiede, e 
da 
due 
avvocati 
dello Stato, nominati 
dall’Avvocato generale, in possesso dei 
requisiti previsti dalla normativa vigente per l’espletamento dell’incarico. 
Art. 9 
Segretario generale 


1. Il 
Segretario generale, da 
cui 
dipendono gli 
uffici 
di 
livello dirigenziale 
generale, è 
il 
vertice 
dell’organizzazione 
amministrativa 
e 
fatta 
salva 
ogni 
altra 
attribuzione 
prevista 
da 
norme di legge o di regolamento, è titolare delle seguenti funzioni: 
a) 
collabora 
direttamente 
con l’Avvocato generale 
e 
propone 
a 
quest’ultimo, sentiti 
i 
dirigenti 
di 
prima 
fascia, le 
modifiche 
all’organizzazione 
degli 
Uffici 
dirigenziali 
non generali, 
nell’invarianza 
della 
dotazione 
organica, al 
fine 
di 
assicurare 
che 
il 
livello delle 
relative 
competenze 
amministrative 
sia 
costantemente 
adeguato 
agli 
obiettivi 
da 
perseguire 
e 
alle 
esigenze 
di semplificazione amministrativa, con riguardo anche all’evoluzione dell’ordinamento; 
b) 
cura 
l’attuazione 
degli 
indirizzi 
generali 
dell’azione 
amministrativa 
definiti 
dall’Avvocato 
generale anche attraverso l’emanazione di specifiche circolari; 
c) 
coordina 
e 
controlla 
la 
gestione 
delle 
risorse 
umane, finanziarie 
e 
strumentali 
di 
pertinenza 
dei dirigenti; 
d) 
adotta 
le 
iniziative 
necessarie 
al 
coordinamento fra 
le 
strutture 
del 
segretariato generale 
e fra queste e le avvocature distrettuali; 
e) sovrintende, avvalendosi 
dei 
competenti 
dirigenti 
di 
prima 
fascia, alla 
organizzazione, 
anche logistica, degli Uffici centrali e periferici dell’Avvocatura di Stato; 
f) conferisce, con propri 
decreti, sentiti 
i 
titolari 
degli 
uffici 
dirigenziali 
generali, gli 
incarichi 
di direzione degli uffici dirigenziali di seconda fascia e sottoscrive i relativi contratti; 
g) esercita 
il 
potere 
sostitutivo nei 
confronti 
del 
personale 
con qualifiche 
dirigenziali, nei 
casi di inerzia; 
h) 
sentiti 
i 
titolari 
degli 
uffici 
dirigenziali 
generali, 
determina 
i 
programmi 
e 
definisce 
le 
direttive 
per 
dare 
attuazione 
agli 
indirizzi 
dell’Avvocato 
generale 
definiti 
nella 
direttiva 
annuale; 
i) 
valuta 
la 
dirigenza 
di 
seconda 
fascia, 
nell’ambito 
delle 
proprie 
competenze, 
ai 
sensi 
delle 
norme 
vigenti 
in materia, sentiti 
i 
dirigenti 
di 
prima 
fascia 
e 
l’Avvocato distrettuale 
per 
i dirigenti preposti in sede distrettuale; 

RASSEGNA 
AVVOCATURA 
DELLO 
STATO -N. 1/2023 


l) assicura 
il 
coordinamento e 
la 
vigilanza 
degli 
uffici 
amministrativi 
e 
di 
supporto all’attività 
istituzionale; 
m) 
nomina i referenti informatici presso gli uffici centrali e distrettuali; 
n) 
valuta 
la 
dirigenza 
di 
prima 
fascia 
nell’ambito delle 
proprie 
competenze, ai 
sensi 
delle 
norme vigenti in materia; 
o) 
svolge 
ogni 
altro 
compito 
attribuitogli 
da 
disposizioni 
di 
legge, 
da 
regolamenti 
e 
dai 
contratti collettivi di lavoro, 
2. Fermo restando il 
disposto dell’articolo 6 del 
regio decreto 30 ottobre 
1933, n. 1612, il 
Segretario 
generale, 
per 
lo 
svolgimento 
delle 
sue 
funzioni, 
può 
avvalersi 
della 
collaborazione 
di 
avvocati 
e 
procuratori 
dello Stato, addetti 
all’ufficio di 
segreteria 
generale, nominati 
dal-
l’Avvocato generale su proposta del Segretario generale. 
3. Sono poste alle dirette dipendenze del Segretario generale le seguenti strutture: 
a) 
la Segreteria generale e la Segreteria degli organi collegiali di cui all’articolo 10; 
b) 
l’ufficio di 
collaborazione 
professionale, archivio, servizio esterno e 
servizi 
ausiliari 
di 
cui all’articolo 11. 
4. 
Il 
Segretariato 
generale 
costituisce 
centro 
di 
responsabilità 
amministrativa 
ai 
fini 
contabili. 
Art. 10 
Segreteria generale e degli organi collegiali 


1. Alle 
dirette 
dipendenze 
del 
Segretario generale 
opera 
la 
Segreteria 
generale, cui 
sono 
addette 
unità 
di 
personale 
della 
dotazione 
organica 
dell’Avvocatura 
generale 
che 
attendono 
agli adempimenti connessi alle competenze istituzionali del Segretariato. 
2. 
Il 
personale 
della 
Segreteria 
generale 
opera 
anche 
quale 
Segreteria 
degli 
organi 
collegiali, 
cui 
sono addette 
unità 
di 
personale 
che 
curano gli 
adempimenti 
relativi 
al 
funzionamento del 
Comitato consultivo, del 
Consiglio degli 
avvocati 
e 
procuratori 
dello Stato e 
del 
Consiglio di 
amministrazione. 
Art. 11 
Ufficio di Collaborazione professionale, archivio, servizio esterno e 
servizi ausiliari 


1. L’Ufficio di 
collaborazione 
professionale, archivio, servizio esterno e 
servizi 
ausiliari 
è 
struttura 
di 
livello dirigenziale 
non generale 
che 
coadiuva 
il 
Segretario nelle 
seguenti 
attività: 
a) 
segreteria di avvocati e procuratori; 
b) 
redazione 
materiale 
di 
atti 
e 
lettere, espletamento delle 
attività 
telematiche 
di 
gestione 
e deposito di atti e documenti e di notificazione di atti e provvedimenti; 
c) 
adempimenti 
interni 
ed 
esterni 
in 
materia 
di: 
notificazione 
di 
atti 
e 
provvedimenti, 
depositi, 
ricerche 
e 
altri 
incombenti 
presso 
le 
cancellerie 
e 
segreterie 
delle 
autorità 
giudiziarie; 
acquisizione 
e 
lavorazione 
di 
sentenze 
o 
di 
altri 
provvedimenti 
decisori; 
agenda 
e 
scadenziere; 
d) 
gestione 
dei 
fondi 
spesa 
degli 
enti 
ed 
altri 
soggetti 
patrocinati 
e 
attività 
consequenziali 
e 
relativo 
rendiconto 
con 
il 
supporto 
degli 
uffici 
della 
Direzione 
generale 
per 
le 
risorse 
finanziarie; 
e) 
adempimenti 
connessi 
alle 
attività 
istituzionali 
di 
competenza 
dell’Agente 
del 
Governo 
a difesa dello Stato italiano dinanzi alla Corte europea dei diritti dell’uomo; 
f) 
gestione 
del 
protocollo in entrata 
e 
impianti: 
adempimenti 
e 
lavorazioni 
relativi 
ad atti 
notificati, corrispondenza in arrivo, impianto affari; 
g) 
gestione 
del 
protocollo 
in 
uscita: 
adempimenti 
e 
lavorazioni 
relativi 
alla 
corrispondenza 
in partenza; 
h) gestione 
dei 
servizi 
di 
carattere 
generale 
a 
supporto delle 
attività 
istituzionali, e 
in particolare, 
del 
servizio corrispondenza, del 
servizio automobilistico, del 
servizio cassa, del 
ser

TEMI 
ISTITUzIONALI 


vizio 
di 
portineria 
e 
custodia, 
degli 
archivi, 
della 
telefonia, 
della 
fotoriproduzione 
e 
della 
stampa. 


2. 
Nell’ambito 
dell’ufficio 
di 
cui 
al 
comma 
1, 
il 
Segretario 
generale 
può 
conferire, 
nei 
limiti 
delle risorse a tal fine disponibili, incarichi di natura organizzativa o professionale. 
Art. 12 
Uffici di livello dirigenziale 


1. 
L’Avvocatura 
Generale 
è 
articolata 
in 
due 
uffici 
di 
livello 
dirigenziale 
generale, 
ciascuno 
dei quali costituente centro di costo, di seguito indicati: 
a) 
Direzione generale per le risorse umane, per la formazione e affari generali; 
b) 
Direzione generale per le risorse finanziarie, contratti e sistemi informativi. 
2. 
Nell’ambito 
delle 
direzioni 
di 
cui 
al 
comma 
1, 
sono 
individuati 
i 
restanti 
Uffici 
di 
livello 
dirigenziale non generale. 
3. L’Avvocatura 
è 
altresì 
articolata 
in n. 25 Avvocature 
distrettuali 
di 
cui 
all’articolo 15 e 
nei 
corrispondenti 
uffici 
amministrativi 
unici 
distrettuali 
di 
livello dirigenziale 
non generale. 
Art. 13 
Direzione generale per le risorse umane, 
per la formazione e affari generali 


1. La 
Direzione 
generale 
per le 
risorse 
umane, per la 
formazione 
e 
affari 
generali 
svolge 
le 
funzioni e i compiti di spettanza dell’Avvocatura nei seguenti ambiti: 
a) 
attuazione delle politiche relative al personale dell’Avvocatura; 
b) 
raccolta 
e 
conservazione 
della 
normativa 
interna 
e 
degli 
atti 
relativi 
agli 
affari 
di 
Segreteria 
generale; 
c) 
relazioni 
con 
il 
pubblico, 
ai 
sensi 
dell’articolo 
11 
del 
decreto 
legislativo 
30 
marzo 
2001, 
n. 165; 
d) 
programmazione 
e 
pianificazione 
strategica 
dell’attività 
amministrativa 
dell’Avvocatura 
dello 
Stato, 
anche 
mediante 
la 
predisposizione 
del 
piano 
della 
performance 
e 
la 
redazione 
della 
relazione 
annuale 
sulla 
performance 
e 
della 
direttiva 
annuale 
dell’Avvocato 
generale 
sull’azione amministrativa; 
e) 
misurazione 
della 
performance 
e 
dei 
risultati 
dell’attività 
amministrativa, anche 
in funzione 
di supporto dell’OIV; 
f) 
elaborazione 
e 
attuazione 
del 
piano integrato di 
attività 
e 
organizzazione 
del 
personale 
amministrativo in raccordo con gli indirizzi forniti dal Segretario generale; 
g) 
elaborazione 
e 
attuazione 
del 
piano 
di 
reclutamento 
del 
personale 
togato 
in 
raccordo 
con gli indirizzi forniti dall’Avvocato generale e dal Segretario generale; 
h) 
ricerca 
e 
sperimentazione 
delle 
innovazioni 
funzionali 
alle 
esigenze 
formative 
del 
personale 
dell’Avvocatura; 
i) 
amministrazione del personale togato e amministrativo; 
l) cura 
delle 
relazioni 
sindacali 
e 
contrattazione 
collettiva 
integrativa 
nazionale 
per il 
personale 
amministrativo dell’Avvocatura; 
m) 
coordinamento 
ed 
emanazione 
di 
indirizzi 
alle 
Avvocature 
distrettuali 
per 
l’applicazione 
dei 
contratti 
collettivi 
e 
la 
stipula 
di 
accordi 
decentrati 
per il 
personale 
amministrativo del-
l’Avvocatura; 
n) 
attuazione dei programmi per la mobilità del personale; 
o) 
trattamento 
di 
quiescenza 
e 
previdenza 
relativo 
al 
personale 
togato, 
dirigenziale 
di 
livello 
generale 
e 
non generale 
dell’Avvocatura 
e 
al 
personale 
amministrativo dell’Avvocatura 
dello 
Stato; 

RASSEGNA 
AVVOCATURA 
DELLO 
STATO -N. 1/2023 


p) 
gestione contabile delle competenze del personale togato e amministrativo; 
q) 
adozione 
di 
misure 
finalizzate 
a 
promuovere 
il 
benessere 
organizzativo del 
personale 
dell’Avvocatura 
e 
a 
fornire 
consulenza 
alle 
avvocature 
distrettuali 
per lo svolgimento di 
analoghe 
azioni con riferimento al contesto territoriale di competenza; 
r) 
supporto alla gestione del contenzioso concernente il personale dell’Avvocatura; 
s) 
supporto 
all’ufficio 
che 
si 
occupa 
dei 
procedimenti 
disciplinari 
relativi 
al 
personale 
amministrativo 
dell’Avvocatura; 
t) 
cura 
delle 
attività 
connesse 
ai 
procedimenti 
per responsabilità 
dirigenziale 
dei 
Dirigenti 
prevista dall’articolo 21, commi 1 e 1-bis, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165; 
u) 
cura 
delle 
attività 
connesse 
ai 
procedimenti 
per responsabilità 
penale 
e 
amministrativo-
contabile del personale dell’Avvocatura; 
v) 
supporto al 
Segretariato generale 
per la 
predisposizione 
di 
schemi 
di 
atti 
normativi, relazioni 
illustrative 
e 
relazioni 
tecnico-finanziarie 
agli 
atti 
normativi 
ed 
emendamenti, 
per 
quanto di competenza; 
z) attività 
di 
coordinamento e 
consulenza 
relativamente 
alla 
gestione 
delle 
strutture 
periferiche; 
aa) ricezione, protocollo e smistamento della corrispondenza di propria competenza. 


2. La 
direzione 
di 
cui 
al 
comma 
1 si 
compone 
di 
n. 3 uffici 
di 
livello dirigenziale 
non generale, 
così denominati: 
a) 
Ufficio I - personale amministrativo e trattamento economico; 
b) 
Ufficio II - personale togato e trattamento economico; 
c) 
Ufficio III - affari generali, formazione, performance. 
3. L’individuazione 
degli 
Uffici 
di 
livello dirigenziale 
non generale 
e 
la 
definizione 
delle 
rispettive 
competenze 
è 
disciplinata 
con successivo atto dell’Avvocato generale 
ai 
sensi 
del-
l’art. 16 del presente regolamento. 
Art. 14 
Direzione generale per le risorse finanziarie, 
contratti e sistemi informativi 


1. La 
Direzione 
generale 
per le 
risorse 
finanziarie, contratti 
e 
sistemi 
informativi, svolge 
le funzioni e i compiti di spettanza dell’Avvocatura nei seguenti ambiti: 
a) 
supporto 
alla 
definizione 
della 
politica 
finanziaria 
dell’Avvocatura 
e 
cura 
della 
redazione 
delle 
proposte 
per 
il 
documento 
di 
economia 
e 
finanza, 
rilevazione 
del 
fabbisogno 
finanziario 
dell’Avvocatura 
avvalendosi 
dei 
dati 
forniti 
dai 
competenti 
uffici 
e 
coordinamento 
dell’attività 
di 
predisposizione 
del 
budget 
economico, 
della 
relativa 
revisione 
e 
del 
consuntivo 
economico; 
b) 
predisposizione 
dello stato di 
previsione 
della 
spesa 
dell’Avvocatura, delle 
operazioni 
di 
variazione 
e 
assestamento, supporto alla 
redazione 
delle 
proposte 
per la 
legge 
di 
bilancio, 
dell’attività 
di 
rendicontazione 
al 
Parlamento e 
agli 
organi 
di 
controllo, sentito il 
Segretario 
generale e in attuazione delle direttive dell’Avvocato generale; 
c) 
predisposizione 
degli 
atti 
relativi 
all’assegnazione 
delle 
risorse 
finanziarie 
ai 
centri 
di 
costo 
e 
di 
spesa 
delegata 
in 
favore 
delle 
Avvocature 
distrettuali, 
coordinandone, 
per 
le 
materie 
di competenze, le attività; 
d) 
analisi 
e 
monitoraggio 
dei 
dati 
gestionali, 
dei 
flussi 
finanziari 
e 
dell’andamento 
della 
spesa; 
e) 
gestione 
unificata 
delle 
spese 
strumentali 
dell’Avvocatura, individuate 
ai 
sensi 
dell’articolo 
4, comma 2, del decreto legislativo 7 agosto 1997, n. 279; 
f) 
gestione 
del 
pagamento delle 
spese 
processuali, del 
risarcimento dei 
danni 
e 
degli 
accessori 
relativi al contenzioso inerente all’Avvocatura; 

TEMI 
ISTITUzIONALI 


g) gestione delle fatture e liquidazione delle spese di competenza dell’Avvocatura; 
h) 
gestione 
delle 
procedure 
amministrativo-contabili 
relative 
alle 
attività 
strumentali, alle 
attività 
contrattuali 
e 
convenzionali 
dell’amministrazione, compresi 
gli 
affidamenti 
anche 
in 
favore 
di 
soggetti 
in house, nonché 
quelli 
afferenti 
al 
sistema 
informativo e 
alle 
infrastrutture 
di rete; 
i) 
elaborazione del programma biennale degli acquisti di beni e servizi; 
1) 
pianificazione, 
gestione, 
sviluppo 
e 
monitoraggio 
del 
sistema 
informativo, 
ivi 
compresa 
la rete intranet di intesa con il Responsabile della transizione digitale; 
m) 
promozione 
di 
progetti 
e 
di 
iniziative 
comuni 
nell’area 
delle 
tecnologie 
dell’informazione 
e della comunicazione; 
n) 
cura 
dei 
rapporti 
con l’Agenzia 
per l’Italia 
digitale 
(AGID), anche 
per quanto attiene 
ai 
sistemi informativi automatizzati; 
o) 
gestione 
della 
rete 
di 
comunicazione 
dell’Avvocatura, 
definizione 
di 
standard 
tecnologici 
per 
favorire 
la 
cooperazione 
informatica 
e 
i 
servizi 
di 
interconnessione 
con 
altre 
amministrazioni; 
p) 
attuazione 
delle 
linee 
strategiche 
per la 
riorganizzazione 
e 
digitalizzazione 
dell’Avvocatura, 
con 
particolare 
riferimento 
ai 
processi 
connessi 
all’utilizzo 
del 
protocollo 
informatico, 
alla gestione dei flussi documentali e alla firma digitale; 
q) indirizzo, pianificazione 
e 
monitoraggio della 
sicurezza 
del 
sistema 
informativo, anche 
attraverso l’implementazione 
delle 
misure 
tecniche 
e 
organizzative 
che 
soddisfino i 
requisiti 
previsti 
dalla 
normativa 
in 
materia 
di 
protezione 
dei 
dati 
personali 
di 
intesa 
con 
il 
Responsabile 
della transazione digitale e del Responsabile del trattamento dei dati; 
r) 
gestione dell’infrastruttura del sito istituzionale dell’amministrazione; 
s) 
servizio di statistica; 
t) servizio di biblioteca, di banche dati professionali e acquisto di libri; 
u) adempimenti per la stampa o copia delle pubblicazioni di servizio; 
v) supporto per la pubblicazione della rassegna stampa dell’Avvocatura dello Stato; 
z) gestione 
del 
piano generale 
di 
organizzazione 
per il 
funzionamento delle 
sedi 
centrali 
e 
periferiche della 
Avvocatura su tutto il territorio nazionale; 
aa) predisposizione 
e 
aggiornamento del 
piano triennale 
dei 
lavori 
e 
dell’acquisizione 
di 
beni 
e 
servizi, in applicazione 
degli 
atti 
di 
indirizzo dell’Avvocato generale 
e 
del 
Segretario 
generale; 


bb) attività 
di 
coordinamento e 
consulenza 
relativamente 
alla 
gestione 
delle 
strutture 
periferiche; 


cc) monitoraggio dell’utilizzo delle risorse finanziarie relative alla spesa delegata; 
dd) liquidazione 
e 
procedure 
amministrative 
di 
recupero onorari 
di 
competenza 
dell’Avvocatura; 


ee) rendicontazione e riparto degli onorari di competenza dell’Avvocatura; 


ff) riparto e 
liquidazione 
dei 
compensi 
affluiti 
al 
fondo perequativo degli 
avvocati 
e 
procuratori 
dello Stato e al fondo perequativo del personale amministrativo; 


gg) gestione dei servizi del consegnatario e magazzino nonché del cassiere; 


hh) gestione 
della 
manutenzione 
ordinaria 
e 
straordinaria 
degli 
immobili 
e 
dei 
relativi 
im


pianti tecnologici; 


ii) coordinamento degli 
adempimenti 
connessi 
alla 
disciplina 
in materia 
di 
sicurezza 
sul 
luogo di lavoro su tutto il territorio nazionale; 
ll) 
rilevamento, 
analisi 
e 
gestione 
delle 
esigenze 
logistiche 
degli 
Uffici 
centrali 
e 
distrettuali 
e attuazione delle misure atte al soddisfacimento delle stesse; 

RASSEGNA 
AVVOCATURA 
DELLO 
STATO -N. 1/2023 


mm) rapporti con l’Agenzia del demanio; 
nn) ricezione, protocollo e smistamento della corrispondenza di propria competenza. 


2. Il 
Dirigente 
di 
prima 
fascia 
preposto alla 
direzione 
generale 
di 
cui 
al 
presente 
articolo è 
individuato 
quale 
datore 
di 
lavoro 
secondo 
la 
normativa 
in 
materia 
di 
tutela 
della 
salute 
e 
della 
sicurezza 
nei 
luoghi 
di 
lavoro. In tale 
veste 
vengono riconosciuti 
al 
medesimo tutti 
i 
poteri 
autonomi, decisionali e di spesa necessari per l’espletamento della funzione attribuita. 
3. La 
Direzione 
di 
cui 
al 
comma 
1 si 
compone 
di 
n. 4 uffici 
di 
livello dirigenziali 
non generale, 
così denominati: 
a) 
Ufficio I - bilancio e liquidazione; 
b) 
Ufficio II - risorse informatiche e statistica; 
c) 
Ufficio III - contratti, acquisti ed economato; 
d) 
Ufficio IV - recupero crediti e riparto onorari. 
4. L’individuazione 
degli 
Uffici 
di 
livello dirigenziale 
non generale 
e 
la 
definizione 
delle 
rispettive 
competenze 
è 
disciplinata 
con successivo atto dell’Avvocato generale 
ai 
sensi 
del-
l’art. 16 del presente regolamento. 
Art. 15 
Avvocature distrettuali 


1. Gli 
Avvocati 
distrettuali, fatta 
salva 
ogni 
altra 
attribuzione 
prevista 
da 
norme 
di 
legge 
o 
regolamenti, svolgono le seguenti funzioni: 
a) 
definiscono, in esecuzione 
delle 
direttive 
adottate 
dall’Avvocato generale, gli 
obiettivi 
e 
i 
programmi 
da 
attuare 
nell’ambito delle 
rispettive 
Avvocature 
distrettuali, indicandone 
la 
priorità. A 
tal 
fine 
adottano ogni 
anno le 
direttive 
generali 
da 
seguire 
per l’azione 
amministrativa 
e 
per la 
gestione, anche 
sulla 
base 
delle 
proposte 
formulate, dal 
dirigente 
preposto all’ufficio 
amministrativo unico; 
b) 
richiedono, anche 
su proposta 
del 
dirigente 
preposto all’Ufficio amministrativo unico 
distrettuale, 
il 
contingente 
di 
personale 
amministrativo 
necessario 
alle 
esigenze 
funzionali 
delle rispettive 
Avvocature distrettuali; 
c) 
esercitano, 
anche 
avvalendosi 
del 
dirigente 
preposto 
all’Ufficio 
amministrativo 
unico 
distrettuale, 
la 
sorveglianza 
sull’andamento 
dei 
servizi 
ed 
effettuano 
la 
verifica 
della 
rispondenza 
dei 
risultati 
della 
gestione 
amministrativa 
alle 
direttive 
impartite 
ai 
sensi 
della 
lettera 
a); 
d) 
dispongono 
in 
ordine 
all’adeguamento 
dell’orario 
di 
servizio 
alla 
specifica 
realtà 
locale, 
tenuto conto dei criteri generali determinati dal Segretario generale. 
2. 
Gli 
Avvocati 
distrettuali 
sono 
responsabili 
dell’attuazione 
delle 
direttive 
ad 
essi 
impartite 
dall’Avvocato generale. Entro il 
30 aprile 
di 
ogni 
anno presentano all’Avvocato generale 
una 
relazione complessiva sull’attività svolta nell’anno precedente. 
3. 
Presso 
ciascuna 
Avvocatura 
distrettuale 
dello 
Stato 
opera 
l’ufficio 
amministrativo 
unico, 
di 
livello dirigenziale 
non generale, per la 
gestione 
unificata 
di 
tutti 
i 
servizi 
e 
le 
attività 
di 
competenza 
dell’Avvocatura, comunque 
nei 
limiti 
della 
vigente 
dotazione 
organica 
del 
personale 
dirigenziale 
di 
livello non generale. A 
detti 
Uffici 
sono assegnate 
le 
funzioni 
di 
cui 
al 
comma 
4, da 
esercitarsi, nell’ambito di 
ciascun distretto, in attuazione 
delle 
direttive 
di 
cui 
al 
comma 
1, lettera 
a), e 
alle 
direttive 
di 
secondo livello, impartite 
dal 
Segretario generale, 
sentite le Direzioni generali competenti per materia. 
4. 
Al 
Dirigente 
dell’ufficio unico amministrativo, oltre 
alle 
competenze 
previste 
da 
disposizioni 
legislative e regolamentari sono assegnate le seguenti attività: 
a) 
gestione del protocollo di ingresso e uscita dell’Avvocatura di competenza; 
b) 
gestione del personale amministrativo; 

TEMI 
ISTITUzIONALI 


c) 
gestione dei servizi di competenza; 
d) 
gestione 
delle 
attività 
di 
competenza 
del 
funzionario delegato in materia 
di 
spesa 
delegata 
e fondi di spesa degli enti e altri soggetti patrocinati; 
e) 
gestione dei servizi del consegnatario e magazzino nonchè del cassiere; 
f) gestione dei servizi di carattere generale a supporto delle attività istituzionali; 
g) 
programmazione 
e 
rendicontazione 
della 
spesa 
delegata, seguendo le 
direttive 
fornite 
dalla Direzione generale competente; 
h) 
valutazione 
del 
personale 
amministrativo, sentito l’Avvocato distrettuale 
per la 
parte 
di 
competenza; 
i) attuazione 
delle 
misure 
nei 
limiti 
della 
spesa 
delegata 
assegnata 
in materia 
di 
sicurezza 
degli ambienti di lavoro, osservando le direttive impartite dal datore di lavoro; 
l) liquidazione 
e 
procedure 
amministrative 
relative 
alle 
spese 
di 
competenza 
della 
distrettuale; 
m) procedure 
amministrative 
di 
recupero e 
rendicontazione 
degli 
onorari 
di 
competenza 
dell’Avvocatura distrettuale; 
n) 
espletamento delle 
procedure 
per l’affidamento dei 
lavori, servizi 
e 
forniture 
nei 
limiti 
della spesa delegata, procedendo alla sottoscrizione dei relativi contratti. 
Art. 16 
Uffici di livello dirigenziale non generale 


1. Alla 
individuzione 
degli 
Uffici 
di 
livello dirigenziale 
non generale 
e 
alla 
definizione 
dei 
relativi 
compiti 
si 
provvede, su proposta 
del 
Segretario Generale, sentiti 
i 
Direttori 
generali 
interessati 
e 
sentite 
le 
Organizzazioni 
sindacali, con decreto dell’Avvocato generale 
di 
natura 
non 
regolamentare, 
ai 
sensi 
dell’articolo 
17, 
comma 
4-bis, 
lettera 
e), 
della 
legge 
23 
agosto 
1988, n. 400 e 
dell’articolo 4, commi 
4 e 
4-bis 
del 
decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300. 
Art. 17 
Posti di funzione dirigenziale e dotazioni organiche 
del personale non dirigenziale 


1. 
Le 
dotazioni 
organiche 
del 
personale 
appartenente 
alla 
qualifica 
dirigenziale 
e 
non dirigenziale 
dell’Avvocatura, come 
determinate 
per legge, sono riportate 
nell’allegata 
Tabella 
A, che costituisce parte integrante del presente regolamento. 
2. 
Al 
fine 
di 
assicurare 
la 
necessaria 
flessibilità 
di 
utilizzo delle 
risorse 
umane 
avuto riguardo 
alle 
effettive 
esigenze 
operative, l’Avvocato generale, sentito il 
Segretario generale, 
con proprio decreto effettua 
la 
ripartizione 
dei 
contingenti 
di 
personale 
dirigenziale 
e 
non dirigenziale 
nelle strutture in cui si articola l’Avvocatura. 
3. Il 
decreto è 
comunicato alla 
Presidenza 
del 
Consiglio dei 
ministri 
-Dipartimento della 
funzione 
pubblica 
e 
al 
Ministero 
dell’economia 
e 
delle 
finanze 
-Dipartimento 
della 
Ragioneria 
generale dello Stato. 
Art. 18 
Disposizioni transitorie e finali 


1. 
Le 
strutture 
esistenti 
alla 
data 
di 
entrata 
in 
vigore 
del 
presente 
decreto 
e 
i 
provvedimenti 
di 
attribuzione 
della 
titolarità 
degli 
organi 
e 
degli 
uffici 
in corso di 
efficacia 
alla 
medesima 
data 
sono fatti 
salvi 
fino alla 
definizione 
delle 
procedure 
di 
conferimento della 
titolarità 
delle 
strutture 
oggetto di 
riorganizzazione 
ai 
sensi 
del 
presente 
decreto. Fino alla 
conclusione 
delle 
procedure 
di 
conferimento della 
titolarità 
delle 
strutture 
oggetto di 
riorganizzazione, ai 
sensi 
del 
presente 
decreto, 
le 
strutture 
già 
esistenti 
proseguono 
lo 
svolgimento 
delle 
ordinarie 
attività 
con le risorse umane e strumentali loro assegnate dalla normativa vigente. 

RASSEGNA 
AVVOCATURA 
DELLO 
STATO -N. 1/2023 


2. 
Il 
regolamento 
di 
cui 
al 
decreto 
del 
Presidente 
della 
Repubblica 
29 
ottobre 
2021, 
n. 
214, 
è abrogato a decorrere dalla data di entrata in vigore del presente regolamento. 
3. 
Dall’attuazione 
del 
presente 
regolamento non derivano nuovi 
o maggiori 
oneri 
a 
carico 
della finanza pubblica. 
Il 
presente 
decreto, 
munito 
del 
sigillo 
dello 
Stato, 
sarà 
inserito 
nella 
Raccolta 
ufficiale 
degli 
atti 
normativi 
della 
Repubblica 
italiana. È 
fatto obbligo a 
chiunque 
spetti 
di 
osservarlo e 
di 
farlo osservare. 


Roma, 29 novembre 2023 


Il Presidente 
del Consiglio dei ministri 
Meloni 


Il Ministro per la pubblica 
amministrazione 
zangrillo 


Il Ministro dell’economia 
e delle finanze 
Giorgetti 


Visto, il Guardasigilli: Nordio 


Registrato alla Corte dei conti il 19 dicembre 2023 
Ufficio di 
controllo sugli 
atti 
della 
Presidenza 
del 
Consiglio dei 
ministri, del 
Ministero della 
giustizia e del Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale, n. 3335 


Tabella 
A 
Avvocatura dello Stato - Dotazione organica 


Dirigenti di livello generale 
2 
Dirigenti di livello non generale 
33 
Totali dirigenti 
35 
Area Elevate Professionalità 
--Area 
Funzionari 
346 
Area 
Assistenti 
777 
Area Operatori 
131 
Totale 
Aree 
1.254 
Totale complessivo 
1.289 



ContenziosoCoMUnitArioedinternAzionALe
Le “clausole di esclusiva” nella decisione della Corte 
di Giustizia dell’Unione, sentenza 19 gennaio 2023 in causa 
C-680/20 (Unilever vs 
AGCM) e altre situazioni giuridiche 
“escludenti” nella giurisprudenza della Corte 


Carlo Maria Pisana* 


La 
recente 
decisione 
della 
Corte 
dell’Unione 
enuncia 
due 
principi 
in 
tema 
di 
prassi 
anticoncorrenziali: 
a) 
la 
possibilità 
di 
considerare, 
ai 
fini 
della 
disciplina 
antitrust, 
come 
unico 
soggetto 
anche 
una 
pluralità 
di 
imprese 
autonome 
non 
legate 
da 
rapporti 
di 
controllo, 
ma 
da 
semplici 
vincoli 
contrattuali; 
b) 
la 
possibilità 
di 
valutare 
come 
abusive 
prassi 
basate 
sull’impiego 
di 
“clausole 
esclusive” 
con 
i 
distributori, 
considerato 
il 
concreto 
contesto 
in 
cui 
vengono 
poste 
in 
essere. 


La 
presente 
nota 
si 
pone 
l’obiettivo di 
esaminare 
questo secondo aspetto, 
ovviamente 
strettamente 
connesso 
con 
il 
primo, 
e 
di 
valutarne 
la 
portata 
in 
relazione 
ad 
ulteriori 
“meccanismi 
escludenti” 
di 
matrice 
privatistica 
rinvenibili 
nella 
prassi 
ed in particolare 
in relazione 
ai 
diritti 
di 
privativa 
industriale. Si 
tralascia 
pertanto di 
considerare 
il 
tema 
della 
posizione 
dominante 
derivante 
da 
“diritti 
speciali 
o esclusivi” 
concessi 
ad impresa 
pubblica 
o privata 
dallo 
Stato membro (1). 


(*) Avvocato dello Stato. 


Le 
ricerche 
di 
normativa 
e 
giurisprudenza 
per 
il 
presente 
scritto 
sono 
state 
compiute 
dalla 
Dott.ssa 
Martina 
Vitale, 
tirocinante 
presso 
l’Avvocatura 
Generale 
dello 
Stato 
in 
forza 
di 
convenzione 
con 
l’Università 
LUMSA. 


Un ringraziamento dell’Autore 
al 
Collega 
Francesco Scalfani 
per aver fornito il 
materiale 
relativo alle 
sue 
difese 
nella 
causa 
oggetto della 
presente 
nota 
(C-680/20, Unilever vs 
AGCM) in cui 
ha 
patrocinato 
la 
Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato. 


(1) 
Sul 
tema 
anche 
Corte 
Giustizia 
Unione 
Europea 
Sez. 
IX, 
21 
settembre 
2023, 
n. 
510/22 
relativa 
al caso di una concessionaria pubblica di acque minerali in Romania. 

RASSEGnA 
AVVOCATURA 
DELLO 
STATO -n. 1/2023 


1. Il caso Unilever. 
La 
Unilever Italia 
Mkt 
operation s.r.l. si 
occupa, tra 
l’altro, della 
fabbricazione 
e 
commercializzazione 
di 
prodotti 
di 
largo 
consumo, 
tra 
cui 
gelati 
confezionati, commercializzati 
col 
marchio Algida 
e 
Carte 
d’Or. In Italia, in 
particolare 
la 
predetta 
società 
distribuisce 
i 
gelati 
in 
confezioni 
individuali 
destinate 
ad 
essere 
consumate 
“all’esterno”, 
ossia 
nei 
punti 
vendita, 
fuori 
dal 
domicilio 
dei consumatori, mediante una rete di 150 distributori. 


A 
seguito della 
denuncia 
di 
una 
concorrente, “La 
Bomba 
snc” 
produttore 
di 
ghiaccioli, 
l’Autorità 
Garante 
della 
Concorrenza 
e 
del 
Mercato 
italiana 
(AGCM) ha 
avviato un’indagine 
volta 
a 
accertare 
l’ipotizzato abuso di 
posizione 
dominante 
commessa 
dalla 
Unilever 
sul 
mercato 
dei 
gelati 
in 
confezioni 
individuali. È 
emerso che 
i 
concessionari 
della 
Unilever proponevano a 
bar e 
stabilimenti 
balneari 
nel 
Lazio, Marche 
e 
Emilia 
Romagna 
“clausole 
di 
esclusiva”: 


-da 
una 
parte, 
esigendo 
l’obbligazione 
dei 
distributori 
ad 
acquistare 
esclusivamente 
dalla Unilever il prodotto; 


-dall’altra, offrendo importanti 
sconti 
e 
commissioni, da 
cui 
questi 
sarebbero 
decaduti in caso di violazione dell’obbligo di esclusiva. 
L’Autorità 
nazionale 
ha 
ritenuto 
di 
prescindere 
dagli 
studi 
economici 
prodotti 
dalla 
Unilever, al 
fine 
di 
escludere 
in concreto effetti 
preclusivi 
nei 
confronti 
di 
concorrenti 
altrettanto 
efficienti. 
L’Autorità, 
infatti, 
rilevato 
l’impiego 
sistematico delle 
predette 
clausole 
di 
esclusiva, ha 
qualificato la 
condotta 
di 
per sé 
sufficiente 
a 
configurare 
l’abuso di 
posizione 
dominante, ingiungendo 
la 
cessazione 
della 
prassi 
abusiva 
e 
irrogando 
una 
sostanziosa 
sanzione 
per 
violazione dell’art. 102 TFUE (2) e art. 3 L. 287/1990 (3). 


(2) Art. 102 TFUE: 
“È 
incompatibile 
con il 
mercato interno e 
vietato, nella misura in cui 
possa 
essere 
pregiudizievole 
al 
commercio tra Stati 
membri, lo sfruttamento abusivo da parte 
di 
una o più imprese 
di una posizione dominante sul mercato interno o su una parte sostanziale di questo. 
Tali pratiche abusive possono consistere in particolare: 
a) nell’imporre 
direttamente 
od indirettamente 
prezzi 
d’acquisto, di 
vendita od altre 
condizioni 
di 
transazione 
non eque; 
b) nel limitare la produzione, gli sbocchi o lo sviluppo tecnico, a danno dei consumatori; 
c) nell’applicare 
nei 
rapporti 
commerciali 
con gli 
altri 
contraenti 
condizioni 
dissimili 
per 
prestazioni 
equivalenti, determinando così per questi ultimi uno svantaggio per la concorrenza; 
d) nel 
subordinare 
la conclusione 
di 
contratti 
all’accettazione 
da parte 
degli 
altri 
contraenti 
di 
prestazioni 
supplementari, che, per 
loro natura o secondo gli 
usi 
commerciali, non abbiano alcun nesso con 
l’oggetto dei contratti stessi”. 
(3) Art. 3 L. 287/1990: 
“1. È 
vietato l’abuso da parte 
di 
una o più imprese 
di 
una posizione 
dominante 
all’interno del mercato nazionale o in una sua parte rilevante, ed inoltre è vietato: 
a) imporre 
direttamente 
o indirettamente 
prezzi 
di 
acquisto, di 
vendita o altre 
condizioni 
contrattuali 
ingiustificatamente gravose; 
b) impedire 
o limitare 
la produzione, gli 
sbocchi 
o gli 
accessi 
al 
mercato, lo sviluppo tecnico o il 
progresso 
tecnologico, a danno dei consumatori; 
c) applicare 
nei 
rapporti 
commerciali 
con altri 
contraenti 
condizioni 
oggettivamente 
diverse 
per 
pre

COnTEnzIOSO 
COMUnITARIO 
ED 
InTERnAzIOnALE 


La 
Unilever, soccombente 
in prime 
cure 
(T.a.r. Lazio Sent. 6080/18), ha 
proposto appello al 
Consiglio di 
Stato, sostenendo in primo luogo la 
propria 
estraneità 
alle 
condotte 
poste 
in 
essere 
dai 
concessionari, 
i 
quali 
erano 
persone 
giuridiche 
indipendenti 
e 
non 
sottoposte 
ad 
alcun 
controllo 
societario 
da 
parte 
della 
multinazionale, in secondo luogo che 
l’Autorità 
avrebbe 
dovuto verificare 
gli effetti della condotta sull’alterazione della concorrenza in concreto. 


Il 
Giudice 
investito dell’appello ha 
sollevato due 
questioni 
di 
conformità 
all’ordinamento dell’Unione. 

I quesiti del Consiglio di Stato. 


Con 
ordinanza 
7 
dicembre 
2020, 
il 
sommo 
organo 
della 
Giustizia 
Amministrativa 
ha posto due quesiti pregiudiziali: 


1) 
Se, al 
di 
fuori 
dei 
casi 
di 
controllo societario, un coordinamento soltanto 
contrattuale 
tra 
operatori 
economici 
formalmente 
autonomi 
e 
indipendenti 
possa 
dare 
luogo ad un’unica 
entità 
economica 
ai 
fini 
dell’applicazione 
degli artt. 101 (4) e 102 TFUE; 
2) 
Se, 
in 
ipotesi 
di 
un 
abuso 
di 
posizione 
dominante 
attuato 
mediante 
clausole 
di 
esclusiva, l’Autorità 
di 
regolazione 
sia 
tenuta 
sempre 
a 
verificare 
in 
base 
ad 
analisi 
economiche 
se 
in 
concreto 
si 
sia 
verificato 
l’effetto 
esclusivo, 
stazioni equivalenti, così da determinare per essi ingiustificati svantaggi nella concorrenza; 


d) 
subordinare 
la 
conclusione 
dei 
contratti 
all’accettazione 
da 
parte 
degli 
altri 
contraenti 
di 
prestazioni 
supplementari 
che, 
per 
loro 
natura 
e 
secondo 
gli 
usi 
commerciali, 
non 
abbiano 
alcuna 
connessione 
con 
l’oggetto dei contratti stessi”. 
(4) Art. 101 TFUE: 
“1. Sono incompatibili 
con il 
mercato interno e 
vietati 
tutti 
gli 
accordi 
tra imprese, 
tutte 
le 
decisioni 
di 
associazioni 
di 
imprese 
e 
tutte 
le 
pratiche 
concordate 
che 
possano 
pregiudicare 
il 
commercio tra Stati 
membri 
e 
che 
abbiano per 
oggetto o per 
effetto di 
impedire, restringere 
o falsare 
il gioco della concorrenza all’interno del mercato interno ed in particolare quelli consistenti nel: 
a) fissare 
direttamente 
o indirettamente 
i 
prezzi 
d’acquisto o di 
vendita ovvero altre 
condizioni 
di 
transazione; 
b) limitare o controllare la produzione, gli sbocchi, lo sviluppo tecnico o gli investimenti; 
c) ripartire i mercati o le fonti di approvvigionamento; 
d) 
applicare, 
nei 
rapporti 
commerciali 
con 
gli 
altri 
contraenti, 
condizioni 
dissimili 
per 
prestazioni 
equivalenti, 
così da determinare per questi ultimi uno svantaggio nella concorrenza; 
e) subordinare 
la conclusione 
di 
contratti 
all’accettazione 
da parte 
degli 
altri 
contraenti 
di 
prestazioni 
supplementari, che, per 
loro natura o secondo gli 
usi 
commerciali, non abbiano alcun nesso con l’oggetto 
dei contratti stessi. 
2. Gli accordi o decisioni, vietati in virtù del presente articolo, sono nulli di pieno diritto. 
3. Tuttavia, le disposizioni del paragrafo 1 possono essere dichiarate inapplicabili: 
- a qualsiasi accordo o categoria di accordi fra imprese, 
- a qualsiasi decisione o categoria di decisioni di associazioni di imprese, e 
-a qualsiasi 
pratica concordata o categoria di 
pratiche 
concordate, che 
contribuiscano a migliorare 
la 
produzione 
o la distribuzione 
dei 
prodotti 
o a promuovere 
il 
progresso tecnico o economico, pur 
riservando 
agli utilizzatori una congrua parte dell’utile che ne deriva, ed evitando di: 
a) imporre 
alle 
imprese 
interessate 
restrizioni 
che 
non siano indispensabili 
per 
raggiungere 
tali 
obiettivi; 
b) dare 
a tali 
imprese 
la possibilità di 
eliminare 
la concorrenza per 
una parte 
sostanziale 
dei 
prodotti 
di cui trattasi”. 

RASSEGnA 
AVVOCATURA 
DELLO 
STATO -n. 1/2023 


oppure 
se, la 
prassi 
di 
clausole 
di 
esclusiva, in quanto di 
per sé 
idonea 
a 
produrre 
l’effetto, sia sufficiente alla contestazione dell’illecito antitrust. 

Incardinata 
a 
Lussemburgo la 
causa 
(C-680/20 Unilever vs 
AGCM), la 
Corte 
di 
Giustizia 
dell’Unione 
si 
è 
pronunciata 
in proposito con la 
sentenza 
resa 
all’udienza 
del 
19 
gennaio 
2023, 
affermando 
principi 
degni 
di 
attenzione. 


Il ragionamento della Corte dell’Unione. 


La 
Corte 
ha 
affermato che, al 
fine 
di 
rilevare 
la 
capacità 
del 
comportamento 
di 
un’impresa 
di 
alterare 
la 
concorrenza 
effettiva 
sul 
mercato, 
l’Autorità 
Garante 
della 
Concorrenza 
deve 
accertare 
che 
la 
prassi 
contestata 
sia 
idonea 
a 
produrre 
effetti 
concorrenziali 
in concreto, basandosi 
a 
tal 
fine 
sull’esame 
delle 
condizioni 
e 
circostanze 
esistenti 
sul 
mercato al 
momento della 
sua 
attuazione. 
In proposito, la 
Corte 
dà 
indicazioni 
sia 
in ordine 
al 
contenuto del-
l’accertamento, sia in ordine alle modalità del medesimo. 


Sotto il 
profilo sostanziale, l’Autorità 
è 
chiamata 
a 
verificare 
anche 
la 
latitudine 
del 
comportamento 
sul 
mercato, 
le 
limitazioni 
di 
capacità 
gravanti 
sui 
fornitori 
di 
materie 
prime: 
in definitiva 
che 
l’impresa 
in posizione 
dominante 
sia, 
per 
una 
parte 
della 
domanda, 
un 
partner 
inevitabile 
(“inconturnable”). 
non assume 
invece 
rilevanza 
l’elemento soggettivo, ossia 
la 
ricorrenza 
di 
un 
intento anticoncorrenziale 
dell’impresa 
in posizione 
dominante 
poiché 
l’art. 
102 TFUE 
fonda 
la 
nozione 
di 
sfruttamento abusivo su una 
valutazione 
meramente 
oggettiva del comportamento. 


Sotto il 
profilo procedimentale, tuttavia, se 
l’impresa 
in posizione 
dominante 
ha 
prodotto 
uno 
studio 
economico 
che 
dimostri 
che 
la 
prassi 
adottata 
non 
abbia 
effetti 
pregiudizievoli 
per 
la 
concorrenza, 
l’autorità 
garante 
ha 
l’onere 
di 
esaminare 
questi 
studi 
ed eventualmente 
motivare 
in ordine 
alle 
ragioni 
per cui lo ritenga irrilevante. 

Precisa 
la 
Corte 
che 
l’art. 102 TFUE 
vieta 
lo sfruttamento abusivo della 
posizione 
dominante 
sul 
mercato interno o su una 
parte 
di 
questo. Dunque, ha 
l’obiettivo 
di 
sanzionare 
i 
comportamenti 
di 
un’impresa 
in 
posizione 
dominante 
che hanno l’effetto di alterare la concorrenza effettiva tra le imprese. 


Tuttavia, 
la 
disposizione 
in 
parola 
non 
intende 
impedire 
ad 
un’impresa 
di 
conquistare, grazie 
ai 
suoi 
meriti 
e 
capacità, una 
posizione 
dominante 
sul 
mercato; 
anzi, la 
concorrenza 
basata 
sui 
meriti 
può portare 
alla 
scomparsa 
o 
all’emarginazione 
sul 
mercato di 
concorrenti 
meno efficienti 
e 
meno interessanti 
per i consumatori, in termini di qualità, prezzi e innovazione. 


Pertanto, 
potrà 
ravvisarsi 
l’abuso 
soltanto 
allorché 
sia 
accertato 
che 
un 
imprenditore 
abbia 
tenuto 
un 
comportamento 
tale 
da 
produrre 
effetti 
preclusivi 
nei 
confronti 
di 
concorrenti, che 
siano pari 
all’autore 
quanto ad efficienza 
in 
termini 
di 
struttura 
dei 
costi, capacità 
di 
innovazione 
o qualità, o comunque 
qualora 
il 
suddetto comportamento si 
sia 
basato su mezzi 
diversi 
dalla 
concorrenza 
fondata sui meriti. 


COnTEnzIOSO 
COMUnITARIO 
ED 
InTERnAzIOnALE 


Le conclusioni della Corte. 


Alla luce di tale ragionamento la Corte dell’Unione conclude che: 


1) 
al 
fine 
di 
valutare 
la 
capacità 
dell’impresa 
maggiore 
(produttrice 
o 
come 
nel 
caso 
distributrice 
esclusiva) 
di 
esercitare 
un’influenza 
dominante 
nelle 
politiche 
commerciali, 
finanziarie 
e 
industriali 
dei 
propri 
partners 
minori 
(distributori 
o in questo caso “concessionari”), occorre 
verificare 
se 
tali 
scelte 
siano 
da 
ricondurre 
esclusivamente 
alla 
impresa 
maggiore: 
pertanto 
se 
le 
condotte 
dei 
partners 
minori 
(nel 
nostro caso i 
distributori 
facenti 
parte 
della 
rete 
Unilever) sono state 
decise 
e, sostanzialmente, imposte 
unilateralmente 
dalla 
impresa maggiore, l’abuso è riconducibile a questa; 
2) 
le 
clausole 
di 
esclusiva, con cui 
i 
distributori 
si 
impegnano a 
rifornirsi 
in tutto o in parte 
da 
un’impresa 
in posizione 
dominante, anche 
in assenza 
di 
sconti, costituiscono un comportamento da 
sempre 
qualificato abusivo della 
posizione dominante, perché in grado di limitare la concorrenza. 
2. Le clausole di esclusiva nella giurisprudenza della Corte di Giustizia. 
Come 
anticipato 
in 
premessa, 
ferma 
restando 
l’importanza 
indubbia 
dell’affermazione 
del 
primo 
principio 
in 
ordine 
alla 
nozione 
di 
impresa, 
come 
inclusiva 
della 
rete 
di 
distributori 
da 
questa 
condizionati 
unilateralmente, 
ai 
fini 
della 
posizione 
di 
abuso 
dominante, 
lo 
scopo 
di 
questa 
nota 
è 
focalizzato 
sulla 
seconda 
affermazione: 
quella 
in 
tema 
di 
intrinseca 
lesività 
delle 
clausole 
di 
esclusiva. 


nel 
caso appena 
esaminato, la 
Corte 
di 
Giustizia 
ha 
affermato tale 
principio 
con riguardo a una fattispecie in cui la lesione della concorrenza basata 
sui 
meriti 
imprenditoriali 
si 
è 
concretata 
in clausole 
di 
esclusiva, per mezzo 
delle 
quali 
l’impresa 
egemone, 
Unilever, 
imponeva 
l’obbligo 
di 
rifornirsi 
esclusivamente 
presso sé 
di 
un prodotto, offrendo sconti 
e 
compensi 
incentivanti, 
che 
sarebbero cessati 
se 
i 
distributori 
si 
fossero riforniti 
anche 
da 
altri 
produttori 
concorrenti 
(nel 
caso di 
specie 
presso La 
Bomba 
snc). L’abuso si 
concretava nell’impiego di tali vincoli negoziali. 


nel 
precedente 
Intel 
(sentenza 
6 
settembre 
2017, 
nella 
causa 
C-413/14P), 
tale 
società, 
noto 
leader 
nel 
settore 
dei 
processori, 
aveva 
applicato 
nei 
rapporti 
con quattro produttori 
di 
apparecchiature 
informatiche 
sconti 
condizionati 
al 
fatto che 
questi 
si 
rifornissero dalla 
stessa 
per tutto o quasi 
il 
loro fabbisogno 
di 
processori. 
Inoltre, 
aveva 
subordinato 
i 
pagamenti 
a 
un 
distributore 
europeo 
di 
dispositivi 
micro-elettrici 
alla 
condizione 
che 
questo 
vendesse 
esclusivamente 
computer 
equipaggiati 
di 
processori 
Intel. 
Tali 
condizioni 
poste 
a 
sconti 
e 
condizioni 
di 
pagamento avevano lo scopo di 
“fidelizzare” 
i 
quattro produttori 
e 
il 
distributore, riducendo notevolmente 
la 
capacità 
concorrenziale 
delle 
altre 
imprese 
produttrici 
di 
processori. La 
Corte 
UE 
ha 
respinto il 
ricorso presentato 
dalla 
società 
egemone 
contro 
la 
decisione 
con 
cui 
la 
Commissione 
Europea 
la 
aveva 
condannata 
a 
una 
sanzione 
di 
1,06 miliardi 
di 
euro per abuso 
di posizione dominante. 


RASSEGnA 
AVVOCATURA 
DELLO 
STATO -n. 1/2023 


Anche 
in tale 
caso pertanto la 
condotta 
si 
concretava 
nell’uso distorto di 
clausole negoziali “di esclusiva”. 


nel 
precedente 
Post 
Danmark 
II 
(sentenza 
6 
ottobre 
2015, 
causa 
C23/
14), di 
pochi 
anni 
prima, la 
Corte, in relazione 
ad un altro caso connotato 
dalla 
applicazione 
di 
un sistema 
di 
sconti 
retroattivi 
“negativi” 
(ossia 
tali 
da 
portare 
il 
prezzo di 
vendita 
al 
di 
sotto del 
costo di 
produzione) ha 
avuto occasione 
di 
chiarire 
che 
il 
“criterio del 
concorrente 
altrettanto efficiente” 
(5), non 
costituisce 
l’unico metodo di 
accertamento del 
carattere 
abusivo di 
una 
posizione 
di 
mercato dominante 
(6), e 
che 
un sistema 
negoziale 
di 
clausole 
esclusive 
costituisce 
di 
per sé 
una 
valida 
presunzione 
della 
ricorrenza 
della 
prassi 
abusiva (7). 

Tale 
precedente 
pertanto, non soltanto individua 
nell’impiego delle 
clausole 
di 
esclusiva 
un 
possibile 
mezzo 
per 
la 
realizzazione 
dell’abuso, 
ma 
afferma 
che 
l’impiego 
di 
esse 
costituisce 
di 
per 
sé 
una 
presunzione 
di 
abuso, 
similmente a quanto ribadito nel recente caso Unilever. 


3. 
Altre 
situazioni 
giuridiche 
escludenti 
considerate 
nella 
giurisprudenza 
Unionale: i diritti di privativa. 
I 
casi 
esaminati 
vertono 
sull’uso 
distorto 
di 
un 
vincolo, 
la 
clausola 
di 
esclusiva, 
che 
trova 
fonte 
nell’autonomia 
privata. 
L’impresa 
egemone 
e 
le 
imprese 
minori 
infatti 
assumono 
contrattualmente 
reciproche 
obbligazioni, 
producendo 
per 
tale 
effetto 
un 
vincolo 
alla 
condotta 
commerciale 
delle 
imprese 
minori. 


È 
ben 
possibile 
però 
che 
il 
vincolo 
di 
esclusiva 
non 
sia 
di 
origine 
negoziale, 
ma 
trovi 
fonte 
in 
norme 
cogenti, 
poste 
a 
presidio 
di 
altri 
valori, 
quali 
la 
tutela 
della 
proprietà 
intellettuale 
(dir. 
2004/48 
CE). 
Anche 
in 
tali 
casi 
l’uso 
distorto 
da 
parte 
del 
titolare 
del 
diritto 
di 
esclusiva 
conferitogli 
non 
da 
un 
contratto, 
ma 
dalla 
legge 
in 
combinazione 
o 
meno 
con 
meccanismi 
contrattuali 
può 
determinare 
l’effetto 
distorsivo 
della 
concorrenza 
basata 
sui 
meriti 
di 
mercato. 


Il caso Generics (UK) Ltd. 


Sulla 
connessione 
tra 
diritto 
di 
brevetto 
e 
abuso 
di 
posizione 
dominante 
si 
è 
pronunciata 
la 
sentenza 
del 
30 
gennaio 
2020 
resa 
dalla 
Corte 
UE 
nella 
causa 
C-307/18, 
Generics 
(UK) 
Ltd 
e 
altri 
vs 
Competition 
and 
Markets 
Autorithy. 


(5) c.d. “as efficient competitor” 
test 
, in sigla 
AEC. 
(6) “Il 
criterio del 
concorrente 
altrettanto efficiente 
deve 
pertanto essere 
considerato uno degli 
strumenti 
utili 
a 
valutare 
l’esistenza 
di 
uno 
sfruttamento 
abusivo 
di 
una 
posizione 
dominante 
nell’ambito 
di un sistema di sconti” (punto 61 della sentenza 6 ottobre 2015, causa C-23/14). 
(7) 
“l’applicazione 
del 
criterio 
del 
concorrente 
altrettanto 
efficiente 
non 
configura 
una 
condizione 
indispensabile 
per 
accertare 
il 
carattere 
abusivo di 
un sistema di 
sconti 
alla luce 
dell’articolo 82 CE. 
In una situazione 
come 
quella di 
cui 
al 
procedimento principale, l’applicazione 
del 
criterio del 
concorrente 
altrettanto efficiente è inconferente” (punto 62 sentenza citata). 

COnTEnzIOSO 
COMUnITARIO 
ED 
InTERnAzIOnALE 


La 
vicenda, oltremodo complessa 
in fatto, attiene 
alla 
commercializzazione 
della 
paroxetina, 
un 
farmaco 
antidepressivo 
rilasciato 
unicamente 
su 
prescrizione 
medica, appartenente 
al 
gruppo degli 
inibitori 
selettivi 
della 
ricaptazione 
della 
serotonina. Alla 
scadenza 
del 
brevetto sul 
principio attivo, al 
fine 
di 
prevenire 
l’accesso 
al 
mercato 
di 
nuovi 
produttori, 
l’impresa 
già 
titolare 
del 
brevetto aveva 
concluso accordi 
transattivi 
con i 
soggetti 
che 
si 
accingevano 
a 
entrare 
nel 
mercato (8), con l’effetto di 
escluderne 
tutti 
gli 
altri, prolungando 
in concreto il 
diritto di 
privativa 
concesso dall’ordinamento per un 
tempo 
limitato. 
L’Autorità 
britannica 
anticoncorrenza 
ha 
pesantemente 
sanzionato 
la 
condotta. 
A 
fronte 
dell’impugnazione 
della 
Generics 
(UK) 
Ltd 
il 
Competition 
Appeal 
Tribunal 
ha 
posto 
un 
articolato 
quesito 
alla 
Corte 
del-
l’Unione 
vertente 
in sostanza 
sul 
rapporto tra 
norme 
poste 
a 
tutela 
della 
concorrenza 
e norme poste a tutela della proprietà intellettuale. 

La 
Corte 
di 
Lussemburgo, 
pur 
richiamando 
l’elevato 
livello 
di 
tutela 
nel 
mercato 
interno 
attribuito 
al 
diritto 
di 
proprietà 
intellettuale, 
ha 
dovuto 
riconoscere 
che 
l’esercizio 
di 
tale 
diritto, 
in 
cui 
si 
concretano 
gli 
accordi 
transattivi 
in 
parola, 
diviene 
abuso 
di 
posizione 
dominante, 
quando 
produce 
“l’effetto 
di 
tenere 
temporaneamente 
fuori 
dal 
mercato 
i 
potenziali 
concorrenti 
produttori 
di 
farmaci 
generici 
che 
utilizzano 
questo 
principio 
attivo” 
(par. 
145). 
In 
definitiva, 
la 
Corte 
è 
addivenuta 
alla 
conclusione 
che: 
“L’articolo 
102 
TFUE 
deve 
essere 
interpretato 
nel 
senso 
che 
la 
strategia 
di 
un’impresa 
in 
posizione 
dominante 
titolare 
di 
un 
brevetto 
di 
processo 
per 
la 
produzione 
di 
un 
principio 
attivo 
divenuto 
di 
dominio 
pubblico, 
che 
la 
porta 
a 
concludere, 
…, 
una 
serie 
di 
accordi 
di 
composizione 
amichevole 
aventi, 
quanto 
meno, 
l’effetto 
di 
tenere 
temporaneamente 
fuori 
dal 
mercato 
i 
potenziali 
concorrenti 
produttori 
di 
farmaci 
generici 
che 
utilizzano 
tale 
principio 
attivo, 
costituisce 
un 
abuso 
di 
posizione 
dominante 
ai 
sensi 
di 
tale 
articolo, 
qualora 
detta 
strategia 
abbia 
la 
capacità 
di 
limitare 
la 
concorrenza 
e, 
in 
particolare, 
di 
produrre 
effetti 
di 
preclusione 
che 
superano 
gli 
effetti 
anticoncorrenziali 
specifici 
di 
ciascuno 
degli 
accordi 
di 
composizione 
amichevole 
che 
vi 
contribuiscono, 
circostanza 
che 
spetta 
al 
giudice 
nazionale 
verificare”. 


Ai 
fini 
della 
presente 
nota, 
giova 
rilevare 
che 
nel 
caso 
in 
esame 
il 
vincolo 
alla 
condotta 
commerciale 
imposto 
dalla 
impresa 
egemone 
trae 
fonte 
dalle 
norme 
poste 
a 
tutela 
della 
proprietà 
intellettuale 
e 
soltanto in seconda 
battuta 
dagli 
accordi 
di 
composizione 
bonaria 
via 
via 
conclusi 
in relazione 
al 
contenzioso 
creatosi 
nella 
situazione 
di 
incertezza. L’uso distorto del 
diritto di 
proprietà 
intellettuale, 
attribuito 
dalla 
fonte 
di 
diritto 
oggettivo, 
si 
risolve 
in 
condotta abusiva vietata. 


(8) “la G. si 
trovava confrontata alla possibilità che 
i 
produttori 
di 
farmaci 
generici 
chiedessero 
un’autorizzazione 
di 
immissione 
in commercio (in prosieguo: l’“AIC” 
nel 
Regno Unito, in forza di 
una 
procedura abbreviata, per la loro versione di tale farmaco” illustra la narrativa in fatto della sentenza. 

RASSEGnA 
AVVOCATURA 
DELLO 
STATO -n. 1/2023 


Diritti di privativa e tutela della concorrenza. 


Dall’analisi 
effettuata, risulta 
pacifico per la 
Corte 
di 
Giustizia 
UE 
che 
l’apposizione 
di 
clausole 
di 
esclusiva 
da 
parte 
di 
imprese 
in posizione 
dominante, 
nei 
rapporti 
con i 
propri 
distributori 
o fornitori, costituisce 
un abuso di 
quella 
posizione, poiché 
concretamente 
idonee 
a 
ridurre 
la 
capacità 
concorrenziale 
di imprese altrettanto efficienti. 

Più complesso invece 
è 
il 
rapporto che 
caratterizza 
i 
diritti 
di 
proprietà 
intellettuale 
e 
il 
diritto antitrust: 
i 
primi, infatti, istituiscono un potere 
di 
monopolio 
sul 
bene 
protetto, al 
fine 
di 
escluderne 
i 
concorrenti 
dal 
godimento, 
salvo 
consenso 
dell’avente 
diritto, 
e 
quindi 
dal 
mercato; 
l’altro 
vuole 
garantire 
proprio il 
libero accesso al 
mercato e 
la 
competizione 
basata 
sull’efficienza 
economica 
e 
pertanto 
intende 
prevenire 
le 
condotte 
aventi 
effetto 
“esclusivo”, 
anche se derivante dall’uso distorto di istituti giuridici di per sé leciti. 


In realtà, si 
tratta 
di 
due 
facce 
della 
stessa 
medaglia, perché 
entrambi 
mirano 
a 
promuovere 
l’innovazione 
e 
gli 
investimenti 
a 
beneficio dei 
consumatori, 
anche se in concreto possono porsi in conflitto. 

Occorre 
infatti 
stabilire 
se 
sulla 
base 
dei 
diritti 
di 
proprietà 
intellettuale, 
il 
produttore 
possa 
legittimamente 
precludere 
l’utilizzo 
del 
bene 
oggetto 
di 
brevetto da parte dei concorrenti. 

In 
questo 
contesto, 
viene 
in 
rilievo 
la 
essential 
facility 
doctrine, 
elaborata 
dal 
giudice 
comunitario 
per 
individuare 
quei 
beni 
che 
per 
la 
loro 
caratteristica 
strutturale 
siano 
da 
considerarsi 
essenziali 
per 
la 
concorrenza 
e 
pertanto, 
la 
possibilità 
di 
rifiuto 
di 
contrattare 
rispetto 
ad 
essi 
configura 
abuso 
di 
posizione 
dominante. 
Questa 
tesi 
impone 
alle 
imprese 
che 
detengono 
il 
diritto 
di 
proprietà 
intellettuale 
su beni 
che 
non possano facilmente 
essere 
sostituiti 
nella 
catena 
produttiva, di 
renderlo disponibile 
a 
chi 
ne 
faccia 
richiesta 
sul 
mercato 
in base a condizioni eque. 

Pertanto, 
il 
possesso 
di 
diritti 
di 
esclusiva 
può 
conferire 
a 
un’impresa 
una 
posizione 
dominante 
sul 
mercato 
di 
un 
determinato 
prodotto. 
Ora, 
l’utilizzazione 
di 
siffatto 
diritto, 
se 
riferito 
a 
essential 
facilities 
e 
volto, 
anche 
attraverso 
meccanismi 
negoziali 
a 
rendere 
del 
tutto 
inaccessibile 
il 
bene 
protetto 
ad 
altri 
operatori, 
o 
anche 
accessibile 
ma 
a 
condizioni 
non 
eque, 
costituisce 
uno 
sfruttamento 
di 
mezzi 
diversi 
da 
quelli 
propri 
di 
una 
concorrenza 
basata 
sui 
meriti. 


Dunque, in linea 
con l’orientamento della 
Corte, i 
diritti 
di 
privativa 
devono 
essere 
esercitati 
conformemente 
alle 
norme 
che 
tutelano 
il 
funzionamento 
del 
mercato 
e 
della 
concorrenza, 
avendo 
entrambi 
l’obiettivo 
di 
garantire 
l’esercizio 
della 
libertà 
di 
impresa 
e 
tutelare 
i 
diritti 
dei 
consumatori. 

4. Conclusioni. 
La 
Corte 
dell’Unione 
resta 
fedele 
al 
suo 
tradizionale 
orientamento 
sostanzialistico, 
volto 
a 
valutare 
più 
che 
la 
liceità 
delle 
condotte, 
quella 
degli 
ef



COnTEnzIOSO 
COMUnITARIO 
ED 
InTERnAzIOnALE 
25 


fetti 
prodotti 
dalle 
condotte. In virtù di 
tale 
approccio, afferma 
la 
possibilità 
di 
ravvisare 
l’abuso di 
posizione 
dominante 
allorché 
l’effetto limitativo della 
concorrenza 
costituisca 
il 
risultato della 
utilizzazione 
“abusiva” 
di 
una 
posizione 
giuridica 
di 
vantaggio, sia 
quando di 
origine 
negoziale, come 
nel 
caso 
delle 
“clausole 
di 
esclusiva” 
inserite 
negli 
accordi 
con 
i 
distributori 
(causa 
Unilever), sia 
quando derivante 
da 
un diritto riconosciuto dalla 
legge, come 
nel 
caso 
dell’uso 
distorto 
del 
diritto 
di 
brevetto 
(causa 
Generics 
Ltd). 
La 
Corte 
non si 
spinge 
però, nel 
caso del 
2023, a 
ravvisare 
negli 
accordi 
di 
esclusiva 
una 
sorta 
di 
presunzione 
iuris 
et 
de 
iure 
di 
condotta 
anticoncorrenziale, esigendo 
comunque 
sul 
piano procedimentale 
la 
disamina 
delle 
eventuali 
osservazioni 
a discarico prodotte dal trasgressore. 


Corte 
di 
giustizia 
dell’Unione 
europea, 
sezione 
Quinta, 
sentenza 
19 
gennaio 
2023 
-Pres. 
e 
Rel. E. Regan -Domanda 
di 
pronuncia 
pregiudiziale 
proposta 
dal 
Consiglio di 
Stato (Italia) 
con ordinanza 
del 
15 dicembre 
2020 -Unilever Italia 
Mkt. Operations 
Srl 
/ 
Autorità 
Garante 
della Concorrenza e del Mercato. 


«Rinvio pregiudiziale 
-Concorrenza 
-Articolo 102 TFUE 
-Posizione 
dominante 
-Imputazione 
al 
produttore 
dei 
comportamenti 
dei 
suoi 
distributori 
-Esistenza 
di 
vincoli 
contrattuali 
tra 
il 
produttore 
e 
i 
distributori 
-nozione 
di 
“unità 
economica” 
-Ambito 
di 
applicazione 
Sfruttamento 
abusivo 
-Clausola 
di 
esclusiva 
-necessità 
di 
dimostrare 
gli 
effetti 
sul 
mercato» 


1 La 
domanda 
di 
pronuncia 
pregiudiziale 
verte 
sull’interpretazione 
degli 
articoli 
101 e 
102 
TFUE. 


2 
Tale 
domanda 
è 
stata 
presentata 
nell’ambito 
di 
una 
controversia 
tra 
la 
Unilever 
Italia 
Mkt. 
Operations 
Srl 
(in 
prosieguo: 
la 
«Unilever») 
e 
l’Autorità 
Garante 
della 
Concorrenza 
e 
del 
Mercato 
(in 
prosieguo: 
l’«AGCM») 
in 
merito 
ad 
una 
sanzione 
inflitta 
da 
tale 
autorità 
alla 
suddetta 
società 
per 
abuso 
di 
posizione 
dominante 
sul 
mercato 
italiano 
della 
distribuzione 
di 
gelati 
in confezioni 
individuali 
a 
determinati 
tipi 
di 
esercizi 
commerciali, quali 
gli 
stabilimenti 
balneari e i bar. 


Procedimento principale e questioni pregiudiziali 


3 La 
Unilever 
si 
occupa 
della 
fabbricazione 
e 
della 
commercializzazione 
di 
prodotti 
di 
largo 
consumo, 
tra 
cui 
gelati 
confezionati, 
commercializzati 
con 
i 
marchi 
Algida 
e 
Carte 
d’Or. 
In 
Italia, 
la 
Unilever 
distribuisce 
gelati 
in 
confezioni 
individuali 
destinate 
ad 
essere 
consumate 
«all’esterno», 
vale 
a 
dire 
al 
di 
fuori 
del 
domicilio 
dei 
consumatori, 
in 
bar, 
caffè, 
club 
sportivi, 
piscine 
o 
altri 
luoghi 
di 
svago 
(in 
prosieguo: 
i 
«punti 
vendita»), 
mediante 
una 
rete 
di 
150 
distributori. 


4 
Il 
3 
aprile 
2013 
una 
società 
concorrente 
ha 
presentato 
all’AGCM 
una 
denuncia 
per 
abuso 
di 
posizione 
dominante 
da 
parte 
della 
Unilever sul 
mercato dei 
gelati 
in confezioni 
individuali. 
L’AGCM ha avviato un’indagine. 


5 nel 
corso 
della 
sua 
istruttoria, 
l’AGCM 
ha 
ritenuto, 
in 
particolare, 
di 
non 
essere 
tenuta 
ad 
analizzare 
gli 
studi 
economici 
prodotti 
dalla 
Unilever 
al 
fine 
di 
dimostrare 
che 
le 
prassi 
oggetto 
dell’indagine 
non 
avevano 
effetti 
preclusivi 
nei 
confronti 
dei 
suoi 
concorrenti 
almeno 
altrettanto 
efficienti, 
in 
quanto 
tali 
studi 
sarebbero 
del 
tutto 
irrilevanti 
in 
presenza 
di 



RASSEGnA 
AVVOCATURA 
DELLO 
STATO -n. 1/2023 


clausole 
di 
esclusiva, 
dato 
che 
l’impiego 
di 
tali 
clausole 
da 
parte 
di 
un’impresa 
detentrice 
di 
una 
posizione 
dominante 
sarebbe 
sufficiente 
a 
configurare 
un 
abuso 
di 
tale 
posizione. 


6 Con decisione 
del 
31 ottobre 
2017, l’AGCM 
ha 
ritenuto che 
la 
Unilever avesse 
abusato 
della 
sua 
posizione 
dominante 
sul 
mercato della 
commercializzazione 
dei 
gelati 
in confezioni 
individuali 
destinate 
ad essere 
consumate 
all’esterno, in violazione 
dell’articolo 
102 TFUE. 


7 Da 
tale 
decisione 
risulta 
che 
la 
Unilever ha 
condotto, sul 
mercato di 
cui 
trattasi, una 
strategia 
di 
esclusione 
idonea 
ad ostacolare 
la 
crescita 
dei 
suoi 
concorrenti. Detta 
strategia 
si 
sarebbe 
basata 
principalmente 
sull’imposizione, da 
parte 
dei 
distributori 
della 
Unilever, 
di 
clausole 
di 
esclusiva 
ai 
gestori 
dei 
punti 
vendita, obbligandoli 
a 
rifornirsi 
esclusivamente 
presso 
la 
Unilever 
per 
l’intero 
fabbisogno 
di 
gelati 
in 
confezioni 
individuali. 
Quale 
corrispettivo, tali 
operatori 
beneficiavano di 
un’ampia 
gamma 
di 
sconti 
e 
commissioni, 
la 
cui 
attribuzione 
era 
subordinata 
a 
condizioni 
di 
fatturato 
o 
commercializzazione 
di 
una 
determinata 
gamma 
di 
prodotti 
della 
Unilever. Tali 
sconti 
e 
tali 
commissioni, che 
si 
applicavano, 
secondo combinazioni 
e 
modalità 
variabili, alla 
quasi 
totalità 
dei 
clienti 
della 
Unilever, 
avrebbero 
mirato 
a 
indurre 
questi 
ultimi 
a 
continuare 
a 
rifornirsi 
esclusivamente 
presso tale 
società, dissuadendoli 
dal 
risolvere 
il 
loro contratto per rifornirsi 
presso concorrenti 
della Unilever. 


8 In particolare, due 
aspetti 
della 
decisione 
dell’AGCM 
del 
31 ottobre 
2017 sono rilevanti 
ai fini del presente rinvio pregiudiziale. 


9 
Da 
un 
lato, 
sebbene 
i 
comportamenti 
abusivi 
non 
siano 
stati 
materialmente 
posti 
in 
essere 
dalla 
Unilever, bensì 
dai 
suoi 
distributori, l’AGCM 
ha 
ritenuto che 
tali 
comportamenti 
dovessero essere 
imputati 
unicamente 
alla 
Unilever in quanto quest’ultima 
e 
i 
suoi 
distributori 
avrebbero costituito un’unica 
entità 
economica. Infatti, la 
Unilever interferirebbe 
in 
una 
certa 
misura 
nella 
politica 
commerciale 
dei 
distributori, 
cosicché 
questi 
ultimi 
non 
avrebbero agito in modo indipendente 
quando hanno imposto clausole 
di 
esclusiva 
ai 
gestori 
dei punti vendita. 


10 Dall’altro lato, l’AGCM 
ha 
ritenuto che, tenuto conto delle 
caratteristiche 
specifiche 
del 
mercato in questione, e 
in particolare 
dello scarso spazio disponibile 
nei 
punti 
vendita, 
nonché 
del 
ruolo determinante, nelle 
scelte 
dei 
consumatori, della 
portata 
dell’offerta 
in 
tali 
punti 
vendita, la 
Unilever, con il 
suo comportamento, avesse 
escluso, o quantomeno 
limitato, la 
possibilità 
per gli 
operatori 
concorrenti 
di 
esercitare 
una 
concorrenza 
fondata 
sui meriti dei loro prodotti. 


11 Di 
conseguenza, con la 
sua 
decisione 
del 
31 ottobre 
2017, l’AGCM 
ha 
inflitto alla 
Unilever 
un’ammenda 
pari 
a 
EUR 
60 
668 
580 
per 
aver 
abusato 
della 
sua 
posizione 
dominante, 
in violazione dell’articolo 102 TFUE. 


12 La 
Unilever ha 
proposto ricorso avverso tale 
decisione 
dinanzi 
al 
Tribunale 
Amministrativo 
Regionale per il Lazio (Italia), che ha respinto integralmente tale ricorso. 


13 La Unilever ha impugnato tale sentenza dinanzi al Consiglio di Stato (Italia). 


14 
A 
sostegno 
di 
tale 
appello, 
la 
Unilever 
sostiene 
che 
il 
Tribunale 
Amministrativo 
Regionale 
per 
il 
Lazio 
avrebbe 
dovuto 
constatare 
l’esistenza 
di 
vizi 
asseritamente 
inficianti 
la 
decisione 
dell’AGCM 
del 
31 
ottobre 
2017 
per 
quanto 
riguarda, 
da 
un 
lato, 
l’imputabilità 
alla 
stessa 
dei 
comportamenti 
tenuti 
dai 
suoi 
distributori 
e, 
dall’altro, 
gli 
effetti 
dei 
comportamenti 
di 
cui 
trattasi 
che, 
a 
suo 
avviso, 
non 
sarebbero 
stati 
idonei 
a 
falsare 
la 
concorrenza. 


15 Il 
giudice 
del 
rinvio afferma 
di 
nutrire 
dubbi 
quanto all’interpretazione 
da 
dare 
al 
diritto 
dell’Unione 
per rispondere 
alle 
due 
censure 
summenzionate. In particolare, per quanto 



COnTEnzIOSO 
COMUnITARIO 
ED 
InTERnAzIOnALE 
27 


riguarda 
la 
prima 
censura, esso menziona 
il 
fatto che 
gli 
è 
necessario sapere 
se 
e 
a 
quali 
condizioni 
un coordinamento tra 
operatori 
economici 
formalmente 
autonomi 
e 
indipendenti 
sia 
tale 
da 
equivalere 
all’esistenza 
di 
un unico centro decisionale, con il 
corollario 
che i comportamenti dell’uno possano essere imputati anche all’altro. 


16 
Alla 
luce 
di 
tali 
circostanze, 
il 
Consiglio 
di 
Stato 
ha 
deciso 
di 
sospendere 
il 
procedimento 
e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali: 
«1) Al 
di 
fuori 
dei 
casi 
di 
controllo societario, quali 
sono i 
criteri 
rilevanti 
al 
fine 
di 
stabilire 
se 
il 
coordinamento contrattuale 
tra 
operatori 
economici 
formalmente 
autonomi 
e 
indipendenti 
dia 
luogo 
ad 
un’unica 
entità 
economica 
ai 
sensi 
degli 
articoli 
101 
e 
102 
TFUE; 
se, in particolare, l’esistenza 
di 
un certo livello di 
ingerenza 
sulle 
scelte 
commerciali 
di 
un’altra 
impresa, tipica 
dei 
rapporti 
di 
collaborazione 
commerciale 
tra 
produttore 
e 
intermediari 
della 
distribuzione, può essere 
ritenut[a] sufficiente 
a 
qualificare 
tali 
soggetti 
come 
parte 
della 
medesima 
unità 
economica; 
oppure 
se 
sia 
necessario un collegamento 
‟gerarchico” 
tra 
le 
due 
imprese, 
ravvisabile 
in 
presenza 
di 
un 
contratto 
in 
forza 
del 
quale 
più 
società 
autonome 
si 
‟assoggettano” 
all’attività 
di 
direzione 
e 
coordinamento 
di 
una 
di 
esse, richiedendosi 
quindi 
da 
parte 
dell’Autorità 
[di 
concorrenza 
competente] 
la 
prova 
di 
una 
pluralità 
sistematica 
e 
costante 
di 
atti 
di 
indirizzo idonei 
ad incidere 
sulle 
decisioni 
gestorie 
dell’impresa, cioè 
sulle 
scelte 
strategiche 
ed operative 
di 
carattere 
finanziario, 
industriale e commerciale. 


2) Al 
fine 
di 
valutare 
la 
sussistenza 
di 
un abuso di 
posizione 
dominante 
attuato mediante 
clausole 
di 
esclusiva, se 
l’articolo 102 TFUE 
vada 
interpretato nel 
senso di 
ritenere 
sussistente 
in 
capo 
all’autorità 
di 
concorrenza 
[competente] 
l’obbligo 
di 
verificare 
se 
l’effetto 
di 
tali 
clausole 
è 
quello 
di 
escludere 
dal 
mercato 
concorrenti 
altrettanto 
efficienti, 
e 
di 
esaminare 
in maniera 
puntuale 
le 
analisi 
economiche 
prodotte 
dalla 
parte 
sulla 
concreta 
capacità 
delle 
condotte 
contestate 
di 
escludere 
dal 
mercato 
concorrenti 
altrettanto 
efficienti; 
oppure 
se, in caso di 
clausole 
di 
esclusiva 
escludenti 
[i 
concorrenti] o di 
condotte 
connotate 
da 
una 
molteplicità 
di 
pratiche 
abusive 
(sconti 
fidelizzanti 
e 
clausole 
di 
esclusiva), 
non ci 
sia 
alcun obbligo giuridico per l’[AGCM] di 
fondare 
la 
contestazione 
del-
l’illecito antitrust sul criterio del concorrente altrettanto efficiente». 
sulle questioni pregiudiziali 


Sulla prima questione 


Sulla ricevibilità 


17 
L’AGCM 
e 
il 
governo 
italiano 
sostengono 
che 
la 
prima 
questione 
sarebbe 
irricevibile, 
poiché 
la 
domanda 
di 
pronuncia 
pregiudiziale 
difetterebbe 
delle 
necessarie 
precisazioni. 
Inoltre, detta 
questione 
farebbe 
riferimento all’articolo 101 TFUE, mentre 
tale 
disposizione 
non sarebbe stata applicata dall’AGCM. 


18 A 
tal 
proposito occorre 
rammentare 
che, secondo una 
giurisprudenza 
consolidata, che 
è 
stata 
ormai 
recepita 
nell’articolo 94 del 
regolamento di 
procedura 
della 
Corte, l’esigenza 
di 
giungere 
a 
un’interpretazione 
del 
diritto dell’Unione 
che 
sia 
utile 
al 
giudice 
nazionale 
impone 
che 
quest’ultimo definisca 
il 
contesto di 
fatto e 
di 
diritto in cui 
si 
inseriscono le 
questioni 
sollevate, o almeno che 
esso spieghi 
le 
ipotesi 
di 
fatto su cui 
tali 
questioni 
sono 
fondate. Tali 
obblighi 
valgono specialmente 
nel 
settore 
della 
concorrenza, che 
è 
caratterizzato 
da 
situazioni 
di 
fatto 
e 
di 
diritto 
complesse 
(sentenza 
del 
5 
marzo 
2019, 
Eesti 
Pagar, C‑349/17, EU:C:2019:172, punto 49). 


19 Inoltre, la 
Corte 
non può statuire 
su una 
questione 
pregiudiziale 
proposta 
da 
un giudice 
nazionale 
quando appaia 
in modo manifesto che 
l’interpretazione 
del 
diritto dell’Unione 



RASSEGnA 
AVVOCATURA 
DELLO 
STATO -n. 1/2023 


richiesta 
non 
ha 
alcun 
legame 
con 
la 
realtà 
effettiva 
o 
con 
l’oggetto 
del 
procedimento 
principale, o qualora 
il 
problema 
sia 
di 
natura 
ipotetica 
(v., in tal 
senso, sentenza 
del 
13 
ottobre 
2022, 
Baltijas 
Starptautiskā 
Akadēmija 
e 
Stockholm 
School 
of 
Economics 
in 
Riga, 
C‑164/21 e C‑318/21, EU:C:2022:785, punto 33). 


20 nel 
caso di 
specie, come 
rilevato dall’avvocato generale 
al 
paragrafo 19 delle 
sue 
conclusioni, 
da 
un 
lato, 
le 
informazioni 
contenute 
nell’ordinanza 
di 
rinvio, 
sebbene 
sintetiche, 
sono sufficienti 
per chiarire 
l’ipotesi 
di 
fatto sulla 
quale 
si 
fonda 
la 
prima 
questione. Dal-
l’altro lato, la 
circostanza 
che 
il 
giudice 
del 
rinvio menzioni, nella 
prima 
questione, non 
solo l’articolo 102 TFUE, ma 
anche 
l’articolo 101 TFUE 
non è 
tale 
da 
rimettere 
in discussione 
la ricevibilità della prima questione nel suo insieme. 


21 Per contro, poiché 
dalla 
motivazione 
dell’ordinanza 
di 
rinvio risulta 
che 
l’articolo 101 
TFUE 
non è 
stato applicato dall’AGCM 
nel 
caso in discussione 
nel 
procedimento principale, 
e 
anche 
se 
la 
nozione 
di 
«impresa» 
è 
comune 
agli 
articoli 
101 
e 
102 
TFUE, 
la 
prima 
questione, 
nella 
parte 
in 
cui 
verte 
sull’interpretazione 
dell’articolo 
101 
TFUE, 
deve 
essere considerata ipotetica e quindi irricevibile. 


22 Di 
conseguenza, la 
prima 
questione 
è 
ricevibile 
unicamente 
nella 
parte 
in cui 
verte 
sull’interpretazione 
dell’articolo 102 TFUE. 
Nel merito 


23 
Dalla 
domanda 
di 
pronuncia 
pregiudiziale 
risulta 
che, 
per 
quanto 
riguarda 
i 
comportamenti 
abusivi 
dei 
distributori, 
l’AGCM 
ha 
sanzionato 
unicamente 
la 
Unilever, 
addebitandole 
un abuso di 
posizione 
dominante. In tale 
contesto, con la 
sua 
prima 
questione, il 
giudice 
del 
rinvio 
chiede 
a 
quali 
condizioni 
i 
comportamenti 
di 
operatori 
economici 
formalmente 
autonomi 
e 
indipendenti, 
vale 
a 
dire 
i 
distributori, 
possano 
essere 
imputati 
ad 
un 
altro 
operatore 
economico autonomo e 
indipendente, vale 
a 
dire 
il 
fabbricante 
dei 
prodotti 
che 
essi distribuiscono. 


24 In tali 
circostanze, occorre 
considerare 
che, con la 
sua 
prima 
questione, il 
giudice 
del 
rinvio 
chiede, in sostanza, se 
l’articolo 102 TFUE 
debba 
essere 
interpretato nel 
senso che 
i 
comportamenti 
adottati 
da 
distributori 
che 
fanno 
parte 
della 
rete 
di 
distribuzione 
di 
un 
produttore 
in 
posizione 
dominante 
possano 
essere 
imputati 
a 
quest’ultimo 
e, 
eventualmente, 
a quali condizioni. 


25 In particolare, detto giudice 
si 
chiede 
se 
l’esistenza 
di 
un coordinamento contrattuale 
tra 
un produttore, intorno al 
quale 
tale 
coordinamento contrattuale 
è 
organizzato, e 
diversi 
distributori 
giuridicamente 
autonomi 
sia 
sufficiente 
per 
consentire 
una 
siffatta 
imputazione 
o 
se 
occorra, 
inoltre, 
constatare 
che 
detto 
produttore 
ha 
la 
capacità 
di 
esercitare 
un’influenza 
determinante 
sulle 
decisioni 
commerciali, finanziarie 
e 
industriali 
che 
i 
distributori 
possono adottare 
riguardo all’attività 
interessata, che 
ecceda 
quella 
che 
caratterizza 
abitualmente 
i 
rapporti 
di 
collaborazione 
tra 
i 
produttori 
e 
gli 
intermediari 
di 
distribuzione. 


26 A 
tal 
riguardo è 
certamente 
vero che, nei 
limiti 
in cui 
la 
loro attuazione 
implica 
la 
loro 
accettazione, almeno tacita, da 
parte 
di 
tutti 
i 
contraenti, le 
decisioni 
adottate 
nell’ambito 
di 
un 
coordinamento 
contrattuale, 
come 
un 
accordo 
di 
distribuzione, 
non 
rientrano, 
in 
linea 
di 
principio, in un comportamento unilaterale, ma 
si 
inseriscono nelle 
relazioni 
che 
le 
parti 
di 
tale 
coordinamento intrattengono tra 
loro (v., in tal 
senso, sentenza 
del 
17 settembre 
1985, 
Ford-Werke 
e 
Ford 
of 
Europe/Commissione, 
25/84 
e 
26/84, 
EU:C:1985:340, punti 
20 e 
21). Siffatte 
decisioni 
rientrano quindi, in linea 
di 
principio, 
nel diritto delle intese di cui all’articolo 101 TFUE. 



COnTEnzIOSO 
COMUnITARIO 
ED 
InTERnAzIOnALE 
29 


27 Tale 
conclusione 
non esclude 
tuttavia 
che 
ad un’impresa 
in posizione 
dominante 
possa 
essere 
imputato 
il 
comportamento 
adottato 
dai 
distributori 
dei 
suoi 
prodotti 
o 
servizi, 
con 
i 
quali 
essa 
intrattiene 
solo rapporti 
contrattuali, e 
che, di 
conseguenza, venga 
constatato 
che 
detta 
impresa 
ha 
commesso un abuso di 
posizione 
dominante 
ai 
sensi 
dell’articolo 
102 TFUE. 


28 Infatti, all’impresa 
che 
detiene 
una 
posizione 
dominante 
incombe 
la 
particolare 
responsabilità 
di 
non pregiudicare, con il 
suo comportamento, una 
concorrenza 
effettiva 
e 
leale 
nel 
mercato 
interno 
(sentenza 
del 
6 
settembre 
2017, 
Intel/Commissione, 
C‑413/14 
P, 
EU:C:2017:632, punto 135 e giurisprudenza ivi citata). 


29 Orbene, 
come 
osservato 
dall’avvocato 
generale 
al 
paragrafo 
48 
delle 
sue 
conclusioni, 
un 
siffatto 
obbligo 
mira 
a 
prevenire 
non 
solo 
i 
pregiudizi 
alla 
concorrenza 
causati 
direttamente 
dal 
comportamento 
dell’impresa 
in 
posizione 
dominante, 
ma 
anche 
quelli 
generati 
da 
comportamenti 
la 
cui 
attuazione 
sia 
stata 
delegata 
da 
tale 
impresa 
a 
soggetti 
giuridici 
indipendenti, 
tenuti 
ad 
eseguire 
le 
sue 
istruzioni. 
Pertanto, 
qualora 
il 
comportamento 
contestato 
all’impresa 
in 
posizione 
dominante 
sia 
materialmente 
attuato 
tramite 
un 
intermediario 
che 
fa 
parte 
di 
una 
rete 
di 
distribuzione, 
tale 
comportamento 
può 
essere 
imputato 
a 
detta 
impresa 
qualora 
risulti 
che 
esso 
è 
stato 
adottato 
conformemente 
alle 
istruzioni 
specifiche 
impartite 
da 
quest’ultima, 
e 
quindi 
a 
titolo 
di 
esecuzione 
di 
una 
politica 
decisa 
unilateralmente 
dall’impresa 
suddetta, 
cui 
i 
distributori 
interessati 
erano 
tenuti 
a 
conformarsi. 


30 In una 
ipotesi 
siffatta, dato che 
il 
comportamento contestato all’impresa 
in posizione 
dominante 
è 
stato deciso unilateralmente, quest’ultima 
può esserne 
considerata 
come 
l’autrice 
e 
quindi 
come 
la 
sola 
eventuale 
responsabile 
ai 
fini 
dell’applicazione 
dell’articolo 
102 TFUE. Infatti, in un caso del 
genere, i 
distributori 
e, di 
conseguenza, la 
rete 
di 
distribuzione 
che 
questi 
ultimi 
formano con tale 
impresa 
devono essere 
considerati 
semplicemente 
uno 
strumento 
di 
ramificazione 
territoriale 
della 
politica 
commerciale 
di 
detta 
impresa 
e, a 
tale 
titolo, come 
lo strumento tramite 
il 
quale 
è 
stata 
eventualmente 
attuata 
la prassi di esclusione di cui trattasi. 


31 Ciò vale, in particolare, quando un siffatto comportamento assume 
la 
forma 
di 
contratti 
tipo, interamente 
redatti 
da 
un produttore 
in posizione 
dominante 
e 
contenenti 
clausole 
di 
esclusiva 
a 
vantaggio dei 
suoi 
prodotti, che 
i 
distributori 
di 
tale 
produttore 
sono tenuti 
a 
far firmare 
ai 
gestori 
di 
punti 
vendita 
senza 
potervi 
apportare 
modifiche, salvo espresso 
accordo di 
detto produttore. Infatti, in tali 
circostanze, il 
produttore 
non può ragionevolmente 
ignorare 
che, alla 
luce 
dei 
vincoli 
giuridici 
ed economici 
che 
lo uniscono a 
tali 
distributori, 
questi 
ultimi 
attuano 
le 
sue 
istruzioni 
e, 
in 
tal 
modo, 
la 
politica 
adottata 
da 
quest’ultimo. Tale 
produttore 
deve, pertanto, essere 
considerato disposto ad assumere 
i 
rischi di questo comportamento. 


32 In tale 
ipotesi, l’imputabilità 
all’impresa 
in posizione 
dominante 
del 
comportamento attuato 
dai 
distributori 
facenti 
parte 
della 
rete 
di 
distribuzione 
dei 
suoi 
prodotti 
o 
servizi 
non è 
subordinata 
né 
alla 
dimostrazione 
che 
i 
distributori 
interessati 
facciano parte 
anche 
di 
tale 
impresa, 
ai 
sensi 
dell’articolo 
102 
TFUE, 
né 
all’esistenza 
di 
un 
vincolo 
«gerarchico
» risultante 
da 
una 
pluralità 
sistematica 
e 
costante 
di 
atti 
di 
indirizzo destinati 
a 
tali 
distributori, 
idonei 
ad 
influire 
sulle 
decisioni 
di 
gestione 
che 
questi 
ultimi 
adottano 
riguardo 
alle loro rispettive attività. 


33 
Alla 
luce 
di 
quanto 
precede, 
occorre 
rispondere 
alla 
prima 
questione 
dichiarando 
che 
l’articolo 
102 TFUE 
deve 
essere 
interpretato nel 
senso che 
i 
comportamenti 
adottati 
da 
distributori 
facenti 
parte 
della 
rete 
di 
distribuzione 
dei 
prodotti 
o 
dei 
servizi 
di 
un 
produttore 



RASSEGnA 
AVVOCATURA 
DELLO 
STATO -n. 1/2023 


che 
gode 
di 
una 
posizione 
dominante 
possono essere 
imputati 
a 
quest’ultimo, qualora 
sia 
dimostrato che 
tali 
comportamenti 
non sono stati 
adottati 
in modo indipendente 
da 
detti 
distributori, ma 
fanno parte 
di 
una 
politica 
decisa 
unilateralmente 
da 
tale 
produttore 
e 
attuata 
tramite tali distributori. 


Sulla seconda questione 


34 Con la 
sua 
seconda 
questione, il 
giudice 
del 
rinvio chiede, in sostanza, se 
l’articolo 102 
TFUE 
debba 
essere 
interpretato nel 
senso che, in presenza 
di 
clausole 
di 
esclusiva 
contenute 
in contratti 
di 
distribuzione, l’autorità 
garante 
della 
concorrenza 
competente 
è 
tenuta, 
per accertare 
un abuso di 
posizione 
dominante, a 
dimostrare 
che 
tali 
clausole 
hanno 
l’effetto 
di 
escludere 
dal 
mercato 
concorrenti 
efficienti 
tanto 
quanto 
l’impresa 
in 
posizione 
dominante 
e 
se, 
in 
ogni 
caso, 
in 
presenza 
di 
una 
pluralità 
di 
prassi 
controverse, 
tale 
autorità 
sia 
tenuta 
ad 
esaminare 
in 
modo 
dettagliato 
le 
analisi 
economiche 
eventualmente 
prodotte 
dall’impresa 
interessata, segnatamente 
ove 
siano fondate 
sul 
criterio detto del 
«concorrente 
altrettanto efficiente». 


35 A 
tale 
riguardo occorre 
ricordare 
che 
l’articolo 102 TFUE 
dichiara 
incompatibile 
con il 
mercato interno e 
vietato, nella 
misura 
in cui 
possa 
essere 
pregiudizievole 
al 
commercio 
tra 
gli 
Stati 
membri, lo sfruttamento abusivo, da 
parte 
di 
una 
o più imprese, di 
una 
posizione 
dominante sul mercato interno o su una parte sostanziale di questo. 


36 Tale 
nozione 
mira 
quindi 
a 
sanzionare 
i 
comportamenti 
di 
un’impresa 
in posizione 
dominante 
che, in un mercato in cui 
il 
grado di 
concorrenza 
sia 
già 
indebolito a 
seguito della 
presenza 
di 
tale 
impresa, hanno l’effetto di 
compromettere 
la 
conservazione 
di 
una 
struttura 
di 
concorrenza 
effettiva 
(sentenza 
del 
12 maggio 2022, Servizio Elettrico nazionale 
e a., C‑377/20, EU:C:2022:379, punto 68 e giurisprudenza ivi citata). 


37 Ciò 
premesso, 
l’articolo 
102 
TFUE 
non 
ha 
lo 
scopo 
di 
impedire 
ad 
un’impresa 
di 
conquistare, 
grazie 
ai 
suoi 
meriti, 
e 
in 
particolare 
grazie 
alle 
sue 
competenze 
e 
capacità, 
una 
posizione 
dominante 
su 
un 
mercato, 
né 
di 
garantire 
che 
concorrenti 
meno 
efficienti 
di 
un’impresa 
che 
detiene 
una 
posizione 
siffatta 
restino 
sul 
mercato. 
Invero, 
non 
tutti 
gli 
effetti 
preclusivi 
pregiudicano 
necessariamente 
la 
concorrenza 
poiché, 
per 
definizione, 
la 
concorrenza 
basata 
sui 
meriti 
può 
portare 
alla 
scomparsa 
dal 
mercato 
o 
all’emarginazione 
dei 
concorrenti 
meno 
efficienti 
e 
quindi 
meno 
interessanti 
per 
i 
consumatori, 
segnatamente 
dal 
punto 
di 
vista 
dei 
prezzi, 
della 
scelta, 
della 
qualità 
o 
dell’innovazione 
(sentenza 
del 
12 
maggio 
2022, 
Servizio 
Elettrico 
nazionale 
e 
a., 
C‑377/20, 
EU:C:2022:379, 
punto 
73 
e 
giurisprudenza 
ivi 
citata). 


38 
Viceversa, 
le 
imprese 
in 
posizione 
dominante 
sono 
tenute, 
indipendentemente 
dalle 
cause 
di 
una 
simile 
posizione, a 
non pregiudicare, con il 
loro comportamento, una 
concorrenza 
effettiva 
e 
leale 
nel 
mercato 
interno 
(v., 
in 
particolare, 
sentenze 
del 
9 
novembre 
1983, 
nederlandsche 
Banden-Industrie-Michelin/Commissione, 
322/81, 
EU:C:1983:313, 
punto 
57, 
e 
del 
6 
settembre 
2017, 
Intel/Commissione, 
C‑413/14 
P, 
EU:C:2017:632, 
punto 
135). 


39 Pertanto, un abuso di 
posizione 
dominante 
potrà 
essere 
accertato, segnatamente, quando 
il 
comportamento contestato abbia 
prodotto effetti 
preclusivi 
nei 
confronti 
di 
concorrenti 
di 
efficienza 
quantomeno pari 
all’autore 
di 
tale 
comportamento in termini 
di 
struttura 
dei 
costi, di 
capacità 
di 
innovazione 
o di 
qualità 
o, ancora, qualora 
detto comportamento si 
sia 
basato sull’utilizzo di 
mezzi 
diversi 
da 
quelli 
riconducibili 
ad una 
concorrenza 
«normale
», vale 
a 
dire 
fondata 
sui 
meriti 
(v., in tal 
senso, sentenza 
del 
12 maggio 2022, Servizio 
Elettrico 
nazionale 
e 
a., 
C‑377/20, 
EU:C:2022:379, 
punti 
69, 
71, 
75 
e 
76 
e 
giurisprudenza ivi citata). 



COnTEnzIOSO 
COMUnITARIO 
ED 
InTERnAzIOnALE 
31 


40 
A 
tal 
riguardo, 
spetta 
alle 
autorità 
garanti 
della 
concorrenza 
dimostrare 
il 
carattere 
abusivo 
di 
un comportamento alla 
luce 
di 
tutte 
le 
rilevanti 
circostanze 
fattuali 
riguardanti 
il 
comportamento 
di 
cui 
trattasi 
(sentenze 
del 
19 
aprile 
2012, 
Tomra 
Systems 
e 
a./Commissione, 
C‑549/10 
P, 
EU:C:2012:221, 
punto 
18, 
e 
del 
12 
maggio 
2022, 
Servizio 
Elettrico 
nazionale 
e 
a., C‑377/20, EU:C:2022:379, punto 72), il 
che 
include 
quelle 
messe 
in evidenza 
dagli 
elementi di prova dedotti a sua difesa dall’impresa in posizione dominante. 


41 È 
vero che, per dimostrare 
il 
carattere 
abusivo di 
un comportamento, un’autorità 
garante 
della 
concorrenza 
non 
deve 
necessariamente 
dimostrare 
che 
tale 
comportamento 
abbia 
effettivamente 
prodotto 
effetti 
anticoncorrenziali. 
Infatti, 
l’articolo 
102 
TFUE 
mira 
a 
sanzionare 
il 
fatto, per una 
o più imprese, di 
sfruttare 
in modo abusivo una 
posizione 
dominante 
sul 
mercato 
interno 
o 
su 
una 
parte 
sostanziale 
di 
questo, 
indipendentemente 
dall’esito più o meno fruttuoso di 
tale 
sfruttamento (sentenza 
del 
12 maggio 2022, Servizio 
elettrico nazionale 
e 
a., C‑377/20, EU:C:2022:379, punto 53 e 
giurisprudenza 
ivi 
citata). 
Pertanto, 
un’autorità 
garante 
della 
concorrenza 
può 
constatare 
una 
violazione 
dell’articolo 102 TFUE 
dimostrando che, durante 
il 
periodo nel 
quale 
il 
comportamento 
in questione 
è 
stato attuato, esso aveva, nelle 
circostanze 
del 
caso di 
specie, la 
capacità 
di restringere la concorrenza basata sui meriti nonostante la sua mancanza di effetti. 


42 Tuttavia, tale 
dimostrazione 
deve 
fondarsi, in linea 
di 
principio, su elementi 
di 
prova 
tangibili, 
che 
dimostrino, aldilà 
della 
mera 
ipotesi, la 
capacità 
effettiva 
della 
prassi 
in questione 
di 
produrre 
tali 
effetti, 
dovendo 
l’esistenza 
di 
un 
dubbio 
al 
riguardo 
andare 
a 
vantaggio dell’impresa 
che 
ha 
fatto ricorso a 
detta 
prassi 
(v., in tal 
senso, sentenze 
del 
14 
febbraio 
1978, 
United 
Brands 
e 
United 
Brands 
Continentaal/Commissione, 
27/76, 
EU:C:1978:22, 
punto 
265, 
e 
del 
31 
marzo 
1993, 
Ahlström 
Osakeyhtiö 
e 
a./Commissione, 
C‑89/85, 
C‑104/85, 
C‑114/85, 
C‑116/85, 
C‑117/85 
e 
da 
C‑125/85 
a 
C‑129/85, 
EU:C:1993:120, punto 126). 


43 Di 
conseguenza, 
una 
prassi 
non 
può 
essere 
qualificata 
come 
abusiva 
se 
è 
rimasta 
allo 
stato 
di 
progetto. 
Inoltre, 
un’autorità 
garante 
della 
concorrenza 
non 
può 
basarsi 
sugli 
effetti 
che 
tale 
prassi 
potrebbe 
o 
avrebbe 
potuto 
produrre 
se 
talune 
circostanze 
particolari, 
che 
non 
erano 
quelle 
esistenti 
sul 
mercato 
al 
momento 
della 
sua 
attuazione 
e 
la 
cui 
realizzazione 
risultava 
allora 
improbabile, 
si 
fossero 
realizzate. 


44 Peraltro, se 
è 
vero che, al 
fine 
di 
valutare 
la 
capacità 
del 
comportamento di 
un’impresa 
di 
restringere 
la 
concorrenza 
effettiva 
su 
un 
mercato, 
un’autorità 
garante 
della 
concorrenza 
può basarsi 
sugli 
insegnamenti 
delle 
scienze 
economiche, confermati 
da 
studi 
empirici 
o 
comportamentali, 
la 
presa 
in 
considerazione 
di 
tali 
insegnamenti 
non 
può, 
tuttavia, 
essere 
sufficiente. Altri 
elementi 
propri 
delle 
circostanze 
del 
caso di 
specie, quali 
l’ampiezza 
di 
detto comportamento sul 
mercato, le 
limitazioni 
di 
capacità 
gravanti 
sui 
fornitori 
di 
materie 
prime 
o il 
fatto che 
l’impresa 
in posizione 
dominante 
sia, almeno per una 
parte 
della 
domanda, un partner inevitabile, devono essere 
presi 
in considerazione 
per stabilire 
se, 
alla 
luce 
di 
tali 
insegnamenti, si 
debba 
ritenere 
che 
il 
comportamento di 
cui 
trattasi 
abbia 
avuto, 
almeno 
per 
una 
parte 
del 
periodo 
in 
cui 
è 
stato 
attuato, 
la 
capacità 
di 
produrre 
effetti 
preclusivi sul mercato interessato. 


45 
Si 
deve 
seguire, 
del 
resto, 
un 
approccio 
analogo 
per 
quanto 
riguarda 
la 
prova 
di 
un 
intento 
anticoncorrenziale 
dell’impresa 
in 
posizione 
dominante. 
Infatti, 
tale 
intento 
costituisce 
un indizio della 
natura 
e 
degli 
obiettivi 
perseguiti 
dalla 
strategia 
attuata 
da 
detta 
impresa 
e 
può essere 
preso in considerazione 
a 
tale 
titolo. L’esistenza 
di 
un intento anticoncorrenziale 
può essere 
rilevante 
anche 
ai 
fini 
del 
calcolo dell’ammenda. Tuttavia, la 
dimo



RASSEGnA 
AVVOCATURA 
DELLO 
STATO -n. 1/2023 


strazione 
dell’esistenza 
di 
un siffatto intento non è 
né 
richiesta 
né 
sufficiente, di 
per sé, 
per stabilire 
l’esistenza 
di 
un abuso di 
posizione 
dominante, dal 
momento che 
la 
nozione 
di 
«sfruttamento abusivo», ai 
sensi 
dell’articolo 102 TFUE, si 
fonda 
su una 
valutazione 
oggettiva 
del 
comportamento 
in 
parola 
(v., 
in 
tal 
senso, 
sentenze 
del 
19 
aprile 
2012, 
Tomra 
Systems 
e 
a./Commissione, C‑549/10 P, EU:C:2012:221, punti 
19 e 
21, e 
del 
12 maggio 
2022, Servizio Elettrico nazionale e a., C‑377/20, EU:C:2022:379, punti 61 e 62). 


46 In tale 
contesto, per quanto riguarda 
più specificamente 
le 
clausole 
di 
esclusiva, la 
Corte 
ha 
certamente 
dichiarato che 
le 
clausole 
con cui 
le 
controparti 
si 
sono impegnate 
a 
rifornirsi 
per la 
totalità 
o per una 
parte 
considerevole 
del 
loro fabbisogno presso un’impresa 
in posizione 
dominante, anche 
se 
non accompagnate 
da 
sconti, costituivano, per loro natura, 
sfruttamento di 
posizione 
dominante 
e 
che 
lo stesso valeva 
per gli 
sconti 
di 
fedeltà 
concessi 
da 
una 
tale 
impresa 
(sentenza 
del 
13 febbraio 1979, Hoffmann-La 
Roche/Commissione, 
85/76, EU:C:1979:36, punto 89). 


47 
Tuttavia, 
nella 
sentenza 
del 
6 
settembre 
2017, 
Intel/Commissione 
(C‑413/14 
P, 
EU:C:2017:632, punto 138), la 
Corte 
ha, in primo luogo, precisato tale 
giurisprudenza 
rispetto all’ipotesi 
in cui 
un’impresa 
in posizione 
dominante 
sostenga, nel 
corso del 
procedimento 
amministrativo, producendo elementi 
di 
prova 
a 
sostegno delle 
sue 
affermazioni, 
che 
il 
suo comportamento non ha 
avuto la 
capacità 
di 
restringere 
la 
concorrenza 
e, 
in particolare, di produrre gli effetti preclusivi contestati. 


48 
A 
tal 
fine, 
la 
Corte 
ha 
indicato 
che, 
in 
tale 
situazione, 
l’autorità 
garante 
della 
concorrenza 
non solo è 
tenuta 
ad analizzare, da 
una 
parte, la 
portata 
della 
posizione 
dominante 
del-
l’impresa 
sul 
mercato rilevante 
e, dall’altra, la 
misura 
in cui 
la 
prassi 
contestata 
copre 
il 
mercato, nonché 
le 
condizioni 
e 
le 
modalità 
di 
concessione 
degli 
sconti 
in questione, la 
loro durata 
e 
il 
loro importo, ma 
è 
anche 
tenuta 
a 
valutare 
l’eventuale 
esistenza 
di 
una 
strategia 
volta 
a 
escludere 
i 
concorrenti 
che 
siano 
efficienti 
almeno 
tanto 
quanto 
l’impresa 
dominante 
(sentenza 
del 
6 
settembre 
2017, 
Intel/Commissione, 
C‑413/14 
P, 
EU:C:2017:632, punto 139). 


49 
La 
Corte 
ha 
aggiunto, 
in 
secondo 
luogo, 
che 
l’analisi 
della 
capacità 
preclusiva 
è 
parimenti 
rilevante 
per valutare 
se 
un sistema 
di 
sconti, rientrante 
in linea 
di 
principio nel 
divieto 
di 
cui 
all’articolo 102 TFUE, possa 
essere 
oggettivamente 
giustificato. Inoltre, l’effetto 
preclusivo derivante 
da 
un sistema 
di 
sconti, svantaggioso per la 
concorrenza, può essere 
controbilanciato, o anche 
superato, da 
vantaggi 
in termini 
di 
efficienza 
che 
vadano a 
beneficio 
anche 
del 
consumatore. 
Orbene, 
una 
siffatta 
ponderazione 
degli 
effetti, 
favorevoli 
e 
sfavorevoli 
per 
la 
concorrenza, 
della 
prassi 
contestata 
può 
essere 
effettuata 
solo 
a 
seguito 
di 
un’analisi 
della 
capacità 
di 
esclusione 
di 
concorrenti 
efficienti 
almeno 
tanto 
quanto 
l’impresa 
in posizione 
dominante, inerente 
alla 
prassi 
di 
cui 
trattasi 
(sentenza 
del 
6 settembre 
2017, Intel/Commissione, C‑413/14 P, EU:C:2017:632, punto 140). 


50 È 
vero che, fornendo questa 
seconda 
precisazione, la 
Corte 
ha 
menzionato unicamente 
i 
meccanismi 
di 
sconto. Tuttavia, dal 
momento che 
sia 
le 
prassi 
di 
sconti 
sia 
le 
clausole 
di 
esclusiva 
possono 
essere 
oggettivamente 
giustificate 
o 
che 
gli 
svantaggi 
che 
esse 
generano 
possono risultare 
controbilanciati, se 
non addirittura 
superati, da 
vantaggi 
in termini 
di 
efficienza 
che 
vanno a 
beneficio anche 
del 
consumatore, una 
siffatta 
precisazione 
deve 
essere considerata valida sia per l’una che per l’altra di tali prassi. 


51 Del 
resto, oltre 
al 
fatto che 
una 
tale 
interpretazione 
appare 
coerente 
con la 
prima 
precisazione 
formulata 
dalla 
Corte 
nella 
citata 
sentenza 
del 
6 
settembre 
2017, 
Intel/Commissione 
(C‑413/14 P, EU:C:2017:632, punto 139), va 
notato che, sebbene 
le 
clausole 
di 
esclusiva 



COnTEnzIOSO 
COMUnITARIO 
ED 
InTERnAzIOnALE 
33 


suscitino, per loro natura, preoccupazioni 
legittime 
in relazione 
alla 
concorrenza, la 
loro 
capacità 
di 
escludere 
i 
concorrenti 
non è 
automatica, come 
d’altronde 
illustrato dalla 
comunicazione 
della 
Commissione 
intitolata 
«Orientamenti 
sulle 
priorità 
della 
Commissione 
nell’applicazione 
dell’articolo [102 TFUE] al 
comportamento abusivo delle 
imprese 
dominanti 
volto all’esclusione dei concorrenti» (GU 2009, C 45, pag. 7, paragrafo 36). 


52 ne 
consegue 
che, da 
un lato, quando un’autorità 
garante 
della 
concorrenza 
sospetti 
che 
un’impresa 
abbia 
violato l’articolo 102 TFUE 
facendo ricorso a 
clausole 
di 
esclusiva 
e 
quest’ultima 
contesti, nel 
corso del 
procedimento, la 
capacità 
concreta 
di 
dette 
clausole 
di 
escludere 
dal 
mercato concorrenti 
altrettanto efficienti, producendo elementi 
di 
prova 
a 
sostegno, tale 
autorità 
deve 
assicurarsi, nella 
fase 
della 
qualificazione 
dell’infrazione, 
che 
tali 
clausole 
avessero, 
nelle 
circostanze 
del 
caso 
di 
specie, 
l’effettiva 
capacità 
di 
escludere 
dal mercato concorrenti efficienti tanto quanto tale impresa. 


53 Dall’altro lato, l’autorità 
garante 
della 
concorrenza 
che 
ha 
avviato tale 
procedimento è 
altresì 
tenuta 
a 
valutare, in concreto, la 
capacità 
di 
tali 
clausole 
di 
restringere 
la 
concorrenza, 
qualora, 
nel 
corso 
del 
procedimento 
amministrativo, 
l’impresa 
sospettata, 
senza 
negare 
formalmente 
che 
il 
suo comportamento avesse 
la 
capacità 
di 
restringere 
la 
concorrenza, 
sostenga che esistono giustificazioni per la sua condotta. 


54 
In 
ogni 
caso 
la 
produzione, 
nel 
corso 
del 
procedimento, 
di 
prove 
idonee 
a 
dimostrare 
l’inidoneità 
a 
produrre 
effetti 
restrittivi 
fa 
sorgere 
l’obbligo, 
per 
detta 
autorità 
garante 
della 
concorrenza, di 
esaminarle. Infatti, il 
rispetto del 
diritto di 
essere 
ascoltato, il 
quale, 
secondo 
giurisprudenza 
costante, 
costituisce 
un 
principio 
generale 
del 
diritto 
dell’Unione, 
esige 
che 
le 
autorità 
garanti 
della 
concorrenza 
ascoltino 
l’impresa 
in 
posizione 
dominante, 
il 
che 
implica 
che 
esse 
prestino tutta 
l’attenzione 
richiesta 
alle 
osservazioni 
prodotte 
da 
quest’ultima 
ed esaminino, con cura 
e 
imparzialità, tutti 
gli 
elementi 
rilevanti 
della 
fattispecie 
e, in particolare, le 
prove 
prodotte 
da 
detta 
impresa 
(v., in tal 
senso, sentenza 
del 
12 
maggio 
2022, 
Servizio 
Elettrico 
nazionale 
e 
a., 
C‑377/20, 
EU:C:2022:379, 
punto 
52). 


55 ne 
consegue 
che, qualora 
l’impresa 
in posizione 
dominante 
abbia 
prodotto uno studio 
economico al 
fine 
di 
dimostrare 
che 
la 
prassi 
che 
le 
viene 
contestata 
non era 
idonea 
ad 
estromettere 
i 
concorrenti, 
l’autorità 
garante 
della 
concorrenza 
competente 
non 
può 
escludere 
la 
rilevanza 
di 
tale 
studio senza 
esporre 
le 
ragioni 
per le 
quali 
ritiene 
che 
esso non 
consenta 
di 
contribuire 
alla 
dimostrazione 
dell’incapacità 
delle 
prassi 
contestate 
di 
compromettere 
la 
concorrenza 
effettiva 
sul 
mercato interessato e, di 
conseguenza, senza 
mettere 
detta 
impresa 
in 
grado 
di 
determinare 
l’offerta 
di 
prove 
che 
potrebbe 
essere 
sostituita 
a detto studio. 


56 Per quanto riguarda 
il 
criterio del 
concorrente 
altrettanto efficiente, al 
quale 
il 
giudice 
del 
rinvio 
ha 
fatto 
espressamente 
menzione 
nella 
sua 
domanda, 
occorre 
ricordare 
che 
tale 
nozione 
fa 
riferimento a 
diversi 
criteri 
che 
hanno in comune 
il 
fine 
di 
valutare 
la 
capacità 
di 
una 
prassi 
di 
produrre 
effetti 
preclusivi 
anticoncorrenziali, 
facendo 
riferimento 
all’idoneità 
di 
un ipotetico concorrente 
dell’impresa 
in posizione 
dominante, altrettanto efficiente 
in 
termini 
di 
struttura 
dei 
costi, a 
proporre 
ai 
clienti 
una 
tariffa 
tanto vantaggiosa 
da 
indurli 
a 
cambiare 
fornitore, nonostante 
gli 
svantaggi 
generati, senza 
che 
ciò porti 
detto concorrente 
a 
subire 
perdite. Tale 
idoneità 
è 
generalmente 
determinata 
alla 
luce 
della 
struttura 
dei costi della stessa impresa in posizione dominante. 


57 Orbene, un criterio di 
tale 
natura 
può essere 
inadeguato in presenza, in particolare, di 
talune 
prassi 
non tariffarie, come 
un rifiuto di 
consegna, o quando il 
mercato di 
cui 
trattasi 
è 
tutelato 
da 
barriere 
elevate. 
Del 
resto, 
tale 
criterio 
è 
solo 
uno 
dei 
diversi 
metodi 
che 



RASSEGnA 
AVVOCATURA 
DELLO 
STATO -n. 1/2023 


consentono di 
valutare 
se 
una 
prassi 
abbia 
la 
capacità 
di 
produrre 
effetti 
preclusivi; 
e 
tale 
metodo, 
del 
resto, 
prende 
in 
considerazione 
solo 
la 
concorrenza 
sui 
prezzi. 
In 
particolare, 
l’uso, da 
parte 
di 
un’impresa 
in posizione 
dominante, di 
mezzi 
diversi 
da 
quelli 
propri 
di 
una 
concorrenza 
basata 
sui 
meriti 
può 
essere 
sufficiente, 
in 
determinate 
circostanze, 
a 
denotare 
l’esistenza 
di 
un siffatto abuso (v. parimenti, in tal 
senso, sentenza 
del 
12 maggio 
2022, Servizio Elettrico nazionale e a., C‑377/20, EU:C:2022:379, punto 78). 


58 Di 
conseguenza, le 
autorità 
garanti 
della 
concorrenza 
non possono avere 
l’obbligo giuridico 
di 
fondarsi 
sul 
criterio 
del 
concorrente 
altrettanto 
efficiente 
per 
dichiarare 
il 
carattere 
abusivo 
di 
una 
prassi 
(v., 
in 
tal 
senso, 
sentenza 
del 
6 
ottobre 
2015, 
Post 
Danmark, 
C‑23/14, 
EU:C:2015:651, punto 57). 


59 Tuttavia, anche 
in presenza 
di 
prassi 
non tariffarie, la 
rilevanza 
di 
un siffatto criterio non 
può essere 
esclusa. Infatti, un criterio di 
questo tipo può rivelarsi 
utile 
qualora 
le 
conseguenze 
della 
prassi 
di 
cui 
trattasi 
possano essere 
stimate. In particolare, nel 
caso di 
clausole 
di 
esclusiva, un siffatto criterio può teoricamente 
servire 
a 
stabilire 
se 
un ipotetico 
concorrente, che 
abbia 
una 
struttura 
dei 
costi 
analoga 
a 
quella 
dell’impresa 
in posizione 
dominante, sia 
in grado di 
proporre 
i 
propri 
prodotti 
o le 
proprie 
prestazioni 
senza 
andare 
incontro a 
perdite 
o a 
ricavi 
insufficienti 
se 
dovesse 
farsi 
carico delle 
indennità 
che 
i 
distributori 
dovrebbero pagare 
per cambiare 
fornitore, o delle 
perdite 
che 
essi 
dovrebbero 
subire 
dopo 
un 
tale 
cambiamento 
a 
seguito 
della 
revoca 
degli 
sconti 
precedentemente 
concessi 
(v., per analogia, sentenza 
del 
25 marzo 2021, Slovak Telekom/Commissione, 
C‑165/19 P, EU:C:2021:239, punto 110). 


60 
Di 
conseguenza, 
qualora 
un’impresa 
in 
posizione 
dominante 
sospettata 
di 
una 
prassi 
abusiva 
fornisca 
a 
un’autorità 
garante 
della 
concorrenza 
un’analisi 
fondata 
sul 
criterio 
del 
concorrente 
altrettanto efficiente, detta 
autorità 
non può escludere 
tale 
prova 
senza 
neppure 
esaminarne il valore probatorio. 


61 
Tale 
circostanza 
non 
è 
rimessa 
in 
discussione 
dall’esistenza 
di 
una 
pluralità 
di 
prassi 
controverse. 
Infatti, 
anche 
ipotizzando 
che 
gli 
effetti 
cumulati 
di 
tali 
prassi 
non 
possano 
essere 
presi 
in 
considerazione 
mediante 
tale 
criterio, 
resta 
il 
fatto 
che 
il 
risultato 
di 
un 
test 
di 
tale 
natura 
può nondimeno costituire 
un indizio degli 
effetti 
di 
talune 
di 
dette 
prassi 
e, 
pertanto, essere 
rilevante 
al 
fine 
di 
determinare 
se 
talune 
qualifiche 
possano essere 
prese 
in considerazione riguardo alle prassi di cui trattasi. 


62 
Alla 
luce 
delle 
considerazioni 
che 
precedono, 
occorre 
rispondere 
alla 
seconda 
questione 
dichiarando 
che 
l’articolo 
102 
TFUE 
deve 
essere 
interpretato 
nel 
senso 
che, 
in 
presenza 
di 
clausole 
di 
esclusiva 
contenute 
in 
contratti 
di 
distribuzione, 
un’autorità 
garante 
della 
concorrenza 
è 
tenuta, 
per 
accertare 
un 
abuso 
di 
posizione 
dominante, 
a 
dimostrare, 
alla 
luce 
di 
tutte 
le 
circostanze 
rilevanti 
e 
tenuto 
conto, 
segnatamente, 
delle 
analisi 
economiche 
eventualmente 
prodotte 
dall’impresa 
in 
posizione 
dominante 
riguardo 
all’inidoneità 
dei 
comportamenti 
in 
questione 
ad 
escludere 
dal 
mercato 
i 
concorrenti 
efficienti 
tanto 
quanto 
essa 
stessa, 
che 
tali 
clausole 
siano 
capaci 
di 
limitare 
la 
concorrenza. 
Il 
ricorso 
al 
criterio 
del 
concorrente 
altrettanto 
efficiente 
ha 
carattere 
facoltativo. 
Tuttavia, 
se 
i 
risultati 
di 
un 
siffatto 
criterio 
sono 
prodotti 
dall’impresa 
interessata 
nel 
corso 
del 
procedimento 
amministrativo, 
l’autorità 
garante 
della 
concorrenza 
è 
tenuta 
a 
esaminarne 
il 
valore 
probatorio. 
sulle spese 


63 nei 
confronti 
delle 
parti 
nel 
procedimento principale 
la 
presente 
causa 
costituisce 
un incidente 
sollevato dinanzi 
al 
giudice 
nazionale, cui 
spetta 
quindi 
statuire 
sulle 
spese. Le 



COnTEnzIOSO 
COMUnITARIO 
ED 
InTERnAzIOnALE 


spese 
sostenute 
da 
altri 
soggetti 
per presentare 
osservazioni 
alla 
Corte 
non possono dar 
luogo a rifusione. 
Per questi motivi, la Corte (Quinta Sezione) dichiara: 


1) 
L’articolo 
102 
tFUe 
deve 
essere 
interpretato 
nel 
senso 
che 
i 
comportamenti 
adottati 
da distributori 
facenti 
parte 
della rete 
di 
distribuzione 
dei 
prodotti 
o dei 
servizi 
di 
un 
produttore 
che 
gode 
di 
una 
posizione 
dominante 
possono 
essere 
imputati 
a 
quest’ultimo, qualora sia dimostrato che 
tali 
comportamenti 
non 
sono stati 
adottati 
in 
modo 
indipendente 
da 
detti 
distributori, 
ma 
fanno 
parte 
di 
una 
politica 
decisa 
unilateralmente da tale produttore e attuata tramite tali distributori. 
2) L’articolo 102 tFUe deve 
essere 
interpretato nel 
senso che, in 
presenza di 
clausole 
di 
esclusiva contenute 
in 
contratti 
di 
distribuzione, un’autorità garante 
della concorrenza 
è 
tenuta, 
per 
accertare 
un 
abuso 
di 
posizione 
dominante, 
a 
dimostrare, 
alla 
luce 
di 
tutte 
le 
circostanze 
rilevanti 
e 
tenuto conto, segnatamente, delle 
analisi 
economiche 
eventualmente 
prodotte 
dall’impresa in 
posizione 
dominante 
riguardo al-
l’inidoneità dei 
comportamenti 
in 
questione 
ad 
escludere 
dal 
mercato i 
concorrenti 
efficienti 
tanto quanto essa stessa, che 
tali 
clausole 
siano capaci 
di 
limitare 
la concorrenza. 
il 
ricorso al 
criterio detto «del 
concorrente 
altrettanto efficiente» ha carattere 
facoltativo. 
tuttavia, 
se 
i 
risultati 
di 
un 
siffatto 
criterio 
sono 
prodotti 
dall’impresa interessata nel 
corso del 
procedimento amministrativo, l’autorità garante 
della concorrenza è tenuta a esaminarne il valore probatorio. 

ContenzioSonazionaLe
La fisionomia attuale della recidiva, nel prisma 
della recente giurisprudenza di legittimità. Disamina della 
sentenza delle Sezioni Unite del 25 luglio 2023 n. 32318 


Antonino Ripepi* 
Giovanni Grasso** 


Sommario: 
1. 
Premessa 
-2. 
Storia 
e 
disciplina 
dell’istituto 
-3. 
inquadramento 
sistematico 
della 
recidiva 
-4. 
La 
recidiva 
nel 
prisma 
della 
giurisprudenza 
più 
recente 
-5. 
Conclusioni. 


1. Premessa. 
Data 
l’irrinunciabilità 
di 
una 
prospettiva 
diacronica 
ed 
evolutiva 
alquanto 
complessa 
per 
lo 
svolgimento 
di 
un’analisi 
adeguata, 
discutere 
di 
recidiva 
oggi 
non 
appare 
affatto 
agevole. 
La 
transizione 
dall’impostazione 
originaria 
del 
codice 
del 
1930 
al 
modello 
imperniato 
sulla 
discrezionalità 
giudiziale 
del 
1974, 
poi 
sostituita 
dal 
“progetto 
securitario” 
della 
legge 
ex 
Cirielli 
fino 
al 
suo 
ridimensionamento 
con 
il 
“modello 
costituzionalmente 
orientato” 
per 
via 
delle 
pronunce 
della 
Corte 
costituzionale 
sono, 
al 
tempo 
stesso, 
storia 
e 
illustrazione 
della 
recidiva 
nel 
codice 
penale 
vigente 
(1). 
Nondimeno, 
pur 
avendo 
vissuto 
diverse 
oscillazioni 
connesse 
a 
interventi 
di 
riforma 
e 
incisive 
pronunce 
giurisprudenziali, 
è 
possibile 
definire 
i 
tratti 
generali 
con 
cui 
si 
presenta 
oggi 
tale 
istituto. 


(*) Procuratore 
dello Stato -Avvocatura 
Distrettuale 
di 
Reggio Calabria, Referente 
distrettuale 
per la 
“Rassegna dell’Avvocatura dello Stato”. 
(**) 
Dottore 
di 
ricerca 
in 
Diritto 
pubblico 
-indirizzo 
penalistico. 
Cultore 
della 
materia 
per 
l’area 
IUS/17 
presso l’Università “Mediterranea” di Reggio Calabria. 


Nonostante 
il 
presente 
lavoro sia 
il 
frutto della 
riflessione 
congiunta 
dei 
due 
Autori, i 
paragrafi 
1 e 
3 
sono da 
attribuirsi 
a 
Giovanni 
Grasso, mentre 
i 
paragrafi 
2, 4 e 
5 sono stati 
redatti 
da 
Antonino Ripepi. 


(1) La 
terminologia 
qui 
impiegata 
è 
mutuata 
dal 
G. FoRtI 
-S. SeMINARA 
-G. ZUCCALà, Commentario 
breve al Codice Penale, Cedam, VI ed., pp. 457 ss. 

RASSeGNA 
AVVoCAtURA 
DeLLo 
StAto -N. 1/2023 


Sebbene 
attenga 
alla 
pericolosità 
del 
reo 
(2), 
a 
differenza 
delle 
fattispecie 
contigue 
di 
“reità” 
essa 
viene 
qualificata 
come 
circostanza 
(3), 
da 
cui 
discende 
la 
rilevanza 
non ai 
fini 
dell’applicazione 
di 
misure 
di 
sicurezza, bensì 
per la 
produzione 
di 
incrementi 
sanzionatori 
significativi 
(4), oltre 
che 
a 
numerosi 
effetti indiretti a carattere penalizzante e preclusivo di effetti favorevoli (5). 


2. Storia e disciplina dell’istituto. 
L’espressione 
“recidiva”, collegata 
all’etimo latino recidere, cioè 
“ricadere”, 
designa 
le 
ipotesi 
in cui 
il 
reo torni 
a 
delinquere 
dopo essere 
stato condannato 
per un primo reato. Ampliando la 
prospettiva, la 
recidiva 
si 
colloca 
in un novero più ampio di 
figure, tra 
cui 
quella 
del 
delinquente 
o contravventore 
abituale 
o professionale, nonché 
del 
delinquente 
per tendenza, che 
contrassegnano 
la 
maggiore 
pericolosità 
sociale 
di 
determinate 
classi 
di 
soggetti 
i quali, pertanto, necessitano di forme di retribuzione penale rafforzata (6). 


Si 
tratta 
di 
un istituto controverso in dottrina. Già 
nel 
XIX 
secolo, autorevoli 
studiosi 
ritenevano che 
la 
recidiva 
in nessun caso potesse 
incidere 
sulla 
quantificazione 
della 
pena 
per 
il 
nuovo 
reato, 
posto 
che 
precedenti 
episodi 
criminosi 
non incrementano in alcun modo il 
disvalore 
di 
altri 
successivi 
(7); 
a 
tali 
argomentazioni 
si 
è 
opposto 
che 
l’aggravamento 
della 
pena 
sarebbe 
razionale, 
e 
servirebbe 
a 
controbilanciare 
la 
maggiore 
insensibilità 
del 
reo 
alla 
sanzione 
penale (8). 


esaminata 
la 
ratio 
generale 
dell’istituto, 
e 
volgendo 
all’individuazione 
della 
natura 
giuridica, 
un 
orientamento 
ormai 
minoritario 
della 
dottrina 
ritiene 
che 
la 
recidiva 
configuri 
uno status 
del 
colpevole, in quanto tale 
assoggettato 
a 
un (problematico) regime 
di 
imputazione 
oggettiva 
e 
di 
sottrazione 
al 
bilanciamento 
tra 
circostanze 
ai 
sensi 
dell’art. 
69 
c.p., 
nonché, 
sul 
piano 
processuale, 
ininfluente 
ai 
fini 
del 
regime 
di 
procedibilità 
(9). 
La 
dottrina 
maggioritaria, 
invece, 
ritiene 
che 
venga 
in 
rilievo 
una 
circostanza 
propria 
inerente 
alla 
persona 
del 
colpevole 
ex 
art. 70 c.p. (10), in quanto elemento che 


(2) 
Nesso 
evidenziato 
nella 
relazione 
del 
Guardasigilli, 
pp. 
147 
ss., 
che 
addirittura 
fa 
leva 
su 
una 
più 
efficace 
difesa 
contro 
il 
delitto; 
del 
resto, 
la 
recidiva 
si 
spiega 
più 
in 
un’ottica 
di 
prevenzione 
speciale, 
che di retribuzione - si cfr. t. PADoVANI, Diritto penale, Giuffrè, XII ed., pp. 319 ss. 
(3) 
La 
recidiva 
soggiace 
alla 
disciplina 
generale 
delle 
circostanze 
salvo 
deroghe 
legislative 
espresse (Cass. S.U., 24 febbraio 2011, indelicato; Cass. S.U., 29 gennaio 2021, n. 3585, Li Trenta). 
(4) G. De 
VeRo, Corso di diritto penale, Giappichelli, I ed., p. 780. 
(5) Questa 
“marcata 
ambivalenza” 
della 
recidiva, legata 
alla 
sua 
duplice 
collocazione 
in termini 
di disciplina, è evidenziata da Cass. Pen., Sez. Un., 24 febbraio 2011, n. 20798. 
(6) G. FoRtI 
- S. SeMINARA 
- G. ZUCCALà, op. cit., p. 453. 
(7) G. CARMIGNANI, Teoria delle leggi della sicurezza sociale, III, Pisa, 1832, pp. 230 ss. 
(8) 
F. 
CARRARA, 
Stato 
della 
dottrina 
sulla 
recidiva, 
in 
opuscoli 
di 
diritto 
criminale, 
II, 
Lucca, 
1878, p. 13. 
(9) G. BettIoL 
- L. PettoeLLo 
MANtoVANI, Diritto penale, Cedam, XII ed., pp. 577 ss. 
(10) G. MARINUCCI 
-e. DoLCINI, manuale 
di 
diritto penale, parte 
generale, Giuffrè, IV 
ed., p. 
533. 

CoNteNZIoSo 
NAZIoNALe 


incide, 
aggravandola, 
sulla 
colpevolezza 
o 
sull’imputabilità 
del 
reo, 
a 
seconda 
delle ricostruzioni. 


I 
residui 
dubbi 
sono 
stati 
eliminati 
dall’intervento 
di 
Cass. 
Pen., 
Sez. 
Un., 
24 
febbraio 
2011, 
n. 
20798, 
che 
hanno 
autorevolmente 
definito 
la 
recidiva 
quale 
“circostanza 
pertinente 
al 
reato 
che 
richiede 
un 
accertamento, 
nel 
caso 
concreto, 
della 
relazione 
qualificata 
tra 
lo 
status 
e 
il 
fatto 
che 
deve 
risultare 
sintomatico, 
in 
relazione 
alla 
tipologia 
dei 
reati 
pregressi 
e 
all’epoca 
della 
loro 
consumazione, 
sia 
sul 
piano 
della 
colpevolezza 
che 
su 
quello 
della 
pericolosità 
sociale”. 


Si 
tratta, 
dunque, 
di 
circostanza 
in 
senso 
stretto, 
aggravante, 
soggettiva 
e 
ad 
effetto 
comune 
o 
speciale 
a 
seconda 
che 
venga 
in 
rilievo 
la 
recidiva 
semplice 
o, 
rispettivamente, 
le 
ipotesi 
aggravate; 
sul 
piano 
applicativo, 
se 
ne 
ricava 
l’integrale 
applicabilità 
all’istituto 
in 
esame 
della 
disciplina 
tipica 
delle 
circostanze. 


Minimo 
comune 
denominatore 
di 
tutte 
le 
figure 
di 
recidiva 
descritte 
nell’art. 
99 
c.p. 
è 
la 
commissione 
di 
un 
delitto 
doloso 
a 
seguito 
di 
condanna 
definitiva 
per 
altro 
delitto 
doloso. 
Altro 
dato 
comune 
consiste 
in 
ciò, 
che 
tutte 
le 
forme 
di 
recidiva 
contemplate 
nell’art. 
99 
c.p. 
hanno, 
attualmente, 
natura 
discrezionale 
a 
seguito 
di 
Corte 
cost., 
23 
luglio 
2015, 
n. 
185, 
che 
ha 
dichiarato 
l’incostituzionalità 
del 
quinto 
comma 
della 
disposizione 
laddove 
disponeva 
l’obbligatorietà 
dell’aumento 
di 
pena 
per 
la 
recidiva; 
tale 
connotato 
rimette 
la 
valutazione 
della 
sussistenza 
dei 
presupposti 
dell’istituto 
al 
giudice, 
tenuto 
a 
verificare 
senza 
automatismi 
l’effettiva 
maggiore 
pericolosità 
sociale 
del 
reo, 
derivante 
dall’insofferenza 
dimostrata 
nei 
confronti 
delle 
condanne 
intervenute. 


3. inquadramento sistematico della recidiva. 
Invero, la 
descritta 
configurazione 
codicistica 
dell’istituto non coincide 
con la 
sua 
etimologia, al 
punto da 
essersi 
delineato uno iato tra 
‘recidiva 
naturale’ 
e 
‘recidiva 
giuridica’ 
(11). Ciò in quanto la 
ricaduta 
nel 
delitto non è 
mera, 
ma 
segue 
l’adozione 
di 
una 
condanna 
nei 
confronti 
del 
reo 
e, 
soprattutto, 
il 
monito in essa 
incorporato. Da 
qui 
si 
ricava 
agevolmente 
la 
differenza 
tra 
recidiva 
e 
concorso di 
reati, nei 
termini 
di 
riconduzione 
del 
secondo istituto 
alla 
determinazione 
complessiva 
della 
pena 
per 
la 
commissione 
di 
più 
reati 
da 
parte 
di 
uno stesso soggetto, anche 
in executivis, ma 
prescindendo dalla 
correlazione 
di 
colpevolezza 
esistente 
sul 
piano cronologico fra 
il 
momento del-
l’avvertimento 
e 
quello 
della 
reazione 
indifferente 
(12). 
Ciò 
non 
esclude 
possibili 
sovrapposizioni 
delle 
due 
discipline 
qualora 
i 
reati 
in concorso siano 
successivi a una condanna passata in giudicato (si cfr. art. 80 c.p.). 


(11) La 
differenza 
tra 
‘recidiva 
naturale’ 
e 
‘giuridica’ 
è 
messa 
in luce 
da 
t. PADoVANI, op. cit., p. 
619. 
(12) 
Peraltro, 
proprio 
sul 
piano 
temporale 
il 
codice 
Rocco 
ha 
innovato 
rispetto 
al 
codice 
Zanardelli 
attraverso la previsione della rilevanza della recidiva anche a tempo indeterminato. 

RASSeGNA 
AVVoCAtURA 
DeLLo 
StAto -N. 1/2023 


Il 
nesso esistente 
tra 
condanna 
antecedente 
e 
nuova 
reità 
rappresenta 
la 
vera chiave di lettura odierna dell’istituto. orbene, si è anticipato che la recidiva 
costituisce 
una 
circostanza, segnatamente 
attinente 
alla 
persona 
del 
reo. 
Ma esattamente a quale dato della persona afferisce? 


La 
lente 
di 
osservazione 
in grado di 
poter illustrare 
il 
percorso utile 
a 
rispondere 
a 
tale 
quesito è 
una 
disposizione 
generale: 
l’art. 133 c.p., che 
individua 
i 
criteri 
di 
commisurazione 
della 
pena. In particolare, si 
può affermare 
l’esistenza 
di 
un rapporto di 
specialità 
tra 
l’art. 99 e 
l’art. 133, comma 
1 n. 2 


c.p. (13), nella 
specie 
con la 
capacità 
a 
delinquere 
(14). Del 
resto, ad essa 
la 
accomuna 
il 
proprio carattere 
“bidimensionale” 
(15), frutto del 
compromesso 
tra 
la 
Scuola 
classica 
e 
la 
Scuola 
positiva 
(16): 
prognostico-preventivo -valutare 
la 
probabilità 
di 
futura 
commissione 
dei 
reati, e 
quindi 
la 
pericolosità 
del 
reo 
(17); 
diagnostico-retributivo 
-che 
risponde 
alla 
domanda 
relativa 
al 
livello 
di 
espressione 
e 
appartenenza 
di 
quel 
fatto 
di 
reato 
alla 
personalità 
del 
reo 
(18). In realtà, e 
più precisamente, si 
tratta 
di 
un accrescimento del 
giudizio 
sulla 
colpevolezza 
del 
reo, che 
si 
manifesta 
insensibile 
ai 
messaggi 
connessi 
alle 
precedenti 
condanne 
subite. 
ecco 
svelato 
il 
nesso 
giustificativo 
pieno 
con 
il 
principio 
di 
colpevolezza 
(19); 
nesso 
che 
richiede, 
alla 
luce 
di 
quanto 
sopra, 
(13) G. De 
VeRo, op. cit., p. 783. 
(14) Già 
la 
recidiva 
ad intensità 
crescente 
quanto ad effetti 
sanzionatori, secondo alcuni, aveva 
segnato l’adesione 
a 
un’impostazione 
personologica 
della 
recidiva 
come 
in grado di 
influenzare 
il 
disvalore 
del 
reato (R. BARtoLI, voce 
recidiva, in Enc. dir. -annali, vol. VII, Giuffrè, 2014, p. 888; 
più 
cauto V. MUSCAtIeLLo, La recidiva, Giappichelli, 2008, pp. 15 ss.). 
(15) Per tale espressione, F. MANtoVANI, Diritto penale, Cedam, X ed., pp. 631 ss. 
(16) essa 
si 
presenta 
come 
un vero e 
proprio compromesso tra 
Scuola 
Classica 
e 
Scuola 
positiva, 
poiché 
l’una, che 
la 
riconduce 
alla 
maggiore 
rimproverabilità, ne 
avrebbe 
comportato un’applicazione 
obbligatoria, temporanea 
e 
specifica; 
l’altra 
facoltativa, perpetua 
e 
generica 
(De 
FRANCeSCo, Principi, 
reato, forme di manifestazione, Giappichelli, I ed., p. 564). 
(17) Si cfr. il richiamo che l’art. 203 fa all’art. 133 c.p. 
(18) G. De 
VeRo, op. cit., p. 783. 
(19) 
G. 
De 
VeRo, 
784; 
M. 
RoMANo 
-G. 
GRASSo, 
Commentario 
al 
codice 
penale, 
II, 
Giuffré, 
2012, 
p. 
93; 
F. 
PALAZZo, 
Corso 
di 
diritto 
penale, 
Giappichelli, 
VIII 
ed., 
pp. 
508 
ss. 
Per 
una 
critica 
rispetto 
alla 
coerenza 
tra 
il 
principio di 
colpevolezza 
dell’attuale 
fisionomia 
della 
recidiva, si 
v. e.M. AMBRo-
SettI, recidiva e 
Costituzione: un rapporto difficile, in Dir. pen. proc., 2/2023, p. 229: 
«(…) si 
deve 
necessariamente 
rilevare 
che 
attualmente 
il 
trattamento 
sanzionatorio 
per 
il 
recidivo 
non 
appare 
inquadrabile 
nella dimensione 
della colpevolezza del 
fatto. Sono chiaramente 
esigenze 
di 
prevenzione 
sociale 
negativa o, per 
meglio dire, di 
neutralizzazione, alla base 
di 
un regime 
sanzionatorio di 
stampo 
draconiano: ai 
sensi 
dell’art. 99, comma 4, c.p. l’aumento di 
pena può essere 
fino a due 
terzi 
rispetto 
alla pena massima; è 
precluso ex 
art. 69, comma 4, c.p. un giudizio di 
prevalenza delle 
attenuanti 
rispetto 
alla 
recidiva 
reiterata; 
di 
fatto 
sono 
divenuti 
imprescrittibili 
-per 
il 
disposto 
dell’art. 
157, 
comma 
2, c.p. -la stragrande 
maggioranza dei 
reati 
commessi 
dal 
recidivo qualificato; infine, è 
limitata -per 
effetto degli 
artt. 7, 8 e 
9 della legge 
“ex-Cirielli” 
-la possibilità di 
applicare 
alcuni 
benefici 
penitenziari. 
in ultima analisi, pur 
riconoscendo la necessità di 
un trattamento differenziato per 
coloro che 
si 
sono 
dimostrati 
più 
volte 
indifferenti 
rispetto 
a 
una 
condanna 
penale, 
non 
pare 
arbitrario 
affermare 
che 
il 
complessivo trattamento riservato alle 
forme 
di 
recidiva grave, ed in specie, a quella reiterata, 
appare 
in 
evidente 
contrasto 
con 
il 
principio 
di 
colpevolezza 
e 
con 
il 
suo 
corollario 
della 
proporzionalità 
della pena». 

CoNteNZIoSo 
NAZIoNALe 


di 
considerare 
questa 
circostanza 
oggetto 
di 
piena 
consapevolezza 
da 
parte 
del 
reo e non di mera conoscibilità, in rapporto alla precedente condanna (20). 


Proprio quest’ultimo aspetto spiega 
l’attuale 
facoltatività 
della 
recidiva 
e 
la 
discrezionalità 
che 
la 
connota 
(21), ciò che 
non ne 
intacca 
la 
natura 
di 
circostanza 
(22). Peraltro, tali 
rilievi 
costituzionali 
consentono di 
evidenziare 
il 
carattere 
fisiologico di 
tale 
discrezionalità, poiché, non trattandosi 
di 
un mero 
status, è 
richiesto un giudizio specifico sulla 
concreta 
maggiore 
rimproverabilità 
del 
fatto. 
Peraltro, 
occorre 
tenere 
conto 
dell’Illustre 
insegnamento 
secondo 
cui 
la 
discrezionalità 
penale 
non 
è 
mai 
una 
discrezionalità 
totale, 
ma 
una 
“discrezionalità 
guidata”, 
in 
questo 
caso 
orientata 
in 
base 
al 
canone 
di 
colpevolezza 
e 
tendente 
a 
rendere 
l’illecito 
penale 
compiutamente 
personale 
(23). 


Benché 
l’inerenza 
alla 
persona 
della 
circostanza 
e 
della 
sua 
valutazione 
faccia 
sorgere 
il 
rischio 
di 
trasmodare 
verso 
la 
colpevolezza 
d’autore 
(24), 
in 
quel 
costante 
dialogo 
fra 
check 
and 
balances 
messo 
in 
luce 
dalla 
dottrina 
d’oltralpe 
(25), 
il 
limite 
di 
questa 
personalizzazione 
del 
giudizio 
sulla 
pena 
è 
offerto 
dalla 
logica 
retrospettiva 
della 
gravità 
del 
fatto 
di 
reato 
(26): 
oltrepassando 
quello, 
si 
trasmoderebbe 
nella 
pena 
per 
una 
condotta 
di 
vita 
(27). 


4. La recidiva nel prisma della giurisprudenza più recente. 
I 
presupposti 
dogmatici 
e 
giurisprudenziali 
dianzi 
esaminati 
appaiono 
indispensabili 
per comprendere 
il 
ragionamento giuridico su cui 
si 
articola 
una 
recente 
sentenza 
pronunciata 
dalla 
Corte 
di 
legittimità 
nella 
sua 
più 
autorevole 
composizione: 
Cass. pen., Sez. Un., 30 marzo 2023 (dep. 25 luglio 2023), n. 
32318. 


Nella 
vicenda 
posta 
all’attenzione 
delle 
Sezioni 
Unite 
della 
Corte 
di 
Cassazione, 
due 
soggetti 
erano stati 
condannati 
per aver commesso, in concorso, 
il 
furto aggravato di 
due 
blocchetti 
di 
assegni, delitto ulteriormente 
aggravato 


(20) G. De 
FRANCeSCo, op. cit., p. 565. 
(21) Regime conseguente, dopo la legge n. 251 del 2005, a Corte cost. n. 185/2015. 
(22) Va 
rammentato che 
la 
facoltatività 
della 
recidiva 
è 
profilo diverso da 
quello della 
obbligatorietà 
o meno della contestazione. 
(23) Così, M. GALLo, Diritto penale 
italiano, appunti 
di 
parte 
generale, I, Giappichelli, III ed., 
pp. 36-37. In particolare, si 
è 
osservato che 
«Su tal 
via, dare 
al 
giudice 
ampi 
poteri 
discrezionali 
val 
quanto dotarlo di 
un regolo lesbio che 
si 
adatta alle 
punte 
ed agli 
anfratti 
da misurare. È 
un modo di 
innestare 
sull’ordinamento positivo il 
senso sinuoso delle 
cose. Naturalmente 
ad una condizione 
che 
rappresenta l’altra faccia, anzi, il 
presupposto dell’equità: che 
sia rigorosamente 
adempiuto l’obbligo 
di 
motivazione 
in tutta chiarezza dettato dall’art. 132 c.p.» (p. 37). Sulla 
‘discrezionalità 
penale’, v. F. 
BRICoLA, La discrezionalità nel 
diritto penale. Nozione 
e 
aspetti 
costituzionali, Giuffrè, 1965, pp. 353 
ss. 
(24) G. De 
VeRo, op. cit., p. 784. 
(25) C. RoXIN, Politica criminale 
e 
sistema del 
diritto penale. Saggi 
di 
teoria del 
reato, a 
cura 
di 
S. MoCCIA, eSI, 1998, pp. 168 ss. 
(26) Per analoghe 
riflessioni 
in tema 
di 
misure 
di 
sicurezza, si 
cfr. G. RUGGIeRo, La proporzionalità 
nel diritto penale, Giappichelli, 2018, pp. 156 ss., 168 ss. 
(27) F. PALAZZo, op. cit., p. 509. 

RASSeGNA 
AVVoCAtURA 
DeLLo 
StAto -N. 1/2023 


dalla 
recidiva 
reiterata, specifica 
e 
infraquinquennale; 
la 
sentenza 
del 
G.U.P., 
resa 
nell’ambito 
del 
giudizio 
abbreviato, 
era 
stata 
confermata 
dalla 
Corte 
d’Appello, 
la 
quale 
ha 
fondato 
le 
proprie 
statuizioni 
sull’orientamento 
secondo 
cui 
la 
recidiva 
reiterata 
può 
essere 
riconosciuta 
anche 
quando 
non 
sia 
stata 
già 
dichiarata in precedenza la recidiva semplice. 


Avverso 
tale 
decisione, 
uno 
dei 
due 
imputati 
ha 
proposto 
ricorso 
per 
Cassazione 
e 
ha 
denunciato, tra 
i 
motivi, il 
vizio di 
motivazione 
in relazione 
alla 
mancata 
esclusione 
della 
recidiva, 
in 
quanto 
la 
Corte 
territoriale 
avrebbe 
omesso ogni 
valutazione 
concreta 
circa 
la 
maggiore 
pericolosità 
sociale 
del-
l’imputato 
e 
si 
sarebbe 
limitata 
alla 
mera 
verifica 
circa 
l’esistenza 
di 
precedenti 
penali 
nel 
casellario giudiziale, senza 
considerare 
che 
l’imputato non era 
mai 
stato 
condannato 
per 
un 
reato 
aggravato 
dalla 
recidiva 
e, 
dunque, 
sarebbe 
stato 
necessario escludere la configurabilità della recidiva reiterata. 


Cass. pen., sez. V, 13 settembre 
2022, n. 36738, investita 
del 
ricorso, ha 
rimesso la 
decisione 
del 
ricorso alle 
Sezioni 
Unite 
affinché 
chiarissero “se, ai 
fini 
dell’applicazione 
della 
recidiva 
reiterata, sia 
necessaria 
una 
sentenza, divenuta 
irrevocabile 
anteriormente 
al 
fatto 
per 
il 
quale 
si 
procede, 
che 
abbia 
condannato l’imputato per un reato aggravato dalla 
recidiva”. La 
Sezione 
rimettente 
propendeva 
per un superamento dell’indirizzo maggioritario, condiviso 
invece dalla Corte d’Appello. 


L’orientamento 
favorevole 
valorizzava 
l’argomento 
letterale: 
l’art. 
99 
c.p., 
nel 
riferirsi 
al 
“recidivo 
che 
commette 
un 
altro 
reato”, 
utilizza 
tale 
espressione 
per mera 
comodità 
espositiva 
e 
non intende, invece, indicare 
una 
qualità 
giudizialmente 
accertata 
da 
una 
sentenza 
precedente 
e 
passata 
in 
giudicato 
(Cass. 
Pen., 
Sez. 
III, 
20 
maggio 
1993, 
n. 
6424). 
Pertanto, 
il 
giudice 
di 
cognizione 
avrebbe 
potuto liberamente 
accertare 
i 
presupposti 
della 
recidiva 
non dichiarata, 
mentre 
tale 
valutazione 
sarebbe 
stata 
preclusa 
al 
giudice 
dell’esecuzione 
alla luce dei principi processuali generali. 


L’argomento 
letterale, 
a 
dimostrazione 
della 
intrinseca 
non 
dimostratività 
dell’argomentazione 
giuridica 
e 
della 
relatività 
della 
medesima, 
era 
tuttavia 
richiamato 
anche 
dall’indirizzo 
opposto 
e 
minoritario, 
secondo 
il 
quale 
proprio 
la 
lettera 
di 
cui 
all’art. 99 c.p., nel 
riferirsi 
al 
“recidivo”, intende 
indicare 
una 
particolare 
qualità 
giudiziale 
del 
soggetto, in quanto tale 
oggetto di 
pronuncia 
passata in giudicato (Cass. Pen., sez. II, 26 novembre 2020, n. 37063). 


L’ordinanza 
di 
rimessione 
propendeva 
per il 
superamento dell’indirizzo 
maggioritario, 
adducendo 
vari 
argomenti. 
In 
primo 
luogo, 
il 
termine 
“recidivo” 
è 
utilizzato 
dal 
c.p. per tutte 
le 
figure 
di 
recidiva 
enucleate 
dall’art. 99 c.p. che 
precedono 
il 
quarto 
comma 
e, 
dunque, 
l’interpretazione 
dello 
stesso 
dev’essere 
omogenea. 
In 
secondo 
luogo, 
l’evoluzione 
storica 
dell’istituto 
e 
della 
giurisprudenza 
sedimentatasi 
su di 
esso dimostra 
come, mentre 
nell’impostazione 
originaria 
del 
codice 
del 
1930 
la 
recidiva 
configurava 
una 
questione 
di 
diritto, 
non di 
fatto, ed era 
automatica 
a 
fronte 
dell’iscrizione 
del 
precedente 
penale 



CoNteNZIoSo 
NAZIoNALe 


nel 
casellario, oggi 
l’impostazione 
è 
radicalmente 
mutata. Autorevoli 
precedenti 
giurisprudenziali 
quali 
Corte 
cost., 
14 
giugno 
2007, 
n. 
192 
e, 
soprattutto, 
Corte 
cost., 23 luglio 2015, n. 185 interpretano la 
recidiva 
quale 
espressione 
di 
una 
accentuata 
colpevolezza 
e 
di 
una 
maggiore 
pericolosità 
del 
reo, da 
accertarsi 
con 
metodo 
casistico 
e 
lungi 
da 
qualsiasi 
automatismo, 
da 
cui 
discende 
l’incostituzionalità 
dei 
profili 
di 
obbligatorietà 
desumibili 
dalla 
precedente 
versione 
del 
quinto 
comma 
dell’art. 
99 
c.p. 
tale 
giudizio 
qualificato 
di 
maggior 
riprovevolezza, tuttavia, secondo i 
giudici 
rimettenti 
dovrebbe 
essere 
consacrato 
in una 
sentenza 
che 
lo abbia 
statuito irrevocabilmente 
e 
non dovrebbe 
essere 
formulato per la 
prima 
volta 
dal 
giudice 
che 
si 
occupi 
dei 
presupposti 
della 
recidiva 
reiterata 
in 
assenza 
di 
qualsiasi 
dichiarazione 
giudiziale 
pregressa; 
diversamente 
opinando, 
si 
rischierebbe 
una 
regressione 
alla 
concezione 
di 
recidiva 
quale 
status 
dominato 
da 
automatismi, 
in 
contrasto 
con 
l’evoluzione 
di cui si è detto. 


Il 
Procuratore 
generale 
aveva 
argomentato 
nella 
medesima 
direzione 
dell’ordinanza 
di 
rimessione, osservando come 
la 
recidiva 
reiterata, in quanto 
autonoma 
circostanza 
aggravante, 
ove 
ritenuta 
in 
base 
ai 
soli 
precedenti 
penali 
non comprenderebbe 
la 
recidiva 
semplice, poiché 
è 
diversa 
la 
consistenza 
del 
fatto 
aggravato. 
Inoltre, 
utili 
indicazioni 
derivano 
dal 
confronto 
tra 
la 
disciplina 
della 
recidiva, in cui 
non è 
espressamente 
prevista 
la 
possibilità 
della 
valutazione 
ex 
post 
dei 
relativi 
presupposti, e 
l’art. 679 c.p.p. che, invece, consente 
espressamente 
al 
giudice 
di 
sorveglianza 
una 
dichiarazione 
posteriore 
dell’abitualità 
e 
professionalità 
nel 
reato. 
Si 
potrebbe, 
dunque, 
applicare 
il 
noto 
canone 
interpretativo rappresentato dal 
brocardo ubi 
lex 
voluit 
dixit, ubi 
noluit 
tacuit. 
D’altronde, 
in 
ottica 
sistematica, 
l’art. 
105 
c.p. 
consente 
la 
dichiarazione 
di 
professionalità 
anche 
nei 
confronti 
di 
chi 
commetta 
un altro reato trovandosi 
nelle condizioni richieste per la dichiarazione di abitualità nel reato. 


Le 
Sezioni 
Unite, nonostante 
le 
numerose 
argomentazioni 
in senso contrario, 
aderiscono all’orientamento maggioritario tradizionale. 


Il 
ragionamento giuridico del 
Giudice 
di 
legittimità 
nella 
sua 
più autorevole 
composizione 
è 
così 
strutturato. Il 
primo argomento fa 
leva 
sulla 
interpretazione 
letterale: 
nella 
formulazione 
dell’art. 
99, 
quarto 
comma, 
c.p. 
manca 
qualsiasi 
riferimento 
ad 
una 
precedente 
affermazione 
giudiziaria 
della 
recidiva 
semplice. 
Le 
fattispecie 
del 
primo 
e 
del 
quarto 
comma 
sono 
connotate 
da 
simmetria, 
in quanto, a 
una 
prima 
parte 
riferita 
alla 
posizione 
soggettiva 
di 
recidivanza 
del 
reo, segue 
una 
seconda 
parte 
rappresentativa 
delle 
conseguenze 
giuridiche 
di 
questa 
posizione 
sul 
trattamento 
sanzionatorio. 
Ne 
deriva 
che 
non si 
possa 
intendere 
la 
prima 
parte 
del 
quarto comma, ossia 
il 
riferimento 
all’ipotesi 
nella 
quale 
il 
“recidivo 
commette 
un 
altro 
delitto 
non 
colposo”, 
quale 
comprensiva 
anche 
della 
seconda 
parte 
del 
primo comma, relativa 
al 
riconoscimento 
giudiziale 
della 
recidiva, poiché 
un tale 
procedimento interpretativo 
contrasterebbe con la corrispondenza simmetrica fra le due fattispecie. 



RASSeGNA 
AVVoCAtURA 
DeLLo 
StAto -N. 1/2023 


In 
secondo 
luogo, 
le 
Sezioni 
Unite 
richiamano 
l’argomento 
sistematico. 
Il 
fatto 
che 
la 
dichiarazione 
di 
professionalità 
nel 
reato 
prescinda 
dalla 
necessità 
di 
una 
preventiva 
sentenza 
di 
condanna 
che 
abbia 
dichiarato 
l’imputato 
delinquente 
abituale 
non 
dev’essere 
necessariamente 
inteso 
nell’ottica 
suggerita 
dal 
Procuratore 
generale; 
anzi, 
se 
ne 
può 
ricavare, 
in 
via 
induttiva, 
il 
principio 
generale 
secondo 
cui 
non 
è 
necessaria 
l’espressa 
pronuncia 
di 
una 
dichiarazione 
costitutiva 
di 
una 
condizione 
relativa 
ai 
precedenti 
penali 
del 
reo 
di 
grado 
inferiore 
a 
quella 
valutata 
nel 
procedimento. 
e, 
in 
quanto 
principio 
generale, 
non 
si 
vede 
perché 
lo 
stesso 
non 
debba 
trovare 
applicazione 
in 
tema 
di 
recidiva. 


A 
sostegno di 
tale 
conclusione, la 
Suprema 
Corte 
richiama 
anche 
la 
giurisprudenza 
di 
settore 
in materia 
di 
oblazione 
speciale 
e 
patteggiamento allargato. 
La 
prima, 
contemplata 
dall’art. 
162-bis, 
comma 
terzo, 
c.p., 
non 
è 
ammessa 
“quando 
ricorrono 
i 
casi 
previsti 
dal 
terzo 
capoverso 
dell’art. 
99” 
c.p., preclusione 
costantemente 
intesa 
dalla 
giurisprudenza 
di 
legittimità 
nel 
senso 
che 
la 
condizione 
di 
recidiva 
reiterata 
impedisca 
l’accesso 
all’oblazione 
anche 
ove 
la 
stessa 
non sia 
stata 
giudizialmente 
dichiarata 
(Cass. Pen., Sez. 
III, 17 febbraio 2017, n. 29238); 
nella 
stessa 
direzione, in materia 
di 
patteggiamento 
ex 
art. 
444, 
c. 
1-bis, 
c.p.p., 
il 
quale 
risulta 
allargato 
a 
“coloro 
che 
siano 
stati 
dichiarati 
... 
recidivi 
ai 
sensi 
dell’art. 
99, 
quarto 
comma” 
c.p., 
la 
giurisprudenza 
ha 
statuito che 
non occorre 
una 
pregressa 
dichiarazione 
giudiziale 
della 
recidiva 
(Cass. Pen., Sez. Un., 5 ottobre 
2010, n. 35738). tuttavia, 
chi 
scrive 
non 
può 
astenersi 
dall’osservare 
come 
il 
ragionamento 
condotto 
dalle 
Sezioni 
Unite 
in commento possa 
essere 
discusso nella 
misura 
in cui 
ricava, 
sulla 
scorta 
dell’argomento 
sistematico, 
conclusioni 
di 
diritto 
penale 
sostanziale 
muovendo da 
una 
giurisprudenza 
consolidatasi 
nel 
diverso ambito 
processuale e, dunque, per finalità diverse. 


L’argomento decisivo deriva 
dalla 
natura 
giuridica 
dell’istituto come 
interpretata 
dalla 
consolidata 
giurisprudenza 
di 
legittimità. 
Cass. 
Pen., 
Sez. 
Un., 
5 ottobre 
2010, n. 35738 avevano, infatti, già 
statuito che 
il 
giudizio sulla 
recidiva, 
pur 
essendo 
incentrato 
sulla 
rilevanza 
dell’ultimo 
delitto 
commesso 
rispetto 
alla 
valutazione 
dell’accresciuta 
attitudine 
a 
delinquere, deve 
avere 
ad 
oggetto la 
totalità 
dei 
reati 
compresi 
nella 
sequenza 
recidivante. tale 
valutazione 
deve 
ritenersi 
possibile anche in assenza di una precedente valutazione 
concernente 
la 
recidiva 
semplice, poiché 
il 
giudizio comprende 
il 
contributo 
specifico di 
tutti 
i 
reati 
della 
serie 
esaminata 
alla 
formazione 
e 
al 
consolidamento 
della 
risoluzione 
criminale 
del 
reo, 
e, 
pertanto, 
assorbe 
necessariamente 
la 
valutazione 
in punto di 
recidiva 
semplice, poiché 
comprende 
(anche) la 
significatività 
propria 
del 
delitto che 
avrebbe 
determinato la 
configurabilità 
di 
tale 
ipotesi. 
Risultano, 
così, 
superate 
le 
obiezioni 
del 
Procuratore 
generale 
prima 
sintetizzate, in quanto, nella 
complessiva 
valutazione 
di 
cui 
sono stati 
esposti 
i 
termini, è 
incluso tanto il 
presupposto formale 
quanto quello sostanziale 
della recidiva semplice. 



CoNteNZIoSo 
NAZIoNALe 


Se 
così 
è, 
non 
sussiste 
alcun 
rischio 
di 
regressione 
alla 
concezione 
della 
recidiva 
quale 
status 
del 
reo 
dominato 
da 
automatismi, 
in 
quanto 
l’esigenza 
di 
valutare 
la 
maggiore 
riprovevolezza 
del 
reo 
può 
e 
deve 
essere 
realizzata 
nel-
l’ambito 
del 
giudizio 
complessivo 
ai 
fini 
dell’applicazione 
della 
recidiva 
reiterata. 
A 
tal 
fine, 
si 
dovranno 
valorizzare 
indici 
sintomatici 
quali 
tipologia 
e 
offensività 
dei 
reati, 
omogeneità 
e 
collocazione 
temporale 
degli 
stessi, 
tipo 
di 
devianza 
di 
cui 
siano 
espressione 
e 
occasionalità 
o 
meno 
dell’ultimo 
delitto. 


Le 
Sezioni 
Unite, avvalendosi 
dell’argomento pragmatico, evidenziano 
come 
tale 
impostazione 
consenta 
di 
superare 
le 
rigidità 
applicative 
in cui 
incorre 
l’orientamento che 
esige 
indefettibilmente 
la 
previa 
dichiarazione 
giudiziale 
di 
recidiva 
semplice 
per 
poter 
applicare 
la 
recidiva 
reiterata, 
dichiarazione 
che 
potrebbe 
essere 
omessa 
per le 
contingenze 
processuali 
più 
varie. Inoltre, la 
possibile 
omissione 
di 
tale 
dichiarazione 
non incide 
negativamente 
sul 
principio di 
rieducazione 
del 
reo, che 
secondo la 
tesi 
avversa 
non 
saprebbe 
come 
orientare 
le 
proprie 
condotte 
in assenza 
di 
una 
preventiva 
sentenza 
passata 
in 
giudicato, 
poiché 
i 
presupposti 
sostanziali 
di 
applicazione 
della 
recidiva 
reiterata 
sono 
già 
scolpiti 
dal 
codice 
penale 
e 
conoscibili 
da 
tutti 
i consociati. 


In 
definitiva, 
sulla 
scorta 
degli 
argomenti 
prospettati, 
le 
Sezioni 
Unite 
non rinvengono ragioni 
sufficienti 
per superare 
un dato letterale 
e 
sistematico 
“chiaramente 
orientato 
nell’escludere 
che 
il 
previo 
accertamento 
della 
recidiva 
semplice sia condizione per valutare l’applicabilità della recidiva reiterata”. 


5. Conclusioni. 
La 
disamina 
svolta 
dimostra 
come 
il 
nesso esistente 
tra 
condanna 
antecedente 
e 
nuova 
reità 
rappresenti 
la 
vera 
chiave 
di 
lettura 
odierna 
dell’istituto. 
L’affermazione 
dell’orientamento 
secondo 
cui 
il 
previo 
accertamento 
della 
recidiva 
semplice 
non è 
condizione 
necessaria 
per valutare 
l’applicabilità 
della 
recidiva 
reiterata 
non 
implica 
alcun 
rischio 
di 
regressione 
alla 
concezione 
della 
recidiva 
quale 
status 
del 
reo dominato da 
automatismi, in quanto l’esigenza 
di 
valutare 
la 
maggiore 
riprovevolezza 
del 
reo 
può 
e 
deve 
essere 
realizzata 
nell’ambito del 
giudizio complessivo ai 
fini 
dell’applicazione 
della 
recidiva 
reiterata. 


Cassazione 
penale, Sezioni 
Unite, sentenza (ud. 30 marzo 2023) 25 luglio 2023, n. 32318 


-Pres. 
M. Cassano, Est. C. Zaza 
-Ricorso proposto da 
A.A. e 
B.B. avverso la 
sentenza 
del 
20 settembre 2021 della Corte di appello di 
Ancona. 
RIteNUto IN FAtto 


1. Con sentenza 
del 
29 gennaio 2021 il 
Giudice 
dell’udienza 
preliminare 
del 
tribunale 
di 
Ancona, 
a 
seguito 
di 
giudizio 
abbreviato, 
condannava 
A.A. 
e 
B.B. 
alla 
pena 
di 
anni 
due 
e 
mesi 
otto di 
reclusione 
ed euro cinquecento di 
multa 
per il 
reato di 
furto di 
due 
blocchetti 
di 

RASSeGNA 
AVVoCAtURA 
DeLLo 
StAto -N. 1/2023 


assegni 
e 
denaro liquido, asportati 
il 
22 novembre 
2020 dal 
ristorante 
“omissis” 
di 
omissis, 
aggravato dall’essersi 
introdotti 
nel 
locale 
con violenza 
sulle 
cose 
costituita 
dall’effrazione 
della 
porta, dall’aver commesso il 
fatto in concorso con altra 
persona, e 
quindi 
in numero di 
tre persone, e dalla recidiva reiterata, specifica ed infraquinquennale. 


2. Con sentenza 
del 
20 settembre 
2021 la 
Corte 
di 
appello di 
Ancona 
confermava 
la 
decisione 
di primo grado. 
3. Avverso quest’ultima 
sentenza 
ricorreva 
per cassazione 
il 
A.A. Deduceva 
violazione 
di 
legge 
e 
vizio motivazionale 
sull’affermazione 
di 
responsabilità, e 
vizio motivazionale 
sulla 
configurabilità 
delle 
aggravanti, sul 
diniego delle 
attenuanti 
generiche 
e 
dell’attenuante 
del 
danno di speciale tenuità e sulla determinazione della pena. 
Con atto del 31 marzo 2022 il 
A.A. dichiarava tuttavia di rinunciare al ricorso. 


4. Ricorreva altresì per cassazione il B.B. 
Con il 
primo motivo deduceva 
violazione 
di 
legge 
e 
vizio motivazionale 
sul 
diniego del-
l’attenuante 
di 
cui 
all’art. 114 c.p. La 
Corte 
territoriale 
si 
era 
limitata 
a 
richiamare 
le 
argomentazioni 
della 
sentenza 
di 
primo grado, riferite 
ad elementi 
dai 
quali 
emergeva 
un ruolo 
marginale 
dell’imputato, trovato unicamente 
sul 
luogo del 
fatto mentre 
la 
refurtiva 
e 
gli 
strumenti 
di 
effrazione 
erano rinvenuti 
in possesso di 
altri, e 
non aveva 
valutato tali 
circostanze 
ai fini della configurabilità della dedotta attenuante. 


Con il 
secondo motivo deduceva 
violazione 
di 
legge 
e 
vizio motivazionale 
sulla 
recidiva. 
L’applicazione 
del 
relativo aumento di 
pena 
non era 
stata 
motivata 
con riguardo all’espressività 
di 
maggiore 
pericolosità 
attribuibile 
alla 
commissione 
del 
reato qui 
giudicato, trascurandosi 
d’altra 
parte 
che 
l’assenza 
di 
una 
precedente 
condanna 
per fatti 
aggravati 
dalla 
recidiva 
induceva 
a 
ritenere 
che 
la 
stessa 
fosse 
stata 
esclusa 
in quelle 
sedi. A 
quest’ultimo proposito, 
la 
stessa 
possibilità 
di 
ritenere 
configurabile 
la 
contestata 
recidiva 
reiterata 
nonostante 
la 
recidiva 
semplice 
non fosse 
stata 
oggetto delle 
condanne 
precedenti, era 
stata 
motivata 
con la 
mera 
citazione 
di 
arresti 
giurisprudenziali 
in ordine 
alla 
possibilità 
di 
prescindere 
da 
tale 
pregressa, 
formale dichiarazione. 


Con il 
terzo motivo deduceva 
violazione 
di 
legge 
e 
vizio motivazionale 
sul 
diniego delle 
attenuanti 
generiche, 
motivato 
con 
la 
mancata 
indicazione 
di 
elementi 
di 
fatto 
a 
sostegno 
della 
relativa 
richiesta 
difensiva, 
ove 
invece 
tale 
richiesta 
era 
stata 
argomentata 
con 
la 
modesta 
gravità 
del fatto e il corretto comportamento processuale. 


5. 
Con 
ordinanza 
del 
13 
settembre 
2022 
la 
Quinta 
Sezione 
penale 
di 
questa 
Corte, 
investita 
della 
decisione 
sui 
ricorsi, ha 
rilevato, quanto alla 
questione 
dedotta 
nella 
seconda 
parte 
del 
secondo 
motivo 
del 
ricorso 
del 
B.B., 
relativa 
alla 
configurabilità 
della 
recidiva 
reiterata 
in 
mancanza 
di 
una 
precedente 
condanna 
per 
fatto 
aggravato 
dalla 
recidiva 
semplice, 
l’esistenza 
di 
un orientamento maggioritario della 
giurisprudenza 
di 
legittimità 
in tal 
senso, richiamato 
nella 
sentenza 
impugnata. Dato atto che 
un parziale 
distacco dal 
citato orientamento si 
individua 
in talune 
pronunce, per le 
quali 
è 
esclusa 
l’applicazione 
della 
recidiva 
reiterata 
nel 
caso 
in 
cui 
la 
recidiva 
semplice 
non 
sia 
stata 
in 
precedenza 
ritenuta 
per 
la 
mancanza 
del 
presupposto 
dell’anteriorità 
del 
passaggio in giudicato della 
condanna 
per il 
reato precedente, la 
Sezione 
rimettente 
ha 
evidenziato che 
l’indirizzo maggioritario deve 
essere 
superato nella 
direzione 
della 
necessità, per la 
configurabilità 
della 
recidiva 
reiterata, di 
una 
precedente 
sentenza 
definitiva 
di 
condanna 
per un reato aggravato dalla 
recidiva. tanto in considerazione 
dell’evoluzione 
dello 
stesso 
concetto 
di 
recidiva 
per 
effetto 
dei 
principi 
affermati 
dalla 
giurisprudenza 
costituzionale 
e 
di 
legittimità, 
che 
hanno 
ridisegnato 
tale 
istituto 
quale 
non 
più 
corrispondente 
ad uno status 
soggettivo determinato solo dalla 
formale 
ricaduta 
nel 
reato, ma 
come 
tale 
da 

CoNteNZIoSo 
NAZIoNALe 


comprendere 
anche 
il 
presupposto 
della 
significatività 
nel 
nuovo 
reato 
in 
termini 
di 
maggiore 
colpevolezza 
e 
più elevata 
capacità 
a 
delinquere 
e 
pericolosità 
dell’imputato. Questa 
evoluzione 
si 
rivela 
incompatibile 
con il 
mantenimento del 
citato indirizzo maggioritario in tema 
di 
recidiva 
reiterata, 
ove 
attribuisce 
alla 
qualità 
di 
recidivo 
espressa 
nell’art. 
99, 
comma 
4, 
c.p., in quanto sintesi 
delle 
varie 
figure 
dell’istituto disciplinate 
dai 
commi 
precedenti, il 
contenuto 
proprio di 
un soggetto nei 
confronti 
del 
quale 
non sia 
unicamente 
già 
intervenuta 
una 
sentenza 
di 
condanna, 
ma 
sia 
stata 
altresì 
valutata 
la 
ricorrenza 
degli 
elementi 
anche 
sostanziali 
della 
recidiva, ciò implicando un’affermazione 
giudiziaria 
della 
relativa 
fattispecie 
aggravatrice. 
Non senza 
considerare 
che 
l’orientamento in discussione 
si 
risolve 
nel 
conferire 
alla 
recidiva 
reiterata 
connotazioni 
di 
obbligatorietà 
e 
rigido 
automatismo 
sanzionatorio, 
delle 
quali 
la 
Corte 
costituzionale 
ha 
sancito 
l’illegittimità 
con 
riguardo 
alla 
fattispecie 
di 
cui 
al 
successivo 
comma 5. 


Ritenuta 
pertanto 
l’esistenza 
sul 
punto 
di 
un 
potenziale 
contrasto 
giurisprudenziale, 
la 
Quinta Sezione penale ha rimesso i ricorsi alla Sezioni Unite. 


6. 
Con 
decreto 
del 
12 
ottobre 
2022 
il 
Presidente 
aggiunto 
ha 
assegnato 
i 
ricorsi 
alle 
Sezioni 
Unite penali, fissandone la trattazione per l’udienza odierna. 
7. Il 
14 marzo 2023 il 
Procuratore 
generale 
ha 
fatto pervenire 
memoria 
di 
udienza 
con la 
quale 
aderisce 
alle 
argomentazioni 
dell’ordinanza 
di 
rimessione, indicando ulteriori 
elementi 
a 
sostegno delle 
stesse. In primo luogo, la 
recidiva 
reiterata, in quanto circostanza 
aggravante 
autonomamente 
prevista, ove 
ritenuta 
in base 
ai 
soli 
precedenti 
penali, non comprende 
la 
recidiva 
semplice, essendo diversa 
la 
consistenza 
del 
fatto aggravato. È 
significativo, inoltre, 
che 
l’art. 679 c.p.p. consenta 
espressamente 
al 
giudice 
di 
sorveglianza 
la 
valutazione 
ex 
post 
dell’abitualità 
e 
della 
professionalità 
del 
reato, e 
che 
la 
dichiarazione 
di 
professionalità 
nel 
reato sia 
prevista 
dall’art. 105 c.p. anche 
nei 
confronti 
di 
chi 
commetta 
un altro reato trovandosi 
nelle 
condizioni 
richieste 
per la 
dichiarazione 
di 
abitualità 
del 
reato, disposizioni 
invece 
non presenti 
nella 
disciplina 
della 
recidiva, che 
di 
contro la 
giurisprudenza 
esclude 
possa 
essere 
ritenuta 
dal 
giudice 
dell’esecuzione 
allorchè 
non 
sia 
stata 
dichiarata 
in 
sede 
di 
cognizione. 
L’applicazione 
della 
recidiva 
reiterata, in assenza 
di 
una 
precedente 
dichiarazione 
di 
recidiva 
semplice, priverebbe 
infine 
il 
condannato della 
possibilità 
di 
adeguare 
le 
proprie 
condotte 
a 
tale dichiarazione, in contrasto con la funzione rieducativa della pena. 
CoNSIDeRAto IN DIRItto 


1. 
Va 
premesso, 
con 
riguardo 
al 
ricorso 
proposto 
da 
A.A., 
che 
la 
sopravvenuta 
rinuncia 
allo 
stesso comporta 
l’inammissibilità 
dell’impugnazione 
ai 
sensi 
dell’art. 591, comma 
1, lett. d) 
c.p.p. Alla 
declaratoria 
di 
tale 
esito segue 
la 
condanna 
al 
pagamento delle 
spese 
processuali 
e 
di 
una 
somma 
in favore 
della 
Cassa 
delle 
ammende 
che, in considerazione 
della 
sopravvenienza 
della 
causa 
di 
inammissibilità 
rispetto alla 
proposizione 
del 
ricorso, deve 
essere 
determinata 
in euro cinquecento. 
2. La 
questione 
rimessa 
alle 
Sezioni 
Unite 
attiene 
al 
secondo motivo dedotto con il 
ricorso 
proposto 
da 
B.B. 
sull’applicazione, 
nei 
confronti 
dello 
stesso, 
della 
recidiva 
reiterata, 
ed 
è 
formulata 
nei 
seguenti 
termini: 
“Se, ai 
fini 
dell’applicazione 
della recidiva reiterata, sia necessaria 
una precedente 
dichiarazione 
di 
recidiva semplice 
contenuta in una sentenza irrevocabile 
di 
condanna, ovvero sia sufficiente 
che, al 
momento della consumazione 
del 
reato, 
l’imputato risulti 
gravato da più condanne 
definitive 
per 
reati 
che 
manifestino una sua maggiore 
pericolosità sociale”. 
3. L’istituto della 
recidiva 
è 
stato interessato da 
recenti 
e 
ripetuti 
interventi 
della 
giurisprudenza 
di 
legittimità, 
precipuamente 
nella 
sua 
massima 
espressione 
delle 
Sezioni 
Unite. 
È 
per

RASSeGNA 
AVVoCAtURA 
DeLLo 
StAto -N. 1/2023 


tanto opportuno, prima 
di 
affrontare 
la 
questione 
rimessa, verificare 
come 
la 
recidiva 
sia 
attualmente 
configurata nel diritto vivente all’esito di tali interventi. 


Questi 
ultimi 
hanno in particolare 
toccato tre 
passaggi 
dell’applicazione 
della 
fattispecie: 
la 
contestazione 
della 
stessa; 
la 
verifica 
della 
sussistenza 
dei 
suoi 
presupposti; 
gli 
effetti 
che 
derivano dalle modalità applicative della recidiva. 


Deve 
essere 
immediatamente 
sottolineato che 
i 
principi 
formulati 
con riguardo al 
primo 
ed 
al 
terzo 
di 
detti 
passaggi 
dipendono 
in 
misura 
determinante 
dalla 
indiscussa 
qualificazione 
della 
recidiva 
come 
circostanza 
aggravante 
inerente 
alla 
persona 
del 
colpevole, già 
oggetto 
di 
risalenti 
affermazioni 
giurisprudenziali 
(Sez. 
U, 
n. 
3152 
del 
31/01/1987, 
Paolini, 
Rv. 
175354; 
Sez. U, n. 1 del 
27/05/1961, Papò, Rv. 098479), e 
successivamente 
ribadita 
con specifico 
riferimento alla 
sua 
ulteriore 
definizione 
quale 
aggravante 
ad effetto speciale 
nelle 
ipotesi, 
previste 
dai 
commi 
successivi 
al 
primo dell’art. 99 c.p., che 
comportano un aumento di 
pena 
superiore 
al 
terzo 
(oltre 
a 
Sez. 
U, 
n. 
20798 
del 
24/02/2011, 
Indelicato, 
Rv. 
249664, 
e 
Sez. 
U, 
n. 
35738 
del 
27/05/2010, 
Calibè, 
Rv. 
247838, 
di 
cui 
si 
avrà 
modo 
di 
trattare 
di 
seguito 
per altri 
aspetti, si 
vedano anche 
Sez. U, n. 30046 del 
23/06/2022, Cirelli, Rv. 283328, e 
Sez. 
U, n. 3585 del 24/09/2020, dep. 2021, Li 
trenta, Rv. 280262). 


3.1. Venendo in primo luogo al 
momento processuale 
della 
contestazione, dall’operatività 
della 
recidiva 
quale 
circostanza 
aggravante 
è 
stata 
tratta, segnatamente 
nella 
sentenza 
Calibè, 
la 
conseguenza 
della 
possibilità 
di 
ritenere 
la 
stessa 
in sede 
giudiziale 
solamente 
in quanto 
specificamente 
contestata 
all’imputato, 
a 
garanzia 
della 
formazione 
del 
contraddittorio 
sul 
punto. 
Il 
principio della 
obbligatoria 
contestazione 
della 
recidiva 
è 
stato successivamente 
riaffermato 
dalla 
giurisprudenza 
di 
legittimità 
nelle 
sue 
implicazioni 
relative 
alle 
modalità 
necessarie 
e sufficienti di tale contestazione in talune particolari situazioni. 


In presenza 
di 
una 
pluralità 
di 
imputazioni, in primo luogo, si 
è 
individuata 
una 
di 
tali 
implicazioni 
nella 
necessità 
che 
la 
circostanza 
sia 
oggetto di 
contestazione 
con puntuale 
riferimento 
a 
ciascuno dei 
reati 
(Sez. 3, n. 51070 del 
07/06/2017, Ndiaye, Rv. 271880; 
Sez. 6, n. 
5075 del 
09/012/2014, Crucitti, Rv. 258046). D’altra 
parte, la 
testuale 
contestazione 
in calce 
alla 
serie 
delle 
imputazioni 
è 
stata 
considerata 
sufficiente 
per 
intendere 
la 
recidiva 
come 
riferita 
a 
ciascuna 
di 
esse, ove 
non si 
tratti 
di 
reati 
di 
diversa 
indole 
ovvero commessi 
in date 
diverse 
(Sez. 2, n. 22966 del 
09/03/2021, Virgilio, Rv. 281456; 
Sez. 2, n. 56688 del 
13/12/2017, Bel-
castro, Rv. 272146). 


In ordine 
invece 
al 
rapporto fra 
le 
modalità 
della 
contestazione 
e 
le 
diverse 
ipotesi 
di 
recidiva 
previste 
dall’art. 
99 
c.p., 
si 
è 
ritenuta 
necessaria 
la 
specificazione 
nell’imputazione 
di 
quale 
di 
dette 
ipotesi 
sia 
addebitata 
(Sez. 5, n. 50510 del 
20/09/2018, La 
Cava, Rv. 274446), 
rilevandosi 
consequenzialmente 
che 
la 
mera 
qualificazione 
della 
recidiva 
contestata 
come 
“ex 
art. 99 c.p.”, proprio in quanto priva 
di 
ulteriori 
precisazioni, non possa 
intendersi 
che 
riferita 
alla 
recidiva 
semplice 
(Sez. 3, n. 43795 del 
01/12/2016, dep. 2017, Kirov, Rv. 270843; 
Sez. 
2, n. 5663 del 
20/11/2012, dep. 2013, Alexa, Rv. 254692). Di 
contro, nella 
stessa 
sentenza 
La 
Cava 
è 
stata 
considerata 
sufficiente 
l’indicazione 
della 
fattispecie 
normativa 
corrispondente 
all’ipotesi 
di 
recidiva 
contestata, 
escludendosi 
che 
tale 
indicazione 
debba 
essere 
corredata 
dalla descrizione degli elementi sui quali l’ipotesi è in concreto fondata. 


3.2. 
La 
qualificazione 
della 
recidiva 
come 
circostanza 
aggravante 
è 
anche 
alla 
base 
di 
alcuni 
principi affermati dalle Sezioni Unite sugli effetti delle modalità applicative della recidiva. 
L’identificazione 
della 
natura 
circostanziale 
della 
recidiva 
ha 
condotto infatti 
ad estendere 
ad 
essa 
il 
principio 
generale 
per 
il 
quale 
una 
circostanza 
aggravante 
deve 
ritenersi 
riconosciuta 



CoNteNZIoSo 
NAZIoNALe 


ed applicata 
non solo quando essa 
si 
traduce 
nei 
tipici 
effetti 
di 
aggravamento della 
pena, ma 
anche 
allorchè 
la 
stessa 
venga 
fatta 
confluire 
nel 
giudizio di 
comparazione 
con circostanze 
attenuanti 
ai 
sensi 
dell’art. 69 c.p., con il 
diverso risultato, ove 
detto giudizio abbia 
esito nel 
senso dell’equivalenza 
fra 
le 
circostanze, di 
neutralizzare 
l’incidenza 
di 
queste 
ultime 
sulla 
determinazione 
della 
pena 
(Sez. 
U, 
n. 
17 
del 
18/06/1991, 
Grassi, 
Rv. 
187856). 
Gli 
effetti 
anche 
indiretti, che 
l’ordinamento ricollega 
al 
riconoscimento della 
recidiva, sono stati 
conseguentemente 
ritenuti 
operanti 
anche 
nel 
caso in cui 
la 
stessa 
sia 
valutata 
come 
equivalente 
ad una 


o 
più 
circostanze 
attenuanti, 
inibendone 
la 
funzione 
di 
mitigazione 
della 
pena 
(Sez. 
U, 
n. 
20798 del 
24/02/2011, Indelicato, Rv. 249664; 
Sez. U, n. 35738 del 
27/05/2010, Calibè, Rv. 
247838). 
Di 
contro, e 
coerentemente, la 
produzione 
degli 
effetti 
della 
recidiva, siano essi 
diretti 
o 
indiretti, è 
stata 
esclusa 
nel 
caso in cui 
la 
circostanza 
sia 
invece 
ritenuta 
subvalente 
nel 
bilanciamento 
con le 
attenuanti, al 
di 
fuori 
dei 
casi 
nei 
quali 
sia 
espressamente 
prevista 
dalla 
legge 
la 
rilevanza 
della 
recidiva 
a 
prescindere 
dal 
risultato del 
giudizio di 
bilanciamento; 
e 
ciò proprio 
in quanto in tal 
caso la 
funzione 
delle 
concorrenti 
circostanze 
attenuanti 
nella 
determinazione 
della 
pena 
ha 
modo 
di 
esplicarsi 
nella 
sua 
pienezza 
(Sez. 
U, 
n. 
20808 
del 
25/10/2018, 
dep. 2019, Schettino, Rv. 275319). 


Con la 
stessa 
sentenza 
Schettino, il 
principio ha 
trovato concreta 
applicazione 
nel 
riconoscimento 
degli 
effetti 
della 
recidiva 
sulla 
quantificazione 
del 
termine 
di 
prescrizione 
del 
reato 
anche 
ove 
la 
stessa 
sia 
ritenuta 
equivalente 
alle 
attenuanti, escludendosi 
correlativamente 
che 
tali 
effetti 
si 
realizzino 
ove 
la 
recidiva 
non 
sia 
stata 
valorizzata 
nella 
determinazione 
della 
pena 
e 
neppure 
quale 
componente 
del 
giudizio di 
comparazione, anche 
nel 
caso in cui 
i 
precedenti 
penali 
dell’imputato siano stati 
valutati 
ai 
fini 
del 
diniego delle 
attenuanti 
generiche. 
Altra 
implicazione 
dello stesso criterio era 
stata 
in precedenza 
ravvisata 
ritenendo operativa 
la 
previsione 
del 
limite 
minimo di 
un terzo nell’aumento per la 
continuazione, di 
cui 
all’art. 
81, comma 
4, c.p., ove 
ricorra 
l’ipotesi 
di 
recidiva 
prevista 
dall’art. 99, comma 
4, c.p., anche 
nel 
caso in cui 
detta 
ipotesi 
circostanziale 
sia 
considerata 
equivalente 
alle 
attenuanti 
(Sez. U, 
n. 31669 del 23/06/2016, Filosofi, Rv. 267044). 


Un’ulteriore 
riproposizione 
del 
principio 
si 
ritrova 
nella 
pronuncia 
(Sez. 
U, 
n. 
3585 
del 
24/09/2020, dep. 2021, Li 
trenta, Rv. 280262) che 
ha 
posto peraltro in evidenza 
una 
particolare 
implicazione 
della 
qualificazione 
come 
circostanze 
aggravanti 
ad effetto speciale 
delle 
ipotesi 
di 
recidiva, 
previste 
dai 
commi 
secondo, 
terzo 
e 
quarto 
dell’art. 
99 
c.p., 
sul 
piano 
degli 
effetti 
dell’applicazione 
della 
fattispecie. 
La 
previsione 
dell’art. 
649-bis 
c.p. 
sulla 
procedibilità 
d’ufficio dei 
reati 
di 
cui 
ai 
precedenti 
artt. 640, comma 
3, 640-ter, comma 
4, e 
646 c.p. -nelle 
ipotesi 
aggravate 
previste 
dal 
comma 
2 di 
detto articolo e 
dall’art. 61, comma 
1, n. 11 c.p. ove 
ricorrano 
circostanze 
ad 
effetto 
speciale, 
è 
stata 
infatti 
ritenuta 
in 
quella 
sede 
tale 
da 
comprendere 
anche il caso in cui il reato sia aggravato per l’appunto dalla recidiva qualificata. 


4. L’intervento giurisprudenziale 
sull’ulteriore 
passaggio applicativo della 
recidiva, costituito 
dalla 
verifica 
dei 
suoi 
presupposti, si 
è 
invece 
sviluppato dalla 
previsione 
legislativa 
di 
facoltatività 
delle 
conseguenze 
direttamente 
sanzionatorie 
della 
fattispecie, 
arricchendo 
di 
elementi 
aggiuntivi 
l’ambito dei 
requisiti 
di 
configurabilità 
della 
fattispecie, rispetto a 
quelli 
che risultano già evidenti dal testo normativo. 
4.1. L’art. 99 c.p., in effetti, delinea 
espressamente 
i 
presupposti 
per la 
ravvisabilità 
della 
recidiva 
in una 
serie 
di 
condizioni 
progressivamente 
riferite, nelle 
varie 
ipotesi, ai 
precedenti 
penali dell’imputato. 
Per l’ipotesi 
della 
recidiva 
semplice, in particolare, il 
comma 
1 dell’articolo richiede 
uni



RASSeGNA 
AVVoCAtURA 
DeLLo 
StAto -N. 1/2023 


camente 
una 
precedente 
condanna 
per un delitto non colposo, come 
quello per la 
cui 
commissione 
è 
attualmente 
giudicato; 
per 
quella 
della 
recidiva 
aggravata, 
il 
comma 
2 
prevede 
che 
il 
nuovo delitto sia 
della 
stessa 
indole 
di 
quello precedente, ovvero che 
sia 
commesso entro i 
cinque 
anni 
dalla 
condanna 
precedente 
oppure 
durante 
o 
dopo 
l’esecuzione 
della 
pena, 
ovvero 
ancora 
nel 
tempo 
in 
cui 
il 
condannato 
si 
è 
sottratto 
volontariamente 
all’esecuzione 
della 
pena; 
l’ipotesi 
della 
recidiva 
pluriaggravata 
è 
ravvisabile, in base 
al 
comma 
3, nel 
concorso di 
più 
circostanze 
fra 
quelle 
descritte 
al 
comma 
2; 
per l’ipotesi 
della 
recidiva 
reiterata 
è 
richiesta 
la 
commissione 
di 
un 
ulteriore 
delitto 
da 
parte 
del 
soggetto 
già 
recidivo, 
secondo 
quanto 
previsto 
dai commi precedenti. 


Le 
conseguenze 
di 
tali 
diverse 
ipotesi 
sulla 
determinazione 
della 
pena 
da 
infliggere 
per il 
nuovo delitto, nella 
testuale 
previsione 
normativa 
come 
riformulata 
dall’art. 4 L. 5 dicembre 
2005, n. 251, sono indicate 
disponendo che 
il 
recidivo semplice 
“può essere 
sottoposto ad un 
aumento di 
un terzo della 
pena”; 
per il 
recidivo aggravato “la 
pena 
può essere 
aumentata 
fino 
alla 
metà”; 
per il 
recidivo pluriaggravato “l’aumento di 
pena 
è 
della 
metà”; 
e 
per il 
recidivo 
reiterato 
“l’aumento 
è 
della 
metà 
e, 
nei 
casi 
previsti 
dal 
comma 
2, 
è 
di 
due 
terzi”. 
Un 
ulteriore 
livello 
di 
aggravamento 
sanzionatorio 
era 
previsto 
dal 
comma 
5 
dell’articolo 
in 
commento 
con la 
previsione 
di 
obbligatorietà 
dell’aumento di 
pena 
per la 
recidiva, in presenza 
di 
uno 
dei 
delitti 
indicati 
dall’art. 407, comma 
2, lett. a) 
c.p.p. (nel 
senso, come 
chiarito in sede 
giurisprudenziale, 
che 
il 
nuovo 
delitto 
commesso 
appartenga 
a 
tale 
categoria, 
essendo 
irrilevante 
che 
abbia 
o meno questa 
natura 
il 
delitto precedente, v. Sez. U, n. 20798 del 
24/02/2011, Indelicato, 
cit.; 
Sez. 2, n. 8076 del 
21/11/2012, dep. 2013, Consolo, Rv. 254534), e 
con la 
fissazione 
del 
limite 
minimo di 
tale 
aumento, in caso di 
recidiva 
aggravata, nella 
misura 
di 
un 
terzo. La 
sopravvenuta 
declaratoria 
di 
illegittimità 
costituzionale 
del 
comma 
5 citato, nella 
parte 
in cui 
prevedeva 
l’obbligatorietà 
dell’aumento di 
pena 
nella 
situazione 
indicata 
(Corte 
Cost., sent. n. 185 del 
2015), rende 
tuttora 
vigente 
solo la 
descritta 
predeterminazione 
della 
misura minima dell’aumento. 


Quanto appena 
rammentato, con particolare 
riguardo alle 
modulazioni 
della 
risposta 
sanzionatoria 
in relazione 
alle 
varie 
ipotesi 
di 
recidiva, rende 
evidente 
che 
l’aumento di 
pena 
è 
facoltativo 
nei 
casi 
di 
recidiva 
semplice 
e 
di 
recidiva 
aggravata, 
alla 
luce 
della 
presenza, 
nelle 
corrispondenti 
fattispecie 
normative, 
delle 
espressioni 
“può 
essere 
sottoposto 
ad 
un 
aumento” 


o “può essere 
aumentata”. Neppure 
può porsi 
in dubbio, però, che 
analoga 
facoltatività 
contraddistingua 
le 
ulteriori 
ipotesi, 
per 
il 
solo 
fatto 
che, 
a 
proposito 
delle 
stesse, 
la 
norma 
si 
esprima 
nei 
termini 
tassativi 
“l’aumento 
è”. 
Le 
proposte 
questioni 
di 
illegittimità 
costituzionale 
dell’art. 69, comma 
4, c.p.p., nella 
parte 
in cui 
stabilisce 
fra 
l’altro il 
divieto di 
prevalenza 
delle 
circostanze 
attenuanti 
sull’aggravante 
della 
recidiva 
reiterata, 
sono 
state 
infatti 
dichiarate 
inammissibili 
(Corte 
Cost., sent. n. 192 del 
2007) in quanto ritenute 
implicitamente 
fondate 
sul 
presupposto della 
obbligatorietà 
dell’applicazione 
della 
recidiva 
reiterata, in presenza 
dei 
soli 
requisiti 
attinenti 
ai 
precedenti 
penali, 
trascurando 
il 
diverso 
orientamento 
della 
giurisprudenza 
di 
legittimità, 
già 
espresso 
in 
alcune 
pronunce 
all’epoca 
della 
decisione 
della 
Corte 
costituzionale. Secondo tale 
indirizzo (fra 
le 
altre 
Sez. 6, n. 37169 del 
17/09/2008, orlando, 
Rv. 
241192; 
Sez. 
5, 
n. 
40446 
del 
25/09/2007, 
Mura, 
Rv. 
237273; 
Sez. 
2, 
n. 
32876 
del 
04/07/2007, Doro, Rv. 237144; 
Sez. 4, n. 39134 del 
28/06/2007, Mazzitta, Rv. 237271; 
Sez. 
4, 
n. 
26412 
del 
19/04/2007, 
Meradi, 
Rv. 
236835), 
la 
formulazione 
letteralmente 
tassativa 
sul-
l’aumento di 
pena 
nella 
disposizione 
relativa 
alla 
recidiva 
reiterata 
-con argomentazione 
da 
intendersi 
evidentemente 
valida 
anche 
per 
l’ipotesi 
della 
recidiva 
pluriaggravata 
-deve 
invero 
essere 
intesa 
nel 
suo diretto ed esclusivo riferimento alla 
determinazione 
di 
tale 
aumento, e 

CoNteNZIoSo 
NAZIoNALe 


non estesa 
anche 
all’applicazione 
o meno dello stesso, che 
rimane 
affidata 
alla 
decisione 
facoltativa 
del 
giudice; 
significato 
rimarcato 
in 
tal 
senso 
dalla 
ben 
diversa 
formulazione 
del 
comma 
5 
dell’art. 
99 
c.p., 
all’epoca 
vigente 
prima 
della 
menzionata 
declaratoria 
di 
illegittimità 
costituzionale 
del 
2015, esplicitamente 
enunciata 
in termini 
di 
obbligatorietà 
dell’aumento in 
quella particolare ipotesi. 


4.2. La 
citata 
sentenza 
della 
Corte 
costituzionale 
del 
2007, tuttavia, non ha 
limitato il 
suo 
contenuto 
motivazionale 
ad 
una 
decisione 
sostanzialmente 
adesiva 
all’orientamento 
della 
giurisprudenza 
di 
legittimità 
sulla 
facoltatività 
dell’aumento di 
pena 
nelle 
fattispecie 
di 
recidiva 
aggravata 
e 
reiterata. La 
stessa 
Corte 
ha, infatti, indicato il 
criterio valutativo per l’esercizio 
di 
tale 
facoltatività, 
precisandone 
i 
contorni 
nella 
significatività 
del 
nuovo 
fatto 
delittuoso, 
commesso dopo una 
o più precedenti 
condanne, sotto il 
profilo della 
più accentuata 
colpevolezza 
e della maggiore pericolosità del reo. 
Si 
tratta, in realtà, di 
una 
indicazione 
anch’essa 
già 
presente 
nella 
giurisprudenza 
di 
legittimità 
coeva 
alla 
decisione 
del 
giudice 
delle 
leggi 
(Sez. 
4, 
n. 
16750 
del 
11/04/2007, 
Serra, 
Rv. 
236412), 
e 
successivamente 
ribadita 
in 
altre 
pronunce 
affermative 
del 
carattere 
facoltativo 
dell’applicazione 
della 
recidiva 
(Sez. 5, n. 22871 del 
15/05/2009, Held, Rv. 244209; 
Sez. 3, 


n. 
45065 
del 
25/09/2008, 
Pellegrino, 
Rv. 
241779; 
Sez. 
2, 
n. 
19557 
del 
19/03/2008, 
Rv. 
240404, 
Buccheri). Il 
riferimento metodologico alla 
valutazione 
del 
nuovo delitto in termini 
di 
maggiore 
colpevolezza 
e 
pericolosità 
si 
è 
tuttavia 
consolidato nelle 
successive 
decisioni 
delle 
Sezioni 
Unite 
che 
hanno recepito tale 
principio nella 
risoluzione 
delle 
questioni 
rispettivamente 
rimesse 
(Sez. U, n. 20808 del 
25/10/2018, dep. 2019, Schettino, in tema 
di 
necessità, perchè 
la 
recidiva 
possa 
ritenersi 
riconosciuta, 
dell’effettivo 
aumento 
della 
pena 
in 
relazione 
alla 
stessa 
o della 
sua 
confluenza 
nel 
giudizio di 
comparazione 
fra 
circostanze 
concorrenti 
eterogenee; 
Sez. U, n. 20798 del 
24/02/2011, Indelicato, in tema 
di 
qualificazione 
della 
recidiva 
aggravata 
e 
reiterata 
come 
circostanza 
ad effetto speciale 
e 
delle 
relative 
conseguenze 
in caso 
di 
concorso della 
stessa 
con altre 
aggravanti 
dello stesso tipo; 
Sez. U, 35738 del 
27/05/2010, 
Calibè, in tema di obbligatorietà della contestazione della recidiva). 
Nella 
sentenza 
Indelicato, in particolare, sono stati 
posti 
in evidenza 
gli 
aspetti 
sistematici 
della 
specificazione 
dei 
requisiti 
di 
maggiore 
colpevolezza 
e 
pericolosità, quali 
fondamenti 
per le 
valutazioni 
giudiziali 
sull’esercizio della 
facoltà 
di 
aumento di 
pena 
per effetto della 
recidiva, sia sotto il profilo strutturale che per quello funzionale. 


tale 
specificazione 
attribuisce 
in primo luogo ai 
requisiti 
indicati 
la 
natura 
di 
veri 
e 
propri 
presupposti 
per l’applicazione 
di 
tale 
aumento. Nella 
struttura 
della 
recidiva, in altre 
parole, 
al 
presupposto formale 
costituito dalla 
precedente 
condanna 
si 
aggiunge 
un presupposto sostanziale 
individuato per l’appunto nella 
maggiore 
colpevolezza 
e 
pericolosità, in quanto implicitamente 
previsto, 
accanto 
a 
quelli 
espressamente 
descritti 
dall’art. 
99 
c.p., 
nella 
disposizione 
di 
facoltativo aggravamento della 
pena 
a 
seguito dell’accertamento di 
tali 
condizioni. 


Sempre 
sul 
piano strutturale 
e 
descrittivo, inoltre, e 
in conseguenza 
diretta 
di 
questo ampliata 
visuale 
sui 
presupposti 
della 
recidiva, la 
stessa 
non può essere 
considerata 
unicamente 
come 
espressione 
di 
uno 
status 
soggettivo 
del 
reo, 
delineato 
dai 
suoi 
precedenti 
penali. 
La 
necessità 
del 
presupposto 
sostanziale 
di 
maggiore 
colpevolezza 
e 
pericolosità, 
del 
quale 
il 
nuovo delitto sia 
sintomatico, collega 
invece 
la 
recidiva 
anche 
ad un dato fattuale, ossia 
tale 
nuovo delitto nelle sue oggettive caratteristiche. 


Sotto 
il 
profilo 
funzionale, 
infine, 
coerentemente 
con 
la 
sua 
natura 
circostanziale, 
la 
recidiva 
opera 
in questa 
prospettiva 
come 
adeguamento della 
risposta 
sanzionatoria 
alla 
effettiva 
gra



RASSeGNA 
AVVoCAtURA 
DeLLo 
StAto -N. 1/2023 


vità 
del 
nuovo delitto. La 
peculiarità 
di 
questa 
funzione 
è 
nella 
necessità 
che 
tale 
gravità 
sia 
valutata 
nella 
sua 
relazione 
con 
i 
precedenti 
reati 
commessi, 
qualificata 
alla 
luce 
dell’incidenza 
nell’incremento della colpevolezza e della pericolosità del soggetto. 


5. 
Il 
presupposto 
sostanziale 
della 
recidiva, 
come 
appena 
ricostruito, 
pone 
alcune 
questioni 
definitorie e, di conseguenza, anche operative. 
5.1. 
Un 
primo 
ordine 
di 
questioni 
attiene 
ai 
rapporti 
fra 
le 
valutazioni 
di 
profili 
diversi 
quali, da 
un lato, la 
colpevolezza 
e 
la 
pericolosità, e, dall’altro, la 
personalità 
del 
reo, emergente 
dalle condanne precedenti, e la gravità del nuovo delitto. 
L’aspetto 
segnatamente 
definitorio 
concerne, 
in 
questa 
prospettiva, 
le 
stesse 
nozioni 
di 
colpevolezza 
e di pericolosità da considerarsi nel giudizio sulla recidiva. 


Una 
prima 
indicazione 
in 
questo 
senso, 
con 
particolare 
riguardo 
alla 
colpevolezza, 
si 
ritrova 
già 
in 
una 
delle 
decisioni 
di 
legittimità 
che 
collegavano 
l’esercizio 
della 
facoltatività, 
nell’aumento 
di 
pena 
per la 
recidiva, al 
dato della 
maggiore 
colpevolezza 
e 
pericolosità, nei 
tempi 
immediatamente 
successivi 
alla 
pronuncia 
della 
citata 
sentenza 
della 
Corte 
costituzionale 
del 
2007 (Sez. 4, n. 21523 del 
23/04/2009, Pinna, Rv. 244010). Si 
è 
infatti 
osservato in quella 
occasione 
che 
la 
valutazione 
di 
significatività 
del 
nuovo 
delitto, 
nell’ambito 
della 
reiterazione 
dei 
reati, si 
risolve 
nello stabilire 
se 
e 
quanto tale 
delitto esprima 
una 
maggiore 
rimproverabilità, 
in quanto dimostrativo di 
un atteggiamento di 
indifferenza 
verso la 
legge, dell’assenza 
di 
un ripensamento critico a 
seguito delle 
precedenti 
condanne 
e, in conclusione, di 
una 
risoluzione 
criminosa 
più consapevole 
e 
determinata. La 
maggiore 
dimensione 
di 
colpevolezza, 
ravvisabile 
nel 
nuovo delitto, viene 
rappresentata 
in sostanza 
nella 
sua 
espressività, ove 
rapportata 
ai 
delitti 
oggetto delle 
precedenti 
condanne, della 
resistenza 
del 
reo all’effetto dissuasivo 
derivante 
dalla 
revisione 
del 
proprio vissuto criminale 
in conseguenza 
di 
tali 
condanne, 
e del conseguente rafforzamento della propria determinazione delittuosa. 


Questa 
visione 
è 
stata 
delineata 
con maggiore 
chiarezza 
e 
completezza 
dalle 
Sezioni 
Unite 
con la 
più volte 
menzionata 
sentenza 
Indelicato. Qui 
l’elemento centrale, nella 
valutazione 
sull’applicazione 
dell’aumento di 
pena 
per la 
recidiva, è 
stato individuato nella 
maggiore 
attitudine 
a 
delinquere 
del 
reo, in quanto aspetto comune 
sia 
alla 
colpevolezza 
che 
alla 
capacità 
di 
realizzazione 
di 
nuovi 
reati. La 
colpevolezza, in questa 
prospettiva, rileva 
ai 
fini 
della 
recidiva 
nella 
sua 
accezione 
di 
consolidamento della 
determinazione 
delittuosa 
pur a 
fronte 
del 
monito delle 
precedenti 
condanne, corrispondente 
a 
quella 
proposta 
con la 
suddetta 
sentenza 
Pinna. tale 
nozione, tuttavia, viene 
sviluppata 
in una 
sua 
inevitabile 
risultante, ossia 
la 
maggiore 
attitudine 
a 
delinquere, che 
sotto questo profilo costituisce 
una 
componente 
della 
colpevolezza. 
Questa 
componente, 
per 
altro 
verso, 
si 
traduce 
a 
sua 
volta 
in 
una 
incrementata 
capacità 
delinquenziale, che 
in questo senso costituisce 
la 
forma 
espressiva 
della 
pericolosità 
determinante nel giudizio sulla recidiva. 


Questa 
ricostruzione 
implica 
che, se 
alla 
colpevolezza 
ed alla 
pericolosità 
si 
attribuiscono 
in concreto le 
forme 
appena 
rispettivamente 
descritte, le 
stesse 
sono oggetto non di 
distinte 
valutazioni 
ai 
fini 
della 
recidiva, ma 
di 
una 
valutazione 
unitaria 
e 
consequenziale, nel 
senso 
che 
dall’accertamento di 
una 
maggiore 
colpevolezza, in quanto costituita 
dal 
rafforzamento 
della 
determinazione 
criminosa, deriva 
quello di 
una 
pericolosità 
costituita 
dalla 
potenzialità 
di commissione di altri reati. 


In tal 
modo si 
chiariscono non solo i 
rapporti 
fra 
le 
due 
componenti 
del 
fondamento sostanziale 
della 
recidiva, nel 
segno di 
una 
valutazione 
che 
le 
investe 
entrambe 
unitariamente, 
ma 
anche 
quelli 
che 
intercorrono in questo contesto fra 
i 
precedenti 
del 
reo e 
il 
nuovo delitto. 
La 
valutazione 
dell’attitudine 
a 
delinquere, invero, da 
un lato consente 
alla 
recidiva 
di 
svol



CoNteNZIoSo 
NAZIoNALe 


gere, quale 
circostanza 
aggravante, la 
propria 
funzione 
di 
adeguamento dell’entità 
della 
risposta 
punitiva 
al 
nuovo 
delitto. 
Dall’altro 
collega 
quest’ultimo 
reato 
ai 
fatti 
oggetto 
delle 
condanne 
precedenti, in quanto è 
in relazione 
a 
tali 
fatti 
ad essere 
esaminata 
l’incidenza 
del-
l’ultima 
ricaduta 
nel 
crimine 
nel 
contrassegnare 
l’ulteriore 
incremento dell’attitudine 
a 
delinquere, 
incremento che giustifica la risposta sanzionatoria di cui sopra. 


5.2. Se 
il 
giudizio sulla 
sussistenza 
del 
presupposto sostanziale 
della 
recidiva 
si 
incentra 
nella 
valutazione 
sulla 
maggiore 
attitudine 
a 
delinquere 
del 
reo, lo stesso non può evidentemente 
ridursi 
alla 
mera 
constatazione 
della 
commissione 
di 
un nuovo delitto da 
parte 
del 
soggetto 
già 
condannato. È 
necessario, di 
contro, un esame 
del 
percorso criminale 
del 
reo e 
della 
significatività 
del 
nuovo delitto, nell’ambito di 
tale 
percorso, in termini 
di 
rafforzamento del-
l’attitudine 
a 
delinquere. tanto non può prescindere 
dal 
riferimento a 
parametri 
di 
commisurazione 
relativi sia ai precedenti che al nuovo delitto. 
Di 
siffatti 
parametri 
aveva 
già 
fatto cenno la 
Corte 
costituzionale 
(Corte 
Cost., sent. n. 192 
del 
2007), indicandoli, oltre 
che 
nel 
generale 
riferimento agli 
elementi 
previsti 
dall’art. 133 
c.p., anche 
e 
più specificamente 
nella 
natura 
e 
nel 
tempo di 
commissione 
dei 
reati 
precedentemente 
commessi. 


Una 
più articolata 
definizione 
dei 
criteri 
in discussione 
è 
stata 
tuttavia 
formulata 
dalla 
Sezioni 
Unite 
(Sez. U, n. 35738 del 
27/05/2010, Calibè, Rv. 247838), sia 
nella 
specificazione 
degli elementi di cui sopra che nell’apertura ad altri parametri. 


Quanto al 
primo aspetto, il 
riferimento alla 
natura 
dei 
reati 
è 
stato precisato in alcuni 
dati 
riguardanti 
i 
singoli 
illeciti, come 
la 
qualità 
delle 
condotte 
ed il 
loro grado di 
offensività, e 
in 
altri 
attinenti 
alla 
visione 
complessiva 
dei 
reati, 
quali 
il 
tipo 
di 
devianza 
di 
cui 
essi 
sono 
il 
segno 
ed 
il 
loro 
livello 
di 
omogeneità. 
L’oggetto 
del 
richiamo 
al 
tempo 
della 
commissione 
dei reati è stato invece focalizzato nella distanza temporale intercorrente fra gli stessi. 


Per 
altro 
verso, 
la 
sentenza 
Calibè 
ha 
posto 
l’accento, 
quanto 
in 
particolare 
al 
nuovo 
delitto 
commesso, sull’importanza 
di 
valutare 
l’eventuale 
occasionalità 
della 
ricaduta 
nel 
crimine. È 
in primo luogo da 
questo punto di 
vista, invero, che 
deve 
essere 
considerata 
l’incidenza 
di 
tale delitto nel rafforzamento dell’attitudine a delinquere. 


La 
stessa 
decisione 
ha 
peraltro 
escluso 
che 
la 
suddetta 
elencazione 
abbia 
carattere 
tassativo 
ed 
esclusivo, 
rimanendo 
possibile 
individuare 
nella 
realtà 
concreta 
ulteriori 
elementi 
significativi. 


Quello 
che 
occorre 
sottolineare, 
e 
che 
si 
rivelerà 
utile 
per 
quanto 
si 
dirà 
in 
seguito, 
è 
quanto 
in 
questa 
pronuncia 
delle 
Sezioni 
Unite 
emerge 
sulla 
necessità 
di 
una 
valutazione 
che, 
pur 
mirata 
all’incidenza 
dell’ultimo delitto sull’attitudine 
a 
delinquere 
del 
reo, prenda 
in esame 
in questa 
prospettiva 
l’interezza 
dei 
reati 
compresi 
nella 
sequenza 
recidivante. L’obiettivo finale 
dell’accertamento, in altre 
parole, è 
senza 
dubbio la 
significatività 
dell’ultimo episodio 
della 
serie 
per la 
risposta 
sanzionatoria 
prevista 
dall’art. 99 c.p.; 
ma 
il 
metodo di 
tale 
accertamento 
non può che guardare al complesso della serie criminale. 


6. Venendo ora 
all’esame 
dello specifico quesito proposto alle 
Sezioni 
Unite, va 
premesso 
che 
l’ordinanza 
di 
rimessione 
assume 
una 
posizione 
critica 
rispetto ad un orientamento della 
giurisprudenza 
di 
legittimità 
che 
segnala 
come 
maggioritario, 
ma 
che 
in 
realtà 
è 
pressochè 
costante e risalente. 
6.1. Secondo tale 
orientamento, la 
configurabilità 
della 
recidiva 
reiterata 
non presuppone 
la 
dichiarazione 
della 
recidiva 
semplice 
in 
una 
delle 
precedenti 
sentenze 
di 
condanna, 
essendo 
sufficiente 
a 
tal 
fine 
che, al 
momento della 
commissione 
dell’ultimo delitto, il 
reo risulti 
gravato 
da 
più condanne 
definitive 
per reati 
che, valutati 
unitamente 
all’ultimo, manifestino la 
sua 
maggiore 
attitudine 
criminosa 
(fra 
le 
altre, 
Sez. 
2, 
n. 
35159 
del 
01/07/2022, 
Lodi, 
Rv. 

RASSeGNA 
AVVoCAtURA 
DeLLo 
StAto -N. 1/2023 


283848; 
Sez. 
2, 
n. 
15591 
del 
24/03/2021, 
Di 
Maio, 
Rv. 
281229; 
Sez. 
2, 
n. 
21451 
del 
05/03/2019, Gasmì, Rv. 275816; 
Sez. 5, n. 47072 del 
13/06/2014, Hoxha, Rv. 261308; 
Sez. 
2, n. 18701 del 
07/05/2010, Arullani, Rv. 247089; 
Sez. 5, n. 41288 del 
25/09/2008, Moccia, 
Rv. 
241598; 
Sez. 
3, 
n. 
7864 
del 
20/12/1974, 
dep. 
1975, 
Arrighini, 
Rv. 
130566; 
Sez. 
4, 
n. 
2957 
del 
11/11/1974, dep. 1975, Bongi, Rv. 129565; 
Sez. 4, n. 4010 del 
20/09/1971, Marotta, Rv. 
119454; 
Sez. 5, n. 1192 del 
12/10/1967, dep. 1968, Di 
Pierro, Rv. 106912, oltre 
alle 
recenti 
e 
non 
massimate 
Sez. 
5, 
n. 
26170 
del 
22/04/2022, 
Nikolic; 
Sez. 
6, 
n. 
11522 
del 
02/02/2022, 
D’Ignoti; Sez. 6, n. 4448 del 27/01/2022, Ahmed; Sez. 2, n. 21770 del 19/02/2021, Ranalli). 


Questa 
linea 
interpretativa 
è 
motivata 
essenzialmente 
in 
base 
al 
dato 
letterale. 
L’art. 
99, 
comma 
4, c.p., nel 
prevedere 
l’ipotesi 
della 
recidiva 
reiterata, non fa 
alcun riferimento ad una 
precedente 
dichiarazione 
della 
recidiva 
semplice. Come 
poi 
si 
sottolinea 
particolarmente 
in 
alcune 
pronunce 
(Sez. 1, n. 24023 del 
06/05/2003, Andreucci, Rv. 225233; 
Sez. 3, n. 6424 
del 
25/06/1993, Mighetto, Rv. 195127), un siffatto richiamo non può essere 
tratto dalla 
mera 
indicazione 
come 
“recidivo” 
dei 
soggetto 
che, 
ove 
commetta 
altro 
delitto, 
è 
sottoposto 
all’aumento 
di 
pena 
proprio 
della 
fattispecie 
recidivante 
in 
esame. 
Il 
termine, 
secondo 
questa 
lettura, 
non sottintende 
la 
costituzione 
di 
uno stato di 
recidivanza 
per effetto di 
una 
precedente 
dichiarazione 
giudiziale 
in 
tal 
senso. 
esso, 
al 
contrario, 
è 
utilizzato 
dal 
legislatore, 
per 
comodità 
espositiva, 
quale 
mera 
espressione 
di 
sintesi 
che 
consente 
di 
non 
riproporre 
testualmente 
e 
per esteso la 
disposizione 
del 
comma 
1 dell’articolo sul 
presupposto formale 
della 
recidiva 
semplice, ossia la precedente condanna per un delitto non colposo. 


6.2. Nell’ordinanza 
di 
rimessione 
si 
richiama, indicandolo come 
parzialmente 
divergente 
da 
quello appena 
esposto, un indirizzo giurisprudenziale 
che 
tuttavia 
si 
discosta 
da 
quest’ultimo 
per un aspetto marginale, e 
non ne 
mette 
in discussione 
l’essenzialità 
del 
principio generale 
affermato 
nella 
possibilità 
di 
ritenere 
la 
recidiva 
reiterata 
anche 
in 
mancanza 
di 
una 
previa 
dichiarazione 
della 
recidiva 
semplice. Il 
riferimento è 
alle 
decisioni 
che, in contrasto 
con talune 
di 
quelle 
citate 
in precedenza, in particolare 
le 
sentenze 
Lodi 
e 
Di 
Maio, secondo 
le 
quali 
la 
recidiva 
reiterata 
può essere 
ritenuta 
anche 
ove 
nei 
procedimenti 
precedentemente 
definiti 
non 
sussistano 
le 
condizioni 
astratte 
per 
la 
dichiarazione 
della 
recidiva 
semplice, 
hanno 
di 
contro affermato la 
necessità 
che, all’epoca 
della 
commissione 
del 
reato oggetto della 
seconda 
condanna 
precedente, si 
sia 
realizzata 
la 
condizione 
del 
passaggio in giudicato della 
prima 
condanna 
(Sez. 
1, 
n. 
49567 
del 
02/11/2022, 
Panico, 
non 
mass.; 
Sez. 
3, 
n. 
27450 
del 
29/04/2022, D’Aguì, Rv. 283351; 
Sez. 3, n. 2519 del 
14/12/2021, dep. 2022, Pistocchi, Rv. 
282707; 
Sez. 2, n. 37063 del 
26/11/2020, Kassimi, Rv. 280436). Si 
tratta, all’evidenza, di 
decisioni 
dipendenti 
dalla 
particolarità 
del 
caso, 
nel 
quale 
in 
precedenza 
difettava 
una 
condizione 
formale 
per 
la 
configurabilità 
della 
recidiva 
semplice; 
decisioni, 
pertanto, 
non 
incidenti 
significativamente 
sulla 
generalità 
dell’affermazione 
della 
giurisprudenza 
in ordine 
alla 
mancanza, 
fra 
le 
condizioni 
per 
la 
ravvisabilità 
della 
recidiva 
reiterata, 
della 
pregressa 
dichiarazione 
della 
recidiva 
semplice. 
È 
significativo 
in 
tal 
senso, 
del 
resto, 
che 
nella 
sentenza 
Panico, poc’anzi 
citata, la 
constatazione 
del 
mancato passaggio in giudicato della 
prima 
condanna 
al 
momento 
della 
commissione 
del 
secondo 
reato 
sia 
stata 
considerata 
pregiudizialmente 
quale 
fatto 
che 
rendeva 
superfluo 
affrontare 
la 
questione, 
in 
quella 
sede 
proposta, 
della 
necessità in tutti i casi di una previa dichiarazione della recidiva semplice. 
tale 
questione, in realtà, è 
rimessa 
alle 
Sezioni 
Unite 
non tanto per l’esistenza 
di 
un effettivo 
contrasto 
giurisprudenziale 
sul 
punto, 
quanto 
per 
la 
ravvisabilità 
di 
un 
contrasto 
potenziale 
dell’attuale 
orientamento, 
in 
tema 
di 
irrilevanza 
della 
pregressa 
dichiarazione 
di 
recidiva 
semplice 
per la 
rilevabilità 
della 
recidiva 
reiterata, con l’evoluzione 
giurisprudenziale 
ricostruita 



CoNteNZIoSo 
NAZIoNALe 


in 
precedenza 
in 
ordine 
alla 
sussistenza 
di 
un 
presupposto 
sostanziale 
della 
recidiva, 
costituito 
dalla significatività dell’ultimo delitto commesso in termini di accresciuta attitudine a delinquere 
del reo. ed è in questa prospettiva che la questione deve essere discussa. 


7. 
occorre 
considerare 
innanzitutto 
l’argomento 
di 
carattere 
letterale 
richiamato 
quale 
fondamento 
dell’interpretazione 
fin qui 
sostenuta 
dalla 
giurisprudenza 
di 
legittimità 
sulla 
questione 
in discussione. 
7.1. 
tale 
argomento 
ha 
senza 
dubbio 
una 
notevole 
consistenza. 
La 
sua 
persuasività, 
peraltro, 
non è 
data 
unicamente 
dalla 
pur non trascurabile 
rilevanza 
dell’assenza, nella 
formulazione 
dell’art. 
99, 
comma 
4, 
c.p., 
di 
qualsiasi 
riferimento 
ad 
una 
precedente 
affermazione 
giudiziaria 
della recidiva semplice. 
L’adesione 
alla 
tesi 
opposta, 
nel 
senso 
della 
necessità 
di 
tale 
precedente 
pronuncia, 
presupporrebbe 
infatti 
l’attribuzione 
al 
termine 
“recidivo”, che 
introduce 
il 
citato comma 
4 indicando 
come 
tale 
il 
soggetto nei 
confronti 
del 
quale 
può essere 
ritenuta 
la 
fattispecie 
reiterata 
della 
recidiva, di 
un significato tale 
da 
comprendere 
l’intero contenuto descrittivo del 
comma 
1 
dell’articolo; 
non 
solo, 
quindi, 
l’esistenza 
di 
una 
prima 
condanna 
per 
un 
delitto 
non 
colposo, 
ma 
anche 
la 
concreta 
applicazione 
della 
recidiva 
con 
la 
seconda 
condanna, 
mediante 
il 
relativo 
umento di 
pena 
o la 
confluenza 
della 
circostanza 
aggravante 
in un giudizio di 
comparazione 
con circostanze di segno contrario. 


Se 
si 
pone 
tuttavia 
attenzione 
alla 
struttura 
testuale 
complessiva 
della 
norma, ed in particolare 
al 
rapporto fra 
le 
fattispecie 
del 
primo e 
del 
comma 
4, è 
di 
immediata 
constatazione 
che 
dette 
fattispecie 
sono connotate 
da 
un’evidente 
simmetria. In entrambe, invero, ad una 
prima 
parte 
riferita 
alla 
posizione 
soggettiva 
di 
recidivanza 
del 
reo, esplicitata 
nel 
comma 
1 
con 
l’indicazione 
della 
precedente 
condanna 
e 
della 
natura 
del 
reato 
oggetto 
della 
stessa, 
segue 
una 
seconda 
parte 
rappresentativa 
delle 
conseguenze 
giuridiche 
di 
questa 
posizione 
sul 
trattamento 
sanzionatorio. 


In 
questa 
configurazione, 
intendere 
la 
prima 
parte 
del 
comma 
4, 
ossia 
il 
riferimento 
all’ipotesi 
nella 
quale 
il 
“recidivo commette 
un altro delitto non colposo”, quale 
comprensiva 
anche 
della 
seconda 
parte 
del 
comma 
1, relativa 
al 
riconoscimento giudiziale 
della 
recidiva, 
appare 
decisamente 
dissonante 
rispetto 
alla 
descritta 
corrispondenza 
simmetrica 
fra 
le 
due 
fattispecie; 
mentre 
è 
invece 
coerente 
con la 
stessa 
una 
lettura 
della 
riportata 
espressione 
del 
comma 
4 
nel 
suo 
significato 
letterale, 
unicamente 
descrittivo 
della 
posizione 
del 
soggetto 
che 
abbia 
posto in essere 
l’ulteriore 
delitto trovandosi 
nella 
condizione 
formale 
di 
recidivo semplice, 
prevista 
dalla 
prima 
parte 
del 
comma 
1, 
e 
non 
comprensivo 
dell’effettivo 
riconoscimento 
giudiziale 
della 
recidiva 
e 
dei 
relativi 
effetti 
sanzionatori, 
oggetto 
della 
seconda 
parte 
del 
comma 
1 e, correlativamente, della 
seconda 
parte 
del 
comma 
4 con riguardo alla 
fattispecie 
della 
recidiva 
reiterata. tanto, a 
maggior ragione, ove 
si 
consideri 
la 
facoltatività 
del 
giudizio 
da 
cui 
dipende 
la 
conseguenza 
sanzionatoria 
prevista 
dal 
comma 
1 e, come 
si 
è 
visto, anche 
dal 
comma 
4, a 
fronte 
della 
invece 
tassativa 
qualificazione 
di 
recidivanza 
per effetto del 
dato 
formale 
della 
pregressa 
condanna. 
L’elemento 
testuale, 
in 
sostanza, 
depone 
univocamente 
nel 
leggere 
il 
termine 
“recidivo” 
presente 
nel 
comma 
4, conformemente 
all’interpretazione 
del-
l’orientamento 
giurisprudenziale 
criticato 
con 
l’ordinanza 
di 
rimessione, 
come 
meramente 
ripropositivo 
in 
forma 
sintetica 
dell’espressione 
estesamente 
utilizzata 
nel 
comma 
1 
per 
descrivere 
la 
condizione 
di 
precedente 
condanna, 
e 
non 
inclusivo 
dell’eventuale, 
concreta 
applicazione 
della recidiva nei suoi effetti sanzionatori. 


7.2. 
Vi 
sono, 
d’altra 
parte, 
diversi 
aspetti 
sistematici 
che 
si 
pongono 
in 
linea 
con 
questa 
conclusione. 

RASSeGNA 
AVVoCAtURA 
DeLLo 
StAto -N. 1/2023 


L’art. 
105 
c.p., 
in 
primo 
luogo, 
prevede 
espressamente 
che 
sia 
dichiarato 
delinquente 
o 
contravventore 
professionale 
il 
soggetto che 
“trovandosi 
nelle 
condizioni 
richieste 
per la 
dichiarazione 
di 
abitualità, riporta 
condanna 
per altro reato”. Da 
questa 
formulazione 
emerge 
chiaramente 
(come 
del 
resto riconosciuto dalla 
giurisprudenza 
di 
legittimità, Sez. 4, n. 13463 
del 
05/11/2019, dep. 2020, Guarneri, Rv. 278919) che 
la 
dichiarazione 
di 
professionalità 
può 
essere 
pronunciata 
anche 
ove 
quella 
di 
livello immediatamente 
inferiore 
nella 
progressione 
prevista 
dalla 
legge, 
ossia 
quella 
di 
abitualità, 
non 
sia 
stata 
giudizialmente 
affermata, 
essendo 
sufficiente che ne sussistano le condizioni. 


Si 
tratta 
di 
un caso indubbiamente 
diverso oggetto da 
quello sottoposto a 
questa 
Corte 
con 
l’ordinanza 
di 
rimessione, 
e 
tuttavia 
significativo 
in 
quanto 
costituisce 
applicazione 
di 
un 
principio, per il 
quale 
non è 
necessaria 
l’espressa 
pronuncia 
di 
una 
dichiarazione 
costitutiva 
di 
una 
condizione 
relativa 
ai 
precedenti 
penali 
del 
reo di 
grado inferiore 
a 
quella 
valutata 
nel 
procedimento, sussistendone 
comunque 
i 
presupposti, in una 
fattispecie 
le 
cui 
conseguenze 
giuridiche 
sono per il 
soggetto interessato più gravi 
ed afflittive 
di 
quelle 
della 
recidiva. Si 
evidenzia 
in tal 
modo come 
sia 
conforme 
al 
sistema 
che 
il 
principio operi 
anche 
per la 
fattispecie 
della 
recidiva 
reiterata 
rispetto a 
quella 
della 
recidiva 
semplice, nel 
senso della 
possibilità 
di ritenere la prima anche solo in presenza delle condizioni formali della seconda. 


Considerazioni 
analoghe 
valgono 
per 
la 
previsione 
di 
ostatività 
della 
recidiva 
reiterata 
oltre 
che 
delle 
condizioni 
di 
abitualità 
e 
professionalità 
nelle 
contravvenzioni 
-all’ammissione 
all’oblazione 
speciale, 
di 
cui 
all’art. 
162-bis, 
comma 
3, 
c.p. 
La 
formulazione 
della 
relativa 
disposizione, 
nei 
termini 
per 
cui 
“l’oblazione 
non 
è 
ammessa 
quando 
ricorrono 
i 
casi 
previsti 
dal 
terzo 
capoverso 
dell’art. 
99”, 
è 
infatti 
costantemente 
intesa 
dalla 
giurisprudenza 
di 
legittimità 
nel 
senso 
che 
la 
condizione 
di 
recidiva 
reiterata 
impedisce 
l’accesso 
all’oblazione 
anche 
ove 
la 
stessa 
non 
sia 
stata 
giudizialmente 
dichiarata 
(Sez. 
3, 
n. 
29238 
del 
17/02/2017, 
Cavallero, 
Rv. 
270147; 
Sez. 
3, 
n. 
55123 
del 
04/10/2016, 
Derbali, 
Rv. 
268776; 
Sez. 
4, 
n. 
20309 
del 
16/03/2004, 
Marchetta, 
Rv. 
228922). 
Si 
è 
in 
particolare 
osservato 
sul 
punto 
che 
l’espressione 
testualmente 
riferita 
alla 
ricorrenza, 
fra 
gli 
altri, 
del 
caso 
della 
recidiva 
reiterata, 
deve 
essere 
letta, 
per 
il 
suo 
tenore 
sia 
letterale 
che 
logico, 
come 
indicativa 
della 
mera 
sussistenza 
dei 
precedenti 
che 
per 
il 
loro 
numero 
e 
la 
loro 
natura 
integrano 
il 
presupposto 
formale 
dell’ipotesi 
recidivante 
in 
esame 
(Sez. 
1, 
n. 
17316 
del 
05/04/2006, 
Giunta, 
Rv. 
234251). 


È 
ancora 
all’interpretazione 
giurisprudenziale, infine, che 
si 
deve 
l’assimilazione, ai 
casi 
appena 
considerati, 
di 
quello 
dell’interdizione 
al 
cosiddetto 
“patteggiamento 
allargato”, 
ossia 
esteso all’applicazione 
di 
una 
pena 
detentiva 
non soggetta 
al 
limite 
massimo di 
due 
anni, ma 
a 
quello 
di 
cinque 
anni, 
prevista 
dall’art. 
444, 
comma 
1-bis, 
c.p.p. 
tale 
disposizione 
si 
esprime 
testualmente 
escludendo dalla 
possibilità 
di 
ricorrere 
a 
tale 
forma 
di 
applicazione 
di 
pena, fra 
gli 
altri, “coloro che 
siano stati 
dichiarati 
delinquenti 
abituali, professionali 
o per tendenza, o 
recidivi 
ai 
sensi 
dell’art. 99, comma 
4, c.p.”; 
formulazione, questa, che 
può suggerire 
un'associazione 
della 
posizione 
dei 
recidivi 
reiterati 
a 
quella 
dei 
delinquenti 
abituali, professionali 


o per tendenza, nella 
condizione 
della 
necessità 
di 
una 
dichiarazione 
giudiziale 
di 
dette 
posizioni 
anteriore 
al 
procedimento nel 
quale 
è 
richiesta 
l’applicazione 
della 
pena, ed in tal 
senso 
è 
stata 
in effetti 
intesa 
da 
talune 
pronunce 
(Sez. 1, n. 1007 del 
13/11/2008, dep. 2009, Manfredi, 
Rv. 242509; 
Sez. 6, n. 39238 del 
16/09/2004, Bonfanti, Rv. 230378). Le 
Sezioni 
Unite 
hanno 
tuttavia 
escluso 
la 
legittimità 
di 
questa 
interpretazione, 
osservando 
che 
la 
norma 
è 
espressa 
in 
una 
forma 
tecnicamente 
imprecisa, 
in 
quanto 
utilizzata 
essenzialmente 
per 
ragioni 
di 
uniformità 
lessicale 
nell’esposizione 
di 
tutte 
le 
situazioni 
soggettive 
ostative 
all’ammissi

CoNteNZIoSo 
NAZIoNALe 


bilità 
del 
patteggiamento 
allargato 
-la 
maggior 
parte 
delle 
quali 
caratterizzate 
dalla 
previsione 
di 
un'apposita 
dichiarazione, 
come 
per 
l’appunto 
quella 
di 
abitualità, 
professionalità 
e 
tendenza 
a 
delinquere 
-prescindendo dalle 
differenze 
sostanziali 
fra 
dette 
situazioni 
(Sez. U, n. 35738 
del 
27/05/2010, Calibè, Rv. 247840). In questo contesto, la 
peculiarità 
sostanziale 
che 
distingue 
la 
recidiva 
reiterata, e 
la 
recidiva 
in generale, è 
individuata 
dalla 
sentenza 
Calibè 
proprio 
nel 
fatto che 
essa 
non è 
oggetto di 
una 
formale 
dichiarazione, ma 
può solo essere 
ritenuta 
e 
applicata 
per i 
reati 
in relazione 
ai 
quali 
è 
contestata. La 
stessa 
nozione 
di 
una 
previa 
dichiarazione 
della 
recidiva 
reiterata, quale 
condizione 
ostativa 
all’accesso al 
patteggiamento allargato, 
è dunque improponibile. 


Questa 
lettura 
della 
previsione 
dell’art. 444, comma 
1-bis, c.p.p. non consente 
pertanto di 
ravvisare 
nella 
stessa 
un dato sistematico in senso distonico dall’indirizzo giurisprudenziale 
sulla 
possibilità 
di 
ritenere 
la 
recidiva 
reiterata 
anche 
in mancanza 
di 
un precedente 
riconoscimento 
della 
recidiva 
semplice. 
È 
significativo, 
al 
contrario, 
che 
le 
conclusioni 
della 
sentenza 
Calibè 
sul 
punto siano state 
richiamate 
a 
sostegno di 
talune 
delle 
decisioni 
conformi 
a 
tale 
indirizzo 
(Sez. 
2, 
n. 
15591 
del 
24/03/2021, 
Di 
Maio, 
Rv. 
281229; 
Sez. 
2, 
n. 
21451 
del 
05/03/2019, Gasmi, Rv. 275816). 


8. A 
fronte 
degli 
elementi 
letterali 
e 
sistematici 
di 
cui 
sopra, nell’ordinanza 
di 
rimessione 
si 
richiama 
l’attenzione 
sulla 
necessità 
di 
tenere 
conto 
delle 
profonde 
modificazioni 
nella 
struttura 
dell’istituto della 
recidiva 
e 
nel 
giudizio sull’applicazione 
dello stesso, indotte 
dalla 
giurisprudenza 
costituzionale 
e 
di 
legittimità 
con 
l’individuazione 
del 
requisito 
sostanziale 
dell’accentuata 
attitudine 
a 
delinquere 
del 
reo, in quanto manifestazione 
di 
maggiore 
colpevolezza 
e 
pericolosità, e 
con la 
conseguente 
necessità, perchè 
la 
recidiva 
possa 
considerarsi 
ritenuta 
ed 
applicata, 
di 
una 
valutazione 
sulla 
sussistenza 
nel 
caso 
concreto 
di 
tale 
presupposto. 
Si 
osserva 
in proposito che, per effetto di 
questa 
mutata 
concezione 
della 
recidiva, la 
stessa 
non si 
riduce 
più nei 
limiti 
di 
uno status 
personale 
dipendente 
unicamente 
dalla 
presenza 
di 
determinati 
precedenti 
penali, ma 
si 
articola 
altresì 
in una 
più complessa 
condizione 
di 
incidenza 
del 
nuovo delitto commesso sull’attitudine 
a 
delinquere, da 
valutarsi 
nel 
significato in 
tal 
senso di 
tale 
delitto in relazione 
con i 
precedenti. tanto rende 
necessario, secondo questa 
interpretazione, che 
ogni 
livello di 
recidiva 
debba 
essere 
specificamente 
esaminato in corrispondenza 
con la 
commissione 
del 
nuovo delitto che 
ne 
rende 
formalmente 
accertabile 
la 
ricorrenza; 
e 
che 
pertanto 
la 
recidiva 
reiterata 
non 
possa 
essere 
valutata 
in 
mancanza 
di 
un 
accertamento sull’applicazione del precedente livello della recidiva semplice. 
Vi 
è 
un 
aspetto 
che 
può 
essere 
immediatamente 
colto 
in 
questa 
proposta 
ermeneutica, 
e 
che 
incide 
negativamente, e 
in misura 
non marginale, sulla 
persuasività 
della 
relativa 
argomentazione. 
Quest’ultima 
si 
presenta 
indubbiamente 
come 
improntata 
alla 
piena 
valorizzazione 
della 
nuova 
concezione 
della 
recidiva 
nel 
superamento 
di 
una 
rigidità 
applicativa, 
derivante 
dalla 
mera 
constatazione 
dell’esistenza 
delle 
precedenti 
condanne, 
in 
favore 
del 
giudizio 
in concreto sull’elemento sostanziale 
della 
maggiore 
attitudine 
a 
delinquere. Sul 
piano 
dei 
rapporti 
fra 
la 
recidiva 
semplice 
e 
la 
recidiva 
reiterata, 
tuttavia, 
tale 
proposta 
si 
risolve 
contraddittoriamente 
nell’introduzione 
di 
una 
diversa 
e 
non meno evidente 
connotazione 
di 
rigidità, data 
dal 
sottoporre 
l’applicazione 
della 
recidiva 
reiterata 
alla 
imprescindibile 
condizione 
del 
previo accertamento della 
recidiva 
semplice. Si 
tratta 
di 
un profilo di 
rigidità 
che, 
considerate 
le 
varie 
ed occasionali 
ragioni 
per le 
quali 
può accadere 
che 
detto accertamento 
non abbia 
avuto luogo -dalla 
mancata 
contestazione 
della 
recidiva 
nel 
procedimento precedente 
ad una 
diversa 
valutazione 
sulla 
significatività 
del 
delitto giudicato in quella 
sede, oppure 
alla 
mera 
omissione 
motivazionale 
sul 
punto -manifesta 
ancor più vividamente 
la 
sua 



RASSeGNA 
AVVoCAtURA 
DeLLo 
StAto -N. 1/2023 


incoerenza 
con l’intento di 
concretezza 
e 
sostanzialità 
del 
giudizio sulla 
recidiva, posta 
alla 
base della tesi in discussione. 


A 
prescindere 
da 
questa 
difficoltà 
argomentativa, risulta 
però decisivo un ulteriore 
ordine 
di considerazioni. 


Va 
premesso che, per superare 
un dato letterale 
della 
pregnanza 
di 
quello in precedenza 
esposto, occorrerebbe 
che 
la 
soluzione 
proposta, nel 
senso della 
necessità 
di 
un precedente 
riconoscimento della 
recidiva 
semplice 
perchè 
si 
possa 
procedere 
all’accertamento della 
recidiva 
reiterata, costituisca 
l’unico percorso procedurale 
che 
consenta 
una 
piena 
e 
compiuta 
verifica 
sulla 
sussistenza 
del 
presupposto sostanziale 
della 
recidiva 
anche 
rispetto alla 
significatività 
dell’ulteriore 
delitto, in termini 
di 
accresciuta 
attitudine 
a 
delinquere, ai 
fini 
della 
configurabilità dell’ipotesi della fattispecie reiterata. 


orbene, si 
è 
in precedenza 
sottolineato come 
le 
Sezioni 
Unite, nella 
più volte 
menzionata 
sentenza 
Calibè, 
abbiano 
evidenziato 
che 
il 
giudizio 
sulla 
recidiva, 
pur 
essendo 
incentrato 
sulla 
rilevanza 
dell’ultimo delitto commesso rispetto alla 
valutazione 
dell’accresciuta 
attitudine 
a 
delinquere, deve 
avere 
ad oggetto la 
totalità 
dei 
reati 
compresi 
nella 
sequenza 
recidivante, 
nel loro apporto all’incremento dell’attitudine suindicata. 


Il 
riferimento 
a 
questo 
principio 
mostra 
come 
sia 
assolutamente 
possibile 
e 
praticabile 
una 
valutazione 
della 
maggiore 
attitudine 
a 
delinquere, 
rispetto 
alla 
ravvisabilità 
dell’ipotesi 
della 
recidiva 
reiterata, 
anche 
in 
assenza 
di 
una 
precedente 
valutazione 
in 
tal 
senso 
relativamente 
alla 
fattispecie 
intermedia 
della 
recidiva 
semplice. 
Se, 
infatti, 
l’oggetto 
del 
giudizio 
sulla 
recidiva 
reiterata, 
come 
sulla 
recidiva 
in 
generale, 
deve 
comprendere 
il 
contributo 
specifico 
di 
tutti 
i 
reati 
della 
serie 
esaminata 
alla 
formazione 
ed 
al 
consolidamento 
della 
risoluzione 
e 
della 
disposizione 
criminale 
del 
reo, 
lo 
stesso 
assorbe 
necessariamente 
quella 
che 
sarebbe 
stata 
la 
valutazione 
sul 
passaggio 
della 
recidiva 
semplice, 
in 
quanto 
riguardante 
anche 
la 
significatività 
propria 
del 
delitto 
che 
avrebbe 
determinato 
la 
configurabilità 
di 
tale 
ipotesi. 
Nella 
situazione 
in 
esame, 
in 
altre 
parole, 
tale 
valutazione 
non 
rimane 
omessa, 
ma 
può 
e 
deve 
essere 
effettuata, 
sia 
pure 
retrospettivamente, 
nell’ambito 
di 
quella 
attinente 
alla 
fattispecie 
della 
recidiva 
reiterata. 


In sostanza, la 
doverosa 
considerazione 
della 
nuova 
fisionomia 
dell’istituto della 
recidiva 
non 
conduce 
inevitabilmente 
alla 
necessità 
che 
la 
recidiva 
reiterata 
sia 
valutata 
e 
ritenuta 
solo 
in presenza 
di 
un precedente 
riconoscimento della 
recidiva 
semplice, potendo le 
relative 
esigenze 
essere 
realizzate 
nell’ambito 
del 
giudizio 
complessivo 
ai 
fini 
dell’applicazione 
della 
recidiva 
reiterata. 
Di 
conseguenza, 
non 
vi 
è 
ragione 
per 
superare 
un 
dato 
letterale 
e 
sistematico 
chiaramente 
orientato 
nell’escludere 
che 
il 
previo 
accertamento 
della 
recidiva 
semplice 
sia 
condizione per valutare l’applicabilità della recidiva reiterata. 


9. Le 
considerazioni 
appena 
svolte 
evidenziano l’infondatezza 
della 
prima 
delle 
osservazioni 
proposte 
dal 
Procuratore 
generale 
nella 
memoria 
depositata 
e 
nelle 
conclusioni, formulate 
nel 
corso dell’udienza, che 
la 
richiamano; 
vale 
a 
dire, quella 
per cui 
la 
recidiva 
reiterata, 
ove 
ritenuta 
solo in base 
ai 
precedenti 
penali 
che 
formalmente 
la 
giustificano, non comprenderebbe 
la 
recidiva 
semplice. Le 
concrete 
modalità 
di 
accertamento della 
recidiva 
reiterata, 
nella 
comlessiva 
valutazione 
di 
cui 
sono stati 
esposti 
i 
termini, includono infatti 
non solo il 
presupposto formale della recidiva semplice, ma anche quello sostanziale. 
Quanto 
agli 
ulteriori 
rilievi 
del 
Procuratore 
generale, 
l’espressa 
previsione 
dell’art. 
105 
c.p., in ordine 
alla 
possibilità 
della 
dichiarazione 
di 
professionalità 
nel 
reato anche 
in assenza 
di 
una 
precedente 
dichiarazione 
di 
abitualità, non è 
conducente 
in ordine 
all’attribuzione 
di 
significato contrario alla 
mancanza 
di 
una 
similare 
previsione 
per il 
riconoscimento della 
recidiva 
reiterata 
in assenza 
di 
un precedente 
accertamento della 
recidiva 
semplice; 
si 
è 
visto in 



CoNteNZIoSo 
NAZIoNALe 


precedenza, di 
contro, come 
la 
possibilità 
di 
un accertamento successivo dei 
presupposti 
del-
l’ipotesi 
di 
livello inferiore, in quanto prevista 
per fattispecie 
dagli 
effetti 
più gravi 
rispetto a 
quelle 
della 
recidiva, sia 
significativa 
della 
conformità 
al 
sistema 
di 
una 
soluzione 
analoga 
per 
le 
ipotesi 
di 
cui 
all’art. 
99 
c.p. 
Non 
sono 
poi 
rilevanti 
i 
riferimenti 
alla 
esplicita 
disposizione 
dell’art. 679 cod. proc. pen. sulla 
facoltà, per il 
giudice 
di 
sorveglianza, di 
accertare 
la 
pericolosità 
del 
condannato ai 
fini 
della 
dichiarazione 
di 
abitualità 
o professionalità 
nel 
reato, ed 
alla 
preclusione 
dell’applicazione 
della 
recidiva 
in sede 
di 
esecuzione 
ove 
la 
stessa 
non sia 
stata 
ritenuta 
nel 
giudizio di 
cognizione, trattandosi 
di 
situazioni 
processuali 
chiaramente 
diverse 
da quella qui esaminata. 


Non è 
infine 
ravvisabile, quale 
effetto pregiudizievole 
della 
possibilità 
di 
accertare 
direttamente 
la 
recidiva 
reiterata, 
quello 
di 
impedire, 
a 
colui 
che 
sia 
stato 
condannato 
per 
la 
seconda 
volta, di 
adeguare 
la 
propria 
condotta 
di 
vita 
al 
monito della 
recidiva 
semplice 
e 
di 
non incorrere 
nelle 
conseguenze 
sanzionatorie 
della 
più grave 
ipotesi 
recidivante, in contrasto con la 
funzione 
rieducativa 
della 
pena. La 
possibilità 
di 
conformare 
la 
propria 
condotta 
alla 
previsione 
delle 
predette 
conseguenze 
sanzionatorie 
è 
infatti 
garantita 
per il 
condannato, anche 
in 
assenza 
dell’espressa 
indicazione 
della 
recidiva 
semplice 
nelle 
condanne 
precedenti, 
dalla 
predeterminazione 
normativa 
delle 
condizioni 
formali 
per le 
varie 
ipotesi 
di 
recidiva 
e 
delle 
loro 
implicazioni 
in 
tema 
di 
valutabilità 
delle 
stesse 
ai 
fini 
dell’applicazione 
di 
aumenti 
di 
pena 
anch’essi 
specificamente 
previsti 
dalla 
legge. Neppure 
si 
pone 
alcuna 
problematica 
con 
riguardo alla 
prevedibilità 
di 
una 
condanna 
che 
comprende 
anche 
l’aggravante 
della 
recidiva 
reiterata, essendo comunque necessario che la stessa sia oggetto di precisa contestazione. 


È 
altresì 
irrilevante 
il 
richiamo 
del 
difensore 
del 
ricorrente, 
nel 
corso 
della 
discussione, 
alla 
previsione 
dell’art. 
81, 
comma 
4, 
c.p. 
sul 
limite 
minimo 
dell’aumento 
per 
il 
concorso 
formale 
o 
la 
continuazione 
di 
reati 
nei 
confronti 
dei 
soggetti 
“ai 
quali 
sia 
stata 
applicata 
la 
recidiva 
prevista 
dall’art. 
99, 
comma 
4”, 
con 
una 
dicitura 
che 
richiede 
un 
compiuto 
accertamento 
della 
fattispecie 
recidivante. La 
norma 
citata 
disciplina 
anche 
in questo caso un’ipotesi 
sostanzialmente 
diversa 
da 
quella 
oggetto della 
questione 
rimessa, regolando un effetto penale 
della 
recidiva 
reiterata e non i rapporti fra tale forma di recidiva e quella della recidiva semplice. 


10. Deve 
pertanto concludersi 
nel 
senso che 
la 
recidiva 
reiterata 
può essere 
accertata, ritenuta 
ed applicata 
nei 
confronti 
di 
un soggetto recidivo, da 
considerarsi 
tale 
in quanto già 
condannato 
due 
volte 
per 
delitti 
non 
colposi, 
anche 
se 
tale 
condizione 
di 
recidivanza 
non 
sia 
stata 
ritenuta 
nel 
precedente 
giudizio, in conformità 
con l’indirizzo fin qui 
seguito dalla 
giurisprudenza 
di legittimità. 
Detto questo, l’importanza 
dell’evoluzione 
che 
ha 
portato ad una 
diversa 
configurazione 
della 
recidiva 
e 
dei 
suoi 
aspetti 
applicativi, pur se 
non tale 
da 
creare 
il 
potenziale 
contrasto 
denunciato 
con 
l’ordinanza 
di 
rimessione, 
non 
deve 
essere 
trascurata. 
Lo 
spazio 
nel 
quale 
questa 
realtà 
può trovare 
adeguata 
considerazione 
non è, tuttavia, quello di 
un irrigidimento 
formalistico nella 
successione 
delle 
affermazioni 
giurisprudenziali 
delle 
varie 
ipotesi 
di 
recidiva, 
ma, piuttosto, quello della 
motivazione 
sull’applicazione 
della 
recidiva 
reiterata, segnatamente 
nel caso in cui non vi sia stato un precedente accertamento della recidiva semplice. 


La 
rilevanza 
dell’aspetto 
motivazionale 
della 
recidiva, 
nella 
nuova 
definizione 
assunta 
dal-
l’istituto, è 
stata 
da 
tempo segnalata 
dalle 
Sezioni 
Unite, nel 
rilevare 
che 
la 
facoltatività 
del-
l’applicazione 
della 
stessa 
impone 
al 
giudice, sia 
nel 
caso in cui 
disponga 
tale 
applicazione 
che 
nel 
caso contrario, uno specifico dovere 
di 
motivazione 
in proposito (Sez. U, n. 5859 del 
27/10/2011, dep. 2012, Marcianò, Rv. 251690). tornando sulla 
questione, le 
Sezioni 
Unite 
hanno 
ribadito 
e 
dettagliato 
il 
principio, 
osservando 
che 
il 
superamento 
della 
concezione 
della 



RASSeGNA 
AVVoCAtURA 
DeLLo 
StAto -N. 1/2023 


recidiva 
come 
status 
soggettivo determinato dai 
soli 
precedenti 
penali 
non rende 
più ammissibile 
una 
motivazione 
affidata 
a 
formule 
di 
stile; 
è 
di 
contro 
doverosa 
un’argomentazione 
che, precisando gli 
elementi 
fattuali 
presi 
in considerazione 
e 
i 
criteri 
utilizzati 
per valutarli, 
dia 
conto della 
maggiore 
rimproverabilità 
del 
reo per non essersi 
fatto distogliere 
dalla 
risoluzione 
criminosa 
per 
effetto 
delle 
precedenti 
condanne 
(Sez. 
U, 
n. 
20808 
del 
25/10/2018, 
dep. 2019, Schettino, non massimata sul punto). 


Gli 
elementi 
fattuali 
e 
i 
criteri 
di 
valutazione, a 
cui 
la 
motivazione 
deve 
fare 
riferimento, 
sono evidentemente 
quelli 
già 
indicati 
dalle 
stesse 
Sezioni 
Unite 
nella 
sentenza 
Calibè, e 
dei 
quali 
si 
è 
detto in precedenza: 
la 
tipologia 
e 
l’offensività 
dei 
reati, la 
loro omogeneità 
e 
collocazione 
temporale, la 
devianza 
della 
quale 
sono complessivamente 
significativi 
e 
l’occasionalità 
o 
meno 
dell’ultimo 
delitto, 
oltre 
ad 
eventuali, 
ulteriori, 
dati 
emergenti 
dalla 
fattispecie 
concreta. 


Con 
riguardo 
alla 
recidiva 
reiterata, 
il 
principio 
si 
traduce 
nella 
necessità 
che 
i 
fatti 
oggetto 
delle 
pregresse 
condanne 
ed il 
nuovo delitto siano esaminati 
nelle 
loro connotazioni 
sintomatiche 
di 
un progressivo rafforzamento della 
determinazione 
criminosa 
e 
dell’attitudine 
a 
delinquere 
del 
reo. Nel 
caso in cui 
difetti, per qualsiasi 
ragione, un precedente 
riconoscimento 
giudiziale 
della 
recidiva 
semplice, questa 
impostazione 
motivazionale 
consente 
di 
conciliare 
adeguatamente 
tale 
evenienza 
con 
il 
rispetto 
delle 
esigenze 
di 
verifica 
del 
presupposto 
sostanziale 
della 
recidiva 
in tutti 
i 
passaggi 
del 
percorso criminale 
del 
reo. La 
valutazione, fra 
gli 
altri, del 
reato oggetto della 
seconda 
condanna 
precedente, nel 
suo apporto al 
consolidamento 
dell’attitudine 
a 
delinquere, è 
infatti 
in grado di 
motivare 
l’esistenza 
di 
una 
base 
recidivante 
che 
sostiene 
l’aumento corrispondente 
alla 
recidiva 
reiterata, in presenza 
di 
un nuovo 
delitto stimato come fattore indicativo di ulteriore rafforzamento della predetta attitudine. 


11. Deve in conclusione essere affermato il seguente principio di diritto: 
“ai 
fini 
del 
riconoscimento 
della 
recidiva 
reiterata 
è 
sufficiente 
che, 
al 
momento 
della 
consumazione 
del 
reato, l’imputato risulti 
gravato da più sentenze 
definitive 
per 
reati 
precedentemente 
commessi 
ed espressivi 
di 
una maggiore 
pericolosità sociale, oggetto di 
specifica ed 
adeguata motivazione, senza la necessità di una previa dichiarazione di recidiva semplice”. 


12. Dal 
principio appena 
enunciato discende 
evidentemente 
l’infondatezza 
del 
motivo di 
ricorso proposto dal 
B.B. con riguardo alla 
recidiva, nella 
parte 
in cui 
lamenta 
l’illegittimità 
dell’applicazione 
della 
recidiva 
reiterata 
in assenza 
di 
un precedente 
riconoscimento della 
recidiva 
semplice. 
È 
altresì 
infondata 
la 
doglianza 
relativa 
all’omessa 
contestazione 
della 
recidiva 
nei 
procedimenti 
relativi 
alle 
precedenti 
condanne, che 
il 
difensore 
del 
ricorrente 
ha 
ritenuto di 
corroborare 
con 
la 
produzione 
di 
due 
delle 
relative 
sentenze, 
da 
cui 
emerge 
tale 
circostanza. 
Si 
tratta, 
infatti, 
di 
un 
aspetto 
irrilevante 
rispetto 
all’operatività 
del 
principio 
indicato, 
come 
detto 
in 
precedenza, 
a 
prescindere 
dalle 
ragioni 
per 
le 
quali 
la 
recidiva 
semplice 
non 
sia 
stata 
in 
precedenza riconosciuta. 


Il 
motivo, 
peraltro, 
si 
articola 
anche 
nel 
rilievo 
di 
carenza 
motivazionale 
sull’accertamento 
della 
maggiore 
attitudine 
a 
delinquere 
della 
quale 
sarebbe 
espressivo 
il 
delitto 
oggetto 
del 
presente procedimento. tale censura, tuttavia, è essa pure infondata. 


È 
opportuno premettere 
che 
dal 
certificato penale 
del 
B.B. risultano una 
sentenza 
di 
applicazione 
di 
pena 
del 
tribunale 
di 
Ancona 
in data 
13/03/2013, irrevocabile 
dal 
24/04/2013, per 
un reato di 
furto commesso il 
05/01/2012; 
una 
sentenza 
di 
condanna 
del 
tribunale 
di 
Ancona 
in 
data 
15/07/2019, 
irrevocabile 
dal 
17/11/2019, 
per 
un 
reato 
di 
furto 
commesso 
il 
18/02/2016; 
e 
una 
sentenza 
di 
condanna 
del 
giudice 
dell’udienza 
preliminare 
del 
tribunale 
di 
Ancona 
in 



CoNteNZIoSo 
NAZIoNALe 


data 
12/11/2020, irrevocabile 
dal 
02/12/2020, per un reato di 
tentata 
estorsione 
commesso il 
08/02/2019. 


occorre 
altresì 
sottolineare 
che 
il 
motivo di 
appello sul 
punto verteva 
essenzialmente 
sulla 
distanza 
temporale 
di 
quasi 
cinque 
anni 
trascorsa 
fra 
la 
commissione, nel 
febbraio del 
2016, 
dell’ultimo delitto di 
furto precedentemente 
giudicato, e 
quella 
del 
furto oggetto del 
presente 
procedimento, avvenuta 
nel 
febbraio del 
2020; 
e 
marginalmente 
su un accenno al 
carattere 
bagatellare 
di 
quest’ultimo reato. Con la 
sentenza 
impugnata 
si 
rispondeva, quanto al 
primo 
aspetto, 
richiamando 
l’ulteriore 
condanna 
per 
il 
reato 
di 
tentata 
estorsione, 
commesso 
nel 
febbraio 
del 
2019. A 
questo proposito il 
difensore 
del 
ricorrente, all’odierna 
discussione, ha 
osservato 
che 
della 
condanna 
per il 
fatto estorsivo non può tenersi 
conto, ai 
fini 
della 
recidiva, 
in quanto divenuta 
definitiva 
successivamente 
al 
delitto qui 
giudicato. orbene, a 
parte 
il 
fatto 
che 
tale 
rilievo 
non 
era 
proposto 
con 
il 
ricorso, 
va 
considerato 
che 
lo 
stesso, 
se 
inteso 
ad 
escludere 
la 
sussistenza 
del 
requisito 
formale 
della 
recidiva 
-conformemente 
all’orientamento 
giurisprudenziale, 
citato 
in 
precedenza, 
per 
il 
quale 
rilevano 
a 
tal 
fine 
le 
precedenti 
condanne 
passate 
in 
giudicato 
prima 
della 
commissione 
dell’ultimo 
delitto 
-non 
è 
in 
grado 
di 
conseguire 
tale 
risultato, in quanto il 
B.B., come 
si 
è 
visto poc’anzi, aveva 
riportato comunque 
all’epoca 
due 
condanne 
per 
furto, 
ed 
era 
dunque 
già 
recidivo 
nell’accezione 
che 
consente 
l’applicazione 
della 
recidiva 
reiterata. 
Se 
invece 
la 
censura 
è 
diretta 
a 
contestare 
la 
valutabilità 
del 
fatto 
estorsivo 
per 
l’aspetto 
sostanziale 
della 
recidiva, 
va 
osservato 
che 
il 
fatto 
in 
esame 
era 
preso 
in 
considerazione 
nella 
sentenza 
impugnata 
al 
fine 
specifico 
di 
evidenziare 
come 
non 
ricorresse, 
nel 
percorso criminale 
del 
B.B., l’ampia 
lacuna 
temporale 
dedotta 
con l’atto di 
appello. Argomento, 
questo, che 
corrisponde 
puntualmente 
ad uno degli 
elementi 
fattuali 
indicati 
dalla 
giurisprudenza per il giudizio sulla recidiva, ossia la distanza cronologica fra i reati. 


Il 
ricorrente, 
invece, 
nulla 
deduce 
in 
ordine 
alla 
principale 
argomentazione 
svolta 
sul 
punto 
nella 
sentenza 
di 
primo grado, relativa 
in particolare 
all’accrescimento della 
determinazione 
a 
delinquere 
dell’imputato, nella 
successione 
dei 
reati 
di 
furto, dimostrato dalla 
sempre 
maggiore 
specializzazione 
nell’esecuzione 
delle 
condotte; 
argomentazione 
peraltro 
non 
aggredita 
specificamente 
neppure 
nell’atto di 
appello. Il 
ricorso è 
dunque 
generico per questo aspetto. 
D’altra 
parte, il 
complesso motivazionale 
delle 
sentenze 
di 
merito, valorizzando l’elemento 
in esame, offre 
una 
congrua 
giustificazione 
sul 
progressivo incremento dell’attitudine 
a 
delinquere 
dell’imputato, articolata 
nella 
considerazione 
per la 
quale 
alle 
precedenti 
condanne 
per reati 
analoghi, lungi 
dal 
corrispondere 
la 
dissuasione 
dell’imputato dalla 
ricaduta 
nel 
crimine, 
aveva 
al 
contrario 
fatto 
seguito 
l’acquisizione 
della 
descritta 
specializzazione, 
rilevabile 
nell’implicito 
quanto 
evidente 
richiamo 
alle 
modalità 
del 
fatto 
descritte 
nell’imputazione, 
quali 
il 
coinvolgimento 
di 
più 
persone 
nella 
condotta 
delittuosa, 
la 
scelta 
dell’obiettivo 
di 
tale 
condotta 
in 
un 
locale 
pubblico 
chiuso 
ed 
appartato 
e 
l’impossessamento 
di 
titoli 
di 
credito 
oltre 
che 
di 
denaro contante. In questa 
prospettiva, la 
motivazione 
tocca 
tutti 
gli 
aspetti 
determinanti 
nel 
giudizio sulla 
sussistenza 
del 
presupposto sostanziale 
della 
recidiva, vale 
a 
dire 
l’omogenea 
offensività 
patrimoniale 
di 
tutti 
i 
reati 
oggetto delle 
precedenti 
condanne, la 
loro 
collocazione 
in un contesto temporale 
unitario e 
continuo, nel 
quale 
si 
colloca 
anche 
il 
delitto 
estorsivo, e 
il 
carattere 
non occasionale 
dell’ultima 
ricaduta 
nel 
crimine; 
e 
risulta 
superato, in 
quanto logicamente 
incompatibile 
con questa 
ricostruzione, anche 
l’accenno dell’atto di 
appello 
alla 
asserita 
natura 
bagatellare 
dell’ultimo 
delitto, 
peraltro 
proposto 
in 
quella 
sede 
in 
termini meramente assertivi e non reiterato nel ricorso. 


13. Il motivo dedotto sul diniego dell’attenuante di cui all’art. 114 c.p. è inammissibile. 
Posto che 
l’affermazione 
di 
responsabilità 
degli 
imputati 
era 
motivata 
con il 
ritrovamento 

RASSeGNA 
AVVoCAtURA 
DeLLo 
StAto -N. 1/2023 


degli 
stessi, insieme 
a 
una 
donna 
nei 
confronti 
della 
quale 
si 
procedeva 
separatamente, sull’arenile 
antistante 
la 
veranda 
del 
ristorante, con il 
tentativo del 
A.A. di 
disfarsi 
degli 
assegni 
e 
del 
contante, 
sottratti 
dal 
ristorante, 
e 
di 
due 
torce, 
e 
con 
il 
ritrovamento 
di 
un 
piede 
di 
porco, 
un 
tondino, 
delle 
tenaglie 
e 
un 
cacciavite 
nella 
sabbia 
smossa 
sul 
luogo 
ove 
gli 
imputati 
erano 
stati 
sorpresi, si 
osservava 
nella 
sentenza 
impugnata 
che 
la 
prossimità 
di 
tutti 
i 
soggetti 
agenti 
al 
luogo di 
rinvenimento degli 
arnesi 
da 
scasso, a 
pochi 
metri 
dal 
luogo del 
furto, non consentiva 
di distinguere la qualità degli apporti concorsuali degli stessi. 


A 
tanto il 
ricorrente 
oppone 
rilievi 
generici, e 
meramente 
reiterativi 
delle 
argomentazioni 
proposte 
con 
l’appello, 
sul 
ruolo 
asseritamente 
marginale 
dell’imputato 
e 
sulla 
riconducibilità 
ai 
coimputati 
del 
possesso degli 
strumenti 
di 
effrazione, non confrontandosi 
con le 
considerazioni 
della Corte territoriale sulla posizione viceversa indifferenziata degli imputati. 


14. Anche il motivo dedotto sul diniego delle attenuanti generiche è inammissibile. 
Il 
ricorrente, 
limitandosi 
a 
denunciare 
la 
carenza 
motivazionale 
dell’affermazione 
della 
sentenza 
impugnata 
sulla 
mancata 
indicazione 
di 
elementi 
a 
sostegno 
della 
richiesta 
difensiva, 
che 
invece 
sarebbero stati 
segnalati 
con l’atto di 
appello, ripropone 
di 
fatto tali 
elementi 
che, 
in quanto descritti 
nella 
modesta 
gravità 
della 
condotta, nel 
carattere 
risalente 
dei 
precedenti 
penali 
dell’imputato e 
nell’ottimo comportamento processuale, risultavano generici 
rispetto 
alle 
considerazioni 
della 
sentenza 
di 
primo grado sulle 
modalità 
del 
fatto e 
sulla 
personalità 
degli 
imputati. 
Le 
censure 
del 
ricorso 
sono 
pertanto 
manifestamente 
infondate 
rispetto 
ad 
una 
motivazione 
con la 
quale 
la 
Corte 
territoriale 
evidenziava 
come 
non fossero stati 
dedotti 
elementi 
ulteriori in grado di superare le considerazioni del 
tribunale sul punto. 


15. A 
voler infine 
considerare 
la 
possibilità, affermata 
nella 
recente 
giurisprudenza 
di 
legittimità, 
di 
rilevare 
d’ufficio in questa 
sede 
l’applicabilità 
della 
causa 
di 
non punibilità 
della 
particolare 
tenuità 
del 
fatto, di 
cui 
all’art. 131-bis 
c.p., come 
novellato dall’art. 1, comma 
1, 
lett. c), n. 1 D.Lgs. n. 10 ottobre 
2022, n. 150, in ragione 
della 
natura 
sostanziale 
dell’istituto 
e 
della 
immediata 
rilevabilità 
della 
fattispecie 
nei 
giudizi 
pendenti 
(Sez. 
4, 
n. 
9466 
del 
15/02/2023, Castrignano, Rv. 284133; 
Sez. 6, n. 7573 del 
27/01/2023, Arzaroli, Rv. 284241), 
va 
osservato 
che 
la 
stessa 
giurisprudenza 
ammette 
che 
una 
decisione 
negativa 
in 
merito 
possa 
essere 
implicitamente 
desunta 
dalla 
complessiva 
struttura 
argomentativa 
della 
sentenza 
(Sez. 
4, n. 5396 del 
15/11/2022, dep. 2023, Lakrafy, Rv. 284096; 
Sez. 3, n. 43604 del 
08/09/2021, 
Cincolà, Rv. 282097; 
Sez. 5, n. 6746 del 
13/12/2018, dep. 2019, Currò, Rv. 275500). In tal 
senso, le 
considerazioni 
svolte 
nella 
sentenza 
impugnata 
sui 
precedenti 
penali 
dell’imputato 
e 
sulla 
natura 
non 
occasionale 
dell’ultimo 
delitto 
commesso, 
ai 
fini 
dell’applicazione 
della 
recidiva 
reiterata, integrano senz’altro una 
motivazione 
implicita 
sull’insussistenza 
dei 
presupposti 
per la ricorrenza dell’indicata causa di non punibilità. 
16. 
Il 
ricorso 
del 
B.B. 
è 
pertanto 
complessivamente 
infondato, 
seguendone 
la 
condanna 
del ricorrente al pagamento delle spese processuali. 
P.Q.M. 
Dichiara 
inammissibile 
il 
ricorso proposto da 
A.A. e 
condanna 
il 
ricorrente 
al 
pagamento 
delle 
spese 
processuali 
e 
della 
somma 
di 
euro 
cinquecento 
in 
favore 
della 
Cassa 
delle 
ammende. 


Rigetta 
il 
ricorso proposto da 
B.B. e 
condanna 
il 
ricorrente 
al 
pagamento delle 
spese 
processuali. 
Così deciso in Roma, il 30 marzo 2023. 



CoNteNZIoSo 
NAZIoNALe 


Costituzione di parte civile dopo la riforma Cartabia: 
brevi considerazioni a caldo sulla sentenza 
delle Sezioni Unite del 21 settembre 2023 n. 38481 


Antonio Trimboli* 


Volendo mettere 
in guardia 
da 
quello che 
d’ora 
in avanti 
sarà 
lo sport 
del 
“tiro 
al 
bersaglio 
sull’ammissibilità 
della 
costituzione 
di 
parte 
civile”, 
con 
l’aggravante 
che 
molti 
arbitri 
di 
gara 
saranno 
ben 
contenti 
di 
sbarazzarsi 
di 
uno scomodo ed ulteriore 
soggetto a 
cui 
dare 
delle 
risposte, si 
segnala 
il 
cambio 
di 
rotta 
della 
giurisprudenza 
di 
legittimità 
in 
ordine 
all’impegno 
argomentativo 
richiesto per la costituzione di parte civile. 


La 
sentenza 
(f. 
9 
e 
ss.) 
-sebbene 
la 
rimessione 
alle 
sezioni 
unite 
fosse 
per 
un altro tema 
sia 
pur connesso -ha 
riconosciuto come 
le 
nuove 
disposizioni 
(artt. 573, co. 1 bis 
e 
78, co. 1, lett. d) 
c.p.p.) fotografino a 
differenza 
del 
passato 
un unico giudizio, che 
prosegue 
senza 
soluzione 
di 
continuità 
dalla 
sede 
penale 
a 
quella 
civile, 
cosicchè 
le 
ragioni 
della 
domanda 
di 
costituzione 
di 
parte 
civile 
debbano essere 
illustrate 
secondo gli 
stilemi 
dell’atto di 
citazione 
del 
processo civile, come 
previsto dall’art. 163, co. 3 n. 4 c.p.c., specificando 
-sempre 
secondo 
quanto 
si 
legge 
nel 
provvedimento 
-i 
motivi 
in 
forza 
dei 
quali 
si 
pretende 
che 
dal 
reato 
siano 
scaturite 
conseguenze 
pregiudizievoli, 
nonché il titolo che legittima a far valere la pretesa. 


Viene, 
quindi, 
superato 
il 
costante 
orientamento 
giurisprudenziale 
(ex 
multis: sez. ii, sent. 23940 del 
15 luglio 2020, Rosati; sez. V, sent. 544 del 
13 dicembre 
2006, Bianco) secondo cui 
la 
causa petendi 
è 
sufficientemente 
individuata 
attraverso 
il 
richiamo 
al 
capo 
di 
imputazione, 
laddove 
la 
contestazione 
riguardi 
un 
reato 
di 
danno, 
mentre 
una 
maggiore 
specificazione 
delle 
ragioni 
a 
base 
della 
domanda 
si 
impone 
se 
si 
tratti 
di 
un reato di 
pericolo o il 
danneggiato non sia anche persona offesa. 


Linea 
quest’ultima 
peraltro seguita 
anche 
dai 
primi 
commentatori 
della 
riforma, 
i 
quali 
hanno 
sostenuto 
come 
la 
specificazione 
aggiunta 
all’art. 
78 
lett. d) c.p.p. non mutasse 
il 
quadro delineato fino ad allora 
dalla 
giurisprudenza, 
ma si limitasse solo a codificarlo. 


Questo cambio di 
rotta 
purtroppo non penso sia 
foriero di 
cose 
positive 
per la Difesa erariale. 

In questi 
termini, non pare 
possa 
sfuggire 
come 
-nonostante 
una 
contrazione 
dei 
tempi 
con il 
rischio di 
compromettere 
la 
qualità 
difensiva 
fosse 
già 
avvenuta 
con la 
limitazione 
della 
costituzione 
di 
parte 
civile 
alla 
sola 
fase 
ini


(*) Avvocato dello Stato e 
Dottore 
di 
Ricerca 
in Diritto Pubblico -indirizzo Penale 
e 
Procedura 
Penale 
presso l’Università di Roma 
tor Vergata. 



RASSeGNA 
AVVoCAtURA 
DeLLo 
StAto -N. 1/2023 


ziale 
dell’udienza 
preliminare 
-questo 
ulteriore 
intervento 
riduca 
ulteriormente 
i 
tempi 
di 
preparazione 
della 
difesa, tanto nella 
redazione 
del 
parere 
quanto 
dell’eventuale 
atto successivo, poiché 
si 
dovrà 
molto spesso sollecitare 
ed invitare 
l’Amministrazione 
interessata 
a 
puntualizzare 
compiutamente 
le 
circostanze 
descrittive 
del 
nesso 
di 
causalità 
giuridica 
tra 
fatto-reato 
e 
conseguenze 
pregiudizievoli 
(c.d. 
danno 
conseguenza), 
le 
quali 
non 
potranno 
certo 
risolversi 
in lunghe, generali e astratte petizioni di principio come spesso avviene. 


e 
ancora, l’impostazione 
della 
Cassazione, così 
come 
costruita, darà 
la 
stura 
ad 
eccezioni 
di 
inammissibilità 
motivate 
sulla 
mancata 
specificazione/allegazione 
di 
un 
danno, 
così 
trasformando 
la 
delibazione 
sull’ammissibilità 
della 
domanda 
in 
un 
accertamento 
preliminare 
sulla 
sua 
fondatezza, 
quanto 
meno 
in 
termini 
di 
danno 
potenziale, 
cosa 
finora 
esclusa, 
ma 
che 
probabilmente 
troverà 
sponda 
in diversi 
giudicanti, spesso poco attenti 
a 
distinguere 
i 
due momenti del giudizio. 


Ciò 
detto, 
non 
può 
che 
prendersi 
atto 
di 
come 
il 
nuovo 
indirizzo 
venga 
ad 
essere 
il 
risultato 
applicativo 
di 
una 
riforma 
che 
-come 
tante 
altre 
(si 
pensi 
a 
quella 
del 
processo 
civile) 
-non 
tiene 
conto, 
da 
un 
lato, 
delle 
peculiarità 
del 
sistema 
su 
cui 
si 
innesta 
e, 
dall’altro, 
di 
una 
visione 
d’insieme 
dell’ordinamento. 


e 
infatti 
quello che 
la 
Corte 
individua 
come 
titolo che 
legittima 
a 
far valere 
la 
pretesa 
altro non può essere 
se 
non il 
fatto-reato, mentre 
il 
richiamo al 
nesso civilistico del 
danno non lega 
bene 
né 
con il 
dinamismo probatorio del 
rito penale, né con alcune sue regole. 


Il 
perimetro 
del 
giudizio 
penale 
è 
-e 
deve 
necessariamente 
rimanere 
l’imputazione, 
non potendo inocularsi 
fatti 
altri 
identificativi 
di 
un nesso civilistico, 
poiché 
vi 
sarebbe 
il 
rischio di 
contaminare 
surrettiziamente 
l’imputazione 
con 
possibili 
condanne 
per 
fatti 
altri 
o 
diversi 
senza 
una 
preventiva 
contestazione e il conseguente rischio di processi nulli. 


Una 
specificazione 
del 
nesso civilistico non troverebbe 
nemmeno piena 
soddisfazione 
sotto 
un 
profilo 
probatorio, 
visto 
che 
gli 
strumenti 
di 
prova 
sono 
governati 
principalmente 
dal 
P.M., quindi 
diretti 
alla 
dimostrazione 
del 
fatto-
reato (condotta 
-nesso causale 
-evento), lasciando nella 
prassi 
poco spazio 
alla 
parte 
civile, 
come 
si 
evince 
dalla 
circostanza 
che 
la 
maggioranza 
delle 
sentenze di condanna a favore della p.c. sono di tipo generico. 


I riformatori 
prima 
e 
le 
sezioni 
unite 
dopo sembrano dimenticare 
che 
nell’ipotesi 
in cui 
la 
domanda 
risarcitoria 
venga 
proposta 
nel 
processo penale 


-i 
rapporti 
tra 
azione 
civile 
e 
poteri 
cognitivi 
del 
giudice 
penale 
continuano 
ad essere 
informati 
al 
“principio di 
accessorietà” 
dell’azione 
civile 
rispetto a 
quella 
penale, 
principio 
che 
trova 
fondamento 
nelle 
“esigenze, 
di 
interesse 
pubblico, 
connesse 
all’accertamento 
dei 
reati 
e 
alla 
rapida 
definizione 
dei 
processi” 
e 
che 
ha 
quale 
naturale 
implicazione 
quella 
per cui 
l’azione 
civile, 
ove 
esercitata 
all’interno 
del 
processo 
penale, 
“è 
destinata 
a 
subire 
tutte 
le 
conseguenze 
e 
gli 
andamenti 
derivanti 
dalla 
funzione 
e 
dalla 
struttura” 
di 
que

CoNteNZIoSo 
NAZIoNALe 


sto rito, di 
cui 
il 
danneggiato accetta 
le 
regole 
di 
ingaggio (in 
tal 
senso: C. 
Cost. sent. n. 12 del 2016 e sent. n. 176 del 2019). 

Il 
legislatore 
avrebbe 
dovuto essere 
meno ipocrita 
procedendo o a 
eliminare 
la 
parte 
civile 
dal 
processo 
penale, 
come 
avviene 
nel 
processo 
penale 
minorile 
(art. 10 d.P.R. 448/1988), dove 
però l’eccezione 
trova 
giustificazione 
nella 
necessità 
di 
preservare 
la 
personalità 
del 
minore 
o, 
quanto 
meno, 
attivare 
un meccanismo diverso per l’appello della parte civile. 

Quest’ultimo 
punto 
si 
giustifica 
in 
ragione 
del 
fatto 
che 
la 
necessità 
di 
modifica 
dei 
requisiti 
per 
la 
costituzione 
della 
parte 
civile 
-come 
dicono 
anche 
le 
sezioni 
unite 
-non risulta 
derivante 
da 
alcuna 
delle 
direttive 
della 
legge 
delega, 
circostanza questa che potrebbe minarne la legittimità costituzionale. 


Ciò avrebbe 
dovuto condurre 
un legislatore 
più responsabile 
ad intervenire 
sull’appello della 
p.c., non creando un giano bifronte 
quale 
l’art. 573, co. 
1 bis 
c.p.p. e 
la 
sua 
stampella 
rappresentata 
dalla 
specifica 
di 
cui 
all’art. 78 
lett. d), bensì 
disponendo che 
il 
gravame 
si 
dovesse 
proporre 
avanti 
al 
giudice 
civile 
secondo le 
regole 
di 
questo, ferme 
le 
prove 
già 
raccolte 
in sede 
penale 
e 
quelle 
ulteriori 
acquisibili 
nel 
processo 
civile, 
cosicchè 
attraverso 
questo 
strumento 
si 
potesse 
procedere 
ad 
un 
emendatio 
della 
domanda 
-come 
già 
avviene 
nell’ipotesi 
di 
rinvio 
di 
cui 
all’art. 
622 
c.p.p. 
-mediante 
una 
più 
puntuale 
descrizione della causalità giuridica tra reato e pregiudizio. 


Una 
tale 
soluzione 
-oltre 
a 
rispondere 
ai 
principali 
obiettivi 
della 
riforma, 
ossia 
efficienza 
e 
riduzione 
dei 
tempi 
processuali 
-trova 
conforto nell’interpretazione 
convenzionalmente 
orientata 
data 
dal 
Giudice 
delle 
Leggi 
all’art. 
578 c.p.p., qualora 
il 
giudice 
penale 
debba 
conoscere 
dei 
soli 
interessi 
civili, 
perché 
il 
reato 
si 
è 
prescritto 
(sent. 
n. 
182 
del 
2021); 
principio 
questo 
valevole 
ogni 
qualvolta 
la 
cognizione 
investa 
la 
sola 
domanda 
di 
danno, 
come 
ad 
esempio 
nel caso di gravame avverso sentenza assolutoria. 

In quell’occasione, la 
Corte 
Costituzionale 
chiarì, infatti, come 
il 
giudice 
penale 
non debba 
effettuare 
alcuna 
delibazione, nemmeno incidenter 
tantum, 
sulla 
responsabilità 
penale 
dell’imputato, 
essendo 
il 
giudicante 
chiamato 
a 
valutare 
non se 
il 
fatto presenti 
gli 
elementi 
costitutivi 
della 
condotta 
criminosa 
tipica 
(commissiva 
o 
omissiva) 
contestata 
come 
reato, 
bensì 
se 
quella 
condotta 
sia stata idonea a provocare un “danno ingiusto” secondo l’art. 2043 c.c. 


Alla 
luce 
di 
tutto 
questo, 
come 
per 
la 
riforma 
civile 
in 
cui 
sono 
presenti 
norme 
non 
proprio 
ottimali 
per 
la 
Difesa 
erariale 
(es. 
i 
tempi 
di 
costituzione 
del 
convenuto 
nel 
rito 
ordinario; 
la 
comparizione 
obbligatoria 
della 
parte 
alla 
prima 
udienza 
o 
in 
mediazione), 
rimane 
l’amarezza 
per 
una 
riforma 
alla 
cui 
elaborazione 
non 
sia 
intervenuto 
un 
Avvocato 
dello 
Stato, 
il 
cui 
contributo 
sarebbe 
stato 
sicuramente 
chiarificatore, 
perché 
-differentemente 
da 
altre 
categorie 
-oltre 
alle 
singole 
specializzazioni 
di 
ciascuno, 
abbiamo 
una 
visione 
generale 
dell’ordinamento 
giuridico, 
stante 
la 
trasversalità 
della 
nostra 
attività. 



RASSeGNA 
AVVoCAtURA 
DeLLo 
StAto -N. 1/2023 


Non resta 
che 
attendere 
l’assestamento del 
nuovo indirizzo in seno alla 
giurisprudenza 
merito, 
sperando 
che 
possa 
valere 
quanto 
detto 
da 
tancredi 
Falconeri 
allo 
zio 
Principe 
di 
Salina 
nel 
Gattopardo 
di 
Giuseppe 
tomasi 
di 
Lampedusa: 
“se 
vogliamo 
che 
tutto 
rimanga 
com’è, 
bisogna 
che 
tutto 
cambi”, 
almeno 
per 
quanto 
riguarda 
una 
non 
puntigliosa 
esposizione 
analitica 
del 
nesso 
che lega fatto 
-reato e pregiudizio. 


Cassazione 
penale, Sezioni 
Unite, sentenza (ud. 25 maggio 2023) 21 settembre 
2023 n. 
38481 
-Pres. 
M. Cassano, Est. G. Andreazza 
-Ricorso proposto da 
parte 
civile 
A.A. (avv. F. 
Valentini) nel 
procedimento a 
carico di 
B.B., avverso la 
sentenza 
del 
14 gennaio 2022 della 
Corte d’appello di L’Aquila. 

RIteNUto IN FAtto 


1. Il 
tribunale 
di 
L’Aquila, con sentenza 
del 
9 settembre 
2019, condannava 
B.B., tratto a 
giudizio per rispondere 
dei 
delitti 
di 
cui 
agli 
artt. 582 e 
590 c.p. in relazione 
alle 
lesioni 
personali 
cagionate 
dolosamente 
in tre 
occasioni 
alla 
convivente 
A.A., ed alle 
lesioni 
personali 
cagionate, per colpa, alla 
loro figlia 
A.H., alla 
pena 
di 
anni 
due 
di 
reclusione 
per il 
diverso 
delitto di 
cui 
all’art. 572 c.p., così 
giuridicamente 
riqualificati 
i 
fatti 
di 
cui 
all’imputazione; 
alla 
pronuncia 
seguiva 
la 
condanna 
del 
B.B. 
al 
risarcimento 
del 
danno 
in 
favore 
della 
costituita 
parte 
civile 
A.A., equitativamente 
liquidato in euro 10.000, ed alla 
rifusione 
delle 
spese 
da 
quella stessa parte sostenute per la costituzione in giudizio. 
A 
seguito dell’atto di 
appello presentato dal 
difensore 
dell’imputato, la 
Corte 
di 
appello di 
L’Aquila, con sentenza 
del 
14 gennaio 2022, riscontrata 
l’assenza 
degli 
elementi 
costitutivi 
del 
delitto di 
maltrattamenti 
in famiglia, riqualificava 
i 
fatti 
nei 
termini 
di 
cui 
all’originaria 
imputazione 
(ovvero 
sub 
specie 
di 
artt. 
81, 
582 
e 
590 
c.p.) 
e, 
dichiarato 
non 
doversi 
procedere 
per tardività 
della 
querela 
in relazione 
al 
primo degli 
episodi 
in contestazione, condannava 


B.B. 
per 
i 
residui 
reati 
a 
lui 
ascritti 
alla 
pena 
di 
euro 
1.500 
di 
multa, 
confermando 
la 
condanna 
al 
risarcimento del 
danno, il 
cui 
ammontare 
veniva, tuttavia, ridotto, a 
seguito della 
riqualificazione 
dei 
fatti, dall’originario importo di 
euro 10.000, ad euro 2.000; 
da 
tale 
riduzione 
la 
Corte 
abruzzese 
riteneva 
infine 
derivare 
giusti 
motivi 
per compensare 
tra 
le 
parti 
le 
spese 
del 
grado 
relative 
all’azione 
civile 
«considerata 
la 
parziale 
soccombenza 
della 
parte 
civile 
con 
riferimento 
all’entità 
del 
risarcimento 
dei 
danni 
liquidati» 
seguita 
alla 
riqualificazione 
dei 
fatti. 
2. Ha 
presentato ricorso per cassazione 
il 
difensore 
della 
parte 
civile 
deducendo, con un 
unico 
motivo 
di 
doglianza, 
la 
«violazione 
della 
legge 
e 
l’omessa 
motivazione 
ex 
art. 
606, 
comma 
1, 
lett. 
b) 
ed 
e) 
c.p.p. 
in 
relazione 
all’art. 
541 
c.p.p., 
nella 
parte 
in 
cui 
la 
Corte 
di 
appello di 
L’Aquila 
ha 
compensato integralmente 
tra 
le 
parti 
le 
spese 
di 
patrocinio del 
grado 
relative 
all’azione 
civile»: 
ad 
avviso 
della 
ricorrente, 
invero, 
la 
semplice 
riqualificazione 
giuridica 
delle 
condotte 
illecite 
non poteva 
costituire 
giusto motivo di 
compensazione, poichè, 
secondo il 
prevalente 
indirizzo dei 
giudici 
di 
legittimità, la 
conferma 
della 
responsabilità 
del-
l’imputato, anche 
in presenza 
di 
un minor grado di 
essa, non legittimerebbe 
il 
mancato riconoscimento 
delle 
spese 
civili, che 
possono essere 
escluse 
solo in caso di 
totale 
soccombenza. 
Con requisitoria 
scritta 
del 
16 gennaio 2023, il 
Sostituto Procuratore 
generale 
ha 
chiesto 
dichiararsi 
inammissibile 
il 
ricorso, «avendo la 
Corte 
territoriale 
compensato le 
spese 
sul 
valido 
argomento 
logico-giuridico 
della 
soccombenza 
parziale 
conseguente 
alla 
riduzione 
in 
appello 
della somma liquidata a titolo di risarcimento». 


CoNteNZIoSo 
NAZIoNALe 


3. La 
Quinta 
Sezione 
penale 
di 
questa 
Corte, cui 
è 
stato assegnato il 
ricorso, con ordinanza 
del 
7 febbraio 2023, lo ha 
rimesso alle 
Sezioni 
Unite, ai 
sensi 
dell’art. 618, comma 
1, c.p.p. 
onde 
vedere 
risolto il 
contrasto insorto nella 
giurisprudenza 
di 
legittimità 
in ordine 
alla 
applicabilità 
o meno dell’art. 573, comma 
1-bis, c.p.p. a 
tutti 
i 
ricorsi 
pendenti 
al 
momento del-
l’entrata 
in vigore, in data 
30 dicembre 
2022, dell’art. 33, comma 
1, lett. a), n. 2, D.Lgs. n. 10 
ottobre 
2022, 
n. 
150, 
che 
detta 
norma 
ha 
introdotto, 
ovvero 
solo 
a 
quelli 
proposti 
nei 
confronti 
delle sentenze pronunciate successivamente a tale data. 
La 
Sezione 
rimettente 
ha, 
in 
primo 
luogo, 
accertato 
il 
presupposto, 
la 
cui 
valutazione 
è 
preliminarmente 
richiesta 
per 
l’applicabilità 
della 
norma, 
della 
ritualità 
del 
ricorso 
e 
della 
sua 
non 
manifesta 
infondatezza, 
richiamando 
il 
consolidato 
orientamento 
giurisprudenziale 
secondo 
cui 
«in 
tema 
di 
condanna 
della 
parte 
civile 
al 
pagamento 
delle 
spese 
di 
giudizio, 
la 
compensazione 
è 
ammessa, ai 
sensi 
dell’art. 541, comma 
2, c.p.p., solo per gravi 
ed eccezionali 
ragioni, in analogia 
a 
quanto richiesto nell’ambito del 
processo civile 
dall’art. 92 c.p.c.» 
(Sez. 6, n. 35931 del 24/06/2021, Daidone, Rv. 282110-01). 

L’ordinanza 
si 
è, 
successivamente, 
interrogata 
sulla 
immediata 
applicabilità 
o 
meno 
dell’art. 
573, 
comma 
1-bis, 
c.p.p., 
secondo 
cui, 
quando 
la 
sentenza 
è 
impugnata, 
come 
nel 
caso 
di 
specie, 
per i 
soli 
interessi 
civili, il 
giudice 
di 
appello e 
la 
Corte 
di 
cassazione, se 
l’impugnazione 
non è 
inammissibile, rinviano per la 
prosecuzione, rispettivamente, al 
giudice 
o alla 
sezione 
civile 
competente, 
che 
decide 
sulle 
questioni 
civili 
utilizzando 
le 
prove 
acquisite 
nel 
processo 
penale 
e 
quelle 
eventualmente 
acquisite 
nel 
giudizio civile, e 
ha 
rilevato che, in assenza 
di 
un’apposita 
disposizione 
transitoria, la 
giurisprudenza 
di 
legittimità 
immediatamente 
successiva 
all’entrata in vigore della nuova disposizione ha sostenuto entrambe le soluzioni. 

In 
sintesi, 
secondo 
un 
primo 
orientamento, 
formatosi 
nell’immediatezza, 
l’art. 
573, 
comma 
1-bis, c.p.p. sarebbe 
immediatamente 
applicabile 
a 
tutte 
le 
impugnazioni 
pendenti 
al 
30 dicembre 
2022: 
in tal 
senso si 
sono espresse 
infatti 
Sez. 4, n. 2854 del 
11/01/2023, Colonna, 
Rv. 284012-01, e 
Sez. 2, n. 6690 del 
02/02/2023, Seno, Rv. 284216-01, ad avviso delle 
quali, 
in 
applicazione 
del 
principio 
tempus 
regit 
actum, 
il 
giudizio 
di 
impugnazione 
deve 
essere 
svolto 
secondo 
le 
nuove 
regole, 
non 
derivando 
alla 
parte 
civile 
alcun 
concreto 
pregiudizio 
dalla 
circostanza 
che 
il 
ricorso venga 
deciso dal 
giudice 
civile, e, dunque, nella 
sua 
sede 
naturale, 
piuttosto che 
dal 
giudice 
penale; 
peraltro, si 
è 
rilevato che, dovendo la 
parte 
civile 
impugnante 
riassumere 
il 
giudizio in sede 
civile, le 
sarebbe 
consentito, con l’atto di 
citazione 
in 
riassunzione, 
emendare 
o 
comunque 
conformare 
la 
propria 
domanda 
al 
nuovo 
ambito 
processuale, 
così 
come 
alla 
controparte 
sarebbe 
dato 
modo 
di 
contraddire 
e 
di 
replicare 
a 
tali 
nuove deduzioni. 

Secondo un diverso orientamento, sostenuto da 
Sez. 5, n. 3990 del 
20/01/2023, Sangiorgi, 
Rv. 284019-01, e 
da 
Sez. 5, n. 4902 del 
16/01/2023, Isgrò, Rv. 284121-01, la 
nuova 
norma, 
in quanto potenzialmente 
pregiudizievole 
per la 
posizione 
di 
chi 
abbia 
già 
proposto appello o 
ricorso per cassazione, sarebbe 
applicabile 
solo alle 
impugnazioni 
proposte 
avverso le 
sentenze 
emesse 
a 
partire 
dal 
30 
dicembre 
2022; 
ed 
invero, 
la 
norma 
di 
nuovo 
conio 
prevede 
espressamente 
che 
il 
giudice 
penale, valutata 
l’ammissibilità 
del 
gravame, rinvii 
gli 
atti 
«per 
la 
prosecuzione» «al 
giudice 
o alla 
sezione 
civile 
competente», senza, dunque, prevedere 
alcuna 
riassunzione 
del 
giudizio: 
ne 
discende 
che 
l’impugnante 
ai 
soli 
effetti 
civili 
deve 
affrontare 
un 
giudizio 
retto 
da 
regole 
diverse 
da 
quelle 
alla 
stregua 
delle 
quali 
aveva 
costruito 
il 
proprio 
gravame, 
quali, 
ad 
esempio, 
quelle 
in 
tema 
di 
nesso 
eziologico 
tra 
la 
condotta 
e 
l’evento di 
danno, che 
il 
giudice 
civile 
ricostruisce 
non in base 
al 
criterio dell’alto grado di 
probabilità logica, ma in base al criterio causale del «più probabile che non». 


RASSeGNA 
AVVoCAtURA 
DeLLo 
StAto -N. 1/2023 


Detto secondo orientamento vorrebbe 
porsi 
in continuità 
con il 
dictum 
della 
sentenza 
delle 
Sez. 
U, 
n. 
27614 
del 
29/03/2007, 
Lista, 
Rv. 
236537-01, 
che, 
nell’applicare 
il 
principio 
tempus 
regit 
actum, 
ricavabile 
dall’art. 
11 
preleggi, 
all’istituto 
delle 
impugnazioni, 
ha 
statuito 
che 
l’actus 
al 
quale 
occorre 
avere 
riguardo è 
la 
sentenza 
impugnata, poichè 
è 
in rapporto ad essa 
che 
vanno valutati 
la 
facoltà 
di 
impugnazione, la 
sua 
estensione, nonchè 
i 
modi 
ed i 
termini 
per esercitarla. 

L’ordinanza 
di 
rimessione 
ha 
infine 
precisato 
che, 
ove 
dovesse 
preferirsi 
questo 
secondo 
orientamento, 
dovrebbe 
farsi 
più 
correttamente 
riferimento 
non 
alla 
data 
di 
emissione 
della 
sentenza, 
pur 
se 
è 
a 
partire 
da 
questo 
momento 
che 
sorge 
il 
diritto 
di 
impugnare, 
ma 
a 
quella 
di 
deposito 
della 
stessa: 
«il 
riferimento 
alla 
data 
di 
deposito 
della 
sentenza, 
pur 
non 
rappresentando 
necessariamente 
[...] 
il 
momento 
a 
partire 
dal 
quale 
il 
diritto 
all’impugnazione 
può 
essere 
esercitato, 
coincide 
con 
esso 
o 
lo 
precede 
e 
quindi, 
per 
un 
verso, 
soddisfa 
l’esigenza 
di 
tutela 
dell’affidamento, 
per 
altro 
verso, 
evita 
una 
prolungata 
applicazione 
di 
norme 
processuali 
che 
non 
troverebbe 
più 
alcuna 
giustificazione 
e, 
per 
altro 
verso 
ancora, 
soddisfa 
l’esigenza 
di 
individuare 
un 
termine 
unitario 
di 
applicazione 
dell’innovazione 
processuale 
che 
resti 
insensibile 
alle 
date 
eventualmente 
diverse 
di 
proposizione 
degli 
atti 
di 
impugnazione 
nei 
processi 
soggettivamente 
complessi, 
nei 
quali 
siano 
presenti 
più 
parti 
civili 
o 
una 
parte 
civile 
e 
un 
responsabile 
civile». 


4. 
Successivamente 
alla 
data 
di 
decisione 
dell’ordinanza 
di 
rimessione 
sono 
state 
depositate 
le 
motivazioni 
di 
ulteriori 
pronunce 
della 
Corte 
che, anteriormente 
alla 
rimessione 
della 
questione, 
hanno aderito all’uno o all’altro dei due indirizzi appena sopra ricordati. 
In 
particolare, 
nel 
senso 
dell’immediata 
applicabilità 
sono 
intervenute 
le 
ordinanze 
di 
Sez. 
4, 
n. 
10392 
del 
25/01/2023, 
Iacopino, 
non 
mass.; 
Sez. 
4, 
n. 
8483 
del 
17/01/2023, 
Camilletti 
e 
altro, 
non 
mass.; 
Sez. 
3, 
n. 
7625 
del 
11/01/2023, 
Ambu, 
Rv. 
284248-01; 
nel 
senso, 
invece, 
della 
applicabilità 
“differita” 
sono 
intervenute 
le 
sentenze 
di 
Sez. 
5, 
n. 
20381 
del 
23/02/2023, 
tosoni, 
non 
mass.; 
Sez. 
6, 
n. 
12072 
del 
27/01/2023, 
Codognola, 
non 
mass.; 
Sez. 
5, 
n. 
3990 
del 
20/01/2023, 
Razzaboni, 
Rv. 
284019-01; 
Sez. 
5, 
n. 
4902 
del 
16/01/2023, 
Cucinotta, 
Rv. 
284121-01. 


5. La 
Presidente 
di 
questa 
Corte, con decreto apposito, ha 
conseguentemente 
assegnato il 
ricorso alle Sezioni Unite in ordine al seguente quesito: 
“se 
l’art. 573, comma 1-bis, c.p.p., si 
applichi 
a tutte 
le 
impugnazioni 
per 
i 
soli 
interessi 
civili 
pendenti 
alla data del 
30 dicembre 
2022 o, invece, alle 
sole 
impugnazioni 
proposte 
avverso 
le sentenze pronunciate a decorrere dalla suddetta data”. 

6. 
Successivamente, 
in 
data 
18 
maggio 
2023, 
l’Avvocato 
generale 
ha 
presentato 
note 
scritte 
di udienza. 
CoNSIDeRAto IN DIRItto 


1. L’esame 
delle 
pronunce 
di 
questa 
Corte 
complessivamente 
intervenute 
sulla 
questione 
rimessa 
consente 
anzitutto 
di 
focalizzare 
sinteticamente 
gli 
argomenti 
che 
l’uno 
e 
l’altro 
degli 
indirizzi, muovendo dalla 
mancanza 
di 
norme 
transitorie 
regolatrici 
della 
sorte 
delle 
impugnazioni 
proposte 
anteriormente 
alla 
entrata 
in vigore 
della 
nuova 
norma, espongono a 
supporto 
delle diverse conclusioni. 
1.1. L’orientamento in ordine 
all’immediata 
applicabilità 
dell’art. 573, comma 
1-bis, cit. 
esclude 
che 
nella 
specie 
possano 
venire 
in 
rilievo 
i 
principi 
affermati 
da 
Sez. 
U, 
Lista, 
cit. 
non 
versandosi 
in 
ipotesi 
di 
abolizione 
della 
possibilità 
di 
impugnazione 
oppure 
di 
mutamento 
del 
mezzo 
di 
impugnazione 
consentito, 
bensì 
venendo 
mantenuto 
lo 
stesso 
mezzo 
dinanzi 
allo 
stesso giudice 
e 
mutando solo l’epilogo del 
giudizio; 
conseguentemente, la 
parte 
conserve

CoNteNZIoSo 
NAZIoNALe 


rebbe 
inalterato 
il 
diritto 
all’accertamento 
del 
danno 
civile 
mutando 
solo 
la 
sede 
decisoria 
posto che 
il 
giudice 
civile, come 
chiarito dalla 
norma, decide 
utilizzando le 
prove 
acquisite 
in 
sede 
penale 
e 
quelle 
eventualmente 
acquisite 
in 
sede 
civile; 
inoltre 
l’oggetto 
dell’accertamento 
non cambierebbe, ma 
si 
restringerebbe 
posto che 
la 
domanda 
risarcitoria 
da 
illecito civile 
sarebbe 
implicita in quella risarcitoria da illecito penale. 

La 
nuova 
e 
diversa 
sede 
della 
decisione 
del 
merito dell’impugnazione 
dipenderebbe 
allora 
dall’esito del 
vaglio di 
ammissibilità 
del 
ricorso che 
sarebbe 
dunque 
l’actus 
da 
considerare, 
nell’ottica 
del 
brocardo 
tempus 
regit 
actum, 
rilevante 
nella 
specie. 
Nè 
rileverebbe 
la 
modifica, 
di 
natura 
solo terminologica, dell’art. 78, comma 
1, lett. d), c.p.p. operata 
sempre 
dalla 
cd. 
Riforma 
Cartabia 
con 
cui 
si 
è 
specificato 
che 
la 
esposizione 
delle 
ragioni 
della 
domanda 
civile 
deve essere fatta “agli effetti civili”. 

Si 
aggiunge 
che, anche 
ove 
si 
ritenesse 
di 
fare 
riferimento alla 
data 
della 
sentenza 
o della 
impugnazione 
quale 
momento discriminante, il 
giudice 
penale 
dovrebbe 
comunque 
sempre 
e 
solo 
decidere 
sulla 
fattispecie 
aquiliana 
senza 
contaminazioni 
derivanti 
dall’accertamento 
del 
fatto 
penale 
(soprattutto 
in 
caso 
di 
prescrizione) 
in 
conseguenza 
di 
quanto 
statuito 
dalla 
Corte 
costituzionale 
con 
la 
sentenza 
n. 
182 
del 
2021, 
come 
già 
chiarito 
da 
Sez. 
4, 
n. 
37193 
del 
15/09/2022, Ciccarelli, Rv. 283739-01 e 
da 
Sez. 2, n. 11808 del 
14/01/2022, Restaino, Rv. 
283377-01, e 
dunque 
in base 
al 
criterio civilistico della 
maggiore 
probabilità 
e 
non dell’alto 
grado di probabilità logica. 

e 
in sede 
civilistica 
di 
rinvio troverebbero applicazione, come 
già 
chiarito da 
Sez. U, n. 
20065 del 
28/01/2021, Cremonini, Rv. 281228-01, le 
regole 
processuali 
e 
probatorie 
proprie 
del 
processo 
civile 
prescindendosi 
da 
ogni 
apprezzamento 
sulla 
responsabilità 
penale 
dell’imputato, 
nonchè 
sarebbe 
poi 
sempre 
possibile, 
sulla 
base 
della 
giurisprudenza 
civile, 
formulare 
nuove 
conclusioni 
o modificare 
la 
domanda 
ai 
fini 
della 
prospettazione 
degli 
elementi 
costitutivi 
dell’illecito civile 
in analogia 
con la 
transiatio iudicii 
in caso di 
annullamento ex 
art. 
622 c.p.p. ai 
soli 
effetti 
civili, avendo già 
le 
Sez. U, Cremonini, cit., chiarito che 
il 
giudizio 
civile inizia con atto di riassunzione 
ex 
art. 392 c.p.c. 

Vengono infine 
richiamate, a 
conferma 
della 
soluzione 
invocata, le 
sentenze 
di 
Sez. U, n. 
11586 del 
30/09/2021, dep. 2022, D., Rv. 282808-01, Sez. U, n. 13539 del 
30/01/2020, Perroni, 
Rv. 270270-01 e 
Sez. U, n. 3464 del 
30/11/2017, Matrone, Rv. 275201-01, che 
hanno 
tutte 
affermato l’immediata 
applicabilità 
di 
nuove 
norme 
concernenti 
le 
impugnazioni 
in assenza 
di disposizioni transitorie. 

1.2. 
L’orientamento 
di 
segno 
contrario, 
nel 
ritenere 
invece 
l’applicabilità, 
anche 
all’ipotesi 
in 
esame, 
dei 
principi 
affermati 
da 
Sez. 
U, 
Lista, 
cit., 
valorizza 
fondamentalmente 
le 
peculiarità 
del 
giudizio davanti 
al 
giudice 
civile 
rispetto a 
quello svolto, sia 
pure 
ai 
soli 
effetti 
civili, dinanzi 
al 
giudice 
penale, 
che 
renderebbero 
ragione 
dell’esigenza 
di 
tutela 
dell’affidamento 
dell’impugnante; 
tali 
peculiarità 
darebbero la 
possibilità, affermata 
dalle 
sezioni 
civili 
con riferimento 
al 
giudizio 
di 
rinvio 
a 
seguito 
dell’annullamento 
ex 
art. 
622 
c.p.p., 
di 
emendatio 
della 
domanda 
intesa 
anche 
come 
possibilità 
di 
chiedere, secondo i 
parametri 
del 
danno aquiliano, 
la 
pronuncia 
della 
condanna 
al 
risarcimento pur se 
emersa 
la 
sola 
colpa 
in luogo del 
dolo, poichè 
la 
variazione 
in melius 
dell’elemento psicologico dell’illecito non muterebbe 
i 
fatti 
costitutivi 
della 
domanda 
risarcitoria 
proposta 
con l’esercizio dell’azione 
civile 
in sede 
penale; 
già 
con riferimento al 
giudizio conseguente 
all’annullamento ex 
art. 622 c.p.p. si 
sarebbe 
dunque 
in 
presenza 
di 
un 
accertamento 
qualitativamente 
diverso 
rispetto 
a 
quello 
svolto 
in sede 
penale, sia 
pure 
nell’ambito delle 
statuizioni 
civili, perchè 
l’annullamento determinerebbe 
una 
vera 
e 
propria 
translatio iudicii 
dinanzi 
al 
giudice 
competente 
per valore 
in grado 

RASSeGNA 
AVVoCAtURA 
DeLLo 
StAto -N. 1/2023 


di 
appello nel 
quale 
sarebbe 
consentito quindi 
modificare 
la 
domanda 
ai 
fini 
della 
prospettazione 
degli 
elementi 
costitutivi 
dell’illecito 
civile. 
tali 
peculiarità, 
si 
aggiunge, 
sarebbero 
rinvenibili 
a 
maggior 
ragione 
nel 
giudizio 
di 
prosecuzione 
scaturente 
dalla 
nuova 
norma 
dell’art. 
573, comma 1-bis, cit. 

Si 
precisa 
anche 
che, mentre 
il 
vaglio di 
ammissibilità 
del 
giudice 
di 
legittimità 
penale 
è 
effettuato 
alla 
stregua 
delle 
regole 
penalistiche, 
il 
vaglio 
del 
giudice 
di 
legittimità 
civile 
è 
svolto alla 
stregua 
di 
quelle 
civilistiche, sicchè 
l’impugnante 
secondo i 
criteri 
penali 
avrebbe, 
in 
ogni 
caso, 
l’interesse 
ad 
un 
termine 
onde 
“costruire” 
il 
proprio 
atto 
di 
impugnazione 
in 
modo da poter affrontare un giudizio di legittimità retto da regole divenute diverse. 

2. Così 
riassunti 
i 
termini 
del 
contrasto, la 
risoluzione 
della 
questione 
rimessa, seppur inerente 
ad un profilo di 
carattere 
essenzialmente 
intertemporale, impone 
di 
soffermarsi 
preliminarmente 
sul 
contenuto e 
sul 
significato delle 
norme 
con cui 
il 
D.Lgs. n. 10 ottobre 
2020, 
n. 
150 
è 
intervenuto 
a 
disciplinare 
l’ipotesi 
della 
impugnazione 
della 
sentenza 
per 
gli 
interessi 
civili: 
solo apprezzando la 
portata 
delle 
modifiche 
intervenute 
sul 
punto, la 
loro ragione 
e 
il 
loro 
“innesto” 
nel 
sistema 
processuale 
preesistente, 
è 
infatti 
possibile 
dare 
una 
corretta 
risposta 
al quesito rimesso dalla Quinta Sezione penale. 
Come 
infatti 
è 
agevole 
ricavare 
dalla 
disamina 
degli 
indirizzi 
tra 
loro 
in 
contrasto 
sopra 
riassunti, 
il 
differente 
epilogo 
cui 
gli 
stessi 
giungono 
dipende 
essenzialmente 
dalla 
risposta 
che, 
nella 
pacifica 
mancanza 
da 
parte 
del 
legislatore 
di 
ogni 
regolamentazione 
transitoria 
delle 
nuove 
disposizioni, 
si 
dia 
sul 
grado 
di 
portata 
innovativa 
delle 
stesse: 
se, 
cioè, 
le 
modifiche 
intervenute 
abbiano 
o 
meno 
condotto 
alla 
configurazione 
di 
un 
quadro 
normativo 
la 
cui 
diversità, 
rispetto 
al 
precedente 
assetto, 
sia 
tale 
da 
ledere 
le 
aspettative 
di 
colui 
che 
abbia 
presentato 
l’impugnazione 
nel 
precedente 
regime, 
con 
conseguente 
necessità 
di 
tutelarne 
il 
legittimo 
affidamento 
nella 
immutabilità 
dello 
stesso 
secondo 
quanto 
meglio 
si 
specificherà 
oltre. 


Del 
resto, il 
richiamo, nel 
secondo orientamento considerato, alla 
necessità 
di 
fare 
applicazione, 
nella 
specie, dei 
principi 
affermati 
da 
Sez. U, Lista, cit. e 
l’esclusione, di 
converso, 
nel 
primo, della 
incidenza 
degli 
stessi 
nella 
ipotesi 
in esame, presuppongono, in entrambe 
le 
prospettive, 
un 
comune, 
astratto, 
dato 
di 
partenza, 
ovvero 
l’esigenza 
che 
non 
vengano 
appunto 
“tradite” 
le 
ovvie 
aspettative 
di 
chi, confidando, nel 
compimento di 
un atto processuale, in un 
determinato 
assetto 
normativo, 
veda 
tale 
quadro 
mutato 
in 
itinere 
in 
ragione 
della 
introduzione 
di 
elementi 
che, 
ove 
presenti 
in 
precedenza, 
avrebbero 
condotto 
a 
diverse 
determinazioni 
sullo 
stesso an 
o sul 
quomodo 
dell’atto compiuto. 

Non è, dunque, sulla 
condivisione 
dei 
principi 
di 
tutela 
appena 
ricordati 
che 
si 
è 
formata 
la 
divaricazione 
giurisprudenziale, 
bensì 
sulla 
rilevanza 
dei 
medesimi 
nella 
questione 
dedotta. 

2.1. tanto, dunque, premesso, il 
legislatore, come 
richiesto dall’art. 1, comma 
13, lett. d), 
della 
L. 
27 
settembre 
2021 
n. 
134 
(Delega 
al 
Governo 
per 
l’efficienza 
del 
processo 
penale 
nonchè 
in materia 
di 
giustizia 
riparativa 
e 
disposizioni 
per la 
celere 
definizione 
dei 
procedimenti 
giudiziari), con cui 
si 
prescriveva, tra 
l’altro, di 
«adeguare 
[...] la 
disciplina 
delle 
impugnazioni 
per 
i 
soli 
interessi 
civili, 
assicurando 
una 
regolamentazione 
coerente 
della 
materia» 
in conseguenza, peraltro, della 
necessità 
di 
disciplinare 
i 
rapporti 
tra 
il 
nuovo istituto dell’improcedibilità 
dell’azione 
penale 
per superamento dei 
termini 
di 
durata 
massima 
del 
giudizio 
di 
impugnazione 
e 
l’azione 
civile 
esercitata 
nel 
processo 
penale, 
ha 
modificato 
l’art. 
573 
c.p.p.; 
e 
ciò ha 
fatto, sia 
variando il 
comma 
1, riferito alle 
impugnazioni 
«per gli 
interessi 
civili» e 
non 
più, 
come 
in 
precedenza, 
«per 
i 
soli 
interessi 
civili» 
sia, 
soprattutto, 
introducendo 
un 
comma 
1 bis 
di 
nuovo conio nel 
quale 
si 
prevede 
che 
«quando la 
sentenza 
è 
impugnata 
per i 

CoNteNZIoSo 
NAZIoNALe 


soli 
interessi 
civili, 
il 
giudice 
di 
appello 
e 
la 
Corte 
di 
cassazione, 
se 
l’impugnazione 
non 
è 
inammissibile, rinviano per la 
prosecuzione, rispettivamente, al 
giudice 
o alla 
sezione 
civile 
competente, 
che 
decide 
sulle 
questioni 
civili 
utilizzando 
le 
prove 
acquisite 
nel 
processo 
penale 
e 
quelle 
eventualmente 
acquisite 
nel 
giudizio 
civile» 
(art. 
33, 
comma 
1, 
lett. 
a), 
n. 
2, 
del 
D.Lgs. 
n. 150 del 2022). 

Una 
ulteriore 
modifica, 
da 
ricondurre 
evidentemente 
sempre 
nell’alveo 
della 
direttiva 
sopra 
ricordata, 
ha 
avuto 
poi 
ad 
oggetto 
l’art. 
78 
c.p.p., 
relativo, 
come 
da 
rubrica, 
alle 
formalità 
della 
costituzione 
di 
parte 
civile, 
ove, 
al 
comma 
1, 
lett. 
d), 
si 
è 
previsto 
che, 
tra 
i 
requisiti 
formali 
della 
dichiarazione 
di 
costituzione, 
l’esposizione 
delle 
ragioni 
che 
giustificano 
la 
domanda 
debba 
essere 
specificamente 
svolta 
«agli 
effetti 
civili» 
(art. 
5 
del 
D.Lgs. 
n. 
150 
del 
2022). 


2.2. 
La 
introduzione, 
in 
particolare, 
del 
comma 
1-bis 
dell’art. 
573 
cit. 
è 
stata 
spiegata, 
dalla 
Relazione 
illustrativa 
al 
decreto legislativo recante 
attuazione 
della 
L. 27 settembre 
2021, n. 
134, 
come 
espressione, 
con 
riguardo 
all’ipotesi 
in 
cui 
sia 
assente 
un’impugnazione 
anche 
agli 
effetti 
penali, 
della 
«innovativa 
regola 
del 
trasferimento 
della 
decisione 
al 
giudice 
civile, 
dopo 
la 
verifica 
imprescindibile 
sulla 
non inammissibilità 
dell’atto svolta 
dal 
giudice 
penale», così 
determinandosi 
«un 
ulteriore 
risparmio 
di 
risorse, 
nell’ottica 
di 
implementare 
l’efficienza 
giudiziaria 
nella 
fase 
delle 
impugnazioni». La 
Relazione 
ha 
aggiunto che 
«con il 
rinvio dell’appello 
o 
del 
ricorso 
al 
giudice 
civile 
l’oggetto 
di 
accertamento 
non 
cambierebbe, 
ma 
si 
restringerebbe, dal 
momento che 
la 
domanda 
risarcitoria 
da 
illecito civile 
è 
già 
implicita 
alla 
domanda 
risarcitoria 
da 
illecito penale», concludendo poi 
che 
«non vi 
sarebbe 
pertanto una 
modificazione 
della 
domanda 
risarcitoria 
nel 
passaggio dal 
giudizio penale 
a 
quello civile» e 
che 
«ragionevolmente, l’eventualità 
dovrà 
essere 
prevista 
dal 
danneggiato dal 
reato sin dal 
momento 
della 
costituzione 
di 
parte 
civile, 
atto 
che 
pertanto 
dovrà 
contenere 
l’esposizione 
delle 
ragioni 
che 
giustificano 
‘la 
domanda 
agli 
effetti 
civili’, 
secondo 
l’innovata 
formulazione 
dell’art. 78, lett. d)» (v. pag. 164 della 
Relazione 
pubblicata 
in Gazzetta 
Ufficiale, Serie 
Generale 
n. 245 del 19 ottobre 2022 - Suppl. Straordinario n. 5). 
2.3. Risulta 
pertanto evidente, sulla 
base 
della 
piana 
lettura 
del 
dato testuale 
delle 
nuove 
norme, e 
del 
significato sistematico appena 
ricordato, il 
mutamento di 
coordinate 
operato rispetto 
al 
“pregresso” 
quadro: 
mentre 
in precedenza 
anche 
l’impugnazione 
ai 
soli 
effetti 
civili 
(ovvero, in altri 
termini, quella 
svolta 
in assenza 
di 
ogni 
altra 
censura, da 
parte 
del 
medesimo 
impugnante 
ovvero 
dalle 
altre 
parti, 
riguardante 
i 
profili 
penali 
della 
decisione) 
era 
comunque 
destinata 
ad 
essere 
decisa 
dal 
giudice 
del 
processo 
penale 
nel 
quale 
era 
stata 
esercitata 
l’azione 
civile, benchè 
non residuassero più aspetti 
di 
ordine 
penale 
(e 
a 
tale 
piano apparteneva 
pur 
sempre, per il 
giudizio di 
legittimità, l’epilogo eccezionale 
rappresentato dall’art. 622 c.p.p.), 
all’esito della 
modifica 
in oggetto l’impugnazione 
(proposta, secondo la 
immutata 
regola 
generale 
di 
cui 
al 
comma 
1 dell’art. 573 c.p.p., valevole 
anche 
nel 
caso di 
censure 
ai 
soli 
fini 
civili, 
nelle 
«forme 
ordinarie 
del 
giudizio 
penale») 
viene 
oggi 
ad 
essere 
decisa 
dal 
giudice 
civile, 
restando 
attribuito 
al 
giudice 
penale 
il 
solo 
compito 
di 
valutare 
la 
non 
inammissibilità 
del-
l’impugnazione 
stessa: 
la 
necessità 
di 
accelerazione 
dei 
tempi 
di 
decisione, che 
ha 
rappresentato, 
nell’impostazione 
della 
riforma, uno dei 
parametri 
ispiratori 
della 
stessa, e 
la 
naturale 
dismissione, allorquando non siano più in gioco, per effetto del 
relativo giudicato, profili 
penali, 
della 
ordinaria 
regola 
di 
“attrazione” 
nel 
campo penale 
anche 
delle 
questioni 
civilistiche 
nascenti 
dal 
reato, 
ha 
comportato 
che, 
una 
volta 
esclusa, 
dal 
giudice 
penale, 
la 
inammissibilità 
dell’impugnazione 
(che, per ragioni 
evidenti 
di 
economia 
processuale, determinerebbe, altrimenti, 
la 
definitiva 
conclusione 
del 
giudizio), il 
medesimo giudizio debba 
essere 
rinviato in

RASSeGNA 
AVVoCAtURA 
DeLLo 
StAto -N. 1/2023 


nanzi 
al 
giudice 
civile 
per la 
“prosecuzione” 
dello stesso e 
la 
decisione, nel 
merito, dell’impugnazione. 


Nè 
può condurre 
a 
diverse 
conclusioni 
il 
fatto che, con riguardo in particolare 
al 
giudizio 
di 
legittimità, di 
“rinvio”, segnatamente 
al 
giudice 
civile 
competente 
per valore 
in grado di 
appello, 
già 
si 
occupasse 
l’art. 
622 
c.p.p., 
e 
che 
tale 
rinvio 
sia 
stato 
letto, 
da 
ultimo, 
anche 
dalle 
Sezioni 
Unite 
(Sez. U, n. 2265 del 
28/01/2022, Cremonini, Rv. 281228-01), come 
introduttivo 
di 
un giudizio del 
tutto autonomo e 
svincolato rispetto a 
quello penale, conseguentemente 
richiedente 
un atto di 
impulso di 
parte 
attraverso l’istituto della 
riassunzione 
ex 
art. 
392 c.p.p. evocato dallo stesso termine 
di 
“rinvio” 
(v. anche, nella 
più recente 
giurisprudenza 
civile 
della 
Corte, nel 
senso che 
il 
giudizio di 
rinvio ex 
art. 622 c.p.p. si 
configura 
come 
una 
sostanziale 
translatio iudicii 
dinanzi 
al 
giudice 
civile, regolato dagli 
artt. 392-394 c.p.c., Sez. 
3 
civ., 
n. 
30496 
del 
18/10/2022, 
Rv. 
666267-01; 
Sez. 
3. 
civ., 
n. 
8997 
del 
21/03/2022, 
Rv. 
66457903; 
Sez. 
3 
civ., 
n. 
517 
del 
15/01/2020, 
Rv. 
656811-01; 
Sez. 
3 
civ., 
n. 
16916 
del 
25/06/2019, Rv. 654433-01). 

È 
significativa 
infatti, 
sul 
punto, 
onde 
distinguere 
nettamente 
le 
due 
ipotesi, 
la 
ben 
diversa 
portata 
del 
“rinvio” 
come 
emergente 
dalla 
stessa 
concatenazione 
dei 
passaggi 
delle 
due 
norme: 
mentre 
il 
rinvio 
dell’art. 
622 
cit. 
segue 
a 
pronuncia 
di 
“annullamento”, 
ovvero, 
in 
altri 
termini, 
alla 
stessa 
decisione 
sull’impugnazione 
ad 
opera 
della 
Corte 
penale 
(giustificandosi 
il 
rinvio 
al 
giudice 
civile 
d’appello 
essenzialmente 
allorquando 
la 
decisione 
impugnata 
sia 
priva 
di 
motivazione 
ovvero 
debbano 
essere 
svolti 
accertamenti 
e 
valutazioni 
in 
fatto 
non 
esperibili 
nel 
giudizio 
di 
legittimità), 
il 
rinvio 
introdotto 
dal 
nuovo 
art. 
573, 
comma 
1-bis, 
cit. 
è 
funzionale 
alla 
“prosecuzione” 
in 
sede 
civile 
del 
medesimo 
giudizio 
iniziato 
in 
sede 
penale 
senza 
cesure 
o 
soluzioni 
di 
continuità 
(cesure 
date 
invece, 
nell’art. 
622 
cit., 
proprio 
dalla 
pronuncia 
di 
annullamento 
e 
che 
impediscono, 
tra 
l’altro, 
secondo 
la 
costante 
giurisprudenza 
civile, 
l’enunciazione 
di 
un 
principio 
di 
diritto 
cui 
il 
giudice 
civile 
del 
rinvio 
sia 
tenuto 
ad 
uniformarsi). 


2.4. Anche 
la 
disciplina 
posta 
dallo stesso art. 573, comma 
1-bis, cit. in ordine 
al 
regime 
di 
utilizzazione 
delle 
prove 
non 
smentisce 
ma, 
anzi 
conferma, 
l’unicità 
del 
giudizio: 
da 
un 
lato continuano, per espressa 
disposizione, ad essere 
utilizzate 
in sede 
civile 
le 
prove 
già 
acquisite 
in 
sede 
penale 
e, 
dall’altro, 
confluiscono, 
nello 
stesso 
giudizio, 
le 
prove 
eventualmente 
acquisende nel giudizio di rinvio. 
2.5. Se, dunque, di 
medesimo giudizio “rinviato” 
per la 
decisione 
al 
giudice 
o alla 
sezione 
civile 
competente 
si 
tratta, 
pare 
evidente 
come 
non 
siano 
in 
alcun 
modo 
replicabili, 
nel 
nuovo 
assetto, i 
postulati 
appena 
ricordati, ed innanzitutto quello della 
natura 
“autonoma”, rispetto 
al giudizio penale, del giudizio da svolgersi in sede civile. 
Neppure 
appare 
conciliabile, 
con 
il 
nuovo 
assetto 
scaturente 
dalla 
norma 
in 
oggetto, 
la 
necessità, 
affermata 
dalla 
giurisprudenza 
sempre 
con 
riguardo 
al 
giudizio 
di 
rinvio 
“da 
annullamento”, 
di 
emendatio 
libelli 
al 
fine 
di 
coordinare 
la 
domanda 
presentata 
in 
sede 
penale 
ai 
parametri 
propri 
del 
giudizio 
civile 
sia 
con 
riferimento 
(quanto 
meno 
nel 
sistema 
precedente 
alla 
lettura 
data 
dalla 
sentenza 
della 
Corte 
Cost. 
n. 
182 
del 
2021) 
ai 
requisiti 
della 
responsabilità 
aquiliana, 
sia 
con 
riguardo 
alle 
diverse 
regole 
attinenti 
al 
nesso 
di 
causalità, 
da 
un 
lato, 
e 
alle 
prove, 
dall’altro 
(v., 
per 
tutte, 
da 
ultimo, 
Sez. 
1 
civ., 
n. 
7474 
del 
08/03/2022, 
Rv. 
664524-01; 
Sez. 
3 
civ., 
n. 
517 
del 
15/01/2020, 
Rv. 
656811-01); 
infatti, 
la 
necessità 
di 
un 
tale 
adeguamento 
nel 
passaggio 
tra 
i 
due 
giudizi 
è 
ormai 
superata 
dalla 
già 
iniziale 
impostazione, 
oggi 
richiesta 
dal 
nuovo 
art. 
78, 
comma 
1, 
lett. 
d), 
cit. 
della 
pretesa 
civile 
secondo 
le 
più 
estese 
coordinate 
dell’atto 
introduttivo 
di 
cui 
all’art. 
360 
c.p.c. 
nella 
previsione 
di 
un 
simile, 
possibile, 
epilogo. 



CoNteNZIoSo 
NAZIoNALe 


Anzi, 
e 
di 
più, 
proprio 
la 
comparazione 
tra 
l’art. 
573, 
comma 
1-bis, 
c.p.p. 
e 
l’art. 
622 


c.p.p. 
(quale 
norma 
che 
continua 
a 
presupporre 
pur 
sempre 
un 
ordinario 
quadro 
che 
attribuisce 
alla 
Corte 
di 
cassazione 
penale 
la 
decisione 
sull’impugnazione 
anche 
agli 
effetti 
civili) 
sembra 
rivelare 
come 
l’unica 
lettura 
possibile 
della 
nuova 
disciplina 
sia 
quella 
appena 
considerata, 
giacchè, 
ove 
il 
legislatore 
della 
cd. 
Riforma 
Cartabia 
avesse 
invece 
inteso 
lasciare 
sostanzialmente 
immutato 
il 
quadro 
normativo 
come 
letto 
dalla 
costante 
giurisprudenza 
di 
legittimità, 
ben 
poco 
senso 
avrebbe 
avuto 
l’adozione 
del 
nuovo 
art. 
573, 
comma 
1-bis, 
cit., 
finendo 
quest’ultima 
norma 
per 
sovrapporsi 
irrazionalmente, 
negli 
esiti, 
proprio 
a 
quella 
dell’art. 
622 
cit. 
Dunque, è 
proprio il 
ben diverso rapporto cronologico a 
fondamento della 
nuova 
norma 
rispetto a 
quello posto alla 
base 
dell’art. 622 cit. (tra 
decisione 
e 
successivo rinvio, nell’art. 
622, 
e 
tra 
rinvio 
e 
successiva 
decisione, 
nell’art. 
573, 
comma 
1-bis) 
a 
rendere 
non 
assimilabili 
tra 
loro 
l’assetto 
attuale 
e 
quello 
precedente 
di 
cui 
l’art. 
622 
cit. 
rappresenta 
pur 
sempre, 
come 
detto, nell’eccezione 
così 
introdotta 
alla 
regola 
dell’attrazione 
dell’azione 
civile 
al 
processo 
penale, una esplicazione. 

Sì 
che, è 
bene 
aggiungere, appaiono altresì 
improponibili, proprio perchè 
il 
giudizio che 
prosegue 
è 
sempre 
e 
solo il 
medesimo iniziato dinanzi 
al 
giudice 
penale, le 
esegesi 
(di 
cui 
è 
traccia 
in alcune 
delle 
ordinanze 
della 
Quinta 
Sezione 
adesive 
all’indirizzo di 
differita 
applicabilità 
del 
nuovo comma 
1-bis) che 
hanno posto, accanto al 
vaglio di 
ammissibilità 
o meno 
del 
ricorso per cassazione 
affidato dalla 
nuova 
norma 
al 
solo giudice 
penale, un ulteriore 
e 
successivo vaglio di 
ammissibilità, secondo le 
regole 
processual-civilistiche, in capo alla 
sezione 
civile 
di 
rinvio; 
e 
ciò senza, peraltro, che 
ancora 
qui 
si 
consideri, come 
si 
farà 
subito 
oltre, la 
insostenibilità 
di 
una 
simile 
opzione 
-peraltro già 
poco compatibile 
con l’esigenza 
di 
semplificazione 
del 
processo 
penale 
espressamente 
enunciata 
dall’art. 
1, 
comma 
1 
della 
legge 
delega 
n. 134 del 
2021 -alla 
luce 
della 
regola 
della 
mutata 
formulazione 
dell’art. 78, comma 
1, lett. d), cit. 

2.6. Come 
infatti 
or ora 
anticipato, la 
modifica 
di 
tale 
ultima 
norma 
non può restare 
indifferente 
ai 
fini 
della 
spiegazione 
del 
significato del 
nuovo comma 
1-bis 
dell’art. 573 al 
quale 
offre, invece, un necessario completamento, ed assume, anzi, un rilievo decisivo proprio agli 
effetti 
della 
risoluzione 
del 
contrasto giurisprudenziale 
su cui 
le 
Sezioni 
Unite 
sono chiamate 
ad intervenire. 
Va 
anzitutto rilevato che 
la 
necessità 
di 
tale 
modifica, riguardante 
una 
norma 
contenuta 
all’interno 
del 
titolo V 
del 
Libro I del 
codice 
di 
rito penale, riguardante 
la 
disciplina 
relativa 
a 
parte 
civile, responsabile 
civile 
e 
civilmente 
obbligato per la 
pena 
pecuniaria, non risulta 
direttamente 
derivante 
da 
alcuna 
delle 
direttive 
della 
legge 
delega 
già 
citata 
che, 
infatti, 
non 
hanno riguardato la 
posizione 
della 
parte 
civile, sì 
da 
dovere 
indurre 
a 
ritenere 
che, quindi, la 
sua 
ragione 
sia 
esattamente 
da 
rinvenirsi 
nel 
collegamento con ambiti 
diversi, oggetto di 
specifica 
regolamentazione. ed un tale 
collegamento è 
stato individuato, dalla 
già 
ricordata 
Relazione 
illustrativa 
al 
decreto legislativo, proprio con la 
disciplina 
della 
impugnazione 
ai 
soli 
effetti 
civili, essendosi 
chiarita 
la 
funzione 
della 
necessaria 
specificazione, nell’atto di 
costituzione, 
delle 
ragioni 
della 
domanda 
«agli 
effetti 
civili» in correlazione 
con la 
mutata 
attribuzione 
della 
decisione 
di 
detta 
impugnazione 
al 
giudice 
o alla 
sezione 
civile 
competente 
cui 
il 
giudizio deve essere rinviato in prosecuzione. 

Se, dunque, in altri 
termini, il 
giudizio è 
sempre 
quello iniziale 
che 
prosegue, senza 
soluzione 
di 
continuità, dalla 
sede 
penale 
a 
quella 
civile, il 
possibile 
epilogo decisorio oggi 
rappresentato, 
in 
caso 
di 
impugnazione 
residuata 
per 
i 
soli 
effetti 
civili, 
dall’art. 
573, 
comma 



RASSeGNA 
AVVoCAtURA 
DeLLo 
StAto -N. 1/2023 


1-bis, 
cit., 
dovrà 
essere 
contemplato 
dalla 
parte 
civile 
sin 
dal 
momento 
dell’atto 
di 
costituzione 
e 
a 
tale 
epilogo la 
stessa 
dovrà 
dunque 
far fronte 
strutturando le 
ragioni 
della 
domanda 
in necessaria 
sintonia con i requisiti richiesti dal rito civile. 

Ciò significa, allora, che, se 
nella 
vigenza 
del 
precedente 
tenore 
della 
norma, secondo la 
costante 
giurisprudenza 
di 
legittimità, era 
del 
tutto sufficiente, ad integrare 
la 
causa petendi 
cui 
si 
riferisce 
l’art. 78, comma 
1, lett. d) 
cit., il 
mero richiamo al 
capo d’imputazione 
descrittivo 
del 
fatto allorquando il 
nesso tra 
il 
reato contestato e 
la 
pretesa 
risarcitoria 
azionata 
risultasse 
con immediatezza 
(tra 
le 
altre, Sez. 2, n. 23940 del 
15/07/2020, Rosati, Rv.279490-01; 
Sez. 
6, 
n. 
32705 
del 
17/04/2014, 
Coccia, 
Rv. 
260325-01; 
Sez. 
5, 
n. 
22034 
del 
07/03/2013, 
Boscolo, Rv. 256500-01), ciò non può più bastare 
a 
fronte 
della 
nuova 
disciplina. Sarà 
infatti 
necessaria 
una 
precisa 
determinazione 
della 
causa petendi 
similmente 
«alle 
forme 
prescritte 
per 
la 
domanda 
proposta 
nel 
giudizio 
civile», 
come 
già 
affermato 
da 
una 
sola 
iniziale 
pronuncia 
di 
questa 
Corte, poi 
rimasta 
superata 
dalle 
pronunce 
appena 
ricordate, e 
che 
ora, per 
effetto del 
mutato quadro, riprende 
evidentemente 
vigore; 
cosicchè, ai 
fini 
dell’ammissibilità 
della 
costituzione, non sarà 
più sufficiente 
«fare 
riferimento all’avvenuta 
commissione 
di 
un 
reato bensì 
sarà 
necessario richiamare 
le 
ragioni 
in forza 
delle 
quali 
si 
pretende 
che 
dal 
reato 
siano scaturite 
conseguenze 
pregiudizievoli 
nonchè 
il 
titolo che 
legittima 
a 
far valere 
la 
pretesa
» (Sez. 2, n. 8723 del 07/05/1996, Schiavo, Rv. 205872-01). 

In altre 
parole, dunque, sarà 
necessario che 
le 
ragioni 
della 
domanda 
vengano illustrate 
secondo 
gli 
stilemi 
dell’atto di 
citazione 
nel 
processo civile, ovvero, secondo quanto prevede 
oggi 
l’art. 
163, 
comma 
3, 
n. 
4, 
c.p.c. 
con 
«l’esposizione 
in 
modo 
chiaro 
e 
specifico» 
delle 
stesse 
(alla 
stregua 
del 
testo 
attualmente 
risultante 
a 
seguito 
delle 
modifiche 
apportate 
dall’art. 
3, comma 
12, lett. a), n. 2, D.Lgs. n. 10 ottobre 
2022 n. 149, decorrenti 
dal 
28 febbraio 2023 
ed applicabili 
ai 
procedimenti 
instaurati 
successivamente 
alla 
data 
del 
29 dicembre 
2022 per 
effetto dell’art. 35, comma 
1, di 
detto decreto, come 
modificato dall’art. 1, comma 
380, lett. 
a), L. 29 dicembre 
2022, n. 197, con le 
quali 
si 
è 
inserito appunto l’inciso «in modo chiaro e 
specifico»). 

Non, dunque, in un mero “aggiustamento cosmetico” 
si 
è 
risolta 
la 
specificazione 
inserita 
nell’art. 
78 
cit., 
bensì 
nella 
necessaria 
proiezione, 
sul 
piano 
della 
domanda 
di 
parte 
civile, 
della mutata regolamentazione della impugnazione della sentenza agli effetti civili. 

e 
tutto 
ciò 
è 
stato 
appunto 
riassunto 
dalla 
Relazione 
illustrativa 
menzionata 
laddove, 
come 
già 
ricordato 
in 
principio, 
si 
è 
fatto 
riferimento 
all’onere 
del 
danneggiato 
di 
prevedere 
l’eventualità 
del 
rinvio di 
cui 
all’art. 573 comma 
1 bis 
sin dal 
momento della 
costituzione 
di 
parte 
civile. 

È 
inoltre 
bene 
aggiungere 
che 
la 
nuova 
disciplina 
non può non incidere, sia 
pure 
non direttamente 
come 
nel 
caso 
della 
parte 
civile, 
anche 
sull’impugnazione, 
effettuata 
sempre 
ai 
soli 
effetti 
civili, dall’imputato, atteso che 
le 
stesse 
ragioni 
che 
richiedono alla 
parte 
civile 
di 
impostare 
l’atto di 
costituzione 
già 
considerando un possibile 
epilogo decisorio in sede 
civile 
finiscono inevitabilmente 
per trasmettersi, in una 
strategia 
processuale 
necessariamente 
contrassegnata 
dal 
contraddittorio, anche 
al 
titolare 
di 
interessi 
contrastanti 
con l’accoglimento 
della pretesa civile. 

3. Gli 
esiti 
dell’analisi 
delle 
nuove 
norme 
sin qui 
condotta 
consente 
dunque 
di 
rispondere 
al quesito posto. 
Riprendendo 
le 
mosse 
dai 
principi 
già 
affermati 
da 
questa 
Corte 
in 
ordine 
ai 
termini 
di 
operatività, 
in caso di 
modifiche 
delle 
norme 
processuali, del 
principio tempus 
regit 
actum 
ove, 
come 
nella 
specie, difettino disposizioni 
che 
regolino il 
passaggio da 
vecchia 
a 
nuova 
norma, 



CoNteNZIoSo 
NAZIoNALe 


l’aspetto 
di 
maggior 
criticità, 
già 
considerato 
dalle 
sentenze 
dell’uno 
e 
dell’altro 
orientamento 
citate 
dalla 
ordinanza 
rimettente, è 
rappresentato dalla 
corretta 
individuazione 
dell’actus 
al 
quale, 
per 
l’applicabilità 
del 
canone 
ricordato, 
occorre 
fare 
riferimento; 
ciò 
in 
particolare 
laddove 
si 
consideri 
che, naturalmente, il 
processo non è 
un fenomeno isolato ed istantaneo, ma 
si 
compone 
di 
una 
serie 
concatenata 
di 
atti 
che 
si 
sviluppano nel 
tempo posti 
in essere 
da 
soggetti 
distinti, 
e 
dalla 
compresenza 
di 
norme 
regolatrici 
aventi 
contenuto 
e 
finalità 
molto 
diverse 
tra di loro. 

Ne 
consegue 
che 
il 
principio 
regolatore 
deve 
essere 
necessariamente 
modulato 
in 
relazione 
alla 
variegata 
tipologia 
degli 
atti 
processuali 
ed alla 
differente 
situazione 
sulla 
quale 
essi 
incidono 
e che occorre di volta in volta governare. 

Appare 
dunque 
indispensabile 
ricordare 
come 
le 
Sezioni 
Unite 
abbiano 
avvertito 
che 
«per 
actus 
non 
può 
intendersi 
l’intero 
processo, 
che 
è 
concatenazione 
di 
atti 
-e 
di 
fasi 
tutti 
tra 
loro 
legati 
dal 
perseguimento 
del 
fine 
ultimo 
dell’accertamento 
definitivo 
dei 
fatti; 
una 
tale 
concatenazione 
comporterebbe 
la 
conseguenza 
che 
il 
processo 
‘continuerebbe 
ad 
essere 
regolato 
sempre 
e 
soltanto 
dalle 
norme 
vigenti 
al 
momento 
della 
sua 
instaurazione’, 
il 
che 
contrasterebbe 
con 
l’immediata 
operatività 
del 
novum 
prescritta 
dall’art. 
11, 
comma 
1, 
prel.» 
(Sez. 
U, 
Lista, 
cit.). 
e 
d’altra 
parte, 
come 
segnalato 
anche 
dalla 
dottrina, 
ove, 
invece, 
per 
actus 
si 
considerasse 
il 
singolo 
atto 
via 
via 
compiuto, 
il 
principio 
comporterebbe 
che, 
in 
tutti 
i 
processi 
ancora 
in 
corso, 
ai 
nuovi 
atti 
dovrebbero 
essere 
applicate 
immediatamente, 
sempre 
e 
comunque, 
le 
nuove 
norme, 
con 
conseguente 
rischio, 
tuttavia, 
di 
trascurare 
aspettative 
consolidatesi 
in 
ragione 
di 
atti 
precedenti 
strettamente 
collegati 
a 
quello 
atomisticamente 
considerato. 


È 
questa, del 
resto, la 
ragione 
per cui 
possibili 
limiti 
o mitigazioni 
rispetto ad un’assolutizzazione 
delle 
regole 
meramente 
desumibili 
dal 
brocardo tempus 
regit 
actum 
sono stati 
ricavati 
dalla 
Corte 
costituzionale 
non solo dal 
principio di 
“ragionevolezza” 
(Corte 
Cost., ord. 


n. 
560 
del 
2000), 
ma 
anche 
dall’esigenza 
di 
tutela 
dell’ 
“affidamento” 
che 
il 
singolo 
dovrebbe 
poter 
nutrire 
nella 
stabilità 
di 
un 
determinato 
quadro 
normativo: 
affidamento 
che, 
almeno 
quando si 
trovi, a 
sua 
volta, «qualificato dal 
suo intimo legame 
con l’effettività 
del 
diritto di 
difesa», 
riceve, 
anch’esso, 
il 
riconoscimento 
di 
principio 
«costituzionalmente 
protetto» 
(Corte 
Cost., sent. n. 394 del 2002). 
Del 
resto, sul 
richiamo all’«affidamento del 
cittadino nella 
sicurezza 
giuridica», in quanto 
costituente 
«elemento fondamentale 
e 
indispensabile 
dello Stato di 
diritto», sempre 
la 
Corte 
costituzionale 
ha 
avuto modo di 
far leva 
più volte, anche 
per risolvere 
questioni 
attinenti 
alla 
successione 
di 
leggi 
in materia 
diversa 
da 
quella 
processuale 
penale. Ad esempio, ha 
ribadito 
che 
la 
tutela 
dell’affidamento non comporta 
che, nel 
nostro sistema 
costituzionale, sia 
assolutamente 
interdetto al 
legislatore 
di 
emanare 
disposizioni 
le 
quali 
modifichino sfavorevolmente 
la 
disciplina 
dei 
rapporti 
di 
durata, 
e 
ciò 
«anche 
se 
il 
loro 
oggetto 
sia 
costituito 
dai 
diritti 
soggettivi 
perfetti, salvo, qualora 
si 
tratti 
di 
disposizioni 
retroattive, il 
limite 
costituzionale 
della 
materia 
penale 
(art. 25, comma 
2, Cost.)». Con non minor nettezza 
si 
è 
tuttavia 
sottolineato 
che 
dette 
disposizioni, 
«al 
pari 
di 
qualsiasi 
precetto 
legislativo, 
non 
possono 
trasmodare 
in 
un 
regolamento 
irrazionale 
e 
arbitrariamente 
incidere 
sulle 
situazioni 
sostanziali 
poste 
in essere 
da 
leggi 
precedenti, frustrando così 
anche 
l’affidamento del 
cittadino nella 
sicurezza 
pubblica 
[recte: 
giuridica]» 
(Corte 
Cost., 
sent. 
n. 
16 
del 
2017 
e 
sent. 
n. 
822 
del 
1988). 

Nè, 
più 
in 
generale, 
possono 
trascurarsi 
i 
riferimenti, 
talora 
evidenziati 
dalla 
Corte 
europea 
dei 
diritti 
dell’uomo, 
alla 
“accessibilità” 
ed 
alla 
“prevedibilità” 
come 
connotati 
essenziali 
del 
diritto 
penale, 
in 
una 
prospettiva 
che 
guarda 
non 
soltanto 
allo 
ius 
scriptum, 
ma 
altresì 
al 
“diritto 



RASSeGNA 
AVVoCAtURA 
DeLLo 
StAto -N. 1/2023 


vivente” 
espresso 
dalla 
giurisprudenza 
(ex 
plurimis, 
Corte 
eDU, 
14/04/2015, 
Contrada 
c. 
Italia). 


In 
definitiva, 
nella 
operazione 
di 
individuazione 
di 
quale 
norma, 
tra 
quelle 
succedutesi, 
vada 
applicata 
all’atto 
o 
alla 
sequenza 
di 
atti 
da 
disciplinare, 
possono 
venire 
in 
rilevo 
plurime 
istanze 
di 
rilievo 
costituzionale 
la 
cui 
composizione 
e 
armonizzazione 
è 
affidata 
ad 
un 
ricorso, 
equilibrato, 
attento, 
e 
ragionevole, 
da 
parte 
dell’interprete, 
ai 
criteri 
appena 
sopra 
ricordati. 


Del 
resto, quello appena 
richiamato è 
anche 
lo sfondo tenuto ben presente 
dalla 
decisione, 
più 
volte 
richiamata, 
delle 
Sez. 
U, 
Lista 
allorquando 
è 
stato 
necessario 
in 
particolare 
regolare, 
in via 
interpretativa, la 
applicabilità 
della 
norma 
di 
cui 
all’art. 9 L. 20 febbraio 2006, n. 46, 
soppressiva 
della 
facoltà 
di 
appello della 
parte 
civile, ex 
art. 577 c.p.p., agli 
atti 
di 
impugnazione 
pendenti al momento dell’entrata in vigore della nuova disposizione. 

Anche 
in quell’occasione 
le 
Sezioni 
Unite, interrogandosi 
su quale 
fosse 
l’actus 
cui 
fare 
in concreto riferimento per l’individuazione 
della 
disciplina 
applicabile 
in materia 
di 
impugnazione 
della 
parte 
civile, ebbero, a 
ben vedere, a 
ritenere 
insoddisfacente 
il 
mero richiamo 
alla 
regola 
tempus 
regit 
actum, 
che 
avrebbe 
portato 
ad 
«esiti 
irragionevoli» 
(in 
particolare 
con 
riferimento 
all’aleatorietà 
affidata 
alla 
tempestività 
o 
meno 
del 
deposito 
della 
sentenza 
da 
impugnare 
o 
agli 
adempimenti 
di 
cancelleria 
o 
ancora 
alla 
iniziativa 
più 
o 
meno 
tempestiva 
della 
parte 
interessata) ed optarono per ancorare 
il 
regime 
delle 
impugnazioni 
non alla 
disciplina 
vigente 
al 
momento 
della 
loro 
presentazione 
ma 
a 
quella 
in 
essere 
all’atto 
della 
pronuncia 
della 
sentenza; 
e 
ciò fecero facendo richiamo, al 
riguardo, proprio «all’esigenza 
di 
tutela 
del-
l’affidamento maturato dalla 
parte 
in relazione 
alla 
fissità 
del 
quadro normativo», sottolineando 
che 
«tale 
affidamento 
come 
valore 
essenziale 
della 
giurisdizione 
che 
va 
ad 
integrarsi 
con l’altro, di 
rango costituzionale, della 
parità 
delle 
armi, soddisfa 
l’esigenza 
di 
assicurare 
ai 
protagonisti 
del 
processo 
la 
certezza 
delle 
regole 
processuali 
e 
dei 
diritti 
eventualmente 
già 
maturati 
senza 
il 
timore 
che 
tali 
diritti, 
pur 
non 
ancora 
esercitati, 
subiscano 
l’incidenza 
di 
mutamenti 
legislativi, improvvisi 
e 
non sempre 
coerenti 
col 
sistema, che 
vanno a 
depauperare 
o 
disarticolare posizioni processuali già acquisite». 

3.1. tali 
principi, dunque, non possono non valere 
anche 
in una 
situazione, come 
quella 
di 
specie, 
parimenti 
connotata, 
in 
ragione 
di 
quanto 
sopra 
precisato, 
dalla 
intervenuta 
variazione 
di 
aspetti 
che, pur legati 
formalmente 
alla 
sola 
fase 
decisoria 
dell’impugnazione, finiscono, 
tuttavia, 
per 
riverberarsi 
sugli 
atti 
indirettamente, 
ma 
logicamente, 
propedeutici 
alla 
impugnazione 
stessa 
mutandone 
imprevedibilmente 
i 
connotati 
in maniera 
tale 
da 
lasciare 
“indifesa” 
la 
parte 
che 
tali 
atti 
abbia 
già 
svolto 
secondo 
quanto 
prescritto 
dalla 
normativa 
pregressa 
anche nella costante interpretazione, sopra ricordata, della Corte. 
e 
ciò anche 
non considerando il 
requisito della 
“chiarezza 
e 
specificità” 
della 
redazione 
delle 
ragioni 
della 
domanda 
nell’atto di 
citazione 
ex 
art. 360 c.p.c. come 
introdotto dalla 
L. n. 
149 del 
2022 cit., cui 
dovrebbe 
essere 
omologato il 
requisito della 
causa petendi 
nell’atto di 
costituzione 
di 
parte 
civile, posto che, come 
già 
ricordato sopra, per volontà 
del 
legislatore 
tali 
caratteristiche 
sarebbero richieste, secondo quanto disposto dalla 
L. n. 197 del 
2022 per i 
soli 
procedimenti 
civili 
instaurati 
successivamente 
alla 
data 
del 
28 
febbraio 
2023, 
continuando, 
per 
i 
procedimenti 
pendenti 
a 
tale 
data, 
ad 
applicarsi 
le 
disposizioni 
anteriormente 
vigenti: 
già 
la 
sola 
necessità 
sostanziale 
di 
adozione, nell’atto di 
costituzione 
di 
parte 
civile, del 
testo 
dell’art. 360 c.p.c. nella 
versione 
anteriore 
alle 
modifiche 
suddette, non potrebbe 
non riverberarsi 
sulle 
legittime 
aspettative 
della 
parte 
civile 
che 
abbia 
presentato 
l’impugnazione 
prima 
dell’entrata in vigore del D.Lgs. n. 150 del 2022. 

3.2. 
Il 
necessario 
rispetto 
delle 
ragioni 
di 
affidamento 
dell’impugnante 
nella 
non 
variazione 

CoNteNZIoSo 
NAZIoNALe 


del 
quadro di 
sistema 
coesistente 
al 
momento dell’impugnazione, ragioni 
evidentemente 
dirimenti 
anche 
nel 
caso di 
specie, deve 
dunque 
indurre 
inevitabilmente 
ad individuare 
nel 
momento 
del 
deposito dell’atto di 
costituzione 
di 
parte 
civile 
lo spartiacque 
di 
delimitazione 
tra 
impugnazioni 
soggette 
al 
regime 
previgente 
e 
impugnazioni 
assoggettate, invece, alla 
nuova 
normativa. 

e ciò per le ragioni che sopra si sono precisate. 

3.3. 
Non 
pare 
infine 
ostativo 
alla 
conclusione 
qui 
prescelta 
neppure 
l’art. 
34, 
comma 
1, 
lett. 
g), 
del 
D.Lgs. 
n. 
150 
del 
2022, 
con 
cui 
si 
è 
eliminato, 
nell’art. 
601, 
comma 
1, 
c.p.p., 
l’obbligo, 
per 
il 
presidente 
del 
collegio, 
di 
ordinare 
la 
citazione 
dell’imputato 
non 
appellante 
quando l’appello sia 
proposto per i 
soli 
interessi 
civili 
(norma 
che, pur in assenza 
di 
esplicitazioni 
sul 
punto nella 
Relazione 
allo schema 
di 
decreto legislativo, parrebbe 
essere 
conseguente 
alla 
stessa 
introduzione 
dell’art. 
573, 
comma 
1-bis, 
cit.); 
se 
infatti 
si 
ritenga 
che, 
anche 
con riguardo ad essa, difetti 
una 
specifica 
norma 
transitoria 
ove 
si 
reputi 
inapplicabile 
l’art. 
94 D.Lgs. n. 150 del 
2022, (che 
avrebbe 
infatti 
prorogato, per le 
impugnazioni 
proposte 
entro 
il 
30 giugno 2023, l’applicazione 
delle 
norme 
“emergenziali” 
Covid con stretto riferimento 
alla 
sola 
disciplina 
dell’udienza 
camerale 
cartolare), 
dovrebbe 
anche 
per 
essa, 
proprio 
in 
quanto collegata al nuovo comma 1-bis, operare il medesimo momento temporale di delimitazione 
rappresentato dall’atto di costituzione di parte civile. 
4. 
Nessuno 
dei 
due 
orientamenti 
in 
contrasto 
può, 
dunque, 
essere 
condiviso: 
non, 
anzitutto, 
quello 
dell’immediata 
applicabilità 
della 
nuova 
norma 
a 
tutte 
le 
impugnazioni 
comunque 
pervenute 
alla 
Corte 
d’appello e 
alla 
Corte 
di 
cassazione 
successivamente 
all’entrata 
in vigore 
della 
stessa, 
essendosi 
essenzialmente 
trascurato, 
nell’analisi 
della 
nuova 
disciplina, 
il 
decisivo 
segno 
di 
cambiamento 
rappresentato 
dall’attribuzione 
della 
decisione 
sull’impugnazione 
non 
più al 
giudice 
penale 
bensì 
al 
giudice 
di 
appello civile 
o alla 
sezione 
civile 
della 
Corte 
di 
cassazione 
e 
la 
incidenza 
di 
detto novum 
sulle 
ragioni 
di 
affidamento dell’impugnante 
originate 
dall’assetto precedente. 
Il 
significato della 
innovazione 
rispetto al 
precedente 
assetto, rappresentata 
dal 
combinato 
disposto 
degli 
artt. 
78 
e 
573, 
comma 
1-bis, 
cit., 
non 
può 
essere 
“vanificato” 
neppure 
argomentando 
sulla 
base 
della 
considerazione, sostanzialmente 
presente 
in tutte 
le 
pronunce 
rappresentative 
di 
detto indirizzo, per cui, già 
a 
decorrere 
dalla 
pronuncia 
della 
Corte 
Cost., n. 
182 del 
2021, l’accertamento dell’illecito che 
sarebbe 
richiesto al 
giudice, anche 
in sede 
penale, 
ai 
fini 
delle 
statuizioni 
sul 
risarcimento dei 
danni, avrebbe 
sempre 
natura 
civilistica; 
più 
in particolare, affermandosi 
che 
il 
giudice 
penale 
dell’impugnazione 
sarebbe 
chiamato ad accertare 
solo 
la 
fattispecie 
aquiliana, 
senza 
alcun 
riferimento 
a 
profili 
inerenti 
alla 
responsabilità 
penale 
dell’imputato, detto orientamento ha 
richiamato, come 
si 
è 
visto, quelle 
pronunce 
secondo 
cui 
il 
giudice 
penale 
dovrebbe 
comunque 
utilizzare 
il 
giudizio della 
probabilità 
prevalente 
in 
luogo 
di 
quella 
fissata 
dall’art. 
533, 
comma 
1, 
c.p.p., 
facendo 
utilizzazione 
della 
“lettura” 
dell’art. 578 c.p.p. operata 
dalla 
suddetta 
pronuncia 
della 
Corte 
costituzionale 
(Sez. 
4, n. 37193 del 
15/09/2022, Ciccarelli, Rv. 283739-01 e 
Sez. 2, n. 11808 del 
14/01/2022, Restaino, 
Rv. 283377). 

Dunque, si 
è 
aggiunto, la 
prosecuzione 
in sede 
civile 
del 
giudizio non comporterebbe, rispetto 
al 
passato, 
alcuna 
modificazione 
nell’applicazione 
delle 
regole 
processuali 
e 
probatorie 
con 
conseguente 
insussistenza 
di 
un 
“affidamento” 
da 
tutelare 
e 
immediata 
applicabilità 
della 
nuova disposizione di cui all’art. 573, comma 1-bis, cit. 

Va 
tuttavia 
osservato che, nella 
impostazione 
della 
sentenza 
n. 182 del 
2021 della 
Corte 
costituzionale, 
il 
“contenimento” 
dell’accertamento 
del 
danno 
all’interno 
della 
responsabilità 



RASSeGNA 
AVVoCAtURA 
DeLLo 
StAto -N. 1/2023 


da 
atto 
illecito 
ex 
art. 
2043 
c.c., 
con 
le 
conseguenze 
processuali 
e 
probatorie 
da 
esso 
derivanti, 
è 
disceso dalla 
necessità 
di 
non violare 
il 
diritto dell’imputato alla 
presunzione 
di 
innocenza 
tutte 
le 
volte 
in cui 
la 
responsabilità 
penale 
di 
quest’ultimo non possa 
più formare 
oggetto di 
accertamento; 
ma 
un tale 
presupposto, invocato non a 
caso con riguardo ad intervenuta 
estinzione 
del 
reato per amnistia 
o prescrizione 
(come 
è 
infatti 
delle 
sentenze 
di 
Sez. 4, n. 37193 
del 
15/09/2022, Ciccarelli, cit. e 
Sez. 2, n. 11808 del 
14/01/2022, Restaino, cit.) o ad ipotesi 
in qualche 
modo a 
questa 
equiparabili 
(come 
quella 
dell'impugnazione 
di 
parte 
civile 
ai 
soli 
effetti 
civili 
con 
conseguente 
passaggio 
in 
giudicato 
della 
eventuale 
assoluzione 
ai 
fini 
penali, 
tanto che 
proprio a 
quest’ultima 
hanno avuto riguardo alcune 
delle 
pronunce 
di 
cui 
all’indirizzo 
in esame), non pare 
potere 
valere 
nel 
caso di 
specie; 
ivi, infatti, passata 
in giudicato la 
sentenza 
di 
condanna, 
l’impugnazione 
ha 
avuto 
riguardo 
ai 
soli 
aspetti 
civili, 
ben 
potendo 
l’accertamento del 
danno, proprio perchè 
ormai 
accertata 
la 
responsabilità 
penale, estendersi 
all’ambito del reato. 

Se 
anche, dunque, si 
guardasse 
alle 
ipotesi 
per le 
quali 
le 
coordinate 
dell’attuale 
giudizio 
di 
responsabilità 
potrebbero già 
coincidere, per effetto della 
citata 
lettura 
costituzionale, con 
quelle 
introdotte 
dagli 
artt. 78 e 
573, comma 
1-bis 
cit., non per questo perderebbe 
di 
valore 
l’esigenza 
di 
assicurare, nelle 
altre 
ipotesi, la 
tutela 
dell’affidamento della 
parte 
impugnante; 
e 
poichè 
evidenti 
ragioni 
di 
certezza 
anche 
del 
diritto processuale 
impongono l’adozione, sia 
pure 
in 
via 
interpretativa, 
di 
una 
regola 
“transitoria” 
di 
carattere 
generale, 
si 
dovrebbe 
comunque 
sempre 
pervenire 
alla 
conclusione 
che 
individua 
nella 
presentazione 
dell’atto di 
costituzione 
di 
parte 
civile 
il 
momento 
discriminante 
tra 
applicazione 
delle 
norme 
previgenti 
e 
applicazione di quelle nuove. 

Del 
resto, mentre 
il 
ricorso alla 
qui 
prescelta 
regola 
nei 
casi 
ricadenti 
nella 
ratio 
della 
sentenza 
della 
Corte 
costituzionale 
comporterebbe 
un “eccesso” 
di 
garanzia, al 
più non dovuto 
ma 
certo 
non 
lesivo 
dei 
diritti 
difensivi, 
viceversa, 
l’applicazione 
immediata 
delle 
nuove 
norme 
ai 
casi 
diversi 
da 
quelli 
si 
tradurrebbe, come 
visto, in una 
lesione 
dell’aspettativa 
della 
parte 
impugnante 
a 
non 
vedere 
variato 
il 
quadro 
normativo 
preesistente 
che 
affonda 
le 
proprie 
radici in un quadro di carattere anche costituzionale. 

In 
definitiva, 
l’operazione 
di 
graduazione, 
appena 
vista, 
dei 
costi 
e 
dei 
benefici 
relativi, 
ove 
si 
tratti 
di 
dettare 
regole 
di 
transizione 
da 
un sistema 
all’altro necessariamente 
uniformi, 
non potrebbe 
evidentemente 
prescindere 
dall’osservanza 
del 
criterio di 
proporzionalità 
o ragionevolezza, 
insito nell’art. 3 Cost. e certamente applicabile anche in tal caso. 

Nè 
a 
conclusioni 
diverse 
possono 
condurre 
la 
ritenuta 
possibilità 
di 
modificare 
la 
domanda 
in sede 
di 
giudizio di 
rinvio civile, possibilità 
che, mutuata 
dalla 
lettura 
giurisprudenziale 
in 
particolare 
dell’art. 
622 
c.p.p., 
non 
è 
invece 
esperibile 
con 
riferimento 
al 
nuovo 
art. 
573, 
comma 
1-bis, introduttivo non già, come 
visto, di 
un giudizio autonomo rispetto al 
primo ma 
di una prosecuzione sempre del medesimo originario giudizio. 

Così 
come 
non appaiono conducenti 
i 
richiami 
a 
precedenti 
pronunce 
delle 
Sezioni 
Unite 
onde 
individuare 
già 
in 
esse 
i 
prodromi 
del 
principio 
dell’immediata 
applicabilità 
della 
nuova 
norma. 

Non pertinente 
appare, infatti, il 
richiamo anzitutto alla 
sentenza 
di 
Sez. U, n. 11586 del 
30/09/2021, dep. 2022, D., Rv. 282808-01, affermativa 
dell’applicabilità, anche 
ai 
giudizi 
relativi 
a 
sentenze 
pronunciate 
prima 
della 
entrata 
in vigore 
della 
L. 23 giugno 2017, n. 103, 
del 
nuovo 
comma 
3-bis 
dell’art. 
603 
c.p.p., 
stante 
la 
diversità 
dell’actus 
colà 
considerato 
(ovvero 
la 
rinnovazione 
dell’istruzione 
dibattimentale), non inserito, come 
nella 
specie, in una 
sequenza iniziata già in precedenza e non scindibile in singoli momenti. 


CoNteNZIoSo 
NAZIoNALe 


Neppure 
rilevante 
appare 
la 
decisione 
di 
Sez. 
U, 
n. 
3464 
del 
30/11/2017, 
Matrone, 
Rv. 
275201, implicitamente 
affermativa 
dell’applicabilità, in un procedimento iniziato nel 
2016, 
della 
nuova 
ipotesi 
di 
annullamento senza 
rinvio di 
cui 
all’art. 620, comma 
1, lett. l), c.p.p., 
introdotta 
con la 
L. n. 103 del 
2017 in un momento temporale 
successivo, anche 
in tal 
caso 
essendosi 
evidentemente 
in 
presenza 
di 
un 
atto 
(la 
decisione 
di 
annullamento 
senza 
rinvio 
anzichè 
di 
annullamento con rinvio) privo di 
effetti 
pregiudizievoli 
sulle 
legittime 
aspettative 
dell’impugnante, con piana applicazione del principio di cui all’art. 11 preleggi. 

Da 
ultimo, neppure 
la 
pronuncia 
di 
Sez. U, n. 13539 del 
30/01/2020, Perroni, Rv. 270270, 
appare 
probante 
nel 
senso 
invocato 
dall’indirizzo 
esaminato, 
posto 
che 
l’applicabilità 
dell’art. 
578-bis 
c.p.p. alle 
sentenze 
pronunciate 
prima 
dell’entrata 
in vigore 
di 
tale 
norma, introdotta 
dall’art. 6, comma 
4, del 
D.Lgs. n. 1 marzo 2018, n. 21, è 
stata 
chiaramente 
determinata 
proprio 
dalla 
linea 
di 
continuità 
della 
disposizione, 
pur 
formalmente 
nuova, 
rispetto 
alla 
possibilità 
di 
operare, 
anche 
in 
precedenza, 
la 
confisca 
edilizia 
pur 
in 
presenza 
di 
intervenuta 
prescrizione 
del 
reato alla 
luce 
della 
costante 
interpretazione 
dell’art. 44 del 
D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 
(cfr. Sez. 3, n. 21910 del 07/04/2022, Licata, Rv. 28332502). 

4.1. 
Neppure 
può 
essere 
seguito 
l’orientamento 
della 
applicabilità 
della 
norma 
alle 
sole 
impugnazioni 
relative 
alle 
sentenze 
pronunciate 
o 
depositate 
dopo 
la 
data 
del 
30 
dicembre 
2022, 
seppur 
fondato 
su 
un’impostazione 
preoccupata, 
in 
linea 
con 
la 
limitazione 
del 
principio 
del 
tempus 
regit 
actum, 
di 
non 
arrecare 
lesioni 
alle 
legittime 
aspettative 
della 
parte 
impugnante. 
tale 
indirizzo appare, infatti, avere 
limitato impropriamente 
in tal 
modo l’ambito di 
applicazione 
del 
principio 
di 
affidamento 
dell’impugnante 
senza, 
anch’esso, 
considerare 
il 
riflesso 
della 
sequenza 
impugnatoria 
sui 
collegati 
requisiti 
di 
redazione 
dell’atto 
di 
costituzione 
di 
parte 
civile, in una 
necessaria 
visuale 
di 
complessiva 
considerazione 
dell’actus 
interessato e 
finendo 
per 
arrestarsi, 
anch’esso, 
su 
una 
linea 
di 
cesura 
tra 
giudizio 
di 
impugnazione 
instaurato 
dinanzi 
al 
giudice 
penale 
e 
giudizio proseguito dinanzi 
al 
giudice 
civile 
smentita 
dalla 
lettera 
e dalla 
ratio 
della nuova norma. 

5. Va 
conseguentemente 
affermato il 
seguente 
principio di 
diritto: 
“l’art. 573, comma 1bis, 
c.p.p., introdotto dall’art. 33 del 
D.Lgs. n. 10 ottobre 
2022, n. 150, si 
applica alle 
impugnazioni 
per 
i 
soli 
interessi 
civili 
proposte 
relativamente 
ai 
giudizi 
nei 
quali 
la costituzione 
di 
parte 
civile 
sia intervenuta in epoca successiva al 
30 dicembre 
2022, quale 
data di 
entrata 
in vigore della citata disposizione”. 
6. Venendosi 
dunque 
ad esaminare 
l’unico motivo di 
ricorso, con cui 
si 
lamenta 
che 
il 
giudice 
di 
appello abbia 
fatto luogo alla 
compensazione 
per intero tra 
le 
parti 
delle 
spese 
di 
lite 
a 
fronte 
della 
ritenuta 
parziale 
soccombenza 
della 
parte 
civile 
derivata 
dalla 
liquidazione 
dei 
danni 
in misura 
inferiore 
a 
quella 
richiesta, va 
anzitutto chiarito che 
l’impugnazione 
svolta 
nella 
specie 
deve 
ritenersi 
rientrare 
tra 
quelle 
svolte 
“per 
i 
soli 
interessi 
civili”, 
con 
conseguente 
rilevanza della questione posta dalla Sezione rimettente. 
Infatti, 
pur 
venendo 
nella 
specie 
dedotta, 
oltre 
alla 
mancanza 
di 
motivazione, 
la 
violazione 
di 
legge 
processuale 
formalmente 
di 
natura 
penale, ovvero, in particolare, dell’art. 541 c.p.p., 
la 
stessa 
appare 
riguardare 
indubitabilmente 
i 
soli 
effetti 
civili 
della 
sentenza 
impugnata, derivando 
la 
regolamentazione 
delle 
spese 
in oggetto proprio dalla 
intervenuta 
costituzione 
di 
parte civile e, dunque, dalla responsabilità per i danni civili arrecati. 

Del 
resto, è 
evidente 
come 
nella 
nozione 
di 
“interessi 
civili” 
impiegata 
dall’art. 573 c.p.p. 
e 
che 
giustifica 
in astratto, ove 
non siano più residuate 
questioni 
di 
natura 
penale, l’applicazione 
della 
nuova 
norma 
del 
comma 
1-bis, non rientrino anche 
le 
questioni 
processuali 
che, 



RASSeGNA 
AVVoCAtURA 
DeLLo 
StAto -N. 1/2023 


pur presidiate 
(posto che 
l’azione 
viene 
esercitata 
nell’ambito del 
processo penale) anche 
da 
norme 
di 
rito penale, trovano la 
propria 
causa, come 
nell’ipotesi 
in esame, nella 
domanda 
di 
parte civile esercitata per il ristoro dei danni subiti. 

In 
altri 
termini, 
affinchè 
l’impugnazione 
sia 
svolta 
“per 
i 
soli 
interessi 
civili”, 
la 
stessa 
deve 
riguardare 
capi 
della 
decisione 
di 
contenuto 
extrapenale, 
ossia 
concernenti, 
fondamentalmente, 
la 
richiesta 
di 
risarcimento 
dei 
danni, 
le 
spese 
sostenute 
dalla 
parte 
civile 
e 
i 
danni 
conseguenti 
a lite temeraria. 

e 
non pare 
dubbio che, nella 
fattispecie 
in esame, proprio uno di 
detti 
capi 
sia 
stato attinto 
dall’impugnazione della parte civile. 

7. Una 
volta 
dunque 
ritenuta 
la 
rilevanza 
della 
questione 
dedotta, e 
atteso che, in forza 
del 
principio di 
diritto appena 
affermato sopra 
e, dunque, della 
inapplicabilità 
all’impugnazione 
de 
qua, relativa 
a 
procedimento nel 
quale 
l’atto di 
costituzione 
di 
parte 
civile 
è 
intervenuto 
anteriormente 
all’entrata 
in 
vigore 
del 
D.Lgs. 
n. 
130 
del 
2022, 
dell’art. 
573, 
comma 
1-bis, 
c.p.p., la 
censura 
svolta 
con il 
ricorso deve 
essere 
decisa 
dalla 
Corte 
di 
cassazione 
penale, va 
osservato che il motivo di ricorso è fondato. 
Va 
infatti 
sottolineato che, come 
già 
affermato da 
queste 
Sezioni 
Unite, il 
parziale 
accoglimento 
dell’impugnazione 
dell’imputato 
non 
elimina 
la 
affermazione 
di 
responsabilità, 
sicchè 
è 
consentita 
la 
condanna 
dello stesso alla 
rifusione 
delle 
spese 
sostenute 
dalla 
parte 
civile 
nel 
giudizio 
di 
impugnazione, 
in 
base 
alla 
decisiva 
circostanza 
della 
mancata 
esclusione 
del 
diritto 
della 
parte 
civile, salvo che 
il 
giudice 
non ritenga 
di 
disporne, per giusti 
motivi, la 
compensazione 
totale 
o parziale, sulla 
base 
di 
un potere 
discrezionale 
attribuito dalla 
legge 
e 
il 
cui 
esercizio non è 
censurabile 
in sede 
di 
legittimità, se 
congruamente 
motivato (Sez. U, n. 6402 
del 
30/04/1997, Dessimone, Rv. 207946-01); 
successivamente, e 
analogamente, si 
è 
poi 
confermato 
che 
la 
violazione 
del 
principio 
della 
soccombenza, 
in 
ordine 
al 
regolamento 
delle 
spese 
da 
parte 
del 
giudice 
di 
merito, deve 
ravvisarsi 
soltanto nell’ipotesi 
in cui 
l’imputato sia 
totalmente 
vittorioso, nel 
senso che 
egli 
sia 
assolto con formula 
preclusiva 
dell’azione 
civile, 
mentre 
è 
legittima 
la 
condanna 
dell’imputato al 
pagamento delle 
spese 
sostenute 
dalla 
parte 
civile 
quando la 
responsabilità 
sia 
stata 
confermata, pur in presenza 
di 
un accoglimento del-
l’impugnazione 
sotto altri 
profili 
(tra 
le 
altre, Sez. 4, n. 25846 del 
15/03/2018, Santoro, Rv. 
273079; Sez. 5, n. 6419 del 19/11/2014, Arrigone, Rv. 262685). 

Risulta 
dunque 
non 
legittima, 
sulla 
base 
di 
tali 
principi, 
la 
decisione 
della 
Corte 
territoriale 
che, 
per 
il 
solo 
fatto, 
espressamente 
enunciato, 
della 
riduzione 
dell’entità 
del 
risarcimento 
dei 
danni 
conseguita 
alla 
operata 
riqualificazione 
giuridica 
dei 
reati 
ritenuti 
in sede 
di 
giudizio di 
primo grado, ha disposto la compensazione integrale delle spese di lite tra le parti. 

Infatti, 
considerato 
che, 
come 
già 
affermato 
da 
questa 
Corte, 
la 
riqualificazione 
dei 
reati, 
ricondotti 
peraltro 
a 
quelli 
già 
originariamente 
contestati, 
non 
fa 
venir 
meno 
il 
diritto 
alla 
restituzione 
e 
al 
risarcimento 
del 
danno 
in 
favore 
della 
parte 
civile 
costituita, 
purchè 
il 
fatto 
sia 
rimasto 
qualificato 
quale 
illecito 
penale 
anche 
al 
momento 
della 
pronuncia 
delle 
sentenze 
di 
primo 
e 
secondo 
grado 
(Sez. 
6, 
n. 
27087 
del 
19/04/2017, 
Fiorenza, 
Rv. 
27040001), 
tale 
operata 
compensazione, 
anche 
in 
forma 
solo 
parziale, 
non 
può 
trovare 
comunque 
giustificazione. 


8. Ne 
consegue, in applicazione 
dell’art. 620, lett. l), c.p.p., applicabile 
anche 
ove 
si 
tratti 
di 
annullamento 
ai 
soli 
effettivi 
civili, 
come 
evidenziato 
dal 
fatto 
che 
l’art. 
622 
c.p.p. 
prescrive 
il 
rinvio per la 
decisione 
al 
giudice 
civile 
competente 
in grado di 
appello solo “ove 
occorra”, 
l’annullamento senza 
rinvio della 
sentenza 
impugnata 
limitatamente 
alla 
disposta 
compensazione 
tra 
le 
parti 
delle 
spese 
di 
parte 
civile 
relative 
ai 
giudizi 
di 
primo e 
di 
secondo grado, 

CoNteNZIoSo 
NAZIoNALe 


conseguendo 
la 
liquidazione 
delle 
stesse 
in 
favore 
della 
stessa 
parte 
civile 
in 
complessivi 
euro 
ottomilacinquecento oltre accessori di legge. 

P.Q.M. 


Annulla 
senza 
rinvio 
la 
sentenza 
impugnata 
limitatamente 
alla 
disposta 
compensazione 
tra 
le 
parti 
delle 
spese 
di 
parte 
civile 
relative 
ai 
giudizi 
di 
primo e 
di 
secondo grado, spese 
che 
liquida 
in complessivi 
euro ottomilacinquecento, oltre 
accessori 
di 
legge. In caso di 
diffusione 
del 
presente 
provvedimento 
omettere 
le 
generalità 
e 
gli 
altri 
dati 
identificativi 
a 
norma 
dell’art. 
52 D.Lgs. n. 196 del 2003 in quanto imposto dalla legge. 

Così deciso in Roma, il 25 maggio 2023. 


PaReRidelComitatoConsultivo
Rimborso spese legali sostenute dal pubblico dipendente ai 
sensi dell’art. 18 d.l. n. 67/1997, conv. l. n. 135/1997. Corretta 
definizione degli ambiti applicativi della disposizione 


Parere 
del 
12/10/2023-634820, al 10673/2014, 

V.a.G. enrico 
de 
GioVanni 
Codesta 
Avvocatura 
distrettuale 
ha 
chiesto, 
in 
relazione 
all’oggetto, 
a 
questo 
Generale 
Ufficio 
un 
parere 
“sulla 
questione 
di 
massima 
e 
sulla 
concedibilità 


o 
meno 
del 
rimborso 
richiesto 
all’esito 
del 
riesame” 
riferendo 
quanto 
segue. 
Nel 
caso 
di 
specie 
al 
richiedente 
il 
rimborso, 
dipendente 
dell’Amministrazione 
della 
difesa, era 
stato contestato il 
reato di 
truffa 
ai 
danni 
dell’Amministrazione 
per 
essersi 
assentato 
durante 
l’orario 
di 
servizio 
per 
motivi 
privati 
senza 
permesso 
e 
senza 
annotazione 
dell’uscita; 
l’archiviazione 
è 
stata 
disposta 
dal 
G.I.P. poiché 
non sussistevano elementi 
di 
prova 
idonei 
a 
sostenere 
l’accusa in giudizio. 

Codesta 
Avvocatura 
aveva 
negato 
le 
rimborsabilità 
delle 
spese 
legali 
e 
deve 
ora 
esaminare 
la 
richiesta 
di 
riesame 
dell’istante, che 
ha 
di 
recente 
sollecitato 
l’evasione del parere. 


Nella 
richiesta 
di 
parere 
diretta 
a 
questo G.U. si 
osservava 
che 
al 
fine 
di 
ravvisare 
o 
escludere 
la 
sussistenza 
della 
connessione 
con 
il 
servizio, 
secondo 
l’impotazione 
prevalentemente 
seguita, 
deve 
farsi 
riferimento 
alla 
condotta 
accertata 
all’esito del 
procedimento penale 
ex 
post 
e 
non all’imputazione 
formulata 
dal 
PM, che 
darebbe 
luogo ad un giudizio prognostico ed astratto (ex 
ante); 
nel 
caso di 
specie, tuttavia, non risulta 
positivamente 
accertata 
(nemmeno 
allo stadio embrionale, atteso che 
si 
tratta 
di 
procedimento definito con 
l’archiviazione) 
alcuna 
condotta, 
essendo 
stati 
ritenuti 
insufficienti 
gli 
elementi 
di prova raccolti a sostenere accusa in giudizio. 


Ai 
fini 
della 
concessione 
del 
rimborso, pertanto, prosegue 
codesta 
Avvocatura, 
pare 
porsi 
il 
problema, 
di 
ordine 
generale, 
della 
sussistenza 
del 
requisito 



rASSeGNA 
AVVoCATUrA 
deLLo 
STATo -N. 1/2023 


della 
c.d. 
connessione 
teleologica 
nelle 
ipotesi 
in 
cui 
sia 
assente 
l’accertamento 
della 
condotta 
da 
parte 
del 
giudice; 
ovvero 
se 
ai 
fini 
del 
rimborso 
sia 
necessario 
il 
positivo accertamento della 
sussistenza 
di 
una 
condotta 
del 
richiedente 
tesa 
al 
perseguimento 
dei 
fini 
dell’Amministrazione 
o 
se, 
piuttosto, 
tale 
sussistenza 
debba 
presumersi 
in assenza 
di 
elementi 
che 
consentano di 
escluderla, atteso 
che 
si 
tratta 
di 
contestazione 
di 
reati 
che 
presuppongono, in qualche 
misura, il 
rapporto di servizio con l’Amministrazione. 


*** 


Tanto premesso si osserva quanto segue. 


Viene 
chiesto il 
riesame 
di 
un parere 
negativo espresso da 
codesta 
Avvocatura, 
in relazione 
alla 
richiesta 
di 
rimborso di 
spese 
legali 
di 
un dipendente 
dell’Amministrazione 
della 
difesa; 
nel 
parere 
si 
era 
ritenuto che 
il 
criterio per 
la 
valutazione 
circa 
l’esistenza 
o 
meno 
della 
riconducibilità 
della 
condotta 
che 
ha 
dato 
luogo 
al 
giudizio 
“all’esercizio 
delle 
attribuzioni 
affidate 
al 
dipendente” 
andasse 
rinvenuto 
nell’accertamento 
del 
“nesso 
di 
strumentalità 
tra 
l’adempimento del 
dovere 
e 
il 
compimento dell’atto, nel 
senso che 
il 
dipendente 
non avrebbe 
assolto ai 
suoi 
compiti 
se 
non ponendo in essere 
quella determinata 
condotta” 
(così 
efficacemente 
la 
sentenza 
del 
Consiglio di 
Stato n. 
1914/08 citata 
nell’originario parere 
di 
codesta 
Avvocatura 
distrettuale); 
poiché 
nel 
caso di 
specie 
non si 
era 
verificata 
la 
presunta 
azione 
illecita, veniva 
esclusa 
la 
rimborsabilità 
non sussistendo esercizio di 
attribuzioni 
affidate 
al 
dipendente. 
. 


Si 
osserva 
al 
riguardo che 
il 
descritto criterio è 
pienamente 
idoneo a 
consentire 
l’espressione 
dell’avviso 
dell’Avvocatura 
laddove 
la 
decisione 
assolutoria 
abbia 
accertato l’effettivo e 
positivo svolgersi 
di 
comportamento attivo, 
inteso come 
azione 
realmente 
posta 
in essere 
dal 
dipendente 
legata 
da 
nesso 
di 
strumentalità 
con l’adempimento del 
dovere 
e 
risultata, poi, tale 
da 
non determinare 
alcuna responsabilità penale, civile o amministrativa. 


Considerazioni 
in parte 
diverse 
devono farsi 
qualora 
la 
decisione 
accerti 
che 
quella 
condotta 
non è 
avvenuta; 
in tali 
casi 
si 
ritiene 
che 
si 
debba 
valutare 
se 
la 
condotta 
astrattamente 
ipotizzata 
nell’imputazione 
(o in atto di 
citazione 
ecc.) sia 
considerata, ove 
accertata 
nel 
giudizio, come 
produttrice 
di 
responsabilità 
(penale, civile 
o amministrativa) proprio in quanto posta 
in essere 
da 
un pubblico dipendente 
in relazione 
a 
circostanze 
inerenti 
la 
prestazione 
del 
servizio o addirittura in violazione dei propri doveri. 


Le 
spese 
legali, in questo caso, sono destinate 
a 
compensare 
difese 
professionali 
intese 
a 
far 
affermare 
l’inesistenza 
fattuale 
della 
condotta 
dell’agente 
e 
quindi, 
in 
altri 
termini, 
l’inesistenza 
di 
comportamenti 
posti 
in 
essere 
in 
contrasto 
con 
gli 
obblighi 
di 
servizio 
gravanti 
sul 
dipendente 
pubblico 
o 
comunque 
connessi con la prestazione del servizio medesimo. 


Si 
ritiene 
che 
la 
ratio 
dell’art. 18 1. 135/97 sia 
quella 
di 
tenere 
indenne 
dalle 
spese 
legali 
i 
dipendenti 
pubblici 
che 
hanno tenuto un comportamento 



PArerI 
deL 
CoMITATo 
CoNSULTIVo 


rispettoso degli 
obblighi 
su di 
essi 
gravanti 
in relazione 
alla 
prestazione 
del 
servizio 
(come 
peraltro 
chiarito 
della 
stessa 
relazione 
illustrativa 
ai 
d.d.l.): 
non 
si 
vede, quindi, come 
possa 
escludersi 
dalla 
rimborsabilità 
l’ipotesi 
in cui 
un 
dipendente 
pubblico 
abbia 
subito 
un 
giudizio 
proprio 
in 
conseguenza 
della 
sua 
qualità 
di 
pubblico dipendente 
e 
abbia 
visto riconosciuto in giudizio l’inesistenza 
di presunte condotte contrarie ai citati obblighi. 


In altri 
termini, laddove 
una 
decisione 
abbia 
accertato che 
il 
dipendente 
non ha 
posto in essere 
la 
condotta 
indicata 
nell’imputazione 
o nella 
citazione 
e 
che 
dunque 
non vi 
è 
azione 
che 
si 
ponga 
al 
di 
fuori 
dell’espletamento del 
servizio o che 
persegua 
fini 
egoistici, per il 
semplice 
motivo che 
non sussiste 
affatto l’azione 
stessa, ai 
fini 
del 
rimborso assume 
rilievo il 
contesto delle 
circostanze 
di 
fatto che 
hanno determinato l’iniziativa 
processuale: 
si 
ritiene 
che 
laddove 
il 
fatto 
imputato 
al 
dipendente 
sia 
da 
ricondurre 
a 
circostanze 
inerenti 
la 
prestazione 
del 
servizio, sarebbe 
iniquo e 
contrario, allo spirito dell’art. 18 
citato esporre 
il 
dipendente 
ad una 
spesa 
legale 
che 
egli 
non ha 
in alcun modo 
cagionato 
con 
una 
propria 
condotta; 
solo 
ove 
l’azione 
contestata 
al 
dipendente 
fosse 
stata 
accertata 
essa 
avrebbe 
troncato il 
nesso funzionale 
con la 
prestazione 
del 
servizio, 
ma 
non 
essendosi 
essa 
verificata 
non 
sembra 
sia 
intervenuto 
alcun elemento ostativo alla concessione del rimborso richiesto. 


Né 
a 
tale 
lettura 
della 
norma 
sembra 
ostare 
la 
natura 
di 
stretta 
interpretazione 
della 
stessa, 
giacché 
non 
si 
tratta 
qui 
di 
un’applicazione 
analogica 
o 
estensiva 
della 
disposizione 
di 
cui 
all’art. 18, bensì 
della 
corretta 
definizione 
dei suoi ambiti applicativi, nei quali il caso di specie rientra. 


Va 
pertanto affermata 
la 
rimborsabilità, in via 
generale 
ed astratta, delle 
spese 
legali 
sostenute 
da 
un pubblico dipendente 
del 
quale 
venga 
esclusa 
la 
responsabilità 
e 
che 
sia 
stato tratto a 
giudizio in relazione 
a 
fatti 
asseritaniente 
posti 
in 
essere 
in 
violazione 
degli 
obblighi 
su 
di 
esso 
gravanti 
in 
relazione 
alla 
qualifica 
rivestita 
o 
comunque 
in 
relazione 
a 
circostanze 
inerenti 
la 
prestazione 
del 
servizio e 
che 
risulti 
non aver tenuto la 
condotta 
ipotizzata, non essendo 
necessario 
ai 
fini 
della 
concessione 
del 
rimborso 
il 
positivo 
accertamento 
della 
sussistenza 
di 
una 
condotta 
del 
richiedente 
tesa 
al 
perseguimento 
dei 
fini 
dell’Amministrazione. 


Va 
peraltro precisato che, come 
riaffermato di 
recente 
dal 
Comitato Consultivo 
(nella 
seduta 
del 
19 luglio 2022) la 
valutazione 
della 
condotta 
va 
effettuata 
“ex post”, cioè 
sulla 
base 
di 
quanto accertato nella 
decisione 
che 
ha 
definito il 
giudizio (che 
nella 
fattispecie 
ha 
escluso la 
sussistenza 
della 
condotta 
illecita). 


Nel 
caso di 
specie, pertanto, le 
spese 
legali 
appaiono rimborsabili 
nei 
limiti 
che 
codesta 
Avvocatura 
riterrà 
congrui 
nel 
riscontro 
che 
vorrà 
fornire 
all’Amministrazione 


Sul 
presente 
parere 
si 
è 
espresso 
in 
conformità 
il 
Comitato 
Consultivo 
in-
data 12 ottobre 2023. 



rASSeGNA 
AVVoCATUrA 
deLLo 
STATo -N. 1/2023 


in tema di tutela ambientale dell’ecosistema marino 
e di quello lagunare. ambito di applicazione dell’art. 109, 
d.lgs. 152/2006 (t.u.a.), del d.m. 173/2016 

Parere 
del 
04/11/2022-699738, al 14275/2021, 
aVV. luiGi 
Simeoli, aVV. daVide 
di 
GiorGio 


Codesta 
Avvocatura 
distrettuale 
ha 
richiesto un parere 
in merito all’interpretazione 
dell’art. 109 del 
d.lgs. 152/2006 (di 
seguito per brevità 
T.U.A.) 
al 
fine 
di 
stabilire 
se 
la 
norma 
in questione 
possa 
essere 
applicata 
anche 
all’ambito 
lagunare. recita il testo dell’articolo in questione: 


“1. al 
fine 
della tutela dell’ambiente 
marino e 
in conformità alle 
disposizioni 
delle 
convenzioni 
internazionali 
vigenti 
in materia, è 
consentita l’immersione 
deliberata in 
mare 
da navi 
ovvero aeromobili 
e 
da strutture 
ubicate 
nelle 
acque 
del 
mare 
o 
in 
ambiti 
ad 
esso 
contigui, 
quali 
spiagge, 
lagune 
e 
stagni 
salmastri e terrapieni costieri, dei materiali seguenti: 


a) 
materiali 
di 
escavo 
di 
fondali 
marini 
o 
salmastri 
o 
di 
terreni 
litoranei 
emersi; 
b) 
inerti, 
materiali 
geologici 
inorganici 
e 
manufatti 
al 
solo 
fine 
di 
utilizzo, 
ove ne sia dimostrata la compatibilità e l’innocuità ambientale; 
c) 
materiale 
organico 
e 
inorganico 
di 
origine 
marina 
o 
salmastra, 
prodotto 
durante 
l’attività 
di 
pesca 
effettuata 
in 
mare 
o 
laguna 
o 
stagni 
salmastri”. 
Punto 
controverso, 
evidenziato 
nella 
richiesta 
cui 
si 
riscontra, 
è 
la 
portata 
significativa 
da 
attribuire 
alla 
locuzione 
“mare” 
come 
utilizzata 
nella 
citata 
disposizione. 


Se, infatti, da 
un lato un’interpretazione 
letterale 
della 
disposizione 
sembrerebbe 
escludere 
le 
lagune 
dall’ambito 
di 
applicazione 
della 
stessa; 
dall’altro 
lato, una 
lettura 
di 
natura 
teleologica 
potrebbe 
condurre 
all’applicazione 
del 
predetto art. 109 anche al caso di specie. 


Mentre 
codesta 
Avvocatura 
distrettuale 
mostra 
di 
propendere 
per la 
seconda 
interpretazione 
(essendosi 
in 
tal 
senso 
espressa 
con 
nota 
prot. 
n. 
12072/2020 
del 
22 
settembre 
2020 
diretta 
alla 
direzione 
Marittima 
di 
Trieste), 
diversamente, 
la 
direzione 
Generale 
per 
il 
Mare 
e 
le 
Coste 
del 
Ministero 
della 
Transizione 
ecologica, con nota 
prot. del 
28 maggio 2020, forniva 
il 
proprio 
parere 
alla 
regione 
Friuli-Venezia 
Giulia 
sul 
suddetto 
articolo 
109, 
prediligendo 
il primo - e più letterale - degli orientamenti prospettati. 


Viene 
pertanto chiesto a 
questa 
Avvocatura 
Generale 
dello Stato di 
esprimersi 
al riguardo. 
*** 


Preliminarmente 
va 
evidenziato 
che 
non 
si 
sono 
rinvenuti 
precedenti 
giurisprudenziali 
in 
grado 
di 
chiarire 
la 
portata 
finalistica 
della 
disposizione 
in 
commento. 



PArerI 
deL 
CoMITATo 
CoNSULTIVo 


da 
un 
lato 
è 
fuor 
di 
dubbio 
che 
una 
lettura 
dell’art. 
109 
del 
T.U.A. 
fondata 
esclusivamente 
sul 
criterio letterale 
non potrebbe 
che 
condurre 
all’esclusione 
dei 
bacini 
lagunari, 
dalla 
nozione 
di 
mare, 
come 
intese 
dalla 
disposizione 
normativa; 
ciò 
proprio 
in 
quanto 
le 
lagune 
appaiono 
menzionate 
successivamente 
tra gli “ambiti ad esso 
(al mare ndr) contigui”. 


Sotto 
altro 
profilo 
gli 
elementi, 
opportunamente 
evidenziati 
da 
codesta 
Avvocatura 
distrettuale, a 
supporto di 
una 
interpretazione 
sistematica 
e 
finalistica 
non possono essere 
privati 
di 
una 
loro intrinseca 
rilevanza; 
ciò, posto 
che 
lo stesso Testo Unico all’art. 109 evidenzia 
come 
la 
disposizione 
è 
dettata 
al fine di tutelare l’ambiente marino. 


A 
ciò si 
aggiunga 
che, recentemente, la 
tutela 
dell’ambiente 
e 
della 
biodiversità 
ha ricevuto copertura costituzionale. 


Il novellato art. 9 della carta fondamentale, al terzo comma recita: 


“(La 
repubblica, 
n.d.r.) 
Tutela 
l’ambiente, 
la 
biodiversità 
e 
gli 
ecosistemi, 


anche nell’interesse delle future generazioni”. 
*** 
Posto dunque 
che, data 
la 
rilevanza 
della 
normativa 
di 
tutela 
ambientale, 
non è 
possibile 
per l’interprete 
limitarsi 
ad una 
interpretazione 
puramente 
letterale, 
ad avviso di 
questa 
Avvocatura 
Generale 
la 
questione 
de 
qua deve 
trovare 
adeguata 
soluzione 
solo 
in 
forza 
di 
una 
lettura 
sistematica 
e 
finalistica 
che 
tenga 
in debito conto il 
quadro sovranazionale 
di 
riferimento, cioè 
interpretando 
la 
disposizione 
conformemente 
alla 
normativa 
internazionale 
ed al 
diritto dell’Unione europea. 
Ai 
sensi 
di 
quanto 
disposto, 
in 
via 
generale, 
dall’articolo 
2 
del 
T.U.A., 
infatti, « 
2. Per 
le 
finalità di 
cui 
al 
comma 1, il 
presente 
decreto provvede 
al 
riordino, 
al 
coordinamento 
e 
all’integrazione 
delle 
disposizioni 
legislative 
nelle 
materie 
di 
cui 
all’articolo 1, in conformità ai 
principi 
e 
criteri 
direttivi 
di 
cui 
ai 
commi 
8 e 
9 dell’articolo 1 della legge 
15 dicembre 
2004, n. 308, e 
nel 
rispetto 
degli 
obblighi 
internazionali, 
dell’ordinamento 
comunitario, 
delle 
attribuzioni delle regioni e degli enti locali». 
*** 
Se 
dunque 
la 
risoluzione 
della 
questione 
prospettata 
passa 
attraverso una 
lettura 
sistematica 
delle 
norme 
interessate, 
occorre 
tuttavia 
necessariamente 
partire dal dato letterale della norma dell’art. 109 del 
T.U.A. 
La 
norma, al 
dichiarato fine 
di 
tutelare 
l’ambiente 
marino, disciplina 
la 
possibilità 
di 
immersione 
deliberata 
in 
mare 
di 
a) 
materiali 
di 
escavo 
di 
fondali 
marini 
o salmastri 
o di 
terreni 
litoranei 
emersi; 
b) inerti, materiali 
geologici 
inorganici 
e 
manufatti 
al 
solo fine 
di 
utilizzo, ove 
ne 
sia 
dimostrata 
la 
compatibilità 
e 
l’innocuità 
ambientale; 
c) materiale 
organico e 
inorganico di 
origine 
marina 
o 
salmastra, 
prodotto 
durante 
l’attività 
di 
pesca 
effettuata 
in 
mare 
o 
laguna 
o stagni salmastri. 
Il 
decreto 
del 
Ministero 
dell’Ambiente 
e 
della 
Tutela 
del 
Territorio 
n. 



rASSeGNA 
AVVoCATUrA 
deLLo 
STATo -N. 1/2023 


173/2016, contenente 
il 
“regolamento recante 
modalità e 
criteri 
tecnici 
per 
l’autorizzazione 
all’immersione 
in 
mare 
dei 
materiali 
di 
escavo 
di 
fondali 
marini”, 
nel 
quadro dell’attività 
definitoria 
dell’art. 2, definisce 
immersione 
deliberata 
in mare la: 


“deposizione 
di 
materiali 
di 
cui 
all’articolo 1 in aree 
ubicate 
ad una distanza 
dalla costa superiore 
a 3 (tre) miglia nautiche 
o oltre 
la batimetrica 
dei 200 (duecento) metri”. 


La 
porzione 
di 
mare, 
quale 
corpo 
recettore 
dell’immersione 
deliberata, 
soggetta 
ad 
autorizzazione, 
è, 
dunque, 
quella 
che 
abbia 
una 
profondità 
ragguardevole 
(200 
m), 
ovvero 
che 
abbia 
una 
distanza 
di 
circa 
5,5 
Km 
dalla 
costa. 


Ciò, 
naturalmente, 
non 
significa 
che 
ad 
una 
distanza 
o 
ad 
una 
profondità 
inferiore 
l’immersione 
non 
sia 
soggetta 
ad 
autorizzazione, 
bensì 
che 
nelle 
porzioni 
di 
mare 
che 
si 
trovino 
a 
minore 
distanza 
dalla 
costa 
o 
avente 
una 
minore 
profondità, 
l’immersione 
deliberata 
non 
è 
consentita, 
salvo, 
con 
le 
autorizzazioni 
prescritte 
dalla 
norma, 
che 
il 
materiale 
escavato 
sia 
utilizzato 
ai 
fini 
di 
ripascimento 
ovvero 
ai 
fini 
dell’immersione 
in 
ambienti 
conterminati. 


La 
definizione 
del 
concetto di 
mare, e 
quindi 
di 
ambiente 
marino, quale 
risulta 
dalle 
norme 
attuative 
non può ricomprendere 
l’ambiente 
lagunare 
che, 
come è noto, presenta morfologia e profondità notevolmente inferiori. 


del 
resto, la 
ratio 
della 
norma 
è 
quella 
di 
impedire 
l’immersione 
di 
“sostanze 
inquinanti”, di 
origine 
naturale 
o antropica, esogene 
che 
non rientrino 
nella 
composizione 
della 
matrice 
di 
interesse 
(o sia 
presente 
in essa 
in concentrazione 
nettamente 
superiore 
ai 
valori 
naturali) e 
che 
abbia 
un effetto ritenuto 
dannoso sull’ambiente marino. 


Posta 
la 
ontologica 
diversità 
tra 
mare 
e 
laguna, ai 
fini 
che 
ci 
occupano, 
più che 
stressare 
la 
terminologia 
del 
legislatore 
allo scopo di 
ricomprendere 
nel 
concetto 
di 
ambiente 
marino 
anche 
quello 
lagunare, 
occorre 
a 
questo 
punto 
verificare 
fattualmente 
se 
la 
ratio 
ed i 
contenuti 
applicativi 
delle 
norme 
di 
cui 
si 
discorre 
possa 
trovare 
applicazione 
anche 
all’ambiente 
lagunare, 
ovvero, 
in 
altri 
termini, 
se 
l’ambiente 
lagunare 
possa, 
in 
qualche 
modo 
e 
“di 
fatto” 
essere 
assimilato all’ambiente marino. 


Sotto il 
profilo demaniale 
e 
giuridico la 
Legge 
5 marzo 1963 n. 366, rubricata 
“nuove 
norme 
relative 
alle 
lagune 
di 
Venezia e 
marano-Grado”, all’art. 
30 
estende 
le 
sue 
disposizioni 
anche 
al 
caso 
della 
laguna 
di 
Marano-Grado, 
e 
precisa 
che 
“la 
laguna 
di 
marano-Grado 
è 
costituita 
dal 
bacino 
demaniale 
marittimo d’acqua salsa che 
si 
estende 
dalla foce 
del 
Tagliamento 
alla 
foce 
del 
canale 
Primero 
ed 
è 
compresa 
fra 
il 
mare 
e 
la 
terraferma”. 


In 
applicazione 
a 
tali 
disposizioni 
(in 
particolare 
degli 
artt. 
2 
e 
30), 
l’allora 
Ministero dei 
Lavori 
Pubblici 
(oggi 
Ministero delle 
Infrastrutture 
della 
Mobilità 
Sostenibili) con proprio decreto 23 giugno 1966 n. 1330, aveva 
approvato 
la delimitazione della laguna di Marano-Grado. 



PArerI 
deL 
CoMITATo 
CoNSULTIVo 


Come 
precisato 
da 
ISPrA, 
si 
tratta, 
quindi, 
di 
una 
laguna 
di 
circa 
32 
Km, 
con una larghezza media di 5 km. 


La 
sua 
estensione 
è 
di 
circa 
16.000 ettari, seconda 
solo alla 
laguna 
di 
Venezia 
(50.000 ettari). 


Nella 
laguna 
di 
Marano Grado sfociano inoltre 
alcuni 
corsi 
d’acqua 
provenienti 
dalla 
pianura 
friulana 
di 
cui 
i 
principali 
sono 
lo 
Stella, 
il 
Corno, 
l’Aussa e il Natissa. 


Nel 
complesso adducono acqua 
dolce 
con una 
portata 
media 
di 
circa 
100 
m3/sec. 


La 
laguna 
è 
quindi 
protetta 
dal 
mare 
(moto ondoso) da 
un cordone 
litoraneo 
ove 
oggi 
sono 
presenti 
5 
bocche 
di 
comunicazione 
(Lignano, 
S. 
Andrea, 
Porto 
Buso, 
Grado 
e 
Primero) 
che 
consentono 
il 
transito 
delle 
correnti 
di 
marea 
verso i 
canali 
interni 
e 
i 
bassi 
fondali 
ove 
l’acqua 
di 
mare 
si 
mescola 
con le 
acque dolci di origine fluviale. 


Ne 
discende 
quindi 
che 
l’ambiente 
lagunare 
è 
un’ambiente 
ibrido, naturalmente 
instabile, con un gradiente 
di 
salinità 
che 
tendenzialmente 
decresce 
dalle bocche verso le propaggini più interne dei canali. 


Per tali 
motivi, in relazione 
alla 
finalità 
della 
direttiva 
Quadro Acque, i 
corpi 
idrici 
lagunari 
vengono definiti 
come 
acque 
di 
transizione 
(e 
quindi 
non 
marino-costiere), dotati 
di 
standard specifici 
di 
qualità 
ambientale 
(art. 2 dIreTTIVA 
2000/60/Ce). 


dai 
chiarimenti 
richiesti 
ad ISPrA, con riguardo agli 
allegati 
tecnici 
del 
citato 
d.M. 
173/2016, 
è 
emerso 
che 
la 
specificità 
dell’ambiente 
lagunare 
si 
riflette 
anche 
sulla 
questione 
riguardante 
la 
gestione 
dei 
sedimenti 
provenienti 
dal 
dragaggio 
dei 
canali 
lagunari 
nell’ambito 
del 
medesimo 
ambiente 
lagunare. 


Ciò 
in 
quanto 
la 
procedura 
prevista 
dal 
d.M. 
173/2016 
è 
stata 
predisposta 
ai 
fini 
della 
tutela 
dell’ambiente 
marino 
in 
attuazione 
a 
quanto 
previsto 
dall’art. 
109, c. 2, del d.lgs. 152/06 e s.m.i. 


In altri 
termini, i 
criteri 
e 
i 
parametri 
fissati 
dall’allegato tecnico al 
citato 


d.M. 
sono 
stati 
individuati 
proprio 
con 
la 
finalità 
di 
tutelare 
l’ambiente 
marino 
e non il diverso ambiente lagunare. 
La 
metodologia 
prevista 
dall’allegato 
tecnico 
al 
d.M. 
173 
non 
sarebbe 
dunque 
applicabile 
sic 
et 
simpliciter 
al 
caso 
dei 
sedimenti 
lagunari, 
occorrendo 
un attento lavoro per derivare 
criteri, parametri 
e 
classi 
di 
qualità 
strettamente 
compatibili con l’ambiente lagunare. 


Anche 
l’ulteriore 
ed interessante 
spunto, fornito da 
codesta 
Avvocatura 
distrettuale, 
non 
sembra 
dirimente 
allo 
scopo 
di 
ricomprendere 
nell’ambito 
dell’Ambiente marino la laguna di Marano Grado. 


Come 
ricordato da 
codesta 
distrettuale, l’art. 1 del 
d.M. 15 luglio 2016, 


n. 173, contenente 
la 
definizione 
dell’ambito di 
applicazione 
e 
le 
esclusioni, 
prevede che 

rASSeGNA 
AVVoCATUrA 
deLLo 
STATo -N. 1/2023 


“al 
fine 
della 
tutela 
dell’ambiente 
marino, 
il 
presente 
regolamento 
determina: 


a) ... ... ... 
; 
b) i 
criteri 
omogenei 
per 
tutto il 
territorio nazionale, per 
l’utilizzo di 
tali 
materiali 
ai 
fini 
di 
ripascimento 
o 
all’interno 
di 
ambienti 
conterminati 
ai 
quali 
le 
regioni 
conformano le 
modalità di 
caratterizzazione, classificazione 
ed accettabilità dei 
materiali 
in funzione 
del 
raggiungimento o mantenimento 
degli 
obiettivi 
di 
qualità ambientale 
dei 
corpi 
idrici 
marino costieri 
e 
di 
transizione; 
... ... ... ... ... ...”. 


Quanto 
all’espressione 
“ambiente 
conterminato”, 
richiamato 
nelle 
norme 
dell’art. 1, c. 1, lett. b, nonché 
dall’art. 2, c. 1, lett. c, e 
da 
ultimo l’art. 5, c. 1), 
l’allegato tecnico al 
d.M. 173/2016 contribuisce 
a 
fornire 
utili 
indicazioni 
ai 
paragrafi 3.1.3 e 3.2.3 - volte a determinare l’esatta portata del concetto. 


In particolare, il 
paragrafo 3.1.3 chiarisce 
che 
gli 
ambienti 
conterminati 
sono strutture 
portuali, distinguendole 
per tipologia 
in base 
al 
grado di 
emersione 
rispetto 
al 
corpo 
idrico 
circostante, 
nelle 
quali 
depositare 
il 
materiale 
dragato 
quando 
quest’ultimo 
non 
abbia 
le 
caratteristiche 
qualitative 
per 
essere 
immerso in mare o per essere riutilizzato per ripascimento di litorali: 


“Gli 
ambienti 
conterminati 
si 
distinguono in strutture 
portuali 
completamente 
sommerse 
(tra cui 
l’attività di 
capping), parzialmente 
sommerse 
(vasche 
di 
colmata, 
banchine 
portuali, 
bacini 
costieri 
e 
darsene) 
e 
strutture 
emerse 
(bacini 
costieri 
demaniali 
completamente 
emersi 
nei 
quali 
il 
materiale 
dragato è trasportato a destinazione finale tramite mezzi navali)”. 


I citati 
paragrafi 
3.1.3 e 
3.2.3 forniscono inoltre 
precise 
indicazioni 
progettuali 
da 
rispettare 
per 
evitare 
che 
la 
collocazione 
del 
materiale 
in 
tali 
“strutture 
di 
contenimento a 
diverso grado di 
permeabilità”, possa 
determinare 
la 
diffusione di contaminanti all’esterno dell’ambiente conterminato stesso. 


A 
tale 
riguardo la 
norma 
prescrive 
che 
tale 
opzione 
di 
gestione 
del 
materiale 
dragato debba 
essere 
accompagnata 
da 
idonee 
attività 
di 
monitoraggio, 
così come previsto dal successivo paragrafo 3.5.5. 


Ne 
discende 
che 
l’ambiente 
conterminato 
cui 
si 
riferisce 
il 
d.M. 
173/2016 
è 
di 
fatto 
una 
struttura 
portuale 
da 
progettare 
e 
realizzare 
adeguatamente, 
anche 
in base 
alle 
caratteristiche 
e 
alla 
quantità 
dei 
materiali 
di 
dragaggio da 
gestire, 
e 
come 
tale 
non può essere 
confusa 
con un ambiente 
naturale 
quale 
quello lagunare, 
in genere 
molto più vasto e 
con una 
sua 
peculiare 
connotazione 
geografica, 
morfologica ed ambientale. 


Anche 
il 
riferimento 
ai 
corpi 
idrici 
di 
transizione, 
di 
cui 
si 
vuole 
assicurare 
il 
raggiungimento 
o 
mantenimento 
degli 
obiettivi 
di 
qualità 
ambientale, 
sembra 
da 
porsi 
in relazione 
con le 
operazioni 
di 
riaperture 
delle 
foci 
fluviali 
ostruite, 
come 
si 
ricava 
dalle 
definizioni 
contenute 
nell’art. 
2 
lett. 
e) 
del 
d.M. 
che 
chiarisce: 



PArerI 
deL 
CoMITATo 
CoNSULTIVo 


“e) escavo di 
fondali 
marini: dragaggio di 
sedimenti 
marini 
per 
il 
mantenimento, 
il 
miglioramento 
o 
il 
ripristino 
delle 
funzionalità 
di 
bacini 
portuali, 
della 
riapertura 
di 
foci 
fluviali 
parzialmente 
o 
totalmente 
ostruite 
per 
la 
realizzazione 
di 
infrastrutture 
in ambito portuale 
o costiero o per 
il 
prelievo di 
sabbie ai fini di ripascimento”. 


Anche 
il 
precedente 
giurisprudenziale 
citato 
da 
codesta 
distrettuale 
(Cass. 
Sez. 3, Sentenza 
n. 45844 del 
2019) non appare 
dirimente, ai 
fini 
che 
ci 
occupano, 
dal 
momento che 
in esso si 
distingueva, sulla 
base 
della 
quantità 
di 
materiale 
escavato, lo “spostamento” 
di 
sedimenti 
in ambito portuale, di 
cui 
al 
combinato 
disposto 
degli 
artt. 
1 
comma 
2 
lett. 
a) 
e 
2 
lett. 
f) 
del 
d.M. 
173/2016, 
descrittivo di 
un’attività 
connotata 
dal 
ridotto impatto ambientale 
che 
ne 
giustifica 
l’esclusione 
dal 
regime 
autorizzatorio 
di 
cui 
all’art. 
109 
comma 
2 
d.lgs. 
152/06, dal vero e proprio escavo di fondali marini. 


Posto che 
la 
specificità 
dell’ambiente 
lagunare 
sembrerebbe 
comportare 
la 
inapplicabilità 
delle 
norme 
dettate 
a 
tutela 
del 
mare 
propriamente 
detto 
quanto 
all’escavo 
dei 
fondali, 
alla 
movimentazione 
di 
essi 
ed 
alla 
immersione, 
deve 
essere 
verificato 
se 
la 
mancata 
applicazione 
della 
norma 
dell’art. 
109 


T.U.A. alla 
movimentazione 
dei 
sedimenti 
in ambiente 
lagunare 
determini 
un 
vuoto di 
tutela, ovvero se 
vi 
siano disposizioni 
normative 
che 
regolano la 
fattispecie. 
Come 
riferisce 
codesta 
distrettuale, i 
dragaggi 
all’interno della 
Laguna, 
trovano 
una 
computa 
disciplina 
nell’art. 
49 
delle 
Norme 
Tecniche 
di 
attuazione 
del 
Piano di 
Tutela 
delle 
Acque 
adottato dalla 
regione 
Friuli-Venezia 
Giulia 
che così dispone: 


“art. 49 dragaggi interessanti i corpi idrici delle acque di transizione 


1. le 
operazioni 
di 
dragaggio nella laguna di 
marano e 
Grado sono attuate 
preferibilmente 
mediante 
la 
movimentazione 
dei 
sedimenti, 
sulla 
base 
di 
un progetto che 
prevede 
la ricollocazione 
degli 
stessi 
all’interno dell’ambiente 
lagunare, 
secondo 
le 
modalità 
di 
cui 
ai 
commi 
successivi, 
ai 
fini 
di 
contrastare 
la 
tendenza 
alla 
perdita 
di 
sedimento 
dell’ambiente 
lagunare, 
di 
limitare l’erosione dei fondali e di ricostituire habitat tipici della laguna. 
2. le 
operazioni 
di 
movimentazione 
sono effettuate 
nel 
rispetto delle 
disposizioni 
dell’articolo 
185, 
comma 
3, 
del 
decreto 
legislativo 
152/2006, 
come 
successivamente modificato ed integrato, e quindi a condizione che: 
a) 
i 
sedimenti 
da 
dragare, 
in 
base 
alle 
analisi, 
siano 
classificati 
come 
non pericolosi, ai 
sensi 
della decisione 
2000/532/ce 
della commissione 
del 
3 
maggio 2000 e successive modificazioni; 
b) 
il 
riutilizzo 
del 
materiale 
dragato 
non 
peggiori 
lo 
stato 
di 
qualità 
(stato 
ecologico e 
stato chimico) delle 
acque 
del 
sito individuato per 
la deposizione 
del materiale stesso, nel rispetto della direttiva 2000/60/ce; 
c) 
la 
destinazione 
dei 
sedimenti 
dragati 
non 
sia 
in 
contrasto 
con 
le 
disposizioni 
in 
materia 
di 
tutela 
della 
salute 
ed 
in 
particolare 
con 
la 
direttiva 

rASSeGNA 
AVVoCATUrA 
deLLo 
STATo -N. 1/2023 


91/492/cee 
del 
consiglio, 
del 
15 
luglio 
1991, 
che 
stabilisce 
le 
norme 
sanitarie 
applicabili 
alla 
produzione 
e 
commercializzazione 
dei 
molluschi 
bivalvi 
vivi; 


d) 
la 
destinazione 
dei 
sedimenti 
dragati 
rispetti 
le 
disposizioni 
relative 
alla tutela delle 
specie 
e 
degli 
habitat 
presenti 
nei 
siti 
della rete 
natura 2000 
istituiti 
ai 
sensi 
delle 
direttive 
92/43/cee 
e 
2009/147/ce 
e 
del 
dPr 
357/1997; 
in particolare: 
-la 
zona 
umida 
delle 
Foci 
dello 
Stella, 
ai 
sensi 
della 
convenzione 
di 
ramsar; 


-il 
Sito 
di 
interesse 
comunitario 
(Sic) 
nonché 
la 
Zona 
di 
Protezione 
Speciale 
(ZPS) 
ai 
sensi 
della 
direttiva 
92/43/cee 
(Habitat) 
e 
del 
decreto 
del 
Presidente 
della repubblica 8 settembre 1997, n. 357; 


-le 
riserve 
naturali 
regionali 
della 
Valle 
cavanata, 
della 
Valle 
canal 
novo e delle Foci dello Stella. 


e) 
i 
materiali 
dragati 
devono 
avere 
caratteristiche 
chimico-fisiche 
ed 
eco-
tossicologiche compatibili con i sedimenti del sito di destinazione; 
f) la destinazione 
dei 
materiali 
dragati 
non incida sui 
siti 
oggetto di 
concessione 
in essere per l’acquacoltura; 
g) la destinazione 
dei 
materiali 
dragati 
non incida sulle 
praterie 
di 
fanerogame, 
a meno che le praterie interessino direttamente le vie navigabili. 
le 
analisi 
chimiche 
ed 
eco 
tossicologiche 
devono 
essere 
effettuate 
con 
riferimento ai siti interessati da ogni singolo intervento di dragaggio. 


3. i materiali 
risultanti 
dai 
dragaggi 
possono essere 
spostati 
all’interno 
delle 
acque 
superficiali 
o 
nell’ambito 
delle 
pertinenze 
idrauliche 
della 
laguna, 
nel 
rispetto delle 
condizioni 
di 
cui 
al 
comma 2, e, altresì, ai 
fini 
della 
formazione 
o del 
ripascimento di 
velme, della costruzione 
di 
barene, nonché 
del recupero morfologico o del ripascimento di barene esistenti. 
4. le 
operazioni 
di 
dragaggio attuate 
mediante 
movimentazione 
di 
sedimenti 
nell’ambito di 
fondali 
interessanti 
le 
altre 
acque 
di 
transizione, diverse 
dalla laguna di marano e Grado, seguono le modalità di cui al comma 2”. 
Posto che 
il 
dragaggio all’interno della 
laguna 
è 
disciplinata 
dalla 
disposizione 
regionale 
sopra 
riportata, si 
pone 
la 
questione 
della 
natura 
del 
Piano 
di 
Tutela 
delle 
Acque 
e 
del 
nesso che 
la 
norma 
regionale 
ha 
con la 
normativa 
di 
tutela 
ambientale 
che, 
nel 
riparto 
delle 
competenze, 
è 
affidata 
allo 
Stato 
(art. 117, comma 2, lettera s), Cost.). 


Sul 
punto, proprio con riguardo al 
Piano di 
Tutela 
delle 
Acque 
del 
Friuli-
Venezia Giulia, è intervenuta la Corte costituzionale che ha rammentato: 


“l’art. 121 del 
d.lgs. n. 152 del 
2006 disciplina il 
piano regionale 
di 
tutela 
delle 
acque, il 
quale 
si 
aggiunge 
al 
piano di 
bacino distrettuale 
(art. 65) 
e 
al 
piano di 
gestione 
(art. 117). il 
piano delle 
acque 
è 
approvato all’esito di 
un complesso procedimento, articolato nelle 
seguenti 
fasi: «le 
autorità di 
bacino, 
nel 
contesto 
delle 
attività 
di 
pianificazione 
o 
mediante 
appositi 
atti 
di 
indirizzo 
e 
coordinamento, 
sentiti 
le 
province 
e 
gli 
enti 
di 
governo 
dell’ambito, 



PArerI 
deL 
CoMITATo 
CoNSULTIVo 


definiscono gli 
obiettivi 
su scala di 
distretto cui 
devono attenersi 
i 
piani 
di 
tutela 
delle 
acque, 
nonché 
le 
priorità 
degli 
interventi»; 
«le 
regioni, 
sentite 
le 
province 
e 
previa adozione 
delle 
eventuali 
misure 
di 
salvaguardia, adottano 
il 
Piano 
di 
tutela 
delle 
acque 
e 
lo 
trasmettono 
al 
ministero 
dell’ambiente 
e 
della 
tutela 
del 
territorio 
e 
del 
mare 
nonché 
alle 
competenti 
autorità 
di 
bacino, 
per 
le 
verifiche 
di 
competenza» (comma 2); «le 
autorità di 
bacino verificano 
la conformità del 
piano agli 
atti 
di 
pianificazione 
o agli 
atti 
di 
indirizzo e 
coordinamento 
di 
cui 
al 
comma 
2, 
esprimendo 
parere 
vincolante»; 
le 
regioni 
approvano il Piano di tutela «entro i successivi sei mesi» (comma 5). 


Questa procedura, che 
vede 
l’intervento delle 
regioni 
sia nella fase 
del-
l’adozione 
del 
piano sia in quella della sua approvazione 
definitiva, è 
interamente 
disciplinata nel 
codice 
dell’ambiente, sull’assunto della sua inerenza 
alla 
competenza 
legislativa 
statale 
in 
materia 
di 
«tutela 
dell’ambiente». 
Questo 
assunto non è 
stato smentito dalla giurisprudenza costituzionale, che 
ha 
ricondotto a tale 
materia la normativa sulle 
acque, in quanto preordinata segnatamente 
alla loro tutela (in questo senso, sentenze 
n. 229 del 
2017 e 
n. 86 
del 
2014), 
osservando 
in 
particolare 
che 
«[i]l 
riparto 
delle 
competenze 
[...] 
dipende 
proprio dalla [...] 
distinzione 
tra uso delle 
acque 
minerali 
e 
termali, 
di 
competenza 
regionale 
residuale, 
e 
tutela 
ambientale 
delle 
stesse 
acque, 
che 
è 
di 
competenza 
esclusiva 
statale, 
ai 
sensi 
del 
vigente 
art. 
117, 
comma 
secondo, 
lettera s), della costituzione» (sentenza n. 1 del 
2010). (cfr. corte 
costituzionale 
sentenza 21 giugno 2019, n. 153 - sottolineato aggiunto). 


L’adozione 
del 
PTA 
della 
regione 
Friuli-Venezia 
Giulia 
è 
stato, quindi, 
oggetto 
di 
controllo 
dello 
Stato 
centrale 
(il 
piano 
è 
stato 
trasmesso 
al 
ministero 
dell’ambiente 
e 
della tutela del 
territorio e 
del 
mare 
nonché 
alle 
competenti 
autorità di 
bacino, per 
le 
verifiche 
di 
competenza); 
quest’ultimo non risulta 
avervi 
mosso rilievi. Non può, dunque, sostenersi 
che 
la 
normativa 
regionale, 
assentita 
dai 
competenti 
organi 
dell’Amministrazione 
centrale, prescrivendo 
un sistema 
di 
controlli 
diversi 
da 
quelli 
previsti 
dall’art. 109 del 
T.U.A., abbia 
determinato un abbassamento della 
tutela 
che 
imponga, per rispettare 
il 
precetto 
costituzionale 
dell’art. 
9 
Cost., 
l’applicazione 
della 
normativa 
statuale 
afferente alla immersione deliberata in mare. 


dall’esame 
delle 
norme 
sopra 
citate 
emerge, al 
contrario, che 
la 
diversa 
disciplina 
della 
immersione 
deliberata 
in 
mare 
(art. 
109 
T.U.A.) 
e 
dei 
dragaggi 
interessanti 
i 
corpi 
idrici 
delle 
acque 
di 
transizione 
(art. 49 delle 
Norme 
attuative 
del 
PTA) risponde 
alla 
ratio 
di 
una 
tutela 
necessariamente 
differenziata 
di 
due 
ambienti 
naturali 
(quello marino e 
quello lagunare) morfologicamente 
diversi, la tutela dei cui ecosistemi richiede misure specifiche. 


Ciò è 
testimoniato dal 
fatto che 
la 
norma 
del 
PTA, nel 
consentire 
i 
dragaggi 
all’interno 
della 
laguna, 
prevede 
non 
solo 
che 
la 
movimentazione 
è 
consentita 
nei 
soli 
casi 
in cui 
i 
sedimenti 
dragati 
non siano da 
considerare 
rifiuti 


o siano pericolosi 
per la 
salute 
umana, ma 
anche 
a 
condizione 
che 
i 
sedimenti 

rASSeGNA 
AVVoCATUrA 
deLLo 
STATo -N. 1/2023 


dragati 
non 
alterino 
gli 
habitat 
lagunari 
(cfr. 
lett. 
d), 
e), 
f), 
g) 
dell’ 
art. 
49 
delle 
Norme 
Tecniche di attuazione del Piano di 
Tutela delle 
Acque). 


Conclusivamente, 
in 
considerazione 
delle 
fonti 
eurounitarie 
e 
domestiche 
sopra 
citate, 
questa 
Avvocatura 
Generale 
ritiene 
più 
coerente 
con 
il 
quadro 
normativo generale 
in tema 
di 
tutela 
ambientale, propendere 
per un’interpretazione 
dell’art. 
109 
TUA 
nel 
senso 
che, 
ai 
fini 
delle 
attività 
ivi 
previste 
e 
delle 
autorizzazioni 
amministrative 
ad 
esse 
propedeutiche, 
alla 
nozione 
di 
mare 
non 
possa 
essere 
ricompreso 
l’ambiente 
lagunare 
che, 
nel 
caso 
di 
specie, 
trova 
specifica 
regolamentazione 
del 
Piano 
di 
Tutela 
delle 
Acque 
del 
Friuli 
Venezia 
Giulia, 
adottata 
-come 
detto 
-con 
il 
preventivo 
coinvolgimento 
dell’allora 
ministero dell’ambiente 
e 
della tutela del 
territorio e 
del 
mare 
(oggi 
miTe) 
nonché della competente 
autorità di bacino. 

Sul 
presente 
parere 
è 
stato sentito il 
Comitato Consultivo di 
questa 
Avvocatura 
che si è espresso in conformità nella seduta del 25 ottobre 2022. 



PArerI 
deL 
CoMITATo 
CoNSULTIVo 


sui requisiti per il riconoscimento delle “Fondazioni 
di partecipazione” tra i soggetti collettivi 
di cui all’articolo 13 della legge n. 349/1986 

Parere 
del 
06/04/2023-248858, al 9245/2023, 
aVV. domenico 
maimone 


Con la 
nota 
in riscontro codesto Ministero, ripercorsi 
i 
profili 
di 
individuazione 
delle 
associazioni 
di 
protezione 
ambientale 
previste 
dall’art. 
13, 
comma 
1, 
della 
legge 
8 
luglio 
1986, 
n. 
349 
e 
richiamato 
altresì 
il 
parere 
di 
questo Generale 
Ufficio prot. n. 316095P 
del 
11 ottobre 
2011, chiede, “allo 
scopo di 
ridurre 
le 
incertezze 
interpretative 
e 
di 
conferire 
maggiore 
prevedibilità 
alle 
decisioni” 
da 
assumere 
in ordine 
al 
riconoscimento di 
nuove 
associazioni 
di 
protezione 
ambientale, 
ovvero 
al 
mantenimento 
nell’elenco 
ministeriale 
dei 
soggetti 
collettivi 
già 
riconosciuti, se 
il 
parere 
reso dalla 
Scrivente, 
peraltro 
anteriore 
all’introduzione 
del 
decreto 
legislativo 
3 
luglio 
2017, 


n. 117 recante 
il 
“codice 
del 
Terzo settore”, stante 
il 
tempo trascorso, possa 
essere 
aggiornato sì 
da 
comprendere 
oggi 
anche 
istituzioni 
di 
nuova 
formazione 
come le 
Fondazioni di partecipazione 
(d’ora in avanti anche F.d.p.). 
Nell’approcciare 
la 
trattazione 
del 
tema 
sottoposto 
non 
può 
che 
muoversi 
dalla disamina del dato normativo. 


L’art. 
13 
della 
legge 
n. 
349/1986 
prevede 
che 
le 
associazioni 
di 
protezione 
ambientale 
a 
carattere 
nazionale 
ovvero presenti 
in almeno 5 regioni 
sono individuate 
con decreto del 
Ministro dell’ambiente 
sulla 
base 
delle 
finalità 
programmatiche 
e 
dell’ordinamento 
democratico 
previsti 
dallo 
statuto, 
nonché 
della 
continuità 
dell’azione 
e 
della 
sua 
rilevanza 
esterna. L’individuazione 
e 
la 
conseguente 
iscrizione 
nell’apposito 
elenco 
delle 
associazioni 
di 
protezione 
ambientale 
consentono 
a 
questo 
tipo 
di 
enti 
collettivi 
di 
“intervenire 
nei 
giudizi 
per 
danno ambientale 
e 
ricorrere 
in sede 
di 
giurisdizione 
amministrativa per 
l’annullamento di atti illegittimi” (art. 18, comma 5). 


Come 
chiarito dall’Adunanza 
Plenaria 
del 
Consiglio di 
Stato nella 
sentenza 
n. 6 del 
20 febbraio 2020, la 
legittimazione 
processuale 
delle 
associazioni 
-si 
trattava, 
nella 
fattispecie 
decisa, 
di 
associazioni 
consumeristiche 
non 
integra 
un fenomeno di 
sostituzione 
processuale 
ex 
art. 81 cod. proc. civ. 
perché, per effetto della 
c.d. soggettivizzazione 
in capo a 
loro degli 
interessi 
adespoti, 
le 
associazioni, 
quando 
fanno 
valere 
in 
giudizio 
interessi 
diffusi 
come 
quelli 
ambientali 
-, agiscono a 
tutela 
di 
situazioni 
giuridiche 
proprie 
e 
non altrui. 


Nel 
parere 
a 
suo tempo reso, la 
Scrivente 
ha 
osservato come 
la 
necessità 
del 
modello associativo previsto nel 
codice 
civile 
risieda 
nella 
strumentalità 
del 
modello stesso alla 
tutela 
degli 
interessi 
diffusi, di 
talché 
«la scelta compiuta 
dal 
legislatore 
con la norma in esame 
si 
è 
basata sull’esigenza di 
indi



rASSeGNA 
AVVoCATUrA 
deLLo 
STATo -N. 1/2023 


viduare 
con il 
necessario rigore, con apposito atto amministrativo, i 
soggetti 
che 
offrano garanzie 
adeguate 
in merito alla capacità di 
interpretare 
e 
difendere, 
similmente 
agli 
enti 
pubblici 
a ciò istituzionalmente 
predisposti, l’interesse 
generale 
alla 
tutela 
dell’ambiente. 
[...] 
l’opzione 
è 
stata 
compiuta 
a 
favore 
di 
soggetti 
organizzati, o di 
“organizational 
plaintiff”, aventi 
una adeguata 
base 
associativa 
che 
faccia 
presumere 
per 
un 
verso 
l’esistenza 
di 
un 
adeguato controllo sociale 
sulla propria attività, a garanzia di 
una autentica 
e 
genuina 
rappresentanza 
dei 
pubblici 
e 
generali 
interessi, 
e 
per 
un 
altro 
verso 
il 
possesso 
di 
una 
sufficiente 
incisività, 
efficacia 
e 
continuità 
della 
propria 
azione» (pag. 5). 


«Questa ratio legis 
[soggiunge 
il 
parere] si 
esprime 
chiaramente 
attraverso 
la disposizione 
del 
citato art. 13, comma 1, della 1. 349/86, che 
riserva 
il 
riconoscimento 
alle 
“associazioni” 
e 
cioè 
agli 
enti 
morali 
definiti 
dagli 
artt. 
14 
e 
ss. 
del 
codice 
civile 
che 
perseguono 
finalità 
altruistiche 
di 
carattere 
culturale, scientifico, sociale 
e 
simili 
attraverso una struttura fondata prevalentemente 
sulla componente 
personale. il 
riferimento alle 
“associazioni” 
si 
giustifica razionalmente 
con l’intento del 
legislatore 
di 
recepire 
i 
risultati 
del 
dibattito 
che 
si 
è 
innanzi 
sintetizzato, 
in 
base 
ai 
quali 
la 
legittimazione 
ad 
agire 
in giudizio a tutela di 
interessi 
generali, riferibili 
indifferenziatamente 
ad una pluralità di 
cittadini, può essere 
attribuita ai 
soli 
enti 
che 
-attraverso 
una 
struttura 
organizzativa 
fondata 
soprattutto 
sul 
contributo 
operativo 
ed 
ideologico dei 
suoi 
componenti 
-rivelino la capacità di 
individuare, rappresentare 
e 
difendere 
in 
modo 
fedele 
ed 
efficace, 
le 
esigenze 
e 
i 
bisogni 
della 
collettività nella materia in esame» (pag. 6). 


Il 
parere 
si 
sofferma, 
altresì, 
sulla 
considerazione 
che 
la 
necessità 
di 
dotarsi 
di 
un 
“ordinamento 
interno 
democratico” 
fa 
ulteriormente 
propendere 
per 
la 
conclusione 
che 
gli 
organismi 
di 
cui 
all’art. 
13 
non 
possano 
che 
essere 
delle 
associazioni, 
nelle 
quali 
l’effettiva 
rappresentatività 
del 
sodalizio 
implica 
logicamente 
l’esistenza 
di 
un 
organismo 
a 
base 
prevalentemente 
personale, 
qual 
è 
l’associazione. 
Per 
le 
medesime 
ragioni, 
nel 
parere 
si 
tende 
ad 
escludere 
che 
nel 
novero 
degli 
enti 
iscrivibili 
nell’apposito 
elenco 
possano 
essere 
ricompresi 
fondazioni, 
fondi 
patrimoniali 
e 
simili, 
ancorché 
deputati 
a 
perseguire 
finalità 
non 
egoistiche 
o 
non 
lucrative 
nel 
settore 
ambientale. 


La 
più recente 
diffusione 
nel 
panorama 
degli 
enti 
collettivi 
della 
figura 
della 
“Fondazione 
di 
partecipazione”, 
quale 
nuovo 
possibile 
strumento 
di 
operatività 
nel 
settore 
della 
tutela 
ambientale, unitamente 
all’evoluzione 
del 
panorama 
giurisprudenziale 
sul 
tema 
degli 
enti 
legittimati 
(1), 
impone, 
come 


(1) Sul 
punto, cfr. A.P. n. 6 del 
20 febbraio 2020 cit.: 
«2.3 in relazione 
a tale 
aspetto, è 
ben noto 
l’orientamento 
giurisprudenziale 
secondo 
cui 
l’iscrizione 
nell’elenco 
di 
cui 
all’art. 
13 
della 
legge 
349/86 

PArerI 
deL 
CoMITATo 
CoNSULTIVo 


proposto nella 
richiesta 
di 
parere, una 
rinnovata 
riflessione 
tesa 
a 
verificare 
la 
compatibilità 
dei 
nuovi 
modelli 
collettivi 
emersi 
nella 
prassi 
con 
la 
previsione 
dell’art. 13 della legge n. 349/1986. 


In 
tal 
senso 
l’interprete 
è 
chiamato 
a 
farsi 
carico 
di 
verificare 
la 
possibilità 
di 
far confluire 
nella 
nozione 
di 
associazione 
di 
protezione 
ambientale 
nuove 
forme 
aggregative 
che 
hanno avuto nel 
tempo diffusione 
sul 
piano sociale 
ovvero 
un riconoscimento sul 
piano normativo, sebbene 
in altri 
ambiti 
dell’ordinamento, 
anche 
considerando 
che 
la 
legge 
n. 
349/1986 
non 
poteva 
conoscere 
né 
prevedere 
la 
successiva 
diffusione 
di 
enti 
caratterizzati 
da 
elementi 
trasversali 
rispetto 
ai 
due 
tradizionali 
modelli 
di 
riferimento 
degli 
enti 
collettivi 
senza 
finalità di lucro: associazione e fondazione. 


In effetti, la 
netta 
distinzione 
tra 
fondazioni 
ed associazioni, così 
come 
derivante 
dall’impostazione 
tradizionale 
degli 
articoli 
14 
e 
ss. 
del 
codice 
civile, 
sta 
subendo una 
progressiva 
erosione 
proprio a 
fronte 
di 
una 
sempre 
più frequente 
tendenza 
a 
creare 
enti 
“ibridi” 
al 
fine 
di 
venire 
incontro alle 
esigenze 
concrete 
che 
di 
volta 
in volta 
si 
presentano (2). In altri 
termini, la 
dinamicità 
del 
modello 
collettivo 
cui 
si 
è 
assistito 
negli 
ultimi 
anni 
è 
espressione 
della 
avvertita 
esigenza 
di 
adeguare 
lo strumento 
al 
perseguimento delle 
nuove 
esigenze 
emergenti a livello sociale. 


non determina un rigido automatismo, potendo il 
giudice, all’esito di 
una verifica della concreta rappresentatività, 
ammettere 
all’esercizio dell’azione 
anche 
associazioni 
non iscritte, secondo il 
criterio 
del 
c.d. “doppio binario” 
che 
distingue 
tra la legittimazione 
ex 
lege 
delle 
associazioni 
di 
protezione 
ambientale 
di 
livello 
nazionale 
riconosciute 
(che 
non 
necessita 
di 
verifica) 
e 
la 
legittimazione 
delle 
altre 
associazioni 
(tra le 
tante, cons. Stato, sez. iV, 2 ottobre 
2006, n. 5760; sez. Vi, 13 settembre 
2010, n. 
6554). Quest’ultima deve 
essere 
accertata in ciascuno dei 
casi 
concreti 
con riguardo alla sussistenza 
di 
tre 
presupposti: gli 
organismi 
devono perseguire 
statutariamente 
in modo non occasionale 
obiettivi 
di 
tutela 
ambientale, 
devono 
possedere 
un 
adeguato 
grado 
di 
rappresentatività 
e 
stabilità 
e 
devono 
avere 
un’area di 
afferenza ricollegabile 
alla zona in cui 
è 
situato il 
bene 
a fruizione 
collettiva che 
si 
assume 
leso (ex plurimis, cons. Stato, iV, 16 febbraio 2010, n. 885)». 
Annota 
la 
medesima 
pronuncia 
che 
«5.2.2 Questi 
interventi 
normativi 
non devono essere 
letti 
nel 
senso 
di 
previsioni 
che 
scindono, in via straordinaria, la legittimazione, dalla lesione 
di 
una situazione 
giuridica, 
ma quale 
emersione 
positiva dell’esigenza di 
protezione 
giuridica di 
interessi 
diffusi, secondo 
lo schema già delineato in via generale 
dalla giurisprudenza, e 
in linea con il 
ruolo che 
l’art. 2 cost. 
assegna alle 
formazioni 
sociali, oltre 
che 
con la più attenta ed evoluta impostazione 
del 
principio di 
sussidiarietà orizzontale di cui all’art. 118 cost. 
[...] 
8 
[...] deve 
quindi 
ritenersi 
che 
un’associazione 
di 
utenti 
o consumatori, iscritta nello speciale 
elenco 
previsto dal 
codice 
del 
consumo oppure 
che 
sia munita dei 
requisiti 
individuati 
dalla giurisprudenza 
per 
riconoscere 
la legittimazione 
delle 
associazioni 
non iscritte, sia abilitata a ricorrere 
dinanzi 
al 
giudice 
amministrativo in sede di giurisdizione di legittimità. 
la 
legittimazione, 
in 
altri 
termini, 
si 
ricava 
o 
dal 
riconoscimento 
del 
legislatore 
quale 
deriva 
dall’iscrizione 
negli 
speciali 
elenchi 
o dal 
possesso dei 
requisiti 
a tal 
fine 
individuati 
dalla giurisprudenza. una 
volta “legittimata” 
l’associazione 
è 
abilitata a esperire 
tutte 
le 
azioni 
eventualmente 
indicate 
nel 
disposto 
del 
legislativo e 
comunque 
l’azione 
generale 
di 
annullamento in sede 
di 
giurisdizione 
amministrativa 
di legittimità 
». 


(2) Appare 
significativa, in tal 
senso, la 
recente 
previsione 
dell’art. 42-bis 
c.c. (come 
introdotto 
dall’art. 98 del 
d.lgs. 3 luglio 2017 n. 117) circa 
la 
possibilità 
di 
operare 
“reciproche 
trasformazioni, fusioni 
o scissioni” per le associazioni riconosciute e non riconosciute e per le fondazioni. 

rASSeGNA 
AVVoCATUrA 
deLLo 
STATo -N. 1/2023 


In tal 
senso, si 
usa 
convenzionalmente 
designare 
con il 
sintagma 
Fondazione 
di 
partecipazione 
una 
struttura 
organizzativa 
meta-individuale 
a 
rilievo 
reale, connotata 
da 
tratti 
morfologici 
ricorrenti, ed in quanto tali 
ritenuti 
identificanti, 
ma 
priva 
di 
un referente 
normativo dedicato e 
puntuale. e 
tuttavia, 
l’art. 12 c.c. (attualmente 
abrogato ma 
sostanzialmente 
riprodotto nell’art. 1 
comma 
1 del 
d.P.r. 361/2000) sancisce 
la 
possibilità 
di 
riconoscere 
la 
personalità 
giuridica 
non solo ad associazioni 
e 
fondazioni, ma 
anche 
ad “altre 
istituzioni 
di 
carattere 
privato”. 
L’aggettivo 
“altre” 
farebbe 
sottintendere 
dunque 
la 
possibilità 
che, accanto alle 
figure 
giuridiche 
tipiche 
(associazione 
e 
fondazione), 
possano essere 
create 
anche 
figure 
giuridiche 
atipiche, tra 
le 
quali 
può 
senz’altro annoverarsi anche la Fondazione di Partecipazione. 


La 
F.d.p. trova 
un’ulteriore 
legittimazione 
codicistica 
nell’art. 1332 c.c. 
La figura è caratterizzata, infatti, dal fatto di essere un patrimonio di destinazione 
a 
struttura 
aperta 
con la 
conseguenza 
che 
il 
suo atto costitutivo si 
configurerà 
come 
un 
contratto 
che 
può 
ricevere 
l’adesione 
di 
altre 
parti 
oltre 
a 
quelle originarie (3). 


Le 
Fondazioni 
di 
partecipazione 
possono essere 
create 
per svolgere 
diverse 
tipologie 
di 
attività: 
dal 
volontariato, 
alla 
valorizzazione 
di 
territori 
e 
beni 
culturali; 
dalla 
gestione 
di 
musei 
e 
biblioteche, allo sviluppo di 
attività 
teatrali 
e 
cinematografiche. 
Sempre 
senza 
fine 
di 
lucro 
e 
sempre 
nell’ottica 
del pubblico interesse. 


Il 
fenomeno si 
è 
affermato e 
diffuso sul 
piano dell’esperienza 
pratica, cui 
ha 
poi 
fatto 
seguito, 
tuttavia, 
un 
significativo, 
seppur 
settoriale, 
riconoscimento 
normativo, 
come 
appunto 
quello 
individuato 
da 
codesto 
Ministero 
nel 
decreto 
legislativo n. 117/2017, cfr. artt. 4, 8, 11, 20, 21 e 
23 (codice 
del 
terzo settore) 
ovvero, con specifico riferimento ad alcune 
fondazioni 
a 
partecipazione 
pubblica/
privata, nel 
decreto legislativo n. 29 giugno 1996, n. 367 (art. 10) in materia 
di 
fondazioni 
liriche, nonché 
negli 
artt. 16 e 
17, comma 
1, lettera 
c), del 
decreto legislativo 4 maggio 2001, n. 207 in tema 
trasformazione 
delle 
IPAB 
in fondazioni, ovvero nell’art. 2, comma 
3, d.P.r. 24 maggio 2001, n. 254 dedicato 
alle 
Fondazioni 
universitarie. 
esperienze 
organizzative 
analoghe 
a 
quella 
della 
Fondazione 
di 
partecipazione 
ritornano 
dunque 
in 
una 
pluralità 
di 
istituti 
sorti 
per effetto di 
leggi 
di 
settore, tutti 
caratterizzati, in vario modo, 
da 
un organo di 
amministrazione 
su base 
associativa 
o assemblearmente 
nominato. 


Secondo l’interpretazione 
dominante, la 
Fondazione 
di 
partecipazione 
è 
una 
istituzione 
di 
diritto 
privato, 
che 
costituisce 
un 
nuovo 
modello 
di 
gestione 
di 
iniziative 
nel 
campo culturale, ambientale 
e, in generale, no-profit, senza 


(3) art. 1332 c.c. “Adesione 
di 
altre 
parti 
al 
contratto”: 
«Se 
ad un contratto possono aderire 
altre 
parti 
e 
non sono determinate 
le 
modalità dell’adesione, questa deve 
essere 
diretta all’organo che 
sia 
stato costituito per l’attuazione del contratto o, in mancanza di esso, a tutti i contraenti originari». 

PArerI 
deL 
CoMITATo 
CoNSULTIVo 


scopo di 
lucro ed al 
quale 
si 
può aderire 
apportando denaro, beni 
materiali 
o 
immateriali, professionalità 
o servizi. Un ente 
non lucrativo che 
nasce 
come 
reazione 
alla 
inadeguatezza 
del 
modello 
codicistico 
di 
fondazione 
tradizionalmente 
connotata 
dal 
distacco dell’ente 
dal 
fondatore, da 
una 
dotazione 
patrimoniale 
iniziale 
autosufficiente 
al 
perseguimento 
dello 
scopo 
e 
dalla 
posizione 
servente 
dell’organo amministrativo. La 
prassi, attraverso questo istituto, ha 
invero superato sia 
il 
dogma 
dell’unico fondatore, sia 
quello del 
distacco del 
fondatore 
dalle 
vicende 
e 
dalle 
sorti 
dell’ente, in favore 
di 
una 
sempre 
maggiore 
possibilità 
di 
interferenza 
rispetto ai 
procedimenti 
attuativi 
finalizzati 
al 
raggiungimento dello scopo per cui 
la 
fondazione 
è 
stata 
costituita. Ciò, in effetti, 
permette 
di 
garantire 
ai 
conferenti 
il 
controllo circa 
la 
reale 
destinazione 
del proprio contributo allo scopo perseguito. 


I caratteri salienti della nuova figura sono quindi: 


a. la 
pluralità 
di 
fondatori 
o comunque 
dei 
partecipanti 
all’iniziativa 
mediante 
un 
apporto 
di 
qualsiasi 
natura 
purché 
utile 
al 
raggiungimento 
degli 
scopi; 
il 
requisito si 
traduce 
nella 
prassi 
nella 
libertà 
di 
iscrizione 
per tutti 
coloro 
che 
intendono 
partecipare 
alla 
vita 
della 
Fondazione, 
apportandovi 
il 
loro 
contributo economico e/o d’opera e condividendone la finalità; 
b. il 
principio di 
tendenziale 
partecipazione 
attiva 
alla 
gestione 
dell’ente 
da 
parte 
di 
tutti 
i 
fondatori 
o 
partecipanti 
all’ente, 
principio 
che 
conforma 
l’organizzazione 
dell’ente 
stesso e 
le 
sue 
regole 
di 
azione 
in senso democratico, 
testimoniato 
dalla 
presenza 
di 
una 
componente 
personale 
effettivamente 
e 
dialetticamente 
capace 
di 
incidere 
sulla 
vita 
dell’ente; 
in 
altri 
termini, 
l’ente 
è 
sovente 
organizzato 
in 
una 
pluralità 
di 
organi 
al 
fine 
di 
consentire 
una 
partecipazione 
quanto più attiva 
possibile 
di 
tutti 
gli 
aderenti 
alla 
fase 
gestionale 
con attribuzione 
ai 
partecipanti 
alla 
Fondazione 
del 
diritto di 
voto nelle 
assemblee deliberative; 
c. 
la 
formazione 
progressiva 
del 
patrimonio, per cui 
la 
dotazione 
patrimoniale 
iniziale 
non è 
definitiva, ma 
strutturalmente 
aperta 
ad incrementi 
per 
effetto della 
adesione 
successiva 
da 
parte 
di 
soggetti, ulteriori 
rispetto ai 
fondatori, 
che condividano i medesimi obiettivi. 
Ne 
consegue 
che 
caratteristica 
fondamentale 
della 
fondazione 
di 
partecipazione, 
tale 
da 
distanziarla 
dal 
modello codicistico della 
Fondazione 
tradizionale 
è 
proprio 
la 
struttura 
dell’ente 
che 
deve 
essere 
tale 
da 
garantire 
la 
possibilità 
di 
partecipazione 
dei 
conferenti 
ai 
processi 
attuativi 
dello scopo al 
cui 
conseguimento 
gli 
apporti 
da 
ciascuno 
effettuati 
sono 
destinati. 
Questa 
struttura 
aperta 
permette, 
da 
un 
lato, 
una 
fattiva 
collaborazione 
all’interno 
dello stesso istituto di 
soggetti 
privati 
e 
pubblici 
e, dall’altro, l’aggregarsi 
di 
privati 
cittadini 
che 
diventano ‘soci’ 
della 
Fondazione 
e 
come 
tali 
sono dalla 
stessa 
considerati. 
Questa 
partecipazione 
potrebbe 
essere 
definita 
come 
una 
sorta 
di 
“azionariato diffuso” 
in ambito culturale, ambientale, sociale, che 
garantisce 
diritti e stabilità. 



rASSeGNA 
AVVoCATUrA 
deLLo 
STATo -N. 1/2023 


diversificate possono essere le forme di partecipazione alla fondazione. 


Secondo una 
interpretazione 
abbastanza 
diffusa 
si 
distinguono: 
i 
“fondatori/
promotori”, 
cioè 
quei 
soggetti 
che 
hanno 
costituito 
la 
fondazione; 
i 
“nuovi 
fondatori”, 
altrimenti 
detti 
“partecipanti 
fondatori”, 
cioè 
quei 
soggetti 
che 
vengono ammessi 
a 
fare 
parte 
della 
fondazione 
in un momento successivo e 
ciò in base 
ad una 
esplicita 
previsione 
dell’Atto costitutivo e/o dello Statuto; 
gli 
aderenti 
(o “partecipanti”) che, condividendo le 
finalità 
e 
gli 
scopi 
della 
F.d.p., contribuiscono operativamente 
alla 
vita 
della 
medesima 
mediante 
contributi 
in 
danaro 
corrisposti 
una 
tantum 
o 
periodicamente; 
i 
sostenitori, 
che 
scelgono di 
sostenere 
la 
F.d.p. attraverso contribuzioni 
di 
tipo non finanziario 
come, per esempio, la 
prestazione 
di 
una 
attività, anche 
professionale, un apporto 
di lavoro volontario. 


Al 
di 
là 
delle 
diverse 
denominazioni 
e 
classificazioni 
rimane 
comunque 
il 
fatto 
che, 
proprio 
la 
presenza 
di 
numerose 
categorie 
di 
‘soci’, 
garantisce 
l’aspetto associativo della F.d.p. 


Nella 
F.d.p. 
possono 
confluire 
persone 
fisiche 
o 
giuridiche, 
sia 
pubbliche 
che 
private, 
in 
qualità 
di 
fondatori 
o 
aderenti. 
essa 
rappresenta 
dunque 
uno 
degli 
strumenti 
più 
adatti 
per 
consentire 
ad 
un 
ente 
pubblico 
di 
perseguire 
uno 
scopo 
di 
pubblica 
utilità, 
usufruendo 
anche 
dell’apporto 
dei 
privati. 
Non 
a 
caso 
il 
settore 
in cui 
tale 
figura 
giuridica 
ha 
trovato maggiore 
applicazione 
è 
quello 
dei 
beni 
culturali 
e 
museali 
laddove 
molto 
spesso 
la 
Pubblica 
Amministrazione 
ha il potere ma non i mezzi sufficienti per intervenire. 


Generalmente, 
il 
patrimonio 
dell’ente 
è 
costituito 
da 
due 
elementi 
distinti. 


Il 
Fondo 
Patrimoniale, 
che 
è 
intangibile 
e 
comprende 
lo 
stesso 
Fondo 
di 
dotazione 
(conferimento 
in 
denaro, 
beni 
immobili 
e/o 
mobili 
o 
altri 
conferimenti 
utilizzabili 
per 
il 
conseguimento 
dello 
scopo/i 
della 
fondazione 
effettuati 
dai 
Fondatori 
-Promotori 
o 
Nuovi 
-e 
dagli 
Aderenti); 
i 
beni 
immobili 
e/o 
mobili 
(che 
fossero 
pervenuti 
o 
dovessero 
pervenire 
a 
qualsiasi 
titolo 
alla 
fondazione, 
compresi 
quelli 
dalla 
stessa 
acquisiti 
se 
ed 
in 
quanto 
previsto 
dal 
proprio 
statuto); 
i 
contributi 
ricevuti 
dalle 
istituzioni 
nazionali, 
transnazionali, 
da 
enti 
pubblici 
o 
privati 
(se 
elargiti 
con 
espressa 
destinazione 
all’incremento 
del 
patrimonio 
della 
fondazione); 
la 
parte 
di 
rendite 
non 
utilizzata, 
destinata 
all’incremento 
del 
Fondo 
patrimoniale 
con 
delibera 
del 
Consiglio 
Generale. 


Il 
Fondo 
di 
Gestione 
che, 
invece, 
può 
essere 
utilizzato 
e 
che 
viene, 
quindi, 
usato 
per 
la 
gestione 
della 
fondazione 
e 
per 
la 
sua 
attività 
corrente. 
di 
esso 
fanno parte: 
le 
rendite 
ed i 
proventi 
derivanti 
dalle 
attività 
della 
fondazione 
e 
dal 
suo patrimonio; 
dai 
contributi 
volontari 
dei 
fondatori 
(promotori 
e 
nuovi), 
degli 
aderenti 
e 
dei 
sostenitori; 
le 
donazioni 
o disposizioni 
testamentarie 
non 
espressamente 
destinate 
al 
Fondo 
di 
dotazione; 
i 
contributi 
pubblici; 
i 
proventi 
derivanti 
da 
tutte 
le 
attività 
della 
fondazione, 
tanto 
istituzionali, 
quanto 
accessorie 
e strumentali. 



PArerI 
deL 
CoMITATo 
CoNSULTIVo 


L’interesse 
per questo nuovo schema 
organizzativo e 
la 
ragione 
della 
sua 
recente 
diffusione 
traggono allora 
origine 
proprio dalla 
adozione 
di 
modelli 
più attuali, strumentali 
a 
consentire 
ai 
fondatori 
e 
in generale 
ai 
“conferenti” 
di 
partecipare 
alla 
fase 
attuativa 
del 
programma 
fondazionale, da 
cui 
anche 
la 
genesi del nome. 


Pure 
nella 
variabilità 
degli 
schemi 
organizzativi 
in 
concreto 
adottati 
-proprio 
per 
la 
sua 
atipicità 
la 
F.d.p. 
presenta 
una 
elasticità 
ed 
una 
duttilità 
che 
consentono 
di 
adeguarne 
la 
struttura 
allo 
scopo 
e 
alla 
composizione 
individuati 
nella 
singola 
fattispecie 
-il 
dato comune 
sembra 
pertanto rappresentato, nelle 
esperienze 
più 
frequenti, 
dalla 
attribuzione 
statutaria 
delle 
funzioni 
di 
governo 
dell’ente 
ad 
un 
organismo 
che 
opera 
con 
metodo 
assembleare, 
mentre 
agli 
amministratori 
sono assegnate solo mansioni esecutive. 


Pur 
non 
essendoci 
coincidenza 
tra 
le 
varie 
denominazioni 
usate 
nella 
prassi 
per indicare 
gli 
organi 
delle 
Fondazioni 
di 
partecipazione, si 
possono 
comunque 
individuare, ai 
fini 
che 
qui 
interessano, le 
figure 
maggiormente 
ricorrenti, 
di seguito riportate. 


Il 
consiglio Generale, o consiglio di 
indirizzo, che 
ha 
il 
compito di 
assumere 
le 
decisioni 
essenziali 
per la 
vita 
della 
Fondazione. esso è 
composto 
da 
un numero variabile 
di 
membri, seppure 
ad esso debbano necessariamente 
partecipare tanto i fondatori (promotori e nuovi), quanto gli aderenti. 


Il 
consiglio di 
amministrazione, o consiglio di 
Gestione, che, in genere, 
ha 
il 
compito di 
gestire 
ed amministrare 
la 
fondazione 
nell’ambito di 
quanto 
determinato 
ed 
indicato 
dal 
Consiglio 
Generale. 
È 
composto, 
anch’esso, 
da 
un numero variabile 
di 
membri, comunque 
tutti 
nominati 
dal 
Consiglio Generale, 
ed è presieduto dal Presidente della Fondazione. 


L’assemblea 
di 
Partecipazione,o 
collegio 
dei 
Partecipanti, 
è 
un 
organo, 
a 
cui 
partecipano gli 
aderenti 
e 
i 
sostenitori, privo di 
poteri 
di 
gestione 
e 
con 
finalità esclusivamente consultiva e di impulso. 


Il 
Presidente 
che 
presiede 
il 
Consiglio Generale, il 
Consiglio di 
Amministrazione 
e assume la rappresentanza legale dell’ente. 


In questo nuovo schema 
negoziale 
v’è, pertanto: 
il 
perseguimento di 
uno 
scopo generalmente 
di 
utilità 
sociale 
e 
comunque 
non lucrativo; 
il 
vincolo di 
destinazione 
del 
patrimonio al 
perseguimento dello scopo; 
una 
articolazione 
dell’organizzazione 
atta 
a 
garantire 
la 
partecipazione 
dei 
conferenti 
in 
funzione 
attuativa 
e 
di 
controllo 
nel 
rispetto 
del 
vincolo 
di 
destinazione 
del 
patrimonio; 
la 
necessaria 
apertura 
della 
struttura 
organizzativa 
al 
reclutamento di 
coloro 
che 
effettuano, 
anche 
in 
tempi 
successivi, 
apporti 
patrimoniali 
funzionali 
al 
perseguimento dello scopo; 
la 
tendenziale 
adozione 
di 
un sistema 
decisionale 
a maggioranza all’interno dell’organo di indirizzo. 


Tanto 
premesso, 
pur 
dovendosi 
riconoscere 
che 
il 
nuovo 
modello 
organizzativo 
oggetto 
di 
illustrazione 
presenta 
caratteristiche 
che 
tendono 
ad 



rASSeGNA 
AVVoCATUrA 
deLLo 
STATo -N. 1/2023 


allontanarlo 
dallo 
schema 
della 
fondazione 
tradizionale 
avvicinandolo 
a 
quello 
dell’associazione, 
deve 
tuttavia 
confermarsi 
nella 
sua 
impostazione 
generale 
quanto 
affermato 
nel 
precedente 
parere 
prot. 
316095/2011 
circa 
l’impossibilità 
di 
immaginare 
enti 
diversi 
dalle 
associazioni 
da 
includere 
nel 
novero 
di 
quelli 
individuati 
dal 
Ministero 
ai 
sensi 
degli 
artt. 
13 
e 
18 
della 
legge 
n. 
349/1986. 


Va 
infatti 
considerato, 
ancorché 
lo 
stesso 
parere 
avverta, 
nel 
propendere 
per 
la 
soluzione 
più 
rigorosa, 
che 
«ciò 
non 
significa 
tuttavia 
che 
la 
norma 
debba 
essere 
applicata 
in 
termini 
formalistici, 
attribuendo 
rilevanza 
decisiva 
ed 
assorbente 
al 
“nomen 
juris” 
del 
soggetto 
che 
richieda 
il 
riconoscimento
» 
(pag. 
8), 
che 
l’interprete, 
nel 
valutare 
la 
platea 
dei 
soggetti 
collettivi 
richiedenti 
il 
riconoscimento, 
può 
prescindere 
dal 
riferimento 
terminologico 
alla 
“associazione” 
contenuto 
nella 
norma, 
ma 
non 
già 
dall’esaminare 
l’aspetto 
sostanziale 
dell’istituto, 
cioè 
l’esistenza, 
all’interno 
dell’ente 
interessato 
ad 
essere 
individuato 
ai 
sensi 
dell’art. 
13, 
di 
una 
struttura 
a 
base 
partecipativa 
personale 
preponderante. 
e 
l’aspetto 
della 
preponderanza 
è 
proprio 
ciò 
che 
sembra 
difettare 
nelle 
fondazioni 
di 
partecipazione, 
ove 
al 
più 
si 
assiste 
ad 
un’equi-ordinazione 
della 
componente 
personale 
rispetto 
a 
quella 
patrimoniale; 
ciò 
che 
rende 
la 
proposta 
opzione 
ermeneutica 
concretamente 
non 
percorribile. 


dunque, il 
dato letterale 
dell’art. 13 della 
l. n. 349/1986 va 
considerato 
ancora 
oggi 
insuperabile 
nel 
limitare 
l’individuazione 
ministeriale 
colà 
prevista 
alle 
sole 
associazioni 
di 
protezione 
ambientale, 
con 
esclusione 
quindi 
della 
riconoscibilità, in via 
interpretativa, di 
soggetti 
collettivi 
che, come 
le 
fondazioni 
di 
partecipazione, 
pur 
presentando, 
in 
misura 
maggiore 
o 
minore, 
profili 
associativi, non sono associazioni in senso stretto e proprio. 


In 
definitiva, 
se 
le 
fondazioni 
di 
partecipazione 
non 
possono, 
de 
iure 
condito 
e 
sulla 
base 
dell’interpretazione 
letterale 
della 
norma 
-la 
quale, 
com’è 
noto, costituisce 
il 
primo e 
principale 
canone 
ermeneutico ex 
art. 12, comma 
1, disp. prel. cod. civ. -, rientrare 
tra 
le 
associazioni 
di 
protezione 
ambientale 
di 
cui 
all’art. 13 1. 8 luglio 1986, n. 349, tuttavia, gli 
elementi 
di 
carattere 
lato 
sensu associativo che 
innegabilmente 
ne 
caratterizzano la 
struttura, potranno 
essere 
eventualmente 
valorizzati, 
de 
jure 
condendo, 
al 
fine 
dell’inclusione, 
per 
via 
normativa, (anche) di 
tali 
soggetti 
nel 
novero di 
quelli 
di 
cui 
alla 
disposizione 
citata. 


In altri 
termini, se, avuto riguardo all’inequivoco dato positivo, non è 
attualmente 
possibile 
prescindere, sul 
piano interpretativo, dalla 
necessità 
che 
gli 
enti 
richiedenti 
il 
riconoscimento ministeriale 
siano costituiti 
in forma 
di 
associazione 
secondo il 
modello legale 
tipico del 
codice 
civile, gli 
elementi 
sopra 
evidenziati 
potrebbero indurre, sul 
piano legislativo, ad estendere 
la 
riconoscibilità 
anche 
ad 
enti 
collettivi 
che, 
come 
le 
fondazioni 
di 
partecipazione, 
sono caratterizzati 
dalla 
presenza, accanto a 
quella 
patrimoniale, di 
una 
signi



PArerI 
deL 
CoMITATo 
CoNSULTIVo 


ficativa 
componente 
personale, 
meritevoli 
anch’essi, 
nell’ottica 
della 
migliore 
tutela 
degli 
interessi 
ambientali, di 
inclusione 
-alle 
condizioni 
ivi 
previste 
nell’elenco 
di cui all’art. 13 della l. n. 349/1986. 


Il 
parere 
è 
stato 
sottoposto 
all’esame 
del 
Comitato 
Consultivo 
che 
si 
è 
espresso in conformità nella seduta del 22 marzo 2023. 



rASSeGNA 
AVVoCATUrA 
deLLo 
STATo -N. 1/2023 


Cessione pro soluto e in blocco di crediti derivanti da 
operazioni di finanziamento rimborsati mediante cessione 
del quinto dello stipendio; cessione effettuata nel contesto 
di una operazione di c.d. cartolarizzazione ai sensi 
degli artt. 1 e 4 l. 30 aprile 1999 n. 130, dell’art. 58 d.lgs. 
n. 385 del 1° settembre 1993 (il “testo unico Bancario”) 

Parere 
del 
08/06/2023-385621, al 4197/2020, 
ProcuraTore 
dello 
STaTo 
Valeria 
romano 


1. il quesito. 
Si 
riscontra 
la 
nota 
emarginata 
con la 
quale 
codesto Comando ha 
chiesto 
alla 
Scrivente 
di 
esprimersi 
in ordine 
all’opponibilità 
all’Amministrazione 
in 
indirizzo 
di 
una 
cessione 
di 
crediti 
derivanti 
da 
contratti 
di 
finanziamento 
rimborsati 
mediante 
cessione 
del 
quinto dello stipendio effettuata 
all’interno di 
un’operazione 
di 
cartolarizzazione 
posta 
in essere 
ai 
sensi 
degli 
articoli 
1 e 
4 
della 
legge 
del 
30 aprile 
1999, n. 130 e 
dell’articolo 58 del 
decreto legislativo 


n. 385 del 1° settembre 1993 (il “Testo Unico Bancario”). 
Più 
in 
particolare 
l’Amministrazione 
in 
indirizzo 
ha 
rappresentato 
-in 
fatto - le seguenti circostanze. 
La 
r. 
S.r.l. 
(nella 
qualità 
di 
cessionaria) 
ha 
concluso, 
nell’ambito 
di 
un’operazione 
di 
cartolarizzazione 
ai 
sensi 
della 
citata 
legge 
30 aprile 
1999, 


n. 130, due 
contratti 
di 
cessione 
-di 
tenore 
sostanzialmente 
analogo -rispettivamente 
con le 
società 
P. e 
d.F. S.p.A. in forza 
dei 
quali 
ha 
acquistato -pro 
saluto 
ed in blocco nei 
termini 
e 
alle 
condizioni 
ivi 
specificati 
-i 
crediti 
pecuniari 
(per capitale 
e 
interessi 
anche 
di 
mora, maturati 
e 
maturandi) rivenienti 
da 
finanziamenti 
concessi 
dalle 
predette 
Società 
a 
dipendenti 
dell’Amministrazione 
in 
indirizzo 
e 
destinati 
ad 
essere 
rimborsati 
mediante 
cessione 
del 
quinto 
degli 
emolumenti 
stipendiali 
mensili 
ai 
sensi 
del 
d.P.r 
5 
gennaio 
1950, 
n. 180 recante 
“approvazione 
del 
testo unico delle 
leggi 
concernenti 
il 
sequestro, 
il 
pignoramento e 
la cessione 
degli 
stipendi, salari 
e 
pensioni 
dei 
dipendenti 
dalle Pubbliche 
amministrazioni”. 
In relazione 
al 
predetto contesto fattuale, l’Amministrazione 
in indirizzo 
ha 
dunque 
chiesto alla 
Scrivente 
di 
chiarire 
se 
sia 
o meno fondata 
la 
richiesta, 
alla 
stessa 
pervenuta 
dalla 
r. 
S.r.l., 
di 
“recepire 
l’avvenuta 
cessione 
per 
i 
contratti 
segnalati, 
e 
conseguentemente 
variare 
il 
beneficiario 
dei 
versamenti 
mensili 
da eseguirsi 
in esecuzione 
dei 
medesimi 
contratti 
in favore 
di 
r. Srl” 
e non più in favore delle Società cedenti. 


Sulla 
questione 
la 
Scrivente 
ha 
ritenuto 
opportuno 
tentare 
una 
previa 
interlocuzione 
con 
il 
Ministero 
dell’economia 
e 
delle 
Finanze 
e 
con 
il 
Ministero 
per 
la 
Pubblica 
Amministrazione 
che 
-tuttavia 
-non 
hanno 
fatto 
pervenire 
alcun 
riscontro, 
sicché 
non 
resta 
che 
affrontare 
il 
quesito 
che 
si 
sostanzia 
-in 
estrema 



PArerI 
deL 
CoMITATo 
CoNSULTIVo 


sintesi 
-nella 
richiesta 
di 
individuare, 
a 
valle 
dell’operazione 
negoziale 
descritta, 
quale 
sia 
il 
soggetto 
legittimato 
a 
ricevere, 
con 
effetto 
liberatorio 
per 
l’Amministrazione 
solvens, 
le 
somme 
trattenute 
alla 
fonte 
dalla 
P.A. 
datrice 
di 
lavoro 
sui 
ratei 
mensili 
di 
stipendio 
percepiti 
dai 
dipendenti 
cedenti. 


2. le tesi prospettate. 
In 
proposito, 
l’Amministrazione 
in 
indirizzo 
mostra 
di 
ritenere 
non 
suscettibile 
di 
positivo 
apprezzamento 
la 
richiesta 
formulata 
dalla 
società 
r. 
s.r.l., 
all’uopo 
richiamando 
il 
parere 
reso 
dalla 
scrivente 
Avvocatura 
Generale 
in 
data 
15 
settembre 
2011 
(AL 
32631/2011), 
a 
mente 
del 
quale 
le 
cessioni 
di 
crediti 
derivanti 
da 
operazioni 
di 
finanziamento 
rimborsate 
mediante 
cessioni 
del 
quinto 
o 
delegazioni 
di 
pagamento, 
pur 
non 
essendo 
precluse 
dall’art. 
42 
del 


d.P.r. 
5 
gennaio 
1950, 
n. 
180, 
possono 
considerarsi 
opponibili 
all’Amministrazione 
a 
condizione 
che 
sussistano 
i 
seguenti 
requisiti 
oggettivi 
e 
soggettivi: 
-le 
cessioni 
devono risultare 
da 
atto pubblico o scrittura 
privata 
autenticata 
da notaio, ai sensi dell’art. 69 del r.d. 18 novembre 1923, n. 2440; 
-il 
cessionario deve 
essere 
in possesso dei 
requisiti 
di 
cui 
all’art. 15 del 
d.P.r. n. 180/1950, che 
prevede 
che 
siano ammessi 
“a concedere 
prestiti 
agli 
impiegati 
e 
salariati 
dello Stato [...] verso cessione 
di 
quote 
di 
stipendio o salario, 
soltanto gli 
istituti 
di 
credito e 
di 
previdenza costituiti 
tra impiegati 
e 
salariati 
delle 
pubbliche 
amministrazioni, l’istituto nazionale 
delle 
assicurazioni, 
le 
società di 
assicurazioni 
legalmente 
esercenti, gli 
istituti 
e 
le 
società 
esercenti 
il 
credito, escluse 
quelle 
costituite 
in nome 
collettivo e 
in accomandita 
semplice, le casse di riparmio e i monti di credito su pegno”; 
-nel 
caso in cui 
il 
cedente 
dei 
crediti 
sia 
una 
società 
sottoposta 
a 
procedure 
concorsuali 
è, inoltre, necessario che 
il 
liquidatore/curatore 
fallimentare 
rilasci 
l’attestazione 
della 
legittimità 
degli 
atti 
di 
cessione 
in 
ottemperanza 
alle 
vigenti norme in materia fallimentare. 
Alla 
luce 
del 
parere 
innanzi 
richiamato, l’Amministrazione 
in indirizzo rilevato, 
da 
un lato, che 
“la r. s.r.l., non rientra in alcuna delle 
fattispecie 
disciplinate 
dal 
sopra citato art. 15 del 
d.P.r. 180/1950” 
e, dall’altro, che 
“la 


r. s.r.l. ha omesso di 
produrre 
la necessaria attestazione 
del 
liquidatore/curatore 
fallimentare, 
con 
riferimento 
alla 
legittimità 
degli 
atti 
di 
cessione 
in 
ottemperanza 
alle 
vigenti 
norme 
in 
materia 
fallimentare” 
ha 
ritenuto 
di 
dover 
continuare 
a 
versare 
le 
quote 
trattenute 
sui 
ratei 
mensili 
degli 
stipendi 
percepiti 
dai 
dipendenti 
direttamente 
alle 
Società 
di 
finanziamento che 
hanno partecipato 
alla descritta operazione di cartolarizzazione. 
Sul 
fronte 
opposto, la 
società 
r. s.r.l 
ha 
evidenziato -nel 
carteggio intrattenuto 
con l’Amministrazione 
in indirizzo -di 
ritenersi 
soggetto legittimato 
ad incamerare 
le 
quote 
degli 
emolumenti 
spettanti 
ai 
dipendenti. La 
posizione 
della 
Società 
risulta 
argomentata 
sulla 
scorta 
dei 
motivi 
che 
-di 
seguito -si 
sintetizzano: 



rASSeGNA 
AVVoCATUrA 
deLLo 
STATo -N. 1/2023 


-le 
cessioni 
in blocco dei 
crediti 
intervenute 
tra 
le 
società 
P. e 
d.F. S.p.A 
e 
la 
società 
r. s.r.l. devono essere 
contestualizzate 
nell’ambito di 
operazioni 
di 
cartolarizzazione 
poste 
in 
essere 
secondo 
le 
norme 
della 
legge 
30 
aprile 
1999, n. 130 recante 
“disposizioni 
sulla cartolarizzazione 
dei 
crediti” 
sicché, 
in forza 
della 
disciplina 
ivi 
recata, ai 
fini 
dell’opponibilità 
della 
cessione 
dei 
crediti 
derivanti 
dai 
contratti 
di 
finanziamento 
contro 
cessione 
del 
quinto, 
è 
richiesta 
la 
sola 
pubblicazione 
dell’avvenuta 
operazione 
nel 
registro 
delle 
imprese 
e 
nella 
Gazzetta 
Ufficiale 
della 
repubblica 
Italiana, 
adempimenti 
che 
risultano realizzati 
nel 
caso di 
specie 
(avviso pubblicato sulla 
G.U. del 
11 dicembre 
2018 foglio delle inserzioni n. 143). 
-l’art. 
15 
del 
d.P.r. 
n. 
180/1950, 
sulla 
scorta 
del 
quale 
l’Amministrazione 
ha 
ritenuto 
di 
non 
poter 
effettuare 
il 
versamento 
delle 
quote 
trattenute 
sui 
ratei 
mensili 
in favore 
della 
r. srl, non si 
applica 
nel 
caso in esame 
relativo a 
cessioni 
dei 
crediti 
vantati 
dalle 
Società 
finanziatrici 
nei 
confronti 
di 
dipendenti 
in contesti 
di 
operazioni 
di 
c.d. cartolarizzazione 
ai 
sensi 
degli 
articoli 
1 e 
4 
della legge 30 aprile 1999, n. 130. 


-Si 
precisa 
ulteriormente 
che 
le 
Società 
cedenti 
non risultano sottoposte 
ad 
alcuna 
procedura 
concorsuale 
evidenziandosi 
altresì 
che 
le 
cessioni 
dei 
crediti 
intervenute 
inter 
partes 
rientrano tra 
le 
operazioni 
inerenti 
un accordo di 
ristrutturazione 
dei 
debiti 
ex 
art. 
182-bis 
L.F. 
effettuate 
previo 
ottenimento 
delle autorizzazioni previste dal medesimo accordo e dalla legge. 
3. la struttura dell’operazione. 
Constatata 
la 
diversa 
interpretazione 
giuridica 
della 
medesima 
operazione 
negoziale 
da 
parte 
dell’Amministrazione 
e 
della 
Società 
cessionaria, la 
Scrivente 
ritiene 
-in 
primis 
-necessario 
meglio 
analizzare 
l’operazione 
di 
cui 
trattasi 
onde 
sussumerne 
con 
maggiore 
precisione 
i 
singoli 
segmenti 
nelle 
pertinenti 
categorie 
giuridiche. In tale 
ottica, pare 
opportuno preliminarmente 
mettere 
in evidenza 
la 
distinzione 
e 
non sovrapponibilità 
tra 
l’operazione 
di 
cessione 
del 
quinto dello stipendio, quale 
strumento di 
rimborso dei 
finanziamenti 
concessi 
ai 
dipendenti 
dalle 
Società 
finanziatrici, 
e 
le 
successive 
cessioni 
dei 
crediti 
vantati 
dalle 
Società 
erogatrici 
di 
detti 
finanziamenti 
in 
favore 
della 


r. s.r.l. operate ai sensi della legge 30 aprile 1999, n. 130. 
Seguendo 
tale 
impostazione 
di 
metodo 
e 
procedendo 
ad 
una 
analisi 
partita 
dei 
singoli 
segmenti 
dell’operazione 
negoziale 
in esame, va 
evidenziato che, 
sotto il 
profilo logico e 
cronologico, le 
prime 
fattispecie 
contrattuali 
che 
vengono 
in rilievo nel 
caso in esame 
sono i 
contratti 
di 
finanziamento conclusi 
dai 
dipendenti 
con 
le 
società 
P. 
e 
d.F. 
S.p.A 
da 
rimborsare 
mediante 
la 
cessione 
del quinto dello stipendio. 


3.1. i contratti di finanziamento contro cessione del quinto. 
Come 
noto, i 
contratti 
di 
finanziamento contro cessione 
del 
quinto dello 



PArerI 
deL 
CoMITATo 
CoNSULTIVo 


stipendio o della 
pensione 
(conosciuti 
anche 
come 
“CQS/CQP” 
Sa1ary-backed 
loans 
or 
pension-backed loans), erogabili 
da 
banche 
e 
intermediari 
finanziari 
ex 
art. 
106 
del 
decreto 
legislativo 
l° 
settembre 
1993, 
n. 
385 
(T.U.B.), 
sono 
stati 
introdotti 
nel 
nostro ordinamento con il 
già 
richiamato d.P.r. 5 gennaio 
1950, n. 180, al fine di agevolare l’accesso al credito dei dipendenti statali. 


detti 
contratti 
si 
iscrivono 
-come 
altresì 
noto 
-nell’ampio 
genus 
dei 
contratti 
di 
credito al 
consumo cc.dd. non finalizzati, essendo caratterizzati 
dalla 
circostanza 
che 
il 
finanziamento 
viene 
erogato 
in 
favore 
di 
un 
soggetto 
per 
scopi 
estranei 
all’attività 
imprenditoriale 
o professionale 
da 
questi 
esercitata. 
Il 
contratto di 
cessione 
del 
quinto dello stipendio, quale 
contratto costituente 
una 
specificazione 
della 
disciplina 
sulla 
cessione 
del 
credito dettata 
dagli 
artt. 
1260 e 
ss. cod. civ., comporta 
la 
cessione 
parziale 
(riguardando solo una 
frazione 
del 
credito 
complessivo 
che 
il 
lavoratore 
vanta 
nei 
confronti 
del 
solvens) 
di 
un credito di 
natura lavoristica 
(retributiva 
o pensionistica) e 
futuro, che 
sorge 
solo 
nel 
momento 
in 
cui 
matura 
il 
diritto 
a 
percepire 
il 
relativo 
rateo 
mensile. 


Sotto il 
profilo economico, l’elemento caratterizzante 
di 
tali 
contratti 
di 
finanziamento 
è 
-nell’ottica 
del 
soggetto 
erogatore 
del 
finanziamento 
-il 
contenuto 
livello 
di 
rischiosità 
creditizia 
dell’operazione 
in 
ragione 
delle 
peculiari 
modalità 
del 
rimborso, 
che 
si 
realizza 
per 
mezzo 
di 
trattenute 
alla 
fonte 
sui 
ratei 
mensili 
di 
stipendio 
o 
pensione 
spettanti 
al 
debitore 
ed 
erogati 
da 
soggetti 
terzi, 
in 
misura 
predeterminata 
e 
continuativa, 
sebbene 
non 
eccedente 
il 
quinto 
degli 
emolumenti 
mensili; 
nonché 
l’obbligatorietà 
della 
presenza 
di 
polizze 
assicurative per il rischio di premorienza e di perdita di impiego. 


Sotto 
il 
profilo 
giuridico, 
per 
effetto 
del 
congegno 
della 
cessione 
del 
quinto, il 
lavoratore 
cedente 
modifica 
dal 
punto di 
vista 
soggettivo il 
rapporto 
obbligatorio con il 
datore 
di 
lavoro ceduto sostituendo a 
sé 
un soggetto terzo, 
il 
finanziatore 
cessionario. Il 
datore 
di 
lavoro è 
conseguentemente 
obbligato, 
una 
volta 
perfezionatosi 
il 
contratto di 
finanziamento con cessione 
del 
quinto 
dello 
stipendio, 
a 
trattenere 
la 
rata 
indicata 
nel 
contratto 
stesso 
dalla 
busta 
paga 
del dipendente e a versarla al soggetto erogante il finanziamento. 


Sul 
piano operativo, infine, l’operazione 
di 
rimborso del 
contratto di 
finanziamento 
mediante 
la 
cessione 
del 
quinto 
dello 
stipendio 
è 
regolata 
dall’art. 
1, comma 
3, del 
d.P.r. 5 gennaio 1950, n. 180, a 
mente 
del 
quale 
“le 
cessioni 
degli 
stipendi, 
salari, 
pensioni 
ed 
altri 
emolumenti 
di 
cui 
al 
presente 
testo 
unico hanno effetto dal 
momento della loro notifica nei 
confronti 
dei 
debitori 
ceduti”, con la 
precisazione 
che 
detta 
notifica 
costituisce 
l’Amministrazione 


-dalla 
quale 
il 
cedente 
dipende 
-debitrice 
ceduta 
per le 
quote 
di 
stipendio o 
di 
salario 
destinate 
al 
rimborso 
del 
finanziamento, 
trovando 
quindi 
applicazione 
l’art. 69 del 
r.d. 18 novembre 
1923, n. 2440, a 
mente 
del 
quale 
“le 
cessioni, 
le 
delegazioni, le 
costituzioni 
di 
pegno, i 
pignoramenti, i 
sequestri 
e 
le 
opposizioni 
relative 
a somme 
dovute 
dallo Stato 
nei 
casi 
in cui 
sono ammesse 

rASSeGNA 
AVVoCATUrA 
deLLo 
STATo -N. 1/2023 


dalle 
leggi, 
debbono 
essere 
notificate 
all’amministrazione 
centrale 
ovvero 
all’ente, ufficio o funzionario cui spetta ordinare il pagamento”. 


Nella 
prassi 
contrattuale 
accade 
-come 
si 
è 
verificato nel 
caso di 
specie 
-che 
i 
crediti 
vantati 
dalle 
società 
erogatrici 
dei 
finanziamenti 
contro 
cessione 
del 
quinto “CQS/CQP” 
siano periodicamente 
e 
sistematicamente 
ceduti 
pro 
soluto 
a 
terzi 
(c.d. originate-to-distribute, oTd) attraverso operazioni 
c.d. di 
cartolarizzazione 
ai 
sensi 
degli 
articoli 
1 
e 
4 
della 
legge 
30 
aprile 
1999, 
n. 
130. 
detto 
ultimo 
profilo, 
estraneo 
all’oggetto 
del 
parere 
della 
scrivente 
Avvocatura 
Generale 
in data 
15 settembre 
2011 (AL 
32631/2011), non risulta 
-invero essere 
stato 
analizzato 
dall’Amministrazione 
in 
indirizzo 
nelle 
riflessioni 
dalla 
stessa 
spese 
al 
fine 
di 
individuare 
il 
soggetto 
nei 
cui 
confronti 
versare 
le 
somme 
trattenute 
alla 
fonte 
sui 
ratei 
mensili 
di 
stipendio o pensione 
percepiti 
dai 
lavoratori. ed invero, l’Amministrazione 
ha 
ritenuto di 
poter riscontrare 
negativamente 
la 
richiesta 
pervenuta 
dalla 
società 
r. s.r.l 
sulla 
scorta 
della 
disciplina 
di 
cui 
al 
d.P.r. n. 180/1950, che 
-tuttavia 
-trova 
applicazione 
esclusivamente 
con 
riguardo 
al 
segmento 
dell’operazione 
rappresentato 
dai 
contratti 
di 
finanziamenti 
contro cessione 
del 
quinto conclusi 
dai 
dipendenti 
con le 
Società 
erogatrici 
del 
finanziamento e 
non alle 
diverse 
e 
successive 
cessioni 
dei 
crediti 
vantati 
dalle 
Società 
finanziatrici 
operate 
in contesti 
di 
operazioni 
di 


c.d. cartolarizzazione 
ai 
sensi 
degli 
articoli 
1 e 
4 della 
legge 
30 aprile 
1999, n. 
130, cui 
non si 
applica 
-come 
meglio si 
dirà 
infra 
-neppure 
l’art. 69 del 
r.d. 
18 
novembre 
1923, 
n. 
2440 
pure 
richiamato 
dall’Amministrazione 
in 
indirizzo 
per opporsi alla richiesta della società r. s.r.l. 
Sulla 
disciplina 
delle 
operazioni 
di 
cartolarizzazione 
dei 
crediti 
occorre 
soffermarsi 
perché 
detto 
aspetto 
differenzia 
-come 
detto 
-il 
caso 
qui 
in 
esame 
da 
quello già 
esaminato dalla 
Scrivente 
con il 
parere 
reso in data 
15 settembre 
2011. 


3.2. 
la 
cessione 
dei 
crediti 
derivanti 
da 
contratti 
di 
finanziamenti 
contro 
cessione 
del 
quinto 
effettuata 
nel 
contesto 
di 
una 
operazione 
di 
c.d. 
cartolarizzazione. 
Nell’ottica 
innanzi 
esposta 
occorre 
qui 
rammentare 
che 
la 
l. 
n. 
130 
del 
1999 ha 
dato vita 
ad una 
disciplina 
generale 
ed organica 
in materia 
di 
operazioni 
di cartolarizzazione dei crediti. 


Tale 
“tecnica 
finanziaria” 
è 
suscettibile 
di 
articolarsi 
nella 
pluralità 
di 
passaggi 
di seguito riportati. 


Un 
soggetto 
(c.d. 
originator) 
(1) 
cede, 
a 
titolo 
oneroso, 
uno 
o 
più 
crediti 
pecuniari 
-esistenti 
ovvero 
futuri 
(v. 
art. 
1 
L. 
n. 
130 
del 
1999) 
(2) 
-a 
una 
società 


(1) Nel caso in esame le società P. e d.F. S.p.A 
(2) Nel 
nostro caso il 
quantum 
erogato a 
titolo di 
finanziamenti, ai 
dipendenti 
che 
si 
sono impegnati 
a rimborsare il credito attraverso la cessione del quinto. 

PArerI 
deL 
CoMITATo 
CoNSULTIVo 


all’uopo 
costituita 
(c.d. 
special 
purpose 
vehicle 
SPV) 
(3). 
Quest’ultimo 
soggetto, 
al 
fine 
di 
rinvenire 
la 
provvista 
necessaria 
all’acquisto 
dei 
crediti 
(cfr. 
art. 
5, 
comma 
1°, 
l. 
n. 
130 
del 
1999), 
emette 
titoli 
(c.d. 
securities) 
qualificati 
dalla 
legge 
come 
strumenti 
finanziari 
(cfr. 
art. 
2, 
comma 
1°, 
l. 
n. 
130 
del 
1999) 
da 
collocare 
presso 
investitori. 
Per 
espressa 
disposizione 
di 
legge 
(art. 
3, 
comma 
2), 
i 
crediti 
che 
formano 
oggetto 
di 
ciascuna 
operazione 
di 
cartolarizzazione 
costituiscono 
un 
vero 
e 
proprio 
“patrimonio 
separato”, 
ad 
ogni 
effetto, 
rispetto 
a 
quello 
della 
società 
veicolo 
ed 
aggredibile 
solo 
dai 
portatori 
dei 
titoli. 
Tale 
patrimonio, 
infatti, 
secondo 
quanto 
espressamente 
previsto 
dall’art. 
1, 
comma 
1, 
lett. 
b), 
della 
legge 
è 
a 
destinazione 
vincolata, 
in 
via 
esclusiva, 
al 
soddisfacimento 
dei 
diritti 
incorporati 
nei 
titoli 
emessi 
per 
finanziare 
l’acquisto 
dei 
crediti, 
nonché 
al 
pagamento 
dei 
costi 
dell’operazione. 
La 
tecnica 
finanziaria 
in 
parola 
può 
prevedere 
il 
coinvolgimento 
di 
un 
soggetto 
(c.d. 
servicer) 
preposto, 
da 
un 
lato, 
alla 
gestione 
dei 
crediti 
sottostanti 
ai 
titoli 
emessi 
dalla 
società 
veicolo 
e 
alla 
verifica 
del 
corretto 
svolgimento 
dell’operazione 
(attività 
di 
servicing) 
e, 
dall’altro, 
alla 
esecuzione 
dei 
servizi 
di 
cassa 
e 
pagamento 
in 
favore 
dei 
prenditori 
dei 
titoli 
(c.d. 
servizio 
di 
cash 
management) 
(4). 


Per quel 
che 
in questa 
sede 
rileva, a 
differenza 
della 
cessione 
di 
crediti 
lavoristici 
di 
cui 
al 
punto 
3.1., 
nella 
quale 
la 
Pubblica 
Amministrazione 
riveste 
la 
qualità 
di 
debitore 
ceduto 
destinatario 
della 
notifica 
del 
contratto 
di 
cessione 
ex 
art. 69 del 
r.d. 18 novembre 
1923, n. 2440, per le 
cessioni 
di 
crediti 
dalle 
società 
finanziatrici 
alle 
società 
veicolo 
effettuate 
nell’ambito 
di 
operazioni 
di 
cartolarizzazione 
non 
è 
necessaria 
la 
notifica 
del 
contratto 
di 
cessione 
ai 
fini 
della 
opponibilità 
ai 
debitori 
ceduti. L’art. 4 della 
l. n. 130 del 
1999 -che 
richiama 
a 
sua 
volta 
i 
commi 
secondo, terzo e 
quarto dell’art. 58 del 
T.U.B. prevede, 
infatti, che 
l’iscrizione 
nel 
registro delle 
imprese 
e 
la 
pubblicazione 
in Gazzetta 
Ufficiale 
dell’estratto della 
cessione 
valgano come 
notifica 
al 
debitore 
ceduto. dunque, il 
meccanismo pubblicitario crea 
in capo al 
debitore 
una 
conoscenza 
legale 
della 
cessione 
attraverso una 
forma 
di 
pubblicità 
“erga 
omnes” 
della 
cessione 
che 
produce 
i 
medesimi 
effetti 
indicati 
all’art. 
1264 
c.c. 
(così l’art. 58, comma 4, T.U.B.). 


Tanto 
vale 
-come 
confermato 
dalla 
deliberazione 
n. 
34/2020 
della 
Corte 
dei 
conti, Sez. controllo Sicilia 
(all. 1) -anche 
nei 
confronti 
delle 
Pubbliche 
Amministrazioni 
perché 
l’art. 4, comma 
4-bis, della 
citata 
l. n. 130/1999 afferma 
che 
“alle 
cessioni 
effettuate 
nell’ambito di 
operazioni 
di 
cartolarizzazione 
non 
si 
applicano 
gli 
articoli 
69 
e 
70 
del 
regio 
decreto 
18 
novembre 
1923, 


n. 
2440, 
nonché 
le 
altre 
disposizioni 
che 
richiedano 
formalità 
diverse 
rispetto 
a quelle di cui alla presente legge”. 
(3) Nella fattispecie in esame la società r. s.r.l. 
(4) Nel 
caso in esame 
detto ruolo sembra 
-sulla 
scorta 
della 
documentazione 
in possesso -essere 
stato attribuito alla società C. S.p.a. 

rASSeGNA 
AVVoCATUrA 
deLLo 
STATo -N. 1/2023 


Ciò premesso sul 
piano dell’analisi 
degli 
istituti 
giuridici 
in rilievo, occorre 
fare applicazione delle coordinate teoriche tracciate al caso di specie. 


4. analisi del caso di specie. 
Nel 
caso di 
specie 
pare 
indubbio che 
le 
operazioni 
di 
cessione 
di 
credito 
tra 
le 
Società 
finanziatrici 
e 
la 
r. S.r.l. rientrano tra 
quelle 
c.d. di 
“cartolarizzazione” 
soggette 
alla 
disciplina 
speciale 
dettata 
dall’art. 4, co. 4-bis, l. n. 130 
del 
1999 (introdotto dall’art. 12 d.l. n. 145 del 
2013 conv. in l. n. 9 del 
2014) 
in base 
“alla quale 
sono escluse 
tutte 
le 
formalità previste 
per 
la cessione 
dei 
crediti 
verso 
la 
P.a. 
e 
a 
questa 
non 
è 
consentito 
negare 
l’adesione” 
(così 
Cons. 
Stato, Sez. III, sentenze 
24 settembre 
2020, n. 5562 e 
n. 5561). risulta 
inoltre 
che 
la 
r. S.r.l. è 
abilitata 
al 
compimento di 
attività 
di 
cartolarizzazione 
e 
che 
la 
stessa 
ha 
provveduto 
-oltre 
che 
alle 
formalità 
previste 
dalla 
l. 
n. 
130 
del 
1999 
(pubblicazione 
sulla 
G.U. 
delle 
informazioni 
finalizzate 
alla 
opponibilità 
delle 
operazioni) 
-anche 
(evidentemente 
ad 
abundantiam, 
in 
difetto 
di 
un 
preciso 
obbligo 
ex 
lege) 
alla 
notifica 
dell’atto 
di 
cessione 
all’Amministrazione 
in 
indirizzo. 


Tanto 
premesso, 
e 
venendo 
al 
quesito 
formulato, 
occorre 
individuare 
quale 
sia 
-nel 
caso in esame 
-il 
soggetto legittimato a 
ricevere 
le 
somme 
trattenute 
alla 
fonte 
dalla 
P.A. datrice 
di 
lavoro sui 
ratei 
mensili 
di 
stipendio dei 
propri dipendenti. 


Sul 
punto, alla 
luce 
di 
quanto innanzi 
esposto circa 
la 
disciplina 
della 
notifica 
della 
cessione 
dei 
crediti 
in blocco, non pare 
possano residuare 
profili 
di 
incertezza 
sull’avvenuta 
modifica 
della 
titolarità 
attiva 
della 
posta 
creditoria 
trasferita 
dalle 
Società 
finanziatrici 
alla 
Società 
veicolo, che 
-dunque 
-può 
essere 
considerata, avendo adempiuto alle 
formalità 
richieste 
dalla 
disciplina 
di settore, il soggetto legittimato all’incameramento dei ratei trattenuti. 


A 
supporto della 
conclusione 
circa 
la 
legittimazione 
della 
r. s.r.l. a 
ricevere 
il 
pagamento, può essere 
richiamata 
la 
decisione 
n. 6816 del 
27 marzo 
2018 del 
Collegio di 
coordinamento dell’Arbitro Bancario (all. 2) e 
le 
successive 
decisioni 
dell’Arbitro 
intervenute 
con 
riguardo 
a 
casi 
di 
contratti 
di 
finanziamento 
rimborsabili 
mediante 
cessione 
del 
quinto 
dello 
stipendio 
e 
successiva 
cessione 
del 
credito pari 
alla 
somma 
finanziata 
attraverso operazioni 
di 
cartolarizzazione 
(all. 3). Nei 
casi 
analizzati 
dall’Arbitro la 
questione 
riguardava 
-più nel 
dettaglio -se 
a 
fronte 
dell’estinzione 
-successivamente 
alla 
cartolarizzazione 
-del 
finanziamento rimborsabile 
mediante 
cessione 
del 
quinto 
dello 
stipendio 
da 
parte 
del 
lavoratore, 
il 
soggetto 
finanziato 
potesse 
convenire 
innanzi 
all’ABF 
-per 
chiedere 
la 
restituzione 
dei 
costi 
c.d. 
recurring 
-la 
banca 
mutuante 
(originator) 
o 
la 
società 
veicolo 
(SPV) 
cessionaria 
del 
credito. L’Arbitro -analizzata 
la 
disciplina 
della 
cartolarizzazione 
-ha 
concluso 
per la 
legittimazione 
passiva 
della 
seconda 
sull’assunto che 
la 
società 
veicolo -in quanto titolare 
delle 
poste 
attive 
cedute 
in blocco -è 
l’accipiens 



PArerI 
deL 
CoMITATo 
CoNSULTIVo 


delle 
somme 
delle 
quali 
si 
richiede 
il 
recupero 
in 
ragione 
dell’intervenuta 
estinzione 
anticipata del finanziamento. 


Passando dal 
piano dell’individuazione 
del 
soggetto astrattamente 
legittimato 
a 
richiedere 
i 
pagamenti 
alle 
condizioni 
-in concreto -per far valere 
la 
pretesa 
all’incasso, 
va 
rilevato 
che 
il 
problema 
pratico, 
venuto 
talvolta 
al 
vaglio 
della 
giurisprudenza 
di 
legittimità, risiede 
nella 
circostanza 
per cui 
gli 
estratti 
di 
cessione 
pubblicati 
in Gazzetta 
Ufficiale 
riportano solo criteri 
generali 
con 
cui 
identificare 
i 
singoli 
crediti 
ceduti 
(che, 
del 
resto, 
vengono 
ceduti 
in 
blocco): 
questo perché 
l’art. 58, comma 
2, T.U.B. non impone 
che 
un contenuto 
informativo 
minimo, 
con 
la 
conseguenza 
che 
quanto 
pubblicato 
nella 
Gazzetta 
può 
lasciare 
incertezze 
sui 
crediti 
inclusi/esclusi 
dall’ambito 
della 
cessione 
tanto da 
porre 
il 
debitore 
ceduto in una 
situazione 
in cui 
l’adempimento 
dell’obbligazione risulta notevolmente aggravato. 


Anche 
nel 
caso in esame 
dalla 
lettura 
dell’avviso pubblicato sulla 
G.U. 
dell’11 dicembre 
2018 foglio delle 
inserzioni 
n. 143 (all. 4) si 
ricava 
solo una 
generica 
individuazione 
dei 
crediti 
oggetto di 
cessione: 
a 
pagina 
36 si 
legge 
infatti 
-che 
i 
crediti 
oggetto della 
operazione 
di 
cartolarizzazione 
sono quelli 
“concessi 
a 
titolo 
di 
finanziamento 
contro 
cessione 
del 
quinto 
e/o 
assistito, 
da delegazione di pagamento”. 


In 
proposito, 
la 
produzione 
giurisprudenziale 
-dalla 
quale 
a 
fortiori 
è 
possibile 
trarre 
una 
conferma 
sulla 
legittimazione 
in astratto della 
società 
veicolo 
- sembra connotata dalla coesistenza di due diversi indirizzi. 


In base 
ad una 
tesi 
più “elastica” 
in tema 
di 
cessione 
in blocco dei 
crediti 
da 
parte 
di 
una 
banca 
o società 
finanziatrice, ai 
sensi 
dell’art. 58 del 
d.lgs. n. 
385 del 
1993 sarebbe 
sufficiente, a 
dimostrare 
la 
titolarità 
del 
credito in capo 
al 
cessionario, la 
produzione 
dell’avviso di 
pubblicazione 
sulla 
Gazzetta 
Ufficiale 
recante 
l’indicazione, 
per 
categorie, 
dei 
rapporti 
ceduti 
in 
blocco, 
senza 
che 
occorra 
una 
specifica 
enumerazione 
di 
ciascuno 
di 
essi 
(Cass. 
ord. 
n. 
31188 
del 2017). 


Un orientamento più rigoroso ha, invece, negato la 
legittimazione 
attiva 
della 
società 
veicolo ad agire 
in sede 
monitoria 
per la 
riscossione 
dei 
crediti 
oggetto di 
cessione 
sulla 
scorta 
della 
sola 
produzione 
in giudizio degli 
avvisi 
pubblicati 
sulla 
Gazzetta 
ufficiale 
sottolineando 
che 
la 
società 
veicolo, 
ove 
intenda 
ricevere 
direttamente 
il 
pagamento 
dei 
crediti 
ceduti, 
deve 
fornire 
la 
prova 
documentale 
della 
legittimazione 
ricavabile 
-in 
ultima 
analisi 
-dalla 
lettura 
dell’atto di 
cessione 
e 
non dalla 
mera 
pubblicazione 
dell’avviso della 
cessione 
sulla 
Gazzetta 
Ufficiale 
(Cass. 
2 
marzo 
2016, 
n. 
411, 
Cass., 
ordinanza 
5 novembre 
2020, n. 24798; 
di 
recente 
Cass. civ., Sez. VI -1, ord. 1 febbraio 
2023, n. 3072 nonché 
-con riguardo alla 
legittimazione 
alla 
proposizione 
del 
ricorso per cassazione - Cass., Sez. Unite n. 11650/2006). 


La 
Scrivente 
ritiene 
che 
tra 
i 
due 
orientamenti 
debba 
essere 
preferito il 
secondo. 


rASSeGNA 
AVVoCATUrA 
deLLo 
STATo -N. 1/2023 


La 
descritta 
operazione 
di 
cessione 
di 
crediti 
derivanti 
da 
contratti 
di 
finanziamento 
rimborsati 
mediante 
cessione 
del 
quinto 
dello 
stipendio 
effettuata 
all’interno di 
un’operazione 
di 
cartolarizzazione 
comporta 
-come 
evidente 
una 
maggiore 
articolazione 
strutturale 
del 
momento solutorio per l’Amministrazione 
ceduta. ed infatti, la 
sopravvenienza 
(potenzialmente 
indeterminata 
in 
base 
alle 
vicende 
circolatorie 
del 
credito) 
di 
altri 
soggetti 
titolari 
delle 
poste 
attive 
comporta 
naturaliter 
una 
crescente 
gravosità 
delle 
attività 
necessarie 
all’Amministrazione 
per liberarsi 
dagli 
obblighi 
solutori 
sulla 
stessa 
gravanti 
da 
controbilanciarsi 
-in base 
al 
noto principio di 
buona 
fede 
-attraverso una 
puntuale 
comunicazione 
da 
parte 
della 
società 
veicolo recante 
la 
precisa 
elencazione 
dei 
crediti 
che 
compongono il 
blocco, quale 
condizione 
per ottenere 
il 
versamento 
delle 
somme 
trattenute 
sugli 
emolumenti 
del 
personale 
dall’Amministrazione 
in indirizzo. 


Tanto 
pare 
avvalorato 
dalla 
giurisprudenza 
di 
legittimità 
e, 
in 
particolare, 
dalla 
recente 
sentenza 
della 
Cassazione, Sez. I, 13 settembre 
2021, n. 24640 
(all. 5). La 
citata 
pronunzia 
si 
sofferma 
-infatti 
-sulla 
maggior gravosità 
del 
momento 
solutorio 
per 
il 
debitore 
(nel 
caso 
deciso: 
l’INPS) 
nell’ambito 
di 
un’operazione 
di 
cessione 
“in blocco” 
che 
può -oltre 
che 
comportare 
un fisiologico 
ritardo nel 
pagamento qualora 
il 
cessionario non collabori 
secondo 
correttezza 
e 
buona 
fede 
-anche 
giustificare, dal 
punto di 
vista 
causale, la 
stipulazione 
di 
contratti-quadro 
o 
normativi 
tra 
il 
debitore 
ceduto 
ed 
il 
cessionario 
finalizzati a disciplinare le modalità esecutive dei pagamenti. 


5. Conclusioni. 
dalla 
ricostruzione 
degli 
istituti 
in 
rilievo 
nonché 
dalla 
giurisprudenza 
citata 
ed 
allegata 
al 
presente 
parere, 
pare 
potersi 
ricavare 
che 
la 
legittimazione 
a 
ricevere 
le 
somme 
trattenute 
alla 
fonte 
dalla 
P.A. datrice 
di 
lavoro sui 
ratei 
mensili 
di 
stipendio 
percepiti 
dai 
dipendenti 
spetti 
alla 
società 
veicolo 
r. 
s.r.l., 
a 
condizione, però, che 
la 
stessa 
fornisca 
all’Amministrazione 
puntuale 
indicazione 
e 
dimostrazione 
dell’effettiva 
afferenza 
di 
ciascuna 
posta 
attiva 
ai 
crediti 
che compongono il “blocco”. 


Il 
presente 
parere 
è 
stato 
esaminato 
nella 
seduta 
del 
giorno 
5 
giugno 
2023 
del 
Comitato consultivo dell’Avvocatura 
dello Stato il 
quale 
si 
è 
espresso in 
conformità. 


Si allega: 
(omissis) 



PArerI 
deL 
CoMITATo 
CoNSULTIVo 


Convenzione-quadro stipulata dalla Consip s.p.a. 
per la fornitura di carburante mediante “buoni acquisto”. 
Possibilità per le 
amministrazioni dello stato di avviare 
una procedura autonoma di scelta del contraente 


Parere 
del 
12/06/2023-390100, al 11007/2023, 
aVV. emanuele 
Feola 


Con 
la 
nota 
in 
riscontro, 
codesta 
Amministrazione 
ha 
chiesto 
il 
parere 
della 
Scrivente 
in 
merito 
ai 
requisiti 
in 
presenza 
dei 
quali 
è 
possibile 
derogare 
all’obbligo, 
previsto 
per 
le 
Amministrazioni 
dello 
Stato, 
di 
aderire 
alla 
convenzione-
quadro 
stipulata 
dalla 
Consip 
S.p.A. 
per 
la 
fornitura 
di 
carburante 
mediante 
“buoni 
acquisto”, 
denominata 
“carburanti 
rete 
-Buoni 
acquisto 
2”. 


In 
particolare, 
nella 
richiesta 
di 
parere, 
sono 
state 
rappresentate 
le 
seguenti 
circostanze di fatto: 


a) 
la 
suddetta 
convenzione-quadro 
non 
prevede 
la 
possibilità 
di 
rinnovare 
i“buoni 
acquisto” 
all’approssimarsi 
della 
scadenza 
dei 
medesimi, né 
alcuna 
forma 
di 
rimborso, sia 
pure 
parziale, per eventuali 
cedole 
non fruite 
nei 
tempi 
contrattualmente previsti; 
b) 
l’inserimento di 
una 
clausola 
che 
preveda 
la 
possibilità 
di 
rinnovo oppure 
di 
rimborso 
dei 
“buoni 
acquisto” 
in 
scadenza 
rappresenterebbe 
quindi 
per 
la 
Forza 
Armata 
un 
fondamentale 
strumento 
di 
flessibilità, 
in 
funzione 
delle 
peculiari 
esigenze 
operative 
che 
la 
stessa 
si 
trova 
quotidianamente 
a 
dover 
soddisfare, 
in 
cui 
variazioni 
impreviste 
delle 
attività 
pianificate, 
potrebbero 
determinare 
l’inutilizzo 
di 
una 
parte 
dei 
buoni 
acquistati 
mediante 
la 
con-
venzione-quadro stipulata dalla Consip. 
Pertanto, 
con 
la 
nota 
in 
riscontro, 
si 
è 
chiesto 
alla 
Scrivente 
di 
chiarire 
se, in considerazione 
delle 
menzionate 
circostanze 
di 
fatto, codesta 
Amministrazione 
possa 
procedere 
all’aggiudicazione 
della 
fornitura 
in 
esame 
senza 
fare ricorso alla suddetta convenzione-quadro. 


Al 
fine 
di 
rendere 
il 
parere 
richiesto, appare 
opportuno ricostruire 
-sia 
pure 
sinteticamente 
-la 
normativa 
concernente 
l’obbligo per le 
Amministrazioni 
pubbliche 
di 
avvalersi 
delle 
convenzioni-quadro stipulate 
dalla 
Consip 
S.p.A. 


L’art. 26 della 
legge 
23 dicembre 
1999, n. 488, e 
s.m.i., dispone 
che 
“1. 
il 
ministero del 
tesoro, del 
bilancio e 
della programmazone 
economica, nel 
rispetto della vigente 
normativa in materia di 
scelta del 
contraente, stipula, 
anche 
avvalendosi 
di 
società 
di 
consulenza 
specializzate, 
selezionate 
anche 
in deroga alla normativa di 
contabilità pubblica, con procedure 
competitive 
tra 
primarie 
società 
nazionali 
ed 
estere, 
convenzioni 
con 
le 
quali 
l’impresa 
prescelta 
si 
impegna 
ad 
accettare, 
sino 
a 
concorrenza 
della 
quantità 
massima 
complessiva stabilita dalla convenzione 
ed ai 
prezzi 
e 
condizioni 
ivi 
previsti, 



rASSeGNA 
AVVoCATUrA 
deLLo 
STATo -N. 1/2023 


ordinativi 
di 
fornitura di 
beni 
e 
servizi 
deliberati 
dalle 
amministrazioni 
dello 
Stato anche con il ricorso alla locazione finanziaria [...] 


3. le 
amministrazioni 
pubbliche 
possono ricorrere 
alle 
convenzioni 
stipulate 
ai 
sensi 
del 
comma 
1, 
ovvero 
ne 
utilizzano 
i 
parametri 
di 
prezzo-qualità, 
come 
limiti 
massimi, 
per 
l’acquisto 
di 
beni 
e 
servizi 
comparabili 
oggetto 
delle 
stesse, 
anche 
utilizzando procedure 
telematiche 
per 
l’acquisizione 
di 
beni 
e 
servizi 
ai 
sensi 
del 
decreto del 
Presidente 
della repubblica 4 aprile 
2002, n. 
101. 
la 
stipulazione 
di 
un 
contratto 
in 
violazione 
del 
presente 
comma 
è 
causa 
di 
responsabilità amministrativa; ai 
fini 
della determinazione 
del 
danno erariale 
si 
tiene 
anche 
conto della differenza tra il 
prezzo previsto nelle 
convenzioni 
e quello indicato nel contratto. 
3-bis. i provvedimenti 
con cui 
le 
amministrazioni 
pubbliche 
deliberano 
di 
procedere 
in modo autonomo a singoli 
acquisti 
di 
beni 
e 
servizi 
sono trasmessi 
alle 
strutture 
e 
agli 
uffici 
preposti 
al 
controllo di 
gestione, per 
l’esercizio 
delle 
funzioni 
di 
sorveglianza 
e 
di 
controllo 
[...] 
il 
dipendente 
che 
ha 
sottoscritto il 
contratto allega allo stesso una apposita dichiarazione 
con la 
quale 
attesta, ai 
sensi 
e 
per 
gli 
effetti 
degli 
articoli 
47 e 
seguenti 
del 
decreto 
del 
Presidente 
della repubblica 28 dicembre 
2000, n. 445, e 
successive 
modifiche, 
il rispetto delle disposizioni contenute nel comma 3”. 


L’art. 58 della 
legge 
23 dicembre 
2000, n. 388, ha 
precisato che 
“ai 
sensi 
di 
quanto previsto dall’articolo 26, comma 3, della legge 
23 dicembre 
1999, 


n. 
488, 
per 
pubbliche 
amministrazioni 
si 
intendono 
quelle 
definite 
dall’articolo 
1 del 
decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29” 
e 
che 
“le 
convenzioni 
di 
cui 
al 
citato articolo 26 sono stipulate 
dalla concessionaria servizi 
informatici 
pubblici (conSiP) Spa”. 
dalle 
disposizioni 
sopra 
trascritte 
si 
evince, quindi, l’obbligo per le 
Amministrazioni 
pubbliche 
indicate 
dall’art. 
1 
del 
decreto-legislativo 
n. 
29 
del 
1993 (oggi 
sostituito dall’art. 1 del 
decreto-legislativo n. 165 del 
2001) di 
avvalersi 
delle 
convenzioni 
stipulate 
dalla 
Consip S.p.A. oppure 
-in alternativa 
-di 
utilizzarne 
i 
parametri 
di 
prezzo-qualità, 
come 
limiti 
massimi, 
qualora 
procedano 
all’acquisto 
di 
beni 
e 
servizi 
comparabili 
a 
quelli 
che 
costituiscono 
l’oggetto delle citate convenzioni. 


Tuttavia, 
nel 
caso 
delle 
Amministrazioni 
pubbliche 
statali, 
l’obbligo 
in 
questione 
è 
ancor più stringente, dato che, in presenza 
di 
una 
convenzione 
stipulata 
dalla 
Consip S.p.A., tali 
amministrazioni 
sono tenute 
-in linea 
di 
principio 
- ad utilizzarla, senza poter ricorrere a strumenti alternativi. 


difatti, l’articolo 1, comma 
449, della 
legge 
27 dicembre 
2006, n. 296, e 
s.m.i., dispone 
che 
“nel 
rispetto del 
sistema delle 
convenzioni 
di 
cui 
agli 
articoli 
26 della legge 
23 dicembre 
1999, n. 488, e 
successive 
modificazioni, e 
58 della legge 
23 dicembre 
2000, n. 388, tutte 
le 
amministrazioni 
statali 
centrali 
e 
periferiche, ivi 
compresi 
gli 
istituti 
e 
le 
scuole 
di 
ogni 
ordine 
e 
grado, 
le 
istituzioni 
educative 
e 
le 
istituzioni 
universitarie, nonché 
gli 
enti 
nazionali 



PArerI 
deL 
CoMITATo 
CoNSULTIVo 


di 
previdenza 
e 
assistenza 
sociale 
pubblici 
e 
le 
agenzie 
fiscali 
di 
cui 
al 
decreto 
legislativo 
30 
luglio 
1999, 
n. 
300, 
sono 
tenute 
ad 
approvviggionarsi 
utilizzando 
le convenzioni-quadro”. 


Le 
disposizioni 
menzionate, che 
prevedono l’obbligo di 
avvalersi 
delle 
convenzioni 
stipulate 
dalla 
Consip S.p.A., costituiscono norme 
imperative 
e 
la 
violazione 
delle 
medesime 
implica 
conseguenze 
sul 
piano civilistico, disciplinare 
e contabile. 


In particolare, l’articolo 1, comma 
1, del 
decreto-legge 
6 luglio 2012, n. 
95, convertito dalla 
legge 
7 agosto 2012, n. 135, stabilisce 
che 
“Successivamente 
alla data di 
entrata in vigore 
della legge 
di 
conversione 
del 
presente 
decreto, 
i 
contratti 
stipulati 
in 
violazione 
dell’articolo 
26, 
comma 
3 
della 
legge 
23 dicembre 
1999, n. 488 ed i 
contratti 
stipulati 
in violazione 
degli 
obblighi 
di 
approvviggionarsi 
attraverso 
gli 
strumenti 
di 
acquisto 
messi 
a 
disposizione 
da consip S.p.a. sono nulli, costituiscono illecito disciplinare 
e 
sono causa 
di 
responsabilità amministrativa. ai 
fini 
della determinazione 
del 
danno erariale 
si 
tiene 
anche 
conto della differenza tra il 
prezzo, ove 
indicato, dei 
detti 
strumenti di acquisto e quello indicato nel contratto”. 


Peraltro, il 
medesimo articolo introduce 
una 
prima eccezione 
alla 
menzionata 
regola 
generale, 
disponendo 
che 
essa 
“non 
si 
applica 
alle 
amministrazioni 
dello 
Stato 
quando 
il 
contratto 
sia 
stato 
stipulato 
ad 
un 
prezzo 
più 
basso 
di 
quello derivante 
dal 
rispetto dei 
parametri 
di 
qualità e 
di 
prezzo degli 
strumenti 
di 
acquisto messi 
a disposizione 
da consip S.p.a, ed a condizione 
che 
tra l’amministrazione 
interessata e 
l’impresa non siano insorte 
contestazioni 
sulla esecuzione di eventuali contratti stipulati in precedenza”. 


Il 
contenuto dell’eccezione 
de 
qua 
è 
ulteriormente 
precisato dalla 
circolare 
del Ministero dell’economia e delle Finanze del 25 agosto 2015. 


La 
suddetta 
circolare 
ha 
chiarito che 
le 
Amministrazioni 
statali 
sono tenute, 
nei 
casi 
in 
cui 
stipulino 
contratti 
senza 
utilizzare 
gli 
strumenti 
di 
acquisto 
centralizzati 
messi 
a 
disposizione 
dalla 
Consip 
S.p.A., 
“a 
fornire 
ai 
competenti 
uffici 
di 
controllo di 
regolarità amministrativa e 
contabile 
adeguata indicazione 
dei 
concreti 
motivi 
per 
i 
quali 
si 
è 
proceduto 
in 
deroga 
agli 
obblighi 
sopra richiamati. in particolare, ai 
fini 
della prova dell’osservanza dei 
benchmark 
di 
qualità 
e 
prezzo 
messi 
a 
disposizione 
da 
consip, 
occorrerà 
operare 
un raffronto tra fattori 
di 
comparazione 
omogenei 
(es. tra prezzi 
della convenzione 
consip di 
durata settennale 
e 
prezzi 
relativi 
al 
contratto stipulato al 
di 
fuori 
degli 
strumenti 
di 
acquisto 
centralizzati 
di 
pari 
durata 
settennale), 
tenendo 
in 
particolare 
attenzione, 
per 
la 
verifica 
dell’omogeneità 
degli 
strumenti, 
le 
prestazioni 
contrattuali 
principali 
e 
le 
caratteristiche 
essenziali 
dell’oggetto delle stesse”. 


Peraltro, 
su 
tale 
aspetto, 
è 
da 
ultimo 
intervenuto 
lo 
stesso 
legislatore 
adottando 
una 
disciplina 
speciale 
per talune 
categorie 
merceologiche, che 
includono 
anche quella dei “carburanti”, oggetto del presente parere. 



rASSeGNA 
AVVoCATUrA 
deLLo 
STATo -N. 1/2023 


Nel 
dettaglio, 
l’articolo 
3-quater, 
comma 
1, 
del 
decreto-legge 
18 
novembre 
2022, n. 176, convertito, con modificazioni, dalla 
legge 
13 gennaio 2023, 


n. 6, ha 
modificato l’articolo 1, comma 
7, del 
decreto-legge 
6 luglio 2012, n. 
95, precisando che: 
“le 
amministrazioni 
pubbliche 
[...] 
relativamente 
alle 
seguenti 
categorie 
merceologiche: [...] carburanti 
rete 
e 
carburanti 
extra-rete 
[...] sono tenute 
ad approvvigionarsi 
attraverso le 
convenzioni 
o gli 
accordi 
quadro messi 
a disposizione 
da consp S.p.a. e 
dalle 
centrali 
di 
committenza 
regionali 
di 
riferimento 
[...] 
ovvero ad esperire 
proprie 
autonome 
procedure 
nel 
rispetto della normativa vigente, utilizzando i 
sistemi 
telematici 
di 
negoziazione 
messi a disposizione dai soggetti sopra indicati”. 
Tuttavia, “È 
fatta salva la possibilità di 
procedere 
ad affidamenti, nelle 
indicate 
categorie 
merceologiche, anche 
al 
di 
fuori 
delle 
predette 
modalità, a 
condizione 
che 
gli 
stessi 
conseguano 
ad 
approvvigionamenti 
da 
altre 
centrali 
di 
committenza 
o 
a 
procedure 
di 
evidenza 
pubblica, 
e 
prevedano 
corrispettivi 
inferiori 
almeno 
del 
[...] 
2 
per 
cento 
per 
le 
categorie 
merceologiche 
carburanti 
extra-rete, carburanti 
rete, energia elettrica, gas 
e 
combustibili 
per 
il 
riscaldamento 
rispetto 
ai 
migliori 
corrispettivi 
indicati 
nelle 
convenzioni 
e 
accordi 
quadro 
messi 
a 
disposizione 
da 
Consip 
S.p.A. 
e 
dalle 
centrali 
di 
committenza 
regionali” (enfasi aggiunte). 


Qualora 
l’Amministrazione 
si 
avvalga 
di 
tale 
possibilità, 
essa 
è 
comunque 
tenuta 
-ai 
sensi 
del 
medesimo comma 
7 -a 
trasmettere 
i 
contratti 
stipulati 
al-
l’Autorità 
Nazionale 
Anticorruzione 
e 
ad inserire 
nel 
testo dei 
medesimi 
“una 
condizione 
risolutiva con possibilità per 
il 
contraente 
di 
adeguamento ai 
migliori 
corrispettivi 
nel 
caso 
di 
intervenuta 
disponibilità 
di 
convenzioni 
consip 
e 
delle 
centrali 
di 
committenza 
regionali 
che 
prevedano 
condizioni 
di 
maggior 
vantaggio 
economico 
in 
percentuale 
superiore 
al 
10 
per 
cento 
rispetto 
ai 
contratti 
già stipulati”. 


In 
altri 
termini, 
con 
riferimento 
ai 
“carburanti” 
il 
legislatore 
ha 
reso 
ancor 
più stringente 
l’obbligo di 
avvalersi 
degli 
strumenti 
negoziali 
messi 
a 
disposizione 
dalla 
Consip, 
stabilendo 
che 
una 
deroga 
a 
tale 
obbligo 
è 
ammessa 
esclusivamente 
se 
eventuali 
approvvigionamenti 
da 
altre 
centrali 
di 
committenza 
oppure 
l’esperimento 
di 
altre 
procedure 
di 
evidenza 
pubblica 
consentano 
all’Amministrazione 
di 
pagare 
al 
fornitore 
un 
corrispettivo 
inferiore 
di 
almeno 
il 
2% 
rispetto 
ai 
migliori 
corrispettivi 
indicati 
nelle 
convenzioni-quadro 
messe 
a disposizione dalla Consip S.p.A. 


Inoltre, 
resta 
fermo 
l’obbligo 
di 
trasmettere 
il 
contratto 
all’ANAC 
e 
di 
inserire 
nel 
medesimo 
una 
condizione 
risolutiva 
per 
il 
caso 
in 
cui 
sopravvenga 
una 
convenzione 
Consip che 
sia 
maggiormente 
conveniente 
per l’Amministrazione 
(sia 
pure 
in 
percentuale 
superiore 
al 
10% 
rispetto 
al 
corrispettivo 
previsto nei 
contratti 
già 
stipulati), con possibilità 
per l’operatore 
economico 
di 
evitare 
lo scioglimento del 
contratto adeguando 
il 
prezzo ai 
“migliori 
corrispettivi” 
offerti dagli strumenti negoziali stipulati dalla Consip S.p.A. 



PArerI 
deL 
CoMITATo 
CoNSULTIVo 


Una 
seconda 
eccezione 
alla 
regola 
generale 
relativa 
all’utilizzo 
delle 
convenzioni-
quadro stipulate 
dalla 
Consip S.p.A. è 
stata 
poi 
introdotta 
dall’articolo 
1, comma 510, della legge 28 dicembre 2015, n. 208. 


Tale 
norma 
prevede 
che 
“le 
amministrazioni 
pubbliche 
obbligate 
ad approvvigionarsi 
attraverso le 
convenzioni 
di 
cui 
all’articolo 26 della legge 
23 
dicembre 
1999, n. 488, stipulate 
da consip S.p.a. 
[...] possono procedere 
ad 
acquisiti 
autonomi 
esclusivamente 
a seguito di 
apposita autorizzazione 
specificamente 
motivata resa dall’organo di 
vertice 
amministrativo e 
trasmessa 
al 
competente 
ufficio 
della 
corte 
dei 
conti, 
qualora 
il 
bene 
o 
il 
servizio 
oggetto 
di 
convenzione 
non 
sia idoneo al 
soddisfacimento dello specifico fabbisogno 
dell’amministrazione 
per 
mancanza 
di 
caratteristiche 
essenziali 
” 
(enfasi 
aggiunte). 


dunque, l’Amministrazione 
ha 
sempre 
la 
possibilità 
di 
derogare 
all’obbligo 
di 
avvalersi 
delle 
convenzioni 
Consip, qualora 
il 
“bene” 
offerto in tali 
convenzioni 
sia 
privo 
delle 
“caratteristiche 
essenziali”, 
necessarie 
a 
consentire 
“il soddisfacimento dello specifico fabbisogno dell’amministrazione”. 


Ai 
sensi 
dell’articolo 
1, 
comma 
507, 
della 
medesima 
legge 
n. 
208 
del 
2015, tali 
nozioni 
sono state 
definite 
dal 
Ministro dell’economia 
e 
delle 
Finanze 
con 
il 
decreto 
del 
13 
febbraio 
2023, 
pubblicato 
nella 
G.U. 
Serie 
generale 


n. 
75 
del 
29 
marzo 
2023, 
intitolato 
“definizione 
delle 
caratteristiche 
essenziali 
delle 
prestazioni 
principali 
costituenti 
oggetto delle 
convenzioni 
stipulate 
da 
consip”. 
In particolare, l’articolo 1, comma 
1, del 
decreto prevede 
che 
“le 
caratteristiche 
essenziali 
delle 
prestazioni 
principali 
oggetto delle 
convenzioni 
di 
cui 
all’art. 
26 
della 
legge 
23 
dicembre 
1999, 
n. 
488, 
sono 
definite 
nell’allegato 
che costituisce parte integrante del presente decreto”. 


ebbene, 
l’Allegato 
richiamato 
nella 
disposizione 
appena 
trascritta 
prevede 
-con riferimento ai 
“carburanti 
extra-rete”, ma 
applicabile 
per analogia 
anche 
ai 
c.d. “carburanti 
rete” 
-che 
le 
caratteristiche 
essenziali 
della 
prestazione 
offerta dall’operatore economico attengono: 


1) 
alla “tipologia del prodotto fornito”; 
2) 
al “tempo di consegna”; 
3) 
al “cluster del volume di consegna”; 
4) 
e al c.d. “ordinativo minimo”. 
ricostruito 
in 
questi 
termini 
il 
contesto 
normativo 
di 
riferimento, 
si 
ritiene 
quindi 
che 
-nel 
caso sottoposto all’esame 
della 
Scrivente 
-non sia 
possibile 
giustificare 
l’eventuale 
deroga 
all’obbligo 
di 
avvalersi 
della 
convenzione 
Consip 
denominata 
“carburanti 
rete 
-Buoni 
acquisto 2”, applicando l’articolo 
1, comma 510, della legge n. 208 del 2015. 


difatti, nel 
definire 
le 
“caratteristiche 
essenziali” 
della 
prestazione 
principale, 
la 
cui 
assenza 
può giustificare 
la 
deroga 
all’obbligo di 
avvalersi 
delle 
convenzioni-quadro stipulate 
dalla 
Consip S.p.A., il 
menzionato decreto del 



rASSeGNA 
AVVoCATUrA 
deLLo 
STATo -N. 1/2023 


Ministro 
dell’economia 
e 
delle 
Finanze 
fa 
riferimento 
esclusivamente 
alle 
caratteristiche 
qualitative 
e 
quantitative 
del 
prodotto 
(nella 
specie, 
il 
carburante), 
senza 
prendere 
in considerazione 
le 
modalità 
di 
pagamento del 
prezzo, tra 
le 
quali 
è 
possibile 
annoverare 
-a 
titolo 
esemplificativo 
-anche 
la 
remunerazione 
del medesimo mediante l’acquisto di “buoni benzina”. 


Pertanto, codesta 
Amministrazione 
potrà 
derogare 
all’obbligo in esame 
esclusivamente 
alle 
condizioni 
previste 
dall’articolo 3-quater, comma 
1, del 
decreto-legge 
18 novembre 
2022, n. 176, convertito, con modificazioni, dalla 
legge 
13 gennaio 2023, n. 6, il 
quale 
-nel 
modificare 
l’articolo 1, comma 
7, 
del 
decreto-legge 
n. 95 del 
2012 -ha 
previsto, con riferimento ai 
carburanti, 
la 
possibilità 
di 
non avvalersi 
delle 
“convenzioni 
consip” 
qualora 
l’approvvigionamento 
da 
altre 
centrali 
di 
committenza 
oppure 
l’esperimento 
di 
altre 
procedure 
di 
evidenza 
pubblica 
consentano 
all’Amministrazione 
di 
pagare 
al 
fornitore 
un corrispettivo inferiore 
di 
almeno il 
2% rispetto ai 
migliori 
corrispettivi 
indicati nelle convenzioni-quadro stipulate dalla Consip S.p.A. 


Naturalmente, nel 
caso in cui 
codesta 
Amministrazione 
si 
avvalga 
della 
possibilità sopra menzionata, resta fermo l’obbligo: 


1) 
di 
trasmettere 
il contratto all’ANAC; 
2) 
e 
di 
inserire 
nel 
medesimo una 
condizione 
risolutiva, con possibilità 
per il 
contraente 
privato di 
adeguamento ai 
migliori 
corrispettivi, nel 
caso di 
intervenuta 
disponibilità 
di 
una 
convenzione-quadro 
Consip, 
che 
preveda 
“condizioni 
di 
maggior 
vantaggio economico in percentuale 
superiore 
al 
10 
per cento” rispetto al contratto già stipulato. 
La 
questione 
è 
stata 
sottoposta 
all’esame 
del 
Comitato 
Consultivo 
del-
l’Avvocatura 
dello 
Stato, 
che 
si 
è 
espresso 
in 
conformità 
nella 
seduta 
del 
5 
giugno 2023. 



PArerI 
deL 
CoMITATo 
CoNSULTIVo 


determinazione del valore di lite in caso di ricorso 
avverso un avviso di accertamento contenente il contestuale 
provvedimento di irrogazione della sanzione 
ex art. 17 comma 1 d.lgs. n. 472/1997 

Parere 
del 
26/06/2023-423394, al 48511/2022, 
aVV. STeFano 
lorenZo 
ViTale 


Con le 
note 
che 
si 
riscontrano codesto Ministero chiede 
alla 
Scrivente 
un 
parere 
in ordine 
alle 
modalità 
di 
calcolo del 
contributo unificato dovuto con 
riferimento ai 
giudizi 
tributari 
aventi 
ad oggetto l’impugnazione 
dell’avviso 
di 
accertamento 
e 
del 
contestuale 
provvedimento 
di 
irrogazione 
delle 
sanzioni 
adottato ex art. 17 d.lgs. n. 472/1997. In particolare, si 
pone 
il 
problema 
se, 
ai 
fini 
della 
determinazione 
del 
valore 
della 
causa, 
debba 
considerarsi 
l’importo 
delle sanzioni adottate. 


Sul 
puntò non constano precedenti 
di 
legittimità 
(1) e 
codesta 
Amministrazione 
rappresenta 
che 
l’orientamento dei 
giudici 
tributari 
di 
merito è 
sul 
punto 
non 
univoco 
sebbene 
stia 
prevalendo 
l’interpretazione 
secondo 
cui 
il 
valore 
della 
causa 
dovrebbe 
essere 
determinato solo dall’importo del 
tributo, 
senza inclusione delle sanzioni. 

Sebbene 
codesto Ufficio abbia 
in precedenza 
seguito la 
prima 
impostazione 
(direttiva 
n. 
3/FGT 
del 
30 
ottobre 
2017), 
ritiene 
ora 
che 
il 
secondo 
orientamento 
sia maggiormente condivisibile. 


La 
Scrivente 
osserva 
che 
le 
disposizioni 
rilevanti 
ai 
fini 
della 
risoluzione 
del quesito di diritto sono le seguenti: 


-art. 
17, 
comma 
1, 
d.lgs. 
n. 
472/1997:“in 
deroga 
alle 
previsioni 
del-
l’art. 
16, 
le 
sanzioni 
collegate 
al 
tributo 
cui 
si 
riferiscono 
sono 
irrogate, 
senza 
previa 
contestazione 
e 
con 
l’osservanza, 
in 
quanto 
compatibili, 
delle 
disposizioni 
che 
regolano 
il 
procedimento 
di 
accertamento 
del 
tributo 
medesimo, 
con 
atto 
contestuale 
all’avviso 
di 
accertamento 
o 
di 
rettifica, 
motivato 
a 
pena 
di 
nullità”. 


-art. 
14, 
comma 
3-bis, 
d.P.R. 
n. 
115/2002:“nei 
processi 
tributari, 
il 
valore 
della 
lite, 
determinato, 
per 
ciascun 
atto 
impugnato 
anche 
in 
appello, 
ai 
sensi 
del 
comma 
2 
dell’articolo 
12 
del 
decreto 
legislativo 
31 
dicembre 
1992, n. 546, e successive modificazioni, deve risultare da apposita dichiarazione 
resa 
dalla 
parte 
nelle 
conclusioni 
del 
ricorso, 
anche 
nell’ipotesi 
di 
prenotazione 
a 
debito”. 


-art. 12, comma 2, d.lgs. n. 546/1992:“Per 
le 
controversie 
di 
valore 
fino a tremila euro le 
parti 
possono stare 
in giudizio senza assistenza tecnica. 
(1) In letteratura 
la 
rilevanza 
del 
tema 
veniva 
segnalata 
da 
G.F. LoVeTere, contributo unificato: 
il rebus della contestualità nell’irrogazione delle sanzioni, in Fisco, 2013, 29 - parte 1, p. 4471. 

rASSeGNA 
AVVoCATUrA 
deLLo 
STATo -N. 1/2023 


Per 
valore 
della lite 
si 
intende 
l’importo del 
tributo al 
netto degli 
interessi 
e 
delle 
eventuali 
sanzioni 
irrogate 
con 
l’atto 
impugnato; 
in 
caso 
di 
controversie 
relative 
esclusivamente 
alle 
irrogazioni 
di 
sanzioni, 
il 
valore 
è 
costituito 
dalla 
somma di queste”. 


Le 
difficoltà 
interpretative 
che 
si 
pongono in ordine 
alla 
determinazione 
del 
valore 
della 
lite 
derivano da 
un non perfetto coordinamento normativo tra 
le 
tre 
disposizioni, 
oggetto 
peraltro 
di 
novelle 
nel 
corso 
del 
tempo, 
e 
da 
un 
dato letterale delle medesime non univoco. 


Come 
noto, il 
d.lgs. n. 472/1997 disciplina 
tre 
distinti 
procedimenti 
mediante 
i 
quali 
possono essere 
irrogate 
le 
sanzioni 
tributarie: 
un procedimento 
autonomo di 
irrogazione 
delle 
sanzioni 
non collegate 
al 
tributo (art. 16); 
un 
procedimento 
di 
irrogazione 
delle 
sanzioni 
collegate 
al 
tributo 
cui 
le 
violazioni 
si 
riferiscono (art. 17, commi 
1-2); 
ed un procedimento di 
irrogazione 
immediata 
con 
diretta 
iscrizione 
a 
ruolo 
per 
omesso 
e 
ritardato 
versamento 
dei 
tributi 
(art. 17, comma 3). 


Il 
procedimento di 
cui 
all’art. 17, commi 
1-2, che 
qui 
interessa 
configura 
il 
procedimento 
che, 
a 
seguito 
della 
novella 
apportata 
dal 
d.L. 
n. 
98/2011, 
deve 
essere 
obbligatoriamente 
seguito laddove 
si 
tratti 
di 
sanzioni 
“collegate 
al 
tributo”. In tal 
caso, l’irrogazione 
della 
sanzione 
avviene 
con “atto contestuale” 
a 
quello 
di 
accertamento 
o 
di 
rettifica 
e 
senza 
preventiva 
contestazione 
degli addebiti. 


Tanto premesso, ai 
fini 
della 
determinazione 
della 
misura 
del 
contributo 
unificato dovuto a 
fronte 
di 
un ricorso con cui 
si 
impugnino congiuntamente 
tali 
due 
provvedimenti 
contestuali 
-quello di 
accertamento o rettifica 
del 
tributo 
e 
quello 
di 
irrogazione 
delle 
sanzioni 
-, 
deve 
aversi 
riguardo 
al 
combinato 
disposto 
degli 
artt. 
14, 
comma 
3-bis, 
d.P.r. 
n. 
115/2002 
e 
12, 
comma 
2, 
d.lgs. 
n. 546/1992. 


L’art. 14, comma 
3-bis, cit. rinvia 
per la 
determinazione 
del 
valore 
di 
lite 
a 
quanto previsto dall’art. 12, comma 
2, cit., con la 
significativa 
precisazione, 
inserita 
dal 
d.lgs. n. 156/2015, che 
il 
valore 
della 
lite 
deve 
essere 
individuato 
“per ciascun atto impugnato”. 


A 
sua 
volta, 
l’art. 
12 
comma 
2, 
cit. 
prevede 
che 
il 
valore 
della 
lite 
corrisponde 
all’importo 
del 
tributo 
“al 
netto 
degli 
interessi 
e 
delle 
eventuali 
sanzioni 
irrogate 
con 
l’atto 
impugnato” 
e 
che 
“in 
caso 
di 
controversie 
relative 
esclusivamente 
alle 
irrogazioni 
di 
sanzioni, 
il 
valore 
è 
costituito 
dalla 
somma 
di 
queste”. 


L’art. 12, comma 
2, cit., pertanto, disciplina 
due 
fattispecie: 
i) l’ipotesi 
di 
impugnazione 
dell’unico 
atto 
che 
determini 
il 
tributo 
dovuto 
e 
irroghi 
anche 
le 
sanzioni 
(la 
disposizione 
parla 
di 
sanzioni 
“irrogate 
con 
l’atto 
impugnato”), 
e 
in tal 
caso il 
valore 
della 
lite 
si 
determina 
al 
netto delle 
sanzioni; 
ii) l’ipotesi 
in cui 
oggetto di 
controversia 
siano solo provvedimenti 
sanzionatori, e 
in tal 
caso il valore è rappresentato dalla somma di queste. 



PArerI 
deL 
CoMITATo 
CoNSULTIVo 


ritiene 
la 
Scrivente 
che 
l’avviso di 
accertamento o di 
rettifica 
e 
il 
“contestuale” 
provvedimento di 
irrogazione 
delle 
sanzioni 
collegate 
al 
tributo, di 
cui 
all'art. 17, comma 
1, d.lgs. n. 472/1997, rappresentino, dal 
punto di 
vista 
sostanziale e ai fini di cui all’art. 12, comma 2, cit., un unico atto. 


difatti, come 
riferisce 
codesta 
Amministrazione 
e 
come 
emerge 
dal 
“diritto 
vivente”, i 
due 
provvedimenti 
sono formati 
all’esito di 
procedimenti 
tra 
loro strettamente 
connessi 
oggettivamente 
e 
soggettivamente: 
il 
destinatario 
è 
di 
regola 
il 
medesimo e 
il 
provvedimento sanzionatorio trova 
il 
proprio presupposto 
in 
quello 
di 
accertamento 
o 
rettifica. 
I 
due 
provvedimenti 
sono 
altresì 
formati 
in 
momenti 
tra 
loro 
coevi, 
assumono 
il 
medesimo 
numero 
di 
protocollo 
e sono comunicati al contribuente congiuntamente. 


Ai 
fini 
di 
cui 
all’art. 12, comma 
2, cit., si 
può pertanto ritenere 
che 
i 
due 
provvedimenti 
integrino un atto plurimo dal 
punto di 
vista 
oggettivo, ossia 
un 
unico atto articolantesi 
in due 
distinti 
-seppur collegati 
e 
contestuali 
-provvedimenti 
(i.e. di accertamento/rettifica e sanzionatorio). 


La 
stretta 
connessione 
tra 
i 
due 
provvedimenti 
oggetto 
dell’atto 
è 
peraltro 
confermata 
dalla 
giurisprudenza 
di 
legittimità 
che 
pacificamente 
afferma 
che 
“in 
tema 
di 
sanzioni 
amministrative 
tributarie, 
nel 
caso 
in 
cui 
la 
sanzione, 
collegata al 
tributo cui 
si 
riferisce, sia irrogata -ai 
sensi 
del 
d.lgs. 18 dicembre 
1997, n. 472, art. 17 (irrogazione 
immediata) -con atto contestuale 
all’avviso 
di 
accertamento 
o 
di 
rettifica, 
essa 
è 
da 
intendersi 
motivata 
per 
relationem 
alla pretesa fiscale 
che 
sia definita nei 
suoi 
elementi 
essenziali, sì 
da giustificare 
la sanzione 
per 
essa irrogata e 
contenuta nel 
medesimo atto” 
(Cass. civile sez. trib., 4 maggio 2021, n. 11610). 


Un 
ausilio 
interpretativo 
può 
anche 
ricavarsi 
dalle 
modalità 
di 
calcolo 
del 
valore 
della 
controversia 
previste 
da 
alcune 
disposizioni 
legislative 
in 
materia 
di 
condono. 
In 
particolare, 
la 
L. 
n. 
289/2002 
(cui 
fa 
rinvio 
anche 
la 
più 
recente 


L. 130/2022, art. 5), nel 
prevedere 
una 
forma 
di 
definizione 
agevolata 
della 
lite 
cui 
il 
contribuente 
può 
accedere 
pagando 
un 
importo 
parametrato 
al 
valore 
del 
giudizio pendente, ha 
stabilito (art. 16, co. 3, lett. c) che 
per valore 
della 
lite, da 
assumere 
a 
base 
del 
calcolo per la 
definizione, si 
intende 
“l’importo 
dell’imposta che 
ha formato oggetto di 
contestazione 
in primo grado, al 
netto 
degli 
interessi 
e 
delle 
eventuali 
sanzioni 
collegate 
al 
tributo, 
anche 
se 
irrogate 
con 
separato 
provvedimento; 
in 
caso 
di 
liti 
relative 
alla 
irrogazione 
di 
sanzioni 
non collegate 
al 
tributo, delle 
stesse 
si 
tiene 
conto ai 
fini 
del 
valore 
della lite, 
il 
valore 
della lite 
è 
determinato con riferimento a ciascun atto introduttivo 
del 
giudizio, 
indipendentemente 
dal 
numero 
di 
soggetti 
interessati 
e 
dai 
tributi 
in esso indicati”. 
Alla 
luce 
di 
quanto esposto, ritiene 
la 
Scrivente 
che 
ai 
fini 
dell’interpretazione 
degli 
artt. 
14, 
co. 
3-bis, 
e 
12, 
comma 
2, 
cit., 
in 
punto 
di 
determinazione 
del 
contributo unificato, il 
provvedimento impositivo e 
il 
contestuale 
provvedimento 
sanzionatorio adottato ex art. 17 d.lgs. n. 472/1997 debbano consi



rASSeGNA 
AVVoCATUrA 
deLLo 
STATo -N. 1/2023 


derarsi 
un unico atto con conseguente 
determinazione 
del 
valore 
della 
lite 
al 
netto delle sanzioni irrogate. 


In 
ordine 
al 
presente 
parere 
è 
stato 
sentito 
il 
Comitato 
Consultivo 
del-
l’Avvocatura 
dello 
Stato 
il 
quale, 
nella 
seduta 
del 
5 
giugno 
2023, 
si 
è 
espresso 
in senso conforme. 


Nei 
sensi 
sopra 
esposti 
è 
reso il 
parere 
della 
Scrivente 
e 
si 
rimane 
a 
disposizione 
per ogni chiarimento possa occorrere. 



LegIsLazIoneedattuaLItà
Il partenariato pubblico-privato nel nuovo codice 
dei contratti pubblici. Prime impressioni 


Alberto Giovannini* 


SommarIo: 1. Premessa -2. Il 
contesto generale: la formazione 
di 
una cultura del 
partenariato 
pubblico privato -3. Il 
codice 
e 
la costruzione 
della fattispecie 
-4. Il 
finanziamento 
e le ragioni di attrattività del PPP - 5. La fase esecutiva e la lezione della pandemia. 


1. Premessa. 
È 
già 
stato 
affermato 
che 
con 
il 
nuovo 
codice 
(d.lgs. 
31 
marzo 
2023, 
n. 
36) 
si 
è 
perseguito 
l’obiettivo 
di 
“cambiare 
il 
paradigma” 
(1) 
rispetto 
al 
passato, 
al 
fine 
di 
superare 
una 
visione 
del 
diritto 
pubblico 
dei 
contratti 
quale 
limite, 
contenimento 
-spesso 
quasi 
irragionevole 
-per 
la 
discrezionalità 
dell’Amministrazione, 
erigendo, 
invece, 
il 
public 
procurement 
a 
strumento 
di 
progresso 
economico 
e 
sociale, 
nella 
consapevolezza 
che 
questo 
costituisce 
uno 
dei 
principali 
mezzi 
di 
politica 
economica 
per 
il 
rilancio 
dell’economia 
nazionale 
ed 
europea, 
in 
particolare 
dopo 
la 
contrazione 
causata 
dalla 
pandemia 
e 
dalla 
guerra. 


Che 
il 
nuovo 
codice 
comporti 
una 
vera 
e 
propria 
“rivoluzione” 
nel 
settore 
delle 
commesse 
pubbliche 
(2), 
pare 
affermazione 
ancora 
prematura, 


(*) Avvocato dello Stato. 


Testo dell’intervento svolto al 
convegno “Il 
codice 
dei 
contratti 
pubblici 
(prime 
impressioni)”, organizzato 
dalla 
Società 
Italiana 
Avvocati 
Amministrativisti, 
tenutosi 
presso 
il 
T.a.r. 
Calabria, 
Catanzaro, 
in data 13 luglio 2023. 


(1) CArbone 
L., “La scommessa del 
“codice 
dei 
contratti 
pubblici” 
e 
il 
suo futuro”, relazione 
introduttiva 
al 
Convegno 
dell’Istituto 
Jemolo 
“Il 
nuovo 
codice 
degli 
appalti 
-La 
scommessa 
di 
un 
cambio 
di paradigma: dal codice guardiano al codice volano?”, Avvocatura dello Stato, 27 gennaio 2023. 
(2) CArIngeLLA 
F., “Il 
nuovo Codice 
dei 
contratti 
pubblici: riforma o rivoluzione?”, relazione 
al 
convegno sul 
“nuovo codice 
dei 
contratti 
pubblici”, organizzato dall’AIgA, Cagliari, 9-10 giugno 
2023. 

rASSegnA 
AVVoCAturA 
deLLo 
StAto -n. 1/2023 


considerato 
che 
non 
sarebbe 
la 
prima 
volta 
che 
il 
law 
in 
action 
si 
discosta 
dal 
law 
in 
book. 


È, però, certamente 
vero che 
con questo testo normativo si 
supera 
quella 
visione, un po’ 
“provinciale” 
e 
non del 
tutto conforme 
all’impostazione 
pur 
propria 
dell’unione 
europea, del 
principio di 
concorrenza 
inteso quale 
“fine” 
dell’ordinamento, riconducendolo, più prosaicamente, a 
“mezzo”, strumento 
per 
il 
perseguimento 
della 
finalità, 
unica 
ed 
effettiva, 
dell’Amministrazione 
in questo settore 
che, come 
oggi 
ricorda 
l’art. 1 del 
codice, consiste 
nell’“affidamento 
del 
contratto e 
della sua esecuzione 
con la massima tempestività e 
il migliore rapporto possibile tra qualità e prezzo”. 


Il 
nuovo codice 
va, quindi, salutato positivamente, proprio per il 
cambiamento 
di 
prospettiva 
che 
consente 
(rectius, 
impone) 
agli 
apparati 
pubblici 
chiamati 
alla 
sua 
applicazione, 
ma 
merita 
di 
essere 
apprezzato 
anche 
perché, 
a 
fronte 
di 
un susseguirsi 
continuo, frenetico e 
spesso contraddittorio di 
interventi 
normativi 
nella 
materia 
de 
qua, 
mira 
a 
“consolidare” 
l’esistente 
e 
a 
strutturarlo 
con 
una 
organicità 
che 
prima 
non 
era 
mai 
stata 
neanche 
tentata 
nel 
settore. È, quindi, un codice 
abbastanza 
“maturo” 
e, nonostante 
la 
ristrettezza 
dei tempi in cui è stato redatto, non certamente “frettoloso”. 


di 
questa 
maturità 
è 
indice 
quel 
particolare 
schema 
di 
contratto pubblico 
rappresentato 
dal 
partenariato 
pubblico 
privato 
(PPP), 
che 
costituisce 
un 
punto 
di osservazione privilegiato sotto plurimi profili (3). 

In 
primo 
luogo, 
questo 
modulo 
contrattuale 
diviene, 
su 
sollecitazione 
europea, 
uno strumento imprescindibile 
-e, conseguentemente, uno degli 
strumenti 
principali 
-per perseguire 
quell’obiettivo di 
rilancio dell’economia 
cui 
si 
accennava 
poc’anzi, anche 
per l’“effetto leva” 
che 
tale 
tipologia 
di 
operazione 
negoziale 
consente 
sul 
mercato, rientrando certamente 
fra 
quei 
modelli 


(3) 
Su 
tale 
modello 
contrattuale 
la 
dottrina 
è 
piuttosto 
nutrita. 
Fra 
i 
contributi 
più 
interessanti, 
senza 
pretesa 
alcuna 
di 
esaustività, si 
segnalano: 
CArteI 
g.F. -rICChI 
M. (a 
cura 
di), “Finanza di 
progetto 
e 
partenariato pubblico-privato”, napoli, 2015; 
ChItI 
M.P. 
(a 
cura 
di), “Il 
partenariato pubblico-
privato: 
concessioni, 
finanza 
di 
progetto, 
società 
miste, 
fondazioni”, 
napoli, 
2009; 
ConteSSA 
C., 
“PPPC: 
modello 
generale”, 
in 
SAnduLLI 
M.A., 
de 
nICtoLIS 
r. 
(diretto 
da), 
Trattato 
sui 
contratti 
pubblici, 
tomo 
V, 2019; 
dI 
CrIStInA 
F., “Il 
Partenariato pubblico-privato quale 
«archetipo generale»”, in Giorn. dir. 
amm., 4/2016, pp. 482 ss.; 
dI 
gIoVAnnI 
A., “Il 
contratto di 
partenariato pubblico-privato tra sussidiarietà 
e 
solidarietà”, 
torino, 
2012; 
FAntInI 
S., 
“Il 
partenariato 
pubblico-privato, 
con 
particolare 
riguardo 
al 
project 
financing ed al 
contratto di 
disponibilità”, in www.giustizia-amministrativa.it, 2012; 
LICAtA 
g.F., “Partenariati 
e 
innovazione”, in www.giustamm.it, 1/2017; 
nICoLAI 
M. -tortoreLLA 
W. 
(a 
cura 
di), 
“Partenariato 
Pubblico-privato 
e 
Project 
Finance. 
Nuove 
regole 
giuridiche, 
finanziarie 
e 
contabili”, 
rimini, 2019; rICChI 
M., “L’architettura dei Contratti di Concessione e di PPP nel Nuovo Codice dei 
Contratti 
Pubblici 
D.Lgs. 50/2016, relazione 
tenuta il 
15 marzo 2016, in occasione 
del 
Seminario SVImEZ 
su La nuova legge 
sugli 
appalti. aperture 
al 
diritto della concorrenza e 
opportunità per 
il 
mezzogiorno”; 
trAVI 
A., “Il 
partenariato pubblico-privato: i 
confini 
incerti 
di 
una categoria”, in CAFAgno 
M. -botto 
A. -FIdone 
g. -bottIno 
g. 
(a 
cura 
di), “Negoziazioni 
Pubbliche 
-Scritti 
su concessioni 
e 
partenariati 
pubblico-privati”, Milano, 2013; 
VICIConte 
g., “I contratti 
di 
partenariato e 
la locazione 
finanziaria (artt. 179-182, 187)”, in CLArICh 
M. 
(a 
cura 
di), Commentario al 
codice 
dei 
contratti 
pubblici, 
2019. 

LegISLAzIone 
ed 
AttuALItà 


efficienti 
di 
allocazione 
e 
gestione 
delle 
risorse 
pubbliche 
alla 
cui 
applicazione 
il Pnrr chiama tutte le 
Amministrazioni (4). 


In tal 
senso era 
orientata 
la 
stessa 
legge 
delega 
(l. 78/2022), che 
indicava 
quale 
criterio la 
“razionalizzazione, semplificazione 
[…] ed estensione 
delle 
forme 
di 
partenariato 
pubblico-privato, 
[…], 
anche 
al 
fine 
di 
rendere 
tali 
procedure 
effettivamente 
attrattive 
per 
gli 
investitori 
professionali, oltre 
che 
per 
gli 
operatori 
del 
mercato delle 
opere 
pubbliche 
e 
dell’erogazione 
dei 
servizi 
resi 
in concessione, […]” 
(lett. aa)), nell’ottica 
del 
rilancio di 
detto strumento 
(5), vero e proprio “volano per la ripresa economica” (6). 


In 
secondo 
luogo, 
il 
partenariato 
pubblico 
privato 
è, 
allo 
stato, 
nell’ambito 
del 
codice 
l’operazione 
contrattuale 
più 
complessa 
e 
tecnicamente 
difficile 
da 
porre 
in 
essere 
da 
parte 
delle 
pubbliche 
Amministrazioni 
ed 
è, 
quindi, 
una 
delle 
principali 
e 
più interessanti 
sfide 
che 
si 
prospettano per l’immediato futuro, 
imponendo la 
compartecipazione 
di 
professionisti 
di 
diversa 
estrazione 
(giuristi, economisti, ingegneri 
e 
tecnici 
vari). di 
questo il 
codice 
è 
ben consapevole 
e 
proprio per tale 
motivo prevede 
una 
ampia 
congerie 
di 
misure 
atte 
a 
garantire 
la 
corretta 
definizione, a 
monte, degli 
atti 
di 
gara 
e 
la 
corretta 
gestione, 
a valle, del rapporto contrattuale. 


In 
terzo 
luogo, 
-ed 
è 
il 
motivo 
sicuramente 
più 
affascinante 
-il 
partenariato 
pubblico 
privato 
dà 
la 
stura 
alla 
concreta 
affermazione 
di 
un 
modello 
di 
pubblica 
Amministrazione 
assai 
lontano 
da 
quello 
tradizionale, 
imponendo 
una 
sempre 
più 
ampia 
compartecipazione 
del 
privato 
e 
della 
società 
alla 
definizione, 
alla 
realizzazione 
e 
alla 
cura 
degli 
interessi 
generali, 
nel-
l’ottica 
della 
reciproca 
fiducia, 
come 
oggi 
ricorda 
l’art. 
2 
del 
codice. 
Vengono 
così 
ad 
essere 
concretizzati 
il 
principio 
costituzionale 
di 
sussidiarietà 
orizzontale 
(art. 
118 
Cost.) 
(7) 
e, 
con 
riferimento 
almeno 
al 
tipo 
del 
“Parte


(4) 
Piano 
nazionale 
di 
ripresa 
e 
resilienza, 
pp. 
248 
e 
249. 
Sul 
punto, 
cfr. 
anche 
AddeSSo 
C., 
“Strumenti 
di 
attuazione 
del 
PNrr 
e 
di 
rafforzamento della capacità amministrativa: il 
partenariato 
pubblico-privato e 
l’in house”, relazione 
in occasione 
del 
convegno “5a 
rassegna di 
diritto pubblico 
dell’economia”, Varese 17 e 18 giugno 2022. 
(5) Cfr., in termini, anche la relazione di accompagnamento al codice, p. 219. 
(6) 
Cfr. 
già 
Cons. 
St., 
Adunanza 
della 
Commissione 
speciale, 
29 
marzo 
2017 
n. 
775, 
“Parere 
sullo 
schema 
di 
linee 
guida 
recanti 
“monitoraggio 
delle 
amministrazioni 
aggiudicatrici 
sull’attività 
dell’operatore 
economico nei contratti di partenariato pubblico privato”. 
(7) Sul 
principio di 
sussidiarietà 
orizzontale, senza 
alcuna 
pretesa 
di 
esaustività, si 
veda, in particolare: 
ArenA 
g., 
“Il 
principio 
di 
sussidiarietà 
orizzontale 
nell’art. 
118, 
u.c. 
della 
Costituzione”, 
in 
“Studi 
in onore 
di 
G. Berti”, vol. I, napoli, 2005; 
benVenutI 
F., “Il 
nuovo cittadino”, Padova, 1994; 
bertI 
g., “Sussidiarietà e 
organizzazione 
dinamica”, in “Jus”, 2004, pp. 171 ss.; 
CASSeSe 
S., “L’aquila 
e 
le 
mosche. Principio di 
sussidiarietà e 
diritti 
amministrativi 
nell’area europea”, in Foro it., 5/1995, 
c. 373 ss.; 
CeruLLI 
IreLLI 
V., “Sussidiarietà (dir. amm.)”, in Enc. giur., Agg. XII, roma, 2004; 
donAtI 
d. -PACI 
A. 
(a 
cura 
di), “Sussidiarietà e 
concorrenza. Una nuova prospettiva per 
gestione 
dei 
beni 
comuni”, 
bologna, 2010; 
FroSInI 
t.e., “Profili 
costituzionali 
della sussidiarietà in senso orizzontale”, in 
riv. giur. mezzogiorno, 1/2000; 
MASSA 
PInto 
I., “Il 
principio di 
sussidiarietà. Profili 
storici 
e 
costituzionali”, 
napoli, 2003; 
PAStorI 
g., “amministrazione 
pubblica e 
sussidiarietà orizzontale”, in “Studi 
in onore 
di 
Giorgio Berti”, Milano, 2005, pp. 1749 ss.; 
reSCIgno 
g.u., “Principio di 
sussidiarietà oriz

rASSegnA 
AVVoCAturA 
deLLo 
StAto -n. 1/2023 


nariato 
sociale” 
(8), 
oggi 
codificato 
all’art. 
201, 
quella 
“demarchia” 
all’epoca 
quasi 
utopicamente 
delineata 
da 
benvenuti 
(9). 


Ciò, 
sul 
piano 
procedimentale, 
si 
traduce 
in 
un 
ampio 
spazio 
riconosciuto 
a 
moduli 
di 
confronto diffuso, e 
con gli 
operatori 
economici 
(si 
veda, in particolare, 
l’art. 183, comma 
7, a 
mente 
del 
quale, fermi 
l’oggetto della 
concessione, 
i 
criteri 
di 
aggiudicazione 
e 
i 
requisiti 
minimi, “l’ente 
concedente 
può 
condurre 
liberamente 
negoziazioni 
con i 
candidati 
e 
gli 
offerenti”, negoziazioni 
“condotte 
di 
regola attraverso un dialogo competitivo ai 
sensi 
dell’articolo 
74”, 
nonché 
chiaramente 
la 
finanza 
di 
progetto), 
e 
con 
la 
società 
territoriale 
di 
riferimento (le 
opere 
indicate, difatti, come 
obbligatoriamente 
soggette 
a 
dibattito pubblico dalla 
tabella 
1 di 
cui 
all’allegato I.6 al 
codice 
si 
prestano, per la gran parte, ad essere oggetto di contratti di PPP). 

2. 
Il 
contesto 
generale: 
la 
formazione 
di 
una 
cultura 
del 
partenariato 
pubblico 
privato. 
Prima 
di 
confrontarsi 
con le 
novità 
apportate 
dal 
novello codice, è 
necessario 
delineare 
il 
contesto in cui 
questo viene 
ad inserirsi, in quanto, come 
segnalato 
in 
apertura, 
l’applicazione 
concreta 
di 
un 
istituto 
non 
sempre 
corrisponde alla previsione astratta dello stesso. 


A 
tal 
fine, in primo luogo, occorre 
rilevare 
che 
il 
mercato del 
PPP 
oggi 
ha 
un 
valore 
certamente 
importante, 
ma 
ancora 
assolutamente 
insufficiente, 
specie 
se 
raffrontato con quello degli 
appalti, per come 
segnalato, in particolare, 
dal 
d.I.P.e. 
(dipartimento 
per 
la 
programmazione 
e 
il 
coordinamento 
della 
politica 
economica 
della 
Presidenza 
del 
Consiglio 
dei 
Ministri), 
nella 
relazione 
sull’attività svolta nel 2021 (10). 


Sulla 
base 
dei 
dati 
forniti 
dall’e.P.e.C. 
(Centro 
europeo 
di 
consulenza 
per 
i 
partenariati 
pubblico-privato presso la 
b.e.I.), che 
tiene 
conto, però, dei 
soli 
PPP 
di 
valore 
superiore 
ai 
dieci 
milioni 
di 
euro, il 
mercato delle 
operazioni 
di 
partenariato, 
nel 
2021, 
in 
europa 
ha 
fatto 
registrare 
un 
valore 
aggregato 
di 
otto 
miliardi 
di 
euro con un calo del 
13% rispetto al 
2020 (9,2 miliardi 
euro), per 
un numero di 
operazioni 
pari 
a 
quaranta. Fra 
queste, l’operazione 
di 
PPP 
più 
rilevante 
sul 
piano 
economico 
è 
italiana 
ed 
è 
rappresentata 
dalla 
realizzazione 
dell’Autostrada 
Pedemontana 
Lombarda 
per un valore 
di 
2,1 miliardi 
di 
euro. 


In 
Italia, 
al 
d.I.P.e. 
-che 
conosce, 
però, 
solo 
le 
operazioni 
che 
allo 
stesso 


zontale 
e 
diritti 
sociali”, in Dir. pubbl., 2002, pp. 5 ss.; 
SICo 
L., “Principio di 
sussidiarietà (diritto comunitario)”, 
in Enc dir., Agg. V, Milano, 2001, pp. 1062 ss. 


(8) Su cui, cfr. de 
nICtoLIS 
r., “Il 
baratto amministrativo (o partenariato sociale)”, in www.giustizia-
amministrativa.it, 2018; 
cfr. anche 
berrettInI 
A., “La co-progettazione 
alla luce 
del 
Codice 
del 
terzo settore”, in Federalismi.it, n. 27 del 19 ottobre 2022. 
(9) Il riferimento è ovviamente a benVenutI 
F., “Il nuovo cittadino”, cit. 
(10) https://www.programmazioneeconomica.gov.it/homeppp/. Allo stato non è 
ancora 
stata 
pubblicata 
la relazione per l’anno 2022 e non si rinvengono dati più aggiornati. 

LegISLAzIone 
ed 
AttuALItà 


sono state 
comunicate 
-risultano aggiudicati 
venti 
PPP 
(registrati) per un valore 
di 
circa 
402,8 milioni 
di 
euro, cui 
si 
aggiungerebbero ulteriori 
trentuno 
progetti 
per un ulteriore 
valore 
stimato di 
circa 
500 milioni 
di 
euro (per operazioni 
non registrate). 


Si 
tratta 
di 
un dato sicuramente 
importante 
-pari, in totale, ad oltre 
tre 
miliardi 
di 
euro, stimati, come 
detto, di 
gran lunga 
in difetto -, ma 
pur sempre 
estremamente 
lontano dal 
valore 
complessivo del 
mercato degli 
appalti 
che, 
secondo la 
relazione 
sull’attività 
svolta 
nel 
2022 presentata 
dall’A.n.A.C. al 
Parlamento l’8 giugno 2023, risulta, invece, pari 
a 
circa 
290 miliardi 
di 
euro 
(a 
fronte 
dei 
208 dell’anno precedente, con un incremento di 
circa 
il 
39% e 
del 56% rispetto al 2020) (11). 


Il 
d.I.P.e. 
individua 
due 
principali 
cause 
che 
spiegherebbero 
il 
non 
adeguato 
sviluppo 
del 
PPP 
in 
Italia, 
ossia, 
da 
un 
lato, 
l’incertezza 
e 
l’eccessiva 
lunghezza 
dei 
processi 
autorizzativi, 
incertezza 
che 
è 
“tecnica 
(continua 
revisione 
e 
aggiornamento 
delle 
normative 
costruttive, 
tecnico-realizzative, 
impiantistiche, 
antisismiche), 
amministrativa 
(procedure, 
norme 
e 
regolamenti 
attuativi 
in 
continuo 
mutamento) 
ed 
economico-
finanziaria 
(per 
citarne 
alcuni: 
stanziamenti 
erogati 
in 
parte, 
decaduti, 
non 
utilizzati 
interamente, 
nonché 
tagli 
di 
bilancio 
o 
riallocazioni 
di 
risorse)”; 
dall’altro, 
la 
“sovente 
carente 
e 
inadeguata 
definizione 
delle 
clausole 
contrattuali”, 
oltre 
che 
“la 
difficoltà 
di 
indicare 
in 
maniera 
puntuale 
gli 
obblighi 
e 
le 
responsabilità 
delle 
parti, 
che 
aumenta 
il 
rischio 
di 
contenziosi 
e 
scoraggia 
gli 
investitori”. 


A 
queste 
cause 
si 
aggiunge 
quello che 
è 
certamente 
il 
maggiore 
ostacolo 
alla 
diffusione 
di 
questo 
modello 
contrattuale, 
ossia 
l’assenza, 
allo 
stato, 
di 
una 
vera 
e 
propria 
“cultura del 
PPP”, che 
passa 
necessariamente 
attraverso 
una 
diversa 
formazione 
dei 
funzionari 
delle 
stazioni 
appaltanti 
e, 
quindi, 
in 
una 
qualificazione 
delle 
stesse 
stazioni, come 
suggerito anche 
dalla 
Corte 
dei 
conti 
europea 
già 
nella 
relazione 
speciale 
n. 9/2018, “Partenariati 
pubblico-
privato nell’UE: carenze diffuse e benefici limitati” (12). 


occorrono, 
dunque, 
stazioni 
appaltanti 
qualificate 
-e 
in 
tale 
direzione 
va 
appunto 
il 
nuovo 
codice, 
che 
espressamente 
prevede, 
all’art. 
174, 
comma 
5, 
che 
questi 
tipi 
di 
contratti 
“possono 
essere 
stipulati 
solo 
da 
enti 
concedenti 
qualificati 
ai 
sensi 
dell’articolo 
63” 
(13) 
-, 
ma, 
affinché 
queste 
siano 
in 
grado 
di 


(11) https://www.anticorruzione.it/-/relazione-annuale-2023. 

(12) https://www.eca.europa.eu/it/publications?did=45153. 
Insistevano sul 
punto anche 
le 
Linee 
guida 
n. 
9, 
recanti: 
“monitoraggio 
delle 
amministrazioni 
aggiudicatrici 
sull’attività 
dell’operatore 
economico 
nei 
contratti 
di 
partenariato pubblico-privato”, approvate 
dal 
Consiglio dell’Autorità 
con delibera 
28 marzo 2018, n. 318 e depositate presso la Segreteria del Consiglio in data 6 aprile 2018. 
(13) Ai 
sensi 
dell’art. 3, comma 
5 dell’Allegato II.4, è 
richiesta 
“almeno una qualificazione 
di 
livello 
L2” 
e 
deve 
essere 
garantita 
“la presenza di 
almeno un soggetto con esperienza di 
tre 
anni 
nella 
gestione di piani economici e finanziari e dei rischi”. 

rASSegnA 
AVVoCAturA 
deLLo 
StAto -n. 1/2023 


gestire 
operazioni 
contrattuali 
così 
complesse 
come 
quelle 
di 
PPP, 
è 
necessaria 
altresì 
una 
vera 
e 
propria 
compartecipazione 
delle 
migliori 
risorse 
nazionali. 


All’uopo, già 
prima 
del 
nuovo codice, il 
legislatore 
era 
intervenuto articolando 
una 
serie 
di 
uffici 
a 
livello centrale 
chiamati 
funzionalmente 
ad assistere 
tutte 
le 
pubbliche 
Amministrazioni, 
centrali 
e 
locali, 
nel 
percorso 
prodromico 
alla 
stipulazione 
di 
un 
contratto 
di 
PPP 
e, 
poi, 
in 
fase 
di 
esecuzione 
dello stesso. 


da 
parte 
l’attività 
consultiva 
generale 
di 
competenza 
dell’A.n.A.C., accanto 
al 
già 
citato d.I.P.e. (in cui 
è 
confluita 
la 
precedente 
unità 
tecnica 
Finanza 
di 
Progetto)(14), 
che 
ha, 
fra 
gli 
altri, 
il 
compito 
di 
curare 
la 
promozione 
e 
la 
diffusione 
di 
modelli 
di 
PPP, di 
assicurare 
il 
supporto gratuito alle 
pubbliche 
Amministrazioni, nonché 
di 
predisporre 
la 
raccolta 
dei 
dati 
e 
il 
monitoraggio 
delle 
operazioni 
de 
quibus 
ai 
fini 
della 
stima 
dell’impatto sul 
bilancio 
pubblico, 
occorre 
ricordare 
il 
ruolo 
assegnato 
al 
dipartimento 
della 
ragioneria 
generale 
dello 
Stato, 
che, 
oltre 
a 
gestire 
insieme 
al 
primo 
il 
“Portale 
per 
il 
monitoraggio 
delle 
operazioni 
di 
Partenariato 
Pubblico 
privato” 
(oggi 
art. 
175, commi 
6 e 
7), di 
concerto con il 
d.I.P.e. rende 
il 
parere 
preventivo, obbligatorio 
e 
non vincolante, per i 
“progetti 
di 
interesse 
statale 
o finanziati 
con 
contributo a carico dello Stato, per 
i 
quali 
non sia prevista l’espressione 
del 
CIPESS, 
[…] il 
cui 
ammontare 
dei 
lavori 
o dei 
servizi 
sia di 
importo pari 
o 
superiore a 50 milioni di euro e inferiore a 250 milioni di euro” (art. 175). 

Per i 
“progetti 
di 
interesse 
statale 
oppure 
di 
progetti 
finanziati 
con contributo 
a carico dello Stato, per 
i 
quali 
non sia già previsto che 
si 
esprima il 
CIPESS 
[…] 
di 
importo 
pari 
o 
superiore 
a 
250 
milioni 
di 
euro”, 
invece, 
il 
nuovo codice 
prevede 
il 
parere, preventivo ed obbligatorio (15), di 
due 
altri 
organi 
pubblici, ovverossia 
lo stesso C.I.P.e.S.S. (Comitato interministeriale 
per 
la 
programmazione 
economica 
e 
lo 
sviluppo 
sostenibile) 
e 
il 
n.A.r.S. 
(nucleo 
di 
consulenza 
per 
l’attuazione 
delle 
linee 
guida 
per 
la 
regolazione 
dei 
servizi 
di 
pubblica 
utilità) 
(16), organismo, quest’ultimo, cui 
compete 
anche, ai 


(14) Cfr. art. 1, comma 
589, l. 28 dicembre 
2015, n. 208, recante 
la 
Legge 
di 
stabilità 
per il 
2016. 
(15) Si 
segnala 
la 
diversità 
di 
formulazione 
del 
primo alinea 
del 
comma 
3 dell’art. 175 rispetto a 
quella 
del 
terzo alinea, nel 
quale 
si 
fa 
espresso riferimento all’applicazione 
della 
formula 
del 
“silenzio 
assenso” 
di 
cui 
all’art. 16, comma 
2 l.p.a., in caso di 
mancato riscontro alla 
richiesta 
di 
parere 
da 
parte 
del 
d.I.P.e. e 
della 
r.g.S. In verità, trattandosi 
quest’ultima 
di 
previsione 
generale, l’eventuale 
esclusione 
della 
sua 
applicazione 
per l’ipotesi 
di 
cui 
al 
primo alinea 
-pur in astratto ragionevole 
-non può 
essere 
argomentata 
sulla 
base 
del 
mero dato testuale 
e, conseguentemente, deve 
ritenersi 
che 
anche 
in 
questo caso possa formarsi il silenzio assenso. 
(16) 
organismo 
tecnico 
di 
consulenza 
e 
supporto 
alle 
attività 
del 
C.I.P.e.S.S., 
coordinato 
dal 
d.I.P.e. e 
composto da 
rappresentanti 
delle 
seguenti 
amministrazioni: 
Ministero dell’economia 
e 
delle 
finanze; 
Ministero delle 
infrastrutture 
e 
dei 
trasporti; 
Ministero dell’ambiente 
e 
della 
sicurezza 
energetica; 
Ministero delle 
imprese 
e 
del 
made 
in Italy; 
Ministro delegato per gli 
affari 
europei, il 
sud, le 
politiche 
di 
coesione 
e 
il 
Pnrr; 
Ministro 
delegato 
per 
gli 
affari 
regionali 
e 
le 
autonomie; 
Ministro 
delegato 
per la 
pubblica 
amministrazione; 
Conferenza 
permanente 
per i 
rapporti 
tra 
lo Stato, le 
regioni 
e 
le 
Province 
autonome di 
trento e bolzano. 

LegISLAzIone 
ed 
AttuALItà 


sensi 
dell’art. 192, comma 
3, di 
pronunciarsi 
sulla 
revisione 
contrattuale 
“nei 
casi 
di 
opere 
di 
interesse 
statale 
ovvero 
finanziate 
con 
contributo 
a 
carico 
dello 
Stato”, 
intervenendo 
nella 
formazione 
del 
parere 
adottato 
di 
concerto 
sempre dal d.I.P.e. e dalla r.g.S. 


Peraltro, la 
ragioneria 
generale 
dello Stato si 
era 
già 
fatta 
promotrice, 
nella 
vigenza 
del 
precedente 
codice, di 
una 
salutare 
iniziativa 
di 
soft 
regulation, 
in affiancamento a 
quella 
già 
svolta 
dall’AnAC in materia, mercé 
la 
redazione 
di 
uno 
schema 
di 
“contratto 
standard 
per 
l’affidamento 
della 
progettazione, 
costruzione 
e 
gestione 
di 
opere 
pubbliche 
a 
diretto 
utilizzo 
della 
pubblica 
amministrazione 
da 
realizzare 
in 
partenariato 
pubblico-privato”, 
con annessa “Guida alla redazione” (2021) (17). 


oggi, 
con 
disposizione 
innovativa 
nel 
contesto 
del 
codice 
(ma 
che 
traduce 
una 
prassi 
che, come 
detto, già 
ha 
iniziato a 
formarsi 
negli 
anni 
precedenti), 
si 
prevede 
espressamente 
che 
dell’ausilio 
fornito 
da 
tali 
organi 
“specializzati”, 
mercé 
richiesta 
del 
parere 
preventivo siccome 
sovra 
delineato, possano avvalersi 
anche 
le 
regioni 
e 
gli 
enti 
locali, 
“quando 
la 
complessità 
dell’operazione 
contrattuale 
lo richieda” 
(art. 175, comma 
4), con una 
quanto mai 
opportuna 
condivisione delle esperienze nel settore pubblico. 


3. Il codice e la costruzione della fattispecie. 
In 
questo, 
che 
è, 
dunque, 
il 
contesto 
generale, 
si 
inserisce 
il 
nuovo 
codice, 
che 
ha, in primo luogo, certamente 
il 
merito di 
dare 
una 
struttura 
finalmente 
compiuta 
all’istituto 
del 
partenariato 
pubblico 
privato, 
eletto 
a 
schema 
generale 
di 
contratto pubblico, del 
tutto alternativo all’appalto e 
a 
cui 
viene 
ricondotto, 
anche sul piano topografico, il contratto di concessione. 


Il 
libro IV 
del 
codice 
si 
apre, difatti, con la 
definizione 
generale 
del 
partenariato 
pubblico-privato, 
“operazione 
economica” 
che 
si 
sviluppa 
in 
un 
rapporto 
contrattuale 
di 
lungo 
periodo, 
nel 
quale 
“la 
copertura 
dei 
fabbisogni 
finanziari 
connessi 
alla realizzazione 
del 
progetto proviene 
in misura significativa 
da risorse 
reperite 
dalla parte 
privata”, su cui 
deve 
essere 
allocato il 
rischio 
operativo 
e 
cui 
“spetta 
il 
compito 
di 
realizzare 
e 
gestire 
il 
progetto, 
mentre 
alla parte 
pubblica quello di 
definire 
gli 
obiettivi 
e 
di 
verificarne 
l’attuazione” 
(art. 174). 


Il 
legislatore, con una 
scelta 
non proprio felice, ripropone, poi, a 
livello 
normativo la 
categorizzazione, di 
ascendenza 
europea, fra 
partenariato pubblico-
privato di 
tipo contrattuale 
-l’unico disciplinato dal 
codice 
-e 
PPP 
di 
tipo 
istituzionale, 
così 
traducendo 
sul 
piano 
del 
diritto 
positivo 
una 
distinzione 
di 
natura 
prettamente 
dottrinale 
e 
dalla 
portata 
più propriamente 
descrittiva. 
Con 
la 
nozione 
di 
PPP 
di 
tipo 
istituzionale 
si 
fa, 
infatti, 
riferimento, 
come 
noto, 


(17) Cfr., sul 
punto, anche 
il 
parere 
reso dal 
Consiglio di 
Stato, sez. I, 28 aprile 
2020, n. 823, ai 
sensi dell’art. 17, comma 25, lett. c), l. 15 maggio 1997. 

rASSegnA 
AVVoCAturA 
deLLo 
StAto -n. 1/2023 


alla 
“creazione 
di 
un ente 
partecipato congiuntamente 
dalla parte 
privata e 
da quella pubblica” 
e, quindi, ad un fenomeno non rientrante 
nell’ambito del 
codice 
e 
di 
cui 
si 
occupa 
-senza, peraltro, che 
tale 
definizione 
ivi 
ricorra 
-, in 
particolare, 
il 
testo 
unico 
in 
materia 
di 
società 
a 
partecipazione 
pubblica 
(d.lgs. 
19 agosto 2016, n. 175). 


Ciò che 
in questa 
sede 
interessa 
è, quindi, esclusivamente 
il 
PPP 
di 
tipo 
contrattuale, genus 
cui 
il 
codice 
-sulla 
falsariga, in verità, di 
quanto già 
proposto 
dal 
precedente 
-riconduce 
i 
vari 
tipi 
della 
concessione 
(che 
del 
PPP 
costituisce 
in un certo qual 
modo il 
paradigma) (18), della 
locazione 
finanziaria 


(c.d. leasing in costruendo) (19) e 
del 
contratto di 
disponibilità 
(20), “nonché 
gli 
altri 
contratti 
stipulati 
dalla pubblica amministrazione 
con operatori 
economici 
privati 
che 
abbiano i 
contenuti 
di 
cui 
al 
comma 1 e 
siano diretti 
a realizzare 
interessi meritevoli di tutela”. 
Al 
di 
là 
della 
superfluità 
del 
riferimento agli 
“interessi 
meritevoli 
di 
tutela”, 
che, ai 
sensi 
dell’art. 1322 c.c., devono comunque 
sorreggere 
la 
causa 
di 
qualsiasi 
contratto atipico, ivi 
certamente 
compresi 
quelli 
che 
hanno come 
parte 
una 
pubblica 
Amministrazione 
(e 
ciò 
anzi 
vale 
a 
fortiori 
per 
quest’ultima, 
venendo in rilievo anche 
l’interesse 
pubblico sotteso a 
detti 
negozi 
giuridici), 
si 
tratta 
di 
norma 
che, -pur non essendo innovativa 
rispetto al 
passato codice 
(art. 180, ult. co., d.lgs. 50/2016) -ha 
il 
merito di 
ribadire 
il 
principio di 
autonomia 
contrattuale, che oggi è stato positivizzato nell’art. 8 del codice. 


ed è 
principio particolarmente 
rilevante 
nell’ambito in esame, se 
sol 
si 
pensa 
che, ancor prima 
della 
espressa 
previsione 
in tal 
senso, già 
la 
dottrina 
e 
la 
giurisprudenza 
(21) avevano ricondotto al 
modello del 
PPP 
i 
contratti, appunto 
atipici, di 
rendimento energetico (energy 
performance 
contract 
-ePC), 
prima 
inseriti 
nel 
d.lgs. 50/2016 dal 
“decreto semplificazioni” 
(d.l. 76/2020) e 
oggi previsti dall’art. 200 del codice. 


La 
scelta 
operata, 
sul 
piano 
generale, 
dal 
codice 
dei 
contratti 
-sviluppando 
quanto in nuce 
delineato già 
nel 
precedente 
codice 
del 
2016 -di 
eleggere 
a 
vero 
e 
unico 
modello 
alternativo 
all’appalto 
il 
partenariato 
pubblico 


(18) 
La 
bibliografia 
sul 
contratto 
di 
concessione 
è 
estremamente 
ampia. 
Sia 
sufficiente, 
ai 
fini 
del 
presente 
scritto, 
il 
rinvio 
a 
greCo 
g., 
“Concessioni 
di 
lavori 
e 
servizi. 
Profili 
generali” 
in 
SAnduLLI 
M.A., de 
nICtoLIS 
r. (diretto da), Trattato sui 
contratti 
pubblici, tomo V, 2019 e 
a 
botto 
A., CAStro-
VInCI 
zennA 
S., “I principi 
e 
le 
procedure 
(artt. 164-173)”, in CLArICh 
M. 
(a 
cura 
di), Commentario al 
codice dei contratti pubblici, cit. 
(19) 
Su 
cui 
si 
vedano, 
in 
particolare, 
CIntIoLI 
F., 
“PPPC 
tipizzati. 
Locazione 
finanziaria”, 
in 
SAnduLLI 
M.A., de 
nICtoLIS 
r. (diretto da), Trattato sui 
contratti 
pubblici, tomo V, cit.; 
VICIConte 
g., “I 
contratti 
di 
partenariato 
e 
la 
locazione 
finanziaria 
(artt. 
179-182, 
187)”, 
in 
CLArICh 
M. 
(a 
cura 
di), 
Commentario al codice dei contratti pubblici, cit. 
(20) Per tale 
modulo contrattuale 
valga 
il 
rinvio a 
gIoVAnnInI 
A., “Il 
contratto di 
disponibilità, la 
sussidiarietà, 
il 
baratto 
amministrativo 
e 
la 
cessione 
di 
immobili 
(artt. 
188-191)”, 
in 
CLArICh 
M. 
(a 
cura 
di), Commentario al 
codice 
dei 
contratti 
pubblici, cit.; 
ConteSSA 
C., “Gli 
altri 
PPPC tipizzati”, in 
SAnduLLI 
M.A., de 
nICtoLIS 
r. 
(diretto da), Trattato sui contratti pubblici, tomo V, cit. 
(21) Cfr., Cons. St., sez. V, 21 febbraio 2020, n. 1327. 

LegISLAzIone 
ed 
AttuALItà 


privato (di 
tipo contrattuale), anche 
a 
livello di 
struttura 
dello stesso codice, è 
particolarmente 
meritoria, in quanto rappresenta 
un tentativo di 
categorizzazione, 
di costruzione delle fattispecie, che va oltre le indicazioni europee. 

Con una 
vera 
e 
propria 
“fuga in avanti” 
(22), il 
legislatore 
nazionale 
cioè 
positivizza 
la 
figura 
del 
PPP, 
sconosciuta 
invece 
al 
diritto 
positivo 
europeo 
(23), ove 
pure 
questo rintraccia 
le 
proprie 
origini 
(24). non pare, difatti, superfluo 
ricordare 
che 
la 
direttiva 
2014/23/ue 
(così 
come 
la 
direttiva 
2014/24/ue), di 
cui 
anche 
questo codice 
ovviamente 
costituisce 
attuazione, è 
dedicata alle concessioni e non fa alcun cenno al PPP. 


Si 
tratta 
di 
impostazione 
da 
valutare 
positivamente 
e 
che 
il 
legislatore 
dovrebbe 
adottare 
più spesso, in quanto consente, in primis, di 
dare 
contenuto 
alla 
terminologia 
quasi 
sempre 
troppo generica 
utilizzata 
nella 
regolamentazione 
europea 
(ma 
ciò 
è 
inevitabile, 
stante 
la 
necessità 
di 
garantire 
la 
ricezione 
della 
disciplina 
in 
tutti 
gli 
Stati 
dell’unione) 
e, 
in 
secondo 
luogo, 
di 
offrire 
una 
struttura 
concettuale, ancor prima 
che 
strettamente 
giuridica, agli 
istituti 
che nella stessa vanno formandosi. 


Proprio 
per 
questo, 
non 
può 
che 
confessarsi 
una 
qual 
certa 
perplessità 
dinnanzi 
alla 
definizione 
generale 
del 
PPP 
come 
“operazione 
economica”, 
con 
espressione 
dal 
contenuto 
giuridico 
pressoché 
nullo 
e 
che 
si 
spiega 
solo 
perché 
il 
legislatore 
ha 
voluto dettare 
una 
qualificazione 
non generale, ma 
generalissima 
della 
figura, alla 
stessa 
appunto avendo voluto ricondurre 
anche 
il 
PPP 
di tipo istituzionale (25). 


un 
maggior 
rigore 
definitorio 
sarebbe, 
dunque, 
stato 
preferibile, 
senza 
che 
per questo risultasse 
tradito il 
criterio di 
cui 
alla 
lettera 
a) 
della 
legge 
delega, 
che 
imponeva 
il 
“perseguimento di 
obiettivi 
di 
stretta aderenza alle 
direttive 
europee 
[…]”. 


Con 
il 
nuovo 
codice 
deve 
ritenersi 
ormai 
cristallizzata 
la 
alternatività 
fra 
partenariato 
pubblico 
privato 
e 
appalto 
(26), 
sulla 
scorta 
dell’insegnamento 
europeo 
(27): 
il 
discrimen 
fra 
le 
due 
fattispecie 
negoziali 
è 
rappre


(22) In tal 
senso, cfr. VICIConte 
g., “I contratti 
di 
partenariato e 
la locazione 
finanziaria (artt. 
179-182, 187)”, in CLArICh 
M. 
(a cura di), Commentario al codice dei contratti pubblici, cit., 1183. 
(23) 
Se 
non 
a 
fini 
contabili; 
cfr. 
regolamento 
(ue) 
n. 
549/2013 
del 
Parlamento 
europeo 
e 
del 
Consiglio, del 
21 maggio 2013, relativo al 
Sistema 
europeo dei 
conti 
nazionali 
e 
regionali 
nell’unione 
europea 
testo rilevante ai fini del See. 
(24) “Libro Verde 
relativo ai 
partenariati 
pubblico-privati 
ed al 
diritto comunitario degli 
appalti 
pubblici e delle concessioni”, CoM (2004). 
(25) nella 
consapevolezza 
che 
“la nozione 
di 
partenariato ha una duplice 
dimensione, negoziale 
ed economica, in quanto costituisce 
un fenomeno economico-finanziario che 
trova disciplina giuridica 
nel relativo contratto” (Cons. St., parere della Commissione speciale, n. 855 del 21 marzo 2016). 
(26) Questo lo specifica 
anche 
il 
codice, là 
dove, all’art. 175, comma 
2, ultimo alinea, impone 
all’Amministrazione 
di 
valutare 
la 
opportunità 
di 
ricorrere 
a 
tale 
modulo anziché 
a 
quello dell’appalto. 
(27) Corte 
di 
giustizia 
u.e., 15 ottobre 
2009, sentenza 
C-196/08, acoset 
S.p.a., § 39; 
cfr., da 
ultimo, 
Corte 
di 
giustizia 
u.e., 
sez. 
VIII, 
10 
novembre 
2022, 
sentenza 
C-486/2021, 
Sharengo, 
che 
afferma 
che 
la 
concessione 
di 
servizi 
si 
distingue 
da 
un appalto pubblico per l’attribuzione 
al 
concessionario del 

rASSegnA 
AVVoCAturA 
deLLo 
StAto -n. 1/2023 


sentato 
dalla 
sussistenza 
o 
meno 
di 
un 
“rischio 
operativo” 
in 
capo 
all’operatore 
economico. 


non rileva, invece, necessariamente 
la 
struttura 
del 
contratto, trilaterale 


o 
bilaterale, 
atteso 
che 
il 
codice 
fuga 
ogni 
dubbio 
circa 
la 
possibilità 
che 
anche 
le 
c.d. 
opere 
fredde, 
ossia 
quelle 
per 
le 
quali 
il 
privato 
che 
le 
realizza 
e 
gestisce 
fornisce 
direttamente 
servizi 
alla 
pubblica 
Amministrazione 
e 
trae 
la 
propria 
remunerazione 
solo 
da 
pagamenti 
effettuati 
dalla 
stessa 
(ospedali, 
carceri, 
scuole 
et similia) (28), possano essere oggetto di un contratto di PPP. 
nel 
contratto di 
appalto, come 
noto, il 
rischio per il 
privato è 
solo di 
costruzione, 
ossia 
il 
rischio 
imprenditoriale 
derivante 
dalla 
errata 
valutazione 
dei 
costi 
di 
costruzione 
rispetto al 
corrispettivo che 
si 
percepirà 
a 
seguito del-
l’esecuzione dell’opera. 


Il 
rischio operativo si 
ricollega, invece, ai 
sensi 
dell’art. 177, dettato in 
materia 
di 
concessioni, alla 
realizzazione 
dei 
lavori 
o alla 
gestione 
dei 
servizi 
e 
comprende 
un 
rischio 
dal 
lato 
della 
domanda, 
da 
intendersi 
come 
“domanda 
effettiva di 
lavori 
o servizi 
che 
sono oggetto del 
contratto”, o dal 
lato dell’offerta, 
ossia 
“in 
particolare 
il 
rischio 
che 
la 
fornitura 
di 
servizi 
non 
corrisponda 
al 
livello qualitativo e 
quantitativo dedotto in contratto”, cui 
è 
da 
ricondurre 
anche il rischio di disponibilità (29), o da entrambi (comma 1). 

Affinché 
un 
contratto 
sia 
qualificabile 
come 
PPP 
il 
rischio 
rilevante 
è 
solo 
“quello che 
deriva da fattori 
eccezionali 
non prevedibili 
e 
non imputabili 
alle 
parti”, mentre 
“non rilevano rischi 
connessi 
a cattiva gestione, a inadempimenti 
contrattuali 
dell’operatore 
economico 
o 
a 
cause 
di 
forza 
maggiore” 
(così 
testualmente 
il 
comma 
3 
che 
riproduce 
pedissequamente 
il 
considerando 


n. 20 della direttiva). 
Il 
legislatore, 
assai 
opportunamente, 
si 
discosta 
dalla 
scelta 
effettuata 
con 
il 
codice 
del 
2016, là 
dove 
si 
dettava 
una 
tassonomia 
estremamente 
analitica 
dei 
rischi 
allocabili 
in capo alle 
parti 
dei 
contratti 
di 
partenariato (già 
in sede 
definitoria; 
cfr. art. 3, d.lgs. 50/2016), abbozzandone 
invece 
solo i 
tratti 
generali 
-conformemente 
alla 
direttiva 
n. 23 -e 
demandandone 
la 
specificazione 
ad atti 
amministrativi 
generali, come 
bandi-tipo, capitolati-tipo ovvero contratti-
tipo redatti 
dall’A.n.A.C. (art. 222; 
cfr., con particolare 
riferimento al 
PPP, l’art. 197 in tema 
di 
contratto di 
disponibilità), ovvero alla 
prassi 
ammi


diritto, eventualmente 
accompagnato da 
un prezzo, di 
gestire 
i 
servizi 
oggetto della 
concessione: 
“costituisce 
una 
«concessione 
di 
servizi» 
l’operazione 
mediante 
la 
quale 
un’amministrazione 
aggiudicatrice 
intende 
affidare 
la creazione 
e 
la gestione 
di 
un servizio di 
noleggio e 
condivisione 
di 
veicoli 
elettrici 
a 
un operatore 
economico il 
cui 
contributo finanziario sia prevalentemente 
destinato all’acquisto di 
tali 
veicoli, e 
nella quale 
gli 
introiti 
di 
detto operatore 
economico proverranno principalmente 
dalle 
tariffe 
pagate 
dagli 
utenti 
del 
servizio in parola, dal 
momento che 
caratteristiche 
del 
genere 
sono tali 
da dimostrare 
che 
il 
rischio 
legato 
alla 
gestione 
dei 
servizi 
oggetto 
della 
concessione 
è 
stato 
trasferito 
a 
detto operatore economico”. 


(28) Cfr. relazione di accompagnamento, p. 211. 
(29) Cfr. già Cons. St., Comm. spec., n. 855/2016. 

LegISLAzIone 
ed 
AttuALItà 


nistrativa 
(cui 
oggi 
sarà 
da 
ricondurre, ad esempio, l’elaborazione 
della 
c.d. 
“matrice dei rischi”) 
(30). 


La 
corretta 
allocazione 
dei 
rischi 
è 
indispensabile 
per qualificare 
il 
contratto 
come 
concessione 
(e, 
quindi, 
PPP) 
e 
questa 
passa 
necessariamente 
dalla 
attenta 
definizione 
del 
piano economico finanziario (P.e.F.), strumento indispensabile 
per verificare 
la 
concreta 
capacità 
del 
concorrente 
di 
eseguire 
correttamente 
la 
prestazione 
per 
l’intero 
arco 
temporale 
prescelto 
attraverso 
la 
responsabile 
prospettazione 
di 
un equilibrio economico-finanziario del 
contratto 
stesso 
(31), 
“intendendosi 
per 
tale 
la 
contemporanea 
presenza 
delle 
condizioni 
di 
convenienza 
economica 
e 
sostenibilità 
finanziaria”. 
L’equilibrio 
economico-finanziario sussiste, ai 
sensi 
dell’art. 177, comma 
5, “quando i 
ricavi 
attesi 
del 
progetto sono in grado di 
coprire 
i 
costi 
operativi 
e 
i 
costi 
di 
investimento, 
di 
remunerare 
e 
rimborsare 
il 
capitale 
di 
debito 
e 
di 
remunerare 
il capitale di rischio”. 


4. Il finanziamento e le ragioni di attrattività del PPP. 
Proprio la 
corretta 
distinzione 
fra 
PPP 
e 
appalto è 
indispensabile 
al 
fine 
di 
garantire 
-e 
questo è 
uno dei 
principali 
motivi 
di 
attrattività 
del 
primo -la 
possibilità 
per 
le 
pubbliche 
Amministrazioni 
di 
contabilizzare 
l’operazione 
fuori 
bilancio (off 
balance) e, quindi, di 
non creare 
debito pubblico, in conformità 
alla 
funzione 
precipua 
di 
tale 
modulo contrattuale, diretto a 
garantire, 
come 
sovra 
ricordato, il 
finanziamento di 
un’opera 
o di 
un servizio pubblico 
da parte del privato (32). 


A 
tal 
fine, il 
nuovo codice, superando l’impostazione 
precedente, maggiormente 
attenta 
ad 
un 
profilo 
quantitativo, 
piuttosto 
che 
qualitativo, 
non 
pone 
alcun limite 
fisso al 
valore 
dell’eventuale 
contributo pubblico previsto 
quale 
parte 
del 
corrispettivo contrattuale 
e 
si 
limita 
a 
rinviare 
alla 
disciplina 
dettata 
dalle 
decisioni 
Eurostat 
(33), 
valorizzando 
così 
anche 
le 
finalità 
sociali 
perseguite 
(c.d. value 
for 
society), nonché 
le 
esigenze 
di 
tutela 
della 
piccola 
e 
media impresa. 


nel 
caso 
in 
cui 
i 
criteri 
ivi 
previsti 
siano 
violati 
dalle 
operazioni 
contrattuali 


(30) Cfr. Linee guida 
A.n.A.C. n. 9, cit. 
(31) Cfr., fra 
le 
più recenti, Cons. St., sez. IV, 23 febbraio 2023, n. 1867; 
Id., sez. V, 30 gennaio 
2023, n. 1042. 
(32) Cfr., Cons. St., sez. V, 13 aprile 2022, n. 2809. 
(33) L’art. 177, comma 
7, diversamente 
dal 
precedente 
art. 180, comma 
6 (che 
disponeva 
che 
il 
contributo pubblico non potesse 
superare 
il 
“quarantanove 
per 
cento del 
costo dell’investimento complessivo”), 
infatti, rinvia 
tout 
court 
ai 
contenuti 
delle 
decisioni 
eurostat, prevedendo solo che 
“in ogni 
caso, 
l’eventuale 
riconoscimento 
di 
un 
contributo 
pubblico, 
in 
misura 
superiore 
alla 
percentuale 
indicata 
nelle 
decisioni 
Eurostat 
e 
calcolato 
secondo 
le 
modalità 
ivi 
previste, 
non 
ne 
consente 
la 
contabilizzazione 
fuori 
bilancio”. 
Su 
questo, 
cfr. 
anche 
la 
circolare 
della 
Presidenza 
del 
Consiglio 
dei 
Ministri 
del 
10 
luglio 
2019, con la 
quale 
si 
definiscono i 
criteri 
per la 
comunicazione 
di 
informazioni 
relative 
al 
partenariato 
pubblico privato ai sensi dell’art. 44, comma 1 bis 
del decreto-legge 31 dicembre 2007, n. 248. 

rASSegnA 
AVVoCAturA 
deLLo 
StAto -n. 1/2023 


poste 
concretamente 
in 
essere, 
occorre 
procedere 
alla 
riqualificazione 
del 
rapporto 
negoziale 
come 
fonte 
di 
indebitamento 
(34), 
riqualificazione 
e 
non 
nullità 
del 
contratto, 
come 
in 
passato 
invece 
erroneamente 
sostenuto 
da 
una 
certa 
giurisprudenza 
(35) 
e 
come, 
invece, 
oggi 
chiarito 
anche 
dall’art. 
177, 
comma 
6. 


Al 
riguardo, non pare 
superfluo sottolineare 
come, sulla 
base 
dei 
rilievi 
formulati 
dall’I.S.t.A.t., 
incaricato 
di 
compilare 
ed 
inviare 
ad 
Eurostat 
il 
“questionario 
sulle 
tabelle 
relative 
alla 
notifica 
della 
procedura 
per 
i 
disavanzi 
eccessivi”, la 
cui 
tabella 
11 è 
appunto relativa 
ai 
PPP, nel 
2022 ben l’87% dei 
contratti 
di 
PPP 
è 
stato riclassificato on-balance 
sheet, in ragione 
del 
mancato 
trasferimento dei 
rischi 
al 
soggetto privato, e 
tale 
percentuale 
sale 
addirittura 
al 100% per i contratti di ePC. 


tanto valga 
ad evidenziare, ancora 
una 
volta, la 
complessità 
per le 
pubbliche 
Amministrazioni di disegnare contratti quali quelli di specie. 


Proprio alla 
natura 
(anche) di 
strumento di 
finanziamento di 
questi 
contratti, 
si ricollega, poi, l’istituto della finanza di progetto (36). 


Il 
codice, 
in 
primo 
luogo, 
precisa 
definitivamente 
che 
questa 
non 
è 
un 
tipo di 
contratto di 
partenariato pubblico privato (come 
erroneamente 
veniva 
indicato dall’art. 180, comma 
8 del 
vecchio codice), ma 
una 
particolare 
e 
articolata 
procedura 
bifasica 
-di 
scelta 
del 
progetto e 
di 
affidamento del 
contratto, 
e 
oggi 
di 
tutti 
i 
contratti 
di 
PPP 
(art. 198, comma 
1) -, che 
si 
connota 
per 
la 
peculiarità 
di 
essere 
avviata 
(solo) 
su 
iniziativa 
degli 
operatori 
economici 
privati 
(essendo stata 
espunta 
la 
modalità 
ad iniziativa 
pubblica, ritenuta 
condivisibilmente 
del 
tutto superflua) e 
di 
operare 
sia 
in relazione 
a 
progetti 
già 
presenti 
nel 
(nuovo) programma 
triennale 
delle 
esigenze 
pubbliche 
(cfr. art. 
175, comma 1), sia per iniziative ivi non previste. 


Come 
chiarito 
dalla 
stessa 
relazione 
di 
accompagnamento 
allo 
schema 
definitivo del 
codice, pertanto, “non si 
tratta di 
due 
tipi 
contrattuali 
diversi, 
come 
nella struttura dell’impianto codicistico del 
2016. È 
il 
medesimo contratto 
di 
concessione 
che 
può essere 
finanziato, sia in ‘corporate 
financing’, 
sia in ‘project financing’ 
”(p. 203). 


Con riferimento alla 
prima 
fase, di 
scelta 
del 
promotore 
di 
una 
procedura 
di 
finanza 
di 
progetto, è 
pacifico che 
non si 
tratti 
di 
“un modulo di 
confronto 
concorrenziale 
sottoposto al 
principio delle 
procedure 
di 
evidenza pubblica, 
quanto piuttosto [di] 
uno strumento tramite 
il 
quale 
l’amministrazione 
defini


(34) Corte dei conti, delibera n. 15/SezAut/2017/QMIg del 13-23 giugno 2017. 
(35) t.a.r. Sardegna, sez. I, 10 marzo 2011, n. 213, secondo cui 
un contratto di 
concessione 
posto 
in essere 
senza 
una 
efficace 
allocazione 
dei 
rischi 
in violazione 
dei 
principi 
comunitari 
sarebbe 
nullo 
per 
illiceità 
della 
causa 
ai 
sensi 
dell’art. 
1344 
c.c. 
(contratto 
in 
frode 
alla 
legge), 
in 
quanto 
utilizzato 
allo 
scopo di conseguire un risultato precluso dall’ordinamento. 
(36) Su cui 
cfr. MALInConICo 
C., “Finanza di 
progetto”, in SAnduLLI 
M.A., de 
nICtoLIS 
r. 
(diretto 
da), Trattato sui 
contratti 
pubblici, tomo V, cit.; 
nonché 
rAgAneLLI 
b., “La finanza di 
progetto”, 
in CLArICh 
M. (a cura di), Commentario al codice dei contratti pubblici, cit. 

LegISLAzIone 
ed 
AttuALItà 


sce 
di 
concerto con il 
privato un obiettivo di 
interesse 
pubblico da realizzare” 
(37), tanto che 
l’Amministrazione 
può sempre 
decidere 
di 
non dare 
corso alla 
procedura di gara per l’affidamento del contratto (38). 


In 
secondo 
luogo, 
occorre 
segnalare 
il 
criticabile 
arretramento 
compiuto 
dal 
legislatore 
rispetto 
al 
testo 
proposto 
dalla 
Commissione, 
con 
particolare 
riferimento 
alla 
soluzione 
da 
questa 
indicata 
con 
riferimento 
ad 
uno 
dei 
principali 
problemi 
che 
affligge 
il 
modulo 
della 
finanza 
di 
progetto, 
costituito 
dalla 
previsione 
del 
diritto 
di 
prelazione 
a 
favore 
del 
promotore, 
spesso 
di 
ostacolo, 
nella 
pratica, 
alla 
partecipazione 
di 
altri 
operatori 
alla 
seconda 
fase 
della 
procedura. 


La 
Commissione, per ovviare 
a 
tale 
effetto, aveva 
inserito, quale 
alternativa 
al 
diritto di 
prelazione, la 
possibilità 
di 
riconoscere 
al 
promotore 
un punteggio 
premiale 
(c.d. 
sistema 
alla 
cilena), 
da 
riferirsi 
anche 
al 
valore 
innovativo 
del 
progetto 
stesso, 
nella 
consapevolezza 
che 
nessuna 
opzione 
è 
comunque 
priva 
di 
difetti, atteso che 
anche 
questa, pur incentivando la 
partecipazione 
e 
la 
qualità 
progettuale, 
comporterebbe 
inevitabilmente 
un 
generale 
aumento 
dei costi (cfr. pag. 231-232 della relazione) 
(39). 


Sarebbe 
stato 
certamente 
preferibile 
consentire 
alla 
stazione 
appaltante 
la 
ponderazione 
fra 
detti 
interessi 
in concreto, avuto riguardo alle 
peculiarità 
dell’opera 
oggetto del 
progetto, piuttosto che 
escludere 
ex 
lege 
la 
stessa 
possibilità 
di 
ricorrere 
a 
tale 
modalità 
alternativa 
di 
valorizzazione 
della 
posizione 
del promotore. 


Pare, invece, condivisibile 
la 
scelta 
del 
legislatore 
di 
prevedere 
l’obbligo 
di 
costituzione 
di 
una 
società 
di 
scopo (e 
la 
nuova 
denominazione 
rispetto a 
quella 
di 
società 
di 
progetto 
ha 
il 
dichiarato 
fine 
di 
ricondurre 
la 
finanza 
di 
progetto al 
modello europeo dello special 
purpose 
vehicle) solo per gli 
affidamenti 
di 
lavori 
sovra 
soglia 
e 
non, invece, quale 
regola 
generale, come 
originariamente 
proposto 
dalla 
Commissione, 
così 
lasciando 
una 
maggiore 
libertà 
alle 
stazioni 
appaltanti 
e 
agli 
stessi 
operatori 
economici, 
cui, 
d’altra 
parte, 
oggi 
l’art. 198, comma 
2 riconosce 
sempre 
il 
diritto di 
“avvalersi, anche 
al 
di 
fuori 
della finanza di progetto, della facoltà di costituire una società di scopo”. 


(37) Cfr., da 
ultimo, Cons. St., sez. V, ord. 7 giugno 2023, n. 5615, con cui 
è 
stata 
rimessa 
alla 
Corte 
di 
giustizia 
ue 
la 
seguente 
questione 
pregiudiziale 
ai 
sensi 
dell’art. 
267 
tFue: 
“se 
l’art. 
183, 
comma 15, del 
d.lgs. n. 50 del 
2016 è 
contrario al 
diritto UE 
e 
in particolare 
ai 
principi 
di 
pubblicità, 
imparzialità e 
non discriminazione 
contenuti 
sia nel 
Trattato che 
nei 
principi 
UE, propri 
di 
tutte 
le 
procedure 
comparative, 
laddove 
interpretato 
così 
da 
consentire 
trattamenti 
discriminatori 
in 
una 
procedura 
di 
attribuzione 
del 
diritto 
di 
prelazione, 
senza 
predefinizione 
dei 
criteri 
e 
comunque 
senza 
comunicazione 
dei 
medesimi 
a tutti 
i 
concorrenti 
ma solo ad alcuni 
di 
essi, quanto meno al 
decorso dei 
tre 
mesi 
di 
urgenza 
previsti 
da tale 
articolo”. detta 
problematica 
è 
oggi 
venuta 
meno, in quanto il 
termine 
di 
novanta 
giorni 
previsto dall’art. 193, comma 
2 -che, in verità, nel 
progetto originario era 
stato sostituito dal-
l’avverbio “tempestivamente” - non è più indicato come perentorio. 
(38) Cfr., ex 
multis, Cons. St., sez. III, 19 settembre 
2022, n. 8072; 
si 
veda 
anche 
t.a.r. Calabria, 
Catanzaro, 14 luglio 2022, n. 1312. 
(39) 
Cfr. 
anche 
il 
comunicato 
del 
Presidente 
dell’A.n.A.C. 
del 
12 
gennaio 
2022, 
sull’indagine 
conoscitiva svolta sulle procedure di 
project financing 
nei servizi. 

rASSegnA 
AVVoCAturA 
deLLo 
StAto -n. 1/2023 


5. La fase esecutiva e la lezione della pandemia. 
In 
questa 
breve 
panoramica, 
inevitabilmente 
incompleta, 
merita 
un 
cenno 
la disciplina dettata dal codice in materia di esecuzione dei contratti di partenariato 
(40), 
di 
cui 
al 
titolo 
III 
della 
parte 
II 
del 
libro 
de 
quo, 
dedicata 
alle 
concessioni, 
ma applicabile a tutti i PPP 
ex 
art. 174, comma 3. 


Ciò 
per 
due 
principali 
motivi: 
da 
un 
lato, 
questi 
contratti 
-come 
ci 
ricorda 
anche 
l’art. 
178 
-costituiscono 
rapporti 
di 
durata, 
spesso 
molto 
ampi 
nel 
tempo, 
in 
quanto 
devono 
remunerare 
gli 
investimenti, 
effettuati 
e 
da 
effettuare, 
dall’aggiudicatario; 
dall’altro, 
per 
la 
particolare 
attenzione 
che 
negli 
ultimi 
anni, 
a 
causa 
del 
fenomeno 
pandemico 
e 
dalla 
guerra, 
è 
stata 
tributata, 
dalla 
dottrina 
e 
dalla 
giurisprudenza, 
proprio 
alla 
fase 
esecutiva 
dei 
contratti, 
anche 
pubblici. 


In 
primo 
luogo, 
occorre 
rilevare 
che, 
in 
ossequio 
al 
criterio 
di 
cui 
alla 
lett. 
ff) 
della 
legge 
delega, il 
codice 
ha 
sancito il 
divieto di 
proroga 
dei 
contratti 
di 
PPP, salvo nel 
caso di 
revisione 
degli 
stessi 
(art. 178, comma 
5; 
su cui 
infra). 


non 
è 
stata, 
invece, 
prevista 
la 
proroga 
c.d. 
tecnica 
(ad 
eccezione 
per 
l’ipotesi, speciale, delle 
concessioni 
autostradali), diversamente 
da 
quanto disposto 
dall’art. 120, comma 11 per gli appalti. 


Attese 
la 
auto-conclusività 
del 
libro IV 
del 
codice, l’assenza 
di 
rinvii 
interni 
e 
la 
natura 
eccezionale 
di 
tale 
tipo di 
proroga 
(41), si 
dovrebbe, dunque, 
ritenere 
che 
oggi 
-diversamente 
dal 
passato 
-sia 
preclusa 
alle 
Amministrazioni 
la 
facoltà 
di 
disporre 
la 
proroga 
c.d. 
tecnica 
dei 
contratti 
finanche 
“nei 
casi 
eccezionali 
nei 
quali 
risultino 
oggettivi 
e 
insuperabili 
ritardi 
nella 
conclusione 
della procedura di affidamento del contratto”. 

tale 
soluzione, 
imposta 
dalla 
legge 
delega, 
si 
spiega 
proprio 
con 
la 
durata 
tendenzialmente 
lunga 
del 
contratto 
-che 
deve 
essere 
chiaramente 
predefinita 
ex 
art. 178, comma 
1 -, che 
dovrebbe 
consentire 
alle 
Amministrazioni 
di 
predisporre 
per tempo l’avvio di 
una 
nuova 
procedura 
ad evidenza 
pubblica 
per 
l’aggiudicazione del contratto per il periodo successivo alla scadenza. 

La 
prassi 
consentirà 
di 
verificare 
quanto 
tale 
proposito 
potrà 
essere 
in 
concreto soddisfatto, ma 
non si 
può che 
avanzare 
qualche 
dubbio sull’opportunità 
di una sì rigida preclusione. 


In 
secondo 
luogo, 
con 
il 
codice 
si 
è 
persa 
l’occasione 
di 
dare 
un 
contenuto 
concreto alla 
disposizione 
di 
cui 
all’art. 175 del 
codice 
previgente, oggi 
tra


(40) Sull’esecuzione 
dei 
contratti 
di 
concessione 
(e, quindi, dei 
contratti 
di 
PPP), con riferimento 
al 
previgente 
codice, 
cfr., 
per 
tutti, 
urbAno 
g., 
“L’esecuzione 
delle 
concessioni 
(artt. 
174-178)”, 
in 
CLArICh 
M. 
(a 
cura 
di), Commentario al 
codice 
dei 
contratti 
pubblici, 2019, oltre 
che 
SCIAudone 
F., 
“Esecuzione. modifica dei 
contratti 
durante 
il 
periodo di 
efficacia”, in SAnduLLI 
M.A., de 
nICtoLIS 
r. 
(diretto da), Trattato sui 
contratti 
pubblici, tomo V, cit. In generale, cfr. anche 
zoPPoLAto 
M., CoMPAronI 
A., 
“revisione 
dei 
prezzi 
trattato 
sui 
contratti 
pubblici”, 
in 
SAnduLLI 
M.A., 
de 
nICtoLIS 
r. 
(diretto 
da), Trattato sui contratti pubblici, tomo IV, 2019. 
(41) Cfr., fra le tante, Cons. St., sez. V, 23 settembre 2019, n. 6326. 

LegISLAzIone 
ed 
AttuALItà 


dotta, pur con qualche 
modifica 
-più terminologica, che 
di 
sostanza 
-nell’art. 
189, disciplinante la modifica del contratto durante il periodo di efficacia. 


La 
disposizione 
sconta, evidentemente, una 
eccessiva 
“fedeltà” 
al 
contenuto 
della 
direttiva 
n. 23 (art. 43), frutto forse 
di 
una 
lettura 
anch’essa 
eccessivamente 
rigida 
del 
criterio 
di 
delega 
sovra 
richiamato. 
La 
estrema 
genericità 
della 
terminologia 
adoperata 
nel 
diritto 
positivo 
europeo, 
come 
sovra 
rilevato, 
necessita 
di 
essere 
colmata 
attraverso il 
rinvio alle 
categorie 
tradizionali 
nazionali, 
senza 
che 
per questo ne 
sia 
tradita 
l’origine, così 
da 
cercare 
di 
quanto 
meno 
ostacolare 
quella 
eclissi 
del 
diritto 
(civile) 
o, 
comunque, 
quella 
crisi 
della fattispecie da più parti denunciate (42). 


Ciò 
vale, 
in 
particolar 
modo, 
per 
il 
concetto 
di 
“natura 
generale 
della 
concessione” 
che 
assume 
valenza 
di 
limite 
generale 
per le 
ipotesi 
di 
modifica 
disciplinate 
dal 
comma 
2 dell’art. 189, oltre 
che 
per quelle 
di 
cui 
al 
comma 
1, 
lett. 
a) 
e 
c). 


né 
nel 
codice, né 
nella 
presupposta 
direttiva 
n. 2014/23/ue 
si 
rinviene 
una 
definizione 
della 
“natura generale” 
del 
contratto, né 
la 
stessa 
risulta 
specificamente 
affrontata 
dalla 
giurisprudenza 
nazionale 
-e 
ciò si 
spiega 
perché, 
come 
rilevato anche 
nella 
relazione 
di 
accompagnamento, tale 
previsione 
ha 
avuto nella prassi scarsissima applicazione. 


Inoltre, di 
assai 
difficile 
definizione 
risulta 
il 
rapporto fra 
tale 
concetto e 
quello di 
“modifica sostanziale” 
del 
contratto (rilevante 
ai 
sensi 
del 
comma 
1, 
lett. e)), specie 
oggi 
che 
il 
comma 
4 dell’art. 189, quasi 
filosoficamente, afferma 
che 
una 
modifica 
sarebbe 
da 
ritenersi 
tale 
“se 
la natura della concessione 
muta nella sua essenza rispetto a quella inizialmente conclusa”. 

Se 
è 
vero che 
tale 
previsione 
è 
comunque 
preferibile 
a 
quella 
della 
direttiva, 
che 
tautologicamente 
dispone 
che 
la 
modifica 
è 
da 
considerarsi 
sostanziale 
se 
“muta sostanzialmente 
la natura della concessione 
rispetto a quella 
inizialmente 
conclusa”, forse 
avrebbe 
meritato di 
essere 
conservato, almeno 
in 
parte 
qua, 
lo 
sforzo 
qualificatorio 
effettuato 
dal 
precedente 
art. 
175, 
comma 
7, 
che 
definiva 
“sostanziale” 
la 
modifica 
che 
“altera 
considerevolmente 
gli 
elementi 
essenziali 
del 
contratto”, così 
richiamando categorie 
un po’ 
più note 
al nostro ordinamento. 


Con maggior rigore 
dogmatico, si 
potrebbe 
tentare 
di 
ricondurre 
la 
nozione 
di 
“natura 
generale” 
del 
contratto 
a 
quella, 
ben 
conosciuta, 
di 
causa, 
funzione 
del 
contratto; 
sicché 
si 
avrebbe 
incisione 
sulla 
stessa 
allorché, 
ad 
esempio, 
le 
modifiche 
comportino 
un 
sostanziale 
svuotamento 
del 
rischio 
operativo 
sotteso alla 
originaria 
concessione, sì 
da 
trasformarla 
in un appalto, ovvero 
allorquando 
si 
inseriscano 
nell’oggetto 
del 
contratto 
una 
serie 
di 
prestazioni allo stesso totalmente estranee (43). 


(42) Il 
riferimento è, ovviamente, a 
CAStronoVo 
C., Eclissi 
del 
diritto civile, 2015 e 
a 
IrtI 
n., 
Crisi della fattispecie, in riv. Dir. Proc., 2014, 1, 36 ss. 

rASSegnA 
AVVoCAturA 
deLLo 
StAto -n. 1/2023 


Particolare 
ipotesi 
di 
modifica 
del 
contratto -senza 
che, però, di 
tale 
rapporto 
si 
curi 
il 
legislatore 
nazionale, in assenza 
di 
indicazioni 
da 
parte 
della 
direttiva 
-è 
la 
revisione, disciplinata 
oggi 
da 
una 
disposizione 
autonoma 
(art. 
192), 
diversamente 
rispetto 
al 
codice 
precedente, 
che 
alla 
stessa 
riservava 
solo 
un limitatissimo spazio (artt. 165, comma 6 e 182, comma 3). 


L’origine 
di 
tale 
scelta, innovativa, è 
chiaramente 
da 
rinvenirsi 
nelle 
ben 
note 
problematiche 
sorte 
con riferimento a 
tutti 
i 
contratti 
di 
durata 
e, quindi, 
anche 
per quelli 
pubblici, nel 
periodo pandemico, che 
hanno imposto una 
rinnovata 
riflessione 
circa 
la 
necessaria 
previsione 
in via 
generale 
di 
rimedi 
manutentivi 
del 
rapporto sinallagmatico a 
fronte 
di 
sopravvenienze 
non previste 
e non prevedibili al momento della stipulazione (44). 


A 
tale 
esigenza 
rispondono 
oggi, 
in 
via 
generale, 
la 
innovativa 
previsione 
del 
principio 
di 
“conservazione 
dell’equilibrio 
contrattuale”, 
cristallizzato 
all’art. 
9 
del 
codice, 
nonché 
la 
disposizione 
di 
cui 
all’art. 
60, 
che 
ripropone 
(45) 
l’obbligo 
di 
inserimento 
di 
clausole 
di 
revisione 
prezzi 
in 
tutti 
i 
contratti 
pubblici, 
sulla 
falsariga 
delle 
clausole 
di 
hardship 
note 
al 
commercio 
internazionale, 
che 
si 
attivano 
automaticamente 
al 
ricorrere 
dei 
presupposti 
ivi 
previsti 
(e 
che, 
a 
quanto 
consta, 
dovrebbero 
ritenersi 
vincolanti 
sia 
nell’an 
che 
nel 
quantum). 


La 
medesima 
ratio 
è, come 
si 
è 
detto, sottesa 
alla 
disposizione, speciale 
per 
i 
contratti 
di 
PPP, 
di 
cui 
all’art. 
192, 
che 
sancisce 
il 
diritto 
dei 
concessionari 
-ma 
si 
deve 
ritenere 
che 
sia 
diritto proprio anche 
della 
stazione 
appaltante 
di 
chiedere 
la 
revisione 
degli 
stessi 
in 
caso 
di 
“eventi 
sopravvenuti 
straordinari 
e 
imprevedibili, 
ivi 
compreso 
il 
mutamento 
della 
normativa 
o 
della 
regolazione 


(43) 
Cfr., 
delibera 
A.n.A.C. 
n. 
758 
del 
30 
settembre 
2020: 
“la 
natura 
generale 
di 
una 
concessione 
di 
lavori 
avente 
ad oggetto la realizzazione 
di 
una specifica opera (palasport), deve 
ritenersi 
mutata 
ove, 
durante 
l’efficacia 
della 
concessione 
si 
intendano 
realizzare 
opere 
supplementari 
di 
diverso 
oggetto 
(come 
parcheggi 
e 
percorsi 
ciclopedonali), serventi 
anche 
ulteriori 
impianti 
rispetto a quelli 
originari 
(una più ampia area sportiva) e 
funzionali 
ad una differente 
esigenza pubblica (il 
miglioramento della 
viabilità locale)”. 
(44) 
Sul 
punto, 
si 
rammenta 
che 
già, 
nelle 
Linee 
guida 
A.n.A.C. 
n. 
9 
del 
28 
marzo 
2018, 
rubricate 
“monitoraggio 
delle 
amministrazioni 
aggiudicatrici 
sull’attività 
dell’operatore 
economico 
nei 
contratti 
di 
partenariato pubblico privato”, le 
epidemie 
ed i 
contagi 
erano espressamente 
indicati 
come 
eventi 
di 
forza 
maggiore 
suscettibili 
di 
determinare 
la 
revisione 
del 
P.e.F. (§ 3.3). nel 
periodo pandemico, spicca 
una 
previsione, 
pur 
eccezionale, 
quale 
quella 
di 
cui 
all’art. 
28 
bis 
del 
d.l. 
34/2020, 
convertito 
con 
l. 
77/2020, che 
impone 
l’avvio “automatico” 
della 
procedura 
di 
revisione 
per le 
concessioni 
per la 
somministrazione 
di 
alimenti 
e 
bevande 
tramite 
distributori 
automatici 
collocati 
presso gli 
istituti 
scolastici 
e 
università 
e 
gli 
uffici 
pubblici 
rimasti 
chiusi 
durante 
l’emergenza 
al 
superamento di 
una 
determinata 
soglia 
di 
riduzione 
del 
fatturato. 
In 
generale, 
non 
si 
può 
non 
richiamare 
la 
relazione 
tematica 
n. 
56 
dell’8 
luglio 
2020, 
redatta 
dall’ufficio 
del 
massimario 
della 
Corte 
di 
Cassazione 
e 
specificamente 
dedicata 
alle 
“Novità 
normative 
sostanziali 
del 
diritto 
“emergenziale” 
anti-Covid 
19 
in 
ambito 
contrattuale 
e 
concorsuale”, che, pur non occupandosi di contratti pubblici, detta principi di valenza generale. 
(45) Cfr., in origine, art. 6, comma 
4, l. 537/1993; 
poi, art. 115 d.lgs. 163/2006; 
più di 
recente, 
art. 29, comma 
1, lett. a), d.l. 4/2022, convertito in l. 25/2022. Sul 
punto, si 
veda, da 
ultimo, Cons. St., 
sez. V, 6 settembre 2022, n. 7756. 

LegISLAzIone 
ed 
AttuALItà 


di 
riferimento, 
purché 
non 
imputabili 
al 
concessionario, 
che 
incidano 
in 
modo 
significativo sull’equilibrio economico-finanziario”. 


Anche 
in 
questo 
caso 
non 
può 
che 
censurarsi 
la 
scarsa 
definizione 
dei 
concetti 
di 
“natura 
generale” 
del 
contratto 
e 
di 
“modifica 
sostanziale”, 
ergendosi 
questi, 
anche 
per 
la 
revisione, 
a 
confini 
di 
legittimità 
(in 
questo 
caso, 
però, unici; cfr. art. 192, comma 2). 


Meritoria 
è, invece, la 
ripulitura 
lessicale 
operata 
con l’art. 190, che 
ha 
opportunamente 
espunto, 
anche 
con 
riguardo 
ai 
contratti 
di 
concessione 
(e, 
quindi, di 
PPP), il 
tralatizio riferimento alla 
revoca 
del 
contratto, ancora 
presente 
nell’art. 176 del 
vecchio codice. Conformemente 
a 
quanto già 
disposto 
per l’appalto, è 
stato, infatti, previsto, in luogo del 
potere 
autoritativo, pubblicistico, 
di 
revoca, il 
diritto potestativo, di 
natura 
privatistica, di 
recesso, cui 
oggi è appunto dedicato l’art. 190, commi da 4 a 7. 


Ciò 
consente 
di 
abbandonare, 
definitivamente, 
la 
lettura 
tradizionale 
pubblicistica 
della 
concessione 
-che 
ancora 
una 
parte 
della 
dottrina 
e 
della 
giurisprudenza 
propugnava, 
anche 
nella 
vigenza 
del 
codice 
del 
2016 
-, 
per 
abbracciarne 
una 
qualificazione 
come 
vero 
e 
proprio 
contratto, 
al 
pari 
di 
quello 
di appalto. 


Si 
tratta, 
peraltro, 
di 
ripulitura 
lessicale 
che 
è, 
al 
contempo, 
anche 
contenutistica, 
in 
quanto, 
superando 
il 
testo 
dell’art. 
44 
della 
direttiva, 
che 
fa 
riferimento 
alla 
nozione, 
genericissima, 
di 
termination 
of 
concessions, 
il 
legislatore 
ha 
appunto 
ricondotto 
le 
diverse 
ipotesi 
previste 
dalla 
stessa 
direttiva 
agli 
istituti, 
ben 
noti 
al 
nostro 
codice 
civile, 
del 
recesso 
e 
della 
risoluzione. 


Proprio 
dalla 
disciplina 
della 
risoluzione 
recata 
dal 
nuovo 
art. 
190, 
peraltro, 
emerge, ancora 
una 
volta, il 
favor 
che 
il 
legislatore 
tributa 
ai 
contratti 
di 
partenariato. 
Al 
fine, 
infatti, 
di 
favorirne 
la 
finanziabilità, 
si 
prevede 
una 
ipotesi 
di 
modifica 
del 
contratto di 
concessione 
a parte 
subiecti, ulteriore 
rispetto a 
quelle 
di 
cui 
all’art. 189 sovra 
richiamate 
(e 
non contemplata 
nella 
direttiva), 
che 
consente 
il 
c.d. 
step 
in-right, 
ossia 
il 
subentro 
di 
altro 
operatore 
economico, 
indicato dagli 
enti 
finanziatori, prima 
di 
addivenire 
alla 
risoluzione 
del 
contratto 
per inadempimento dell’originario aggiudicatario (cfr. art. 190, comma 
3, che 
riproduce 
la 
previsione 
di 
cui 
all’art. 176, comma 
8 del 
precedente 
codice, 
ma 
ampliando il 
termine 
nel 
quale 
l’ente 
finanziatore 
deve 
operare 
tale 
indicazione e specificando il procedimento con cui il subentro avviene). 


Le 
disposizioni 
da 
ultimo richiamate 
si 
inscrivono, dunque, nell’alveo di 
quella 
impostazione 
che 
si 
è 
avuto modo di 
valutare 
positivamente 
e 
che 
il 
legislatore 
dovrebbe 
avere 
il 
coraggio di 
adottare 
più spesso. In tale 
direzione, 
di conseguenza, non può che essere l’auspicio. 



rASSegnA 
AVVoCAturA 
deLLo 
StAto -n. 1/2023 


artificial Intelligence and privacy rights 


Gaetana Natale* 


today 
is 
it 
possible 
to 
compromise 
rule 
of 
technology 
with 
the 
rule 
of 
law to protect fundamental rights? 


Artificial 
Intelligence 
has 
the 
immense 
potential 
to benefit 
our way of living, 
but 
it’s 
already undeniable 
it 
creates 
new 
risks 
of extensive 
and serious 
damages. damages 
creates 
by AI can arise 
in the 
context 
of contractual 
relationships 
or regardless of any previous relationship with the injured party. 


It 
is 
arguable 
conventional 
tort 
law 
and contractual 
liability system 
can 
always 
ensure 
adequate 
distribution 
of 
risks 
and 
fair 
compensation 
of 
damages. 
these 
new 
challenges 
have 
pushed european Institution to undertake 
several 
initiatives 
aimed for the 
harmonization of the 
rules 
on AI including an civil 
liability. 


three steps are important: 


1) 
raise 
awareness 
on how 
AI operates 
and the 
challenges 
it 
presents 
to 
conventional tort law and contractual liability system; 
2) 
Analyze 
and 
compare 
national 
and 
eu 
rules 
already 
in 
place 
pertaining 
to the matter; 
3) 
Provide Knowledge of eu legislation being prepared. 
In the 
first 
stage 
it 
is 
important 
to understand how 
algorithm 
operate 
in 
machine 
learning 
to 
compromise, 
trade 
off 
rule 
of 
technology 
with 
rule 
of 
law. 
What is an algorithm? 


If 
this 
than that: 
a 
process 
or set 
of rules 
to be 
followed in calculations 
or 
other problem-solving operations, or performing computation 
especially by 
a 
computer “a 
basic 
algorithm 
for division”, a 
step by step procedure 
for solving 
a problem or accomplishing some end. 


etimology: 
alteration of middle 
english algorisme, from 
old French & 
Medieval 
Latin 
algorismus, 
from 
Arabic 
al.khwarizmi 
flourished 
a.d. 
825 
Islamic 
mathematician. 


the 
basic 
concept 
to 
understand 
is: 
The 
inference. 
Algorithm 
operates 
with “inference” 
and not 
on the 
base 
of principle 
of causality. the 
perception 
of 
mind 
is 
a 
rational 
act 
of 
the 
mind 
and 
it 
is 
simply 
application 
of 
the 
principle 


(*) Avvocato dello Stato, dottore 
di 
ricerca 
in Comparazione 
e 
diritto civile, Consigliere 
giuridico del 
garante per la tutela dei dati personali. 

Relazione 
presentata dall’Autrice 
nel 
corso del 
seminario organizzato dalla Rete 
Europea di 
Formazione 
Giudiziaria 
(REFG) 
che 
opera 
con 
il 
sostegno 
finanziario 
del 
programma 
Giustizia 
dell’Unione 
europea. Il 
seminario sul 
tema “Civil 
liability 
due 
to artificial 
intelligence” rientra nell’ambito del 
“Progetto di 
giustizia civile”. L’evento si 
è 
svolto il 
25 e 
26 maggio 2023 presso la sede 
di 
Roma del-
l’EJTN. 



LegISLAzIone 
ed 
AttuALItà 


of causality with the 
methods 
of induction. here, there 
is 
even some 
kind of 
vague 
relevance 
to our everyday life, but 
once 
more 
the 
crucial 
point 
regards 
the 
conception of the 
world, the 
applicability of the 
principle 
of causality, the 
idea 
of knowableness. rather, one 
can characterize 
the 
true 
state 
of the 
thing 
a 
lot 
better 
in 
this 
way, 
since 
all 
experiments 
are 
subject 
to 
the 
law 
of 
quantum 
mechanics 
from 
this 
matter 
follows 
that, 
by 
quantum 
mechanics 
is 
established 
permanently the invalidity of the principle of causality. 


In the 
Cambridge 
Dictionary 
we 
found this 
definition of artificial 
Intelligence: 


“the 
study 
of 
how 
to 
produce 
machines 
that 
have 
some 
of 
the 
qualities 
that 
the 
human 
mind 
has, 
such 
as 
the 
ability 
to 
understand 
language, 
NPL 
Natural 
Processing 
Language, 
recognize 
pictures, 
solve 
problems 
and 
learn”. 
Indeed AI is 
a 
result 
in global 
level 
of high performance 
computing, machine 
learning, deep learning, Internet 
of thing, blockchain dapps, blockchain protocols, 
the 
technology stack 
as 
a 
connection of users, content, data, app, services, 
criptocarrency, 
open 
internet/platforms, 
logical 
layer, 
infrastructure 
connectivity, 
nanotechnology, 
according 
to 
scheme 
input/output/response 
prediction. 
data 
Mining, in others 
words 
data 
is 
value, data 
driven economy an 
information, 
feature 
extraction, 
annotation, 
validation, 
information 
became 
Knowledge and knowledge became prediction. 


to 
understand 
IA 
is 
important 
to 
study 
some 
mathematics 
theories 
as 
bayesian 
statistics, 
Markov 
Chain, 
turing 
test, 
Asimov 
Law, 
Moore 
Law, 
theory 
of Shannon, Logical Complex of godel, theory of Arrow, gray Code. 

Entranglement 
or 
a spooky 
action at 
distance 
as 
A. einstein writed are 
concepts that 
AI can not understand. 


“one 
day 
the 
machines 
will 
be 
able 
to 
solve 
all 
problems, 
but 
none 
of 
them can deliver us one” (Albert einstein). 


“The measure of intelligence is the ability to change”. 


Can we 
compromise 
this 
mathematical 
concept, trade 
off the 
rule 
of technology 
with the rule of law to protect human rights? 


Yes. It 
is 
possible 
if the 
algorithm 
are 
created without 
bias 
and discrimination 
(Loomis 
case, Compass 
case, Cambridge 
analytica, Conseil 
of 
State 
25 november 
2021 n. 7891) according to some 
important 
principles 
or model 
rule, general 
clauses 
as 
accountability 
and privacy 
by 
design and default 
art. 
25 
gdPr 
to 
avoid 
black 
box 
(zuboff 
surveillance 
capitalism, 
micro-targeting, 
social 
scoring) and to create 
AI trustworthy based on 
transparency, no discrimination, 
right 
to 
explanation 
pursuant 
to 
22 
gdPR, 
or 
explainibility 
of algoritms 
logic, human in the 
loop, human in command, control 
in rolling 
review. 


Article 
22 gdPr: 
“automated 
individual 
decision-making, including 
profiling” 


“1. The 
data subject 
shall 
have 
the 
right 
not 
to be 
subject 
to a decision 



rASSegnA 
AVVoCAturA 
deLLo 
StAto -n. 1/2023 


based 
solely 
on 
automated 
processing, 
including 
profiling, 
which 
produces 
legal effects concerning him or her or similarly affects him or her. 


2. Paragraph 1 shall not apply if the decision: 
a) is 
necessary 
for 
entering into, or 
performance 
of, a contract 
between 
the data subject and a data controller; 
b) is 
authorised by 
Union or 
member 
State 
law to which the 
controller 
is 
subject 
and 
which 
also 
lays 
down 
suitable 
measures 
to 
safeguard 
the 
data 
subject’s 
rights and freedom and legitimate interests; or 
c) is based on the data subjec’s explicit consent”. 
Mumford: “The technology is a form of order”. 
Article 25 gdPr “data protection by design and by default” 
“1. 
Taking 
into 
account 
the 
state 
of 
the 
art, 
the 
cost 
of 
implementation 
and the 
nature, scope, context 
and purposes 
of 
processing as 
well 
as 
the 
risks 
of 
varying likehood, and severity 
for 
rights 
and freedoms 
of 
natural 
persons 
by 
the 
processing, the 
controller 
shall, both at 
the 
time 
of 
the 
determination 
of 
the 
means 
for 
processing and at 
the 
time 
of 
the 
processing itself, implement 
appropriate 
technical 
and 
organisational 
measures, 
such 
as 
pseudonymisation, 
which 
are 
designed 
to 
implement 
data-protection 
principles, 
such 
as 
data 
minimisation, 
in 
an 
effective 
manner 
and 
to 
integrate 
the 
necessary 
safeguards 
into the 
processing in order 
to meet 
the 
requirements 
of 
this 
regulation and 
protect the rights of data subjects. 


2. 
The 
controller 
shall 
implement 
appropriate 
technical 
and 
organisational 
measures 
for 
ensuring that, by 
default, only 
personal 
data which are 
necessary 
for 
each 
specific 
purpose 
of 
the 
processing 
are 
processed. 
That 
obligation 
applies 
to 
the 
amount 
of 
personal 
data 
collected, 
the 
extent 
of 
their 
processing, the 
period of 
their 
storage 
and their 
accessibility. In particular 
, 
such measures 
shall 
ensure 
that 
by 
default 
personal 
data are 
not 
made 
accessible 
without 
the 
individual’s 
intervention to an indefinite 
number 
of 
natural 
persons. 
3. 
an 
approved 
certification 
mechanism 
pursuant 
to 
article 
42 
may 
be 
used as 
an element 
to demonstrate 
compliance 
with the 
requirements 
set 
out 
in paragraphs 1 and 2 of this 
article”. 
the 
first 
problem 
is: 
Who 
must 
certificate 
the 
security 
of 
aI 
devices? 
Independent authority or the same producer? 


the 
liability, strict 
liability, product 
liability and pre-emption doctrine 
is 
regulated with the 
risk 
assessment. 
today he 
have 
in 
progress 
a lot of european 
Regulations: 
data 
act, 
digital 
service 
act, 
digital 
Market 
act 
(with 
a combination 
antritrust rule 
of abuse 
of dominant position), digital 
governance 
act. 


In 
Proposal 
for 
a Regulation 
of the 
european 
Parliament and 
of the 
Council 
laying 
down 
harmonised 
rules 
on 
artificial 
Intelligence 
of 
21 



LegISLAzIone 
ed 
AttuALItà 


april 
2021, 
approved 
the 
last 
May 
11 
(including 
aI 
generative, 
before 
not 
inserted), the 
Commission puts 
forward the 
proposed regulatory framework 
on Artificial Intelligence with the following specific objectives: 


1) 
ensure 
that 
AI systems 
placed on the 
union market 
and used are 
safe 
and respect existing law on fundamental rights and union values; 
2) 
enhance 
governance 
and 
effective 
enforcement 
of 
existing 
law 
on 
fundamental 
rights and safety requirements applicable to AI systems; 
3) 
Facilitate 
the 
development 
of a 
single 
market 
for lawful, safe 
and trustworthy 
AI applications and prevent market fragmentation. 
the 
legal 
basis 
for 
the 
proposal 
is 
in 
the 
first 
place 
Article 
114 
of 
the 
treaty 
on 
the 
Functioning 
of 
the 
european 
union 
(tFue), 
which 
provides 
for 
the 
adoption of measures 
to ensure 
the 
establishment 
and functioning of the 
internal 
market, subsidiarity (for 
non-exclusive 
competence) and 
proportionality. 


It is 
crucial 
that strict liability became 
“accountability”, as 
a preemptive 
remedy. 
not 
only 
rules, 
but 
“digital 
due 
procedure” 
as 
well 
to 
avoid 
data tracing and data scraping. 


It is 
crucial 
the 
time 
of regulations: the 
technology is 
faster 
than 
law. 


the 
regulation follows 
a 
risk-base 
approach differentiating between uses 
of AI that create: 


a) 
an unacceptable risk; 
b) 
a high risk; 
c) 
Low or minimal risk. 
the 
list 
of prohibited practices 
in title 
II comprises 
all 
those 
AI systems 
whose 
use 
is 
considered unacceptable 
as 
contravening union values, for instance 
by violating fundamental 
rights. the 
prohibitions 
covers 
practices 
that 
have 
a 
significant 
potential 
to manipulate 
persons 
through subliminal 
techniques 
beyond their consciousness 
or exploit 
vulnerabilities 
of specific 
vulnerable 
groups 
such as 
children or person with disabilities 
in order to materially 
distort 
their behaviour in a 
manner that 
is 
likely to cause 
them 
or another per-
son 
psychological 
or 
physical 
harm. 
the 
brain 
enhancement, 
neurolaw, 
be-
cause 
in 
this 
case 
algorithm 
is 
not 
a 
mere 
tool, 
but 
can 
change 
human 
behavior. 
other manipulative 
or exploitative 
practices 
affecting adults 
that 
might 
be 
facilitated 
by 
AI 
systems 
could 
be 
covered 
by 
existing 
data 
protection, 
consumer 
protection 
and 
digital 
service 
legislation 
that 
guarantee 
that 
natural 
person 
are 
properly informed and have 
free 
choise 
not 
to be 
subject 
to profiling or other 
practices 
that 
might 
affect 
their 
behavoiur. 
the 
proposal 
also 
prohibits 
Aibased 
social 
scoring for general 
purposes 
done 
by public 
authorities. Finally, 
the 
use 
of “real 
time” 
remote 
biometric 
identification systems 
in publicly accessible 
spaces 
for the 
purpose 
of law 
enforcement 
is 
also prohibited unless 
certain limited exceptions apply. 



rASSegnA 
AVVoCAturA 
deLLo 
StAto -n. 1/2023 


Fundamental rights 


the 
use 
of AI with its 
specific 
characteristics 
(e.g. opacity, complexity, 
dependency 
on 
data, 
autonomous 
behaviour) 
can 
adversely 
affect 
a 
number 
of 
fundamental 
rights 
enshrined 
in 
the 
eu 
Charter 
of 
Fundamental 
rights 
(“the 
Charter”). this 
proposal 
seeks 
to ensure 
a 
high level 
of protection for 
those 
fundamental 
rights 
and aims 
to address 
various 
sources 
of risks 
through 
a clearly defined risk-based approach. 

With a 
set 
of requirements 
for trustworthy AI and proportionate 
obligations 
on all 
value 
chain participants, the 
proposal 
will 
enhance 
and promote 
the 
protection 
of 
the 
rights 
protected 
by 
the 
Charter: 
the 
right 
to 
human 
dignity 
(Article 
1), respect 
for private 
life 
and protection of personal 
data 
(Article 
7 
and 
8), 
non-discrimination 
(Art. 
21) 
and 
equality 
between 
women 
and 
men 
(Art. 23). It 
aims 
to prevent 
a 
chilling effect 
on the 
rights 
to freedom 
of expression 
(Art. 11) and freedom 
of assembly (Art. 12) to ensure 
protection pf 
the 
right 
to an effective 
remedy and to a 
fair trial, the 
rights 
of defence 
and 
the 
presumption 
of 
innocence 
(Artt. 
47 
and 
48) 
as 
well 
as 
the 
general 
principle 
of good administration. 

Furthermore, 
as 
applicable 
in 
certain 
domains, 
the 
proposal 
will 
positively 
affect 
the 
rights 
of a 
number of special 
groups, such as 
the 
workers’rights 
to 
fair 
and 
just 
working 
conditions 
(Art. 
31), 
a 
high 
level 
of 
consumer 
protection 
(Art. 28), the 
rights 
of the 
child (Art. 24) and the 
integration of persons 
with 
disabilities 
(Art. 
26). 
the 
right 
to 
a 
high 
level 
of 
environmental 
protection 
and 
the 
improvement 
of the 
quality of the 
environment 
(Art. 37) is 
also relevant, 
including in relation to the health and safety of people. 

the 
obligations 
for 
ex 
ante 
testing, 
risk 
management 
and 
human 
oversight 
will 
also 
facilitate 
the 
respect 
of 
other 
fundamental 
rights 
by 
minimising 
the 
risk 
of 
erroneous 
or 
biased 
AI-assisted 
decisions 
in 
critical 
areas 
such 
as 
education 
and 
training, 
employment, 
important 
services, 
law 
enforcement 
and 
the 
judiciary. 
In 
case 
infringements 
of 
fundamental 
rights 
still 
happen, 
effective 
redress 
for 
affected 
persons 
will 
be 
made 
possible 
by 
ensuring 
transparency 
and 
traceability 
of 
the 
AI 
systems 
coupled 
with 
strong 
ex 
post 
controls. 


this 
proposal 
imposes 
some 
restrictions 
on the 
freedom 
to conduct 
business 
(Art. 
16) 
and 
the 
freedom 
of 
art 
and 
science 
(Art. 
13) 
to 
ensure 
compliance 
with 
overriding 
reasons 
of 
public 
interest 
such 
as 
health, 
safety, 
consumer protection and the 
protection of other fundamental 
rights 
(“responsible 
innovation”) 
when 
high-risk 
AI 
technology 
is 
developed 
and 
used. 
those 
restrictions 
are 
proportionate 
and 
limited 
to 
the 
minimum 
necessary 
to 
prevent 
and 
mitigate 
serious 
safety 
risks 
and 
likely 
infringements 
of 
fundamental 
rights. 
the 
increased 
transparency 
obligations 
will 
also 
not 
disproportionately 
affect 
the 
right 
to protection of intellectual 
property (Art. 17), since 
they will 
be 
limited 
only 
to 
the 
minimum 
necessary 
information 
for 
individuals 
to 
exer



LegISLAzIone 
ed 
AttuALItà 


cise 
their right 
to an effective 
remedy and to the 
necessary transparency towards 
supervision 
and 
enforcement 
authorities, 
in 
line 
with 
their 
mandates. 
Any disclosure 
of information will 
be 
carried out 
in compliance 
with relevant 
legislation in the 
field, including directive 
2016/943 on the 
protection of undisclosed 
know-how 
and 
business 
information 
(trade 
secrets) 
against 
their 
unlawful 
acquisition, use 
and disclosure. When public 
authorities 
and notified 
bodies 
need to be 
given access 
to confidential 
information or source 
code 
to 
examine 
compliance 
with substantial 
obligations, they are 
placed under binding 
confidentiality obligations. 


What exactly are the dangers posed by AI? 


Italian 
case 
of Chat gPt: 
on March 31 Italian Authority has 
stopped it 
to 
not 
respect 
privacy 
law 
and 
gdPr, 
after 
there 
is 
a 
agreement 
for 
implementation 
of precautional measures to protect personal data. 


Italy’data 
regulator issued a 
temporary emercency decision, demanding 
openAI stop using the 
personal 
information of millions 
of Italians 
that’s 
included 
in its 
training data. According to regulator, openAI doesn’t 
have 
the 
legal 
right 
to 
use 
people’s 
personal 
information 
in 
Chatgpt. 
In 
response, 
openAI 
has 
stopped people 
in Italy from 
accessing its 
chatbot 
while 
it 
provides 
responses to the officials, who are investigating further. 


the 
action is 
the 
first 
taken against 
ChatgPt 
by a 
western regulator and 
highlights 
privacy 
tensions 
around 
the 
creation 
of 
giant 
generative 
AI 
models, 
which 
are 
often 
trained 
on 
vast 
swathes 
of 
internet 
data. 
Just 
as 
artists 
and 
media 
companies 
have 
complained that 
generative 
AI developers 
have 
used 
their work without 
permission, the 
data 
regulator is 
now 
saying the 
same 
for 
people’s personal information. 


Similar decisions 
could follow 
all 
across 
europe. In the 
days 
since 
Italy 
announced 
its 
probe, 
data 
regulators 
in 
France, 
germany 
and 
Ireland 
have 
contacted 
the garante to ask for more information on its findings. 

“If the 
business 
model 
has 
just 
been to scrape 
the 
internet 
for whatever 
you 
could 
find, 
then 
there 
might 
be 
a 
really 
significant 
issue 
here”, 
says 
tobias 
Judin, the 
head of international 
at 
norway’s 
data 
protection authority, which 
is 
monitoring 
developments. 
Judin 
adds 
that 
if 
a 
model 
is 
built 
on 
data 
that 
may 
be 
unlawfully 
collected, 
it 
raises 
questions 
about 
whether 
anyone 
can 
use 
the tools legally. 


europe’s 
gdPr rules, which cover the 
way organizations 
collect, store 
and use 
people’s 
personal 
data, protect 
the 
data 
of more 
than 400 million people 
across 
the 
continent. this 
personal 
data 
can be 
anything from 
a 
person’s 
name 
to their IP 
address 
-if it 
can be 
used to identify someone, it 
can count 
as 
their personal information. 

unlike 
the 
patchwork 
of 
state-level 
privacy 
rules 
in 
the 
united 
States, 
gdPr’s 
protections 
apply if people’s 
information is 
freely available 
online. 



rASSegnA 
AVVoCAturA 
deLLo 
StAto -n. 1/2023 


In short: 
Just 
because 
someone’s 
information is 
public 
doesn’t 
mean you can 
vacuum it up and do anything you want with it. 

Italy’s 
garante 
believes 
ChatgPt 
has 
four 
problems 
under 
gdPr: 
1) 
openAI doesn’t 
have 
age 
controls 
to stop people 
of 13 from 
using the 
text 
generation 
system; 
2) 
it 
can 
provide 
information 
about 
people 
that 
isn’t 
accurate; 


3) and people 
haven’t 
been told their data 
was 
collected. Perhaps 
most 
importantly, 
its 
fourth argument 
claims 
there 
is 
“no legal 
basis” 
for collecting people’s 
personal 
information 
in 
the 
massive 
swells 
of 
data 
used 
to 
train 
ChatgPt. 
“the 
Italians 
have 
called their bluff”, says 
Lilian edwards, a 
professor 
of 
law, 
innovation 
and 
society 
at 
a 
newcastle 
university 
in 
the 
uK. 
“It 
did 
seem pretty evident in the eu that was a breach of data protection law”. 


broadly speaking, for a 
company to collect 
and use 
peple’s 
information 
under gdPr, they must 
rely on one 
of six legal 
justifications, ranging from 
someone 
giving their permission to the 
information being required as 
a 
part 
of a 
contract. In this 
instance 
, there 
are 
essentially two options: 
getting people’s 
consent 
-which openAI didn’t 
do -or arguing it 
has 
“legitimate 
interests” 
to 
use 
people’s 
data, 
which 
is 
very 
hard 
to 
do. 
this 
defense 
is 
“inadequate”. 


openAI’s 
privacy 
policy 
doesn’t 
directly 
mention 
its 
legal 
reasons 
for 
using 
people’s 
personal 
information 
in 
training 
data, 
but 
says 
it 
relies 
upon 
“legitimate interests” when it “develops” its services. 


the 
Federal 
trade 
Commission 
should 
open 
an 
investigation 
and 
order 
openAI 
to 
halt 
the 
release 
of 
gPt 
models 
until 
necessary 
safeguards 
are 
established. 
these 
safeguards 
should 
be 
based 
on 
the 
guidance 
for 
AI 
products 
the 
FtC has 
previously established and emerging norms 
for the 
governance 
of AI. 

Marc 
rorenberg and Merve 
hickok reminded the 
Commission that 
they 
previously 
declared 
that 
AI 
products 
should 
be 
“transparent, 
explainable, 
fair and empirically sound while fostering accountability”. 


on April 
4, 2023 President 
biden, meeting with his 
top science 
advisors, 
explained 
the 
need 
to 
address 
the 
potential 
risks 
of 
AI 
to 
society, 
economy 
and 
national 
security. 
he 
called 
for 
“responsible 
innovation 
and 
appropriate 
guardrails 
to 
protect 
america’s 
rights 
and 
safety, 
and 
protecting 
their 
privacy, 
and 
to address 
the 
bias 
and 
disinformation”. 
he 
said 
“tech 
companies 
have 
a 
responsibility 
to 
make 
sure 
their 
products 
are 
safe 
before 
making them public”. 


A 
recent 
letter calling for a 
moratorium 
on AI development 
blends 
real 
threats 
with 
speculation. 
but 
concern 
is 
growing 
among 
experts. 
In 
late 
March, 
more 
than 
1,000 
technology 
leaders, 
researchers 
and 
other 
pundits 
working 
in 
and 
around 
artificial 
intelligence 
signed 
an 
open 
letter 
warning 
that 
AI 
technologies 
present “profound risks to society and humanity”. 



LegISLAzIone 
ed 
AttuALItà 


the 
group, 
which 
included 
elon 
Musk, 
tesla’s 
chief 
executive 
and 
the 
owner 
of 
twitter, 
urged 
AI 
labs 
to 
halt 
development 
of 
their 
most 
powerful 
systems 
for 
six 
months 
so 
that 
they 
could 
better 
understand 
the 
dangers 
behind 
the technology. 


“Powerful 
AI systems 
should be 
developed only once 
we 
are 
confident 
that 
their 
effects 
will 
be 
positive 
and 
their 
risks 
will 
be 
manageable”, 
the 
letter 
said. the 
letter, with now 
has 
over 27,000 signatures, was 
brief. Its 
language 
was 
broad. the 
letter represented a 
growing concern among AI experts 
that 
the 
latest 
systems, most 
notably gPt-4, the 
technology introduced by the 
San 
Francisco 
start-up 
open 
AI, 
could 
cause 
harm 
to 
society. 
they 
believed 
future 
systems will be even more dangerous. 


Some 
of the 
risks 
have 
arrived. others 
will 
not 
for months 
or years. Still 
others are purely hypothetical. 


“our ability to understand what 
could go wrong with very powerful 
AI 
systems 
is 
very weak”, said Yoshua 
bengio, a 
professor and AI researcher at 
the university of Montreal . “So we need to be very careful”. 


Why are they worried? 


dr. 
bengio 
is 
perhaps 
the 
most 
important 
person 
to 
have 
signed 
the 
letter. 
Working with two other academics 
-geoffrey hinton, until 
recently a 
researcher 
at 
google 
and Yann LeCun, now 
chief AI scientist 
at 
Meta, the 
owner of 
Facebook -dr. bengio spent 
the 
past 
four decades 
developing the 
technology 
that 
drives 
systems 
like 
gPt-4. In 2018, the 
researchers 
received the 
turing 
Award, often called “the 
nobel 
Prize 
of computing”, for their work on neural 
networks 
(brain imaging and brain enhancement) . 


A 
neural 
network 
is 
a 
mathematical 
system 
that 
learns 
skills 
analyzing 
data. 
About 
five 
years 
ago, 
companies 
like 
google, 
Microsoft 
and 
open 
AI 
began 
building 
neural 
networks 
that 
learned 
from 
huge 
amounts 
of 
digital 
text 
called large language models 
or L.L.M.s. 


by 
pinpointing 
patterns 
in 
that 
text, 
L.L.M.s. 
learn 
to 
generate 
text 
on 
their 
own, 
including 
blog 
posts, 
poems 
and 
computer 
programs. 
they 
can 
even 
carry on a conversation. 


this 
technology can help computer programmers, writers 
and other workers 
generate 
ideas 
and do things 
more 
quickly. but 
dr. bengio and other experts 
also 
warned 
that 
L.L.M.s 
can 
learn 
unwanted 
and 
unexpected 
behavoiurs. 
these 
systems 
can generate 
untruthful, biased 
and 
otherwise 
toxic 
information. 


Systems 
like 
gPt-4 get 
fact 
wrong and make 
up information, pollution 
information , “filter bubbles” a phenomenon called “hallucination”. 


Companies 
are 
working on these 
problems. but 
experts 
like 
dr. bengio 
worry that 
as 
researchers 
make 
these 
systems 
more 
powerful, they will 
introduce 
new risks. 



rASSegnA 
AVVoCAturA 
deLLo 
StAto -n. 1/2023 


short-term Risk: disinformation 


because 
these 
systems 
deliver 
information 
with 
what 
seems 
like 
complete 
confidence, 
it 
can 
be 
a 
struggle 
to 
separate 
truth 
from 
fiction 
when 
using 
them. 
experts 
are 
concerned that 
people 
will 
rely on these 
systems 
for medical 
ad-
vice, emotional support and the raw information they use to make decisions. 


“There 
is 
no guarantee 
that 
these 
systems 
will 
be 
correct 
on any 
task 
you 
give 
them”, said Subbarao Kambhampati, a 
professor of computer science 
at 
Arizona 
State 
university. 
experts 
are 
also 
worried 
that 
people 
will 
misuse 
these 
systems 
to spread disinformation. because 
they can converse 
in humanlike 
ways, they can be surprisingly persuasive. 


“We 
now 
have 
systems 
that 
can 
interact 
with 
us 
through 
natural 
language 
processing and we can’t distinguish the real from the fake”, dr. bengio said. 


Medium-term Risk; Job loss. 


experts 
are 
worried that 
the 
new 
AI could be 
job killers. right 
now, technologies 
like 
gPt-4 
tend 
to 
complement 
human 
workers. 
but 
open 
AI 
acknowledges 
that 
they 
could 
replace 
some 
workers, 
including 
people 
who 
moderate content on the internet. 


they cannot 
yet 
duplicate 
the 
work of lawyers, accountants 
or doctors. 
but they could replace paralegals, personal assistant and traslators. 


A 
paper written by open AI researchers 
estimated that 
80 percent 
of the 
uS 
work force 
could have 
at 
least 
10 percent 
of their work tasks 
affected by 
LLMs 
and 
that 
19 
percent 
of 
workers 
might 
see 
at 
least 
50 
percent 
of 
their 
tasks impacted. 


Long-term Risk: Loss of Control 


Some 
people 
who 
signed 
the 
letter 
also 
believe 
artificial 
intelligence 
could 
slip outside 
our control 
or destroy humanity. but 
many experts 
say that 
is 
wildly 
overblown. 


the 
letter 
was 
written 
by 
a 
group 
from 
the 
Future 
of 
Life 
Institute, 
an 
organization 
dedicated 
to 
exploring 
existential 
risk 
to 
humanity. 
they 
warn 
that 
because 
AI 
systems 
often 
learn 
unexpected 
behaboiur 
from 
the 
vast 
amounts 
of 
data 
they 
analyze, 
they 
could 
pose 
serious 
, 
unexpected 
problems. 


they worry that as 
companies 
plug LLMs 
into other 
internet services, 
these 
systems 
could 
gain 
unanticipated 
powers, 
because 
they 
could 
write 
their 
own 
computer 
code. they say developers 
will 
create 
new 
risks 
if they allow powerful 
aI systems to run their own code. 


“If 
you look 
at 
a straightforward extrapolation of 
where 
we 
are 
now to 
three years from now, things are pretty weird”, said Anthony Aguirre, a theoretical 
cosmologist 
and physicist 
at 
the 
university of California, Santa 
Cruz 
and co-founder of the Future of Life Institute. 


“If 
you take 
a less 
probable 
scenario-where 
things 
really 
take 
off, where 



LegISLAzIone 
ed 
AttuALItà 


there 
is 
no real 
governance, where 
these 
systems 
turn out 
to be 
more 
powerful 
than we thought they would be-then things get really, really crazy” he said. 


dr. 
etzioni 
said 
talk 
of 
existential 
risk 
was 
hypothetical. 
but 
he 
said 
other 
risks-most notably disinformation- were no longer speculation. 


“Now we 
have 
some 
real 
problems”, he 
said. “They 
are 
bona fide. 
they 
require 
some 
responsible 
reaction. they may require 
regulation 
and 
legislation. 


this 
is 
the 
problem: 
which 
type 
of 
regulation? 
self-regulation, 
coregulation, 
etero-regulation 
with 
a strong public 
control? Functional 
or 
structural 
regulation 
based 
on 
the 
purpose 
of 
benefit? 
gdPR 
is 
not 
enough 
today 
to 
regulate 
the 
complexity 
of 
aI, 
“spontanesus 
intelligence” 
out of human 
control. It is 
important to introduce 
sandbox method 
regulation 
with 
empiric 
approach 
to achieve 
flexible 
regulation 
called 
“future 
proof”. 
not 
stopping 
technologic 
progress, 
but 
it 
is 
important 
to 
introduce 
adequate regulation. 


on 
18th 
April 
in 
Spain 
it 
is 
created 
eCAt 
european 
Centre 
Alghoritm 
transparency to control 
enforcement 
of rules 
digital 
Services 
Act. but 
there 
are others important problems that needs a solution: 


1) the problem of relation between europe and uSA: 
Shrems Case. 
2) 
the 
problem 
of 
governance, 
compliance, 
execution, 
inspection 
and 
public-
private enforcement. 
3) the 
problem 
of one 
Stop Shop and consistency cooperation and amicable 
settlement. 
4) the 
problems 
of liability of gatekeepers 
and “notice 
and take 
down” 
in three different activities: mere conduit, caching, hosting. 
5) the problem of validation and certification of AI devices. 
the 
Proposal 
for a 
directive 
of the 
european Parliament 
and of Council 
an adapting non-contractual 
civil 
liability rules 
to artificial 
intelligence 
(aI 
Liability 
directive) 
Brussels, 
28 
september 
2022 
is 
important 
to 
consider 
the 
impact 
assessment 
on the 
initiative 
on civil 
liability for damages 
caused 
by AI. 

AlthoughAI-enabled 
products/services 
are 
expected 
to 
be 
safer 
than 
traditional 
ones, accident 
will 
still 
occur. Current 
liability rules, in particular national 
rules 
based on fault, are 
not 
adapted to handle 
compensation claims 
for 
harm 
caused by AI-enabled product/services. under such rules, victims 
need 
to prove 
a 
wrongful 
action/omission of a 
person that 
caused the 
damage. the 
specific 
characteristics 
of AI , including autonomy and opacity (the 
so-called 
“black box” 
effect) make 
it 
difficult 
or prohibitively expensive 
to identify the 
liable 
person and prove 
the 
requirements 
for a 
successful 
liability claim. the 
Commission 
wants 
to 
avoid 
that 
victims 
of 
harm 
caused 
by 
AI, 
eg 
citizens, 



rASSegnA 
AVVoCAturA 
deLLo 
StAto -n. 1/2023 


business, 
are 
less 
protected 
than 
victims 
of 
traditional 
technologies. 
Such 
lack 
of compensation can affect 
their trust 
in AI and ultimately the 
uptake 
of AI enabled 
products/services. It 
is 
uncertain how 
national 
liability rules 
can be 
applied to the 
specificities 
of AI. In addition, faced with a 
result, which is 
unjust 
for 
the 
victim, 
courts 
may 
apply 
existing 
rules 
on 
an 
ad 
hoc 
basis 
in 
a 
way 
to come 
to a 
just 
result. this 
will 
cause 
legal 
uncertainty. As 
a 
result, business 
will 
have 
difficulties 
to predict 
how 
the 
existing liability rules 
will 
be 
applied 
in case 
damage 
occurs. they will 
thus 
have 
difficulties 
to assess 
and insure 
their liability exposure. this 
impact 
is 
magnified in case 
of businesses 
active 
across 
borders 
as 
the 
uncertainty will 
cover different 
jurisdictions. It 
is 
also 
expected that, if the 
eu 
does 
not 
act, Member States 
will 
adapt 
their national 
liability rules 
to the 
challenges 
of AI. this 
will 
result 
in further fragmentation 
and increase costs for businesses active across borders. 


the 
initiative 
delivers 
on the 
Commission’s 
priority for the 
digital 
transition. 
the 
overarching objective 
is 
to promote 
the 
rollout 
of trustworthy AI 
to 
harvest 
the 
full 
benefits 
of 
AI. 
therefore 
the 
AI 
White 
Paper 
aims 
at 
creating 
an ecosystem of trust to promote the uptake of AI. 


the 
liability initiative 
is 
the 
necessary corollary of safety rules 
adapted 
to AI and complements thus the 
AI Act. 


the 
AI initiative will: 


-ensure 
that 
victims 
ofAI-enabled 
product/services 
are 
equally 
protected 
as victims of traditional technologies. 


-reduce 
legal 
uncertainty 
regarding 
the 
liability 
exposure 
of 
business 
developing or using AI. 


-Prevent 
the 
emergence 
of 
fragmented 
AI-specific 
adaptations 
of 
national 
civil liability-rules. 


the proposal has three important items: 


1) 
to alleviate the burden of proof; 
2) 
Minimum harmonisation of strict liability; 
3) 
Mandatory insurance is needed as well. 

LegISLAzIone 
ed 
AttuALItà 


the fundamental rights of the person 
in the digital horizon. Law and technology: 
a possible combination? 


Gaetana Natale* 


“magna pars est profectus velle proficere” 
Lucius 
Annaeus Seneca 


the 
challenges 
thrown 
down 
by 
unstoppable 
scientific 
and 
technical 
progress 
engage 
every branch of knowledge, especially the 
law, which is 
responsible 
for the 
inalienable 
functions 
of regulation and protection. Specifically, 
legal 
systems 
that 
give 
a 
central 
role 
to the 
person and his 
dignity are 
called 
upon to meet 
two opposing requirements: 
on the 
one 
hand, to ensure 
the 
protection 
of fundamental 
rights, and on the 
other, to allow 
the 
development 
of 
technology 
and 
science 
(1). 
In 
this 
regard, 
the 
european 
economic 
and 
Social 
Committee 
has 
identified privacy (2) as 
one 
of the 
eleven areas 
destined to be 
changed/deleted 
using 
artificial 
intelligence. 
the 
possibility 
of 
monitoring 
tastes, 
preferences 
or habits, of controlling a 
person's 
movements, and even of 
learning about 
the 
most 
intimate 
aspects 
of his 
or her private 
life 
(3), makes 
it 
imperative 
to devise 
instruments 
that 
give 
the 
holder a 
power of control 
over 
his 
or her data. thus, it 
is 
undeniable 
that 
the 
legal 
horizon of the 
digital 
revolution 
opens 
new 
scenarios 
in 
terms 
of 
fundamental 
rights, 
destined 
to 
change 
depending on the 
frame 
of reference. Indeed, as 
far as 
the 
right 
to privacy 
is 
concerned, it 
is 
now 
anachronistic 
to identify it 
with the 
absolute 
right 
to privacy (“right 
to be 
let 
alone”) (4), meant 
as 
a 
categorical 
prohibition to 


(*) Avvocato dello Stato, dottore 
di 
ricerca 
in Comparazione 
e 
diritto civile, Consigliere 
giuridico del 
garante per la tutela dei dati personali. 

Il 
presente 
articolo 
è 
la 
relazione 
presentata 
dall’autrice 
nel 
corso 
dell’incontro 
di 
studio 
tenutosi 
presso 
l’avvocatura Generale dello Stato in data 7 giugno 2023 con la Loyola University di Chicago. 

(1) Consider the 
Italian legal 
system, in which the 
rights 
of the 
human person are 
defined as 
inviolable 
by article 
2 of the 
Constitution, qualified as 
a 
general 
clause 
for the 
protection of the 
person 
and his 
or her interests. given their universality, they find expression in important 
international 
and eu 
documents, such as 
the 
universal 
declaration of human rights 
(1950) and the 
nice 
Charter (2000), in 
which the 
protection of man and his 
dignity, operates 
expressly as 
a 
limit 
both with regard to those 
who 
hold power and with regard to relations 
between private 
individuals. P. StAnzIone, manuale 
di 
diritto 
privato, turin, 2021. 
(2) CeSe, document 
C-288, 31 August 
2017. “AI poses 
challenges 
for society”: 
ethics; 
security; 
privacy; 
transparency and accountability; 
labour; 
education and skills; 
(dis)equality and inclusivity; 
legislative 
and regulatory arrangements; governance and democracy; warfare; superintelligence. 
(3) hence 
the 
gradual 
emergence 
of a 
tendency towards 
a 
surveilled society where 
all 
the 
social 
relations 
that 
take 
place 
online 
are 
naturally traceable. S. zuboFF, Surveillance 
Capitalism. The 
future 
of humanity in the age of new powers, rome, 2019. 
(4) S. WArren, L. brAndeIS, The right to privacy, in Harvard Law review, 5, 1890. 

rASSegnA 
AVVoCAturA 
deLLo 
StAto -n. 1/2023 


collect 
information, 
since 
now 
data 
is 
an 
unavoidable 
component 
of 
social 
life. 
on the 
contrary, it 
should be 
declined in terms 
of the 
right 
to procedural 
lordship, 
i.e. 
as 
the 
possibility 
to 
directly 
control 
the 
way 
information 
is 
collected 
and 
circulated, 
as 
well 
as 
the 
right 
to 
interrupt 
the 
processing 
if 
the 
person 
considers 
that 
it 
is 
damaging 
to 
his 
or 
her 
interests 
(“right 
to 
exit”). 
Moreover, 
it 
goes 
without 
saying that 
the 
relationship between rights 
and new 
technologies 
is of constant complementarity and integration. 

In the 
view 
of the 
multidisciplinary nature 
of subject, after briefly outlining 
the 
state 
of the 
art, and analysing the 
main regulatory sources 
in the 
eu 
sphere, we 
will 
dwell 
on the 
main critical 
issues 
related to the 
use 
of artificial 
intelligence 
for the 
fundamental 
rights 
of the 
person, not 
without 
attempting 
to outline 
methods 
and tools 
useful 
in regulating the 
complex and constantly 
evolving relationship between man and machine. 


Technical hints: aI and big data. 


Prodromal 
to 
all 
questions 
concerning 
the 
new 
technologies’ 
legal 
aspects 
is the understanding - at least in broad terms - of the phenomenon. 

defining 
the 
technology 
that 
is 
looming 
on 
the 
horizon, 
is 
already 
a 
difficult 
operation 
in 
itself 
for 
the 
jurist, 
first 
of 
all 
because 
he 
is 
a 
neophyte 
in 
the 
technological 
field, 
and 
then 
for 
the 
presence 
of 
a 
mare 
magnum 
of 
notions. 
usually 
the 
definition 
of 
A.I. 
refers 
to 
the 
idea 
of 
human 
intelligence, 
which 
includes 
the 
ability 
to 
learn 
and 
extract, 
to 
reason 
and 
use 
language, 
to 
predict, 
to 
decide 
with 
varying 
degrees 
of 
autonomy 
(5). 
In 
fact, 
already 
in 
1950, 
Alan 
turing, 
considered 
the 
founding 
father 
of 
computer 
science, 
stated 
“the 
idea 
behind 
digital 
computers 
may 
be 
explained 
by 
saying 
that 
these 
machines 
are 
intended 
to 
carry 
out 
any 
operations 
which 
could 
be 
done 
by 
a 
human 
computer” 
(6). 
In 
other 
words, 
if 
the 
process 
is 
qualified 
as 
intelligent 
when 
performed 
by 
a 
human 
being, 
then 
it 
can 
also 
be 
qualified 
as 
intelligent 
when 
performed 
by 
a 
machine. 
on 
the 
regulatory 
level, 
however, 
we 
would 
like 
to 
point 
out 
the 
formula 
contained 
in 
Article 
3 
no. 
1 
of 
the 
european 
Commission’s 
proposal 
for 
a 
regulation 
on 
artificial 
intelligence, 
whereby 
“artificial 
intelligence 
system 
means 
software 
that 
is 
developed 
with 
one 
or 
more 
of 
the 
techniques 
and 
approaches 
listed 
in 
Annex 
I 
and 
can, 
for 
a 
given 
set 
of 
human-defined 
objectives, 
generate 
outputs 
such 
as 
content, 
predictions, 
recommendations, 
or 
decisions 
influencing 
the 
environments 
they 
interact 
with” 
(7). 


(5) thus 
b. MArChettI, voice 
Digital administration, in Enciclopedia del diritto, Milan, 2022. 
(6) A. turIng, Computering machinery and intelligence, in 59 mind, 1950, 436. 
(7) Proposal 
for a 
regulation of the 
european Parliament 
and of the 
Council 
laying down harmonised 
rules 
on artificial 
intelligence 
and amending certain union legislative 
acts, 21 April 
2021, CoM 
(2021) 
206 
final, 
available 
online 
at 
the 
following 
link: 
https://eur-lex.europa.eu/legalcontent/
IT/TXT/?uri=CELEX%3a52021PC0206. For a more precise definition see the one formulated 

LegISLAzIone 
ed 
AttuALItà 


With 
regard 
to 
operation, 
these 
machines 
are 
based 
on 
algorithms, 
i.e. 
ordered 
sequences 
of actions 
that, given certain input 
data 
(input), arrive 
at 
producing 
the 
desired 
end 
result 
(output), 
which 
constitutes 
the 
solution 
to 
the 
problem 
for 
which 
the 
algorithm 
was 
constructed. 
While 
this 
statement 
can 
be 
applied to any intelligent 
system, the 
phenomenon, as 
mentioned earlier, 
must 
necessarily be 
understood in plural 
terms, moving from 
the 
simplest 
expert 
systems, to gradually more 
refined devices, even capable 
of autonomous 
learning. In more detail, the following classifications are proposed (8): 


a) 
model-based 
algorithms: 
they 
work 
according 
to 
hard 
rules, 
i.e. 
defined 
and 
unambiguous 
instructions 
provided 
by 
experts 
in 
a 
given 
field 
which, 
when executed, lead to a certain and defined result; 
b) 
machine 
learning (ML) algorithms: 
starting from 
structured and categorised 
data, 
the 
systems 
learn 
how 
to 
classify 
new 
data 
according 
to 
type; 
they are 
optimised by human feedback, which indicates 
incorrect 
and correct 
classifications; 
c) 
deep 
learning 
(dL) 
algorithms: 
like 
the 
former 
are 
characterised 
by 
the 
ability to learn autonomously from 
experience 
and to develop their own 
logic 
to arrive 
at 
the 
final 
result, but 
by exploiting neural 
networks 
they are 
able 
to process 
unstructured data. unlike 
the 
latter, training by a 
developer is 
not necessary. 
briefly, 
there 
are 
at 
least 
two 
critical 
issues 
that 
the 
most 
sophisticated 
algorithms 
present, 
which 
are 
relevant 
from 
both 
an 
engineering 
and 
a 
legal 
point 
of 
view. 
the 
first, 
located 
in 
the 
learning 
phase, 
concerns 
the 
large 
amount 
of 
data 
(big 
data) 
required 
for 
the 
machines 
to 
provide 
reliable 
results 
(at 
least 
100 
million 
data 
points 
for 
dL 
systems). 
the 
second 
relates 
to 
its 
defect 
of 
explainability, 
since 
it 
is 
not 
possible 
to 
know 
the 
process 
by 
which 
the 
system, 
given 
certain 
inputs, 
arrives 
at 
certain 
outputs 
(black 
boxes) 
(9). 
Indeed, 
once 
the 
training 
phase 
is 
over, 
the 
algorithm 
develops, 
with 
experience, 
autonomous 
decision 
logics, 
which 
the 
programmer 
is 
neither 
able 
to 
predetermine 
or 
predict. 
It 
should 
not 
be 
forgotten 
that 
such 
results 
may 
be 
correct, 
incorrect 
and 
even 
discriminatory 
(bias). 
hence 
the 
well-known 
difficulty 
of 
using 
these 
intelligent 
systems 
to 
assist 
or 
even 
replace 
humans 
in 
public 
decision-making 
processes, 
considering 
the 
high 
level 
of 
guarantees 
provided 
by 
national 
legal 
systems 
and 
european 
and 
international 
law 
(10). 


by the 
high Level 
expert 
group on Artificial 
Intelligence 
appointed by the 
european Commission in 
the 
document 
on a 
definition of 
aI: 
main Capabilities 
and Disciplines, brussels, April 
2019, available 
at 
the 
following 
link: 
https://digital-strategy.ec.europa.eu/en/library/definition-artificial-intelligencemain-
capabilities-and-scientific-disciplines. 

(8) 
https://www.ionos.com/digitalguide/online-marketing/search-engine-marketing/deeplearning-
vs-machine-learning/. 
(9) For all, compare F. PASQuALe, The black box society, 2016. 

rASSegnA 
AVVoCAturA 
deLLo 
StAto -n. 1/2023 


Legal 
aspects: data protection in the 
system 
of 
international 
and Community 
law sources. 


It 
emerged from 
this 
concise 
discussion that 
in the 
age 
of artificial 
intelligence, 
data 
are 
essential 
resources 
for 
economic, 
social 
and 
technological 
development, representing the 
raw 
material 
on which technology feeds 
(11). 
In 
this 
regard, 
the 
economist 
reported: 
“data 
will 
be 
(and 
perhaps 
already 
are) 
the 
oil 
of the 
future” 
(12). this 
statement 
aptly describes 
the 
phenomenon if 
one 
considers 
that 
the 
predictive 
capacity of algorithms, besides 
being used 
to 
pursue 
general 
interests, 
can 
also 
be 
employed 
to 
maximise 
the 
profit 
of 
private 
powers. 
In 
concrete 
terms, 
these 
machines 
predict 
consumption 
and 
market 
trends, the 
wear and tear of infrastructures, diagnoses 
and cures, disasters 
and political 
decisions, even electoral 
results. of course, there 
is 
often a 
cost 
to 
this: 
economic 
exploitation 
and 
commodification 
of 
personal 
data. 
this 
mechanism 
needs 
to be 
regulated, as 
data 
is 
not 
just 
an input, from 
which a 
machine 
proceeds 
to arrive 
at 
a 
certain result, but 
encompasses 
a 
universe 
of 
information 
of 
an 
individual's 
life, 
which 
it 
detects 
as 
an 
object 
to 
be 
protected. 

the 
protection of personal 
data 
is 
first 
and foremost 
a 
principle 
that 
has 
multiple 
normative 
foundations 
in international, supranational 
and domestic 
law. 
Proceeding 
by 
hierarchy, 
significant 
is 
the 
wording 
of 
Article 
8 
of 
the 
european 
Convention 
on 
human 
rights 
(eChr), 
which, 
in 
recognising 
the 
right 
of every person to respect 
for his 
or her private 
and family life, home 
and correspondence, 
represents 
the 
parameter 
on 
the 
basis 
of 
which 
the 
Strasbourg 
Court 
ascertains 
possible 
violations 
of the 
right 
to privacy (13). other normative 
references 
are 
Article 
12 of the 
universal 
declaration of human rights, 
which states: 
“no one 
shall 
be 
subjected to arbitrary interference 
with his 
privacy, 
family, home 
or correspondence, nor to attacks 
upon his 
honour and reputation. 
everyone 
has 
the 
right 
to 
the 
protection 
of 
the 
law 
against 
such 
interference 
or attacks” 
and Article 
17 of the 
International 
Covenant 
on Civil 
and Political rights, which incorporates it verbatim. 


(10) on this 
subject 
the 
literature 
is 
endless. Ex 
plurimis, e. PICozzA, artificial 
intelligence 
and 
law. Politica, diritto amministrativo, and artificial 
intelligence, in Giur. It., 2019, no. 7; 
C. CASonAto, 
Costituzione 
e 
intelligenza artificiale: un’agenda per 
il 
prossimo futuro, in Biolaw Journal, 2019, no. 
2; F. donAtI, Intelligenza artificiale e giustizia, in riv. aIC, 2020, no. 415. 
(11) M. CASteLLS, The rise of the Network society, oxford, 2000. 
(12) The 
world’s 
most 
valuable 
resource 
is 
no longer 
oil 
but 
data. The 
data economy 
demands 
a 
new approach to antitrust rules, in the 
Economist, 6 May 2017. 
(13) In 
Sidabras 
v. Lithuania, the 
eChr gave 
a 
very broad interpretation of the 
right 
to privacy 
under Article 
8 of the 
eChr. the 
Strasbourg judges 
held, in fact, that 
the 
protection provided by this 
article 
extends 
to encompass 
the 
right 
of each person to develop social 
relations 
free 
from 
all 
forms 
of 
discrimination or social 
stigmatisation, thus 
also allowing him 
or her the 
full 
enjoyment 
of his 
or her 
private 
life. the 
Court, therefore, considered the 
overall 
place 
of the 
person in society, stating that 
full 
respect 
for privacy is 
a 
condition for equality and the 
enjoyment 
of fundamental 
rights, such as 
the 
right 
to work. 

LegISLAzIone 
ed 
AttuALItà 


the 
european union, in addition to Article 
16 teu, inserts 
the 
right 
to 
the 
protection of personal 
data 
in Article 
8 of the 
Charter of nice 
(CdFue), 
making it 
a 
fundamental 
right 
that 
binds 
not 
only the 
eu 
institutions, but 
extends 
to all 
member states, pursuant 
to Article 
51 of the 
same 
Charter. In particular, 
it 
represents 
a 
specific 
declination 
of 
the 
right 
to 
respect 
for 
private 
and family life 
referred to in Article 
7 of the 
same 
document 
and already provided 
for in Article 
8 of the 
eChr. Precisely, the 
provision establishes: 
“1. 
everyone 
has 
the 
right 
to the 
protection of personal 
data 
concerning him 
or 
her. 2. Such data 
shall 
be 
processed fairly, for specified purposes 
and on the 
basis 
of 
the 
consent 
of 
the 
person 
concerned 
or 
some 
other 
legitimate 
basis 
laid down by law. every person shall 
have 
the 
right 
of access 
to the 
data 
collected 
concerning 
him 
or 
her 
and 
the 
right 
to 
have 
them 
rectified. 
3. 
Compliance 
with 
these 
rules 
shall 
be 
subject 
to 
control 
by 
an 
independent 
authority”. What 
emerges 
from 
all 
these 
sources 
is 
a 
common conception of 
privacy that 
does 
not 
coincide 
with the 
traditional 
concept 
of the 
right 
to anonymity 
or to be 
let 
alone, but 
rather with the 
idea 
that 
everyone 
should have 
the 
right 
to control 
his 
or her own personal 
information, as 
a 
prerequisite 
for 
the 
exercise 
of 
many 
other 
rights 
of 
freedom, 
especially 
of 
a 
cyber 
nature 
(14). 

the 
european 
union, 
in 
its 
aim 
to 
assert 
a 
european 
“digital 
sovereignty”, 
envisages 
the 
construction 
of 
a 
majestic 
regulatory 
framework, 
essentially 
based on four pillars: 


a) 
protection and enhancement 
of personal 
data: 
the 
former covered by 
regulation 
(eu) 
2016/679 
“on 
the 
protection 
of 
individuals 
with 
regard 
to 
the 
processing of personal 
data 
and on the 
free 
movement 
of such data” 
(better 
known as 
gdPr); 
the 
latter by the 
Data act, the 
Data Governance 
act 
and 
the proposed regulation on the european health data space; 
b) 
digital 
services 
and the 
digital 
market: 
the 
subject 
of the 
digital 
Services 
act 
and the 
Digital markets 
act; 
c) 
digital 
identity: 
the 
2014 e-IdAS 
regulation is 
to be 
revised in this 
respect; 
d) 
Artificial 
Intelligence: 
a 
proposal 
for 
a 
european 
regulation 
laying 
down harmonised rules 
on artificial 
intelligence 
(Artificial 
Intelligence 
Act) 
(14) reference 
is 
made 
to the 
doctrine 
of cyber-freedom, a 
theory that 
was 
put 
forward in 1981 
and had its 
ideological 
matrix in the 
conception of a 
new 
liberalism. It 
was 
originally distinguished into 
positive 
and negative 
freedom. negative 
freedom 
of information technology expresses 
“the 
right 
not 
to 
place 
in the 
public 
domain certain information of a 
personal, private, confidential 
nature 
(qualifications 
that 
may not 
coincide 
with each other in certain cases); 
positive 
freedom 
of information technology, on 
the 
other 
hand, 
expresses 
the 
faculty 
to 
exercise 
a 
right 
of 
control 
over 
data 
concerning 
one's 
own 
person 
that 
have 
escaped the 
circle 
of privacy because 
they have 
become 
input 
elements 
of an electronic 
programme; 
and therefore 
positive 
freedom 
of information technology, or the 
recognised subjective 
right, 
to 
know, 
correct, 
remove 
or 
add 
data 
in 
an 
electronic 
personal 
file”. 
thus 
V. 
FroSInI, 
La 
protezione 
della 
riservatezza nella società informatica, in n. MAtteuCCi 
(ed.), Privacy 
and data banks, bologna, 1981, 
37 ff. (later included in vol. Id., Informatica diritto e società, 2nd ed., Milan 1992, 173 ff.). 

rASSegnA 
AVVoCAturA 
deLLo 
StAto -n. 1/2023 


and 
amending 
certain 
pieces 
of 
union 
legislation 
is 
in 
the 
process 
of 
being 
adopted. 


The GDPr: regulation (EU) 2016/679. 


In order to understand the 
transformation of privacy in the 
age 
of AI, it 
is 
necessary to start 
by analysing the 
gdPr regulation (15). According to Article 
2, it 
also applies 
to the 
processing of personal 
data 
carried out 
in whole 
or in part 
by artificial 
intelligence 
(16). Article 
1, in defining object 
and pur-
pose, states: 
“this 
regulation lays 
down rules 
relating to the 
protection of individuals 
with regard to the 
processing of personal 
data, and rules 
relating to 
the 
free 
movement 
of such data”. Already the 
first 
provision shows 
how 
the 
right 
to 
privacy 
is 
not 
protected 
absolutely, 
but 
must 
be 
combined 
with 
the 
need for free 
movement 
of data. Indeed, the 
purpose 
of the 
regulation is 
not 
only to guarantee 
the 
protection of personal 
data, but 
also to promote 
the 
development 
of the digital Single Market (17). 

to increase 
citizens' 
trust 
in the 
use 
of new 
digital 
services, a 
trustworthy 
digital 
environment 
must 
be 
created, in which the 
identity of the 
data 
controller, 
the procedures and the levels of protection are known. the regulation focuses 
on the 
principles 
of accountability and compliance, as 
set 
out 
in Article 
5(2) 
(“the 
controller 
shall 
be 
responsible 
for, 
and 
be 
able 
to 
demonstrate 
compliance 
with, 
paragraph 
1 
(“accountability”)”). 
these 
are 
primarily 
incumbent 
on 
the 
data 
controller, 
who 
is 
called 
upon 
to 
choose 
the 
most 
appropriate 
measures 
to prevent 
risks, to take 
the 
necessary decisions 
and to prove 
that 
they 
are adequate, on pain of liability under Article 24. 


the 
gdPr’s 
approach 
is 
based 
on 
risk 
assessment 
(risk 
based), 
a 
para-
meter 
against 
which 
the 
degree 
of 
accountability 
of 
the 
data 
controller 
or 
processor 
is 
measured. 
obviously, 
the 
controller 
is 
bound 
by 
specific 
principles 
set 
out 
in 
the 
regulation: 
in 
particular, 
privacy 
by 
design 
and 
by 
default 
and 
Data 
Protection 
Impact 
assessment. 
the 
principle 
of 
privacy 
by 
design, 
referred 
to 
in 
Article 
25(1) 
of 
regulation 
(eu) 
2016/679, 
provides 
that, 
taking 
into 
account 
the 
state 
of 
the 
art 
and 
the 
costs 
of 
implementation, 
as 
well 
as 
the 
nature, 
scope, 
context 
and 
purposes 
of 
the 
processing, 
as 
well 
as 
the 
risks 


(15) https://protezionedatipersonali.it/privacy-by-design-e-by-default. 
(16) Art. 2 “Material 
scope” 
“this 
regulation applies 
to the 
processing of personal 
data 
wholly 
or partly by automated means 
and to the 
processing other than by automated means 
of personal 
data 
which form 
part 
of a 
filing system 
or are 
intended to form 
part 
of a 
filing system”. See 
g. FInoCChIAro, 
XVIII lezione: intelligenza artificiale, privacy 
e 
data protection, in u. ruFFoLo 
(ed.), XXVI Lezioni 
di 
diritto dell'intelligenza artificiale, turin, 2021, 331 ff. 
(17) 
recital 
7 
“those 
developments 
require 
a 
strong 
and 
more 
coherent 
data 
protection 
framework 
in the 
union, backed by strong enforcement, given the 
importance 
of creating the 
trust 
that 
will 
allow 
the 
digital 
economy to develop across 
the 
internal 
market. natural 
persons 
should have 
control 
of their 
own personal 
data. Legal 
and practical 
certainty for natural 
persons, economic 
operators 
and public 
authorities 
should be enhanced”. 

LegISLAzIone 
ed 
AttuALItà 


having 
different 
probability 
and 
severity 
for 
the 
rights 
and 
freedoms 
of 
natural 
persons 
constituted 
by 
the 
processing, 
the 
controller 
must 
implement, 
both 
when 
determining 
the 
means 
of 
processing 
and 
at 
the 
time 
of 
the 
processing 
itself, 
“appropriate 
technical 
and 
organisational 
measures, 
such 
as 
pseudonymisation” 
(referred 
to 
in 
Art. 
4(1)(5)), 
designed 
to 
implement 
effectively 
the 
principles 
of 
data 
protection, 
such 
as 
data 
minimisation, 
and 
to 
incorporate 
in 
the 
processing 
the 
necessary 
safeguards 
to 
meet 
the 
requirements 
of 
the 
regulation 
and 
to 
protect 
the 
rights 
of 
data 
subjects. 
Linked 
to 
this 
criterion 
is 
the 
principle 
of 
privacy 
by 
default, 
which 
is 
enshrined 
in 
the 
second 
paragraph 
of 
Article 
25 
of 
regulation 
(eu) 
2016/679: 
the 
data 
controller 
must 
implement 
“appropriate 
technical 
and 
organisational 
measures 
to 
ensure 
that 
only 
the 
personal 
data 
necessary 
for 
each 
specific 
purpose 
of 
the 
processing 
are 
processed 
by 
default”. 
the 
individual 
is 
protected 
in 
a 
strengthened 
way 
since 
the 
provision 
establishes 
access 
to 
an 
indefinite 
number 
of 
natural 
persons 
by 
machines 
(without 
the 
intervention 
of 
the 
natural 
person) 
and 
provides 
that 
the 
obligation 
is 
calibrated 
on 
aspects 
such 
as 
the 
amount 
of 
data, 
the 
scope 
of 
processing, 
the 
retention 
period 
and 
accessibility. 
Also 
interesting 
is 
Article 
35 
of 
reg. 
(eu) 
2016/679, 
concerning 
the 
so-called 
Data 
Protection 
Impact 
assessment: 
when 
a 
type 
of 
processing, 
involving 
in 
particular 
the 
use 
of 
new 
technologies, 
taking 
into 
account 
the 
nature, 
subject 
matter, 
context 
and 
purpose 
of 
the 
processing, 
may 
present 
a 
high 
risk 
for 
the 
rights 
and 
freedoms 
of 
natural 
persons, 
the 
data 
controller 
shall 
carry 
out, 
before 
processing, 
“an 
assessment 
of 
the 
impact 
of 
the 
intended 
processing 
on 
the 
protection 
of 
personal 
data” 
(18). 


despite 
its 
complexity 
-173 
recitals 
and 
99 
articles 
-and 
its 
proactive 
and 
flexible 
approach 
to 
the 
subject 
of 
personal 
data 
protection, 
the 
gdPr 
cannot 
be 
considered 
a 
self-sufficient 
and 
immutable 
body 
of 
legislation. 
the 
drafters 
themselves 
are 
aware 
of 
these 
qualities, 
and 
in 
Articles 
12(8) 
and 
43 
(8) 
they 
empower 
the 
european 
Commission 
to 
adopt 
delegated 
acts 
and 
implementing 
acts 
to 
lay 
down 
technical 
standards 
concerning 
certification 
mechanisms 
and 
data 
protection 
seals 
and 
marks, 
and 
delegate 
to 
the 
Member 
States 
the 
adoption 
of 
more 
specific 
rules 
to 
adapt 
the 
application 
of 
the 
regulation. 
Furthermore, 
Article 
97 
provides 
for 
a 
review 
of 
the 
gdPr 
every 
four 
years, 
allowing 
the 
Commission 
the 
possibility 
of 
proposing 
amendments 
to 
the 
regulation, 
taking 
into 
account 
“in 
particular 
developments 
in 
information 
technology 
and 
progress 
in 
the 
information 
society”. 


Proposed regulation on aI. 


As 
much as 
the 
tools 
and principles 
provided by the 
gdPr lend them


(18) https://protezionedatipersonali.it/privacy-by-design-e-by-default. 

rASSegnA 
AVVoCAturA 
deLLo 
StAto -n. 1/2023 


selves 
to extensive 
application in today's 
“data-driven society”, there 
is 
an urgent 
need to develop models for regulating new technologies. 

Self-regulation? 
homogenous 
or sector-specific 
regulation? 
Whereas 
in 
the 
united 
States 
there 
has 
been 
a 
move 
towards 
a 
self-regulatory 
model, 
while 
in China 
there 
has 
been specific 
and detailed regulation, the 
european legislator 
has 
opted 
for 
a 
horizontal 
approach, 
with 
rules 
applicable 
to 
each 
sector 
(health, financial, etc.). the 
proposal 
for a 
regulation of the 
european Parliament 
and 
of 
the 
Council 
laying 
down 
harmonised 
rules 
on 
artificial 
intelligence 
(Artificial 
Intelligence 
Act) aims 
to ensure 
that 
AI systems 
placed on 
the 
eu 
market 
are 
safe 
and ethical, comply with existing fundamental 
rights 
legislation, and respect 
eu 
values 
through a 
proportionate 
risk-based approach. 
AI systems 
are 
classified according to the 
risk they present 
into three 
categories: 
a) AI with unacceptable 
risk; 
b) AI with high risk; 
c) AI with low 
or 
minimal 
risk. 
Firstly, 
systems 
that 
present 
an 
unacceptable 
risk 
are 
banned. 
these 
include 
“real-time” 
remote 
biometric 
identification systems 
in publicly 
accessible 
spaces 
(19). Instead, for low-risk AI systems, certain transparency 
obligations 
are 
laid down and codes 
of conduct 
are 
encouraged. For instance, 
for 
AI 
systems 
intended 
to 
interact 
with 
individuals, 
it 
is 
required 
that 
they 
must 
be 
informed 
of 
the 
interaction 
with 
an 
AI 
system; 
for 
so-called 
“deep 
fake”, systems 
that 
generate 
or manipulate 
images 
or audio or video content 
that 
closely 
resemble 
existing 
persons, 
objects, 
places 
or 
other 
entities 
or 
events 
and that 
could appear falsely authentic 
or true, it 
is 
required that 
users 
disclose 
that 
the 
content 
has 
been 
artificially 
generated 
or 
manipulated. 
Finally, 
the 
obligations 
for the 
adoption of high-risk AI systems 
are 
listed in detail. In 
particular, 
it 
is 
stipulated 
that 
such 
systems 
are 
subject 
to 
an 
ex 
ante 
conformity 
assessment 
procedure, which concludes 
with the 
affixing of the 
Ce 
mark. In 
addition, high-risk AI systems 
must 
be 
designed and developed in such a 
way 
to guarantee, by means 
of automatic 
event 
logging and throughout 
their life 
cycle, 
the 
traceability 
of 
their 
operation, 
which 
must 
be 
sufficiently 
transparent 
to enable users to interpret their output and use it appropriately. 

It 
is 
clear that 
the 
proposed new 
regulation borrows 
its 
main axes 
from 
the 
gdPr: 
from 
the 
risk-based 
approach, 
to 
the 
duties 
of 
transparency 
towards 
users, 
to 
certifications 
and 
codes 
of 
conduct. 
Furthermore, 
the 
unavoidable 
incidence 
point 
for 
both 
subjects 
is 
not 
marginal: 
the 
processing 
of 
personal 
data 
is 
functional 
to feeding artificial 
intelligence 
systems 
with a 
view 
to their automatic 
learning. 
It 
is 
evident, 
therefore, 
how 
errors 
or 
mistakes 
in 
the 
processing 
of data 
functional 
to the 
feeding of the 
machine 
are 
reflected in as 
many 


(19) 
this 
is 
the 
only 
system 
whose 
prohibition 
has 
exceptions, 
pursuant 
to 
Article 
9 
of 
the 
gdPr, 
in cases 
of searching for victims 
of crime, threats 
to life 
or terrorist 
acts, or searching for persons 
guilty 
of serious 
criminal 
offences. In these 
cases, the 
use 
of the 
system 
may be 
permitted, subject 
to authorisation 
by a judicial authority or independent administrative authority. 

LegISLAzIone 
ed 
AttuALItà 


distortions 
of 
the 
algorithmic 
process 
(20). 
So 
there 
is 
an 
objective 
need 
to 
avoid the 
emergence 
of antinomies 
between the 
different 
disciplines 
mentioned, 
in 
order 
to 
make 
the 
regulation 
of 
the 
matter 
as 
a 
whole 
more 
organic 
and 
effective. 


Law and technology: a possible combination? 


In a 
climate 
of general 
mistrust 
towards 
technological 
and scientific 
progress, 
the 
european union's 
attempt 
to regulate 
the 
artificial 
intelligence 
phenomenon 
is 
certainly to be 
welcomed, although aware 
that 
the 
speed at 
which 
artificial 
intelligence 
is 
progressing and the 
complexity of the 
issues 
carries 
the 
risk 
of 
making 
any 
regulation 
immediately 
obsolete. 
If 
law 
and 
technology 
travel 
at 
two different 
speeds, perhaps 
it 
would be 
appropriate 
to adapt 
legal 
instruments 
to the 
speed of the 
latter? 
Perhaps 
by opting for soft 
law 
instruments 
rather 
than 
hard 
law 
ones? 
Perhaps 
by 
preferring 
general 
rather 
than 
detailed 
legislation? 
one 
thing 
is 
certain: 
the 
transnationality 
of 
the 
phenomenon 
requires that all questions will be answered at a global level. 


(20) C. utz 
et 
al., (Un)informed Consent: Studying GDPr 
Consent 
Notices 
in the 
Field, in aCm 
SIGSaC 
Conference 
on 
Computer 
and 
Communications 
Security, 
november 
11-15, 
2019, 
London, 
united 
Kingdom, ACM, new 
York, nY, uSA. 

rASSegnA 
AVVoCAturA 
deLLo 
StAto -n. 1/2023 


amministrare per processi. Il PnRR, il PIao 
e il Business Process Reengineering nelle Pubbliche 
amministrazioni: un’occasione da non perdere 


Antonino Ripepi* 


SommarIo: 1. La reingegnerizzazione 
dei 
processi 
nelle 
Pubbliche 
amministrazioni: lineamenti 
teorici 
-2. Non solo teoria del 
management 
pubblico: il 
CCNL 
31 marzo 1999 e 
l’introduzione 
di 
sistemi 
premianti 
-3. BPr 
e 
amministrazioni. Il 
ruolo del 
dirigente 
-4. Il 
trust 
management 
-5. Un’occasione 
da non perdere 
per 
la reingegnerizzazione 
dei 
processi: 
il PNrr e il PIao - 6. Conclusioni. 


1. 
La 
reingegnerizzazione 
dei 
processi 
nelle 
Pubbliche 
amministrazioni: 
lineamenti 
teorici. 
L’art. 
6 
d.Lgs. 
n. 
165/2001 
stabilisce 
che, 
nelle 
amministrazioni 
pubbliche, 
l’organizzazione 
e 
la 
disciplina 
degli 
uffici, 
nonché 
la 
consistenza 
e 
la 
variazione 
delle 
dotazioni 
organiche, 
siano 
determinate 
sulla 
base 
della 
verifica 
dei 
fabbisogni 
effettivi 
e 
in 
funzione 
delle 
finalità 
di 
accrescimento 
dell’efficienza, 
della 
razionalizzazione 
del 
costo 
del 
lavoro, 
del 
contenimento 
della 
spesa 
complessiva 
per 
il 
personale 
e 
della 
migliore 
utilizzazione 
delle 
risorse 
umane. 


La 
ridefinizione 
degli 
uffici 
e 
delle 
dotazioni 
organiche 
deve 
essere 
valutata 
periodicamente 
e 
comunque 
a 
scadenza 
triennale, 
nonché, 
ove 
risulti 
necessario, 
a 
seguito 
di 
riordino, 
fusione, 
trasformazione 
o 
trasferimento 
di 
funzioni, adottando allo scopo gli 
atti 
previsti 
dal 
proprio ordinamento e, nel 
caso 
di 
variazioni 
alle 
dotazioni 
organiche 
già 
determinate, 
con 
l’approvazione 
dell’organo di 
vertice 
di 
ciascun ente. La 
riorganizzazione 
in esame 
deve 
avvenire 
in coerenza 
con la 
programmazione 
triennale 
del 
fabbisogno di 
personale 
e 
con 
gli 
strumenti 
di 
programmazione 
economico-finanziaria 
pluriennale. 


In questo contesto sistematico, le 
Pubbliche 
Amministrazioni 
moderne, 
anche 
a 
seguito della 
diffusione 
delle 
dottrine 
del 
management 
pubblico a 
far 
data 
dagli 
anni 
’80 del 
secolo scorso, si 
indirizzano sempre 
più verso logiche 
di processo e non di mero procedimento. 


Infatti, 
mentre 
il 
tradizionale 
procedimento 
amministrativo, 
di 
cui 
alla 


L. 
n. 
241/1990, 
è 
prescritto 
da 
una 
norma 
ed 
è 
“preordinato 
per 
adempiere 
schematicamente 
a 
una 
serie 
di 
azioni 
predefinite 
che 
obbediscono 
alla 
legge” 
(1), 
il 
processo 
è 
un 
concetto 
di 
derivazione 
economico-aziendali(*) 
Procuratore 
dello Stato -Avvocatura 
distrettuale 
di 
reggio Calabria, referente 
distrettuale 
per la 
“rassegna dell’Avvocatura dello Stato”. 


(1) In tali 
termini, A. LIPPI 
-M. MorISI, Scienza dell’amministrazione, Il 
Mulino, 2005, p. 91. gli 
Autori 
illustrano 
ampiamente 
come 
il 
procedimento 
sia 
tradizionalmente 
osservato 
dalla 
prospettiva 
esterna della legge, superiore rispetto agli individui e agli uffici coinvolti nell’azione amministrativa. 

LegISLAzIone 
ed 
AttuALItà 


stica, 
“strumento 
gestionale 
che 
dà 
rilievo 
alla 
persona, 
vista 
nelle 
sue 
relazioni 
all’interno 
di 
un 
gruppo 
e 
in 
grado 
di 
far 
circolare 
le 
informazioni 
in 
modo 
fluido” 
(2). 


Il 
processo, 
dunque, 
configura 
un 
concetto 
più 
ampio 
rispetto 
al 
procedimento 
amministrativo 
e 
alla 
contigua 
nozione 
di 
“procedura”, 
la 
quale 
condivide 
con 
il 
procedimento 
l’idea 
della 
rigida 
predeterminazione 
delle 
azioni 
(3). 


La 
nozione 
può 
essere 
ulteriormente 
precisata 
attraverso 
la 
distinzione 
rispetto 
al 
“progetto”: 
quest’ultimo 
è 
un 
evento 
produttivo 
unico, 
con 
data 
di 
inizio 
e 
fine, 
laddove 
il 
processo 
è 
un 
evento 
ripetitivo 
e 
standardizzato, 
connotato 
da 
uno 
o 
più 
fornitori 
e 
da 
uno 
o 
più 
clienti 
interni 
alla 
stessa 
Amministrazione 
(4). 


Attraverso 
il 
processo, 
infatti, 
si 
assiste 
all’inserimento 
di 
un 
input, 
ossia 
di 
un 
variegato 
materiale 
di 
immissione 
(politiche 
pubbliche, 
finanziamenti, 
stimoli 
esterni), 
all’interno 
di 
un 
processo 
di 
attuazione 
(throughput) 
(5), 
che 
conduce 
al 
risultato 
tangibile 
e 
concreto, 
in 
termini 
di 
atti, 
servizi, 
prodotti 
(6) 
(output). 


Proprio 
in 
virtù 
di 
tali 
caratteristiche, 
l’implementazione 
di 
una 
mentalità 
per 
processi 
incide 
necessariamente 
sulle 
strutture 
dell’organizzazione 
amministrativa 
e 
rende 
necessario 
un 
costante 
lavoro 
di 
sperimentazione 
di 
profili 
organizzativi 
innovativi 
e 
valutazione 
degli 
effetti 
delle 
novità 
introdotte 
in 
concreto. 


tradizionalmente, infatti, si 
tendeva 
a 
formalizzare 
rigidamente 
la 
struttura 
organizzativa 
in 
funzione 
di 
riduzione 
dell’incertezza 
e 
delle 
minacce 
provenienti 
dal 
mondo esterno (7). tuttavia, con il 
passare 
del 
tempo, la 
dottrina 
di 
settore 
ha 
preso consapevolezza 
dell’esistenza 
di 
strutture 
di 
potere 
infor


(2) e. LeonArdI, Disegnare 
i 
processi. Il 
metodo Zoom 
Up. La persona e 
il 
gruppo. La comunicazione 
interna, FrancoAngeli, 2012, p. 15. L’Autrice 
evidenzia, altresì, la 
distinzione 
tra 
funzione 
e 
processo: 
mentre 
la 
prima 
è 
un insieme 
di 
uomini 
e 
mezzi 
necessari 
per lo svolgimento di 
attività 
della 
stessa 
natura, i 
processi 
mettono in relazione 
funzioni 
e 
mezzi 
di 
aree 
diverse 
per conseguire 
obiettivi 
comuni (p. 17). 
(3) A. LIPPI 
- M. MorISI, op. cit., p. 92. 
(4) A. gAndoLFI 
-F. FrIgo 
MoSCA 
-r. bortoLetto, Il 
process 
mapping in pratica. Descrivere 
i 
processi 
in 
modo 
intuitivo. 
Individuare 
le 
lacune, 
inefficienze, 
doppioni. 
Formalizzare 
le 
procedure, 
FrancoAngeli, 2014, p. 14. 
(5) A. LIPPI 
- M. MorISI, op. cit., p. 89. 
(6) È 
interessante, peraltro, osservare 
come 
non tutti 
gli 
studiosi 
siano concordi 
circa 
la 
completa 
equiparazione 
tra 
P.A. e 
aziende 
private, in quanto la 
prima 
è 
preordinata 
al 
conseguimento di 
fini 
pubblici 
(ad esempio V. bonAnno 
e 
S. FAbIAno, nel 
corso delle 
rispettive 
lezioni 
tenute 
al 
Corso di 
formazione 
“Co.A 
6 
-Sessione 
ordinaria”). 
tale 
non 
completa 
equiparabilità 
rende 
la 
“traslazione” 
delle 
impostazioni 
teoriche 
e 
dei 
conseguenti 
modelli 
adottati 
nell’ambito privato particolarmente 
complessa 
e oggetto, dunque, di continui approfondimenti. 
(7) A. CoStAnzo, organizzazione 
e 
scienza dell’amministrazione 
negli 
enti 
pubblici 
con approfondimenti 
per 
INPS e 
enti 
locali, edizioni 
eL, p. 11. L’Autore 
evidenzia 
come 
tale 
antica 
concezione 
sia 
stata 
scardinata 
dalla 
teoria 
dei 
sistemi, la 
quale 
può “favorire 
la 
costituzione 
di 
gruppi 
di 
lavoro e 
di linee di processo responsabili di obiettivi consensualmente definiti o comunque condivisi” (p. 12). 

rASSegnA 
AVVoCAturA 
deLLo 
StAto -n. 1/2023 


male 
affiancate 
all’organigramma 
formalizzato (8), connotate 
da 
figure 
quali 
i 
leaders, i 
gatekeepers 
-ossia 
detentori 
di 
una 
risorsa 
pregiata 
e 
strategica, 
usata 
per accrescere 
il 
potere 
personale 
-e 
i 
relais, coloro che 
sono in grado 
di 
mediare 
con altre 
organizzazioni. d’altronde, la 
coesistenza 
di 
ruoli 
informali 
e 
ruoli 
formalizzati 
all’interno dei 
gruppi 
è 
stata 
individuata 
anche 
dai 
sociologi generali (9) e dai sociologi dell’organizzazione (10). 


ebbene, 
in 
una 
struttura 
pubblica 
sempre 
più 
caratterizzata 
da 
“legami 
deboli” 
(11), 
in 
cui 
i 
rapporti 
di 
dipendenza 
dati 
dall’autorità 
si 
interrompono 
o 
funzionano 
in 
modo 
intermittente, 
una 
mentalità 
per 
processi 
può 
condurre 
al 
superamento 
delle 
rigidità 
della 
burocrazia 
meccanica, 
caratterizzata 
da 
gerarchia, 
accentramento 
decisionale, 
mansioni 
molto 
specializzate, 
strutture 
“lunghe” 
e 
difficoltà 
comunicative, 
con 
tutte 
le 
consequenziali 
inefficienze 
(12). 


La 
logica 
di 
processo, infatti, impone 
di 
adottare 
una 
lean organization, 
ossia 
una 
struttura 
piatta 
e 
flessibile 
(13), in cui 
la 
catena 
gerarchica 
si 
riduce 
a 
un 
rapporto 
diretto 
tra 
vertice 
decisionale 
e 
operatori 
e 
i 
gruppi 
di 
lavoro 
sono 
polarizzati 
intorno 
a 
singoli 
progetti, 
dei 
quali 
occorre 
garantire 
la 
qualità, 
l’efficienza, l’efficacia e la competitività (14). 


In 
tali 
strutture, 
che 
la 
dottrina 
definisce 
adhocratiche 
(15), 
l’orientamento 
al 
prodotto o al 
servizio finale 
fa 
sì 
che 
acquisisca 
rilievo determinante 
il 
reticolo 
di 
relazioni 
interpersonali 
sussistenti 
tra 
gli 
attori 
coinvolti. gli 
attori 
di 
processo, infatti, devono scambiarsi 
informazioni 
e 
coordinare 
gli 
sforzi 
personali 
in vista 
del 
perseguimento di 
obiettivi 
in favore 
del 
c.d. cliente 
di 
processo 
(16). 


2. Non solo teoria del 
management 
pubblico: il 
CCNL 
31 marzo 1999 e 
l’introduzione 
di sistemi premianti. 
d’altronde, l’orientamento alle 
logiche 
di 
processo e 
al 
prodotto finale, 
piuttosto 
che 
al 
mero 
adempimento 
e 
alla 
logica 
burocratica, 
non 
è 
rimasto 
cristallizzato unicamente 
negli 
scritti 
teorici 
di 
management 
citati, ma 
ha 
ricevuto 
consacrazione giuridica nel CCnL 31 marzo 1999. 


(8) A. LIPPI 
- M. MorISI, op. cit., p. 48. 
(9) F. FerrArottI, manuale di sociologia, Laterza editore, 1992, pp. 66 ss. 
(10) M. CrozIer, Il fenomeno burocratico, Milano, etAS, 1969. 
(11) espressione 
di 
K. WeICK, Educational 
organizations 
as 
loosely 
coupled systems, in administrative 
science quarterly, 21, 1976, pp. 1-19. 
(12) A. LIPPI 
- M. MorISI, op. cit., p. 58. 
(13) La dottrina discute anche di “azienda corta”: 
A. CoStAnzo, op. cit., p. 305. 
(14) 
Sono 
i 
concetti 
alla 
base 
di 
Lean 
management. 
Cose 
mai 
dette, 
A. 
PAYAro, 
esculapio 
editrice, 
2017, pp. 2 ss. 
(15) Il 
termine, coniato da 
A. toFFLer 
nel 
suo Future 
Shock 
del 
1970, è 
etimologicamente 
legato 
all’espressione 
latina 
ad hoc 
e 
identifica 
organizzazioni 
estemporanee, rapsodiche, funzionalizzate 
a 
un 
singolo obiettivo e destinate a sciogliersi dopo il suo raggiungimento. 
(16) e. LeonArdI, op. cit., p. 33. 

LegISLAzIone 
ed 
AttuALItà 


esso, 
infatti, 
ha 
inteso 
superare 
la 
vetusta 
logica 
del 
“mansionario”, 
in 
virtù della 
quale 
il 
dipendente 
si 
limitava 
allo svolgimento pedissequo di 
attività 
specifiche 
individuate 
dal 
contratto di 
lavoro individuale, peraltro interpretate 
spesso in modo restrittivo, al 
fine 
di 
ricercare 
una 
flessibilità 
interna 
del lavoro pubblico. 


In tale 
ottica, il 
CCnL 
citato ha 
introdotto quattro ampie 
categorie 
professionali, 
all’interno di 
ognuna 
delle 
quali 
ha 
definito delle 
declaratorie 
e 
dei 
profili 
professionali, imponendo, peraltro, che 
lo sviluppo della 
retribuzione 
sia correlato alle competenze professionali del lavoratore. 


Ciò 
implica 
“una 
forte 
autonomia 
organizzativa 
in 
tema 
di 
definizione 
del 
sistema 
dei 
ruoli 
professionali 
e 
descrizione 
del 
contenuto 
della 
prestazione 
lavorativa” 
(17) 
e 
consente 
l’arricchimento 
professionale 
dei 
lavoratori 
sia 
in 
termini 
orizzontali, 
attraverso 
la 
definizione 
di 
profili 
che 
contengano 
all’interno 
un’ampia 
gamma 
di 
mansioni 
tra 
loro 
equivalenti, 
che 
in 
termini 
verticali, 
individuando 
percorsi 
di 
sviluppo 
professionale 
funzionali 
a 
premiare 
il 
merito. 


Questa 
impostazione 
è 
stata 
autorevolmente 
confermata 
dalla 
giurisprudenza 
della 
Suprema 
Corte 
di 
Cassazione, che 
ha 
statuito la 
correttezza 
del-
l’esercizio del 
potere 
privatistico della 
P.A. nell’esercizio dello ius 
variandi, 
purché nell’ambito del profilo professionale esigibile (18). 


Inoltre, anche 
l’ArAn, nell’orientamento applicativo CFL95, ha 
affermato 
che 
“3.3. Condizione 
necessaria e 
sufficiente 
affinché 
le 
mansioni 
possano 
essere 
considerate 
equivalenti 
è 
la 
mera 
previsione 
in 
tal 
senso 
da 
parte 
della contrattazione 
collettiva 
(…) 3.4. Tale 
nozione 
di 
equivalenza in senso 
formale, 
mutuata 
dalle 
diverse 
norme 
contrattuali 
del 
pubblico 
impiego, 
comporta 
che 
tutte 
le 
mansioni 
ascrivibili 
a ciascuna categoria, in 
quanto professionalmente 
equivalenti, 
sono 
esigibili 
e 
l’assegnazione 
di 
mansioni 
equivalenti 
costituisce 
atto di 
esercizio del 
potere 
determinativo dell’oggetto 
del contratto di lavoro” (19) (enfasi aggiunta). 


Successivamente, l’evoluzione 
normativa, in sinergia 
con le 
disposizioni 
del 
CCnL, ha 
delineato un sistema 
organizzativo sempre 
più orientato al 
risultato, 
introducendo 
riconoscimenti 
e 
gratificazioni 
economiche 
precedute 
da 
valutazioni 
meritocratiche 
(20) operate, tra 
l’altro, mediante 
il 
paradigma 
della 
flessibilità 
operativa 
e 
dell’orientamento alla 
soddisfazione 
dell’utenza 


(17) r. gIoVAnnettI, I profili 
professionali 
negli 
enti 
locali: un possibile 
modello di 
descrizione 
del 
lavoro, 
in 
https://net.cisl.it/~cisluniversita.lecce/FoV3-0008318B/FoV30006BCFa/Profili%20professionali%
20e%20descrizione%20del%20lavoro.PDF?Plugin=Block, p. 2. 
(18) Corte di Cassazione, Sez. Lavoro, 12 febbraio 2021, sent. n. 3666. 
(19) 
In 
https://www.aranagenzia.it/component/content/article/7662-funzioni-locali-emergenzacovid-
19/10878-cfl95.html. 


(20) M.g. bAgnAto, Il 
sistema di 
valutazione 
della prestazione 
come 
leva di 
sviluppo, in A. PI-
StonI 
(a cura di), Corporate performance management, hoepli, 2009, pp. 178-188. 

rASSegnA 
AVVoCAturA 
deLLo 
StAto -n. 1/2023 


ed affidate 
ad organi 
terzi 
(nuclei/organismi 
indipendenti 
di 
valutazione) nel-
l’ambito del 
sistema 
di 
valutazione 
della 
performance, introdotto dal 
d.Lgs. 


n. 150/2009 e implementato dal d.Lgs. n. 74/2017. 
tra 
l’altro, 
anche 
gli 
artt. 
14 
e 
17 
funzioni 
centrali 
2019-2021, 
nonché 
gli 
artt. 14 e 
15 CCnL 
funzioni 
locali 
2019-2021 (21), ancorano le 
progressioni 
all’interno dell’area 
e 
tra 
le 
aree 
alla 
pregressa 
valutazione 
positiva 
della 
performance, 
attribuendo 
rilevanza, 
altresì, 
all’esperienza 
maturata 
e 
alle 
competenze 
acquisite a seguito di percorsi formativi. 


Questo impone 
il 
transito da 
strutture 
burocratiche 
e 
rigide 
a 
logiche 
di 
processo, non più rinviabili 
in una 
Pubblica 
Amministrazione 
che 
voglia 
definirsi 
al passo con i tempi. 


L’organizzazione 
moderna, 
infatti, 
richiede 
non 
soltanto 
una 
lean 
production, 
ma 
anche 
flessibilità 
e 
integrazione 
organizzativa, 
connotata 
dalla 
“focalizzazione 
sulla 
minimizzazione 
dello spreco delle 
risorse 
produttive 
di 
fatica 
umana” 
(22), spreco che, invece, rischia 
di 
essere 
favorito da 
approcci 
rigidi e poco tesi alla condivisione dell’obiettivo finale. 


3. BPr e 
amministrazioni. Il ruolo del dirigente. 
Le 
conseguenze 
pratiche 
di 
tale 
impostazione 
teorica 
devono essere 
contestualizzate 
in un assetto magmatico e 
complesso quale 
le 
moderne 
Amministrazioni, 
istituzionalmente 
chiamate 
a 
potenziare 
le 
proprie 
capacità 
progettuali 
a 
seguito 
delle 
innovazioni 
del 
Pnrr 
e 
all’organizzazione 
efficiente 
delle 
risorse, umane 
e 
strumentali, già 
in forza 
all’Amministrazione 
o 
di prossima acquisizione. 


In tale 
quadro, risulta 
centrale 
il 
ruolo del 
dirigente 
(o, negli 
enti 
locali, 
del 
Segretario comunale 
e, laddove 
presente, del 
city 
manager), oggi 
tenuto a 
recitare 
non solo il 
tradizionale 
ruolo di 
“garante 
della 
legalità”, ma 
anche 
appunto 
-di 
“facilitatore 
di 
processi” 
(23), esercitando la 
propria 
leadership 
allo scopo di 
motivare 
e 
aggregare 
gli 
attori 
dell’organizzazione 
comunale 
intorno 
ai processi che caratterizzano la vita quotidiana dell’ente. 


È 
necessario che 
si 
attui 
nella 
pratica 
quotidiana 
quella 
che 
gli 
studiosi 
del 
management 
pubblico 
definiscono 
learning 
organization, 
ossia 
la 
struttura 
che 
“organizza 
il 
processo 
di 
acquisizione 
e 
sviluppo 
delle 
competenze, 
facendolo 
passare 
da 
fatto 
individuale 
a 
fatto 
collettivo 
(sistematico) 
spontaneamente 
organizzato” (24) (enfasi aggiunta). 


(21) P. MoneA 
-g. PIzzIConI 
(a 
cura 
di), Il 
nuovo CCNL 
Funzioni 
locali. Commento alla nuova 
disciplina per il personale del comparto, Maggioli, 2023. 
(22) L. CInQuInI 
-A. QuAgLI, organizzazione 
snella e 
apprendimento, in A. CoStAnzo, op. cit., 
p. 205. 
(23) g. gAbrIeLLI, Comunicazione 
organizzativa e 
vantaggio competitivo, in A. CoStAnzo, op. 
cit., p. 201. 
(24) Ibidem. 

LegISLAzIone 
ed 
AttuALItà 


Il 
dirigente, 
infatti, 
riveste 
un 
ruolo 
strategico 
nel 
favorire 
il 
c.d. 
apprendimento 
organizzativo 
(25), 
nel 
quale 
le 
conoscenze 
non 
sono 
gelosamente 
e 
rigidamente 
custodite 
dai 
rispettivi 
detentori, 
ma 
circolano 
in 
una 
logica 
di 
collaborazione, 
dialogo 
e 
conseguente 
benessere 
organizzativo 
(26), 
concetto 
che, 
lungi 
dall’essere 
meramente 
teorico 
(27), 
è 
stato 
reso 
prescrittivo 
dall’art. 
7, 
c. 
1, 
d.Lgs. 
n. 
165/2001 
e 
ricondotto 
alla 
responsabilità 
del 
dirigente 
pubblico 
(28). 


Questi, dunque, deve 
avere 
la 
capacità 
di 
diagnosticare 
lo stato dei 
processi 
negli 
enti 
in cui 
opera 
e, in caso di 
necessità, reingegnerizzare 
i 
medesimi. 
Il 
riferimento 
teorico 
concerne 
il 
Business 
Process 
reengineering 
(bPr), 
ossia 
l’intervento organizzativo sui 
processi 
che 
non rispondono più alle 
necessità 
della struttura (29). 


Come 
sopra 
accennato, 
costituisce 
un 
prius 
logico 
rispetto 
alla 
reingegnerizzazione 
dei 
processi 
la 
capacità 
di 
analizzare 
lo 
stato 
degli 
stessi 
in 
rapporto 
alle 
dotazioni 
di 
personale, 
agli 
inquadramenti 
contrattuali 
dei 
dipendenti 
effettivamente 
in 
servizio 
e 
alle 
loro 
effettive 
attitudini 
e 
sfere 
di 
conoscenze 
e 
competenze, 
non 
sempre 
coerenti 
rispetto 
alle 
attività 
in 
concreto 
loro 
affidate. 
Il 
fine 
è 
quello 
di 
diagnosticare 
lo 
stato 
dei 
processi 
negli 
enti 
in 
cui 
si 
opera 
e, 
in 
caso 
di 
necessità, 
adottare 
i 
provvedimenti 
più 
opportuni 
e 
tempestivi 
per 
garantire 
un 
accettabile 
standard 
di 
erogazione 
di 
servizi 
pubblici 
tanto 
in 
settori 
di 
rilievo 
quotidiano 
quanto 
in 
eventuali 
nuove 
attività. 


La 
riprogettazione 
radicale 
può transitare 
attraverso varie 
esperienze, tra 
cui 
la 
concezione 
delle 
attività 
dell’ente 
in parallelo anziché 
in sequenza, la 
ricomposizione 
di 
attività 
frammentate 
tra 
più uffici 
con possibili 
conflitti 
di 
competenza 
facilmente 
evitabili, l’eliminazione 
di 
attività 
non produttive 
di 
valore 
pubblico, la 
categorizzazione 
e 
differenziazione 
dei 
flussi 
nei 
processi 


(30) 
e, 
infine, 
il 
Business 
reengineering, 
consistente 
in 
un 
“intervento 
radicale 
su un flusso di 
compiti/attività 
che, ponendo al 
centro l’esigenza 
del 
cliente, 
(25) 
S. 
bArILe 
-M. 
CALAbreSe 
-F. 
IAndoLo 
-n. 
gIudICe, 
L’apprendimento 
organizzativo: 
un’analisi 
dello 
sviluppo 
paradigmatico, 
in 
Esperienze 
d’impresa, 
n. 
1/2013, 
FrancoAngeli, 
pp. 
131. 
(26) o. IPPoLItI, Il 
concetto di 
salute/benessere 
organizzativo, in AA.VV., Il 
benessere, il 
clima e 
la 
cultura 
delle 
organizzazioni, 
2012, 
disponibile 
in 
https://www.cnr.it/sites/default/files/public/media/benessere-
org/Il-benessere-il-clima-e-la-cultura-delle-organizzazioni.pdf, pp. 19 ss. 
(27) 
S. 
gIuFFrIdA, 
Il 
concetto 
di 
clima 
organizzativo, 
in 
AA.VV., 
Il 
benessere, 
il 
clima 
e 
la 
cultura 
delle organizzazioni 
cit., pp. 31 ss. 
(28) negli 
enti 
locali 
di 
piccole 
dimensioni, invece, ci 
si 
dovrebbe 
riferire 
ai 
responsabili 
di 
servizio, 
coordinati dal Segretario comunale. 
(29) S. FrASCherI, Business 
Process 
reengineering, una 
guida 
pratica 
per mappare 
e 
reingegnerizzare 
i processi aziendali, FrancoAngeli, 2020. 
(30) g. LAzzI, reingegnerizzazione 
dei 
processi, Contributo al 
libro “Sistemi 
Informativi 
per 
la 
Pubblica 
amministrazione: 
tecnologie, 
metodologie, 
studi 
di 
caso”, 
1999, 
disponibile 
in 
https://www.unica.it/UserFiles/File/Direzioni/Diruma/progetto_aurora/Lazzi.pdf, pp. 19-20. 

rASSegnA 
AVVoCAturA 
deLLo 
StAto -n. 1/2023 


corrisponde 
a 
un processo aziendale, per poi 
responsabilizzare 
uno specifico 
team su tale processo” (31). 


4. Il trust management. 
Il 
Business 
Process 
reengineering 
si 
colloca 
in 
un 
contesto 
di 
incertezza, 
connotato da 
“non-linearità, discontinuità 
e 
… mutevolezza” 
(32), in cui 
gli 
interlocutori 
con i 
quali 
le 
organizzazioni 
(non solo pubbliche) devono interagire 
sono aumentati 
e 
i 
rapporti 
risultano sempre 
meno regolamentati 
da 
sistemi 
normativi 
certi 
e 
condivisi 
e 
“sempre 
più 
lasciati 
alla 
capacità 
degli 
attori 
di costruire legami e di esercitare influenze” (33). 


Per superare 
l’incertezza, appare 
indispensabile 
far leva 
su una 
forma 
di 
capitale 
di 
tipo relazionale 
(34): 
la 
fiducia 
(35). essa 
può essere 
definita 
alla 
stregua 
di 
un meccanismo di 
controllo di 
tipo alternativo alle 
formalizzazioni 
legali 
proprie 
delle 
strutture 
gerarchiche, particolarmente 
efficace 
nelle 
strutture 
a 
rete 
(36), 
in 
quanto 
è 
moltiplicatore 
delle 
alternative 
possibili 
(37), 
consentendo 
l’apertura verso il nuovo. 


tra 
le 
variabili 
organizzative 
che 
contribuiscono 
a 
creare 
fiducia, 
nell’ottica 
del 
c.d. 
trust 
management 
(38), parte 
della 
dottrina 
ha 
individuato la 
cooperazione, 
intesa 
quale 
iniziativa 
comune 
per 
il 
cui 
esito 
sono 
necessarie 
le 
azioni 
di 
tutti 
gli 
attori 
coinvolti, e 
in cui 
un’azione 
necessaria 
di 
almeno uno 
di essi non sia controllabile dagli altri (39). 


Altra 
variabile 
è 
costituita 
dalla 
comunicazione, 
legata 
alla 
fiducia 
in 
modo bidirezionale 
nella 
misura 
in cui 
aumenta 
la 
qualità 
e 
quantità 
delle 
interazioni. 
uno stile 
comunicativo trasparente, infatti, allinea 
le 
percezioni 
e 
le 
aspettative 
delle 
parti, riducendo i 
margini 
di 
interpretazione 
soggettiva 
e 
aumentando 
la 
probabilità 
che 
le 
attese 
nei 
confronti 
dell’altro siano realistiche 
e vengano soddisfatte (40). 


(31) A. CoStAnzo, op. cit., p. 310. 
(32) F. d’egIdIo, Il 
capitale 
umano e 
il 
contributo del 
bilancio dell’intangibile, in r. PAnzArAnI 
(a cura di), Gestione e sviluppo del capitale umano, FrancoAngeli, 2004, p. 29. 
(33) M.L. FArneSe 
-C. bArberI, Costruire 
fiducia nelle 
organizzazioni. Una risorsa che 
genera 
valore, FrancoAngeli, 2010, p. 71. 
(34) A. MuttI, Capitale sociale e sviluppo. La fiducia come risorsa, Il Mulino, 1998. 
(35) e. roCCo 
FrAenKeL 
hAeberLe, L’organizzazione 
della fiducia. Negoziazione 
e 
comunicazione 
mediata da computer, Carocci, 2001. 
(36) W.e. Creed 
-r.e. MILeS, Trust 
in organizations: a conceptual 
framework 
linking organizational 
forms, 
managerial 
philosophies, 
and 
the 
opportunity 
costs 
of 
control, 
in 
r.M. 
KrAMer 
-t.r. 
tYLer, Trust in organizations: frontiers of theory and research, Sage, thousand oaks, 1996, p. 30. 
(37) S. CAStALdo, Fiducia e relazioni di mercato, Il Mulino, 2002, p. 40. 
(38) Id., Trust 
management, in r. FIoCCA 
(a 
cura 
di), rileggere 
l’impresa, rizzoli, 2007, pp. 2748. 
(39) 
b. 
WILLIAMS, 
Strutture 
formali 
e 
realtà 
sociale, 
in 
d. 
gAMbettA 
(a 
cura 
di), 
Le 
strategie 
della fiducia. Indagini sulla razionalità della cooperazione, einaudi, 1989, p. 10. 
(40) M.L. FArneSe 
- C. bArberI, op. cit., pp. 89-90. 

LegISLAzIone 
ed 
AttuALItà 


La 
fiducia, a 
sua 
volta, influenza 
positivamente 
gli 
aspetti 
della 
vita 
lavorativa 
che 
presuppongono 
reciprocità 
negli 
scambi: 
il 
grado 
di 
impegno 
manifestato 
nell’attività 
lavorativa 
e 
la 
condivisione 
e 
sviluppo 
delle 
conoscenze. 
Circa 
quest’ultimo aspetto, si 
è 
scritto che 
l’apprendimento umano è 
basato 
su affermazioni 
verbali 
o scritte 
di 
altri, e 
ciò che 
si 
apprende 
è 
influenzato in 
modo significativo dal 
grado in cui 
si 
crede 
alle 
fonti 
informative 
in assenza 
di 
un 
riscontro 
indipendente 
(41). 
Pertanto, 
senza 
la 
fiducia, 
le 
iniziative 
di 
sviluppo della conoscenza sono destinate a fallire (42). 


Per 
tutte 
queste 
ragioni, 
è 
necessario 
implementare 
la 
fiducia 
in 
ambito 
organizzativo, 
promuovendo 
un 
mercato 
della 
conoscenza 
in 
cui 
la 
fiducia 
sia 
visibile, 
diffusa 
e 
la 
credibilità 
dell’impegno 
parta 
dal 
vertice, 
ossia 
dai 
livelli 
superiori 
di 
management, 
definendo 
norme 
e 
valori 
dell’intera 
struttura 
(43) 
e 
favorendo 
processi 
di 
condivisione 
del 
potere 
e 
del 
controllo 
attraverso 
il 
meccanismo 
della 
delega, 
espressivo 
di 
stima 
e 
fiducia 
nei 
confronti 
dei 
collaboratori 
(44). 


La 
fiducia, dunque, diviene 
competenza 
organizzativa, ossia 
la 
capacità 
dell’individuo 
di 
leggere 
e 
decodificare 
i 
processi 
che 
caratterizzano 
il 
contesto 
nel 
quale 
opera 
e 
il 
proprio rapporto con esso, e 
di 
comprendere 
e 
sottoporre 
a 
verificare 
le 
strategie 
che 
guidano il 
suo modo di 
entrare 
in relazione 
con il 
proprio ambiente di interazione (45). 


5. 
Un’occasione 
da 
non 
perdere 
per 
la 
reingegnerizzazione 
dei 
processi: 
il 
PNrr e il PIao. 
La 
crisi 
pandemica 
da 
Covid-19 
ha 
reso 
evidente 
la 
necessità 
di 
poter 
fare 
affidamento 
su 
istituzioni 
forti 
e 
servizi 
pubblici 
efficienti, 
soprattutto 
a 
seguito 
dell’avvento 
del 
next 
generation 
eu, 
il 
quale 
non 
dovrebbe 
risolversi 
in 
“un’iniezione 
di 
steroidi 
alla 
domanda 
aggregata”, 
ma 
dovrebbe 
costituire 
“un’occasione 
per costruire 
nuove 
basi 
di 
crescita 
e 
sviluppo economico e 
sociale”, 
attraverso 
l’elaborazione 
di 
un 
piano 
di 
riforme 
combinato 
ad 
un 
sistema 
di 
monitoraggio 
non 
più 
solo 
finalizzato 
a 
certificare 
la 
spesa 
effettuata, 
ma incentrato sul valore pubblico generato (46). 


È 
in 
questo 
quadro 
che 
si 
inserisce 
l’introduzione 
del 
Piano 
Integrato 
di 
Attività 
e 
di 
organizzazione 
(PIAo), 
da 
parte 
dell’art. 
6 
d.L. 
9 
giugno 


(41) J.b. rotter, a 
new scale 
for 
the 
measurement 
of 
interpersonal 
trust, in Journal 
of 
Personality, 
35, p. 651. 
(42) 
t. 
dAVenPort 
-L. 
PruSAK, 
Working 
knowledge: 
how 
organizations 
manage 
what 
they 
know, 
trad. it. Il 
sapere 
al 
lavoro. Come 
le 
aziende 
possono generare, codificare 
e 
trasferire 
conoscenza, etas, 
2000, pp. 43-44. 
(43) Ibidem. 
(44) M.L. FArneSe 
- C. bArberI, op. cit., p. 134. 
(45) Ivi, p. 136. 
(46) e. deIddA 
gAgLIArdo 
-r. SAPorIto, Il 
Piao come 
strumento di 
programmazione 
integrata 
per 
la creazione 
di 
Valore 
pubblico, in rivista italiana di 
public 
management, Vol. 4, n. 2/2021, p. 198. 

rASSegnA 
AVVoCAturA 
deLLo 
StAto -n. 1/2023 


2021, 
n. 
80, 
conv. 
in 
legge 
6 
agosto 
2021, 
n. 
113, 
quale 
strumento 
di 
pianificazione 
finalizzato 
a 
integrare 
i 
singoli 
strumenti 
di 
programmazione 
previsti 
dalla 
normativa 
previgente 
in 
tema 
di 
performance, 
anticorruzione, 
fabbisogno 
di 
personale, 
digitalizzazione, 
parità 
di 
genere 
e 
lavoro 
agile 
(47). 
La 
cifra 
comune, 
nonché 
la 
finalità 
generale 
prevista 
dal 
legislatore, 
è 
quella 
di 
“assicurare 
la 
qualità 
e 
la 
trasparenza 
dell’attività 
amministrativa 
e 
migliorare 
la 
qualità 
dei 
servizi 
ai 
cittadini 
e 
alle 
imprese 
e 
procedere 
alla 
costante 
e 
progressiva 
semplificazione 
e 
reingegnerizzazione 
dei 
processi”, 
così 
statuendo 
un 
esplicito 
riferimento 
alle 
teorie 
manageriali 
precedentemente 
esaminate 
(48). 


In breve, il 
PIAo 
non può e 
non deve 
trasformarsi 
in un mero adempimento 
formale 
e 
burocratico, a 
pena 
di 
smarrire 
la 
vocazione 
per la 
quale 
è 
stato introdotto nel 
nostro ordinamento e 
tradire 
le 
istanze 
di 
semplificazione 
(49), ma deve agire da strumento generatore di 
valore pubblico. 


Con 
tale 
locuzione, 
le 
Linee 
guida 
1/2017 
del 
dipartimento 
della 
Funzione 
Pubblica 
si 
riferiscono 
al 
livello 
complessivo 
di 
benessere 
economico, 
sociale, 
ambientale 
e 
sanitario 
dei 
cittadini 
creato 
da 
un 
ente 
per 
il 
suo 
pubblico. 
Secondo 
uno 
dei 
più 
importanti 
studiosi 
della 
materia, 
“un 
ente 
genera 
Valore 
Pubblico 
atteso 
pianificando, 
nella 
prima 
sottosezione 
del 
PIAo, 
strategie 
capaci 
di 
produrre 
impatti 
sulle 
diverse 
dimensioni 
di 
benessere 
di 
cittadini 
e 
imprese, 
migliorativi 
rispetto 
alle 
condizioni 
di 
partenza” 
(50). 


La 
scelta 
delle 
strategie 
deve 
essere 
preceduta 
da 
un’analisi 
del 
contesto 
esterno 
e 
interno 
all’ente, 
già 
ritenuta 
indispensabile 
in 
riferimento 
alla 
stesura 
dei 
singoli 
Piani 
previgenti 
rispetto 
al 
PIAo 
(con 
particolare 
riferimento 
ai 
Piani 
anticorruzione 
e 
della 
performance). Il 
valore 
pubblico viene 
misurato 
attraverso indicatori 
di 
impatto; 
quelli 
riferibili 
al 
benessere 
di 
cittadini 
e 
imprese 
possono essere 
misurati 
anche 
tramite 
gli 
indicatori 
di 
benessere 
equo 


(47) 
Più 
analiticamente, 
risultano 
coinvolti 
dal 
processo 
riformatore: 
Piano 
della 
Performance 
(d.Lgs. n. 150/2009); 
Piano esecutivo di 
gestione 
degli 
enti 
locali 
(art. 169 d.Lgs. n. 267/2000); 
Piano 
triennale 
per l’informatica 
nella 
P.A. (d.Lgs. n. 82/2005); 
Piani 
di 
razionalizzazione 
(L. n. 244/2007); 
Piano triennale 
delle 
azioni 
concrete 
per l’efficienza 
delle 
PP.AA. (L. n. 56/2019); 
Piani 
triennali 
di 
razionalizzazione 
e 
riqualificazione 
della 
spesa 
(d.L. 
n. 
98/2011); 
Piano 
triennale 
per 
la 
prevenzione 
della 
corruzione 
e 
della 
trasparenza 
(L. n. 190/2012); 
Piano triennale 
dei 
Fabbisogni 
(d.Lgs. n. 165/2001); 
Piano 
delle 
Azioni 
Positive 
(d.Lgs. 
n. 
198/2006); 
Piano 
organizzativo 
del 
Lavoro 
Agile 
(d.L. 
n. 
34/2020). 
(48) Sul 
PIAo 
in generale 
si 
v. A. bIAnCo, PIao. Piano integrato di 
attività e 
organizzazione. 
Contenuti 
e 
criticità, CeL 
editrice, 2022; 
L. tAMASSIA 
-A.M. SAVAzzI, Il 
Piano Integrato di 
attività e 
organizzazione. Una guida normativa, organizzativa, metodologica ed operativa per 
gli 
enti 
locali, IlSole24oreProfessional, 
2022; 
P. 
MorIgI 
-F. 
FortI, 
Il 
Piano 
Integrato 
di 
attività 
e 
organizzazione, 
Maggioli, 2022. 
(49) A. CorrAdo, La difficile 
strada della semplificazione 
imboccata dal 
PIao, in federalismi.it, 
n. 27/2022, p. 187. 
(50) e. deIddA 
gAgLIArdo 
- r. SAPorIto, op. cit., p. 212. 

LegISLAzIone 
ed 
AttuALItà 


e 
Sostenibile 
Istat-Cnel 
e/o 
mediante 
i 
Sustainable 
Development 
Goals 
del-
l’Agenda onu 2030. 


Le 
sottosezioni 
del 
PIAo 
dovrebbero essere 
improntate, per tutte 
le 
argomentazioni 
svolte 
in premessa, alla 
logica 
di 
processo. In particolare, con 
riferimento 
alla 
sottosezione 
“Performance”, 
gli 
obiettivi 
operativi 
possono 
acquisire 
rilevanza 
trasversale, 
con 
riferimento 
alla 
digitalizzazione, 
alla 
parità 
di 
genere, 
alla 
semplificazione, 
all’efficienza 
e 
alla 
piena 
accessibilità 
del-
l’amministrazione. 


nella 
sottosezione 
“Anticorruzione 
e 
trasparenza”, l’analisi 
di 
contesto 
è 
seguita 
dall’identificazione, analisi 
e 
ponderazione 
del 
rischio, cui 
segue 
il 
trattamento 
del 
medesimo; 
la 
logica 
di 
processo 
ha 
ormai 
informato 
anche 
tale 
settore, come 
dimostra 
l’importanza 
attribuita 
alla 
mappatura 
dei 
processi 
e 
la correlazione tra obiettivi della 
performance 
e misure anticorruzione (51). 


La 
logica 
di 
processo si 
evidenzia 
in modo peculiare 
nelle 
sottosezioni 
“Struttura 
organizzativa”, “organizzazione 
del 
lavoro agile” 
e 
“Piano triennale 
dei Fabbisogni del Personale”. 


L’organigramma 
e 
il 
funzionigramma, 
infatti, 
lungi 
dal 
rappresentare 
meri 
schemi 
astratti 
e 
rigidi, dovrebbero fornire 
ai 
decisori 
politici 
un importante 
strumento 
per 
conseguire 
finalità 
di 
interesse 
generale 
e, 
con 
esse, 
valore 
pubblico. 
In 
generale, 
è 
bene 
evitare 
sia 
organizzazioni 
“orizzontali”, 
caratterizzate 
da 
difficoltà 
di 
coordinamento nella 
misura 
in cui 
sussistono numerose 
strutture 
dello stesso livello, sia 
organizzazioni 
connotate 
da 
eccessiva 
parcellizzazione 
e 
frammentazione 
(52). Come 
già 
evidenziato, la 
logica 
di 
processo 
impone 
di 
adottare 
una 
lean organization, ove 
i 
gruppi 
di 
lavoro siano focalizzati 
su singoli progetti. 


Circa 
il 
lavoro agile, esso rappresenta 
un prezioso strumento di 
ripensamento 
intelligente 
delle 
modalità 
di 
lavoro in grado di 
innescare 
un profondo 
cambiamento culturale 
e 
di 
promuovere 
un processo di 
innovazione 
nell’organizzazione 
del 
lavoro 
e 
nel 
funzionamento 
delle 
pubbliche 
amministrazioni 
e 
dei 
servizi 
ai 
cittadini 
(53). La 
logica 
di 
processo promuove 
una 
nuova 
visione 
dell’organizzazione 
del 
lavoro volta 
a 
stimolare 
l’autonomia, la 
responsabilità 
e 
la 
motivazione 
dei 
lavoratori, 
in 
un’ottica 
di 
incremento 
della 
produttività 
e 
del 
benessere 
organizzativo, e 
consolida 
le 
competenze 
manageriali 
nell’organizzazione 
del 
lavoro per obiettivi 
svolto dai 
collaboratori 
e 
nella 
concomitante 
valutazione 
step-by-step 
di 
tali 
obiettivi. Pertanto, è 
indi


(51) raccomandata 
già 
in tempi 
anteriori 
all’introduzione 
del 
PIAo: 
V. SArCone, La pianificazione 
delle 
misure 
di 
prevenzione 
della corruzione 
e 
il 
coordinamento con la valutazione 
della performance, 
in Legislazione 
anticorruzione 
e 
responsabilità nella pubblica amministrazione, giuffré, 2019. 
(52) e. deIddA 
gAgLIArdo 
- r. SAPorIto, op. cit., p. 225. 
(53) n. de 
PISAPIA 
-M. VIgnoLI, Smart 
working mind. Strategie 
e 
opportunità del 
lavoro agile, 
Il 
Mulino, 2021; 
g. gAMbIrASIo 
-S. greCo, Gestire 
un team 
a distanza. Tecniche, strumenti 
e 
metodi 
per il lavoro agile, FrancoAngeli, 2021. 

rASSegnA 
AVVoCAturA 
deLLo 
StAto -n. 1/2023 


spensabile 
che 
tale 
sottosezione 
venga 
adeguatamente 
valorizzata 
all’atto 
della 
redazione 
del 
PIAo, 
prevedendo 
opportune 
misure 
quali 
la 
redazione 
di 
un 
regolamento per il lavoro agile. 


Infine, anche 
il 
fabbisogno del 
personale 
è 
ormai 
sganciato dalla 
vetusta 
prospettiva 
della 
pianta 
organica 
(concetto 
ormai 
inesistente 
sotto 
il 
profilo 
giuridico) ed è 
improntato alla 
dinamica 
programmatoria 
che 
pervade 
le 
Pubbliche 
Amministrazioni 
(54). La 
pianificazione 
in questione 
non può limitarsi 
a 
individuare 
nuove 
figure 
da 
assumere 
in 
modo 
da 
rispettare 
i 
vincoli 
di 
spesa 
per il 
personale 
che 
il 
legislatore 
ha 
imposto ai 
vari 
plessi 
amministrativi, ma 
deve 
selezionare 
le 
professionalità 
adeguate 
a 
fronteggiare 
le 
sfide 
del 
Pnrr, 
di 
cui 
spesso gli 
enti 
sono privi 
(si 
pensi 
alla 
necessità 
di 
utilizzo di 
piattaforme 
informatiche 
di 
rilevante 
complessità; 
conoscenza 
di 
una 
vasta 
normativa 
settoriale; abilità nella rendicontazione; ecc.). 


6. Conclusioni. 
In definitiva, le 
moderne 
Pubbliche 
Amministrazioni, attraverso lo strumento 
del 
PIAo, 
possono 
e 
devono 
uniformarsi 
con 
successo 
a 
logiche 
di 
processo 
al 
fine 
di 
curare 
al 
meglio 
l’interesse 
pubblico 
e 
garantire 
la 
soddisfazione 
del 
cittadino, valore 
di 
primaria 
importanza 
in un contesto istituzionale 
caratterizzato 
dall’attuazione 
del 
Pnrr 
e 
dalla 
correlata, 
necessaria 
progettualità. 
Il 
PIAo 
non 
deve 
diventare 
il 
“piano 
dei 
piani” 
(55), 
espressione 
di 
una 
concezione 
adempimentale 
e 
burocratica, ma, se 
inteso in modo corretto, 
può divenire 
la 
guida 
strategica 
dell’ente 
(nel 
dialogo con il 
duP, il 
bilancio 
e 
tutti 
gli 
altri 
strumenti 
di 
programmazione) 
nel 
quadro 
dell’attuazione 
del 
Business Process reengineering 
nelle Pubbliche 
Amministrazioni. 


Attraverso il 
Piano Integrato di 
Attività 
e 
organizzazione 
sarà 
possibile, 
dunque, 
agevolare 
il 
transito 
culturale 
e 
concreto 
verso 
la 
c.d. 
amministrazione 
per 
processi, 
reso 
necessario 
non 
solo 
dalle 
elaborazioni 
degli 
studiosi 
del 
management 
pubblico, ma 
anche 
del 
quadro normativo vigente, come 
si 
è 
detto 
in sede di esame del CCnL del 31 marzo 1999. 


tale 
processo di 
cambiamento potrà 
e 
dovrà 
essere 
presidiato dal 
ruolo 
centrale 
del 
moderno dirigente 
pubblico, chiamato a 
esercitare 
la 
propria 
leadership 
in un contesto, quello della 
società 
moderna, irto di 
difficoltà 
e 
incertezze 
(56), 
in 
cui 
il 
vecchio 
approccio 
burocratico, 
formalista 
e 
adempimentale 
risulta perdente. 


Il 
dirigente 
(o il 
Segretario Comunale) è 
chiamato a 
trasmettere 
-non a 


(54) A.M. SAVAzzI, Il 
fabbisogno di 
personale 
negli 
enti 
locali. Guida pratica alla redazione 
del 
piano triennale e alla sua attuazione, halley, 2022. 
(55) Ivi, p. 204. 
(56) K. WeICK, Enactment 
processes 
in organizations, in b.M. StAW 
-g. SALAnCIK 
(a 
cura 
di), 
New directions in organizational behaviour, Chicago, 1977, pp. 267-300. 

LegISLAzIone 
ed 
AttuALItà 


imporre 
-questa 
nuova 
forma 
mentis 
ai 
propri 
collaboratori 
e, 
per 
raggiungere 
lo 
scopo, 
un 
potente 
fattore 
di 
coesione 
è 
rappresentato 
dalla 
fiducia. 
essa, 
intesa 
quale 
competenza 
organizzativa, può favorire 
logiche 
di 
apprendimento 


(57) 
e 
una 
nuova 
cultura 
organizzativa 
(58), 
che 
traduca 
in 
pratica 
quel 
benessere 
organizzativo che 
è 
stato di 
recente 
positivizzato dal 
nostro ordinamento 
giuridico e 
senza 
il 
quale 
la 
reale 
interiorizzazione 
delle 
logiche 
di 
processo 
sarà difficilmente ipotizzabile. 
(57) M.L. FArneSe 
- C. bArberI, op. cit., p. 138. 
(58) r. d’AMICo, Il 
manager 
pubblico nell’ente 
locale: cultura organizzativa e 
nuovi 
contenuti 
della professionalità del dirigente, FrancoAngeli, 2001. 

Contributididottrina
Efficienza del processo e strumenti 
alternativi di risoluzione delle controversie 


Michele Gerardo* 


Sommario: 
1. 
aspetti 
generali. 
i 
due 
aspetti 
dell’efficienza: 
definizione 
del 
processo 
entro 
un 
termine 
ragionevole 
ed 
altresì 
in 
modo 
“giusto” 
-2. 
Cause 
della 
inefficienza 
del 
processo civile 
-3. meccanismi 
di 
recupero della efficienza del 
processo civile 
-4. Strumenti 
preventivi 
ed alternativi 
di 
risoluzione 
delle 
controversie 
-5. Strumenti 
preventivi 
di 
risoluzione 
delle 
controversie 
-6. 
Strumenti 
alternativi 
di 
risoluzione 
delle 
controversie 
-7. 
Gli 
strumenti 
preventivi 
ed alternativi 
di 
risoluzione 
delle 
controversie 
quali 
meccanismi 
di 
recupero 
della 
efficienza 
del 
processo 
civile 
-8. 
modifiche, 
con 
la 
c.d. 
riforma 
Cartabia, 
in 
materia 
di mediazione, di negoziazione assistita e di arbitrato - 9. Considerazioni finali. 


1. 
aspetti 
generali. 
i 
due 
aspetti 
dell’efficienza: 
definizione 
del 
processo 
entro 
un termine ragionevole ed altresì in modo “giusto”. 
L’efficienza 
delle 
strutture 
amministrative 
-e 
quindi 
anche 
della 
struttura 
amministrativa 
che 
garantisce 
l’espletamento dell’attività 
giurisdizionale 
-è 
quella 
relazione 
tra 
risorse 
(umane, finanziarie 
e 
strumentali) impiegate 
e 
risultati 
conseguiti 
ex 
post. 
È 
la 
misura 
del 
raggiungimento 
del 
massimo 
dei 
prodotti all’utenza (output), data una certa quantità di risorse impiegate. 

Declinata 
nel 
processo, l’efficienza 
consiste 
-in primo luogo ed essenzialmente 
-nella 
definizione 
del 
processo 
entro 
termini 
ragionevoli. 
L’effi


(*) Avvocato dello Stato. 


Relazione 
predisposta dall’Autore 
in 
occasione 
del 
Convegno “Riforme 
legislative 
ed efficienza del 
processo. Giusto processo e 
tutela dei 
diritti 
di 
individui 
e 
imprese” tenutosi 
presso la Prefettura di 
Catanzaro (23 giugno 2023). 
Secondo 
convegno 
annuale 
di 
studi 
organizzato 
dall’Avvocatura 
distrettuale 
dello 
Stato 
di 
Catanzaro 
in 
collaborazione 
con 
Prefettura 
di 
Catanzaro, 
Corte 
di 
Appello 
di 
Catanzaro, 
Tribunale 
amministrativo 
regionale per la Calabria, Ordine Distrettuale 
Avvocati Catanzaro. 



RASSEGnA 
AVVoCATURA 
DELLo 
STATo -n. 1/2023 


cienza, con riguardo all’attività 
giurisdizionale, implica 
anche 
la 
definizione 
del 
processo in modo “giusto”, nel 
rispetto delle 
regole 
processuali 
e 
sostanziali: 
il 
processo 
è 
giusto 
quando 
rispetta 
le 
regole 
prefissate 
e 
quando 
le 
regole 
prefissate consentono di perseguire la decisione (di merito) giusta. 


Tanto in ossequio ai 
principi 
costituzionali 
(art. 111, comma 
2, Cost.) ed 
internazionali 
(art. 
6, 
comma 
1, 
Convenzione 
per 
la 
salvaguardia 
dei 
diritti 
dell’uomo e 
delle 
libertà 
fondamentali 
firmata 
a 
Roma 
il 
4 novembre 
1950, 
ratificata con L. 4 agosto 1955, n. 848). 


Le 
considerazioni 
svolte 
nella 
presente 
analisi 
riguardano 
specificamente 
il processo civile. 


a) Con riguardo al 
primo aspetto dell’efficienza 
-ossia 
la 
definizione 
del 
processo entro un termine 
ragionevole 
-deve 
rilevarsi 
che, da 
un cinquantennio, 
la 
giustizia 
civile 
in Italia 
versa 
in uno stato di 
grave 
crisi 
a 
causa 
dell’eccessiva 
ed 
intollerabile 
durata 
dei 
processi. 
Ancora 
nel 
2000 
si 
registrava 
dalla 
Banca 
d’Italia, 
nella 
Relazione 
economica 
per 
l’anno 
2000 
-che 
“L’italia 
è 
il 
Paese 
dell’Unione 
Europea in cui 
i 
procedimenti 
civili, considerando i 
tre 
gradi 
di 
giudizio, hanno maggiore 
durata (in media 116 mesi, il 
68% in più 
rispetto 
alla 
media 
UE)”. 
Secondo 
un 
recente 
rapporto 
della 
Commissione 
europea 
per l’efficacia 
della 
giustizia 
(CEPEJ), nel 
biennio 2017-18 il 
numero 
dei 
procedimenti 
civili 
pendenti 
si 
è 
ridotto 
e 
la 
durata 
media 
è 
scesa; 
tuttavia, 
la 
giustizia 
civile 
italiana 
resta 
tra 
le 
più 
lente 
d’Europa: 
siamo 
ancora 
gli 
ultimi 
in terzo grado di 
giudizio e 
siamo diventati 
penultimi 
sia 
in primo che 
in secondo 
grado, rispettivamente davanti a Malta e alla Grecia. 
La 
conclusione 
della 
esposta 
rilevazione 
è 
evidente: 
il 
processo 
civile 
italiano 
non è 
efficiente 
sotto il 
profilo della 
sua 
definizione 
entro un termine 
ragionevole. 
Tanto alla 
luce 
della 
valutazione 
legale 
circa 
la 
durata 
ragionevole 
del 
processo 
fissata 
dall’art. 
2, 
comma 
2 
bis, 
L. 
24 
marzo 
2001, 
n. 
89 
(c.d. 
legge 
Pinto, sulla 
previsione 
di 
equa 
riparazione 
in caso di 
violazione 
del 
termine 
ragionevole 
di 
durata 
del 
processo), secondo cui 
si 
considera 
rispettato 
il 
termine 
ragionevole 
se 
il 
processo non eccede 
la 
durata 
di 
tre 
anni 
in primo 
grado, di due anni in secondo grado, di un anno nel giudizio di legittimità. 


La 
inefficienza 
coinvolge 
il 
complesso 
degli 
Uffici 
giudiziari, 
tenendo 
conto della 
media 
dei 
tempi 
dei 
giudizi. Vi 
sono, tuttavia, significative 
diversificazioni 
in ordine 
ai 
tempi 
del 
processo tra 
Uffici 
giudiziari. Difatti, il 
Giudice 
di 
Pace 
ed il 
Tribunale 
riescono a 
smaltire 
-grosso modo -il 
loro carico 
di 
lavoro 
in 
termini 
ragionevoli; 
la 
Corte 
di 
Appello 
supera 
i 
limiti 
della 
Legge 
Pinto 
circa 
la 
ragionevole 
durata 
del 
processo; 
analogo 
discorso 
vale 
per 
la 
Cassazione, 
atteso 
l’imbuto 
che 
si 
crea 
tra 
la 
presentazione 
del 
ricorso 
e 
la 
fissazione 
della 
data 
per la 
decisione. Tanto emerge 
dalle 
annuali 
relazioni 
sull’amministrazione 
della 
giustizia 
del 
Primo 
Presidente 
della 
Corte 
di 
Cassazione 
sull’andamento 
della 
giustizia 
in 
occasione 
dell’inaugurazione 
del-
l’anno giudiziario. 



ConTRIBUTI 
DI 
DoTTRInA 


La 
crisi 
del 
processo genera 
ulteriore 
contenzioso gravante 
sulle 
Corti 
di 
Appello con significativo aggravio degli 
oneri 
per il 
bilancio statale, che 
deve 
far fronte 
a 
crescenti 
costi 
per il 
pagamento dell’indennizzo per la 
riparazione 
della 
ingiusta 
durata 
del 
processo 
disciplinata 
dalla 
citata 
L. 
n. 
89/2001. 
L’inefficienza 
del 
nostro sistema 
giudiziario scoraggia 
gli 
investimenti, aumenta 
il 
costo del 
credito, genera 
sfiducia 
nelle 
funzioni 
dello Stato e 
stimola 
sistemi 
criminali 
alternativi 
di 
composizione 
delle 
liti. La 
preoccupazione 
di 
ogni 
governo, 
nelle 
ultime 
legislature, 
è 
stata 
quella 
di 
proporre 
“novelle” 
processuali 
mirate 
a 
modificare 
singoli 
aspetti 
-di 
volta 
in volta 
individuati 
come 
critici 
del 
processo 
civile. 
Anche 
il 
governo 
Draghi 
(2021-2022) 
si 
è 
posto 
l’obiettivo 
di 
semplificare 
il 
processo 
civile 
e, 
con 
decreto 
del 
Ministro 
della 
giustizia 
del 
marzo 
del 
2021, 
è 
stata 
costituita 
una 
Commissione, 
presieduta 
dal 
prof. 
Francesco 
Paolo 
Luiso, 
con 
il 
compito 
di 
redigere 
un 
articolato 
per 
la 
riforma 
della 
giustizia 
civile; 
l’obiettivo 
concreto 
è 
triplice: 
ridurre 
i 
tempi 
dei 
processi, 
rafforzare 
il 
principio della 
ragionevole 
durata, migliorare 
l’efficienza 
dell’apparato 
amministrativo. La 
Commissione 
nel 
giugno del 
2021 ha 
presentato le 
sue 
proposte, confluite 
nella 
L. 26 novembre 
2021, n. 206, recante 
delega 
al 
Governo per l’efficienza 
del 
processo civile 
e 
per la 
revisione 
della 
disciplina 
degli 
strumenti 
di 
risoluzione 
alternativa 
delle 
controversie 
e 
misure 
urgenti 
di 
razionalizzazione 
dei 
procedimenti 
in 
materia 
di 
diritti 
delle 
persone 
e 
delle 
famiglie 
nonché 
in 
materia 
di 
esecuzione 
forzata. 
La 
delega 
è 
stata 
attuata 
con 
l’emanazione 
del 
D.L.vo 10 ottobre 
2022, n. 149 (c.d. riforma 
Cartabia). Con 
la 
novella 
di 
cui 
al 
D.L.vo 
n. 
149/2022 
-ultima 
in 
ordine 
di 
tempo 
-viene 
operata 
una 
ampia 
modifica 
del 
codice 
di 
procedura 
civile, oltre 
che 
delle 
leggi 
complementari. 


b) 
Con riguardo al 
secondo aspetto dell’efficienza 
-ossia 
la 
definizione 
del 
processo in modo “giusto”, nel 
rispetto delle 
regole 
processuali 
e 
sostanziali 
-deve 
rilevarsi 
che, 
diversamente 
dal 
primo 
aspetto, 
le 
performance 
sono 
soddisfacenti. Un indice 
presuntivo della 
giustizia 
della 
sentenza 
è 
costituito 
dalla 
circostanza 
che, 
in 
sede 
di 
impugnazione, 
la 
decisione 
resiste 
alle 
critiche 
mosse. 
Dalla 
relazione 
del 
Primo 
Presidente 
della 
Corte 
di 
Cassazione 
per 
l’anno 2023 si 
rileva, per l’anno 2022 con riguardo ai 
ricorsi 
per cassazione, 
che 
“la percentuale 
di: -accoglimento è 
pari 
al 
27,8% (di 
cui 
22,4% con rinvio, 
1,7% senza rinvio, 3,7% senza rinvio con decisione 
nel 
merito) -rigetto 
è 
pari 
al 
27,3% 
-inammissibilità 
è 
pari 
al 
27,3% 
-estinzione 
è 
pari 
al 
15,6%”, 
rilevandosi 
altresì 
che 
“nel 
settore 
tributario si 
nota una incidenza degli 
accoglimenti 
decisamente 
superiore 
rispetto 
alla 
media 
generale 
(35,4% 
nel 
2022 
rispetto 
al 
dato 
generale 
pari 
al 
27,8%)”. 
Da 
tale 
significativo 
campione 
emerge 
che 
quasi 
i 
tre 
quarti 
delle 
sentenze 
resistono 
alle 
critiche 
che 
vengono 
mosse 
da 
chi 
le 
impugna. Circostanza 
questa 
sintomatica 
della 
“bontà” 
della 
sentenza. 

RASSEGnA 
AVVoCATURA 
DELLo 
STATo -n. 1/2023 


2. Cause della inefficienza del processo civile. 
Da 
una 
piana 
disamina 
del 
sistema 
si 
può ricavare 
che 
le 
cause 
della 
dilatazione 
della durata del processo sono principalmente ascrivili a: 


-aumento progressivo del 
numero dei 
processi, con forte 
accelerazione 
a 
seguito dell’introduzione 
del 
cd. processo del 
lavoro -per le 
controversie 
di 
lavoro 
e 
previdenziali 
-a 
metà 
degli 
anni 
’70 
del 
secolo 
trascorso. 
Tanto 
a 
fronte 
di 
un organico della 
magistratura 
che 
non è 
variato in modo proporzionalmente 
conseguenziale. 
nella 
citata 
Relazione 
del 
Primo 
Presidente 
della 
Corte 
di 
cassazione 
per 
il 
2023 
si 
rileva 
che 
“Dal 
rapporto 
della 
CEPEJ 
(Commissione 
europea 
per 
l’efficienza 
della 
giustizia) 
del 
2022 
(su 
dati 
2020) 
si 
desume 
che 
nei 
47 
paesi 
europei 
che 
aderiscono 
al 
Consiglio 
d’Europa, 
in 
media vi 
sono 22,2 giudici 
togati 
ogni 
100.000 abitanti, mentre 
in italia sono 
solo 
11,9. 
Particolarmente 
indicativo 
è 
il 
confronto 
con 
la 
Germania 
dove 
operano 
25 
giudici 
togati 
ogni 
100.000 
abitanti, 
numero 
quindi 
più 
che 
doppio 
rispetto all’italia”; 
- effetto cumulativo dell’arretrato; 
-riduzione 
del 
contenzioso 
affidato 
a 
giudici 
onorari. 
nel 
primo 
cinquantennio 
del 
‘900 la 
maggior parte 
del 
contenzioso -con punte 
anche 
dell’80% 
-era 
assorbito 
dal 
Giudice 
Conciliatore 
ed 
i 
tempi 
del 
processo 
del 
giudice 
togato 
erano ragionevoli; 


-vuoti 
nell’organico 
della 
magistratura. 
nella 
relazione 
del 
Primo 
Presidente 
della 
Corte 
di 
Cassazione 
per 
l’anno 
2023 
si 
rileva 
che 
“risultano 
vacanti 
negli 
uffici 
giudiziari 
1.458 
posti, 
a 
fronte 
di 
un 
organico 
complessivo 
ripartito 
tra 
gli 
uffici 
giudiziari 
pari 
a 
10.588 
unità; 
la 
percentuale 
di 
scopertura 
è 
quindi 
del 
13,7%, 
distribuita 
quasi 
egualmente 
tra 
magistrati 
addetti 
agli 
uffici 
giudicanti 
(13,68%) 
e 
requirenti 
(14,20%), 
in 
crescita 
rispetto 
alla 
situazione 
al 
31 
dicembre 
2021 
che 
registrava 
complessivamente 
1.338 
posti 
vacanti, 
pari 
al 
12,72%”. 
Più 
accentuati 
deficit 
si 
hanno 
con 
riguardo 
alla 
magistratura 
onoraria. 
Dalla 
citata 
Relazione 
2023 
emerge 
che 
“al 
termine 
del 
2022 
risultano 
presenti 
in 
servizio 
1.658 
vice 
procuratori 
onorari, 
a 
fronte 
dei 
1.687 
registrati 
al 
31 
dicembre 
2021, 
e 
2.962 
tra 
giudici 
di 
pace 
e 
giudici 
onorari 
(accomunati 
nell’unica 
figura 
del 
giudice 
onorario 
di 
pace 
a 
seguito 
della 
riforma 
della 
magistratura 
onoraria 
attuata 
con 
il 
d.lgs. 
13 
luglio 
2017, 
n. 
116) 
a 
fronte 
di 


3.088 
al 
31 
dicembre 
2021 
(fonte 
CSm); 
dati 
che 
vanno 
considerati 
tenendo 
presente 
l’entità 
delle 
scoperture 
dei 
posti 
in 
organico 
(ad 
esempio, 
23% 
per 
i 
giudici 
onorari 
di 
tribunale, 
giudici 
di 
pace 
e 
vice 
procuratori 
onorari; 
24% 
per 
i 
giudici 
ausiliari 
di 
Corte 
di 
appello 
(fonte 
CSm 
-Viii 
Commissione)”; 
-svolgimento 
di 
attività 
extragiudiziarie. 
I 
giudici 
ordinari 
sono 
impegnati 
in un numero elevato di 
attività 
sociali, politiche 
ed economiche 
(quali 
la 
partecipazione 
ad attività 
di 
concorsi 
nella 
qualità 
di 
commissari, incarichi 
di 
insegnamento 
universitario) che esulano dalla loro attività giudiziaria; 


-tendenza 
a 
più elevati 
tassi 
di 
litigiosità: 
crisi 
dei 
tradizionali 
apparati 

ConTRIBUTI 
DI 
DoTTRInA 


di 
mediazione 
e 
composizione 
dei 
conflitti 
(famiglia, 
istituzioni 
religiose 
e 
politico-
sindacali); complessità, instabilità e spesso inconoscibilità della legge; 


-condotta 
di 
una 
certa 
parte 
del 
ceto forense 
che, con vari 
cavilli 
legali, 
allunga la durata del processo; 
- inefficace controllo sulla produttività dell’attività dei magistrati. 
3. meccanismi di recupero della efficienza del processo civile. 
Al 
fine 
di 
recuperare 
l’efficienza 
del 
processo 
civile 
occorre 
incidere 
sulle 
cause 
della 
dilatazione 
della 
durata 
del 
processo. Vi 
sono vari 
tentativi 
in tal 
senso che 
-invero in modo lieve 
-nell’ultimo decennio stanno invertendo la 
rotta. 

L’ultima 
novella, la 
riforma 
Cartabia, tra 
l’altro, ha 
ampliato la 
competenza 
dei 
giudici 
onorari, in modo da 
ridurre 
il 
carico dei 
giudici 
togati. Vogliamo 
riferirci 
alla 
modifica 
dell’art. 
7 
c.p.c. 
Il 
nuovo 
testo 
dell’art. 
7, 
commi 
1 e 
2 c.p.c. -all’esito della 
modifica 
di 
cui 
al 
comma 
1 dell’art. 3 D.L.vo n. 
149/2022 - così dispone: 


-il 
giudice 
di 
pace 
è 
competente 
per le 
cause 
relative 
a 
beni 
mobili 
di 
valore 
non 
superiore 
a 
diecimila 
euro 
-in 
luogo 
del 
vecchio 
limite 
di 
cinquemila 
euro 
-quando 
dalla 
legge 
non 
sono 
attribuite 
alla 
competenza 
di 
altro 
giudice; 
-il 
giudice 
di 
pace 
è 
altresì 
competente 
per le 
cause 
di 
risarcimento del 
danno prodotto dalla 
circolazione 
di 
veicoli 
e 
di 
natanti, purché 
il 
valore 
della 
controversia 
non superi 
venticinquemila 
euro (in luogo del 
vecchio limite 
di 
ventimila euro). 
nella 
medesima 
ottica 
funzionano gli 
strumenti 
alternativi 
di 
risoluzione 
delle 
controversie. 
All’evidenza, 
se 
tali 
strumenti 
funzionano, 
si 
riduce 
il 
contenzioso 
sottoposto all’esame dell’autorità giurisdizionale. 


4. Strumenti preventivi ed alternativi di risoluzione delle controversie. 
Il 
giudizio civile 
-ogni 
giudizio -ha 
un costo per le 
finanze 
della 
collettività, 
attiva 
una 
macchina 
complessa, comporta 
per chi 
è 
parte 
di 
esso un impegno 
di 
tempo e 
di 
risorse 
economiche. Sicché, da 
sempre, per chi 
intende 
far valere 
in giudizio le 
proprie 
ragioni, l’ordinamento offre 
dei 
meccanismi 
miranti 
al 
soddisfacimento stragiudiziale 
delle 
pretese. Con tali 
meccanismi 
si 
può conseguire 
giustizia 
in tempi 
inferiori 
a 
quelli 
della 
giurisdizione, con 
risparmio di spesa. 


Vengono in rilievo gli 
strumenti 
preventivi 
oppure 
alternativi 
alla 
giurisdizione. 


a) 
Sono numerosi 
gli 
strumenti 
preventivi 
alla 
giurisdizione. 
Il 
più importante 
è 
costituito 
dal 
tentativo 
di 
conciliazione. 
Questo 
abbraccia, 
tra 
l’altro, 
la 
mediazione 
(facoltativa 
ed obbligatoria) e 
la 
procedura 
di 
negoziazione 
assistita, 
integranti la cd. giustizia complementare. 
nella 
mediazione 
interviene 
un terzo imparziale 
rispetto alle 
parti, il 
me



RASSEGnA 
AVVoCATURA 
DELLo 
STATo -n. 1/2023 


diatore, il 
quale 
svolge 
una 
attività 
finalizzata 
ad assistere 
due 
o più soggetti 
nella 
ricerca 
di 
un accordo amichevole 
per la 
composizione 
di 
una 
controversia, 
anche 
con 
formulazione 
di 
una 
proposta 
per 
la 
risoluzione 
della 
stessa; 
ove 
l’attività 
riesca 
si 
ha 
la 
conciliazione, ossia 
la 
composizione 
di 
una 
controversia 
a 
seguito dello svolgimento della 
mediazione 
(art. 1 D.L.vo 4 marzo 
2010, 
n. 
28, 
disciplinante 
la 
mediazione 
finalizzata 
alla 
conciliazione 
delle 
controversie civili e commerciali). 


nella 
procedura 
di 
negoziazione 
assistita, 
invece, 
non 
interviene 
un 
terzo, 
ma 
sono le 
parti 
-assistite 
obbligatoriamente 
dagli 
avvocati 
-a 
tentare 
la 
definizione 
bonaria 
della 
controversia. Difatti, la 
convenzione 
di 
negoziazione 
assistita 
da 
avvocati 
è 
un 
accordo 
mediante 
il 
quale 
le 
parti 
convengono 
di 
cooperare 
in buona 
fede 
e 
con lealtà 
per risolvere 
in via 
amichevole 
la 
controversia 
tramite 
l’assistenza 
di 
avvocati 
iscritti 
all’albo 
(art. 
2 
D.L. 
12 
settembre 
2014, n. 132, conv. L. 10 novembre 
2014, n. 162, recante 
misure 
urgenti 
di 
degiurisdizionalizzazione 
ed 
altri 
interventi 
per 
la 
definizione 
dell’arretrato 
in 
materia di processo civile). 


b) Strumento alternativo alla giurisdizione è l’arbitrato. 
5. Strumenti preventivi di risoluzione delle controversie. 
Il 
più importante 
strumento preventivo è 
senz’altro il 
tentativo di 
conciliazione, 
che può essere previsto in via obbligatoria o in via facoltativa. 


Tentativo di conciliazione obbligatorio. 


In via 
obbligatoria 
costituisce 
una 
condizione 
di 
procedibilità 
della 
domanda 
giudiziaria, ossia 
la 
domanda 
non può essere 
esaminata 
nel 
merito se 
prima 
non 
si 
esperisce 
il 
detto 
tentativo. 
Questo 
strumento 
può 
essere 
previsto 
solo dalla 
legge 
ordinaria 
e 
non da 
una 
fonte 
secondaria, venendo in rilievo 
un 
limite 
all’esercizio 
del 
diritto 
di 
azione 
ex 
art. 
24 
Cost. 
Va 
rispettato 
il 
giusto 
equilibrio 
tra 
l’interesse 
a 
ridurre 
il 
contenzioso 
e 
la 
tutela 
delle 
situazioni 
protette, 
sicché, ad esempio, la 
durata 
di 
un filtro preventivo per espletare 
la 
conciliazione 
deve essere ragionevole. 


Forme generali sono: 


a) 
la 
mediazione 
obbligatoria 
ex 
art. 5 D.L.vo n. 28/2010 per le 
controversie 
nelle 
materie 
indicate 
nel 
comma 
1 della 
disposizione. Tanto secondo 
il procedimento delineato dagli artt. 3-15 del D.L.vo citato; 
b) 
la 
procedura 
di 
negoziazione 
assistita 
da 
uno o più avvocati 
obbligatoria 
ex 
art. 
3 
D.L. 
n. 
132/2014, 
conv. 
L. 
n. 
162/2014, 
per 
le 
controversie 
nelle 
materie 
indicate 
nel 
comma 
1 
della 
disposizione, 
ossia 
di 
risarcimento 
del 
danno da 
circolazione 
di 
veicoli 
e 
natanti 
e 
per la 
domanda 
di 
pagamento a 
qualsiasi 
titolo di 
somme 
non eccedenti 
cinquantamila 
euro (con l’eccezione 
delle 
controversie 
concernenti 
obbligazioni 
contrattuali 
derivanti 
da 
contratti 
conclusi 
tra 
professionisti 
e 
consumatori). 
Il 
relativo 
procedimento 
è 
delineato 
dagli artt. 2-11 del D.L. citato. 

ConTRIBUTI 
DI 
DoTTRInA 


Abbiamo inoltre: 


c) 
tentativo obbligatorio di 
conciliazione 
delle 
controversie 
in materia 
di 
comunicazioni 
fra 
utenti 
o categorie 
di 
utenti 
ed un soggetto autorizzato o destinatario 
di 
licenze 
oppure 
tra 
soggetti 
autorizzati 
o destinatari 
di 
licenze 
tra 
loro. Per le 
predette 
controversie 
non si 
può proporre 
ricorso in sede 
giurisdizionale 
fino a 
che 
non sia 
stato esperito un tentativo obbligatorio di 
conciliazione, 
da 
ultimare 
entro 
trenta 
giorni 
dalla 
proposizione 
dell’istanza 
all’Autorità 
per le 
garanzie 
nelle 
comunicazioni 
(AGCoM). Tale 
tentativo di 
conciliazione 
è 
gestito 
dall’AGCoM 
a 
mezzo 
dei 
Comitati 
regionali 
per 
le 
comunicazioni 
(Co.re.com), considerati 
funzionalmente 
organi 
dell’Autorità, ai 
quali 
sono state 
delegate 
funzioni 
conciliative. I termini 
per agire 
in sede 
giurisdizionale 
sono 
sospesi 
fino 
alla 
scadenza 
del 
termine 
per 
la 
conclusione 
del 
procedimento di 
conciliazione. L’AGCoM 
individua 
le 
controversie 
oggetto 
di 
conciliazione 
obbligatoria 
e 
le 
modalità 
della 
procedura 
(art. 1, comma 
11, 
L. 31 luglio 1997, n. 249); 
d) 
procedure 
di 
conciliazione 
(oltreché 
di 
arbitrato) 
in 
contraddittorio 
presso 
l’Autorità 
di 
regolazione 
per 
energia 
reti 
e 
ambiente 
(ARERA) 
nei 
casi 
di 
controversie 
in 
materia 
di 
servizi 
di 
pubblica 
utilità, 
insorte 
tra 
utenti 
e 
soggetti 
esercenti 
il 
servizio. Tali 
controversie 
possono essere 
rimesse 
in prima 
istanza 
alle 
commissioni 
arbitrali 
e 
conciliative 
istituite 
presso 
le 
camere 
di 
commercio, industria, artigianato e 
agricoltura 
(art. 2, comma 
24, lett. b, L. 
14 novembre 
1995, n. 481). I criteri, le 
condizioni, i 
termini 
e 
le 
modalità 
per 
l’esperimento delle procedure in esame sono fissati con regolamento. 
Se 
l’apparato organizzativo che 
gestisce 
la 
procedura 
di 
conciliazione 
è 
inefficiente, la 
previsione 
in via 
obbligatoria 
di 
questo strumento preventivo 
si 
risolve 
unicamente 
in un ostacolo all’accesso alla 
giustizia, con il 
fine 
malizioso 
di 
dissuadere 
l’interessato a 
tutelare 
dinanzi 
al 
giudice 
le 
proprie 
ragioni. 


Tentativo di conciliazione facoltativo. 


a) 
la 
mediazione 
facoltativa 
ex 
art. 
2 
D.L.vo 
n. 
28/2010 
attivabile 
da 
chiunque 
“per 
la conciliazione 
di 
una controversia civile 
e 
commerciale 
vertente 
su 
diritti 
disponibili, 
secondo 
le 
disposizioni 
del 
presente 
decreto”. 
Questo 
strumento 
è 
stato 
poco 
utilizzato 
dagli 
interessati. 
Dalla 
citata 
relazione 
sull’amministrazione 
della 
giustizia 
del 
Primo Presidente 
della 
Corte 
di 
Cassazione 
per il 
2023 risulta 
che 
“Nel 
primo semestre 
del 
2022 le 
iscrizioni 
di 
mediazioni 
sono state 
85.269, di 
cui 
16.107 hanno riguardato mediazioni 
volontarie”; 
b) 
la 
procedura 
di 
negoziazione 
assistita 
da 
uno 
o 
più 
avvocati 
facoltativa 
ex 
art. 2 D.L. n. 132/2014, conv. L. n. 162/2014 al 
fine 
di 
tentare 
di 
risolvere 
in via 
amichevole 
qualsivoglia 
controversia 
su diritti 
disponibili 
inter 
partes; 
c) 
controversie 
afferenti 
ai 
rapporti 
di 
lavoro. All’uopo l’art. 31, comma 
9, L. 4 novembre 
2010, n. 183 statuisce: 
“Le 
disposizioni 
degli 
articoli 
410, 

RASSEGnA 
AVVoCATURA 
DELLo 
STATo -n. 1/2023 


411, 
412, 
412-ter 
e 
412-quater 
del 
codice 
di 
procedura 
civile 
si 
applicano 
anche 
alle 
controversie 
di 
cui 
all’articolo 
63, 
comma 
1, 
del 
decreto 
legislativo 
30 
marzo 
2001, 
n. 
165”. 
Si 
è 
quindi 
omogeneizzata 
la 
disciplina 
tra 
lavoro 
privato e 
lavoro pubblico, con l’applicazione 
dello stesso modello di 
conciliazione 
facoltativo previsto nel 
codice 
di 
rito civile. La 
forma 
ordinaria 
del 
tentativo di 
conciliazione 
è 
regolata 
negli 
artt. 410-411 c.p.c. Il 
raggiunto accordo 
in sede 
conciliativa, su istanza 
di 
parte, può essere 
dichiarato esecutivo 
con decreto del 
giudice, accertata 
la 
regolarità 
formale 
del 
verbale 
di 
conciliazione 
(art. 
411, 
ultimo 
comma 
c.p.c.). 
Il 
predetto 
verbale, 
riconducibile 
alla 
tipologia 
dei 
titoli 
esecutivi 
stragiudiziali 
(ex 
art. 474 c.p.c.), è 
suscettibile 
di 
esecuzione 
forzata 
ma 
non di 
attuazione 
nelle 
forme 
del 
giudizio di 
ottemperanza. 
Ed infatti 
l’azione 
di 
ottemperanza 
(art. 112, comma 
2, lett.c, c.p.a.) è 
configurabile 
per le 
“sentenze 
passate 
in giudicato e 
degli 
altri 
provvedimenti 
ad esse 
equiparati 
del 
giudice 
ordinario”, laddove 
è 
evidente 
che 
il 
verbale 
in 
esame 
non 
è 
equiparabile 
a 
sentenza 
avendo 
un 
contenuto 
sostanzialmente 
transattivo. 


Vi 
sono altre 
due 
forme 
di 
tentativo di 
conciliazione 
nelle 
materie 
del 
lavoro, 
pubblico 
o 
privato: 
quello 
svolto 
presso 
le 
sedi 
e 
con 
le 
modalità 
previste 
dai 
contratti 
collettivi 
sottoscritti 
dalle 
associazioni 
sindacali 
maggiormente 
rappresentative 
(art. 
412 
ter 
c.p.c.) 
e 
quello 
proposto 
innanzi 
al 
collegio 
di 
conciliazione 
costituito secondo quanto previsto dalle 
disposizioni 
contenute 
nell’art. 412 quater 
c.p.c.; 


d) 
controversie 
tra 
imprese 
e 
consumatori 
e 
utenti. 
All’uopo 
la 
risoluzione 
alternativa 
delle 
controversie, 
incidenti 
in 
ambiti 
anche 
di 
pertinenza 
della 
P.A. 
laddove 
le 
imprese 
siano 
esercenti 
di 
servizi 
pubblici, 
può 
essere 
affidata 
a 
commissioni 
arbitrali 
e 
conciliative 
costituite 
su 
impulso 
delle 
Camere 
di 
commercio, 
industria, artigianato e 
agricoltura 
(art. 2, comma 
2, lett. g, L. 29 dicembre 
1993, n. 580); 
e) controversie 
relative 
ad obbligazioni 
contrattuali 
derivanti 
da 
un contratto 
di 
vendita 
o di 
servizi, tra 
il 
professionista 
ed il 
consumatore. La 
risoluzione 
delle 
dette 
controversie 
può essere 
altresì 
affidata 
agli 
organismi 
ADR 
-alternative 
Dispute 
resolution, 
secondo 
la 
disciplina 
del 
Codice 
del 
consumo 
(artt. 141- 141 
decies 
D.L.vo 6 settembre 2005, n. 206); 
f) controversie 
tra 
i 
soggetti 
nei 
cui 
confronti 
la 
Commissione 
nazionale 
per le 
società 
e 
la 
Borsa 
(ConSoB) esercita 
la 
propria 
attività 
di 
vigilanza, i 
consulenti 
finanziari 
autonomi, 
le 
società 
di 
consulenza 
finanziaria 
da 
una 
parte 
e, 
dall’altra, 
gli 
investitori 
diversi 
dai 
clienti 
professionali 
(art. 
32 
ter 
D.L.vo 24 febbraio 1998, n. 58, il 
cui 
comma 
2 precisa 
che 
la 
Consob determina, 
con proprio regolamento, i 
criteri 
di 
svolgimento delle 
procedure 
di 
risoluzione 
delle 
controversie 
nonché 
i 
criteri 
di 
composizione 
dell’organo 
decidente, in modo che 
risulti 
assicurata 
l’imparzialità 
dello stesso e 
la 
rappresentatività 
dei soggetti interessati); 

ConTRIBUTI 
DI 
DoTTRInA 


g) 
controversie 
tra 
i 
clienti 
e 
le 
banche 
e 
gli 
altri 
intermediari 
in materia 
di 
operazioni 
e 
servizi 
bancari 
e 
finanziari 
coinvolte 
in procedure 
di 
conciliazione 
(ed arbitrato) ex 
art. 128 
bis 
D.L.vo 1 settembre 1993, n. 385. 
6. Strumenti alternativi di risoluzione delle controversie. 
Il 
più importante 
strumento alternativo è 
l’arbitrato. Con esso si 
dà 
vita 
consensualmente 
- ad una giustizia privata alternativa a quella istituzionale. 

L’arbitrato -previsto e 
disciplinato nel 
codice 
di 
procedura 
civile 
-è 
un 
giudizio privato attivabile 
quando le 
parti 
sono d’accordo in tal 
senso e 
la 
lite 
verte 
su 
diritti 
disponibili. 
Due 
sono, 
quindi, 
i 
requisiti 
per 
l’ammissibilità 
dell’arbitrato: accordo delle parti, diritti disponibili. 


Con la 
previsione 
costituzionale 
secondo cui 
“Tutti 
possono agire 
in giudizio 
per 
la 
tutela 
dei 
propri 
diritti 
e 
interessi 
legittimi” 
(art. 
24, 
comma 
1, 
Cost.), 
vi 
è 
la 
libertà 
di 
tutti 
di 
accedere 
agli 
organi 
giurisdizionali. 
Sicché 
l’arbitrato 
non può essere 
previsto -da 
una 
fonte 
unilaterale 
-come 
obbligatorio. 
E 
difatti 
le 
previsioni 
nella 
legislazione 
del 
passato che 
prevedevano ipotesi 
di 
arbitrato obbligatorio sono state 
eliminate: 
o per dichiarazione 
di 
incostituzionalità 
o per abrogazione 
legislativa. L’accordo delle 
parti 
deve 
rivestire 
la 
forma scritta sotto pena di nullità, giusta previsione dell’art. 807 c.p.c. 

oggetto del 
giudizio arbitrale 
possono essere 
solo situazioni 
giuridiche 
soggettive 
nella 
titolarità 
delle 
parti, 
secondo 
il 
principio 
generale 
della 
disponibilità 
delle 
proprie 
-solo delle 
proprie, come 
evidenziato nell’art. 24 Cost. 
-situazioni 
giuridiche 
soggettive. 
Tanto 
è 
precisato 
dell’art. 
806 
c.p.c. 
secondo 
cui 
“Le 
parti 
possono 
far 
decidere 
da 
arbitri 
le 
controversie 
tra 
di 
loro 
insorte 
che 
non 
abbiano 
per 
oggetto 
diritti 
indisponibili, 
salvo 
espresso 
divieto 
di 
legge. Le 
controversie 
di 
cui 
all’articolo 409 possono essere 
decise 
da arbitri 
solo se previsto dalla legge o nei contratti o accordi collettivi di lavoro”. 

L’arbitrato è 
possibile, quindi, solo se 
la 
controversia 
verte 
su diritti 
soggettivi 
disponibili. 


Tipologie di arbitrato. L’arbitrato può essere rituale oppure irrituale. 


L’arbitrato è 
rituale 
quando la 
definizione 
avviene 
all’esito di 
un procedimento 
paragiurisdizionale 
con 
una 
decisione 
(lodo) 
che 
ha 
l’efficacia 
di 
sentenza 
del 
giudice 
competente. 
Tanto 
è 
enunciato 
dall’art. 
824 
bis 
c.p.c. 
statuente 
che 
“Salvo quanto disposto dall’articolo 825, il 
lodo ha dalla data 
della sua ultima sottoscrizione 
gli 
effetti 
della sentenza pronunciata dall’autorità 
giudiziaria”. Tuttavia, ex 
art. 825 c.p.c., ove 
si 
voglia 
mettere 
in esecuzione 
il 
lodo, 
l’efficacia 
di 
sentenza 
consegue 
non 
al 
momento 
dell’ultima 
sottoscrizione, 
ma 
al 
momento 
dell’exequatur 
-ossia 
della 
delibazione, 
del 
controllo della mera regolarità formale - da parte dell’A.G.o. 


Diversamente 
l’arbitrato 
è 
irrituale 
e 
vale 
quale 
definizione 
negoziale 
di 
una 
lite 
inter 
partes 
con 
valore, 
a 
seconda 
del 
contenuto 
della 
definizione, 
di 
transazione 
e/o 
riconoscimento 
del 
debito 
e/o 
rinunce. 
Sul 
punto 
vi 
è 
la 
disciplina 
del



RASSEGnA 
AVVoCATURA 
DELLo 
STATo -n. 1/2023 


l’art. 
808 
ter 
c.p.c. 
secondo 
cui 
“1. 
Le 
parti 
possono, 
con 
disposizione 
espressa 
per 
iscritto, 
stabilire 
che, 
in 
deroga 
a 
quanto 
disposto 
dall’articolo 
824-bis, 
la 
controversia 
sia 
definita 
dagli 
arbitri 
mediante 
determinazione 
contrattuale. 
altrimenti 
si 
applicano 
le 
disposizioni 
del 
presente 
titolo. 
2. 
il 
lodo 
contrattuale 
è 
annullabile 
dal 
giudice 
competente 
secondo 
le 
disposizioni 
del 
libro 
i. 
[…]”. 


arbitrato nelle controversie sui rapporti di lavoro. 

Le 
controversie 
sui 
rapporti 
di 
lavoro -sia 
quelle 
ex 
art. 409 c.p.c., che 
quelle 
di 
cui 
all’art. 63, comma 
1, T.U.P.I. relative 
al 
pubblico impiego privatizzato 
(giusta 
l’art. 31, comma 
9, L. n. 183/2010) -“possono essere 
decise 
da arbitri 
solo se 
previsto dalla legge 
o nei 
contratti 
o accordi 
collettivi 
di 
lavoro” 
(art. 806, comma 2, c.p.c.). 


Per queste 
controversie 
sono previste 
quattro diverse 
ipotesi 
arbitrali: 
a) 
art. 
412 
c.p.c.: 
in 
qualunque 
fase 
del 
tentativo 
di 
conciliazione, 
o 
al 
suo 
termine 
in caso di 
mancata 
riuscita, le 
parti 
possono indicare 
la 
soluzione, anche 
parziale, 
sulla 
quale 
concordano, 
riconoscendo, 
quando 
è 
possibile, 
il 
credito 
che 
spetta 
al 
lavoratore, 
e 
possono 
accordarsi 
per 
la 
risoluzione 
della 
lite, 
affidando 
alla 
commissione 
di 
conciliazione 
il 
mandato 
a 
risolvere 
in 
via 
arbitrale 
la 
controversia; 
b) 
art. 
412 
ter 
c.p.c.: 
l’arbitrato, 
nelle 
materie 
di 
cui 
all’art. 
409 
c.p.c., 
può essere 
svolto altresì 
presso le 
sedi 
e 
con le 
modalità 
previste 
dai 
contratti 
collettivi 
sottoscritti 
dalle 
associazioni 
sindacali 
maggiormente 
rappresentative; 
c) 
art. 412 quater 
c.p.c.: 
ferma 
restando la 
facoltà 
di 
ciascuna 
delle 
parti 
di 
adire 
l’autorità 
giudiziaria 
e 
di 
avvalersi 
delle 
procedure 
di 
conciliazione 
e 
di 
arbitrato previste 
dalla 
legge, le 
controversie 
di 
cui 
all’art. 409 c.p.c. possono 
essere 
altresì 
proposte 
innanzi 
al 
collegio di 
arbitrato irrituale 
costituito 
secondo quanto previsto nella 
stessa 
disposizione; 
d) 
art. 31, comma 
12, L. n. 
183/2010: 
gli 
organi 
di 
certificazione 
di 
cui 
all’art. 
76 
D.L.vo 
10 
settembre 
2003, n. 276 possono istituire 
camere 
arbitrali 
per la 
definizione, ai 
sensi 
del-
l’art. 808 
ter 
c.p.c., delle 
controversie 
nelle 
materie 
di 
cui 
all’art. 409 c.p.c. e 
all’art. 
63, 
comma 
1, 
D.L.vo 
30 
marzo 
2001 
(c.d. 
T.U.P.I.); 
si 
applica, 
in 
quanto compatibile, l’art. 412, commi terzo e quarto, c.p.c. 

Tutte 
e 
quattro 
le 
tipologie 
ora 
descritte 
integrano 
arbitrati 
irrituali. 
In 
conseguenza 
del 
carattere 
irrituale, 
il 
lodo 
non 
produce 
gli 
effetti 
della 
sentenza 
e 
può 
acquistare 
efficacia 
di 
titolo 
esecutivo 
stragiudiziale, 
in 
quanto 
ha 
natura 
di determinazione contrattuale. 


accordo 
bonario 
per 
i 
lavori 
e 
accordo 
bonario 
per 
i 
servizi 
e 
le 
forniture. 
Alle 
condizioni 
indicate 
dalla 
legge, la 
procedura 
di 
accordo bonario costituisce 
una 
condizione 
di 
procedibilità 
dell’azione 
in via 
giurisdizionale. La 
procedura 
di 
accordo 
bonario 
è 
una 
procedura 
di 
tipo 
arbitrale 
(artt. 
210-211 
D.L.vo 31 marzo 2023, n. 36 recante il Codice dei contratti pubblici). 


arbitrato e 
collegio consultivo tecnico nelle 
controversie 
inerenti 
l’esecuzione 
dei contratti pubblici. 


Le 
controversie 
su 
diritti 
soggettivi, 
derivanti 
dall’esecuzione 
dei 
contratti 



ConTRIBUTI 
DI 
DoTTRInA 


pubblici 
relativi 
a 
lavori, 
servizi, 
forniture, 
concorsi 
di 
progettazione 
e 
di 
idee, 
comprese 
quelle 
conseguenti 
al 
mancato 
raggiungimento 
dell’accordo 
bonario 
possono essere 
deferite 
ad arbitri 
(art. 213 D.L.vo n. 36/2023) oppure 
decise 
da 
un 
collegio 
consultivo 
tecnico 
con 
determinazioni 
aventi 
natura 
di 
lodo 
contrattuale ai sensi dell’art. 808 ter 
c.p.c. (art. 215 D.L.vo n. 36/2023). 


7. 
Gli 
strumenti 
preventivi 
ed 
alternativi 
di 
risoluzione 
delle 
controversie 
quali 
meccanismi di recupero della efficienza del processo civile. 
Intuitivamente 
gli 
strumenti 
preventivi 
ed alternativi 
di 
risoluzione 
delle 
controversie, 
se 
funzionano 
-rectius: 
se 
conducono 
alla 
risoluzione 
della 
controversia 
-costituiscono 
delle 
tecniche 
di 
recupero 
della 
efficienza 
del 
processo 
civile, atteso che 
il 
loro successo riduce 
il 
contenzioso sottoposto all’esame 
dell’autorità 
giurisdizionale. Diversamente, se 
non funzionano (e 
il 
discorso 
vale 
in particolare 
per il 
tentativo di 
conciliazione), si 
risolvono in un differimento 
di 
accesso 
alla 
giustizia, 
o 
peggio 
in 
una 
tecnica 
defatigante 
che, 
a 
volte, 
spinge il soggetto a rinunciare a qualsiasi azione giudiziaria. 


Il 
sistema 
dovrebbe, quindi, incentivare 
tali 
tecniche 
con la 
implementazione 
della 
specifica 
professionalità 
e 
della 
idonea 
preparazione 
degli 
operatori. 
Questo aspetto è 
fondamentale 
per la 
riuscita 
degli 
istituti 
in esame. Ciò 
non 
è 
sfuggito 
al 
legislatore 
della 
riforma 
Cartabia, 
il 
quale 
-con 
l’inserimento 
dell’art. 5 quinquies 
D.L.vo n. 28/2010 -prevede, per gli 
stessi 
magistrati, la 
necessità 
di 
curare 
la 
formazione 
e 
l’aggiornamento in materia 
di 
mediazione 
con la 
frequentazione 
di 
seminari 
e 
corsi, organizzati 
dalla 
Scuola 
superiore 
della 
magistratura, anche 
attraverso le 
strutture 
didattiche 
di 
formazione 
decentrata; 
rileva 
inoltre, ai 
fini 
della 
valutazione 
della 
professionalità 
ex 
art. 11 
D.L.vo 5 aprile 
2006, n. 160, la 
frequentazione 
di 
seminari 
e 
corsi 
in materia, 
il 
numero e 
la 
qualità 
degli 
affari 
definiti 
con ordinanza 
di 
mediazione 
o mediante 
accordi 
conciliativi 
costituenti, rispettivamente, indicatori 
di 
impegno, 
capacità 
e 
laboriosità 
del 
magistrato. È 
previsto infine 
-altro tassello per la 
costruzione 
di 
una 
“cultura” 
della 
mediazione 
-che 
“il 
capo dell’ufficio giudiziario 
può 
promuovere, 
senza 
nuovi 
o 
maggiori 
oneri 
per 
la 
finanza 
pubblica, 
progetti 
di 
collaborazione 
con 
università, 
ordini 
degli 
avvocati, 
organismi 
di 
mediazione, enti 
di 
formazione 
e 
altri 
enti 
e 
associazioni 
professionali 
e 
di 
categoria, nel 
rispetto della reciproca autonomia, per 
favorire 
il 
ricorso 
alla 
mediazione 
demandata 
e 
la 
formazione 
in 
materia 
di 
mediazione” 
(comma 4 dell’art. 5 quinquies 
cit.). 


Va 
rilevato che 
la 
funzionalità 
di 
queste 
tecniche 
stragiudiziali 
alla 
riduzione 
del 
contenzioso sottoposto alla 
cognizione 
dell’autorità 
giurisdizionale, 
e 
quindi 
al 
recupero 
dell’efficienza, 
vale 
soprattutto 
per 
l’arbitrato, 
un 
po’ 
meno per il 
tentativo di 
conciliazione. È 
difficile, infatti, che 
la 
parte 
che 
ha 
subito un torto sia 
disposta 
a 
conciliare, rectius: 
rinunciare 
ad una 
parte 
della 
pretesa 
(di 
solito la 
proposta 
del 
conciliatore 
è 
diretta 
a 
pervenire 
ad una 
de



RASSEGnA 
AVVoCATURA 
DELLo 
STATo -n. 1/2023 


finizione 
transattiva 
della 
vicenda). All’evidenza 
tale 
parte, se 
concilia, lo fa 
per ragioni pratiche: evitare le lungaggini (e l’alea) di un giudizio. 

8. modifiche, con la c.d. riforma Cartabia, in materia di 
mediazione, di 
negoziazione 
assistita e di arbitrato. 
Le 
tecniche 
alternative 
di 
risoluzione 
delle 
controversie 
-con 
l’ultima 
novella 
del 
processo civile 
-sono state 
potenziate, sul 
presupposto che 
le 
stesse 
sono 
funzionali 
all’esigenza 
di 
efficienza 
del 
processo. 
Il 
rapporto 
tra 
tecniche 
stragiudiziali 
e 
attività 
giurisdizionale 
è 
in un certo senso un rapporto tra 
vasi 
comunicanti. All’aumento con successo delle 
prime 
consegue 
una 
riduzione 
del carico della seconda. 


In 
primo 
luogo, 
il 
D.L.vo 
n. 
149/2022 
interviene 
estendendo, 
a 
mezzo 
dell’art. 7, l’ambito operato dai 
meccanismi 
preventivi, in funzione 
deflattiva 
del contenzioso. 


modifiche al decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28 sulla mediazione. 

Il 
D.L.vo 4 marzo 2010, n. 28 sulla 
mediazione 
viene 
ampiamente 
modificato, 
per lo più allo scopo manutentivo e 
di 
restyling. Tra 
le 
novità 
rilevanti 
va 
evidenziato che 
aumentano le 
materie 
in cui 
la 
mediazione 
è 
obbligatoria, 
rectius: 
costituisce 
una 
condizione 
di 
procedibilità 
dell’azione. 
novellando 
l’art. 
5 
del 
decreto 
-oltre 
alle 
controversie 
in 
materia 
di 
condominio, 
diritti 
reali, divisione, successioni 
ereditarie, patti 
di 
famiglia, locazione, comodato, 
affitto di 
aziende, risarcimento del 
danno derivante 
da 
responsabilità 
medica 
e 
sanitaria 
e 
da 
diffamazione 
con il 
mezzo della 
stampa 
o con altro mezzo di 
pubblicità, contratti 
assicurativi, bancari 
e 
finanziari 
-ora 
la 
mediazione 
obbligatoria 
è 
prevista 
altresì 
per le 
controversie 
in materia 
di 
“associazione 
in 
partecipazione, 
consorzio, 
franchising, 
opera, 
rete, 
somministrazione, 
società 
di 
persone 
e 
subfornitura”. È 
stata 
altresì 
prevista 
la 
mediazione 
demandata 
dal 
giudice, integrante 
condizione 
di 
procedibilità 
della 
domanda 
giudiziale: 
giusta 
l’art. 5 
quater 
del 
decreto, il 
giudice, anche 
in sede 
di 
giudizio di 
appello, 
fino al 
momento della 
precisazione 
delle 
conclusioni, valutata 
la 
natura 
della 
causa, lo stato dell’istruzione, il 
comportamento delle 
parti 
e 
ogni 
altra 
circostanza, può disporre, con ordinanza 
motivata, l’esperimento di 
un procedimento 
di mediazione. 


È 
esaltata, come 
evidenziato innanzi, l’esigenza 
di 
una 
specifica 
formazione 
nella materia della mediazione (art. 5 quinquies 
del decreto). 


In 
ordine 
alla 
durata 
del 
procedimento 
di 
mediazione 
era 
originariamente 
previsto il 
termine 
di 
tre 
mesi; 
novellando l’art. 6 del 
decreto si 
ammette 
che 
il 
termine 
è 
“prorogabile 
di 
ulteriori 
tre 
mesi 
dopo 
la 
sua 
instaurazione 
e 
prima della sua scadenza con accordo scritto delle parti”. 


È 
consentita 
la 
mediazione 
in modalità 
telematica, secondo la 
disciplina 
del nuovo art. 8 bis. 


ConTRIBUTI 
DI 
DoTTRInA 


Al 
fine 
di 
incentivare 
la 
mediazione 
-invero 
in 
modo 
dolcemente 
coartato 
-il 
legislatore 
usa 
il 
bastone 
e 
la 
carota. 
Il 
bastone 
è 
costituito 
dalle 
conseguenze 
spiacevoli 
nel 
caso di 
mancata 
partecipazione 
al 
procedimento di 
mediazione. 
Il 
nuovo art. 12 bis 
fissa 
il 
catalogo delle 
conseguenze 
processuali 
della 
mancata 
partecipazione 
al 
procedimento 
di 
mediazione, 
così 
enunciando: 
“1. 
Dalla 
mancata 
partecipazione 
senza 
giustificato 
motivo 
al 
primo 
incontro 
del 
procedimento di 
mediazione, il 
giudice 
può desumere 
argomenti 
di 
prova 
nel 
successivo giudizio ai 
sensi 
dell’articolo 116, secondo comma, del 
codice 
di 
procedura civile. 2. Quando la mediazione 
costituisce 
condizione 
di 
procedibilità, 
il 
giudice 
condanna 
la 
parte 
costituita 
che 
non 
ha 
partecipato 
al 
primo 
incontro 
senza 
giustificato 
motivo 
al 
versamento 
all’entrata 
del 
bilancio 
dello Stato di 
una somma di 
importo corrispondente 
al 
doppio del 
contributo 
unificato dovuto per 
il 
giudizio. 3. Nei 
casi 
di 
cui 
al 
comma 2, con il 
provvedimento 
che 
definisce 
il 
giudizio, il 
giudice, se 
richiesto, può altresì 
condannare 
la 
parte 
soccombente 
che 
non 
ha 
partecipato 
alla 
mediazione 
al 
pagamento in favore 
della controparte 
di 
una somma equitativamente 
determinata 
in misura non superiore 
nel 
massimo alle 
spese 
del 
giudizio maturate 
dopo la conclusione 
del 
procedimento di 
mediazione. 4. Quando provvede 
ai 
sensi 
del 
comma 2, il 
giudice 
trasmette 
copia del 
provvedimento adottato nei 
confronti 
di 
una delle 
amministrazioni 
pubbliche 
di 
cui 
all’articolo 1, comma 
2, del 
decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, al 
pubblico ministero presso 
la 
sezione 
giurisdizionale 
della 
Corte 
dei 
conti, 
e 
copia 
del 
provvedimento 
adottato 
nei 
confronti 
di 
uno 
dei 
soggetti 
vigilati 
all’autorità 
di 
vigilanza 
competente”. 
La 
carota 
è 
costituita 
dai 
benefici 
descritti 
negli 
artt. 17 (esenzioni 
tributarie) 
e 
20 
(credito 
d’imposta) 
del 
D.L.vo 
n. 
28/2010, 
novellati 
con 
il 
D.L.vo n. 149/2022. Con la 
novella 
si 
ampliano tali 
benefici: 
oltre 
a 
confermare 
che 
“Tutti 
gli 
atti, documenti 
e 
provvedimenti 
relativi 
al 
procedimento 
di 
mediazione 
sono 
esenti 
dall’imposta 
di 
bollo 
e 
da 
ogni 
spesa, 
tassa 
o 
diritto 
di 
qualsiasi 
specie 
e 
natura” 
(art. 
17, 
comma 
1), 
si 
prevede 
che 
“il 
verbale 
contenente 
l’accordo di 
conciliazione 
è 
esente 
dall’imposta di 
registro entro 
il 
limite 
di 
valore 
di 
centomila 
euro, 
altrimenti 
l’imposta 
è 
dovuta 
per 
la 
parte 
eccedente” 
(art. 17, comma 
2), aumentando l’esenzione 
rispetto alla 
vecchia 
soglia 
di 
50.000 euro. Inoltre 
si 
aumenta 
il 
credito d’imposta 
disciplinato nel 
citato art. 20. 


Ulteriore 
tessera 
incentivante 
la 
mediazione 
è 
l’introduzione 
delle 
disposizioni 
sul 
patrocinio 
a 
spese 
dello 
Stato 
alla 
parte 
non 
abbiente 
per 
l’assistenza 
dell’avvocato nel 
procedimento di 
mediazione 
(artt. 15 bis, art. 15 undecies 
D.L.vo 
n. 
28/2010). 
Al 
fine 
di 
favorire, 
oltre 
all’accesso 
alla 
mediazione, 
anche 
la 
fruttuosità 
del 
meccanismo è 
previsto tuttavia 
che 
il 
beneficio spetta 
solo 
“se è raggiunto l’accordo di conciliazione” (art. 15 bis). 


L’impostazione 
finalistica 
della 
novella 
della 
disciplina 
della 
mediazione 
è 
riconosciuta 
nella 
relazione 
del 
Primo Presidente 
della 
Corte 
di 
Cassazione 



RASSEGnA 
AVVoCATURA 
DELLo 
STATo -n. 1/2023 


sull’andamento della 
giustizia 
in occasione 
dell’inaugurazione 
anno giudiziario 
2023: 
“Per 
favorire 
la mediazione, la riforma del 
2022 ha previsto alcuni 
incentivi 
fiscali 
sotto forma di 
credito di 
imposta, se 
le 
parti 
raggiungono un 
accordo, e 
di 
esenzione 
dall’imposta di 
registro nonché 
modalità di 
ricorso 
al 
gratuito patrocinio (tema su cui 
già era già intervenuta la Corte 
costituzionale 
con la sentenza n. 10 del 2022)”. 


modifiche 
al 
D.L. 12 settembre 
2014, n. 132, conv. L. 10 novembre 
2014, 


n. 162 sulla negoziazione assistita. 
Le 
modifiche 
vengono operate 
con l’art. 9 del 
D.L.vo n. 149/2022. nella 
citata 
relazione 
del 
Primo 
Presidente 
della 
Corte 
di 
Cassazione 
per 
l’anno 
2023 
si 
rileva 
che 
la 
negoziazione 
assistita 
“non ha avuto ampia applicazione, probabilmente 
per la rigidità del procedimento”. 


Al 
fine 
di 
incentivare 
la 
diffusione 
dell’istituto, 
tra 
le 
materie 
che 
non 
possono costituire 
oggetto di 
negoziazione 
assistita 
non rientrano più le 
controversie 
in materia 
di 
lavoro, nelle 
quali 
si 
potrà 
ricorrere 
alla 
negoziazione 
assistita, senza 
che 
ciò costituisca 
condizione 
di 
procedibilità 
della 
domanda 
giudiziale. Si 
prevede, inoltre, la 
possibilità 
dello svolgimento della 
negoziazione 
assistita in modalità telematica. 

Come 
è 
noto, la 
negoziazione 
assistita 
può essere 
facoltativa 
ed obbligatoria. 
È 
obbligatoria 
per 
importanti 
controversie: 
“Chi 
intende 
esercitare 
in 
giudizio un’azione 
relativa a una controversia in materia di 
risarcimento del 
danno da circolazione 
di 
veicoli 
e 
natanti 
deve, tramite 
il 
suo avvocato, invitare 
l’altra parte 
a stipulare 
una convenzione 
di 
negoziazione 
assistita. allo 
stesso modo deve 
procedere, fuori 
dei 
casi 
previsti 
dal 
periodo precedente 
e 
dall’articolo 5, comma 1-bis, del 
decreto legislativo 4 marzo 2010 n. 28, chi 
intende 
proporre 
in giudizio una domanda di 
pagamento a qualsiasi 
titolo di 
somme 
non 
eccedenti 
cinquantamila 
euro. 
L’esperimento 
del 
procedimento 
di 
negoziazione 
assistita 
è 
condizione 
di 
procedibilità 
della 
domanda 
giudiziale” 
(art. 3, comma 1, D.L. n. 132/2014). 


innovazioni nel giudizio arbitrale. 


Infine, 
sono 
state 
apportate 
importanti 
innovazioni 
al 
giudizio 
arbitrale 
nel 
solco 
dell’orientamento 
legislativo 
dell’ultimo 
quarantennio 
-a 
partire 
dalla 
L. 9 febbraio 1983, n. 28 -mirante 
ad assimilare 
quanto più possibile 
il 
giudizio 
arbitrale 
a 
quello 
giurisdizionale. 
Si 
richiamano, 
in 
particolare, 
tre 
aspetti: 


-“La domanda di 
arbitrato produce 
gli 
effetti 
sostanziali 
della domanda 
giudiziale” (art. 816 bis.1 c.p.c.); 
-possibilità 
della 
adozione 
di 
provvedimenti 
cautelari: 
“Le 
parti, anche 
mediante 
rinvio a regolamenti 
arbitrali, possono attribuire 
agli 
arbitri 
il 
potere 
di 
concedere 
misure 
cautelari 
con la convenzione 
di 
arbitrato o con atto 
scritto anteriore 
all’instaurazione 
del 
giudizio arbitrale. La competenza cau

ConTRIBUTI 
DI 
DoTTRInA 


telare 
attribuita agli 
arbitri 
è 
esclusiva” 
(art. 818 comma 
1). In questa 
evenienza 
“Contro il 
provvedimento degli 
arbitri 
che 
concede 
o nega una misura 
cautelare 
è 
ammesso 
reclamo 
a 
norma 
dell’articolo 
669-terdecies 
davanti 
alla 
corte 
di 
appello, nel 
cui 
distretto è 
la sede 
dell’arbitrato, per 
i 
motivi 
di 
cui 
all’articolo 829, primo comma, in quanto compatibili, e 
per 
contrarietà al-
l’ordine 
pubblico” 
(art. 818 bis 
c.p.c.). L’art. 818 ter 
c.p.c. regola 
l’attuazione 
della 
misura 
cautelare: 
“L’attuazione 
delle 
misure 
cautelari 
concesse 
dagli 
arbitri 
è 
disciplinata 
dall’articolo 
669-duodecies 
e 
si 
svolge 
sotto 
il 
controllo 
del 
tribunale 
nel 
cui 
circondario è 
la sede 
dell’arbitrato o, se 
la sede 
dell’arbitrato 
non è 
in italia, il 
tribunale 
del 
luogo in cui 
la misura cautelare 
deve 
essere 
attuata, resta salvo il 
disposto degli 
articoli 
677 e 
seguenti 
in ordine 
all’esecuzione 
dei 
sequestri 
concessi 
dagli 
arbitri. Competente 
è 
il 
tribunale 
previsto dal primo comma”; 


-translatio 
iudicii 
tra 
giudizio 
arbitrale 
e 
giudizio 
ordinario, 
disciplinata 
dall’art. 
819 
quater 
c.p.c.: 
“il 
processo 
instaurato 
davanti 
al 
giudice 
continua 
davanti 
agli 
arbitri 
se 
una 
delle 
parti 
procede 
a 
norma 
dell’articolo 
810 
entro 
tre 
mesi 
dal 
passaggio 
in 
giudicato 
della 
sentenza 
con 
cui 
è 
negata 
la 
competenza 
in 
ragione 
di 
una 
convenzione 
di 
arbitrato 
o 
dell’ordinanza 
di 
regolamento. 
il 
processo 
instaurato 
davanti 
agli 
arbitri 
continua 
davanti 
al 
giudice 
competente 
se 
la 
riassunzione 
della 
causa 
ai 
sensi 
del-
l’articolo 
125 
delle 
disposizioni 
di 
attuazione 
del 
presente 
codice 
avviene 
entro 
tre 
mesi 
dal 
passaggio 
in 
giudicato 
del 
lodo 
che 
declina 
la 
competenza 
arbitrale 
sulla 
lite 
o 
dalla 
pubblicazione 
della 
sentenza 
o 
dell’ordinanza 
che 
definisce 
la 
sua 
impugnazione. 
Le 
prove 
raccolte 
nel 
processo 
davanti 
al 
giudice 
o 
all’arbitro 
dichiarati 
non 
competenti 
possono 
essere 
valutate 
come 
argomenti 
di 
prova 
nel 
processo 
riassunto 
ai 
sensi 
del 
presente 
articolo. 
L’inosservanza 
dei 
termini 
fissati 
per 
la 
riassunzione 
ai 
sensi 
del 
presente 
articolo 
comporta 
l’estinzione 
del 
processo. 
Si 
applicano 
gli 
articoli 
307, 
quarto 
comma, 
e 
310 
”. 
9. Considerazioni finali. 
Quali 
le 
conclusioni 
sulla 
bontà 
della 
riforma 
dei 
meccanismi 
stragiudiziali 
al fine del recupero della efficienza del processo civile? 


Globalmente, 
è 
una 
onesta 
e 
buona 
novella. 
La 
riforma 
non 
contiene 
stravolgimenti 
nella 
disciplina 
del 
processo, 
operando 
interventi 
di 
manutenzione 
ordinaria 
e, 
a 
tratti, 
di 
manutenzione 
straordinaria. 
Il 
limite 
vero, 
tuttavia, 
è 
che 
essa 
è 
in 
continuità 
con 
la 
politica 
di 
deflazione 
del 
contenzioso 
dell’ultimo 
ventennio, 
finalizzata 
alla 
spasmodica 
ricerca 
della 
ragionevole 
durata 
del 
processo 
tramite 
la 
previsione 
di 
condizioni 
di 
procedibilità 
ed il 
progressivo aumento 
dell’entità 
del 
contributo unificato delle 
spese 
di 
giustizia. Autorevole 
giurista 
ben 
sintetizza 
tale 
situazione 
parlando 
di 
“processo 
sotto 
l’incubo 
della 
ragionevole durata”. 



RASSEGnA 
AVVoCATURA 
DELLo 
STATo -n. 1/2023 


Una 
politica 
deflattiva, 
fatta 
con 
tali 
mezzi, 
a 
giudizio 
dello 
scrivente, 
integra, 
in sostanza, un vulnus 
del diritto di azione. 


Il 
legislatore 
nazionale 
dell’ultimo 
ventennio, 
a 
prescindere 
dal 
clima 
politico, 
punta 
a 
conseguire 
la 
riduzione 
del 
contenzioso 
creando 
reticolati 
e 
barriere 
protettive 
rispetto 
alla 
cittadella 
giudiziaria: 
condizioni 
di 
procedibilità 
-quali 
la 
mediazione 
obbligatoria 
(riguardante 
le 
cause 
più 
rilevanti) 
e 
la 
negoziazione 
assistita 
obbligatoria 
(riguardante 
residualmente 
tutte 
le 
controversie 
di 
valore 
piccolo 
e 
medio) 
-ed 
elevati 
costi 
del 
processo. 
Questi 
strumenti 
contribuiscono 
in 
misura 
inadeguata 
a 
deflazionare 
il 
contenzioso, 
come 
registrato 
nelle 
periodiche 
Relazioni 
del 
Primo 
Presidente 
della 
Corte 
di 
Cassazione 
all’inaugurazione 
dell’anno 
giudiziario 
e 
risultante 
dalle 
varie 
statistiche 
pubblicate. 
nella 
relazione 
del 
Primo 
Presidente 
della 
Corte 
di 
Cassazione 
per 
l’anno 
2023 
si 
rileva 
che 
“Nei 
casi 
in 
cui 
la 
mediazione 
è 
obbligatoria, 
tuttavia, 
si 
segnala 
che 
al 
numero 
delle 
iscrizioni 
non 
corrisponde 
un 
prevalente 
numero 
di 
accordi 
raggiunti, 
mentre 
quando 
la 
mediazione 
è 
delegata 
dal 
giudice, 
anche 
se 
ancora 
in 
misura 
limitata, 
si 
riscontra 
la 
volontà 
delle 
parti 
di 
cercare 
di 
raggiungere 
l’accordo”. 
In 
termini 
di 
efficienza/
economicità 
lo 
strumento 
è 
virtuoso 
se 
conduce 
in 
prevalenza 
a 
definizioni 
bonarie 
(ossia: 
quando 
almeno 
il 
51 
% 
dei 
procedimenti 
preventivi 
conduce 
alla 
definizione 
bonaria). 
Circostanza 
che 
non 
ricorre 
nella 
prassi, 
sicché 
il 
meccanismo 
in 
esame 
viene 
visto 
come 
un 
paletto 
per 
ostacolare 
la 
vista 
del 
giudice. 
Il 
costo 
del 
processo 
è 
notevole, 
tenuto 
conto 
della 
disciplina 
del 
contributo 
unificato 
delle 
spese 
di 
lite, 
che 
è 
in 
periodico 
aumento. 
Ciò 
emerge 
da 
una 
rapida 
scorsa 
dell’art. 
13 
D.P.R. 
30 
maggio 
2002, 
n. 
115 
(testo 
unico 
delle 
disposizioni 
legislative 
e 
regolamentari 
in 
materia 
di 
spese 
di 
giustizia), 
che 
indica 
gli 
importi 
del 
detto 
contributo. 
L’effetto 
convergente 
dei 
due 
fattori, 
in 
uno 
ai 
costi 
dell’avvocato 
difensore, 
è 
che 
i 
soggetti 
vengono 
controstimolati 
ad 
agire 
dinanzi 
al 
giudice 
a 
tutela 
dei 
propri 
diritti. 
E 
ciò 
in 
misura 
proporzionale 
al 
valore 
della 
lite: 
più 
il 
valore 
della 
lite 
è 
basso, 
meno 
si 
è 
stimolati 
ad 
agire 
in 
giudizio, 
considerate 
le 
barriere 
della 
mediazione 
obbligatoria 
e/o 
negoziazione 
assistita 
obbligatoria, 
attesi 
i 
costi 
del 
processo 
ed 
il 
compenso 
da 
pagare 
al 
proprio 
avvocato 
(il 
tutto 
corroborato 
da 
misure 
del 
tipo 
ex 
art. 
91, 
ultimo 
comma 
c.p.c. 
secondo 
cui 
“Nelle 
cause 
previste 
dall’articolo 
82, 
primo 
comma, 
[cause 
il 
cui 
valore 
non 
eccede 
euro 
1.100] 
le 
spese, 
competenze 
ed 
onorari 
liquidati 
dal 
giudice 
non 
possono 
superare 
il 
valore 
della 
domanda”). 


Si 
assiste 
ad un paradosso nell’epoca 
contemporanea: 
il 
catalogo dei 
diritti, 
formalmente, è 
in continuo aumento -vi 
è 
anche 
chi 
provocatoriamente 
parla 
di 
“troppi 
diritti” 
-per effetto dell’evoluzione 
normativa 
(interna, del-
l’Unione 
Europea, internazionale), delle 
statuizioni 
della 
Corte 
costituzionale 
e 
della 
Corte 
di 
cassazione 
(es. la 
categoria 
del 
danno parentale) e 
del 
benessere. 
Tuttavia, gli 
strumenti 
per azionarli 
sono, di 
fatto, limitati. E 
lo sono in 



ConTRIBUTI 
DI 
DoTTRInA 


modo proporzionale 
allo status 
economico del 
soggetto di 
diritto ed al 
valore 
della 
lite. Per chi 
non ha 
adeguate 
disponibilità 
economiche 
è 
stretta, di 
fatto, 
la 
via 
di 
accesso 
alla 
giustizia. 
Tanto 
non 
si 
verifica 
per 
chi 
ha 
redditi 
adeguati. 
All’evidenza, 
per 
il 
grande 
imprenditore 
che 
deve 
attivare 
un 
contenzioso 
con 
il 
committente 
per un appalto di 
notevole 
entità, l’ostacolo di 
filtri 
o costi 
del 
contributo unificato o spese 
legali 
è 
marginale. Anzi, sovente 
l’esemplificato 
grande 
imprenditore, 
pagando, 
attiva 
procedimenti 
alternativi 
di 
giustizia, 
quali gli arbitrati. 

In altre 
parole: 
gli 
strumenti 
preventivi 
ed alternativi 
di 
risoluzione 
delle 
controversie 
possono 
pure 
condurre 
ad 
una 
riduzione 
del 
carico 
di 
lavoro 
degli 
uffici 
giudiziari 
(in questa 
ottica, ed in termini 
assoluti, anche 
la 
definizione 
del 
solo 10% delle 
mediazioni 
e 
negoziazioni 
assistite 
attivate 
è 
un successo), 
ma 
a 
costi 
non ragionevoli, atteso che 
viene 
-surrettiziamente 
-leso il 
diritto 
di azione, che pure ha tutela costituzionale (artt. 24, comma 1, e 113 Cost.). 


I meccanismi 
preventivi 
ed i 
costi 
del 
processo -con effetto di 
controstimolo 
all’azione 
-non sono stati 
incisi 
dalla 
riforma 
Cartabia. Anzi, si 
è 
avuto 
un aumento di 
tali 
tecniche 
(si 
è 
visto innanzi 
che 
sono aumentate 
le 
materie 
nelle quali opera la mediazione obbligatoria). 


De 
iure 
condendo, occorrerebbe 
ridurre 
detti 
ostacoli 
o -almeno con riguardo 
alle 
condizioni 
di 
procedibilità 
-metterli 
in condizione 
di 
funzionare 
in modo efficiente. 

Vuol 
dirsi 
che 
una 
ragionevole 
tecnica 
per 
conseguire 
l’efficienza 
del 
processo 
potrebbe 
essere 
quella 
di 
ridurre 
il 
carico del 
contributo unificato delle 
spese 
di 
giudizio, in uno alla 
applicazione 
rigida 
del 
principio della 
soccombenza 
nel 
carico delle 
spese 
di 
lite. A 
quest’ultimo proposito, va 
rilevato che 
troppe 
volte 
i 
giudici 
non rispettano il 
principio di 
soccombenza, disponendo 


-senza 
che 
sussistano gravi 
ed eccezionali 
ragioni 
ex 
art. 92 c.p.c. -la 
compensazione 
delle 
spese 
di 
lite. Difatti 
è 
frequente 
leggere 
nelle 
sentenze 
che 
“Sussistono 
giusti 
motivi 
per 
compensare 
tra 
le 
parti 
le 
spese 
di 
giudizio”; 
tanto in modo apodittico senza 
poi 
motivare 
sulle 
specifiche 
ragioni, contro 
prescrizioni, 
anche 
chiare, 
che 
impongono 
tale 
motivazione. 
Ciò 
con 
un 
doppio 
danno. In primo luogo si 
elimina 
la 
funzione 
di 
igiene 
processuale 
garantita 
dalla 
regola 
della 
soccombenza: 
il 
rischio di 
essere 
responsabile 
per le 
spese 
scoraggerebbe 
molte 
persone, 
che 
non 
hanno 
reale 
probabilità 
di 
successo, 
dall’agire 
in 
giudizio. 
In 
secondo 
luogo 
non 
viene 
garantita 
la 
piena 
ed 
effettiva 
tutela 
delle 
situazioni 
protette 
alla 
parte 
che 
ha 
ragione, la 
quale 
deve 
sopportare 
le c.d. spese legali anticipate. 
Ulteriore 
ragionevole 
tecnica 
potrebbe 
essere 
quella 
di 
eliminare 
le 
condizioni 
di 
procedibilità, ed in specie 
mediazione 
e 
negoziazione 
assistita 
obbligatoria, 
prevedendo 
solo 
meccanismi 
(preventivi 
od 
alternativi) 
facoltativi. 
Ciò spronerebbe 
ancor di 
più alla 
creazione 
di 
organismi 
conciliativi 
competitivi 
ed altamente 
professionali. Difatti, in presenza 
di 
una 
giustizia 
“privata” 



RASSEGnA 
AVVoCATURA 
DELLo 
STATo -n. 1/2023 


efficiente, il 
cittadino -a 
fronte 
delle 
lungaggini 
e 
dei 
costi 
della 
giustizia 
spontaneamente 
si 
rivolgerebbe 
ad organismi 
privati 
per conseguire 
la 
tutela 
del 
bene 
della 
vita. A 
ciò consigliato anche 
dal 
difensore 
che, all’atto del 
conferimento 
dell’incarico, 
è 
tenuto 
ad 
informare 
l’assistito 
della 
possibilità 
di 
avvalersi 
del 
procedimento di 
mediazione 
e 
delle 
agevolazioni 
fiscali 
(art. 4, 
comma 
2, 
D.L.vo 
n. 
28/2010) 
e 
della 
convenzione 
di 
negoziazione 
assistita 
(art. 2, comma 7, D.L. n. 132/2014, conv. L. n. 162/2014). 

In alternativa, occorrerebbe 
almeno ridurre 
l’ambito della 
obbligatorietà 
della mediazione e della negoziazione assistita. 



ConTRIBUTI 
DI 
DoTTRInA 


La responsabilità medica alla prova dell’ai 


Gaetana Natale* 
Federico D’Orazio** 


Sommario: 1. L’intelligenza artificiale 
e 
le 
sfide 
per 
il 
giurista -2. Le 
principali 
applicazioni 
dell’intelligenza 
artificiale 
in 
medicina 
-3. 
La 
disciplina 
euro-unitaria 
sui 
dispositivi 
medici 
-4. Le 
più recenti 
proposte 
legislative 
dell’Unione 
Europea in materia di 
intelligenza 
artificiale 
-5. 
alcune 
riflessioni 
in 
tema 
di 
ai 
e 
responsabilità 
medica 
-5.1. 
La 
responsabilità 
dell’operatore 
sanitario -5.2. La responsabilità della struttura ospedaliera -5.3. La responsabilità 
del produttore. 


1. L’intelligenza artificiale e le sfide per il giurista. 
Marcel 
Proust 
affermava 
che 
“la 
maggior 
parte 
di 
quello 
che 
i 
medici 
sanno è 
insegnato loro dai 
malati”. Ma 
cosa 
direbbe 
oggi 
Marcel 
Proust 
se 
si 
confrontasse 
con 
gli 
algoritmi 
c.d. di 
rinforzo, con il 
machine 
learning o con 
i 
computer 
neuromorifici? 
negli 
ultimi 
decenni 
si 
è 
assistito 
a 
una 
radicale 
crescita 
dell’impiego di 
sistemi 
di 
Intelligenza 
Artificiale 
(AI) nei 
più diversi 
settori 
(1). 
Tra 
questi, 
l’ambito 
medico 
e 
sanitario 
rappresenta 
certamente 
uno 
dei 
terreni 
che 
si 
è 
rivelato 
particolarmente 
fertile 
per 
l’applicazione 
dei 
sistemi 
di 
AI. 

(*) Avvocato dello Stato, assegnato alla 
V 
sezione 
dell’Avvocatura 
Generale 
dello Stato preposta 
alla 
difesa 
tecnica 
del 
Ministero della 
Salute; 
dottore 
di 
ricerca 
in Comparazione 
e 
diritto civile, professore 
a 
contratto 
di 
Diritto 
sanitario 
nei 
Master 
Daosan; 
Consigliere 
giuridico 
del 
Garante 
per 
la 
tutela 
dei 
dati personali. 
(**) Dottorando di 
ricerca 
presso la 
Scuola 
Superiore 
Sant’Anna 
(Pisa), ammesso alla 
pratica 
forense 
presso l’Avvocatura dello Stato. 


L’articolo costituisce 
lo sviluppo e 
l’approfondimento scientifico della relazione 
“ai and medical 
responsability; 
the 
evolutionary 
Shift 
from 
Strict 
Liability 
to accountability. Current 
regulatory 
Framework 
and Unresolved issues 
in the 
field of 
intelligent 
medical 
Devices” 
presentata dall’avv. dello Stato 
Gaetana Natale 
al 
Simposio internazionale 
“il 
futuro è 
qui: scienza e 
medicina cambiano. Come 
cambierà 
il 
medico?”. Convegno tenutosi 
a Salerno il 
21 ottobre 
2023 in occasione 
della XXii edizione 
de 
Le Giornate della Scuola medica Salernitana. 

(1) 
Il 
sistema 
di 
AI 
più 
noto 
al 
pubblico 
è 
ChatGPT 
di 
open 
ai, 
un 
servizio 
di 
modelli 
linguistici 
di 
grandi 
dimensioni. 
La 
parabola 
di 
questa 
Intelligenza 
Artificiale 
è 
testimone 
della 
rapidità 
dell’evoluzione 
tecnologica: 
da 
più 
parti 
è 
stato 
infatti 
rilevato 
un 
calo 
delle 
performance 
di 
ChatGPT 
negli 
aggiornamenti 
del 
sistema 
e 
il 
superamento 
dello 
stesso 
da 
parte 
di 
altre 
AI. 
Si 
veda 
in 
materia 
G. 
BECCARIA, 
medicina, 
il 
‘Nobel’per 
l’informatica 
LeCun: 
“ChatGpt 
è 
superato, 
ecco 
l’a.i. 
di 
domani”, 
in 
la 
repubblica, 
20 
settembre 
2023 
(<https://www.repubblica.it/salute/2023/09/19/news/yann_lecun_medicina_intellligenza_artificiale-
413676510/> ultimo accesso 20.09.2023); 
P. BEnAnTI, ChatGPT 
è 
cambiato ma in peggio, 
disponibile 
all’indirizzo 
di 
rete 
<https://www.paolobenanti.com/post/chatgpt-peggiora> 
(ultimo 
accesso 
20.09.2023). 
Quest’ultimo, 
in 
particolare, 
analizza 
le 
metriche 
di 
valutazione 
dell’AI 
osservando 
come 
il 
loro 
cambiamento 
può 
determinare 
una 
diversità 
di 
comportamento 
del 
modello. 
Le 
nuove 
ricerche 
sono 
oggi 
indirizzate 
verso 
la 
creazione 
di 
sistemi 
di 
calcolo 
neuromorfici 
in 
grado 
di 
apprendere 
e 
adattarsi 
in 
corso 
d’opera 
senza 
richiedere 
una 
fase 
di 
apprendimento 
dei 
dati, 
oppure 
dei 
c.d. 
biocomputer 
che 
tentano 
di 
riprodurre 
le 
connessioni 
neurali 
tipiche 
del 
cervello 
umano. 
Per 

RASSEGnA 
AVVoCATURA 
DELLo 
STATo -n. 1/2023 


Come 
spesso 
accade, 
a 
fronte 
dell’evoluzione 
tecnologica 
emergono 
questioni 
etiche 
e 
giuridiche 
che 
necessitano 
di 
una 
adeguata 
risposta 
(2), 
in 
primo 
luogo dal 
punto di 
vista 
regolatorio, così 
che 
le 
potenzialità 
delle 
nuove 
tecnologie 
possano 
svilupparsi 
senza 
pregiudicare 
la 
tutela 
dei 
diritti 
fondamentali 
della persona e dei postulati dello Stato democratico. 


Con 
particolare 
riguardo 
alle 
applicazioni 
dell’AI 
in 
medicina, 
con 
elevato 
grado 
di 
approssimazione, 
possono 
individuarsi 
tre 
principali 
sfide 
che 
si 
pongono 
all’attenzione 
del 
giurista 
(3): 
i) 
assicurare 
la 
qualità 
dei 
dati 
di 
addestramento 
degli 
algoritmi 
di 
modo 
tale 
che 
essi 
non 
riflettano 
i 
vizi 
o 
i 
pregiudizi 
delle 
informazioni 
immesse 
nel 
sistema 
di 
AI 
(4); 
ii) 
garantire 
la 
tutela 
del 
paziente 
e 
dei 
suoi 
dati 
personali 
nel 
rispetto 
della 
disciplina 
sul 
consenso 
informato; 
iii) 
predisporre 
un 
adeguato 
regime 
di 
responsabilità 
per 
i 
danni 
prodotti 
da 
decisioni 
mediche 
che 
siano 
state 
influenzate 
dall’impiego 
di 
sistemi 
di 
AI, 
oppure 
che 
siano 
state 
portate 
a 
compimento 
mediante 
gli 
stessi. 


L’obiettivo di 
questo contributo è 
soffermarsi, in particolare, sulla 
terza 
questione 
menzionata, 
ovvero 
quella 
riguardante 
l’incidenza 
dell’applicazione 
in ambito sanitario dell’AI sulla disciplina della responsabilità medica. 


A 
tale 
scopo, 
dopo 
aver 
analizzato 
le 
principali 
applicazioni 
dell’AI 
in 
medicina 
e 
le 
innovazioni 
da 
esse 
derivanti 
nell’ambito della 
diagnosi 
e 
del 
trattamento 
delle 
patologie 
(paragrafo 
2), 
si 
concentrerà 
l’attenzione 
dapprima 
sulla 
disciplina 
europea 
dei 
dispositivi 
medici 
(paragrafo 
3) 
e, 
successivamente, 
sulle 
più 
recenti 
proposte 
legislative 
avanzate 
a 
livello 
dell’Unione 
Europea 
per la regolazione dell’Intelligenza 
Artificiale (paragrafo 4). 

In questo modo, si 
ritiene 
di 
poter individuare 
alcuni 
dei 
principali 
ele


alcuni 
spunti 
v. 
gli 
indirizzi 
di 
rete 
<https://scenarieconomici.it/computer-neuromorfici-la-vianeurale-
verso-lintelligenza-artificiale/> 
e 
<https://it.euronews.com/next/2023/09/07/siamo-alliniziodi-
una-rivoluzione-la-ricerca-punta-sui-biocomputer> 
(ultimo 
accesso 
20.09.2023). 
nell’ambito 
di 
questo 
settore 
della 
ricerca 
scientifica 
si 
parla 
ormai 
anche 
di 
“computer 
liquido 
a 
DnA”: 
<https://scenarieconomici.
it/computer-a-dna-ora-i-ricercatori-hanno-realizzato-un-computer-liquido/>. 


(2) In dottrina 
è 
stato osservato come 
l’avanzare 
delle 
nuove 
tecnologie 
possa 
causare 
una 
“disruption” 
della 
regolazione 
giuridica 
esistente 
di 
determinati 
fenomeni: 
R. BRownSwoRD 
et 
al., Law, 
regulation and Technology: The 
Field, Frame, and Focal 
Questions, in R. BRownSwoRD 
et 
al. 
(eds.), 
oxford Handbook of Law, regulation and Technology, oUP, 2017, pp. 3 ss. 
(3) Per una 
più ampia 
riflessione 
sulle 
sfide 
per il 
giurista 
poste 
dall’AI si 
rinvia 
a 
G. nATALE, intelligenza 
artificiale, neuroscienze, algoritmi: le 
sfide 
future 
per 
il 
giurista. L’uomo e 
la macchina, in 
rassegna avvocatura dello Stato, 2020, n. 4, pp. 249 ss. 
(4) 
Per 
un 
approfondimento 
del 
tema 
v. 
G. 
RESTA, 
Governare 
l’innovazione 
tecnologica: 
decisioni 
algoritmiche, diritti 
digitali 
e 
principio di 
uguaglianza, in Politica del 
diritto, 2019, n. 2, pp. 199 ss.; 
A. 
GERyBAITE, S. PALMIERI, F. VIGnA, Equality 
in Healthcare 
ai: Did anyone 
mention Data Quality?, in 
BioLaw Journal 
-rivista di 
BioDiritto, 2022, n. 4, pp. 385 ss.; 
G. RE 
FERRÈ, Data donation and data 
altruism 
to face 
algorithmic 
bias 
for 
an inclusive 
digital 
healthcare, in BioLaw Journal 
-rivista di 
Bio-
Diritto, 2023, n. 1, pp. 115 ss. Sul 
problema 
delle 
bias 
traslazionali 
e 
di 
contesto nel 
settore 
medico v. 
G. CoMAnDé, intelligenza artificiale 
e 
responsabilità tra liability 
e 
accountability. il 
carattere 
trasformativo 
dell’ia 
e 
il 
problema della responsabilità, in analisi 
Giuridica dell’Economia, 2019, n. 1, pp. 
181 ss. 

ConTRIBUTI 
DI 
DoTTRInA 


menti 
utili 
a 
tratteggiare 
il 
quadro regolatorio in materia 
di 
responsabilità 
per 
danno prodotto da sistemi di 
AI (paragrafo 5). 


2. Le principali applicazioni dell’intelligenza artificiale in medicina. 
Le 
applicazioni 
dell’Intelligenza 
Artificiale 
in 
medicina 
sono 
al 
giorno 
d’oggi 
molto numerose 
ed involgono differenti 
ambiti 
della 
materia 
(5). Uno 
dei 
settori 
in 
cui 
le 
potenzialità 
dell’AI 
sono 
più 
facilmente 
riscontrabili 
è 
quello 
della 
diagnosi 
delle 
malattie. 
Tra 
le 
diverse 
applicazioni 
innovative 
merita 
soffermarsi, in primo luogo, sui 
sistemi 
algoritmici 
in grado di 
diagnosticare 
la 
presenza 
di 
patologie 
nei 
pazienti 
sulla 
base 
dell’analisi 
di 
esami 
di 
diagnostica per immagini. 


Tra 
i 
casi 
più significativi 
vi 
è 
quello riguardante 
lo sviluppo dell’algoritmo 
“DLAD” 
(Deep 
Learning 
based 
automatic 
Detection), 
avvenuto 
nel 
2018, che 
ha 
permesso ai 
ricercatori 
del 
Seoul 
National 
University 
Hospital 
and College 
of 
medicine 
di 
elaborare 
un sistema 
intelligente 
in grado di 
analizzare 
le 
radiografie 
del 
torace 
e 
di 
rilevare 
la 
crescita 
anormale 
delle 
cellule 
(6). 
L’algoritmo 
si 
è 
dunque 
dimostrato 
utile 
nella 
rilevazione 
di 
patologie, 
come 
il 
cancro ai 
polmoni, sulla 
base 
di 
scansioni 
TC. Altri 
algoritmi 
di 
AI, 
come 
quello elaborato da 
arterys 
inc., che 
ha 
ottenuto l’approvazione 
della 
Food and Drug administration (FDA) statunitense 
(7) nel 
2022, sono invece 
in grado di rilevare lesioni cancerogene nel fegato oltre che nei polmoni. 


Tra 
i 
sistemi 
di 
AI impiegati 
per la 
diagnosi 
dei 
tumori 
possono inoltre 
ricordarsi 
l’algoritmo 
“LynA” 
(Lymph 
Node 
assistant) 
creato 
nel 
2018 
dai 
ricercatori 
di 
Google 
ai 
Healthcare 
per 
l’identificazione 
di 
tumori 
metastatici 
al 
seno attraverso l’analisi 
delle 
biopsie 
dei 
linfonodi 
(8), nonché 
le 
applicazioni 
di 
AI volte 
a 
diagnosticare 
tumori 
della 
pelle 
e 
a 
permetterne 
una 
classi


(5) 
Per 
una 
panomarica 
introduttiva 
v. 
A.M. 
RAhMAnI 
et 
al., 
machine 
Learning 
(mL) 
in 
medicine: 
review, applications, and Challenges, in mathematics, 2021, n. 9, pp. 2970 ss. 
(6) J.G. nAM 
et 
al., Development 
and Validation of 
Deep Learning-based automatic 
Detection 
algorithm 
for 
malignant 
Pulmonary 
Nodules 
on Chest 
radiographs, in radiology, 2019, vol. 290, pp. 
218 ss. 
(7) I primi 
dispositivi 
medici 
basati 
su sistemi 
di 
AI che 
sono stati 
approvati 
dalla 
FDA 
risalgono 
al 
1995, ma 
il 
loro numero è 
cresciuto radicalmente 
negli 
ultimi 
dieci 
anni. L’intera 
lista 
dei 
dispositivi 
medici 
che 
impiegano l’AI approvati 
dalla 
FDA 
è 
disponibile 
al 
sito di 
rete 
<https://www.fda.gov/medical-
devices/software-medical-device-samd/artificial-intelligence-and-machine-learning-aimlenabled-
medical-devices> (ultimo accesso 05.09.2023). 
(8) Per uno studio delle 
applicazioni 
dell’IA 
per la 
classificazione 
dei 
tumori 
al 
seno v. T.E. MA-
ThEw, 
an 
improvised 
random 
Forest 
model 
for 
Breast 
Cancer 
Classification, 
in 
NeuroQuantology, 
2022, vol. 20, n. 5, pp. 713 ss. 
Google, grazie 
ai 
ricercatori 
di 
Google 
Deepmind, ha 
inoltre 
prodotto un algoritmo chiamato “Alpha-
Missense” 
per la 
previsione 
delle 
malattie 
genetiche 
e 
della 
dannosità 
delle 
mutazioni 
nei 
geni 
umani. 
Si 
veda 
al 
riguardo: 
<https://www.adnkronos.com/economia/malattie-genetiche-la-diagnosi-digoogle 
-con 
-lintelligenza 
-artificiale 
_1Fk07Ky5uyxSTrqFqrLUSx?refresh 
_ce>; 
<https://www.wired.it/article/intelligenza-artificiale-deepmind-google-malattie-genetichealphamissense/> 
(ultimo accesso 23.10.23). 

RASSEGnA 
AVVoCATURA 
DELLo 
STATo -n. 1/2023 


ficazione 
(9). nell’ambito della 
diagnosi 
di 
malattie 
cardiache 
e 
della 
valutazione 
del 
rischio di 
morte 
cardiaca 
improvvisa, spiccano per innovatività 
l’algoritmo 
sviluppato da 
anumana 
in collaborazione 
con Pfizer 
per la 
diagnosi 
della 
amiloidosi 
cardiaca 
e 
quello 
di 
aliveCor 
per 
l’identificazione 
delle 
fibrillazioni 
atriali (approvato dalla FDA già nel 2014) (10). 


In 
termini 
generali, 
quel 
che 
appare 
sorprendente 
è 
che, 
secondo 
uno 
studio 
del 
2019, l’Intelligenza 
Artificiale 
potrebbe 
essere 
in grado di 
riconoscere 
le 
malattie 
sulla 
base 
di 
diagnostica 
per immagini 
con la 
stessa 
efficacia 
del 
personale 
medico 
(11). 
In 
particolare, 
sulla 
base 
del 
confronto 
tra 
le 
prestazioni 
dell’AI 
e 
quelle 
degli 
operatori 
sanitari 
nel 
rilevare 
le 
malattie 
utilizzando 
studi 
condotti 
tra 
il 
2012 
e 
il 
2019, 
la 
ricerca 
sostiene 
che 
le 
prestazioni 
diagnostiche 
sono risultate 
equivalenti 
e 
che 
l’utilizzo di 
tecnologie 
di 
deep learning 
potrebbe 
rendere 
ancora 
più 
efficiente 
l’identificazione 
delle 
malattie 
da 
parte 
dell’AI nei prossimi anni. 


Al 
di 
fuori 
delle 
applicazioni 
per 
la 
diagnosi 
delle 
patologie, 
l’AI 
ha 
trovato 
recente 
utilizzazione 
anche 
per 
la 
creazione 
e 
la 
produzione 
di 
nuovi 
farmaci 
(12). 


Le 
aziende 
farmaceutiche 
Exscientia 
e 
Sumitomo 
Dainippon 
hanno 
ad 
esempio prodotto con l’ausilio dell’AI un farmaco per il 
trattamento del 
disturbo 
ossessivo compulsivo che 
si 
trova 
al 
momento in fase 
di 
sperimentazione 
clinica 
in 
Giappone. 
Il 
farmaco 
è 
stato 
sviluppato 
in 
un 
solo 
anno, 
contro 
i 
cinque 
anni 
di 
cui 
generalmente 
necessitano simili 
progetti. Pur dovendosi 
ancora 
valutare 
a 
pieno l’efficacia 
clinica 
del 
medicinale, la 
rapidità 
con cui 
è 
stato 
realizzato 
appare 
sintomo 
dei 
vantaggi 
che 
possono 
derivare 
dall’impiego 
di sistemi di 
AI per la creazione di farmaci. 


Conclusioni 
di 
questo 
tipo 
trovano 
conferma 
in 
altri 
casi 
simili: 
il 
farmaco 
“InS018_055” 
per 
la 
cura 
della 
fibrosi 
polmonare 
idiopatica, 
di 
proprietà 
della 


(9) K. DAS 
et 
al., machine 
Learning and its 
application in Skin Cancer, in international 
Journal 
of Environment research and Public Health, 2021, pp. 1 ss. 
(10) 
Merita 
sottolineare 
che 
l’elencazione 
qui 
proposta 
è 
meramente 
esemplificativa 
dal 
momento 
che 
le 
applicazioni 
dell’AI 
per 
la 
diagnosi 
delle 
malattie 
sono 
oggi 
innumerevoli. 
Si 
consideri, 
ad 
esempio, 
che 
la 
FDA 
statunitense 
ha 
approvato 
anche 
un 
algoritmo 
impiegato 
per 
la 
diagnosi 
della 
retinopatia 
diabetica 
(si 
tratta 
dell’algoritmo “IDx” 
della 
Digital 
Diagnostics 
inc.) oppure 
che 
ulteriori 
innovative 
applicazioni 
dell’AI permettono oggi 
di 
aiutare 
i 
medici 
nell’identificazione 
della 
tipologia 
di 
tumore 
durante 
un intervento chirurgico: 
C. VERMEULEn 
et 
al., Ultra-fast 
deep-learned CNS tumour 
classification 
during surgery, in Nature, 11 ottobre 2023. 
(11) X. LIU 
et 
al., a 
comparison of 
deep learning performance 
against 
health-care 
professionals 
in detecting diseases 
from 
imaging: a systematic 
review and meta-analysis, in Lancet 
Digital 
Health, 
2019, n. 1, pp. 271 ss. 
In un recente 
caso italiano, tramite 
l’impiego di 
sistemi 
di 
AI è 
stata 
rilevata 
in una 
paziente 
una 
dissezione 
coronarica 
che 
non era 
emersa 
nell’analisi 
della 
diagnostica 
per immagini 
compiuta 
dal 
personale 
sanitario. La 
notizia 
è 
stata 
riportata 
dal 
giornale 
il 
mattino. L’articolo è 
disponibile 
all’indirizzo di 
rete 
<https://www.ilmattino.it/napoli/citta/napoli_cardiologo_salva_paziente_grazie_all_intelligenza_artificale-
7669825.html?refresh_ce> (ultimo accesso 23.10.2023). 
(12) Per un’ampia 
analisi 
si 
veda 
J. KRAUS, Can artificial 
intelligence 
revolutionize 
drug discovery?, 
in ai & Society, 2020, vol. 35, pp. 501 ss. 

ConTRIBUTI 
DI 
DoTTRInA 


società 
biotecnologica 
di 
hong Kong insilico medicine, è 
stato interamente 
progettato 
dall’AI 
in 
tempi 
rapidissimi 
ed 
è 
stato 
recentemente 
autorizzato 
per 
la 
sperimentazione 
umana 
(corrispondente 
alla 
fase 
II della 
sperimentazione 
clinica). 


Secondo i 
risultati 
di 
un recente 
studio, i 
sistemi 
di 
AI sarebbero inoltre 
in grado di 
favorire 
la 
creazione 
di 
nuovi 
antibiotici. Grazie 
all’AI, è 
stato infatti 
possibile 
riportare 
in 
vita 
le 
molecole 
di 
proteine 
estinte, 
prodotte 
da 
ominidi 
dei 
tempi 
di 
neanderthal; 
le 
proteine 
delle 
specie 
estinte 
potrebbero 
essere 
una 
risorsa 
non 
sfruttata 
per 
lo 
sviluppo 
di 
antibiotici 
(13). 
L’importanza 
della 
scoperta 
si 
comprende 
agevolmente 
se 
solo si 
considera 
che 
la 
produzione 
di 
antibiotici 
ha 
subito un forte 
rallentamento negli 
ultimi 
decenni, mentre 
il 
numero 
di batteri a loro resistenti è in aumento. 

Un altro ambito applicativo molto importante 
è 
poi 
quello della 
valutazione 
delle 
interazioni 
tra 
i 
farmaci. 
numerosi 
algoritmi 
sono 
infatti 
impiegati 
per valutare 
le 
interazioni 
tra 
medicinali 
a 
partire 
dalle 
cartelle 
cliniche 
elettroniche 
o dalle 
segnalazioni 
di 
eventi 
avversi 
da 
parte 
di 
pazienti, oppure 
ancora 
dai 
database 
dell’oMS. 
In 
altri 
casi, 
gli 
algoritmi 
per 
la 
valutazione 
dell’interazione 
tra 
farmaci 
è 
stata 
posta 
ad oggetto di 
ricerche 
universitarie 
in 
materia 
di 
terapie 
antitumorali. 
Una 
analisi 
condotta 
dai 
ricercatori 
della 
Vanderbilt 
University ha 
studiato, ad esempio, come 
ottimizzare 
la 
terapia 
di 
combinazione 
per il 
tumore 
del 
polmone 
non a 
piccole 
cellule 
e 
per il 
melanoma 
servendosi 
dell’algoritmo 
“MuSyC” 
(multi-dimensional 
synergy 
of 
combinations) 
(14). 


Inoltre, grazie 
all’impiego di 
sistemi 
di 
AI, è 
stato possibile 
permettere 
a 
persone 
paralizzate 
di 
riacquistare 
la 
capacità 
di 
parola 
o di 
camminare: 
se 
in 
un caso una 
donna 
paralizzata 
a 
causa 
di 
in ictus 
ha 
potuto ricominciare 
a 
comunicare 
attraverso 
un 
avatar 
digitale 
comandato 
con 
il 
pensiero 
che 
riproduce 


-si 
tratta, dunque 
di 
un’interfaccia 
in grado di 
tradurre 
i 
segnali 
dell’attività 
cerebrale 
in parole 
ed espressioni 
(15) -, in un altro caso la 
creazione 
di 
una 
interfaccia 
cervello-spina 
dorsale 
ha 
permesso a 
una 
persona 
paralizzata 
di 
ricominciare 
a camminare (16). 
Risultati 
significativi 
sono 
stati 
ottenuti 
anche 
nel 
contrasto 
alla 
diffusione 
del 
Covid-19 e 
nel 
campo della 
psicologia. Per quanto riguarda 
il 
primo profilo, 
merita 
evidenziare 
che 
l’AI è 
stata 
utilmente 
utilizzata 
per predire, iden


(13) J. MAASCh 
et 
al., molecular 
de-extinction of 
ancient 
antimicrobial 
peptides 
enabled by 
ma-
chine learning, in Cell Host & microbe, 2023, vol. 31, pp. 1260 ss. 
(14) 
Si 
consulti 
al 
riguardo 
l’indirizzo 
di 
rete 
<https://news.vanderbilt.edu/2019/02/20/new-algorithm-
calculates-drug-synergy-initial-tests-involve-melanoma-lung-cancer/> 
(ultimo 
accesso 
31.08.22). 
(15) 
S. 
AMBRoGIo 
et 
al., 
an 
analog-ai 
chip 
for 
energy-efficient 
speech 
recognition 
and 
transcription, 
in Nature, 24 August 2023, vol. 620, pp. 768 ss. 
(16) h. LoRACh 
et 
al., Walking naturally 
after 
spinal 
cord injury 
using a brain-spine 
interface, in 
Nature, 1 June 2023, vol. 618, pp. 126 ss. 

RASSEGnA 
AVVoCATURA 
DELLo 
STATo -n. 1/2023 


tificare 
e 
tracciare 
la 
diffusione 
del 
Covid-19, 
nonché 
per 
lo 
sviluppo 
di 
alcune 
cure e vaccini (17). 


Con riferimento invece 
alle 
applicazioni 
dell’AI in psicologia, si 
osserva 
una 
sempre 
più ampia 
diffusione 
di 
programmi 
per la 
diagnosi 
di 
disturbi 
psicologici 
e 
per il 
supporto dello psicologo nell’individuazione 
del 
trattamento 
più 
consono 
del 
paziente. 
Tra 
questi, 
possono 
menzionarsi 
in 
questa 
sede 
il 
programma 
“Mser-Diagno” 
che 
utilizza 
il 
mental 
Status 
Examination record 
(MSER) per valutare 
lo stato psichico del 
paziente 
e 
produrre 
un report 
narrativo, 
sulla 
cui 
base 
viene 
fornita 
un’indicazione 
diagnostica 
e 
di 
trattamento, 
nonché le 
chatbox 
“Eliza” e “woebot” (18). 

In particolare, Eliza 
rappresenta 
la 
prima 
AI pensata 
per la 
pratica 
psicologica; 
essa 
fu sviluppata 
nel 
1966 da 
Joseph weizenbaum 
del 
massachusetts 
institute 
of 
Technology 
con l’obiettivo di 
creare 
un sistema 
che 
simulasse 
un 
terapeuta 
e 
fosse 
in 
grado 
di 
instaurare 
legame 
empatico 
con 
il 
paziente. 
In 
uno 
studio 
del 
2013 
è 
stato 
operato 
un 
confronto 
tra 
Eliza 
e 
uno 
psicoterapeuta 
di 
formazione 
cognitivo-comportamentale 
(19): 
una 
paziente 
ha 
partecipato a 
due 
brevi 
sessioni 
consecutive 
della 
durata 
di 
15 minuti, di 
cui 
la 
prima 
svolta 
con 
la 
chatbox 
Eliza 
e 
la 
seconda 
con 
lo 
psicoterapeuta 
di 
persona. 
L’indagine 
svolta 
andava 
a 
indagare 
aspetti 
sia 
relativi 
alla 
performance, 
quali 
ad 
esempio 
l’efficienza 
della 
discussione 
e 
il 
corretto approccio al 
problema 
portato dalla 
paziente, sia la qualità della relazione terapeutica. 

Per 
altro 
verso, 
Woebot 
costituisce 
una 
delle 
ultime 
chatbox 
ideate 
per 
l’applicazione 
nel 
campo della 
psicologia. È 
un programma 
del 
2017 sviluppato 
dall’Università 
di 
Stanford che, utilizzando una 
matrice 
cognitivo-comportamentale, 
offre 
un 
supporto 
personalizzato 
per 
coloro 
che 
soffrono 
di 
depressione 
o ansia. In particolare, Woebot 
utilizza 
la 
c.d. sentiment 
analysis, 
un 
processo 
di 
calcolo 
che 
analizza 
e 
cataloga 
le 
emozioni 
del 
paziente, 
nonché 
la 
emotion detection 
che 
permette 
di 
individuare 
le 
emozioni 
all’interno del 
testo prodotto dai pazienti con risultati molto efficaci. 


Le 
applicazioni 
dell’AI nel 
campo della 
psicologia 
inducono a 
riflettere 


(17) 
Per 
un 
approfondimento 
di 
come 
i 
sistemi 
di 
IA 
siano 
stati 
impiegati 
nella 
lotta 
contro 
il 
Covid-19 
v. 
T. 
ALAFIF 
et 
al., 
machine 
and 
Deep 
Learning 
towards 
CoViD-19 
Diagnosis 
and 
Treatment: 
Survey, 
Challenges, 
and 
Future 
Directions, 
in 
international 
Journal 
of 
Environmental 
research 
and 
Public 
Health, 2021, pp. 1 ss.; 
n. TAyARAnI, applications 
of 
artificial 
intelligence 
in Battling against 
Covid-19: a Literature review, in Chaos, Solitons & Fractals, 2021, vol. 142, pp. 1 ss. 
(18) 
Altri 
programmi 
che 
fanno 
uso 
dell’IA 
in 
psicologia 
sono, 
ad 
esempio, 
il 
programma 
“Sciroppo”, 
un 
sistema 
di 
supporto 
alle 
decisioni 
sul 
percorso 
psicoterapeutico 
da 
adottare 
per 
il 
paziente 
i 
cui 
dati 
anamnestici 
vengono 
valutati 
dal 
sistema; 
il 
programma 
“Sexpert” 
per 
la 
diagnosi 
e 
il 
trattamento 
di 
disturbi 
di 
natura 
sessuale; 
il 
programma 
“Espdq-C” 
per 
la 
rilevazione 
di 
disturbi 
della 
personalità. 
(19) I.A. CRISTEA, M. SUCALA, D. DAVID, Can you tell 
the 
difference? Comparing face-to-face 
versus 
computer-based interventions. The 
“Eliza” 
effect 
in Psychotherapy, in Journal 
of 
Cognitive 
and 
Behavioral Psychotherapies, 2013, vol. 13, n. 2, pp. 291 ss. 

ConTRIBUTI 
DI 
DoTTRInA 


sulla 
concreta 
possibilità 
che 
i 
sistemi 
di 
AI possano sostituirsi 
allo psicoterapeuta 
o, 
in 
termini 
più 
generali, 
al 
personale 
medico 
con 
esiti 
non 
del 
tutto 
prevedibili. 
In 
effetti, 
secondo 
i 
risultati 
di 
un 
report 
commissionato 
dallo 
Steering 
Committee 
for 
Human rights 
in the 
fields 
of 
Biomedicine 
and Health 
del 
Consiglio d’Europa 
i 
sistemi 
di 
AI sarebbero potenzialmente 
in grado di 
alterare 
il 
rapporto medico-paziente 
(20). Ancora 
una 
volta 
si 
tratterà 
dunque 
di 
indirizzare 
l’innovazione 
tecnologica 
in 
una 
direzione 
che 
sia 
rispettosa 
dei 
diritti e della dignità del paziente. 


Al 
riguardo, 
merita 
riprendere 
le 
considerazioni 
dello 
Steering 
Committee, 
affidate 
ai 
concluding 
remarks 
del 
report: 
“The 
degree 
to 
which 
AI 
systems 
inhibit 
‘good’ 
medical 
practice 
hinges 
upon 
the 
model 
of 
service. 
If 
AI 
is 
used 
solely 
to 
complement 
the 
expertise 
of 
health 
professionals 
bound 
by 
the 
fiduciary 
obligations 
of 
the 
doctor-patient 
relationship, 
the 
impact 
of 
AI 
on 
the 
trustworthiness 
and 
human 
quality 
of 
clinical 
encounters 
may 
prove 
to 
be 
minimal. 
At 
the 
same 
time, 
if 
AI 
is 
used 
to 
heavily 
augment 
or 
replace 
human 
clinical 
expertise, 
its 
impact 
on 
the 
caring 
relationship 
is 
more 
difficult 
to 
predict. 
It 
is 
entirely 
possible 
that 
new, 
broadly 
accepted 
norms 
‘good’ 
care 
will 
emerge 
through 
greater 
reliance 
on 
AI 
systems, 
with 
clinicians 
spending 
more 
time 
face-to-face 
with 
patients 
and 
relying 
heavily 
on 
automated 
recommendations” 
(21). 


3. La disciplina euro-unitaria sui dispositivi medici. 
Le 
innovazioni 
ottenute 
in 
campo 
sanitario 
grazie 
all’applicazione 
dei 
sistemi 
di 
AI impongono di 
valutare 
se 
tali 
sistemi 
possano essere 
assoggettati 
alla 
regolamentazione 
europea 
dei 
dispositivi 
medici. A 
tale 
scopo, una 
ricognizione 
degli 
atti 
legislativi 
applicabili 
in materia 
di 
dispositivi 
medici 
a 
livello 
europeo 
(22) 
deve 
necessariamente 
prendere 
in 
considerazione 
il 
Regolamento 
(UE) 
2017/745 
relativo 
ai 
dispositivi 
medici 
(23), 
il 
Regolamento 
(UE) n. 536/2014 sulla 
sperimentazione 
clinica 
di 
medicinali 
per uso 
umano (24), e 
il 
Regolamento (CE) n. 726/2004 che 
istituisce 
procedure 
co


(20) B. MITTELSTADT, The 
impact 
of 
artificial 
intelligence 
on The 
Doctor-Patient 
relationship, 
December 2021 (Report 
commissioned by the 
Steering Committee 
for human Rights 
in the 
fields 
of 
Biomedicine and health (CDBIo), Council of Europe). 
(21) B. MITTELSTADT, The 
impact 
of 
artificial 
intelligence 
on The 
Doctor-Patient 
relationship, 
cit., p. 64. 
(22) Per un’analisi 
della 
normativa 
europea 
in materia 
di 
dispositivi 
medici 
v. F.C. LA 
VATTIATA, 
ai-based medical 
devices: the 
applicable 
law in the 
European Union, in BioLaw Journal 
-rivista di 
BioDiritto, 2022, n. 4, pp. 411 ss. 
(23) Regolamento (UE) 2017/745 del 
Parlamento europeo e 
del 
Consiglio del 
5 aprile 
2017 relativo 
ai 
dispositivi 
medici, che 
modifica 
la 
direttiva 
2001/83/CE, il 
regolamento (CE) n. 178/2002 e 
il 
regolamento (CE) n. 1223/2009 e che abroga le direttive 90/385/CEE e 93/42/CEE del Consiglio. 
(24) Regolamento (UE) n. 536/2014 del 
Parlamento europeo e 
del 
Consiglio del 
16 aprile 
2014 
sulla sperimentazione clinica di medicinali per uso umano e che abroga la direttiva 2001/20/CE. 

RASSEGnA 
AVVoCATURA 
DELLo 
STATo -n. 1/2023 


munitarie 
per l’autorizzazione 
e 
la 
sorveglianza 
di 
medicinali 
per uso umano 
e veterinario (25). 


Con 
riferimento 
al 
primo 
atto 
normativo 
menzionato, 
merita 
evidenziare 
che 
il 
Regolamento 
(UE) 
2017/745 
relativo 
ai 
dispositivi 
medici, 
entrato 
in 
vigore 
il 
26 
maggio 
2021, 
ha 
sostituito 
le 
precedenti 
Direttive 
n. 
93/42 
e 
n. 
90/385, 
conservandone 
tuttavia 
la 
disciplina 
integrata 
di 
nuove 
disposizioni 
(26). 
In 
particolare, 
sono 
stati 
ampliati 
i 
controlli 
sulla 
sicurezza 
e 
sulla 
efficacia 
dei 
dispositivi, 
è 
stata 
prevista 
la 
rimozione 
del 
meccanismo 
che 
permetteva 
di 
accelerare 
la 
commercializzazione 
di 
prodotti 
equivalenti 
ad 
altri 
già 
esistenti 
sul 
mercato, 
ed 
è 
stato 
posto 
l’obbligo 
di 
effettuare 
controlli 
successivi 
(clinical 
follow-up) 
alla 
commercializzazione 
per 
tutti 
i 
dispositivi 
medici. 


Tanto 
premesso, 
la 
questione 
circa 
la 
configurabilità 
dei 
sistemi 
di 
AI 
applicati 
in medicina 
alla 
stregua 
di 
dispositivi 
medici 
non può evidentemente 
prescindere, 
in 
primo 
luogo, 
dalla 
definizione 
di 
dispositivo 
medico 
contenuta 
nel Regolamento in esame. 


Ai 
sensi 
dell’art. 
2(1) 
del 
Regolamento, 
costituisce 
un 
dispositivo 
medico 
qualunque 
strumento, apparecchio o software 
“destinato dal 
fabbricante 
a 
essere 
impiegato sull’uomo, da 
solo o in combinazione, per una 
o più delle 
[...] 
destinazioni 
d’uso 
mediche” 
specificamente 
contemplate 
dal 
Regolamento, 
che 
includono 
“diagnosi, 
prevenzione, 
monitoraggio, 
previsione, 
prognosi, 
trattamento o attenuazione di malattie” (27). 


Alla 
luce 
della 
vigente 
definizione, 
la 
possibilità 
di 
definire 
uno 
strumento 
di 
intelligenza 
artificiale 
quale 
dispositivo medico dipende 
pertanto dalla 
sussistenza 
di 
due 
elementi: 
da 
un 
alto, 
il 
perseguimento 
di 
uno 
degli 
obiettivi 
medici 
individuati 
dall’art. 2(1) e, dall’altro, l’intento del 
fabbricante 
di 
produrre 
un dispositivo da impiegarsi per fini medici (28). 


La 
disciplina 
contenuta 
nel 
Regolamento 
2017/745 
viene 
altresì 
in 
rilievo 
per 
l’individuazione 
degli 
obblighi 
posti 
in 
capo 
al 
fabbricante 
del 
dispositivo 
medico, i 
quali 
espressamente 
contemplati 
all’art. 10, riguardano la 
garanzia 
della 
sicurezza 
del 
dispositivo, i 
benefici 
clinici 
derivanti 
dal 
suo impiego e 
la 
qualità del prodotto messo in commercio. 


(25) Regolamento (CE) n. 726/2004 del 
Parlamento europeo e 
del 
Consiglio del 
31 marzo 2004 
che 
istituisce 
procedure 
comunitarie 
per 
l’autorizzazione 
e 
la 
sorveglianza 
dei 
medicinali 
per 
uso 
umano 
e veterinario, e che istituisce l’agenzia europea per i medicinali. 
(26) Per l’analisi 
dei 
profili 
innovativi 
della 
nuova 
disciplina 
europea 
sui 
dispositivi 
medici 
v. n. 
MARTELLI 
et 
al., New regulation for 
medical 
Devices: What 
is 
Changing?, in Cardiovascular 
and interventional 
radiology, 2019, vol. 42, pp. 1272 ss. 
(27) Art. 2(1), Reg. (UE) 2017/745. 
(28) In questo senso si 
erano già 
espresse 
le 
linee 
guida 
emanate 
dalla 
Commissione 
europea 
con 
riferimento alle 
direttive 
precedenti: 
European Commission, Guidelines 
on the 
qualification and classification 
of 
stan alone 
software 
used in healtcare 
within the 
regulatory 
framework 
of 
medical 
devices 
(MEDDEV 2.1/6), July 2016. 



ConTRIBUTI 
DI 
DoTTRInA 


nell’impostazione 
di 
tale 
disciplina 
assumono ruolo centrale 
-anche 
al 
fine 
di 
verificare 
che 
il 
fabbricante 
adempia 
agli 
obblighi 
prescritti 
e, dunque, 
che 
il 
prodotto sia 
conforme 
alle 
esigenze 
di 
sicurezza 
ed efficacia 
del 
dispositivo 
medico -le 
valutazioni 
e 
le 
indagini 
cliniche 
di 
cui 
esso è 
oggetto: 
per 
limitarsi 
ad alcuni 
esempi, può segnalarsi 
la 
disposizione 
dell’art. 61, che 
fa 
obbligo al 
fabbricante 
di 
precisare 
e 
motivare 
il 
“livello di 
evidenze 
cliniche 
necessario a 
dimostrare 
il 
rispetto dei 
pertinenti 
requisiti 
generali 
di 
sicurezza 
e 
prestazione”, e 
prescrive 
inoltre, che 
“[t]ale 
livello di 
evidenze 
cliniche 
dev’essere 
appropriato in considerazione 
delle 
caratteristiche 
del 
dispositivo e 
della 
sua 
destinazione 
d’uso”. Di 
conseguenza 
il 
fabbricante 
è 
tenuto ad aggiornare 
periodicamente 
le 
valutazioni 
cliniche, affinché 
sia 
garantita 
la 
continuativa 
efficacia 
del 
dispositivo medico rendendo disponibili 
i 
risultati 
delle 
indagini 
in appositi 
report. Egualmente 
rilevante 
è 
l’art. 62, che 
disciplina 
le 
indagini 
cliniche 
e 
ne 
predispone 
i 
requisiti 
procedurali: 
finalità 
principale 
di 
tali 
indagini 
è 
quella 
di 
accertare 
che 
il 
dispositivo sia 
idoneo a 
svolgere 
una 
delle 
funzioni 
mediche 
rientranti 
nell’ambito 
di 
applicazione 
del 
Regolamento, 
di 
riscontrare 
la 
sussistenza 
di 
benefici 
clinici 
conseguenti 
all’utilizzazione 
di 
tale 
dispositivo, 
di 
verificarne 
la 
sicurezza, 
di 
individuare 
eventuali 
effetti 
collaterali 
del 
suo impiego e 
di 
valutare 
se 
questi 
costituiscano rischi 
accettabili 
nel confronto con i benefici attesi. 


Per 
quanto 
riguarda, 
in 
secondo 
luogo, 
la 
normativa 
sulla 
sperimentazione 
clinica 
di 
medicinali 
per 
uso 
umano 
contenuta 
nel 
Regolamento 
(UE) 
n. 
536/2014, va 
sottolineata 
la 
limitata 
rilevanza 
per i 
sistemi 
di 
AI utilizzati 
in 
campo medico. Le 
relative 
disposizioni 
non sono infatti 
applicabili 
ai 
dispositivi 
medici 
elaborati 
grazie 
all’impiego di 
sistemi 
di 
AI, salvo i 
casi 
in cui 
il 
prodotto sanitario risulti 
da 
una 
combinazione 
dei 
dispositivi 
medici 
con prodotti 
farmaceutici sottoposti alla normativa in esame (29). 


In 
termini 
diversi 
viene 
in 
gioco 
il 
Regolamento 
(CE) 
n. 
726/2004 
che 
ha 
istituito l’Agenzia 
Europea 
per i 
Medicinali 
(EMA) con lo scopo di 
promuovere 
uno standard di 
eccellenza 
nella 
valutazione 
e 
supervisione 
dei 
medicinali. 
L’attività 
dell’Agenzia, 
com’è 
noto, 
consiste 
principalmente 
nel 
prestare 
assistenza 
agli 
Stati 
Membri 
e 
alle 
Istituzioni 
dell’UE 
mediante 
pareri 
scientifici 
e 
tecnici 
sulla 
qualità, 
sulla 
sicurezza 
e 
sulla 
efficacia 
dei 
medicinali. 
Inoltre, l’EMA 
coordina 
la 
definizione 
di 
linee 
guida 
per il 
rilascio delle 
autorizzazioni 
di 
immissione 
nel 
mercato di 
medicine 
destinate 
ad uso umano, e 
presiede 
alle 
attività 
di 
sorveglianza 
e 
controllo 
dei 
medicinali 
dopo 
la 
loro 
commercializzazione. 


nel 
caso 
di 
prodotti 
composti 
da 
dispositivi 
medici 
fondati 
sull’uso 
combinato 
di 
sistemi 
di 
AI e 
di 
medicinali, l’EMA 
è 
pertanto responsabile 
per la 


(29) F.C. LA 
VATTIATA, ai-based medical 
devices: the 
applicable 
law in the 
European Union, cit., 
pp. 423-424. 

RASSEGnA 
AVVoCATURA 
DELLo 
STATo -n. 1/2023 


valutazione 
della 
qualità, efficacia 
e 
sicurezza 
dei 
prodotti 
oggetto delle 
domande 
di 
autorizzazione 
per 
l’immissione 
nel 
mercato. 
In 
particolare, 
nelle 
diverse 
ipotesi 
in cui 
il 
dispositivo medico basato su sistemi 
di 
AI richiede 
un 
trattamento 
medicinale 
di 
carattere 
meramente 
ancillare, 
l’EMA 
sarà 
chiamata 
ad emettere 
un parere 
sulla 
qualità 
e 
sulla 
sicurezza 
della 
sostanza 
medicinale 
ancillare. 


4. Le 
più recenti 
proposte 
legislative 
dell’Unione 
Europea in materia di 
intelligenza 
artificiale. 
Tra 
le 
iniziative 
legislative 
dell’Unione 
Europea 
in materia 
di 
AI riveste 
un ruolo di 
primo piano la 
Proposta 
di 
Regolamento del 
Parlamento europeo 
e 
del 
Consiglio che 
stabilisce 
regole 
armonizzate 
sull’intelligenza 
artificiale 
(Legge sull’intelligenza artificiale) del 21 aprile 2021 (30). 


La 
Proposta 
suddetta 
si 
pone 
due 
obiettivi 
principali: 
da 
un 
lato 
affrontare 
i 
rischi 
riguardanti 
alcune 
specifiche 
applicazioni 
dell’Intelligenza 
Artificiale 
e, dall’altro, promuovere 
lo sviluppo di 
questo tipo di 
tecnologia 
(31). In questa 
prospettiva, 
com’è 
noto, 
la 
regolamentazione 
proposta 
con 
l’ai 
act 
si 
fonda 
sull’individuazione 
di 
differenti 
livelli 
di 
rischio che 
vengono associati 
al 
tipo 
di sistema di 
AI impiegato (“risk-based approach”). 


Gli 
snodi 
centrali 
della 
proposta 
regolatoria 
vertono 
sulla 
predisposizione 
di 
una 
definizione 
ampia 
di 
Intelligenza 
Artificiale 
(32) 
come 
tale 
idonea 
a 
contenere 
anche 
i 
futuri 
sviluppi 
della 
tecnologia; 
sulla 
configurazione 
di 
una 
regolamentazione 
incentrata 
sui 
casi 
di 
c.d. alto rischio; 
sul 
divieto di 
utilizzazione 
di 
alcuni 
tipi 
di 
AI specificamente 
individuati 
per ragioni 
di 
tutela 
di 
diritti 
e 
libertà 
fondamentali; 
e 
sull’individuazione 
di 
requisiti 
minimi 
di 
trasparenza 
applicabili in tutti i casi di impiego di sistemi di 
AI. 


nell’analisi 
della 
disciplina 
contenuta 
nell’ai 
act, 
che 
intende 
coprire 
sia 
le 
fasi 
di 
sviluppo 
e 
di 
commercializzazione 
dei 
sistemi 
di 
AI 
sia 
quella 
di 
concreta 
applicazione 
degli 
stessi, due 
principali 
questioni 
vengono in rilievo: 
da 
un lato, la 
definizione 
del 
rapporto della 
normativa 
proposta 
con gli 
altri 
atti 


(30) Proposta 
di 
Regolamento del 
Parlamento europeo e 
del 
Consiglio che 
stabilisce 
regole 
armonizzate 
sull’intelligenza 
artificiale 
(Legge 
sull’Intelligenza 
Artificiale) 
e 
modifica 
alcuni 
atti 
legislativi 
dell’Unione, Bruxelles, 21.4.2021 (CoM(2021) 206 final). 
(31) Si 
veda 
sul 
punto la 
relazione 
introduttiva 
della 
Proposta 
(punto n. 1.1., riguardante 
“Motivi 
e obiettivi della proposta”). 
(32) Si 
tratta 
di 
una 
scelta 
che 
è 
stata 
criticata 
da 
una 
parte 
della 
dottrina, la 
quale 
ritiene 
che, a 
fronte 
dell’impossibilità 
di 
fornire 
una 
definizione 
di 
AI in grado di 
coprirne 
tutte 
le 
presenti 
e 
future 
applicazioni, sarebbe 
più opportuno provvedere 
alla 
sua 
disciplina 
mediante 
una 
regolamentazione 
per 
settori 
piuttosto che 
di 
tipo unitaria. In questo senso v. A. BERToLInI, artificial 
intelligence 
Does 
Not 
Exist! Defying The 
Technology-Neutrality 
Narrative 
in The 
regulation of 
Civil 
Liability 
for 
advanced 
Technologies, 
in 
Europa 
e 
diritto 
privato, 
2022, 
n. 
2, 
pp. 
369 
ss.; 
ID., 
ai 
& 
Civil 
Liability, 
in 
A. 
BERToLInI, 
R. CARLI, R. LIMonGELLI 
e 
L. SPoSInI, regulating advanced Technologies: Policy 
Papers 
of 
the 
Jean 
monnet Centre of Excellence on the regulation of robotics and ai - EUra, 2022, pp. 39 e ss. 

ConTRIBUTI 
DI 
DoTTRInA 


legislativi 
vigenti 
in materie, come 
quella 
dei 
dispositivi 
medici, in cui 
l’AI 
trova 
frequente 
applicazione; 
dall’altro, 
la 
necessità 
di 
individuare 
il 
livello 
di 
rischio da attribuirsi ai sistemi di 
AI impiegati in ambito sanitario. 


Con riferimento alla 
prima 
questione, può osservarsi 
come 
la 
stessa 
Proposta 
di 
Regolamento provveda 
a 
disciplinare 
il 
rapporto tra 
le 
proprie 
disposizioni 
e 
quelle 
di 
altre 
fonti 
del 
diritto dell’UE. Alla 
nuova 
normativa 
viene 
infatti 
attribuita 
una 
“natura 
orizzontale” 
che 
richiede 
“un’assoluta 
coerenza 
con la 
normativa 
vigente 
dell’Unione 
applicabile 
ai 
settori 
nei 
quali 
i 
sistemi 
di 
AI ad alto rischio sono già 
utilizzati 
o saranno probabilmente 
utilizzati 
in 
un prossimo futuro” 
(33). Con particolare 
riguardo ai 
dispositivi 
medici, oggetto 
dei 
Regolamenti 
sopra 
richiamati, i 
requisiti 
imposti 
dall’artificial 
intelligence 
act 
per 
l’impiego 
di 
sistemi 
di 
AI 
ad 
alto 
rischio 
sono 
pertanto 
destinati 
ad aggiungersi 
a 
quelli 
già 
previsti 
dalla 
disciplina 
settoriale 
di 
riferimento. 


L’inclusione 
dei 
sistemi 
di 
AI 
impiegati 
in 
ambito 
sanitario 
nel 
campo 
applicativo 
delle 
previsioni 
contenute 
nella 
Proposta 
presuppone 
che 
la 
rischiosità 
propria 
di 
tali 
sistemi 
integri 
il 
carattere 
di 
“alto rischio” 
a 
cui 
fanno 
riferimento le definizioni introdotte dalla normativa. 


Ai 
fini 
della 
classificazione 
nella 
categoria 
caratterizzata 
da 
“alto 
rischio”, 
l’art. 6, par. 1, della 
Proposta 
richiede 
che 
siano “soddisfatte 
entrambe 
le 
condizioni 
seguenti: 
a) il 
sistema 
di 
AI è 
destinato a 
essere 
utilizzato come 
componente 
di 
sicurezza 
di 
un prodotto, o è 
esso stesso un prodotto, disciplinato 
dalla 
normativa 
di 
armonizzazione 
elencata 
nell’allegato II; 
b) il 
prodotto, il 
cui 
componente 
di 
sicurezza 
è 
il 
sistema 
di 
AI, 
o 
il 
sistema 
di 
AI 
stesso 
in 
quanto 
prodotto 
è 
soggetto 
a 
una 
valutazione 
della 
conformità 
da 
parte 
di 
terzi 
ai 
fini 
dell’immissione 
sul 
mercato o della 
messa 
in servizio di 
tale 
prodotto 
ai 
sensi 
della 
normativa 
di 
armonizzazione 
dell’Unione 
elencata 
nell’allegato 
II” (34). 


Considerato che 
l’allegato II della 
Proposta, al 
punto n. 11 della 
sezione 
A), include 
espressamente 
il 
Regolamento (UE) 745/2017 sui 
dispositivi 
medici 
nell’elenco della 
normativa 
di 
armonizzazione 
dell’Unione, e 
che, sulla 
base 
delle 
regole 
di 
classificazione 
contenute 
nel 
Capo III dell’Allegato VII 
al 
Reg. UE 
745/2017, i 
dispositivi 
medici 
che 
impiegano l’AI rientrano, nella 
maggior parte 
dei 
casi, in una 
classe 
di 
rischio per la 
quale 
è 
prevista 
la 
valutazione 
di 
conformità 
dell’organismo notificato (35), appare 
ragionevole 
con


(33) Proposta 
di 
Regolamento del 
Parlamento europeo e 
del 
Consiglio che 
stabilisce 
regole 
armonizzate 
sull’intelligenza artificiale, CoM(2021) 206 final, cit., punto n. 1.2. della “Relazione”. 
(34) Art. 6(1), Proposta 
di 
Regolamento del 
Parlamento europeo e 
del 
Consiglio che 
stabilisce 
regole 
armonizzate 
sull’intelligenza 
artificiale, CoM(2021) 206 final, cit. Il 
paragrafo 2 della 
disposizione 
stabilisce 
inoltre: 
“oltre 
ai 
sistemi 
di 
AI ad alto rischio di 
cui 
al 
paragrafo 1, sono considerati 
ad 
alto rischio anche i sistemi di 
AI di cui all’allegato III”. 
(35) 
Ai 
sensi 
del 
Regolamento 
(UE) 
745/2017, 
i 
dispositivi 
medici 
sono 
classificati 
mediante 
sud

RASSEGnA 
AVVoCATURA 
DELLo 
STATo -n. 1/2023 


cludere 
che 
tali 
sistemi 
rappresenterranno, il 
più delle 
volte, sistemi 
“ad alto 
rischio” ai sensi dell’ai act. 


Questa 
circostanza 
risulta 
peraltro 
coerente 
con 
l’impostazione 
della 
Proposta 
che 
già 
al 
considerando 
n. 28 sottolinea 
che 
“[i] sistemi 
di 
AI ad alto rischio 
potrebbero avere 
ripercussioni 
negative 
per la 
salute 
e 
la 
sicurezza 
delle 
persone” 
(36) e 
che 
“nel 
settore 
sanitario, in cui 
la 
posta 
in gioco per la 
vita 
e 
la 
salute 
è 
particolarmente 
elevata, è 
opportuno che 
i 
sistemi 
diagnostici 
e 
i 
sistemi 
di 
sostegno delle 
decisioni 
dell’uomo, sempre 
più sofisticati, siano affidabili 
e accurati”. 


Venendo ora 
alla 
questione 
della 
responsabilità 
per danno causato da 
sistemi 
di 
AI, è 
da 
rilevare 
che 
la 
Proposta 
finora 
analizzata 
non si 
occupa 
direttamente 
della 
materia. 
Una 
prima 
iniziativa 
delle 
Istituzioni 
dell’Unione 
per 
la 
promozione 
di 
un 
regolamento 
in 
materia 
di 
responsabilità 
civile 
per 
danni 
da 
AI si 
è 
sostanziata 
nella 
Risoluzione 
del 
Parlamento europeo del 
20 
ottobre 
2020 
(37); 
benché 
precedenti 
interventi 
in 
materia 
avessero 
avuto 
luogo 
con 
la 
Risoluzione 
del 
Parlamento 
europeo 
del 
16 
febbraio 
2017 
recante 
raccomandazioni 
alla 
Commissione 
concernenti 
norme 
di 
diritto civile 
sulla 
robotica (38). 

nella 
documentazione 
prodotta 
in 
risposta 
alla 
Risoluzione 
del 
2020, 
la 
Commissione 
ha 
individuato 
fin 
da 
principio 
nella 
Direttiva 
sulla 
responsabilità 
dei 
danni 
da 
prodotto 
il 
parametro 
di 
riferimento 
per 
la 
disciplina 
della 
materia, 
proponendosi 
di 
valutare, 
mediante 
apposita 
consultazione, 
se 
la 
revisione 
o 
la 
modifica 
di 
alcune 
parti 
della 
Direttiva 
potesse 
consentirne 
l’estensione 
applicativa 
ai 
casi 
di 
danno 
prodotto 
dall’impiego 
di 
si-

divisione 
in quattro classi 
di 
rischio: 
I, IIa, IIb, e 
III. Sulla 
base 
di 
tale 
distinzione, l’art. 52 del 
Regolamento 
predispone 
una 
procedura 
di 
valutazione 
della 
conformità 
del 
dispositivo 
medico 
che 
varia 
in 
funzione 
della 
classe 
di 
rischio assegnata. L’unica 
ipotesi 
in cui 
non è 
richiesto l’intervento dell’organismo 
notificato 
è 
quella 
riguardante 
i 
dispositivi 
medici 
che 
rientrano 
nella 
classe 
di 
rischio 
I 
e 
che 
presentano determinate 
caratteristiche: 
non sono sterili; 
non svolgono funzioni 
di 
misura; 
e 
non costituiscono 
strumenti 
chirurgici 
riutilizzabili. In questo solo caso, il 
Regolamento pone 
in capo al 
fabbricante 
l’obbligo 
di 
redigere 
una 
dichiarazione 
di 
conformità, 
senza 
che 
siano 
coinvolti 
soggetti 
terzi 
nella 
procedura. 


(36) 
Merita 
sottolineare 
che 
le 
preoccupazioni 
circa 
i 
possibili 
effetti 
dell’AI 
sulla 
tutela 
dei 
diritti 
fondamentali 
della 
persona 
ha 
recentemente 
indotto 
autorevoli 
esponenti 
dell’accademia 
a 
proporre 
alle 
Istituzioni 
europee 
di 
includere 
una 
valutazione 
di 
impatto 
sui 
diritti 
fondamentali 
nell’ambito 
della 
regolamentazione 
dell’AI. 
Si 
consulti 
al 
riguardo 
l’indirizzo 
di 
rete 
<https://brusselsprivacyhub.com/2023/09/12/brussels-privacy-hub-and-other-academic-institutionsask-
to-approve-a-fundamental-rights-impact-assessment-in-the-eu-artificial-intelligence-act/>. 
(37) Risoluzione 
del 
20 ottobre 
2020 recante 
raccomandazioni 
alla 
Commissione 
su un regime 
di 
responsabilità 
civile 
per 
l’intelligenza 
artificiale, 
2020/2014(InL). 
Per 
un 
esame 
dei 
contenuti 
della 
normativa 
proposta 
v. A. BERToLInI, artificial 
intelligence 
Does 
Not 
Exist! Defying The 
Technology-Neutrality 
Narrative 
in The regulation of Civil Liability for 
advanced Technologies, cit., pp. 384 ss. 
(38) Per la 
ricostruzione 
della 
genesi 
del 
quadro giuridico europeo in materia 
di 
responsabilità 
civile 
per danni 
da 
AI v. D. ChIAPPInI, intelligenza artificiale 
e 
responsabilità civile: nuovi 
orizzonti 
di 
regolamentazione 
alla luce 
dell’artificial 
intelligence 
act 
dell’Unione 
europea, in rivista italiana di 
informatica e diritto, 2022, n. 2, pp. 95 ss. 

ConTRIBUTI 
DI 
DoTTRInA 


stemi 
di 
AI. 
In 
particolare, 
la 
Risoluzione 
richiamata, 
pur 
riconoscendo 
la 
necessità 
di 
alcune 
modifiche 
(in 
primo 
luogo 
delle 
definizioni 
di 
“prodotto” 
e 
di 
“produttore”), 
ha 
sottolineato 
che 
la 
Direttiva 
sulla 
responsabilità 
per 
danno 
da 
prodotto 
difettoso 
(che, 
com’è 
noto, 
ha 
introdotto 
un 
regime 
di 
responsabilità 
oggettiva 
del 
produttore 
per 
i 
danni 
causati 
dai 
difetti 
del 
prodotto) 
e 
i 
regimi 
nazionali 
di 
responsabilità 
per 
colpa 
apparivano 
idonei, 
in 
linea 
di 
principio, 
a 
costituire 
il 
fulcro 
della 
legislazione 
per 
la 
disciplina 
del 
maggior 
numero 
di 
casi 
di 
danno 
causato 
dall’AI 
(39). 


nell’abbracciare 
questa 
prospettiva, 
il 
Parlamento 
europeo 
ha 
ritenuto, 
pertanto, 
di 
non 
seguire 
la 
diversa 
via, 
pur 
prospettata 
da 
una 
parte 
della 
dottrina 
a 
proposito 
dei 
criteri 
di 
imputazione 
dei 
danni 
causati 
da 
sistemi 
di 
AI, 
che 
vedrebbe 
attribuita 
a 
tali 
sistemi 
una 
vera 
e 
propria 
personalità 
giuridica 
(40). 


L’esame 
della 
Risoluzione 
del 
2020 
deve 
essere 
compiuto 
tenendo 
in 
considerazione 
quanto oggi 
previsto nel 
testo della 
Proposta 
di 
Regolamento del 
21 
aprile 
2021, 
che 
getta 
le 
basi 
del 
sistema 
della 
responsabilità 
civile 
nel-
l’ambito dell’AI. In particolare, la 
Proposta 
viene 
in rilievo per la 
definizione 
di 
Intelligenza 
Artificiale, per la 
categorizzazione 
dei 
sistemi 
che 
se 
ne 
avvalgono 
e 
per l’individuazione 
delle 
pratiche 
vietate. Peraltro, la 
Risoluzione 
del 
2020 
e 
l’ai 
act 
condividono 
la 
particolare 
attenzione 
posta 
sull’esigenza 
di 
individuare 
il 
rischio legato all’utilizzo dei 
sistemi 
di 
AI e 
di 
predisporre 
una 
corretta 
allocazione 
della 
responsabilità 
tra 
i 
diversi 
soggetti 
che 
intervengono 
nel 
ciclo 
di 
vita 
di 
un 
algoritmo 
(fabbricante, 
utilizzatore, 
destinatario 
del 
trattamento, 
ecc.) (41). 

La 
Proposta 
di 
regolamento 
allegata 
alla 
Risoluzione 
del 
2020, 
strutturata 
in 
ventiquattro 
considerando, 
cinque 
capi 
e 
quindici 
articoli, 
proponeva 
alla 
Commissione 
l’adozione 
di 
un 
regime 
di 
responsabilità 
oggettiva 
per 
i 
sistemi 
ad 
alto 
rischio 
e 
un 
regime 
di 
responsabilità 
per 
colpa 
per 
gli 
altri 
sistemi. 


nel 
caso di 
sistemi 
ad alto rischio la 
previsione 
attorno alla 
quale 
si 
imperniava 
il 
regime 
di 
responsabilità 
extracontrattuale 
era 
quella 
che 
individuava 
il 
soggetto 
responsabile 
per 
i 
danni 
causati 
da 
un 
sistema 
di 
AI 
nell’operatore. Dal 
punto di 
vista 
dell’elemento soggettivo, come 
anticipato, 


(39) Al 
riguardo, si 
veda, ad esempio, il 
Considerando 
n. 9 della 
Proposta 
di 
Regolamento sulla 
responsabilità 
per 
i 
funzionamento 
dei 
sistemi 
di 
intelligenza 
artificiale 
allegata 
alla 
Risoluzione 
in 
esame. 
(40) 
Per 
alcune 
riflessioni 
sul 
tema 
v. 
G. 
TADDEI 
ELMI, 
S. 
MARChIAFAVA, 
A. 
UnFER, 
responsabilità 
civile 
e 
Personalità giuridica della intelligenza artificiale, in i-lex, 2021, n. 2, pp. 100 ss., nonché 
L. 
ARnAUDo, R. PARDoLESi, Ecce 
robot. 
Sulla responsabilità dei 
sistemi 
adulti 
di 
intelligenza artificiale, 
in Danno e responsabilità, 2023, n. 4, pp. 409 ss. 
(41) In questa 
prospettiva, v. D. ChIAPPInI, intelligenza artificiale 
e 
responsabilità civile: nuovi 
orizzonti 
di 
regolamentazione 
alla luce 
dell’artificial 
intelligence 
act 
dell’Unione 
europea, cit., p. 100. 

RASSEGnA 
AVVoCATURA 
DELLo 
STATo -n. 1/2023 


veniva 
sancita 
l’applicazione 
del 
criterio della 
responsabilità 
oggettiva 
(42). 
La 
responsabilità 
degli 
operatori 
di 
sistemi 
di 
AI ad alto rischio era 
pertanto 
esclusa 
solamente 
nelle 
ipotesi 
in cui 
il 
danno fosse 
dovuto a 
cause 
di 
forza 
maggiore, non essendo sufficiente 
la 
prova 
dell’aver agito con la 
dovuta 
diligenza 
(43). 

nel 
caso di 
sistemi 
di 
AI connotati 
da 
rischio minore, in virtù del 
regime 
di 
responsabilità 
per 
colpa, 
l’operatore 
era 
invece 
esonerato 
dall’obbligo 
di 
risarcimento 
mediante 
la 
dimostrazione 
della 
non 
imputabilità 
del 
danno 
alla 
sua 
condotta 
oppure 
dell’avere 
agito con la 
dovuta 
diligenza 
(44). La 
responsabilità 
era 
inoltre 
esclusa 
quando 
il 
sistema 
di 
AI, 
nonostante 
fossero 
state 
adottate 
tutte 
le 
misure 
necessarie 
per evitarne 
l’attivazione, si 
fosse 
attivato 
senza che l’operatore ne fosse a conoscenza. 


Successivamente 
alla 
Risoluzione 
del 
2020, due 
ulteriori 
proposte 
legislative 
sono state 
avanzate 
nel 
2022 dalle 
Istituzioni 
europee 
sul 
tema 
della 
responsabilità 
civile: 
la 
Proposta 
di 
Direttiva 
sulla 
responsabilità 
per 
danno 
da 
prodotti 
difettosi 
(45) e 
la 
Proposta 
di 
Direttiva 
sulla 
responsabilità 
extracontrattuale 
da intelligenza artificiale (46). 


Mentre 
la 
prima 
Proposta 
risponde 
alla 
menzionata 
necessità 
di 
un adeguamento 
della 
vigente 
Direttiva 
sulla 
responsabilità 
per 
danni 
da 
prodotto 
difettoso, 
la 
seconda 
si 
occupa 
specificamente 
della 
questione 
in esame. Essa 
si 
pone 
come 
obiettivi 
principali 
quelli 
di 
fornire 
strumenti 
giuridici 
idonei 
a 
garantire 
ai 
cittadini 
europei 
il 
diritto 
al 
risarcimento 
dei 
danni 
causati 
da 
sistemi 
di 
AI 
ad 
alto 
rischio. 
In 
questa 
prospettiva, 
la 
regolamentazione 
proposta 
si 
occupa 
di 
agevolare 
l’identificazione 
dei 
soggetti 
potenzialmente 
responsabili 
del 
danno eventualmente 
subito, nonché 
la 
dimostrazione 
dei 
fatti 
posti 
a 
fondamento 
della domanda risarcitoria. 

Al 
riguardo, è 
disposizione 
rilevante 
l’articolo 3(1), che 
attribuisce 
a 
un 
organo 
giurisdizionale 
il 
potere 
di 
ordinare 
la 
divulgazione 
di 
elementi 
di 
prova 
in 
relazione 
a 
specifici 
sistemi 
di 
AI 
ad 
alto 
rischio 
la 
cui 
operatività 
si 
presume 
abbia cagionato un danno. 


Inoltre, 
al 
paragrafo 
5 
dello 
stesso 
articolo 
3, 
viene 
introdotta 
una 
pre


(42) V. l’art. 4 della 
Proposta 
di 
Regolamento allegata 
alla 
Risoluzione 
del 
2020, rubricato “Responsabilità 
oggettiva 
per i 
sistemi 
di 
AI ad alto rischio”. Si 
tratta 
di 
una 
scelta 
che 
ha 
trovato conferma 
al 
punto n. 146 della 
Risoluzione 
del 
Parlamento europeo del 
3 maggio 2022 sull’intelligenza 
artificiale 
in un’era digitale, 2020/2266(InI). 
(43) Art. 4, par. 3, della Proposta di Regolamento allegata alla Risoluzione del 2020. 
(44) 
La 
disciplina 
del 
regime 
di 
responsabilità 
per 
i 
danni 
causati 
dagli 
“altri 
sistemi 
di 
AI” 
è 
contenuta 
nell’art. 8 della 
Proposta 
di 
Regolamento sulla 
responsabilità 
per i 
funzionamento dei 
sistemi 
di 
intelligenza artificiale. 
(45) Proposta 
di 
Direttiva 
del 
Parlamento europeo e 
del 
Consiglio sulla 
responsabilità 
per danno 
da prodotti difettosi, CoM(2022) 495 final. 
(46) Proposta 
di 
Direttiva 
del 
Parlamento europeo e 
del 
Consiglio sulla 
responsabilità 
extracontrattuale 
da intelligenza artificiale, CoM(2022) 496 final. 

ConTRIBUTI 
DI 
DoTTRInA 


sunzione 
di 
non conformità 
della 
condotta 
del 
convenuto all’obbligo di 
diligenza 
previsto in capo allo stesso. Si 
tratta 
di 
uno strumento procedurale 
che, 
oltre 
ad essere 
bilanciato dal 
diritto del 
convenuto di 
confutare 
quanto acquisito 
dal 
giudice 
in 
via 
presuntiva, 
è 
applicabile 
nei 
soli 
casi 
in 
cui 
il 
convenuto 
non 
si 
conformi 
alla 
richiesta 
di 
divulgazione 
o 
di 
conservazione 
degli 
elementi 
di prova (di cui all’art. 3, par. 1 e 2). 

nell’impostazione 
della 
Proposta 
di 
Direttiva 
in esame, la 
responsabilità 
è 
attribuita 
sulla 
base 
della 
sussistenza 
della 
colpa, ricavabile 
dalla 
non conformità 
della 
condotta 
a 
un obbligo di 
diligenza 
previsto a 
norma 
del 
diritto 
unionale oppure nazionale. 


Per quanto riguarda 
poi 
il 
nesso causale 
tra 
la 
violazione 
dell’obbligo di 
diligenza 
e 
l’output 
prodotto dal 
sistema 
di 
AI, o la 
mancata 
produzione 
di 
un 
output 
da 
parte 
del 
sistema 
di 
AI 
che 
ha 
cagionato 
un 
danno, 
la 
normativa 
proposta 
stabilisce, all’articolo 4(1), una 
presunzione 
relativa 
di 
causalità 
per superare 
le 
difficoltà 
in cui 
il 
danneggiato potrebbe 
incorrere 
nella 
difficoltosa 
dimostrazione di tale nesso. 


In 
virtù 
della 
regola 
per 
cui 
la 
colpa 
del 
convenuto 
deve 
pur 
sempre 
essere 
dimostrata 
in giudizio dall’attore, la 
presunzione 
di 
causalità 
è 
da 
applicarsi 
solo quando si 
può ritenere 
probabile 
che 
la 
colpa 
in questione 
abbia 
influenzato 
l’output 
del 
sistema 
di 
AI o la 
sua 
mancata 
produzione 
sulla 
base 
di 
una 
attenta valutazione delle circostanze del caso concreto. 

Inoltre, 
in 
caso 
di 
sistemi 
di 
AI 
ad 
alto 
rischio, 
l’articolo 
4(4) 
prevede 
come 
eccezione 
all’applicabilità 
della 
presunzione 
di 
causalità 
il 
caso in cui 
il 
convenuto dimostri 
che 
l’attore 
può ragionevolmente 
accedere 
a 
elementi 
di 
prova sufficienti per dimostrare il nesso causale (47). 

nel 
caso 
in 
cui 
il 
danno 
sia 
invece 
causato 
da 
sistemi 
di 
AI 
non 
appartenenti 
alla 
categoria 
“ad 
alto 
rischio”, 
l’articolo 
4(5) 
rimette 
l’applicazione 
della 
presunzione 
di 
causalità 
al 
prudente 
apprezzamento 
del 
giudice: 
essa 
sarà 
applicabile 
solo 
quando 
l’organo 
giurisdizionale 
ritenga 
eccessivamente 
difficile 
per 
l’attore 
la 
dimostrazione 
della 
sussistenza 
del 
nesso 
causale. 
Tali 
difficoltà 
devono 
essere 
valutate 
alla 
luce 
delle 
caratteristiche 
degli 
specifici 
sistemi 
di 
AI 
coinvolti, 
con 
attenzione 
alla 
loro 
eventuale 
autonomia 


o 
particolare 
opacità, 
che 
potrebbero 
rendere 
nel 
caso 
concreto 
estremamente 
difficile 
la 
spiegazione 
del 
funzionamento 
interno 
del 
sistema 
di 
AI, 
nonché 
la 
dimostrazione 
relativa 
al 
nesso 
di 
causalità. 
Anche 
in 
questo 
caso, 
il 
convenuto 
può 
offrire 
elementi 
utili 
a 
ribaltare 
la 
presunzione 
di 
causalità 
di 
cui 
all’art. 
4(1) 
(48). 
(47) Si 
tratta 
di 
una 
previsione 
che 
sembra 
voler incentivare 
il 
rispetto degli 
obblighi 
di 
divulgazione 
e 
di 
trasparenza 
imposti 
in capo a 
coloro che 
producono o impiegano sistemi 
di 
AI ad alto rischio. 
(48) Art. 4(7) della Proposta di Direttiva. 

RASSEGnA 
AVVoCATURA 
DELLo 
STATo -n. 1/2023 


5. alcune riflessioni in tema di ia e responsabilità medica. 
Come 
evidenziato 
nei 
precedenti 
paragrafi 
di 
questo 
contributo 
(49), 
l’AI 
sta 
assumendo un ruolo di 
primaria 
importanza 
in ambito sanitario, consentendo, 
tra 
le 
diverse 
applicazioni, di 
migliorare 
la 
rapidità 
e 
l’efficacia 
della 
diagnosi delle patologie (50) e del trattamento delle stesse. 


Alla 
luce 
di 
un 
progresso 
tecnologico 
di 
tale 
portata, 
sorge 
l’interrogativo 
circa 
l’adeguatezza 
di 
una 
normativa 
-quella 
della 
responsabilità 
medica 
concepita 
in un contesto in cui 
non poteva 
compiutamente 
tenersi 
conto delle 
evoluzioni tecnologiche che sarebbero intervenute (51). 


In assenza 
di 
precise 
indicazioni 
legislative, la 
dottrina 
che 
si 
è 
occupata 
del 
tema 
della 
responsabilità 
civile 
per danni 
causati 
dall’impiego dell’AI ha 
avanzato diverse 
ipotesi 
ricostruttive, tra 
loro spesso confliggenti. I punti 
nodali 
della 
riflessione 
in materia 
vertono sul 
regime 
di 
responsabilità 
dell’operatore 
sanitario, della 
struttura 
ospedaliera 
e 
del 
fabbricante 
del 
sistema 
di 
AI 
difettoso. 


5.1. La responsabilità dell’operatore sanitario. 
Secondo 
un 
primo 
orientamento, 
l’impiego 
dell’AI 
andrebbe 
considerato 
come 
fattore 
neutrale 
rispetto 
alla 
qualificazione 
della 
natura 
della 
prestazione 
sanitaria: 
essa, 
nell’impostazione 
tradizionale, 
rientra 
tra 
le 
prestazioni 
di 
mezzi. In caso di 
inadempimento, la 
responsabilità 
è 
parametrata 
sul 
criterio 
della 
colpa, 
da 
valutarsi 
secondo 
il 
canone 
della 
diligenza 
professionale 
ex 
art. 
1176, co. 2, c.c. e 
secondo le 
linee 
guida 
e 
le 
buone 
pratiche 
clinico-assistenziali 
di cui all’art. 5 della legge Gelli-Bianco (52). 


Una 
parte 
della 
dottrina 
ritiene, 
inoltre, 
non 
corretta 
l’istituzione 
di 
un’automatica 
correlazione 
tra 
il 
carattere 
di 
complessità 
ed 
innovatività 
dei 
sistemi 
di 
AI 
impiegati 
in 
medicina 
e 
l’applicazione 
della 
limitazione 
della 
responsabilità 
ai 
soli 
casi 
di 
dolo 
o 
colpa 
grave 
prevista 
dall’art. 
2236 
c.c. 
per 
il 
caso 
di 
prestazioni 
implicanti 
«problemi 
tecnici 
di 
speciale 
difficoltà»: 
la 
ricorrenza 
di 
tale 
presupposto 
deve 
essere 
infatti 
effettivamente 
riscontrata 
nel 
caso 
concreto 
(53). 


(49) Si rinvia al riguardo a quanto osservato nel paragrafo n. 2. 
(50) 
Si 
consideri, 
per 
esempio, 
il 
caso 
di 
un 
paziente 
che, 
pur 
essendosi 
sottoposto 
a 
visite 
mediche 
con diciassette 
specialisti, è 
riuscito a 
ottenere 
la 
diagnosi 
della 
propria 
patologia 
grazie 
a 
ChatGPT. La 
storia 
è 
ricostruita 
all’indirizzo 
di 
rete 
<https://www.fanpage.it/innovazione/scienze/chatgpt-trova-ladiagnosi-
per-un-bambino-che-stava-male-da-3-anni-era-stato-visitato-da-17-medici/> 
(ultimo 
accesso 
15.09.2023). 
(51) Si 
pensi 
ad esempio alle 
pratiche 
di 
telemedicina, che 
pongono particolari 
e 
specifiche 
questioni 
in tema 
di 
responsabilità 
medica. Si 
veda 
sul 
punto l’indirizzo web <https://www.studiolegalestefanelli.
it/it/approfondimenti/i-nuovi-scenari-di-responsabilita-del-medico-nella-telemedicina/> 
(ultimo 
accesso 20.09.2023). 
(52) 
M. 
FACCIoLI, 
intelligenza 
artificiale 
e 
responsabilità 
sanitaria, 
in 
Nuova 
giurisprudenza 
civile commentata, 2023, n. 3, pp. 735 ss. 

ConTRIBUTI 
DI 
DoTTRInA 


nell’ambito 
di 
un 
regime 
di 
responsabilità 
per 
colpa, 
il 
medico 
non 
risponderebbe 
pertanto del 
malfunzionamento di 
un sistema 
di 
AI, ma 
verrebbero 
ad 
esso 
imputati 
i 
soli 
danni 
causati 
da 
un 
suo 
negligente 
e 
scorretto 
utilizzo del sistema. 


Una 
diversa 
parte 
delle 
dottrina 
ha 
ritenuto 
imputabili 
all’operatore 
i 
danni 
causati 
dal 
sistema 
di 
AI 
in 
applicazione, 
per 
estensione 
analogica, 
delle 
forme 
speciali 
di 
responsabilità 
extracontrattuale 
previste 
dal 
c.c. 
In 
particolare, 
tra 
le 
altre, 
sono 
state 
avanzate 
interpretazioni 
incentrate 
ora 
sull’art. 
2048, 
co. 
2 
(responsabilità 
del 
precettore 
per 
le 
azioni 
dell’allievo), 
ora 
sull’art. 
2049 
(preponente-preposto), 
oppure 
sull’art. 
2052 
c.c. 
(proprietario-
animale) 
(54). 


nell’elaborazione 
dottrinale, 
non 
è 
infine 
mancato 
chi 
ha 
proposto 
di 
guardare 
alla 
indicazione 
algoritmica 
di 
un trattamento sanitario come 
a 
una 
linea 
guida 
medica 
o a 
una 
buona 
pratica 
assistenziale 
(55). Accogliendo questa 
impostazione, 
dalla 
conformità 
del 
trattamento 
sanitario 
alle 
indicazioni 
diagnostiche 
e 
terapeutiche 
elaborate 
dall’algoritmo 
discenderebbe 
l’esclusione 
della 
punibilità 
del 
medico 
ovvero 
la 
riduzione 
dell’ammontare 
del 
danno risarcibile al paziente (56). 


5.2. La responsabilità della struttura ospedaliera. 
nell’indagine 
volta 
a 
individuare 
i 
soggetti 
imputabili 
per i 
danni 
derivanti 
dall’impiego di 
AI in ambito medico, deve 
certamente 
prendersi 
in considerazione 
anche la struttura sanitaria. 

Essa 
è 
infatti 
responsabile 
non 
solo 
in 
via 
indiretta 
per 
le 
condotte 
del 
proprio personale 
medico, ma 
anche, in via 
diretta, in caso di 
inadempimento 
dell’obbligo di 
predisporre 
un contesto organizzativo di 
livello adeguato alle 
esigenze di cura e di trattamento degli assistiti. 


Considerati 
gli 
obblighi 
di 
manutenzione 
e 
di 
verifica 
della 
strumentazione 
posti 
in capo agli 
enti 
ospedalieri, potrebbe 
argomentarsi 
che 
eventuali 
danni 
causati 
da 
sistemi 
di 
AI malfunzionanti 
che 
sarebbero stati 
evitabili 
alla 
luce 
di 
un corretto adempimento di 
tali 
obblighi 
determini 
l’insorgenza 
di 
una 
responsabilità 
della 
struttura 
sanitaria 
per difetto di 
organizzazione 
(57). Il 
regime 
di 
responsabilità 
sarà 
in questo caso di 
tipo oggettivo (con il 
limite 
del


(53) 
G. 
VoTAno, 
intelligenza 
artificiale 
in 
ambito 
sanitaria: 
il 
problema 
della 
responsabilità 
civile, in Danno e 
responsabilità, 2022, n. 6, pp. 675 ss.; 
M. FACCIoLI, 
intelligenza artificiale 
e 
responsabilità 
sanitaria, cit., p. 736. 
(54) Per una 
panoramica 
v. M. FACCIoLI, intelligenza artificiale 
e 
responsabilità sanitaria, cit., p. 
737. 
(55) 
A.G. 
GRASSo, 
Diagnosi 
algoritmica 
errata 
e 
responsabilità 
medica, 
in 
rivista 
di 
diritto 
civile, 
2023, n. 2, pp. 341 ss. 
(56) A.G. GRASSo, Diagnosi algoritmica errata e responsabilità medica, cit., p. 346. 
(57) 
G. 
VoTAno, 
intelligenza 
artificiale 
in 
ambito 
sanitario: 
il 
problema 
della 
responsabilità 
civile, cit., p. 674. 

RASSEGnA 
AVVoCATURA 
DELLo 
STATo -n. 1/2023 


l’impossibilità 
sopravvenuta 
non imputabile), dovendosi 
inquadrare 
i 
doveri 
organizzativi dell’ospedale nell’ambito delle obbligazioni di risultato (58). 


Per altro verso, sembra 
potersi 
affermare 
che 
la 
struttura 
ospedaliera 
non 
possa 
essere 
chiamata 
a 
rispondere 
dei 
danni 
causati 
da 
sistemi 
di 
AI che 
presentino 
vizi 
di 
fabbricazione 
non 
rilevabili 
da 
parte 
dell’ente 
nosocomiale 
neppure 
a seguito di diligenti controlli. 


5.3. La responsabilità del produttore. 
Come 
si 
ricava 
da 
quanto 
osservato 
finora, 
il 
fabbricante 
può 
essere 
chiamato 
a 
rispondere 
dei 
danni 
cagionati 
da 
malfunzionamenti 
dei 
sistemi 
di 
IA 
(59), anche 
non riconducibili 
alla 
negligenza 
del 
personale 
medico oppure 
a 
un deficit 
organizzativo della struttura sanitaria. 


Ai 
fini 
dell’affermazione 
della 
responsabilità 
civile 
del 
produttore 
di 
un 
sistema 
di 
AI difettoso, la 
normativa 
di 
riferimento è 
notoriamente 
costituita 
dalla 
disciplina 
europea 
sulla 
responsabilità 
del 
produttore 
(Dir. n. 374/1985 
CEE), recepita in Italia agli artt. 114-127 cod. cons. 


Come 
rilevato in precedenza, l’applicazione 
di 
tale 
normativa 
ai 
sistemi 
di 
IA 
si 
caratterizza 
per 
alcune 
criticità. 
È 
stata 
sottolineata 
da 
più 
parti, 
ad 
esempio, l’incertezza 
riguardante 
la 
riconducibilità 
dei 
dispositivi 
di AI alla 
nozione 
di 
“prodotto” 
e 
del 
software 
a 
quella 
di 
“componente” 
ai 
sensi 
dell’art. 
115 cod. cons. Inoltre, come 
anticipato, l’opacità 
dell’AI può rendere 
particolarmente 
difficoltosa 
la 
dimostrazione 
della 
sussistenza 
del 
difetto (60) e 
del 
nesso causale 
ex 
art. 120 cod. cons. 


non 
è 
un 
caso 
che 
le 
Istituzioni 
europee 
abbiano 
presentato 
la 
nuova 
Proposta 
di 
Direttiva 
sulla 
responsabilità 
per danno da 
prodotti 
difettosi. Questa, 
oltre 
a 
modificare 
le 
nozioni 
di 
prodotto 
e 
di 
componente, 
da 
un 
lato 
stabilisce 
una 
serie 
di 
articolati 
meccanismi 
presuntivi 
in favore 
del 
danneggiato, dal-
l’altro 
mantiene 
l’esimente 
del 
rischio 
da 
sviluppo 
(c.d. 
state 
of 
the 
art 
defence) 
così da non disincentivare lo sviluppo scientifico e tecnologico. 


Ma 
è 
davvero questa 
la 
metodologia 
regolatoria 
da 
seguire 
per regolare 
un 
fenomeno 
così 
complesso 
come 
quello 
dei 
sistemi 
di 
intelligenza 
artificiale? 


La 
responsabilità 
del 
produttore 
e 
la 
c.d. pre-emption doctrine 
sembrano 
non cogliere 
la 
disarticolazione 
di 
un fenomeno che 
sfugge 
alla 
norma 
giuridica 
per la velocità inafferrabile dello sviluppo tecnologico. 

In 
data 
12 
settembre 
2023 
più 
di 
100 
professori 
europei 
(supportati 
da 


(58) In questo senso v. M. FACCIoLI, intelligenza artificiale 
e 
responsabilità sanitaria, cit., p. 738 
ss. 
(59) Sul 
tema 
v. G.F. SIMonInI, La responsabilità del 
fabbricante 
nei 
prodotti 
con sistemi 
di 
intelligenza 
artificiale, in 
Danno e responsabilità, 2023, n. 4, pp. 435 ss. 
(60) G.F. SIMonInI, La responsabilità del 
fabbricante 
nei 
prodotti 
con sistemi 
di 
intelligenza artificiale, 
cit., pp. 446 ss. 

ConTRIBUTI 
DI 
DoTTRInA 


Brussels 
Privacy 
hub) 
hanno 
chiesto 
alle 
istituzioni 
europee 
di 
includere 
il 


c.d. FRIA 
( “Fundamental 
right 
impact 
assessment”) nel 
futuro regolamento 
AI “for ensuring 
1) 
clear 
parameters 
about 
assessment 
of 
the 
impact 
of 
ai 
on 
Fundamental 
right”; 
2) 
transparency 
about 
the 
results 
of 
the 
impact 
assessment 
through 
public 
meaningful summaries; 
3) 
participation of 
affected end-users, especially 
if 
a position of 
vulnerability; 
4) 
involvement 
of 
independent 
public 
authorities 
in 
the 
impact 
assessment 
process and/or auditing mechanisms”. 
La 
valutazione 
di 
impatto sui 
diritti 
fondamentali 
deve, però, coniugarsi 
con 
la 
nuova 
tecnica 
del 
c.d. 
Foresight, 
ossia 
la 
tecnica 
di 
anticipazione 
degli scenari futuri come aiuto del pensiero proattivo. 


il 
Foresight implica la necessità di 
un 
approccio anticipante, proattività 
e anticipazione di scenari futuri possibili e probabili. 


Se 
Goleman 
parlava 
di 
intelligenza 
emotiva 
e 
Gardner 
anticipava 
la 
teoria 
delle 
c.d. “intelligenze 
multiple”, l’approccio basato sul 
Foresight 
segna 
oggi 
il 
passaggio 
evolutivo 
necessario 
nella 
regolazione 
che 
supera 
la 
stessa 
tecnica 
del sandbox, ossia della norma sperimentale. 


La 
storia 
del 
Foresight 
nasce 
nel 
1944/45 per assicurare 
la 
pace 
nell’era 
atomica. 


Le 
figure 
più significative 
erano il 
generale 
henry “hap” 
Arnold, padre 
fondatore 
della 
US 
Air 
Force, 
Theodor 
von 
Kàrmàn, 
il 
precursore 
del 
volo 
supersonico, 
ipersonico 
e 
spaziale, 
Vannevar 
Bush, 
l’iniziatore 
del 
progetto 
Manhattan. 
Il 
loro 
contributo 
(su 
tutti 
i 
dossier 
ricordiamo 
“Toward 
new 
Horizons” 
e“Science, 
the 
Endless 
Frontier”) 
hanno 
cambiato 
il 
modo 
di 
fare 
scienza 
nella 
Difesa 
e 
nel 
Governo. 
Le 
famose 
parole 
del 
Generale 
Arnold 
“Le 
mie 
menti 
più brillanti 
possono arrivare 
al 
futuro per 
prima”, segnano la 
metodologia 
anticipante 
e 
proattiva 
che 
può 
aiutare 
il 
regolatore 
a 
segnare 
la 
direzione 
verso cui 
far evolvere 
i 
sistemi 
di 
intelligenza 
artificiale. La 
tecnica 
del 
foresight 
sta 
a 
significare 
la 
“capacità di 
prevedere 
scenari 
futuri”: 
si 
pensi 
al 
net-assessment, incorporata 
nel 
thinkthank interno al 
Pentagono che 
durante 
la 
Guerra 
Fredda 
ha 
giocato un ruolo chiave 
nello studio delle 
trattative 
strategiche 
e 
delle 
scelte 
chiave 
per poter vincere 
senza 
combattere. Il 
c.d. Foresight 
implica, in altri 
termini, una 
strategia 
“anticipante”, il 
c.d. 
pre-emptive 
remedy, 
con 
un 
approccio 
multidisciplinare, 
incorporando 
elementi 
di 
sociologia, 
psicologia, economia e diritto. 

La parola d’ordine 
oggi 
è 
per 
lo studio e 
la regolazione 
dell’intelligenza 
artificiale 
“contaminazione” 
delle 
discipline, 
ossia 
trasversalità 
delle 
competenze: 
i 
botanici 
affermano 
che 
il 
genio 
è 
nell’ibridazione 
e 
nell’errore creativo. 



RASSEGnA 
AVVoCATURA 
DELLo 
STATo -n. 1/2023 


La 
sentenza 
della 
Corte 
di 
Giustizia 
“Schrems” 
II , ossia 
la 
sentenza 
che 
ha 
invalidato la 
decisione 
di 
“adeguatezza” 
della 
Commissione 
Europea 
per 
il 
trasferimento 
dei 
dati 
personali 
verso 
gli 
Stati 
Uniti, 
ha 
colto 
di 
sorpresa 
gran 
parte 
degli 
operatori 
e 
ha 
posto 
un 
problema 
concreto 
ed 
urgente 
nei 
confronti 
del 
quale 
“il 
sistema 
tradizionale 
di 
compliance”, 
basato 
su 
un 
approccio 
reattivo, non ha 
potuto fare 
nulla 
di 
diverso se 
non correre 
ai 
ripari 
in maniera 
disarticolata. 


Tre 
regolatori 
hanno 
cominciato 
ad 
operare 
in 
una 
nuova 
direzione: 
l’European 
Data 
Protection 
Supervisor, 
il 
CnIL 
in 
Francia 
(Commission 
national 
de 
l’informatique 
e 
des 
Libertès) 
e 
l’ICo 
(Information 
Commissioner’s 
office) 
in 
Inghilterra 
con 
i 
loro 
laboratori 
di 
innovazione 
per 
anticipare 
scenari 
futuri. 


Approccio 
anticipante 
di 
tipo 
“funzionale” 
e 
non 
“categoriale”, 
tenendo 
presente 
che 
i 
sistemi 
di 
Intelligenza 
Artificiale 
sono caratterizzati 
da 
questi 
elementi: 
volatility, ambiguity, (c.d. black 
box, oscurità degli 
algoritmi), 
complexity e uncertainity. 


Richard Slaughter distingue tre tipi di tecnica foresight: 


1) 
pragmatic foresight; 
2) 
progressive foresight; 
3) 
civilisation foresight. 
Tale 
tassonomia 
vede 
una 
sua 
correlazione 
con 
il 
c.d. 
“atlante 
dei 
futuri 
potenziali” 
teorizzato 
da 
henchey 
e 
con 
i 
modelli 
di 
“coni 
di 
futuro” 
teorizzati 
da 
Bancock 
e 
Bazold, 
ossia 
i 
futuri 
possibili, 
i 
futuri 
plausibili 
e 
i 
futuri 
probabili. 


Tali 
teorie 
dovranno considerare 
che 
la 
regolazione 
dell’AI in medicina 
non 
potrà 
essere 
simile 
alla 
regolazione 
dell’AI 
prevista 
per 
altri 
settori 
(come 
ad 
esempio 
quello 
finanziario 
delle 
criptocurrency 
o 
della 
giustizia 
predittiva), 
dovrà 
avere 
una 
sua 
conformazione 
specifica 
basata 
sulle 
c.d. 
“norme 
prudenziali”, 
in quanto l’atto medico necessita 
di 
una 
sua 
peculiare 
disciplina 
investendo 
l’interesse 
primario 
della 
tutela 
della 
salute 
umana. 
Tale 
regolazione 
dovrà 
costituire 
la 
sintesi 
tra 
la 
c.d. umanizzazione 
delle 
cure 
e 
le 
nuove 
tecnologie 
incorporante la c.d. algoretica di cui parla il prof. Benanti. 


Dovrà 
essere 
una 
regolazione 
“future 
proof”, 
a 
prova 
di 
futuro, 
flessibile 
e 
versatile 
pronta 
ad adattarsi 
ad una 
realtà 
dinamica 
in continuo divenire 
basata 
non 
sul 
concetto 
di 
“strict 
liability”, 
ma 
di 
“accountability” 
volta 
a 
creare 
un rapporto medico-paziente “trustworthy” degno di fiducia. 


Profetiche 
risultano oggi 
le 
parole 
di 
Rita 
Levi 
Montalcini 
la 
quale 
affermava 
“Qualunque 
decisione 
tu abbia preso per 
il 
tuo futuro, sei 
autorizzato, 
direi 
incoragiato, a sottoporla ad un continuo esame, pronto a cambiarla, se 
non risponde più ai tuoi desideri”. 



ConTRIBUTI 
DI 
DoTTRInA 


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RASSEGnA 
AVVoCATURA 
DELLo 
STATo -n. 1/2023 


LA 
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ConTRIBUTI 
DI 
DoTTRInA 


La stabile messa a libro paga dell’agente pubblico 
e il contrastato rapporto tra corruzione per l’esercizio della 
funzione e corruzione per atto contrario ai doveri d’ufficio 


Nicoletta Ortu* 


Sommario: 1. La corruzione 
per 
l’esercizio della funzione 
e 
le 
criticità sul 
piano applicativo 
-2. La corruzione 
per 
l’esercizio della funzione 
e 
il 
dibattuto rapporto con la corruzione 
c.d. propria -2.1 i delitti 
di 
corruzione 
nella giurisprudenza anteriore 
alla riforma del 
2012: 
il 
passaggio 
dall’atto 
alla 
funzione 
-3. 
L’introduzione 
del 
delitto 
di 
corruzione 
per 
l’esercizio della funzione 
ex 
art. 318 c.p. -3.1 La corruzione 
per 
l’esercizio della funzione 
nella giurisprudenza successiva alla riforma del 
2012 -3.2 Le 
ricadute 
dell’incremento sanzionatorio 
della corruzione 
“funzionale” 
ad opera della L. n. 3 del 
2019 sul 
sistema della 
corruzione 
-4. il 
rimodulato discrimen tra corruzione 
per 
l’esercizio della funzione 
e 
corruzione 
propria. 

1. La corruzione 
per 
l’esercizio della funzione 
e 
le 
criticità sul 
piano applicativo. 
Come 
noto, 
la 
legge 
n. 
190 
del 
2012 
ha 
profondamente 
innovato 
il 
sistema 
dei 
delitti 
di 
corruzione, 
cercando 
di 
trovare 
una 
soluzione 
normativa 
alla 
trasformazione 
empirico-criminologica 
del 
fenomeno 
corruttivo 
in 
senso 
“sistemico”, 
pervasivo, 
tanto 
più 
“inafferrabile” 
quanto 
più 
svincolato 
dall’emanazione 
di 
un 
atto 
determinato 
-sia 
esso 
conforme 
o 
contrario 
ai 
doveri 
dell’ufficio. 


All’indomani 
della 
novella 
è 
soprattutto risultato necessario sciogliere 
la 
questione 
circa 
la 
riconducibilità 
dei 
casi 
di 
“stabile 
messa al 
libro paga” 
del-
l’agente 
pubblico 
nell’alveo 
della 
corruzione 
“funzionale” 
ex 
art. 
318 
c.p. 
piuttosto 
che 
in quello della 
fattispecie 
più grave 
di 
corruzione 
per atto contrario 
ai doveri d’ufficio ex 
art. 319 c.p. 


L’effetto 
principale 
della 
riforma, 
infatti 
-lungi 
dall’esplicarsi 
soltanto 
sul 
piano della 
formulazione 
delle 
fattispecie 
incriminatrici 
preesistenti 
-si 
è 
prodotto sul 
piano sistematico tramite 
la 
modifica 
del 
modello di 
tutela 
prescelto 
per il 
contrasto dei 
fenomeni 
corruttivi: 
da 
un modello di 
tipo “mercantile-
retributivo” 
si 
è 
passati 
al 
“modello clientelare”, con relativa 
e 
coerente 
rimodulazione 
del 
sottosistema 
dei 
delitti 
di 
corruzione. Pertanto, mentre 
secondo 
lo schema 
previgente 
il 
fulcro dell’intero sistema 
-e 
della 
costruzione 
delle 
due 
fattispecie 
principali 
-era 
rappresentato 
dalla 
compravendita 
illecita 
di 
un atto amministrativo conforme 
(art. 318 c.p.) o contrario ai 
doveri 
d’ufficio 
(art. 319 c.p.), oggi, per quanto attiene 
alla 
corruzione 
c.d. impropria, la 
tutela 
penale 
si 
radica 
nella 
mera 
infedeltà 
del 
soggetto 
pubblico 
e 
postula 


(*) 
Dottore 
di 
ricerca 
presso 
la 
Sapienza, 
Università 
di 
Roma; 
già 
praticante 
forense 
presso 
l’Avvocatura 
Generale dello Stato (AVV. STATo 
CARLo 
MARIA 
PISAnA). 



RASSEGnA 
AVVoCATURA 
DELLo 
STATo -n. 1/2023 


l’esclusione 
del 
momento 
sinallagmatico 
tra 
la 
dazione 
(o 
promessa) 
e 
uno 
specifico atto d’ufficio (1). 

Il 
mutamento di 
paradigma 
in questione 
ha 
comportato che, per la 
figura 
di 
reato centrale 
-di 
cui 
all’art. 318 c.p. -non si 
richiami 
più né 
ad un singolo 
atto, né 
ad una 
pluralità 
di 
atti 
determinati 
o determinabili, facendo sì 
che, di 
conseguenza, la 
portata 
offensiva 
del 
reato resti 
tutta 
incentrata 
su di 
un accordo 
corruttivo che 
risulti 
privo di 
un contenuto precisamente 
determinato. 
Circostanza, 
questa, 
che 
sembrerebbe 
configurare 
la 
messa 
in 
pericolo 
del 
corretto 
svolgimento della 
funzione 
amministrativa 
in termini 
soltanto eventuali. 


Ebbene, 
in 
questo 
rimodulato 
assetto 
normativo, 
sembra 
che 
il 
legislatore 
abbia 
optato 
per 
l’omologazione 
del 
fenomeno 
di 
“stabile 
messa 
a 
libro 
paga” 
dell’agente 
pubblico, 
insieme 
a 
quello 
di 
corruzione 
per 
semplice 
“asservimento 
della 
funzione 
pubblica 
agli 
interessi 
del 
privato”, 
a 
quello 
preesistente 
di 
corruzione 
per 
un 
atto 
conforme 
ai 
doveri 
dell’ufficio, 
unificando, 
nella 
nuova 
versione 
della 
disposizione, oltre 
alle 
fattispecie 
concrete 
precedentemente 
già 
ricomprese 
nell’ambito della 
corruzione 
c.d. impropria, una 
serie 
di 
ipotesi 
relative 
ai 
casi 
in cui 
il 
pubblico ufficiale 
si 
metta 
a 
disposizione 
del 
privato 
corruttore 
in 
violazione 
dei 
doveri 
di 
imparzialità, 
onestà 
e 
trasparenza 
previsti dalla legge (2). 


La 
corruzione 
per l’esercizio della 
funzione, infatti, va 
a 
sanzionare 
tutti 
gli 
accordi 
tra 
pubblico dipendente 
e 
privato corruttore 
il 
cui 
oggetto sia 
rappresentato 
dalla 
remunerazione 
di 
una 
serie 
generica 
di 
servigi 
da 
parte 
del 
primo in favore 
del 
secondo; 
quindi, in sostanza, dalla 
messa a disposizione 
dell’agente 
pubblico, 
il 
quale, 
dietro 
compenso, 
si 
impegni 
ad 
esercitare 
la 
propria 
funzione 
in 
modo 
conforme 
agli 
interessi 
del 
privato, 
per 
necessità 
anche future. 


Ed 
è 
proprio 
in 
questo 
che 
si 
sostanzia 
la 
c.d. 
“stabile 
messa 
a 
libro 
paga” 
del 
pubblico agente, nata 
dalla 
prassi, che 
la 
giurisprudenza 
prima, e 
il 
legislatore 
poi, 
hanno 
recepito 
scardinando 
la 
previgente 
simmetria 
sistematica 
tra 
le 
due 
principali 
figure 
di 
reato incentrata 
sull’atto amministrativo -conforme 
(art. 318 c.p.) o contrario ai doveri dell’ufficio (art. 319 c.p.). 


La 
riformulazione 
dell’art. 318 c.p. ha 
preso quindi 
atto del 
processo di 


(1) 
Cfr. 
n. 
oRTU, 
Gli 
accordi 
illeciti 
nel 
sistema 
della 
corruzione, 
in 
Cass. 
Pen. 
XII, 
2022; 
G. 
STAMPAnonI 
BASSI, Le 
corruzioni 
nel 
codice 
penale, in STAMPAnonI 
BASSI 
(a 
cura 
di), La corruzione, le 
corruzioni, 
wolters 
Kluwer, 
2022, 
pp. 
9 
ss.; 
L. 
SCoLLo, 
La 
corruzione 
senza 
accordo: 
notazioni 
in 
tema 
di 
elementi 
costitutivi, in Sistema Penale, 2021, p. 25; 
M. GAMBARDELLA, Condotte 
economiche 
e 
responsabilità 
penale, Giappichelli, 2020, pp. 451 ss.; 
M. GAMBARDELLA, il 
nodo della “stabile 
messa a 
libro paga dell’agente 
pubblico” 
in tema di 
corruzione, in Penale 
Diritto e 
Procedura, 2020; 
M. GAMBARDELLA, 
Dall’atto alla funzione 
pubblica: la metamorfosi 
legislativa della corruzione 
“impropria”, 
in arch. Pen., 2013; 
M. GAMBARDELLA, Le 
recenti 
riforme 
in materia di 
corruzione: un sistema da rifondare, 
in M. D’ALBERTI 
(a cura di), Combattere la corruzione. analisi e proposte, Rubbettino, 2016. 
(2) 
Cfr. 
M. 
GAMBARDELLA, 
il 
nodo 
della 
“stabile 
messa 
a 
libro 
paga 
dell’agente 
pubblico” 
in 
tema di corruzione, cit. 

ConTRIBUTI 
DI 
DoTTRInA 


“smaterializzazione” 
dell’elemento 
dell’atto 
d’ufficio, 
cercando 
di 
tradurlo, 
sul 
piano normativo, in modo da 
riuscire, allo stesso tempo, a 
delimitare 
con 
maggiore 
precisione 
i 
confini 
tra 
le 
due 
figure 
criminose 
(3). obiettivo che, 
tuttavia, osservando gli 
approdi 
del 
diritto vivente, non sembra 
stato del 
tutto 
raggiunto. 


Proprio il 
requisito dell’atto d’ufficio, in effetti, nella 
vigenza 
della 
precedente 
versione 
della 
norma 
ha 
dato luogo a 
non poche 
incertezze 
e 
complicanze 
sul 
piano 
applicativo, 
rendendo 
spesso 
poco 
agevole 
l’utilizzo 
dello 
strumento 
penale 
in 
presenza 
di 
corruzioni 
più 
marcatamente 
“sistemiche”, 
nelle 
quali, pur prescindendosi 
dalla 
compravendita 
di 
un atto determinato, la 
gravità 
del 
fatto risultasse 
particolarmente 
elevata 
a 
causa 
della 
generalizzata 
“svendita” 
della 
funzione, 
con 
messa 
a 
libro 
paga 
del 
pubblico 
agente 
ad 
opera 
del corruttore (4). 

Di 
lì 
il 
ripensamento 
dell’impalcatura 
complessiva, 
che 
ha 
cercato 
di 
tamponare 
già 
sul 
piano legislativo la 
deviazione 
applicativa 
della 
previgente 
fattispecie, 
fornendo una 
risposta 
penale 
-alla 
luce 
di 
quanto emerso dalla 
realtà 
criminologica 
-attagliata 
alla 
propensione 
del 
fenomeno 
corruttivo 
a 
farsi 
“sistemico”, 
attraverso fatti 
illeciti 
non solo capaci 
di 
diffondersi 
in modo capillare 
all’interno 
dell’azione 
dei 
poteri 
pubblici 
(la 
c.d. 
“corruzione 
regolarizzata 
e 
istituzionalizzata”) 
(5), 
ma 
capace 
di 
generare 
una 
relazione 
stabile 
nel 
tempo 
di 
interessenza 
d’interesse 
fra 
soggetti 
privati, pubblici 
e 
politici, anche 
attraverso 
la 
creazione 
di 
reti 
di 
complicità 
fra 
corruttori, 
corrotti 
ed 
eventuali 
terzi 
intermediari 
(6), 
i 
quali 
costituiscono 
quello 
che 
è 
stato 
definito 
come 
«mondo 
di mezzo» nell’omonima recente vicenda giudiziaria romana (7). 

Il 
problema 
principale 
riscontrato in sede 
applicativa, in seguito alla 
riforma, 
deriva 
proprio 
dalla 
operata 
revisione 
del 
sistema: 
di 
fronte 
ai 
fatti 
estremamente 
gravi 
di 
cui 
si 
è 
detto (anche 
più gravi 
dei 
casi 
in cui 
ci 
si 
trovi 
in 
presenza 
della 
compravendita 
di 
un singolo atto contrario ai 
doveri 
d’ufficio) 
-capaci 
di 
provocare 
ricadute 
assai 
più 
dannose 
nel 
lungo 
periodo 
-è 
stata 


(3) Cfr. P. SEVERIno, La nuova legge anticorruzione, in Dir. pen. proc., 2013, p. 8. 
(4) Cfr. F. CInGARI, 
repressione 
e 
prevenzione 
della corruzione 
pubblica, Giappichelli, 2012, pp. 
104 ss.; 
M. GAMBARDELLA, il 
nodo della “stabile 
messa a libro paga dell’agente 
pubblico” 
in tema di 
corruzione, cit. 
(5) Cfr. G. FoRTI, 
il 
diritto penale 
e 
il 
problema della corruzione, dieci 
anni 
dopo, in AA.VV., il 
prezzo della tangente, a 
cura 
di 
G. FoRTI, VITA 
e 
PEnSIERo, 2003, pp. 73 ss.; 
P. DAVIGo, G. MAnnozzI, 
La corruzione 
in italia, Laterza, 2007, pp. 272 ss.; 
A. SPEnA, il 
«turpe 
mercato». Teoria e 
riforma dei 
delitti di corruzione pubblica, Giuffrè, 2003, pp. 578 ss. 
(6) Cfr. n. oRTU, Gli 
accordi 
illeciti 
nel 
sistema della corruzione, cit.; 
G. STAMPAnonI 
BASSI, Le 
corruzioni 
nel 
codice 
penale, cit., pp. 9 ss.; 
M. GAMBARDELLA, Condotte 
economiche 
e 
responsabilità 
penale, cit., pp. 451 ss.; 
M. GAMBARDELLA, il 
nodo della “stabile 
messa a libro paga dell’agente 
pubblico” 
in tema di corruzione, cit. 
(7) 
Ci 
si 
riferisce 
alla 
vicenda 
altresì 
nota 
col 
nome 
di 
“Mafia 
Capitale”, 
conclusasi 
di 
recente 
con la 
sent. Cass. Sez. VI, 12 giugno 2020 (ud. 22 ottobre 
2019), n. 18125 (Presidente 
Fidelbo, Relatori 
Di Stefano, Silvestri). 

RASSEGnA 
AVVoCATURA 
DELLo 
STATo -n. 1/2023 


predisposta 
una 
figura 
di 
reato 
più 
mite 
rispetto 
a 
quella 
di 
corruzione 
c.d. 
propria, 
generando il 
paradosso secondo cui 
fattispecie 
massimamente 
offensive 
come 
la 
remunerazione 
privata 
sine 
die 
del 
pubblico agente 
siano sanzionate 
meno 
gravemente 
della 
mercificazione 
isolata 
di 
un 
atto 
contrario 
ai 
doveri 
d’ufficio. 

È 
ormai 
acclarato, infatti, che 
la 
corruzione 
“sistemica” 
generi 
effetti 
di 
lungo 
periodo 
estremamente 
negativi 
che 
non 
compaiono 
tra 
le 
poste 
di 
bilancio 
(la 
c.d. 
“cifra 
oscura” 
della 
corruzione) 
(8), 
ma 
-estendendosi 
ben 
oltre 
la 
lesione 
degli 
interessi 
tradizionalmente 
propri 
della 
P.A. -contribuiscono 
ad 
alimentare 
un 
generalizzato 
senso 
di 
sfiducia 
e 
insoddisfazione 
verso 
le 
istituzioni, premiando gli 
imprenditori 
intranei 
agli 
accordi 
corruttivi, distorcendo 
la 
competizione 
a 
vantaggio delle 
parti 
di 
tali 
patti, fino a 
tradursi 
in un 
danno su vasta 
scala 
per l’intera 
economia 
nazionale, scoraggiando gli 
investimenti 
produttivi nel Paese, anche a livello internazionale (9). 

La 
giurisprudenza 
ha 
quindi 
reagito, come 
si 
dirà, cercando di 
applicare, 
se 
necessario 
anche 
estensivamente, 
l’art. 
319 
c.p. 
ogniqualvolta 
l’episodio 
corruttivo 
sia 
caratterizzato 
da 
una 
particolare 
gravità, 
relegando 
talvolta 
l’art. 
318 c.p. ad un utilizzo residuale, laddove 
il 
fatto commesso non risulti 
particolarmente 
preoccupante. 

Da 
ultimo, sebbene 
l’incremento sanzionatorio operato dalla 
legge 
n. 3 
del 
2019 
abbia 
cercato 
di 
ridurre 
il 
divario 
tra 
le 
due 
figure 
di 
corruzione, 
resta 
ancora 
da 
vedere 
se 
tale 
manovra 
sia 
di 
fatto 
riuscita 
almeno 
ad 
arginare 
il 
problema. 


2. La corruzione 
per 
l’esercizio della funzione 
e 
il 
dibattuto rapporto con la 
corruzione c.d. propria. 
In via 
preliminare 
all’analisi 
operata 
dalla 
giurisprudenza 
dei 
rapporti 
tra 
le 
due 
fattispecie 
di 
corruzione, occorre 
svolgere 
alcune 
considerazioni 
di 
ordine 
sistematico. 

Come 
noto, l’art. 319 c.p. (10) non è 
stato modificato nei 
propri 
elementi 
costitutivi 
dalle 
riforme 
avvicendatesi 
nel 
tempo, le 
quali 
hanno inciso unicamente 
sul 
piano 
sanzionatorio. 
Risulta 
quindi 
pacifico 
che 
il 
delitto 
in 
questione 
continui 
a 
sanzionare 
le 
fattispecie 
di 
corruzione 
propria 
-caratterizzata 


(8) Cfr. A. VAnnUCCI, La corruzione 
in italia: cause, dimensioni, effetti, in La legge 
anticorruzione, 
B.B. MATTARELLA, M.PELISSERo 
(a cura), Giappichelli, 2013, pp. 28 ss. 
(9) Cfr. M. GAMBARDELLA, Condotte economiche e responsabilità penale, cit., pp. 451 ss. 
(10) Ai 
sensi 
del 
quale 
«il 
pubblico ufficiale, che, per 
omettere 
o ritardare 
o per 
aver 
omesso o 
ritardato un atto del 
suo ufficio, ovvero per 
compiere 
o per 
aver 
compiuto un atto contrario ai 
doveri 
di 
ufficio, riceve, per 
sé 
o per 
un terzo, denaro od altra utilità, o ne 
accetta la promessa, è 
punito con 
la reclusione 
da sei 
a dieci 
anni». Il 
trattamento sanzionatorio previsto per tale 
figura 
di 
reato è 
stato innalzato 
dall’art. 1 della 
l. 6 novembre 
2012, n. 190 e, da 
ultimo, dall’art. 1, comma 
1, lett. f) della 
L. 27 
maggio 2015, n. 69. 

ConTRIBUTI 
DI 
DoTTRInA 


dal 
requisito dell’atto contrario 
ai 
doveri 
d’ufficio e, di 
conseguenza, da 
uno 
schema 
più 
marcatamente 
mercantilistico-sinallagmatico 
-sia 
antecedente 
che 
susseguente. 


Dal 
punto di 
vista 
intertemporale, si 
può pertanto affermare 
che 
il 
novellato 
art. 318 c.p. rappresenta 
una 
«norma 
sincronicamente 
generale» rispetto 
alla coesistente norma speciale espressa dall’art. 319 c.p. (11). 


Tale 
è, tra 
l’altro, l’approdo della 
giurisprudenza 
maggioritaria, la 
quale 
non manca 
di 
mettere 
in luce 
come 
l’art. 319 c.p., richiedendo un elemento 
aggiuntivo (la 
pattuizione 
di 
un atto contrario ai 
doveri 
d’ufficio, appunto) sia 
legato 
all’articolo 
precedente 
da 
un 
rapporto 
di 
«specialità 
unilaterale 
per 
specificazione
»; 
riferendosi 
invece, 
quest’ultima 
disposizione, 
ad 
una 
più 
generica 
condotta di “messa a disposizione” della funzione pubblica (12). 

Di 
conseguenza, guardando al 
dato testuale, sembrerebbe 
che 
le 
ipotesi 
di 
“messa 
a 
libro 
paga” 
del 
pubblico 
agente 
ricadano 
oggi 
nella 
più 
mite 
figura 
di 
corruzione 
“funzionale” 
ex 
art. 318 c.p., mentre 
per la 
configurabilità 
della 
più grave 
fattispecie 
prevista 
dall’art. 319 c.p. sarà 
necessario provare 
l’esistenza 
di 
un atto determinato contrario ai 
doveri 
d’ufficio quale 
oggetto del 
mercimonio (13). 


Svolte 
queste 
premesse, 
resta 
da 
chiarire 
il 
rapporto 
intercorrente 
sul 
piano pratico, in termini 
di 
diritto vivente, tra 
la 
figura 
corruttiva 
per atto contrario 
ai 
doveri 
d’ufficio ex 
art. 319 c.p. e 
la 
corruzione 
per l’esercizio della 
funzione 
ex 
art. 318 c.p. 


2.1 
i 
delitti 
di 
corruzione 
nella 
giurisprudenza 
anteriore 
alla 
riforma 
del 
2012: 
il passaggio dall’atto alla funzione. 
Ancor 
prima 
della 
riforma 
del 
2012, 
la 
giurisprudenza 
non 
ha 
mancato 
di 
manifestare 
una 
propensione 
verso 
la 
valorizzazione 
della 
figura 
di 
corruzione 
propria 
prevista 
all’art. 
319 
c.p., 
a 
scapito 
del 
più 
mite 
delitto 
di 
corruzione 
impropria 
ex 
art. 
318 
c.p., 
operando 
in 
via 
di 
prassi 
quella 
progressiva 
smaterializzazione 
dell’elemento 
dell’atto 
d’ufficio 
che 
ha 
portato 
alla 
corrente 
riformulazione 
dell’art. 
318 
c.p. 
ad 
opera 
della 
legge 
n. 
190 
del 
2012 
(14). 


In un contesto in cui 
era 
da 
tempo evidente 
che 
ormai 
la 
corruzione, da 
fenomeno episodico, stesse 
assumendo le 
sembianze 
di 
un fenomeno sempre 


(11) 
Cfr. 
M. 
GAMBARDELLA, 
Profili 
di 
diritto 
intertemporale 
della 
nuova 
corruzione 
per 
l’esercizio 
della funzione, in Cass. pen., 2013, pp. 3866 ss. 
(12) Così 
Cass., sez. VI, 25 settembre 
2014, n. 49226, in C.E.D. Cass., n. 261354. Cfr. M. GAMBARDELLA, 
il 
nodo della “stabile 
messa a libro paga dell’agente 
pubblico” 
in tema di 
corruzione, cit.; 
M. GAMBARDELLA, Condotte economiche e responsabilità penale, cit., pp. 451 ss. 
(13) Cfr. M. GAMBARDELLA, il 
nodo della “stabile 
messa a libro paga dell’agente 
pubblico” 
in 
tema di corruzione, cit.; G. STAMPAnonI 
BASSI, Le corruzioni nel codice penale, cit., pp. 9 ss. 
(14) Cfr. 
P. SEVERIno, La nuova legge anticorruzione, in Dir. pen. proc., 2013, p. 8. 

RASSEGnA 
AVVoCATURA 
DELLo 
STATo -n. 1/2023 


più 
sistemico, 
la 
giurisprudenza, 
per 
reprimere 
efficacemente 
tali 
ipotesi 
di 
corruzione 
“istituzionalizzata” 
ha 
offerto una 
lettura 
estensiva 
della 
nozione 
di 
“atto contrario ai 
doveri 
d’ufficio” 
che 
caratterizza 
come 
elemento costitutivo 
il 
delitto di 
corruzione 
propria, proponendo un tendenziale 
superamento 
del 
riferimento ad un atto determinato come 
oggetto del 
patto corruttivo (15). 

Due 
i 
punti 
cardine 
di 
siffatto superamento del 
requisito dell’atto: 
quello 
della “competenza” e quello della “contrarietà ai doveri d’ufficio” (16). 

Sotto 
il 
profilo 
della 
competenza, 
la 
giurisprudenza 
di 
legittimità 
ha 
ritenuto 
che 
non 
fosse 
il 
fatto 
che 
l’atto 
-conforme 
o 
contrario 
ai 
doveri 
d’ufficio 
-risultasse 
ricompreso 
nell’ambito 
delle 
mansioni 
specifiche 
del 
pubblico 
agente 
ad 
essere 
determinante; 
bensì 
che 
fosse 
necessario 
e 
sufficiente, 
per 
integrare 
il 
requisito, 
che 
si 
trattasse 
«di 
un 
atto 
rientrante 
nelle 
competenze 
dell’ufficio 
cui 
il 
soggetto 
appartiene 
ed 
in 
relazione 
al 
quale 
egli 
eserciti, 
o 
possa 
esercitare, 
una 
qualche 
forma 
di 
ingerenza, 
sia 
pure 
di 
mero 
fatto», 
con 
la 
precisazione 
che 
l’attività 
amministrativa 
oggetto 
del 
pactum 
sceleris 
potesse 
ben 
essere 
individuata 
soltanto 
nel 
genere 
di 
atti 
da 
compiere; 
di 
conseguenza, 
l’elemento 
oggettivo 
dell’“atto” 
poteva 
considerarsi 
soddisfatto 
ogniqualvolta 
le 
condotte 
del 
privato 
e 
dell’intraneus, 
nelle 
quali 
si 
sostanzia 
il 
fatto 
criminoso, 
fossero 
individuabili 
anche 
esclusivamente 
nel 
genus, 
«in 
ragione 
della 
competenza 
o 
della 
concreta 
sfera 
di 
intervento 
di 
quest’ultimo» 
(17). 


Per quanto invece 
attiene 
al 
profilo della 
contrarietà ai 
doveri 
d’ufficio, 
le 
decisioni 
giurisprudenziali 
hanno 
riconosciuto 
in 
modo 
consistente 
che 
tale 
nozione 
potesse 
attenere 
alla 
«condotta 
complessiva» dell’intraneus, la 
quale 
avrebbe 
ben 
potuto 
porsi 
in 
contrasto 
ai 
compiti 
istituzionali 
del 
soggetto 
agente 
mediante 
il 
compimento di 
atti 
«formalmente 
regolari», sorretti 
però 
da 
una 
finalità 
diversa 
da 
quella 
di 
pubblico interesse, perché 
emanati 
sul 
presupposto 
di 
un accordo illecito con il 
privato. In tutti 
questi 
casi 
-è 
stato ritenuto 
dalla 
Suprema 
Corte 
-la 
valutazione 
circa 
la 
contrarietà 
o 
conformità 
del 
comportamento 
del 
pubblico 
agente 
avrebbe 
dovuto 
riposare 
sul 
«servizio 
reso 
al 
privato» 
nel 
suo 
complesso, 
anziché 
sugli 
specifici 
atti 
singolarmente 
presi, 
così 
che, nonostante 
i 
singoli 
atti 
si 
presentassero conformi 
a 
requisiti 
e 
presupposti 
legali, «l’asservimento costante 
della 
funzione, per denaro, agli 
interessi 
privati» sarebbe 
valso di 
per sé 
ad integrare 
il 
delitto di 
cui 
all’art. 319 
c.p. (18). 


(15) 
Cfr. 
G. 
FIDELBo, 
La 
corruzione 
“funzionale” 
e 
il 
contrastato 
rapporto 
con 
la 
corruzione 
propria, 
in G. FIDELBo 
(a 
cura 
di), il 
contrasto ai 
fenomeni 
corruttivi 
dalla “spazzacorrotti” 
alla riforma 
dell’abuso d’ufficio, Giappichelli, 2020, pp. 27 ss. 
(16) Cfr. ivi. 
(17) Così, Cass., Sez. VI, 14 luglio 1993, n. 2390, in C.E.D. Cass. n. 195523; 
Cass., Sez. VI, 16 
maggio 2012, n. 30058, in C.E.D. Cass., 253216. Cfr. G. FIDELBo, La corruzione 
“funzionale” 
e 
il 
contrastato 
rapporto con la corruzione propria, in Giustizia insieme, 2020, pp. 3-4. 

ConTRIBUTI 
DI 
DoTTRInA 


Da 
ciò si 
evince 
che, secondo la 
giurisprudenza 
nettamente 
prevalente, 
la 
contrarietà 
ai 
doveri 
d’ufficio non dovesse 
essere 
ricostruita 
come 
una 
caratteristica 
intrinseca 
del 
singolo atto (come 
farebbe 
pensare 
il 
dato testuale) 
bensì 
quale 
connotazione 
della 
funzione 
complessivamente 
esercitata 
in violazione 
dei 
doveri 
previsti 
dalla 
legge 
in capo al 
pubblico agente; 
ponendo, di 
conseguenza, 
quali 
beni 
tutelati 
dai 
delitti 
de 
quibus 
-accanto 
ai 
canonici 
principi 
di 
imparzialità 
e 
buon 
andamento 
della 
pubblica 
amministrazione 
previsti 
dalla 
Costituzione 
-la 
tutela 
dell’imparzialità 
e 
della 
fedeltà, 
alle 
quali 
l’attività 
degli agenti pubblici è per legge informata (19). 


Invero, 
la 
Corte 
ha 
ricostruito 
la 
nozione 
di 
“atto” 
secondo 
una 
accezione 
ampia: 
questo, anziché 
essere 
inteso in senso meramente 
formale 
come 
atto 
amministrativo, 
doveva 
piuttosto 
essere 
interpretato 
come 
comprensivo 
di 
ogni 
comportamento 
posto 
in 
essere 
dal 
pubblico 
agente 
nello 
svolgimento 
della 
propria 
funzione; 
cosicché 
il 
requisito richiesto dalla 
norma 
potesse 
ritenersi 
integrato 
anche 
da 
un 
comportamento 
materiale 
che 
fosse 
«esplicazione 
di 
poteri-doveri inerenti alla funzione concretamente esercitata» (20). 


Secondo 
questo 
orientamento, 
pertanto, 
ai 
fini 
dell’integrazione 
del 
delitto 
di 
cui 
all’art. 319 c.p., sarebbe 
risultata 
sufficiente 
la 
semplice 
individuabilità 
del 
genus 
di 
atti 
che 
il 
pubblico agente 
fosse 
chiamato a 
compiere 
in adempimento 
all’accordo corruttivo, purché 
connesso alla 
concreta 
sfera 
di 
competenza 
e 
di 
intervento del 
soggetto pubblico, così 
da 
consentire 
a 
tale 
patto di 
(eventualmente) tradursi 
in una 
pluralità 
di 
specifici 
atti 
non preventivamente 
determinati o programmati, appartenenti al 
genus 
(21). 

Tuttavia, 
il 
superamento 
della 
necessità 
di 
identificare 
uno 
specifico 
atto, 
inteso 
in 
senso 
formale, 
contrario 
ai 
doveri 
d’ufficio, 
trovava 
un 
temperamento 
nella 
esigenza 
di 
rinvenire 
comunque, dalla 
condotta 
del 
soggetto pubblico, 
«un atteggiamento diretto in concreto a 
vanificare 
la 
funzione 
demandatagli, 
poiché 
solo in tal 
modo può ritenersi 
integrata 
la 
violazione 
dei 
doveri 
di 
fedeltà, 
di 
imparzialità 
e 
di 
perseguimento esclusivo degli 
interessi 
pubblici 
che 
sullo stesso incombono» (22). 


Una 
siffatta 
interpretazione 
estensiva 
della 
nozione 
di 
“atto” 
ha 
consentito 


(18) Così 
Cass., Sez. VI, 12 gennaio 1990, n. 7259, in Cass. pen., 1992, p. 944.; 
Cass., Sez. VI, 
29 gennaio 2003, ivi, 2004, p. 2300. Cfr. G. FIDELBo, La corruzione 
“funzionale” 
e 
il 
contrastato rapporto 
con la corruzione propria, cit., p. 4. 
(19) 
Cfr. 
G. 
FIDELBo, 
La 
corruzione 
“funzionale” 
e 
il 
contrastato 
rapporto 
con 
la 
corruzione 
propria, 
cit., p. 4; 
G. STAMPAnonI 
BASSI, Le 
corruzioni 
nel 
codice 
penale, cit., pp. 9 ss.; 
M. GAMBARDELLA, 
Condotte economiche e responsabilità penale, cit., pp. 451 ss. 
(20) Così 
Cass., Sez. II, 25 novembre 
2015, n. 47471; 
Cass., Sez. VI, 28 febbraio 2017, n. 17586, 
in 
C.E.D. 
Cass., 
n. 
269830. 
Cfr. 
M. 
GAMBARDELLA, 
il 
nodo 
della 
“stabile 
messa 
a 
libro 
paga 
dell’agente 
pubblico” in tema di corruzione, cit. 
(21) Così, Cass., Sez. VI, 16 maggio 2012, n. 30058; Cass., Sez. VI, 2 ottobre 2006, n. 2818. 
(22) ibidem; 
Cass., Sez. VI, 24 febbraio 2007, n. 21192, in C.E.D. Cass. 
n. 236624; 
Cass., Sez. 
VI, 16 gennaio 2008, n. 20046, ivi, n. 241184; 
Cass., Sez. VI, 15 maggio 2008, n. 34417, ivi, n. 241081. 

RASSEGnA 
AVVoCATURA 
DELLo 
STATo -n. 1/2023 


di 
ritenere 
integrato il 
delitto di 
corruzione 
propria 
ex 
art. 319 c.p. anche 
nei 
casi 
in cui 
la 
dazione 
o la 
promessa 
di 
denaro o utilità 
da 
parte 
del 
privato ad 
un pubblico agente 
fossero finalizzate 
al 
compimento di 
«atti 
futuri, imprecisati 
ed eventuali», volti 
a 
«realizzare 
una 
sorta 
di 
fidelizzazione 
del 
soggetto 
corrotto agli interessi privati di cui il corruttore era portatore» (23). 


Simili 
orientamenti 
evidenziano come 
sia 
stato proprio il 
diritto vivente 
ad avviare 
quella 
transizione 
dall’atto alla 
funzione 
che 
verrà 
recepita 
e 
codificata 
nel 
2012 
dal 
legislatore, 
e 
che 
ha 
condotto 
all’odierna 
versione 
delle 
fattispecie 
incriminatrici di corruzione. 


Si 
può 
osservare, 
pertanto, 
come, 
alla 
luce 
della 
rilettura 
“adeguatrice” 
offertane 
dalla 
citata 
giurisprudenza, 
la 
corruzione 
per 
un 
atto 
contrario 
ai 
doveri 
d’ufficio 
di 
cui 
all’art. 
319 
c.p. 
andasse 
ad 
occupare 
un 
ambito 
più 
ampio 
di 
quello 
risultante 
da 
una 
interpretazione 
letterale 
della 
disposizione: 
ai 
casi 
tipici 
di 
compravendita 
di 
un 
atto 
formale 
contrario 
ai 
doveri 
dell’ufficio 
sono 
state 
accostate 
ipotesi 
di 
asservimento 
della 
funzione 
pubblica 
ad 
interessi 
privati, 
di 
vera 
e 
propria 
“messa 
a 
libro 
paga” 
dell’intraneus 
da 
parte 
del 
corruttore, 
in 
vista 
della 
futura 
necessità 
dei 
suoi 
favori, 
le 
quali, 
prescindendo 
dall’atto, 
si 
sostanziano 
in 
una 
serie 
di 
attività 
non 
esattamente 
previste 
ma 
prevedibili 
(24); 
così 
da 
aggiornare 
in 
via 
di 
prassi 
applicativa 
la 
portata 
della 
norma 
alla 
evoluzione 
ed 
alla 
reale 
complessità 
del 
fenomeno 
(25). 


Questo orientamento giurisprudenziale 
è 
stato però aspramente 
criticato 
dalla 
dottrina, 
la 
quale 
non 
ha 
mancato 
di 
censurare 
l’arbitrario 
abbandono 
della 
necessaria 
individuazione 
di 
un atto specifico voluta 
dal 
testo dell’art. 
319 c.p., definendo una 
siffatta 
interpretazione 
come 
analogica 
piuttosto che 
estensiva, quindi 
contraria 
ai 
principi 
informatori 
della 
materia 
penale 
(26). Il 
passaggio 
dall’atto 
alla 
funzione 
operato 
dalla 
giurisprudenza, 
spostando 
progressivamente 
il 
baricentro 
dello 
strumento 
penale 
verso 
la 
protezione 
dei 
doveri 
di 
fedeltà 
e 
imparzialità, 
ha 
infatti 
anticipato 
contra 
legem 
la 
soglia 
di 


(23) 
Cfr. 
G. 
FIDELBo, 
La 
corruzione 
“funzionale” 
e 
il 
contrastato 
rapporto 
con 
la 
corruzione 
propria, 
cit., p. 4. 
(24) Cass., Sez. VI, 4 maggio 2006, in Cass. pen., 2006, p. 3578. 
(25) Invero, il 
concetto di 
“contrarietà 
ai 
doveri 
d’ufficio” 
è 
stato esteso dalla 
Corte 
fino a 
ricomprendervi, 
come 
forma 
di 
mercimonio della 
pubblica 
funzione, anche 
la 
«violazione 
dei 
doveri 
generici 
che 
disciplinano l’attività 
amministrativa», ogniqualvolta 
questi 
fossero espressione 
di 
una 
più ampia 
situazione 
di 
asservimento; 
in questo senso v. G. FIDELBo, La corruzione 
“funzionale” 
e 
il 
contrastato 
rapporto con la corruzione propria, cit., p. 5. 
(26) 
Così, 
ex 
multis, 
V. 
MAnES, 
L’atto 
di 
ufficio 
nelle 
fattispecie 
di 
corruzione, 
in 
riv. 
it. 
dir. 
proc. 
pen., 
2000, 
p. 
925. 
Come 
è 
stato 
affermato 
da 
T. 
PADoVAnI, 
metamorfosi 
e 
trasfigurazione. 
La 
disciplina 
nuova 
dei 
delitti 
di 
concussione 
e 
corruzione, 
in 
arch. 
pen., 
2012, 
p. 
785, 
«non 
v’è 
dubbio 
che, 
sul 
piano 
della 
c.d. 
meritevolezza di 
pena, simili 
condotte 
di 
mercimonio invocassero ed evocassero una 
sanzione 
penale, per ragioni 
sin troppo evidenti; 
ma 
è 
altrettanto fuor di 
dubbio che, sul 
piano del 
rispetto del 
principio di 
legalità, la 
dilatazione 
ermeneutica 
prospettata 
dalla 
giurisprudenza 
risultasse 
assai 
discutibile
». 

ConTRIBUTI 
DI 
DoTTRInA 


tutela 
ad uno stadio di 
pericolo, «pericolo il 
cui 
sostrato è 
poi, in realtà, costituito 
dal 
sospetto che, dietro l’asservimento della 
funzione, conclamato dalla 
dazione 
di 
danaro, 
si 
celi 
un 
atto, 
o 
una 
serie 
di 
atti, 
rimasti 
semplicemente 
non identificati» (27). 


In 
un 
contesto 
di 
ormai 
piena 
consapevolezza 
della 
trasformazione 
dei 
fenomeni 
corruttivi 
in 
senso 
sistemico, 
e 
dell’insufficienza 
delle 
norme 
penali 
vigenti 
(l’art. 318 c.p. in particolare) a 
garantire 
una 
efficace 
risposta 
repressiva 
e 
deterrente, 
nemmeno 
le 
posizioni 
critiche 
della 
dottrina 
sono 
valse 
a 
far 
arrestare 
la 
lettura 
“estensiva” 
della 
fattispecie 
di 
corruzione 
propria 
da 
parte 
della giurisprudenza di legittimità. 

Il 
fenomeno 
di 
cui 
si 
parla, 
infatti, 
aveva 
già 
da 
tempo 
perso 
quel 
carattere 
episodico-pulviscolare 
che 
originariamente 
gli 
era 
proprio 
per 
assumere 
una 
portata 
più 
ampia, 
grazie 
al 
coinvolgimento 
nell’accordo 
corruttivo 
di 
più 
centri 
di 
potere, 
spesso 
rappresentati 
da 
esponenti 
della 
politica, 
dell’alta 
burocrazia, 
persino 
della 
criminalità 
organizzata; 
un 
fenomeno 
incentrato 
principalmente 
sulla 
funzione, 
caratterizzato 
da 
schemi 
di 
funzionamento 
maggiormente 
elaborati 
(si 
pensi, 
ad 
esempio, 
alle 
figure 
di 
intermediari, 
facilitatori, 
faccendieri) 
e 
da 
“metodi 
di 
pagamento” 
inediti, 
quali 
la 
garanzia 
di 
futuro 
sostegno 
politico, 
elettorale 
o 
finanziario, 
in 
luogo 
della 
consueta 
tangente 
(28). 


In un panorama 
di 
tale 
complessità, la 
giurisprudenza 
ha 
cercato di 
sopperire 
in 
via 
di 
fatto 
alle 
lacune 
della 
legge 
penale 
nel 
fornire 
una 
risposta 
adeguata 
al 
mutato 
fenomeno 
corruttivo, 
svalutando, 
da 
una 
parte, 
il 
ruolo 
dell’atto nei 
delitti 
di 
corruzione, e, dall’altra, estendendo l’applicazione 
del 
delitto di 
concussione, nella 
forma 
di 
elaborazione 
giurisprudenziale 
rappresentata 
dalla c.d. “concussione ambientale” (29). 


3. 
L’introduzione 
del 
delitto 
di 
corruzione 
per 
l’esercizio 
della 
funzione 
ex 
art. 
318 c.p. 
Come 
si 
è 
avuto 
modo 
di 
osservare, 
la 
legge 
n. 
190 
del 
2012 
è 
intervenuta 
proprio allo scopo di 
porre 
rimedio, sul 
piano normativo, all’interpretazione 
oltremodo 
estensiva 
(se 
non 
addirittura 
analogica, secondo 
l’opinione 
di 
gran 
parte 
della 
dottrina) operata 
dalla 
giurisprudenza 
fino a 
quel 
momento. La 
riforma 
si 
è 
concretata, come 
si 
è 
detto, in un duplice 
intervento: 
da 
una 
parte 
è 


(27) T. PADoVAnI, metamorfosi e trasfigurazione, cit., p. 785. 
(28) 
Cfr. 
G. 
FIDELBo, 
La 
corruzione 
“funzionale” 
e 
il 
contrastato 
rapporto 
con 
la 
corruzione 
propria, 
cit., p. 6; 
n. oRTU, Gli 
accordi 
illeciti 
nel 
sistema della corruzione, cit.; 
G. STAMPAnonI 
BASSI, Le 
corruzioni 
nel 
codice 
penale, cit., pp. 9 ss.; 
M. GAMBARDELLA, Condotte 
economiche 
e 
responsabilità 
penale, cit., pp. 451 ss. 
(29) Cfr. ivi. Sul 
tema 
dell’inadeguatezza 
della 
previgente 
disciplina 
codicistica 
a 
reprimere 
il 
fenomeno 
corruttivo nei 
suoi 
reali 
contorni 
si 
veda 
S. SEMInARA, Gli 
interessi 
tutelati 
nei 
reati 
di 
corruzione, 
in riv. it. dir. proc. pen., 1993, pp. 951 ss. 

RASSEGnA 
AVVoCATURA 
DELLo 
STATo -n. 1/2023 


stata 
messa 
mano 
al 
rapporto 
dei 
reati 
di 
corruzione 
con 
quello 
di 
concussione, 
tramite 
l’introduzione, 
all’art. 
319-quater 
c.p. 
dell’inedito 
delitto 
di 
induzione 
indebita 
a 
dare 
o promettere 
utilità; 
dall’altra 
è 
stato modificato direttamente 
il 
sistema 
dei 
delitti 
corruttivi 
tramutando 
l’originaria 
figura 
di 
corruzione 
per 
un atto dell’ufficio ex 
art. 318 c.p. nel 
nuovo delitto di 
corruzione 
per l’esercizio 
della 
funzione. Con particolare 
riferimento al 
secondo intervento, nonostante 
la 
previsione 
di 
una 
forma 
di 
corruzione 
testualmente 
incentrata 
sull’esercizio 
della 
funzione 
sembri 
aver 
recepito 
quell’approdo 
giurisprudenziale 
teso al 
disancoraggio della 
tipicità 
dal 
rigido requisito dell’atto, il 
legislatore 
è 
in 
realtà 
intervenuto 
in 
modifica 
dell’art. 
318 
c.p. 
(corruzione 
c.d. 
impropria) anziché 
sul 
più grave 
delitto di 
corruzione 
propria 
ex 
art. 319 c.p., 
sul 
quale 
la 
giurisprudenza 
precedente 
aveva 
fondato una 
efficace 
risposta 
repressiva 
ai fatti più gravi di asservimento della funzione. 


Una 
figura 
di 
corruzione 
incentrata 
sulla 
funzione, d’altronde, era 
stata 
elaborata 
in 
via 
giurisprudenziale 
proprio 
per 
sopperire 
alla 
lacuna 
della 
legge 
penale 
nel 
contrasto 
dei 
fenomeni 
più 
gravi 
di 
“messa 
al 
libro 
paga” 
del-
l’agente 
pubblico che 
in cambio “vendesse” 
la 
funzione 
agli 
interessi 
del 
privato, 
incardinando però la 
tutela 
nell’ambito dell’art. 319 c.p.: 
una 
condotta 
di 
stabile 
asservimento 
era 
ritenuta 
sempre 
contraria 
ai 
doveri 
d’ufficio, 
come 
richiesto dalla 
norma 
in questione 
(30). La 
scelta 
del 
legislatore 
del 
2012 di 
ricomprendere 
tali 
ipotesi 
nella 
fattispecie 
più mite 
di 
corruzione 
impropria 
ex 
art. 
318 
c.p. 
ha, 
di 
conseguenza, 
avuto 
l’effetto 
di 
prevedere, 
per 
gli 
episodi 
maggiormente 
preoccupanti, una 
pena 
inferiore 
a 
quella 
individuata 
ad opera 
della 
giurisprudenza 
ante-riforma 
sulla 
base 
dell’art. 
319 
c.p.; 
circostanza, 
questa, che non ha mancato di destare critiche e perplessità. 

Un primo nodo da 
sciogliere, all’indomani 
della 
riforma, è 
stato quello 
di 
comprendere 
se 
la 
rimodulata 
fattispecie 
di 
cui 
all’art. 318 c.p. non introducesse 
un’ipotesi 
di 
corruzione 
funzionale 
limitata 
ai 
casi 
in 
cui 
l’accordo 
corruttivo avesse 
ad oggetto la 
funzione 
complessivamente 
esercitata 
in conformità 
ai 
doveri 
dell’ufficio. Una 
tale 
visione 
restrittiva, tuttavia, è 
stata 
fin 
da 
subito esclusa 
dalla 
dottrina, in quanto ritenuta 
irrazionale, totalmente 
inadeguata 
a 
garantire 
un sufficiente 
livello di 
tutela 
contro gli 
episodi 
di 
corruzione 
“sistemica” 
ed 
incoerente 
rispetto 
agli 
obiettivi 
propugnati 
dalla 
riforma 
di rafforzamento dello strumento penale (31). 


Se 
da 
una 
parte 
il 
legislatore 
ha 
cercato di 
tipizzare 
specificamente 
una 
figura 
di 
corruzione 
funzionale 
svincolata 
dall’atto, senza 
lasciarla 
oggetto di 


(30) 
Cfr. 
G. 
FIDELBo, 
La 
corruzione 
“funzionale” 
e 
il 
contrastato 
rapporto 
con 
la 
corruzione 
propria, 
cit., p. 6; 
G. STAMPAnonI 
BASSI, Le 
corruzioni 
nel 
codice 
penale, cit., pp. 9 ss.; 
M. GAMBARDELLA, 
Condotte economiche e responsabilità penale, cit., pp. 451 ss. 
(31) 
Cfr. 
G. 
FIDELBo, 
La 
corruzione 
“funzionale” 
e 
il 
contrastato 
rapporto 
con 
la 
corruzione 
propria, 
cit., 
p. 
7.; 
A. 
GARGAnI, 
La 
riformulazione 
dell’art. 
318 
c.p.: 
la 
corruzione 
per 
l’esercizio 
della 
funzione, 
in Leg. pen., 2013, p. 618. 

ConTRIBUTI 
DI 
DoTTRInA 


una 
elaborazione 
di 
matrice 
giurisprudenziale, dall’altra 
la 
giurisprudenza 
di 
legittimità 
successiva 
alla 
riforma 
non sembra 
aver affatto rinnegato l’orientamento 
preesistente 
che 
riconduceva 
gli 
episodi 
più 
gravi 
di 
asservimento 
della 
funzione 
nell’alveo dell’art. 319 c.p., così 
da 
consentire 
l’applicazione 
di un margine edittale più elevato. 


Si 
è 
trattato 
quindi 
di 
delimitare 
confini 
e 
rapporti 
tra 
le 
due 
figure 
di 
corruzione 
previsti 
agli 
artt. 
318 
e 
319 
c.p., 
cercando 
di 
comprendere 
se 
ogni 
forma 
di 
corruzione 
funzionale, senza 
individuazione 
di 
specifici 
atti, possa 
ricadere 
nell’ambito applicativo dell’art. 318 c.p., oppure 
se, nonostante 
l’introduzione 
di 
una 
specifica 
fattispecie 
in tal 
senso, non risulti 
più ragionevole 
ricomprendere 
ancora 
talune 
ipotesi 
particolarmente 
gravi 
nell’ambito 
dell’art. 
319 c.p., pur in assenza 
di 
un atto determinato contrario ai 
doveri 
d’ufficio. Il 
nodo da 
sciogliere 
risiede, in particolare, nella 
disciplina 
da 
riservare 
ai 
casi 
di 
stabile 
e 
duratura 
(o addirittura 
sine 
die) messa 
a 
“libro paga” 
del 
pubblico 
agente, 
nei 
quali 
l’oggetto 
del 
pactum 
sceleris 
consiste 
in 
un 
generalizzato 
asservimento 
della 
funzione 
agli 
interessi 
privati, qualora 
non sia 
individuabile 
uno specifico atto contrario ai doveri d’ufficio (32). 


3.1 La corruzione 
per 
l’esercizio della funzione 
nella giurisprudenza successiva 
alla riforma del 2012. 
Il 
panorama 
giurisprudenziale 
immediatamente 
successivo 
alla 
riforma 
del 
2012 registra, già 
nelle 
sue 
prime 
pronunce, un contrasto di 
orientamenti 
nella 
VI 
sezione 
penale 
della 
Corte 
di 
Cassazione, 
che 
la 
dottrina 
non 
ha 
mancato 
di rilevare. 

Un 
primo 
indirizzo, 
per 
lungo 
tempo 
maggioritario, 
è 
caratterizzato 
dalla 
marcata 
tendenza 
alla 
valorizzazione, sul 
piano applicativo dell’art. 319 c.p. 
(a 
scapito della 
neo-introdotta 
fattispecie 
di 
cui 
all’art. 318 c.p.), riconducendovi 
tutti 
quei 
casi 
in cui 
decisiva 
non risulta 
tanto l’individuazione 
di 
un atto 
determinato contrario ai 
doveri 
d’ufficio, quanto la 
«contaminazione 
privata 
del 
potere 
pubblico», riscontrabile 
quando la 
pubblica 
funzione 
risulti 
inquinata 
dall’interesse 
privato 
che 
l’accordo 
corruttivo 
è 
volto 
a 
soddisfare, 
andando 
il 
requisito 
della 
contrarietà 
ai 
doveri 
d’ufficio 
a 
coincidere 
con 
la 
violazione 
di 
principi 
di 
trasparenza, imparzialità 
e 
non venalità 
ai 
quali 
l’attività 
pubblica è informata (33). 

Secondo questo orientamento, peraltro, ricondurre 
lo stabile 
e 
duraturo 
asservimento del 
pubblico ufficiale 
agli 
interessi 
personali 
di 
privati, «attra


(32) 
Cfr. 
G. 
FIDELBo, 
La 
corruzione 
“funzionale” 
e 
il 
contrastato 
rapporto 
con 
la 
corruzione 
propria, 
cit., p. 7; 
M. GAMBARDELLA, il 
nodo della “stabile 
messa a libro paga dell’agente 
pubblico” 
in 
tema di corruzione, cit. 
(33) Cfr. 
M. GAMBARDELLA, il 
nodo della “stabile 
messa a libro paga dell’agente 
pubblico” 
in 
tema 
di 
corruzione, 
cit.; 
F. 
PALAzzo, 
Le 
norme 
penali 
contro 
la 
corruzione 
tra 
presupposti 
criminologici 
e finalità etico-sociali, in Cass. pen., 2015, pp. 3396 ss. 

RASSEGnA 
AVVoCATURA 
DELLo 
STATo -n. 1/2023 


verso il 
sistematico ricorso ad atti 
contrari 
ai 
doveri 
di 
ufficio, anche 
se 
non 
predefiniti, né 
specificamente 
individuabili 
ex 
post, ovvero mediante 
l’omissione 
o il 
ritardo di 
atti 
dovuti» nell’ambito applicativo della 
corruzione 
propria 
ex 
art. 319 c.p. -anziché 
nel 
più mite 
reato di 
corruzione 
funzionale 
di 
cui 
all’art. 318 c.p. (il 
quale 
invece 
ricorre, quando il 
pactum 
sceleris 
abbia 
ad oggetto il 
compimento di 
atti 
dell’ufficio) -si 
presenta 
come 
la 
soluzione 
maggiormente 
rispettosa 
dei 
principi 
costituzionali 
di 
proporzionalità 
della 
pena 
(art. 27 Cost.), offensività 
e 
ragionevolezza 
(art. 3 Cost.), poiché 
garantisce 
una 
graduazione 
della 
risposta 
punitiva 
attagliata 
alla 
effettiva 
gravità 
del fatto (34). 


Al 
contrario, 
sempre 
secondo 
l’opinione 
maggioritaria, 
una 
disciplina 
normativa 
che 
punisca 
il 
mercimonio di 
un singolo atto, anche 
se 
contrario ai 
doveri 
dell’ufficio, 
assai 
più 
aspramente 
rispetto 
ad 
una 
condotta 
di 
sistematica 
e 
duratura 
“messa 
a 
libro 
paga” 
del 
pubblico 
agente, 
che 
“svenda” 
l’intera 
sua 
funzione 
all’interesse 
privato per il 
proprio tornaconto personale 
risulterebbe 
censurabile 
proprio 
sotto 
il 
profilo 
dei 
fondamentali 
principi 
costituzionali 
poc’anzi 
indicati 
(35). Appare 
infatti 
fuori 
discussione 
che 
una 
siffatta 
ipotesi 
di 
asservimento sistematico, costante, metodico della 
intera 
funzione 
incarni 
il massimo grado di offensività e di «disvalore giuridico e sociale» (36). 


Di 
conseguenza, tali 
pronunce 
hanno riconosciuto sufficiente, ai 
fini 
del-
l’integrazione 
del 
delitto 
di 
cui 
all’art. 
319 
c.p., 
una 
condotta 
complessivamente 
tesa 
«a 
vanificare, 
concretamente, 
la 
pubblica 
funzione, 
violando 
i 
doveri 
di 
fedeltà, di 
imparzialità 
e 
di 
perseguimento esclusivo degli 
interessi 
pubblici», 
pur 
in 
mancanza 
dell’individuazione 
di 
uno 
specifico 
atto 
contrario 
ai doveri dell’ufficio come oggetto dell’accordo corruttivo (37). 


Il 
presente 
orientamento, inoltre, riconduce 
nella 
sfera 
dell’art. 319 c.p. 
anche 
le 
ipotesi 
in cui 
il 
soggetto pubblico, in esecuzione 
dell’accordo corrut


(34) Così, Cass., Sez. VI, 11 febbraio 2016, n. 8211, Ferrante, in C.E.D. Cass., n. 266510; 
Cass., 
Sez. VI, 23 settembre 
2014, n. 6056, Staffieri, ivi, n. 262333; 
Cfr. G. FIDELBo, La corruzione 
“funzionale” 
e 
il 
contrastato 
rapporto 
con 
la 
corruzione 
propria, 
cit., 
p. 
8; 
Cfr. 
M. 
GAMBARDELLA, 
il 
nodo 
della “stabile messa a libro paga dell’agente pubblico” in tema di corruzione, cit. 
(35) Così 
Cass., Sez. VI, 15 ottobre 
2013, n. 9883, in C.E.D. Cass., n. 258521; 
Cass., Sez. II, 25 
novembre 
2015, ivi, n. 47471. Cfr. G. FIDELBo, La corruzione 
“funzionale” 
e 
il 
contrastato rapporto 
con la corruzione 
propria, cit., p. 8.; 
M. GAMBARDELLA, Condotte 
economiche 
e 
responsabilità penale, 
cit., pp. 479-484. La 
circostanza 
che 
il 
sistema 
dei 
rapporti 
tra 
le 
due 
fattispecie 
delineato dalla 
riforma 
del 
2012 sia 
censurabile 
alla 
luce 
dei 
principi 
costituzionali 
di 
proporzionalità 
della 
pena, offensività 
e 
ragionevolezza 
appare 
ancora 
più discutibile 
se 
si 
pensa 
che 
la 
presente 
disciplina 
normativa 
sia 
stata 
introdotta 
per recepire 
legislativamente 
una 
fattispecie 
corruttiva 
funzionale 
di 
elaborazione 
giurisprudenziale, 
nata 
in risposta 
alla 
concreta 
realtà 
criminologica 
del 
fenomeno; 
e 
per armonizzare 
le 
norme 
incriminatrici in materia, agevolandone al contempo l’accertamento sul piano processuale. 
(36) Così 
Cass., Sez. VI, 15 ottobre 
2013, n. 9883, cit. Cfr. M. GAMBARDELLA, il 
nodo della “stabile 
messa a libro paga dell’agente pubblico” in tema di corruzione, cit. 
(37) Così 
Cass., Sez. VI, 23 febbraio 2016, n. 15959, in C.E.D. Cass., n. 266735; 
Cass., Sez. VI, 
11 febbraio 2016, n. 8211, ivi, n. 266510. Cfr. G. FIDELBo, La corruzione 
“funzionale” 
e 
il 
contrastato 
rapporto con la corruzione propria, cit., p. 8. 

ConTRIBUTI 
DI 
DoTTRInA 


tivo, agisca 
in conformità 
ai 
doveri 
dell’ufficio, nell’esercizio di 
un potere 
discrezionale: 
si 
afferma, quindi, che 
l’attività 
discrezionale 
svolta 
in funzione 
di 
un interesse 
non istituzionale 
valga 
di 
per sé 
ad integrare 
il 
requisito della 
contrarietà 
ai 
doveri 
dell’ufficio, anche 
se 
l’esercizio della 
stessa 
si 
traduca 
nel compimento di atti formalmente legittimi (38). 


La 
presenza 
di 
uno stabile 
rapporto di 
asservimento della 
funzione 
agli 
interessi 
del 
privato, che 
si 
realizzi 
mediante 
il 
compimento di 
atti 
legittimi, 
sembra 
far cadere 
del 
tutto l’obiezione 
di 
chi 
mette 
l’accento sulla 
diversa 
natura, 
di 
danno o di 
pericolo, delle 
due 
fattispecie 
corruttive, dal 
momento che 


-come 
è 
stato affermato -«l’effettivo esercizio di 
poteri 
pubblici 
nel 
contesto 
di 
una 
logica 
globalmente 
orientata 
alla 
realizzazione 
di 
interessi 
diversi 
da 
quelli 
istituzionali, salvo i 
casi 
limite 
di 
attività 
rigorosamente 
predeterminata 
nell’an, nel 
quando 
e 
nel 
quomodo, determina 
con immediatezza 
un pregiudizio 
per 
l’imparzialità 
ed 
il 
buon 
andamento 
dell’amministrazione, 
perché 
implica 
l’impiego 
di 
strumenti 
e 
funzioni 
pubblicistiche 
al 
di 
fuori 
dei 
presupposti 
per i 
quali 
i 
medesimi 
sono stati 
prefigurati, e, quindi, si 
traduce 
in un 
“attuale” 
ed ingiustificato trattamento di 
privilegio in favore 
del 
beneficiario 
dell’azione 
indebitamente 
orientata» 
(39). 
Si 
ritiene 
pertanto 
integrato 
il 
delitto 
di 
corruzione 
per un atto contrario ai 
doveri 
d’ufficio ex 
art. 319 c.p. «quando 
lo stabile 
asservimento del 
pubblico ufficiale 
si 
sia 
anche 
tradotto nel 
compimento, 
a 
vantaggio 
del 
privato, 
di 
uno 
o 
più 
atti 
formalmente 
legittimi, 
ma 
non rigorosamente predeterminati nell’an, nel 
quando 
o nel 
quomodo» (40). 
Può quindi 
evidentemente 
ritenersi 
che 
la 
giurisprudenza 
in esame 
offra 


(38) Così 
Cass., Sez. VI, 24 gennaio 2017, n. 3606, in C.E.D. Cass., n. 269347; 
Cass., Sez. VI, 5 
aprile 2018, n. 29267, ivi, n. 273448; Cass., Sez. VI, 19 aprile 2018, n. 51946, ivi, n. 274507. 
(39) Cass., Sez. VI, 20 ottobre 2016, n. 3606/2017, in C.E.D. Cass., n. 269347. 
(40) ivi; 
in senso conforme 
si 
veda 
Cass., Sez. VI, 15 settembre 
2017, n. 46492, ivi, n. 271383; 
Cass. Pen, Sez. VI, 29267/2018. nell’ambito di 
questo orientamento che 
favorisce 
una 
lettura 
estensiva 
dell’art. 319 c.p., si 
inserisce 
la 
sentenza 
Cass., sez. VI, 15 settembre 
2017, n. 46492, in C.E.D. Cass., 
n. 
271383, 
nella 
quale 
la 
Corte 
ha 
confermato 
l’integrazione 
del 
delitto 
di 
corruzione 
propria 
in 
presenza 
della 
condotta 
di 
un primario ospedaliero che 
aveva 
accettato denaro da 
parte 
di 
un rappresentante 
farmaceutico 
in cambio dell’impegno a 
prescrivere 
il 
farmaco antitumorale 
promosso da 
quest’ultimo a 
tutti 
i 
pazienti 
oncologici. La 
Corte 
ha 
pertanto affermato che, in questo caso, il 
comportamento abdicativo 
del 
medico 
(che 
ricopre 
una 
funzione 
di 
pubblico 
ufficiale) 
rispetto 
al 
dovere 
di 
una 
corretta 
comparazione 
degli 
interessi 
rilevanti 
ai 
fini 
della 
prescrizione 
di 
un determinato farmaco, integri 
di 
per sé 
una 
condotta 
omissiva 
rilevante 
ai 
sensi 
dell’art. 319 c.p. Di 
conseguenza, anche 
qualora 
l’esito concretamente 
raggiunto risulti 
ex 
post 
coincidente 
con l’interesse 
pubblico, la 
condotta 
del 
primario ospedaliero, 
impegnatosi 
alla 
sistematica 
della 
terapia 
farmacologica 
“nexavar” 
(antitumorale), 
in 
adempimento 
ad un accordo corruttivo (quindi 
per mere 
finalità 
di 
profitto indebito), configurerà 
comunque 
il 
delitto 
di 
corruzione 
propria 
di 
cui 
all’art. 319 c.p. Infatti, solo una 
ponderata 
comparazione 
di 
rischi 
e 
benefici 
prevedibili, inserita 
nel 
quadro clinico concreto del 
singolo paziente, può giustificare 
la 
prescrizione 
di 
un qualsivoglia 
farmaco, se 
non si 
vuole 
incorrere 
in un inammissibile 
automatismo della 
prescrizione 
di 
terapie 
farmacologiche, da 
una 
parte, e 
una 
illecita 
condotta 
abdicativa 
da 
parte 
del 
medico delle 
sue 
funzioni, dall’altra. Cfr. M. GAMBARDELLA, il 
nodo della “stabile 
messa a libro paga dell’agente 
pubblico” 
in tema di 
corruzione, cit. Per un excursus 
della 
giurisprudenza 
sul 
punto cfr. anche 
G. STAMPAnonI 
BASSI, Le corruzioni nel codice penale, cit., pp. 9 ss. 

RASSEGnA 
AVVoCATURA 
DELLo 
STATo -n. 1/2023 


una 
lettura 
del 
sistema 
delle 
due 
norme 
incriminatrici 
analoga 
a 
quella 
elaborata 
prima 
della 
riforma 
del 
2012 
-incentrata 
sulla 
violazione 
dei 
doveri 
di 
fedeltà, 
imparzialità 
e 
perseguimento esclusivo degli 
interessi 
istituzionali, con 
relativa 
svalutazione 
del 
requisito 
rappresentato 
dall’atto 
-che, 
di 
conseguenza, 
si 
sostanzia 
in 
una 
lettura 
estensiva 
dell’art. 
319 
c.p., 
relegando 
la 
fattispecie 
di 
corruzione 
funzionale 
ex 
art. 
318 
c.p. 
ad 
un’applicazione 
assai 
marginale, praticamente 
limitata 
alle 
sole 
corruzioni 
nelle 
quali 
la 
funzione 
è 
esercitata in conformità ai doveri dell’ufficio. 


D’altro 
canto, 
un 
orientamento 
inizialmente 
minoritario 
(41) 
-che 
si 
va 
progressivamente 
affermando, 
soprattutto 
in 
tempi 
più 
recenti 
(42) 
-ricostruisce 
in 
maniera 
diversa 
l’ambito 
applicativo 
dell’art. 
318 
c.p. 
e, 
di 
conseguenza, 
il 
rapporto 
tra 
le 
due 
figure: 
«lo 
stabile 
asservimento 
del 
pubblico 
ufficiale 
ad 
interessi 
personali 
di 
terzi, 
realizzato 
attraverso 
l’impegno 
permanente 
compiere 
od 
omettere 
una 
serie 
indeterminata 
di 
atti 
ricollegabili 
alla 
funzione 
esercitata, 
integra 
il 
reato 
di 
cui 
all’art. 
318 
c. 
p. 
e 
non 
il 
più 
grave 
reato 
di 
corruzione 
propria 
di 
cui 
all’art. 
319 
c. 
p., 
salvo 
che 
la 
messa 
a 
disposizione 
della 
funzione 
abbia 
prodotto 
il 
compimento 
di 
un 
atto 
contrario 
ai 
doveri 
di 
ufficio, 
poiché, 
in 
tal 
caso, 
si 
determina 
una 
progressione 
criminosa 
nel 
cui 
ambito 
le 
singole 
dazioni 
eventualmente 
effettuate 
si 
atteggiano 
a 
momenti 
esecutivi 
di 
un 
unico 
reato 
di 
corruzione 
propria 
a 
consumazione 
permanente» 
(43). 


Si 
può notare 
che, stando a 
questo orientamento, l’art. 318 c.p., lungi 
dal 
costituire 
la 
disciplina 
esclusiva 
per le 
ipotesi 
di 
corruzione 
funzionale, trovi 
specificamente 
applicazione 
in 
tutti 
quei 
casi 
in 
cui 
la 
finalità 
dell’accordo 
corruttivo 
(all’interno 
del 
quale 
il 
mercimonio 
della 
funzione 
si 
inserisce) 
non 
sia 
nota, 
oppure 
questo 
abbia 
per 
oggetto 
il 
compimento 
di 
atti 
conformi 
ai 
doveri 
dell’ufficio 
(44). 
Residua 
quindi 
un 
margine 
di 
applicazione 
del 
delitto 
di 
corruzione 
propria 
di 
cui 
all’art. 
319 
c.p., 
«quando 
la 
vendita 
della 
funzione 


(41) orientamento formatosi da principio soprattutto in relazione al caso “MoSE”. 
(42) Da ultimo Cass., Sez. VI, sent. del 18 gennaio 2021, n. 1863. 
(43) 
Cass., 
Sez. 
VI, 
25 
settembre 
2014, 
n. 
49226, 
in 
C.E.D. 
Cass., 
n. 
261352; 
interpretazione 
condivisa 
anche 
da 
Cass., Sez. VI, 27 novembre 
2015, n. 3043, in C.E.D. Cass., n. 265619 nei 
seguenti 
termini: 
«in tema di 
corruzione, l’art. 318 c.p. (nel 
testo introdotto dalla legge 
6 novembre 
2012 n. 190) 
ha natura di 
reato eventualmente 
permanente 
se 
le 
dazioni 
indebite 
sono plurime 
e 
trovano una loro 
ragione 
giustificatrice 
nel 
fattore 
unificante 
dell’asservimento della funzione 
pubblica». In senso conforme 
v. Cass., Sez. VI, 7 luglio 2016, n. 40237, in C.E.D. Cass., n. 267634 (secondo la 
quale 
lo stabile 
asservimento 
del 
pubblico 
funzionario 
ad 
interessi 
personali 
di 
terzi, 
con 
compimento 
sia 
di 
atti 
contrari, 
sia 
di 
atti 
conformi 
ai 
doveri 
d’ufficio, 
configuri 
l’unico 
reato, 
a 
consumazione 
permanente, 
di 
cui 
all’art. 
319 c.p., rimanendo assorbita 
la 
più mite 
fattispecie 
di 
corruzione 
funzionale 
ex 
art. 318 c.p.); 
Cass., 
Sez. VI, 19 settembre 
2019, n. 45184, Cass., Sez. VI, 11 dicembre 
2018, n. 4486, Cass. pen., 2019, p. 
3495; 
Cass. Sez. VI, 20 aprile 
2019, n. 32401, in C.E.D. Cass., n. 276801; 
Cass., Sez. VI, 13 febbraio 
2019, n. 13406, ivi, n. 275428; Cass., Sez. VI, 6 novembre 2019 (ud. 19 settembre 2019), n. 45184. 
(44) 
Cass., 
Sez. 
VI, 
27 
novembre 
2015, 
n. 
3043, 
in 
CED 
Cass., 
n. 
265619. 
Cfr. 
M. 
GAMBARDELLA, 
il nodo della “stabile messa a libro paga dell’agente pubblico” in tema di corruzione, cit. 

ConTRIBUTI 
DI 
DoTTRInA 


sia 
connotata 
da 
uno o più atti 
contrari 
ai 
doveri 
d’ufficio, accompagnate 
da 
indebite 
dazioni 
di 
denaro 
o 
prestazioni 
d’utilità, 
sia 
antecedenti 
che 
susseguenti 
rispetto all’atto tipico, il 
quale 
finisce 
semplicemente 
per evidenziare 
il 
punto 
più 
alto 
di 
contrarietà 
ai 
doveri 
di 
correttezza 
che 
si 
impongono 
al 
pubblico agente» (45). 


In tal 
senso è 
stato peraltro affermato -nell’ambito di 
un episodio di 
c.d. 
“compravendita 
dei 
senatori” 
(dazione 
di 
ingenti 
somme 
di 
denaro in favore 
di 
un senatore 
«volta 
a 
costituire 
un mandato imperativo contrario ai 
doveri 
di 
ufficio, in funzione 
di 
voti 
contrari 
alle 
proposte 
della 
maggioranza 
di 
governo
») -che 
«l’ipotesi 
della 
corruzione 
propria, di 
cui 
all’art. 319 c.p., pur in 
presenza 
del 
mercimonio 
della 
funzione, 
discende 
comunque 
non 
dal 
mero 
riscontro 
di 
questa, 
ma 
dalla 
deduzione 
del 
perseguimento 
degli 
interessi 
del 
privato corruttore, attraverso atti 
contrari 
ai 
doveri 
di 
ufficio, connotati, pur a 
fronte 
di 
atti 
di 
natura 
discrezionale 
e 
formalmente 
legittimi, 
da 
quell’interesse. 
Per contro ricorre 
l’ipotesi 
di 
cui 
all’art. 318 c.p., in presenza 
della 
remunerazione 
del 
munus 
publicum, allorché 
non sia 
specificamente 
individuata 
la 
categoria 
degli 
atti 
di 
riferimento 
ovvero 
quando 
non 
possa 
prospettarsi 
la 
deduzione 
della 
specifica 
violazione 
dei 
doveri 
di 
ufficio 
nel 
compimento 
degli 
atti inerenti all’esercizio della funzione» (46). 


Il 
discrimen 
tra 
le 
due 
figure 
corruttive, 
che 
giustifica 
il 
diverso 
trattamento 
sanzionatorio, è 
pertanto individuato, da 
questo secondo filone 
giuri


(45) Cass., Sez. VI, 27 novembre 2015, n. 3043, in C.E.D. Cass., n. 265619. 
(46) Cass., Sez. VI, 11 settembre 
2018 (ud. 2 luglio 2018), n. 40347, ove 
la 
Corte, nel 
dichiarare 
la 
prescrizione 
del 
reato 
nel 
caso 
di 
specie, 
ha 
escluso 
che 
la 
vicenda 
oggetto 
della 
pronuncia 
possa 
essere 
qualificata 
come 
corruzione 
propria, 
non 
risultando 
tale 
fattispecie 
incriminatrice 
compatibile 
«con la sfera di 
libertà del 
parlamentare, ben diversa da quella di 
chi 
svolge 
attività amministrativa in 
senso stretto: con riguardo allo svolgimento dell’attività tipica del 
parlamentare, infatti, non è 
ravvisabile 
un riferimento al 
bene 
del 
buon andamento e 
dell’imparzialità», essendo egli 
«libero, del 
resto, di 
esprimere 
nel 
modo che 
preferisce 
l’interesse 
della Nazione, quand’anche 
si 
risolva ad assecondare 
liberamente 
intendimenti 
altrui». 
Tale 
affermazione, 
secondo 
la 
Corte, 
è 
valida 
«non 
solo 
per 
il 
passaggio 
del 
parlamentare 
da uno schieramento all’altro, che 
è 
di 
per 
sé 
consentito proprio dalla mancanza di 
un vincolo di 
mandato, costituente 
dato strutturale 
che 
segna la piena autonomia del 
parlamentare, ma 
anche 
per 
ogni 
altro 
tipo 
di 
pattuizione 
nella 
quale 
sia 
dedotto 
l’esercizio 
delle 
funzioni, 
giacché 
da 
tale 
pattuizione 
non 
potrà 
mai 
discendere 
la 
violazione 
di 
doveri 
specificamente 
e 
riconoscibilmente 
correlati 
a 
quell’esercizio. 
Si 
intende 
rimarcare 
come 
anche 
nei 
casi 
di 
mercimonio 
e 
asservimento 
delle 
funzioni, 
ritenuti 
idonei 
ad 
integrare 
il 
delitto 
di 
corruzione 
propria, 
la 
giurisprudenza 
abbia 
comunque 
fatto riferimento alla circostanza che 
la violazione 
dei 
doveri 
debba trasferirsi 
all’atto risultando attraverso 
di esso riconoscibile». 
Ciò, tuttavia, «non significa che 
la condotta di 
corruzione 
sia assorbita per 
intero dall’autonomia della 
funzione 
o dall’operatività dell’immunità, in quanto, come 
detto, essa si 
colloca al 
di 
fuori 
dell’una e 
dell’altra: ma l’autonomia, di 
cui 
l’immunità è 
espressione, influisce 
sulla qualificazione 
del 
suo esercizio, 
precludendo 
la possibilità di 
conferirle 
una connotazione 
in termini 
di 
contrarietà 
ai 
doveri» del-
l’ufficio. 
La 
Corte 
ha 
affermato, 
di 
conseguenza, 
il 
principio 
stando 
al 
quale 
«nei 
confronti 
del 
parlamentare 
non è 
mai 
configurabile 
il 
reato di 
corruzione 
propria (per 
atto contrario ai 
doveri 
di 
ufficio), 
antecedente 
e/o 
susseguente, 
previsto 
dall’art. 
319 
c.p., 
ostandovi 
il 
combinato 
disposto 
degli 
artt. 64, 67 e 68 della Costituzione». 

RASSEGnA 
AVVoCATURA 
DELLo 
STATo -n. 1/2023 


sprudenziale, 
proprio 
nella 
progressione 
criminosa 
dell’interesse 
tutelato 
sotto 
al 
profilo della 
gravità: 
mentre 
nella 
corruzione 
per l’esercizio della 
funzione 
ex 
art. 318 c.p. la 
dazione 
del 
privato al 
pubblico agente, al 
fine 
di 
assicurarsene 
i 
favori, 
pone 
in 
pericolo 
il 
corretto 
svolgimento 
della 
funzione 
pubblica, 
nella 
seconda 
la 
percezione 
di 
un’utilità 
indebita 
da 
parte 
dell’intraneus 
sinallagmaticamente 
connessa 
al 
compimento di 
uno o più atti 
individuati 
contrari 
ai 
doveri 
dell’ufficio 
comporta 
una 
lesione 
concreta 
dei 
beni 
giuridici 
protetti, 
così da giustificare una risposta punitiva maggiormente incisiva (47). 

In sostanza, il 
presente 
orientamento ritiene 
di 
far ricadere 
tutte 
le 
ipotesi 
di 
corruzione 
sistemica, caratterizzate 
dalla 
presenza 
di 
un accordo illecito tra 
corruttore 
e 
corrotto, 
che 
impegna 
quest’ultimo 
in 
modo 
stabile 
e 
continuativo 
al 
compimento (o all’omissione) di 
una 
serie 
non esattamente 
predeterminata 
di 
atti 
incardinabili 
nell’ambito 
della 
funzione 
esercitata 
-di 
volta 
in 
volta 
classificate 
dalla 
prassi 
giudiziaria 
precedente 
al 
2012 
come 
“messa 
a 
libro 
paga 
del 
pubblico 
funzionario”, 
“asservimento 
della 
funzione 
pubblica 
agli 
interessi 
privati” 
o “messa 
a 
disposizione 
del 
pubblico ufficio” 
-precedentemente 
ricondotte 
all’art. 
319 
c.p., 
nella 
nuova 
fattispecie 
di 
corruzione 
per 
l’esercizio della 
funzione 
di 
cui 
all’art. 318 c.p., introdotta 
dalla 
legge 
n. 190 
del 2012 (48). 


3.2 Le 
ricadute 
dell’incremento sanzionatorio della corruzione 
“funzionale” 
ad opera della L. n. 3 del 2019 sul sistema della corruzione. 
Come 
accennato, il 
legislatore 
del 
2019, con la 
legge 
n. 3, è 
nuovamente 
intervenuto 
sui 
delitti 
di 
corruzione, 
senza 
tuttavia 
modificare 
in 
modo 
sostanziale 
l’assetto delineato dalla 
legge 
n. 190 del 
2012, intervenendo sulle 
fattispecie 
incriminatrici 
-il 
linea 
con 
le 
recenti 
riforme 
-esclusivamente 
sul 
piano 
sanzionatorio. 

Le 
più 
recenti 
riforme 
in 
materia 
di 
corruzione 
(e 
delitti 
contro 
la 
pubblica 
amministrazione 
in 
generale) 
sono 
infatti 
accomunate 
dal 
giustificare 
la 
loro 
tendenza 
ad 
introdurre 
inasprimenti 
sanzionatori 
sulla 
base 
di 
una 
asserita 
esigenza 
di 
garantire 
una 
migliore 
repressione 
sul 
piano 
general-preventivo, 
utilizzando 
la 
pena 
detentiva 
come 
deterrente; 
tendenza 
che, 
di 
per 
sé, 
risulta 
frutto 
di 
una 
concezione 
assai 
riduttiva 
del 
fenomeno 
in 
oggetto, 


(47) Cass., Sez. VI, 25 settembre 
2014, n. 49226, in C.E.D. Cass., n. 261352; 
Cass., Sez. VI, 11 
dicembre 
2018, n. 4486, in C.E.D. Cass., n. 274984; 
in Cass. pen., 2019, p. 3495. Visione 
questa, che 
sebbene 
fedele 
all’assetto delineato dalla 
riforma 
del 
2012 -non è 
stata 
esente 
da 
critiche 
in dottrina 
perché 
considerata 
da 
alcuni 
eccessivamente 
formalista, 
fondata 
com’è 
sul 
criterio 
formale 
del 
pericolo/danno per il 
bene 
giuridico tutelato, a 
scapito di 
una 
attenta 
valutazione 
del 
concreto disvalore 
delle 
condotte, incardinata 
nell’ottica 
complessiva 
del 
sottosistema 
dei 
delitti 
in esame. Cfr. M. GAMBARDELLA, 
il 
nodo della “stabile 
messa a libro paga dell’agente 
pubblico” 
in tema di 
corruzione, cit.; 
n. oRTU, Gli accordi illeciti nel sistema della corruzione, cit. 
(48) 
Cass., 
Sez. 
VI, 
sent. 
del 
18 
gennaio 
2021, 
n. 
1863. 
Cfr. 
M. 
GAMBARDELLA, 
il 
nodo 
della 
“stabile 
messa a libro paga dell’agente pubblico” in tema di corruzione, cit. 

ConTRIBUTI 
DI 
DoTTRInA 


se 
non 
accompagnata 
di 
una 
adeguata 
azione 
sul 
piano 
amministrativo-organizzativo. 
Peraltro, 
mentre 
la 
legge 
del 
2012, 
n. 
190, 
oltre 
ad 
innalzare 
la 
pena 
edittale, 
è 
intervenuta 
anche 
in 
chiave 
preventiva, 
(con 
strumenti 
più 
marcatamente 
amministrativi) 
sull’organizzazione 
della 
pubblica 
amministrazione, 
in 
virtù 
di 
una 
nozione 
di 
corruzione 
più 
ampia 
e 
svincolata 
dal 
solo 
profilo 
penale; 
l’ultima 
manovra 
legislativa 
sembra 
condividere 
solo 
in 
parte 
tale 
strategia. 
Vengono 
innalzate, 
oltre 
alla 
pena 
principale 
del 
delitto 
ex 
art. 
318 
c.p., 
anche 
le 
sanzioni 
accessorie 
per 
i 
reati 
corruttivi, 
comprese 
le 
sanzioni 
interdittive 
previste 
dal 
d.lgs. 
n. 
231 
del 
2001 
per 
la 
responsabilità 
da 
reato 
degli 
enti, 
e 
vengono 
introdotte 
innovative 
misure 
sostanziali, 
investigative 
e 
processuali 
(49), 
nella 
consapevolezza 
che 
l’effettività 
della 
repressione 
di 
tali 
episodi 
non 
dipenda 
unicamente 
dal 
quantum 
di 
pena 
previsto 
dalla 
legge 
in 
risposta 
agli 
stessi. 


Tale 
consapevolezza 
del 
legislatore 
del 
2019 
si 
legge 
nella 
Relazione 
di 
accompagnamento 
al 
disegno 
di 
legge, 
la 
quale 
rimarca 
il 
fatto 
che 
una 
effettiva 
ed 
efficace 
strategia 
di 
contrasto 
alla 
corruzione 
«non 
può 
esaurirsi 
nell’inasprimento 
sanzionatorio, 
destinato 
a 
rimanere 
privo 
di 
effettività 
se 
non 
accompagnato 
da 
efficaci 
strumenti 
di 
prevenzione 
e 
di 
accertamento 
dei 
reati» 
(50). 


nonostante 
la 
pacifica 
presa 
di 
coscienza 
della 
insufficienza 
dell’incremento 
sanzionatorio 
come 
strumento 
di 
contrasto 
alla 
corruzione, 
una 
tale 
operazione 
sulla 
cornice 
edittale 
del 
delitto 
di 
corruzione 
per 
l’esercizio 
della 
funzione 
è 
stata 
giustificata 
dall’esigenza 
di 
armonizzare 
il 
quantum 
di 
pena 
(precedentemente 
ritenuto inadeguato) previsto per la 
corruzione 
per l’esercizio 
della 
funzione 
con quello delle 
figure 
di 
corruzione 
per un atto contrario 
ai 
doveri 
d’ufficio 
ex 
art. 
319 
c.p. 
e 
di 
corruzione 
in 
atti 
giudiziari 
di 
cui 
all’art. 
319-ter 
c.p., così 
da 
appianare 
in parte 
il 
divario di 
gravità 
tra 
la 
fattispecie 
generale 
-nella 
quale, come 
si 
è 
osservato, ricade 
una 
serie 
assai 
eterogenea 
di 
fatti 
concreti, connotati 
da 
un livello di 
offensività 
anche 
molto diverso gli 
uni 
dagli 
altri 
-e 
le 
due 
speciali. obiettivo che, tuttavia, non risulta 
del 
tutto 
riuscito, dal 
momento che 
la 
riforma 
lascia 
immutato -anzi 
sostanzialmente 
recepisce 
-l’impianto 
complessivo 
dei 
delitti 
di 
corruzione, 
e, 
di 
conseguenza, 
i 
rapporti 
formali 
tra 
le 
due 
principali 
fattispecie; 
assetto 
che 
vede 
ancora 
come 
figura 
più mite 
quella 
di 
cui 
all’art. 318 c.p. rispetto alla 
contigua 
corruzione 
propria 
ex 
art. 319 c.p. 


(49) Per una 
disamina 
delle 
misure 
introdotte 
con la 
legge 
n. 3 del 
2019 cfr. M. GAMBARDELLA, 
il 
grande 
assente 
nella nuova “legge 
spazzacorrotti”: il 
microsistema delle 
fattispecie 
di 
corruzione, in 
Cass. pen., 2019, pp. 45 ss. 
(50) Relazione 
al 
disegno di 
legge 
n. 1189 presentato dal 
Ministro della 
Giustizia 
il 
24 settembre 
2018, recante 
«Misure 
per il 
contrasto dei 
reati 
contro la 
pubblica 
amministrazione 
e 
in materia 
di 
trasparenza 
dei partiti e movimenti politici». 

RASSEGnA 
AVVoCATURA 
DELLo 
STATo -n. 1/2023 


4. il 
rimodulato discrimen tra corruzione 
per 
l’esercizio della funzione 
e 
corruzione 
propria. 
Se 
da 
una 
parte, 
come 
accennato, 
l’inasprimento 
sanzionatorio 
del 
delitto 
di 
corruzione 
per 
l’esercizio 
della 
funzione 
è 
stato 
sostenuto 
da 
una 
finalità 
principalmente 
repressiva, 
allo 
stesso 
può, 
al 
contempo, 
ricollegarsi 
di 
riflesso 
l’effetto sistematico di 
appianare 
il 
divario sanzionatorio tra 
le 
due 
principali 
fattispecie 
corruttive, così 
da 
condurle 
su livelli 
sanzionatori 
omogenei 
(dai 
3 
agli 
8 anni 
di 
reclusione 
per la 
corruzione 
“funzionale” 
ex 
art. 318 c.p., dai 
6 
ai 
10 per quella 
propria 
ex 
art. 319 c.p.), delineare 
confini 
più razionali 
tra 
le 
stesse, 
ed 
attenuare, 
in 
parte, 
la 
critica 
incentrata 
sull’argomento 
dell’eccessivo 
stacco, sul 
piano della 
gravità, tra 
le 
due 
figure, tale 
da 
rendere 
insufficiente 
quella 
“funzionale” 
prevista 
dall’art. 
318 
c.p. 
a 
reprimere 
gli 
episodi 
più 
gravi 
di asservimento del funzionario (51). 


La 
pena 
oggi 
prevista 
per il 
delitto in esame 
trova 
la 
propria 
giustificazione 
-lo 
si 
legge 
nella 
Relazione 
al 
disegno 
di 
legge 
-nella 
esigenza 
di 
«consentire 
l’adeguamento 
della 
risposta 
repressiva 
alla 
concreta 
portata 
offensiva 
delle 
condotte 
riconducibili 
a 
tale 
fattispecie 
di 
reato, suscettibili 
di 
disvalore 
anche 
molto diverso», oltre 
che, come 
si 
è 
detto, di 
armonizzarla 
-pur mantenendo 
«una 
congrua 
differenziazione 
di 
pene» -con quella 
stabilita 
per le 
due 
figure 
speciali 
di 
corruzione 
propria 
ex 
art. 319 c.p. e 
corruzione 
in atti 
giudiziari 
ex 
art. 319-ter 
c.p. (52). Il 
legislatore 
del 
2019, peraltro, non solo prende 
atto 
della 
consolidata 
giurisprudenza 
che 
all’indomani 
della 
riformulazione 
dell’art. 
318 
c.p. 
ha 
ricondotto 
nell’alveo 
dell’art. 
319 
c.p. 
gli 
episodi 
più 
gravi 
di 
corruzione 
“funzionale” 
(53), ma 
sembrerebbe 
quasi 
“recepirla”, mettendo 


(51) Cfr. ibidem, p. 10. 
(52) Relazione 
al 
disegno di 
legge 
n. 1189 presentato dal 
Ministro della 
Giustizia 
il 
24 settembre 
2018, cit. 
(53) Come 
si 
legge 
nella 
Relazione 
al 
disegno di 
legge 
n. 1189 presentato dal 
Ministro della 
Giustizia 
il 
24 settembre 
2018, cit., pp. 6: 
«Va peraltro evidenziato che, con indirizzo interpretativo andato 
consolidandosi 
(pur 
se 
con 
diverse 
sfumature) 
negli 
anni 
successivi 
alla 
riforma 
introdotta 
con 
la 
legge 
n. 190 del 
2012, la giurisprudenza tende 
a configurare 
tali 
più gravi 
condotte 
di 
mercimonio della funzione 
quali 
forme 
di 
corruzione 
“per 
un atto contrario ai 
doveri 
d’ufficio”, ai 
sensi 
dell’articolo 319 
del 
codice 
penale, e 
non già quale 
corruzione 
per 
l’esercizio della funzione, ai 
sensi 
dell’articolo 318 
del 
medesimo codice. Ciò non solo quando l’attività amministrativa si 
traduca in atti 
contrari 
ai 
doveri 
d’ufficio, 
ma 
anche 
quando 
essa 
si 
risolva 
in 
atti 
formalmente 
legittimi. 
Viene, 
infatti, 
individuato 
l’atto 
contrario ai 
doveri 
d’ufficio nello “stabile 
asservimento del 
pubblico ufficiale 
ad interessi 
personali 
di 
terzi, attraverso il 
sistematico ricorso ad atti 
contrari 
ai 
doveri 
di 
ufficio non predefiniti, né 
specificamente 
individuabili 
ex 
post, 
ovvero 
mediante 
l’omissione 
o 
il 
ritardo 
di 
atti 
dovuti” 
(Corte 
di 
cassazione, 
sezione 
Vi, sentenza n. 15959 del 
23 febbraio 2016, rv. 266735), ma anche 
nel 
caso di 
“stabile 
asservimento 
del 
pubblico ufficiale 
a interessi 
personali 
di 
terzi, che 
si 
traduca in atti, che, pur 
formalmente 
legittimi, 
in 
quanto 
discrezionali 
e 
non 
rigorosamente 
predeterminati 
nell’an, 
nel 
quando 
o 
nel 
quomodo, 
si 
conformino all’obiettivo di 
realizzare 
l’interesse 
del 
privato nel 
contesto di 
una logica globalmente 
orientata alla realizzazione 
di 
interessi 
diversi 
da quelli 
istituzionali” 
(Corte 
di 
cassazione, sezione 
Vi, 
sentenza n. 3606 del 
20 ottobre 
2016, rv. 269347). Secondo la Suprema Corte, “un siffatto esercizio di 
pubblici 
poteri 
determina 
con 
immediatezza 
un 
pregiudizio 
per 
l’imparzialità 
ed 
il 
buon 
andamento 

ConTRIBUTI 
DI 
DoTTRInA 


in 
risalto 
la 
capacità 
della 
fattispecie 
di 
cui 
all’art. 
318 
c.p. 
di 
alleggerire 
l’onere 
probatorio rispetto a 
quello richiesto dall’art. 319 c.p., agevolandone 
l’accertamento 
e, 
quindi, 
l’utilizzo, 
ogniqualvolta 
il 
rapporto 
di 
corrispettività 
con 
l’emanazione 
di 
uno 
specifico 
atto 
d’ufficio 
non 
sia 
riscontrabile 
(54). 
nonché 
delineando, al 
contempo, un rapporto più equilibrato tra 
le 
due 
principali 
figure 
di 
corruzione, 
che 
scongiuri 
il 
rischio, 
spesso 
manifestatosi, 
di 
un’applicazione 
eccessivamente 
marginale 
dell’art. 
318 
c.p. 
(relegato 
da 
parte 
della 
giurisprudenza 
agli 
episodi 
corruttivi 
riferibili 
ad 
attività 
conformi 
ai 
doveri 
dell’ufficio) (55). 


Ed invero, la 
riforma 
del 
2012 ha 
rivoluzionato il 
rapporto intercorrente 
tra 
le 
due 
fattispecie 
corruttive, 
che 
da 
rapporto 
di 
alterità 
(o, 
se 
si 
vuole, 
“specialità 
reciproca”), imperniato sulla 
conformità/contrarietà 
dell’atto ai 
doveri 
d’ufficio, 
si 
presenta 
ora 
come 
relazione 
di 
genere 
a 
specie 
(56), 
che 
conferisce 
alla 
norma 
generale 
rappresentata 
dall’art. 318 c.p. una 
posizione 
centrale 
nel 
sistema 
dei 
delitti 
di 
corruzione; 
centralità 
che 
appare 
maggiormente 
giustificata 
dopo l’inasprimento sanzionatorio introdotto dalla 
legge 
n. 3 del 
2019, il 
quale, 
avendo 
ridotto 
lo 
scarto 
con 
la 
contigua 
fattispecie 
di 
corruzione 
propria 


dell’amministrazione, 
perché 
implica 
l’impiego 
di 
strumenti 
e 
funzioni 
pubblicistiche 
al 
di 
fuori 
dei 
presupposti 
per 
i 
quali 
i 
medesimi 
sono 
stati 
prefigurati, 
e, 
quindi, 
si 
traduce 
in 
un 
‘attuale’ed 
ingiustificato 
trattamento di 
privilegio in favore 
del 
beneficiario dell’azione 
indebitamente 
orientata” 
(in tal 
senso, 
in motivazione, si 
confronti 
anche 
la più recente 
sentenza: Corte 
di 
cassazione, sezione 
Vi, n. 46492 del 
15 settembre 
2017, rv. 271383). L’atto contrario ai 
doveri 
d’ufficio o, più specificamente, l’omissione 
di 
un 
atto 
dell’ufficio 
è 
quindi 
individuato 
nel 
comportamento 
abdicativo 
del 
pubblico 
ufficiale 
di 
fronte 
al 
dovere 
di 
una corretta comparazione 
degli 
interessi 
rilevanti, anche 
quando l’esito raggiunto risulti 
coincidere ex post con l’interesse pubblico». 

(54) Invero -si 
legge 
nella 
Relazione 
-«se 
una risposta punitiva adeguata si 
vuole 
comunque 
assicurare 
al 
mercimonio del 
munus 
publicum, pur 
se 
sganciata da una riconoscibile 
logica di 
formale 
sinallagmaticità 
con 
un 
determinato 
o 
determinabile 
atto 
dell’ufficio, 
facendola 
rifluire 
nell’alveo 
“naturale” 
della corruzione 
per 
l’esercizio della funzione, di 
cui 
all’articolo 318 c.p. (con il 
conseguente 
alleggerimento 
dell’onere 
probatorio 
del 
reato 
in 
sede 
processuale 
e 
maggiore 
effettività 
dell’azione 
penale), 
sembra 
necessario 
estendere 
la 
cornice 
edittale 
prevista 
per 
tale 
delitto, 
aumentandone 
la 
pena 
sia nel 
minimo che 
nel 
massimo». Inoltre, nella 
medesima 
Relazione, è 
specificato che: 
«La prova del 
più grave 
delitto di 
cui 
all’articolo 319 del 
codice 
penale 
[…] può tuttavia essere 
impervia e 
l’accertamento 
della responsabilità penale 
molto difficoltoso. La configurabilità del 
delitto di 
cui 
all’articolo 
319 del 
codice 
penale 
presuppone, infatti, l’accertamento non solo della sinallagmaticità tra dazione 
(o promessa di 
dazione) e 
l’atto (o gli 
atti) dell’ufficio, ma anche 
la prova dell’effettiva deviazione 
del-
l’esercizio della discrezionalità amministrativa dal 
modello procedimentale 
che 
la disciplina, quanto 
meno nella forma della rinunzia a priori 
a un’equanime 
comparazione 
degli 
interessi 
in gioco. il 
che, 
nel 
caso 
di 
attività 
amministrativa 
ad 
alto 
tasso 
di 
discrezionalità 
e 
tanto 
più 
a 
fronte 
di 
atti 
formalmente 
legittimi 
e 
finanche 
conformi 
all’interesse 
stesso della pubblica amministrazione, può essere 
molto difficile 
da accertare» (Relazione 
al 
disegno di 
legge 
n. 1189 presentato dal 
Ministro della 
Giustizia 
il 
24 
settembre 2018, cit., p. 7). 
(55) 
Cfr. 
G. 
FIDELBo, 
La 
corruzione 
“funzionale” 
e 
il 
contrastato 
rapporto 
con 
la 
corruzione 
propria, 
cit., p. 10. 
(56) 
Cfr., 
ex 
multis, 
M. 
RoMAno, 
i 
delitti 
contro 
la 
pubblica 
amministrazione. 
i 
delitti 
dei 
pubblici 
ufficiali, 
artt. 
314-335-bis, 
cit., 
p. 
154.; 
F. 
VIGAnò, 
La 
riforma 
dei 
delitti 
di 
corruzione, 
in 
Libro 
dell’anno 
del diritto, Treccani, Roma, 2013, p. 154. 

RASSEGnA 
AVVoCATURA 
DELLo 
STATo -n. 1/2023 


-ritenuto eccessivo ed “aggirato” 
dalla 
giurisprudenza, mediante 
l’interpretazione 
estensiva 
dell’art. 319 c.p. -sembra 
almeno in parte 
aver restituito “dignità 
applicativa” 
al 
reato di 
corruzione 
per l’esercizio della 
funzione 
di 
cui 
all’art. 318 c.p. (57). 
È 
stato infatti 
osservato che 
«il 
riallineamento sanzionatorio è 
un riconoscimento, 
da 
parte 
del 
legislatore, della 
reale 
portata 
offensiva 
delle 
condotte 
riconducibili 
al 
fenomeno 
della 
corruzione 
per 
l’esercizio 
della 
funzione 
e, 
nello stesso tempo, una 
legittimazione 
della 
centralità 
di 
tale 
figura, pur nella 
consapevolezza 
che 
l’art. 318 c.p. non può coprire 
l’intera 
area 
della 
vendita 
della 
funzione, desumibile 
dal 
fatto, oggettivo, che 
la 
corruzione 
propria 
resta 
ancora punita più gravemente» (58). 


Può 
quindi 
desumersi 
che 
i 
fenomeni 
di 
c.d. 
“messa 
a 
libro 
paga” 
del-
l’agente 
pubblico 
-o 
“asservimento 
della 
funzione”, 
che 
dir 
si 
voglia 
-possano 
ricondursi 
ad entrambe 
le 
fattispecie 
corruttive 
di 
cui 
agli 
artt. 318 e 
319 c.p., 
in relazione 
al 
livello di 
determinatezza 
che 
il 
pactum 
sceleris 
(in particolare, 
l’atto d’ufficio oggetto del 
patto) di 
volta 
in volta 
presenta, vero elemento di 
discrimine 
tra 
le 
due 
figure. 
Ciò 
in 
adesione 
all’orientamento 
giurisprudenziale 
per lungo tempo minoritario che 
proprio nel 
“grado di 
determinatezza” 
del-
l’accordo 
corruttivo 
ha 
ravvisato 
la 
linea 
di 
demarcazione 
tra 
i 
due 
reati 
in 
oggetto, 
affermando 
che 
l’ambito 
dell’art. 
318 
c.p. 
non 
possa 
costituire 
il 
referente 
normativo 
per 
ogni 
ipotesi 
di 
vendita 
della 
funzione, 
ma 
solo 
per 
quegli 
episodi 
in 
cui 
«il 
finalismo 
del 
suo 
mercimonio» 
non 
sia 
ancora 
definito, 
consentendo l’applicazione 
dell’art. 319 c.p. nei 
casi 
in cui 
la 
«vendita 
della 
funzione 
sia 
connotata 
da 
uno 
o 
più 
atti 
contrari 
ai 
doveri 
di 
ufficio» 
(59). 
Dopo tutto, il 
concetto di 
asservimento della 
funzione 
descrive 
un fenomeno 
empirico 
multiforme, 
che 
sfugge 
ad 
una 
apposita 
descrizione 
legislativa 
e 
che, 
a 
seconda 
delle 
modalità 
concrete 
in 
cui 
si 
verifica, 
ben 
può 
rientrare 
nell’ambito 
corruzione 
per 
l’esercizio 
della 
funzione, 
ovvero 
in 
quello 
della 
corruzione 
per atto contrario ai doveri d’ufficio (60). 


Sembra, pertanto, ragionevole 
affermare 
che, nell’assetto vigente 
-risultante 
dagli 
interventi 
legislativi 
avvicendatesi 
fino al 
2019 -il 
discrimen 
tra 
i 
due 
delitti 
debba 
rinvenirsi 
sotto al 
profilo del 
“grado di 
determinazione 
del-
l’atto d’ufficio”, quindi 
dell’oggetto dell’accordo illecito: 
se 
oggetto del 
mercimonio 
è 
il 
generico 
asservimento 
della 
funzione 
ad 
interessi 
non 
istituzionali, 


(57) 
Cfr. 
G. 
FIDELBo, 
La 
corruzione 
“funzionale” 
e 
il 
contrastato 
rapporto 
con 
la 
corruzione 
propria, 
cit., pp. 10-11; 
Relazione 
al 
disegno di 
legge 
n. 1189 presentato dal 
Ministro della 
Giustizia 
il 
24 
settembre 2018, cit., p. 7. 
(58) 
Cfr. 
G. 
FIDELBo, 
La 
corruzione 
“funzionale” 
e 
il 
contrastato 
rapporto 
con 
la 
corruzione 
propria, 
cit., p. 11. 
(59) Sez. VI, 25 settembre 2014, n. 47271, Chisso, cit. 
(60) 
Cfr. 
n. 
oRTU, 
Gli 
accordi 
illeciti 
nel 
sistema 
della 
corruzione, 
cit.; 
M. 
RoMAno, 
i 
delitti 
contro 
la pubblica amministrazione, cit., p. 167. 

ConTRIBUTI 
DI 
DoTTRInA 


senza 
che 
siano individuati 
atti 
specifici, il 
fatto ricadrà 
nella 
fattispecie 
prevista 
dall’art. 318 c.p.; 
se, invece, nel 
patto di 
asservimento del 
pubblico funzionario 
è 
previsto 
che 
questi 
compia 
atti 
contrari 
ai 
doveri 
d’ufficio 
determinati 
anche 
solo per genere 
-in adempimento dello stesso, allora 
sarà 
consentito applicare il più grave reato di cui all’art. 319 c.p. (61). 


La 
più recente 
giurisprudenza 
richiamata, peraltro, ha 
tentato di 
giustificare 
la 
minore 
gravità 
della 
corruzione 
per l’esercizio per la 
funzione 
rispetto 
alla 
corruzione 
propria 
ex 
art. 319 c.p. sulla 
base 
della 
circostanza 
che, nella 
prima 
figura, in assenza 
di 
atti 
determinati 
o determinabili 
come 
oggetto del 
patto, questo sia 
finalizzato genericamente 
a 
precostituire 
condizioni 
favorevoli 
nei 
rapporti 
con il 
soggetto pubblico (la 
c.d. “corruzione 
a 
futura 
memoria”); 
mentre 
nella 
corruzione 
propria, 
rientrando 
nell’accordo 
futuri 
atti 
contrari 
ai 
doveri 
d’ufficio, 
al 
disvalore 
costituito 
dall’asservimento 
della 
funzione 
in sé 
si 
somma 
quello dato dall’impegno dell’agente 
pubblico al 
compimento 
di 
un 
abuso 
specifico 
e 
concreto 
della 
sua 
funzione, 
individuato 
attraverso un atto determinato o determinabile (62). 

Questa 
ricostruzione 
-nel 
tentativo di 
restituire 
razionalità 
ai 
rapporti 
tra 
le 
due 
fattispecie 
-mette 
in 
risalto 
la 
natura 
di 
reato 
di 
pericolo 
(peraltro 
eventuale) 
del 
delitto in esame, senza 
svuotarne 
completamente 
la 
portata 
applicativa 
e 
relegarlo 
ad 
un 
ambito 
di 
utilizzo 
marginale: 
scopo 
della 
norma 
è 
quello 
di 
prevenire 
il 
compimento di 
condotte 
lesive 
dell’imparzialità 
della 
pubblica 
amministrazione, punendo (anche) condotte 
di 
asservimento della 
funzione, 
prodromiche 
rispetto al 
compimento di 
specifici 
atti 
diretti 
eventualmente 
a 
favorire, in futuro, gli interessi personali del corruttore (63). 

L’art. 319 c.p., invece, viene 
ricostruito come 
reato di 
danno, in quanto 
colpisce 
quei 
comportamenti, messi 
in atto attraverso il 
compimento di 
specifici 
atti 
contrari 
ai 
doveri 
d’ufficio (a 
cui 
è 
equiparata, in termini 
di 
disvalore, 


(61) In tal 
senso si 
è 
pronunciata 
la 
dottrina 
formatasi 
sull’ambito di 
applicazione 
dell’art. 318 
c.p. (e 
sul 
rapporto con l’art. 319 c.p.) anche 
precedente 
alla 
legge 
n. 3 del 
2019: 
cfr., ex 
multis, S. SE-
MInARA, i delitti 
di 
concussione, corruzione 
per 
l’esercizio della funzione 
e 
induzione 
indebita, in Speciale 
corruzione, in Dir. pen. proc., 2013, p. 20; 
A. GARGAnI, 
La riformulazione 
dell’art. 318 c.p., cit., 
p. 629; 
G. FIDELBo, La corruzione 
“funzionale” 
e 
il 
contrastato rapporto con la corruzione 
propria, 
cit., p. 11; 
n. ortu, Gli 
accordi 
illeciti 
nel 
sistema della corruzione, cit.; 
M. RoMAno, i delitti 
contro la 
pubblica amministrazione, cit., p. 167. 
(62) Così 
Cass. pen., Sez. VI, 28 novembre 
2014, n. 49226; 
Sez. VI, 29 gennaio 2019, n. 4486; 
Sez. VI, 22 ottobre 
2019, n. 18125/2020; 
Sez. VI, 29 luglio 2021, n. 29284; 
Sez. VI, 3 giugno 2021, n. 
21724; 
Sez. VI, 3 maggio 2021, n. 16781; 
Sez. VI, 7 marzo 2022, n. 8099. Cfr. G. STAMPAnonI 
BASSI, 
Le corruzioni nel codice penale, cit., pp. 17 ss. 
(63) Cass. pen. Sez. VI, 02/12/2022, n. 45863 “il 
delitto di 
corruzione 
per 
l’esercizio della funzione 
pubblica, di 
cui 
all’art. 318 cod. pen., come 
novellato dalla L. 6 novembre 
2012, n. 190, si 
differenzia 
da 
quello 
di 
corruzione 
propria, 
di 
cui 
all’art. 
319 
cod. 
pen., 
in 
quanto 
ha 
natura 
di 
reato 
di 
pericolo, 
sanzionando 
la 
presa 
in 
carico, 
da 
parte 
del 
pubblico 
funzionario, 
di 
un 
interesse 
privato 
dietro una dazione 
o promessa indebita, senza che 
sia necessaria l’individuazione 
del 
compimento di 
uno 
specifico 
atto 
d’ufficio”; 
Cfr. 
G. 
FIDELBo, 
La 
corruzione 
“funzionale” 
e 
il 
contrastato 
rapporto 
con 
la corruzione propria, cit., p. 12; Così Cass. Sez. VI, 11 dicembre 2018, n. 4486, cit. 

RASSEGnA 
AVVoCATURA 
DELLo 
STATo -n. 1/2023 


la 
circostanza 
in cui 
tali 
atti, pur non individuati, siano comunque 
determinabili), 
che 
comportano di 
per sé 
una 
concreta 
lesione 
al 
bene 
giuridico dell’imparzialità 
della 
pubblica 
amministrazione, giustificando -secondo il 
presente 
orientamento - una maggiore gravità sanzionatoria (64). 


Sicché, se 
il 
patto corruttivo con il 
quale 
il 
pubblico agente 
vende 
esclusivamente 
la 
sua 
funzione 
ha 
ad 
oggetto 
l’impegno 
futuro 
a 
prendere 
in 
carico, 
all’occorrenza, 
gli 
interessi 
privati 
del 
corruttore, 
appare 
condivisibile 
l’orientamento 
secondo 
cui 
le 
due 
figure 
corruttive 
sono 
legate 
da 
un 
rapporto 
di 
“progressione 
criminosa” 
dell’interesse 
tutelato in termini 
di 
gravità 
-rispecchiata 
dalla 
crescente 
risposta 
punitiva 
-da 
uno 
stadio 
di 
pericolo, 
dato 
dal 
generico asservimento della 
funzione 
pubblica, ad uno stadio di 
lesione, rappresentata 
dall’individuazione 
di 
un 
atto 
contrario 
ai 
doveri 
dell’ufficio 
e 
dalla 
distorsione del potere pubblico nelle sue finalità che esso esprime (65). 


Pertanto, dato che, secondo questa 
visione 
giurisprudenziale 
“razionalizzatrice” 
dell’assetto 
normativo, 
la 
linea 
di 
demarcazione 
tra 
le 
due 
figure 
nonché 
l’elemento che 
conferisce 
loro un diverso livello di 
disvalore 
-risiede 
nel 
“grado 
di 
determinatezza” 
dell’oggetto 
dell’accordo 
corruttivo, 
un 
momento 
complesso, 
in 
sede 
di 
applicazione, 
sarà 
rappresentato 
-non 
tanto 
dalla 
dimostrazione 
della 
pattuizione 
di 
un atto determinato ovvero della 
sua 
totale 
assenza, bensì 
-dall’accertamento, da 
condurre 
caso per caso, circa 
la 
sussistenza 
o meno di 
uno o più atti 
determinabili 
ma 
non (ancora) individuati. Un 
tale 
accertamento dovrà 
essere 
condotto mettendo al 
centro dell’esame 
l’accordo 
corruttivo, in quanto si 
ritiene 
che 
la 
determinabilità 
dell’atto non potrà 
che 
emergere 
dalla 
determinatezza 
stessa 
del 
patto, 
nonché 
dalla 
condotta 
concretamente 
posta 
in 
essere 
dal 
pubblico 
agente 
nell’esercizio 
della 
sua 
funzione: 
il 
pactum 
sceleris 
dovrà 
quindi 
essere 
interpretato al 
fine 
di 
verificare 
la 
possibilità 
di 
ricavare, nell’ambito del 
suo oggetto, l’individuazione, anche 


(64) Cfr. ibidem. 
Come 
recentemente 
ribadito dalla 
giurisprudenza 
di 
legittimità, l’elemento distintivo 
della 
fattispecie 
di 
corruzione 
per 
l’esercizio 
della 
funzione 
rispetto 
a 
quella 
per 
un 
atto 
contrario 
ai 
doveri 
d’ufficio 
«resta 
pertanto 
segnato 
dalla 
progressione 
criminosa 
dell’interesse 
protetto 
in 
termini 
di 
gravità (che 
giustifica la diversa risposta punitiva) da una situazione 
di 
pericolo (il 
generico asservimento 
della funzione) ad una fattispecie 
di 
danno, in cui 
si 
realizza la massima offensività del 
reato 
(con l’individuazione 
di 
un atto contrario ai 
doveri 
d’ufficio)». Mentre 
nel 
primo caso la 
dazione 
indebita, 
condizionando la 
fedeltà 
ed imparzialità 
del 
pubblico ufficiale 
che 
si 
mette 
genericamente 
a 
disposizione 
del 
privato, 
pone 
in 
pericolo 
il 
corretto 
svolgimento 
della 
pubblica 
funzione; 
nell’altro 
la 
prestazione 
del 
privato, essendo sinallagmaticamente 
connessa 
con il 
compimento di 
uno specifico atto 
contrario ai 
doveri 
d’ufficio, comporta 
una 
concreta 
lesione 
del 
bene 
giuridico protetto, meritando di 
conseguenza 
una 
pena 
più severa. Così 
Cass., Sez. VI, 2 giugno 2020 (ud. 22 ottobre 
2019), n. 18125; 
Cass., Sez. VI, sent. del 18 gennaio 2021, n. 1863. 
(65) Così 
da 
ultimo Cass. pen., Sez. VI, 24/05/2023, n. 22390 “Lo stabile 
asservimento del 
pubblico 
ufficiale 
ad interessi 
personali 
di 
terzi, con episodi 
sia di 
atti 
contrari 
ai 
doveri 
d'ufficio che 
di 
atti 
conformi 
o non contrari 
a tali 
doveri, configura un unico reato permanente, previsto dall’art. 319 
cod. 
pen., 
in 
cui 
è 
assorbita 
la 
meno 
grave 
fattispecie 
di 
cui 
all’art. 
318 
stesso 
codice”; 
Sez. 
VI, 
3 
maggio 2021, n. 16781; 
Sez. VI, 7 marzo 2022, n. 8099. Cfr. G. STAMPAnonI 
BASSI, 
Le 
corruzioni 
nel 
codice penale, cit., pp. 20-21; n. oRTU, Gli accordi illeciti nel sistema della corruzione, cit. 

ConTRIBUTI 
DI 
DoTTRInA 


potenziale, di 
un atto amministrativo contrario ai 
doveri 
dell’ufficio, e 
solo in 
questo caso il 
fatto integrerà 
il 
delitto di 
corruzione 
propria 
di 
cui 
all’art. 319 
c.p. (66). 


Particolari 
difficoltà 
applicative 
saranno 
riscontrabili, 
di 
conseguenza, 
ogniqualvolta 
l’oggetto dell’accordo non risulti 
con chiarezza: 
in tal 
caso, al 
fine 
di 
verificare 
il 
“peso” 
che 
ha 
avuto 
l’interesse 
privato 
nella 
decisione 
del-
l’intraneus 
-soprattutto 
nell’esercizio 
di 
attività 
discrezionale 
-«potranno 
soccorrere 
nell’accertamento il 
tipo di 
funzione 
e 
la 
ricostruzione 
ex 
post 
(anche 
in base 
all’atto che 
sia 
stato poi 
eventualmente 
compiuto) della 
situazione 
ex 
ante, 
quale 
si 
presentava 
ai 
due 
al 
momento del 
patto»; 
tuttavia, «ove 
non si 
raggiunga 
la 
prova 
dell’espresso o tacito ruolo che 
avrebbe 
dovuto svolgere 
l’interesse 
privato, dovrà 
concludersi 
-in dubio pro reo 
-per la 
meno grave 
corruzione 
ex 
art. 318 c.p.» (67). 


(66) 
Cfr. 
G. 
FIDELBo, 
La 
corruzione 
“funzionale” 
e 
il 
contrastato 
rapporto 
con 
la 
corruzione 
propria, 
cit., p. 13; 
G. STAMPAnonI 
BASSI, 
Le 
corruzioni 
nel 
codice 
penale, cit., pp. 19 ss.; 
n. oRTU, Gli 
accordi 
illeciti nel sistema della corruzione, cit. 
(67) M. RoMAno, i delitti 
contro la pubblica amministrazione. i delitti 
dei 
pubblici 
ufficiali, artt. 
314-335-bis, cit., p. 210. 

RASSEGnA 
AVVoCATURA 
DELLo 
STATo -n. 1/2023 


rapporti tra procedimento penale e procedimento 
disciplinare: un excursus giurisprudenziale sul lavoro privato 
e quello alle dipendenze di Pubbliche 
amministrazioni 


Andrea Ferri* 


Sommario: 1. La tempestività della contestazione 
degli 
addebiti 
nel 
settore 
privato: le 
differenze 
significative 
tra il 
settore 
privato e 
quello pubblico -2. il 
lavoro pubblico e 
le 
tre 
discipline 
temporali 
dell’interferenza tra procedimento disciplinare 
e 
procedimento penale 



3. 
La 
tempestività 
della 
contestazione 
degli 
addebiti 
nel 
settore 
privato: 
esposizione 
delle 
decisioni 
della Corte 
di 
Cassazione 
su fattispecie 
diverse 
e 
le 
oscillazioni 
interpretative 
-3.1 
Commento 
riassuntivo 
delle 
linee 
tenute 
dalla 
Corte 
di 
Cassazione 
-4. 
Tempestività 
della 
contestazione 
degli 
addebiti 
e 
procedimento penale 
nella P.a. Dalla rigidità del 
T.U. 1957 n. 
3 alla disciplina intertemporale 
con l’entrata in vigore 
della normativa contrattuale 
-4.1 La 
giurisprudenza dopo la legge 
“Brunetta” 
e 
l’articolo 55 ter 
del 
d.lgs. 165/2001 -4.2 Valutazioni 
critiche e conclusioni finali. 
1. 
La 
tempestività 
della 
contestazione 
degli 
addebiti 
nel 
settore 
privato: 
le 
differenze 
significative tra il settore privato e quello pubblico. 
nel 
presente 
scritto 
si 
intendono 
verificare 
le 
interferenze 
tra 
procedimento 
disciplinare 
e 
processo 
penale 
cui 
sia 
sottoposto 
il 
dipendente, 
ponendo 
a 
raffronto quanto avviene 
nel 
campo del 
lavoro privato e 
quanto avveniva 
ed 
avviene 
nel 
pubblico 
impiego 
ora 
privatizzato, 
particolarmente 
nel 
campo 
della 
tempestività 
della 
contestazione 
degli 
addebiti, 
nonché 
della 
irrogazione 
della 
sanzione e della legittimità di un loro differimento. 

In materia 
di 
procedimento disciplinare 
permangono delle 
differenze 
significative 
tra 
il 
campo del 
lavoro pubblico e 
quello del 
lavoro privato. L’attivazione 
della 
responsabilità 
disciplinare 
è 
discrezionale 
per il 
lavoro privato 
e 
il 
principio di 
tempestività, che 
viene 
ricavato dall’articolo 7 dello Statuto 
dei 
lavoratori 
ed 
è 
in 
via 
di 
principio 
accolto 
dalla 
giurisprudenza 
unanime 
seppure 
con non piccole 
divergenze, serve 
a 
prevenire 
distorsioni 
applicative 
da 
parte 
del 
datore 
di 
lavoro (1). Viceversa 
l’esercizio del 
potere 
disciplinare 
è 
per il 
datore 
di 
lavoro pubblico un dovere 
indefettibile 
e 
non solo per il 
fatto 


(*) 
Dirigente 
del 
Ministero 
dell’Istruzione 
e 
del 
Merito 
presso 
l’Ufficio 
Scolastico 
Regionale 
per 
le 
Marche. 


(1) 
MALIzIA, 
La 
variabilità 
empirica 
del 
concetto 
di 
immediatezza 
nella 
contestazione 
disciplinare 
in argomenti 
di 
diritto del 
lavoro, 
2009, pagg. 592-597, identifica 
queste 
possibili 
distorsioni 
nel 
fatto 
che 
un dilazionato esercizio del 
potere 
disciplinare 
potrebbe 
far sorgere 
in capo al 
lavoratore 
il 
ragionevole 
affidamento sulla 
definitiva 
decisione 
del 
datore 
di 
non perseguirlo; 
nella 
possibilità 
che 
maliziosamente 
il 
datore 
non 
contesti 
l’inadempimento 
con 
l’intento 
dissimulato 
di 
colpire 
altre 
simili 
infrazioni 
con maggiore 
severità; 
nell’intento di 
ostacolare 
la 
difesa 
del 
lavoratore 
contestandogli 
i 
fatti 
dopo un 
lungo lasso di tempo. 

ConTRIBUTI 
DI 
DoTTRInA 


che 
il 
suo ingiustificato mancato esercizio costituisce 
a 
sua 
volta 
fonte 
di 
responsabilità 
disciplinare 
(articolo 55 sexies 
del 
d.lgs. 165/2001), ma 
anche 
in 
considerazione 
del 
fatto 
che 
i 
lavoratori 
pubblici, 
sebbene 
il 
rapporto 
di 
lavoro 
e 
parte 
dell’organizzazione 
degli 
uffici 
siano 
stati 
privatizzati, 
perseguono 
scopi 
di 
interesse 
generale 
e 
pertanto 
la 
loro 
negligenza 
compromette 
detti 
scopi 
primari 
e 
non l’economia 
individuale 
del 
datore 
di 
lavoro, per quanto 
essa sia rilevante. 


oltre 
ai 
fini, è 
diversa 
pure 
la 
disciplina 
positiva 
dell’istituto tra 
i 
campi 
del 
pubblico e 
del 
privato. nel 
lavoro privato non esistono termini 
precisi 
ed 
univoci 
per l’avvio nonché 
per la 
sua 
conclusione, retti 
entrambi 
dal 
concetto 
elastico 
ed 
affidato 
alla 
concretizzazione 
giurisprudenziale 
della 
tempestività. 
Il 
lavoro privato neppure 
ha 
una 
disciplina 
univoca 
dei 
rapporti 
tra 
procedimento 
disciplinare 
e 
penale, 
nè 
regole 
sulla 
sospensione 
cautelare 
in 
pendenza 
del 
processo penale; 
esso al 
più conosce 
la 
sospensione 
in pendenza 
di 
procedimento 
disciplinare, 
ossia 
per 
un 
breve 
periodo 
volto 
all’accertamento 
dei 
fatti. 
Il 
lavoro 
pubblico 
ha, 
invece, 
conosciuto 
nel 
tempo 
tre 
discipline 
dell’interferenza 
tra procedimento disciplinare e procedimento penale. 


2. il 
lavoro pubblico e 
le 
tre 
discipline 
temporali 
dell’interferenza tra procedimento 
disciplinare e procedimento penale. 
nel 
vigore 
del 
d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3, l’articolo 103 disponeva 
che 
il 
capo dell’ufficio che 
a norma dell’art. 100 è 
competente 
ad irrogare 
la censura 
deve 
compiere 
gli 
accertamenti 
del 
caso 
e, 
ove 
ritenga 
che 
sia 
da 
irrogare 
una 
sanzione 
più 
grave 
della 
censura, 
rimette 
gli 
atti 
all’ufficio 
del 
personale. 
L’ufficio del 
personale 
che 
abbia comunque 
notizia di 
una infrazione 
disciplinare 
commessa da un impiegato svolge 
gli 
opportuni 
accertamenti 
preliminari 
e, ove 
ritenga che 
il 
fatto sia punibile 
con la sanzione 
della censura, 
rimette 
gli 
atti 
al 
competente 
capo ufficio; negli 
altri 
casi 
contesta subito gli 
addebiti 
all’impiegato 
invitandolo 
a 
presentare 
le 
giustificazioni. 
L’articolo 
117 
prescriveva 
che 
qualora 
per 
il 
fatto 
addebitato 
all’impiegato 
sia 
stata 
iniziata 
azione 
penale 
il 
procedimento 
disciplinare 
non 
può 
essere 
promosso 
fino 
al 
termine 
di 
quello penale 
e, se 
già iniziato, deve 
essere 
sospeso. 
Peraltro, in 
pendenza 
di 
indagini 
penali 
sino a 
quando non sopravveniva 
l’azione 
penale, 
l’amministrazione 
poteva 
dare 
corso al 
procedimento ed eventualmente 
definirlo. 
A 
disciplinare 
l’ipotesi 
della 
celere 
definizione 
del 
procedimento prima 
dell’avvio del 
procedimento penale 
e 
di 
un successivo giudicato penale 
assolutorio 
il 
d.P.R.1957 n. 3 disponeva 
all’articolo 119 che 
il 
procedimento disciplinare 
può essere 
riaperto se 
l’impiegato cui 
fu inflitta la sanzione 
ovvero la 
vedova 
o 
i 
figli 
minorenni 
che 
possono 
avere 
diritto 
al 
trattamento 
di 
quiescenza 
adducano nuove 
prove 
tali 
da far 
ritenere 
che 
sia applicabile 
una sanzione 
minore o possa essere dichiarato il proscioglimento dall’addebito. 


Con la 
privatizzazione 
del 
pubblico impiego e 
la 
successiva 
stipulazione 



RASSEGnA 
AVVoCATURA 
DELLo 
STATo -n. 1/2023 


dei 
CCnL 
le 
parti 
contraenti 
optarono per una 
accezione 
ancor più rigida 
del 
principio di 
pregiudizialità 
penale. Esemplificativamente 
si 
cita 
il 
CCnL 
16 
maggio 1995 (ccnl 
normativo 1994-1997 ed economico 1995-1999 del 
comparto 
Ministeri), ricordando che 
gli 
altri 
contratti 
divergono per aspetti 
solo 
letterali. 
L’articolo 
25 
intitolato 
codice 
disciplinare 
disponeva 
che: 
6. 
Nel 
caso 
previsto dalla lettera “a” 
del 
comma 5, l’amministrazione 
inizia il 
procedimento 
disciplinare 
ed 
inoltra 
la 
denuncia 
penale. 
il 
procedimento 
disciplinare 
rimane 
tuttavia sospeso fino alla sentenza definitiva. analoga sospensione 
è 
disposta 
anche 
nel 
caso 
in 
cui 
l’obbligo 
della 
denuncia 
penale 
emerga 
nel 
corso 
del 
procedimento 
disciplinare 
già 
avviato. 
7. 
al 
di 
fuori 
dei 
casi 
previsti 
nel 
comma 
6, 
quando 
l’amministrazione 
venga 
a 
conoscenza 
dell’esistenza 
di 
un procedimento penale 
a carico del 
dipendente 
per 
i 
medesimi 
fatti 
oggetto 
di 
procedimento disciplinare, questo è 
sospeso fino alla sentenza definitiva. 


8. il 
procedimento disciplinare 
sospeso ai 
sensi 
dei 
commi 
6 e 
7 è 
riattivato 
entro 
180 
giorni 
da 
quando 
l’amministrazione 
ha 
avuto 
notizia 
della 
sentenza 
definitiva. La 
pregiudizialità 
del 
procedimento penale 
rispetto a 
quello disciplinare 
era 
ancora 
più accentuata 
dal 
momento che 
essa 
veniva 
fatta 
risalire 
all’avvio del 
procedimento penale 
con la 
denuncia 
e 
sino al 
sopravvenire 
di 
una sentenza irrevocabile (2). 
La 
terza 
modalità 
di 
relazione 
dei 
rapporti 
tra 
procedimento disciplinare 
e 
procedimento penale 
è 
quella 
inaugurata 
con il 
d.lgs. 150/2009, c.d. legge 
Brunetta, che 
ha 
tra 
l’altro novellato l’articolo 55 del 
d.lgs. 165/2001 introducendo 
l’articolo 
55 
ter 
-rapporti 
fra 
procedimento 
disciplinare 
e 
procedimento 
penale 
-di 
cui 
si 
riporta 
il 
comma 
1 
ulteriormente 
modificato 
dal 
d.lgs. 
75/2017 
nella 
parte 
di 
interesse: 
il 
procedimento 
disciplinare, 
che 
abbia 
ad 
oggetto, in tutto o in parte, fatti 
in relazione 
ai 
quali 
procede 
l’autorità giudiziaria, 
è 
proseguito e 
concluso anche 
in pendenza del 
procedimento penale. 
Per 
le 
infrazioni 
per 
le 
quali 
è 
applicabile 
una 
sanzione 
superiore 
alla 
sospensione 
dal 
servizio 
con 
privazione 
della 
retribuzione 
fino 
a 
dieci 
giorni, 
l’ufficio 
competente 
per 
i 
procedimenti 
disciplinari, 
nei 
casi 
di 
particolare 
complessità 
dell’accertamento 
del 
fatto 
addebitato 
al 
dipendente 
e 
quando 
all’esito dell’istruttoria non dispone 
di 
elementi 
sufficienti 
a motivare 
l’irrogazione 
della sanzione, può sospendere 
il 
procedimento disciplinare 
fino al 
termine 
di 
quello penale. Fatto salvo quanto previsto al 
comma 3, il 
procedimento 
disciplinare 
sospeso 
può 
essere 
riattivato 
qualora 
l’amministrazione 
giunga 
in 
possesso 
di 
elementi 
nuovi, 
sufficienti 
per 
concludere 
il 
procedimento, 
ivi 
incluso un provvedimento giurisdizionale 
non definitivo. resta in 
ogni 
caso salva la possibilità di 
adottare 
la sospensione 
o altri 
provvedimenti 
cautelari 
nei 
confronti 
del 
dipendente. La 
forte 
attenuazione 
del 
principio di 


(2) SGUEGLIA, appunti 
per 
una riflessione 
in tema di 
sospensione 
del 
procedimento disciplinare 
in pendenza di quello penale 
in Lavoro e previdenza oggi, fasc. 11, pagg. 1273-1278. 

ConTRIBUTI 
DI 
DoTTRInA 


pregiudizialità, 
che 
è 
oggi 
possibile 
per 
i 
soli 
illeciti 
di 
una 
certa 
gravità 
e 
solo 
purché 
ricorrano 
la 
particolare 
complessità 
dell’accertamento 
del 
fatto 
o 
la 
carenza 
di 
elementi 
d’accusa 
all’esito dell’istruttoria 
(3), risponde 
all’esigenza 
di 
assicurare 
che 
la 
sanzione 
sia 
irrogata 
nell’immediatezza 
del 
compimento 
dei 
fatti 
assicurandole 
una 
concreta 
effettività, rafforzandone 
il 
carattere 
generale 
preventivo, 
nella 
realistica 
presa 
d’atto 
che 
i 
tempi 
lunghi 
della 
vicenda 
penale rischiavano di minare l’effettività della sanzione. 


3. 
La 
tempestività 
della 
contestazione 
degli 
addebiti 
nel 
settore 
privato: 
esposizione 
delle 
decisioni 
della 
Corte 
di 
Cassazione 
su 
fattispecie 
diverse 
e 
le 
oscillazioni interpretative. 
nella 
questione 
decisa 
dalla 
sentenza 
della 
Corte 
di 
cassazione 
del 
10 
settembre 
2003 
n. 
13294 
(4) 
veniva 
in 
questione 
la 
tempestività 
del 
licenziamento 
comminato per una 
sua 
eccessiva 
distanza 
temporale 
dalla 
notizia 
dei 
fatti. Il 
datore 
di 
lavoro, un istituto bancario, osservava 
che 
solo il 
29 ottobre 
1992 (il 
dipendente 
infatti 
aveva taciuto la relativa notizia al 
datore 
di 
lavoro in violazione 
di 
specifica disposizione 
del 
contratto collettivo) la Banca era venuta 
a sapere 
che 
il 
… 
era stato rinviato a giudizio per 
i 
reati 
di 
bancarotta fraudolenta 
e 
false 
comunicazioni 
sociali, con l’accusa di 
avere, nella qualità di 
presidente 
di 
una 
cooperativa 
e 
in 
concorso 
con 
altri, 
esposto 
nei 
bilanci 
e 
nelle 
comunicazioni 
sociali 
fatti 
non 
rispondenti 
al 
vero, 
effettuato 
sottrazioni 
dolose 
di 
ingenti 
somme 
di 
denaro e 
utilizzato a fini 
personali 
i 
fondi 
sociali. 
Il 
datore 
di 
lavoro negava 
che 
potessero fornire 
una 
notizia 
sufficientemente 
circostanziata 
da 
legittimare 
l’avvio del 
procedimento disciplinare 
i 
fatti 
anteriori 
alla 
conoscenza 
del 
rinvio a 
giudizio consistenti 
in una 
manifestazione 
di 
protesta 
nei 
confronti 
del 
... 
compiuta 
davanti 
alla 
Banca 
da 
soci 
della 
cooperativa 
che 
lamentavano irregolarità contabili 
e 
la sottrazione 
di 
somme 
di 
denaro, 
le 
notizie 
allora 
comparse 
sulla 
stampa, 
la 
condanna 
del… 
a 
L. 


300.000 di 
multa e 
un anno di 
reclusione 
per 
fatti 
attenenti 
ad ipotetici 
inadempimenti 
societari. 
non veniva 
ravvisato un difetto di 
tempestività 
per 
il 
fatto 
che 
l’azienda, 
dopo 
avere 
allontanato 
provvisoriamente 
e 
cautelarmente 
il 
lavoratore 
con nota del 
29 ottobre 
1992, avvalendosi 
dello strumento previsto 
dall’art. 34 del 
C.C.N.L., avesse 
poi 
aperto il 
procedimento di 
licenziamento 
e 
risolto 
il 
rapporto 
con 
nota 
del 
27 
aprile 
1993. 
La 
difesa 
del 
(3) Sull’interpretazione 
dei 
requisiti 
legittimanti 
la 
sospensione 
vedi 
SoRDI, 
i rapporti 
tra procedimento 
penale 
e 
procedimento 
disciplinare 
nelle 
amministrazioni 
pubbliche 
in 
il 
lavoro 
nelle 
pubbliche 
amministrazioni, 
2010, fasc. 3/4, pagg. 606-608, che 
configura 
i 
rapporti 
tra 
i 
due 
requisiti 
di 
cui 
all’articolo 
55 ter 
come 
alternativi. In realtà 
i 
due 
requisiti 
sono in un rapporto di 
reciproca 
inscindibilità 
dal 
momento 
che 
la 
particolare 
complessità 
dell’istruttoria 
non 
permette 
di 
acquisire 
elementi 
che 
supportino 
l’azione 
disciplinare 
e 
che 
qualora 
a 
seguito 
dell’esperimento 
dell’istruttoria 
non 
emergano 
univoci 
profili 
di responsabilità non potrà che farsi ricorso alla sospensione. 
(4) In orientamenti della giurisprudenza del lavoro, 
2003, fasc. 4, pag. 910. 

RASSEGnA 
AVVoCATURA 
DELLo 
STATo -n. 1/2023 


lavoratore 
eccepiva 
inoltre 
che 
il 
giudice 
di 
secondo 
grado 
non 
ha 
preso 
in 
considerazione 
che 
i 
fatti 
contestati 
erano 
noti 
fin 
dal 
1990 
(non 
potendosi 
considerare 
fatto nuovo il 
rinvio a giudizio), che 
il 
reato di 
cui 
l’attuale 
ricorrente 
era 
accusato 
non 
era 
stato 
commesso 
sul 
luogo 
di 
lavoro, 
e 
che 
il 
comportamento 
penalmente 
rilevante 
del 
medesimo 
aveva 
determinato 
solo 
un 
rinvio 
a 
giudizio, 
sicché 
non 
vi 
era 
una 
statuizione 
giudiziaria 
a 
suo 
carico, 
neanche 
non 
definitiva, 
sicché 
avrebbe 
dovuto 
essere 
mantenuta 
la 
sospensione 
cautelativa 
del 
lavoratore 
almeno 
fino 
alla 
sentenza 
di 
primo 
grado, 
anche 
perché 
il 
giudice 
civile 
non 
può 
sostituirsi 
al 
giudice 
penale 
nell’accertamento 
delle 
responsabilità penali. 
La 
Corte 
di 
Cassazione 
con specifico riferimento 
al 
tema 
qui 
di 
interesse 
della 
tardività 
del 
licenziamento 
rispetto 
alla 
notitia 
illiciti 
ha 
osservato 
che, 
poiché 
indubbiamente 
la 
tempestività 
della 
contestazione 
deve 
essere 
correlata all’epoca in cui 
il 
datore 
di 
lavoro ha acquisito 
un’adeguata conoscenza dei 
fatti 
(cfr. Cass. 15 ottobre 
1998 n. 10204 
e 
1 
aprile 
2000 
n. 
3948), 
è 
determinante 
l’accertamento 
secondo 
cui 
è 
proprio 
a partire 
dalla notizia del 
decreto di 
rinvio a giudizio che 
il 
datore 
di 
lavoro 
è 
venuto a conoscenza delle 
specifiche 
contestazioni 
poste 
a base 
di 
detto rinvio 
a giudizio, relative 
a fatti 
che 
sicuramente 
non si 
erano precedentemente 
prospettati 
al 
datore 
di 
lavoro 
in 
termini 
di 
simile 
gravità; 
la 
Corte 
proseguiva 
affermando che 
“nella giurisprudenza di 
questa Corte, è 
sottolineato come, 
in caso di 
intervenuta sospensione 
cautelare 
del 
lavoratore 
sottoposto a procedimento 
penale, la definitiva contestazione 
disciplinare 
e 
il 
licenziamento 
per 
i 
relativi 
fatti 
ben possono essere 
differiti, in relazione 
alla pendenza del 
procedimento penale”. nella 
sentenza 
in commento emerge 
che 
il 
momento 
rilevante 
per la 
contestazione 
degli 
addebiti 
è 
stato il 
rinvio a 
giudizio non attribuendosi 
rilievo alla 
pregressa 
conoscenza 
che 
la 
Banca 
possedeva 
dei 
fatti 
che 
consistevano in fonti 
non ufficiali, atipiche 
quali 
manifestazioni 
di 
piazza 
contro il 
dipendente 
infedele 
direttore 
di 
una 
cooperativa 
edilizia 
e 
nell’avere 
costui 
riportato una 
condanna 
precedente 
per inadempimenti 
societari. L’osservazione 
sul 
valore 
determinante 
dell’avvenuto allontanamento del 
dipendente 
dal 
lavoro, 
intesa 
come 
indice 
inequivoco 
della 
volontà 
di 
procedere 
alla 
definizione 
della 
sanzione, 
acquista 
senso 
solo 
se 
si 
fa 
coincidere 
il 
dies 
a 
quo 
dall’effettiva 
conoscenza 
dalla 
richiesta 
di 
rinvio a 
giudizio, altrimenti 
se 
si 
fosse 
attribuito 
rilievo 
alla 
pregressa 
pur 
frammentaria 
conoscenza 
dei 
fatti 
che 
il 
datore 
di 
lavoro aveva 
avuto, anche 
la 
sospensione 
sarebbe 
stata 
considerata 
una tardiva manifestazione di volontà. 

La 
fattispecie, di 
cui 
alla 
sentenza 
dell’8 luglio 2004 n. 12649 della 
Cassazione 
(5) 
riguardava 
ancora 
l’intempestività 
di 
un 
licenziamento 
irrogato 
da 
Poste 
Italiane. Il 
datore 
di 
lavoro disponeva 
di 
due 
relazioni 
ispettive, circa 
illeciti 
di 
rilievo penale 
di 
una 
propria 
dipendente, in seguito alla 
cui 
consegna 


(5) In orientamenti della giurisprudenza del lavoro, 
2004, fasc. 3, pag. 655. 

ConTRIBUTI 
DI 
DoTTRInA 


dava 
avviso 
all’autorità 
giudiziaria. 
L’ 
amministrazione, 
pur 
avendo 
avuto 
contezza 
della 
richiesta 
di 
rinvio a 
giudizio avvenuta 
il 
27 gennaio 1995, aveva 
atteso l’esito definitivo del 
procedimento penale, avviato in seguito alla 
sua 
denuncia 
e 
conclusosi 
il 
16 febbraio 1996 con una 
sentenza 
patteggiata. Diversamente 
da 
quanto avvenuto nella 
sentenza 
succitata, in quella 
ora 
in commento 
il 
datore 
di 
lavoro 
aveva 
raccolto 
direttamente 
elementi 
indiziari, 
piuttosto forti, tanto da 
consentire 
una 
denuncia 
all’autorità 
giudiziaria 
ed il 
susseguente 
rinvio a 
giudizio e 
la 
condanna. Sebbene 
a 
volersi 
seguire 
il 
dictum 
di 
Cassazione 
13294/2003, 
il 
dies 
a 
quo 
avrebbe 
dovuto 
ravvisarsi 
nel 
rinvio 
a 
giudizio 
e 
pertanto 
la 
protratta 
inerzia 
avrebbe 
dovuto 
invalidare 
come 
intempestivo 
il 
provvedimento 
di 
licenziamento, 
la 
Cassazione 
nell’odierna 
sentenza 
pur dando atto che 
l’azienda 
non avesse 
formalmente 
sospeso la 
lavoratrice 
ed avesse 
atteso la 
sentenza 
definitiva 
ritiene 
una 
formalità 
equipollente, 
ai 
fini 
di 
mostrare 
il 
perdurante 
interesse 
di 
Poste 
Italiane 
ad avviare 
e 
concludere 
il 
procedimento 
disciplinare, 
l’allontanamento 
dalle 
mansioni 
pregresse, 
sebbene 
esso potesse 
costituire 
un semplice 
avvicendamento, espressione 
di 
una 
volontà 
conservativa 
del 
rapporto. Ciò che 
va 
posto in evidenza 
è 
che 
la 
Cassazione 
non attribuisce 
rilievo di 
dies 
a quo 
all’esito dell’attività 
ispettiva 
interna 
alla 
luce 
del 
fatto che 
i 
reati 
erano stati 
commessi 
in servizio 
ed erano consisti 
nell’avere 
indotto alcuni 
utenti 
a 
versare 
somme 
di 
danaro 
in eccesso, senza 
fare 
risultare 
la 
differenza 
in sede 
di 
riscontro di 
cassa. Pertanto, 
pur a 
fronte 
di 
prove 
nella 
disponibilità 
del 
datore 
sin dal 
1994, la 
Corte 
non le 
ha 
ritenute 
elementi 
sufficienti 
a 
fondare 
una 
valutazione 
di 
non tempestività 
dell’avvio del procedimento disciplinare (6). 


La 
sentenza 
del 
20 
giugno 
2006 
n. 
14103 
(7) 
riconosce 
la 
tempestività 
della 
contestazione 
e 
del 
disposto 
licenziamento 
di 
un 
lavoratore 
da 
parte 
dell’Enel, a 
dispetto del 
licenziamento irrogato a 
più di 
4 anni 
dai 
fatti. Avuta 
infatti 
contezza 
dell’arresto 
del 
dipendente 
l’ente 
ne 
disponeva 
la 
sospensione 
cautelare 
ed all’atto della 
riammissione 
faceva 
espressa 
riserva 
di 
avviare 
il 
procedimento disciplinare; 
faceva 
poi 
seguito la 
contestazione 
degli 
addebiti 
(“in ossequio alla sentenza del 
15 novembre 
1996, in virtù della quale 
il 
Tribunale 
di 
Latina ha riconosciuto e 
dichiarato le 
sue 
responsabilità per 
aver 
commesso, 
in 
regime 
di 
concorso 
con 
altro 
collega 
e 
con 
abuso 
delle 
possedute 
qualità e 
funzioni, il 
reato di 
concussione 
ex 
artt. 317 e 
110 c.p.c., in danno 
dell’imprenditore, 
le 
comunichiamo 
che 
avendo 
siffatta 
fattispecie, 
gravissimo 
rilievo 
anche 
sul 
piano 
disciplinare, 
con 
la 
presente 
le 
muoviamo 
formale 
contestazione”) 
all’esito 
della 
quale 
veniva 
celermente 
concluso 
il 
procedimento, 


(6) Con riferimento ad un licenziamento che 
era 
stato preceduto da 
una 
lunga 
attività 
istruttoria 
del 
datore 
di 
lavoro volta 
ad accertare 
gli 
abusi 
del 
dipendente 
(consistenti 
nel 
richiedere 
il 
rimborso di 
pasti non connessi alla sue funzioni) vedi MALIzIA, 
La variabilità empirica del concetto..., cit. 
(7) In il foro italiano, 
2007, fasc. II, parte I, pag. 48. 

RASSEGnA 
AVVoCATURA 
DELLo 
STATo -n. 1/2023 


sebbene 
il 
Tribunale 
avesse 
pronunciato 
sentenza 
di 
non 
luogo 
a 
procedere 
per intervenuta 
prescrizione. nella 
valutazione 
della 
tempestività 
viene 
attribuito 
rilievo 
alle 
fasi 
del 
procedimento 
penale 
cui 
hanno 
fatto 
tempestivamente 
seguito le determinazioni del datore di lavoro. 

La 
sentenza 
del 
18 gennaio 2007 n. 1101 (8) ha 
confermato la 
tardività 
del 
licenziamento irrogato dal 
lavoratore 
a 
9 anni 
di 
distanza 
dai 
fatti, disattendendo 
la 
motivazione 
del 
datore 
di 
lavoro, 
che 
pur 
avendo 
svolto 
in 
proprio 
un 
attività 
ispettiva 
che 
indicava 
come 
indiziata 
dell’illecita 
sottrazione 
di 
somme 
nell’ufficio la 
dipendente 
successivamente 
licenziata, non aveva 
avviato 
il 
procedimento 
disciplinare 
perché 
fidava 
nell’esito 
del 
giudizio 
penale. 
Le 
ragioni 
della 
sentenza 
stanno nel 
fatto che 
l’amministrazione 
disponesse 
di 
mezzi 
di 
prova, 
seppur 
indiziari 
e 
che 
la 
asserita 
decisione 
di 
attendere 
l’esito del 
giudizio penale 
era 
stata 
successivamente 
contraddetta 
dai 
fatti, in 
quanto contestazione 
e 
licenziamento erano stati 
intimati 
mentre 
ancora 
pendeva 
il primo grado di giudizio. 


La 
sentenza 
4502/2008 
(9) 
riconosce 
la 
legittimità 
della 
contestazione 
e 
del 
susseguente 
licenziamento 
dal 
momento 
che 
era 
la 
sospensione 
cautelare 
ad 
assumere 
un 
univoco 
significato 
di 
volontà 
di 
accertare 
l’illecito, 
senza 
che 
rilevasse 
il 
notevole 
lasso 
di 
tempo 
intercorso 
tra 
contestazione 
e 
licenziamento. 


Anche 
la 
sentenza 
della 
Cassazione 
21 febbraio 2008 n. 7983 (10) verte 
su di 
una 
ipotesi 
di 
contestata 
tardività 
dell’illecito commesso dal 
lavoratore. 
In essa 
i 
dati 
di 
fatto, non contestati 
nel 
corso di 
causa, erano costituiti 
dalla 
scoperta 
di 
un misuratore 
manomesso, dalla 
dichiarazione 
dell’utente 
ai 
funzionari 
dell’Enel 
che 
la 
manomissione 
sarebbe 
stata 
opera 
di 
due 
dipendenti 
dell’ente, dal 
riconoscimento di 
uno dei 
due 
presunti 
responsabili 
in una 
foto 
di 
gruppo, dalla 
constatazione 
che, secondo la 
documentazione 
aziendale, nel 
giorno indicato dall’utente 
come 
quello della 
alterazione 
del 
misuratore, il 
dipendente 
dallo stesso riconosciuto si 
trovava 
in località 
diversa. I giudici 
del 
merito -dinnanzi 
alla 
condotta 
del 
datore 
di 
lavoro che 
non aveva 
sospeso il 
dipendente, 
né 
aveva 
avviato 
indagini 
per 
accertare 
la 
manomissione 
della 
strumentazione 
EnEL 
per la 
misurazione 
dei 
consumi 
elettrici 
né 
aveva 
adottato 
le 
formali 
contestazioni 
ed il 
susseguente 
licenziamento -ritengono comunque 
tempestivo 
l’avvio 
e 
la 
conclusione 
del 
procedimento 
disciplinare 
una 
volta 
appreso dell’esercizio dell’azione 
penale. Invero, non diversamente 
da 
quanto avvenuto nella 
sentenza 
1101/2007, essendo il 
reato stato commesso 
in servizio, attraverso la 
manomissione 
di 
strumenti 
in dotazione 
alla 
società 
alla 
luce 
della 
mancata 
sospensione 
del 
lavoratore, e 
stante 
l’assenza 
di 
ogni 


(8) CALCATERRA, immediatezza della contestazione 
disciplinare 
ed attesa della sentenza penale 
in rivista italiana di diritto del lavoro, 
2007, fasc. 3, pag. 687. 
(9) 
In 
massimario 
di 
giurisprudenza 
del 
lavoro 
con 
nota 
di 
PIzzonIA, 
Tipizzazioni 
collettive 
e 
tempestività della contestazione, 
2008, fasc. 12, pag. 967. 
(10) In italgiure web. 

ConTRIBUTI 
DI 
DoTTRInA 


formalità 
che 
potesse 
rendere 
evidente 
la 
volontà 
di 
perseguire 
il 
dipendente 
disciplinarmente 
(la 
sospensione 
cautelare), 
si 
sarebbe 
potuto 
addivenire 
ad 
un annullamento per tardività 
della 
contestazione 
e 
più ancora 
per la 
protratta 
inerzia 
del 
datore 
nell’accertare 
fatti 
ricadenti 
nella 
sua 
sfera 
di 
controllo. La 
decisione 
della 
Corte 
di 
Cassazione 
è 
invece 
diversa, dal 
momento che 
si 
afferma 
che 
questa Corte 
ha ripetutamente 
chiarito che 
quando il 
fatto che 
da 
luogo 
a 
sanzione 
disciplinare 
abbia 
anche 
rilievo 
penale, 
il 
principio 
della 
immediatezza della contestazione, non pregiudicato dall’intervallo di 
tempo 
necessario 
all’accertamento 
della 
condotta 
del 
lavoratore 
ed 
alle 
adeguate 
valutazioni 
di 
questa, 
non 
può 
considerarsi 
violato 
dal 
datore 
di 
lavoro 
il 
quale, avendo scelto ai 
fini 
di 
un corretto accertamento del 
fatto di 
attendere 
l’esito 
degli 
accertamenti 
svolti 
in 
sede 
penale, 
contesti 
l’addebito 
solo 
quando 
i 
fatti 
a 
carico 
del 
lavoratore 
gli 
appaiano 
ragionevolmente 
sussistenti. 
Si 
colloca, 
quindi, 
nel 
solco 
della 
sentenza 
12629/2004 
e 
della 
7983 
del 
2008, 
in 
entrambe 
le 
quali 
l’amministrazione 
disponeva 
di 
elementi 
indiziari 
autonomamente 
reperiti 
e, 
purtuttavia, 
non 
aveva 
ritenuto 
potessero 
costituire 
elementi 
atti 
a 
sorreggere 
un’autonoma 
contestazione 
dei 
fatti; 
che 
si 
attaglia 
perfettamente 
alla 
seconda 
delle 
due 
sentenze 
citate 
perché 
in 
esse 
il 
materiale 
istruttorio 
risulta 
connotato 
da 
una 
certa 
organicità 
nonché 
da 
una 
rilevante 
forza probatoria. 

La 
sentenza 
del 
1 luglio 2010 n. 15649 (11) si 
trovava 
a 
valutare 
il 
comportamento 
ancora 
una 
volta 
di 
un dipendente 
di 
Poste 
italiane 
che, nella 
propria 
attività 
di 
servizio, aveva 
tenuto condotte 
contrarie 
ai 
doveri 
di 
ufficio di 
cui 
l’amministrazione 
aveva 
avuto 
diretta 
ed 
immediata 
contezza. 
Alla 
luce 
di 
ciò 
i 
giudici 
negano 
che 
la 
sopravvenienza 
dell’avvenuto 
esercizio 
dell’azione 
penale, cui 
aveva 
fatto seguito contestazione 
di 
addebito e 
susseguente 
licenziamento, 
potesse 
costituire 
un 
quid novi 
tale 
da 
far nascere 
da 
quel 
momento 
l’obbligo di 
una 
tempestiva 
contestazione. La 
sentenza 
si 
discosta 
dalle 
precedenti 
commentate 
(13294/2003, 14103/2006, 7983 del 
2008) che 
avevano 
sempre 
riconosciuto che 
la 
conoscenza 
degli 
esiti 
della 
vicenda 
penale 
(non 
necessariamente 
coincidenti 
con 
il 
giudicato) 
costituisse 
il 
dies 
a 
quo 
della 
contestazione, 
anche 
laddove 
il 
datore 
disponeva 
di 
indagini 
interne 
il 
cui 
esito 
ben poteva 
concretizzare 
una 
ragionevolmente 
certa 
conoscenza 
dei 
fatti. La 
peculiarità 
della 
fattispecie, che 
giustifica 
l’annullamento della 
sanzione 
disciplinare, 
sta 
nel 
fatto che 
il 
datore 
di 
lavoro non aveva 
in alcun modo proceduto 
a 
condizionare 
la 
vicenda 
disciplinare 
a 
quella 
penale 
e 
ciò 
per 
due 
motivi: 
il 
fatto che 
le 
Poste 
non avessero proceduto alla 
denuncia 
penale 
dei 
fatti 
e 
che 
l’ipotesi 
di 
illecito 
disciplinare 
contestata, 
consistente 
in 
fatti 
di 
gravità 
tale 
da 
non 
consentire 
la 
prosecuzione 
del 
rapporto 
di 
lavoro, 
prescindesse 
da un previo accertamento di fatti di reato. 

(11) In italgiure web. 

RASSEGnA 
AVVoCATURA 
DELLo 
STATo -n. 1/2023 


La 
sentenza 
del 
16 febbraio 2010 n. 3600 (12) della 
Corte 
di 
Cassazione 
richiama 
espressamente 
un 
consolidato 
indirizzo 
giurisprudenziale, 
ossia 
quello che 
considera 
formalità 
equipollente 
alla 
contestazione 
la 
sospensione 
cautelare del dipendente. 

nella 
sentenza 
26 marzo 2010 della 
Cassazione 
(13) ricorre 
una 
fattispecie 
consueta 
a 
queste 
note; 
infatti 
il 
giudice 
d’appello osservava 
che 
correttamente 
era 
stata 
ritenuta 
la 
violazione 
del 
principio 
di 
tempestività 
della 
contestazione 
degli 
addebiti, tenuto conto che 
il 
datore 
di 
lavoro aveva avuto, 
all’esito 
degli 
accertamenti 
ispettivi, 
adeguata 
cognizione 
dei 
fatti, 
che 
ben 
poteva svolgere 
ulteriori 
accertamenti, e 
che, in ogni 
caso, il 
lasso di 
tempo 
trascorso fra l’accadimento dei 
fatti 
(collocabili 
fra il 
1989 ed il 
1995) e 
la 
loro contestazione 
(in data 6 novembre 
2001), a seguito del 
rinvio a giudizio 
disposto 
il 
17 
maggio 
2001, 
risultava 
oggettivamente 
eccessivo 
e 
tale 
da 
ledere 
il 
diritto di 
difesa del 
dipendente, esponendolo sine 
die 
all’iniziativa disciplinare 
del 
datore 
di 
lavoro; 
ancora 
si 
legge 
che 
tenuto conto che 
il 
datore 
di 
lavoro 
aveva 
avuto, all’esito degli 
accertamenti 
ispettivi, adeguata 
cognizione 
dei 
fatti, 
ben 
poteva 
svolgere 
ulteriori 
accertamenti, 
e 
che, 
in 
ogni 
caso, 
il 
lasso 
di 
tempo 
trascorso 
fra 
l’accadimento 
dei 
fatti 
(collocabili 
fra 
il 
1989 
ed 
il 
1995) 
e 
la 
loro contestazione 
(in data 
6 novembre 
2001), a 
seguito del 
rinvio a 
giudizio 
disposto il 
17 maggio 2001, risulta 
eccessivo. La 
Corte 
con citazione 
di 
propri 
precedenti 
conferma 
il 
difetto di 
tempestività 
della 
contestazione, afferma 
che 
l’aver presentato a 
carico di 
un lavoratore 
denuncia 
per un fatto penalmente 
rilevante 
connesso 
con 
la 
prestazione 
di 
lavoro 
non 
consente 
al 
datore 
di 
lavoro di 
attendere 
gli 
esiti 
del 
procedimento penale 
prima 
di 
procedere 
alla 
contestazione 
dell’addebito, 
dovendosi 
valutare 
la 
tempestività 
di 
tale 
contestazione 
in relazione 
al 
momento in cui 
i 
fatti 
a 
carico del 
lavoratore 
medesimo 
appaiono 
ragionevolmente 
sussistenti 
(v. 
ad 
es. 
Cass. 
n. 
1101/2007; 
Cass. n. 4502/2008). il 
che, se 
conferma la relatività che 
riveste 
il 
criterio di 
immediatezza e 
il 
rilievo che 
assume, al 
riguardo, il 
sindacato del 
giudice 
di 
merito, porta, al 
tempo stesso, a riconoscere 
che 
un bilanciamento coerente 
degli 
interessi 
sottesi 
al 
procedimento 
di 
disciplina 
non 
consente 
di 
individuare 
nella 
potenziale 
rilevanza 
penale 
dei 
fatti 
accertati 
e 
nella 
conseguente 
denuncia 
all’autorità requirente 
circostanze 
di 
per 
se 
sole 
esonerative 
dall’obbligo 
di 
immediata contestazione, in considerazione 
della rilevanza che 
tale 
obbligo assume 
rispetto alla tutela dell’affidamento e 
del 
diritto di 
difesa del 
lavoratore 
incolpato, sempre 
che 
i 
fatti 
riscontrati 
facciano emergere, in termini 
di 
ragionevole 
certezza, significativi 
elementi 
di 
responsabilità a carico 
del 
lavoratore 
(14). Conclusione 
rafforzata 
dalle 
circostanze 
che 
il 
datore 
non 


(12) ibidem. 
(13) ibidem. 
(14) 
Per 
una 
considerazione 
critica 
della 
dilazione 
dell’avvio 
del 
procedimento 
vedi 
LIMA, 
il 
prin

ConTRIBUTI 
DI 
DoTTRInA 


aveva 
né 
contestato 
gli 
addebiti, 
né 
proceduto 
ad 
ulteriori 
indagini, 
successive 
a 
quelle 
che 
avevano 
determinato 
la 
proposizione 
della 
denuncia. 
La 
soluzione 
che 
la 
Corte 
avrebbe 
considerato 
corretta 
sarebbe 
consistita 
nell’immediata 
contestazione 
degli 
addebiti 
poiché 
tale 
atto eminentemente 
garantistico, non 
determina 
alcuna 
“valutazione 
anticipata 
di 
responsabilità”, 
ma 
risulta, 
in 
realtà, 
essenzialmente 
funzionale 
alla 
puntualizzazione 
dell’addebito 
e 
alla 
sua 
ricostruzione 
e 
valutazione 
in 
contraddittorio 
con 
l’interessato, 
nè 
preclude 
al 
datore 
di 
lavoro di 
sospendere 
il 
procedimento disciplinare 
in pendenza 
dell’accertamento 
penale, 
ove 
in 
tal 
senso 
consigliano 
le 
necessità 
dell’istruttoria 
già 
avviata. 
La 
ratio 
di 
questo 
procedere 
viene 
fatta 
consistere 
nel 
rispetto 
della 
regola 
della 
buona 
fede 
e 
correttezza 
nell’attuazione 
del 
rapporto 
di 
lavoro, oltre 
che 
dei 
principi 
di 
certezza del 
diritto e 
di 
tutela dell’affidamento 
del 
lavoratore 
incolpato. 
non 
si 
fa 
specifica 
menzione 
della 
rinuncia 
implicita 
al 
potere 
disciplinare, che 
potrebbe 
essere 
palesata 
da 
una 
contestazione 
differita 
nel 
tempo, ma 
direttamente 
al 
riconoscimento di 
un immediato 
diritto di 
difesa 
del 
lavoratore. La Corte 
nel 
tratteggiare 
il 
comportamento legittimo 
la cui 
inosservanza nel 
caso di 
specie 
era stata sanzionata con la reiezione 
del 
ricorso, 
contraddittoriamente 
ammette 
con 
una 
certa 
libertà 
l’immediata sospensione 
del 
procedimento dopo le 
contestazioni 
degli 
addebiti; 
pertanto il 
diritto di 
difesa risulta sostanzialmente 
congelato e 
destinato 
a non avere 
alcuna concreta influenza sino all’esito del 
processo penale, che 
comunque 
assicura la presenza di 
un giudice 
terzo, maggiori 
garanzie 
nella 
ricerca della prova e 
nella sua formazione. 
L’esigenza 
di 
una 
celere 
definizione 
del 
procedimento attraverso il 
contraddittorio con l’interessato viene 
a 
collidere 
con la 
sospensione 
del 
procedimento disciplinare, successivamente 
alla 
contestazione 
degli 
addebiti 
che 
demanda 
del 
tutto legittimamente 
la 
valutazione 
dei comportamenti illeciti al giudice penale. 

Di 
opposto 
orientamento 
è 
la 
sentenza 
della 
Cassazione 
del 
7 
aprile 
n. 
7951 del 
2011 (15). Pur a 
fronte 
di 
un datore 
di 
lavoro che 
aveva avuto sostanziale 
consapevolezza 
della 
responsabilità 
del 
dipendente 
fin 
dalla 
trasmissione 
della 
relazione 
ispettiva 
all’autorità 
giudiziaria 
e, 
nonostante 
ciò 
aveva 
lasciato trascorrere 
diversi 
mesi 
anche 
dopo la sentenza di 
patteggiamento, 
riconosce 
la 
tempestività 
dell’irrogato licenziamento con motivazioni 
che 
legittimano 
nel 
modo più ampio l’attesa 
degli 
esiti 
penali: 
quando il 
fatto che 
da 
luogo 
a 
sanzione 
disciplinare 
abbia 
anche 
rilievo 
penale, 
il 
principio 
della 
immediatezza della contestazione, non pregiudicato dall’intervallo di 
tempo 
necessario 
all’accertamento 
della 
condotta 
del 
lavoratore 
ed 
alle 
adeguate 
valutazioni 
di 
questa, 
non 
può 
considerarsi 
violato 
dal 
datore 
di 
lavoro 
il 


cipio 
di 
immediatezza 
della 
contestazione 
in 
caso 
di 
rilevanza 
anche 
penale 
del 
fatto 
tra 
disciplina 
pubblicistica 
e privatistica 
in aDL, 
2011, fasc. 6, pagg. 1355-1360. 


(15) In italgiureweb. 

RASSEGnA 
AVVoCATURA 
DELLo 
STATo -n. 1/2023 


quale, avviate 
le 
proprie 
indagini 
senza pervenire 
ad un sicuro accertamento 
di 
colpevolezza, avendo scelto ai 
fini 
di 
un corretto accertamento del 
fatto di 
attendere 
l’esito degli 
accertamenti 
svolti 
in sede 
penale, contesti 
l’addebito 
solo quando attraverso le 
scelte 
processuali 
del 
lavoratore 
nel 
procedimento 
penale, 
conclusosi 
con 
sentenza 
di 
applicazione 
della 
pena 
a 
richiesta 
del-
l’imputato, abbia acquisito piena consapevolezza della riferibilità dei 
fatti 
al 
dipendente, 
a 
nulla 
rilevando 
che 
tale 
sentenza 
sia 
priva 
di 
efficacia 
vincolante 
nel 
giudizio disciplinare, scaturito dai 
fatti 
ascritti, non venendo in questione 
il 
contenuto della sentenza, ma la condotta del 
lavoratore 
nel 
processo, quale 
elemento 
che, 
integrandosi 
con 
l’insieme 
degli 
indizi 
già 
acquisiti, 
attribuisce 
alla 
situazione 
complessiva 
la 
nuova 
caratteristica 
della 
chiarezza 
e 
della 
univocità. 
nell’iter 
motivazionale 
della 
sentenza 
non 
assume 
rilievo 
la 
circostanza 
che 
il 
datore 
non abbia 
fatto constare 
-nei 
modi 
che 
abbiamo visto essere 
frequentemente 
apprezzati 
ai 
fini 
della 
tempestività 
in altre 
sentenze, ossia 
la 
sospensione 
dal 
servizio, un trasferimento, ovvero espressamente 
riservandosi 
di 
proseguirlo -la 
propria 
volontà 
di 
coltivare 
il 
procedimento disciplinare; 
al 
contrario in essa 
si 
afferma: 
il 
comportamento del 
datore 
di 
lavoro che, avuto 
notizia di 
un fatto commesso dal 
proprio dipendente 
suscettibile 
di 
avere 
rilevanza 
penale, oltre 
che 
disciplinare, denunci 
il 
fatto all’autorità giudiziaria e 
attenda gli 
esiti 
del 
procedimento penale 
per 
iniziare 
il 
procedimento disciplinare 
non può essere 
interpretato come 
una rinuncia alla pretesa punitiva, 
né 
costituisce 
un serio impedimento ad una efficace 
e 
completa difesa, tenuto 
conto delle 
maggiori 
garanzie 
presenti 
per 
il 
lavoratore 
nel 
procedimento penale, 
derivanti 
dall’applicazione 
delle 
regole 
processuali 
e 
dalla terzietà del-
l’organo giudicante. 


nella 
sentenza 
del 
13 
febbraio 
2013 
n. 
3532 
(16) 
l’avere 
atteso 
l’esito 
definitivo 
del 
procedimento penale 
a 
fronte 
di 
una 
piena 
confessione 
del 
lavoratore, 
resa 
agli 
organi 
interni 
dell’azienda 
per la 
contestazione 
degli 
addebiti, è 
stato ritenuto violazione 
dell’obbligo di 
tempestività 
dal 
momento che 
nulla 
poteva 
venire 
di 
decisivo 
dal 
procedimento 
penale. 
Anche 
l’avere 
adibito 
il 
lavoratore 
a 
mansioni 
diverse 
non comportanti 
maneggio di 
denaro è 
stato ritenuto 
indice 
di 
una 
volontà 
conservativa 
del 
rapporto, 
sebbene 
fosse 
rettamente 
da intendere come un mutamento di carattere cautelare. 

nella 
sentenza 
19 giugno 2014 n. 13955 (17) ad una 
sospensione 
cautelare 
dal 
servizio intervenuta 
in concomitanza 
con l’arresto del 
dipendente, faceva 
seguito dopo 7 anni 
dalla 
contestazione 
degli 
addebiti, il 
licenziamento 
prima della definizione del processo penale. 

La 
sentenza 
del 
21 settembre 
2016 n. 18513 (18), nel 
giudicare 
rispettato 


(16) ibidem. 
(17) ibidem. 
(18) ibidem. 

ConTRIBUTI 
DI 
DoTTRInA 


il 
principio di 
tempestività, disattende 
l’eccezione 
di 
tardività 
che 
pretendeva 
far decorrere 
il 
dies 
a quo della 
contestazione 
da 
notizie 
di 
stampa 
che 
non riportavano 
l’identità 
della 
dipendente 
e 
giudica 
tempestivo l’avvio del 
procedimento, 
scaduti due mesi dall’acquisizione delle risultanze penali. 

nella 
sentenza 
4 
ottobre 
2017 
n. 
23177 
(19) 
della 
Corte 
di 
Cassazione 
viene 
ritenuta 
tardiva 
una 
contestazione 
elevata 
dopo 
il 
passaggio 
in 
giudicato 
della 
sentenza, sulla 
scorta 
dell’argomentazione 
che 
il 
datore 
di 
lavoro aveva 
con 
certezza 
acquisito 
copia 
della 
sentenza 
di 
condanna, 
pur 
senza 
averne 
formalmente 
appreso 
l’irrevocabilità, 
comunque 
oggettivamente 
desumibile 
dalla 
data 
della 
pubblicazione 
delle 
motivazioni, 
il 
che 
avveniva 
all’incirca 
un 
anno 
dopo. Il 
motivo di 
interesse 
sta 
nel 
fatto che, sebbene 
la 
società 
datrice 
di 
lavoro 
da 
lungo tempo fosse 
a 
conoscenza 
della 
pendenza 
di 
un procedimento 
penale, l’obbligo di 
attivazione 
del 
procedimento veniva 
così 
fatto discendere 
dall’adozione 
di 
un 
pronunciamento 
di 
merito 
del 
giudice 
penale, 
a 
prescindere 
dalla sua irrevocabilità. 

La 
sentenza 
del 
20 
marzo 
2018 
n. 
6937 
(20) 
si 
occupa 
del 
caso 
di 
un 
operaio 
che 
era 
stato 
sottoposto 
a 
custodia 
cautelare 
in 
carcere, 
senza 
che 
l’azienda 
procedesse 
ad 
alcuna 
sospensione 
-anzi 
considerando 
l’assenza 
come 
permesso 
per motivi 
personali 
-, e 
senza 
che 
la 
medesima 
formulasse 
espressa 
riserva 
di 
voler 
procedere 
contro 
il 
lavoratore. 
Sopravvenuta 
6 
anni 
dopo 
la 
condanna 
per 
spaccio 
di 
sostanze 
stupefacenti, 
l’azienda 
aveva 
immediatamente 
elevato contestazioni 
e 
successivamente 
definito il 
procedimento con 
il 
licenziamento. All’eccezione 
di 
tardività 
avanzata 
dal 
dipendente, la 
Cassazione 
rispondeva 
che 
non è, infatti, configurabile 
acquiescente 
rinuncia allo 
strumento disciplinare 
da parte 
datoriale, non imponendo né 
la legge, né 
il 


C.C.N.L. di 
riferimento immediatezza di 
reazione, pur 
sempre 
nella ragionevole 
plausibilità 
del 
differimento 
di 
quest’ultima, 
plausibilità 
che 
nella 
specie 
deriva 
dal 
dover 
considerare, 
in 
relazione 
alla 
condotta 
disciplinarmente 
sanzionata, 
ai 
fini 
della tempestività del 
provvedimento, il 
lasso di 
tempo intercorrente 
tra 
passaggio 
in 
giudicato 
della 
sentenza 
di 
condanna 
del 
lavoratore 
e 
reazione 
datoriale, 
essendo 
la 
condotta 
tipizzata, 
idonea 
a 
giustificare 
la 
sanzione 
espulsiva posta a fondamento del 
licenziamento. La suprema Corte 
apprezzava 
altresì 
la 
motivazione 
della 
Corte 
d’appello 
la 
quale 
osservava 
che 
l’attesa 
della 
definizione 
del 
procedimento 
penale 
era 
giustificata 
da 
un’esigenza di 
maggior 
favore 
e 
di 
garanzia per 
il 
lavoratore 
stesso, cui 
era 
stato consentito di 
difendersi 
compiutamente 
nella sede 
naturale 
prima di 
subire 
qualsiasi 
provvedimento 
disciplinare; 
né 
la 
sentenza 
si 
cura 
di 
giustificare 
l’affidamento 
che 
l’inerzia 
del 
datore 
avrebbe 
potuto 
determinare 
sulla 
rinuncia 
alla volontà di 
procedere 
disciplinarmente. Da 
rimarcare 
nella 
fattispecie 
(19) ibidem. 
(20) ibidem. 

RASSEGnA 
AVVoCATURA 
DELLo 
STATo -n. 1/2023 


è 
l’assenza 
di 
ogni 
manifestazione 
esteriore 
che 
potesse 
essere 
espressiva 
della 
volontà 
di 
perseguire 
il 
lavoratore 
quali 
la 
sospensione 
cautelare, in pendenza 
del periodo di detenzione cautelare. 


3.1 Commento riassuntivo delle linee tenute dalla Corte di Cassazione. 
All’esito 
di 
questo 
excursus 
giurisprudenziale 
emerge 
un 
unico 
punto 
fermo; 
l’attitudine 
della 
disposta 
sospensione 
cautelare 
del 
lavoratore 
a 
far ritenere 
tempestiva 
una 
contestazione 
pur 
lungamente 
differita 
nel 
tempo, 
in 
quanto alla 
sospensione 
viene 
attribuito il 
valore 
di 
manifestazione 
contraria 
alla rinuncia ad agire disciplinarmente. 

Viceversa 
vi 
è 
un 
conflitto 
non 
componibile 
tra 
le 
sentenze 
che 
-a 
dispetto 
della 
disponibilità 
di 
elementi 
di 
prova 
in 
danno 
del 
lavoratore, 
derivanti 
da 
accertamenti 
autonomamente 
esperiti, 
ovvero 
esperibili 
in 
relazione 
a 
fatti 
che 
ricadono 
nella 
sfera 
del 
controllo 
del 
datore 
di 
lavoro 
-reputano 
tempestiva 
la 
contestazione 
ed 
altre 
che 
propendono 
per 
l’immediato 
avvio 
delle 
contestazioni. 
In 
taluni 
casi 
il 
comportamento 
è 
ritenuto 
legittimo 
(Cassazione 
12629/2004, 
7983 
del 
2008, 
13294/2003, 
sentenza 
6937/2018) 
in 
altri 
di 
fronte 
ai 
medesimi 
elementi 
di 
prova 
si 
dichiara 
l’illegittimità 
per 
tardività 
del 
comportamento 
(si 
vedano 
le 
sentenze 
1101/2007, 
15649/2010, 
7410/2010, 
3532 
/2013). 


Questa 
divergenza 
interpretativa 
trova 
una 
sua 
specifica 
origine 
nella 
conformazione 
discrezionale 
dell’azione 
disciplinare 
nel 
lavoro privato, e 
quindi 
nella 
necessità 
di 
rinvenire 
un dato che 
manifesti 
la 
permanente 
volontà 
del 
datore 
di 
lavoro di 
irrogare 
la 
sanzione 
e 
trae 
alimento in alcune 
sue 
manifestazioni 
dall’esigenza 
di 
rendere 
edotto il 
lavoratore 
dell’addebito, per assicurarne 
la 
tempestività 
della 
difesa; 
tale 
seconda 
argomentazione 
a 
supporto 
è 
in realtà 
contraddittoria, perché 
viene 
esternata 
congiuntamente 
alla 
riconosciuta 
facoltà 
del 
datore 
di 
lavoro di 
sospendere 
il 
procedimento attendendo 
l’esito 
penale, 
il 
che 
produce 
un 
effetto 
paralizzante 
sull’attività 
difensiva 
eventualmente 
svolta 
dal 
lavoratore. Un ulteriore 
contraddizione 
sta 
nella 
circostanza 
che, comunque, gli 
esiti 
del 
procedimento penale 
non possono che 
assicurare 
una 
più compiuta 
difesa 
ed un accertamento dei 
fatti 
più accurato. 
Inoltre, mancano nel 
lavoro privato regole 
che 
definiscano i 
rapporti 
tra 
i 
due 
giudizi, che operano su di un piano di piena autonomia reciproca. 


4. 
Tempestività 
della 
contestazione 
degli 
addebiti 
e 
procedimento 
penale 
nella 
Pubblica 
amministrazione. 
Dalla 
rigidità 
del 
T.U. 
1957 
n. 
3 
alla 
disciplina 
intertemporale con l’entrata in vigore della normativa contrattuale. 
Esaminiamo 
ora 
gli 
orientamenti 
resi 
in 
materia 
di 
lavoro 
alle 
dipendenze 
delle 
Pubbliche 
Amministrazioni. Se, nel 
vigore 
del 
testo unico del 
1957, la 
rigidità 
della 
regola 
faceva 
si 
che 
non fosse 
possibile 
per il 
dipendente 
impugnare 
l’atto 
con 
il 
quale 
la 
P.A. 
disponeva 
la 
sospensione, 
in 
quanto 
si 
inseriva 
in funzione 
strumentale 
e 
preparatoria 
e 
non era 
idoneo a 
produrre 
lesioni 
di 



ConTRIBUTI 
DI 
DoTTRInA 


diritti 
(21); 
specularmente 
una 
sanzione 
disciplinare, a 
seguito di 
un procedimento 
disciplinare 
avviato o proseguito in pendenza 
dell’azione 
penale, era 
illegittima (Consiglio di Stato sezione 
VI 55/1999) (22). 

La 
sentenza 
del 
28 settembre 
2006 n. 21032 (23) regola 
essenzialmente 
un 
profilo 
di 
diritto 
intertemporale 
dal 
momento 
che 
riguarda 
un 
procedimento 
disciplinare 
sospeso automaticamente 
nel 
vigore 
dell’articolo 117 del 
d.P.R. 
1957 
n. 
3 
che 
era 
stato 
-successivamente 
alla 
contrattualizzazione 
del 
rapporto 
di 
lavoro 
-riaperto 
in 
pendenza 
del 
processo 
penale. 
nella 
fattispecie, 
contorto 
era 
stato il 
procedimento seguito dalla 
P.A. che 
aveva 
aperto formalmente 
il 
procedimento, non consapevole 
dell’obbligo di 
sospenderlo per effetto della 
sopravvenuta 
norma 
contrattuale, come 
le 
era 
stato ricordato dal 
dipendente 
oggetto del 
procedimento; 
contorto è 
pure 
l’argomentare 
della 
sentenza 
che, 
seppur 
in 
modo 
superfluo 
rispetto 
alla 
decisione 
della 
causa 
richiama 
la 
facoltà 
per 
la 
P.A. 
di 
differire 
l’avvio 
formale 
del 
procedimento 
all’esito 
della 
vicenda 
penale 
(la 
stessa 
giurisprudenza 
ha 
precisato 
che, 
qualora 
sia 
intervenuta 
sospensione 
cautelare 
del 
dipendente 
sottoposto a procedimento penale, ai 
fini 
della sussistenza del 
requisito della tempestività, la definitiva contestazione 
ben può essere differita all’esito del procedimento penale). 

La 
sentenza 
della 
Cassazione 
21 
aprile 
2009 
n. 
9458 
(24) 
è 
egualmente 
dedicata 
al 
medesimo 
profilo 
di 
diritto 
intertemporale. 
La 
Corte 
afferma 
che 
la 
relativa 
disciplina, 
così 
come 
stabilisce 
in 
maniera 
esplicita 
la 
possibilità 
(non 
più 
l’obbligo) 
di 
attendere 
l’esito 
del 
processo 
penale 
in 
ordine 
all’accertamento 
di 
fatti 
anche 
disciplinarmente 
rilevanti 
prima 
di 
avviare 
in 
ordine 
ad 
essi 
il 
procedimento 
disciplinare, 
così 
deve 
ritenersi 
che 
implicitamente 
consenta 
all’amministrazione 
di 
valutare 
più 
corretto 
e 
opportuno, 
nel 
corso 
di 
una 
procedura 
già 
avviata, 
sospenderla 
in 
attesa 
dell’accertamento 
definitivo 
in 
sede 
penale, 
con 
gli 
ampi 
poteri 
e 
garanzie 
che 
assistono 
tale 
accertamento. 


La 
sentenza 
della 
Cassazione 
n. 
3697 
del 
17 
febbraio 
2010 
(25) 
è 
anch’essa 
riferita 
ad 
una 
fattispecie 
insorta 
nel 
vigore 
del 
testo 
unico 
e 
definita 
successivamente 
all’entrata 
in 
vigore 
dell’assetto 
contrattuale, 
per 
cui 
l’amministrazione 
non 
era 
tenuta 
all’osservanza 
di 
termini 
perentori 
del 
procedimento 
disciplinare 
in 
pendenza 
di 
quello 
penale. 
Sarebbe 
bastata 
questa 
sola 
osservazione 
a 
far 
cadere 
la 
censura 
di 
tardività 
avanzata 
dalla 
parte 
privata: 
invece 
la 
Cassazione, 
noncurante 
degli 
aspetti 
di 
diritto 
transitorio 
che 
la 
vicenda 
presentava, 
fornisce 
una 
risposta 
di 
principio: 
in 
tale 
contesto, 
in 
cui 
la 
norma 
collettiva 
impone 
la 
sospensione 
del 
procedimento 
disciplinare 
in 
pendenza 
di 
procedimento 
penale, 


(21) In il Consiglio di Stato, fasc. 7, pag. 1208. 
(22) Vedi la massima in italgiure web. 
(23) In Lpa 
2006, fasc. 6, pag. 1224, con nota 
di 
nAnnI, 
Tempestività e 
termini 
del 
procedimento 
disciplinare; rapporto con il processo penale e difesa del dipendente. 
(24) italgiure web. 
(25) italgiure web. 

RASSEGnA 
AVVoCATURA 
DELLo 
STATo -n. 1/2023 


non 
è 
ad 
ipotizzarsi 
una 
violazione 
del 
principio 
di 
immediatezza 
della 
contestazione, 
posto 
che 
le 
parti 
collettive 
hanno 
dettato 
una 
apposita 
disciplina, 
la 
quale 
può 
risolversi 
nella 
necessità 
di 
attendere 
l’esito 
del 
procedimento 
penale 
prima 
di 
riattivare 
l’azione 
disciplinare. 
Torna 
applicabile 
nel 
caso 
di 
specie 
il 
principio 
di 
relativa 
immediatezza 
della 
contestazione 
e 
dell’adozione 
del 
provvedimento, 
posto 
che 
è 
proprio 
la 
normativa 
di 
garanzia 
a 
tutela 
del 
dipendente 
che 
impone 
una 
attesa 
prima 
di 
adottare 
il 
provvedimento 
disciplinare. 


In sostanza 
l’articolo 117 del 
d.P.R. 1957 n. 3 inibiva 
l’avvio dell’azione 
disciplinare 
in pendenza 
di 
un processo penale, senza 
che 
occorresse 
un provvedimento 
espresso che 
prendesse 
atto di 
tale 
impossibilità. Sopravvenuta 
la 
contrattazione 
collettiva 
ed il 
generalizzato obbligo di 
sospensione 
del 
procedimento 
disciplinare 
in pendenza 
del 
procedimento penale 
-che 
però prevedeva 
l’avvio formale 
e 
la 
susseguente 
sospensione 
formale 
del 
procedimento 


-la 
giurisprudenza 
ha 
dato continuità 
all’orientamento previgente 
in considerazione 
del 
fatto che 
la 
contestazione 
ed una 
pedissequa 
sospensione 
non potevano 
svolgere 
alcuna 
funzione 
acceleratoria 
visto l’obbligo di 
sospensione 
del 
procedimento 
sino 
alla 
sopravvenienza 
di 
un 
giudicato 
penale 
e 
constatato 
che il garantismo del processo penale andava in favore del dipendente. 
La 
sentenza 
della 
Cassazione 
2 
marzo 
2007 
n. 
4932 
(26) 
perviene 
a 
delle 
statuizioni 
completamente 
opposte 
in 
quanto 
di 
fronte 
ad 
un 
licenziamento 
disposto 
da 
un 
comune 
soltanto 
all’esito 
del 
processo 
penale, 
che 
aveva 
preso 
il 
via 
per 
effetto 
della 
denuncia 
e 
che 
aveva 
visto 
la 
partecipazione 
del 
comune 
al 
processo 
in 
qualità 
di 
parte 
civile, 
nonché 
la 
sospensione 
del 
dipendente 
all’esito 
del 
rinvio 
a 
giudizio 
ne 
dichiara 
la 
tardività. 
Ritiene 
infatti 
che 
se 
così 
non 
fosse 
il 
principio 
di 
immediatezza 
della 
contestazione 
subirebbe 
una 
grave 
deroga 
nell’ambito 
del 
rapporto 
di 
lavoro 
con 
le 
pubbliche 
amministrazioni 
non 
giustificabile 
una 
volta 
che 
tale 
rapporto 
sia 
assoggettato 
in 
linea 
generale 
alle 
regole 
proprie 
dei 
rapporti 
di 
lavoro 
privati. 
Ancora 
osservava 
che, 
se 
si 
consentisse 
all’amministrazione 
di 
differire 
il 
formale 
avvio 
del 
procedimento 
disciplinare, 
dei 
cui 
fatti 
costitutivi 
abbia 
pregressa 
notizia, 
esso 
sarebbe 
idoneo 
a 
modificare 
radicalmente 
lo 
stesso 
potere 
di 
recesso 
disciplinare 
del 
datore 
di 
lavoro 
del 
quale 
la 
tempestività 
della 
contestazione 
è 
elemento 
costitutivo. 
né 
attribuiva 
carattere 
equipollente 
alla 
disposta 
sospensione, 
dal 
momento 
che 
essa 
non 
aveva 
fatto 
immediatamente 
seguito 
alla 
conoscenza 
del 
fatto, 
ma 
era 
stata 
la 
conseguenza 
del 
rinvio 
a 
giudizio 
in 
sede 
penale, 
comunque 
a 
notevole 
distanza 
dai 
fatti. 
Tale 
sentenza 
sebbene 
favorevolmente 
commentata 
in 
dottrina 
(27), 
non 
tiene 
conto 
che 
la 
tempestiva 
contestazione 
non 
avrebbe 
potuto 
in 


(26) 
DI 
PAoLA, 
Considerazioni 
in 
materia 
di 
tempestività 
della 
contestazione 
nel 
settore 
pubblico, 
con 
particolare 
riguardo 
al 
caso 
dell’interferenza 
tra 
procedimento 
disciplinare 
e 
procedimento 
penale. 
(27) SChIAVonE, rapporto tra procedimento penale 
e 
disciplinare 
.Un chiarimento della Cassazione 
in aDL 
4/5, pagg. 1088-1097. 

ConTRIBUTI 
DI 
DoTTRInA 


alcun 
modo 
sortire 
effetti 
acceleratori 
grazie 
al 
fatto 
che, 
per 
espressa 
previsione 
contrattuale, 
il 
procedimento 
disciplinare 
non 
avrebbe 
potuto 
che 
essere 
sospeso 
rimanendo 
assoggettato 
ai 
tempi 
del 
processo 
penale. 
né 
va 
sottaciuto 
che 
un 
procedimento 
formalmente 
avviato 
e 
successivamente 
sospeso 
sino 
ad 
un 
termine 
incerto, 
rappresenta 
l’antitesi 
della 
tempestività 
che 
con 
la 
sentenza 
in 
commento 
si 
voleva 
assicurare, 
come 
se 
le 
esigenze 
garantistiche 
che 
in 
ipotesi 
si 
volevano 
tutelare 
non 
siano 
in 
contraddizione 
con 
una 
inesorabile, 
protratta 
pendenza 
del 
procedimento, 
cui 
l’amministrazione 
non 
potrebbe 
mettere 
fine 
ante 
tempus, 
ossia 
prima 
del 
processo 
penale. 


La 
sentenza 
del 
20 
giugno 
2014 
n. 
14103 
(28) 
riguarda 
una 
fattispecie 
maturata 
interamente 
nel 
vigore 
delle 
norme 
contrattuali 
che 
aveva 
visto 
l’InPS 
procedere 
alle 
contestazioni 
di 
addebito solo dopo il 
rinvio a 
giudizio 
del 
dipendente, della 
cui 
attività 
illecita 
l’Istituto aveva 
avuto una 
pregressa, 
non 
superficiale 
conoscenza 
tanto 
da 
averlo 
trasferito 
in 
altra 
unità 
produttiva, 
da 
averlo 
costituito 
in 
mora 
per 
il 
danno 
erariale 
arrecato 
all’ente, 
procedendo 
a 
formale 
contestazione 
solo 
avuta 
notizia 
del 
rinvio 
a 
giudizio. 
All’eccezione 
di 
tardività 
delle 
contestazioni 
i 
giudici 
replicano valorizzando la 
complessità 
dell’indagine 
penale 
in 
corso, 
che 
non 
aveva 
consentito 
all’Istituto 
la 
piena 
conoscenza 
dei 
fatti. 
Richiamano 
poi 
l’argomento 
che 
abbiamo 
visto 
nelle 
precedenti 
sentenze, 
ovverosia 
che, 
ai 
fini 
dell’accertamento 
della 
sussistenza 
del 
requisito della tempestività del 
licenziamento, in caso di 
intervenuta sospensione 
cautelare 
di 
un 
lavoratore 
sottoposto 
a 
procedimento 
penale, 
la 
definitiva 
contestazione 
disciplinare 
ed il 
licenziamento per 
i 
relativi 
fatti 
ben 
possono 
essere 
differiti 
in 
relazione 
alla 
pendenza 
del 
procedimento 
penale 
stesso; 
è 
il 
caso di 
precisare 
che 
il 
richiamo alla 
pregressa 
sospensione 
non è 
pertinente 
al 
caso 
de 
quo 
nel 
quale 
il 
lavoratore 
era 
stato 
sospeso 
solo 
a 
seguito 
delle 
contestazione 
degli 
addebiti, senza 
che 
ciò potesse 
essere 
addotto a 
surrogare 
l’asserita 
intempestività 
della 
contestazione. 
I 
giudici 
affermano 
ancora 
che, in tema di 
procedimento disciplinare 
a carico di 
pubblici 
dipendenti, per 
fatti 
penalmente 
rilevanti, non è 
ipotizzabile 
la violazione 
del 
principio di 
immediatezza 
della 
contestazione 
e 
dell’adozione 
del 
provvedimento 
disciplinare, 
qualora 
la 
P.a., 
uniformandosi 
alle 
disposizioni 
della 
contrattazione 
collettiva 
in 
caso 
di 
emergenza 
di 
fatti-reato, 
abbia 
atteso 
l’esito 
delle 
indagini 
e 
del 
processo, destinando il 
dipendente 
ad altre 
mansioni, e 
in seguito, avuta notizia, 
in via ufficiale, del 
rinvio a giudizio, abbia provveduto alla sospensione 
cautelare 
e, 
all’esito 
del 
processo 
penale, 
a 
nuova 
valutazione 
dei 
fatti 
ascritti 
al 
lavoratore, disponendone 
il 
licenziamento. 
Veniva 
poi 
richiamata 
a fortiori 
l’esigenza 
di 
tutela 
del 
segreto istruttorio; 
può dunque 
affermarsi 
che, in tema 
di 
procedimento disciplinare, ai 
fini 
dell’accertamento della sussistenza del 


(28) In Lavoro e 
giurisprudenza 
con nota 
di 
GALLo, 
Tempestività ed immutabilità della contestazione 
disciplinare in pendenza di procedimento penale. 

RASSEGnA 
AVVoCATURA 
DELLo 
STATo -n. 1/2023 


requisito 
della 
tempestività 
della 
contestazione, 
in 
caso 
di 
intervenuta 
sospensione 
cautelare 
di 
un lavoratore 
sottoposto a procedimento penale, la contestazione 
disciplinare 
per 
i 
relativi 
fatti 
ben può essere 
differita dal 
datore 
di 
lavoro 
in 
relazione 
alla 
pendenza 
del 
procedimento 
penale 
stesso, 
anche 
in 
ragione 
delle 
esigenze 
di 
tutela del 
segreto istruttorio. 
Quindi 
tra 
le 
ragioni 
addotte 
a 
sostegno della 
tempestività 
del 
procedimento disciplinare, con continuità 
viene 
presentata 
quella 
che 
reputa 
fungibile 
il 
formale 
avvio del 
procedimento 
con il 
suo differimento all’esito del 
giudicato penale; 
ciò trova 
le 
sue 
essenziali 
ragioni 
nell’assenza 
di 
pregiudizio per il 
privato, nonché 
nel-
l’impossibilità 
che 
il 
mancato 
tempestivo 
inizio 
del 
procedimento 
possa 
essere 
inteso come 
rinuncia 
all’esercizio dell’azione 
disciplinare, stante 
il 
carattere 
indisponibile di essa. 


4.1 La giurisprudenza dopo la legge 
“Brunetta” 
e 
l’articolo 55 ter 
del 
d.lgs. 
165/2001. 
La 
giurisprudenza 
ha, poi, dovuto misurarsi 
successivamente 
all’entrata 
in 
vigore 
del 
d.lgs. 
150/2009, 
la 
cosiddetta 
legge 
Brunetta, 
con 
le 
conseguenze 
del 
superamento della 
pregiudiziale 
penale 
che 
consente 
all’amministrazione 
di 
procedere 
parallelamente 
ed indipendentemente 
dal 
procedimento penale, 
salvo che 
ricorrano la 
complessità 
dell’istruttoria, ovvero la 
mancanza 
di 
sufficienti 
elementi istruttori. 

La 
sospensione 
diventa 
così 
una 
mera 
eventualità 
condizionata 
alla 
ricorrenza 
di 
specifici 
presupposti, ma 
le 
ragioni 
che 
avevano indotto la 
giurisprudenza 
a 
non considerare 
perentorio il 
termine 
di 
avvio del 
procedimento, in 
caso di 
simultanea 
ricorrenza 
di 
illecito disciplinare 
e 
di 
un fatto di 
reato, non 
sembrerebbero poter essere 
intaccate 
perché, tra 
la 
facoltatività 
della 
sospensione, 
ovvero 
la 
sua 
obbligatorietà, 
e 
la 
perentorietà 
del 
termine 
non 
vi 
è 
alcuna 
relazione 
dal 
momento che 
la 
sospensione 
eventuale 
del 
procedimento disciplinare 
non 
deve 
intervenire 
entro 
un 
termine 
perentorio, 
non 
indicato 
nell’art. 
55 ter 
comma 
1. Inoltre, le 
ragioni 
sistematiche 
che 
avevano escluso la 
perentorietà 
del 
termine 
per il 
lavoro pubblico -ovverosia 
l’assenza 
di 
un pregiudizio 
in capo al 
privato, che 
dalla 
sospensione 
del 
procedimento avrebbe 
tratto 
il 
vantaggio di 
un processo con terzietà 
piena 
e 
maggiori 
garanzie 
nonché 
la 
tutela 
del 
segreto istruttorio -restano in piedi 
anche 
nel 
nuovo assetto di 
pregiudizialità 
eventuale 
e 
temperata. 
ovviamente, 
la 
conservazione 
di 
tale 
assetto 
riguarda 
i 
soli 
fatti 
costituenti 
illecito 
disciplinare 
e 
simultaneamente 
un 
illecito 
penale, che 
rispondano alle 
nuove 
condizioni 
definite 
dall’articolo 55 ter 
del 
d.lgs. 165/2001 (ovverosia 
quelle 
che 
presentano un carattere 
di 
complessità 
ed un peculiare 
livello di 
gravità); 
laddove 
tali 
circostanze 
non ricorrano e 
la 


P.A. 
resti 
inerte, 
attendendo 
l’esito 
del 
procedimento 
penale 
senza 
formalizzare 
l’avvio 
del 
procedimento 
disciplinare, 
dovrà 
considerarsi 
caducato 
l’esercizio 
del 
potere 
disciplinare; 
se 
così 
non fosse, verrebbe 
frustrata 
la 
ratio 
della 
ri

ConTRIBUTI 
DI 
DoTTRInA 


forma 
del 
2009, ossia 
quella 
di 
assicurare 
comunque, ove 
possibile, la 
definizione 
in via autonoma del procedimento disciplinare. 

nell’ipotesi 
in cui 
l’amministrazione 
pur al 
di 
fuori 
delle 
ipotesi 
di 
legge 
che 
legittimano la 
sospensione 
del 
procedimento (ossia 
a 
fronte 
di 
illeciti 
che 
si 
collocano al 
di 
sotto della 
soglia 
di 
gravità 
o nei 
quali 
non ricorre 
la 
complessità 
dell’accertamento del 
fatto) avvii 
il 
procedimento disciplinare 
nel 
rispetto 
dei 
termini 
perentori 
di 
cui 
all’articolo 55 ter 
e 
sospenda 
il 
medesimo 
in 
attesa 
degli 
esiti 
del 
processo 
penale, 
deve 
ritenersi 
comunque 
sussistere 
un 
interesse 
del 
dipendente 
destinatario 
della 
contestazione, 
poi 
sospesa, 
ad 
agire 
in 
giudizio, 
non 
per 
la 
tardività 
dell’avvio 
del 
procedimento 
(che 
in 
questo 
caso 
risulterebbe 
avviato 
tempestivamente) 
ma 
-decorsi 
i 
120 
giorni 
dalla 
contestazione 
degli 
addebiti 
-per farne 
accertare 
l’estinzione 
per effetto della 
sua 
mancata 
conclusione 
nel 
termine 
perentorio, 
come 
l’amministrazione 
avrebbe 
dovuto e potuto. 

Potrebbe 
anche 
darsi 
l’ipotesi 
che, 
sopravvenuto 
un 
giudicato 
penale 
sfavorevole 
al 
privato, questi, pur avendone 
atteso l’esito magari 
per anni, contesti 
-di 
fronte 
alla 
sanzione 
irrogatagli 
a 
seguito 
della 
riassunzione 
l’originaria 
illegittimità 
della 
sospensione; 
tale 
esito -seppur paradossale, a 
fronte 
della 
dimostrata 
esistenza 
dell’illecito disciplinare 
-deve 
considerarsi 
legittimo 
e 
possibile 
dal 
momento 
che 
l’originaria 
carenza 
dei 
presupposti 
per 
la 
sospensione 
non è 
suscettibile 
di 
sanatoria. Potrebbe 
anche 
accadere 
che 
il 
dipendente 
impugni 
la 
sospensione 
e 
chieda 
l’assoluzione 
nel 
merito laddove 
ritenga 
evidenti 
le 
proprie 
ragioni 
producendo in giudizio le 
prove 
materiali 
o 
gli 
elementi 
giuridici 
che 
facciano ritenere 
insussistente 
l’illecito, come 
tratteggiato 
dall’amministrazione; 
tali 
azioni 
presuppongono 
la 
sussistenza 
in 
capo al 
dipendente 
di 
una 
lesione 
immediata 
che 
ben può farsi 
consistere 
nel-
l’afflittività 
su di 
un piano morale 
della 
protratta 
sospensione 
di 
un procedimento 
su di lui incombente. 

Veniamo 
ora 
alle 
pronunce 
giurisprudenziali 
della 
Corte 
di 
Cassazione 
rese 
con 
riferimento 
all’assetto 
dei 
rapporti 
tra 
procedimento 
disciplinare 
e 
penale, come definito dal d.lgs. 165/2001. 

La 
Cassazione 
nella 
sentenza 
9 gennaio 2017 n. 219 (29) risolve 
il 
tipico 
problema 
di 
diritto intertemporale 
relativo alla 
disciplina 
da 
applicarsi 
per vicende 
che 
si 
snodino 
a 
cavallo 
di 
due 
differenti 
discipline, 
individuando 
il 
dies 
a quo 
per l’applicazione 
della 
nuova 
disciplina 
nel 
momento in cui 
l’amministrazione 
viene 
a 
conoscenza 
dei 
fatti 
di 
rilievo 
disciplinare 
e 
penale, 
piuttosto 
che 
nel 
momento 
della 
commissione 
dei 
fatti, 
sulla 
scorta 
di 
una 
circolare 
della 
Funzione 
Pubblica 
n. 14 del 
2010; 
pertanto per i 
procedimenti 
nati 
nel 
vigore 
della 
vecchia 
normativa 
non vi 
era 
alcun obbligo di 
attivare 
immediatamente 
il 
procedimento nei 
nuovi 
termini 
richiesti 
perché 
per essi 
vigeva 
il 
principio 


(29) italgiureweb. 

RASSEGnA 
AVVoCATURA 
DELLo 
STATo -n. 1/2023 


tempus 
regit 
actum. La 
Corte 
precisa 
sempre 
come 
obiter 
dictum 
la 
disciplina 
previgente, confermando gli esiti raggiunti in precedenza. 

nella 
sentenza 
209/2017 
si 
legge 
che 
nella 
vigenza 
del 
regime 
di 
pubblico 
impiego “privatizzato” 
la regola è 
costituita dalla possibilità -e 
non più dal-
l’obbligo 
-di 
attendere 
l’esito 
del 
processo 
penale 
in 
ordine 
all’accertamento 
dei 
fatti 
prima 
di 
avviare 
il 
procedimento 
disciplinare, 
così 
come 
è 
facoltà 
dell’amministrazione 
sospendere 
il 
procedimento 
già 
avviato 
in 
attesa 
del-
l’esito del 
giudizio penale: una volta optato per 
l’attesa dell’esito definitivo come 
è 
avvenuto in tal 
caso -la fattispecie 
restava regolata dalla stessa disciplina 
contrattuale per tutta la durata del procedimento. 

Si 
passeranno 
ora 
in 
esame 
i 
pronunciamenti 
della 
Cassazione 
nella 
quale 
essa 
ha 
fatto 
applicazione 
dell’articolo 
55 
ter 
del 
d.lgs. 
165/2001. 
nella 
sentenza 
del 
6 
giugno 
2016 
n. 
11594 
(30) 
la 
Cassazione 
si 
occupa 
della 
tempestività 
dell’irrogazione 
di 
una 
sanzione 
ad 
un 
dipendente 
scolastico. 
Dalla 
narrazione 
dei 
fatti 
di 
causa 
si 
apprendeva 
che 
alla 
fine 
del 
mese 
di 
luglio 
2010 
il 
Presidente 
del 
Consiglio 
d’istituto 
aveva 
trasmesso 
all’Ufficio 
scolastico 
provinciale, 
un 
incartamento, 
contenente 
una 
serie 
di 
segnalazioni 
su 
comportamenti 
anomali 
attribuiti 
al 
r., 
costituito 
per 
lo 
più 
da 
testimonianze 
degli 
studenti, 
dichiarazioni 
di 
insegnanti 
e 
di 
genitori; 
che 
su 
richiesta 
del-
l’amministrazione 
di 
procedere 
ad 
ulteriori 
accertamenti 
si 
procedeva 
ad 
una 
audizione 
ad 
opera 
del 
dirigente 
scolastico 
del 
soggetto 
indagato 
(richiesta 
avanzata 
il 
3 
agosto 
ed 
i 
cui 
esiti 
pervenivano 
nella 
disponibilità 
dell’UPD 
in 
data 
23 
agosto) 
il 
quale 
rispondeva 
ammettendo 
i 
fatti 
(assume 
il 
ricorrente, 
che 
tuttavia, 
non 
richiama 
in 
modo 
circostanziato 
la 
relativa 
documentazione, 
di 
aver 
ammesso 
che 
svolgeva 
le 
esercitazioni 
di 
laboratorio 
al 
pomeriggio 
invece 
che 
al 
mattino 
senza 
tener 
conto 
dell’orario 
delle 
lezioni, 
ma 
bilanciando 
il 
minor 
impegno 
di 
tempo 
in 
altre 
attività; 
che 
aveva 
acquistato 
le 
carcasse 
per 
la 
dissezione 
facendo 
la 
colletta 
tra 
gli 
allievi 
e 
pagandosi 
la 
benzina 
per 
arrivare 
fino 
all’allevatore; 
che 
aveva 
usato 
per 
il 
laboratorio 
materiale 
organico 
proveniente 
dagli 
allievi, 
eseguendo 
su 
studenti 
maggiorenni 
e 
consenzienti 
prelievi 
di 
sangue 
a 
tale 
scopo), 
di 
cui 
quindi 
l’amministrazione 
aveva 
avuto 
conoscenza, 
ma 
chiarendo 
che 
le 
circostanze 
addebitate 
erano 
state 
condivise 
dall’amministrazione 
e 
che 
a 
proprio 
avviso 
non 
costituivano 
illecito. 
La 
contestazione 
elevata 
dal 
competente 
UPD 
in 
data 
18 
novembre 
2010 
dopo 
che 
era 
stata 
disposta 
un’ispezione 
ad 
opera 
di 
un 
soggetto 
da 
tale 
ufficio 
designato 
(che 
la 
concludeva 
il 
12 
novembre 
2010) 
consisteva 
nei 
seguenti 
addebiti: 
assunzione 
di 
iniziative 
didattiche 
altamente 
diseducative, 
oltre 
che 
in 
aperta 
violazione 
della 
normativa 
vigente, 
delle 
direttive 
del 
miUr, 
delle 
norme 
in 
materia 
di 
sicurezza, 
delle 
vincolanti 
indicazioni 
collegio 
docenti, 
in 
relazione 
al 
grave 
atto 
di 
crudeltà 
che 
risultava 


(30) ibidem. 

ConTRIBUTI 
DI 
DoTTRInA 


commesso 
su 
animali, 
alla 
presenza 
di 
minori 
e 
in 
assoluto 
spregio 
(anche) 
della 
sensibilità 
degli 
stessi 
a 
tale 
riguardo; 
anomalie 
nelle 
procedure 
di 
acquisto 
degli 
animali 
da 
laboratorio; 
gravi 
negligenze 
nell’espletamento 
del-
l’attività 
didattica 
per 
avere 
introdotto 
nella 
scuola 
materiale 
di 
incerta 
provenienza 
ed 
effettuato 
prelievi 
di 
sangue 
agli 
studenti 
in 
condizioni 
igieniche 
inadeguate 
e 
con 
rischio, 
quindi, 
anche 
per 
la 
loro 
salute; 
inadeguatezza 
del 
programma 
da 
lui 
proposto 
rispetto 
alle 
reali 
capacità 
degli 
studenti 
e 
la 
sua 
indisponibilità 
al 
confronto 
con 
i 
colleghi 
e 
ii. 
TT. 
PP.; 
false 
attestazioni 
sulla 
sua 
presenza 
in 
servizio 
e 
le 
gravi 
irregolarità 
nella 
compilazione 
dei 
registri; 
autonoma 
articolazione 
dell’orario 
delle 
lezioni 
e 
ridotto 
espletamento 
del 
servizio, 
con 
correlato 
danno 
in 
ordine 
alla 
preparazione 
di 
studenti 
a 
lui 
affidati; 
omissioni 
di 
vigilanza 
sugli 
stessi, 
in 
relazione 
alla 
estemporaneità 
e 
alla 
mancata 
preventiva 
calendarizzazione 
delle 
ore 
di 
laboratorio 
effettuate 
con 
i 
suoi 
alunni, 
nonchè 
l’omessa 
comunicazione 
del-
l’orario 
effettivo 
di 
lezione 
alle 
famiglie 
degli 
studenti 
minorenni; 
grave 
pregiudizio 
apportati 
al 
rapporto 
fiduciario 
scuola 
/ 
famiglie 
e 
il 
pesante 
danno 
arrecato 
all’immagine 
dell’istituto. 
Dal 
raffronto 
tra 
i 
fatti 
segnalati 
dalla 
dirigenza 
e 
quelli 
oggetto 
della 
contestazione, 
nonché 
della 
successiva 
sanzione, 
emerge 
una 
sostanziale 
identità 
e 
si 
desume 
che, 
sin 
dalla 
ricezione 
della 
segnalazione 
del 
dirigente 
scolastico, 
l’UPD 
possedeva 
sufficienti 
elementi 
per 
dare 
formale 
avvio 
al 
procedimento 
anche 
alla 
luce 
delle 
dichiarazioni 
confessorie 
rese 
dal 
dipendente 
al 
dirigente 
scolastico. 
La 
Cassazione, 
sposando 
la 
motivazione 
della 
Corte 
d’appello 
-per 
la 
quale 
l’incartamento 
trasmesso 
alla 
fine 
del 
mese 
di 
luglio 
2010 
dal 
Presidente 
del 
Consiglio 
d’istituto 
all’USP 
di 
milano 
conteneva 
una 
serie 
di 
segnalazioni 
sui 
comportamenti 
anomali 
attribuiti 
al 
r., 
costituite 
per 
lo 
più 
da 
testimonianze 
di 
studenti, 
dichiarazioni 
di 
insegnanti 
e 
di 
genitori, 
relative 
al 
mancato 
svolgimento 
di 
ore 
di 
lezione 
da 
parte 
del 
r., 
nonchè 
alla 
più 
grave 
condotta 
di 
vivisezione 
di 
conigli 
e 
di 
utilizzazione 
di 
materiale 
organico 
proveniente 
dagli 
stessi 
studenti, 
di 
contenuto 
non 
sempre 
coincidente 
recante 
indicazione 
di 
circostanze 
di 
tempo 
e 
di 
luogo 
non 
sempre 
precise 
e 
puntuali 
-ritiene 
che 
una 
conoscenza 
certo 
non 
sommaria, 
ma 
discordante 
in 
taluni 
episodi 
secondari, 
non 
sia 
sufficiente 
a 
costituire 
il 
dies 
a 
quo 
per 
la 
decorrenza 
dei 
termini; 
l’ulteriore 
esperimento 
di 
mezzi 
istruttori 
(che 
avevano 
sostanzialmente 
confermato 
le 
informazioni 
di 
cui 
l’amministrazione 
era 
già 
a 
conoscenza) 
significa 
che, 
nel 
giudizio 
della 
suprema 
Corte, 
un 
residuo 
margine 
di 
incertezza 
su 
alcuni 
degli 
episodi 
di 
rilievo 
disciplinare 
o 
l’incertezza 
su 
alcune 
modalità 
della 
condotta 
non 
costituiscono 
ancora 
il 
requisito 
della 
conoscenza 
qualificata 
che 
determina 
la 
decorrenza 
dei 
termini. 


nella 
sentenza 
della 
Cassazione 
del 
20 
marzo 
2017 
n. 
7134 
(31), 
si 
esa


(31) ibidem. 

RASSEGnA 
AVVoCATURA 
DELLo 
STATo -n. 1/2023 


mina 
il 
caso 
di 
un 
datore 
di 
lavoro 
ricorrente 
contro 
l’annullamento 
di 
una 
sanzione 
disciplinare, 
determinato 
dal 
superamento 
dei 
termini 
massimi 
del 
procedimento 
disciplinare. 
La 
sentenza 
di 
merito 
aveva 
considerato 
valido 
dies 
a 
quo 
per 
l’avvio 
del 
procedimento 
la 
ricezione 
da 
parte 
dell’UPD 
di 
notizie 
su 
di 
un 
procedimento 
disciplinare 
avviato 
dalla 
Procura 
della 
Repubblica: 
gli 
elementi 
suddetti 
consistevano 
in 
stralci 
della 
richiesta 
di 
convalida 
del 
fermo 
del 
dipendente, 
nonché 
nella 
richiesta 
di 
applicazione 
di 
una 
misura 
cautelare 
formulata 
dal 
PM 
ed 
in 
tale 
documentazione 
era 
contenuto 
il 
capo 
di 
imputazione 
relativo 
ad 
un 
reato 
contro 
la 
pubblica 
amministrazione 
e 
quindi 
provvisto 
di 
evidente 
rilievo 
disciplinare. 
Al 
giudice 
del 
merito, 
che 
aveva 
concluso 
che 
la 
prima 
notizia 
dell’infrazione 
non 
dovesse 
necessariamente 
consistere 
in 
un’informazione 
di 
tale 
dettaglio 
da 
consentire 
l’avvio 
del 
procedimento 
disciplinare, 
ma 
di 
una 
notitia 
illiciti 
da 
corroborarsi 
attraverso 
specifiche 
indagini 
esperite 
dall’amministrazione, 
la 
Cassazione 
contrappone 
altra 
diversa 
convinzione 
precisando 
che 
deve 
trattarsi 
di 
una 
“notizia 
di 
infrazione” 
di 
contenuto 
tale 
da 
consentire 
all’Ufficio 
di 
dare, 
in 
modo 
corretto, 
l’avvio 
al 
procedimento 
disciplinare, 
nelle 
sue 
tre 
fasi 
fondamentali 
della 
contestazione 
dell’addebito, 
dell’istruttoria 
e 
dell’adozione 
della 
sanzione. 
Prosegue 
affermando 
che 
la 
contestazione 
degli 
addebiti 
con 
la 
quale 
si 
instaura 
il 
contraddittorio 
con 
l’incolpato 
deve 
essere 
fatta 
in 
tempi 
ravvicinati, 
sulla 
base 
di 
un’attenta 
valutazione 
sia 
della 
gravità 
dei 
fatti 
addebitati 
al 
dipendente 
-in 
relazione 
alla 
portata 
oggettiva 
e 
soggettiva 
dei 
medesimi, 
alle 
circostanze 
nelle 
quali 
sono 
stati 
commessi 
ed 
all’intensità 
dell’elemento 
intenzionale 
-sia 
dell’assenza 
o 
meno 
di 
precedenti 
illeciti 
commessi 
dal 
dipendente 
nonché 
della 
sua 
posizione 
nell’ambito 
dell’ambiente 
di 
lavoro. 
Si 
deve 
quindi 
trattare 
di 
un 
atto 
che 
abbia 
i 
requisiti 
del-
l’immediatezza, 
della 
specificità 
e 
dell’immutabilità, 
pur 
non 
dovendo 
obbedire 
ai 
rigidi 
canoni 
che 
presiedono 
alla 
formulazione 
dell’accusa 
nel 
processo 
penale, 
data 
la 
diversità 
sostanziale 
e 
formale 
dei 
principi 
che 
governano 
la 
responsabilità 
disciplinare 
(nella 
specie: 
dei 
pubblici 
dipendenti) 
rispetto 
a 
quelli 
propri 
della 
responsabilità 
penale. 
Il 
contenuto 
che 
la 
contestazione 
degli 
addebiti 
deve 
possedere, 
ossia 
una 
puntuale 
valutazione 
degli 
elementi 
di 
fatto, 
delle 
precise 
circostanze 
della 
loro 
commissione, 
dell’intensità 
e 
della 
natura 
dell’elemento 
soggettivo, 
per 
essere 
rispondente 
al 
requisito 
della 
specificità 
rende 
necessario 
che 
l’informazione 
sull’illecito 
sia 
in 
grado 
di 
soddisfare 
tali 
requisiti. 
La 
necessità 
di 
assicurare 
all’amministrazione 
la 
possibilità 
di 
porre 
in 
essere 
una 
o 
una 
reazione 
congrua 
ed 
esemplare, 
anche 
per 
gli 
altri 
lavoratori 
esige 
un 
informazione 
precisa 
anche 
per 
far 
si 
che 
le 
stesse 
esigenze 
di 
certezza 
che 
sono 
alla 
base 
della 
tutela 
del 
dipendente, 
vengano 
rispettate, 
per 
irrinunciabile 
simmetria, 
anche 
con 
riguardo 
alla 
posizione 
dell’amministrazione. 


nella 
sentenza 
1 marzo 2018 n. 4881 (32) il 
differimento della 
contesta



ConTRIBUTI 
DI 
DoTTRInA 


zione 
avvenuta 
alla 
fine 
del 
2010 degli 
addebiti 
relativi 
ad una 
condotta 
che 
aveva 
palesato una 
immediata 
rilevanza 
disciplinare 
e 
penale 
consistendo in 
plurimi 
fatti 
di 
peculato 
posti 
in 
essere 
in 
concorso 
con 
terzi 
in 
un 
lasso 
di 
tempo compreso tra 
il 
2007 ed il 
2010, viene 
giustificata 
con la 
complessità 
delle 
indagini 
e 
con la 
necessità 
di 
conservare 
il 
segreto istruttorio; 
si 
legge 
nella 
sentenza 
che: 
la Polizia Ferroviaria del 
Compartimento del 
Lazio ebbe 
a 
sollecitare 
una 
sospensione 
dei 
primi 
atti 
di 
verifica 
interna 
di 
Trenitalia 
per 
non pregiudicare 
i 
risultati 
investigativi 
attesi 
da una più ampia indagine 
di 
rilievo 
penale, 
come 
adempimento 
del 
generale 
dovere 
di 
cooperazione 
nei 
confronti 
degli 
organi 
dello 
Stato 
deputati 
alla 
scoperta 
e 
alla 
repressione 
dei 
reati, così 
da realizzare 
un interesse 
che 
è 
di 
per 
sé 
meritevole 
di 
apprezzamento 
secondo 
l’ordinamento 
giuridico 
e, 
nella 
specie, 
così 
come 
egualmente 
accertato, non in conflitto con la pienezza di 
esercizio del 
diritto di 
difesa del 
lavoratore incolpato. 


Ancora, la 
Cassazione 
nella 
sentenza 
11 marzo 2018 n. 6989 (33), riconosce 
la 
tempestività 
di 
un licenziamento irrogato ad un proprio dipendente 
medico, per un fatto commesso nell’esercizio delle 
funzioni 
ed all’interno dei 
locali 
aziendali 
(la 
violenza 
sessuale 
su di 
una 
paziente), a 
dispetto della 
circostanza 
che 
i 
fatti 
fossero avvenuti 
nell’anno 2010 e 
contestati 
solo dopo la 
comunicazione 
del 
dispositivo 
e 
non 
delle 
motivazioni 
della 
sentenza 
di 
primo 
grado. Ai 
fini 
del 
riconoscimento della 
tempestività 
della 
contestazione 
non 
si 
attribuisce 
rilievo all’avvenuta 
sospensione 
cautelare 
facoltativa 
del 
dipendente 
(della 
quale, sulla 
base 
dei 
dati 
contenuti 
in sentenza 
non è 
dato conoscere 
la 
prossimità 
ai 
fatti) che 
pure 
sarebbe 
potuta 
valere 
come 
elemento in 
favore 
della 
tempestività 
della 
contestazione, ma 
si 
ribadisce 
che 
l’avvio del 
procedimento 
non 
avrebbe 
potuto 
avvenire 
sulla 
base 
delle 
sole 
notizie 
di 
stampa 
pubblicate 
nell’immediatezza 
dei 
fatti, né 
sulla 
base 
della 
conoscenza 
dell’avvenuta 
applicazione 
di 
una 
misura 
cautelare, 
tanto 
più 
che 
non 
era 
giunta al datore formale comunicazione di essa (34). 

nella 
sentenza 
del 
13 maggio 2019 n. 12662 (35) la 
vicenda 
concerneva 
l’operato di 
un amministrazione 
locale 
e 
di 
un dipendente 
di 
essa 
sospettato 


(32) ibidem. 
(33) ibidem. 
(34) Tale 
conclusione 
è 
in sintonia 
con un non recente 
indirizzo giurisprudenziale 
nato nel 
lavoro 
privato ed apprezzato da 
CoRAzzA, 
Contestazione 
dell’addebito disciplinare 
e 
conoscenza del 
fatto penalmente 
rilevante 
da 
parte 
del 
datore 
di 
lavoro, 
in 
riDL, 
la 
quale 
commentando 
Cass. 
12452/1998 
condivideva 
che 
la 
denuncia 
penale 
non fosse 
idonea 
a 
una 
conoscenza 
piena 
del 
datore 
di 
lavoro degli 
elementi 
per una 
contestazione 
specifica, e 
come 
a 
tal 
fine 
dovesse 
profilarsi 
la 
concreta 
configurabilità 
della 
commissione 
del 
fatto tanto più in casi 
come 
quello affrontato dalla 
sentenza, di 
fatti 
che, provati, 
danno 
certamente 
luogo 
a 
responsabilità 
ma 
che 
non 
possono 
formare 
oggetto 
di 
autonomo 
accertamento 
da 
parte 
del 
lavoro (si 
trattava 
di 
una 
violenza 
in danno di 
una 
passeggera 
commessa 
su di 
un treno da 
un dipendente delle ferrovie). 
(35) italgiureweb. 

RASSEGnA 
AVVoCATURA 
DELLo 
STATo -n. 1/2023 


di 
fruire 
indebitamente 
di 
permessi 
per l’assistenza 
alla 
madre, in quanto di 
fatto non residente 
con lei, ma 
altrove, a 
dispetto delle 
risultanze 
dei 
registri 
anagrafici. 
Dall’esame 
dei 
fatti 
emerge 
che 
l’amministrazione 
datrice 
di 
lavoro 
del 
dipendente 
aveva 
investito 
l’autorità 
giudiziaria 
per 
l’accertamento 
di 
fatti 
dei 
quali 
era già perfettamente 
al 
corrente, come 
dimostrato dalla circostanziata 
denuncia sporta ai 
Carabinieri, poi 
seguita da una richiesta di 
informazioni 
sugli 
esiti 
finalizzata 
alle 
decisioni 
disciplinari, 
oltre 
che 
alla 
Corte 
dei 
Conti. Anche 
in questo caso la 
P.A. era, sin dal 
momento della 
denuncia 
in possesso di 
solidi 
elementi 
indiziari 
che 
consistevano in dichiarazioni 
raccolte 
sul 
luogo di 
lavoro (nella 
sentenza 
si 
legge 
che 
dati 
di 
cui 
il 
datore 
di 
lavoro 
era 
in 
possesso 
al 
momento 
della 
denuncia 
non 
avrebbero 
potuto 
che 
essere 
di 
natura cartacea o basati, probabilmente, su voci 
o informazioni 
reperite 
presso 
il 
luogo 
di 
lavoro 
e 
quindi 
tali 
da 
rendere 
opportuna 
un’integrazione 
mediante 
indagini 
di 
polizia 
giudiziaria 
sul 
campo 
e 
verifiche 
di 
migliore 
certezza). Da 
tali 
affermazioni 
si 
ricava 
che 
la 
formula 
usata 
dalla 
Cassazione 
a 
giustificare 
la 
tempestività 
dell’avvio 
del 
procedimento 
disciplinare 
avvenuto 
due 
anni 
dopo la 
denuncia, ossia 
che 
il 
termine 
«non può decorrere 
se 
la notizia, 
per 
la sua genericità, non consenta la formulazione 
dell’incolpazione, 
ma 
richieda 
accertamenti 
di 
carattere 
preliminare, 
volti 
ad 
acquisire 
i 
dati 
necessari 
per 
circostanziare 
l’addebito» legittimi 
l’amministrazione 
ad agire 
solo dinnanzi ad una concreta prognosi di colpevolezza. 


4.2 Valutazioni critiche e conclusioni finali. 
Sforzandoci 
di 
individuare 
una 
caratteristica 
comune 
tra 
le 
statuizioni 
della 
Cassazione 
relative 
alle 
fattispecie 
di 
interferenza 
tra 
illecito 
disciplinare 
e 
procedimento 
penale, 
relativamente 
al 
lavoro 
pubblico 
privatizzato 
essa 
è 
di 
identificare 
il 
dies 
a 
quo 
della 
decorrenza 
dei 
termini 
per 
la 
contestazione 
degli 
addebiti 
con una 
conoscenza 
piena 
dei 
fatti 
che 
possa 
consentire 
all’ufficio di 
dare 
in 
modo 
corretto 
avvio 
al 
procedimento 
disciplinare 
nelle 
sue 
tre 
fasi 
fondamentali 
della contestazione, dell’istruttoria e dell’adozione della sanzione. 


Considerando 
che 
-in 
tutte 
le 
sentenze 
prese 
in 
esame 
e 
relative 
a 
sospensioni 
del 
procedimento sotto il 
vigore 
del 
d.lgs. 150/2009 -l’amministrazione 
aveva 
pregressa 
conoscenza 
dei 
fatti 
(anteriore 
al 
formarsi 
del 
giudicato 
penale 
su 
di 
essi) 
e 
disponeva 
di 
elementi 
indiziari 
in 
qualche 
caso 
cospicui 
ed 
in 
qualche 
caso più labili, il 
punto in comune 
delle 
sentenze 
sta 
nell’individuare 
il 
dies 
a 
quo 
in 
un 
livello 
di 
conoscenza 
di 
fatti 
che 
possa 
configurare 
una 
probabile 
prognosi di responsabilità disciplinare in capo al dipendente. 

Gli 
itinerari 
argomentativi 
maturati 
prima 
del 
d.lgs. 
165/2001, 
che 
ammettevano 
una 
dilazione 
del 
formale 
avvio 
del 
procedimento 
disciplinare 
sino 
alla 
definizione 
della 
vicenda 
penale 
con sentenza 
irrevocabile, in un regime 
di 
sospensione 
obbligatoria 
sin dalla 
denuncia 
dell’illecito, non vengono più 
riproposti. Invece 
viene, attraverso un’interpretazione 
estensiva 
della 
notizia 



ConTRIBUTI 
DI 
DoTTRInA 


dell’illecito 
disciplinare 
che 
costituisce 
il 
momento 
iniziale 
del 
decorso 
dei 
termini 
di 
decadenza 
per l’avvio del 
procedimento disciplinare, richiesto un 
particolare 
grado 
di 
dettaglio 
per 
tale 
segnalazione 
del 
fatto, 
comprensivo 
delle 
circostanze 
del 
fatto, 
del 
preciso 
contributo 
dato 
dal 
lavoratore 
e 
dell’intensità 
dell’elemento psicologico, che 
legittimano la 
pubblica 
amministrazione 
a 
differire 
le 
formali 
contestazioni 
ad un momento avanzato della 
vicenda 
penale 
seppure prima della formazione del giudicato. 

Il 
passaggio da 
una 
sospensione 
del 
procedimento necessitata 
ed anticipata 
al 
primo 
formarsi 
del 
procedimento 
penale 
ad 
una 
sospensione 
meramente 
eventuale 
e, nelle 
intenzioni 
del 
legislatore, circoscritta 
ad ipotesi 
di 
non comune 
verificazione, sotto la 
quale 
si 
era 
formato l’indirizzo maggioritario che 
ammetteva 
il 
differimento della 
contestazione 
alla 
conclusione 
della 
vicenda 
penale, non dovrebbe 
avere 
una 
diretta 
influenza 
sulla 
possibilità 
del 
differimento 
anche nel nuovo assetto della materia (36). 

Il 
carattere 
facoltativo 
di 
essa 
(oggetto 
di 
una 
scelta 
motivata 
che 
lo 
renda 
preferibile 
all’avvio immediato) non ne 
comporta 
per logica 
necessità 
il 
carattere 
recettizio 
e 
quindi 
l’obbligatoria 
comunicazione 
alla 
controparte; 
né 
deve 
tacersi 
del 
fatto che 
la 
mancata 
comunicazione 
della 
sospensione 
al 
lavoratore 
non gli 
reca 
alcun pregiudizio, se 
non privandolo della 
possibilità 
di 
contestare 
in radice 
l’illecito per la 
sua 
tardività 
ovvero per l’infondatezza 
nel 
merito, 
facoltà 
che 
il 
lavoratore 
potrà 
esercitare 
una 
volta 
avviato, 
in 
relazione 
agli 
esiti 
del 
processo penale, il 
procedimento disciplinare; 
il 
ritardo sarebbe 
comunque 
compensato 
dalla 
possibilità 
per 
il 
lavoratore 
di 
valersi 
delle 
acquisizioni 
formatesi in sede penale. 

Una 
indicazione 
in tal 
senso si 
rinviene 
nella 
sentenza 
della 
Cassazione 
del 
7 giugno 2016 n. 11628 (37). In essa 
il 
privato si 
doleva 
del 
fatto che 
la 
sospensione 
del 
procedimento disciplinare 
non gli 
fosse 
mai 
stata 
comunicata 
e 
chiedeva 
l’annullamento 
della 
sanzione 
per 
avvenuto 
decorso 
del 
termine 
di 
decadenza. 
La 
risposta 
della 
Corte 
è 
stata 
che 
la 
normativa 
richiamata 
non 
prevede 
alcuna comunicazione 
al 
dipendente 
della sospensione 
del 
procedimento 
disciplinare, né 
un onere 
di 
tal 
genere 
è 
desumibile 
dalla complessiva 
disciplina regolante 
il 
procedimento disciplinare 
poiché, trattandosi 
di 
normativa 
procedimentale 
prevedente 
specifici 
termini 
e 
decadenze 
è 
di 
stretta 
interpretazione, sicché 
non può certamente 
ritenersi 
sussistente 
un onere 
del 
genere 
implicante, 
tra 
l’altro, 
la 
decadenza 
della 
P.a. 
dall’azione 
disciplinare. 
negare 
la 
natura 
recettizia 
della 
sospensione 
del 
procedimento, 
a 
fronte 
invece 


(36) 
TEnoRE 
in 
Studio 
sul 
procedimento 
disciplinare 
nel 
pubblico 
impiego, 
Giuffrè 
2017, 
riconosce 
all’amministrazione 
titolare 
del 
procedimento disciplinare 
la 
scelta, sempre 
a 
fronte 
di 
fatti 
complessi 
e 
non accertabili 
in sede 
interna-amministrativa, di 
non iniziare 
il 
procedimento disciplinare 
con la 
contestazione 
degli 
addebiti… 
aspettando 
l’esito 
(non 
necessariamente 
del 
giudicato)… 
del 
giudizio 
penale. 
Esclude che tale scelta possa essere ritenuta passibile di determinare la decadenza del provvedimento. 
(37) ibidem. 

RASSEGnA 
AVVoCATURA 
DELLo 
STATo -n. 1/2023 


della 
certa 
recettizietà 
dell’atto ad essa 
speculare, ossia 
la 
contestazione 
degli 
addebiti, è 
una 
tesi 
che 
porta 
delle 
conseguenze 
ulteriori. Se 
la 
sospensione, 
pur adottata 
formalmente, non deve 
essere 
notificata 
al 
dipendente, essa 
è 
totalmente 
inidonea 
ad assicurare 
la 
funzione 
per la 
quale 
esiste, ossia 
dare 
al 
dipendente 
notizia 
della 
pendenza 
di 
un 
procedimento 
per 
salvaguardarne 
i 
diritti 
di 
difesa, restando costui 
ignaro dell’avvio di 
un procedimento. Se 
la 
sospensione 
non deve 
essergli 
comunicata 
allora 
è 
breve 
il 
passo per dire 
che 
non è 
necessario che 
essa 
sia 
stata 
formalmente 
adottata, potendo essa 
esserlo 
per facta concludentia 
attraverso la 
denuncia 
inoltrata 
all’autorità 
giudiziaria 
e 
la 
richiesta 
di 
essere 
informati 
del 
prosieguo del 
procedimento penale, sebbene 
vi 
sia 
a 
carico della 
pubblica 
accusa 
e 
dei 
giudici 
un formale 
obbligo di 
comunicare 
all’amministrazione 
del 
dipendente 
l’adozione 
di 
una 
misura 
cautelare 
o l’avvenuto esercizio dell’azione 
penale. La 
contestazione 
del 
dipendente 
sul 
tardivo 
avvio 
del 
procedimento 
potrebbe 
essere 
differita, 
senza 
alcuna 
compromissione 
del 
diritto di 
difesa 
del 
lavoratore, ed inoltre 
tale 
soluzione 
è 
maggiormente 
rispettosa 
del 
segreto istruttorio che 
vige 
sia 
nelle 
indagini 
penali che in quelle della Procura della Corte dei Conti. 

Conclusivamente, 
nel 
lavoro 
alle 
dipendenze 
delle 
Pubbliche 
Amministrazioni, 
il 
requisito 
della 
tempestività 
viene 
fatto 
consistere 
nell’acquisizione 
di 
una 
notizia 
di 
illecito 
che 
costituisca 
anche 
un 
reato 
di 
contenuto 
tale 
da 
consentite 
una 
prognosi 
di 
colpevolezza 
in capo al 
dipendente, tanto più che 
una 
contestazione 
assistita 
da 
un 
notevole 
dettaglio 
degli 
episodi 
ascritti 
al 
dipendente 
svolge 
una 
funzione 
deflattiva 
del 
contenzioso, e 
se 
non contestata 
in giudizio accresce la funzione general preventiva della sanzione. 

Laddove 
l’amministrazione 
dovesse, 
al 
contrario, 
agire 
su 
notizie 
non 
provviste 
di 
un adeguato grado di 
precisione 
e 
completezza, l’esito giudiziale 
di 
una 
reazione 
contro 
il 
provvedimento 
sarebbe 
maggiormente 
frequente 
e 
più spesso coronato dal 
successo; 
anticipare 
la 
contestazione 
degli 
addebiti 
al 
momento della 
prima 
conoscenza 
del 
fatto avrebbe 
come 
conseguenza 
che 
la 
sospensione 
del 
procedimento 
avverrebbe 
dopo 
la 
contestazione 
degli 
addebiti, 
così 
riproducendosi 
la 
situazione 
di 
lentezza 
ed ineffettività 
della 
reazione 
disciplinare 
all’illecito del dipendente. 


L’orientamento della 
Corte 
teso a 
differire 
il 
dies 
a quo 
per l’avvio del 
potere 
disciplinare, con la 
conseguente 
decorrenza 
dei 
termini 
perentori 
per 
la 
sua 
conclusione 
ad una 
pienamente 
circostanziata 
conoscenza 
dei 
fatti 
che 
costituiscono 
pure 
fattispecie 
di 
reato 
potrebbe 
indurre 
l’amministrazione 
a 
differire 
la 
contestazione 
sino alla 
sopravvenienza 
di 
elementi 
rivenienti 
dal 
procedimento penale 
quali 
l’irrogazione 
di 
misure 
cautelari, la 
richiesta 
o il 
disposto 
rinvio 
a 
giudizio 
ed 
a 
fortiori 
una 
condanna 
anche 
non 
definitiva, 
con 
il 
rischio 
implicito 
che 
si 
riproduca 
di 
fatto 
la 
situazione 
che 
vedeva 
l’assoluta 
pregiudizialità 
del 
procedimento 
penale 
rispetto 
a 
quello 
disciplinare 
cosi 
frustrandosi 
la 
ratio 
del 
decreto Brunetta 
teso ad accelerare 
la 
definizione 
di 
pro



ConTRIBUTI 
DI 
DoTTRInA 


cedimenti 
disciplinari 
anche 
indipendentemente 
dall’iter 
di 
quello penale 
per 
ragioni 
di 
esemplarità 
sanzionatoria 
e 
di 
effettività 
della 
sanzione 
(una 
sanzione 
irrogata 
a 
notevole 
distanza 
dai 
fatti 
può infatti 
perdere 
di 
afflittività 
e 
comunque vede di molto diminuita la propria efficacia generalpreventiva). 

Una 
attenta 
considerazione 
della 
giurisprudenza 
in materia 
sopra 
analizzata 
consente 
di 
dire 
che 
essa 
si 
è 
formata 
su fattispecie 
di 
illeciti 
connessi 
al 
servizio del 
dipendente 
ma 
che 
presentavano una 
oggettiva 
complessità 
per il 
numero dei 
soggetti 
coinvolti 
e 
degli 
illeciti 
ascritti 
(dalla 
complessiva 
considerazione 
dei 
quali 
soltanto 
poteva 
emergere 
l’apporto 
individuale 
di 
ciascuno 
e 
la 
gravità 
delle 
specifiche 
condotte), la 
pregressa 
notorietà 
dei 
quali 
talora 
discendeva 
da 
notizie 
di 
stampa 
(per 
loro 
natura 
frammentarie) 
ovvero 
da 
fonti 
non ancora 
riscontrate 
(come 
le 
doglianze 
degli 
utenti 
del 
servizio); 
può ritenersi 
che 
l’effettivo ricorrere 
della 
complessità 
dei 
comportamenti 
di 
potenziale 
rilievo 
disciplinare 
giustifichi 
l’orientamento 
della 
corte. 
Eguale 
solidità 
probatoria 
dovranno assumere 
gli 
illeciti 
di 
potenziale 
rilievo disciplinare 
relativi 
a 
condotte 
extraprofessionali 
in 
quanto 
rispetto 
ad 
essi 
l’amministrazione 
è 
priva 
di 
strumenti 
istruttori. D’altronde 
come 
si 
è 
visto, anticipare 
l’avvio 
del 
procedimento 
al 
primo 
profilarsi 
di 
una 
notitia 
illiciti 
in 
questi 
casi 
non 
riuscirebbe 
a 
sortire 
l’effetto di 
una 
celere 
conclusione 
del 
procedimento disciplinare, 
che 
verrebbe 
sospeso frustrandosi 
la 
ratio 
di 
celerità 
insita 
nel 
sollecito 
avvio di esso. 


Viceversa 
comportamenti 
individuali 
che 
cadano 
nella 
diretta 
sfera 
di 
controllo 
dell’amministrazione 
perché 
commessi 
in 
servizio 
e 
che 
non 
presentino 
tratti 
di 
particolare 
complessità 
sono quelli 
in relazione 
ai 
quali 
dalla 
notitia 
illiciti 
deve 
scaturire 
il 
tempestivo avvio del 
procedimento disciplinare 
a 
pena 
di 
decadenza 
del 
provvedimento ed in relazione 
ai 
quali 
non può essere 
correttamente 
disposta 
la 
sospensione, ben potendo l’amministrazione 
acquisire 
tutti 
gli 
elementi 
per 
agire 
disciplinarmente; 
in 
tali 
casi 
la 
disposta 
sospensione 
può 
ben 
essere 
impugnata 
dal 
dipendente 
nel 
nome 
di 
un 
proprio 
interesse 
alla 
definizione 
del 
procedimento 
ed, 
ove 
riconosciuta 
illegittima 
determina 
la 
decadenza 
del 
procedimento 
disciplinare 
per 
violazione 
dei 
termini 
di 
esso 
(non 
potendo 
l’amministrazione 
essere 
rimessa 
in 
termini 
ove 
siano 
decorsi 
i 
120 giorni 
dalla 
contestazione). La 
dicotomia 
tra 
fatti 
di 
complesso 
accertamento disciplinare 
e 
comportamenti 
extrafunzionali 
da 
un lato e 
dal-
l’altro fatti 
connessi 
al 
servizio e 
di 
non difficile 
accertamento probatorio potrebbe 
costituire 
anche 
per 
il 
lavoro 
alle 
dipendenze 
di 
soggetti 
privati 
la 
summa 
divisio 
per 
valutare 
o 
meno 
la 
tempestività 
della 
contestazione 
e 
la 
successiva 
eventuale sospensione di esso. 



(*)

COMUNICATO 
DELL’AVVOCATO 
GENERALE 


Oggi 
lascia 
il 
servizio, 
dopo 
trentotto 
anni 
di 
significativa 
presenza, 
l’Avv. 
Giuseppina Buongiorno, dell’Avvocatura Distrettuale di Salerno. 


Alla 
carissima 
Collega 
e 
Amica 
che 
ha 
onorato l’Istituto con la 
Sua 
professionalità, 
la 
Sua 
dedizione 
alla 
cura 
degli 
interessi 
del 
Paese, vanno i 
saluti 
e 
gli 
auguri 
più affettuosi 
miei 
e 
di 
tutti 
gli 
Avvocati 
e 
Procuratori 
dello Stato 
e del Personale dell’Avvocatura. 


Gabriella Palmieri Sandulli 


(*) 
E-mail Segreteria Particolare, sabato 30 settembre 2023 08:13. 



(*)

COMUNICATO 
DELL’AVVOCATO 
GENERALE 


Oggi 
lascia 
il 
servizio, 
dopo 
quarantacinque 
anni 
di 
significativa 
presenza, 
l’Avv. Stefano Vivacqua, dell’Avvocatura Distrettuale di Palermo. 


Al 
carissimo Collega 
e 
Amico che 
ha 
onorato l’Istituto con la 
Sua 
professionalità, 
la 
Sua 
dedizione 
alla 
cura 
degli 
interessi 
del 
Paese, vanno i 
saluti 
e 
gli 
auguri 
più affettuosi 
miei 
e 
di 
tutti 
gli 
Avvocati 
e 
Procuratori 
dello Stato 
e del Personale dell’Avvocatura. 


Gabriella Palmieri Sandulli 


(*) 
E-mail Segreteria Particolare, lunedì 9 ottobre 2023 08:01. 



(*)

COMUNICATO 
DELL’AVVOCATO 
GENERALE 


Oggi 
lascia 
il 
servizio, 
dopo 
quarantacinque 
anni 
di 
significativa 
presenza, 
l’Avv. Giovanna Maria Cuccia Russo, Avvocato Distrettuale di Messina. 


Alla 
carissima 
Collega 
e 
Amica 
che 
ha 
onorato l’Istituto con la 
Sua 
professionalità, 
la 
Sua 
dedizione 
alla 
cura 
degli 
interessi 
del 
Paese, vanno i 
saluti 
e 
gli 
auguri 
più affettuosi 
miei 
e 
di 
tutti 
gli 
Avvocati 
e 
Procuratori 
dello Stato 
e del Personale dell’Avvocatura. 


Gabriella Palmieri Sandulli 


(*) 
E-mail Segreteria Particolare, mercoledì 11 ottobre 2023 08:00. 



(*)

COMUNICATO 
DELL’AVVOCATO 
GENERALE 


Oggi 
lascia 
il 
servizio, dopo quarantadue 
anni 
di 
significativa 
presenza, 
l’Avv. Ines Sisto Monterisi, Avvocato Distrettuale di Bari. 


Alla 
carissima 
Collega 
e 
Amica 
che 
ha 
onorato l’Istituto con la 
Sua 
professionalità, 
la 
Sua 
dedizione 
alla 
cura 
degli 
interessi 
del 
Paese, vanno i 
saluti 
e 
gli 
auguri 
più affettuosi 
miei 
e 
di 
tutti 
gli 
Avvocati 
e 
Procuratori 
dello Stato 
e del Personale dell’Avvocatura. 


Gabriella Palmieri Sandulli 


(*) 
E-mail Segreteria Particolare, venerdì 20 ottobre 2023 08:04. 



(*)

COMUNICATO 
DELL’AVVOCATO 
GENERALE 


Ieri, 1° 
gennaio 2024, ha 
lasciato il 
servizio, dopo oltre 
quarantuno anni 
di 
significativa 
presenza, 
l’Avv. 
Filippo 
Patella, 
Avvocato 
Distrettuale 
di 
Reggio 
Calabria. 


Al 
carissimo Collega 
e 
Amico che 
ha 
onorato l’Istituto con la 
Sua 
professionalità, 
espressa, 
in 
particolare, 
nelle 
funzioni 
di 
Avvocato 
Distrettuale 
prima 
di 
L’Aquila 
e, poi, di 
Reggio Calabria, con la 
Sua 
preziosa 
collaborazione 
nel 
Consiglio degli 
Avvocati 
e 
Procuratori 
dello Stato e 
con la 
Sua 
dedizione 
alla 
cura 
degli 
interessi 
del 
Paese, 
vanno 
i 
saluti 
e 
gli 
auguri 
più 
affettuosi 
miei 
e 
di 
tutti 
gli 
Avvocati 
e 
Procuratori 
dello Stato e 
del 
Personale 
dell’Avvocatura. 


Gabriella Palmieri Sandulli 


(*) 
E-mail Segreteria Particolare, martedì 2 gennaio 2024 16:15. 



Finito di stampare nel mese di febbraio 2024 
Stabilimenti 
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