ANNO LXXV - N. 1
GENNAIO - MARZO 2023
RASSEGNA
AV
V
O
C
AT
U
R
A
DELLO
STATO
PUBBLICAZIONE
TRIMESTRALE DI SERVIZIO
COMITATO
SCIENTIfICO:
Presidente:
Michele
Dipace.
Componenti:
Franco
Coppi
-Natalino
Irti
-Eugenio
Picozza - Franco Gaetano Scoca.
DIRETTORE
RESPONSABILE:
Giuseppe Fiengo
- CONDIRETTORI:
Maurizio Borgo,
Stefano Varone.
COMITATO
DI
REDAZIONE:
Giacomo Aiello -Lorenzo
D’Ascia
-Gianni
De
Bellis
-Wally
Ferrante
-Sergio
Fiorentino
-Paolo
Gentili
-Maria
Vittoria
Lumetti
-Francesco
Meloncelli
-Marina
Russo.
CORRISPONDENTI
DELLE
AVVOCATURE
DISTRETTUALI:
Andrea
Michele
Caridi
-Stefano
Maria
Cerillo
Pierfrancesco
La
Spina
-Marco
Meloni
-Maria
Assunta
Mercati
-Alfonso
Mezzotero
-Riccardo
Montagnoli
-Domenico
Mutino
-Nicola
Parri
-Antonino
Ripepi
-Piero
Vitullo.
HANNO
COLLABORATO
INOLTRE
AL
PRESENTE
fASCICOLO:
Enrico
De
Giovanni,
Davide
Di
Giorgio,
Federico
D’Orazio,
Emanule
Feola,
Andrea
Ferri,
Michele
Gerardo,
Alberto
Giovannini,
Giovanni
Grasso,
Domenico
Maimone,
Gaetana
Natale,
Nicoletta
Ortu,
Gabriella
Palmieri
Sandulli,
Carlo
Maria
Pisana,
Valeria
Romano,
Luigi
Simeoli,
Antonio
Trimboli,
Stefano
Lorenzo
Vitale.
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Giuseppe fiengo
rassegna@avvocaturastato.it
maurizio.borgo@avvocaturastato.it
stefanovarone@avvocaturastato.it
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ed
acquisti
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dello
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348
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I
destinatari
della
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sono
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eventuali
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GENERALE
DELLO
STATO
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-Via dei Portoghesi, 12, 00186 Roma
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Stampato in Italia - Printed in Italy
Autorizzazione
Tribunale di Roma - Decreto n. 11089 del 13 luglio 1966
i
n
d
i
c
e
-s
o
m
m
a
r
i
o
Tragedia
del
Vajont.
A
ricordo
della
figura
dell’avvocato
dello
Stato
Vincenzo
Camerini
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
A ricordo
dell’Avv. Americo Rallo
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
dell’Avv. Giuseppe Massimo Dell’Aira
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
TEMI
ISTITUZIONALI
Intervento
dell’Avvocato
Generale
dello
Stato
in
occasione
della
cerimonia
di inaugurazione dell’Anno Giudiziario 2024
. . . . . . . . . . . . . . . . . . pag.
1
Nuovo
Regolamento
recante
norme
per
l’organizzazione
e
il
funzionamento
degli
uffici
dell’Avvocatura
dello
Stato,
D.P.C.M.
29
novembre
2023 n. 210 (G.U. n. 301 del 28 dicembre 2023)
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . ››
4
CONTENZIOSO
COMUNITARIO
ED
INTERNAZIONALE
Carlo
Maria
Pisana,
Le
“clausole
di
esclusiva”
nella
decisione
della
Corte
di
Giustizia
dell’Unione,
sentenza
19
gennaio
2023
in
causa
C-680/20
(Unilever
vs
AGCM) e
altre
situazioni
giuridiche
“escludenti”
nella giurisprudenza
della Corte
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ››
17
CONTENZIOSO
NAZIONALE
Antonino Ripepi, Giovanni
Grasso, La fisionomia attuale
della recidiva,
nel
prisma
della
recente
giurisprudenza
di
legittimità.
Disamina
della
sentenza delle Sezioni Unite del 25 luglio 2023 n. 32318
. . . . . . . . . . . . ››
37
Antonio Trimboli, Costituzione
di
parte
civile
dopo la riforma Cartabia:
brevi
considerazioni
a
caldo
sulla
sentenza
delle
Sezioni
Unite
del
21
settembre
2023 n. 38481
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ››
63
I PARERI
DEL
COMITATO
CONSULTIVO
Enrico
De
Giovanni,
Rimborso
spese
legali
sostenute
dal
pubblico
dipendente
ai
sensi
dell’art. 18 d.l. n. 67/1997, conv. l. n. 135/97. Corretta definizione
degli ambiti applicativi
della disposizione
. . . . . . . . . . . . . . . . ››
83
Luigi
Simeoli, Davide
Di
Giorgio, In tema di
tutela ambientale
dell’ecosistema
marino
e
di
quello
lagunare.
Ambito
di
applicazione
dell’art.
109,
d.lgs. 152/2006 (T.U.A.), del D.M. 173/2016
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ››
86
Domenico
Maimone,
Sui
requisiti
per
il
riconoscimento
delle
“Fondazioni
di
partecipazione”
tra
i
soggetti
collettivi
di
cui
all’art.
13
della
legge 349/1986
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ››
95
Valeria
Romano,
Cessione
pro
soluto
e
in
blocco
di
crediti
derivanti
da
operazioni
di
finanziamento
rimborsati
mediante
cessione
del
quinto
dello
stipendio;
cessione
effettuata
nel
contesto
di
una
operazione
di
c.d.
cartolarizzazione
ai
sensi
degli
artt.
1
e
4
della
L.
30
aprile
1999
n.
130,
dell’art.
58
del
D.Lgs.
n.
385
del
1°
settembre
1993
(il
“Testo
Unico
Bancario”)
››
104
Emanuele
feola, Convenzione-quadro stipulata dalla Consip S.p.A. per
la fornitura di
carburante
mediante
“buoni
acquisto”. Possibilità per
le
Amministrazioni
dello
Stato
di
avviare
una
procedura
autonoma
di
scelta
del contraente
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag.
113
Stefano Lorenzo Vitale, Determinazione
del
valore
di
lite
in caso di
ricorso
avverso un avviso di
accertamento contenente
il
contestuale
provvedimento
di
irrogazione
della
sanzione
ex
art.
17
comma
1
D.lgs.
n.
472/1997
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ››
119
LEGISLAZIONE
ED
ATTUALITà
Alberto
Giovannini,
Il
partenariato
pubblico-privato
nel
nuovo
codice
dei contratti pubblici. Prime impressioni
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ››
123
Gaetana Natale, Artificial Intelligence and privacy rights
. . . . . . . . . . . . ››
140
Gaetana
Natale,
The
fundamental
rights
of
the
person in the
digital
horizon.
Law and technology: a possible combination? . . . . . . . . . . . . . . . . ››
151
Antonino Ripepi, Amministrare
per
processi. Il
PNRR, il
PIAO
e
il
Business
Process
Reengineering nelle
Pubbliche
Amministrazioni: un’occasione
da non perdere. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ››
160
CONTRIBUTI
DI
DOTTRINA
Gerardo Michele, Efficienza del
processo e
strumenti
alternativi
di
risoluzione
delle controversie
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ››
173
Gaetana
Natale, federico D’Orazio, La responsabilità medica alla prova
dell’IA
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ››
191
Nicoletta
Ortu,
La
stabile
messa
a
libro
paga
dell’agente
pubblico
e
il
contrastato rapporto tra corruzione
per
l’esercizio della funzione
e
corruzione
per atto contrario ai doveri d’ufficio. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ››
213
Andrea
ferri, Rapporti
tra procedimento penale
e
procedimento disciplinare:
un excursus
giurisprudenziale
sul
lavoro privato e
quello alle
dipendenze
di pubbliche amministrazioni
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ››
236
Comunicato dell’Avvocato Generale, Avv. Giuseppina Buongiorno. . . .
Comunicato dell’Avvocato Generale, Avv. Stefano Vivacqua
. . . . . . . . .
Comunicato
dell’Avvocato
Generale,
Avv.
Giovanna
Maria
Cuccia
Russo
Comunicato
dell’Avvocato
Generale,
Avv.
Ines
Sisto
Monterisi.
.
.
.
.
.
.
.
.
Comunicato
dell’Avvocato
Generale,
Avv.
Filippo
Patella
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
Tragedia del Vajont. A ricordo della figura
dell’avvocato dello Stato Vincenzo Camerini
Il
9 ottobre
2023 il
Presidente
Sergio Mattarella nei
luogi
del
disatro del
Vajont
ha ricordato la tragedia umana accaduta alle
10,30 della sera del
9
ottobre 1963. Paesi, comunità, vite distrutti. 1910 morti.
Il
processo si
tenne
a L’Aquila, a ben 550 chilometri
dal
luogo del
disastro,
per
legitima suspicione
a motivo dei
problemi
di
ordine
pubblico, iniziò
il 25 novembre 1968 e si concluse la sera del 17 dicembre 1969.
Lo
Stato
era
rappresentato
dall’Avvocatura
distrettuale
di
L’Aquila
nella
persona
dell’avvocato
dello
Stato
Vincenzo
Camerini,
persona
di
grande
professionalità
e
di
vasta
cultura
unitamente
a
raffinata
educazione
e
grande
umiltà, che
rappresentò lo Stato anche
nelle
fasi
del
processo di
appello, dal
20 luglio 1970 al 3 ottobre 1970.
Dal
15 marzo al
25 marzo 1971 a Roma si
svolse
il
processo di
Cassazione,
fu sempre
incaricato l’avvocato dello Stato Vincenzo Camerini
che
si
studiò 25mila pagine, contenute in 256 faldoni.
Dal
18 maggio 2023 l’“Archivio Processuale
del
Distrastro della Diga
del
Vajont”
è
iscritto
nel
Registro
Internazionale
del
Programma
Unesco
Memory
of
the
World,
per
la
tutela
e
la
valorizzazione
del
patrimonio
archivistico
più importante del mondo.
Ricordo a cura di Sigilfredo Riga, Funzionario dell’Avvocatura distrettuale dello Stato di L’Aquila.
A ricordo dell’
Avv. Americo Rallo
Con profondo dispiacere, comunico che
è
venuto a mancare
l’Avvocato
dello Stato Americo Rallo
(*)
Il Segretario Generale
Avv. Maurizio Greco
(*) E-mail Segreteria Generale, martedì 14 novembre 2023 17:26
A ricordo dell’
Avv. Giuseppe Massimo Dell’Aira
Con profondo dispiacere, comunico che
è
venuto a mancare
l’Avv. Giuseppe
Massimo Dell’Aira, Avvocato Generale Onorario (*)
Il Segretario Generale
Avv. Maurizio Greco
(*) E-mail Segreteria Generale, domenica 21 gennaio 2024 15:43
TEMIISTITUZIONALI
CERIMONIA
DI
INAUGURAZIONE
DELL’ANNO
GIUDIZIARIO
2024
Intervento dell’Avvocato Generale dello Stato
Avv. Gabriella Palmieri Sandulli
Signor Presidente della Repubblica, Autorità,
Signora Prima Presidente della Corte di cassazione,
Signor Procuratore Generale,
Signore e Signori
prendo la
parola
in questa
solenne
Cerimonia
per porgere
il
saluto del-
l’Istituto che ho l’alto onore e il privilegio di dirigere.
2.
Nella
Sua
approfondita
e
ampia
Relazione
la
Prima
Presidente
ha
riferito
in
modo
analitico
e
dettagliato
i
risultati
raggiunti
dalla
Suprema
Corte
anche
nell’anno 2023, frutto, ancora
una
volta, del
grandissimo impegno profuso
dai
Magistrati
e
da
tutto
il
Personale
amministrativo,
ai
quali
va
il
più
vivo ringraziamento.
Nel
2023 è
proseguita
la
collaborazione
dell’Avvocatura
dello Stato con
la
Corte
di
cassazione
sia
per
lo
svolgimento
di
udienze
tematiche,
sia
per
l’individuazione
di
significative
questioni
da
sottoporre
alle
Sezioni
Unite
al
fine
di
determinare
un
indirizzo
univoco
necessario
per
la
riduzione
del
contenzioso
pendente
anche
dinanzi
ai
giudici
di
merito,
in
effetti,
avvenuto
per
i
giudizi
relativi
alla
protezione
internazionale, alla
espulsione
di
cittadini
extracomunitari
e alla cd. Legge Pinto.
3.
Proseguendo
nella
collaborazione
istituzionale
con
la
Procura
Generale
della
Cassazione
e
il
Consiglio
Nazionale
Forense,
è
stato
sottoscritto,
lo
scorso 1°
marzo 2023, il
Protocollo d’intesa
sul
processo civile
al
dichiarato
scopo di
“manifestare
la volontà comune
di
costruire
insieme
una prassi
organizzativa
e un’interpretazione condivisa”, un Testo Unico dei Protocolli.
RASSeGNA
AvvOCATURA
DeLLO
STATO -N. 1/2023
4.
In linea
con quanto già
auspicato in occasione
della
Cerimonia
dello
scorso anno, a
garanzia
di
una
giustizia
non solo celere, ma
anche
effettiva,
nel
Protocollo è
stato previsto che
l’utilizzo della
decisione
ai
sensi
dell’articolo
380-bis
c.p.c.
sia
preceduto
dalla
formulazione
di
una
proposta
sufficientemente
esaustiva
per consentire
al
difensore
una
meditata
valutazione
sulla
scelta processuale da compiere nell’interesse della parte rappresentata.
5.
In tema
di
definizione
celere
e
uniforme
dei
giudizi
civili
si
segnalano,
nel
contenzioso che
interessa
l’Avvocatura
dello Stato, le
prime
applicazioni
anche
dell’istituto
del
“rinvio
pregiudiziale”
previsto
dall’articolo
363-bis
c.p.c.;
si
tratta
di
uno
strumento
che
può
e
deve
essere
implementato
per
la
sua
rilevante
potenzialità
in
termini
di
deflazione
del
contenzioso
e
di
indirizzo
uniforme della giurisprudenza.
6.
L’attività
professionale
dell’Avvocatura
dello Stato si
svolge
non soltanto
dinanzi
alle
Sezioni
Civili, con il
nutrito e
rilevante
contenzioso tributario,
ma anche dinanzi alle Sezioni penali.
Mi
limito, per ragioni
di
brevità, a
menzionare
la
significativa
sentenza
n. 43790/23, che, in accoglimento delle
tesi
sostenute
dall’Avvocatura
dello
Stato, ha
dettato, nell’ambito di
un procedimento per reato di
strage
(art. 285
c.p.),
importanti
principi
in
tema
di
omessa
notifica
dell’avviso
di
udienza
preliminare
alle
Amministrazioni
dello Stato in quanto persone
offese, la
Presidenza
del
Consiglio dei
Ministri, Organo di
vertice
che
rappresenta
lo Stato e
il Ministero dell’Interno, tutore dell’ordine e della sicurezza pubblica.
7.
L’anno
appena
trascorso
ha
segnato
sia
la
compiuta
digitalizzazione
dell’attività
giudiziaria
in virtù del
Decreto Legislativo n. 149/2022, sia
l’obbligatorietà
del processo telematico anche dinanzi alla Corte di cassazione.
L’Avvocatura
dello
Stato
ha
contribuito
in
modo
significativo
al
percorso
di
innovazione
iniziato
anni
fa,
fornendo,
insieme
al
Consiglio
Nazionale
Forense,
il
proprio
contributo
sui
tavoli
tecnici;
dichiarandosi
disponibile
per
quelli
che
saranno
attivati
sui
temi,
indicati
dal
Procuratore
Generale
nella
Sua
Relazione,
relativi
all’intelligenza
artificiale,
alla
giustizia
predittiva
e
alle
tecniche
di
machine
learning,
in
Avvocatura
già
analizzati
per
ottimizzare
la
strategia
processuale
a
partire
dai
dati,
anche
in
chiave
deflattiva
del
contenzioso.
Il
passaggio
al
regime
di
obbligatorietà
ha,
ovviamente,
inciso
sui
dati
relativi
ai
depositi
telematici, che, innanzi
alla
Corte
di
cassazione, sono passati,
per l’Avvocatura
dello Stato, dai
3500 dell’anno 2022 ai
quasi
13 mila
dell’anno 2023, con un aumento, dunque, del 400 per cento.
8.
Per
rappresentare
la
complessa
attività
dell’Avvocatura
dello
Stato
qualche
dato statistico:
nel
2023, i
nuovi
affari
trattati
sono stati
147.478 con
TeMI
ISTITUzIONALI
un incremento, in generale, di
circa
il
13% rispetto al
2022, ritornando, dunque,
ai livelli del 2019 precedenti alla pandemia.
Per quanto riguarda
gli
esiti
dei
giudizi
in cui
è
parte
l’Avvocatura
dello
Stato in Cassazione
si
conferma
ancora
una
volta
una
percentuale
di
successo
nelle cause patrocinate nella media superiore al 65%.
Tali
dati
sottolineano
la
gravosità
del
lavoro
e
l’impegno
dell’Avvocatura
dello
Stato
per
assicurare
l’ottimale
svolgimento
dei
propri
compiti
istituzionali.
9.
Da
ultimo, dall’osservatorio privilegiato di
Agente
del
Governo della
Repubblica
italiana, ricordo come
sia
efficacemente
proseguito il
dialogo tra
la Corte di cassazione e la Corte di giustizia dell’Unione europea.
Nel
2023
sono
state
proposte
sei
questioni
di
rinvio
pregiudiziale
in
diversi
ambiti,
mandato
d’arresto
europeo,
disciplina
delle
accise,
diritti
dei
lavoratori,
diritti
dei
consumatori,
confermando
l’importanza
di
tale
strumento
di
cooperazione
da
giudice
a
giudice,
che
assume
una
funzione
fondamentale
per
l’integrazione
tra
l’ordinamento
interno
e
quello
eurounitario
nel
rispetto
delle
tradizioni
costituzionali
nazionali
e
dei
principi
supremi
che
ne
sono
la
base.
10.
Concludo
questo
mio
intervento
confermando
che
l’Avvocatura
dello
Stato continuerà
a
profondere
il
massimo impegno per essere
sempre
all’altezza
delle rilevanti funzioni attribuite e al servizio del Paese.
Grazie per l’attenzione.
Roma, 25 gennaio 2024
Palazzo di Giustizia, Aula Magna
RASSEGNA
AVVOCATURA
DELLO
STATO -N. 1/2023
NUOVO
REGOLAMENTO
RECANTE
NORME
PER
L’ORGANIZZAZIONE
E
IL
FUNZIONAMENTO
DEGLI
UFFICI
DELL’AVVOCATURA
DELLO
STATO
Si
rappresenta
che
è
stato pubblicato, sulla
G.U. n. 301 del
28 dicembre
2023,
il
nuovo
Regolamento
(D.P.C.M.
n.
210
del
29
novembre
2023,
allegato
alla
presente)
recante
norme
per
l’organizzazione
e
il
funzionamento
degli
uffici
dell’Avvocatura dello Stato
(*).
Il Segretario Generale
Avv. Maurizio Greco
DECRETO DEL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI
29 novembre 2023, n. 210
Regolamento recante norme per l’organizzazione e il funzionamento
degli uffici dell’Avvocatura dello Stato. (23G00218)
(GU n. 301 del 28-12-2023)
Vigente al: 12-1-2024
IL PRESIDENTE
DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI
Vista
la
legge
23 agosto 1988, n. 400, recante
«Disciplina
dell’attività
di
Governo e
ordinamento
della
Presidenza
del
Consiglio
dei
ministri»
e,
in
particolare,
gli
articoli
17
e
19,
comma 1, lettera r);
Visto il
decreto-legge
22 aprile
2023, n. 44, convertito, con modificazioni, dalla
legge
21
giugno 2023, n. 74, recante
«Disposizioni
urgenti
per il
rafforzamento della
capacità
amministrativa
delle amministrazioni pubbliche» e, in particolare, l’articolo 1, commi 2 e 3;
Visto
il
decreto-legge
11
novembre
2022,
n.
173,
convertito,
con
modificazioni,
dalla
legge
16 dicembre
2022, n. 204, recante
«Disposizioni
urgenti
in materia
di
riordino delle
attribuzioni
dei Ministeri» e, in particolare, l’articolo 13;
Visto
il
decreto-legge
29
settembre
2023,
n.
132,
convertito,
con
modificazioni,
dalla
legge
27
novembre
2023,
n.
170,
recante
«Disposizioni
urgenti
in
materia
di
proroga
di
termini
normativi
e versamenti fiscali» e, in particolare, l’articolo 14, comma 2;
Visto il
regio decreto 30 ottobre
1933, n. 1611, recante
«Approvazione
del
T.U. delle
leggi
e
delle
norme
giuridiche
sulla
rappresentanza
e
difesa
in giudizio dello Stato e
sull’ordinamento
dell’Avvocatura dello Stato» e, in particolare, l’articolo 17;
Visto il
regio decreto 30 ottobre
1933, n. 1612, recante
«Approvazione
del
regolamento
per la
esecuzione
del
T.U. delle
leggi
e
delle
norme
giuridiche
sulla
rappresentanza
e
difesa
in giudizio dello Stato e sull’ordinamento dell’Avvocatura dello Stato»;
Vista
la
legge
3 aprile
1979, n. 103, recante
«Modifiche
dell’ordinamento dell’Avvocatura
dello Stato» anche
con riferimento alle
competenze
del
consiglio degli
avvocati
e
procuratori
dello Stato definite dall’articolo 23;
Vista
la
legge
14 gennaio 1994, n. 20, recante
«Disposizioni
in materia
di
giurisdizione
e
controllo della Corte dei conti» e, in particolare, l’articolo 3;
Visto il
decreto legislativo 7 agosto 1997, n. 279, recante
«Individuazione
delle
unità
pre
(*)
E-mail Segretario Generale, venerdì 5 gennaio 2024 15:14.
TEMI
ISTITUzIONALI
visionali
di
base
del
bilancio dello Stato, riordino del
sistema
di
tesoreria
unica
e
ristrutturazione
del rendiconto generale dello Stato»;
Visto il
decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300, recante
«Riforma
dell’organizzazione
del
Governo,
a
norma
dell’articolo
11
della
legge
15
marzo
1997,
n.
59»
e,
in
particolare,
l’articolo 4;
Vista
la
legge
7 giugno 2000, n. 150, recante
«Disciplina
delle
attività
di
informazione
e
di comunicazione delle pubbliche amministrazioni»;
Visto il
decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, recante
«Norme
generali
sull’ordinamento
del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche»;
Visto il
decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, concernente
«Codice
in materia
di
protezione
dei
dati
personali,
recante
disposizioni
per
l’adeguamento
dell’ordinamento
nazionale
al
regolamento (UE) n. 2016/679 del
Parlamento europeo e
del
Consiglio, del
27 aprile
2016,
relativo alla
protezione
delle
persone
fisiche
con riguardo al
trattamento dei
dati
personali,
nonché alla libera circolazione di tali dati e che abroga la direttiva 95/46/CE»;
Visto il
decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, recante
«Codice
dell’amministrazione
digitale
»;
Visto
il
decreto
legislativo
27
ottobre
2009,
n.
158,
recante
«Attuazione
della
legge
4
marzo
2009, n. 15, in materia
di
ottimizzazione
della
produttività
del
lavoro pubblico e
di
efficienza
e trasparenza delle pubbliche amministrazioni»;
Vista
la
legge
31 dicembre
2009, n. 196, recante
«legge
di
contabilità
e
finanza
pubblica»;
Vista
la
legge
6 novembre
2012, n. 190, recante
«Disposizioni
per la
prevenzione
e
la
repressione
della corruzione e dell’illegalità nella pubblica amministrazione»;
Visto
il
decreto
legislativo
14
marzo
2013,
n.
33,
recante
«Riordino
della
disciplina
riguardante
il
diritto di
accesso civico e
gli
obblighi
di
pubblicità, trasparenza
e
diffusione
di
informazioni
da parte delle pubbliche amministrazioni»;
Visto il
decreto-legge
4 ottobre
2018, n. 113, convertito, con modificazioni, dalla
legge
1°
dicembre
2018, n. 132, recante
«Disposizioni
urgenti
in materia
di
protezione
internazionale
e
immigrazione, sicurezza
pubblica, nonché
misure
per la
funzionalità
del
Ministero dell’interno
e
l’organizzazione
e
il
funzionamento dell’Agenzia
nazionale
per l’amministrazione
e
la
destinazione
dei
beni
sequestrati
e
confiscati
alla
criminalità
organizzata» e, in particolare,
l’articolo 15, comma 01;
Vista
la
legge
30 dicembre
2018, n. 145, recante
«Bilancio di
previsione
dello Stato per
l’anno
finanziario
2019
e
bilancio
pluriennale
per
il
triennio
2019-2021»
e,
in
particolare,
l’articolo 1, comma 318;
Vista
la
legge
27 dicembre
2019, n. 160, recante
«Bilancio di
previsione
dello Stato per
l’anno
finanziario
2020
e
bilancio
pluriennale
per
il
triennio
2020-2022»
e,
in
particolare,
l’articolo 1, commi 171 e 172;
Visto
il
decreto-legge
31
dicembre
2020,
n.
183,
convertito,
con
modificazioni,
dalla
legge
26 febbraio 2021, n. 21, recante
«Disposizioni
urgenti
in materia
di
termini
legislativi, di
realizzazione
di
collegamenti
digitali,
di
esecuzione
della
decisione
(UE,
EURATOM)
2020/2053
del
Consiglio,
del
14
dicembre
2020,
nonché
in
materia
di
recesso
del
Regno
Unito
dal-
l’Unione europea» e, in particolare, l’articolo 1-bis, comma 2;
Visto il
decreto del
Presidente
della
Repubblica
29 ottobre
2021, n. 214, concernente
«Regolamento
recante
norme
per
l’organizzazione
e
il
funzionamento
degli
uffici
dell’Avvocatura
dello Stato»;
Visto
il
decreto
del
Presidente
del
Consiglio
dei
ministri
14
novembre
2005,
recante
«Ride
RASSEGNA
AVVOCATURA
DELLO
STATO -N. 1/2023
terminazione
delle
dotazioni
organiche
del
personale
amministrativo
delle
aree
funzionali,
delle
posizioni
economiche
e
dei
profili
professionali,
con
riferimento
alle
singole
strutture,
dell’Avvocatura
generale
dello
Stato)»,
pubblicato
nella
Gazzetta
Ufficiale
n.
31
del
7
febbraio
2006;
Considerata
l’organizzazione
proposta
coerente
con
i
compiti
e
le
funzioni
attribuite
all’Avvocatura
di Stato dalla normativa di settore vigente;
Sentiti
l’Organismo paritetico per l’Innovazione
(OPI) e
il
Comitato Unico di
garanzia
per
le pari opportunità e il benessere di chi lavora contro le discriminazioni (CUG);
Sentito il
Consiglio di
amministrazione
dell’Avvocatura
dello Stato nella
seduta
del
13 ottobre
2023;
Preso atto che
sulla
proposta
di
riorganizzazione, l’Amministrazione
ha
informato le
Organizzazioni
sindacali in data 5 ottobre 2023;
Vista
la
deliberazione
preliminare
del
Consiglio dei
ministri, adottata
nella
riunione
del
23
ottobre 2023;
Udito
il
parere
del
Consiglio
di
Stato,
espresso
dalla
sezione
consultiva
per
gli
atti
normativi
nell’adunanza del 7 novembre 2023;
Vista
la
deliberazione
del
Consiglio
dei
ministri,
adottata
nella
riunione
del
27
novembre
2023;
Di concerto con i Ministri per la pubblica amministrazione e dell’economia e delle finanze;
Adotta
il seguente regolamento:
Art. 1
Oggetto e ambito di applicazione
1.
Le
disposizioni
del
presente
regolamento
disciplinano
l’organizzazione
e
il
funzionamento
degli
uffici
dell’Avvocatura
dello Stato, nel
rispetto delle
previsioni
del
regio decreto
30 ottobre
1933, n. 1611, della
legge
3 aprile
1979, n. 103, e
delle
altre
norme
di
legge
che
disciplinano la specifica materia.
Art. 2
Criteri di organizzazione
1. Gli
uffici
amministrativi
dell’Avvocatura
dello Stato sono ordinati
secondo i
seguenti
criteri:
a)
articolazione degli uffici per funzioni omogenee;
b)
collegamento
e
coordinamento
delle
attività
degli
uffici,
nel
rispetto
del
principio
di
collaborazione,
anche
attraverso la
comunicazione
interna
ed esterna
e
l’interconnessione
mediante
sistemi informatici e statistici pubblici;
c)
trasparenza, attraverso apposita
struttura
per l’informazione
ai
cittadini
e
alle
amministrazioni
e,
per
ciascun
procedimento,
attribuzione
a
un
unico
ufficio
della
responsabilità
complessiva
dello stesso, nel rispetto della legge 7 agosto 1990, n. 241;
d)
armonizzazione
degli
orari
di
servizio e
di
apertura
degli
uffici
con le
esigenze
di
funzionamento
degli
uffici
giurisdizionali
e
con
gli
orari
delle
amministrazioni
pubbliche
dei
Paesi e delle istituzioni dell’Unione europea.
Art. 3
L’Avvocato generale
1.
L’Avvocato generale, fatta
salva
ogni
altra
attribuzione
prevista
da
norme
di
legge
o di
regolamento,
quale
organo
di
governo
dell’Istituto,
esercita
le
funzioni
di
indirizzo
e
a
tal
fine
assegna le risorse finanziarie al Segretario generale quale centro di responsabilità.
2.
L’Avvocato generale
dello Stato definisce
gli
obiettivi
ed i
programmi
da
attuare
avvalendosi
del
Segretario generale
e
verifica
la
rispondenza
dei
risultati
della
gestione
ammini
TEMI
ISTITUzIONALI
strativa
alle
direttive
generali
impartite. A
tal
fine, anche
sulla
base
delle
proposte
del
Segretario
generale, adotta
ogni
anno le
direttive
generali
da
seguire
per l’azione
amministrativa
e
per la gestione.
3.
L’Avvocato generale
è
il
titolare
dell’informazione
e
della
comunicazione
istituzionale.
4.
L’Avvocato generale in particolare:
a)
presiede il Consiglio di amministrazione;
b)
conferisce,
con
propri
decreti,
adottati
su
proposta
del
Segretario
generale,
in
conformità
a
quanto previsto dalle
norme
vigenti, gli
incarichi
di
direzione
degli
uffici
di
livello dirigenziale
generale, di prima fascia, sottoscrivendo i relativi contratti;
c)
definisce l’organizzazione degli uffici di livello dirigenziale;
d)
nomina
i
componenti
degli
organi
collegiali
previsti
dal
presente
regolamento e
da
altre
norme, salvo che non sia diversamente stabilito;
e) svolge
le
funzioni
di
direzione, di
indirizzo e
di
controllo che
gli
sono attribuite
dalle
leggi e dai regolamenti;
f)
valuta
la
corrispondenza
dei
risultati
dell’attività
amministrativa
ai
propri
atti
di
indirizzo;
g) nomina
con appositi
decreti
gli
esperti
a
supporto della
propria
Attività
di
agente
di
governo
a difesa dello Stato italiano dinanzi alla Corte europea dei diritti dell’uomo.
5. L’Avvocato generale
si
avvale
nella
propria
attività, oltre
che
della
collaborazione
del
Segretario
generale,
anche
delle
strutture
di
supporto
di
cui
all’articolo
4
e
può
avvalersi
della
collaborazione di avvocati e procuratori dello Stato, fiduciariamente scelti.
Art. 4
Strutture di supporto all’Avvocato generale
1. Le strutture di supporto all’Avvocato generale sono:
a)
il Servizio di segreteria;
b)
il Servizio studi e formazione professionale;
c)
il Servizio di comunicazione istituzionale;
d)
il Servizio del cerimoniale.
2.
Il
Servizio
di
segreteria
è
struttura
di
livello
non
dirigenziale
ed
è
composta
da
personale
individuato nell’ambito dei
dipendenti
di
ruolo dell’Avvocatura
o di
altre
amministrazioni
in
posizione
di
comando o distacco. Il
Servizio svolge
attività
di
supporto ai
compiti
dell’Avvocato
generale
e
provvede
al
coordinamento degli
impegni
dello stesso;
assiste, altresì, l’Avvocato
generale
negli
organismi
a
cui
partecipa
e
adempie,
su
suo
mandato,
a
compiti
specifici
riguardanti
l’attività
e
i
rapporti
istituzionali
del
medesimo. Al
servizio può essere
preposto
un responsabile titolare di posizione organizzativa.
3.
Il
Servizio studi
e
formazione
professionale
è
struttura
di
livello non dirigenziale
ed è
costituito da
avvocati
o procuratori
dello Stato nominati
dall’Avvocato generale
e
coordinati
dall’Avvocato generale
aggiunto o da
un Vice
Avvocato generale. L’incarico dei
componenti
dura tre anni ed è rinnovabile.
4.
Il
Servizio
studi
e
formazione
professionale
coadiuva
l’Avvocato
generale
nelle
seguenti
attività:
a)
predisposizione
delle
relazioni
periodiche
previste
dall’articolo 15 del
regio decreto 30
ottobre 1933, n. 1611;
b)
elaborazione di studi e ricerche della normativa e della giurisprudenza rilevanti;
c)
rilevazione e analisi dell’attività parlamentare;
d)
elaborazione
dei
programmi
di
formazione
e
aggiornamento
professionale
degli
avvocati
e procuratori dello Stato.
RASSEGNA
AVVOCATURA
DELLO
STATO -N. 1/2023
5. Il
Servizio di
comunicazione
istituzionale
è
struttura
di
livello non dirigenziale
che
cura
i
rapporti
con il
sistema
e
gli
organi
di
informazione
nazionali
e
internazionali
ed effettua
il
monitoraggio dell’informazione
italiana
ed estera
e
ne
cura
la
rassegna, con particolare
riferimento
ai
profili
che
attengono ai
compiti
istituzionali
dell’Avvocatura. Il
coordinatore
del
servizio è
fiduciariamente
scelto dall’Avvocato generale
tra
gli
avvocati
ovvero procuratori
dello
Stato
e
può
svolgere
anche
il
ruolo
di
portavoce
dell’Avvocato
generale,
ove
autorizzato
da
quest’ultimo, per la
cura
dei
rapporti
di
carattere
istituzionale
con gli
organi
di
informazione.
L’incarico di
coordinatore
dura
tre
anni
ed è
rinnovabile. Il
servizio può avvalersi
di
personale
amministrativo individuato tra
il
personale
in servizio ovvero, in mancanza
di
adeguata
professionalità,
di
risorse
esterne
nel
rispetto
delle
previsioni
normative
vigenti
e
in
possesso di
comprovata
esperienza
maturata
sul
campo delle
comunicazioni
istituzionali
ovvero
dell’editoria.
6.
Il
Servizio
del
cerimoniale
è
struttura
di
livello
non
dirigenziale
che
cura
l’organizzazione
e
la
gestione
degli
eventi
di
interesse
dell’Avvocato
generale.
Il
coordinatore
del
predetto
servizio
è
fiduciariamente
scelto dall’Avvocato generale
tra
gli
avvocati
e/o procuratori. Dura
in
carica
tre
anni
ed è
rinnovabile. Il
servizio può avvalersi
di
personale
amministrativo individuato
tra il personale in servizio.
Art. 5
Responsabile per la transizione digitale
1.
Il
Responsabile
per la
transizione
digitale
è
nominato dall’Avvocato generale, sentito il
Segretario
generale,
tra
gli
avvocati
dello
Stato
dotati
di
specifiche
competenze
ed
esperienze
professionali
allo svolgimento del
predetto incarico. L’incarico dura
fino a
cinque
anni
ed è
rinnovabile non più di una volta.
2.
Il
Responsabile
per la
transizione
digitale
cura
i
rapporti
con le
autorità
e
le
amministrazioni
che
hanno
competenze
in
ambito
informatico,
anche
con
riferimento
ai
processi
giurisdizionali
telematici, e
definisce
la
strategia
per l’assolvimento dei
compiti
di
cui
al
decreto
legislativo 7 marzo 2005, n. 82, secondo le
direttive
dell’Avvocato generale, nell’ottica
della
transizione
verso modalità
operative
digitali, in conformità
alle
linee
di
indirizzo per l’informatica
nella
pubblica
amministrazione
e, in generale, alle
vigenti
disposizioni
in materia
di
informatizzazione
della
pubblica
amministrazione.
Per
lo
svolgimento
dei
suoi
compiti
il
Responsabile
per la transizione digitale si avvale della Direzione generale competente.
Art. 6
Responsabile della prevenzione della corruzione
e della trasparenza
1. Il
Responsabile
della
prevenzione
della
corruzione
e
della
trasparenza
(RPCT) è
nominato
dall’Avvocato generale, sentito il
Segretario generale, di
norma
tra
i
Dirigenti
di
ruolo
in servizio presso l’Avvocatura
dello Stato in possesso di
adeguata
conoscenza
dell’organizzazione
e del funzionamento dell’amministrazione.
2.
Il
RPCT
svolge
i
compiti
stabiliti
dall’articolo
1,
comma
7,
della
legge
6
novembre
2012,
n. 190.
3.
Il
RPCT
per i
suoi
compiti
si
avvale
del
personale
in servizio presso la
Direzione
generale
del personale.
Art. 7
Responsabile della protezione dei dati personali
1.
Il
Responsabile
della
protezione
dei
dati
personali
è
nominato dall’Avvocato generale,
sentito il
Segretario generale, tra
gli
avvocati
o i
procuratori
dello Stato dotati
di
specifiche
TEMI
ISTITUzIONALI
competenze
ed esperienze
professionali
in materia. L’incarico, non rinnovabile, dura
fino a
cinque anni.
2.
Il
Responsabile
della
protezione
dei
dati
personali
svolge
i
compiti
stabiliti
dal
Regolamento
(UE) n. 2016/679 del
Parlamento europeo e
del
Consiglio, del
27 aprile
2016, e
dal
decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196.
Art. 8
Organismo indipendente di valutazione
1.
L’Organismo
indipendente
di
valutazione
ha
il
compito
di
valutare
il
funzionamento
complessivo del
sistema
della
valutazione, della
trasparenza
e
integrità
dei
controlli
interni
e
di
garantire
la
correttezza
dei
processi
di
misurazione
e
valutazione
della
performance
individuale
del
personale
amministrativo.
L’organismo
di
valutazione
opera,
gratuitamente,
in
posizione di autonomia e risponde esclusivamente all’Avvocato generale dello Stato.
2.
Per
lo
svolgimento
dei
propri
compiti,
l’organismo
può
accedere
agli
atti
e
ai
documenti
concernenti
le
attività
dell’Avvocatura
di
interesse
e
può richiedere
ai
titolari
degli
Uffici
dirigenziali
di
riferimento le
informazioni
necessarie. Sugli
esiti
delle
proprie
attività
l’organismo
riferisce secondo i criteri e le modalità normativamente previste.
3.
L’organismo di
valutazione
è
composto da
un Vice
Avvocato generale
dello Stato, che
lo presiede, e
da
due
avvocati
dello Stato, nominati
dall’Avvocato generale, in possesso dei
requisiti previsti dalla normativa vigente per l’espletamento dell’incarico.
Art. 9
Segretario generale
1. Il
Segretario generale, da
cui
dipendono gli
uffici
di
livello dirigenziale
generale, è
il
vertice
dell’organizzazione
amministrativa
e
fatta
salva
ogni
altra
attribuzione
prevista
da
norme di legge o di regolamento, è titolare delle seguenti funzioni:
a)
collabora
direttamente
con l’Avvocato generale
e
propone
a
quest’ultimo, sentiti
i
dirigenti
di
prima
fascia, le
modifiche
all’organizzazione
degli
Uffici
dirigenziali
non generali,
nell’invarianza
della
dotazione
organica, al
fine
di
assicurare
che
il
livello delle
relative
competenze
amministrative
sia
costantemente
adeguato
agli
obiettivi
da
perseguire
e
alle
esigenze
di semplificazione amministrativa, con riguardo anche all’evoluzione dell’ordinamento;
b)
cura
l’attuazione
degli
indirizzi
generali
dell’azione
amministrativa
definiti
dall’Avvocato
generale anche attraverso l’emanazione di specifiche circolari;
c)
coordina
e
controlla
la
gestione
delle
risorse
umane, finanziarie
e
strumentali
di
pertinenza
dei dirigenti;
d)
adotta
le
iniziative
necessarie
al
coordinamento fra
le
strutture
del
segretariato generale
e fra queste e le avvocature distrettuali;
e) sovrintende, avvalendosi
dei
competenti
dirigenti
di
prima
fascia, alla
organizzazione,
anche logistica, degli Uffici centrali e periferici dell’Avvocatura di Stato;
f) conferisce, con propri
decreti, sentiti
i
titolari
degli
uffici
dirigenziali
generali, gli
incarichi
di direzione degli uffici dirigenziali di seconda fascia e sottoscrive i relativi contratti;
g) esercita
il
potere
sostitutivo nei
confronti
del
personale
con qualifiche
dirigenziali, nei
casi di inerzia;
h)
sentiti
i
titolari
degli
uffici
dirigenziali
generali,
determina
i
programmi
e
definisce
le
direttive
per
dare
attuazione
agli
indirizzi
dell’Avvocato
generale
definiti
nella
direttiva
annuale;
i)
valuta
la
dirigenza
di
seconda
fascia,
nell’ambito
delle
proprie
competenze,
ai
sensi
delle
norme
vigenti
in materia, sentiti
i
dirigenti
di
prima
fascia
e
l’Avvocato distrettuale
per
i dirigenti preposti in sede distrettuale;
RASSEGNA
AVVOCATURA
DELLO
STATO -N. 1/2023
l) assicura
il
coordinamento e
la
vigilanza
degli
uffici
amministrativi
e
di
supporto all’attività
istituzionale;
m)
nomina i referenti informatici presso gli uffici centrali e distrettuali;
n)
valuta
la
dirigenza
di
prima
fascia
nell’ambito delle
proprie
competenze, ai
sensi
delle
norme vigenti in materia;
o)
svolge
ogni
altro
compito
attribuitogli
da
disposizioni
di
legge,
da
regolamenti
e
dai
contratti collettivi di lavoro,
2. Fermo restando il
disposto dell’articolo 6 del
regio decreto 30 ottobre
1933, n. 1612, il
Segretario
generale,
per
lo
svolgimento
delle
sue
funzioni,
può
avvalersi
della
collaborazione
di
avvocati
e
procuratori
dello Stato, addetti
all’ufficio di
segreteria
generale, nominati
dal-
l’Avvocato generale su proposta del Segretario generale.
3. Sono poste alle dirette dipendenze del Segretario generale le seguenti strutture:
a)
la Segreteria generale e la Segreteria degli organi collegiali di cui all’articolo 10;
b)
l’ufficio di
collaborazione
professionale, archivio, servizio esterno e
servizi
ausiliari
di
cui all’articolo 11.
4.
Il
Segretariato
generale
costituisce
centro
di
responsabilità
amministrativa
ai
fini
contabili.
Art. 10
Segreteria generale e degli organi collegiali
1. Alle
dirette
dipendenze
del
Segretario generale
opera
la
Segreteria
generale, cui
sono
addette
unità
di
personale
della
dotazione
organica
dell’Avvocatura
generale
che
attendono
agli adempimenti connessi alle competenze istituzionali del Segretariato.
2.
Il
personale
della
Segreteria
generale
opera
anche
quale
Segreteria
degli
organi
collegiali,
cui
sono addette
unità
di
personale
che
curano gli
adempimenti
relativi
al
funzionamento del
Comitato consultivo, del
Consiglio degli
avvocati
e
procuratori
dello Stato e
del
Consiglio di
amministrazione.
Art. 11
Ufficio di Collaborazione professionale, archivio, servizio esterno e
servizi ausiliari
1. L’Ufficio di
collaborazione
professionale, archivio, servizio esterno e
servizi
ausiliari
è
struttura
di
livello dirigenziale
non generale
che
coadiuva
il
Segretario nelle
seguenti
attività:
a)
segreteria di avvocati e procuratori;
b)
redazione
materiale
di
atti
e
lettere, espletamento delle
attività
telematiche
di
gestione
e deposito di atti e documenti e di notificazione di atti e provvedimenti;
c)
adempimenti
interni
ed
esterni
in
materia
di:
notificazione
di
atti
e
provvedimenti,
depositi,
ricerche
e
altri
incombenti
presso
le
cancellerie
e
segreterie
delle
autorità
giudiziarie;
acquisizione
e
lavorazione
di
sentenze
o
di
altri
provvedimenti
decisori;
agenda
e
scadenziere;
d)
gestione
dei
fondi
spesa
degli
enti
ed
altri
soggetti
patrocinati
e
attività
consequenziali
e
relativo
rendiconto
con
il
supporto
degli
uffici
della
Direzione
generale
per
le
risorse
finanziarie;
e)
adempimenti
connessi
alle
attività
istituzionali
di
competenza
dell’Agente
del
Governo
a difesa dello Stato italiano dinanzi alla Corte europea dei diritti dell’uomo;
f)
gestione
del
protocollo in entrata
e
impianti:
adempimenti
e
lavorazioni
relativi
ad atti
notificati, corrispondenza in arrivo, impianto affari;
g)
gestione
del
protocollo
in
uscita:
adempimenti
e
lavorazioni
relativi
alla
corrispondenza
in partenza;
h) gestione
dei
servizi
di
carattere
generale
a
supporto delle
attività
istituzionali, e
in particolare,
del
servizio corrispondenza, del
servizio automobilistico, del
servizio cassa, del
ser
TEMI
ISTITUzIONALI
vizio
di
portineria
e
custodia,
degli
archivi,
della
telefonia,
della
fotoriproduzione
e
della
stampa.
2.
Nell’ambito
dell’ufficio
di
cui
al
comma
1,
il
Segretario
generale
può
conferire,
nei
limiti
delle risorse a tal fine disponibili, incarichi di natura organizzativa o professionale.
Art. 12
Uffici di livello dirigenziale
1.
L’Avvocatura
Generale
è
articolata
in
due
uffici
di
livello
dirigenziale
generale,
ciascuno
dei quali costituente centro di costo, di seguito indicati:
a)
Direzione generale per le risorse umane, per la formazione e affari generali;
b)
Direzione generale per le risorse finanziarie, contratti e sistemi informativi.
2.
Nell’ambito
delle
direzioni
di
cui
al
comma
1,
sono
individuati
i
restanti
Uffici
di
livello
dirigenziale non generale.
3. L’Avvocatura
è
altresì
articolata
in n. 25 Avvocature
distrettuali
di
cui
all’articolo 15 e
nei
corrispondenti
uffici
amministrativi
unici
distrettuali
di
livello dirigenziale
non generale.
Art. 13
Direzione generale per le risorse umane,
per la formazione e affari generali
1. La
Direzione
generale
per le
risorse
umane, per la
formazione
e
affari
generali
svolge
le
funzioni e i compiti di spettanza dell’Avvocatura nei seguenti ambiti:
a)
attuazione delle politiche relative al personale dell’Avvocatura;
b)
raccolta
e
conservazione
della
normativa
interna
e
degli
atti
relativi
agli
affari
di
Segreteria
generale;
c)
relazioni
con
il
pubblico,
ai
sensi
dell’articolo
11
del
decreto
legislativo
30
marzo
2001,
n. 165;
d)
programmazione
e
pianificazione
strategica
dell’attività
amministrativa
dell’Avvocatura
dello
Stato,
anche
mediante
la
predisposizione
del
piano
della
performance
e
la
redazione
della
relazione
annuale
sulla
performance
e
della
direttiva
annuale
dell’Avvocato
generale
sull’azione amministrativa;
e)
misurazione
della
performance
e
dei
risultati
dell’attività
amministrativa, anche
in funzione
di supporto dell’OIV;
f)
elaborazione
e
attuazione
del
piano integrato di
attività
e
organizzazione
del
personale
amministrativo in raccordo con gli indirizzi forniti dal Segretario generale;
g)
elaborazione
e
attuazione
del
piano
di
reclutamento
del
personale
togato
in
raccordo
con gli indirizzi forniti dall’Avvocato generale e dal Segretario generale;
h)
ricerca
e
sperimentazione
delle
innovazioni
funzionali
alle
esigenze
formative
del
personale
dell’Avvocatura;
i)
amministrazione del personale togato e amministrativo;
l) cura
delle
relazioni
sindacali
e
contrattazione
collettiva
integrativa
nazionale
per il
personale
amministrativo dell’Avvocatura;
m)
coordinamento
ed
emanazione
di
indirizzi
alle
Avvocature
distrettuali
per
l’applicazione
dei
contratti
collettivi
e
la
stipula
di
accordi
decentrati
per il
personale
amministrativo del-
l’Avvocatura;
n)
attuazione dei programmi per la mobilità del personale;
o)
trattamento
di
quiescenza
e
previdenza
relativo
al
personale
togato,
dirigenziale
di
livello
generale
e
non generale
dell’Avvocatura
e
al
personale
amministrativo dell’Avvocatura
dello
Stato;
RASSEGNA
AVVOCATURA
DELLO
STATO -N. 1/2023
p)
gestione contabile delle competenze del personale togato e amministrativo;
q)
adozione
di
misure
finalizzate
a
promuovere
il
benessere
organizzativo del
personale
dell’Avvocatura
e
a
fornire
consulenza
alle
avvocature
distrettuali
per lo svolgimento di
analoghe
azioni con riferimento al contesto territoriale di competenza;
r)
supporto alla gestione del contenzioso concernente il personale dell’Avvocatura;
s)
supporto
all’ufficio
che
si
occupa
dei
procedimenti
disciplinari
relativi
al
personale
amministrativo
dell’Avvocatura;
t)
cura
delle
attività
connesse
ai
procedimenti
per responsabilità
dirigenziale
dei
Dirigenti
prevista dall’articolo 21, commi 1 e 1-bis, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165;
u)
cura
delle
attività
connesse
ai
procedimenti
per responsabilità
penale
e
amministrativo-
contabile del personale dell’Avvocatura;
v)
supporto al
Segretariato generale
per la
predisposizione
di
schemi
di
atti
normativi, relazioni
illustrative
e
relazioni
tecnico-finanziarie
agli
atti
normativi
ed
emendamenti,
per
quanto di competenza;
z) attività
di
coordinamento e
consulenza
relativamente
alla
gestione
delle
strutture
periferiche;
aa) ricezione, protocollo e smistamento della corrispondenza di propria competenza.
2. La
direzione
di
cui
al
comma
1 si
compone
di
n. 3 uffici
di
livello dirigenziale
non generale,
così denominati:
a)
Ufficio I - personale amministrativo e trattamento economico;
b)
Ufficio II - personale togato e trattamento economico;
c)
Ufficio III - affari generali, formazione, performance.
3. L’individuazione
degli
Uffici
di
livello dirigenziale
non generale
e
la
definizione
delle
rispettive
competenze
è
disciplinata
con successivo atto dell’Avvocato generale
ai
sensi
del-
l’art. 16 del presente regolamento.
Art. 14
Direzione generale per le risorse finanziarie,
contratti e sistemi informativi
1. La
Direzione
generale
per le
risorse
finanziarie, contratti
e
sistemi
informativi, svolge
le funzioni e i compiti di spettanza dell’Avvocatura nei seguenti ambiti:
a)
supporto
alla
definizione
della
politica
finanziaria
dell’Avvocatura
e
cura
della
redazione
delle
proposte
per
il
documento
di
economia
e
finanza,
rilevazione
del
fabbisogno
finanziario
dell’Avvocatura
avvalendosi
dei
dati
forniti
dai
competenti
uffici
e
coordinamento
dell’attività
di
predisposizione
del
budget
economico,
della
relativa
revisione
e
del
consuntivo
economico;
b)
predisposizione
dello stato di
previsione
della
spesa
dell’Avvocatura, delle
operazioni
di
variazione
e
assestamento, supporto alla
redazione
delle
proposte
per la
legge
di
bilancio,
dell’attività
di
rendicontazione
al
Parlamento e
agli
organi
di
controllo, sentito il
Segretario
generale e in attuazione delle direttive dell’Avvocato generale;
c)
predisposizione
degli
atti
relativi
all’assegnazione
delle
risorse
finanziarie
ai
centri
di
costo
e
di
spesa
delegata
in
favore
delle
Avvocature
distrettuali,
coordinandone,
per
le
materie
di competenze, le attività;
d)
analisi
e
monitoraggio
dei
dati
gestionali,
dei
flussi
finanziari
e
dell’andamento
della
spesa;
e)
gestione
unificata
delle
spese
strumentali
dell’Avvocatura, individuate
ai
sensi
dell’articolo
4, comma 2, del decreto legislativo 7 agosto 1997, n. 279;
f)
gestione
del
pagamento delle
spese
processuali, del
risarcimento dei
danni
e
degli
accessori
relativi al contenzioso inerente all’Avvocatura;
TEMI
ISTITUzIONALI
g) gestione delle fatture e liquidazione delle spese di competenza dell’Avvocatura;
h)
gestione
delle
procedure
amministrativo-contabili
relative
alle
attività
strumentali, alle
attività
contrattuali
e
convenzionali
dell’amministrazione, compresi
gli
affidamenti
anche
in
favore
di
soggetti
in house, nonché
quelli
afferenti
al
sistema
informativo e
alle
infrastrutture
di rete;
i)
elaborazione del programma biennale degli acquisti di beni e servizi;
1)
pianificazione,
gestione,
sviluppo
e
monitoraggio
del
sistema
informativo,
ivi
compresa
la rete intranet di intesa con il Responsabile della transizione digitale;
m)
promozione
di
progetti
e
di
iniziative
comuni
nell’area
delle
tecnologie
dell’informazione
e della comunicazione;
n)
cura
dei
rapporti
con l’Agenzia
per l’Italia
digitale
(AGID), anche
per quanto attiene
ai
sistemi informativi automatizzati;
o)
gestione
della
rete
di
comunicazione
dell’Avvocatura,
definizione
di
standard
tecnologici
per
favorire
la
cooperazione
informatica
e
i
servizi
di
interconnessione
con
altre
amministrazioni;
p)
attuazione
delle
linee
strategiche
per la
riorganizzazione
e
digitalizzazione
dell’Avvocatura,
con
particolare
riferimento
ai
processi
connessi
all’utilizzo
del
protocollo
informatico,
alla gestione dei flussi documentali e alla firma digitale;
q) indirizzo, pianificazione
e
monitoraggio della
sicurezza
del
sistema
informativo, anche
attraverso l’implementazione
delle
misure
tecniche
e
organizzative
che
soddisfino i
requisiti
previsti
dalla
normativa
in
materia
di
protezione
dei
dati
personali
di
intesa
con
il
Responsabile
della transazione digitale e del Responsabile del trattamento dei dati;
r)
gestione dell’infrastruttura del sito istituzionale dell’amministrazione;
s)
servizio di statistica;
t) servizio di biblioteca, di banche dati professionali e acquisto di libri;
u) adempimenti per la stampa o copia delle pubblicazioni di servizio;
v) supporto per la pubblicazione della rassegna stampa dell’Avvocatura dello Stato;
z) gestione
del
piano generale
di
organizzazione
per il
funzionamento delle
sedi
centrali
e
periferiche della
Avvocatura su tutto il territorio nazionale;
aa) predisposizione
e
aggiornamento del
piano triennale
dei
lavori
e
dell’acquisizione
di
beni
e
servizi, in applicazione
degli
atti
di
indirizzo dell’Avvocato generale
e
del
Segretario
generale;
bb) attività
di
coordinamento e
consulenza
relativamente
alla
gestione
delle
strutture
periferiche;
cc) monitoraggio dell’utilizzo delle risorse finanziarie relative alla spesa delegata;
dd) liquidazione
e
procedure
amministrative
di
recupero onorari
di
competenza
dell’Avvocatura;
ee) rendicontazione e riparto degli onorari di competenza dell’Avvocatura;
ff) riparto e
liquidazione
dei
compensi
affluiti
al
fondo perequativo degli
avvocati
e
procuratori
dello Stato e al fondo perequativo del personale amministrativo;
gg) gestione dei servizi del consegnatario e magazzino nonché del cassiere;
hh) gestione
della
manutenzione
ordinaria
e
straordinaria
degli
immobili
e
dei
relativi
im
pianti tecnologici;
ii) coordinamento degli
adempimenti
connessi
alla
disciplina
in materia
di
sicurezza
sul
luogo di lavoro su tutto il territorio nazionale;
ll)
rilevamento,
analisi
e
gestione
delle
esigenze
logistiche
degli
Uffici
centrali
e
distrettuali
e attuazione delle misure atte al soddisfacimento delle stesse;
RASSEGNA
AVVOCATURA
DELLO
STATO -N. 1/2023
mm) rapporti con l’Agenzia del demanio;
nn) ricezione, protocollo e smistamento della corrispondenza di propria competenza.
2. Il
Dirigente
di
prima
fascia
preposto alla
direzione
generale
di
cui
al
presente
articolo è
individuato
quale
datore
di
lavoro
secondo
la
normativa
in
materia
di
tutela
della
salute
e
della
sicurezza
nei
luoghi
di
lavoro. In tale
veste
vengono riconosciuti
al
medesimo tutti
i
poteri
autonomi, decisionali e di spesa necessari per l’espletamento della funzione attribuita.
3. La
Direzione
di
cui
al
comma
1 si
compone
di
n. 4 uffici
di
livello dirigenziali
non generale,
così denominati:
a)
Ufficio I - bilancio e liquidazione;
b)
Ufficio II - risorse informatiche e statistica;
c)
Ufficio III - contratti, acquisti ed economato;
d)
Ufficio IV - recupero crediti e riparto onorari.
4. L’individuazione
degli
Uffici
di
livello dirigenziale
non generale
e
la
definizione
delle
rispettive
competenze
è
disciplinata
con successivo atto dell’Avvocato generale
ai
sensi
del-
l’art. 16 del presente regolamento.
Art. 15
Avvocature distrettuali
1. Gli
Avvocati
distrettuali, fatta
salva
ogni
altra
attribuzione
prevista
da
norme
di
legge
o
regolamenti, svolgono le seguenti funzioni:
a)
definiscono, in esecuzione
delle
direttive
adottate
dall’Avvocato generale, gli
obiettivi
e
i
programmi
da
attuare
nell’ambito delle
rispettive
Avvocature
distrettuali, indicandone
la
priorità. A
tal
fine
adottano ogni
anno le
direttive
generali
da
seguire
per l’azione
amministrativa
e
per la
gestione, anche
sulla
base
delle
proposte
formulate, dal
dirigente
preposto all’ufficio
amministrativo unico;
b)
richiedono, anche
su proposta
del
dirigente
preposto all’Ufficio amministrativo unico
distrettuale,
il
contingente
di
personale
amministrativo
necessario
alle
esigenze
funzionali
delle rispettive
Avvocature distrettuali;
c)
esercitano,
anche
avvalendosi
del
dirigente
preposto
all’Ufficio
amministrativo
unico
distrettuale,
la
sorveglianza
sull’andamento
dei
servizi
ed
effettuano
la
verifica
della
rispondenza
dei
risultati
della
gestione
amministrativa
alle
direttive
impartite
ai
sensi
della
lettera
a);
d)
dispongono
in
ordine
all’adeguamento
dell’orario
di
servizio
alla
specifica
realtà
locale,
tenuto conto dei criteri generali determinati dal Segretario generale.
2.
Gli
Avvocati
distrettuali
sono
responsabili
dell’attuazione
delle
direttive
ad
essi
impartite
dall’Avvocato generale. Entro il
30 aprile
di
ogni
anno presentano all’Avvocato generale
una
relazione complessiva sull’attività svolta nell’anno precedente.
3.
Presso
ciascuna
Avvocatura
distrettuale
dello
Stato
opera
l’ufficio
amministrativo
unico,
di
livello dirigenziale
non generale, per la
gestione
unificata
di
tutti
i
servizi
e
le
attività
di
competenza
dell’Avvocatura, comunque
nei
limiti
della
vigente
dotazione
organica
del
personale
dirigenziale
di
livello non generale. A
detti
Uffici
sono assegnate
le
funzioni
di
cui
al
comma
4, da
esercitarsi, nell’ambito di
ciascun distretto, in attuazione
delle
direttive
di
cui
al
comma
1, lettera
a), e
alle
direttive
di
secondo livello, impartite
dal
Segretario generale,
sentite le Direzioni generali competenti per materia.
4.
Al
Dirigente
dell’ufficio unico amministrativo, oltre
alle
competenze
previste
da
disposizioni
legislative e regolamentari sono assegnate le seguenti attività:
a)
gestione del protocollo di ingresso e uscita dell’Avvocatura di competenza;
b)
gestione del personale amministrativo;
TEMI
ISTITUzIONALI
c)
gestione dei servizi di competenza;
d)
gestione
delle
attività
di
competenza
del
funzionario delegato in materia
di
spesa
delegata
e fondi di spesa degli enti e altri soggetti patrocinati;
e)
gestione dei servizi del consegnatario e magazzino nonchè del cassiere;
f) gestione dei servizi di carattere generale a supporto delle attività istituzionali;
g)
programmazione
e
rendicontazione
della
spesa
delegata, seguendo le
direttive
fornite
dalla Direzione generale competente;
h)
valutazione
del
personale
amministrativo, sentito l’Avvocato distrettuale
per la
parte
di
competenza;
i) attuazione
delle
misure
nei
limiti
della
spesa
delegata
assegnata
in materia
di
sicurezza
degli ambienti di lavoro, osservando le direttive impartite dal datore di lavoro;
l) liquidazione
e
procedure
amministrative
relative
alle
spese
di
competenza
della
distrettuale;
m) procedure
amministrative
di
recupero e
rendicontazione
degli
onorari
di
competenza
dell’Avvocatura distrettuale;
n)
espletamento delle
procedure
per l’affidamento dei
lavori, servizi
e
forniture
nei
limiti
della spesa delegata, procedendo alla sottoscrizione dei relativi contratti.
Art. 16
Uffici di livello dirigenziale non generale
1. Alla
individuzione
degli
Uffici
di
livello dirigenziale
non generale
e
alla
definizione
dei
relativi
compiti
si
provvede, su proposta
del
Segretario Generale, sentiti
i
Direttori
generali
interessati
e
sentite
le
Organizzazioni
sindacali, con decreto dell’Avvocato generale
di
natura
non
regolamentare,
ai
sensi
dell’articolo
17,
comma
4-bis,
lettera
e),
della
legge
23
agosto
1988, n. 400 e
dell’articolo 4, commi
4 e
4-bis
del
decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300.
Art. 17
Posti di funzione dirigenziale e dotazioni organiche
del personale non dirigenziale
1.
Le
dotazioni
organiche
del
personale
appartenente
alla
qualifica
dirigenziale
e
non dirigenziale
dell’Avvocatura, come
determinate
per legge, sono riportate
nell’allegata
Tabella
A, che costituisce parte integrante del presente regolamento.
2.
Al
fine
di
assicurare
la
necessaria
flessibilità
di
utilizzo delle
risorse
umane
avuto riguardo
alle
effettive
esigenze
operative, l’Avvocato generale, sentito il
Segretario generale,
con proprio decreto effettua
la
ripartizione
dei
contingenti
di
personale
dirigenziale
e
non dirigenziale
nelle strutture in cui si articola l’Avvocatura.
3. Il
decreto è
comunicato alla
Presidenza
del
Consiglio dei
ministri
-Dipartimento della
funzione
pubblica
e
al
Ministero
dell’economia
e
delle
finanze
-Dipartimento
della
Ragioneria
generale dello Stato.
Art. 18
Disposizioni transitorie e finali
1.
Le
strutture
esistenti
alla
data
di
entrata
in
vigore
del
presente
decreto
e
i
provvedimenti
di
attribuzione
della
titolarità
degli
organi
e
degli
uffici
in corso di
efficacia
alla
medesima
data
sono fatti
salvi
fino alla
definizione
delle
procedure
di
conferimento della
titolarità
delle
strutture
oggetto di
riorganizzazione
ai
sensi
del
presente
decreto. Fino alla
conclusione
delle
procedure
di
conferimento della
titolarità
delle
strutture
oggetto di
riorganizzazione, ai
sensi
del
presente
decreto,
le
strutture
già
esistenti
proseguono
lo
svolgimento
delle
ordinarie
attività
con le risorse umane e strumentali loro assegnate dalla normativa vigente.
RASSEGNA
AVVOCATURA
DELLO
STATO -N. 1/2023
2.
Il
regolamento
di
cui
al
decreto
del
Presidente
della
Repubblica
29
ottobre
2021,
n.
214,
è abrogato a decorrere dalla data di entrata in vigore del presente regolamento.
3.
Dall’attuazione
del
presente
regolamento non derivano nuovi
o maggiori
oneri
a
carico
della finanza pubblica.
Il
presente
decreto,
munito
del
sigillo
dello
Stato,
sarà
inserito
nella
Raccolta
ufficiale
degli
atti
normativi
della
Repubblica
italiana. È
fatto obbligo a
chiunque
spetti
di
osservarlo e
di
farlo osservare.
Roma, 29 novembre 2023
Il Presidente
del Consiglio dei ministri
Meloni
Il Ministro per la pubblica
amministrazione
zangrillo
Il Ministro dell’economia
e delle finanze
Giorgetti
Visto, il Guardasigilli: Nordio
Registrato alla Corte dei conti il 19 dicembre 2023
Ufficio di
controllo sugli
atti
della
Presidenza
del
Consiglio dei
ministri, del
Ministero della
giustizia e del Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale, n. 3335
Tabella
A
Avvocatura dello Stato - Dotazione organica
Dirigenti di livello generale
2
Dirigenti di livello non generale
33
Totali dirigenti
35
Area Elevate Professionalità
--Area
Funzionari
346
Area
Assistenti
777
Area Operatori
131
Totale
Aree
1.254
Totale complessivo
1.289
ContenziosoCoMUnitArioedinternAzionALe
Le “clausole di esclusiva” nella decisione della Corte
di Giustizia dell’Unione, sentenza 19 gennaio 2023 in causa
C-680/20 (Unilever vs
AGCM) e altre situazioni giuridiche
“escludenti” nella giurisprudenza della Corte
Carlo Maria Pisana*
La
recente
decisione
della
Corte
dell’Unione
enuncia
due
principi
in
tema
di
prassi
anticoncorrenziali:
a)
la
possibilità
di
considerare,
ai
fini
della
disciplina
antitrust,
come
unico
soggetto
anche
una
pluralità
di
imprese
autonome
non
legate
da
rapporti
di
controllo,
ma
da
semplici
vincoli
contrattuali;
b)
la
possibilità
di
valutare
come
abusive
prassi
basate
sull’impiego
di
“clausole
esclusive”
con
i
distributori,
considerato
il
concreto
contesto
in
cui
vengono
poste
in
essere.
La
presente
nota
si
pone
l’obiettivo di
esaminare
questo secondo aspetto,
ovviamente
strettamente
connesso
con
il
primo,
e
di
valutarne
la
portata
in
relazione
ad
ulteriori
“meccanismi
escludenti”
di
matrice
privatistica
rinvenibili
nella
prassi
ed in particolare
in relazione
ai
diritti
di
privativa
industriale. Si
tralascia
pertanto di
considerare
il
tema
della
posizione
dominante
derivante
da
“diritti
speciali
o esclusivi”
concessi
ad impresa
pubblica
o privata
dallo
Stato membro (1).
(*) Avvocato dello Stato.
Le
ricerche
di
normativa
e
giurisprudenza
per
il
presente
scritto
sono
state
compiute
dalla
Dott.ssa
Martina
Vitale,
tirocinante
presso
l’Avvocatura
Generale
dello
Stato
in
forza
di
convenzione
con
l’Università
LUMSA.
Un ringraziamento dell’Autore
al
Collega
Francesco Scalfani
per aver fornito il
materiale
relativo alle
sue
difese
nella
causa
oggetto della
presente
nota
(C-680/20, Unilever vs
AGCM) in cui
ha
patrocinato
la
Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato.
(1)
Sul
tema
anche
Corte
Giustizia
Unione
Europea
Sez.
IX,
21
settembre
2023,
n.
510/22
relativa
al caso di una concessionaria pubblica di acque minerali in Romania.
RASSEGnA
AVVOCATURA
DELLO
STATO -n. 1/2023
1. Il caso Unilever.
La
Unilever Italia
Mkt
operation s.r.l. si
occupa, tra
l’altro, della
fabbricazione
e
commercializzazione
di
prodotti
di
largo
consumo,
tra
cui
gelati
confezionati, commercializzati
col
marchio Algida
e
Carte
d’Or. In Italia, in
particolare
la
predetta
società
distribuisce
i
gelati
in
confezioni
individuali
destinate
ad
essere
consumate
“all’esterno”,
ossia
nei
punti
vendita,
fuori
dal
domicilio
dei consumatori, mediante una rete di 150 distributori.
A
seguito della
denuncia
di
una
concorrente, “La
Bomba
snc”
produttore
di
ghiaccioli,
l’Autorità
Garante
della
Concorrenza
e
del
Mercato
italiana
(AGCM) ha
avviato un’indagine
volta
a
accertare
l’ipotizzato abuso di
posizione
dominante
commessa
dalla
Unilever
sul
mercato
dei
gelati
in
confezioni
individuali. È
emerso che
i
concessionari
della
Unilever proponevano a
bar e
stabilimenti
balneari
nel
Lazio, Marche
e
Emilia
Romagna
“clausole
di
esclusiva”:
-da
una
parte,
esigendo
l’obbligazione
dei
distributori
ad
acquistare
esclusivamente
dalla Unilever il prodotto;
-dall’altra, offrendo importanti
sconti
e
commissioni, da
cui
questi
sarebbero
decaduti in caso di violazione dell’obbligo di esclusiva.
L’Autorità
nazionale
ha
ritenuto
di
prescindere
dagli
studi
economici
prodotti
dalla
Unilever, al
fine
di
escludere
in concreto effetti
preclusivi
nei
confronti
di
concorrenti
altrettanto
efficienti.
L’Autorità,
infatti,
rilevato
l’impiego
sistematico delle
predette
clausole
di
esclusiva, ha
qualificato la
condotta
di
per sé
sufficiente
a
configurare
l’abuso di
posizione
dominante, ingiungendo
la
cessazione
della
prassi
abusiva
e
irrogando
una
sostanziosa
sanzione
per
violazione dell’art. 102 TFUE (2) e art. 3 L. 287/1990 (3).
(2) Art. 102 TFUE:
“È
incompatibile
con il
mercato interno e
vietato, nella misura in cui
possa
essere
pregiudizievole
al
commercio tra Stati
membri, lo sfruttamento abusivo da parte
di
una o più imprese
di una posizione dominante sul mercato interno o su una parte sostanziale di questo.
Tali pratiche abusive possono consistere in particolare:
a) nell’imporre
direttamente
od indirettamente
prezzi
d’acquisto, di
vendita od altre
condizioni
di
transazione
non eque;
b) nel limitare la produzione, gli sbocchi o lo sviluppo tecnico, a danno dei consumatori;
c) nell’applicare
nei
rapporti
commerciali
con gli
altri
contraenti
condizioni
dissimili
per
prestazioni
equivalenti, determinando così per questi ultimi uno svantaggio per la concorrenza;
d) nel
subordinare
la conclusione
di
contratti
all’accettazione
da parte
degli
altri
contraenti
di
prestazioni
supplementari, che, per
loro natura o secondo gli
usi
commerciali, non abbiano alcun nesso con
l’oggetto dei contratti stessi”.
(3) Art. 3 L. 287/1990:
“1. È
vietato l’abuso da parte
di
una o più imprese
di
una posizione
dominante
all’interno del mercato nazionale o in una sua parte rilevante, ed inoltre è vietato:
a) imporre
direttamente
o indirettamente
prezzi
di
acquisto, di
vendita o altre
condizioni
contrattuali
ingiustificatamente gravose;
b) impedire
o limitare
la produzione, gli
sbocchi
o gli
accessi
al
mercato, lo sviluppo tecnico o il
progresso
tecnologico, a danno dei consumatori;
c) applicare
nei
rapporti
commerciali
con altri
contraenti
condizioni
oggettivamente
diverse
per
pre
COnTEnzIOSO
COMUnITARIO
ED
InTERnAzIOnALE
La
Unilever, soccombente
in prime
cure
(T.a.r. Lazio Sent. 6080/18), ha
proposto appello al
Consiglio di
Stato, sostenendo in primo luogo la
propria
estraneità
alle
condotte
poste
in
essere
dai
concessionari,
i
quali
erano
persone
giuridiche
indipendenti
e
non
sottoposte
ad
alcun
controllo
societario
da
parte
della
multinazionale, in secondo luogo che
l’Autorità
avrebbe
dovuto verificare
gli effetti della condotta sull’alterazione della concorrenza in concreto.
Il
Giudice
investito dell’appello ha
sollevato due
questioni
di
conformità
all’ordinamento dell’Unione.
I quesiti del Consiglio di Stato.
Con
ordinanza
7
dicembre
2020,
il
sommo
organo
della
Giustizia
Amministrativa
ha posto due quesiti pregiudiziali:
1)
Se, al
di
fuori
dei
casi
di
controllo societario, un coordinamento soltanto
contrattuale
tra
operatori
economici
formalmente
autonomi
e
indipendenti
possa
dare
luogo ad un’unica
entità
economica
ai
fini
dell’applicazione
degli artt. 101 (4) e 102 TFUE;
2)
Se,
in
ipotesi
di
un
abuso
di
posizione
dominante
attuato
mediante
clausole
di
esclusiva, l’Autorità
di
regolazione
sia
tenuta
sempre
a
verificare
in
base
ad
analisi
economiche
se
in
concreto
si
sia
verificato
l’effetto
esclusivo,
stazioni equivalenti, così da determinare per essi ingiustificati svantaggi nella concorrenza;
d)
subordinare
la
conclusione
dei
contratti
all’accettazione
da
parte
degli
altri
contraenti
di
prestazioni
supplementari
che,
per
loro
natura
e
secondo
gli
usi
commerciali,
non
abbiano
alcuna
connessione
con
l’oggetto dei contratti stessi”.
(4) Art. 101 TFUE:
“1. Sono incompatibili
con il
mercato interno e
vietati
tutti
gli
accordi
tra imprese,
tutte
le
decisioni
di
associazioni
di
imprese
e
tutte
le
pratiche
concordate
che
possano
pregiudicare
il
commercio tra Stati
membri
e
che
abbiano per
oggetto o per
effetto di
impedire, restringere
o falsare
il gioco della concorrenza all’interno del mercato interno ed in particolare quelli consistenti nel:
a) fissare
direttamente
o indirettamente
i
prezzi
d’acquisto o di
vendita ovvero altre
condizioni
di
transazione;
b) limitare o controllare la produzione, gli sbocchi, lo sviluppo tecnico o gli investimenti;
c) ripartire i mercati o le fonti di approvvigionamento;
d)
applicare,
nei
rapporti
commerciali
con
gli
altri
contraenti,
condizioni
dissimili
per
prestazioni
equivalenti,
così da determinare per questi ultimi uno svantaggio nella concorrenza;
e) subordinare
la conclusione
di
contratti
all’accettazione
da parte
degli
altri
contraenti
di
prestazioni
supplementari, che, per
loro natura o secondo gli
usi
commerciali, non abbiano alcun nesso con l’oggetto
dei contratti stessi.
2. Gli accordi o decisioni, vietati in virtù del presente articolo, sono nulli di pieno diritto.
3. Tuttavia, le disposizioni del paragrafo 1 possono essere dichiarate inapplicabili:
- a qualsiasi accordo o categoria di accordi fra imprese,
- a qualsiasi decisione o categoria di decisioni di associazioni di imprese, e
-a qualsiasi
pratica concordata o categoria di
pratiche
concordate, che
contribuiscano a migliorare
la
produzione
o la distribuzione
dei
prodotti
o a promuovere
il
progresso tecnico o economico, pur
riservando
agli utilizzatori una congrua parte dell’utile che ne deriva, ed evitando di:
a) imporre
alle
imprese
interessate
restrizioni
che
non siano indispensabili
per
raggiungere
tali
obiettivi;
b) dare
a tali
imprese
la possibilità di
eliminare
la concorrenza per
una parte
sostanziale
dei
prodotti
di cui trattasi”.
RASSEGnA
AVVOCATURA
DELLO
STATO -n. 1/2023
oppure
se, la
prassi
di
clausole
di
esclusiva, in quanto di
per sé
idonea
a
produrre
l’effetto, sia sufficiente alla contestazione dell’illecito antitrust.
Incardinata
a
Lussemburgo la
causa
(C-680/20 Unilever vs
AGCM), la
Corte
di
Giustizia
dell’Unione
si
è
pronunciata
in proposito con la
sentenza
resa
all’udienza
del
19
gennaio
2023,
affermando
principi
degni
di
attenzione.
Il ragionamento della Corte dell’Unione.
La
Corte
ha
affermato che, al
fine
di
rilevare
la
capacità
del
comportamento
di
un’impresa
di
alterare
la
concorrenza
effettiva
sul
mercato,
l’Autorità
Garante
della
Concorrenza
deve
accertare
che
la
prassi
contestata
sia
idonea
a
produrre
effetti
concorrenziali
in concreto, basandosi
a
tal
fine
sull’esame
delle
condizioni
e
circostanze
esistenti
sul
mercato al
momento della
sua
attuazione.
In proposito, la
Corte
dà
indicazioni
sia
in ordine
al
contenuto del-
l’accertamento, sia in ordine alle modalità del medesimo.
Sotto il
profilo sostanziale, l’Autorità
è
chiamata
a
verificare
anche
la
latitudine
del
comportamento
sul
mercato,
le
limitazioni
di
capacità
gravanti
sui
fornitori
di
materie
prime:
in definitiva
che
l’impresa
in posizione
dominante
sia,
per
una
parte
della
domanda,
un
partner
inevitabile
(“inconturnable”).
non assume
invece
rilevanza
l’elemento soggettivo, ossia
la
ricorrenza
di
un
intento anticoncorrenziale
dell’impresa
in posizione
dominante
poiché
l’art.
102 TFUE
fonda
la
nozione
di
sfruttamento abusivo su una
valutazione
meramente
oggettiva del comportamento.
Sotto il
profilo procedimentale, tuttavia, se
l’impresa
in posizione
dominante
ha
prodotto
uno
studio
economico
che
dimostri
che
la
prassi
adottata
non
abbia
effetti
pregiudizievoli
per
la
concorrenza,
l’autorità
garante
ha
l’onere
di
esaminare
questi
studi
ed eventualmente
motivare
in ordine
alle
ragioni
per cui lo ritenga irrilevante.
Precisa
la
Corte
che
l’art. 102 TFUE
vieta
lo sfruttamento abusivo della
posizione
dominante
sul
mercato interno o su una
parte
di
questo. Dunque, ha
l’obiettivo
di
sanzionare
i
comportamenti
di
un’impresa
in
posizione
dominante
che hanno l’effetto di alterare la concorrenza effettiva tra le imprese.
Tuttavia,
la
disposizione
in
parola
non
intende
impedire
ad
un’impresa
di
conquistare, grazie
ai
suoi
meriti
e
capacità, una
posizione
dominante
sul
mercato;
anzi, la
concorrenza
basata
sui
meriti
può portare
alla
scomparsa
o
all’emarginazione
sul
mercato di
concorrenti
meno efficienti
e
meno interessanti
per i consumatori, in termini di qualità, prezzi e innovazione.
Pertanto,
potrà
ravvisarsi
l’abuso
soltanto
allorché
sia
accertato
che
un
imprenditore
abbia
tenuto
un
comportamento
tale
da
produrre
effetti
preclusivi
nei
confronti
di
concorrenti, che
siano pari
all’autore
quanto ad efficienza
in
termini
di
struttura
dei
costi, capacità
di
innovazione
o qualità, o comunque
qualora
il
suddetto comportamento si
sia
basato su mezzi
diversi
dalla
concorrenza
fondata sui meriti.
COnTEnzIOSO
COMUnITARIO
ED
InTERnAzIOnALE
Le conclusioni della Corte.
Alla luce di tale ragionamento la Corte dell’Unione conclude che:
1)
al
fine
di
valutare
la
capacità
dell’impresa
maggiore
(produttrice
o
come
nel
caso
distributrice
esclusiva)
di
esercitare
un’influenza
dominante
nelle
politiche
commerciali,
finanziarie
e
industriali
dei
propri
partners
minori
(distributori
o in questo caso “concessionari”), occorre
verificare
se
tali
scelte
siano
da
ricondurre
esclusivamente
alla
impresa
maggiore:
pertanto
se
le
condotte
dei
partners
minori
(nel
nostro caso i
distributori
facenti
parte
della
rete
Unilever) sono state
decise
e, sostanzialmente, imposte
unilateralmente
dalla
impresa maggiore, l’abuso è riconducibile a questa;
2)
le
clausole
di
esclusiva, con cui
i
distributori
si
impegnano a
rifornirsi
in tutto o in parte
da
un’impresa
in posizione
dominante, anche
in assenza
di
sconti, costituiscono un comportamento da
sempre
qualificato abusivo della
posizione dominante, perché in grado di limitare la concorrenza.
2. Le clausole di esclusiva nella giurisprudenza della Corte di Giustizia.
Come
anticipato
in
premessa,
ferma
restando
l’importanza
indubbia
dell’affermazione
del
primo
principio
in
ordine
alla
nozione
di
impresa,
come
inclusiva
della
rete
di
distributori
da
questa
condizionati
unilateralmente,
ai
fini
della
posizione
di
abuso
dominante,
lo
scopo
di
questa
nota
è
focalizzato
sulla
seconda
affermazione:
quella
in
tema
di
intrinseca
lesività
delle
clausole
di
esclusiva.
nel
caso appena
esaminato, la
Corte
di
Giustizia
ha
affermato tale
principio
con riguardo a una fattispecie in cui la lesione della concorrenza basata
sui
meriti
imprenditoriali
si
è
concretata
in clausole
di
esclusiva, per mezzo
delle
quali
l’impresa
egemone,
Unilever,
imponeva
l’obbligo
di
rifornirsi
esclusivamente
presso sé
di
un prodotto, offrendo sconti
e
compensi
incentivanti,
che
sarebbero cessati
se
i
distributori
si
fossero riforniti
anche
da
altri
produttori
concorrenti
(nel
caso di
specie
presso La
Bomba
snc). L’abuso si
concretava nell’impiego di tali vincoli negoziali.
nel
precedente
Intel
(sentenza
6
settembre
2017,
nella
causa
C-413/14P),
tale
società,
noto
leader
nel
settore
dei
processori,
aveva
applicato
nei
rapporti
con quattro produttori
di
apparecchiature
informatiche
sconti
condizionati
al
fatto che
questi
si
rifornissero dalla
stessa
per tutto o quasi
il
loro fabbisogno
di
processori.
Inoltre,
aveva
subordinato
i
pagamenti
a
un
distributore
europeo
di
dispositivi
micro-elettrici
alla
condizione
che
questo
vendesse
esclusivamente
computer
equipaggiati
di
processori
Intel.
Tali
condizioni
poste
a
sconti
e
condizioni
di
pagamento avevano lo scopo di
“fidelizzare”
i
quattro produttori
e
il
distributore, riducendo notevolmente
la
capacità
concorrenziale
delle
altre
imprese
produttrici
di
processori. La
Corte
UE
ha
respinto il
ricorso presentato
dalla
società
egemone
contro
la
decisione
con
cui
la
Commissione
Europea
la
aveva
condannata
a
una
sanzione
di
1,06 miliardi
di
euro per abuso
di posizione dominante.
RASSEGnA
AVVOCATURA
DELLO
STATO -n. 1/2023
Anche
in tale
caso pertanto la
condotta
si
concretava
nell’uso distorto di
clausole negoziali “di esclusiva”.
nel
precedente
Post
Danmark
II
(sentenza
6
ottobre
2015,
causa
C23/
14), di
pochi
anni
prima, la
Corte, in relazione
ad un altro caso connotato
dalla
applicazione
di
un sistema
di
sconti
retroattivi
“negativi”
(ossia
tali
da
portare
il
prezzo di
vendita
al
di
sotto del
costo di
produzione) ha
avuto occasione
di
chiarire
che
il
“criterio del
concorrente
altrettanto efficiente”
(5), non
costituisce
l’unico metodo di
accertamento del
carattere
abusivo di
una
posizione
di
mercato dominante
(6), e
che
un sistema
negoziale
di
clausole
esclusive
costituisce
di
per sé
una
valida
presunzione
della
ricorrenza
della
prassi
abusiva (7).
Tale
precedente
pertanto, non soltanto individua
nell’impiego delle
clausole
di
esclusiva
un
possibile
mezzo
per
la
realizzazione
dell’abuso,
ma
afferma
che
l’impiego
di
esse
costituisce
di
per
sé
una
presunzione
di
abuso,
similmente a quanto ribadito nel recente caso Unilever.
3.
Altre
situazioni
giuridiche
escludenti
considerate
nella
giurisprudenza
Unionale: i diritti di privativa.
I
casi
esaminati
vertono
sull’uso
distorto
di
un
vincolo,
la
clausola
di
esclusiva,
che
trova
fonte
nell’autonomia
privata.
L’impresa
egemone
e
le
imprese
minori
infatti
assumono
contrattualmente
reciproche
obbligazioni,
producendo
per
tale
effetto
un
vincolo
alla
condotta
commerciale
delle
imprese
minori.
È
ben
possibile
però
che
il
vincolo
di
esclusiva
non
sia
di
origine
negoziale,
ma
trovi
fonte
in
norme
cogenti,
poste
a
presidio
di
altri
valori,
quali
la
tutela
della
proprietà
intellettuale
(dir.
2004/48
CE).
Anche
in
tali
casi
l’uso
distorto
da
parte
del
titolare
del
diritto
di
esclusiva
conferitogli
non
da
un
contratto,
ma
dalla
legge
in
combinazione
o
meno
con
meccanismi
contrattuali
può
determinare
l’effetto
distorsivo
della
concorrenza
basata
sui
meriti
di
mercato.
Il caso Generics (UK) Ltd.
Sulla
connessione
tra
diritto
di
brevetto
e
abuso
di
posizione
dominante
si
è
pronunciata
la
sentenza
del
30
gennaio
2020
resa
dalla
Corte
UE
nella
causa
C-307/18,
Generics
(UK)
Ltd
e
altri
vs
Competition
and
Markets
Autorithy.
(5) c.d. “as efficient competitor”
test
, in sigla
AEC.
(6) “Il
criterio del
concorrente
altrettanto efficiente
deve
pertanto essere
considerato uno degli
strumenti
utili
a
valutare
l’esistenza
di
uno
sfruttamento
abusivo
di
una
posizione
dominante
nell’ambito
di un sistema di sconti” (punto 61 della sentenza 6 ottobre 2015, causa C-23/14).
(7)
“l’applicazione
del
criterio
del
concorrente
altrettanto
efficiente
non
configura
una
condizione
indispensabile
per
accertare
il
carattere
abusivo di
un sistema di
sconti
alla luce
dell’articolo 82 CE.
In una situazione
come
quella di
cui
al
procedimento principale, l’applicazione
del
criterio del
concorrente
altrettanto efficiente è inconferente” (punto 62 sentenza citata).
COnTEnzIOSO
COMUnITARIO
ED
InTERnAzIOnALE
La
vicenda, oltremodo complessa
in fatto, attiene
alla
commercializzazione
della
paroxetina,
un
farmaco
antidepressivo
rilasciato
unicamente
su
prescrizione
medica, appartenente
al
gruppo degli
inibitori
selettivi
della
ricaptazione
della
serotonina. Alla
scadenza
del
brevetto sul
principio attivo, al
fine
di
prevenire
l’accesso
al
mercato
di
nuovi
produttori,
l’impresa
già
titolare
del
brevetto aveva
concluso accordi
transattivi
con i
soggetti
che
si
accingevano
a
entrare
nel
mercato (8), con l’effetto di
escluderne
tutti
gli
altri, prolungando
in concreto il
diritto di
privativa
concesso dall’ordinamento per un
tempo
limitato.
L’Autorità
britannica
anticoncorrenza
ha
pesantemente
sanzionato
la
condotta.
A
fronte
dell’impugnazione
della
Generics
(UK)
Ltd
il
Competition
Appeal
Tribunal
ha
posto
un
articolato
quesito
alla
Corte
del-
l’Unione
vertente
in sostanza
sul
rapporto tra
norme
poste
a
tutela
della
concorrenza
e norme poste a tutela della proprietà intellettuale.
La
Corte
di
Lussemburgo,
pur
richiamando
l’elevato
livello
di
tutela
nel
mercato
interno
attribuito
al
diritto
di
proprietà
intellettuale,
ha
dovuto
riconoscere
che
l’esercizio
di
tale
diritto,
in
cui
si
concretano
gli
accordi
transattivi
in
parola,
diviene
abuso
di
posizione
dominante,
quando
produce
“l’effetto
di
tenere
temporaneamente
fuori
dal
mercato
i
potenziali
concorrenti
produttori
di
farmaci
generici
che
utilizzano
questo
principio
attivo”
(par.
145).
In
definitiva,
la
Corte
è
addivenuta
alla
conclusione
che:
“L’articolo
102
TFUE
deve
essere
interpretato
nel
senso
che
la
strategia
di
un’impresa
in
posizione
dominante
titolare
di
un
brevetto
di
processo
per
la
produzione
di
un
principio
attivo
divenuto
di
dominio
pubblico,
che
la
porta
a
concludere,
…,
una
serie
di
accordi
di
composizione
amichevole
aventi,
quanto
meno,
l’effetto
di
tenere
temporaneamente
fuori
dal
mercato
i
potenziali
concorrenti
produttori
di
farmaci
generici
che
utilizzano
tale
principio
attivo,
costituisce
un
abuso
di
posizione
dominante
ai
sensi
di
tale
articolo,
qualora
detta
strategia
abbia
la
capacità
di
limitare
la
concorrenza
e,
in
particolare,
di
produrre
effetti
di
preclusione
che
superano
gli
effetti
anticoncorrenziali
specifici
di
ciascuno
degli
accordi
di
composizione
amichevole
che
vi
contribuiscono,
circostanza
che
spetta
al
giudice
nazionale
verificare”.
Ai
fini
della
presente
nota,
giova
rilevare
che
nel
caso
in
esame
il
vincolo
alla
condotta
commerciale
imposto
dalla
impresa
egemone
trae
fonte
dalle
norme
poste
a
tutela
della
proprietà
intellettuale
e
soltanto in seconda
battuta
dagli
accordi
di
composizione
bonaria
via
via
conclusi
in relazione
al
contenzioso
creatosi
nella
situazione
di
incertezza. L’uso distorto del
diritto di
proprietà
intellettuale,
attribuito
dalla
fonte
di
diritto
oggettivo,
si
risolve
in
condotta abusiva vietata.
(8) “la G. si
trovava confrontata alla possibilità che
i
produttori
di
farmaci
generici
chiedessero
un’autorizzazione
di
immissione
in commercio (in prosieguo: l’“AIC”
nel
Regno Unito, in forza di
una
procedura abbreviata, per la loro versione di tale farmaco” illustra la narrativa in fatto della sentenza.
RASSEGnA
AVVOCATURA
DELLO
STATO -n. 1/2023
Diritti di privativa e tutela della concorrenza.
Dall’analisi
effettuata, risulta
pacifico per la
Corte
di
Giustizia
UE
che
l’apposizione
di
clausole
di
esclusiva
da
parte
di
imprese
in posizione
dominante,
nei
rapporti
con i
propri
distributori
o fornitori, costituisce
un abuso di
quella
posizione, poiché
concretamente
idonee
a
ridurre
la
capacità
concorrenziale
di imprese altrettanto efficienti.
Più complesso invece
è
il
rapporto che
caratterizza
i
diritti
di
proprietà
intellettuale
e
il
diritto antitrust:
i
primi, infatti, istituiscono un potere
di
monopolio
sul
bene
protetto, al
fine
di
escluderne
i
concorrenti
dal
godimento,
salvo
consenso
dell’avente
diritto,
e
quindi
dal
mercato;
l’altro
vuole
garantire
proprio il
libero accesso al
mercato e
la
competizione
basata
sull’efficienza
economica
e
pertanto
intende
prevenire
le
condotte
aventi
effetto
“esclusivo”,
anche se derivante dall’uso distorto di istituti giuridici di per sé leciti.
In realtà, si
tratta
di
due
facce
della
stessa
medaglia, perché
entrambi
mirano
a
promuovere
l’innovazione
e
gli
investimenti
a
beneficio dei
consumatori,
anche se in concreto possono porsi in conflitto.
Occorre
infatti
stabilire
se
sulla
base
dei
diritti
di
proprietà
intellettuale,
il
produttore
possa
legittimamente
precludere
l’utilizzo
del
bene
oggetto
di
brevetto da parte dei concorrenti.
In
questo
contesto,
viene
in
rilievo
la
essential
facility
doctrine,
elaborata
dal
giudice
comunitario
per
individuare
quei
beni
che
per
la
loro
caratteristica
strutturale
siano
da
considerarsi
essenziali
per
la
concorrenza
e
pertanto,
la
possibilità
di
rifiuto
di
contrattare
rispetto
ad
essi
configura
abuso
di
posizione
dominante.
Questa
tesi
impone
alle
imprese
che
detengono
il
diritto
di
proprietà
intellettuale
su beni
che
non possano facilmente
essere
sostituiti
nella
catena
produttiva, di
renderlo disponibile
a
chi
ne
faccia
richiesta
sul
mercato
in base a condizioni eque.
Pertanto,
il
possesso
di
diritti
di
esclusiva
può
conferire
a
un’impresa
una
posizione
dominante
sul
mercato
di
un
determinato
prodotto.
Ora,
l’utilizzazione
di
siffatto
diritto,
se
riferito
a
essential
facilities
e
volto,
anche
attraverso
meccanismi
negoziali
a
rendere
del
tutto
inaccessibile
il
bene
protetto
ad
altri
operatori,
o
anche
accessibile
ma
a
condizioni
non
eque,
costituisce
uno
sfruttamento
di
mezzi
diversi
da
quelli
propri
di
una
concorrenza
basata
sui
meriti.
Dunque, in linea
con l’orientamento della
Corte, i
diritti
di
privativa
devono
essere
esercitati
conformemente
alle
norme
che
tutelano
il
funzionamento
del
mercato
e
della
concorrenza,
avendo
entrambi
l’obiettivo
di
garantire
l’esercizio
della
libertà
di
impresa
e
tutelare
i
diritti
dei
consumatori.
4. Conclusioni.
La
Corte
dell’Unione
resta
fedele
al
suo
tradizionale
orientamento
sostanzialistico,
volto
a
valutare
più
che
la
liceità
delle
condotte,
quella
degli
ef
COnTEnzIOSO
COMUnITARIO
ED
InTERnAzIOnALE
25
fetti
prodotti
dalle
condotte. In virtù di
tale
approccio, afferma
la
possibilità
di
ravvisare
l’abuso di
posizione
dominante
allorché
l’effetto limitativo della
concorrenza
costituisca
il
risultato della
utilizzazione
“abusiva”
di
una
posizione
giuridica
di
vantaggio, sia
quando di
origine
negoziale, come
nel
caso
delle
“clausole
di
esclusiva”
inserite
negli
accordi
con
i
distributori
(causa
Unilever), sia
quando derivante
da
un diritto riconosciuto dalla
legge, come
nel
caso
dell’uso
distorto
del
diritto
di
brevetto
(causa
Generics
Ltd).
La
Corte
non si
spinge
però, nel
caso del
2023, a
ravvisare
negli
accordi
di
esclusiva
una
sorta
di
presunzione
iuris
et
de
iure
di
condotta
anticoncorrenziale, esigendo
comunque
sul
piano procedimentale
la
disamina
delle
eventuali
osservazioni
a discarico prodotte dal trasgressore.
Corte
di
giustizia
dell’Unione
europea,
sezione
Quinta,
sentenza
19
gennaio
2023
-Pres.
e
Rel. E. Regan -Domanda
di
pronuncia
pregiudiziale
proposta
dal
Consiglio di
Stato (Italia)
con ordinanza
del
15 dicembre
2020 -Unilever Italia
Mkt. Operations
Srl
/
Autorità
Garante
della Concorrenza e del Mercato.
«Rinvio pregiudiziale
-Concorrenza
-Articolo 102 TFUE
-Posizione
dominante
-Imputazione
al
produttore
dei
comportamenti
dei
suoi
distributori
-Esistenza
di
vincoli
contrattuali
tra
il
produttore
e
i
distributori
-nozione
di
“unità
economica”
-Ambito
di
applicazione
Sfruttamento
abusivo
-Clausola
di
esclusiva
-necessità
di
dimostrare
gli
effetti
sul
mercato»
1 La
domanda
di
pronuncia
pregiudiziale
verte
sull’interpretazione
degli
articoli
101 e
102
TFUE.
2
Tale
domanda
è
stata
presentata
nell’ambito
di
una
controversia
tra
la
Unilever
Italia
Mkt.
Operations
Srl
(in
prosieguo:
la
«Unilever»)
e
l’Autorità
Garante
della
Concorrenza
e
del
Mercato
(in
prosieguo:
l’«AGCM»)
in
merito
ad
una
sanzione
inflitta
da
tale
autorità
alla
suddetta
società
per
abuso
di
posizione
dominante
sul
mercato
italiano
della
distribuzione
di
gelati
in confezioni
individuali
a
determinati
tipi
di
esercizi
commerciali, quali
gli
stabilimenti
balneari e i bar.
Procedimento principale e questioni pregiudiziali
3 La
Unilever
si
occupa
della
fabbricazione
e
della
commercializzazione
di
prodotti
di
largo
consumo,
tra
cui
gelati
confezionati,
commercializzati
con
i
marchi
Algida
e
Carte
d’Or.
In
Italia,
la
Unilever
distribuisce
gelati
in
confezioni
individuali
destinate
ad
essere
consumate
«all’esterno»,
vale
a
dire
al
di
fuori
del
domicilio
dei
consumatori,
in
bar,
caffè,
club
sportivi,
piscine
o
altri
luoghi
di
svago
(in
prosieguo:
i
«punti
vendita»),
mediante
una
rete
di
150
distributori.
4
Il
3
aprile
2013
una
società
concorrente
ha
presentato
all’AGCM
una
denuncia
per
abuso
di
posizione
dominante
da
parte
della
Unilever sul
mercato dei
gelati
in confezioni
individuali.
L’AGCM ha avviato un’indagine.
5 nel
corso
della
sua
istruttoria,
l’AGCM
ha
ritenuto,
in
particolare,
di
non
essere
tenuta
ad
analizzare
gli
studi
economici
prodotti
dalla
Unilever
al
fine
di
dimostrare
che
le
prassi
oggetto
dell’indagine
non
avevano
effetti
preclusivi
nei
confronti
dei
suoi
concorrenti
almeno
altrettanto
efficienti,
in
quanto
tali
studi
sarebbero
del
tutto
irrilevanti
in
presenza
di
RASSEGnA
AVVOCATURA
DELLO
STATO -n. 1/2023
clausole
di
esclusiva,
dato
che
l’impiego
di
tali
clausole
da
parte
di
un’impresa
detentrice
di
una
posizione
dominante
sarebbe
sufficiente
a
configurare
un
abuso
di
tale
posizione.
6 Con decisione
del
31 ottobre
2017, l’AGCM
ha
ritenuto che
la
Unilever avesse
abusato
della
sua
posizione
dominante
sul
mercato della
commercializzazione
dei
gelati
in confezioni
individuali
destinate
ad essere
consumate
all’esterno, in violazione
dell’articolo
102 TFUE.
7 Da
tale
decisione
risulta
che
la
Unilever ha
condotto, sul
mercato di
cui
trattasi, una
strategia
di
esclusione
idonea
ad ostacolare
la
crescita
dei
suoi
concorrenti. Detta
strategia
si
sarebbe
basata
principalmente
sull’imposizione, da
parte
dei
distributori
della
Unilever,
di
clausole
di
esclusiva
ai
gestori
dei
punti
vendita, obbligandoli
a
rifornirsi
esclusivamente
presso
la
Unilever
per
l’intero
fabbisogno
di
gelati
in
confezioni
individuali.
Quale
corrispettivo, tali
operatori
beneficiavano di
un’ampia
gamma
di
sconti
e
commissioni,
la
cui
attribuzione
era
subordinata
a
condizioni
di
fatturato
o
commercializzazione
di
una
determinata
gamma
di
prodotti
della
Unilever. Tali
sconti
e
tali
commissioni, che
si
applicavano,
secondo combinazioni
e
modalità
variabili, alla
quasi
totalità
dei
clienti
della
Unilever,
avrebbero
mirato
a
indurre
questi
ultimi
a
continuare
a
rifornirsi
esclusivamente
presso tale
società, dissuadendoli
dal
risolvere
il
loro contratto per rifornirsi
presso concorrenti
della Unilever.
8 In particolare, due
aspetti
della
decisione
dell’AGCM
del
31 ottobre
2017 sono rilevanti
ai fini del presente rinvio pregiudiziale.
9
Da
un
lato,
sebbene
i
comportamenti
abusivi
non
siano
stati
materialmente
posti
in
essere
dalla
Unilever, bensì
dai
suoi
distributori, l’AGCM
ha
ritenuto che
tali
comportamenti
dovessero essere
imputati
unicamente
alla
Unilever in quanto quest’ultima
e
i
suoi
distributori
avrebbero costituito un’unica
entità
economica. Infatti, la
Unilever interferirebbe
in
una
certa
misura
nella
politica
commerciale
dei
distributori,
cosicché
questi
ultimi
non
avrebbero agito in modo indipendente
quando hanno imposto clausole
di
esclusiva
ai
gestori
dei punti vendita.
10 Dall’altro lato, l’AGCM
ha
ritenuto che, tenuto conto delle
caratteristiche
specifiche
del
mercato in questione, e
in particolare
dello scarso spazio disponibile
nei
punti
vendita,
nonché
del
ruolo determinante, nelle
scelte
dei
consumatori, della
portata
dell’offerta
in
tali
punti
vendita, la
Unilever, con il
suo comportamento, avesse
escluso, o quantomeno
limitato, la
possibilità
per gli
operatori
concorrenti
di
esercitare
una
concorrenza
fondata
sui meriti dei loro prodotti.
11 Di
conseguenza, con la
sua
decisione
del
31 ottobre
2017, l’AGCM
ha
inflitto alla
Unilever
un’ammenda
pari
a
EUR
60
668
580
per
aver
abusato
della
sua
posizione
dominante,
in violazione dell’articolo 102 TFUE.
12 La
Unilever ha
proposto ricorso avverso tale
decisione
dinanzi
al
Tribunale
Amministrativo
Regionale per il Lazio (Italia), che ha respinto integralmente tale ricorso.
13 La Unilever ha impugnato tale sentenza dinanzi al Consiglio di Stato (Italia).
14
A
sostegno
di
tale
appello,
la
Unilever
sostiene
che
il
Tribunale
Amministrativo
Regionale
per
il
Lazio
avrebbe
dovuto
constatare
l’esistenza
di
vizi
asseritamente
inficianti
la
decisione
dell’AGCM
del
31
ottobre
2017
per
quanto
riguarda,
da
un
lato,
l’imputabilità
alla
stessa
dei
comportamenti
tenuti
dai
suoi
distributori
e,
dall’altro,
gli
effetti
dei
comportamenti
di
cui
trattasi
che,
a
suo
avviso,
non
sarebbero
stati
idonei
a
falsare
la
concorrenza.
15 Il
giudice
del
rinvio afferma
di
nutrire
dubbi
quanto all’interpretazione
da
dare
al
diritto
dell’Unione
per rispondere
alle
due
censure
summenzionate. In particolare, per quanto
COnTEnzIOSO
COMUnITARIO
ED
InTERnAzIOnALE
27
riguarda
la
prima
censura, esso menziona
il
fatto che
gli
è
necessario sapere
se
e
a
quali
condizioni
un coordinamento tra
operatori
economici
formalmente
autonomi
e
indipendenti
sia
tale
da
equivalere
all’esistenza
di
un unico centro decisionale, con il
corollario
che i comportamenti dell’uno possano essere imputati anche all’altro.
16
Alla
luce
di
tali
circostanze,
il
Consiglio
di
Stato
ha
deciso
di
sospendere
il
procedimento
e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:
«1) Al
di
fuori
dei
casi
di
controllo societario, quali
sono i
criteri
rilevanti
al
fine
di
stabilire
se
il
coordinamento contrattuale
tra
operatori
economici
formalmente
autonomi
e
indipendenti
dia
luogo
ad
un’unica
entità
economica
ai
sensi
degli
articoli
101
e
102
TFUE;
se, in particolare, l’esistenza
di
un certo livello di
ingerenza
sulle
scelte
commerciali
di
un’altra
impresa, tipica
dei
rapporti
di
collaborazione
commerciale
tra
produttore
e
intermediari
della
distribuzione, può essere
ritenut[a] sufficiente
a
qualificare
tali
soggetti
come
parte
della
medesima
unità
economica;
oppure
se
sia
necessario un collegamento
‟gerarchico”
tra
le
due
imprese,
ravvisabile
in
presenza
di
un
contratto
in
forza
del
quale
più
società
autonome
si
‟assoggettano”
all’attività
di
direzione
e
coordinamento
di
una
di
esse, richiedendosi
quindi
da
parte
dell’Autorità
[di
concorrenza
competente]
la
prova
di
una
pluralità
sistematica
e
costante
di
atti
di
indirizzo idonei
ad incidere
sulle
decisioni
gestorie
dell’impresa, cioè
sulle
scelte
strategiche
ed operative
di
carattere
finanziario,
industriale e commerciale.
2) Al
fine
di
valutare
la
sussistenza
di
un abuso di
posizione
dominante
attuato mediante
clausole
di
esclusiva, se
l’articolo 102 TFUE
vada
interpretato nel
senso di
ritenere
sussistente
in
capo
all’autorità
di
concorrenza
[competente]
l’obbligo
di
verificare
se
l’effetto
di
tali
clausole
è
quello
di
escludere
dal
mercato
concorrenti
altrettanto
efficienti,
e
di
esaminare
in maniera
puntuale
le
analisi
economiche
prodotte
dalla
parte
sulla
concreta
capacità
delle
condotte
contestate
di
escludere
dal
mercato
concorrenti
altrettanto
efficienti;
oppure
se, in caso di
clausole
di
esclusiva
escludenti
[i
concorrenti] o di
condotte
connotate
da
una
molteplicità
di
pratiche
abusive
(sconti
fidelizzanti
e
clausole
di
esclusiva),
non ci
sia
alcun obbligo giuridico per l’[AGCM] di
fondare
la
contestazione
del-
l’illecito antitrust sul criterio del concorrente altrettanto efficiente».
sulle questioni pregiudiziali
Sulla prima questione
Sulla ricevibilità
17
L’AGCM
e
il
governo
italiano
sostengono
che
la
prima
questione
sarebbe
irricevibile,
poiché
la
domanda
di
pronuncia
pregiudiziale
difetterebbe
delle
necessarie
precisazioni.
Inoltre, detta
questione
farebbe
riferimento all’articolo 101 TFUE, mentre
tale
disposizione
non sarebbe stata applicata dall’AGCM.
18 A
tal
proposito occorre
rammentare
che, secondo una
giurisprudenza
consolidata, che
è
stata
ormai
recepita
nell’articolo 94 del
regolamento di
procedura
della
Corte, l’esigenza
di
giungere
a
un’interpretazione
del
diritto dell’Unione
che
sia
utile
al
giudice
nazionale
impone
che
quest’ultimo definisca
il
contesto di
fatto e
di
diritto in cui
si
inseriscono le
questioni
sollevate, o almeno che
esso spieghi
le
ipotesi
di
fatto su cui
tali
questioni
sono
fondate. Tali
obblighi
valgono specialmente
nel
settore
della
concorrenza, che
è
caratterizzato
da
situazioni
di
fatto
e
di
diritto
complesse
(sentenza
del
5
marzo
2019,
Eesti
Pagar, C‑349/17, EU:C:2019:172, punto 49).
19 Inoltre, la
Corte
non può statuire
su una
questione
pregiudiziale
proposta
da
un giudice
nazionale
quando appaia
in modo manifesto che
l’interpretazione
del
diritto dell’Unione
RASSEGnA
AVVOCATURA
DELLO
STATO -n. 1/2023
richiesta
non
ha
alcun
legame
con
la
realtà
effettiva
o
con
l’oggetto
del
procedimento
principale, o qualora
il
problema
sia
di
natura
ipotetica
(v., in tal
senso, sentenza
del
13
ottobre
2022,
Baltijas
Starptautiskā
Akadēmija
e
Stockholm
School
of
Economics
in
Riga,
C‑164/21 e C‑318/21, EU:C:2022:785, punto 33).
20 nel
caso di
specie, come
rilevato dall’avvocato generale
al
paragrafo 19 delle
sue
conclusioni,
da
un
lato,
le
informazioni
contenute
nell’ordinanza
di
rinvio,
sebbene
sintetiche,
sono sufficienti
per chiarire
l’ipotesi
di
fatto sulla
quale
si
fonda
la
prima
questione. Dal-
l’altro lato, la
circostanza
che
il
giudice
del
rinvio menzioni, nella
prima
questione, non
solo l’articolo 102 TFUE, ma
anche
l’articolo 101 TFUE
non è
tale
da
rimettere
in discussione
la ricevibilità della prima questione nel suo insieme.
21 Per contro, poiché
dalla
motivazione
dell’ordinanza
di
rinvio risulta
che
l’articolo 101
TFUE
non è
stato applicato dall’AGCM
nel
caso in discussione
nel
procedimento principale,
e
anche
se
la
nozione
di
«impresa»
è
comune
agli
articoli
101
e
102
TFUE,
la
prima
questione,
nella
parte
in
cui
verte
sull’interpretazione
dell’articolo
101
TFUE,
deve
essere considerata ipotetica e quindi irricevibile.
22 Di
conseguenza, la
prima
questione
è
ricevibile
unicamente
nella
parte
in cui
verte
sull’interpretazione
dell’articolo 102 TFUE.
Nel merito
23
Dalla
domanda
di
pronuncia
pregiudiziale
risulta
che,
per
quanto
riguarda
i
comportamenti
abusivi
dei
distributori,
l’AGCM
ha
sanzionato
unicamente
la
Unilever,
addebitandole
un abuso di
posizione
dominante. In tale
contesto, con la
sua
prima
questione, il
giudice
del
rinvio
chiede
a
quali
condizioni
i
comportamenti
di
operatori
economici
formalmente
autonomi
e
indipendenti,
vale
a
dire
i
distributori,
possano
essere
imputati
ad
un
altro
operatore
economico autonomo e
indipendente, vale
a
dire
il
fabbricante
dei
prodotti
che
essi distribuiscono.
24 In tali
circostanze, occorre
considerare
che, con la
sua
prima
questione, il
giudice
del
rinvio
chiede, in sostanza, se
l’articolo 102 TFUE
debba
essere
interpretato nel
senso che
i
comportamenti
adottati
da
distributori
che
fanno
parte
della
rete
di
distribuzione
di
un
produttore
in
posizione
dominante
possano
essere
imputati
a
quest’ultimo
e,
eventualmente,
a quali condizioni.
25 In particolare, detto giudice
si
chiede
se
l’esistenza
di
un coordinamento contrattuale
tra
un produttore, intorno al
quale
tale
coordinamento contrattuale
è
organizzato, e
diversi
distributori
giuridicamente
autonomi
sia
sufficiente
per
consentire
una
siffatta
imputazione
o
se
occorra,
inoltre,
constatare
che
detto
produttore
ha
la
capacità
di
esercitare
un’influenza
determinante
sulle
decisioni
commerciali, finanziarie
e
industriali
che
i
distributori
possono adottare
riguardo all’attività
interessata, che
ecceda
quella
che
caratterizza
abitualmente
i
rapporti
di
collaborazione
tra
i
produttori
e
gli
intermediari
di
distribuzione.
26 A
tal
riguardo è
certamente
vero che, nei
limiti
in cui
la
loro attuazione
implica
la
loro
accettazione, almeno tacita, da
parte
di
tutti
i
contraenti, le
decisioni
adottate
nell’ambito
di
un
coordinamento
contrattuale,
come
un
accordo
di
distribuzione,
non
rientrano,
in
linea
di
principio, in un comportamento unilaterale, ma
si
inseriscono nelle
relazioni
che
le
parti
di
tale
coordinamento intrattengono tra
loro (v., in tal
senso, sentenza
del
17 settembre
1985,
Ford-Werke
e
Ford
of
Europe/Commissione,
25/84
e
26/84,
EU:C:1985:340, punti
20 e
21). Siffatte
decisioni
rientrano quindi, in linea
di
principio,
nel diritto delle intese di cui all’articolo 101 TFUE.
COnTEnzIOSO
COMUnITARIO
ED
InTERnAzIOnALE
29
27 Tale
conclusione
non esclude
tuttavia
che
ad un’impresa
in posizione
dominante
possa
essere
imputato
il
comportamento
adottato
dai
distributori
dei
suoi
prodotti
o
servizi,
con
i
quali
essa
intrattiene
solo rapporti
contrattuali, e
che, di
conseguenza, venga
constatato
che
detta
impresa
ha
commesso un abuso di
posizione
dominante
ai
sensi
dell’articolo
102 TFUE.
28 Infatti, all’impresa
che
detiene
una
posizione
dominante
incombe
la
particolare
responsabilità
di
non pregiudicare, con il
suo comportamento, una
concorrenza
effettiva
e
leale
nel
mercato
interno
(sentenza
del
6
settembre
2017,
Intel/Commissione,
C‑413/14
P,
EU:C:2017:632, punto 135 e giurisprudenza ivi citata).
29 Orbene,
come
osservato
dall’avvocato
generale
al
paragrafo
48
delle
sue
conclusioni,
un
siffatto
obbligo
mira
a
prevenire
non
solo
i
pregiudizi
alla
concorrenza
causati
direttamente
dal
comportamento
dell’impresa
in
posizione
dominante,
ma
anche
quelli
generati
da
comportamenti
la
cui
attuazione
sia
stata
delegata
da
tale
impresa
a
soggetti
giuridici
indipendenti,
tenuti
ad
eseguire
le
sue
istruzioni.
Pertanto,
qualora
il
comportamento
contestato
all’impresa
in
posizione
dominante
sia
materialmente
attuato
tramite
un
intermediario
che
fa
parte
di
una
rete
di
distribuzione,
tale
comportamento
può
essere
imputato
a
detta
impresa
qualora
risulti
che
esso
è
stato
adottato
conformemente
alle
istruzioni
specifiche
impartite
da
quest’ultima,
e
quindi
a
titolo
di
esecuzione
di
una
politica
decisa
unilateralmente
dall’impresa
suddetta,
cui
i
distributori
interessati
erano
tenuti
a
conformarsi.
30 In una
ipotesi
siffatta, dato che
il
comportamento contestato all’impresa
in posizione
dominante
è
stato deciso unilateralmente, quest’ultima
può esserne
considerata
come
l’autrice
e
quindi
come
la
sola
eventuale
responsabile
ai
fini
dell’applicazione
dell’articolo
102 TFUE. Infatti, in un caso del
genere, i
distributori
e, di
conseguenza, la
rete
di
distribuzione
che
questi
ultimi
formano con tale
impresa
devono essere
considerati
semplicemente
uno
strumento
di
ramificazione
territoriale
della
politica
commerciale
di
detta
impresa
e, a
tale
titolo, come
lo strumento tramite
il
quale
è
stata
eventualmente
attuata
la prassi di esclusione di cui trattasi.
31 Ciò vale, in particolare, quando un siffatto comportamento assume
la
forma
di
contratti
tipo, interamente
redatti
da
un produttore
in posizione
dominante
e
contenenti
clausole
di
esclusiva
a
vantaggio dei
suoi
prodotti, che
i
distributori
di
tale
produttore
sono tenuti
a
far firmare
ai
gestori
di
punti
vendita
senza
potervi
apportare
modifiche, salvo espresso
accordo di
detto produttore. Infatti, in tali
circostanze, il
produttore
non può ragionevolmente
ignorare
che, alla
luce
dei
vincoli
giuridici
ed economici
che
lo uniscono a
tali
distributori,
questi
ultimi
attuano
le
sue
istruzioni
e,
in
tal
modo,
la
politica
adottata
da
quest’ultimo. Tale
produttore
deve, pertanto, essere
considerato disposto ad assumere
i
rischi di questo comportamento.
32 In tale
ipotesi, l’imputabilità
all’impresa
in posizione
dominante
del
comportamento attuato
dai
distributori
facenti
parte
della
rete
di
distribuzione
dei
suoi
prodotti
o
servizi
non è
subordinata
né
alla
dimostrazione
che
i
distributori
interessati
facciano parte
anche
di
tale
impresa,
ai
sensi
dell’articolo
102
TFUE,
né
all’esistenza
di
un
vincolo
«gerarchico
» risultante
da
una
pluralità
sistematica
e
costante
di
atti
di
indirizzo destinati
a
tali
distributori,
idonei
ad
influire
sulle
decisioni
di
gestione
che
questi
ultimi
adottano
riguardo
alle loro rispettive attività.
33
Alla
luce
di
quanto
precede,
occorre
rispondere
alla
prima
questione
dichiarando
che
l’articolo
102 TFUE
deve
essere
interpretato nel
senso che
i
comportamenti
adottati
da
distributori
facenti
parte
della
rete
di
distribuzione
dei
prodotti
o
dei
servizi
di
un
produttore
RASSEGnA
AVVOCATURA
DELLO
STATO -n. 1/2023
che
gode
di
una
posizione
dominante
possono essere
imputati
a
quest’ultimo, qualora
sia
dimostrato che
tali
comportamenti
non sono stati
adottati
in modo indipendente
da
detti
distributori, ma
fanno parte
di
una
politica
decisa
unilateralmente
da
tale
produttore
e
attuata
tramite tali distributori.
Sulla seconda questione
34 Con la
sua
seconda
questione, il
giudice
del
rinvio chiede, in sostanza, se
l’articolo 102
TFUE
debba
essere
interpretato nel
senso che, in presenza
di
clausole
di
esclusiva
contenute
in contratti
di
distribuzione, l’autorità
garante
della
concorrenza
competente
è
tenuta,
per accertare
un abuso di
posizione
dominante, a
dimostrare
che
tali
clausole
hanno
l’effetto
di
escludere
dal
mercato
concorrenti
efficienti
tanto
quanto
l’impresa
in
posizione
dominante
e
se,
in
ogni
caso,
in
presenza
di
una
pluralità
di
prassi
controverse,
tale
autorità
sia
tenuta
ad
esaminare
in
modo
dettagliato
le
analisi
economiche
eventualmente
prodotte
dall’impresa
interessata, segnatamente
ove
siano fondate
sul
criterio detto del
«concorrente
altrettanto efficiente».
35 A
tale
riguardo occorre
ricordare
che
l’articolo 102 TFUE
dichiara
incompatibile
con il
mercato interno e
vietato, nella
misura
in cui
possa
essere
pregiudizievole
al
commercio
tra
gli
Stati
membri, lo sfruttamento abusivo, da
parte
di
una
o più imprese, di
una
posizione
dominante sul mercato interno o su una parte sostanziale di questo.
36 Tale
nozione
mira
quindi
a
sanzionare
i
comportamenti
di
un’impresa
in posizione
dominante
che, in un mercato in cui
il
grado di
concorrenza
sia
già
indebolito a
seguito della
presenza
di
tale
impresa, hanno l’effetto di
compromettere
la
conservazione
di
una
struttura
di
concorrenza
effettiva
(sentenza
del
12 maggio 2022, Servizio Elettrico nazionale
e a., C‑377/20, EU:C:2022:379, punto 68 e giurisprudenza ivi citata).
37 Ciò
premesso,
l’articolo
102
TFUE
non
ha
lo
scopo
di
impedire
ad
un’impresa
di
conquistare,
grazie
ai
suoi
meriti,
e
in
particolare
grazie
alle
sue
competenze
e
capacità,
una
posizione
dominante
su
un
mercato,
né
di
garantire
che
concorrenti
meno
efficienti
di
un’impresa
che
detiene
una
posizione
siffatta
restino
sul
mercato.
Invero,
non
tutti
gli
effetti
preclusivi
pregiudicano
necessariamente
la
concorrenza
poiché,
per
definizione,
la
concorrenza
basata
sui
meriti
può
portare
alla
scomparsa
dal
mercato
o
all’emarginazione
dei
concorrenti
meno
efficienti
e
quindi
meno
interessanti
per
i
consumatori,
segnatamente
dal
punto
di
vista
dei
prezzi,
della
scelta,
della
qualità
o
dell’innovazione
(sentenza
del
12
maggio
2022,
Servizio
Elettrico
nazionale
e
a.,
C‑377/20,
EU:C:2022:379,
punto
73
e
giurisprudenza
ivi
citata).
38
Viceversa,
le
imprese
in
posizione
dominante
sono
tenute,
indipendentemente
dalle
cause
di
una
simile
posizione, a
non pregiudicare, con il
loro comportamento, una
concorrenza
effettiva
e
leale
nel
mercato
interno
(v.,
in
particolare,
sentenze
del
9
novembre
1983,
nederlandsche
Banden-Industrie-Michelin/Commissione,
322/81,
EU:C:1983:313,
punto
57,
e
del
6
settembre
2017,
Intel/Commissione,
C‑413/14
P,
EU:C:2017:632,
punto
135).
39 Pertanto, un abuso di
posizione
dominante
potrà
essere
accertato, segnatamente, quando
il
comportamento contestato abbia
prodotto effetti
preclusivi
nei
confronti
di
concorrenti
di
efficienza
quantomeno pari
all’autore
di
tale
comportamento in termini
di
struttura
dei
costi, di
capacità
di
innovazione
o di
qualità
o, ancora, qualora
detto comportamento si
sia
basato sull’utilizzo di
mezzi
diversi
da
quelli
riconducibili
ad una
concorrenza
«normale
», vale
a
dire
fondata
sui
meriti
(v., in tal
senso, sentenza
del
12 maggio 2022, Servizio
Elettrico
nazionale
e
a.,
C‑377/20,
EU:C:2022:379,
punti
69,
71,
75
e
76
e
giurisprudenza ivi citata).
COnTEnzIOSO
COMUnITARIO
ED
InTERnAzIOnALE
31
40
A
tal
riguardo,
spetta
alle
autorità
garanti
della
concorrenza
dimostrare
il
carattere
abusivo
di
un comportamento alla
luce
di
tutte
le
rilevanti
circostanze
fattuali
riguardanti
il
comportamento
di
cui
trattasi
(sentenze
del
19
aprile
2012,
Tomra
Systems
e
a./Commissione,
C‑549/10
P,
EU:C:2012:221,
punto
18,
e
del
12
maggio
2022,
Servizio
Elettrico
nazionale
e
a., C‑377/20, EU:C:2022:379, punto 72), il
che
include
quelle
messe
in evidenza
dagli
elementi di prova dedotti a sua difesa dall’impresa in posizione dominante.
41 È
vero che, per dimostrare
il
carattere
abusivo di
un comportamento, un’autorità
garante
della
concorrenza
non
deve
necessariamente
dimostrare
che
tale
comportamento
abbia
effettivamente
prodotto
effetti
anticoncorrenziali.
Infatti,
l’articolo
102
TFUE
mira
a
sanzionare
il
fatto, per una
o più imprese, di
sfruttare
in modo abusivo una
posizione
dominante
sul
mercato
interno
o
su
una
parte
sostanziale
di
questo,
indipendentemente
dall’esito più o meno fruttuoso di
tale
sfruttamento (sentenza
del
12 maggio 2022, Servizio
elettrico nazionale
e
a., C‑377/20, EU:C:2022:379, punto 53 e
giurisprudenza
ivi
citata).
Pertanto,
un’autorità
garante
della
concorrenza
può
constatare
una
violazione
dell’articolo 102 TFUE
dimostrando che, durante
il
periodo nel
quale
il
comportamento
in questione
è
stato attuato, esso aveva, nelle
circostanze
del
caso di
specie, la
capacità
di restringere la concorrenza basata sui meriti nonostante la sua mancanza di effetti.
42 Tuttavia, tale
dimostrazione
deve
fondarsi, in linea
di
principio, su elementi
di
prova
tangibili,
che
dimostrino, aldilà
della
mera
ipotesi, la
capacità
effettiva
della
prassi
in questione
di
produrre
tali
effetti,
dovendo
l’esistenza
di
un
dubbio
al
riguardo
andare
a
vantaggio dell’impresa
che
ha
fatto ricorso a
detta
prassi
(v., in tal
senso, sentenze
del
14
febbraio
1978,
United
Brands
e
United
Brands
Continentaal/Commissione,
27/76,
EU:C:1978:22,
punto
265,
e
del
31
marzo
1993,
Ahlström
Osakeyhtiö
e
a./Commissione,
C‑89/85,
C‑104/85,
C‑114/85,
C‑116/85,
C‑117/85
e
da
C‑125/85
a
C‑129/85,
EU:C:1993:120, punto 126).
43 Di
conseguenza,
una
prassi
non
può
essere
qualificata
come
abusiva
se
è
rimasta
allo
stato
di
progetto.
Inoltre,
un’autorità
garante
della
concorrenza
non
può
basarsi
sugli
effetti
che
tale
prassi
potrebbe
o
avrebbe
potuto
produrre
se
talune
circostanze
particolari,
che
non
erano
quelle
esistenti
sul
mercato
al
momento
della
sua
attuazione
e
la
cui
realizzazione
risultava
allora
improbabile,
si
fossero
realizzate.
44 Peraltro, se
è
vero che, al
fine
di
valutare
la
capacità
del
comportamento di
un’impresa
di
restringere
la
concorrenza
effettiva
su
un
mercato,
un’autorità
garante
della
concorrenza
può basarsi
sugli
insegnamenti
delle
scienze
economiche, confermati
da
studi
empirici
o
comportamentali,
la
presa
in
considerazione
di
tali
insegnamenti
non
può,
tuttavia,
essere
sufficiente. Altri
elementi
propri
delle
circostanze
del
caso di
specie, quali
l’ampiezza
di
detto comportamento sul
mercato, le
limitazioni
di
capacità
gravanti
sui
fornitori
di
materie
prime
o il
fatto che
l’impresa
in posizione
dominante
sia, almeno per una
parte
della
domanda, un partner inevitabile, devono essere
presi
in considerazione
per stabilire
se,
alla
luce
di
tali
insegnamenti, si
debba
ritenere
che
il
comportamento di
cui
trattasi
abbia
avuto,
almeno
per
una
parte
del
periodo
in
cui
è
stato
attuato,
la
capacità
di
produrre
effetti
preclusivi sul mercato interessato.
45
Si
deve
seguire,
del
resto,
un
approccio
analogo
per
quanto
riguarda
la
prova
di
un
intento
anticoncorrenziale
dell’impresa
in
posizione
dominante.
Infatti,
tale
intento
costituisce
un indizio della
natura
e
degli
obiettivi
perseguiti
dalla
strategia
attuata
da
detta
impresa
e
può essere
preso in considerazione
a
tale
titolo. L’esistenza
di
un intento anticoncorrenziale
può essere
rilevante
anche
ai
fini
del
calcolo dell’ammenda. Tuttavia, la
dimo
RASSEGnA
AVVOCATURA
DELLO
STATO -n. 1/2023
strazione
dell’esistenza
di
un siffatto intento non è
né
richiesta
né
sufficiente, di
per sé,
per stabilire
l’esistenza
di
un abuso di
posizione
dominante, dal
momento che
la
nozione
di
«sfruttamento abusivo», ai
sensi
dell’articolo 102 TFUE, si
fonda
su una
valutazione
oggettiva
del
comportamento
in
parola
(v.,
in
tal
senso,
sentenze
del
19
aprile
2012,
Tomra
Systems
e
a./Commissione, C‑549/10 P, EU:C:2012:221, punti
19 e
21, e
del
12 maggio
2022, Servizio Elettrico nazionale e a., C‑377/20, EU:C:2022:379, punti 61 e 62).
46 In tale
contesto, per quanto riguarda
più specificamente
le
clausole
di
esclusiva, la
Corte
ha
certamente
dichiarato che
le
clausole
con cui
le
controparti
si
sono impegnate
a
rifornirsi
per la
totalità
o per una
parte
considerevole
del
loro fabbisogno presso un’impresa
in posizione
dominante, anche
se
non accompagnate
da
sconti, costituivano, per loro natura,
sfruttamento di
posizione
dominante
e
che
lo stesso valeva
per gli
sconti
di
fedeltà
concessi
da
una
tale
impresa
(sentenza
del
13 febbraio 1979, Hoffmann-La
Roche/Commissione,
85/76, EU:C:1979:36, punto 89).
47
Tuttavia,
nella
sentenza
del
6
settembre
2017,
Intel/Commissione
(C‑413/14
P,
EU:C:2017:632, punto 138), la
Corte
ha, in primo luogo, precisato tale
giurisprudenza
rispetto all’ipotesi
in cui
un’impresa
in posizione
dominante
sostenga, nel
corso del
procedimento
amministrativo, producendo elementi
di
prova
a
sostegno delle
sue
affermazioni,
che
il
suo comportamento non ha
avuto la
capacità
di
restringere
la
concorrenza
e,
in particolare, di produrre gli effetti preclusivi contestati.
48
A
tal
fine,
la
Corte
ha
indicato
che,
in
tale
situazione,
l’autorità
garante
della
concorrenza
non solo è
tenuta
ad analizzare, da
una
parte, la
portata
della
posizione
dominante
del-
l’impresa
sul
mercato rilevante
e, dall’altra, la
misura
in cui
la
prassi
contestata
copre
il
mercato, nonché
le
condizioni
e
le
modalità
di
concessione
degli
sconti
in questione, la
loro durata
e
il
loro importo, ma
è
anche
tenuta
a
valutare
l’eventuale
esistenza
di
una
strategia
volta
a
escludere
i
concorrenti
che
siano
efficienti
almeno
tanto
quanto
l’impresa
dominante
(sentenza
del
6
settembre
2017,
Intel/Commissione,
C‑413/14
P,
EU:C:2017:632, punto 139).
49
La
Corte
ha
aggiunto,
in
secondo
luogo,
che
l’analisi
della
capacità
preclusiva
è
parimenti
rilevante
per valutare
se
un sistema
di
sconti, rientrante
in linea
di
principio nel
divieto
di
cui
all’articolo 102 TFUE, possa
essere
oggettivamente
giustificato. Inoltre, l’effetto
preclusivo derivante
da
un sistema
di
sconti, svantaggioso per la
concorrenza, può essere
controbilanciato, o anche
superato, da
vantaggi
in termini
di
efficienza
che
vadano a
beneficio
anche
del
consumatore.
Orbene,
una
siffatta
ponderazione
degli
effetti,
favorevoli
e
sfavorevoli
per
la
concorrenza,
della
prassi
contestata
può
essere
effettuata
solo
a
seguito
di
un’analisi
della
capacità
di
esclusione
di
concorrenti
efficienti
almeno
tanto
quanto
l’impresa
in posizione
dominante, inerente
alla
prassi
di
cui
trattasi
(sentenza
del
6 settembre
2017, Intel/Commissione, C‑413/14 P, EU:C:2017:632, punto 140).
50 È
vero che, fornendo questa
seconda
precisazione, la
Corte
ha
menzionato unicamente
i
meccanismi
di
sconto. Tuttavia, dal
momento che
sia
le
prassi
di
sconti
sia
le
clausole
di
esclusiva
possono
essere
oggettivamente
giustificate
o
che
gli
svantaggi
che
esse
generano
possono risultare
controbilanciati, se
non addirittura
superati, da
vantaggi
in termini
di
efficienza
che
vanno a
beneficio anche
del
consumatore, una
siffatta
precisazione
deve
essere considerata valida sia per l’una che per l’altra di tali prassi.
51 Del
resto, oltre
al
fatto che
una
tale
interpretazione
appare
coerente
con la
prima
precisazione
formulata
dalla
Corte
nella
citata
sentenza
del
6
settembre
2017,
Intel/Commissione
(C‑413/14 P, EU:C:2017:632, punto 139), va
notato che, sebbene
le
clausole
di
esclusiva
COnTEnzIOSO
COMUnITARIO
ED
InTERnAzIOnALE
33
suscitino, per loro natura, preoccupazioni
legittime
in relazione
alla
concorrenza, la
loro
capacità
di
escludere
i
concorrenti
non è
automatica, come
d’altronde
illustrato dalla
comunicazione
della
Commissione
intitolata
«Orientamenti
sulle
priorità
della
Commissione
nell’applicazione
dell’articolo [102 TFUE] al
comportamento abusivo delle
imprese
dominanti
volto all’esclusione dei concorrenti» (GU 2009, C 45, pag. 7, paragrafo 36).
52 ne
consegue
che, da
un lato, quando un’autorità
garante
della
concorrenza
sospetti
che
un’impresa
abbia
violato l’articolo 102 TFUE
facendo ricorso a
clausole
di
esclusiva
e
quest’ultima
contesti, nel
corso del
procedimento, la
capacità
concreta
di
dette
clausole
di
escludere
dal
mercato concorrenti
altrettanto efficienti, producendo elementi
di
prova
a
sostegno, tale
autorità
deve
assicurarsi, nella
fase
della
qualificazione
dell’infrazione,
che
tali
clausole
avessero,
nelle
circostanze
del
caso
di
specie,
l’effettiva
capacità
di
escludere
dal mercato concorrenti efficienti tanto quanto tale impresa.
53 Dall’altro lato, l’autorità
garante
della
concorrenza
che
ha
avviato tale
procedimento è
altresì
tenuta
a
valutare, in concreto, la
capacità
di
tali
clausole
di
restringere
la
concorrenza,
qualora,
nel
corso
del
procedimento
amministrativo,
l’impresa
sospettata,
senza
negare
formalmente
che
il
suo comportamento avesse
la
capacità
di
restringere
la
concorrenza,
sostenga che esistono giustificazioni per la sua condotta.
54
In
ogni
caso
la
produzione,
nel
corso
del
procedimento,
di
prove
idonee
a
dimostrare
l’inidoneità
a
produrre
effetti
restrittivi
fa
sorgere
l’obbligo,
per
detta
autorità
garante
della
concorrenza, di
esaminarle. Infatti, il
rispetto del
diritto di
essere
ascoltato, il
quale,
secondo
giurisprudenza
costante,
costituisce
un
principio
generale
del
diritto
dell’Unione,
esige
che
le
autorità
garanti
della
concorrenza
ascoltino
l’impresa
in
posizione
dominante,
il
che
implica
che
esse
prestino tutta
l’attenzione
richiesta
alle
osservazioni
prodotte
da
quest’ultima
ed esaminino, con cura
e
imparzialità, tutti
gli
elementi
rilevanti
della
fattispecie
e, in particolare, le
prove
prodotte
da
detta
impresa
(v., in tal
senso, sentenza
del
12
maggio
2022,
Servizio
Elettrico
nazionale
e
a.,
C‑377/20,
EU:C:2022:379,
punto
52).
55 ne
consegue
che, qualora
l’impresa
in posizione
dominante
abbia
prodotto uno studio
economico al
fine
di
dimostrare
che
la
prassi
che
le
viene
contestata
non era
idonea
ad
estromettere
i
concorrenti,
l’autorità
garante
della
concorrenza
competente
non
può
escludere
la
rilevanza
di
tale
studio senza
esporre
le
ragioni
per le
quali
ritiene
che
esso non
consenta
di
contribuire
alla
dimostrazione
dell’incapacità
delle
prassi
contestate
di
compromettere
la
concorrenza
effettiva
sul
mercato interessato e, di
conseguenza, senza
mettere
detta
impresa
in
grado
di
determinare
l’offerta
di
prove
che
potrebbe
essere
sostituita
a detto studio.
56 Per quanto riguarda
il
criterio del
concorrente
altrettanto efficiente, al
quale
il
giudice
del
rinvio
ha
fatto
espressamente
menzione
nella
sua
domanda,
occorre
ricordare
che
tale
nozione
fa
riferimento a
diversi
criteri
che
hanno in comune
il
fine
di
valutare
la
capacità
di
una
prassi
di
produrre
effetti
preclusivi
anticoncorrenziali,
facendo
riferimento
all’idoneità
di
un ipotetico concorrente
dell’impresa
in posizione
dominante, altrettanto efficiente
in
termini
di
struttura
dei
costi, a
proporre
ai
clienti
una
tariffa
tanto vantaggiosa
da
indurli
a
cambiare
fornitore, nonostante
gli
svantaggi
generati, senza
che
ciò porti
detto concorrente
a
subire
perdite. Tale
idoneità
è
generalmente
determinata
alla
luce
della
struttura
dei costi della stessa impresa in posizione dominante.
57 Orbene, un criterio di
tale
natura
può essere
inadeguato in presenza, in particolare, di
talune
prassi
non tariffarie, come
un rifiuto di
consegna, o quando il
mercato di
cui
trattasi
è
tutelato
da
barriere
elevate.
Del
resto,
tale
criterio
è
solo
uno
dei
diversi
metodi
che
RASSEGnA
AVVOCATURA
DELLO
STATO -n. 1/2023
consentono di
valutare
se
una
prassi
abbia
la
capacità
di
produrre
effetti
preclusivi;
e
tale
metodo,
del
resto,
prende
in
considerazione
solo
la
concorrenza
sui
prezzi.
In
particolare,
l’uso, da
parte
di
un’impresa
in posizione
dominante, di
mezzi
diversi
da
quelli
propri
di
una
concorrenza
basata
sui
meriti
può
essere
sufficiente,
in
determinate
circostanze,
a
denotare
l’esistenza
di
un siffatto abuso (v. parimenti, in tal
senso, sentenza
del
12 maggio
2022, Servizio Elettrico nazionale e a., C‑377/20, EU:C:2022:379, punto 78).
58 Di
conseguenza, le
autorità
garanti
della
concorrenza
non possono avere
l’obbligo giuridico
di
fondarsi
sul
criterio
del
concorrente
altrettanto
efficiente
per
dichiarare
il
carattere
abusivo
di
una
prassi
(v.,
in
tal
senso,
sentenza
del
6
ottobre
2015,
Post
Danmark,
C‑23/14,
EU:C:2015:651, punto 57).
59 Tuttavia, anche
in presenza
di
prassi
non tariffarie, la
rilevanza
di
un siffatto criterio non
può essere
esclusa. Infatti, un criterio di
questo tipo può rivelarsi
utile
qualora
le
conseguenze
della
prassi
di
cui
trattasi
possano essere
stimate. In particolare, nel
caso di
clausole
di
esclusiva, un siffatto criterio può teoricamente
servire
a
stabilire
se
un ipotetico
concorrente, che
abbia
una
struttura
dei
costi
analoga
a
quella
dell’impresa
in posizione
dominante, sia
in grado di
proporre
i
propri
prodotti
o le
proprie
prestazioni
senza
andare
incontro a
perdite
o a
ricavi
insufficienti
se
dovesse
farsi
carico delle
indennità
che
i
distributori
dovrebbero pagare
per cambiare
fornitore, o delle
perdite
che
essi
dovrebbero
subire
dopo
un
tale
cambiamento
a
seguito
della
revoca
degli
sconti
precedentemente
concessi
(v., per analogia, sentenza
del
25 marzo 2021, Slovak Telekom/Commissione,
C‑165/19 P, EU:C:2021:239, punto 110).
60
Di
conseguenza,
qualora
un’impresa
in
posizione
dominante
sospettata
di
una
prassi
abusiva
fornisca
a
un’autorità
garante
della
concorrenza
un’analisi
fondata
sul
criterio
del
concorrente
altrettanto efficiente, detta
autorità
non può escludere
tale
prova
senza
neppure
esaminarne il valore probatorio.
61
Tale
circostanza
non
è
rimessa
in
discussione
dall’esistenza
di
una
pluralità
di
prassi
controverse.
Infatti,
anche
ipotizzando
che
gli
effetti
cumulati
di
tali
prassi
non
possano
essere
presi
in
considerazione
mediante
tale
criterio,
resta
il
fatto
che
il
risultato
di
un
test
di
tale
natura
può nondimeno costituire
un indizio degli
effetti
di
talune
di
dette
prassi
e,
pertanto, essere
rilevante
al
fine
di
determinare
se
talune
qualifiche
possano essere
prese
in considerazione riguardo alle prassi di cui trattasi.
62
Alla
luce
delle
considerazioni
che
precedono,
occorre
rispondere
alla
seconda
questione
dichiarando
che
l’articolo
102
TFUE
deve
essere
interpretato
nel
senso
che,
in
presenza
di
clausole
di
esclusiva
contenute
in
contratti
di
distribuzione,
un’autorità
garante
della
concorrenza
è
tenuta,
per
accertare
un
abuso
di
posizione
dominante,
a
dimostrare,
alla
luce
di
tutte
le
circostanze
rilevanti
e
tenuto
conto,
segnatamente,
delle
analisi
economiche
eventualmente
prodotte
dall’impresa
in
posizione
dominante
riguardo
all’inidoneità
dei
comportamenti
in
questione
ad
escludere
dal
mercato
i
concorrenti
efficienti
tanto
quanto
essa
stessa,
che
tali
clausole
siano
capaci
di
limitare
la
concorrenza.
Il
ricorso
al
criterio
del
concorrente
altrettanto
efficiente
ha
carattere
facoltativo.
Tuttavia,
se
i
risultati
di
un
siffatto
criterio
sono
prodotti
dall’impresa
interessata
nel
corso
del
procedimento
amministrativo,
l’autorità
garante
della
concorrenza
è
tenuta
a
esaminarne
il
valore
probatorio.
sulle spese
63 nei
confronti
delle
parti
nel
procedimento principale
la
presente
causa
costituisce
un incidente
sollevato dinanzi
al
giudice
nazionale, cui
spetta
quindi
statuire
sulle
spese. Le
COnTEnzIOSO
COMUnITARIO
ED
InTERnAzIOnALE
spese
sostenute
da
altri
soggetti
per presentare
osservazioni
alla
Corte
non possono dar
luogo a rifusione.
Per questi motivi, la Corte (Quinta Sezione) dichiara:
1)
L’articolo
102
tFUe
deve
essere
interpretato
nel
senso
che
i
comportamenti
adottati
da distributori
facenti
parte
della rete
di
distribuzione
dei
prodotti
o dei
servizi
di
un
produttore
che
gode
di
una
posizione
dominante
possono
essere
imputati
a
quest’ultimo, qualora sia dimostrato che
tali
comportamenti
non
sono stati
adottati
in
modo
indipendente
da
detti
distributori,
ma
fanno
parte
di
una
politica
decisa
unilateralmente da tale produttore e attuata tramite tali distributori.
2) L’articolo 102 tFUe deve
essere
interpretato nel
senso che, in
presenza di
clausole
di
esclusiva contenute
in
contratti
di
distribuzione, un’autorità garante
della concorrenza
è
tenuta,
per
accertare
un
abuso
di
posizione
dominante,
a
dimostrare,
alla
luce
di
tutte
le
circostanze
rilevanti
e
tenuto conto, segnatamente, delle
analisi
economiche
eventualmente
prodotte
dall’impresa in
posizione
dominante
riguardo al-
l’inidoneità dei
comportamenti
in
questione
ad
escludere
dal
mercato i
concorrenti
efficienti
tanto quanto essa stessa, che
tali
clausole
siano capaci
di
limitare
la concorrenza.
il
ricorso al
criterio detto «del
concorrente
altrettanto efficiente» ha carattere
facoltativo.
tuttavia,
se
i
risultati
di
un
siffatto
criterio
sono
prodotti
dall’impresa interessata nel
corso del
procedimento amministrativo, l’autorità garante
della concorrenza è tenuta a esaminarne il valore probatorio.
ContenzioSonazionaLe
La fisionomia attuale della recidiva, nel prisma
della recente giurisprudenza di legittimità. Disamina della
sentenza delle Sezioni Unite del 25 luglio 2023 n. 32318
Antonino Ripepi*
Giovanni Grasso**
Sommario:
1.
Premessa
-2.
Storia
e
disciplina
dell’istituto
-3.
inquadramento
sistematico
della
recidiva
-4.
La
recidiva
nel
prisma
della
giurisprudenza
più
recente
-5.
Conclusioni.
1. Premessa.
Data
l’irrinunciabilità
di
una
prospettiva
diacronica
ed
evolutiva
alquanto
complessa
per
lo
svolgimento
di
un’analisi
adeguata,
discutere
di
recidiva
oggi
non
appare
affatto
agevole.
La
transizione
dall’impostazione
originaria
del
codice
del
1930
al
modello
imperniato
sulla
discrezionalità
giudiziale
del
1974,
poi
sostituita
dal
“progetto
securitario”
della
legge
ex
Cirielli
fino
al
suo
ridimensionamento
con
il
“modello
costituzionalmente
orientato”
per
via
delle
pronunce
della
Corte
costituzionale
sono,
al
tempo
stesso,
storia
e
illustrazione
della
recidiva
nel
codice
penale
vigente
(1).
Nondimeno,
pur
avendo
vissuto
diverse
oscillazioni
connesse
a
interventi
di
riforma
e
incisive
pronunce
giurisprudenziali,
è
possibile
definire
i
tratti
generali
con
cui
si
presenta
oggi
tale
istituto.
(*) Procuratore
dello Stato -Avvocatura
Distrettuale
di
Reggio Calabria, Referente
distrettuale
per la
“Rassegna dell’Avvocatura dello Stato”.
(**)
Dottore
di
ricerca
in
Diritto
pubblico
-indirizzo
penalistico.
Cultore
della
materia
per
l’area
IUS/17
presso l’Università “Mediterranea” di Reggio Calabria.
Nonostante
il
presente
lavoro sia
il
frutto della
riflessione
congiunta
dei
due
Autori, i
paragrafi
1 e
3
sono da
attribuirsi
a
Giovanni
Grasso, mentre
i
paragrafi
2, 4 e
5 sono stati
redatti
da
Antonino Ripepi.
(1) La
terminologia
qui
impiegata
è
mutuata
dal
G. FoRtI
-S. SeMINARA
-G. ZUCCALà, Commentario
breve al Codice Penale, Cedam, VI ed., pp. 457 ss.
RASSeGNA
AVVoCAtURA
DeLLo
StAto -N. 1/2023
Sebbene
attenga
alla
pericolosità
del
reo
(2),
a
differenza
delle
fattispecie
contigue
di
“reità”
essa
viene
qualificata
come
circostanza
(3),
da
cui
discende
la
rilevanza
non ai
fini
dell’applicazione
di
misure
di
sicurezza, bensì
per la
produzione
di
incrementi
sanzionatori
significativi
(4), oltre
che
a
numerosi
effetti indiretti a carattere penalizzante e preclusivo di effetti favorevoli (5).
2. Storia e disciplina dell’istituto.
L’espressione
“recidiva”, collegata
all’etimo latino recidere, cioè
“ricadere”,
designa
le
ipotesi
in cui
il
reo torni
a
delinquere
dopo essere
stato condannato
per un primo reato. Ampliando la
prospettiva, la
recidiva
si
colloca
in un novero più ampio di
figure, tra
cui
quella
del
delinquente
o contravventore
abituale
o professionale, nonché
del
delinquente
per tendenza, che
contrassegnano
la
maggiore
pericolosità
sociale
di
determinate
classi
di
soggetti
i quali, pertanto, necessitano di forme di retribuzione penale rafforzata (6).
Si
tratta
di
un istituto controverso in dottrina. Già
nel
XIX
secolo, autorevoli
studiosi
ritenevano che
la
recidiva
in nessun caso potesse
incidere
sulla
quantificazione
della
pena
per
il
nuovo
reato,
posto
che
precedenti
episodi
criminosi
non incrementano in alcun modo il
disvalore
di
altri
successivi
(7);
a
tali
argomentazioni
si
è
opposto
che
l’aggravamento
della
pena
sarebbe
razionale,
e
servirebbe
a
controbilanciare
la
maggiore
insensibilità
del
reo
alla
sanzione
penale (8).
esaminata
la
ratio
generale
dell’istituto,
e
volgendo
all’individuazione
della
natura
giuridica,
un
orientamento
ormai
minoritario
della
dottrina
ritiene
che
la
recidiva
configuri
uno status
del
colpevole, in quanto tale
assoggettato
a
un (problematico) regime
di
imputazione
oggettiva
e
di
sottrazione
al
bilanciamento
tra
circostanze
ai
sensi
dell’art.
69
c.p.,
nonché,
sul
piano
processuale,
ininfluente
ai
fini
del
regime
di
procedibilità
(9).
La
dottrina
maggioritaria,
invece,
ritiene
che
venga
in
rilievo
una
circostanza
propria
inerente
alla
persona
del
colpevole
ex
art. 70 c.p. (10), in quanto elemento che
(2)
Nesso
evidenziato
nella
relazione
del
Guardasigilli,
pp.
147
ss.,
che
addirittura
fa
leva
su
una
più
efficace
difesa
contro
il
delitto;
del
resto,
la
recidiva
si
spiega
più
in
un’ottica
di
prevenzione
speciale,
che di retribuzione - si cfr. t. PADoVANI, Diritto penale, Giuffrè, XII ed., pp. 319 ss.
(3)
La
recidiva
soggiace
alla
disciplina
generale
delle
circostanze
salvo
deroghe
legislative
espresse (Cass. S.U., 24 febbraio 2011, indelicato; Cass. S.U., 29 gennaio 2021, n. 3585, Li Trenta).
(4) G. De
VeRo, Corso di diritto penale, Giappichelli, I ed., p. 780.
(5) Questa
“marcata
ambivalenza”
della
recidiva, legata
alla
sua
duplice
collocazione
in termini
di disciplina, è evidenziata da Cass. Pen., Sez. Un., 24 febbraio 2011, n. 20798.
(6) G. FoRtI
- S. SeMINARA
- G. ZUCCALà, op. cit., p. 453.
(7) G. CARMIGNANI, Teoria delle leggi della sicurezza sociale, III, Pisa, 1832, pp. 230 ss.
(8)
F.
CARRARA,
Stato
della
dottrina
sulla
recidiva,
in
opuscoli
di
diritto
criminale,
II,
Lucca,
1878, p. 13.
(9) G. BettIoL
- L. PettoeLLo
MANtoVANI, Diritto penale, Cedam, XII ed., pp. 577 ss.
(10) G. MARINUCCI
-e. DoLCINI, manuale
di
diritto penale, parte
generale, Giuffrè, IV
ed., p.
533.
CoNteNZIoSo
NAZIoNALe
incide,
aggravandola,
sulla
colpevolezza
o
sull’imputabilità
del
reo,
a
seconda
delle ricostruzioni.
I
residui
dubbi
sono
stati
eliminati
dall’intervento
di
Cass.
Pen.,
Sez.
Un.,
24
febbraio
2011,
n.
20798,
che
hanno
autorevolmente
definito
la
recidiva
quale
“circostanza
pertinente
al
reato
che
richiede
un
accertamento,
nel
caso
concreto,
della
relazione
qualificata
tra
lo
status
e
il
fatto
che
deve
risultare
sintomatico,
in
relazione
alla
tipologia
dei
reati
pregressi
e
all’epoca
della
loro
consumazione,
sia
sul
piano
della
colpevolezza
che
su
quello
della
pericolosità
sociale”.
Si
tratta,
dunque,
di
circostanza
in
senso
stretto,
aggravante,
soggettiva
e
ad
effetto
comune
o
speciale
a
seconda
che
venga
in
rilievo
la
recidiva
semplice
o,
rispettivamente,
le
ipotesi
aggravate;
sul
piano
applicativo,
se
ne
ricava
l’integrale
applicabilità
all’istituto
in
esame
della
disciplina
tipica
delle
circostanze.
Minimo
comune
denominatore
di
tutte
le
figure
di
recidiva
descritte
nell’art.
99
c.p.
è
la
commissione
di
un
delitto
doloso
a
seguito
di
condanna
definitiva
per
altro
delitto
doloso.
Altro
dato
comune
consiste
in
ciò,
che
tutte
le
forme
di
recidiva
contemplate
nell’art.
99
c.p.
hanno,
attualmente,
natura
discrezionale
a
seguito
di
Corte
cost.,
23
luglio
2015,
n.
185,
che
ha
dichiarato
l’incostituzionalità
del
quinto
comma
della
disposizione
laddove
disponeva
l’obbligatorietà
dell’aumento
di
pena
per
la
recidiva;
tale
connotato
rimette
la
valutazione
della
sussistenza
dei
presupposti
dell’istituto
al
giudice,
tenuto
a
verificare
senza
automatismi
l’effettiva
maggiore
pericolosità
sociale
del
reo,
derivante
dall’insofferenza
dimostrata
nei
confronti
delle
condanne
intervenute.
3. inquadramento sistematico della recidiva.
Invero, la
descritta
configurazione
codicistica
dell’istituto non coincide
con la
sua
etimologia, al
punto da
essersi
delineato uno iato tra
‘recidiva
naturale’
e
‘recidiva
giuridica’
(11). Ciò in quanto la
ricaduta
nel
delitto non è
mera,
ma
segue
l’adozione
di
una
condanna
nei
confronti
del
reo
e,
soprattutto,
il
monito in essa
incorporato. Da
qui
si
ricava
agevolmente
la
differenza
tra
recidiva
e
concorso di
reati, nei
termini
di
riconduzione
del
secondo istituto
alla
determinazione
complessiva
della
pena
per
la
commissione
di
più
reati
da
parte
di
uno stesso soggetto, anche
in executivis, ma
prescindendo dalla
correlazione
di
colpevolezza
esistente
sul
piano cronologico fra
il
momento del-
l’avvertimento
e
quello
della
reazione
indifferente
(12).
Ciò
non
esclude
possibili
sovrapposizioni
delle
due
discipline
qualora
i
reati
in concorso siano
successivi a una condanna passata in giudicato (si cfr. art. 80 c.p.).
(11) La
differenza
tra
‘recidiva
naturale’
e
‘giuridica’
è
messa
in luce
da
t. PADoVANI, op. cit., p.
619.
(12)
Peraltro,
proprio
sul
piano
temporale
il
codice
Rocco
ha
innovato
rispetto
al
codice
Zanardelli
attraverso la previsione della rilevanza della recidiva anche a tempo indeterminato.
RASSeGNA
AVVoCAtURA
DeLLo
StAto -N. 1/2023
Il
nesso esistente
tra
condanna
antecedente
e
nuova
reità
rappresenta
la
vera chiave di lettura odierna dell’istituto. orbene, si è anticipato che la recidiva
costituisce
una
circostanza, segnatamente
attinente
alla
persona
del
reo.
Ma esattamente a quale dato della persona afferisce?
La
lente
di
osservazione
in grado di
poter illustrare
il
percorso utile
a
rispondere
a
tale
quesito è
una
disposizione
generale:
l’art. 133 c.p., che
individua
i
criteri
di
commisurazione
della
pena. In particolare, si
può affermare
l’esistenza
di
un rapporto di
specialità
tra
l’art. 99 e
l’art. 133, comma
1 n. 2
c.p. (13), nella
specie
con la
capacità
a
delinquere
(14). Del
resto, ad essa
la
accomuna
il
proprio carattere
“bidimensionale”
(15), frutto del
compromesso
tra
la
Scuola
classica
e
la
Scuola
positiva
(16):
prognostico-preventivo -valutare
la
probabilità
di
futura
commissione
dei
reati, e
quindi
la
pericolosità
del
reo
(17);
diagnostico-retributivo
-che
risponde
alla
domanda
relativa
al
livello
di
espressione
e
appartenenza
di
quel
fatto
di
reato
alla
personalità
del
reo
(18). In realtà, e
più precisamente, si
tratta
di
un accrescimento del
giudizio
sulla
colpevolezza
del
reo, che
si
manifesta
insensibile
ai
messaggi
connessi
alle
precedenti
condanne
subite.
ecco
svelato
il
nesso
giustificativo
pieno
con
il
principio
di
colpevolezza
(19);
nesso
che
richiede,
alla
luce
di
quanto
sopra,
(13) G. De
VeRo, op. cit., p. 783.
(14) Già
la
recidiva
ad intensità
crescente
quanto ad effetti
sanzionatori, secondo alcuni, aveva
segnato l’adesione
a
un’impostazione
personologica
della
recidiva
come
in grado di
influenzare
il
disvalore
del
reato (R. BARtoLI, voce
recidiva, in Enc. dir. -annali, vol. VII, Giuffrè, 2014, p. 888;
più
cauto V. MUSCAtIeLLo, La recidiva, Giappichelli, 2008, pp. 15 ss.).
(15) Per tale espressione, F. MANtoVANI, Diritto penale, Cedam, X ed., pp. 631 ss.
(16) essa
si
presenta
come
un vero e
proprio compromesso tra
Scuola
Classica
e
Scuola
positiva,
poiché
l’una, che
la
riconduce
alla
maggiore
rimproverabilità, ne
avrebbe
comportato un’applicazione
obbligatoria, temporanea
e
specifica;
l’altra
facoltativa, perpetua
e
generica
(De
FRANCeSCo, Principi,
reato, forme di manifestazione, Giappichelli, I ed., p. 564).
(17) Si cfr. il richiamo che l’art. 203 fa all’art. 133 c.p.
(18) G. De
VeRo, op. cit., p. 783.
(19)
G.
De
VeRo,
784;
M.
RoMANo
-G.
GRASSo,
Commentario
al
codice
penale,
II,
Giuffré,
2012,
p.
93;
F.
PALAZZo,
Corso
di
diritto
penale,
Giappichelli,
VIII
ed.,
pp.
508
ss.
Per
una
critica
rispetto
alla
coerenza
tra
il
principio di
colpevolezza
dell’attuale
fisionomia
della
recidiva, si
v. e.M. AMBRo-
SettI, recidiva e
Costituzione: un rapporto difficile, in Dir. pen. proc., 2/2023, p. 229:
«(…) si
deve
necessariamente
rilevare
che
attualmente
il
trattamento
sanzionatorio
per
il
recidivo
non
appare
inquadrabile
nella dimensione
della colpevolezza del
fatto. Sono chiaramente
esigenze
di
prevenzione
sociale
negativa o, per
meglio dire, di
neutralizzazione, alla base
di
un regime
sanzionatorio di
stampo
draconiano: ai
sensi
dell’art. 99, comma 4, c.p. l’aumento di
pena può essere
fino a due
terzi
rispetto
alla pena massima; è
precluso ex
art. 69, comma 4, c.p. un giudizio di
prevalenza delle
attenuanti
rispetto
alla
recidiva
reiterata;
di
fatto
sono
divenuti
imprescrittibili
-per
il
disposto
dell’art.
157,
comma
2, c.p. -la stragrande
maggioranza dei
reati
commessi
dal
recidivo qualificato; infine, è
limitata -per
effetto degli
artt. 7, 8 e
9 della legge
“ex-Cirielli”
-la possibilità di
applicare
alcuni
benefici
penitenziari.
in ultima analisi, pur
riconoscendo la necessità di
un trattamento differenziato per
coloro che
si
sono
dimostrati
più
volte
indifferenti
rispetto
a
una
condanna
penale,
non
pare
arbitrario
affermare
che
il
complessivo trattamento riservato alle
forme
di
recidiva grave, ed in specie, a quella reiterata,
appare
in
evidente
contrasto
con
il
principio
di
colpevolezza
e
con
il
suo
corollario
della
proporzionalità
della pena».
CoNteNZIoSo
NAZIoNALe
di
considerare
questa
circostanza
oggetto
di
piena
consapevolezza
da
parte
del
reo e non di mera conoscibilità, in rapporto alla precedente condanna (20).
Proprio quest’ultimo aspetto spiega
l’attuale
facoltatività
della
recidiva
e
la
discrezionalità
che
la
connota
(21), ciò che
non ne
intacca
la
natura
di
circostanza
(22). Peraltro, tali
rilievi
costituzionali
consentono di
evidenziare
il
carattere
fisiologico di
tale
discrezionalità, poiché, non trattandosi
di
un mero
status, è
richiesto un giudizio specifico sulla
concreta
maggiore
rimproverabilità
del
fatto.
Peraltro,
occorre
tenere
conto
dell’Illustre
insegnamento
secondo
cui
la
discrezionalità
penale
non
è
mai
una
discrezionalità
totale,
ma
una
“discrezionalità
guidata”,
in
questo
caso
orientata
in
base
al
canone
di
colpevolezza
e
tendente
a
rendere
l’illecito
penale
compiutamente
personale
(23).
Benché
l’inerenza
alla
persona
della
circostanza
e
della
sua
valutazione
faccia
sorgere
il
rischio
di
trasmodare
verso
la
colpevolezza
d’autore
(24),
in
quel
costante
dialogo
fra
check
and
balances
messo
in
luce
dalla
dottrina
d’oltralpe
(25),
il
limite
di
questa
personalizzazione
del
giudizio
sulla
pena
è
offerto
dalla
logica
retrospettiva
della
gravità
del
fatto
di
reato
(26):
oltrepassando
quello,
si
trasmoderebbe
nella
pena
per
una
condotta
di
vita
(27).
4. La recidiva nel prisma della giurisprudenza più recente.
I
presupposti
dogmatici
e
giurisprudenziali
dianzi
esaminati
appaiono
indispensabili
per comprendere
il
ragionamento giuridico su cui
si
articola
una
recente
sentenza
pronunciata
dalla
Corte
di
legittimità
nella
sua
più
autorevole
composizione:
Cass. pen., Sez. Un., 30 marzo 2023 (dep. 25 luglio 2023), n.
32318.
Nella
vicenda
posta
all’attenzione
delle
Sezioni
Unite
della
Corte
di
Cassazione,
due
soggetti
erano stati
condannati
per aver commesso, in concorso,
il
furto aggravato di
due
blocchetti
di
assegni, delitto ulteriormente
aggravato
(20) G. De
FRANCeSCo, op. cit., p. 565.
(21) Regime conseguente, dopo la legge n. 251 del 2005, a Corte cost. n. 185/2015.
(22) Va
rammentato che
la
facoltatività
della
recidiva
è
profilo diverso da
quello della
obbligatorietà
o meno della contestazione.
(23) Così, M. GALLo, Diritto penale
italiano, appunti
di
parte
generale, I, Giappichelli, III ed.,
pp. 36-37. In particolare, si
è
osservato che
«Su tal
via, dare
al
giudice
ampi
poteri
discrezionali
val
quanto dotarlo di
un regolo lesbio che
si
adatta alle
punte
ed agli
anfratti
da misurare. È
un modo di
innestare
sull’ordinamento positivo il
senso sinuoso delle
cose. Naturalmente
ad una condizione
che
rappresenta l’altra faccia, anzi, il
presupposto dell’equità: che
sia rigorosamente
adempiuto l’obbligo
di
motivazione
in tutta chiarezza dettato dall’art. 132 c.p.» (p. 37). Sulla
‘discrezionalità
penale’, v. F.
BRICoLA, La discrezionalità nel
diritto penale. Nozione
e
aspetti
costituzionali, Giuffrè, 1965, pp. 353
ss.
(24) G. De
VeRo, op. cit., p. 784.
(25) C. RoXIN, Politica criminale
e
sistema del
diritto penale. Saggi
di
teoria del
reato, a
cura
di
S. MoCCIA, eSI, 1998, pp. 168 ss.
(26) Per analoghe
riflessioni
in tema
di
misure
di
sicurezza, si
cfr. G. RUGGIeRo, La proporzionalità
nel diritto penale, Giappichelli, 2018, pp. 156 ss., 168 ss.
(27) F. PALAZZo, op. cit., p. 509.
RASSeGNA
AVVoCAtURA
DeLLo
StAto -N. 1/2023
dalla
recidiva
reiterata, specifica
e
infraquinquennale;
la
sentenza
del
G.U.P.,
resa
nell’ambito
del
giudizio
abbreviato,
era
stata
confermata
dalla
Corte
d’Appello,
la
quale
ha
fondato
le
proprie
statuizioni
sull’orientamento
secondo
cui
la
recidiva
reiterata
può
essere
riconosciuta
anche
quando
non
sia
stata
già
dichiarata in precedenza la recidiva semplice.
Avverso
tale
decisione,
uno
dei
due
imputati
ha
proposto
ricorso
per
Cassazione
e
ha
denunciato, tra
i
motivi, il
vizio di
motivazione
in relazione
alla
mancata
esclusione
della
recidiva,
in
quanto
la
Corte
territoriale
avrebbe
omesso ogni
valutazione
concreta
circa
la
maggiore
pericolosità
sociale
del-
l’imputato
e
si
sarebbe
limitata
alla
mera
verifica
circa
l’esistenza
di
precedenti
penali
nel
casellario giudiziale, senza
considerare
che
l’imputato non era
mai
stato
condannato
per
un
reato
aggravato
dalla
recidiva
e,
dunque,
sarebbe
stato
necessario escludere la configurabilità della recidiva reiterata.
Cass. pen., sez. V, 13 settembre
2022, n. 36738, investita
del
ricorso, ha
rimesso la
decisione
del
ricorso alle
Sezioni
Unite
affinché
chiarissero “se, ai
fini
dell’applicazione
della
recidiva
reiterata, sia
necessaria
una
sentenza, divenuta
irrevocabile
anteriormente
al
fatto
per
il
quale
si
procede,
che
abbia
condannato l’imputato per un reato aggravato dalla
recidiva”. La
Sezione
rimettente
propendeva
per un superamento dell’indirizzo maggioritario, condiviso
invece dalla Corte d’Appello.
L’orientamento
favorevole
valorizzava
l’argomento
letterale:
l’art.
99
c.p.,
nel
riferirsi
al
“recidivo
che
commette
un
altro
reato”,
utilizza
tale
espressione
per mera
comodità
espositiva
e
non intende, invece, indicare
una
qualità
giudizialmente
accertata
da
una
sentenza
precedente
e
passata
in
giudicato
(Cass.
Pen.,
Sez.
III,
20
maggio
1993,
n.
6424).
Pertanto,
il
giudice
di
cognizione
avrebbe
potuto liberamente
accertare
i
presupposti
della
recidiva
non dichiarata,
mentre
tale
valutazione
sarebbe
stata
preclusa
al
giudice
dell’esecuzione
alla luce dei principi processuali generali.
L’argomento
letterale,
a
dimostrazione
della
intrinseca
non
dimostratività
dell’argomentazione
giuridica
e
della
relatività
della
medesima,
era
tuttavia
richiamato
anche
dall’indirizzo
opposto
e
minoritario,
secondo
il
quale
proprio
la
lettera
di
cui
all’art. 99 c.p., nel
riferirsi
al
“recidivo”, intende
indicare
una
particolare
qualità
giudiziale
del
soggetto, in quanto tale
oggetto di
pronuncia
passata in giudicato (Cass. Pen., sez. II, 26 novembre 2020, n. 37063).
L’ordinanza
di
rimessione
propendeva
per il
superamento dell’indirizzo
maggioritario,
adducendo
vari
argomenti.
In
primo
luogo,
il
termine
“recidivo”
è
utilizzato
dal
c.p. per tutte
le
figure
di
recidiva
enucleate
dall’art. 99 c.p. che
precedono
il
quarto
comma
e,
dunque,
l’interpretazione
dello
stesso
dev’essere
omogenea.
In
secondo
luogo,
l’evoluzione
storica
dell’istituto
e
della
giurisprudenza
sedimentatasi
su di
esso dimostra
come, mentre
nell’impostazione
originaria
del
codice
del
1930
la
recidiva
configurava
una
questione
di
diritto,
non di
fatto, ed era
automatica
a
fronte
dell’iscrizione
del
precedente
penale
CoNteNZIoSo
NAZIoNALe
nel
casellario, oggi
l’impostazione
è
radicalmente
mutata. Autorevoli
precedenti
giurisprudenziali
quali
Corte
cost.,
14
giugno
2007,
n.
192
e,
soprattutto,
Corte
cost., 23 luglio 2015, n. 185 interpretano la
recidiva
quale
espressione
di
una
accentuata
colpevolezza
e
di
una
maggiore
pericolosità
del
reo, da
accertarsi
con
metodo
casistico
e
lungi
da
qualsiasi
automatismo,
da
cui
discende
l’incostituzionalità
dei
profili
di
obbligatorietà
desumibili
dalla
precedente
versione
del
quinto
comma
dell’art.
99
c.p.
tale
giudizio
qualificato
di
maggior
riprovevolezza, tuttavia, secondo i
giudici
rimettenti
dovrebbe
essere
consacrato
in una
sentenza
che
lo abbia
statuito irrevocabilmente
e
non dovrebbe
essere
formulato per la
prima
volta
dal
giudice
che
si
occupi
dei
presupposti
della
recidiva
reiterata
in
assenza
di
qualsiasi
dichiarazione
giudiziale
pregressa;
diversamente
opinando,
si
rischierebbe
una
regressione
alla
concezione
di
recidiva
quale
status
dominato
da
automatismi,
in
contrasto
con
l’evoluzione
di cui si è detto.
Il
Procuratore
generale
aveva
argomentato
nella
medesima
direzione
dell’ordinanza
di
rimessione, osservando come
la
recidiva
reiterata, in quanto
autonoma
circostanza
aggravante,
ove
ritenuta
in
base
ai
soli
precedenti
penali
non comprenderebbe
la
recidiva
semplice, poiché
è
diversa
la
consistenza
del
fatto
aggravato.
Inoltre,
utili
indicazioni
derivano
dal
confronto
tra
la
disciplina
della
recidiva, in cui
non è
espressamente
prevista
la
possibilità
della
valutazione
ex
post
dei
relativi
presupposti, e
l’art. 679 c.p.p. che, invece, consente
espressamente
al
giudice
di
sorveglianza
una
dichiarazione
posteriore
dell’abitualità
e
professionalità
nel
reato.
Si
potrebbe,
dunque,
applicare
il
noto
canone
interpretativo rappresentato dal
brocardo ubi
lex
voluit
dixit, ubi
noluit
tacuit.
D’altronde,
in
ottica
sistematica,
l’art.
105
c.p.
consente
la
dichiarazione
di
professionalità
anche
nei
confronti
di
chi
commetta
un altro reato trovandosi
nelle condizioni richieste per la dichiarazione di abitualità nel reato.
Le
Sezioni
Unite, nonostante
le
numerose
argomentazioni
in senso contrario,
aderiscono all’orientamento maggioritario tradizionale.
Il
ragionamento giuridico del
Giudice
di
legittimità
nella
sua
più autorevole
composizione
è
così
strutturato. Il
primo argomento fa
leva
sulla
interpretazione
letterale:
nella
formulazione
dell’art.
99,
quarto
comma,
c.p.
manca
qualsiasi
riferimento
ad
una
precedente
affermazione
giudiziaria
della
recidiva
semplice.
Le
fattispecie
del
primo
e
del
quarto
comma
sono
connotate
da
simmetria,
in quanto, a
una
prima
parte
riferita
alla
posizione
soggettiva
di
recidivanza
del
reo, segue
una
seconda
parte
rappresentativa
delle
conseguenze
giuridiche
di
questa
posizione
sul
trattamento
sanzionatorio.
Ne
deriva
che
non si
possa
intendere
la
prima
parte
del
quarto comma, ossia
il
riferimento
all’ipotesi
nella
quale
il
“recidivo
commette
un
altro
delitto
non
colposo”,
quale
comprensiva
anche
della
seconda
parte
del
primo comma, relativa
al
riconoscimento
giudiziale
della
recidiva, poiché
un tale
procedimento interpretativo
contrasterebbe con la corrispondenza simmetrica fra le due fattispecie.
RASSeGNA
AVVoCAtURA
DeLLo
StAto -N. 1/2023
In
secondo
luogo,
le
Sezioni
Unite
richiamano
l’argomento
sistematico.
Il
fatto
che
la
dichiarazione
di
professionalità
nel
reato
prescinda
dalla
necessità
di
una
preventiva
sentenza
di
condanna
che
abbia
dichiarato
l’imputato
delinquente
abituale
non
dev’essere
necessariamente
inteso
nell’ottica
suggerita
dal
Procuratore
generale;
anzi,
se
ne
può
ricavare,
in
via
induttiva,
il
principio
generale
secondo
cui
non
è
necessaria
l’espressa
pronuncia
di
una
dichiarazione
costitutiva
di
una
condizione
relativa
ai
precedenti
penali
del
reo
di
grado
inferiore
a
quella
valutata
nel
procedimento.
e,
in
quanto
principio
generale,
non
si
vede
perché
lo
stesso
non
debba
trovare
applicazione
in
tema
di
recidiva.
A
sostegno di
tale
conclusione, la
Suprema
Corte
richiama
anche
la
giurisprudenza
di
settore
in materia
di
oblazione
speciale
e
patteggiamento allargato.
La
prima,
contemplata
dall’art.
162-bis,
comma
terzo,
c.p.,
non
è
ammessa
“quando
ricorrono
i
casi
previsti
dal
terzo
capoverso
dell’art.
99”
c.p., preclusione
costantemente
intesa
dalla
giurisprudenza
di
legittimità
nel
senso
che
la
condizione
di
recidiva
reiterata
impedisca
l’accesso
all’oblazione
anche
ove
la
stessa
non sia
stata
giudizialmente
dichiarata
(Cass. Pen., Sez.
III, 17 febbraio 2017, n. 29238);
nella
stessa
direzione, in materia
di
patteggiamento
ex
art.
444,
c.
1-bis,
c.p.p.,
il
quale
risulta
allargato
a
“coloro
che
siano
stati
dichiarati
...
recidivi
ai
sensi
dell’art.
99,
quarto
comma”
c.p.,
la
giurisprudenza
ha
statuito che
non occorre
una
pregressa
dichiarazione
giudiziale
della
recidiva
(Cass. Pen., Sez. Un., 5 ottobre
2010, n. 35738). tuttavia,
chi
scrive
non
può
astenersi
dall’osservare
come
il
ragionamento
condotto
dalle
Sezioni
Unite
in commento possa
essere
discusso nella
misura
in cui
ricava,
sulla
scorta
dell’argomento
sistematico,
conclusioni
di
diritto
penale
sostanziale
muovendo da
una
giurisprudenza
consolidatasi
nel
diverso ambito
processuale e, dunque, per finalità diverse.
L’argomento decisivo deriva
dalla
natura
giuridica
dell’istituto come
interpretata
dalla
consolidata
giurisprudenza
di
legittimità.
Cass.
Pen.,
Sez.
Un.,
5 ottobre
2010, n. 35738 avevano, infatti, già
statuito che
il
giudizio sulla
recidiva,
pur
essendo
incentrato
sulla
rilevanza
dell’ultimo
delitto
commesso
rispetto
alla
valutazione
dell’accresciuta
attitudine
a
delinquere, deve
avere
ad
oggetto la
totalità
dei
reati
compresi
nella
sequenza
recidivante. tale
valutazione
deve
ritenersi
possibile anche in assenza di una precedente valutazione
concernente
la
recidiva
semplice, poiché
il
giudizio comprende
il
contributo
specifico di
tutti
i
reati
della
serie
esaminata
alla
formazione
e
al
consolidamento
della
risoluzione
criminale
del
reo,
e,
pertanto,
assorbe
necessariamente
la
valutazione
in punto di
recidiva
semplice, poiché
comprende
(anche) la
significatività
propria
del
delitto che
avrebbe
determinato la
configurabilità
di
tale
ipotesi.
Risultano,
così,
superate
le
obiezioni
del
Procuratore
generale
prima
sintetizzate, in quanto, nella
complessiva
valutazione
di
cui
sono stati
esposti
i
termini, è
incluso tanto il
presupposto formale
quanto quello sostanziale
della recidiva semplice.
CoNteNZIoSo
NAZIoNALe
Se
così
è,
non
sussiste
alcun
rischio
di
regressione
alla
concezione
della
recidiva
quale
status
del
reo
dominato
da
automatismi,
in
quanto
l’esigenza
di
valutare
la
maggiore
riprovevolezza
del
reo
può
e
deve
essere
realizzata
nel-
l’ambito
del
giudizio
complessivo
ai
fini
dell’applicazione
della
recidiva
reiterata.
A
tal
fine,
si
dovranno
valorizzare
indici
sintomatici
quali
tipologia
e
offensività
dei
reati,
omogeneità
e
collocazione
temporale
degli
stessi,
tipo
di
devianza
di
cui
siano
espressione
e
occasionalità
o
meno
dell’ultimo
delitto.
Le
Sezioni
Unite, avvalendosi
dell’argomento pragmatico, evidenziano
come
tale
impostazione
consenta
di
superare
le
rigidità
applicative
in cui
incorre
l’orientamento che
esige
indefettibilmente
la
previa
dichiarazione
giudiziale
di
recidiva
semplice
per
poter
applicare
la
recidiva
reiterata,
dichiarazione
che
potrebbe
essere
omessa
per le
contingenze
processuali
più
varie. Inoltre, la
possibile
omissione
di
tale
dichiarazione
non incide
negativamente
sul
principio di
rieducazione
del
reo, che
secondo la
tesi
avversa
non
saprebbe
come
orientare
le
proprie
condotte
in assenza
di
una
preventiva
sentenza
passata
in
giudicato,
poiché
i
presupposti
sostanziali
di
applicazione
della
recidiva
reiterata
sono
già
scolpiti
dal
codice
penale
e
conoscibili
da
tutti
i consociati.
In
definitiva,
sulla
scorta
degli
argomenti
prospettati,
le
Sezioni
Unite
non rinvengono ragioni
sufficienti
per superare
un dato letterale
e
sistematico
“chiaramente
orientato
nell’escludere
che
il
previo
accertamento
della
recidiva
semplice sia condizione per valutare l’applicabilità della recidiva reiterata”.
5. Conclusioni.
La
disamina
svolta
dimostra
come
il
nesso esistente
tra
condanna
antecedente
e
nuova
reità
rappresenti
la
vera
chiave
di
lettura
odierna
dell’istituto.
L’affermazione
dell’orientamento
secondo
cui
il
previo
accertamento
della
recidiva
semplice
non è
condizione
necessaria
per valutare
l’applicabilità
della
recidiva
reiterata
non
implica
alcun
rischio
di
regressione
alla
concezione
della
recidiva
quale
status
del
reo dominato da
automatismi, in quanto l’esigenza
di
valutare
la
maggiore
riprovevolezza
del
reo
può
e
deve
essere
realizzata
nell’ambito del
giudizio complessivo ai
fini
dell’applicazione
della
recidiva
reiterata.
Cassazione
penale, Sezioni
Unite, sentenza (ud. 30 marzo 2023) 25 luglio 2023, n. 32318
-Pres.
M. Cassano, Est. C. Zaza
-Ricorso proposto da
A.A. e
B.B. avverso la
sentenza
del
20 settembre 2021 della Corte di appello di
Ancona.
RIteNUto IN FAtto
1. Con sentenza
del
29 gennaio 2021 il
Giudice
dell’udienza
preliminare
del
tribunale
di
Ancona,
a
seguito
di
giudizio
abbreviato,
condannava
A.A.
e
B.B.
alla
pena
di
anni
due
e
mesi
otto di
reclusione
ed euro cinquecento di
multa
per il
reato di
furto di
due
blocchetti
di
RASSeGNA
AVVoCAtURA
DeLLo
StAto -N. 1/2023
assegni
e
denaro liquido, asportati
il
22 novembre
2020 dal
ristorante
“omissis”
di
omissis,
aggravato dall’essersi
introdotti
nel
locale
con violenza
sulle
cose
costituita
dall’effrazione
della
porta, dall’aver commesso il
fatto in concorso con altra
persona, e
quindi
in numero di
tre persone, e dalla recidiva reiterata, specifica ed infraquinquennale.
2. Con sentenza
del
20 settembre
2021 la
Corte
di
appello di
Ancona
confermava
la
decisione
di primo grado.
3. Avverso quest’ultima
sentenza
ricorreva
per cassazione
il
A.A. Deduceva
violazione
di
legge
e
vizio motivazionale
sull’affermazione
di
responsabilità, e
vizio motivazionale
sulla
configurabilità
delle
aggravanti, sul
diniego delle
attenuanti
generiche
e
dell’attenuante
del
danno di speciale tenuità e sulla determinazione della pena.
Con atto del 31 marzo 2022 il
A.A. dichiarava tuttavia di rinunciare al ricorso.
4. Ricorreva altresì per cassazione il B.B.
Con il
primo motivo deduceva
violazione
di
legge
e
vizio motivazionale
sul
diniego del-
l’attenuante
di
cui
all’art. 114 c.p. La
Corte
territoriale
si
era
limitata
a
richiamare
le
argomentazioni
della
sentenza
di
primo grado, riferite
ad elementi
dai
quali
emergeva
un ruolo
marginale
dell’imputato, trovato unicamente
sul
luogo del
fatto mentre
la
refurtiva
e
gli
strumenti
di
effrazione
erano rinvenuti
in possesso di
altri, e
non aveva
valutato tali
circostanze
ai fini della configurabilità della dedotta attenuante.
Con il
secondo motivo deduceva
violazione
di
legge
e
vizio motivazionale
sulla
recidiva.
L’applicazione
del
relativo aumento di
pena
non era
stata
motivata
con riguardo all’espressività
di
maggiore
pericolosità
attribuibile
alla
commissione
del
reato qui
giudicato, trascurandosi
d’altra
parte
che
l’assenza
di
una
precedente
condanna
per fatti
aggravati
dalla
recidiva
induceva
a
ritenere
che
la
stessa
fosse
stata
esclusa
in quelle
sedi. A
quest’ultimo proposito,
la
stessa
possibilità
di
ritenere
configurabile
la
contestata
recidiva
reiterata
nonostante
la
recidiva
semplice
non fosse
stata
oggetto delle
condanne
precedenti, era
stata
motivata
con la
mera
citazione
di
arresti
giurisprudenziali
in ordine
alla
possibilità
di
prescindere
da
tale
pregressa,
formale dichiarazione.
Con il
terzo motivo deduceva
violazione
di
legge
e
vizio motivazionale
sul
diniego delle
attenuanti
generiche,
motivato
con
la
mancata
indicazione
di
elementi
di
fatto
a
sostegno
della
relativa
richiesta
difensiva,
ove
invece
tale
richiesta
era
stata
argomentata
con
la
modesta
gravità
del fatto e il corretto comportamento processuale.
5.
Con
ordinanza
del
13
settembre
2022
la
Quinta
Sezione
penale
di
questa
Corte,
investita
della
decisione
sui
ricorsi, ha
rilevato, quanto alla
questione
dedotta
nella
seconda
parte
del
secondo
motivo
del
ricorso
del
B.B.,
relativa
alla
configurabilità
della
recidiva
reiterata
in
mancanza
di
una
precedente
condanna
per
fatto
aggravato
dalla
recidiva
semplice,
l’esistenza
di
un orientamento maggioritario della
giurisprudenza
di
legittimità
in tal
senso, richiamato
nella
sentenza
impugnata. Dato atto che
un parziale
distacco dal
citato orientamento si
individua
in talune
pronunce, per le
quali
è
esclusa
l’applicazione
della
recidiva
reiterata
nel
caso
in
cui
la
recidiva
semplice
non
sia
stata
in
precedenza
ritenuta
per
la
mancanza
del
presupposto
dell’anteriorità
del
passaggio in giudicato della
condanna
per il
reato precedente, la
Sezione
rimettente
ha
evidenziato che
l’indirizzo maggioritario deve
essere
superato nella
direzione
della
necessità, per la
configurabilità
della
recidiva
reiterata, di
una
precedente
sentenza
definitiva
di
condanna
per un reato aggravato dalla
recidiva. tanto in considerazione
dell’evoluzione
dello
stesso
concetto
di
recidiva
per
effetto
dei
principi
affermati
dalla
giurisprudenza
costituzionale
e
di
legittimità,
che
hanno
ridisegnato
tale
istituto
quale
non
più
corrispondente
ad uno status
soggettivo determinato solo dalla
formale
ricaduta
nel
reato, ma
come
tale
da
CoNteNZIoSo
NAZIoNALe
comprendere
anche
il
presupposto
della
significatività
nel
nuovo
reato
in
termini
di
maggiore
colpevolezza
e
più elevata
capacità
a
delinquere
e
pericolosità
dell’imputato. Questa
evoluzione
si
rivela
incompatibile
con il
mantenimento del
citato indirizzo maggioritario in tema
di
recidiva
reiterata,
ove
attribuisce
alla
qualità
di
recidivo
espressa
nell’art.
99,
comma
4,
c.p., in quanto sintesi
delle
varie
figure
dell’istituto disciplinate
dai
commi
precedenti, il
contenuto
proprio di
un soggetto nei
confronti
del
quale
non sia
unicamente
già
intervenuta
una
sentenza
di
condanna,
ma
sia
stata
altresì
valutata
la
ricorrenza
degli
elementi
anche
sostanziali
della
recidiva, ciò implicando un’affermazione
giudiziaria
della
relativa
fattispecie
aggravatrice.
Non senza
considerare
che
l’orientamento in discussione
si
risolve
nel
conferire
alla
recidiva
reiterata
connotazioni
di
obbligatorietà
e
rigido
automatismo
sanzionatorio,
delle
quali
la
Corte
costituzionale
ha
sancito
l’illegittimità
con
riguardo
alla
fattispecie
di
cui
al
successivo
comma 5.
Ritenuta
pertanto
l’esistenza
sul
punto
di
un
potenziale
contrasto
giurisprudenziale,
la
Quinta Sezione penale ha rimesso i ricorsi alla Sezioni Unite.
6.
Con
decreto
del
12
ottobre
2022
il
Presidente
aggiunto
ha
assegnato
i
ricorsi
alle
Sezioni
Unite penali, fissandone la trattazione per l’udienza odierna.
7. Il
14 marzo 2023 il
Procuratore
generale
ha
fatto pervenire
memoria
di
udienza
con la
quale
aderisce
alle
argomentazioni
dell’ordinanza
di
rimessione, indicando ulteriori
elementi
a
sostegno delle
stesse. In primo luogo, la
recidiva
reiterata, in quanto circostanza
aggravante
autonomamente
prevista, ove
ritenuta
in base
ai
soli
precedenti
penali, non comprende
la
recidiva
semplice, essendo diversa
la
consistenza
del
fatto aggravato. È
significativo, inoltre,
che
l’art. 679 c.p.p. consenta
espressamente
al
giudice
di
sorveglianza
la
valutazione
ex
post
dell’abitualità
e
della
professionalità
del
reato, e
che
la
dichiarazione
di
professionalità
nel
reato sia
prevista
dall’art. 105 c.p. anche
nei
confronti
di
chi
commetta
un altro reato trovandosi
nelle
condizioni
richieste
per la
dichiarazione
di
abitualità
del
reato, disposizioni
invece
non presenti
nella
disciplina
della
recidiva, che
di
contro la
giurisprudenza
esclude
possa
essere
ritenuta
dal
giudice
dell’esecuzione
allorchè
non
sia
stata
dichiarata
in
sede
di
cognizione.
L’applicazione
della
recidiva
reiterata, in assenza
di
una
precedente
dichiarazione
di
recidiva
semplice, priverebbe
infine
il
condannato della
possibilità
di
adeguare
le
proprie
condotte
a
tale dichiarazione, in contrasto con la funzione rieducativa della pena.
CoNSIDeRAto IN DIRItto
1.
Va
premesso,
con
riguardo
al
ricorso
proposto
da
A.A.,
che
la
sopravvenuta
rinuncia
allo
stesso comporta
l’inammissibilità
dell’impugnazione
ai
sensi
dell’art. 591, comma
1, lett. d)
c.p.p. Alla
declaratoria
di
tale
esito segue
la
condanna
al
pagamento delle
spese
processuali
e
di
una
somma
in favore
della
Cassa
delle
ammende
che, in considerazione
della
sopravvenienza
della
causa
di
inammissibilità
rispetto alla
proposizione
del
ricorso, deve
essere
determinata
in euro cinquecento.
2. La
questione
rimessa
alle
Sezioni
Unite
attiene
al
secondo motivo dedotto con il
ricorso
proposto
da
B.B.
sull’applicazione,
nei
confronti
dello
stesso,
della
recidiva
reiterata,
ed
è
formulata
nei
seguenti
termini:
“Se, ai
fini
dell’applicazione
della recidiva reiterata, sia necessaria
una precedente
dichiarazione
di
recidiva semplice
contenuta in una sentenza irrevocabile
di
condanna, ovvero sia sufficiente
che, al
momento della consumazione
del
reato,
l’imputato risulti
gravato da più condanne
definitive
per
reati
che
manifestino una sua maggiore
pericolosità sociale”.
3. L’istituto della
recidiva
è
stato interessato da
recenti
e
ripetuti
interventi
della
giurisprudenza
di
legittimità,
precipuamente
nella
sua
massima
espressione
delle
Sezioni
Unite.
È
per
RASSeGNA
AVVoCAtURA
DeLLo
StAto -N. 1/2023
tanto opportuno, prima
di
affrontare
la
questione
rimessa, verificare
come
la
recidiva
sia
attualmente
configurata nel diritto vivente all’esito di tali interventi.
Questi
ultimi
hanno in particolare
toccato tre
passaggi
dell’applicazione
della
fattispecie:
la
contestazione
della
stessa;
la
verifica
della
sussistenza
dei
suoi
presupposti;
gli
effetti
che
derivano dalle modalità applicative della recidiva.
Deve
essere
immediatamente
sottolineato che
i
principi
formulati
con riguardo al
primo
ed
al
terzo
di
detti
passaggi
dipendono
in
misura
determinante
dalla
indiscussa
qualificazione
della
recidiva
come
circostanza
aggravante
inerente
alla
persona
del
colpevole, già
oggetto
di
risalenti
affermazioni
giurisprudenziali
(Sez.
U,
n.
3152
del
31/01/1987,
Paolini,
Rv.
175354;
Sez. U, n. 1 del
27/05/1961, Papò, Rv. 098479), e
successivamente
ribadita
con specifico
riferimento alla
sua
ulteriore
definizione
quale
aggravante
ad effetto speciale
nelle
ipotesi,
previste
dai
commi
successivi
al
primo dell’art. 99 c.p., che
comportano un aumento di
pena
superiore
al
terzo
(oltre
a
Sez.
U,
n.
20798
del
24/02/2011,
Indelicato,
Rv.
249664,
e
Sez.
U,
n.
35738
del
27/05/2010,
Calibè,
Rv.
247838,
di
cui
si
avrà
modo
di
trattare
di
seguito
per altri
aspetti, si
vedano anche
Sez. U, n. 30046 del
23/06/2022, Cirelli, Rv. 283328, e
Sez.
U, n. 3585 del 24/09/2020, dep. 2021, Li
trenta, Rv. 280262).
3.1. Venendo in primo luogo al
momento processuale
della
contestazione, dall’operatività
della
recidiva
quale
circostanza
aggravante
è
stata
tratta, segnatamente
nella
sentenza
Calibè,
la
conseguenza
della
possibilità
di
ritenere
la
stessa
in sede
giudiziale
solamente
in quanto
specificamente
contestata
all’imputato,
a
garanzia
della
formazione
del
contraddittorio
sul
punto.
Il
principio della
obbligatoria
contestazione
della
recidiva
è
stato successivamente
riaffermato
dalla
giurisprudenza
di
legittimità
nelle
sue
implicazioni
relative
alle
modalità
necessarie
e sufficienti di tale contestazione in talune particolari situazioni.
In presenza
di
una
pluralità
di
imputazioni, in primo luogo, si
è
individuata
una
di
tali
implicazioni
nella
necessità
che
la
circostanza
sia
oggetto di
contestazione
con puntuale
riferimento
a
ciascuno dei
reati
(Sez. 3, n. 51070 del
07/06/2017, Ndiaye, Rv. 271880;
Sez. 6, n.
5075 del
09/012/2014, Crucitti, Rv. 258046). D’altra
parte, la
testuale
contestazione
in calce
alla
serie
delle
imputazioni
è
stata
considerata
sufficiente
per
intendere
la
recidiva
come
riferita
a
ciascuna
di
esse, ove
non si
tratti
di
reati
di
diversa
indole
ovvero commessi
in date
diverse
(Sez. 2, n. 22966 del
09/03/2021, Virgilio, Rv. 281456;
Sez. 2, n. 56688 del
13/12/2017, Bel-
castro, Rv. 272146).
In ordine
invece
al
rapporto fra
le
modalità
della
contestazione
e
le
diverse
ipotesi
di
recidiva
previste
dall’art.
99
c.p.,
si
è
ritenuta
necessaria
la
specificazione
nell’imputazione
di
quale
di
dette
ipotesi
sia
addebitata
(Sez. 5, n. 50510 del
20/09/2018, La
Cava, Rv. 274446),
rilevandosi
consequenzialmente
che
la
mera
qualificazione
della
recidiva
contestata
come
“ex
art. 99 c.p.”, proprio in quanto priva
di
ulteriori
precisazioni, non possa
intendersi
che
riferita
alla
recidiva
semplice
(Sez. 3, n. 43795 del
01/12/2016, dep. 2017, Kirov, Rv. 270843;
Sez.
2, n. 5663 del
20/11/2012, dep. 2013, Alexa, Rv. 254692). Di
contro, nella
stessa
sentenza
La
Cava
è
stata
considerata
sufficiente
l’indicazione
della
fattispecie
normativa
corrispondente
all’ipotesi
di
recidiva
contestata,
escludendosi
che
tale
indicazione
debba
essere
corredata
dalla descrizione degli elementi sui quali l’ipotesi è in concreto fondata.
3.2.
La
qualificazione
della
recidiva
come
circostanza
aggravante
è
anche
alla
base
di
alcuni
principi affermati dalle Sezioni Unite sugli effetti delle modalità applicative della recidiva.
L’identificazione
della
natura
circostanziale
della
recidiva
ha
condotto infatti
ad estendere
ad
essa
il
principio
generale
per
il
quale
una
circostanza
aggravante
deve
ritenersi
riconosciuta
CoNteNZIoSo
NAZIoNALe
ed applicata
non solo quando essa
si
traduce
nei
tipici
effetti
di
aggravamento della
pena, ma
anche
allorchè
la
stessa
venga
fatta
confluire
nel
giudizio di
comparazione
con circostanze
attenuanti
ai
sensi
dell’art. 69 c.p., con il
diverso risultato, ove
detto giudizio abbia
esito nel
senso dell’equivalenza
fra
le
circostanze, di
neutralizzare
l’incidenza
di
queste
ultime
sulla
determinazione
della
pena
(Sez.
U,
n.
17
del
18/06/1991,
Grassi,
Rv.
187856).
Gli
effetti
anche
indiretti, che
l’ordinamento ricollega
al
riconoscimento della
recidiva, sono stati
conseguentemente
ritenuti
operanti
anche
nel
caso in cui
la
stessa
sia
valutata
come
equivalente
ad una
o
più
circostanze
attenuanti,
inibendone
la
funzione
di
mitigazione
della
pena
(Sez.
U,
n.
20798 del
24/02/2011, Indelicato, Rv. 249664;
Sez. U, n. 35738 del
27/05/2010, Calibè, Rv.
247838).
Di
contro, e
coerentemente, la
produzione
degli
effetti
della
recidiva, siano essi
diretti
o
indiretti, è
stata
esclusa
nel
caso in cui
la
circostanza
sia
invece
ritenuta
subvalente
nel
bilanciamento
con le
attenuanti, al
di
fuori
dei
casi
nei
quali
sia
espressamente
prevista
dalla
legge
la
rilevanza
della
recidiva
a
prescindere
dal
risultato del
giudizio di
bilanciamento;
e
ciò proprio
in quanto in tal
caso la
funzione
delle
concorrenti
circostanze
attenuanti
nella
determinazione
della
pena
ha
modo
di
esplicarsi
nella
sua
pienezza
(Sez.
U,
n.
20808
del
25/10/2018,
dep. 2019, Schettino, Rv. 275319).
Con la
stessa
sentenza
Schettino, il
principio ha
trovato concreta
applicazione
nel
riconoscimento
degli
effetti
della
recidiva
sulla
quantificazione
del
termine
di
prescrizione
del
reato
anche
ove
la
stessa
sia
ritenuta
equivalente
alle
attenuanti, escludendosi
correlativamente
che
tali
effetti
si
realizzino
ove
la
recidiva
non
sia
stata
valorizzata
nella
determinazione
della
pena
e
neppure
quale
componente
del
giudizio di
comparazione, anche
nel
caso in cui
i
precedenti
penali
dell’imputato siano stati
valutati
ai
fini
del
diniego delle
attenuanti
generiche.
Altra
implicazione
dello stesso criterio era
stata
in precedenza
ravvisata
ritenendo operativa
la
previsione
del
limite
minimo di
un terzo nell’aumento per la
continuazione, di
cui
all’art.
81, comma
4, c.p., ove
ricorra
l’ipotesi
di
recidiva
prevista
dall’art. 99, comma
4, c.p., anche
nel
caso in cui
detta
ipotesi
circostanziale
sia
considerata
equivalente
alle
attenuanti
(Sez. U,
n. 31669 del 23/06/2016, Filosofi, Rv. 267044).
Un’ulteriore
riproposizione
del
principio
si
ritrova
nella
pronuncia
(Sez.
U,
n.
3585
del
24/09/2020, dep. 2021, Li
trenta, Rv. 280262) che
ha
posto peraltro in evidenza
una
particolare
implicazione
della
qualificazione
come
circostanze
aggravanti
ad effetto speciale
delle
ipotesi
di
recidiva,
previste
dai
commi
secondo,
terzo
e
quarto
dell’art.
99
c.p.,
sul
piano
degli
effetti
dell’applicazione
della
fattispecie.
La
previsione
dell’art.
649-bis
c.p.
sulla
procedibilità
d’ufficio dei
reati
di
cui
ai
precedenti
artt. 640, comma
3, 640-ter, comma
4, e
646 c.p. -nelle
ipotesi
aggravate
previste
dal
comma
2 di
detto articolo e
dall’art. 61, comma
1, n. 11 c.p. ove
ricorrano
circostanze
ad
effetto
speciale,
è
stata
infatti
ritenuta
in
quella
sede
tale
da
comprendere
anche il caso in cui il reato sia aggravato per l’appunto dalla recidiva qualificata.
4. L’intervento giurisprudenziale
sull’ulteriore
passaggio applicativo della
recidiva, costituito
dalla
verifica
dei
suoi
presupposti, si
è
invece
sviluppato dalla
previsione
legislativa
di
facoltatività
delle
conseguenze
direttamente
sanzionatorie
della
fattispecie,
arricchendo
di
elementi
aggiuntivi
l’ambito dei
requisiti
di
configurabilità
della
fattispecie, rispetto a
quelli
che risultano già evidenti dal testo normativo.
4.1. L’art. 99 c.p., in effetti, delinea
espressamente
i
presupposti
per la
ravvisabilità
della
recidiva
in una
serie
di
condizioni
progressivamente
riferite, nelle
varie
ipotesi, ai
precedenti
penali dell’imputato.
Per l’ipotesi
della
recidiva
semplice, in particolare, il
comma
1 dell’articolo richiede
uni
RASSeGNA
AVVoCAtURA
DeLLo
StAto -N. 1/2023
camente
una
precedente
condanna
per un delitto non colposo, come
quello per la
cui
commissione
è
attualmente
giudicato;
per
quella
della
recidiva
aggravata,
il
comma
2
prevede
che
il
nuovo delitto sia
della
stessa
indole
di
quello precedente, ovvero che
sia
commesso entro i
cinque
anni
dalla
condanna
precedente
oppure
durante
o
dopo
l’esecuzione
della
pena,
ovvero
ancora
nel
tempo
in
cui
il
condannato
si
è
sottratto
volontariamente
all’esecuzione
della
pena;
l’ipotesi
della
recidiva
pluriaggravata
è
ravvisabile, in base
al
comma
3, nel
concorso di
più
circostanze
fra
quelle
descritte
al
comma
2;
per l’ipotesi
della
recidiva
reiterata
è
richiesta
la
commissione
di
un
ulteriore
delitto
da
parte
del
soggetto
già
recidivo,
secondo
quanto
previsto
dai commi precedenti.
Le
conseguenze
di
tali
diverse
ipotesi
sulla
determinazione
della
pena
da
infliggere
per il
nuovo delitto, nella
testuale
previsione
normativa
come
riformulata
dall’art. 4 L. 5 dicembre
2005, n. 251, sono indicate
disponendo che
il
recidivo semplice
“può essere
sottoposto ad un
aumento di
un terzo della
pena”;
per il
recidivo aggravato “la
pena
può essere
aumentata
fino
alla
metà”;
per il
recidivo pluriaggravato “l’aumento di
pena
è
della
metà”;
e
per il
recidivo
reiterato
“l’aumento
è
della
metà
e,
nei
casi
previsti
dal
comma
2,
è
di
due
terzi”.
Un
ulteriore
livello
di
aggravamento
sanzionatorio
era
previsto
dal
comma
5
dell’articolo
in
commento
con la
previsione
di
obbligatorietà
dell’aumento di
pena
per la
recidiva, in presenza
di
uno
dei
delitti
indicati
dall’art. 407, comma
2, lett. a)
c.p.p. (nel
senso, come
chiarito in sede
giurisprudenziale,
che
il
nuovo
delitto
commesso
appartenga
a
tale
categoria,
essendo
irrilevante
che
abbia
o meno questa
natura
il
delitto precedente, v. Sez. U, n. 20798 del
24/02/2011, Indelicato,
cit.;
Sez. 2, n. 8076 del
21/11/2012, dep. 2013, Consolo, Rv. 254534), e
con la
fissazione
del
limite
minimo di
tale
aumento, in caso di
recidiva
aggravata, nella
misura
di
un
terzo. La
sopravvenuta
declaratoria
di
illegittimità
costituzionale
del
comma
5 citato, nella
parte
in cui
prevedeva
l’obbligatorietà
dell’aumento di
pena
nella
situazione
indicata
(Corte
Cost., sent. n. 185 del
2015), rende
tuttora
vigente
solo la
descritta
predeterminazione
della
misura minima dell’aumento.
Quanto appena
rammentato, con particolare
riguardo alle
modulazioni
della
risposta
sanzionatoria
in relazione
alle
varie
ipotesi
di
recidiva, rende
evidente
che
l’aumento di
pena
è
facoltativo
nei
casi
di
recidiva
semplice
e
di
recidiva
aggravata,
alla
luce
della
presenza,
nelle
corrispondenti
fattispecie
normative,
delle
espressioni
“può
essere
sottoposto
ad
un
aumento”
o “può essere
aumentata”. Neppure
può porsi
in dubbio, però, che
analoga
facoltatività
contraddistingua
le
ulteriori
ipotesi,
per
il
solo
fatto
che,
a
proposito
delle
stesse,
la
norma
si
esprima
nei
termini
tassativi
“l’aumento
è”.
Le
proposte
questioni
di
illegittimità
costituzionale
dell’art. 69, comma
4, c.p.p., nella
parte
in cui
stabilisce
fra
l’altro il
divieto di
prevalenza
delle
circostanze
attenuanti
sull’aggravante
della
recidiva
reiterata,
sono
state
infatti
dichiarate
inammissibili
(Corte
Cost., sent. n. 192 del
2007) in quanto ritenute
implicitamente
fondate
sul
presupposto della
obbligatorietà
dell’applicazione
della
recidiva
reiterata, in presenza
dei
soli
requisiti
attinenti
ai
precedenti
penali,
trascurando
il
diverso
orientamento
della
giurisprudenza
di
legittimità,
già
espresso
in
alcune
pronunce
all’epoca
della
decisione
della
Corte
costituzionale. Secondo tale
indirizzo (fra
le
altre
Sez. 6, n. 37169 del
17/09/2008, orlando,
Rv.
241192;
Sez.
5,
n.
40446
del
25/09/2007,
Mura,
Rv.
237273;
Sez.
2,
n.
32876
del
04/07/2007, Doro, Rv. 237144;
Sez. 4, n. 39134 del
28/06/2007, Mazzitta, Rv. 237271;
Sez.
4,
n.
26412
del
19/04/2007,
Meradi,
Rv.
236835),
la
formulazione
letteralmente
tassativa
sul-
l’aumento di
pena
nella
disposizione
relativa
alla
recidiva
reiterata
-con argomentazione
da
intendersi
evidentemente
valida
anche
per
l’ipotesi
della
recidiva
pluriaggravata
-deve
invero
essere
intesa
nel
suo diretto ed esclusivo riferimento alla
determinazione
di
tale
aumento, e
CoNteNZIoSo
NAZIoNALe
non estesa
anche
all’applicazione
o meno dello stesso, che
rimane
affidata
alla
decisione
facoltativa
del
giudice;
significato
rimarcato
in
tal
senso
dalla
ben
diversa
formulazione
del
comma
5
dell’art.
99
c.p.,
all’epoca
vigente
prima
della
menzionata
declaratoria
di
illegittimità
costituzionale
del
2015, esplicitamente
enunciata
in termini
di
obbligatorietà
dell’aumento in
quella particolare ipotesi.
4.2. La
citata
sentenza
della
Corte
costituzionale
del
2007, tuttavia, non ha
limitato il
suo
contenuto
motivazionale
ad
una
decisione
sostanzialmente
adesiva
all’orientamento
della
giurisprudenza
di
legittimità
sulla
facoltatività
dell’aumento di
pena
nelle
fattispecie
di
recidiva
aggravata
e
reiterata. La
stessa
Corte
ha, infatti, indicato il
criterio valutativo per l’esercizio
di
tale
facoltatività,
precisandone
i
contorni
nella
significatività
del
nuovo
fatto
delittuoso,
commesso dopo una
o più precedenti
condanne, sotto il
profilo della
più accentuata
colpevolezza
e della maggiore pericolosità del reo.
Si
tratta, in realtà, di
una
indicazione
anch’essa
già
presente
nella
giurisprudenza
di
legittimità
coeva
alla
decisione
del
giudice
delle
leggi
(Sez.
4,
n.
16750
del
11/04/2007,
Serra,
Rv.
236412),
e
successivamente
ribadita
in
altre
pronunce
affermative
del
carattere
facoltativo
dell’applicazione
della
recidiva
(Sez. 5, n. 22871 del
15/05/2009, Held, Rv. 244209;
Sez. 3,
n.
45065
del
25/09/2008,
Pellegrino,
Rv.
241779;
Sez.
2,
n.
19557
del
19/03/2008,
Rv.
240404,
Buccheri). Il
riferimento metodologico alla
valutazione
del
nuovo delitto in termini
di
maggiore
colpevolezza
e
pericolosità
si
è
tuttavia
consolidato nelle
successive
decisioni
delle
Sezioni
Unite
che
hanno recepito tale
principio nella
risoluzione
delle
questioni
rispettivamente
rimesse
(Sez. U, n. 20808 del
25/10/2018, dep. 2019, Schettino, in tema
di
necessità, perchè
la
recidiva
possa
ritenersi
riconosciuta,
dell’effettivo
aumento
della
pena
in
relazione
alla
stessa
o della
sua
confluenza
nel
giudizio di
comparazione
fra
circostanze
concorrenti
eterogenee;
Sez. U, n. 20798 del
24/02/2011, Indelicato, in tema
di
qualificazione
della
recidiva
aggravata
e
reiterata
come
circostanza
ad effetto speciale
e
delle
relative
conseguenze
in caso
di
concorso della
stessa
con altre
aggravanti
dello stesso tipo;
Sez. U, 35738 del
27/05/2010,
Calibè, in tema di obbligatorietà della contestazione della recidiva).
Nella
sentenza
Indelicato, in particolare, sono stati
posti
in evidenza
gli
aspetti
sistematici
della
specificazione
dei
requisiti
di
maggiore
colpevolezza
e
pericolosità, quali
fondamenti
per le
valutazioni
giudiziali
sull’esercizio della
facoltà
di
aumento di
pena
per effetto della
recidiva, sia sotto il profilo strutturale che per quello funzionale.
tale
specificazione
attribuisce
in primo luogo ai
requisiti
indicati
la
natura
di
veri
e
propri
presupposti
per l’applicazione
di
tale
aumento. Nella
struttura
della
recidiva, in altre
parole,
al
presupposto formale
costituito dalla
precedente
condanna
si
aggiunge
un presupposto sostanziale
individuato per l’appunto nella
maggiore
colpevolezza
e
pericolosità, in quanto implicitamente
previsto,
accanto
a
quelli
espressamente
descritti
dall’art.
99
c.p.,
nella
disposizione
di
facoltativo aggravamento della
pena
a
seguito dell’accertamento di
tali
condizioni.
Sempre
sul
piano strutturale
e
descrittivo, inoltre, e
in conseguenza
diretta
di
questo ampliata
visuale
sui
presupposti
della
recidiva, la
stessa
non può essere
considerata
unicamente
come
espressione
di
uno
status
soggettivo
del
reo,
delineato
dai
suoi
precedenti
penali.
La
necessità
del
presupposto
sostanziale
di
maggiore
colpevolezza
e
pericolosità,
del
quale
il
nuovo delitto sia
sintomatico, collega
invece
la
recidiva
anche
ad un dato fattuale, ossia
tale
nuovo delitto nelle sue oggettive caratteristiche.
Sotto
il
profilo
funzionale,
infine,
coerentemente
con
la
sua
natura
circostanziale,
la
recidiva
opera
in questa
prospettiva
come
adeguamento della
risposta
sanzionatoria
alla
effettiva
gra
RASSeGNA
AVVoCAtURA
DeLLo
StAto -N. 1/2023
vità
del
nuovo delitto. La
peculiarità
di
questa
funzione
è
nella
necessità
che
tale
gravità
sia
valutata
nella
sua
relazione
con
i
precedenti
reati
commessi,
qualificata
alla
luce
dell’incidenza
nell’incremento della colpevolezza e della pericolosità del soggetto.
5.
Il
presupposto
sostanziale
della
recidiva,
come
appena
ricostruito,
pone
alcune
questioni
definitorie e, di conseguenza, anche operative.
5.1.
Un
primo
ordine
di
questioni
attiene
ai
rapporti
fra
le
valutazioni
di
profili
diversi
quali, da
un lato, la
colpevolezza
e
la
pericolosità, e, dall’altro, la
personalità
del
reo, emergente
dalle condanne precedenti, e la gravità del nuovo delitto.
L’aspetto
segnatamente
definitorio
concerne,
in
questa
prospettiva,
le
stesse
nozioni
di
colpevolezza
e di pericolosità da considerarsi nel giudizio sulla recidiva.
Una
prima
indicazione
in
questo
senso,
con
particolare
riguardo
alla
colpevolezza,
si
ritrova
già
in
una
delle
decisioni
di
legittimità
che
collegavano
l’esercizio
della
facoltatività,
nell’aumento
di
pena
per la
recidiva, al
dato della
maggiore
colpevolezza
e
pericolosità, nei
tempi
immediatamente
successivi
alla
pronuncia
della
citata
sentenza
della
Corte
costituzionale
del
2007 (Sez. 4, n. 21523 del
23/04/2009, Pinna, Rv. 244010). Si
è
infatti
osservato in quella
occasione
che
la
valutazione
di
significatività
del
nuovo
delitto,
nell’ambito
della
reiterazione
dei
reati, si
risolve
nello stabilire
se
e
quanto tale
delitto esprima
una
maggiore
rimproverabilità,
in quanto dimostrativo di
un atteggiamento di
indifferenza
verso la
legge, dell’assenza
di
un ripensamento critico a
seguito delle
precedenti
condanne
e, in conclusione, di
una
risoluzione
criminosa
più consapevole
e
determinata. La
maggiore
dimensione
di
colpevolezza,
ravvisabile
nel
nuovo delitto, viene
rappresentata
in sostanza
nella
sua
espressività, ove
rapportata
ai
delitti
oggetto delle
precedenti
condanne, della
resistenza
del
reo all’effetto dissuasivo
derivante
dalla
revisione
del
proprio vissuto criminale
in conseguenza
di
tali
condanne,
e del conseguente rafforzamento della propria determinazione delittuosa.
Questa
visione
è
stata
delineata
con maggiore
chiarezza
e
completezza
dalle
Sezioni
Unite
con la
più volte
menzionata
sentenza
Indelicato. Qui
l’elemento centrale, nella
valutazione
sull’applicazione
dell’aumento di
pena
per la
recidiva, è
stato individuato nella
maggiore
attitudine
a
delinquere
del
reo, in quanto aspetto comune
sia
alla
colpevolezza
che
alla
capacità
di
realizzazione
di
nuovi
reati. La
colpevolezza, in questa
prospettiva, rileva
ai
fini
della
recidiva
nella
sua
accezione
di
consolidamento della
determinazione
delittuosa
pur a
fronte
del
monito delle
precedenti
condanne, corrispondente
a
quella
proposta
con la
suddetta
sentenza
Pinna. tale
nozione, tuttavia, viene
sviluppata
in una
sua
inevitabile
risultante, ossia
la
maggiore
attitudine
a
delinquere, che
sotto questo profilo costituisce
una
componente
della
colpevolezza.
Questa
componente,
per
altro
verso,
si
traduce
a
sua
volta
in
una
incrementata
capacità
delinquenziale, che
in questo senso costituisce
la
forma
espressiva
della
pericolosità
determinante nel giudizio sulla recidiva.
Questa
ricostruzione
implica
che, se
alla
colpevolezza
ed alla
pericolosità
si
attribuiscono
in concreto le
forme
appena
rispettivamente
descritte, le
stesse
sono oggetto non di
distinte
valutazioni
ai
fini
della
recidiva, ma
di
una
valutazione
unitaria
e
consequenziale, nel
senso
che
dall’accertamento di
una
maggiore
colpevolezza, in quanto costituita
dal
rafforzamento
della
determinazione
criminosa, deriva
quello di
una
pericolosità
costituita
dalla
potenzialità
di commissione di altri reati.
In tal
modo si
chiariscono non solo i
rapporti
fra
le
due
componenti
del
fondamento sostanziale
della
recidiva, nel
segno di
una
valutazione
che
le
investe
entrambe
unitariamente,
ma
anche
quelli
che
intercorrono in questo contesto fra
i
precedenti
del
reo e
il
nuovo delitto.
La
valutazione
dell’attitudine
a
delinquere, invero, da
un lato consente
alla
recidiva
di
svol
CoNteNZIoSo
NAZIoNALe
gere, quale
circostanza
aggravante, la
propria
funzione
di
adeguamento dell’entità
della
risposta
punitiva
al
nuovo
delitto.
Dall’altro
collega
quest’ultimo
reato
ai
fatti
oggetto
delle
condanne
precedenti, in quanto è
in relazione
a
tali
fatti
ad essere
esaminata
l’incidenza
del-
l’ultima
ricaduta
nel
crimine
nel
contrassegnare
l’ulteriore
incremento dell’attitudine
a
delinquere,
incremento che giustifica la risposta sanzionatoria di cui sopra.
5.2. Se
il
giudizio sulla
sussistenza
del
presupposto sostanziale
della
recidiva
si
incentra
nella
valutazione
sulla
maggiore
attitudine
a
delinquere
del
reo, lo stesso non può evidentemente
ridursi
alla
mera
constatazione
della
commissione
di
un nuovo delitto da
parte
del
soggetto
già
condannato. È
necessario, di
contro, un esame
del
percorso criminale
del
reo e
della
significatività
del
nuovo delitto, nell’ambito di
tale
percorso, in termini
di
rafforzamento del-
l’attitudine
a
delinquere. tanto non può prescindere
dal
riferimento a
parametri
di
commisurazione
relativi sia ai precedenti che al nuovo delitto.
Di
siffatti
parametri
aveva
già
fatto cenno la
Corte
costituzionale
(Corte
Cost., sent. n. 192
del
2007), indicandoli, oltre
che
nel
generale
riferimento agli
elementi
previsti
dall’art. 133
c.p., anche
e
più specificamente
nella
natura
e
nel
tempo di
commissione
dei
reati
precedentemente
commessi.
Una
più articolata
definizione
dei
criteri
in discussione
è
stata
tuttavia
formulata
dalla
Sezioni
Unite
(Sez. U, n. 35738 del
27/05/2010, Calibè, Rv. 247838), sia
nella
specificazione
degli elementi di cui sopra che nell’apertura ad altri parametri.
Quanto al
primo aspetto, il
riferimento alla
natura
dei
reati
è
stato precisato in alcuni
dati
riguardanti
i
singoli
illeciti, come
la
qualità
delle
condotte
ed il
loro grado di
offensività, e
in
altri
attinenti
alla
visione
complessiva
dei
reati,
quali
il
tipo
di
devianza
di
cui
essi
sono
il
segno
ed
il
loro
livello
di
omogeneità.
L’oggetto
del
richiamo
al
tempo
della
commissione
dei reati è stato invece focalizzato nella distanza temporale intercorrente fra gli stessi.
Per
altro
verso,
la
sentenza
Calibè
ha
posto
l’accento,
quanto
in
particolare
al
nuovo
delitto
commesso, sull’importanza
di
valutare
l’eventuale
occasionalità
della
ricaduta
nel
crimine. È
in primo luogo da
questo punto di
vista, invero, che
deve
essere
considerata
l’incidenza
di
tale delitto nel rafforzamento dell’attitudine a delinquere.
La
stessa
decisione
ha
peraltro
escluso
che
la
suddetta
elencazione
abbia
carattere
tassativo
ed
esclusivo,
rimanendo
possibile
individuare
nella
realtà
concreta
ulteriori
elementi
significativi.
Quello
che
occorre
sottolineare,
e
che
si
rivelerà
utile
per
quanto
si
dirà
in
seguito,
è
quanto
in
questa
pronuncia
delle
Sezioni
Unite
emerge
sulla
necessità
di
una
valutazione
che,
pur
mirata
all’incidenza
dell’ultimo delitto sull’attitudine
a
delinquere
del
reo, prenda
in esame
in questa
prospettiva
l’interezza
dei
reati
compresi
nella
sequenza
recidivante. L’obiettivo finale
dell’accertamento, in altre
parole, è
senza
dubbio la
significatività
dell’ultimo episodio
della
serie
per la
risposta
sanzionatoria
prevista
dall’art. 99 c.p.;
ma
il
metodo di
tale
accertamento
non può che guardare al complesso della serie criminale.
6. Venendo ora
all’esame
dello specifico quesito proposto alle
Sezioni
Unite, va
premesso
che
l’ordinanza
di
rimessione
assume
una
posizione
critica
rispetto ad un orientamento della
giurisprudenza
di
legittimità
che
segnala
come
maggioritario,
ma
che
in
realtà
è
pressochè
costante e risalente.
6.1. Secondo tale
orientamento, la
configurabilità
della
recidiva
reiterata
non presuppone
la
dichiarazione
della
recidiva
semplice
in
una
delle
precedenti
sentenze
di
condanna,
essendo
sufficiente
a
tal
fine
che, al
momento della
commissione
dell’ultimo delitto, il
reo risulti
gravato
da
più condanne
definitive
per reati
che, valutati
unitamente
all’ultimo, manifestino la
sua
maggiore
attitudine
criminosa
(fra
le
altre,
Sez.
2,
n.
35159
del
01/07/2022,
Lodi,
Rv.
RASSeGNA
AVVoCAtURA
DeLLo
StAto -N. 1/2023
283848;
Sez.
2,
n.
15591
del
24/03/2021,
Di
Maio,
Rv.
281229;
Sez.
2,
n.
21451
del
05/03/2019, Gasmì, Rv. 275816;
Sez. 5, n. 47072 del
13/06/2014, Hoxha, Rv. 261308;
Sez.
2, n. 18701 del
07/05/2010, Arullani, Rv. 247089;
Sez. 5, n. 41288 del
25/09/2008, Moccia,
Rv.
241598;
Sez.
3,
n.
7864
del
20/12/1974,
dep.
1975,
Arrighini,
Rv.
130566;
Sez.
4,
n.
2957
del
11/11/1974, dep. 1975, Bongi, Rv. 129565;
Sez. 4, n. 4010 del
20/09/1971, Marotta, Rv.
119454;
Sez. 5, n. 1192 del
12/10/1967, dep. 1968, Di
Pierro, Rv. 106912, oltre
alle
recenti
e
non
massimate
Sez.
5,
n.
26170
del
22/04/2022,
Nikolic;
Sez.
6,
n.
11522
del
02/02/2022,
D’Ignoti; Sez. 6, n. 4448 del 27/01/2022, Ahmed; Sez. 2, n. 21770 del 19/02/2021, Ranalli).
Questa
linea
interpretativa
è
motivata
essenzialmente
in
base
al
dato
letterale.
L’art.
99,
comma
4, c.p., nel
prevedere
l’ipotesi
della
recidiva
reiterata, non fa
alcun riferimento ad una
precedente
dichiarazione
della
recidiva
semplice. Come
poi
si
sottolinea
particolarmente
in
alcune
pronunce
(Sez. 1, n. 24023 del
06/05/2003, Andreucci, Rv. 225233;
Sez. 3, n. 6424
del
25/06/1993, Mighetto, Rv. 195127), un siffatto richiamo non può essere
tratto dalla
mera
indicazione
come
“recidivo”
dei
soggetto
che,
ove
commetta
altro
delitto,
è
sottoposto
all’aumento
di
pena
proprio
della
fattispecie
recidivante
in
esame.
Il
termine,
secondo
questa
lettura,
non sottintende
la
costituzione
di
uno stato di
recidivanza
per effetto di
una
precedente
dichiarazione
giudiziale
in
tal
senso.
esso,
al
contrario,
è
utilizzato
dal
legislatore,
per
comodità
espositiva,
quale
mera
espressione
di
sintesi
che
consente
di
non
riproporre
testualmente
e
per esteso la
disposizione
del
comma
1 dell’articolo sul
presupposto formale
della
recidiva
semplice, ossia la precedente condanna per un delitto non colposo.
6.2. Nell’ordinanza
di
rimessione
si
richiama, indicandolo come
parzialmente
divergente
da
quello appena
esposto, un indirizzo giurisprudenziale
che
tuttavia
si
discosta
da
quest’ultimo
per un aspetto marginale, e
non ne
mette
in discussione
l’essenzialità
del
principio generale
affermato
nella
possibilità
di
ritenere
la
recidiva
reiterata
anche
in
mancanza
di
una
previa
dichiarazione
della
recidiva
semplice. Il
riferimento è
alle
decisioni
che, in contrasto
con talune
di
quelle
citate
in precedenza, in particolare
le
sentenze
Lodi
e
Di
Maio, secondo
le
quali
la
recidiva
reiterata
può essere
ritenuta
anche
ove
nei
procedimenti
precedentemente
definiti
non
sussistano
le
condizioni
astratte
per
la
dichiarazione
della
recidiva
semplice,
hanno
di
contro affermato la
necessità
che, all’epoca
della
commissione
del
reato oggetto della
seconda
condanna
precedente, si
sia
realizzata
la
condizione
del
passaggio in giudicato della
prima
condanna
(Sez.
1,
n.
49567
del
02/11/2022,
Panico,
non
mass.;
Sez.
3,
n.
27450
del
29/04/2022, D’Aguì, Rv. 283351;
Sez. 3, n. 2519 del
14/12/2021, dep. 2022, Pistocchi, Rv.
282707;
Sez. 2, n. 37063 del
26/11/2020, Kassimi, Rv. 280436). Si
tratta, all’evidenza, di
decisioni
dipendenti
dalla
particolarità
del
caso,
nel
quale
in
precedenza
difettava
una
condizione
formale
per
la
configurabilità
della
recidiva
semplice;
decisioni,
pertanto,
non
incidenti
significativamente
sulla
generalità
dell’affermazione
della
giurisprudenza
in ordine
alla
mancanza,
fra
le
condizioni
per
la
ravvisabilità
della
recidiva
reiterata,
della
pregressa
dichiarazione
della
recidiva
semplice.
È
significativo
in
tal
senso,
del
resto,
che
nella
sentenza
Panico, poc’anzi
citata, la
constatazione
del
mancato passaggio in giudicato della
prima
condanna
al
momento
della
commissione
del
secondo
reato
sia
stata
considerata
pregiudizialmente
quale
fatto
che
rendeva
superfluo
affrontare
la
questione,
in
quella
sede
proposta,
della
necessità in tutti i casi di una previa dichiarazione della recidiva semplice.
tale
questione, in realtà, è
rimessa
alle
Sezioni
Unite
non tanto per l’esistenza
di
un effettivo
contrasto
giurisprudenziale
sul
punto,
quanto
per
la
ravvisabilità
di
un
contrasto
potenziale
dell’attuale
orientamento,
in
tema
di
irrilevanza
della
pregressa
dichiarazione
di
recidiva
semplice
per la
rilevabilità
della
recidiva
reiterata, con l’evoluzione
giurisprudenziale
ricostruita
CoNteNZIoSo
NAZIoNALe
in
precedenza
in
ordine
alla
sussistenza
di
un
presupposto
sostanziale
della
recidiva,
costituito
dalla significatività dell’ultimo delitto commesso in termini di accresciuta attitudine a delinquere
del reo. ed è in questa prospettiva che la questione deve essere discussa.
7.
occorre
considerare
innanzitutto
l’argomento
di
carattere
letterale
richiamato
quale
fondamento
dell’interpretazione
fin qui
sostenuta
dalla
giurisprudenza
di
legittimità
sulla
questione
in discussione.
7.1.
tale
argomento
ha
senza
dubbio
una
notevole
consistenza.
La
sua
persuasività,
peraltro,
non è
data
unicamente
dalla
pur non trascurabile
rilevanza
dell’assenza, nella
formulazione
dell’art.
99,
comma
4,
c.p.,
di
qualsiasi
riferimento
ad
una
precedente
affermazione
giudiziaria
della recidiva semplice.
L’adesione
alla
tesi
opposta,
nel
senso
della
necessità
di
tale
precedente
pronuncia,
presupporrebbe
infatti
l’attribuzione
al
termine
“recidivo”, che
introduce
il
citato comma
4 indicando
come
tale
il
soggetto nei
confronti
del
quale
può essere
ritenuta
la
fattispecie
reiterata
della
recidiva, di
un significato tale
da
comprendere
l’intero contenuto descrittivo del
comma
1
dell’articolo;
non
solo,
quindi,
l’esistenza
di
una
prima
condanna
per
un
delitto
non
colposo,
ma
anche
la
concreta
applicazione
della
recidiva
con
la
seconda
condanna,
mediante
il
relativo
umento di
pena
o la
confluenza
della
circostanza
aggravante
in un giudizio di
comparazione
con circostanze di segno contrario.
Se
si
pone
tuttavia
attenzione
alla
struttura
testuale
complessiva
della
norma, ed in particolare
al
rapporto fra
le
fattispecie
del
primo e
del
comma
4, è
di
immediata
constatazione
che
dette
fattispecie
sono connotate
da
un’evidente
simmetria. In entrambe, invero, ad una
prima
parte
riferita
alla
posizione
soggettiva
di
recidivanza
del
reo, esplicitata
nel
comma
1
con
l’indicazione
della
precedente
condanna
e
della
natura
del
reato
oggetto
della
stessa,
segue
una
seconda
parte
rappresentativa
delle
conseguenze
giuridiche
di
questa
posizione
sul
trattamento
sanzionatorio.
In
questa
configurazione,
intendere
la
prima
parte
del
comma
4,
ossia
il
riferimento
all’ipotesi
nella
quale
il
“recidivo commette
un altro delitto non colposo”, quale
comprensiva
anche
della
seconda
parte
del
comma
1, relativa
al
riconoscimento giudiziale
della
recidiva,
appare
decisamente
dissonante
rispetto
alla
descritta
corrispondenza
simmetrica
fra
le
due
fattispecie;
mentre
è
invece
coerente
con la
stessa
una
lettura
della
riportata
espressione
del
comma
4
nel
suo
significato
letterale,
unicamente
descrittivo
della
posizione
del
soggetto
che
abbia
posto in essere
l’ulteriore
delitto trovandosi
nella
condizione
formale
di
recidivo semplice,
prevista
dalla
prima
parte
del
comma
1,
e
non
comprensivo
dell’effettivo
riconoscimento
giudiziale
della
recidiva
e
dei
relativi
effetti
sanzionatori,
oggetto
della
seconda
parte
del
comma
1 e, correlativamente, della
seconda
parte
del
comma
4 con riguardo alla
fattispecie
della
recidiva
reiterata. tanto, a
maggior ragione, ove
si
consideri
la
facoltatività
del
giudizio
da
cui
dipende
la
conseguenza
sanzionatoria
prevista
dal
comma
1 e, come
si
è
visto, anche
dal
comma
4, a
fronte
della
invece
tassativa
qualificazione
di
recidivanza
per effetto del
dato
formale
della
pregressa
condanna.
L’elemento
testuale,
in
sostanza,
depone
univocamente
nel
leggere
il
termine
“recidivo”
presente
nel
comma
4, conformemente
all’interpretazione
del-
l’orientamento
giurisprudenziale
criticato
con
l’ordinanza
di
rimessione,
come
meramente
ripropositivo
in
forma
sintetica
dell’espressione
estesamente
utilizzata
nel
comma
1
per
descrivere
la
condizione
di
precedente
condanna,
e
non
inclusivo
dell’eventuale,
concreta
applicazione
della recidiva nei suoi effetti sanzionatori.
7.2.
Vi
sono,
d’altra
parte,
diversi
aspetti
sistematici
che
si
pongono
in
linea
con
questa
conclusione.
RASSeGNA
AVVoCAtURA
DeLLo
StAto -N. 1/2023
L’art.
105
c.p.,
in
primo
luogo,
prevede
espressamente
che
sia
dichiarato
delinquente
o
contravventore
professionale
il
soggetto che
“trovandosi
nelle
condizioni
richieste
per la
dichiarazione
di
abitualità, riporta
condanna
per altro reato”. Da
questa
formulazione
emerge
chiaramente
(come
del
resto riconosciuto dalla
giurisprudenza
di
legittimità, Sez. 4, n. 13463
del
05/11/2019, dep. 2020, Guarneri, Rv. 278919) che
la
dichiarazione
di
professionalità
può
essere
pronunciata
anche
ove
quella
di
livello immediatamente
inferiore
nella
progressione
prevista
dalla
legge,
ossia
quella
di
abitualità,
non
sia
stata
giudizialmente
affermata,
essendo
sufficiente che ne sussistano le condizioni.
Si
tratta
di
un caso indubbiamente
diverso oggetto da
quello sottoposto a
questa
Corte
con
l’ordinanza
di
rimessione,
e
tuttavia
significativo
in
quanto
costituisce
applicazione
di
un
principio, per il
quale
non è
necessaria
l’espressa
pronuncia
di
una
dichiarazione
costitutiva
di
una
condizione
relativa
ai
precedenti
penali
del
reo di
grado inferiore
a
quella
valutata
nel
procedimento, sussistendone
comunque
i
presupposti, in una
fattispecie
le
cui
conseguenze
giuridiche
sono per il
soggetto interessato più gravi
ed afflittive
di
quelle
della
recidiva. Si
evidenzia
in tal
modo come
sia
conforme
al
sistema
che
il
principio operi
anche
per la
fattispecie
della
recidiva
reiterata
rispetto a
quella
della
recidiva
semplice, nel
senso della
possibilità
di ritenere la prima anche solo in presenza delle condizioni formali della seconda.
Considerazioni
analoghe
valgono
per
la
previsione
di
ostatività
della
recidiva
reiterata
oltre
che
delle
condizioni
di
abitualità
e
professionalità
nelle
contravvenzioni
-all’ammissione
all’oblazione
speciale,
di
cui
all’art.
162-bis,
comma
3,
c.p.
La
formulazione
della
relativa
disposizione,
nei
termini
per
cui
“l’oblazione
non
è
ammessa
quando
ricorrono
i
casi
previsti
dal
terzo
capoverso
dell’art.
99”,
è
infatti
costantemente
intesa
dalla
giurisprudenza
di
legittimità
nel
senso
che
la
condizione
di
recidiva
reiterata
impedisce
l’accesso
all’oblazione
anche
ove
la
stessa
non
sia
stata
giudizialmente
dichiarata
(Sez.
3,
n.
29238
del
17/02/2017,
Cavallero,
Rv.
270147;
Sez.
3,
n.
55123
del
04/10/2016,
Derbali,
Rv.
268776;
Sez.
4,
n.
20309
del
16/03/2004,
Marchetta,
Rv.
228922).
Si
è
in
particolare
osservato
sul
punto
che
l’espressione
testualmente
riferita
alla
ricorrenza,
fra
gli
altri,
del
caso
della
recidiva
reiterata,
deve
essere
letta,
per
il
suo
tenore
sia
letterale
che
logico,
come
indicativa
della
mera
sussistenza
dei
precedenti
che
per
il
loro
numero
e
la
loro
natura
integrano
il
presupposto
formale
dell’ipotesi
recidivante
in
esame
(Sez.
1,
n.
17316
del
05/04/2006,
Giunta,
Rv.
234251).
È
ancora
all’interpretazione
giurisprudenziale, infine, che
si
deve
l’assimilazione, ai
casi
appena
considerati,
di
quello
dell’interdizione
al
cosiddetto
“patteggiamento
allargato”,
ossia
esteso all’applicazione
di
una
pena
detentiva
non soggetta
al
limite
massimo di
due
anni, ma
a
quello
di
cinque
anni,
prevista
dall’art.
444,
comma
1-bis,
c.p.p.
tale
disposizione
si
esprime
testualmente
escludendo dalla
possibilità
di
ricorrere
a
tale
forma
di
applicazione
di
pena, fra
gli
altri, “coloro che
siano stati
dichiarati
delinquenti
abituali, professionali
o per tendenza, o
recidivi
ai
sensi
dell’art. 99, comma
4, c.p.”;
formulazione, questa, che
può suggerire
un'associazione
della
posizione
dei
recidivi
reiterati
a
quella
dei
delinquenti
abituali, professionali
o per tendenza, nella
condizione
della
necessità
di
una
dichiarazione
giudiziale
di
dette
posizioni
anteriore
al
procedimento nel
quale
è
richiesta
l’applicazione
della
pena, ed in tal
senso
è
stata
in effetti
intesa
da
talune
pronunce
(Sez. 1, n. 1007 del
13/11/2008, dep. 2009, Manfredi,
Rv. 242509;
Sez. 6, n. 39238 del
16/09/2004, Bonfanti, Rv. 230378). Le
Sezioni
Unite
hanno
tuttavia
escluso
la
legittimità
di
questa
interpretazione,
osservando
che
la
norma
è
espressa
in
una
forma
tecnicamente
imprecisa,
in
quanto
utilizzata
essenzialmente
per
ragioni
di
uniformità
lessicale
nell’esposizione
di
tutte
le
situazioni
soggettive
ostative
all’ammissi
CoNteNZIoSo
NAZIoNALe
bilità
del
patteggiamento
allargato
-la
maggior
parte
delle
quali
caratterizzate
dalla
previsione
di
un'apposita
dichiarazione,
come
per
l’appunto
quella
di
abitualità,
professionalità
e
tendenza
a
delinquere
-prescindendo dalle
differenze
sostanziali
fra
dette
situazioni
(Sez. U, n. 35738
del
27/05/2010, Calibè, Rv. 247840). In questo contesto, la
peculiarità
sostanziale
che
distingue
la
recidiva
reiterata, e
la
recidiva
in generale, è
individuata
dalla
sentenza
Calibè
proprio
nel
fatto che
essa
non è
oggetto di
una
formale
dichiarazione, ma
può solo essere
ritenuta
e
applicata
per i
reati
in relazione
ai
quali
è
contestata. La
stessa
nozione
di
una
previa
dichiarazione
della
recidiva
reiterata, quale
condizione
ostativa
all’accesso al
patteggiamento allargato,
è dunque improponibile.
Questa
lettura
della
previsione
dell’art. 444, comma
1-bis, c.p.p. non consente
pertanto di
ravvisare
nella
stessa
un dato sistematico in senso distonico dall’indirizzo giurisprudenziale
sulla
possibilità
di
ritenere
la
recidiva
reiterata
anche
in mancanza
di
un precedente
riconoscimento
della
recidiva
semplice.
È
significativo,
al
contrario,
che
le
conclusioni
della
sentenza
Calibè
sul
punto siano state
richiamate
a
sostegno di
talune
delle
decisioni
conformi
a
tale
indirizzo
(Sez.
2,
n.
15591
del
24/03/2021,
Di
Maio,
Rv.
281229;
Sez.
2,
n.
21451
del
05/03/2019, Gasmi, Rv. 275816).
8. A
fronte
degli
elementi
letterali
e
sistematici
di
cui
sopra, nell’ordinanza
di
rimessione
si
richiama
l’attenzione
sulla
necessità
di
tenere
conto
delle
profonde
modificazioni
nella
struttura
dell’istituto della
recidiva
e
nel
giudizio sull’applicazione
dello stesso, indotte
dalla
giurisprudenza
costituzionale
e
di
legittimità
con
l’individuazione
del
requisito
sostanziale
dell’accentuata
attitudine
a
delinquere
del
reo, in quanto manifestazione
di
maggiore
colpevolezza
e
pericolosità, e
con la
conseguente
necessità, perchè
la
recidiva
possa
considerarsi
ritenuta
ed
applicata,
di
una
valutazione
sulla
sussistenza
nel
caso
concreto
di
tale
presupposto.
Si
osserva
in proposito che, per effetto di
questa
mutata
concezione
della
recidiva, la
stessa
non si
riduce
più nei
limiti
di
uno status
personale
dipendente
unicamente
dalla
presenza
di
determinati
precedenti
penali, ma
si
articola
altresì
in una
più complessa
condizione
di
incidenza
del
nuovo delitto commesso sull’attitudine
a
delinquere, da
valutarsi
nel
significato in
tal
senso di
tale
delitto in relazione
con i
precedenti. tanto rende
necessario, secondo questa
interpretazione, che
ogni
livello di
recidiva
debba
essere
specificamente
esaminato in corrispondenza
con la
commissione
del
nuovo delitto che
ne
rende
formalmente
accertabile
la
ricorrenza;
e
che
pertanto
la
recidiva
reiterata
non
possa
essere
valutata
in
mancanza
di
un
accertamento sull’applicazione del precedente livello della recidiva semplice.
Vi
è
un
aspetto
che
può
essere
immediatamente
colto
in
questa
proposta
ermeneutica,
e
che
incide
negativamente, e
in misura
non marginale, sulla
persuasività
della
relativa
argomentazione.
Quest’ultima
si
presenta
indubbiamente
come
improntata
alla
piena
valorizzazione
della
nuova
concezione
della
recidiva
nel
superamento
di
una
rigidità
applicativa,
derivante
dalla
mera
constatazione
dell’esistenza
delle
precedenti
condanne,
in
favore
del
giudizio
in concreto sull’elemento sostanziale
della
maggiore
attitudine
a
delinquere. Sul
piano
dei
rapporti
fra
la
recidiva
semplice
e
la
recidiva
reiterata,
tuttavia,
tale
proposta
si
risolve
contraddittoriamente
nell’introduzione
di
una
diversa
e
non meno evidente
connotazione
di
rigidità, data
dal
sottoporre
l’applicazione
della
recidiva
reiterata
alla
imprescindibile
condizione
del
previo accertamento della
recidiva
semplice. Si
tratta
di
un profilo di
rigidità
che,
considerate
le
varie
ed occasionali
ragioni
per le
quali
può accadere
che
detto accertamento
non abbia
avuto luogo -dalla
mancata
contestazione
della
recidiva
nel
procedimento precedente
ad una
diversa
valutazione
sulla
significatività
del
delitto giudicato in quella
sede, oppure
alla
mera
omissione
motivazionale
sul
punto -manifesta
ancor più vividamente
la
sua
RASSeGNA
AVVoCAtURA
DeLLo
StAto -N. 1/2023
incoerenza
con l’intento di
concretezza
e
sostanzialità
del
giudizio sulla
recidiva, posta
alla
base della tesi in discussione.
A
prescindere
da
questa
difficoltà
argomentativa, risulta
però decisivo un ulteriore
ordine
di considerazioni.
Va
premesso che, per superare
un dato letterale
della
pregnanza
di
quello in precedenza
esposto, occorrerebbe
che
la
soluzione
proposta, nel
senso della
necessità
di
un precedente
riconoscimento della
recidiva
semplice
perchè
si
possa
procedere
all’accertamento della
recidiva
reiterata, costituisca
l’unico percorso procedurale
che
consenta
una
piena
e
compiuta
verifica
sulla
sussistenza
del
presupposto sostanziale
della
recidiva
anche
rispetto alla
significatività
dell’ulteriore
delitto, in termini
di
accresciuta
attitudine
a
delinquere, ai
fini
della
configurabilità dell’ipotesi della fattispecie reiterata.
orbene, si
è
in precedenza
sottolineato come
le
Sezioni
Unite, nella
più volte
menzionata
sentenza
Calibè,
abbiano
evidenziato
che
il
giudizio
sulla
recidiva,
pur
essendo
incentrato
sulla
rilevanza
dell’ultimo delitto commesso rispetto alla
valutazione
dell’accresciuta
attitudine
a
delinquere, deve
avere
ad oggetto la
totalità
dei
reati
compresi
nella
sequenza
recidivante,
nel loro apporto all’incremento dell’attitudine suindicata.
Il
riferimento
a
questo
principio
mostra
come
sia
assolutamente
possibile
e
praticabile
una
valutazione
della
maggiore
attitudine
a
delinquere,
rispetto
alla
ravvisabilità
dell’ipotesi
della
recidiva
reiterata,
anche
in
assenza
di
una
precedente
valutazione
in
tal
senso
relativamente
alla
fattispecie
intermedia
della
recidiva
semplice.
Se,
infatti,
l’oggetto
del
giudizio
sulla
recidiva
reiterata,
come
sulla
recidiva
in
generale,
deve
comprendere
il
contributo
specifico
di
tutti
i
reati
della
serie
esaminata
alla
formazione
ed
al
consolidamento
della
risoluzione
e
della
disposizione
criminale
del
reo,
lo
stesso
assorbe
necessariamente
quella
che
sarebbe
stata
la
valutazione
sul
passaggio
della
recidiva
semplice,
in
quanto
riguardante
anche
la
significatività
propria
del
delitto
che
avrebbe
determinato
la
configurabilità
di
tale
ipotesi.
Nella
situazione
in
esame,
in
altre
parole,
tale
valutazione
non
rimane
omessa,
ma
può
e
deve
essere
effettuata,
sia
pure
retrospettivamente,
nell’ambito
di
quella
attinente
alla
fattispecie
della
recidiva
reiterata.
In sostanza, la
doverosa
considerazione
della
nuova
fisionomia
dell’istituto della
recidiva
non
conduce
inevitabilmente
alla
necessità
che
la
recidiva
reiterata
sia
valutata
e
ritenuta
solo
in presenza
di
un precedente
riconoscimento della
recidiva
semplice, potendo le
relative
esigenze
essere
realizzate
nell’ambito
del
giudizio
complessivo
ai
fini
dell’applicazione
della
recidiva
reiterata.
Di
conseguenza,
non
vi
è
ragione
per
superare
un
dato
letterale
e
sistematico
chiaramente
orientato
nell’escludere
che
il
previo
accertamento
della
recidiva
semplice
sia
condizione per valutare l’applicabilità della recidiva reiterata.
9. Le
considerazioni
appena
svolte
evidenziano l’infondatezza
della
prima
delle
osservazioni
proposte
dal
Procuratore
generale
nella
memoria
depositata
e
nelle
conclusioni, formulate
nel
corso dell’udienza, che
la
richiamano;
vale
a
dire, quella
per cui
la
recidiva
reiterata,
ove
ritenuta
solo in base
ai
precedenti
penali
che
formalmente
la
giustificano, non comprenderebbe
la
recidiva
semplice. Le
concrete
modalità
di
accertamento della
recidiva
reiterata,
nella
comlessiva
valutazione
di
cui
sono stati
esposti
i
termini, includono infatti
non solo il
presupposto formale della recidiva semplice, ma anche quello sostanziale.
Quanto
agli
ulteriori
rilievi
del
Procuratore
generale,
l’espressa
previsione
dell’art.
105
c.p., in ordine
alla
possibilità
della
dichiarazione
di
professionalità
nel
reato anche
in assenza
di
una
precedente
dichiarazione
di
abitualità, non è
conducente
in ordine
all’attribuzione
di
significato contrario alla
mancanza
di
una
similare
previsione
per il
riconoscimento della
recidiva
reiterata
in assenza
di
un precedente
accertamento della
recidiva
semplice;
si
è
visto in
CoNteNZIoSo
NAZIoNALe
precedenza, di
contro, come
la
possibilità
di
un accertamento successivo dei
presupposti
del-
l’ipotesi
di
livello inferiore, in quanto prevista
per fattispecie
dagli
effetti
più gravi
rispetto a
quelle
della
recidiva, sia
significativa
della
conformità
al
sistema
di
una
soluzione
analoga
per
le
ipotesi
di
cui
all’art.
99
c.p.
Non
sono
poi
rilevanti
i
riferimenti
alla
esplicita
disposizione
dell’art. 679 cod. proc. pen. sulla
facoltà, per il
giudice
di
sorveglianza, di
accertare
la
pericolosità
del
condannato ai
fini
della
dichiarazione
di
abitualità
o professionalità
nel
reato, ed
alla
preclusione
dell’applicazione
della
recidiva
in sede
di
esecuzione
ove
la
stessa
non sia
stata
ritenuta
nel
giudizio di
cognizione, trattandosi
di
situazioni
processuali
chiaramente
diverse
da quella qui esaminata.
Non è
infine
ravvisabile, quale
effetto pregiudizievole
della
possibilità
di
accertare
direttamente
la
recidiva
reiterata,
quello
di
impedire,
a
colui
che
sia
stato
condannato
per
la
seconda
volta, di
adeguare
la
propria
condotta
di
vita
al
monito della
recidiva
semplice
e
di
non incorrere
nelle
conseguenze
sanzionatorie
della
più grave
ipotesi
recidivante, in contrasto con la
funzione
rieducativa
della
pena. La
possibilità
di
conformare
la
propria
condotta
alla
previsione
delle
predette
conseguenze
sanzionatorie
è
infatti
garantita
per il
condannato, anche
in
assenza
dell’espressa
indicazione
della
recidiva
semplice
nelle
condanne
precedenti,
dalla
predeterminazione
normativa
delle
condizioni
formali
per le
varie
ipotesi
di
recidiva
e
delle
loro
implicazioni
in
tema
di
valutabilità
delle
stesse
ai
fini
dell’applicazione
di
aumenti
di
pena
anch’essi
specificamente
previsti
dalla
legge. Neppure
si
pone
alcuna
problematica
con
riguardo alla
prevedibilità
di
una
condanna
che
comprende
anche
l’aggravante
della
recidiva
reiterata, essendo comunque necessario che la stessa sia oggetto di precisa contestazione.
È
altresì
irrilevante
il
richiamo
del
difensore
del
ricorrente,
nel
corso
della
discussione,
alla
previsione
dell’art.
81,
comma
4,
c.p.
sul
limite
minimo
dell’aumento
per
il
concorso
formale
o
la
continuazione
di
reati
nei
confronti
dei
soggetti
“ai
quali
sia
stata
applicata
la
recidiva
prevista
dall’art.
99,
comma
4”,
con
una
dicitura
che
richiede
un
compiuto
accertamento
della
fattispecie
recidivante. La
norma
citata
disciplina
anche
in questo caso un’ipotesi
sostanzialmente
diversa
da
quella
oggetto della
questione
rimessa, regolando un effetto penale
della
recidiva
reiterata e non i rapporti fra tale forma di recidiva e quella della recidiva semplice.
10. Deve
pertanto concludersi
nel
senso che
la
recidiva
reiterata
può essere
accertata, ritenuta
ed applicata
nei
confronti
di
un soggetto recidivo, da
considerarsi
tale
in quanto già
condannato
due
volte
per
delitti
non
colposi,
anche
se
tale
condizione
di
recidivanza
non
sia
stata
ritenuta
nel
precedente
giudizio, in conformità
con l’indirizzo fin qui
seguito dalla
giurisprudenza
di legittimità.
Detto questo, l’importanza
dell’evoluzione
che
ha
portato ad una
diversa
configurazione
della
recidiva
e
dei
suoi
aspetti
applicativi, pur se
non tale
da
creare
il
potenziale
contrasto
denunciato
con
l’ordinanza
di
rimessione,
non
deve
essere
trascurata.
Lo
spazio
nel
quale
questa
realtà
può trovare
adeguata
considerazione
non è, tuttavia, quello di
un irrigidimento
formalistico nella
successione
delle
affermazioni
giurisprudenziali
delle
varie
ipotesi
di
recidiva,
ma, piuttosto, quello della
motivazione
sull’applicazione
della
recidiva
reiterata, segnatamente
nel caso in cui non vi sia stato un precedente accertamento della recidiva semplice.
La
rilevanza
dell’aspetto
motivazionale
della
recidiva,
nella
nuova
definizione
assunta
dal-
l’istituto, è
stata
da
tempo segnalata
dalle
Sezioni
Unite, nel
rilevare
che
la
facoltatività
del-
l’applicazione
della
stessa
impone
al
giudice, sia
nel
caso in cui
disponga
tale
applicazione
che
nel
caso contrario, uno specifico dovere
di
motivazione
in proposito (Sez. U, n. 5859 del
27/10/2011, dep. 2012, Marcianò, Rv. 251690). tornando sulla
questione, le
Sezioni
Unite
hanno
ribadito
e
dettagliato
il
principio,
osservando
che
il
superamento
della
concezione
della
RASSeGNA
AVVoCAtURA
DeLLo
StAto -N. 1/2023
recidiva
come
status
soggettivo determinato dai
soli
precedenti
penali
non rende
più ammissibile
una
motivazione
affidata
a
formule
di
stile;
è
di
contro
doverosa
un’argomentazione
che, precisando gli
elementi
fattuali
presi
in considerazione
e
i
criteri
utilizzati
per valutarli,
dia
conto della
maggiore
rimproverabilità
del
reo per non essersi
fatto distogliere
dalla
risoluzione
criminosa
per
effetto
delle
precedenti
condanne
(Sez.
U,
n.
20808
del
25/10/2018,
dep. 2019, Schettino, non massimata sul punto).
Gli
elementi
fattuali
e
i
criteri
di
valutazione, a
cui
la
motivazione
deve
fare
riferimento,
sono evidentemente
quelli
già
indicati
dalle
stesse
Sezioni
Unite
nella
sentenza
Calibè, e
dei
quali
si
è
detto in precedenza:
la
tipologia
e
l’offensività
dei
reati, la
loro omogeneità
e
collocazione
temporale, la
devianza
della
quale
sono complessivamente
significativi
e
l’occasionalità
o
meno
dell’ultimo
delitto,
oltre
ad
eventuali,
ulteriori,
dati
emergenti
dalla
fattispecie
concreta.
Con
riguardo
alla
recidiva
reiterata,
il
principio
si
traduce
nella
necessità
che
i
fatti
oggetto
delle
pregresse
condanne
ed il
nuovo delitto siano esaminati
nelle
loro connotazioni
sintomatiche
di
un progressivo rafforzamento della
determinazione
criminosa
e
dell’attitudine
a
delinquere
del
reo. Nel
caso in cui
difetti, per qualsiasi
ragione, un precedente
riconoscimento
giudiziale
della
recidiva
semplice, questa
impostazione
motivazionale
consente
di
conciliare
adeguatamente
tale
evenienza
con
il
rispetto
delle
esigenze
di
verifica
del
presupposto
sostanziale
della
recidiva
in tutti
i
passaggi
del
percorso criminale
del
reo. La
valutazione, fra
gli
altri, del
reato oggetto della
seconda
condanna
precedente, nel
suo apporto al
consolidamento
dell’attitudine
a
delinquere, è
infatti
in grado di
motivare
l’esistenza
di
una
base
recidivante
che
sostiene
l’aumento corrispondente
alla
recidiva
reiterata, in presenza
di
un nuovo
delitto stimato come fattore indicativo di ulteriore rafforzamento della predetta attitudine.
11. Deve in conclusione essere affermato il seguente principio di diritto:
“ai
fini
del
riconoscimento
della
recidiva
reiterata
è
sufficiente
che,
al
momento
della
consumazione
del
reato, l’imputato risulti
gravato da più sentenze
definitive
per
reati
precedentemente
commessi
ed espressivi
di
una maggiore
pericolosità sociale, oggetto di
specifica ed
adeguata motivazione, senza la necessità di una previa dichiarazione di recidiva semplice”.
12. Dal
principio appena
enunciato discende
evidentemente
l’infondatezza
del
motivo di
ricorso proposto dal
B.B. con riguardo alla
recidiva, nella
parte
in cui
lamenta
l’illegittimità
dell’applicazione
della
recidiva
reiterata
in assenza
di
un precedente
riconoscimento della
recidiva
semplice.
È
altresì
infondata
la
doglianza
relativa
all’omessa
contestazione
della
recidiva
nei
procedimenti
relativi
alle
precedenti
condanne, che
il
difensore
del
ricorrente
ha
ritenuto di
corroborare
con
la
produzione
di
due
delle
relative
sentenze,
da
cui
emerge
tale
circostanza.
Si
tratta,
infatti,
di
un
aspetto
irrilevante
rispetto
all’operatività
del
principio
indicato,
come
detto
in
precedenza,
a
prescindere
dalle
ragioni
per
le
quali
la
recidiva
semplice
non
sia
stata
in
precedenza riconosciuta.
Il
motivo,
peraltro,
si
articola
anche
nel
rilievo
di
carenza
motivazionale
sull’accertamento
della
maggiore
attitudine
a
delinquere
della
quale
sarebbe
espressivo
il
delitto
oggetto
del
presente procedimento. tale censura, tuttavia, è essa pure infondata.
È
opportuno premettere
che
dal
certificato penale
del
B.B. risultano una
sentenza
di
applicazione
di
pena
del
tribunale
di
Ancona
in data
13/03/2013, irrevocabile
dal
24/04/2013, per
un reato di
furto commesso il
05/01/2012;
una
sentenza
di
condanna
del
tribunale
di
Ancona
in
data
15/07/2019,
irrevocabile
dal
17/11/2019,
per
un
reato
di
furto
commesso
il
18/02/2016;
e
una
sentenza
di
condanna
del
giudice
dell’udienza
preliminare
del
tribunale
di
Ancona
in
CoNteNZIoSo
NAZIoNALe
data
12/11/2020, irrevocabile
dal
02/12/2020, per un reato di
tentata
estorsione
commesso il
08/02/2019.
occorre
altresì
sottolineare
che
il
motivo di
appello sul
punto verteva
essenzialmente
sulla
distanza
temporale
di
quasi
cinque
anni
trascorsa
fra
la
commissione, nel
febbraio del
2016,
dell’ultimo delitto di
furto precedentemente
giudicato, e
quella
del
furto oggetto del
presente
procedimento, avvenuta
nel
febbraio del
2020;
e
marginalmente
su un accenno al
carattere
bagatellare
di
quest’ultimo reato. Con la
sentenza
impugnata
si
rispondeva, quanto al
primo
aspetto,
richiamando
l’ulteriore
condanna
per
il
reato
di
tentata
estorsione,
commesso
nel
febbraio
del
2019. A
questo proposito il
difensore
del
ricorrente, all’odierna
discussione, ha
osservato
che
della
condanna
per il
fatto estorsivo non può tenersi
conto, ai
fini
della
recidiva,
in quanto divenuta
definitiva
successivamente
al
delitto qui
giudicato. orbene, a
parte
il
fatto
che
tale
rilievo
non
era
proposto
con
il
ricorso,
va
considerato
che
lo
stesso,
se
inteso
ad
escludere
la
sussistenza
del
requisito
formale
della
recidiva
-conformemente
all’orientamento
giurisprudenziale,
citato
in
precedenza,
per
il
quale
rilevano
a
tal
fine
le
precedenti
condanne
passate
in
giudicato
prima
della
commissione
dell’ultimo
delitto
-non
è
in
grado
di
conseguire
tale
risultato, in quanto il
B.B., come
si
è
visto poc’anzi, aveva
riportato comunque
all’epoca
due
condanne
per
furto,
ed
era
dunque
già
recidivo
nell’accezione
che
consente
l’applicazione
della
recidiva
reiterata.
Se
invece
la
censura
è
diretta
a
contestare
la
valutabilità
del
fatto
estorsivo
per
l’aspetto
sostanziale
della
recidiva,
va
osservato
che
il
fatto
in
esame
era
preso
in
considerazione
nella
sentenza
impugnata
al
fine
specifico
di
evidenziare
come
non
ricorresse,
nel
percorso criminale
del
B.B., l’ampia
lacuna
temporale
dedotta
con l’atto di
appello. Argomento,
questo, che
corrisponde
puntualmente
ad uno degli
elementi
fattuali
indicati
dalla
giurisprudenza per il giudizio sulla recidiva, ossia la distanza cronologica fra i reati.
Il
ricorrente,
invece,
nulla
deduce
in
ordine
alla
principale
argomentazione
svolta
sul
punto
nella
sentenza
di
primo grado, relativa
in particolare
all’accrescimento della
determinazione
a
delinquere
dell’imputato, nella
successione
dei
reati
di
furto, dimostrato dalla
sempre
maggiore
specializzazione
nell’esecuzione
delle
condotte;
argomentazione
peraltro
non
aggredita
specificamente
neppure
nell’atto di
appello. Il
ricorso è
dunque
generico per questo aspetto.
D’altra
parte, il
complesso motivazionale
delle
sentenze
di
merito, valorizzando l’elemento
in esame, offre
una
congrua
giustificazione
sul
progressivo incremento dell’attitudine
a
delinquere
dell’imputato, articolata
nella
considerazione
per la
quale
alle
precedenti
condanne
per reati
analoghi, lungi
dal
corrispondere
la
dissuasione
dell’imputato dalla
ricaduta
nel
crimine,
aveva
al
contrario
fatto
seguito
l’acquisizione
della
descritta
specializzazione,
rilevabile
nell’implicito
quanto
evidente
richiamo
alle
modalità
del
fatto
descritte
nell’imputazione,
quali
il
coinvolgimento
di
più
persone
nella
condotta
delittuosa,
la
scelta
dell’obiettivo
di
tale
condotta
in
un
locale
pubblico
chiuso
ed
appartato
e
l’impossessamento
di
titoli
di
credito
oltre
che
di
denaro contante. In questa
prospettiva, la
motivazione
tocca
tutti
gli
aspetti
determinanti
nel
giudizio sulla
sussistenza
del
presupposto sostanziale
della
recidiva, vale
a
dire
l’omogenea
offensività
patrimoniale
di
tutti
i
reati
oggetto delle
precedenti
condanne, la
loro
collocazione
in un contesto temporale
unitario e
continuo, nel
quale
si
colloca
anche
il
delitto
estorsivo, e
il
carattere
non occasionale
dell’ultima
ricaduta
nel
crimine;
e
risulta
superato, in
quanto logicamente
incompatibile
con questa
ricostruzione, anche
l’accenno dell’atto di
appello
alla
asserita
natura
bagatellare
dell’ultimo
delitto,
peraltro
proposto
in
quella
sede
in
termini meramente assertivi e non reiterato nel ricorso.
13. Il motivo dedotto sul diniego dell’attenuante di cui all’art. 114 c.p. è inammissibile.
Posto che
l’affermazione
di
responsabilità
degli
imputati
era
motivata
con il
ritrovamento
RASSeGNA
AVVoCAtURA
DeLLo
StAto -N. 1/2023
degli
stessi, insieme
a
una
donna
nei
confronti
della
quale
si
procedeva
separatamente, sull’arenile
antistante
la
veranda
del
ristorante, con il
tentativo del
A.A. di
disfarsi
degli
assegni
e
del
contante,
sottratti
dal
ristorante,
e
di
due
torce,
e
con
il
ritrovamento
di
un
piede
di
porco,
un
tondino,
delle
tenaglie
e
un
cacciavite
nella
sabbia
smossa
sul
luogo
ove
gli
imputati
erano
stati
sorpresi, si
osservava
nella
sentenza
impugnata
che
la
prossimità
di
tutti
i
soggetti
agenti
al
luogo di
rinvenimento degli
arnesi
da
scasso, a
pochi
metri
dal
luogo del
furto, non consentiva
di distinguere la qualità degli apporti concorsuali degli stessi.
A
tanto il
ricorrente
oppone
rilievi
generici, e
meramente
reiterativi
delle
argomentazioni
proposte
con
l’appello,
sul
ruolo
asseritamente
marginale
dell’imputato
e
sulla
riconducibilità
ai
coimputati
del
possesso degli
strumenti
di
effrazione, non confrontandosi
con le
considerazioni
della Corte territoriale sulla posizione viceversa indifferenziata degli imputati.
14. Anche il motivo dedotto sul diniego delle attenuanti generiche è inammissibile.
Il
ricorrente,
limitandosi
a
denunciare
la
carenza
motivazionale
dell’affermazione
della
sentenza
impugnata
sulla
mancata
indicazione
di
elementi
a
sostegno
della
richiesta
difensiva,
che
invece
sarebbero stati
segnalati
con l’atto di
appello, ripropone
di
fatto tali
elementi
che,
in quanto descritti
nella
modesta
gravità
della
condotta, nel
carattere
risalente
dei
precedenti
penali
dell’imputato e
nell’ottimo comportamento processuale, risultavano generici
rispetto
alle
considerazioni
della
sentenza
di
primo grado sulle
modalità
del
fatto e
sulla
personalità
degli
imputati.
Le
censure
del
ricorso
sono
pertanto
manifestamente
infondate
rispetto
ad
una
motivazione
con la
quale
la
Corte
territoriale
evidenziava
come
non fossero stati
dedotti
elementi
ulteriori in grado di superare le considerazioni del
tribunale sul punto.
15. A
voler infine
considerare
la
possibilità, affermata
nella
recente
giurisprudenza
di
legittimità,
di
rilevare
d’ufficio in questa
sede
l’applicabilità
della
causa
di
non punibilità
della
particolare
tenuità
del
fatto, di
cui
all’art. 131-bis
c.p., come
novellato dall’art. 1, comma
1,
lett. c), n. 1 D.Lgs. n. 10 ottobre
2022, n. 150, in ragione
della
natura
sostanziale
dell’istituto
e
della
immediata
rilevabilità
della
fattispecie
nei
giudizi
pendenti
(Sez.
4,
n.
9466
del
15/02/2023, Castrignano, Rv. 284133;
Sez. 6, n. 7573 del
27/01/2023, Arzaroli, Rv. 284241),
va
osservato
che
la
stessa
giurisprudenza
ammette
che
una
decisione
negativa
in
merito
possa
essere
implicitamente
desunta
dalla
complessiva
struttura
argomentativa
della
sentenza
(Sez.
4, n. 5396 del
15/11/2022, dep. 2023, Lakrafy, Rv. 284096;
Sez. 3, n. 43604 del
08/09/2021,
Cincolà, Rv. 282097;
Sez. 5, n. 6746 del
13/12/2018, dep. 2019, Currò, Rv. 275500). In tal
senso, le
considerazioni
svolte
nella
sentenza
impugnata
sui
precedenti
penali
dell’imputato
e
sulla
natura
non
occasionale
dell’ultimo
delitto
commesso,
ai
fini
dell’applicazione
della
recidiva
reiterata, integrano senz’altro una
motivazione
implicita
sull’insussistenza
dei
presupposti
per la ricorrenza dell’indicata causa di non punibilità.
16.
Il
ricorso
del
B.B.
è
pertanto
complessivamente
infondato,
seguendone
la
condanna
del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Dichiara
inammissibile
il
ricorso proposto da
A.A. e
condanna
il
ricorrente
al
pagamento
delle
spese
processuali
e
della
somma
di
euro
cinquecento
in
favore
della
Cassa
delle
ammende.
Rigetta
il
ricorso proposto da
B.B. e
condanna
il
ricorrente
al
pagamento delle
spese
processuali.
Così deciso in Roma, il 30 marzo 2023.
CoNteNZIoSo
NAZIoNALe
Costituzione di parte civile dopo la riforma Cartabia:
brevi considerazioni a caldo sulla sentenza
delle Sezioni Unite del 21 settembre 2023 n. 38481
Antonio Trimboli*
Volendo mettere
in guardia
da
quello che
d’ora
in avanti
sarà
lo sport
del
“tiro
al
bersaglio
sull’ammissibilità
della
costituzione
di
parte
civile”,
con
l’aggravante
che
molti
arbitri
di
gara
saranno
ben
contenti
di
sbarazzarsi
di
uno scomodo ed ulteriore
soggetto a
cui
dare
delle
risposte, si
segnala
il
cambio
di
rotta
della
giurisprudenza
di
legittimità
in
ordine
all’impegno
argomentativo
richiesto per la costituzione di parte civile.
La
sentenza
(f.
9
e
ss.)
-sebbene
la
rimessione
alle
sezioni
unite
fosse
per
un altro tema
sia
pur connesso -ha
riconosciuto come
le
nuove
disposizioni
(artt. 573, co. 1 bis
e
78, co. 1, lett. d)
c.p.p.) fotografino a
differenza
del
passato
un unico giudizio, che
prosegue
senza
soluzione
di
continuità
dalla
sede
penale
a
quella
civile,
cosicchè
le
ragioni
della
domanda
di
costituzione
di
parte
civile
debbano essere
illustrate
secondo gli
stilemi
dell’atto di
citazione
del
processo civile, come
previsto dall’art. 163, co. 3 n. 4 c.p.c., specificando
-sempre
secondo
quanto
si
legge
nel
provvedimento
-i
motivi
in
forza
dei
quali
si
pretende
che
dal
reato
siano
scaturite
conseguenze
pregiudizievoli,
nonché il titolo che legittima a far valere la pretesa.
Viene,
quindi,
superato
il
costante
orientamento
giurisprudenziale
(ex
multis: sez. ii, sent. 23940 del
15 luglio 2020, Rosati; sez. V, sent. 544 del
13 dicembre
2006, Bianco) secondo cui
la
causa petendi
è
sufficientemente
individuata
attraverso
il
richiamo
al
capo
di
imputazione,
laddove
la
contestazione
riguardi
un
reato
di
danno,
mentre
una
maggiore
specificazione
delle
ragioni
a
base
della
domanda
si
impone
se
si
tratti
di
un reato di
pericolo o il
danneggiato non sia anche persona offesa.
Linea
quest’ultima
peraltro seguita
anche
dai
primi
commentatori
della
riforma,
i
quali
hanno
sostenuto
come
la
specificazione
aggiunta
all’art.
78
lett. d) c.p.p. non mutasse
il
quadro delineato fino ad allora
dalla
giurisprudenza,
ma si limitasse solo a codificarlo.
Questo cambio di
rotta
purtroppo non penso sia
foriero di
cose
positive
per la Difesa erariale.
In questi
termini, non pare
possa
sfuggire
come
-nonostante
una
contrazione
dei
tempi
con il
rischio di
compromettere
la
qualità
difensiva
fosse
già
avvenuta
con la
limitazione
della
costituzione
di
parte
civile
alla
sola
fase
ini
(*) Avvocato dello Stato e
Dottore
di
Ricerca
in Diritto Pubblico -indirizzo Penale
e
Procedura
Penale
presso l’Università di Roma
tor Vergata.
RASSeGNA
AVVoCAtURA
DeLLo
StAto -N. 1/2023
ziale
dell’udienza
preliminare
-questo
ulteriore
intervento
riduca
ulteriormente
i
tempi
di
preparazione
della
difesa, tanto nella
redazione
del
parere
quanto
dell’eventuale
atto successivo, poiché
si
dovrà
molto spesso sollecitare
ed invitare
l’Amministrazione
interessata
a
puntualizzare
compiutamente
le
circostanze
descrittive
del
nesso
di
causalità
giuridica
tra
fatto-reato
e
conseguenze
pregiudizievoli
(c.d.
danno
conseguenza),
le
quali
non
potranno
certo
risolversi
in lunghe, generali e astratte petizioni di principio come spesso avviene.
e
ancora, l’impostazione
della
Cassazione, così
come
costruita, darà
la
stura
ad
eccezioni
di
inammissibilità
motivate
sulla
mancata
specificazione/allegazione
di
un
danno,
così
trasformando
la
delibazione
sull’ammissibilità
della
domanda
in
un
accertamento
preliminare
sulla
sua
fondatezza,
quanto
meno
in
termini
di
danno
potenziale,
cosa
finora
esclusa,
ma
che
probabilmente
troverà
sponda
in diversi
giudicanti, spesso poco attenti
a
distinguere
i
due momenti del giudizio.
Ciò
detto,
non
può
che
prendersi
atto
di
come
il
nuovo
indirizzo
venga
ad
essere
il
risultato
applicativo
di
una
riforma
che
-come
tante
altre
(si
pensi
a
quella
del
processo
civile)
-non
tiene
conto,
da
un
lato,
delle
peculiarità
del
sistema
su
cui
si
innesta
e,
dall’altro,
di
una
visione
d’insieme
dell’ordinamento.
e
infatti
quello che
la
Corte
individua
come
titolo che
legittima
a
far valere
la
pretesa
altro non può essere
se
non il
fatto-reato, mentre
il
richiamo al
nesso civilistico del
danno non lega
bene
né
con il
dinamismo probatorio del
rito penale, né con alcune sue regole.
Il
perimetro
del
giudizio
penale
è
-e
deve
necessariamente
rimanere
l’imputazione,
non potendo inocularsi
fatti
altri
identificativi
di
un nesso civilistico,
poiché
vi
sarebbe
il
rischio di
contaminare
surrettiziamente
l’imputazione
con
possibili
condanne
per
fatti
altri
o
diversi
senza
una
preventiva
contestazione e il conseguente rischio di processi nulli.
Una
specificazione
del
nesso civilistico non troverebbe
nemmeno piena
soddisfazione
sotto
un
profilo
probatorio,
visto
che
gli
strumenti
di
prova
sono
governati
principalmente
dal
P.M., quindi
diretti
alla
dimostrazione
del
fatto-
reato (condotta
-nesso causale
-evento), lasciando nella
prassi
poco spazio
alla
parte
civile,
come
si
evince
dalla
circostanza
che
la
maggioranza
delle
sentenze di condanna a favore della p.c. sono di tipo generico.
I riformatori
prima
e
le
sezioni
unite
dopo sembrano dimenticare
che
nell’ipotesi
in cui
la
domanda
risarcitoria
venga
proposta
nel
processo penale
-i
rapporti
tra
azione
civile
e
poteri
cognitivi
del
giudice
penale
continuano
ad essere
informati
al
“principio di
accessorietà”
dell’azione
civile
rispetto a
quella
penale,
principio
che
trova
fondamento
nelle
“esigenze,
di
interesse
pubblico,
connesse
all’accertamento
dei
reati
e
alla
rapida
definizione
dei
processi”
e
che
ha
quale
naturale
implicazione
quella
per cui
l’azione
civile,
ove
esercitata
all’interno
del
processo
penale,
“è
destinata
a
subire
tutte
le
conseguenze
e
gli
andamenti
derivanti
dalla
funzione
e
dalla
struttura”
di
que
CoNteNZIoSo
NAZIoNALe
sto rito, di
cui
il
danneggiato accetta
le
regole
di
ingaggio (in
tal
senso: C.
Cost. sent. n. 12 del 2016 e sent. n. 176 del 2019).
Il
legislatore
avrebbe
dovuto essere
meno ipocrita
procedendo o a
eliminare
la
parte
civile
dal
processo
penale,
come
avviene
nel
processo
penale
minorile
(art. 10 d.P.R. 448/1988), dove
però l’eccezione
trova
giustificazione
nella
necessità
di
preservare
la
personalità
del
minore
o,
quanto
meno,
attivare
un meccanismo diverso per l’appello della parte civile.
Quest’ultimo
punto
si
giustifica
in
ragione
del
fatto
che
la
necessità
di
modifica
dei
requisiti
per
la
costituzione
della
parte
civile
-come
dicono
anche
le
sezioni
unite
-non risulta
derivante
da
alcuna
delle
direttive
della
legge
delega,
circostanza questa che potrebbe minarne la legittimità costituzionale.
Ciò avrebbe
dovuto condurre
un legislatore
più responsabile
ad intervenire
sull’appello della
p.c., non creando un giano bifronte
quale
l’art. 573, co.
1 bis
c.p.p. e
la
sua
stampella
rappresentata
dalla
specifica
di
cui
all’art. 78
lett. d), bensì
disponendo che
il
gravame
si
dovesse
proporre
avanti
al
giudice
civile
secondo le
regole
di
questo, ferme
le
prove
già
raccolte
in sede
penale
e
quelle
ulteriori
acquisibili
nel
processo
civile,
cosicchè
attraverso
questo
strumento
si
potesse
procedere
ad
un
emendatio
della
domanda
-come
già
avviene
nell’ipotesi
di
rinvio
di
cui
all’art.
622
c.p.p.
-mediante
una
più
puntuale
descrizione della causalità giuridica tra reato e pregiudizio.
Una
tale
soluzione
-oltre
a
rispondere
ai
principali
obiettivi
della
riforma,
ossia
efficienza
e
riduzione
dei
tempi
processuali
-trova
conforto nell’interpretazione
convenzionalmente
orientata
data
dal
Giudice
delle
Leggi
all’art.
578 c.p.p., qualora
il
giudice
penale
debba
conoscere
dei
soli
interessi
civili,
perché
il
reato
si
è
prescritto
(sent.
n.
182
del
2021);
principio
questo
valevole
ogni
qualvolta
la
cognizione
investa
la
sola
domanda
di
danno,
come
ad
esempio
nel caso di gravame avverso sentenza assolutoria.
In quell’occasione, la
Corte
Costituzionale
chiarì, infatti, come
il
giudice
penale
non debba
effettuare
alcuna
delibazione, nemmeno incidenter
tantum,
sulla
responsabilità
penale
dell’imputato,
essendo
il
giudicante
chiamato
a
valutare
non se
il
fatto presenti
gli
elementi
costitutivi
della
condotta
criminosa
tipica
(commissiva
o
omissiva)
contestata
come
reato,
bensì
se
quella
condotta
sia stata idonea a provocare un “danno ingiusto” secondo l’art. 2043 c.c.
Alla
luce
di
tutto
questo,
come
per
la
riforma
civile
in
cui
sono
presenti
norme
non
proprio
ottimali
per
la
Difesa
erariale
(es.
i
tempi
di
costituzione
del
convenuto
nel
rito
ordinario;
la
comparizione
obbligatoria
della
parte
alla
prima
udienza
o
in
mediazione),
rimane
l’amarezza
per
una
riforma
alla
cui
elaborazione
non
sia
intervenuto
un
Avvocato
dello
Stato,
il
cui
contributo
sarebbe
stato
sicuramente
chiarificatore,
perché
-differentemente
da
altre
categorie
-oltre
alle
singole
specializzazioni
di
ciascuno,
abbiamo
una
visione
generale
dell’ordinamento
giuridico,
stante
la
trasversalità
della
nostra
attività.
RASSeGNA
AVVoCAtURA
DeLLo
StAto -N. 1/2023
Non resta
che
attendere
l’assestamento del
nuovo indirizzo in seno alla
giurisprudenza
merito,
sperando
che
possa
valere
quanto
detto
da
tancredi
Falconeri
allo
zio
Principe
di
Salina
nel
Gattopardo
di
Giuseppe
tomasi
di
Lampedusa:
“se
vogliamo
che
tutto
rimanga
com’è,
bisogna
che
tutto
cambi”,
almeno
per
quanto
riguarda
una
non
puntigliosa
esposizione
analitica
del
nesso
che lega fatto
-reato e pregiudizio.
Cassazione
penale, Sezioni
Unite, sentenza (ud. 25 maggio 2023) 21 settembre
2023 n.
38481
-Pres.
M. Cassano, Est. G. Andreazza
-Ricorso proposto da
parte
civile
A.A. (avv. F.
Valentini) nel
procedimento a
carico di
B.B., avverso la
sentenza
del
14 gennaio 2022 della
Corte d’appello di L’Aquila.
RIteNUto IN FAtto
1. Il
tribunale
di
L’Aquila, con sentenza
del
9 settembre
2019, condannava
B.B., tratto a
giudizio per rispondere
dei
delitti
di
cui
agli
artt. 582 e
590 c.p. in relazione
alle
lesioni
personali
cagionate
dolosamente
in tre
occasioni
alla
convivente
A.A., ed alle
lesioni
personali
cagionate, per colpa, alla
loro figlia
A.H., alla
pena
di
anni
due
di
reclusione
per il
diverso
delitto di
cui
all’art. 572 c.p., così
giuridicamente
riqualificati
i
fatti
di
cui
all’imputazione;
alla
pronuncia
seguiva
la
condanna
del
B.B.
al
risarcimento
del
danno
in
favore
della
costituita
parte
civile
A.A., equitativamente
liquidato in euro 10.000, ed alla
rifusione
delle
spese
da
quella stessa parte sostenute per la costituzione in giudizio.
A
seguito dell’atto di
appello presentato dal
difensore
dell’imputato, la
Corte
di
appello di
L’Aquila, con sentenza
del
14 gennaio 2022, riscontrata
l’assenza
degli
elementi
costitutivi
del
delitto di
maltrattamenti
in famiglia, riqualificava
i
fatti
nei
termini
di
cui
all’originaria
imputazione
(ovvero
sub
specie
di
artt.
81,
582
e
590
c.p.)
e,
dichiarato
non
doversi
procedere
per tardività
della
querela
in relazione
al
primo degli
episodi
in contestazione, condannava
B.B.
per
i
residui
reati
a
lui
ascritti
alla
pena
di
euro
1.500
di
multa,
confermando
la
condanna
al
risarcimento del
danno, il
cui
ammontare
veniva, tuttavia, ridotto, a
seguito della
riqualificazione
dei
fatti, dall’originario importo di
euro 10.000, ad euro 2.000;
da
tale
riduzione
la
Corte
abruzzese
riteneva
infine
derivare
giusti
motivi
per compensare
tra
le
parti
le
spese
del
grado
relative
all’azione
civile
«considerata
la
parziale
soccombenza
della
parte
civile
con
riferimento
all’entità
del
risarcimento
dei
danni
liquidati»
seguita
alla
riqualificazione
dei
fatti.
2. Ha
presentato ricorso per cassazione
il
difensore
della
parte
civile
deducendo, con un
unico
motivo
di
doglianza,
la
«violazione
della
legge
e
l’omessa
motivazione
ex
art.
606,
comma
1,
lett.
b)
ed
e)
c.p.p.
in
relazione
all’art.
541
c.p.p.,
nella
parte
in
cui
la
Corte
di
appello di
L’Aquila
ha
compensato integralmente
tra
le
parti
le
spese
di
patrocinio del
grado
relative
all’azione
civile»:
ad
avviso
della
ricorrente,
invero,
la
semplice
riqualificazione
giuridica
delle
condotte
illecite
non poteva
costituire
giusto motivo di
compensazione, poichè,
secondo il
prevalente
indirizzo dei
giudici
di
legittimità, la
conferma
della
responsabilità
del-
l’imputato, anche
in presenza
di
un minor grado di
essa, non legittimerebbe
il
mancato riconoscimento
delle
spese
civili, che
possono essere
escluse
solo in caso di
totale
soccombenza.
Con requisitoria
scritta
del
16 gennaio 2023, il
Sostituto Procuratore
generale
ha
chiesto
dichiararsi
inammissibile
il
ricorso, «avendo la
Corte
territoriale
compensato le
spese
sul
valido
argomento
logico-giuridico
della
soccombenza
parziale
conseguente
alla
riduzione
in
appello
della somma liquidata a titolo di risarcimento».
CoNteNZIoSo
NAZIoNALe
3. La
Quinta
Sezione
penale
di
questa
Corte, cui
è
stato assegnato il
ricorso, con ordinanza
del
7 febbraio 2023, lo ha
rimesso alle
Sezioni
Unite, ai
sensi
dell’art. 618, comma
1, c.p.p.
onde
vedere
risolto il
contrasto insorto nella
giurisprudenza
di
legittimità
in ordine
alla
applicabilità
o meno dell’art. 573, comma
1-bis, c.p.p. a
tutti
i
ricorsi
pendenti
al
momento del-
l’entrata
in vigore, in data
30 dicembre
2022, dell’art. 33, comma
1, lett. a), n. 2, D.Lgs. n. 10
ottobre
2022,
n.
150,
che
detta
norma
ha
introdotto,
ovvero
solo
a
quelli
proposti
nei
confronti
delle sentenze pronunciate successivamente a tale data.
La
Sezione
rimettente
ha,
in
primo
luogo,
accertato
il
presupposto,
la
cui
valutazione
è
preliminarmente
richiesta
per
l’applicabilità
della
norma,
della
ritualità
del
ricorso
e
della
sua
non
manifesta
infondatezza,
richiamando
il
consolidato
orientamento
giurisprudenziale
secondo
cui
«in
tema
di
condanna
della
parte
civile
al
pagamento
delle
spese
di
giudizio,
la
compensazione
è
ammessa, ai
sensi
dell’art. 541, comma
2, c.p.p., solo per gravi
ed eccezionali
ragioni, in analogia
a
quanto richiesto nell’ambito del
processo civile
dall’art. 92 c.p.c.»
(Sez. 6, n. 35931 del 24/06/2021, Daidone, Rv. 282110-01).
L’ordinanza
si
è,
successivamente,
interrogata
sulla
immediata
applicabilità
o
meno
dell’art.
573,
comma
1-bis,
c.p.p.,
secondo
cui,
quando
la
sentenza
è
impugnata,
come
nel
caso
di
specie,
per i
soli
interessi
civili, il
giudice
di
appello e
la
Corte
di
cassazione, se
l’impugnazione
non è
inammissibile, rinviano per la
prosecuzione, rispettivamente, al
giudice
o alla
sezione
civile
competente,
che
decide
sulle
questioni
civili
utilizzando
le
prove
acquisite
nel
processo
penale
e
quelle
eventualmente
acquisite
nel
giudizio civile, e
ha
rilevato che, in assenza
di
un’apposita
disposizione
transitoria, la
giurisprudenza
di
legittimità
immediatamente
successiva
all’entrata in vigore della nuova disposizione ha sostenuto entrambe le soluzioni.
In
sintesi,
secondo
un
primo
orientamento,
formatosi
nell’immediatezza,
l’art.
573,
comma
1-bis, c.p.p. sarebbe
immediatamente
applicabile
a
tutte
le
impugnazioni
pendenti
al
30 dicembre
2022:
in tal
senso si
sono espresse
infatti
Sez. 4, n. 2854 del
11/01/2023, Colonna,
Rv. 284012-01, e
Sez. 2, n. 6690 del
02/02/2023, Seno, Rv. 284216-01, ad avviso delle
quali,
in
applicazione
del
principio
tempus
regit
actum,
il
giudizio
di
impugnazione
deve
essere
svolto
secondo
le
nuove
regole,
non
derivando
alla
parte
civile
alcun
concreto
pregiudizio
dalla
circostanza
che
il
ricorso venga
deciso dal
giudice
civile, e, dunque, nella
sua
sede
naturale,
piuttosto che
dal
giudice
penale;
peraltro, si
è
rilevato che, dovendo la
parte
civile
impugnante
riassumere
il
giudizio in sede
civile, le
sarebbe
consentito, con l’atto di
citazione
in
riassunzione,
emendare
o
comunque
conformare
la
propria
domanda
al
nuovo
ambito
processuale,
così
come
alla
controparte
sarebbe
dato
modo
di
contraddire
e
di
replicare
a
tali
nuove deduzioni.
Secondo un diverso orientamento, sostenuto da
Sez. 5, n. 3990 del
20/01/2023, Sangiorgi,
Rv. 284019-01, e
da
Sez. 5, n. 4902 del
16/01/2023, Isgrò, Rv. 284121-01, la
nuova
norma,
in quanto potenzialmente
pregiudizievole
per la
posizione
di
chi
abbia
già
proposto appello o
ricorso per cassazione, sarebbe
applicabile
solo alle
impugnazioni
proposte
avverso le
sentenze
emesse
a
partire
dal
30
dicembre
2022;
ed
invero,
la
norma
di
nuovo
conio
prevede
espressamente
che
il
giudice
penale, valutata
l’ammissibilità
del
gravame, rinvii
gli
atti
«per
la
prosecuzione» «al
giudice
o alla
sezione
civile
competente», senza, dunque, prevedere
alcuna
riassunzione
del
giudizio:
ne
discende
che
l’impugnante
ai
soli
effetti
civili
deve
affrontare
un
giudizio
retto
da
regole
diverse
da
quelle
alla
stregua
delle
quali
aveva
costruito
il
proprio
gravame,
quali,
ad
esempio,
quelle
in
tema
di
nesso
eziologico
tra
la
condotta
e
l’evento di
danno, che
il
giudice
civile
ricostruisce
non in base
al
criterio dell’alto grado di
probabilità logica, ma in base al criterio causale del «più probabile che non».
RASSeGNA
AVVoCAtURA
DeLLo
StAto -N. 1/2023
Detto secondo orientamento vorrebbe
porsi
in continuità
con il
dictum
della
sentenza
delle
Sez.
U,
n.
27614
del
29/03/2007,
Lista,
Rv.
236537-01,
che,
nell’applicare
il
principio
tempus
regit
actum,
ricavabile
dall’art.
11
preleggi,
all’istituto
delle
impugnazioni,
ha
statuito
che
l’actus
al
quale
occorre
avere
riguardo è
la
sentenza
impugnata, poichè
è
in rapporto ad essa
che
vanno valutati
la
facoltà
di
impugnazione, la
sua
estensione, nonchè
i
modi
ed i
termini
per esercitarla.
L’ordinanza
di
rimessione
ha
infine
precisato
che,
ove
dovesse
preferirsi
questo
secondo
orientamento,
dovrebbe
farsi
più
correttamente
riferimento
non
alla
data
di
emissione
della
sentenza,
pur
se
è
a
partire
da
questo
momento
che
sorge
il
diritto
di
impugnare,
ma
a
quella
di
deposito
della
stessa:
«il
riferimento
alla
data
di
deposito
della
sentenza,
pur
non
rappresentando
necessariamente
[...]
il
momento
a
partire
dal
quale
il
diritto
all’impugnazione
può
essere
esercitato,
coincide
con
esso
o
lo
precede
e
quindi,
per
un
verso,
soddisfa
l’esigenza
di
tutela
dell’affidamento,
per
altro
verso,
evita
una
prolungata
applicazione
di
norme
processuali
che
non
troverebbe
più
alcuna
giustificazione
e,
per
altro
verso
ancora,
soddisfa
l’esigenza
di
individuare
un
termine
unitario
di
applicazione
dell’innovazione
processuale
che
resti
insensibile
alle
date
eventualmente
diverse
di
proposizione
degli
atti
di
impugnazione
nei
processi
soggettivamente
complessi,
nei
quali
siano
presenti
più
parti
civili
o
una
parte
civile
e
un
responsabile
civile».
4.
Successivamente
alla
data
di
decisione
dell’ordinanza
di
rimessione
sono
state
depositate
le
motivazioni
di
ulteriori
pronunce
della
Corte
che, anteriormente
alla
rimessione
della
questione,
hanno aderito all’uno o all’altro dei due indirizzi appena sopra ricordati.
In
particolare,
nel
senso
dell’immediata
applicabilità
sono
intervenute
le
ordinanze
di
Sez.
4,
n.
10392
del
25/01/2023,
Iacopino,
non
mass.;
Sez.
4,
n.
8483
del
17/01/2023,
Camilletti
e
altro,
non
mass.;
Sez.
3,
n.
7625
del
11/01/2023,
Ambu,
Rv.
284248-01;
nel
senso,
invece,
della
applicabilità
“differita”
sono
intervenute
le
sentenze
di
Sez.
5,
n.
20381
del
23/02/2023,
tosoni,
non
mass.;
Sez.
6,
n.
12072
del
27/01/2023,
Codognola,
non
mass.;
Sez.
5,
n.
3990
del
20/01/2023,
Razzaboni,
Rv.
284019-01;
Sez.
5,
n.
4902
del
16/01/2023,
Cucinotta,
Rv.
284121-01.
5. La
Presidente
di
questa
Corte, con decreto apposito, ha
conseguentemente
assegnato il
ricorso alle Sezioni Unite in ordine al seguente quesito:
“se
l’art. 573, comma 1-bis, c.p.p., si
applichi
a tutte
le
impugnazioni
per
i
soli
interessi
civili
pendenti
alla data del
30 dicembre
2022 o, invece, alle
sole
impugnazioni
proposte
avverso
le sentenze pronunciate a decorrere dalla suddetta data”.
6.
Successivamente,
in
data
18
maggio
2023,
l’Avvocato
generale
ha
presentato
note
scritte
di udienza.
CoNSIDeRAto IN DIRItto
1. L’esame
delle
pronunce
di
questa
Corte
complessivamente
intervenute
sulla
questione
rimessa
consente
anzitutto
di
focalizzare
sinteticamente
gli
argomenti
che
l’uno
e
l’altro
degli
indirizzi, muovendo dalla
mancanza
di
norme
transitorie
regolatrici
della
sorte
delle
impugnazioni
proposte
anteriormente
alla
entrata
in vigore
della
nuova
norma, espongono a
supporto
delle diverse conclusioni.
1.1. L’orientamento in ordine
all’immediata
applicabilità
dell’art. 573, comma
1-bis, cit.
esclude
che
nella
specie
possano
venire
in
rilievo
i
principi
affermati
da
Sez.
U,
Lista,
cit.
non
versandosi
in
ipotesi
di
abolizione
della
possibilità
di
impugnazione
oppure
di
mutamento
del
mezzo
di
impugnazione
consentito,
bensì
venendo
mantenuto
lo
stesso
mezzo
dinanzi
allo
stesso giudice
e
mutando solo l’epilogo del
giudizio;
conseguentemente, la
parte
conserve
CoNteNZIoSo
NAZIoNALe
rebbe
inalterato
il
diritto
all’accertamento
del
danno
civile
mutando
solo
la
sede
decisoria
posto che
il
giudice
civile, come
chiarito dalla
norma, decide
utilizzando le
prove
acquisite
in
sede
penale
e
quelle
eventualmente
acquisite
in
sede
civile;
inoltre
l’oggetto
dell’accertamento
non cambierebbe, ma
si
restringerebbe
posto che
la
domanda
risarcitoria
da
illecito civile
sarebbe
implicita in quella risarcitoria da illecito penale.
La
nuova
e
diversa
sede
della
decisione
del
merito dell’impugnazione
dipenderebbe
allora
dall’esito del
vaglio di
ammissibilità
del
ricorso che
sarebbe
dunque
l’actus
da
considerare,
nell’ottica
del
brocardo
tempus
regit
actum,
rilevante
nella
specie.
Nè
rileverebbe
la
modifica,
di
natura
solo terminologica, dell’art. 78, comma
1, lett. d), c.p.p. operata
sempre
dalla
cd.
Riforma
Cartabia
con
cui
si
è
specificato
che
la
esposizione
delle
ragioni
della
domanda
civile
deve essere fatta “agli effetti civili”.
Si
aggiunge
che, anche
ove
si
ritenesse
di
fare
riferimento alla
data
della
sentenza
o della
impugnazione
quale
momento discriminante, il
giudice
penale
dovrebbe
comunque
sempre
e
solo
decidere
sulla
fattispecie
aquiliana
senza
contaminazioni
derivanti
dall’accertamento
del
fatto
penale
(soprattutto
in
caso
di
prescrizione)
in
conseguenza
di
quanto
statuito
dalla
Corte
costituzionale
con
la
sentenza
n.
182
del
2021,
come
già
chiarito
da
Sez.
4,
n.
37193
del
15/09/2022, Ciccarelli, Rv. 283739-01 e
da
Sez. 2, n. 11808 del
14/01/2022, Restaino, Rv.
283377-01, e
dunque
in base
al
criterio civilistico della
maggiore
probabilità
e
non dell’alto
grado di probabilità logica.
e
in sede
civilistica
di
rinvio troverebbero applicazione, come
già
chiarito da
Sez. U, n.
20065 del
28/01/2021, Cremonini, Rv. 281228-01, le
regole
processuali
e
probatorie
proprie
del
processo
civile
prescindendosi
da
ogni
apprezzamento
sulla
responsabilità
penale
dell’imputato,
nonchè
sarebbe
poi
sempre
possibile,
sulla
base
della
giurisprudenza
civile,
formulare
nuove
conclusioni
o modificare
la
domanda
ai
fini
della
prospettazione
degli
elementi
costitutivi
dell’illecito civile
in analogia
con la
transiatio iudicii
in caso di
annullamento ex
art.
622 c.p.p. ai
soli
effetti
civili, avendo già
le
Sez. U, Cremonini, cit., chiarito che
il
giudizio
civile inizia con atto di riassunzione
ex
art. 392 c.p.c.
Vengono infine
richiamate, a
conferma
della
soluzione
invocata, le
sentenze
di
Sez. U, n.
11586 del
30/09/2021, dep. 2022, D., Rv. 282808-01, Sez. U, n. 13539 del
30/01/2020, Perroni,
Rv. 270270-01 e
Sez. U, n. 3464 del
30/11/2017, Matrone, Rv. 275201-01, che
hanno
tutte
affermato l’immediata
applicabilità
di
nuove
norme
concernenti
le
impugnazioni
in assenza
di disposizioni transitorie.
1.2.
L’orientamento
di
segno
contrario,
nel
ritenere
invece
l’applicabilità,
anche
all’ipotesi
in
esame,
dei
principi
affermati
da
Sez.
U,
Lista,
cit.,
valorizza
fondamentalmente
le
peculiarità
del
giudizio davanti
al
giudice
civile
rispetto a
quello svolto, sia
pure
ai
soli
effetti
civili, dinanzi
al
giudice
penale,
che
renderebbero
ragione
dell’esigenza
di
tutela
dell’affidamento
dell’impugnante;
tali
peculiarità
darebbero la
possibilità, affermata
dalle
sezioni
civili
con riferimento
al
giudizio
di
rinvio
a
seguito
dell’annullamento
ex
art.
622
c.p.p.,
di
emendatio
della
domanda
intesa
anche
come
possibilità
di
chiedere, secondo i
parametri
del
danno aquiliano,
la
pronuncia
della
condanna
al
risarcimento pur se
emersa
la
sola
colpa
in luogo del
dolo, poichè
la
variazione
in melius
dell’elemento psicologico dell’illecito non muterebbe
i
fatti
costitutivi
della
domanda
risarcitoria
proposta
con l’esercizio dell’azione
civile
in sede
penale;
già
con riferimento al
giudizio conseguente
all’annullamento ex
art. 622 c.p.p. si
sarebbe
dunque
in
presenza
di
un
accertamento
qualitativamente
diverso
rispetto
a
quello
svolto
in sede
penale, sia
pure
nell’ambito delle
statuizioni
civili, perchè
l’annullamento determinerebbe
una
vera
e
propria
translatio iudicii
dinanzi
al
giudice
competente
per valore
in grado
RASSeGNA
AVVoCAtURA
DeLLo
StAto -N. 1/2023
di
appello nel
quale
sarebbe
consentito quindi
modificare
la
domanda
ai
fini
della
prospettazione
degli
elementi
costitutivi
dell’illecito
civile.
tali
peculiarità,
si
aggiunge,
sarebbero
rinvenibili
a
maggior
ragione
nel
giudizio
di
prosecuzione
scaturente
dalla
nuova
norma
dell’art.
573, comma 1-bis, cit.
Si
precisa
anche
che, mentre
il
vaglio di
ammissibilità
del
giudice
di
legittimità
penale
è
effettuato
alla
stregua
delle
regole
penalistiche,
il
vaglio
del
giudice
di
legittimità
civile
è
svolto alla
stregua
di
quelle
civilistiche, sicchè
l’impugnante
secondo i
criteri
penali
avrebbe,
in
ogni
caso,
l’interesse
ad
un
termine
onde
“costruire”
il
proprio
atto
di
impugnazione
in
modo da poter affrontare un giudizio di legittimità retto da regole divenute diverse.
2. Così
riassunti
i
termini
del
contrasto, la
risoluzione
della
questione
rimessa, seppur inerente
ad un profilo di
carattere
essenzialmente
intertemporale, impone
di
soffermarsi
preliminarmente
sul
contenuto e
sul
significato delle
norme
con cui
il
D.Lgs. n. 10 ottobre
2020,
n.
150
è
intervenuto
a
disciplinare
l’ipotesi
della
impugnazione
della
sentenza
per
gli
interessi
civili:
solo apprezzando la
portata
delle
modifiche
intervenute
sul
punto, la
loro ragione
e
il
loro
“innesto”
nel
sistema
processuale
preesistente,
è
infatti
possibile
dare
una
corretta
risposta
al quesito rimesso dalla Quinta Sezione penale.
Come
infatti
è
agevole
ricavare
dalla
disamina
degli
indirizzi
tra
loro
in
contrasto
sopra
riassunti,
il
differente
epilogo
cui
gli
stessi
giungono
dipende
essenzialmente
dalla
risposta
che,
nella
pacifica
mancanza
da
parte
del
legislatore
di
ogni
regolamentazione
transitoria
delle
nuove
disposizioni,
si
dia
sul
grado
di
portata
innovativa
delle
stesse:
se,
cioè,
le
modifiche
intervenute
abbiano
o
meno
condotto
alla
configurazione
di
un
quadro
normativo
la
cui
diversità,
rispetto
al
precedente
assetto,
sia
tale
da
ledere
le
aspettative
di
colui
che
abbia
presentato
l’impugnazione
nel
precedente
regime,
con
conseguente
necessità
di
tutelarne
il
legittimo
affidamento
nella
immutabilità
dello
stesso
secondo
quanto
meglio
si
specificherà
oltre.
Del
resto, il
richiamo, nel
secondo orientamento considerato, alla
necessità
di
fare
applicazione,
nella
specie, dei
principi
affermati
da
Sez. U, Lista, cit. e
l’esclusione, di
converso,
nel
primo, della
incidenza
degli
stessi
nella
ipotesi
in esame, presuppongono, in entrambe
le
prospettive,
un
comune,
astratto,
dato
di
partenza,
ovvero
l’esigenza
che
non
vengano
appunto
“tradite”
le
ovvie
aspettative
di
chi, confidando, nel
compimento di
un atto processuale, in un
determinato
assetto
normativo,
veda
tale
quadro
mutato
in
itinere
in
ragione
della
introduzione
di
elementi
che,
ove
presenti
in
precedenza,
avrebbero
condotto
a
diverse
determinazioni
sullo
stesso an
o sul
quomodo
dell’atto compiuto.
Non è, dunque, sulla
condivisione
dei
principi
di
tutela
appena
ricordati
che
si
è
formata
la
divaricazione
giurisprudenziale,
bensì
sulla
rilevanza
dei
medesimi
nella
questione
dedotta.
2.1. tanto, dunque, premesso, il
legislatore, come
richiesto dall’art. 1, comma
13, lett. d),
della
L.
27
settembre
2021
n.
134
(Delega
al
Governo
per
l’efficienza
del
processo
penale
nonchè
in materia
di
giustizia
riparativa
e
disposizioni
per la
celere
definizione
dei
procedimenti
giudiziari), con cui
si
prescriveva, tra
l’altro, di
«adeguare
[...] la
disciplina
delle
impugnazioni
per
i
soli
interessi
civili,
assicurando
una
regolamentazione
coerente
della
materia»
in conseguenza, peraltro, della
necessità
di
disciplinare
i
rapporti
tra
il
nuovo istituto dell’improcedibilità
dell’azione
penale
per superamento dei
termini
di
durata
massima
del
giudizio
di
impugnazione
e
l’azione
civile
esercitata
nel
processo
penale,
ha
modificato
l’art.
573
c.p.p.;
e
ciò ha
fatto, sia
variando il
comma
1, riferito alle
impugnazioni
«per gli
interessi
civili» e
non
più,
come
in
precedenza,
«per
i
soli
interessi
civili»
sia,
soprattutto,
introducendo
un
comma
1 bis
di
nuovo conio nel
quale
si
prevede
che
«quando la
sentenza
è
impugnata
per i
CoNteNZIoSo
NAZIoNALe
soli
interessi
civili,
il
giudice
di
appello
e
la
Corte
di
cassazione,
se
l’impugnazione
non
è
inammissibile, rinviano per la
prosecuzione, rispettivamente, al
giudice
o alla
sezione
civile
competente,
che
decide
sulle
questioni
civili
utilizzando
le
prove
acquisite
nel
processo
penale
e
quelle
eventualmente
acquisite
nel
giudizio
civile»
(art.
33,
comma
1,
lett.
a),
n.
2,
del
D.Lgs.
n. 150 del 2022).
Una
ulteriore
modifica,
da
ricondurre
evidentemente
sempre
nell’alveo
della
direttiva
sopra
ricordata,
ha
avuto
poi
ad
oggetto
l’art.
78
c.p.p.,
relativo,
come
da
rubrica,
alle
formalità
della
costituzione
di
parte
civile,
ove,
al
comma
1,
lett.
d),
si
è
previsto
che,
tra
i
requisiti
formali
della
dichiarazione
di
costituzione,
l’esposizione
delle
ragioni
che
giustificano
la
domanda
debba
essere
specificamente
svolta
«agli
effetti
civili»
(art.
5
del
D.Lgs.
n.
150
del
2022).
2.2.
La
introduzione,
in
particolare,
del
comma
1-bis
dell’art.
573
cit.
è
stata
spiegata,
dalla
Relazione
illustrativa
al
decreto legislativo recante
attuazione
della
L. 27 settembre
2021, n.
134,
come
espressione,
con
riguardo
all’ipotesi
in
cui
sia
assente
un’impugnazione
anche
agli
effetti
penali,
della
«innovativa
regola
del
trasferimento
della
decisione
al
giudice
civile,
dopo
la
verifica
imprescindibile
sulla
non inammissibilità
dell’atto svolta
dal
giudice
penale», così
determinandosi
«un
ulteriore
risparmio
di
risorse,
nell’ottica
di
implementare
l’efficienza
giudiziaria
nella
fase
delle
impugnazioni». La
Relazione
ha
aggiunto che
«con il
rinvio dell’appello
o
del
ricorso
al
giudice
civile
l’oggetto
di
accertamento
non
cambierebbe,
ma
si
restringerebbe, dal
momento che
la
domanda
risarcitoria
da
illecito civile
è
già
implicita
alla
domanda
risarcitoria
da
illecito penale», concludendo poi
che
«non vi
sarebbe
pertanto una
modificazione
della
domanda
risarcitoria
nel
passaggio dal
giudizio penale
a
quello civile» e
che
«ragionevolmente, l’eventualità
dovrà
essere
prevista
dal
danneggiato dal
reato sin dal
momento
della
costituzione
di
parte
civile,
atto
che
pertanto
dovrà
contenere
l’esposizione
delle
ragioni
che
giustificano
‘la
domanda
agli
effetti
civili’,
secondo
l’innovata
formulazione
dell’art. 78, lett. d)» (v. pag. 164 della
Relazione
pubblicata
in Gazzetta
Ufficiale, Serie
Generale
n. 245 del 19 ottobre 2022 - Suppl. Straordinario n. 5).
2.3. Risulta
pertanto evidente, sulla
base
della
piana
lettura
del
dato testuale
delle
nuove
norme, e
del
significato sistematico appena
ricordato, il
mutamento di
coordinate
operato rispetto
al
“pregresso”
quadro:
mentre
in precedenza
anche
l’impugnazione
ai
soli
effetti
civili
(ovvero, in altri
termini, quella
svolta
in assenza
di
ogni
altra
censura, da
parte
del
medesimo
impugnante
ovvero
dalle
altre
parti,
riguardante
i
profili
penali
della
decisione)
era
comunque
destinata
ad
essere
decisa
dal
giudice
del
processo
penale
nel
quale
era
stata
esercitata
l’azione
civile, benchè
non residuassero più aspetti
di
ordine
penale
(e
a
tale
piano apparteneva
pur
sempre, per il
giudizio di
legittimità, l’epilogo eccezionale
rappresentato dall’art. 622 c.p.p.),
all’esito della
modifica
in oggetto l’impugnazione
(proposta, secondo la
immutata
regola
generale
di
cui
al
comma
1 dell’art. 573 c.p.p., valevole
anche
nel
caso di
censure
ai
soli
fini
civili,
nelle
«forme
ordinarie
del
giudizio
penale»)
viene
oggi
ad
essere
decisa
dal
giudice
civile,
restando
attribuito
al
giudice
penale
il
solo
compito
di
valutare
la
non
inammissibilità
del-
l’impugnazione
stessa:
la
necessità
di
accelerazione
dei
tempi
di
decisione, che
ha
rappresentato,
nell’impostazione
della
riforma, uno dei
parametri
ispiratori
della
stessa, e
la
naturale
dismissione, allorquando non siano più in gioco, per effetto del
relativo giudicato, profili
penali,
della
ordinaria
regola
di
“attrazione”
nel
campo penale
anche
delle
questioni
civilistiche
nascenti
dal
reato,
ha
comportato
che,
una
volta
esclusa,
dal
giudice
penale,
la
inammissibilità
dell’impugnazione
(che, per ragioni
evidenti
di
economia
processuale, determinerebbe, altrimenti,
la
definitiva
conclusione
del
giudizio), il
medesimo giudizio debba
essere
rinviato in
RASSeGNA
AVVoCAtURA
DeLLo
StAto -N. 1/2023
nanzi
al
giudice
civile
per la
“prosecuzione”
dello stesso e
la
decisione, nel
merito, dell’impugnazione.
Nè
può condurre
a
diverse
conclusioni
il
fatto che, con riguardo in particolare
al
giudizio
di
legittimità, di
“rinvio”, segnatamente
al
giudice
civile
competente
per valore
in grado di
appello,
già
si
occupasse
l’art.
622
c.p.p.,
e
che
tale
rinvio
sia
stato
letto,
da
ultimo,
anche
dalle
Sezioni
Unite
(Sez. U, n. 2265 del
28/01/2022, Cremonini, Rv. 281228-01), come
introduttivo
di
un giudizio del
tutto autonomo e
svincolato rispetto a
quello penale, conseguentemente
richiedente
un atto di
impulso di
parte
attraverso l’istituto della
riassunzione
ex
art.
392 c.p.p. evocato dallo stesso termine
di
“rinvio”
(v. anche, nella
più recente
giurisprudenza
civile
della
Corte, nel
senso che
il
giudizio di
rinvio ex
art. 622 c.p.p. si
configura
come
una
sostanziale
translatio iudicii
dinanzi
al
giudice
civile, regolato dagli
artt. 392-394 c.p.c., Sez.
3
civ.,
n.
30496
del
18/10/2022,
Rv.
666267-01;
Sez.
3.
civ.,
n.
8997
del
21/03/2022,
Rv.
66457903;
Sez.
3
civ.,
n.
517
del
15/01/2020,
Rv.
656811-01;
Sez.
3
civ.,
n.
16916
del
25/06/2019, Rv. 654433-01).
È
significativa
infatti,
sul
punto,
onde
distinguere
nettamente
le
due
ipotesi,
la
ben
diversa
portata
del
“rinvio”
come
emergente
dalla
stessa
concatenazione
dei
passaggi
delle
due
norme:
mentre
il
rinvio
dell’art.
622
cit.
segue
a
pronuncia
di
“annullamento”,
ovvero,
in
altri
termini,
alla
stessa
decisione
sull’impugnazione
ad
opera
della
Corte
penale
(giustificandosi
il
rinvio
al
giudice
civile
d’appello
essenzialmente
allorquando
la
decisione
impugnata
sia
priva
di
motivazione
ovvero
debbano
essere
svolti
accertamenti
e
valutazioni
in
fatto
non
esperibili
nel
giudizio
di
legittimità),
il
rinvio
introdotto
dal
nuovo
art.
573,
comma
1-bis,
cit.
è
funzionale
alla
“prosecuzione”
in
sede
civile
del
medesimo
giudizio
iniziato
in
sede
penale
senza
cesure
o
soluzioni
di
continuità
(cesure
date
invece,
nell’art.
622
cit.,
proprio
dalla
pronuncia
di
annullamento
e
che
impediscono,
tra
l’altro,
secondo
la
costante
giurisprudenza
civile,
l’enunciazione
di
un
principio
di
diritto
cui
il
giudice
civile
del
rinvio
sia
tenuto
ad
uniformarsi).
2.4. Anche
la
disciplina
posta
dallo stesso art. 573, comma
1-bis, cit. in ordine
al
regime
di
utilizzazione
delle
prove
non
smentisce
ma,
anzi
conferma,
l’unicità
del
giudizio:
da
un
lato continuano, per espressa
disposizione, ad essere
utilizzate
in sede
civile
le
prove
già
acquisite
in
sede
penale
e,
dall’altro,
confluiscono,
nello
stesso
giudizio,
le
prove
eventualmente
acquisende nel giudizio di rinvio.
2.5. Se, dunque, di
medesimo giudizio “rinviato”
per la
decisione
al
giudice
o alla
sezione
civile
competente
si
tratta,
pare
evidente
come
non
siano
in
alcun
modo
replicabili,
nel
nuovo
assetto, i
postulati
appena
ricordati, ed innanzitutto quello della
natura
“autonoma”, rispetto
al giudizio penale, del giudizio da svolgersi in sede civile.
Neppure
appare
conciliabile,
con
il
nuovo
assetto
scaturente
dalla
norma
in
oggetto,
la
necessità,
affermata
dalla
giurisprudenza
sempre
con
riguardo
al
giudizio
di
rinvio
“da
annullamento”,
di
emendatio
libelli
al
fine
di
coordinare
la
domanda
presentata
in
sede
penale
ai
parametri
propri
del
giudizio
civile
sia
con
riferimento
(quanto
meno
nel
sistema
precedente
alla
lettura
data
dalla
sentenza
della
Corte
Cost.
n.
182
del
2021)
ai
requisiti
della
responsabilità
aquiliana,
sia
con
riguardo
alle
diverse
regole
attinenti
al
nesso
di
causalità,
da
un
lato,
e
alle
prove,
dall’altro
(v.,
per
tutte,
da
ultimo,
Sez.
1
civ.,
n.
7474
del
08/03/2022,
Rv.
664524-01;
Sez.
3
civ.,
n.
517
del
15/01/2020,
Rv.
656811-01);
infatti,
la
necessità
di
un
tale
adeguamento
nel
passaggio
tra
i
due
giudizi
è
ormai
superata
dalla
già
iniziale
impostazione,
oggi
richiesta
dal
nuovo
art.
78,
comma
1,
lett.
d),
cit.
della
pretesa
civile
secondo
le
più
estese
coordinate
dell’atto
introduttivo
di
cui
all’art.
360
c.p.c.
nella
previsione
di
un
simile,
possibile,
epilogo.
CoNteNZIoSo
NAZIoNALe
Anzi,
e
di
più,
proprio
la
comparazione
tra
l’art.
573,
comma
1-bis,
c.p.p.
e
l’art.
622
c.p.p.
(quale
norma
che
continua
a
presupporre
pur
sempre
un
ordinario
quadro
che
attribuisce
alla
Corte
di
cassazione
penale
la
decisione
sull’impugnazione
anche
agli
effetti
civili)
sembra
rivelare
come
l’unica
lettura
possibile
della
nuova
disciplina
sia
quella
appena
considerata,
giacchè,
ove
il
legislatore
della
cd.
Riforma
Cartabia
avesse
invece
inteso
lasciare
sostanzialmente
immutato
il
quadro
normativo
come
letto
dalla
costante
giurisprudenza
di
legittimità,
ben
poco
senso
avrebbe
avuto
l’adozione
del
nuovo
art.
573,
comma
1-bis,
cit.,
finendo
quest’ultima
norma
per
sovrapporsi
irrazionalmente,
negli
esiti,
proprio
a
quella
dell’art.
622
cit.
Dunque, è
proprio il
ben diverso rapporto cronologico a
fondamento della
nuova
norma
rispetto a
quello posto alla
base
dell’art. 622 cit. (tra
decisione
e
successivo rinvio, nell’art.
622,
e
tra
rinvio
e
successiva
decisione,
nell’art.
573,
comma
1-bis)
a
rendere
non
assimilabili
tra
loro
l’assetto
attuale
e
quello
precedente
di
cui
l’art.
622
cit.
rappresenta
pur
sempre,
come
detto, nell’eccezione
così
introdotta
alla
regola
dell’attrazione
dell’azione
civile
al
processo
penale, una esplicazione.
Sì
che, è
bene
aggiungere, appaiono altresì
improponibili, proprio perchè
il
giudizio che
prosegue
è
sempre
e
solo il
medesimo iniziato dinanzi
al
giudice
penale, le
esegesi
(di
cui
è
traccia
in alcune
delle
ordinanze
della
Quinta
Sezione
adesive
all’indirizzo di
differita
applicabilità
del
nuovo comma
1-bis) che
hanno posto, accanto al
vaglio di
ammissibilità
o meno
del
ricorso per cassazione
affidato dalla
nuova
norma
al
solo giudice
penale, un ulteriore
e
successivo vaglio di
ammissibilità, secondo le
regole
processual-civilistiche, in capo alla
sezione
civile
di
rinvio;
e
ciò senza, peraltro, che
ancora
qui
si
consideri, come
si
farà
subito
oltre, la
insostenibilità
di
una
simile
opzione
-peraltro già
poco compatibile
con l’esigenza
di
semplificazione
del
processo
penale
espressamente
enunciata
dall’art.
1,
comma
1
della
legge
delega
n. 134 del
2021 -alla
luce
della
regola
della
mutata
formulazione
dell’art. 78, comma
1, lett. d), cit.
2.6. Come
infatti
or ora
anticipato, la
modifica
di
tale
ultima
norma
non può restare
indifferente
ai
fini
della
spiegazione
del
significato del
nuovo comma
1-bis
dell’art. 573 al
quale
offre, invece, un necessario completamento, ed assume, anzi, un rilievo decisivo proprio agli
effetti
della
risoluzione
del
contrasto giurisprudenziale
su cui
le
Sezioni
Unite
sono chiamate
ad intervenire.
Va
anzitutto rilevato che
la
necessità
di
tale
modifica, riguardante
una
norma
contenuta
all’interno
del
titolo V
del
Libro I del
codice
di
rito penale, riguardante
la
disciplina
relativa
a
parte
civile, responsabile
civile
e
civilmente
obbligato per la
pena
pecuniaria, non risulta
direttamente
derivante
da
alcuna
delle
direttive
della
legge
delega
già
citata
che,
infatti,
non
hanno riguardato la
posizione
della
parte
civile, sì
da
dovere
indurre
a
ritenere
che, quindi, la
sua
ragione
sia
esattamente
da
rinvenirsi
nel
collegamento con ambiti
diversi, oggetto di
specifica
regolamentazione. ed un tale
collegamento è
stato individuato, dalla
già
ricordata
Relazione
illustrativa
al
decreto legislativo, proprio con la
disciplina
della
impugnazione
ai
soli
effetti
civili, essendosi
chiarita
la
funzione
della
necessaria
specificazione, nell’atto di
costituzione,
delle
ragioni
della
domanda
«agli
effetti
civili» in correlazione
con la
mutata
attribuzione
della
decisione
di
detta
impugnazione
al
giudice
o alla
sezione
civile
competente
cui
il
giudizio deve essere rinviato in prosecuzione.
Se, dunque, in altri
termini, il
giudizio è
sempre
quello iniziale
che
prosegue, senza
soluzione
di
continuità, dalla
sede
penale
a
quella
civile, il
possibile
epilogo decisorio oggi
rappresentato,
in
caso
di
impugnazione
residuata
per
i
soli
effetti
civili,
dall’art.
573,
comma
RASSeGNA
AVVoCAtURA
DeLLo
StAto -N. 1/2023
1-bis,
cit.,
dovrà
essere
contemplato
dalla
parte
civile
sin
dal
momento
dell’atto
di
costituzione
e
a
tale
epilogo la
stessa
dovrà
dunque
far fronte
strutturando le
ragioni
della
domanda
in necessaria
sintonia con i requisiti richiesti dal rito civile.
Ciò significa, allora, che, se
nella
vigenza
del
precedente
tenore
della
norma, secondo la
costante
giurisprudenza
di
legittimità, era
del
tutto sufficiente, ad integrare
la
causa petendi
cui
si
riferisce
l’art. 78, comma
1, lett. d)
cit., il
mero richiamo al
capo d’imputazione
descrittivo
del
fatto allorquando il
nesso tra
il
reato contestato e
la
pretesa
risarcitoria
azionata
risultasse
con immediatezza
(tra
le
altre, Sez. 2, n. 23940 del
15/07/2020, Rosati, Rv.279490-01;
Sez.
6,
n.
32705
del
17/04/2014,
Coccia,
Rv.
260325-01;
Sez.
5,
n.
22034
del
07/03/2013,
Boscolo, Rv. 256500-01), ciò non può più bastare
a
fronte
della
nuova
disciplina. Sarà
infatti
necessaria
una
precisa
determinazione
della
causa petendi
similmente
«alle
forme
prescritte
per
la
domanda
proposta
nel
giudizio
civile»,
come
già
affermato
da
una
sola
iniziale
pronuncia
di
questa
Corte, poi
rimasta
superata
dalle
pronunce
appena
ricordate, e
che
ora, per
effetto del
mutato quadro, riprende
evidentemente
vigore;
cosicchè, ai
fini
dell’ammissibilità
della
costituzione, non sarà
più sufficiente
«fare
riferimento all’avvenuta
commissione
di
un
reato bensì
sarà
necessario richiamare
le
ragioni
in forza
delle
quali
si
pretende
che
dal
reato
siano scaturite
conseguenze
pregiudizievoli
nonchè
il
titolo che
legittima
a
far valere
la
pretesa
» (Sez. 2, n. 8723 del 07/05/1996, Schiavo, Rv. 205872-01).
In altre
parole, dunque, sarà
necessario che
le
ragioni
della
domanda
vengano illustrate
secondo
gli
stilemi
dell’atto di
citazione
nel
processo civile, ovvero, secondo quanto prevede
oggi
l’art.
163,
comma
3,
n.
4,
c.p.c.
con
«l’esposizione
in
modo
chiaro
e
specifico»
delle
stesse
(alla
stregua
del
testo
attualmente
risultante
a
seguito
delle
modifiche
apportate
dall’art.
3, comma
12, lett. a), n. 2, D.Lgs. n. 10 ottobre
2022 n. 149, decorrenti
dal
28 febbraio 2023
ed applicabili
ai
procedimenti
instaurati
successivamente
alla
data
del
29 dicembre
2022 per
effetto dell’art. 35, comma
1, di
detto decreto, come
modificato dall’art. 1, comma
380, lett.
a), L. 29 dicembre
2022, n. 197, con le
quali
si
è
inserito appunto l’inciso «in modo chiaro e
specifico»).
Non, dunque, in un mero “aggiustamento cosmetico”
si
è
risolta
la
specificazione
inserita
nell’art.
78
cit.,
bensì
nella
necessaria
proiezione,
sul
piano
della
domanda
di
parte
civile,
della mutata regolamentazione della impugnazione della sentenza agli effetti civili.
e
tutto
ciò
è
stato
appunto
riassunto
dalla
Relazione
illustrativa
menzionata
laddove,
come
già
ricordato
in
principio,
si
è
fatto
riferimento
all’onere
del
danneggiato
di
prevedere
l’eventualità
del
rinvio di
cui
all’art. 573 comma
1 bis
sin dal
momento della
costituzione
di
parte
civile.
È
inoltre
bene
aggiungere
che
la
nuova
disciplina
non può non incidere, sia
pure
non direttamente
come
nel
caso
della
parte
civile,
anche
sull’impugnazione,
effettuata
sempre
ai
soli
effetti
civili, dall’imputato, atteso che
le
stesse
ragioni
che
richiedono alla
parte
civile
di
impostare
l’atto di
costituzione
già
considerando un possibile
epilogo decisorio in sede
civile
finiscono inevitabilmente
per trasmettersi, in una
strategia
processuale
necessariamente
contrassegnata
dal
contraddittorio, anche
al
titolare
di
interessi
contrastanti
con l’accoglimento
della pretesa civile.
3. Gli
esiti
dell’analisi
delle
nuove
norme
sin qui
condotta
consente
dunque
di
rispondere
al quesito posto.
Riprendendo
le
mosse
dai
principi
già
affermati
da
questa
Corte
in
ordine
ai
termini
di
operatività,
in caso di
modifiche
delle
norme
processuali, del
principio tempus
regit
actum
ove,
come
nella
specie, difettino disposizioni
che
regolino il
passaggio da
vecchia
a
nuova
norma,
CoNteNZIoSo
NAZIoNALe
l’aspetto
di
maggior
criticità,
già
considerato
dalle
sentenze
dell’uno
e
dell’altro
orientamento
citate
dalla
ordinanza
rimettente, è
rappresentato dalla
corretta
individuazione
dell’actus
al
quale,
per
l’applicabilità
del
canone
ricordato,
occorre
fare
riferimento;
ciò
in
particolare
laddove
si
consideri
che, naturalmente, il
processo non è
un fenomeno isolato ed istantaneo, ma
si
compone
di
una
serie
concatenata
di
atti
che
si
sviluppano nel
tempo posti
in essere
da
soggetti
distinti,
e
dalla
compresenza
di
norme
regolatrici
aventi
contenuto
e
finalità
molto
diverse
tra di loro.
Ne
consegue
che
il
principio
regolatore
deve
essere
necessariamente
modulato
in
relazione
alla
variegata
tipologia
degli
atti
processuali
ed alla
differente
situazione
sulla
quale
essi
incidono
e che occorre di volta in volta governare.
Appare
dunque
indispensabile
ricordare
come
le
Sezioni
Unite
abbiano
avvertito
che
«per
actus
non
può
intendersi
l’intero
processo,
che
è
concatenazione
di
atti
-e
di
fasi
tutti
tra
loro
legati
dal
perseguimento
del
fine
ultimo
dell’accertamento
definitivo
dei
fatti;
una
tale
concatenazione
comporterebbe
la
conseguenza
che
il
processo
‘continuerebbe
ad
essere
regolato
sempre
e
soltanto
dalle
norme
vigenti
al
momento
della
sua
instaurazione’,
il
che
contrasterebbe
con
l’immediata
operatività
del
novum
prescritta
dall’art.
11,
comma
1,
prel.»
(Sez.
U,
Lista,
cit.).
e
d’altra
parte,
come
segnalato
anche
dalla
dottrina,
ove,
invece,
per
actus
si
considerasse
il
singolo
atto
via
via
compiuto,
il
principio
comporterebbe
che,
in
tutti
i
processi
ancora
in
corso,
ai
nuovi
atti
dovrebbero
essere
applicate
immediatamente,
sempre
e
comunque,
le
nuove
norme,
con
conseguente
rischio,
tuttavia,
di
trascurare
aspettative
consolidatesi
in
ragione
di
atti
precedenti
strettamente
collegati
a
quello
atomisticamente
considerato.
È
questa, del
resto, la
ragione
per cui
possibili
limiti
o mitigazioni
rispetto ad un’assolutizzazione
delle
regole
meramente
desumibili
dal
brocardo tempus
regit
actum
sono stati
ricavati
dalla
Corte
costituzionale
non solo dal
principio di
“ragionevolezza”
(Corte
Cost., ord.
n.
560
del
2000),
ma
anche
dall’esigenza
di
tutela
dell’
“affidamento”
che
il
singolo
dovrebbe
poter
nutrire
nella
stabilità
di
un
determinato
quadro
normativo:
affidamento
che,
almeno
quando si
trovi, a
sua
volta, «qualificato dal
suo intimo legame
con l’effettività
del
diritto di
difesa»,
riceve,
anch’esso,
il
riconoscimento
di
principio
«costituzionalmente
protetto»
(Corte
Cost., sent. n. 394 del 2002).
Del
resto, sul
richiamo all’«affidamento del
cittadino nella
sicurezza
giuridica», in quanto
costituente
«elemento fondamentale
e
indispensabile
dello Stato di
diritto», sempre
la
Corte
costituzionale
ha
avuto modo di
far leva
più volte, anche
per risolvere
questioni
attinenti
alla
successione
di
leggi
in materia
diversa
da
quella
processuale
penale. Ad esempio, ha
ribadito
che
la
tutela
dell’affidamento non comporta
che, nel
nostro sistema
costituzionale, sia
assolutamente
interdetto al
legislatore
di
emanare
disposizioni
le
quali
modifichino sfavorevolmente
la
disciplina
dei
rapporti
di
durata,
e
ciò
«anche
se
il
loro
oggetto
sia
costituito
dai
diritti
soggettivi
perfetti, salvo, qualora
si
tratti
di
disposizioni
retroattive, il
limite
costituzionale
della
materia
penale
(art. 25, comma
2, Cost.)». Con non minor nettezza
si
è
tuttavia
sottolineato
che
dette
disposizioni,
«al
pari
di
qualsiasi
precetto
legislativo,
non
possono
trasmodare
in
un
regolamento
irrazionale
e
arbitrariamente
incidere
sulle
situazioni
sostanziali
poste
in essere
da
leggi
precedenti, frustrando così
anche
l’affidamento del
cittadino nella
sicurezza
pubblica
[recte:
giuridica]»
(Corte
Cost.,
sent.
n.
16
del
2017
e
sent.
n.
822
del
1988).
Nè,
più
in
generale,
possono
trascurarsi
i
riferimenti,
talora
evidenziati
dalla
Corte
europea
dei
diritti
dell’uomo,
alla
“accessibilità”
ed
alla
“prevedibilità”
come
connotati
essenziali
del
diritto
penale,
in
una
prospettiva
che
guarda
non
soltanto
allo
ius
scriptum,
ma
altresì
al
“diritto
RASSeGNA
AVVoCAtURA
DeLLo
StAto -N. 1/2023
vivente”
espresso
dalla
giurisprudenza
(ex
plurimis,
Corte
eDU,
14/04/2015,
Contrada
c.
Italia).
In
definitiva,
nella
operazione
di
individuazione
di
quale
norma,
tra
quelle
succedutesi,
vada
applicata
all’atto
o
alla
sequenza
di
atti
da
disciplinare,
possono
venire
in
rilevo
plurime
istanze
di
rilievo
costituzionale
la
cui
composizione
e
armonizzazione
è
affidata
ad
un
ricorso,
equilibrato,
attento,
e
ragionevole,
da
parte
dell’interprete,
ai
criteri
appena
sopra
ricordati.
Del
resto, quello appena
richiamato è
anche
lo sfondo tenuto ben presente
dalla
decisione,
più
volte
richiamata,
delle
Sez.
U,
Lista
allorquando
è
stato
necessario
in
particolare
regolare,
in via
interpretativa, la
applicabilità
della
norma
di
cui
all’art. 9 L. 20 febbraio 2006, n. 46,
soppressiva
della
facoltà
di
appello della
parte
civile, ex
art. 577 c.p.p., agli
atti
di
impugnazione
pendenti al momento dell’entrata in vigore della nuova disposizione.
Anche
in quell’occasione
le
Sezioni
Unite, interrogandosi
su quale
fosse
l’actus
cui
fare
in concreto riferimento per l’individuazione
della
disciplina
applicabile
in materia
di
impugnazione
della
parte
civile, ebbero, a
ben vedere, a
ritenere
insoddisfacente
il
mero richiamo
alla
regola
tempus
regit
actum,
che
avrebbe
portato
ad
«esiti
irragionevoli»
(in
particolare
con
riferimento
all’aleatorietà
affidata
alla
tempestività
o
meno
del
deposito
della
sentenza
da
impugnare
o
agli
adempimenti
di
cancelleria
o
ancora
alla
iniziativa
più
o
meno
tempestiva
della
parte
interessata) ed optarono per ancorare
il
regime
delle
impugnazioni
non alla
disciplina
vigente
al
momento
della
loro
presentazione
ma
a
quella
in
essere
all’atto
della
pronuncia
della
sentenza;
e
ciò fecero facendo richiamo, al
riguardo, proprio «all’esigenza
di
tutela
del-
l’affidamento maturato dalla
parte
in relazione
alla
fissità
del
quadro normativo», sottolineando
che
«tale
affidamento
come
valore
essenziale
della
giurisdizione
che
va
ad
integrarsi
con l’altro, di
rango costituzionale, della
parità
delle
armi, soddisfa
l’esigenza
di
assicurare
ai
protagonisti
del
processo
la
certezza
delle
regole
processuali
e
dei
diritti
eventualmente
già
maturati
senza
il
timore
che
tali
diritti,
pur
non
ancora
esercitati,
subiscano
l’incidenza
di
mutamenti
legislativi, improvvisi
e
non sempre
coerenti
col
sistema, che
vanno a
depauperare
o
disarticolare posizioni processuali già acquisite».
3.1. tali
principi, dunque, non possono non valere
anche
in una
situazione, come
quella
di
specie,
parimenti
connotata,
in
ragione
di
quanto
sopra
precisato,
dalla
intervenuta
variazione
di
aspetti
che, pur legati
formalmente
alla
sola
fase
decisoria
dell’impugnazione, finiscono,
tuttavia,
per
riverberarsi
sugli
atti
indirettamente,
ma
logicamente,
propedeutici
alla
impugnazione
stessa
mutandone
imprevedibilmente
i
connotati
in maniera
tale
da
lasciare
“indifesa”
la
parte
che
tali
atti
abbia
già
svolto
secondo
quanto
prescritto
dalla
normativa
pregressa
anche nella costante interpretazione, sopra ricordata, della Corte.
e
ciò anche
non considerando il
requisito della
“chiarezza
e
specificità”
della
redazione
delle
ragioni
della
domanda
nell’atto di
citazione
ex
art. 360 c.p.c. come
introdotto dalla
L. n.
149 del
2022 cit., cui
dovrebbe
essere
omologato il
requisito della
causa petendi
nell’atto di
costituzione
di
parte
civile, posto che, come
già
ricordato sopra, per volontà
del
legislatore
tali
caratteristiche
sarebbero richieste, secondo quanto disposto dalla
L. n. 197 del
2022 per i
soli
procedimenti
civili
instaurati
successivamente
alla
data
del
28
febbraio
2023,
continuando,
per
i
procedimenti
pendenti
a
tale
data,
ad
applicarsi
le
disposizioni
anteriormente
vigenti:
già
la
sola
necessità
sostanziale
di
adozione, nell’atto di
costituzione
di
parte
civile, del
testo
dell’art. 360 c.p.c. nella
versione
anteriore
alle
modifiche
suddette, non potrebbe
non riverberarsi
sulle
legittime
aspettative
della
parte
civile
che
abbia
presentato
l’impugnazione
prima
dell’entrata in vigore del D.Lgs. n. 150 del 2022.
3.2.
Il
necessario
rispetto
delle
ragioni
di
affidamento
dell’impugnante
nella
non
variazione
CoNteNZIoSo
NAZIoNALe
del
quadro di
sistema
coesistente
al
momento dell’impugnazione, ragioni
evidentemente
dirimenti
anche
nel
caso di
specie, deve
dunque
indurre
inevitabilmente
ad individuare
nel
momento
del
deposito dell’atto di
costituzione
di
parte
civile
lo spartiacque
di
delimitazione
tra
impugnazioni
soggette
al
regime
previgente
e
impugnazioni
assoggettate, invece, alla
nuova
normativa.
e ciò per le ragioni che sopra si sono precisate.
3.3.
Non
pare
infine
ostativo
alla
conclusione
qui
prescelta
neppure
l’art.
34,
comma
1,
lett.
g),
del
D.Lgs.
n.
150
del
2022,
con
cui
si
è
eliminato,
nell’art.
601,
comma
1,
c.p.p.,
l’obbligo,
per
il
presidente
del
collegio,
di
ordinare
la
citazione
dell’imputato
non
appellante
quando l’appello sia
proposto per i
soli
interessi
civili
(norma
che, pur in assenza
di
esplicitazioni
sul
punto nella
Relazione
allo schema
di
decreto legislativo, parrebbe
essere
conseguente
alla
stessa
introduzione
dell’art.
573,
comma
1-bis,
cit.);
se
infatti
si
ritenga
che,
anche
con riguardo ad essa, difetti
una
specifica
norma
transitoria
ove
si
reputi
inapplicabile
l’art.
94 D.Lgs. n. 150 del
2022, (che
avrebbe
infatti
prorogato, per le
impugnazioni
proposte
entro
il
30 giugno 2023, l’applicazione
delle
norme
“emergenziali”
Covid con stretto riferimento
alla
sola
disciplina
dell’udienza
camerale
cartolare),
dovrebbe
anche
per
essa,
proprio
in
quanto collegata al nuovo comma 1-bis, operare il medesimo momento temporale di delimitazione
rappresentato dall’atto di costituzione di parte civile.
4.
Nessuno
dei
due
orientamenti
in
contrasto
può,
dunque,
essere
condiviso:
non,
anzitutto,
quello
dell’immediata
applicabilità
della
nuova
norma
a
tutte
le
impugnazioni
comunque
pervenute
alla
Corte
d’appello e
alla
Corte
di
cassazione
successivamente
all’entrata
in vigore
della
stessa,
essendosi
essenzialmente
trascurato,
nell’analisi
della
nuova
disciplina,
il
decisivo
segno
di
cambiamento
rappresentato
dall’attribuzione
della
decisione
sull’impugnazione
non
più al
giudice
penale
bensì
al
giudice
di
appello civile
o alla
sezione
civile
della
Corte
di
cassazione
e
la
incidenza
di
detto novum
sulle
ragioni
di
affidamento dell’impugnante
originate
dall’assetto precedente.
Il
significato della
innovazione
rispetto al
precedente
assetto, rappresentata
dal
combinato
disposto
degli
artt.
78
e
573,
comma
1-bis,
cit.,
non
può
essere
“vanificato”
neppure
argomentando
sulla
base
della
considerazione, sostanzialmente
presente
in tutte
le
pronunce
rappresentative
di
detto indirizzo, per cui, già
a
decorrere
dalla
pronuncia
della
Corte
Cost., n.
182 del
2021, l’accertamento dell’illecito che
sarebbe
richiesto al
giudice, anche
in sede
penale,
ai
fini
delle
statuizioni
sul
risarcimento dei
danni, avrebbe
sempre
natura
civilistica;
più
in particolare, affermandosi
che
il
giudice
penale
dell’impugnazione
sarebbe
chiamato ad accertare
solo
la
fattispecie
aquiliana,
senza
alcun
riferimento
a
profili
inerenti
alla
responsabilità
penale
dell’imputato, detto orientamento ha
richiamato, come
si
è
visto, quelle
pronunce
secondo
cui
il
giudice
penale
dovrebbe
comunque
utilizzare
il
giudizio della
probabilità
prevalente
in
luogo
di
quella
fissata
dall’art.
533,
comma
1,
c.p.p.,
facendo
utilizzazione
della
“lettura”
dell’art. 578 c.p.p. operata
dalla
suddetta
pronuncia
della
Corte
costituzionale
(Sez.
4, n. 37193 del
15/09/2022, Ciccarelli, Rv. 283739-01 e
Sez. 2, n. 11808 del
14/01/2022, Restaino,
Rv. 283377).
Dunque, si
è
aggiunto, la
prosecuzione
in sede
civile
del
giudizio non comporterebbe, rispetto
al
passato,
alcuna
modificazione
nell’applicazione
delle
regole
processuali
e
probatorie
con
conseguente
insussistenza
di
un
“affidamento”
da
tutelare
e
immediata
applicabilità
della
nuova disposizione di cui all’art. 573, comma 1-bis, cit.
Va
tuttavia
osservato che, nella
impostazione
della
sentenza
n. 182 del
2021 della
Corte
costituzionale,
il
“contenimento”
dell’accertamento
del
danno
all’interno
della
responsabilità
RASSeGNA
AVVoCAtURA
DeLLo
StAto -N. 1/2023
da
atto
illecito
ex
art.
2043
c.c.,
con
le
conseguenze
processuali
e
probatorie
da
esso
derivanti,
è
disceso dalla
necessità
di
non violare
il
diritto dell’imputato alla
presunzione
di
innocenza
tutte
le
volte
in cui
la
responsabilità
penale
di
quest’ultimo non possa
più formare
oggetto di
accertamento;
ma
un tale
presupposto, invocato non a
caso con riguardo ad intervenuta
estinzione
del
reato per amnistia
o prescrizione
(come
è
infatti
delle
sentenze
di
Sez. 4, n. 37193
del
15/09/2022, Ciccarelli, cit. e
Sez. 2, n. 11808 del
14/01/2022, Restaino, cit.) o ad ipotesi
in qualche
modo a
questa
equiparabili
(come
quella
dell'impugnazione
di
parte
civile
ai
soli
effetti
civili
con
conseguente
passaggio
in
giudicato
della
eventuale
assoluzione
ai
fini
penali,
tanto che
proprio a
quest’ultima
hanno avuto riguardo alcune
delle
pronunce
di
cui
all’indirizzo
in esame), non pare
potere
valere
nel
caso di
specie;
ivi, infatti, passata
in giudicato la
sentenza
di
condanna,
l’impugnazione
ha
avuto
riguardo
ai
soli
aspetti
civili,
ben
potendo
l’accertamento del
danno, proprio perchè
ormai
accertata
la
responsabilità
penale, estendersi
all’ambito del reato.
Se
anche, dunque, si
guardasse
alle
ipotesi
per le
quali
le
coordinate
dell’attuale
giudizio
di
responsabilità
potrebbero già
coincidere, per effetto della
citata
lettura
costituzionale, con
quelle
introdotte
dagli
artt. 78 e
573, comma
1-bis
cit., non per questo perderebbe
di
valore
l’esigenza
di
assicurare, nelle
altre
ipotesi, la
tutela
dell’affidamento della
parte
impugnante;
e
poichè
evidenti
ragioni
di
certezza
anche
del
diritto processuale
impongono l’adozione, sia
pure
in
via
interpretativa,
di
una
regola
“transitoria”
di
carattere
generale,
si
dovrebbe
comunque
sempre
pervenire
alla
conclusione
che
individua
nella
presentazione
dell’atto di
costituzione
di
parte
civile
il
momento
discriminante
tra
applicazione
delle
norme
previgenti
e
applicazione di quelle nuove.
Del
resto, mentre
il
ricorso alla
qui
prescelta
regola
nei
casi
ricadenti
nella
ratio
della
sentenza
della
Corte
costituzionale
comporterebbe
un “eccesso”
di
garanzia, al
più non dovuto
ma
certo
non
lesivo
dei
diritti
difensivi,
viceversa,
l’applicazione
immediata
delle
nuove
norme
ai
casi
diversi
da
quelli
si
tradurrebbe, come
visto, in una
lesione
dell’aspettativa
della
parte
impugnante
a
non
vedere
variato
il
quadro
normativo
preesistente
che
affonda
le
proprie
radici in un quadro di carattere anche costituzionale.
In
definitiva,
l’operazione
di
graduazione,
appena
vista,
dei
costi
e
dei
benefici
relativi,
ove
si
tratti
di
dettare
regole
di
transizione
da
un sistema
all’altro necessariamente
uniformi,
non potrebbe
evidentemente
prescindere
dall’osservanza
del
criterio di
proporzionalità
o ragionevolezza,
insito nell’art. 3 Cost. e certamente applicabile anche in tal caso.
Nè
a
conclusioni
diverse
possono
condurre
la
ritenuta
possibilità
di
modificare
la
domanda
in sede
di
giudizio di
rinvio civile, possibilità
che, mutuata
dalla
lettura
giurisprudenziale
in
particolare
dell’art.
622
c.p.p.,
non
è
invece
esperibile
con
riferimento
al
nuovo
art.
573,
comma
1-bis, introduttivo non già, come
visto, di
un giudizio autonomo rispetto al
primo ma
di una prosecuzione sempre del medesimo originario giudizio.
Così
come
non appaiono conducenti
i
richiami
a
precedenti
pronunce
delle
Sezioni
Unite
onde
individuare
già
in
esse
i
prodromi
del
principio
dell’immediata
applicabilità
della
nuova
norma.
Non pertinente
appare, infatti, il
richiamo anzitutto alla
sentenza
di
Sez. U, n. 11586 del
30/09/2021, dep. 2022, D., Rv. 282808-01, affermativa
dell’applicabilità, anche
ai
giudizi
relativi
a
sentenze
pronunciate
prima
della
entrata
in vigore
della
L. 23 giugno 2017, n. 103,
del
nuovo
comma
3-bis
dell’art.
603
c.p.p.,
stante
la
diversità
dell’actus
colà
considerato
(ovvero
la
rinnovazione
dell’istruzione
dibattimentale), non inserito, come
nella
specie, in una
sequenza iniziata già in precedenza e non scindibile in singoli momenti.
CoNteNZIoSo
NAZIoNALe
Neppure
rilevante
appare
la
decisione
di
Sez.
U,
n.
3464
del
30/11/2017,
Matrone,
Rv.
275201, implicitamente
affermativa
dell’applicabilità, in un procedimento iniziato nel
2016,
della
nuova
ipotesi
di
annullamento senza
rinvio di
cui
all’art. 620, comma
1, lett. l), c.p.p.,
introdotta
con la
L. n. 103 del
2017 in un momento temporale
successivo, anche
in tal
caso
essendosi
evidentemente
in
presenza
di
un
atto
(la
decisione
di
annullamento
senza
rinvio
anzichè
di
annullamento con rinvio) privo di
effetti
pregiudizievoli
sulle
legittime
aspettative
dell’impugnante, con piana applicazione del principio di cui all’art. 11 preleggi.
Da
ultimo, neppure
la
pronuncia
di
Sez. U, n. 13539 del
30/01/2020, Perroni, Rv. 270270,
appare
probante
nel
senso
invocato
dall’indirizzo
esaminato,
posto
che
l’applicabilità
dell’art.
578-bis
c.p.p. alle
sentenze
pronunciate
prima
dell’entrata
in vigore
di
tale
norma, introdotta
dall’art. 6, comma
4, del
D.Lgs. n. 1 marzo 2018, n. 21, è
stata
chiaramente
determinata
proprio
dalla
linea
di
continuità
della
disposizione,
pur
formalmente
nuova,
rispetto
alla
possibilità
di
operare,
anche
in
precedenza,
la
confisca
edilizia
pur
in
presenza
di
intervenuta
prescrizione
del
reato alla
luce
della
costante
interpretazione
dell’art. 44 del
D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380
(cfr. Sez. 3, n. 21910 del 07/04/2022, Licata, Rv. 28332502).
4.1.
Neppure
può
essere
seguito
l’orientamento
della
applicabilità
della
norma
alle
sole
impugnazioni
relative
alle
sentenze
pronunciate
o
depositate
dopo
la
data
del
30
dicembre
2022,
seppur
fondato
su
un’impostazione
preoccupata,
in
linea
con
la
limitazione
del
principio
del
tempus
regit
actum,
di
non
arrecare
lesioni
alle
legittime
aspettative
della
parte
impugnante.
tale
indirizzo appare, infatti, avere
limitato impropriamente
in tal
modo l’ambito di
applicazione
del
principio
di
affidamento
dell’impugnante
senza,
anch’esso,
considerare
il
riflesso
della
sequenza
impugnatoria
sui
collegati
requisiti
di
redazione
dell’atto
di
costituzione
di
parte
civile, in una
necessaria
visuale
di
complessiva
considerazione
dell’actus
interessato e
finendo
per
arrestarsi,
anch’esso,
su
una
linea
di
cesura
tra
giudizio
di
impugnazione
instaurato
dinanzi
al
giudice
penale
e
giudizio proseguito dinanzi
al
giudice
civile
smentita
dalla
lettera
e dalla
ratio
della nuova norma.
5. Va
conseguentemente
affermato il
seguente
principio di
diritto:
“l’art. 573, comma 1bis,
c.p.p., introdotto dall’art. 33 del
D.Lgs. n. 10 ottobre
2022, n. 150, si
applica alle
impugnazioni
per
i
soli
interessi
civili
proposte
relativamente
ai
giudizi
nei
quali
la costituzione
di
parte
civile
sia intervenuta in epoca successiva al
30 dicembre
2022, quale
data di
entrata
in vigore della citata disposizione”.
6. Venendosi
dunque
ad esaminare
l’unico motivo di
ricorso, con cui
si
lamenta
che
il
giudice
di
appello abbia
fatto luogo alla
compensazione
per intero tra
le
parti
delle
spese
di
lite
a
fronte
della
ritenuta
parziale
soccombenza
della
parte
civile
derivata
dalla
liquidazione
dei
danni
in misura
inferiore
a
quella
richiesta, va
anzitutto chiarito che
l’impugnazione
svolta
nella
specie
deve
ritenersi
rientrare
tra
quelle
svolte
“per
i
soli
interessi
civili”,
con
conseguente
rilevanza della questione posta dalla Sezione rimettente.
Infatti,
pur
venendo
nella
specie
dedotta,
oltre
alla
mancanza
di
motivazione,
la
violazione
di
legge
processuale
formalmente
di
natura
penale, ovvero, in particolare, dell’art. 541 c.p.p.,
la
stessa
appare
riguardare
indubitabilmente
i
soli
effetti
civili
della
sentenza
impugnata, derivando
la
regolamentazione
delle
spese
in oggetto proprio dalla
intervenuta
costituzione
di
parte civile e, dunque, dalla responsabilità per i danni civili arrecati.
Del
resto, è
evidente
come
nella
nozione
di
“interessi
civili”
impiegata
dall’art. 573 c.p.p.
e
che
giustifica
in astratto, ove
non siano più residuate
questioni
di
natura
penale, l’applicazione
della
nuova
norma
del
comma
1-bis, non rientrino anche
le
questioni
processuali
che,
RASSeGNA
AVVoCAtURA
DeLLo
StAto -N. 1/2023
pur presidiate
(posto che
l’azione
viene
esercitata
nell’ambito del
processo penale) anche
da
norme
di
rito penale, trovano la
propria
causa, come
nell’ipotesi
in esame, nella
domanda
di
parte civile esercitata per il ristoro dei danni subiti.
In
altri
termini,
affinchè
l’impugnazione
sia
svolta
“per
i
soli
interessi
civili”,
la
stessa
deve
riguardare
capi
della
decisione
di
contenuto
extrapenale,
ossia
concernenti,
fondamentalmente,
la
richiesta
di
risarcimento
dei
danni,
le
spese
sostenute
dalla
parte
civile
e
i
danni
conseguenti
a lite temeraria.
e
non pare
dubbio che, nella
fattispecie
in esame, proprio uno di
detti
capi
sia
stato attinto
dall’impugnazione della parte civile.
7. Una
volta
dunque
ritenuta
la
rilevanza
della
questione
dedotta, e
atteso che, in forza
del
principio di
diritto appena
affermato sopra
e, dunque, della
inapplicabilità
all’impugnazione
de
qua, relativa
a
procedimento nel
quale
l’atto di
costituzione
di
parte
civile
è
intervenuto
anteriormente
all’entrata
in
vigore
del
D.Lgs.
n.
130
del
2022,
dell’art.
573,
comma
1-bis,
c.p.p., la
censura
svolta
con il
ricorso deve
essere
decisa
dalla
Corte
di
cassazione
penale, va
osservato che il motivo di ricorso è fondato.
Va
infatti
sottolineato che, come
già
affermato da
queste
Sezioni
Unite, il
parziale
accoglimento
dell’impugnazione
dell’imputato
non
elimina
la
affermazione
di
responsabilità,
sicchè
è
consentita
la
condanna
dello stesso alla
rifusione
delle
spese
sostenute
dalla
parte
civile
nel
giudizio
di
impugnazione,
in
base
alla
decisiva
circostanza
della
mancata
esclusione
del
diritto
della
parte
civile, salvo che
il
giudice
non ritenga
di
disporne, per giusti
motivi, la
compensazione
totale
o parziale, sulla
base
di
un potere
discrezionale
attribuito dalla
legge
e
il
cui
esercizio non è
censurabile
in sede
di
legittimità, se
congruamente
motivato (Sez. U, n. 6402
del
30/04/1997, Dessimone, Rv. 207946-01);
successivamente, e
analogamente, si
è
poi
confermato
che
la
violazione
del
principio
della
soccombenza,
in
ordine
al
regolamento
delle
spese
da
parte
del
giudice
di
merito, deve
ravvisarsi
soltanto nell’ipotesi
in cui
l’imputato sia
totalmente
vittorioso, nel
senso che
egli
sia
assolto con formula
preclusiva
dell’azione
civile,
mentre
è
legittima
la
condanna
dell’imputato al
pagamento delle
spese
sostenute
dalla
parte
civile
quando la
responsabilità
sia
stata
confermata, pur in presenza
di
un accoglimento del-
l’impugnazione
sotto altri
profili
(tra
le
altre, Sez. 4, n. 25846 del
15/03/2018, Santoro, Rv.
273079; Sez. 5, n. 6419 del 19/11/2014, Arrigone, Rv. 262685).
Risulta
dunque
non
legittima,
sulla
base
di
tali
principi,
la
decisione
della
Corte
territoriale
che,
per
il
solo
fatto,
espressamente
enunciato,
della
riduzione
dell’entità
del
risarcimento
dei
danni
conseguita
alla
operata
riqualificazione
giuridica
dei
reati
ritenuti
in sede
di
giudizio di
primo grado, ha disposto la compensazione integrale delle spese di lite tra le parti.
Infatti,
considerato
che,
come
già
affermato
da
questa
Corte,
la
riqualificazione
dei
reati,
ricondotti
peraltro
a
quelli
già
originariamente
contestati,
non
fa
venir
meno
il
diritto
alla
restituzione
e
al
risarcimento
del
danno
in
favore
della
parte
civile
costituita,
purchè
il
fatto
sia
rimasto
qualificato
quale
illecito
penale
anche
al
momento
della
pronuncia
delle
sentenze
di
primo
e
secondo
grado
(Sez.
6,
n.
27087
del
19/04/2017,
Fiorenza,
Rv.
27040001),
tale
operata
compensazione,
anche
in
forma
solo
parziale,
non
può
trovare
comunque
giustificazione.
8. Ne
consegue, in applicazione
dell’art. 620, lett. l), c.p.p., applicabile
anche
ove
si
tratti
di
annullamento
ai
soli
effettivi
civili,
come
evidenziato
dal
fatto
che
l’art.
622
c.p.p.
prescrive
il
rinvio per la
decisione
al
giudice
civile
competente
in grado di
appello solo “ove
occorra”,
l’annullamento senza
rinvio della
sentenza
impugnata
limitatamente
alla
disposta
compensazione
tra
le
parti
delle
spese
di
parte
civile
relative
ai
giudizi
di
primo e
di
secondo grado,
CoNteNZIoSo
NAZIoNALe
conseguendo
la
liquidazione
delle
stesse
in
favore
della
stessa
parte
civile
in
complessivi
euro
ottomilacinquecento oltre accessori di legge.
P.Q.M.
Annulla
senza
rinvio
la
sentenza
impugnata
limitatamente
alla
disposta
compensazione
tra
le
parti
delle
spese
di
parte
civile
relative
ai
giudizi
di
primo e
di
secondo grado, spese
che
liquida
in complessivi
euro ottomilacinquecento, oltre
accessori
di
legge. In caso di
diffusione
del
presente
provvedimento
omettere
le
generalità
e
gli
altri
dati
identificativi
a
norma
dell’art.
52 D.Lgs. n. 196 del 2003 in quanto imposto dalla legge.
Così deciso in Roma, il 25 maggio 2023.
PaReRidelComitatoConsultivo
Rimborso spese legali sostenute dal pubblico dipendente ai
sensi dell’art. 18 d.l. n. 67/1997, conv. l. n. 135/1997. Corretta
definizione degli ambiti applicativi della disposizione
Parere
del
12/10/2023-634820, al 10673/2014,
V.a.G. enrico
de
GioVanni
Codesta
Avvocatura
distrettuale
ha
chiesto,
in
relazione
all’oggetto,
a
questo
Generale
Ufficio
un
parere
“sulla
questione
di
massima
e
sulla
concedibilità
o
meno
del
rimborso
richiesto
all’esito
del
riesame”
riferendo
quanto
segue.
Nel
caso
di
specie
al
richiedente
il
rimborso,
dipendente
dell’Amministrazione
della
difesa, era
stato contestato il
reato di
truffa
ai
danni
dell’Amministrazione
per
essersi
assentato
durante
l’orario
di
servizio
per
motivi
privati
senza
permesso
e
senza
annotazione
dell’uscita;
l’archiviazione
è
stata
disposta
dal
G.I.P. poiché
non sussistevano elementi
di
prova
idonei
a
sostenere
l’accusa in giudizio.
Codesta
Avvocatura
aveva
negato
le
rimborsabilità
delle
spese
legali
e
deve
ora
esaminare
la
richiesta
di
riesame
dell’istante, che
ha
di
recente
sollecitato
l’evasione del parere.
Nella
richiesta
di
parere
diretta
a
questo G.U. si
osservava
che
al
fine
di
ravvisare
o
escludere
la
sussistenza
della
connessione
con
il
servizio,
secondo
l’impotazione
prevalentemente
seguita,
deve
farsi
riferimento
alla
condotta
accertata
all’esito del
procedimento penale
ex
post
e
non all’imputazione
formulata
dal
PM, che
darebbe
luogo ad un giudizio prognostico ed astratto (ex
ante);
nel
caso di
specie, tuttavia, non risulta
positivamente
accertata
(nemmeno
allo stadio embrionale, atteso che
si
tratta
di
procedimento definito con
l’archiviazione)
alcuna
condotta,
essendo
stati
ritenuti
insufficienti
gli
elementi
di prova raccolti a sostenere accusa in giudizio.
Ai
fini
della
concessione
del
rimborso, pertanto, prosegue
codesta
Avvocatura,
pare
porsi
il
problema,
di
ordine
generale,
della
sussistenza
del
requisito
rASSeGNA
AVVoCATUrA
deLLo
STATo -N. 1/2023
della
c.d.
connessione
teleologica
nelle
ipotesi
in
cui
sia
assente
l’accertamento
della
condotta
da
parte
del
giudice;
ovvero
se
ai
fini
del
rimborso
sia
necessario
il
positivo accertamento della
sussistenza
di
una
condotta
del
richiedente
tesa
al
perseguimento
dei
fini
dell’Amministrazione
o
se,
piuttosto,
tale
sussistenza
debba
presumersi
in assenza
di
elementi
che
consentano di
escluderla, atteso
che
si
tratta
di
contestazione
di
reati
che
presuppongono, in qualche
misura, il
rapporto di servizio con l’Amministrazione.
***
Tanto premesso si osserva quanto segue.
Viene
chiesto il
riesame
di
un parere
negativo espresso da
codesta
Avvocatura,
in relazione
alla
richiesta
di
rimborso di
spese
legali
di
un dipendente
dell’Amministrazione
della
difesa;
nel
parere
si
era
ritenuto che
il
criterio per
la
valutazione
circa
l’esistenza
o
meno
della
riconducibilità
della
condotta
che
ha
dato
luogo
al
giudizio
“all’esercizio
delle
attribuzioni
affidate
al
dipendente”
andasse
rinvenuto
nell’accertamento
del
“nesso
di
strumentalità
tra
l’adempimento del
dovere
e
il
compimento dell’atto, nel
senso che
il
dipendente
non avrebbe
assolto ai
suoi
compiti
se
non ponendo in essere
quella determinata
condotta”
(così
efficacemente
la
sentenza
del
Consiglio di
Stato n.
1914/08 citata
nell’originario parere
di
codesta
Avvocatura
distrettuale);
poiché
nel
caso di
specie
non si
era
verificata
la
presunta
azione
illecita, veniva
esclusa
la
rimborsabilità
non sussistendo esercizio di
attribuzioni
affidate
al
dipendente.
.
Si
osserva
al
riguardo che
il
descritto criterio è
pienamente
idoneo a
consentire
l’espressione
dell’avviso
dell’Avvocatura
laddove
la
decisione
assolutoria
abbia
accertato l’effettivo e
positivo svolgersi
di
comportamento attivo,
inteso come
azione
realmente
posta
in essere
dal
dipendente
legata
da
nesso
di
strumentalità
con l’adempimento del
dovere
e
risultata, poi, tale
da
non determinare
alcuna responsabilità penale, civile o amministrativa.
Considerazioni
in parte
diverse
devono farsi
qualora
la
decisione
accerti
che
quella
condotta
non è
avvenuta;
in tali
casi
si
ritiene
che
si
debba
valutare
se
la
condotta
astrattamente
ipotizzata
nell’imputazione
(o in atto di
citazione
ecc.) sia
considerata, ove
accertata
nel
giudizio, come
produttrice
di
responsabilità
(penale, civile
o amministrativa) proprio in quanto posta
in essere
da
un pubblico dipendente
in relazione
a
circostanze
inerenti
la
prestazione
del
servizio o addirittura in violazione dei propri doveri.
Le
spese
legali, in questo caso, sono destinate
a
compensare
difese
professionali
intese
a
far
affermare
l’inesistenza
fattuale
della
condotta
dell’agente
e
quindi,
in
altri
termini,
l’inesistenza
di
comportamenti
posti
in
essere
in
contrasto
con
gli
obblighi
di
servizio
gravanti
sul
dipendente
pubblico
o
comunque
connessi con la prestazione del servizio medesimo.
Si
ritiene
che
la
ratio
dell’art. 18 1. 135/97 sia
quella
di
tenere
indenne
dalle
spese
legali
i
dipendenti
pubblici
che
hanno tenuto un comportamento
PArerI
deL
CoMITATo
CoNSULTIVo
rispettoso degli
obblighi
su di
essi
gravanti
in relazione
alla
prestazione
del
servizio
(come
peraltro
chiarito
della
stessa
relazione
illustrativa
ai
d.d.l.):
non
si
vede, quindi, come
possa
escludersi
dalla
rimborsabilità
l’ipotesi
in cui
un
dipendente
pubblico
abbia
subito
un
giudizio
proprio
in
conseguenza
della
sua
qualità
di
pubblico dipendente
e
abbia
visto riconosciuto in giudizio l’inesistenza
di presunte condotte contrarie ai citati obblighi.
In altri
termini, laddove
una
decisione
abbia
accertato che
il
dipendente
non ha
posto in essere
la
condotta
indicata
nell’imputazione
o nella
citazione
e
che
dunque
non vi
è
azione
che
si
ponga
al
di
fuori
dell’espletamento del
servizio o che
persegua
fini
egoistici, per il
semplice
motivo che
non sussiste
affatto l’azione
stessa, ai
fini
del
rimborso assume
rilievo il
contesto delle
circostanze
di
fatto che
hanno determinato l’iniziativa
processuale:
si
ritiene
che
laddove
il
fatto
imputato
al
dipendente
sia
da
ricondurre
a
circostanze
inerenti
la
prestazione
del
servizio, sarebbe
iniquo e
contrario, allo spirito dell’art. 18
citato esporre
il
dipendente
ad una
spesa
legale
che
egli
non ha
in alcun modo
cagionato
con
una
propria
condotta;
solo
ove
l’azione
contestata
al
dipendente
fosse
stata
accertata
essa
avrebbe
troncato il
nesso funzionale
con la
prestazione
del
servizio,
ma
non
essendosi
essa
verificata
non
sembra
sia
intervenuto
alcun elemento ostativo alla concessione del rimborso richiesto.
Né
a
tale
lettura
della
norma
sembra
ostare
la
natura
di
stretta
interpretazione
della
stessa,
giacché
non
si
tratta
qui
di
un’applicazione
analogica
o
estensiva
della
disposizione
di
cui
all’art. 18, bensì
della
corretta
definizione
dei suoi ambiti applicativi, nei quali il caso di specie rientra.
Va
pertanto affermata
la
rimborsabilità, in via
generale
ed astratta, delle
spese
legali
sostenute
da
un pubblico dipendente
del
quale
venga
esclusa
la
responsabilità
e
che
sia
stato tratto a
giudizio in relazione
a
fatti
asseritaniente
posti
in
essere
in
violazione
degli
obblighi
su
di
esso
gravanti
in
relazione
alla
qualifica
rivestita
o
comunque
in
relazione
a
circostanze
inerenti
la
prestazione
del
servizio e
che
risulti
non aver tenuto la
condotta
ipotizzata, non essendo
necessario
ai
fini
della
concessione
del
rimborso
il
positivo
accertamento
della
sussistenza
di
una
condotta
del
richiedente
tesa
al
perseguimento
dei
fini
dell’Amministrazione.
Va
peraltro precisato che, come
riaffermato di
recente
dal
Comitato Consultivo
(nella
seduta
del
19 luglio 2022) la
valutazione
della
condotta
va
effettuata
“ex post”, cioè
sulla
base
di
quanto accertato nella
decisione
che
ha
definito il
giudizio (che
nella
fattispecie
ha
escluso la
sussistenza
della
condotta
illecita).
Nel
caso di
specie, pertanto, le
spese
legali
appaiono rimborsabili
nei
limiti
che
codesta
Avvocatura
riterrà
congrui
nel
riscontro
che
vorrà
fornire
all’Amministrazione
Sul
presente
parere
si
è
espresso
in
conformità
il
Comitato
Consultivo
in-
data 12 ottobre 2023.
rASSeGNA
AVVoCATUrA
deLLo
STATo -N. 1/2023
in tema di tutela ambientale dell’ecosistema marino
e di quello lagunare. ambito di applicazione dell’art. 109,
d.lgs. 152/2006 (t.u.a.), del d.m. 173/2016
Parere
del
04/11/2022-699738, al 14275/2021,
aVV. luiGi
Simeoli, aVV. daVide
di
GiorGio
Codesta
Avvocatura
distrettuale
ha
richiesto un parere
in merito all’interpretazione
dell’art. 109 del
d.lgs. 152/2006 (di
seguito per brevità
T.U.A.)
al
fine
di
stabilire
se
la
norma
in questione
possa
essere
applicata
anche
all’ambito
lagunare. recita il testo dell’articolo in questione:
“1. al
fine
della tutela dell’ambiente
marino e
in conformità alle
disposizioni
delle
convenzioni
internazionali
vigenti
in materia, è
consentita l’immersione
deliberata in
mare
da navi
ovvero aeromobili
e
da strutture
ubicate
nelle
acque
del
mare
o
in
ambiti
ad
esso
contigui,
quali
spiagge,
lagune
e
stagni
salmastri e terrapieni costieri, dei materiali seguenti:
a)
materiali
di
escavo
di
fondali
marini
o
salmastri
o
di
terreni
litoranei
emersi;
b)
inerti,
materiali
geologici
inorganici
e
manufatti
al
solo
fine
di
utilizzo,
ove ne sia dimostrata la compatibilità e l’innocuità ambientale;
c)
materiale
organico
e
inorganico
di
origine
marina
o
salmastra,
prodotto
durante
l’attività
di
pesca
effettuata
in
mare
o
laguna
o
stagni
salmastri”.
Punto
controverso,
evidenziato
nella
richiesta
cui
si
riscontra,
è
la
portata
significativa
da
attribuire
alla
locuzione
“mare”
come
utilizzata
nella
citata
disposizione.
Se, infatti, da
un lato un’interpretazione
letterale
della
disposizione
sembrerebbe
escludere
le
lagune
dall’ambito
di
applicazione
della
stessa;
dall’altro
lato, una
lettura
di
natura
teleologica
potrebbe
condurre
all’applicazione
del
predetto art. 109 anche al caso di specie.
Mentre
codesta
Avvocatura
distrettuale
mostra
di
propendere
per la
seconda
interpretazione
(essendosi
in
tal
senso
espressa
con
nota
prot.
n.
12072/2020
del
22
settembre
2020
diretta
alla
direzione
Marittima
di
Trieste),
diversamente,
la
direzione
Generale
per
il
Mare
e
le
Coste
del
Ministero
della
Transizione
ecologica, con nota
prot. del
28 maggio 2020, forniva
il
proprio
parere
alla
regione
Friuli-Venezia
Giulia
sul
suddetto
articolo
109,
prediligendo
il primo - e più letterale - degli orientamenti prospettati.
Viene
pertanto chiesto a
questa
Avvocatura
Generale
dello Stato di
esprimersi
al riguardo.
***
Preliminarmente
va
evidenziato
che
non
si
sono
rinvenuti
precedenti
giurisprudenziali
in
grado
di
chiarire
la
portata
finalistica
della
disposizione
in
commento.
PArerI
deL
CoMITATo
CoNSULTIVo
da
un
lato
è
fuor
di
dubbio
che
una
lettura
dell’art.
109
del
T.U.A.
fondata
esclusivamente
sul
criterio letterale
non potrebbe
che
condurre
all’esclusione
dei
bacini
lagunari,
dalla
nozione
di
mare,
come
intese
dalla
disposizione
normativa;
ciò
proprio
in
quanto
le
lagune
appaiono
menzionate
successivamente
tra gli “ambiti ad esso
(al mare ndr) contigui”.
Sotto
altro
profilo
gli
elementi,
opportunamente
evidenziati
da
codesta
Avvocatura
distrettuale, a
supporto di
una
interpretazione
sistematica
e
finalistica
non possono essere
privati
di
una
loro intrinseca
rilevanza;
ciò, posto
che
lo stesso Testo Unico all’art. 109 evidenzia
come
la
disposizione
è
dettata
al fine di tutelare l’ambiente marino.
A
ciò si
aggiunga
che, recentemente, la
tutela
dell’ambiente
e
della
biodiversità
ha ricevuto copertura costituzionale.
Il novellato art. 9 della carta fondamentale, al terzo comma recita:
“(La
repubblica,
n.d.r.)
Tutela
l’ambiente,
la
biodiversità
e
gli
ecosistemi,
anche nell’interesse delle future generazioni”.
***
Posto dunque
che, data
la
rilevanza
della
normativa
di
tutela
ambientale,
non è
possibile
per l’interprete
limitarsi
ad una
interpretazione
puramente
letterale,
ad avviso di
questa
Avvocatura
Generale
la
questione
de
qua deve
trovare
adeguata
soluzione
solo
in
forza
di
una
lettura
sistematica
e
finalistica
che
tenga
in debito conto il
quadro sovranazionale
di
riferimento, cioè
interpretando
la
disposizione
conformemente
alla
normativa
internazionale
ed al
diritto dell’Unione europea.
Ai
sensi
di
quanto
disposto,
in
via
generale,
dall’articolo
2
del
T.U.A.,
infatti, «
2. Per
le
finalità di
cui
al
comma 1, il
presente
decreto provvede
al
riordino,
al
coordinamento
e
all’integrazione
delle
disposizioni
legislative
nelle
materie
di
cui
all’articolo 1, in conformità ai
principi
e
criteri
direttivi
di
cui
ai
commi
8 e
9 dell’articolo 1 della legge
15 dicembre
2004, n. 308, e
nel
rispetto
degli
obblighi
internazionali,
dell’ordinamento
comunitario,
delle
attribuzioni delle regioni e degli enti locali».
***
Se
dunque
la
risoluzione
della
questione
prospettata
passa
attraverso una
lettura
sistematica
delle
norme
interessate,
occorre
tuttavia
necessariamente
partire dal dato letterale della norma dell’art. 109 del
T.U.A.
La
norma, al
dichiarato fine
di
tutelare
l’ambiente
marino, disciplina
la
possibilità
di
immersione
deliberata
in
mare
di
a)
materiali
di
escavo
di
fondali
marini
o salmastri
o di
terreni
litoranei
emersi;
b) inerti, materiali
geologici
inorganici
e
manufatti
al
solo fine
di
utilizzo, ove
ne
sia
dimostrata
la
compatibilità
e
l’innocuità
ambientale;
c) materiale
organico e
inorganico di
origine
marina
o
salmastra,
prodotto
durante
l’attività
di
pesca
effettuata
in
mare
o
laguna
o stagni salmastri.
Il
decreto
del
Ministero
dell’Ambiente
e
della
Tutela
del
Territorio
n.
rASSeGNA
AVVoCATUrA
deLLo
STATo -N. 1/2023
173/2016, contenente
il
“regolamento recante
modalità e
criteri
tecnici
per
l’autorizzazione
all’immersione
in
mare
dei
materiali
di
escavo
di
fondali
marini”,
nel
quadro dell’attività
definitoria
dell’art. 2, definisce
immersione
deliberata
in mare la:
“deposizione
di
materiali
di
cui
all’articolo 1 in aree
ubicate
ad una distanza
dalla costa superiore
a 3 (tre) miglia nautiche
o oltre
la batimetrica
dei 200 (duecento) metri”.
La
porzione
di
mare,
quale
corpo
recettore
dell’immersione
deliberata,
soggetta
ad
autorizzazione,
è,
dunque,
quella
che
abbia
una
profondità
ragguardevole
(200
m),
ovvero
che
abbia
una
distanza
di
circa
5,5
Km
dalla
costa.
Ciò,
naturalmente,
non
significa
che
ad
una
distanza
o
ad
una
profondità
inferiore
l’immersione
non
sia
soggetta
ad
autorizzazione,
bensì
che
nelle
porzioni
di
mare
che
si
trovino
a
minore
distanza
dalla
costa
o
avente
una
minore
profondità,
l’immersione
deliberata
non
è
consentita,
salvo,
con
le
autorizzazioni
prescritte
dalla
norma,
che
il
materiale
escavato
sia
utilizzato
ai
fini
di
ripascimento
ovvero
ai
fini
dell’immersione
in
ambienti
conterminati.
La
definizione
del
concetto di
mare, e
quindi
di
ambiente
marino, quale
risulta
dalle
norme
attuative
non può ricomprendere
l’ambiente
lagunare
che,
come è noto, presenta morfologia e profondità notevolmente inferiori.
del
resto, la
ratio
della
norma
è
quella
di
impedire
l’immersione
di
“sostanze
inquinanti”, di
origine
naturale
o antropica, esogene
che
non rientrino
nella
composizione
della
matrice
di
interesse
(o sia
presente
in essa
in concentrazione
nettamente
superiore
ai
valori
naturali) e
che
abbia
un effetto ritenuto
dannoso sull’ambiente marino.
Posta
la
ontologica
diversità
tra
mare
e
laguna, ai
fini
che
ci
occupano,
più che
stressare
la
terminologia
del
legislatore
allo scopo di
ricomprendere
nel
concetto
di
ambiente
marino
anche
quello
lagunare,
occorre
a
questo
punto
verificare
fattualmente
se
la
ratio
ed i
contenuti
applicativi
delle
norme
di
cui
si
discorre
possa
trovare
applicazione
anche
all’ambiente
lagunare,
ovvero,
in
altri
termini,
se
l’ambiente
lagunare
possa,
in
qualche
modo
e
“di
fatto”
essere
assimilato all’ambiente marino.
Sotto il
profilo demaniale
e
giuridico la
Legge
5 marzo 1963 n. 366, rubricata
“nuove
norme
relative
alle
lagune
di
Venezia e
marano-Grado”, all’art.
30
estende
le
sue
disposizioni
anche
al
caso
della
laguna
di
Marano-Grado,
e
precisa
che
“la
laguna
di
marano-Grado
è
costituita
dal
bacino
demaniale
marittimo d’acqua salsa che
si
estende
dalla foce
del
Tagliamento
alla
foce
del
canale
Primero
ed
è
compresa
fra
il
mare
e
la
terraferma”.
In
applicazione
a
tali
disposizioni
(in
particolare
degli
artt.
2
e
30),
l’allora
Ministero dei
Lavori
Pubblici
(oggi
Ministero delle
Infrastrutture
della
Mobilità
Sostenibili) con proprio decreto 23 giugno 1966 n. 1330, aveva
approvato
la delimitazione della laguna di Marano-Grado.
PArerI
deL
CoMITATo
CoNSULTIVo
Come
precisato
da
ISPrA,
si
tratta,
quindi,
di
una
laguna
di
circa
32
Km,
con una larghezza media di 5 km.
La
sua
estensione
è
di
circa
16.000 ettari, seconda
solo alla
laguna
di
Venezia
(50.000 ettari).
Nella
laguna
di
Marano Grado sfociano inoltre
alcuni
corsi
d’acqua
provenienti
dalla
pianura
friulana
di
cui
i
principali
sono
lo
Stella,
il
Corno,
l’Aussa e il Natissa.
Nel
complesso adducono acqua
dolce
con una
portata
media
di
circa
100
m3/sec.
La
laguna
è
quindi
protetta
dal
mare
(moto ondoso) da
un cordone
litoraneo
ove
oggi
sono
presenti
5
bocche
di
comunicazione
(Lignano,
S.
Andrea,
Porto
Buso,
Grado
e
Primero)
che
consentono
il
transito
delle
correnti
di
marea
verso i
canali
interni
e
i
bassi
fondali
ove
l’acqua
di
mare
si
mescola
con le
acque dolci di origine fluviale.
Ne
discende
quindi
che
l’ambiente
lagunare
è
un’ambiente
ibrido, naturalmente
instabile, con un gradiente
di
salinità
che
tendenzialmente
decresce
dalle bocche verso le propaggini più interne dei canali.
Per tali
motivi, in relazione
alla
finalità
della
direttiva
Quadro Acque, i
corpi
idrici
lagunari
vengono definiti
come
acque
di
transizione
(e
quindi
non
marino-costiere), dotati
di
standard specifici
di
qualità
ambientale
(art. 2 dIreTTIVA
2000/60/Ce).
dai
chiarimenti
richiesti
ad ISPrA, con riguardo agli
allegati
tecnici
del
citato
d.M.
173/2016,
è
emerso
che
la
specificità
dell’ambiente
lagunare
si
riflette
anche
sulla
questione
riguardante
la
gestione
dei
sedimenti
provenienti
dal
dragaggio
dei
canali
lagunari
nell’ambito
del
medesimo
ambiente
lagunare.
Ciò
in
quanto
la
procedura
prevista
dal
d.M.
173/2016
è
stata
predisposta
ai
fini
della
tutela
dell’ambiente
marino
in
attuazione
a
quanto
previsto
dall’art.
109, c. 2, del d.lgs. 152/06 e s.m.i.
In altri
termini, i
criteri
e
i
parametri
fissati
dall’allegato tecnico al
citato
d.M.
sono
stati
individuati
proprio
con
la
finalità
di
tutelare
l’ambiente
marino
e non il diverso ambiente lagunare.
La
metodologia
prevista
dall’allegato
tecnico
al
d.M.
173
non
sarebbe
dunque
applicabile
sic
et
simpliciter
al
caso
dei
sedimenti
lagunari,
occorrendo
un attento lavoro per derivare
criteri, parametri
e
classi
di
qualità
strettamente
compatibili con l’ambiente lagunare.
Anche
l’ulteriore
ed interessante
spunto, fornito da
codesta
Avvocatura
distrettuale,
non
sembra
dirimente
allo
scopo
di
ricomprendere
nell’ambito
dell’Ambiente marino la laguna di Marano Grado.
Come
ricordato da
codesta
distrettuale, l’art. 1 del
d.M. 15 luglio 2016,
n. 173, contenente
la
definizione
dell’ambito di
applicazione
e
le
esclusioni,
prevede che
rASSeGNA
AVVoCATUrA
deLLo
STATo -N. 1/2023
“al
fine
della
tutela
dell’ambiente
marino,
il
presente
regolamento
determina:
a) ... ... ...
;
b) i
criteri
omogenei
per
tutto il
territorio nazionale, per
l’utilizzo di
tali
materiali
ai
fini
di
ripascimento
o
all’interno
di
ambienti
conterminati
ai
quali
le
regioni
conformano le
modalità di
caratterizzazione, classificazione
ed accettabilità dei
materiali
in funzione
del
raggiungimento o mantenimento
degli
obiettivi
di
qualità ambientale
dei
corpi
idrici
marino costieri
e
di
transizione;
... ... ... ... ... ...”.
Quanto
all’espressione
“ambiente
conterminato”,
richiamato
nelle
norme
dell’art. 1, c. 1, lett. b, nonché
dall’art. 2, c. 1, lett. c, e
da
ultimo l’art. 5, c. 1),
l’allegato tecnico al
d.M. 173/2016 contribuisce
a
fornire
utili
indicazioni
ai
paragrafi 3.1.3 e 3.2.3 - volte a determinare l’esatta portata del concetto.
In particolare, il
paragrafo 3.1.3 chiarisce
che
gli
ambienti
conterminati
sono strutture
portuali, distinguendole
per tipologia
in base
al
grado di
emersione
rispetto
al
corpo
idrico
circostante,
nelle
quali
depositare
il
materiale
dragato
quando
quest’ultimo
non
abbia
le
caratteristiche
qualitative
per
essere
immerso in mare o per essere riutilizzato per ripascimento di litorali:
“Gli
ambienti
conterminati
si
distinguono in strutture
portuali
completamente
sommerse
(tra cui
l’attività di
capping), parzialmente
sommerse
(vasche
di
colmata,
banchine
portuali,
bacini
costieri
e
darsene)
e
strutture
emerse
(bacini
costieri
demaniali
completamente
emersi
nei
quali
il
materiale
dragato è trasportato a destinazione finale tramite mezzi navali)”.
I citati
paragrafi
3.1.3 e
3.2.3 forniscono inoltre
precise
indicazioni
progettuali
da
rispettare
per
evitare
che
la
collocazione
del
materiale
in
tali
“strutture
di
contenimento a
diverso grado di
permeabilità”, possa
determinare
la
diffusione di contaminanti all’esterno dell’ambiente conterminato stesso.
A
tale
riguardo la
norma
prescrive
che
tale
opzione
di
gestione
del
materiale
dragato debba
essere
accompagnata
da
idonee
attività
di
monitoraggio,
così come previsto dal successivo paragrafo 3.5.5.
Ne
discende
che
l’ambiente
conterminato
cui
si
riferisce
il
d.M.
173/2016
è
di
fatto
una
struttura
portuale
da
progettare
e
realizzare
adeguatamente,
anche
in base
alle
caratteristiche
e
alla
quantità
dei
materiali
di
dragaggio da
gestire,
e
come
tale
non può essere
confusa
con un ambiente
naturale
quale
quello lagunare,
in genere
molto più vasto e
con una
sua
peculiare
connotazione
geografica,
morfologica ed ambientale.
Anche
il
riferimento
ai
corpi
idrici
di
transizione,
di
cui
si
vuole
assicurare
il
raggiungimento
o
mantenimento
degli
obiettivi
di
qualità
ambientale,
sembra
da
porsi
in relazione
con le
operazioni
di
riaperture
delle
foci
fluviali
ostruite,
come
si
ricava
dalle
definizioni
contenute
nell’art.
2
lett.
e)
del
d.M.
che
chiarisce:
PArerI
deL
CoMITATo
CoNSULTIVo
“e) escavo di
fondali
marini: dragaggio di
sedimenti
marini
per
il
mantenimento,
il
miglioramento
o
il
ripristino
delle
funzionalità
di
bacini
portuali,
della
riapertura
di
foci
fluviali
parzialmente
o
totalmente
ostruite
per
la
realizzazione
di
infrastrutture
in ambito portuale
o costiero o per
il
prelievo di
sabbie ai fini di ripascimento”.
Anche
il
precedente
giurisprudenziale
citato
da
codesta
distrettuale
(Cass.
Sez. 3, Sentenza
n. 45844 del
2019) non appare
dirimente, ai
fini
che
ci
occupano,
dal
momento che
in esso si
distingueva, sulla
base
della
quantità
di
materiale
escavato, lo “spostamento”
di
sedimenti
in ambito portuale, di
cui
al
combinato
disposto
degli
artt.
1
comma
2
lett.
a)
e
2
lett.
f)
del
d.M.
173/2016,
descrittivo di
un’attività
connotata
dal
ridotto impatto ambientale
che
ne
giustifica
l’esclusione
dal
regime
autorizzatorio
di
cui
all’art.
109
comma
2
d.lgs.
152/06, dal vero e proprio escavo di fondali marini.
Posto che
la
specificità
dell’ambiente
lagunare
sembrerebbe
comportare
la
inapplicabilità
delle
norme
dettate
a
tutela
del
mare
propriamente
detto
quanto
all’escavo
dei
fondali,
alla
movimentazione
di
essi
ed
alla
immersione,
deve
essere
verificato
se
la
mancata
applicazione
della
norma
dell’art.
109
T.U.A. alla
movimentazione
dei
sedimenti
in ambiente
lagunare
determini
un
vuoto di
tutela, ovvero se
vi
siano disposizioni
normative
che
regolano la
fattispecie.
Come
riferisce
codesta
distrettuale, i
dragaggi
all’interno della
Laguna,
trovano
una
computa
disciplina
nell’art.
49
delle
Norme
Tecniche
di
attuazione
del
Piano di
Tutela
delle
Acque
adottato dalla
regione
Friuli-Venezia
Giulia
che così dispone:
“art. 49 dragaggi interessanti i corpi idrici delle acque di transizione
1. le
operazioni
di
dragaggio nella laguna di
marano e
Grado sono attuate
preferibilmente
mediante
la
movimentazione
dei
sedimenti,
sulla
base
di
un progetto che
prevede
la ricollocazione
degli
stessi
all’interno dell’ambiente
lagunare,
secondo
le
modalità
di
cui
ai
commi
successivi,
ai
fini
di
contrastare
la
tendenza
alla
perdita
di
sedimento
dell’ambiente
lagunare,
di
limitare l’erosione dei fondali e di ricostituire habitat tipici della laguna.
2. le
operazioni
di
movimentazione
sono effettuate
nel
rispetto delle
disposizioni
dell’articolo
185,
comma
3,
del
decreto
legislativo
152/2006,
come
successivamente modificato ed integrato, e quindi a condizione che:
a)
i
sedimenti
da
dragare,
in
base
alle
analisi,
siano
classificati
come
non pericolosi, ai
sensi
della decisione
2000/532/ce
della commissione
del
3
maggio 2000 e successive modificazioni;
b)
il
riutilizzo
del
materiale
dragato
non
peggiori
lo
stato
di
qualità
(stato
ecologico e
stato chimico) delle
acque
del
sito individuato per
la deposizione
del materiale stesso, nel rispetto della direttiva 2000/60/ce;
c)
la
destinazione
dei
sedimenti
dragati
non
sia
in
contrasto
con
le
disposizioni
in
materia
di
tutela
della
salute
ed
in
particolare
con
la
direttiva
rASSeGNA
AVVoCATUrA
deLLo
STATo -N. 1/2023
91/492/cee
del
consiglio,
del
15
luglio
1991,
che
stabilisce
le
norme
sanitarie
applicabili
alla
produzione
e
commercializzazione
dei
molluschi
bivalvi
vivi;
d)
la
destinazione
dei
sedimenti
dragati
rispetti
le
disposizioni
relative
alla tutela delle
specie
e
degli
habitat
presenti
nei
siti
della rete
natura 2000
istituiti
ai
sensi
delle
direttive
92/43/cee
e
2009/147/ce
e
del
dPr
357/1997;
in particolare:
-la
zona
umida
delle
Foci
dello
Stella,
ai
sensi
della
convenzione
di
ramsar;
-il
Sito
di
interesse
comunitario
(Sic)
nonché
la
Zona
di
Protezione
Speciale
(ZPS)
ai
sensi
della
direttiva
92/43/cee
(Habitat)
e
del
decreto
del
Presidente
della repubblica 8 settembre 1997, n. 357;
-le
riserve
naturali
regionali
della
Valle
cavanata,
della
Valle
canal
novo e delle Foci dello Stella.
e)
i
materiali
dragati
devono
avere
caratteristiche
chimico-fisiche
ed
eco-
tossicologiche compatibili con i sedimenti del sito di destinazione;
f) la destinazione
dei
materiali
dragati
non incida sui
siti
oggetto di
concessione
in essere per l’acquacoltura;
g) la destinazione
dei
materiali
dragati
non incida sulle
praterie
di
fanerogame,
a meno che le praterie interessino direttamente le vie navigabili.
le
analisi
chimiche
ed
eco
tossicologiche
devono
essere
effettuate
con
riferimento ai siti interessati da ogni singolo intervento di dragaggio.
3. i materiali
risultanti
dai
dragaggi
possono essere
spostati
all’interno
delle
acque
superficiali
o
nell’ambito
delle
pertinenze
idrauliche
della
laguna,
nel
rispetto delle
condizioni
di
cui
al
comma 2, e, altresì, ai
fini
della
formazione
o del
ripascimento di
velme, della costruzione
di
barene, nonché
del recupero morfologico o del ripascimento di barene esistenti.
4. le
operazioni
di
dragaggio attuate
mediante
movimentazione
di
sedimenti
nell’ambito di
fondali
interessanti
le
altre
acque
di
transizione, diverse
dalla laguna di marano e Grado, seguono le modalità di cui al comma 2”.
Posto che
il
dragaggio all’interno della
laguna
è
disciplinata
dalla
disposizione
regionale
sopra
riportata, si
pone
la
questione
della
natura
del
Piano
di
Tutela
delle
Acque
e
del
nesso che
la
norma
regionale
ha
con la
normativa
di
tutela
ambientale
che,
nel
riparto
delle
competenze,
è
affidata
allo
Stato
(art. 117, comma 2, lettera s), Cost.).
Sul
punto, proprio con riguardo al
Piano di
Tutela
delle
Acque
del
Friuli-
Venezia Giulia, è intervenuta la Corte costituzionale che ha rammentato:
“l’art. 121 del
d.lgs. n. 152 del
2006 disciplina il
piano regionale
di
tutela
delle
acque, il
quale
si
aggiunge
al
piano di
bacino distrettuale
(art. 65)
e
al
piano di
gestione
(art. 117). il
piano delle
acque
è
approvato all’esito di
un complesso procedimento, articolato nelle
seguenti
fasi: «le
autorità di
bacino,
nel
contesto
delle
attività
di
pianificazione
o
mediante
appositi
atti
di
indirizzo
e
coordinamento,
sentiti
le
province
e
gli
enti
di
governo
dell’ambito,
PArerI
deL
CoMITATo
CoNSULTIVo
definiscono gli
obiettivi
su scala di
distretto cui
devono attenersi
i
piani
di
tutela
delle
acque,
nonché
le
priorità
degli
interventi»;
«le
regioni,
sentite
le
province
e
previa adozione
delle
eventuali
misure
di
salvaguardia, adottano
il
Piano
di
tutela
delle
acque
e
lo
trasmettono
al
ministero
dell’ambiente
e
della
tutela
del
territorio
e
del
mare
nonché
alle
competenti
autorità
di
bacino,
per
le
verifiche
di
competenza» (comma 2); «le
autorità di
bacino verificano
la conformità del
piano agli
atti
di
pianificazione
o agli
atti
di
indirizzo e
coordinamento
di
cui
al
comma
2,
esprimendo
parere
vincolante»;
le
regioni
approvano il Piano di tutela «entro i successivi sei mesi» (comma 5).
Questa procedura, che
vede
l’intervento delle
regioni
sia nella fase
del-
l’adozione
del
piano sia in quella della sua approvazione
definitiva, è
interamente
disciplinata nel
codice
dell’ambiente, sull’assunto della sua inerenza
alla
competenza
legislativa
statale
in
materia
di
«tutela
dell’ambiente».
Questo
assunto non è
stato smentito dalla giurisprudenza costituzionale, che
ha
ricondotto a tale
materia la normativa sulle
acque, in quanto preordinata segnatamente
alla loro tutela (in questo senso, sentenze
n. 229 del
2017 e
n. 86
del
2014),
osservando
in
particolare
che
«[i]l
riparto
delle
competenze
[...]
dipende
proprio dalla [...]
distinzione
tra uso delle
acque
minerali
e
termali,
di
competenza
regionale
residuale,
e
tutela
ambientale
delle
stesse
acque,
che
è
di
competenza
esclusiva
statale,
ai
sensi
del
vigente
art.
117,
comma
secondo,
lettera s), della costituzione» (sentenza n. 1 del
2010). (cfr. corte
costituzionale
sentenza 21 giugno 2019, n. 153 - sottolineato aggiunto).
L’adozione
del
PTA
della
regione
Friuli-Venezia
Giulia
è
stato, quindi,
oggetto
di
controllo
dello
Stato
centrale
(il
piano
è
stato
trasmesso
al
ministero
dell’ambiente
e
della tutela del
territorio e
del
mare
nonché
alle
competenti
autorità di
bacino, per
le
verifiche
di
competenza);
quest’ultimo non risulta
avervi
mosso rilievi. Non può, dunque, sostenersi
che
la
normativa
regionale,
assentita
dai
competenti
organi
dell’Amministrazione
centrale, prescrivendo
un sistema
di
controlli
diversi
da
quelli
previsti
dall’art. 109 del
T.U.A., abbia
determinato un abbassamento della
tutela
che
imponga, per rispettare
il
precetto
costituzionale
dell’art.
9
Cost.,
l’applicazione
della
normativa
statuale
afferente alla immersione deliberata in mare.
dall’esame
delle
norme
sopra
citate
emerge, al
contrario, che
la
diversa
disciplina
della
immersione
deliberata
in
mare
(art.
109
T.U.A.)
e
dei
dragaggi
interessanti
i
corpi
idrici
delle
acque
di
transizione
(art. 49 delle
Norme
attuative
del
PTA) risponde
alla
ratio
di
una
tutela
necessariamente
differenziata
di
due
ambienti
naturali
(quello marino e
quello lagunare) morfologicamente
diversi, la tutela dei cui ecosistemi richiede misure specifiche.
Ciò è
testimoniato dal
fatto che
la
norma
del
PTA, nel
consentire
i
dragaggi
all’interno
della
laguna,
prevede
non
solo
che
la
movimentazione
è
consentita
nei
soli
casi
in cui
i
sedimenti
dragati
non siano da
considerare
rifiuti
o siano pericolosi
per la
salute
umana, ma
anche
a
condizione
che
i
sedimenti
rASSeGNA
AVVoCATUrA
deLLo
STATo -N. 1/2023
dragati
non
alterino
gli
habitat
lagunari
(cfr.
lett.
d),
e),
f),
g)
dell’
art.
49
delle
Norme
Tecniche di attuazione del Piano di
Tutela delle
Acque).
Conclusivamente,
in
considerazione
delle
fonti
eurounitarie
e
domestiche
sopra
citate,
questa
Avvocatura
Generale
ritiene
più
coerente
con
il
quadro
normativo generale
in tema
di
tutela
ambientale, propendere
per un’interpretazione
dell’art.
109
TUA
nel
senso
che,
ai
fini
delle
attività
ivi
previste
e
delle
autorizzazioni
amministrative
ad
esse
propedeutiche,
alla
nozione
di
mare
non
possa
essere
ricompreso
l’ambiente
lagunare
che,
nel
caso
di
specie,
trova
specifica
regolamentazione
del
Piano
di
Tutela
delle
Acque
del
Friuli
Venezia
Giulia,
adottata
-come
detto
-con
il
preventivo
coinvolgimento
dell’allora
ministero dell’ambiente
e
della tutela del
territorio e
del
mare
(oggi
miTe)
nonché della competente
autorità di bacino.
Sul
presente
parere
è
stato sentito il
Comitato Consultivo di
questa
Avvocatura
che si è espresso in conformità nella seduta del 25 ottobre 2022.
PArerI
deL
CoMITATo
CoNSULTIVo
sui requisiti per il riconoscimento delle “Fondazioni
di partecipazione” tra i soggetti collettivi
di cui all’articolo 13 della legge n. 349/1986
Parere
del
06/04/2023-248858, al 9245/2023,
aVV. domenico
maimone
Con la
nota
in riscontro codesto Ministero, ripercorsi
i
profili
di
individuazione
delle
associazioni
di
protezione
ambientale
previste
dall’art.
13,
comma
1,
della
legge
8
luglio
1986,
n.
349
e
richiamato
altresì
il
parere
di
questo Generale
Ufficio prot. n. 316095P
del
11 ottobre
2011, chiede, “allo
scopo di
ridurre
le
incertezze
interpretative
e
di
conferire
maggiore
prevedibilità
alle
decisioni”
da
assumere
in ordine
al
riconoscimento di
nuove
associazioni
di
protezione
ambientale,
ovvero
al
mantenimento
nell’elenco
ministeriale
dei
soggetti
collettivi
già
riconosciuti, se
il
parere
reso dalla
Scrivente,
peraltro
anteriore
all’introduzione
del
decreto
legislativo
3
luglio
2017,
n. 117 recante
il
“codice
del
Terzo settore”, stante
il
tempo trascorso, possa
essere
aggiornato sì
da
comprendere
oggi
anche
istituzioni
di
nuova
formazione
come le
Fondazioni di partecipazione
(d’ora in avanti anche F.d.p.).
Nell’approcciare
la
trattazione
del
tema
sottoposto
non
può
che
muoversi
dalla disamina del dato normativo.
L’art.
13
della
legge
n.
349/1986
prevede
che
le
associazioni
di
protezione
ambientale
a
carattere
nazionale
ovvero presenti
in almeno 5 regioni
sono individuate
con decreto del
Ministro dell’ambiente
sulla
base
delle
finalità
programmatiche
e
dell’ordinamento
democratico
previsti
dallo
statuto,
nonché
della
continuità
dell’azione
e
della
sua
rilevanza
esterna. L’individuazione
e
la
conseguente
iscrizione
nell’apposito
elenco
delle
associazioni
di
protezione
ambientale
consentono
a
questo
tipo
di
enti
collettivi
di
“intervenire
nei
giudizi
per
danno ambientale
e
ricorrere
in sede
di
giurisdizione
amministrativa per
l’annullamento di atti illegittimi” (art. 18, comma 5).
Come
chiarito dall’Adunanza
Plenaria
del
Consiglio di
Stato nella
sentenza
n. 6 del
20 febbraio 2020, la
legittimazione
processuale
delle
associazioni
-si
trattava,
nella
fattispecie
decisa,
di
associazioni
consumeristiche
non
integra
un fenomeno di
sostituzione
processuale
ex
art. 81 cod. proc. civ.
perché, per effetto della
c.d. soggettivizzazione
in capo a
loro degli
interessi
adespoti,
le
associazioni,
quando
fanno
valere
in
giudizio
interessi
diffusi
come
quelli
ambientali
-, agiscono a
tutela
di
situazioni
giuridiche
proprie
e
non altrui.
Nel
parere
a
suo tempo reso, la
Scrivente
ha
osservato come
la
necessità
del
modello associativo previsto nel
codice
civile
risieda
nella
strumentalità
del
modello stesso alla
tutela
degli
interessi
diffusi, di
talché
«la scelta compiuta
dal
legislatore
con la norma in esame
si
è
basata sull’esigenza di
indi
rASSeGNA
AVVoCATUrA
deLLo
STATo -N. 1/2023
viduare
con il
necessario rigore, con apposito atto amministrativo, i
soggetti
che
offrano garanzie
adeguate
in merito alla capacità di
interpretare
e
difendere,
similmente
agli
enti
pubblici
a ciò istituzionalmente
predisposti, l’interesse
generale
alla
tutela
dell’ambiente.
[...]
l’opzione
è
stata
compiuta
a
favore
di
soggetti
organizzati, o di
“organizational
plaintiff”, aventi
una adeguata
base
associativa
che
faccia
presumere
per
un
verso
l’esistenza
di
un
adeguato controllo sociale
sulla propria attività, a garanzia di
una autentica
e
genuina
rappresentanza
dei
pubblici
e
generali
interessi,
e
per
un
altro
verso
il
possesso
di
una
sufficiente
incisività,
efficacia
e
continuità
della
propria
azione» (pag. 5).
«Questa ratio legis
[soggiunge
il
parere] si
esprime
chiaramente
attraverso
la disposizione
del
citato art. 13, comma 1, della 1. 349/86, che
riserva
il
riconoscimento
alle
“associazioni”
e
cioè
agli
enti
morali
definiti
dagli
artt.
14
e
ss.
del
codice
civile
che
perseguono
finalità
altruistiche
di
carattere
culturale, scientifico, sociale
e
simili
attraverso una struttura fondata prevalentemente
sulla componente
personale. il
riferimento alle
“associazioni”
si
giustifica razionalmente
con l’intento del
legislatore
di
recepire
i
risultati
del
dibattito
che
si
è
innanzi
sintetizzato,
in
base
ai
quali
la
legittimazione
ad
agire
in giudizio a tutela di
interessi
generali, riferibili
indifferenziatamente
ad una pluralità di
cittadini, può essere
attribuita ai
soli
enti
che
-attraverso
una
struttura
organizzativa
fondata
soprattutto
sul
contributo
operativo
ed
ideologico dei
suoi
componenti
-rivelino la capacità di
individuare, rappresentare
e
difendere
in
modo
fedele
ed
efficace,
le
esigenze
e
i
bisogni
della
collettività nella materia in esame» (pag. 6).
Il
parere
si
sofferma,
altresì,
sulla
considerazione
che
la
necessità
di
dotarsi
di
un
“ordinamento
interno
democratico”
fa
ulteriormente
propendere
per
la
conclusione
che
gli
organismi
di
cui
all’art.
13
non
possano
che
essere
delle
associazioni,
nelle
quali
l’effettiva
rappresentatività
del
sodalizio
implica
logicamente
l’esistenza
di
un
organismo
a
base
prevalentemente
personale,
qual
è
l’associazione.
Per
le
medesime
ragioni,
nel
parere
si
tende
ad
escludere
che
nel
novero
degli
enti
iscrivibili
nell’apposito
elenco
possano
essere
ricompresi
fondazioni,
fondi
patrimoniali
e
simili,
ancorché
deputati
a
perseguire
finalità
non
egoistiche
o
non
lucrative
nel
settore
ambientale.
La
più recente
diffusione
nel
panorama
degli
enti
collettivi
della
figura
della
“Fondazione
di
partecipazione”,
quale
nuovo
possibile
strumento
di
operatività
nel
settore
della
tutela
ambientale, unitamente
all’evoluzione
del
panorama
giurisprudenziale
sul
tema
degli
enti
legittimati
(1),
impone,
come
(1) Sul
punto, cfr. A.P. n. 6 del
20 febbraio 2020 cit.:
«2.3 in relazione
a tale
aspetto, è
ben noto
l’orientamento
giurisprudenziale
secondo
cui
l’iscrizione
nell’elenco
di
cui
all’art.
13
della
legge
349/86
PArerI
deL
CoMITATo
CoNSULTIVo
proposto nella
richiesta
di
parere, una
rinnovata
riflessione
tesa
a
verificare
la
compatibilità
dei
nuovi
modelli
collettivi
emersi
nella
prassi
con
la
previsione
dell’art. 13 della legge n. 349/1986.
In
tal
senso
l’interprete
è
chiamato
a
farsi
carico
di
verificare
la
possibilità
di
far confluire
nella
nozione
di
associazione
di
protezione
ambientale
nuove
forme
aggregative
che
hanno avuto nel
tempo diffusione
sul
piano sociale
ovvero
un riconoscimento sul
piano normativo, sebbene
in altri
ambiti
dell’ordinamento,
anche
considerando
che
la
legge
n.
349/1986
non
poteva
conoscere
né
prevedere
la
successiva
diffusione
di
enti
caratterizzati
da
elementi
trasversali
rispetto
ai
due
tradizionali
modelli
di
riferimento
degli
enti
collettivi
senza
finalità di lucro: associazione e fondazione.
In effetti, la
netta
distinzione
tra
fondazioni
ed associazioni, così
come
derivante
dall’impostazione
tradizionale
degli
articoli
14
e
ss.
del
codice
civile,
sta
subendo una
progressiva
erosione
proprio a
fronte
di
una
sempre
più frequente
tendenza
a
creare
enti
“ibridi”
al
fine
di
venire
incontro alle
esigenze
concrete
che
di
volta
in volta
si
presentano (2). In altri
termini, la
dinamicità
del
modello
collettivo
cui
si
è
assistito
negli
ultimi
anni
è
espressione
della
avvertita
esigenza
di
adeguare
lo strumento
al
perseguimento delle
nuove
esigenze
emergenti a livello sociale.
non determina un rigido automatismo, potendo il
giudice, all’esito di
una verifica della concreta rappresentatività,
ammettere
all’esercizio dell’azione
anche
associazioni
non iscritte, secondo il
criterio
del
c.d. “doppio binario”
che
distingue
tra la legittimazione
ex
lege
delle
associazioni
di
protezione
ambientale
di
livello
nazionale
riconosciute
(che
non
necessita
di
verifica)
e
la
legittimazione
delle
altre
associazioni
(tra le
tante, cons. Stato, sez. iV, 2 ottobre
2006, n. 5760; sez. Vi, 13 settembre
2010, n.
6554). Quest’ultima deve
essere
accertata in ciascuno dei
casi
concreti
con riguardo alla sussistenza
di
tre
presupposti: gli
organismi
devono perseguire
statutariamente
in modo non occasionale
obiettivi
di
tutela
ambientale,
devono
possedere
un
adeguato
grado
di
rappresentatività
e
stabilità
e
devono
avere
un’area di
afferenza ricollegabile
alla zona in cui
è
situato il
bene
a fruizione
collettiva che
si
assume
leso (ex plurimis, cons. Stato, iV, 16 febbraio 2010, n. 885)».
Annota
la
medesima
pronuncia
che
«5.2.2 Questi
interventi
normativi
non devono essere
letti
nel
senso
di
previsioni
che
scindono, in via straordinaria, la legittimazione, dalla lesione
di
una situazione
giuridica,
ma quale
emersione
positiva dell’esigenza di
protezione
giuridica di
interessi
diffusi, secondo
lo schema già delineato in via generale
dalla giurisprudenza, e
in linea con il
ruolo che
l’art. 2 cost.
assegna alle
formazioni
sociali, oltre
che
con la più attenta ed evoluta impostazione
del
principio di
sussidiarietà orizzontale di cui all’art. 118 cost.
[...]
8
[...] deve
quindi
ritenersi
che
un’associazione
di
utenti
o consumatori, iscritta nello speciale
elenco
previsto dal
codice
del
consumo oppure
che
sia munita dei
requisiti
individuati
dalla giurisprudenza
per
riconoscere
la legittimazione
delle
associazioni
non iscritte, sia abilitata a ricorrere
dinanzi
al
giudice
amministrativo in sede di giurisdizione di legittimità.
la
legittimazione,
in
altri
termini,
si
ricava
o
dal
riconoscimento
del
legislatore
quale
deriva
dall’iscrizione
negli
speciali
elenchi
o dal
possesso dei
requisiti
a tal
fine
individuati
dalla giurisprudenza. una
volta “legittimata”
l’associazione
è
abilitata a esperire
tutte
le
azioni
eventualmente
indicate
nel
disposto
del
legislativo e
comunque
l’azione
generale
di
annullamento in sede
di
giurisdizione
amministrativa
di legittimità
».
(2) Appare
significativa, in tal
senso, la
recente
previsione
dell’art. 42-bis
c.c. (come
introdotto
dall’art. 98 del
d.lgs. 3 luglio 2017 n. 117) circa
la
possibilità
di
operare
“reciproche
trasformazioni, fusioni
o scissioni” per le associazioni riconosciute e non riconosciute e per le fondazioni.
rASSeGNA
AVVoCATUrA
deLLo
STATo -N. 1/2023
In tal
senso, si
usa
convenzionalmente
designare
con il
sintagma
Fondazione
di
partecipazione
una
struttura
organizzativa
meta-individuale
a
rilievo
reale, connotata
da
tratti
morfologici
ricorrenti, ed in quanto tali
ritenuti
identificanti,
ma
priva
di
un referente
normativo dedicato e
puntuale. e
tuttavia,
l’art. 12 c.c. (attualmente
abrogato ma
sostanzialmente
riprodotto nell’art. 1
comma
1 del
d.P.r. 361/2000) sancisce
la
possibilità
di
riconoscere
la
personalità
giuridica
non solo ad associazioni
e
fondazioni, ma
anche
ad “altre
istituzioni
di
carattere
privato”.
L’aggettivo
“altre”
farebbe
sottintendere
dunque
la
possibilità
che, accanto alle
figure
giuridiche
tipiche
(associazione
e
fondazione),
possano essere
create
anche
figure
giuridiche
atipiche, tra
le
quali
può
senz’altro annoverarsi anche la Fondazione di Partecipazione.
La
F.d.p. trova
un’ulteriore
legittimazione
codicistica
nell’art. 1332 c.c.
La figura è caratterizzata, infatti, dal fatto di essere un patrimonio di destinazione
a
struttura
aperta
con la
conseguenza
che
il
suo atto costitutivo si
configurerà
come
un
contratto
che
può
ricevere
l’adesione
di
altre
parti
oltre
a
quelle originarie (3).
Le
Fondazioni
di
partecipazione
possono essere
create
per svolgere
diverse
tipologie
di
attività:
dal
volontariato,
alla
valorizzazione
di
territori
e
beni
culturali;
dalla
gestione
di
musei
e
biblioteche, allo sviluppo di
attività
teatrali
e
cinematografiche.
Sempre
senza
fine
di
lucro
e
sempre
nell’ottica
del pubblico interesse.
Il
fenomeno si
è
affermato e
diffuso sul
piano dell’esperienza
pratica, cui
ha
poi
fatto
seguito,
tuttavia,
un
significativo,
seppur
settoriale,
riconoscimento
normativo,
come
appunto
quello
individuato
da
codesto
Ministero
nel
decreto
legislativo n. 117/2017, cfr. artt. 4, 8, 11, 20, 21 e
23 (codice
del
terzo settore)
ovvero, con specifico riferimento ad alcune
fondazioni
a
partecipazione
pubblica/
privata, nel
decreto legislativo n. 29 giugno 1996, n. 367 (art. 10) in materia
di
fondazioni
liriche, nonché
negli
artt. 16 e
17, comma
1, lettera
c), del
decreto legislativo 4 maggio 2001, n. 207 in tema
trasformazione
delle
IPAB
in fondazioni, ovvero nell’art. 2, comma
3, d.P.r. 24 maggio 2001, n. 254 dedicato
alle
Fondazioni
universitarie.
esperienze
organizzative
analoghe
a
quella
della
Fondazione
di
partecipazione
ritornano
dunque
in
una
pluralità
di
istituti
sorti
per effetto di
leggi
di
settore, tutti
caratterizzati, in vario modo,
da
un organo di
amministrazione
su base
associativa
o assemblearmente
nominato.
Secondo l’interpretazione
dominante, la
Fondazione
di
partecipazione
è
una
istituzione
di
diritto
privato,
che
costituisce
un
nuovo
modello
di
gestione
di
iniziative
nel
campo culturale, ambientale
e, in generale, no-profit, senza
(3) art. 1332 c.c. “Adesione
di
altre
parti
al
contratto”:
«Se
ad un contratto possono aderire
altre
parti
e
non sono determinate
le
modalità dell’adesione, questa deve
essere
diretta all’organo che
sia
stato costituito per l’attuazione del contratto o, in mancanza di esso, a tutti i contraenti originari».
PArerI
deL
CoMITATo
CoNSULTIVo
scopo di
lucro ed al
quale
si
può aderire
apportando denaro, beni
materiali
o
immateriali, professionalità
o servizi. Un ente
non lucrativo che
nasce
come
reazione
alla
inadeguatezza
del
modello
codicistico
di
fondazione
tradizionalmente
connotata
dal
distacco dell’ente
dal
fondatore, da
una
dotazione
patrimoniale
iniziale
autosufficiente
al
perseguimento
dello
scopo
e
dalla
posizione
servente
dell’organo amministrativo. La
prassi, attraverso questo istituto, ha
invero superato sia
il
dogma
dell’unico fondatore, sia
quello del
distacco del
fondatore
dalle
vicende
e
dalle
sorti
dell’ente, in favore
di
una
sempre
maggiore
possibilità
di
interferenza
rispetto ai
procedimenti
attuativi
finalizzati
al
raggiungimento dello scopo per cui
la
fondazione
è
stata
costituita. Ciò, in effetti,
permette
di
garantire
ai
conferenti
il
controllo circa
la
reale
destinazione
del proprio contributo allo scopo perseguito.
I caratteri salienti della nuova figura sono quindi:
a. la
pluralità
di
fondatori
o comunque
dei
partecipanti
all’iniziativa
mediante
un
apporto
di
qualsiasi
natura
purché
utile
al
raggiungimento
degli
scopi;
il
requisito si
traduce
nella
prassi
nella
libertà
di
iscrizione
per tutti
coloro
che
intendono
partecipare
alla
vita
della
Fondazione,
apportandovi
il
loro
contributo economico e/o d’opera e condividendone la finalità;
b. il
principio di
tendenziale
partecipazione
attiva
alla
gestione
dell’ente
da
parte
di
tutti
i
fondatori
o
partecipanti
all’ente,
principio
che
conforma
l’organizzazione
dell’ente
stesso e
le
sue
regole
di
azione
in senso democratico,
testimoniato
dalla
presenza
di
una
componente
personale
effettivamente
e
dialetticamente
capace
di
incidere
sulla
vita
dell’ente;
in
altri
termini,
l’ente
è
sovente
organizzato
in
una
pluralità
di
organi
al
fine
di
consentire
una
partecipazione
quanto più attiva
possibile
di
tutti
gli
aderenti
alla
fase
gestionale
con attribuzione
ai
partecipanti
alla
Fondazione
del
diritto di
voto nelle
assemblee deliberative;
c.
la
formazione
progressiva
del
patrimonio, per cui
la
dotazione
patrimoniale
iniziale
non è
definitiva, ma
strutturalmente
aperta
ad incrementi
per
effetto della
adesione
successiva
da
parte
di
soggetti, ulteriori
rispetto ai
fondatori,
che condividano i medesimi obiettivi.
Ne
consegue
che
caratteristica
fondamentale
della
fondazione
di
partecipazione,
tale
da
distanziarla
dal
modello codicistico della
Fondazione
tradizionale
è
proprio
la
struttura
dell’ente
che
deve
essere
tale
da
garantire
la
possibilità
di
partecipazione
dei
conferenti
ai
processi
attuativi
dello scopo al
cui
conseguimento
gli
apporti
da
ciascuno
effettuati
sono
destinati.
Questa
struttura
aperta
permette,
da
un
lato,
una
fattiva
collaborazione
all’interno
dello stesso istituto di
soggetti
privati
e
pubblici
e, dall’altro, l’aggregarsi
di
privati
cittadini
che
diventano ‘soci’
della
Fondazione
e
come
tali
sono dalla
stessa
considerati.
Questa
partecipazione
potrebbe
essere
definita
come
una
sorta
di
“azionariato diffuso”
in ambito culturale, ambientale, sociale, che
garantisce
diritti e stabilità.
rASSeGNA
AVVoCATUrA
deLLo
STATo -N. 1/2023
diversificate possono essere le forme di partecipazione alla fondazione.
Secondo una
interpretazione
abbastanza
diffusa
si
distinguono:
i
“fondatori/
promotori”,
cioè
quei
soggetti
che
hanno
costituito
la
fondazione;
i
“nuovi
fondatori”,
altrimenti
detti
“partecipanti
fondatori”,
cioè
quei
soggetti
che
vengono ammessi
a
fare
parte
della
fondazione
in un momento successivo e
ciò in base
ad una
esplicita
previsione
dell’Atto costitutivo e/o dello Statuto;
gli
aderenti
(o “partecipanti”) che, condividendo le
finalità
e
gli
scopi
della
F.d.p., contribuiscono operativamente
alla
vita
della
medesima
mediante
contributi
in
danaro
corrisposti
una
tantum
o
periodicamente;
i
sostenitori,
che
scelgono di
sostenere
la
F.d.p. attraverso contribuzioni
di
tipo non finanziario
come, per esempio, la
prestazione
di
una
attività, anche
professionale, un apporto
di lavoro volontario.
Al
di
là
delle
diverse
denominazioni
e
classificazioni
rimane
comunque
il
fatto
che,
proprio
la
presenza
di
numerose
categorie
di
‘soci’,
garantisce
l’aspetto associativo della F.d.p.
Nella
F.d.p.
possono
confluire
persone
fisiche
o
giuridiche,
sia
pubbliche
che
private,
in
qualità
di
fondatori
o
aderenti.
essa
rappresenta
dunque
uno
degli
strumenti
più
adatti
per
consentire
ad
un
ente
pubblico
di
perseguire
uno
scopo
di
pubblica
utilità,
usufruendo
anche
dell’apporto
dei
privati.
Non
a
caso
il
settore
in cui
tale
figura
giuridica
ha
trovato maggiore
applicazione
è
quello
dei
beni
culturali
e
museali
laddove
molto
spesso
la
Pubblica
Amministrazione
ha il potere ma non i mezzi sufficienti per intervenire.
Generalmente,
il
patrimonio
dell’ente
è
costituito
da
due
elementi
distinti.
Il
Fondo
Patrimoniale,
che
è
intangibile
e
comprende
lo
stesso
Fondo
di
dotazione
(conferimento
in
denaro,
beni
immobili
e/o
mobili
o
altri
conferimenti
utilizzabili
per
il
conseguimento
dello
scopo/i
della
fondazione
effettuati
dai
Fondatori
-Promotori
o
Nuovi
-e
dagli
Aderenti);
i
beni
immobili
e/o
mobili
(che
fossero
pervenuti
o
dovessero
pervenire
a
qualsiasi
titolo
alla
fondazione,
compresi
quelli
dalla
stessa
acquisiti
se
ed
in
quanto
previsto
dal
proprio
statuto);
i
contributi
ricevuti
dalle
istituzioni
nazionali,
transnazionali,
da
enti
pubblici
o
privati
(se
elargiti
con
espressa
destinazione
all’incremento
del
patrimonio
della
fondazione);
la
parte
di
rendite
non
utilizzata,
destinata
all’incremento
del
Fondo
patrimoniale
con
delibera
del
Consiglio
Generale.
Il
Fondo
di
Gestione
che,
invece,
può
essere
utilizzato
e
che
viene,
quindi,
usato
per
la
gestione
della
fondazione
e
per
la
sua
attività
corrente.
di
esso
fanno parte:
le
rendite
ed i
proventi
derivanti
dalle
attività
della
fondazione
e
dal
suo patrimonio;
dai
contributi
volontari
dei
fondatori
(promotori
e
nuovi),
degli
aderenti
e
dei
sostenitori;
le
donazioni
o disposizioni
testamentarie
non
espressamente
destinate
al
Fondo
di
dotazione;
i
contributi
pubblici;
i
proventi
derivanti
da
tutte
le
attività
della
fondazione,
tanto
istituzionali,
quanto
accessorie
e strumentali.
PArerI
deL
CoMITATo
CoNSULTIVo
L’interesse
per questo nuovo schema
organizzativo e
la
ragione
della
sua
recente
diffusione
traggono allora
origine
proprio dalla
adozione
di
modelli
più attuali, strumentali
a
consentire
ai
fondatori
e
in generale
ai
“conferenti”
di
partecipare
alla
fase
attuativa
del
programma
fondazionale, da
cui
anche
la
genesi del nome.
Pure
nella
variabilità
degli
schemi
organizzativi
in
concreto
adottati
-proprio
per
la
sua
atipicità
la
F.d.p.
presenta
una
elasticità
ed
una
duttilità
che
consentono
di
adeguarne
la
struttura
allo
scopo
e
alla
composizione
individuati
nella
singola
fattispecie
-il
dato comune
sembra
pertanto rappresentato, nelle
esperienze
più
frequenti,
dalla
attribuzione
statutaria
delle
funzioni
di
governo
dell’ente
ad
un
organismo
che
opera
con
metodo
assembleare,
mentre
agli
amministratori
sono assegnate solo mansioni esecutive.
Pur
non
essendoci
coincidenza
tra
le
varie
denominazioni
usate
nella
prassi
per indicare
gli
organi
delle
Fondazioni
di
partecipazione, si
possono
comunque
individuare, ai
fini
che
qui
interessano, le
figure
maggiormente
ricorrenti,
di seguito riportate.
Il
consiglio Generale, o consiglio di
indirizzo, che
ha
il
compito di
assumere
le
decisioni
essenziali
per la
vita
della
Fondazione. esso è
composto
da
un numero variabile
di
membri, seppure
ad esso debbano necessariamente
partecipare tanto i fondatori (promotori e nuovi), quanto gli aderenti.
Il
consiglio di
amministrazione, o consiglio di
Gestione, che, in genere,
ha
il
compito di
gestire
ed amministrare
la
fondazione
nell’ambito di
quanto
determinato
ed
indicato
dal
Consiglio
Generale.
È
composto,
anch’esso,
da
un numero variabile
di
membri, comunque
tutti
nominati
dal
Consiglio Generale,
ed è presieduto dal Presidente della Fondazione.
L’assemblea
di
Partecipazione,o
collegio
dei
Partecipanti,
è
un
organo,
a
cui
partecipano gli
aderenti
e
i
sostenitori, privo di
poteri
di
gestione
e
con
finalità esclusivamente consultiva e di impulso.
Il
Presidente
che
presiede
il
Consiglio Generale, il
Consiglio di
Amministrazione
e assume la rappresentanza legale dell’ente.
In questo nuovo schema
negoziale
v’è, pertanto:
il
perseguimento di
uno
scopo generalmente
di
utilità
sociale
e
comunque
non lucrativo;
il
vincolo di
destinazione
del
patrimonio al
perseguimento dello scopo;
una
articolazione
dell’organizzazione
atta
a
garantire
la
partecipazione
dei
conferenti
in
funzione
attuativa
e
di
controllo
nel
rispetto
del
vincolo
di
destinazione
del
patrimonio;
la
necessaria
apertura
della
struttura
organizzativa
al
reclutamento di
coloro
che
effettuano,
anche
in
tempi
successivi,
apporti
patrimoniali
funzionali
al
perseguimento dello scopo;
la
tendenziale
adozione
di
un sistema
decisionale
a maggioranza all’interno dell’organo di indirizzo.
Tanto
premesso,
pur
dovendosi
riconoscere
che
il
nuovo
modello
organizzativo
oggetto
di
illustrazione
presenta
caratteristiche
che
tendono
ad
rASSeGNA
AVVoCATUrA
deLLo
STATo -N. 1/2023
allontanarlo
dallo
schema
della
fondazione
tradizionale
avvicinandolo
a
quello
dell’associazione,
deve
tuttavia
confermarsi
nella
sua
impostazione
generale
quanto
affermato
nel
precedente
parere
prot.
316095/2011
circa
l’impossibilità
di
immaginare
enti
diversi
dalle
associazioni
da
includere
nel
novero
di
quelli
individuati
dal
Ministero
ai
sensi
degli
artt.
13
e
18
della
legge
n.
349/1986.
Va
infatti
considerato,
ancorché
lo
stesso
parere
avverta,
nel
propendere
per
la
soluzione
più
rigorosa,
che
«ciò
non
significa
tuttavia
che
la
norma
debba
essere
applicata
in
termini
formalistici,
attribuendo
rilevanza
decisiva
ed
assorbente
al
“nomen
juris”
del
soggetto
che
richieda
il
riconoscimento
»
(pag.
8),
che
l’interprete,
nel
valutare
la
platea
dei
soggetti
collettivi
richiedenti
il
riconoscimento,
può
prescindere
dal
riferimento
terminologico
alla
“associazione”
contenuto
nella
norma,
ma
non
già
dall’esaminare
l’aspetto
sostanziale
dell’istituto,
cioè
l’esistenza,
all’interno
dell’ente
interessato
ad
essere
individuato
ai
sensi
dell’art.
13,
di
una
struttura
a
base
partecipativa
personale
preponderante.
e
l’aspetto
della
preponderanza
è
proprio
ciò
che
sembra
difettare
nelle
fondazioni
di
partecipazione,
ove
al
più
si
assiste
ad
un’equi-ordinazione
della
componente
personale
rispetto
a
quella
patrimoniale;
ciò
che
rende
la
proposta
opzione
ermeneutica
concretamente
non
percorribile.
dunque, il
dato letterale
dell’art. 13 della
l. n. 349/1986 va
considerato
ancora
oggi
insuperabile
nel
limitare
l’individuazione
ministeriale
colà
prevista
alle
sole
associazioni
di
protezione
ambientale,
con
esclusione
quindi
della
riconoscibilità, in via
interpretativa, di
soggetti
collettivi
che, come
le
fondazioni
di
partecipazione,
pur
presentando,
in
misura
maggiore
o
minore,
profili
associativi, non sono associazioni in senso stretto e proprio.
In
definitiva,
se
le
fondazioni
di
partecipazione
non
possono,
de
iure
condito
e
sulla
base
dell’interpretazione
letterale
della
norma
-la
quale,
com’è
noto, costituisce
il
primo e
principale
canone
ermeneutico ex
art. 12, comma
1, disp. prel. cod. civ. -, rientrare
tra
le
associazioni
di
protezione
ambientale
di
cui
all’art. 13 1. 8 luglio 1986, n. 349, tuttavia, gli
elementi
di
carattere
lato
sensu associativo che
innegabilmente
ne
caratterizzano la
struttura, potranno
essere
eventualmente
valorizzati,
de
jure
condendo,
al
fine
dell’inclusione,
per
via
normativa, (anche) di
tali
soggetti
nel
novero di
quelli
di
cui
alla
disposizione
citata.
In altri
termini, se, avuto riguardo all’inequivoco dato positivo, non è
attualmente
possibile
prescindere, sul
piano interpretativo, dalla
necessità
che
gli
enti
richiedenti
il
riconoscimento ministeriale
siano costituiti
in forma
di
associazione
secondo il
modello legale
tipico del
codice
civile, gli
elementi
sopra
evidenziati
potrebbero indurre, sul
piano legislativo, ad estendere
la
riconoscibilità
anche
ad
enti
collettivi
che,
come
le
fondazioni
di
partecipazione,
sono caratterizzati
dalla
presenza, accanto a
quella
patrimoniale, di
una
signi
PArerI
deL
CoMITATo
CoNSULTIVo
ficativa
componente
personale,
meritevoli
anch’essi,
nell’ottica
della
migliore
tutela
degli
interessi
ambientali, di
inclusione
-alle
condizioni
ivi
previste
nell’elenco
di cui all’art. 13 della l. n. 349/1986.
Il
parere
è
stato
sottoposto
all’esame
del
Comitato
Consultivo
che
si
è
espresso in conformità nella seduta del 22 marzo 2023.
rASSeGNA
AVVoCATUrA
deLLo
STATo -N. 1/2023
Cessione pro soluto e in blocco di crediti derivanti da
operazioni di finanziamento rimborsati mediante cessione
del quinto dello stipendio; cessione effettuata nel contesto
di una operazione di c.d. cartolarizzazione ai sensi
degli artt. 1 e 4 l. 30 aprile 1999 n. 130, dell’art. 58 d.lgs.
n. 385 del 1° settembre 1993 (il “testo unico Bancario”)
Parere
del
08/06/2023-385621, al 4197/2020,
ProcuraTore
dello
STaTo
Valeria
romano
1. il quesito.
Si
riscontra
la
nota
emarginata
con la
quale
codesto Comando ha
chiesto
alla
Scrivente
di
esprimersi
in ordine
all’opponibilità
all’Amministrazione
in
indirizzo
di
una
cessione
di
crediti
derivanti
da
contratti
di
finanziamento
rimborsati
mediante
cessione
del
quinto dello stipendio effettuata
all’interno di
un’operazione
di
cartolarizzazione
posta
in essere
ai
sensi
degli
articoli
1 e
4
della
legge
del
30 aprile
1999, n. 130 e
dell’articolo 58 del
decreto legislativo
n. 385 del 1° settembre 1993 (il “Testo Unico Bancario”).
Più
in
particolare
l’Amministrazione
in
indirizzo
ha
rappresentato
-in
fatto - le seguenti circostanze.
La
r.
S.r.l.
(nella
qualità
di
cessionaria)
ha
concluso,
nell’ambito
di
un’operazione
di
cartolarizzazione
ai
sensi
della
citata
legge
30 aprile
1999,
n. 130, due
contratti
di
cessione
-di
tenore
sostanzialmente
analogo -rispettivamente
con le
società
P. e
d.F. S.p.A. in forza
dei
quali
ha
acquistato -pro
saluto
ed in blocco nei
termini
e
alle
condizioni
ivi
specificati
-i
crediti
pecuniari
(per capitale
e
interessi
anche
di
mora, maturati
e
maturandi) rivenienti
da
finanziamenti
concessi
dalle
predette
Società
a
dipendenti
dell’Amministrazione
in
indirizzo
e
destinati
ad
essere
rimborsati
mediante
cessione
del
quinto
degli
emolumenti
stipendiali
mensili
ai
sensi
del
d.P.r
5
gennaio
1950,
n. 180 recante
“approvazione
del
testo unico delle
leggi
concernenti
il
sequestro,
il
pignoramento e
la cessione
degli
stipendi, salari
e
pensioni
dei
dipendenti
dalle Pubbliche
amministrazioni”.
In relazione
al
predetto contesto fattuale, l’Amministrazione
in indirizzo
ha
dunque
chiesto alla
Scrivente
di
chiarire
se
sia
o meno fondata
la
richiesta,
alla
stessa
pervenuta
dalla
r.
S.r.l.,
di
“recepire
l’avvenuta
cessione
per
i
contratti
segnalati,
e
conseguentemente
variare
il
beneficiario
dei
versamenti
mensili
da eseguirsi
in esecuzione
dei
medesimi
contratti
in favore
di
r. Srl”
e non più in favore delle Società cedenti.
Sulla
questione
la
Scrivente
ha
ritenuto
opportuno
tentare
una
previa
interlocuzione
con
il
Ministero
dell’economia
e
delle
Finanze
e
con
il
Ministero
per
la
Pubblica
Amministrazione
che
-tuttavia
-non
hanno
fatto
pervenire
alcun
riscontro,
sicché
non
resta
che
affrontare
il
quesito
che
si
sostanzia
-in
estrema
PArerI
deL
CoMITATo
CoNSULTIVo
sintesi
-nella
richiesta
di
individuare,
a
valle
dell’operazione
negoziale
descritta,
quale
sia
il
soggetto
legittimato
a
ricevere,
con
effetto
liberatorio
per
l’Amministrazione
solvens,
le
somme
trattenute
alla
fonte
dalla
P.A.
datrice
di
lavoro
sui
ratei
mensili
di
stipendio
percepiti
dai
dipendenti
cedenti.
2. le tesi prospettate.
In
proposito,
l’Amministrazione
in
indirizzo
mostra
di
ritenere
non
suscettibile
di
positivo
apprezzamento
la
richiesta
formulata
dalla
società
r.
s.r.l.,
all’uopo
richiamando
il
parere
reso
dalla
scrivente
Avvocatura
Generale
in
data
15
settembre
2011
(AL
32631/2011),
a
mente
del
quale
le
cessioni
di
crediti
derivanti
da
operazioni
di
finanziamento
rimborsate
mediante
cessioni
del
quinto
o
delegazioni
di
pagamento,
pur
non
essendo
precluse
dall’art.
42
del
d.P.r.
5
gennaio
1950,
n.
180,
possono
considerarsi
opponibili
all’Amministrazione
a
condizione
che
sussistano
i
seguenti
requisiti
oggettivi
e
soggettivi:
-le
cessioni
devono risultare
da
atto pubblico o scrittura
privata
autenticata
da notaio, ai sensi dell’art. 69 del r.d. 18 novembre 1923, n. 2440;
-il
cessionario deve
essere
in possesso dei
requisiti
di
cui
all’art. 15 del
d.P.r. n. 180/1950, che
prevede
che
siano ammessi
“a concedere
prestiti
agli
impiegati
e
salariati
dello Stato [...] verso cessione
di
quote
di
stipendio o salario,
soltanto gli
istituti
di
credito e
di
previdenza costituiti
tra impiegati
e
salariati
delle
pubbliche
amministrazioni, l’istituto nazionale
delle
assicurazioni,
le
società di
assicurazioni
legalmente
esercenti, gli
istituti
e
le
società
esercenti
il
credito, escluse
quelle
costituite
in nome
collettivo e
in accomandita
semplice, le casse di riparmio e i monti di credito su pegno”;
-nel
caso in cui
il
cedente
dei
crediti
sia
una
società
sottoposta
a
procedure
concorsuali
è, inoltre, necessario che
il
liquidatore/curatore
fallimentare
rilasci
l’attestazione
della
legittimità
degli
atti
di
cessione
in
ottemperanza
alle
vigenti norme in materia fallimentare.
Alla
luce
del
parere
innanzi
richiamato, l’Amministrazione
in indirizzo rilevato,
da
un lato, che
“la r. s.r.l., non rientra in alcuna delle
fattispecie
disciplinate
dal
sopra citato art. 15 del
d.P.r. 180/1950”
e, dall’altro, che
“la
r. s.r.l. ha omesso di
produrre
la necessaria attestazione
del
liquidatore/curatore
fallimentare,
con
riferimento
alla
legittimità
degli
atti
di
cessione
in
ottemperanza
alle
vigenti
norme
in
materia
fallimentare”
ha
ritenuto
di
dover
continuare
a
versare
le
quote
trattenute
sui
ratei
mensili
degli
stipendi
percepiti
dai
dipendenti
direttamente
alle
Società
di
finanziamento che
hanno partecipato
alla descritta operazione di cartolarizzazione.
Sul
fronte
opposto, la
società
r. s.r.l
ha
evidenziato -nel
carteggio intrattenuto
con l’Amministrazione
in indirizzo -di
ritenersi
soggetto legittimato
ad incamerare
le
quote
degli
emolumenti
spettanti
ai
dipendenti. La
posizione
della
Società
risulta
argomentata
sulla
scorta
dei
motivi
che
-di
seguito -si
sintetizzano:
rASSeGNA
AVVoCATUrA
deLLo
STATo -N. 1/2023
-le
cessioni
in blocco dei
crediti
intervenute
tra
le
società
P. e
d.F. S.p.A
e
la
società
r. s.r.l. devono essere
contestualizzate
nell’ambito di
operazioni
di
cartolarizzazione
poste
in
essere
secondo
le
norme
della
legge
30
aprile
1999, n. 130 recante
“disposizioni
sulla cartolarizzazione
dei
crediti”
sicché,
in forza
della
disciplina
ivi
recata, ai
fini
dell’opponibilità
della
cessione
dei
crediti
derivanti
dai
contratti
di
finanziamento
contro
cessione
del
quinto,
è
richiesta
la
sola
pubblicazione
dell’avvenuta
operazione
nel
registro
delle
imprese
e
nella
Gazzetta
Ufficiale
della
repubblica
Italiana,
adempimenti
che
risultano realizzati
nel
caso di
specie
(avviso pubblicato sulla
G.U. del
11 dicembre
2018 foglio delle inserzioni n. 143).
-l’art.
15
del
d.P.r.
n.
180/1950,
sulla
scorta
del
quale
l’Amministrazione
ha
ritenuto
di
non
poter
effettuare
il
versamento
delle
quote
trattenute
sui
ratei
mensili
in favore
della
r. srl, non si
applica
nel
caso in esame
relativo a
cessioni
dei
crediti
vantati
dalle
Società
finanziatrici
nei
confronti
di
dipendenti
in contesti
di
operazioni
di
c.d. cartolarizzazione
ai
sensi
degli
articoli
1 e
4
della legge 30 aprile 1999, n. 130.
-Si
precisa
ulteriormente
che
le
Società
cedenti
non risultano sottoposte
ad
alcuna
procedura
concorsuale
evidenziandosi
altresì
che
le
cessioni
dei
crediti
intervenute
inter
partes
rientrano tra
le
operazioni
inerenti
un accordo di
ristrutturazione
dei
debiti
ex
art.
182-bis
L.F.
effettuate
previo
ottenimento
delle autorizzazioni previste dal medesimo accordo e dalla legge.
3. la struttura dell’operazione.
Constatata
la
diversa
interpretazione
giuridica
della
medesima
operazione
negoziale
da
parte
dell’Amministrazione
e
della
Società
cessionaria, la
Scrivente
ritiene
-in
primis
-necessario
meglio
analizzare
l’operazione
di
cui
trattasi
onde
sussumerne
con
maggiore
precisione
i
singoli
segmenti
nelle
pertinenti
categorie
giuridiche. In tale
ottica, pare
opportuno preliminarmente
mettere
in evidenza
la
distinzione
e
non sovrapponibilità
tra
l’operazione
di
cessione
del
quinto dello stipendio, quale
strumento di
rimborso dei
finanziamenti
concessi
ai
dipendenti
dalle
Società
finanziatrici,
e
le
successive
cessioni
dei
crediti
vantati
dalle
Società
erogatrici
di
detti
finanziamenti
in
favore
della
r. s.r.l. operate ai sensi della legge 30 aprile 1999, n. 130.
Seguendo
tale
impostazione
di
metodo
e
procedendo
ad
una
analisi
partita
dei
singoli
segmenti
dell’operazione
negoziale
in esame, va
evidenziato che,
sotto il
profilo logico e
cronologico, le
prime
fattispecie
contrattuali
che
vengono
in rilievo nel
caso in esame
sono i
contratti
di
finanziamento conclusi
dai
dipendenti
con
le
società
P.
e
d.F.
S.p.A
da
rimborsare
mediante
la
cessione
del quinto dello stipendio.
3.1. i contratti di finanziamento contro cessione del quinto.
Come
noto, i
contratti
di
finanziamento contro cessione
del
quinto dello
PArerI
deL
CoMITATo
CoNSULTIVo
stipendio o della
pensione
(conosciuti
anche
come
“CQS/CQP”
Sa1ary-backed
loans
or
pension-backed loans), erogabili
da
banche
e
intermediari
finanziari
ex
art.
106
del
decreto
legislativo
l°
settembre
1993,
n.
385
(T.U.B.),
sono
stati
introdotti
nel
nostro ordinamento con il
già
richiamato d.P.r. 5 gennaio
1950, n. 180, al fine di agevolare l’accesso al credito dei dipendenti statali.
detti
contratti
si
iscrivono
-come
altresì
noto
-nell’ampio
genus
dei
contratti
di
credito al
consumo cc.dd. non finalizzati, essendo caratterizzati
dalla
circostanza
che
il
finanziamento
viene
erogato
in
favore
di
un
soggetto
per
scopi
estranei
all’attività
imprenditoriale
o professionale
da
questi
esercitata.
Il
contratto di
cessione
del
quinto dello stipendio, quale
contratto costituente
una
specificazione
della
disciplina
sulla
cessione
del
credito dettata
dagli
artt.
1260 e
ss. cod. civ., comporta
la
cessione
parziale
(riguardando solo una
frazione
del
credito
complessivo
che
il
lavoratore
vanta
nei
confronti
del
solvens)
di
un credito di
natura lavoristica
(retributiva
o pensionistica) e
futuro, che
sorge
solo
nel
momento
in
cui
matura
il
diritto
a
percepire
il
relativo
rateo
mensile.
Sotto il
profilo economico, l’elemento caratterizzante
di
tali
contratti
di
finanziamento
è
-nell’ottica
del
soggetto
erogatore
del
finanziamento
-il
contenuto
livello
di
rischiosità
creditizia
dell’operazione
in
ragione
delle
peculiari
modalità
del
rimborso,
che
si
realizza
per
mezzo
di
trattenute
alla
fonte
sui
ratei
mensili
di
stipendio
o
pensione
spettanti
al
debitore
ed
erogati
da
soggetti
terzi,
in
misura
predeterminata
e
continuativa,
sebbene
non
eccedente
il
quinto
degli
emolumenti
mensili;
nonché
l’obbligatorietà
della
presenza
di
polizze
assicurative per il rischio di premorienza e di perdita di impiego.
Sotto
il
profilo
giuridico,
per
effetto
del
congegno
della
cessione
del
quinto, il
lavoratore
cedente
modifica
dal
punto di
vista
soggettivo il
rapporto
obbligatorio con il
datore
di
lavoro ceduto sostituendo a
sé
un soggetto terzo,
il
finanziatore
cessionario. Il
datore
di
lavoro è
conseguentemente
obbligato,
una
volta
perfezionatosi
il
contratto di
finanziamento con cessione
del
quinto
dello
stipendio,
a
trattenere
la
rata
indicata
nel
contratto
stesso
dalla
busta
paga
del dipendente e a versarla al soggetto erogante il finanziamento.
Sul
piano operativo, infine, l’operazione
di
rimborso del
contratto di
finanziamento
mediante
la
cessione
del
quinto
dello
stipendio
è
regolata
dall’art.
1, comma
3, del
d.P.r. 5 gennaio 1950, n. 180, a
mente
del
quale
“le
cessioni
degli
stipendi,
salari,
pensioni
ed
altri
emolumenti
di
cui
al
presente
testo
unico hanno effetto dal
momento della loro notifica nei
confronti
dei
debitori
ceduti”, con la
precisazione
che
detta
notifica
costituisce
l’Amministrazione
-dalla
quale
il
cedente
dipende
-debitrice
ceduta
per le
quote
di
stipendio o
di
salario
destinate
al
rimborso
del
finanziamento,
trovando
quindi
applicazione
l’art. 69 del
r.d. 18 novembre
1923, n. 2440, a
mente
del
quale
“le
cessioni,
le
delegazioni, le
costituzioni
di
pegno, i
pignoramenti, i
sequestri
e
le
opposizioni
relative
a somme
dovute
dallo Stato
nei
casi
in cui
sono ammesse
rASSeGNA
AVVoCATUrA
deLLo
STATo -N. 1/2023
dalle
leggi,
debbono
essere
notificate
all’amministrazione
centrale
ovvero
all’ente, ufficio o funzionario cui spetta ordinare il pagamento”.
Nella
prassi
contrattuale
accade
-come
si
è
verificato nel
caso di
specie
-che
i
crediti
vantati
dalle
società
erogatrici
dei
finanziamenti
contro
cessione
del
quinto “CQS/CQP”
siano periodicamente
e
sistematicamente
ceduti
pro
soluto
a
terzi
(c.d. originate-to-distribute, oTd) attraverso operazioni
c.d. di
cartolarizzazione
ai
sensi
degli
articoli
1
e
4
della
legge
30
aprile
1999,
n.
130.
detto
ultimo
profilo,
estraneo
all’oggetto
del
parere
della
scrivente
Avvocatura
Generale
in data
15 settembre
2011 (AL
32631/2011), non risulta
-invero essere
stato
analizzato
dall’Amministrazione
in
indirizzo
nelle
riflessioni
dalla
stessa
spese
al
fine
di
individuare
il
soggetto
nei
cui
confronti
versare
le
somme
trattenute
alla
fonte
sui
ratei
mensili
di
stipendio o pensione
percepiti
dai
lavoratori. ed invero, l’Amministrazione
ha
ritenuto di
poter riscontrare
negativamente
la
richiesta
pervenuta
dalla
società
r. s.r.l
sulla
scorta
della
disciplina
di
cui
al
d.P.r. n. 180/1950, che
-tuttavia
-trova
applicazione
esclusivamente
con
riguardo
al
segmento
dell’operazione
rappresentato
dai
contratti
di
finanziamenti
contro cessione
del
quinto conclusi
dai
dipendenti
con le
Società
erogatrici
del
finanziamento e
non alle
diverse
e
successive
cessioni
dei
crediti
vantati
dalle
Società
finanziatrici
operate
in contesti
di
operazioni
di
c.d. cartolarizzazione
ai
sensi
degli
articoli
1 e
4 della
legge
30 aprile
1999, n.
130, cui
non si
applica
-come
meglio si
dirà
infra
-neppure
l’art. 69 del
r.d.
18
novembre
1923,
n.
2440
pure
richiamato
dall’Amministrazione
in
indirizzo
per opporsi alla richiesta della società r. s.r.l.
Sulla
disciplina
delle
operazioni
di
cartolarizzazione
dei
crediti
occorre
soffermarsi
perché
detto
aspetto
differenzia
-come
detto
-il
caso
qui
in
esame
da
quello già
esaminato dalla
Scrivente
con il
parere
reso in data
15 settembre
2011.
3.2.
la
cessione
dei
crediti
derivanti
da
contratti
di
finanziamenti
contro
cessione
del
quinto
effettuata
nel
contesto
di
una
operazione
di
c.d.
cartolarizzazione.
Nell’ottica
innanzi
esposta
occorre
qui
rammentare
che
la
l.
n.
130
del
1999 ha
dato vita
ad una
disciplina
generale
ed organica
in materia
di
operazioni
di cartolarizzazione dei crediti.
Tale
“tecnica
finanziaria”
è
suscettibile
di
articolarsi
nella
pluralità
di
passaggi
di seguito riportati.
Un
soggetto
(c.d.
originator)
(1)
cede,
a
titolo
oneroso,
uno
o
più
crediti
pecuniari
-esistenti
ovvero
futuri
(v.
art.
1
L.
n.
130
del
1999)
(2)
-a
una
società
(1) Nel caso in esame le società P. e d.F. S.p.A
(2) Nel
nostro caso il
quantum
erogato a
titolo di
finanziamenti, ai
dipendenti
che
si
sono impegnati
a rimborsare il credito attraverso la cessione del quinto.
PArerI
deL
CoMITATo
CoNSULTIVo
all’uopo
costituita
(c.d.
special
purpose
vehicle
SPV)
(3).
Quest’ultimo
soggetto,
al
fine
di
rinvenire
la
provvista
necessaria
all’acquisto
dei
crediti
(cfr.
art.
5,
comma
1°,
l.
n.
130
del
1999),
emette
titoli
(c.d.
securities)
qualificati
dalla
legge
come
strumenti
finanziari
(cfr.
art.
2,
comma
1°,
l.
n.
130
del
1999)
da
collocare
presso
investitori.
Per
espressa
disposizione
di
legge
(art.
3,
comma
2),
i
crediti
che
formano
oggetto
di
ciascuna
operazione
di
cartolarizzazione
costituiscono
un
vero
e
proprio
“patrimonio
separato”,
ad
ogni
effetto,
rispetto
a
quello
della
società
veicolo
ed
aggredibile
solo
dai
portatori
dei
titoli.
Tale
patrimonio,
infatti,
secondo
quanto
espressamente
previsto
dall’art.
1,
comma
1,
lett.
b),
della
legge
è
a
destinazione
vincolata,
in
via
esclusiva,
al
soddisfacimento
dei
diritti
incorporati
nei
titoli
emessi
per
finanziare
l’acquisto
dei
crediti,
nonché
al
pagamento
dei
costi
dell’operazione.
La
tecnica
finanziaria
in
parola
può
prevedere
il
coinvolgimento
di
un
soggetto
(c.d.
servicer)
preposto,
da
un
lato,
alla
gestione
dei
crediti
sottostanti
ai
titoli
emessi
dalla
società
veicolo
e
alla
verifica
del
corretto
svolgimento
dell’operazione
(attività
di
servicing)
e,
dall’altro,
alla
esecuzione
dei
servizi
di
cassa
e
pagamento
in
favore
dei
prenditori
dei
titoli
(c.d.
servizio
di
cash
management)
(4).
Per quel
che
in questa
sede
rileva, a
differenza
della
cessione
di
crediti
lavoristici
di
cui
al
punto
3.1.,
nella
quale
la
Pubblica
Amministrazione
riveste
la
qualità
di
debitore
ceduto
destinatario
della
notifica
del
contratto
di
cessione
ex
art. 69 del
r.d. 18 novembre
1923, n. 2440, per le
cessioni
di
crediti
dalle
società
finanziatrici
alle
società
veicolo
effettuate
nell’ambito
di
operazioni
di
cartolarizzazione
non
è
necessaria
la
notifica
del
contratto
di
cessione
ai
fini
della
opponibilità
ai
debitori
ceduti. L’art. 4 della
l. n. 130 del
1999 -che
richiama
a
sua
volta
i
commi
secondo, terzo e
quarto dell’art. 58 del
T.U.B. prevede,
infatti, che
l’iscrizione
nel
registro delle
imprese
e
la
pubblicazione
in Gazzetta
Ufficiale
dell’estratto della
cessione
valgano come
notifica
al
debitore
ceduto. dunque, il
meccanismo pubblicitario crea
in capo al
debitore
una
conoscenza
legale
della
cessione
attraverso una
forma
di
pubblicità
“erga
omnes”
della
cessione
che
produce
i
medesimi
effetti
indicati
all’art.
1264
c.c.
(così l’art. 58, comma 4, T.U.B.).
Tanto
vale
-come
confermato
dalla
deliberazione
n.
34/2020
della
Corte
dei
conti, Sez. controllo Sicilia
(all. 1) -anche
nei
confronti
delle
Pubbliche
Amministrazioni
perché
l’art. 4, comma
4-bis, della
citata
l. n. 130/1999 afferma
che
“alle
cessioni
effettuate
nell’ambito di
operazioni
di
cartolarizzazione
non
si
applicano
gli
articoli
69
e
70
del
regio
decreto
18
novembre
1923,
n.
2440,
nonché
le
altre
disposizioni
che
richiedano
formalità
diverse
rispetto
a quelle di cui alla presente legge”.
(3) Nella fattispecie in esame la società r. s.r.l.
(4) Nel
caso in esame
detto ruolo sembra
-sulla
scorta
della
documentazione
in possesso -essere
stato attribuito alla società C. S.p.a.
rASSeGNA
AVVoCATUrA
deLLo
STATo -N. 1/2023
Ciò premesso sul
piano dell’analisi
degli
istituti
giuridici
in rilievo, occorre
fare applicazione delle coordinate teoriche tracciate al caso di specie.
4. analisi del caso di specie.
Nel
caso di
specie
pare
indubbio che
le
operazioni
di
cessione
di
credito
tra
le
Società
finanziatrici
e
la
r. S.r.l. rientrano tra
quelle
c.d. di
“cartolarizzazione”
soggette
alla
disciplina
speciale
dettata
dall’art. 4, co. 4-bis, l. n. 130
del
1999 (introdotto dall’art. 12 d.l. n. 145 del
2013 conv. in l. n. 9 del
2014)
in base
“alla quale
sono escluse
tutte
le
formalità previste
per
la cessione
dei
crediti
verso
la
P.a.
e
a
questa
non
è
consentito
negare
l’adesione”
(così
Cons.
Stato, Sez. III, sentenze
24 settembre
2020, n. 5562 e
n. 5561). risulta
inoltre
che
la
r. S.r.l. è
abilitata
al
compimento di
attività
di
cartolarizzazione
e
che
la
stessa
ha
provveduto
-oltre
che
alle
formalità
previste
dalla
l.
n.
130
del
1999
(pubblicazione
sulla
G.U.
delle
informazioni
finalizzate
alla
opponibilità
delle
operazioni)
-anche
(evidentemente
ad
abundantiam,
in
difetto
di
un
preciso
obbligo
ex
lege)
alla
notifica
dell’atto
di
cessione
all’Amministrazione
in
indirizzo.
Tanto
premesso,
e
venendo
al
quesito
formulato,
occorre
individuare
quale
sia
-nel
caso in esame
-il
soggetto legittimato a
ricevere
le
somme
trattenute
alla
fonte
dalla
P.A. datrice
di
lavoro sui
ratei
mensili
di
stipendio dei
propri dipendenti.
Sul
punto, alla
luce
di
quanto innanzi
esposto circa
la
disciplina
della
notifica
della
cessione
dei
crediti
in blocco, non pare
possano residuare
profili
di
incertezza
sull’avvenuta
modifica
della
titolarità
attiva
della
posta
creditoria
trasferita
dalle
Società
finanziatrici
alla
Società
veicolo, che
-dunque
-può
essere
considerata, avendo adempiuto alle
formalità
richieste
dalla
disciplina
di settore, il soggetto legittimato all’incameramento dei ratei trattenuti.
A
supporto della
conclusione
circa
la
legittimazione
della
r. s.r.l. a
ricevere
il
pagamento, può essere
richiamata
la
decisione
n. 6816 del
27 marzo
2018 del
Collegio di
coordinamento dell’Arbitro Bancario (all. 2) e
le
successive
decisioni
dell’Arbitro
intervenute
con
riguardo
a
casi
di
contratti
di
finanziamento
rimborsabili
mediante
cessione
del
quinto
dello
stipendio
e
successiva
cessione
del
credito pari
alla
somma
finanziata
attraverso operazioni
di
cartolarizzazione
(all. 3). Nei
casi
analizzati
dall’Arbitro la
questione
riguardava
-più nel
dettaglio -se
a
fronte
dell’estinzione
-successivamente
alla
cartolarizzazione
-del
finanziamento rimborsabile
mediante
cessione
del
quinto
dello
stipendio
da
parte
del
lavoratore,
il
soggetto
finanziato
potesse
convenire
innanzi
all’ABF
-per
chiedere
la
restituzione
dei
costi
c.d.
recurring
-la
banca
mutuante
(originator)
o
la
società
veicolo
(SPV)
cessionaria
del
credito. L’Arbitro -analizzata
la
disciplina
della
cartolarizzazione
-ha
concluso
per la
legittimazione
passiva
della
seconda
sull’assunto che
la
società
veicolo -in quanto titolare
delle
poste
attive
cedute
in blocco -è
l’accipiens
PArerI
deL
CoMITATo
CoNSULTIVo
delle
somme
delle
quali
si
richiede
il
recupero
in
ragione
dell’intervenuta
estinzione
anticipata del finanziamento.
Passando dal
piano dell’individuazione
del
soggetto astrattamente
legittimato
a
richiedere
i
pagamenti
alle
condizioni
-in concreto -per far valere
la
pretesa
all’incasso,
va
rilevato
che
il
problema
pratico,
venuto
talvolta
al
vaglio
della
giurisprudenza
di
legittimità, risiede
nella
circostanza
per cui
gli
estratti
di
cessione
pubblicati
in Gazzetta
Ufficiale
riportano solo criteri
generali
con
cui
identificare
i
singoli
crediti
ceduti
(che,
del
resto,
vengono
ceduti
in
blocco):
questo perché
l’art. 58, comma
2, T.U.B. non impone
che
un contenuto
informativo
minimo,
con
la
conseguenza
che
quanto
pubblicato
nella
Gazzetta
può
lasciare
incertezze
sui
crediti
inclusi/esclusi
dall’ambito
della
cessione
tanto da
porre
il
debitore
ceduto in una
situazione
in cui
l’adempimento
dell’obbligazione risulta notevolmente aggravato.
Anche
nel
caso in esame
dalla
lettura
dell’avviso pubblicato sulla
G.U.
dell’11 dicembre
2018 foglio delle
inserzioni
n. 143 (all. 4) si
ricava
solo una
generica
individuazione
dei
crediti
oggetto di
cessione:
a
pagina
36 si
legge
infatti
-che
i
crediti
oggetto della
operazione
di
cartolarizzazione
sono quelli
“concessi
a
titolo
di
finanziamento
contro
cessione
del
quinto
e/o
assistito,
da delegazione di pagamento”.
In
proposito,
la
produzione
giurisprudenziale
-dalla
quale
a
fortiori
è
possibile
trarre
una
conferma
sulla
legittimazione
in astratto della
società
veicolo
- sembra connotata dalla coesistenza di due diversi indirizzi.
In base
ad una
tesi
più “elastica”
in tema
di
cessione
in blocco dei
crediti
da
parte
di
una
banca
o società
finanziatrice, ai
sensi
dell’art. 58 del
d.lgs. n.
385 del
1993 sarebbe
sufficiente, a
dimostrare
la
titolarità
del
credito in capo
al
cessionario, la
produzione
dell’avviso di
pubblicazione
sulla
Gazzetta
Ufficiale
recante
l’indicazione,
per
categorie,
dei
rapporti
ceduti
in
blocco,
senza
che
occorra
una
specifica
enumerazione
di
ciascuno
di
essi
(Cass.
ord.
n.
31188
del 2017).
Un orientamento più rigoroso ha, invece, negato la
legittimazione
attiva
della
società
veicolo ad agire
in sede
monitoria
per la
riscossione
dei
crediti
oggetto di
cessione
sulla
scorta
della
sola
produzione
in giudizio degli
avvisi
pubblicati
sulla
Gazzetta
ufficiale
sottolineando
che
la
società
veicolo,
ove
intenda
ricevere
direttamente
il
pagamento
dei
crediti
ceduti,
deve
fornire
la
prova
documentale
della
legittimazione
ricavabile
-in
ultima
analisi
-dalla
lettura
dell’atto di
cessione
e
non dalla
mera
pubblicazione
dell’avviso della
cessione
sulla
Gazzetta
Ufficiale
(Cass.
2
marzo
2016,
n.
411,
Cass.,
ordinanza
5 novembre
2020, n. 24798;
di
recente
Cass. civ., Sez. VI -1, ord. 1 febbraio
2023, n. 3072 nonché
-con riguardo alla
legittimazione
alla
proposizione
del
ricorso per cassazione - Cass., Sez. Unite n. 11650/2006).
La
Scrivente
ritiene
che
tra
i
due
orientamenti
debba
essere
preferito il
secondo.
rASSeGNA
AVVoCATUrA
deLLo
STATo -N. 1/2023
La
descritta
operazione
di
cessione
di
crediti
derivanti
da
contratti
di
finanziamento
rimborsati
mediante
cessione
del
quinto
dello
stipendio
effettuata
all’interno di
un’operazione
di
cartolarizzazione
comporta
-come
evidente
una
maggiore
articolazione
strutturale
del
momento solutorio per l’Amministrazione
ceduta. ed infatti, la
sopravvenienza
(potenzialmente
indeterminata
in
base
alle
vicende
circolatorie
del
credito)
di
altri
soggetti
titolari
delle
poste
attive
comporta
naturaliter
una
crescente
gravosità
delle
attività
necessarie
all’Amministrazione
per liberarsi
dagli
obblighi
solutori
sulla
stessa
gravanti
da
controbilanciarsi
-in base
al
noto principio di
buona
fede
-attraverso una
puntuale
comunicazione
da
parte
della
società
veicolo recante
la
precisa
elencazione
dei
crediti
che
compongono il
blocco, quale
condizione
per ottenere
il
versamento
delle
somme
trattenute
sugli
emolumenti
del
personale
dall’Amministrazione
in indirizzo.
Tanto
pare
avvalorato
dalla
giurisprudenza
di
legittimità
e,
in
particolare,
dalla
recente
sentenza
della
Cassazione, Sez. I, 13 settembre
2021, n. 24640
(all. 5). La
citata
pronunzia
si
sofferma
-infatti
-sulla
maggior gravosità
del
momento
solutorio
per
il
debitore
(nel
caso
deciso:
l’INPS)
nell’ambito
di
un’operazione
di
cessione
“in blocco”
che
può -oltre
che
comportare
un fisiologico
ritardo nel
pagamento qualora
il
cessionario non collabori
secondo
correttezza
e
buona
fede
-anche
giustificare, dal
punto di
vista
causale, la
stipulazione
di
contratti-quadro
o
normativi
tra
il
debitore
ceduto
ed
il
cessionario
finalizzati a disciplinare le modalità esecutive dei pagamenti.
5. Conclusioni.
dalla
ricostruzione
degli
istituti
in
rilievo
nonché
dalla
giurisprudenza
citata
ed
allegata
al
presente
parere,
pare
potersi
ricavare
che
la
legittimazione
a
ricevere
le
somme
trattenute
alla
fonte
dalla
P.A. datrice
di
lavoro sui
ratei
mensili
di
stipendio
percepiti
dai
dipendenti
spetti
alla
società
veicolo
r.
s.r.l.,
a
condizione, però, che
la
stessa
fornisca
all’Amministrazione
puntuale
indicazione
e
dimostrazione
dell’effettiva
afferenza
di
ciascuna
posta
attiva
ai
crediti
che compongono il “blocco”.
Il
presente
parere
è
stato
esaminato
nella
seduta
del
giorno
5
giugno
2023
del
Comitato consultivo dell’Avvocatura
dello Stato il
quale
si
è
espresso in
conformità.
Si allega:
(omissis)
PArerI
deL
CoMITATo
CoNSULTIVo
Convenzione-quadro stipulata dalla Consip s.p.a.
per la fornitura di carburante mediante “buoni acquisto”.
Possibilità per le
amministrazioni dello stato di avviare
una procedura autonoma di scelta del contraente
Parere
del
12/06/2023-390100, al 11007/2023,
aVV. emanuele
Feola
Con
la
nota
in
riscontro,
codesta
Amministrazione
ha
chiesto
il
parere
della
Scrivente
in
merito
ai
requisiti
in
presenza
dei
quali
è
possibile
derogare
all’obbligo,
previsto
per
le
Amministrazioni
dello
Stato,
di
aderire
alla
convenzione-
quadro
stipulata
dalla
Consip
S.p.A.
per
la
fornitura
di
carburante
mediante
“buoni
acquisto”,
denominata
“carburanti
rete
-Buoni
acquisto
2”.
In
particolare,
nella
richiesta
di
parere,
sono
state
rappresentate
le
seguenti
circostanze di fatto:
a)
la
suddetta
convenzione-quadro
non
prevede
la
possibilità
di
rinnovare
i“buoni
acquisto”
all’approssimarsi
della
scadenza
dei
medesimi, né
alcuna
forma
di
rimborso, sia
pure
parziale, per eventuali
cedole
non fruite
nei
tempi
contrattualmente previsti;
b)
l’inserimento di
una
clausola
che
preveda
la
possibilità
di
rinnovo oppure
di
rimborso
dei
“buoni
acquisto”
in
scadenza
rappresenterebbe
quindi
per
la
Forza
Armata
un
fondamentale
strumento
di
flessibilità,
in
funzione
delle
peculiari
esigenze
operative
che
la
stessa
si
trova
quotidianamente
a
dover
soddisfare,
in
cui
variazioni
impreviste
delle
attività
pianificate,
potrebbero
determinare
l’inutilizzo
di
una
parte
dei
buoni
acquistati
mediante
la
con-
venzione-quadro stipulata dalla Consip.
Pertanto,
con
la
nota
in
riscontro,
si
è
chiesto
alla
Scrivente
di
chiarire
se, in considerazione
delle
menzionate
circostanze
di
fatto, codesta
Amministrazione
possa
procedere
all’aggiudicazione
della
fornitura
in
esame
senza
fare ricorso alla suddetta convenzione-quadro.
Al
fine
di
rendere
il
parere
richiesto, appare
opportuno ricostruire
-sia
pure
sinteticamente
-la
normativa
concernente
l’obbligo per le
Amministrazioni
pubbliche
di
avvalersi
delle
convenzioni-quadro stipulate
dalla
Consip
S.p.A.
L’art. 26 della
legge
23 dicembre
1999, n. 488, e
s.m.i., dispone
che
“1.
il
ministero del
tesoro, del
bilancio e
della programmazone
economica, nel
rispetto della vigente
normativa in materia di
scelta del
contraente, stipula,
anche
avvalendosi
di
società
di
consulenza
specializzate,
selezionate
anche
in deroga alla normativa di
contabilità pubblica, con procedure
competitive
tra
primarie
società
nazionali
ed
estere,
convenzioni
con
le
quali
l’impresa
prescelta
si
impegna
ad
accettare,
sino
a
concorrenza
della
quantità
massima
complessiva stabilita dalla convenzione
ed ai
prezzi
e
condizioni
ivi
previsti,
rASSeGNA
AVVoCATUrA
deLLo
STATo -N. 1/2023
ordinativi
di
fornitura di
beni
e
servizi
deliberati
dalle
amministrazioni
dello
Stato anche con il ricorso alla locazione finanziaria [...]
3. le
amministrazioni
pubbliche
possono ricorrere
alle
convenzioni
stipulate
ai
sensi
del
comma
1,
ovvero
ne
utilizzano
i
parametri
di
prezzo-qualità,
come
limiti
massimi,
per
l’acquisto
di
beni
e
servizi
comparabili
oggetto
delle
stesse,
anche
utilizzando procedure
telematiche
per
l’acquisizione
di
beni
e
servizi
ai
sensi
del
decreto del
Presidente
della repubblica 4 aprile
2002, n.
101.
la
stipulazione
di
un
contratto
in
violazione
del
presente
comma
è
causa
di
responsabilità amministrativa; ai
fini
della determinazione
del
danno erariale
si
tiene
anche
conto della differenza tra il
prezzo previsto nelle
convenzioni
e quello indicato nel contratto.
3-bis. i provvedimenti
con cui
le
amministrazioni
pubbliche
deliberano
di
procedere
in modo autonomo a singoli
acquisti
di
beni
e
servizi
sono trasmessi
alle
strutture
e
agli
uffici
preposti
al
controllo di
gestione, per
l’esercizio
delle
funzioni
di
sorveglianza
e
di
controllo
[...]
il
dipendente
che
ha
sottoscritto il
contratto allega allo stesso una apposita dichiarazione
con la
quale
attesta, ai
sensi
e
per
gli
effetti
degli
articoli
47 e
seguenti
del
decreto
del
Presidente
della repubblica 28 dicembre
2000, n. 445, e
successive
modifiche,
il rispetto delle disposizioni contenute nel comma 3”.
L’art. 58 della
legge
23 dicembre
2000, n. 388, ha
precisato che
“ai
sensi
di
quanto previsto dall’articolo 26, comma 3, della legge
23 dicembre
1999,
n.
488,
per
pubbliche
amministrazioni
si
intendono
quelle
definite
dall’articolo
1 del
decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29”
e
che
“le
convenzioni
di
cui
al
citato articolo 26 sono stipulate
dalla concessionaria servizi
informatici
pubblici (conSiP) Spa”.
dalle
disposizioni
sopra
trascritte
si
evince, quindi, l’obbligo per le
Amministrazioni
pubbliche
indicate
dall’art.
1
del
decreto-legislativo
n.
29
del
1993 (oggi
sostituito dall’art. 1 del
decreto-legislativo n. 165 del
2001) di
avvalersi
delle
convenzioni
stipulate
dalla
Consip S.p.A. oppure
-in alternativa
-di
utilizzarne
i
parametri
di
prezzo-qualità,
come
limiti
massimi,
qualora
procedano
all’acquisto
di
beni
e
servizi
comparabili
a
quelli
che
costituiscono
l’oggetto delle citate convenzioni.
Tuttavia,
nel
caso
delle
Amministrazioni
pubbliche
statali,
l’obbligo
in
questione
è
ancor più stringente, dato che, in presenza
di
una
convenzione
stipulata
dalla
Consip S.p.A., tali
amministrazioni
sono tenute
-in linea
di
principio
- ad utilizzarla, senza poter ricorrere a strumenti alternativi.
difatti, l’articolo 1, comma
449, della
legge
27 dicembre
2006, n. 296, e
s.m.i., dispone
che
“nel
rispetto del
sistema delle
convenzioni
di
cui
agli
articoli
26 della legge
23 dicembre
1999, n. 488, e
successive
modificazioni, e
58 della legge
23 dicembre
2000, n. 388, tutte
le
amministrazioni
statali
centrali
e
periferiche, ivi
compresi
gli
istituti
e
le
scuole
di
ogni
ordine
e
grado,
le
istituzioni
educative
e
le
istituzioni
universitarie, nonché
gli
enti
nazionali
PArerI
deL
CoMITATo
CoNSULTIVo
di
previdenza
e
assistenza
sociale
pubblici
e
le
agenzie
fiscali
di
cui
al
decreto
legislativo
30
luglio
1999,
n.
300,
sono
tenute
ad
approvviggionarsi
utilizzando
le convenzioni-quadro”.
Le
disposizioni
menzionate, che
prevedono l’obbligo di
avvalersi
delle
convenzioni
stipulate
dalla
Consip S.p.A., costituiscono norme
imperative
e
la
violazione
delle
medesime
implica
conseguenze
sul
piano civilistico, disciplinare
e contabile.
In particolare, l’articolo 1, comma
1, del
decreto-legge
6 luglio 2012, n.
95, convertito dalla
legge
7 agosto 2012, n. 135, stabilisce
che
“Successivamente
alla data di
entrata in vigore
della legge
di
conversione
del
presente
decreto,
i
contratti
stipulati
in
violazione
dell’articolo
26,
comma
3
della
legge
23 dicembre
1999, n. 488 ed i
contratti
stipulati
in violazione
degli
obblighi
di
approvviggionarsi
attraverso
gli
strumenti
di
acquisto
messi
a
disposizione
da consip S.p.a. sono nulli, costituiscono illecito disciplinare
e
sono causa
di
responsabilità amministrativa. ai
fini
della determinazione
del
danno erariale
si
tiene
anche
conto della differenza tra il
prezzo, ove
indicato, dei
detti
strumenti di acquisto e quello indicato nel contratto”.
Peraltro, il
medesimo articolo introduce
una
prima eccezione
alla
menzionata
regola
generale,
disponendo
che
essa
“non
si
applica
alle
amministrazioni
dello
Stato
quando
il
contratto
sia
stato
stipulato
ad
un
prezzo
più
basso
di
quello derivante
dal
rispetto dei
parametri
di
qualità e
di
prezzo degli
strumenti
di
acquisto messi
a disposizione
da consip S.p.a, ed a condizione
che
tra l’amministrazione
interessata e
l’impresa non siano insorte
contestazioni
sulla esecuzione di eventuali contratti stipulati in precedenza”.
Il
contenuto dell’eccezione
de
qua
è
ulteriormente
precisato dalla
circolare
del Ministero dell’economia e delle Finanze del 25 agosto 2015.
La
suddetta
circolare
ha
chiarito che
le
Amministrazioni
statali
sono tenute,
nei
casi
in
cui
stipulino
contratti
senza
utilizzare
gli
strumenti
di
acquisto
centralizzati
messi
a
disposizione
dalla
Consip
S.p.A.,
“a
fornire
ai
competenti
uffici
di
controllo di
regolarità amministrativa e
contabile
adeguata indicazione
dei
concreti
motivi
per
i
quali
si
è
proceduto
in
deroga
agli
obblighi
sopra richiamati. in particolare, ai
fini
della prova dell’osservanza dei
benchmark
di
qualità
e
prezzo
messi
a
disposizione
da
consip,
occorrerà
operare
un raffronto tra fattori
di
comparazione
omogenei
(es. tra prezzi
della convenzione
consip di
durata settennale
e
prezzi
relativi
al
contratto stipulato al
di
fuori
degli
strumenti
di
acquisto
centralizzati
di
pari
durata
settennale),
tenendo
in
particolare
attenzione,
per
la
verifica
dell’omogeneità
degli
strumenti,
le
prestazioni
contrattuali
principali
e
le
caratteristiche
essenziali
dell’oggetto delle stesse”.
Peraltro,
su
tale
aspetto,
è
da
ultimo
intervenuto
lo
stesso
legislatore
adottando
una
disciplina
speciale
per talune
categorie
merceologiche, che
includono
anche quella dei “carburanti”, oggetto del presente parere.
rASSeGNA
AVVoCATUrA
deLLo
STATo -N. 1/2023
Nel
dettaglio,
l’articolo
3-quater,
comma
1,
del
decreto-legge
18
novembre
2022, n. 176, convertito, con modificazioni, dalla
legge
13 gennaio 2023,
n. 6, ha
modificato l’articolo 1, comma
7, del
decreto-legge
6 luglio 2012, n.
95, precisando che:
“le
amministrazioni
pubbliche
[...]
relativamente
alle
seguenti
categorie
merceologiche: [...] carburanti
rete
e
carburanti
extra-rete
[...] sono tenute
ad approvvigionarsi
attraverso le
convenzioni
o gli
accordi
quadro messi
a disposizione
da consp S.p.a. e
dalle
centrali
di
committenza
regionali
di
riferimento
[...]
ovvero ad esperire
proprie
autonome
procedure
nel
rispetto della normativa vigente, utilizzando i
sistemi
telematici
di
negoziazione
messi a disposizione dai soggetti sopra indicati”.
Tuttavia, “È
fatta salva la possibilità di
procedere
ad affidamenti, nelle
indicate
categorie
merceologiche, anche
al
di
fuori
delle
predette
modalità, a
condizione
che
gli
stessi
conseguano
ad
approvvigionamenti
da
altre
centrali
di
committenza
o
a
procedure
di
evidenza
pubblica,
e
prevedano
corrispettivi
inferiori
almeno
del
[...]
2
per
cento
per
le
categorie
merceologiche
carburanti
extra-rete, carburanti
rete, energia elettrica, gas
e
combustibili
per
il
riscaldamento
rispetto
ai
migliori
corrispettivi
indicati
nelle
convenzioni
e
accordi
quadro
messi
a
disposizione
da
Consip
S.p.A.
e
dalle
centrali
di
committenza
regionali” (enfasi aggiunte).
Qualora
l’Amministrazione
si
avvalga
di
tale
possibilità,
essa
è
comunque
tenuta
-ai
sensi
del
medesimo comma
7 -a
trasmettere
i
contratti
stipulati
al-
l’Autorità
Nazionale
Anticorruzione
e
ad inserire
nel
testo dei
medesimi
“una
condizione
risolutiva con possibilità per
il
contraente
di
adeguamento ai
migliori
corrispettivi
nel
caso
di
intervenuta
disponibilità
di
convenzioni
consip
e
delle
centrali
di
committenza
regionali
che
prevedano
condizioni
di
maggior
vantaggio
economico
in
percentuale
superiore
al
10
per
cento
rispetto
ai
contratti
già stipulati”.
In
altri
termini,
con
riferimento
ai
“carburanti”
il
legislatore
ha
reso
ancor
più stringente
l’obbligo di
avvalersi
degli
strumenti
negoziali
messi
a
disposizione
dalla
Consip,
stabilendo
che
una
deroga
a
tale
obbligo
è
ammessa
esclusivamente
se
eventuali
approvvigionamenti
da
altre
centrali
di
committenza
oppure
l’esperimento
di
altre
procedure
di
evidenza
pubblica
consentano
all’Amministrazione
di
pagare
al
fornitore
un
corrispettivo
inferiore
di
almeno
il
2%
rispetto
ai
migliori
corrispettivi
indicati
nelle
convenzioni-quadro
messe
a disposizione dalla Consip S.p.A.
Inoltre,
resta
fermo
l’obbligo
di
trasmettere
il
contratto
all’ANAC
e
di
inserire
nel
medesimo
una
condizione
risolutiva
per
il
caso
in
cui
sopravvenga
una
convenzione
Consip che
sia
maggiormente
conveniente
per l’Amministrazione
(sia
pure
in
percentuale
superiore
al
10%
rispetto
al
corrispettivo
previsto nei
contratti
già
stipulati), con possibilità
per l’operatore
economico
di
evitare
lo scioglimento del
contratto adeguando
il
prezzo ai
“migliori
corrispettivi”
offerti dagli strumenti negoziali stipulati dalla Consip S.p.A.
PArerI
deL
CoMITATo
CoNSULTIVo
Una
seconda
eccezione
alla
regola
generale
relativa
all’utilizzo
delle
convenzioni-
quadro stipulate
dalla
Consip S.p.A. è
stata
poi
introdotta
dall’articolo
1, comma 510, della legge 28 dicembre 2015, n. 208.
Tale
norma
prevede
che
“le
amministrazioni
pubbliche
obbligate
ad approvvigionarsi
attraverso le
convenzioni
di
cui
all’articolo 26 della legge
23
dicembre
1999, n. 488, stipulate
da consip S.p.a.
[...] possono procedere
ad
acquisiti
autonomi
esclusivamente
a seguito di
apposita autorizzazione
specificamente
motivata resa dall’organo di
vertice
amministrativo e
trasmessa
al
competente
ufficio
della
corte
dei
conti,
qualora
il
bene
o
il
servizio
oggetto
di
convenzione
non
sia idoneo al
soddisfacimento dello specifico fabbisogno
dell’amministrazione
per
mancanza
di
caratteristiche
essenziali
”
(enfasi
aggiunte).
dunque, l’Amministrazione
ha
sempre
la
possibilità
di
derogare
all’obbligo
di
avvalersi
delle
convenzioni
Consip, qualora
il
“bene”
offerto in tali
convenzioni
sia
privo
delle
“caratteristiche
essenziali”,
necessarie
a
consentire
“il soddisfacimento dello specifico fabbisogno dell’amministrazione”.
Ai
sensi
dell’articolo
1,
comma
507,
della
medesima
legge
n.
208
del
2015, tali
nozioni
sono state
definite
dal
Ministro dell’economia
e
delle
Finanze
con
il
decreto
del
13
febbraio
2023,
pubblicato
nella
G.U.
Serie
generale
n.
75
del
29
marzo
2023,
intitolato
“definizione
delle
caratteristiche
essenziali
delle
prestazioni
principali
costituenti
oggetto delle
convenzioni
stipulate
da
consip”.
In particolare, l’articolo 1, comma
1, del
decreto prevede
che
“le
caratteristiche
essenziali
delle
prestazioni
principali
oggetto delle
convenzioni
di
cui
all’art.
26
della
legge
23
dicembre
1999,
n.
488,
sono
definite
nell’allegato
che costituisce parte integrante del presente decreto”.
ebbene,
l’Allegato
richiamato
nella
disposizione
appena
trascritta
prevede
-con riferimento ai
“carburanti
extra-rete”, ma
applicabile
per analogia
anche
ai
c.d. “carburanti
rete”
-che
le
caratteristiche
essenziali
della
prestazione
offerta dall’operatore economico attengono:
1)
alla “tipologia del prodotto fornito”;
2)
al “tempo di consegna”;
3)
al “cluster del volume di consegna”;
4)
e al c.d. “ordinativo minimo”.
ricostruito
in
questi
termini
il
contesto
normativo
di
riferimento,
si
ritiene
quindi
che
-nel
caso sottoposto all’esame
della
Scrivente
-non sia
possibile
giustificare
l’eventuale
deroga
all’obbligo
di
avvalersi
della
convenzione
Consip
denominata
“carburanti
rete
-Buoni
acquisto 2”, applicando l’articolo
1, comma 510, della legge n. 208 del 2015.
difatti, nel
definire
le
“caratteristiche
essenziali”
della
prestazione
principale,
la
cui
assenza
può giustificare
la
deroga
all’obbligo di
avvalersi
delle
convenzioni-quadro stipulate
dalla
Consip S.p.A., il
menzionato decreto del
rASSeGNA
AVVoCATUrA
deLLo
STATo -N. 1/2023
Ministro
dell’economia
e
delle
Finanze
fa
riferimento
esclusivamente
alle
caratteristiche
qualitative
e
quantitative
del
prodotto
(nella
specie,
il
carburante),
senza
prendere
in considerazione
le
modalità
di
pagamento del
prezzo, tra
le
quali
è
possibile
annoverare
-a
titolo
esemplificativo
-anche
la
remunerazione
del medesimo mediante l’acquisto di “buoni benzina”.
Pertanto, codesta
Amministrazione
potrà
derogare
all’obbligo in esame
esclusivamente
alle
condizioni
previste
dall’articolo 3-quater, comma
1, del
decreto-legge
18 novembre
2022, n. 176, convertito, con modificazioni, dalla
legge
13 gennaio 2023, n. 6, il
quale
-nel
modificare
l’articolo 1, comma
7,
del
decreto-legge
n. 95 del
2012 -ha
previsto, con riferimento ai
carburanti,
la
possibilità
di
non avvalersi
delle
“convenzioni
consip”
qualora
l’approvvigionamento
da
altre
centrali
di
committenza
oppure
l’esperimento
di
altre
procedure
di
evidenza
pubblica
consentano
all’Amministrazione
di
pagare
al
fornitore
un corrispettivo inferiore
di
almeno il
2% rispetto ai
migliori
corrispettivi
indicati nelle convenzioni-quadro stipulate dalla Consip S.p.A.
Naturalmente, nel
caso in cui
codesta
Amministrazione
si
avvalga
della
possibilità sopra menzionata, resta fermo l’obbligo:
1)
di
trasmettere
il contratto all’ANAC;
2)
e
di
inserire
nel
medesimo una
condizione
risolutiva, con possibilità
per il
contraente
privato di
adeguamento ai
migliori
corrispettivi, nel
caso di
intervenuta
disponibilità
di
una
convenzione-quadro
Consip,
che
preveda
“condizioni
di
maggior
vantaggio economico in percentuale
superiore
al
10
per cento” rispetto al contratto già stipulato.
La
questione
è
stata
sottoposta
all’esame
del
Comitato
Consultivo
del-
l’Avvocatura
dello
Stato,
che
si
è
espresso
in
conformità
nella
seduta
del
5
giugno 2023.
PArerI
deL
CoMITATo
CoNSULTIVo
determinazione del valore di lite in caso di ricorso
avverso un avviso di accertamento contenente il contestuale
provvedimento di irrogazione della sanzione
ex art. 17 comma 1 d.lgs. n. 472/1997
Parere
del
26/06/2023-423394, al 48511/2022,
aVV. STeFano
lorenZo
ViTale
Con le
note
che
si
riscontrano codesto Ministero chiede
alla
Scrivente
un
parere
in ordine
alle
modalità
di
calcolo del
contributo unificato dovuto con
riferimento ai
giudizi
tributari
aventi
ad oggetto l’impugnazione
dell’avviso
di
accertamento
e
del
contestuale
provvedimento
di
irrogazione
delle
sanzioni
adottato ex art. 17 d.lgs. n. 472/1997. In particolare, si
pone
il
problema
se,
ai
fini
della
determinazione
del
valore
della
causa,
debba
considerarsi
l’importo
delle sanzioni adottate.
Sul
puntò non constano precedenti
di
legittimità
(1) e
codesta
Amministrazione
rappresenta
che
l’orientamento dei
giudici
tributari
di
merito è
sul
punto
non
univoco
sebbene
stia
prevalendo
l’interpretazione
secondo
cui
il
valore
della
causa
dovrebbe
essere
determinato solo dall’importo del
tributo,
senza inclusione delle sanzioni.
Sebbene
codesto Ufficio abbia
in precedenza
seguito la
prima
impostazione
(direttiva
n.
3/FGT
del
30
ottobre
2017),
ritiene
ora
che
il
secondo
orientamento
sia maggiormente condivisibile.
La
Scrivente
osserva
che
le
disposizioni
rilevanti
ai
fini
della
risoluzione
del quesito di diritto sono le seguenti:
-art.
17,
comma
1,
d.lgs.
n.
472/1997:“in
deroga
alle
previsioni
del-
l’art.
16,
le
sanzioni
collegate
al
tributo
cui
si
riferiscono
sono
irrogate,
senza
previa
contestazione
e
con
l’osservanza,
in
quanto
compatibili,
delle
disposizioni
che
regolano
il
procedimento
di
accertamento
del
tributo
medesimo,
con
atto
contestuale
all’avviso
di
accertamento
o
di
rettifica,
motivato
a
pena
di
nullità”.
-art.
14,
comma
3-bis,
d.P.R.
n.
115/2002:“nei
processi
tributari,
il
valore
della
lite,
determinato,
per
ciascun
atto
impugnato
anche
in
appello,
ai
sensi
del
comma
2
dell’articolo
12
del
decreto
legislativo
31
dicembre
1992, n. 546, e successive modificazioni, deve risultare da apposita dichiarazione
resa
dalla
parte
nelle
conclusioni
del
ricorso,
anche
nell’ipotesi
di
prenotazione
a
debito”.
-art. 12, comma 2, d.lgs. n. 546/1992:“Per
le
controversie
di
valore
fino a tremila euro le
parti
possono stare
in giudizio senza assistenza tecnica.
(1) In letteratura
la
rilevanza
del
tema
veniva
segnalata
da
G.F. LoVeTere, contributo unificato:
il rebus della contestualità nell’irrogazione delle sanzioni, in Fisco, 2013, 29 - parte 1, p. 4471.
rASSeGNA
AVVoCATUrA
deLLo
STATo -N. 1/2023
Per
valore
della lite
si
intende
l’importo del
tributo al
netto degli
interessi
e
delle
eventuali
sanzioni
irrogate
con
l’atto
impugnato;
in
caso
di
controversie
relative
esclusivamente
alle
irrogazioni
di
sanzioni,
il
valore
è
costituito
dalla
somma di queste”.
Le
difficoltà
interpretative
che
si
pongono in ordine
alla
determinazione
del
valore
della
lite
derivano da
un non perfetto coordinamento normativo tra
le
tre
disposizioni,
oggetto
peraltro
di
novelle
nel
corso
del
tempo,
e
da
un
dato letterale delle medesime non univoco.
Come
noto, il
d.lgs. n. 472/1997 disciplina
tre
distinti
procedimenti
mediante
i
quali
possono essere
irrogate
le
sanzioni
tributarie:
un procedimento
autonomo di
irrogazione
delle
sanzioni
non collegate
al
tributo (art. 16);
un
procedimento
di
irrogazione
delle
sanzioni
collegate
al
tributo
cui
le
violazioni
si
riferiscono (art. 17, commi
1-2);
ed un procedimento di
irrogazione
immediata
con
diretta
iscrizione
a
ruolo
per
omesso
e
ritardato
versamento
dei
tributi
(art. 17, comma 3).
Il
procedimento di
cui
all’art. 17, commi
1-2, che
qui
interessa
configura
il
procedimento
che,
a
seguito
della
novella
apportata
dal
d.L.
n.
98/2011,
deve
essere
obbligatoriamente
seguito laddove
si
tratti
di
sanzioni
“collegate
al
tributo”. In tal
caso, l’irrogazione
della
sanzione
avviene
con “atto contestuale”
a
quello
di
accertamento
o
di
rettifica
e
senza
preventiva
contestazione
degli addebiti.
Tanto premesso, ai
fini
della
determinazione
della
misura
del
contributo
unificato dovuto a
fronte
di
un ricorso con cui
si
impugnino congiuntamente
tali
due
provvedimenti
contestuali
-quello di
accertamento o rettifica
del
tributo
e
quello
di
irrogazione
delle
sanzioni
-,
deve
aversi
riguardo
al
combinato
disposto
degli
artt.
14,
comma
3-bis,
d.P.r.
n.
115/2002
e
12,
comma
2,
d.lgs.
n. 546/1992.
L’art. 14, comma
3-bis, cit. rinvia
per la
determinazione
del
valore
di
lite
a
quanto previsto dall’art. 12, comma
2, cit., con la
significativa
precisazione,
inserita
dal
d.lgs. n. 156/2015, che
il
valore
della
lite
deve
essere
individuato
“per ciascun atto impugnato”.
A
sua
volta,
l’art.
12
comma
2,
cit.
prevede
che
il
valore
della
lite
corrisponde
all’importo
del
tributo
“al
netto
degli
interessi
e
delle
eventuali
sanzioni
irrogate
con
l’atto
impugnato”
e
che
“in
caso
di
controversie
relative
esclusivamente
alle
irrogazioni
di
sanzioni,
il
valore
è
costituito
dalla
somma
di
queste”.
L’art. 12, comma
2, cit., pertanto, disciplina
due
fattispecie:
i) l’ipotesi
di
impugnazione
dell’unico
atto
che
determini
il
tributo
dovuto
e
irroghi
anche
le
sanzioni
(la
disposizione
parla
di
sanzioni
“irrogate
con
l’atto
impugnato”),
e
in tal
caso il
valore
della
lite
si
determina
al
netto delle
sanzioni;
ii) l’ipotesi
in cui
oggetto di
controversia
siano solo provvedimenti
sanzionatori, e
in tal
caso il valore è rappresentato dalla somma di queste.
PArerI
deL
CoMITATo
CoNSULTIVo
ritiene
la
Scrivente
che
l’avviso di
accertamento o di
rettifica
e
il
“contestuale”
provvedimento di
irrogazione
delle
sanzioni
collegate
al
tributo, di
cui
all'art. 17, comma
1, d.lgs. n. 472/1997, rappresentino, dal
punto di
vista
sostanziale e ai fini di cui all’art. 12, comma 2, cit., un unico atto.
difatti, come
riferisce
codesta
Amministrazione
e
come
emerge
dal
“diritto
vivente”, i
due
provvedimenti
sono formati
all’esito di
procedimenti
tra
loro strettamente
connessi
oggettivamente
e
soggettivamente:
il
destinatario
è
di
regola
il
medesimo e
il
provvedimento sanzionatorio trova
il
proprio presupposto
in
quello
di
accertamento
o
rettifica.
I
due
provvedimenti
sono
altresì
formati
in
momenti
tra
loro
coevi,
assumono
il
medesimo
numero
di
protocollo
e sono comunicati al contribuente congiuntamente.
Ai
fini
di
cui
all’art. 12, comma
2, cit., si
può pertanto ritenere
che
i
due
provvedimenti
integrino un atto plurimo dal
punto di
vista
oggettivo, ossia
un
unico atto articolantesi
in due
distinti
-seppur collegati
e
contestuali
-provvedimenti
(i.e. di accertamento/rettifica e sanzionatorio).
La
stretta
connessione
tra
i
due
provvedimenti
oggetto
dell’atto
è
peraltro
confermata
dalla
giurisprudenza
di
legittimità
che
pacificamente
afferma
che
“in
tema
di
sanzioni
amministrative
tributarie,
nel
caso
in
cui
la
sanzione,
collegata al
tributo cui
si
riferisce, sia irrogata -ai
sensi
del
d.lgs. 18 dicembre
1997, n. 472, art. 17 (irrogazione
immediata) -con atto contestuale
all’avviso
di
accertamento
o
di
rettifica,
essa
è
da
intendersi
motivata
per
relationem
alla pretesa fiscale
che
sia definita nei
suoi
elementi
essenziali, sì
da giustificare
la sanzione
per
essa irrogata e
contenuta nel
medesimo atto”
(Cass. civile sez. trib., 4 maggio 2021, n. 11610).
Un
ausilio
interpretativo
può
anche
ricavarsi
dalle
modalità
di
calcolo
del
valore
della
controversia
previste
da
alcune
disposizioni
legislative
in
materia
di
condono.
In
particolare,
la
L.
n.
289/2002
(cui
fa
rinvio
anche
la
più
recente
L. 130/2022, art. 5), nel
prevedere
una
forma
di
definizione
agevolata
della
lite
cui
il
contribuente
può
accedere
pagando
un
importo
parametrato
al
valore
del
giudizio pendente, ha
stabilito (art. 16, co. 3, lett. c) che
per valore
della
lite, da
assumere
a
base
del
calcolo per la
definizione, si
intende
“l’importo
dell’imposta che
ha formato oggetto di
contestazione
in primo grado, al
netto
degli
interessi
e
delle
eventuali
sanzioni
collegate
al
tributo,
anche
se
irrogate
con
separato
provvedimento;
in
caso
di
liti
relative
alla
irrogazione
di
sanzioni
non collegate
al
tributo, delle
stesse
si
tiene
conto ai
fini
del
valore
della lite,
il
valore
della lite
è
determinato con riferimento a ciascun atto introduttivo
del
giudizio,
indipendentemente
dal
numero
di
soggetti
interessati
e
dai
tributi
in esso indicati”.
Alla
luce
di
quanto esposto, ritiene
la
Scrivente
che
ai
fini
dell’interpretazione
degli
artt.
14,
co.
3-bis,
e
12,
comma
2,
cit.,
in
punto
di
determinazione
del
contributo unificato, il
provvedimento impositivo e
il
contestuale
provvedimento
sanzionatorio adottato ex art. 17 d.lgs. n. 472/1997 debbano consi
rASSeGNA
AVVoCATUrA
deLLo
STATo -N. 1/2023
derarsi
un unico atto con conseguente
determinazione
del
valore
della
lite
al
netto delle sanzioni irrogate.
In
ordine
al
presente
parere
è
stato
sentito
il
Comitato
Consultivo
del-
l’Avvocatura
dello
Stato
il
quale,
nella
seduta
del
5
giugno
2023,
si
è
espresso
in senso conforme.
Nei
sensi
sopra
esposti
è
reso il
parere
della
Scrivente
e
si
rimane
a
disposizione
per ogni chiarimento possa occorrere.
LegIsLazIoneedattuaLItà
Il partenariato pubblico-privato nel nuovo codice
dei contratti pubblici. Prime impressioni
Alberto Giovannini*
SommarIo: 1. Premessa -2. Il
contesto generale: la formazione
di
una cultura del
partenariato
pubblico privato -3. Il
codice
e
la costruzione
della fattispecie
-4. Il
finanziamento
e le ragioni di attrattività del PPP - 5. La fase esecutiva e la lezione della pandemia.
1. Premessa.
È
già
stato
affermato
che
con
il
nuovo
codice
(d.lgs.
31
marzo
2023,
n.
36)
si
è
perseguito
l’obiettivo
di
“cambiare
il
paradigma”
(1)
rispetto
al
passato,
al
fine
di
superare
una
visione
del
diritto
pubblico
dei
contratti
quale
limite,
contenimento
-spesso
quasi
irragionevole
-per
la
discrezionalità
dell’Amministrazione,
erigendo,
invece,
il
public
procurement
a
strumento
di
progresso
economico
e
sociale,
nella
consapevolezza
che
questo
costituisce
uno
dei
principali
mezzi
di
politica
economica
per
il
rilancio
dell’economia
nazionale
ed
europea,
in
particolare
dopo
la
contrazione
causata
dalla
pandemia
e
dalla
guerra.
Che
il
nuovo
codice
comporti
una
vera
e
propria
“rivoluzione”
nel
settore
delle
commesse
pubbliche
(2),
pare
affermazione
ancora
prematura,
(*) Avvocato dello Stato.
Testo dell’intervento svolto al
convegno “Il
codice
dei
contratti
pubblici
(prime
impressioni)”, organizzato
dalla
Società
Italiana
Avvocati
Amministrativisti,
tenutosi
presso
il
T.a.r.
Calabria,
Catanzaro,
in data 13 luglio 2023.
(1) CArbone
L., “La scommessa del
“codice
dei
contratti
pubblici”
e
il
suo futuro”, relazione
introduttiva
al
Convegno
dell’Istituto
Jemolo
“Il
nuovo
codice
degli
appalti
-La
scommessa
di
un
cambio
di paradigma: dal codice guardiano al codice volano?”, Avvocatura dello Stato, 27 gennaio 2023.
(2) CArIngeLLA
F., “Il
nuovo Codice
dei
contratti
pubblici: riforma o rivoluzione?”, relazione
al
convegno sul
“nuovo codice
dei
contratti
pubblici”, organizzato dall’AIgA, Cagliari, 9-10 giugno
2023.
rASSegnA
AVVoCAturA
deLLo
StAto -n. 1/2023
considerato
che
non
sarebbe
la
prima
volta
che
il
law
in
action
si
discosta
dal
law
in
book.
È, però, certamente
vero che
con questo testo normativo si
supera
quella
visione, un po’
“provinciale”
e
non del
tutto conforme
all’impostazione
pur
propria
dell’unione
europea, del
principio di
concorrenza
inteso quale
“fine”
dell’ordinamento, riconducendolo, più prosaicamente, a
“mezzo”, strumento
per
il
perseguimento
della
finalità,
unica
ed
effettiva,
dell’Amministrazione
in questo settore
che, come
oggi
ricorda
l’art. 1 del
codice, consiste
nell’“affidamento
del
contratto e
della sua esecuzione
con la massima tempestività e
il migliore rapporto possibile tra qualità e prezzo”.
Il
nuovo codice
va, quindi, salutato positivamente, proprio per il
cambiamento
di
prospettiva
che
consente
(rectius,
impone)
agli
apparati
pubblici
chiamati
alla
sua
applicazione,
ma
merita
di
essere
apprezzato
anche
perché,
a
fronte
di
un susseguirsi
continuo, frenetico e
spesso contraddittorio di
interventi
normativi
nella
materia
de
qua,
mira
a
“consolidare”
l’esistente
e
a
strutturarlo
con
una
organicità
che
prima
non
era
mai
stata
neanche
tentata
nel
settore. È, quindi, un codice
abbastanza
“maturo”
e, nonostante
la
ristrettezza
dei tempi in cui è stato redatto, non certamente “frettoloso”.
di
questa
maturità
è
indice
quel
particolare
schema
di
contratto pubblico
rappresentato
dal
partenariato
pubblico
privato
(PPP),
che
costituisce
un
punto
di osservazione privilegiato sotto plurimi profili (3).
In
primo
luogo,
questo
modulo
contrattuale
diviene,
su
sollecitazione
europea,
uno strumento imprescindibile
-e, conseguentemente, uno degli
strumenti
principali
-per perseguire
quell’obiettivo di
rilancio dell’economia
cui
si
accennava
poc’anzi, anche
per l’“effetto leva”
che
tale
tipologia
di
operazione
negoziale
consente
sul
mercato, rientrando certamente
fra
quei
modelli
(3)
Su
tale
modello
contrattuale
la
dottrina
è
piuttosto
nutrita.
Fra
i
contributi
più
interessanti,
senza
pretesa
alcuna
di
esaustività, si
segnalano:
CArteI
g.F. -rICChI
M. (a
cura
di), “Finanza di
progetto
e
partenariato pubblico-privato”, napoli, 2015;
ChItI
M.P.
(a
cura
di), “Il
partenariato pubblico-
privato:
concessioni,
finanza
di
progetto,
società
miste,
fondazioni”,
napoli,
2009;
ConteSSA
C.,
“PPPC:
modello
generale”,
in
SAnduLLI
M.A.,
de
nICtoLIS
r.
(diretto
da),
Trattato
sui
contratti
pubblici,
tomo
V, 2019;
dI
CrIStInA
F., “Il
Partenariato pubblico-privato quale
«archetipo generale»”, in Giorn. dir.
amm., 4/2016, pp. 482 ss.;
dI
gIoVAnnI
A., “Il
contratto di
partenariato pubblico-privato tra sussidiarietà
e
solidarietà”,
torino,
2012;
FAntInI
S.,
“Il
partenariato
pubblico-privato,
con
particolare
riguardo
al
project
financing ed al
contratto di
disponibilità”, in www.giustizia-amministrativa.it, 2012;
LICAtA
g.F., “Partenariati
e
innovazione”, in www.giustamm.it, 1/2017;
nICoLAI
M. -tortoreLLA
W.
(a
cura
di),
“Partenariato
Pubblico-privato
e
Project
Finance.
Nuove
regole
giuridiche,
finanziarie
e
contabili”,
rimini, 2019; rICChI
M., “L’architettura dei Contratti di Concessione e di PPP nel Nuovo Codice dei
Contratti
Pubblici
D.Lgs. 50/2016, relazione
tenuta il
15 marzo 2016, in occasione
del
Seminario SVImEZ
su La nuova legge
sugli
appalti. aperture
al
diritto della concorrenza e
opportunità per
il
mezzogiorno”;
trAVI
A., “Il
partenariato pubblico-privato: i
confini
incerti
di
una categoria”, in CAFAgno
M. -botto
A. -FIdone
g. -bottIno
g.
(a
cura
di), “Negoziazioni
Pubbliche
-Scritti
su concessioni
e
partenariati
pubblico-privati”, Milano, 2013;
VICIConte
g., “I contratti
di
partenariato e
la locazione
finanziaria (artt. 179-182, 187)”, in CLArICh
M.
(a
cura
di), Commentario al
codice
dei
contratti
pubblici,
2019.
LegISLAzIone
ed
AttuALItà
efficienti
di
allocazione
e
gestione
delle
risorse
pubbliche
alla
cui
applicazione
il Pnrr chiama tutte le
Amministrazioni (4).
In tal
senso era
orientata
la
stessa
legge
delega
(l. 78/2022), che
indicava
quale
criterio la
“razionalizzazione, semplificazione
[…] ed estensione
delle
forme
di
partenariato
pubblico-privato,
[…],
anche
al
fine
di
rendere
tali
procedure
effettivamente
attrattive
per
gli
investitori
professionali, oltre
che
per
gli
operatori
del
mercato delle
opere
pubbliche
e
dell’erogazione
dei
servizi
resi
in concessione, […]”
(lett. aa)), nell’ottica
del
rilancio di
detto strumento
(5), vero e proprio “volano per la ripresa economica” (6).
In
secondo
luogo,
il
partenariato
pubblico
privato
è,
allo
stato,
nell’ambito
del
codice
l’operazione
contrattuale
più
complessa
e
tecnicamente
difficile
da
porre
in
essere
da
parte
delle
pubbliche
Amministrazioni
ed
è,
quindi,
una
delle
principali
e
più interessanti
sfide
che
si
prospettano per l’immediato futuro,
imponendo la
compartecipazione
di
professionisti
di
diversa
estrazione
(giuristi, economisti, ingegneri
e
tecnici
vari). di
questo il
codice
è
ben consapevole
e
proprio per tale
motivo prevede
una
ampia
congerie
di
misure
atte
a
garantire
la
corretta
definizione, a
monte, degli
atti
di
gara
e
la
corretta
gestione,
a valle, del rapporto contrattuale.
In
terzo
luogo,
-ed
è
il
motivo
sicuramente
più
affascinante
-il
partenariato
pubblico
privato
dà
la
stura
alla
concreta
affermazione
di
un
modello
di
pubblica
Amministrazione
assai
lontano
da
quello
tradizionale,
imponendo
una
sempre
più
ampia
compartecipazione
del
privato
e
della
società
alla
definizione,
alla
realizzazione
e
alla
cura
degli
interessi
generali,
nel-
l’ottica
della
reciproca
fiducia,
come
oggi
ricorda
l’art.
2
del
codice.
Vengono
così
ad
essere
concretizzati
il
principio
costituzionale
di
sussidiarietà
orizzontale
(art.
118
Cost.)
(7)
e,
con
riferimento
almeno
al
tipo
del
“Parte
(4)
Piano
nazionale
di
ripresa
e
resilienza,
pp.
248
e
249.
Sul
punto,
cfr.
anche
AddeSSo
C.,
“Strumenti
di
attuazione
del
PNrr
e
di
rafforzamento della capacità amministrativa: il
partenariato
pubblico-privato e
l’in house”, relazione
in occasione
del
convegno “5a
rassegna di
diritto pubblico
dell’economia”, Varese 17 e 18 giugno 2022.
(5) Cfr., in termini, anche la relazione di accompagnamento al codice, p. 219.
(6)
Cfr.
già
Cons.
St.,
Adunanza
della
Commissione
speciale,
29
marzo
2017
n.
775,
“Parere
sullo
schema
di
linee
guida
recanti
“monitoraggio
delle
amministrazioni
aggiudicatrici
sull’attività
dell’operatore
economico nei contratti di partenariato pubblico privato”.
(7) Sul
principio di
sussidiarietà
orizzontale, senza
alcuna
pretesa
di
esaustività, si
veda, in particolare:
ArenA
g.,
“Il
principio
di
sussidiarietà
orizzontale
nell’art.
118,
u.c.
della
Costituzione”,
in
“Studi
in onore
di
G. Berti”, vol. I, napoli, 2005;
benVenutI
F., “Il
nuovo cittadino”, Padova, 1994;
bertI
g., “Sussidiarietà e
organizzazione
dinamica”, in “Jus”, 2004, pp. 171 ss.;
CASSeSe
S., “L’aquila
e
le
mosche. Principio di
sussidiarietà e
diritti
amministrativi
nell’area europea”, in Foro it., 5/1995,
c. 373 ss.;
CeruLLI
IreLLI
V., “Sussidiarietà (dir. amm.)”, in Enc. giur., Agg. XII, roma, 2004;
donAtI
d. -PACI
A.
(a
cura
di), “Sussidiarietà e
concorrenza. Una nuova prospettiva per
gestione
dei
beni
comuni”,
bologna, 2010;
FroSInI
t.e., “Profili
costituzionali
della sussidiarietà in senso orizzontale”, in
riv. giur. mezzogiorno, 1/2000;
MASSA
PInto
I., “Il
principio di
sussidiarietà. Profili
storici
e
costituzionali”,
napoli, 2003;
PAStorI
g., “amministrazione
pubblica e
sussidiarietà orizzontale”, in “Studi
in onore
di
Giorgio Berti”, Milano, 2005, pp. 1749 ss.;
reSCIgno
g.u., “Principio di
sussidiarietà oriz
rASSegnA
AVVoCAturA
deLLo
StAto -n. 1/2023
nariato
sociale”
(8),
oggi
codificato
all’art.
201,
quella
“demarchia”
all’epoca
quasi
utopicamente
delineata
da
benvenuti
(9).
Ciò,
sul
piano
procedimentale,
si
traduce
in
un
ampio
spazio
riconosciuto
a
moduli
di
confronto diffuso, e
con gli
operatori
economici
(si
veda, in particolare,
l’art. 183, comma
7, a
mente
del
quale, fermi
l’oggetto della
concessione,
i
criteri
di
aggiudicazione
e
i
requisiti
minimi, “l’ente
concedente
può
condurre
liberamente
negoziazioni
con i
candidati
e
gli
offerenti”, negoziazioni
“condotte
di
regola attraverso un dialogo competitivo ai
sensi
dell’articolo
74”,
nonché
chiaramente
la
finanza
di
progetto),
e
con
la
società
territoriale
di
riferimento (le
opere
indicate, difatti, come
obbligatoriamente
soggette
a
dibattito pubblico dalla
tabella
1 di
cui
all’allegato I.6 al
codice
si
prestano, per la gran parte, ad essere oggetto di contratti di PPP).
2.
Il
contesto
generale:
la
formazione
di
una
cultura
del
partenariato
pubblico
privato.
Prima
di
confrontarsi
con le
novità
apportate
dal
novello codice, è
necessario
delineare
il
contesto in cui
questo viene
ad inserirsi, in quanto, come
segnalato
in
apertura,
l’applicazione
concreta
di
un
istituto
non
sempre
corrisponde alla previsione astratta dello stesso.
A
tal
fine, in primo luogo, occorre
rilevare
che
il
mercato del
PPP
oggi
ha
un
valore
certamente
importante,
ma
ancora
assolutamente
insufficiente,
specie
se
raffrontato con quello degli
appalti, per come
segnalato, in particolare,
dal
d.I.P.e.
(dipartimento
per
la
programmazione
e
il
coordinamento
della
politica
economica
della
Presidenza
del
Consiglio
dei
Ministri),
nella
relazione
sull’attività svolta nel 2021 (10).
Sulla
base
dei
dati
forniti
dall’e.P.e.C.
(Centro
europeo
di
consulenza
per
i
partenariati
pubblico-privato presso la
b.e.I.), che
tiene
conto, però, dei
soli
PPP
di
valore
superiore
ai
dieci
milioni
di
euro, il
mercato delle
operazioni
di
partenariato,
nel
2021,
in
europa
ha
fatto
registrare
un
valore
aggregato
di
otto
miliardi
di
euro con un calo del
13% rispetto al
2020 (9,2 miliardi
euro), per
un numero di
operazioni
pari
a
quaranta. Fra
queste, l’operazione
di
PPP
più
rilevante
sul
piano
economico
è
italiana
ed
è
rappresentata
dalla
realizzazione
dell’Autostrada
Pedemontana
Lombarda
per un valore
di
2,1 miliardi
di
euro.
In
Italia,
al
d.I.P.e.
-che
conosce,
però,
solo
le
operazioni
che
allo
stesso
zontale
e
diritti
sociali”, in Dir. pubbl., 2002, pp. 5 ss.;
SICo
L., “Principio di
sussidiarietà (diritto comunitario)”,
in Enc dir., Agg. V, Milano, 2001, pp. 1062 ss.
(8) Su cui, cfr. de
nICtoLIS
r., “Il
baratto amministrativo (o partenariato sociale)”, in www.giustizia-
amministrativa.it, 2018;
cfr. anche
berrettInI
A., “La co-progettazione
alla luce
del
Codice
del
terzo settore”, in Federalismi.it, n. 27 del 19 ottobre 2022.
(9) Il riferimento è ovviamente a benVenutI
F., “Il nuovo cittadino”, cit.
(10) https://www.programmazioneeconomica.gov.it/homeppp/. Allo stato non è
ancora
stata
pubblicata
la relazione per l’anno 2022 e non si rinvengono dati più aggiornati.
LegISLAzIone
ed
AttuALItà
sono state
comunicate
-risultano aggiudicati
venti
PPP
(registrati) per un valore
di
circa
402,8 milioni
di
euro, cui
si
aggiungerebbero ulteriori
trentuno
progetti
per un ulteriore
valore
stimato di
circa
500 milioni
di
euro (per operazioni
non registrate).
Si
tratta
di
un dato sicuramente
importante
-pari, in totale, ad oltre
tre
miliardi
di
euro, stimati, come
detto, di
gran lunga
in difetto -, ma
pur sempre
estremamente
lontano dal
valore
complessivo del
mercato degli
appalti
che,
secondo la
relazione
sull’attività
svolta
nel
2022 presentata
dall’A.n.A.C. al
Parlamento l’8 giugno 2023, risulta, invece, pari
a
circa
290 miliardi
di
euro
(a
fronte
dei
208 dell’anno precedente, con un incremento di
circa
il
39% e
del 56% rispetto al 2020) (11).
Il
d.I.P.e.
individua
due
principali
cause
che
spiegherebbero
il
non
adeguato
sviluppo
del
PPP
in
Italia,
ossia,
da
un
lato,
l’incertezza
e
l’eccessiva
lunghezza
dei
processi
autorizzativi,
incertezza
che
è
“tecnica
(continua
revisione
e
aggiornamento
delle
normative
costruttive,
tecnico-realizzative,
impiantistiche,
antisismiche),
amministrativa
(procedure,
norme
e
regolamenti
attuativi
in
continuo
mutamento)
ed
economico-
finanziaria
(per
citarne
alcuni:
stanziamenti
erogati
in
parte,
decaduti,
non
utilizzati
interamente,
nonché
tagli
di
bilancio
o
riallocazioni
di
risorse)”;
dall’altro,
la
“sovente
carente
e
inadeguata
definizione
delle
clausole
contrattuali”,
oltre
che
“la
difficoltà
di
indicare
in
maniera
puntuale
gli
obblighi
e
le
responsabilità
delle
parti,
che
aumenta
il
rischio
di
contenziosi
e
scoraggia
gli
investitori”.
A
queste
cause
si
aggiunge
quello che
è
certamente
il
maggiore
ostacolo
alla
diffusione
di
questo
modello
contrattuale,
ossia
l’assenza,
allo
stato,
di
una
vera
e
propria
“cultura del
PPP”, che
passa
necessariamente
attraverso
una
diversa
formazione
dei
funzionari
delle
stazioni
appaltanti
e,
quindi,
in
una
qualificazione
delle
stesse
stazioni, come
suggerito anche
dalla
Corte
dei
conti
europea
già
nella
relazione
speciale
n. 9/2018, “Partenariati
pubblico-
privato nell’UE: carenze diffuse e benefici limitati” (12).
occorrono,
dunque,
stazioni
appaltanti
qualificate
-e
in
tale
direzione
va
appunto
il
nuovo
codice,
che
espressamente
prevede,
all’art.
174,
comma
5,
che
questi
tipi
di
contratti
“possono
essere
stipulati
solo
da
enti
concedenti
qualificati
ai
sensi
dell’articolo
63”
(13)
-,
ma,
affinché
queste
siano
in
grado
di
(11) https://www.anticorruzione.it/-/relazione-annuale-2023.
(12) https://www.eca.europa.eu/it/publications?did=45153.
Insistevano sul
punto anche
le
Linee
guida
n.
9,
recanti:
“monitoraggio
delle
amministrazioni
aggiudicatrici
sull’attività
dell’operatore
economico
nei
contratti
di
partenariato pubblico-privato”, approvate
dal
Consiglio dell’Autorità
con delibera
28 marzo 2018, n. 318 e depositate presso la Segreteria del Consiglio in data 6 aprile 2018.
(13) Ai
sensi
dell’art. 3, comma
5 dell’Allegato II.4, è
richiesta
“almeno una qualificazione
di
livello
L2”
e
deve
essere
garantita
“la presenza di
almeno un soggetto con esperienza di
tre
anni
nella
gestione di piani economici e finanziari e dei rischi”.
rASSegnA
AVVoCAturA
deLLo
StAto -n. 1/2023
gestire
operazioni
contrattuali
così
complesse
come
quelle
di
PPP,
è
necessaria
altresì
una
vera
e
propria
compartecipazione
delle
migliori
risorse
nazionali.
All’uopo, già
prima
del
nuovo codice, il
legislatore
era
intervenuto articolando
una
serie
di
uffici
a
livello centrale
chiamati
funzionalmente
ad assistere
tutte
le
pubbliche
Amministrazioni,
centrali
e
locali,
nel
percorso
prodromico
alla
stipulazione
di
un
contratto
di
PPP
e,
poi,
in
fase
di
esecuzione
dello stesso.
da
parte
l’attività
consultiva
generale
di
competenza
dell’A.n.A.C., accanto
al
già
citato d.I.P.e. (in cui
è
confluita
la
precedente
unità
tecnica
Finanza
di
Progetto)(14),
che
ha,
fra
gli
altri,
il
compito
di
curare
la
promozione
e
la
diffusione
di
modelli
di
PPP, di
assicurare
il
supporto gratuito alle
pubbliche
Amministrazioni, nonché
di
predisporre
la
raccolta
dei
dati
e
il
monitoraggio
delle
operazioni
de
quibus
ai
fini
della
stima
dell’impatto sul
bilancio
pubblico,
occorre
ricordare
il
ruolo
assegnato
al
dipartimento
della
ragioneria
generale
dello
Stato,
che,
oltre
a
gestire
insieme
al
primo
il
“Portale
per
il
monitoraggio
delle
operazioni
di
Partenariato
Pubblico
privato”
(oggi
art.
175, commi
6 e
7), di
concerto con il
d.I.P.e. rende
il
parere
preventivo, obbligatorio
e
non vincolante, per i
“progetti
di
interesse
statale
o finanziati
con
contributo a carico dello Stato, per
i
quali
non sia prevista l’espressione
del
CIPESS,
[…] il
cui
ammontare
dei
lavori
o dei
servizi
sia di
importo pari
o
superiore a 50 milioni di euro e inferiore a 250 milioni di euro” (art. 175).
Per i
“progetti
di
interesse
statale
oppure
di
progetti
finanziati
con contributo
a carico dello Stato, per
i
quali
non sia già previsto che
si
esprima il
CIPESS
[…]
di
importo
pari
o
superiore
a
250
milioni
di
euro”,
invece,
il
nuovo codice
prevede
il
parere, preventivo ed obbligatorio (15), di
due
altri
organi
pubblici, ovverossia
lo stesso C.I.P.e.S.S. (Comitato interministeriale
per
la
programmazione
economica
e
lo
sviluppo
sostenibile)
e
il
n.A.r.S.
(nucleo
di
consulenza
per
l’attuazione
delle
linee
guida
per
la
regolazione
dei
servizi
di
pubblica
utilità)
(16), organismo, quest’ultimo, cui
compete
anche, ai
(14) Cfr. art. 1, comma
589, l. 28 dicembre
2015, n. 208, recante
la
Legge
di
stabilità
per il
2016.
(15) Si
segnala
la
diversità
di
formulazione
del
primo alinea
del
comma
3 dell’art. 175 rispetto a
quella
del
terzo alinea, nel
quale
si
fa
espresso riferimento all’applicazione
della
formula
del
“silenzio
assenso”
di
cui
all’art. 16, comma
2 l.p.a., in caso di
mancato riscontro alla
richiesta
di
parere
da
parte
del
d.I.P.e. e
della
r.g.S. In verità, trattandosi
quest’ultima
di
previsione
generale, l’eventuale
esclusione
della
sua
applicazione
per l’ipotesi
di
cui
al
primo alinea
-pur in astratto ragionevole
-non può
essere
argomentata
sulla
base
del
mero dato testuale
e, conseguentemente, deve
ritenersi
che
anche
in
questo caso possa formarsi il silenzio assenso.
(16)
organismo
tecnico
di
consulenza
e
supporto
alle
attività
del
C.I.P.e.S.S.,
coordinato
dal
d.I.P.e. e
composto da
rappresentanti
delle
seguenti
amministrazioni:
Ministero dell’economia
e
delle
finanze;
Ministero delle
infrastrutture
e
dei
trasporti;
Ministero dell’ambiente
e
della
sicurezza
energetica;
Ministero delle
imprese
e
del
made
in Italy;
Ministro delegato per gli
affari
europei, il
sud, le
politiche
di
coesione
e
il
Pnrr;
Ministro
delegato
per
gli
affari
regionali
e
le
autonomie;
Ministro
delegato
per la
pubblica
amministrazione;
Conferenza
permanente
per i
rapporti
tra
lo Stato, le
regioni
e
le
Province
autonome di
trento e bolzano.
LegISLAzIone
ed
AttuALItà
sensi
dell’art. 192, comma
3, di
pronunciarsi
sulla
revisione
contrattuale
“nei
casi
di
opere
di
interesse
statale
ovvero
finanziate
con
contributo
a
carico
dello
Stato”,
intervenendo
nella
formazione
del
parere
adottato
di
concerto
sempre dal d.I.P.e. e dalla r.g.S.
Peraltro, la
ragioneria
generale
dello Stato si
era
già
fatta
promotrice,
nella
vigenza
del
precedente
codice, di
una
salutare
iniziativa
di
soft
regulation,
in affiancamento a
quella
già
svolta
dall’AnAC in materia, mercé
la
redazione
di
uno
schema
di
“contratto
standard
per
l’affidamento
della
progettazione,
costruzione
e
gestione
di
opere
pubbliche
a
diretto
utilizzo
della
pubblica
amministrazione
da
realizzare
in
partenariato
pubblico-privato”,
con annessa “Guida alla redazione” (2021) (17).
oggi,
con
disposizione
innovativa
nel
contesto
del
codice
(ma
che
traduce
una
prassi
che, come
detto, già
ha
iniziato a
formarsi
negli
anni
precedenti),
si
prevede
espressamente
che
dell’ausilio
fornito
da
tali
organi
“specializzati”,
mercé
richiesta
del
parere
preventivo siccome
sovra
delineato, possano avvalersi
anche
le
regioni
e
gli
enti
locali,
“quando
la
complessità
dell’operazione
contrattuale
lo richieda”
(art. 175, comma
4), con una
quanto mai
opportuna
condivisione delle esperienze nel settore pubblico.
3. Il codice e la costruzione della fattispecie.
In
questo,
che
è,
dunque,
il
contesto
generale,
si
inserisce
il
nuovo
codice,
che
ha, in primo luogo, certamente
il
merito di
dare
una
struttura
finalmente
compiuta
all’istituto
del
partenariato
pubblico
privato,
eletto
a
schema
generale
di
contratto pubblico, del
tutto alternativo all’appalto e
a
cui
viene
ricondotto,
anche sul piano topografico, il contratto di concessione.
Il
libro IV
del
codice
si
apre, difatti, con la
definizione
generale
del
partenariato
pubblico-privato,
“operazione
economica”
che
si
sviluppa
in
un
rapporto
contrattuale
di
lungo
periodo,
nel
quale
“la
copertura
dei
fabbisogni
finanziari
connessi
alla realizzazione
del
progetto proviene
in misura significativa
da risorse
reperite
dalla parte
privata”, su cui
deve
essere
allocato il
rischio
operativo
e
cui
“spetta
il
compito
di
realizzare
e
gestire
il
progetto,
mentre
alla parte
pubblica quello di
definire
gli
obiettivi
e
di
verificarne
l’attuazione”
(art. 174).
Il
legislatore, con una
scelta
non proprio felice, ripropone, poi, a
livello
normativo la
categorizzazione, di
ascendenza
europea, fra
partenariato pubblico-
privato di
tipo contrattuale
-l’unico disciplinato dal
codice
-e
PPP
di
tipo
istituzionale,
così
traducendo
sul
piano
del
diritto
positivo
una
distinzione
di
natura
prettamente
dottrinale
e
dalla
portata
più propriamente
descrittiva.
Con
la
nozione
di
PPP
di
tipo
istituzionale
si
fa,
infatti,
riferimento,
come
noto,
(17) Cfr., sul
punto, anche
il
parere
reso dal
Consiglio di
Stato, sez. I, 28 aprile
2020, n. 823, ai
sensi dell’art. 17, comma 25, lett. c), l. 15 maggio 1997.
rASSegnA
AVVoCAturA
deLLo
StAto -n. 1/2023
alla
“creazione
di
un ente
partecipato congiuntamente
dalla parte
privata e
da quella pubblica”
e, quindi, ad un fenomeno non rientrante
nell’ambito del
codice
e
di
cui
si
occupa
-senza, peraltro, che
tale
definizione
ivi
ricorra
-, in
particolare,
il
testo
unico
in
materia
di
società
a
partecipazione
pubblica
(d.lgs.
19 agosto 2016, n. 175).
Ciò che
in questa
sede
interessa
è, quindi, esclusivamente
il
PPP
di
tipo
contrattuale, genus
cui
il
codice
-sulla
falsariga, in verità, di
quanto già
proposto
dal
precedente
-riconduce
i
vari
tipi
della
concessione
(che
del
PPP
costituisce
in un certo qual
modo il
paradigma) (18), della
locazione
finanziaria
(c.d. leasing in costruendo) (19) e
del
contratto di
disponibilità
(20), “nonché
gli
altri
contratti
stipulati
dalla pubblica amministrazione
con operatori
economici
privati
che
abbiano i
contenuti
di
cui
al
comma 1 e
siano diretti
a realizzare
interessi meritevoli di tutela”.
Al
di
là
della
superfluità
del
riferimento agli
“interessi
meritevoli
di
tutela”,
che, ai
sensi
dell’art. 1322 c.c., devono comunque
sorreggere
la
causa
di
qualsiasi
contratto atipico, ivi
certamente
compresi
quelli
che
hanno come
parte
una
pubblica
Amministrazione
(e
ciò
anzi
vale
a
fortiori
per
quest’ultima,
venendo in rilievo anche
l’interesse
pubblico sotteso a
detti
negozi
giuridici),
si
tratta
di
norma
che, -pur non essendo innovativa
rispetto al
passato codice
(art. 180, ult. co., d.lgs. 50/2016) -ha
il
merito di
ribadire
il
principio di
autonomia
contrattuale, che oggi è stato positivizzato nell’art. 8 del codice.
ed è
principio particolarmente
rilevante
nell’ambito in esame, se
sol
si
pensa
che, ancor prima
della
espressa
previsione
in tal
senso, già
la
dottrina
e
la
giurisprudenza
(21) avevano ricondotto al
modello del
PPP
i
contratti, appunto
atipici, di
rendimento energetico (energy
performance
contract
-ePC),
prima
inseriti
nel
d.lgs. 50/2016 dal
“decreto semplificazioni”
(d.l. 76/2020) e
oggi previsti dall’art. 200 del codice.
La
scelta
operata,
sul
piano
generale,
dal
codice
dei
contratti
-sviluppando
quanto in nuce
delineato già
nel
precedente
codice
del
2016 -di
eleggere
a
vero
e
unico
modello
alternativo
all’appalto
il
partenariato
pubblico
(18)
La
bibliografia
sul
contratto
di
concessione
è
estremamente
ampia.
Sia
sufficiente,
ai
fini
del
presente
scritto,
il
rinvio
a
greCo
g.,
“Concessioni
di
lavori
e
servizi.
Profili
generali”
in
SAnduLLI
M.A., de
nICtoLIS
r. (diretto da), Trattato sui
contratti
pubblici, tomo V, 2019 e
a
botto
A., CAStro-
VInCI
zennA
S., “I principi
e
le
procedure
(artt. 164-173)”, in CLArICh
M.
(a
cura
di), Commentario al
codice dei contratti pubblici, cit.
(19)
Su
cui
si
vedano,
in
particolare,
CIntIoLI
F.,
“PPPC
tipizzati.
Locazione
finanziaria”,
in
SAnduLLI
M.A., de
nICtoLIS
r. (diretto da), Trattato sui
contratti
pubblici, tomo V, cit.;
VICIConte
g., “I
contratti
di
partenariato
e
la
locazione
finanziaria
(artt.
179-182,
187)”,
in
CLArICh
M.
(a
cura
di),
Commentario al codice dei contratti pubblici, cit.
(20) Per tale
modulo contrattuale
valga
il
rinvio a
gIoVAnnInI
A., “Il
contratto di
disponibilità, la
sussidiarietà,
il
baratto
amministrativo
e
la
cessione
di
immobili
(artt.
188-191)”,
in
CLArICh
M.
(a
cura
di), Commentario al
codice
dei
contratti
pubblici, cit.;
ConteSSA
C., “Gli
altri
PPPC tipizzati”, in
SAnduLLI
M.A., de
nICtoLIS
r.
(diretto da), Trattato sui contratti pubblici, tomo V, cit.
(21) Cfr., Cons. St., sez. V, 21 febbraio 2020, n. 1327.
LegISLAzIone
ed
AttuALItà
privato (di
tipo contrattuale), anche
a
livello di
struttura
dello stesso codice, è
particolarmente
meritoria, in quanto rappresenta
un tentativo di
categorizzazione,
di costruzione delle fattispecie, che va oltre le indicazioni europee.
Con una
vera
e
propria
“fuga in avanti”
(22), il
legislatore
nazionale
cioè
positivizza
la
figura
del
PPP,
sconosciuta
invece
al
diritto
positivo
europeo
(23), ove
pure
questo rintraccia
le
proprie
origini
(24). non pare, difatti, superfluo
ricordare
che
la
direttiva
2014/23/ue
(così
come
la
direttiva
2014/24/ue), di
cui
anche
questo codice
ovviamente
costituisce
attuazione, è
dedicata alle concessioni e non fa alcun cenno al PPP.
Si
tratta
di
impostazione
da
valutare
positivamente
e
che
il
legislatore
dovrebbe
adottare
più spesso, in quanto consente, in primis, di
dare
contenuto
alla
terminologia
quasi
sempre
troppo generica
utilizzata
nella
regolamentazione
europea
(ma
ciò
è
inevitabile,
stante
la
necessità
di
garantire
la
ricezione
della
disciplina
in
tutti
gli
Stati
dell’unione)
e,
in
secondo
luogo,
di
offrire
una
struttura
concettuale, ancor prima
che
strettamente
giuridica, agli
istituti
che nella stessa vanno formandosi.
Proprio
per
questo,
non
può
che
confessarsi
una
qual
certa
perplessità
dinnanzi
alla
definizione
generale
del
PPP
come
“operazione
economica”,
con
espressione
dal
contenuto
giuridico
pressoché
nullo
e
che
si
spiega
solo
perché
il
legislatore
ha
voluto dettare
una
qualificazione
non generale, ma
generalissima
della
figura, alla
stessa
appunto avendo voluto ricondurre
anche
il
PPP
di tipo istituzionale (25).
un
maggior
rigore
definitorio
sarebbe,
dunque,
stato
preferibile,
senza
che
per questo risultasse
tradito il
criterio di
cui
alla
lettera
a)
della
legge
delega,
che
imponeva
il
“perseguimento di
obiettivi
di
stretta aderenza alle
direttive
europee
[…]”.
Con
il
nuovo
codice
deve
ritenersi
ormai
cristallizzata
la
alternatività
fra
partenariato
pubblico
privato
e
appalto
(26),
sulla
scorta
dell’insegnamento
europeo
(27):
il
discrimen
fra
le
due
fattispecie
negoziali
è
rappre
(22) In tal
senso, cfr. VICIConte
g., “I contratti
di
partenariato e
la locazione
finanziaria (artt.
179-182, 187)”, in CLArICh
M.
(a cura di), Commentario al codice dei contratti pubblici, cit., 1183.
(23)
Se
non
a
fini
contabili;
cfr.
regolamento
(ue)
n.
549/2013
del
Parlamento
europeo
e
del
Consiglio, del
21 maggio 2013, relativo al
Sistema
europeo dei
conti
nazionali
e
regionali
nell’unione
europea
testo rilevante ai fini del See.
(24) “Libro Verde
relativo ai
partenariati
pubblico-privati
ed al
diritto comunitario degli
appalti
pubblici e delle concessioni”, CoM (2004).
(25) nella
consapevolezza
che
“la nozione
di
partenariato ha una duplice
dimensione, negoziale
ed economica, in quanto costituisce
un fenomeno economico-finanziario che
trova disciplina giuridica
nel relativo contratto” (Cons. St., parere della Commissione speciale, n. 855 del 21 marzo 2016).
(26) Questo lo specifica
anche
il
codice, là
dove, all’art. 175, comma
2, ultimo alinea, impone
all’Amministrazione
di
valutare
la
opportunità
di
ricorrere
a
tale
modulo anziché
a
quello dell’appalto.
(27) Corte
di
giustizia
u.e., 15 ottobre
2009, sentenza
C-196/08, acoset
S.p.a., § 39;
cfr., da
ultimo,
Corte
di
giustizia
u.e.,
sez.
VIII,
10
novembre
2022,
sentenza
C-486/2021,
Sharengo,
che
afferma
che
la
concessione
di
servizi
si
distingue
da
un appalto pubblico per l’attribuzione
al
concessionario del
rASSegnA
AVVoCAturA
deLLo
StAto -n. 1/2023
sentato
dalla
sussistenza
o
meno
di
un
“rischio
operativo”
in
capo
all’operatore
economico.
non rileva, invece, necessariamente
la
struttura
del
contratto, trilaterale
o
bilaterale,
atteso
che
il
codice
fuga
ogni
dubbio
circa
la
possibilità
che
anche
le
c.d.
opere
fredde,
ossia
quelle
per
le
quali
il
privato
che
le
realizza
e
gestisce
fornisce
direttamente
servizi
alla
pubblica
Amministrazione
e
trae
la
propria
remunerazione
solo
da
pagamenti
effettuati
dalla
stessa
(ospedali,
carceri,
scuole
et similia) (28), possano essere oggetto di un contratto di PPP.
nel
contratto di
appalto, come
noto, il
rischio per il
privato è
solo di
costruzione,
ossia
il
rischio
imprenditoriale
derivante
dalla
errata
valutazione
dei
costi
di
costruzione
rispetto al
corrispettivo che
si
percepirà
a
seguito del-
l’esecuzione dell’opera.
Il
rischio operativo si
ricollega, invece, ai
sensi
dell’art. 177, dettato in
materia
di
concessioni, alla
realizzazione
dei
lavori
o alla
gestione
dei
servizi
e
comprende
un
rischio
dal
lato
della
domanda,
da
intendersi
come
“domanda
effettiva di
lavori
o servizi
che
sono oggetto del
contratto”, o dal
lato dell’offerta,
ossia
“in
particolare
il
rischio
che
la
fornitura
di
servizi
non
corrisponda
al
livello qualitativo e
quantitativo dedotto in contratto”, cui
è
da
ricondurre
anche il rischio di disponibilità (29), o da entrambi (comma 1).
Affinché
un
contratto
sia
qualificabile
come
PPP
il
rischio
rilevante
è
solo
“quello che
deriva da fattori
eccezionali
non prevedibili
e
non imputabili
alle
parti”, mentre
“non rilevano rischi
connessi
a cattiva gestione, a inadempimenti
contrattuali
dell’operatore
economico
o
a
cause
di
forza
maggiore”
(così
testualmente
il
comma
3
che
riproduce
pedissequamente
il
considerando
n. 20 della direttiva).
Il
legislatore,
assai
opportunamente,
si
discosta
dalla
scelta
effettuata
con
il
codice
del
2016, là
dove
si
dettava
una
tassonomia
estremamente
analitica
dei
rischi
allocabili
in capo alle
parti
dei
contratti
di
partenariato (già
in sede
definitoria;
cfr. art. 3, d.lgs. 50/2016), abbozzandone
invece
solo i
tratti
generali
-conformemente
alla
direttiva
n. 23 -e
demandandone
la
specificazione
ad atti
amministrativi
generali, come
bandi-tipo, capitolati-tipo ovvero contratti-
tipo redatti
dall’A.n.A.C. (art. 222;
cfr., con particolare
riferimento al
PPP, l’art. 197 in tema
di
contratto di
disponibilità), ovvero alla
prassi
ammi
diritto, eventualmente
accompagnato da
un prezzo, di
gestire
i
servizi
oggetto della
concessione:
“costituisce
una
«concessione
di
servizi»
l’operazione
mediante
la
quale
un’amministrazione
aggiudicatrice
intende
affidare
la creazione
e
la gestione
di
un servizio di
noleggio e
condivisione
di
veicoli
elettrici
a
un operatore
economico il
cui
contributo finanziario sia prevalentemente
destinato all’acquisto di
tali
veicoli, e
nella quale
gli
introiti
di
detto operatore
economico proverranno principalmente
dalle
tariffe
pagate
dagli
utenti
del
servizio in parola, dal
momento che
caratteristiche
del
genere
sono tali
da dimostrare
che
il
rischio
legato
alla
gestione
dei
servizi
oggetto
della
concessione
è
stato
trasferito
a
detto operatore economico”.
(28) Cfr. relazione di accompagnamento, p. 211.
(29) Cfr. già Cons. St., Comm. spec., n. 855/2016.
LegISLAzIone
ed
AttuALItà
nistrativa
(cui
oggi
sarà
da
ricondurre, ad esempio, l’elaborazione
della
c.d.
“matrice dei rischi”)
(30).
La
corretta
allocazione
dei
rischi
è
indispensabile
per qualificare
il
contratto
come
concessione
(e,
quindi,
PPP)
e
questa
passa
necessariamente
dalla
attenta
definizione
del
piano economico finanziario (P.e.F.), strumento indispensabile
per verificare
la
concreta
capacità
del
concorrente
di
eseguire
correttamente
la
prestazione
per
l’intero
arco
temporale
prescelto
attraverso
la
responsabile
prospettazione
di
un equilibrio economico-finanziario del
contratto
stesso
(31),
“intendendosi
per
tale
la
contemporanea
presenza
delle
condizioni
di
convenienza
economica
e
sostenibilità
finanziaria”.
L’equilibrio
economico-finanziario sussiste, ai
sensi
dell’art. 177, comma
5, “quando i
ricavi
attesi
del
progetto sono in grado di
coprire
i
costi
operativi
e
i
costi
di
investimento,
di
remunerare
e
rimborsare
il
capitale
di
debito
e
di
remunerare
il capitale di rischio”.
4. Il finanziamento e le ragioni di attrattività del PPP.
Proprio la
corretta
distinzione
fra
PPP
e
appalto è
indispensabile
al
fine
di
garantire
-e
questo è
uno dei
principali
motivi
di
attrattività
del
primo -la
possibilità
per
le
pubbliche
Amministrazioni
di
contabilizzare
l’operazione
fuori
bilancio (off
balance) e, quindi, di
non creare
debito pubblico, in conformità
alla
funzione
precipua
di
tale
modulo contrattuale, diretto a
garantire,
come
sovra
ricordato, il
finanziamento di
un’opera
o di
un servizio pubblico
da parte del privato (32).
A
tal
fine, il
nuovo codice, superando l’impostazione
precedente, maggiormente
attenta
ad
un
profilo
quantitativo,
piuttosto
che
qualitativo,
non
pone
alcun limite
fisso al
valore
dell’eventuale
contributo pubblico previsto
quale
parte
del
corrispettivo contrattuale
e
si
limita
a
rinviare
alla
disciplina
dettata
dalle
decisioni
Eurostat
(33),
valorizzando
così
anche
le
finalità
sociali
perseguite
(c.d. value
for
society), nonché
le
esigenze
di
tutela
della
piccola
e
media impresa.
nel
caso
in
cui
i
criteri
ivi
previsti
siano
violati
dalle
operazioni
contrattuali
(30) Cfr. Linee guida
A.n.A.C. n. 9, cit.
(31) Cfr., fra
le
più recenti, Cons. St., sez. IV, 23 febbraio 2023, n. 1867;
Id., sez. V, 30 gennaio
2023, n. 1042.
(32) Cfr., Cons. St., sez. V, 13 aprile 2022, n. 2809.
(33) L’art. 177, comma
7, diversamente
dal
precedente
art. 180, comma
6 (che
disponeva
che
il
contributo pubblico non potesse
superare
il
“quarantanove
per
cento del
costo dell’investimento complessivo”),
infatti, rinvia
tout
court
ai
contenuti
delle
decisioni
eurostat, prevedendo solo che
“in ogni
caso,
l’eventuale
riconoscimento
di
un
contributo
pubblico,
in
misura
superiore
alla
percentuale
indicata
nelle
decisioni
Eurostat
e
calcolato
secondo
le
modalità
ivi
previste,
non
ne
consente
la
contabilizzazione
fuori
bilancio”.
Su
questo,
cfr.
anche
la
circolare
della
Presidenza
del
Consiglio
dei
Ministri
del
10
luglio
2019, con la
quale
si
definiscono i
criteri
per la
comunicazione
di
informazioni
relative
al
partenariato
pubblico privato ai sensi dell’art. 44, comma 1 bis
del decreto-legge 31 dicembre 2007, n. 248.
rASSegnA
AVVoCAturA
deLLo
StAto -n. 1/2023
poste
concretamente
in
essere,
occorre
procedere
alla
riqualificazione
del
rapporto
negoziale
come
fonte
di
indebitamento
(34),
riqualificazione
e
non
nullità
del
contratto,
come
in
passato
invece
erroneamente
sostenuto
da
una
certa
giurisprudenza
(35)
e
come,
invece,
oggi
chiarito
anche
dall’art.
177,
comma
6.
Al
riguardo, non pare
superfluo sottolineare
come, sulla
base
dei
rilievi
formulati
dall’I.S.t.A.t.,
incaricato
di
compilare
ed
inviare
ad
Eurostat
il
“questionario
sulle
tabelle
relative
alla
notifica
della
procedura
per
i
disavanzi
eccessivi”, la
cui
tabella
11 è
appunto relativa
ai
PPP, nel
2022 ben l’87% dei
contratti
di
PPP
è
stato riclassificato on-balance
sheet, in ragione
del
mancato
trasferimento dei
rischi
al
soggetto privato, e
tale
percentuale
sale
addirittura
al 100% per i contratti di ePC.
tanto valga
ad evidenziare, ancora
una
volta, la
complessità
per le
pubbliche
Amministrazioni di disegnare contratti quali quelli di specie.
Proprio alla
natura
(anche) di
strumento di
finanziamento di
questi
contratti,
si ricollega, poi, l’istituto della finanza di progetto (36).
Il
codice,
in
primo
luogo,
precisa
definitivamente
che
questa
non
è
un
tipo di
contratto di
partenariato pubblico privato (come
erroneamente
veniva
indicato dall’art. 180, comma
8 del
vecchio codice), ma
una
particolare
e
articolata
procedura
bifasica
-di
scelta
del
progetto e
di
affidamento del
contratto,
e
oggi
di
tutti
i
contratti
di
PPP
(art. 198, comma
1) -, che
si
connota
per
la
peculiarità
di
essere
avviata
(solo)
su
iniziativa
degli
operatori
economici
privati
(essendo stata
espunta
la
modalità
ad iniziativa
pubblica, ritenuta
condivisibilmente
del
tutto superflua) e
di
operare
sia
in relazione
a
progetti
già
presenti
nel
(nuovo) programma
triennale
delle
esigenze
pubbliche
(cfr. art.
175, comma 1), sia per iniziative ivi non previste.
Come
chiarito
dalla
stessa
relazione
di
accompagnamento
allo
schema
definitivo del
codice, pertanto, “non si
tratta di
due
tipi
contrattuali
diversi,
come
nella struttura dell’impianto codicistico del
2016. È
il
medesimo contratto
di
concessione
che
può essere
finanziato, sia in ‘corporate
financing’,
sia in ‘project financing’
”(p. 203).
Con riferimento alla
prima
fase, di
scelta
del
promotore
di
una
procedura
di
finanza
di
progetto, è
pacifico che
non si
tratti
di
“un modulo di
confronto
concorrenziale
sottoposto al
principio delle
procedure
di
evidenza pubblica,
quanto piuttosto [di]
uno strumento tramite
il
quale
l’amministrazione
defini
(34) Corte dei conti, delibera n. 15/SezAut/2017/QMIg del 13-23 giugno 2017.
(35) t.a.r. Sardegna, sez. I, 10 marzo 2011, n. 213, secondo cui
un contratto di
concessione
posto
in essere
senza
una
efficace
allocazione
dei
rischi
in violazione
dei
principi
comunitari
sarebbe
nullo
per
illiceità
della
causa
ai
sensi
dell’art.
1344
c.c.
(contratto
in
frode
alla
legge),
in
quanto
utilizzato
allo
scopo di conseguire un risultato precluso dall’ordinamento.
(36) Su cui
cfr. MALInConICo
C., “Finanza di
progetto”, in SAnduLLI
M.A., de
nICtoLIS
r.
(diretto
da), Trattato sui
contratti
pubblici, tomo V, cit.;
nonché
rAgAneLLI
b., “La finanza di
progetto”,
in CLArICh
M. (a cura di), Commentario al codice dei contratti pubblici, cit.
LegISLAzIone
ed
AttuALItà
sce
di
concerto con il
privato un obiettivo di
interesse
pubblico da realizzare”
(37), tanto che
l’Amministrazione
può sempre
decidere
di
non dare
corso alla
procedura di gara per l’affidamento del contratto (38).
In
secondo
luogo,
occorre
segnalare
il
criticabile
arretramento
compiuto
dal
legislatore
rispetto
al
testo
proposto
dalla
Commissione,
con
particolare
riferimento
alla
soluzione
da
questa
indicata
con
riferimento
ad
uno
dei
principali
problemi
che
affligge
il
modulo
della
finanza
di
progetto,
costituito
dalla
previsione
del
diritto
di
prelazione
a
favore
del
promotore,
spesso
di
ostacolo,
nella
pratica,
alla
partecipazione
di
altri
operatori
alla
seconda
fase
della
procedura.
La
Commissione, per ovviare
a
tale
effetto, aveva
inserito, quale
alternativa
al
diritto di
prelazione, la
possibilità
di
riconoscere
al
promotore
un punteggio
premiale
(c.d.
sistema
alla
cilena),
da
riferirsi
anche
al
valore
innovativo
del
progetto
stesso,
nella
consapevolezza
che
nessuna
opzione
è
comunque
priva
di
difetti, atteso che
anche
questa, pur incentivando la
partecipazione
e
la
qualità
progettuale,
comporterebbe
inevitabilmente
un
generale
aumento
dei costi (cfr. pag. 231-232 della relazione)
(39).
Sarebbe
stato
certamente
preferibile
consentire
alla
stazione
appaltante
la
ponderazione
fra
detti
interessi
in concreto, avuto riguardo alle
peculiarità
dell’opera
oggetto del
progetto, piuttosto che
escludere
ex
lege
la
stessa
possibilità
di
ricorrere
a
tale
modalità
alternativa
di
valorizzazione
della
posizione
del promotore.
Pare, invece, condivisibile
la
scelta
del
legislatore
di
prevedere
l’obbligo
di
costituzione
di
una
società
di
scopo (e
la
nuova
denominazione
rispetto a
quella
di
società
di
progetto
ha
il
dichiarato
fine
di
ricondurre
la
finanza
di
progetto al
modello europeo dello special
purpose
vehicle) solo per gli
affidamenti
di
lavori
sovra
soglia
e
non, invece, quale
regola
generale, come
originariamente
proposto
dalla
Commissione,
così
lasciando
una
maggiore
libertà
alle
stazioni
appaltanti
e
agli
stessi
operatori
economici,
cui,
d’altra
parte,
oggi
l’art. 198, comma
2 riconosce
sempre
il
diritto di
“avvalersi, anche
al
di
fuori
della finanza di progetto, della facoltà di costituire una società di scopo”.
(37) Cfr., da
ultimo, Cons. St., sez. V, ord. 7 giugno 2023, n. 5615, con cui
è
stata
rimessa
alla
Corte
di
giustizia
ue
la
seguente
questione
pregiudiziale
ai
sensi
dell’art.
267
tFue:
“se
l’art.
183,
comma 15, del
d.lgs. n. 50 del
2016 è
contrario al
diritto UE
e
in particolare
ai
principi
di
pubblicità,
imparzialità e
non discriminazione
contenuti
sia nel
Trattato che
nei
principi
UE, propri
di
tutte
le
procedure
comparative,
laddove
interpretato
così
da
consentire
trattamenti
discriminatori
in
una
procedura
di
attribuzione
del
diritto
di
prelazione,
senza
predefinizione
dei
criteri
e
comunque
senza
comunicazione
dei
medesimi
a tutti
i
concorrenti
ma solo ad alcuni
di
essi, quanto meno al
decorso dei
tre
mesi
di
urgenza
previsti
da tale
articolo”. detta
problematica
è
oggi
venuta
meno, in quanto il
termine
di
novanta
giorni
previsto dall’art. 193, comma
2 -che, in verità, nel
progetto originario era
stato sostituito dal-
l’avverbio “tempestivamente” - non è più indicato come perentorio.
(38) Cfr., ex
multis, Cons. St., sez. III, 19 settembre
2022, n. 8072;
si
veda
anche
t.a.r. Calabria,
Catanzaro, 14 luglio 2022, n. 1312.
(39)
Cfr.
anche
il
comunicato
del
Presidente
dell’A.n.A.C.
del
12
gennaio
2022,
sull’indagine
conoscitiva svolta sulle procedure di
project financing
nei servizi.
rASSegnA
AVVoCAturA
deLLo
StAto -n. 1/2023
5. La fase esecutiva e la lezione della pandemia.
In
questa
breve
panoramica,
inevitabilmente
incompleta,
merita
un
cenno
la disciplina dettata dal codice in materia di esecuzione dei contratti di partenariato
(40),
di
cui
al
titolo
III
della
parte
II
del
libro
de
quo,
dedicata
alle
concessioni,
ma applicabile a tutti i PPP
ex
art. 174, comma 3.
Ciò
per
due
principali
motivi:
da
un
lato,
questi
contratti
-come
ci
ricorda
anche
l’art.
178
-costituiscono
rapporti
di
durata,
spesso
molto
ampi
nel
tempo,
in
quanto
devono
remunerare
gli
investimenti,
effettuati
e
da
effettuare,
dall’aggiudicatario;
dall’altro,
per
la
particolare
attenzione
che
negli
ultimi
anni,
a
causa
del
fenomeno
pandemico
e
dalla
guerra,
è
stata
tributata,
dalla
dottrina
e
dalla
giurisprudenza,
proprio
alla
fase
esecutiva
dei
contratti,
anche
pubblici.
In
primo
luogo,
occorre
rilevare
che,
in
ossequio
al
criterio
di
cui
alla
lett.
ff)
della
legge
delega, il
codice
ha
sancito il
divieto di
proroga
dei
contratti
di
PPP, salvo nel
caso di
revisione
degli
stessi
(art. 178, comma
5;
su cui
infra).
non
è
stata,
invece,
prevista
la
proroga
c.d.
tecnica
(ad
eccezione
per
l’ipotesi, speciale, delle
concessioni
autostradali), diversamente
da
quanto disposto
dall’art. 120, comma 11 per gli appalti.
Attese
la
auto-conclusività
del
libro IV
del
codice, l’assenza
di
rinvii
interni
e
la
natura
eccezionale
di
tale
tipo di
proroga
(41), si
dovrebbe, dunque,
ritenere
che
oggi
-diversamente
dal
passato
-sia
preclusa
alle
Amministrazioni
la
facoltà
di
disporre
la
proroga
c.d.
tecnica
dei
contratti
finanche
“nei
casi
eccezionali
nei
quali
risultino
oggettivi
e
insuperabili
ritardi
nella
conclusione
della procedura di affidamento del contratto”.
tale
soluzione,
imposta
dalla
legge
delega,
si
spiega
proprio
con
la
durata
tendenzialmente
lunga
del
contratto
-che
deve
essere
chiaramente
predefinita
ex
art. 178, comma
1 -, che
dovrebbe
consentire
alle
Amministrazioni
di
predisporre
per tempo l’avvio di
una
nuova
procedura
ad evidenza
pubblica
per
l’aggiudicazione del contratto per il periodo successivo alla scadenza.
La
prassi
consentirà
di
verificare
quanto
tale
proposito
potrà
essere
in
concreto soddisfatto, ma
non si
può che
avanzare
qualche
dubbio sull’opportunità
di una sì rigida preclusione.
In
secondo
luogo,
con
il
codice
si
è
persa
l’occasione
di
dare
un
contenuto
concreto alla
disposizione
di
cui
all’art. 175 del
codice
previgente, oggi
tra
(40) Sull’esecuzione
dei
contratti
di
concessione
(e, quindi, dei
contratti
di
PPP), con riferimento
al
previgente
codice,
cfr.,
per
tutti,
urbAno
g.,
“L’esecuzione
delle
concessioni
(artt.
174-178)”,
in
CLArICh
M.
(a
cura
di), Commentario al
codice
dei
contratti
pubblici, 2019, oltre
che
SCIAudone
F.,
“Esecuzione. modifica dei
contratti
durante
il
periodo di
efficacia”, in SAnduLLI
M.A., de
nICtoLIS
r.
(diretto da), Trattato sui
contratti
pubblici, tomo V, cit. In generale, cfr. anche
zoPPoLAto
M., CoMPAronI
A.,
“revisione
dei
prezzi
trattato
sui
contratti
pubblici”,
in
SAnduLLI
M.A.,
de
nICtoLIS
r.
(diretto
da), Trattato sui contratti pubblici, tomo IV, 2019.
(41) Cfr., fra le tante, Cons. St., sez. V, 23 settembre 2019, n. 6326.
LegISLAzIone
ed
AttuALItà
dotta, pur con qualche
modifica
-più terminologica, che
di
sostanza
-nell’art.
189, disciplinante la modifica del contratto durante il periodo di efficacia.
La
disposizione
sconta, evidentemente, una
eccessiva
“fedeltà”
al
contenuto
della
direttiva
n. 23 (art. 43), frutto forse
di
una
lettura
anch’essa
eccessivamente
rigida
del
criterio
di
delega
sovra
richiamato.
La
estrema
genericità
della
terminologia
adoperata
nel
diritto
positivo
europeo,
come
sovra
rilevato,
necessita
di
essere
colmata
attraverso il
rinvio alle
categorie
tradizionali
nazionali,
senza
che
per questo ne
sia
tradita
l’origine, così
da
cercare
di
quanto
meno
ostacolare
quella
eclissi
del
diritto
(civile)
o,
comunque,
quella
crisi
della fattispecie da più parti denunciate (42).
Ciò
vale,
in
particolar
modo,
per
il
concetto
di
“natura
generale
della
concessione”
che
assume
valenza
di
limite
generale
per le
ipotesi
di
modifica
disciplinate
dal
comma
2 dell’art. 189, oltre
che
per quelle
di
cui
al
comma
1,
lett.
a)
e
c).
né
nel
codice, né
nella
presupposta
direttiva
n. 2014/23/ue
si
rinviene
una
definizione
della
“natura generale”
del
contratto, né
la
stessa
risulta
specificamente
affrontata
dalla
giurisprudenza
nazionale
-e
ciò si
spiega
perché,
come
rilevato anche
nella
relazione
di
accompagnamento, tale
previsione
ha
avuto nella prassi scarsissima applicazione.
Inoltre, di
assai
difficile
definizione
risulta
il
rapporto fra
tale
concetto e
quello di
“modifica sostanziale”
del
contratto (rilevante
ai
sensi
del
comma
1,
lett. e)), specie
oggi
che
il
comma
4 dell’art. 189, quasi
filosoficamente, afferma
che
una
modifica
sarebbe
da
ritenersi
tale
“se
la natura della concessione
muta nella sua essenza rispetto a quella inizialmente conclusa”.
Se
è
vero che
tale
previsione
è
comunque
preferibile
a
quella
della
direttiva,
che
tautologicamente
dispone
che
la
modifica
è
da
considerarsi
sostanziale
se
“muta sostanzialmente
la natura della concessione
rispetto a quella
inizialmente
conclusa”, forse
avrebbe
meritato di
essere
conservato, almeno
in
parte
qua,
lo
sforzo
qualificatorio
effettuato
dal
precedente
art.
175,
comma
7,
che
definiva
“sostanziale”
la
modifica
che
“altera
considerevolmente
gli
elementi
essenziali
del
contratto”, così
richiamando categorie
un po’
più note
al nostro ordinamento.
Con maggior rigore
dogmatico, si
potrebbe
tentare
di
ricondurre
la
nozione
di
“natura
generale”
del
contratto
a
quella,
ben
conosciuta,
di
causa,
funzione
del
contratto;
sicché
si
avrebbe
incisione
sulla
stessa
allorché,
ad
esempio,
le
modifiche
comportino
un
sostanziale
svuotamento
del
rischio
operativo
sotteso alla
originaria
concessione, sì
da
trasformarla
in un appalto, ovvero
allorquando
si
inseriscano
nell’oggetto
del
contratto
una
serie
di
prestazioni allo stesso totalmente estranee (43).
(42) Il
riferimento è, ovviamente, a
CAStronoVo
C., Eclissi
del
diritto civile, 2015 e
a
IrtI
n.,
Crisi della fattispecie, in riv. Dir. Proc., 2014, 1, 36 ss.
rASSegnA
AVVoCAturA
deLLo
StAto -n. 1/2023
Particolare
ipotesi
di
modifica
del
contratto -senza
che, però, di
tale
rapporto
si
curi
il
legislatore
nazionale, in assenza
di
indicazioni
da
parte
della
direttiva
-è
la
revisione, disciplinata
oggi
da
una
disposizione
autonoma
(art.
192),
diversamente
rispetto
al
codice
precedente,
che
alla
stessa
riservava
solo
un limitatissimo spazio (artt. 165, comma 6 e 182, comma 3).
L’origine
di
tale
scelta, innovativa, è
chiaramente
da
rinvenirsi
nelle
ben
note
problematiche
sorte
con riferimento a
tutti
i
contratti
di
durata
e, quindi,
anche
per quelli
pubblici, nel
periodo pandemico, che
hanno imposto una
rinnovata
riflessione
circa
la
necessaria
previsione
in via
generale
di
rimedi
manutentivi
del
rapporto sinallagmatico a
fronte
di
sopravvenienze
non previste
e non prevedibili al momento della stipulazione (44).
A
tale
esigenza
rispondono
oggi,
in
via
generale,
la
innovativa
previsione
del
principio
di
“conservazione
dell’equilibrio
contrattuale”,
cristallizzato
all’art.
9
del
codice,
nonché
la
disposizione
di
cui
all’art.
60,
che
ripropone
(45)
l’obbligo
di
inserimento
di
clausole
di
revisione
prezzi
in
tutti
i
contratti
pubblici,
sulla
falsariga
delle
clausole
di
hardship
note
al
commercio
internazionale,
che
si
attivano
automaticamente
al
ricorrere
dei
presupposti
ivi
previsti
(e
che,
a
quanto
consta,
dovrebbero
ritenersi
vincolanti
sia
nell’an
che
nel
quantum).
La
medesima
ratio
è, come
si
è
detto, sottesa
alla
disposizione, speciale
per
i
contratti
di
PPP,
di
cui
all’art.
192,
che
sancisce
il
diritto
dei
concessionari
-ma
si
deve
ritenere
che
sia
diritto proprio anche
della
stazione
appaltante
di
chiedere
la
revisione
degli
stessi
in
caso
di
“eventi
sopravvenuti
straordinari
e
imprevedibili,
ivi
compreso
il
mutamento
della
normativa
o
della
regolazione
(43)
Cfr.,
delibera
A.n.A.C.
n.
758
del
30
settembre
2020:
“la
natura
generale
di
una
concessione
di
lavori
avente
ad oggetto la realizzazione
di
una specifica opera (palasport), deve
ritenersi
mutata
ove,
durante
l’efficacia
della
concessione
si
intendano
realizzare
opere
supplementari
di
diverso
oggetto
(come
parcheggi
e
percorsi
ciclopedonali), serventi
anche
ulteriori
impianti
rispetto a quelli
originari
(una più ampia area sportiva) e
funzionali
ad una differente
esigenza pubblica (il
miglioramento della
viabilità locale)”.
(44)
Sul
punto,
si
rammenta
che
già,
nelle
Linee
guida
A.n.A.C.
n.
9
del
28
marzo
2018,
rubricate
“monitoraggio
delle
amministrazioni
aggiudicatrici
sull’attività
dell’operatore
economico
nei
contratti
di
partenariato pubblico privato”, le
epidemie
ed i
contagi
erano espressamente
indicati
come
eventi
di
forza
maggiore
suscettibili
di
determinare
la
revisione
del
P.e.F. (§ 3.3). nel
periodo pandemico, spicca
una
previsione,
pur
eccezionale,
quale
quella
di
cui
all’art.
28
bis
del
d.l.
34/2020,
convertito
con
l.
77/2020, che
impone
l’avvio “automatico”
della
procedura
di
revisione
per le
concessioni
per la
somministrazione
di
alimenti
e
bevande
tramite
distributori
automatici
collocati
presso gli
istituti
scolastici
e
università
e
gli
uffici
pubblici
rimasti
chiusi
durante
l’emergenza
al
superamento di
una
determinata
soglia
di
riduzione
del
fatturato.
In
generale,
non
si
può
non
richiamare
la
relazione
tematica
n.
56
dell’8
luglio
2020,
redatta
dall’ufficio
del
massimario
della
Corte
di
Cassazione
e
specificamente
dedicata
alle
“Novità
normative
sostanziali
del
diritto
“emergenziale”
anti-Covid
19
in
ambito
contrattuale
e
concorsuale”, che, pur non occupandosi di contratti pubblici, detta principi di valenza generale.
(45) Cfr., in origine, art. 6, comma
4, l. 537/1993;
poi, art. 115 d.lgs. 163/2006;
più di
recente,
art. 29, comma
1, lett. a), d.l. 4/2022, convertito in l. 25/2022. Sul
punto, si
veda, da
ultimo, Cons. St.,
sez. V, 6 settembre 2022, n. 7756.
LegISLAzIone
ed
AttuALItà
di
riferimento,
purché
non
imputabili
al
concessionario,
che
incidano
in
modo
significativo sull’equilibrio economico-finanziario”.
Anche
in
questo
caso
non
può
che
censurarsi
la
scarsa
definizione
dei
concetti
di
“natura
generale”
del
contratto
e
di
“modifica
sostanziale”,
ergendosi
questi,
anche
per
la
revisione,
a
confini
di
legittimità
(in
questo
caso,
però, unici; cfr. art. 192, comma 2).
Meritoria
è, invece, la
ripulitura
lessicale
operata
con l’art. 190, che
ha
opportunamente
espunto,
anche
con
riguardo
ai
contratti
di
concessione
(e,
quindi, di
PPP), il
tralatizio riferimento alla
revoca
del
contratto, ancora
presente
nell’art. 176 del
vecchio codice. Conformemente
a
quanto già
disposto
per l’appalto, è
stato, infatti, previsto, in luogo del
potere
autoritativo, pubblicistico,
di
revoca, il
diritto potestativo, di
natura
privatistica, di
recesso, cui
oggi è appunto dedicato l’art. 190, commi da 4 a 7.
Ciò
consente
di
abbandonare,
definitivamente,
la
lettura
tradizionale
pubblicistica
della
concessione
-che
ancora
una
parte
della
dottrina
e
della
giurisprudenza
propugnava,
anche
nella
vigenza
del
codice
del
2016
-,
per
abbracciarne
una
qualificazione
come
vero
e
proprio
contratto,
al
pari
di
quello
di appalto.
Si
tratta,
peraltro,
di
ripulitura
lessicale
che
è,
al
contempo,
anche
contenutistica,
in
quanto,
superando
il
testo
dell’art.
44
della
direttiva,
che
fa
riferimento
alla
nozione,
genericissima,
di
termination
of
concessions,
il
legislatore
ha
appunto
ricondotto
le
diverse
ipotesi
previste
dalla
stessa
direttiva
agli
istituti,
ben
noti
al
nostro
codice
civile,
del
recesso
e
della
risoluzione.
Proprio
dalla
disciplina
della
risoluzione
recata
dal
nuovo
art.
190,
peraltro,
emerge, ancora
una
volta, il
favor
che
il
legislatore
tributa
ai
contratti
di
partenariato.
Al
fine,
infatti,
di
favorirne
la
finanziabilità,
si
prevede
una
ipotesi
di
modifica
del
contratto di
concessione
a parte
subiecti, ulteriore
rispetto a
quelle
di
cui
all’art. 189 sovra
richiamate
(e
non contemplata
nella
direttiva),
che
consente
il
c.d.
step
in-right,
ossia
il
subentro
di
altro
operatore
economico,
indicato dagli
enti
finanziatori, prima
di
addivenire
alla
risoluzione
del
contratto
per inadempimento dell’originario aggiudicatario (cfr. art. 190, comma
3, che
riproduce
la
previsione
di
cui
all’art. 176, comma
8 del
precedente
codice,
ma
ampliando il
termine
nel
quale
l’ente
finanziatore
deve
operare
tale
indicazione e specificando il procedimento con cui il subentro avviene).
Le
disposizioni
da
ultimo richiamate
si
inscrivono, dunque, nell’alveo di
quella
impostazione
che
si
è
avuto modo di
valutare
positivamente
e
che
il
legislatore
dovrebbe
avere
il
coraggio di
adottare
più spesso. In tale
direzione,
di conseguenza, non può che essere l’auspicio.
rASSegnA
AVVoCAturA
deLLo
StAto -n. 1/2023
artificial Intelligence and privacy rights
Gaetana Natale*
today
is
it
possible
to
compromise
rule
of
technology
with
the
rule
of
law to protect fundamental rights?
Artificial
Intelligence
has
the
immense
potential
to benefit
our way of living,
but
it’s
already undeniable
it
creates
new
risks
of extensive
and serious
damages. damages
creates
by AI can arise
in the
context
of contractual
relationships
or regardless of any previous relationship with the injured party.
It
is
arguable
conventional
tort
law
and contractual
liability system
can
always
ensure
adequate
distribution
of
risks
and
fair
compensation
of
damages.
these
new
challenges
have
pushed european Institution to undertake
several
initiatives
aimed for the
harmonization of the
rules
on AI including an civil
liability.
three steps are important:
1)
raise
awareness
on how
AI operates
and the
challenges
it
presents
to
conventional tort law and contractual liability system;
2)
Analyze
and
compare
national
and
eu
rules
already
in
place
pertaining
to the matter;
3)
Provide Knowledge of eu legislation being prepared.
In the
first
stage
it
is
important
to understand how
algorithm
operate
in
machine
learning
to
compromise,
trade
off
rule
of
technology
with
rule
of
law.
What is an algorithm?
If
this
than that:
a
process
or set
of rules
to be
followed in calculations
or
other problem-solving operations, or performing computation
especially by
a
computer “a
basic
algorithm
for division”, a
step by step procedure
for solving
a problem or accomplishing some end.
etimology:
alteration of middle
english algorisme, from
old French &
Medieval
Latin
algorismus,
from
Arabic
al.khwarizmi
flourished
a.d.
825
Islamic
mathematician.
the
basic
concept
to
understand
is:
The
inference.
Algorithm
operates
with “inference”
and not
on the
base
of principle
of causality. the
perception
of
mind
is
a
rational
act
of
the
mind
and
it
is
simply
application
of
the
principle
(*) Avvocato dello Stato, dottore
di
ricerca
in Comparazione
e
diritto civile, Consigliere
giuridico del
garante per la tutela dei dati personali.
Relazione
presentata dall’Autrice
nel
corso del
seminario organizzato dalla Rete
Europea di
Formazione
Giudiziaria
(REFG)
che
opera
con
il
sostegno
finanziario
del
programma
Giustizia
dell’Unione
europea. Il
seminario sul
tema “Civil
liability
due
to artificial
intelligence” rientra nell’ambito del
“Progetto di
giustizia civile”. L’evento si
è
svolto il
25 e
26 maggio 2023 presso la sede
di
Roma del-
l’EJTN.
LegISLAzIone
ed
AttuALItà
of causality with the
methods
of induction. here, there
is
even some
kind of
vague
relevance
to our everyday life, but
once
more
the
crucial
point
regards
the
conception of the
world, the
applicability of the
principle
of causality, the
idea
of knowableness. rather, one
can characterize
the
true
state
of the
thing
a
lot
better
in
this
way,
since
all
experiments
are
subject
to
the
law
of
quantum
mechanics
from
this
matter
follows
that,
by
quantum
mechanics
is
established
permanently the invalidity of the principle of causality.
In the
Cambridge
Dictionary
we
found this
definition of artificial
Intelligence:
“the
study
of
how
to
produce
machines
that
have
some
of
the
qualities
that
the
human
mind
has,
such
as
the
ability
to
understand
language,
NPL
Natural
Processing
Language,
recognize
pictures,
solve
problems
and
learn”.
Indeed AI is
a
result
in global
level
of high performance
computing, machine
learning, deep learning, Internet
of thing, blockchain dapps, blockchain protocols,
the
technology stack
as
a
connection of users, content, data, app, services,
criptocarrency,
open
internet/platforms,
logical
layer,
infrastructure
connectivity,
nanotechnology,
according
to
scheme
input/output/response
prediction.
data
Mining, in others
words
data
is
value, data
driven economy an
information,
feature
extraction,
annotation,
validation,
information
became
Knowledge and knowledge became prediction.
to
understand
IA
is
important
to
study
some
mathematics
theories
as
bayesian
statistics,
Markov
Chain,
turing
test,
Asimov
Law,
Moore
Law,
theory
of Shannon, Logical Complex of godel, theory of Arrow, gray Code.
Entranglement
or
a spooky
action at
distance
as
A. einstein writed are
concepts that
AI can not understand.
“one
day
the
machines
will
be
able
to
solve
all
problems,
but
none
of
them can deliver us one” (Albert einstein).
“The measure of intelligence is the ability to change”.
Can we
compromise
this
mathematical
concept, trade
off the
rule
of technology
with the rule of law to protect human rights?
Yes. It
is
possible
if the
algorithm
are
created without
bias
and discrimination
(Loomis
case, Compass
case, Cambridge
analytica, Conseil
of
State
25 november
2021 n. 7891) according to some
important
principles
or model
rule, general
clauses
as
accountability
and privacy
by
design and default
art.
25
gdPr
to
avoid
black
box
(zuboff
surveillance
capitalism,
micro-targeting,
social
scoring) and to create
AI trustworthy based on
transparency, no discrimination,
right
to
explanation
pursuant
to
22
gdPR,
or
explainibility
of algoritms
logic, human in the
loop, human in command, control
in rolling
review.
Article
22 gdPr:
“automated
individual
decision-making, including
profiling”
“1. The
data subject
shall
have
the
right
not
to be
subject
to a decision
rASSegnA
AVVoCAturA
deLLo
StAto -n. 1/2023
based
solely
on
automated
processing,
including
profiling,
which
produces
legal effects concerning him or her or similarly affects him or her.
2. Paragraph 1 shall not apply if the decision:
a) is
necessary
for
entering into, or
performance
of, a contract
between
the data subject and a data controller;
b) is
authorised by
Union or
member
State
law to which the
controller
is
subject
and
which
also
lays
down
suitable
measures
to
safeguard
the
data
subject’s
rights and freedom and legitimate interests; or
c) is based on the data subjec’s explicit consent”.
Mumford: “The technology is a form of order”.
Article 25 gdPr “data protection by design and by default”
“1.
Taking
into
account
the
state
of
the
art,
the
cost
of
implementation
and the
nature, scope, context
and purposes
of
processing as
well
as
the
risks
of
varying likehood, and severity
for
rights
and freedoms
of
natural
persons
by
the
processing, the
controller
shall, both at
the
time
of
the
determination
of
the
means
for
processing and at
the
time
of
the
processing itself, implement
appropriate
technical
and
organisational
measures,
such
as
pseudonymisation,
which
are
designed
to
implement
data-protection
principles,
such
as
data
minimisation,
in
an
effective
manner
and
to
integrate
the
necessary
safeguards
into the
processing in order
to meet
the
requirements
of
this
regulation and
protect the rights of data subjects.
2.
The
controller
shall
implement
appropriate
technical
and
organisational
measures
for
ensuring that, by
default, only
personal
data which are
necessary
for
each
specific
purpose
of
the
processing
are
processed.
That
obligation
applies
to
the
amount
of
personal
data
collected,
the
extent
of
their
processing, the
period of
their
storage
and their
accessibility. In particular
,
such measures
shall
ensure
that
by
default
personal
data are
not
made
accessible
without
the
individual’s
intervention to an indefinite
number
of
natural
persons.
3.
an
approved
certification
mechanism
pursuant
to
article
42
may
be
used as
an element
to demonstrate
compliance
with the
requirements
set
out
in paragraphs 1 and 2 of this
article”.
the
first
problem
is:
Who
must
certificate
the
security
of
aI
devices?
Independent authority or the same producer?
the
liability, strict
liability, product
liability and pre-emption doctrine
is
regulated with the
risk
assessment.
today he
have
in
progress
a lot of european
Regulations:
data
act,
digital
service
act,
digital
Market
act
(with
a combination
antritrust rule
of abuse
of dominant position), digital
governance
act.
In
Proposal
for
a Regulation
of the
european
Parliament and
of the
Council
laying
down
harmonised
rules
on
artificial
Intelligence
of
21
LegISLAzIone
ed
AttuALItà
april
2021,
approved
the
last
May
11
(including
aI
generative,
before
not
inserted), the
Commission puts
forward the
proposed regulatory framework
on Artificial Intelligence with the following specific objectives:
1)
ensure
that
AI systems
placed on the
union market
and used are
safe
and respect existing law on fundamental rights and union values;
2)
enhance
governance
and
effective
enforcement
of
existing
law
on
fundamental
rights and safety requirements applicable to AI systems;
3)
Facilitate
the
development
of a
single
market
for lawful, safe
and trustworthy
AI applications and prevent market fragmentation.
the
legal
basis
for
the
proposal
is
in
the
first
place
Article
114
of
the
treaty
on
the
Functioning
of
the
european
union
(tFue),
which
provides
for
the
adoption of measures
to ensure
the
establishment
and functioning of the
internal
market, subsidiarity (for
non-exclusive
competence) and
proportionality.
It is
crucial
that strict liability became
“accountability”, as
a preemptive
remedy.
not
only
rules,
but
“digital
due
procedure”
as
well
to
avoid
data tracing and data scraping.
It is
crucial
the
time
of regulations: the
technology is
faster
than
law.
the
regulation follows
a
risk-base
approach differentiating between uses
of AI that create:
a)
an unacceptable risk;
b)
a high risk;
c)
Low or minimal risk.
the
list
of prohibited practices
in title
II comprises
all
those
AI systems
whose
use
is
considered unacceptable
as
contravening union values, for instance
by violating fundamental
rights. the
prohibitions
covers
practices
that
have
a
significant
potential
to manipulate
persons
through subliminal
techniques
beyond their consciousness
or exploit
vulnerabilities
of specific
vulnerable
groups
such as
children or person with disabilities
in order to materially
distort
their behaviour in a
manner that
is
likely to cause
them
or another per-
son
psychological
or
physical
harm.
the
brain
enhancement,
neurolaw,
be-
cause
in
this
case
algorithm
is
not
a
mere
tool,
but
can
change
human
behavior.
other manipulative
or exploitative
practices
affecting adults
that
might
be
facilitated
by
AI
systems
could
be
covered
by
existing
data
protection,
consumer
protection
and
digital
service
legislation
that
guarantee
that
natural
person
are
properly informed and have
free
choise
not
to be
subject
to profiling or other
practices
that
might
affect
their
behavoiur.
the
proposal
also
prohibits
Aibased
social
scoring for general
purposes
done
by public
authorities. Finally,
the
use
of “real
time”
remote
biometric
identification systems
in publicly accessible
spaces
for the
purpose
of law
enforcement
is
also prohibited unless
certain limited exceptions apply.
rASSegnA
AVVoCAturA
deLLo
StAto -n. 1/2023
Fundamental rights
the
use
of AI with its
specific
characteristics
(e.g. opacity, complexity,
dependency
on
data,
autonomous
behaviour)
can
adversely
affect
a
number
of
fundamental
rights
enshrined
in
the
eu
Charter
of
Fundamental
rights
(“the
Charter”). this
proposal
seeks
to ensure
a
high level
of protection for
those
fundamental
rights
and aims
to address
various
sources
of risks
through
a clearly defined risk-based approach.
With a
set
of requirements
for trustworthy AI and proportionate
obligations
on all
value
chain participants, the
proposal
will
enhance
and promote
the
protection
of
the
rights
protected
by
the
Charter:
the
right
to
human
dignity
(Article
1), respect
for private
life
and protection of personal
data
(Article
7
and
8),
non-discrimination
(Art.
21)
and
equality
between
women
and
men
(Art. 23). It
aims
to prevent
a
chilling effect
on the
rights
to freedom
of expression
(Art. 11) and freedom
of assembly (Art. 12) to ensure
protection pf
the
right
to an effective
remedy and to a
fair trial, the
rights
of defence
and
the
presumption
of
innocence
(Artt.
47
and
48)
as
well
as
the
general
principle
of good administration.
Furthermore,
as
applicable
in
certain
domains,
the
proposal
will
positively
affect
the
rights
of a
number of special
groups, such as
the
workers’rights
to
fair
and
just
working
conditions
(Art.
31),
a
high
level
of
consumer
protection
(Art. 28), the
rights
of the
child (Art. 24) and the
integration of persons
with
disabilities
(Art.
26).
the
right
to
a
high
level
of
environmental
protection
and
the
improvement
of the
quality of the
environment
(Art. 37) is
also relevant,
including in relation to the health and safety of people.
the
obligations
for
ex
ante
testing,
risk
management
and
human
oversight
will
also
facilitate
the
respect
of
other
fundamental
rights
by
minimising
the
risk
of
erroneous
or
biased
AI-assisted
decisions
in
critical
areas
such
as
education
and
training,
employment,
important
services,
law
enforcement
and
the
judiciary.
In
case
infringements
of
fundamental
rights
still
happen,
effective
redress
for
affected
persons
will
be
made
possible
by
ensuring
transparency
and
traceability
of
the
AI
systems
coupled
with
strong
ex
post
controls.
this
proposal
imposes
some
restrictions
on the
freedom
to conduct
business
(Art.
16)
and
the
freedom
of
art
and
science
(Art.
13)
to
ensure
compliance
with
overriding
reasons
of
public
interest
such
as
health,
safety,
consumer protection and the
protection of other fundamental
rights
(“responsible
innovation”)
when
high-risk
AI
technology
is
developed
and
used.
those
restrictions
are
proportionate
and
limited
to
the
minimum
necessary
to
prevent
and
mitigate
serious
safety
risks
and
likely
infringements
of
fundamental
rights.
the
increased
transparency
obligations
will
also
not
disproportionately
affect
the
right
to protection of intellectual
property (Art. 17), since
they will
be
limited
only
to
the
minimum
necessary
information
for
individuals
to
exer
LegISLAzIone
ed
AttuALItà
cise
their right
to an effective
remedy and to the
necessary transparency towards
supervision
and
enforcement
authorities,
in
line
with
their
mandates.
Any disclosure
of information will
be
carried out
in compliance
with relevant
legislation in the
field, including directive
2016/943 on the
protection of undisclosed
know-how
and
business
information
(trade
secrets)
against
their
unlawful
acquisition, use
and disclosure. When public
authorities
and notified
bodies
need to be
given access
to confidential
information or source
code
to
examine
compliance
with substantial
obligations, they are
placed under binding
confidentiality obligations.
What exactly are the dangers posed by AI?
Italian
case
of Chat gPt:
on March 31 Italian Authority has
stopped it
to
not
respect
privacy
law
and
gdPr,
after
there
is
a
agreement
for
implementation
of precautional measures to protect personal data.
Italy’data
regulator issued a
temporary emercency decision, demanding
openAI stop using the
personal
information of millions
of Italians
that’s
included
in its
training data. According to regulator, openAI doesn’t
have
the
legal
right
to
use
people’s
personal
information
in
Chatgpt.
In
response,
openAI
has
stopped people
in Italy from
accessing its
chatbot
while
it
provides
responses to the officials, who are investigating further.
the
action is
the
first
taken against
ChatgPt
by a
western regulator and
highlights
privacy
tensions
around
the
creation
of
giant
generative
AI
models,
which
are
often
trained
on
vast
swathes
of
internet
data.
Just
as
artists
and
media
companies
have
complained that
generative
AI developers
have
used
their work without
permission, the
data
regulator is
now
saying the
same
for
people’s personal information.
Similar decisions
could follow
all
across
europe. In the
days
since
Italy
announced
its
probe,
data
regulators
in
France,
germany
and
Ireland
have
contacted
the garante to ask for more information on its findings.
“If the
business
model
has
just
been to scrape
the
internet
for whatever
you
could
find,
then
there
might
be
a
really
significant
issue
here”,
says
tobias
Judin, the
head of international
at
norway’s
data
protection authority, which
is
monitoring
developments.
Judin
adds
that
if
a
model
is
built
on
data
that
may
be
unlawfully
collected,
it
raises
questions
about
whether
anyone
can
use
the tools legally.
europe’s
gdPr rules, which cover the
way organizations
collect, store
and use
people’s
personal
data, protect
the
data
of more
than 400 million people
across
the
continent. this
personal
data
can be
anything from
a
person’s
name
to their IP
address
-if it
can be
used to identify someone, it
can count
as
their personal information.
unlike
the
patchwork
of
state-level
privacy
rules
in
the
united
States,
gdPr’s
protections
apply if people’s
information is
freely available
online.
rASSegnA
AVVoCAturA
deLLo
StAto -n. 1/2023
In short:
Just
because
someone’s
information is
public
doesn’t
mean you can
vacuum it up and do anything you want with it.
Italy’s
garante
believes
ChatgPt
has
four
problems
under
gdPr:
1)
openAI doesn’t
have
age
controls
to stop people
of 13 from
using the
text
generation
system;
2)
it
can
provide
information
about
people
that
isn’t
accurate;
3) and people
haven’t
been told their data
was
collected. Perhaps
most
importantly,
its
fourth argument
claims
there
is
“no legal
basis”
for collecting people’s
personal
information
in
the
massive
swells
of
data
used
to
train
ChatgPt.
“the
Italians
have
called their bluff”, says
Lilian edwards, a
professor
of
law,
innovation
and
society
at
a
newcastle
university
in
the
uK.
“It
did
seem pretty evident in the eu that was a breach of data protection law”.
broadly speaking, for a
company to collect
and use
peple’s
information
under gdPr, they must
rely on one
of six legal
justifications, ranging from
someone
giving their permission to the
information being required as
a
part
of a
contract. In this
instance
, there
are
essentially two options:
getting people’s
consent
-which openAI didn’t
do -or arguing it
has
“legitimate
interests”
to
use
people’s
data,
which
is
very
hard
to
do.
this
defense
is
“inadequate”.
openAI’s
privacy
policy
doesn’t
directly
mention
its
legal
reasons
for
using
people’s
personal
information
in
training
data,
but
says
it
relies
upon
“legitimate interests” when it “develops” its services.
the
Federal
trade
Commission
should
open
an
investigation
and
order
openAI
to
halt
the
release
of
gPt
models
until
necessary
safeguards
are
established.
these
safeguards
should
be
based
on
the
guidance
for
AI
products
the
FtC has
previously established and emerging norms
for the
governance
of AI.
Marc
rorenberg and Merve
hickok reminded the
Commission that
they
previously
declared
that
AI
products
should
be
“transparent,
explainable,
fair and empirically sound while fostering accountability”.
on April
4, 2023 President
biden, meeting with his
top science
advisors,
explained
the
need
to
address
the
potential
risks
of
AI
to
society,
economy
and
national
security.
he
called
for
“responsible
innovation
and
appropriate
guardrails
to
protect
america’s
rights
and
safety,
and
protecting
their
privacy,
and
to address
the
bias
and
disinformation”.
he
said
“tech
companies
have
a
responsibility
to
make
sure
their
products
are
safe
before
making them public”.
A
recent
letter calling for a
moratorium
on AI development
blends
real
threats
with
speculation.
but
concern
is
growing
among
experts.
In
late
March,
more
than
1,000
technology
leaders,
researchers
and
other
pundits
working
in
and
around
artificial
intelligence
signed
an
open
letter
warning
that
AI
technologies
present “profound risks to society and humanity”.
LegISLAzIone
ed
AttuALItà
the
group,
which
included
elon
Musk,
tesla’s
chief
executive
and
the
owner
of
twitter,
urged
AI
labs
to
halt
development
of
their
most
powerful
systems
for
six
months
so
that
they
could
better
understand
the
dangers
behind
the technology.
“Powerful
AI systems
should be
developed only once
we
are
confident
that
their
effects
will
be
positive
and
their
risks
will
be
manageable”,
the
letter
said. the
letter, with now
has
over 27,000 signatures, was
brief. Its
language
was
broad. the
letter represented a
growing concern among AI experts
that
the
latest
systems, most
notably gPt-4, the
technology introduced by the
San
Francisco
start-up
open
AI,
could
cause
harm
to
society.
they
believed
future
systems will be even more dangerous.
Some
of the
risks
have
arrived. others
will
not
for months
or years. Still
others are purely hypothetical.
“our ability to understand what
could go wrong with very powerful
AI
systems
is
very weak”, said Yoshua
bengio, a
professor and AI researcher at
the university of Montreal . “So we need to be very careful”.
Why are they worried?
dr.
bengio
is
perhaps
the
most
important
person
to
have
signed
the
letter.
Working with two other academics
-geoffrey hinton, until
recently a
researcher
at
google
and Yann LeCun, now
chief AI scientist
at
Meta, the
owner of
Facebook -dr. bengio spent
the
past
four decades
developing the
technology
that
drives
systems
like
gPt-4. In 2018, the
researchers
received the
turing
Award, often called “the
nobel
Prize
of computing”, for their work on neural
networks
(brain imaging and brain enhancement) .
A
neural
network
is
a
mathematical
system
that
learns
skills
analyzing
data.
About
five
years
ago,
companies
like
google,
Microsoft
and
open
AI
began
building
neural
networks
that
learned
from
huge
amounts
of
digital
text
called large language models
or L.L.M.s.
by
pinpointing
patterns
in
that
text,
L.L.M.s.
learn
to
generate
text
on
their
own,
including
blog
posts,
poems
and
computer
programs.
they
can
even
carry on a conversation.
this
technology can help computer programmers, writers
and other workers
generate
ideas
and do things
more
quickly. but
dr. bengio and other experts
also
warned
that
L.L.M.s
can
learn
unwanted
and
unexpected
behavoiurs.
these
systems
can generate
untruthful, biased
and
otherwise
toxic
information.
Systems
like
gPt-4 get
fact
wrong and make
up information, pollution
information , “filter bubbles” a phenomenon called “hallucination”.
Companies
are
working on these
problems. but
experts
like
dr. bengio
worry that
as
researchers
make
these
systems
more
powerful, they will
introduce
new risks.
rASSegnA
AVVoCAturA
deLLo
StAto -n. 1/2023
short-term Risk: disinformation
because
these
systems
deliver
information
with
what
seems
like
complete
confidence,
it
can
be
a
struggle
to
separate
truth
from
fiction
when
using
them.
experts
are
concerned that
people
will
rely on these
systems
for medical
ad-
vice, emotional support and the raw information they use to make decisions.
“There
is
no guarantee
that
these
systems
will
be
correct
on any
task
you
give
them”, said Subbarao Kambhampati, a
professor of computer science
at
Arizona
State
university.
experts
are
also
worried
that
people
will
misuse
these
systems
to spread disinformation. because
they can converse
in humanlike
ways, they can be surprisingly persuasive.
“We
now
have
systems
that
can
interact
with
us
through
natural
language
processing and we can’t distinguish the real from the fake”, dr. bengio said.
Medium-term Risk; Job loss.
experts
are
worried that
the
new
AI could be
job killers. right
now, technologies
like
gPt-4
tend
to
complement
human
workers.
but
open
AI
acknowledges
that
they
could
replace
some
workers,
including
people
who
moderate content on the internet.
they cannot
yet
duplicate
the
work of lawyers, accountants
or doctors.
but they could replace paralegals, personal assistant and traslators.
A
paper written by open AI researchers
estimated that
80 percent
of the
uS
work force
could have
at
least
10 percent
of their work tasks
affected by
LLMs
and
that
19
percent
of
workers
might
see
at
least
50
percent
of
their
tasks impacted.
Long-term Risk: Loss of Control
Some
people
who
signed
the
letter
also
believe
artificial
intelligence
could
slip outside
our control
or destroy humanity. but
many experts
say that
is
wildly
overblown.
the
letter
was
written
by
a
group
from
the
Future
of
Life
Institute,
an
organization
dedicated
to
exploring
existential
risk
to
humanity.
they
warn
that
because
AI
systems
often
learn
unexpected
behaboiur
from
the
vast
amounts
of
data
they
analyze,
they
could
pose
serious
,
unexpected
problems.
they worry that as
companies
plug LLMs
into other
internet services,
these
systems
could
gain
unanticipated
powers,
because
they
could
write
their
own
computer
code. they say developers
will
create
new
risks
if they allow powerful
aI systems to run their own code.
“If
you look
at
a straightforward extrapolation of
where
we
are
now to
three years from now, things are pretty weird”, said Anthony Aguirre, a theoretical
cosmologist
and physicist
at
the
university of California, Santa
Cruz
and co-founder of the Future of Life Institute.
“If
you take
a less
probable
scenario-where
things
really
take
off, where
LegISLAzIone
ed
AttuALItà
there
is
no real
governance, where
these
systems
turn out
to be
more
powerful
than we thought they would be-then things get really, really crazy” he said.
dr.
etzioni
said
talk
of
existential
risk
was
hypothetical.
but
he
said
other
risks-most notably disinformation- were no longer speculation.
“Now we
have
some
real
problems”, he
said. “They
are
bona fide.
they
require
some
responsible
reaction. they may require
regulation
and
legislation.
this
is
the
problem:
which
type
of
regulation?
self-regulation,
coregulation,
etero-regulation
with
a strong public
control? Functional
or
structural
regulation
based
on
the
purpose
of
benefit?
gdPR
is
not
enough
today
to
regulate
the
complexity
of
aI,
“spontanesus
intelligence”
out of human
control. It is
important to introduce
sandbox method
regulation
with
empiric
approach
to achieve
flexible
regulation
called
“future
proof”.
not
stopping
technologic
progress,
but
it
is
important
to
introduce
adequate regulation.
on
18th
April
in
Spain
it
is
created
eCAt
european
Centre
Alghoritm
transparency to control
enforcement
of rules
digital
Services
Act. but
there
are others important problems that needs a solution:
1) the problem of relation between europe and uSA:
Shrems Case.
2)
the
problem
of
governance,
compliance,
execution,
inspection
and
public-
private enforcement.
3) the
problem
of one
Stop Shop and consistency cooperation and amicable
settlement.
4) the
problems
of liability of gatekeepers
and “notice
and take
down”
in three different activities: mere conduit, caching, hosting.
5) the problem of validation and certification of AI devices.
the
Proposal
for a
directive
of the
european Parliament
and of Council
an adapting non-contractual
civil
liability rules
to artificial
intelligence
(aI
Liability
directive)
Brussels,
28
september
2022
is
important
to
consider
the
impact
assessment
on the
initiative
on civil
liability for damages
caused
by AI.
AlthoughAI-enabled
products/services
are
expected
to
be
safer
than
traditional
ones, accident
will
still
occur. Current
liability rules, in particular national
rules
based on fault, are
not
adapted to handle
compensation claims
for
harm
caused by AI-enabled product/services. under such rules, victims
need
to prove
a
wrongful
action/omission of a
person that
caused the
damage. the
specific
characteristics
of AI , including autonomy and opacity (the
so-called
“black box”
effect) make
it
difficult
or prohibitively expensive
to identify the
liable
person and prove
the
requirements
for a
successful
liability claim. the
Commission
wants
to
avoid
that
victims
of
harm
caused
by
AI,
eg
citizens,
rASSegnA
AVVoCAturA
deLLo
StAto -n. 1/2023
business,
are
less
protected
than
victims
of
traditional
technologies.
Such
lack
of compensation can affect
their trust
in AI and ultimately the
uptake
of AI enabled
products/services. It
is
uncertain how
national
liability rules
can be
applied to the
specificities
of AI. In addition, faced with a
result, which is
unjust
for
the
victim,
courts
may
apply
existing
rules
on
an
ad
hoc
basis
in
a
way
to come
to a
just
result. this
will
cause
legal
uncertainty. As
a
result, business
will
have
difficulties
to predict
how
the
existing liability rules
will
be
applied
in case
damage
occurs. they will
thus
have
difficulties
to assess
and insure
their liability exposure. this
impact
is
magnified in case
of businesses
active
across
borders
as
the
uncertainty will
cover different
jurisdictions. It
is
also
expected that, if the
eu
does
not
act, Member States
will
adapt
their national
liability rules
to the
challenges
of AI. this
will
result
in further fragmentation
and increase costs for businesses active across borders.
the
initiative
delivers
on the
Commission’s
priority for the
digital
transition.
the
overarching objective
is
to promote
the
rollout
of trustworthy AI
to
harvest
the
full
benefits
of
AI.
therefore
the
AI
White
Paper
aims
at
creating
an ecosystem of trust to promote the uptake of AI.
the
liability initiative
is
the
necessary corollary of safety rules
adapted
to AI and complements thus the
AI Act.
the
AI initiative will:
-ensure
that
victims
ofAI-enabled
product/services
are
equally
protected
as victims of traditional technologies.
-reduce
legal
uncertainty
regarding
the
liability
exposure
of
business
developing or using AI.
-Prevent
the
emergence
of
fragmented
AI-specific
adaptations
of
national
civil liability-rules.
the proposal has three important items:
1)
to alleviate the burden of proof;
2)
Minimum harmonisation of strict liability;
3)
Mandatory insurance is needed as well.
LegISLAzIone
ed
AttuALItà
the fundamental rights of the person
in the digital horizon. Law and technology:
a possible combination?
Gaetana Natale*
“magna pars est profectus velle proficere”
Lucius
Annaeus Seneca
the
challenges
thrown
down
by
unstoppable
scientific
and
technical
progress
engage
every branch of knowledge, especially the
law, which is
responsible
for the
inalienable
functions
of regulation and protection. Specifically,
legal
systems
that
give
a
central
role
to the
person and his
dignity are
called
upon to meet
two opposing requirements:
on the
one
hand, to ensure
the
protection
of fundamental
rights, and on the
other, to allow
the
development
of
technology
and
science
(1).
In
this
regard,
the
european
economic
and
Social
Committee
has
identified privacy (2) as
one
of the
eleven areas
destined to be
changed/deleted
using
artificial
intelligence.
the
possibility
of
monitoring
tastes,
preferences
or habits, of controlling a
person's
movements, and even of
learning about
the
most
intimate
aspects
of his
or her private
life
(3), makes
it
imperative
to devise
instruments
that
give
the
holder a
power of control
over
his
or her data. thus, it
is
undeniable
that
the
legal
horizon of the
digital
revolution
opens
new
scenarios
in
terms
of
fundamental
rights,
destined
to
change
depending on the
frame
of reference. Indeed, as
far as
the
right
to privacy
is
concerned, it
is
now
anachronistic
to identify it
with the
absolute
right
to privacy (“right
to be
let
alone”) (4), meant
as
a
categorical
prohibition to
(*) Avvocato dello Stato, dottore
di
ricerca
in Comparazione
e
diritto civile, Consigliere
giuridico del
garante per la tutela dei dati personali.
Il
presente
articolo
è
la
relazione
presentata
dall’autrice
nel
corso
dell’incontro
di
studio
tenutosi
presso
l’avvocatura Generale dello Stato in data 7 giugno 2023 con la Loyola University di Chicago.
(1) Consider the
Italian legal
system, in which the
rights
of the
human person are
defined as
inviolable
by article
2 of the
Constitution, qualified as
a
general
clause
for the
protection of the
person
and his
or her interests. given their universality, they find expression in important
international
and eu
documents, such as
the
universal
declaration of human rights
(1950) and the
nice
Charter (2000), in
which the
protection of man and his
dignity, operates
expressly as
a
limit
both with regard to those
who
hold power and with regard to relations
between private
individuals. P. StAnzIone, manuale
di
diritto
privato, turin, 2021.
(2) CeSe, document
C-288, 31 August
2017. “AI poses
challenges
for society”:
ethics;
security;
privacy;
transparency and accountability;
labour;
education and skills;
(dis)equality and inclusivity;
legislative
and regulatory arrangements; governance and democracy; warfare; superintelligence.
(3) hence
the
gradual
emergence
of a
tendency towards
a
surveilled society where
all
the
social
relations
that
take
place
online
are
naturally traceable. S. zuboFF, Surveillance
Capitalism. The
future
of humanity in the age of new powers, rome, 2019.
(4) S. WArren, L. brAndeIS, The right to privacy, in Harvard Law review, 5, 1890.
rASSegnA
AVVoCAturA
deLLo
StAto -n. 1/2023
collect
information,
since
now
data
is
an
unavoidable
component
of
social
life.
on the
contrary, it
should be
declined in terms
of the
right
to procedural
lordship,
i.e.
as
the
possibility
to
directly
control
the
way
information
is
collected
and
circulated,
as
well
as
the
right
to
interrupt
the
processing
if
the
person
considers
that
it
is
damaging
to
his
or
her
interests
(“right
to
exit”).
Moreover,
it
goes
without
saying that
the
relationship between rights
and new
technologies
is of constant complementarity and integration.
In the
view
of the
multidisciplinary nature
of subject, after briefly outlining
the
state
of the
art, and analysing the
main regulatory sources
in the
eu
sphere, we
will
dwell
on the
main critical
issues
related to the
use
of artificial
intelligence
for the
fundamental
rights
of the
person, not
without
attempting
to outline
methods
and tools
useful
in regulating the
complex and constantly
evolving relationship between man and machine.
Technical hints: aI and big data.
Prodromal
to
all
questions
concerning
the
new
technologies’
legal
aspects
is the understanding - at least in broad terms - of the phenomenon.
defining
the
technology
that
is
looming
on
the
horizon,
is
already
a
difficult
operation
in
itself
for
the
jurist,
first
of
all
because
he
is
a
neophyte
in
the
technological
field,
and
then
for
the
presence
of
a
mare
magnum
of
notions.
usually
the
definition
of
A.I.
refers
to
the
idea
of
human
intelligence,
which
includes
the
ability
to
learn
and
extract,
to
reason
and
use
language,
to
predict,
to
decide
with
varying
degrees
of
autonomy
(5).
In
fact,
already
in
1950,
Alan
turing,
considered
the
founding
father
of
computer
science,
stated
“the
idea
behind
digital
computers
may
be
explained
by
saying
that
these
machines
are
intended
to
carry
out
any
operations
which
could
be
done
by
a
human
computer”
(6).
In
other
words,
if
the
process
is
qualified
as
intelligent
when
performed
by
a
human
being,
then
it
can
also
be
qualified
as
intelligent
when
performed
by
a
machine.
on
the
regulatory
level,
however,
we
would
like
to
point
out
the
formula
contained
in
Article
3
no.
1
of
the
european
Commission’s
proposal
for
a
regulation
on
artificial
intelligence,
whereby
“artificial
intelligence
system
means
software
that
is
developed
with
one
or
more
of
the
techniques
and
approaches
listed
in
Annex
I
and
can,
for
a
given
set
of
human-defined
objectives,
generate
outputs
such
as
content,
predictions,
recommendations,
or
decisions
influencing
the
environments
they
interact
with”
(7).
(5) thus
b. MArChettI, voice
Digital administration, in Enciclopedia del diritto, Milan, 2022.
(6) A. turIng, Computering machinery and intelligence, in 59 mind, 1950, 436.
(7) Proposal
for a
regulation of the
european Parliament
and of the
Council
laying down harmonised
rules
on artificial
intelligence
and amending certain union legislative
acts, 21 April
2021, CoM
(2021)
206
final,
available
online
at
the
following
link:
https://eur-lex.europa.eu/legalcontent/
IT/TXT/?uri=CELEX%3a52021PC0206. For a more precise definition see the one formulated
LegISLAzIone
ed
AttuALItà
With
regard
to
operation,
these
machines
are
based
on
algorithms,
i.e.
ordered
sequences
of actions
that, given certain input
data
(input), arrive
at
producing
the
desired
end
result
(output),
which
constitutes
the
solution
to
the
problem
for
which
the
algorithm
was
constructed.
While
this
statement
can
be
applied to any intelligent
system, the
phenomenon, as
mentioned earlier,
must
necessarily be
understood in plural
terms, moving from
the
simplest
expert
systems, to gradually more
refined devices, even capable
of autonomous
learning. In more detail, the following classifications are proposed (8):
a)
model-based
algorithms:
they
work
according
to
hard
rules,
i.e.
defined
and
unambiguous
instructions
provided
by
experts
in
a
given
field
which,
when executed, lead to a certain and defined result;
b)
machine
learning (ML) algorithms:
starting from
structured and categorised
data,
the
systems
learn
how
to
classify
new
data
according
to
type;
they are
optimised by human feedback, which indicates
incorrect
and correct
classifications;
c)
deep
learning
(dL)
algorithms:
like
the
former
are
characterised
by
the
ability to learn autonomously from
experience
and to develop their own
logic
to arrive
at
the
final
result, but
by exploiting neural
networks
they are
able
to process
unstructured data. unlike
the
latter, training by a
developer is
not necessary.
briefly,
there
are
at
least
two
critical
issues
that
the
most
sophisticated
algorithms
present,
which
are
relevant
from
both
an
engineering
and
a
legal
point
of
view.
the
first,
located
in
the
learning
phase,
concerns
the
large
amount
of
data
(big
data)
required
for
the
machines
to
provide
reliable
results
(at
least
100
million
data
points
for
dL
systems).
the
second
relates
to
its
defect
of
explainability,
since
it
is
not
possible
to
know
the
process
by
which
the
system,
given
certain
inputs,
arrives
at
certain
outputs
(black
boxes)
(9).
Indeed,
once
the
training
phase
is
over,
the
algorithm
develops,
with
experience,
autonomous
decision
logics,
which
the
programmer
is
neither
able
to
predetermine
or
predict.
It
should
not
be
forgotten
that
such
results
may
be
correct,
incorrect
and
even
discriminatory
(bias).
hence
the
well-known
difficulty
of
using
these
intelligent
systems
to
assist
or
even
replace
humans
in
public
decision-making
processes,
considering
the
high
level
of
guarantees
provided
by
national
legal
systems
and
european
and
international
law
(10).
by the
high Level
expert
group on Artificial
Intelligence
appointed by the
european Commission in
the
document
on a
definition of
aI:
main Capabilities
and Disciplines, brussels, April
2019, available
at
the
following
link:
https://digital-strategy.ec.europa.eu/en/library/definition-artificial-intelligencemain-
capabilities-and-scientific-disciplines.
(8)
https://www.ionos.com/digitalguide/online-marketing/search-engine-marketing/deeplearning-
vs-machine-learning/.
(9) For all, compare F. PASQuALe, The black box society, 2016.
rASSegnA
AVVoCAturA
deLLo
StAto -n. 1/2023
Legal
aspects: data protection in the
system
of
international
and Community
law sources.
It
emerged from
this
concise
discussion that
in the
age
of artificial
intelligence,
data
are
essential
resources
for
economic,
social
and
technological
development, representing the
raw
material
on which technology feeds
(11).
In
this
regard,
the
economist
reported:
“data
will
be
(and
perhaps
already
are)
the
oil
of the
future”
(12). this
statement
aptly describes
the
phenomenon if
one
considers
that
the
predictive
capacity of algorithms, besides
being used
to
pursue
general
interests,
can
also
be
employed
to
maximise
the
profit
of
private
powers.
In
concrete
terms,
these
machines
predict
consumption
and
market
trends, the
wear and tear of infrastructures, diagnoses
and cures, disasters
and political
decisions, even electoral
results. of course, there
is
often a
cost
to
this:
economic
exploitation
and
commodification
of
personal
data.
this
mechanism
needs
to be
regulated, as
data
is
not
just
an input, from
which a
machine
proceeds
to arrive
at
a
certain result, but
encompasses
a
universe
of
information
of
an
individual's
life,
which
it
detects
as
an
object
to
be
protected.
the
protection of personal
data
is
first
and foremost
a
principle
that
has
multiple
normative
foundations
in international, supranational
and domestic
law.
Proceeding
by
hierarchy,
significant
is
the
wording
of
Article
8
of
the
european
Convention
on
human
rights
(eChr),
which,
in
recognising
the
right
of every person to respect
for his
or her private
and family life, home
and correspondence,
represents
the
parameter
on
the
basis
of
which
the
Strasbourg
Court
ascertains
possible
violations
of the
right
to privacy (13). other normative
references
are
Article
12 of the
universal
declaration of human rights,
which states:
“no one
shall
be
subjected to arbitrary interference
with his
privacy,
family, home
or correspondence, nor to attacks
upon his
honour and reputation.
everyone
has
the
right
to
the
protection
of
the
law
against
such
interference
or attacks”
and Article
17 of the
International
Covenant
on Civil
and Political rights, which incorporates it verbatim.
(10) on this
subject
the
literature
is
endless. Ex
plurimis, e. PICozzA, artificial
intelligence
and
law. Politica, diritto amministrativo, and artificial
intelligence, in Giur. It., 2019, no. 7;
C. CASonAto,
Costituzione
e
intelligenza artificiale: un’agenda per
il
prossimo futuro, in Biolaw Journal, 2019, no.
2; F. donAtI, Intelligenza artificiale e giustizia, in riv. aIC, 2020, no. 415.
(11) M. CASteLLS, The rise of the Network society, oxford, 2000.
(12) The
world’s
most
valuable
resource
is
no longer
oil
but
data. The
data economy
demands
a
new approach to antitrust rules, in the
Economist, 6 May 2017.
(13) In
Sidabras
v. Lithuania, the
eChr gave
a
very broad interpretation of the
right
to privacy
under Article
8 of the
eChr. the
Strasbourg judges
held, in fact, that
the
protection provided by this
article
extends
to encompass
the
right
of each person to develop social
relations
free
from
all
forms
of
discrimination or social
stigmatisation, thus
also allowing him
or her the
full
enjoyment
of his
or her
private
life. the
Court, therefore, considered the
overall
place
of the
person in society, stating that
full
respect
for privacy is
a
condition for equality and the
enjoyment
of fundamental
rights, such as
the
right
to work.
LegISLAzIone
ed
AttuALItà
the
european union, in addition to Article
16 teu, inserts
the
right
to
the
protection of personal
data
in Article
8 of the
Charter of nice
(CdFue),
making it
a
fundamental
right
that
binds
not
only the
eu
institutions, but
extends
to all
member states, pursuant
to Article
51 of the
same
Charter. In particular,
it
represents
a
specific
declination
of
the
right
to
respect
for
private
and family life
referred to in Article
7 of the
same
document
and already provided
for in Article
8 of the
eChr. Precisely, the
provision establishes:
“1.
everyone
has
the
right
to the
protection of personal
data
concerning him
or
her. 2. Such data
shall
be
processed fairly, for specified purposes
and on the
basis
of
the
consent
of
the
person
concerned
or
some
other
legitimate
basis
laid down by law. every person shall
have
the
right
of access
to the
data
collected
concerning
him
or
her
and
the
right
to
have
them
rectified.
3.
Compliance
with
these
rules
shall
be
subject
to
control
by
an
independent
authority”. What
emerges
from
all
these
sources
is
a
common conception of
privacy that
does
not
coincide
with the
traditional
concept
of the
right
to anonymity
or to be
let
alone, but
rather with the
idea
that
everyone
should have
the
right
to control
his
or her own personal
information, as
a
prerequisite
for
the
exercise
of
many
other
rights
of
freedom,
especially
of
a
cyber
nature
(14).
the
european
union,
in
its
aim
to
assert
a
european
“digital
sovereignty”,
envisages
the
construction
of
a
majestic
regulatory
framework,
essentially
based on four pillars:
a)
protection and enhancement
of personal
data:
the
former covered by
regulation
(eu)
2016/679
“on
the
protection
of
individuals
with
regard
to
the
processing of personal
data
and on the
free
movement
of such data”
(better
known as
gdPr);
the
latter by the
Data act, the
Data Governance
act
and
the proposed regulation on the european health data space;
b)
digital
services
and the
digital
market:
the
subject
of the
digital
Services
act
and the
Digital markets
act;
c)
digital
identity:
the
2014 e-IdAS
regulation is
to be
revised in this
respect;
d)
Artificial
Intelligence:
a
proposal
for
a
european
regulation
laying
down harmonised rules
on artificial
intelligence
(Artificial
Intelligence
Act)
(14) reference
is
made
to the
doctrine
of cyber-freedom, a
theory that
was
put
forward in 1981
and had its
ideological
matrix in the
conception of a
new
liberalism. It
was
originally distinguished into
positive
and negative
freedom. negative
freedom
of information technology expresses
“the
right
not
to
place
in the
public
domain certain information of a
personal, private, confidential
nature
(qualifications
that
may not
coincide
with each other in certain cases);
positive
freedom
of information technology, on
the
other
hand,
expresses
the
faculty
to
exercise
a
right
of
control
over
data
concerning
one's
own
person
that
have
escaped the
circle
of privacy because
they have
become
input
elements
of an electronic
programme;
and therefore
positive
freedom
of information technology, or the
recognised subjective
right,
to
know,
correct,
remove
or
add
data
in
an
electronic
personal
file”.
thus
V.
FroSInI,
La
protezione
della
riservatezza nella società informatica, in n. MAtteuCCi
(ed.), Privacy
and data banks, bologna, 1981,
37 ff. (later included in vol. Id., Informatica diritto e società, 2nd ed., Milan 1992, 173 ff.).
rASSegnA
AVVoCAturA
deLLo
StAto -n. 1/2023
and
amending
certain
pieces
of
union
legislation
is
in
the
process
of
being
adopted.
The GDPr: regulation (EU) 2016/679.
In order to understand the
transformation of privacy in the
age
of AI, it
is
necessary to start
by analysing the
gdPr regulation (15). According to Article
2, it
also applies
to the
processing of personal
data
carried out
in whole
or in part
by artificial
intelligence
(16). Article
1, in defining object
and pur-
pose, states:
“this
regulation lays
down rules
relating to the
protection of individuals
with regard to the
processing of personal
data, and rules
relating to
the
free
movement
of such data”. Already the
first
provision shows
how
the
right
to
privacy
is
not
protected
absolutely,
but
must
be
combined
with
the
need for free
movement
of data. Indeed, the
purpose
of the
regulation is
not
only to guarantee
the
protection of personal
data, but
also to promote
the
development
of the digital Single Market (17).
to increase
citizens'
trust
in the
use
of new
digital
services, a
trustworthy
digital
environment
must
be
created, in which the
identity of the
data
controller,
the procedures and the levels of protection are known. the regulation focuses
on the
principles
of accountability and compliance, as
set
out
in Article
5(2)
(“the
controller
shall
be
responsible
for,
and
be
able
to
demonstrate
compliance
with,
paragraph
1
(“accountability”)”).
these
are
primarily
incumbent
on
the
data
controller,
who
is
called
upon
to
choose
the
most
appropriate
measures
to prevent
risks, to take
the
necessary decisions
and to prove
that
they
are adequate, on pain of liability under Article 24.
the
gdPr’s
approach
is
based
on
risk
assessment
(risk
based),
a
para-
meter
against
which
the
degree
of
accountability
of
the
data
controller
or
processor
is
measured.
obviously,
the
controller
is
bound
by
specific
principles
set
out
in
the
regulation:
in
particular,
privacy
by
design
and
by
default
and
Data
Protection
Impact
assessment.
the
principle
of
privacy
by
design,
referred
to
in
Article
25(1)
of
regulation
(eu)
2016/679,
provides
that,
taking
into
account
the
state
of
the
art
and
the
costs
of
implementation,
as
well
as
the
nature,
scope,
context
and
purposes
of
the
processing,
as
well
as
the
risks
(15) https://protezionedatipersonali.it/privacy-by-design-e-by-default.
(16) Art. 2 “Material
scope”
“this
regulation applies
to the
processing of personal
data
wholly
or partly by automated means
and to the
processing other than by automated means
of personal
data
which form
part
of a
filing system
or are
intended to form
part
of a
filing system”. See
g. FInoCChIAro,
XVIII lezione: intelligenza artificiale, privacy
e
data protection, in u. ruFFoLo
(ed.), XXVI Lezioni
di
diritto dell'intelligenza artificiale, turin, 2021, 331 ff.
(17)
recital
7
“those
developments
require
a
strong
and
more
coherent
data
protection
framework
in the
union, backed by strong enforcement, given the
importance
of creating the
trust
that
will
allow
the
digital
economy to develop across
the
internal
market. natural
persons
should have
control
of their
own personal
data. Legal
and practical
certainty for natural
persons, economic
operators
and public
authorities
should be enhanced”.
LegISLAzIone
ed
AttuALItà
having
different
probability
and
severity
for
the
rights
and
freedoms
of
natural
persons
constituted
by
the
processing,
the
controller
must
implement,
both
when
determining
the
means
of
processing
and
at
the
time
of
the
processing
itself,
“appropriate
technical
and
organisational
measures,
such
as
pseudonymisation”
(referred
to
in
Art.
4(1)(5)),
designed
to
implement
effectively
the
principles
of
data
protection,
such
as
data
minimisation,
and
to
incorporate
in
the
processing
the
necessary
safeguards
to
meet
the
requirements
of
the
regulation
and
to
protect
the
rights
of
data
subjects.
Linked
to
this
criterion
is
the
principle
of
privacy
by
default,
which
is
enshrined
in
the
second
paragraph
of
Article
25
of
regulation
(eu)
2016/679:
the
data
controller
must
implement
“appropriate
technical
and
organisational
measures
to
ensure
that
only
the
personal
data
necessary
for
each
specific
purpose
of
the
processing
are
processed
by
default”.
the
individual
is
protected
in
a
strengthened
way
since
the
provision
establishes
access
to
an
indefinite
number
of
natural
persons
by
machines
(without
the
intervention
of
the
natural
person)
and
provides
that
the
obligation
is
calibrated
on
aspects
such
as
the
amount
of
data,
the
scope
of
processing,
the
retention
period
and
accessibility.
Also
interesting
is
Article
35
of
reg.
(eu)
2016/679,
concerning
the
so-called
Data
Protection
Impact
assessment:
when
a
type
of
processing,
involving
in
particular
the
use
of
new
technologies,
taking
into
account
the
nature,
subject
matter,
context
and
purpose
of
the
processing,
may
present
a
high
risk
for
the
rights
and
freedoms
of
natural
persons,
the
data
controller
shall
carry
out,
before
processing,
“an
assessment
of
the
impact
of
the
intended
processing
on
the
protection
of
personal
data”
(18).
despite
its
complexity
-173
recitals
and
99
articles
-and
its
proactive
and
flexible
approach
to
the
subject
of
personal
data
protection,
the
gdPr
cannot
be
considered
a
self-sufficient
and
immutable
body
of
legislation.
the
drafters
themselves
are
aware
of
these
qualities,
and
in
Articles
12(8)
and
43
(8)
they
empower
the
european
Commission
to
adopt
delegated
acts
and
implementing
acts
to
lay
down
technical
standards
concerning
certification
mechanisms
and
data
protection
seals
and
marks,
and
delegate
to
the
Member
States
the
adoption
of
more
specific
rules
to
adapt
the
application
of
the
regulation.
Furthermore,
Article
97
provides
for
a
review
of
the
gdPr
every
four
years,
allowing
the
Commission
the
possibility
of
proposing
amendments
to
the
regulation,
taking
into
account
“in
particular
developments
in
information
technology
and
progress
in
the
information
society”.
Proposed regulation on aI.
As
much as
the
tools
and principles
provided by the
gdPr lend them
(18) https://protezionedatipersonali.it/privacy-by-design-e-by-default.
rASSegnA
AVVoCAturA
deLLo
StAto -n. 1/2023
selves
to extensive
application in today's
“data-driven society”, there
is
an urgent
need to develop models for regulating new technologies.
Self-regulation?
homogenous
or sector-specific
regulation?
Whereas
in
the
united
States
there
has
been
a
move
towards
a
self-regulatory
model,
while
in China
there
has
been specific
and detailed regulation, the
european legislator
has
opted
for
a
horizontal
approach,
with
rules
applicable
to
each
sector
(health, financial, etc.). the
proposal
for a
regulation of the
european Parliament
and
of
the
Council
laying
down
harmonised
rules
on
artificial
intelligence
(Artificial
Intelligence
Act) aims
to ensure
that
AI systems
placed on
the
eu
market
are
safe
and ethical, comply with existing fundamental
rights
legislation, and respect
eu
values
through a
proportionate
risk-based approach.
AI systems
are
classified according to the
risk they present
into three
categories:
a) AI with unacceptable
risk;
b) AI with high risk;
c) AI with low
or
minimal
risk.
Firstly,
systems
that
present
an
unacceptable
risk
are
banned.
these
include
“real-time”
remote
biometric
identification systems
in publicly
accessible
spaces
(19). Instead, for low-risk AI systems, certain transparency
obligations
are
laid down and codes
of conduct
are
encouraged. For instance,
for
AI
systems
intended
to
interact
with
individuals,
it
is
required
that
they
must
be
informed
of
the
interaction
with
an
AI
system;
for
so-called
“deep
fake”, systems
that
generate
or manipulate
images
or audio or video content
that
closely
resemble
existing
persons,
objects,
places
or
other
entities
or
events
and that
could appear falsely authentic
or true, it
is
required that
users
disclose
that
the
content
has
been
artificially
generated
or
manipulated.
Finally,
the
obligations
for the
adoption of high-risk AI systems
are
listed in detail. In
particular,
it
is
stipulated
that
such
systems
are
subject
to
an
ex
ante
conformity
assessment
procedure, which concludes
with the
affixing of the
Ce
mark. In
addition, high-risk AI systems
must
be
designed and developed in such a
way
to guarantee, by means
of automatic
event
logging and throughout
their life
cycle,
the
traceability
of
their
operation,
which
must
be
sufficiently
transparent
to enable users to interpret their output and use it appropriately.
It
is
clear that
the
proposed new
regulation borrows
its
main axes
from
the
gdPr:
from
the
risk-based
approach,
to
the
duties
of
transparency
towards
users,
to
certifications
and
codes
of
conduct.
Furthermore,
the
unavoidable
incidence
point
for
both
subjects
is
not
marginal:
the
processing
of
personal
data
is
functional
to feeding artificial
intelligence
systems
with a
view
to their automatic
learning.
It
is
evident,
therefore,
how
errors
or
mistakes
in
the
processing
of data
functional
to the
feeding of the
machine
are
reflected in as
many
(19)
this
is
the
only
system
whose
prohibition
has
exceptions,
pursuant
to
Article
9
of
the
gdPr,
in cases
of searching for victims
of crime, threats
to life
or terrorist
acts, or searching for persons
guilty
of serious
criminal
offences. In these
cases, the
use
of the
system
may be
permitted, subject
to authorisation
by a judicial authority or independent administrative authority.
LegISLAzIone
ed
AttuALItà
distortions
of
the
algorithmic
process
(20).
So
there
is
an
objective
need
to
avoid the
emergence
of antinomies
between the
different
disciplines
mentioned,
in
order
to
make
the
regulation
of
the
matter
as
a
whole
more
organic
and
effective.
Law and technology: a possible combination?
In a
climate
of general
mistrust
towards
technological
and scientific
progress,
the
european union's
attempt
to regulate
the
artificial
intelligence
phenomenon
is
certainly to be
welcomed, although aware
that
the
speed at
which
artificial
intelligence
is
progressing and the
complexity of the
issues
carries
the
risk
of
making
any
regulation
immediately
obsolete.
If
law
and
technology
travel
at
two different
speeds, perhaps
it
would be
appropriate
to adapt
legal
instruments
to the
speed of the
latter?
Perhaps
by opting for soft
law
instruments
rather
than
hard
law
ones?
Perhaps
by
preferring
general
rather
than
detailed
legislation?
one
thing
is
certain:
the
transnationality
of
the
phenomenon
requires that all questions will be answered at a global level.
(20) C. utz
et
al., (Un)informed Consent: Studying GDPr
Consent
Notices
in the
Field, in aCm
SIGSaC
Conference
on
Computer
and
Communications
Security,
november
11-15,
2019,
London,
united
Kingdom, ACM, new
York, nY, uSA.
rASSegnA
AVVoCAturA
deLLo
StAto -n. 1/2023
amministrare per processi. Il PnRR, il PIao
e il Business Process Reengineering nelle Pubbliche
amministrazioni: un’occasione da non perdere
Antonino Ripepi*
SommarIo: 1. La reingegnerizzazione
dei
processi
nelle
Pubbliche
amministrazioni: lineamenti
teorici
-2. Non solo teoria del
management
pubblico: il
CCNL
31 marzo 1999 e
l’introduzione
di
sistemi
premianti
-3. BPr
e
amministrazioni. Il
ruolo del
dirigente
-4. Il
trust
management
-5. Un’occasione
da non perdere
per
la reingegnerizzazione
dei
processi:
il PNrr e il PIao - 6. Conclusioni.
1.
La
reingegnerizzazione
dei
processi
nelle
Pubbliche
amministrazioni:
lineamenti
teorici.
L’art.
6
d.Lgs.
n.
165/2001
stabilisce
che,
nelle
amministrazioni
pubbliche,
l’organizzazione
e
la
disciplina
degli
uffici,
nonché
la
consistenza
e
la
variazione
delle
dotazioni
organiche,
siano
determinate
sulla
base
della
verifica
dei
fabbisogni
effettivi
e
in
funzione
delle
finalità
di
accrescimento
dell’efficienza,
della
razionalizzazione
del
costo
del
lavoro,
del
contenimento
della
spesa
complessiva
per
il
personale
e
della
migliore
utilizzazione
delle
risorse
umane.
La
ridefinizione
degli
uffici
e
delle
dotazioni
organiche
deve
essere
valutata
periodicamente
e
comunque
a
scadenza
triennale,
nonché,
ove
risulti
necessario,
a
seguito
di
riordino,
fusione,
trasformazione
o
trasferimento
di
funzioni, adottando allo scopo gli
atti
previsti
dal
proprio ordinamento e, nel
caso
di
variazioni
alle
dotazioni
organiche
già
determinate,
con
l’approvazione
dell’organo di
vertice
di
ciascun ente. La
riorganizzazione
in esame
deve
avvenire
in coerenza
con la
programmazione
triennale
del
fabbisogno di
personale
e
con
gli
strumenti
di
programmazione
economico-finanziaria
pluriennale.
In questo contesto sistematico, le
Pubbliche
Amministrazioni
moderne,
anche
a
seguito della
diffusione
delle
dottrine
del
management
pubblico a
far
data
dagli
anni
’80 del
secolo scorso, si
indirizzano sempre
più verso logiche
di processo e non di mero procedimento.
Infatti,
mentre
il
tradizionale
procedimento
amministrativo,
di
cui
alla
L.
n.
241/1990,
è
prescritto
da
una
norma
ed
è
“preordinato
per
adempiere
schematicamente
a
una
serie
di
azioni
predefinite
che
obbediscono
alla
legge”
(1),
il
processo
è
un
concetto
di
derivazione
economico-aziendali(*)
Procuratore
dello Stato -Avvocatura
distrettuale
di
reggio Calabria, referente
distrettuale
per la
“rassegna dell’Avvocatura dello Stato”.
(1) In tali
termini, A. LIPPI
-M. MorISI, Scienza dell’amministrazione, Il
Mulino, 2005, p. 91. gli
Autori
illustrano
ampiamente
come
il
procedimento
sia
tradizionalmente
osservato
dalla
prospettiva
esterna della legge, superiore rispetto agli individui e agli uffici coinvolti nell’azione amministrativa.
LegISLAzIone
ed
AttuALItà
stica,
“strumento
gestionale
che
dà
rilievo
alla
persona,
vista
nelle
sue
relazioni
all’interno
di
un
gruppo
e
in
grado
di
far
circolare
le
informazioni
in
modo
fluido”
(2).
Il
processo,
dunque,
configura
un
concetto
più
ampio
rispetto
al
procedimento
amministrativo
e
alla
contigua
nozione
di
“procedura”,
la
quale
condivide
con
il
procedimento
l’idea
della
rigida
predeterminazione
delle
azioni
(3).
La
nozione
può
essere
ulteriormente
precisata
attraverso
la
distinzione
rispetto
al
“progetto”:
quest’ultimo
è
un
evento
produttivo
unico,
con
data
di
inizio
e
fine,
laddove
il
processo
è
un
evento
ripetitivo
e
standardizzato,
connotato
da
uno
o
più
fornitori
e
da
uno
o
più
clienti
interni
alla
stessa
Amministrazione
(4).
Attraverso
il
processo,
infatti,
si
assiste
all’inserimento
di
un
input,
ossia
di
un
variegato
materiale
di
immissione
(politiche
pubbliche,
finanziamenti,
stimoli
esterni),
all’interno
di
un
processo
di
attuazione
(throughput)
(5),
che
conduce
al
risultato
tangibile
e
concreto,
in
termini
di
atti,
servizi,
prodotti
(6)
(output).
Proprio
in
virtù
di
tali
caratteristiche,
l’implementazione
di
una
mentalità
per
processi
incide
necessariamente
sulle
strutture
dell’organizzazione
amministrativa
e
rende
necessario
un
costante
lavoro
di
sperimentazione
di
profili
organizzativi
innovativi
e
valutazione
degli
effetti
delle
novità
introdotte
in
concreto.
tradizionalmente, infatti, si
tendeva
a
formalizzare
rigidamente
la
struttura
organizzativa
in
funzione
di
riduzione
dell’incertezza
e
delle
minacce
provenienti
dal
mondo esterno (7). tuttavia, con il
passare
del
tempo, la
dottrina
di
settore
ha
preso consapevolezza
dell’esistenza
di
strutture
di
potere
infor
(2) e. LeonArdI, Disegnare
i
processi. Il
metodo Zoom
Up. La persona e
il
gruppo. La comunicazione
interna, FrancoAngeli, 2012, p. 15. L’Autrice
evidenzia, altresì, la
distinzione
tra
funzione
e
processo:
mentre
la
prima
è
un insieme
di
uomini
e
mezzi
necessari
per lo svolgimento di
attività
della
stessa
natura, i
processi
mettono in relazione
funzioni
e
mezzi
di
aree
diverse
per conseguire
obiettivi
comuni (p. 17).
(3) A. LIPPI
- M. MorISI, op. cit., p. 92.
(4) A. gAndoLFI
-F. FrIgo
MoSCA
-r. bortoLetto, Il
process
mapping in pratica. Descrivere
i
processi
in
modo
intuitivo.
Individuare
le
lacune,
inefficienze,
doppioni.
Formalizzare
le
procedure,
FrancoAngeli, 2014, p. 14.
(5) A. LIPPI
- M. MorISI, op. cit., p. 89.
(6) È
interessante, peraltro, osservare
come
non tutti
gli
studiosi
siano concordi
circa
la
completa
equiparazione
tra
P.A. e
aziende
private, in quanto la
prima
è
preordinata
al
conseguimento di
fini
pubblici
(ad esempio V. bonAnno
e
S. FAbIAno, nel
corso delle
rispettive
lezioni
tenute
al
Corso di
formazione
“Co.A
6
-Sessione
ordinaria”).
tale
non
completa
equiparabilità
rende
la
“traslazione”
delle
impostazioni
teoriche
e
dei
conseguenti
modelli
adottati
nell’ambito privato particolarmente
complessa
e oggetto, dunque, di continui approfondimenti.
(7) A. CoStAnzo, organizzazione
e
scienza dell’amministrazione
negli
enti
pubblici
con approfondimenti
per
INPS e
enti
locali, edizioni
eL, p. 11. L’Autore
evidenzia
come
tale
antica
concezione
sia
stata
scardinata
dalla
teoria
dei
sistemi, la
quale
può “favorire
la
costituzione
di
gruppi
di
lavoro e
di linee di processo responsabili di obiettivi consensualmente definiti o comunque condivisi” (p. 12).
rASSegnA
AVVoCAturA
deLLo
StAto -n. 1/2023
male
affiancate
all’organigramma
formalizzato (8), connotate
da
figure
quali
i
leaders, i
gatekeepers
-ossia
detentori
di
una
risorsa
pregiata
e
strategica,
usata
per accrescere
il
potere
personale
-e
i
relais, coloro che
sono in grado
di
mediare
con altre
organizzazioni. d’altronde, la
coesistenza
di
ruoli
informali
e
ruoli
formalizzati
all’interno dei
gruppi
è
stata
individuata
anche
dai
sociologi generali (9) e dai sociologi dell’organizzazione (10).
ebbene,
in
una
struttura
pubblica
sempre
più
caratterizzata
da
“legami
deboli”
(11),
in
cui
i
rapporti
di
dipendenza
dati
dall’autorità
si
interrompono
o
funzionano
in
modo
intermittente,
una
mentalità
per
processi
può
condurre
al
superamento
delle
rigidità
della
burocrazia
meccanica,
caratterizzata
da
gerarchia,
accentramento
decisionale,
mansioni
molto
specializzate,
strutture
“lunghe”
e
difficoltà
comunicative,
con
tutte
le
consequenziali
inefficienze
(12).
La
logica
di
processo, infatti, impone
di
adottare
una
lean organization,
ossia
una
struttura
piatta
e
flessibile
(13), in cui
la
catena
gerarchica
si
riduce
a
un
rapporto
diretto
tra
vertice
decisionale
e
operatori
e
i
gruppi
di
lavoro
sono
polarizzati
intorno
a
singoli
progetti,
dei
quali
occorre
garantire
la
qualità,
l’efficienza, l’efficacia e la competitività (14).
In
tali
strutture,
che
la
dottrina
definisce
adhocratiche
(15),
l’orientamento
al
prodotto o al
servizio finale
fa
sì
che
acquisisca
rilievo determinante
il
reticolo
di
relazioni
interpersonali
sussistenti
tra
gli
attori
coinvolti. gli
attori
di
processo, infatti, devono scambiarsi
informazioni
e
coordinare
gli
sforzi
personali
in vista
del
perseguimento di
obiettivi
in favore
del
c.d. cliente
di
processo
(16).
2. Non solo teoria del
management
pubblico: il
CCNL
31 marzo 1999 e
l’introduzione
di sistemi premianti.
d’altronde, l’orientamento alle
logiche
di
processo e
al
prodotto finale,
piuttosto
che
al
mero
adempimento
e
alla
logica
burocratica,
non
è
rimasto
cristallizzato unicamente
negli
scritti
teorici
di
management
citati, ma
ha
ricevuto
consacrazione giuridica nel CCnL 31 marzo 1999.
(8) A. LIPPI
- M. MorISI, op. cit., p. 48.
(9) F. FerrArottI, manuale di sociologia, Laterza editore, 1992, pp. 66 ss.
(10) M. CrozIer, Il fenomeno burocratico, Milano, etAS, 1969.
(11) espressione
di
K. WeICK, Educational
organizations
as
loosely
coupled systems, in administrative
science quarterly, 21, 1976, pp. 1-19.
(12) A. LIPPI
- M. MorISI, op. cit., p. 58.
(13) La dottrina discute anche di “azienda corta”:
A. CoStAnzo, op. cit., p. 305.
(14)
Sono
i
concetti
alla
base
di
Lean
management.
Cose
mai
dette,
A.
PAYAro,
esculapio
editrice,
2017, pp. 2 ss.
(15) Il
termine, coniato da
A. toFFLer
nel
suo Future
Shock
del
1970, è
etimologicamente
legato
all’espressione
latina
ad hoc
e
identifica
organizzazioni
estemporanee, rapsodiche, funzionalizzate
a
un
singolo obiettivo e destinate a sciogliersi dopo il suo raggiungimento.
(16) e. LeonArdI, op. cit., p. 33.
LegISLAzIone
ed
AttuALItà
esso,
infatti,
ha
inteso
superare
la
vetusta
logica
del
“mansionario”,
in
virtù della
quale
il
dipendente
si
limitava
allo svolgimento pedissequo di
attività
specifiche
individuate
dal
contratto di
lavoro individuale, peraltro interpretate
spesso in modo restrittivo, al
fine
di
ricercare
una
flessibilità
interna
del lavoro pubblico.
In tale
ottica, il
CCnL
citato ha
introdotto quattro ampie
categorie
professionali,
all’interno di
ognuna
delle
quali
ha
definito delle
declaratorie
e
dei
profili
professionali, imponendo, peraltro, che
lo sviluppo della
retribuzione
sia correlato alle competenze professionali del lavoratore.
Ciò
implica
“una
forte
autonomia
organizzativa
in
tema
di
definizione
del
sistema
dei
ruoli
professionali
e
descrizione
del
contenuto
della
prestazione
lavorativa”
(17)
e
consente
l’arricchimento
professionale
dei
lavoratori
sia
in
termini
orizzontali,
attraverso
la
definizione
di
profili
che
contengano
all’interno
un’ampia
gamma
di
mansioni
tra
loro
equivalenti,
che
in
termini
verticali,
individuando
percorsi
di
sviluppo
professionale
funzionali
a
premiare
il
merito.
Questa
impostazione
è
stata
autorevolmente
confermata
dalla
giurisprudenza
della
Suprema
Corte
di
Cassazione, che
ha
statuito la
correttezza
del-
l’esercizio del
potere
privatistico della
P.A. nell’esercizio dello ius
variandi,
purché nell’ambito del profilo professionale esigibile (18).
Inoltre, anche
l’ArAn, nell’orientamento applicativo CFL95, ha
affermato
che
“3.3. Condizione
necessaria e
sufficiente
affinché
le
mansioni
possano
essere
considerate
equivalenti
è
la
mera
previsione
in
tal
senso
da
parte
della contrattazione
collettiva
(…) 3.4. Tale
nozione
di
equivalenza in senso
formale,
mutuata
dalle
diverse
norme
contrattuali
del
pubblico
impiego,
comporta
che
tutte
le
mansioni
ascrivibili
a ciascuna categoria, in
quanto professionalmente
equivalenti,
sono
esigibili
e
l’assegnazione
di
mansioni
equivalenti
costituisce
atto di
esercizio del
potere
determinativo dell’oggetto
del contratto di lavoro” (19) (enfasi aggiunta).
Successivamente, l’evoluzione
normativa, in sinergia
con le
disposizioni
del
CCnL, ha
delineato un sistema
organizzativo sempre
più orientato al
risultato,
introducendo
riconoscimenti
e
gratificazioni
economiche
precedute
da
valutazioni
meritocratiche
(20) operate, tra
l’altro, mediante
il
paradigma
della
flessibilità
operativa
e
dell’orientamento alla
soddisfazione
dell’utenza
(17) r. gIoVAnnettI, I profili
professionali
negli
enti
locali: un possibile
modello di
descrizione
del
lavoro,
in
https://net.cisl.it/~cisluniversita.lecce/FoV3-0008318B/FoV30006BCFa/Profili%20professionali%
20e%20descrizione%20del%20lavoro.PDF?Plugin=Block, p. 2.
(18) Corte di Cassazione, Sez. Lavoro, 12 febbraio 2021, sent. n. 3666.
(19)
In
https://www.aranagenzia.it/component/content/article/7662-funzioni-locali-emergenzacovid-
19/10878-cfl95.html.
(20) M.g. bAgnAto, Il
sistema di
valutazione
della prestazione
come
leva di
sviluppo, in A. PI-
StonI
(a cura di), Corporate performance management, hoepli, 2009, pp. 178-188.
rASSegnA
AVVoCAturA
deLLo
StAto -n. 1/2023
ed affidate
ad organi
terzi
(nuclei/organismi
indipendenti
di
valutazione) nel-
l’ambito del
sistema
di
valutazione
della
performance, introdotto dal
d.Lgs.
n. 150/2009 e implementato dal d.Lgs. n. 74/2017.
tra
l’altro,
anche
gli
artt.
14
e
17
funzioni
centrali
2019-2021,
nonché
gli
artt. 14 e
15 CCnL
funzioni
locali
2019-2021 (21), ancorano le
progressioni
all’interno dell’area
e
tra
le
aree
alla
pregressa
valutazione
positiva
della
performance,
attribuendo
rilevanza,
altresì,
all’esperienza
maturata
e
alle
competenze
acquisite a seguito di percorsi formativi.
Questo impone
il
transito da
strutture
burocratiche
e
rigide
a
logiche
di
processo, non più rinviabili
in una
Pubblica
Amministrazione
che
voglia
definirsi
al passo con i tempi.
L’organizzazione
moderna,
infatti,
richiede
non
soltanto
una
lean
production,
ma
anche
flessibilità
e
integrazione
organizzativa,
connotata
dalla
“focalizzazione
sulla
minimizzazione
dello spreco delle
risorse
produttive
di
fatica
umana”
(22), spreco che, invece, rischia
di
essere
favorito da
approcci
rigidi e poco tesi alla condivisione dell’obiettivo finale.
3. BPr e
amministrazioni. Il ruolo del dirigente.
Le
conseguenze
pratiche
di
tale
impostazione
teorica
devono essere
contestualizzate
in un assetto magmatico e
complesso quale
le
moderne
Amministrazioni,
istituzionalmente
chiamate
a
potenziare
le
proprie
capacità
progettuali
a
seguito
delle
innovazioni
del
Pnrr
e
all’organizzazione
efficiente
delle
risorse, umane
e
strumentali, già
in forza
all’Amministrazione
o
di prossima acquisizione.
In tale
quadro, risulta
centrale
il
ruolo del
dirigente
(o, negli
enti
locali,
del
Segretario comunale
e, laddove
presente, del
city
manager), oggi
tenuto a
recitare
non solo il
tradizionale
ruolo di
“garante
della
legalità”, ma
anche
appunto
-di
“facilitatore
di
processi”
(23), esercitando la
propria
leadership
allo scopo di
motivare
e
aggregare
gli
attori
dell’organizzazione
comunale
intorno
ai processi che caratterizzano la vita quotidiana dell’ente.
È
necessario che
si
attui
nella
pratica
quotidiana
quella
che
gli
studiosi
del
management
pubblico
definiscono
learning
organization,
ossia
la
struttura
che
“organizza
il
processo
di
acquisizione
e
sviluppo
delle
competenze,
facendolo
passare
da
fatto
individuale
a
fatto
collettivo
(sistematico)
spontaneamente
organizzato” (24) (enfasi aggiunta).
(21) P. MoneA
-g. PIzzIConI
(a
cura
di), Il
nuovo CCNL
Funzioni
locali. Commento alla nuova
disciplina per il personale del comparto, Maggioli, 2023.
(22) L. CInQuInI
-A. QuAgLI, organizzazione
snella e
apprendimento, in A. CoStAnzo, op. cit.,
p. 205.
(23) g. gAbrIeLLI, Comunicazione
organizzativa e
vantaggio competitivo, in A. CoStAnzo, op.
cit., p. 201.
(24) Ibidem.
LegISLAzIone
ed
AttuALItà
Il
dirigente,
infatti,
riveste
un
ruolo
strategico
nel
favorire
il
c.d.
apprendimento
organizzativo
(25),
nel
quale
le
conoscenze
non
sono
gelosamente
e
rigidamente
custodite
dai
rispettivi
detentori,
ma
circolano
in
una
logica
di
collaborazione,
dialogo
e
conseguente
benessere
organizzativo
(26),
concetto
che,
lungi
dall’essere
meramente
teorico
(27),
è
stato
reso
prescrittivo
dall’art.
7,
c.
1,
d.Lgs.
n.
165/2001
e
ricondotto
alla
responsabilità
del
dirigente
pubblico
(28).
Questi, dunque, deve
avere
la
capacità
di
diagnosticare
lo stato dei
processi
negli
enti
in cui
opera
e, in caso di
necessità, reingegnerizzare
i
medesimi.
Il
riferimento
teorico
concerne
il
Business
Process
reengineering
(bPr),
ossia
l’intervento organizzativo sui
processi
che
non rispondono più alle
necessità
della struttura (29).
Come
sopra
accennato,
costituisce
un
prius
logico
rispetto
alla
reingegnerizzazione
dei
processi
la
capacità
di
analizzare
lo
stato
degli
stessi
in
rapporto
alle
dotazioni
di
personale,
agli
inquadramenti
contrattuali
dei
dipendenti
effettivamente
in
servizio
e
alle
loro
effettive
attitudini
e
sfere
di
conoscenze
e
competenze,
non
sempre
coerenti
rispetto
alle
attività
in
concreto
loro
affidate.
Il
fine
è
quello
di
diagnosticare
lo
stato
dei
processi
negli
enti
in
cui
si
opera
e,
in
caso
di
necessità,
adottare
i
provvedimenti
più
opportuni
e
tempestivi
per
garantire
un
accettabile
standard
di
erogazione
di
servizi
pubblici
tanto
in
settori
di
rilievo
quotidiano
quanto
in
eventuali
nuove
attività.
La
riprogettazione
radicale
può transitare
attraverso varie
esperienze, tra
cui
la
concezione
delle
attività
dell’ente
in parallelo anziché
in sequenza, la
ricomposizione
di
attività
frammentate
tra
più uffici
con possibili
conflitti
di
competenza
facilmente
evitabili, l’eliminazione
di
attività
non produttive
di
valore
pubblico, la
categorizzazione
e
differenziazione
dei
flussi
nei
processi
(30)
e,
infine,
il
Business
reengineering,
consistente
in
un
“intervento
radicale
su un flusso di
compiti/attività
che, ponendo al
centro l’esigenza
del
cliente,
(25)
S.
bArILe
-M.
CALAbreSe
-F.
IAndoLo
-n.
gIudICe,
L’apprendimento
organizzativo:
un’analisi
dello
sviluppo
paradigmatico,
in
Esperienze
d’impresa,
n.
1/2013,
FrancoAngeli,
pp.
131.
(26) o. IPPoLItI, Il
concetto di
salute/benessere
organizzativo, in AA.VV., Il
benessere, il
clima e
la
cultura
delle
organizzazioni,
2012,
disponibile
in
https://www.cnr.it/sites/default/files/public/media/benessere-
org/Il-benessere-il-clima-e-la-cultura-delle-organizzazioni.pdf, pp. 19 ss.
(27)
S.
gIuFFrIdA,
Il
concetto
di
clima
organizzativo,
in
AA.VV.,
Il
benessere,
il
clima
e
la
cultura
delle organizzazioni
cit., pp. 31 ss.
(28) negli
enti
locali
di
piccole
dimensioni, invece, ci
si
dovrebbe
riferire
ai
responsabili
di
servizio,
coordinati dal Segretario comunale.
(29) S. FrASCherI, Business
Process
reengineering, una
guida
pratica
per mappare
e
reingegnerizzare
i processi aziendali, FrancoAngeli, 2020.
(30) g. LAzzI, reingegnerizzazione
dei
processi, Contributo al
libro “Sistemi
Informativi
per
la
Pubblica
amministrazione:
tecnologie,
metodologie,
studi
di
caso”,
1999,
disponibile
in
https://www.unica.it/UserFiles/File/Direzioni/Diruma/progetto_aurora/Lazzi.pdf, pp. 19-20.
rASSegnA
AVVoCAturA
deLLo
StAto -n. 1/2023
corrisponde
a
un processo aziendale, per poi
responsabilizzare
uno specifico
team su tale processo” (31).
4. Il trust management.
Il
Business
Process
reengineering
si
colloca
in
un
contesto
di
incertezza,
connotato da
“non-linearità, discontinuità
e
… mutevolezza”
(32), in cui
gli
interlocutori
con i
quali
le
organizzazioni
(non solo pubbliche) devono interagire
sono aumentati
e
i
rapporti
risultano sempre
meno regolamentati
da
sistemi
normativi
certi
e
condivisi
e
“sempre
più
lasciati
alla
capacità
degli
attori
di costruire legami e di esercitare influenze” (33).
Per superare
l’incertezza, appare
indispensabile
far leva
su una
forma
di
capitale
di
tipo relazionale
(34):
la
fiducia
(35). essa
può essere
definita
alla
stregua
di
un meccanismo di
controllo di
tipo alternativo alle
formalizzazioni
legali
proprie
delle
strutture
gerarchiche, particolarmente
efficace
nelle
strutture
a
rete
(36),
in
quanto
è
moltiplicatore
delle
alternative
possibili
(37),
consentendo
l’apertura verso il nuovo.
tra
le
variabili
organizzative
che
contribuiscono
a
creare
fiducia,
nell’ottica
del
c.d.
trust
management
(38), parte
della
dottrina
ha
individuato la
cooperazione,
intesa
quale
iniziativa
comune
per
il
cui
esito
sono
necessarie
le
azioni
di
tutti
gli
attori
coinvolti, e
in cui
un’azione
necessaria
di
almeno uno
di essi non sia controllabile dagli altri (39).
Altra
variabile
è
costituita
dalla
comunicazione,
legata
alla
fiducia
in
modo bidirezionale
nella
misura
in cui
aumenta
la
qualità
e
quantità
delle
interazioni.
uno stile
comunicativo trasparente, infatti, allinea
le
percezioni
e
le
aspettative
delle
parti, riducendo i
margini
di
interpretazione
soggettiva
e
aumentando
la
probabilità
che
le
attese
nei
confronti
dell’altro siano realistiche
e vengano soddisfatte (40).
(31) A. CoStAnzo, op. cit., p. 310.
(32) F. d’egIdIo, Il
capitale
umano e
il
contributo del
bilancio dell’intangibile, in r. PAnzArAnI
(a cura di), Gestione e sviluppo del capitale umano, FrancoAngeli, 2004, p. 29.
(33) M.L. FArneSe
-C. bArberI, Costruire
fiducia nelle
organizzazioni. Una risorsa che
genera
valore, FrancoAngeli, 2010, p. 71.
(34) A. MuttI, Capitale sociale e sviluppo. La fiducia come risorsa, Il Mulino, 1998.
(35) e. roCCo
FrAenKeL
hAeberLe, L’organizzazione
della fiducia. Negoziazione
e
comunicazione
mediata da computer, Carocci, 2001.
(36) W.e. Creed
-r.e. MILeS, Trust
in organizations: a conceptual
framework
linking organizational
forms,
managerial
philosophies,
and
the
opportunity
costs
of
control,
in
r.M.
KrAMer
-t.r.
tYLer, Trust in organizations: frontiers of theory and research, Sage, thousand oaks, 1996, p. 30.
(37) S. CAStALdo, Fiducia e relazioni di mercato, Il Mulino, 2002, p. 40.
(38) Id., Trust
management, in r. FIoCCA
(a
cura
di), rileggere
l’impresa, rizzoli, 2007, pp. 2748.
(39)
b.
WILLIAMS,
Strutture
formali
e
realtà
sociale,
in
d.
gAMbettA
(a
cura
di),
Le
strategie
della fiducia. Indagini sulla razionalità della cooperazione, einaudi, 1989, p. 10.
(40) M.L. FArneSe
- C. bArberI, op. cit., pp. 89-90.
LegISLAzIone
ed
AttuALItà
La
fiducia, a
sua
volta, influenza
positivamente
gli
aspetti
della
vita
lavorativa
che
presuppongono
reciprocità
negli
scambi:
il
grado
di
impegno
manifestato
nell’attività
lavorativa
e
la
condivisione
e
sviluppo
delle
conoscenze.
Circa
quest’ultimo aspetto, si
è
scritto che
l’apprendimento umano è
basato
su affermazioni
verbali
o scritte
di
altri, e
ciò che
si
apprende
è
influenzato in
modo significativo dal
grado in cui
si
crede
alle
fonti
informative
in assenza
di
un
riscontro
indipendente
(41).
Pertanto,
senza
la
fiducia,
le
iniziative
di
sviluppo della conoscenza sono destinate a fallire (42).
Per
tutte
queste
ragioni,
è
necessario
implementare
la
fiducia
in
ambito
organizzativo,
promuovendo
un
mercato
della
conoscenza
in
cui
la
fiducia
sia
visibile,
diffusa
e
la
credibilità
dell’impegno
parta
dal
vertice,
ossia
dai
livelli
superiori
di
management,
definendo
norme
e
valori
dell’intera
struttura
(43)
e
favorendo
processi
di
condivisione
del
potere
e
del
controllo
attraverso
il
meccanismo
della
delega,
espressivo
di
stima
e
fiducia
nei
confronti
dei
collaboratori
(44).
La
fiducia, dunque, diviene
competenza
organizzativa, ossia
la
capacità
dell’individuo
di
leggere
e
decodificare
i
processi
che
caratterizzano
il
contesto
nel
quale
opera
e
il
proprio rapporto con esso, e
di
comprendere
e
sottoporre
a
verificare
le
strategie
che
guidano il
suo modo di
entrare
in relazione
con il
proprio ambiente di interazione (45).
5.
Un’occasione
da
non
perdere
per
la
reingegnerizzazione
dei
processi:
il
PNrr e il PIao.
La
crisi
pandemica
da
Covid-19
ha
reso
evidente
la
necessità
di
poter
fare
affidamento
su
istituzioni
forti
e
servizi
pubblici
efficienti,
soprattutto
a
seguito
dell’avvento
del
next
generation
eu,
il
quale
non
dovrebbe
risolversi
in
“un’iniezione
di
steroidi
alla
domanda
aggregata”,
ma
dovrebbe
costituire
“un’occasione
per costruire
nuove
basi
di
crescita
e
sviluppo economico e
sociale”,
attraverso
l’elaborazione
di
un
piano
di
riforme
combinato
ad
un
sistema
di
monitoraggio
non
più
solo
finalizzato
a
certificare
la
spesa
effettuata,
ma incentrato sul valore pubblico generato (46).
È
in
questo
quadro
che
si
inserisce
l’introduzione
del
Piano
Integrato
di
Attività
e
di
organizzazione
(PIAo),
da
parte
dell’art.
6
d.L.
9
giugno
(41) J.b. rotter, a
new scale
for
the
measurement
of
interpersonal
trust, in Journal
of
Personality,
35, p. 651.
(42)
t.
dAVenPort
-L.
PruSAK,
Working
knowledge:
how
organizations
manage
what
they
know,
trad. it. Il
sapere
al
lavoro. Come
le
aziende
possono generare, codificare
e
trasferire
conoscenza, etas,
2000, pp. 43-44.
(43) Ibidem.
(44) M.L. FArneSe
- C. bArberI, op. cit., p. 134.
(45) Ivi, p. 136.
(46) e. deIddA
gAgLIArdo
-r. SAPorIto, Il
Piao come
strumento di
programmazione
integrata
per
la creazione
di
Valore
pubblico, in rivista italiana di
public
management, Vol. 4, n. 2/2021, p. 198.
rASSegnA
AVVoCAturA
deLLo
StAto -n. 1/2023
2021,
n.
80,
conv.
in
legge
6
agosto
2021,
n.
113,
quale
strumento
di
pianificazione
finalizzato
a
integrare
i
singoli
strumenti
di
programmazione
previsti
dalla
normativa
previgente
in
tema
di
performance,
anticorruzione,
fabbisogno
di
personale,
digitalizzazione,
parità
di
genere
e
lavoro
agile
(47).
La
cifra
comune,
nonché
la
finalità
generale
prevista
dal
legislatore,
è
quella
di
“assicurare
la
qualità
e
la
trasparenza
dell’attività
amministrativa
e
migliorare
la
qualità
dei
servizi
ai
cittadini
e
alle
imprese
e
procedere
alla
costante
e
progressiva
semplificazione
e
reingegnerizzazione
dei
processi”,
così
statuendo
un
esplicito
riferimento
alle
teorie
manageriali
precedentemente
esaminate
(48).
In breve, il
PIAo
non può e
non deve
trasformarsi
in un mero adempimento
formale
e
burocratico, a
pena
di
smarrire
la
vocazione
per la
quale
è
stato introdotto nel
nostro ordinamento e
tradire
le
istanze
di
semplificazione
(49), ma deve agire da strumento generatore di
valore pubblico.
Con
tale
locuzione,
le
Linee
guida
1/2017
del
dipartimento
della
Funzione
Pubblica
si
riferiscono
al
livello
complessivo
di
benessere
economico,
sociale,
ambientale
e
sanitario
dei
cittadini
creato
da
un
ente
per
il
suo
pubblico.
Secondo
uno
dei
più
importanti
studiosi
della
materia,
“un
ente
genera
Valore
Pubblico
atteso
pianificando,
nella
prima
sottosezione
del
PIAo,
strategie
capaci
di
produrre
impatti
sulle
diverse
dimensioni
di
benessere
di
cittadini
e
imprese,
migliorativi
rispetto
alle
condizioni
di
partenza”
(50).
La
scelta
delle
strategie
deve
essere
preceduta
da
un’analisi
del
contesto
esterno
e
interno
all’ente,
già
ritenuta
indispensabile
in
riferimento
alla
stesura
dei
singoli
Piani
previgenti
rispetto
al
PIAo
(con
particolare
riferimento
ai
Piani
anticorruzione
e
della
performance). Il
valore
pubblico viene
misurato
attraverso indicatori
di
impatto;
quelli
riferibili
al
benessere
di
cittadini
e
imprese
possono essere
misurati
anche
tramite
gli
indicatori
di
benessere
equo
(47)
Più
analiticamente,
risultano
coinvolti
dal
processo
riformatore:
Piano
della
Performance
(d.Lgs. n. 150/2009);
Piano esecutivo di
gestione
degli
enti
locali
(art. 169 d.Lgs. n. 267/2000);
Piano
triennale
per l’informatica
nella
P.A. (d.Lgs. n. 82/2005);
Piani
di
razionalizzazione
(L. n. 244/2007);
Piano triennale
delle
azioni
concrete
per l’efficienza
delle
PP.AA. (L. n. 56/2019);
Piani
triennali
di
razionalizzazione
e
riqualificazione
della
spesa
(d.L.
n.
98/2011);
Piano
triennale
per
la
prevenzione
della
corruzione
e
della
trasparenza
(L. n. 190/2012);
Piano triennale
dei
Fabbisogni
(d.Lgs. n. 165/2001);
Piano
delle
Azioni
Positive
(d.Lgs.
n.
198/2006);
Piano
organizzativo
del
Lavoro
Agile
(d.L.
n.
34/2020).
(48) Sul
PIAo
in generale
si
v. A. bIAnCo, PIao. Piano integrato di
attività e
organizzazione.
Contenuti
e
criticità, CeL
editrice, 2022;
L. tAMASSIA
-A.M. SAVAzzI, Il
Piano Integrato di
attività e
organizzazione. Una guida normativa, organizzativa, metodologica ed operativa per
gli
enti
locali, IlSole24oreProfessional,
2022;
P.
MorIgI
-F.
FortI,
Il
Piano
Integrato
di
attività
e
organizzazione,
Maggioli, 2022.
(49) A. CorrAdo, La difficile
strada della semplificazione
imboccata dal
PIao, in federalismi.it,
n. 27/2022, p. 187.
(50) e. deIddA
gAgLIArdo
- r. SAPorIto, op. cit., p. 212.
LegISLAzIone
ed
AttuALItà
e
Sostenibile
Istat-Cnel
e/o
mediante
i
Sustainable
Development
Goals
del-
l’Agenda onu 2030.
Le
sottosezioni
del
PIAo
dovrebbero essere
improntate, per tutte
le
argomentazioni
svolte
in premessa, alla
logica
di
processo. In particolare, con
riferimento
alla
sottosezione
“Performance”,
gli
obiettivi
operativi
possono
acquisire
rilevanza
trasversale,
con
riferimento
alla
digitalizzazione,
alla
parità
di
genere,
alla
semplificazione,
all’efficienza
e
alla
piena
accessibilità
del-
l’amministrazione.
nella
sottosezione
“Anticorruzione
e
trasparenza”, l’analisi
di
contesto
è
seguita
dall’identificazione, analisi
e
ponderazione
del
rischio, cui
segue
il
trattamento
del
medesimo;
la
logica
di
processo
ha
ormai
informato
anche
tale
settore, come
dimostra
l’importanza
attribuita
alla
mappatura
dei
processi
e
la correlazione tra obiettivi della
performance
e misure anticorruzione (51).
La
logica
di
processo si
evidenzia
in modo peculiare
nelle
sottosezioni
“Struttura
organizzativa”, “organizzazione
del
lavoro agile”
e
“Piano triennale
dei Fabbisogni del Personale”.
L’organigramma
e
il
funzionigramma,
infatti,
lungi
dal
rappresentare
meri
schemi
astratti
e
rigidi, dovrebbero fornire
ai
decisori
politici
un importante
strumento
per
conseguire
finalità
di
interesse
generale
e,
con
esse,
valore
pubblico.
In
generale,
è
bene
evitare
sia
organizzazioni
“orizzontali”,
caratterizzate
da
difficoltà
di
coordinamento nella
misura
in cui
sussistono numerose
strutture
dello stesso livello, sia
organizzazioni
connotate
da
eccessiva
parcellizzazione
e
frammentazione
(52). Come
già
evidenziato, la
logica
di
processo
impone
di
adottare
una
lean organization, ove
i
gruppi
di
lavoro siano focalizzati
su singoli progetti.
Circa
il
lavoro agile, esso rappresenta
un prezioso strumento di
ripensamento
intelligente
delle
modalità
di
lavoro in grado di
innescare
un profondo
cambiamento culturale
e
di
promuovere
un processo di
innovazione
nell’organizzazione
del
lavoro
e
nel
funzionamento
delle
pubbliche
amministrazioni
e
dei
servizi
ai
cittadini
(53). La
logica
di
processo promuove
una
nuova
visione
dell’organizzazione
del
lavoro volta
a
stimolare
l’autonomia, la
responsabilità
e
la
motivazione
dei
lavoratori,
in
un’ottica
di
incremento
della
produttività
e
del
benessere
organizzativo, e
consolida
le
competenze
manageriali
nell’organizzazione
del
lavoro per obiettivi
svolto dai
collaboratori
e
nella
concomitante
valutazione
step-by-step
di
tali
obiettivi. Pertanto, è
indi
(51) raccomandata
già
in tempi
anteriori
all’introduzione
del
PIAo:
V. SArCone, La pianificazione
delle
misure
di
prevenzione
della corruzione
e
il
coordinamento con la valutazione
della performance,
in Legislazione
anticorruzione
e
responsabilità nella pubblica amministrazione, giuffré, 2019.
(52) e. deIddA
gAgLIArdo
- r. SAPorIto, op. cit., p. 225.
(53) n. de
PISAPIA
-M. VIgnoLI, Smart
working mind. Strategie
e
opportunità del
lavoro agile,
Il
Mulino, 2021;
g. gAMbIrASIo
-S. greCo, Gestire
un team
a distanza. Tecniche, strumenti
e
metodi
per il lavoro agile, FrancoAngeli, 2021.
rASSegnA
AVVoCAturA
deLLo
StAto -n. 1/2023
spensabile
che
tale
sottosezione
venga
adeguatamente
valorizzata
all’atto
della
redazione
del
PIAo,
prevedendo
opportune
misure
quali
la
redazione
di
un
regolamento per il lavoro agile.
Infine, anche
il
fabbisogno del
personale
è
ormai
sganciato dalla
vetusta
prospettiva
della
pianta
organica
(concetto
ormai
inesistente
sotto
il
profilo
giuridico) ed è
improntato alla
dinamica
programmatoria
che
pervade
le
Pubbliche
Amministrazioni
(54). La
pianificazione
in questione
non può limitarsi
a
individuare
nuove
figure
da
assumere
in
modo
da
rispettare
i
vincoli
di
spesa
per il
personale
che
il
legislatore
ha
imposto ai
vari
plessi
amministrativi, ma
deve
selezionare
le
professionalità
adeguate
a
fronteggiare
le
sfide
del
Pnrr,
di
cui
spesso gli
enti
sono privi
(si
pensi
alla
necessità
di
utilizzo di
piattaforme
informatiche
di
rilevante
complessità;
conoscenza
di
una
vasta
normativa
settoriale; abilità nella rendicontazione; ecc.).
6. Conclusioni.
In definitiva, le
moderne
Pubbliche
Amministrazioni, attraverso lo strumento
del
PIAo,
possono
e
devono
uniformarsi
con
successo
a
logiche
di
processo
al
fine
di
curare
al
meglio
l’interesse
pubblico
e
garantire
la
soddisfazione
del
cittadino, valore
di
primaria
importanza
in un contesto istituzionale
caratterizzato
dall’attuazione
del
Pnrr
e
dalla
correlata,
necessaria
progettualità.
Il
PIAo
non
deve
diventare
il
“piano
dei
piani”
(55),
espressione
di
una
concezione
adempimentale
e
burocratica, ma, se
inteso in modo corretto,
può divenire
la
guida
strategica
dell’ente
(nel
dialogo con il
duP, il
bilancio
e
tutti
gli
altri
strumenti
di
programmazione)
nel
quadro
dell’attuazione
del
Business Process reengineering
nelle Pubbliche
Amministrazioni.
Attraverso il
Piano Integrato di
Attività
e
organizzazione
sarà
possibile,
dunque,
agevolare
il
transito
culturale
e
concreto
verso
la
c.d.
amministrazione
per
processi,
reso
necessario
non
solo
dalle
elaborazioni
degli
studiosi
del
management
pubblico, ma
anche
del
quadro normativo vigente, come
si
è
detto
in sede di esame del CCnL del 31 marzo 1999.
tale
processo di
cambiamento potrà
e
dovrà
essere
presidiato dal
ruolo
centrale
del
moderno dirigente
pubblico, chiamato a
esercitare
la
propria
leadership
in un contesto, quello della
società
moderna, irto di
difficoltà
e
incertezze
(56),
in
cui
il
vecchio
approccio
burocratico,
formalista
e
adempimentale
risulta perdente.
Il
dirigente
(o il
Segretario Comunale) è
chiamato a
trasmettere
-non a
(54) A.M. SAVAzzI, Il
fabbisogno di
personale
negli
enti
locali. Guida pratica alla redazione
del
piano triennale e alla sua attuazione, halley, 2022.
(55) Ivi, p. 204.
(56) K. WeICK, Enactment
processes
in organizations, in b.M. StAW
-g. SALAnCIK
(a
cura
di),
New directions in organizational behaviour, Chicago, 1977, pp. 267-300.
LegISLAzIone
ed
AttuALItà
imporre
-questa
nuova
forma
mentis
ai
propri
collaboratori
e,
per
raggiungere
lo
scopo,
un
potente
fattore
di
coesione
è
rappresentato
dalla
fiducia.
essa,
intesa
quale
competenza
organizzativa, può favorire
logiche
di
apprendimento
(57)
e
una
nuova
cultura
organizzativa
(58),
che
traduca
in
pratica
quel
benessere
organizzativo che
è
stato di
recente
positivizzato dal
nostro ordinamento
giuridico e
senza
il
quale
la
reale
interiorizzazione
delle
logiche
di
processo
sarà difficilmente ipotizzabile.
(57) M.L. FArneSe
- C. bArberI, op. cit., p. 138.
(58) r. d’AMICo, Il
manager
pubblico nell’ente
locale: cultura organizzativa e
nuovi
contenuti
della professionalità del dirigente, FrancoAngeli, 2001.
Contributididottrina
Efficienza del processo e strumenti
alternativi di risoluzione delle controversie
Michele Gerardo*
Sommario:
1.
aspetti
generali.
i
due
aspetti
dell’efficienza:
definizione
del
processo
entro
un
termine
ragionevole
ed
altresì
in
modo
“giusto”
-2.
Cause
della
inefficienza
del
processo civile
-3. meccanismi
di
recupero della efficienza del
processo civile
-4. Strumenti
preventivi
ed alternativi
di
risoluzione
delle
controversie
-5. Strumenti
preventivi
di
risoluzione
delle
controversie
-6.
Strumenti
alternativi
di
risoluzione
delle
controversie
-7.
Gli
strumenti
preventivi
ed alternativi
di
risoluzione
delle
controversie
quali
meccanismi
di
recupero
della
efficienza
del
processo
civile
-8.
modifiche,
con
la
c.d.
riforma
Cartabia,
in
materia
di mediazione, di negoziazione assistita e di arbitrato - 9. Considerazioni finali.
1.
aspetti
generali.
i
due
aspetti
dell’efficienza:
definizione
del
processo
entro
un termine ragionevole ed altresì in modo “giusto”.
L’efficienza
delle
strutture
amministrative
-e
quindi
anche
della
struttura
amministrativa
che
garantisce
l’espletamento dell’attività
giurisdizionale
-è
quella
relazione
tra
risorse
(umane, finanziarie
e
strumentali) impiegate
e
risultati
conseguiti
ex
post.
È
la
misura
del
raggiungimento
del
massimo
dei
prodotti all’utenza (output), data una certa quantità di risorse impiegate.
Declinata
nel
processo, l’efficienza
consiste
-in primo luogo ed essenzialmente
-nella
definizione
del
processo
entro
termini
ragionevoli.
L’effi
(*) Avvocato dello Stato.
Relazione
predisposta dall’Autore
in
occasione
del
Convegno “Riforme
legislative
ed efficienza del
processo. Giusto processo e
tutela dei
diritti
di
individui
e
imprese” tenutosi
presso la Prefettura di
Catanzaro (23 giugno 2023).
Secondo
convegno
annuale
di
studi
organizzato
dall’Avvocatura
distrettuale
dello
Stato
di
Catanzaro
in
collaborazione
con
Prefettura
di
Catanzaro,
Corte
di
Appello
di
Catanzaro,
Tribunale
amministrativo
regionale per la Calabria, Ordine Distrettuale
Avvocati Catanzaro.
RASSEGnA
AVVoCATURA
DELLo
STATo -n. 1/2023
cienza, con riguardo all’attività
giurisdizionale, implica
anche
la
definizione
del
processo in modo “giusto”, nel
rispetto delle
regole
processuali
e
sostanziali:
il
processo
è
giusto
quando
rispetta
le
regole
prefissate
e
quando
le
regole
prefissate consentono di perseguire la decisione (di merito) giusta.
Tanto in ossequio ai
principi
costituzionali
(art. 111, comma
2, Cost.) ed
internazionali
(art.
6,
comma
1,
Convenzione
per
la
salvaguardia
dei
diritti
dell’uomo e
delle
libertà
fondamentali
firmata
a
Roma
il
4 novembre
1950,
ratificata con L. 4 agosto 1955, n. 848).
Le
considerazioni
svolte
nella
presente
analisi
riguardano
specificamente
il processo civile.
a) Con riguardo al
primo aspetto dell’efficienza
-ossia
la
definizione
del
processo entro un termine
ragionevole
-deve
rilevarsi
che, da
un cinquantennio,
la
giustizia
civile
in Italia
versa
in uno stato di
grave
crisi
a
causa
dell’eccessiva
ed
intollerabile
durata
dei
processi.
Ancora
nel
2000
si
registrava
dalla
Banca
d’Italia,
nella
Relazione
economica
per
l’anno
2000
-che
“L’italia
è
il
Paese
dell’Unione
Europea in cui
i
procedimenti
civili, considerando i
tre
gradi
di
giudizio, hanno maggiore
durata (in media 116 mesi, il
68% in più
rispetto
alla
media
UE)”.
Secondo
un
recente
rapporto
della
Commissione
europea
per l’efficacia
della
giustizia
(CEPEJ), nel
biennio 2017-18 il
numero
dei
procedimenti
civili
pendenti
si
è
ridotto
e
la
durata
media
è
scesa;
tuttavia,
la
giustizia
civile
italiana
resta
tra
le
più
lente
d’Europa:
siamo
ancora
gli
ultimi
in terzo grado di
giudizio e
siamo diventati
penultimi
sia
in primo che
in secondo
grado, rispettivamente davanti a Malta e alla Grecia.
La
conclusione
della
esposta
rilevazione
è
evidente:
il
processo
civile
italiano
non è
efficiente
sotto il
profilo della
sua
definizione
entro un termine
ragionevole.
Tanto alla
luce
della
valutazione
legale
circa
la
durata
ragionevole
del
processo
fissata
dall’art.
2,
comma
2
bis,
L.
24
marzo
2001,
n.
89
(c.d.
legge
Pinto, sulla
previsione
di
equa
riparazione
in caso di
violazione
del
termine
ragionevole
di
durata
del
processo), secondo cui
si
considera
rispettato
il
termine
ragionevole
se
il
processo non eccede
la
durata
di
tre
anni
in primo
grado, di due anni in secondo grado, di un anno nel giudizio di legittimità.
La
inefficienza
coinvolge
il
complesso
degli
Uffici
giudiziari,
tenendo
conto della
media
dei
tempi
dei
giudizi. Vi
sono, tuttavia, significative
diversificazioni
in ordine
ai
tempi
del
processo tra
Uffici
giudiziari. Difatti, il
Giudice
di
Pace
ed il
Tribunale
riescono a
smaltire
-grosso modo -il
loro carico
di
lavoro
in
termini
ragionevoli;
la
Corte
di
Appello
supera
i
limiti
della
Legge
Pinto
circa
la
ragionevole
durata
del
processo;
analogo
discorso
vale
per
la
Cassazione,
atteso
l’imbuto
che
si
crea
tra
la
presentazione
del
ricorso
e
la
fissazione
della
data
per la
decisione. Tanto emerge
dalle
annuali
relazioni
sull’amministrazione
della
giustizia
del
Primo
Presidente
della
Corte
di
Cassazione
sull’andamento
della
giustizia
in
occasione
dell’inaugurazione
del-
l’anno giudiziario.
ConTRIBUTI
DI
DoTTRInA
La
crisi
del
processo genera
ulteriore
contenzioso gravante
sulle
Corti
di
Appello con significativo aggravio degli
oneri
per il
bilancio statale, che
deve
far fronte
a
crescenti
costi
per il
pagamento dell’indennizzo per la
riparazione
della
ingiusta
durata
del
processo
disciplinata
dalla
citata
L.
n.
89/2001.
L’inefficienza
del
nostro sistema
giudiziario scoraggia
gli
investimenti, aumenta
il
costo del
credito, genera
sfiducia
nelle
funzioni
dello Stato e
stimola
sistemi
criminali
alternativi
di
composizione
delle
liti. La
preoccupazione
di
ogni
governo,
nelle
ultime
legislature,
è
stata
quella
di
proporre
“novelle”
processuali
mirate
a
modificare
singoli
aspetti
-di
volta
in volta
individuati
come
critici
del
processo
civile.
Anche
il
governo
Draghi
(2021-2022)
si
è
posto
l’obiettivo
di
semplificare
il
processo
civile
e,
con
decreto
del
Ministro
della
giustizia
del
marzo
del
2021,
è
stata
costituita
una
Commissione,
presieduta
dal
prof.
Francesco
Paolo
Luiso,
con
il
compito
di
redigere
un
articolato
per
la
riforma
della
giustizia
civile;
l’obiettivo
concreto
è
triplice:
ridurre
i
tempi
dei
processi,
rafforzare
il
principio della
ragionevole
durata, migliorare
l’efficienza
dell’apparato
amministrativo. La
Commissione
nel
giugno del
2021 ha
presentato le
sue
proposte, confluite
nella
L. 26 novembre
2021, n. 206, recante
delega
al
Governo per l’efficienza
del
processo civile
e
per la
revisione
della
disciplina
degli
strumenti
di
risoluzione
alternativa
delle
controversie
e
misure
urgenti
di
razionalizzazione
dei
procedimenti
in
materia
di
diritti
delle
persone
e
delle
famiglie
nonché
in
materia
di
esecuzione
forzata.
La
delega
è
stata
attuata
con
l’emanazione
del
D.L.vo 10 ottobre
2022, n. 149 (c.d. riforma
Cartabia). Con
la
novella
di
cui
al
D.L.vo
n.
149/2022
-ultima
in
ordine
di
tempo
-viene
operata
una
ampia
modifica
del
codice
di
procedura
civile, oltre
che
delle
leggi
complementari.
b)
Con riguardo al
secondo aspetto dell’efficienza
-ossia
la
definizione
del
processo in modo “giusto”, nel
rispetto delle
regole
processuali
e
sostanziali
-deve
rilevarsi
che,
diversamente
dal
primo
aspetto,
le
performance
sono
soddisfacenti. Un indice
presuntivo della
giustizia
della
sentenza
è
costituito
dalla
circostanza
che,
in
sede
di
impugnazione,
la
decisione
resiste
alle
critiche
mosse.
Dalla
relazione
del
Primo
Presidente
della
Corte
di
Cassazione
per
l’anno 2023 si
rileva, per l’anno 2022 con riguardo ai
ricorsi
per cassazione,
che
“la percentuale
di: -accoglimento è
pari
al
27,8% (di
cui
22,4% con rinvio,
1,7% senza rinvio, 3,7% senza rinvio con decisione
nel
merito) -rigetto
è
pari
al
27,3%
-inammissibilità
è
pari
al
27,3%
-estinzione
è
pari
al
15,6%”,
rilevandosi
altresì
che
“nel
settore
tributario si
nota una incidenza degli
accoglimenti
decisamente
superiore
rispetto
alla
media
generale
(35,4%
nel
2022
rispetto
al
dato
generale
pari
al
27,8%)”.
Da
tale
significativo
campione
emerge
che
quasi
i
tre
quarti
delle
sentenze
resistono
alle
critiche
che
vengono
mosse
da
chi
le
impugna. Circostanza
questa
sintomatica
della
“bontà”
della
sentenza.
RASSEGnA
AVVoCATURA
DELLo
STATo -n. 1/2023
2. Cause della inefficienza del processo civile.
Da
una
piana
disamina
del
sistema
si
può ricavare
che
le
cause
della
dilatazione
della durata del processo sono principalmente ascrivili a:
-aumento progressivo del
numero dei
processi, con forte
accelerazione
a
seguito dell’introduzione
del
cd. processo del
lavoro -per le
controversie
di
lavoro
e
previdenziali
-a
metà
degli
anni
’70
del
secolo
trascorso.
Tanto
a
fronte
di
un organico della
magistratura
che
non è
variato in modo proporzionalmente
conseguenziale.
nella
citata
Relazione
del
Primo
Presidente
della
Corte
di
cassazione
per
il
2023
si
rileva
che
“Dal
rapporto
della
CEPEJ
(Commissione
europea
per
l’efficienza
della
giustizia)
del
2022
(su
dati
2020)
si
desume
che
nei
47
paesi
europei
che
aderiscono
al
Consiglio
d’Europa,
in
media vi
sono 22,2 giudici
togati
ogni
100.000 abitanti, mentre
in italia sono
solo
11,9.
Particolarmente
indicativo
è
il
confronto
con
la
Germania
dove
operano
25
giudici
togati
ogni
100.000
abitanti,
numero
quindi
più
che
doppio
rispetto all’italia”;
- effetto cumulativo dell’arretrato;
-riduzione
del
contenzioso
affidato
a
giudici
onorari.
nel
primo
cinquantennio
del
‘900 la
maggior parte
del
contenzioso -con punte
anche
dell’80%
-era
assorbito
dal
Giudice
Conciliatore
ed
i
tempi
del
processo
del
giudice
togato
erano ragionevoli;
-vuoti
nell’organico
della
magistratura.
nella
relazione
del
Primo
Presidente
della
Corte
di
Cassazione
per
l’anno
2023
si
rileva
che
“risultano
vacanti
negli
uffici
giudiziari
1.458
posti,
a
fronte
di
un
organico
complessivo
ripartito
tra
gli
uffici
giudiziari
pari
a
10.588
unità;
la
percentuale
di
scopertura
è
quindi
del
13,7%,
distribuita
quasi
egualmente
tra
magistrati
addetti
agli
uffici
giudicanti
(13,68%)
e
requirenti
(14,20%),
in
crescita
rispetto
alla
situazione
al
31
dicembre
2021
che
registrava
complessivamente
1.338
posti
vacanti,
pari
al
12,72%”.
Più
accentuati
deficit
si
hanno
con
riguardo
alla
magistratura
onoraria.
Dalla
citata
Relazione
2023
emerge
che
“al
termine
del
2022
risultano
presenti
in
servizio
1.658
vice
procuratori
onorari,
a
fronte
dei
1.687
registrati
al
31
dicembre
2021,
e
2.962
tra
giudici
di
pace
e
giudici
onorari
(accomunati
nell’unica
figura
del
giudice
onorario
di
pace
a
seguito
della
riforma
della
magistratura
onoraria
attuata
con
il
d.lgs.
13
luglio
2017,
n.
116)
a
fronte
di
3.088
al
31
dicembre
2021
(fonte
CSm);
dati
che
vanno
considerati
tenendo
presente
l’entità
delle
scoperture
dei
posti
in
organico
(ad
esempio,
23%
per
i
giudici
onorari
di
tribunale,
giudici
di
pace
e
vice
procuratori
onorari;
24%
per
i
giudici
ausiliari
di
Corte
di
appello
(fonte
CSm
-Viii
Commissione)”;
-svolgimento
di
attività
extragiudiziarie.
I
giudici
ordinari
sono
impegnati
in un numero elevato di
attività
sociali, politiche
ed economiche
(quali
la
partecipazione
ad attività
di
concorsi
nella
qualità
di
commissari, incarichi
di
insegnamento
universitario) che esulano dalla loro attività giudiziaria;
-tendenza
a
più elevati
tassi
di
litigiosità:
crisi
dei
tradizionali
apparati
ConTRIBUTI
DI
DoTTRInA
di
mediazione
e
composizione
dei
conflitti
(famiglia,
istituzioni
religiose
e
politico-
sindacali); complessità, instabilità e spesso inconoscibilità della legge;
-condotta
di
una
certa
parte
del
ceto forense
che, con vari
cavilli
legali,
allunga la durata del processo;
- inefficace controllo sulla produttività dell’attività dei magistrati.
3. meccanismi di recupero della efficienza del processo civile.
Al
fine
di
recuperare
l’efficienza
del
processo
civile
occorre
incidere
sulle
cause
della
dilatazione
della
durata
del
processo. Vi
sono vari
tentativi
in tal
senso che
-invero in modo lieve
-nell’ultimo decennio stanno invertendo la
rotta.
L’ultima
novella, la
riforma
Cartabia, tra
l’altro, ha
ampliato la
competenza
dei
giudici
onorari, in modo da
ridurre
il
carico dei
giudici
togati. Vogliamo
riferirci
alla
modifica
dell’art.
7
c.p.c.
Il
nuovo
testo
dell’art.
7,
commi
1 e
2 c.p.c. -all’esito della
modifica
di
cui
al
comma
1 dell’art. 3 D.L.vo n.
149/2022 - così dispone:
-il
giudice
di
pace
è
competente
per le
cause
relative
a
beni
mobili
di
valore
non
superiore
a
diecimila
euro
-in
luogo
del
vecchio
limite
di
cinquemila
euro
-quando
dalla
legge
non
sono
attribuite
alla
competenza
di
altro
giudice;
-il
giudice
di
pace
è
altresì
competente
per le
cause
di
risarcimento del
danno prodotto dalla
circolazione
di
veicoli
e
di
natanti, purché
il
valore
della
controversia
non superi
venticinquemila
euro (in luogo del
vecchio limite
di
ventimila euro).
nella
medesima
ottica
funzionano gli
strumenti
alternativi
di
risoluzione
delle
controversie.
All’evidenza,
se
tali
strumenti
funzionano,
si
riduce
il
contenzioso
sottoposto all’esame dell’autorità giurisdizionale.
4. Strumenti preventivi ed alternativi di risoluzione delle controversie.
Il
giudizio civile
-ogni
giudizio -ha
un costo per le
finanze
della
collettività,
attiva
una
macchina
complessa, comporta
per chi
è
parte
di
esso un impegno
di
tempo e
di
risorse
economiche. Sicché, da
sempre, per chi
intende
far valere
in giudizio le
proprie
ragioni, l’ordinamento offre
dei
meccanismi
miranti
al
soddisfacimento stragiudiziale
delle
pretese. Con tali
meccanismi
si
può conseguire
giustizia
in tempi
inferiori
a
quelli
della
giurisdizione, con
risparmio di spesa.
Vengono in rilievo gli
strumenti
preventivi
oppure
alternativi
alla
giurisdizione.
a)
Sono numerosi
gli
strumenti
preventivi
alla
giurisdizione.
Il
più importante
è
costituito
dal
tentativo
di
conciliazione.
Questo
abbraccia,
tra
l’altro,
la
mediazione
(facoltativa
ed obbligatoria) e
la
procedura
di
negoziazione
assistita,
integranti la cd. giustizia complementare.
nella
mediazione
interviene
un terzo imparziale
rispetto alle
parti, il
me
RASSEGnA
AVVoCATURA
DELLo
STATo -n. 1/2023
diatore, il
quale
svolge
una
attività
finalizzata
ad assistere
due
o più soggetti
nella
ricerca
di
un accordo amichevole
per la
composizione
di
una
controversia,
anche
con
formulazione
di
una
proposta
per
la
risoluzione
della
stessa;
ove
l’attività
riesca
si
ha
la
conciliazione, ossia
la
composizione
di
una
controversia
a
seguito dello svolgimento della
mediazione
(art. 1 D.L.vo 4 marzo
2010,
n.
28,
disciplinante
la
mediazione
finalizzata
alla
conciliazione
delle
controversie civili e commerciali).
nella
procedura
di
negoziazione
assistita,
invece,
non
interviene
un
terzo,
ma
sono le
parti
-assistite
obbligatoriamente
dagli
avvocati
-a
tentare
la
definizione
bonaria
della
controversia. Difatti, la
convenzione
di
negoziazione
assistita
da
avvocati
è
un
accordo
mediante
il
quale
le
parti
convengono
di
cooperare
in buona
fede
e
con lealtà
per risolvere
in via
amichevole
la
controversia
tramite
l’assistenza
di
avvocati
iscritti
all’albo
(art.
2
D.L.
12
settembre
2014, n. 132, conv. L. 10 novembre
2014, n. 162, recante
misure
urgenti
di
degiurisdizionalizzazione
ed
altri
interventi
per
la
definizione
dell’arretrato
in
materia di processo civile).
b) Strumento alternativo alla giurisdizione è l’arbitrato.
5. Strumenti preventivi di risoluzione delle controversie.
Il
più importante
strumento preventivo è
senz’altro il
tentativo di
conciliazione,
che può essere previsto in via obbligatoria o in via facoltativa.
Tentativo di conciliazione obbligatorio.
In via
obbligatoria
costituisce
una
condizione
di
procedibilità
della
domanda
giudiziaria, ossia
la
domanda
non può essere
esaminata
nel
merito se
prima
non
si
esperisce
il
detto
tentativo.
Questo
strumento
può
essere
previsto
solo dalla
legge
ordinaria
e
non da
una
fonte
secondaria, venendo in rilievo
un
limite
all’esercizio
del
diritto
di
azione
ex
art.
24
Cost.
Va
rispettato
il
giusto
equilibrio
tra
l’interesse
a
ridurre
il
contenzioso
e
la
tutela
delle
situazioni
protette,
sicché, ad esempio, la
durata
di
un filtro preventivo per espletare
la
conciliazione
deve essere ragionevole.
Forme generali sono:
a)
la
mediazione
obbligatoria
ex
art. 5 D.L.vo n. 28/2010 per le
controversie
nelle
materie
indicate
nel
comma
1 della
disposizione. Tanto secondo
il procedimento delineato dagli artt. 3-15 del D.L.vo citato;
b)
la
procedura
di
negoziazione
assistita
da
uno o più avvocati
obbligatoria
ex
art.
3
D.L.
n.
132/2014,
conv.
L.
n.
162/2014,
per
le
controversie
nelle
materie
indicate
nel
comma
1
della
disposizione,
ossia
di
risarcimento
del
danno da
circolazione
di
veicoli
e
natanti
e
per la
domanda
di
pagamento a
qualsiasi
titolo di
somme
non eccedenti
cinquantamila
euro (con l’eccezione
delle
controversie
concernenti
obbligazioni
contrattuali
derivanti
da
contratti
conclusi
tra
professionisti
e
consumatori).
Il
relativo
procedimento
è
delineato
dagli artt. 2-11 del D.L. citato.
ConTRIBUTI
DI
DoTTRInA
Abbiamo inoltre:
c)
tentativo obbligatorio di
conciliazione
delle
controversie
in materia
di
comunicazioni
fra
utenti
o categorie
di
utenti
ed un soggetto autorizzato o destinatario
di
licenze
oppure
tra
soggetti
autorizzati
o destinatari
di
licenze
tra
loro. Per le
predette
controversie
non si
può proporre
ricorso in sede
giurisdizionale
fino a
che
non sia
stato esperito un tentativo obbligatorio di
conciliazione,
da
ultimare
entro
trenta
giorni
dalla
proposizione
dell’istanza
all’Autorità
per le
garanzie
nelle
comunicazioni
(AGCoM). Tale
tentativo di
conciliazione
è
gestito
dall’AGCoM
a
mezzo
dei
Comitati
regionali
per
le
comunicazioni
(Co.re.com), considerati
funzionalmente
organi
dell’Autorità, ai
quali
sono state
delegate
funzioni
conciliative. I termini
per agire
in sede
giurisdizionale
sono
sospesi
fino
alla
scadenza
del
termine
per
la
conclusione
del
procedimento di
conciliazione. L’AGCoM
individua
le
controversie
oggetto
di
conciliazione
obbligatoria
e
le
modalità
della
procedura
(art. 1, comma
11,
L. 31 luglio 1997, n. 249);
d)
procedure
di
conciliazione
(oltreché
di
arbitrato)
in
contraddittorio
presso
l’Autorità
di
regolazione
per
energia
reti
e
ambiente
(ARERA)
nei
casi
di
controversie
in
materia
di
servizi
di
pubblica
utilità,
insorte
tra
utenti
e
soggetti
esercenti
il
servizio. Tali
controversie
possono essere
rimesse
in prima
istanza
alle
commissioni
arbitrali
e
conciliative
istituite
presso
le
camere
di
commercio, industria, artigianato e
agricoltura
(art. 2, comma
24, lett. b, L.
14 novembre
1995, n. 481). I criteri, le
condizioni, i
termini
e
le
modalità
per
l’esperimento delle procedure in esame sono fissati con regolamento.
Se
l’apparato organizzativo che
gestisce
la
procedura
di
conciliazione
è
inefficiente, la
previsione
in via
obbligatoria
di
questo strumento preventivo
si
risolve
unicamente
in un ostacolo all’accesso alla
giustizia, con il
fine
malizioso
di
dissuadere
l’interessato a
tutelare
dinanzi
al
giudice
le
proprie
ragioni.
Tentativo di conciliazione facoltativo.
a)
la
mediazione
facoltativa
ex
art.
2
D.L.vo
n.
28/2010
attivabile
da
chiunque
“per
la conciliazione
di
una controversia civile
e
commerciale
vertente
su
diritti
disponibili,
secondo
le
disposizioni
del
presente
decreto”.
Questo
strumento
è
stato
poco
utilizzato
dagli
interessati.
Dalla
citata
relazione
sull’amministrazione
della
giustizia
del
Primo Presidente
della
Corte
di
Cassazione
per il
2023 risulta
che
“Nel
primo semestre
del
2022 le
iscrizioni
di
mediazioni
sono state
85.269, di
cui
16.107 hanno riguardato mediazioni
volontarie”;
b)
la
procedura
di
negoziazione
assistita
da
uno
o
più
avvocati
facoltativa
ex
art. 2 D.L. n. 132/2014, conv. L. n. 162/2014 al
fine
di
tentare
di
risolvere
in via
amichevole
qualsivoglia
controversia
su diritti
disponibili
inter
partes;
c)
controversie
afferenti
ai
rapporti
di
lavoro. All’uopo l’art. 31, comma
9, L. 4 novembre
2010, n. 183 statuisce:
“Le
disposizioni
degli
articoli
410,
RASSEGnA
AVVoCATURA
DELLo
STATo -n. 1/2023
411,
412,
412-ter
e
412-quater
del
codice
di
procedura
civile
si
applicano
anche
alle
controversie
di
cui
all’articolo
63,
comma
1,
del
decreto
legislativo
30
marzo
2001,
n.
165”.
Si
è
quindi
omogeneizzata
la
disciplina
tra
lavoro
privato e
lavoro pubblico, con l’applicazione
dello stesso modello di
conciliazione
facoltativo previsto nel
codice
di
rito civile. La
forma
ordinaria
del
tentativo di
conciliazione
è
regolata
negli
artt. 410-411 c.p.c. Il
raggiunto accordo
in sede
conciliativa, su istanza
di
parte, può essere
dichiarato esecutivo
con decreto del
giudice, accertata
la
regolarità
formale
del
verbale
di
conciliazione
(art.
411,
ultimo
comma
c.p.c.).
Il
predetto
verbale,
riconducibile
alla
tipologia
dei
titoli
esecutivi
stragiudiziali
(ex
art. 474 c.p.c.), è
suscettibile
di
esecuzione
forzata
ma
non di
attuazione
nelle
forme
del
giudizio di
ottemperanza.
Ed infatti
l’azione
di
ottemperanza
(art. 112, comma
2, lett.c, c.p.a.) è
configurabile
per le
“sentenze
passate
in giudicato e
degli
altri
provvedimenti
ad esse
equiparati
del
giudice
ordinario”, laddove
è
evidente
che
il
verbale
in
esame
non
è
equiparabile
a
sentenza
avendo
un
contenuto
sostanzialmente
transattivo.
Vi
sono altre
due
forme
di
tentativo di
conciliazione
nelle
materie
del
lavoro,
pubblico
o
privato:
quello
svolto
presso
le
sedi
e
con
le
modalità
previste
dai
contratti
collettivi
sottoscritti
dalle
associazioni
sindacali
maggiormente
rappresentative
(art.
412
ter
c.p.c.)
e
quello
proposto
innanzi
al
collegio
di
conciliazione
costituito secondo quanto previsto dalle
disposizioni
contenute
nell’art. 412 quater
c.p.c.;
d)
controversie
tra
imprese
e
consumatori
e
utenti.
All’uopo
la
risoluzione
alternativa
delle
controversie,
incidenti
in
ambiti
anche
di
pertinenza
della
P.A.
laddove
le
imprese
siano
esercenti
di
servizi
pubblici,
può
essere
affidata
a
commissioni
arbitrali
e
conciliative
costituite
su
impulso
delle
Camere
di
commercio,
industria, artigianato e
agricoltura
(art. 2, comma
2, lett. g, L. 29 dicembre
1993, n. 580);
e) controversie
relative
ad obbligazioni
contrattuali
derivanti
da
un contratto
di
vendita
o di
servizi, tra
il
professionista
ed il
consumatore. La
risoluzione
delle
dette
controversie
può essere
altresì
affidata
agli
organismi
ADR
-alternative
Dispute
resolution,
secondo
la
disciplina
del
Codice
del
consumo
(artt. 141- 141
decies
D.L.vo 6 settembre 2005, n. 206);
f) controversie
tra
i
soggetti
nei
cui
confronti
la
Commissione
nazionale
per le
società
e
la
Borsa
(ConSoB) esercita
la
propria
attività
di
vigilanza, i
consulenti
finanziari
autonomi,
le
società
di
consulenza
finanziaria
da
una
parte
e,
dall’altra,
gli
investitori
diversi
dai
clienti
professionali
(art.
32
ter
D.L.vo 24 febbraio 1998, n. 58, il
cui
comma
2 precisa
che
la
Consob determina,
con proprio regolamento, i
criteri
di
svolgimento delle
procedure
di
risoluzione
delle
controversie
nonché
i
criteri
di
composizione
dell’organo
decidente, in modo che
risulti
assicurata
l’imparzialità
dello stesso e
la
rappresentatività
dei soggetti interessati);
ConTRIBUTI
DI
DoTTRInA
g)
controversie
tra
i
clienti
e
le
banche
e
gli
altri
intermediari
in materia
di
operazioni
e
servizi
bancari
e
finanziari
coinvolte
in procedure
di
conciliazione
(ed arbitrato) ex
art. 128
bis
D.L.vo 1 settembre 1993, n. 385.
6. Strumenti alternativi di risoluzione delle controversie.
Il
più importante
strumento alternativo è
l’arbitrato. Con esso si
dà
vita
consensualmente
- ad una giustizia privata alternativa a quella istituzionale.
L’arbitrato -previsto e
disciplinato nel
codice
di
procedura
civile
-è
un
giudizio privato attivabile
quando le
parti
sono d’accordo in tal
senso e
la
lite
verte
su
diritti
disponibili.
Due
sono,
quindi,
i
requisiti
per
l’ammissibilità
dell’arbitrato: accordo delle parti, diritti disponibili.
Con la
previsione
costituzionale
secondo cui
“Tutti
possono agire
in giudizio
per
la
tutela
dei
propri
diritti
e
interessi
legittimi”
(art.
24,
comma
1,
Cost.),
vi
è
la
libertà
di
tutti
di
accedere
agli
organi
giurisdizionali.
Sicché
l’arbitrato
non può essere
previsto -da
una
fonte
unilaterale
-come
obbligatorio.
E
difatti
le
previsioni
nella
legislazione
del
passato che
prevedevano ipotesi
di
arbitrato obbligatorio sono state
eliminate:
o per dichiarazione
di
incostituzionalità
o per abrogazione
legislativa. L’accordo delle
parti
deve
rivestire
la
forma scritta sotto pena di nullità, giusta previsione dell’art. 807 c.p.c.
oggetto del
giudizio arbitrale
possono essere
solo situazioni
giuridiche
soggettive
nella
titolarità
delle
parti,
secondo
il
principio
generale
della
disponibilità
delle
proprie
-solo delle
proprie, come
evidenziato nell’art. 24 Cost.
-situazioni
giuridiche
soggettive.
Tanto
è
precisato
dell’art.
806
c.p.c.
secondo
cui
“Le
parti
possono
far
decidere
da
arbitri
le
controversie
tra
di
loro
insorte
che
non
abbiano
per
oggetto
diritti
indisponibili,
salvo
espresso
divieto
di
legge. Le
controversie
di
cui
all’articolo 409 possono essere
decise
da arbitri
solo se previsto dalla legge o nei contratti o accordi collettivi di lavoro”.
L’arbitrato è
possibile, quindi, solo se
la
controversia
verte
su diritti
soggettivi
disponibili.
Tipologie di arbitrato. L’arbitrato può essere rituale oppure irrituale.
L’arbitrato è
rituale
quando la
definizione
avviene
all’esito di
un procedimento
paragiurisdizionale
con
una
decisione
(lodo)
che
ha
l’efficacia
di
sentenza
del
giudice
competente.
Tanto
è
enunciato
dall’art.
824
bis
c.p.c.
statuente
che
“Salvo quanto disposto dall’articolo 825, il
lodo ha dalla data
della sua ultima sottoscrizione
gli
effetti
della sentenza pronunciata dall’autorità
giudiziaria”. Tuttavia, ex
art. 825 c.p.c., ove
si
voglia
mettere
in esecuzione
il
lodo,
l’efficacia
di
sentenza
consegue
non
al
momento
dell’ultima
sottoscrizione,
ma
al
momento
dell’exequatur
-ossia
della
delibazione,
del
controllo della mera regolarità formale - da parte dell’A.G.o.
Diversamente
l’arbitrato
è
irrituale
e
vale
quale
definizione
negoziale
di
una
lite
inter
partes
con
valore,
a
seconda
del
contenuto
della
definizione,
di
transazione
e/o
riconoscimento
del
debito
e/o
rinunce.
Sul
punto
vi
è
la
disciplina
del
RASSEGnA
AVVoCATURA
DELLo
STATo -n. 1/2023
l’art.
808
ter
c.p.c.
secondo
cui
“1.
Le
parti
possono,
con
disposizione
espressa
per
iscritto,
stabilire
che,
in
deroga
a
quanto
disposto
dall’articolo
824-bis,
la
controversia
sia
definita
dagli
arbitri
mediante
determinazione
contrattuale.
altrimenti
si
applicano
le
disposizioni
del
presente
titolo.
2.
il
lodo
contrattuale
è
annullabile
dal
giudice
competente
secondo
le
disposizioni
del
libro
i.
[…]”.
arbitrato nelle controversie sui rapporti di lavoro.
Le
controversie
sui
rapporti
di
lavoro -sia
quelle
ex
art. 409 c.p.c., che
quelle
di
cui
all’art. 63, comma
1, T.U.P.I. relative
al
pubblico impiego privatizzato
(giusta
l’art. 31, comma
9, L. n. 183/2010) -“possono essere
decise
da arbitri
solo se
previsto dalla legge
o nei
contratti
o accordi
collettivi
di
lavoro”
(art. 806, comma 2, c.p.c.).
Per queste
controversie
sono previste
quattro diverse
ipotesi
arbitrali:
a)
art.
412
c.p.c.:
in
qualunque
fase
del
tentativo
di
conciliazione,
o
al
suo
termine
in caso di
mancata
riuscita, le
parti
possono indicare
la
soluzione, anche
parziale,
sulla
quale
concordano,
riconoscendo,
quando
è
possibile,
il
credito
che
spetta
al
lavoratore,
e
possono
accordarsi
per
la
risoluzione
della
lite,
affidando
alla
commissione
di
conciliazione
il
mandato
a
risolvere
in
via
arbitrale
la
controversia;
b)
art.
412
ter
c.p.c.:
l’arbitrato,
nelle
materie
di
cui
all’art.
409
c.p.c.,
può essere
svolto altresì
presso le
sedi
e
con le
modalità
previste
dai
contratti
collettivi
sottoscritti
dalle
associazioni
sindacali
maggiormente
rappresentative;
c)
art. 412 quater
c.p.c.:
ferma
restando la
facoltà
di
ciascuna
delle
parti
di
adire
l’autorità
giudiziaria
e
di
avvalersi
delle
procedure
di
conciliazione
e
di
arbitrato previste
dalla
legge, le
controversie
di
cui
all’art. 409 c.p.c. possono
essere
altresì
proposte
innanzi
al
collegio di
arbitrato irrituale
costituito
secondo quanto previsto nella
stessa
disposizione;
d)
art. 31, comma
12, L. n.
183/2010:
gli
organi
di
certificazione
di
cui
all’art.
76
D.L.vo
10
settembre
2003, n. 276 possono istituire
camere
arbitrali
per la
definizione, ai
sensi
del-
l’art. 808
ter
c.p.c., delle
controversie
nelle
materie
di
cui
all’art. 409 c.p.c. e
all’art.
63,
comma
1,
D.L.vo
30
marzo
2001
(c.d.
T.U.P.I.);
si
applica,
in
quanto compatibile, l’art. 412, commi terzo e quarto, c.p.c.
Tutte
e
quattro
le
tipologie
ora
descritte
integrano
arbitrati
irrituali.
In
conseguenza
del
carattere
irrituale,
il
lodo
non
produce
gli
effetti
della
sentenza
e
può
acquistare
efficacia
di
titolo
esecutivo
stragiudiziale,
in
quanto
ha
natura
di determinazione contrattuale.
accordo
bonario
per
i
lavori
e
accordo
bonario
per
i
servizi
e
le
forniture.
Alle
condizioni
indicate
dalla
legge, la
procedura
di
accordo bonario costituisce
una
condizione
di
procedibilità
dell’azione
in via
giurisdizionale. La
procedura
di
accordo
bonario
è
una
procedura
di
tipo
arbitrale
(artt.
210-211
D.L.vo 31 marzo 2023, n. 36 recante il Codice dei contratti pubblici).
arbitrato e
collegio consultivo tecnico nelle
controversie
inerenti
l’esecuzione
dei contratti pubblici.
Le
controversie
su
diritti
soggettivi,
derivanti
dall’esecuzione
dei
contratti
ConTRIBUTI
DI
DoTTRInA
pubblici
relativi
a
lavori,
servizi,
forniture,
concorsi
di
progettazione
e
di
idee,
comprese
quelle
conseguenti
al
mancato
raggiungimento
dell’accordo
bonario
possono essere
deferite
ad arbitri
(art. 213 D.L.vo n. 36/2023) oppure
decise
da
un
collegio
consultivo
tecnico
con
determinazioni
aventi
natura
di
lodo
contrattuale ai sensi dell’art. 808 ter
c.p.c. (art. 215 D.L.vo n. 36/2023).
7.
Gli
strumenti
preventivi
ed
alternativi
di
risoluzione
delle
controversie
quali
meccanismi di recupero della efficienza del processo civile.
Intuitivamente
gli
strumenti
preventivi
ed alternativi
di
risoluzione
delle
controversie,
se
funzionano
-rectius:
se
conducono
alla
risoluzione
della
controversia
-costituiscono
delle
tecniche
di
recupero
della
efficienza
del
processo
civile, atteso che
il
loro successo riduce
il
contenzioso sottoposto all’esame
dell’autorità
giurisdizionale. Diversamente, se
non funzionano (e
il
discorso
vale
in particolare
per il
tentativo di
conciliazione), si
risolvono in un differimento
di
accesso
alla
giustizia,
o
peggio
in
una
tecnica
defatigante
che,
a
volte,
spinge il soggetto a rinunciare a qualsiasi azione giudiziaria.
Il
sistema
dovrebbe, quindi, incentivare
tali
tecniche
con la
implementazione
della
specifica
professionalità
e
della
idonea
preparazione
degli
operatori.
Questo aspetto è
fondamentale
per la
riuscita
degli
istituti
in esame. Ciò
non
è
sfuggito
al
legislatore
della
riforma
Cartabia,
il
quale
-con
l’inserimento
dell’art. 5 quinquies
D.L.vo n. 28/2010 -prevede, per gli
stessi
magistrati, la
necessità
di
curare
la
formazione
e
l’aggiornamento in materia
di
mediazione
con la
frequentazione
di
seminari
e
corsi, organizzati
dalla
Scuola
superiore
della
magistratura, anche
attraverso le
strutture
didattiche
di
formazione
decentrata;
rileva
inoltre, ai
fini
della
valutazione
della
professionalità
ex
art. 11
D.L.vo 5 aprile
2006, n. 160, la
frequentazione
di
seminari
e
corsi
in materia,
il
numero e
la
qualità
degli
affari
definiti
con ordinanza
di
mediazione
o mediante
accordi
conciliativi
costituenti, rispettivamente, indicatori
di
impegno,
capacità
e
laboriosità
del
magistrato. È
previsto infine
-altro tassello per la
costruzione
di
una
“cultura”
della
mediazione
-che
“il
capo dell’ufficio giudiziario
può
promuovere,
senza
nuovi
o
maggiori
oneri
per
la
finanza
pubblica,
progetti
di
collaborazione
con
università,
ordini
degli
avvocati,
organismi
di
mediazione, enti
di
formazione
e
altri
enti
e
associazioni
professionali
e
di
categoria, nel
rispetto della reciproca autonomia, per
favorire
il
ricorso
alla
mediazione
demandata
e
la
formazione
in
materia
di
mediazione”
(comma 4 dell’art. 5 quinquies
cit.).
Va
rilevato che
la
funzionalità
di
queste
tecniche
stragiudiziali
alla
riduzione
del
contenzioso sottoposto alla
cognizione
dell’autorità
giurisdizionale,
e
quindi
al
recupero
dell’efficienza,
vale
soprattutto
per
l’arbitrato,
un
po’
meno per il
tentativo di
conciliazione. È
difficile, infatti, che
la
parte
che
ha
subito un torto sia
disposta
a
conciliare, rectius:
rinunciare
ad una
parte
della
pretesa
(di
solito la
proposta
del
conciliatore
è
diretta
a
pervenire
ad una
de
RASSEGnA
AVVoCATURA
DELLo
STATo -n. 1/2023
finizione
transattiva
della
vicenda). All’evidenza
tale
parte, se
concilia, lo fa
per ragioni pratiche: evitare le lungaggini (e l’alea) di un giudizio.
8. modifiche, con la c.d. riforma Cartabia, in materia di
mediazione, di
negoziazione
assistita e di arbitrato.
Le
tecniche
alternative
di
risoluzione
delle
controversie
-con
l’ultima
novella
del
processo civile
-sono state
potenziate, sul
presupposto che
le
stesse
sono
funzionali
all’esigenza
di
efficienza
del
processo.
Il
rapporto
tra
tecniche
stragiudiziali
e
attività
giurisdizionale
è
in un certo senso un rapporto tra
vasi
comunicanti. All’aumento con successo delle
prime
consegue
una
riduzione
del carico della seconda.
In
primo
luogo,
il
D.L.vo
n.
149/2022
interviene
estendendo,
a
mezzo
dell’art. 7, l’ambito operato dai
meccanismi
preventivi, in funzione
deflattiva
del contenzioso.
modifiche al decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28 sulla mediazione.
Il
D.L.vo 4 marzo 2010, n. 28 sulla
mediazione
viene
ampiamente
modificato,
per lo più allo scopo manutentivo e
di
restyling. Tra
le
novità
rilevanti
va
evidenziato che
aumentano le
materie
in cui
la
mediazione
è
obbligatoria,
rectius:
costituisce
una
condizione
di
procedibilità
dell’azione.
novellando
l’art.
5
del
decreto
-oltre
alle
controversie
in
materia
di
condominio,
diritti
reali, divisione, successioni
ereditarie, patti
di
famiglia, locazione, comodato,
affitto di
aziende, risarcimento del
danno derivante
da
responsabilità
medica
e
sanitaria
e
da
diffamazione
con il
mezzo della
stampa
o con altro mezzo di
pubblicità, contratti
assicurativi, bancari
e
finanziari
-ora
la
mediazione
obbligatoria
è
prevista
altresì
per le
controversie
in materia
di
“associazione
in
partecipazione,
consorzio,
franchising,
opera,
rete,
somministrazione,
società
di
persone
e
subfornitura”. È
stata
altresì
prevista
la
mediazione
demandata
dal
giudice, integrante
condizione
di
procedibilità
della
domanda
giudiziale:
giusta
l’art. 5
quater
del
decreto, il
giudice, anche
in sede
di
giudizio di
appello,
fino al
momento della
precisazione
delle
conclusioni, valutata
la
natura
della
causa, lo stato dell’istruzione, il
comportamento delle
parti
e
ogni
altra
circostanza, può disporre, con ordinanza
motivata, l’esperimento di
un procedimento
di mediazione.
È
esaltata, come
evidenziato innanzi, l’esigenza
di
una
specifica
formazione
nella materia della mediazione (art. 5 quinquies
del decreto).
In
ordine
alla
durata
del
procedimento
di
mediazione
era
originariamente
previsto il
termine
di
tre
mesi;
novellando l’art. 6 del
decreto si
ammette
che
il
termine
è
“prorogabile
di
ulteriori
tre
mesi
dopo
la
sua
instaurazione
e
prima della sua scadenza con accordo scritto delle parti”.
È
consentita
la
mediazione
in modalità
telematica, secondo la
disciplina
del nuovo art. 8 bis.
ConTRIBUTI
DI
DoTTRInA
Al
fine
di
incentivare
la
mediazione
-invero
in
modo
dolcemente
coartato
-il
legislatore
usa
il
bastone
e
la
carota.
Il
bastone
è
costituito
dalle
conseguenze
spiacevoli
nel
caso di
mancata
partecipazione
al
procedimento di
mediazione.
Il
nuovo art. 12 bis
fissa
il
catalogo delle
conseguenze
processuali
della
mancata
partecipazione
al
procedimento
di
mediazione,
così
enunciando:
“1.
Dalla
mancata
partecipazione
senza
giustificato
motivo
al
primo
incontro
del
procedimento di
mediazione, il
giudice
può desumere
argomenti
di
prova
nel
successivo giudizio ai
sensi
dell’articolo 116, secondo comma, del
codice
di
procedura civile. 2. Quando la mediazione
costituisce
condizione
di
procedibilità,
il
giudice
condanna
la
parte
costituita
che
non
ha
partecipato
al
primo
incontro
senza
giustificato
motivo
al
versamento
all’entrata
del
bilancio
dello Stato di
una somma di
importo corrispondente
al
doppio del
contributo
unificato dovuto per
il
giudizio. 3. Nei
casi
di
cui
al
comma 2, con il
provvedimento
che
definisce
il
giudizio, il
giudice, se
richiesto, può altresì
condannare
la
parte
soccombente
che
non
ha
partecipato
alla
mediazione
al
pagamento in favore
della controparte
di
una somma equitativamente
determinata
in misura non superiore
nel
massimo alle
spese
del
giudizio maturate
dopo la conclusione
del
procedimento di
mediazione. 4. Quando provvede
ai
sensi
del
comma 2, il
giudice
trasmette
copia del
provvedimento adottato nei
confronti
di
una delle
amministrazioni
pubbliche
di
cui
all’articolo 1, comma
2, del
decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, al
pubblico ministero presso
la
sezione
giurisdizionale
della
Corte
dei
conti,
e
copia
del
provvedimento
adottato
nei
confronti
di
uno
dei
soggetti
vigilati
all’autorità
di
vigilanza
competente”.
La
carota
è
costituita
dai
benefici
descritti
negli
artt. 17 (esenzioni
tributarie)
e
20
(credito
d’imposta)
del
D.L.vo
n.
28/2010,
novellati
con
il
D.L.vo n. 149/2022. Con la
novella
si
ampliano tali
benefici:
oltre
a
confermare
che
“Tutti
gli
atti, documenti
e
provvedimenti
relativi
al
procedimento
di
mediazione
sono
esenti
dall’imposta
di
bollo
e
da
ogni
spesa,
tassa
o
diritto
di
qualsiasi
specie
e
natura”
(art.
17,
comma
1),
si
prevede
che
“il
verbale
contenente
l’accordo di
conciliazione
è
esente
dall’imposta di
registro entro
il
limite
di
valore
di
centomila
euro,
altrimenti
l’imposta
è
dovuta
per
la
parte
eccedente”
(art. 17, comma
2), aumentando l’esenzione
rispetto alla
vecchia
soglia
di
50.000 euro. Inoltre
si
aumenta
il
credito d’imposta
disciplinato nel
citato art. 20.
Ulteriore
tessera
incentivante
la
mediazione
è
l’introduzione
delle
disposizioni
sul
patrocinio
a
spese
dello
Stato
alla
parte
non
abbiente
per
l’assistenza
dell’avvocato nel
procedimento di
mediazione
(artt. 15 bis, art. 15 undecies
D.L.vo
n.
28/2010).
Al
fine
di
favorire,
oltre
all’accesso
alla
mediazione,
anche
la
fruttuosità
del
meccanismo è
previsto tuttavia
che
il
beneficio spetta
solo
“se è raggiunto l’accordo di conciliazione” (art. 15 bis).
L’impostazione
finalistica
della
novella
della
disciplina
della
mediazione
è
riconosciuta
nella
relazione
del
Primo Presidente
della
Corte
di
Cassazione
RASSEGnA
AVVoCATURA
DELLo
STATo -n. 1/2023
sull’andamento della
giustizia
in occasione
dell’inaugurazione
anno giudiziario
2023:
“Per
favorire
la mediazione, la riforma del
2022 ha previsto alcuni
incentivi
fiscali
sotto forma di
credito di
imposta, se
le
parti
raggiungono un
accordo, e
di
esenzione
dall’imposta di
registro nonché
modalità di
ricorso
al
gratuito patrocinio (tema su cui
già era già intervenuta la Corte
costituzionale
con la sentenza n. 10 del 2022)”.
modifiche
al
D.L. 12 settembre
2014, n. 132, conv. L. 10 novembre
2014,
n. 162 sulla negoziazione assistita.
Le
modifiche
vengono operate
con l’art. 9 del
D.L.vo n. 149/2022. nella
citata
relazione
del
Primo
Presidente
della
Corte
di
Cassazione
per
l’anno
2023
si
rileva
che
la
negoziazione
assistita
“non ha avuto ampia applicazione, probabilmente
per la rigidità del procedimento”.
Al
fine
di
incentivare
la
diffusione
dell’istituto,
tra
le
materie
che
non
possono costituire
oggetto di
negoziazione
assistita
non rientrano più le
controversie
in materia
di
lavoro, nelle
quali
si
potrà
ricorrere
alla
negoziazione
assistita, senza
che
ciò costituisca
condizione
di
procedibilità
della
domanda
giudiziale. Si
prevede, inoltre, la
possibilità
dello svolgimento della
negoziazione
assistita in modalità telematica.
Come
è
noto, la
negoziazione
assistita
può essere
facoltativa
ed obbligatoria.
È
obbligatoria
per
importanti
controversie:
“Chi
intende
esercitare
in
giudizio un’azione
relativa a una controversia in materia di
risarcimento del
danno da circolazione
di
veicoli
e
natanti
deve, tramite
il
suo avvocato, invitare
l’altra parte
a stipulare
una convenzione
di
negoziazione
assistita. allo
stesso modo deve
procedere, fuori
dei
casi
previsti
dal
periodo precedente
e
dall’articolo 5, comma 1-bis, del
decreto legislativo 4 marzo 2010 n. 28, chi
intende
proporre
in giudizio una domanda di
pagamento a qualsiasi
titolo di
somme
non
eccedenti
cinquantamila
euro.
L’esperimento
del
procedimento
di
negoziazione
assistita
è
condizione
di
procedibilità
della
domanda
giudiziale”
(art. 3, comma 1, D.L. n. 132/2014).
innovazioni nel giudizio arbitrale.
Infine,
sono
state
apportate
importanti
innovazioni
al
giudizio
arbitrale
nel
solco
dell’orientamento
legislativo
dell’ultimo
quarantennio
-a
partire
dalla
L. 9 febbraio 1983, n. 28 -mirante
ad assimilare
quanto più possibile
il
giudizio
arbitrale
a
quello
giurisdizionale.
Si
richiamano,
in
particolare,
tre
aspetti:
-“La domanda di
arbitrato produce
gli
effetti
sostanziali
della domanda
giudiziale” (art. 816 bis.1 c.p.c.);
-possibilità
della
adozione
di
provvedimenti
cautelari:
“Le
parti, anche
mediante
rinvio a regolamenti
arbitrali, possono attribuire
agli
arbitri
il
potere
di
concedere
misure
cautelari
con la convenzione
di
arbitrato o con atto
scritto anteriore
all’instaurazione
del
giudizio arbitrale. La competenza cau
ConTRIBUTI
DI
DoTTRInA
telare
attribuita agli
arbitri
è
esclusiva”
(art. 818 comma
1). In questa
evenienza
“Contro il
provvedimento degli
arbitri
che
concede
o nega una misura
cautelare
è
ammesso
reclamo
a
norma
dell’articolo
669-terdecies
davanti
alla
corte
di
appello, nel
cui
distretto è
la sede
dell’arbitrato, per
i
motivi
di
cui
all’articolo 829, primo comma, in quanto compatibili, e
per
contrarietà al-
l’ordine
pubblico”
(art. 818 bis
c.p.c.). L’art. 818 ter
c.p.c. regola
l’attuazione
della
misura
cautelare:
“L’attuazione
delle
misure
cautelari
concesse
dagli
arbitri
è
disciplinata
dall’articolo
669-duodecies
e
si
svolge
sotto
il
controllo
del
tribunale
nel
cui
circondario è
la sede
dell’arbitrato o, se
la sede
dell’arbitrato
non è
in italia, il
tribunale
del
luogo in cui
la misura cautelare
deve
essere
attuata, resta salvo il
disposto degli
articoli
677 e
seguenti
in ordine
all’esecuzione
dei
sequestri
concessi
dagli
arbitri. Competente
è
il
tribunale
previsto dal primo comma”;
-translatio
iudicii
tra
giudizio
arbitrale
e
giudizio
ordinario,
disciplinata
dall’art.
819
quater
c.p.c.:
“il
processo
instaurato
davanti
al
giudice
continua
davanti
agli
arbitri
se
una
delle
parti
procede
a
norma
dell’articolo
810
entro
tre
mesi
dal
passaggio
in
giudicato
della
sentenza
con
cui
è
negata
la
competenza
in
ragione
di
una
convenzione
di
arbitrato
o
dell’ordinanza
di
regolamento.
il
processo
instaurato
davanti
agli
arbitri
continua
davanti
al
giudice
competente
se
la
riassunzione
della
causa
ai
sensi
del-
l’articolo
125
delle
disposizioni
di
attuazione
del
presente
codice
avviene
entro
tre
mesi
dal
passaggio
in
giudicato
del
lodo
che
declina
la
competenza
arbitrale
sulla
lite
o
dalla
pubblicazione
della
sentenza
o
dell’ordinanza
che
definisce
la
sua
impugnazione.
Le
prove
raccolte
nel
processo
davanti
al
giudice
o
all’arbitro
dichiarati
non
competenti
possono
essere
valutate
come
argomenti
di
prova
nel
processo
riassunto
ai
sensi
del
presente
articolo.
L’inosservanza
dei
termini
fissati
per
la
riassunzione
ai
sensi
del
presente
articolo
comporta
l’estinzione
del
processo.
Si
applicano
gli
articoli
307,
quarto
comma,
e
310
”.
9. Considerazioni finali.
Quali
le
conclusioni
sulla
bontà
della
riforma
dei
meccanismi
stragiudiziali
al fine del recupero della efficienza del processo civile?
Globalmente,
è
una
onesta
e
buona
novella.
La
riforma
non
contiene
stravolgimenti
nella
disciplina
del
processo,
operando
interventi
di
manutenzione
ordinaria
e,
a
tratti,
di
manutenzione
straordinaria.
Il
limite
vero,
tuttavia,
è
che
essa
è
in
continuità
con
la
politica
di
deflazione
del
contenzioso
dell’ultimo
ventennio,
finalizzata
alla
spasmodica
ricerca
della
ragionevole
durata
del
processo
tramite
la
previsione
di
condizioni
di
procedibilità
ed il
progressivo aumento
dell’entità
del
contributo unificato delle
spese
di
giustizia. Autorevole
giurista
ben
sintetizza
tale
situazione
parlando
di
“processo
sotto
l’incubo
della
ragionevole durata”.
RASSEGnA
AVVoCATURA
DELLo
STATo -n. 1/2023
Una
politica
deflattiva,
fatta
con
tali
mezzi,
a
giudizio
dello
scrivente,
integra,
in sostanza, un vulnus
del diritto di azione.
Il
legislatore
nazionale
dell’ultimo
ventennio,
a
prescindere
dal
clima
politico,
punta
a
conseguire
la
riduzione
del
contenzioso
creando
reticolati
e
barriere
protettive
rispetto
alla
cittadella
giudiziaria:
condizioni
di
procedibilità
-quali
la
mediazione
obbligatoria
(riguardante
le
cause
più
rilevanti)
e
la
negoziazione
assistita
obbligatoria
(riguardante
residualmente
tutte
le
controversie
di
valore
piccolo
e
medio)
-ed
elevati
costi
del
processo.
Questi
strumenti
contribuiscono
in
misura
inadeguata
a
deflazionare
il
contenzioso,
come
registrato
nelle
periodiche
Relazioni
del
Primo
Presidente
della
Corte
di
Cassazione
all’inaugurazione
dell’anno
giudiziario
e
risultante
dalle
varie
statistiche
pubblicate.
nella
relazione
del
Primo
Presidente
della
Corte
di
Cassazione
per
l’anno
2023
si
rileva
che
“Nei
casi
in
cui
la
mediazione
è
obbligatoria,
tuttavia,
si
segnala
che
al
numero
delle
iscrizioni
non
corrisponde
un
prevalente
numero
di
accordi
raggiunti,
mentre
quando
la
mediazione
è
delegata
dal
giudice,
anche
se
ancora
in
misura
limitata,
si
riscontra
la
volontà
delle
parti
di
cercare
di
raggiungere
l’accordo”.
In
termini
di
efficienza/
economicità
lo
strumento
è
virtuoso
se
conduce
in
prevalenza
a
definizioni
bonarie
(ossia:
quando
almeno
il
51
%
dei
procedimenti
preventivi
conduce
alla
definizione
bonaria).
Circostanza
che
non
ricorre
nella
prassi,
sicché
il
meccanismo
in
esame
viene
visto
come
un
paletto
per
ostacolare
la
vista
del
giudice.
Il
costo
del
processo
è
notevole,
tenuto
conto
della
disciplina
del
contributo
unificato
delle
spese
di
lite,
che
è
in
periodico
aumento.
Ciò
emerge
da
una
rapida
scorsa
dell’art.
13
D.P.R.
30
maggio
2002,
n.
115
(testo
unico
delle
disposizioni
legislative
e
regolamentari
in
materia
di
spese
di
giustizia),
che
indica
gli
importi
del
detto
contributo.
L’effetto
convergente
dei
due
fattori,
in
uno
ai
costi
dell’avvocato
difensore,
è
che
i
soggetti
vengono
controstimolati
ad
agire
dinanzi
al
giudice
a
tutela
dei
propri
diritti.
E
ciò
in
misura
proporzionale
al
valore
della
lite:
più
il
valore
della
lite
è
basso,
meno
si
è
stimolati
ad
agire
in
giudizio,
considerate
le
barriere
della
mediazione
obbligatoria
e/o
negoziazione
assistita
obbligatoria,
attesi
i
costi
del
processo
ed
il
compenso
da
pagare
al
proprio
avvocato
(il
tutto
corroborato
da
misure
del
tipo
ex
art.
91,
ultimo
comma
c.p.c.
secondo
cui
“Nelle
cause
previste
dall’articolo
82,
primo
comma,
[cause
il
cui
valore
non
eccede
euro
1.100]
le
spese,
competenze
ed
onorari
liquidati
dal
giudice
non
possono
superare
il
valore
della
domanda”).
Si
assiste
ad un paradosso nell’epoca
contemporanea:
il
catalogo dei
diritti,
formalmente, è
in continuo aumento -vi
è
anche
chi
provocatoriamente
parla
di
“troppi
diritti”
-per effetto dell’evoluzione
normativa
(interna, del-
l’Unione
Europea, internazionale), delle
statuizioni
della
Corte
costituzionale
e
della
Corte
di
cassazione
(es. la
categoria
del
danno parentale) e
del
benessere.
Tuttavia, gli
strumenti
per azionarli
sono, di
fatto, limitati. E
lo sono in
ConTRIBUTI
DI
DoTTRInA
modo proporzionale
allo status
economico del
soggetto di
diritto ed al
valore
della
lite. Per chi
non ha
adeguate
disponibilità
economiche
è
stretta, di
fatto,
la
via
di
accesso
alla
giustizia.
Tanto
non
si
verifica
per
chi
ha
redditi
adeguati.
All’evidenza,
per
il
grande
imprenditore
che
deve
attivare
un
contenzioso
con
il
committente
per un appalto di
notevole
entità, l’ostacolo di
filtri
o costi
del
contributo unificato o spese
legali
è
marginale. Anzi, sovente
l’esemplificato
grande
imprenditore,
pagando,
attiva
procedimenti
alternativi
di
giustizia,
quali gli arbitrati.
In altre
parole:
gli
strumenti
preventivi
ed alternativi
di
risoluzione
delle
controversie
possono
pure
condurre
ad
una
riduzione
del
carico
di
lavoro
degli
uffici
giudiziari
(in questa
ottica, ed in termini
assoluti, anche
la
definizione
del
solo 10% delle
mediazioni
e
negoziazioni
assistite
attivate
è
un successo),
ma
a
costi
non ragionevoli, atteso che
viene
-surrettiziamente
-leso il
diritto
di azione, che pure ha tutela costituzionale (artt. 24, comma 1, e 113 Cost.).
I meccanismi
preventivi
ed i
costi
del
processo -con effetto di
controstimolo
all’azione
-non sono stati
incisi
dalla
riforma
Cartabia. Anzi, si
è
avuto
un aumento di
tali
tecniche
(si
è
visto innanzi
che
sono aumentate
le
materie
nelle quali opera la mediazione obbligatoria).
De
iure
condendo, occorrerebbe
ridurre
detti
ostacoli
o -almeno con riguardo
alle
condizioni
di
procedibilità
-metterli
in condizione
di
funzionare
in modo efficiente.
Vuol
dirsi
che
una
ragionevole
tecnica
per
conseguire
l’efficienza
del
processo
potrebbe
essere
quella
di
ridurre
il
carico del
contributo unificato delle
spese
di
giudizio, in uno alla
applicazione
rigida
del
principio della
soccombenza
nel
carico delle
spese
di
lite. A
quest’ultimo proposito, va
rilevato che
troppe
volte
i
giudici
non rispettano il
principio di
soccombenza, disponendo
-senza
che
sussistano gravi
ed eccezionali
ragioni
ex
art. 92 c.p.c. -la
compensazione
delle
spese
di
lite. Difatti
è
frequente
leggere
nelle
sentenze
che
“Sussistono
giusti
motivi
per
compensare
tra
le
parti
le
spese
di
giudizio”;
tanto in modo apodittico senza
poi
motivare
sulle
specifiche
ragioni, contro
prescrizioni,
anche
chiare,
che
impongono
tale
motivazione.
Ciò
con
un
doppio
danno. In primo luogo si
elimina
la
funzione
di
igiene
processuale
garantita
dalla
regola
della
soccombenza:
il
rischio di
essere
responsabile
per le
spese
scoraggerebbe
molte
persone,
che
non
hanno
reale
probabilità
di
successo,
dall’agire
in
giudizio.
In
secondo
luogo
non
viene
garantita
la
piena
ed
effettiva
tutela
delle
situazioni
protette
alla
parte
che
ha
ragione, la
quale
deve
sopportare
le c.d. spese legali anticipate.
Ulteriore
ragionevole
tecnica
potrebbe
essere
quella
di
eliminare
le
condizioni
di
procedibilità, ed in specie
mediazione
e
negoziazione
assistita
obbligatoria,
prevedendo
solo
meccanismi
(preventivi
od
alternativi)
facoltativi.
Ciò spronerebbe
ancor di
più alla
creazione
di
organismi
conciliativi
competitivi
ed altamente
professionali. Difatti, in presenza
di
una
giustizia
“privata”
RASSEGnA
AVVoCATURA
DELLo
STATo -n. 1/2023
efficiente, il
cittadino -a
fronte
delle
lungaggini
e
dei
costi
della
giustizia
spontaneamente
si
rivolgerebbe
ad organismi
privati
per conseguire
la
tutela
del
bene
della
vita. A
ciò consigliato anche
dal
difensore
che, all’atto del
conferimento
dell’incarico,
è
tenuto
ad
informare
l’assistito
della
possibilità
di
avvalersi
del
procedimento di
mediazione
e
delle
agevolazioni
fiscali
(art. 4,
comma
2,
D.L.vo
n.
28/2010)
e
della
convenzione
di
negoziazione
assistita
(art. 2, comma 7, D.L. n. 132/2014, conv. L. n. 162/2014).
In alternativa, occorrerebbe
almeno ridurre
l’ambito della
obbligatorietà
della mediazione e della negoziazione assistita.
ConTRIBUTI
DI
DoTTRInA
La responsabilità medica alla prova dell’ai
Gaetana Natale*
Federico D’Orazio**
Sommario: 1. L’intelligenza artificiale
e
le
sfide
per
il
giurista -2. Le
principali
applicazioni
dell’intelligenza
artificiale
in
medicina
-3.
La
disciplina
euro-unitaria
sui
dispositivi
medici
-4. Le
più recenti
proposte
legislative
dell’Unione
Europea in materia di
intelligenza
artificiale
-5.
alcune
riflessioni
in
tema
di
ai
e
responsabilità
medica
-5.1.
La
responsabilità
dell’operatore
sanitario -5.2. La responsabilità della struttura ospedaliera -5.3. La responsabilità
del produttore.
1. L’intelligenza artificiale e le sfide per il giurista.
Marcel
Proust
affermava
che
“la
maggior
parte
di
quello
che
i
medici
sanno è
insegnato loro dai
malati”. Ma
cosa
direbbe
oggi
Marcel
Proust
se
si
confrontasse
con
gli
algoritmi
c.d. di
rinforzo, con il
machine
learning o con
i
computer
neuromorifici?
negli
ultimi
decenni
si
è
assistito
a
una
radicale
crescita
dell’impiego di
sistemi
di
Intelligenza
Artificiale
(AI) nei
più diversi
settori
(1).
Tra
questi,
l’ambito
medico
e
sanitario
rappresenta
certamente
uno
dei
terreni
che
si
è
rivelato
particolarmente
fertile
per
l’applicazione
dei
sistemi
di
AI.
(*) Avvocato dello Stato, assegnato alla
V
sezione
dell’Avvocatura
Generale
dello Stato preposta
alla
difesa
tecnica
del
Ministero della
Salute;
dottore
di
ricerca
in Comparazione
e
diritto civile, professore
a
contratto
di
Diritto
sanitario
nei
Master
Daosan;
Consigliere
giuridico
del
Garante
per
la
tutela
dei
dati personali.
(**) Dottorando di
ricerca
presso la
Scuola
Superiore
Sant’Anna
(Pisa), ammesso alla
pratica
forense
presso l’Avvocatura dello Stato.
L’articolo costituisce
lo sviluppo e
l’approfondimento scientifico della relazione
“ai and medical
responsability;
the
evolutionary
Shift
from
Strict
Liability
to accountability. Current
regulatory
Framework
and Unresolved issues
in the
field of
intelligent
medical
Devices”
presentata dall’avv. dello Stato
Gaetana Natale
al
Simposio internazionale
“il
futuro è
qui: scienza e
medicina cambiano. Come
cambierà
il
medico?”. Convegno tenutosi
a Salerno il
21 ottobre
2023 in occasione
della XXii edizione
de
Le Giornate della Scuola medica Salernitana.
(1)
Il
sistema
di
AI
più
noto
al
pubblico
è
ChatGPT
di
open
ai,
un
servizio
di
modelli
linguistici
di
grandi
dimensioni.
La
parabola
di
questa
Intelligenza
Artificiale
è
testimone
della
rapidità
dell’evoluzione
tecnologica:
da
più
parti
è
stato
infatti
rilevato
un
calo
delle
performance
di
ChatGPT
negli
aggiornamenti
del
sistema
e
il
superamento
dello
stesso
da
parte
di
altre
AI.
Si
veda
in
materia
G.
BECCARIA,
medicina,
il
‘Nobel’per
l’informatica
LeCun:
“ChatGpt
è
superato,
ecco
l’a.i.
di
domani”,
in
la
repubblica,
20
settembre
2023
( ultimo accesso 20.09.2023);
P. BEnAnTI, ChatGPT
è
cambiato ma in peggio,
disponibile
all’indirizzo
di
rete
(ultimo
accesso
20.09.2023).
Quest’ultimo,
in
particolare,
analizza
le
metriche
di
valutazione
dell’AI
osservando
come
il
loro
cambiamento
può
determinare
una
diversità
di
comportamento
del
modello.
Le
nuove
ricerche
sono
oggi
indirizzate
verso
la
creazione
di
sistemi
di
calcolo
neuromorfici
in
grado
di
apprendere
e
adattarsi
in
corso
d’opera
senza
richiedere
una
fase
di
apprendimento
dei
dati,
oppure
dei
c.d.
biocomputer
che
tentano
di
riprodurre
le
connessioni
neurali
tipiche
del
cervello
umano.
Per
RASSEGnA
AVVoCATURA
DELLo
STATo -n. 1/2023
Come
spesso
accade,
a
fronte
dell’evoluzione
tecnologica
emergono
questioni
etiche
e
giuridiche
che
necessitano
di
una
adeguata
risposta
(2),
in
primo
luogo dal
punto di
vista
regolatorio, così
che
le
potenzialità
delle
nuove
tecnologie
possano
svilupparsi
senza
pregiudicare
la
tutela
dei
diritti
fondamentali
della persona e dei postulati dello Stato democratico.
Con
particolare
riguardo
alle
applicazioni
dell’AI
in
medicina,
con
elevato
grado
di
approssimazione,
possono
individuarsi
tre
principali
sfide
che
si
pongono
all’attenzione
del
giurista
(3):
i)
assicurare
la
qualità
dei
dati
di
addestramento
degli
algoritmi
di
modo
tale
che
essi
non
riflettano
i
vizi
o
i
pregiudizi
delle
informazioni
immesse
nel
sistema
di
AI
(4);
ii)
garantire
la
tutela
del
paziente
e
dei
suoi
dati
personali
nel
rispetto
della
disciplina
sul
consenso
informato;
iii)
predisporre
un
adeguato
regime
di
responsabilità
per
i
danni
prodotti
da
decisioni
mediche
che
siano
state
influenzate
dall’impiego
di
sistemi
di
AI,
oppure
che
siano
state
portate
a
compimento
mediante
gli
stessi.
L’obiettivo di
questo contributo è
soffermarsi, in particolare, sulla
terza
questione
menzionata,
ovvero
quella
riguardante
l’incidenza
dell’applicazione
in ambito sanitario dell’AI sulla disciplina della responsabilità medica.
A
tale
scopo,
dopo
aver
analizzato
le
principali
applicazioni
dell’AI
in
medicina
e
le
innovazioni
da
esse
derivanti
nell’ambito della
diagnosi
e
del
trattamento
delle
patologie
(paragrafo
2),
si
concentrerà
l’attenzione
dapprima
sulla
disciplina
europea
dei
dispositivi
medici
(paragrafo
3)
e,
successivamente,
sulle
più
recenti
proposte
legislative
avanzate
a
livello
dell’Unione
Europea
per la regolazione dell’Intelligenza
Artificiale (paragrafo 4).
In questo modo, si
ritiene
di
poter individuare
alcuni
dei
principali
ele
alcuni
spunti
v.
gli
indirizzi
di
rete
e
(ultimo
accesso
20.09.2023).
nell’ambito
di
questo
settore
della
ricerca
scientifica
si
parla
ormai
anche
di
“computer
liquido
a
DnA”:
.
(2) In dottrina
è
stato osservato come
l’avanzare
delle
nuove
tecnologie
possa
causare
una
“disruption”
della
regolazione
giuridica
esistente
di
determinati
fenomeni:
R. BRownSwoRD
et
al., Law,
regulation and Technology: The
Field, Frame, and Focal
Questions, in R. BRownSwoRD
et
al.
(eds.),
oxford Handbook of Law, regulation and Technology, oUP, 2017, pp. 3 ss.
(3) Per una
più ampia
riflessione
sulle
sfide
per il
giurista
poste
dall’AI si
rinvia
a
G. nATALE, intelligenza
artificiale, neuroscienze, algoritmi: le
sfide
future
per
il
giurista. L’uomo e
la macchina, in
rassegna avvocatura dello Stato, 2020, n. 4, pp. 249 ss.
(4)
Per
un
approfondimento
del
tema
v.
G.
RESTA,
Governare
l’innovazione
tecnologica:
decisioni
algoritmiche, diritti
digitali
e
principio di
uguaglianza, in Politica del
diritto, 2019, n. 2, pp. 199 ss.;
A.
GERyBAITE, S. PALMIERI, F. VIGnA, Equality
in Healthcare
ai: Did anyone
mention Data Quality?, in
BioLaw Journal
-rivista di
BioDiritto, 2022, n. 4, pp. 385 ss.;
G. RE
FERRÈ, Data donation and data
altruism
to face
algorithmic
bias
for
an inclusive
digital
healthcare, in BioLaw Journal
-rivista di
Bio-
Diritto, 2023, n. 1, pp. 115 ss. Sul
problema
delle
bias
traslazionali
e
di
contesto nel
settore
medico v.
G. CoMAnDé, intelligenza artificiale
e
responsabilità tra liability
e
accountability. il
carattere
trasformativo
dell’ia
e
il
problema della responsabilità, in analisi
Giuridica dell’Economia, 2019, n. 1, pp.
181 ss.
ConTRIBUTI
DI
DoTTRInA
menti
utili
a
tratteggiare
il
quadro regolatorio in materia
di
responsabilità
per
danno prodotto da sistemi di
AI (paragrafo 5).
2. Le principali applicazioni dell’intelligenza artificiale in medicina.
Le
applicazioni
dell’Intelligenza
Artificiale
in
medicina
sono
al
giorno
d’oggi
molto numerose
ed involgono differenti
ambiti
della
materia
(5). Uno
dei
settori
in
cui
le
potenzialità
dell’AI
sono
più
facilmente
riscontrabili
è
quello
della
diagnosi
delle
malattie.
Tra
le
diverse
applicazioni
innovative
merita
soffermarsi, in primo luogo, sui
sistemi
algoritmici
in grado di
diagnosticare
la
presenza
di
patologie
nei
pazienti
sulla
base
dell’analisi
di
esami
di
diagnostica per immagini.
Tra
i
casi
più significativi
vi
è
quello riguardante
lo sviluppo dell’algoritmo
“DLAD”
(Deep
Learning
based
automatic
Detection),
avvenuto
nel
2018, che
ha
permesso ai
ricercatori
del
Seoul
National
University
Hospital
and College
of
medicine
di
elaborare
un sistema
intelligente
in grado di
analizzare
le
radiografie
del
torace
e
di
rilevare
la
crescita
anormale
delle
cellule
(6).
L’algoritmo
si
è
dunque
dimostrato
utile
nella
rilevazione
di
patologie,
come
il
cancro ai
polmoni, sulla
base
di
scansioni
TC. Altri
algoritmi
di
AI,
come
quello elaborato da
arterys
inc., che
ha
ottenuto l’approvazione
della
Food and Drug administration (FDA) statunitense
(7) nel
2022, sono invece
in grado di rilevare lesioni cancerogene nel fegato oltre che nei polmoni.
Tra
i
sistemi
di
AI impiegati
per la
diagnosi
dei
tumori
possono inoltre
ricordarsi
l’algoritmo
“LynA”
(Lymph
Node
assistant)
creato
nel
2018
dai
ricercatori
di
Google
ai
Healthcare
per
l’identificazione
di
tumori
metastatici
al
seno attraverso l’analisi
delle
biopsie
dei
linfonodi
(8), nonché
le
applicazioni
di
AI volte
a
diagnosticare
tumori
della
pelle
e
a
permetterne
una
classi
(5)
Per
una
panomarica
introduttiva
v.
A.M.
RAhMAnI
et
al.,
machine
Learning
(mL)
in
medicine:
review, applications, and Challenges, in mathematics, 2021, n. 9, pp. 2970 ss.
(6) J.G. nAM
et
al., Development
and Validation of
Deep Learning-based automatic
Detection
algorithm
for
malignant
Pulmonary
Nodules
on Chest
radiographs, in radiology, 2019, vol. 290, pp.
218 ss.
(7) I primi
dispositivi
medici
basati
su sistemi
di
AI che
sono stati
approvati
dalla
FDA
risalgono
al
1995, ma
il
loro numero è
cresciuto radicalmente
negli
ultimi
dieci
anni. L’intera
lista
dei
dispositivi
medici
che
impiegano l’AI approvati
dalla
FDA
è
disponibile
al
sito di
rete
(ultimo accesso 05.09.2023).
(8) Per uno studio delle
applicazioni
dell’IA
per la
classificazione
dei
tumori
al
seno v. T.E. MA-
ThEw,
an
improvised
random
Forest
model
for
Breast
Cancer
Classification,
in
NeuroQuantology,
2022, vol. 20, n. 5, pp. 713 ss.
Google, grazie
ai
ricercatori
di
Google
Deepmind, ha
inoltre
prodotto un algoritmo chiamato “Alpha-
Missense”
per la
previsione
delle
malattie
genetiche
e
della
dannosità
delle
mutazioni
nei
geni
umani.
Si
veda
al
riguardo:
;
(ultimo accesso 23.10.23).
RASSEGnA
AVVoCATURA
DELLo
STATo -n. 1/2023
ficazione
(9). nell’ambito della
diagnosi
di
malattie
cardiache
e
della
valutazione
del
rischio di
morte
cardiaca
improvvisa, spiccano per innovatività
l’algoritmo
sviluppato da
anumana
in collaborazione
con Pfizer
per la
diagnosi
della
amiloidosi
cardiaca
e
quello
di
aliveCor
per
l’identificazione
delle
fibrillazioni
atriali (approvato dalla FDA già nel 2014) (10).
In
termini
generali,
quel
che
appare
sorprendente
è
che,
secondo
uno
studio
del
2019, l’Intelligenza
Artificiale
potrebbe
essere
in grado di
riconoscere
le
malattie
sulla
base
di
diagnostica
per immagini
con la
stessa
efficacia
del
personale
medico
(11).
In
particolare,
sulla
base
del
confronto
tra
le
prestazioni
dell’AI
e
quelle
degli
operatori
sanitari
nel
rilevare
le
malattie
utilizzando
studi
condotti
tra
il
2012
e
il
2019,
la
ricerca
sostiene
che
le
prestazioni
diagnostiche
sono risultate
equivalenti
e
che
l’utilizzo di
tecnologie
di
deep learning
potrebbe
rendere
ancora
più
efficiente
l’identificazione
delle
malattie
da
parte
dell’AI nei prossimi anni.
Al
di
fuori
delle
applicazioni
per
la
diagnosi
delle
patologie,
l’AI
ha
trovato
recente
utilizzazione
anche
per
la
creazione
e
la
produzione
di
nuovi
farmaci
(12).
Le
aziende
farmaceutiche
Exscientia
e
Sumitomo
Dainippon
hanno
ad
esempio prodotto con l’ausilio dell’AI un farmaco per il
trattamento del
disturbo
ossessivo compulsivo che
si
trova
al
momento in fase
di
sperimentazione
clinica
in
Giappone.
Il
farmaco
è
stato
sviluppato
in
un
solo
anno,
contro
i
cinque
anni
di
cui
generalmente
necessitano simili
progetti. Pur dovendosi
ancora
valutare
a
pieno l’efficacia
clinica
del
medicinale, la
rapidità
con cui
è
stato
realizzato
appare
sintomo
dei
vantaggi
che
possono
derivare
dall’impiego
di sistemi di
AI per la creazione di farmaci.
Conclusioni
di
questo
tipo
trovano
conferma
in
altri
casi
simili:
il
farmaco
“InS018_055”
per
la
cura
della
fibrosi
polmonare
idiopatica,
di
proprietà
della
(9) K. DAS
et
al., machine
Learning and its
application in Skin Cancer, in international
Journal
of Environment research and Public Health, 2021, pp. 1 ss.
(10)
Merita
sottolineare
che
l’elencazione
qui
proposta
è
meramente
esemplificativa
dal
momento
che
le
applicazioni
dell’AI
per
la
diagnosi
delle
malattie
sono
oggi
innumerevoli.
Si
consideri,
ad
esempio,
che
la
FDA
statunitense
ha
approvato
anche
un
algoritmo
impiegato
per
la
diagnosi
della
retinopatia
diabetica
(si
tratta
dell’algoritmo “IDx”
della
Digital
Diagnostics
inc.) oppure
che
ulteriori
innovative
applicazioni
dell’AI permettono oggi
di
aiutare
i
medici
nell’identificazione
della
tipologia
di
tumore
durante
un intervento chirurgico:
C. VERMEULEn
et
al., Ultra-fast
deep-learned CNS tumour
classification
during surgery, in Nature, 11 ottobre 2023.
(11) X. LIU
et
al., a
comparison of
deep learning performance
against
health-care
professionals
in detecting diseases
from
imaging: a systematic
review and meta-analysis, in Lancet
Digital
Health,
2019, n. 1, pp. 271 ss.
In un recente
caso italiano, tramite
l’impiego di
sistemi
di
AI è
stata
rilevata
in una
paziente
una
dissezione
coronarica
che
non era
emersa
nell’analisi
della
diagnostica
per immagini
compiuta
dal
personale
sanitario. La
notizia
è
stata
riportata
dal
giornale
il
mattino. L’articolo è
disponibile
all’indirizzo di
rete
(ultimo accesso 23.10.2023).
(12) Per un’ampia
analisi
si
veda
J. KRAUS, Can artificial
intelligence
revolutionize
drug discovery?,
in ai & Society, 2020, vol. 35, pp. 501 ss.
ConTRIBUTI
DI
DoTTRInA
società
biotecnologica
di
hong Kong insilico medicine, è
stato interamente
progettato
dall’AI
in
tempi
rapidissimi
ed
è
stato
recentemente
autorizzato
per
la
sperimentazione
umana
(corrispondente
alla
fase
II della
sperimentazione
clinica).
Secondo i
risultati
di
un recente
studio, i
sistemi
di
AI sarebbero inoltre
in grado di
favorire
la
creazione
di
nuovi
antibiotici. Grazie
all’AI, è
stato infatti
possibile
riportare
in
vita
le
molecole
di
proteine
estinte,
prodotte
da
ominidi
dei
tempi
di
neanderthal;
le
proteine
delle
specie
estinte
potrebbero
essere
una
risorsa
non
sfruttata
per
lo
sviluppo
di
antibiotici
(13).
L’importanza
della
scoperta
si
comprende
agevolmente
se
solo si
considera
che
la
produzione
di
antibiotici
ha
subito un forte
rallentamento negli
ultimi
decenni, mentre
il
numero
di batteri a loro resistenti è in aumento.
Un altro ambito applicativo molto importante
è
poi
quello della
valutazione
delle
interazioni
tra
i
farmaci.
numerosi
algoritmi
sono
infatti
impiegati
per valutare
le
interazioni
tra
medicinali
a
partire
dalle
cartelle
cliniche
elettroniche
o dalle
segnalazioni
di
eventi
avversi
da
parte
di
pazienti, oppure
ancora
dai
database
dell’oMS.
In
altri
casi,
gli
algoritmi
per
la
valutazione
dell’interazione
tra
farmaci
è
stata
posta
ad oggetto di
ricerche
universitarie
in
materia
di
terapie
antitumorali.
Una
analisi
condotta
dai
ricercatori
della
Vanderbilt
University ha
studiato, ad esempio, come
ottimizzare
la
terapia
di
combinazione
per il
tumore
del
polmone
non a
piccole
cellule
e
per il
melanoma
servendosi
dell’algoritmo
“MuSyC”
(multi-dimensional
synergy
of
combinations)
(14).
Inoltre, grazie
all’impiego di
sistemi
di
AI, è
stato possibile
permettere
a
persone
paralizzate
di
riacquistare
la
capacità
di
parola
o di
camminare:
se
in
un caso una
donna
paralizzata
a
causa
di
in ictus
ha
potuto ricominciare
a
comunicare
attraverso
un
avatar
digitale
comandato
con
il
pensiero
che
riproduce
-si
tratta, dunque
di
un’interfaccia
in grado di
tradurre
i
segnali
dell’attività
cerebrale
in parole
ed espressioni
(15) -, in un altro caso la
creazione
di
una
interfaccia
cervello-spina
dorsale
ha
permesso a
una
persona
paralizzata
di
ricominciare
a camminare (16).
Risultati
significativi
sono
stati
ottenuti
anche
nel
contrasto
alla
diffusione
del
Covid-19 e
nel
campo della
psicologia. Per quanto riguarda
il
primo profilo,
merita
evidenziare
che
l’AI è
stata
utilmente
utilizzata
per predire, iden
(13) J. MAASCh
et
al., molecular
de-extinction of
ancient
antimicrobial
peptides
enabled by
ma-
chine learning, in Cell Host & microbe, 2023, vol. 31, pp. 1260 ss.
(14)
Si
consulti
al
riguardo
l’indirizzo
di
rete
(ultimo
accesso
31.08.22).
(15)
S.
AMBRoGIo
et
al.,
an
analog-ai
chip
for
energy-efficient
speech
recognition
and
transcription,
in Nature, 24 August 2023, vol. 620, pp. 768 ss.
(16) h. LoRACh
et
al., Walking naturally
after
spinal
cord injury
using a brain-spine
interface, in
Nature, 1 June 2023, vol. 618, pp. 126 ss.
RASSEGnA
AVVoCATURA
DELLo
STATo -n. 1/2023
tificare
e
tracciare
la
diffusione
del
Covid-19,
nonché
per
lo
sviluppo
di
alcune
cure e vaccini (17).
Con riferimento invece
alle
applicazioni
dell’AI in psicologia, si
osserva
una
sempre
più ampia
diffusione
di
programmi
per la
diagnosi
di
disturbi
psicologici
e
per il
supporto dello psicologo nell’individuazione
del
trattamento
più
consono
del
paziente.
Tra
questi,
possono
menzionarsi
in
questa
sede
il
programma
“Mser-Diagno”
che
utilizza
il
mental
Status
Examination record
(MSER) per valutare
lo stato psichico del
paziente
e
produrre
un report
narrativo,
sulla
cui
base
viene
fornita
un’indicazione
diagnostica
e
di
trattamento,
nonché le
chatbox
“Eliza” e “woebot” (18).
In particolare, Eliza
rappresenta
la
prima
AI pensata
per la
pratica
psicologica;
essa
fu sviluppata
nel
1966 da
Joseph weizenbaum
del
massachusetts
institute
of
Technology
con l’obiettivo di
creare
un sistema
che
simulasse
un
terapeuta
e
fosse
in
grado
di
instaurare
legame
empatico
con
il
paziente.
In
uno
studio
del
2013
è
stato
operato
un
confronto
tra
Eliza
e
uno
psicoterapeuta
di
formazione
cognitivo-comportamentale
(19):
una
paziente
ha
partecipato a
due
brevi
sessioni
consecutive
della
durata
di
15 minuti, di
cui
la
prima
svolta
con
la
chatbox
Eliza
e
la
seconda
con
lo
psicoterapeuta
di
persona.
L’indagine
svolta
andava
a
indagare
aspetti
sia
relativi
alla
performance,
quali
ad
esempio
l’efficienza
della
discussione
e
il
corretto approccio al
problema
portato dalla
paziente, sia la qualità della relazione terapeutica.
Per
altro
verso,
Woebot
costituisce
una
delle
ultime
chatbox
ideate
per
l’applicazione
nel
campo della
psicologia. È
un programma
del
2017 sviluppato
dall’Università
di
Stanford che, utilizzando una
matrice
cognitivo-comportamentale,
offre
un
supporto
personalizzato
per
coloro
che
soffrono
di
depressione
o ansia. In particolare, Woebot
utilizza
la
c.d. sentiment
analysis,
un
processo
di
calcolo
che
analizza
e
cataloga
le
emozioni
del
paziente,
nonché
la
emotion detection
che
permette
di
individuare
le
emozioni
all’interno del
testo prodotto dai pazienti con risultati molto efficaci.
Le
applicazioni
dell’AI nel
campo della
psicologia
inducono a
riflettere
(17)
Per
un
approfondimento
di
come
i
sistemi
di
IA
siano
stati
impiegati
nella
lotta
contro
il
Covid-19
v.
T.
ALAFIF
et
al.,
machine
and
Deep
Learning
towards
CoViD-19
Diagnosis
and
Treatment:
Survey,
Challenges,
and
Future
Directions,
in
international
Journal
of
Environmental
research
and
Public
Health, 2021, pp. 1 ss.;
n. TAyARAnI, applications
of
artificial
intelligence
in Battling against
Covid-19: a Literature review, in Chaos, Solitons & Fractals, 2021, vol. 142, pp. 1 ss.
(18)
Altri
programmi
che
fanno
uso
dell’IA
in
psicologia
sono,
ad
esempio,
il
programma
“Sciroppo”,
un
sistema
di
supporto
alle
decisioni
sul
percorso
psicoterapeutico
da
adottare
per
il
paziente
i
cui
dati
anamnestici
vengono
valutati
dal
sistema;
il
programma
“Sexpert”
per
la
diagnosi
e
il
trattamento
di
disturbi
di
natura
sessuale;
il
programma
“Espdq-C”
per
la
rilevazione
di
disturbi
della
personalità.
(19) I.A. CRISTEA, M. SUCALA, D. DAVID, Can you tell
the
difference? Comparing face-to-face
versus
computer-based interventions. The
“Eliza”
effect
in Psychotherapy, in Journal
of
Cognitive
and
Behavioral Psychotherapies, 2013, vol. 13, n. 2, pp. 291 ss.
ConTRIBUTI
DI
DoTTRInA
sulla
concreta
possibilità
che
i
sistemi
di
AI possano sostituirsi
allo psicoterapeuta
o,
in
termini
più
generali,
al
personale
medico
con
esiti
non
del
tutto
prevedibili.
In
effetti,
secondo
i
risultati
di
un
report
commissionato
dallo
Steering
Committee
for
Human rights
in the
fields
of
Biomedicine
and Health
del
Consiglio d’Europa
i
sistemi
di
AI sarebbero potenzialmente
in grado di
alterare
il
rapporto medico-paziente
(20). Ancora
una
volta
si
tratterà
dunque
di
indirizzare
l’innovazione
tecnologica
in
una
direzione
che
sia
rispettosa
dei
diritti e della dignità del paziente.
Al
riguardo,
merita
riprendere
le
considerazioni
dello
Steering
Committee,
affidate
ai
concluding
remarks
del
report:
“The
degree
to
which
AI
systems
inhibit
‘good’
medical
practice
hinges
upon
the
model
of
service.
If
AI
is
used
solely
to
complement
the
expertise
of
health
professionals
bound
by
the
fiduciary
obligations
of
the
doctor-patient
relationship,
the
impact
of
AI
on
the
trustworthiness
and
human
quality
of
clinical
encounters
may
prove
to
be
minimal.
At
the
same
time,
if
AI
is
used
to
heavily
augment
or
replace
human
clinical
expertise,
its
impact
on
the
caring
relationship
is
more
difficult
to
predict.
It
is
entirely
possible
that
new,
broadly
accepted
norms
‘good’
care
will
emerge
through
greater
reliance
on
AI
systems,
with
clinicians
spending
more
time
face-to-face
with
patients
and
relying
heavily
on
automated
recommendations”
(21).
3. La disciplina euro-unitaria sui dispositivi medici.
Le
innovazioni
ottenute
in
campo
sanitario
grazie
all’applicazione
dei
sistemi
di
AI impongono di
valutare
se
tali
sistemi
possano essere
assoggettati
alla
regolamentazione
europea
dei
dispositivi
medici. A
tale
scopo, una
ricognizione
degli
atti
legislativi
applicabili
in materia
di
dispositivi
medici
a
livello
europeo
(22)
deve
necessariamente
prendere
in
considerazione
il
Regolamento
(UE)
2017/745
relativo
ai
dispositivi
medici
(23),
il
Regolamento
(UE) n. 536/2014 sulla
sperimentazione
clinica
di
medicinali
per uso
umano (24), e
il
Regolamento (CE) n. 726/2004 che
istituisce
procedure
co
(20) B. MITTELSTADT, The
impact
of
artificial
intelligence
on The
Doctor-Patient
relationship,
December 2021 (Report
commissioned by the
Steering Committee
for human Rights
in the
fields
of
Biomedicine and health (CDBIo), Council of Europe).
(21) B. MITTELSTADT, The
impact
of
artificial
intelligence
on The
Doctor-Patient
relationship,
cit., p. 64.
(22) Per un’analisi
della
normativa
europea
in materia
di
dispositivi
medici
v. F.C. LA
VATTIATA,
ai-based medical
devices: the
applicable
law in the
European Union, in BioLaw Journal
-rivista di
BioDiritto, 2022, n. 4, pp. 411 ss.
(23) Regolamento (UE) 2017/745 del
Parlamento europeo e
del
Consiglio del
5 aprile
2017 relativo
ai
dispositivi
medici, che
modifica
la
direttiva
2001/83/CE, il
regolamento (CE) n. 178/2002 e
il
regolamento (CE) n. 1223/2009 e che abroga le direttive 90/385/CEE e 93/42/CEE del Consiglio.
(24) Regolamento (UE) n. 536/2014 del
Parlamento europeo e
del
Consiglio del
16 aprile
2014
sulla sperimentazione clinica di medicinali per uso umano e che abroga la direttiva 2001/20/CE.
RASSEGnA
AVVoCATURA
DELLo
STATo -n. 1/2023
munitarie
per l’autorizzazione
e
la
sorveglianza
di
medicinali
per uso umano
e veterinario (25).
Con
riferimento
al
primo
atto
normativo
menzionato,
merita
evidenziare
che
il
Regolamento
(UE)
2017/745
relativo
ai
dispositivi
medici,
entrato
in
vigore
il
26
maggio
2021,
ha
sostituito
le
precedenti
Direttive
n.
93/42
e
n.
90/385,
conservandone
tuttavia
la
disciplina
integrata
di
nuove
disposizioni
(26).
In
particolare,
sono
stati
ampliati
i
controlli
sulla
sicurezza
e
sulla
efficacia
dei
dispositivi,
è
stata
prevista
la
rimozione
del
meccanismo
che
permetteva
di
accelerare
la
commercializzazione
di
prodotti
equivalenti
ad
altri
già
esistenti
sul
mercato,
ed
è
stato
posto
l’obbligo
di
effettuare
controlli
successivi
(clinical
follow-up)
alla
commercializzazione
per
tutti
i
dispositivi
medici.
Tanto
premesso,
la
questione
circa
la
configurabilità
dei
sistemi
di
AI
applicati
in medicina
alla
stregua
di
dispositivi
medici
non può evidentemente
prescindere,
in
primo
luogo,
dalla
definizione
di
dispositivo
medico
contenuta
nel Regolamento in esame.
Ai
sensi
dell’art.
2(1)
del
Regolamento,
costituisce
un
dispositivo
medico
qualunque
strumento, apparecchio o software
“destinato dal
fabbricante
a
essere
impiegato sull’uomo, da
solo o in combinazione, per una
o più delle
[...]
destinazioni
d’uso
mediche”
specificamente
contemplate
dal
Regolamento,
che
includono
“diagnosi,
prevenzione,
monitoraggio,
previsione,
prognosi,
trattamento o attenuazione di malattie” (27).
Alla
luce
della
vigente
definizione,
la
possibilità
di
definire
uno
strumento
di
intelligenza
artificiale
quale
dispositivo medico dipende
pertanto dalla
sussistenza
di
due
elementi:
da
un
alto,
il
perseguimento
di
uno
degli
obiettivi
medici
individuati
dall’art. 2(1) e, dall’altro, l’intento del
fabbricante
di
produrre
un dispositivo da impiegarsi per fini medici (28).
La
disciplina
contenuta
nel
Regolamento
2017/745
viene
altresì
in
rilievo
per
l’individuazione
degli
obblighi
posti
in
capo
al
fabbricante
del
dispositivo
medico, i
quali
espressamente
contemplati
all’art. 10, riguardano la
garanzia
della
sicurezza
del
dispositivo, i
benefici
clinici
derivanti
dal
suo impiego e
la
qualità del prodotto messo in commercio.
(25) Regolamento (CE) n. 726/2004 del
Parlamento europeo e
del
Consiglio del
31 marzo 2004
che
istituisce
procedure
comunitarie
per
l’autorizzazione
e
la
sorveglianza
dei
medicinali
per
uso
umano
e veterinario, e che istituisce l’agenzia europea per i medicinali.
(26) Per l’analisi
dei
profili
innovativi
della
nuova
disciplina
europea
sui
dispositivi
medici
v. n.
MARTELLI
et
al., New regulation for
medical
Devices: What
is
Changing?, in Cardiovascular
and interventional
radiology, 2019, vol. 42, pp. 1272 ss.
(27) Art. 2(1), Reg. (UE) 2017/745.
(28) In questo senso si
erano già
espresse
le
linee
guida
emanate
dalla
Commissione
europea
con
riferimento alle
direttive
precedenti:
European Commission, Guidelines
on the
qualification and classification
of
stan alone
software
used in healtcare
within the
regulatory
framework
of
medical
devices
(MEDDEV 2.1/6), July 2016.
ConTRIBUTI
DI
DoTTRInA
nell’impostazione
di
tale
disciplina
assumono ruolo centrale
-anche
al
fine
di
verificare
che
il
fabbricante
adempia
agli
obblighi
prescritti
e, dunque,
che
il
prodotto sia
conforme
alle
esigenze
di
sicurezza
ed efficacia
del
dispositivo
medico -le
valutazioni
e
le
indagini
cliniche
di
cui
esso è
oggetto:
per
limitarsi
ad alcuni
esempi, può segnalarsi
la
disposizione
dell’art. 61, che
fa
obbligo al
fabbricante
di
precisare
e
motivare
il
“livello di
evidenze
cliniche
necessario a
dimostrare
il
rispetto dei
pertinenti
requisiti
generali
di
sicurezza
e
prestazione”, e
prescrive
inoltre, che
“[t]ale
livello di
evidenze
cliniche
dev’essere
appropriato in considerazione
delle
caratteristiche
del
dispositivo e
della
sua
destinazione
d’uso”. Di
conseguenza
il
fabbricante
è
tenuto ad aggiornare
periodicamente
le
valutazioni
cliniche, affinché
sia
garantita
la
continuativa
efficacia
del
dispositivo medico rendendo disponibili
i
risultati
delle
indagini
in appositi
report. Egualmente
rilevante
è
l’art. 62, che
disciplina
le
indagini
cliniche
e
ne
predispone
i
requisiti
procedurali:
finalità
principale
di
tali
indagini
è
quella
di
accertare
che
il
dispositivo sia
idoneo a
svolgere
una
delle
funzioni
mediche
rientranti
nell’ambito
di
applicazione
del
Regolamento,
di
riscontrare
la
sussistenza
di
benefici
clinici
conseguenti
all’utilizzazione
di
tale
dispositivo,
di
verificarne
la
sicurezza,
di
individuare
eventuali
effetti
collaterali
del
suo impiego e
di
valutare
se
questi
costituiscano rischi
accettabili
nel confronto con i benefici attesi.
Per
quanto
riguarda,
in
secondo
luogo,
la
normativa
sulla
sperimentazione
clinica
di
medicinali
per
uso
umano
contenuta
nel
Regolamento
(UE)
n.
536/2014, va
sottolineata
la
limitata
rilevanza
per i
sistemi
di
AI utilizzati
in
campo medico. Le
relative
disposizioni
non sono infatti
applicabili
ai
dispositivi
medici
elaborati
grazie
all’impiego di
sistemi
di
AI, salvo i
casi
in cui
il
prodotto sanitario risulti
da
una
combinazione
dei
dispositivi
medici
con prodotti
farmaceutici sottoposti alla normativa in esame (29).
In
termini
diversi
viene
in
gioco
il
Regolamento
(CE)
n.
726/2004
che
ha
istituito l’Agenzia
Europea
per i
Medicinali
(EMA) con lo scopo di
promuovere
uno standard di
eccellenza
nella
valutazione
e
supervisione
dei
medicinali.
L’attività
dell’Agenzia,
com’è
noto,
consiste
principalmente
nel
prestare
assistenza
agli
Stati
Membri
e
alle
Istituzioni
dell’UE
mediante
pareri
scientifici
e
tecnici
sulla
qualità,
sulla
sicurezza
e
sulla
efficacia
dei
medicinali.
Inoltre, l’EMA
coordina
la
definizione
di
linee
guida
per il
rilascio delle
autorizzazioni
di
immissione
nel
mercato di
medicine
destinate
ad uso umano, e
presiede
alle
attività
di
sorveglianza
e
controllo
dei
medicinali
dopo
la
loro
commercializzazione.
nel
caso
di
prodotti
composti
da
dispositivi
medici
fondati
sull’uso
combinato
di
sistemi
di
AI e
di
medicinali, l’EMA
è
pertanto responsabile
per la
(29) F.C. LA
VATTIATA, ai-based medical
devices: the
applicable
law in the
European Union, cit.,
pp. 423-424.
RASSEGnA
AVVoCATURA
DELLo
STATo -n. 1/2023
valutazione
della
qualità, efficacia
e
sicurezza
dei
prodotti
oggetto delle
domande
di
autorizzazione
per
l’immissione
nel
mercato.
In
particolare,
nelle
diverse
ipotesi
in cui
il
dispositivo medico basato su sistemi
di
AI richiede
un
trattamento
medicinale
di
carattere
meramente
ancillare,
l’EMA
sarà
chiamata
ad emettere
un parere
sulla
qualità
e
sulla
sicurezza
della
sostanza
medicinale
ancillare.
4. Le
più recenti
proposte
legislative
dell’Unione
Europea in materia di
intelligenza
artificiale.
Tra
le
iniziative
legislative
dell’Unione
Europea
in materia
di
AI riveste
un ruolo di
primo piano la
Proposta
di
Regolamento del
Parlamento europeo
e
del
Consiglio che
stabilisce
regole
armonizzate
sull’intelligenza
artificiale
(Legge sull’intelligenza artificiale) del 21 aprile 2021 (30).
La
Proposta
suddetta
si
pone
due
obiettivi
principali:
da
un
lato
affrontare
i
rischi
riguardanti
alcune
specifiche
applicazioni
dell’Intelligenza
Artificiale
e, dall’altro, promuovere
lo sviluppo di
questo tipo di
tecnologia
(31). In questa
prospettiva,
com’è
noto,
la
regolamentazione
proposta
con
l’ai
act
si
fonda
sull’individuazione
di
differenti
livelli
di
rischio che
vengono associati
al
tipo
di sistema di
AI impiegato (“risk-based approach”).
Gli
snodi
centrali
della
proposta
regolatoria
vertono
sulla
predisposizione
di
una
definizione
ampia
di
Intelligenza
Artificiale
(32)
come
tale
idonea
a
contenere
anche
i
futuri
sviluppi
della
tecnologia;
sulla
configurazione
di
una
regolamentazione
incentrata
sui
casi
di
c.d. alto rischio;
sul
divieto di
utilizzazione
di
alcuni
tipi
di
AI specificamente
individuati
per ragioni
di
tutela
di
diritti
e
libertà
fondamentali;
e
sull’individuazione
di
requisiti
minimi
di
trasparenza
applicabili in tutti i casi di impiego di sistemi di
AI.
nell’analisi
della
disciplina
contenuta
nell’ai
act,
che
intende
coprire
sia
le
fasi
di
sviluppo
e
di
commercializzazione
dei
sistemi
di
AI
sia
quella
di
concreta
applicazione
degli
stessi, due
principali
questioni
vengono in rilievo:
da
un lato, la
definizione
del
rapporto della
normativa
proposta
con gli
altri
atti
(30) Proposta
di
Regolamento del
Parlamento europeo e
del
Consiglio che
stabilisce
regole
armonizzate
sull’intelligenza
artificiale
(Legge
sull’Intelligenza
Artificiale)
e
modifica
alcuni
atti
legislativi
dell’Unione, Bruxelles, 21.4.2021 (CoM(2021) 206 final).
(31) Si
veda
sul
punto la
relazione
introduttiva
della
Proposta
(punto n. 1.1., riguardante
“Motivi
e obiettivi della proposta”).
(32) Si
tratta
di
una
scelta
che
è
stata
criticata
da
una
parte
della
dottrina, la
quale
ritiene
che, a
fronte
dell’impossibilità
di
fornire
una
definizione
di
AI in grado di
coprirne
tutte
le
presenti
e
future
applicazioni, sarebbe
più opportuno provvedere
alla
sua
disciplina
mediante
una
regolamentazione
per
settori
piuttosto che
di
tipo unitaria. In questo senso v. A. BERToLInI, artificial
intelligence
Does
Not
Exist! Defying The
Technology-Neutrality
Narrative
in The
regulation of
Civil
Liability
for
advanced
Technologies,
in
Europa
e
diritto
privato,
2022,
n.
2,
pp.
369
ss.;
ID.,
ai
&
Civil
Liability,
in
A.
BERToLInI,
R. CARLI, R. LIMonGELLI
e
L. SPoSInI, regulating advanced Technologies: Policy
Papers
of
the
Jean
monnet Centre of Excellence on the regulation of robotics and ai - EUra, 2022, pp. 39 e ss.
ConTRIBUTI
DI
DoTTRInA
legislativi
vigenti
in materie, come
quella
dei
dispositivi
medici, in cui
l’AI
trova
frequente
applicazione;
dall’altro,
la
necessità
di
individuare
il
livello
di
rischio da attribuirsi ai sistemi di
AI impiegati in ambito sanitario.
Con riferimento alla
prima
questione, può osservarsi
come
la
stessa
Proposta
di
Regolamento provveda
a
disciplinare
il
rapporto tra
le
proprie
disposizioni
e
quelle
di
altre
fonti
del
diritto dell’UE. Alla
nuova
normativa
viene
infatti
attribuita
una
“natura
orizzontale”
che
richiede
“un’assoluta
coerenza
con la
normativa
vigente
dell’Unione
applicabile
ai
settori
nei
quali
i
sistemi
di
AI ad alto rischio sono già
utilizzati
o saranno probabilmente
utilizzati
in
un prossimo futuro”
(33). Con particolare
riguardo ai
dispositivi
medici, oggetto
dei
Regolamenti
sopra
richiamati, i
requisiti
imposti
dall’artificial
intelligence
act
per
l’impiego
di
sistemi
di
AI
ad
alto
rischio
sono
pertanto
destinati
ad aggiungersi
a
quelli
già
previsti
dalla
disciplina
settoriale
di
riferimento.
L’inclusione
dei
sistemi
di
AI
impiegati
in
ambito
sanitario
nel
campo
applicativo
delle
previsioni
contenute
nella
Proposta
presuppone
che
la
rischiosità
propria
di
tali
sistemi
integri
il
carattere
di
“alto rischio”
a
cui
fanno
riferimento le definizioni introdotte dalla normativa.
Ai
fini
della
classificazione
nella
categoria
caratterizzata
da
“alto
rischio”,
l’art. 6, par. 1, della
Proposta
richiede
che
siano “soddisfatte
entrambe
le
condizioni
seguenti:
a) il
sistema
di
AI è
destinato a
essere
utilizzato come
componente
di
sicurezza
di
un prodotto, o è
esso stesso un prodotto, disciplinato
dalla
normativa
di
armonizzazione
elencata
nell’allegato II;
b) il
prodotto, il
cui
componente
di
sicurezza
è
il
sistema
di
AI,
o
il
sistema
di
AI
stesso
in
quanto
prodotto
è
soggetto
a
una
valutazione
della
conformità
da
parte
di
terzi
ai
fini
dell’immissione
sul
mercato o della
messa
in servizio di
tale
prodotto
ai
sensi
della
normativa
di
armonizzazione
dell’Unione
elencata
nell’allegato
II” (34).
Considerato che
l’allegato II della
Proposta, al
punto n. 11 della
sezione
A), include
espressamente
il
Regolamento (UE) 745/2017 sui
dispositivi
medici
nell’elenco della
normativa
di
armonizzazione
dell’Unione, e
che, sulla
base
delle
regole
di
classificazione
contenute
nel
Capo III dell’Allegato VII
al
Reg. UE
745/2017, i
dispositivi
medici
che
impiegano l’AI rientrano, nella
maggior parte
dei
casi, in una
classe
di
rischio per la
quale
è
prevista
la
valutazione
di
conformità
dell’organismo notificato (35), appare
ragionevole
con
(33) Proposta
di
Regolamento del
Parlamento europeo e
del
Consiglio che
stabilisce
regole
armonizzate
sull’intelligenza artificiale, CoM(2021) 206 final, cit., punto n. 1.2. della “Relazione”.
(34) Art. 6(1), Proposta
di
Regolamento del
Parlamento europeo e
del
Consiglio che
stabilisce
regole
armonizzate
sull’intelligenza
artificiale, CoM(2021) 206 final, cit. Il
paragrafo 2 della
disposizione
stabilisce
inoltre:
“oltre
ai
sistemi
di
AI ad alto rischio di
cui
al
paragrafo 1, sono considerati
ad
alto rischio anche i sistemi di
AI di cui all’allegato III”.
(35)
Ai
sensi
del
Regolamento
(UE)
745/2017,
i
dispositivi
medici
sono
classificati
mediante
sud
RASSEGnA
AVVoCATURA
DELLo
STATo -n. 1/2023
cludere
che
tali
sistemi
rappresenterranno, il
più delle
volte, sistemi
“ad alto
rischio” ai sensi dell’ai act.
Questa
circostanza
risulta
peraltro
coerente
con
l’impostazione
della
Proposta
che
già
al
considerando
n. 28 sottolinea
che
“[i] sistemi
di
AI ad alto rischio
potrebbero avere
ripercussioni
negative
per la
salute
e
la
sicurezza
delle
persone”
(36) e
che
“nel
settore
sanitario, in cui
la
posta
in gioco per la
vita
e
la
salute
è
particolarmente
elevata, è
opportuno che
i
sistemi
diagnostici
e
i
sistemi
di
sostegno delle
decisioni
dell’uomo, sempre
più sofisticati, siano affidabili
e accurati”.
Venendo ora
alla
questione
della
responsabilità
per danno causato da
sistemi
di
AI, è
da
rilevare
che
la
Proposta
finora
analizzata
non si
occupa
direttamente
della
materia.
Una
prima
iniziativa
delle
Istituzioni
dell’Unione
per
la
promozione
di
un
regolamento
in
materia
di
responsabilità
civile
per
danni
da
AI si
è
sostanziata
nella
Risoluzione
del
Parlamento europeo del
20
ottobre
2020
(37);
benché
precedenti
interventi
in
materia
avessero
avuto
luogo
con
la
Risoluzione
del
Parlamento
europeo
del
16
febbraio
2017
recante
raccomandazioni
alla
Commissione
concernenti
norme
di
diritto civile
sulla
robotica (38).
nella
documentazione
prodotta
in
risposta
alla
Risoluzione
del
2020,
la
Commissione
ha
individuato
fin
da
principio
nella
Direttiva
sulla
responsabilità
dei
danni
da
prodotto
il
parametro
di
riferimento
per
la
disciplina
della
materia,
proponendosi
di
valutare,
mediante
apposita
consultazione,
se
la
revisione
o
la
modifica
di
alcune
parti
della
Direttiva
potesse
consentirne
l’estensione
applicativa
ai
casi
di
danno
prodotto
dall’impiego
di
si-
divisione
in quattro classi
di
rischio:
I, IIa, IIb, e
III. Sulla
base
di
tale
distinzione, l’art. 52 del
Regolamento
predispone
una
procedura
di
valutazione
della
conformità
del
dispositivo
medico
che
varia
in
funzione
della
classe
di
rischio assegnata. L’unica
ipotesi
in cui
non è
richiesto l’intervento dell’organismo
notificato
è
quella
riguardante
i
dispositivi
medici
che
rientrano
nella
classe
di
rischio
I
e
che
presentano determinate
caratteristiche:
non sono sterili;
non svolgono funzioni
di
misura;
e
non costituiscono
strumenti
chirurgici
riutilizzabili. In questo solo caso, il
Regolamento pone
in capo al
fabbricante
l’obbligo
di
redigere
una
dichiarazione
di
conformità,
senza
che
siano
coinvolti
soggetti
terzi
nella
procedura.
(36)
Merita
sottolineare
che
le
preoccupazioni
circa
i
possibili
effetti
dell’AI
sulla
tutela
dei
diritti
fondamentali
della
persona
ha
recentemente
indotto
autorevoli
esponenti
dell’accademia
a
proporre
alle
Istituzioni
europee
di
includere
una
valutazione
di
impatto
sui
diritti
fondamentali
nell’ambito
della
regolamentazione
dell’AI.
Si
consulti
al
riguardo
l’indirizzo
di
rete
.
(37) Risoluzione
del
20 ottobre
2020 recante
raccomandazioni
alla
Commissione
su un regime
di
responsabilità
civile
per
l’intelligenza
artificiale,
2020/2014(InL).
Per
un
esame
dei
contenuti
della
normativa
proposta
v. A. BERToLInI, artificial
intelligence
Does
Not
Exist! Defying The
Technology-Neutrality
Narrative
in The regulation of Civil Liability for
advanced Technologies, cit., pp. 384 ss.
(38) Per la
ricostruzione
della
genesi
del
quadro giuridico europeo in materia
di
responsabilità
civile
per danni
da
AI v. D. ChIAPPInI, intelligenza artificiale
e
responsabilità civile: nuovi
orizzonti
di
regolamentazione
alla luce
dell’artificial
intelligence
act
dell’Unione
europea, in rivista italiana di
informatica e diritto, 2022, n. 2, pp. 95 ss.
ConTRIBUTI
DI
DoTTRInA
stemi
di
AI.
In
particolare,
la
Risoluzione
richiamata,
pur
riconoscendo
la
necessità
di
alcune
modifiche
(in
primo
luogo
delle
definizioni
di
“prodotto”
e
di
“produttore”),
ha
sottolineato
che
la
Direttiva
sulla
responsabilità
per
danno
da
prodotto
difettoso
(che,
com’è
noto,
ha
introdotto
un
regime
di
responsabilità
oggettiva
del
produttore
per
i
danni
causati
dai
difetti
del
prodotto)
e
i
regimi
nazionali
di
responsabilità
per
colpa
apparivano
idonei,
in
linea
di
principio,
a
costituire
il
fulcro
della
legislazione
per
la
disciplina
del
maggior
numero
di
casi
di
danno
causato
dall’AI
(39).
nell’abbracciare
questa
prospettiva,
il
Parlamento
europeo
ha
ritenuto,
pertanto,
di
non
seguire
la
diversa
via,
pur
prospettata
da
una
parte
della
dottrina
a
proposito
dei
criteri
di
imputazione
dei
danni
causati
da
sistemi
di
AI,
che
vedrebbe
attribuita
a
tali
sistemi
una
vera
e
propria
personalità
giuridica
(40).
L’esame
della
Risoluzione
del
2020
deve
essere
compiuto
tenendo
in
considerazione
quanto oggi
previsto nel
testo della
Proposta
di
Regolamento del
21
aprile
2021,
che
getta
le
basi
del
sistema
della
responsabilità
civile
nel-
l’ambito dell’AI. In particolare, la
Proposta
viene
in rilievo per la
definizione
di
Intelligenza
Artificiale, per la
categorizzazione
dei
sistemi
che
se
ne
avvalgono
e
per l’individuazione
delle
pratiche
vietate. Peraltro, la
Risoluzione
del
2020
e
l’ai
act
condividono
la
particolare
attenzione
posta
sull’esigenza
di
individuare
il
rischio legato all’utilizzo dei
sistemi
di
AI e
di
predisporre
una
corretta
allocazione
della
responsabilità
tra
i
diversi
soggetti
che
intervengono
nel
ciclo
di
vita
di
un
algoritmo
(fabbricante,
utilizzatore,
destinatario
del
trattamento,
ecc.) (41).
La
Proposta
di
regolamento
allegata
alla
Risoluzione
del
2020,
strutturata
in
ventiquattro
considerando,
cinque
capi
e
quindici
articoli,
proponeva
alla
Commissione
l’adozione
di
un
regime
di
responsabilità
oggettiva
per
i
sistemi
ad
alto
rischio
e
un
regime
di
responsabilità
per
colpa
per
gli
altri
sistemi.
nel
caso di
sistemi
ad alto rischio la
previsione
attorno alla
quale
si
imperniava
il
regime
di
responsabilità
extracontrattuale
era
quella
che
individuava
il
soggetto
responsabile
per
i
danni
causati
da
un
sistema
di
AI
nell’operatore. Dal
punto di
vista
dell’elemento soggettivo, come
anticipato,
(39) Al
riguardo, si
veda, ad esempio, il
Considerando
n. 9 della
Proposta
di
Regolamento sulla
responsabilità
per
i
funzionamento
dei
sistemi
di
intelligenza
artificiale
allegata
alla
Risoluzione
in
esame.
(40)
Per
alcune
riflessioni
sul
tema
v.
G.
TADDEI
ELMI,
S.
MARChIAFAVA,
A.
UnFER,
responsabilità
civile
e
Personalità giuridica della intelligenza artificiale, in i-lex, 2021, n. 2, pp. 100 ss., nonché
L.
ARnAUDo, R. PARDoLESi, Ecce
robot.
Sulla responsabilità dei
sistemi
adulti
di
intelligenza artificiale,
in Danno e responsabilità, 2023, n. 4, pp. 409 ss.
(41) In questa
prospettiva, v. D. ChIAPPInI, intelligenza artificiale
e
responsabilità civile: nuovi
orizzonti
di
regolamentazione
alla luce
dell’artificial
intelligence
act
dell’Unione
europea, cit., p. 100.
RASSEGnA
AVVoCATURA
DELLo
STATo -n. 1/2023
veniva
sancita
l’applicazione
del
criterio della
responsabilità
oggettiva
(42).
La
responsabilità
degli
operatori
di
sistemi
di
AI ad alto rischio era
pertanto
esclusa
solamente
nelle
ipotesi
in cui
il
danno fosse
dovuto a
cause
di
forza
maggiore, non essendo sufficiente
la
prova
dell’aver agito con la
dovuta
diligenza
(43).
nel
caso di
sistemi
di
AI connotati
da
rischio minore, in virtù del
regime
di
responsabilità
per
colpa,
l’operatore
era
invece
esonerato
dall’obbligo
di
risarcimento
mediante
la
dimostrazione
della
non
imputabilità
del
danno
alla
sua
condotta
oppure
dell’avere
agito con la
dovuta
diligenza
(44). La
responsabilità
era
inoltre
esclusa
quando
il
sistema
di
AI,
nonostante
fossero
state
adottate
tutte
le
misure
necessarie
per evitarne
l’attivazione, si
fosse
attivato
senza che l’operatore ne fosse a conoscenza.
Successivamente
alla
Risoluzione
del
2020, due
ulteriori
proposte
legislative
sono state
avanzate
nel
2022 dalle
Istituzioni
europee
sul
tema
della
responsabilità
civile:
la
Proposta
di
Direttiva
sulla
responsabilità
per
danno
da
prodotti
difettosi
(45) e
la
Proposta
di
Direttiva
sulla
responsabilità
extracontrattuale
da intelligenza artificiale (46).
Mentre
la
prima
Proposta
risponde
alla
menzionata
necessità
di
un adeguamento
della
vigente
Direttiva
sulla
responsabilità
per
danni
da
prodotto
difettoso,
la
seconda
si
occupa
specificamente
della
questione
in esame. Essa
si
pone
come
obiettivi
principali
quelli
di
fornire
strumenti
giuridici
idonei
a
garantire
ai
cittadini
europei
il
diritto
al
risarcimento
dei
danni
causati
da
sistemi
di
AI
ad
alto
rischio.
In
questa
prospettiva,
la
regolamentazione
proposta
si
occupa
di
agevolare
l’identificazione
dei
soggetti
potenzialmente
responsabili
del
danno eventualmente
subito, nonché
la
dimostrazione
dei
fatti
posti
a
fondamento
della domanda risarcitoria.
Al
riguardo, è
disposizione
rilevante
l’articolo 3(1), che
attribuisce
a
un
organo
giurisdizionale
il
potere
di
ordinare
la
divulgazione
di
elementi
di
prova
in
relazione
a
specifici
sistemi
di
AI
ad
alto
rischio
la
cui
operatività
si
presume
abbia cagionato un danno.
Inoltre,
al
paragrafo
5
dello
stesso
articolo
3,
viene
introdotta
una
pre
(42) V. l’art. 4 della
Proposta
di
Regolamento allegata
alla
Risoluzione
del
2020, rubricato “Responsabilità
oggettiva
per i
sistemi
di
AI ad alto rischio”. Si
tratta
di
una
scelta
che
ha
trovato conferma
al
punto n. 146 della
Risoluzione
del
Parlamento europeo del
3 maggio 2022 sull’intelligenza
artificiale
in un’era digitale, 2020/2266(InI).
(43) Art. 4, par. 3, della Proposta di Regolamento allegata alla Risoluzione del 2020.
(44)
La
disciplina
del
regime
di
responsabilità
per
i
danni
causati
dagli
“altri
sistemi
di
AI”
è
contenuta
nell’art. 8 della
Proposta
di
Regolamento sulla
responsabilità
per i
funzionamento dei
sistemi
di
intelligenza artificiale.
(45) Proposta
di
Direttiva
del
Parlamento europeo e
del
Consiglio sulla
responsabilità
per danno
da prodotti difettosi, CoM(2022) 495 final.
(46) Proposta
di
Direttiva
del
Parlamento europeo e
del
Consiglio sulla
responsabilità
extracontrattuale
da intelligenza artificiale, CoM(2022) 496 final.
ConTRIBUTI
DI
DoTTRInA
sunzione
di
non conformità
della
condotta
del
convenuto all’obbligo di
diligenza
previsto in capo allo stesso. Si
tratta
di
uno strumento procedurale
che,
oltre
ad essere
bilanciato dal
diritto del
convenuto di
confutare
quanto acquisito
dal
giudice
in
via
presuntiva,
è
applicabile
nei
soli
casi
in
cui
il
convenuto
non
si
conformi
alla
richiesta
di
divulgazione
o
di
conservazione
degli
elementi
di prova (di cui all’art. 3, par. 1 e 2).
nell’impostazione
della
Proposta
di
Direttiva
in esame, la
responsabilità
è
attribuita
sulla
base
della
sussistenza
della
colpa, ricavabile
dalla
non conformità
della
condotta
a
un obbligo di
diligenza
previsto a
norma
del
diritto
unionale oppure nazionale.
Per quanto riguarda
poi
il
nesso causale
tra
la
violazione
dell’obbligo di
diligenza
e
l’output
prodotto dal
sistema
di
AI, o la
mancata
produzione
di
un
output
da
parte
del
sistema
di
AI
che
ha
cagionato
un
danno,
la
normativa
proposta
stabilisce, all’articolo 4(1), una
presunzione
relativa
di
causalità
per superare
le
difficoltà
in cui
il
danneggiato potrebbe
incorrere
nella
difficoltosa
dimostrazione di tale nesso.
In
virtù
della
regola
per
cui
la
colpa
del
convenuto
deve
pur
sempre
essere
dimostrata
in giudizio dall’attore, la
presunzione
di
causalità
è
da
applicarsi
solo quando si
può ritenere
probabile
che
la
colpa
in questione
abbia
influenzato
l’output
del
sistema
di
AI o la
sua
mancata
produzione
sulla
base
di
una
attenta valutazione delle circostanze del caso concreto.
Inoltre,
in
caso
di
sistemi
di
AI
ad
alto
rischio,
l’articolo
4(4)
prevede
come
eccezione
all’applicabilità
della
presunzione
di
causalità
il
caso in cui
il
convenuto dimostri
che
l’attore
può ragionevolmente
accedere
a
elementi
di
prova sufficienti per dimostrare il nesso causale (47).
nel
caso
in
cui
il
danno
sia
invece
causato
da
sistemi
di
AI
non
appartenenti
alla
categoria
“ad
alto
rischio”,
l’articolo
4(5)
rimette
l’applicazione
della
presunzione
di
causalità
al
prudente
apprezzamento
del
giudice:
essa
sarà
applicabile
solo
quando
l’organo
giurisdizionale
ritenga
eccessivamente
difficile
per
l’attore
la
dimostrazione
della
sussistenza
del
nesso
causale.
Tali
difficoltà
devono
essere
valutate
alla
luce
delle
caratteristiche
degli
specifici
sistemi
di
AI
coinvolti,
con
attenzione
alla
loro
eventuale
autonomia
o
particolare
opacità,
che
potrebbero
rendere
nel
caso
concreto
estremamente
difficile
la
spiegazione
del
funzionamento
interno
del
sistema
di
AI,
nonché
la
dimostrazione
relativa
al
nesso
di
causalità.
Anche
in
questo
caso,
il
convenuto
può
offrire
elementi
utili
a
ribaltare
la
presunzione
di
causalità
di
cui
all’art.
4(1)
(48).
(47) Si
tratta
di
una
previsione
che
sembra
voler incentivare
il
rispetto degli
obblighi
di
divulgazione
e
di
trasparenza
imposti
in capo a
coloro che
producono o impiegano sistemi
di
AI ad alto rischio.
(48) Art. 4(7) della Proposta di Direttiva.
RASSEGnA
AVVoCATURA
DELLo
STATo -n. 1/2023
5. alcune riflessioni in tema di ia e responsabilità medica.
Come
evidenziato
nei
precedenti
paragrafi
di
questo
contributo
(49),
l’AI
sta
assumendo un ruolo di
primaria
importanza
in ambito sanitario, consentendo,
tra
le
diverse
applicazioni, di
migliorare
la
rapidità
e
l’efficacia
della
diagnosi delle patologie (50) e del trattamento delle stesse.
Alla
luce
di
un
progresso
tecnologico
di
tale
portata,
sorge
l’interrogativo
circa
l’adeguatezza
di
una
normativa
-quella
della
responsabilità
medica
concepita
in un contesto in cui
non poteva
compiutamente
tenersi
conto delle
evoluzioni tecnologiche che sarebbero intervenute (51).
In assenza
di
precise
indicazioni
legislative, la
dottrina
che
si
è
occupata
del
tema
della
responsabilità
civile
per danni
causati
dall’impiego dell’AI ha
avanzato diverse
ipotesi
ricostruttive, tra
loro spesso confliggenti. I punti
nodali
della
riflessione
in materia
vertono sul
regime
di
responsabilità
dell’operatore
sanitario, della
struttura
ospedaliera
e
del
fabbricante
del
sistema
di
AI
difettoso.
5.1. La responsabilità dell’operatore sanitario.
Secondo
un
primo
orientamento,
l’impiego
dell’AI
andrebbe
considerato
come
fattore
neutrale
rispetto
alla
qualificazione
della
natura
della
prestazione
sanitaria:
essa,
nell’impostazione
tradizionale,
rientra
tra
le
prestazioni
di
mezzi. In caso di
inadempimento, la
responsabilità
è
parametrata
sul
criterio
della
colpa,
da
valutarsi
secondo
il
canone
della
diligenza
professionale
ex
art.
1176, co. 2, c.c. e
secondo le
linee
guida
e
le
buone
pratiche
clinico-assistenziali
di cui all’art. 5 della legge Gelli-Bianco (52).
Una
parte
della
dottrina
ritiene,
inoltre,
non
corretta
l’istituzione
di
un’automatica
correlazione
tra
il
carattere
di
complessità
ed
innovatività
dei
sistemi
di
AI
impiegati
in
medicina
e
l’applicazione
della
limitazione
della
responsabilità
ai
soli
casi
di
dolo
o
colpa
grave
prevista
dall’art.
2236
c.c.
per
il
caso
di
prestazioni
implicanti
«problemi
tecnici
di
speciale
difficoltà»:
la
ricorrenza
di
tale
presupposto
deve
essere
infatti
effettivamente
riscontrata
nel
caso
concreto
(53).
(49) Si rinvia al riguardo a quanto osservato nel paragrafo n. 2.
(50)
Si
consideri,
per
esempio,
il
caso
di
un
paziente
che,
pur
essendosi
sottoposto
a
visite
mediche
con diciassette
specialisti, è
riuscito a
ottenere
la
diagnosi
della
propria
patologia
grazie
a
ChatGPT. La
storia
è
ricostruita
all’indirizzo
di
rete
(ultimo
accesso
15.09.2023).
(51) Si
pensi
ad esempio alle
pratiche
di
telemedicina, che
pongono particolari
e
specifiche
questioni
in tema
di
responsabilità
medica. Si
veda
sul
punto l’indirizzo web
(ultimo
accesso 20.09.2023).
(52)
M.
FACCIoLI,
intelligenza
artificiale
e
responsabilità
sanitaria,
in
Nuova
giurisprudenza
civile commentata, 2023, n. 3, pp. 735 ss.
ConTRIBUTI
DI
DoTTRInA
nell’ambito
di
un
regime
di
responsabilità
per
colpa,
il
medico
non
risponderebbe
pertanto del
malfunzionamento di
un sistema
di
AI, ma
verrebbero
ad
esso
imputati
i
soli
danni
causati
da
un
suo
negligente
e
scorretto
utilizzo del sistema.
Una
diversa
parte
delle
dottrina
ha
ritenuto
imputabili
all’operatore
i
danni
causati
dal
sistema
di
AI
in
applicazione,
per
estensione
analogica,
delle
forme
speciali
di
responsabilità
extracontrattuale
previste
dal
c.c.
In
particolare,
tra
le
altre,
sono
state
avanzate
interpretazioni
incentrate
ora
sull’art.
2048,
co.
2
(responsabilità
del
precettore
per
le
azioni
dell’allievo),
ora
sull’art.
2049
(preponente-preposto),
oppure
sull’art.
2052
c.c.
(proprietario-
animale)
(54).
nell’elaborazione
dottrinale,
non
è
infine
mancato
chi
ha
proposto
di
guardare
alla
indicazione
algoritmica
di
un trattamento sanitario come
a
una
linea
guida
medica
o a
una
buona
pratica
assistenziale
(55). Accogliendo questa
impostazione,
dalla
conformità
del
trattamento
sanitario
alle
indicazioni
diagnostiche
e
terapeutiche
elaborate
dall’algoritmo
discenderebbe
l’esclusione
della
punibilità
del
medico
ovvero
la
riduzione
dell’ammontare
del
danno risarcibile al paziente (56).
5.2. La responsabilità della struttura ospedaliera.
nell’indagine
volta
a
individuare
i
soggetti
imputabili
per i
danni
derivanti
dall’impiego di
AI in ambito medico, deve
certamente
prendersi
in considerazione
anche la struttura sanitaria.
Essa
è
infatti
responsabile
non
solo
in
via
indiretta
per
le
condotte
del
proprio personale
medico, ma
anche, in via
diretta, in caso di
inadempimento
dell’obbligo di
predisporre
un contesto organizzativo di
livello adeguato alle
esigenze di cura e di trattamento degli assistiti.
Considerati
gli
obblighi
di
manutenzione
e
di
verifica
della
strumentazione
posti
in capo agli
enti
ospedalieri, potrebbe
argomentarsi
che
eventuali
danni
causati
da
sistemi
di
AI malfunzionanti
che
sarebbero stati
evitabili
alla
luce
di
un corretto adempimento di
tali
obblighi
determini
l’insorgenza
di
una
responsabilità
della
struttura
sanitaria
per difetto di
organizzazione
(57). Il
regime
di
responsabilità
sarà
in questo caso di
tipo oggettivo (con il
limite
del
(53)
G.
VoTAno,
intelligenza
artificiale
in
ambito
sanitaria:
il
problema
della
responsabilità
civile, in Danno e
responsabilità, 2022, n. 6, pp. 675 ss.;
M. FACCIoLI,
intelligenza artificiale
e
responsabilità
sanitaria, cit., p. 736.
(54) Per una
panoramica
v. M. FACCIoLI, intelligenza artificiale
e
responsabilità sanitaria, cit., p.
737.
(55)
A.G.
GRASSo,
Diagnosi
algoritmica
errata
e
responsabilità
medica,
in
rivista
di
diritto
civile,
2023, n. 2, pp. 341 ss.
(56) A.G. GRASSo, Diagnosi algoritmica errata e responsabilità medica, cit., p. 346.
(57)
G.
VoTAno,
intelligenza
artificiale
in
ambito
sanitario:
il
problema
della
responsabilità
civile, cit., p. 674.
RASSEGnA
AVVoCATURA
DELLo
STATo -n. 1/2023
l’impossibilità
sopravvenuta
non imputabile), dovendosi
inquadrare
i
doveri
organizzativi dell’ospedale nell’ambito delle obbligazioni di risultato (58).
Per altro verso, sembra
potersi
affermare
che
la
struttura
ospedaliera
non
possa
essere
chiamata
a
rispondere
dei
danni
causati
da
sistemi
di
AI che
presentino
vizi
di
fabbricazione
non
rilevabili
da
parte
dell’ente
nosocomiale
neppure
a seguito di diligenti controlli.
5.3. La responsabilità del produttore.
Come
si
ricava
da
quanto
osservato
finora,
il
fabbricante
può
essere
chiamato
a
rispondere
dei
danni
cagionati
da
malfunzionamenti
dei
sistemi
di
IA
(59), anche
non riconducibili
alla
negligenza
del
personale
medico oppure
a
un deficit
organizzativo della struttura sanitaria.
Ai
fini
dell’affermazione
della
responsabilità
civile
del
produttore
di
un
sistema
di
AI difettoso, la
normativa
di
riferimento è
notoriamente
costituita
dalla
disciplina
europea
sulla
responsabilità
del
produttore
(Dir. n. 374/1985
CEE), recepita in Italia agli artt. 114-127 cod. cons.
Come
rilevato in precedenza, l’applicazione
di
tale
normativa
ai
sistemi
di
IA
si
caratterizza
per
alcune
criticità.
È
stata
sottolineata
da
più
parti,
ad
esempio, l’incertezza
riguardante
la
riconducibilità
dei
dispositivi
di AI alla
nozione
di
“prodotto”
e
del
software
a
quella
di
“componente”
ai
sensi
dell’art.
115 cod. cons. Inoltre, come
anticipato, l’opacità
dell’AI può rendere
particolarmente
difficoltosa
la
dimostrazione
della
sussistenza
del
difetto (60) e
del
nesso causale
ex
art. 120 cod. cons.
non
è
un
caso
che
le
Istituzioni
europee
abbiano
presentato
la
nuova
Proposta
di
Direttiva
sulla
responsabilità
per danno da
prodotti
difettosi. Questa,
oltre
a
modificare
le
nozioni
di
prodotto
e
di
componente,
da
un
lato
stabilisce
una
serie
di
articolati
meccanismi
presuntivi
in favore
del
danneggiato, dal-
l’altro
mantiene
l’esimente
del
rischio
da
sviluppo
(c.d.
state
of
the
art
defence)
così da non disincentivare lo sviluppo scientifico e tecnologico.
Ma
è
davvero questa
la
metodologia
regolatoria
da
seguire
per regolare
un
fenomeno
così
complesso
come
quello
dei
sistemi
di
intelligenza
artificiale?
La
responsabilità
del
produttore
e
la
c.d. pre-emption doctrine
sembrano
non cogliere
la
disarticolazione
di
un fenomeno che
sfugge
alla
norma
giuridica
per la velocità inafferrabile dello sviluppo tecnologico.
In
data
12
settembre
2023
più
di
100
professori
europei
(supportati
da
(58) In questo senso v. M. FACCIoLI, intelligenza artificiale
e
responsabilità sanitaria, cit., p. 738
ss.
(59) Sul
tema
v. G.F. SIMonInI, La responsabilità del
fabbricante
nei
prodotti
con sistemi
di
intelligenza
artificiale, in
Danno e responsabilità, 2023, n. 4, pp. 435 ss.
(60) G.F. SIMonInI, La responsabilità del
fabbricante
nei
prodotti
con sistemi
di
intelligenza artificiale,
cit., pp. 446 ss.
ConTRIBUTI
DI
DoTTRInA
Brussels
Privacy
hub)
hanno
chiesto
alle
istituzioni
europee
di
includere
il
c.d. FRIA
( “Fundamental
right
impact
assessment”) nel
futuro regolamento
AI “for ensuring
1)
clear
parameters
about
assessment
of
the
impact
of
ai
on
Fundamental
right”;
2)
transparency
about
the
results
of
the
impact
assessment
through
public
meaningful summaries;
3)
participation of
affected end-users, especially
if
a position of
vulnerability;
4)
involvement
of
independent
public
authorities
in
the
impact
assessment
process and/or auditing mechanisms”.
La
valutazione
di
impatto sui
diritti
fondamentali
deve, però, coniugarsi
con
la
nuova
tecnica
del
c.d.
Foresight,
ossia
la
tecnica
di
anticipazione
degli scenari futuri come aiuto del pensiero proattivo.
il
Foresight implica la necessità di
un
approccio anticipante, proattività
e anticipazione di scenari futuri possibili e probabili.
Se
Goleman
parlava
di
intelligenza
emotiva
e
Gardner
anticipava
la
teoria
delle
c.d. “intelligenze
multiple”, l’approccio basato sul
Foresight
segna
oggi
il
passaggio
evolutivo
necessario
nella
regolazione
che
supera
la
stessa
tecnica
del sandbox, ossia della norma sperimentale.
La
storia
del
Foresight
nasce
nel
1944/45 per assicurare
la
pace
nell’era
atomica.
Le
figure
più significative
erano il
generale
henry “hap”
Arnold, padre
fondatore
della
US
Air
Force,
Theodor
von
Kàrmàn,
il
precursore
del
volo
supersonico,
ipersonico
e
spaziale,
Vannevar
Bush,
l’iniziatore
del
progetto
Manhattan.
Il
loro
contributo
(su
tutti
i
dossier
ricordiamo
“Toward
new
Horizons”
e“Science,
the
Endless
Frontier”)
hanno
cambiato
il
modo
di
fare
scienza
nella
Difesa
e
nel
Governo.
Le
famose
parole
del
Generale
Arnold
“Le
mie
menti
più brillanti
possono arrivare
al
futuro per
prima”, segnano la
metodologia
anticipante
e
proattiva
che
può
aiutare
il
regolatore
a
segnare
la
direzione
verso cui
far evolvere
i
sistemi
di
intelligenza
artificiale. La
tecnica
del
foresight
sta
a
significare
la
“capacità di
prevedere
scenari
futuri”:
si
pensi
al
net-assessment, incorporata
nel
thinkthank interno al
Pentagono che
durante
la
Guerra
Fredda
ha
giocato un ruolo chiave
nello studio delle
trattative
strategiche
e
delle
scelte
chiave
per poter vincere
senza
combattere. Il
c.d. Foresight
implica, in altri
termini, una
strategia
“anticipante”, il
c.d.
pre-emptive
remedy,
con
un
approccio
multidisciplinare,
incorporando
elementi
di
sociologia,
psicologia, economia e diritto.
La parola d’ordine
oggi
è
per
lo studio e
la regolazione
dell’intelligenza
artificiale
“contaminazione”
delle
discipline,
ossia
trasversalità
delle
competenze:
i
botanici
affermano
che
il
genio
è
nell’ibridazione
e
nell’errore creativo.
RASSEGnA
AVVoCATURA
DELLo
STATo -n. 1/2023
La
sentenza
della
Corte
di
Giustizia
“Schrems”
II , ossia
la
sentenza
che
ha
invalidato la
decisione
di
“adeguatezza”
della
Commissione
Europea
per
il
trasferimento
dei
dati
personali
verso
gli
Stati
Uniti,
ha
colto
di
sorpresa
gran
parte
degli
operatori
e
ha
posto
un
problema
concreto
ed
urgente
nei
confronti
del
quale
“il
sistema
tradizionale
di
compliance”,
basato
su
un
approccio
reattivo, non ha
potuto fare
nulla
di
diverso se
non correre
ai
ripari
in maniera
disarticolata.
Tre
regolatori
hanno
cominciato
ad
operare
in
una
nuova
direzione:
l’European
Data
Protection
Supervisor,
il
CnIL
in
Francia
(Commission
national
de
l’informatique
e
des
Libertès)
e
l’ICo
(Information
Commissioner’s
office)
in
Inghilterra
con
i
loro
laboratori
di
innovazione
per
anticipare
scenari
futuri.
Approccio
anticipante
di
tipo
“funzionale”
e
non
“categoriale”,
tenendo
presente
che
i
sistemi
di
Intelligenza
Artificiale
sono caratterizzati
da
questi
elementi:
volatility, ambiguity, (c.d. black
box, oscurità degli
algoritmi),
complexity e uncertainity.
Richard Slaughter distingue tre tipi di tecnica foresight:
1)
pragmatic foresight;
2)
progressive foresight;
3)
civilisation foresight.
Tale
tassonomia
vede
una
sua
correlazione
con
il
c.d.
“atlante
dei
futuri
potenziali”
teorizzato
da
henchey
e
con
i
modelli
di
“coni
di
futuro”
teorizzati
da
Bancock
e
Bazold,
ossia
i
futuri
possibili,
i
futuri
plausibili
e
i
futuri
probabili.
Tali
teorie
dovranno considerare
che
la
regolazione
dell’AI in medicina
non
potrà
essere
simile
alla
regolazione
dell’AI
prevista
per
altri
settori
(come
ad
esempio
quello
finanziario
delle
criptocurrency
o
della
giustizia
predittiva),
dovrà
avere
una
sua
conformazione
specifica
basata
sulle
c.d.
“norme
prudenziali”,
in quanto l’atto medico necessita
di
una
sua
peculiare
disciplina
investendo
l’interesse
primario
della
tutela
della
salute
umana.
Tale
regolazione
dovrà
costituire
la
sintesi
tra
la
c.d. umanizzazione
delle
cure
e
le
nuove
tecnologie
incorporante la c.d. algoretica di cui parla il prof. Benanti.
Dovrà
essere
una
regolazione
“future
proof”,
a
prova
di
futuro,
flessibile
e
versatile
pronta
ad adattarsi
ad una
realtà
dinamica
in continuo divenire
basata
non
sul
concetto
di
“strict
liability”,
ma
di
“accountability”
volta
a
creare
un rapporto medico-paziente “trustworthy” degno di fiducia.
Profetiche
risultano oggi
le
parole
di
Rita
Levi
Montalcini
la
quale
affermava
“Qualunque
decisione
tu abbia preso per
il
tuo futuro, sei
autorizzato,
direi
incoragiato, a sottoporla ad un continuo esame, pronto a cambiarla, se
non risponde più ai tuoi desideri”.
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ConTRIBUTI
DI
DoTTRInA
La stabile messa a libro paga dell’agente pubblico
e il contrastato rapporto tra corruzione per l’esercizio della
funzione e corruzione per atto contrario ai doveri d’ufficio
Nicoletta Ortu*
Sommario: 1. La corruzione
per
l’esercizio della funzione
e
le
criticità sul
piano applicativo
-2. La corruzione
per
l’esercizio della funzione
e
il
dibattuto rapporto con la corruzione
c.d. propria -2.1 i delitti
di
corruzione
nella giurisprudenza anteriore
alla riforma del
2012:
il
passaggio
dall’atto
alla
funzione
-3.
L’introduzione
del
delitto
di
corruzione
per
l’esercizio della funzione
ex
art. 318 c.p. -3.1 La corruzione
per
l’esercizio della funzione
nella giurisprudenza successiva alla riforma del
2012 -3.2 Le
ricadute
dell’incremento sanzionatorio
della corruzione
“funzionale”
ad opera della L. n. 3 del
2019 sul
sistema della
corruzione
-4. il
rimodulato discrimen tra corruzione
per
l’esercizio della funzione
e
corruzione
propria.
1. La corruzione
per
l’esercizio della funzione
e
le
criticità sul
piano applicativo.
Come
noto,
la
legge
n.
190
del
2012
ha
profondamente
innovato
il
sistema
dei
delitti
di
corruzione,
cercando
di
trovare
una
soluzione
normativa
alla
trasformazione
empirico-criminologica
del
fenomeno
corruttivo
in
senso
“sistemico”,
pervasivo,
tanto
più
“inafferrabile”
quanto
più
svincolato
dall’emanazione
di
un
atto
determinato
-sia
esso
conforme
o
contrario
ai
doveri
dell’ufficio.
All’indomani
della
novella
è
soprattutto risultato necessario sciogliere
la
questione
circa
la
riconducibilità
dei
casi
di
“stabile
messa al
libro paga”
del-
l’agente
pubblico
nell’alveo
della
corruzione
“funzionale”
ex
art.
318
c.p.
piuttosto
che
in quello della
fattispecie
più grave
di
corruzione
per atto contrario
ai doveri d’ufficio ex
art. 319 c.p.
L’effetto
principale
della
riforma,
infatti
-lungi
dall’esplicarsi
soltanto
sul
piano della
formulazione
delle
fattispecie
incriminatrici
preesistenti
-si
è
prodotto sul
piano sistematico tramite
la
modifica
del
modello di
tutela
prescelto
per il
contrasto dei
fenomeni
corruttivi:
da
un modello di
tipo “mercantile-
retributivo”
si
è
passati
al
“modello clientelare”, con relativa
e
coerente
rimodulazione
del
sottosistema
dei
delitti
di
corruzione. Pertanto, mentre
secondo
lo schema
previgente
il
fulcro dell’intero sistema
-e
della
costruzione
delle
due
fattispecie
principali
-era
rappresentato
dalla
compravendita
illecita
di
un atto amministrativo conforme
(art. 318 c.p.) o contrario ai
doveri
d’ufficio
(art. 319 c.p.), oggi, per quanto attiene
alla
corruzione
c.d. impropria, la
tutela
penale
si
radica
nella
mera
infedeltà
del
soggetto
pubblico
e
postula
(*)
Dottore
di
ricerca
presso
la
Sapienza,
Università
di
Roma;
già
praticante
forense
presso
l’Avvocatura
Generale dello Stato (AVV. STATo
CARLo
MARIA
PISAnA).
RASSEGnA
AVVoCATURA
DELLo
STATo -n. 1/2023
l’esclusione
del
momento
sinallagmatico
tra
la
dazione
(o
promessa)
e
uno
specifico atto d’ufficio (1).
Il
mutamento di
paradigma
in questione
ha
comportato che, per la
figura
di
reato centrale
-di
cui
all’art. 318 c.p. -non si
richiami
più né
ad un singolo
atto, né
ad una
pluralità
di
atti
determinati
o determinabili, facendo sì
che, di
conseguenza, la
portata
offensiva
del
reato resti
tutta
incentrata
su di
un accordo
corruttivo che
risulti
privo di
un contenuto precisamente
determinato.
Circostanza,
questa,
che
sembrerebbe
configurare
la
messa
in
pericolo
del
corretto
svolgimento della
funzione
amministrativa
in termini
soltanto eventuali.
Ebbene,
in
questo
rimodulato
assetto
normativo,
sembra
che
il
legislatore
abbia
optato
per
l’omologazione
del
fenomeno
di
“stabile
messa
a
libro
paga”
dell’agente
pubblico,
insieme
a
quello
di
corruzione
per
semplice
“asservimento
della
funzione
pubblica
agli
interessi
del
privato”,
a
quello
preesistente
di
corruzione
per
un
atto
conforme
ai
doveri
dell’ufficio,
unificando,
nella
nuova
versione
della
disposizione, oltre
alle
fattispecie
concrete
precedentemente
già
ricomprese
nell’ambito della
corruzione
c.d. impropria, una
serie
di
ipotesi
relative
ai
casi
in cui
il
pubblico ufficiale
si
metta
a
disposizione
del
privato
corruttore
in
violazione
dei
doveri
di
imparzialità,
onestà
e
trasparenza
previsti dalla legge (2).
La
corruzione
per l’esercizio della
funzione, infatti, va
a
sanzionare
tutti
gli
accordi
tra
pubblico dipendente
e
privato corruttore
il
cui
oggetto sia
rappresentato
dalla
remunerazione
di
una
serie
generica
di
servigi
da
parte
del
primo in favore
del
secondo;
quindi, in sostanza, dalla
messa a disposizione
dell’agente
pubblico,
il
quale,
dietro
compenso,
si
impegni
ad
esercitare
la
propria
funzione
in
modo
conforme
agli
interessi
del
privato,
per
necessità
anche future.
Ed
è
proprio
in
questo
che
si
sostanzia
la
c.d.
“stabile
messa
a
libro
paga”
del
pubblico agente, nata
dalla
prassi, che
la
giurisprudenza
prima, e
il
legislatore
poi,
hanno
recepito
scardinando
la
previgente
simmetria
sistematica
tra
le
due
principali
figure
di
reato incentrata
sull’atto amministrativo -conforme
(art. 318 c.p.) o contrario ai doveri dell’ufficio (art. 319 c.p.).
La
riformulazione
dell’art. 318 c.p. ha
preso quindi
atto del
processo di
(1)
Cfr.
n.
oRTU,
Gli
accordi
illeciti
nel
sistema
della
corruzione,
in
Cass.
Pen.
XII,
2022;
G.
STAMPAnonI
BASSI, Le
corruzioni
nel
codice
penale, in STAMPAnonI
BASSI
(a
cura
di), La corruzione, le
corruzioni,
wolters
Kluwer,
2022,
pp.
9
ss.;
L.
SCoLLo,
La
corruzione
senza
accordo:
notazioni
in
tema
di
elementi
costitutivi, in Sistema Penale, 2021, p. 25;
M. GAMBARDELLA, Condotte
economiche
e
responsabilità
penale, Giappichelli, 2020, pp. 451 ss.;
M. GAMBARDELLA, il
nodo della “stabile
messa a
libro paga dell’agente
pubblico”
in tema di
corruzione, in Penale
Diritto e
Procedura, 2020;
M. GAMBARDELLA,
Dall’atto alla funzione
pubblica: la metamorfosi
legislativa della corruzione
“impropria”,
in arch. Pen., 2013;
M. GAMBARDELLA, Le
recenti
riforme
in materia di
corruzione: un sistema da rifondare,
in M. D’ALBERTI
(a cura di), Combattere la corruzione. analisi e proposte, Rubbettino, 2016.
(2)
Cfr.
M.
GAMBARDELLA,
il
nodo
della
“stabile
messa
a
libro
paga
dell’agente
pubblico”
in
tema di corruzione, cit.
ConTRIBUTI
DI
DoTTRInA
“smaterializzazione”
dell’elemento
dell’atto
d’ufficio,
cercando
di
tradurlo,
sul
piano normativo, in modo da
riuscire, allo stesso tempo, a
delimitare
con
maggiore
precisione
i
confini
tra
le
due
figure
criminose
(3). obiettivo che,
tuttavia, osservando gli
approdi
del
diritto vivente, non sembra
stato del
tutto
raggiunto.
Proprio il
requisito dell’atto d’ufficio, in effetti, nella
vigenza
della
precedente
versione
della
norma
ha
dato luogo a
non poche
incertezze
e
complicanze
sul
piano
applicativo,
rendendo
spesso
poco
agevole
l’utilizzo
dello
strumento
penale
in
presenza
di
corruzioni
più
marcatamente
“sistemiche”,
nelle
quali, pur prescindendosi
dalla
compravendita
di
un atto determinato, la
gravità
del
fatto risultasse
particolarmente
elevata
a
causa
della
generalizzata
“svendita”
della
funzione,
con
messa
a
libro
paga
del
pubblico
agente
ad
opera
del corruttore (4).
Di
lì
il
ripensamento
dell’impalcatura
complessiva,
che
ha
cercato
di
tamponare
già
sul
piano legislativo la
deviazione
applicativa
della
previgente
fattispecie,
fornendo una
risposta
penale
-alla
luce
di
quanto emerso dalla
realtà
criminologica
-attagliata
alla
propensione
del
fenomeno
corruttivo
a
farsi
“sistemico”,
attraverso fatti
illeciti
non solo capaci
di
diffondersi
in modo capillare
all’interno
dell’azione
dei
poteri
pubblici
(la
c.d.
“corruzione
regolarizzata
e
istituzionalizzata”)
(5),
ma
capace
di
generare
una
relazione
stabile
nel
tempo
di
interessenza
d’interesse
fra
soggetti
privati, pubblici
e
politici, anche
attraverso
la
creazione
di
reti
di
complicità
fra
corruttori,
corrotti
ed
eventuali
terzi
intermediari
(6),
i
quali
costituiscono
quello
che
è
stato
definito
come
«mondo
di mezzo» nell’omonima recente vicenda giudiziaria romana (7).
Il
problema
principale
riscontrato in sede
applicativa, in seguito alla
riforma,
deriva
proprio
dalla
operata
revisione
del
sistema:
di
fronte
ai
fatti
estremamente
gravi
di
cui
si
è
detto (anche
più gravi
dei
casi
in cui
ci
si
trovi
in
presenza
della
compravendita
di
un singolo atto contrario ai
doveri
d’ufficio)
-capaci
di
provocare
ricadute
assai
più
dannose
nel
lungo
periodo
-è
stata
(3) Cfr. P. SEVERIno, La nuova legge anticorruzione, in Dir. pen. proc., 2013, p. 8.
(4) Cfr. F. CInGARI,
repressione
e
prevenzione
della corruzione
pubblica, Giappichelli, 2012, pp.
104 ss.;
M. GAMBARDELLA, il
nodo della “stabile
messa a libro paga dell’agente
pubblico”
in tema di
corruzione, cit.
(5) Cfr. G. FoRTI,
il
diritto penale
e
il
problema della corruzione, dieci
anni
dopo, in AA.VV., il
prezzo della tangente, a
cura
di
G. FoRTI, VITA
e
PEnSIERo, 2003, pp. 73 ss.;
P. DAVIGo, G. MAnnozzI,
La corruzione
in italia, Laterza, 2007, pp. 272 ss.;
A. SPEnA, il
«turpe
mercato». Teoria e
riforma dei
delitti di corruzione pubblica, Giuffrè, 2003, pp. 578 ss.
(6) Cfr. n. oRTU, Gli
accordi
illeciti
nel
sistema della corruzione, cit.;
G. STAMPAnonI
BASSI, Le
corruzioni
nel
codice
penale, cit., pp. 9 ss.;
M. GAMBARDELLA, Condotte
economiche
e
responsabilità
penale, cit., pp. 451 ss.;
M. GAMBARDELLA, il
nodo della “stabile
messa a libro paga dell’agente
pubblico”
in tema di corruzione, cit.
(7)
Ci
si
riferisce
alla
vicenda
altresì
nota
col
nome
di
“Mafia
Capitale”,
conclusasi
di
recente
con la
sent. Cass. Sez. VI, 12 giugno 2020 (ud. 22 ottobre
2019), n. 18125 (Presidente
Fidelbo, Relatori
Di Stefano, Silvestri).
RASSEGnA
AVVoCATURA
DELLo
STATo -n. 1/2023
predisposta
una
figura
di
reato
più
mite
rispetto
a
quella
di
corruzione
c.d.
propria,
generando il
paradosso secondo cui
fattispecie
massimamente
offensive
come
la
remunerazione
privata
sine
die
del
pubblico agente
siano sanzionate
meno
gravemente
della
mercificazione
isolata
di
un
atto
contrario
ai
doveri
d’ufficio.
È
ormai
acclarato, infatti, che
la
corruzione
“sistemica”
generi
effetti
di
lungo
periodo
estremamente
negativi
che
non
compaiono
tra
le
poste
di
bilancio
(la
c.d.
“cifra
oscura”
della
corruzione)
(8),
ma
-estendendosi
ben
oltre
la
lesione
degli
interessi
tradizionalmente
propri
della
P.A. -contribuiscono
ad
alimentare
un
generalizzato
senso
di
sfiducia
e
insoddisfazione
verso
le
istituzioni, premiando gli
imprenditori
intranei
agli
accordi
corruttivi, distorcendo
la
competizione
a
vantaggio delle
parti
di
tali
patti, fino a
tradursi
in un
danno su vasta
scala
per l’intera
economia
nazionale, scoraggiando gli
investimenti
produttivi nel Paese, anche a livello internazionale (9).
La
giurisprudenza
ha
quindi
reagito, come
si
dirà, cercando di
applicare,
se
necessario
anche
estensivamente,
l’art.
319
c.p.
ogniqualvolta
l’episodio
corruttivo
sia
caratterizzato
da
una
particolare
gravità,
relegando
talvolta
l’art.
318 c.p. ad un utilizzo residuale, laddove
il
fatto commesso non risulti
particolarmente
preoccupante.
Da
ultimo, sebbene
l’incremento sanzionatorio operato dalla
legge
n. 3
del
2019
abbia
cercato
di
ridurre
il
divario
tra
le
due
figure
di
corruzione,
resta
ancora
da
vedere
se
tale
manovra
sia
di
fatto
riuscita
almeno
ad
arginare
il
problema.
2. La corruzione
per
l’esercizio della funzione
e
il
dibattuto rapporto con la
corruzione c.d. propria.
In via
preliminare
all’analisi
operata
dalla
giurisprudenza
dei
rapporti
tra
le
due
fattispecie
di
corruzione, occorre
svolgere
alcune
considerazioni
di
ordine
sistematico.
Come
noto, l’art. 319 c.p. (10) non è
stato modificato nei
propri
elementi
costitutivi
dalle
riforme
avvicendatesi
nel
tempo, le
quali
hanno inciso unicamente
sul
piano
sanzionatorio.
Risulta
quindi
pacifico
che
il
delitto
in
questione
continui
a
sanzionare
le
fattispecie
di
corruzione
propria
-caratterizzata
(8) Cfr. A. VAnnUCCI, La corruzione
in italia: cause, dimensioni, effetti, in La legge
anticorruzione,
B.B. MATTARELLA, M.PELISSERo
(a cura), Giappichelli, 2013, pp. 28 ss.
(9) Cfr. M. GAMBARDELLA, Condotte economiche e responsabilità penale, cit., pp. 451 ss.
(10) Ai
sensi
del
quale
«il
pubblico ufficiale, che, per
omettere
o ritardare
o per
aver
omesso o
ritardato un atto del
suo ufficio, ovvero per
compiere
o per
aver
compiuto un atto contrario ai
doveri
di
ufficio, riceve, per
sé
o per
un terzo, denaro od altra utilità, o ne
accetta la promessa, è
punito con
la reclusione
da sei
a dieci
anni». Il
trattamento sanzionatorio previsto per tale
figura
di
reato è
stato innalzato
dall’art. 1 della
l. 6 novembre
2012, n. 190 e, da
ultimo, dall’art. 1, comma
1, lett. f) della
L. 27
maggio 2015, n. 69.
ConTRIBUTI
DI
DoTTRInA
dal
requisito dell’atto contrario
ai
doveri
d’ufficio e, di
conseguenza, da
uno
schema
più
marcatamente
mercantilistico-sinallagmatico
-sia
antecedente
che
susseguente.
Dal
punto di
vista
intertemporale, si
può pertanto affermare
che
il
novellato
art. 318 c.p. rappresenta
una
«norma
sincronicamente
generale» rispetto
alla coesistente norma speciale espressa dall’art. 319 c.p. (11).
Tale
è, tra
l’altro, l’approdo della
giurisprudenza
maggioritaria, la
quale
non manca
di
mettere
in luce
come
l’art. 319 c.p., richiedendo un elemento
aggiuntivo (la
pattuizione
di
un atto contrario ai
doveri
d’ufficio, appunto) sia
legato
all’articolo
precedente
da
un
rapporto
di
«specialità
unilaterale
per
specificazione
»;
riferendosi
invece,
quest’ultima
disposizione,
ad
una
più
generica
condotta di “messa a disposizione” della funzione pubblica (12).
Di
conseguenza, guardando al
dato testuale, sembrerebbe
che
le
ipotesi
di
“messa
a
libro
paga”
del
pubblico
agente
ricadano
oggi
nella
più
mite
figura
di
corruzione
“funzionale”
ex
art. 318 c.p., mentre
per la
configurabilità
della
più grave
fattispecie
prevista
dall’art. 319 c.p. sarà
necessario provare
l’esistenza
di
un atto determinato contrario ai
doveri
d’ufficio quale
oggetto del
mercimonio (13).
Svolte
queste
premesse,
resta
da
chiarire
il
rapporto
intercorrente
sul
piano pratico, in termini
di
diritto vivente, tra
la
figura
corruttiva
per atto contrario
ai
doveri
d’ufficio ex
art. 319 c.p. e
la
corruzione
per l’esercizio della
funzione
ex
art. 318 c.p.
2.1
i
delitti
di
corruzione
nella
giurisprudenza
anteriore
alla
riforma
del
2012:
il passaggio dall’atto alla funzione.
Ancor
prima
della
riforma
del
2012,
la
giurisprudenza
non
ha
mancato
di
manifestare
una
propensione
verso
la
valorizzazione
della
figura
di
corruzione
propria
prevista
all’art.
319
c.p.,
a
scapito
del
più
mite
delitto
di
corruzione
impropria
ex
art.
318
c.p.,
operando
in
via
di
prassi
quella
progressiva
smaterializzazione
dell’elemento
dell’atto
d’ufficio
che
ha
portato
alla
corrente
riformulazione
dell’art.
318
c.p.
ad
opera
della
legge
n.
190
del
2012
(14).
In un contesto in cui
era
da
tempo evidente
che
ormai
la
corruzione, da
fenomeno episodico, stesse
assumendo le
sembianze
di
un fenomeno sempre
(11)
Cfr.
M.
GAMBARDELLA,
Profili
di
diritto
intertemporale
della
nuova
corruzione
per
l’esercizio
della funzione, in Cass. pen., 2013, pp. 3866 ss.
(12) Così
Cass., sez. VI, 25 settembre
2014, n. 49226, in C.E.D. Cass., n. 261354. Cfr. M. GAMBARDELLA,
il
nodo della “stabile
messa a libro paga dell’agente
pubblico”
in tema di
corruzione, cit.;
M. GAMBARDELLA, Condotte economiche e responsabilità penale, cit., pp. 451 ss.
(13) Cfr. M. GAMBARDELLA, il
nodo della “stabile
messa a libro paga dell’agente
pubblico”
in
tema di corruzione, cit.; G. STAMPAnonI
BASSI, Le corruzioni nel codice penale, cit., pp. 9 ss.
(14) Cfr.
P. SEVERIno, La nuova legge anticorruzione, in Dir. pen. proc., 2013, p. 8.
RASSEGnA
AVVoCATURA
DELLo
STATo -n. 1/2023
più
sistemico,
la
giurisprudenza,
per
reprimere
efficacemente
tali
ipotesi
di
corruzione
“istituzionalizzata”
ha
offerto una
lettura
estensiva
della
nozione
di
“atto contrario ai
doveri
d’ufficio”
che
caratterizza
come
elemento costitutivo
il
delitto di
corruzione
propria, proponendo un tendenziale
superamento
del
riferimento ad un atto determinato come
oggetto del
patto corruttivo (15).
Due
i
punti
cardine
di
siffatto superamento del
requisito dell’atto:
quello
della “competenza” e quello della “contrarietà ai doveri d’ufficio” (16).
Sotto
il
profilo
della
competenza,
la
giurisprudenza
di
legittimità
ha
ritenuto
che
non
fosse
il
fatto
che
l’atto
-conforme
o
contrario
ai
doveri
d’ufficio
-risultasse
ricompreso
nell’ambito
delle
mansioni
specifiche
del
pubblico
agente
ad
essere
determinante;
bensì
che
fosse
necessario
e
sufficiente,
per
integrare
il
requisito,
che
si
trattasse
«di
un
atto
rientrante
nelle
competenze
dell’ufficio
cui
il
soggetto
appartiene
ed
in
relazione
al
quale
egli
eserciti,
o
possa
esercitare,
una
qualche
forma
di
ingerenza,
sia
pure
di
mero
fatto»,
con
la
precisazione
che
l’attività
amministrativa
oggetto
del
pactum
sceleris
potesse
ben
essere
individuata
soltanto
nel
genere
di
atti
da
compiere;
di
conseguenza,
l’elemento
oggettivo
dell’“atto”
poteva
considerarsi
soddisfatto
ogniqualvolta
le
condotte
del
privato
e
dell’intraneus,
nelle
quali
si
sostanzia
il
fatto
criminoso,
fossero
individuabili
anche
esclusivamente
nel
genus,
«in
ragione
della
competenza
o
della
concreta
sfera
di
intervento
di
quest’ultimo»
(17).
Per quanto invece
attiene
al
profilo della
contrarietà ai
doveri
d’ufficio,
le
decisioni
giurisprudenziali
hanno
riconosciuto
in
modo
consistente
che
tale
nozione
potesse
attenere
alla
«condotta
complessiva» dell’intraneus, la
quale
avrebbe
ben
potuto
porsi
in
contrasto
ai
compiti
istituzionali
del
soggetto
agente
mediante
il
compimento di
atti
«formalmente
regolari», sorretti
però
da
una
finalità
diversa
da
quella
di
pubblico interesse, perché
emanati
sul
presupposto
di
un accordo illecito con il
privato. In tutti
questi
casi
-è
stato ritenuto
dalla
Suprema
Corte
-la
valutazione
circa
la
contrarietà
o
conformità
del
comportamento
del
pubblico
agente
avrebbe
dovuto
riposare
sul
«servizio
reso
al
privato»
nel
suo
complesso,
anziché
sugli
specifici
atti
singolarmente
presi,
così
che, nonostante
i
singoli
atti
si
presentassero conformi
a
requisiti
e
presupposti
legali, «l’asservimento costante
della
funzione, per denaro, agli
interessi
privati» sarebbe
valso di
per sé
ad integrare
il
delitto di
cui
all’art. 319
c.p. (18).
(15)
Cfr.
G.
FIDELBo,
La
corruzione
“funzionale”
e
il
contrastato
rapporto
con
la
corruzione
propria,
in G. FIDELBo
(a
cura
di), il
contrasto ai
fenomeni
corruttivi
dalla “spazzacorrotti”
alla riforma
dell’abuso d’ufficio, Giappichelli, 2020, pp. 27 ss.
(16) Cfr. ivi.
(17) Così, Cass., Sez. VI, 14 luglio 1993, n. 2390, in C.E.D. Cass. n. 195523;
Cass., Sez. VI, 16
maggio 2012, n. 30058, in C.E.D. Cass., 253216. Cfr. G. FIDELBo, La corruzione
“funzionale”
e
il
contrastato
rapporto con la corruzione propria, in Giustizia insieme, 2020, pp. 3-4.
ConTRIBUTI
DI
DoTTRInA
Da
ciò si
evince
che, secondo la
giurisprudenza
nettamente
prevalente,
la
contrarietà
ai
doveri
d’ufficio non dovesse
essere
ricostruita
come
una
caratteristica
intrinseca
del
singolo atto (come
farebbe
pensare
il
dato testuale)
bensì
quale
connotazione
della
funzione
complessivamente
esercitata
in violazione
dei
doveri
previsti
dalla
legge
in capo al
pubblico agente;
ponendo, di
conseguenza,
quali
beni
tutelati
dai
delitti
de
quibus
-accanto
ai
canonici
principi
di
imparzialità
e
buon
andamento
della
pubblica
amministrazione
previsti
dalla
Costituzione
-la
tutela
dell’imparzialità
e
della
fedeltà,
alle
quali
l’attività
degli agenti pubblici è per legge informata (19).
Invero,
la
Corte
ha
ricostruito
la
nozione
di
“atto”
secondo
una
accezione
ampia:
questo, anziché
essere
inteso in senso meramente
formale
come
atto
amministrativo,
doveva
piuttosto
essere
interpretato
come
comprensivo
di
ogni
comportamento
posto
in
essere
dal
pubblico
agente
nello
svolgimento
della
propria
funzione;
cosicché
il
requisito richiesto dalla
norma
potesse
ritenersi
integrato
anche
da
un
comportamento
materiale
che
fosse
«esplicazione
di
poteri-doveri inerenti alla funzione concretamente esercitata» (20).
Secondo
questo
orientamento,
pertanto,
ai
fini
dell’integrazione
del
delitto
di
cui
all’art. 319 c.p., sarebbe
risultata
sufficiente
la
semplice
individuabilità
del
genus
di
atti
che
il
pubblico agente
fosse
chiamato a
compiere
in adempimento
all’accordo corruttivo, purché
connesso alla
concreta
sfera
di
competenza
e
di
intervento del
soggetto pubblico, così
da
consentire
a
tale
patto di
(eventualmente) tradursi
in una
pluralità
di
specifici
atti
non preventivamente
determinati o programmati, appartenenti al
genus
(21).
Tuttavia,
il
superamento
della
necessità
di
identificare
uno
specifico
atto,
inteso
in
senso
formale,
contrario
ai
doveri
d’ufficio,
trovava
un
temperamento
nella
esigenza
di
rinvenire
comunque, dalla
condotta
del
soggetto pubblico,
«un atteggiamento diretto in concreto a
vanificare
la
funzione
demandatagli,
poiché
solo in tal
modo può ritenersi
integrata
la
violazione
dei
doveri
di
fedeltà,
di
imparzialità
e
di
perseguimento esclusivo degli
interessi
pubblici
che
sullo stesso incombono» (22).
Una
siffatta
interpretazione
estensiva
della
nozione
di
“atto”
ha
consentito
(18) Così
Cass., Sez. VI, 12 gennaio 1990, n. 7259, in Cass. pen., 1992, p. 944.;
Cass., Sez. VI,
29 gennaio 2003, ivi, 2004, p. 2300. Cfr. G. FIDELBo, La corruzione
“funzionale”
e
il
contrastato rapporto
con la corruzione propria, cit., p. 4.
(19)
Cfr.
G.
FIDELBo,
La
corruzione
“funzionale”
e
il
contrastato
rapporto
con
la
corruzione
propria,
cit., p. 4;
G. STAMPAnonI
BASSI, Le
corruzioni
nel
codice
penale, cit., pp. 9 ss.;
M. GAMBARDELLA,
Condotte economiche e responsabilità penale, cit., pp. 451 ss.
(20) Così
Cass., Sez. II, 25 novembre
2015, n. 47471;
Cass., Sez. VI, 28 febbraio 2017, n. 17586,
in
C.E.D.
Cass.,
n.
269830.
Cfr.
M.
GAMBARDELLA,
il
nodo
della
“stabile
messa
a
libro
paga
dell’agente
pubblico” in tema di corruzione, cit.
(21) Così, Cass., Sez. VI, 16 maggio 2012, n. 30058; Cass., Sez. VI, 2 ottobre 2006, n. 2818.
(22) ibidem;
Cass., Sez. VI, 24 febbraio 2007, n. 21192, in C.E.D. Cass.
n. 236624;
Cass., Sez.
VI, 16 gennaio 2008, n. 20046, ivi, n. 241184;
Cass., Sez. VI, 15 maggio 2008, n. 34417, ivi, n. 241081.
RASSEGnA
AVVoCATURA
DELLo
STATo -n. 1/2023
di
ritenere
integrato il
delitto di
corruzione
propria
ex
art. 319 c.p. anche
nei
casi
in cui
la
dazione
o la
promessa
di
denaro o utilità
da
parte
del
privato ad
un pubblico agente
fossero finalizzate
al
compimento di
«atti
futuri, imprecisati
ed eventuali», volti
a
«realizzare
una
sorta
di
fidelizzazione
del
soggetto
corrotto agli interessi privati di cui il corruttore era portatore» (23).
Simili
orientamenti
evidenziano come
sia
stato proprio il
diritto vivente
ad avviare
quella
transizione
dall’atto alla
funzione
che
verrà
recepita
e
codificata
nel
2012
dal
legislatore,
e
che
ha
condotto
all’odierna
versione
delle
fattispecie
incriminatrici di corruzione.
Si
può
osservare,
pertanto,
come,
alla
luce
della
rilettura
“adeguatrice”
offertane
dalla
citata
giurisprudenza,
la
corruzione
per
un
atto
contrario
ai
doveri
d’ufficio
di
cui
all’art.
319
c.p.
andasse
ad
occupare
un
ambito
più
ampio
di
quello
risultante
da
una
interpretazione
letterale
della
disposizione:
ai
casi
tipici
di
compravendita
di
un
atto
formale
contrario
ai
doveri
dell’ufficio
sono
state
accostate
ipotesi
di
asservimento
della
funzione
pubblica
ad
interessi
privati,
di
vera
e
propria
“messa
a
libro
paga”
dell’intraneus
da
parte
del
corruttore,
in
vista
della
futura
necessità
dei
suoi
favori,
le
quali,
prescindendo
dall’atto,
si
sostanziano
in
una
serie
di
attività
non
esattamente
previste
ma
prevedibili
(24);
così
da
aggiornare
in
via
di
prassi
applicativa
la
portata
della
norma
alla
evoluzione
ed
alla
reale
complessità
del
fenomeno
(25).
Questo orientamento giurisprudenziale
è
stato però aspramente
criticato
dalla
dottrina,
la
quale
non
ha
mancato
di
censurare
l’arbitrario
abbandono
della
necessaria
individuazione
di
un atto specifico voluta
dal
testo dell’art.
319 c.p., definendo una
siffatta
interpretazione
come
analogica
piuttosto che
estensiva, quindi
contraria
ai
principi
informatori
della
materia
penale
(26). Il
passaggio
dall’atto
alla
funzione
operato
dalla
giurisprudenza,
spostando
progressivamente
il
baricentro
dello
strumento
penale
verso
la
protezione
dei
doveri
di
fedeltà
e
imparzialità,
ha
infatti
anticipato
contra
legem
la
soglia
di
(23)
Cfr.
G.
FIDELBo,
La
corruzione
“funzionale”
e
il
contrastato
rapporto
con
la
corruzione
propria,
cit., p. 4.
(24) Cass., Sez. VI, 4 maggio 2006, in Cass. pen., 2006, p. 3578.
(25) Invero, il
concetto di
“contrarietà
ai
doveri
d’ufficio”
è
stato esteso dalla
Corte
fino a
ricomprendervi,
come
forma
di
mercimonio della
pubblica
funzione, anche
la
«violazione
dei
doveri
generici
che
disciplinano l’attività
amministrativa», ogniqualvolta
questi
fossero espressione
di
una
più ampia
situazione
di
asservimento;
in questo senso v. G. FIDELBo, La corruzione
“funzionale”
e
il
contrastato
rapporto con la corruzione propria, cit., p. 5.
(26)
Così,
ex
multis,
V.
MAnES,
L’atto
di
ufficio
nelle
fattispecie
di
corruzione,
in
riv.
it.
dir.
proc.
pen.,
2000,
p.
925.
Come
è
stato
affermato
da
T.
PADoVAnI,
metamorfosi
e
trasfigurazione.
La
disciplina
nuova
dei
delitti
di
concussione
e
corruzione,
in
arch.
pen.,
2012,
p.
785,
«non
v’è
dubbio
che,
sul
piano
della
c.d.
meritevolezza di
pena, simili
condotte
di
mercimonio invocassero ed evocassero una
sanzione
penale, per ragioni
sin troppo evidenti;
ma
è
altrettanto fuor di
dubbio che, sul
piano del
rispetto del
principio di
legalità, la
dilatazione
ermeneutica
prospettata
dalla
giurisprudenza
risultasse
assai
discutibile
».
ConTRIBUTI
DI
DoTTRInA
tutela
ad uno stadio di
pericolo, «pericolo il
cui
sostrato è
poi, in realtà, costituito
dal
sospetto che, dietro l’asservimento della
funzione, conclamato dalla
dazione
di
danaro,
si
celi
un
atto,
o
una
serie
di
atti,
rimasti
semplicemente
non identificati» (27).
In
un
contesto
di
ormai
piena
consapevolezza
della
trasformazione
dei
fenomeni
corruttivi
in
senso
sistemico,
e
dell’insufficienza
delle
norme
penali
vigenti
(l’art. 318 c.p. in particolare) a
garantire
una
efficace
risposta
repressiva
e
deterrente,
nemmeno
le
posizioni
critiche
della
dottrina
sono
valse
a
far
arrestare
la
lettura
“estensiva”
della
fattispecie
di
corruzione
propria
da
parte
della giurisprudenza di legittimità.
Il
fenomeno
di
cui
si
parla,
infatti,
aveva
già
da
tempo
perso
quel
carattere
episodico-pulviscolare
che
originariamente
gli
era
proprio
per
assumere
una
portata
più
ampia,
grazie
al
coinvolgimento
nell’accordo
corruttivo
di
più
centri
di
potere,
spesso
rappresentati
da
esponenti
della
politica,
dell’alta
burocrazia,
persino
della
criminalità
organizzata;
un
fenomeno
incentrato
principalmente
sulla
funzione,
caratterizzato
da
schemi
di
funzionamento
maggiormente
elaborati
(si
pensi,
ad
esempio,
alle
figure
di
intermediari,
facilitatori,
faccendieri)
e
da
“metodi
di
pagamento”
inediti,
quali
la
garanzia
di
futuro
sostegno
politico,
elettorale
o
finanziario,
in
luogo
della
consueta
tangente
(28).
In un panorama
di
tale
complessità, la
giurisprudenza
ha
cercato di
sopperire
in
via
di
fatto
alle
lacune
della
legge
penale
nel
fornire
una
risposta
adeguata
al
mutato
fenomeno
corruttivo,
svalutando,
da
una
parte,
il
ruolo
dell’atto nei
delitti
di
corruzione, e, dall’altra, estendendo l’applicazione
del
delitto di
concussione, nella
forma
di
elaborazione
giurisprudenziale
rappresentata
dalla c.d. “concussione ambientale” (29).
3.
L’introduzione
del
delitto
di
corruzione
per
l’esercizio
della
funzione
ex
art.
318 c.p.
Come
si
è
avuto
modo
di
osservare,
la
legge
n.
190
del
2012
è
intervenuta
proprio allo scopo di
porre
rimedio, sul
piano normativo, all’interpretazione
oltremodo
estensiva
(se
non
addirittura
analogica, secondo
l’opinione
di
gran
parte
della
dottrina) operata
dalla
giurisprudenza
fino a
quel
momento. La
riforma
si
è
concretata, come
si
è
detto, in un duplice
intervento:
da
una
parte
è
(27) T. PADoVAnI, metamorfosi e trasfigurazione, cit., p. 785.
(28)
Cfr.
G.
FIDELBo,
La
corruzione
“funzionale”
e
il
contrastato
rapporto
con
la
corruzione
propria,
cit., p. 6;
n. oRTU, Gli
accordi
illeciti
nel
sistema della corruzione, cit.;
G. STAMPAnonI
BASSI, Le
corruzioni
nel
codice
penale, cit., pp. 9 ss.;
M. GAMBARDELLA, Condotte
economiche
e
responsabilità
penale, cit., pp. 451 ss.
(29) Cfr. ivi. Sul
tema
dell’inadeguatezza
della
previgente
disciplina
codicistica
a
reprimere
il
fenomeno
corruttivo nei
suoi
reali
contorni
si
veda
S. SEMInARA, Gli
interessi
tutelati
nei
reati
di
corruzione,
in riv. it. dir. proc. pen., 1993, pp. 951 ss.
RASSEGnA
AVVoCATURA
DELLo
STATo -n. 1/2023
stata
messa
mano
al
rapporto
dei
reati
di
corruzione
con
quello
di
concussione,
tramite
l’introduzione,
all’art.
319-quater
c.p.
dell’inedito
delitto
di
induzione
indebita
a
dare
o promettere
utilità;
dall’altra
è
stato modificato direttamente
il
sistema
dei
delitti
corruttivi
tramutando
l’originaria
figura
di
corruzione
per
un atto dell’ufficio ex
art. 318 c.p. nel
nuovo delitto di
corruzione
per l’esercizio
della
funzione. Con particolare
riferimento al
secondo intervento, nonostante
la
previsione
di
una
forma
di
corruzione
testualmente
incentrata
sull’esercizio
della
funzione
sembri
aver
recepito
quell’approdo
giurisprudenziale
teso al
disancoraggio della
tipicità
dal
rigido requisito dell’atto, il
legislatore
è
in
realtà
intervenuto
in
modifica
dell’art.
318
c.p.
(corruzione
c.d.
impropria) anziché
sul
più grave
delitto di
corruzione
propria
ex
art. 319 c.p.,
sul
quale
la
giurisprudenza
precedente
aveva
fondato una
efficace
risposta
repressiva
ai fatti più gravi di asservimento della funzione.
Una
figura
di
corruzione
incentrata
sulla
funzione, d’altronde, era
stata
elaborata
in
via
giurisprudenziale
proprio
per
sopperire
alla
lacuna
della
legge
penale
nel
contrasto
dei
fenomeni
più
gravi
di
“messa
al
libro
paga”
del-
l’agente
pubblico che
in cambio “vendesse”
la
funzione
agli
interessi
del
privato,
incardinando però la
tutela
nell’ambito dell’art. 319 c.p.:
una
condotta
di
stabile
asservimento
era
ritenuta
sempre
contraria
ai
doveri
d’ufficio,
come
richiesto dalla
norma
in questione
(30). La
scelta
del
legislatore
del
2012 di
ricomprendere
tali
ipotesi
nella
fattispecie
più mite
di
corruzione
impropria
ex
art.
318
c.p.
ha,
di
conseguenza,
avuto
l’effetto
di
prevedere,
per
gli
episodi
maggiormente
preoccupanti, una
pena
inferiore
a
quella
individuata
ad opera
della
giurisprudenza
ante-riforma
sulla
base
dell’art.
319
c.p.;
circostanza,
questa, che non ha mancato di destare critiche e perplessità.
Un primo nodo da
sciogliere, all’indomani
della
riforma, è
stato quello
di
comprendere
se
la
rimodulata
fattispecie
di
cui
all’art. 318 c.p. non introducesse
un’ipotesi
di
corruzione
funzionale
limitata
ai
casi
in
cui
l’accordo
corruttivo avesse
ad oggetto la
funzione
complessivamente
esercitata
in conformità
ai
doveri
dell’ufficio. Una
tale
visione
restrittiva, tuttavia, è
stata
fin
da
subito esclusa
dalla
dottrina, in quanto ritenuta
irrazionale, totalmente
inadeguata
a
garantire
un sufficiente
livello di
tutela
contro gli
episodi
di
corruzione
“sistemica”
ed
incoerente
rispetto
agli
obiettivi
propugnati
dalla
riforma
di rafforzamento dello strumento penale (31).
Se
da
una
parte
il
legislatore
ha
cercato di
tipizzare
specificamente
una
figura
di
corruzione
funzionale
svincolata
dall’atto, senza
lasciarla
oggetto di
(30)
Cfr.
G.
FIDELBo,
La
corruzione
“funzionale”
e
il
contrastato
rapporto
con
la
corruzione
propria,
cit., p. 6;
G. STAMPAnonI
BASSI, Le
corruzioni
nel
codice
penale, cit., pp. 9 ss.;
M. GAMBARDELLA,
Condotte economiche e responsabilità penale, cit., pp. 451 ss.
(31)
Cfr.
G.
FIDELBo,
La
corruzione
“funzionale”
e
il
contrastato
rapporto
con
la
corruzione
propria,
cit.,
p.
7.;
A.
GARGAnI,
La
riformulazione
dell’art.
318
c.p.:
la
corruzione
per
l’esercizio
della
funzione,
in Leg. pen., 2013, p. 618.
ConTRIBUTI
DI
DoTTRInA
una
elaborazione
di
matrice
giurisprudenziale, dall’altra
la
giurisprudenza
di
legittimità
successiva
alla
riforma
non sembra
aver affatto rinnegato l’orientamento
preesistente
che
riconduceva
gli
episodi
più
gravi
di
asservimento
della
funzione
nell’alveo dell’art. 319 c.p., così
da
consentire
l’applicazione
di un margine edittale più elevato.
Si
è
trattato
quindi
di
delimitare
confini
e
rapporti
tra
le
due
figure
di
corruzione
previsti
agli
artt.
318
e
319
c.p.,
cercando
di
comprendere
se
ogni
forma
di
corruzione
funzionale, senza
individuazione
di
specifici
atti, possa
ricadere
nell’ambito applicativo dell’art. 318 c.p., oppure
se, nonostante
l’introduzione
di
una
specifica
fattispecie
in tal
senso, non risulti
più ragionevole
ricomprendere
ancora
talune
ipotesi
particolarmente
gravi
nell’ambito
dell’art.
319 c.p., pur in assenza
di
un atto determinato contrario ai
doveri
d’ufficio. Il
nodo da
sciogliere
risiede, in particolare, nella
disciplina
da
riservare
ai
casi
di
stabile
e
duratura
(o addirittura
sine
die) messa
a
“libro paga”
del
pubblico
agente,
nei
quali
l’oggetto
del
pactum
sceleris
consiste
in
un
generalizzato
asservimento
della
funzione
agli
interessi
privati, qualora
non sia
individuabile
uno specifico atto contrario ai doveri d’ufficio (32).
3.1 La corruzione
per
l’esercizio della funzione
nella giurisprudenza successiva
alla riforma del 2012.
Il
panorama
giurisprudenziale
immediatamente
successivo
alla
riforma
del
2012 registra, già
nelle
sue
prime
pronunce, un contrasto di
orientamenti
nella
VI
sezione
penale
della
Corte
di
Cassazione,
che
la
dottrina
non
ha
mancato
di rilevare.
Un
primo
indirizzo,
per
lungo
tempo
maggioritario,
è
caratterizzato
dalla
marcata
tendenza
alla
valorizzazione, sul
piano applicativo dell’art. 319 c.p.
(a
scapito della
neo-introdotta
fattispecie
di
cui
all’art. 318 c.p.), riconducendovi
tutti
quei
casi
in cui
decisiva
non risulta
tanto l’individuazione
di
un atto
determinato contrario ai
doveri
d’ufficio, quanto la
«contaminazione
privata
del
potere
pubblico», riscontrabile
quando la
pubblica
funzione
risulti
inquinata
dall’interesse
privato
che
l’accordo
corruttivo
è
volto
a
soddisfare,
andando
il
requisito
della
contrarietà
ai
doveri
d’ufficio
a
coincidere
con
la
violazione
di
principi
di
trasparenza, imparzialità
e
non venalità
ai
quali
l’attività
pubblica è informata (33).
Secondo questo orientamento, peraltro, ricondurre
lo stabile
e
duraturo
asservimento del
pubblico ufficiale
agli
interessi
personali
di
privati, «attra
(32)
Cfr.
G.
FIDELBo,
La
corruzione
“funzionale”
e
il
contrastato
rapporto
con
la
corruzione
propria,
cit., p. 7;
M. GAMBARDELLA, il
nodo della “stabile
messa a libro paga dell’agente
pubblico”
in
tema di corruzione, cit.
(33) Cfr.
M. GAMBARDELLA, il
nodo della “stabile
messa a libro paga dell’agente
pubblico”
in
tema
di
corruzione,
cit.;
F.
PALAzzo,
Le
norme
penali
contro
la
corruzione
tra
presupposti
criminologici
e finalità etico-sociali, in Cass. pen., 2015, pp. 3396 ss.
RASSEGnA
AVVoCATURA
DELLo
STATo -n. 1/2023
verso il
sistematico ricorso ad atti
contrari
ai
doveri
di
ufficio, anche
se
non
predefiniti, né
specificamente
individuabili
ex
post, ovvero mediante
l’omissione
o il
ritardo di
atti
dovuti» nell’ambito applicativo della
corruzione
propria
ex
art. 319 c.p. -anziché
nel
più mite
reato di
corruzione
funzionale
di
cui
all’art. 318 c.p. (il
quale
invece
ricorre, quando il
pactum
sceleris
abbia
ad oggetto il
compimento di
atti
dell’ufficio) -si
presenta
come
la
soluzione
maggiormente
rispettosa
dei
principi
costituzionali
di
proporzionalità
della
pena
(art. 27 Cost.), offensività
e
ragionevolezza
(art. 3 Cost.), poiché
garantisce
una
graduazione
della
risposta
punitiva
attagliata
alla
effettiva
gravità
del fatto (34).
Al
contrario,
sempre
secondo
l’opinione
maggioritaria,
una
disciplina
normativa
che
punisca
il
mercimonio di
un singolo atto, anche
se
contrario ai
doveri
dell’ufficio,
assai
più
aspramente
rispetto
ad
una
condotta
di
sistematica
e
duratura
“messa
a
libro
paga”
del
pubblico
agente,
che
“svenda”
l’intera
sua
funzione
all’interesse
privato per il
proprio tornaconto personale
risulterebbe
censurabile
proprio
sotto
il
profilo
dei
fondamentali
principi
costituzionali
poc’anzi
indicati
(35). Appare
infatti
fuori
discussione
che
una
siffatta
ipotesi
di
asservimento sistematico, costante, metodico della
intera
funzione
incarni
il massimo grado di offensività e di «disvalore giuridico e sociale» (36).
Di
conseguenza, tali
pronunce
hanno riconosciuto sufficiente, ai
fini
del-
l’integrazione
del
delitto
di
cui
all’art.
319
c.p.,
una
condotta
complessivamente
tesa
«a
vanificare,
concretamente,
la
pubblica
funzione,
violando
i
doveri
di
fedeltà, di
imparzialità
e
di
perseguimento esclusivo degli
interessi
pubblici»,
pur
in
mancanza
dell’individuazione
di
uno
specifico
atto
contrario
ai doveri dell’ufficio come oggetto dell’accordo corruttivo (37).
Il
presente
orientamento, inoltre, riconduce
nella
sfera
dell’art. 319 c.p.
anche
le
ipotesi
in cui
il
soggetto pubblico, in esecuzione
dell’accordo corrut
(34) Così, Cass., Sez. VI, 11 febbraio 2016, n. 8211, Ferrante, in C.E.D. Cass., n. 266510;
Cass.,
Sez. VI, 23 settembre
2014, n. 6056, Staffieri, ivi, n. 262333;
Cfr. G. FIDELBo, La corruzione
“funzionale”
e
il
contrastato
rapporto
con
la
corruzione
propria,
cit.,
p.
8;
Cfr.
M.
GAMBARDELLA,
il
nodo
della “stabile messa a libro paga dell’agente pubblico” in tema di corruzione, cit.
(35) Così
Cass., Sez. VI, 15 ottobre
2013, n. 9883, in C.E.D. Cass., n. 258521;
Cass., Sez. II, 25
novembre
2015, ivi, n. 47471. Cfr. G. FIDELBo, La corruzione
“funzionale”
e
il
contrastato rapporto
con la corruzione
propria, cit., p. 8.;
M. GAMBARDELLA, Condotte
economiche
e
responsabilità penale,
cit., pp. 479-484. La
circostanza
che
il
sistema
dei
rapporti
tra
le
due
fattispecie
delineato dalla
riforma
del
2012 sia
censurabile
alla
luce
dei
principi
costituzionali
di
proporzionalità
della
pena, offensività
e
ragionevolezza
appare
ancora
più discutibile
se
si
pensa
che
la
presente
disciplina
normativa
sia
stata
introdotta
per recepire
legislativamente
una
fattispecie
corruttiva
funzionale
di
elaborazione
giurisprudenziale,
nata
in risposta
alla
concreta
realtà
criminologica
del
fenomeno;
e
per armonizzare
le
norme
incriminatrici in materia, agevolandone al contempo l’accertamento sul piano processuale.
(36) Così
Cass., Sez. VI, 15 ottobre
2013, n. 9883, cit. Cfr. M. GAMBARDELLA, il
nodo della “stabile
messa a libro paga dell’agente pubblico” in tema di corruzione, cit.
(37) Così
Cass., Sez. VI, 23 febbraio 2016, n. 15959, in C.E.D. Cass., n. 266735;
Cass., Sez. VI,
11 febbraio 2016, n. 8211, ivi, n. 266510. Cfr. G. FIDELBo, La corruzione
“funzionale”
e
il
contrastato
rapporto con la corruzione propria, cit., p. 8.
ConTRIBUTI
DI
DoTTRInA
tivo, agisca
in conformità
ai
doveri
dell’ufficio, nell’esercizio di
un potere
discrezionale:
si
afferma, quindi, che
l’attività
discrezionale
svolta
in funzione
di
un interesse
non istituzionale
valga
di
per sé
ad integrare
il
requisito della
contrarietà
ai
doveri
dell’ufficio, anche
se
l’esercizio della
stessa
si
traduca
nel compimento di atti formalmente legittimi (38).
La
presenza
di
uno stabile
rapporto di
asservimento della
funzione
agli
interessi
del
privato, che
si
realizzi
mediante
il
compimento di
atti
legittimi,
sembra
far cadere
del
tutto l’obiezione
di
chi
mette
l’accento sulla
diversa
natura,
di
danno o di
pericolo, delle
due
fattispecie
corruttive, dal
momento che
-come
è
stato affermato -«l’effettivo esercizio di
poteri
pubblici
nel
contesto
di
una
logica
globalmente
orientata
alla
realizzazione
di
interessi
diversi
da
quelli
istituzionali, salvo i
casi
limite
di
attività
rigorosamente
predeterminata
nell’an, nel
quando
e
nel
quomodo, determina
con immediatezza
un pregiudizio
per
l’imparzialità
ed
il
buon
andamento
dell’amministrazione,
perché
implica
l’impiego
di
strumenti
e
funzioni
pubblicistiche
al
di
fuori
dei
presupposti
per i
quali
i
medesimi
sono stati
prefigurati, e, quindi, si
traduce
in un
“attuale”
ed ingiustificato trattamento di
privilegio in favore
del
beneficiario
dell’azione
indebitamente
orientata»
(39).
Si
ritiene
pertanto
integrato
il
delitto
di
corruzione
per un atto contrario ai
doveri
d’ufficio ex
art. 319 c.p. «quando
lo stabile
asservimento del
pubblico ufficiale
si
sia
anche
tradotto nel
compimento,
a
vantaggio
del
privato,
di
uno
o
più
atti
formalmente
legittimi,
ma
non rigorosamente predeterminati nell’an, nel
quando
o nel
quomodo» (40).
Può quindi
evidentemente
ritenersi
che
la
giurisprudenza
in esame
offra
(38) Così
Cass., Sez. VI, 24 gennaio 2017, n. 3606, in C.E.D. Cass., n. 269347;
Cass., Sez. VI, 5
aprile 2018, n. 29267, ivi, n. 273448; Cass., Sez. VI, 19 aprile 2018, n. 51946, ivi, n. 274507.
(39) Cass., Sez. VI, 20 ottobre 2016, n. 3606/2017, in C.E.D. Cass., n. 269347.
(40) ivi;
in senso conforme
si
veda
Cass., Sez. VI, 15 settembre
2017, n. 46492, ivi, n. 271383;
Cass. Pen, Sez. VI, 29267/2018. nell’ambito di
questo orientamento che
favorisce
una
lettura
estensiva
dell’art. 319 c.p., si
inserisce
la
sentenza
Cass., sez. VI, 15 settembre
2017, n. 46492, in C.E.D. Cass.,
n.
271383,
nella
quale
la
Corte
ha
confermato
l’integrazione
del
delitto
di
corruzione
propria
in
presenza
della
condotta
di
un primario ospedaliero che
aveva
accettato denaro da
parte
di
un rappresentante
farmaceutico
in cambio dell’impegno a
prescrivere
il
farmaco antitumorale
promosso da
quest’ultimo a
tutti
i
pazienti
oncologici. La
Corte
ha
pertanto affermato che, in questo caso, il
comportamento abdicativo
del
medico
(che
ricopre
una
funzione
di
pubblico
ufficiale)
rispetto
al
dovere
di
una
corretta
comparazione
degli
interessi
rilevanti
ai
fini
della
prescrizione
di
un determinato farmaco, integri
di
per sé
una
condotta
omissiva
rilevante
ai
sensi
dell’art. 319 c.p. Di
conseguenza, anche
qualora
l’esito concretamente
raggiunto risulti
ex
post
coincidente
con l’interesse
pubblico, la
condotta
del
primario ospedaliero,
impegnatosi
alla
sistematica
della
terapia
farmacologica
“nexavar”
(antitumorale),
in
adempimento
ad un accordo corruttivo (quindi
per mere
finalità
di
profitto indebito), configurerà
comunque
il
delitto
di
corruzione
propria
di
cui
all’art. 319 c.p. Infatti, solo una
ponderata
comparazione
di
rischi
e
benefici
prevedibili, inserita
nel
quadro clinico concreto del
singolo paziente, può giustificare
la
prescrizione
di
un qualsivoglia
farmaco, se
non si
vuole
incorrere
in un inammissibile
automatismo della
prescrizione
di
terapie
farmacologiche, da
una
parte, e
una
illecita
condotta
abdicativa
da
parte
del
medico delle
sue
funzioni, dall’altra. Cfr. M. GAMBARDELLA, il
nodo della “stabile
messa a libro paga dell’agente
pubblico”
in tema di
corruzione, cit. Per un excursus
della
giurisprudenza
sul
punto cfr. anche
G. STAMPAnonI
BASSI, Le corruzioni nel codice penale, cit., pp. 9 ss.
RASSEGnA
AVVoCATURA
DELLo
STATo -n. 1/2023
una
lettura
del
sistema
delle
due
norme
incriminatrici
analoga
a
quella
elaborata
prima
della
riforma
del
2012
-incentrata
sulla
violazione
dei
doveri
di
fedeltà,
imparzialità
e
perseguimento esclusivo degli
interessi
istituzionali, con
relativa
svalutazione
del
requisito
rappresentato
dall’atto
-che,
di
conseguenza,
si
sostanzia
in
una
lettura
estensiva
dell’art.
319
c.p.,
relegando
la
fattispecie
di
corruzione
funzionale
ex
art.
318
c.p.
ad
un’applicazione
assai
marginale, praticamente
limitata
alle
sole
corruzioni
nelle
quali
la
funzione
è
esercitata in conformità ai doveri dell’ufficio.
D’altro
canto,
un
orientamento
inizialmente
minoritario
(41)
-che
si
va
progressivamente
affermando,
soprattutto
in
tempi
più
recenti
(42)
-ricostruisce
in
maniera
diversa
l’ambito
applicativo
dell’art.
318
c.p.
e,
di
conseguenza,
il
rapporto
tra
le
due
figure:
«lo
stabile
asservimento
del
pubblico
ufficiale
ad
interessi
personali
di
terzi,
realizzato
attraverso
l’impegno
permanente
compiere
od
omettere
una
serie
indeterminata
di
atti
ricollegabili
alla
funzione
esercitata,
integra
il
reato
di
cui
all’art.
318
c.
p.
e
non
il
più
grave
reato
di
corruzione
propria
di
cui
all’art.
319
c.
p.,
salvo
che
la
messa
a
disposizione
della
funzione
abbia
prodotto
il
compimento
di
un
atto
contrario
ai
doveri
di
ufficio,
poiché,
in
tal
caso,
si
determina
una
progressione
criminosa
nel
cui
ambito
le
singole
dazioni
eventualmente
effettuate
si
atteggiano
a
momenti
esecutivi
di
un
unico
reato
di
corruzione
propria
a
consumazione
permanente»
(43).
Si
può notare
che, stando a
questo orientamento, l’art. 318 c.p., lungi
dal
costituire
la
disciplina
esclusiva
per le
ipotesi
di
corruzione
funzionale, trovi
specificamente
applicazione
in
tutti
quei
casi
in
cui
la
finalità
dell’accordo
corruttivo
(all’interno
del
quale
il
mercimonio
della
funzione
si
inserisce)
non
sia
nota,
oppure
questo
abbia
per
oggetto
il
compimento
di
atti
conformi
ai
doveri
dell’ufficio
(44).
Residua
quindi
un
margine
di
applicazione
del
delitto
di
corruzione
propria
di
cui
all’art.
319
c.p.,
«quando
la
vendita
della
funzione
(41) orientamento formatosi da principio soprattutto in relazione al caso “MoSE”.
(42) Da ultimo Cass., Sez. VI, sent. del 18 gennaio 2021, n. 1863.
(43)
Cass.,
Sez.
VI,
25
settembre
2014,
n.
49226,
in
C.E.D.
Cass.,
n.
261352;
interpretazione
condivisa
anche
da
Cass., Sez. VI, 27 novembre
2015, n. 3043, in C.E.D. Cass., n. 265619 nei
seguenti
termini:
«in tema di
corruzione, l’art. 318 c.p. (nel
testo introdotto dalla legge
6 novembre
2012 n. 190)
ha natura di
reato eventualmente
permanente
se
le
dazioni
indebite
sono plurime
e
trovano una loro
ragione
giustificatrice
nel
fattore
unificante
dell’asservimento della funzione
pubblica». In senso conforme
v. Cass., Sez. VI, 7 luglio 2016, n. 40237, in C.E.D. Cass., n. 267634 (secondo la
quale
lo stabile
asservimento
del
pubblico
funzionario
ad
interessi
personali
di
terzi,
con
compimento
sia
di
atti
contrari,
sia
di
atti
conformi
ai
doveri
d’ufficio,
configuri
l’unico
reato,
a
consumazione
permanente,
di
cui
all’art.
319 c.p., rimanendo assorbita
la
più mite
fattispecie
di
corruzione
funzionale
ex
art. 318 c.p.);
Cass.,
Sez. VI, 19 settembre
2019, n. 45184, Cass., Sez. VI, 11 dicembre
2018, n. 4486, Cass. pen., 2019, p.
3495;
Cass. Sez. VI, 20 aprile
2019, n. 32401, in C.E.D. Cass., n. 276801;
Cass., Sez. VI, 13 febbraio
2019, n. 13406, ivi, n. 275428; Cass., Sez. VI, 6 novembre 2019 (ud. 19 settembre 2019), n. 45184.
(44)
Cass.,
Sez.
VI,
27
novembre
2015,
n.
3043,
in
CED
Cass.,
n.
265619.
Cfr.
M.
GAMBARDELLA,
il nodo della “stabile messa a libro paga dell’agente pubblico” in tema di corruzione, cit.
ConTRIBUTI
DI
DoTTRInA
sia
connotata
da
uno o più atti
contrari
ai
doveri
d’ufficio, accompagnate
da
indebite
dazioni
di
denaro
o
prestazioni
d’utilità,
sia
antecedenti
che
susseguenti
rispetto all’atto tipico, il
quale
finisce
semplicemente
per evidenziare
il
punto
più
alto
di
contrarietà
ai
doveri
di
correttezza
che
si
impongono
al
pubblico agente» (45).
In tal
senso è
stato peraltro affermato -nell’ambito di
un episodio di
c.d.
“compravendita
dei
senatori”
(dazione
di
ingenti
somme
di
denaro in favore
di
un senatore
«volta
a
costituire
un mandato imperativo contrario ai
doveri
di
ufficio, in funzione
di
voti
contrari
alle
proposte
della
maggioranza
di
governo
») -che
«l’ipotesi
della
corruzione
propria, di
cui
all’art. 319 c.p., pur in
presenza
del
mercimonio
della
funzione,
discende
comunque
non
dal
mero
riscontro
di
questa,
ma
dalla
deduzione
del
perseguimento
degli
interessi
del
privato corruttore, attraverso atti
contrari
ai
doveri
di
ufficio, connotati, pur a
fronte
di
atti
di
natura
discrezionale
e
formalmente
legittimi,
da
quell’interesse.
Per contro ricorre
l’ipotesi
di
cui
all’art. 318 c.p., in presenza
della
remunerazione
del
munus
publicum, allorché
non sia
specificamente
individuata
la
categoria
degli
atti
di
riferimento
ovvero
quando
non
possa
prospettarsi
la
deduzione
della
specifica
violazione
dei
doveri
di
ufficio
nel
compimento
degli
atti inerenti all’esercizio della funzione» (46).
Il
discrimen
tra
le
due
figure
corruttive,
che
giustifica
il
diverso
trattamento
sanzionatorio, è
pertanto individuato, da
questo secondo filone
giuri
(45) Cass., Sez. VI, 27 novembre 2015, n. 3043, in C.E.D. Cass., n. 265619.
(46) Cass., Sez. VI, 11 settembre
2018 (ud. 2 luglio 2018), n. 40347, ove
la
Corte, nel
dichiarare
la
prescrizione
del
reato
nel
caso
di
specie,
ha
escluso
che
la
vicenda
oggetto
della
pronuncia
possa
essere
qualificata
come
corruzione
propria,
non
risultando
tale
fattispecie
incriminatrice
compatibile
«con la sfera di
libertà del
parlamentare, ben diversa da quella di
chi
svolge
attività amministrativa in
senso stretto: con riguardo allo svolgimento dell’attività tipica del
parlamentare, infatti, non è
ravvisabile
un riferimento al
bene
del
buon andamento e
dell’imparzialità», essendo egli
«libero, del
resto, di
esprimere
nel
modo che
preferisce
l’interesse
della Nazione, quand’anche
si
risolva ad assecondare
liberamente
intendimenti
altrui».
Tale
affermazione,
secondo
la
Corte,
è
valida
«non
solo
per
il
passaggio
del
parlamentare
da uno schieramento all’altro, che
è
di
per
sé
consentito proprio dalla mancanza di
un vincolo di
mandato, costituente
dato strutturale
che
segna la piena autonomia del
parlamentare, ma
anche
per
ogni
altro
tipo
di
pattuizione
nella
quale
sia
dedotto
l’esercizio
delle
funzioni,
giacché
da
tale
pattuizione
non
potrà
mai
discendere
la
violazione
di
doveri
specificamente
e
riconoscibilmente
correlati
a
quell’esercizio.
Si
intende
rimarcare
come
anche
nei
casi
di
mercimonio
e
asservimento
delle
funzioni,
ritenuti
idonei
ad
integrare
il
delitto
di
corruzione
propria,
la
giurisprudenza
abbia
comunque
fatto riferimento alla circostanza che
la violazione
dei
doveri
debba trasferirsi
all’atto risultando attraverso
di esso riconoscibile».
Ciò, tuttavia, «non significa che
la condotta di
corruzione
sia assorbita per
intero dall’autonomia della
funzione
o dall’operatività dell’immunità, in quanto, come
detto, essa si
colloca al
di
fuori
dell’una e
dell’altra: ma l’autonomia, di
cui
l’immunità è
espressione, influisce
sulla qualificazione
del
suo esercizio,
precludendo
la possibilità di
conferirle
una connotazione
in termini
di
contrarietà
ai
doveri» del-
l’ufficio.
La
Corte
ha
affermato,
di
conseguenza,
il
principio
stando
al
quale
«nei
confronti
del
parlamentare
non è
mai
configurabile
il
reato di
corruzione
propria (per
atto contrario ai
doveri
di
ufficio),
antecedente
e/o
susseguente,
previsto
dall’art.
319
c.p.,
ostandovi
il
combinato
disposto
degli
artt. 64, 67 e 68 della Costituzione».
RASSEGnA
AVVoCATURA
DELLo
STATo -n. 1/2023
sprudenziale,
proprio
nella
progressione
criminosa
dell’interesse
tutelato
sotto
al
profilo della
gravità:
mentre
nella
corruzione
per l’esercizio della
funzione
ex
art. 318 c.p. la
dazione
del
privato al
pubblico agente, al
fine
di
assicurarsene
i
favori,
pone
in
pericolo
il
corretto
svolgimento
della
funzione
pubblica,
nella
seconda
la
percezione
di
un’utilità
indebita
da
parte
dell’intraneus
sinallagmaticamente
connessa
al
compimento di
uno o più atti
individuati
contrari
ai
doveri
dell’ufficio
comporta
una
lesione
concreta
dei
beni
giuridici
protetti,
così da giustificare una risposta punitiva maggiormente incisiva (47).
In sostanza, il
presente
orientamento ritiene
di
far ricadere
tutte
le
ipotesi
di
corruzione
sistemica, caratterizzate
dalla
presenza
di
un accordo illecito tra
corruttore
e
corrotto,
che
impegna
quest’ultimo
in
modo
stabile
e
continuativo
al
compimento (o all’omissione) di
una
serie
non esattamente
predeterminata
di
atti
incardinabili
nell’ambito
della
funzione
esercitata
-di
volta
in
volta
classificate
dalla
prassi
giudiziaria
precedente
al
2012
come
“messa
a
libro
paga
del
pubblico
funzionario”,
“asservimento
della
funzione
pubblica
agli
interessi
privati”
o “messa
a
disposizione
del
pubblico ufficio”
-precedentemente
ricondotte
all’art.
319
c.p.,
nella
nuova
fattispecie
di
corruzione
per
l’esercizio della
funzione
di
cui
all’art. 318 c.p., introdotta
dalla
legge
n. 190
del 2012 (48).
3.2 Le
ricadute
dell’incremento sanzionatorio della corruzione
“funzionale”
ad opera della L. n. 3 del 2019 sul sistema della corruzione.
Come
accennato, il
legislatore
del
2019, con la
legge
n. 3, è
nuovamente
intervenuto
sui
delitti
di
corruzione,
senza
tuttavia
modificare
in
modo
sostanziale
l’assetto delineato dalla
legge
n. 190 del
2012, intervenendo sulle
fattispecie
incriminatrici
-il
linea
con
le
recenti
riforme
-esclusivamente
sul
piano
sanzionatorio.
Le
più
recenti
riforme
in
materia
di
corruzione
(e
delitti
contro
la
pubblica
amministrazione
in
generale)
sono
infatti
accomunate
dal
giustificare
la
loro
tendenza
ad
introdurre
inasprimenti
sanzionatori
sulla
base
di
una
asserita
esigenza
di
garantire
una
migliore
repressione
sul
piano
general-preventivo,
utilizzando
la
pena
detentiva
come
deterrente;
tendenza
che,
di
per
sé,
risulta
frutto
di
una
concezione
assai
riduttiva
del
fenomeno
in
oggetto,
(47) Cass., Sez. VI, 25 settembre
2014, n. 49226, in C.E.D. Cass., n. 261352;
Cass., Sez. VI, 11
dicembre
2018, n. 4486, in C.E.D. Cass., n. 274984;
in Cass. pen., 2019, p. 3495. Visione
questa, che
sebbene
fedele
all’assetto delineato dalla
riforma
del
2012 -non è
stata
esente
da
critiche
in dottrina
perché
considerata
da
alcuni
eccessivamente
formalista,
fondata
com’è
sul
criterio
formale
del
pericolo/danno per il
bene
giuridico tutelato, a
scapito di
una
attenta
valutazione
del
concreto disvalore
delle
condotte, incardinata
nell’ottica
complessiva
del
sottosistema
dei
delitti
in esame. Cfr. M. GAMBARDELLA,
il
nodo della “stabile
messa a libro paga dell’agente
pubblico”
in tema di
corruzione, cit.;
n. oRTU, Gli accordi illeciti nel sistema della corruzione, cit.
(48)
Cass.,
Sez.
VI,
sent.
del
18
gennaio
2021,
n.
1863.
Cfr.
M.
GAMBARDELLA,
il
nodo
della
“stabile
messa a libro paga dell’agente pubblico” in tema di corruzione, cit.
ConTRIBUTI
DI
DoTTRInA
se
non
accompagnata
di
una
adeguata
azione
sul
piano
amministrativo-organizzativo.
Peraltro,
mentre
la
legge
del
2012,
n.
190,
oltre
ad
innalzare
la
pena
edittale,
è
intervenuta
anche
in
chiave
preventiva,
(con
strumenti
più
marcatamente
amministrativi)
sull’organizzazione
della
pubblica
amministrazione,
in
virtù
di
una
nozione
di
corruzione
più
ampia
e
svincolata
dal
solo
profilo
penale;
l’ultima
manovra
legislativa
sembra
condividere
solo
in
parte
tale
strategia.
Vengono
innalzate,
oltre
alla
pena
principale
del
delitto
ex
art.
318
c.p.,
anche
le
sanzioni
accessorie
per
i
reati
corruttivi,
comprese
le
sanzioni
interdittive
previste
dal
d.lgs.
n.
231
del
2001
per
la
responsabilità
da
reato
degli
enti,
e
vengono
introdotte
innovative
misure
sostanziali,
investigative
e
processuali
(49),
nella
consapevolezza
che
l’effettività
della
repressione
di
tali
episodi
non
dipenda
unicamente
dal
quantum
di
pena
previsto
dalla
legge
in
risposta
agli
stessi.
Tale
consapevolezza
del
legislatore
del
2019
si
legge
nella
Relazione
di
accompagnamento
al
disegno
di
legge,
la
quale
rimarca
il
fatto
che
una
effettiva
ed
efficace
strategia
di
contrasto
alla
corruzione
«non
può
esaurirsi
nell’inasprimento
sanzionatorio,
destinato
a
rimanere
privo
di
effettività
se
non
accompagnato
da
efficaci
strumenti
di
prevenzione
e
di
accertamento
dei
reati»
(50).
nonostante
la
pacifica
presa
di
coscienza
della
insufficienza
dell’incremento
sanzionatorio
come
strumento
di
contrasto
alla
corruzione,
una
tale
operazione
sulla
cornice
edittale
del
delitto
di
corruzione
per
l’esercizio
della
funzione
è
stata
giustificata
dall’esigenza
di
armonizzare
il
quantum
di
pena
(precedentemente
ritenuto inadeguato) previsto per la
corruzione
per l’esercizio
della
funzione
con quello delle
figure
di
corruzione
per un atto contrario
ai
doveri
d’ufficio
ex
art.
319
c.p.
e
di
corruzione
in
atti
giudiziari
di
cui
all’art.
319-ter
c.p., così
da
appianare
in parte
il
divario di
gravità
tra
la
fattispecie
generale
-nella
quale, come
si
è
osservato, ricade
una
serie
assai
eterogenea
di
fatti
concreti, connotati
da
un livello di
offensività
anche
molto diverso gli
uni
dagli
altri
-e
le
due
speciali. obiettivo che, tuttavia, non risulta
del
tutto
riuscito, dal
momento che
la
riforma
lascia
immutato -anzi
sostanzialmente
recepisce
-l’impianto
complessivo
dei
delitti
di
corruzione,
e,
di
conseguenza,
i
rapporti
formali
tra
le
due
principali
fattispecie;
assetto
che
vede
ancora
come
figura
più mite
quella
di
cui
all’art. 318 c.p. rispetto alla
contigua
corruzione
propria
ex
art. 319 c.p.
(49) Per una
disamina
delle
misure
introdotte
con la
legge
n. 3 del
2019 cfr. M. GAMBARDELLA,
il
grande
assente
nella nuova “legge
spazzacorrotti”: il
microsistema delle
fattispecie
di
corruzione, in
Cass. pen., 2019, pp. 45 ss.
(50) Relazione
al
disegno di
legge
n. 1189 presentato dal
Ministro della
Giustizia
il
24 settembre
2018, recante
«Misure
per il
contrasto dei
reati
contro la
pubblica
amministrazione
e
in materia
di
trasparenza
dei partiti e movimenti politici».
RASSEGnA
AVVoCATURA
DELLo
STATo -n. 1/2023
4. il
rimodulato discrimen tra corruzione
per
l’esercizio della funzione
e
corruzione
propria.
Se
da
una
parte,
come
accennato,
l’inasprimento
sanzionatorio
del
delitto
di
corruzione
per
l’esercizio
della
funzione
è
stato
sostenuto
da
una
finalità
principalmente
repressiva,
allo
stesso
può,
al
contempo,
ricollegarsi
di
riflesso
l’effetto sistematico di
appianare
il
divario sanzionatorio tra
le
due
principali
fattispecie
corruttive, così
da
condurle
su livelli
sanzionatori
omogenei
(dai
3
agli
8 anni
di
reclusione
per la
corruzione
“funzionale”
ex
art. 318 c.p., dai
6
ai
10 per quella
propria
ex
art. 319 c.p.), delineare
confini
più razionali
tra
le
stesse,
ed
attenuare,
in
parte,
la
critica
incentrata
sull’argomento
dell’eccessivo
stacco, sul
piano della
gravità, tra
le
due
figure, tale
da
rendere
insufficiente
quella
“funzionale”
prevista
dall’art.
318
c.p.
a
reprimere
gli
episodi
più
gravi
di asservimento del funzionario (51).
La
pena
oggi
prevista
per il
delitto in esame
trova
la
propria
giustificazione
-lo
si
legge
nella
Relazione
al
disegno
di
legge
-nella
esigenza
di
«consentire
l’adeguamento
della
risposta
repressiva
alla
concreta
portata
offensiva
delle
condotte
riconducibili
a
tale
fattispecie
di
reato, suscettibili
di
disvalore
anche
molto diverso», oltre
che, come
si
è
detto, di
armonizzarla
-pur mantenendo
«una
congrua
differenziazione
di
pene» -con quella
stabilita
per le
due
figure
speciali
di
corruzione
propria
ex
art. 319 c.p. e
corruzione
in atti
giudiziari
ex
art. 319-ter
c.p. (52). Il
legislatore
del
2019, peraltro, non solo prende
atto
della
consolidata
giurisprudenza
che
all’indomani
della
riformulazione
dell’art.
318
c.p.
ha
ricondotto
nell’alveo
dell’art.
319
c.p.
gli
episodi
più
gravi
di
corruzione
“funzionale”
(53), ma
sembrerebbe
quasi
“recepirla”, mettendo
(51) Cfr. ibidem, p. 10.
(52) Relazione
al
disegno di
legge
n. 1189 presentato dal
Ministro della
Giustizia
il
24 settembre
2018, cit.
(53) Come
si
legge
nella
Relazione
al
disegno di
legge
n. 1189 presentato dal
Ministro della
Giustizia
il
24 settembre
2018, cit., pp. 6:
«Va peraltro evidenziato che, con indirizzo interpretativo andato
consolidandosi
(pur
se
con
diverse
sfumature)
negli
anni
successivi
alla
riforma
introdotta
con
la
legge
n. 190 del
2012, la giurisprudenza tende
a configurare
tali
più gravi
condotte
di
mercimonio della funzione
quali
forme
di
corruzione
“per
un atto contrario ai
doveri
d’ufficio”, ai
sensi
dell’articolo 319
del
codice
penale, e
non già quale
corruzione
per
l’esercizio della funzione, ai
sensi
dell’articolo 318
del
medesimo codice. Ciò non solo quando l’attività amministrativa si
traduca in atti
contrari
ai
doveri
d’ufficio,
ma
anche
quando
essa
si
risolva
in
atti
formalmente
legittimi.
Viene,
infatti,
individuato
l’atto
contrario ai
doveri
d’ufficio nello “stabile
asservimento del
pubblico ufficiale
ad interessi
personali
di
terzi, attraverso il
sistematico ricorso ad atti
contrari
ai
doveri
di
ufficio non predefiniti, né
specificamente
individuabili
ex
post,
ovvero
mediante
l’omissione
o
il
ritardo
di
atti
dovuti”
(Corte
di
cassazione,
sezione
Vi, sentenza n. 15959 del
23 febbraio 2016, rv. 266735), ma anche
nel
caso di
“stabile
asservimento
del
pubblico ufficiale
a interessi
personali
di
terzi, che
si
traduca in atti, che, pur
formalmente
legittimi,
in
quanto
discrezionali
e
non
rigorosamente
predeterminati
nell’an,
nel
quando
o
nel
quomodo,
si
conformino all’obiettivo di
realizzare
l’interesse
del
privato nel
contesto di
una logica globalmente
orientata alla realizzazione
di
interessi
diversi
da quelli
istituzionali”
(Corte
di
cassazione, sezione
Vi,
sentenza n. 3606 del
20 ottobre
2016, rv. 269347). Secondo la Suprema Corte, “un siffatto esercizio di
pubblici
poteri
determina
con
immediatezza
un
pregiudizio
per
l’imparzialità
ed
il
buon
andamento
ConTRIBUTI
DI
DoTTRInA
in
risalto
la
capacità
della
fattispecie
di
cui
all’art.
318
c.p.
di
alleggerire
l’onere
probatorio rispetto a
quello richiesto dall’art. 319 c.p., agevolandone
l’accertamento
e,
quindi,
l’utilizzo,
ogniqualvolta
il
rapporto
di
corrispettività
con
l’emanazione
di
uno
specifico
atto
d’ufficio
non
sia
riscontrabile
(54).
nonché
delineando, al
contempo, un rapporto più equilibrato tra
le
due
principali
figure
di
corruzione,
che
scongiuri
il
rischio,
spesso
manifestatosi,
di
un’applicazione
eccessivamente
marginale
dell’art.
318
c.p.
(relegato
da
parte
della
giurisprudenza
agli
episodi
corruttivi
riferibili
ad
attività
conformi
ai
doveri
dell’ufficio) (55).
Ed invero, la
riforma
del
2012 ha
rivoluzionato il
rapporto intercorrente
tra
le
due
fattispecie
corruttive,
che
da
rapporto
di
alterità
(o,
se
si
vuole,
“specialità
reciproca”), imperniato sulla
conformità/contrarietà
dell’atto ai
doveri
d’ufficio,
si
presenta
ora
come
relazione
di
genere
a
specie
(56),
che
conferisce
alla
norma
generale
rappresentata
dall’art. 318 c.p. una
posizione
centrale
nel
sistema
dei
delitti
di
corruzione;
centralità
che
appare
maggiormente
giustificata
dopo l’inasprimento sanzionatorio introdotto dalla
legge
n. 3 del
2019, il
quale,
avendo
ridotto
lo
scarto
con
la
contigua
fattispecie
di
corruzione
propria
dell’amministrazione,
perché
implica
l’impiego
di
strumenti
e
funzioni
pubblicistiche
al
di
fuori
dei
presupposti
per
i
quali
i
medesimi
sono
stati
prefigurati,
e,
quindi,
si
traduce
in
un
‘attuale’ed
ingiustificato
trattamento di
privilegio in favore
del
beneficiario dell’azione
indebitamente
orientata”
(in tal
senso,
in motivazione, si
confronti
anche
la più recente
sentenza: Corte
di
cassazione, sezione
Vi, n. 46492 del
15 settembre
2017, rv. 271383). L’atto contrario ai
doveri
d’ufficio o, più specificamente, l’omissione
di
un
atto
dell’ufficio
è
quindi
individuato
nel
comportamento
abdicativo
del
pubblico
ufficiale
di
fronte
al
dovere
di
una corretta comparazione
degli
interessi
rilevanti, anche
quando l’esito raggiunto risulti
coincidere ex post con l’interesse pubblico».
(54) Invero -si
legge
nella
Relazione
-«se
una risposta punitiva adeguata si
vuole
comunque
assicurare
al
mercimonio del
munus
publicum, pur
se
sganciata da una riconoscibile
logica di
formale
sinallagmaticità
con
un
determinato
o
determinabile
atto
dell’ufficio,
facendola
rifluire
nell’alveo
“naturale”
della corruzione
per
l’esercizio della funzione, di
cui
all’articolo 318 c.p. (con il
conseguente
alleggerimento
dell’onere
probatorio
del
reato
in
sede
processuale
e
maggiore
effettività
dell’azione
penale),
sembra
necessario
estendere
la
cornice
edittale
prevista
per
tale
delitto,
aumentandone
la
pena
sia nel
minimo che
nel
massimo». Inoltre, nella
medesima
Relazione, è
specificato che:
«La prova del
più grave
delitto di
cui
all’articolo 319 del
codice
penale
[…] può tuttavia essere
impervia e
l’accertamento
della responsabilità penale
molto difficoltoso. La configurabilità del
delitto di
cui
all’articolo
319 del
codice
penale
presuppone, infatti, l’accertamento non solo della sinallagmaticità tra dazione
(o promessa di
dazione) e
l’atto (o gli
atti) dell’ufficio, ma anche
la prova dell’effettiva deviazione
del-
l’esercizio della discrezionalità amministrativa dal
modello procedimentale
che
la disciplina, quanto
meno nella forma della rinunzia a priori
a un’equanime
comparazione
degli
interessi
in gioco. il
che,
nel
caso
di
attività
amministrativa
ad
alto
tasso
di
discrezionalità
e
tanto
più
a
fronte
di
atti
formalmente
legittimi
e
finanche
conformi
all’interesse
stesso della pubblica amministrazione, può essere
molto difficile
da accertare» (Relazione
al
disegno di
legge
n. 1189 presentato dal
Ministro della
Giustizia
il
24
settembre 2018, cit., p. 7).
(55)
Cfr.
G.
FIDELBo,
La
corruzione
“funzionale”
e
il
contrastato
rapporto
con
la
corruzione
propria,
cit., p. 10.
(56)
Cfr.,
ex
multis,
M.
RoMAno,
i
delitti
contro
la
pubblica
amministrazione.
i
delitti
dei
pubblici
ufficiali,
artt.
314-335-bis,
cit.,
p.
154.;
F.
VIGAnò,
La
riforma
dei
delitti
di
corruzione,
in
Libro
dell’anno
del diritto, Treccani, Roma, 2013, p. 154.
RASSEGnA
AVVoCATURA
DELLo
STATo -n. 1/2023
-ritenuto eccessivo ed “aggirato”
dalla
giurisprudenza, mediante
l’interpretazione
estensiva
dell’art. 319 c.p. -sembra
almeno in parte
aver restituito “dignità
applicativa”
al
reato di
corruzione
per l’esercizio della
funzione
di
cui
all’art. 318 c.p. (57).
È
stato infatti
osservato che
«il
riallineamento sanzionatorio è
un riconoscimento,
da
parte
del
legislatore, della
reale
portata
offensiva
delle
condotte
riconducibili
al
fenomeno
della
corruzione
per
l’esercizio
della
funzione
e,
nello stesso tempo, una
legittimazione
della
centralità
di
tale
figura, pur nella
consapevolezza
che
l’art. 318 c.p. non può coprire
l’intera
area
della
vendita
della
funzione, desumibile
dal
fatto, oggettivo, che
la
corruzione
propria
resta
ancora punita più gravemente» (58).
Può
quindi
desumersi
che
i
fenomeni
di
c.d.
“messa
a
libro
paga”
del-
l’agente
pubblico
-o
“asservimento
della
funzione”,
che
dir
si
voglia
-possano
ricondursi
ad entrambe
le
fattispecie
corruttive
di
cui
agli
artt. 318 e
319 c.p.,
in relazione
al
livello di
determinatezza
che
il
pactum
sceleris
(in particolare,
l’atto d’ufficio oggetto del
patto) di
volta
in volta
presenta, vero elemento di
discrimine
tra
le
due
figure.
Ciò
in
adesione
all’orientamento
giurisprudenziale
per lungo tempo minoritario che
proprio nel
“grado di
determinatezza”
del-
l’accordo
corruttivo
ha
ravvisato
la
linea
di
demarcazione
tra
i
due
reati
in
oggetto,
affermando
che
l’ambito
dell’art.
318
c.p.
non
possa
costituire
il
referente
normativo
per
ogni
ipotesi
di
vendita
della
funzione,
ma
solo
per
quegli
episodi
in
cui
«il
finalismo
del
suo
mercimonio»
non
sia
ancora
definito,
consentendo l’applicazione
dell’art. 319 c.p. nei
casi
in cui
la
«vendita
della
funzione
sia
connotata
da
uno
o
più
atti
contrari
ai
doveri
di
ufficio»
(59).
Dopo tutto, il
concetto di
asservimento della
funzione
descrive
un fenomeno
empirico
multiforme,
che
sfugge
ad
una
apposita
descrizione
legislativa
e
che,
a
seconda
delle
modalità
concrete
in
cui
si
verifica,
ben
può
rientrare
nell’ambito
corruzione
per
l’esercizio
della
funzione,
ovvero
in
quello
della
corruzione
per atto contrario ai doveri d’ufficio (60).
Sembra, pertanto, ragionevole
affermare
che, nell’assetto vigente
-risultante
dagli
interventi
legislativi
avvicendatesi
fino al
2019 -il
discrimen
tra
i
due
delitti
debba
rinvenirsi
sotto al
profilo del
“grado di
determinazione
del-
l’atto d’ufficio”, quindi
dell’oggetto dell’accordo illecito:
se
oggetto del
mercimonio
è
il
generico
asservimento
della
funzione
ad
interessi
non
istituzionali,
(57)
Cfr.
G.
FIDELBo,
La
corruzione
“funzionale”
e
il
contrastato
rapporto
con
la
corruzione
propria,
cit., pp. 10-11;
Relazione
al
disegno di
legge
n. 1189 presentato dal
Ministro della
Giustizia
il
24
settembre 2018, cit., p. 7.
(58)
Cfr.
G.
FIDELBo,
La
corruzione
“funzionale”
e
il
contrastato
rapporto
con
la
corruzione
propria,
cit., p. 11.
(59) Sez. VI, 25 settembre 2014, n. 47271, Chisso, cit.
(60)
Cfr.
n.
oRTU,
Gli
accordi
illeciti
nel
sistema
della
corruzione,
cit.;
M.
RoMAno,
i
delitti
contro
la pubblica amministrazione, cit., p. 167.
ConTRIBUTI
DI
DoTTRInA
senza
che
siano individuati
atti
specifici, il
fatto ricadrà
nella
fattispecie
prevista
dall’art. 318 c.p.;
se, invece, nel
patto di
asservimento del
pubblico funzionario
è
previsto
che
questi
compia
atti
contrari
ai
doveri
d’ufficio
determinati
anche
solo per genere
-in adempimento dello stesso, allora
sarà
consentito applicare il più grave reato di cui all’art. 319 c.p. (61).
La
più recente
giurisprudenza
richiamata, peraltro, ha
tentato di
giustificare
la
minore
gravità
della
corruzione
per l’esercizio per la
funzione
rispetto
alla
corruzione
propria
ex
art. 319 c.p. sulla
base
della
circostanza
che, nella
prima
figura, in assenza
di
atti
determinati
o determinabili
come
oggetto del
patto, questo sia
finalizzato genericamente
a
precostituire
condizioni
favorevoli
nei
rapporti
con il
soggetto pubblico (la
c.d. “corruzione
a
futura
memoria”);
mentre
nella
corruzione
propria,
rientrando
nell’accordo
futuri
atti
contrari
ai
doveri
d’ufficio,
al
disvalore
costituito
dall’asservimento
della
funzione
in sé
si
somma
quello dato dall’impegno dell’agente
pubblico al
compimento
di
un
abuso
specifico
e
concreto
della
sua
funzione,
individuato
attraverso un atto determinato o determinabile (62).
Questa
ricostruzione
-nel
tentativo di
restituire
razionalità
ai
rapporti
tra
le
due
fattispecie
-mette
in
risalto
la
natura
di
reato
di
pericolo
(peraltro
eventuale)
del
delitto in esame, senza
svuotarne
completamente
la
portata
applicativa
e
relegarlo
ad
un
ambito
di
utilizzo
marginale:
scopo
della
norma
è
quello
di
prevenire
il
compimento di
condotte
lesive
dell’imparzialità
della
pubblica
amministrazione, punendo (anche) condotte
di
asservimento della
funzione,
prodromiche
rispetto al
compimento di
specifici
atti
diretti
eventualmente
a
favorire, in futuro, gli interessi personali del corruttore (63).
L’art. 319 c.p., invece, viene
ricostruito come
reato di
danno, in quanto
colpisce
quei
comportamenti, messi
in atto attraverso il
compimento di
specifici
atti
contrari
ai
doveri
d’ufficio (a
cui
è
equiparata, in termini
di
disvalore,
(61) In tal
senso si
è
pronunciata
la
dottrina
formatasi
sull’ambito di
applicazione
dell’art. 318
c.p. (e
sul
rapporto con l’art. 319 c.p.) anche
precedente
alla
legge
n. 3 del
2019:
cfr., ex
multis, S. SE-
MInARA, i delitti
di
concussione, corruzione
per
l’esercizio della funzione
e
induzione
indebita, in Speciale
corruzione, in Dir. pen. proc., 2013, p. 20;
A. GARGAnI,
La riformulazione
dell’art. 318 c.p., cit.,
p. 629;
G. FIDELBo, La corruzione
“funzionale”
e
il
contrastato rapporto con la corruzione
propria,
cit., p. 11;
n. ortu, Gli
accordi
illeciti
nel
sistema della corruzione, cit.;
M. RoMAno, i delitti
contro la
pubblica amministrazione, cit., p. 167.
(62) Così
Cass. pen., Sez. VI, 28 novembre
2014, n. 49226;
Sez. VI, 29 gennaio 2019, n. 4486;
Sez. VI, 22 ottobre
2019, n. 18125/2020;
Sez. VI, 29 luglio 2021, n. 29284;
Sez. VI, 3 giugno 2021, n.
21724;
Sez. VI, 3 maggio 2021, n. 16781;
Sez. VI, 7 marzo 2022, n. 8099. Cfr. G. STAMPAnonI
BASSI,
Le corruzioni nel codice penale, cit., pp. 17 ss.
(63) Cass. pen. Sez. VI, 02/12/2022, n. 45863 “il
delitto di
corruzione
per
l’esercizio della funzione
pubblica, di
cui
all’art. 318 cod. pen., come
novellato dalla L. 6 novembre
2012, n. 190, si
differenzia
da
quello
di
corruzione
propria,
di
cui
all’art.
319
cod.
pen.,
in
quanto
ha
natura
di
reato
di
pericolo,
sanzionando
la
presa
in
carico,
da
parte
del
pubblico
funzionario,
di
un
interesse
privato
dietro una dazione
o promessa indebita, senza che
sia necessaria l’individuazione
del
compimento di
uno
specifico
atto
d’ufficio”;
Cfr.
G.
FIDELBo,
La
corruzione
“funzionale”
e
il
contrastato
rapporto
con
la corruzione propria, cit., p. 12; Così Cass. Sez. VI, 11 dicembre 2018, n. 4486, cit.
RASSEGnA
AVVoCATURA
DELLo
STATo -n. 1/2023
la
circostanza
in cui
tali
atti, pur non individuati, siano comunque
determinabili),
che
comportano di
per sé
una
concreta
lesione
al
bene
giuridico dell’imparzialità
della
pubblica
amministrazione, giustificando -secondo il
presente
orientamento - una maggiore gravità sanzionatoria (64).
Sicché, se
il
patto corruttivo con il
quale
il
pubblico agente
vende
esclusivamente
la
sua
funzione
ha
ad
oggetto
l’impegno
futuro
a
prendere
in
carico,
all’occorrenza,
gli
interessi
privati
del
corruttore,
appare
condivisibile
l’orientamento
secondo
cui
le
due
figure
corruttive
sono
legate
da
un
rapporto
di
“progressione
criminosa”
dell’interesse
tutelato in termini
di
gravità
-rispecchiata
dalla
crescente
risposta
punitiva
-da
uno
stadio
di
pericolo,
dato
dal
generico asservimento della
funzione
pubblica, ad uno stadio di
lesione, rappresentata
dall’individuazione
di
un
atto
contrario
ai
doveri
dell’ufficio
e
dalla
distorsione del potere pubblico nelle sue finalità che esso esprime (65).
Pertanto, dato che, secondo questa
visione
giurisprudenziale
“razionalizzatrice”
dell’assetto
normativo,
la
linea
di
demarcazione
tra
le
due
figure
nonché
l’elemento che
conferisce
loro un diverso livello di
disvalore
-risiede
nel
“grado
di
determinatezza”
dell’oggetto
dell’accordo
corruttivo,
un
momento
complesso,
in
sede
di
applicazione,
sarà
rappresentato
-non
tanto
dalla
dimostrazione
della
pattuizione
di
un atto determinato ovvero della
sua
totale
assenza, bensì
-dall’accertamento, da
condurre
caso per caso, circa
la
sussistenza
o meno di
uno o più atti
determinabili
ma
non (ancora) individuati. Un
tale
accertamento dovrà
essere
condotto mettendo al
centro dell’esame
l’accordo
corruttivo, in quanto si
ritiene
che
la
determinabilità
dell’atto non potrà
che
emergere
dalla
determinatezza
stessa
del
patto,
nonché
dalla
condotta
concretamente
posta
in
essere
dal
pubblico
agente
nell’esercizio
della
sua
funzione:
il
pactum
sceleris
dovrà
quindi
essere
interpretato al
fine
di
verificare
la
possibilità
di
ricavare, nell’ambito del
suo oggetto, l’individuazione, anche
(64) Cfr. ibidem.
Come
recentemente
ribadito dalla
giurisprudenza
di
legittimità, l’elemento distintivo
della
fattispecie
di
corruzione
per
l’esercizio
della
funzione
rispetto
a
quella
per
un
atto
contrario
ai
doveri
d’ufficio
«resta
pertanto
segnato
dalla
progressione
criminosa
dell’interesse
protetto
in
termini
di
gravità (che
giustifica la diversa risposta punitiva) da una situazione
di
pericolo (il
generico asservimento
della funzione) ad una fattispecie
di
danno, in cui
si
realizza la massima offensività del
reato
(con l’individuazione
di
un atto contrario ai
doveri
d’ufficio)». Mentre
nel
primo caso la
dazione
indebita,
condizionando la
fedeltà
ed imparzialità
del
pubblico ufficiale
che
si
mette
genericamente
a
disposizione
del
privato,
pone
in
pericolo
il
corretto
svolgimento
della
pubblica
funzione;
nell’altro
la
prestazione
del
privato, essendo sinallagmaticamente
connessa
con il
compimento di
uno specifico atto
contrario ai
doveri
d’ufficio, comporta
una
concreta
lesione
del
bene
giuridico protetto, meritando di
conseguenza
una
pena
più severa. Così
Cass., Sez. VI, 2 giugno 2020 (ud. 22 ottobre
2019), n. 18125;
Cass., Sez. VI, sent. del 18 gennaio 2021, n. 1863.
(65) Così
da
ultimo Cass. pen., Sez. VI, 24/05/2023, n. 22390 “Lo stabile
asservimento del
pubblico
ufficiale
ad interessi
personali
di
terzi, con episodi
sia di
atti
contrari
ai
doveri
d'ufficio che
di
atti
conformi
o non contrari
a tali
doveri, configura un unico reato permanente, previsto dall’art. 319
cod.
pen.,
in
cui
è
assorbita
la
meno
grave
fattispecie
di
cui
all’art.
318
stesso
codice”;
Sez.
VI,
3
maggio 2021, n. 16781;
Sez. VI, 7 marzo 2022, n. 8099. Cfr. G. STAMPAnonI
BASSI,
Le
corruzioni
nel
codice penale, cit., pp. 20-21; n. oRTU, Gli accordi illeciti nel sistema della corruzione, cit.
ConTRIBUTI
DI
DoTTRInA
potenziale, di
un atto amministrativo contrario ai
doveri
dell’ufficio, e
solo in
questo caso il
fatto integrerà
il
delitto di
corruzione
propria
di
cui
all’art. 319
c.p. (66).
Particolari
difficoltà
applicative
saranno
riscontrabili,
di
conseguenza,
ogniqualvolta
l’oggetto dell’accordo non risulti
con chiarezza:
in tal
caso, al
fine
di
verificare
il
“peso”
che
ha
avuto
l’interesse
privato
nella
decisione
del-
l’intraneus
-soprattutto
nell’esercizio
di
attività
discrezionale
-«potranno
soccorrere
nell’accertamento il
tipo di
funzione
e
la
ricostruzione
ex
post
(anche
in base
all’atto che
sia
stato poi
eventualmente
compiuto) della
situazione
ex
ante,
quale
si
presentava
ai
due
al
momento del
patto»;
tuttavia, «ove
non si
raggiunga
la
prova
dell’espresso o tacito ruolo che
avrebbe
dovuto svolgere
l’interesse
privato, dovrà
concludersi
-in dubio pro reo
-per la
meno grave
corruzione
ex
art. 318 c.p.» (67).
(66)
Cfr.
G.
FIDELBo,
La
corruzione
“funzionale”
e
il
contrastato
rapporto
con
la
corruzione
propria,
cit., p. 13;
G. STAMPAnonI
BASSI,
Le
corruzioni
nel
codice
penale, cit., pp. 19 ss.;
n. oRTU, Gli
accordi
illeciti nel sistema della corruzione, cit.
(67) M. RoMAno, i delitti
contro la pubblica amministrazione. i delitti
dei
pubblici
ufficiali, artt.
314-335-bis, cit., p. 210.
RASSEGnA
AVVoCATURA
DELLo
STATo -n. 1/2023
rapporti tra procedimento penale e procedimento
disciplinare: un excursus giurisprudenziale sul lavoro privato
e quello alle dipendenze di Pubbliche
amministrazioni
Andrea Ferri*
Sommario: 1. La tempestività della contestazione
degli
addebiti
nel
settore
privato: le
differenze
significative
tra il
settore
privato e
quello pubblico -2. il
lavoro pubblico e
le
tre
discipline
temporali
dell’interferenza tra procedimento disciplinare
e
procedimento penale
3.
La
tempestività
della
contestazione
degli
addebiti
nel
settore
privato:
esposizione
delle
decisioni
della Corte
di
Cassazione
su fattispecie
diverse
e
le
oscillazioni
interpretative
-3.1
Commento
riassuntivo
delle
linee
tenute
dalla
Corte
di
Cassazione
-4.
Tempestività
della
contestazione
degli
addebiti
e
procedimento penale
nella P.a. Dalla rigidità del
T.U. 1957 n.
3 alla disciplina intertemporale
con l’entrata in vigore
della normativa contrattuale
-4.1 La
giurisprudenza dopo la legge
“Brunetta”
e
l’articolo 55 ter
del
d.lgs. 165/2001 -4.2 Valutazioni
critiche e conclusioni finali.
1.
La
tempestività
della
contestazione
degli
addebiti
nel
settore
privato:
le
differenze
significative tra il settore privato e quello pubblico.
nel
presente
scritto
si
intendono
verificare
le
interferenze
tra
procedimento
disciplinare
e
processo
penale
cui
sia
sottoposto
il
dipendente,
ponendo
a
raffronto quanto avviene
nel
campo del
lavoro privato e
quanto avveniva
ed
avviene
nel
pubblico
impiego
ora
privatizzato,
particolarmente
nel
campo
della
tempestività
della
contestazione
degli
addebiti,
nonché
della
irrogazione
della
sanzione e della legittimità di un loro differimento.
In materia
di
procedimento disciplinare
permangono delle
differenze
significative
tra
il
campo del
lavoro pubblico e
quello del
lavoro privato. L’attivazione
della
responsabilità
disciplinare
è
discrezionale
per il
lavoro privato
e
il
principio di
tempestività, che
viene
ricavato dall’articolo 7 dello Statuto
dei
lavoratori
ed
è
in
via
di
principio
accolto
dalla
giurisprudenza
unanime
seppure
con non piccole
divergenze, serve
a
prevenire
distorsioni
applicative
da
parte
del
datore
di
lavoro (1). Viceversa
l’esercizio del
potere
disciplinare
è
per il
datore
di
lavoro pubblico un dovere
indefettibile
e
non solo per il
fatto
(*)
Dirigente
del
Ministero
dell’Istruzione
e
del
Merito
presso
l’Ufficio
Scolastico
Regionale
per
le
Marche.
(1)
MALIzIA,
La
variabilità
empirica
del
concetto
di
immediatezza
nella
contestazione
disciplinare
in argomenti
di
diritto del
lavoro,
2009, pagg. 592-597, identifica
queste
possibili
distorsioni
nel
fatto
che
un dilazionato esercizio del
potere
disciplinare
potrebbe
far sorgere
in capo al
lavoratore
il
ragionevole
affidamento sulla
definitiva
decisione
del
datore
di
non perseguirlo;
nella
possibilità
che
maliziosamente
il
datore
non
contesti
l’inadempimento
con
l’intento
dissimulato
di
colpire
altre
simili
infrazioni
con maggiore
severità;
nell’intento di
ostacolare
la
difesa
del
lavoratore
contestandogli
i
fatti
dopo un
lungo lasso di tempo.
ConTRIBUTI
DI
DoTTRInA
che
il
suo ingiustificato mancato esercizio costituisce
a
sua
volta
fonte
di
responsabilità
disciplinare
(articolo 55 sexies
del
d.lgs. 165/2001), ma
anche
in
considerazione
del
fatto
che
i
lavoratori
pubblici,
sebbene
il
rapporto
di
lavoro
e
parte
dell’organizzazione
degli
uffici
siano
stati
privatizzati,
perseguono
scopi
di
interesse
generale
e
pertanto
la
loro
negligenza
compromette
detti
scopi
primari
e
non l’economia
individuale
del
datore
di
lavoro, per quanto
essa sia rilevante.
oltre
ai
fini, è
diversa
pure
la
disciplina
positiva
dell’istituto tra
i
campi
del
pubblico e
del
privato. nel
lavoro privato non esistono termini
precisi
ed
univoci
per l’avvio nonché
per la
sua
conclusione, retti
entrambi
dal
concetto
elastico
ed
affidato
alla
concretizzazione
giurisprudenziale
della
tempestività.
Il
lavoro privato neppure
ha
una
disciplina
univoca
dei
rapporti
tra
procedimento
disciplinare
e
penale,
nè
regole
sulla
sospensione
cautelare
in
pendenza
del
processo penale;
esso al
più conosce
la
sospensione
in pendenza
di
procedimento
disciplinare,
ossia
per
un
breve
periodo
volto
all’accertamento
dei
fatti.
Il
lavoro
pubblico
ha,
invece,
conosciuto
nel
tempo
tre
discipline
dell’interferenza
tra procedimento disciplinare e procedimento penale.
2. il
lavoro pubblico e
le
tre
discipline
temporali
dell’interferenza tra procedimento
disciplinare e procedimento penale.
nel
vigore
del
d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3, l’articolo 103 disponeva
che
il
capo dell’ufficio che
a norma dell’art. 100 è
competente
ad irrogare
la censura
deve
compiere
gli
accertamenti
del
caso
e,
ove
ritenga
che
sia
da
irrogare
una
sanzione
più
grave
della
censura,
rimette
gli
atti
all’ufficio
del
personale.
L’ufficio del
personale
che
abbia comunque
notizia di
una infrazione
disciplinare
commessa da un impiegato svolge
gli
opportuni
accertamenti
preliminari
e, ove
ritenga che
il
fatto sia punibile
con la sanzione
della censura,
rimette
gli
atti
al
competente
capo ufficio; negli
altri
casi
contesta subito gli
addebiti
all’impiegato
invitandolo
a
presentare
le
giustificazioni.
L’articolo
117
prescriveva
che
qualora
per
il
fatto
addebitato
all’impiegato
sia
stata
iniziata
azione
penale
il
procedimento
disciplinare
non
può
essere
promosso
fino
al
termine
di
quello penale
e, se
già iniziato, deve
essere
sospeso.
Peraltro, in
pendenza
di
indagini
penali
sino a
quando non sopravveniva
l’azione
penale,
l’amministrazione
poteva
dare
corso al
procedimento ed eventualmente
definirlo.
A
disciplinare
l’ipotesi
della
celere
definizione
del
procedimento prima
dell’avvio del
procedimento penale
e
di
un successivo giudicato penale
assolutorio
il
d.P.R.1957 n. 3 disponeva
all’articolo 119 che
il
procedimento disciplinare
può essere
riaperto se
l’impiegato cui
fu inflitta la sanzione
ovvero la
vedova
o
i
figli
minorenni
che
possono
avere
diritto
al
trattamento
di
quiescenza
adducano nuove
prove
tali
da far
ritenere
che
sia applicabile
una sanzione
minore o possa essere dichiarato il proscioglimento dall’addebito.
Con la
privatizzazione
del
pubblico impiego e
la
successiva
stipulazione
RASSEGnA
AVVoCATURA
DELLo
STATo -n. 1/2023
dei
CCnL
le
parti
contraenti
optarono per una
accezione
ancor più rigida
del
principio di
pregiudizialità
penale. Esemplificativamente
si
cita
il
CCnL
16
maggio 1995 (ccnl
normativo 1994-1997 ed economico 1995-1999 del
comparto
Ministeri), ricordando che
gli
altri
contratti
divergono per aspetti
solo
letterali.
L’articolo
25
intitolato
codice
disciplinare
disponeva
che:
6.
Nel
caso
previsto dalla lettera “a”
del
comma 5, l’amministrazione
inizia il
procedimento
disciplinare
ed
inoltra
la
denuncia
penale.
il
procedimento
disciplinare
rimane
tuttavia sospeso fino alla sentenza definitiva. analoga sospensione
è
disposta
anche
nel
caso
in
cui
l’obbligo
della
denuncia
penale
emerga
nel
corso
del
procedimento
disciplinare
già
avviato.
7.
al
di
fuori
dei
casi
previsti
nel
comma
6,
quando
l’amministrazione
venga
a
conoscenza
dell’esistenza
di
un procedimento penale
a carico del
dipendente
per
i
medesimi
fatti
oggetto
di
procedimento disciplinare, questo è
sospeso fino alla sentenza definitiva.
8. il
procedimento disciplinare
sospeso ai
sensi
dei
commi
6 e
7 è
riattivato
entro
180
giorni
da
quando
l’amministrazione
ha
avuto
notizia
della
sentenza
definitiva. La
pregiudizialità
del
procedimento penale
rispetto a
quello disciplinare
era
ancora
più accentuata
dal
momento che
essa
veniva
fatta
risalire
all’avvio del
procedimento penale
con la
denuncia
e
sino al
sopravvenire
di
una sentenza irrevocabile (2).
La
terza
modalità
di
relazione
dei
rapporti
tra
procedimento disciplinare
e
procedimento penale
è
quella
inaugurata
con il
d.lgs. 150/2009, c.d. legge
Brunetta, che
ha
tra
l’altro novellato l’articolo 55 del
d.lgs. 165/2001 introducendo
l’articolo
55
ter
-rapporti
fra
procedimento
disciplinare
e
procedimento
penale
-di
cui
si
riporta
il
comma
1
ulteriormente
modificato
dal
d.lgs.
75/2017
nella
parte
di
interesse:
il
procedimento
disciplinare,
che
abbia
ad
oggetto, in tutto o in parte, fatti
in relazione
ai
quali
procede
l’autorità giudiziaria,
è
proseguito e
concluso anche
in pendenza del
procedimento penale.
Per
le
infrazioni
per
le
quali
è
applicabile
una
sanzione
superiore
alla
sospensione
dal
servizio
con
privazione
della
retribuzione
fino
a
dieci
giorni,
l’ufficio
competente
per
i
procedimenti
disciplinari,
nei
casi
di
particolare
complessità
dell’accertamento
del
fatto
addebitato
al
dipendente
e
quando
all’esito dell’istruttoria non dispone
di
elementi
sufficienti
a motivare
l’irrogazione
della sanzione, può sospendere
il
procedimento disciplinare
fino al
termine
di
quello penale. Fatto salvo quanto previsto al
comma 3, il
procedimento
disciplinare
sospeso
può
essere
riattivato
qualora
l’amministrazione
giunga
in
possesso
di
elementi
nuovi,
sufficienti
per
concludere
il
procedimento,
ivi
incluso un provvedimento giurisdizionale
non definitivo. resta in
ogni
caso salva la possibilità di
adottare
la sospensione
o altri
provvedimenti
cautelari
nei
confronti
del
dipendente. La
forte
attenuazione
del
principio di
(2) SGUEGLIA, appunti
per
una riflessione
in tema di
sospensione
del
procedimento disciplinare
in pendenza di quello penale
in Lavoro e previdenza oggi, fasc. 11, pagg. 1273-1278.
ConTRIBUTI
DI
DoTTRInA
pregiudizialità,
che
è
oggi
possibile
per
i
soli
illeciti
di
una
certa
gravità
e
solo
purché
ricorrano
la
particolare
complessità
dell’accertamento
del
fatto
o
la
carenza
di
elementi
d’accusa
all’esito dell’istruttoria
(3), risponde
all’esigenza
di
assicurare
che
la
sanzione
sia
irrogata
nell’immediatezza
del
compimento
dei
fatti
assicurandole
una
concreta
effettività, rafforzandone
il
carattere
generale
preventivo,
nella
realistica
presa
d’atto
che
i
tempi
lunghi
della
vicenda
penale rischiavano di minare l’effettività della sanzione.
3.
La
tempestività
della
contestazione
degli
addebiti
nel
settore
privato:
esposizione
delle
decisioni
della
Corte
di
Cassazione
su
fattispecie
diverse
e
le
oscillazioni interpretative.
nella
questione
decisa
dalla
sentenza
della
Corte
di
cassazione
del
10
settembre
2003
n.
13294
(4)
veniva
in
questione
la
tempestività
del
licenziamento
comminato per una
sua
eccessiva
distanza
temporale
dalla
notizia
dei
fatti. Il
datore
di
lavoro, un istituto bancario, osservava
che
solo il
29 ottobre
1992 (il
dipendente
infatti
aveva taciuto la relativa notizia al
datore
di
lavoro in violazione
di
specifica disposizione
del
contratto collettivo) la Banca era venuta
a sapere
che
il
…
era stato rinviato a giudizio per
i
reati
di
bancarotta fraudolenta
e
false
comunicazioni
sociali, con l’accusa di
avere, nella qualità di
presidente
di
una
cooperativa
e
in
concorso
con
altri,
esposto
nei
bilanci
e
nelle
comunicazioni
sociali
fatti
non
rispondenti
al
vero,
effettuato
sottrazioni
dolose
di
ingenti
somme
di
denaro e
utilizzato a fini
personali
i
fondi
sociali.
Il
datore
di
lavoro negava
che
potessero fornire
una
notizia
sufficientemente
circostanziata
da
legittimare
l’avvio del
procedimento disciplinare
i
fatti
anteriori
alla
conoscenza
del
rinvio a
giudizio consistenti
in una
manifestazione
di
protesta
nei
confronti
del
...
compiuta
davanti
alla
Banca
da
soci
della
cooperativa
che
lamentavano irregolarità contabili
e
la sottrazione
di
somme
di
denaro,
le
notizie
allora
comparse
sulla
stampa,
la
condanna
del…
a
L.
300.000 di
multa e
un anno di
reclusione
per
fatti
attenenti
ad ipotetici
inadempimenti
societari.
non veniva
ravvisato un difetto di
tempestività
per
il
fatto
che
l’azienda,
dopo
avere
allontanato
provvisoriamente
e
cautelarmente
il
lavoratore
con nota del
29 ottobre
1992, avvalendosi
dello strumento previsto
dall’art. 34 del
C.C.N.L., avesse
poi
aperto il
procedimento di
licenziamento
e
risolto
il
rapporto
con
nota
del
27
aprile
1993.
La
difesa
del
(3) Sull’interpretazione
dei
requisiti
legittimanti
la
sospensione
vedi
SoRDI,
i rapporti
tra procedimento
penale
e
procedimento
disciplinare
nelle
amministrazioni
pubbliche
in
il
lavoro
nelle
pubbliche
amministrazioni,
2010, fasc. 3/4, pagg. 606-608, che
configura
i
rapporti
tra
i
due
requisiti
di
cui
all’articolo
55 ter
come
alternativi. In realtà
i
due
requisiti
sono in un rapporto di
reciproca
inscindibilità
dal
momento
che
la
particolare
complessità
dell’istruttoria
non
permette
di
acquisire
elementi
che
supportino
l’azione
disciplinare
e
che
qualora
a
seguito
dell’esperimento
dell’istruttoria
non
emergano
univoci
profili
di responsabilità non potrà che farsi ricorso alla sospensione.
(4) In orientamenti della giurisprudenza del lavoro,
2003, fasc. 4, pag. 910.
RASSEGnA
AVVoCATURA
DELLo
STATo -n. 1/2023
lavoratore
eccepiva
inoltre
che
il
giudice
di
secondo
grado
non
ha
preso
in
considerazione
che
i
fatti
contestati
erano
noti
fin
dal
1990
(non
potendosi
considerare
fatto nuovo il
rinvio a giudizio), che
il
reato di
cui
l’attuale
ricorrente
era
accusato
non
era
stato
commesso
sul
luogo
di
lavoro,
e
che
il
comportamento
penalmente
rilevante
del
medesimo
aveva
determinato
solo
un
rinvio
a
giudizio,
sicché
non
vi
era
una
statuizione
giudiziaria
a
suo
carico,
neanche
non
definitiva,
sicché
avrebbe
dovuto
essere
mantenuta
la
sospensione
cautelativa
del
lavoratore
almeno
fino
alla
sentenza
di
primo
grado,
anche
perché
il
giudice
civile
non
può
sostituirsi
al
giudice
penale
nell’accertamento
delle
responsabilità penali.
La
Corte
di
Cassazione
con specifico riferimento
al
tema
qui
di
interesse
della
tardività
del
licenziamento
rispetto
alla
notitia
illiciti
ha
osservato
che,
poiché
indubbiamente
la
tempestività
della
contestazione
deve
essere
correlata all’epoca in cui
il
datore
di
lavoro ha acquisito
un’adeguata conoscenza dei
fatti
(cfr. Cass. 15 ottobre
1998 n. 10204
e
1
aprile
2000
n.
3948),
è
determinante
l’accertamento
secondo
cui
è
proprio
a partire
dalla notizia del
decreto di
rinvio a giudizio che
il
datore
di
lavoro
è
venuto a conoscenza delle
specifiche
contestazioni
poste
a base
di
detto rinvio
a giudizio, relative
a fatti
che
sicuramente
non si
erano precedentemente
prospettati
al
datore
di
lavoro
in
termini
di
simile
gravità;
la
Corte
proseguiva
affermando che
“nella giurisprudenza di
questa Corte, è
sottolineato come,
in caso di
intervenuta sospensione
cautelare
del
lavoratore
sottoposto a procedimento
penale, la definitiva contestazione
disciplinare
e
il
licenziamento
per
i
relativi
fatti
ben possono essere
differiti, in relazione
alla pendenza del
procedimento penale”. nella
sentenza
in commento emerge
che
il
momento
rilevante
per la
contestazione
degli
addebiti
è
stato il
rinvio a
giudizio non attribuendosi
rilievo alla
pregressa
conoscenza
che
la
Banca
possedeva
dei
fatti
che
consistevano in fonti
non ufficiali, atipiche
quali
manifestazioni
di
piazza
contro il
dipendente
infedele
direttore
di
una
cooperativa
edilizia
e
nell’avere
costui
riportato una
condanna
precedente
per inadempimenti
societari. L’osservazione
sul
valore
determinante
dell’avvenuto allontanamento del
dipendente
dal
lavoro,
intesa
come
indice
inequivoco
della
volontà
di
procedere
alla
definizione
della
sanzione,
acquista
senso
solo
se
si
fa
coincidere
il
dies
a
quo
dall’effettiva
conoscenza
dalla
richiesta
di
rinvio a
giudizio, altrimenti
se
si
fosse
attribuito
rilievo
alla
pregressa
pur
frammentaria
conoscenza
dei
fatti
che
il
datore
di
lavoro aveva
avuto, anche
la
sospensione
sarebbe
stata
considerata
una tardiva manifestazione di volontà.
La
fattispecie, di
cui
alla
sentenza
dell’8 luglio 2004 n. 12649 della
Cassazione
(5)
riguardava
ancora
l’intempestività
di
un
licenziamento
irrogato
da
Poste
Italiane. Il
datore
di
lavoro disponeva
di
due
relazioni
ispettive, circa
illeciti
di
rilievo penale
di
una
propria
dipendente, in seguito alla
cui
consegna
(5) In orientamenti della giurisprudenza del lavoro,
2004, fasc. 3, pag. 655.
ConTRIBUTI
DI
DoTTRInA
dava
avviso
all’autorità
giudiziaria.
L’
amministrazione,
pur
avendo
avuto
contezza
della
richiesta
di
rinvio a
giudizio avvenuta
il
27 gennaio 1995, aveva
atteso l’esito definitivo del
procedimento penale, avviato in seguito alla
sua
denuncia
e
conclusosi
il
16 febbraio 1996 con una
sentenza
patteggiata. Diversamente
da
quanto avvenuto nella
sentenza
succitata, in quella
ora
in commento
il
datore
di
lavoro
aveva
raccolto
direttamente
elementi
indiziari,
piuttosto forti, tanto da
consentire
una
denuncia
all’autorità
giudiziaria
ed il
susseguente
rinvio a
giudizio e
la
condanna. Sebbene
a
volersi
seguire
il
dictum
di
Cassazione
13294/2003,
il
dies
a
quo
avrebbe
dovuto
ravvisarsi
nel
rinvio
a
giudizio
e
pertanto
la
protratta
inerzia
avrebbe
dovuto
invalidare
come
intempestivo
il
provvedimento
di
licenziamento,
la
Cassazione
nell’odierna
sentenza
pur dando atto che
l’azienda
non avesse
formalmente
sospeso la
lavoratrice
ed avesse
atteso la
sentenza
definitiva
ritiene
una
formalità
equipollente,
ai
fini
di
mostrare
il
perdurante
interesse
di
Poste
Italiane
ad avviare
e
concludere
il
procedimento
disciplinare,
l’allontanamento
dalle
mansioni
pregresse,
sebbene
esso potesse
costituire
un semplice
avvicendamento, espressione
di
una
volontà
conservativa
del
rapporto. Ciò che
va
posto in evidenza
è
che
la
Cassazione
non attribuisce
rilievo di
dies
a quo
all’esito dell’attività
ispettiva
interna
alla
luce
del
fatto che
i
reati
erano stati
commessi
in servizio
ed erano consisti
nell’avere
indotto alcuni
utenti
a
versare
somme
di
danaro
in eccesso, senza
fare
risultare
la
differenza
in sede
di
riscontro di
cassa. Pertanto,
pur a
fronte
di
prove
nella
disponibilità
del
datore
sin dal
1994, la
Corte
non le
ha
ritenute
elementi
sufficienti
a
fondare
una
valutazione
di
non tempestività
dell’avvio del procedimento disciplinare (6).
La
sentenza
del
20
giugno
2006
n.
14103
(7)
riconosce
la
tempestività
della
contestazione
e
del
disposto
licenziamento
di
un
lavoratore
da
parte
dell’Enel, a
dispetto del
licenziamento irrogato a
più di
4 anni
dai
fatti. Avuta
infatti
contezza
dell’arresto
del
dipendente
l’ente
ne
disponeva
la
sospensione
cautelare
ed all’atto della
riammissione
faceva
espressa
riserva
di
avviare
il
procedimento disciplinare;
faceva
poi
seguito la
contestazione
degli
addebiti
(“in ossequio alla sentenza del
15 novembre
1996, in virtù della quale
il
Tribunale
di
Latina ha riconosciuto e
dichiarato le
sue
responsabilità per
aver
commesso,
in
regime
di
concorso
con
altro
collega
e
con
abuso
delle
possedute
qualità e
funzioni, il
reato di
concussione
ex
artt. 317 e
110 c.p.c., in danno
dell’imprenditore,
le
comunichiamo
che
avendo
siffatta
fattispecie,
gravissimo
rilievo
anche
sul
piano
disciplinare,
con
la
presente
le
muoviamo
formale
contestazione”)
all’esito
della
quale
veniva
celermente
concluso
il
procedimento,
(6) Con riferimento ad un licenziamento che
era
stato preceduto da
una
lunga
attività
istruttoria
del
datore
di
lavoro volta
ad accertare
gli
abusi
del
dipendente
(consistenti
nel
richiedere
il
rimborso di
pasti non connessi alla sue funzioni) vedi MALIzIA,
La variabilità empirica del concetto..., cit.
(7) In il foro italiano,
2007, fasc. II, parte I, pag. 48.
RASSEGnA
AVVoCATURA
DELLo
STATo -n. 1/2023
sebbene
il
Tribunale
avesse
pronunciato
sentenza
di
non
luogo
a
procedere
per intervenuta
prescrizione. nella
valutazione
della
tempestività
viene
attribuito
rilievo
alle
fasi
del
procedimento
penale
cui
hanno
fatto
tempestivamente
seguito le determinazioni del datore di lavoro.
La
sentenza
del
18 gennaio 2007 n. 1101 (8) ha
confermato la
tardività
del
licenziamento irrogato dal
lavoratore
a
9 anni
di
distanza
dai
fatti, disattendendo
la
motivazione
del
datore
di
lavoro,
che
pur
avendo
svolto
in
proprio
un
attività
ispettiva
che
indicava
come
indiziata
dell’illecita
sottrazione
di
somme
nell’ufficio la
dipendente
successivamente
licenziata, non aveva
avviato
il
procedimento
disciplinare
perché
fidava
nell’esito
del
giudizio
penale.
Le
ragioni
della
sentenza
stanno nel
fatto che
l’amministrazione
disponesse
di
mezzi
di
prova,
seppur
indiziari
e
che
la
asserita
decisione
di
attendere
l’esito del
giudizio penale
era
stata
successivamente
contraddetta
dai
fatti, in
quanto contestazione
e
licenziamento erano stati
intimati
mentre
ancora
pendeva
il primo grado di giudizio.
La
sentenza
4502/2008
(9)
riconosce
la
legittimità
della
contestazione
e
del
susseguente
licenziamento
dal
momento
che
era
la
sospensione
cautelare
ad
assumere
un
univoco
significato
di
volontà
di
accertare
l’illecito,
senza
che
rilevasse
il
notevole
lasso
di
tempo
intercorso
tra
contestazione
e
licenziamento.
Anche
la
sentenza
della
Cassazione
21 febbraio 2008 n. 7983 (10) verte
su di
una
ipotesi
di
contestata
tardività
dell’illecito commesso dal
lavoratore.
In essa
i
dati
di
fatto, non contestati
nel
corso di
causa, erano costituiti
dalla
scoperta
di
un misuratore
manomesso, dalla
dichiarazione
dell’utente
ai
funzionari
dell’Enel
che
la
manomissione
sarebbe
stata
opera
di
due
dipendenti
dell’ente, dal
riconoscimento di
uno dei
due
presunti
responsabili
in una
foto
di
gruppo, dalla
constatazione
che, secondo la
documentazione
aziendale, nel
giorno indicato dall’utente
come
quello della
alterazione
del
misuratore, il
dipendente
dallo stesso riconosciuto si
trovava
in località
diversa. I giudici
del
merito -dinnanzi
alla
condotta
del
datore
di
lavoro che
non aveva
sospeso il
dipendente,
né
aveva
avviato
indagini
per
accertare
la
manomissione
della
strumentazione
EnEL
per la
misurazione
dei
consumi
elettrici
né
aveva
adottato
le
formali
contestazioni
ed il
susseguente
licenziamento -ritengono comunque
tempestivo
l’avvio
e
la
conclusione
del
procedimento
disciplinare
una
volta
appreso dell’esercizio dell’azione
penale. Invero, non diversamente
da
quanto avvenuto nella
sentenza
1101/2007, essendo il
reato stato commesso
in servizio, attraverso la
manomissione
di
strumenti
in dotazione
alla
società
alla
luce
della
mancata
sospensione
del
lavoratore, e
stante
l’assenza
di
ogni
(8) CALCATERRA, immediatezza della contestazione
disciplinare
ed attesa della sentenza penale
in rivista italiana di diritto del lavoro,
2007, fasc. 3, pag. 687.
(9)
In
massimario
di
giurisprudenza
del
lavoro
con
nota
di
PIzzonIA,
Tipizzazioni
collettive
e
tempestività della contestazione,
2008, fasc. 12, pag. 967.
(10) In italgiure web.
ConTRIBUTI
DI
DoTTRInA
formalità
che
potesse
rendere
evidente
la
volontà
di
perseguire
il
dipendente
disciplinarmente
(la
sospensione
cautelare),
si
sarebbe
potuto
addivenire
ad
un annullamento per tardività
della
contestazione
e
più ancora
per la
protratta
inerzia
del
datore
nell’accertare
fatti
ricadenti
nella
sua
sfera
di
controllo. La
decisione
della
Corte
di
Cassazione
è
invece
diversa, dal
momento che
si
afferma
che
questa Corte
ha ripetutamente
chiarito che
quando il
fatto che
da
luogo
a
sanzione
disciplinare
abbia
anche
rilievo
penale,
il
principio
della
immediatezza della contestazione, non pregiudicato dall’intervallo di
tempo
necessario
all’accertamento
della
condotta
del
lavoratore
ed
alle
adeguate
valutazioni
di
questa,
non
può
considerarsi
violato
dal
datore
di
lavoro
il
quale, avendo scelto ai
fini
di
un corretto accertamento del
fatto di
attendere
l’esito
degli
accertamenti
svolti
in
sede
penale,
contesti
l’addebito
solo
quando
i
fatti
a
carico
del
lavoratore
gli
appaiano
ragionevolmente
sussistenti.
Si
colloca,
quindi,
nel
solco
della
sentenza
12629/2004
e
della
7983
del
2008,
in
entrambe
le
quali
l’amministrazione
disponeva
di
elementi
indiziari
autonomamente
reperiti
e,
purtuttavia,
non
aveva
ritenuto
potessero
costituire
elementi
atti
a
sorreggere
un’autonoma
contestazione
dei
fatti;
che
si
attaglia
perfettamente
alla
seconda
delle
due
sentenze
citate
perché
in
esse
il
materiale
istruttorio
risulta
connotato
da
una
certa
organicità
nonché
da
una
rilevante
forza probatoria.
La
sentenza
del
1 luglio 2010 n. 15649 (11) si
trovava
a
valutare
il
comportamento
ancora
una
volta
di
un dipendente
di
Poste
italiane
che, nella
propria
attività
di
servizio, aveva
tenuto condotte
contrarie
ai
doveri
di
ufficio di
cui
l’amministrazione
aveva
avuto
diretta
ed
immediata
contezza.
Alla
luce
di
ciò
i
giudici
negano
che
la
sopravvenienza
dell’avvenuto
esercizio
dell’azione
penale, cui
aveva
fatto seguito contestazione
di
addebito e
susseguente
licenziamento,
potesse
costituire
un
quid novi
tale
da
far nascere
da
quel
momento
l’obbligo di
una
tempestiva
contestazione. La
sentenza
si
discosta
dalle
precedenti
commentate
(13294/2003, 14103/2006, 7983 del
2008) che
avevano
sempre
riconosciuto che
la
conoscenza
degli
esiti
della
vicenda
penale
(non
necessariamente
coincidenti
con
il
giudicato)
costituisse
il
dies
a
quo
della
contestazione,
anche
laddove
il
datore
disponeva
di
indagini
interne
il
cui
esito
ben poteva
concretizzare
una
ragionevolmente
certa
conoscenza
dei
fatti. La
peculiarità
della
fattispecie, che
giustifica
l’annullamento della
sanzione
disciplinare,
sta
nel
fatto che
il
datore
di
lavoro non aveva
in alcun modo proceduto
a
condizionare
la
vicenda
disciplinare
a
quella
penale
e
ciò
per
due
motivi:
il
fatto che
le
Poste
non avessero proceduto alla
denuncia
penale
dei
fatti
e
che
l’ipotesi
di
illecito
disciplinare
contestata,
consistente
in
fatti
di
gravità
tale
da
non
consentire
la
prosecuzione
del
rapporto
di
lavoro,
prescindesse
da un previo accertamento di fatti di reato.
(11) In italgiure web.
RASSEGnA
AVVoCATURA
DELLo
STATo -n. 1/2023
La
sentenza
del
16 febbraio 2010 n. 3600 (12) della
Corte
di
Cassazione
richiama
espressamente
un
consolidato
indirizzo
giurisprudenziale,
ossia
quello che
considera
formalità
equipollente
alla
contestazione
la
sospensione
cautelare del dipendente.
nella
sentenza
26 marzo 2010 della
Cassazione
(13) ricorre
una
fattispecie
consueta
a
queste
note;
infatti
il
giudice
d’appello osservava
che
correttamente
era
stata
ritenuta
la
violazione
del
principio
di
tempestività
della
contestazione
degli
addebiti, tenuto conto che
il
datore
di
lavoro aveva avuto,
all’esito
degli
accertamenti
ispettivi,
adeguata
cognizione
dei
fatti,
che
ben
poteva svolgere
ulteriori
accertamenti, e
che, in ogni
caso, il
lasso di
tempo
trascorso fra l’accadimento dei
fatti
(collocabili
fra il
1989 ed il
1995) e
la
loro contestazione
(in data 6 novembre
2001), a seguito del
rinvio a giudizio
disposto
il
17
maggio
2001,
risultava
oggettivamente
eccessivo
e
tale
da
ledere
il
diritto di
difesa del
dipendente, esponendolo sine
die
all’iniziativa disciplinare
del
datore
di
lavoro;
ancora
si
legge
che
tenuto conto che
il
datore
di
lavoro
aveva
avuto, all’esito degli
accertamenti
ispettivi, adeguata
cognizione
dei
fatti,
ben
poteva
svolgere
ulteriori
accertamenti,
e
che,
in
ogni
caso,
il
lasso
di
tempo
trascorso
fra
l’accadimento
dei
fatti
(collocabili
fra
il
1989
ed
il
1995)
e
la
loro contestazione
(in data
6 novembre
2001), a
seguito del
rinvio a
giudizio
disposto il
17 maggio 2001, risulta
eccessivo. La
Corte
con citazione
di
propri
precedenti
conferma
il
difetto di
tempestività
della
contestazione, afferma
che
l’aver presentato a
carico di
un lavoratore
denuncia
per un fatto penalmente
rilevante
connesso
con
la
prestazione
di
lavoro
non
consente
al
datore
di
lavoro di
attendere
gli
esiti
del
procedimento penale
prima
di
procedere
alla
contestazione
dell’addebito,
dovendosi
valutare
la
tempestività
di
tale
contestazione
in relazione
al
momento in cui
i
fatti
a
carico del
lavoratore
medesimo
appaiono
ragionevolmente
sussistenti
(v.
ad
es.
Cass.
n.
1101/2007;
Cass. n. 4502/2008). il
che, se
conferma la relatività che
riveste
il
criterio di
immediatezza e
il
rilievo che
assume, al
riguardo, il
sindacato del
giudice
di
merito, porta, al
tempo stesso, a riconoscere
che
un bilanciamento coerente
degli
interessi
sottesi
al
procedimento
di
disciplina
non
consente
di
individuare
nella
potenziale
rilevanza
penale
dei
fatti
accertati
e
nella
conseguente
denuncia
all’autorità requirente
circostanze
di
per
se
sole
esonerative
dall’obbligo
di
immediata contestazione, in considerazione
della rilevanza che
tale
obbligo assume
rispetto alla tutela dell’affidamento e
del
diritto di
difesa del
lavoratore
incolpato, sempre
che
i
fatti
riscontrati
facciano emergere, in termini
di
ragionevole
certezza, significativi
elementi
di
responsabilità a carico
del
lavoratore
(14). Conclusione
rafforzata
dalle
circostanze
che
il
datore
non
(12) ibidem.
(13) ibidem.
(14)
Per
una
considerazione
critica
della
dilazione
dell’avvio
del
procedimento
vedi
LIMA,
il
prin
ConTRIBUTI
DI
DoTTRInA
aveva
né
contestato
gli
addebiti,
né
proceduto
ad
ulteriori
indagini,
successive
a
quelle
che
avevano
determinato
la
proposizione
della
denuncia.
La
soluzione
che
la
Corte
avrebbe
considerato
corretta
sarebbe
consistita
nell’immediata
contestazione
degli
addebiti
poiché
tale
atto eminentemente
garantistico, non
determina
alcuna
“valutazione
anticipata
di
responsabilità”,
ma
risulta,
in
realtà,
essenzialmente
funzionale
alla
puntualizzazione
dell’addebito
e
alla
sua
ricostruzione
e
valutazione
in
contraddittorio
con
l’interessato,
nè
preclude
al
datore
di
lavoro di
sospendere
il
procedimento disciplinare
in pendenza
dell’accertamento
penale,
ove
in
tal
senso
consigliano
le
necessità
dell’istruttoria
già
avviata.
La
ratio
di
questo
procedere
viene
fatta
consistere
nel
rispetto
della
regola
della
buona
fede
e
correttezza
nell’attuazione
del
rapporto
di
lavoro, oltre
che
dei
principi
di
certezza del
diritto e
di
tutela dell’affidamento
del
lavoratore
incolpato.
non
si
fa
specifica
menzione
della
rinuncia
implicita
al
potere
disciplinare, che
potrebbe
essere
palesata
da
una
contestazione
differita
nel
tempo, ma
direttamente
al
riconoscimento di
un immediato
diritto di
difesa
del
lavoratore. La Corte
nel
tratteggiare
il
comportamento legittimo
la cui
inosservanza nel
caso di
specie
era stata sanzionata con la reiezione
del
ricorso,
contraddittoriamente
ammette
con
una
certa
libertà
l’immediata sospensione
del
procedimento dopo le
contestazioni
degli
addebiti;
pertanto il
diritto di
difesa risulta sostanzialmente
congelato e
destinato
a non avere
alcuna concreta influenza sino all’esito del
processo penale, che
comunque
assicura la presenza di
un giudice
terzo, maggiori
garanzie
nella
ricerca della prova e
nella sua formazione.
L’esigenza
di
una
celere
definizione
del
procedimento attraverso il
contraddittorio con l’interessato viene
a
collidere
con la
sospensione
del
procedimento disciplinare, successivamente
alla
contestazione
degli
addebiti
che
demanda
del
tutto legittimamente
la
valutazione
dei comportamenti illeciti al giudice penale.
Di
opposto
orientamento
è
la
sentenza
della
Cassazione
del
7
aprile
n.
7951 del
2011 (15). Pur a
fronte
di
un datore
di
lavoro che
aveva avuto sostanziale
consapevolezza
della
responsabilità
del
dipendente
fin
dalla
trasmissione
della
relazione
ispettiva
all’autorità
giudiziaria
e,
nonostante
ciò
aveva
lasciato trascorrere
diversi
mesi
anche
dopo la sentenza di
patteggiamento,
riconosce
la
tempestività
dell’irrogato licenziamento con motivazioni
che
legittimano
nel
modo più ampio l’attesa
degli
esiti
penali:
quando il
fatto che
da
luogo
a
sanzione
disciplinare
abbia
anche
rilievo
penale,
il
principio
della
immediatezza della contestazione, non pregiudicato dall’intervallo di
tempo
necessario
all’accertamento
della
condotta
del
lavoratore
ed
alle
adeguate
valutazioni
di
questa,
non
può
considerarsi
violato
dal
datore
di
lavoro
il
cipio
di
immediatezza
della
contestazione
in
caso
di
rilevanza
anche
penale
del
fatto
tra
disciplina
pubblicistica
e privatistica
in aDL,
2011, fasc. 6, pagg. 1355-1360.
(15) In italgiureweb.
RASSEGnA
AVVoCATURA
DELLo
STATo -n. 1/2023
quale, avviate
le
proprie
indagini
senza pervenire
ad un sicuro accertamento
di
colpevolezza, avendo scelto ai
fini
di
un corretto accertamento del
fatto di
attendere
l’esito degli
accertamenti
svolti
in sede
penale, contesti
l’addebito
solo quando attraverso le
scelte
processuali
del
lavoratore
nel
procedimento
penale,
conclusosi
con
sentenza
di
applicazione
della
pena
a
richiesta
del-
l’imputato, abbia acquisito piena consapevolezza della riferibilità dei
fatti
al
dipendente,
a
nulla
rilevando
che
tale
sentenza
sia
priva
di
efficacia
vincolante
nel
giudizio disciplinare, scaturito dai
fatti
ascritti, non venendo in questione
il
contenuto della sentenza, ma la condotta del
lavoratore
nel
processo, quale
elemento
che,
integrandosi
con
l’insieme
degli
indizi
già
acquisiti,
attribuisce
alla
situazione
complessiva
la
nuova
caratteristica
della
chiarezza
e
della
univocità.
nell’iter
motivazionale
della
sentenza
non
assume
rilievo
la
circostanza
che
il
datore
non abbia
fatto constare
-nei
modi
che
abbiamo visto essere
frequentemente
apprezzati
ai
fini
della
tempestività
in altre
sentenze, ossia
la
sospensione
dal
servizio, un trasferimento, ovvero espressamente
riservandosi
di
proseguirlo -la
propria
volontà
di
coltivare
il
procedimento disciplinare;
al
contrario in essa
si
afferma:
il
comportamento del
datore
di
lavoro che, avuto
notizia di
un fatto commesso dal
proprio dipendente
suscettibile
di
avere
rilevanza
penale, oltre
che
disciplinare, denunci
il
fatto all’autorità giudiziaria e
attenda gli
esiti
del
procedimento penale
per
iniziare
il
procedimento disciplinare
non può essere
interpretato come
una rinuncia alla pretesa punitiva,
né
costituisce
un serio impedimento ad una efficace
e
completa difesa, tenuto
conto delle
maggiori
garanzie
presenti
per
il
lavoratore
nel
procedimento penale,
derivanti
dall’applicazione
delle
regole
processuali
e
dalla terzietà del-
l’organo giudicante.
nella
sentenza
del
13
febbraio
2013
n.
3532
(16)
l’avere
atteso
l’esito
definitivo
del
procedimento penale
a
fronte
di
una
piena
confessione
del
lavoratore,
resa
agli
organi
interni
dell’azienda
per la
contestazione
degli
addebiti, è
stato ritenuto violazione
dell’obbligo di
tempestività
dal
momento che
nulla
poteva
venire
di
decisivo
dal
procedimento
penale.
Anche
l’avere
adibito
il
lavoratore
a
mansioni
diverse
non comportanti
maneggio di
denaro è
stato ritenuto
indice
di
una
volontà
conservativa
del
rapporto,
sebbene
fosse
rettamente
da intendere come un mutamento di carattere cautelare.
nella
sentenza
19 giugno 2014 n. 13955 (17) ad una
sospensione
cautelare
dal
servizio intervenuta
in concomitanza
con l’arresto del
dipendente, faceva
seguito dopo 7 anni
dalla
contestazione
degli
addebiti, il
licenziamento
prima della definizione del processo penale.
La
sentenza
del
21 settembre
2016 n. 18513 (18), nel
giudicare
rispettato
(16) ibidem.
(17) ibidem.
(18) ibidem.
ConTRIBUTI
DI
DoTTRInA
il
principio di
tempestività, disattende
l’eccezione
di
tardività
che
pretendeva
far decorrere
il
dies
a quo della
contestazione
da
notizie
di
stampa
che
non riportavano
l’identità
della
dipendente
e
giudica
tempestivo l’avvio del
procedimento,
scaduti due mesi dall’acquisizione delle risultanze penali.
nella
sentenza
4
ottobre
2017
n.
23177
(19)
della
Corte
di
Cassazione
viene
ritenuta
tardiva
una
contestazione
elevata
dopo
il
passaggio
in
giudicato
della
sentenza, sulla
scorta
dell’argomentazione
che
il
datore
di
lavoro aveva
con
certezza
acquisito
copia
della
sentenza
di
condanna,
pur
senza
averne
formalmente
appreso
l’irrevocabilità,
comunque
oggettivamente
desumibile
dalla
data
della
pubblicazione
delle
motivazioni,
il
che
avveniva
all’incirca
un
anno
dopo. Il
motivo di
interesse
sta
nel
fatto che, sebbene
la
società
datrice
di
lavoro
da
lungo tempo fosse
a
conoscenza
della
pendenza
di
un procedimento
penale, l’obbligo di
attivazione
del
procedimento veniva
così
fatto discendere
dall’adozione
di
un
pronunciamento
di
merito
del
giudice
penale,
a
prescindere
dalla sua irrevocabilità.
La
sentenza
del
20
marzo
2018
n.
6937
(20)
si
occupa
del
caso
di
un
operaio
che
era
stato
sottoposto
a
custodia
cautelare
in
carcere,
senza
che
l’azienda
procedesse
ad
alcuna
sospensione
-anzi
considerando
l’assenza
come
permesso
per motivi
personali
-, e
senza
che
la
medesima
formulasse
espressa
riserva
di
voler
procedere
contro
il
lavoratore.
Sopravvenuta
6
anni
dopo
la
condanna
per
spaccio
di
sostanze
stupefacenti,
l’azienda
aveva
immediatamente
elevato contestazioni
e
successivamente
definito il
procedimento con
il
licenziamento. All’eccezione
di
tardività
avanzata
dal
dipendente, la
Cassazione
rispondeva
che
non è, infatti, configurabile
acquiescente
rinuncia allo
strumento disciplinare
da parte
datoriale, non imponendo né
la legge, né
il
C.C.N.L. di
riferimento immediatezza di
reazione, pur
sempre
nella ragionevole
plausibilità
del
differimento
di
quest’ultima,
plausibilità
che
nella
specie
deriva
dal
dover
considerare,
in
relazione
alla
condotta
disciplinarmente
sanzionata,
ai
fini
della tempestività del
provvedimento, il
lasso di
tempo intercorrente
tra
passaggio
in
giudicato
della
sentenza
di
condanna
del
lavoratore
e
reazione
datoriale,
essendo
la
condotta
tipizzata,
idonea
a
giustificare
la
sanzione
espulsiva posta a fondamento del
licenziamento. La suprema Corte
apprezzava
altresì
la
motivazione
della
Corte
d’appello
la
quale
osservava
che
l’attesa
della
definizione
del
procedimento
penale
era
giustificata
da
un’esigenza di
maggior
favore
e
di
garanzia per
il
lavoratore
stesso, cui
era
stato consentito di
difendersi
compiutamente
nella sede
naturale
prima di
subire
qualsiasi
provvedimento
disciplinare;
né
la
sentenza
si
cura
di
giustificare
l’affidamento
che
l’inerzia
del
datore
avrebbe
potuto
determinare
sulla
rinuncia
alla volontà di
procedere
disciplinarmente. Da
rimarcare
nella
fattispecie
(19) ibidem.
(20) ibidem.
RASSEGnA
AVVoCATURA
DELLo
STATo -n. 1/2023
è
l’assenza
di
ogni
manifestazione
esteriore
che
potesse
essere
espressiva
della
volontà
di
perseguire
il
lavoratore
quali
la
sospensione
cautelare, in pendenza
del periodo di detenzione cautelare.
3.1 Commento riassuntivo delle linee tenute dalla Corte di Cassazione.
All’esito
di
questo
excursus
giurisprudenziale
emerge
un
unico
punto
fermo;
l’attitudine
della
disposta
sospensione
cautelare
del
lavoratore
a
far ritenere
tempestiva
una
contestazione
pur
lungamente
differita
nel
tempo,
in
quanto alla
sospensione
viene
attribuito il
valore
di
manifestazione
contraria
alla rinuncia ad agire disciplinarmente.
Viceversa
vi
è
un
conflitto
non
componibile
tra
le
sentenze
che
-a
dispetto
della
disponibilità
di
elementi
di
prova
in
danno
del
lavoratore,
derivanti
da
accertamenti
autonomamente
esperiti,
ovvero
esperibili
in
relazione
a
fatti
che
ricadono
nella
sfera
del
controllo
del
datore
di
lavoro
-reputano
tempestiva
la
contestazione
ed
altre
che
propendono
per
l’immediato
avvio
delle
contestazioni.
In
taluni
casi
il
comportamento
è
ritenuto
legittimo
(Cassazione
12629/2004,
7983
del
2008,
13294/2003,
sentenza
6937/2018)
in
altri
di
fronte
ai
medesimi
elementi
di
prova
si
dichiara
l’illegittimità
per
tardività
del
comportamento
(si
vedano
le
sentenze
1101/2007,
15649/2010,
7410/2010,
3532
/2013).
Questa
divergenza
interpretativa
trova
una
sua
specifica
origine
nella
conformazione
discrezionale
dell’azione
disciplinare
nel
lavoro privato, e
quindi
nella
necessità
di
rinvenire
un dato che
manifesti
la
permanente
volontà
del
datore
di
lavoro di
irrogare
la
sanzione
e
trae
alimento in alcune
sue
manifestazioni
dall’esigenza
di
rendere
edotto il
lavoratore
dell’addebito, per assicurarne
la
tempestività
della
difesa;
tale
seconda
argomentazione
a
supporto
è
in realtà
contraddittoria, perché
viene
esternata
congiuntamente
alla
riconosciuta
facoltà
del
datore
di
lavoro di
sospendere
il
procedimento attendendo
l’esito
penale,
il
che
produce
un
effetto
paralizzante
sull’attività
difensiva
eventualmente
svolta
dal
lavoratore. Un ulteriore
contraddizione
sta
nella
circostanza
che, comunque, gli
esiti
del
procedimento penale
non possono che
assicurare
una
più compiuta
difesa
ed un accertamento dei
fatti
più accurato.
Inoltre, mancano nel
lavoro privato regole
che
definiscano i
rapporti
tra
i
due
giudizi, che operano su di un piano di piena autonomia reciproca.
4.
Tempestività
della
contestazione
degli
addebiti
e
procedimento
penale
nella
Pubblica
amministrazione.
Dalla
rigidità
del
T.U.
1957
n.
3
alla
disciplina
intertemporale con l’entrata in vigore della normativa contrattuale.
Esaminiamo
ora
gli
orientamenti
resi
in
materia
di
lavoro
alle
dipendenze
delle
Pubbliche
Amministrazioni. Se, nel
vigore
del
testo unico del
1957, la
rigidità
della
regola
faceva
si
che
non fosse
possibile
per il
dipendente
impugnare
l’atto
con
il
quale
la
P.A.
disponeva
la
sospensione,
in
quanto
si
inseriva
in funzione
strumentale
e
preparatoria
e
non era
idoneo a
produrre
lesioni
di
ConTRIBUTI
DI
DoTTRInA
diritti
(21);
specularmente
una
sanzione
disciplinare, a
seguito di
un procedimento
disciplinare
avviato o proseguito in pendenza
dell’azione
penale, era
illegittima (Consiglio di Stato sezione
VI 55/1999) (22).
La
sentenza
del
28 settembre
2006 n. 21032 (23) regola
essenzialmente
un
profilo
di
diritto
intertemporale
dal
momento
che
riguarda
un
procedimento
disciplinare
sospeso automaticamente
nel
vigore
dell’articolo 117 del
d.P.R.
1957
n.
3
che
era
stato
-successivamente
alla
contrattualizzazione
del
rapporto
di
lavoro
-riaperto
in
pendenza
del
processo
penale.
nella
fattispecie,
contorto
era
stato il
procedimento seguito dalla
P.A. che
aveva
aperto formalmente
il
procedimento, non consapevole
dell’obbligo di
sospenderlo per effetto della
sopravvenuta
norma
contrattuale, come
le
era
stato ricordato dal
dipendente
oggetto del
procedimento;
contorto è
pure
l’argomentare
della
sentenza
che,
seppur
in
modo
superfluo
rispetto
alla
decisione
della
causa
richiama
la
facoltà
per
la
P.A.
di
differire
l’avvio
formale
del
procedimento
all’esito
della
vicenda
penale
(la
stessa
giurisprudenza
ha
precisato
che,
qualora
sia
intervenuta
sospensione
cautelare
del
dipendente
sottoposto a procedimento penale, ai
fini
della sussistenza del
requisito della tempestività, la definitiva contestazione
ben può essere differita all’esito del procedimento penale).
La
sentenza
della
Cassazione
21
aprile
2009
n.
9458
(24)
è
egualmente
dedicata
al
medesimo
profilo
di
diritto
intertemporale.
La
Corte
afferma
che
la
relativa
disciplina,
così
come
stabilisce
in
maniera
esplicita
la
possibilità
(non
più
l’obbligo)
di
attendere
l’esito
del
processo
penale
in
ordine
all’accertamento
di
fatti
anche
disciplinarmente
rilevanti
prima
di
avviare
in
ordine
ad
essi
il
procedimento
disciplinare,
così
deve
ritenersi
che
implicitamente
consenta
all’amministrazione
di
valutare
più
corretto
e
opportuno,
nel
corso
di
una
procedura
già
avviata,
sospenderla
in
attesa
dell’accertamento
definitivo
in
sede
penale,
con
gli
ampi
poteri
e
garanzie
che
assistono
tale
accertamento.
La
sentenza
della
Cassazione
n.
3697
del
17
febbraio
2010
(25)
è
anch’essa
riferita
ad
una
fattispecie
insorta
nel
vigore
del
testo
unico
e
definita
successivamente
all’entrata
in
vigore
dell’assetto
contrattuale,
per
cui
l’amministrazione
non
era
tenuta
all’osservanza
di
termini
perentori
del
procedimento
disciplinare
in
pendenza
di
quello
penale.
Sarebbe
bastata
questa
sola
osservazione
a
far
cadere
la
censura
di
tardività
avanzata
dalla
parte
privata:
invece
la
Cassazione,
noncurante
degli
aspetti
di
diritto
transitorio
che
la
vicenda
presentava,
fornisce
una
risposta
di
principio:
in
tale
contesto,
in
cui
la
norma
collettiva
impone
la
sospensione
del
procedimento
disciplinare
in
pendenza
di
procedimento
penale,
(21) In il Consiglio di Stato, fasc. 7, pag. 1208.
(22) Vedi la massima in italgiure web.
(23) In Lpa
2006, fasc. 6, pag. 1224, con nota
di
nAnnI,
Tempestività e
termini
del
procedimento
disciplinare; rapporto con il processo penale e difesa del dipendente.
(24) italgiure web.
(25) italgiure web.
RASSEGnA
AVVoCATURA
DELLo
STATo -n. 1/2023
non
è
ad
ipotizzarsi
una
violazione
del
principio
di
immediatezza
della
contestazione,
posto
che
le
parti
collettive
hanno
dettato
una
apposita
disciplina,
la
quale
può
risolversi
nella
necessità
di
attendere
l’esito
del
procedimento
penale
prima
di
riattivare
l’azione
disciplinare.
Torna
applicabile
nel
caso
di
specie
il
principio
di
relativa
immediatezza
della
contestazione
e
dell’adozione
del
provvedimento,
posto
che
è
proprio
la
normativa
di
garanzia
a
tutela
del
dipendente
che
impone
una
attesa
prima
di
adottare
il
provvedimento
disciplinare.
In sostanza
l’articolo 117 del
d.P.R. 1957 n. 3 inibiva
l’avvio dell’azione
disciplinare
in pendenza
di
un processo penale, senza
che
occorresse
un provvedimento
espresso che
prendesse
atto di
tale
impossibilità. Sopravvenuta
la
contrattazione
collettiva
ed il
generalizzato obbligo di
sospensione
del
procedimento
disciplinare
in pendenza
del
procedimento penale
-che
però prevedeva
l’avvio formale
e
la
susseguente
sospensione
formale
del
procedimento
-la
giurisprudenza
ha
dato continuità
all’orientamento previgente
in considerazione
del
fatto che
la
contestazione
ed una
pedissequa
sospensione
non potevano
svolgere
alcuna
funzione
acceleratoria
visto l’obbligo di
sospensione
del
procedimento
sino
alla
sopravvenienza
di
un
giudicato
penale
e
constatato
che il garantismo del processo penale andava in favore del dipendente.
La
sentenza
della
Cassazione
2
marzo
2007
n.
4932
(26)
perviene
a
delle
statuizioni
completamente
opposte
in
quanto
di
fronte
ad
un
licenziamento
disposto
da
un
comune
soltanto
all’esito
del
processo
penale,
che
aveva
preso
il
via
per
effetto
della
denuncia
e
che
aveva
visto
la
partecipazione
del
comune
al
processo
in
qualità
di
parte
civile,
nonché
la
sospensione
del
dipendente
all’esito
del
rinvio
a
giudizio
ne
dichiara
la
tardività.
Ritiene
infatti
che
se
così
non
fosse
il
principio
di
immediatezza
della
contestazione
subirebbe
una
grave
deroga
nell’ambito
del
rapporto
di
lavoro
con
le
pubbliche
amministrazioni
non
giustificabile
una
volta
che
tale
rapporto
sia
assoggettato
in
linea
generale
alle
regole
proprie
dei
rapporti
di
lavoro
privati.
Ancora
osservava
che,
se
si
consentisse
all’amministrazione
di
differire
il
formale
avvio
del
procedimento
disciplinare,
dei
cui
fatti
costitutivi
abbia
pregressa
notizia,
esso
sarebbe
idoneo
a
modificare
radicalmente
lo
stesso
potere
di
recesso
disciplinare
del
datore
di
lavoro
del
quale
la
tempestività
della
contestazione
è
elemento
costitutivo.
né
attribuiva
carattere
equipollente
alla
disposta
sospensione,
dal
momento
che
essa
non
aveva
fatto
immediatamente
seguito
alla
conoscenza
del
fatto,
ma
era
stata
la
conseguenza
del
rinvio
a
giudizio
in
sede
penale,
comunque
a
notevole
distanza
dai
fatti.
Tale
sentenza
sebbene
favorevolmente
commentata
in
dottrina
(27),
non
tiene
conto
che
la
tempestiva
contestazione
non
avrebbe
potuto
in
(26)
DI
PAoLA,
Considerazioni
in
materia
di
tempestività
della
contestazione
nel
settore
pubblico,
con
particolare
riguardo
al
caso
dell’interferenza
tra
procedimento
disciplinare
e
procedimento
penale.
(27) SChIAVonE, rapporto tra procedimento penale
e
disciplinare
.Un chiarimento della Cassazione
in aDL
4/5, pagg. 1088-1097.
ConTRIBUTI
DI
DoTTRInA
alcun
modo
sortire
effetti
acceleratori
grazie
al
fatto
che,
per
espressa
previsione
contrattuale,
il
procedimento
disciplinare
non
avrebbe
potuto
che
essere
sospeso
rimanendo
assoggettato
ai
tempi
del
processo
penale.
né
va
sottaciuto
che
un
procedimento
formalmente
avviato
e
successivamente
sospeso
sino
ad
un
termine
incerto,
rappresenta
l’antitesi
della
tempestività
che
con
la
sentenza
in
commento
si
voleva
assicurare,
come
se
le
esigenze
garantistiche
che
in
ipotesi
si
volevano
tutelare
non
siano
in
contraddizione
con
una
inesorabile,
protratta
pendenza
del
procedimento,
cui
l’amministrazione
non
potrebbe
mettere
fine
ante
tempus,
ossia
prima
del
processo
penale.
La
sentenza
del
20
giugno
2014
n.
14103
(28)
riguarda
una
fattispecie
maturata
interamente
nel
vigore
delle
norme
contrattuali
che
aveva
visto
l’InPS
procedere
alle
contestazioni
di
addebito solo dopo il
rinvio a
giudizio
del
dipendente, della
cui
attività
illecita
l’Istituto aveva
avuto una
pregressa,
non
superficiale
conoscenza
tanto
da
averlo
trasferito
in
altra
unità
produttiva,
da
averlo
costituito
in
mora
per
il
danno
erariale
arrecato
all’ente,
procedendo
a
formale
contestazione
solo
avuta
notizia
del
rinvio
a
giudizio.
All’eccezione
di
tardività
delle
contestazioni
i
giudici
replicano valorizzando la
complessità
dell’indagine
penale
in
corso,
che
non
aveva
consentito
all’Istituto
la
piena
conoscenza
dei
fatti.
Richiamano
poi
l’argomento
che
abbiamo
visto
nelle
precedenti
sentenze,
ovverosia
che,
ai
fini
dell’accertamento
della
sussistenza
del
requisito della tempestività del
licenziamento, in caso di
intervenuta sospensione
cautelare
di
un
lavoratore
sottoposto
a
procedimento
penale,
la
definitiva
contestazione
disciplinare
ed il
licenziamento per
i
relativi
fatti
ben
possono
essere
differiti
in
relazione
alla
pendenza
del
procedimento
penale
stesso;
è
il
caso di
precisare
che
il
richiamo alla
pregressa
sospensione
non è
pertinente
al
caso
de
quo
nel
quale
il
lavoratore
era
stato
sospeso
solo
a
seguito
delle
contestazione
degli
addebiti, senza
che
ciò potesse
essere
addotto a
surrogare
l’asserita
intempestività
della
contestazione.
I
giudici
affermano
ancora
che, in tema di
procedimento disciplinare
a carico di
pubblici
dipendenti, per
fatti
penalmente
rilevanti, non è
ipotizzabile
la violazione
del
principio di
immediatezza
della
contestazione
e
dell’adozione
del
provvedimento
disciplinare,
qualora
la
P.a.,
uniformandosi
alle
disposizioni
della
contrattazione
collettiva
in
caso
di
emergenza
di
fatti-reato,
abbia
atteso
l’esito
delle
indagini
e
del
processo, destinando il
dipendente
ad altre
mansioni, e
in seguito, avuta notizia,
in via ufficiale, del
rinvio a giudizio, abbia provveduto alla sospensione
cautelare
e,
all’esito
del
processo
penale,
a
nuova
valutazione
dei
fatti
ascritti
al
lavoratore, disponendone
il
licenziamento.
Veniva
poi
richiamata
a fortiori
l’esigenza
di
tutela
del
segreto istruttorio;
può dunque
affermarsi
che, in tema
di
procedimento disciplinare, ai
fini
dell’accertamento della sussistenza del
(28) In Lavoro e
giurisprudenza
con nota
di
GALLo,
Tempestività ed immutabilità della contestazione
disciplinare in pendenza di procedimento penale.
RASSEGnA
AVVoCATURA
DELLo
STATo -n. 1/2023
requisito
della
tempestività
della
contestazione,
in
caso
di
intervenuta
sospensione
cautelare
di
un lavoratore
sottoposto a procedimento penale, la contestazione
disciplinare
per
i
relativi
fatti
ben può essere
differita dal
datore
di
lavoro
in
relazione
alla
pendenza
del
procedimento
penale
stesso,
anche
in
ragione
delle
esigenze
di
tutela del
segreto istruttorio.
Quindi
tra
le
ragioni
addotte
a
sostegno della
tempestività
del
procedimento disciplinare, con continuità
viene
presentata
quella
che
reputa
fungibile
il
formale
avvio del
procedimento
con il
suo differimento all’esito del
giudicato penale;
ciò trova
le
sue
essenziali
ragioni
nell’assenza
di
pregiudizio per il
privato, nonché
nel-
l’impossibilità
che
il
mancato
tempestivo
inizio
del
procedimento
possa
essere
inteso come
rinuncia
all’esercizio dell’azione
disciplinare, stante
il
carattere
indisponibile di essa.
4.1 La giurisprudenza dopo la legge
“Brunetta”
e
l’articolo 55 ter
del
d.lgs.
165/2001.
La
giurisprudenza
ha, poi, dovuto misurarsi
successivamente
all’entrata
in
vigore
del
d.lgs.
150/2009,
la
cosiddetta
legge
Brunetta,
con
le
conseguenze
del
superamento della
pregiudiziale
penale
che
consente
all’amministrazione
di
procedere
parallelamente
ed indipendentemente
dal
procedimento penale,
salvo che
ricorrano la
complessità
dell’istruttoria, ovvero la
mancanza
di
sufficienti
elementi istruttori.
La
sospensione
diventa
così
una
mera
eventualità
condizionata
alla
ricorrenza
di
specifici
presupposti, ma
le
ragioni
che
avevano indotto la
giurisprudenza
a
non considerare
perentorio il
termine
di
avvio del
procedimento, in
caso di
simultanea
ricorrenza
di
illecito disciplinare
e
di
un fatto di
reato, non
sembrerebbero poter essere
intaccate
perché, tra
la
facoltatività
della
sospensione,
ovvero
la
sua
obbligatorietà,
e
la
perentorietà
del
termine
non
vi
è
alcuna
relazione
dal
momento che
la
sospensione
eventuale
del
procedimento disciplinare
non
deve
intervenire
entro
un
termine
perentorio,
non
indicato
nell’art.
55 ter
comma
1. Inoltre, le
ragioni
sistematiche
che
avevano escluso la
perentorietà
del
termine
per il
lavoro pubblico -ovverosia
l’assenza
di
un pregiudizio
in capo al
privato, che
dalla
sospensione
del
procedimento avrebbe
tratto
il
vantaggio di
un processo con terzietà
piena
e
maggiori
garanzie
nonché
la
tutela
del
segreto istruttorio -restano in piedi
anche
nel
nuovo assetto di
pregiudizialità
eventuale
e
temperata.
ovviamente,
la
conservazione
di
tale
assetto
riguarda
i
soli
fatti
costituenti
illecito
disciplinare
e
simultaneamente
un
illecito
penale, che
rispondano alle
nuove
condizioni
definite
dall’articolo 55 ter
del
d.lgs. 165/2001 (ovverosia
quelle
che
presentano un carattere
di
complessità
ed un peculiare
livello di
gravità);
laddove
tali
circostanze
non ricorrano e
la
P.A.
resti
inerte,
attendendo
l’esito
del
procedimento
penale
senza
formalizzare
l’avvio
del
procedimento
disciplinare,
dovrà
considerarsi
caducato
l’esercizio
del
potere
disciplinare;
se
così
non fosse, verrebbe
frustrata
la
ratio
della
ri
ConTRIBUTI
DI
DoTTRInA
forma
del
2009, ossia
quella
di
assicurare
comunque, ove
possibile, la
definizione
in via autonoma del procedimento disciplinare.
nell’ipotesi
in cui
l’amministrazione
pur al
di
fuori
delle
ipotesi
di
legge
che
legittimano la
sospensione
del
procedimento (ossia
a
fronte
di
illeciti
che
si
collocano al
di
sotto della
soglia
di
gravità
o nei
quali
non ricorre
la
complessità
dell’accertamento del
fatto) avvii
il
procedimento disciplinare
nel
rispetto
dei
termini
perentori
di
cui
all’articolo 55 ter
e
sospenda
il
medesimo
in
attesa
degli
esiti
del
processo
penale,
deve
ritenersi
comunque
sussistere
un
interesse
del
dipendente
destinatario
della
contestazione,
poi
sospesa,
ad
agire
in
giudizio,
non
per
la
tardività
dell’avvio
del
procedimento
(che
in
questo
caso
risulterebbe
avviato
tempestivamente)
ma
-decorsi
i
120
giorni
dalla
contestazione
degli
addebiti
-per farne
accertare
l’estinzione
per effetto della
sua
mancata
conclusione
nel
termine
perentorio,
come
l’amministrazione
avrebbe
dovuto e potuto.
Potrebbe
anche
darsi
l’ipotesi
che,
sopravvenuto
un
giudicato
penale
sfavorevole
al
privato, questi, pur avendone
atteso l’esito magari
per anni, contesti
-di
fronte
alla
sanzione
irrogatagli
a
seguito
della
riassunzione
l’originaria
illegittimità
della
sospensione;
tale
esito -seppur paradossale, a
fronte
della
dimostrata
esistenza
dell’illecito disciplinare
-deve
considerarsi
legittimo
e
possibile
dal
momento
che
l’originaria
carenza
dei
presupposti
per
la
sospensione
non è
suscettibile
di
sanatoria. Potrebbe
anche
accadere
che
il
dipendente
impugni
la
sospensione
e
chieda
l’assoluzione
nel
merito laddove
ritenga
evidenti
le
proprie
ragioni
producendo in giudizio le
prove
materiali
o
gli
elementi
giuridici
che
facciano ritenere
insussistente
l’illecito, come
tratteggiato
dall’amministrazione;
tali
azioni
presuppongono
la
sussistenza
in
capo al
dipendente
di
una
lesione
immediata
che
ben può farsi
consistere
nel-
l’afflittività
su di
un piano morale
della
protratta
sospensione
di
un procedimento
su di lui incombente.
Veniamo
ora
alle
pronunce
giurisprudenziali
della
Corte
di
Cassazione
rese
con
riferimento
all’assetto
dei
rapporti
tra
procedimento
disciplinare
e
penale, come definito dal d.lgs. 165/2001.
La
Cassazione
nella
sentenza
9 gennaio 2017 n. 219 (29) risolve
il
tipico
problema
di
diritto intertemporale
relativo alla
disciplina
da
applicarsi
per vicende
che
si
snodino
a
cavallo
di
due
differenti
discipline,
individuando
il
dies
a quo
per l’applicazione
della
nuova
disciplina
nel
momento in cui
l’amministrazione
viene
a
conoscenza
dei
fatti
di
rilievo
disciplinare
e
penale,
piuttosto
che
nel
momento
della
commissione
dei
fatti,
sulla
scorta
di
una
circolare
della
Funzione
Pubblica
n. 14 del
2010;
pertanto per i
procedimenti
nati
nel
vigore
della
vecchia
normativa
non vi
era
alcun obbligo di
attivare
immediatamente
il
procedimento nei
nuovi
termini
richiesti
perché
per essi
vigeva
il
principio
(29) italgiureweb.
RASSEGnA
AVVoCATURA
DELLo
STATo -n. 1/2023
tempus
regit
actum. La
Corte
precisa
sempre
come
obiter
dictum
la
disciplina
previgente, confermando gli esiti raggiunti in precedenza.
nella
sentenza
209/2017
si
legge
che
nella
vigenza
del
regime
di
pubblico
impiego “privatizzato”
la regola è
costituita dalla possibilità -e
non più dal-
l’obbligo
-di
attendere
l’esito
del
processo
penale
in
ordine
all’accertamento
dei
fatti
prima
di
avviare
il
procedimento
disciplinare,
così
come
è
facoltà
dell’amministrazione
sospendere
il
procedimento
già
avviato
in
attesa
del-
l’esito del
giudizio penale: una volta optato per
l’attesa dell’esito definitivo come
è
avvenuto in tal
caso -la fattispecie
restava regolata dalla stessa disciplina
contrattuale per tutta la durata del procedimento.
Si
passeranno
ora
in
esame
i
pronunciamenti
della
Cassazione
nella
quale
essa
ha
fatto
applicazione
dell’articolo
55
ter
del
d.lgs.
165/2001.
nella
sentenza
del
6
giugno
2016
n.
11594
(30)
la
Cassazione
si
occupa
della
tempestività
dell’irrogazione
di
una
sanzione
ad
un
dipendente
scolastico.
Dalla
narrazione
dei
fatti
di
causa
si
apprendeva
che
alla
fine
del
mese
di
luglio
2010
il
Presidente
del
Consiglio
d’istituto
aveva
trasmesso
all’Ufficio
scolastico
provinciale,
un
incartamento,
contenente
una
serie
di
segnalazioni
su
comportamenti
anomali
attribuiti
al
r.,
costituito
per
lo
più
da
testimonianze
degli
studenti,
dichiarazioni
di
insegnanti
e
di
genitori;
che
su
richiesta
del-
l’amministrazione
di
procedere
ad
ulteriori
accertamenti
si
procedeva
ad
una
audizione
ad
opera
del
dirigente
scolastico
del
soggetto
indagato
(richiesta
avanzata
il
3
agosto
ed
i
cui
esiti
pervenivano
nella
disponibilità
dell’UPD
in
data
23
agosto)
il
quale
rispondeva
ammettendo
i
fatti
(assume
il
ricorrente,
che
tuttavia,
non
richiama
in
modo
circostanziato
la
relativa
documentazione,
di
aver
ammesso
che
svolgeva
le
esercitazioni
di
laboratorio
al
pomeriggio
invece
che
al
mattino
senza
tener
conto
dell’orario
delle
lezioni,
ma
bilanciando
il
minor
impegno
di
tempo
in
altre
attività;
che
aveva
acquistato
le
carcasse
per
la
dissezione
facendo
la
colletta
tra
gli
allievi
e
pagandosi
la
benzina
per
arrivare
fino
all’allevatore;
che
aveva
usato
per
il
laboratorio
materiale
organico
proveniente
dagli
allievi,
eseguendo
su
studenti
maggiorenni
e
consenzienti
prelievi
di
sangue
a
tale
scopo),
di
cui
quindi
l’amministrazione
aveva
avuto
conoscenza,
ma
chiarendo
che
le
circostanze
addebitate
erano
state
condivise
dall’amministrazione
e
che
a
proprio
avviso
non
costituivano
illecito.
La
contestazione
elevata
dal
competente
UPD
in
data
18
novembre
2010
dopo
che
era
stata
disposta
un’ispezione
ad
opera
di
un
soggetto
da
tale
ufficio
designato
(che
la
concludeva
il
12
novembre
2010)
consisteva
nei
seguenti
addebiti:
assunzione
di
iniziative
didattiche
altamente
diseducative,
oltre
che
in
aperta
violazione
della
normativa
vigente,
delle
direttive
del
miUr,
delle
norme
in
materia
di
sicurezza,
delle
vincolanti
indicazioni
collegio
docenti,
in
relazione
al
grave
atto
di
crudeltà
che
risultava
(30) ibidem.
ConTRIBUTI
DI
DoTTRInA
commesso
su
animali,
alla
presenza
di
minori
e
in
assoluto
spregio
(anche)
della
sensibilità
degli
stessi
a
tale
riguardo;
anomalie
nelle
procedure
di
acquisto
degli
animali
da
laboratorio;
gravi
negligenze
nell’espletamento
del-
l’attività
didattica
per
avere
introdotto
nella
scuola
materiale
di
incerta
provenienza
ed
effettuato
prelievi
di
sangue
agli
studenti
in
condizioni
igieniche
inadeguate
e
con
rischio,
quindi,
anche
per
la
loro
salute;
inadeguatezza
del
programma
da
lui
proposto
rispetto
alle
reali
capacità
degli
studenti
e
la
sua
indisponibilità
al
confronto
con
i
colleghi
e
ii.
TT.
PP.;
false
attestazioni
sulla
sua
presenza
in
servizio
e
le
gravi
irregolarità
nella
compilazione
dei
registri;
autonoma
articolazione
dell’orario
delle
lezioni
e
ridotto
espletamento
del
servizio,
con
correlato
danno
in
ordine
alla
preparazione
di
studenti
a
lui
affidati;
omissioni
di
vigilanza
sugli
stessi,
in
relazione
alla
estemporaneità
e
alla
mancata
preventiva
calendarizzazione
delle
ore
di
laboratorio
effettuate
con
i
suoi
alunni,
nonchè
l’omessa
comunicazione
del-
l’orario
effettivo
di
lezione
alle
famiglie
degli
studenti
minorenni;
grave
pregiudizio
apportati
al
rapporto
fiduciario
scuola
/
famiglie
e
il
pesante
danno
arrecato
all’immagine
dell’istituto.
Dal
raffronto
tra
i
fatti
segnalati
dalla
dirigenza
e
quelli
oggetto
della
contestazione,
nonché
della
successiva
sanzione,
emerge
una
sostanziale
identità
e
si
desume
che,
sin
dalla
ricezione
della
segnalazione
del
dirigente
scolastico,
l’UPD
possedeva
sufficienti
elementi
per
dare
formale
avvio
al
procedimento
anche
alla
luce
delle
dichiarazioni
confessorie
rese
dal
dipendente
al
dirigente
scolastico.
La
Cassazione,
sposando
la
motivazione
della
Corte
d’appello
-per
la
quale
l’incartamento
trasmesso
alla
fine
del
mese
di
luglio
2010
dal
Presidente
del
Consiglio
d’istituto
all’USP
di
milano
conteneva
una
serie
di
segnalazioni
sui
comportamenti
anomali
attribuiti
al
r.,
costituite
per
lo
più
da
testimonianze
di
studenti,
dichiarazioni
di
insegnanti
e
di
genitori,
relative
al
mancato
svolgimento
di
ore
di
lezione
da
parte
del
r.,
nonchè
alla
più
grave
condotta
di
vivisezione
di
conigli
e
di
utilizzazione
di
materiale
organico
proveniente
dagli
stessi
studenti,
di
contenuto
non
sempre
coincidente
recante
indicazione
di
circostanze
di
tempo
e
di
luogo
non
sempre
precise
e
puntuali
-ritiene
che
una
conoscenza
certo
non
sommaria,
ma
discordante
in
taluni
episodi
secondari,
non
sia
sufficiente
a
costituire
il
dies
a
quo
per
la
decorrenza
dei
termini;
l’ulteriore
esperimento
di
mezzi
istruttori
(che
avevano
sostanzialmente
confermato
le
informazioni
di
cui
l’amministrazione
era
già
a
conoscenza)
significa
che,
nel
giudizio
della
suprema
Corte,
un
residuo
margine
di
incertezza
su
alcuni
degli
episodi
di
rilievo
disciplinare
o
l’incertezza
su
alcune
modalità
della
condotta
non
costituiscono
ancora
il
requisito
della
conoscenza
qualificata
che
determina
la
decorrenza
dei
termini.
nella
sentenza
della
Cassazione
del
20
marzo
2017
n.
7134
(31),
si
esa
(31) ibidem.
RASSEGnA
AVVoCATURA
DELLo
STATo -n. 1/2023
mina
il
caso
di
un
datore
di
lavoro
ricorrente
contro
l’annullamento
di
una
sanzione
disciplinare,
determinato
dal
superamento
dei
termini
massimi
del
procedimento
disciplinare.
La
sentenza
di
merito
aveva
considerato
valido
dies
a
quo
per
l’avvio
del
procedimento
la
ricezione
da
parte
dell’UPD
di
notizie
su
di
un
procedimento
disciplinare
avviato
dalla
Procura
della
Repubblica:
gli
elementi
suddetti
consistevano
in
stralci
della
richiesta
di
convalida
del
fermo
del
dipendente,
nonché
nella
richiesta
di
applicazione
di
una
misura
cautelare
formulata
dal
PM
ed
in
tale
documentazione
era
contenuto
il
capo
di
imputazione
relativo
ad
un
reato
contro
la
pubblica
amministrazione
e
quindi
provvisto
di
evidente
rilievo
disciplinare.
Al
giudice
del
merito,
che
aveva
concluso
che
la
prima
notizia
dell’infrazione
non
dovesse
necessariamente
consistere
in
un’informazione
di
tale
dettaglio
da
consentire
l’avvio
del
procedimento
disciplinare,
ma
di
una
notitia
illiciti
da
corroborarsi
attraverso
specifiche
indagini
esperite
dall’amministrazione,
la
Cassazione
contrappone
altra
diversa
convinzione
precisando
che
deve
trattarsi
di
una
“notizia
di
infrazione”
di
contenuto
tale
da
consentire
all’Ufficio
di
dare,
in
modo
corretto,
l’avvio
al
procedimento
disciplinare,
nelle
sue
tre
fasi
fondamentali
della
contestazione
dell’addebito,
dell’istruttoria
e
dell’adozione
della
sanzione.
Prosegue
affermando
che
la
contestazione
degli
addebiti
con
la
quale
si
instaura
il
contraddittorio
con
l’incolpato
deve
essere
fatta
in
tempi
ravvicinati,
sulla
base
di
un’attenta
valutazione
sia
della
gravità
dei
fatti
addebitati
al
dipendente
-in
relazione
alla
portata
oggettiva
e
soggettiva
dei
medesimi,
alle
circostanze
nelle
quali
sono
stati
commessi
ed
all’intensità
dell’elemento
intenzionale
-sia
dell’assenza
o
meno
di
precedenti
illeciti
commessi
dal
dipendente
nonché
della
sua
posizione
nell’ambito
dell’ambiente
di
lavoro.
Si
deve
quindi
trattare
di
un
atto
che
abbia
i
requisiti
del-
l’immediatezza,
della
specificità
e
dell’immutabilità,
pur
non
dovendo
obbedire
ai
rigidi
canoni
che
presiedono
alla
formulazione
dell’accusa
nel
processo
penale,
data
la
diversità
sostanziale
e
formale
dei
principi
che
governano
la
responsabilità
disciplinare
(nella
specie:
dei
pubblici
dipendenti)
rispetto
a
quelli
propri
della
responsabilità
penale.
Il
contenuto
che
la
contestazione
degli
addebiti
deve
possedere,
ossia
una
puntuale
valutazione
degli
elementi
di
fatto,
delle
precise
circostanze
della
loro
commissione,
dell’intensità
e
della
natura
dell’elemento
soggettivo,
per
essere
rispondente
al
requisito
della
specificità
rende
necessario
che
l’informazione
sull’illecito
sia
in
grado
di
soddisfare
tali
requisiti.
La
necessità
di
assicurare
all’amministrazione
la
possibilità
di
porre
in
essere
una
o
una
reazione
congrua
ed
esemplare,
anche
per
gli
altri
lavoratori
esige
un
informazione
precisa
anche
per
far
si
che
le
stesse
esigenze
di
certezza
che
sono
alla
base
della
tutela
del
dipendente,
vengano
rispettate,
per
irrinunciabile
simmetria,
anche
con
riguardo
alla
posizione
dell’amministrazione.
nella
sentenza
1 marzo 2018 n. 4881 (32) il
differimento della
contesta
ConTRIBUTI
DI
DoTTRInA
zione
avvenuta
alla
fine
del
2010 degli
addebiti
relativi
ad una
condotta
che
aveva
palesato una
immediata
rilevanza
disciplinare
e
penale
consistendo in
plurimi
fatti
di
peculato
posti
in
essere
in
concorso
con
terzi
in
un
lasso
di
tempo compreso tra
il
2007 ed il
2010, viene
giustificata
con la
complessità
delle
indagini
e
con la
necessità
di
conservare
il
segreto istruttorio;
si
legge
nella
sentenza
che:
la Polizia Ferroviaria del
Compartimento del
Lazio ebbe
a
sollecitare
una
sospensione
dei
primi
atti
di
verifica
interna
di
Trenitalia
per
non pregiudicare
i
risultati
investigativi
attesi
da una più ampia indagine
di
rilievo
penale,
come
adempimento
del
generale
dovere
di
cooperazione
nei
confronti
degli
organi
dello
Stato
deputati
alla
scoperta
e
alla
repressione
dei
reati, così
da realizzare
un interesse
che
è
di
per
sé
meritevole
di
apprezzamento
secondo
l’ordinamento
giuridico
e,
nella
specie,
così
come
egualmente
accertato, non in conflitto con la pienezza di
esercizio del
diritto di
difesa del
lavoratore incolpato.
Ancora, la
Cassazione
nella
sentenza
11 marzo 2018 n. 6989 (33), riconosce
la
tempestività
di
un licenziamento irrogato ad un proprio dipendente
medico, per un fatto commesso nell’esercizio delle
funzioni
ed all’interno dei
locali
aziendali
(la
violenza
sessuale
su di
una
paziente), a
dispetto della
circostanza
che
i
fatti
fossero avvenuti
nell’anno 2010 e
contestati
solo dopo la
comunicazione
del
dispositivo
e
non
delle
motivazioni
della
sentenza
di
primo
grado. Ai
fini
del
riconoscimento della
tempestività
della
contestazione
non
si
attribuisce
rilievo all’avvenuta
sospensione
cautelare
facoltativa
del
dipendente
(della
quale, sulla
base
dei
dati
contenuti
in sentenza
non è
dato conoscere
la
prossimità
ai
fatti) che
pure
sarebbe
potuta
valere
come
elemento in
favore
della
tempestività
della
contestazione, ma
si
ribadisce
che
l’avvio del
procedimento
non
avrebbe
potuto
avvenire
sulla
base
delle
sole
notizie
di
stampa
pubblicate
nell’immediatezza
dei
fatti, né
sulla
base
della
conoscenza
dell’avvenuta
applicazione
di
una
misura
cautelare,
tanto
più
che
non
era
giunta al datore formale comunicazione di essa (34).
nella
sentenza
del
13 maggio 2019 n. 12662 (35) la
vicenda
concerneva
l’operato di
un amministrazione
locale
e
di
un dipendente
di
essa
sospettato
(32) ibidem.
(33) ibidem.
(34) Tale
conclusione
è
in sintonia
con un non recente
indirizzo giurisprudenziale
nato nel
lavoro
privato ed apprezzato da
CoRAzzA,
Contestazione
dell’addebito disciplinare
e
conoscenza del
fatto penalmente
rilevante
da
parte
del
datore
di
lavoro,
in
riDL,
la
quale
commentando
Cass.
12452/1998
condivideva
che
la
denuncia
penale
non fosse
idonea
a
una
conoscenza
piena
del
datore
di
lavoro degli
elementi
per una
contestazione
specifica, e
come
a
tal
fine
dovesse
profilarsi
la
concreta
configurabilità
della
commissione
del
fatto tanto più in casi
come
quello affrontato dalla
sentenza, di
fatti
che, provati,
danno
certamente
luogo
a
responsabilità
ma
che
non
possono
formare
oggetto
di
autonomo
accertamento
da
parte
del
lavoro (si
trattava
di
una
violenza
in danno di
una
passeggera
commessa
su di
un treno da
un dipendente delle ferrovie).
(35) italgiureweb.
RASSEGnA
AVVoCATURA
DELLo
STATo -n. 1/2023
di
fruire
indebitamente
di
permessi
per l’assistenza
alla
madre, in quanto di
fatto non residente
con lei, ma
altrove, a
dispetto delle
risultanze
dei
registri
anagrafici.
Dall’esame
dei
fatti
emerge
che
l’amministrazione
datrice
di
lavoro
del
dipendente
aveva
investito
l’autorità
giudiziaria
per
l’accertamento
di
fatti
dei
quali
era già perfettamente
al
corrente, come
dimostrato dalla circostanziata
denuncia sporta ai
Carabinieri, poi
seguita da una richiesta di
informazioni
sugli
esiti
finalizzata
alle
decisioni
disciplinari,
oltre
che
alla
Corte
dei
Conti. Anche
in questo caso la
P.A. era, sin dal
momento della
denuncia
in possesso di
solidi
elementi
indiziari
che
consistevano in dichiarazioni
raccolte
sul
luogo di
lavoro (nella
sentenza
si
legge
che
dati
di
cui
il
datore
di
lavoro
era
in
possesso
al
momento
della
denuncia
non
avrebbero
potuto
che
essere
di
natura cartacea o basati, probabilmente, su voci
o informazioni
reperite
presso
il
luogo
di
lavoro
e
quindi
tali
da
rendere
opportuna
un’integrazione
mediante
indagini
di
polizia
giudiziaria
sul
campo
e
verifiche
di
migliore
certezza). Da
tali
affermazioni
si
ricava
che
la
formula
usata
dalla
Cassazione
a
giustificare
la
tempestività
dell’avvio
del
procedimento
disciplinare
avvenuto
due
anni
dopo la
denuncia, ossia
che
il
termine
«non può decorrere
se
la notizia,
per
la sua genericità, non consenta la formulazione
dell’incolpazione,
ma
richieda
accertamenti
di
carattere
preliminare,
volti
ad
acquisire
i
dati
necessari
per
circostanziare
l’addebito» legittimi
l’amministrazione
ad agire
solo dinnanzi ad una concreta prognosi di colpevolezza.
4.2 Valutazioni critiche e conclusioni finali.
Sforzandoci
di
individuare
una
caratteristica
comune
tra
le
statuizioni
della
Cassazione
relative
alle
fattispecie
di
interferenza
tra
illecito
disciplinare
e
procedimento
penale,
relativamente
al
lavoro
pubblico
privatizzato
essa
è
di
identificare
il
dies
a
quo
della
decorrenza
dei
termini
per
la
contestazione
degli
addebiti
con una
conoscenza
piena
dei
fatti
che
possa
consentire
all’ufficio di
dare
in
modo
corretto
avvio
al
procedimento
disciplinare
nelle
sue
tre
fasi
fondamentali
della contestazione, dell’istruttoria e dell’adozione della sanzione.
Considerando
che
-in
tutte
le
sentenze
prese
in
esame
e
relative
a
sospensioni
del
procedimento sotto il
vigore
del
d.lgs. 150/2009 -l’amministrazione
aveva
pregressa
conoscenza
dei
fatti
(anteriore
al
formarsi
del
giudicato
penale
su
di
essi)
e
disponeva
di
elementi
indiziari
in
qualche
caso
cospicui
ed
in
qualche
caso più labili, il
punto in comune
delle
sentenze
sta
nell’individuare
il
dies
a
quo
in
un
livello
di
conoscenza
di
fatti
che
possa
configurare
una
probabile
prognosi di responsabilità disciplinare in capo al dipendente.
Gli
itinerari
argomentativi
maturati
prima
del
d.lgs.
165/2001,
che
ammettevano
una
dilazione
del
formale
avvio
del
procedimento
disciplinare
sino
alla
definizione
della
vicenda
penale
con sentenza
irrevocabile, in un regime
di
sospensione
obbligatoria
sin dalla
denuncia
dell’illecito, non vengono più
riproposti. Invece
viene, attraverso un’interpretazione
estensiva
della
notizia
ConTRIBUTI
DI
DoTTRInA
dell’illecito
disciplinare
che
costituisce
il
momento
iniziale
del
decorso
dei
termini
di
decadenza
per l’avvio del
procedimento disciplinare, richiesto un
particolare
grado
di
dettaglio
per
tale
segnalazione
del
fatto,
comprensivo
delle
circostanze
del
fatto,
del
preciso
contributo
dato
dal
lavoratore
e
dell’intensità
dell’elemento psicologico, che
legittimano la
pubblica
amministrazione
a
differire
le
formali
contestazioni
ad un momento avanzato della
vicenda
penale
seppure prima della formazione del giudicato.
Il
passaggio da
una
sospensione
del
procedimento necessitata
ed anticipata
al
primo
formarsi
del
procedimento
penale
ad
una
sospensione
meramente
eventuale
e, nelle
intenzioni
del
legislatore, circoscritta
ad ipotesi
di
non comune
verificazione, sotto la
quale
si
era
formato l’indirizzo maggioritario che
ammetteva
il
differimento della
contestazione
alla
conclusione
della
vicenda
penale, non dovrebbe
avere
una
diretta
influenza
sulla
possibilità
del
differimento
anche nel nuovo assetto della materia (36).
Il
carattere
facoltativo
di
essa
(oggetto
di
una
scelta
motivata
che
lo
renda
preferibile
all’avvio immediato) non ne
comporta
per logica
necessità
il
carattere
recettizio
e
quindi
l’obbligatoria
comunicazione
alla
controparte;
né
deve
tacersi
del
fatto che
la
mancata
comunicazione
della
sospensione
al
lavoratore
non gli
reca
alcun pregiudizio, se
non privandolo della
possibilità
di
contestare
in radice
l’illecito per la
sua
tardività
ovvero per l’infondatezza
nel
merito,
facoltà
che
il
lavoratore
potrà
esercitare
una
volta
avviato,
in
relazione
agli
esiti
del
processo penale, il
procedimento disciplinare;
il
ritardo sarebbe
comunque
compensato
dalla
possibilità
per
il
lavoratore
di
valersi
delle
acquisizioni
formatesi in sede penale.
Una
indicazione
in tal
senso si
rinviene
nella
sentenza
della
Cassazione
del
7 giugno 2016 n. 11628 (37). In essa
il
privato si
doleva
del
fatto che
la
sospensione
del
procedimento disciplinare
non gli
fosse
mai
stata
comunicata
e
chiedeva
l’annullamento
della
sanzione
per
avvenuto
decorso
del
termine
di
decadenza.
La
risposta
della
Corte
è
stata
che
la
normativa
richiamata
non
prevede
alcuna comunicazione
al
dipendente
della sospensione
del
procedimento
disciplinare, né
un onere
di
tal
genere
è
desumibile
dalla complessiva
disciplina regolante
il
procedimento disciplinare
poiché, trattandosi
di
normativa
procedimentale
prevedente
specifici
termini
e
decadenze
è
di
stretta
interpretazione, sicché
non può certamente
ritenersi
sussistente
un onere
del
genere
implicante,
tra
l’altro,
la
decadenza
della
P.a.
dall’azione
disciplinare.
negare
la
natura
recettizia
della
sospensione
del
procedimento,
a
fronte
invece
(36)
TEnoRE
in
Studio
sul
procedimento
disciplinare
nel
pubblico
impiego,
Giuffrè
2017,
riconosce
all’amministrazione
titolare
del
procedimento disciplinare
la
scelta, sempre
a
fronte
di
fatti
complessi
e
non accertabili
in sede
interna-amministrativa, di
non iniziare
il
procedimento disciplinare
con la
contestazione
degli
addebiti…
aspettando
l’esito
(non
necessariamente
del
giudicato)…
del
giudizio
penale.
Esclude che tale scelta possa essere ritenuta passibile di determinare la decadenza del provvedimento.
(37) ibidem.
RASSEGnA
AVVoCATURA
DELLo
STATo -n. 1/2023
della
certa
recettizietà
dell’atto ad essa
speculare, ossia
la
contestazione
degli
addebiti, è
una
tesi
che
porta
delle
conseguenze
ulteriori. Se
la
sospensione,
pur adottata
formalmente, non deve
essere
notificata
al
dipendente, essa
è
totalmente
inidonea
ad assicurare
la
funzione
per la
quale
esiste, ossia
dare
al
dipendente
notizia
della
pendenza
di
un
procedimento
per
salvaguardarne
i
diritti
di
difesa, restando costui
ignaro dell’avvio di
un procedimento. Se
la
sospensione
non deve
essergli
comunicata
allora
è
breve
il
passo per dire
che
non è
necessario che
essa
sia
stata
formalmente
adottata, potendo essa
esserlo
per facta concludentia
attraverso la
denuncia
inoltrata
all’autorità
giudiziaria
e
la
richiesta
di
essere
informati
del
prosieguo del
procedimento penale, sebbene
vi
sia
a
carico della
pubblica
accusa
e
dei
giudici
un formale
obbligo di
comunicare
all’amministrazione
del
dipendente
l’adozione
di
una
misura
cautelare
o l’avvenuto esercizio dell’azione
penale. La
contestazione
del
dipendente
sul
tardivo
avvio
del
procedimento
potrebbe
essere
differita,
senza
alcuna
compromissione
del
diritto di
difesa
del
lavoratore, ed inoltre
tale
soluzione
è
maggiormente
rispettosa
del
segreto istruttorio che
vige
sia
nelle
indagini
penali che in quelle della Procura della Corte dei Conti.
Conclusivamente,
nel
lavoro
alle
dipendenze
delle
Pubbliche
Amministrazioni,
il
requisito
della
tempestività
viene
fatto
consistere
nell’acquisizione
di
una
notizia
di
illecito
che
costituisca
anche
un
reato
di
contenuto
tale
da
consentite
una
prognosi
di
colpevolezza
in capo al
dipendente, tanto più che
una
contestazione
assistita
da
un
notevole
dettaglio
degli
episodi
ascritti
al
dipendente
svolge
una
funzione
deflattiva
del
contenzioso, e
se
non contestata
in giudizio accresce la funzione general preventiva della sanzione.
Laddove
l’amministrazione
dovesse,
al
contrario,
agire
su
notizie
non
provviste
di
un adeguato grado di
precisione
e
completezza, l’esito giudiziale
di
una
reazione
contro
il
provvedimento
sarebbe
maggiormente
frequente
e
più spesso coronato dal
successo;
anticipare
la
contestazione
degli
addebiti
al
momento della
prima
conoscenza
del
fatto avrebbe
come
conseguenza
che
la
sospensione
del
procedimento
avverrebbe
dopo
la
contestazione
degli
addebiti,
così
riproducendosi
la
situazione
di
lentezza
ed ineffettività
della
reazione
disciplinare
all’illecito del dipendente.
L’orientamento della
Corte
teso a
differire
il
dies
a quo
per l’avvio del
potere
disciplinare, con la
conseguente
decorrenza
dei
termini
perentori
per
la
sua
conclusione
ad una
pienamente
circostanziata
conoscenza
dei
fatti
che
costituiscono
pure
fattispecie
di
reato
potrebbe
indurre
l’amministrazione
a
differire
la
contestazione
sino alla
sopravvenienza
di
elementi
rivenienti
dal
procedimento penale
quali
l’irrogazione
di
misure
cautelari, la
richiesta
o il
disposto
rinvio
a
giudizio
ed
a
fortiori
una
condanna
anche
non
definitiva,
con
il
rischio
implicito
che
si
riproduca
di
fatto
la
situazione
che
vedeva
l’assoluta
pregiudizialità
del
procedimento
penale
rispetto
a
quello
disciplinare
cosi
frustrandosi
la
ratio
del
decreto Brunetta
teso ad accelerare
la
definizione
di
pro
ConTRIBUTI
DI
DoTTRInA
cedimenti
disciplinari
anche
indipendentemente
dall’iter
di
quello penale
per
ragioni
di
esemplarità
sanzionatoria
e
di
effettività
della
sanzione
(una
sanzione
irrogata
a
notevole
distanza
dai
fatti
può infatti
perdere
di
afflittività
e
comunque vede di molto diminuita la propria efficacia generalpreventiva).
Una
attenta
considerazione
della
giurisprudenza
in materia
sopra
analizzata
consente
di
dire
che
essa
si
è
formata
su fattispecie
di
illeciti
connessi
al
servizio del
dipendente
ma
che
presentavano una
oggettiva
complessità
per il
numero dei
soggetti
coinvolti
e
degli
illeciti
ascritti
(dalla
complessiva
considerazione
dei
quali
soltanto
poteva
emergere
l’apporto
individuale
di
ciascuno
e
la
gravità
delle
specifiche
condotte), la
pregressa
notorietà
dei
quali
talora
discendeva
da
notizie
di
stampa
(per
loro
natura
frammentarie)
ovvero
da
fonti
non ancora
riscontrate
(come
le
doglianze
degli
utenti
del
servizio);
può ritenersi
che
l’effettivo ricorrere
della
complessità
dei
comportamenti
di
potenziale
rilievo
disciplinare
giustifichi
l’orientamento
della
corte.
Eguale
solidità
probatoria
dovranno assumere
gli
illeciti
di
potenziale
rilievo disciplinare
relativi
a
condotte
extraprofessionali
in
quanto
rispetto
ad
essi
l’amministrazione
è
priva
di
strumenti
istruttori. D’altronde
come
si
è
visto, anticipare
l’avvio
del
procedimento
al
primo
profilarsi
di
una
notitia
illiciti
in
questi
casi
non
riuscirebbe
a
sortire
l’effetto di
una
celere
conclusione
del
procedimento disciplinare,
che
verrebbe
sospeso frustrandosi
la
ratio
di
celerità
insita
nel
sollecito
avvio di esso.
Viceversa
comportamenti
individuali
che
cadano
nella
diretta
sfera
di
controllo
dell’amministrazione
perché
commessi
in
servizio
e
che
non
presentino
tratti
di
particolare
complessità
sono quelli
in relazione
ai
quali
dalla
notitia
illiciti
deve
scaturire
il
tempestivo avvio del
procedimento disciplinare
a
pena
di
decadenza
del
provvedimento ed in relazione
ai
quali
non può essere
correttamente
disposta
la
sospensione, ben potendo l’amministrazione
acquisire
tutti
gli
elementi
per
agire
disciplinarmente;
in
tali
casi
la
disposta
sospensione
può
ben
essere
impugnata
dal
dipendente
nel
nome
di
un
proprio
interesse
alla
definizione
del
procedimento
ed,
ove
riconosciuta
illegittima
determina
la
decadenza
del
procedimento
disciplinare
per
violazione
dei
termini
di
esso
(non
potendo
l’amministrazione
essere
rimessa
in
termini
ove
siano
decorsi
i
120 giorni
dalla
contestazione). La
dicotomia
tra
fatti
di
complesso
accertamento disciplinare
e
comportamenti
extrafunzionali
da
un lato e
dal-
l’altro fatti
connessi
al
servizio e
di
non difficile
accertamento probatorio potrebbe
costituire
anche
per
il
lavoro
alle
dipendenze
di
soggetti
privati
la
summa
divisio
per
valutare
o
meno
la
tempestività
della
contestazione
e
la
successiva
eventuale sospensione di esso.
(*)
COMUNICATO
DELL’AVVOCATO
GENERALE
Oggi
lascia
il
servizio,
dopo
trentotto
anni
di
significativa
presenza,
l’Avv.
Giuseppina Buongiorno, dell’Avvocatura Distrettuale di Salerno.
Alla
carissima
Collega
e
Amica
che
ha
onorato l’Istituto con la
Sua
professionalità,
la
Sua
dedizione
alla
cura
degli
interessi
del
Paese, vanno i
saluti
e
gli
auguri
più affettuosi
miei
e
di
tutti
gli
Avvocati
e
Procuratori
dello Stato
e del Personale dell’Avvocatura.
Gabriella Palmieri Sandulli
(*)
E-mail Segreteria Particolare, sabato 30 settembre 2023 08:13.
(*)
COMUNICATO
DELL’AVVOCATO
GENERALE
Oggi
lascia
il
servizio,
dopo
quarantacinque
anni
di
significativa
presenza,
l’Avv. Stefano Vivacqua, dell’Avvocatura Distrettuale di Palermo.
Al
carissimo Collega
e
Amico che
ha
onorato l’Istituto con la
Sua
professionalità,
la
Sua
dedizione
alla
cura
degli
interessi
del
Paese, vanno i
saluti
e
gli
auguri
più affettuosi
miei
e
di
tutti
gli
Avvocati
e
Procuratori
dello Stato
e del Personale dell’Avvocatura.
Gabriella Palmieri Sandulli
(*)
E-mail Segreteria Particolare, lunedì 9 ottobre 2023 08:01.
(*)
COMUNICATO
DELL’AVVOCATO
GENERALE
Oggi
lascia
il
servizio,
dopo
quarantacinque
anni
di
significativa
presenza,
l’Avv. Giovanna Maria Cuccia Russo, Avvocato Distrettuale di Messina.
Alla
carissima
Collega
e
Amica
che
ha
onorato l’Istituto con la
Sua
professionalità,
la
Sua
dedizione
alla
cura
degli
interessi
del
Paese, vanno i
saluti
e
gli
auguri
più affettuosi
miei
e
di
tutti
gli
Avvocati
e
Procuratori
dello Stato
e del Personale dell’Avvocatura.
Gabriella Palmieri Sandulli
(*)
E-mail Segreteria Particolare, mercoledì 11 ottobre 2023 08:00.
(*)
COMUNICATO
DELL’AVVOCATO
GENERALE
Oggi
lascia
il
servizio, dopo quarantadue
anni
di
significativa
presenza,
l’Avv. Ines Sisto Monterisi, Avvocato Distrettuale di Bari.
Alla
carissima
Collega
e
Amica
che
ha
onorato l’Istituto con la
Sua
professionalità,
la
Sua
dedizione
alla
cura
degli
interessi
del
Paese, vanno i
saluti
e
gli
auguri
più affettuosi
miei
e
di
tutti
gli
Avvocati
e
Procuratori
dello Stato
e del Personale dell’Avvocatura.
Gabriella Palmieri Sandulli
(*)
E-mail Segreteria Particolare, venerdì 20 ottobre 2023 08:04.
(*)
COMUNICATO
DELL’AVVOCATO
GENERALE
Ieri, 1°
gennaio 2024, ha
lasciato il
servizio, dopo oltre
quarantuno anni
di
significativa
presenza,
l’Avv.
Filippo
Patella,
Avvocato
Distrettuale
di
Reggio
Calabria.
Al
carissimo Collega
e
Amico che
ha
onorato l’Istituto con la
Sua
professionalità,
espressa,
in
particolare,
nelle
funzioni
di
Avvocato
Distrettuale
prima
di
L’Aquila
e, poi, di
Reggio Calabria, con la
Sua
preziosa
collaborazione
nel
Consiglio degli
Avvocati
e
Procuratori
dello Stato e
con la
Sua
dedizione
alla
cura
degli
interessi
del
Paese,
vanno
i
saluti
e
gli
auguri
più
affettuosi
miei
e
di
tutti
gli
Avvocati
e
Procuratori
dello Stato e
del
Personale
dell’Avvocatura.
Gabriella Palmieri Sandulli
(*)
E-mail Segreteria Particolare, martedì 2 gennaio 2024 16:15.
Finito di stampare nel mese di febbraio 2024
Stabilimenti
Tipografici Carlo Colombo S.p.A.
Vicolo della Guardiola n. 22 - 00186 Roma