ANNO LXXIV - N. 4 
OTTOBRE - DICEMBRE 2022 


RASSEGNA 
AV V O C AT U R A 
DELLO STATO 

PUBBLICAZIONE 
TRIMESTRALE DI SERVIZIO 



COMITATO 
SCIENTIfICO: 
Presidente: 
Michele 
Dipace. 
Componenti: 
Franco 
Coppi 
-Natalino 
Irti 
-Eugenio 
Picozza - Franco Gaetano Scoca. 


DIRETTORE 
RESPONSABILE: 
Giuseppe 
Fiengo 
-CONDIRETTORI: 
Maurizio 
Borgo, 
Danilo 
Del 
Gaizo 
e 
Stefano Varone. 


COMITATO 
DI 
REDAZIONE: 
Giacomo Aiello -Lorenzo 
D’Ascia 
-Gianni 
De 
Bellis 
-Wally 
Ferrante 
-Sergio 
Fiorentino 
-Paolo 
Gentili 
-Maria 
Vittoria 
Lumetti 
-Francesco 
Meloncelli 
-Marina 
Russo. 


CORRISPONDENTI 
DELLE 
AVVOCATURE 
DISTRETTUALI: 
Andrea 
Michele 
Caridi 
-Stefano 
Maria 
Cerillo 
Pierfrancesco 
La 
Spina 
-Marco 
Meloni 
-Maria 
Assunta 
Mercati 
-Alfonso 
Mezzotero 
-Riccardo 
Montagnoli 
-Domenico 
Mutino 
-Nicola 
Parri 
-Adele 
Quattrone 
-Piero 
Vitullo. 


HANNO 
COLLABORATO 
INOLTRE 
AL 
PRESENTE 
fASCICOLO: 
Rosa 
Amatucci, 
Fabiola 
Andronaci, 
Adele 
Berti 
Suman, 
Federico 
Casu, 
Marco 
Cerase, 
Elio 
Cucchiara, 
Enrico 
De 
Giovanni, 
Guido 
Di 
Biase, 
Emanuele 
Feola, 
Gabriele 
Finelli, 
Beatrice 
Gatta, 
Michele 
Gerardo, 
Maurizio 
Greco, 
Maria 
Letizia 
Guida, 
Melvio 
Maugeri, 
Gaetana 
Natale, 
Gabriella 
Palmieri 
Sandulli, 
Fabio 
Ratto 
Trabucco, 
Valeria 
Romano, 
Marco 
Stigliano 
Messuti. 


E-mail 
Giuseppe fiengo 
rassegna@avvocaturastato.it 


maurizio.borgo@avvocaturastato.it 
danilodelgaizo@avvocaturastato.it 
stefanovarone@avvocaturastato.it 


ABBONAMENTO 
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NUMERO 
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postale 
a 
favore 
della 
Tesoreria 
dello 
Stato 
specificando 
codice 
IBAN: 
IT 
42Q 
01000 
03245 
348 
0 
10 
2368 
05, 
causale 
di 
versamento, 
indirizzo 
ove 
effettuare 
la 
spedizione, 
codice 
fiscale 
del 
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I 
destinatari 
della 
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sono 
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di 
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eventuali 
variazioni 
di 
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AVVOCATURA 
GENERALE 
DELLO 
STATO 
RASSEGNA 
-Via dei Portoghesi, 12, 00186 Roma 
E-mail: rassegna@avvocaturastato.it - Sito www.avvocaturastato.it 


Stampato in Italia - Printed in Italy 


Autorizzazione 
Tribunale di Roma - Decreto n. 11089 del 13 luglio 1966 



i 
n 
d 
i 
c 
e 
-s 
o 
m 
m 
a 
r 
i 
o 
In ricordo 
Avv. Giuseppe Orazio Russo, Avvocato Generale dello Stato Onorario 
. 
Avv. Massimo Mari, già Vice 
Avvocato Generale dello Stato. . . . . . . . . . 
TEMI 
ISTITUZIONALI 
Modifiche 
al 
processo civile 
introdotte 
dal 
D.lgs. 10 ottobre 
2022, n. 149 
efficaci 
dal 
1° 
marzo 2023. Le 
novità di 
rilievo per 
l’attività dell’Avvocatura 
dello Stato, Circolare 
A.G. prot. 165239 del 3 marzo 2023 n. 14 
pag. 
1 
Definizione 
delle 
liti 
tributarie 
pendenti, 
prevista 
dall’art. 
1 
(commi 
da 
186 
a 
204) 
della 
L. 
29 
dicembre 
2022, 
n. 
197 
(legge 
di 
bilancio 
2023) 
pubblicata 
nella 
G.U. 
del 
29 
dicembre 
2022, 
n. 
303, 
in 
parte 
modificata 
dall’art. 
20 
del 
D.L. 
30 
marzo 
2023 
n. 
34 
(in 
corso 
di 
conversione). 
Gestione 
del 
contenzioso, 
Circolare 
A.G. 
prot. 
303458 
del 
3 
maggio 
2023 
n. 
25 
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ›› 
53 
Parere 
reso all’Agenzia delle 
Entrate-Riscossione 
in ordine 
alla opportunità 
della riassunzione 
della causa a seguito di 
pronuncia della Corte 
di 
cassazione 
di 
annullamento 
con 
rinvio 
ex 
art. 
383 
c.p.c., 
Circolare 
A.G. 
prot. 547049 dell’1 settembre 2023 n. 46 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ›› 
60 
Protocollo 
d’intesa 
tra 
la 
stazione 
geologica 
Anton 
Dohrn 
di 
Napoli 
e 
l’Avvocatura 
Distrettuale 
dello 
Stato 
di 
Napoli, 
Circolare 
A.G. 
prot. 
547357 dell’1 settembre 2023 n. 48 
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ›› 
83 
Conferimento 
incarico 
di 
Vice 
Avvocato 
Generale 
all’Avvocato 
Maria 
Gabriella 
Mangia, 
Circolare 
A.G. 
prot. 
550590 
del 
4 
settembre 
2023 
n. 
49 
. 
›› 
87 
Wally 
ferrante, 
Giornata 
delle 
donne 
in 
magistratura: 
“La 
questione 
femminile 
in 
Medioriente. 
Il 
diritto 
(negato) 
allo 
studio”, 
Convegno 
Corte 
dei Conti, Aula 
Turina, 5 aprile 2023 
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ›› 
88 
CONTENZIOSO 
COMUNITARIO 
ED 
INTERNAZIONALE 
Marco Cerase, Moore 
v. Harper. Un’importante 
sentenza della Corte 
Suprema 
degli Stati Uniti sul controllo di costituzionalità. . . . . . . . . . . . . . ›› 
95 
Beatrice 
Gatta, La CGUE 
sull’obbligo vaccinale 
per 
gli 
esercenti 
le 
professioni 
sanitarie 
e 
gli 
operatori 
di 
interesse 
sanitario 
(C. giust. Ue, Sez. 
II, sent. 13 luglio 2023, C-765/21) 
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ›› 
100 
CONTENZIOSO 
NAZIONALE 
federico Casu, Giudizio abbreviato e 
legalità della pena: brevi 
considerazioni 
su Cassazione 
penale, SS.UU., n. 47182 del 
31 marzo 2022 (dep. 
13 dicembre 2022) 
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ›› 
119 
Gabriele 
finelli, Prestazione 
professionale 
forense. L’inderogabilità dei 
minimi 
tariffari 
per 
la 
liquidazione 
dei 
compensi 
(art. 
82 
d.P.R. 
n. 
115/2002, art. 13 l. n. 247/2021, artt. 4 e 
12 D.M. n. 55/2014) (Cass. civ., 
Sez. II, sent. 27 luglio 2023 n. 22761) 
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ›› 
145 



Guido Di 
Biase, Le 
iniziative 
esperibili 
da Avvocati 
del 
libero Foro per 
il 
pagamento 
dell’attività 
prestata 
in 
regime 
di 
patrocinio 
a 
spese 
dello 
Stato. La Corte 
di 
Appello di 
Venezia esclude 
l’ammissibilità del 
ricorso 
per 
decreto ingiuntivo e 
la maturazione 
di 
interessi, a fronte 
dell’inesigibilità 
della prestazione 
(C. app. Venezia, IV 
Sez. civ., sent. 15 febbraio 
2023 n. 210, R.G. 538/2022) 
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 
156 
I PARERI 
DEL 
COMITATO 
CONSULTIVO 
Emanuele 
feola, 
Convenzioni-quadro 
stipulate 
dalla 
Concessionaria 
servizi 
informatici 
pubblici 
(Consip) S.p.a. e 
possibile 
deroga all’obbligo di 
adesione previsto per le 
Amministrazioni dello Stato 
. . . . . . . . . . . . . . . ›› 
171 
Maurizio 
Greco, 
Corrispondenza 
intercorrente 
tra 
Amministrazioni 
dello 
Stato 
e 
Avvocatura 
dello 
Stato 
inerente 
ad 
atti 
defensionali. 
Istanza 
di 
accesso 
ed ostensibilità 
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ›› 
180 
Enrico De 
Giovanni, Soggetti 
danneggiati 
da trasfusioni 
con sangue 
infetto. 
Procedure 
transattive 
di 
cui 
alla l. 29 novembre 
2007 n. 222 e 
all’articolo 
2, comma 362, della l. 31 dicembre 
2007 n. 244 alla luce 
della 
nota sentenza 5 novembre 
2021, n. 16 dell’Adunanza plenaria del 
Consiglio 
di Stato. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ›› 
182 
Valeria 
Romano, 
Quesito 
sulla 
trasferibilità 
da 
parte 
dell’Esacri 
in 
liquidazione 
coatta 
amministrativa 
in 
favore 
dell’Associazione 
nazionale 
CRI, 
di 
beni 
immobili 
ai 
sensi 
dell’art. 4-bis, d.lgs. 28 settembre 
2012, n. 178 
inserito dall’art. 1, co. 486, L. 30 dicembre 2020, n. 178 
. . . . . . . . . . . . ›› 
192 
Melvio 
Maugeri, 
Rimborsabilità 
delle 
spese 
legali 
ai 
sensi 
dell’art. 
18 
d.l. 
67/97 
sostenute 
dal 
dipendente 
pubblico 
in 
procedimento 
preliminare 
avviato 
ex 
art. 
67 
del 
Codice 
di 
Giustizia 
Contabile 
e 
definito 
con 
decreto 
di archiviazione 
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ›› 
206 
Elio Cucchiara, Rimborsabilità delle 
spese 
legali 
ai 
sensi 
dell’art. 18 d.l. 
67/97 
sostenute 
dal 
dipendente 
pubblico 
in 
procedimento 
di 
accertamento 
tecnico preventivo a fini conciliativi ex art. 696 bis c.p.c. 
. . . . . . . . . . . ›› 
213 
Maria 
Letizia 
Guida, 
Ente 
già 
ammesso 
al 
patrocinio 
autorizzato 
dell’Avvocatura 
dello 
Stato 
ai 
sensi 
dell’art. 
43 
del 
R.D. 
n. 
1611/1933. 
Istituzione 
di una “Avvocatura interna” dell’Ente in questione 
. . . . . . . . . . . . . . . . ›› 
216 
Marco Stigliano Messuti, Adele 
Berti 
Suman, 
Interpretazione 
del 
nuovo 
Codice 
dei 
contratti 
pubblici 
(d.lgs. 
n. 
36/2023) 
in 
tema 
di 
cause 
di 
esclusione 
dalle 
procedure 
di 
gara a fronte 
della novella introdotta dalla c.d. 
riforma Cartabia (d.lgs 
n. 150/2022) sull’istituto dell’applicazione 
della 
pena su richiesta delle parti di cui all’art. 444 c.p.p. 
. . . . . . . . . . . . . . . ›› 
220 
LEGISLAZIONE 
ED 
ATTUALITà 
Gaetana Natale, Responsabilità medica e sanità digitale. . . . . . . . . . . . . ›› 
229 
fabio 
Ratto 
Trabucco, 
L’ornitorinco 
del 
diritto 
costituzionale 
ovvero 
l’esercizio di stile nella tassonomia delle forme di governo 
. . . . . . . . . . ›› 
246 



CONTRIBUTI 
DI 
DOTTRINA 
Gerardo Michele, 
Autorità amministrative 
indipendenti. Caratteri, tipologie, 
procedimenti in attribuzione e tutele giurisdizionali 
. . . . . . . . . . . pag. 
253 
Rosa 
Amatucci, Il 
principio del 
contraddittorio nei 
procedimenti 
amministrativi 
di cui all’art. 13 della l. n. 241/1990 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ›› 
299 


Comunicato dell’Avvocato Generale, Avv. Antonio Valicenti 
. . . . . . . . . 
Comunicato dell’Avvocato Generale, Avv. Gabriella Onano 
. . . . . . . . . 

Saluto del Vice 
Avvocato Generale, Avvocato Vincenzo Nunziata. . . . . . 


Da: Segreteria_generale 
Inviato: venerdì 14 luglio 2023 17:15 


A: 
Avvocati_tutti; 
Amministrativi_tutti 
Oggetto: decesso 
Con 
profondo 
dispiacere, 
comunico 
che 
nella 
giornata 
odierna 
è 
venuto 
a 
mancare 
l’Avv. 
Giuseppe Orazio Russo, Avvocato Generale dello Stato Onorario. 
(...) 


Il Segretario Generale 
Avv. Maurizio Greco 



Da: Segreteria_generale 
Inviato: giovedì 28 settembre 2023 13:38 


A: 
Avvocati_tutti; 
Amministrativi_tutti 
Oggetto: decesso 
Con profondo dispiacere 
comunico che 
ieri 
sera 
è 
venuto a 
mancare 
l’Avv. Massimo Mari, 
già 
Vice 
Avvocato Generale dello Stato. 
(...) 


Il Segretario Generale 
Avv. Maurizio Greco 



TemiisTiTuziOnali
Avvocatura 
Generaledello 
Stato 


CirColare 
n. 14/2023 


Oggetto: 
Modifiche 
al 
processo 
civile 
introdotte 
dal 
D.lgs. 
10 
ottobre 
2022, 
n. 
149 
efficaci 
dal 
1° 
marzo 
2023. 
le 
novità 
di 
rilievo 
per 
l’attività 
dell’avvocatura dello Stato. 


IndIce 


1. Premessa 
2. dIsPosIzIonI 
generalI 
2.1 le 
modifiche 
in materia di 
giurisdizione 
e 
competenza (artt. 7, 37, 40, 47, 48, 49 e 
50-bis 
c.p.c.) 
2.2 responsabilità processuale 
e 
obbligo di 
collaborazione 
delle 
parti 
e 
di 
terzi 
(artt. 96, 210 
e 213 c.p.c.) 
2.3 I principi generali (artt. 101 e 121 c.p.c.) 
3. Il 
Processo 
ordInarIo 
dI 
cognIzIone 
3.1 gli 
atti 
introduttivi 
e 
la costituzione 
in giudizio delle 
parti 
(artt. 163, 163-bis, 166 e 
171 
c.p.c.) 
3.2 le verifiche preliminari e la trattazione scritta anticipata (artt. 171-bis e 171-ter c.p.c.) 
3.3 l’udienza di 
prima comparizione 
e 
la costituzione 
del 
terzo (artt. 183, 183-bis, 184, 185bis, 
267, 268 e 269 c.p.c.) 
3.4 
la 
possibile 
definizione 
con 
ordinanza 
della 
controversia 
(artt. 
183-ter 
e 
183-quater 
c.p.c.) 
3.5 la fase decisoria (artt. 189, 275, 275-bis, 281-quinquies e 281-sexies c.p.c.) 
4. Il 
ProcedImento 
semPlIfIcato 
dI 
cognIzIone 
(artt. da 
281-decIes 
a 
281-terdecIes 
c.P.c.) 
5. ProcedImento 
davantI 
al 
gIudIce 
dI 
Pace 
5.1 disciplina transitoria 
5.2 le novità (artt. 316, 318, 319, 320 e 321 c.p.c.) 
6. Il 
gIudIzIo 
dI 
aPPello 
(artt. 334, 342, 343, 348, 348-ter, 349-bIs, 350 e 
350-bIs 
c.P.c.) 
6.1 l’istanza di inibitoria (artt. 283, 351 e 352 c.p.c.) 
6.2 la fase decisoria (art. 352 c.p.c.) 
6.3 rimessione della causa in primo grado (artt. 353 e 354 c.p.c.) 
7. Il 
gIudIzIo 
dI 
cassazIone 
e 
dI 
revocazIone 
(rInvIo 
alla 
cIrcolare 
74/2022) 

raSSeGna 
avvocatUra 
Dello 
Stato -n. 4/2022 


8. rIto 
del 
lavoro 
e 
nuova 
dIscIPlIna 
relatIva 
alla 
ImPugnazIone 
deI 
lIcenzIamentI 
8.1 
le 
modifiche 
alle 
norme 
in 
tema 
di 
rito 
del 
lavoro 
(artt. 
430, 
434, 
436-bis, 
437 
e 
438 
c.p.c.) 
8.2 la negoziazione assistita facoltativa per le cause di lavoro 
8.3 Il 
nuovo rito delle 
controversie 
relative 
ai 
licenziamenti 
individuali 
(artt. 441-bis, 441ter 
e 441-quater c.p.c.) 
9. 
rIto 
unIco 
In 
materIa 
dI 
Persone, 
mInorennI 
e 
famIglIa. 
brevI 
cennI 
(artt. 
473-bIs 
e 
ss. 
c.P.c.) 
10. Il 
Processo 
esecutIvo 
(artt. 475, 476, 478 e 
614-bIs 
c.P.c.) 
11. I ProcedImentI 
sPecIalI 
11.1 Il procedimento di ingiunzione (art. 654 c.p.c.) 
11.2 Il procedimento di convalida di sfratto (artt. 657 e 663 c.p.c.) 
11.3 
Il 
procedimento 
cautelare 
uniforme 
(artt. 
669-quinquies, 
669-octies, 
669-novies, 
669decies 
e 818 c.p.c.) 
12. la 
volontarIa 
gIurIsdIzIone 
12.1 attribuzione 
ai 
notai 
di 
competenze 
relative 
agli 
affari 
di 
volontaria giurisdizione 
(artt. 
da 21 a 23 d.lgs. n. 149/2022) 
13. 
ProcedImentI 
In 
materIa 
dI 
effIcacIa 
dI 
decIsIonI 
stranIere 
PrevIstI 
dal 
dIrItto 
del-
l’unIone 
euroPea 
e 
dalle 
convenzIonI 
InternazIonalI 
(artt. 24 d.lgs. n. 149/2022, 30 e 
30bIs 
d.lgs. n. 150/2011) 
14. modIfIca 
In 
materIa 
dI 
rImedI 
PreventIvI 
Per 
l’eccessIva 
durata 
del 
Processo 
(art. 1ter 
legge 
n. 89/2001) 
15. l’arbItrato 
(artt. 810, 813, 816-bIs 
1, 818, 818-bIs, 819-quater 
e 
828 c.P.c.) 
16. modIfIche 
In 
materIa 
dI 
medIazIone 
(artt. 4 e 
ss. d.lgs. n. 28/2010) 
16.1 disciplina transitoria 
16.2 le novità 
17. 
modIfIche 
In 
materIa 
dI 
negozIazIone 
assIstIta 
(artt. 
da 
2 
a 
11 
del 
d.l. 
n. 
132/2014, 
art. 
371-ter 
c.P.) 
17.1 disciplina transitoria 
17.2 le novità 
18. dIsPosIzIonI 
In 
materIa 
dI 
gIustIzIa 
dIgItale 
e 
dI 
Processo 
cIvIle 
telematIco 
18.1. disposizioni relative alla giustizia digitale 
18.1.1 obbligo di 
deposito telematico degli 
atti 
processuali 
(art. 196-quater 
disp. att. c.p.c.) 
18.1.2. attestazioni di conformità (artt. da 196-octies a 196-undecies disp. att. c.p.c.) 
18.2 modifiche 
in materia di 
processo civile 
telematico: le 
notificazioni 
degli 
atti 
processuali 
18.2.1 obbligo di 
notificazione 
a mezzo di 
posta elettronica certificata (art. 3-ter 
della legge 
n. 53/1994). 
18.2.2 tempo delle notificazioni telematiche (art. 147 c.p.c.) 
18.2.3 altre 
modifiche 
al 
codice 
di 
procedura civile 
in materia di 
notificazioni 
(artt. 139 e 
149-bis c.p.c.) 
*** 


1. Premessa 
Sulla 
G.U. 
n. 
243 
del 
17 
ottobre 
2022 
è 
stato 
pubblicato 
il 
testo 
del 
D.lgs. 
10 ottobre 
2022, n. 149 di 
“attuazione 
della legge 
26 novembre 
2021, n. 206, 
recante 
delega 
al 
governo 
per 
l’efficienza 
del 
processo 
civile 
e 
per 
la 
revisione 
della disciplina degli 
strumenti 
di 
risoluzione 
alternativa delle 
controversie 
e 



temI 
IStItUzIonalI 


misure 
urgenti 
di 
razionalizzazione 
dei 
procedimenti 
in 
materia 
di 
diritti 
delle 
persone e delle famiglie nonché in materia di esecuzione forzata”. 


le 
disposizioni 
contenute 
nel 
decreto 
recano 
modifiche 
estremamente 
rilevanti 
al 
processo 
civile 
e 
trovano 
applicazione 
ai 
procedimenti 
instaurati 
successivamente 
al 
28 febbraio 2023 (art. 35, comma 
1, D.lgs. n. 149/2022, 
nel 
testo modificato dall’art. 1, comma 
380, della 
legge 
29 dicembre 
2022, n. 
197), 
salvo 
quelle 
di 
cui 
si 
è 
già 
dato 
conto 
nella 
precedente 
circolare 
n. 
74/2022, 
essenzialmente 
concernenti 
il 
processo 
civile 
telematico 
e 
il 
giudizio 
di cassazione, applicabili già dal 1° gennaio 2023. 


tenuto conto del 
particolare 
impatto di 
tali 
previsioni 
anche 
sull’attività 
dell’avvocatura 
dello 
Stato, 
si 
fornisce 
di 
seguito 
un 
quadro 
sintetico 
delle 
principali novità. 


*** 


2. Disposizioni generali 
2.1 le modifiche in materia di giurisdizione e competenza 
In tema 
di 
giurisdizione, viene 
novellato l’art. 37 c.p.c., restringendosi 
ai 
casi 
di 
difetto assoluto di 
giurisdizione 
la 
rilevabilità, anche 
d’ufficio, in qualunque 
stato 
e 
grado 
del 
processo, 
della 
relativa 
eccezione. 
Per 
altro 
verso, 
alle 
questioni 
di 
riparto di 
giurisdizione 
tra 
il 
giudice 
ordinario e 
i 
giudici 
amministrativi 
o 
speciali 
è 
dedicato 
il 
nuovo 
secondo 
comma, 
che 
recepisce 
l’orientamento della 
giurisprudenza 
di 
legittimità 
in punto di 
giudicato implicito 
sulla 
giurisdizione 
e 
di 
deduzione 
della 
questione 
nelle 
fasi 
di 
impugnazione, 
prevedendosi 
che: 
“Il 
difetto di 
giurisdizione 
del 
giudice 
ordinario nei 
confronti 
del 
giudice 
amministrativo 
o 
dei 
giudici 
speciali 
è 
rilevato 
anche 
d’ufficio nel 
giudizio di 
primo grado. nei 
giudizi 
di 
impugnazione 
può essere 
rilevato solo se 
oggetto di 
specifico motivo, ma l’attore 
non può impugnare 
la sentenza per 
denunciare 
il 
difetto di 
giurisdizione 
del 
giudice 
da lui 
adito”. 


In tema 
di 
competenza 
per valore, degno di 
nota 
è 
l’ampliamento della 
competenza 
del 
giudice 
di 
pace, in quanto il 
novellato art. 7 c.p.c. innalza 
da 
cinquemila 
a 
diecimila 
euro la 
soglia 
di 
valore 
per le 
cause 
di 
competenza 
del 
Giudice 
di 
pace 
relative 
a 
beni 
mobili 
e 
da 
ventimila 
a 
venticinquemila 
euro 
quella 
per 
le 
cause 
di 
risarcimento 
del 
danno 
prodotto 
dalla 
circolazione 
di 
veicoli e di natanti. 


In 
conseguenza 
della 
introduzione 
del 
nuovo 
rito 
semplificato 
di 
cognizione 
(su 
cui 
v. 
infra), 
viene 
inoltre 
aggiunto 
all’art. 
40, 
comma 
3, 
c.p.c. 
in 
tema 
di 
connessione 
tra 
cause 
sottoposte 
a 
riti 
differenti, 
la 
seguente 
previsione 
di 
prevalenza 
del 
rito 
semplificato 
di 
cognizione: 
“In 
caso 
di 
connessione 
ai 
sensi 
degli 
articoli 
31, 
32, 
34, 
35 
e 
36 
tra 
causa 
sottoposta 
al 
rito 
semplificato 
di 
cognizione 
e 
causa 
sottoposta 
a 
rito 
speciale 
diverso 
da 
quello 
previsto 
dal 
primo 
periodo, 
le 
cause 
debbono 
essere 
trattate 
e 
decise 
con 
il 
rito 
semplificato 
di 
cognizione”. 


In 
tema 
di 
regolamento 
di 
competenza 
si 
segnalano 
le 
seguenti 
modifiche: 


-al 
fine 
di 
semplificare 
la 
procedura 
di 
rimessione 
dei 
fascicoli 
alla 
can

raSSeGna 
avvocatUra 
Dello 
Stato -n. 4/2022 


celleria 
della 
corte 
di 
cassazione, non è 
più previsto l’onere 
della 
parte, nei 
cinque 
giorni 
successivi 
all’ultima 
notificazione 
del 
ricorso, 
di 
chiedere 
ai 
cancellieri 
degli 
uffici 
avanti 
ai 
quali 
pendono i 
processi 
interessati 
dal 
procedimento 
di 
regolamento 
di 
competenza 
la 
rimessione 
dei 
fascicoli 
alla 
cancelleria 
della 
corte. analogamente, in caso di 
regolamento di 
competenza 
d’ufficio, viene 
eliminato l’onere 
del 
giudice 
di 
disporre 
tale 
trasmissione. la 
parte 
è 
soltanto tenuta, con la 
nuova 
formulazione 
del 
comma 
3 dell’art. 47 
c.p.c., a 
depositare 
il 
ricorso e 
i 
relativi 
documenti, nel 
termine 
perentorio di 
venti giorni dall’ultima notificazione alle altre parti; 


-conseguentemente 
viene 
modificato l’art. 48 c.p.c., nel 
senso di 
prevedere 
che 
il 
giudizio di 
merito è 
sospeso dal 
giorno in cui 
è 
depositata 
presso il 
giudice 
a quo 
copia 
del 
ricorso notificato o dell’ordinanza 
con cui 
è 
sollevato 
il regolamento di competenza d’ufficio; 
-all’art. 
49 
c.p.c. 
è 
abrogato 
il 
primo 
comma, 
che 
continuava 
a 
prevedere 
che 
la 
corte 
di 
cassazione 
dovesse 
pronunciare 
sulle 
relative 
istanze, 
entro 
venti 
giorni 
dalla 
scadenza 
del 
termine 
per il 
deposito di 
memorie 
e 
scritti 
difensivi 
assegnato alle parti. 


con 
riferimento 
al 
riparto 
di 
“competenze” 
tra 
tribunale 
in 
composizione 
monocratica 
e 
collegiale, 
si 
segnala 
che 
l’art. 
50-bis 
c.p.c., 
che 
elenca 
le 
cause 
nelle 
quali 
il 
tribunale 
giudica 
in composizione 
collegiale, viene 
modificato 
con 
l’abrogazione 
dei 
numeri 
5) 
e 
6), 
così 
devolvendosi 
al 
giudice 
monocratico 
le 
cause 
di 
impugnazione 
delle 
deliberazioni 
dell’assemblea 
e 
del 
consiglio 
di 
amministrazione, 
nonché 
quelle 
di 
responsabilità 
da 
chiunque 
promosse 
contro 
gli 
organi 
amministrativi 
e 
di 
controllo, i 
direttori 
generali, i 
dirigenti 
preposti 
alla 
redazione 
dei 
documenti 
contabili 
societari 
e 
i 
liquidatori 
delle 
società, 
delle 
mutue 
assicuratrici 
e 
società 
cooperative, delle 
associazioni 
in partecipazione 
e 
dei 
consorzi 
nonché 
le 
cause 
di 
impugnazione 
dei 
testamenti 
e 
di 
riduzione 
per lesione di legittima. 


Inoltre, per effetto della 
modifica 
dell’art. 225 c.p.c., anche 
la 
decisione 
sulla 
querela 
di 
falso non è 
più assunta 
dal 
collegio, ma 
dal 
tribunale 
in composizione 
monocratica (1). 


(1) 
Si 
segnalano, 
inoltre, 
le 
modifiche 
al 
regime 
di 
rimessione 
della 
causa 
al 
collegio 
o, 
viceversa, 
al 
Giudice 
monocratico. 
In 
particolare, 
il 
novellato 
art. 
281-septies, 
che 
regola 
la 
rimessione 
della 
causa 
al 
giudice 
monocratico, prevede 
che: 
“Il 
collegio, quando rileva che 
una causa, rimessa davanti 
a lui 
per 
la decisione, deve 
essere 
decisa dal 
tribunale 
in composizione 
monocratica, pronuncia ordinanza 
non 
impugnabile 
con 
cui 
rimette 
la 
causa 
davanti 
al 
giudice 
istruttore 
perché 
decida 
la 
causa 
quale 
giudice monocratico. la sentenza è depositata entro i successivi trenta giorni”; l’art. 281-octies 
c.p.c., 
che 
regola 
l’ipotesi 
inversa 
di 
rimessione 
della 
causa 
al 
tribunale 
in composizione 
collegiale, prevede 
invece 
che 
“Il 
giudice, quando rileva che 
una causa, riservata per 
la decisione 
davanti 
a sé 
in funzione 
di 
giudice 
monocratico, deve 
essere 
decisa dal 
tribunale 
in composizione 
collegiale, rimette 
la causa al 
collegio per 
la decisione, con ordinanza comunicata alle 
parti. entro dieci 
giorni 
dalla comunicazione, 
ciascuna parte 
può chiedere 
la fissazione 
dell’udienza di 
discussione 
davanti 
al 
collegio, e 
in questo 
caso il giudice istruttore procede ai sensi dell’articolo 275-bis”. 

temI 
IStItUzIonalI 


2.2 
Responsabilità 
processuale 
e 
obbligo 
di 
collaborazione 
delle 
parti 
e di terzi 
all’art. 96 c.p.c. viene 
aggiunto un quarto comma 
secondo cui, nei 
casi 
di 
responsabilità 
aggravata, 
come 
disciplinati 
dal 
primo, 
secondo 
e 
terzo 
comma 
di 
tale 
disposizione, 
“il 
giudice 
condanna 
altresì 
la 
parte 
al 
pagamento, 
in favore 
della cassa delle 
ammende, di 
una somma di 
denaro non inferiore 
ad euro 500 e non superiore ad euro 5.000”. 


Si 
rammenta, 
come 
già 
evidenziato 
nella 
precedente 
circolare 
n. 
74/2022, 
che 
ai 
sensi 
del 
nuovo art. 380-bis 
c.p.c., che 
introduce 
lo speciale 
procedimento 
per 
la 
decisione 
accelerata 
dei 
ricorsi 
per 
cassazione 
inammissibili, 
improcedibili 
o 
manifestamente 
infondati, 
se 
la 
corte 
definisce 
il 
giudizio 
in 
conformità 
alla 
proposta 
del 
Presidente 
(o del 
suo delegato) applica 
il 
terzo e 
il quarto comma dell’art. 96 c.p.c. 


In attuazione 
del 
principio di 
leale 
collaborazione 
fra 
parti 
e 
giudice, al 
comma 
secondo 
dell’art. 
118 
c.p.c. 
nei 
casi 
in 
cui 
una 
parte 
si 
rifiuti 
di 
eseguire 
un ordine 
di 
ispezione 
a 
persone 
o cose 
comminato dal 
giudice 
nel 
corso del-
l’istruttoria, 
viene 
prevista 
una 
sanzione 
pecuniaria, 
determinata 
in 
una 
somma 
di 
denaro non inferiore 
ad euro 500 e 
non superiore 
ad euro 3.000, da 
versarsi 
a favore della cassa delle ammende. 


all’art. 
210 
c.p.c. 
vengono 
inseriti 
due 
ultimi 
commi 
per 
rafforzare 
l’efficacia 
dell’ordine 
di 
esibizione 
del 
giudice, 
con 
disposizioni 
volte 
a 
sanzionare 
la 
mancanza 
di 
collaborazione 
all’attività 
giudiziale 
della 
parte 
e 
del 
terzo, 
in 
quanto: 


“se 
la 
parte 
non 
adempie 
senza 
giustificato 
motivo 
all’ordine 
di 
esibizione, 
il 
giudice 
la condanna a una pena pecuniaria da euro 500 a euro 3.000 
e 
può da questo comportamento desumere 
argomenti 
di 
prova a norma del-
l’articolo 116, secondo comma. 


se 
non adempie 
il 
terzo, il 
giudice 
lo condanna a una pena pecuniaria 
da euro 250 a euro 1.500”. 


Deve 
essere 
inoltre 
segnalata 
la 
modifica 
apportata 
all’art. 213 c.p.c. per 
il 
caso di 
richiesta 
d’ufficio di 
informazioni 
alla 
pubblica 
amministrazione, in 
quanto 
ora 
“l’amministrazione 
entro 
sessanta 
giorni 
dalla 
comunicazione 
del 
provvedimento 
di 
cui 
al 
primo 
comma 
trasmette 
le 
informazioni 
richieste 
o 
comunica le ragioni del diniego”. 


2.3 i principi generali 
l’art. 101 c.p.c. viene 
modificato, per rafforzare 
le 
garanzie 
processuali 
delle 
parti 
nel 
nuovo 
“modulo” 
del 
rito 
ordinario 
(a 
trattazione 
scritta 
anticipata 
rispetto alla 
prima 
udienza 
di 
comparizione, su cui 
v. infra), ovvero laddove 
vi 
sia 
necessità 
di 
ripristinare 
“la 
parità 
delle 
armi” 
nel 
nuovo 
rito 
semplificato. 
È 
stato 
quindi 
inserito 
un 
nuovo 
periodo 
nel 
secondo 
comma 
in 
forza 
del 
quale: 
«Il 
giudice 
assicura 
il 
rispetto 
del 
contraddittorio 
e, 
quando 
accerta 
che 
dalla 
sua violazione 
è 
derivata una lesione 
del 
diritto di 
difesa, adotta i 
provvedimenti 
opportuni». 



raSSeGna 
avvocatUra 
Dello 
Stato -n. 4/2022 


viene 
inoltre 
codificato 
il 
principio 
di 
sinteticità 
degli 
atti, 
già 
consolidato 
nella 
giurisprudenza 
di 
legittimità, 
in 
quanto 
l’art. 
121 
c.p.c., 
al 
primo 
comma, 
dispone 
espressamente 
che: 
«tutti 
gli 
atti 
del 
processo sono redatti 
in modo 
chiaro e sintetico». 


3. il processo ordinario di cognizione 
3.1. Gli atti introduttivi e la costituzione in giudizio delle parti 
Di 
particolare 
rilevanza 
sono 
le 
modifiche 
che 
interessano 
il 
processo 
ordinario 
di cognizione. 


anzitutto, l’art. 163 c.p.c., recante 
i 
requisiti 
dell’atto di 
citazione, viene 
così modificato: 


-dopo il 
numero 3) è 
inserito il 
seguente 
«3-bis) l’indicazione, nei 
casi 
in cui 
la domanda è 
soggetta a condizione 
di 
procedibilità, dell’assolvimento 
degli oneri previsti per il suo superamento»; 
-al 
n. 
4) 
si 
prevede 
che 
i 
fatti 
e 
gli 
elementi 
di 
diritto 
costituenti 
le 
ragioni 
della 
domanda, 
con 
le 
relative 
conclusioni 
siano 
esposti 
in 
modo 
chiaro 
e 
specifico; 


-il 
n. 7) viene 
modificato per aggiungere 
un nuovo avvertimento al 
convenuto 
(“che 
la difesa tecnica mediante 
avvocato è 
obbligatoria in tutti 
i 
giudizi 
davanti 
al 
tribunale, fatta eccezione 
per 
i 
casi 
previsti 
dall’articolo 86 o 
da 
leggi 
speciali, 
e 
che 
la 
parte, 
sussistendone 
i 
presupposti 
di 
legge, 
può 
presentare 
istanza per 
l’ammissione 
al 
patrocinio a spese 
dello stato”), nonché, 
in 
forza 
della 
necessità 
di 
operare 
il 
dovuto 
coordinamento 
fra 
le 
nuove 
disposizioni 
di 
cui 
si 
dirà 
infra, prevedendosi 
l’invito al 
convenuto a 
costituirsi 
nel termine di settanta giorni prima dell’udienza. 
viene 
invece 
eliminata 
la 
possibilità 
di 
abbreviare 
i 
termini 
per la 
costituzione 
del 
convenuto, non risultando tale 
istituto compatibile 
con la 
tempistica, 
piuttosto serrata, degli 
adempimenti 
previsti 
per il 
nuovo rito ordinario 
da 
espletarsi 
prima 
dell’udienza 
di 
cui 
all’art. 183 c.p.c. (su cui 
v. infra). Simmetricamente 
viene 
eliminata 
la 
possibilità 
di 
abbreviare 
i 
termini 
per la 
costituzione 
dell’attore. 


l’art. 
163-bis 
c.p.c. 
estende 
il 
termine 
a 
comparire 
da 
novanta 
a 
centoventi 
giorni: 
tale 
intervento ha 
l’obiettivo di 
consentire 
lo svolgimento della 
trattazione 
scritta 
antecedentemente 
all’udienza 
di 
prima 
comparizione, 
assicurando 
tempi 
congrui 
per 
l’elaborazione 
delle 
memorie 
integrative 
di 
cui 
al 
nuovo 
art. 
171-ter 
c.p.c., e 
così 
consentire 
la 
piena 
definizione 
del 
thema decidendum 
e 
probandum 
prima dell’udienza di cui all’art. 183 c.p.c. 


con 
riferimento 
alla 
costituzione 
del 
convenuto, 
il 
novellato 
art. 
166 
c.p.c. 
prevede 
che 
il 
convenuto debba 
costituirsi 
a 
mezzo del 
procuratore, o personalmente 
nei 
casi 
consentiti 
dalla 
legge, 
almeno 
settanta 
giorni 
(e 
non 
più 
venti) prima 
dell’udienza 
di 
comparizione 
fissata 
nell’atto di 
citazione, e 
ciò 
tenuto conto del 
nuovo termine 
a 
comparire 
e 
della 
nuova 
struttura 
della 
fase 
introduttiva, che 
prevede 
che 
dopo la 
costituzione 
del 
convenuto, ma 
sempre 



temI 
IStItUzIonalI 


anteriormente 
all’udienza, 
debba 
avvenire 
anche 
lo 
scambio 
delle 
memorie 
integrative tra le parti. 


all’art. 171 c.p.c., che 
disciplina 
la 
ritardata 
costituzione 
delle 
parti, al 
secondo 
comma 
viene 
eliminato 
l’inciso 
che 
consente, 
nel 
caso 
in 
cui 
una 
parte 
si 
sia 
costituita 
nei 
termini 
per essa 
stabiliti 
dalla 
legge, alla 
controparte 
di costituirsi successivamente “fino alla prima udienza”. 


Invero, per consentire 
le 
verifiche 
preliminari 
del 
giudice 
anteriormente 
all’udienza 
e 
alla 
fissazione 
dei 
termini 
per le 
memorie 
di 
cui 
all’art. 171-ter 
c.p.c., 
il 
termine 
per 
la 
costituzione 
del 
convenuto 
deve 
essere 
necessariamente 
fissato in quello tempestivo di 
cui 
all’art. 166 c.p.c.; 
il 
tutto tenendo peraltro 
conto anche 
della 
previsione 
di 
cui 
all’art. 291 c.p.c., che 
disciplina 
la 
dichiarazione 
di 
contumacia 
del 
convenuto e 
che 
contiene 
una 
modifica 
necessaria 
per 
l’adeguamento 
alla 
disciplina 
della 
nuova 
fase 
introduttiva, 
disponendo 
ora 
nel 
secondo comma 
che 
se 
il 
convenuto non si 
costituisce 
neppure 
anteriormente 
alla 
pronuncia 
dell’eventuale 
decreto di 
differimento dell’udienza 
di 
cui 
all’art. 171-bis, comma 
2, c.p.c. il 
giudice 
provvede 
alla 
sua 
dichiarazione 
di contumacia (a norma dell’art. 171, ultimo comma, c.p.c.). 


nulla 
vieta, 
in 
ogni 
caso, 
al 
convenuto 
di 
costituirsi 
anche 
successivamente, 
ma 
nella 
consapevolezza 
di 
dover accettare 
il 
processo in statu et 
terminis, 
ferme 
restando 
le 
decadenze 
ormai 
maturate, 
e 
salve 
naturalmente 
le 
ipotesi di possibile rimessione in termini. 


Per 
analoghe 
ragioni 
il 
terzo 
comma 
dell’art. 
171 
c.p.c. 
precisa 
che 
in 
caso 
di 
costituzione 
dopo 
il 
termine 
di 
cui 
all’art. 
166 
la 
parte 
è 
dichiarata 
contumace 
con 
ordinanza 
del 
giudice 
istruttore 
(la 
verifica 
è 
tra 
quelle 
preliminari 
di cui all’art. 171-bis 
c.p.c.). 


Dalla 
riferita 
disciplina 
si 
desume 
dunque 
che, laddove 
il 
contraddittorio 
sia 
stato correttamente 
instaurato, il 
convenuto è 
tenuto sempre 
a 
costituirsi 
settanta 
giorni 
prima 
dell’udienza 
di 
citazione, dovendo altrimenti 
il 
giudice 
procedere alla sua dichiarazione di contumacia. 


3.2. le verifiche preliminari e la trattazione scritta anticipata 
Il 
nuovo art. 171-bis 
c.p.c. costituisce 
la 
norma 
fondamentale 
nel 
quadro 
della 
nuova 
fase 
introduttiva 
e 
disciplina 
le 
verifiche 
preliminari 
che 
il 
giudice 
è chiamato a svolgere prima dell’udienza. Se ne riporta di seguito il testo: 


«scaduto 
il 
termine 
di 
cui 
all’articolo 
166, 
il 
giudice 
istruttore, 
entro 
i 
successivi 
quindici 
giorni, 
verificata 
d’ufficio 
la 
regolarità 
del 
contraddittorio, 
pronuncia, 
quando 
occorre, 
i 
provvedimenti 
previsti 
dagli 
articoli 
102, 
secondo 
comma, 
107, 
164, 
secondo, 
terzo, 
quinto 
e 
sesto 
comma, 
167, 
secondo 
e 
terzo 
comma, 
171, 
terzo 
comma, 
182, 
269, 
secondo 
comma, 
291 
e 
292, 
e 
indica 
alle 
parti 
le 
questioni 
rilevabili 
d’ufficio 
di 
cui 
ritiene 
opportuna 
la 
trattazione, 
anche 
con 
riguardo 
alle 
condizioni 
di 
procedibilità 
della 
domanda 
e 
alla 
sussistenza 
dei 
presupposti 
per 
procedere 
con 
rito 
semplificato. 
tali 
questioni 
sono 
trattate 
dalle 
parti 
nelle 
memorie 
integrative 
di 
cui 
all’articolo 
171-ter. 



raSSeGna 
avvocatUra 
Dello 
Stato -n. 4/2022 


quando pronuncia i 
provvedimenti 
di 
cui 
al 
primo comma, il 
giudice, se 
necessario, 
fissa 
la 
nuova 
udienza 
per 
la 
comparizione 
delle 
parti, 
rispetto 
alla quale decorrono i termini indicati dall’articolo 171-ter. 


se 
non provvede 
ai 
sensi 
del 
secondo comma, conferma o differisce, fino 
ad un massimo di 
quarantacinque 
giorni 
la data della prima udienza rispetto 
alla quale decorrono i termini indicati dall’articolo 171-ter. 


Il decreto è comunicato alle parti costituite a cura della cancelleria”. 


In sostanza, scaduto il 
termine 
di 
cui 
all’art. 166 per la 
costituzione 
del 
convenuto, 
il 
giudice 
istruttore 
deve 
comunque 
procedere 
entro 
un 
termine 
ravvicinato (i 
successivi 
quindici 
giorni) a 
tutte 
le 
verifiche 
d’ufficio che, nel 
loro 
insieme, 
sono 
funzionali 
ad 
assicurare 
la 
regolarità 
del 
contraddittorio 
(ossia: 
disporre 
l’ordine 
di 
integrazione 
del 
contraddittorio 
nel 
caso 
di 
litisconsorte 
necessario 
pretermesso, 
chiamare 
in 
causa 
un 
terzo 
o 
autorizzare 
la 
chiamata 
in 
causa 
del 
terzo 
su 
istanza 
del 
convenuto 
contenuta 
in 
comparsa, 
dichiarare 
la 
nullità 
dell’atto di 
citazione 
e 
disporre 
le 
relative 
sanatorie, dichiarare 
la 
nullità 
della 
comparsa 
di 
risposta, 
dichiarare 
la 
contumacia 
nonché 
il difetto di rappresentanza, assistenza, autorizzazione). 


È 
poi 
stabilito 
che 
quando 
pronuncia 
i 
provvedimenti 
sopra 
indicati 
il 
giudice, 
se 
necessario, fissa 
la 
nuova 
udienza 
per la 
comparizione 
delle 
parti, rispetto 
alla 
quale 
decorrono 
i 
termini 
indicati 
all’art. 
171-ter 
c.p.c. 
per 
le 
memorie integrative. 


È 
in 
ogni 
caso 
previsto 
che 
il 
giudice, 
anche 
se 
non 
provvede 
come 
sopra, 
possa 
confermare 
o 
anche 
differire, 
fino 
ad 
un 
massimo 
di 
quarantacinque 
giorni, 
la 
data 
della 
prima 
udienza. 
In 
tal 
caso, 
fermo 
restando 
che 
la 
costituzione 
del 
convenuto 
dovrà 
comunque 
essere 
stata 
effettuata 
nel 
rispetto 
del 
termine 
di 
settanta 
giorni 
prima 
dell’udienza 
indicata 
in 
citazione, 
i 
termini 
per 
le 
memorie 
di 
cui 
all’art. 
171-ter 
c.p.c. 
decorreranno 
invece 
dalla 
data 
della 
nuova 
udienza. 


l’art. 
171-ter 
c.p.c. 
disciplina 
le 
memorie 
integrative 
che 
le 
parti 
possono 
depositare 
una 
volta 
avvenute 
le 
verifiche 
preventive 
del 
giudice 
e 
sempre 
prima dell’udienza, così disponendo: 


“le parti, a pena di decadenza, con memorie integrative possono: 


1) 
almeno 
quaranta 
giorni 
prima 
dell’udienza 
di 
cui 
all’articolo 
183, 
proporre 
le 
domande 
e 
le 
eccezioni 
che 
sono conseguenza della domanda riconvenzionale 
o delle 
eccezioni 
proposte 
dal 
convenuto o dal 
terzo, nonché 
precisare 
o modificare 
le 
domande, eccezioni 
e 
conclusioni 
già proposte. con 
la stessa memoria l’attore 
può chiedere 
di 
essere 
autorizzato a chiamare 
in 
causa 
un 
terzo, 
se 
l’esigenza 
è 
sorta 
a 
seguito 
delle 
difese 
svolte 
dal 
convenuto 
nella comparsa di risposta; 
2) 
almeno 
venti 
giorni 
prima 
dell’udienza, 
replicare 
alle 
domande 
e 
alle 
eccezioni 
nuove 
o 
modificate 
dalle 
altre 
parti, 
proporre 
le 
eccezioni 
che 
sono 
conseguenza 
delle 
domande 
nuove 
da 
queste 
formulate 
nella 
memoria 
di 
cui 
al 
numero 
1), 
nonché 
indicare 
i 
mezzi 
di 
prova 
ed 
effettuare 
le 
produzioni 
documentali; 

temI 
IStItUzIonalI 


3) 
almeno 
dieci 
giorni 
prima 
dell’udienza, 
replicare 
alle 
eccezioni 
nuove 
e indicare la prova contraria». 
In sostanza, si 
tratta 
delle 
stesse 
tre 
memorie 
oggi 
contemplate 
dall’art. 
183, sesto comma, c.p.c., ma 
dopo la 
prima 
udienza, che 
vengono invece 
anticipate 
per consentire 
che 
all’udienza 
il 
tema 
di 
causa 
sia 
perfettamente 
delineato 
e 
possano 
essere 
assunte 
le 
determinazioni 
più 
opportune 
circa 
la 
direzione da imprimere al giudizio. 


3.3. l’udienza di prima comparizione e la costituzione del terzo 
l’art. 
183 
c.p.c., 
disciplinante 
la 
prima 
udienza 
di 
comparizione 
delle 
parti e trattazione della causa, è sostituito dal seguente: 


“all’udienza fissata per 
la prima comparizione 
e 
la trattazione 
le 
parti 
devono 
comparire 
personalmente. 
la 
mancata 
comparizione 
delle 
parti 
senza 
giustificato 
motivo 
costituisce 
comportamento 
valutabile 
ai 
sensi 
dell’articolo 
116, secondo comma. 


salva l’applicazione 
dell’articolo 187, il 
giudice, se 
autorizza l’attore 
a 
chiamare 
in 
causa 
un 
terzo, 
fissa 
una 
nuova 
udienza 
a 
norma 
dell’articolo 
269, terzo comma. 


Il 
giudice 
interroga 
liberamente 
le 
parti, 
richiedendo, 
sulla 
base 
dei 
fatti 
allegati, 
i 
chiarimenti 
necessari 
e 
tenta 
la 
conciliazione 
a 
norma 
dell’articolo 
185. 


se 
non provvede 
ai 
sensi 
del 
secondo comma il 
giudice 
provvede 
sulle 
richieste 
istruttorie 
e, 
tenuto 
conto 
della 
natura, 
dell’urgenza 
e 
della 
complessità 
della 
causa, 
predispone, 
con 
ordinanza, 
il 
calendario 
delle 
udienze 
successive 
sino 
a 
quella 
di 
rimessione 
della 
causa 
in 
decisione, 
indicando 
gli 
incombenti 
che 
verranno 
espletati 
in 
ciascuna 
di 
esse. 
l’udienza 
per 
l’assunzione 
dei 
mezzi 
di 
prova ammessi 
è 
fissata entro novanta giorni. se 
l’ordinanza di 
cui 
al 
primo 
periodo 
è 
emanata 
fuori 
udienza, 
deve 
essere 
pronunciata 
entro 
trenta giorni. 


se 
con 
l’ordinanza 
di 
cui 
al 
quarto 
comma 
vengono 
disposti 
d’ufficio 
mezzi 
di 
prova, ciascuna parte 
può dedurre, entro un termine 
perentorio assegnato 
dal 
giudice 
con la medesima ordinanza, i 
mezzi 
di 
prova che 
si 
rendono 
necessari 
in relazione 
ai 
primi, nonché 
depositare 
memoria di 
replica 
nell’ulteriore 
termine 
perentorio parimenti 
assegnato dal 
giudice, che 
si 
riserva 
di provvedere a norma del quarto comma ultimo periodo”. 


viene 
novellato 
altresì 
l’art. 
183-bis 
c.p.c. 
(“Passaggio 
dal 
rito 
ordinario 
al 
rito semplificato di 
cognizione”) per effetto della 
nuova 
configurazione 
del 
rito semplificato di cognizione (su cui v. infra): 


«all’udienza di 
trattazione 
il 
giudice, valutata la complessità della lite 
e 
dell’istruzione 
probatoria e 
sentite 
le 
parti, se 
rileva che 
in relazione 
a tutte 
le 
domande 
proposte 
ricorrono i 
presupposti 
di 
cui 
al 
primo comma dell’articolo 
281-decies, 
dispone 
con 
ordinanza 
non 
impugnabile 
la 
prosecuzione 
del 
processo 
nelle 
forme 
del 
rito 
semplificato 
e 
si 
applica 
il 
comma 
quinto 
dell’articolo 281-duodecies», 



raSSeGna 
avvocatUra 
Dello 
Stato -n. 4/2022 


l’art. 
184 
c.p.c. 
viene 
invece 
abrogato 
in 
quanto 
non 
più 
compatibile 
con 
le 
nuove 
previsioni 
dell’art. 183 c.p.c. che 
dispone 
che 
il 
giudice 
provveda 
in 
udienza 
sulle 
richieste 
istruttorie 
con facoltà 
di 
riservare 
ad un momento successivo 
fuori 
udienza 
la 
decisione 
sui 
mezzi 
di 
prova, 
ma 
l’ordinanza 
deve 
essere 
pronunciata entro i successivi trenta giorni. 


l’art. 185-bis 
c.p.c. prevede 
ora 
che 
la 
proposta 
transattiva 
o conciliativa 
possa 
essere 
formulata 
dal 
giudice 
fino al 
momento in cui 
fissa 
l’udienza 
di 
rimessione della causa in decisione. 


Sono 
inoltre 
modificate 
le 
modalità 
di 
costituzione 
del 
terzo 
interveniente 
previste 
dall’art. 267 c.p.c. al 
primo comma 
è 
infatti 
soppressa 
la 
possibilità 
per 
il 
terzo 
di 
costituirsi 
in 
udienza; 
la 
costituzione 
del 
terzo 
interveniente 
potrà, quindi, soltanto avvenire 
con il 
deposito di 
una 
comparsa, a 
norma 
del-
l’art. 167 c.p.c., prevedendosi 
altresì 
(nuovo art. 268 c.p.c.) che 
l’intervento 
possa 
avere 
luogo sino al 
momento in cui 
il 
giudice 
fissa 
l’udienza 
di 
rimessione 
della 
causa 
in decisione 
(consistendo ormai 
la 
precisazione 
delle 
conclusioni, 
come si dirà, in un mero scambio di memorie tra le parti). 


In ordine 
alla 
chiamata 
in causa 
del 
terzo, si 
segnala 
che 
l’art. 269 c.p.c. 
viene 
modificato 
per 
conformarlo 
alle 
nuove 
disposizioni 
dell’art. 
171-bis 


c.p.c. 
ove 
è 
previsto 
-come 
ricordato 
-che 
fuori 
udienza, 
entro 
quindici 
giorni 
dalla 
scadenza 
del 
termine 
per la 
costituzione 
del 
convenuto, il 
giudice 
debba 
verificare 
d’ufficio 
la 
regolare 
instaurazione 
del 
contraddittorio 
e 
pronunciare, 
quando 
occorre, 
i 
provvedimenti 
opportuni 
e 
tipizzati, 
fra 
i 
quali 
rientra 
anche 
la 
fissazione 
di 
nuova 
udienza 
al 
fine 
di 
consentire 
al 
convenuto di 
effettuare 
la 
citazione 
del 
terzo nel 
rispetto dei 
termini 
dell’art. 163-bis 
c.p.c. l’attore 
potrà 
invece 
chiedere 
l’autorizzazione 
a 
chiamare 
in causa 
un terzo ove, a 
seguito 
delle 
difese 
svolte 
dal 
convenuto nella 
comparsa 
di 
risposta, sia 
sorto il 
relativo interesse: 
tale 
adempimento deve 
essere 
effettuato nella 
memoria 
di 
cui all’art. 171-ter, comma primo, n. 1, c.p.c. 
3.4. la possibile definizione con ordinanza della controversia 
Di 
particolare 
rilievo è 
l’introduzione 
di 
un nuovo strumento definitorio 
della 
lite 
nell’ambito 
delle 
controversie 
aventi 
ad 
oggetto 
diritti 
disponibili, 
ovverosia 
un provvedimento provvisorio ma 
con efficacia 
esecutiva. Il 
nuovo 
art. 
183-ter 
c.p.c. 
disciplina, 
infatti, 
l’“ordinanza 
di 
accoglimento 
della 
domanda” 
e prevede che: 


«nelle 
controversie 
di 
competenza del 
tribunale 
aventi 
ad oggetto diritti 
disponibili 
il 
giudice, 
su 
istanza 
di 
parte, 
nel 
corso 
del 
giudizio 
di 
primo 
grado 
può pronunciare 
ordinanza di 
accoglimento della domanda quando i 
fatti 
costitutivi 
sono provati 
e 
le 
difese 
della controparte 
appaiono manifestamente 
infondate. 


In caso di 
pluralità di 
domande 
l’ordinanza può essere 
pronunciata solo 
se tali presupposti ricorrono per tutte. 


l’ordinanza 
di 
accoglimento 
è 
provvisoriamente 
esecutiva, 
è 
reclamabile 



temI 
IStItUzIonalI 


ai 
sensi 
dell’articolo 
669-terdecies 
e 
non 
acquista 
efficacia 
di 
giudicato 
ai 
sensi 
dell’articolo 
2909 
del 
codice 
civile, 
né 
la 
sua 
autorità 
può 
essere 
invocata 
in 
altri 
processi. 
con 
la 
stessa 
ordinanza 
il 
giudice 
liquida 
le 
spese 
di 
lite. 


l’ordinanza di 
cui 
al 
secondo comma, se 
non è 
reclamata o se 
il 
reclamo 
è respinto, definisce il giudizio e non è ulteriormente impugnabile. 

In caso di 
accoglimento del 
reclamo, il 
giudizio prosegue 
innanzi 
a un 
magistrato diverso da quello che ha emesso l’ordinanza reclamata”. 


Specularmente, per contrastare 
ab origine 
domande 
manifestamente 
infondate 
o inammissibili 
ed evitare 
il 
prosieguo del 
giudizio, l’art. 183-quater 


c.p.c. disciplina l’ “ordinanza di rigetto della domanda”, disponendo che: 
“nelle 
controversie 
di 
competenza 
del 
tribunale 
che 
hanno 
ad 
oggetto 
diritti 
disponibili, il 
giudice, su istanza di 
parte, nel 
corso del 
giudizio di 
primo 
grado, 
all’esito 
dell’udienza 
di 
cui 
all’articolo 
183, 
può 
pronunciare 
ordinanza 
di 
rigetto della domanda quando questa è 
manifestamente 
infondata, 
ovvero se 
è 
omesso o risulta assolutamente 
incerto il 
requisito di 
cui 
all’articolo 
163, terzo comma, n. 3), e 
la nullità non è 
stata sanata o se, emesso l’ordine 
di 
rinnovazione 
della 
citazione 
o 
di 
integrazione 
della 
domanda, 
persiste 
la mancanza dell’esposizione 
dei 
fatti 
di 
cui 
al 
numero 4), terzo comma del 
predetto articolo 163. In caso di 
pluralità di 
domande 
l’ordinanza può essere 
pronunciata solo se tali presupposti ricorrano per tutte. 


l’ordinanza 
che 
accoglie 
l’istanza 
di 
cui 
al 
primo 
comma 
è 
reclamabile 
ai 
sensi 
dell’articolo 
669-terdecies 
e 
non 
acquista 
efficacia 
di 
giudicato 
ai 
sensi 
dell’articolo 
2909 
del 
codice 
civile, 
né 
la 
sua 
autorità 
può 
essere 
invocata 
in 
altri 
processi. 
con 
la 
stessa 
ordinanza 
il 
giudice 
liquida 
le 
spese 
di 
lite. 


l’ordinanza di 
cui 
al 
secondo comma, se 
non è 
reclamata o se 
il 
reclamo 
è respinto, definisce il giudizio e non è ulteriormente impugnabile. 
In caso di 
accoglimento del 
reclamo, il 
giudizio prosegue 
davanti 
a un 
magistrato diverso da quello che ha emesso l’ordinanza reclamata”. 


3.5 la fase decisoria 
la 
fase 
decisoria 
per le 
cause 
in cui 
il 
tribunale 
giudica 
in composizione 
collegiale, può svolgersi secondo una delle seguenti modalità: 


a) Trattazione scritta 
Il 
novellato art. 189 c.p.c. prevede 
che 
sia 
fissata 
un’udienza, detta 
di 
rimessione 
della 
causa 
al 
collegio 
per 
la 
decisione, 
rispetto 
alla 
quale 
decorrono, 
a 
ritroso tre 
termini 
(sessanta, trenta 
e 
quindici 
giorni), rispettivamente 
per la 
precisazione 
delle 
conclusioni, per il 
deposito delle 
conclusionali 
e 
delle 
memorie 
di 
replica. 
tali 
termini 
possono 
essere 
oggetto 
di 
rinuncia 
ad 
opera 
delle 
parti. 
In 
tal 
caso 
il 
giudice 
può 
immediatamente 
trattenere 
la 
causa 
in 
decisione. 
Si 
precisa 
sin 
da 
subito 
che 
tale 
modello 
di 
fase 
decisoria 
è 
stato 
attuato 
anche per l’appello (su cui v. infra). 


l’inserimento, 
nell’articolo 
189 
dei 
termini 
di 
deposito 
degli 
scritti 
difensivi 
finali ha comportato poi l’abrogazione dell’art. 190 c.p.c. 



raSSeGna 
avvocatUra 
Dello 
Stato -n. 4/2022 


Si riporta di seguito il testo del nuovo art. 189 c.p.c.: 


“Il 
giudice 
istruttore, quando procede 
a norma dei 
primi 
tre 
commi 
del-
l’articolo 187 o dell’articolo 188, fissa davanti 
a sé 
l’udienza per 
la rimessione 
della causa al 
collegio per 
la decisione 
e 
assegna alle 
parti, salvo che 
queste vi rinuncino, i seguenti termini perentori: 


1) un termine 
non superiore 
a sessanta giorni 
prima dell’udienza per 
il 
deposito di 
note 
scritte 
contenenti 
la sola precisazione 
delle 
conclusioni 
che 
le 
parti 
intendono sottoporre 
al 
collegio, nei 
limiti 
di 
quelle 
formulate 
negli 
atti 
introduttivi 
o a norma dell’articolo 171-ter. le 
conclusioni 
di 
merito debbono 
essere 
interamente 
formulate 
anche 
nei 
casi 
previsti 
dell’articolo 187, 
secondo e terzo comma. 
2) 
un termine 
non superiore 
a trenta giorni 
prima dell’udienza per 
il 
deposito 
delle comparse conclusionali; 
3) 
un termine 
non superiore 
a quindici 
giorni 
prima dell’udienza per 
il 
deposito delle memorie di replica. 
la rimessione 
investe 
il 
collegio di 
tutta la causa, anche 
quando avviene 
a norma dell’articolo 187, secondo e terzo comma. 
all’udienza fissata ai 
sensi 
del 
primo comma la causa è 
rimessa al 
collegio 
per la decisione”. 
a 
questo 
punto, 
si 
prevede 
che 
la 
causa 
sia 
trattenuta 
in 
decisione 
e 
il 
collegio 
depositi 
la 
sentenza 
nei 
sessanta 
giorni 
successivi 
all’udienza 
di 
cui 
all’art. 
189 c.p.c. (art. 275 c.p.c.). 


b) 
Trattazione mista 
È 
disciplinata 
dai 
novellati 
secondo e 
terzo comma 
dell’art. 275 c.p.c. In 
particolare, il 
comma 
secondo prevede 
che 
le 
parti 
possano chiedere, con la 
nota 
di 
precisazione 
delle 
conclusioni, 
al 
presidente 
del 
tribunale, 
che 
la 
causa 
sia discussa oralmente davanti al collegio. 


In tal 
caso il 
presidente 
revoca 
l’udienza 
fissata 
dal 
giudice 
istruttore 
per 
la 
rimessione 
della 
causa 
in decisione 
e 
fissa 
un’udienza 
davanti 
al 
collegio 
nella 
quale 
le 
parti 
discutono oralmente, senza 
deposito delle 
note 
di 
replica. 
la sentenza è depositata nei successivi sessanta giorni. 


c) 
Trattazione orale 
l’art. 275-bis 
c.p.c. disciplina 
la 
decisione 
a 
seguito di 
discussione 
orale 
davanti 
al 
collegio, prevedendo che 
il 
giudice 
istruttore, quando ritiene 
che 
la 
causa 
possa 
essere 
decisa 
a 
seguito di 
discussione 
orale, fissa 
udienza 
davanti 
al 
collegio e 
assegna 
alle 
parti 
termine, anteriore 
all’udienza, non superiore 
a 
trenta 
giorni 
per 
il 
deposito 
di 
note 
limitate 
alla 
precisazione 
delle 
conclusioni 
e un ulteriore termine non superiore a quindici giorni per note conclusionali. 


Il 
secondo 
comma 
prevede 
poi 
che 
all’udienza 
il 
giudice 
istruttore 
fa 
la 
relazione 
orale 
della 
causa 
e 
il 
presidente 
ammette 
le 
parti 
alla 
discussione 
e 
che 
all’esito 
della 
discussione 
il 
collegio 
pronuncia 
sentenza 
dando 
lettura 
del 
dispositivo 
e 
della 
concisa 
esposizione 
delle 
ragioni 
di 
fatto 
e 
di 
diritto 
della 
decisione. 



temI 
IStItUzIonalI 


Il 
terzo comma 
prevede 
poi 
che 
in tal 
caso, la 
sentenza 
si 
intende 
pubblicata 
con la 
sottoscrizione 
da 
parte 
del 
presidente 
del 
verbale 
che 
la 
contiene 
ed è immediatamente depositata in cancelleria. 


Infine, 
la 
norma 
prevede 
che 
se 
non 
provvede 
ai 
sensi 
del 
secondo 
comma, il collegio deposita la sentenza nei successivi sessanta giorni. 


*** 


nelle 
cause 
in 
cui 
il 
tribunale 
giudica 
in 
composizione 
monocratica, 
la 
fase decisoria può svolgersi secondo una delle seguenti modalità: 


a) 
l’art. 
281-quinquies 
c.p.c. 
al 
primo 
comma 
prevede 
la 
trattazione 
scritta, ossia 
che 
il 
giudice 
istruttore 
fissa 
l’udienza 
in cui 
la 
causa 
è 
trattenuta 
in decisione, rispetto alla 
quale 
decorrono i 
termini 
a 
ritroso, per il 
deposito 
degli 
scritti 
difensivi 
finali 
previsti 
dall’articolo 189 (rispettivamente 
di 
sessanta, 
trenta e quindici giorni); 
b) 
l’art. 281-quinquies 
c.p.c. al 
secondo comma 
disciplina 
la 
trattazione 
mista 
della 
fase 
decisoria, con facoltà 
della 
parte 
di 
farne 
istanza 
e 
con assegnazione 
dei 
soli 
termini 
per 
le 
conclusionali 
e 
discussione 
orale 
davanti 
al 
giudice, senza 
deposito di 
memorie 
di 
replica. Il 
termine 
per il 
deposito della 
sentenza è di trenta giorni. 
c) 
nel 
caso 
di 
trattazione 
interamente 
orale 
(in 
cui 
la 
discussione 
orale 
sostituisce 
integralmente 
il 
deposito degli 
scritti 
conclusionali) viene 
inserito 
un terzo comma 
all’art. 281-sexies 
c.p.c. al 
fine 
di 
prevedere 
che 
il 
giudice, in 
alternativa 
alla 
lettura 
contestuale 
della 
sentenza 
e 
del 
dispositivo ai 
sensi 
dei 
primi 
due 
commi, 
possa 
riservare 
il 
deposito 
della 
sentenza 
nei 
successivi 
trenta giorni. 
*** 


4. il procedimento semplificato di cognizione 
viene 
inserito 
un 
apposito 
capo 
del 
libro 
II 
del 
codice 
di 
procedura 
civile, 
artt. da 
281-decies 
a 
281-terdecies, contenente 
la 
disciplina 
del 
nuovo procedimento 
semplificato di 
cognizione 
destinato a 
sostituire 
il 
vigente 
rito sommario 
di 
cognizione 
di 
cui 
agli 
artt. 
702 
bis 
e 
seguenti, 
che 
viene 
quindi 
abrogato. 


nel 
delineare 
la 
struttura 
del 
rito semplificato vengono comunque 
mantenute 
le 
principali 
caratteristiche 
di 
concentrazione 
e 
snellezza 
proprie 
del 
rito 
sommario, 
in 
quanto 
compatibili 
con 
la 
sua 
natura 
di 
giudizio 
a 
cognizione 
piena. 


all’art. 281-decies 
c.p.c. viene 
definito l’ambito di 
applicazione 
del 
rito 
semplificato. 
Il 
primo 
comma 
indica 
quali 
caratteristiche 
devono 
avere 
le 
cause 
per essere obbligatoriamente trattate con il rito semplificato. 


In 
sostanza, 
nella 
quadruplice 
possibile 
formulazione 
prevista 
dalla 
norma 
(“quando i 
fatti 
di 
causa non sono controversi, oppure 
quando la domanda è 
fondata 
su 
prova 
documentale, 
o 
è 
di 
pronta 
soluzione 
o 
richiede 
un’istruzione 
non 
complessa”) 
si 
prevede 
che 
si 
tratti 
di 
cause, 
anche 
riservate 
alla 
decisione 



raSSeGna 
avvocatUra 
Dello 
Stato -n. 4/2022 


del 
tribunale 
collegiale, per le 
quali 
è 
prevedibile 
un’istruttoria 
non articolata 
e 
complessa. 
Il 
secondo 
comma 
prevede 
che 
il 
rito 
semplificato 
possa 
però 
essere 
adottato, a 
scelta 
della 
parte, in tutte 
le 
cause 
nelle 
quali 
il 
tribunale 
giudica 
in composizione 
monocratica 
(“nelle 
cause 
in cui 
il 
tribunale 
giudica in 
composizione 
monocratica 
la 
domanda 
può 
sempre 
essere 
proposta 
nelle 
forme del procedimento semplificato”). 


l’art. 281-undecies 
c.p.c. è 
dedicato alla 
forma 
della 
domanda 
e 
costituzione 
delle parti, prevedendo che: 


“la domanda si 
propone 
con ricorso, sottoscritto a norma dell’articolo 
125, che 
deve 
contenere 
le 
indicazioni 
di 
cui 
ai 
numeri 
1), 2), 3), 3-bis), 4), 
5), 6) e 
l’avvertimento di 
cui 
al 
numero 7) del 
terzo comma dell’articolo 163. 


Il 
giudice, 
entro 
cinque 
giorni 
dalla 
designazione, 
fissa 
con 
decreto 
l’udienza 
di 
comparizione 
delle 
parti 
assegnando 
il 
termine 
per 
la 
costituzione 
del 
convenuto, che 
deve 
avvenire 
non oltre 
dieci 
giorni 
prima dell’udienza. Il 
ricorso, 
unitamente 
al 
decreto 
di 
fissazione 
dell’udienza, 
deve 
essere 
notificato 
al 
convenuto a cura dell’attore. tra il 
giorno della notificazione 
del 
ricorso e 
quello dell’udienza di 
comparizione 
debbono intercorrere 
termini 
liberi 
non 
minori 
di 
quaranta giorni 
se 
il 
luogo della notificazione 
si 
trova in Italia e 
di 
sessanta giorni se si trova all’estero. 


Il 
convenuto si 
costituisce 
mediante 
deposito della comparsa di 
risposta, 
nella quale 
deve 
proporre 
le 
sue 
difese 
e 
prendere 
posizione 
in modo chiaro e 
specifico 
sui 
fatti 
posti 
dall’attore 
a 
fondamento 
della 
domanda, 
indicare 
i 
mezzi 
di 
prova di 
cui 
intende 
avvalersi 
e 
i 
documenti 
che 
offre 
in comunicazione, 
nonché 
formulare 
le 
conclusioni. a 
pena di 
decadenza deve 
proporre 
le 
eventuali 
domande 
riconvenzionali 
e 
le 
eccezioni 
processuali 
e 
di 
merito 
che non sono rilevabili d’ufficio. 


se 
il 
convenuto 
intende 
chiamare 
un 
terzo 
deve, 
a 
pena 
di 
decadenza, 
farne 
dichiarazione 
nella comparsa di 
costituzione 
e 
chiedere 
lo spostamento 
dell’udienza. Il 
giudice, con decreto comunicato dal 
cancelliere 
alle 
parti 
costituite, 
fissa la data della nuova udienza assegnando un termine 
perentorio 
per 
la 
citazione 
del 
terzo. 
la 
costituzione 
del 
terzo 
in 
giudizio 
avviene 
a 
norma 
del terzo comma”. 


l’art. 
281-duodecies 
c.p.c. 
disciplina 
il 
procedimento 
dopo 
la 
costituzione 
del contraddittorio e la fissazione dell’udienza 
(2). 


(2) 
l’art. 
281-duodecies 
così 
dispone: 
“alla 
prima 
udienza 
il 
giudice 
se 
rileva 
che 
per 
la 
domanda 
principale 
o per 
la domanda riconvenzionale 
non ricorrono i 
presupposti 
di 
cui 
al 
primo comma del-
l’articolo 
281-decies, 
dispone 
con 
ordinanza 
non 
impugnabile 
la 
prosecuzione 
del 
processo 
nelle 
forme 
del 
rito ordinario fissando l’udienza di 
cui 
all’articolo 183, rispetto alla quale 
decorrono i 
termini 
previsti 
dall’articolo 171-ter. nello stesso modo procede 
quando, valutata la complessità della lite 
e 
del-
l’istruzione probatoria, ritiene che la causa debba essere trattata con il rito ordinario. 
entro 
la 
stessa 
udienza 
l’attore 
può 
chiedere 
di 
essere 
autorizzato 
a 
chiamare 
in 
causa 
un 
terzo, 
se 
l’esigenza 
è 
sorta dalle 
difese 
del 
convenuto. Il 
giudice, se 
lo autorizza, fissa la data della nuova udienza 

temI 
IStItUzIonalI 


l’art. 281-terdecies 
c.p.c. disciplina, infine, la 
fase 
decisoria 
del 
procedimento 
semplificato 
di 
cognizione 
che 
deve 
concludersi 
con 
sentenza. 
Si 
prevede 
l’applicazione 
dell’art. 281-sexies 
c.p.c. per le 
cause 
in cui 
il 
tribunale 
giudica 
in composizione 
monocratica 
e 
dell’art. 275-bis 
c.p.c. per le 
cause 
in 
cui 
il 
tribunale 
giudica 
in composizione 
collegiale 
(ossia 
lo svolgimento della 
fase decisoria nelle forme della trattazione orale). 


Si 
segnala 
che 
non 
vi 
è 
una 
norma 
specifica 
sull’appello, 
come 
sino 
ad 
oggi 
previsto 
dall’art. 
702-quater 
c.p.c. 
per 
l’abrogato 
rito 
sommario 
di 
cognizione, 
in 
quanto 
si 
dispone 
che 
“la 
sentenza 
è 
impugnabile 
nei 
modi 
ordinari”. 


*** 


5. Procedimento davanti al Giudice di pace 
5.1 Disciplina transitoria 
le 
disposizioni 
riguardanti 
il 
procedimento dinanzi 
al 
Giudice 
di 
pace, 
in 
forza 
della 
generale 
previsione 
di 
cui 
all’art. 
35 
comma 
1 
del 
D.lgs. 
149/2022, 
hanno 
effetto 
a 
decorrere 
dal 
28 
febbraio 
2023 
e 
si 
applicano 
ai 
procedimenti 
instaurati 
successivamente 
a 
tale 
data. 
ai 
procedimenti 
pendenti 
alla 
data 
del 
28 
febbraio 
2023 
continuano 
ad 
applicarsi, 
invece, 
le 
disposizioni 
anteriormente vigenti. 


a 
tale 
previsione, fa 
eccezione 
il 
comma 
3, ove 
è 
stabilito che 
le 
disposizioni 
sull’udienza 
cartolare 
e 
da 
remoto 
e 
sul 
giuramento 
telematico 
del 
c.t.U. 
trovino applicazione dal 1° gennaio 2023 anche per i procedimenti pendenti. 


Infine, si 
applicheranno dal 
30 giugno 2023, anche 
ai 
procedimenti 
pendenti 
a 
tale 
data, 
le 
disposizioni 
relative 
all’obbligo 
di 
deposito 
telematico 
degli atti dei difensori (3). 


assegnando un termine 
perentorio per 
la citazione 
del 
terzo. se 
procede 
ai 
sensi 
del 
primo comma il 
giudice 
provvede 
altresì 
sulla 
autorizzazione 
alla 
chiamata 
del 
terzo. 
la 
costituzione 
del 
terzo 
in 
giudizio 
avviene a norma del terzo comma dell’articolo 281-undecies. 
alla stessa udienza, a pena di 
decadenza, le 
parti 
possono proporre 
le 
eccezioni 
che 
sono conseguenza 
della domanda riconvenzionale e delle eccezioni proposte dalle altre parti. 
se 
richiesto e 
sussiste 
giustificato motivo, il 
giudice 
può concedere 
alle 
parti 
un termine 
perentorio non 
superiore 
a 
venti 
giorni 
per 
precisare 
e 
modificare 
le 
domande, 
le 
eccezioni 
e 
le 
conclusioni, 
per 
indicare 
i 
mezzi 
di 
prova e 
produrre 
documenti, e 
un ulteriore 
termine 
non superiore 
a dieci 
giorni 
per 
replicare 
e dedurre prova contraria. 
se 
non 
provvede 
ai 
sensi 
del 
secondo 
e 
del 
quarto 
comma 
e 
non 
ritiene 
la 
causa 
matura 
per 
la 
decisione 
il giudice ammette i mezzi di prova rilevanti per la decisione e procede alla loro assunzione”. 


(3) 
così 
dispone 
l’art. 
35, 
comma 
3, 
D.lgs. 
n. 
149/2022 
(come 
modificato 
dall’art. 
1, 
comma 
380, 
legge 
n. 197/2022) “davanti 
al 
giudice 
di 
pace, al 
tribunale 
per 
i 
minorenni, al 
commissario per 
la liquidazione 
degli 
usi 
civici 
e 
al 
tribunale 
superiore 
delle 
acque 
pubbliche, le 
disposizioni 
degli 
articoli 
127, terzo comma, 127-bis, 127-ter 
e 
193, secondo comma, del 
codice 
di 
procedura civile 
e 
quelle 
del-
l’articolo 
196-duodecies 
delle 
disposizioni 
per 
l’attuazione 
del 
codice 
di 
procedura 
civile 
e 
disposizioni 
transitorie, di 
cui 
al 
regio decreto 18 dicembre 
1941, n. 1368, introdotti 
dal 
presente 
decreto, hanno effetto 
a decorrere 
dal 
1° 
gennaio 2023 anche 
per 
i 
procedimenti 
civili 
pendenti 
a tale 
data. davanti 
ai 
medesimi 
uffici, 
le 
disposizioni 
previste 
dal 
capo 
I 
del 
titolo 
v-ter 
delle 
citate 
disposizioni 
per 
l’attuazione 
del 
codice 
di 
procedura civile 
e 
disposizioni 
transitorie, introdotto dal 
presente 
decreto, si 
applicano a 
decorrere 
dal 
30 giugno 2023 anche 
ai 
procedimenti 
pendenti 
a tale 
data. con uno o più decreti 
non 

raSSeGna 
avvocatUra 
Dello 
Stato -n. 4/2022 


5.2 le novità 
È 
stata 
elevata 
la 
soglia 
per 
le 
cause 
relative 
a 
beni 
mobili 
fino 
a 
€ 
10.000 
e 
per le 
cause 
di 
risarcimento del 
danno prodotto dalla 
circolazione 
di 
veicoli 
e di natanti fino a € 25.000. 


la 
novità 
più significativa 
è 
che, per tale 
giudizio, verranno applicate 
le 
forme 
del 
procedimento 
semplificato 
di 
cognizione 
(artt. 
281-decies 
e 
ss. 
c.p.c.). 


la 
domanda 
deve 
essere 
proposta 
con ricorso, e 
non più con atto di 
citazione: 
art. 316 c.p.c. (forma della domanda) “davanti 
al 
giudice 
di 
pace 
la 
domanda 
si 
propone 
nelle 
forme 
del 
procedimento 
semplificato 
di 
cognizione, 
in 
quanto 
compatibili. 
la 
domanda 
si 
può 
anche 
proporre 
verbalmente. 
di 
essa il 
giudice 
di 
pace 
fa redigere 
processo verbale 
che, a cura dell’attore, è 
notificato unitamente al decreto di cui all’articolo 318 
”. 


nelle 
stesse 
forme 
del 
ricorso (e 
non della 
citazione), in deroga 
a 
quanto 
previsto dall’art. 645 comma 
1 c.p.c. e 
similmente 
a 
quanto avviene 
per il 
rito 
del 
lavoro, deve 
ritenersi 
debba 
essere 
proposta 
la 
opposizione 
a 
decreto ingiuntivo 
(artt. 318 (4) 
e 319 (5) 
c.p.c.). 


Si 
segnala 
che 
il 
richiamo 
alle 
norme 
di 
cui 
ai 
commi 
terzo 
e 
quarto 
dell’art. 
281-undecies 
per 
la 
costituzione 
del 
convenuto 
impone 
oggi 
di 
considerare 
che 
il 
convenuto, 
che 
non 
si 
costituisca 
nel 
termine 
assegnato 
dal 
Giudice 
di 
pace 
nel 
decreto 
che 
fissa 
l’udienza, 
incorre 
nelle 
stesse 
preclusioni 
previste 
per 
il 
convenuto 
nel 
rito 
semplificato 
di 
cognizione 
dinanzi 
al 
tribunale 
(6). 


aventi 
natura regolamentare 
il 
ministro della giustizia, accertata la funzionalità dei 
relativi 
servizi 
di 
comunicazione, può individuare 
gli 
uffici 
nei 
quali 
viene 
anticipato, anche 
limitatamente 
a specifiche 
categorie di procedimenti, il termine di cui al secondo periodo”. 


(4) art. 318 c.p.c. (contenuto della domanda) “la domanda si 
propone 
con ricorso, sottoscritto 
a norma dell’articolo 125, che 
deve 
contenere, oltre 
all’indicazione 
del 
giudice 
e 
delle 
parti, l’esposizione 
dei fatti e l’indicazione del suo oggetto. 
Il 
giudice 
di 
pace, entro cinque 
giorni 
dalla designazione, fissa con decreto l’udienza di 
comparizione 
delle parti a norma del comma secondo dell’articolo 281-undecies”. 
(5) art. 319, comma 
1, c.p.c. (costituzione 
delle 
parti) “l’attore 
si 
costituisce 
depositando il 
ricorso 
notificato o il 
processo verbale 
di 
cui 
all’articolo 316 unitamente 
al 
decreto di 
cui 
all’articolo 
318 e 
con la relazione 
della notificazione 
e, quando occorre, la procura. Il 
convenuto si 
costituisce 
a 
norma 
dei 
commi 
terzo 
e 
quarto 
dell’articolo 
281-undecies 
mediante 
deposito 
della 
comparsa 
di 
risposta 
e, quando occorre, la procura”. 
(6) art. 281-undecies 
c.p.c. “3. Il 
convenuto si 
costituisce 
mediante 
deposito della comparsa di 
risposta, nella quale 
deve 
proporre 
le 
sue 
difese 
e 
prendere 
posizione 
in modo chiaro e 
specifico sui 
fatti 
posti 
dall’attore 
a fondamento della domanda, indicare 
i 
mezzi 
di 
prova di 
cui 
intende 
avvalersi 
e 
i 
documenti 
che 
offre 
in 
comunicazione, 
nonché 
formulare 
le 
conclusioni. 
a 
pena 
di 
decadenza 
deve 
proporre 
le 
eventuali 
domande 
riconvenzionali 
e 
le 
eccezioni 
processuali 
e 
di 
merito che 
non sono rilevabili 
d’ufficio. 
4. 
se 
il 
convenuto 
intende 
chiamare 
un 
terzo 
deve, 
a 
pena 
di 
decadenza, 
farne 
dichiarazione 
nella 
comparsa di 
costituzione 
e 
chiedere 
lo spostamento dell’udienza. Il 
giudice, con decreto comunicato 
dal 
cancelliere 
alle 
parti 
costituite, fissa la data della nuova udienza assegnando un termine 
perentorio 
per la citazione del terzo. la costituzione del terzo in giudizio avviene a norma del terzo comma”. 

temI 
IStItUzIonalI 


conseguentemente 
non 
sarà 
più 
possibile 
la 
costituzione 
in 
udienza, 
senza 
incorrere nelle preclusioni suddette. 


alla 
prima 
udienza, fermo restando l’obbligo di 
procedere 
al 
tentativo di 
conciliazione, il 
giudice 
di 
pace 
deve 
osservare 
il 
disposto dell’art. 281-duodecies 
c.p.c., che 
prevede 
che 
si 
proceda 
all’istruttoria 
necessaria 
o si 
mandi 
la causa in decisione. 


È 
stato conseguentemente 
soppresso il 
comma 
4 dell’art. 320 che, disciplinando 
il 
procedimento, consentiva, quando ciò fosse 
stato reso necessario 
dalle 
attività 
svolte 
dalle 
parti 
in prima 
udienza, di 
fissare 
per una 
sola 
volta 
una 
nuova 
udienza 
per ulteriori 
produzioni 
e 
richieste 
di 
prova. ciò -spiega 
la 
relazione 
illustrativa 
(art. 33) -si 
giustifica 
in considerazione 
dell’obbligo 
delle 
parti 
di 
dedurre 
le 
prove 
negli 
scritti 
difensivi 
ed eventualmente 
di 
formulare 
alla 
prima 
udienza 
la 
richiesta 
di 
un breve 
termine 
per l’integrazione 
delle istanze istruttorie e delle difese. 


art. 320 c.p.c. (trattazione 
della causa) “nella prima udienza il 
giudice 
di pace interroga liberamente le parti e tenta la conciliazione. 


se 
la 
conciliazione 
riesce 
se 
ne 
redige 
processo 
verbale 
a 
norma 
dell’art. 
185, ultimo comma. 


se 
la 
conciliazione 
non 
riesce, 
il 
giudice 
di 
pace 
procede 
ai 
sensi 
dell’articolo 
281-duodecies 
(7), 
commi 
secondo, 
terzo 
e 
quarto, 
e 
se 
non 
ritiene 
la 
causa 
matura 
per 
la 
decisione, 
procede 
agli 
atti 
di 
istruzione 
rilevanti 
per 
la 
decisione. 


[4....] 


I documenti 
prodotti 
dalle 
parti 
possono essere 
inseriti 
nel 
fascicolo di 
ufficio ed ivi conservati fino alla definizione del giudizio”. 


Il 
modello 
decisorio 
è 
identico 
a 
quello 
previsto 
per 
la 
decisione 
a 
seguito 
di 
discussione 
orale 
dinanzi 
al 
tribunale 
in composizione 
monocratica 
di 
cui 
all’art. 281-sexies 
c.p.c. (8). 


(7) art. 281-duodecies 
c.p.c. (Procedimento) commi 
2, 3 e 
4: 
“entro la stessa udienza l’attore 
può chiedere 
di 
essere 
autorizzato a chiamare 
in causa un terzo, se 
l’esigenza è 
sorta dalle 
difese 
del 
convenuto. 
Il 
giudice, 
se 
lo 
autorizza, 
fissa 
la 
data 
della 
nuova 
udienza 
assegnando 
un 
termine 
perentorio 
per 
la citazione 
del 
terzo. se 
procede 
ai 
sensi 
del 
primo comma il 
giudice 
provvede 
altresì 
sulla autorizzazione 
alla 
chiamata 
del 
terzo. 
la 
costituzione 
del 
terzo 
in 
giudizio 
avviene 
a 
norma 
del 
terzo 
comma 
dell’articolo 281-undecies. 
alla stessa udienza, a pena di 
decadenza, le 
parti 
possono proporre 
le 
eccezioni 
che 
sono conseguenza 
della domanda riconvenzionale e delle eccezioni proposte dalle altre parti. 
se 
richiesto e 
sussiste 
giustificato motivo, il 
giudice 
può concedere 
alle 
parti 
un termine 
perentorio non 
superiore 
a 
venti 
giorni 
per 
precisare 
e 
modificare 
le 
domande, 
le 
eccezioni 
e 
le 
conclusioni, 
per 
indicare 
i 
mezzi 
di 
prova e 
produrre 
documenti, e 
un ulteriore 
termine 
non superiore 
a dieci 
giorni 
per 
replicare 
e dedurre prova contraria”. 
(8) 
art. 
281-sexies 
c.p.c. 
(decisione 
a 
seguito 
di 
trattazione 
orale): 
“se 
non 
dispone 
a 
norma 
del-
l’articolo 
281-quinquies, 
il 
giudice, 
fatte 
precisare 
le 
conclusioni, 
può 
ordinare 
la 
discussione 
orale 
della causa nella stessa udienza o, su istanza di 
parte, in un’udienza successiva e 
pronunciare 
sentenza 
al 
termine 
della discussione, dando lettura del 
dispositivo e 
della concisa esposizione 
delle 
ragioni 
di 
fatto e di diritto della decisione. 

raSSeGna 
avvocatUra 
Dello 
Stato -n. 4/2022 


art. 321 c.p.c. (decisione) “Il 
giudice 
di 
pace, quando ritiene 
matura la 
causa per la decisione, procede ai sensi dell’articolo 281-sexies. 
la 
sentenza 
è 
depositata 
in 
cancelleria 
entro 
quindici 
giorni 
dalla 
discussione”. 
*** 


6. il giudizio di appello 
Il nuovo art. 342 c.p.c., sulla forma dell’atto di appello, prevede che: 


“l’appello si 
propone 
con citazione 
contenente 
le 
indicazioni 
prescritte 
nell’articolo 163. l’appello deve 
essere 
motivato, e 
per 
ciascuno dei 
motivi 
deve 
indicare 
a pena di 
inammissibilità, in modo chiaro, sintetico e 
specifico: 


1) il capo della decisione di primo grado che viene impugnato; 
2) 
le 
censure 
proposte 
alla 
ricostruzione 
dei 
fatti 
compiuta 
dal 
giudice 
di primo grado; 
3) 
le 
violazioni 
di 
legge 
denunciate 
e 
la loro rilevanza ai 
fini 
della decisione 
impugnata. 
tra il 
giorno della citazione 
e 
quello della prima udienza di 
trattazione 
devono 
intercorrere 
termini 
liberi 
non 
minori 
di 
novanta 
giorni 
se 
il 
luogo 
della notificazione 
si 
trova in Italia e 
di 
centocinquanta giorni 
se 
si 
trova all’estero”. 


la 
relazione 
illustrativa 
chiarisce 
che 
“si 
è 
cercato 
di 
proporre 
un’attuazione 
della 
legge 
delega 
volta 
ad 
evitare 
interpretazioni 
eccessivamente 
rigide 
della norma, le 
quali, andando al 
di 
là dell’obiettivo di 
richiedere 
che 
l’appello 
sia costruito come 
una critica che 
indichi 
le 
specifiche 
ragioni 
del 
dissenso 
rispetto 
alle 
statuizioni 
della 
sentenza 
che 
vengono 
impugnate, 
finiscano 
per 
appesantire 
inutilmente 
l’esposizione 
o 
portino 
a 
redigere 
dei 
veri 
e 
propri 
progetti 
alternativi 
di 
sentenza, 
nel 
timore 
di 
pregiudizievoli 
pronunce 
di 
inammissibilità. 
analoga ragione 
ha indotto a riformulare, nell’ottica della sinteticità, 
la previsione 
relativa alla indicazione, in relazione 
a ciascun motivo di 
appello, del 
capo della decisione 
che 
viene 
impugnato (in luogo della indicazione, 
richiesta dalla norma vigente, «delle 
parti 
del 
provvedimento che 
si 
intende 
appellare»), per 
evitare 
inutili 
trascrizioni 
nell’atto delle 
pagine 
delle 
pronunce appellate”. 


È 
inoltre 
prevista 
la 
specifica 
indicazione 
del 
termine 
a 
comparire, 
in 
luogo del 
vigente 
richiamo all’art. 163-bis 
c.p.c., in quanto solo nel 
giudizio 
di 
primo 
grado 
tale 
termine 
è 
aumentato 
a 
centoventi 
giorni 
(per 
lasciare 
spazio 
alle 
memorie 
integrative 
da 
depositare 
anteriormente 
alla 
prima 
udienza); 
analogamente 
l’art. 343 c.p.c. reca 
l’indicazione 
esplicita 
del 
termine 
per il 
depo-

In tal 
caso, la sentenza si 
intende 
pubblicata con la sottoscrizione 
da parte 
del 
giudice 
del 
verbale 
che 
la contiene ed è immediatamente depositata in cancelleria. 
al 
termine 
della discussione 
orale 
il 
giudice, se 
non provvede 
ai 
sensi 
del 
primo comma, deposita la 
sentenza nei successivi trenta giorni”. 



temI 
IStItUzIonalI 


sito 
della 
comparsa 
di 
costituzione 
in 
luogo 
dell’attuale 
rinvio 
all’art. 
166 
c.p.c., 
prevedendosi 
che 
la 
comparsa 
dell’appellato 
è 
“depositata 
almeno 
venti 
giorni 
prima dell’udienza di 
comparizione 
fissata nell’atto di 
citazione 
o del-
l’udienza fissata a norma dell’articolo 349-bis, secondo comma”. 


con 
riferimento 
all’impugnazione 
incidentale 
tardiva, 
il 
novellato 
art. 
334, 
comma 
2, 
c.p.c. 
prevede 
che 
la 
stessa 
perda 
ogni 
efficacia 
non 
solo 
quando l’impugnazione 
principale 
sia 
dichiarata 
inammissibile 
ma 
anche 
se 
dichiarata 
improcedibile 
(così 
recependosi 
l’orientamento 
della 
giurisprudenza 
sul punto). 


nel 
modificare 
l’art. 348 c.p.c., si 
è 
conservata 
la 
forma 
della 
sentenza 
per 
il 
provvedimento 
che 
dichiara 
l’improcedibilità 
dell’appello, 
ma 
per 
il 
giudizio 
davanti 
alla 
corte 
d’appello (non, dunque, per gli 
appelli 
dinnanzi 
al 
tribunale) 
è 
previsto, 
al 
fine 
di 
semplificare 
le 
forme 
e 
rendere 
immediata 
la 
pronuncia, che 
quando l’udienza 
è 
fissata 
davanti 
all’istruttore 
l’improcedibilità 
venga 
da 
questo dichiarata 
con ordinanza, avverso la 
quale 
sarà 
possibile 
proporre 
reclamo al 
collegio il 
quale 
deciderà 
con sentenza, se 
respinge 
il 
reclamo, 
ovvero con ordinanza 
non impugnabile 
se 
lo accoglie 
e 
dà 
le 
disposizioni 
per 
l’ulteriore 
corso 
del 
giudizio 
di 
appello, 
secondo 
il 
medesimo 
schema 
già 
previsto 
per 
l’ipotesi 
dell’estinzione 
del 
processo 
nel 
giudizio 
di 
primo 
grado davanti 
al 
tribunale, nelle 
cause 
in cui 
questo giudica 
in composizione 
monocratica 
(art. 348 comma 
3: 
“l’improcedibilità dell’appello è 
dichiarata 
con 
sentenza. 
davanti 
alla 
corte 
di 
appello 
l’istruttore, 
se 
nominato, 
provvede 
con ordinanza reclamabile 
nelle 
forme 
e 
nei 
termini 
previsti 
dal 
terzo, quarto 
e 
quinto comma dell’articolo 178, e 
il 
collegio procede 
ai 
sensi 
dell’articolo 
308, secondo comma”). 


Si 
segnala 
inoltre 
l’abrogazione 
dell’attuale 
“filtro” 
di 
inammissibilità 
per le 
impugnazioni 
che 
non hanno una 
ragionevole 
probabilità 
di 
essere 
accolte 
e 
l’introduzione 
di 
un diverso “filtro” 
ossia 
di 
un modulo decisorio semplificato 
per 
le 
ipotesi 
di 
inammissibilità 
e 
manifesta 
infondatezza 
dell’appello 
ai 
sensi 
del 
nuovo art. 348-bis 
c.p.c., secondo cui: 
“quando ravvisa che 
l’impugnazione 
è 
inammissibile 
o 
manifestamente 
infondata, 
il 
giudice 
dispone 
la 
discussione 
orale 
della causa secondo quanto previsto dall’articolo 350-bis. 
se 
è 
proposta 
impugnazione 
incidentale, 
si 
provvede 
ai 
sensi 
del 
primo 
comma 
solo quando i 
presupposti 
ivi 
indicati 
ricorrono sia per 
l’impugnazione 
principale 
che 
per 
quella incidentale. In mancanza, il 
giudice 
procede 
alla trattazione 
di tutte le impugnazioni comunque proposte contro la sentenza”. 


È 
stato invece 
abrogato l’art. 348-ter, c.p.c. ed il 
meccanismo decisorio 
ivi 
previsto 
degli 
appelli 
inammissibili, 
ma 
le 
disposizioni 
previste 
dagli 
ultimi 
due 
commi 
della 
norma 
in esame, volte 
ad escludere 
la 
possibilità 
di 
proporre 
ricorso per cassazione 
per omesso esame 
di 
un fatto decisivo, ai 
sensi 
dell’art. 
360, primo comma, n. 5), nei 
casi 
di 
c.d. “doppia 
conforme”, sono conservate 
e, per ragioni 
di 
coerenza 
sistematica, spostate 
in calce 
all’art. 360 c.p.c. (di 



raSSeGna 
avvocatUra 
Dello 
Stato -n. 4/2022 


tale 
modifica 
si 
è 
peraltro 
già 
dato 
conto 
nella 
precedente 
circolare 
n. 
74/2022). 


viene 
inoltre 
delineato 
un 
nuovo 
modello 
di 
fase 
istruttoria 
nei 
giudizi 
di 
appello, 
in 
parte 
ripreso 
dal 
sistema 
vigente 
nei 
processi 
davanti 
al 
tribunale 
quando 
questo 
giudica 
in 
composizione 
collegiale, 
ove 
la 
fase 
decisoria 
rimane 
riservata 
al 
collegio 
ma 
tutta 
la 
gestione 
della 
fase 
istruttoria 
permane 
in 
capo 
all’istruttore. 


In 
particolare, 
il 
nuovo 
art. 
349-bis 
c.p.c. 
prevede 
la 
nomina 
dell’istruttore 
da 
parte 
del 
presidente. 
tale 
previsione 
è 
però 
temperata, 
anche 
alla 
luce 
del 
nuovo 
modulo 
decisorio 
semplificato 
introdotto 
per 
le 
impugnazioni 
inammissibili 
o 
manifestamente 
infondate, 
dalla 
possibilità 
che 
il 
presidente 
possa, 
all’esito 
di 
un 
vaglio 
preliminare, 
fissare 
direttamente 
udienza 
davanti 
al 
collegio 
per 
la 
discussione 
orale 
della 
causa, 
in 
questo 
caso 
nominando 
un 
relatore 
(9). 


viene 
poi 
modificato 
l’art. 
350 
c.p.c., 
con 
l’indicazione 
delle 
funzioni 
svolte 
in udienza 
dall’istruttore, quando nominato: 
verifiche 
preliminari 
sul-
l’integrità 
del 
contraddittorio, dichiarazione 
della 
contumacia, riunione 
degli 
appelli 
proposti 
contro 
la 
stessa 
sentenza, 
tentativo 
di 
conciliazione, 
eventuale 
ammissione 
e 
conseguente 
assunzione 
delle 
prove, 
nei 
limiti 
in 
cui 
ciò 
sia 
consentito 
nel 
giudizio di 
appello. È 
poi 
previsto che 
l’istruttore 
possa 
disporre 
la 
discussione 
orale 
della 
causa 
davanti 
al 
collegio 
per 
la 
decisione 
in 
forma 
semplificata 
non solo nei 
casi 
di 
cui 
all’art. 348-bis, ma 
anche, a 
prescindere 
dal 
“filtro” 
ivi 
previsto, 
quando 
l’appello 
appaia 
manifestamente 
fondato 
o 
quando 
lo 
ritenga 
comunque 
opportuno 
in 
ragione 
della 
ridotta 
complessità 
della 
causa 


o dell’urgenza della sua definizione (10). 
(9) l’art. 349-bis 
c.p.c. prevede 
che: 
“quando l’appello è 
proposto davanti 
alla corte 
di 
appello, 
il 
presidente, 
se 
non 
ritiene 
di 
nominare 
il 
relalore 
e 
disporre 
la 
comparizione 
delle 
parti 
davanti 
al 
collegio 
per 
la discussione 
orale, designa un componente 
di 
questo per 
la trattazione 
e 
l’istruzione 
della 
causa. 
Il 
presidente 
o il 
giudice 
istruttore 
può differire, con decreto da emettere 
entro cinque 
giorni 
dalla presentazione 
del 
fascicolo, la data della prima udienza fino a un massimo di 
quarantacinque 
giorni. In 
tal caso il cancelliere comunica alle parti costituite la nuova data della prima udienza”. 
(10) l’art. 350 c.p.c. prevede 
che: 
“davanti 
alla corte 
di 
appello la trattazione 
dell’appello è 
affidata 
all’istruttore, se 
nominato, e 
la decisione 
è 
collegiale; davanti 
al 
tribunale 
l’appello è 
trattato e 
deciso dal giudice monocratico. 
nella prima udienza di 
trattazione 
il 
giudice 
verifica la regolare 
costituzione 
del 
giudizio e, quando occorre, 
ordina 
l’integrazione 
di 
esso 
o 
la 
notificazione 
prevista 
dall’articolo 
332, 
dichiara 
la 
contumacia 
dell’appellato 
oppure 
dispone 
che 
si 
rinnovi 
la 
notificazione 
dell’atto 
di 
appello, 
e 
provvede 
alla 
riunione 
degli appelli proposti contro la stessa sentenza. 
quando rileva che 
ricorre 
l’ipotesi 
di 
cui 
all’articolo 348-bis 
il 
giudice, sentite 
le 
parti, dispone 
la discussione 
orale 
della 
causa 
ai 
sensi 
dell’articolo 
350-bis. 
allo 
stesso 
modo 
può 
provvedere 
quando 
l’impugnazione 
appare 
manifestamente 
fondata, o comunque 
quando lo ritenga opportuno in ragione 
della ridotta complessità o dell’urgenza della causa. 
quando non provvede 
ai 
sensi 
del 
terzo comma, nella stessa udienza il 
giudice 
procede 
al 
tentativo di 
conciliazione 
ordinando, quando occorre, la comparizione 
personale 
delle 
parti; provvede 
inoltre 
sulle 
eventuali 
richieste 
istruttorie, 
dando 
le 
disposizioni 
per 
l’assunzione 
davanti 
a 
sé 
delle 
prove 
ammesse”. 

temI 
IStItUzIonalI 


l’art. 350-bis 
c.p.c., di 
nuova 
introduzione, reca 
invece 
la 
disciplina 
del 
procedimento 
per 
la 
decisione 
semplificata 
a 
seguito 
di 
discussione 
orale 
nelle 
ipotesi 
di 
inammissibilità 
e 
manifesta 
fondatezza 
o infondatezza, per la 
quale 
è richiamato il modulo decisorio previsto dall’articolo 281-sexies 
c.p.c.: 


“nei 
casi 
di 
cui 
agli 
articoli 
348-bis 
e 
350, terzo comma, il 
giudice 
procede 
ai sensi dell’articolo 281-sexies. 


dinanzi 
alla corte 
di 
appello l’istruttore, fatte 
precisare 
le 
conclusioni, 
fissa 
udienza 
davanti 
al 
collegio 
e 
assegna 
alle 
parti 
termine 
per 
note 
conclusionali 
antecedente 
alla data dell’udienza. all’udienza l’istruttore 
svolge 
la 
relazione orale della causa. 


la sentenza è 
motivata in forma sintetica, anche 
mediante 
esclusivo riferimento 
al 
punto di 
fatto o alla questione 
di 
diritto ritenuti 
risolutivi 
o mediante 
rinvio a precedenti conformi”. 


6.1 l’istanza di inibitoria 
Per quanto concerne l’istanza di inibitoria queste sono le novità. 

all’art. 283 c.p.c. sono apportate le seguenti modificazioni: 


a) 
il 
primo 
comma 
è 
sostituito 
dal 
seguente: 
“Il 
giudice 
d’appello, 
su 
istanza 
di 
parte 
proposta 
con 
l’impugnazione 
principale 
o 
con 
quella 
incidentale, 
sospende 
in 
tutto 
o 
in 
parte 
l’efficacia 
esecutiva 
o 
l’esecuzione 
della 
sentenza 
impugnata, 
con 
o 
senza 
cauzione, 
se 
l’impugnazione 
appare 
manifestamente 
fondata o se 
dall’esecuzione 
della sentenza può derivare 
un 
pregiudizio 
grave 
e 
irreparabile, 
pur 
quando 
la 
condanna 
ha 
ad 
oggetto 
il 
pagamento 
di 
una somma di 
denaro, anche 
in relazione 
alla possibilità di 
insolvenza 
di una delle parti”. 
Pertanto, la 
manifesta 
fondatezza 
dell’impugnazione 
dovrebbe 
costituire 
ragione 
sufficiente 
per 
la 
sospensione 
della 
sentenza 
impugnata; 
al 
contempo, 
il 
pregiudizio grave 
e 
irreparabile, tale 
da 
fondare 
l’accoglimento dell’inibitoria, 
può derivare 
“anche” 
dall'esecuzione 
di 
pronunce 
di 
condanna 
al 
pagamento 
di 
somme 
di 
denaro, 
in 
particolare 
in 
relazione 
alla 
possibilità 
di 
insolvenza; 


b) dopo il 
primo comma 
è 
inserito il 
seguente: 
“l’istanza di 
cui 
al 
primo 
comma può essere 
proposta o riproposta nel 
corso del 
giudizio di 
appello se 
si 
verificano mutamenti 
nelle 
circostanze, che 
devono essere 
specificamente 
indicati nel ricorso 
(11), a pena di inammissibilità”. 
Degne 
di 
nota 
sono anche 
le 
modifiche 
all’art. 351 c.p.c. in relazione 
al 
procedimento per la decisione sull’inibitoria. 


In 
particolare, 
al 
primo 
comma, 
relativo 
all’ipotesi 
in 
cui 
la 
pronuncia 
sull’istanza 
di 
sospensione 
della 
provvisoria 
esecutività 
della 
sentenza 
avvenga 
alla 
prima 
udienza, tenuto conto che 
l’istanza 
può essere 
riproposta 
in un se


(11) evidentemente il legislatore intendeva riferirsi alla istanza di sospensione e non al ricorso. 

raSSeGna 
avvocatUra 
Dello 
Stato -n. 4/2022 


condo momento è 
previsto che, nei 
casi 
in cui 
il 
presidente 
non si 
sia 
avvalso 
della 
facoltà 
di 
fissare 
udienza 
davanti 
al 
collegio (il 
quale, secondo quanto 
previsto 
al 
primo 
periodo, 
provvederebbe 
in 
udienza) 
e 
l’udienza 
si 
svolga 
davanti 
all’istruttore 
questo debba 
riferire 
al 
collegio per l’adozione 
del 
provvedimento. 


Per l’ipotesi, invece, in cui 
la 
parte 
abbia 
chiesto la 
fissazione 
di 
apposita 
udienza 
per 
la 
decisione 
sulla 
sospensione 
(disciplinata 
dal 
secondo 
e 
terzo 
comma 
dell’art. 351), si 
prevede 
in ogni 
caso la 
comparizione 
delle 
parti 
davanti 
all’istruttore (e non dinnanzi al collegio). 


resta 
fermo che 
nel 
decidere 
sull’istanza 
di 
sospensione 
il 
giudice 
possa 
disporre 
la 
discussione 
orale 
dell’impugnazione; 
in particolare, per il 
caso in 
cui 
davanti 
alla 
corte 
d’appello l’udienza 
di 
comparizione 
delle 
parti 
si 
sia 
tenuta 
davanti 
all’istruttore, è 
previsto che 
il 
collegio, con l’ordinanza 
con cui 
adotta 
i 
provvedimenti 
sull’esecuzione 
provvisoria, se 
ritiene 
che 
la 
causa 
sia 
matura 
per 
la 
decisione 
nelle 
forme 
della 
discussione 
orale 
fissa 
a 
tal 
fine 
udienza 
davanti 
a 
sé, assegnando alle 
parti 
un termine 
per il 
deposito di 
note 
conclusionali per consentire loro di esplicare a pieno il diritto di difesa. 


6.2 la fase decisoria 
la 
fase 
decisoria, 
disciplinata 
dall’art. 
352 
c.p.c., 
viene 
modificata 
in 
quanto 
è 
ora 
previsto 
che 
quando 
la 
causa 
è 
matura 
per 
la 
decisione, 
e 
non 
sussistono 
i 
presupposti 
per disporre 
la 
discussione 
orale 
e 
la 
decisione 
in forma 
semplificata, l’istruttore 
debba 
fissare 
altra 
udienza 
davanti 
a 
sé 
per la 
rimessione 
della 
causa 
in 
decisione, 
assegnando 
alle 
parti 
un 
triplice 
termine 
perentorio 
calcolato 
a 
ritroso 
rispetto 
alla 
data 
dell’udienza 
di 
rinvio 
(rispettivamente 
di 
sessanta, trenta 
e 
quindici 
giorni) per il 
deposito (i) di 
una 
nota 
di 
precisazione 
delle 
conclusioni, (ii) della 
comparsa 
conclusionale 
e 
(iii) delle 
note 
di 
replica. all’udienza, l’istruttore 
rimetterà 
la 
causa 
al 
collegio per la 
decisione 
(ovvero, negli 
appelli 
davanti 
al 
tribunale, che 
decide 
in composizione 
monocratica, 
tratterrà 
la 
causa 
in decisione), fermo restando il 
termine 
di 
sessanta 
giorni per il deposito della sentenza. 


Si riporta di seguito il testo del nuovo art. 352 c.p.c.: 


“esaurita l’attività prevista negli 
articoli 
350 e 
351, l’istruttore, quando 
non 
ritiene 
di 
procedere 
ai 
sensi 
dell’articolo 
350-bis, 
fissa 
davanti 
a 
sé 
l’udienza 
di 
rimessione 
della 
causa 
in 
decisione 
e 
assegna 
alle 
parti, 
salvo 
che queste non vi rinuncino, i seguenti termini perentori: 


1) 
un termine 
non superiore 
a sessanta giorni 
prima dell’udienza per 
il 
deposito di note scritte contenenti la sola precisazione delle conclusioni; 
2) 
un termine 
non superiore 
a trenta giorni 
prima dell’udienza per 
il 
deposito 
delle comparse conclusionali; 
3) 
un termine 
non superiore 
a quindici 
giorni 
prima per 
il 
deposito delle 
note di replica. 
all’udienza la causa è 
trattenuta in decisione. davanti 
alla corte 
di 
ap



temI 
IStItUzIonalI 


pello, 
l’istruttore 
riserva 
la 
decisione 
al 
collegio. 
la 
sentenza 
è 
depositata 
entro sessanta giorni”. 


6.3 Rimessione della causa in primo grado 
Sono 
state 
ridotte 
le 
ipotesi 
di 
rimessione 
della 
causa 
in 
primo 
grado, 
ormai circoscritte ai soli casi di violazione del contraddittorio. 


In particolare, viene 
abrogato l’art. 353 c.p.c. e 
con esso l’ipotesi 
di 
rimessione 
al 
primo giudice 
per motivi 
di 
giurisdizione, mentre 
vengono confermate 
le 
ipotesi 
di 
rimessione 
oggi 
previste 
dal 
primo comma 
dell’art. 354 


c.p.c. 
(12) 
(nullità 
della 
notificazione 
della 
citazione 
introduttiva, mancata 
integrazione 
del 
contraddittorio, 
erronea 
estromissione 
di 
una 
parte, 
nullità 
della 
sentenza 
di 
primo grado a 
norma 
dell’art. 161 secondo comma); 
viene 
invece 
abrogato l’attuale 
secondo comma 
dell’art. 354 c.p.c. per l’ipotesi 
di 
riforma 
della sentenza di primo grado che ha dichiarato l’estinzione del processo. 
ne 
consegue, a 
seguito della 
soppressione 
dell’art. 353 c.p.c., che 
il 
giudice 
di 
appello 
che 
riconosca 
la 
giurisdizione 
negata 
dal 
primo 
giudice 
non 
potrà 
più rimettere 
a 
questo gli 
atti 
ma 
dovrà 
decidere 
la 
causa 
nel 
merito, se 
del caso svolgendo le attività che non si siano svolte in primo grado. 


viene 
conseguentemente 
modificato 
l’ultimo 
periodo 
dell’art. 
354 
c.p.c., 
con la 
previsione 
che 
tanto in questo caso, quanto nel 
caso in cui 
dichiari 
la 
nullità 
di 
altri 
atti 
(e 
cioè 
atti 
diversi 
da 
quelli 
contemplati 
nei 
commi 
precedenti, 
la 
cui 
nullità 
determina 
la 
rimessione 
al 
primo 
giudice), 
il 
giudice 
di 
appello 
ammetta 
le 
parti 
al 
compimento di 
attività 
che 
sarebbero loro precluse, 
quando questa 
esigenza 
discenda 
dalla 
necessità 
di 
ripristinare 
il 
contraddittorio 
e 
proceda 
alla 
rinnovazione 
degli 
atti 
nulli. Dalle 
disposizioni 
di 
cui 
all’art. 
356 c.p.c., non modificato in questa 
parte, si 
ricava 
poi 
che 
il 
giudice 
di 
appello procederà 
all’assunzione 
delle 
prove 
che 
non siano state 
assunte 
nel 
giudizio di primo grado (13). 


*** 


7. il giudizio di cassazione e di revocazione 
(12) 
Il 
nuovo 
art. 
354 
c.p.c. 
dispone: 
“Il 
giudice 
d’appello, 
se 
dichiara 
la 
nullità 
della 
notificazione 
dell’atto 
introduttivo, 
riconosce 
che 
nel 
giudizio 
di 
primo 
grado 
doveva 
essere 
integrato 
il 
contraddittorio 
o 
non 
doveva 
essere 
estromessa 
una 
parte, 
oppure 
dichiara 
la 
nullità 
della 
sentenza 
di 
primo 
grado 
a 
norma 
dell’articolo 
161 
secondo 
comma, 
pronuncia 
sentenza 
con 
cui 
rimette 
la 
causa 
al 
primo 
giudice. 
nei 
casi 
di 
rimessione 
al 
primo giudice, le 
parti 
devono riassumere 
il 
processo nel 
termine 
perentorio 
di 
tre 
mesi 
dalla notificazione 
della sentenza. se 
contro la sentenza d’appello è 
proposto ricorso per 
cassazione, il termine è interrotto. 
se 
il 
giudice 
d’appello 
riconosce 
sussistente 
la 
giurisdizione 
negata 
dal 
primo 
giudice 
o 
dichiara 
la 
nullità di 
altri 
atti 
compiuti 
in primo grado, ammette 
le 
parti 
a compiere 
le 
attività che 
sarebbero precluse 
e ordina, in quanto possibile, la rinnovazione degli atti a norma dell’articolo 356”. 
(13) Per il 
resto, all’art. 356 c.p.c. viene 
specificato che: 
“davanti 
alla corte 
di 
appello il 
collegio 
delega l’assunzione 
delle 
prove 
all’istruttore, se 
nominato, o al 
relatore 
o, quando ne 
ravvisa la necessità, 
può anche 
d’ufficio disporre 
la rinnovazione 
davanti 
a sé 
di 
uno o più mezzi 
di 
prova assunti 
dal-
l’istruttore ai sensi dell’articolo 350, quarto comma”. 

raSSeGna 
avvocatUra 
Dello 
Stato -n. 4/2022 


Per quel 
che 
riguarda 
le 
modifiche 
ai 
giudizi 
di 
cassazione 
e 
di 
revocazione, 
si rinvia a quanto esposto nella precedente circolare n. 74/2022. 


*** 


8. Rito del 
lavoro e 
nuova disciplina relativa alla impugnazione 
dei 
licenziamenti 
8.1 le modifiche alle norme in tema di rito del lavoro 
l’art. 3 del 
D.lgs. n. 149/2022 ai 
commi 
30 e 
31 ha 
apportato talune 
modifiche 
alle norme del codice relative alle controversie individuali di lavoro. 


In 
relazione 
al 
termine 
di 
deposito 
della 
sentenza, 
il 
novellato 
art. 
430 


c.p.c. prevede 
che 
“quando la sentenza è 
depositata fuori 
udienza, il 
cancelliere 
ne dà immediata comunicazione alle parti”. 
con la 
nuova 
formulazione 
della 
norma 
si 
è 
inteso superare 
la 
contraddizione 
-prima 
esistente 
-in 
ordine 
alla 
disciplina 
dei 
termini 
differiti 
di 
deposito 
della 
sentenza 
tra 
quanto previsto dall’art. 429, comma 
1, c.p.c. (che 
ne 
consentiva 
il 
deposito, oltre 
che 
unitamente 
al 
dispositivo, nei 
casi 
di 
particolare 
complessità, 
nel 
termine 
“non 
superiore 
a 
sessanta 
giorni”) 
e 
la 
previgente 
formulazione 
dell’art. 
430 
c.p.c. 
(che 
ne 
ammetteva 
il 
deposito 
“entro 
quindici 
giorni dalla pronuncia”). 


Per quanto concerne 
la 
disciplina 
delle 
impugnazioni, è 
stato, anzitutto, 
riformulato il 
disposto dell’art. 434 c.p.c. relativo al 
contenuto del 
ricorso in 
appello, prevedendosi che: 


“Il 
ricorso 
deve 
contenere 
le 
indicazioni 
prescritte 
dall’articolo 
414. 
l’appello 
deve 
essere 
motivato, 
eper 
ciascuno 
dei 
motivi 
deve 
indicare 
a 
pena 
di inammissibilità, in modo chiaro, sintetico e specifico: 


1) 
il capo della decisione di primo grado che viene impugnato; 
2) 
le 
censure 
proposte 
alla 
ricostruzione 
dei 
fatti 
compiuta 
dal 
giudice 
di primo grado; 
3) 
le 
violazioni 
di 
legge 
denunciate 
e 
la loro rilevanza ai 
fini 
della decisione 
impugnata”. 
le 
modifiche 
hanno 
di 
fatto 
assimilato 
il 
contenuto 
dell’atto 
a 
quello 
della 
citazione d’appello nel giudizio ordinario di cognizione. 
analogamente 
al 
contenuto del 
nuovo art. 342 c.p.c., anche 
il 
ricorso in 
appello 
dovrà, 
infatti, 
contenere 
ora 
con 
motivi 
separati, 
ciascuno 
dei 
quali 
recante 
l’indicazione, 
a 
pena 
di 
inammissibilità, 
in 
modo 
chiaro, 
sintetico 
e 
specifico, 
del 
capo 
della 
pronuncia 
di 
primo 
grado 
impugnato, 
delle 
censure 
proposte 
alla 
ricostruzione 
dei 
fatti, nonché 
delle 
violazioni 
di 
legge 
denunciate 
e della loro rilevanza ai fini della decisione impugnata. 


Il 
nuovo 
art. 
436-bis 
c.p.c. 
(Inammissibilità, 
improcedibilità, 
manifesta 
fondatezza 
o 
infondatezza 
dell’appello) 
nel 
richiamare 
la 
disciplina 
dei 
“filtri” 
alle 
impugnazioni 
(a 
sua 
volta 
ridisegnata 
dagli 
artt. 
348-bis 
e 
350, 
comma 
3, 
c.p.c.), 
vi 
affianca 
anche 
l’ipotesi 
dell'improcedibilità 
dell’appello 
di 
cui 
all’art. 
348 
c.p.c. 


la norma in questione prevede, infatti, che: 



temI 
IStItUzIonalI 


“nei 
casi 
previsti 
dagli 
articoli 
348, 
348-bis 
e 
350, 
terzo 
comma, 
all’udienza 
di 
discussione 
il 
collegio, sentiti 
i 
difensori 
delle 
parti, pronuncia 
sentenza 
dando 
lettura 
del 
dispositivo 
e 
della 
motivazione 
redatta 
in 
forma 
sintetica, anche 
mediante 
esclusivo riferimento al 
punto di 
fatto o alla questione 
di diritto ritenuti risolutivi o mediante rinvio a precedenti conformi”. 


Gli 
artt. 437 e 
438 c.p.c. recepiscono, a 
loro volta, le 
modifiche 
appena 
indicate, inserendo le opportune interpolazioni normative di raccordo: 


-all’art. 437, comma 
primo, secondo periodo, c.p.c. è 
aggiunto il 
riferimento 
alla 
previa 
delibazione 
di 
inammissibilità, 
improcedibilità, 
manifesta 
fondatezza 
o infondatezza 
dell’appello (“quando non provvede 
ai 
sensi 
del-
l’articolo 436-bis, il collegio”); 
-all’art. 438 c.p.c. si 
prevede 
che 
“fuori 
dei 
casi 
di 
cui 
all’articolo 436bis, 
la sentenza deve 
essere 
depositata entro sessanta giorni 
dalla pronuncia. 
Il cancelliere ne dà immediata comunicazione alle parti”. 
8.2 la negoziazione assistita facoltativa per le cause di lavoro 
Particolarmente 
significativa 
nell’ottica 
potenzialmente 
deflattiva 
del 
contenzioso 
lavoristico 
è, 
altresì, 
l’estensione 
della 
negoziazione 
assistita 
alle 
cause 
indicate 
dall’art. 409 c.p.c., fermo restando il 
ricorso alle 
altre 
modalità 
di 
conciliazione 
e 
arbitrato 
previste 
dalla 
contrattazione 
collettiva 
cui 
rimanda 
l’art. 412-ter 
c.p.c. 


va 
precisato, tuttavia, che 
la 
negoziazione 
assistita 
regolata 
dal 
D.l. n. 
132/2014 resta 
per le 
controversie 
di 
lavoro meramente 
facoltativa, non costituendo, 
quindi, una condizione di procedibilità. 


In 
tal 
senso, 
l’art. 
2-ter 
inserito 
nell’ambito 
del 
D.l. 
n. 
132/2014 
prevede 
che: 


“Per 
le 
controversie 
di 
cui 
all’articolo 
409 
del 
codice 
di 
procedura 
civile, 
fermo restando quanto disposto dall’articolo 412-ter 
del 
medesimo codice, le 
parti 
possono ricorrere 
alla negoziazione 
assistita senza che 
ciò costituisca 
condizione 
di 
procedibilità della domanda giudiziale. ciascuna parte 
è 
assistita 
da almeno un avvocato e 
può essere 
anche 
assistita da un consulente 
del 
lavoro. all’accordo raggiunto all’esito della procedura di 
negoziazione 
assistita 
si 
applica l’articolo 2113, quarto comma, del 
codice 
civile. l’accordo è 
trasmesso a cura di 
una delle 
due 
parti, entro dieci 
giorni, ad uno degli 
organismi 
di 
cui 
all’articolo 
76 
del 
decreto 
legislativo 
10 
settembre 
2003, 
n. 
276”. 


8.3 la novità in tema di impugnazione dei licenziamenti 
nella 
duplice 
prospettiva 
della 
semplificazione, 
dell’unificazione 
e 
del 
coordinamento della 
disciplina 
dei 
procedimenti 
di 
impugnazione 
dei 
licenziamenti 
sancito dalla 
legge 
delega, il 
legislatore 
delegato ha 
abrogato le 
disposizioni 
contenute 
nell’art. 1, commi 
47 -68, della 
l. n. 92/2012 (c.d. “rito 
Fornero”) 
in 
materia 
di 
impugnativa 
giudiziaria 
dei 
provvedimenti 
di 
licenziamento. 


come 
già 
avveniva 
precedentemente 
alla 
riforma 
del 
2012, il 
lavoratore 



raSSeGna 
avvocatUra 
Dello 
Stato -n. 4/2022 


che 
intenda 
impugnare 
il 
licenziamento 
dovrà 
quindi 
-di 
norma 
-ricorrere 
all’ordinario rito del lavoro da introdursi ai sensi degli artt. 414 e ss. c.p.c. 


nel 
contempo, tuttavia, l’art. 3, comma 
32, del 
D.lgs. n. 149/2022 ha 
introdotto, 
subito dopo il 
capo I, del 
libro II, titolo Iv 
c.p.c., il 
capo 1-bis 
rubricato 
“delle controversie relative al licenziamento”. 


In particolare, con il 
nuovo art. 441-bis 
c.p.c. (controversie 
in materia 
di 
licenziamento) è 
stato introdotto un regime 
specifico laddove 
sia 
proposta 
impugnativa 
di 
un licenziamento con domanda 
di 
reintegrazione 
nel 
posto di 
lavoro. 


trattasi 
di 
rito caratterizzato da 
inediti 
criteri 
di 
priorità 
-di 
trattazione 
e 
decisione 
-rispetto alle 
altre 
controversie 
pendenti 
sul 
ruolo del 
giudice 
e 
improntato 
alla massima celerità e concentrazione. 


Il comma 1 di tale disposizione prevede, invero, che: 


“la trattazione 
e 
la decisione 
delle 
controversie 
aventi 
ad oggetto l’impugnazione 
dei 
licenziamenti 
nelle 
quali 
è 
proposta 
domanda 
di 
reintegrazione 
nel 
posto di 
lavoro hanno carattere 
prioritario rispetto alle 
altre 
pendenti 
sul 
ruolo del 
giudice, anche 
quando devono essere 
risolte 
questioni 
relative 
alla 
qualificazione del rapporto”. 


Fermo 
restando 
che 
tali 
controversie 
sono 
assoggettate 
alle 
norme 
del 
capo primo (14), i 
commi 
3-5 dell’art. 441-bis 
c.p.c. dispongono, in termini 
innovativi, che: 


“3. 
tenuto 
conto 
delle 
circostanze 
esposte 
nel 
ricorso 
il 
giudice 
può 
ridurre 
i 
termini 
del 
procedimento 
fino 
alla 
metà, 
fermo 
restando 
che 
tra 
la 
data 
di 
notificazione 
al 
convenuto 
o 
al 
terzo 
chiamato 
e 
quella 
della 
udienza 
di 
discussione 
deve 
intercorrere 
un 
termine 
non 
minore 
di 
venti 
giorni 
e 
che, 
in 
tal 
caso, 
il 
termine 
per 
la 
costituzione 
del 
convenuto 
o 
del 
terzo 
chiamato 
è 
ridotto 
della 
metà. 


4. 
all’udienza 
di 
discussione 
il 
giudice 
dispone, 
in 
relazione 
alle 
esigenze 
di 
celerità anche 
prospettate 
dalle 
parti, la trattazione 
congiunta di 
eventuali 
domande 
connesse 
e 
riconvenzionali 
ovvero la loro separazione, assicurando 
in ogni 
caso la concentrazione 
della fase 
istruttoria e 
di 
quella decisoria in 
relazione 
alle 
domande 
di 
reintegrazione 
nel 
posto di 
lavoro. a 
tal 
fine 
il 
giudice 
riserva 
particolari 
giorni, 
anche 
ravvicinati, 
nel 
calendario 
delle 
udienze. 
5. 
I 
giudizi 
di 
appello 
e 
di 
cassazione 
sono 
decisi 
tenendo 
conto 
delle 
medesime 
esigenze di celerità e di concentrazione. 
In via di estrema sintesi: 


1) 
viene 
meno 
la 
fase 
sommaria 
che 
caratterizzava 
l’abrogato 
rito 
Fornero 
(riducendosi in tal modo le fasi del primo giudizio); 
2) 
tenuto 
conto 
delle 
circostanze 
dedotte, 
il 
giudice 
può 
decidere 
di 
ri(
14) così 
come 
previsto dal 
comma 
secondo dell’art. 441-bis 
c.p.c., secondo cui: 
“salvo quanto 
stabilito nel 
presente 
articolo, le 
controversie 
di 
cui 
al 
primo comma sono assoggettate 
alle 
norme 
del 
capo primo”. 

temI 
IStItUzIonalI 


durre 
i 
termini 
del 
procedimento 
sino 
alla 
metà 
nel 
rispetto, 
comunque, 
del 
diritto 
di difesa delle parti; 


3) 
si 
prevede, inoltre, che 
il 
giudice 
sia 
tenuto a 
dare 
priorità 
alla 
trattazione 
dei 
ricorsi, 
a 
riservare 
particolari 
giorni 
per 
la 
trattazione 
degli 
stessi, 
fissando 
udienze 
ravvicinate 
così 
da 
assicurare 
la 
concentrazione 
della 
fase 
istruttoria e di quella decisoria. 
Sono state introdotte, inoltre, le seguenti disposizioni: 


-l’art. 
441-ter 
c.p.c. 
(licenziamento 
del 
socio 
della 
cooperativa) 
(15), 
che, in relazione 
alla 
disciplina 
delle 
controversie 
aventi 
ad oggetto l’impugnazione 
dei 
licenziamenti 
dei 
soci 
delle 
cooperative, prevede 
una 
“competenza 
funzionale” 
del 
Giudice 
del 
lavoro 
adito 
a 
decidere 
anche 
sulle 
questioni 
relative al rapporto associativo eventualmente proposte; 


-l’art. 441-quater 
c.p.c. (licenziamento discriminatorio), con cui 
si 
prevede 
che 
“le 
azioni 
di 
nullità dei 
licenziamenti 
discriminatori, ove 
non siano 
proposte 
con ricorso ai 
sensi 
dell’articolo 414, possono essere 
introdotte, ricorrendone 
i 
presupposti, con i 
riti 
speciali. la proposizione 
della domanda 
relativa 
alla 
nullità 
del 
licenziamento 
discriminatorio 
e 
alle 
sue 
conseguenze, 
nell’una o nell’altra forma, preclude 
la possibilità di 
agire 
successivamente 
in giudizio con rito diverso per quella stessa domanda”. 
con la 
disposizione 
da 
ultimo citata 
si 
è 
introdotta 
la 
possibilità 
per il 
lavoratore 
di 
proporre 
la 
domanda 
di 
nullità 
del 
licenziamento discriminatorio, 
ove 
non già 
proposta 
con il 
tipico ricorso introduttivo del 
rito del 
lavoro, con 
i 
riti 
speciali 
previsti 
dall’art. 
38 
del 
D. 
lgs. 
1° 
aprile 
2006 
n. 
198 
(16) 
e 
dall’art. 
28 del D.lgs. 1° settembre 2011 n. 150 (17). 


nell’ottica 
di 
deflazione 
del 
contenzioso 
giudiziario, 
si 
è 
prevista 
la 
preclusione, 
per 
chi 
abbia 
inizialmente 
agito 
ai 
sensi 
di 
uno 
dei 
predetti 
riti 
speciali, 
ad 
agire 
successivamente 
in 
giudizio 
con 
rito 
diverso 
per 
la 
stessa 
domanda. 


(15) 
art. 
441-ter 
“le 
controversie 
aventi 
ad 
oggetto 
l’impugnazione 
dei 
licenziamenti 
dei 
soci 
delle 
cooperative 
sono 
assoggettate 
alle 
norme 
di 
cui 
agli 
articoli 
409 
e 
seguenti 
e, 
in 
tali 
casi, 
il 
giudice 
decide 
anche 
sulle 
questioni 
relative 
al 
rapporto associativo eventualmente 
proposte. Il 
giudice 
del 
lavoro 
decide 
sul 
rapporto di 
lavoro e 
sul 
rapporto associativo, altresì, nei 
casi 
in cui 
la cessazione 
del 
rapporto di lavoro deriva dalla cessazione del rapporto associativo”. 
(16) l’art. 38 D.lgs. n. 198/2006 ha 
introdotto, in materia 
di 
discriminazione 
di 
genere, una 
procedura 
d’urgenza 
azionabile 
su 
ricorso 
del 
singolo 
lavoratore 
o, 
per 
sua 
delega, 
delle 
organizzazioni 
sindacali, 
delle 
associazioni 
e 
delle 
organizzazioni 
rappresentative 
del 
diritto o dell’interesse 
leso, o della 
consigliera 
o del 
consigliere 
di 
parità 
provinciale 
o regionale 
territorialmente 
competente, avanti 
al 
giudice 
del lavoro del luogo ove è avvenuto il comportamento denunciato. 
(17) Detta 
disposizione 
si 
riferisce, invece, alle 
controversie 
di 
cui 
all’art. 44 D.lgs. n. 286/1998 
(discriminazione 
per 
motivi 
razziali, 
etnici, 
linguistici, 
nazionali, 
di 
provenienza 
geografica 
o 
religiosi), 
a 
quelle 
di 
cui 
all’art. 4 D.lgs. n. 215/2003 (discriminazione 
diretta 
o indiretta 
a 
causa 
della 
razza 
o del-
l’origine 
etnica 
in attuazione 
della 
direttiva 
2000/43/ce), a 
quelle 
di 
cui 
all’art. 4 D.lgs. n. 216/2003 
(discriminazione 
diretta 
o indiretta 
a 
causa 
della 
religione, delle 
convinzioni 
personali, degli 
handicap, 
dell’età 
o 
dell’orientamento 
sessuale), 
a 
quelle 
di 
cui 
all’art. 
3 
legge 
n. 
67/2006 
(discriminazione 
in 
danno 
di 
persone 
con 
disabilita) 
e 
a 
quelle 
di 
cui 
all’art. 
55-quinquies 
D.lgs. 
n. 
198/2006 
(discriminazioni 
per ragioni di sesso). 

raSSeGna 
avvocatUra 
Dello 
Stato -n. 4/2022 


la 
finalità 
di 
riduzione 
dei 
tempi 
della 
giustizia 
rinviene 
uno 
specifico 
strumento 
attuativo 
poi 
nell’art. 
144-quinquies 
disp. 
att. 
c.p.c., 
secondo 
cui 
“il 
presidente 
di 
sezione 
e 
il 
dirigente 
dell’ufficio 
favoriscono 
e 
verificano 
la 
trattazione 
prioritaria dei 
procedimenti 
di 
cui 
al 
capo I-bis 
del 
titolo Iv 
del 
libro 
secondo del codice”. 


a 
tal 
fine, si 
prevede, peraltro, che 
in ciascun ufficio giudiziario siano effettuate 
estrazioni 
statistiche 
trimestrali, che 
consentono di 
valutare 
la 
durata 
media 
dei 
processi 
di 
cui 
all’art. 441-bis 
c.p.c. rispetto alla 
durata 
degli 
altri 
processi in materia di lavoro. 


*** 


9. 
Rito 
unico 
in 
materia 
di 
persone, 
minorenni 
e 
famiglia 
(brevi 
cenni) 
va 
dato atto, per completezza, che 
il 
D.lgs. n. 149/2022 ha 
introdotto, nel 
(nuovo) titolo Iv-bis 
del 
libro II, agli 
artt. 473-bis 
e 
ss. c.p.c., un rito unico in 
materia 
di 
persone, 
minorenni 
e 
famiglie, 
applicabile 
a 
tutti 
i 
procedimenti 
relativi 
allo stato delle persone, ai minorenni e alle famiglie. 


Il 
nuovo 
procedimento 
ha, 
quindi, 
vocazione 
generale, 
applicandosi 
a 
tutti 
i 
procedimenti 
contenziosi 
relativi 
allo stato delle 
persone, ai 
minorenni 
e 
alle 
famiglie 
attribuiti 
alla 
competenza 
del 
tribunale 
ordinario, 
del 
giudice 
tutelare 
e del tribunale per i minorenni, salvo che la legge disponga diversamente. 


Sono 
tuttavia 
eccettuati 
i 
casi 
esclusi 
dall’art. 
473-bis, 
comma 
1, 
c.p.c. 
(procedimenti 
volti 
alla 
dichiarazione 
di 
adottabilità, 
procedimenti 
di 
adozione 
di 
minori 
di 
età, procedimenti 
attribuiti 
alla 
competenza 
delle 
sezioni 
specializzate 
in materia 
di 
immigrazione, protezione 
internazionale 
e 
libera 
circolazione 
dei cittadini dell’Unione europea). 


*** 


10. il processo esecutivo 
tra 
le 
numerose 
modifiche 
del 
processo 
esecutivo, 
si 
segnalano 
le 
seguenti 
novità in ordine alla formazione del titolo esecutivo. 


l’art. 475 c.p.c. è infatti sostituito dal seguente: 


“le 
sentenze, 
i 
provvedimenti 
e 
gli 
altri 
atti 
dell’autorità 
giudiziaria, 
nonché 
gli 
atti 
ricevuti 
da notaio o da altro pubblico ufficiale, per 
valere 
come 
titolo 
per 
l’esecuzione 
forzata, ai 
sensi 
dell’articolo 474, per 
la parte 
a favore 
della quale 
fu pronunciato il 
provvedimento o stipulata l’obbligazione, o per 
i 
suoi 
successori 
devono essere 
rilasciati 
in copia attestata conforme 
all’originale, 
salvo che la legge disponga altrimenti”. 


Pertanto, 
ai 
fini 
della 
formazione 
del 
titolo 
esecutivo 
non 
è 
più 
necessario 
il 
rilascio 
della 
formula 
esecutiva, 
essendo 
sufficiente 
che 
la 
copia 
dell’atto 
sia attestata conforme all’originale. 


conseguentemente, 
l’art. 
476 
c.p.c. 
è 
abrogato, 
mentre 
all’art. 
478, 
le 
parole 
“spedito 
informa 
esecutiva” 
sono 
sostituite 
dalle 
seguenti: 
“rilasciato 
ai 
sensi 
dell’articolo 
475 
”; 
all’art. 
479, 
al 
primo 
comma, 
le 
parole 
“in 
forma 



temI 
IStItUzIonalI 


esecutiva” 
sono 
sostituite 
dalle 
seguenti: 
“in 
copia 
attestata 
conforme 
al-
l’originale”. 


Si 
segnalano inoltre, per la 
potenziale 
rilevanza 
nei 
giudizi 
in cui 
è 
parte 
la 
pubblica 
amministrazione, 
taluni 
interventi 
sull’art. 
614-bis 
c.p.c. 
(18), 
che, 
come è noto, disciplina, le misure di coercizione indiretta (c.d. astreinte). 


la 
prima 
modifica 
concerne 
l’ammontare 
della 
somma 
che 
diviene 
dovuta 
-a 
seguito del 
provvedimento che 
la 
prevede 
-quando si 
verifichi 
l’inadempimento 
all’obbligo 
previsto 
nel 
titolo 
esecutivo. 
a 
tal 
riguardo 
la 
previsione 
di 
cui 
al 
secondo comma 
del 
testo attualmente 
vigente 
viene 
integrata 
con il richiamo al vantaggio che l’obbligato trae dall’inadempimento. 


Un ulteriore 
intervento concerne 
la 
durata 
massima 
della 
misura 
coercitiva; 
in particolare 
viene 
integrato il 
primo comma 
della 
norma 
con un ultimo 
periodo, che consente al giudice di fissare un termine di durata della misura. 


Inoltre, 
al 
fine 
di 
porre 
rimedio 
ad 
una 
lacuna 
della 
normativa 
vigente 
che 
attribuisce 
al 
solo giudice 
che 
pronuncia 
la 
condanna 
il 
potere 
di 
concedere 
la 
misura 
coercitiva, si 
prevede 
che, dopo la 
notificazione 
del 
precetto, l’avente 
diritto 
possa 
presentare 
ricorso 
al 
giudice 
dell’esecuzione 
competente, 
il 
quale 
-sentite 
le 
parti 
-provvede 
a 
determinare 
la 
misura 
esecutiva 
(la 
norma 
richiama 
le disposizioni in tema di esecuzione per obblighi di fare). 


avverso 
tale 
provvedimento 
resta 
ovviamente 
proponibile 
l’opposizione 
agli 
atti 
esecutivi, 
mentre 
l’opposizione 
all’esecuzione 
può 
essere 
utilizzata 
nelle 
ipotesi 
di 
cui 
all’art. 
615 
c.p.c., 
anche 
nelle 
forme 
dell’opposizione 
a 
precetto. 


*** 


11. i procedimenti speciali 
11.1 il procedimento di ingiunzione 
nell’ambito 
del 
procedimento 
di 
ingiunzione, 
l’art. 
3, 
comma 
45, 
del 


(18) l’art. 614-bis 
dispone: 
“con il 
provvedimento di 
condanna all’adempimento di 
obblighi 
diversi 
dal 
pagamento di 
somme 
di 
denaro il 
giudice, salvo che 
ciò sia manifestamente 
iniquo, fissa, su 
richiesta di 
parte, la somma di 
denaro dovuta dall’obbligato per 
ogni 
violazione 
o inosservanza successiva 
ovvero per 
ogni 
ritardo nell’esecuzione 
del 
provvedimento, determinandone 
la decorrenza. Il 
giudice 
può fissare 
un termine 
di 
durata della misura, tenendo conto della finalità della stessa e 
di 
ogni 
circostanza utile. 
se 
non è 
stata richiesta nel 
processo di 
cognizione, ovvero il 
titolo esecutivo è 
diverso da un provvedimento 
di 
condanna, la somma di 
denaro dovuta dall’obbligato per 
ogni 
violazione 
o inosservanza o ritardo 
nell’esecuzione 
del 
provvedimento 
è 
determinata 
dal 
giudice 
dell’esecuzione, 
su 
ricorso 
dell’avente 
diritto, 
dopo 
la 
notificazione 
del 
precetto. 
si 
applicano 
in 
quanto 
compatibili 
le 
disposizioni 
di cui all’articolo 612. 
Il 
giudice 
determina l’ammontare 
della somma tenuto conto del 
valore 
della controversia, della natura 
della 
prestazione 
dovuta, 
del 
vantaggio 
per 
l’obbligato 
derivante 
dall’inadempimento, 
del 
danno 
quantificato 
o prevedibile e di ogni altra circostanza utile. 
Il 
provvedimento costituisce 
titolo esecutivo per 
il 
pagamento delle 
somme 
dovute 
per 
ogni 
violazione, 
inosservanza o ritardo. 
le 
disposizioni 
di 
cui 
al 
presente 
articolo non si 
applicano alle 
controversie 
di 
lavoro subordinato pubblico 
o privato e ai rapporti di collaborazione coordinata e continuativa di cui all’articolo 409”. 

raSSeGna 
avvocatUra 
Dello 
Stato -n. 4/2022 


D.lgs. 
n. 
149/2022 
modifica 
l’art. 
654 
c.p.c. 
(dichiarazione 
di 
esecutorietà 
ed 
esecuzione): 


“1. l’esecutorietà non disposta con la sentenza o con l’ordinanza di 
cui 
all’articolo 
precedente 
è 
conferita 
con 
decreto 
del 
giudice 
che 
ha 
pronunciato 
l’ingiunzione scritto in calce all’originale del decreto d’ingiunzione. 


2. 
ai 
fini 
dell’esecuzione 
non 
occorre 
una 
nuova 
notificazione 
del 
decreto 
esecutivo, ma nel 
precetto deve 
farsi 
menzione 
del 
provvedimento che 
ha disposto 
l’esecutorietà”. 
la 
modifica 
è 
volta 
a 
coordinare 
l’art. 654 c.p.c. con l’abrogazione 
delle 
disposizioni 
del 
codice 
di 
rito che 
si 
riferiscono alla 
formula 
esecutiva 
e 
alla 
spedizione in forma esecutiva. 


11.2 il procedimento di convalida di sfratto 
l’art. 3, comma 
46, del 
D.lgs. n. 149/2022 modifica 
l’art. 657 c.p.c. (Intimazione 
di 
licenza 
e 
di 
sfratto 
per 
finita 
locazione), 
estendendo 
l’applicabilità 
del 
procedimento 
di 
convalida, 
di 
licenza 
per 
scadenza 
del 
contratto 
e 
di 
sfratto 
per morosità, anche 
ai 
contratti 
di 
comodato di 
beni 
immobili 
e 
di 
affitto di 
azienda: 


“1. 
Il 
locatore 
o 
il 
concedente 
può 
intimare 
al 
conduttore, 
al 
comodatario 
di 
beni 
immobili, all’affittuario di 
azienda, all’affittuario coltivatore 
diretto, 
al 
mezzadro 
o 
al 
colono 
licenza 
per 
finita 
locazione, 
prima 
della 
scadenza 
del 
contratto, con la contestuale 
citazione 
per 
la convalida, rispettando i 
termini 
prescritti 
dal 
contratto, dalla legge 
o dagli 
usi 
locali. Può altresì 
intimare 
lo 
sfratto, 
con 
la 
contestuale 
citazione 
per 
la 
convalida, 
dopo 
la 
scadenza 
del 
contratto, 
se, 
in 
virtù 
del 
contratto 
stesso 
o 
per 
effetto 
di 
atti 
o 
intimazioni 
precedenti, è esclusa la tacita riconduzione”. 


contestualmente 
all’abrogazione 
della 
formula 
esecutiva 
nell’art. 
475 
c.p.c., 
viene 
modificato 
l’art. 
663 
c.p.c. 
(mancata 
comparizione 
o 
mancata 
opposizione dell’intimato): 


“1. 
se 
l’intimato 
non 
compare 
o 
comparendo 
non 
si 
oppone, 
il 
giudice 
convalida 
con 
ordinanza 
esecutiva 
la 
licenza 
o 
lo 
sfratto. 
Il 
giudice 
ordina 
che 
sia 
rinnovata 
la 
citazione, 
se 
risulta 
o 
appare 
probabile 
che 
l’intimato 
non 
abbia 
avuto 
conoscenza 
della 
citazione 
stessa 
o 
non 
sia 
potuto 
comparire 
per caso fortuito o forza maggiore. 


2. se 
lo sfratto è 
stato intimato per 
mancato pagamento del 
canone, la 
convalida 
è 
subordinata 
all’attestazione 
in 
giudizio 
del 
locatore 
o 
del 
suo 
procuratore 
che 
la morosità persiste. Iin tale 
caso il 
giudice 
può ordinare 
ai 
locatore 
di prestare una cauzione”. 
11.3 il procedimento cautelare uniforme 
Disciplina transitoria 
ai 
sensi 
dell’art. 35, comma 
1, del 
D.lgs. n. 149/2022, “le 
disposizioni 
del 
presente 
decreto, salvo che 
non sia diversamente 
disposto, hanno effetto 
a 
decorrere 
dal 
28 
febbraio 
2023 
e 
si 
applicano 
ai 
procedimenti 
instaurati 



temI 
IStItUzIonalI 


successivamente 
a tale 
data. ai 
procedimenti 
pendenti 
alla data del 
28 febbraio 
2023 si applicano le disposizioni anteriormente vigenti”. 


le novità 


l’attribuzione 
di 
poteri 
cautelari 
in capo agli 
arbitri 
su concorde 
volontà 
delle 
parti 
preventivamente 
manifestata 
-che 
costituisce 
per 
il 
capo 
III, 
titolo 
I, 
libro 
Iv 
del 
codice 
che 
disciplina 
il 
procedimento 
uniforme, 
la 
novità 
di 
maggiore 
rilievo della 
riforma 
-ha 
reso necessario un intervento di 
coordinamento 
anche 
in relazione 
alle 
norme 
che 
sino ad oggi 
erano integralmente 
deputate 
alla 
disciplina 
dei 
provvedimenti 
cautelari 
nell’ipotesi 
di 
devoluzione 
della causa in arbitrato. 


Si 
è 
dunque 
imposta 
una 
modifica 
sia 
dell’art. 669-quinquies 
c.p.c., concernente 
la 
competenza 
cautelare 
in 
caso 
di 
clausola 
compromissoria, 
compromesso 
o pendenza 
del 
giudizio arbitrale, sia 
dell’art. 669-decies 
c.p.c. in 
tema di revoca e modifica delle misure cautelari. 


Sino alla 
riforma, l’art. 669-quinques 
prevedeva 
che, nell’ipotesi 
di 
controversie 
oggetto di 
clausola 
compromissoria, compromesso in arbitri, anche 
non rituali, ovvero di 
pendenza 
del 
giudizio arbitrale, la 
domanda 
cautelare 
si 
proponesse 
al 
giudice 
che 
sarebbe 
stato competente 
a 
conoscere 
del 
merito. 
rispetto a 
tale 
generale 
previsione 
si 
è 
quindi 
reso necessario l’inserimento, 
in coda 
alla 
disposizione, di 
una 
frase 
conclusiva 
“salvo quanto disposto dal-
l’articolo 818 primo comma” 
che 
richiama 
il 
neoistituito potere 
degli 
arbitri 
di concedere misure cautelari: 


art. 
669-quinquies 
c.p.c. 
(competenza 
in 
caso 
di 
clausola 
compromissoria, 
di 
compromesso o dipendenza del 
giudizio arbitrale) “se 
la controversia 
è 
oggetto di 
clausola compromissoria o è 
compromessa in arbitri 
anche 
non 
rituali 
o se 
è 
pendente 
il 
giudizio arbitrale, la domanda si 
propone 
al 
giudice 
che 
sarebbe 
stato competente 
a conoscere 
del 
merito, salvo quanto disposto 
dall’articolo 818, primo comma” (19). 


analoga 
soluzione 
si 
è 
scelta 
nel 
novellare 
l’art. 669-decies, nel 
quale, al 
terzo 
comma, 
sono 
state 
aggiunte, 
infine, 
le 
seguenti 
parole: 
“salvo 
quanto 
disposto 
dall’articolo 818, primo comma”: 


art. 
669-decies, 
comma 
3, 
c.p.c. 
(revoca 
e 
modifica)“se 
la 
causa 
di 
merito 
è 
devoluta 
alla 
giurisdizione 
di 
un 
giudice 
straniero 
o 
ad 
arbitrato, 
ovvero 
se 
l’azione 
civile 
è 
stata esercitata o trasferita nel 
processo penale 
i 
provvedimenti 
previsti 
dal 
presente 
articolo 
devono 
essere 
richiesti 
al 
giudice 
che 
ha 
emanato 
il 
provvedimento 
cautelare, 
salvo 
quanto 
disposto 
dall’articolo 
818, primo comma” 
(20). 


(19) 
l’art. 
818 
c.p.c. 
dispone: 
“le 
parti, 
anche 
mediante 
rinvio 
a 
regolamenti 
arbitrali, 
possono 
attribuire 
agli 
arbitri 
il 
potere 
di 
concedere 
misure 
cautelari 
con 
la 
convenzione 
di 
arbitrato 
o 
con 
atto 
scritto 
anteriore 
all’instaurazione 
del 
giudizio 
arbitrale. 
la 
competenza 
cautelare 
attribuita 
agli 
arbitri 
è 
esclusiva. 
Prima dell’accettazzione 
dell’arbitro unico o della costituzione 
del 
collegio arbitrale, la domanda cautelare 
si propone al giudice competente ai sensi dell’articolo 669-quinquies”. 

raSSeGna 
avvocatUra 
Dello 
Stato -n. 4/2022 


all’art. 
669-octies 
c.p.c., 
l’efficacia 
ultrattiva 
della 
misura 
cautelare 
adottata 
nei 
procedimenti 
a 
carattere 
tipicamente 
anticipatorio (come 
quelli 
di 
cui 
all’art. 
700 
c.p.c.) 
è 
stata 
estesa 
anche 
ai 
provvedimenti 
concernenti 
la 
“sospensione 
dell’efficacia delle 
delibere 
assembleari 
adottati 
ai 
sensi 
dell’articolo 
1137 
(21), 
quarto 
comma, 
del 
codice 
civile” 
(comma 
6) 
e 
“la 
sospensione 
dell’efficacia delle 
deliberazioni 
assunte 
da qualsiasi 
organo di 
associazioni, 
fondazioni 
o società, anche 
quando la relativa domanda è 
stata proposta in 
corso di causa” (comma 8) (22). 


(20) Si 
è 
inoltre 
inteso riconoscere 
agli 
arbitri 
che 
hanno emanato un provvedimento cautelare 
il 
corrispondente 
potere 
di 
disporre 
anche 
l’eventuale 
revoca 
o modifica, in presenza 
di 
mutamenti 
nelle 
circostanze 
o di 
allegazione 
di 
fatti 
anteriori 
di 
cui 
si 
è 
acquisita 
conoscenza 
successivamente, secondo 
quanto disposto dall’art. 669-decies 
comma 
1: 
“salvo che 
sia stato proposto reclamo ai 
sensi 
dell’articolo 
669-terdecies, nel 
corso dell’istruzione 
il 
giudice 
istruttore 
della causa di 
merito può, su istanza 
di 
parte, modificare 
o revocare 
con ordinanza il 
provvedimento cautelare, anche 
se 
emesso anteriormente 
alla causa, se 
si 
verificano mutamenti 
nelle 
circostanze 
o se 
si 
allegano fatti 
anteriori 
di 
cui 
si 
è 
acquisita conoscenza successivamente 
al 
provvedimento cautelare. In tale 
caso, l’istante 
deve 
fornire 
la prova del momento in cui ne è venuto a conoscenza”. 
(21) l’art. 1137 c.c. dispone: 
“le 
deliberazioni 
prese 
dall’assemblea a norma degli 
articoli 
precedenti 
sono obbligatorie per tutti i condomini. 
contro le 
deliberazioni 
contrarie 
alla legge 
o al 
regolamento di 
condominio ogni 
condomino assente, 
dissenziente 
o astenuto può adire 
l’autorità giudiziaria chiedendone 
l’annullamento nel 
termine 
perentorio 
di 
trenta giorni, che 
decorre 
dalla data della deliberazione 
per 
i 
dissenzienti 
o astenuti 
e 
dalla 
data di comunicazione della deliberazione per gli assenti. 
l’azione 
di 
annullamento non sospende 
l’esecuzione 
della deliberazione, salvo che 
la sospensione 
sia 
ordinata dall’autorità giudiziaria. 
l’istanza per 
ottenere 
la sospensione 
proposta prima dell’inizio della causa di 
merito non sospende 
nè 
interrompe 
il 
termine 
per 
la 
proposizione 
dell’impugnazione 
della 
deliberazione. 
Per 
quanto 
non 
espressamente 
previsto, la sospensione 
è 
disciplinata dalle 
norme 
di 
cui 
al 
libro Iv, titolo I, capo III, sezione 
I del codice di procedura civile”. 
(22) 
Dalla 
relazione 
illustrativa 
si 
ricava 
che 
«In 
attuazione 
del 
principio 
di 
delega 
(comma 
17, 
lettera 
q) 
sono 
state 
apportate 
modifiche 
all’articolo 
669-octies 
c.p.c. 
al 
fine 
di 
prevedere, 
al 
comma 
settimo, 
che 
il 
regime 
di 
non 
applicazione 
del 
procedimento 
di 
conferma 
previso 
dall’articolo 
669-octies 
e 
dal 
primo 
comma 
dell’articolo 
669-novies 
si 
applichi 
anche 
ai 
provvedimenti 
di 
sospensione 
dell’efficacia 
delle 
delibere 
assembleari, 
adottati 
ai 
sensi 
dell’articolo 
1137, 
quarto 
comma 
del 
codice 
civile, 
fermo 
restando 
anche 
per 
questi 
casi, 
la 
facoltà 
di 
ciascuna 
parte 
di 
instaurare 
il 
giudizio 
di 
merito. 
attualmente, 
infatti, 
ai 
provvedimenti 
cautelari 
con 
i 
quali 
il 
giudice 
sospende 
l’esecuzione 
delle 
deliberazioni 
assunte 
dagli 
organi 
di 
società 
(articolo 
2378, 
quarto 
comma, 
c.c.) 
o 
di 
associazioni 
(articolo 
23, 
ultimo 
comma, 
c.c.) 
non 
è 
riconosciuta 
natura 
anticipatoria 
della 
sentenza 
di 
merito 
con 
la 
conseguenza 
che 
essi 
perdono 
efficacia 
ove 
il 
giudizio 
di 
merito 
-nell’ambito 
del 
quale 
essi 
sono 
necessariamente 
proposti 
-si 
estingua. 
l’intervento 
ha, 
dunque, 
uno 
scopo 
deflattivo 
del 
contenzioso. 
Infatti, 
molto 
spesso 
l’attore, 
dopo 
avere 
ottenuto, 
nell’ambito 
del 
giudizio 
di 
merito, 
il 
provvedimento 
cautelare 
con 
il 
quale 
è 
stata 
disposta 
la 
sospensione 
dell’esecuzione 
della 
deliberazione 
non 
ha 
un 
reale 
interesse 
alla 
decisione 
di 
merito 
diverso 
da 
quello 
costituito 
dalla 
necessità 
di 
“stabilizzare” 
gli 
effetti 
della 
decisione 
cautelare. 
Pertanto, 
si 
rende 
opportuno 
coordinare 
il 
regime 
della 
efficacia 
di 
questi 
provvedimenti 
cautelari 
equiparandolo 
a quello previsto dall’art. 669-octies 
c.p.c. In questo modo, infatti, le 
parti 
saranno spinte 
ad abbandonare 
il 
giudizio di 
merito senza che 
ciò incida sul 
provvedimento cautelare 
di 
sospensione 
dell’esecuzione 
della deliberazione. conseguentemente 
sono state 
apportate 
modifiche 
all’[pen]ultimo 
comma dello stesso articolo, al 
fine 
di 
prevedere 
che 
l’estinzione 
del 
giudizio di 
merito non determina 
neppure 
“l’inefficacia dei 
provvedimenti 
cautelari 
di 
sospensione 
dell’efficacia delle 
deliberazioni 
assembleari 
assunte da qualsiasi organo di associazioni, fondazioni o società”» (pag. 93). 

temI 
IStItUzIonalI 


art. 669-octies, commi 6 e 8, c.p.c. (Provvedimento di accoglimento): 


“6. le 
disposizioni 
di 
cui 
al 
presente 
articolo e 
al 
primo comma dell’articolo 
669-novies 
non 
si 
applicano 
ai 
provvedimenti 
di 
urgenza 
emessi 
ai 
sensi 
dell’articolo 700 e 
agli 
altri 
provvedimenti 
cautelari 
idonei 
ad anticipare 
gli 
effetti 
della sentenza di 
merito, previsti 
dal 
codice 
civile 
o da leggi 
speciali, 
nonché 
ai 
provvedimenti 
emessi 
a 
seguito 
di 
denunzia 
di 
nuova 
opera 
o 
di 
danno 
temuto 
ai 
sensi 
dell’articolo 
688 
e 
ai 
provvedimenti 
di 
sospensione 
dell’efficacia delle 
delibere 
assembleari 
adottati 
ai 
sensi 
dell’articolo 1137, 
quarto comma, del 
codice 
civile, ma ciascuna parte 
può iniziare 
il 
giudizio di 
merito. 
[...] 
8. l’estinzione 
del 
giudizio di 
merito non determina l’inefficacia 
dei 
provvedimenti 
di 
cui 
al 
sesto 
comma, 
né 
dei 
provvedimenti 
cautelari 
di 
sospensione 
dell’efficacia 
delle 
deliberazioni 
assunte 
da 
qualsiasi 
organo 
di 
associazioni, 
fondazioni 
o 
società, 
anche 
quando 
la 
relativa 
domanda 
è 
stata 
proposta in corso di causa”. 


Un’ulteriore 
modifica 
ha 
riguardato 
l’art. 
669-novies, 
secondo 
comma, 
c.p.c., nel 
quale 
è 
stato soppresso il 
periodo che 
stabiliva 
che, in caso di 
contestazione 
sulla 
intervenuta 
inefficacia 
di 
un 
provvedimento 
cautelare 
(diverso 
da 
quelli 
anticipatori 
del 
novellato art. 669-octies 
commi 
6 e 
8) per omesso 
tempestivo avvio del 
giudizio di 
merito o successiva 
estinzione 
di 
quest’ultimo, 
la 
relativa 
questione 
fosse 
definita 
con sentenza 
anziché 
con ordinanza: 
art. 
669-novies, 
commi 
1 
e 
2, 
c.p.c. 
(Inefficacia 
del 
provvedimento 
cautelare) 
“se 
il 
procedimento di 
merito non è 
iniziato nel 
termine 
perentorio di 
cui 
all’articolo 
669-octies, 
ovvero 
se 
successivamente 
al 
suo 
inizio 
si 
estingue 
il 
provvedimento cautelare perde la sua efficacia. 


In 
entrambi 
i 
casi, 
il 
giudice 
che 
ha 
emesso 
il 
provvedimento, 
su 
ricorso 
della 
parte 
interessata, 
convocate 
le 
parti 
con 
decreto 
in 
calce 
al 
ricorso, 
dichiara 
con 
ordinanza 
avente 
efficacia 
esecutiva, 
che 
il 
provvedimento 
è 
divenuto 
inefficace 
e 
dà 
le 
disposizioni 
necessarie 
per 
ripristinare 
la 
situazione 
precedente” 
(23). 


12. la volontaria giurisdizione 
la 
novella 
prevede 
l’introduzione 
di 
un nuovo rito per l’adozione 
delle 
misure 
di 
protezione 
degli 
incapaci 
(interdizione, 
inabilitazione 
e 
amministrazione 
di 
sostegno 
(Sezione 
vI 
del 
nuovo 
titolo 
Iv-bis), 
l’attribuzione 
di 
talune 
competenze 
in 
materia 
di 
volontaria 
giurisdizione 
al 
notaio, 
all’ufficiale 
di 


(23) 
Dalla 
relazione 
illustrativa 
(pag. 
93): 
“la 
differenziazione 
operata 
dal 
vigente 
secondo 
comma dell’articolo 669-novies 
c.p.c. non appare 
sistematicamente 
corretta, in quanto tutti 
i 
provvedimenti 
che 
disciplinano situazioni 
giuridiche 
in via cautelare 
hanno forma di 
ordinanza, ed è 
fonte 
di 
notevole 
aggravio per 
l’attività giurisdizionale, obbligando il 
giudice 
alla concessione 
dei 
termini 
per 
la 
definizione 
del 
thema 
decidendum 
e 
del 
thema 
probandum 
e, 
infine, 
dei 
termini 
per 
il 
deposito 
di 
comparse conclusionali e di memorie di repliche. 
In 
attuazione 
della 
delega, 
dunque, 
si 
prevede 
che 
in 
entrambi 
i 
casi 
indicati 
dal 
primo 
comma 
il 
giudice, 
dopo 
avere 
convocato 
le 
parti 
e 
garantito 
il 
contraddittorio 
sull’istanza, 
provvede 
con 
ordinanza 
avente 
efficacia esecutiva”. 

raSSeGna 
avvocatUra 
Dello 
Stato -n. 4/2022 


stato 
civile, 
nonché 
la 
modifica 
di 
alcune 
disposizioni 
di 
cui 
al 
D.lgs. 
n. 
150/2011 
(disposizioni 
complementari 
al 
codice 
di 
procedura 
civile 
in 
materia 
di riduzione e semplificazione dei procedimenti civili di cognizione). 


*** 


12.1 attribuzione 
ai 
notai 
di 
competenze 
relative 
agli 
affari 
di 
volontaria 
giurisdizione 
Gli 
articoli 
da 
21 
a 
23 
del 
D.lgs. 
n. 
149/2022 
attribuiscono 
ai 
notai 
la 
possibilità 
di 
esercitare 
alcune 
delle 
funzioni 
amministrative 
nella 
volontaria 
giurisdizione, 
attualmente di competenza esclusiva dell’autorità giudiziaria. 


l’art. 21, infatti, consente 
ai 
notai 
che 
procedono alla 
stipula 
di 
atti 
pubblici 
(o scritture 
private 
autenticate) di 
autorizzare 
la 
stessa 
quando debba 
intervenire 
un minore 
(un interdetto, un inabilitato o un soggetto sottoposto alla 
misura 
dell’amministrazione 
di 
sostegno) o quando l’atto sia 
relativo a 
beni 
ereditari. 


non si 
tratta 
di 
un trasferimento di 
competenze 
al 
notaio, bensì 
della 
previsione 
di 
una 
competenza 
concorrente 
con 
quella 
dell’autorità 
giudiziaria 
(l’interessato potrà alternativamente rivolgersi al notaio o al giudice). 


restano, peraltro, riservate 
all’autorità 
giudiziaria 
le 
autorizzazioni 
afferenti 
ai 
giudizi 
(per 
promuovere, 
rinunciare, 
transigere 
o 
compromettere 
in 
arbitri), 
nonché per la continuazione dell’impresa commerciale. 


*** 


13. 
Procedimenti 
in 
materia 
di 
efficacia 
di 
decisioni 
straniere 
previsti 
dal diritto dell’unione europea e dalle convenzioni internazionali 
l’articolo 
24 
del 
D.lgs. 
n. 
149/2022 
interviene 
sul 
D.lgs. 
n. 
150/2011, 
con 
la 
finalità 
di 
coordinamento 
e 
di 
attuazione 
alla 
delega 
per 
la 
disciplina 
del 
rito applicabile 
ai 
procedimenti 
in materia 
di 
efficacia 
di 
decisioni 
straniere 
previsti dal diritto dell’Unione europea e dalle convenzioni internazionali. 


In primo luogo, il 
comma 
1, lett. b), dell’art. 24 interviene 
sul 
rito da 
applicare 
alle 
controversie 
in materia 
di 
attuazione 
di 
sentenze 
e 
provvedimenti 
stranieri 
di 
giurisdizione 
volontaria, di 
cui 
all’art. 30 del 
D.lgs. n. 150/2011, 
sostituendo al rito sommario di cognizione il rito semplificato di cognizione: 


art. 30 D.lgs. n. 150/2011 “1. le 
controversie 
aventi 
ad oggetto l’attuazione 
di 
sentenze 
e 
provvedimenti 
stranieri 
di 
giurisdizione 
volontaria di 
cui 
all’articolo 
67 
della 
legge 
31 
maggio 
1995, 
n. 
218, 
sono 
regolate 
dal 
rito 
semplificato 
di cognizione. 


2. È 
competente 
la corte 
di 
appello del 
luogo di 
attuazione 
del 
provvedimento”. 
Il 
comma 
1, lettera 
c), dell’art. 24 prevede, inoltre, l’introduzione 
di 
un 
nuovo art. 30-bis 
(24), rubricato “dei 
procedimenti 
in materia di 
efficacia di 


(24) 
l’art. 
30-bis 
del 
D.lgs. 
n. 
150/2011 
dispone: 
“1. 
si 
svolgono 
in 
camera 
di 
consiglio, 
in 
assenza 
di 
contraddittorio, 
i 
procedimenti 
volti 
ad 
ottenere 
la 
dichiarazione 
di 
esecutività 
e 
in 
via 
principale 

temI 
IStItUzIonalI 


decisioni 
straniere 
previsti 
dal 
diritto 
dell’unione 
europea 
e 
dalle 
convenzioni 
internazionali”. 


l’accertamento 
della 
sussistenza 
dei 
presupposti 
per 
il 
riconoscimento 
di 
decisioni 
emesse 
dalle 
autorità 
giurisdizionali 
degli 
stati 
membri 
dell’unione 
europea in conformità al 
diritto eurounitario. In particolare, 
sono introdotti con tale rito i procedimenti previsti dagli atti indicati di seguito: 


1) regolamento (ce) n. 2201/2003 del 
consiglio, del 
27 novembre 
2003, relativo alla competenza, al 
riconoscimento e 
all’esecuzione 
delle 
decisioni 
in materia matrimoniale 
e 
in materia di 
responsabilità 
genitoriale, che abroga il regolamento (ce) n. 1347/2000; 
2) 
regolamento 
(ce) 
n. 
4/2009 
del 
consiglio, 
del 
18 
dicembre 
2008, 
relativo 
alla 
competenza, 
alla 
legge 
applicabile, al 
riconoscimento e 
all’esecuzione 
delle 
decisioni 
e 
alla cooperazione 
in materia di 
obbligazioni 
alimentari; 
3) 
regolamento 
(ue) 
1103/2016 
del 
consiglio, 
del 
24 
giugno 
2016, 
che 
attua 
la 
cooperazione 
rafforzata 
nel 
settore 
della competenza, della legge 
applicabile, del 
riconoscimento e 
dell’esecuzione 
delle 
decisioni 
in materia di regimi patrimoniali tra coniugi; 
4) 
regolamento 
(ue) 
1104/2016 
del 
consiglio, 
del 
24 
giugno 
2016, 
che 
attua 
la 
cooperazione 
rafforzata 
nel 
settore 
della competenza, della legge 
applicabile, del 
riconoscimento e 
dell’esecuzione 
delle 
decisioni 
in materia di effetti patrimoniali delle unioni registrate; 
5) regolamento (ue) n. 650/2012 del 
Parlamento europeo e 
del 
consiglio, del 
4 luglio 2012, relativo 
alla competenza, alla legge 
applicabile, al 
riconoscimento e 
all’esecuzione 
delle 
decisioni 
e 
all’accettazione 
e 
all’esecuzione 
degli 
atti 
pubblici 
in materia di 
successioni 
e 
alla creazione 
di 
un certificato 
successorio europeo. 
2. nei 
casi 
di 
cui 
al 
comma 1 si 
applicano gli 
articoli 
737 e 
738 del 
codice 
di 
procedura civile. contro 
il 
decreto pronunciato in camera di 
consiglio può essere 
promosso ricorso nelle 
forme 
del 
rito semplificato 
entro 60 giorni dalla comunicazione o dalla notificazione del decreto. 
3. le 
domande 
di 
diniego del 
riconoscimento delle 
decisioni 
che 
rientrano nel 
campo di 
applicazione 
degli 
atti 
indicati 
nel 
comma 1, sono introdotte 
con il 
rito semplificato di 
cognizione 
di 
cui 
agli 
articoli 
281-decies e seguenti del codice di procedura civile. 
4. si 
svolgono con il 
rito semplificato di 
cognizione 
di 
cui 
agli 
articoli 
281-decies 
e 
seguenti 
del 
codice 
di 
procedura civile 
i 
procedimenti 
di 
diniego del 
riconoscimento o dell’esecuzione 
e 
di 
accertamento 
dell’assenza 
di 
motivi 
di 
diniego 
del 
riconoscimento 
di 
decisioni 
immediatamente 
esecutive 
emesse 
dalle 
autorità giurisdizionali 
degli 
stati 
membri 
in conformità al 
diritto dell’unione. In particolare, sono introdotti 
con tale rito i procedimenti previsti dagli atti di seguito indicati: 
a) 
regolamento 
(ue) 
n. 
1215/2012 
del 
Parlamento 
europeo 
e 
del 
consiglio, 
del 
12 
dicembre 
2012, 
concernente 
la 
competenza 
giurisdizionale, 
il 
riconoscimento 
e 
l’esecuzione 
delle 
decisioni 
in 
materia 
civile 
e commerciale; 
b) regolamento (ue) n. 606/2013 del 
Parlamento europeo e 
del 
consiglio, del 
12 giugno 2013, relativo 
alla protezione in materia civile; 
c) 
regolamento 
(ue) 
n. 
848/2015 
del 
Parlamento 
europeo 
e 
del 
consiglio, 
del 
20 
maggio 
2015, 
relativo 
alle procedure di insolvenza (rifusione); 
d) regolamento (ue) n. 1111/2019 del 
consiglio, del 
25 giugno 2019, relativo alla competenza, al 
riconoscimento 
e 
all’esecuzione 
delle 
decisioni 
in materia matrimoniale 
e 
in materia di 
responsabilità genitoriale, 
e alla sottrazione internazionale di minori. 
5. si 
svolgono con il 
rito semplificato di 
cognizione 
di 
cui 
agli 
articoli 
281-decies 
e 
seguenti 
del 
codice 
di 
procedura civile 
i 
procedimenti 
volti 
ad ottenere 
la dichiarazione 
di 
esecutività di 
decisioni 
straniere 
o in via principale 
l’accertamento della sussistenza dei 
presupposti 
per 
il 
riconoscimento, o il 
diniego 
di 
tale 
riconoscimento, allorché 
l’efficacia delle 
medesime 
decisioni 
si 
fondi 
su una convenzione 
internazionale, 
fatte salve diverse disposizioni previste dalla convenzione applicabile. 
6. I procedimenti 
previsti 
dagli 
atti 
di 
cui 
ai 
commi 
1, 3 e 
5 sono promossi 
innanzi 
alla corte 
d’appello 
territorialmente 
competente 
ai 
sensi 
delle 
disposizioni 
e 
nei 
termini 
previsti 
dai 
medesimi 
atti 
o, 
in 
mancanza, 
ai 
sensi 
dell’articolo 30. le 
decisioni 
della corte 
d’appello sono impugnabili 
innanzi 
alla corte 
di cassazione per i motivi previsti dall’articolo 360 del codice di procedura civile. 
7. ai 
procedimenti 
disciplinati 
dal 
presente 
articolo ed aventi 
ad oggetto gli 
atti 
pubblici, le 
transazioni 

raSSeGna 
avvocatUra 
Dello 
Stato -n. 4/2022 


l’introduzione 
della 
nuova 
disposizione 
intende 
distinguere 
i 
procedimenti 
in materia 
di 
efficacia 
delle 
decisioni 
straniere 
in base 
alla 
fonte 
regolamentatrice: 
l’art. 
30-bis 
è, 
infatti, 
destinato 
a 
regolare 
i 
procedimenti 
previsti 
dal 
diritto 
dell’Unione 
europea 
e 
dalle 
convenzioni 
internazionali, 
mentre, 
l’art. 30 del 
D.lgs. n. 150/2011 resterà 
il 
rito applicabile 
per “le 
controversie 
aventi 
ad oggetto l’attuazione 
di 
sentenze 
e 
provvedimenti 
stranieri 
di 
giurisdizione 
volontaria”. 


In sintesi, la 
novella 
prevede 
che, per le 
ipotesi 
elencate 
al 
comma 
1, il 
procedimento: 


- si svolga in camera di consiglio in assenza di contraddittorio; 
-si 
svolga 
in base 
agli 
artt. 737 e 
738 c.p.c. (sui 
procedimenti 
in camera 
di 
consiglio), 
pur 
concludendosi 
con 
un 
decreto 
contro 
il 
quale, 
entro 
60 
giorni, 
può essere promosso ricorso nelle forme del rito semplificato di cognizione. 
-Si 
è 
dunque 
imposta 
una 
modifica 
sia 
dell’art. 
669-quinquies 
c.p.c., 
concernente 
la 
competenza 
cautelare 
in 
caso 
di 
clausola 
compromissoria, 
compromesso 
o pendenza 
del 
giudizio arbitrale, sia 
dell’art. 669-decies 
c.p.c. in 
tema di revoca e modifica delle misure cautelari. 


Si 
applica, invece, il 
rito semplificato di 
cognizione, di 
cui 
agli 
artt. 281decies 
e ss. c.p.c. e, dunque, è previsto il contraddittorio: 


-ai 
procedimenti 
sulle 
domande 
di 
diniego 
del 
riconoscimento, 
che 
siano 
promosse 
sulla 
base 
degli 
atti 
europei 
elencati 
dal 
comma 
1 
dell’art. 
30-bis 
cit.; 


-ai 
procedimenti 
di 
diniego 
del 
riconoscimento 
o 
dell’esecuzione 
e 
di 
accertamento 
dell’assenza 
di 
motivi 
di 
diniego del 
riconoscimento di 
decisioni 
già 
immediatamente 
esecutive 
(che 
non richiedono exequatur) emesse 
dalle 
autorità 
giurisdizionali 
degli 
Stati 
membri 
in 
conformità 
al 
diritto 
dell’Unione 
(comma 4); 


-ai 
procedimenti 
volti 
ad ottenere 
la 
dichiarazione 
di 
esecutività 
di 
decisioni 
straniere 
o in via 
principale 
l’accertamento della 
sussistenza 
dei 
presupposti 
per 
il 
riconoscimento, 
o 
il 
diniego 
di 
tale 
riconoscimento, 
allorché 
l’efficacia 
delle 
medesime 
decisioni 
si 
fondi 
su 
una 
convenzione 
internazionale 
(comma 5). 
Per 
tutti 
i 
procedimenti 
indicati 
dall’art. 
30-bis 
è 
competente 
la 
corte 
d’appello, le 
cui 
decisioni 
sono ricorribili 
in cassazione 
per i 
motivi 
previsti 
dall’art. 360 c.p.c. 


*** 


14. 
modifica 
in 
materia 
di 
rimedi 
preventivi 
per 
l’eccessiva 
durata 
del processo 
l’art. 
15, 
comma 
1, 
del 
D.lgs. 
n. 
149/2022 
interviene 
sulla 
legge 
n. 


giudiziarie 
e 
gli 
accordi 
stragiudiziali 
stranieri 
si 
applicano 
le 
disposizioni 
del 
presente 
articolo 
nei 
limiti e alle condizioni previste dal diritto dell’unione e dalle convenzioni internazionali”. 



temI 
IStItUzIonalI 


89/2001 (c.d. legge 
Pinto), con riferimento ai 
rimedi 
preventivi 
per la 
violazione 
del 
termine 
ragionevole 
di 
durata 
del 
processo, sostituendo il 
comma 
1 
dell’art. 1-ter 
con il seguente: 


“1. 
ai 
fini 
della 
presente 
legge, 
nei 
processi 
civili 
costituisce 
rimedio 
preventivo 
a 
norma 
dell’articolo 
1-bis, 
comma 
1, 
l’introduzione 
del 
giudizio 
nelle 
forme 
del 
procedimento 
semplificato 
di 
cognizione 
di 
cui 
agli 
articoli 
281-decies 
e 
seguenti 
del 
codice 
di 
procedura civile. costituisce 
altresì 
rimedio preventivo 
formulare 
richiesta 
di 
passaggio 
dal 
rito 
ordinario 
al 
rito 
semplificato 
a norma dell’articolo 183-bis 
del 
codice 
di 
procedura civile, entro l’udienza 
di 
trattazione 
e 
comunque 
almeno 
sei 
mesi 
prima 
che 
siano 
trascorsi 
i 
termini 
di 
cui 
all’articolo 
2, 
comma 
2-bis. 
nelle 
cause 
in 
cui 
non 
si 
applica 
il 
rito 
semplificato 
di 
cognizione, 
ivi 
comprese 
quelle 
in 
grado 
di 
appello, 
costituisce 
rimedio 
preventivo 
proporre 
istanza 
di 
decisione 
a 
seguito 
di 
trattazione 
orale 
a norma degli 
articoli 
275, commi 
secondo, terzo e 
quarto, 281-sexies 
e 
350bis 
del 
codice 
di 
procedura civile, almeno sei 
mesi 
prima che 
siano trascorsi 
i 
termini 
di 
cui 
all’articolo 
2, 
comma 
2-bis. 
nelle 
cause 
in 
cui 
il 
tribunale 
giudica 
in 
composizione 
collegiale, 
il 
giudice 
istruttore 
quando 
ritiene 
che 
la 
causa 
può 
essere 
decisa 
a 
seguito 
di 
trattazione 
orale, 
rimette 
la 
causa 
al 
collegio 
a norma dell’articolo 275-bis del codice di procedura civile”. 


In particolare, la 
nuova 
norma 
opera 
una 
modifica 
di 
coordinamento, sostituendo 
il 
riferimento al 
rito sommario con quello al 
rito semplificato di 
cognizione 
(disciplinato 
dal 
nuovo 
capo 
III-quater 
del 
libro 
II, 
titolo 
I, 
del 
c.p.c., artt. 281-decies 
e ss.). 


Inoltre, si 
prevede 
che, nelle 
cause 
alle 
quali 
non si 
applica 
il 
rito semplificato, 
anche 
in 
appello, 
costituisca 
rimedio 
preventivo 
l’istanza 
di 
trattazione 
orale, non solo proposta 
a 
norma 
dell’art. 281-sexies 
c.p.c. (decisione 
a seguito 
di 
trattazione 
orale 
dinanzi 
al 
giudice 
monocratico, come 
da normativa 
vigente), ma anche: 


-dell’art. 
275 
c.p.c., 
comma 
secondo, 
(istanza 
di 
trattazione 
orale 
dinanzi 
al collegio); 
-dell’art. 
350-bis 
c.p.c. 
(decisione 
a 
seguito 
di 
discussione 
orale 
in 
appello). 
*** 


15. l’arbitrato 
numerose le modifiche introdotte anche in materia di arbitrato. 


oltre 
alle 
nuove 
disposizioni 
tese 
a 
rafforzare 
le 
garanzie 
di 
indipendenza 
e 
imparzialità 
degli 
arbitri 
(25), degna 
di 
nota 
è 
la 
nuova 
disciplina 
della 
translatio 
iudicii 
tra giudizio arbitrale e giudizio ordinario e viceversa. 


(25) Si 
segnala, ad esempio, che: 
a) all’art. 810, al 
terzo comma, è 
aggiunto, in fine, il 
seguente 
periodo: 
“la nomina avviene 
nel 
rispetto di 
criteri 
che 
assicurano trasparenza, rotazione 
ed efficienza 
e, a tal 
fine, della nomina viene 
data notizia sul 
sito dell’ufficio giudiziario”; 
b) all’art. 813, il 
primo 
comma 
è 
sostituito dal 
seguente: 
“l’accettazione 
degli 
arbitri 
è 
data per 
iscritto, anche 
mediante 
sottoscrizione 
del 
compromesso o del 
verbale 
della prima riunione, ed è 
accompagnata, a pena di 
nullità, 

raSSeGna 
avvocatUra 
Dello 
Stato -n. 4/2022 


anzitutto con una 
disposizione 
di 
carattere 
generale, inserita 
nel 
nuovo 
art. 
816-bis.1 
c.p.c., 
si 
prevede 
che 
“la 
domanda 
di 
arbitrato 
produce 
gli 
effetti 
sostanziali 
della domanda giudiziale 
e 
li 
mantiene 
nei 
casi 
previsti 
dall’articolo 
819-quater”, sicché 
gli 
effetti 
prodotti 
dalla 
domanda 
arbitrale 
vengono 
mantenuti 
anche 
nel 
caso di 
trasmigrazione 
del 
processo avanti 
al 
giudice 
ordinario, 
nelle ipotesi previste dal nuovo art. 819-quater 
c.p.c. 


l’art. 
819-quater 
c.p.c. 
disciplina 
nel 
dettaglio 
la 
riassunzione 
della 
causa 
tra giudizio ordinario e arbitrato, in entrambi i sensi, disponendo che: 


“Il 
processo instaurato davanti 
al 
giudice 
continua davanti 
agli 
arbitri 
se 
una delle 
parti 
procede 
a norma dell’articolo 810 entro tre 
mesi 
dal 
passaggio 
in giudicato della sentenza con cui 
è 
negata la competenza in ragione 
di una convenzione di arbitrato o dell’ordinanza di regolamento. 


Il 
processo 
instaurato 
davanti 
agli 
arbitri 
continua 
davanti 
al 
giudice 
competente 
se 
la 
riassunzione 
della 
causa 
ai 
sensi 
dell’articolo 
125 
delle 
disposizioni 
di 
attuazione 
del 
presente 
codice 
avviene 
entro 
tre 
mesi 
dal 
passaggio 
in 
giudicato 
del 
lodo 
che 
declina 
la 
competenza 
arbitrale 
sulla 
lite 
o 
dalla 
pubblicazione 
della 
sentenza 
o 
dell’ordinanza 
che 
definisce 
la 
sua 
impugnazione. 


le 
prove 
raccolte 
nel 
processo davanti 
al 
giudice 
o all’arbitro dichiarati 
non 
competenti 
possono 
essere 
valutate 
come 
argomenti 
di 
prova 
nel 
processo 
riassunto ai sensi del presente articolo. 


l’inosservanza 
dei 
termini 
fissati 
per 
la 
riassunzione 
ai 
sensi 
del 
presente 
articolo 
comporta 
l’estinzione 
del 
processo. 
si 
applicano 
gli 
articoli 
307, 
quarto comma, e 310”. 


viene 
quindi 
prevista 
la 
possibilità, 
in 
tutte 
le 
ipotesi 
di 
declinatoria 
di 
competenza 
(dall’arbitro 
al 
giudice 
e 
dal 
giudice 
all’arbitro) 
di 
mantenere 
salvi 
gli 
effetti 
della 
domanda 
attraverso 
la 
riassunzione, 
ovvero 
(nel 
caso 
di 
dichiarata 
competenza 
arbitrale) predisposizione 
ad opera 
delle 
parti 
di 
tutte 
le 
attività 
necessarie all’instaurazione del processo. 


Un 
ulteriore 
rilevante 
intervento 
in 
tema 
di 
arbitrato 
è 
la 
disciplina 
dei 
poteri cautelari da parte degli arbitri rituali. 


In 
concreto, 
il 
riconoscimento 
dei 
poteri 
cautelari 
all’arbitro 
non 
viene 
attuato in modo generalizzato, ma 
circoscritto alle 
sole 
ipotesi 
di 
libera 
e 
consapevole 
scelta 
ad opera 
delle 
parti 
compromittenti. In questo senso l’art. 818 


c.p.c. 
viene 
dunque 
modificato 
prevedendo 
che: 
“le 
parti 
anche 
mediante 
rinvio 
a 
regolamenti 
arbitrali, 
possono 
attribuire 
agli 
arbitri 
il 
potere 
di 
emanare 
da una dichiarazione 
nella quale 
è 
indicata ogni 
circostanza rilevante 
ai 
sensi 
dell’articolo 815, primo 
comma, ovvero la relativa insussistenza. l’arbitro deve 
rinnovare 
la dichiarazione 
in presenza di 
circostanze 
sopravvenute. In caso di 
omessa dichiarazione 
o di 
omessa indicazione 
di 
circostanze 
che 
legittimano 
la ricusazione, la parte 
può richiedere, entro dieci 
giorni 
dalla accettazione 
o dalla scoperta 
delle 
circostanze, 
la 
decadenza 
dell’arbitro 
nei 
modi 
e 
con 
le 
forme 
di 
cui 
all’articolo 
813-bis”; 
c) 
all’art. 
815, primo comma, è 
aggiunto, in fine, il 
seguente 
numero: 
“6-bis) se 
sussistono altre 
gravi 
ragioni 
di 
convenienza, tali da incidere sull’indipendenza o sull’imparzialità dell’arbitro”. 



temI 
IStItUzIonalI 


misure 
cautelari 
con la convenzione 
di 
arbitrato o con atto scritto anteriore 
all’instaurazione del giudizio arbitrale”. 


Il 
riconoscimento 
del 
potere 
cautelare 
in 
capo 
agli 
arbitri 
è 
peraltro 
contemperato 
e 
coordinato 
con 
l’attribuzione 
del 
potere 
cautelare 
in 
capo 
all’autorità 
giudiziaria 
onde 
evitare 
una 
potestas 
concorrente 
tra 
arbitri 
e 
giudici 
ordinari. 
a 
tal 
fine, 
all’art. 
818 
c.p.c. 
sono 
introdotte 
le 
ulteriori 
disposizioni 
per 
le 
quali: 
“la 
competenza 
cautelare 
attribuita 
agli 
arbitri 
è 
esclusiva. 
Prima 
dell’accettazione 
dell’arbitro 
unico 
o 
della 
costituzione 
del 
collegio 
arbitrale, 
la 
domanda 
cautelare 
si 
propone 
al 
giudice 
competente 
ai 
sensi 
dell’articolo 
669-quinquies”. 


Inoltre, ai 
sensi 
del 
nuovo art. 818-bis 
c.p.c.: 
“contro il 
provvedimento 
degli 
arbitri 
che 
concede 
o nega una misura cautelare 
è 
ammesso reclamo a 
norma 
dell’articolo 
669‑terdecies 
davanti 
alla 
corte 
di 
appello, 
nel 
cui 
distretto 
è 
la 
sede 
dell’arbitrato, 
per 
i 
motivi 
di 
cui 
all’articolo 
829, 
primo 
comma, in quanto compatibili, e per contrarietà all’ordine pubblico” (26). 


Degna 
di 
nota, 
infine, 
è 
la 
modifica 
dell’art. 
828 
c.p.c. 
ove 
si 
prevede 
che 
l’impugnazione 
del 
lodo “non è 
più proponibile 
decorsi 
sei 
mesi 
dalla data 
dell’ultima sottoscrizione”, anziché 
dalla 
data 
di 
un anno, come 
sino ad oggi 
avveniva. In questo senso, la 
modifica 
risponde 
all’esigenza 
di 
uniformare 
il 


c.d. termine 
lungo per l’impugnazione 
del 
provvedimento decisorio di 
primo 
grado, sino ad oggi incongruamente diversificato tra sentenza e lodo. 
*** 


16. modifiche in materia di mediazione 
16.1 Disciplina transitoria 
ai 
sensi 
dell’art. 
41, 
comma 
1 
(27), 
del 
D.lgs. 
149/2022 
(disposizioni 
transitorie 
delle 
modifiche 
al 
decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28), “le 
disposizioni 
di 
cui 
all’articolo 2, comma 2, e 
di 
cui 
all’articolo 7, comma 1, lettere 
c), 
numero 
3), 
d), 
e), 
f, 
g), 
h), 
t), 
u), 
v), 
z), 
aa) 
e 
bb), 
si 
applicano 
a 
decorrere dal 30 giugno 2023” (28). 


ne 
deriva 
che 
per le 
altre 
disposizioni, diverse 
da 
quelle 
espressamente 
indicate, 
il 
termine 
di 
entrata 
in 
vigore 
resta 
individuato 
dalla 
disposizione 
generale 
di cui all’art. 35, comma 1, nel 28 febbraio 2023. 


(26) 
È 
disciplinata 
altresì 
l’attuazione 
dei 
provvedimenti 
cautelari 
concessi 
dagli 
arbitri. 
con 
l’introduzione 
dell’art. 818-ter 
c.p.c. si 
prevede 
che 
“Il 
giudice 
ordinario mantiene 
altresì 
la competenza 
per 
l’eventuale 
fase 
di 
attuazione 
della 
misura”. 
viene 
così 
stabilito 
che 
“l’attuazione 
delle 
misure 
cautelari 
concesse 
dagli 
arbitri 
è 
disciplinata dall’articolo 669-duodecies 
e 
si 
svolge 
sotto il 
controllo del 
tribunale 
nel 
cui 
circondario è 
la sede 
dell’arbitrato o, se 
la sede 
dell’arbitrato non è 
in Italia, il 
tribunale 
del 
luogo in cui 
la misura cautelare 
deve 
essere 
attuata. resta salvo il 
disposto degli 
articoli 
677 
e seguenti in ordine all’esecuzione dei sequestri concessi dagli arbitri. 
competente è il tribunale previsto dal primo comma”. 
(27) comma 
così 
modificato dall’art. 1, comma 380, lett. c), n. 1), l. 29 dicembre 
2022, n. 197, 
a decorrere dal 1° gennaio 2023. 
(28) la 
disposizione 
è 
stata 
così 
modificata 
dall’art. 37 del 
D.l. 24 febbraio 2023, n. 13, che 
ha 
aggiunto le parole “all’articolo 2, comma 2, e di cui”. 

raSSeGna 
avvocatUra 
Dello 
Stato -n. 4/2022 


16.2 le novità 
molteplici 
sono 
gli 
interventi 
della 
riforma 
sul 
testo 
del 
D.lgs. 
n. 
28/2010 
(29). 


le 
modifiche 
sono, per un verso, finalizzate 
ad incentivare 
il 
ricorso alla 
mediazione 
e 
agli 
altri 
strumenti 
di 
risoluzione 
stragiudiziale 
delle 
controversie, 
prevedendosi 
maggiori 
incentivi 
fiscali 
che 
in passato (30), la 
possibilità 
di 
accedere 
al 
patrocinio a 
spese 
dello Stato 
(31) 
e 
un ampliamento delle 
materie 
soggette 
alla 
mediazione 
obbligatoria. 
Per 
altro 
verso, 
il 
D.lgs. 
n. 
149/2022 ha irrigidito il regime di improcedibilità della domanda giudiziale. 


Di seguito le norme di maggiore impatto per l’avvocatura dello Stato. 


all’art. 
4 
(accesso 
alla 
mediazione), 
comma 
1, 
si 
prevede 
adesso 
che 
“... 
la 
competenza 
[territoriale] 
dell’organismo 
è 
derogabile 
su 
accordo 
delle 
parti”. 


l’art. 5 (condizione 
di 
procedibilità e 
rapporti 
con il 
processo), profondamente 
rivisitato, prevede 
adesso che 
il 
ricorso alla 
mediazione 
in via 
preventiva 
è 
obbligatorio 
anche 
per 
le 
controversie 
in 
materia 
di 
contratti 
di 
associazione 
in partecipazione, di 
consorzio, di 
franchising, di 
opera, di 
rete, 
di somministrazione, di società di persone e di subfornitura (comma 1) (32). 


Il 
comma 
2 
ribadisce 
che 
la 
mediazione 
è 
condizione 
di 
procedibilità 
della 
domanda 
giudiziaria 
e 
che 
l’improcedibilità 
può 
essere 
eccepita 
dal 
convenuto 


o 
rilevata 
dal 
giudice 
d’ufficio. 
con 
l’aggiunta 
di 
un 
ultimo 
periodo 
viene 
chiarito 
che, 
qualora 
il 
giudice 
abbia 
fissato 
un’ulteriore 
udienza 
perché 
nella 
prima 
ha 
rilevato che 
la 
mediazione 
non è 
stata 
esperita 
o non si 
è 
conclusa 
(33), in 
tale 
udienza 
deve 
accertare 
se 
la 
mediazione 
sia 
stata 
effettuata 
ovvero 
dichiarare 
l’improcedibilità della domanda. 
Il 
comma 
3 
fa 
salve 
le 
procedure 
alternative 
previste 
da 
leggi 
speciali 
nelle 
materie 
soggette 
a 
mediazione 
obbligatoria: 
l’istituto della 
risoluzione 
delle 
controversie 
in 
materia 
bancaria 
e 
creditizia 
ex 
art. 
128-bis 
D.lgs. 
n. 
385/1993, in materia 
finanziaria 
(art. 32-ter, D.lgs. n. 58/1998), in materia 
di 
assicurazioni 
private 
(art. 187.1 D.lgs. n. 209/2005) e 
le 
procedure 
di 
conciliazione 
o di 
arbitrato presso le 
autorità 
Indipendenti 
nei 
casi 
di 
controversie 


(29) 
le 
problematiche 
applicative 
della 
riforma 
della 
mediazione 
sull’attività 
dell’avvocatura 
dello Stato potranno essere oggetto di separate istruzioni. 
(30) le agevolazioni fiscali sono contenute nell’art. 20 del D.lgs. n. 28/2010. 
(31) v. artt. da 15-bis 
a 15-undecies 
del nuovo capo II-bis 
del D.lgs. n. 28/2010. 
(32) art. 5 comma 
1: 
“chi 
intende 
esercitate 
in giudizio un’azione 
relativa a una controversia in 
materia di 
condominio, diritti 
reali, divisione, successioni 
ereditarie, patti 
di 
famiglia, locazione, comodato, 
affitto di 
aziende, risarcimento del 
danno derivante 
da responsabilità medica e 
sanitaria e 
da 
diffamazione 
con il 
mezzo della stampa o con altro mezzo di 
pubblicità, contratti 
assicurativi, bancari 
e 
finanziari, associazione 
in partecipazione, consorzio, franchising, opera, rete, somministrazione, società 
di 
persone 
e 
subfornitura, è 
tenuto preliminarmente 
a esperire 
il 
procedimento di 
mediazione 
ai 
sensi del presente capo”. 
(33) Il 
termine 
di 
conclusione 
è 
quello indicato nel 
successivo art. 6: 
tre 
mesi 
prorogabile 
di 
ulteriori 
tre con l’accordo delle parti. 

temI 
IStItUzIonalI 


insorte 
tra 
utenti 
e 
soggetti 
esercenti 
il 
servizio (art. 2, comma 
24, lettera 
b, l. 
n. 481/1995). 


Il 
comma 
4 stabilisce 
che 
la 
condizione 
di 
procedibilità 
si 
considera 
avverata 
se 
il 
primo incontro dinanzi 
al 
mediatore 
si 
conclude 
senza 
l’accordo 
di conciliazione. 


Il 
comma 
5 dispone 
che 
lo svolgimento della 
mediazione 
non preclude 
la 
concessione 
dei 
provvedimenti 
urgenti 
e 
cautelari 
né 
la 
trascrizione 
della 
domanda giudiziale. 


Il 
comma 
6 elenca, infine, i 
casi 
in cui 
non si 
applica 
il 
regime 
di 
improcedibilità 
stabilito dal 
comma 
1 né 
la 
mediazione 
può essere 
demandata 
dal 
giudice 
ai 
sensi 
dell’art. 5-quater. Si 
tratta 
dei 
medesimi 
casi 
già 
previsti 
dal 
precedente 
testo 
con 
l’aggiunta 
di 
quello 
indicato 
alla 
lettera 
h), 
ovvero 
l’azione 
inibitoria 
regolamentata 
dall’art. 
37 
D.lgs. 
n. 
206/2005 
(codice 
del 
consumo) (34). 


l’art. 7, lett. e), del 
D.lgs. n. 149/2022 ha 
introdotto l’art. 5-bis 
(Procedimento 
di 
opposizione 
a 
decreto 
ingiuntivo), 
ponendo 
in 
tal 
caso 
l’onere 
di 
presentare 
la 
domanda 
di 
mediazione 
sulla 
parte 
che 
ha 
proposto 
ricorso 
per 
decreto ingiuntivo. 


Il 
giudice 
alla 
prima 
udienza 
provvede 
sulle 
istanze 
di 
concessione 
e 
sospensione 
della 
provvisoria 
esecuzione 
se 
formulate 
e, 
accertato 
il 
mancato 
esperimento 
del 
tentativo 
obbligatorio 
di 
mediazione, 
fissa 
la 
successiva 
udienza 
dopo 
la 
scadenza 
del 
termine 
di 
durata 
massima 
del 
procedimento 
di 
mediazione 
di 
cui 
all’articolo 
6. 
a 
tale 
udienza, 
se 
la 
mediazione 
non 
è 
stata 
esperita, 
dichiara 
l’improcedibilità 
della 
domanda 
giudiziale 
proposta 
con 
il 
ricorso 
per 
decreto 
ingiuntivo, 
revoca 
il 
decreto 
opposto 
e 
provvede 
sulle 
spese 
(la 
norma 
fa 
proprio 
il 
principio 
stabilito 
da 
cass. 
SS.UU. 
n. 
19596/2020). 


Di 
particolare 
rilievo 
è 
poi 
l’art. 
5-quater 
(mediazione 
demandata 
dal 
giudice), in base 
al 
quale 
“1. Il 
giudice, anche 
in sede 
di 
giudizio di 
appello, 
fino al 
momento della precisazione 
delle 
conclusioni, valutata la natura della 


(34) art. 6: “Il comma 1 e l’articolo 5-quater non si applicano: 
a) nei 
procedimenti 
per 
ingiunzione, inclusa l’opposizione, fino alla pronuncia sulle 
istanze 
di 
concessione 
e sospensione della provvisoria esecuzione, secondo quanto previsto dall’articolo 5-bis; 
b) nei 
procedimenti 
per 
convalida di 
licenza o sfratto, fino al 
mutamento del 
rito di 
cui 
all’articolo 667 
del codice di procedura civile; 
c) nei 
procedimenti 
di 
consulenza tecnica preventiva ai 
fini 
della composizione 
della lite, di 
cui 
all’articolo 
696-bis del codice di procedura civile; 
d) 
nei 
procedimenti 
possessori, 
fino 
alla 
pronuncia 
dei 
provvedimenti 
di 
cui 
all’articolo 
703, 
terzo 
comma, del codice di procedura civile; 
e) nei procedimenti di opposizione o incidentali di cognizione relativi all’esecuzione forzata; 
f) nei procedimenti in camera di consiglio; 
g) nell’azione civile esercitata nel processo penale; 
h) nell’azione 
inibitoria di 
cui 
all’articolo 37 del 
codice 
del 
consumo, di 
cui 
al 
decreto legislativo 6 settembre 
2005, n. 206”. 

raSSeGna 
avvocatUra 
Dello 
Stato -n. 4/2022 


causa, lo stato dell’istruzione, il 
comportamento delle 
parti 
e 
ogni 
altra circostanza, 
può disporre, con ordinanza motivata, l’esperimento di 
un procedimento 
di 
mediazione. 
con 
la 
stessa 
ordinanza 
fissa 
la 
successiva 
udienza 
dopo 
la scadenza del termine di cui all’articolo 6. 


2. 
la 
mediazione 
demandata 
dal 
giudice 
è 
condizione 
di 
procedibilità 
della domanda giudiziale. si applica l’articolo 5, commi 4, 5 e 6. 
3. 
all’udienza 
di 
cui 
al 
comma 
1, 
quando 
la 
mediazione 
non 
risulta 
esperita, 
il giudice dichiara l’improcedibilità della domanda giudiziale”. 
nel 
silenzio 
della 
disposizione, 
non 
è 
chiaro 
quale 
sia 
la 
conseguenza 
del 
mancato 
esperimento 
del 
tentativo 
di 
mediazione 
demandato 
in 
appello. 
onde 
evitare 
sfavorevoli 
e 
irrimediabili 
effetti 
della 
impugnazione 
proposta 
nell’interesse 
delle 
amministrazioni 
patrocinate, in sede 
di 
prima 
applicazione 
della 
norma, si 
suggerisce 
di 
attivarsi 
per esperire 
il 
procedimento di 
mediazione, 
onde 
evitare 
il 
rischio 
di 
una 
pronuncia 
di 
improcedibilità 
che 
possa 
far 
passare 
in giudicato la sentenza appellata. 


Parimenti 
rilevante 
è 
l’art. 
5-sexies 
(mediazione 
su 
clausola 
contrattuale 


o statutaria). nella 
nuova 
disposizione 
è 
collocato l’istituto della 
mediazione 
convenzionalmente 
pattuita, 
precedentemente 
contenuta 
nel 
novellato 
comma 
5 dell’art. 5. Il 
legislatore 
della 
riforma 
ha 
avvertito l’esigenza 
di 
chiarire 
che 
l’esperimento della 
mediazione 
prevista 
in una 
clausola 
contrattuale 
o statutaria 
costituisce, al 
pari 
della 
previsione 
di 
legge, “condizione 
di 
procedibilità 
della domanda giudiziale”. 
l’art. 6 (durata), come 
riformulato, prevede 
che 
“1. Il 
procedimento di 
mediazione 
ha una durata non superiore 
a tre 
mesi, prorogabile 
di 
ulteriori 
tre 
mesi 
dopo la sua instaurazione 
e 
prima della sua scadenza con accordo 
scritto delle parti. 


2. 
Il 
termine 
di 
cui 
al 
comma 1 decorre 
dalla data di 
deposito della domanda 
di 
mediazione 
o dalla scadenza del 
termine 
fissato dal 
giudice 
per 
il 
deposito della stessa e, anche 
nei 
casi 
in cui 
il 
giudice 
dispone 
il 
rinvio della 
causa 
ai 
sensi 
dell’articolo 
5, 
comma 
2, 
ovvero 
ai 
sensi 
dell’articolo 
5-quater, 
comma 1, non è soggetto a sospensione feriale. 
3. 
se 
pende 
il 
giudizio, 
le 
parti 
comunicano 
al 
giudice 
la 
proroga 
del 
termine 
di cui al comma 1”. 
l’art. 7 (effetti 
sulla ragionevole 
durata del 
processo) chiarisce 
che 
“1. 
Il 
periodo di 
cui 
all’articolo 6 e 
il 
periodo del 
rinvio disposto dal 
giudice 
ai 
sensi 
dell’articolo 5, comma 2 e 
dell’articolo 5-quater, comma 1, non si 
computano 
ai fini di cui all’articolo 2 della legge 24 marzo 2001, n. 89”. 


l’art. 
8 
(Procedimento) 
disciplina, 
con 
maggiore 
dettaglio 
che 
in 
passato, 
l’iter di svolgimento (commi 1, 3 e 6). 


È 
opportuno sottolineare 
che 
il 
comma 
2, con norma 
di 
carattere 
sostanziale, 
precisa 
che 
“dal 
momento in cui 
la comunicazione 
di 
cui 
al 
comma 1 
perviene 
a conoscenza delle 
parti, la domanda di 
mediazione 
produce 
sulla 



temI 
IStItUzIonalI 


prescrizione 
gli 
effetti 
della 
domanda 
giudiziale 
e 
impedisce 
la 
decadenza 
per 
una sola volta. la parte 
può a tal 
fine 
comunicare 
all’altra parte 
la domanda 
di 
mediazione 
già 
presentata 
all’organismo 
di 
mediazione, 
fermo 
l’obbligo 
dell’organismo di procedere ai sensi del comma 1”. 


I commi 
4 e 
5, entrambi 
di 
nuova 
formulazione, sono invece 
rilevanti 
per 
avere 
chiarito che 
la 
presenza 
dei 
difensori 
delle 
parti 
è 
di 
norma 
necessaria, 
giacché 
“4. 
le 
parti 
partecipano 
personalmente 
alla 
procedura 
di 
mediazione. 
In presenza di 
giustificati 
motivi, possono delegare 
un rappresentante 
a conoscenza 
dei 
fatti 
e 
munito 
dei 
poteri 
necessari 
per 
la 
composizione 
della 
controversia. 
I soggetti 
diversi 
dalle 
persone 
fisiche 
partecipano alla procedura 
di 
mediazione 
avvalendosi 
di 
rappresentanti 
o delegati 
a conoscenza dei 
fatti 
e 
muniti 
dei 
poteri 
necessari 
per 
la composizione 
della controversia. 
[ ... ]” 
e 
“5. nei 
casi 
previsti 
dall’articolo 5, comma 1, e 
quando la mediazione 
è 
demandata 
dal giudice, le parti sono assistite dai rispettivi avvocati”. 


Il 
comma 
7 
sancisce 
la 
facoltà 
del 
mediatore 
di 
avvalersi 
di 
esperti 
iscritti 
negli 
albi 
dei 
consulenti 
presso 
i 
tribunali 
con 
onere 
a 
carico 
delle 
parti. 
al 
momento 
della 
nomina 
dell’esperto, 
le 
parti 
possono 
convenire 
la 
producibilità 
in giudizio della 
sua 
relazione, anche 
in deroga 
all’articolo 9. In tal 
caso, la 
relazione è valutata ai sensi dell’art. 116, comma primo, c.p.c. 


l’art. 
8-bis 
(mediazione 
in 
modalità 
telematica) 
detta 
le 
regole 
di 
svolgimento 
della 
mediazione 
con 
modalità 
telematiche 
per 
quanto 
concerne 
gli 
atti 
delle 
parti 
e 
del 
mediatore 
e 
prevede 
anche 
la 
possibilità 
di 
sedute 
con 
collegamento 
audiovisivo 
da 
remoto, 
ma 
con 
possibilità 
di 
ciascuna 
parte 
di 
chiedere 
al 
responsabile 
dell’organismo 
di 
mediazione 
di 
partecipare 
in 
presenza. 


Il 
verbale 
delle 
sedute 
e 
l’eventuale 
accordo, 
redatti 
come 
documento 
elettronico, 
nei 
casi 
di 
cui 
all’art. 
5, 
comma 
1, 
e 
quando 
la 
mediazione 
è 
demandata 
dal 
giudice, 
è 
inviato 
dal 
mediatore 
non 
solo 
alle 
parti 
ma 
anche 
agli 
avvocati 
che 
lo 
sottoscrivono 
con 
le 
stesse 
modalità. 
Una 
volta 
che 
il 
documento 
è 
stato 
sottoscritto 
dagli 
avvocati, 
lo 
stesso 
viene 
restituito 
al 
mediatore, 
che 
lo 
firma 
a 
sua 
volta 
in 
modalità 
digitale, 
per 
poi 
trasmetterlo 
agli 
avvocati, 
se 
nominati, 
e 
alla 
segreteria 
dell’organismo 
in 
cui 
si 
è 
svolta 
la 
mediazione. 


l’art. 11 (conclusione 
del 
procedimento) disciplina 
le 
diverse 
ipotesi 
di 
mancato accordo o di raggiungimento dello stesso. 


nel 
primo caso il 
mediatore 
deve 
darne 
atto nel 
verbale 
e 
può formulare 
alle 
parti 
una 
proposta 
di 
conciliazione. vi 
è 
invece 
tenuto se 
le 
parti 
gliene 
fanno 
concorde 
richiesta. 
Prima 
della 
formulazione 
della 
proposta, 
il 
mediatore 
informa 
le 
parti 
delle 
possibili 
conseguenze 
di 
cui 
all’art. 13 in tema 
di 
spese 
del futuro giudizio. 


Il 
comma 
3 prevede 
che 
“l’accordo di 
conciliazione 
contiene 
l’indicazione 
del 
relativo 
valore”; 
mentre 
il 
comma 
6, 
all’ultimo 
periodo, 
che 
“È 
fatto 



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Dello 
Stato -n. 4/2022 


obbligo all’organismo di 
conservare 
copia degli 
atti 
dei 
procedimenti 
trattati 
per almeno un triennio dalla data della loro conclusione”. 


Degno 
di 
attenzione 
particolare, 
per 
i 
suoi 
riflessi 
rispetto 
all’attività 
dell’avvocatura 
nel 
favorire 
la 
conciliazione 
della 
lite 
in potenza 
o in atto nei 
casi 
in cui 
essa 
appaia 
particolarmente 
opportuna, è 
l’art. 11-bis 
(accordo di 
conciliazione 
sottoscritto dalle 
amministrazioni 
pubbliche). con norma 
evidentemente 
finalizzata 
a 
stimolare 
la 
definizione 
positiva 
della 
mediazione, si 
prevede 
che 
“ai 
rappresentanti 
delle 
amministrazioni 
pubbliche, 
di 
cui 
all’articolo 
1, comma 2, del 
decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, che 
sottoscrivono 
un 
accordo 
di 
conciliazione 
si 
applica 
l’articolo 
1, 
comma 
01.bis 
della legge 
14 gennaio 1994, n. 20” 
(35). I funzionari 
che 
sottoscrivono l’accordo 
non sono dunque 
soggetti 
a 
responsabilità 
contabile 
se 
non nel 
caso di 
dolo 
o 
colpa 
grave 
consistenti 
nella 
negligenza 
inescusabile 
derivante 
dalla 
grave violazione di legge o da travisamento dei fatti. 


l’art. 
12 
(efficacia 
esecutiva 
ed 
esecuzione) 
distingue 
l’ipotesi 
nella 
quale 
all’accordo 
abbiano 
preso 
parte 
gli 
avvocati 
(costituisce 
titolo 
esecutivo 
per 
l’espropriazione 
forzata, 
l’esecuzione 
per 
consegna 
e 
rilascio, 
l’esecuzione 
degli 
obblighi 
di 
fare 
e 
non 
fare, 
nonché 
per 
l’iscrizione 
di 
ipoteca 
giudiziale) 
dall’ipotesi 
opposta 
nella 
quale, 
per 
attribuire 
analoga 
efficacia 
di 
titolo 
esecutivo, 
occorre 
sottoporre 
l’accordo 
al 
procedimento 
giudiziale 
di 
omologazione 
con 
decreto 
del 
Presidente 
del 
tribunale, 
previo 
accertamento 
della 
regolarità 
formale 
e 
del 
rispetto 
delle 
norme 
imperative 
e 
del-
l’ordine 
pubblico. 


l’art. 12-bis 
(conseguenze 
processuali 
della mancata partecipazione 
al 
procedimento di 
mediazione), di 
nuova 
introduzione, detta 
una 
norma 
tesa 
a 
favorire 
la 
partecipazione 
alla 
procedura 
di 
mediazione, 
prevendendo, 
al 
comma 
1, conseguenze 
sfavorevoli 
per la 
parte 
che 
vi 
si 
sottragga 
immotivatamente 
in 
termini 
di 
“argomenti 
di 
prova 
nel 
successivo 
giudizio 
ai 
sensi 
dell’articolo 116, secondo comma, del 
codice 
di 
procedura civile” 
che 
il 
giudice 
potrà desumere dalla scelta della parte di disertare l’invito. 


(35) Il 
richiamo contenuto nel 
nuovo art. 11-bis 
del 
D.lgs. n. 28/2010 deve 
intendersi 
riferito al 
n. 1.1. e 
non al 
01.bis 
dell’art. 1 della 
legge 
n. 20/1994. che 
si 
tratti 
di 
un refuso della 
nuova 
norma 
lo 
si 
evince 
dal 
contenuto della 
legge 
delega 
richiamato nella 
relazione 
illustrativa 
dove 
si 
legge 
(p. 125) 
“la lettera g) del 
comma 4 dell’unico articolo della legge 
delega contiene 
un criterio di 
delega volto 
ad incentivare 
la conclusione 
di 
accordi 
da parte 
delle 
amministrazioni 
pubbliche, disponendo che 
per 
i 
rappresentanti 
delle 
amministrazioni 
pubbliche 
di 
cui 
all’articolo 1, comma 2, del 
decreto legislativo 
n. 
165 
del 
2001, 
la 
conciliazione 
nel 
procedimento 
di 
mediazione 
ovvero 
in 
sede 
giudiziale 
non 
dà 
luogo 
a responsabilità contabile, salvo il 
caso in cui 
sussista dolo o colpa grave, consistente 
nella negligenza 
inescusabile derivante dalla grave violazione della legge o dal travisamento dei fatti. 
oltre 
alle 
modifiche 
all’articolo 1 della legge 
14 gennaio 1994, n. 20, è 
stato inserito l’articolo 11-bis 
nel 
d.lgs. n. 28 del 
2010, al 
fine 
di 
effettuare 
un espresso richiamo alla nuova disposizione 
della legge 
n. 20 del 
1994 applicabile 
nei 
casi 
di 
accordo conciliativo sottoscritto, in sede 
di 
mediazione, dalle 
amministrazioni 
pubbliche”. 

temI 
IStItUzIonalI 


I commi 
2 e 
3 sanzionano più gravemente 
i 
casi 
nei 
quali 
la 
mediazione 
costituisca 
condizione 
di 
procedibilità: 
“2. quando la mediazione 
costituisce 
condizione 
di 
procedibilità, 
il 
giudice 
condanna 
la 
parte 
costituita 
che 
non 
ha 
partecipato al 
primo incontro senza giustificato motivo al 
versamento all’entrata 
del 
bilancio 
dello 
stato 
di 
una 
somma 
di 
importo 
corrispondente 
al 
doppio 
del contributo unificato dovuto per il giudizio. 


3. 
nei 
casi 
di 
cui 
al 
comma 
2, 
con 
il 
provvedimento 
che 
definisce 
il 
giudizio, 
il 
giudice, 
se 
richiesto, 
può 
altresì 
condannare 
la 
parte 
soccombente 
che 
non 
ha 
partecipato 
alla 
mediazione 
al 
pagamento 
in 
favore 
della 
controparte 
di 
una 
somma 
equitativamente 
determinata 
in 
misura 
non 
superiore 
nel 
massimo 
alle 
spese 
del 
giudizio 
maturate 
dopo 
la 
conclusione 
del 
procedimento 
di 
mediazione”. 
Infine, il 
comma 
4, con norma 
di 
particolare 
rigore 
per le 
Pubbliche 
amministrazioni, 
prevede 
che 
“4. quando provvede 
ai 
sensi 
del 
comma 2, il 
giudice 
trasmette 
copia 
del 
provvedimento 
adottato 
nei 
confronti 
di 
una 
delle 
amministrazioni 
pubbliche 
di 
cui 
all’articolo 1, comma 2, del 
decreto legislativo 
30 marzo 2001, n. 165, al 
pubblico ministero presso la sezione 
giurisdizionale 
della corte dei conti 
[...]”. 


Sostanzialmente 
confermata 
la 
diversa 
previsione 
di 
cui 
all’art. 
13 
(spese 
processuali in caso di rifiuto della proposta di conciliazione). 
*** 


17. negoziazione assistita 
art. 9 D.lgs. n. 149/2022. modifiche 
al 
D.l. 12 settembre 
2014, n. 132, 
convertito, con modificazioni, dalla legge 10 novembre 2014, n. 162. 


17.1 Disciplina transitoria 
ai 
sensi 
dell’art. 41, comma 
4 (36), del 
D.lgs. n. 149/2022 (disposizioni 
transitorie 
delle 
modifiche 
al 
decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28), “4. le 
disposizioni 
di 
cui 
all’articolo 9, comma 1, lettere 
e) e 
l), si 
applicano a decorrere 
dal 30 giugno 2023”. 


ne 
deriva 
che 
per 
le 
altre 
disposizioni 
dell’art. 
9, 
diverse 
da 
quelle 
espressamente 
indicate, il 
termine 
di 
entrata 
in vigore 
resta 
individuato dalla 
disposizione 
generale di cui all’art. 35, comma 1, nel 28 febbraio 2023. 


17.2 le novità 
come 
noto, 
l’istituto 
è 
stato 
introdotto 
dagli 
artt. 
da 
2 
a 
11 
del 
D.l. 
n. 
132/2014 
e 
consiste 
in 
un 
accordo 
tra 
le 
parti 
finalizzato 
a 
risolvere 
in 
via 
amichevole 
la 
controversia. 
la 
convenzione, 
redatta 
in 
forma 
scritta 
a 
pena 
di 
nullità, 
deve 
indicare 
l’oggetto 
della 
controversia 
e 
il 
termine 
concordato 
dalle 
parti 
per la 
conclusione 
della 
procedura, in ogni 
caso non inferiore 
a 
un mese 
non superiore a tre mesi, fatto salvo un possibile rinnovo di 30 giorni. 


come 
nel 
caso 
della 
mediazione, 
il 
legislatore 
si 
è 
mosso 
nel 
duplice 


(36) comma 
così 
modificato dall’art. 1, comma 380, lett. c), n. 3), l. 29 dicembre 
2022, n. 197, 
a decorrere dal 1° gennaio 2023. 

raSSeGna 
avvocatUra 
Dello 
Stato -n. 4/2022 


senso di 
prevedere 
sia 
incentivi 
fiscali 
che 
la 
possibilità 
del 
patrocinio a 
spese 
dello Stato (37). 


l’esperimento 
del 
procedimento 
di 
negoziazione 
assistita, 
ai 
sensi 
dell’art. 
3(improcedibilità) 
del 
D.l. 
132/2014, 
è 
condizione 
di 
procedibilità 
dell’azione 
in specifiche 
materie: 
1. domande 
giudiziali 
relative 
a 
controversie 
in materia 
di 
risarcimento del 
danno da 
circolazione 
di 
veicoli 
e 
natanti; 
2. domande 
di 
pagamento, a qualsiasi titolo, di somme non superiori a € 50.000. 


ai 
sensi 
del 
comma 
3, 
“la 
disposizione 
di 
cui 
al 
comma 
1 
non 
si 
applica: 


a) 
nei 
procedimenti 
per 
ingiunzione, 
inclusa 
l’opposizione; 
b) 
nei 
procedimenti 
di 
consulenza tecnica preventiva ai 
fini 
della composizione 
della lite, di 
cui 
all’articolo 696-bis 
del 
codice 
di 
procedura civile; c) nei 
procedimenti 
di 
opposizione 
o 
incidentali 
di 
cognizione 
relativi 
all’esecuzione 
forzata; 
d) 
nei 
procedimenti 
in camera di 
consiglio; e) nell’azione 
civile 
esercitata nel 
processo 
penale”. mentre, ai 
sensi 
del 
comma 
4, analogamente 
che 
per la 
mediazione, 
“l’esperimento del 
procedimento di 
negoziazione 
assistita nei 
casi 
di 
cui 
al 
comma 1 non preclude 
la concessione 
di 
provvedimenti 
urgenti 
e 
cautelari, 
né la trascrizione della domanda giudiziale”. 
Sostanzialmente 
immutate, a 
seguito della 
riforma, sono le 
conseguenze 
che 
l’art. 4 (non accettazione 
dell’invito e 
mancato accordo) prevede 
per il 
caso 
di 
esito 
negativo 
della 
negoziazione, 
in 
termini 
di 
potenziali 
spese 
di 
giudizio 
e responsabilità aggravata. 


l’art. 
9, 
comma 
1, 
lett. 
c) 
n. 
2), 
del 
d.lgs. 
n. 
149/2022 
ha 
soppresso 
all’art. 
2, comma 
2, lett. b), le 
parole 
“o vertere 
in materia di 
lavoro”, sicché 
non è 
più precluso lo strumento della 
negoziazione 
assistita 
per le 
relative 
controversie 
che 
viene, infatti, disciplinata 
dall’art. 2-ter 
con la 
previsione 
espressa 
che 
in 
tal 
caso 
“le 
parti 
possono 
ricorrere 
alla 
negoziazione 
assistita 
senza 
che ciò costituisca condizione di procedibilità della domanda giudiziale”. 


l’art. 
9, 
comma 
1, 
lett. 
c) 
n. 
3), 
del 
D.lgs. 
n. 
149/2022 
ha 
aggiunto 
all’art. 
2 del 
D.l. 132/2014 il 
comma 
2-bis 
prevedendo la 
possibilità 
di 
acquisire 
dichiarazioni 
di 
terzi 
su fatti 
rilevanti 
e 
dichiarazioni 
della 
controparte 
su fatti 
ad 
essa 
sfavorevoli 
e 
favorevoli 
all’altra 
parte, 
nonché 
la 
possibilità 
di 
svolgere 
la 
negoziazione 
con modalità 
telematiche 
e 
gli 
incontri 
con collegamenti 
audiovisivi 
a distanza. 


la 
disciplina 
di 
dettaglio del 
procedimento di 
acquisizione 
di 
dichiarazioni 
da 
parte 
dei 
terzi 
-che 
deve 
essere 
stata 
preventivamente 
prevista 
nella 
convenzione 
di 
negoziazione 
-nonché 
l’efficacia 
delle 
stesse 
nel 
successivo 
giudizio di 
cognizione 
(art. 116, comma 
1, c.p.c.) e 
l’ipotesi 
di 
mancata 
presentazione 
o rifiuto di 
rendere 
dichiarazioni 
da 
parte 
del 
terzo sono collocate 
nell’art. 
4-bis 
(acquisizione 
di 
dichiarazioni), 
inserito 
dall’art. 
9, 
comma 
1, 
lett. g), D.lgs. n. 149/2022. 


(37) v. artt. da 11-bis a 11-undecies 
D.l. 132/2014. 

temI 
IStItUzIonalI 


la 
riforma 
ha 
pure 
previsto una 
nuova 
fattispecie 
di 
reato in caso di 
rilascio 
di dichiarazioni false (38). 


Il 
nuovo art. 2-bis 
prevede 
la 
possibilità 
di 
svolgere 
la 
negoziazione 
assistita 
con modalità 
telematiche. tale 
modalità 
(nonché 
i 
collegamenti 
audiovisivi 
da 
remoto) 
è 
esclusa, 
ai 
sensi 
del 
comma 
3, 
per 
l’acquisizione 
delle 
dichiarazioni del terzo di cui all’articolo 4-bis. 


l’art. 
4-ter 
(dichiarazioni 
confessorie), 
disciplina 
invece 
le 
dichiarazioni 
rese 
dalla 
controparte, se 
la 
convenzione 
di 
negoziazione 
ne 
prevede 
la 
possibilità 
di 
acquisizione, “su fatti 
specificamente 
individuati 
e 
rilevanti 
in relazione 
all’oggetto 
della 
controversia, 
ad 
essa 
sfavorevoli 
e 
favorevoli 
alla 
parte 
nel 
cui 
interesse 
sono richieste”. In tal 
caso “la dichiarazione 
è 
resa e 
sottoscritta 
dalla parte 
e 
dall’avvocato che 
la assiste 
anche 
ai 
fini 
della certificazione 
dell’autografia”. 


Di 
notevole 
importanza 
sono i 
commi 
2 e 
3 dell’art. 4-ter 
che 
sanciscono 
l’efficacia 
della 
dichiarazione 
della 
parte 
(confessione 
stragiudiziale) e 
il 
suo 
ingiustificato 
rifiuto 
di 
renderla: 
“2. 
Il 
documento 
contenente 
la 
dichiarazione 
di 
cui 
al 
comma 
1 
fa 
piena 
prova 
di 
quanto 
l’avvocato 
attesta 
essere 
avvenuto 
in 
sua 
presenza 
e 
può 
essere 
prodotto 
nel 
giudizio 
iniziato 
dalle 
parti 
della 
convenzione 
di 
negoziazione 
assistita. 
tale 
documento 
ha 
l’efficacia 
ed 
è 
soggetto 
ai limiti previsti dall’articolo 2735 del codice civile. 


3. 
Il 
rifiuto 
ingiustificato 
di 
rendere 
dichiarazioni 
sui 
fatti 
di 
cui 
al 
comma 
1 è 
valutato dal 
giudice 
ai 
fini 
delle 
spese 
del 
giudizio, anche 
ai 
sensi 
dell’articolo 
96, commi primo, secondo e terzo, del codice di procedura civile”. 
Sostanzialmente 
immutato, 
fatta 
eccezione 
per 
la 
prescrizione 
di 
indicare 
il 
valore 
dell’accordo che 
compone 
la 
controversia 
(comma 
1-bis), è 
rimasto 
l’art. 5 (esecutività dell’accordo raggiunto a seguito della convenzione 
e 
trascrizione). 


Si 
rammenta, infine, -ancorché 
la 
disposizione 
non sia 
stata 
oggetto di 
modifica 
da 
parte 
del 
D.lgs. 
n. 
149/2022 
-che, 
ai 
sensi 
dell’art. 
8 
(Interruzione 
della 
prescrizione 
e 
della 
decadenza), 
“dal 
momento 
della 
comunicazione 
dell’invito 
a 
concludere 
una 
convenzione 
di 
negoziazione 
assistita 
ovvero 
della 


(38) la 
falsità 
delle 
dichiarazioni 
rese 
è 
sanzionata 
ai 
sensi 
dell’art. 371-ter, c.p. (false 
dichiarazioni 
al 
difensore), come 
modificato dall’art. 5 del 
D.lgs. n. 149/2022 che 
ha 
aggiunto alla 
fattispecie 
di 
reato i 
commi 
3 e 
4: 
“nelle 
ipotesi 
previste 
dall’articolo 4-bis 
del 
decreto-legge 
12 settembre 
2014, 
n. 132, convertito, con modificazioni, dall’articolo 1, comma 1, della legge 
10 novembre 
2014, n. 162, 
chiunque, non essendosi 
avvalso della facoltà di 
cui 
al 
comma 2, lettere 
b) e 
c), del 
medesimo articolo, 
rende dichiarazioni false è punito con la pena prevista dal primo comma. 
Il 
procedimento 
penale 
resta 
sospeso 
fino 
alla 
conclusione 
della 
procedura 
di 
negoziazione 
assistita 
nel 
corso della quale 
sono state 
acquisite 
le 
dichiarazioni 
ovvero fino a quando sia stata pronunciata 
sentenza 
di 
primo 
grado 
nel 
giudizio 
successivamente 
instaurato, 
nel 
quale 
una 
delle 
parti 
si 
sia 
avvalsa 
della facoltà di 
cui 
all’articolo 4-bis, comma 6, del 
decreto-legge 
n. 132 del 
2014, convertito con modificazioni, 
dall’articolo 1, comma 1, della legge 
n. 162 del 
2014, ovvero fino a quando tale 
giudizio 
sia dichiarato estinto”. 

raSSeGna 
avvocatUra 
Dello 
Stato -n. 4/2022 


sottoscrizione 
della 
convenzione 
si 
producono 
sulla 
prescrizione 
gli 
effetti 
della domanda giudiziale. dalla stessa data è 
impedita, per 
una sola volta, la 
decadenza, ma se 
l’invito è 
rifiutato o non è 
accettato nel 
termine 
di 
cui 
all’articolo 
4, 
comma 
1, 
la 
domanda 
giudiziale 
deve 
essere 
proposta 
entro 
il 
medesimo termine 
di 
decadenza decorrente 
dal 
rifiuto, dalla mancata accettazione 
nel 
termine 
ovvero 
dalla 
dichiarazione 
di 
mancato 
accordo 
certificata 
dagli avvocati”. 


*** 


18. Disposizioni 
in 
materia di 
giustizia digitale 
e 
di 
processo civile 
telematico 
nell’ambito 
delle 
disposizioni 
relative, 
in 
senso 
ampio, 
al 
processo 
civile 
telematico, si segnalano, in particolare: 


18.1 le 
“disposizioni 
relative 
alla giustizia digitale”, contenute 
nel 
neo 
introdotto titolo v-ter 
disp. att. c.p.c. (che, quanto al 
capo I sono efficaci 
dal 
1° 
gennaio 2023 e 
applicate 
ai 
giudizi 
civili 
pendenti 
avanti 
al 
tribunale, alla 
corte d’appello e alla corte di cassazione); 
18.2 le 
“modjflche 
in materia di 
processo civile 
telematico”, contenute 
nella 
sezione 
II del 
D.lgs. n. 149/2022 e 
relative, per la 
parte 
che 
qui 
ora 
interessa, 
alla notificazione degli atti processuali. 
*** 


18.1 Disposizioni relative alla giustizia digitale 
18.1.1 Obbligo di deposito telematico degli atti processuali 
In via 
preliminare, si 
ricorda 
che, come 
rappresentato nella 
circolare 
n. 
74/2022, ai 
sensi 
dell’art. 196-quater 
disp. att. c.p.c. è 
ormai 
divenuto obbligatorio 
il 
deposito telematico degli 
atti 
processuali 
(39) 
in tutti 
i 
procedimenti 
civili 
pendenti 
davanti 
al 
tribunale, alla 
corte 
di 
appello e 
alla 
corte 
di 
cassazione 
(40) (41). 


(39) Per i 
“dipendenti 
di 
cui 
si 
avvalgono le 
pubbliche 
amministrazioni 
per 
stare 
in giudizio personalmente”, 
le 
disposizioni 
di 
cui 
agli 
articoli 
196-quater 
e 
196-sexies 
disp. att. c.p.c., relative 
alla 
obbligatorietà 
dei 
depositi 
telematici, 
si 
applicano 
dal 
28 
febbraio 
2023, 
secondo 
quanto 
previsto 
dall’articolo 35, comma 
2, ultimo periodo, del 
D.lgs. 149/2022, nel 
testo risultante 
all’esito delle 
modifiche 
introdotte dall’articolo 1, comma 380, lett. a), della legge n. 197/2022. 
Per completezza 
va 
rilevato che 
il 
combinato disposto di 
questa 
disposizione 
con il 
contestuale 
venire 
meno della 
disciplina 
emergenziale 
-introdotta 
dall’articolo 83, comma 
11, del 
D.l 
17 marzo 2020, n. 
18 (convertito, con modificazioni, dalla 
legge 
24 aprile 
2020, n. 27), poi 
confermata 
dall’articolo 221 
del 
D.l. 19 maggio 2000, n 34, nonché, da 
ultimo, dall’articolo 16 del 
D.l. 30 dicembre 
2021, n. 228 
(convertito, 
con 
modificazioni, 
dalla 
legge 
22 
febbraio 
2022, 
n. 
15) 
-ha 
fatto 
sì 
che, 
per 
i 
citati 
funzionari, 
l’obbligatorietà 
del 
deposito telematico (avanti 
al 
tribunale 
e 
alla 
corte 
d’appello) è 
venuta 
meno a 
decorrere 
dal 1° gennaio 2023, per essere ripristinata dal 28 febbraio 2023. 
(40) l’articolo 35, comma 
3, lettere 
a) e 
b), del 
decreto-legge 
24 febbraio 2023, n. 13, ha 
modificato 
l’articolo 196-quater 
disp. att. c.p.c., rispettivamente 
estendendo l’obbligo di 
deposito telematico 
(nei 
procedimenti 
avanti 
al 
Giudice 
di 
pace, al 
tribunale 
e 
alla 
corte 
d’appello) anche 
al 
Pubblico ministero 
e 
prevedendo 
che 
“Il 
deposito 
dei 
provvedimenti 
del 
giudice 
e 
dei 
verbali 
di 
udienza” 
abbia 
“luogo 
con 
modalità 
telematiche”. 
Il 
successivo 
comma 
4 
dello 
stesso 
articolo 
35 
D.l. 
13/2023 
stabilisce, 

temI 
IStItUzIonalI 


18.1.2 attestazioni di conformità 
Quanto alle 
attestazioni 
di 
conformità 
degli 
atti 
da 
depositare 
telematicamente, 
si 
segnala 
che 
l’art. 11 del 
D.lgs. 149/2022 ha 
abrogato le 
disposizioni 
di 
cui 
agli 
articoli 
16-bis, 
16-septies, 
16-decies 
e 
16-undecies 
del 
D.l. 
n. 
179/2012 il 
cui 
contenuto, senza 
modificazioni 
sostanziali 
(42), 
risulta 
ora 
inserito 
negli 
articoli 
da 
196-octies 
a 
196-undecies 
disp. att. c.p.c. (titolo v-ter 
disposizioni relative alla giustizia digitale). 


tali 
ultime 
disposizioni, 
tuttavia, 
ai 
sensi 
dell’art. 
35 
del 
D.lgs. 
n. 
149/2022, 
si 
applicheranno 
unicamente 
ai 
procedimenti 
introdotti 
successivamente 
al 28 febbraio 2023. 


ne 
deriva 
che, 
dal 
1° 
marzo 
2023, 
ci 
sarà 
una 
sorta 
di 
doppio 
binario 
anche 
nelle 
formule 
da 
adottare 
nelle 
attestazioni 
di 
conformità, 
menzionando 
le 
“vecchie” 
norme 
in 
relazione 
ai 
procedimenti 
che 
siano 
già 
pendenti 
alla 
data 
del 
28 
febbraio 
2023, 
mentre 
si 
dovrà 
far 
riferimento 
alle 
nuove 
disposizioni 
di 
attuazione 
in 
relazione 
alle 
attestazioni 
relative 
ai 
procedimenti 
di 
nuova 
iscrizione. 


In una 
prospettiva 
pratica, in linea 
con le 
indicazioni 
proposte 
in precedenza, 
si 
suggerisce 
di 
adottare 
delle 
formule 
onnicomprensive, quale 
la 
dicitura 
“ai sensi di legge” (43). 


18.2. modifiche 
in 
materia di 
processo civile 
telematico: le 
notificazioni 
degli atti processuali 
(44) 
18.2.1 Obbligo di notificazione a mezzo PeC 
l’art. 3-ter 
della 
legge 
n. 53/1994 inserito dall’art. 12, comma 
1, lett. b), 
D.lgs. n. 149/2022, applicabile 
ai 
giudizi 
instaurati 
a 
decorrere 
dal 
1° 
marzo 


altresì, che 
tali 
disposizioni 
“hanno effetto a 
decorrere 
dal 
1° 
marzo 2023 e 
si 
applicano anche 
ai 
procedimenti 
già pendenti a quella data”. 


(41) Si 
ricorda 
altresì 
che 
riguardo al 
deposito telematico davanti 
al 
Giudice 
di 
pace, al 
tribunale 
per minorenni, al 
commissario per la 
liquidazione 
degli 
usi 
civici 
e 
al 
tribunale 
superiore 
delle 
acque 
pubbliche, l’art. 35, comma 
3, del 
D.lgs. n. 149/2022, nel 
testo risultante 
all’esito delle 
modifiche 
introdotte 
dal 
citato articolo 1, comma 
380, lett. a), della 
l. n. 197/2022, ne 
posticipa 
l’applicazione 
“a 
decorrere 
dal 
30 giugno 2023, anche 
ai 
procedimenti 
pendenti 
a 
tale 
data” 
(salve 
anticipazioni 
disposte 
con uno o più decreti 
del 
ministro della 
giustizia). Hanno invece 
trovato applicazione 
immediata 
per 
tutti 
gli 
uffici 
giudiziari 
(ai 
sensi 
dei 
commi 
2 
e 
3 
della 
stessa 
diposizione 
citata 
nel 
periodo 
precedente), 
sin dal 
1° 
gennaio 2023 ed anche 
ai 
giudizi 
pendenti 
a 
tale 
data, le 
disposizioni 
di 
cui 
agli 
articoli 
127, 
terzo comma, 127-bis, 127-ter 
e 
193, secondo comma, c.p.c., nonché 
l’articolo 196-duodecies 
disp. att. 
c.p.c. (disposizioni 
di 
cui 
si 
è 
dato conto nella 
circolare 
n. 74/2022) sostanzialmente 
relative 
allo svolgimento 
delle udienze da remoto e ai connessi adempimenti o facoltà processuali. 
(42) 
va 
segnalato, 
rispetto 
al 
precedente 
quadro 
normativo, 
l’inserimento 
dell’art. 
196-decies 
disp. 
att. c.p.c., che 
regola 
il 
“potere 
di 
certificazione 
di 
conformità delle 
copie 
trasmesse 
con modalità telematiche 
all’ufficiale 
giudiziario”. 
tale 
novità 
va 
letta 
in 
raccordo 
con 
la 
corrispondente 
modifica 
dell’art. 
149-bis 
c.p.c. della quale si tratterà più avanti. 
(43) 
I 
relativi 
modelli, 
riferiti 
sia 
ai 
casi 
di 
notifica 
che 
ai 
casi 
di 
deposito, 
verranno 
rispettivamente 
inseriti 
sulla 
intranet 
(nel 
percorso 
https://www.avvocaturastato.it/intranet/?q=node/1096) 
e 
su 
nSI, 
nell’ambito della 
funzione 
che 
permette 
di 
apporre 
l’attestazione 
sugli 
atti, anche 
modificando il 
testo 
proposto (nel percorso http://nsi-rm.ads.it/nsiWeb2/auth/utility/calcolosha.seam?exmode=uPd). 
(44) 
In 
questa 
parte 
è 
in 
realtà 
contenuta 
anche 
-all’art. 
11 
-la 
disposizione 
abrogativa 
degli 
artt. 
16bis, 
16-septies, 
16-decies 
e 
16-undecies 
del 
D.l. 
n. 
179/2012 
di 
cui 
si 
è 
dato 
conto 
in 
precedenza, 
nel 
testo. 

raSSeGna 
avvocatUra 
Dello 
Stato -n. 4/2022 


2023, 
ha 
introdotto 
l’obbligo 
della 
notificazione 
degli 
atti 
giudiziali 
in 
materia 
civile 
e 
degli 
atti 
stragiudiziali 
a 
mezzo di 
posta 
elettronica 
certificata 
(o servizio 
elettronico di 
recapito certificato qualificato (45) 
in tutti 
i 
casi 
in cui 
sia 
possibile 
ricavare 
il 
domicilio 
digitale 
del 
destinatario 
da 
uno 
degli 
elenchi 
pubblici previsti dall’art. 16-ter 
del D.l. 179/2012 (46). 


Il 
citato art. 3-ter 
comma 
1, dispone 
dunque 
che 
“l’avvocato esegue 
la 
notificazione 
degli 
atti 
giudiziali 
in materia civile 
e 
degli 
atti 
stragiudiziali 
a 
mezzo di 
posta elettronica certificata o servizio elettronico di 
recapito certificato 
qualificato quando il destinatario: 


a) 
è 
un soggetto per 
il 
quale 
la legge 
prevede 
l’obbligo di 
munirsi 
di 
un 
domicilio digitale risultante dai pubblici elenchi; 
b) 
ha eletto domicilio digitale 
ai 
sensi 
dell’articolo 3-bis, comma 1-bis, 
del 
codice 
dell’amministrazione 
digitale, di 
cui 
al 
decreto legislativo 7 marzo 
2005, n. 82, iscritto nel 
pubblico elenco dei 
domicili 
digitali 
delle 
persone 
fisiche 
e 
degli 
altri 
enti 
di 
diritto privato non tenuti 
all’iscrizione 
in albi 
professionali 
o 
nel 
registro 
delle 
imprese 
ai 
sensi 
dell’articolo 
6-quater 
del 
medesimo decreto”. 
Il 
successivo comma 
2 stabilisce 
poi 
come 
si 
deve 
procedere 
quando la 
notificazione 
a 
mezzo di 
posta 
con modalità 
telematica 
“non è 
possibile 
o non 
ha avuto esito positivo” per “causa imputabile al destinatario” e dunque: 


“a) se 
il 
destinatario è 
un’impresa o un professionista iscritto nell’indice 
InI-Pec di cui all’articolo 6-bis del decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, 
l’avvocato 
esegue 
la 
notificazione 
mediante 
inserimento 
a 
spese 
del 
richiedente 
nell’area web riservata prevista dall’articolo 359 del 
codice 
della crisi 
d’impresa e 
dell’insolvenza, di 
cui 
al 
decreto legislativo 12 gennaio 2019, n. 
14, 
dichiarando 
la 
sussistenza 
di 
uno 
dei 
presupposti 
per 
l’inserimento; 
la 
notificazione 
si 
ha per 
eseguita nel 
decimo giorno successivo a quello in cui 
è 
compiuto l’inserimento; 


b) se 
il 
destinatario è 
una persona fisica o un ente 
di 
diritto privato non 
tenuto 
all’iscrizione 
in 
albi 
professionali 
o 
nel 
registro 
delle 
imprese 
e 
ha 
eletto 
(45) con l’espresso riferimento alla 
notificazione 
tramite 
“servizio elettronico di 
recapito certificato 
qualificato” 
il 
legislatore 
ha 
probabilmente 
inteso 
rendere 
il 
testo 
normativo 
sin 
d’ora 
compatibile 
con quanto previsto dal 
regolamento n. 910/2014 (il 
cosiddetto regolamento “eIDaS”), che 
per l’appunto 
fa riferimento a tale modalità di recapito. 
(46) come 
è 
noto, la 
legge 
n. 53/1994, trova 
applicazione, in base 
all’art. 1 della 
legge 
stessa, per 
“la 
notificazione 
di 
atti 
in 
materia 
civile, 
amministrativa 
e 
stragiudiziale”; 
la 
modifica 
riportata 
nel 
testo, di 
contro, circoscrive 
i 
propri 
effetti 
alla 
sola 
materia 
civile 
e 
degli 
atti 
stragiudiziali; 
non viene 
menzionata 
la 
materia 
amministrativa. va 
però ricordato che 
l’art. 39, comma 
2, del 
cPa, a 
sua 
volta, 
stabilisce 
che 
“le 
notificazioni 
degli 
atti 
del 
processo amministrativo sono comunque 
disciplinate 
dal 
codice 
di 
procedura civile 
e 
dalle 
leggi 
speciali 
concernenti 
la notificazione 
degli 
atti 
giudiziari 
in materia 
civile”. nella 
descritta 
situazione 
di 
oggettiva 
incertezza, appare 
preferibile 
regolarsi, in via 
prudenziale 
e 
per 
quanto 
possibile, 
come 
se 
l’obbligo 
di 
notifica 
telematica, 
nei 
casi 
riportati 
nel 
testo, 
fosse 
applicabile anche alle notifiche del processo amministrativo. 

temI 
IStItUzIonalI 


il 
domicilio 
digitale 
di 
cui 
all’articolo 
6-quater 
del 
decreto 
legislativo 
7 
marzo 
2005, n. 82, l’avvocato esegue la notificazione con le modalità ordinarie”. 


va 
precisato che 
la 
“area 
web riservata” 
menzionata 
nella 
sopra 
riportata 
lettera 
a), non è 
stata 
ancora 
attivata. nella 
situazione 
regolata 
dalla 
disposizione 
(dunque 
di 
impossibilità 
di 
procedere 
alla 
notificazione 
telematica 
nei 
confronti 
di 
un destinatario che 
abbia 
l’obbligo di 
munirsi 
di 
un domicilio digitale), 
l’unica 
via 
percorribile, 
esperita 
senza 
successo 
quella 
telematica, 
non 
potrà che consistere nella notificazione con le modalità ordinarie. 


Il 
comma 
3 
dell’articolo 
in 
questione 
stabilisce 
poi 
che 
se 
la 
notificazione 
con modalità 
telematica 
“non è 
possibile 
o non ha avuto esito positivo” 
per 
“causa non imputabile 
al 
destinatario”, la 
“notificazione 
si 
esegue 
con le 
modalità 
ordinarie”. 


È 
in relazione 
alle 
modifiche 
dianzi 
riportate 
che 
va 
dunque 
letta 
la 
contestuale 
aggiunta, 
all’art. 
137 
c.p.c., 
di 
un 
settimo 
comma, 
in 
base 
al 
quale: 
“l’ufficiale 
giudiziario esegue 
la notificazione 
su richiesta dell’avvocato se 
quest’ultimo 
non 
deve 
eseguirla 
a 
mezzo 
di 
posta 
elettronica 
certificata 
o 
servizio 
elettronico di 
recapito certificato qualificato, o con altra modalità prevista 
dalla 
legge, 
salvo 
che 
l’avvocato 
dichiari 
che 
la 
notificazione 
con 
le 
predette 
modalità non è 
possibile 
o non ha avuto esito positivo per 
cause 
non 
imputabili 
al 
destinatario. della dichiarazione 
è 
dato atto nella relazione 
di 
notifìcazione”. 


ciò comporta 
che 
ogni 
qual 
volta 
si 
ritenga 
di 
doversi 
avvalere 
della 
notificazione 
a 
mezzo dell’ufficiale 
giudiziario, si 
dovrà 
dichiarare 
o la 
non ricorrenza 
dell’obbligo di 
notificazione 
telematica, o che 
essa 
non è 
possibile 
o 
non ha avuto esito positivo per cause non imputabili al destinatario. 


18.2.2. Tempo delle notificazioni telematiche 
vengono 
aggiunti 
due 
commi 
all’art. 
147 
c.p.c., 
al 
fine 
di 
disciplinare 
il 
tempo 
della 
notificazione 
eseguita 
a 
mezzo 
Pec, 
per 
dare 
attuazione 
alla 
sentenza 
della 
corte 
costituzionale 
n. 
75/2019. 
viene 
quindi 
previsto 
che 
“le 
notificazioni 
eseguite 
ai 
sensi 
del 
secondo 
comma 
si 
intendono 
perfezionate, 
per 
il 
notificante, 
nel 
momento 
in 
cui 
è 
generata 
la 
ricevuta 
di 
accettazione 
e, 
per 
il 
destinatario, 
nel 
momento 
in 
cui 
è 
generata 
la 
ricevuta 
di 
avvenuta 
consegna. 
se 
quest’ultima 
è 
generata 
tra 
le 
ore 
21 
e 
le 
ore 
7 
del 
mattino 
del 
giorno 
successivo, 
la 
notificazione 
si 
intende 
perfezionata 
per 
il 
destinatario 
alle 
ore 
7”. 


18.2.3 altre modifiche al c.p.c. in materia di notificazioni. 
si segnalano poi le seguenti, ulteriori novità: 
a) 
all’art. 
139 
c.p.c., 
il 
quarto 
comma 
è 
sostituito 
dal 
seguente: 
“se 
la 
copia 
è 
consegnata 
al 
portiere 
o 
al 
vicino, 
l’ufficiale 
giudiziario 
ne 
dà 
atto 
nella relazione 
di 
notificazione, specificando le 
modalità con le 
quali 
ne 
ha 
accertato 
l’identità, 
e 
dà 
notizia 
al 
destinatario 
dell’avvenuta 
notificazione 
dell’atto, 
a 
mezzo 
di 
lettera 
raccomandata”. 
tale 
modifica, 
sopprimendo 
la 
firma 
del 
portiere 
o 
del 
vicino 
del 
destinatario, 
semplifica 
l’attività 
notificatoria 

raSSeGna 
avvocatUra 
Dello 
Stato -n. 4/2022 


dell’ufficiale 
giudiziario, consentendogli 
di 
redigere 
una 
relata 
di 
notifica 
in 
formato esclusivamente digitale. 


b) viene 
infine 
modificato l’art. 149-bis 
c.p.c. prevedendosi 
la 
notificazione 
a 
mezzo 
Pec 
per 
gli 
atti 
tipicamente 
propri 
dell’ufficiale 
giudiziario 
(come 
il 
pignoramento presso terzi), anche 
previa 
estrazione 
di 
copia 
informatica 
del 
documento cartaceo, “quando il 
destinatario è 
un soggetto per 
il 
quale 
la 
legge 
prevede 
l’obbligo 
di 
munirsi 
di 
un 
indirizzo 
di 
posta 
elettronica 
certificata o servizio elettronico di 
recapito certificato qualificato risultante 
dai 
pubblici 
elenchi 
oppure 
quando 
il 
destinatario 
ha 
eletto 
domicilio 
digitale 
ai 
sensi 
dell’articolo 3-bis, comma 1-bis, del 
codice 
dell’amministrazione 
digitale 
di cui al decreto legislativo 7 marzo 2005 n. 82” (47). 
*** 


Si allega la relazione illustrativa al D.lgs. n. 149/2022. 


l’avvocato Generale 
Gabriella 
PalmIerI SanDUllI 


Documento firmato da: 
PalmIerI GaBrIella 
03.03.2023 08:05:50 Utc 


(omissis) 


(47) come 
accennato in precedenza, è 
per questa 
ipotesi 
che 
è 
stato inserito l’art. 16-decies 
disp. 
att. c.p.c. che 
ha 
regolato il 
potere 
di 
attestazione 
di 
conformità 
in caso di 
invio degli 
atti 
all’ufficiale 
giudiziario. 

temI 
IStItUzIonalI 


Avvocatura 
Generaledello 
Stato 


CirColare 
n. 25/2023 


Oggetto: 
Definizione 
delle 
liti 
tributarie 
pendenti, 
prevista 
dall’art. 
1 
(commi 
da 186 a 204) della l. 29 dicembre 
2022, n. 197 (legge 
di 
bilancio 
2023) pubblicata nella G.U. del 
29 dicembre 
2022, n. 303, in 
parte 
modificata 
dall’art. 20 del 
D.l. 30 marzo 2023 n. 34 (in 
corso di 
conversione). Gestione 
del contenzioso. 


l’art. 1, comma 
186, della 
legge 
29 dicembre 
2022, n. 197, bilancio di 
previsione 
dello stato per 
l’anno finanziario 2023 e 
bilancio pluriennale 
per 
il 
triennio 2023-2025 
(legge 
di 
bilancio 2023) ha 
previsto che 
possano essere 
definite 
le 
controversie, attribuite 
alla 
giurisdizione 
tributaria, in cui 
è 
parte 
l’agenzia 
delle 
entrate 
ovvero l’agenzia 
delle 
Dogane 
e 
dei 
monopoli, pendenti 
-alla 
data 
di 
entrata 
in vigore 
della 
legge 
di 
bilancio 2023, ossia 
al 
1° 
gennaio 2023 -in ogni 
stato e 
grado del 
giudizio compreso quello in cassazione 
e 
quello instaurato a 
seguito di 
rinvio, con il 
pagamento di 
un importo peraltro 
rateizzabile 
fino a 
circa 
5 anni 
-pari 
al 
valore 
della 
controversia 
calcolato 
ai sensi dell’art. 12, comma 2, del D.lgs. n. 546/1992. 


tale 
importo 
si 
riduce 
al 
40%, 
al 
15% 
ovvero 
al 
5%, 
nei 
casi 
in 
cui 
l’agenzia 
è 
stata 
soccombente 
rispettivamente 
nel 
primo grado, nel 
secondo 
grado di giudizio ovvero in tutti i precedenti gradi di giudizio. 


Per 
le 
sanzioni 
“non 
collegate 
al 
tributo” 
l’importo 
della 
definizione 
è 
fissato nel 
15% del 
valore 
della 
causa 
se 
l’agenzia 
delle 
entrate 
è 
stata 
soccombente 
nell’ultima decisione, ovvero nel 40% negli altri casi. 


le 
sanzioni 
“collegate 
al 
tributo” 
non 
sono 
dovute 
anche 
quando 
sono 
oggetto 
di 
separata 
contestazione, 
sempreché 
il 
tributo 
sia 
stato 
definito 
ai 
sensi 
del 
medesimo 
comma 
191 
dell’art. 
1, 
ovvero 
“anche 
con 
modalità 
diverse”. 


Il 
comma 
195 
prevede 
che 
“Per 
controversia 
autonoma 
si 
intende 
quella 
relativa 
a 
ciascun 
atto 
impugnato”. 
ne 
consegue 
che 
la 
definizione 
può 
riguardare 
anche 
solo 
uno 
o 
più 
atti 
impositivi 
oggetto 
della 
medesima 
controversia. 


ai 
sensi 
del 
comma 
204, il 
contribuente 
può avvalersi, alternativamente, 
anche 
della 
definizione 
agevolata 
dei 
giudizi 
pendenti 
dinnanzi 
alla 
corte 
di 
cassazione 
prevista 
dall’art. 
5 
della 
legge 
31 
agosto 
2022, 
n. 
130 
(in 
relazione 
alla quale è stata emanata la circolare n. 12/2023). 


requisiti soggettivi (comma 186) 


Sono definibili 
le 
sole 
controversie 
in cui 
è 
parte 
l’agenzia 
delle 
entrate 
ovvero l’agenzia delle Dogane e dei monopoli. 


la 
domanda 
di 
definizione 
può 
essere 
presentata 
dal 
“soggetto 
che 
ha 
proposto l’atto introduttivo del 
giudizio o di 
chi 
vi 
è 
subentrato o ne 
ha la legittimazione”. 


requisiti oggettivi (comma 186) 



raSSeGna 
avvocatUra 
Dello 
Stato -n. 4/2022 


Sono 
astrattamente 
definibili 
tutte 
le 
controversie, 
senza 
limiti 
di 
valore, 
“attribuite 
alla 
giurisdizione 
tributaria 
in 
cui 
è 
parte 
l’agenzia 
delle 
entrate 
ovvero 
l’agenzia 
delle 
dogane 
e 
dei 
monopoli”, 
(comma 
186), 
nelle 
quali 
“il 
ricorso 
in 
primo 
grado 
è 
stato 
notificato 
alla 
controparte 
entro 
la 
data 
di 
entrata 
in 
vigore 
della 
presente 
legge” 
(comma 
192), 
vale 
a 
dire 
il 
1° 
gennaio 
2023. 


non 
sono 
definibili 
le 
controversie 
“per 
le 
quali 
alla 
data 
di 
presentazione 
della 
domanda” 
(che 
deve 
essere 
presentata 
entro 
il 
30 
settembre 
2023) 
risulti 
emessa 
una 
“pronuncia 
definitiva”, 
cioè, 
passata 
in 
giudicato 
(comma 
192). 


a 
differenza 
del 
precedente 
condono ex art. 6 del 
D.l. n. 119/2018, che 
aveva 
circoscritto 
la 
definizione 
in 
esame 
alle 
sole 
controversie 
“aventi 
ad 
oggetto 
atti 
impositivi”, la 
formulazione 
della 
norma 
ora 
in esame 
non prevede 
tale 
limitazione 
per cui 
devono ritenersi 
definibili 
anche 
le 
controversie 
avverso 
“atti 
di 
mera riscossione” 
(comprese 
quelle 
aventi 
ad oggetto cartelle 
per la 
riscossione 
di 
imposte 
dichiarate 
e 
non versate, ovvero avvisi 
di 
liquidazione) 
(1). Sotto tale 
profilo la 
disposizione 
in parola 
presenta 
affinità 
con 
la 
definizione 
prevista 
dall’art. 11 del 
D.l. n. 50/2017 che 
faceva 
riferimento 
(come l’attuale comma 195) “all’atto impugnato”. 


Controversie escluse (comma 193) 


Sono 
espressamente 
escluse 
dalla 
definizione 
le 
controversie 
concernenti 
“anche solo in parte”: 


a) 
le 
risorse 
proprie 
tradizionali 
previste 
dall’articolo 
2, 
paragrafo 
1, 
lettera a), delle 
decisioni 
2007/436/ce, euratom 
del 
consiglio, del 
7 giugno 
2007, e 
2014/335/ 
ue, euratom 
del 
consiglio, del 
26 maggio 2014, e 
l’imposta 
sul valore aggiunto riscossa all’importazione; 
b) le 
somme 
dovute 
a titolo di 
recupero di 
aiuti 
di 
stato ai 
sensi 
dell’articolo 
16 del 
regolamento (ue) 2015/1589 del 
consiglio, del 
13 luglio 2015. 
Sono, 
pertanto, 
da 
ritenersi 
definibili 
le 
controversie 
in 
materia 
di 
Iva 
(non all’importazione). 


Sono, invece, da 
ritenersi 
logicamente 
escluse 
dalla 
definizione 
le 
controversie 
aventi ad oggetto: 


a) 
istanze 
di 
rimborso 
(anche 
a 
seguito 
di 
diniego 
espresso), 
in 
quanto 
non 
relative 
ad 
una 
pretesa 
del 
fisco 
(sulla 
cui 
base 
viene 
determinato 
l’importo 
da pagare); 
b) 
atti 
che 
non contengono una 
pretesa 
fiscale 
quantificata 
(es. i 
ricorsi 
contro provvedimenti 
di 
attribuzione 
di 
rendita 
catastale, di 
cancellazione 
dal 
registro 
delle 
onlUS, 
di 
diniego 
di 
benefici 
o 
agevolazioni 
fiscali 
se 
non 
contengano 
la 
rideterminazione 
del 
tributo in conseguenza 
del 
diniego dell’agevolazione, 
ecc.). 
(1) e 
ciò, nonostante 
la 
relazione 
al 
DDl 
faccia 
riferimento ai 
soli 
“atti 
impositivi”; 
tuttavia 
il 
tenore 
letterale della legge non lascia dubbi sulla definitività anche degli atti meramente riscossivi. 

temI 
IStItUzIonalI 


Controversie 
in 
cui 
sono in 
causa sia l’agenzia delle 
entrate 
(ovvero 
l’agenzia delle Dogane e dei Monopoli) che 
aDer 


come 
si 
è 
detto, sono definibili 
le 
sole 
controversie 
in cui 
è 
parte 
(anche 
solo 
evocata 
in 
giudizio 
o 
intervenuta) 
l’agenzia 
delle 
entrate 
ovvero 
l’agenzia 
delle 
Dogane 
e 
dei 
monopoli. 
conseguentemente 
non 
sono 
definibili 
le 
cause in cui è parte esclusivamente 
aDer. 

nei 
casi 
in cui 
siano presenti 
sia 
una 
delle 
due 
agenzie 
citate 
che 
aDer 
occorre 
verificare 
caso 
per 
caso 
la 
definibilità 
della 
causa. 
In 
generale, 
se 
l’atto 
di 
aDer impugnato (cartella, intimazione 
di 
pagamento) riguarda 
esclusivamente 
crediti 
di 
una 
delle 
due 
agenzie 
suddette, l’atto (impositivo o di 
riscossione) 
sarà suscettibile di definizione. 


viceversa, 
qualora 
l’atto 
di 
aDer 
si 
riferisca 
a 
più 
crediti 
di 
cui 
non 
tutti 
definibili 
(es. 
una 
cartella 
che 
oltre 
a 
IrPeF 
contenga 
anche 
pretese 
diverse, 
quali 
l’ImU, 
contributi 
previdenziali 
o 
sanzioni 
del 
codice 
della 
Strada), 
l’atto 
non 
sarà 
definibile 
non 
essendo 
possibile 
scindere 
il 
suo 
contenuto 
(comma 
195). 


Perfezionamento della definizione (commi 194-199) 


Il 
comma 
194 prevede 
che 
la 
definizione 
si 
perfeziona 
con la 
presentazione 
della 
domanda 
e 
con il 
pagamento della 
prima 
(o dell’unica) rata, da 
effettuarsi 
entro 
il 
30 
settembre 
2023, 
scomputando 
le 
somme 
eventualmente 
versate 
“a qualsiasi 
titolo in pendenza di 
giudizio” 
(comma 
196; 
l’eventuale 
eccedenza, tuttavia, non può comunque essere rimborsata). 


ne 
consegue 
che 
il 
mancato versamento delle 
rate 
successive 
alla 
prima, 
non farà 
venir meno la 
definizione 
e 
la 
conseguente 
estinzione 
del 
giudizio (e 
l’amministrazione 
dovrà, 
ovviamente, 
procedere 
alla 
riscossione 
coattiva 
delle somme ancora dovute). 


Il 
medesimo comma 
194 prevede 
che 
“qualora non ci 
siano importi 
da 
versare, 
la 
definizione 
si 
perfeziona 
con 
la 
sola 
presentazione 
della 
domanda”. 


ciò può accadere, ad esempio, allorché 
in sede 
di 
riscossione 
graduale 
in 
corso di 
causa 
sia 
già 
stata 
corrisposta 
una 
somma 
pari 
o superiore 
a 
quella 
prevista 
per 
la 
definizione, 
ovvero 
per 
i 
giudizi 
aventi 
ad 
oggetto 
una 
sanzione 
collegata 
ad 
un 
tributo 
richiesto 
con 
un 
avviso 
oggetto 
di 
separata 
definizione. 


Sospensione dei giudizi in corso ed estinzione (commi 197 e 198). 

Il 
comma 
197 
prevede 
che 
le 
controversie 
suscettibili 
di 
definizione 
“non 
sono sospese, salvo che 
il 
contribuente 
faccia apposita richiesta al 
giudice, 
dichiarando di 
volersi 
avvalere 
della definizione 
agevolata. In tal 
caso il 
processo 
è 
sospeso fino al 
10 ottobre 
2023 ed entro la stessa data il 
contribuente 
ha 
l’onere 
di 
depositare 
presso 
l’organo 
giurisdizionale 
innanzi 
al 
quale 
pende 
la 
controversia, 
copia 
della 
domanda 
di 
definizione 
e 
del 
versamento 
degli 
importi dovuti o della prima rata”. 


Se 
entro 
tale 
data 
il 
contribuente 
deposita 
presso 
l’organo 
giurisdizionale 
innanzi 
al 
quale 
pende 
la 
controversia 
copia 
della 
domanda 
di 
definizione 
e 
del 
versamento degli 
importi 
dovuti 
o della 
prima 
rata, il 
comma 
198 dispone 



raSSeGna 
avvocatUra 
Dello 
Stato -n. 4/2022 


che 
“il 
processo è 
dichiarato estinto con decreto del 
presidente 
della sezione 


o con ordinanza in camera di 
consiglio se 
è 
stata fissata la data della decisione”, 
ciò diversamente 
da 
quanto previsto dal 
D.l. 119/2018 che 
fece 
precedere 
l’estinzione da un periodo di sospensione 
ex lege 
del processo. 
Sospensione dei termini (comma 199) 


Il 
comma 
199 prevede 
che 
per le 
controversie 
suscettibili 
di 
definizione 
“sono sospesi 
per 
undici 
mesi 
i 
termini 
di 
impugnazione, anche 
incidentale, 
delle 
pronunce 
giurisdizionali 
e 
di 
riassunzione, nonché 
per 
la proposizione 
del 
controricorso in cassazione 
che 
scadono tra la data di 
entrata in vigore 
del presente decreto e il 31 ottobre 2023”. 


ne 
consegue 
che 
-ancorchè 
le 
cause 
siano condonabili 
-non devono ritenersi 
sospesi: 


a) 
i termini per il deposito delle controdeduzioni nei gradi di merito; 
b) 
il termine per il deposito dei ricorsi eventualmente notificati. 
Per quanto concerne 
il 
controricorso, invece, tenuto conto della 
modifica 
dell’art. 370 c.p.c. (che 
ha 
soppresso l’onere 
di 
previa 
notificazione 
del 
controricorso, 
in quanto tale 
atto deve 
essere 
ora 
esclusivamente 
depositato, con 
modalità 
telematiche, 
“entro 
quaranta 
giorni 
dalla 
notificazione 
del 
ricorso”), 
deve 
ritenersi 
sospeso il 
termine 
per il 
relativo deposito (che 
ora 
esaurisce 
gli 
adempimenti 
necessari 
per 
la 
proposizione 
del 
controricorso) 
ai 
sensi 
del 
menzionato 
comma 199; 


c) 
il 
termine 
lungo 
di 
impugnazione 
(di 
norma 
semestrale) 
delle 
sentenze 
depositate 
dal 
1° 
aprile 
2023 in poi, nonché 
il 
termine 
breve 
derivante 
da 
notifiche 
della 
sentenza 
eseguite 
dal 
2 
settembre 
2023 
in 
poi, 
in 
quanto 
entrambi 
i termini verrebbero a scadere in data successiva al 31 ottobre 2023. 
ovviamente, 
resta 
valida 
la 
regola 
per 
cui 
il 
primo 
termine 
che 
scade 
deve 
essere rispettato (cass., SS.UU., n. 21197/2009; cass. n. 27286/2011). 


Si 
precisa 
che 
trattandosi 
di 
un 
termine 
di 
sospensione 
(e 
non 
di 
proroga), 
nel 
termine 
di 
undici 
mesi 
deve 
ritenersi 
assorbito il 
termine 
di 
sospensione 
feriale (cfr. da ultimo, cass. n. 9438/2017) (2). 


Diniego di definizione (comma 200) 


Il 
comma 
200 prevede 
che 
“l’eventuale 
diniego della definizione 
va notificato 
entro 
il 
30 
settembre 
2024 
con 
le 
modalità 
previste 
per 
la 
notificazione 
degli 
atti 
processuali” 
(in 
mancanza, 
la 
definizione 
deve 
ritenersi 
valida) 
e 
che 
avverso tale 
atto è 
possibile 
proporre 
ricorso “entro sessanta giorni 
dalla 
notificazione 
del 
medesimo dinanzi 
all’organo giurisdizionale 
presso il 
quale 
pende 
la controversia. nel 
caso in cui 
la definizione 
della controversia è 
richiesta 
in pendenza del 
termine 
per 
impugnare, la pronuncia giurisdizionale 
può 
essere 
impugnata 
dal 
contribuente 
unitamente 
al 
diniego 
della 
definizione 


(2) Per effetto di 
tale 
meccanismo tutti 
i 
termini 
verranno tutti 
a 
scadere 
esattamente 
a 
distanza 
di 
11 mesi dal termine originario. 

temI 
IStItUzIonalI 


entro sessanta giorni 
dalla notifica di 
quest’ultimo ovvero dalla controparte 
nel medesimo termine”. 


la 
norma 
prevede, quindi, che 
l’eventuale 
diniego va 
impugnato davanti 
allo 
stesso 
giudice 
presso 
il 
quale 
pende 
la 
controversia 
(e, 
pertanto, 
anche 
davanti 
alla 
corte 
di 
cassazione) per consentire 
evidentemente 
una 
trattazione 
congiunta 
con la 
causa 
principale 
(al 
riguardo si 
precisa 
che 
da 
diversi 
anni 
la 
corte 
di 
cassazione 
inserisce 
il 
ricorso 
avverso 
il 
diniego 
all’interno 
della 
causa 
pendente, 
senza 
attribuire 
un 
nuovo 
numero 
di 
r.g., 
diversamente 
da 
come accadeva in precedenza). 


l’ultimo periodo prevede, invece, la 
possibilità 
per entrambe 
le 
parti, in 
caso di 
diniego emesso su istanza 
di 
definizione 
presentata 
tra 
un grado e 
l’altro 
di 
giudizio, di 
impugnare 
l’ultima 
decisione 
anche 
oltre 
i 
termini 
ordinari, 
purché entro 60 giorni dalla notifica del diniego di definizione. 


estinzione automatica dei giudizi (comma 198) 


come 
già 
accennato, il 
comma 
198 prevede 
che 
“in caso di 
deposito ai 
sensi 
del 
comma 197 secondo periodo il 
processo è 
dichiarato estinto con decreto 
del 
presidente 
della sezione 
o con ordinanza in camera di 
consiglio se 
è 
stata fissata la data della decisione. le 
spese 
del 
processo restano a carico 
della parte che le ha anticipate”. 


la 
disposizione 
appare 
finalizzata 
a 
provocare 
l’estinzione 
automatica 
e 
immediata 
delle 
cause 
definite, 
senza 
necessità 
di 
apposita 
istanza 
e 
senza 
l’attesa 
di termini dilatori. 


Diversamente 
dal 
condono 
di 
cui 
al 
D.l. 
n. 
119/2018 
(per 
il 
quale 
i 
giudizi 
venivano 
dichiarati 
estinti 
solo 
all’esito 
del 
pronunciamento 
dell’agenzia 
sulla 
condonabilità 
della 
controversia 
al 
qual 
fine 
era 
stata 
prevista 
la 
sospensione 
ex 
lege 
del 
processo 
fino 
al 
31 
dicembre 
2020), 
nel 
caso 
in 
esame 
la 
sospensione 
del 
processo 
non 
è 
prevista 
e, 
dunque, 
è 
ben 
possibile 
che 
l’estinzione 
del 
giudizio 
possa 
essere 
dichiarata 
prima 
che 
l’agenzia 
esegua 
le 
verifiche 
dell’ammissibilità 
della 
definizione 
(verifiche 
possibili 
fino 
al 
30 
settembre 
2024). 


È 
per 
questo, 
dunque, 
che 
il 
comma 
201 
prevede 
che 
“il 
diniego 
della 
definizione 
è 
motivo 
di 
revocazione 
del 
provvedimento 
di 
estinzione 
pronunciato 
ai 
sensi 
del 
comma 198 e 
la revocazione 
è 
chiesta congiuntamente 
all’impugnazione 
del diniego”. 


effetti verso i condebitori solidali (comma 202) 


Il 
comma 
202 
prevede 
che 
“la 
definizione 
agevolata 
perfezionata 
dal 
coobbligato 
giova in favore 
degli 
altri, inclusi 
quelli 
per 
i 
quali 
la controversia 
non 
sia 
più 
pendente, 
fatte 
salve 
le 
disposizioni 
del 
secondo 
periodo 
del 
comma 196” 
(che 
prevede 
il 
divieto di 
restituzione 
delle 
somme 
già 
versate, 
ancorchè eccedenti). 


Gestione del contenzioso 

alla 
luce 
di 
quanto sopra 
esposto, gli 
avvocati 
e 
Procuratori 
assegnatari 
di 
affari 
tributari 
avranno 
cura 
di 
verificare 
le 
controversie 
per 
le 
quali 
non 



raSSeGna 
avvocatUra 
Dello 
Stato -n. 4/2022 


opera 
la 
sospensione 
dei 
termini, e 
di 
rimodulare 
(per le 
altre) le 
nuove 
scadenze 
(rispetto a quelle risultanti da nSSI) (3). 


come si è detto, dovranno ritenersi non sospesi: 


- i termini di impugnazione nelle cause non definibili; 
-i 
termini 
per le 
controdeduzioni 
(nei 
giudizi 
tributari 
di 
merito) nonché 
per l’iscrizione 
a 
ruolo e 
il 
deposito di 
documenti 
e 
memorie 
(anche 
in cassazione); 
-il 
termine 
lungo 
di 
impugnazione 
delle 
sentenze 
depositate 
dal 
1° 
aprile 
2023 
in 
poi, 
nonché 
il 
termine 
breve 
derivante 
da 
notifiche 
della 
sentenza 
eseguite 
dal 2 settembre 2023 in poi. 


Qualora 
nella 
stessa 
causa 
siano 
impugnati 
più 
atti, 
uno 
solo 
dei 
quali 
suscettibile 
di 
definizione, la 
sospensione 
dei 
termini 
prevista 
per quest’ultimo 
dovrebbe 
comportare 
la 
sospensione 
dei 
termini 
per 
l’intera 
causa 
(cass. 
n. 
5038/2017). 


tuttavia, 
un 
simile 
effetto 
sembra 
non 
realizzarsi 
nel 
caso 
di 
controversie 
concernenti 
gli 
atti 
espressamente 
esclusi 
dalla 
definizione 
(comma 
193), la 
cui 
presenza 
appare 
ostativa 
in toto 
alla 
definitività 
della 
controversia 
(i 
cui 
termini, pertanto, devono cautelativamente ritenersi non sospesi). 


la 
valutazione 
in ordine 
alla 
opportunità 
o meno di 
proporre 
comunque 
ricorso 
per 
cassazione 
nelle 
cause 
il 
cui 
termine 
è 
sospeso, 
è 
rimessa 
a 
ciascun 
titolare 
dell’affare. 
occorrerà 
tuttavia 
tenere 
conto 
che, 
una 
volta 
venuta 
meno 
la 
sospensione 
dei 
termini, 
le 
originarie 
scadenze 
si 
sommeranno 
a 
quelle 
“ordinarie” 
medio tempore 
sopravvenute. 


a 
tale 
riguardo, mentre 
può ritenersi 
prevedibile 
che 
in relazione 
a 
sentenze 
di 
secondo grado in cui 
l’agenzia 
è 
soccombente 
il 
contribuente 
si 
avvalga 
del 
condono (in quanto gli 
è 
sufficiente 
pagare, al 
più, il 
solo 15% del 
tributo) (4), non altrettanto può ritenersi 
laddove 
sia 
vittoriosa 
l’amministrazione 
e 
controparte 
abbia 
proposto ricorso nonostante 
la 
sospensione 
dei 
termini 
per 
impugnare 
(in 
questi 
casi 
la 
scelta 
di 
proporre 
immediato 
ricorso, 
oltre 
all’entità 
della 
somma 
da 
pagare 
pari 
al 
100% del 
tributo, rende 
improbabile 
l’adesione al condono). 


In tali 
casi 
è, quindi, preferibile 
redigere 
il 
controricorso (ancorchè 
il 
relativo 
termine 
sia 
sospeso), al 
fine 
di 
evitare 
che 
alla 
scadenza 
del 
periodo di 
sospensione tale adempimento si sommi alle ordinarie scadenze. 


È 
opportuno, inoltre, che 
in qualsiasi 
atto che 
venga 
redatto usufruendo 


(3) Si 
ricorda 
che 
dalla 
Scrivania 
dell’avvocato, nella 
sezione 
ScaDenze, è 
possibile 
inserire 
manualmente 
-tramite 
la 
funzione 
crea 
ScaDenza 
lIBera 
In 
nSI 
-un nuovo scadenziere 
con la 
data 
di 
effettiva 
scadenza. 
(
4) al 
riguardo si 
è 
concordato con l’agenzia 
delle 
entrate 
che 
le 
istanze 
di 
definizione 
di 
cause 
per le 
quali 
è 
già 
stata 
avanzata 
proposta 
di 
ricorso per cassazione, verranno trattate 
con priorità 
rispetto 
a 
tutte 
le 
altre 
e 
il 
relativo esito (accoglimento o diniego) verrà 
comunicato tempestivamente 
all’avvocatura 
in relazione a ciascuna causa. 

temI 
IStItUzIonalI 


del 
periodo di 
sospensione 
previsto dalla 
legge, sia 
chiaramente 
indicata 
nel 
frontespizio la 
disposizione 
(art. 1 comma 
199) in base 
alla 
quale 
l’atto deve 
ritenersi 
tempestivo (onde 
evitare 
il 
rischio di 
pronunce 
di 
inammissibilità 
a 
distanza di tempo dalla disposta sospensione). 


Da 
ultimo si 
precisa 
che 
ulteriori 
informazioni 
sono disponibili 
in condivisione 
su 
SHarePoInt 
-coorDInamento 
Delle 
SezIonI 
trIBUtarIe 
conDonI 
all’indirizzo 


https://avvocaturastato.sharepoint.com/sites/sezioneIbis 


Per comodità 
di 
consultazione 
sono riportate 
in calce 
alla 
presente 
circolare 
le 
disposizioni 
rilevanti, i 
commi 
da 
186 a 
204 della 
legge 
29 dicembre 
2022, n. 197, bilancio di 
previsione 
dello stato per 
l’anno finanziario 2023 e 
bilancio pluriennale per il triennio 2023-2025 
(legge di bilancio 2023). 


l’avvocato Generale 
Gabriella 
PalmIerI SanDUllI 


(omissis) 



raSSeGna 
avvocatUra 
Dello 
Stato -n. 4/2022 


Avvocatura 
Generaledello 
Stato 


CirColare 
n. 46/2023 


oggetto: 
Parere 
reso 
all’agenzia 
delle 
entrate-riscossione 
in 
ordine 
alla opportunità della riassunzione 
della causa a seguito di 
pronuncia della 
Corte di cassazione di annullamento con rinvio ex art. 383 c.p.c. 


Si 
trasmette, per opportuna 
conoscenza, il 
parere 
reso con nota 
in data 
12 
maggio 
2023 
n. 
326526 
(ct 
56045/19) 
all’agenzia 
delle 
entrate-riscossione 
in tema 
di 
riassunzione 
dei 
giudizi 
a 
seguito di 
pronuncia 
della 
corte 
di 
cassazione 
di annullamento con rinvio. 


l’avvocato Generale 
Gabriella 
PalmIerI SanDUllI 


**** ** ** **** 


Avvocatura 
Generale 
dello 
Stato 


aDer – aGenzIa Delle entrate – 


via dei Portoghesi, 12 
rIScoSSIone 


00186 roma 
DIrezIone centrale normatIva 
e contenzIoSo Della 
rIScoSSIone 
roma 


tipo affare ct. 56045/19 


(contenzioso@pec.agenziariscossione.gov.it) 


Sez. I bis 
avv. Pintus 


aGenzIa Delle entrate 
DIvISIone contrIBUentI 
roma 
(agenziaentratepec@pce.agenziaentrate.it) 


oggetto: 
ct. 
56045/19. 
Parere 
in 
ordine 
alla 
opportunità 
della 
riassunzione 
della 
causa 
a 
seguito 
di 
pronuncia 
della 
Suprema 
corte 
che 
abbia 
cassato 
con rinvio la sentenza impugnata. 


Premessa. 


continuano 
a 
pervenire 
alla 
Scrivente 
diverse 
richieste, 
provenienti 
da 
varie 
Direzioni 
regionali 
di 
codesto 
ente, 
finalizzate 
ad 
ottenere 
l’invio 
di 
copia 
autentica 
delle 
pronunce 
rese 
dalla 
Suprema 
corte, 
al 
fine 
di 
riassumere 
i 
diversi 
procedimenti 
di 
rispettiva 
competenza 
innanzi 
al 
Giudice 
designato 
per lo svolgimento del giudizio di rinvio. 


nel 
contenzioso indicato in epigrafe, in particolare, la 
Direzione 
regionale 
dell’emilia 
romagna 
ha 
anche 
motivato la 
richiesta 
(come 
da 
e-mail 
del 
17 novembre 2021), esplicitando che 


«la “reviviscenza” 
dell’atto impugnato non è 
l’unica conseguenza del



temI 
IStItUzIonalI 


l’estinzione 
del 
processo poiché 
detta estinzione 
elimina anche 
l’effetto permanente 
dell’interruzione 
della prescrizione 
prodotto dalla domanda giudiziale 
ai 
sensi 
dell’art. 
2945, 
comma 
2, 
c.c. 
resta 
salvo 
soltanto 
l’effetto 
interruttivo istantaneo della domanda (cassazione 
civile, sez. III, sentenza n. 
8720 del 13 aprile 2010). 


In sostanza occorre 
considerare 
l’eventuale 
decorso dei 
termini 
prescrizionali 
dalla data di 
notifica del 
ricorso di 
primo grado (5 settembre 
2016) 
alla data di 
estinzione 
del 
processo (18 aprile 
2022) per 
le 
pretese 
tributarie 
in contestazione». 


Partendo 
dalla 
suddetta 
premessa, 
la 
medesima 
Direzione 
regionale 
è 
pervenuta, nella singola ipotesi esaminata, alle seguenti conclusioni: 


“Il 
contenzioso in cassazione 
riguardava 7 cartelle 
di 
pagamento (6 relative 
a tasse automobilistiche e 1 erariale). 


In caso di 
mancata riassunzione 
tutte 
le 
6 cartelle 
della regione 
emilia 
romagna potrebbero risultare 
prescritte 
così 
come 
le 
sanzioni/interessi 
erariali, 
sull’assunto che 
si 
applichi 
il 
termine 
quinquennale 
anziché 
quello decennale 
[…]. 


In 
conclusione, 
l’onere 
della 
riassunzione 
potrebbe 
gravare 
sull’ente 
della riscossione, al 
solo fine 
di 
non incorrere 
in responsabilità erariale 
nei 
confronti dell’ente impositore”. 


tale 
motivazione, posta 
a 
base 
delle 
frequenti 
richieste 
di 
cui 
si 
è 
detto, 
ha 
indotto la 
Scrivente 
ad approfondire 
la 
sottesa 
tematica 
giuridica, nell’intento 
di 
fornire 
indicazioni 
di 
massima 
in 
ordine 
alla 
effettiva 
necessità 
di 
riassumere 
i 
procedimenti 
per 
i 
quali 
sia 
intervenuta 
una 
statuizione 
della 
Suprema 
corte, recante cassazione con rinvio della sentenza impugnata. 


* * * 


indice. 


§ 1. il processo tributario. 

§ 1.1. Distinzione 
tra atti 
autonomamente 
impugnabili 
e 
atti 
facoltativamente 
impugnabili. 

§ 
1.2. 
l’impugnazione 
innanzi 
al 
Giudice 
tributario 
delle 
iscrizioni 
ipotecarie. 


§ 
1.3. 
l’impugnazione 
innanzi 
al 
Giudice 
tributario 
dei 
dinieghi 
espressi 
o taciti - di rimborso. 

§ 2. il processo civile. 

§ 2.1. il processo esecutivo e le opposizioni ex artt. 615 e 617 c.p.c. 


§ 2.2. i 
giudizi 
latamente 
impugnatori 
che 
si 
svolgono innanzi 
al 
Giudice 
ordinario. le c.d. opposizioni recuperatorie. 


§ 2.3. l’impugnazione 
innanzi 
al 
Giudice 
civile 
delle 
iscrizioni 
ipotecarie. 


§ 
2.4. 
l’azione 
proposta 
innanzi 
al 
Giudice 
civile 
per 
il 
rimborso 
di 
somme indebitamente versate all’agente della riscossione. 



raSSeGna 
avvocatUra 
Dello 
Stato -n. 4/2022 


§ 2.5. l’azione 
revocatoria proposta innanzi 
al 
Giudice 
civile 
nell’interesse 
dell’agente della riscossione. 

§ 2.6. la proposizione 
di 
una querela di 
falso, in 
via principale 
o in 
via 
incidentale, avverso atti dell’agente della riscossione. 

§ 2.7. i 
giudizi 
impugnatori 
in 
materia di 
ammissione 
al 
passivo fallimentare 
nell’interesse dell’agente della riscossione. 

Conclusioni. 

* * * 


§ 1. il processo tributario. 


al 
riguardo, 
corre 
l’obbligo 
di 
segnalare, 
innanzitutto, 
che 
i 
principi 
giurisprudenziali 
cui 
ha 
fatto 
cenno 
la 
Direzione 
regionale 
dell’emilia 
romagna 
negli 
stralci 
sopra 
trascritti, 
pur 
pacifici 
in 
relazione 
al 
processo 
civile, 
non 
sono 
stati 
ritenuti 
applicabili 
nell’ambito 
del 
processo 
tributario, 
alla 
stregua 
di 
quanto 
chiaramente 
esposto, 
ex 
plurimis, 
dalla 
stessa 
Suprema 
corte, 
nella 
pronuncia 
della 
Sez. 
trib., 
23 
gennaio 
2019, 
n. 
1807, 
di 
seguito 
trascritta 
nella 
parte 
di 
interesse: 


“I principi 
giurisprudenziali 
fin qui 
tratteggiati 
non hanno però preso in 
esame 
la specificità del 
processo tributario, in ordine 
al 
quale 
si 
è 
invece 
più 
recentemente 
formato un orientamento di 
legittimità opposto a quello maturatosi 
con riguardo al processo ordinario 
[…] 


si 
allude 
all’orientamento 
secondo 
il 
quale, 
nel 
processo 
tributario, 
si 
realizza 
una 
deviazione 
dalla 
regola 
generale 
di 
cui 
all’articolo 
2945 
c.c., 
comma 3 (così 
come 
interpretato dalla s.c.), in ragione 
dei 
seguenti 
elementi 
di specialità: 


-la 
natura 
impugnatoria 
del 
medesimo 
e, 
in 
particolare, 
la 
natura 
amministrativa, 
e 
non 
processuale, 
rivestita 
dall’atto 
impositivo, 
il 
quale 
costituisce 
non 
atto 
di 
impulso 
del 
processo, 
ma 
il 
suo 
oggetto; 
-la 
conseguente 
definitività 
che 
deriva 
all’atto 
impositivo 
dall’estinzione 
del 
giudizio 
di 
impugnazione 
contro 
di 
esso 
proposto 
dal 
contribuente 
(cfr., 
ex 
multis, 
cass., 
sez. 
6-5, 
19/10/2015, 
n. 
21143, 
rv. 
637007 
-01; 
cass., 
sez. 
5, 
03/07/2013, 
n. 
16689, 
rv. 
627058 
-01; 
cass., 
sez. 
6-5, 
28/03/2012, 
n. 
5044, 
rv. 
622235 
-01); 


-l’irrazionalità 
di 
una 
soluzione 
che, 
ritenendo 
applicabile 
anche 
al 
processo 
tributario 
il 
disposto 
generale 
di 
cui 
all’articolo 
2945 
c.c., 
comma 
3, 
verrebbe 
a 
far 
decorrere 
la 
prescrizione, 
a 
carico 
dell’amministrazione 
finanziaria, 
da 
una 
data 
(l’introduzione 
del 
giudizio) 
antecedente 
alla 
definitività 
dell’atto 
impositivo 
che 
realizza 
(“incorpora”) 
la 
pretesa 
tributaria 
medesima, 
con 
la 
conseguenza 
paradossale 
che 
il 
titolo 
dell’imposizione 
potrebbe 
risultare 
ineseguibile 
(perchè 
estinto 
per 
prescrizione) 
ancor 
prima 
di 
essere 
divenuto 
definitivo; 


-l’insussistenza, 
nel 
processo 
tributario, 
della 
ratio 
ispiratrice 
l’articolo 
2945 
c.c., 
comma 
3, 
dal 
momento 
che, 
proprio 
per 
la 
sua 
natura 
impugnatoria 
e 
per 
la 
definitività 
che 
l’atto 
impositivo 
assume 
per 
effetto 
dell’estinzione 
del 
giudizio in caso di 
mancata riassunzione, è 
il 
solo contribuente 
ad avere 
interesse 
alla riassunzione 
sicchè, diversamente 
argomentando sulla base 
della 



temI 
IStItUzIonalI 


regola 
generale, 
l’eliminazione 
dell’effetto 
sospensivo 
della 
prescrizione 
in 
pendenza di 
un giudizio tributario che 
poi 
si 
estingua per 
mancata riassunzione 
opererebbe 
a 
favore 
proprio 
della 
parte 
processuale 
(il 
contribuente) 
che, 
mostrando 
disinteresse 
per 
la 
coltivazione 
del 
giudizio, 
ha 
consentito 
che 
l’atto impugnato divenisse definitivo; 


-il 
regime 
della riscossione 
frazionata in pendenza di 
giudizio, d.lgs. n. 
546 del 
1992, ex 
art. 68, non è 
dirimente 
in senso contrario alla soluzione 
qui 
accolta, posto che: se 
è 
ammessa, e 
nei 
limiti 
in cui 
lo è 
(sentenze 
intermedie 
favorevoli 
all’amministrazione 
finanziaria), 
la 
riscossione 
frazionata 
non 
realizza 
in 
via 
definitiva 
la 
pretesa 
tributaria 
(sussistendo, 
in 
caso 
di 
diverso 
esito 
finale 
del 
giudizio, l’obbligo di 
restituzione 
al 
contribuente 
delle 
somme 
da 
questi 
medio tempore 
pagate), ma opera sul 
piano meramente 
anticipatorio 
ed interinale 
degli 
effetti 
di 
un accertamento giudiziale 
ancora in itinere; se, 
al 
contrario, la riscossione 
frazionata non è 
ex 
lege 
ammessa (sentenze 
intermedie 
favorevoli 
al 
contribuente), sussiste 
un impedimento di 
diritto alla realizzazione 
della 
pretesa, 
con 
conseguente 
mancato 
decorso, 
per 
regola 
generale, del termine prescrizionale. 
dunque, 
secondo 
tale 
orientamento, 
al 
quale 
il 
collegio 
intende 
dare 
continuità, nelle 
ipotesi 
di 
estinzione 
del 
processo tributario per 
omessa riassunzione 
della causa avanti 
al 
giudice 
di 
rinvio, il 
dies 
a quo del 
termine 
di 
prescrizione 
(come 
di 
quello di 
decadenza) va ancorato, a prescindere 
dalla 
previsione 
di 
cui 
all’art. 
2945 
c.c., 
comma 
3, 
alla 
data 
di 
scadenza 
del 
termine 
utile 
per 
la 
(non 
attuata) 
riassunzione 
della 
causa 
davanti 
al 
giudice 
di 
rinvio, 
posto che 
solo da tale 
data, per 
effetto dell’acquisita definitività dell’atto impositivo, 
l’amministrazione 
può, ai 
sensi 
del 
d.lgs. n. 546 del 
1992, art. 68 e 


d.P.r. n. 602 del 
1973, artt. 14 e 
15, far 
valere 
in modo definitivo e 
compiuto 
il 
proprio 
credito, 
attivando 
la 
relativa 
procedura 
di 
riscossione; 
ciò 
tanto 
più 
in 
presenza 
(come 
nel 
caso 
di 
specie) 
di 
una 
sentenza 
di 
secondo 
grado 
ad 
essa sfavorevole, dato l’obbligo di 
restituzione 
del 
tributo eventualmente 
corrisposto 
in 
eccedenza 
rispetto 
a 
quanto 
statuito 
dal 
giudice 
tributario, 
sancito 
dal 
d.lgs. cit., art. 68, comma 2, (cfr. cass., sez. 5, 15/01/2016, n. 556, rv. 
638661 -01; cass. sez. 5, 18/11/2016, n. 23502, rv. 641872 -01; cass., sez. 
65, 12/04/2017, n. 9521, rv. 644710 - 01)”. 
tale 
pronuncia 
ha 
affrontato 
compiutamente 
la 
tematica 
esaminata 
e 
consente 
di 
affermare 
che, nell’ambito del 
processo tributario, il 
dubbio palesato 
da 
codesto 
ente 
in 
ordine 
al 
possibile 
venir 
meno 
dell’effetto 
sospensivo 
della 
prescrizione, 
in 
caso 
di 
estinzione 
del 
giudizio 
per 
mancata 
riassunzione, 
possa 
dirsi superato alla stregua delle considerazioni che precedono (1). 


(1) In dottrina, in senso conforme, vedasi 
anche 
F. ranDazzo, effetti 
sostanziali 
dell’estinzione 
del 
processo tributario per 
inattività delle 
parti, in dir. e 
Prat. trib., 2020, 4, 1542 e 
segg.; 
cfr. in particolare 
il § 7, in fine. 

raSSeGna 
avvocatUra 
Dello 
Stato -n. 4/2022 


l’indirizzo 
ermeneutico 
cui 
si 
è 
appena 
fatto 
cenno, 
peraltro, 
appare 
consolidato, 
essendo stato condiviso a 
più riprese 
dalla 
Suprema 
corte, come 
è 
testimoniato, 
ex 
multis, 
dall’ordinanza 
della 
Sez. 
trib., 
5 
novembre 
2021, 
n. 
32152, ove si è pure affermato che: 


“l’omessa 
riassunzione 
della 
causa 
davanti 
al 
giudice 
di 
rinvio 
determina 
l’estinzione 
dell’intero processo, ai 
sensi 
del 
d.lgs. n. 546 del 
1992, art. 63, 
comma 
2, 
e 
la 
definitività 
dell’avviso 
di 
accertamento 
impugnato, 
giacché 
quest’ultimo non è un atto processuale, ma l’oggetto dell’impugnazione, con 
la 
conseguenza 
che 
il 
termine 
di 
prescrizione 
(come 
quello 
di 
decadenza) 
della 
pretesa 
tributaria, 
incorporata 
nell’atto 
impositivo, 
decorre 
dalla 
data 
di 
scadenza 
del 
termine 
utile 
per 
la non attuata riassunzione, momento dal 
quale 
l’amministrazione 
finanziaria 
può 
attivare 
la 
procedura 
di 
riscossione 
(ex 
plurimis, 
cfr. 
sez. 
6-5, 
ordinanza 
n. 
5044 
del 
28/03/2012, 
rv. 
622235-01; 
sez. 
5, 
sentenza 
n. 
556 
del 
15/01/2016, 
rv. 
638661-01; 
sez. 
6-5, 
ordinanza 
n. 
23922 
del 
23/11/2016, 
rv. 
641755-01; 
sez. 
6-5, 
ordinanza 
n. 
9521 
del 
12/04/2017, rv. 644710-01). 


come, 
poi, 
chiarito 
in 
altre 
pronunce 
(tra 
cui 
si 
veda 
sez. 
v, 
ord. 
n. 
27306 
del 
2017), le 
ragioni 
che 
giustificano l’applicazione 
di 
questo indirizzo consistono 
nei seguenti elementi di specialità del processo tributario: 


1) la natura impugnatoria del 
medesimo e, in particolare, la natura amministrativa, 
e 
non processuale, rivestita dall’atto impositivo, il 
quale 
costituisce 
non atto di 
impulso del 
processo, ma il 
suo oggetto (sez. v, n. 21143 del 
2015; sez. v, n. 16689 del 2013; sez. v, n. 5044 del 2012); 
2) 
la 
conseguente 
definitività 
che 
deriva 
all’atto 
impositivo 
dall’estinzione 
del giudizio di impugnazione contro di esso proposto dal contribuente; 
3) 
l’irrazionalità 
di 
una 
soluzione 
che, 
ritenendo 
applicabile 
anche 
al 
processo 
tributario 
il 
disposto 
generale 
di 
cui 
all’art. 
2945 
c.c., 
comma 
3, 
verrebbe 
a 
far 
decorrere 
la 
prescrizione, 
a 
carico 
dell’amministrazione 
finanziaria, 
da 
una 
data 
(l’introduzione 
del 
giudizio) 
antecedente 
alla 
definitività 
dell’atto 
impositivo 
che 
realizza 
(“incorpora”) 
la 
pretesa 
tributaria 
medesima; 
con 
la 
conseguenza 
paradossale 
che 
il 
titolo 
dell’imposizione 
potrebbe 
risultare 
ineseguibile 
(perché 
estinto 
per 
prescrizione) 
ancor 
prima 
di 
essere 
divenuto 
definitivo; 
4) 
l’insussistenza, 
nel 
processo 
tributario, 
della 
ratio 
ispiratrice 
l’art. 
2945 
c.c., 
comma 
3, 
dal 
momento 
che, 
proprio 
per 
la 
sua 
natura 
impugnatoria 
e 
per 
la 
definitività 
che 
l’atto 
impositivo 
assume 
per 
effetto 
dell’estinzione 
del 
giudizio in caso di 
mancata riassunzione, è 
il 
solo contribuente 
ad avere 
interesse 
alla riassunzione 
sicché, diversamente 
argomentando sulla base 
della 
regola 
generale, 
l’eliminazione 
dell’effetto 
sospensivo 
della 
prescrizione 
in 
pendenza di 
un giudizio tributario che 
poi 
si 
estingua per 
mancata riassunzione 
opererebbe 
a 
favore 
proprio 
della 
parte 
processuale 
(il 
contribuente) 
che, 
mostrando 
disinteresse 
per 
la 
coltivazione 
del 
giudizio, 
ha 
consentito 
che 
l’atto impugnato divenisse definitivo; 

temI 
IStItUzIonalI 


5) l’esclusione 
del 
rilievo dirimente 
del 
regime 
della riscossione 
frazionata 
in pendenza di 
giudizio, ai 
sensi 
del 
d.lgs. n. 546 del 
1992, ex 
art. 68, 
perché 
detta 
riscossione, 
frazionata 
e 
provvisoria, 
non 
realizza 
in 
via 
definitiva 
la pretesa tributaria”. 
In 
termini 
analoghi, 
vedasi 
anche 
cass. 
civ., 
Sez. 
trib., 
16 
settembre 
2021, 


n. 25014 e cass. civ., Sez. trib., 18 novembre 2021, n. 35134. 
a 
quanto affermato dalla 
giurisprudenza 
citata, si 
può aggiungere 
il 
riferimento 
operato dal 
legislatore 
nell’art. 68, comma 
1, lettera 
c-bis), del 
d.lgs. 
31 
dicembre 
1992, 
n. 
546 
(introdotta 
dal 
2016), 
laddove 
si 
precisa 
che 
“anche 
in 
deroga 
a 
quanto 
previsto 
nelle 
singole 
leggi 
d’imposta, 
nei 
casi 
in 
cui 
è 
prevista la riscossione 
frazionata del 
tributo oggetto di 
giudizio davanti 
alle 
commissioni, il 
tributo, con i 
relativi 
interessi 
previsti 
dalle 
leggi 
fiscali, deve 
essere pagato: 


[…] c-bis) per 
l’ammontare 
dovuto nella pendenza del 
giudizio di 
primo 
grado dopo la sentenza della corte 
di 
cassazione 
di 
annullamento con rinvio 
e per l’intero importo indicato nell’atto in caso di mancata riassunzione”. 


* * * 


§ 1.1. Distinzione 
tra atti 
autonomamente 
impugnabili 
e 
atti 
facoltativamente 
impugnabili. 


ciò 
chiarito, 
occorre 
precisare 
che 
le 
conclusioni 
alle 
quali 
è 
giunta 
la 
Suprema 
corte, 
oltre 
ad 
essere 
applicabili 
al 
solo 
processo 
tributario 
e 
non 
anche 
al 
processo 
civile 
(nel 
quale 
deve 
quindi 
farsi 
riferimento 
alla 
regola 
generale, 
sancita 
dall’art. 
2945, 
comma 
3, 
c.c.), 
appaiono 
coerenti 
con 
le 
ipotesi 
in 
cui, 
a 
fronte 
della 
mancata 
impugnazione 
di 
un 
dato 
provvedimento 
(equiparabile, 
quanto 
agli 
effetti, 
all’estinzione 
del 
giudizio 
avviato 
nei 
confronti 
dello 
stesso), 
possa 
discorrersi 
di 
definitività 
dell’atto 
ormai 
consolidatosi. 


la 
Suprema 
corte, come 
si 
è 
visto, ha 
infatti 
enucleato il 
diverso regime 
dell’exordium 
praescriptionis 
proprio 
sul 
presupposto 
della 
attitudine 
degli 
atti 
impositivi 
alla 
definitività, 
il 
cui 
corollario 
è 
rappresentato 
dalla 
possibilità 
di 
impugnare 
gli 
atti 
successivi 
a 
quello 
divenuto 
definitivo 
esclusivamente 
per vizi propri, ai sensi dell’art. 19, comma 3, del D.lgs. 546/1992. 


È 
quindi 
ragionevole 
supporre 
che 
le 
conseguenze 
indicate 
dalla 
Suprema 
corte 
possano prodursi 
in tutte 
le 
ipotesi 
in cui 
si 
sia 
verificata 
l’estinzione 
di 
un processo tributario instaurato per l’impugnazione 
di 
un atto di 
cui 
all’art. 
19, 
comma 
1, 
del 
predetto 
D.lgs. 
546/1992, 
atteso 
che 
solo 
in 
questo 
caso 
può 
ipotizzarsi 
la 
definitività 
dello 
stesso 
e 
la 
conseguente 
cristallizzazione 
della 
pretesa 
impositiva 
recata 
dall’atto 
medesimo 
(«Il 
d.lgs. 
n. 
546 
del 
1992, 
art. 19 […] 
contiene 
il 
“catalogo” 
(anch’esso arricchitosi 
nel 
tempo) degli 
“atti 
impugnabili”, cioè 
degli 
atti 
che, se 
ritualmente 
notificati, comportano, 
in 
ragione 
della 
loro 
ritenuta 
natura 
immediatamente 
impositiva, 
l’onere 
della 
impugnazione, a pena della cristallizzazione 
della pretesa in essi 
contenuta»: 
cass. civ., Sez. trib., 27 novembre 
2019, n. 30911, che 
ha 
ripreso l’insegna



raSSeGna 
avvocatUra 
Dello 
Stato -n. 4/2022 


mento già 
espresso in precedenza 
da 
cass. civ., Sez. Un., 18 febbraio 2014, 
n. 3773). 


alla 
luce 
di 
quanto 
sopra, 
sembra 
ragionevole 
ipotizzare 
che 
l’orientamento 
giurisprudenziale 
appena 
esposto, 
per 
vero 
formatosi 
in 
relazione 
al 
consolidamento 
di 
avvisi 
di 
accertamento 
o 
di 
liquidazione 
emessi 
dall’amministrazione 
finanziaria, 
possa 
applicarsi 
anche 
a 
quegli 
atti 
della 
riscossione 
che, 
in 
quanto 
autonomamente 
impugnabili, 
sono 
stati 
definiti 
in 
giurisprudenza 
come 
atti 
a 
contenuto 
intrinsecamente 
impositivo, 
nel 
senso 
che 
il 
loro 
consolidamento 
è 
suscettibile 
di 
cristallizzare 
la 
debenza 
della 
pretesa 
erariale. 


Si 
potrebbe 
invece 
dubitare 
che 
un 
analogo 
effetto 
possa 
verificarsi 
in 
relazione 
a 
quegli 
atti 
ritenuti 
dalla 
giurisprudenza 
solo facoltativamente 
impugnabili 
(“questa corte 
ha affermato che 
la mancata impugnazione 
da parte 
del 
contribuente 
di 
un atto non espressamente 
indicato nel 
d.lgs. n. 546 del 
1992, 
art. 
19, 
non 
determina, 
in 
ogni 
caso, 
la 
non 
impugnabilità 
(e 
cioè 
la 
cristallizzazione) 
di 
quella 
pretesa, 
che 
va 
successivamente 
reiterata 
in 
uno 
degli 
atti 
tipici 
previsti 
dall’art. 
19 
(cass., 
sez. 
65-, 
2 
novembre 
2017, 
n. 
26129; 
cass., sez. 6-5, 18 luglio 2016, n. 14675; cass., sez. 5, 11 febbraio 2015, n. 
2616; cass., sez. 5, 25 febbraio 2009, n. 4513)”: 
cass. civ., Sez. trib., ordinanza 
interlocutoria 11 febbraio 2022, n. 4526). 


Si 
pensi, ad esempio, alle 
molteplici 
impugnazioni 
pendenti 
avverso gli 
estratti 
di 
ruolo, 
a 
prescindere 
dalla 
ormai 
acclarata 
valenza 
retroattiva 
dell’art. 
12, 
comma 
4-bis, 
del 
D.P.r. 
n. 
602/1973 
(introdotto 
dall’art. 
3-bis 
del 
D.l. 
21 
ottobre 
2021, 
n. 
146, 
convertito 
dalla 
legge 
17 
dicembre 
2021, 
n. 
215), 
questione 
recentemente 
risolta, come 
è 
noto, dalla 
Suprema 
corte, Sezioni 
Unite 
civili, con sentenza del 6 settembre 2022, n. 26283. 


In 
tali 
casi, 
i 
principi 
appena 
enucleati 
potrebbero 
far 
dubitare 
che 
l’estinzione 
del 
giudizio 
instaurato 
avverso 
un 
estratto 
di 
ruolo 
(non 
conseguente 
alla 
notifica 
di 
un 
atto 
da 
parte 
di 
aDer), 
possa 
determinare 
un 
consolidamento 
della 
pretesa 
creditoria 
affidata 
all’agente 
della 
riscossione, con conseguente 
possibilità 
che 
venga 
meno 
l’effetto 
sospensivo 
del 
termine 
prescrizionale, in caso di 
estinzione 
del 
giudizio derivante 
dall’omessa 
riassunzione 
a seguito di cassazione con rinvio. 


la 
Suprema 
corte, infatti, ha 
più volte 
ribadito (ad esempio, cass. 2 novembre 
2017, n. 26129) che 


“In tema di 
contenzioso tributario, l’impugnazione 
da parte 
del 
contribuente 
di 
un atto non espressamente 
indicato dal 
d.lgs. n. 546 del 
1992, art. 
19, il 
quale, tuttavia, abbia natura di 
atto impositivo, è 
una facoltà e 
non un 
onere, 
il 
cui 
mancato 
esercizio 
non 
preclude 
la 
possibilità 
d’impugnazione 
con 
l’atto 
successivo 
(sez. 
6-5, 
ordinanza 
n. 
14675 
del 
18/07/2016, 
rv. 
640514-01; conforme 
sez. 6-5, ordinanza n. 14045 del 
04/05/2017, non massimata)”. 



temI 
IStItUzIonalI 


In relazione 
agli 
atti 
autonomamente 
impugnabili, di 
cui 
al 
citato art. 19, 
comma 
1, 
del 
D.lgs. 
546/1992, 
viceversa, 
pare 
applicabile 
il 
diverso 
principio 
di diritto secondo cui 


“la scadenza del 
termine 
perentorio sancito per 
opporsi 
o impugnare 
un 
atto di 
riscossione 
mediante 
ruolo, o comunque 
di 
riscossione 
coattiva, produce 
l’effetto sostanziale 
della irretrattabilità del 
credito (in termini, cass. n. 
11800 del 2018)” (cass. 28 gennaio 2020, n. 1901); 


* * * 


con l’ulteriore precisazione che 


“Il 
contribuente, 
una 
volta 
notificatagli 
l’intimazione 
di 
pagamento, 
deve 
tempestivamente 
impugnarla, 
pena 
la 
cristallizzazione 
della 
pretesa 
tributaria 
in essa manifestata. ove 
invece 
il 
contribuente 
opti 
per 
l’impugnazione 
della 
sola cartella di 
pagamento, benchè 
l’intimazione 
d.P.r. n. 602 del 
1973, ex 
art. 50 gli 
sia stata regolarmente 
notificata, detta azione 
non può che 
considerarsi 
in ogni 
caso inammissibile, per 
difetto d’interesse 
ex 
art. 100 c.p.c., 
giacchè 
l’annullamento 
della 
cartella 
giammai 
potrebbe 
essere 
disposto, 
stante la definitività dell’atto conseguenziale, non impugnato” 


(cass. 27 novembre 2019, n. 30911). 
* * * 
Può 
quindi 
affermarsi 
che, 
nell’ambito 
del 
processo 
tributario, 
non 
appare 
sussistente, in linea 
di 
principio, un apprezzabile 
interesse 
dell’agente 
della 
riscossione 
a 
riassumere 
il 
giudizio 
instaurato 
avverso 
un 
atto 
autonomamente 
impugnabile, 
ex 
art. 
19 
del 
D.lgs. 
546/1992 
(ivi 
compresa 
l’intimazione 
di 
pagamento ex 
art. 50 del 
D.P.r. 29 settembre 
1973, n. 602: 
vedasi, ancorché 
solo in obiter 
dictum, cass. 21 dicembre 
2020, n. 29200, nonché 
la 
già 
citata 
cass. ord. interlocutoria 
11 febbraio 2022, n. 4526, che 
richiama 
in proposito 
il 
precedente 
costituito 
da 
cass. 
29 
novembre 
2019, 
n. 
31240), 
stante 
che 
l’eventuale 
estinzione 
dell’intero processo determinerebbe 
la 
definitività 
del-
l’atto e 
l’avvio di 
un nuovo termine 
prescrizionale, decorrente 
dalla 
scadenza 
del termine ultimo per la riassunzione del giudizio. 
Deve 
prudenzialmente 
addivenirsi 
alla 
conclusione 
opposta, invece, ove 
l’originaria 
impugnazione 
del 
contribuente 
sia 
stata 
rivolta 
contro 
un 
atto 
solo 
facoltativamente 
impugnabile, 
come 
ad 
esempio 
gli 
avvisi 
bonari, 
il 
preavviso 
di 
fermo 
amministrativo, 
il 
preavviso 
di 
iscrizione 
ipotecaria 
e 
i 
già 
menzionati 
estratti 
di 
ruolo: 
in queste 
ultime 
ipotesi, stante 
l’incertezza 
che 
l’estinzione 
del 
processo 
possa 
determinare 
un 
definitivo 
consolidamento 
della 
pretesa 
impositiva, 
può 
cautelativamente 
ritenersi 
sussistere 
un 
interesse 
dell’ente 
di 
esazione 
alla 
prosecuzione 
del 
giudizio, al 
fine 
di 
impedire 
il 
venir meno ex 
tunc 
dell’effetto 
sospensivo 
del 
corso 
della 
prescrizione 
correlato 
alla 
pendenza 
del giudizio. 
* * * 



raSSeGna 
avvocatUra 
Dello 
Stato -n. 4/2022 


§ 
1.2. 
l’impugnazione 
innanzi 
al 
Giudice 
tributario 
delle 
iscrizioni 
ipotecarie. 


le 
conclusioni 
appena 
esposte 
sembrano 
riferibili 
anche 
alle 
ipotesi 
in 
cui 
sia 
stata 
impugnata 
innanzi 
al 
Giudice 
tributario un’iscrizione 
ipotecaria, 
derivante da pretese tributarie iscritte a ruolo. 


Posto che 
l’iscrizione 
di 
ipoteca 
rientra 
ormai 
nel 
novero degli 
atti 
autonomamente 
impugnabili 
(cfr. 
l’art. 
19, 
comma 
1, 
lett. 
e-bis, 
del 
D.lgs. 
546/1992), 
è 
ragionevole 
supporre 
che 
l’estinzione 
del 
processo 
instaurato 
avverso 
una 
iscrizione 
ipotecaria, ex 
art. 77 del 
D.P.r. 602/1973, comporti 
i 
medesimi 
effetti 
già 
visti 
in termini 
di 
consolidamento del 
credito erariale, con 
conseguente 
tendenziale 
insussistenza 
dell’interesse 
dell’agente 
della 
riscossione 
alla riassunzione del giudizio, in ipotesi di cassazione con rinvio. 


* * * 


§ 
1.3. 
l’impugnazione 
innanzi 
al 
Giudice 
tributario 
dei 
dinieghi 
espressi 
o taciti - di rimborso. 


le 
conclusioni 
esposte 
nel 
suddetto § 1, inoltre, appaiono riferibili 
anche 
all’ipotesi 
in 
cui 
il 
contribuente 
abbia 
impugnato, 
innanzi 
al 
Giudice 
tributario, 
provvedimenti di diniego espresso di rimborso di tributi. 


l’inclusione 
di 
tali 
provvedimenti 
nel 
novero degli 
atti 
autonomamente 
impugnabili 
(cfr. l’art. 19, comma 
1, lett. g, del 
D.lgs. 546/1992), infatti, induce 
a 
ritenere 
che 
l’eventuale 
estinzione 
del 
processo, derivante 
dall’omessa 
riassunzione 
a 
seguito di 
cassazione 
con rinvio, determini 
un consolidamento 
del 
provvedimento di 
diniego impugnato. nei 
casi 
indicati, peraltro, non appaiono 
in 
ogni 
caso 
sussistenti 
problemi 
di 
prescrizione 
per 
l’amministrazione, 
essendo piuttosto onere 
del 
contribuente 
interrompere 
il 
termine 
entro 
cui è possibile esercitare il suo diritto al rimborso. 


Se 
ciò vale 
per i 
provvedimenti 
di 
diniego espresso, non altrettanto può 
dirsi 
in relazione 
ai 
provvedimenti 
di 
diniego tacito (perfezionatisi 
quindi 
per 
silentium) (2), in quanto, in base 
all’art. 21, comma 
2, del 
D.lgs. 546/1992, 
“Il 
ricorso 
avverso 
il 
rifiuto 
tacito 
della 
restituzione 
di 
cui 
all’articolo 
19, 
comma 
1, 
lettera 
g), 
può 
essere 
proposto 
dopo 
il 
novantesimo 
giorno 
dalla 
domanda di 
restituzione 
presentata entro i 
termini 
previsti 
da ciascuna legge 
d’imposta e fino a quando il diritto alla restituzione non è prescritto”. 


Dalla 
mancata 
previsione 
della 
necessità 
di 
impugnazione 
in un termine 
perentorio, deriva 
la 
possibilità 
per il 
contribuente 
-in seguito all’estinzione 
del 
processo 
-di 
proporre 
un 
nuovo 
giudizio, 
in 
relazione 
alla 
medesima 
istanza 
di 
rimborso; 
in 
quest’ultima 
ipotesi, 
tuttavia, 
potrà 
realisticamente 
farsi 
valere 
l’eventuale 
principio 
di 
diritto 
sancito 
dalla 
Suprema 
corte 
nell’ambito 
del processo estinto, a norma dell’art. 393 c.p.c. (3). 


(2) vedasi 
F. ranDazzo, effetti 
sostanziali 
dell’estinzione 
del 
processo tributario per 
inattività 
delle parti, cit.; cfr., in particolare, il § 8, in fine. 

temI 
IStItUzIonalI 


In 
questo 
caso, 
ovviamente, 
il 
contribuente 
potrà 
subire 
la 
prescrizione 
del 
proprio 
credito, 
qualora 
il 
giudizio 
estinto 
abbia 
avuto 
una 
durata 
superiore 
al 
termine 
di 
prescrizione 
e 
non 
siano 
nel 
frattempo 
intervenuti 
atti 
interruttivi. 


In definitiva, anche 
nel 
caso in cui 
l’agente 
della 
riscossione 
fosse 
evocato 
in giudizio innanzi 
al 
Giudice 
tributario, a 
fronte 
dell’impugnazione 
di 
un provvedimento di 
diniego -espresso o tacito -di 
rimborso di 
tributi, non si 
ritiene 
sussista, 
in 
linea 
di 
massima, 
un 
interesse 
dell’ente 
di 
esazione 
alla 
riassunzione 
del 
processo nell’ambito del 
quale 
la 
Suprema 
corte 
avesse 
reso 
una statuizione di cassazione con rinvio. 


* * * 


§ 2. il processo civile. 


ciò chiarito in relazione 
al 
processo tributario, occorre 
invece 
precisare 
che, 
nell’ambito 
del 
processo 
civile, 
la 
regola 
sancita 
per 
effetto 
del 
combinato 
disposto degli 
artt. 2945, comma 
3, c.c. e 
393 c.p.c. deve 
ritenersi 
pienamente 
operante. 


con particolare 
riferimento agli 
ambiti 
operativi 
che 
tipicamente 
vedono 
coinvolto l’agente 
della 
riscossione, possono tuttavia 
enuclearsi 
le 
seguenti 
specificazioni rispetto alla regola generale. 


* * * 


§ 2.1. il processo esecutivo e le opposizioni ex artt. 615 e 617 c.p.c. 


la 
giurisprudenza 
di 
legittimità, nell’ambito del 
processo esecutivo, ha 
fornito peculiari 
interpretazioni 
del 
predetto art. 2945, comma 
3, c.c., enucleando, 
ex multis, i seguenti principi: 


1) «con l’atto di 
precetto non ha inizio il 
processo esecutivo e 
quindi 
lo 
stesso 
non 
risponde 
alla 
fattispecie 
delineata 
dall’art. 
2943 
c.c., 
comma 
1, 
(“atto 
con 
il 
quale 
si 
inizia 
un 
giudizio 
(...) 
esecutivo”). 
dunque, 
l’atto 
di 
precetto 
produce 
un effetto interruttivo della prescrizione 
del 
relativo diritto di 
credito 
a 
carattere 
solamente 
istantaneo, 
sicchè, 
verificatosi 
tale 
effetto, 
inizia 
a decorrere, dalla data della sua notificazione, un nuovo periodo di 
prescrizione 
(art. 2943 c.c., comma 3 e 
art. 2945 c.c., comma 1). anzi, questa corte 
ha 
già 
chiarito 
che 
il 
carattere 
(solo) 
istantaneo 
dell’efficacia 
interruttiva 
non 
viene 
meno neppure 
nella parte 
in cui 
l’intimato abbia proposto opposizione 
al 
precetto. unicamente 
quando il 
creditore 
opposto, nel 
costituirsi, chieda il 
rigetto dell’opposizione 
o, comunque, formuli 
una domanda tendente 
all’affermazione 
del 
proprio diritto di 
procedere 
all’esecuzione, si 
realizza un’attività 
processuale 
rilevante 
ai 
sensi 
dell’art. 
2943 
c.c., 
comma 
2, 
con 
la 
(3) l’art. 393 c.p.c. dispone 
infatti 
che: 
“se 
la riassunzione 
non avviene 
entro il 
termine 
di 
cui 
all’articolo 
precedente, o si 
avvera successivamente 
a essa una causa di 
estinzione 
del 
giudizio di 
rinvio, 
l’intero 
processo 
si 
estingue; 
ma 
la 
sentenza 
della 
corte 
di 
cassazione 
conserva 
il 
suo 
effetto 
vincolante 
anche nel nuovo processo che sia instaurato con la riproposizione della domanda”. 

raSSeGna 
avvocatUra 
Dello 
Stato -n. 4/2022 


conseguenza 
che, 
ai 
sensi 
dell’art. 
2945 
c.c., 
comma 
2, 
la 
prescrizione 
non 
corre 
fino al 
momento in cui 
passa in giudicato la sentenza che 
definisce 
il 
giudizio 
(sez. 
3, 
sentenza 
n. 
19738 
del 
19/09/2014, 
rv. 
632702 
01; 
sez. 
3, 
sentenza n. 7737 del 
29/03/2007, rv. 596751 -01; si 
veda anche 
sez. l, sentenza 
n. 3741 del 
13/02/2017, rv. 643091 -01, che 
rimarca la differenza fra 
il 
carattere 
istantaneo 
degli 
effetti 
interruttivi 
prodotti 
dalla 
notificazione 
dell’atto di 
precetto e 
quello sospensivo che 
invece 
è 
proprio dell’atto di 
pignoramento 
regolarmente 
notificato 
al 
debitore)» 
(cass. 
Sez. 
III, 
5 
giugno 
2020, n. 10808); 


* * * 


2) “la notifica di 
un pignoramento immobiliare 
contro il 
terzo proprietario, 
ai 
sensi 
degli 
artt. 602 c.p.c. e 
ss., produce 
l’effetto di 
interrompere 
la 
prescrizione 
del 
credito azionato (art. 2943 c.c., comma 1), e 
di 
sospenderne 
il 
decorso (art. 2945 c.c., comma 2), anche 
nei 
confronti 
del 
debitore 
diretto, 
purchè 
lo stesso venga sentito nei 
casi 
previsti 
dall’art. 604 c.p.c., comma 2, 
o 
il 
creditore 
gli 
abbia 
comunque 
dato 
notizia 
dell’esistenza 
del 
processo 
esecutivo 
e 
fermo restando che 
l’effetto sul 
decorso della prescrizione 
sarà solamente 
interruttivo ma non sospensivo nel 
caso di 
estinzione 
del 
procedimento 
ex art. 2945 c.c., comma 3” (cass. Sez. III, 5 giugno 2020, n. 10808); 
* * * 


3) 
«tra 
gli 
atti 
interruttivi 
della 
prescrizione 
viene 
in 
rilievo 
anche 
quello 
con cui 
si 
introduce 
il 
processo esecutivo (art. 2943 c.c., comma 1), e 
che 
a 
questo atto l’art. 2945 c.c., comma 2, ricollega l’effetto interruttivo permanente 
sino al 
momento in cui 
il 
procedimento coattivo stesso giunga a un risultato 
che 
possa 
considerarsi 
equipollente 
a 
ciò 
che 
la 
medesima 
norma 
individua, 
per 
la 
giurisdizione 
cognitiva, 
nel 
passaggio 
in 
giudicato 
della 
sentenza 
che 
definisce 
il 
giudizio 
(v. 
cass. 
07/05/2020, 
n. 
8644; 
cass. 
09/05/2019, 
n. 
12239; 
cass. 
13/02/2017, 
n. 
3741; 
cass. 
06/06/2002, 
n. 
8219; 
cass. 
25/03/2002, n. 4203; cass. 07/12/1985, n. 6165). 
ciò si 
verifica quando il 
processo di 
esecuzione 
abbia fatto conseguire 
al 
creditore 
procedente 
l’attuazione 
coattiva, 
in 
tutto 
o 
in 
parte, 
del 
suo 
diritto, 
ovvero, 
alternativamente, 
“quando 
la 
realizzazione 
della 
pretesa 
esecutiva 
non sia conseguita per 
motivi 
diversi 
dall’estinzione 
del 
processo, quali, ad 
esempio, la mancanza o l’insufficienza del 
ricavato della vendita, la perdita 
successiva del 
bene 
assoggettato ad espropriazione 
e 
simili” 
(cass. n. 12239 
del 2019, cit.; cass. n. 4203 del 2002, cit., pag. 17). 


come 
è 
stato 
condivisibilmente 
evidenziato 
la 
ratio, 
nella 
logica 
della 
disciplina della prescrizione, risiede 
nella considerazione 
che, quando penda 
il 
processo, anche 
esecutivo, la condotta del 
creditore 
non può dirsi 
inerziale 
e 
quindi 
significativa ai 
fini 
dei 
riflessi 
sulla persistenza del 
diritto; mentre, a 
norma 
dell’art. 
2945 
c.p.c., 
comma 
3, 
quando 
quel 
processo 
si 
chiuda 
per 
mancanza d’iniziativa del 
creditore, che 
non lo coltivi 
come 
la legge 
impone, 



temI 
IStItUzIonalI 


allora quella permanenza dell’effetto viene 
meno, fermo l’originario atto interruttivo 
che, pertanto, riprende un effetto istantaneo. 


In questo senso gli 
arresti 
appena richiamati 
distinguono l’estinzione 
tipica, 
che 
si 
correli 
a 
condotte 
inattive, inerziali 
o, come 
logico, rinunciatarie, 
da 
quella 
c.d. 
atipica, 
che 
si 
sostanzi, 
come 
anticipato, 
in 
un’inidoneità 
a 
proseguire 
il 
processo esecutivo per 
impossibilità oggettiva di 
raggiungere 
il 
suo 
scopo, come nelle ipotesi di perdita del bene o mancanza di attivo. 


da qui 
il 
principio, affermato da cass. n. 12239 del 
2019, cit., secondo 
cui 
“in 
tema 
di 
prescrizione, 
l’effetto 
interruttivo 
permanente 
determinato 
dal-
l’introduzione 
del 
processo 
esecutivo 
si 
conserva, 
agli 
effetti 
dell’art. 
2945 
c.p.c., 
comma 
2, 
quando 
la 
chiusura 
della 
procedura 
coattiva 
consista 
nel 
raggiungimento 
dello 
scopo 
della 
stessa 
ovvero, 
alternativamente, 
il 
suddetto 
scopo non sia raggiunto ma la chiusura del 
procedimento sia determinata da 
una condotta non ascrivibile 
al 
creditore 
procedente, mentre, in ipotesi 
opposta 
a quest’ultima, a norma dell’art. 2945 c.p.c., comma 3, l’effetto stesso resterà 
istantaneo”» (cass. 24 marzo 2021, n. 8217). 


* * * 


Se 
quanto appena 
esposto vale 
per le 
ipotesi 
in cui 
il 
processo esecutivo 
segua 
il 
suo 
iter 
fisiologico 
(per 
tale 
intendendosi 
lo 
sviluppo 
dello 
stesso 
dalla 
notifica 
del 
pignoramento 
fino 
alla 
soddisfazione 
del 
creditore 
procedente), 
considerazioni 
a 
parte 
possono 
essere 
sviluppate 
per 
le 
ipotesi 
patologiche, 
ossia 
le 
fattispecie 
in 
cui, 
nell’ambito 
del 
predetto 
processo 
esecutivo, 
vengano 
aperte 
quelle 
parentesi 
cognitive 
note 
come 
opposizioni 
all’esecuzione 
e 
agli 
atti esecutivi. 


la 
disciplina 
delle 
stesse 
è 
dettata 
dall’art. 615 c.p.c., per le 
opposizioni 
all’esecuzione, e 
dall’art. 617 c.p.c., per le 
opposizioni 
agli 
atti 
esecutivi, per 
come 
integrati, 
in 
relazione 
alla 
c.d. 
esecuzione 
esattoriale, 
dall’art. 
57 
del 
D.P.r. 29 settembre 1973, n. 602. 


la 
distinzione 
primaria 
tra 
le 
due 
specie 
di 
opposizione, per quanto qui 
rileva, è 
data 
dal 
fatto che 
l’opposizione 
all’esecuzione, ex 
art. 615 c.p.c., non 
è 
assoggettata 
a 
termini 
perentori 
per la 
sua 
introduzione 
(con il 
solo limite 
che 
essa 
deve 
comunque 
precedere 
il 
provvedimento che 
disponga 
l’assegnazione 
o 
la 
vendita), 
mentre 
l’opposizione 
agli 
atti 
esecutivi 
può 
essere 
proposta 
unicamente 
nel 
termine 
perentorio 
di 
venti 
giorni 
(dalla 
notificazione 
del 
titolo 
esecutivo o del 
precetto, ovvero dal 
primo atto di 
esecuzione, ovvero ancora 
“dal giorno in cui i singoli atti furono compiuti”: art. 617 c.p.c.). 


ciò chiarito, supponendo che 
l’agente 
della 
riscossione 
rivesta 
in linea 
di 
massima 
la 
qualifica 
di 
creditore 
procedente 
nell’ambito del 
processo esecutivo, 
occorre 
effettuare 
una 
distinzione 
tra 
i 
casi 
in cui 
sia 
stata 
disposta 
la 
sospensione 
della 
procedura 
esecutiva 
nelle 
more 
dell’opposizione 
e 
i 
casi 
in 
cui ciò non sia avvenuto. 


nel 
primo caso -sospensione 
della 
procedura 
esecutiva 
ex 
art. 624 c.p.c. 



raSSeGna 
avvocatUra 
Dello 
Stato -n. 4/2022 


(in caso di 
opposizione 
all’esecuzione), ovvero ex 
art. 618 c.p.c. (in caso di 
opposizione 
agli 
atti 
esecutivi) 
-sussisterebbe 
l’interesse 
dell’agente 
della 
riscossione, 
in 
quanto 
creditore 
procedente, 
a 
non 
fare 
estinguere 
il 
processo 
esecutivo, 
atteso 
che, 
ai 
sensi 
del 
combinato 
disposto 
degli 
artt. 
627, 
630 
e 
632 c.p.c., si 
verificherebbe 
in tal 
caso anche 
il 
già 
richiamato effetto pregiudizievole 
sancito 
dall’art. 
2945, 
comma 
3, 
c.c. 
e, 
di 
conseguenza, 
verrebbe 
meno l’effetto sospensivo del corso della prescrizione. 


nel 
secondo 
caso 
-proposizione 
di 
un’opposizione 
(all’esecuzione 
o 
agli 
atti 
esecutivi) 
non 
seguita 
dalla 
sospensione 
della 
procedura 
esecutiva 
-è 
lecito 
supporre, 
al 
contrario, 
che 
l’agente 
della 
riscossione 
abbia 
interesse 
a 
coltivare 
soltanto il 
giudizio di 
esecuzione 
forzata 
e 
non anche 
quello di 
opposizione, 
con 
la 
conseguenza 
che, 
ove 
il 
giudizio 
di 
opposizione 
fosse 
interessato 
da 
una 
statuizione 
della 
Suprema 
corte 
di 
cassazione 
con rinvio, l’ente 
di 
esazione 
creditore 
procedente 
non avrebbe 
interesse 
a 
riassumere, non subendo 
conseguenze 
pregiudizievoli 
dall’eventuale 
estinzione 
della 
sola 
opposizione. 
In simile 
fattispecie 
-opposizione 
all’esecuzione 
coltivata 
parallelamente 
ad 
una 
procedura 
esecutiva 
non sospesa 
-la 
Suprema 
corte 
ha 
infatti 
sancito che 
l’effetto favorevole 
per il 
debitore 
opponente 
(e 
il 
correlato pregiudizio per il 
creditore 
procedente, che 
si 
assume 
possa 
essere 
l’agente 
della 
riscossione) 
può prodursi 
soltanto nel 
caso 
in cui 
l’opposizione 
stessa 
si 
concluda 
con sentenza 
passata 
in 
giudicato. 
vedasi, 
al 
riguardo, 
cass. 
Sez. 
III, 
15 
febbraio 
2019, 


n. 4528, secondo cui: 
“Il 
principio di 
autonomia del 
processo esecutivo rispetto ai 
giudizi 
ordinari 
di 
cognizione 
di 
opposizione 
alla esecuzione 
(preventiva e 
successiva: 
art. 615 c.p.c., commi 
1 e 
2), che 
in assenza del 
rimedio sospensivo, rende 
indifferente 
la 
prosecuzione 
del 
primo 
alle 
vicende 
processuali 
dei 
secondi, 
trova, infatti, limite 
nella affermazione, comune 
in dottrina e 
giurisprudenza, 
per 
cui 
l’eventuale 
accoglimento -con sentenza passata in giudicato -della 
opposizione 
alla esecuzione, venendo a negare 
il 
diritto del 
creditore 
procedente 
ad iniziare 
o proseguire 
il 
processo esecutivo, determina la “invalidazione” 
degli 
atti 
esecutivi 
precedentemente 
compiuti 
(e 
comunque 
determina 
la improcedibilità della esecuzione 
forzata), in ogni 
caso fatti 
salvi 
gli 
effetti 
giuridici 
prodotti 
a 
vantaggio 
dell’acquirente 
o 
dell’assegnatario 
di 
buona 
fede, qualora la pronuncia favorevole 
all’opponente 
intervenga “successivamente” 
alla emissione 
della ordinanza di 
aggiudicazione 
o di 
assegnazione 
(art. 2929 c.c.; art. 187 bis disp. att. c.p.c.; art. 632, comma 2, c.p.c.). 


l’indicato discrimine 
cronologico previsto in ordine 
agli 
“effetti 
invalidanti” 
della 
procedura 
esecutiva 
determinati 
dalla 
pronuncia 
di 
accoglimento, 
costituito 
dalla 
“anteriorità” 
della 
ordinanza 
di 
aggiudicazione 
o 
di 
assegnazione 
-che 
la rende 
immune 
-rispetto alla -successiva -pubblicazione 
ed al 
passaggio 
in 
giudicato 
della 
sentenza 
favorevole 
all’opponente, 
non 
determina, 
tuttavia, nei 
giudizi 
di 
opposizione 
esecutiva, nè 
la -sopravvenuta -im



temI 
IStItUzIonalI 


proponibilità della opposizione 
(cfr. corte 
cass. sez. 1, sentenza n. 7993 del 
01/10/1994), nè 
la cessazione 
della materia del 
contendere, per 
difetto di 
interesse 
alla pronuncia sul 
merito, ove 
la contestazione 
attenga all’esistenza 
del 
titolo esecutivo o del 
credito (relativamente 
all’ 
“an” 
od al 
“quantum”), 
permanendo 
anche 
in 
tal 
caso 
l’interesse 
dell’opponente 
alla 
decisione 
per 
così 
dire 
“postuma” 
(cfr. 
corte 
cass. 
sez. 
3, 
sentenza 
n. 
23084 
del 
16/11/2005; 
id. sez. 3, sentenza n. 4498 del 
24/02/2011; id. sez. 3, sentenza n. 6546 del 
22/03/2011; id. sez. 3, sentenza n. 1353 del 
31/01/2012; id. sez. 3, sentenza 


n. 
15761 
del 
10/07/2014; 
id. 
sez. 
3, 
sentenza 
n. 
18350 
del 
27/08/2014, 
secondo 
cui 
“persiste 
la materia del 
contendere 
e 
l’interesse 
alla decisione 
sul 
merito in capo all’esecutato opponente 
in un’opposizione 
ad espropriazione 
presso terzi 
per 
ragioni 
di 
quantificazione 
del 
credito di 
controparte 
quando, 
successivamente 
all’opposizione 
e 
nonostante 
il 
suo dispiegamento, sia stata 
pronunziata 
ordinanza 
di 
assegnazione 
ai 
sensi 
dell’art. 
553 
c.p.c., 
anche 
ove 
quest’ultima non sia stata autonomamente 
impugnata”; id. sez. 6 -3, ordinanza 
n. 20924 del 
07/09/2017). al 
riguardo è 
stato, infatti, puntualmente 
rilevato 
come 
“uno 
sviluppo 
eventualmente 
favorevole 
all’opponente 
non 
potrebbe 
che 
proiettare 
l’effetto della nullità originaria del 
precetto su tutti 
gli 
atti 
esecutivi, 
nella 
parte 
in 
cui 
essi 
riconoscessero 
in 
modo 
illegittimo 
un’entità 
del 
credito 
diversa, 
perchè 
maggiore, 
rispetto 
a 
quella 
realmente 
dovuta: 
ma allora la naturale 
propagabilità del 
vizio -espressione 
del 
principio 
generale 
di 
cui 
all’art. 159 cod. proc. civ. -elide 
qualsiasi 
onere, per 
l’opponente 
e 
per 
lo stesso vizio originario di 
eccessività del 
preteso, di 
impugnare 
altresì 
tutti 
gli 
-e 
ciascuno degli 
-atti 
del 
processo esecutivo successivi 
al 
dispiegamento 
dell’opposizione 
all’esecuzione 
in 
pendenza 
del 
processo 
stesso. 
allo stesso modo, del 
resto, la pronunzia sul 
merito che 
intervenisse 
nell’opposizione 
ad 
esecuzione 
già 
dispiegata, 
ove 
rivedesse 
“in 
minus” 
il 
credito 
anche 
come 
accertato dal 
giudice 
dell’esecuzione 
nello sviluppo del 
processo 
esecutivo nelle 
more 
concluso, travolgerebbe 
gli 
atti 
di 
questo nella parte 
in 
cui 
dovessero rilevarsi 
illegittimi 
relativamente 
alla parte 
di 
credito erroneamente 
riconosciuta, 
senza 
alcuna 
necessità 
di 
una 
previa 
separata 
o 
autonoma 
impugnazione 
di 
ciascuno 
di 
quelli” 
(cfr. 
corte 
cass. 
sez. 
3, 
sentenza 
n. 
18350 
del 27/08/2014, in motivazione)”. 
* * * 
Si 
aggiunge, 
per 
mera 
completezza, 
che 
nell’ipotesi 
tratteggiata 
da 
ultimo 
(opposizione 
all’esecuzione 
o agli 
atti 
esecutivi 
proposta 
nell’ambito di 
una 
procedura 
esecutiva 
non 
sospesa), 
l’eventuale 
estinzione 
della 
sola 
opposizione 
per 
mancata 
riassunzione, 
a 
seguito 
di 
cassazione 
con 
rinvio, 
non 
avrebbe 
un effetto di 
consolidamento del 
credito, posto che 
l’art. 615 c.p.c., 
come 
anticipato, 
non 
osta 
alla 
possibilità 
che 
l’opposizione 
all’esecuzione 
venga 
eventualmente 
riproposta 
ex 
novo 
dal 
debitore 
esecutato, 
sempreché 
nelle more non sia stata disposta l’assegnazione o la vendita. 



raSSeGna 
avvocatUra 
Dello 
Stato -n. 4/2022 


l’estinzione 
del 
solo procedimento di 
opposizione 
agli 
atti 
esecutivi 
ex 
art. 
617 
c.p.c., 
viceversa, 
avrebbe 
l’effetto 
di 
precludere 
la 
riproposizione 
della 
medesima 
questione 
controversa, 
stante 
l’inesorabile 
consumazione 
del 
termine 
perentorio 
di 
venti 
giorni 
entro 
cui 
è 
possibile 
opporsi 
al 
singolo 
atto 
esecutivo (4). 


* * * 


§ 2.2. i 
giudizi 
latamente 
impugnatori 
che 
si 
svolgono innanzi 
al 
Giudice 
ordinario. le c.d. opposizioni recuperatorie. 


Una 
trattazione 
a 
parte 
deve 
essere 
dedicata 
alle 
restanti 
ipotesi 
in cui 
il 
legislatore 
ha 
disciplinato dei 
giudizi 
di 
natura 
latamente 
impugnatoria, affidandone 
la 
trattazione 
al 
Giudice 
civile: 
due 
esempi 
di 
frequente 
verificazione 
possono essere 
individuati 
nell’opposizione 
alle 
iscrizioni 
a 
ruolo in materia 
previdenziale, ex 
art. 24, comma 
5, del 
D.lgs. 26 febbraio 1999, n. 46, e 
nelle 
opposizioni 
a 
sanzioni 
amministrative, ex 
artt. 6 e 
7 del 
D.lgs. 1° 
settembre 
2011, n. 150 (disciplinanti 
questi 
ultimi, rispettivamente, l’opposizione 
ad ordinanza 
ingiunzione 
e 
l’opposizione 
ai 
verbali 
di 
accertamento 
delle 
violazioni 
al codice della strada). 


In entrambe 
le 
ipotesi, nonostante 
l’agente 
della 
riscossione 
difetti 
tendenzialmente 
della 
legittimazione 
passiva 
(vedasi, ad esempio, il 
principio di 
diritto 
recentemente 
affermato 
dalla 
Suprema 
corte, 
Sezioni 
Unite 
civili, 
8 
marzo 
2022, 
n. 
7514, 
in 
materia 
previdenziale), 
accade 
frequentemente 
che 
l’azione 
sia 
proposta 
nei 
confronti 
dell’ente 
di 
esazione 
(esclusivamente 
o 
unitamente 
all’ente 
impositore), 
specie 
quando 
l’opposizione 
sia 
instaurata 
avverso 
una 
cartella 
di 
pagamento 
o 
un 
altro 
atto 
della 
riscossione, 
in 
funzione 


c.d. “recuperatoria”, allegando la 
mancata 
o invalida 
notificazione 
dei 
precedenti 
atti 
impugnabili: 
sul 
punto, 
si 
confronti 
cass. 
civ., 
Sez. 
Un., 
22 
settembre 
2017, n. 22080. 
al 
riguardo, per quanto i 
predetti 
giudizi 
possano dirsi 
latamente 
impugnatori, 
appare 
prudente, ove 
sopravvenga 
una 
statuizione 
di 
cassazione 
con 
rinvio, la 
riassunzione 
del 
giudizio, onde 
evitare 
conseguenze 
pregiudizievoli 
sul piano della prescrizione. 


È 
ben 
vero, 
infatti, 
che 
dovrebbe 
applicarsi 
anche 
a 
queste 
ipotesi 
l’orientamento 
della 
giurisprudenza 
di 
legittimità 
riferito al 
processo tributario, già 
esposto al 
§ 1 del 
presente 
parere. Il 
ragionamento della 
cassazione, infatti, 
dovrebbe 
prescindere 
dal 
plesso giurisdizionale 
innanzi 
al 
quale 
si 
svolge 
il 
processo 
(Giudice 
ordinario 
o 
Giudice 
tributario), 
applicandosi 
piuttosto 
a 
tutte 
le ipotesi in cui il processo abbia carattere impugnatorio. 


È 
anche 
vero, tuttavia, che 
nella 
materia 
delle 
opposizioni 
c.d. recuperatorie 
l’orientamento 
della 
medesima 
giurisprudenza 
di 
legittimità 
è 
apparso 


(4) anche 
in questo caso, infatti, si 
è 
in presenza 
di 
un giudizio impugnatorio da 
proporsi 
entro 
un termine perentorio. 

temI 
IStItUzIonalI 


meno nitido di 
quanto si 
è 
detto in relazione 
al 
processo tributario. le 
stesse 
Sezioni 
Unite 
civili 
poc’anzi 
citate 
(22 
settembre 
2017, 
n. 
22080), 
ad 
esempio, 
hanno da un lato affermato che, 


“una volta divenuto definitivo l’accertamento contenuto nel 
verbale 
non 
opposto è 
preclusa la verifica della sussistenza dei 
fatti 
costitutivi/impeditivi 
della 
pretesa 
sanzionatoria 
in 
esso 
consacrata, 
tra 
cui 
anche 
la 
notifica/omessa notifica del verbale” (§ 7.1), 


seppur con la successiva precisazione che 


“8.1. restano ovviamente 
esperibili 
anche 
dal 
destinatario della cartella 
di 
pagamento 
basata 
su 
verbali 
di 
accertamento 
di 
violazione 
del 
codice 
della 
strada o soggetto passivo della riscossione 
coattiva i 
rimedi 
oppositivi 
ordinari 
degli artt. 615 e 617 cod. proc. civ. 


così, col 
primo, come 
detto, potranno essere 
dedotti 
tutti 
i 
fatti 
estintivi 
sopravvenuti 
alla 
definitività 
del 
verbale 
di 
accertamento, 
tra 
cui 
evidentemente 
la prescrizione 
ai 
sensi 
dell’art. 209 c.d.s. e 
della l. n. 689 del 
1981, 
art. 28 richiamato (quando la cartella di 
pagamento sia stata notificata oltre 
i 
cinque 
anni 
dalla violazione). In tale 
eventualità, la deduzione 
dell’omessa 
od 
invalida 
notificazione 
del 
verbale 
di 
accertamento 
non 
è 
fatta 
come 
motivo 
di 
opposizione 
a sè 
stante 
(riferito cioè 
al 
fatto estintivo contemplato dall’art. 
201, comma 5, che 
va fatto valere 
nel 
termine 
di 
trenta giorni 
secondo quanto 
sopra), 
ma 
riguarda 
l’idoneità 
dell’atto 
notificato 
ad 
interrompere 
la 
prescrizione. 
evidente 
è 
allora la deducibilità della mancanza di 
questo (e 
di 
altri) 
atti 
interruttivi, senza limiti 
di 
tempo, in applicazione 
appunto dell’art. 615 
cod. proc. civ. 


Parimenti, 
saranno 
contestabili 
con 
quest’ultimo 
rimedio 
tutte 
le 
pretese 
di 
pagamento 
dell’amministrazione 
e 
dell’agente 
della 
riscossione 
che 
trovino 
ragione 
in 
fatti 
precedenti 
l’iscrizione 
a 
ruolo 
ma 
successivi 
all’emissione 
del 
verbale 
di 
accertamento, 
in 
quanto 
la 
relativa 
deduzione 
non 
ne 
sarebbe 
stata 
possibile 
anche 
se 
la 
notificazione 
di 
questo 
fosse 
stata 
regolarmente 
eseguita”. 


Più di 
recente, cass. Sez. II, 21 luglio 2021, n. 20919, ha 
inoltre 
affermato, 
seppur solo in obiter 
dictum, che 
gli 
approdi 
ermeneutici 
raggiunti 
in 
relazione al processo tributario non sono estensibili alle ipotesi 


“in cui 
si 
verta in materia di 
pretesa non tributarie, per 
le 
quali 
il 
legislatore 
abbia configurato un modello processuale 
di 
tipo non impugnatorio, 
ma volto ad individuare specifici strumenti di tutela processuale”. 


Un peculiare 
sviluppo della 
menzionata 
ratio decidendi 
è 
stato recentemente 
fornito 
dalla 
Suprema 
corte, 
in 
un 
procedimento 
avente 
ad 
oggetto 
pretese 
non tributarie, azionate 
mediante 
la 
c.d. ingiunzione 
fiscale, disciplinata 
dal 
r.D. 14 aprile 
1910, n. 639; 
vedasi 
al 
riguardo l’ordinanza 
delle 
Sezioni 
Unite civili, 23 agosto 2022, n. 25156: 


“3. secondo consolidato orientamento di 
questa corte, il 
termine 
di 
cui 



raSSeGna 
avvocatUra 
Dello 
Stato -n. 4/2022 


al 
r.d. 
n. 
639 
del 
1910, 
art. 
3 
non 
ha 
carattere 
perentorio, 
in 
difetto 
di 
espressa 
previsione 
normativa 
in 
tal 
senso, 
e, 
pertanto, 
il 
suo 
decorso 
non 
preclude 
l’opposizione 
di 
merito 
che 
il 
debitore 
proponga 
per 
contestare 
l’esistenza 
o la legittimità della pretesa creditoria, ma impedisce 
solo di 
ottenere 
la 
sospensione 
dell’esecutività 
del 
titolo 
(cass. 
n. 
1571/1996; 
cass. 
n. 
13751/2003; cass. n. 5923/2007; cass. n. 20375/2008; cass. n. 30/2020). 


4. 
a 
tale 
richiamato 
orientamento, 
che 
valorizza 
la 
particolare 
natura 
della 
procedura 
di 
riscossione 
coattiva 
qui 
in 
discussione, 
queste 
sezioni 
unite 
intendono 
dare 
continuità, 
rilevando 
(si 
veda 
cass. 
18 
settembre 
2003, 
n. 
13751) che 
il 
carattere 
meramente 
ordinatorio del 
termine 
per 
l’opposizione 
è 
coerente 
con la natura del 
giudizio che 
viene 
instaurato con l’opposizione, 
il 
quale 
è 
diretto 
all’accertamento 
dell’inesistenza 
del 
credito 
dell’amministrazione, 
in 
assenza 
di 
espressa 
previsione 
di 
decadenza 
o 
inammissibilità 
(contrariamente 
a quanto, invece, prescritto dalla l. n. 689 del 
1981, art. 23, 
comma 
1, 
per 
l’inosservanza 
del 
termine 
fissato 
per 
l’opposizione 
all’ordinanza 
ingiunzione in tema di sanzioni amministrative). 
5. conseguentemente 
non può ritenersi 
preclusa la proposizione 
di 
una 
nuova azione 
a seguito dell’estinzione 
del 
processo, atteso che, a meno che 
si 
siano 
verificate 
ipotesi 
di 
decadenza, 
nella 
specie 
escluse, 
l’estinzione 
ai 
sensi 
dell’art. 310 c.p.c. non estingue 
il 
diritto o l’azione, né 
quest’ultima si 
esaurisce 
solo perché 
è 
stata esercitata in un processo ove 
non abbia condotto ad 
un provvedimento sul merito”. 
Quanto appena 
esposto induce 
prudenzialmente 
a 
ritenere 
che, nell’ambito 
delle 
impugnazioni 
c.d. recuperatorie, proposte 
innanzi 
al 
Giudice 
ordinario 
avverso atti 
della 
riscossione, la 
riassunzione 
a 
seguito della 
cassazione 
con rinvio possa 
essere 
prudenzialmente 
opportuna, al 
fine 
di 
evitare 
pregiudizi 
sotto il profilo della prescrizione delle pretese. 


* * * 


§ 2.3. l’impugnazione 
innanzi 
al 
Giudice 
civile 
delle 
iscrizioni 
ipotecarie. 


alla 
luce 
di 
quanto si 
è 
appena 
esposto nel 
paragrafo precedente, può affrontarsi 
il 
tema 
delle 
opposizioni 
alle 
iscrizioni 
ipotecarie 
introdotte 
innanzi 
al Giudice civile in relazione a crediti non tributari. 


al 
riguardo può farsi 
riferimento, in via 
di 
prima 
approssimazione, a 
due 
tipologie 
di 
opposizioni 
avverso 
iscrizioni 
ipotecarie 
compiute 
dall’agente 
della riscossione: 


-in 
primo 
luogo, 
può 
ipotizzarsi, 
anche 
in 
questo 
caso, 
che 
l’opposizione 
all’iscrizione 
ipotecaria 
abbia 
funzione 
c.d. recuperatoria, a 
fronte 
della 
mancata 
o invalida notificazione di atti prodromici; 


-in 
secondo 
luogo, 
può 
ipotizzarsi 
che 
l’opposizione 
all’iscrizione 
ipotecaria 
rientri 
nel 
paradigma 
di 
cui 
agli 
artt. 
615-617 
c.p.c., 
contestando 
il 
diritto 
di 
procedere 
ad 
esecuzione 
forzata 
(ad 
esempio, 
per 
fatti 
sopravve



temI 
IStItUzIonalI 


nuti), 
ovvero 
dubitando 
della 
regolarità 
formale 
dell’atto 
compiuto 
dal-
l’agente 
della 
riscossione. 


ove 
si 
rientri 
nella 
prima 
ipotesi 
(opposizione 
c.d. 
recuperatoria), 
potranno 
estendersi 
al 
caso 
di 
specie 
le 
conclusioni 
già 
esplicitate 
nel 
precedente 
paragrafo, 
risultando 
prudente 
anche 
in 
casi 
del 
genere 
la 
riassunzione 
del 
giudizio 
a 
fronte 
della 
cassazione 
con rinvio; 
per un’ipotesi 
di 
opposizione 
c.d. 
recuperatoria, 
proposta 
avverso 
iscrizione 
ipotecaria 
relativa 
a 
crediti 
per 
sanzioni 
amministrative, 
derivanti 
da 
violazioni 
al 
c.d. 
codice 
della 
strada, 
vedasi 
cass. 3 agosto 2018, n. 20489, ove si è precisato che 


“questa corte 
da tempo ha qualificato le 
misure 
coercitive 
previste 
dal 


d.P.r. n. 602 del 
1973, artt. 77 ed 86 come 
misure 
alternative 
all’esercizio 
della 
azione 
esecutiva, 
venendo 
a 
configurarsi 
la 
opposizione 
a 
tali 
misure 
così 
come 
agli 
atti 
di 
preavviso dell’applicazione 
di 
tali 
misure, come 
azione 
di 
accertamento negativo del 
diritto a procedere 
alla applicazione 
della misura 
coercitiva estesa anche 
alla pretesa creditoria, che 
segue 
le 
regole 
generali 
del 
rito ordinario di 
cognizione 
in tema di 
riparto della competenza per 
materia e 
per 
valore 
(corte 
cass. sez. u, sentenza n. 19667 del 
18/09/2014; 
id. sez. u, ordinanza n. 15354 del 
22/07/2015. vedi: id. sez. 6 -2, ordinanza 
n. 23564 del 18/11/2016)”. 
ove 
si 
rientri 
nella 
seconda 
ipotesi 
(opposizione 
all’esecuzione 
o 
agli 
atti 
esecutivi 
avverso 
iscrizione 
ipotecaria), 
parimenti, 
sarà 
prudente 
riassumere 
l’eventuale 
giudizio 
per 
il 
quale 
sia 
sopravvenuta 
una 
statuizione 
di 
cassazione 
con 
rinvio, 
alla 
luce 
del 
principio 
di 
diritto, 
più 
volte 
sancito 
dalla 
Suprema 
corte 
in 
argomento 
(ad 
esempio, 
cass. 
3 
settembre 
2020, 
n. 
18305), 
secondo 
cui 


“ai 
sensi 
del 
combinato 
disposto 
dell’art. 
2945 
c.c., 
comma 
2, 
e 
art. 
2943 
c.c., 
comma 
1, 
l’effetto 
tanto 
interruttivo 
quanto 
sospensivo 
della 
prescrizione 
è 
da ricollegare 
alla notificazione 
dell’atto con il 
quale 
“si 
inizia un giudizio, 
sia questo di cognizione ovvero conservativo o esecutivo”; 


si 
è 
ritenuto 
che 
un 
tale 
effetto 
(id 
est: 
un 
effetto 
tanto 
interruttivo, 
quanto 
sospensivo 
della 
prescrizione) 
sia 
da 
ricollegare 
all’atto 
di 
pignoramento, 
poichè 
ad esso consegue 
l’introduzione 
di 
un giudizio di 
esecuzione 
tutte 
le 
volte 
in cui 
l’atto medesimo risulti 
notificato regolarmente 
al 
debitore 
(cass. 


n. 8219 del 
2002; cass. n. 3741 del 
2017 in motivazione) non invece 
all’atto 
di 
precetto, idoneo a produrre 
(solo) un effetto interruttivo della prescrizione 
del 
relativo diritto di 
credito a carattere 
istantaneo (cass. n. 19738 del 
2014; 
cass. n. 7737 del 2007); 
l’iscrizione 
ipotecaria prevista dal 
d.P.r. 29 settembre 
1973, n. 602, art. 
77 non è atto con cui ha inizio (“si inizia”) il giudizio esecutivo; 


cass., sez. un., n. 19667 del 
2014 ha avuto modo di 
osservare 
come 
“a 
dispetto della “collocazione 
topografica” 
nel 
decreto di 
riferimento e 
dello 
stretto 
legame 
strumentale 
che 
lega 
iscrizione 
ipotecaria 
d.P.r. 
n. 
602 
del 



raSSeGna 
avvocatUra 
Dello 
Stato -n. 4/2022 


1973, 
ex 
art. 
77 
ed 
espropriazione” 
detta 
iscrizione 
non 
possa 
definirsi 
un 
“atto 
dell’esecuzione”; 
il 
fatto 
che, 
secondo 
la 
disciplina 
positiva, 
non 
necessariamente 
l’espropriazione 
debba 
seguire 
all’iscrizione 
ipotecaria, 
autorizza 
a 
ritenere 
che 
quest’ultima 
sia 
piuttosto 
“un 
atto 
riferito 
ad 
una 
procedura 
alternativa all’esecuzione forzata vera e propria”; 


come 
avvertito 
da 
questa 
corte, 
fin 
dalle 
pronunce 
più 
lontane 
nel 
tempo 
(ex 
multis, cass. n. 6517 del 
1986; più di 
recente, invece, cass. n. 24306 del 
2011), l’art. 2943 c.c. nel 
prevedere 
l’efficacia interruttiva della prescrizione 
in relazione 
al 
compimento di 
atti 
giudiziali 
si 
riferisce 
soltanto ad atti 
processuali 
tipici 
e 
specificamente 
enumerati, 
quali 
l’atto 
introduttivo 
del 
giudizio 
ovvero la domanda proposta nel corso di un giudizio; 


in 
coerenza 
con 
tali 
premesse, 
deve 
escludersi 
l’efficacia 
interruttiva 
permanente 
all’iscrizione 
ipotecaria del 
d.P.r. n. 602 del 
1973, ex 
art. 77; alla 
medesima iscrizione 
può riconoscersi, piuttosto, l’idoneità a produrre 
effetti 
interruttivi 
istantanei 
qualora presenti 
i 
connotati 
dell’atto di 
costituzione 
in 
mora, a norma dell’art. 2943 c.c., comma 4, e 
cioè 
se 
integri 
una manifestazione 
scritta di 
esercizio e 
di 
tutela del 
diritto da parte 
del 
creditore, comunicata 
personalmente 
al 
debitore, 
secondo 
una 
valutazione 
che 
è 
oggetto 
di 
accertamento rimesso al giudice del merito”. 


* * * 


§ 
2.4. 
l’azione 
proposta 
innanzi 
al 
Giudice 
civile 
per 
il 
rimborso 
di 
somme indebitamente versate all’agente della riscossione. 


non 
può 
escludersi, 
d’altro 
canto, 
che 
l’agente 
della 
riscossione 
sia 
evocato 
in 
giudizio 
nell’ambito 
di 
un 
ordinario 
processo 
civile, 
al 
fine 
di 
ottenerne 
la 
condanna 
alla 
restituzione 
di 
somme 
che 
si 
assumano indebitamente 
trattenute 
sine 
titulo: 
per 
un 
caso 
del 
genere, 
in 
cui 
è 
stata 
ritenuta 
sussistente 
la 
giurisdizione 
del 
Giudice 
ordinario, 
vedasi 
ad 
esempio 
cass. 
Sez. 
Un., 
12 
gennaio 
2022, n. 761, alla cui stregua 


“le 
controversie 
in 
materia 
di 
rimborso 
di 
tributi 
sono 
devolute 
allo 
stesso 
giudice 
cui 
è 
conferita giurisdizione 
sul 
rapporto tributario controverso (specificamente, 
cass., sez. un., 28 settembre 2016 n. 19069). 


Perché 
sia ravvisabile 
un indebito di 
diritto comune 
tale 
da radicare 
la 
giurisdizione 
ordinaria 
occorre, 
quindi, 
un 
esplicito 
riconoscimento 
del 
diritto 
del 
contribuente 
al 
rimborso 
e 
la 
quantificazione 
della 
somma 
dovuta 
(espressamente 
in termini, cass. n. 10725 del 22.07.2002; cass. n. 21893/09, cit.)”. 


a 
tali 
tipologie 
di 
giudizi, orbene, dovrebbero applicarsi 
pienamente 
le 
considerazioni 
già 
espresse 
in termini 
generali 
per il 
processo civile 
ed esplicitate 
al § 2 del presente parere. 


analogamente 
a 
quanto si 
è 
detto in relazione 
alle 
impugnazioni 
dei 
dinieghi 
taciti 
di 
rimborso innanzi 
al 
Giudice 
tributario, quindi, è 
ragionevole 
ipotizzare 
che, in casi 
del 
genere, non sussista 
l’interesse 
dell’agente 
della 
riscossione 
alla 
riassunzione 
del 
giudizio, 
a 
seguito 
della 
cassazione 
con 
rinvio, 



temI 
IStItUzIonalI 


tutte 
le 
volte 
in cui 
la 
somma 
costituente 
l’oggetto della 
domanda 
di 
restituzione 
non sia 
stata 
versata 
al 
contribuente 
nelle 
more 
del 
giudizio; 
in casi 
del 
genere, infatti, l’estinzione 
dell’intero processo non sarebbe 
pregiudizievole 
ex se 
per l’ente di esazione. 


ove 
la 
somma 
costituente 
l’oggetto 
della 
domanda 
di 
restituzione 
sia 
stata 
invece 
corrisposta 
al 
contribuente 
nelle 
more 
del 
giudizio (si 
suppone, provvisoriamente 
e 
con 
riserva 
di 
ripetizione), 
potrebbe 
viceversa 
sussistere 
un 
interesse 
dell’agente 
della 
riscossione 
alla 
riassunzione 
del 
giudizio, 
quantomeno al 
fine 
di 
ottenere 
una 
esplicita 
statuizione 
restitutoria, avendo la 
Suprema corte affermato che 


«In 
caso 
di 
riforma 
di 
sentenza 
contenente 
condanna 
al 
pagamento 
di 
somme 
di 
denaro, la sentenza di 
riforma non costituisce 
di 
per 
sé 
titolo esecutivo 
per 
la 
restituzione 
di 
quanto 
versato 
in 
esecuzione 
della 
sentenza 
riformata, 
occorrendo 
a 
tal 
fine 
un’apposita 
domanda, 
che 
può 
essere 
proposta 
nel 
giudizio 
di 
appello 
o 
in 
altro 
giudizio 
autonomo, 
e 
che 
non 
si 
inquadra 
nell’istituto 
della 
condictio 
indebiti, 
dal 
quale 
differisce 
per 
natura 
e 
funzione, 
dal 
momento che 
il 
diritto alla restituzione 
sorge 
direttamente 
dalla riforma 
della sentenza che 
fa venire 
meno, con efficacia “ex 
tunc”, l’obbligazione 
di 
pagamento e 
impone 
la restituzione 
della situazione 
patrimoniale 
anteriore» 
(cass. 19 febbraio 2007, n. 3758; 29 aprile 2020, n. 2309). 


* * * 


§ 2.5. l’azione 
revocatoria proposta innanzi 
al 
Giudice 
civile 
nell’interesse 
dell’agente della riscossione. 


Ulteriore 
ipotesi 
problematica 
può 
manifestarsi 
a 
fronte 
della 
proposizione 
di un’azione revocatoria nell’interesse dell’agente della riscossione. 


In 
questo 
caso 
si 
controverte 
chiaramente 
di 
un’azione 
eminentemente 
civilistica, preordinata 
all’ottenimento della 
dichiarazione 
di 
inefficacia, nei 
confronti 
del 
creditore, degli 
“atti 
di 
disposizione 
del 
patrimonio coi 
quali 
il 
debitore rechi pregiudizio alle sue ragioni” (art. 2901 c.c.). 


ne 
segue 
che, 
supponendo 
ovviamente 
che 
l’azione 
revocatoria 
veda 
l’agente 
della 
riscossione 
nella 
qualità 
di 
attore, sussisterebbe 
sempre 
un interesse 
dell’ente 
di 
esazione 
alla 
riassunzione 
del 
giudizio 
a 
seguito 
della 
cassazione 
con rinvio, onde 
perseguire 
il 
risultato utile 
dell’iniziativa 
giudiziale 
(destinato 
a 
realizzarsi 
col 
passaggio 
in 
giudicato 
della 
sentenza: 
cass. 
24 
agosto 
2016, n. 17311) e 
al 
fine 
di 
impedire 
la 
prescrizione 
dell’azione 
stessa, la 
quale 
matura, 
a 
norma 
dell’art. 
2903 
c.c., 
decorsi 
“cinque 
anni 
dalla 
data 
dell’atto”. 


* * * 


§ 2.6. la proposizione 
di 
una querela di 
falso, in 
via principale 
o in 
via 
incidentale, avverso atti dell’agente della riscossione. 


Una 
disamina 
a 
sé 
appare 
invece 
necessaria 
in relazione 
alle 
fattispecie 
nelle 
quali 
il 
destinatario di 
un atto, soggettivamente 
riconducibile 
all’agente 



raSSeGna 
avvocatUra 
Dello 
Stato -n. 4/2022 


della 
riscossione, proponga 
una 
querela 
di 
falso innanzi 
al 
Giudice 
civile 
(tipicamente, 
al 
fine 
di 
contrastare 
l’efficacia 
fidefacente 
delle 
risultanze 
della 
relata di notifica). 


In casi 
del 
genere, è 
ben noto che 
la 
querela 
di 
falso può essere 
proposta 
in via principale o in via incidentale (art. 221 c.p.c.). 


nell’uno 
e 
nell’altro 
caso, 
posto 
che 
l’agente 
della 
riscossione 
riveste 
costantemente 
la 
qualità 
di 
convenuto nell’ambito delle 
suddette 
azioni, non 
sembra 
ipotizzabile 
un 
interesse 
alla 
riassunzione 
di 
un 
ipotetico 
giudizio 
nell’ambito del 
quale 
sopravvenisse 
una 
statuizione 
di 
cassazione 
con rinvio. 
l’estinzione 
dell’intero 
processo, 
infatti, 
avrebbe 
soltanto 
l’effetto 
di 
impedire 
la 
formazione 
di 
un accertamento, avente 
attitudine 
al 
giudicato, sulla 
falsità 
(materiale o ideologica) di un determinato atto con valore fidefacente. 


occorre 
tuttavia 
precisare 
che, contrariamente 
a 
quanto accade 
nell’ipotesi 
della 
querela 
di 
falso proposta 
in via 
principale 
(nella 
quale 
l’eventuale 
estinzione 
dell’intero processo definisce 
la 
vicenda 
contenziosa), nell’ipotesi 
della 
querela 
di 
falso proposta 
in via 
incidentale 
potrebbe 
emergere 
un interesse 
dell’agente 
della 
riscossione, 
conseguente 
all’estinzione 
del 
giudizio 
civilistico 
sulla 
querela 
di 
falso, 
alla 
riassunzione 
del 
procedimento 
presupposto, 
rispetto al quale la querela stessa ha costituito una parentesi. 


Si 
pensi, 
ad 
esempio, 
all’ipotesi 
in 
cui 
la 
querela 
di 
falso 
sia 
stata 
proposta 
dal 
contribuente, in via 
incidentale, nella 
pendenza 
di 
un processo instaurato 
innanzi 
al 
Giudice 
tributario, avente 
ad oggetto un atto della 
riscossione 
solo 
facoltativamente 
impugnabile: 
in 
un 
caso 
del 
genere, 
fermo 
restando 
che 
l’ipotetica 
estinzione 
del 
processo civilistico avente 
ad oggetto la 
querela 
di 
falso 
non 
sarebbe 
verosimilmente 
pregiudizievole 
per 
l’agente 
della 
riscossione 
(ma 
semmai 
per 
il 
contribuente 
che 
l’aveva 
proposta), 
potrebbe 
comunque 
residuare 
un suo interesse 
alla 
riassunzione 
del 
processo tributario che 
era 
stato 
sospeso 
(in 
attesa 
della 
pronuncia 
sulla 
querela 
di 
falso), 
entro 
i 
termini 
previsti 
dall’art. 43 del D.lgs. 546/1992. 


In 
particolare, 
sussisterebbe 
sempre 
un 
interesse 
alla 
riassunzione 
del 
processo 
tributario (ma 
anche 
di 
quello civile), in tutti 
i 
casi 
in cui 
la 
causa 
era 
stata 
sospesa 
nella 
fase 
di 
appello 
instaurato 
dall’aDer. 
In 
tali 
ipotesi, 
infatti, 
all’estinzione 
del 
giudizio seguirebbe 
il 
passaggio in giudicato della 
(sfavorevole) 
sentenza impugnata. 


* * * 


§ 2.7. i 
giudizi 
impugnatori 
in 
materia di 
ammissione 
al 
passivo fallimentare 
nell’interesse dell’agente della riscossione. 


Un’ultima 
ipotesi 
da 
affrontare 
è 
quella 
in cui 
l’agente 
della 
riscossione 
abbia 
impugnato la 
(parziale 
o totale) reiezione 
di 
una 
sua 
domanda 
di 
insinuazione 
allo 
stato 
passivo 
fallimentare, 
ai 
sensi 
degli 
artt. 
98 
e 
segg. 
della 


c.d. legge fallimentare (r.D. 16 marzo 1942, n. 267). 
In casi 
del 
genere, l’agente 
della 
riscossione 
avrebbe 
sempre, almeno in 

temI 
IStItUzIonalI 


linea 
di 
principio, un interesse 
alla 
riassunzione 
del 
giudizio, a 
seguito della 
cassazione 
con rinvio della 
pronuncia 
intervenuta 
sull’opposizione 
allo stato 
passivo 
fallimentare, 
posto 
che 
un’ipotetica 
estinzione 
dell’intero 
processo 
importerebbe 
il 
consolidamento del 
decreto che 
aveva 
reso esecutivo lo stato 
passivo, con conseguente 
definitività 
della 
(totale 
o parziale) reiezione 
della 
originaria domanda di insinuazione proposta dall’ente di esazione. 


Conclusioni. 


alla 
stregua 
di 
quanto si 
è 
detto, la 
Scrivente 
ritiene 
che 
possano trarsi 
le 
seguenti 
conclusioni, differenziate 
in base 
al 
plesso giurisdizionale 
innanzi 
al 
quale pende il singolo contenzioso. 


1) 
nel 
processo 
tributario, 
è 
cautelativamente 
configurabile 
un 
interesse 
dell’agente 
della 
riscossione 
alla 
riassunzione 
del 
processo in cui 
sia 
intervenuta 
una 
statuizione 
di 
cassazione 
con 
rinvio, 
in 
linea 
di 
massima, 
nei 
soli 
casi 
di 
impugnazione 
di 
un 
atto 
facoltativamente 
impugnabile, 
potendosi 
invece 
ritenere 
non sussistere 
un interesse 
in relazione 
alle 
ipotesi 
affrontate 
nei 
paragrafi 
del presente parere: 
1.1. (atti autonomamente impugnabili), 
1.2. (impugnazioni 
innanzi 
al 
Giudice 
tributario delle 
iscrizioni 
ipotecarie) 
e 
1.3. (impugnazioni 
innanzi 
al 
Giudice 
tributario dei 
dinieghi, espressi 


o taciti, di rimborso). 
* * * 
2) nel 
processo civile, invece, è 
configurabile 
un interesse 
dell’agente 
della 
riscossione 
alla 
riassunzione 
del 
processo in cui 
sia 
intervenuta 
una 
statuizione 
di 
cassazione 
con rinvio, in linea 
di 
massima, nelle 
ipotesi 
affrontate 
nei paragrafi 
2.1. 
(opposizioni 
all’esecuzione 
e 
agli 
atti 
esecutivi, 
ove 
sia 
stata 
disposta 
nelle more la sospensione dell’esecuzione), 
2.2. 
(giudizi 
latamente 
impugnatori 
che 
si 
svolgono 
innanzi 
al 
Giudice 
ordinario e opposizioni recuperatorie), 
2.3. (impugnazioni innanzi al Giudice civile delle iscrizioni ipotecarie), 
2.4. (azioni 
proposte 
innanzi 
al 
Giudice 
civile 
per il 
rimborso di 
somme 
indebitamente 
versate 
all’agente 
della 
riscossione, purché 
vi 
sia 
stata 
la 
restituzione 
della somma controversa al contribuente nel corso del giudizio), 
2.5. (azioni 
revocatorie 
promosse 
nell’interesse 
dell’agente 
della 
riscossione) 
e 
2.7. (impugnazioni 
dello stato passivo fallimentare 
proposte 
nell’interesse 
dell’agente della riscossione). 
al 
contrario, non sembra 
emergere, almeno in astratto, uno specifico interesse 
dell’agente 
della 
riscossione 
convenuto 
alla 
riassunzione 
del 
processo, 
avente 
ad oggetto una 
querela 
di 
falso, in cui 
sia 
intervenuta 
una 
statuizione 
di cassazione con rinvio (par. 2.6. del presente parere). 



raSSeGna 
avvocatUra 
Dello 
Stato -n. 4/2022 


Si 
ritiene 
opportuno estendere 
il 
presente 
parere 
anche 
all’agenzia 
delle 
entrate. 


l’avvocato dello Stato incaricato il Vice 
avvocato Generale 
Davide Giovanni Pintus Gianni De Bellis 



temI 
IStItUzIonalI 


Avvocatura 
Generaledello 
Stato 


CirColare 
n. 48/2023 


Oggetto: 
Protocollo d’intesa tra la Stazione 
zoologica anton 
Dohrn 
di 
napoli e l’avvocatura Distrettuale dello Stato di napoli. 


Si 
comunica 
che 
con 
protocollo 
d’intesa 
sottoscritto 
in 
data 
4 
agosto 
2023 
tra 
l’avvocatura 
Distrettuale 
di 
napoli 
e 
la 
Stazione 
zoologica 
anton Dohrn, 
che 
si 
acclude 
alla 
presente, sono state 
definite 
le 
modalità 
di 
esplicazione 
del 
patrocinio dell’avvocatura dello Stato in favore della Stazione stessa. 


l’avvocato Generale 
Gabriella 
PalmIerI SanDUllI 


Protocollo D’InteSa 


tra 
l’avvocatUra 
DIStrettUale 
Dello 
Stato 
DI naPolI, con sede 
in napoli 
alla 
via 
Diaz 
n. 
11, in persona dell’avvocato Distrettuale 


e 
la 
StazIone 
zooloGIcaanton 
DoHrn, con sede 
in napoli 
presso la 
villa 
comunale, in persona 
del Presidente p.t. 

********* 
Premesso che: 
-la 
Stazione 
zoologica 
anton 
Dohrn 
(di 
seguito 
denominata 
Stazione 
zoologica) 
Istituto 
nazionale 
di 
Biologia, 
ecologia 
e 
Biotecnologie 
marine, 
costituita 
in 
persona 
giuridica 
di 
diritto 
pubblico ex l. n. 886 del 
20 novembre 
1982, rientra 
tra 
gli 
enti 
pubblici 
di 
ricerca 
a 
carattere 
non 
strumentale 
soggetti 
alla 
vigilanza 
del 
ministero 
dell’Università 
e 
della 
ricerca, 
che 
“hanno autonomia statutaria e 
regolamentare” 
ai 
sensi 
dell’art. 33 della 
costituzione 
(art. 3 
D.lgs. 25 novembre 
2016, n. 218; 
DPr 5 agosto 1991; 
già 
art. 8, comma 
2, legge 
9 maggio 
1989, n. 168); 


-lo Statuto della 
Stazione 
zoologica, adottato con delibera 
n. 31 del 
15 marzo 2022, ai 
sensi 
dell’art. 4 del 
d.lgs 
n. 218 del 
2016, ed approvato con decreto del 
ministero dell’Università 
e 
della 
ricerca 
del 
16 maggio 2022, prot. n. 461, nel 
disciplinare 
l’organizzazione 
ed il 
funzionamento 
dell’Istituto, così 
regola, all’art. 23, la 
rappresentanza 
e 
difesa 
in giudizio dell’ente: 
1. “Per 
le 
controversie 
su materie 
per 
le 
quali 
il 
Presidente 
agisce 
nella qualità di 
organo 
decentrato dell’amministrazione 
statale, la rappresentanza e 
la difesa sono assunte 
dall’avvocatura 
dello stato, eccettuati 
i 
casi 
di 
conflitto di 
interessi 
con lo stato o con gli 
enti 
il 
cui 
patrocinio risulti demandato alla stessa avvocatura. 
2. salve 
le 
ipotesi 
di 
conflitto, qualora, la stazione 
zoologica nelle 
controversie 
su materie 
di 
cui 
al 
precedente 
comma 
intenda 
in 
casi 
speciali 
non 
avvalersi 
dell’avvocatura 
dello 
stato, 
il Presidente dovrà adottare apposita motivata delibera. 

raSSeGna 
avvocatUra 
Dello 
Stato -n. 4/2022 


3. 
Per 
le 
controversie 
su 
materie 
non 
comprese 
tra 
quelle 
di 
cui 
al 
comma 
1, 
la 
rappresentanza 
e 
la 
difesa 
della 
stazione 
zoologica 
sono 
affidate 
discrezionalmente, 
all’avvocatura 
dello 
stato oppure a legali di libero foro”. 
considerato che: 
-la 
consulenza 
e 
il 
patrocinio 
legale 
dell’avvocatura 
dello 
Stato 
(di 
seguito 
denominata 
anche 
solo “avvocatura”), nelle 
materie 
in cui 
il 
Presidente 
della 
Stazione 
zoologica 
agisce 
nella 
qualità 
di 
organo decentrato dell’amministrazione 
statale, è 
prestato, in via 
obbligatoria 
ed 
esclusiva, ai 
sensi 
dell’art. 1 rD 
1611/1933, e 
nelle 
altre 
materie, ai 
sensi 
dell’art. 43 r.D. n. 
1611/1933 
(c.d. 
patrocinio 
autorizzato), 
nei 
termini 
previsti 
dal 
citato 
art. 
23 
dello 
Statuto, 
approvato con decreto del mUr vigilante (art. 2 l. 12 gennaio 1991, n. 
13); 
-è 
riconosciuta 
l’ammissibilità 
(già 
espressa 
in 
precedenti 
occasioni 
dal 
comitato 
consultivo 
dell’avvocatura 
Generale 
dello Stato) di 
una 
deroga, di 
carattere 
generale, al 
patrocinio c.d. 
autorizzato, da 
assumersi 
per una 
serie 
predeterminata 
di 
controversie 
che, in ragione 
della 
loro natura 
e 
modesta 
importanza 
economica, meglio potrebbero essere 
affidate 
e 
seguite 
da 
avvocati 
del libero foro; 


-è 
opportuno disciplinare, sulla 
base 
della 
distinzione 
dei 
ruoli 
e 
delle 
competenze 
e 
del 
riconoscimento 
delle 
rispettive 
responsabilità, le 
modalità 
di 
cooperazione 
tra 
l’ente 
e 
l’avvocatura, 
al 
fine 
di 
assicurare 
nel 
modo 
migliore 
la 
piena 
tutela 
degli 
interessi 
pubblici 
coinvolti, 
prevedendo 
anche 
forme 
snelle 
e 
semplificate 
di 
relazione, 
tali 
da 
rafforzare 
l’efficienza 
e 
l’efficacia dell’azione amministrativa e l’ottimale funzionalità delle strutture; 
-appare 
rispondente 
ad 
esigenze 
di 
continuità 
difensiva 
che 
le 
controversie, 
già 
affidate 
ad 
avvocati 
del 
libero 
foro, 
siano 
seguite 
dai 
rispettivi 
difensori, 
fino 
alla 
loro 
definitiva 
definizione. 
ciò premesso e considerato, tra 
l’avvocatura Distrettuale dello Stato di napoli 
e la Stazione zoologica 
anton Dohrn 

si conviene quanto segue: 


• 
attività Consultiva 
l’avvocatura 
fornisce 
pareri 
in ordine 
ai 
quesiti 
e 
alle 
richieste 
di 
parere 
poste 
dalla 
Stazione 
zoologica in merito a questioni particolari o interpretative di carattere generale. 
• 
assistenza e rappresentanza in Giudizio 
1. l’avvocatura 
fornisce 
ogni 
assistenza 
richiesta 
al 
fine 
di 
assicurare 
nel 
modo migliore 
la 
piena tutela degli interessi pubblici. 
2. al 
fine 
di 
consentire 
all’avvocatura 
il 
regolare 
svolgimento delle 
proprie 
funzioni, la 
Stazione 
zoologica, dopo la 
notifica 
di 
un atto introduttivo presso i 
propri 
uffici, provvede 
ad 
investire 
l’avvocatura 
delle 
richieste 
di 
patrocinio 
con 
il 
più 
ampio 
margine 
possibile 
rispetto 
alle 
scadenze, fornendo una 
completa 
e 
documentata 
relazione 
in fatto e 
in diritto, quale 
necessario 
supporto per l’efficace difesa delle ragioni dello stesso ente. 
3. 
al 
fine 
di 
rendere 
praticabile 
operativamente 
un 
percorso 
di 
immediata 
e 
diretta 
comunicazione, 
anche 
informale, 
in 
sede 
di 
richiesta 
verrà 
precisato 
il 
nominativo 
del 
funzionario 
responsabile 
del 
procedimento, 
con 
le 
modalità 
per 
la 
sua 
immediata 
reperibilità 
(telefono, 
fax, 
e-mail); 
analogamente 
l’avvocatura 
provvederà 
a 
segnalare 
alla 
struttura 
richiedente 
il 
nominativo 
dell’avvocato 
incaricato 
dell’affare 
e 
le 
suindicate 
modalità 
di 
immediata 
reperibilità. 
4. 
Qualora 
gli 
atti 
introduttivi 
del 
giudizio, 
o 
di 
un 
grado 
di 
giudizio, 
vengano 
notificati 
presso 
l’avvocatura, sono da 
quest’ultima 
prontamente 
inviati 
all’ente, con ogni 
relativa 
richiesta 
istruttoria. 

temI 
IStItUzIonalI 


5. l’avvocatura 
provvede 
a 
tenere 
informata 
la 
Stazione 
zoologica 
dei 
significativi 
sviluppi 
delle 
controversie 
in corso dalla 
stessa 
curate, dando comunque 
pronta 
comunicazione 
del-
l’esito del 
giudizio con la 
trasmissione 
di 
copia 
della 
decisione. ove 
si 
tratti 
di 
pronuncia 
sfavorevole 
per 
l’ente, 
l’avvocatura 
rende 
tempestivamente 
il 
proprio 
parere 
in 
ordine 
alla 
impugnabilità della decisione stessa. 
6. Per le 
cause 
che 
si 
svolgono davanti 
ad organi 
giudiziari 
fuori 
dal 
circondario di 
napoli, 
l’avvocatura 
potrà 
avvalersi 
dell’opera 
di 
avvocati 
delegati 
appartenenti 
al 
libero foro, il 
cui 
compenso -per l’attività 
procuratoria 
-sarà 
a 
carico della 
Stazione 
zoologica. In alternativa, 
la 
delega 
delle 
funzioni 
procuratorie 
potrà 
essere 
conferita 
dall’avvocatura, previa 
intesa, a 
legali interni della Stazione zoologica. 
7. l’avvocatura 
assume 
il 
patrocinio della 
Stazione 
zoologica 
nelle 
controversie 
davanti 
al 
t.a.r e al consiglio di Stato. 
8. 
nei 
giudizi 
in 
materia 
di 
appalti, 
le 
comunicazioni 
tra 
la 
Stazione 
zoologica 
e 
l’avvocatura 
si 
svolgono 
con 
modalità 
e 
tempi 
adeguati 
alla 
rilevanza 
del 
contenzioso 
e 
alla 
brevità 
dei 
termini 
processuali previsti dalla particolare disciplina. 
9. a 
richiesta 
della 
Stazione 
zoologica, l’avvocatura 
può assumere, ai 
sensi 
dell’art. 44 del 
r.D. n. 1611 del 
1933, la 
rappresentanza 
e 
la 
difesa 
di 
dipendenti 
del 
medesimo Istituto, nei 
giudizi civili e penali che li interessano per fatti e cause di servizio. 
10. 
I 
rapporti 
economici 
fra 
le 
parti 
resteranno 
regolati 
dall’art. 
21 
r.D. 
n. 
1611/1933. 
Sostanzialmente 
l’avvocatura 
provvederà 
al 
diretto recupero nei 
confronti 
delle 
controparti 
e 
al 
successivo 
incameramento 
delle 
competenze 
ed 
onorari 
di 
giudizio, 
posti 
a 
carico 
dei 
soccombenti 
per effetto di 
sentenza, ordinanza, rinuncia 
o transazione. resta 
inteso che 
la 
Stazione 
zoologica 
è 
tenuta 
a 
sostenere 
in 
via 
preventiva 
le 
spese 
vive 
necessarie 
(contributo 
unificato, imposta di registro, ecc.) all’instaurazione e gestione della lite. 
11. 
l’incarico 
della 
trattazione 
degli 
affari 
legali 
riguardanti 
la 
Stazione 
zoologica 
sarà 
affidato 
dall’avvocato Distrettuale 
ad un ristretto numero di 
avvocati 
dello Stato in servizio, compatibilmente 
con le esigenze d’Istituto 
dell’avvocatura 
e 
le 
esigenze 
di 
servizio del 
personale 
togato; 
i 
suddetti 
avvocati 
assicureranno l’espletamento di 
tutti 
gli 
incombenti 
necessari 
ed 
opportuni in sede 
contenziosa 
e 
consultiva 
e 
potranno essere 
contattati 
anche 
per le 
vie 
brevi 
presso i recapiti che gli stessi forniranno. 
12. 
restano 
escluse 
dal 
patrocinio 
ex 
lege 
dell’avvocatura 
tutte 
le 
controversie 
nelle 
quali 
sia 
ravvisabile 
da 
parte 
dell’avvocatura 
un conflitto di 
interesse 
tra 
la 
Stazione 
zoologica 
e 
lo Stato, ivi 
comprese 
quelle 
di 
natura 
tributaria 
instaurate, o da 
instaurare, dinanzi 
alle 
corti 
di 
Giustizia 
tributaria 
di 
primo e 
secondo grado, nelle 
quali 
siano ravvisabili 
conflitti 
-anche 
virtuali 
-di 
interessi 
fra 
le 
posizioni 
della 
Stazione 
zoologica 
e 
gli 
Uffici 
Finanziari 
tutelati 
e 
rappresentati 
ex officio dall’avvocatura 
dello Stato; 
restano altresì 
escluse 
le 
controversie 
di 
natura 
meramente 
esecutiva 
e 
quelle 
concernenti 
sanzioni 
amministrative 
ex l. 689/81; 
per 
tali controversie, 
la 
Stazione 
zoologica, eccettuati 
i 
casi 
in cui 
la 
rappresentanza 
e 
difesa 
in 
giudizio possono essere 
assunte 
direttamente 
dall’amm.ne, si 
riseva 
di 
individuare 
avvocati 
del 
libero foro, cui 
affidare 
la 
rappresentanza 
processuale 
e 
l’assistenza 
necessaria 
alla 
difesa 
dei propri interessi. 
13. l’avvocatura 
e 
la 
Stazione 
zoologica 
si 
impegnano a 
segnalare 
reciprocamente 
tutte 
le 
difficoltà 
operative 
eventualmente 
insorte 
nella 
gestione 
dei 
rapporti 
oggetto 
del 
presente 
.protocollo, 
allo 
scopo 
di 
provvedere 
-nello 
spirito 
della 
migliore 
collaborazione 
-al 
superamento 
delle stesse. 
14. la 
presente 
convenzione 
ha 
durata 
illimitata 
e 
potrà 
essere 
in ogni 
momento modificata 

raSSeGna 
avvocatUra 
Dello 
Stato -n. 4/2022 


e 
integrata 
d’intesa 
fra 
le 
parti; 
potrà 
essere 
risolta 
da 
entrambe 
le 
parti, con le 
conseguenze 
di legge, con preavviso formale di tre mesi o per intervenuta diversa disciplina normativa. 


l’avvocatura Distrettuale dello stato di napoli 


l’avvocato distrettuale 
giovanni cassano 


la stazione zoologica anton Dohrn 


il Presidente 
Prof. christopher bowler 



temI 
IStItUzIonalI 


Avvocatura 
Generaledello 
Stato 


CirColare 
n. 49/2023 


con decreto del 
Presidente 
della 
repubblica 
in data 
9 agosto 2023, registrato 
dalla 
corte 
dei 
conti 
in data 
23 agosto 2023, è 
stato conferito l’incarico 
di 
vice 
avvocato Generale all’avvocato maria Gabriella mangia. 


all’avvocato mangia è attribuita la direzione della Sezione 
vI. 


l’avvocato Generale 
Gabriella 
PalmIerI SanDUllI 



raSSeGna 
avvocatUra 
Dello 
Stato -n. 4/2022 


GiORnaTa 
Delle 
DOnne 
in 
maGisTRaTuRa 
(*) 


“la questione femminile in medioriente. 
il diritto (negato) allo studio” 


intervento della Presidente dell’associazione Unitaria 
degli 
avvocati e Procuratori dello Stato 
avv. Wally Ferrante 


1. ringrazio innanzitutto la 
Presidente 
dell’associazione 
dei 
magistrati 
della 
corte 
dei 
conti 
Paola 
Briguori, 
con 
la 
quale 
condivido 
l’impegno 
nel 
comitato Intermagistrature, per questo gradito invito ad un convegno tutto al 
femminile, in cui 
ciascuna 
di 
noi 
testimonia 
una 
tappa 
raggiunta, per la 
prima 
volta, da una donna ad una carica in precedenza ricoperta solo da uomini. 
2. 
mi 
preme 
poi 
ringraziare 
l’organizzatrice 
di 
questo incontro il 
consigliere 
maria 
cristina 
razzano che 
ha 
deciso di 
istituire 
questa 
giornata 
dedicata 
alle 
donne 
in magistratura, che 
si 
occuperà 
ogni 
anno di 
un tema 
diverso 
il 
5 aprile, che 
segna 
appunto la 
data 
di 
ingresso delle 
donne 
in magistratura, 
il 
5 aprile 
1965, a 
seguito della 
legge 
del 
9 febbraio 1963 n. 66, recante 
“ammissione 
della donna ai 
pubblici 
uffici 
ed alle 
professioni” 
il 
cui 
articolo 1, 
comma 
1 
disponeva 
“la 
donna 
può 
accedere 
a 
tutte 
le 
cariche, 
professioni 
ed 
impieghi 
pubblici, compresa la magistratura, nei 
vari 
ruoli, carriere 
e 
categorie, 
senza limitazione 
di 
mansioni 
e 
di 
svolgimento della carriera, salvi 
i 
requisiti stabiliti dalla legge”. 
l’art. 
2 
sanciva 
poi 
l’abrogazione 
della 
legge 
17 
luglio 
1919, 
n. 
1176, 
che 
poneva 
il 
divieto 
di 
accesso 
delle 
donne 
agli 
impieghi 
pubblici 
“che 
implicano 
… 
l’esercizio di 
diritti 
e 
di 
potestà politiche 
…secondo la specificazione 
che 
sarà fatta con apposito regolamento”, del 
successivo regolamento approvato 
con regio decreto 4 gennaio 1920, n. 39 ed ogni 
altra 
disposizione 
incompatibile 
(articolo poi abrogato dall’art. 57, D.lgs. 11 aprile 2006, n. 198). 


Dopo l’avvento della 
costituzione 
repubblicana 
del 
1948, e 
l’affermazione 
del 
principio di 
uguaglianza, senza 
distinzione 
di 
sesso, si 
è 
dovuto attendere 
quindici 
anni 
perché 
il 
divieto dell’accesso della 
donna 
alla 
carriera 
magistratuale 
fosse 
rimosso. e 
ciò anche 
a 
seguito dell’intervento della 
corte 
costituzionale 
che, con la 
sentenza 
n. 33 del 
1960, ha 
dichiarato l’illegittimità 
costituzionale 
dell’art. 7 della 
citata 
legge 
n. 1176 del 
1919 che 
escludeva 
le 
donne 
da 
tutti 
gli 
uffici 
pubblici 
che 
implicano 
l’esercizio 
di 
diritti 
e 
di 
potestà 
politiche, in riferimento all’art. 51, primo comma della costituzione. 


(*) convegno organizzato dall’associazione 
magistrati 
della corte 
dei 
conti; tra i 
vertici 
delle 
istituzioni 
giuridiche 
presenti: margherita cassano, Primo Presidente 
della corte 
suprema di 
cassazione; 
gabriella Palmieri 
sandulli, avvocato generale 
dello stato; guido carlino, Presidente 
della corte 
dei 
conti (roma, 5 aprile 2023, aula turina della corte dei conti). 



temI 
IStItUzIonalI 


3. 
tra 
coloro 
che 
hanno 
superato 
il 
primo 
concorso 
in 
magistratura 
aperto 
alle 
donne 
abbiamo l’onore 
di 
avere 
qui 
presente 
la 
Presidente 
Gabriella 
luccioli, 
che 
è 
stata 
anche 
la 
prima 
donna 
a 
ricoprire 
l’incarico direttivo di 
Presidente 
di 
Sezione 
della 
corte 
di 
cassazione, se 
non erro nel 
2008. ricordo che 
partecipavo anni 
fa 
alle 
riunioni 
dell’aDmI (associazione 
delle 
Donne 
magistrato 
Italiane) e 
che 
festeggiammo una 
sera 
questa 
importante 
nomina 
che 
ha 
segnato un traguardo importante 
a 
distanza 
di 
40 anni 
da 
quell’ingresso in 
magistratura 
e 
da 
quel 
principio normativo “senza limitazione 
di 
mansioni 
e 
di svolgimento di carriera”. 
4. oggi, con la 
Presidente 
margherita 
cassano, una 
donna 
ha 
raggiunto 
anche 
il 
vertice 
della 
magistratura 
ordinaria, 
ricoprendo 
il 
ruolo 
apicale 
di 
Primo Presidente 
della 
corte 
di 
cassazione, deputato a 
presiedere 
le 
Sezioni 
Unite 
che, 
nella 
massima 
espressione 
della 
nomofilachia, 
decidono 
le 
questioni 
giuridiche 
di 
massima 
importanza 
nonché 
risolvono le 
questioni 
di 
giurisdizione 
con le altre magistrature. 
5. 
venendo 
all’avvocatura 
dello 
Stato, 
va 
ricordato 
che 
gli 
avvocati 
e 
Procuratori 
dello 
Stato 
sono 
espressamente 
equiparati 
ai 
magistrati 
dell’ordine 
giudiziario a 
norma 
dell’art. 23 del 
r.D. 1611/1933, tanto che 
nelle 
loro funzioni 
di 
assistenza 
e 
difesa 
delle 
amministrazioni, 
hanno 
un 
ruolo 
non 
di 
semplice 
difensore 
di 
una 
parte, 
ma 
di 
primi 
garanti 
del 
rispetto 
della 
legalità 
nell’agire 
pubblico. 
Hanno 
quindi 
vissuto 
le 
medesime 
restrizioni 
per 
l’accesso 
alla carriera da parte delle donne. 
anche 
l’avvocato 
Generale 
dello 
Stato 
Gabriella 
Palmieri 
Sandulli 
è 
stata 
la 
prima 
donna 
a 
ricoprire 
l’incarico di 
vertice 
dell’Istituto, prima 
di 
appannaggio 
esclusivamente 
maschile, 
dopo 
aver 
ricoperto, 
sempre 
come 
prima 
donna, quello di 
vice 
avvocato Generale e quello di Segretario Generale. 


attualmente 
si 
può 
dire 
che 
il 
gap 
di 
genere 
si 
è 
colmato 
atteso 
che, 
a 
fronte 
di 
350 avvocati 
dello Stato, 153 sono donne; 
su 25 avvocature 
Distrettuali, 
11, 
e 
quindi 
quasi 
la 
metà, 
sono 
dirette 
da 
un 
avvocato 
Distrettuale 
donna; 
a 
roma 
su 8 sezioni 
una 
sola 
è 
diretta 
da 
un vice 
avvocato Generale 
donna, ma 
per ragioni 
anagrafiche, ma 
4 sezioni 
su 8, e 
quindi 
la 
metà, sono 
coordinate da una donna. 


6. 
Devo dire 
che 
nel 
nostro lavoro non è 
riscontrabile 
alcuna 
discriminazione 
nei 
confronti 
delle 
donne. Ho fatto parte 
del 
comitato pari 
opportunità 
dell’avvocatura 
dello 
Stato 
e, 
nell’arco 
del 
mio 
mandato, 
non 
ci 
è 
stato 
segnalato 
alcun episodio di 
disparità 
di 
trattamento nei 
confronti 
di 
avvocati 
e 
Procuratori dello Stato di sesso femminile. 
certamente, non viene 
fatto alcuno “sconto” 
per chi 
ha 
figli 
piccoli 
o genitori 
anziani 
da 
accudire, 
compito 
che 
continua 
a 
gravare 
prevalentemente 
sulle donne. 


Qualche 
anno 
fa 
è 
stato 
rimosso 
in 
via 
giurisdizionale 
dal 
t.a.r. 
del 
lazio, 
con 
pronuncia 
poi 
confermata 
dal 
consiglio 
di 
Stato 
con 
la 
sentenza 
n. 



raSSeGna 
avvocatUra 
Dello 
Stato -n. 4/2022 


6157/2017, il 
pregiudizio economico che 
riportavano le 
donne 
nel 
periodo di 
astensione 
obbligatoria 
dal 
lavoro durante 
la 
maternità 
per effetto dell’art. 12 
del 
d.P.c.m. 29 febbraio 1972, che 
escludeva, in tale 
periodo, nonostante 
la 
cospicua 
assegnazione 
di 
nuovi 
affari, il 
percepimento degli 
onorari 
di 
causa, 
che 
costituiscono 
una 
componente 
essenziale 
del 
trattamento 
economico 
degli 
avvocati 
e 
Procuratori 
dello Stato. ciò proprio per non disincentivare 
la 
maternità 
anche nel quadro dei principi dell’Unione europea. 


Il 
consiglio di 
Stato ha 
fatto leva 
sulla 
normativa 
speciale 
a 
sostegno e 
tutela 
della 
maternità 
e 
paternità 
di 
cui 
al 
D.lgs. n. 151 del 
2001, e 
nello specifico 
la 
previsione 
che 
il 
trattamento economico che 
compete 
alla 
donna 
in 
congedo obbligatorio per maternità 
è 
derogabile 
solo per effetto di 
norme 
di 
maggior 
favore 
e 
che 
di 
conseguenza 
tutti 
gli 
assegni 
di 
natura 
retributiva 
debbono 
essere 
garantiti 
alla 
gestante 
anche 
in 
ossequio 
al 
principio 
fondamentale 
di 
parità 
tra 
generi, ai 
sensi 
dell’art. 37 cost. nonché 
delle 
disposizioni 
ultra-
nazionali 
di 
cui 
all’art. 157 t.F.U.e, all’art. 23 della 
carta 
dei 
Diritti 
Fondamentali 
U.e. 
e 
alla 
direttiva 
2006/54/ce, 
anche 
secondo 
l’interpretazione 
della 


l. n. 53 del 
2000, recante 
disposizioni 
per il 
sostegno della 
maternità 
e 
della 
paternità 
propugnata 
dalla 
Presidenza 
del 
consiglio 
dei 
ministri 
nella 
circolare 
n. 14 del 
16 novembre 
2000, la 
quale 
precisa 
il 
diritto delle 
lavoratrici 
madri 
durante 
il 
periodo di 
astensione 
obbligatoria 
all’intera 
retribuzione 
fissa 
mensile, 
nonché al relativo trattamento accessorio. 
Il 
consiglio di 
Stato ha 
inoltre 
richiamato le 
norme 
che 
tutelano il 
lavoro 
femminile 
e 
la 
maternità, in particolare 
l’art. 37 comma 
1, del 
t.U. n. 3/1957 
in 
base 
al 
quale 
“la 
donna 
lavoratrice 
ha 
gli 
stessi 
diritti 
e, 
a 
parità 
di 
lavoro, 
le 
stesse 
retribuzioni 
che 
spettano al 
lavoratore. le 
condizioni 
di 
lavoro devono 
consentire 
l’adempimento della sua essenziale 
funzione 
familiare 
e 
assicurare 
alla madre e al bambino una speciale adeguata protezione”. 


Inoltre, l’art. 41 del 
t.U. n. 3 del 
1957, autentica 
pietra 
angolare 
del 
sistema 
ora 
descritto, 
prevede: 
“all’impiegata 
che 
si 
trovi 
in 
stato 
di 
gravidanza 


o puerperio si 
applicano le 
norme 
per 
la tutela delle 
lavoratrici 
madri; essa 
ha diritto al 
pagamento di 
tutti 
gli 
assegni, escluse 
le 
indennità per 
servizi 
e 
funzioni di carattere speciale o per prestazioni di lavoro straordinario”. 
ne 
consegue 
che 
l’art. 
12 
del 
d.P.c.m. 
citato, 
che 
limita 
la 
deroga 
al-
l’esclusione 
del 
riparto previsto per i 
procuratori 
e 
avvocati 
dello Stato al 
solo 
caso 
di 
congedo 
«straordinario» 
generico 
di 
cui 
all’art. 
37 
comma 
2, 
t.U. 
senza 
prevedere 
tra 
questi 
anche 
il 
congedo per maternità, è 
stato ritenuto in 
contrasto irrimediabile con la normativa nazionale e sovraordinata. 


7. Per quanto concerne 
il 
diritto allo studio, negato alle 
donne 
nei 
Paesi 
del 
medioriente, come 
abbiamo visto con le 
testimonianze 
della 
Principessa 
d’afghanistan e 
dell’attivista 
iraniana, non va 
dimenticato che 
si 
tratta 
di 
uno 
strumento 
indispensabile 
e 
fondamentale 
per 
l’emancipazione 
femminile. 
Studiare 
apre 
la 
mente 
e 
sviluppa 
lo 
spirito 
critico 
e 
l’autodeterminazione; 
garan

temI 
IStItUzIonalI 


tisce 
la 
libertà 
di 
pensiero e 
di 
espressione, principi 
fondanti 
di 
ogni 
democrazia, 
tutti 
negati 
alle 
bambine 
e 
alle 
ragazze 
che 
non hanno accesso al 
percorso 
scolastico. 


nel 
mondo quasi 
132 milioni 
di 
ragazze 
non vanno a 
scuola 
(34 milioni 
dovrebbero 
frequentare 
le 
elementari 
e 
97 
milioni 
le 
medie). 
nei 
paesi 
in 
conflitto, 
le 
bambine 
hanno 
una 
probabilità 
doppia 
di 
interrompere 
il 
percorso 
scolastico rispetto alle coetanee negli Stati politicamente stabili. 


In Italia, il 
diritto allo studio è 
garantito dagli 
articoli 
33 e 
34 della 
costituzione. 


In 
particolare, 
in 
ossequio 
all’art. 
34, 
la 
scuola 
è 
aperta 
a 
tutti. 
l’istruzione 
inferiore, impartita 
per almeno otto anni, è 
obbligatoria 
e 
gratuita. lo studio 
costituisce 
quindi 
un 
diritto 
ma 
anche 
un 
dovere 
di 
ogni 
bambino 
quanto 
meno 
fino alla 
terza 
media. Per i 
capaci 
e 
meritevoli, anche 
se 
privi 
di 
mezzi, è 
prevista 
l’erogazione 
di 
borse 
di 
studio e 
assegni 
alle 
famiglie 
per assicurare 
il 
raggiungimento dei gradi più alti degli studi. 


la 
disponibilità 
di 
risorse 
finanziare 
è, 
infatti, 
un 
fattore 
determinante 
nell’accesso 
all’istruzione 
superiore 
e 
universitaria: 
in 
Italia, 
soltanto 
il 
20% 
della 
popolazione 
tra 
i 
25 
e 
i 
64 
anni 
è 
in 
possesso 
di 
una 
laurea 
e 
soltanto 
il 
62,7% 
è 
in 
possesso 
di 
un 
diploma 
(in 
europa, 
la 
media 
è, 
rispettivamente 
del 
33,4% 
e 
del 
79,3% 
-dati 
Istat 
2021). 
Il 
report 
sui 
livelli 
di 
istruzione 
dell’Istat 
segnala 
anche 
un 
forte 
divario 
territoriale 
nei 
livelli 
di 
istruzione 
tra 
nord 
e 
sud. 


Un contenzioso di 
cui 
si 
è 
occupata 
l’avvocatura 
dello Stato in relazione 
al 
diritto allo studio ha 
riguardato recentemente 
la 
tematica 
della 
richiesta 
di 
istruzione domiciliare per gli alunni disabili nel periodo covID. 


l’art. 
1, 
comma 
7 
quater 
del 
D.l 
n. 
22 
dell’8 
aprile 
2020 
prevede 
che 
“fino 
al 
termine 
dell’anno 
scolastico 
2020/2021, 
per 
garantire 
il 
diritto 
al-
l’istruzione 
alle 
bambine 
e 
ai 
bambini, alle 
alunne 
e 
agli 
alunni, alle 
studentesse 
e 
agli 
studenti 
per 
i 
quali 
sia accertata l’impossibilità della frequenza 
scolastica per 
un periodo non inferiore 
a trenta giorni 
di 
lezione, anche 
non 
continuativi, a causa di 
gravi 
patologie 
certificate, anche 
attraverso progetti 
che 
possono avvalersi 
dell’uso delle 
nuove 
tecnologie 
(art. 16, decreto legislativo 
13 aprile 
2017, n. 66), l’attività di 
istruzione 
domiciliare 
in presenza 
può 
essere 
programmata 
in 
riferimento 
a 
quanto 
previsto 
dal 
piano 
educativo 
individualizzato, presso il 
domicilio dell’alunno, qualora le 
famiglie 
ne 
facciano 
richiesta 
e 
ricorrano 
condizioni 
di 
contesto 
idonee 
a 
contemperare 
il 
diritto all’istruzione 
dell’alunno in istruzione 
domiciliare 
con l’impiego del 
personale 
già 
in 
servizio 
presso 
l’istituzione 
scolastica, 
anche 
nel 
rispetto 
delle 
misure 
idonee 
a garantire 
la sicurezza sui 
luoghi 
di 
lavoro, assicurando 
tutte 
le 
prescrizioni 
previste 
dalle 
disposizioni 
in 
materia 
di 
contrasto 
alla 
diffusione 
dell’epidemia da covid-19”. 


In base 
alle 
linee 
guida 
allegate 
al 
D.m. 6 giugno 2019, n. 461 che 
disciplinano 
“la 
scuola 
in 
ospedale 
e 
l’istruzione 
domiciliare”, 
il 
servizio 
di 



raSSeGna 
avvocatUra 
Dello 
Stato -n. 4/2022 


istruzione 
domiciliare 
può 
essere 
erogato 
nei 
confronti 
di 
alunni, 
iscritti 
a 
scuole 
di 
ogni 
ordine 
e 
grado, anche 
paritarie, a 
seguito di 
formale 
richiesta 
della 
famiglia 
e 
di 
idonea 
e 
dettagliata 
certificazione 
sanitaria, 
in 
cui 
è 
indicata 
l’impossibilità 
a 
frequentare 
la 
scuola 
per 
un 
periodo 
non 
inferiore 
ai 
30 
giorni 
(anche 
non 
continuativi) 
rilasciata 
dal 
medico 
ospedaliero 
o 
comunque 
dai 
servizi sanitari nazionali. 


Durante 
il 
periodo della 
pandemia, le 
richieste 
sono state 
moltissime 
ma 
il 
ministero dell’istruzione 
non poteva 
assicurare 
lo stesso monte 
ore 
di 
sostegno 
in presenza 
(nella 
specie 
22 ore 
settimanali) previsto nel 
Piano educativo 
Personalizzato 
(PeI) 
come 
istruzione 
domiciliare 
non 
avendo 
la 
disponibilità 
di 
un numero sufficiente 
di 
insegnanti 
destinati 
ad andare 
nelle 
case 
dei 
singoli 
alunni; 
nelle 
ordinanze 
del 
tribunale 
di 
roma 
si 
è 
affermato 
che, 
nell’attuale 
quadro 
di 
riferimento, 
l’attività 
educativa 
prosegue 
-negli 
istituti 
che 
in tal 
senso si 
sono organizzati 
-attraverso un sistema 
di 
didattica 
a 
distanza, “modalità di 
fruizione 
del 
servizio scuola che 
presenta una certa 
complessità e 
rispetto alla quale 
la presenza di 
un insegnante 
di 
sostegno che 
supporti 
gli 
alunni 
con 
maggiori 
difficoltà 
aiutandoli 
a 
seguire 
quanto 
accade, 
se 
possibile 
si 
prospetta 
ancor 
più 
significativa 
e 
rilevante 
per 
consentire 
loro 
di 
accedere 
nella massima misura possibile 
all’istruzione 
cui 
hanno diritto”: 
in 
questo 
contesto, 
il 
diritto 
all’istruzione 
dei 
disabili 
deve 
essere 
modulato 
“secondo 
le 
attuali 
caratteristiche 
dell’offerta 
scolastica” 
(tribunale 
di 
roma, 
ordinanze rese nei giudizi r.g. nn. 77275/2019 e 3829/2020). 


negli 
ospedali, invece, è 
prevista 
l’istruzione 
scolastica 
per i 
bambini 
ricoverati 
con insegnanti 
presenti 
sul 
posto che 
consente, soprattutto a 
quelli 
la 
cui 
degenza 
è 
prolungata, di 
non perdere 
preziosi 
periodi 
di 
insegnamento e 
il 
contatto diretto con gli insegnanti. 


8. 
Da 
ultimo 
vorrei 
citare 
la 
recente 
sentenza 
della 
corte 
di 
Giustizia 
dell’Unione 
europea, causa 
c-344/20 del 
13 ottobre 
2022 in tema 
di 
divieto 
di indossare il velo nei luoghi di lavoro in una causa pregiudiziale Belga. 
la 
corte 
di 
Giustizia 
ha 
affermato 
che 
l’articolo 
2, 
paragrafo 
2, 
lettera 
a), 
della 
direttiva 
2000/78/ce, 
che 
stabilisce 
un 
quadro 
generale 
per 
la 
parità 
di 
trattamento 
in 
materia 
di 
occupazione 
e 
di 
condizioni 
di 
lavoro, 
deve 
essere 
interpretato 
nel 
senso 
che 
una 
disposizione 
di 
un 
regolamento 
di 
lavoro 
di 
un’impresa 
che 
vieta 
ai 
dipendenti 
di 
manifestare 
con 
l’abbigliamento 
o 
in 
qualsiasi 
altro 
modo, 
le 
loro 
convinzioni 
religiose 
o 
filosofiche, 
di 
qualsiasi 
tipo, 
non 
costituisce, 
nei 
confronti 
dei 
dipendenti 
che 
intendono 
esercitare 
la 
loro 
libertà 
di 
religione 
e 
di 
coscienza 
indossando 
visibilmente 
un 
segno 
o 
un 
indumento 
con 
connotazione 
religiosa, 
una 
discriminazione 
diretta 
«basata 
sulla 
religione 
o 
sulle 
convinzioni 
personali», 
ai 
sensi 
di 
tale 
direttiva, 
a 
condizione 
che 
tale 
disposizione 
sia 
applicata 
in 
maniera 
generale 
e 
indiscriminata. 


Il 
rinvio 
pregiudiziale 
è 
stato 
disposto 
dal 
tribunale 
del 
lavoro 
di 
Bru



temI 
IStItUzIonalI 


xelles 
nell’ambito di 
una 
controversia 
tra 
la 
ricorrente, di 
fede 
musulmana 
e 
un’impresa 
in merito alla 
mancata 
presa 
in considerazione 
della 
candidatura 
spontanea 
della 
ricorrente 
a 
un tirocinio in seguito al 
rifiuto di 
quest’ultima 
di 
rispettare 
il 
divieto 
imposto 
dall’azienda 
ai 
suoi 
dipendenti 
di 
manifestare, 
segnatamente 
mediante 
l’abbigliamento, 
le 
loro 
convinzioni 
religiose, 
filosofiche 


o politiche, nella specie mediante il porto del velo. 
Della 
questione 
del 
divieto del 
velo si 
è 
occupata 
anche 
la 
corte 
europea 
dei 
Diritti 
dell’Uomo sotto il 
profilo delle 
potenziali 
violazioni 
del 
diritto alla 
libertà 
di 
pensiero, coscienza 
e 
religione 
che 
ne 
deriverebbero. Il 
primo caso 
in cui 
la 
corte 
di 
Strasburgo si 
è 
pronunciata 
sull’uso del 
velo islamico è 
del 
2001 (dalhab c. svizzera): 
la 
ricorrente 
era 
un’insegnante 
di 
una 
scuola 
primaria 
convertita 
all’Islam. Il 
ricorso alla 
cedu era 
conseguente 
al 
divieto di 
indossare 
il 
velo in classe. In quel 
caso la 
cedu considerò il 
divieto del 
velo 
giustificato e 
proporzionato non solo al 
fine 
di 
tutelare 
i 
diritti 
e 
le 
libertà 
dei 
giovani 
studenti 
facilmente 
influenzabili 
e 
di 
evitare 
lo sviluppo del 
proselitismo, 
ma 
anche 
in quanto simbolo imposto alle 
donne 
da 
un precetto coranico 
discriminatorio tra 
i 
due 
sessi, non in linea 
con i 
principi 
che 
ogni 
insegnante 
dovrebbe trasmettere ai propri allievi. 

anche 
nel 
2014 (sas 
c. francia) la 
corte 
europea 
negò il 
contrasto con 
la 
convenzione 
della 
legge 
francese 
dell’11 ottobre 
2010 che 
proibisce 
l’occultamento 
del 
volto negli 
spazi 
pubblici. Divieto giustificato anche 
nel 
caso 
belcacemi 
e 
oussar 
c. belgio. anche 
allora 
il 
divieto di 
velo nei 
luoghi 
pubblici 
non fu considerato una 
violazione 
degli 
articoli 
della 
convenzione, ed in 
particolare 
dell’art. 8 sul 
diritto al 
rispetto per la 
vita 
familiare 
e 
privata, del-
l’articolo 9 sulla 
libertà 
di 
pensiero, di 
coscienza 
e 
religione 
e 
dell’articolo 14 
sul divieto di discriminazione. 


va 
infatti 
evidenziato che 
“hijab”, il 
velo islamico, significa 
rendere 
invisibile, 
celare 
allo sguardo, nascondere, coprire 
mentre 
le 
donne 
non devono 
in 
alcun 
modo 
nascondersi 
o 
rendersi 
invisibili 
e 
l’incontro 
di 
oggi 
ne 
è 
un’importante 
testimonianza. 


Wally ferrante 
avvocato dello stato 



ContenzioSoCoMUnitarioedinternazionale
Moore 
v. 
Harper 
Un’importante sentenza della Corte Suprema 
degli Stati Uniti sul controllo di costituzionalità 


Marco Cerase* 


Con 
la 
sentenza 
Moore 
v. 
Harper 
(emanata 
il 
27 
giugno 
2023)(1), 
la 
Corte 
Suprema 
degli 
Stati 
Uniti 
ha 
colto 
l’occasione 
per 
tornare 
ai 
fondamentali 
della 
giustizia 
costituzionale. Il 
caso era 
processualmente 
intricato ma 
si 
può 
sintetizzare 
come 
segue 
(risparmiando 
al 
lettore 
alcune 
torsioni 
procedurali 
che non intaccano il senso della sentenza). 


La 
Costituzione 
americana 
del 
1787, all’art. I, quarto comma, assegna 
ai 
parlamenti 
(rectius: 
ai 
poteri 
legislativi) 
statali 
il 
compito 
di 
definire 
tempi, 
luoghi 
e 
modalità 
di 
elezione 
dei 
rappresentanti 
di 
ciascuno 
Stato 
alla 
Camera 
dei 
rappresentanti 
federale 
in Washington. La 
legge 
statale 
può, per esempio, 
stabilire 
il 
metodo 
elettorale 
(proporzionale, 
maggioritario 
uninominale 
a 
turno 
secco all’inglese 
o con eventuale 
ballottaggio alla 
francese, eccetera). In base 
a 
questa 
competenza 
costituzionale, 
gli 
Stati 
possono 
anche 
disegnare 
(e 
molto 
spesso disegnano) i collegi elettorali. 


Nella 
storia 
elettorale 
e 
politica 
degli 
USA, si 
parla 
al 
riguardo di 
gerrymandering, 
poiché 
la 
definizione 
territoriale 
dei 
collegi 
molto di 
frequente 
è 
fatta 
in modo da 
comprendere 
appositamente 
sacche 
di 
popolazione 
incline 
a 
votare 
per l’un partito piuttosto che 
per l’altro, dando luogo a 
piantine 
che 
somigliano 
a 
salamandre. 
Sicché 
le 
maggioranze 
interne 
ai 
legislativi 
statali 
hanno una notevole influenza sulla composizione del Congresso federale. 


Ne 
viene 
che 
la 
materia 
del 
gerrymandering 
è 
politicamente 
molto sen


(*) Consigliere della Camera dei deputati. 


(1) Consultabile: 
https://www.supremecourt.gov/opinions/22pdf/21-1271_3f14.pdf 



rASSegNA 
AVVOCATUrA 
deLLO 
STATO -N. 4/2022 


sibile 
e, in relazione 
a 
essa, spessissimo nascono controversie 
giudiziarie; 
ne 
consegue 
ancora 
che, 
non 
di 
rado, 
le 
cartine 
elettorali 
contenute 
in 
leggi 
statali 
vengano dichiarate 
illegittime 
per irragionevolezza 
dai 
tribunali 
e 
annullate 
o 
corrette, 
soprattutto 
se 
finiscono 
per 
rivelare 
risvolti 
razziali 
(vale 
a 
dire 
se 
inducono 
esiti 
di 
sotto-rappresentazione 
delle 
comunità 
afroamericane 
o 
di 
altre 
minoranze etniche). 

In pratica, le 
forze 
di 
minoranza 
nei 
legislativi 
statali 
fanno affidamento 
sul 
contenzioso 
giudiziario 
per 
ottenere 
rimedi 
contro 
quello 
che 
ritengono 
un 
gerrymandering 
fatto in loro danno. 


Nel 
caso deciso con la 
sentenza 
Moore, era 
accaduto che 
la 
maggioranza 
repubblicana 
nel 
congresso statale 
della 
Carolina 
del 
Nord aveva 
approvato 
una 
legge 
nel 
2021, 
con 
annessa 
una 
piantina, 
molto 
squilibrata 
in 
favore 
della 
propria 
parte 
politica, soprattutto raggruppando in quattro soli 
collegi 
su 12 il 
grosso del voto statisticamente democratico. 


di 
qui 
il 
ricorso dei 
democratici 
al 
tribunale 
statale, il 
quale 
tuttavia 
lo 
aveva 
respinto 
ritenendo 
che 
la 
materia 
dei 
collegi 
elettorali 
fosse 
una 
c.d. 
Political 
question 
(espressione 
che 
in 
Italia 
potrebbe 
essere 
tradotta 
in 
discrezionalità 
legislativa 
o, anche, per la 
giurisdizione 
amministrativa, a 
metà 
strada 
tra 
atto 
politico 
e 
di 
alta 
amministrazione)(2) 
e, 
quindi, 
assai 
difficilmente 
sindacabile 
in sede di legittimità. 


I 
democratici 
allora 
avevano 
fatto 
ricorso 
alla 
Corte 
suprema 
statale 
della 
Carolina 
del 
Nord, sulla 
base 
delle 
Costituzioni 
sia 
statale 
(la 
quale 
contiene 
il 
principio della 
libertà 
del 
voto) sia 
federale 
(il 
cui 
XIV 
emendamento prevede 
il 
principio 
di 
eguaglianza), 
deducendo 
pertanto 
la 
violazione 
della 
libertà 
ed 
eguaglianza 
nel 
voto 
(non 
dissimilmente 
dall’art. 
48 
della 
Costituzione 
italiana). 
La 
Corte 
suprema 
della 
Carolina 
del 
Nord aveva 
riformato la 
sentenza 
di 
primo 
grado 
e 
ritenuto 
che 
-sì 
-i 
legislativi 
statali 
godono 
di 
discrezionalità 
nel 
definire 
i 
collegi; 
e 
che 
la 
materia 
della 
statuizione 
dei 
confini 
territoriali 
dei 
collegi 
elettorali 
è 
Political 
question 
nelle 
corti 
federali 
(specie 
ai 
sensi 
del 
precedente 
della 
Corte 
Suprema 
federale 
rucho 
v. 
Common 
Cause 
del 
2019). Ma 
tutto ciò non impedisce 
alle 
corti 
statali 
di 
ravvisare 
che 
la 
discrezionalità 
politica 
adoperata 
dai 
legislativi 
abbia 
sconfinato nell’illogico e 
nel-
l’irragionevole. 

In conclusione, la 
Corte 
suprema 
statale 
aveva 
accolto il 
ricorso e 
annullato 
la 
piantina 
dei 
collegi 
approvata, 
con 
l’ordine 
accessorio 
al 
legislativo 
statale 
di approvarne un’altra. 


I 
repubblicani 
a 
quel 
punto 
avevano 
fatto 
ricorso 
alla 
Corte 
Suprema 
federale. 


Qui 
però 
occorreva 
far 
valere 
un 
tono 
costituzionale 
della 
lite, 
giacché 
raramente la Corte a 
Washington decide di esaminare questioni nel merito. 


(2) In argomento v. T. LUNdMArk, Power 
and Rights 
in US constitutional 
law, Oceana 
Publications, 
New 
York 2001, pag. 90. 

CONTeNZIOSO 
COMUNITArIO 
ed 
INTerNAZIONALe 


e 
i 
ricorrenti 
repubblicani 
avevano fatto valere 
una 
tesi 
sinora 
isolata 
in 
dottrina, 
vale 
a 
dire 
che 
l’art. 
I 
della 
Costituzione 
-nell’assegnare 
ai 
legislativi 
statali 
il 
potere 
di 
determinare 
tempi 
e 
modalità 
delle 
elezioni 
dei 
membri 
dei 
congressi 
statale 
e 
federale 
-conferisce 
loro 
una 
riserva 
assoluta, 
tale 
da 
essere 
sottratta persino alla giurisdizione. 


In base 
a 
una 
simile 
teoria, che 
va 
ben oltre 
la 
Political 
question, in materia 
di 
sistema 
di 
voto, 
gli 
Stati 
sarebbero 
sottratti 
a 
qualsiasi 
controllo 
perché 
la 
Costituzione 
federale 
assegna 
quel 
potere 
ai 
legislativi 
statali 
e 
non anche 
al potere giudiziario. 


diverse 
voci 
(e 
con 
esse 
il 
rappresentante 
del 
governo 
degli 
USA) 
si 
erano 
levate 
contro questa 
lettura, sottolineando che 
essa, in definitiva, metteva 
in 
discussione 
il 
sindacato di 
legittimità 
sulle 
leggi 
e, dunque, minava 
alla 
base 
il 
principio secolare 
stabilito nella 
celeberrima 
sentenza 
Marbury v. 
Madison 
del 1803 (3). 


Come 
noto, in quella 
sentenza 
furono fissati 
allo stesso tempo la 
rigidità 
delle 
costituzioni 
rispetto alla 
legislazione 
ordinaria, la 
separazione 
dei 
poteri 
e 
il 
principio della 
giustiziabilità 
dei 
diritti. Accogliere 
il 
ricorso proposto per 
conto 
della 
maggioranza 
del 
legislativo 
statale 
della 
Carolina 
del 
Nord 
avrebbe 
significato mandare 
in cenere 
in un colpo solo 220 anni 
di 
costituzionalismo 
contemporaneo. 


ebbene, con una 
maggioranza 
di 
6 giudici 
a 
3 e 
con relatore 
il 
Chief 
Justice 
John roberts, la 
Corte 
Suprema 
degli 
Stati 
Uniti 
si 
è 
incaricata 
di 
ristabilire 
chiarezza e ribadire la validità della sentenza 
Marbury. 


Proprio partendo da 
questa 
pronunzia, il 
giudice 
roberts 
ricorda 
che 
appartiene 
alla 
storia 
giuridica 
degli 
Stati 
Uniti 
(e 
di 
tutte 
le 
democrazie, 
verrebbe 
da 
dire) 
che 
vi 
debba 
essere 
un 
giudice 
che 
possa 
verificare 
la 
legittimità 
delle 
leggi 
in base 
alla 
Costituzione 
(v. pag. 12 della 
sentenza). Peraltro, tracce 
di 
questa 
competenza 
di 
controllo 
di 
costituzionalità 
sono 
rinvenibili 
-scrive 
roberts 
-anche 
prima 
della 
stessa 
formazione 
degli 
Stati 
Uniti 
-nei 
singoli 
stati 
che poi si federarono. 

Nessuna 
sorpresa, allora, che 
il 
judicial 
review 
sia 
stato praticato molte 
volte 
proprio in materia 
elettorale 
e 
che 
la 
teoria 
della 
riserva 
assoluta 
ai 
legislativi 
statali sia stata ritenuta infondata. 


Nel 
caso Ohio v. 
Hildebrandt 
del 
1916 era 
successo che 
il 
legislativo statale 
aveva 
disegnato collegi 
elettorali 
che 
erano stati 
sottoposti 
a 
referendum 
popolare 
e, in tal 
modo, abrogati. Il 
legislativo statale 
dell’Ohio aveva 
fatto 
ricorso alla 
Corte 
Suprema 
federale 
per far valere 
il 
suo potere 
esclusivo, ma 
la Corte era andata di avviso opposto (v. pag. 15 della sentenza). 

(3) In argomento, si 
fa 
rinvio a 
T. LUNdMArk, Power 
and Rights, cit., pag. 76 e, per il 
lettore 
italiano, 
a 
g. ZAgrebeLSkY, La giustizia costituzionale, Mulino, bologna 
1977, pag. 167 e 
V. CrISAfULLI, 
Lezioni di diritto costituzionale, vol. II, Cedam, Padova 1984, pag. 260. 

rASSegNA 
AVVOCATUrA 
deLLO 
STATO -N. 4/2022 


Nel 
1932 -poi 
-nel 
caso Smiley v. 
Holm, era 
successo che 
una 
legge 
che 
recava 
un 
marcato 
gerrymandering 
in 
Minnesota 
era 
stato 
oggetto 
del 
veto 
del 
governatore. Anche 
in questo caso, il 
legislativo statale 
aveva 
tentato di 
far valere 
il 
suo potere 
esclusivo in materia 
elettorale 
nei 
confronti 
dell’esecutivo 
ma 
la 
Corte 
Suprema 
federale 
aveva 
deciso in senso contrario (v. pag. 
16 della sentenza). 

Più 
di 
recente, 
nel 
caso 
Arizona 
v. 
Independent 
redistricting 
Commission 
del 
2015, 
si 
era 
posto 
il 
caso 
di 
un’iniziativa 
legislativa 
popolare 
la 
quale 
aveva 
condotto 
nientemeno 
che 
a 
una 
modifica 
della 
Costituzione 
statale, 
ai 
sensi 
della 
quale 
al 
legislativo 
statale 
era 
stato 
sottratto 
il 
potere 
di 
procedere 
al 
gerrymandering 
(!) e 
affidato il 
compito di 
disegnare 
i 
collegi 
a 
un’autorità 
indipendente. 
Il 
legislativo 
statale 
dell’Arizona 
si 
era 
quindi 
rivolto 
alla 
Corte 
Suprema 
federale 
per far valere 
il 
contrasto di 
tale 
modifica 
costituzionale 
in 
sede 
statale 
con 
l’art. 
I, 
quarto 
comma, 
della 
Costituzione 
federale. 
Questa 
però 
aveva 
stabilito 
che 
tale 
ultima 
disposizione 
non 
preclude 
agli 
stati 
di 
esercitare 
i 
poteri 
elettorali 
in 
modo 
da 
delegarli 
a 
un’autorità 
terza 
e 
indipendente. 

La 
sentenza 
redatta 
dal 
Chief 
Justice 
roberts 
-dunque 
-respinge 
la 
tesi 
della 
riserva 
assoluta 
ai 
legislativi 
statali 
in 
materia 
elettorale 
e 
afferma 
che 
il 
potere 
giurisdizionale 
statale 
vi 
ha 
voce 
in 
capitolo. 
Ma 
anche 
qui, 
entro 
limiti 
ragionevoli 
(“State 
courts 
do 
not 
have 
free 
rein” 
è 
l’espressione 
usata 
in 
sentenza). 


A 
loro volta, le 
decisioni 
delle 
corti 
statali 
dovranno fare 
i 
conti 
con la 
Costituzione 
federale 
e 
pertanto con l’interpretazione 
che 
di 
essa 
fa 
la 
Corte 
Suprema 
federale. 
In 
tal 
senso, 
roberts 
cita 
il 
caso 
bush 
v. 
gore 
del 
2000, 
che 
di 
fatto assegnò la 
vittoria 
alle 
elezioni 
presidenziali 
a 
george 
W. bush, nonostante 
questi 
avesse 
-sul 
piano nazionale 
-ottenuto circa 
mezzo milione 
di 
voti 
meno di 
gore 
(4). In quella 
circostanza, la 
Corte 
Suprema 
federale 
aveva 
cassato una 
decisione 
della 
Corte 
suprema 
dello Stato della 
florida, la 
quale 
aveva 
a 
sua 
volta 
ordinato 
un 
nuovo 
conteggio 
delle 
schede 
elettorali. 
In 
larga 
sostanza, la 
Corte 
Suprema 
a 
Washington aveva 
sostituito il 
proprio giudizio 
sulla 
ragionevolezza 
delle 
procedure 
elettorali 
a 
quello 
della 
Corte 
statale 
(così, 
peraltro, 
suscitando 
il 
marcato 
dissenso 
di 
4 
giudici 
su 
9). 
Nella 
sentenza 
Moore 
la 
Corte 
ribadisce 
il 
concetto 
inerente 
al 
proprio 
potere 
di 
sindacato 
sulle 
decisioni 
dei 
tribunali 
statali. 
Con 
ciò 
la 
Corte 
Suprema 
ristabilisce 
la 
gerarchia delle fonti e l’ordine dei poteri. 


Vale 
la 
pena 
-in 
chiusura 
-rammentare 
che 
nel 
nostro 
ordinamento 
il 
tema 
generale 
del 
sindacato 
di 
legittimità 
costituzionale, 
previsto 
espressamente 
dall’art. 
134, 
primo 
capoverso, 
della 
Costituzione, 
ha 
dato 
luogo 
in 
tema 
elettorale 
a 
un dibattito non lontano dai 
concetti 
della 
Political 
question. La 
Corte 
costituzionale 
ha 
infatti 
affermato 
che 
“il 
sistema 
elettorale, 
tuttavia, 


(4) 
Sulla 
pronunzia 
sia 
consentito 
rinviare 
a 
M. 
CerASe, 
Le 
elezioni 
presidenziali 
del 
2000 
innanzi 
alla Corte Suprema degli Stati Uniti, in Giurisprudenza costituzionale 
2000, pag. 4449. 

CONTeNZIOSO 
COMUNITArIO 
ed 
INTerNAZIONALe 


pur 
costituendo 
espressione 
dell’ampia 
discrezionalità 
legislativa, 
non 
è 
esente 
da controllo, essendo sempre 
censurabile 
in sede 
di 
giudizio di 
costituzionalità 
quando risulti 
manifestamente 
irragionevole 
(sentenze 
n. 242 del 
2012 e 
n. 107 del 
1996; ordinanza n. 260 del 
2002)” 
(sentenza 
n. 1 del 
2014, 
punto 
3.1 
del 
Considerato 
in 
diritto) 
(5). 
Proprio 
per 
questo, 
l’Avvocatura 
dello Stato -nei 
giudizi 
nei 
quali 
si 
contesta 
la 
legittimità 
di 
leggi 
elettorali 
non 
si 
può limitare 
a 
eccepire 
l’inammissibilità 
delle 
questioni 
per essere 
esse 
riservate 
alla 
discrezionalità 
politica 
del 
Parlamento 
ma 
è 
chiamata 
a 
confrontarsi 
più in profondità 
con gli 
specifici 
meccanismi 
di 
traduzione 
dei 
voti 
in 
seggi (v., per esempio, la sentenza n. 35 del 2017). 

(5) Per acute 
osservazioni 
su questa 
pronunzia 
v. di 
recente 
M. LUCIANI, Ogni 
cosa al 
suo posto, 
giuffré fL, Milano 2023, pagg. 195 ss. 

rASSegNA 
AVVOCATUrA 
deLLO 
STATO -N. 4/2022 


la CGUe sull’obbligo vaccinale per gli esercenti le 
professioni sanitarie e gli operatori di interesse sanitario 


NOta 
a 
CORte 
di 
GiUStizia 
deLL’UNiONe 
eUROPea, SeziONe 
SeCONda, 
SeNteNza 
13 LUGLiO 
2023, CaUSa 
C-765/21 


Beatrice Gatta* 


Con 
la 
sentenza 
in 
epigrafe 
la 
Corte 
di 
giustizia 
si 
è 
pronunciata 
sulla 
compatibilità, 
con 
il 
diritto 
dell’Unione 
europea, 
dell’articolo 
4 
del 
decreto 
legge 
44 del 
1 aprile 
2021, convertito con modificazioni 
dalla 
legge 
76 del 
28 
maggio 
2021, 
riguardante 
gli 
obblighi 
vaccinali 
per 
gli 
esercenti 
le 
professioni 
sanitarie e gli operatori di interesse sanitario. 

L’aspetto controverso della 
norma 
riguardava 
la 
sospensione 
dal 
lavoro 
e dalla retribuzione prevista in capo a tali soggetti, se non vaccinati. 


I principi 
richiamati 
dal 
giudice 
del 
rinvio erano quelli 
dell’articolo 4 del 
regolamento 
(Ce) 
n. 
507/2006 
della 
Commissione, 
del 
29 
marzo 
2006, 
relativo 
all’autorizzazione 
all’immissione 
in commercio condizionata 
dei 
medicinali 
per uso umano che 
rientrano nel 
campo di 
applicazione 
del 
regolamento (Ce) 


n. 
726/2004 
del 
Parlamento 
europeo 
e 
del 
Consiglio, 
del 
regolamento 
(Ue) 
2021/953 del 
Parlamento europeo e 
del 
Consiglio, del 
14 giugno 2021, su un 
quadro per il 
rilascio, la 
verifica 
e 
l’accettazione 
di 
certificati 
interoperabili 
di 
vaccinazione, di 
test 
e 
di 
guarigione 
in relazione 
alla 
COVId-19 (certificato 
COVId 
digitale 
dell’Ue) 
per 
agevolare 
la 
libera 
circolazione 
delle 
persone 
durante 
la 
pandemia 
di 
COVId-19, 
nonché 
degli 
articoli 
3, 
35 
e 
41 
della 
Carta 
dei diritti fondamentali dell’Unione europea (di seguito anche solo “Carta”). 
Nello specifico, erano formulate le seguenti questioni pregiudiziali: 
“1) 
dica 
la 
Corte 
di 
Giustizia 
se 
le 
autorizzazioni 
condizionate 
della 
Commissione, emesse 
su parere 
favorevole 
dell’eMa, relative 
ai 
vaccini 
oggi 
in commercio, possano essere 
considerate 
ancora valide, ai 
sensi 
dell’art. 4 
del 
Reg. n. 507/2006, alla luce 
del 
fatto che, in più Stati 
membri 
(ad esempio 
in 
italia, 
approvazione 
aiFa 
del 
protocollo 
di 
cura 
con 
anticorpi 
monoclonali 
e/o 
antivirali), 
sono 
state 
approvate 
cure 
alternative 
al 
COVid 
SaRS 
2 
efficaci 
e 
in thesi 
meno pericolose 
per 
la salute 
della persona, e 
ciò anche 
alla luce 
degli artt. 3 e 35 della Carta di Nizza. 


2) dica la Corte 
di 
Giustizia se, nel 
caso di 
sanitari 
per 
i 
quali 
la legge 
dello 
Stato 
membro 
abbia 
imposto 
il 
vaccino 
obbligatorio, 
i 
vaccini 
approvati 
dalla 
Commissione 
in 
forma 
condizionata 
ai 
sensi 
e 
agli 
effetti 
del 
Regolamento 
n. 507/2006, possano essere 
utilizzati 
al 
fine 
della vaccinazione 
obbli(*) 
dottoressa 
in 
giurisprudenza, 
praticante 
presso 
l’Avvocatura 
generale 
dello 
Stato 
(avv. 
Stato 
fabrizio 
Urbani Neri). 



CONTeNZIOSO 
COMUNITArIO 
ed 
INTerNAZIONALe 


gatoria anche 
qualora i 
sanitari 
in parola siano già stati 
contagiati 
e 
quindi 
abbiano già raggiunto una immunizzazione 
naturale 
e 
possano quindi 
chiedere 
una deroga dall’obbligo. 


3) dica la Corte 
di 
Giustizia se, nel 
caso di 
sanitari 
per 
i 
quali 
la legge 
dello 
Stato 
membro 
abbia 
imposto 
il 
vaccino 
obbligatorio, 
i 
vaccini 
approvati 
dalla 
Commissione 
in 
forma 
condizionata 
ai 
sensi 
e 
agli 
effetti 
del 
Regolamento 
n. 507/2006, possano essere 
utilizzati 
al 
fine 
della vaccinazione 
obbligatoria 
senza procedimentalizzazione 
alcuna con finalità cautelativa o se, in 
considerazione 
della condizionalità dell’autorizzazione, i 
sanitari 
medesimi 
possano opporsi 
all’inoculazione, quanto meno fintantoché 
l’autorità sanitaria 
deputata 
abbia 
escluso 
in 
concreto, 
e 
con 
ragionevole 
sicurezza, 
da 
un 
lato, che 
non vi 
siano controindicazioni 
in tal 
senso, dall’altro, che 
i 
benefici 
che 
ne 
derivano siano superiori 
a quelli 
derivanti 
da altri 
farmaci 
oggi 
a disposizione. 
Chiarisca 
la 
Corte 
se 
in 
tal 
caso, 
le 
autorità 
sanitarie 
deputate 
debbano procedere nel rispetto dell’art. 41 della Carta di Nizza. 
4) 
dica 
la 
Corte 
di 
giustizia 
se, 
nel 
caso 
del 
vaccino 
autorizzato 
dalla 
Commissione 
in forma condizionata, l’eventuale 
non assoggettamento al 
medesimo 
da 
parte 
del 
personale 
medico 
sanitario 
nei 
cui 
confronti 
la 
legge 
dello 
Stato 
impone 
obbligatoriamente 
il 
vaccino, 
possa 
comportare 
automaticamente 
la sospensione 
dal 
posto di 
lavoro senza retribuzione 
o se 
si 
debba prevedere 
una 
gradualità 
delle 
misure 
sanzionatorie 
in 
ossequio 
al 
principio 
fondamentale di proporzionalità. 
5) 
dica 
la 
Corte 
di 
Giustizia 
se 
laddove 
il 
diritto 
nazionale 
consenta 
forme 
di 
dépeçage, la verifica della possibilità di 
utilizzazione 
in forma alternativa 
del 
lavoratore, debba avvenire 
nel 
rispetto del 
contraddittorio ai 
sensi 
e 
agli 
effetti 
dell’art. 41 della Carta di 
Nizza, con conseguente 
diritto al 
risarcimento 
del danno nel caso in cui ciò non sia avvenuto. 
6) dica la Corte 
di 
Giustizia se, alla luce 
del 
Regolamento n. 953/21 che 
vieta 
qualunque 
discriminazione 
fra 
chi 
ha 
assunto 
il 
vaccino 
e 
chi 
non 
ha 
voluto o potuto per 
ragioni 
mediche 
assumerlo, sia legittima una disciplina 
nazionale, quale 
quella risultante 
dall’art. 4, comma 11, del 
decreto legge 
n. 
44/2021, 
che 
consente 
al 
personale 
sanitario 
che 
è 
stato 
dichiarato 
esente 
dall’obbligo di 
vaccinazione 
di 
esercitare 
la propria attività a contatto con il 
paziente, 
ancorché 
rispettando 
i 
presidi 
di 
sicurezza 
imposti 
dalla 
legislazione 
vigente, mentre 
il 
sanitario che 
come 
la ricorrente 
-in quanto naturalmente 
immune 
a seguito di 
contagio -non voglia sottoporsi 
al 
vaccino senza approfondite 
indagini 
mediche, viene 
automaticamente 
sospeso da qualunque 
atto 
professionale e senza remunerazione. 
7) 
dica 
la 
Corte 
se 
sia 
compatibile 
con 
il 
Regolamento 
n. 
953 
del 
2021 
e 
i 
principi 
di 
proporzionalità 
e 
di 
non 
discriminazione 
ivi 
contenuti, 
la 
disciplina 
di 
uno 
Stato 
membro 
che 
imponga 
obbligatoriamente 
il 
vaccino 
anti-Covid 
autorizzato 
in 
via 
condizionata 
dalla 
Commissione 
-a 
tutto 
il 
personale 
sanita

rASSegNA 
AVVOCATUrA 
deLLO 
STATO -N. 4/2022 


rio 
anche 
se 
proveniente 
da 
altro 
Stato 
membro 
e 
sia 
presente 
in 
italia 
ai 
fini 
dell’esercizio 
della 
libera 
prestazione 
dei 
servizi 
e 
della 
libertà 
di 
stabilimento”. 


Questione in fatto e normativa nazionale. 


In fatto la 
controversia 
traeva 
origine 
dal 
ricorso al 
Tribunale 
ordinario 
di 
Padova, in funzione 
di 
giudice 
del 
lavoro, presentato da 
un’infermiera 
professionale 
presso 
l’Azienda 
Ospedale-Università 
di 
Padova 
a 
seguito 
della 
sospensione 
dal 
lavoro 
e 
dalla 
retribuzione 
per 
violazione 
dell’obbligo 
vaccinale. 


La 
ricorrente 
chiedeva 
di 
essere 
riammessa 
in 
servizio, 
affermando 
la 
contrarietà 
dell’articolo 4 del 
d. l. 44/2021 al 
diritto dell’Unione 
e 
alla 
Costituzione 
della repubblica Italiana. 


In base 
alla 
normativa 
controversa, gli 
esercenti 
le 
professioni 
sanitarie 
e 
gli 
operatori 
di 
interesse 
sanitario -salvo i 
casi 
di 
accertato pericolo per la 
salute 
in 
relazione 
a 
specifiche 
condizioni 
cliniche 
documentate 
-erano 
obbligati 
a 
sottoporsi 
alla 
vaccinazione 
gratuita, 
comprensiva 
della 
dose 
di 
richiamo 
successiva 
al 
ciclo 
vaccinale 
primario, 
costituendo 
requisito 
essenziale 
per 
l’esercizio della 
professione 
e 
per lo svolgimento delle 
prestazioni 
lavorative 
dei soggetti obbligati. 

Tale 
norma 
era 
elaborata 
con 
il 
fine 
di 
tutelare 
la 
salute 
pubblica, 
tenendo 
conto 
delle 
valutazioni 
scientifiche 
per 
cui 
il 
vaccino 
rappresenta 
lo 
strumento 
più efficace 
per ridurre 
il 
contagio e 
gli 
sviluppi 
più gravi 
della 
malattia, nonché 
delle 
particolari 
cautele 
a 
cui 
sono tenuti 
i 
soggetti 
preposti 
alla 
cura 
di 
soggetti fragili. 

Come 
emerge 
nella 
relazione 
illustrativa 
del 
d.l. 
44/2021: 
“L’introduzione 
di 
un siffatto obbligo per 
le 
categorie 
professionali 
considerate 
nasce 
dalla constatazione 
che 
la vaccinazione 
degli 
operatori 
sanitari, unitamente 
alle 
altre 
misure 
di 
protezione 
collettiva 
e 
individuale 
per 
la 
prevenzione 
della 
trasmissione 
degli 
agenti 
infettivi 
nelle 
strutture 
sanitarie 
e 
negli 
studi 
professionali, 
ha 
valenza 
multipla: 
consente 
di 
salvaguardare 
l’operatore 
rispetto 
al 
rischio 
infettivo 
professionale, 
contribuisce 
a 
proteggere 
i 
pazienti 
dal 
contagio 
in 
ambiente 
assistenziale 
e 
serve 
a 
difendere 
l’operatività 
dei 
servizi 
sanitari, 
garantendo 
la 
qualità 
delle 
prestazioni 
erogate, 
e 
contribuisce 
a 
perseguire gli obiettivi di sanità pubblica”. 


Questioni pregiudiziali. 


Il 
giudice 
remittente, 
dopo 
aver 
affermato 
che 
le 
autorizzazioni 
alla 
messa 
in commercio dei 
vaccini 
anti-Covid sono atti 
di 
diritto dell’Unione 
e, come 
tali, valutabili 
sotto il 
profilo di 
legittimità 
solo dalla 
Corte 
di 
giustizia, con 
ordinanza 
di 
rinvio 
del 
17 
dicembre 
2021, 
formulava 
la 
domanda 
di 
pronuncia 
pregiudiziale alla Corte di giustizia, ai sensi dell’articolo 267 TfUe. 

Con 
la 
prima 
questione, 
il 
giudice 
del 
rinvio 
si 
interrogava 
sulla 
validità 
delle 
c.d. 
autorizzazioni 
all’immissione 
in 
commercio 
condizionate, 
concesse 



CONTeNZIOSO 
COMUNITArIO 
ed 
INTerNAZIONALe 


dalla 
Commissione 
europea, 
previo 
parere 
dell’Agenzia 
europea 
per 
i 
medicinali 
(eMA), 
alla 
luce 
delle 
“nuove 
emersioni 
mediche” 
e 
delle 
“nuove 
acquisizioni 
in 
termini 
di 
medicinali 
a 
disposizione”, 
considerato 
quanto 
previsto 
dall’articolo 
4 
del 
regolamento 
n. 
507/2006 
e 
dagli 
articoli 
3 
e 
35 
della 
Carta, 
volti 
a 
disciplinare, 
rispettivamente, 
l’integrità 
fisica 
e 
la 
protezione 
della 
salute. 


dalla 
seconda 
alla 
quinta 
questione, 
detto 
giudice, 
esprimeva 
dubbi 
circa 
la 
vaccinazione 
obbligatoria, dando rilievo al 
fatto che 
i 
vaccini 
fossero stati 
approvati in forma condizionata ai sensi del regolamento n. 507/2006. 


di qui giungeva a chiedere se: 


-potessero 
essere 
utilizzati 
ai 
fini 
della 
vaccinazione 
obbligatoria 
per 
coloro 
che 
fossero 
già 
stati 
contagiati 
o 
avessero 
raggiunto 
l’immunizzazione 
naturale; 


-i 
sanitari 
potessero opporsi 
all’inoculazione 
“fintantoché 
l’autorità sanitaria 
deputata” 
avesse 
escluso “controindicazioni” 
e 
avesse 
accertato “benefici 
(...) 
superiori a quelli derivanti da altri farmaci”; 
-la 
sospensione 
dal 
posto 
di 
lavoro 
potesse 
essere 
disposta 
automaticamente. 


Tale 
giudice 
richiamava, altresì, il 
contenuto dell’articolo 41 della 
Carta 
dei 
diritti 
fondamentali 
dell’Unione 
europea 
che 
sancisce 
il 
diritto 
ad 
una 
buona amministrazione. 


Con la 
sesta 
e 
la 
settima 
questione, il 
giudice 
a quo chiedeva 
se 
la 
normativa 
nazionale 
fosse 
conforme 
ai 
principi 
di 
non discriminazione 
e 
di 
proporzionalità, 
come previsti dal regolamento n. 2021/953. 

Cenni sulla giurisprudenza rilevante. 

Le 
perplessità 
del 
giudice 
remittente 
si 
inseriscono 
nell’ambito 
dell’ampio 
dibattito 
che 
si 
è 
sviluppato 
attorno 
ai 
vaccini 
a 
seguito 
della 
loro 
approvazione. 


A 
tal 
proposito, 
giova 
rammentare 
che, 
secondo 
la 
normativa 
dell’Unione 
europea, la 
commercializzazione 
del 
vaccino passa 
attraverso una 
raccomandazione 
da 
parte 
della 
competente 
Agenzia 
europea 
per i 
medicinali 
(eMA) che 
ne 
valuta 
la 
sicurezza, 
l’efficacia 
e 
la 
qualità 
-sulla 
cui 
base 
la 
Commissione 
europea 
può procedere 
all’autorizzazione 
alla 
commercializzazione, 
dopo 
aver 
sentito 
gli 
Stati 
che 
devono 
esprimersi 
favorevolmente 
a 
maggioranza 
qualificata. Nei 
casi 
dell’articolo 2 del 
regolamento n. 507/2006 (1), 
può 
essere 
approvata 
la 
procedura 
di 
“immissione 
in 
commercio 
condizionata” 
(CMA, 
Conditional 
Marketing 
Authorisation), 
prevista 
dal 
regolamento 
n. 
726/2004, 
che 
stabilisce 
la 
possibilità 
di 
ricorrere 
ad 
una 
procedura 
più 
rapida. 


(1) regolamento (Ce) n. 507/2006, art. 2 “il 
presente 
regolamento si 
applica ai 
medicinali 
per 
uso umano di 
cui 
all’articolo 3, paragrafi 
1 e 
2, del 
regolamento (Ce) n. 726/2004 e 
appartenenti 
ad 
una delle 
seguenti 
categorie: 1) medicinali 
destinati 
al 
trattamento, alla prevenzione 
o alla diagnosi 
di 
malattie 
gravemente 
invalidanti 
o 
potenzialmente 
letali; 
2) 
medicinali 
da 
utilizzare 
in 
situazioni 
di 
emergenza 
in 
risposta 
a 
minacce 
per 
la 
salute 
pubblica, 
debitamente 
riconosciute 
dall’Organizzazione 
mondiale 
della 
sanità 
ovvero 
dalla 
Comunità 
nel 
contesto 
della 
decisione 
n. 
2119/98/Ce; 
3) 
medicinali 
designati come medicinali orfani a norma dell’articolo 3 del regolamento (Ce) n. 141/2000”. 

rASSegNA 
AVVOCATUrA 
deLLO 
STATO -N. 4/2022 


La 
strategia 
vaccinale 
è 
stata 
formalmente 
approvata 
da 
tutti 
gli 
Stati 
membri, essi 
hanno poi 
disciplinato in diverso modo la 
vaccinazione, non essendo 
la materia sanitaria armonizzata. 


diversi 
paesi 
-tra 
cui 
l’Italia, la 
francia 
e 
la 
germania 
-hanno previsto 
l’obbligo 
vaccinale 
in 
capo 
a 
determinate 
categorie 
di 
soggetti, 
ciò 
ha 
condotto 
a molteplici pronunce sulla validità di detto obbligo. 

Vale 
il 
richiamo alla 
decisione 
della 
Corte 
edU, n. 41950, del 
24 agosto 
2021, che 
ha 
dichiarato l’inammissibilità 
della 
domanda 
presentata 
dai 
ricorrenti 
francesi 
(vigili 
del 
fuoco, 
operatori 
del 
soccorso 
e 
personale 
ospedaliero) 
e 
ha 
affermato la 
compatibilità 
della 
Convenzione 
edU 
con l’obbligo vaccinale 
e 
le 
conseguenti 
limitazioni 
imposte 
dagli 
ordinamenti 
nazionali 
ai 
pubblici 
dipendenti. 

Con riferimento all’obbligo vaccinale 
in capo agli 
operatori 
sanitari, si 
è 
espressa 
anche 
la 
Corte 
Costituzionale 
italiana 
(2), non censurando la 
normativa 
nazionale. 


Le 
domande 
del 
giudice 
del 
rinvio, 
nella 
sentenza 
in 
commento, 
si 
incentravano 
sulla 
validità 
dell’autorizzazione 
all’immissione 
in 
commercio 
condizionata. 
A 
tal 
proposito, 
è 
da 
menzionare 
quanto 
espresso 
dal 
Consiglio 
di 
Stato, 
sez. 
III, 
nella 
sentenza 
n. 
7045 
del 
20 
ottobre, 
per 
cui 
“l’autorizzazione 
all’immissione 
in 
commercio 
condizionata 
non 
è 
una 
scorciatoia 
incerta 
e 
pericolosa 
escogitata 
ad 
hoc 
per 
fronteggiare 
irrazionalmente 
una 
emergenza 
sanitaria 
come 
quella 
attuale, 
ma 
una 
procedura 
di 
carattere 
generale, 
idonea 
ad 
essere 
applicata 
-e 
concretamente 
applicata 
negli 
anni 
passati, 
anche 
recenti, 
soprattutto 
in 
campo 
oncologico 
-anche 
al 
di 
fuori 
della 
situazione 
pandemica, 
a 
fronte 
di 
necessità 
contingenti 
(non 
a 
caso 
la 
lotta 
contro 
i 
tumori 
ne 
è 
il 
terreno 
elettivo), 
e 
costituisce 
una 
sottocategoria 
del 
procedimento 
inteso 
ad 
autorizzare 
l’immissione 
in 
commercio 
ordinaria 
perché 
viene 
rilasciata 
sulla 
base 
di 
dati 
che 
sono, 
sì, 
meno 
completi 
rispetto 
a 
quelli 
ordinari 
-cfr. 
4° 
Considerando 
del 
Reg. 
Ce 
507/2006 
-ma 
è 
appunto 
presidiata 
da 
particolari 
garanzie 
e 
condizionata 
a 
specifici 
obblighi 
in 
capo 
al 
richiedente”. 


L’autorizzazione 
in questione, applicata 
in base 
all’articolo 2 del 
regolamento 
n. 
507/2006, 
è 
in 
grado 
di 
certificare 
la 
sicurezza, 
l’efficacia 
e 
la 
qualità 
dei 
medicinali 
approvati, essendo subordinata 
alle 
quattro condizioni 
dell’articolo 
4 dello stesso regolamento, per cui: 
a) il 
rapporto rischio/beneficio del 
medicinale 
risulta 
positivo; 
b) è 
probabile 
che 
il 
richiedente 
possa 
in seguito 
fornire 
dati 
clinici 
completi; 
c) 
il 
medicinale 
risponde 
ad 
esigenze 
mediche 
insoddisfatte; 
d) i 
benefici 
per la 
salute 
pubblica 
derivanti 
dalla 
disponibilità 
immediata 
sul 
mercato 
del 
medicinale 
in 
questione 
superano 
il 
rischio 
inerente 
al fatto che occorrono ancora dati supplementari. 


(2) 
Cfr. 
Corte 
Cost., 
sent. 
n. 
14/2023, 
IT:COST:2023:14; 
Corte 
Cost., 
sent. 
n. 
15/2023, 
IT:COST:2023:15; Corte Cost., sent. n. 16/2023, IT:COST:2023:16. 

CONTeNZIOSO 
COMUNITArIO 
ed 
INTerNAZIONALe 


Sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione europea. 


La 
Corte 
di 
giustizia, con la 
sentenza 
del 
13 luglio 2023, afferma 
che 
la 
domanda 
proposta 
dal 
giudice 
del 
rinvio 
è 
irricevibile, 
in 
quanto 
non 
risultano 
soddisfatti 
i 
requisiti 
previsti 
dall’articolo 
94, 
lettera 
c) 
del 
regolamento 
di 
procedura, 
per cui 
occorre 
illustrare 
in modo specifico i 
motivi 
che 
hanno condotto 
il 
giudice 
del 
rinvio ad interrogarsi 
sull’interpretazione 
o sulla 
validità 
di 
determinate 
disposizioni 
del 
diritto dell’Unione. Ciò, in applicazione 
della 
consolidata 
giurisprudenza 
(3) per cui 
si 
deve 
pervenire 
ad un’interpretazione 
che sia utile per il giudice nazionale. 


La 
Corte 
sostiene 
l’irricevibilità 
sulla 
base 
delle 
argomentazioni 
che 
seguono. 


Per 
quanto 
concerne 
la 
prima 
questione, 
la 
Corte, 
dichiara 
che 
“in 
assenza 
di 
qualsiasi 
spiegazione 
da parte 
del 
giudice 
del 
rinvio circa i 
motivi 
per 
cui 
esso 
mette 
in 
discussione 
la 
validità 
delle 
autorizzazioni 
all’immissione 
in 
commercio condizionate 
nonché 
circa quelli 
relativi 
all’eventuale 
nesso tra, 
da un lato, la validità di 
tali 
autorizzazioni 
e, dall’altro, l’obbligo vaccinale 
contro la COVid-19 previsto all’articolo 4 del 
decreto legge 
n. 44/2021, si 
deve 
giudicare 
che 
la presente 
domanda di 
pronuncia pregiudiziale 
non soddisfa 
i requisiti ricordati”. 


Le 
questioni 
dalla 
seconda 
alla 
quinta 
sono trattate 
congiuntamente, con 
riferimento 
ad 
esse, 
la 
Corte, 
dopo 
aver 
premesso 
che 
l’articolo 
168, 
paragrafo 
7, TfUe 
(4) non pregiudica 
la 
competenza 
degli 
Stati 
membri 
ad adottare 
disposizioni 
destinate 
a 
definire 
la 
loro politica 
sanitaria 
e 
non enuncia 
obblighi 
circa 
la 
vaccinazione 
di 
determinate 
categorie 
di 
persone 
e 
dopo aver chiarito 
che 
il 
rilascio delle 
autorizzazioni 
non ha 
l’effetto di 
imporre 
ai 
potenziali 
destinatari 
un 
obbligo 
alla 
somministrazione, 
evidenzia 
che 
“il 
giudice 
del 
rinvio 
non espone, nella sua ordinanza di 
rinvio, il 
collegamento che 
esso stabilisce 
fra, da un lato, il 
contenuto o l’oggetto di 
tali 
autorizzazioni, concesse 
conformemente 
all’articolo 4 del 
regolamento n. 507/2006, e, dall’altro, la configurazione, 
nel 
suo 
diritto 
interno, 
delle 
condizioni 
e 
delle 
modalità 
dell’obbligo 
vaccinale 
menzionate 
nelle 
questioni 
dalla 
seconda 
alla 
quinta”. 


(3) Cfr. CgUe, sentenza 
del 
31 gennaio 2008, Centro europa 7, C-380/05, eU:C:2008:59, punto 
58; 
CgUe, sentenza 
del 
18 luglio 2013, Sky 
italia, C-234/12, eU:C:2013:496, punto 30; 
CgUe, sentenza 
del 
26 luglio 2017, Persidera, C-112/16, eU:C:2017:597, punti 
27-29; 
CgUe, sentenza 
del 
19 
aprile 
2018, C-152/17, Consorzio italian Management, eU:C:2018:264, punto 22; 
CgUe, sentenza 
6 
ottobre 2021, Consorzio italian Management, C-561/19, eU:C:2021:799, punti 68-69. 
(4) 
Trattato 
sul 
funzionamento 
dell’Unione 
europea, 
art. 
168, 
par. 
7 
“L’azione 
dell’Unione 
rispetta 
le 
responsabilità 
degli 
Stati 
membri 
per 
la 
definizione 
della 
loro 
politica 
sanitaria 
e 
per 
l’organizzazione 
e 
la fornitura di 
servizi 
sanitari 
e 
di 
assistenza medica. Le 
responsabilità degli 
Stati 
membri 
includono 
la gestione 
dei 
servizi 
sanitari 
e 
dell’assistenza medica e 
l’assegnazione 
delle 
risorse 
loro destinate. Le 
misure 
di 
cui 
al 
paragrafo 
4, 
lettera 
a) 
non 
pregiudicano 
le 
disposizioni 
nazionali 
sulla 
donazione 
e 
l’impiego medico di organi e sangue”. 

rASSegNA 
AVVOCATUrA 
deLLO 
STATO -N. 4/2022 


La 
Corte 
di 
giustizia 
sottolinea, altresì, che 
l’articolo 41 della 
Carta 
sancisce 
il 
diritto alla 
buona 
amministrazione 
e 
che 
“il 
giudice 
del 
rinvio non ha 
spiegato in cosa consista il 
collegamento tra il 
principio generale 
del 
diritto 
dell’Unione 
relativo 
al 
diritto 
a 
una 
buona 
amministrazione 
e 
l’attuazione 
dell’obbligo vaccinale previsto all’articolo 4 del decreto legge n. 44/2021”. 


Con riferimento alla 
sesta 
e 
alla 
settima 
questione, la 
Corte 
afferma 
che 
“il 
giudice 
del 
rinvio non individua, nel 
testo delle 
sue 
questioni 
né, più in generale, 
nella 
stessa 
ordinanza 
di 
rinvio, 
le 
disposizioni 
del 
regolamento 
2021/953 di cui chiede l’interpretazione”. 

Circa 
l’irricevibilità 
degli 
ultimi 
due 
quesiti, 
si 
aggiunge 
che 
-come 
si 
evince 
dalla 
giurisprudenza 
della 
Corte 
(5) 
-affinché 
venga 
riconosciuta 
l’ammissibilità 
della 
domanda 
di 
rinvio, deve 
sussistere 
un’esigenza 
oggettiva 
al-
l’interpretazione 
da 
ravvisarsi 
nel 
collegamento tra 
la 
controversia 
principale 
e le disposizioni dell’Unione di cui si chiede l’interpretazione. 

Nella specie, tale esigenza non è riscontrabile, la Corte evidenzia che: 


-il 
giudice 
del 
rinvio non ha 
precisato che 
la 
controversia 
riguarda 
una 
situazione 
trasfrontaliera 
perché 
la 
lavoratrice 
del 
procedimento 
principale 
non è una cittadina di uno Stato membro venuta in Italia per lavorare; 
-il 
giudice 
non ha 
spiegato la 
rilevanza 
di 
una 
simile 
eventualità 
ai 
fini 
del regolamento; 
-nonostante 
il 
richiamo da 
parte 
del 
giudice 
del 
rinvio alla 
sentenza 
del 
14 novembre 
2018, Memoria e 
dall’antonia, C-342/17 (6), sul 
diritto di 
sta(
5) 
Sul 
tema, 
la 
CgUe, 
nella 
sentenza 
del 
26 
marzo 
2020, 
Miasto 
Łowicz 
e 
Prokurator 
Generalny, 
C-558/18 
e 
C-563/18, 
afferma: 
“(48) 
Nell’ambito 
di 
siffatto 
procedimento, 
deve 
quindi 
esistere 
tra 
la 
suddetta 
controversia 
e 
le 
disposizioni 
del 
diritto 
dell’Unione 
di 
cui 
è 
chiesta 
l’interpretazione 
un 
collegamento 
tale 
per 
cui 
detta 
interpretazione 
risponde 
ad 
una 
necessità 
oggettiva 
ai 
fini 
della 
decisione 
che 
dev’essere 
adottata 
dal 
giudice 
del 
rinvio 
(v., 
in 
tal 
senso, 
ordinanza 
del 
25 
maggio 
1998, 
Nour, 
C-361/97, 
eU:C:1998:250, 
punto 
15 
e 
giurisprudenza 
ivi 
citata)”. 
(6) 
Il 
rinvio 
pregiudiziale 
era 
sollevato 
dal 
Tar 
del 
Veneto, 
con 
ordinanza 
dell’11 
maggio 
2017, 
con 
riferimento 
ad 
una 
normativa 
nazionale 
che 
vietava 
ogni 
attività 
lucrativa 
in 
relazione 
alla 
conservazione 
delle 
urne 
cinerarie. 
Così 
la 
pronuncia 
della 
CgUe: 
“(47) 
anzitutto, 
occorre 
ricordare 
che 
l’articolo 
49 
tFUe 
osta 
a 
qualsiasi 
misura 
nazionale 
che 
costituisca 
una 
restrizione 
della 
libertà 
di 
stabilimento, 
salvo 
che 
tale 
restrizione 
sia 
giustificata 
da 
ragioni 
imperative 
di 
interesse 
generale 
(v., 
in 
questo 
senso, 
segnatamente, 
sentenza 
del 
5 
dicembre 
2013, 
Venturini 
e 
a., 
da 
C159/12 
a 
C161/12, 
eU:C:2013:791, 
punti 
30 
e 
37). 
(48) 
in 
primo 
luogo, 
secondo 
una 
giurisprudenza 
costante, 
costituisce 
una 
restrizione 
ai 
sensi 
dell’articolo 
49 
tFUe 
ogni 
provvedimento 
nazionale 
che, 
pur 
se 
applicabile 
senza 
discriminazioni 
in 
base 
alla 
cittadinanza, 
vieti, 
ostacoli 
o 
renda 
meno 
allettante 
l’esercizio, 
da 
parte 
dei 
cittadini 
dell’Unione, 
della 
libertà 
di 
stabilimento 
garantita 
dal 
trattato 
(v., 
in 
questo 
senso, 
sentenza 
del 
28 
gennaio 
2016, 
Laezza, 
C375/14, 
eU:C:2016:60, 
punto 
21). 
(…) 
(51) 
in 
secondo 
luogo, 
conformemente 
a 
una 
giurisprudenza 
costante, 
una 
restrizione 
alla 
libertà 
di 
stabilimento 
può 
essere 
giustificata, 
a 
condizione 
che 
si 
applichi 
senza 
discriminazioni 
basate 
sulla 
nazionalità, 
per 
ragioni 
imperative 
di 
interesse 
generale, 
purché 
sia 
idonea 
a 
garantire 
la 
realizzazione 
dell’obiettivo 
perseguito 
e 
non 
ecceda 
quanto 
necessario 
per 
conseguirlo 
(v., 
in 
questo 
senso, 
in 
particolare, 
sentenza 
del 
9 
marzo 
2017, 
Piringer, 
C342/15, 
eU:C:2017:196, 
punto 
53 
e 
giurisprudenza 
citata)”. 

CONTeNZIOSO 
COMUNITArIO 
ed 
INTerNAZIONALe 
107 


bilimento 
e 
la 
libera 
prestazione 
dei 
servizi 
previsti 
agli 
articoli 
49 
e 
56 
TfUe, 
la 
sesta 
e 
la 
settima 
questione 
vertono sul 
regolamento n. 2021/956 e 
non sull’interpretazione 
di tali libertà fondamentali. 


dunque, la 
sentenza 
recepisce 
le 
difese 
espresse 
nell’intervento orale 
dal 
governo italiano. 


Corte 
di 
giustizia dell’Unione 
europea, Seconda Sezione, sentenza 13 luglio 2023, causa 
C-765/21 
-Pres. di 
sez., Rel. A. Prechal 
-domanda 
di 
pronuncia 
pregiudiziale 
proposta 
dal 
Tribunale 
ordinario di 
Padova 
(Italia), con ordinanza 
del 
7 dicembre 
2021, pervenuta 
in cancelleria 
il 
13 dicembre 
2021, nel 
procedimento d.M. c. Azienda 
Ospedale-Università 
di 
Padova, 
con l’intervento di C.S. 


«rinvio pregiudiziale 
-Sanità 
pubblica 
-Normativa 
nazionale 
che 
impone 
un obbligo vaccinale 
per 
il 
personale 
sanitario 
-Sospensione 
dalle 
funzioni 
senza 
retribuzione 
per 
il 
personale 
che 
rifiuta 
il 
vaccino -regolamento (Ce) n. 726/2004 -Medicinali 
per uso umano -Vaccini 
anti 
COVId-19 
-regolamento 
(Ce) 
n. 
507/2006 
-Validità 
delle 
autorizzazioni 
all’immissione 
in 
commercio 
condizionate 
-regolamento 
(Ue) 
2021/953 
-divieto 
di 
discriminazione 
tra 
persone vaccinate e non vaccinate - Irricevibilità» 


1 La 
domanda 
di 
pronuncia 
pregiudiziale 
verte 
sull’interpretazione 
dell’articolo 4 del 
regolamento 
(Ce) n. 507/2006 della 
Commissione, del 
29 marzo 2006, relativo all’autorizzazione 
all’immissione 
in commercio condizionata 
dei 
medicinali 
per uso umano che 
rientrano nel 
campo di 
applicazione 
del 
regolamento (Ce) n. 726/2004 del 
Parlamento 
europeo 
e 
del 
Consiglio 
(gU 
2006, 
L 
92, 
pag. 
6), 
del 
regolamento 
(Ue) 
2021/953 
del 
Parlamento europeo e 
del 
Consiglio, del 
14 giugno 2021, su un quadro per il 
rilascio, la 
verifica 
e 
l’accettazione 
di 
certificati 
interoperabili 
di 
vaccinazione, 
di 
test 
e 
di 
guarigione 
in relazione 
alla 
COVId-19 (certificato COVId 
digitale 
dell’Ue) per agevolare 
la 
libera 
circolazione 
delle 
persone 
durante 
la 
pandemia 
di 
COVId-19 (gU 
2021, L 
211, pag. 1, 
e 
rettifica 
in gU 
2021, L 
236, pag. 86), nonché 
degli 
articoli 
3, 35 e 
41 della 
Carta 
dei 
diritti 
fondamentali dell’Unione europea (in prosieguo: la «Carta»). 


2 
Tale 
domanda 
è 
stata 
presentata 
nell’ambito 
di 
una 
controversia 
tra 
d.M. 
e 
l’Azienda 
Ospedale-Università 
di 
Padova 
(Italia), (in prosieguo: 
l’«ospedale 
universitario») relativamente 
alla 
sospensione 
di 
d.M. dalle 
sue 
funzioni 
di 
infermiera 
professionale 
presso 
l’ospedale 
universitario, senza 
diritto a 
retribuzione 
durante 
la 
sua 
sospensione, a 
causa 
dell’inosservanza, da 
parte 
di 
quest’ultima, della 
normativa 
nazionale 
che 
impone 
un obbligo 
vaccinale per il personale sanitario. 


Contesto normativo 


Diritto dell’Unione 


Regolamento n. 507/2006 


3 L’articolo 1 del regolamento n. 507/2006 prevede quanto segue. 
«Il 
presente 
regolamento 
stabilisce 
le 
norme 
per 
il 
rilascio 
di 
un’autorizzazione 
all’immissione 
in commercio subordinata 
ad obblighi 
specifici 
a 
norma 
dell’articolo 14, paragrafo 
7, del 
regolamento (Ce) n. 726/2004 [del 
Parlamento europeo e 
del 
Consiglio, del 
31 
marzo 
2004, 
che 
istituisce 
procedure 
comunitarie 
per 
l’autorizzazione 
e 
la 
sorveglianza 
dei 
medicinali 
per uso umano e 
veterinario, e 
che 
istituisce 
l’agenzia 
europea 
per i 
medi



rASSegNA 
AVVOCATUrA 
deLLO 
STATO -N. 4/2022 


cinali 
(gU 
2004, 
L 
136, 
pag. 
1)] 
(di 
seguito 
“autorizzazione 
all’immissione 
in 
commercio 
condizionata”)». 


4 L’articolo 4 del regolamento n. 507/2006 è così formulato: 


«1. 
Un’autorizzazione 
all’immissione 
in 
commercio 
condizionata 
può 
essere 
rilasciata 
quando il 
comitato [per i 
medicinali 
per uso umano] ritiene 
che, malgrado non siano stati 
forniti 
dati 
clinici 
completi 
in merito alla 
sicurezza 
e 
all’efficacia 
del 
medicinale, siano rispettate 
tutte le seguenti condizioni: 
a) il 
rapporto rischio/beneficio del 
medicinale, quale 
definito all’articolo 1, punto 28 bis, 
della 
direttiva 
2001/83/Ce 
[del 
Parlamento 
europeo 
e 
del 
Consiglio, 
del 
6 
novembre 
2001, 
recante 
un 
codice 
comunitario 
relativo 
ai 
medicinali 
per 
uso 
umano 
(gU 
2001, 
L 
311, 
pag. 
67)], risulta positivo; 
b) è probabile che il richiedente possa in seguito fornire dati clinici completi; 
c) il medicinale risponde ad esigenze mediche insoddisfatte; 
d) i 
benefici 
per la 
salute 
pubblica 
derivanti 
dalla 
disponibilità 
immediata 
sul 
mercato del 
medicinale 
in 
questione 
superano 
il 
rischio 
inerente 
al 
fatto 
che 
occorrono 
ancora 
dati 
supplementari. 
Nelle 
situazioni 
di 
emergenza 
di 
cui 
all’articolo 
2, 
paragrafo 
2, 
può 
essere 
rilasciata 
un’autorizzazione 
all’immissione 
in commercio condizionata 
anche 
in assenza 
di 
dati 
farmaceutici 
o preclinici 
completi 
purché 
siano rispettate 
le 
condizioni 
di 
cui 
alle 
lettere 
da 
a) a 
d) del presente paragrafo. 
2. Ai 
fini 
del 
paragrafo 1, lettera 
c), per esigenze 
mediche 
insoddisfatte 
si 
intende 
una 
patologia 
per la 
quale 
non esiste 
un metodo soddisfacente 
di 
diagnosi, prevenzione 
o trattamento 
autorizzato nella 
Comunità 
o, anche 
qualora 
tale 
metodo esista, in relazione 
alla 
quale 
il 
medicinale 
in questione 
apporterà 
un sostanziale 
vantaggio terapeutico a 
quanti 
ne sono affetti». 
Regolamento 2021/953 


5 I considerando 6, da 12 a 14 e 36 del regolamento 2021/953 così recitano: 
«(6) 
In 
conformità 
del 
diritto 
dell’Unione, 
gli 
Stati 
membri 
possono 
limitare 
il 
diritto 
fondamentale 
alla 
libera 
circolazione 
per motivi 
di 
sanità 
pubblica. Tutte 
le 
restrizioni 
alla 
libera 
circolazione 
delle 
persone 
all’interno dell’Unione 
[europea] attuate 
per limitare 
la 
diffusione 
del 
SArS-CoV-2 dovrebbero basarsi 
su motivi 
specifici 
e 
limitati 
di 
interesse 
pubblico, vale 
a 
dire 
la 
tutela 
della 
salute 
pubblica, come 
sottolineato nella 
raccomandazione 
(Ue) 2020/1475 [del 
Consiglio, del 
13 ottobre 
2020, per un approccio coordinato 
alla 
limitazione 
della 
libertà 
di 
circolazione 
in risposta 
alla 
pandemia 
di 
COVId-19 (gU 
2020, L 
337, pag. 3)]. È 
necessario che 
tali 
limitazioni 
siano applicate 
conformemente 
ai 
principi 
generali 
del 
diritto dell’Unione, segnatamente 
la 
proporzionalità 
e 
la 
non discriminazione. 
Tutte 
le 
misure 
adottate 
dovrebbero 
pertanto 
essere 
strettamente 
limitate 
nella 
portata 
e 
nel 
tempo, in linea 
con gli 
sforzi 
volti 
a 
ripristinare 
la 
libera 
circolazione 
all’interno 
dell’Unione, e 
non dovrebbero andare 
al 
di 
là 
di 
quanto strettamente 
necessario per 
tutelare la salute pubblica. (...) 
(...) 


(12) 
Per facilitare 
l’esercizio del 
diritto di 
circolare 
e 
di 
soggiornare 
liberamente 
nel 
territorio 
degli 
Stati 
membri, è 
opportuno stabilire 
un quadro comune 
per il 
rilascio, la 
verifica 
e 
l’accettazione 
di 
certificati 
interoperabili 
relativi 
alla 
vaccinazione, ai 
test 
e 
alla 
guarigione dalla COVId-19 (certificato COVId digitale dell’[Unione]”). (...) 
(13) Sebbene 
lasci 
impregiudicata 
la 
competenza 
degli 
Stati 
membri 
nell’imporre 
restri

CONTeNZIOSO 
COMUNITArIO 
ed 
INTerNAZIONALe 
109 


zioni 
alla 
libera 
circolazione, in conformità 
del 
diritto dell’Unione, per limitare 
la 
diffusione 
del 
SArS-CoV-2, 
il 
presente 
regolamento 
dovrebbe 
contribuire 
ad 
agevolare 
la 
graduale 
revoca 
di 
tali 
restrizioni 
in 
modo 
coordinato, 
ove 
possibile, 
in 
conformità 
della 
raccomandazione 
(Ue) 2020/1475. Tali 
restrizioni 
potrebbero essere 
revocate 
in particolare 
per le 
persone 
vaccinate, in linea 
con il 
principio di 
precauzione, nella 
misura 
in cui 
le 
evidenze 
scientifiche 
sugli 
effetti 
della 
vaccinazione 
anti 
COVId-19 diventino disponibili 
in maggior misura 
e 
mostrino in maniera 
coerente 
che 
la 
vaccinazione 
contribuisce 
a interrompere la catena di trasmissione. 


(14) 
Il 
presente 
regolamento è 
inteso a 
facilitare 
l’applicazione 
dei 
principi 
di 
proporzionalità 
e 
di 
non discriminazione 
per quanto riguarda 
le 
restrizioni 
alla 
libera 
circolazione 
durante 
la 
pandemia 
di 
COVId-19, perseguendo nel 
contempo un livello elevato di 
protezione 
della 
salute 
pubblica. esso non dovrebbe 
essere 
inteso come 
un’agevolazione 
o 
un 
incentivo 
all’adozione 
di 
restrizioni 
alla 
libera 
circolazione 
o 
di 
restrizioni 
ad 
altri 
diritti 
fondamentali, in risposta 
alla 
pandemia 
di 
COVId-19, visti 
i 
loro effetti 
negativi 
sui cittadini e le imprese dell’Unione. (...) 
(...) 
(36) È 
necessario evitare 
la 
discriminazione 
diretta 
o indiretta 
di 
persone 
che 
non sono 
vaccinate, per esempio per motivi 
medici, perché 
non rientrano nel 
gruppo di 
destinatari 
per cui 
il 
vaccino anti 
COVId-19 è 
attualmente 
somministrato o consentito, come 
i 
bambini, 
o perché 
non hanno ancora 
avuto l’opportunità 
di 
essere 
vaccinate 
o hanno scelto di 
non essere 
vaccinate. Pertanto il 
possesso di 
un certificato di 
vaccinazione, o di 
un certificato 
di 
vaccinazione 
che 
attesti 
l’uso di 
uno specifico vaccino anti 
COVId-19, non dovrebbe 
costituire 
una 
condizione 
preliminare 
per 
l’esercizio 
del 
diritto 
di 
libera 
circolazione 
o per l’utilizzo di 
servizi 
di 
trasporto passeggeri 
transfrontalieri 
quali 
linee 
aeree, treni, pullman, traghetti 
o qualsiasi 
altro mezzo di 
trasporto. Inoltre, il 
presente 
regolamento 
non può essere 
interpretato nel 
senso che 
istituisce 
un diritto o un obbligo a 
essere vaccinati». 
6 Ai sensi dell’articolo 1 del regolamento 2021/953: 
«Il 
presente 
regolamento stabilisce 
un quadro per il 
rilascio, la 
verifica 
e 
l’accettazione 
di 
certificati 
COVId-19 
interoperabili 
relativi 
alla 
vaccinazione, 
ai 
test 
e 
alla 
guarigione 
(certificato 
digitale 
COVId 
dell’[Unione]) 
con 
lo 
scopo 
di 
agevolare 
l’esercizio 
del 
diritto 
di 
libera 
circolazione 
durante 
la 
pandemia 
di 
COVId-19 da 
parte 
dei 
loro titolari. Il 
presente 
regolamento contribuisce 
inoltre 
ad agevolare 
la 
revoca 
graduale 
delle 
restrizioni 
alla 
libera 
circolazione 
poste 
in essere 
dagli 
Stati 
membri, in conformità 
del 
diritto del-
l’Unione, per limitare la diffusione del SArS-CoV-2 in modo coordinato. 
(...)». 


7 L’articolo 3, paragrafo 1, di detto regolamento così dispone: 
«Il 
quadro del 
certificato COVId 
digitale 
dell’[Unione] consente 
il 
rilascio, la 
verifica 
e 
l’accettazione transfrontaliere di uno qualunque dei seguenti certificati: 


a) 
un 
certificato 
comprovante 
che 
al 
titolare 
è 
stato 
somministrato 
un 
vaccino 
anti 
COVId-19 nello Stato membro di rilascio del certificato (certificato di vaccinazione); 
(...) 
c) 
un 
certificato 
comprovante 
che, 
successivamente 
a 
un 
risultato 
positivo 
di 
un 
test 
[molecolare 
di 
amplificazione 
dell’acido nucleico] effettuato da 
operatori 
sanitari 
o da 
personale 
addestrato, il 
titolare 
risulta 
guarito da 
un’infezione 
da 
SArS-CoV-2 (certificato 
di guarigione). 

rASSegNA 
AVVOCATUrA 
deLLO 
STATO -N. 4/2022 


(...)». 
8 L’articolo 5 di detto regolamento dispone quanto segue: 


«1. 
Ciascuno 
Stato 
membro 
rilascia 
alle 
persone 
cui 
è 
stato 
somministrato 
un 
vaccino 
anti 
COVId-19, automaticamente 
o su richiesta 
delle 
persone 
interessate, il 
certificato di 
vaccinazione 
di 
cui 
all’articolo 3, paragrafo 1, lettera 
a). Tali 
persone 
sono informate 
del 
loro diritto a un certificato di vaccinazione. 
(...)». 
9 L’articolo 7 del medesimo regolamento è così formulato: 


«1. Ciascuno Stato membro rilascia, su richiesta, i 
certificati 
di 
guarigione 
di 
cui 
all’articolo 
3, paragrafo 1, lettera c). 
(...)». 
Diritto italiano 


10 L’articolo 4 del 
decreto-legge 
del 
1o aprile 
2021, n. 44 -Misure 
urgenti 
per il 
contenimento 
dell’epidemia 
da 
COVId-19, 
in 
materia 
di 
vaccinazioni 
anti 
SArS-CoV-2, 
di 
giustizia 
e 
di 
concorsi 
pubblici 
(gUrI 
n. 
79, 
del 
1o 
aprile 
2021), 
convertito 
con 
modificazioni 
dalla 
legge 
del 
28 maggio 2021, n. 76 (gUrI n. 128, del 
31 maggio 2021, in prosieguo: 
il «decreto-legge n. 44/2021»), al comma 1 prevede che: 
«In considerazione 
della 
situazione 
di 
emergenza 
epidemiologica 
da 
SArS-CoV-2, fino 
alla 
completa 
attuazione 
del 
piano 
di 
cui 
all’articolo 
1, 
comma 
457, 
della 
legge 
30 
dicembre 
2020, 
n. 
178, 
e 
comunque 
non 
oltre 
il 
31 
dicembre 
2021, 
al 
fine 
di 
tutelare 
la 
salute 
pubblica 
e 
mantenere 
adeguate 
condizioni 
di 
sicurezza 
nell’erogazione 
delle 
prestazioni 
di 
cura 
e 
assistenza, 
gli 
esercenti 
le 
professioni 
sanitarie 
e 
gli 
operatori 
di 
interesse 
sanitario che 
svolgono la 
loro attività 
nelle 
strutture 
sanitarie, sociosanitarie 
e 
socio-assistenziali, 
pubbliche 
e 
private, nelle 
farmacie, parafarmacie 
e 
negli 
studi 
professionali 
sono obbligati 
a 
sottoporsi 
a 
vaccinazione 
gratuita 
per la 
prevenzione 
dell’infezione 
da 
SArS-CoV-2. La 
vaccinazione 
costituisce 
requisito essenziale 
per l’esercizio della 
professione 
e per lo svolgimento delle prestazioni lavorative dei soggetti obbligati. (…)». 


11 Il 
comma 
2 del 
medesimo articolo 4 enuncia 
che 
«solo in caso di 
accertato pericolo in relazione 
a 
specifiche 
condizioni 
cliniche 
documentate, 
attestate 
dal 
medico 
di 
medicina 
generale, 
la 
vaccinazione 
di 
cui 
al 
comma 
1 
non 
è 
obbligatoria 
e 
può 
essere 
omessa 
o 
differita
». 


12 Ai sensi del comma 6 del suddetto articolo 4: 
«decorsi 
i 
termini 
per l’attestazione 
dell’adempimento dell’obbligo vaccinale, l’azienda 
sanitaria 
locale 
competente 
accerta 
l’inosservanza 
dell’obbligo 
vaccinale 
e, 
previa 
acquisizione 
delle 
ulteriori 
eventuali 
informazioni 
presso le 
autorità 
competenti, ne 
dà 
immediata 
comunicazione 
scritta 
all’interessato, al 
datore 
di 
lavoro e 
all’Ordine 
professionale 
di 
appartenenza. 
L’adozione 
dell’atto 
di 
accertamento 
da 
parte 
dell’azienda 
sanitaria 
locale 
determina 
la 
sospensione 
dal 
diritto 
di 
svolgere 
prestazioni 
o 
mansioni 
che 
implicano 
contatti 
interpersonali 
o comportano, in qualsiasi 
altra 
forma, il 
rischio di 
diffusione 
del 
contagio da SArS-CoV-2». 


13 Il 
comma 
7 dell’articolo in parola 
prevede 
che 
«la 
sospensione 
di 
cui 
al 
comma 
6 è 
comunicata 
immediatamente all’interessato dall’Ordine professionale di appartenenza». 


14 Ai sensi dell’articolo 4, comma 8, del decreto-legge n. 44/2021: 
«ricevuta 
la 
comunicazione 
di 
cui 
al 
comma 
6, il 
datore 
di 
lavoro adibisce 
il 
lavoratore, 
ove 
possibile, a 
mansioni, anche 
inferiori, diverse 
da 
quelle 
indicate 
al 
comma 
6, con il 
trattamento corrispondente 
alle 
mansioni 
esercitate, e 
che, comunque, non implicano ri



CONTeNZIOSO 
COMUNITArIO 
ed 
INTerNAZIONALe 


schi 
di 
diffusione 
del 
contagio. 
Quando 
l’assegnazione 
a 
mansioni 
diverse 
non 
è 
possibile, 
[durante 
la 
sospensione] 
non 
sono 
dovuti 
la 
retribuzione 
né 
altro 
compenso 
o 
emolumento, 
comunque denominato». 


15 Il 
comma 
10 
di 
tale 
articolo 
4 
prevede 
che, 
«(…) 
per 
il 
periodo 
in 
cui 
la 
vaccinazione 
di 
cui 
al 
comma 
1 
è 
omessa 
o 
differita 
e 
comunque 
non 
oltre 
il 
31 
dicembre 
2021, 
il 
datore 
di 
lavoro 
adibisce 
i 
soggetti 
di 
cui 
al 
comma 
2 
a 
mansioni 
anche 
diverse, 
senza 
decurtazione 
della 
retribuzione, 
in 
modo 
da 
evitare 
il 
rischio 
di 
diffusione 
del 
contagio 
da 
SArS-CoV-2». 


16 Il comma 11 dell’articolo 4 summenzionato dispone quanto segue: 
«Per il 
medesimo periodo di 
cui 
al 
comma 
10, al 
fine 
di 
contenere 
il 
rischio di 
contagio, 
nell’esercizio dell’attività 
libero-professionale, i 
soggetti 
di 
cui 
al 
comma 
2 adottano le 
misure 
di 
prevenzione 
igienico-sanitarie 
indicate 
dallo specifico protocollo di 
sicurezza 
adottato 
con 
decreto 
del 
Ministro 
della 
[S]alute, 
di 
concerto 
con 
i 
Ministri 
della 
[g]iustizia 
e 
del 
[L]avoro e 
delle 
[P]olitiche 
sociali, entro venti 
giorni 
dalla 
data 
di 
entrata 
in vigore 
del presente decreto». 
Procedimento principale e questioni pregiudiziali 


17 dal 
1° 
gennaio 2017 d.M. lavora 
alle 
dipendenze 
dell’ospedale 
universitario, come 
infermiera 
professionale in servizio presso il reparto di neurochirurgia. 


18 Il 
16 settembre 
2021, l’ospedale 
universitario le 
ha 
comunicato la 
sospensione 
dal 
lavoro 
con 
effetto 
immediato 
e 
senza 
diritto 
alla 
retribuzione, 
poiché 
ella 
aveva 
violato 
l’obbligo 
vaccinale 
previsto dall’articolo 4 del 
decreto legge 
n. 44/2021 ed era 
impossibile 
adibirla 
a 
mansioni 
diverse 
da 
quelle 
che 
non implicassero il 
rischio di 
diffusione 
del 
contagio. 
La 
sospensione 
doveva 
cessare 
alla 
data 
in cui 
fosse 
stato adempiuto l’obbligo vaccinale 
o, in mancanza, fino al 
completamento del 
piano vaccinale, ma 
non poteva 
in alcun caso 
essere mantenuta oltre il 31 dicembre 2021, data rinviata tuttavia a più riprese. 


19 Con 
ricorso 
d’urgenza 
proposto 
il 
14 
ottobre 
2021, 
d.M. 
ha 
chiesto 
al 
giudice 
del 
rinvio 
di 
essere 
riammessa 
in 
servizio 
presso 
l’ospedale 
universitario 
sostenendo, 
in 
particolare, 
da 
un 
lato, 
che 
l’articolo 
4 
del 
decreto-legge 
n. 
44/2021 
sarebbe 
stato 
contrario, 
sotto 
vari 
profili, 
alla 
Costituzione 
italiana 
nonché 
alla 
normativa 
dell’Unione 
e, 
dall’altro, 
che 
ella 
sarebbe 
divenuta 
naturalmente 
immune 
a 
seguito 
della 
guarigione 
dall’infezione 
da 
SArS-CoV-2. 


20 Il 
giudice 
del 
rinvio rileva 
che 
le 
autorizzazioni 
all’immissione 
in commercio dei 
vaccini 
contro la 
COVId-19 sono condizionate 
ai 
sensi 
del 
regolamento n. 507/2006. Secondo 
detto giudice, alla 
luce 
delle 
nuove 
emersioni 
mediche 
e 
delle 
nuove 
acquisizioni 
in termini 
di 
medicinali 
a 
disposizione, non pare 
irragionevole 
interrogarsi 
sulla 
validità, alla 
luce 
dell’articolo 4 del 
regolamento in parola, di 
tali 
autorizzazioni 
concesse 
dalla 
Commissione 
europea 
previo parere 
dell’Agenzia 
europea 
per i 
medicinali 
(eMA), specie 
in 
considerazione 
dei 
diritti 
fondamentali 
in gioco, ossia 
l’integrità 
fisica 
e 
la 
salute, tutelati 
in particolare dagli articoli 3 e 35 della Carta. 


21 
Inoltre, 
sebbene 
le 
parti 
del 
procedimento 
principale 
non 
abbiano 
invocato 
il 
regolamento 
2021/953, 
il 
giudice 
del 
rinvio 
ritiene 
che 
quest’ultimo 
sia 
nondimeno 
rilevante 
ai 
fini 
della 
controversia. 
detto 
giudice 
sottolinea 
che 
il 
regolamento 
summenzionato 
precisa 
segnatamente 
che 
«è 
necessario che 
[le 
limitazioni 
alla 
libera 
circolazione 
delle 
persone] 
siano applicate 
conformemente 
ai 
principi 
generali 
del 
diritto dell’Unione, segnatamente 
la 
proporzionalità 
e 
la 
non discriminazione». Particolarmente 
problematico a 
tale 
proposito 
sarebbe 
il 
fatto 
che 
l’articolo 
4, 
comma 
11, 
del 
decreto-legge 
n. 
44/2021 
consente 
solo agli 
operatori 
sanitari 
esenti 
dall’obbligo vaccinale 
di 
continuare 
a 
praticare 
la 
loro 
professione 
senza 
essersi 
vaccinati, sia 
pure 
nel 
rispetto delle 
regole 
di 
sicurezza, mentre 



rASSegNA 
AVVOCATUrA 
deLLO 
STATO -N. 4/2022 


il 
personale 
sanitario 
che 
non 
rientra 
nell’ambito 
di 
questa 
disposizione 
non 
può 
più 
esercitare 
la 
professione, né 
come 
dipendente 
né 
come 
libero professionista, nonostante 
sia 
disposto a seguire rigorosamente le stesse regole di sicurezza. 


22 
Infine, 
alla 
luce 
della 
giurisprudenza 
della 
Corte 
derivante 
dalla 
sentenza 
del 
14 
novembre 
2018, Memoria 
e 
dall’Antonia 
(C‑342/17, eU:C:2018:906), il 
giudice 
del 
rinvio chiede 
se 
la 
misura 
del 
vaccino obbligatorio, nel 
caso lo Stato membro ospitante 
intendesse 
imporlo 
anche 
a 
un professionista 
sanitario di 
un altro Stato membro dell’Unione 
presente 
nel 
primo Stato membro per motivi 
professionali, sia 
compatibile 
con il 
principio di 
proporzionalità 
espressamente richiamato dal regolamento 2021/953. 


23 Ciò considerato, il 
Tribunale 
ordinario di 
Padova 
(Italia) ha 
deciso di 
sospendere 
il 
procedimento 
e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali: 
«1) 
dica 
la 
Corte 
di 
giustizia 
se 
le 
autorizzazioni 
condizionate 
della 
Commissione, emesse 
su 
parere 
favorevole 
dell’eMA, 
relative 
ai 
vaccini 
oggi 
in 
commercio, 
possano 
essere 
considerate 
ancora 
valide, ai 
sensi 
dell’articolo 4 del 
regolamento n. 507/2006, alla 
luce 
del 
fatto che, in più Stati 
membri 
(ad esempio in Italia, approvazione 
AIfA 
[Agenzia 
italiana 
del 
farmaco] del 
protocollo di 
cura 
con anticorpi 
monoclonali 
e/o antivirali), sono 
state 
approvate 
cure 
alternative 
al 
COVId 
SArS 
2 
efficaci 
e 
in 
thesi 
meno 
pericolose 
per la salute della persona, e ciò anche alla luce degli articoli 3 e 35 della [Carta]. 


2) 
dica 
la 
Corte 
di 
giustizia 
se, nel 
caso di 
sanitari 
per i 
quali 
la 
legge 
dello Stato membro 
abbia 
imposto il 
vaccino obbligatorio, i 
vaccini 
approvati 
dalla 
Commissione 
in forma 
condizionata 
ai 
sensi 
e 
agli 
effetti 
del 
regolamento n. 507/2006, possano essere 
utilizzati 
al 
fine 
della 
vaccinazione 
obbligatoria 
anche 
qualora 
i 
sanitari 
in parola 
siano già 
stati 
contagiati 
e 
quindi 
abbiano già 
raggiunto una 
immunizzazione 
naturale 
e 
possano quindi 
chiedere una deroga dall’obbligo. 
3) 
dica 
la 
Corte 
di 
giustizia 
se, nel 
caso di 
sanitari 
per i 
quali 
la 
legge 
dello Stato membro 
abbia 
imposto il 
vaccino obbligatorio, i 
vaccini 
approvati 
dalla 
Commissione 
in forma 
condizionata 
ai 
sensi 
e 
agli 
effetti 
del 
regolamento n. 507/2006, possano essere 
utilizzati 
al 
fine 
della 
vaccinazione 
obbligatoria 
senza 
procedimentalizzazione 
alcuna 
con finalità 
cautelativa 
o se, in considerazione 
della 
condizionalità 
dell’autorizzazione, i 
sanitari 
medesimi 
possano 
opporsi 
all’inoculazione, 
quanto 
meno 
fintantoché 
l’autorità 
sanitaria 
deputata 
abbia 
escluso 
in 
concreto, 
e 
con 
ragionevole 
sicurezza, 
da 
un 
lato, 
che 
non 
vi 
siano 
controindicazioni 
in tal 
senso, dall’altro, che 
i 
benefici 
che 
ne 
derivano siano superiori 
a 
quelli 
derivanti 
da 
altri 
farmaci 
oggi 
a 
disposizione. Chiarisca 
la 
Corte 
se 
in tal 
caso, le 
autorità sanitarie deputate debbano procedere nel rispetto dell’articolo 41 della [Carta]. 
4) 
dica 
la 
Corte 
di 
giustizia 
se, 
nel 
caso 
del 
vaccino 
autorizzato 
dalla 
Commissione 
in 
forma 
condizionata, 
l’eventuale 
non 
assoggettamento 
al 
medesimo 
da 
parte 
del 
personale 
medico 
sanitario 
nei 
cui 
confronti 
la 
legge 
dello 
Stato 
impone 
obbligatoriamente 
il 
vaccino, 
possa 
comportare 
automaticamente 
la 
sospensione 
dal 
posto di 
lavoro senza 
retribuzione 
o se 
si 
debba 
prevedere 
una 
gradualità 
delle 
misure 
sanzionatorie 
in 
ossequio 
al 
principio 
fondamentale 
di proporzionalità. 
5) 
dica 
la 
Corte 
di 
giustizia 
se 
laddove 
il 
diritto nazionale 
consenta 
forme 
di 
dépeçage, la 
verifica 
della 
possibilità 
di 
utilizzazione 
in forma 
alternativa 
del 
lavoratore, debba 
avvenire 
nel 
rispetto 
del 
contraddittorio 
ai 
sensi 
e 
agli 
effetti 
dell’articolo 
41 
della 
[Carta], 
con 
conseguente diritto al risarcimento del danno nel caso in cui ciò non sia avvenuto. 
6) 
dica 
la 
Corte 
di 
giustizia 
se, 
alla 
luce 
del 
regolamento 
[2021/953] 
che 
vieta 
qualunque 
discriminazione 
fra 
chi 
ha 
assunto 
il 
vaccino 
e 
chi 
non 
ha 
voluto 
o 
potuto 
per 
ragioni 

CONTeNZIOSO 
COMUNITArIO 
ed 
INTerNAZIONALe 
113 


mediche 
assumerlo, 
sia 
legittima 
una 
disciplina 
nazionale, 
quale 
quella 
risultante 
dal-
l’articolo 
4, 
comma 
11, 
del 
decreto 
legge 
n. 
44/2021, 
che 
consente 
al 
personale 
sanitario 
che 
è 
stato 
dichiarato 
esente 
dall’obbligo 
di 
vaccinazione 
di 
esercitare 
la 
propria 
attività 
a 
contatto 
con 
il 
paziente, 
ancorché 
rispettando 
i 
presidi 
di 
sicurezza 
imposti 
dalla 
legislazione 
vigente, 
mentre 
il 
sanitario 
che 
come 
la 
ricorrente 
-in 
quanto 
naturalmente 
immune 
a 
seguito 
di 
contagio 
-non 
voglia 
sottoporsi 
al 
vaccino 
senza 
approfondite 
indagini 
mediche, 
viene 
automaticamente 
sospeso 
da 
qualunque 
atto 
professionale 
e 
senza 
remunerazione. 


7) 
dica 
la 
Corte 
se 
sia 
compatibile 
con il 
regolamento [2021/953] e 
i 
principi 
di 
proporzionalità 
e 
di 
non discriminazione 
ivi 
contenuti, la 
disciplina 
di 
uno Stato membro che 
imponga 
obbligatoriamente 
il 
vaccino 
anti-Covid[-19] 
-autorizzato 
in 
via 
condizionata 
dalla 
Commissione 
-a 
tutto il 
personale 
sanitario anche 
se 
proveniente 
da 
altro Stato membro 
e 
sia 
presente 
in Italia 
ai 
fini 
dell’esercizio della 
libera 
prestazione 
dei 
servizi 
e 
della 
libertà 
di stabilimento». 
Procedimento dinanzi alla Corte 


24 Il 
13 dicembre 
2021 il 
giudice 
del 
rinvio ha 
chiesto che 
il 
presente 
rinvio pregiudiziale 
fosse 
sottoposto a 
procedimento accelerato ai 
sensi 
dell’articolo 105 del 
regolamento di 
procedura 
della 
Corte. 
A 
sostegno 
di 
tale 
domanda 
detto 
giudice 
ha 
affermato 
che, 
in 
attesa 
dell’esito 
del 
procedimento 
pregiudiziale, 
d.M. 
rimaneva 
sospesa 
dal 
lavoro 
e 
dalla 
retribuzione, essendo quindi priva di ogni sostentamento. 


25 L’articolo 105, paragrafo 1, del 
regolamento di 
procedura 
prevede 
che, su domanda 
del 
giudice 
del 
rinvio o, in via 
eccezionale, d’ufficio, quando la 
natura 
della 
causa 
richiede 
un 
suo 
rapido 
trattamento, 
il 
presidente 
della 
Corte, 
sentiti 
il 
giudice 
relatore 
e 
l’avvocato 
generale, può decidere di sottoporre un rinvio pregiudiziale a procedimento accelerato. 


26 Occorre 
ricordare 
che 
un siffatto procedimento accelerato costituisce 
uno strumento procedurale 
destinato a 
rispondere 
a 
una 
situazione 
di 
urgenza 
straordinaria 
(sentenza 
del 
16 
giugno 
2022, 
Port 
de 
bruxelles 
e 
région 
de 
bruxelles-Capitale, 
C‑229/21, 
eU:C:2022:471, punto 40 nonché giurisprudenza ivi citata). 


27 
Nel 
caso 
di 
specie, 
il 
1° 
febbraio 
2022 
il 
presidente 
della 
Corte 
ha 
deciso, 
sentiti 
il 
giudice 
relatore 
e 
l’avvocato generale, di 
non accogliere 
la 
domanda 
di 
cui 
al 
punto 24 della 
presente 
sentenza. 


28 Il 
giudice 
del 
rinvio non ha 
infatti 
fornito tutti 
gli 
elementi 
che 
consentano di 
valutare 
la 
portata 
del 
rischio rappresentato dalla 
sospensione 
di 
d.M. per la 
sua 
sussistenza 
finanziaria, 
né 
ha 
esposto 
le 
ragioni 
per 
le 
quali 
l’applicazione 
del 
procedimento 
accelerato 
alla 
presente 
causa 
consentiva 
di 
evitare 
un 
rischio 
del 
genere, 
tenuto 
conto 
in 
particolare 
della 
durata, in linea 
di 
principio limitata, di 
detta 
sospensione. di 
conseguenza, tali 
elementi 
non 
consentono 
di 
identificare 
una 
situazione 
di 
urgenza 
straordinaria 
che 
giustifichi 
il fatto che la causa in parola sia sottoposta al procedimento accelerato. 
Sulla ricevibilità delle questioni pregiudiziali 
Sulla prima questione 


29 Con la 
sua 
prima 
questione 
il 
giudice 
del 
rinvio si 
interroga, sostanzialmente, sulla 
validità, 
in relazione 
all’articolo 4 del 
regolamento n. 507/2006, letto alla 
luce 
degli 
articoli 
3 e 
35 della 
Carta, delle 
autorizzazioni 
all’immissione 
in commercio condizionate 
concesse 
per i 
vaccini 
destinati 
a 
prevenire 
l’infezione 
da 
e 
la 
diffusione 
della 
COVId-19, 
nonché 
la 
gravità 
delle 
manifestazioni 
di 
tale 
patologia, 
disponibili 
alla 
data 
della 
domanda 
di 
pronuncia 
pregiudiziale, 
per 
il 
motivo 
che 
cure 
alternative 
efficaci 
contro 
la 



rASSegNA 
AVVOCATUrA 
deLLO 
STATO -N. 4/2022 


COVId-19 
e 
meno 
pericolose 
per 
la 
salute 
erano 
già 
state 
approvate, 
a 
tale 
data, 
in 
diversi 
Stati membri. 


30 
A 
tal 
proposito 
occorre 
rammentare 
che, 
secondo 
una 
costante 
giurisprudenza 
della 
Corte, 
nell’ambito della 
cooperazione 
tra 
la 
Corte 
e 
i 
giudici 
nazionali, la 
necessità 
di 
pervenire 
a 
un’interpretazione 
o 
a 
una 
valutazione 
della 
validità 
del 
diritto 
dell’Unione 
che 
sia 
utile 
per il 
giudice 
nazionale 
impone 
che 
quest’ultimo rispetti 
scrupolosamente 
i 
requisiti 
relativi 
al 
contenuto 
di 
una 
domanda 
di 
pronuncia 
pregiudiziale, 
indicati 
in 
maniera 
esplicita 
all’articolo 94 del 
regolamento di 
procedura, i 
quali 
si 
presumono noti 
al 
giudice 
del 
rinvio. 
Tali 
requisiti 
sono 
inoltre 
richiamati 
nelle 
raccomandazioni 
della 
Corte 
all’attenzione 
dei 
giudici 
nazionali, relative 
alla 
presentazione 
di 
domande 
di 
pronuncia 
pregiudiziale 
(gU 
2019, C 380, pag. 1) (v., in tal 
senso, sentenza 
del 
6 ottobre 
2021, Consorzio Italian 
Management 
e 
Catania 
Multiservizi, 
C‑561/19, 
eU:C:2021:799, 
punto 
68 
e 
giurisprudenza 
ivi citata). 


31 Pertanto, è 
indispensabile, come 
enunciato all’articolo 94, lettera 
c), del 
regolamento di 
procedura, 
che 
la 
decisione 
di 
rinvio 
contenga 
l’illustrazione 
dei 
motivi 
che 
hanno 
indotto 
il 
giudice 
del 
rinvio a 
interrogarsi 
sull’interpretazione 
o sulla 
validità 
di 
determinate 
disposizioni 
del 
diritto dell’Unione, nonché 
il 
collegamento che 
esso stabilisce 
tra 
dette 
disposizioni 
e 
la 
normativa 
nazionale 
applicabile 
alla 
controversia 
di 
cui 
al 
procedimento 
principale 
(sentenza 
del 
6 ottobre 
2021, Consorzio Italian Management 
e 
Catania 
Multi-
servizi, C‑561/19, eU:C:2021:799, punto 69 nonché giurisprudenza ivi citata). 


32 Nel 
caso di 
specie, ad avviso del 
giudice 
del 
rinvio, esso è 
chiamato, nel 
procedimento 
principale, a 
pronunciarsi 
sulla 
fondatezza 
della 
decisione 
dell’ospedale 
universitario di 
sospendere 
d.M. dal 
lavoro senza 
diritto a 
retribuzione, decisione 
adottata 
per il 
motivo 
che 
quest’ultima 
aveva 
rifiutato di 
assoggettarsi 
all’obbligo vaccinale 
contro la 
COVId19, 
previsto all’articolo 4 del decreto legge n. 44/2021. 


33 Orbene, in primo luogo, quand’anche 
le 
«emersioni 
mediche» e 
le 
«nuove 
acquisizioni 
in termini 
di 
medicinali 
a 
disposizione», menzionate 
dal 
giudice 
del 
rinvio, fossero tali 
da 
mettere 
in 
discussione 
la 
validità 
delle 
autorizzazioni 
all’immissione 
in 
commercio 
condizionate 
dei 
vaccini 
volti 
a 
prevenire 
l’infezione 
e 
la 
diffusione 
della 
COVId-19 
nonché 
la 
gravità 
dei 
sintomi 
di 
detta 
patologia, occorre 
tuttavia 
rilevare 
che 
il 
giudice 
di 
cui 
trattasi 
non 
ha 
identificato 
concretamente 
dette 
autorizzazioni 
né 
ha 
preso 
in 
esame 
il 
loro 
contenuto 
alla 
luce 
dei 
requisiti 
di 
validità 
derivanti 
dall’articolo 
4 
del 
regolamento 
n. 
507/2006, letto, eventualmente, alla luce degli articoli 3 e 35 della Carta. 


34 Il 
giudice 
del 
rinvio si 
è 
infatti 
limitato a 
dare 
atto della 
sua 
valutazione 
generale 
secondo 
la 
quale, 
alla 
luce 
degli 
sviluppi 
menzionati 
al 
punto 
precedente, 
non 
pare 
«irragionevole» 
nutrire 
dubbi 
quanto alla 
validità 
di 
dette 
autorizzazioni, senza 
tuttavia 
approfondire 
in 
alcun modo la 
natura 
concreta 
di 
tali 
dubbi. L’ordinanza 
di 
rinvio non consente 
quindi 
alla 
Corte 
di 
individuare 
le 
autorizzazioni 
in questione 
e 
gli 
elementi 
precisi 
di 
dette 
autorizzazioni 
che 
suscitano 
i 
dubbi 
summenzionati 
né, 
di 
conseguenza, 
di 
comprendere 
sotto quale 
profilo le 
autorizzazioni 
in parola 
potrebbero, a 
parere 
di 
tale 
giudice, non essere 
più 
valide 
alla 
luce 
dei 
requisiti 
derivanti 
dall’articolo 
4 
del 
regolamento 
n. 
507/2006 


o dagli 
articoli 
3 e 
35 della 
Carta; 
peraltro, nell’ordinanza 
di 
rinvio detto giudice 
non ha 
neppure 
illustrato l’eventuale 
impatto, in tale 
contesto, di 
queste 
ultime 
due 
disposizioni. 
35 
In 
secondo 
luogo, 
né 
l’ordinanza 
di 
rinvio, 
né 
il 
fascicolo 
presentato 
alla 
Corte 
consentono 
di 
comprendere 
in che 
modo il 
fatto di 
mettere 
in discussione 
la 
validità 
delle 
autorizzazioni 
condizionate 
possa 
incidere 
sull’esito 
della 
controversia 
di 
cui 
al 
procedimento 
prin



CONTeNZIOSO 
COMUNITArIO 
ed 
INTerNAZIONALe 


cipale 
che, 
in 
effetti, 
appare 
dipendere 
non 
già 
dalla 
validità 
delle 
suddette 
autorizzazioni, 
bensì 
dalla 
legittimità 
-contestata 
da 
d.M. . dell’obbligo vaccinale 
previsto all’articolo 
4 del 
decreto-legge 
n. 44/2021 e 
delle 
sanzioni 
che 
tale 
disposizione 
stabilisce 
in caso di 
inosservanza dello stesso. 


36 
In 
tale 
contesto 
si 
deve 
sottolineare 
che, 
benché 
il 
rilascio 
di 
tali 
autorizzazioni 
costituisca 
un prerequisito del 
diritto dei 
loro titolari 
di 
immettere 
i 
vaccini 
di 
cui 
trattasi 
in commercio 
in ogni 
Stato membro (v., in tal 
senso, sentenza 
del 
16 marzo 2023, Commissione 
e 
a./Pharmaceutical 
Works 
Polpharma, 
da 
C‑438/21 
P 
a 
C‑440/21 
P, 
eU:C:2023:213, 
punto 81), il 
rilascio di 
dette 
autorizzazioni 
condizionate 
non comporta, in quanto tale, 
alcun 
obbligo, 
in 
capo 
ai 
destinatari 
potenziali 
di 
tali 
vaccini, 
di 
farsi 
somministrare 
questi 
ultimi, tanto più che 
il 
giudice 
del 
rinvio non ha 
esplicitamente 
posto l’interrogativo se 
le 
persone 
assoggettate 
all’obbligo 
vaccinale 
previsto 
all’articolo 
4 
del 
decreto-legge 
n. 
44/2021 fossero obbligate 
ad assumere 
unicamente 
i 
vaccini 
oggetto delle 
suddette 
autorizzazioni 
condizionate. 


37 di 
conseguenza, in assenza 
di 
qualsiasi 
spiegazione 
da 
parte 
del 
giudice 
del 
rinvio circa 
i 
motivi 
per cui 
esso mette 
in discussione 
la 
validità 
delle 
autorizzazioni 
all’immissione 
in 
commercio 
condizionate 
nonché 
circa 
quelli 
relativi 
all’eventuale 
nesso 
tra, 
da 
un 
lato, 
la 
validità 
di 
tali 
autorizzazioni 
e, 
dall’altro, 
l’obbligo 
vaccinale 
contro 
la 
COVId-19 
previsto 
all’articolo 
4 
del 
decreto 
legge 
n. 
44/2021, 
si 
deve 
giudicare 
che 
la 
presente 
domanda 
di 
pronuncia 
pregiudiziale 
non 
soddisfa 
i 
requisiti 
ricordati 
al 
punto 
31 
della 
presente 
sentenza 
per quanto riguarda la prima questione. 


38 Ne consegue che quest’ultima è irricevibile. 


Sulle questioni dalla seconda alla quinta 


39 Con le 
questioni 
dalla 
seconda 
alla 
quinta, che 
devono essere 
esaminate 
congiuntamente, 
il 
giudice 
del 
rinvio desidera 
accertare, in sostanza, in primo luogo, se 
il 
regolamento n. 
507/2006 
debba 
essere 
interpretato 
nel 
senso 
che 
esso 
osta 
a 
che, 
ai 
fini 
dell’adempimento 
di 
un obbligo vaccinale 
contro la 
COVId-19 imposto da 
una 
normativa 
nazionale 
al 
personale 
medico sanitario, possano essere 
utilizzati 
vaccini 
che 
sono stati 
oggetto di 
un’autorizzazione 
condizionata 
concessa 
ai 
sensi 
dell’articolo 
4 
di 
detto 
regolamento, 
e 
ciò 
anche 
nella 
situazione 
in 
cui, 
da 
un 
lato, 
i 
soggetti 
in 
parola 
abbiano 
sviluppato 
l’immunità 
al 
virus 
che 
causa 
tale 
malattia 
e, dall’altro, l’autorità 
sanitaria 
non abbia 
specificamente 
stabilito che 
non vi 
sono controindicazioni 
alla 
vaccinazione 
di 
cui 
trattasi. In secondo 
luogo, 
esso 
chiede 
se 
la 
sanzione 
inflitta 
al 
personale 
sanitario 
in 
caso 
di 
inosservanza 
dell’obbligo 
in 
parola 
possa, 
in 
considerazione, 
eventualmente, 
dell’articolo 
41 
della 
Carta, consistere 
nella 
sospensione 
dal 
lavoro senza 
retribuzione 
anziché 
in misure 
sanzionatorie 
graduali, adottate 
conformemente 
al 
principio di 
proporzionalità 
e 
al 
principio 
del contraddittorio. 


40 
Al 
riguardo 
occorre 
sottolineare, 
in 
via 
preliminare, 
che 
l’articolo 
168, 
paragrafo 
7, 
TfUe 
non enuncia, a 
carico degli 
Stati 
membri, alcuna 
prescrizione 
relativa 
alla 
vaccinazione 
obbligatoria 
di 
talune 
categorie 
di 
persone, 
considerato 
che 
il 
diritto 
dell’Unione 
non 
pregiudica, 
in forza 
di 
tale 
articolo 168, paragrafo 7, la 
competenza 
degli 
Stati 
membri 
ad 
adottare 
disposizioni 
destinate 
a 
definire 
la 
loro 
politica 
sanitaria. 
Tuttavia, 
nell’esercizio 
di 
tale 
competenza 
gli 
Stati 
membri 
devono rispettare 
il 
diritto dell’Unione 
(v., per analogia, 
sentenza 
del 
28 
aprile 
2022, 
gerencia 
regional 
de 
Salud 
de 
Castilla 
y 
León, 
C‑86/21, eU:C:2022:310, punto 18 e 
giurisprudenza 
ivi 
citata, e 
ordinanza 
del 
17 luglio 
2014, Široká, C‑459/13, eU:C:2014:2120, punto 19). 



rASSegNA 
AVVOCATUrA 
deLLO 
STATO -N. 4/2022 


41 Orbene, risulta 
che 
le 
questioni 
dalla 
seconda 
alla 
quinta 
si 
fondano sulla 
premessa 
secondo 
cui 
il 
regolamento n. 507/2006 o le 
autorizzazioni 
condizionate 
concesse 
ai 
sensi 
dello stesso sarebbero tali 
da 
inquadrare, da 
un lato, le 
condizioni 
che 
disciplinano l’imposizione, 
nel 
diritto interno, di 
un obbligo vaccinale, come 
quello previsto all’articolo 4 
del 
decreto legge 
n. 44/2021, qualora 
detto diritto preveda 
a 
tal 
fine 
l’uso di 
vaccini 
oggetto 
di 
una 
siffatta 
autorizzazione 
condizionata, nonché, dall’altro, le 
conseguenze 
che 
possono derivare, secondo il 
suddetto diritto interno, dall’inosservanza 
di 
tale 
obbligo, 
compresa la procedura da seguire a tal fine. 


42 Tuttavia, come 
rilevato al 
punto 36 della 
presente 
sentenza, il 
rilascio di 
siffatte 
autorizzazioni 
non ha 
l’effetto di 
imporre 
ai 
potenziali 
destinatari 
dei 
vaccini 
interessati 
un obbligo 
di 
farsi 
somministrare 
questi 
ultimi. Inoltre 
il 
giudice 
del 
rinvio non espone, nella 
sua 
ordinanza 
di 
rinvio, il 
collegamento che 
esso stabilisce 
fra, da 
un lato, il 
contenuto o 
l’oggetto di 
tali 
autorizzazioni, concesse 
conformemente 
all’articolo 4 del 
regolamento 


n. 
507/2006, 
e, 
dall’altro, 
la 
configurazione, 
nel 
suo 
diritto 
interno, 
delle 
condizioni 
e 
delle 
modalità 
dell’obbligo 
vaccinale 
menzionate 
nelle 
questioni 
dalla 
seconda 
alla 
quinta, 
quali applicabili alla controversia di cui al procedimento principale. 
43 
Peraltro, 
per 
quanto 
riguarda 
l’articolo 
41 
della 
Carta, 
che 
sancisce 
il 
diritto 
ad 
una 
buona 
amministrazione, menzionato dal 
giudice 
del 
rinvio nell’ambito della 
terza 
e 
della 
quinta 
questione, occorre 
ricordare 
che 
tale 
articolo non si 
rivolge 
agli 
Stati 
membri, bensì 
unicamente 
alle 
istituzioni, agli 
organi 
e 
agli 
organismi 
dell’Unione 
e 
non è 
quindi 
rilevante 
ai 
fini 
della 
soluzione 
della 
controversia 
di 
cui 
al 
procedimento 
principale. 
Per 
contro, 
detto articolo riflette 
un principio generale 
del 
diritto dell’Unione 
destinato ad applicarsi 
agli 
Stati 
membri 
in sede 
di 
attuazione 
di 
tale 
diritto [v., in tal 
senso, sentenza 
del 
10 febbraio 
2022, 
bezirkshauptmannschaft 
Hartberg-fürstenfeld 
(Termine 
di 
prescrizione), 
C‑219/20, eU:C:2022:89, punti 36 e 37]. 


44 Nel 
caso di 
specie, il 
giudice 
del 
rinvio non ha 
spiegato in cosa 
consista 
il 
collegamento 
tra 
il 
principio 
generale 
del 
diritto 
dell’Unione 
relativo 
al 
diritto 
a 
una 
buona 
amministrazione 
e 
l’attuazione 
dell’obbligo 
vaccinale 
previsto 
all’articolo 
4 
del 
decreto 
legge 
n. 
44/2021, non avendo dimostrato che 
l’ultima 
disposizione 
costituisce 
un’attuazione 
del 
diritto dell’Unione. 


45 
Ne 
consegue 
che 
la 
presente 
domanda 
di 
pronuncia 
pregiudiziale 
non 
soddisfa, 
per 
quanto 
riguarda 
le 
questioni 
dalla 
seconda 
alla 
quinta, i 
requisiti 
previsti 
all’articolo 94, lettera 
c), del regolamento di procedura e ricordati al punto 31 della presente sentenza. 


46 Alla luce di quanto precede, le questioni dalla seconda alla quinta sono irricevibili. 


Sulle questioni sesta e settima 


47 Con le 
sue 
questioni 
sesta 
e 
settima, che 
occorre 
esaminare 
congiuntamente, il 
giudice 
del 
rinvio chiede, in sostanza, se 
il 
regolamento 2021/953, in combinato disposto con i 
principi 
di 
proporzionalità 
e 
di 
non discriminazione, debba 
essere 
interpretato nel 
senso 
che 
esso 
osta 
a 
una 
normativa 
nazionale 
che 
impone 
un 
obbligo 
vaccinale 
contro 
la 
COVId-19 agli 
esercenti 
le 
professioni 
sanitarie 
laddove, da 
un lato, consente 
a 
una 
categoria 
di 
professionisti 
che 
ne 
sono esentati 
per ragioni 
mediche 
di 
continuare 
ad esercitare 
le 
loro attività 
rispettando i 
presidi 
di 
sicurezza 
previsti 
da 
tale 
normativa, senza 
tuttavia 
dare 
ai 
professionisti 
che 
non intendono assumere 
il 
vaccino la 
stessa 
possibilità, 
e, dall’altro, essa 
può parimenti 
applicarsi 
ai 
cittadini 
di 
altri 
Stati 
membri 
che 
esercitano 
un’attività lavorativa in Italia. 


48 Occorre 
anzitutto rilevare 
che 
il 
giudice 
del 
rinvio non individua, nel 
testo delle 
sue 
que



CONTeNZIOSO 
COMUNITArIO 
ed 
INTerNAZIONALe 
117 


stioni 
né, 
più 
in 
generale, 
nella 
stessa 
ordinanza 
di 
rinvio, 
le 
disposizioni 
del 
regolamento 
2021/953 di 
cui 
chiede 
l’interpretazione. Il 
giudice 
fa 
infatti 
riferimento unicamente 
ai 
principi 
di 
proporzionalità 
e 
di 
non discriminazione 
«contenuti 
[nel 
summenzionato regolamento]
», 
nonché 
al 
considerando 
6 
di 
detto 
regolamento 
nella 
parte 
in 
cui 
precisa 
che 
«è 
necessario che 
tali 
limitazioni 
[alla 
libera 
circolazione 
delle 
persone] siano applicate 
conformemente 
ai 
principi 
generali 
del 
diritto dell’Unione, segnatamente 
la 
proporzionalità 
e la non discriminazione». 


49 A 
questo proposito, da 
un lato, benché 
i 
considerando costituiscano parte 
integrante 
del 
regolamento in parola, esplicitando gli 
obiettivi 
da 
esso perseguiti, essi 
non hanno, di 
per 
sé, effetti 
vincolanti 
(v., in tal 
senso, sentenza 
del 
24 febbraio 2022, glavna 
direktsia 
Pozharna 
bezopasnost 
i 
zashtita 
na 
naselenieto, C‑262/20, eU:C:2022:117, punto 34). Il 
riferimento 
al 
considerando 6 del 
regolamento 2021/953 non può quindi, in quanto tale, 
essere 
sufficiente 
a 
far emergere 
il 
collegamento tra 
tale 
regolamento e 
la 
normativa 
nazionale 
applicabile alla controversia di cui al procedimento principale. 


50 
d’altro 
lato, 
per 
quanto 
riguarda 
i 
principi 
di 
proporzionalità 
e 
di 
non 
discriminazione 
menzionati 
dal 
giudice 
del 
rinvio, occorre 
rilevare 
che 
risulta 
dai 
considerando da 
12 a 
14 e 
dall’articolo 1 del 
regolamento 2021/953 che, benché 
detto regolamento intenda 
attuare 
tali 
principi, 
ciò 
avviene 
allo 
scopo 
di 
agevolare 
l’esercizio 
del 
diritto 
alla 
libera 
circolazione 
da 
parte 
dei 
titolari 
dello stesso diritto istituendo un quadro per il 
rilascio, la 
verifica 
e 
l’accettazione 
di 
certificati 
interoperabili 
di 
vaccinazione, 
di 
test 
e 
di 
guarigione 
in relazione alla COVId-19. 


51 Pertanto, tale 
regolamento non mira 
segnatamente, in applicazione 
di 
detti 
principi, a 
definire 
criteri 
che 
consentano 
di 
valutare 
la 
fondatezza 
delle 
misure 
sanitarie 
adottate 
dagli 
Stati 
membri 
per 
far 
fronte 
alla 
pandemia 
di 
COVId-19 
qualora 
esse 
siano 
tali 
da 
limitare 
la 
libera 
circolazione, come 
l’obbligo vaccinale 
previsto all’articolo 4 del 
decreto legge 


n. 
44/2021 
di 
cui 
al 
procedimento 
principale, 
né 
ad 
agevolarne 
o 
incoraggiarne 
l’adozione, 
dato 
che 
il 
considerando 
36 
del 
medesimo 
regolamento 
precisa 
che 
quest’ultimo 
«non 
può 
essere 
interpretato 
nel 
senso 
che 
istituisce 
un 
diritto 
o 
un 
obbligo 
a 
essere 
vaccinati». 
52 
di 
conseguenza, 
né 
le 
precisazioni 
contenute 
nell’ordinanza 
di 
rinvio 
né, 
peraltro, 
gli 
altri 
elementi 
presenti 
nel 
fascicolo 
di 
cui 
dispone 
la 
Corte 
consentono 
di 
determinare 
con 
esattezza 
le 
disposizioni 
del 
regolamento 
2021/953, 
in 
combinato 
disposto 
con 
i 
principi 
di 
proporzionalità 
e 
di 
non discriminazione, la 
cui 
interpretazione 
sarebbe 
richiesta 
e sarebbe necessaria alla soluzione della controversia di cui al procedimento principale. 
53 
Ne 
consegue 
che 
la 
presente 
domanda 
di 
pronuncia 
pregiudiziale 
non 
soddisfa, 
per 
quanto 
riguarda 
la 
sesta 
e 
la 
settima 
questione, i 
requisiti 
previsti 
dall’articolo 94, lettera 
c), del 
regolamento di procedura e ricordati al punto 31 della presente sentenza. 


54 Va 
aggiunto 
che, 
in 
ogni 
caso, 
deve 
sussistere 
un 
collegamento 
tra 
la 
controversia 
di 
cui 
al 
procedimento 
principale 
e 
le 
disposizioni 
del 
diritto 
dell’Unione 
delle 
quali 
si 
chiede 
l’interpretazione, 
tale 
per 
cui 
detta 
interpretazione 
risponda 
ad 
una 
necessità 
oggettiva 
ai 
fini 
della 
decisione 
che 
dev’essere 
adottata 
dal 
giudice 
del 
rinvio 
(sentenza 
del 
26 
marzo 
2020, 
Miasto 
Łowicz 
e 
Prokurator 
generalny, 
C‑558/18 
e 
C‑563/18, 
eU:C:2020:234, 
punto 
48). 


55 Orbene, la 
controversia 
di 
cui 
al 
procedimento principale 
riguarda 
la 
domanda 
di 
d.M., 
basata 
sull’asserita 
illegittimità 
dell’obbligo vaccinale 
previsto all’articolo 4 del 
decreto 
legge 
n. 44/2021, di 
essere 
riammessa 
in servizio nel 
reparto di 
neurochirurgia-degenze 
dell’ospedale 
universitario. 
Tale 
controversia 
non 
riguarda 
quindi 
l’applicazione 
delle 
disposizioni 
del 
regolamento 
2021/953, 
in 
particolare 
del 
suo 
articolo 
5, 
paragrafo 
1, 
il 



rASSegNA 
AVVOCATUrA 
deLLO 
STATO -N. 4/2022 


quale 
conferisce 
alle 
persone 
vaccinate 
il 
diritto al 
rilascio di 
un certificato vaccinale, o 
del 
suo articolo 7, paragrafo 1, il 
quale 
conferisce 
alle 
persone 
guarite 
da 
un’infezione 
da 
SArS-CoV-2 il diritto al rilascio di un certificato di guarigione. 


56 
Per 
quanto 
riguarda 
la 
possibilità, 
osservata 
dal 
giudice 
del 
rinvio, 
che 
l’obbligo 
vaccinale 
previsto all’articolo 4 del 
decreto legge 
n. 44/2021 possa 
parimenti 
applicarsi 
a 
persone 
che 
hanno esercitato il 
loro diritto alla 
libera 
circolazione, si 
deve 
constatare, in primo 
luogo, che 
il 
giudice 
del 
rinvio non ha 
precisato che 
la 
controversia 
pendente 
dinanzi 
ad 
esso riguarda 
una 
situazione 
transfrontaliera; 
del 
resto, l’ospedale 
universitario ha 
precisato 
che 
d.M. non è 
una 
cittadina 
di 
un altro Stato membro venuta 
in Italia 
per lavorare 
in tale paese. 


57 
In 
secondo 
luogo, 
il 
giudice 
del 
rinvio 
non 
ha 
spiegato 
in 
che 
modo 
una 
simile 
eventualità 
sarebbe 
rilevante 
ai 
fini 
dell’applicazione 
del 
regolamento 
2021/953 
nelle 
circostanze 
che 
caratterizzano la controversia di cui al procedimento principale. 


58 In terzo luogo, sebbene, con il 
suo riferimento alla 
sentenza 
del 
14 novembre 
2018, Memoria 
e 
dall’Antonia 
(C‑342/17, eU:C:2018:906), il 
giudice 
del 
rinvio abbia 
inteso far 
presente 
che 
il 
diritto nazionale 
gli 
impone, per quanto riguarda 
il 
diritto alla 
libertà 
di 
stabilimento 
e 
il 
diritto 
alla 
libera 
prestazione 
dei 
servizi 
previsti 
agli 
articoli 
49 
e 
56 
TfUe, di 
far beneficiare 
d.M. degli 
stessi 
diritti 
di 
cui 
dispongono, in forza 
del 
diritto 
dell’Unione, 
i 
cittadini 
di 
altri 
Stati 
membri 
che 
si 
trovano 
nella 
medesima 
situazione, 
occorre 
ricordare 
che 
la 
sesta 
e 
la 
settima 
questione 
vertono sull’interpretazione 
del 
regolamento 
2021/953 e 
non già, come 
sottolineato anche 
dal 
governo italiano in udienza, 
sull’interpretazione di tali libertà fondamentali. 


59 del 
resto, la 
Corte 
non può, in ogni 
caso, considerare, senza 
indicazioni 
da 
parte 
del 
giudice 
del 
rinvio diverse 
dal 
fatto che 
la 
normativa 
nazionale 
in discussione 
sia 
applicabile 
indistintamente 
ai 
cittadini 
dello 
Stato 
membro 
interessato 
e 
ai 
cittadini 
di 
altri 
Stati 
membri, 
che 
un’interpretazione 
delle 
disposizioni 
del 
Trattato fUe 
relative 
alle 
libertà 
fondamentali 
sia 
necessaria 
a 
tale 
giudice 
per 
risolvere 
la 
controversia 
pendente 
dinanzi 
ad 
esso 
(v., 
in 
tal 
senso, 
sentenza 
del 
15 
novembre 
2016, 
Ullens 
de 
Schooten, 
C‑268/15, 
eU:C:2016:874, punto 54). 


60 In simili 
circostanze, dall’ordinanza 
di 
rinvio non risulta 
che 
tra 
il 
regolamento 2021/953 
e 
la 
controversia 
di 
cui 
al 
procedimento principale 
sussista 
un collegamento ai 
sensi 
del 
punto 54 della presente sentenza. 


61 Tenuto 
conto 
delle 
suesposte 
considerazioni, 
la 
sesta 
e 
la 
settima 
questione 
sono 
irricevibili. 


62 da 
tutto quanto precede 
risulta 
che 
la 
domanda 
di 
pronuncia 
pregiudiziale 
proposta 
dal 
giudice del rinvio è irricevibile. 
Sulle spese 


63 Nei 
confronti 
delle 
parti 
nel 
procedimento principale 
la 
presente 
causa 
costituisce 
un incidente 
sollevato dinanzi 
al 
giudice 
nazionale, cui 
spetta 
quindi 
statuire 
sulle 
spese. Le 
spese 
sostenute 
da 
altri 
soggetti 
per presentare 
osservazioni 
alla 
Corte 
non possono dar 
luogo a rifusione. 
Per questi motivi, la Corte (Seconda Sezione) dichiara: 
la 
domanda 
di 
pronuncia 
pregiudiziale 
proposta 
dal 
tribunale 
ordinario 
di 
Padova 
(italia), con ordinanza del 7 dicembre 2021, è irricevibile. 
Così deciso e pronunciato a Lussemburgo il 13 luglio 2023. 



CONTENZIOSONAZIONALE
Giudizio abbreviato e legalità della pena: 
brevi considerazioni su Cassazione penale, SS.UU., 

n. 47182 del 31 marzo 2022 (dep. 13 dicembre 2022) 
Federico Casu* 


Sommario: 1. La questione 
in sintesi 
-2. La sanzione 
penale 
tra illegalità e 
illegittimità 


- 3. Una breve considerazione. 
1. La questione in sintesi. 
Con la 
sentenza 
in commento le 
Sezioni 
Unite 
della 
Corte 
di 
Cassazione 
si 
sono 
pronunciate 
in 
merito 
ad 
una 
vicenda 
che 
ha 
visto 
l’imputato 
di 
un 
reato contravvenzionale 
(1) essere 
condannato, nell’ambito di 
un giudizio abbreviato, 
a 
quaranta 
giorni 
di 
arresto e 
a 
duemila 
euro di 
multa 
senza 
che 
il 
giudice 
di 
merito 
procedesse 
alla 
diminuzione 
della 
metà 
della 
pena 
come 
previsto 
dall’articolo 442, comma secondo, del c.p.p. 


La 
pronuncia 
veniva, peraltro, confermata 
dalla 
Corte 
d’appello che, nel 
mantenere 
ferma 
la 
sanzione 
stabilita 
dal 
giudice 
di 
prime 
cure, 
si 
pronunciava 
sull’unico motivo proposto riguardante 
il 
mancato riconoscimento delle 
attenuanti 
generiche. 


Nel 
corso 
del 
giudizio 
di 
Cassazione, 
attivato 
dal 
legale 
dell’imputato 
per 
contestare 
la 
violazione 
dell’articolo 442, comma 
2, del 
c.p.p. per non avere 
la 
Corte 
d’appello applicato la 
prevista 
diminuzione 
della 
pena, la 
IV 
Sezione 
investiva 
le 
Sezioni 
Unite 
in ragione 
di 
un contrasto giurisprudenziale 
sulla 
possibilità 
o 
meno, 
da 
parte 
del 
giudice 
di 
legittimità, 
di 
rilevare 
d’ufficio 
l’er


(*) Viceprefetto. 


(1) Guida 
in stato di 
ebrezza 
durante 
le 
ore 
notturne 
(articolo 186, comma 
2, lett. b) e 
comma 
2sexies, 
del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285). 

raSSeGNa 
aVVoCatUra 
DeLLo 
Stato -N. 4/2022 


ronea 
riduzione 
di 
una 
pena 
prevista 
per il 
rito abbreviato, anche 
quando la 
questione, non prospettata 
con l’atto di 
appello, sia 
stata 
proposta 
solo con il 
ricorso in Cassazione. 


In sostanza, evidenziano le 
SS.UU. «ciò che 
si 
prospetta in termini 
dubitativi 
è 
l’inammissibilità 
del 
ricorso 
per 
mancata 
deduzione 
con 
i 
motivi 
d’appello 
dell’erronea 
riduzione 
per 
il 
rito 
abbreviato, 
operata 
in 
misura 
inferiore 
a quella prevista per le contravvenzioni» (2). 


Dunque 
il 
cuore 
del 
problema 
è 
se 
la 
mancata 
riduzione 
premiale 
della 
pena, 
prevista 
dal 
codice 
per 
il 
rito 
abbreviato, 
dia 
origine 
ad 
una 
pena 
illegale, 
senz’altro 
rilevabile 
d’ufficio 
in 
sede 
di 
legittimità 
a 
prescindere 
dalle 
vicende 
del giudizio di primo e secondo grado. 


Mutato 
il 
quadro 
prospettico, 
la 
problematica 
all’esame 
dei 
giudici 
di 
Piazza 
Cavour 
è 
se 
la 
mancata 
applicazione 
della 
diminuente 
processuale 
prevista 
per il 
rito abbreviato conformi 
o meno la 
pena 
in termini 
di 
illegalità 
o 
di semplice illegittimità. 


2. La sanzione penale tra illegalità e illegittimità. 
La 
parte 
più interessante 
della 
pronuncia 
in commento riguarda 
proprio 
la differenza tra 
pena illegale 
e 
pena illegittima. 


Le 
posizioni 
della 
giurisprudenza 
in 
proposito 
sono 
sostanzialmente 
due. 


Una 
prima 
tesi, più estensiva 
e 
più garantista, riconduce 
la 
categoria 
del-
l’illegalità 
non già 
alla 
pena 
in quanto tale, ma 
al 
«complessivo regime 
di 
attuazione 
della statuizione della pena» (3). 


La 
seconda 
tesi, 
invece, 
cui 
aderisce 
la 
presente 
sentenza, 
sostiene 
che 
gli 
errori 
nell’applicazione 
della 
disciplina 
sulla 
commisurazione 
della 
sanzione 
determinano una 
pena 
illegale 
solo nel 
caso in cui 
quest’ultima 
risulti 
nel 
genere, nella 
specie 
o nel 
valore 
minimo o massimo 
diversa 
da 
quella 
che 
il 
legislatore 
ha 
individuato per il 
tipo astratto di 
fattispecie 
incriminatrice 
cui 
viene sussunto il fatto storico di reato. 


È 
in 
questi 
casi, 
infatti, 
che 
si 
verificherebbe 
un’anomalia 
intollerabile 
per l’ordinamento perché 
verrebbe 
travolto il 
principio di 
colpevolezza, attraverso 
la 
negazione 
del 
criterio della 
prevedibilità 
della 
sanzione 
e 
della 
stessa 
funzione rieducativa della pena. 


Di qui un’importante considerazione sul fatto che: 


«... il 
tema 
della 
pena 
è 
il 
tema 
della 
coesistenza 
di 
due 
domini, quello del 
legislatore 
e 
quello 
del 
giudice, 
tra 
loro 
interrelati 
e 
tuttavia 
non 
confondibili. 
L’uno 
è 
espressione 
del 
potere 
di 
determinare 
il 
disvalore 
del 
tipo 
(ed 
eventualmente 
del 
sottotipo) 
astratto; 
l’altro 
del 
potere 
di 
determinare 
il 
disvalore 
del 
fatto 
concreto. 
Nel 
commisurare 
la 
pena 
il 
giudice 
si 
confronta, quindi, con due 
vincoli 
legali: 
quelli 
del 
primo tipo tendono a 
preservare 
le 
fonda


(2) Cassazione penale, SS.UU., n. 47182 del 31 marzo 2022 (dep. 13 dicembre 2022), p. 5. 
(3) ibidem, pp. 22-23. 

CoNteNzIoSo 
NazIoNaLe 


mentali 
opzioni 
legislative 
in ordine 
al 
disvalore 
del 
fatto reato astrattamente 
inteso; 
gli 
altri 
indirizzano 
e 
regolano 
la 
discrezionalità 
giudiziale 
nell’apprezzamento 
del 
disvalore 
del 
fatto 
reato storicamente concretizzatosi ai fini della individualizzazione della pena. 


ogni 
violazione 
del 
primo travolge 
le 
prerogative 
del 
legislatore 
ed i 
valori 
per i 
quali 
esse 
sono riconosciute 
(nello Stato di 
diritto di 
stampo liberale, tali 
valori 
fanno capo all’individuo): 
la 
pena 
così 
determinata 
è 
illegale. 
La 
violazione 
delle 
regole 
che 
disciplinano 
l’uso 
del 
potere 
commisurativo -che 
resti 
rispettoso della 
determinazione 
legale 
-pone 
invece 
una 
questione di legittimità della pena» (4). 


Per inciso, è 
per tali 
considerazioni 
che 
le 
SS.UU. non riconoscono dignità 
di 
posizione 
autonoma 
a 
quell’ipotesi 
di 
illegalità 
«discendente 
dal 
carattere 
‘macroscopico’ 
dell’errore 
di 
calcolo» 
(5) 
e 
ciò 
in 
quanto 
una 
pena 
macroscopicamente 
errata 
sarebbe 
illegale 
solo se, comunque, incidente 
sul 
dominio 
riservato al legislatore e non anche su quello riservato al giudice. 


In 
altri 
termini, 
un 
calcolo 
macroscopicamente 
errato 
genererebbe 
una 
pena 
illegale 
solo se 
quest’ultima 
fosse 
nel 
genere, nella 
specie 
o nel 
valore 
minimo o massimo 
diversa 
da 
quella 
che 
il 
legislatore 
ha 
configurato nel 
tipo 
astratto di reato. 

Fin qui il ragionamento della Corte scorre tranquillo e senza intoppi. 


Qualche 
increspatura 
logico-argomentativa 
sembrerebbe, 
invece, 
registrarsi 
in merito all’ipotesi 
della 
mancata 
applicazione 
della 
diminuente 
processuale 
stabilita 
per 
il 
rito 
abbreviato 
(6), 
ovvero 
se 
in 
tale 
evenienza 
si 
verifichi un caso di pena illegale o pena illegittima. 


Per la 
Cassazione 
non ci 
sono dubbi 
sul 
fatto che, qualora 
la 
pena 
concretamente 
irrogata 
rientri 
nei 
limiti 
edittali, 
«l’erronea 
applicazione 
da 
parte 
del 
giudice 
di 
merito della misura diminuente, prevista per 
un reato contravvenzionale 
giudicato con rito abbreviato, integra un’ipotesi 
di 
violazione 
di 
legge 
che, ove 
non dedotta nell’appello, resta preclusa dalla inammissibilità 
del ricorso» (7). 

Di 
qui 
la 
conclusione 
che, nel 
caso di 
specie 
all’esame 
delle 
SS.UU., la 
pena risultante dal dispositivo della sentenza 
sub iudice 
non risulta illegale: 


«Il 
reato 
di 
cui 
all’art. 
186, 
comma 
2, 
lett. 
b) 
e 
co. 
2-sexties 
cod. 
strada 
è 
punito 
con 
l’arresto 
sino 
a 
sei 
mesi 
e 
la 
ammenda 
da 
1.066 
a 
4.800 
euro. 
La 
pena 
irrogata, 
di 
giorni 
quaranta 
di 
arresto 
ed 
euro 
duemila 
di 
ammenda, 
è 
ricompresa 
nel 
range 
e 
pertanto 
non 
è 
illegale» 
(8). 


(4) ibidem, pp. 19-20. 
(5) ibidem, p. 23. 
(6) L’articolo 442, comma 
2, del 
c.p.p. stabilisce 
che, tenendo conto di 
tutte 
circostanze, la 
pena 
è 
diminuita 
di 
un terzo se 
si 
tratta 
di 
delitti, metà 
se 
si 
tratta 
di 
contravvenzione 
e 
trent’anni 
se 
si 
tratta 
dell’ergastolo. 
(7) 
È 
il 
principio 
di 
diritto 
elaborato 
dai 
giudici 
nella 
sentenza 
qui 
in 
esame: 
cfr. 
Cassazione 
penale, 
SS.UU., n. 47182/2022 cit., p. 30 
(8) Cassazione penale, SS.UU., n. 47182/2022, cit., p. 30. 

raSSeGNa 
aVVoCatUra 
DeLLo 
Stato -N. 4/2022 


Proprio 
per 
giustificare 
questa 
conclusione, 
i 
giudici 
di 
legittimità 
richiamano 
alcune 
pronunce 
della 
medesima 
Corte 
che, in realtà, a 
ben vedere, potrebbero 
anche avvalorare la tesi contraria. 


La sentenza in commento rileva infatti che: 


«… 
la 
quasi 
unanime 
giurisprudenza 
di 
legittimità 
non 
afferma 
che 
la 
riduzione 
premiale 
prevista 
dall’art. 
442, 
comma 
2, 
cod. 
proc. 
pen. 
attiene 
alla 
determinazione 
legale 
della 
pena» 
(9). 


eppure 
la 
prima 
delle 
sentenze 
richiamate 
dalle 
SS.UU. 
a 
sostegno 
di 
questo assunto offre alcuni spunti di riflessione dal significato non univoco: 


«È 
ben 
vero…che 
la 
natura 
processuale 
della 
diminuente 
per 
il 
rito 
[abbreviato], 
in 
quanto 
non 
attiene 
alla 
valutazione 
del 
fatto-reato 
e 
alla 
personalità 
dell’imputato, 
non 
contribuisce 
a 
determinare 
in 
termini 
di 
disvalore 
la 
quantità 
e 
gravità 
criminosa, 
consistendo 
in 
un 
abbattimento 
fisso 
e 
predeterminato 
connotato 
da 
automatismo 
senza 
alcuna 
discrezionalità 
valutativa 
da 
parte 
del 
giudice. 
al 
contempo, 
però, 
le 
caratteristiche 
della 
diminuente 
si 
presentano 
collegate 
con 
effetti 
di 
sicuro 
rilievo 
dal 
punto 
di 
vista 
sostanziale, 
derivandone, 
come 
rilevato 
in 
più 
occasioni 
dalla 
Sezioni 
Unite 
di 
questa 
Corte, 
un 
trattamento 
sanzionatorio 
più 
favorevole... 
» 
(10). 
Peraltro 
-e 
con 
particolare 
riferimento 
alla 
diminuzione 
della 
metà 
della 
pena 
nelle 
contravvenzioni 
-il 
carattere 
tassativo 
«... 
di 
questa 
previsione 
nell’indicazione 
del 
quantum 
della 
riduzione 
scolpisce… 
nitidamente 
il 
contenuto 
dell’obbligo 
decisorio 
sul 
punto, 
al 
quale 
il 
giudice 
non 
può 
sottrarsi, 
spettando 
correlativamente 
all’imputato 
il 
diritto 
a 
vedersi 
decurtata 
la 
pena 
nella 
esatta 
dimensione 
prevista 
dalla 
legge» 
(11). 


In 
relazione 
a 
queste 
considerazioni, 
la 
sentenza 
in 
esame 
osserva, 
in 
modo forse non troppo convincente, come: 


«sarebbe 
errato dedurre 
una 
implicita 
connotazione 
in termini 
di 
illegalità 
della 
pena 
dalla 
circostanza 
che 
nella 
medesima 
sentenza 
si 
è 
rimarcata 
la 
inderogabilità 
della 
riduzione 
per il 
rito; 
del 
resto ancorata, nel 
caso di 
specie, al 
più generale 
obbligo del 
giudice 
di 
appello 
di 
rispondere 
specificamente 
ai 
motivi 
proposti 
con l’impugnazione 
e 
sulle 
questioni 
con gli 
stessi devolute nonché alla violazione del principio devolutivo» (12). 

anche 
la 
seconda 
pronuncia 
evocata 
dalle 
SS.UU. parla 
di 
diminuente 
di 
natura 
processuale 
«le 
cui 
caratteristiche 
si 
presentano collegate 
con aspetti 
di 
sicuro 
rilievo 
“sostanziale”, 
risolvendosi 
in 
un 
trattamento 
penale 
di 
favore
» (13). 


e 
parla 
anche 
di 
un imputato che, con riferimento all’accesso al 
rito abbreviato, 
è 
divenuto «arbitro esclusivo dell’instaurazione 
del 
giudizio “sem


(9) ibidem, p. 29. 
(10) Cassazione penale, SS.UU., n. 7578 del 17 dicembre 2020 (dep. 26 febbraio 2021). 
(11) ibidem. 
(12) Cassazione penale, SS.UU., n. 47182/2022, cit., p. 28. 
(13) Cassazione penale, SS.UU., n. 44711 del 27 ottobre 2004 (dep. 18 novembre 2004). 

CoNteNzIoSo 
NazIoNaLe 


plice” 
o 
“puro” 
(14), 
perché 
né 
il 
pubblico 
ministero 
può 
opporsi, 
né 
il 
giudice 
può 
valutare 
se 
il 
processo 
sia 
effettivamente 
definibile 
all’udienza 
preliminare 
allo stato degli 
atti 
e, in caso negativo, rigettare 
la richiesta, essendo la completezza 
e 
la sufficienza delle 
prove 
comunque 
assicurata dal 
potere 
integrativo, 
anche officioso, dello stesso giudice» (15). 


al riguardo, la pronuncia in commento osserva: 


«In 
tale 
decisione 
(16) 
viene 
più 
volte 
rimarcato 
che 
la 
legittimità 
del 
provvedimento 
reiettivo 
della 
richiesta 
di 
rito 
abbreviato 
(condizionato) 
è 
presupposto 
che 
condiziona 
“la 
legalità 
della 
pena 
inflitta 
con 
la 
condanna”. 
Ma 
tale 
affermazione 
è 
fatta 
nel 
contesto 
di 
una 
argomentazione 
che 
non 
aveva 
la 
necessità 
di 
distinguere 
tra 
pena 
illegale 
e 
pena 
illegittima. 
tanto 
è 
vero 
che 
in 
essa 
si 
scrive 
che 
l’eventuale 
rinnovato 
rigetto 
del 
rito 
abbreviato 
condizionato 
da 
parte 
del 
giudice 
del 
dibattimento 
può 
essere 
appellato 
con 
specifico 
motivo 
di 
gravame 
che 
denunci 
“l’eventuale 
profilo 
di 
‘illegalità’ 
della 
pena 
inflitta”. 
In 
altri 
termini, 
non 
si 
è 
in 
presenza 
di 
una 
decisione 
che 
coglie 
(né 
doveva 
cogliere) 
il 
discrimine 
tra 
pena 
illegale 
e 
pena 
illegittima; 
la 
sentenza 
individua 
correttamente 
un 
profilo 
di 
illegittimità 
del 
procedimento 
(il 
rigetto 
viziato) 
che 
rifluisce 
sulla 
legittimità 
della 
pena 
in 
concreto 
inflitta» 
(17). 


In realtà 
le 
due 
pronunce 
sopra 
citate 
sembrerebbero configurare 
il 
trattamento 
sanzionatorio di 
favore, derivante 
dal 
giudizio abbreviato, come 
una 
conseguenza inevitabile. 


Se 
così 
è, 
tuttavia 
e 
per 
riprendere 
le 
considerazioni 
fatte 
dagli 
stessi 
giudici 
di 
Piazza 
Cavour 
nella 
sentenza 
qui 
in 
esame, 
dette 
pronunce 
parrebbero 
ricondurre 
il 
procedimento 
di 
determinazione 
della 
pena, 
caratteristico 
di 
questo 
rito 
speciale, 
al 
dominio 
del 
legislatore 
e 
non 
del 
giudice; 
un 
dominio 
che, 
se 
violato, 
dovrebbe, 
per 
essere 
conseguenziali, 
generare 
sempre 
e 
comunque 
una 
pena 
illegale 
e, 
quindi, 
rilevabile 
d’ufficio 
in 
sede 
di 
giudizio 
di 
legittimità. 


3. Una breve considerazione. 
La 
questione 
trattata 
dalle 
SS.UU. 
rientra 
tra 
quelle 
dirimenti 
per 
il 
nostro 
sistema 
perché, 
in 
definitiva, 
legata 
alla 
tenuta 
del 
principio 
di 
legalità 
della 
pena. 


Vero è, come 
dicono gli 
stessi 
giudici, che 
il 
«principio di 
legalità è 
stato 
studiato 
ed 
esplicato 
soprattutto 
con 
riferimento 
alla 
legalità 
del 
precetto, 
mentre la legalità della pena è tema rimasto maggiormente in ombra» (18). 


(14) Si 
ricorda 
che, ai 
sensi 
dell’articolo 438 c.p.p., il 
giudizio abbreviato è 
‘semplice’ 
quando si 
apre 
su 
richiesta 
di 
parte 
in 
sede 
di 
udienza 
preliminare 
allo 
stato 
degli 
atti; 
è 
‘condizionato’ 
quando 
l’imputato subordina tale richiesta ad un’integrazione probatoria. 
(15) ibidem. 
(16) Che 
ha 
sancito il 
dovere 
del 
giudice 
del 
dibattimento di 
applicare 
la 
riduzione 
per il 
rito abbreviato 
qualora 
lo 
stesso 
abbia 
reputato 
illegittimo 
il 
rigetto 
dell’istanza 
di 
accedere 
a 
detto 
rito 
speciale 
avanzata davanti al giudice per le indagini preliminari o davanti a quello dell’udienza preliminare. 
(17) Cassazione penale, SS.UU., n. 47182/2022, cit., pp. 28-29. 
(18) ibidem, p. 13. 

raSSeGNa 
aVVoCatUra 
DeLLo 
Stato -N. 4/2022 


e 
tuttavia 
non 
si 
può 
disconoscere 
il 
fatto 
che, 
nel 
diritto 
penale, 
il 
principio 
di 
legalità 
è 
tanto 
più 
salvaguardato 
quanto 
più 
esso 
sia 
in 
grado 
di 
espandersi 
fino 
ad 
includere 
anche 
i 
profili 
sanzionatori 
della 
fattispecie 
incriminatrice, 
così 
come 
astrattamente 
delineata 
dal 
legislatore. 


In tale 
quadro, appare 
di 
rilievo una 
considerazione 
riguardante 
le 
caratteristiche 
della 
diminuente 
nel rito abbreviato (19). 


Quest’ultima 
sembrerebbe 
avere 
una 
natura 
meramente 
processuale 
e 
ciò 
in 
forza 
di 
una 
serie 
di 
elementi 
strutturali: 
il 
fatto 
che, 
ad 
esempio, 
la 
stessa 
non entrerebbe 
nel 
gioco di 
comparazione 
tra 
le 
circostanze 
attenuanti 
e 
aggravanti; 
che 
la 
diminuente 
in parola 
verrebbe 
applicata 
solamente 
a 
valle 
del 
processo di 
determinazione 
della 
pena 
una 
volta 
soppesate 
le 
circostanze; 
la sua automaticità una volta avviato il rito abbreviato. 


oltre 
alla 
funzione 
deflattiva 
del 
contenzioso, dunque, è 
come 
se 
la 
diminuente 
in esame 
avesse 
la 
capacità 
di 
saldarsi 
con gli 
aspetti 
sanzionatori 
di 
ogni 
fattispecie 
incriminatrice 
andando, così, a 
modificare 
i 
caratteri 
genetici 
delle pene principali tipizzate, dall’ordinamento, per ciascun reato. 


ogni 
reato sarebbe, quindi, caratterizzato, a 
livello astratto, da 
un doppio 
regime 
sanzionatorio: 
un 
regime 
ordinario 
e, 
qualora 
l’imputato 
attivasse 
il 
rito speciale, un regime 
di 
favore 
con limiti 
di 
pena 
automaticamente 
soggetti 
a diminuzione in misura prefissata. 

Ma 
se 
così 
fosse, ciò significherebbe 
che 
la 
mancata 
applicazione 
della 
diminuente 
nel 
giudizio 
abbreviato 
genererebbe, 
in 
ogni 
caso, 
una 
pena 
illegale 
proprio 
in 
ragione 
della 
sua 
capacità 
di 
violare 
i 
limiti 
sanzionatori 
stabiliti 
dal legislatore. 


Vero è 
che 
nei 
due 
regimi, quello ordinario e 
quello di 
favore, risultano 
diversi i procedimenti di calcolo del trattamento sanzionatorio concreto. 


Mentre 
nel 
primo caso, infatti, sui 
limiti 
edittali 
stabiliti 
dalla 
fattispecie 
astratta 
incide 
l’opera 
del 
giudice 
di 
comparazione 
delle 
circostanze, nel 
secondo, 
invece, a 
seguito di 
tale 
momento valutativo, il 
trattamento sanzionatorio 
è 
a 
sua 
volta 
ulteriormente 
condizionato 
dalla 
diminuente 
processuale 
dell’articolo 442, comma 
secondo, del 
c.p.p. che, come 
già 
precisato, è 
automatica 
nell’applicazione e rigida nel 
quantum. 


Ciò, 
tuttavia, 
sembra 
corroborare, 
anziché 
indebolire, 
l’opinione 
secondo 
cui 
detta 
diminuente 
interagisca 
con i 
limiti 
edittali 
della 
fattispecie 
astratta 
di 
reato, 
rientrando, 
così, 
a 
pieno 
titolo, 
in 
quel 
dominio 
del 
legislatore 
statale 
che 
segna, 
al 
contempo, 
i 
confini 
del 
principio 
di 
legalità; 
i 
confini 
di 
quel 
nul


(19) Per approfondimenti 
in dottrina 
cfr. L.D. CerQUa, riti 
alternativi 
e 
incentivi 
premiali: implicazioni 
di 
natura 
sostanziale, 
in 
CP, 
1992, 
1702; 
e. 
GaLLo, 
Sistema 
sanzionatorio 
e 
nuovo 
processo, 
in Giustizia Penale, 1989, III, 650; 
M. MerCoNe, Le 
diminuenti 
dei 
nuovi 
riti 
premiali 
e 
i 
limiti 
di 
pena 
applicabile, in Cass. Pen., 1990, 1825; 
a. PaGLIaro, riflessi 
del 
nuovo processo sul 
diritto penale 
sostanziale, 
in 
riDPP, 
1990, 
36; 
P. 
FerrUa, 
il 
ruolo 
del 
giudice 
nel 
controllo 
delle 
indagini 
e 
nell’udienza 
preliminare, in Studi sul processo penale, Milano, 1990, 53. 

CoNteNzIoSo 
NazIoNaLe 


lum 
crimen sine 
lege 
et 
nulla poena sine 
lege 
(20) che 
è 
argine 
all’arbitrio del 
giudice e garanzia per la libertà della persona. 

Detto in altri 
termini, la 
mancata 
o non corretta 
applicazione 
della 
diminuente 
in 
parola 
determinerebbe 
un 
trattamento 
sanzionatorio 
distonico 
rispetto 
allo 
schema 
astratto 
delineato 
dalla 
legge; 
distonia 
che 
il 
sistema 
dovrebbe 
essere 
in grado di 
correggere 
anche 
per il 
tramite 
di 
un intervento 
attivabile 
d’ufficio dal 
giudice 
di 
legittimità 
a 
prescindere 
dalle 
vicende 
che 
hanno caratterizzato, sotto il profilo processuale, i diversi gradi di giudizio. 


Una 
ricostruzione, 
questa, 
che 
appare 
più 
in 
linea 
con 
la 
tesi 
cui 
si 
è 
prima 
fatto cenno al 
paragrafo 2; 
tesi 
che, come 
già 
rilevato, riconduce 
la 
categoria 
dell’illegalità 
non già 
alla 
pena 
in quanto tale, ma 
al 
complessivo regime 
di 
attuazione della statuizione della sanzione penale. 


Una 
posizione 
che, però, i 
giudici 
delle 
SS.UU. hanno ritenuto di 
non far 
propria, 
perdendo 
probabilmente 
l’occasione 
di 
favorire 
un’ulteriore 
evoluzione 
in 
senso 
garantista 
del 
nostro 
sistema 
penale, 
anche 
se 
limitata 
agli 
aspetti sanzionatori del solo giudizio abbreviato. 

Cassazione 
penale, 
Sezioni 
Unite, 
sentenza 
del 
13 
dicembre 
2022 
n. 
47182 
-Pres. 
M. 
Cassano, 
rel. S. Dovere - ricorso proposto da 
a.a. (avv. D. Visidori). 

Svolgimento del processo 


1. Con sentenza 
del 
3 novembre 
2020, la 
Corte 
di 
appello di 
Milano ha 
confermato la 
pronuncia 
emessa 
all’esito di 
giudizio abbreviato dal 
Giudice 
dell’udienza 
preliminare 
del 
tribunale 
di 
Milano 
nei 
confronti 
di 
a.a., 
ritenuto 
responsabile 
del 
reato 
di 
cui 
al 
D.Lgs. 
30 
(20) Sede 
del 
principio di 
legalità 
in ambito costituzionale 
è, come 
noto, il 
comma 
secondo del-
l’articolo 
25 
Cost. 
Seppur 
considerata 
prevalentemente 
con 
riguardo 
al 
fatto 
di 
reato, 
questa 
disposizione 
copre 
anche 
gli 
aspetti 
sanzionatori 
dell’ordinamento penale. La 
stessa 
Corte 
costituzionale, sul 
punto, 
ha 
affermato che 
la 
predetta 
disposizione 
«non soltanto proclama il 
principio della irretroattività della 
norma penale, ma dà fondamento legale 
alla potestà punitiva del 
giudice. E 
poiché 
questa potestà si 
esplica mediante 
l’applicazione 
di 
una pena adeguata al 
fatto ritenuto antigiuridico, non si 
può contestare 
che 
pure 
la individualizzazione 
della sanzione 
da commisurare 
risulta legata al 
comando della 
legge» Cort. Cost. n. 15 del 24 gennaio 1962 (dep. il 12 marzo 1962), pres. Cappi, rel. Fragali. 
In 
questo 
modo, 
la 
giurisprudenza 
costituzionale 
ha, 
fra 
l’altro, 
riallineato 
l’articolo 
1 
del 
Codice 
penale 
del 
’30 -che 
come 
noto già 
affermava 
il 
principio di 
legalità 
anche 
con riferimento alle 
pene 
(cfr. art. 1 
c.p.) - alla Costituzione repubblicana. 
Sul 
principio di 
legalità 
in ambito internazionale, con riferimento alla 
tipizzazione 
sia 
dei 
fatti 
oggetto 
di 
sanzione 
che 
della 
sanzione 
medesima, 
si 
richiama 
l’articolo 
7, 
primo 
comma, 
della 
Convenzione 
europea 
dei 
diritti 
dell’uomo e 
la 
giurisprudenza 
della 
relativa 
Corte, secondo cui 
il 
principio di 
legalità 
in materia 
penale 
non solamente 
pone 
una 
barriera 
all’applicazione 
retroattiva 
delle 
fattispecie 
incriminatrici, 
ma 
afferma 
il 
correlato principio di 
colpevolezza 
e, quindi, la 
necessaria 
conoscibilità 
e 
prevedibilità, 
da 
parte 
dell’agente, sia 
del 
precetto che 
delle 
conseguenze 
della 
condotta 
criminosa 
(cfr. Corte 
CeDU, IV Sez., sent. del 22 gennaio 2013, Camilleri c. malta). 
In dottrina 
cfr. F. BrICoLa, art. 25, ii e 
iii comma, in G. BraNCa 
(a 
cura 
di), Commentario della Costituzione, 
rapporti 
civili, artt. 24-26, zanichelli, Bologna-roma, 1981; 
F. BrICoLa, La discrezionalità 
nel diritto penale, Giuffrè, Milano, 1965. 

raSSeGNa 
aVVoCatUra 
DeLLo 
Stato -N. 4/2022 


aprile 
1992, n. 285, art. 186, comma 
2, lett. b) e 
comma 
2 sexies, perchè 
il 
21 dicembre 
2018 
aveva 
circolato 
alla 
guida 
di 
un’autovettura 
in 
stato 
di 
ebbrezza 
alcolica, 
commettendo 
il 
fatto 
durante le ore notturne. 

In particolare, la 
Corte 
di 
appello ha 
rigettato l’unico motivo proposto, con il 
quale 
l’imputato 
si doleva del mancato riconoscimento delle attenuanti generiche. 

2. Con atto sottoscritto dall’avv. Stefano ricci, sostituto processuale 
dell’avv. Davide 
Visidori, 
difensore 
di 
fiducia 
di 
a.a., 
questi 
ha 
proposto 
ricorso 
per 
la 
cassazione 
della 
sentenza 
articolando un unico motivo, con il 
quale 
denuncia 
la 
violazione 
della 
legge 
processuale, e 
segnatamente 
dell’art. 442 c.p.p., comma 
2, perchè 
la 
Corte 
di 
appello, nel 
confermare 
integralmente 
la 
sentenza 
impugnata, 
ha 
mantenuto 
ferma 
anche 
la 
riduzione 
di 
un 
terzo 
della 
pena 
applicata 
dal 
Giudice 
per le 
indagini 
preliminari 
in ragione 
del 
rito prescelto, così 
ponendosi 
in contrasto con la 
menzionata 
disposizione 
che, a 
seguito della 
modifica 
introdotta 
dalla 
L. n. 103 del 
2017, stabilisce 
che 
la 
pena 
è 
diminuita 
della 
metà 
se 
si 
procede 
per una 
contravvenzione. 
ad 
avviso 
del 
ricorrente, 
tanto 
ha 
determinato 
l’illegalità 
della 
pena, 
in 
quanto 
conseguenza 
di 
un 
“palese 
errore 
materiale 
di 
calcolo”, 
come 
tale 
rilevabile 
anche 
dopo la 
formazione 
del 
giudicato con incidente 
di 
esecuzione, senza 
che 
sia 
necessario che 
la 
difesa 
abbia 
presentato, 
nei 
precedenti 
gradi 
di 
giudizio, 
specifico 
motivo 
di 
appello 
sul 
punto. 
ritenuta 
la 
violazione 
censurata, la 
Corte 
di 
cassazione 
può rideterminare 
la 
pena, senza 
necessità 
di 
rinvio al 
giudice 
del 
merito. L’esponente 
richiama, a 
conferma 
del 
proprio assunto, 
le 
pronunce 
Sez. 
3, 
n. 
38474 
del 
31/05/2019, 
Lasalvia, 
rv. 
276770 
e 
Sez. 
4, 
n. 
26117 
del 
16/05/2012, torna, rv. 253562. 
3. La 
Quarta 
Sezione 
di 
questa 
Corte, cui 
il 
ricorso è 
stato assegnato, ha 
ritenuto di 
dover 
registrare 
un 
contrasto 
di 
giurisprudenza 
sul 
tema 
della 
rilevabilità 
da 
parte 
della 
Corte 
di 
cassazione 
della 
erroneità 
della 
riduzione 
della 
pena 
prevista 
per il 
rito abbreviato, operata 
dal 
giudice 
di 
primo grado per un reato contravvenzionale 
nella 
misura 
di 
un terzo invece 
che 
in 
quella 
della 
metà 
prevista 
dall’art. 
442 
c.p.p., 
comma 
2, 
nel 
testo 
modificato 
dalla 
L. 
23 
giugno 
2017, n. 103, art. 1, comma 
44, anche 
quando la 
questione, non prospettata 
con l’atto di 
appello, 
sia 
stata 
proposta 
solo con il 
ricorso per cassazione; 
pertanto, ha 
rimesso il 
ricorso alle 
Sezioni Unite. 
L’ordinanza 
rileva 
che, secondo una 
prima 
soluzione 
interpretativa, “in tema 
di 
giudizio 
abbreviato, l’applicazione 
della 
più favorevole 
riduzione 
per il 
rito nella 
misura 
della 
metà, 
anzichè 
di 
un terzo, introdotta 
per le 
contravvenzioni 
dalla 
L. n. 103 del 
2017, pur essendo 
applicabile 
anche 
ai 
fatti 
commessi 
prima 
della 
sua 
entrata 
in vigore, non può essere 
fatta 
valere 
con il 
ricorso per cassazione, ove 
non sia 
stata 
richiesta 
nel 
giudizio d’appello celebrato 
nella 
vigenza 
della 
nuova 
legge, non vertendosi 
in un’ipotesi 
di 
pena 
illegale, bensì 
di 
errata 
applicazione 
di 
una 
legge 
processuale, 
per 
cui 
il 
vizio 
è 
denunciabile 
solo 
con 
gli 
ordinari 
mezzi 
di 
gravame 
(Sez. 2, n. 28306 del 
25/06/2021, Perrella, rv. 281804, in tema 
di 
impugnazione 
di 
sentenza 
di 
applicazione 
di 
pena 
ex 
art. 
599 
bis 
c.p.p.; 
Sez. 
3, 
n. 
34077 
del 
31/03/2021, Xu Dexiang, non mass.; 
Sez. 4, n. 6510 del 
27/01/2021, Di 
Maria, rv. 280946; 
Sez. 1, n. 22313 del 
08/07/2020, Manto, rv. 279455, che 
ha 
precisato che 
non sono esperibili 
neanche i rimedi dell’incidente di esecuzione e della correzione dell’errore materiale)”. 

ad 
avviso 
della 
Sezione 
rimettente 
si 
tratta 
di 
una 
linea 
ermeneutica 
basata 
su 
una 
nozione 
restrittiva 
di 
“pena 
illegale”, 
per 
tale 
dovendosi 
intendere 
la 
sanzione 
non 
prevista 
dalla 
legge 
per specie 
o quantità 
o esito di 
errore 
nel 
computo aritmetico, mentre, in ipotesi 
come 
quella 
in considerazione, la 
quantificazione 
sarebbe 
stata 
operata 
in violazione 
del 
criterio di 
riduzione 
stabilito dalla 
legge 
processuale. Si 
tratterebbe, pertanto, di 
mera 
ipotesi 
di 
pena 
“ille



CoNteNzIoSo 
NazIoNaLe 


gittima”, emendabile 
esclusivamente 
mediante 
gli 
ordinari 
mezzi 
di 
impugnazione, coi 
quali 
l’imputato 
avrebbe 
dovuto 
chiederne 
l’esatta 
commisurazione 
(Sez. 
1, 
n. 
28252 
del 
11/06/2014, Imparolato, rv. 261091). 

L’opposto orientamento -espone 
l'ordinanza 
della 
Quarta 
Sezione 
-reputa 
che, in tema 
di 
giudizio abbreviato celebrato dopo le 
modifiche 
introdotte 
all’art. 442 c.p.p., comma 
2, dalla 


L. n. 103 del 
2017, nel 
caso di 
omessa 
riduzione 
della 
metà 
della 
pena 
inflitta 
con sentenza 
di 
condanna 
per contravvenzione, sia 
ammissibile 
il 
ricorso per cassazione 
volto a 
far valere, 
per 
i 
fatti 
pregressi, 
l’erronea 
applicazione, 
per 
le 
contravvenzioni, 
della 
diminuente 
per 
il 
rito 
abbreviato 
nella 
misura 
di 
un 
terzo 
anzichè 
della 
metà, 
non 
dedotta 
in 
precedenza 
con 
i 
motivi 
di 
appello 
(Sez. 
4, 
n. 
37820 
del 
12/10/2021, 
Vleru, 
non 
mass.; 
Sez. 
4, 
n. 
38633 
del 
05/10/2021, 
Cavina, non mass.; Sez. 4, n. 24897 del 18/05/2021, Bara, rv. 281488). 
Il 
Collegio rimettente 
rileva 
che 
tale 
soluzione 
interpretativa 
è 
fondata 
sulla 
natura 
sostanziale 
degli 
effetti 
della 
riduzione 
in 
parola, 
per 
cui 
l’applicabilità 
del 
trattamento 
sanzionatorio 
più 
favorevole 
sarebbe 
rilevabile 
d’ufficio 
ai 
sensi 
dell’art. 
2 
c.p., 
comma 
4, 
disposizione 
ormai 
divenuta 
strumento 
interno 
di 
attuazione 
del 
principio 
sovranazionale 
della 
retroattività 
della lex mitior. 

Sebbene 
l’art. 
442 
c.p.p., 
si 
inserisca 
nell’ambito 
della 
disciplina 
processuale 
e 
non 
di 
quella 
sostanziale, 
la 
diminuzione 
o 
sostituzione 
della 
pena 
costituirebbe 
un 
aspetto 
sostanziale; 
l’intima 
ed inscindibile 
connessione 
tra 
profili 
processuali 
ed effetti 
sostanziali 
comporterebbe 
l’applicazione 
dell’art. 
25 
Cost., 
comma 
2, 
(Sez. 
4, 
n. 
832 
del 
15/12/2017, 
dep. 
2018, 
Del 
Prete, rv. 271752). 

4. Con decreto in data 
11 gennaio 2022 il 
Presidente 
aggiunto ha 
assegnato il 
ricorso alle 
Sezioni Unite, fissando per la trattazione la data odierna. 
motivi della decisione 


1. La questione sottoposta alle Sezioni Unite è stata così formulata: 
“Se, in tema 
di 
reati 
contravvenzionali, la 
Corte 
di 
Cassazione 
possa 
applicare 
la 
corretta 
riduzione 
della 
metà 
prevista 
per un reato contravvenzionale, giudicato con rito abbreviato, 
non disposta 
dal 
giudice 
di 
merito, pur se 
la 
questione 
non sia 
stata 
prospettata 
con l’atto di 
appello, ma unicamente con il ricorso per cassazione”. 

Si 
coglie 
agevolmente 
che 
essa 
ruota 
intorno 
al 
potere 
di 
cognizione 
riconoscibile 
al 
giudice 
di 
legittimità 
nel 
caso di 
errata 
determinazione 
della 
misura 
della 
riduzione 
prevista 
per il 
rito 
abbreviato, che non sia stata dedotta o rilevata nel precedente grado di giudizio. 

Sono 
quindi 
sottointesi, 
da 
un 
canto, 
l’art. 
606 
c.p.p., 
comma 
3, 
a 
mente 
del 
quale 
“Il 
ricorso 
è 
inammissibile 
se 
è 
proposto per motivi 
diversi 
da 
quelli 
consentiti 
dalla 
legge 
o manifestamente 
infondati 
ovvero, 
fuori 
dei 
casi 
previsti 
dall’art. 
569, 
e 
art. 
609, 
comma 
2, 
per 
violazioni 
di 
legge 
non dedotte 
con i 
motivi 
di 
appello”. Dall’altro, l’art. 609 c.p.p., il 
cui 
comma 
1, dispone 
che 
“il 
ricorso attribuisce 
alla 
corte 
di 
cassazione 
la 
cognizione 
del 
procedimento limitatamente 
ai 
motivi 
proposti”. 
Il 
comma 
2 
della 
medesima 
disposizione 
estende 
però 
la 
cognizione 
del 
giudice 
di 
legittimità 
alle 
questioni 
rilevabili 
di 
ufficio in ogni 
stato e 
grado 
del processo e a quelle che non sarebbe stato possibile dedurre in grado di appello. 

In 
sostanza, 
ciò 
che 
si 
prospetta 
in 
termini 
dubitativi 
è 
l’inammissibilità 
del 
ricorso 
per 
mancata 
deduzione 
con 
i 
motivi 
d’appello 
dell’erronea 
riduzione 
per 
il 
rito 
abbreviato, 
operata 
in misura inferiore a quella prevista per le contravvenzioni. 

occorre 
quindi 
verificare 
preliminarmente 
se 
il 
ricorso di 
a.a. sia 
o meno inammissibile. 

2. 
Non 
è 
in 
discussione 
che 
con 
l’appello 
non 
era 
stata 
devoluta 
alla 
corte 
territoriale 
il 
punto 
concernente 
la 
errata 
misura 
della 
riduzione 
della 
pena 
operata 
dal 
primo 
giudice 
ai 

raSSeGNa 
aVVoCatUra 
DeLLo 
Stato -N. 4/2022 


sensi 
dell’art. 
442 
c.p.p., 
comma 
2; 
lo 
rappresenta 
il 
ricorrente 
medesimo. 
Come 
non 
è 
dubbio 
che 
si 
trattasse 
di 
censura 
deducibile, considerato che 
la 
sentenza 
di 
primo grado era 
intervenuta 
il 
26 settembre 
2019 e 
quindi 
ben dopo la 
modifica 
del 
citato art. 442 c.p.p., comma 
2, 
ad opera 
della 
L. 23 giugno 2017, n. 103, art. 1, comma 
44, con la 
quale, per le 
contravvenzioni, 
la riduzione premiale è stata elevata alla metà. 

Pertanto, 
il 
giudice 
per 
le 
indagini 
preliminari 
avrebbe 
dovuto 
ridurre 
della 
metà 
la 
pena 
inflitta 
a 
a.a.; 
per 
contro, 
ha 
fissato 
la 
pena 
base 
in 
mesi 
due 
di 
arresto 
ed 
euro 
duemila 
di 
ammenda, 
aumentato 
la 
pena 
pecuniaria 
a 
tremila 
euro 
e 
quindi 
diminuito 
di 
un 
terzo 
la 
pena 
così 
definita, 
pervenendo 
a 
quella 
di 
quaranta 
giorni 
di 
arresto 
e 
2.000,00 
euro 
di 
ammenda. 


Con l’atto di 
appello era 
stato formulato un unico motivo, con il 
quale 
ci 
si 
era 
doluti 
del 
mancato 
riconoscimento 
delle 
attenuanti 
generiche; 
la 
celebrazione 
del 
rito 
abbreviato 
era 
stata evocata solo per ricavarne il segno di un’avvenuta resipiscenza dell’imputato. 

La 
estraneità 
del 
punto concernente 
il 
riconoscimento delle 
attenuanti 
generiche 
a 
quello 
attinente 
alla 
diminuente 
premiale 
è 
palese 
(cfr. Sez. U, n. 1 del 
19/01/2000, tuzzolino, rv. 
216239). 

3. 
tanto 
premesso 
in 
fatto, 
il 
contrasto 
segnalato 
dalla 
Quarta 
Sezione 
è 
certamente 
esistente 
e 
si 
inserisce 
in un più ampio dibattito, che 
coinvolge 
il 
tema 
della 
rilevabilità 
di 
ufficio della 
illegalità 
della 
pena 
da 
parte 
della 
Corte 
di 
cassazione 
in 
caso 
di 
ricorso 
inammissibile. 
Infatti, 
proprio 
il 
tema 
dell’illegalità 
della 
pena 
ha 
alimentato 
una 
giurisprudenza 
incline 
a 
riconoscere 
al giudice dell’impugnazione inammissibile spazi per l’esercizio dei poteri officiosi. 
Prima di esporre i termini del contrasto è opportuno svolgere una precisazione. 

L’ordinanza 
di 
rimessione 
cita, 
nell’ambito 
dell’orientamento 
che 
ammette 
l’intervento 
officioso 
sulla 
errata 
riduzione 
della 
pena, pronunce 
che 
si 
sono occupate 
di 
vicende 
attinenti 
a 
fatti 
pregressi 
alla 
novazione 
normativa 
prodottasi 
nel 
2017 e 
che 
pertanto fondano l’interpretazione 
adottata 
sulla 
ritenuta 
rilevabilità 
di 
ufficio della 
mancata 
applicazione 
della 
disciplina 
(sopravvenuta) più favorevole all’imputato. 

Di 
contro, a.a. è 
stato riconosciuto autore 
di 
un reato commesso quando ormai 
era 
già 
entrato 
in 
vigore 
l’attuale 
testo 
dell’art. 
442 
c.p.p., 
comma 
2. 
Pertanto, 
nella 
relativa 
vicenda 
non ha alcun ruolo la prospettiva diacronica. 

4. 
tanto 
precisato, 
si 
può 
considerare 
che, 
riguardo 
al 
caso 
di 
erronea 
misura 
della 
riduzione 
prevista 
per il 
rito abbreviato, il 
contrasto si 
dipana 
tra 
due 
poli: 
la 
generale 
rilevabilità 
della 
illegalità 
della 
pena 
da 
parte 
del 
giudice 
dell’impugnazione 
inammissibile; 
la 
riconducibilità, 
o meno, della 
pena 
determinata 
in ragione 
dello specifico errore 
alla 
categoria 
della 
pena 
illegale. 
5. 
Quanto 
al 
primo 
tema, 
la 
giurisprudenza 
di 
legittimità 
appare 
divisa 
in 
due 
orientamenti. 
5.1. Un primo ritiene 
che 
la 
preclusione 
processuale 
determinata 
dalla 
inammissibilità 
del 
ricorso osti 
alla 
rilevabilità 
d’ufficio della 
illegalità 
della 
pena 
da 
parte 
della 
Corte 
di 
cassazione. 
Per tale 
orientamento può essere 
citata, innanzitutto, Sez. 5, n. 24926 del 
03/12/2003, dep. 
2004, 
Marullo, 
rv. 
229812, 
per 
la 
quale 
l’illegalità 
della 
pena 
è 
rilevabile 
d’ufficio 
ed 
è, 
quindi, sindacabile 
indipendentemente 
dalla 
deduzione 
di 
specifiche 
doglianze 
in sede 
di 
impugnazione, 
ma 
non quando ricorra 
la 
preclusione 
processuale 
derivante 
dall’inammissibilità 
del 
ricorso, 
che 
impedisce 
il 
passaggio 
del 
procedimento 
all’ulteriore 
grado 
di 
giudizio 
ed 
inibisce 
la 
cognizione 
della 
questione 
e 
la 
rivisitazione 
del 
decisum 
a 
seguito 
della 
formazione 
del 
giudicato interno (nel 
caso di 
specie 
si 
versava 
in ipotesi 
di 
ritenuta 
illegalità 
della 
pena 



CoNteNzIoSo 
NazIoNaLe 


per essere 
stata 
inflitta 
quella 
detentiva 
in luogo della 
pena 
pecuniaria, di 
doverosa 
applicazione 
essendo il 
reato di 
competenza 
del 
giudice 
di 
pace). In fattispecie 
analoga 
e 
richiamandosi 
proprio 
alla 
sentenza 
Marullo, 
anche 
Sez. 
5, 
n. 
36293 
del 
09/07/2004, 
raimo, 
rv. 
23063601 ha 
ritenuto di 
non poter rilevare 
di 
ufficio, stante 
l’inammissibilità 
del 
ricorso, la 
violazione del principio di legalità della pena. 

Si 
tratta 
di 
una 
posizione 
che 
trova 
precedenti 
anche 
più 
risalenti 
rispetto 
alla 
sentenza 
Ma-
rullo 
e 
che 
è 
stata 
ribadita 
da 
Sez. 
2, 
n. 
44667 
del 
08/07/2013, 
aversano, 
rv. 
257612. 
In 
quest’ultima 
pronuncia 
si 
legge 
che 
“La 
violazione 
del 
principio di 
legalità 
della 
pena 
è 
rilevabile 
d’ufficio anche 
nel 
giudizio di 
cassazione 
a 
condizione 
che 
il 
ricorso non sia 
inammissibile 
e 
l’esame 
della 
questione 
rappresentata 
non 
comporti 
accertamenti 
in 
fatto 
o 
valutazioni 
di 
merito 
incompatibili 
con 
il 
giudizio 
di 
legittimità”. 
Nella 
specie 
si 
trattava 
di 
una 
riduzione 
della 
pena 
prevista 
per 
il 
giudizio 
abbreviato 
applicata 
senza 
effettuare 
il 
previo 
temperamento 
previsto dall'art. 78 c.p. 


Per 
la 
tesi 
restrittiva 
milita 
anche 
Sez. 
5, 
n. 
15817 
del 
18/02/2020, 
Di 
rocco, 
rv. 
27925201. 
tale 
decisione, come 
le 
sentenze 
Marullo e 
raimo, attiene 
ad una 
pena 
detentiva 
inflitta 
in 
luogo di 
quella 
pecuniaria 
per un reato di 
competenza 
del 
giudice 
di 
pace; 
ma 
essa 
ha 
potuto 
tener 
conto 
di 
quanto 
affermato 
con 
riguardo 
a 
tale 
ipotesi 
da 
Sez. 
U, 
n. 
47766 
del 
26/06/2015, 
Butera, rv. 265106. La 
Quinta 
Sezione 
ha 
perciò rammentato che, secondo l’insegnamento 
del 
S.C., nel 
caso di 
ricorso inammissibile 
perchè 
tardivo la 
Corte 
di 
cassazione 
non può rilevare 
di 
ufficio 
la 
illegalità 
della 
pena 
derivante 
dalla 
erronea 
applicazione 
delle 
pene 
previste 
per 
i 
reati 
di 
competenza 
del 
giudice 
di 
pace, 
per 
la 
decisiva 
ragione 
che 
la 
intempestività 
del-
l’impugnazione 
determina 
la 
formazione 
del 
giudicato 
formale. 
Inoltre, 
tenuto 
conto 
della 
specie 
di 
pena 
illegale 
in 
considerazione, 
non 
è 
ipotizzabile 
un 
potere 
di 
intervento 
del 
giudice 
dell’esecuzione, 
perchè 
la 
rimodulazione 
della 
pena 
che 
si 
renderebbe 
necessaria 
“si 
pone 
quale 
complessivo 
nuovo 
giudizio, 
del 
tutto 
eccentrico 
rispetto 
al 
pur 
accresciuto 
ambito 
entro 
il quale può trovare spazio l’intervento del giudice dell’esecuzione”. 

Su 
tali 
premesse 
la 
sentenza 
Di 
rocco 
si 
occupa 
del 
tema 
della 
relazione 
tra 
inammissibilità 
del 
ricorso 
e 
poteri 
di 
cui 
all’art. 
609 
c.p.p., 
comma 
2, 
non 
in 
termini 
generali, 
ma 
con 
specifico 
riferimento 
al 
particolare 
caso 
di 
illegalità 
della 
pena 
sottopostole; 
ed 
anzi 
essa, 
edotta 
dei 
principi 
posti 
da 
Sez. U, n. 33040 del 
26/02/2015, Jazouli, rv. 264205 e 
da 
Sez. U, n. 46653 
del 
26/06/2015, 
Della 
Fazia, 
rv. 
265111, 
segnala 
il 
pericolo 
di 
“(...) 
una 
lettura 
che, 
in 
maniera 
forse 
un 
pò 
frettolosa 
e 
non 
sufficientemente 
approfondita, 
tenda 
ad 
assimilare 
tra 
loro 
le 
cause 
di 
illegalità 
delle 
pena, ai 
fini 
della 
loro equiparazione 
in funzione 
della 
rilevabilità 
di 
ufficio”, 
con 
ciò 
discostandosi 
dal 
percorso 
argomentativo 
tracciato 
in 
una 
pronuncia 
militante 
per 
l’opposto 
avviso 
(Sez. 
5, 
n. 
552 
del 
07/07/2016, 
dep. 
2017, 
Jomle, 
rv. 
268593, 
della 
quale 
si tratterà a breve). 

5.2. Il 
diverso orientamento appare 
maggiormente 
diffuso nella 
giurisprudenza 
di 
legittimità. 
Sez. 5, n. 24128 del 
27/04/2012, Di 
Cristo, rv. 253763 ritiene 
non sia 
di 
ostacolo all’intervento 
officioso sulla 
pena 
illegale 
la 
inammissibilità 
del 
ricorso, “atteso che 
il 
principio di 
legalità 
ex 
art. 
1 
c.p., 
e 
la 
funzione 
della 
pena, 
come 
concepita 
dall’art. 
27 
Cost., 
non 
appaiono 
conciliabili con la applicazione di una sanzione non prevista dall’ordinamento”. 

richiamandosi 
ad una 
giurisprudenza 
più risalente 
(Sez. 2, n. 11230 del 
04/07/1985, Gioffrè, 
rv. 171202; 
Sez. 5, n. 6280 del 
21/03/1985, De 
Negri, rv. 169897; 
Sez. 4, n. 3369 del 
22/01/1985, Laranga, rv. 168651, tuttavia 
relative 
a 
ricorsi 
ammissibili) la 
Quinta 
Sezione 
osserva 
che 
già 
sotto la 
vigenza 
del 
codice 
di 
rito del 
1930 si 
era 
ritenuto ammissibile 
che 
il 



raSSeGNa 
aVVoCatUra 
DeLLo 
Stato -N. 4/2022 


giudice 
dell’impugnazione, 
anche 
in 
mancanza 
di 
uno 
specifico 
motivo 
di 
gravame, 
annullasse 


o modificasse 
la 
sentenza 
di 
condanna 
ad una 
pena 
illegale 
per specie, genere 
o quantità, in 
applicazione 
dell’allora 
vigente 
art. 
152, 
contenutisticamente 
(e 
quasi 
letteralmente) 
riprodotto 
dall’art. 129 c.p.p. 
ad 
avviso 
della 
Quinta 
Sezione, 
a 
favore 
della 
tesi 
adottata 
depone 
anche 
l’indirizzo 
esegetico 
formatosi 
con 
riferimento 
alla 
illegalità 
del 
trattamento 
sanzionatorio 
posto 
a 
base 
di 
una 
sentenza 
di 
applicazione 
della 
pena 
ex 
art. 
444 
c.p.p.; 
indirizzo 
favorevole 
alla 
rilevabilità 
officiosa 
della 
pena 
illegale. 
Invero, 
si 
osserva, 
“se 
l’esigenza 
di 
legalità 
della 
sanzione 
-si 
ripete, 
imposta 
dall’art. 
1 
c.p., 
e 
presupposta 
dall’art. 
27 
Cost., 
-deve 
prevalere 
anche 
sull’accordo 
delle 
parti 
(e 
dunque, 
in 
ipotesi, 
sullo 
stesso 
consenso 
dell’imputato 
a 
subire 
una 
pena 
più 
grave 
di 
quella 
prevista 
dall’ordinamento), 
a 
maggior 
ragione, 
ciò 
deve 
avvenire 
quando 
il 
trattamento 
sanzionatorio 
non 
è 
frutto 
di 
un 
accordo 
(sia 
pure 
“asimmetrico”) 
tra 
le 
parti, 
ma 
è 
determinato 
dal 
giudice. 
Pressocchè 
pedissequa 
è 
Sez. 
1, 
n. 
15944 
del 
21/03/2013, 
aida, 
rv. 
255684, 
in 
tema 
di 
recidiva 
erroneamente 
ritenuta 
ed 
applicata 
in 
rapporto 
ad 
una 
contravvenzione. 


Nel 
medesimo solco si 
è 
posta 
Sez. 5, n. 46122 del 
13/06/2014, oguekemma, rv. 262108. 
Prendendo 
atto 
dell’interpretazione 
appena 
rammentata, 
nella 
sentenza 
si 
osserva 
che 
“il 
principio 
della 
funzione 
rieducativa 
della 
pena, imposta 
dall’art. 27, comma 
3, è 
fra 
quelli 
che, di 
recente, 
ed 
in 
ossequio 
alla 
evoluzione 
interpretativa 
determinata 
dai 
principi 
della 
Corte 
eDU, 
le 
Sezioni 
Unite 
di 
questa 
Corte 
hanno 
riconosciuto 
essere 
in 
opposizione 
all’esecuzione 
di 
una 
sanzione 
penale 
rivelatasi, 
pure 
successivamente 
al 
giudicato, 
convenzionalmente 
e 
costituzionalmente 
illegittima 
(Sez. 
U, 
n. 
18821 
del 
24/10/2013, 
dep. 
2014, 
rv. 
258651). 
Non 
vi 
è 
motivo, a 
maggior ragione, per escludere 
che 
la 
illegalità 
della 
pena 
inflitta, dipendente 
da 
una 
statuizione 
ab origine 
contraria 
all’assetto normativo vigente 
al 
momento di 
consumazione 
del 
reato, possa 
e 
debba 
essere 
rilevata, prima 
della 
formazione 
del 
giudicato ed a 
prescindere 
dalla 
articolazione 
di 
un 
corrispondente 
motivo 
di 
impugnazione, 
pure 
in 
presenza 
di 
un 
ricorso 
caratterizzato 
da 
inammissibilità, 
nella 
specie, 
non 
originaria”. 
Nello 
stesso 
senso 
si 
è 
orientata 
Sez. 
4, 
n. 
17221 
del 
02/04/2019, 
Iacovelli, 
rv. 
275714, 
come 
quella 
appena 
citata relativa ad una pena inflitta in misura superiore al massimo edittale. 

Per Sez. 5, n. 51726 del 
12/10/2016, Sale, rv. 268639 la 
rilevabilità 
ex officio della 
illegalità 
della 
pena 
(si 
tratta 
ancora 
della 
pena 
detentiva 
inflitta 
per reati 
di 
competenza 
del 
giudice 
di 
pace), 
nonostante 
l’inammissibilità 
del 
ricorso, 
si 
impone 
in 
quanto 
“si 
tratta 
di 
verificare 
il 
rispetto del 
principio immanente 
di 
legalità 
della 
sanzione”. La 
decisione 
mutua 
un’affermazione 
che 
risale 
a 
Sez. 1, n. 8405 del 
21/01/2009, Porreca, rv. 242973, secondo 
cui 
“L’intero sistema 
processual-penalistico, invero, non sopporta 
l’irrogazione 
di 
pena 
illegale, 
per i 
fondamentali 
principi 
costituzionali 
di 
libertà 
che 
ne 
sono sottesi, e 
per il 
principio 
del favor rei che, altrimenti, risulterebbe in concreto vanificato”. 

Sez. 
5, 
n. 
13787 
del 
30/01/2020, 
ottoni, 
rv. 
27920101 
ha, 
da 
un 
verso, 
fatto 
propria 
la 
piattaforma 
argomentativa 
utilizzata 
dalla 
sentenza 
oguekemma 
(si 
verteva 
nella 
medesima 
ipotesi 
di 
pena 
superiore 
al 
massimo edittale) ma, dall’altro, ha 
ritenuto di 
poter dedurre 
dal-
l’insegnamento 
impartito 
da 
Sez. 
U, 
n. 
47766 
del 
26/06/2015, 
Butera, 
rv. 
265106 
la 
possibilità 
di 
differenziare 
in 
maniera 
netta, 
da 
un 
lato, 
le 
cause 
di 
inammissibilità 
in 
generale 
e, 
dall'altro, 
la 
tardività 
del 
ricorso, che 
esclude 
in radice 
la 
possibilità 
di 
instaurare 
un valido rapporto di 
impugnazione. Sulla 
base 
di 
tale 
premessa 
ha 
argomentato che 
il 
ricorso proposto per motivi 
non consentiti 
(art. 606 c.p.p., comma 
2 bis), è 
idoneo, a 
differenza 
del 
ricorso tardivo, ad instaurare 
un valido rapporto processuale, con la 
conseguenza 
di 
permettere 
alla 
Corte 
di 
cassazione 
di rilevare di ufficio la illegalità della pena. 


CoNteNzIoSo 
NazIoNaLe 


Si 
tratta 
di 
una 
linea 
interpretativa 
già 
percorsa 
da 
Sez. 
5, 
n. 
552 
del 
07/07/2016, 
dep. 
2017, 
Jomle, 
rv. 
268593. 
In 
questa 
pronuncia 
la 
Quinta 
Sezione 
ha 
preso 
le 
mosse 
da 
alcuni 
principi 
espressi 
dalle 
Sezioni 
Unite 
Butera, 
ovvero 
che 
l’illegalità 
della 
pena 
non 
è 
rilevabile 
di 
ufficio 
da 
parte 
della 
Corte 
di 
cassazione 
in caso di 
ricorso tardivo. In tal 
caso, essa 
è 
deducibile 
dinanzi 
al 
giudice 
dell’esecuzione, 
salvo 
che 
non 
si 
verta 
in 
ipotesi 
di 
erronea 
applicazione 
delle 
sanzioni 
previste 
per i 
reati 
attribuiti 
alla 
competenza 
del 
giudice 
di 
pace, perchè 
il 
giudice 
dell’esecuzione 
dovrebbe 
operare 
una 
valutazione 
di 
tutti 
i 
parametri 
di 
commisurazione 
eccentrica 
rispetto ai suoi poteri di intervento. 

La 
Quinta 
Sezione 
ha 
rimarcato che 
alla 
medesima 
udienza 
le 
Sezioni 
Unite 
avevano deliberato 
anche 
la 
sentenza 
Della 
Fazia, la 
quale 
ha 
statuito che 
nonostante 
l’inammissibilità 
del 
ricorso (non tardivo), la 
Corte 
di 
cassazione 
deve 
rilevare 
di 
ufficio la 
mancata 
applicazione 
del 
sopravvenuto 
trattamento 
sanzionatorio 
più 
favorevole. 
Ne 
ha 
dedotto 
l’implicazione 
che 
le 
Sezioni 
Unite 
hanno inteso affrontare 
in modo unitario il 
tema 
dei 
limiti 
al 
sindacato 
della 
Corte 
di 
legittimità 
nel 
caso di 
ricorso inammissibile; 
ha, in conclusione, argomentato 
che 
“solo 
nel 
caso 
di 
ricorso 
per 
intempestività 
è 
precluso 
al 
giudice 
di 
legittimità 
“correggere” 
ex officio la pena illegale”. 

anche 
per il 
caso di 
illegalità 
della 
pena 
accessoria 
si 
è 
statuito che 
essa 
è 
rilevabile 
d’ufficio 
nel 
giudizio 
di 
cassazione, 
pur 
se 
il 
ricorso 
è 
inammissibile 
(Sez. 
3, 
n. 
6997 
del 
22/11/2017, dep. 2018, C., rv. 272090, che 
si 
è 
limitata 
al 
richiamo del 
precedente 
costituito 
da Sez. 5, n. 46122/2014, citata). 

In 
altra 
decisione 
(Sez. 
2, 
n. 
7188 
del 
11/10/2018, 
dep. 
2019, 
elgendy, 
rv. 
276320), 
ancora 
a 
riguardo 
della 
pena 
accessoria, 
si 
sostiene 
che 
“tale 
principio 
risulta 
in 
linea 
con 
la 
nota 
evoluzione 
giurisprudenziale, segnata 
da 
rilevanti 
pronunce 
delle 
Sezioni 
Unite 
in tema 
di 
cedevolezza 
del 
giudicato 
in 
presenza 
di 
una 
pena 
illegale 
(Sez. 
U, 
n. 
42858 
del 
29/05/2014, 
Gatto, 
rv. 260697; 
n. 6240 del 
27/11/2014, dep. 2015, B., rv. 262327; 
n. 33040 del 
26/02/2015, Jazouli, 
rv. 
264205-6; 
n. 
37107 
del 
26/02/2015, 
Marcon, 
rv. 
264857-9; 
n. 
47766 
del 
26/06/2015, Butera, rv. 265108)”. 

6. 
Quanto 
al 
secondo 
profilo 
del 
contrasto, 
e 
cioè 
la 
qualificazione 
come 
pena 
illegale 
della 
erronea 
riduzione 
per il 
giudizio abbreviato, la 
tesi 
incline 
ad escludere 
che 
la 
pena 
erroneamente 
ridotta 
ai 
sensi 
dell’art. 442 c.p.p., comma 
2, sia 
illegale 
-e 
quindi 
che 
vi 
sia 
materia 
per l’esercizio dei 
poteri 
officiosi 
da 
parte 
della 
Corte 
di 
cassazione 
-è 
espressa 
da 
Sez. 4, n. 
6510 del 
27/01/2021, Di 
Maria, rv. 280946, che 
riprende 
l’affermazione 
di 
Sez. 1, n. 22313 
del 
08/07/2020, Manto, rv. 279455 (intervenuta 
in vicenda 
concernente 
un provvedimento 
del 
giudice 
dell’esecuzione, 
al 
pari 
di 
Sez. 
1, 
n. 
28252 
del 
11/06/2014, 
Imparolato, 
rv. 
261091). Secondo la 
Quarta 
Sezione 
nel 
caso specifico si 
trattava 
di 
pena 
inflitta 
per un reato 
commesso prima 
del 
3 agosto 2017 e 
venuto all’attenzione 
della 
Corte 
di 
appello dopo tale 
data, pena 
ridotta 
per il 
rito di 
un terzo e 
non della 
metà 
-non si 
verte 
in una 
ipotesi 
di 
pena 
illegale, perchè 
non prevista 
dalla 
legge 
per specie 
o quantità, ma 
si 
tratta 
di 
“una 
determinazione 
operata 
in violazione 
del 
criterio di 
riduzione, stabilito dalla 
legge 
processuale”. Pertanto, 
ricorrendo una 
violazione 
di 
legge 
processuale 
non dedotta 
in appello, il 
motivo con il 
quale si intende far valere siffatta violazione è inammissibile. 
Secondo 
Sez. 
6, 
n. 
32243 
del 
15/07/2014, 
tanzi, 
rv. 
260326 
l’erronea 
riduzione 
per 
il 
rito, 
operata 
nella 
misura 
della 
metà 
invece 
che 
del 
terzo, non dà 
luogo ad una 
pena 
illegale 
se 
la 
pena 
data 
in dispositivo non è 
diversa, per specie, da 
quella 
che 
la 
legge 
stabilisce 
per un determinato 
reato, ovvero inferiore 
o superiore, per quantità, ai 
relativi 
limiti 
edittali 
(nella 
specie, 
la 
pena 
di 
otto 
mesi 
di 
reclusione 
inflitta 
per 
il 
reato 
di 
evasione, 
pur 
determinata 
attraverso 



raSSeGNa 
aVVoCatUra 
DeLLo 
Stato -N. 4/2022 


una 
riduzione 
in misura 
erronea 
e 
la 
riduzione 
per le 
riconosciute 
attenuanti 
generiche, era 
compatibile con i limiti edittali stabiliti per tale delitto). 

Il 
diverso indirizzo è 
espresso da 
Sez. 3, n. 38474 del 
31/05/2019, Lasalvia, rv. 276760. 
In un caso nel 
quale 
era 
stata 
omessa 
la 
riduzione 
della 
pena 
dovuta 
per il 
rito abbreviato, ma 
la 
violazione 
non era 
stata 
censurata 
nè 
con l’appello nè 
con il 
ricorso per cassazione, bensì 
solo con il 
nuovo ricorso contro la 
sentenza 
pronunciata 
dal 
giudice 
del 
rinvio, la 
terza 
Sezione 
ha 
richiamato 
il 
principio 
espresso 
da 
Sez. 
4, 
n. 
26117 
del 
16/05/2012, 
torna, 
rv. 
253562 secondo cui 
l’erronea 
applicazione 
della 
diminuzione 
prevista 
per il 
rito abbreviato, 
costituisce 
“un 
palese 
errore 
materiale 
di 
calcolo 
nella 
determinazione 
della 
pena 
che 
ha 
comportato 
la 
sostanziale 
illegalità, sia 
pure 
solo in punto di 
quantum 
in conseguenza 
di 
macroscopico 
errore di calcolo della pena inflitta”. 

Secondo 
la 
citata 
sentenza 
della 
terza 
Sezione 
il 
principio 
vale 
a 
fortiori 
nel 
caso 
di 
omessa 
applicazione 
della 
riduzione 
per il 
rito, che 
integra 
“un palese 
errore 
materiale 
di 
calcolo”. 
Ha, 
quindi, 
ritenuto 
rilevabile 
d’ufficio 
anche 
in 
sede 
di 
legittimità 
(eccezion 
fatta 
che 
nel 
caso 
di 
ricorso 
tardivo) 
l’illegalità 
della 
pena 
“derivante 
da 
palese 
errore 
giuridico 
o 
materiale 
da parte del giudice della cognizione, privo di argomentata valutazione”. 

7. Come 
preannunciato, la 
ricognizione 
delle 
decisioni 
che 
si 
sono misurate 
direttamente 
o 
indirettamente 
con 
il 
tema 
che 
qui 
occupa 
evidenzia 
che 
si 
controverte, 
da 
un 
canto, 
in 
merito alla 
superabilità 
o meno, in presenza 
di 
pena 
illegale, della 
preclusione 
derivante 
dal-
l’inammissibilità 
del 
ricorso; 
dall’altro, 
in 
ordine 
alla 
riconducibilità 
della 
pena 
erroneamente 
ridotta ai sensi dell’art. 442 c.p.p., al novero delle pene illegali. 
7.1. Prima 
di 
inoltrarsi 
nell’esame 
della 
fondatezza 
delle 
interpretazioni 
antagoniste 
è 
necessaria 
un’osservazione 
che 
attiene 
al 
metodo. Già 
l’excursus 
appena 
fatto evidenzia 
come 
talvolta 
la 
tesi 
patrocinata 
venga 
sostenuta 
anche 
mutuando principi 
e 
argomenti 
proposti 
per 
vicende 
diverse 
da 
quella 
in esame. Si 
tratta 
di 
quella 
assimilazione 
di 
situazioni 
tra 
loro non 
omogenee 
contro la 
quale 
la 
sentenza 
Di 
rocco ha 
svolto condivisibili 
critiche. Se 
pur fosse 
unitario il 
quadro entro il 
quale 
si 
collocano le 
varie 
questioni 
in ordine 
ai 
poteri 
del 
giudice 
dell’impugnazione 
inammissibile 
di 
fronte 
ad una 
pena 
illegale, occorrerebbe 
comunque 
interrogarsi 
sulla 
fondatezza 
di 
interpretazioni 
che: 
adottano principi 
formulati 
in tema 
di 
illegalità 
sopravvenuta 
della 
pena 
con riguardo alla 
diversa 
ipotesi 
di 
pena 
illegale 
ab origine; 
assimilano pene 
che 
eccedono i 
limiti 
edittali 
a 
pene 
determinate 
in violazione 
di 
norme 
processuali; 
traggono 
da 
specifiche 
ipotesi 
di 
ritenuta 
recessività 
del 
giudicato 
sostanziale 
un 
generale 
principio 
di 
soccombenza 
di 
esso 
ad 
istanze 
legaliste, 
senza 
indicarne 
i 
fondamenti. 
all’inverso, è 
necessario definire 
con precisione 
le 
premesse 
che 
avviano alla 
soluzione 
della 
questione che qui occupa. 
La 
messa 
a 
fuoco non può che 
prendere 
le 
mosse 
dal 
concetto di 
pena 
illegale. Infatti, solo 
se 
è 
da 
ritenere 
illegale 
la 
pena 
ridotta 
in misura 
erronea 
rispetto a 
quanto previsto dall’art. 
442 c.p.p., comma 
2, è 
necessario occuparsi, in questa 
sede, dell’odierna 
concezione 
del 
giudicato 
sostanziale e della sua ipotetica flessibilità. 

7.2. Ciò introduce 
al 
tema 
che 
ora 
occorre 
affrontare, ovvero il 
principio di 
legalità 
della 
pena. 
L’impegno non è 
agevole 
poichè, come 
denuncia 
la 
più recente 
dottrina, il 
principio di 
legalità 
è 
stato 
studiato 
ed 
esplicato 
soprattutto 
con 
riferimento 
alla 
legalità 
del 
precetto, 
mentre 
la legalità della pena è tema rimasto maggiormente in ombra. 

ovviamente, 
nello 
Stato 
di 
diritto, 
non 
è 
in 
discussione 
che 
la 
pena 
inflitta 
dal 
giudice 
debba 
essere 
legale, ovvero, prevista 
dalla 
legge. Per l’ordinamento nazionale 
depongono in 



CoNteNzIoSo 
NazIoNaLe 


tal 
senso la 
previsione 
dell’art. 1 c.p., e, con superiore 
autorità, l’art. 25 Cost., comma 
2, che 
eleva il principio di legalità della pena al rango costituzionale. 

È 
però 
significativo 
che, 
come 
già 
rilevato 
da 
Sez. 
U, 
Della 
Fazia, 
il 
riconoscimento 
di 
una 
“illegalità” 
della 
pena 
abbia 
richiesto un approfondimento della 
portata 
precettiva 
dell’art. 25 
Cost., comma 
2, il 
cui 
testo non espone 
con assoluta 
evidenza 
il 
principio nulla 
poena 
sine 
lege 
(per 
scelta 
deliberata 
del 
legislatore 
costituente, 
che 
ritenne 
il 
principio 
ricavabile 
comunque 
da 
altre 
norme). tale 
approfondimento è 
stato operato dalla 
Corte 
costituzionale 
sin 
dalla 
sentenza 
n. 15 del 
1962, che 
ha 
superato le 
incertezze 
scaturite 
dalla 
variazione 
testuale 
che 
l’art. 
25 
Cost., 
propone 
rispetto 
all’art. 
1 
c.p., 
oltre 
che 
da 
posizioni 
teoriche 
inclini 
a 
tener 
distinti, rispetto al 
tema 
della 
legalità, il 
precetto penale 
e 
la 
sanzione. Il 
Giudice 
delle 
leggi 
ha 
disatteso l’assunto per il 
quale 
non sarebbe 
costituzionalmente 
garantito il 
principio di 
legalità 
della 
pena 
sancito nell’art. 1, c.p., affermando che 
l’art. 25 Cost., comma 
2, “dà 
fondamento 
legale 
alla 
potestà 
punitiva 
del 
giudice. 
e 
poichè 
questa 
potestà 
si 
esplica 
mediante 
l’applicazione 
di 
una 
pena 
adeguata 
al 
fatto ritenuto antigiuridico, non si 
può contestare 
che 
pure 
la 
individualizzazione 
della 
sanzione 
da 
comminare 
risulta 
legata 
al 
comando 
della 
legge”. 

anche 
la 
Convenzione 
per 
la 
salvaguardia 
dei 
diritti 
dell’uomo 
e 
delle 
libertà 
fondamentali 
si 
situa 
tra 
le 
fonti 
normative 
del 
principio di 
legalità 
della 
pena. In particolare, secondo l’interpretazione 
della 
Corte 
di 
Strasburgo, 
esso 
è 
sancito 
dall’art. 
7 
(Corte 
eDU, 
25 
maggio 
1993, 
Kokkinakis 
c. Grecia, p. 52). In primo luogo, il 
principio vieta 
di 
estendere 
il 
campo di 
applicazione 
dei 
reati 
esistenti 
a 
fatti 
che, in precedenza, non costituivano reato ed impone 
di 
non 
applicare 
la 
legge 
penale 
in 
maniera 
estensiva 
a 
danno 
dell’imputato, 
ad 
esempio 
per 
analogia 
(tra 
le 
altre, Corte 
eDU, GC, 21 ottobre 
2013, Del 
rio Prada 
c. Spagna, p. 78). Ma, in forza 
della 
previsione 
del 
comma 
1, secondo periodo, secondo la 
quale 
“... non può essere 
inflitta 
una 
pena 
più grave 
di 
quella 
che 
sarebbe 
stata 
applicata 
al 
tempo in cui 
il 
reato è 
stato consumato”, 
esso obbliga il legislatore anche a definire chiaramente le pene. 

Non dissimili 
le 
previsioni 
dell’art. 49, p. 1, della 
Carta 
di 
Nizza 
e 
dell’art. 15 del 
Patto internazionale 
sui 
diritti 
civili 
e 
politici 
adottato 
a 
New 
York 
il 
16 
dicembre 
1966 
e 
reso 
esecutivo 
in Italia con L. 25 ottobre 1977, n. 881. 

D’altronde, 
come 
è 
stato 
rimarcato 
dalla 
dottrina, 
“il 
principio 
di 
legalità 
sarebbe 
vanificato 
e 
privato 
del 
suo 
significato 
di 
garanzia 
se 
abbracciasse 
il 
solo 
precetto 
e 
non 
investisse 
anche 
il 
versante 
delle 
sanzioni”. Nullum 
crimen sine 
lege 
e 
nullum 
poena 
sine 
lege 
sono così 
intimamente 
correlati. Ne 
discende 
che, anche 
per le 
pene, il 
principio di 
legalità 
assume 
i 
contenuti 
che gli sono riconosciuti quando riferito al reato. 

Viene, in proposito, in rilievo innanzitutto la 
riserva 
di 
legge 
che 
assolve 
ad una 
funzione 
di 
garanzia 
dell’individuo tanto rispetto al 
momento costitutivo che 
a 
quello di 
concreta 
attuazione 
della pretesa punitiva. 

Secondo l’insegnamento del 
Giudice 
delle 
leggi, nell’ordinamento costituzionale 
il 
principio 
di 
legalità 
della 
pena 
implica, in primo luogo, la 
riserva 
a 
favore 
della 
legge 
statuale: 
“esso esige 
che 
sia 
soltanto la 
legge 
(o un atto equiparato) dello Stato a 
stabilire 
con quale 
misura 
debba 
esser repressa 
la 
trasgressione 
dei 
precetti 
che 
vuole 
sanzionati 
penalmente. La 
dignità 
e 
la 
libertà 
personali 
sono, 
nell’ordinamento 
costituzionale 
democratico 
e 
unitario 
che 
regge 
il 
Paese, beni 
troppo preziosi 
perchè, in mancanza 
di 
un inequivoco disposto costituzionale 
in tali 
sensi, si 
possa 
ammettere 
che 
un’autorità 
amministrativa, e 
comunque 
un’autorità 
non statale, disponga 
di 
un qualche 
potere 
di 
scelta 
in ordine 
ad essi” 
(n. 62 del 
1966; 
in tal senso anche n. 282 del 1990). 


raSSeGNa 
aVVoCatUra 
DeLLo 
Stato -N. 4/2022 


Ma 
la 
legalità 
della 
pena 
non è 
solo un argine 
frapposto alla 
moltiplicazione 
delle 
fonti 
di 
criminalizzazione; 
è 
anche 
garanzia 
contro 
l’arbitrio 
del 
giudice 
che, 
creando 
la 
pena, 
si 
arroga 
prerogative 
che 
spettano solo a 
chi 
è 
chiamato ad assumersi 
le 
responsabilità 
politiche 
della 
penalizzazione. “Solo il 
legislatore, dunque, può, nel 
rispetto dei 
principi 
della 
Costituzione, 
individuare 
i 
beni 
da 
tutelare 
mediante 
la 
sanzione 
penale, e 
le 
condotte, lesive 
di 
tali 
beni, da 
assoggettare 
a 
pena, nonchè 
stabilire 
qualità 
e 
quantità 
delle 
relative 
pene 
edittali” 
(sentenza 
n. 447 del 1998). 

Il 
monopolio a 
favore 
del 
legislatore 
è, però, accompagnato da 
vincoli; 
come 
la 
norma 
incriminatrice 
deve 
soddisfare 
il 
principio di 
determinatezza, anche 
per le 
pene 
egli 
è 
tenuto a 
stabilire il tipo, il contenuto e la misura della pena e a farlo in modo non arbitrario. 

Determinatezza 
non significa, tuttavia, opzione 
a 
favore 
delle 
pene 
fisse: 
invero, “il 
principio 
di 
legalità 
della 
pena 
non può prescindere 
dalla 
individualizzazione 
di 
questa” 
(Corte 
Cost., sent. n. 131 del 
1970). ed invero, la 
pena 
costituzionale 
non è 
solo rispettosa 
del 
principio 
di 
legalità, ma 
anche 
del 
principio di 
personalità 
della 
responsabilità 
penale 
e 
della 
funzione 
rieducativa. 
Corte 
Cost., 
sent. 
n. 
149 
del 
2018 
rammenta 
“il 
principio 
della 
non 
sacrificabilità 
della 
funzione 
rieducativa 
sull’altare 
di 
ogni 
altra, pur legittima, funzione 
della 
pena”. 

La 
Corte 
costituzionale 
ha 
progressivamente 
accentuato il 
giudizio di 
tendenziale 
incoerenza 
delle 
pene 
fisse 
al 
dettato costituzionale, proprio in ragione 
della 
necessità 
dell’individualizzazione 
della pena. 

Se, con la 
sentenza 
n. 67 del 
1963 (relativa 
alla 
pena 
pecuniaria 
comminata 
in misura 
fissa 
dal 
r.D.L. 15 ottobre 
1925, n. 2033, art. 54, abrogato dalla 
L. 3 febbraio 2011, n. 4), la 
Corte 
costituzionale 
ritenne 
che 
la 
previsione 
non compromettesse 
il 
principio che 
la 
responsabilità 
penale 
è 
personale, la 
finalità 
rieducativa 
della 
pena 
ed il 
principio di 
uguaglianza, tuttavia, 
già 
in tale 
decisione 
il 
Giudice 
delle 
leggi 
convenne 
in ordine 
al 
fatto che 
lo strumento più 
idoneo 
a 
garantire 
la 
adeguatezza 
del 
trattamento 
sanzionatorio 
al 
reo 
è 
“la 
mobilità 
della 
pena, 
cioè 
la 
predeterminazione 
della 
medesima 
da 
parte 
del 
legislatore 
in 
modo 
da 
contenerla 
fra un massimo ed un minimo”. 

Con la 
sentenza 
n. 50 del 
1980 la 
Corte 
costituzionale 
espresse 
un giudizio più marcatamente 
critico 
rispetto 
alle 
pene 
fisse: 
“in 
linea 
di 
principio, 
previsioni 
sanzionatorie 
rigide 
non 
appaiono 
pertanto 
in 
armonia 
con 
il 
“volto 
costituzionale” 
del 
sistema 
penale; 
ed 
il 
dubbio 
d’illegittimità 
costituzionale 
potrà 
essere, caso per caso, superato a 
condizione 
che, per la 
natura 
dell’illecito sanzionato e 
per la 
misura 
della 
sanzione 
prevista, questa 
ultima 
appaia 
ragionevolmente 
“proporzionata” 
rispetto 
all’intera 
gamma 
di 
comportamenti 
riconducibili 
allo 
specifico tipo di 
reato”. Con questa 
pronuncia 
il 
principio di 
legalità 
delle 
pene 
viene 
fortemente 
connesso ai 
principi 
indicati 
dall’art. 27 Cost., commi 
1 e 
3. La 
pena 
determinata 
dal 
legislatore 
deve 
poter essere 
individualizzata 
dal 
giudice, in modo da 
tenere 
conto dell’effettiva 
entità 
e 
delle 
specifiche 
esigenze 
dei 
singoli 
casi: 
“lo stesso principio di 
“legalità 
delle 
pene”, 
sancito 
dall’art. 
25 
Cost., 
comma 
2, 
dà 
forma 
ad 
un 
sistema 
che 
trae 
contenuti 
ed 
orientamenti 
da 
altri 
principi 
sostanziali 
-come 
quelli 
indicati 
dall’art. 27 Cost., commi 
1 e 
3, -ed 
in cui 
“l'attuazione 
di 
una 
riparatrice 
giustizia 
distributiva 
esige 
la 
differenziazione 
più che 
l’uniformità” 
(sentenza 
n. 104 del 
1968). Di 
qui 
il 
ruolo centrale, che 
nei 
sistemi 
penali 
moderni 
è 
proprio della 
discrezionalità 
giudiziale, nell’ambito e 
secondo i 
criteri 
segnati 
dalla 
legge (artt. 132 e 133 c.p.; e si veda al riguardo la sentenza n. 118 del 1973)”. 

Più di 
recente 
la 
Corte 
ha 
precisato che 
la 
tendenziale 
contrarietà 
delle 
pene 
fisse 
“al 
volto 
costituzionale” 
dell’illecito penale 
deve 
intendersi 
riferita 
alle 
pene 
fisse 
nel 
loro complesso 



CoNteNzIoSo 
NazIoNaLe 


e 
non 
ai 
trattamenti 
sanzionatori 
che 
coniughino 
articolazioni 
rigide 
ed 
articolazioni 
elastiche, 
in maniera 
tale 
da 
lasciare 
comunque 
adeguati 
spazi 
alla 
discrezionalità 
del 
giudice, ai 
fini 
dell’adeguamento 
della 
risposta 
punitiva 
alle 
singole 
fattispecie 
concrete 
(ordinanza 
n. 
91 
del 
2008). 

Con 
la 
sent. 
n. 
222 
del 
2018, 
pronunciando 
la 
illegittimità 
costituzionale 
del 
r.D. 
16 
marzo 
1942, 
n. 
267, 
art. 
216, 
u.c., 
nella 
parte 
in 
cui 
dispone 
che 
“la 
condanna 
per 
uno 
dei 
fatti 
previsti 
dal 
presente 
articolo importa 
per la 
durata 
di 
dieci 
anni 
l’inabilitazione 
all’esercizio di 
una 
impresa 
commerciale 
e 
l’incapacità 
per 
la 
stessa 
durata 
ad 
esercitare 
uffici 
direttivi 
presso 
qualsiasi 
impresa”, 
la 
Corte 
costituzionale 
ha 
ribadito 
che 
“l’esigenza 
di 
“mobilità” 
(sentenza 


n. 67 del 
1963), o “individualizzazione” 
(sentenza 
n. 104 del 
1968), della 
pena 
-e 
la 
conseguente 
attribuzione 
al 
giudice, nella 
sua 
determinazione 
in concreto, di 
una 
certa 
discrezionalità 
nella 
commisurazione 
tra 
il 
minimo e 
il 
massimo previsti 
dalla 
legge 
-costituisce 
(...) 
“naturale 
attuazione 
e 
sviluppo di 
principi 
costituzionali, tanto di 
ordine 
generale 
(principio 
d’uguaglianza) quanto attinenti 
direttamente 
alla 
materia 
penale” 
(sentenza 
n. 50 del 
1980), 
rispetto ai 
quali 
“l’attuazione 
di 
una 
riparatrice 
giustizia 
distributiva 
esige 
la 
differenziazione 
più 
che 
l’uniformità” 
(così, 
ancora, 
la 
sentenza 
n. 
104 
del 
1968). 
Con 
la 
rilevante 
conseguenza, 
espressamente 
tratta 
dalla 
citata 
sentenza 
n. 
50 
del 
1980, 
che 
“(i)n 
linea 
di 
principio, 
previsioni 
sanzionatorie 
rigide 
non appaiono in linea 
con il 
volto costituzionale 
del 
sistema 
penale; 
ed il 
dubbio d’illegittimità 
costituzionale 
potrà 
essere, caso per caso, superato a 
condizione 
che, 
per la 
natura 
dell’illecito sanzionato e 
per la 
misura 
della 
sanzione 
prevista, quest’ultima 
appaia 
ragionevolmente 
proporzionata 
rispetto 
all’intera 
gamma 
di 
comportamenti 
riconducibili 
allo specifico tipo di reato”. 
Se 
la 
Costituzione 
esprime 
un’indicazione 
preferenziale 
per 
la 
mobilità 
della 
pena, 
la 
stessa 
predeterminazione 
di 
un minimo e 
di 
un massimo della 
sanzione 
non è 
libera 
da 
vincoli: 
“il 
principio di 
legalità 
richiede 
anche 
che 
l’ampiezza 
del 
divario tra 
il 
minimo ed il 
massimo 
della 
pena 
non 
ecceda 
il 
margine 
di 
elasticità 
necessario 
a 
consentire 
l’individualizzazione 
della 
pena 
secondo i 
criteri 
di 
cui 
all’art. 133, e 
che 
manifestamente 
risulti 
non correlato alla 
variabilità 
delle 
fattispecie 
concrete 
e 
delle 
tipologie 
soggettive 
rapportabili 
alla 
fattispecie 
astratta. 
altrimenti 
la 
predeterminazione 
legislativa 
della 
misura 
della 
pena 
diverrebbe 
soltanto 
apparente 
ed il 
potere 
conferito al 
giudice 
si 
trasformerebbe 
da 
potere 
discrezionale 
in potere 
arbitrario” 
(Corte 
Cost., n. 299 del 
1992). Inoltre, il 
legislatore 
deve 
assicurare 
la 
necessaria 
proporzionalità 
delle 
pene, 
sia 
in 
relazione 
a 
quelle 
previste 
per 
altre 
figure 
di 
reato 
che 
rispetto 
alla 
intrinseca 
gravità 
delle 
condotte 
abbracciate 
da 
una 
singola 
figura 
di 
reato 
(cfr. 
Corte 
Cost., sent. n. 63 del 
2022, cui 
si 
rimanda 
anche 
per la 
menzione 
delle 
decisioni 
che 
hanno 
delineato i termini del sindacato di costituzionalità sulla determinazione legale della pena). 

8. La 
pena 
costituzionale 
è 
quindi 
la 
pena 
determinata 
dal 
legislatore 
secondo le 
direttrici 
evidenziate 
dal 
Giudice 
delle 
leggi 
ed individualizzata 
dal 
giudice. I due 
poteri 
concorrono 
verso il 
traguardo di 
una 
sanzione 
che 
rappresenti 
la 
sintesi 
dei 
valori 
costituzionali 
cui 
deve 
ispirarsi il diritto penale. 
Come 
rilevato 
dalla 
Corte 
costituzionale 
(sent. 
n. 
299 
del 
1992), 
la 
predeterminazione 
della 
pena 
da 
parte 
del 
legislatore 
tra 
un minimo ed un massimo e 
il 
conferimento al 
giudice 
del 
potere 
discrezionale 
di 
determinare 
in concreto, entro tali 
limiti, la 
sanzione 
da 
irrogare 
costituisce 
lo strumento più idoneo al 
conseguimento delle 
finalità 
della 
pena 
e 
più congruo rispetto 
al 
principio 
di 
uguaglianza. 
La 
determinazione 
delle 
cornici 
edittali 
è 
“requisito 
essenziale 
affinchè 
la 
discrezionalità 
giudiziale 
nella 
determinazione 
concreta 
della 
pena 
trovi 
nella 
legge 
il 
suo limite 
e 
la 
sua 
regola 
e 
non si 
traduca, invece, in arbitrio”. Nelle 
commina



raSSeGNa 
aVVoCatUra 
DeLLo 
Stato -N. 4/2022 


torie 
edittale 
si 
esprime 
la 
scala 
di 
graduazione 
del 
disvalore 
definita 
dal 
legislatore; 
“il 
compito 
che 
viene 
assegnato 
al 
giudice 
è 
quello 
di 
“proporzionare” 
la 
sanzione 
concreta...” 
a 
quella 
e non al proprio giudizio di disvalore sul fatto reato. 

tuttavia, quello tra 
determinazione 
legale 
e 
commisurazione 
giudiziale 
è 
un rapporto alla 
perenne ricerca di un soddisfacente equilibrio. 

Uno 
sguardo 
retrospettivo 
rivela 
che 
il 
monopolio 
legislativo 
ha 
avuto 
nel 
tempo 
differenti 
declinazioni, in stretta 
correlazione 
all’avvicendarsi 
delle 
concezioni 
in ordine 
ai 
rapporti 
tra 
istanze legaliste e di individualizzazione della pena. 

Infatti, 
sin 
dal 
suo 
sorgere 
nell’età 
dell’illuminismo 
giuridico, 
la 
questione 
della 
legalità 
delle 
pene 
è 
stata 
essenzialmente 
una 
questione 
di 
perimetrazione 
dell’insopprimibile 
intervento 
giudiziale. 
Fermo 
il 
monopolio 
legislativo 
-fondato 
sulla 
convinzione 
che 
la 
perdita 
del 
bene 
supremo 
dell’individuo 
è 
legittima 
solo 
se 
affonda 
le 
proprie 
radici 
nella 
volontà 
popolare, 
per 
come 
espressa 
dalle 
assemblee 
rappresentative 
si 
è 
trattato 
di 
individuarne 
le 
modalità 
di 
esercizio, 
consapevoli 
che 
i 
margini 
di 
valutazione 
che 
la 
legge 
lascia 
al 
giudice 
spostano 
gli 
equilibri 
tra 
certezza 
e 
flessibilità 
della 
pena 
e, 
pertanto, 
sanciscono 
la 
primazia 
o 
la 
subalternità 
della 
determinazione 
legale 
rispetto 
alla 
commisurazione 
giudiziale 
della 
pena. 


Questa 
tenzone 
si 
è 
manifestata 
soprattutto 
sul 
terreno 
del 
regime 
delle 
circostanze 
del 
reato. 

animato da 
un sentimento di 
sfiducia 
nei 
confronti 
del 
potere 
giudiziario, l’illuminismo 
giuridico 
propugnò 
che: 
le 
circostanze 
del 
reato 
valutabili 
dal 
giudice 
fossero 
solo 
quelle 
contenute 
in elenchi 
predeterminati 
dal 
legislatore 
e 
tassativi; 
esse 
operassero unicamente 
quali 
fattori 
di 
modulazione 
della 
pena 
entro 
le 
cornici 
edittali 
(quindi 
come 
le 
moderne 
circostanze 
cc.dd. improprie, di 
cui 
all’art. 133 c.p.), come 
previsto dal 
progetto di 
codice 
lombardo del 
1791, 
che 
vide 
tra 
i 
suoi 
elaboratori 
anche 
Cesare 
Beccaria. 
Con 
il 
codice 
napoleonico 
del 
1810 
cominciò 
a 
profilarsi 
la 
categoria 
delle 
circostanze 
del 
reato 
cc.dd. 
proprie. 
In 
quel 
testo, 
circostanze 
attenuanti, espressive 
di 
una 
eccezionale 
tenuità 
del 
disvalore 
del 
fatto, permettevano 
di 
travolgere 
il 
minimo (ma 
non il 
massimo) edittale. tuttavia, secondo autorevole 
dottrina, 
questa 
codificazione 
era 
ancora 
ispirata 
ad un modello rigidamente 
legalista, nel 
quale 
il 
giudice 
era 
inteso quale 
meccanico applicatore 
del 
dettato legislativo e 
la 
pena 
aveva 
prevalentemente 
funzioni 
di 
prevenzione 
generale 
e 
di 
deterrenza. 
Sullo 
sfondo, 
si 
stagliava 
l’idea 
che 
“a 
reati 
uguali 
commessi 
da 
persone 
dotate 
di 
pari 
libertà 
deve 
corrispondere 
una 
medesima 
pena”. 

anche 
il 
codice 
zanardelli 
riconobbe 
le 
circostanze 
proprie, strutturandole 
come 
comuni, 
indefinite 
ed attenuanti, originariamente 
determinanti 
una 
variazione 
proporzionale 
di 
pena 
fissa 
(peraltro, in un sistema 
caratterizzato dal 
calcolo aritmetico delle 
circostanze). Il 
fatto 
che 
la 
diminuzione 
della 
pena 
edittale 
non potesse 
superare 
una 
entità 
fissata 
dal 
legislatore 
evidenzia 
la 
persistenza 
di 
una 
pena 
a 
prevalente 
determinazione 
legale, 
pur 
nel 
riconoscimento 
di 
un più esteso potere 
commisurativo del 
giudice. Si 
coglie 
in tale 
previsione, la 
rivendicazione 
da 
parte 
del 
legislatore 
di 
un 
potere 
di 
definizione 
in 
termini 
presuntivi 
ed 
astratti 
del “peso” dell’elemento circostanziale. 

rivendicazione 
che 
il 
codice 
rocco fece 
con maggior forza. Nel 
disegno generale 
di 
una 
tipizzazione 
e 
sistematizzazione 
delle 
circostanze, comuni 
e 
speciali, attenuanti 
e 
aggravanti, 
la 
previsione 
di 
un 
elevatissimo 
numero 
di 
circostanze 
speciali 
a 
variazione 
di 
pena 
autonoma 


o indipendente 
esprime 
la 
volontà 
legislativa 
di 
determinare 
in via 
generale 
ed astratta 
il 
disvalore 
insito 
nel 
sottotipo 
circostanziato; 
e 
la 
sottrazione 
delle 
stesse 
(e 
di 
quelle 
inerenti 
alla 
persona 
del 
colpevole) 
al 
giudizio 
di 
bilanciamento 
di 
cui 
all’art. 
69 
c.p., 
era 
la 
pietra 
d’angolo 

CoNteNzIoSo 
NazIoNaLe 


della 
fortificazione 
eretta 
a 
protezione 
della 
determinazione 
legale. 
ad 
una 
simile 
opzione 
politica 
faceva 
da 
perfetto 
pendant 
la 
mancata 
previsione 
delle 
circostanze 
attenuanti 
indefinite; 
in tal modo il legislatore del 1930 si assicurava che le cornici edittali non venissero travolte. 

Secondo 
l’unanime 
giudizio 
della 
dottrina 
siffatto 
sistema 
ha 
visto 
incrinata 
l’interna 
razionalità 
già 
con 
l’introduzione 
delle 
circostanze 
attenuanti 
generiche 
(D.Lgs. 
19 
settembre 
1944, 


n. 
288); 
incrinatura 
approfondita 
dal 
D.L. 
11 
aprile 
1974, 
n. 
99, 
conv. 
dalla 
L. 
7 
giugno 
1974, 
n. 
220, 
che 
ha 
esteso 
il 
giudizio 
di 
bilanciamento 
a 
tutte 
le 
circostanze, 
senza 
distinzioni 
di 
sorta. 
ad 
avviso 
degli 
studiosi, 
le 
novelle 
sopraggiunte 
con 
la 
L. 
5 
dicembre 
2005, 
n. 
251, 
(che, 
tra 
l’altro, 
ha 
escluso 
la 
possibilità 
di 
prevalenza 
delle 
attenuanti 
sulla 
recidiva 
reiterata 
di 
cui 
all’art. 
99 
c.p., 
e 
sulle 
aggravanti 
previste 
dagli 
artt. 
111 
e 
112 
c.p.), 
con 
il 
D.L. 
23 
maggio 
2008, 
n. 
92, 
conv. 
dalla 
L. 
24 
luglio 
2008, 
n. 
125, 
ed 
il 
D.L. 
23 
febbraio 
2009, 
n. 
11, 
conv., 
con 
modifiche 
dalla 
L. 
15 
luglio 
2009, 
n. 
94 
(che 
hanno 
ampliato 
il 
novero 
delle 
circostanze 
privilegiate) 
hanno 
rappresentato 
una 
reazione 
tendente 
alla 
riduzione 
della 
discrezionalità 
giudiziale. 


La 
lezionè 
che 
si 
ricava 
dalle 
vicende 
rapidamente 
ripercorse 
è 
che 
il 
tema 
della 
pena 
è 
il 
tema 
della 
coesistenza 
di 
due 
domini, quello del 
legislatore 
e 
quello del 
giudice, tra 
loro interrelati 
e 
tuttavia 
non confondibili. L’uno è 
espressione 
del 
potere 
di 
determinare 
il 
disvalore 
del 
tipo 
(ed 
eventualmente 
del 
sottotipo) 
astratto; 
l’altro 
del 
potere 
di 
determinare 
il 
disvalore 
del 
fatto concreto. Nel 
commisurare 
la 
pena 
il 
giudice 
si 
confronta, quindi, con due 
vincoli 
legali: 
quelli 
del 
primo 
tipo 
tendono 
a 
preservare 
le 
fondamentali 
opzioni 
legislative 
in 
ordine 
al 
disvalore 
del 
fatto reato astrattamente 
inteso; 
gli 
altri 
indirizzano e 
regolano la 
discrezionalità 
giudiziale 
nell’apprezzamento 
del 
disvalore 
del 
fatto 
reato 
storicamente 
concretizzatosi 
ai fini della individualizzazione della pena. 

ogni 
violazione 
del 
primo travolge 
le 
prerogative 
del 
legislatore 
ed i 
valori 
per i 
quali 
esse 
sono 
riconosciute 
(nello 
Stato 
di 
diritto 
di 
stampo 
liberale, 
tali 
valori 
fanno 
capo 
all’individuo): 
la 
pena 
così 
determinata 
è 
illegale. 
La 
violazione 
delle 
regole 
che 
disciplinano 
l’uso 
del 
potere 
commisurativo -che 
resti 
rispettoso della 
determinazione 
legale 
-pone 
invece 
una 
questione 
di legittimità della pena. 

9. 
Pertanto, 
è 
rintracciabile 
un 
criterio 
per 
distinguere 
la 
pena 
illegale 
dalla 
pena 
illegittima. 
Premesso che, come 
rammentato da 
Sez. U, n. 7578 del 
17/12/2020, dep. 2021, acquista-
pace, 
quella 
di 
pena 
illegale 
è 
categoria 
che 
la 
giurisprudenza 
utilizza 
con 
esclusivo 
riferimento 
ai 
casi 
in cui 
la 
sanzione 
applicata 
dal 
giudice 
sia 
di 
specie 
più grave 
di 
quella 
prevista 
dalla 
norma incriminatrice o superiore ai limiti edittali indicati dalla stessa - trovando soluzione il 
caso 
opposto 
nel 
divieto 
di 
reformatio 
in 
peius 
-l’illegalità 
della 
pena 
ricorre 
solo 
quando 
essa 
eccede 
i 
valori 
(espressi 
sia 
qualitativamente: 
genere 
e 
specie, 
che 
quantitativamente: 
minimo e 
massimo) assegnati 
dal 
legislatore 
al 
tipo astratto nel 
quale 
viene 
sussunto il 
fatto 
storico reato. Per quanto in concreto possa 
non essere 
agevole 
la 
individuazione 
delle 
cornici 
edittali 
pertinenti 
al 
caso, è 
solo la 
violazione 
di 
esse 
-che 
sono la 
manifestazione 
ed il 
frutto 
del 
potere 
legale 
di 
determinazione 
della 
pena 
-ad integrare 
la 
pena 
illegale. ogni 
altra 
violazione 
delle 
regole 
che 
occorre 
applicare 
per la 
definizione 
della 
pena 
da 
infliggere 
integra 
un errato esercizio del potere commisurativo e dà luogo ad una pena che è illegittima. 

La 
puntuale 
identificazione 
degli 
estremi 
edittali 
è 
operazione 
essenziale, perchè 
si 
possa 
giudicare 
della 
eventuale 
illegalità 
della 
pena 
inflitta 
e 
far così 
emergere 
il 
superamento di 
quel confine che il giudice non può valicare. 

Solo 
la 
pena 
che 
non 
sia 
prevista, 
nel 
genere, 
nella 
specie 
o 
nella 
quantità, 
dall’ordinamento, 
sovverte 
le 
valutazioni 
valoriali 
riservate 
al 
legislatore, 
e 
con 
ciò 
le 
ragioni 
di 
tale 
monopolio. 
Con essa 
il 
giudice 
viola 
“il 
limite 
assoluto, invalicabile, oltre 
il 
quale 
la 
pronunzia 
giurisdi



raSSeGNa 
aVVoCatUra 
DeLLo 
Stato -N. 4/2022 


zionale 
sconfina 
nell’arbitrio e 
nell’usurpazione 
del 
potere 
legislativo” 
(Sez. 1, n. 3048 del 
15/10/1973, 
dep. 
1974, 
zulini, 
rv. 
126759). 
anche 
Sez. 
U, 
n. 
6240 
del 
27/11/2014, 
dep. 
2015, 
B., come 
si 
è 
già 
detto, ha 
sottolineato che 
l’illegalità 
della 
pena 
rivela 
la 
mutazione 
subita 
dalla 
discrezionalità 
giudiziale, 
che 
da 
espressione 
e 
strumento 
della 
migliore 
attuazione 
della 
legge diviene il suo opposto. 

Solo una 
pena 
illegale 
travolge 
anche 
il 
caposaldo della 
prevedibilità 
della 
sanzione, presupposto 
essenziale 
di 
una 
responsabilità 
penale 
che 
voglia 
farsi 
rispettosa 
del 
principio di 
colpevolezza. Non è 
superfluo rammentare 
che 
la 
Corte 
europea 
dei 
diritti 
dell’uomo ha 
interpretato 
l’art. 7 della 
Convenzione 
come 
disposizione 
che 
non si 
limita 
a 
proibire 
l’applicazione 
retroattiva 
del 
diritto 
penale 
a 
detrimento 
dell’imputato, 
ma 
richiede 
altresì 
la 
prevedibilità 
non solo del 
precetto ma 
anche 
delle 
specifiche 
conseguenze 
del 
reato. Ha 
precisato, 
la 
Corte 
eDU, che 
la 
prevedibilità 
attiene 
alla 
probabilità 
concreta 
per il 
destinatario 
di 
calcolare 
le 
conseguenze 
del 
proprio 
agire, 
in 
rapporto 
alle 
circostanze 
del 
caso 
(Corte 
eDU, 
22 
gennaio 
2013, 
Camilleri 
c. 
Malta; 
Corte 
eDU, 
Del 
rio 
Prada 
c. 
Spagna, 
citata; 
Corte 
eDU, GC, 12 febbraio 2008, Kafkaris c. Cipro). 

Come 
già 
rilevato 
tanto 
dalla 
giurisprudenza 
che 
dalla 
dottrina, 
la 
pena 
illegale 
contraddice 
le 
funzioni 
assegnate 
alla 
sanzione 
dalla 
Carta 
costituzionale. Si 
è 
già 
rappresentato che 
per 
la 
Corte 
costituzionale 
la 
funzione 
rieducativa 
della 
pena 
ha 
ricadute 
immediate 
in tema 
di 
legalità 
della 
pena. Sussiste 
la 
necessità 
costituzionale 
che 
la 
pena 
debba 
tendere 
alla 
rieducazione 
del 
condannato. Non può soddisfare 
tale 
esigenza 
una 
pena 
extra 
o contra 
legem, che 
cioè 
non 
trovi 
riscontro 
nelle 
statuizioni 
del 
legislatore. 
essa 
è 
di 
per 
sè 
inidonea 
a 
conseguire 
la 
finalità 
rieducativa, che 
il 
potere 
legislativo ha 
ritenuto perseguibile 
attraverso l’esercizio 
del potere discrezionale giudiziale contenuto entro i limiti definiti. 

Solo 
una 
pena 
illegale, 
infine, 
confligge 
con 
la 
previsione 
dell’art. 
13 
Cost., 
che, 
nel 
vietare 
ogni 
forma 
di 
detenzione 
e 
di 
altra 
restrizione 
della 
libertà 
personale 
che 
non trovi 
titolo in 
un atto motivato dell’autorità giudiziaria 
e 
nei soli casi e modi previsti dalla legge, ribadisce 
la necessità della base legale della statuizione giudiziale che incide sulla libertà personale. 

resta 
quindi 
confermata 
la 
fondatezza 
del 
principio 
tradizionalmente 
enunciato 
dal 
giudice 
di 
legittimità, 
secondo 
il 
quale 
gli 
errori 
nell’applicazione 
delle 
diverse 
discipline 
che 
entrano 
in 
gioco 
nella 
commisurazione 
della 
pena 
danno 
luogo 
ad 
una 
pena 
illegale 
solo 
se 
la 
risultante 
(ovvero la 
pena 
indicata 
in dispositivo) è 
per genere, specie 
o per valore 
minimo o massimo 
diversa 
da 
quella 
che 
il 
legislatore 
ha 
previsto per il 
tipo (o sottotipo) astratto al 
quale 
viene 
ricondotto 
il 
fatto 
storico 
reato. 
Fuori 
da 
tale 
caso, 
la 
pena 
è 
illegittima, 
ove 
commisurata 
sulla 
base 
della 
errata 
applicazione 
della 
legge 
o 
non 
giustificata 
secondo 
il 
modello 
argomentativo 
normativamente previsto. 

Sulla 
scorta 
delle 
precisazioni 
operate, 
le 
Sezioni 
Unite 
condividono 
l’affermazione 
di 
Sez. 
2, 
n. 
22136 
del 
19/02/2013, 
Nisi, 
rv. 
255729, 
che 
esclude 
la 
riconducibilità 
alla 
categoria 
della 
pena 
illegale 
della 
sanzione 
che, pur osservando i 
limiti 
edittali, sia 
il 
frutto di 
errori; 
ed 
anche 
l’avviso 
di 
Sez. 
5, 
n. 
8639 
del 
20/01/2016, 
De 
Paola, 
rv. 
266080, 
secondo 
la 
quale 
esula 
dalla 
nozione 
di 
pena 
illegale 
la 
sanzione 
che 
sia 
complessivamente 
legittima, ma 
determinata 
secondo 
un 
percorso 
argomentativo 
viziato. 
Merita 
adesione 
anche 
Sez. 
2, 
n. 
14307 
del 
14/03/2017, Musumeci, rv. 269748, che 
ha 
ritenuto non illegale 
la 
pena 
che 
sia 
risultante 
dell’applicazione 
di 
un 
distinto 
aumento 
per 
ciascuna 
delle 
ritenute 
circostanze 
ad 
effetto 
speciale 
e 
non 
tenga 
conto 
del 
criterio 
fissato 
dall’art. 
63 
c.p.p., 
comma 
4, 
perchè 
l’errore 
riguarda 
le 
“modalità 
di 
calcolo della 
pena”, e 
non incide 
sui 
limiti 
edittali, comunque 
rispettati. Condivisibili 
sono anche 
Sez. 5, n. 23911 del 
20/02/2019, Calogiuri, non mass., che 
ha 
ritenuto 



CoNteNzIoSo 
NazIoNaLe 


non dar luogo a 
pena 
illegale 
l’aver erroneamente 
calcolato prima 
l’aumento di 
pena 
per la 
continuazione 
tra 
i 
reati 
e 
poi 
quello per la 
recidiva, pur senza 
superare 
i 
relativi 
termini 
edittali, 
e 
Sez. 2, n. 46765 del 
09/12/2021, Bruno, rv. 282322, relativa 
ad un caso di 
erronea 
applicazione 
della 
disciplina 
relativa 
a 
circostanza 
ad 
effetto 
speciale, 
che 
non 
aveva 
determinato 
il superamento dei termini edittali del reato di cui si trattava. 

10. 
Di 
contro, 
risulta 
non 
condivisibile 
la 
diversa 
e 
maggiormente 
estesa 
accezione 
di 
pena 
illegale 
emersa 
nella 
giurisprudenza 
di 
legittimità 
più recente; 
un’accezione 
che 
in definitiva 
conduce 
a 
predicare 
l’illegalità 
non 
già 
della 
pena, 
bensì 
del 
trattamento 
sanzionatorio, 
ovvero 
del complessivo regime di attuazione della statuizione sulla pena. 
espressione 
di 
tale 
orientamento è 
Sez. 4, n. 5064 del 
06/11/2018, dep. 2019, Bonomi, rv. 
275118. Dovendo valutare 
se 
il 
ricorso del 
pubblico ministero avverso la 
sentenza 
di 
patteggiamento 
riguardasse 
uno dei 
motivi 
indicati 
dall’art. 448 c.p.p., comma 
2 bis, la 
Quarta 
Sezione 
ha 
sostenuto che 
sono riconducibili 
al 
concetto di 
legalità 
della 
pena 
anche 
gli 
istituti 
che 
incidono sulla 
concreta 
ed effettiva 
applicazione 
delle 
sanzioni. Pertanto, ha 
ritenuto che 
l’omessa 
subordinazione 
della 
sospensione 
condizionale 
della 
pena, 
ai 
sensi 
dell’art. 
165 
c.p., 
comma 
2, a 
uno degli 
obblighi 
previsti 
dal 
comma 
1 della 
stessa 
norma 
può essere 
dedotta 
con il ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 448 c.p.p., comma 2 bis. 

anche 
Sez. 6, n. 17119 del 
14/03/2019, P., rv. 275898 ha 
ritenuto che 
il 
concetto di 
pena 
illegale coinvolga tutto ciò che comunque incide sul trattamento punitivo. 

Nell’occasione 
la 
Sesta 
Sezione 
ha 
affermato che 
“l’illegalità 
della 
pena 
ricorre 
non solo 
quando la 
pena 
non è 
conforme 
a 
quella 
stabilita 
in astratto dalla 
norma 
penale 
(ad es. superiore 
al 
massimo 
o 
inferiore 
al 
minimo 
edittale; 
pena 
relativa 
ad 
un 
reato 
abrogato, 
per 
abolitio 
criminis 
o per effetto della 
dichiarazione 
di 
incostituzionalità 
della 
norma 
penale, anche 
se 
relativa 
al 
solo 
trattamento 
sanzionatorio), 
rientrando 
nel 
concetto 
di 
pena 
illegale 
anche 
tutto 
ciò che 
incide 
sul 
trattamento punitivo, e 
quindi 
anche 
le 
norme 
che 
ne 
sospendono l’esecuzione, 
quando 
si 
tratti 
di 
istituti 
la 
cui 
applicazione 
viene 
decisa 
contestualmente 
alla 
pronuncia 
della 
sentenza 
all’esito 
del 
giudizio, 
conformemente 
al 
principio 
che 
la 
pena 
è 
essenzialmente 
la 
sanzione 
che 
viene 
inflitta 
dal 
giudice 
con 
la 
sentenza 
di 
condanna, 
oltre 
alle 
pene 
accessorie 
che 
conseguono di 
diritto come 
effetto legale 
della 
condanna 
e 
che 
interessano la 
sentenza 
di 
patteggiamento nei 
soli 
casi 
del 
c.d. patteggiamento allargato quando la 
pena 
principale 
sia 
superiore a due anni di reclusione”. 

Una 
simile 
ricostruzione 
del 
concetto di 
pena 
illegale 
è 
fondatamente 
criticata 
da 
Sez. 3, 


n. 35485 del 
23/04/2021, P., rv. 281945, per la 
quale 
un simile 
ampliamento “trasmoda 
rispetto 
ai 
termini 
di 
esso, 
andando 
a 
ricomprendere 
non 
solo 
la 
illegalità 
della 
sanzione 
in 
senso tecnico ma 
anche 
la 
illegittimità 
di 
taluno degli 
aspetti 
ad essa 
pena 
accessori, quali 
gli 
eventuali 
vizi 
dei 
termini 
della 
sua 
applicazione 
ovvero, (...) della 
sospensione 
della 
sua 
applicazione; 
una 
siffatta 
interpretazione, 
se 
appare 
conforme 
alla 
esegesi 
della 
espressione 
“trattamento 
sanzionatorio”, dovendo in esso ricomprendersi 
tutti 
gli 
aspetti 
legati 
alle 
modalità 
con le 
quali 
viene 
applicata 
la 
punizione 
derivante 
dalla 
trasgressione 
di 
una 
disposizione 
penale, 
non appare, invece, corrispondere al generalmente inteso concetto di pena illegale”. 
11. Le 
considerazioni 
sin qui 
svolte 
permettono anche 
di 
dissipare 
i 
dubbi 
che 
possono insorgere 
da 
una 
lettura 
non sufficientemente 
prudente 
di 
talune 
affermazioni 
della 
giurisprudenza 
di 
legittimità, 
che 
potrebbero 
far 
intendere 
l’esistenza 
di 
un’autonoma 
ipotesi 
di 
illegalità 
della 
pena 
discendente 
dal 
carattere 
“macroscopico” 
dell’errore 
di 
calcolo. È 
la 
tesi 
adombrata anche dal ricorrente. 
Il 
tema 
prende 
origine 
da 
Sez. 4, n. 26117 del 
16/05/2012, torna, rv. 253562, la 
quale 
di



raSSeGNa 
aVVoCatUra 
DeLLo 
Stato -N. 4/2022 


stingue 
una 
pena 
illegale 
nella 
specie 
e/o nella 
quantità 
“senza 
alcuna 
giustificazione 
rinvenibile 
nella 
sentenza 
(frutto, cioè, di 
mero ed esclusivo errore 
macroscopico)” 
e 
una 
pena 
non 
illegale 
perchè 
determinata 
all’esito di 
“un (per quanto discutibile 
o addirittura 
erroneo) apparato 
argomentativo”. 

L’evocazione 
di 
un 
palese, 
macroscopico 
errore 
per 
significare 
il 
carattere 
illegale 
della 
pena 
inflitta 
è 
riproposta 
anche 
in altre 
pronunzie. Qui 
basti 
citare 
le 
già 
menzionate 
Sez. 1, 


n. 20466 del 
27/01/2015, Nardi, rv. 263506 e 
Sez. 1, n. 38712 del 
23/01/2013, Villirillo, rv. 
256879. 
anche 
Sez. 
3, 
n. 
38474 
del 
31/05/2019, 
Lasalvia, 
rv. 
276760 
si 
richiama 
a 
Sez. 
4, 
n. 
26117 
del 
16/05/2012, toma, laddove 
sostiene 
che 
l’applicazione 
della 
diminuente 
per il 
rito abbreviato 
in 
misura 
inferiore 
a 
quella 
prevista 
di 
un 
terzo 
determina 
la 
“sostanziale 
illegalità” 
della 
pena, in quanto conseguenza 
di 
“un palese 
errore 
materiale 
di 
calcolo”, come 
tale 
rilevabile 
anche 
dopo 
la 
formazione 
del 
giudicato 
con 
incidente 
di 
esecuzione. 
Su 
tale 
premessa 
afferma 
che 
“a 
maggior ragione 
deve 
ritenersi 
applicabile 
quando l’applicazione 
della 
diminuente 
per 
il 
rito sia 
stata 
del 
tutto omessa: 
anche 
in questo caso si 
verifica 
un palese 
errore 
materiale 
di 
calcolo, con effetti ancor più gravi per l’imputato”. 

Le 
stesse 
Sezioni 
Unite 
Butera, richiamando l’orientamento giurisprudenziale 
per il 
quale 
il 
giudice 
dell’esecuzione 
può 
rilevare 
la 
pena 
illegittima 
“solo 
quando 
la 
sanzione 
inflitta 
non sia 
prevista 
dall’ordinamento giuridico ovvero quando, per specie 
e 
quantità, risulti 
eccedente 
il 
limite 
legale, ma 
non quando risulti 
errato il 
calcolo attraverso il 
quale 
essa 
è 
stata 
determinata 
-salvo che 
sia 
frutto di 
errore 
macroscopico -trattandosi 
in questo caso di 
errore 
censurabile 
solo attraverso gli 
ordinari 
mezzi 
di 
impugnazione 
della 
sentenza”, menzionano 
quale 
distinta 
ipotesi 
di 
pena 
rettificabile 
in sede 
esecutiva 
quella 
“frutto di 
un errore 
macroscopico 
non giustificabile e non di una argomentata, pur discutibile, valutazione”. 

orbene, 
l’approfondimento 
dell’analisi 
conduce 
le 
Sezioni 
Unite 
ad 
escludere 
che 
l’illegalità 
della 
pena 
possa 
essere 
determinata 
dal 
carattere 
macroscopico 
dell’errore, 
sì 
da 
dover 
aggiungere 
una 
ulteriore 
ipotesi 
a 
quelle 
della 
diversità 
per 
specie 
o 
quantità 
rispetto 
ai 
termini 
edittali. 


In 
primo 
luogo 
occorre 
considerare 
che 
la 
sentenza 
torna, 
come 
la 
sentenza 
Villirillo 
e 
quella 
Nardi, 
sono 
intervenute 
in 
vicende 
che 
attenevano 
ai 
poteri 
del 
giudice 
dell’esecuzione 
cui, 
come 
è 
noto, 
è 
precluso 
di 
modificare 
le 
statuizioni 
del 
giudicato, 
anche 
se 
erronee, 
quando 
argomentate 
dal 
giudice 
della 
cognizione. 
In 
tale 
prospettiva 
si 
comprende 
la 
necessità 
di 
distinguere 
la 
pena 
illegale 
che 
sia 
stata 
indicata 
senza 
alcuna 
giustificazione 
da 
quella 
esito 
di 
un 
erroneo 
apparato 
argomentativo. 
tale 
è 
il 
senso 
anche 
della 
riproposizione 
delle 
formule 
giurisprudenziali da parte di Sezioni Unite Butera. 

Quel 
che 
si 
è 
definito, quindi, non è 
un diverso concetto di 
pena 
illegale, ma 
la 
condizione 
di 
esercizio 
del 
potere 
di 
intervento 
del 
giudice 
dell’esecuzione 
di 
fronte 
ad 
una 
pena 
illegale. 
In conclusione, la 
macroscopicità 
dell’errore 
non è 
fattore 
costitutivo della 
illegalità 
della 
pena. 

12. 
Definito 
il 
concetto 
di 
pena 
illegale 
ab 
origine, 
tracciata 
la 
linea 
di 
demarcazione 
rispetto 
a 
quello 
di 
pena 
illegittima, 
dimostrata 
la 
irrilevanza 
di 
criteri 
euristici 
incentrati 
sulla 
evidenza 
dell’errore 
rinvenibile 
nella 
decisione, è 
giunto il 
tempo di 
rispondere 
al 
quesito se 
la 
diminuente 
prevista per il rito abbreviato reagisca o meno sulla legalità della pena. 
Sembra 
ormai 
acquisito 
che, 
per 
le 
scelte 
operate 
dal 
legislatore 
del 
1988, 
aspetti 
sostanziali 
e 
aspetti 
procedurali 
possono intersecarsi 
con la 
commisurazione 
della 
pena. In questa 
sede 
è 
sufficiente 
considerare 
che 
l’aver assegnato il 
legislatore 
alla 
celebrazione 
del 
rito abbreviato 
la 
idoneità 
a 
concorrere 
alla 
quantificazione 
della 
pena 
da 
infliggere 
ha 
condotto la 
giurispru



CoNteNzIoSo 
NazIoNaLe 


denza, innanzitutto quella 
costituzionale, a 
porre 
in evidenza 
gli 
effetti 
anche 
sostanziali 
del 
rito. 

Sin 
dalla 
sentenza 
n. 
23 
del 
1992 
la 
Corte 
costituzionale 
ha 
osservato 
che 
sottrarre 
al 
giudice 
del 
dibattimento l’allora 
previsto controllo sulla 
definibilità 
del 
processo allo stato degli 
atti 
significa 
limitare 
“in modo irragionevole 
il 
diritto di 
difesa 
dell’imputato, nell’ulteriore 
svolgimento 
del processo, su di un aspetto che ha conseguenze sul piano sostanziale”. 

Concordando con l’avviso espresso dalla 
Grande 
Camera 
della 
Corte 
eDU 
nella 
sentenza 
del 
17 
settembre 
2009, 
Scoppola 
contro 
Italia, 
per 
la 
quale 
l’art. 
442 
c.p.p., 
comma 
2, 
ancorchè 
contenuto in una 
legge 
processuale, costituisce 
“una 
disposizione 
di 
diritto penale 
materiale 
riguardante 
la 
severità 
della 
pena 
da 
infliggere 
in 
caso 
di 
condanna 
secondo 
il 
rito 
abbreviato”, 
la 
Corte 
costituzionale, nella 
pronuncia 
n. 210 del 
2013, ha 
rilevato che 
la 
natura 
sostanziale 
della 
disposizione 
era 
stata 
già 
chiaramente 
affermata 
da 
Sez. 
U, 
n. 
2977 
del 
06/03/1992, 
Piccillo, 
rv. 189398, e 
che 
ciò è 
preminente 
rispetto al 
tema 
della 
natura 
della 
diminuzione 
o 
della 
sostituzione 
della 
pena, perchè 
quel 
che 
rileva 
è 
che 
essa 
si 
risolve 
indiscutibilmente 
in 
un trattamento penale di favore. 

Si 
tratta 
di 
una 
ricostruzione 
mai 
posta 
in 
discussione 
ed 
anzi 
ribadita 
ancora 
con 
la 
sentenza 


n. 
260 
del 
18 
novembre 
2020, 
nella 
quale 
la 
Corte 
costituzionale, 
nel 
dichiarare 
inammissibili, 
per 
difetto 
di 
rilevanza, 
le 
questioni 
di 
legittimità 
costituzionale, 
sollevate 
dal 
giudice 
del-
l’udienza 
preliminare 
del 
tribunale 
della 
Spezia 
in 
riferimento 
all’art. 
3 
Cost., 
e 
art. 
111 
Cost., 
comma 
2, 
dell’art. 
438 
c.p.p., 
comma 
1 
bis, 
che 
preclude 
l’applicabilità 
del 
giudizio 
abbreviato 
per i 
delitti 
puniti 
con l’ergastolo, ha 
precisato che 
“la 
disciplina 
censurata, pur incidendo su 
disposizioni 
concernenti 
il 
rito, ha 
un’immediata 
ricaduta 
sulla 
tipologia 
e 
sulla 
durata 
delle 
pene 
applicabili 
in 
caso 
di 
condanna, 
e 
non 
può 
pertanto 
che 
soggiacere 
ai 
principi 
di 
garanzia 
che 
vigono 
in 
materia 
di 
diritto 
penale 
sostanziale, 
tra 
cui 
segnatamente 
il 
divieto 
di 
applicare 
una 
pena 
più grave 
di 
quella 
prevista 
al 
momento del 
fatto, come 
affermato anche 
dalla 
giurisprudenza 
eDU”. 
anche 
la 
giurisprudenza 
di 
legittimità 
ha 
nel 
tempo 
consolidato 
l’avviso 
espresso 
dalla 
sentenza 
Piccillo 
(“... 
nella 
specie 
gli 
aspetti 
processuali 
sono 
strettamente 
collegati 
con 
aspetti 
sostanziali, perchè 
tali 
certamente 
sono quelli 
relativi 
alla 
diminuzione 
o sostituzione 
della 
pena...”). Basti 
rammentare 
quanto affermato da 
Sez. U, n. 18821 del 
24/10/2013, dep. 2014, 
ercolano, rv. 258649, a 
riguardo dell’applicabilità 
della 
disciplina 
in materia 
di 
successione 
nel 
tempo di 
leggi 
penali 
sostanziali 
alla 
sopraggiunta 
modifica 
delle 
condizioni 
di 
accesso al 
rito abbreviato e 
alcune 
delle 
numerose 
consonanti 
pronunce 
delle 
Sezioni 
semplici: 
Sez. 2, 


n. 14068 del 
27/02/2019, Selvaggio, rv. 275772; 
Sez. 4, n. 5034 del 
15/01/2019, Lazzara, 
rv. 275218; Sez. 4, n. 832 del 15/12/2017, dep. 2018, Del Prete, rv. 271752. 
La 
ricognizione 
delle 
decisioni 
pertinenti 
evidenzia 
che, 
sinora, 
il 
rilievo 
del 
profilo 
sostanziale 
del 
rito 
abbreviato 
è 
stato 
esaltato 
essenzialmente 
nella 
prospettiva 
della 
applicazione 
della 
legge 
più 
favorevole 
al 
reo; 
e 
ciò 
non 
è 
senza 
significato, 
perchè 
pone 
in 
luce 
che 
occorre 
cautela nel ricavarne automatismi o implicazioni su un piano più generale. 

In altri 
termini, non sarebbe 
corretto affermare 
che, in quanto incidente 
sulla 
pena, la 
diminuzione 
per l’abbreviato afferisce 
al 
piano della 
determinazione 
legale. La 
previsione 
processuale 
non è ispirata alla necessità di ridefinire il valore del tipo. 

Per 
quanto 
dalla 
sua 
introduzione 
la 
disciplina 
del 
rito 
abbreviato 
abbia 
conosciuto 
ripetute 
modifiche, non sempre 
ispirate 
dall’intento di 
conservare 
il 
disegno originario, non sembra 
mutata 
la 
funzione 
assegnata 
alla 
caratteristica 
riduzione 
di 
pena. La 
relazione 
al 
progetto 
preliminare 
del 
codice 
di 
procedura 
penale 
le 
assegna 
la 
“finalità 
pratica 
di 
creare 
un 
incentivo 



raSSeGNa 
aVVoCatUra 
DeLLo 
Stato -N. 4/2022 


alla 
richiesta 
di 
giudizi 
abbreviati” 
che, 
al 
pari 
degli 
altri 
procedimenti 
speciali, 
sono 
stati 
previsti 
per 
ridurre 
la 
durata 
del 
processo. 
Una 
rinnovata 
conferma 
della 
funzione 
deflattiva 
della 
diminuzione 
di 
pena 
viene 
dalla 
L. 27 settembre 
2021, n. 134, con la 
quale 
è 
stata 
conferita 
“Delega 
al 
Governo per l’efficienza 
del 
processo penale 
nonchè 
in materia 
di 
giustizia 
riparativa 
e 
disposizioni 
per la 
celere 
definizione 
dei 
procedimenti 
giudiziari”. L’art. 1, comma 
10, lett. b) n. 2), con riguardo al 
rito abbreviato, prescrive 
di 
“prevedere 
che 
la 
pena 
inflitta 
sia 
ulteriormente 
ridotta 
di 
un 
sesto 
nel 
caso 
di 
mancata 
proposizione 
di 
impugnazione 
da 
parte 
dell’imputato, stabilendo che 
la 
riduzione 
sia 
applicata 
dal 
giudice 
dell'esecuzione”. La 
ratio della 
previsione, quale 
esplicitata 
dalla 
relazione 
della 
Commissione 
ministeriale 
dai 
cui 
lavori 
essa 
ha 
tratto origine, è 
quella 
di 
“ridimensionare 
l’incidenza 
di 
appelli 
finalizzati 
a 
censurare 
unicamente 
l’entità 
della 
pena”; 
la 
riduzione 
si 
basa 
“su uno scambio ben noto 
nel 
nostro ordinamento tra 
rinuncia 
consapevole 
e 
volontaria 
a 
una 
garanzia 
(l’appello quale 
espressione 
del 
diritto di 
difesa) e 
uno sconto ragionevole 
di 
pena 
(quale 
premio per il 
risparmio 
di attività processuale)...”. 

Dal 
canto 
suo, 
la 
giurisprudenza 
individua 
la 
ragione 
giustificativa 
della 
diminuzione 
prevista 
per 
il 
rito 
abbreviato 
nell’intento 
di 
accordare 
un 
incentivo, 
o 
premio, 
per 
la 
scelta 
del 
procedimento 
speciale 
a 
prova 
contratta, 
o 
allo 
stato 
degli 
atti 
(Sez. 
1, 
n. 
43024 
del 
25/09/2003, 
Carvelli, 
rv. 
226595; 
Sez. 
6, 
n. 
58089 
del 
16/11/2017, 
Wu, 
rv. 
271954). 
ricostruzione 
che 
è 
stata 
ribadita 
da 
Sez. 
U, 
n. 
35852 
del 
22/02/2018, 
Cesarano, 
rv. 
273547, 
che 
ha 
rammentato 
come 
la 
Corte 
costituzionale 
abbia 
in 
più 
occasioni 
rimarcato 
la 
natura 
di 
diminuente 
processuale 
(n. 
284 
del 
1990), 
funzionale 
ad 
assicurare 
la 
rapida 
definizione 
dei 
procedimenti 
(n. 
277 
del 
1990). 


ancor 
più 
pregnante 
rispetto 
alla 
prospettiva 
che 
qui 
interessa 
è 
quanto 
affermato 
da 
Sez. 
U, 


n. 
7707 
del 
21/05/1991, 
Volpe, 
rv. 
187851, 
la 
quale 
ha 
escluso 
che 
la 
diminuente 
in 
parola 
possa 
essere 
assimilata 
alle 
circostanze 
del 
reato, 
facendone 
discendere 
la 
non 
incidenza 
sulla 
determinazione 
della 
pena 
rilevante 
per 
l’individuazione 
del 
tempo 
necessario 
alla 
prescrizione 
del 
reato. 
anche 
Sez. 
2, 
n. 
18558 
del 
20/02/2020, 
Larosa, 
rv. 
279147, 
in 
tema 
di 
calcolo 
del 
termine 
di 
durata 
massima 
della 
custodia 
cautelare 
nel 
giudizio abbreviato, ha 
ritenuto che 
per tale 
calcolo non si 
può tener conto della 
riduzione 
di 
un terzo prevista 
dall’art. 442 c.p.p., non incidendo 
questa sulla misura edittale della pena. 

Parole 
nette 
sulla 
questione 
si 
leggono in Sez. U, n. 7578 del 
17/12/2020, dep. 2021, acquistapace: 
“... la 
natura 
processuale 
della 
diminuente 
per il 
rito, in quanto non attiene 
alla 
valutazione 
del 
fatto-reato e 
alla 
personalità 
dell’imputato, non contribuisce 
a 
determinare 
in 
termini 
di 
disvalore 
la 
quantità 
e 
gravità 
criminosa, 
consistendo 
in 
un 
abbattimento 
fisso 
e 
predeterminato 
connotato 
da 
automatismo 
senza 
alcuna 
discrezionalità 
valutativa 
da 
parte 
del 
giudice”. 
rilievo 
che 
non 
ha 
precluso 
alle 
Sezioni 
Unite 
di 
ribadire 
che 
“le 
caratteristiche 
della 
diminuente 
si 
presentano collegate 
con effetti 
di 
sicuro rilievo dal 
punto di 
vista 
sostanziale”. 
Sicchè, sarebbe 
errato dedurre 
una 
implicita 
connotazione 
in termini 
di 
illegalità 
della 
pena 
dalla 
circostanza 
che 
nella 
medesima 
sentenza 
si 
è 
rimarcata 
la 
inderogabilità 
della 
riduzione 
per il 
rito; 
del 
resto ancorata, nel 
caso di 
specie, al 
più generale 
obbligo del 
giudice 
di 
appello 
di 
rispondere 
specificamente 
ai 
motivi 
proposti 
con 
l’impugnazione 
e 
sulle 
questioni 
con gli stessi devolute nonchè alla violazione del principio devolutivo (cfr. p. 8). 

La 
non incidenza 
della 
diminuente 
processuale 
sulla 
legalità 
della 
pena 
inflitta 
è 
presente 
anche 
nelle 
argomentazioni 
di 
Sez. 
U, 
n. 
44711 
del 
27/10/2004, 
Wajib, 
rv. 
229173, 
che 
hanno 
sancito il 
dovere 
di 
applicare 
la 
riduzione 
per il 
rito abbreviato da 
parte 
del 
giudice 
del 
dibattimento 
che, all’esito del 
giudizio, reputi 
illegittimo il 
rigetto dell’istanza 
di 
rito abbreviato 
condizionato avanzata 
dinanzi 
al 
giudice 
per le 
indagini 
preliminari 
o al 
giudice 
dell’udienza 



CoNteNzIoSo 
NazIoNaLe 


preliminare 
e 
tempestivamente 
rinnovata 
in dibattimento. In tale 
decisione 
viene 
più volte 
rimarcato 
che 
la 
legittimità 
del 
provvedimento reiettivo della 
richiesta 
di 
rito abbreviato (condizionato) 
è 
presupposto che 
condiziona 
“la 
legalità 
della 
pena 
inflitta 
con la 
condanna". Ma 
tale 
affermazione 
è 
fatta 
nel 
contesto di 
una 
argomentazione 
che 
non aveva 
la 
necessità 
di 
distinguere 
tra 
pena 
illegale 
e 
pena 
illegittima. tanto è 
vero che 
in essa 
si 
scrive 
che 
l’eventuale 
rinnovato rigetto del 
rito abbreviato condizionato da 
parte 
del 
giudice 
del 
dibattimento può 
essere 
appellato con specifico motivo di 
gravame 
che 
denunci 
“l'eventuale 
profilo di 
‘illegalità’della 
pena 
inflitta”. In altri 
termini, non si 
è 
in presenza 
di 
una 
decisione 
che 
coglie 
(nè 
doveva 
cogliere) il 
discrimine 
tra 
pena 
illegale 
e 
pena 
illegittima; 
la 
sentenza 
individua 
correttamente 
un profilo di 
illegittimità 
del 
procedimento (il 
rigetto viziato) che 
rifluisce 
sulla 
legittimità della pena in concreto inflitta. 

Nè 
si 
traggono argomenti 
critici 
da 
Sez. U, n. 20214 del 
27/03/2014, Frija, rv. 259078, 
che 
ha 
stabilito il 
diritto dell’imputato al 
recupero della 
riduzione 
premiale 
nel 
caso in cui 
il 
rigetto o la 
dichiarazione 
d’inammissibilità 
della 
richiesta 
di 
giudizio abbreviato non subordinata 
a 
integrazioni 
istruttorie 
siano illegittimi. Nell’occasione 
le 
Sezioni 
Unite 
si 
sono limitate 
a 
ritenere 
estensibile 
alla 
fattispecie 
esaminata 
il 
principio scandito dalla 
sentenza 
Wajib. 

Nel 
complesso, 
la 
quasi 
unanime 
giurisprudenza 
di 
legittimità 
non 
afferma 
che 
la 
riduzione 
premiale 
prevista 
dall’art. 442 c.p.p., comma 
2, attiene 
alla 
determinazione 
legale 
della 
pena. 

Una 
diversa 
presa 
di 
posizione 
sul 
punto sembra 
potersi 
cogliere 
in Sez. 2, n. 54958 del 
11/10/2017, 
D’onofrio, 
rv. 
271526, 
laddove 
si 
sostiene 
che 
“le 
norme 
del 
codice 
di 
procedura 
penale 
che 
regolano i 
riti 
premiali 
nella 
parte 
in cui 
disciplinano le 
riduzioni 
di 
pena 
devono 
essere 
intese 
come 
norme 
regolatrici 
di 
“sanzioni”, traendo la 
conseguenza 
che 
“l'accesso ad 
un 
rito 
nei 
casi 
non 
consentiti 
con 
conseguente 
applicazione 
del 
premio 
sanzionatorio 
connesso 
configura 
una 
situazione 
in cui 
viene 
applicata 
una 
pena 
illegale” 
(nella 
specie, si 
trattava 
di 
patteggiamento “allargato”). Ma 
si 
tratta 
di 
affermazione 
che 
viene 
sostenuta 
con il 
richiamo 
ai 
principi 
espressi 
da 
Sez. U, ercolano (e 
dalla 
correlata 
giurisprudenza 
convenzionale), dai 
quali 
non 
può 
ricavarsi 
che 
la 
rilevanza 
del 
profilo 
sostanziale 
della 
riduzione 
processuale 
vada oltre l’ambito della successione di leggi penali nel tempo. 

Dunque, in ragione 
della 
estraneità 
della 
diminuente 
processuale 
all’ambito della 
determinazione 
legale 
della 
pena, 
la 
violazione 
dell’art. 
442 
c.p.p., 
comma 
2, 
non 
importa 
la 
illegalità 
della pena. 

13. 
Le 
argomentazioni 
esposte 
dalle 
pronunce 
che 
si 
sono 
espresse 
sulla 
specifica 
questione 
vanno esaminate alla luce delle premesse sin qui definite. 
Le 
sentenze 
che 
fanno 
leva 
sulla 
macroscopicità 
dell’errore 
(Sez. 
3, 
n. 
38474 
del 
31/05/2019, Lasalvia 
e 
Sez. 4, n. 26117 del 
16/05/2012, torna) utilizzano un criterio che, per 
quanto già 
osservato, è 
eccentrico rispetto ai 
termini 
del 
problema 
e, pertanto, non idoneo ad 
identificare la pena illegale e a distinguerla dalla pena illegittima. 

Neppure 
è 
condivisibile 
Sez. 6, n. 32243 del 
15/07/2014, tanzi, la 
quale 
non ricava 
dalla 
natura 
processuale 
della 
diminuente 
motivo 
per 
distinguere 
l’ipotesi 
della 
erronea 
applicazione 
dell’art. 442 c.p.p., comma 2, dai casi di illegalità della pena. 

Distinguo che 
si 
coglie, al 
contrario, in Sez. 4, n. 6510 del 
27/01/2021, Di 
Maria 
e 
in Sez. 
1, n. 22313 del 
08/07/2020, Manto, rv. 279455 le 
quali, pur senza 
esplicitare 
le 
premesse 
interpretative 
adottate, 
formulano 
un 
enunciato 
che 
coglie 
esattamente 
il 
punto: 
in 
linea 
generale, 
la 
determinazione 
della 
pena 
operata 
non applicando o erroneamente 
applicando il 
criterio di 
riduzione 
previsto dall’art. 442 c.p.p., comma 
2, integra 
una 
violazione 
della 
legge 
processuale, 
sicchè la pena risulta illegittima, ma non illegale. 


raSSeGNa 
aVVoCatUra 
DeLLo 
Stato -N. 4/2022 


Merita 
condivisione, 
quindi, 
anche 
Sez. 
1, 
n. 
28252 
del 
11/06/2014, 
Imparolato, 
rv. 
261091, che 
con riguardo ad un’ipotesi 
di 
omessa 
applicazione 
della 
riduzione 
prevista 
per il 
rito 
abbreviato, 
ha 
affermato 
che 
“... 
non 
di 
pena 
illegale 
può 
correttamente 
discettarsi, 
di 
pena 
cioè 
non 
prevista 
dall’ordinamento, 
ma 
di 
pena 
illegittima 
e 
cioè 
determinata 
in 
contrasto 
con i principi di legge per la sua quantificazione”. 

14. Pervenuti 
alla 
conclusione 
che 
la 
pena 
determinata 
dal 
giudice 
in violazione 
dell’art. 
442 c.p.p., comma 
2, è 
illegittima 
e 
non illegale, risulta 
superfluo l’esame 
di 
quello che 
si 
è 
definito, in principio di 
trattazione, come 
il 
primo polo del 
contrasto segnalato dalla 
Quarta 
Sezione, ovvero la 
rilevabilità 
della 
illegalità 
della 
pena 
ad opera 
del 
giudice 
dell’impugnazione 
inammissibile. 
15. Può quindi 
essere 
formulato il 
seguente 
principio: 
“Qualora 
la 
pena 
concretamente 
irrogata 
rientri 
nei 
limiti 
edittali, l’erronea 
applicazione 
da 
parte 
del 
giudice 
di 
merito della 
misura 
della 
diminuente, prevista 
per un reato contravvenzionale 
giudicato con rito abbreviato, 
integra 
un’ipotesi 
di 
violazione 
di 
legge 
che, 
ove 
non 
dedotta 
nell’appello, 
resta 
preclusa 
dalla 
inammissibilità del ricorso”. 
16. Calando simili 
considerazioni 
nel 
caso che 
occupa, la 
pena 
risultante 
dal 
dispositivo 
non risulta illegale. 
Il 
reato di 
cui 
all’art. 186 C.d.S., comma 
2, lett. b) e 
comma 
2 sexies, è 
punito con l’arresto 
sino a 
sei 
mesi 
e 
la 
ammenda 
da 
1.066 a 
4.800 euro. La 
pena 
irrogata, di 
giorni 
quaranta 
di 
arresto ed euro duemila di ammenda, è ricompresa nel range e pertanto non è illegale. 

Pertanto, sussiste 
una 
violazione 
dell’art. 442 c.p.p., comma 
2, che 
dà 
luogo ad una 
pena 
illegittima, come 
tale 
non rilevabile 
d’ufficio da 
questa 
Corte, stante 
la 
inammissibilità 
del 
ricorso 
per le ragioni esposte al paragrafo 2. 

17. Il 
rinvenuto contrasto interpretativo e 
la 
complessità 
e 
la 
particolare 
rilevanza 
del 
tema 
posto 
con 
il 
ricorso 
danno 
evidenza 
all’assenza 
di 
“colpa” 
del 
ricorrente, 
al 
quale 
non 
può 
rimproverarsi 
di 
aver presentato un’impugnazione 
temeraria, ovvero connotata 
da 
avventatezza, 
superficialità, o finalità 
meramente 
dilatorie. Pertanto, alla 
condanna 
del 
ricorrente 
al 
pagamento delle 
spese 
processuali 
non deve 
seguire 
anche 
la 
condanna 
al 
versamento di 
una 
somma 
in 
favore 
della 
Cassa 
delle 
ammende 
(cfr. 
Sez. 
U, 
n. 
43055 
del 
30/09/2010, 
Dalla 
Serra, rv. 24838001). 
P.Q.M. 
Dichiara 
inammissibile 
il 
ricorso 
e 
condanna 
il 
ricorrente 
al 
pagamento 
delle 
spese 
processuali. 
Così deciso in roma, il 31 marzo 2022. 


CoNteNzIoSo 
NazIoNaLe 


Prestazione professionale forense. L’inderogabilità 
dei minimi tariffari per la liquidazione dei compensi 
(art. 82 d.P.R. n. 115/2002, art. 13 l. n. 247/2012, 
artt. 4 e 12 D.M. n. 55/2014) 


annotazionE 
a 
CaSSazionE 
CiviLE, SEzionE 
ii, SEntEnza 
27 LUGLio 
2023 n. 22761 

Con la 
sentenza 
Cass. civ., Sez. II, 27 luglio 2023, n. 22761 la 
Suprema 
Corte 
pare 
porre 
un punto fermo in merito ai 
c.d. minimi 
tariffari 
nell’ambito 
del 
filone 
contenzioso relativo alla 
liquidazione 
dei 
compensi 
ai 
patrocinatori 
a spese dello Stato. 


Viene 
espresso, 
infatti, 
il 
seguente 
principio 
di 
diritto: 
“ai 
fini 
della 
liquidazione 
in sede 
giudiziale 
del 
compenso spettante 
all’avvocato nel 
rapporto 
col 
proprio cliente, in caso di 
mancata determinazione 
consensuale, come 
ai 
fini 
della 
liquidazione 
delle 
spese 
processuali 
a 
carico 
della 
parte 
soccombente, 
ovvero in caso di 
liquidazione 
del 
compenso del 
difensore 
della parte 
ammessa al 
beneficio (del) patrocinio a spese 
dello Stato nella vigenza del-
l’art. 4, comma 1, e 
12, comma 1, del 
d.m. n. 55 del 
2014, come 
modificati 
dal 
d.m. n. 37 del 
2018, il 
giudice 
non può in nessun caso diminuire 
oltre 
il 
50 per cento i valori medi di cui alle tabelle allegate”. 


La 
Corte 
giunge 
a 
tale 
conclusione 
pur a 
fronte 
della 
necessaria 
interpolazione 
nella 
materia 
de 
qua 
dell’art. 
82 
d.P.r. 
112/2002. 
tale 
norma, 
secondo 
un 
orientamento 
sovente 
applicato 
da 
alcuni 
interpreti, 
dovrebbe, 
invero, 
avere 
propria 
autonoma 
disciplina, in quanto disposizione 
di 
plesso normativo indipendente 
nonché 
di 
rango superiore 
al 
d.m. n. 55/2014. L’art. 82 cit., infatti, 
si 
limita 
a 
richiamare 
le 
sole 
tabelle 
(letteralmente 
le 
“tariffe 
professionali” 
ormai 
abrogate) 
e 
non 
già 
anche 
le 
previsioni 
regolamentari 
contenute 
nel 
provvedimento al quale tali tabelle sono allegate. 


Va 
rilevato, 
invero, 
che 
nell’estesa 
motivazione 
della 
sentenza 
non 
risulta 
essere 
stata 
effettivamente 
presa 
espressa 
posizione 
rispetto 
alla 
detta 
speciale 
disciplina e al rapporto tra questa e il d.m. cit. 

La 
Corte 
muove 
dall’assunto 
dell’applicabilità 
e 
della 
rilevanza 
ai 
fini 
della 
decisione 
in commento delle 
sole 
norme 
di 
detto d.m., in tal 
guisa 
riunendo 
sotto lo stesso “tariffario” 
prestazioni 
professionali 
in regime 
di 
libero 
foro, prestazioni 
professionali 
del 
difensore 
d’ufficio e 
prestazioni 
del 
patrocinatore 
a 
spese 
dello Stato. a 
tale 
conclusione 
giunge 
sulla 
base 
del 
disposto 
dell’art. 13 della 
l. 247/2012 che, effettivamente, è 
norma 
di 
legge 
che 
così 
dispone 
al 
suo 
sesto 
comma: 
“i 
parametri 
indicati 
nel 
decreto 
emanato 
dal 
ministro della giustizia, su proposta del 
CnF, ogni 
due 
anni, ai 
sensi 
dell’articolo 
1, 
comma 
3, 
si 
applicano 
quando 
all’atto 
dell’incarico 
o 
successivamente 
il 
compenso non sia stato determinato in forma scritta, in ogni 
caso di 
mancata determinazione 
consensuale, in caso di 
liquidazione 
giudiziale 
dei 



raSSeGNa 
aVVoCatUra 
DeLLo 
Stato -N. 4/2022 


compensi 
e 
nei 
casi 
in cui 
la prestazione 
professionale 
è 
resa nell’interesse 
di 
terzi o per prestazioni officiose previste dalla legge”. 

Il 
richiamo, 
quindi, 
in 
tale 
norma 
alle 
“prestazioni 
officiose” 
pare 
doversi 
intrepretare 
secondo la 
Corte 
di 
Cassazione 
nel 
senso della 
sua 
estensione 
a 
tutte 
le 
prestazioni 
dei 
difensori 
e, per l’effetto, in ambito sia 
privatistico, che 
pubblicistico. 


residua, tuttavia, ancora 
il 
dubbio in relazione 
alla 
disciplina 
applicabile 
ai 
patrocinatori 
a 
spese 
dello 
Stato, 
le 
cui 
prestazioni, 
a 
parere 
a 
chi 
scrive, 
non appaiono rientrare nell’alveo delle prestazioni officiose. 


Si 
rileva, infine, che 
in tempi 
nemmeno troppo risalenti 
la 
sezione 
VI-2 
della 
stessa 
Corte 
(ord., 14 febbraio 2022, n. 4759) ha 
così 
statuito: 
“in tema 
di 
patrocinio a spese 
dello Stato, il 
difensore 
di 
ufficio dell’imputato irreperibile 
ha diritto ad un compenso che 
non deve 
essere 
superiore 
ai 
valori 
medi 
delle 
tariffe 
professionali 
vigenti, potendo quindi 
applicarsi 
il 
valore 
della tariffa 
in vigore 
e 
riducendolo del 
50% corrispondente, cui 
aggiungere 
l’ulteriore 
decurtazione 
di 
cui 
all’art. 106-bis 
del 
d.P.r. n. 115 del 
2002: siffatta 
modalità di 
liquidazione 
non costituisce 
violazione 
del 
minimo tariffario, da 
un lato in quanto si 
tratta di 
disposizione 
speciale, applicabile 
soltanto alle 
liquidazioni 
del 
compenso previsto per 
il 
difensore 
di 
ufficio dell’imputato irreperibile, 
e 
dall’altro lato in quanto, per 
detta specifica ipotesi, si 
ravvisano 
le 
medesime 
esigenze 
di 
contemperamento 
tra 
la 
tutela 
dell’interesse 
generale 
alla 
difesa 
del 
non 
abbiente 
ed 
il 
diritto 
dell’avvocato 
ad 
un 
compenso 
equo”. 


ad ogni 
buon conto, la 
pronunzia 
pone 
certamente 
un utile 
punto fermo, 
residuando, tuttavia, un dubbio interpretativo in ordine 
alla 
disciplina 
applicabile 
alle 
liquidazioni 
dei 
compensi 
inerenti 
alle 
prestazioni 
dei 
difensori 
rese 
nel regime di cui all’art. 82 d.P.r. n. 115/2002. 


Gabriele Finelli* 


Cassazione 
civile, Seconda Sezione, sentenza 27 luglio 2023 n. 22761 
-Pres. P. D’ascola, 
rel. M. Criscuolo. 


raGIoNI IN Fatto eD IN DIrItto DeLLa DeCISIoNe 


Il 
tribunale 
di 
trento, decidendo sull’opposizione 
proposta 
dall’avv. e. D.r., ex art. 170 del 
DPr n. 115 del 
2002, avverso il 
decreto di 
liquidazione 
dei 
compensi 
emesso in data 
27 febbario 
2019 
in 
favore 
dell’opponente, 
ed 
in 
relazione 
ai 
compensi 
maturati 
per 
la 
difesa 
prestata 
in un procedimento penale 
svoltosi 
dinanzi 
allo stesso tribunale, in favore 
di 
o.M., rigettava 
l’opposizione, che verteva solo sulla congruità della liquidazione. 
Il 
tribunale 
reputava 
che 
il 
compenso era 
stato liquidato in conformità 
dei 
parametri 
di 
cui 
al 


(*) Procuratore dello Stato. 



CoNteNzIoSo 
NazIoNaLe 


DM 
n. 55/2014, che 
pone 
solo un limite 
massimo al 
riconoscimento dell’onorario, essendo la 
tabella 
utilizzata 
dal 
giudice 
nel 
provvedimento opposto conforme 
ai 
criteri 
citati 
ed alla 
previsione 
di cui all’art. 106 bis del DPr n. 115/2002. 
In particolare, doveva 
evidenziarsi 
che 
il 
procedimento si 
era 
concentrato in una 
sola 
udienza 
nella 
quale 
il 
difensore 
aveva 
chiesto il 
proscioglimento del 
proprio assistito e 
che 
la 
vicenda 
non si presentava come complessa. 
Per la cassazione di tale ordinanza propone ricorso D.r. e. sulla base di due motivi. 
Gli intimati non hanno svolto difese in questa fase. 
Il 
primo motivo di 
ricorso denuncia 
la 
violazione 
e 
falsa 
applicazione 
dell’art. 82 del 
DPr n. 
115/2002, nonché 
dell’art. 12 co. 1 del 
DM 
n. 55/2014, come 
modificato dal 
DM 
n. 37/2018 
e dall’art. 2 co. 2 della legge n. 248/2006. 
Si 
deduce 
che 
nella 
richiesta 
la 
ricorrente 
aveva 
già 
calcolato i 
compensi 
sulla 
base 
dei 
valori 
minimi 
previsti 
dal 
DM 
n. 55/2014 per l’attività 
giudiziale 
in sede 
penale, ed in relazione 
alla 
difesa 
svoltasi 
dinanzi 
al 
GUP, essendosi 
poi 
provveduto alla 
riduzione 
di 
un terzo ai 
sensi 
dell’art. 106 bis 
del 
DPr n. 115/2002, in relazione 
ai 
compensi 
spettanti 
al 
difensore 
della 
parte ammessa al beneficio del patrocinio a spese dello Stato. 
L’ammontare 
così 
determinato era 
pari 
quindi 
ad € 1.290,00 (essendosi 
decurtato di 
un terzo 
il valore minimo pari ad € 1.935,00). 
Il 
tribunale 
ha 
invece 
ritenuto che 
anche 
tale 
importo minimo, all’esito della 
decurtazione, 
fosse 
ancora 
suscettibile 
di 
riduzione, 
essendosi 
fatto 
riferimento 
alla 
possibilità 
di 
un’ulteriore 
riduzione del 20%. 
La 
soluzione 
però non terrebbe 
conto del 
fatto che 
alla 
vicenda 
trova 
applicazione 
l’art. 12 
co. 1 del 
DM 
n. 55/2014, come 
modificato dal 
DM 
n. 37/2018 che 
non consente 
la 
riduzione 
dei valori medi dei parametri in misura eccedente il 50%. 
La 
soluzione 
impugnata, che 
ha 
liquidato i 
compensi 
in misura 
pari 
ad € 912,00, ha 
quindi 
violato il principio dell’inderogabilità dei minimi tariffari. 
Il 
secondo 
motivo 
denuncia 
la 
violazione 
delle 
medesime 
norme 
di 
cui 
al 
primo 
motivo 
nonché 
dell’art. 106 bis 
del 
DPr n. 115/2002, assumendo che 
la 
decurtazione 
di 
un terzo posta 
da 
tale 
ultima 
previsione 
non può che 
operare 
sui 
compensi 
già 
ridotti 
in misura 
non eccedente 
il 
50%, come 
previsto dall’art. 12 co. 1 del 
DM 
n. 55/2014 nella 
versione 
applicabile 
alla 
fattispecie. 
I motivi, che 
per la 
loro connessione 
possono essere 
congiuntamente 
esaminati, sono fondati. 
rileva 
ai 
fini 
della 
decisione 
che 
effettivamente 
alla 
fattispecie, 
attesa 
la 
liquidazione 
avvenuta 
in epoca 
successiva 
all’entrata 
in vigore 
del 
DM 
n. 37/2018, trova 
applicazione 
il 
disposto di 
cui 
all’art. 12 co. 1 del 
DM 
n. 55/2014, quale 
risultante 
dalle 
modifiche 
apportate 
dal 
DM 
del 
2018 che 
così 
recita: 
1. ai 
fini 
della 
liquidazione 
del 
compenso spettante 
per l’attività 
penale 
si 
tiene 
conto delle 
caratteristiche, dell’urgenza 
e 
del 
pregio dell’attività 
prestata, dell’importanza, 
della 
natura, della 
complessità 
del 
procedimento, della 
gravità 
e 
del 
numero delle 
imputazioni, 
del 
numero 
e 
della 
complessità 
delle 
questioni 
giuridiche 
e 
di 
fatto 
trattate, 
dei 
contrasti 
giurisprudenziali, dell’autorità 
giudiziaria 
dinanzi 
cui 
si 
svolge 
la 
prestazione, della 
rilevanza 
patrimoniale, del 
numero dei 
documenti 
e 
degli 
atti 
da 
esaminare, della 
continuità 
dell’impegno anche 
in relazione 
alla 
frequenza 
di 
trasferimenti 
fuori 
dal 
luogo ove 
svolge 
la 
professione 
in modo prevalente, nonché 
dell’esito ottenuto avuto anche 
riguardo alle 
conseguenze 
civili 
e 
alle 
condizioni 
finanziarie 
del 
cliente. 
Si 
tiene 
altresì 
conto 
del 
numero 
di 
udienze, pubbliche 
o camerali, diverse 
da 
quelle 
di 
mero rinvio, e 
del 
tempo necessario all’espletamento 
delle 
attività 
medesime. 
Il 
giudice 
tiene 
conto 
dei 
valori 
medi 
di 
cui 
alle 
tabelle 



raSSeGNa 
aVVoCatUra 
DeLLo 
Stato -N. 4/2022 


allegate, che, in applicazione 
dei 
parametri 
generali, possono essere 
aumentati 
di 
regola 
fino 
all’80 per cento, ovvero possono essere diminuiti in ogni caso non oltre il 50 per cento. 
Il 
motivo 
pone 
quindi 
all’attenzione 
della 
Corte 
la 
questione 
circa 
la 
possibilità 
per 
il 
giudice, 
nel 
caso di 
assenza 
di 
accordo tra 
le 
parti 
circa 
la 
determinazione 
del 
compenso, ovvero in 
caso 
di 
liquidazione 
delle 
spese 
di 
lite 
a 
carico 
del 
soccombente, 
ovvero 
in 
caso 
di 
liquidazione 
del 
difensore 
della 
parte 
ammessa 
al 
patrocinio 
a 
spese 
dello 
Stato, 
di 
poter 
derogare, 
sia 
pure 
in 
maniera 
motivata, 
ai 
minimi 
dettati 
dai 
parametri 
dettati 
in 
base 
alla 
previsione 
di 
cui 
all’art. 
13 della 
legge 
n. 247/2012, per effetto della 
novella 
del 
DM 
n. 55 del 
2014, operata 
dal 
DM 


n. 37 del 2018, e confermata dalle previsioni di cui al DM n. 147 del 2022. 
occorre 
a 
tal 
fine 
ricordare 
che 
il 
codice 
del 
1942 affida 
la 
determinazione 
del 
compenso dei 
professionisti 
intellettuali 
ai 
criteri 
individuati 
dall’art. 2233 c.c., ordinati 
secondo una 
specifica 
gerarchia 
entro 
la 
quale 
figurano 
anche 
le 
tariffe. 
La 
peculiarità 
di 
queste 
ultime, 
nell’ambito 
della 
professione 
forense, in passato, emergeva 
dall’art. 24, l. 13 giugno 1942, n. 794, il 
quale, 
a 
pena 
di 
nullità, 
imponeva 
l’inderogabilità 
degli 
onorari 
minimi, 
divieto 
che, 
fra 
l’altro, 
veniva 
interpretato 
in 
maniera 
rigorosa 
dalla 
giurisprudenza, 
che 
riteneva 
che 
in 
tal 
modo 
fosse 
assicurato 
il 
rispetto 
del 
criterio 
di 
adeguatezza 
al 
decoro 
della 
professione 
posto 
dall’art. 
2233, 
comma 
2, 
c.c., 
per 
garantire 
una 
libera 
concorrenza 
sul 
mercato 
e 
per 
proteggere 
i 
clienti 
dall’imposizione di compensi eccessivamente elevati. 
La 
c.d. 
riforma 
Bersani 
(d.l. 
4 
luglio 
2006, 
n. 
223, 
convertito 
in 
l. 
n. 
248/2006), 
ha 
comportato 
l’abrogazione 
di 
tutte 
le 
disposizioni 
legislative 
e 
regolamentari 
che 
prevedevano, con riferimento 
alle 
prestazioni 
professionali, «l’obbligatorietà 
di 
tariffe 
fisse 
o minime», sul 
presupposto 
che 
tale 
scelta 
fosse 
imposta 
dalla 
normativa 
di 
rango comunitario, che 
non tollerava 
più 
un’imposizione 
vincolante 
delle 
tariffe 
professionali, 
essendo 
incompatibile 
con 
i 
principi 
comunitari 
di 
libera 
concorrenza 
e 
libera 
circolazione 
delle 
persone 
e 
dei 
servizi 
(e 
ciò sebbene, 
come 
si 
dirà 
oltre, tale 
incompatibilità 
della 
precedente 
disciplina 
con gli 
obblighi 
derivanti 
non avesse avuto seguito nella giurisprudenza della Corte di Giustizia). 
L’art. 9, d.l. 24 gennaio 2012, n. 1, convertito in l. 24 marzo 2012, n. 27, ha 
provveduto al-
l’abrogazione 
delle 
tariffe 
(comma 
1), sostituendole 
con i 
parametri 
(comma 
2), ed a 
tale 
intervento 
normativo fece 
seguito l’emanazione 
della 
l. 31 dicembre 
2012, n. 247, recante 
la 
nuova 
disciplina 
dell’ordinamento 
forense 
e 
dunque 
concernente, 
a 
differenza 
del 
d.l. 
n. 
1/2012, soltanto gli 
avvocati 
e 
non anche 
le 
altre 
figure 
di 
professionisti, ma 
l’art. 13, commi 
6 e 
7, di 
tale 
legge 
riprende 
i 
parametri 
già 
introdotti 
per tutte 
le 
professioni 
intellettuali 
dal 
d.l. n. 1/2012. 
Nelle 
more 
dell’emanazione 
della 
legge 
n. 247/2012, stante 
l’avvenuta 
abrogazione 
delle 
tariffe, 
era 
stato 
però 
emanato 
il 
DM 
n. 
140/2012, 
volto 
a 
fissare 
i 
nuovi 
criteri 
di 
determinazione 
dei compensi dei professionisti forensi. 
Per quanto rileva 
ai 
fini 
della 
questione 
in esame 
il 
decreto n. 140 contiene 
l’esplicita 
affermazione 
del 
carattere 
sussidiario della 
liquidazione 
giudiziale 
del 
compenso rispetto all’accordo 
delle 
parti 
e 
della 
possibilità 
di 
ricorrere 
all’analogia 
per 
risolvere 
i 
casi 
non 
espressamente 
menzionati 
nel 
regolamento 
(entrambi 
esplicitati 
nell’art. 
1, 
comma 
1), 
nonché 
l’affermazione 
della 
non 
vincolatività 
delle 
soglie 
indicate 
per 
la 
determinazione 
del 
compenso, 
nelle 
tabelle 
allegate 
al 
regolamento, anche 
a 
mezzo di 
percentuale 
sia 
nei 
minimi 
che 
nei massimi. 
L’art. 
13 
della 
legge 
n. 
247/2012, 
per 
ciò 
che 
attiene 
alla 
determinazione 
dei 
compensi, 
al 
comma 
6, 
dispone 
che: 
“I 
parametri 
indicati 
nel 
decreto 
emanato 
dal 
Ministro 
della 
giustizia, 
su 
proposta 
del 
CNF, 
ogni 
due 
anni, 
ai 
sensi 
dell’articolo 
1, 
comma 
3, 
si 
applicano 
quando 
all’atto 
dell’in

CoNteNzIoSo 
NazIoNaLe 


carico 
o 
successivamente 
il 
compenso 
non 
sia 
stato 
determinato 
in 
forma 
scritta, 
in 
ogni 
caso 
di 
mancata 
determinazione 
consensuale, 
in 
caso 
di 
liquidazione 
giudiziale 
dei 
compensi 
e 
nei 
casi 
in 
cui 
la 
prestazione 
professionale 
è 
resa 
nell’interesse 
di 
terzi 
o 
per 
prestazioni 
officiose 
previste 
dalla 
legge”, 
ed 
al 
successivo 
comma 
7 
precisa 
che: 
“I 
parametri 
sono 
formulati 
in 
modo 
da 
favorire 
la trasparenza nella determinazione dei compensi dovuti per le prestazioni professionali 
e 
l’unitarietà 
e 
la 
semplicità 
nella 
determinazione 
dei 
compensi”. 
In attuazione 
di 
tale 
norma 
è 
stato poi 
emesso il 
DM 
10 marzo 2014, n. 55, che 
sostituito integralmente, 
per gli esercenti la professione forense, sia la parte generale che quella che era 
loro specificamente dedicata (artt. 2 - 14) del DM 20 luglio 2012 n. 140. 
La 
novella, pur avendo lasciato immutato il 
criterio di 
liquidazione, per le 
quattro fasi 
processuali 
distinte 
già 
individuate, secondo una 
ripartizione 
valida 
per tutti 
gli 
organi 
giurisdizionali 
davanti 
ai 
quali 
venga 
svolta 
l’attività, 
e 
onnicomprensive, 
ha 
però 
nella 
sostanza 
confermato la 
possibilità 
di 
deroga 
ai 
valori 
minimi 
e 
massimi, quali 
scaturenti 
dalle 
percentuali 
di 
aumento e 
diminuzione 
massimi 
che 
il 
giudice 
può apportare 
ai 
valori 
medi, essendo 
stato valorizzato l’utilizzo dell’inciso “di 
regola” 
per indicare 
l’entità 
dell’aumento o della 
diminuzione, 
in 
quanto 
volto 
a 
sottendere 
come 
tali 
indicazioni 
non 
sono 
vincolanti 
per 
il 
giudice 
che 
può quindi 
anche 
discostarsi 
da 
esse 
nella 
misura 
che 
ritenga 
adeguata 
al 
caso specifico, 
purché ne dia conto in motivazione. 
a 
conforto di 
tale 
conclusione 
si 
pone 
anche 
la 
relazione 
illustrativa 
al 
DM 
n. 55/2014 che 
chiarisce 
tale 
aspetto laddove, nella 
parte 
dedicata 
ad illustrare 
la 
proposta 
del 
CNF, (par. b), 
affermando che 
il 
predetto inciso, così 
come 
l’avverbio “orientativamente”, erano stati 
introdotti 
al 
fine 
di 
sottolineare 
la 
non 
vincolatività 
dei 
parametri, 
in 
linea 
di 
continuità 
con 
quanto 
disposto dall’art. 1, comma 7, del DM n. 140/2012. 
La 
successiva 
giurisprudenza 
di 
legittimità 
ha 
avallato tale 
lettura 
della 
norma, essendo pervenuta 
reiteratamente 
ad 
affermare 
che, 
nella 
vigenza 
delle 
previsioni 
di 
cui 
al 
DM 
n. 
55/2014, 
l’esercizio del 
potere 
discrezionale 
del 
giudice, contenuto tra 
il 
minimo e 
il 
massimo dei 
parametri 
previsti, non è 
soggetto al 
controllo di 
legittimità, attenendo pur sempre 
a 
parametri 
indicati 
tabellarmente, mentre 
la 
motivazione 
è 
doverosa 
allorquando il 
giudice 
decida 
di 
aumentare 
o diminuire 
ulteriormente 
gli 
importi 
da 
riconoscere, essendo in tal 
caso necessario 
che 
siano controllabili 
le 
ragioni 
che 
giustificano lo scostamento e 
la 
misura 
di 
esso (Cass. n. 
14198 del 05/05/2022; Cass. n. 19989 del 13/07/2021; Cass. n. 89 del 07/01/2021; Cass. n. 
2386 del 31/01/2017; Cass. n. 11601 del 14/05/2018). 
resta 
però in ogni 
caso precluso al 
giudice 
di 
poter liquidare, al 
netto degli 
esborsi, somme 
praticamente 
simboliche, 
non 
consone 
al 
decoro 
della 
professione» 
(cfr. 
ex 
plurimis 
Cass. 
civ., 
31 
gennaio 
2017, 
n. 
2386; 
Cass. 
civ., 
31 
luglio 
2018, 
n. 
20183; 
contra, 
Cass. 
civ., 
17 
gennaio 2018, n. 1018 e Cass. civ., 5 novembre 2018, n. 28267). 
Il 
quadro normativo ha 
poi 
subito un’ulteriore 
variazione 
a 
seguito dell’emanazione 
del 
DM 


n. 37/2018, entrato in vigore 
il 
27 aprile 
2018, che 
ha 
modificato solo alcune 
delle 
previsioni 
del DM n. 55/2014. 
ai 
fini 
che 
rilevano la 
modifica 
ha 
integrato i 
parametri 
per la 
determinazione 
dei 
compensi, 
sia 
per 
l’attività 
giudiziale 
che 
per 
quella 
stragiudiziale 
(rispettivamente 
artt. 
4 
e 
19) 
precisando 
che 
la 
riduzione, 
rispetto 
al 
valore 
medio 
di 
liquidazione 
non 
può 
essere 
superiore 
alla 
misura 
del 
50 
% 
(per 
la 
sola 
fase 
istruttoria 
fino 
al 
70 
%) 
mentre 
l’aumento 
può 
essere 
anche 
superiore 
alla 
percentuale 
fissata 
di 
regola 
nell’80 
%, 
eliminando 
per 
il 
potere 
di 
riduzione 
l’espressione 
“di 
regola” 
che 
aveva 
appunto giustificato l’interpretazione 
volta 
a 
consentire, sia 
pure 
con 
motivazione, la liquidazione anche al di sotto dei minimi tariffari. 

raSSeGNa 
aVVoCatUra 
DeLLo 
Stato -N. 4/2022 


La 
significatività 
della 
modifica 
del 
testo delle 
norme 
richiamate 
si 
ricava 
anche 
dalle 
argomentazioni 
spese 
dal 
Consiglio 
di 
Stato 
nel 
parere 
reso 
sullo 
schema 
del 
decreto 
del 
2018 
(parere 
numero 
02703/2017 
del 
27/12/2017), 
nel 
quale 
si 
sottolinea 
come 
tra 
gli 
obiettivi 
del 
Ministero vi 
fosse 
anche 
quello di 
“superare 
l’incertezza 
applicativa 
ingenerata 
dalla 
possibilità, 
nell’attuale 
sistema 
parametrale, che 
il 
giudice 
provveda 
alla 
liquidazione 
del 
compenso 
dell’avvocato senza 
avere 
come 
riferimento alcuna 
soglia 
numerica 
minima, rendendo inadeguata 
la 
remunerazione 
della 
prestazione 
professionale”, 
limitando 
quindi 
“…. 
il 
perimetro 
di 
discrezionalità 
riconosciuto al 
giudice, individuando delle 
soglie 
minime 
percentuali 
di 
riduzione 
del 
compenso rispetto al 
valore 
parametrico di 
base 
al 
di 
sotto delle 
quali 
non è 
possibile 
andare”. 
Nel 
parere, inoltre, si 
rimarcava 
come 
la 
modifica 
proposta 
non si 
palesasse 
in contrasto neanche 
con 
la 
normativa 
europea 
in 
materia 
anche 
alla 
luce 
delle 
argomentazioni 
contenute 
nella 
sentenza 
n. 
427 
del 
23 
novembre 
2017 
della 
Corte 
di 
Giustizia 
dell’Unione 
europea. 
Nella 
specie, si 
segnalava 
che, rispetto alla 
vicenda 
vagliata 
dal 
giudice 
eurounitario, il 
provvedimento 
che 
fissa 
i 
parametri, oltre 
che 
essere 
adottato non da 
un’organizzazione 
di 
rappresentanza 
della 
categoria 
forense 
ma 
dal 
Ministro 
della 
giustizia, 
rispondeva 
anche 
all’esigenza 
di 
perseguire 
precisi 
criteri 
d’interesse 
pubblico stabiliti 
dalla 
legge 
quali 
la 
trasparenza 
e l’unitarietà nella determinazione dei compensi professionali. 
La 
necessità 
di 
interpretare 
le 
novellate 
previsioni 
per effetto del 
DM 
n. 37 del 
2018 come 
intese 
a ribadire l’inderogabilità da parte del giudice, chiamato a liquidare i compensi a carico 
del 
soccombente 
ovvero in assenza 
di 
preventivo accordo tra 
le 
parti, dei 
minimi 
fissati 
dal 
DM 
n. 55/2014, rinviene 
poi 
un argomento di 
carattere 
sistematico nella 
pressoché 
coeva 
introduzione 
della 
disciplina 
in tema 
di 
equo compenso per le 
attività 
professionali 
svolte 
in favore 
di 
imprese 
bancarie 
e 
assicurative, nonché 
di 
imprese 
non rientranti 
nelle 
categorie 
delle 
microimprese 
o 
delle 
piccole 
o 
medie 
imprese, 
previsto 
dall’art. 
13-bis, 
comma 
1, 
della 
legge 
forense, 
come 
inserito 
dall’art. 
19-quaterdecies, 
comma 
1, 
d.l. 
16 
ottobre 
2017, 
n. 
148, 
recante 
“Disposizioni 
urgenti 
in materia 
finanziaria 
e 
per esigenze 
indifferibili”, convertito con modificazioni 
dalla legge 4 dicembre 2017, n. 172. 
In 
particolare, 
il 
secondo 
comma 
dispone 
che 
“si 
considera 
equo 
il 
compenso 
determinato 
nelle 
convenzioni 
di 
cui 
al 
comma 
1 
quando 
risulta 
proporzionato 
alla 
quantità 
e 
alla 
qualità 
del 
lavoro 
svolto, 
nonché 
al 
contenuto 
e 
alle 
caratteristiche 
della 
prestazione 
legale, 
e 
conforme 
ai 
parametri 
previsti 
dal 
regolamento 
di 
cui 
al 
decreto 
del 
Ministro 
della 
giustizia 
adottato 
ai 
sensi 
dell’articolo 
13, 
comma 
6”, 
aggiungendo 
al 
comma 
4 
che 
“si 
considerano 
vessatorie 
le 
clausole 
contenute 
nelle 
convenzioni 
di 
cui 
al 
comma 
1 
che 
determinano, 
anche 
in 
ragione 
della 
non 
equità 
del 
compenso 
pattuito, 
un 
significativo 
squilibrio 
contrattuale 
a 
carico 
dell’avvocato”. 
Infine, il 
comma 
10 dispone 
che 
“Il 
giudice, accertate 
la 
non equità 
del 
compenso e 
la 
vessatorietà 
di 
una 
clausola 
a 
norma 
dei 
commi 
4, 5 e 
6 del 
presente 
articolo, dichiara 
la 
nullità 
della 
clausola 
e 
determina 
il 
compenso 
dell’avvocato 
tenendo 
conto 
dei 
parametri 
previsti 
dal 
regolamento 
di 
cui 
al 
decreto 
del 
Ministro 
della 
giustizia 
adottato 
ai 
sensi 
dell’articolo 
13, 
comma 6”. 
emerge 
quindi 
la 
evidente 
volontà 
del 
legislatore 
di 
assimilare 
i 
parametri 
minimi 
fissati 
dal-
l’apposito decreto alla 
misura 
dell’equo compenso, trattandosi 
di 
esigenza 
che 
trova 
un suo 
fondamento costituzionale 
nell’art. 35, e 
che 
si 
giustifica 
al 
fine 
di 
impedire 
la 
conclusione 
di 
accordi 
volti 
a 
mortificare 
la 
professionalità 
dell’esercente 
la 
professione 
forense, con la 
fissazione 
di compensi meramente simbolici e non consoni al decoro della professione. 
La 
misura 
risulta 
poi 
approntata 
in 
vista 
non 
solo 
della 
tutela 
delle 
esigenze 
del 
professionista, 



CoNteNzIoSo 
NazIoNaLe 


ma 
anche, di 
riflesso, delle 
esigenze 
dell’utente 
delle 
prestazioni 
stesse, in quanto solo la 
previsione 
di 
un compenso non irrisorio o mortificante 
risulta 
in grado di 
assicurare 
il 
mantenimento 
di 
standard 
di 
professionalità 
e 
diligenza 
essenziali 
in 
vista 
della 
tutela 
anche 
del 
diritto 
di 
difesa, ove, come 
nella 
maggioranza 
dei 
casi, il 
ricorso alle 
prestazioni 
del 
professionista 
sia funzionale alla difesa in giudizio. 
Non viene 
quindi 
in rilievo solo l’interesse 
(privato) del 
professionista 
a 
percepire 
un compenso 
equo, ma 
anche 
un interesse 
generale 
(pubblico) di 
tutela 
dell’indipendenza 
e 
dell’autonomia 
del 
professionista, 
atto 
a 
garantire 
la 
qualità 
e 
il 
livello 
della 
prestazione 
offerta 
nonché 
la 
buona 
e 
corretta 
amministrazione 
della 
giustizia, a 
loro volta 
indispensabili 
per assicurare 
il 
pieno 
esplicarsi 
del 
diritto 
di 
difesa, 
tanto 
più 
meritevole 
di 
tutela 
in 
quanto 
sancito 
a livello costituzionale (art. 24 Cost.). 
L’assimilazione 
tra 
i 
minimi 
tariffari 
e 
l’equo compenso, perlomeno nei 
casi 
rientranti 
nella 
previsione 
di 
cui 
al 
citato 
art. 
13 
bis, 
trova 
poi 
supporto 
nel 
rilievo 
per 
cui 
la 
versione 
originaria 
dell’art. 
13-bis, 
comma 
2, 
imponesse, 
fra 
gli 
altri 
criteri, 
affinché 
il 
compenso 
risultasse 
equo, 
di 
«tenere 
conto» dei 
parametri 
previsti 
dal 
decreto ministeriale, così 
che 
è 
stato sottolineato 
come 
l’attuale 
formulazione, risultante 
dalla 
modifica 
apportata 
dalla 
l. n. 205/2017, secondo 
cui 
il 
compenso deve 
essere 
«conforme» ai 
parametri, corrisponde 
ad un ampliamento della 
tutela 
degli 
avvocati, 
in 
quanto 
determina 
una 
più 
stringente 
corrispondenza 
fra 
le 
convenzioni 
contrattuali ed i parametri legali. 
La 
conclusione 
per l’inderogabilità 
dei 
minimi 
tariffari 
in sede 
di 
liquidazione 
giudiziale, ed 
in 
assenza 
di 
diversa 
convenzione 
non 
appare 
in 
alcun 
modo 
attinta 
dalle 
modifiche 
apportate 
al 
DM 
n. 55 del 
2014 del 
recente 
DM 
n. 147/2022, che, come 
si 
evince 
anche 
dal 
parere 
reso 
dal 
Consiglio di 
Stato sul 
relativo schema 
(affare 
n. 00183/2022, reso all’esito dell’adunanza 
del 
17 febbraio 2022), ha 
previsto la 
soppressione, in tutti 
i 
commi 
in cui 
ricorrono, delle 
parole 
“di 
regola”, 
e 
ciò 
nel 
dichiarato 
intento 
(cfr. 
relazione 
illustrativa 
del 
Ministero 
della 
Giustizia) 
di 
ridurre 
il 
margine 
di 
discrezionalità 
dell’autorità 
giudiziaria 
nella 
liquidazione 
dei 
compensi, rendere 
più omogena 
l’applicazione 
dei 
parametri 
e 
garantire 
maggiore 
coesione 
interna alla categoria degli esercenti la professione forense. 
Deve 
poi 
recisamente 
negarsi 
ogni 
dubbio circa 
la 
compatibilità 
della 
soluzione 
in punto di 
inderogabilità dei minimi tariffari con la normativa comunitaria. 
Giova 
in tal 
senso ricordare 
come 
l’analogo dubbio postosi 
in relazione 
alla 
disciplina 
previgente 
la 
riforma 
del 
2006 è 
stato ritenuto insussistente 
dalla 
giurisprudenza 
della 
CGUe, che 
con 
la 
sentenza 
del 
19 
febbraio 
2002 
C-35/99 
(c.d. 
caso 
arduino), 
adito 
dal 
pretore 
di 
Pinerolo 
in merito alla 
paventata 
violazione 
dell’art. 85 trattato Ce 
da 
parte 
della 
normativa 
italiana 
in 
materia 
di 
tariffe 
forensi, 
in 
quanto 
adottate 
da 
un 
ente 
qualificabile 
come 
associazione 
di 
imprese 
(il 
Consiglio 
nazionale 
forense), 
ha 
escluso 
la 
ricorrenza 
di 
intese 
restrittive 
della 
libertà 
di concorrenza. 
La 
risposta 
dei 
giudici 
di 
Lussemburgo è 
però stata 
nel 
senso della 
piena 
compatibilità 
dei 
sistemi 
tariffari 
con il 
diritto comunitario della 
concorrenza, e 
ciò in quanto gli 
artt. 5 e 
85 del 
trattato 
Ce 
(divenuti 
artt. 
10 
Ce 
e 
81 
Ce) 
non 
ostano 
all’adozione 
da 
parte 
di 
uno 
Stato 
membro 
di 
una 
misura 
legislativa 
o regolamentare 
che 
approvi, sulla 
base 
di 
un progetto stabilito 
da 
un ordine 
professionale 
forense, una 
tariffa 
che 
fissa 
dei 
minimi 
e 
dei 
massimi 
per gli 
onorari 
dei membri dell’ordine, qualora tale misura statale sia adottata. 
Pur essendosi 
posto in rilevo che 
l’adozione 
di 
tariffe 
a 
livello nazionale 
può incidere 
sulla 
concorrenza 
e 
che, sebbene 
l’allora 
art. 85 del 
trattato Ce 
(ora 
art. 101 tFUe) riguardasse 
solo la 
condotta 
delle 
imprese 
e 
non le 
disposizioni 
legislative 
o regolamentari, ciò non to



raSSeGNa 
aVVoCatUra 
DeLLo 
Stato -N. 4/2022 


glieva 
che 
tale 
disposizione, in combinato disposto con l’art. 5 del 
trattato (ora 
art. 5 tUe), 
obbligasse 
gli 
Stati 
membri 
a 
non adottare 
o mantenere 
in vigore 
provvedimenti, anche 
di 
natura 
legislativa 
o 
regolamentare, 
idonei 
ad 
eliminare 
l’effetto 
utile 
delle 
regole 
di 
concorrenza 
applicabili 
alle 
imprese, tuttavia 
la 
Corte 
ha 
specificato che 
l’elaborazione 
di 
un progetto di 
tariffa 
per le 
prestazioni 
professionali 
non priva 
automaticamente 
la 
tariffa 
del 
suo carattere 
di 
normativa 
statale 
se, come 
nel 
caso italiano, lo Stato membro non rinunci 
ad esercitare 
il 
suo 
potere 
di 
decisione 
in 
ultima 
istanza 
o 
a 
controllare 
l’applicazione 
della 
tariffa 
stessa 
(punto 40), posto che 
al 
CNF 
era 
riservato soltanto il 
ruolo di 
proporre 
un progetto di 
tariffe, 
le 
quali 
venivano poi 
emanate 
dal 
ministero della 
Giustizia, sentito il 
parere 
del 
CIP 
e 
previa 
consultazione 
obbligatoria 
del 
Consiglio di 
Stato (secondo quindi 
un procedimento di 
formazione 
del tutto analogo a quello attuale). 
Sebbene 
nella 
sentenza 
si 
qualifichi 
il 
CNF 
come 
associazione 
di 
imprese, 
la 
Corte 
ha 
poi 
evidenziato che, in forza 
della 
lettura 
combinata 
dell’art. 101 tFUe 
con il 
principio di 
leale 
cooperazione 
di 
cui 
all’art. 4, par. 3, tFUe, gli 
Stati 
membri 
devono astenersi 
dall’imporre 
o 
dall’agevolare 
la 
conclusione 
di 
accordi 
in contrasto con l’art. 101, astenersi 
dal 
rafforzare 
gli 
effetti 
di 
siffatti 
accordi, ed astenersi 
dal 
privare 
la 
normativa 
nazionale 
rilevante 
del 
suo 
carattere 
pubblico, delegando ad operatori 
privati 
la 
responsabilità 
di 
adottare 
decisioni 
d’intervento 
in materia economica. 
Nella 
vicenda 
è 
stato però ritenuto che 
lo Stato italiano non avesse 
rinunciato ad esercitare 
un 
controllo decisionale 
sull’approvazione 
ed applicazione 
della 
tariffa, il 
che 
escludeva 
che 
vi 
fosse una violazione del diritto Ue rilevante. 
L’arresto 
del 
giudice 
di 
Lussemburgo 
è 
stato 
poi 
favorevolmente 
recepito 
dalla 
giurisprudenza 
nazionale, 
in 
quanto 
a 
far 
data 
da 
Cass. 
n. 
7094 
del 
28 
marzo 
2006 
è 
stato 
ribadito 
che, 
in 
tema 
di 
tariffe 
professionali 
degli 
avvocati, 
è 
valida 
la 
disposizione 
statale 
che 
fissa 
il 
principio 
della 
normale 
inderogabilità 
dei 
minimi 
degli 
onorari 
(conf. 
Cass. 
n. 
15666/2007; 
Cass. 
n. 
27090 del 15/12/2011; Cass. n. 15666 del 13/07/2007, che ha esteso la soluzione anche alla 
inderogabilità 
dei 
minimi 
delle 
tariffe 
professionali 
dei 
dottori 
commercialisti; 
Cass. 
n. 
15963/2011, quanto alle tariffe notarili). 
La 
soluzione 
del 
2002 ha 
poi 
ricevuto continuità 
con la 
sentenza 
della 
Corte 
di 
Giustizia 
del 
5 
dicembre 
2006 
(cd. 
caso 
Cipolla 
e 
altri) 
nelle 
cause 
riunite 
C-94/04 
e 
C-202/04, 
che 
ha 
escluso anche 
la 
sussistenza 
di 
un profilo di 
incompatibilità 
dell’ordinamento della 
professione, 
avvalendosi delle medesime argomentazioni formulate nel suo precedente. 
Il 
tema 
della 
compatibilità 
delle 
tariffe 
professionali 
legali 
connotate 
da 
inderogabilità 
con i 
principi 
della 
legislazione 
comunitaria 
è 
stato successivamente 
oggetto della 
sentenza 
della 
Corte 
di 
Giustizia 
del 
29 marzo 2011 nella 
causa 
C-565/08, avente 
ad oggetto il 
ricorso per 
inadempimento, 
che 
ha 
però 
escluso 
che 
vi 
fosse 
la 
prova 
che 
la 
previsione 
di 
tariffe 
massime 
per gli avvocati, anche dopo la legge Bersani, violasse gli artt. 43 e 49 del 
trattato. 
Un 
altro 
intervento 
del 
giudice 
di 
Lussemburgo 
è 
stato 
quello 
dell’8 
dicembre 
2016 
nelle 
cause 
riunite 
C-532/15 
e 
C-538/15, 
nel 
quale, 
pronunciando 
su 
rinvio 
pregiudiziale 
della 
Corte 
distrettuale 
di 
Saragoza, 
ha 
stabilito 
la 
conformità 
al 
diritto 
Ue 
della 
determinazione 
di 
tariffe 
fissate 
per legge 
per i 
servizi 
prestati 
da 
procuratori 
legali 
senza 
possibilità 
di 
negoziazione 
tra le parti, stabilendo infine che le tariffe fisse non vanno ad inficiare la libera concorrenza. 
In particolare, il giudice remittente aveva posto i seguenti quesiti: 
«1) 
Se 
l’esistenza 
di 
una 
normativa 
dettata 
dallo 
Stato, 
che 
prevede 
il 
controllo 
di 
quest’ultimo 
nella 
fissazione 
dei 
diritti 
dei 
procuratori 
legali, 
precisandone 
per 
via 
regolamentare 
l’importo 
esatto 
e 
obbligatorio 
e 
attribuendo 
agli 
organi 
giurisdizionali, 
specialmente 
in 
caso 
di 
condanna 



CoNteNzIoSo 
NazIoNaLe 


alle 
spese, la 
competenza 
a 
controllare 
in ogni 
singolo caso la 
fissazione 
di 
tali 
diritti, benché 
siffatto controllo sia 
limitato a 
verificare 
la 
rigorosa 
applicazione 
della 
tariffa, senza 
che 
sia 
possibile, in casi 
eccezionali 
e 
con decisione 
motivata, derogare 
ai 
limiti 
stabiliti 
dalla 
normativa 
tariffaria, sia conforme agli articoli 4, paragrafo 3, tUe e 101 tFUe. 


2) Se 
la 
delimitazione 
delle 
nozioni 
di 
“motivi 
imperativi 
d’interesse 
generale”, “proporzionalità” 
e 
“necessità” 
di 
cui 
agli 
articoli 
4 e 
15 della 
direttiva 
2006/123, operata 
dalla 
Corte 
di 
giustizia 
dell’Unione 
europea, 
consenta 
ai 
giudici 
nazionali 
-nei 
casi 
in 
cui 
la 
fissazione 
della 
tariffa 
dei 
servizi 
sia 
prevista 
da 
una 
normativa 
dello Stato e 
in cui 
sussista 
una 
dichiarazione 
tacita 
(per assenza 
di 
disposizioni 
nella 
normativa 
di 
trasposizione) sull’esistenza 
di 
motivi 
imperativi 
di 
interesse 
generale, benché 
un confronto con la 
giurisprudenza 
comunitaria 
non 
consenta 
di 
affermarlo 
-di 
ritenere 
che 
in 
un 
caso 
particolare 
sussista 
una 
limitazione 
non 
giustificata 
dall’interesse 
generale 
e, 
pertanto, 
di 
disapplicare 
o 
adeguare 
la 
normativa 
che 
disciplina 
i compensi dei procuratori legali. 
3) 
Se 
l’applicazione 
di 
una 
normativa 
avente 
tali 
caratteristiche 
possa 
contrastare 
con 
il 
diritto 
a un equo processo come interpretato dalla Corte di giustizia». 
anche 
in tale 
caso la 
risposta 
data 
al 
primo quesito (essendosi 
la 
Corte 
ritenuta 
incompetente 
sugli 
altri 
due) 
è 
stata 
però 
nel 
senso 
della 
compatibilità 
della 
normativa 
nazionale 
con 
il 
diritto dell’Unione, e 
ciò proprio facendo leva 
sull’intervento dello Stato nell’adozione 
della 
tariffa, come appunto ribadito nei propri precedenti. 
Un 
altro 
rilevante 
tassello 
del 
mosaico 
giurisprudenziale 
si 
rinviene 
nella 
sentenza 
della 
Corte 
giustizia 
Ue 
sez. I, 23 novembre 
2017, n. 427, che 
ha 
affermato che 
l’articolo 101, paragrafo 
1, tFUe, in combinato disposto con l’articolo 4, paragrafo 3, tUe, dev’essere 
interpretato 
nel 
senso che 
una 
normativa 
nazionale 
che, da 
un lato, non consenta 
all’avvocato e 
al 
proprio 
cliente 
di 
pattuire 
un 
onorario 
d’importo 
inferiore 
al 
minimo 
stabilito 
da 
un 
regolamento 
adottato 
da 
un’organizzazione 
di 
categoria 
dell’ordine 
forense, 
a 
pena 
di 
procedimento 
disciplinare 
a 
carico dell’avvocato medesimo, e, dall’altro, non autorizzi 
il 
giudice 
a 
disporre 
la 
rifusione 
degli 
onorari 
d’importo inferiore 
a 
quello minimo, è 
idonea 
a 
restringere 
il 
gioco della 
concorrenza 
nel 
mercato interno ai 
sensi 
dell’articolo 101, paragrafo 1, tFUe, ma 
che 
spetta 
comunque 
al 
giudice 
del 
rinvio 
verificare 
se 
tale 
normativa, 
alla 
luce 
delle 
sue 
concrete 
modalità 
applicative, 
risponda 
effettivamente 
ad 
obiettivi 
legittimi 
e 
se 
le 
restrizioni 
così 
stabilite 
siano 
limitate a quanto necessario per garantire l’attuazione di tali legittimi obiettivi. 
Inoltre, 
è 
stato 
altresì 
affermato 
che 
è 
contrario 
alle 
regole 
Ue 
in 
materia 
di 
libera 
concorrenza 
un sistema 
nazionale 
che 
attribuisce 
a 
un’organizzazione 
di 
categoria 
di 
professionisti, senza 
alcun 
intervento 
dell’autorità 
pubblica, 
il 
potere 
di 
stabilire 
le 
tariffe 
minime 
inderogabili, 
ma 
che 
spetta 
ai 
giudici 
nazionali 
verificare 
se 
un 
simile 
sistema 
possa 
essere 
giustificato 
dal 
perseguimento 
di un obiettivo legittimo. 
La 
rimessione 
alla 
Corte 
di 
Giustizia 
era 
stata 
occasionata 
dalla 
normativa 
bulgara, 
nella 
quale 
le 
tariffe, senza 
un intervento ovvero un controllo dell’autorità 
statale 
(se 
non quello di 
conformità 
dei 
regolamenti 
adottati 
dal 
Consiglio degli 
avvocati 
con la 
Costituzione 
e 
la 
legge 
bulgare), erano direttamente 
fissate 
da 
parte 
del 
Consiglio superiore 
dell’ordine 
forense, con 
la 
previsione 
degli 
importi 
minimi 
delle 
parcelle 
degli 
avvocati. La 
sentenza 
dopo aver precisato 
che 
il 
Consiglio superiore 
dell’ordine 
forense 
doveva 
essere 
qualificato come 
associazione 
di 
imprese, e 
dopo aver ribadito la 
necessità 
di 
dover attivare 
il 
controllo sul 
rispetto 
del 
divieto 
di 
cui 
all’art. 
101, 
par. 
1, 
tFUe, 
pur 
reputando 
che 
la 
determinazione 
degli 
importi 
minimi 
degli 
onorari 
d’avvocato, resi 
obbligatori 
da 
una 
normativa 
nazionale, come 
quella 
oggetto di 
esame, equivaleva 
alla 
determinazione 
orizzontale 
di 
tariffe 
minime 
imposte, ri

raSSeGNa 
aVVoCatUra 
DeLLo 
Stato -N. 4/2022 


sultando 
pertanto, 
idonea 
a 
produrre 
una 
compressione 
della 
concorrenza 
nel 
mercato 
interno, 
ha 
però rimesso al 
giudice 
nazionale 
la 
verifica 
della 
effettiva 
compatibilità 
della 
disciplina 
interna con il diritto dell’Ue. 
a 
tal 
fine 
è 
stato evidenziato come 
l’idoneità 
potenziale 
non è 
sufficiente 
per supporre 
una 
violazione 
conclamata 
del 
diritto della 
concorrenza, occorrendo tenere 
conto anche 
del 
principio 
di 
ragionevolezza, tenuto conto del 
contesto globale 
nel 
quale 
la 
decisione 
della 
associazione 
di 
imprese 
è 
stata 
adottata 
o 
è 
chiamata 
a 
produrre 
i 
suoi 
effetti, 
oltre 
che 
gli 
obiettivi 
che 
essa 
persegue. Inoltre, è 
stato sottolineato come, tra 
le 
verifiche 
demandate 
al 
giudice 
del 
rinvio, vi 
fosse 
anche 
quella, in ossequio al 
principio di 
proporzionalità, circa 
il 
fatto che 
gli 
effetti 
prodotti 
sul 
gioco della 
concorrenza 
non eccedano quanto necessario per il 
perseguimento 
degli obiettivi meritori di tutela. 
traendo spunto dalle 
considerazioni 
da 
ultimo richiamate, deve 
perciò escludersi 
che 
la 
normativa 
italiana, 
quale 
derivante 
dalle 
modifiche 
apportate 
dal 
DM 
n. 
37/2018 
al 
Dm 
n. 
55/2014, sia suscettibile di porsi in contrasto con la normativa unionale. 
In primo luogo, in quanto le 
tariffe, seppure 
approntate 
da 
parte 
del 
CNF, sono poi 
sottoposte 
al 
vaglio ed al 
controllo dell’autorità 
statale, essendo la 
loro approvazione 
oggetto di 
una 
trasposizione 
in decreti 
ministeriali, e 
con la 
formulazione 
di 
un preventivo parere 
da 
parte 
del 
Consiglio di Stato. 
In 
secondo 
luogo, 
in 
quanto 
resta 
impregiudicata 
la 
possibilità 
per 
le 
parti 
di 
poter 
porre 
in 
essere 
degli 
accordi 
anche 
in 
deroga 
alle 
previsioni 
tariffarie, 
essendo 
l’inderogabilità 
dettata 
per 
il 
caso 
di 
assenza 
di 
pattuizioni 
ovvero 
di 
liquidazione 
giudiziale 
in 
danno 
della 
parte 
soccombente. 
In terzo luogo, perché, come 
sopra 
evidenziato, avuto riguardo alla 
assimilazione 
sul 
piano 
quantitativo 
dei 
minimi 
dettati 
per 
i 
parametri 
forensi 
con 
la 
disciplina 
dettata 
per 
l’equo 
compenso, 
la 
previsione 
in punto di 
inderogabilità 
trascende 
il 
mero interesse 
privato della 
categoria 
professionale, 
ma 
assolve 
alla 
tutela 
di 
interesse 
di 
carattere 
pubblico. 
Infatti, 
la 
previsione 
di 
una 
soglia 
minima 
per i 
compensi 
al 
di 
sotto della 
quale 
non è 
dato scendere 
assicura 
una 
garanzia 
di 
tipo economico che 
si 
traduce 
nella 
tutela 
dell’indipendenza 
e 
dell’autonomia 
del 
professionista, e 
che, oltre 
ad assicurare 
la 
qualità 
ed il 
livello della 
prestazione 
offerta, si 
riflette 
anche 
nella 
adeguata 
assicurazione 
del 
diritto di 
difesa, impedendo che 
possano 
essere 
superati 
gli 
standard minimi 
di 
diligenza 
e 
cura 
degli 
interessi 
del 
cliente, che 
viceversa 
tariffe 
eccessivamente 
mortificanti 
potrebbero 
compromettere 
(in 
tale 
direzione 
si 
veda 
anche 
CGUe 
4 luglio 2019 causa 
C-377/17, relativa 
alla 
normativa 
della 
Germania 
che 
prevede 
tariffe 
minime 
obbligatorie 
per gli 
architetti 
e 
gli 
ingegneri, ritenute 
in astratto compatibili 
con l’art. 15 della 
direttiva 
2006/123, in quanto necessarie 
e 
proporzionate 
alla 
realizzazione 
di 
un 
motivo 
imperativo 
di 
interesse 
generale, 
quale 
può 
essere 
quello 
di 
assicurare 
la 
qualità 
delle 
prestazioni 
di 
progettazione, 
a 
tutela 
dei 
consumatori, 
della 
sicurezza 
delle 
costruzioni, 
della 
salvaguardia 
della 
cultura 
architettonica 
e 
della 
costruzione 
ecologica, 
ma 
che 
nella 
specie 
sono state 
in concreto reputate 
incompatibili 
con il 
diritto unionale 
in quanto le 
prestazioni 
interessate 
dalle 
tariffe 
e 
precisamente 
quelle 
di 
progettazione, 
non 
erano 
riservate 
a 
determinate 
professioni 
soggette 
alla 
vigilanza 
obbligatoria 
in forza 
della 
legislazione 
professionale 
o da 
parte 
degli 
ordini 
professionali, circostanza 
questa 
che 
non ricorre 
per le 
prestazioni 
forensi 
rese 
in 
Italia, 
in 
quanto 
riservate 
in 
esclusiva 
agli 
iscritti 
agli 
ordini 
professionali). 
Deve 
pertanto 
essere 
affermato 
il 
seguente 
principio 
di 
diritto: 
ai 
fini 
della 
liquidazione 
in 
sede 
giudiziale 
del 
compenso spettante 
all’avvocato nel 
rapporto col 
proprio cliente, in caso 
di 
mancata determinazione 
consensuale, come 
ai 
fini 
della liquidazione 
delle 
spese 
proces



CoNteNzIoSo 
NazIoNaLe 


suali 
a carico della parte 
soccombente, ovvero in caso di 
liquidazione 
del 
compenso del 
difensore 
della 
parte 
ammessa 
al 
beneficio 
patrocinio 
a 
spese 
dello 
Stato 
nella 
vigenza 
dell’art. 
4, comma 1, e 
12, comma 1, del 
d.m. n. 55 del 
2014, come 
modificati 
dal 
d.m. n. 37 del 
2018, 
il 
giudice 
non 
può 
in 
nessun 
caso 
diminuire 
oltre 
il 
50 
per 
cento 
i 
valori 
medi 
di 
cui 
alle 
tabelle allegate. 


Nella 
specie, il 
tribunale, pur avendo decurtato del 
50% i 
valori 
medi, e 
quindi 
avendo fatto 
ricorso ai 
valori 
minimi, procedendo poi 
all’ulteriore 
riduzione 
di 
un terzo ex art. 106 bis 
del 
DPr n. 115/2002, non avrebbe 
potuto liquidare 
una 
somma 
inferiore 
ad € 1.290,00, avendo 
invece ritenuto che i valori minimi fossero ancora riducibili di un ulteriore 20%. 
Infatti, avuto riguardo ai 
parametri 
di 
cui 
al 
DM 
n. 55/2014 e 
successive 
modifiche, e 
tenuto 
conto altresì 
dei 
valori 
minimi 
derivanti 
da 
tali 
parametri, il 
compenso minimo previsto per 
la 
difesa 
della 
parte 
ammessa 
al 
beneficio 
a 
spese 
dello 
stato, 
nel 
procedimento 
penale 
nel 
quale 
è 
stato assistito dalla 
ricorrente 
non poteva 
essere 
inferiore 
ad € 1.290,00, al 
netto della 
decurtazione 
di 
cui 
all’art. 106 bis 
del 
DPr n. 115/2002, risultando, quindi, erronea 
l’individuazione 
dell’importo di € 912,00, come invece effettuata dal giudice di merito. 
I motivi devono quindi essere accolti. 
Il 
provvedimento 
impugnato 
deve 
quindi 
essere 
cassato 
in 
relazione 
ai 
motivi 
accolti, 
con 
rinvio 
al 
tribunale 
di 
trento, in persona 
di 
diverso magistrato, che 
provederà 
anche 
sulle 
spese 
del presente giudizio. 


PQM 
accoglie 
il 
ricorso, cassa 
il 
provvedimento impugnato, con rinvio, anche 
per le 
spese 
del 
presente 
giudizio, al 
tribunale di 
trento, in persona di diverso magistrato. 
Così deciso nella camera di consiglio del 28 febbraio 2023. 



raSSeGNa 
aVVoCatUra 
DeLLo 
Stato -N. 4/2022 


Le iniziative esperibili da Avvocati del libero Foro 
per il pagamento dell’attività prestata 
in regime di patrocinio a spese dello Stato. 
La Corte di 
Appello di 
Venezia esclude l’ammissibilità 
del ricorso per decreto ingiuntivo e la maturazione di 
interessi, a fronte dell’inesigibilità della prestazione 


annotazionE 
a 
CortE 
D’aPPELLo 
Di 
vEnEzia, 
SEzionE 
iv 
CiviLE, SEntEnza 
15 FEbbraio 
2023 n. 210 


Si 
segnala 
la 
sentenza 
della 
Corte 
di 
appello di 
Venezia 
che, riformando 
la 
sentenza 
di 
primo grado ed accogliendo la 
tesi 
proposta 
nell’interesse 
del 
Ministero 
della 
Giustizia, 
ha 
enunciato 
il 
principio 
per 
cui 
i 
crediti 
vantati 
dagli 
avvocati 
del 
libero 
Foro 
muniti 
di 
decreti 
di 
liquidazione 
ex 
art. 
82 
d.P.r. 
115/2002 (per aver prestato attività 
difensiva 
in regime 
di 
patrocinio a 
spese 
dello Stato ovvero in qualità 
di 
difensori 
d’ufficio di 
soggetti 
insolventi) sono 
inesigibili 
fino al 
momento del 
pagamento, ed in quanto tali 
non possono essere 
azionati mediante ricorso per decreto ingiuntivo, né produrre interessi. 


La 
sentenza, 
pur 
corredata 
da 
motivazione 
sintetica, 
sembra 
degna 
di 
nota 
laddove, “in riforma della sentenza indicata in epigrafe, dichiara che 
nulla è 
dovuto dal 
ministero della Giustizia [...] a titolo di 
interessi 
e 
spese 
a fronte 
della inesigibilità dei 
crediti 
azionati”, statuendo che 
“non v’è 
ragione 
di 
ammettere 
anche 
l’ingiunzione 
sulla base 
dei 
titoli 
per 
il 
pagamento (che 
sarebbero 
la 
prova 
scritta 
del 
credito) 
già 
resi 
e 
diventati 
definitivi 
nei 
confronti 
del 
ministero 
[…] 
il 
sistema 
normativo 
[…] 
stabilisce 
che 
i 
pagamenti 
devono 
avvenire 
in ordine 
cronologico; inoltre, se 
l’accreditamento all’avente 
diritto 
in ordine 
cronologico non può essere 
eseguito proprio per 
mancanza o insufficienza 
dei 
fondi, 
il 
pagamento 
deve 
avvenire 
nei 
giorni 
immediatamente 
successivi, 
non 
appena 
vi 
sia 
la 
disponibilità 
dei 
fondi 
(vd. 
art. 
181 
DPr 
115/2002), senza far 
scattare 
alcuna sanzione, né 
la decorrenza di 
interessi 
per il ritardato pagamento”. 


Si 
riporta 
di 
seguito un estratto della 
comparsa 
conclusionale 
presentata 
nell’interesse del Ministero della Giustizia: 


«Vale 
la 
pena 
ripercorrere 
i 
tratti 
essenziali 
del 
titolo II (art. 173 ss.) del 


d.P.r. 
115/2002, 
significativamente 
rubricato 
“pagamento 
delle 
spese 
per 
conto dell’erario”. 
Va 
innanzitutto 
segnalato 
che 
il 
decreto 
di 
pagamento 
ex 
art. 
82 
d.P.r. 
115/2002 
è 
pacificamente 
un 
atto 
impugnabile 
ai 
sensi 
dell’art. 
170 
d.P.r. 
115/2002 (cfr. ex 
plurimis 
Cass., Sez. II, 21 gennaio 2020, n. 1206), mediante 
opposizione 
esperibile 
dal 
“beneficiario 
e 
le 
parti 
processuali, 
compreso 
il 
pubblico 
ministero” 
nel 
termine 
di 
trenta 
giorni 
dalla 
comunicazione 
del 
provvedimento 
(cfr. ex 
plurimis 
Cass. civ., sez. II, 20 dicembre 
2018, n. 33070): 



CoNteNzIoSo 
NazIoNaLe 


dal 
che 
si 
evince 
come 
l’iter 
di 
pagamento sia 
suscettibile 
di 
iniziare 
soltanto 
una volta decorso tale termine decadenziale. 


a 
seguito 
di 
tale 
termine, 
il 
procedimento 
amministrativo 
di 
liquidazione 
esige 
un 
atto 
di 
impulso 
di 
parte, 
i.e. 
la 
presentazione 
della 
fattura 
da 
parte 
del-
l’interessato, 
come 
si 
evince 
dall’art. 
178 
d.P.r. 
115/2002, 
laddove 
dispone 
che 
“Prima 
di 
compilare 
il 
modello 
di 
pagamento, 
l’ufficio 
acquisisce 
la 
fattura 
rilasciata 
dal 
creditore, 
se 
questi 
è 
soggetto 
all’imposta 
sul 
valore 
aggiunto”. 


Dal 
momento 
della 
presentazione 
della 
fattura, 
l’ufficio 
che 
dispone 
il 
pagamento ha 
a 
disposizione 
il 
termine 
di 
un mese 
per trasmettere 
l’apposito 
modello di 
pagamento ex 
art. 177 d.P.r. 115/2002, come 
si 
evince 
dal 
terzo 
comma 
della 
stessa 
disposizione, 
laddove 
prevede 
che 
“Entro 
un 
mese 
dal-
l’emissione 
dell’ordine 
o 
decreto 
di 
pagamento, 
il 
modello 
è 
trasmesso 
al 
competente 
concessionario in duplice 
copia, ovvero al 
competente 
ufficio postale 
in unico esemplare, nonché 
al 
beneficiario, per 
il 
quale, solo in caso di 
pagamento 
in contanti, assume 
valore 
di 
avviso di 
pagamento. Entro lo stesso termine 
l’ufficio 
trasmette 
copia 
della 
documentazione 
relativa 
ai 
singoli 
modelli 
di pagamento al funzionario delegato”. 


ancorché 
testualmente 
riferita 
ad “un mese 
dall’emissione 
dell’ordine 
o 
decreto di 
pagamento”, la 
disposizione 
va 
evidentemente 
intesa 
nel 
senso di 
calcolare 
il 
termine 
mensile 
dal 
giorno di 
presentazione 
della 
fattura, la 
quale 
ai 
sensi 
del 
citato art. 178 integra 
un presupposto ineludibile 
per la 
compilazione 
del modello, ed è evidentemente un onere a carico dell’interessato. 


Da 
quanto 
sopra 
si 
evince 
in 
primo 
luogo 
come 
i 
crediti 
generati 
da 
un 
decreto 
di 
pagamento 
ex 
art. 
82 
d.P.r. 
115/2002 
non 
siano 
certamente 
esigibili 
prima 
del 
decorso 
di 
un 
mese 
dalla 
presentazione 
della 
fattura: 
il 
che 
avrebbe 
imposto 
de 
plano 
la 
revoca 
del 
decreto 
ingiuntivo 
quantomeno 
in 
relazione 
all’importo 
di 
€ 
1.978,78 
indicato 
nelle 
fatture 
n. 
52 
e 
53 
del 
2019 
(emesse 
prima 
del 
decorso 
di 
un 
mese 
da 
tale 
adempimento), 
avverso 
le 
quali 
per 
lo 
stesso 
Giudice 
di 
prime 
cure 
“impropriamente 
l’opposto 
[ha] 
azionato 
la 
tutela 
monitoria”. 


andando 
ad 
esaminare 
il 
prosieguo 
del 
procedimento 
di 
pagamento, 
emerge 
che 
in base 
all’art. 179 d.P.r. 115/2002 l’ufficio che 
esegue 
il 
pagamento 
(dopo aver ricevuto il 
modello di 
pagamento dall’ufficio che 
dispone 
il 
pagamento) “ordina cronologicamente 
per 
giornata i 
modelli 
di 
pagamento 
pervenuti 
ed esegue 
l’accreditamento sul 
conto corrente 
bancario o postale, 
rispettando l’ordine cronologico e l’ordine crescente d’importo”. 


Inoltre, 
il 
successivo 
art. 
181 
dispone 
che 
“Se 
l’accreditamento 
non 
può 
essere 
eseguito 
per 
mancanza 
o 
insufficienza 
di 
fondi, 
il 
concessionario 
dispone 
l’accreditamento, 
per 
l’intero 
o 
per 
il 
residuo, 
nei 
giorni 
immediatamente 
successivi 
e 
fino 
alla 
concorrenza 
della 
somma 
spettante 
al 
beneficiario”. 


Come 
si 
vede, 
tenendo 
conto 
che 
“il 
pagamento 
delle 
spese 
per 
conto 
dell’erario 
è 
eseguito 
[…] 
utilizza(ndo) 
le 
entrate 
del 
bilancio 
dell’erario” 
(art. 
173 
d.P.r. 
115/2002), 
l’ordinamento 
non 
solo 
non 
prevede 
un 
termine 



raSSeGNa 
aVVoCatUra 
DeLLo 
Stato -N. 4/2022 


perentorio 
per 
eseguire 
il 
pagamento, 
ma 
si 
limita 
a 
sancire 
inderogabilmente 
che 
i 
pagamenti 
intervengano 
in 
ordine 
cronologico, 
contemplando 
peraltro 
espressamente 
l’eventualità 
che 
l’accreditamento 
all’avente 
diritto 
in 
ordine 
cronologico 
non 
possa 
essere 
eseguito 
per 
mancanza 
o 
insufficienza 
dei 
fondi, 
disponendo 
in 
tal 
caso 
che 
il 
medesimo 
avvenga 
nei 
giorni 
immediatamente 
successivi, 
ovverosia 
non 
appena 
pervenga 
la 
disponibilità 
di 
fondi: 
ciò 
senza 
che 
la 
disciplina 
preveda 
alcuna 
sanzione, 
né 
la 
decorrenza 
di 
interessi. 


Una 
normativa 
così 
congegnata 
(peraltro resa 
ancor più complessa 
dalle 
disposizioni 
attuative 
e 
dalle 
circolari 
intervenute: 
cfr. il 
doc. n. 3 allegato all’atto 
di 
opposizione) 
lascia 
emergere 
univocamente 
che 
il 
credito 
nascente 
dai 
decreti 
di 
pagamento 
sia 
inesigibile 
fino 
a 
quando 
non 
siano 
stati 
soddisfatti 
tutti 
i 
difensori 
che 
abbiano presentato fattura 
antecedentemente, e 
comunque 
fino a quando non siano stati disposti i fondi a bilancio. 


Una 
normativa 
siffatta 
è 
evidentemente 
derogatoria 
rispetto 
alla 
disciplina 
generale 
delle 
obbligazioni: 
deroga 
che 
trova 
la 
propria 
giustificazione 
in primarie 
ragioni 
di 
ordine 
costituzionale, quali 
il 
principio solidaristico, il 
principio 
di uguaglianza e le esigenze di equilibrio del bilancio dello Stato. 


tali 
ragioni 
non 
sono 
state 
adeguatamente 
ponderate 
dal 
Giudice 
di 
prime 
cure. 


L’accoglimento della 
tesi 
avversaria 
da 
parte 
del 
tribunale 
si 
presta 
a 
determinare 
l’integrale 
stravolgimento dell’assetto normativo ordito dal 
legislatore, 
foriero di plurime conseguenze contrarie all’interesse generale. 


In primo luogo, aderendo alla 
tesi 
in questione 
si 
giungerebbe 
a 
privilegiare 
irrazionalmente 
gli 
avvocati 
che 
richiedano decreto ingiuntivo rispetto 
a 
coloro 
che 
non 
esperiscano 
una 
simile 
iniziativa 
processuale, 
ancorché 
siano 
titolari 
di 
un credito anteriore 
e 
vantino dunque 
un titolo poziore 
per espressa 
previsione normativa. 


In 
secondo 
luogo, 
l’eventuale 
adesione 
di 
codesta 
Corte 
alla 
tesi 
sostenuta 
da 
parte 
avversa 
darebbe 
luogo alla 
proliferazione 
di 
un contenzioso seriale, 
tale 
da 
comportare 
la 
definitiva 
e 
irreversibile 
alterazione 
del 
(ragionevole) 
criterio cronologico designato dal 
legislatore, suscettibile 
di 
produrre 
l’ulteriore 
effetto anticongiunturale 
di 
determinare 
l’incremento esponenziale 
dei 
costi 
sostenuti 
dalla 
collettività 
per assicurare 
il 
patrocinio legale 
ai 
meno abbienti: 
ciò sia 
in termini 
di 
costi 
dell’attività 
giurisdizionale, sia 
in termini 
di 
spese 
giudiziali 
liquidate 
a 
favore 
dei 
creditori 
richiedenti 
decreto ingiuntivo, 
oltre che in termini di interessi decorrenti sulle somme dovute. 


Paradossalmente, 
per 
gli 
avvocati 
interessati 
sarebbe 
più 
conveniente 
non 
essere 
pagati 
tempestivamente, 
in 
modo 
da 
poter 
lucrare 
interessi 
e 
spese 
conseguenti 
alla 
presentazione 
di 
ricorsi 
per decreto ingiuntivo (che 
peraltro diverrebbero 
seriali). 


oltretutto, 
l’accoglimento 
della 
tesi 
avversaria 
si 
presta 
a 
dar 
luogo 
ad 



CoNteNzIoSo 
NazIoNaLe 


abusi, come 
dimostrato con evidenza 
dal 
caso di 
specie, ove 
parte 
avversa 
ha 
preteso 
finanche 
il 
pagamento 
di 
fatture 
presentate 
neanche 
un 
mese 
prima 
del deposito del ricorso per decreto ingiuntivo. 


Le 
considerazioni 
articolate 
da 
questa 
difesa 
sono state 
inopinatamente 
respinte 
dalla 
sentenza 
appellata, ove 
si 
legge 
(a 
p. 10) che 
“la tesi 
di 
parte 
opponente 
secondo cui 
il 
credito del 
professionista ex 
art. 82 d.p.r. 115/2002 
non sarebbe 
di 
origine 
contrattuale, ma assume 
natura di 
indennizzo assoggettato 
ad un meccanismo di 
pagamento condizionato dalla disponibilità di 
fondi 
e 
secondo un rigido ordine 
cronologico, sì 
che 
il 
pagamento potrebbe 
essere 
effettuato 
solo 
dopo 
che 
gli 
avvocati, 
che 
abbiano 
presentato 
la 
propria 
fattura 
antecedentemente, 
siano 
stati 
pagati, 
finisce 
per 
trasformare 
un 
credito 
originato dalla prestazione 
di 
un servizio a seguito della nomina quale 
difensore 
di 
ufficio o su incarico della parte 
ammessa al 
patrocinio a spese 
dello 
Stato, ma pur 
sempre 
funzionale 
all’esercizio di 
difesa ed al 
funzionamento 
dell’apparato 
giudiziario, 
introducendo 
una 
differenziazione 
in 
alcun 
modo 
prevista dal 
legislatore 
e 
lasciando il 
creditore 
esposto alla più totale 
incertezza 
sul 
momento del 
pagamento temperata dal 
solo sforzo organizzativo del 
funzionario delegato al pagamento”. 


tale interpretazione è errata sotto più profili. 

In primo luogo, a 
prescindere 
dalla 
(opinabile) qualificazione 
dell’obbligazione 
gravante 
sul 
Ministero 
come 
“indennitaria”, 
è 
evidente 
che 
non 
si 
tratti 
di 
una 
obbligazione 
contrattuale 
in senso stretto, ma 
di 
una 
obbligazione 
ex 
lege 
ai 
sensi 
dell’art. 
1173 
c.c., 
discendente 
dalle 
disposizioni 
attuative 
dell’art. 24, comma 3, Cost. 


È 
in virtù di 
tali 
previsioni 
che 
lo Stato è 
vincolato a 
remunerare 
l’opera 
dei 
professionisti; 
non 
certo 
in 
virtù 
della 
stipulazione 
di 
un 
contratto 
(che 
nella 
specie 
è 
insussistente), né 
della 
“prestazione 
di 
un servizio” 
in sé 
e 
per 
sé considerata. 


In 
altri 
termini, 
la 
fonte 
del 
diritto 
del 
difensore 
a 
ricevere 
una 
prestazione 
pecuniaria 
dallo Stato va 
ravvisata 
nella 
legge: 
il 
che 
esclude 
la 
sussumibilità 
del caso di specie in una consueta prestazione di servizi. 


La 
fattispecie 
sembra 
peraltro sovrapponibile 
alla 
diversa 
evenienza 
esaminata 
dalla 
Suprema 
Corte 
(anche 
a 
Sezioni 
Unite) 
e 
relativa 
alle 
prestazioni 
dovute 
alle 
farmacie 
dalle 
aziende 
Sanitarie 
Locali 
in 
corrispondenza 
della 
vendita 
dei 
farmaci 
di 
fascia 
a: 
caso 
nel 
quale 
“la 
fonte 
del 
rapporto 
è 
nel 
caso propriamente 
da ravvisarsi 
non già in un negozio bensì 
nel 
regolamento 
che 
ha reso esecutivo l’accordo collettivo nazionale 
per 
la disciplina dei 
rapporti 
con 
le 
farmacie 
pubbliche 
e 
private, 
così 
escludendo 
la 
sussistenza 
di 
una transazione 
commerciale” 
(così 
Cass. civ., Sez. Un., 20 novembre 
2020, 


n. 26496, citando Cass. civ., Sez. III, 8 marzo 2017 n. 5796), anche 
tenendo 
conto 
del 
principio 
espresso 
da 
“Cass. 
sez. 
3, 
10 
aprile 
2019 
n. 
9991, 
rv 
653427-02 -che 
a ciò aggiunge 
la qualificazione 
del 
farmacista quale 
seg

raSSeGNa 
aVVoCatUra 
DeLLo 
Stato -N. 4/2022 


mento del 
Servizio Sanitario nazionale 
onde 
la sua attività in esecuzione 
del 
rapporto concessorio con l’azienda Sanitaria Locale 
ha natura pubblicistica 
per 
la 
tutela 
della 
salute 
collettiva, 
incompatibile 
dunque 
con 
il 
paradigma 
della 
transazione 
commerciale” 
(così 
ancora 
Cass. 
civ., 
Sez. 
Un., 
20 
novembre 
2020, n. 26496, che sarà più ampiamente analizzata 
infra). 


Come 
perspicuamente 
illustrato 
dalle 
Sezioni 
Unite 
nella 
citata 
sentenza, 
“La 
dispensazione 
dei 
c.d. 
farmaci 
di 
classe 
a 
si 
differenzia, 
invero, 
in 
modo 
netto 
da 
ogni 
altra 
attività 
del 
farmacista, 
in 
quanto 
per 
questo 
genere 
di 
farmaci 
la 
dispensazione 
non 
può 
giustificare 
un 
immediato 
corrispettivo 
dell’assistito, 
essendo 
questo 
titolare 
del 
diritto 
a 
riceverli 
quale 
concretizzazione 
del 
fondamentale 
diritto 
alla 
salute 
di 
cui 
all’art. 
32 
Cost. 
[…] 
invero, 
è 
proprio 
questa 
delimitata 
compartecipazione 
all’entità 
pubblica 
con 
correlato 
spoglio 
della 
natura 
imprenditoriale 
che 
ha 
condotto 
a 
riconoscere 
alla 
attività 
del 
farmacista, 
anche 
in 
dottrina 
appunto, 
una 
natura 
“ibrida” 
o 
comunque 
improntata 
ad 
una 
“doppia 
vocazione”, 
id 
est 
sia 
all’attività 
economica 
sia 
all’attività 
di 
pubblico 
servizio, 
con 
conseguenti 
ricadute 
sulla 
relativa 
disciplina, 
in 
cui 
coesistono 
tratti 
di 
libera 
impresa 
e 
tratti 
di 
servizio 
pubblico 
regolamentato”. 


Così 
come 
i 
farmacisti 
-di 
per sé 
qualificabili 
come 
esercenti 
un’attività 
imprenditoriale 
-sono considerati 
dal 
legislatore 
alla 
stregua 
di 
segmenti 
del 
SSN 
nella 
loro 
attività 
di 
vendita 
di 
farmaci 
di 
fascia 
a 
(in 
esecuzione 
di 
un’attività 
di 
natura 
pubblicistica 
perché 
preordinata 
alla 
tutela 
della 
salute 
collettiva), 
così 
gli 
avvocati 
-di 
per 
sé 
qualificabili 
come 
esercenti 
un’attività 
professionale 
-sono considerati 
dal 
legislatore 
alla 
stregua 
di 
segmenti 
del 
sistema 
nazionale 
del 
patrocinio a 
spese 
dello Stato, allorquando assumono la 
difesa 
di 
soggetti 
non 
abbienti, 
nel 
rispetto 
del 
d.P.r. 
115/2002 
e 
in 
esecuzione 
di 
un’attività 
di 
natura 
pubblicistica 
perché 
preordinata 
alla 
realizzazione 
dei 
fini impressi dall’art. 24, comma 3, Cost. 


In altri 
termini, nel 
prestare 
attività 
difensiva 
a 
favore 
dei 
non abbienti, i 
difensori 
assumono 
la 
qualità 
di 
prestatori 
di 
un 
pubblico 
servizio, 
secondo 
una 
disciplina 
(dettata 
dal 
d.P.r. 115/2002) che 
presenta 
ampi 
tratti 
di 
specialità 
rispetto a quella delle obbligazioni in generale. 


alla 
luce 
di 
quanto 
sopra, 
non 
può 
dirsi 
che 
questa 
difesa 
abbia 
proceduto 
“introducendo una differenziazione 
in alcun modo prevista dal 
legislatore”; 
si 
tratta 
al 
contrario 
di 
una 
differenziazione 
prevista 
proprio 
dal 
legislatore, 
nel 
dettare 
una 
disciplina 
speciale 
orientata 
al 
fine 
di 
razionalizzare 
il 
pagamento 
di 
tutti 
i 
difensori 
che 
(in tutta 
Italia) prestino attività 
in favore 
di 
soggetti 
ammessi 
al 
patrocinio 
a 
spese 
dello 
Stato: 
disciplina 
che 
prevede 
l’inesigibilità 
dei 
crediti 
fino 
allo 
stanziamento 
dei 
fondi 
da 
parte 
del 
Ministero 
e 
fino al 
pagamento delle 
istanze 
pregresse 
nel 
rispetto dell’ordine 
cronologico, 
senza decorrenza di interessi ai sensi degli artt. 1282, 1284, 1224 c.c. 


In 
definitiva, 
i 
primari 
interessi 
pubblicistici 
sottesi 
alla 
disciplina 
dapprima 
ripercorsa 
vengono 
a 
delineare 
un 
pagamento 
certus 
an 
ma 
incertus 
quando, 
su



CoNteNzIoSo 
NazIoNaLe 


bordinato 
al 
perfezionamento 
del 
procedimento 
di 
controllo 
ex 
art. 
173 
ss. 
d.P.r. 
115/02 
e 
(soprattutto) 
allo 
stanziamento 
dei 
fondi 
in 
sede 
di 
bilancio, 
in 
contemperamento 
tra 
le 
diverse 
esigenze 
alle 
quali 
la 
spesa 
pubblica 
è 
preordinata. 


Va 
peraltro 
evidenziato 
come 
l’interpretazione 
qui 
proposta 
non 
comporti 
il 
rischio di 
vedere 
posticipati 
sine 
die 
i 
pagamenti 
delle 
competenze 
riconosciute 
con decreto 
ex 
art. 82 d.P.r. 115/02, tenuto conto che 
la 
mancata 
previsione 
di 
un termine 
non va 
a 
detrimento degli 
interessati, che 
conoscono ex 
ante 
tale 
regime 
di 
pagamento e 
tacitamente 
lo accettano, nel 
momento in cui 
decidono di prestare attività in regime di patrocinio a spese dello Stato. 


[…] 


In 
altri 
termini, 
sembra 
che 
parte 
avversa, 
dopo 
essersi 
visto 
liquidare 
l’ultima 
fattura 
presentata 
nel 
2018 
a 
distanza 
di 
soli 
quattro 
mesi, 
dipinga 
come 
un sacrificio intollerabile 
un’attesa 
senz’altro non eccessiva, che 
egli 
è 
tenuto a 
sopportare 
sulla 
base 
della 
normativa 
pertinente 
(dal 
medesimo senz’altro 
conosciuta 
allorquando ha 
deciso di 
assistere 
persone 
ammesse 
al 
gratuito 
patrocinio), che 
lo chiama 
ad attendere 
in adempimento di 
un obbligo di 
solidarietà riconducibile all’art. 2 Cost. 


D’altra 
parte, l’ordinamento contempla 
strumenti 
idonei 
a 
conoscere 
lo 
stato 
della 
pratica, 
ad 
accellerarne 
l’avanzamento 
e 
a 
controllare 
che 
il 
suo 
svolgimento sia 
corretto (ad esempio verificando il 
rispetto dell’inderogabile 
criterio cronologico): 
si 
pensi 
alla 
facoltà 
di 
chiedere 
accesso agli 
atti 
ovvero 
di 
sollecitare 
una 
risposta 
da 
parte 
dell’amministrazione, 
con 
possibilità 
di 
proporre azione avverso il silenzio ex 
art. 31 c.p.a. 


Del 
resto, 
gli 
interessati, 
pur 
non 
potendo 
ricorrere 
al 
rito 
monitorio 
a 
fronte 
dell’inesigibilità 
dell’obbligazione, restano liberi 
di 
agire 
in via 
ordinaria 
per 
l’accertamento 
dei 
loro 
crediti, 
al 
pari 
di 
tutti 
i 
creditori 
titolari 
di 
crediti inesigibili. 


[…] 


L’inesigibilità 
porta 
con sé 
l’inammissibilità 
del 
ricorso per decreto ingiuntivo 
e 
la 
non debenza 
di 
interessi 
corrispettivi, invece 
liquidati 
dalla 
sentenza 
impugnata 
in 
base 
a 
statuizioni 
ampiamente 
confutate 
nell’atto 
di 
appello, al quale ci si riporta integralmente. 

In questa 
sede 
basti 
rilevare 
che 
ai 
sensi 
dell’art. 1282 c.c. gli 
interessi 
maturano soltanto in relazione 
a 
“crediti 
liquidi 
ed esigibili”, tra 
i 
quali 
non 
può essere 
annoverata 
la 
situazione 
soggettiva 
azionata 
da 
controparte, per le 
ragioni 
supra 
evidenziate. 


La 
inopinata 
assimilazione 
della 
prestazione 
svolta 
in 
regime 
di 
patrocinio 
a 
spese 
dello Stato ad una 
prestazione 
di 
servizi 
tout 
court 
ha 
altresì 
condotto 
il 
tribunale 
a 
ritenere 
applicabile 
la 
disciplina 
dettata 
dal 
D.lgs. 231/2002, secondo 
una soluzione che non può in alcun modo trovare accoglimento. 


Secondo il 
primo giudice 
la 
disciplina 
del 
d.P.r. 115/2002 avrebbe 
rilevanza 
meramente 
interna 
“senza 
però 
intaccare 
la 
disciplina 
di 
diritto 
comune, 



raSSeGNa 
aVVoCatUra 
DeLLo 
Stato -N. 4/2022 


ivi 
compresa 
quella 
contenuta 
nel 
D.Lgs. 
231/2002 
(e 
successive 
modifiche 
apportate 
dal 
D.Lgs. 
192/2012), 
poiché 
la 
natura 
dell’attività 
resa 
dal 
prestatore 
di 
servizi 
non muta anche 
nell’ipotesi 
sui 
generis 
di 
conferimento del-
l’incarico ad opera del 
giudice 
e, men che 
meno, in caso di 
nomina fatta dal 
cliente 
ma con onere 
del 
patrocinio a spese 
dello Stato. Quella del 
professionista 
legale 
rimane 
pur 
sempre 
una prestazione 
di 
servizi, nell’ambito delle 


c.d. professioni 
ad accesso riservato, di 
natura privatistica in ogni 
caso attuativa 
degli artt. 3 e 24 cost. 
infatti, in base 
all’art. 1 D.lgs. 231/2002, come 
modificato dal 
D.Lgs. 9 
novembre 
2012, n. 192 (“modifiche 
al 
decreto legislativo 9 ottobre 
2002, n. 
231, per 
l’integrale 
recepimento della direttiva 2011/7/UE 
relativa alla lotta 
contro i 
ritardi 
di 
pagamento nelle 
transazioni 
commerciali, a norma dell’articolo 
10, comma 1, della legge 
11 novembre 
2011, n. 180. (12G0215)”), le 
disposizioni 
ivi 
contenute 
“si 
applicano ad ogni 
pagamento effettuato a titolo 
di corrispettivo in una transazione commerciale”. 

Secondo 
l’art. 
2 
D.Lgs. 
231/2002 
sono 
transazioni 
commerciali: 
“i 
contratti, 
comunque 
denominati, 
tra 
imprese 
ovvero 
tra 
imprese 
e 
pubbliche 
amministrazioni, 
che 
comportano, 
in 
via 
esclusiva 
o 
prevalente, 
la 
consegna 
di 
merci 


o 
la 
prestazione 
di 
servizi 
contro 
il 
pagamento 
di 
un 
prezzo”, 
mentre 
per 
imprenditore 
deve 
intendersi 
“ogni 
soggetto 
esercente 
un’attività 
economica 
organizzata 
o 
una 
libera 
professione”. 
L’articolato 
non 
distingue 
il 
modo 
con 
cui 
si 
origina 
il 
rapporto 
contrattuale, 
né, 
come 
sì 
è 
detto 
vi 
sono 
elementi 
per 
poter 
ritenere 
la 
natura 
diversa 
della 
prestazione 
resa 
(v., 
a 
contrario, 
Cass., 
sez. 
un., 
20 
novembre 
2020, 
n. 
26496 
riguardo 
ai 
crediti 
dei 
farmacisti 
verso 
il 
SSn 
con 
riferimento 
ai 
farmaci 
di 
fascia 
a). 
né 
è 
di 
ostacolo 
la 
definizione 
di 
pubblica 
amministrazione 
contenuta 
nell’art. 
2, 
comma 
primo, 
lett. 
b), 
tenuto 
conto 
del-
l’avvenuta 
abrogazione 
del 
D.Lgs. 
163/2006 
ad 
opera 
del 
D.Lgs. 
50/2016”. 
tale 
ordine 
di 
argomentazioni 
è 
meritevole 
di 
integrale 
riforma, finendo 
per 
ampliare 
a 
dismisura 
gli 
oneri 
gravanti 
sullo 
Stato 
(e 
in 
ultima 
analisi 
sulla 
collettività tutta) in assenza di una disposizione di legge in tal senso. 


Premesso che 
nel 
caso di 
specie 
non si 
è 
in presenza 
della 
prestazione 
di 
un servizio in favore 
dello Stato, è 
un fuor d’opera 
il 
riferimento operato alla 
direttiva 
2011/7/Ue, testualmente 
riferita 
ai 
“ritardi 
di 
pagamento nelle 
transazioni 
commerciali”, tra 
le 
quali 
non può in alcun modo essere 
annoverato il 
pagamento dell’attività prestata in regime di gratuito patrocinio. 

Depongono in tal 
senso non solo le 
illustrate 
finalità 
pubblicistiche 
che 
innervano l’istituto, ma 
anche 
la 
stessa 
natura 
del 
credito derivante 
dalla 
prestazione 
di 
attività 
difensiva 
a 
favore 
di 
soggetti 
ammessi 
al 
patrocinio 
a 
spese 
dello Stato: 
quest’ultimo è 
tenuto a 
corrispondere 
la 
somma 
indicata 
nel 
decreto 
di 
pagamento non certo sulla 
scorta 
di 
un contratto, bensì 
sulla 
scorta 
di 
un puntuale disposto normativo. 

Non 
a 
caso, 
per 
espressa 
disposizione 
di 
legge 
l’importo 
da 
corrispondere 



CoNteNzIoSo 
NazIoNaLe 


in 
caso 
di 
patrocinio 
a 
spese 
dello 
Stato 
può 
essere 
inferiore 
al 
minimo 
tabellare: 
il 
che 
contribuisce 
ad 
asseverare 
che 
la 
somma 
in 
parola 
non 
è 
dovuta 
a 
titolo 
contrattuale 
ed 
a 
porne 
in 
luce 
la 
differenza 
rispetto 
alle 
comuni 
obbligazioni, 
tale 
da 
giustificare 
una 
divaricazione 
rispetto 
alla 
disciplina 
dettata 
dal 
Libro 
IV 
del 
codice 
civile. 
Né 
può 
valorizzarsi 
in 
senso 
contrario 
la 
presentazione 
della 
fattura, 
che 
è 
imposta 
dal 
d.P.r. 
115/02 
soltanto 
per 
ragioni 
contabili. 


ad 
ogni 
modo, 
anche 
a 
voler 
esaminare 
la 
disciplina 
dettata 
dal 
D.lgs. 
231/2002 
(recante 
la 
trasposizione 
della 
direttiva 
de 
qua), 
ci 
si 
avvedrà 
che 
anche 
nel 
caso 
di 
transazioni 
commerciali 
(evidentemente 
prive 
delle 
tensioni 
solidaristiche 
che 
permeano il 
c.d. gratuito patrocinio) l’ordinamento prevede 
la 
possibilità 
di 
assoggettare 
le 
“transazioni 
commerciali 
in cui 
il 
debitore 
è 
una pubblica amministrazione” 
a 
termini 
ben più lunghi 
di 
quelli 
previsti 
in 
via 
generale: 
si 
può 
giungere 
a 
sessanta 
giorni 
“quando 
ciò 
sia 
oggettivamente 
giustificato dalla natura particolare 
del 
contratto o da talune 
sue 
caratteristiche” 
(art. 4, comma 
4) o anche 
ad un termine 
superiore 
non individuato nel 
massimo, 
“quando 
è 
prevista 
una 
procedura 
diretta 
ad 
accertare 
la 
conformità 
della merce 
o dei 
servizi 
al 
contratto […] purché 
ciò non sia gravemente 
iniquo 
per il creditore” (art. 4, comma 6). 


In 
altri 
termini, 
se 
perfino 
nel 
settore 
delle 
transazioni 
commerciali 
si 
ammette 
la 
possibilità 
di 
prevedere 
termini 
di 
pagamento ben più lunghi 
dell’ordinario 
in 
presenza 
di 
ragioni 
oggettive 
o 
di 
particolari 
procedure 
di 
controllo, 
a fortiori 
dovrà 
ammettersi 
un termine 
più elastico per i 
pagamenti 
degli 
onorari 
dovuti 
ai 
sensi 
dell’art. 82 d.P.r. 115/02: 
il 
che 
è 
peraltro senz’altro prevedibile 
per 
il 
creditore 
istante, 
alla 
luce 
dell’iter 
procedimentale 
descritto 
dal 
testo unico sulle spese di giustizia. 


Dunque, anche 
ragioni 
di 
ordine 
logico impongono di 
non assoggettare 
il 
pagamento dei 
crediti 
da 
spese 
di 
giustizia 
ad un trattamento deteriore 
rispetto 
a 
quello 
riservato 
alle 
transazioni 
commerciali: 
il 
che 
conduce 
a 
ritenere 
inesigibile 
il 
pagamento prima 
del 
compiuto corso del 
procedimento amministrativo 
diretto ad accertare la conformità dell’istanza alla legge. 

Non si 
ignora 
che 
il 
dispositivo della 
sentenza 
impugnata 
non impone 
il 
pagamento 
di 
interessi 
ai 
sensi 
del 
D.lgs. 
231/2002 
se 
non 
in 
virtù 
dell’art. 
1284, comma 4, c.c. 
(che 
comunque 
non potrà 
trovare 
applicazione 
una 
volta 
che 
si 
escluda 
l’esigibilità 
delle 
somme 
e 
la 
conseguente 
azionabilità 
in 
via 
monitoria), 
ma 
la 
necessità 
di 
interpretare 
il 
dispositivo 
in 
uno 
alla 
motivazione 
impone 
di 
riformare 
integralmente 
quest’ultima, 
anche 
considerando 
la 
sua 
eccentricità rispetto alla disciplina vigente. 


Peraltro, 
la 
stessa 
pronuncia 
giurisprudenziale 
citata 
dalla 
sentenza 
appellata 
appare 
deporre 
nel 
senso di 
escludere 
la 
debenza 
degli 
interessi 
in parola 
nel 
caso di 
specie: 
infatti 
la 
già 
citata 
Cass. civ., Sez. Un., 20 novembre 
2020, n. 26496 ha 
riconosciuto che 
“il 
tasso di 
interesse 
di 
cui 
all’art. 5 d.lg. 


n. 231 del 
2002, nel 
testo anteriore 
alla novellazione 
di 
cui 
al 
d.lg. n. 192 nel 

raSSeGNa 
aVVoCatUra 
DeLLo 
Stato -N. 4/2022 


2012, non è 
applicabile 
all’ipotesi 
di 
ritardo con il 
quale 
la pubblica amministrazione 
competente 
abbia corrisposto al 
farmacista la seconda quota di 
ristoro relativa alla dispensazione 
dei 
farmaci 
di 
classe 
a 
-con conseguente 
riconoscimento degli 
interessi 
all’ordinario tasso legale 
-in quanto, limitatamente 
a tale 
dispensazione, il 
farmacista è 
componente 
del 
servizio sanitario 
nazionale 
e 
non è 
qualificabile 
come 
“imprenditore”, ovvero “soggetto esercente 
un’attività 
economica 
organizzata 
o 
una 
libera 
professione”, 
ai 
sensi 
dell’art. 2, comma 1, lett. c) del 
suddetto decreto legislativo”, sulla 
base 
di 
argomentazioni 
perfettamente sovrapponibili al caso di specie. 


rinviando a 
quanto già 
argomentato nel 
precedente 
punto 3, va 
sottolineato 
-per 
quanto 
più 
interessa 
-che 
le 
Sezioni 
Unite 
hanno 
valorizzato 
“Cass. 
sez. 3, 8 marzo 2017 n. 5796, non massimata, la quale 
è 
del 
tutto conforme 
a 
Cass. 
sez. 
3, 
28 
febbraio 
2017 
n. 
5042, 
rv 
643178-01 
(emessa 
dallo 
stesso 
collegio 
nella 
medesima 
udienza), 
massimata 
come 
segue: 
“in 
materia 
di 
rapporti 
tra il 
Servizio sanitario nazionale 
e 
le 
farmacie 
pubbliche 
e 
private, il 
saggio 
di 
interessi 
previsto 
dal 
D.Lgs. 
n. 
231 
del 
2002 
è 
inapplicabile 
ai 
crediti 
derivanti 
dall’erogazione 
dell’assistenza 
farmaceutica 
per 
conto 
delle 
aSL, 
atteso che 
tale 
rapporto deriva da una fonte, non negoziale, ma legale 
ed amministrativa 
[…] 
il 
punto è 
che 
la fonte 
del 
rapporto non è 
un negozio, ma un 
regolamento, essendo stato reso esecutivo l’accordo collettivo nazionale 
per 
la disciplina dei 
rapporti 
con le 
farmacie 
pubbliche 
e 
private 
con D.P.r. Gli 
effetti 
giuridici 
sono 
riconducibili 
non 
all’accordo, 
ma 
al 
decreto 
che 
lo 
rende 
esecutivo. 
[…]”. 
[…] 
Sulla stessa linea si 
è 
in seguito posta, estendendo -in 
aggiunta, 
e 
non, 
appunto, 
in 
divergenza 
-le 
argomentazioni 
dalla 
fonte 
del 
debito 
alla 
natura 
soggettiva 
del 
debitore, 
Cass. 
sez. 
3, 
10 
aprile 
2019 
n. 
9991, 
già citata, la cui 
massima è 
la seguente: 
“il 
tasso di 
interesse 
di 
cui 
al 
D.Lgs. 


n. 231 del 
2002, art. 5 non è 
applicabile 
ai 
crediti 
derivanti 
dall’erogazione 
dell’assistenza farmaceutica per 
conto delle 
aSL, dal 
momento che 
l’attività 
di 
dispensazione 
dei 
farmaci 
e 
dei 
dispositivi 
medici, svolta dal 
farmacista in 
esecuzione 
del 
rapporto concessorio con l’azienda sanitaria locale, essendo 
intesa 
a 
realizzare, 
quale 
segmento 
del 
servizio 
sanitario 
nazionale, 
l’interesse 
pubblico 
della 
tutela 
della 
salute 
collettiva, 
ha 
natura 
pubblicistica 
e, 
pertanto, 
non può essere 
inquadrata nel 
paradigma della transazione 
commerciale 
di 
cui all’art. 2, comma 1, lett. a) citato decreto legislativo”. 
In altri 
termini, “non si 
discute 
dell’applicabilità o meno degli 
interessi 
moratori 
di 
origine 
comunitaria nei 
rapporti 
contrattuali 
in cui 
una parte 
è 
una pubblica amministrazione, id est 
non si 
mette 
in dubbio l’idoneità in generale 
della pubblica amministrazione 
a stipulare 
una ‘transazione 
commerciale’, 
species 
negoziale 
introdotta nel 
sistema normativo interno dal 
D.Lgs. 


n. 231 del 
2002. 
oggetto della discussione 
è, invece, la sussistenza o meno di 
una 
“transazione 
commerciale” 
tra 
le 
aziende 
sanitarie 
locali 
del 
servizio 
sanitario 
nazionale 
e 
il 
farmacista 
allorquando 
questi 
effettua 
assistenza 
far

CoNteNzIoSo 
NazIoNaLe 


maceutica dispensando, a seguito di 
prescrizione 
medica a sua volta emessa 
in 
conformità 
alle 
regole 
governanti 
il 
servizio 
sanitario 
nazionale, 
al 
soggetto 
assistito 
i 
farmaci 
di 
classe 
a, 
ovvero 
i 
farmaci 
per 
cui 
il 
farmacista 
non 
riceve 
corrispettivo dall’assistito bensì 
ottiene, parzialmente 
in anticipo e 
parzialmente 
in epoca successiva, un riequilibrio in termini 
economici 
dalla competente 
azienda 
sanitaria 
locale. 
occorre 
quindi 
chiarire 
se 
tale 
riequilibrio 
economico 
integra 
nell’ottica 
giuridica 
la 
prestazione 
corrispettiva 
di 
una 
“transazione 
commerciale” 
oppure 
costituisce 
un 
ristoro 
non 
incastonabile 
in 
un 
siffatto 
negozio 
-che 
pertanto 
non 
sussisterebbe 
nella 
fattispecie 
-, 
bensì 
direttamente 
ed 
esclusivamente 
inserito 
entro 
il 
paradigma 
del 
funzionamento 
del 
servizio sanitario nazionale 
in quanto tale. […] il 
nucleo che 
in effetti 
impronta 
la fattispecie 
in esame 
risiede 
peraltro nella specificità, ontologica e 
pertanto 
teleologica, 
dell’assistenza 
farmaceutica”, 
sussistente 
in 
misura 
tale 
da incidere 
anche 
sulla natura di 
chi, in correlazione/coordinazione 
con altri 
compartecipi, la pratica. 


La 
dispensazione 
dei 
c.d. 
farmaci 
di 
classe 
a 
si 
differenzia, 
invero, 
in 
modo 
netto 
da 
ogni 
altra 
attività 
del 
farmacista, 
in 
quanto 
per 
questo 
genere 
di 
farmaci 
la 
dispensazione 
non 
può 
giustificare 
un 
immediato 
corrispettivo 
dell’assistito, 
essendo 
questo 
titolare 
del 
diritto 
a 
riceverli 
quale 
concretizzazione 
del 
fondamentale 
diritto 
alla 
salute 
di 
cui 
all’art. 
32 
Cost., 
di 
cui 
l’abbisognare 
di 
tali 
farmaci 
costituisce 
una 
species 
dei 
presupposti 
dell’esercizio 
(cfr., 
p. 
es., 
già 
Cass. 
sez. 
L, 
29 
marzo 
2005 
n. 
6598, 
rv 
58099301, 
e 
Cass. 
sez. 
L, 
10 
luglio 
2007 
n. 
15386, 
rv 
598550-01, 
nonchè 
S.U. 
ord. 
22 
febbraio 
2012 
n. 
2570, 
rv 
621211-01). 
Qualificarne 
la 
dispensazione 
come 
“attività 
economica 
organizzata” 
da 
parte 
del 
farmacista 
o 
anche 
soltanto 
svolgimento 
di 
“libera 
professione” 
(in 
riferimento 
al 
D.Lgs. 
n. 
231 
del 
2002, 
art. 
2, 
comma 
1, 
lett. 
c), 
non 
trova 
dunque 
supporto 
nella 
reale 
configurazione 
di 
una 
siffatta 
attività, 
che 
si 
inserisce 
in 
toto 
nell’espletamento 
del 
servizio 
sanitario 
nazionale 
quanto, 
appunto, 
alla 
assistenza 
farmaceutica 
in 
senso 
proprio, 
e 
che 
si 
colloca 
nel 
rapporto 
stretto 
e 
diretto, 
proprio 
della 
sua 
piena 
realizzazione, 
con 
il 
pubblico 
interesse 
sotteso 
a 
detto 
servizio, 
a 
sua 
volta 
riconducibile 
all’obbligo 
dello 
Stato, 
condiviso 
con 
le 
regioni 
ex 
art. 
117 
Cost., 
comma 
3, 
di 
tutelare 
il 
diritto 
alla 
salute 
-non 
a 
caso 
infatti, 
è 
agevole 
rilevare, 
l’art. 
32 
Cost. 
è 
strutturato 
prendendo 
le 
mosse 
non 
dal 
diritto 
individuale 
e 
dall’interesse 
collettivo, 
bensì 
dall’obbligo 
istituzionale: 
“La 
repubblica 
tutela 
la 
salute...”. 
[…] 
invero, 
è 
proprio 
questa 
delimitata 
compartecipazione 
all’entità 
pubblica 
con 
correlato 
spoglio 
della 
natura 
imprenditoriale 
che 
ha 
condotto 
a 
riconoscere 
alla 
attività 
del 
farmacista, 
anche 
in 
dottrina 
appunto, 
una 
natura 
“ibrida” 
o 
comunque 
improntata 
ad 
una 
“doppia 
vocazione”, 
id 
est 
sia 
all’attività 
economica 
sia 
all’attività 
di 
pubblico 
servizio, 
con 
conseguenti 
ricadute 
sulla 
relativa 
disciplina, 
in 
cui 
coesistono 
tratti 
di 
libera 
impresa 
e 
tratti 
di 
servizio 
pubblico 
regolamentato. 
[…] 
E 
dunque, 
dissezionando 
la 
giustapposta 
duplice 
natura 



raSSeGNa 
aVVoCatUra 
DeLLo 
Stato -N. 4/2022 


dell’attività 
del 
farmacista 
-riconducibile 
l’una 
alla 
libera 
professione 
e 
l’altra 
al 
pubblico 
servizio 
-così 
da 
estrarre 
quella 
che 
viene 
in 
gioco 
ai 
fini 
della 
dispensazione 
dei 
farmaci 
di 
classe 
a, 
non 
può 
non 
concludersi 
che 
in 
questa 
il 
farmacista 
è 
direttamente 
e 
specificamente 
inserito 
nel 
servizio 
sanitario 
nazionale, 
come 
suo 
segmento, 
onde 
non 
è 
qualificabile, 
ai 
fini 
dell’applicazione 
del 
D.Lgs. 
n. 
231 
del 
2002, 
come 
“imprenditore”, 
ovvero 
“soggetto 
esercente 
un’attività 
economica 
organizzata 
o 
una 
libera 
professione”, 
ai 
sensi 
dell’art. 
2, 
comma 
1, 
lett. 
c) 
suddetto 
D.Lgs.”. 


a 
parere 
di 
questa 
difesa, è 
veramente 
difficile 
non applicare 
al 
caso di 
specie 
le 
medesime 
coordinate 
dettate 
dalle 
Sezioni 
Unite 
in relazione 
all’attività 
del farmacista. 


Invero, 
la 
prestazione 
di 
attività 
difensiva 
in 
favore 
dei 
non 
abbienti 
e 
nel 
paradigma 
tracciato dal 
d.P.r. 115/2002 si 
differenzia in modo netto da ogni 
altra attività dell’avvocato, in quanto per 
questo genere 
di 
attività la dispensazione 
non 
può 
giustificare 
un 
immediato 
corrispettivo 
dell’assistito, 
essendo 
questo titolare 
del 
diritto a riceverli 
quale 
concretizzazione 
del 
fondamentale 
diritto 
di difesa di cui all’art. 24, comma 3, Cost. 


E 
dunque, 
dissezionando 
la 
giustapposta 
duplice 
natura 
dell’attività 
dell’avvocato 
-riconducibile 
l’una 
alla 
libera 
professione 
e 
l’altra 
al 
pubblico 
servizio 
-così 
da 
estrarre 
quella 
che 
viene 
in 
gioco 
ai 
fini 
della 
dispensazione 
di 
attività 
difensiva 
in favore 
dei 
non abbienti, non può non concludersi 
che 
in questa 
l’avvocato 
è 
direttamente 
e 
specificamente 
inserito 
nel 
sistema 
del 
patrocinio a 
spese 
dello Stato, come 
suo segmento, onde 
non è 
qualificabile, 
ai 
fini 
dell’applicazione 
del 
D.Lgs. 
n. 
231 
del 
2002, 
come 
“imprenditore”, 
ovvero 
“soggetto esercente 
un’attività economica organizzata o una libera professione”, 
ai sensi dell’art. 2, comma 1, lett. c) suddetto D.Lgs.». 


Guido Di Biase* 


Corte 
d’appello 
di 
Venezia, 
Sezione 
quarta 
civile, 
sentenza 
15 
febbraio 
2023 
n. 
210 
-Pres. 


M. Campagnolo - Ministero della Giustizia (avv. Stato Venezia) c. omissis. 
(...) 
per la 
parte 
appellante 
accertato e 
dichiarato che 
la 
somma 
di 
€ 19.766,40 oggetto del 
decreto 
ingiuntivo 
trib. 
Venezia 
n. 
3222/2019 
è 
stata 
interamente 
corrisposta 
dal 
Ministero 
della 
Giustizia 
all’avvocato riformare 
integralmente 
la 
sentenza 
del 
tribunale 
di 
Venezia 
n. 161/2022 
e 
conseguentemente 
accertare 
e 
dichiarare 
che 
nulla 
è 
dovuto dal 
Ministero della 
Giustizia 
all’avvocato a 
titolo di 
interessi 
e 
spese, a 
fronte 
dell’inesigibilità 
dei 
crediti 
azionati; 
in ogni 
caso, in riforma 
della 
sentenza 
appellata, voglia 
codesta 
Ill.ma 
Corte 
accertare 
e 
dichiarare 


(*) avvocato dello Stato. 



CoNteNzIoSo 
NazIoNaLe 


che 
i 
crediti 
azionati 
non 
sono 
soggetti 
alla 
disciplina 
prevista 
dal 
D.lgs. 
231/2002 
per 
i 
ritardi 
dei 
pagamenti 
nelle 
transazioni 
commerciali; 
spese 
del 
doppio grado di 
giudizio rifuse, o in 
subordine compensate; 
per la 
parte 
appellata: 
rigettare 
l’appello proposto dal 
Ministero della 
Giustizia, in quanto infondato 
in fatto e 
in diritto, oltre 
che 
destituito di 
qualsiasi 
fondamento, confermando integralmente 
la 
Sentenza 
del 
tribunale 
di 
Venezia 
n. 161/2022. Condannare 
il 
Ministero della 
Giustizia, in persona 
del 
Ministro pro-tempore 
alla 
rifusione 
dei 
danni 
ex art. 96 cpc 
per aver 
agito con colpa 
grave, impugnando una 
sentenza 
oltre 
il 
termine 
perentorio di 
legge, al 
solo 
fine 
di 
non 
rispettare 
i 
propri 
impegni 
e 
doveri, 
con 
liquidazione 
in 
via 
equitativa. 
In 
ogni 
caso con rifusione integrale di spese e compensi del giudizio d’appello. 


CoNCISa eSPoSIzIoNe DeLLe raGIoNI 


IN Fatto e DIrItto DeLLa DeCISIoNe 


1. Con sentenza 
n. 161/2022 il 
tribunale 
di 
Venezia 
ha 
così 
deciso: 
«1. revoca il 
decreto ingiuntivo 
n. 3222/2019 emesso il 
30.12.2019 dal 
tribunale 
di 
venezia; 2. condanna il 
ministero 
della 
Giustizia, 
in 
persona 
del 
ministro 
p.t., 
al 
pagamento 
in 
favore 
dell’avvocato 
di 
€ 
2.516,98 
(fatture 
25/2019, 
52/2019, 
53/2019), 
oltre 
gli 
interessi: 
al 
tasso 
ex 
art. 
1284, 
comma primo, c.c. dal 
19.10.2019 (data della costituzione 
in mora) sugli 
importi 
delle 
singole 
fatture, 
fatta 
eccezione 
per 
le 
fatture 
50/2019, 
52/2019 
e 
53/2019 
sino 
al 
14.12.2019 (data della proposizione 
della domanda); al 
tasso ex 
art. 1284, comma 4°, 
c.c. 
sugli 
importi 
di 
tutte 
le 
fatture 
azionate 
dal 
14.12.2019 
(data 
della 
proposizione 
della 
domanda) sino al 
10.6.2020 relativamente 
alle 
fatture 
nn. 10-14-15-16-17-18-19-20-2122-
23-24 del 
2019, sino al 
6.11.2020 per 
la fattura 38/2019, sino al 
30.11.2020 per 
le 
fatture 
48/2019 
e 
49/2019, 
sino 
al 
7.12.2020 
per 
la 
fattura 
50/2019; 
al 
tasso 
ex 
art. 
1284, 
comma 
4°, 
c.c. 
sull’importo 
di 
2.516,98 
dal 
14.12.2019 
fino 
all’effettivo 
soddisfo; 
3. 
compensa 
per 
1/5 
le 
spese 
di 
lite 
e 
condanna 
l’opponente 
alla 
rifusione 
in 
favore 
dell’opposto 
del 
residuo, 
liquidato: 
in 
€ 
1.742,4 
per 
competenze 
professionali, 
oltre 
rimborso 
forfetario 
del 
15%, iva e 
Cpa se 
dovuti 
per 
legge 
per 
il 
presente 
giudizio; in € 116,4 per 
esborsi 
ed 
€ 
432 
per 
competenze 
professionali, 
oltre 
rimborso 
forfetario 
del 
15%, 
iva 
e 
Cpa 
se 
dovuti 
per legge per la fase monitoria; 4. sentenza provvisoriamente esecutiva». 
2. 
Il 
tribunale 
ha 
osservato 
che: 
l’avvocato 
ha 
chiesto 
il 
decreto 
ingiuntivo 
contro 
il 
Ministero 
della 
Giustizia 
per € 19.766,40, in relazione 
a 
19 fatture 
elettroniche 
emesse 
e 
accettate 
a 
seguito di 
altrettanti 
decreti 
di 
liquidazione 
di 
compensi 
resi 
dai 
tribunali 
e 
passati 
in 
giudicato, per prestazioni professionali come difensore d’ufficio. 
3. Con atto di 
citazione 
del 
22 marzo 2022 il 
Ministero della 
Giustizia 
ha 
proposto appello 
deducendo i 
seguenti 
motivi: 
violazione 
e/o falsa 
applicazione 
del 
DPr 115/2002, erroneità 
della 
sentenza 
impugnata 
laddove 
ha 
ritenuto esigibili 
i 
crediti 
oggetto di 
giudizio 
e, in particolare, i 
crediti 
relativi 
alle 
fatture 
25/2019 (€ 538,2), 52/2019 (€ 1.363,44) e 
53/2019 (€ 615,34), per il 
complessivo importo di 
€ 2.516,98; 
erroneità 
della 
sentenza 
nella parte relativa alle spese di lite. 
4. La 
parte 
appellata 
si 
è 
costituita 
con 
comparsa 
del 
29 
giugno 
2022, 
resistendo 
al 
gravame. 
5. Sulle 
conclusioni 
sopra 
riportate, la 
causa 
è 
stata 
riservata 
in decisione 
ai 
sensi 
dell’art. 
190 cpc, con i 
termini 
di 
legge 
per depositare 
le 
comparse 
conclusionali 
e 
le 
memorie 
di 
replica. 
6. osserva 
la 
Corte. L’appellato sostiene 
che 
l’appello del 
Ministero è 
stato notificato il 
14 
marzo 2022; 
la 
sentenza 
del 
tribunale 
di 
Venezia 
n. 161/2022 è 
stata 
notificata 
con PeC 
il 
10 febbraio 2022; 
da 
quel 
momento ha 
cominciato a 
decorrere 
il 
termine 
perentorio di 

raSSeGNa 
aVVoCatUra 
DeLLo 
Stato -N. 4/2022 


trenta 
giorni 
previsto dall’art. 325 cpc 
per proporre 
l’impugnazione; 
il 
termine 
è 
scaduto 
sabato 12 marzo 2022, sicché 
l’appello del 
Ministero va 
considerato tardivo con conseguente 
inammissibilità. 


7. 
L’eccezione 
è 
infondata. 
Cass. 
23375/2016 
afferma: 
«la 
disciplina 
del 
computo 
dei 
termini 
di 
cui 
all’art. 155, commi 
4 e 
5, cpc 
che 
proroga di 
diritto, al 
primo giorno seguente 
non 
festivo, 
il 
termine 
che 
scade 
in 
un 
giorno 
festivo 
o 
di 
sabato, 
si 
applica, 
per 
il 
suo 
carattere 
generale, a tutti 
i 
termini, anche 
perentori, contemplati 
dal 
codice 
di 
rito, compreso il 
termine breve per la proposizione del ricorso per cassazione». 
8. Nel 
merito: 
il 
ministero ricorda 
che 
l’avvocato ha 
chiesto e 
ottenuto decreto ingiuntivo 
nei suoi confronti per € 19.766,40. 
9. Nel 
ricorso monitorio l’avvocato espone: 
dopo aver esperito le 
procedure 
per il 
recupero 
dei 
crediti 
professionali 
con esito negativo e 
la 
presentazione 
delle 
relative 
istanze 
con le 
parcelle 
per le 
attività 
compiute, l’avvocato ha 
ottenuto i 
decreti 
di 
liquidazione 
dalle 
autorità 
procedenti, 
ormai 
divenuti 
esecutivi; 
quindi 
sono 
state 
emesse 
le 
fatture 
elettroniche 
intestate 
ai 
singoli 
uffici 
giudiziari; 
adesso si 
trova 
a 
dover sopportare 
inaccettabili 
e 
prolungati 
ritardi 
da 
parte 
dell’amministrazione 
della 
Giustizia; 
il 
Ministero della 
Giustizia 
con circolare 
del 
19 ottobre 
2009 ha 
precisato che 
i 
decreti 
di 
liquidazione 
non hanno natura 
di 
titolo esecutivo, ma 
costituiscono solo titoli 
per ottenere 
il 
pagamento; 
i 
predetti 
decreti di liquidazione hanno natura di prova scritta. 
10. 
Si 
tratta 
di 
compensi 
per 
prestazioni 
professionali 
rese 
come 
difensore 
d’ufficio 
in 
materia 
penale 
ex art. 116 DPr 115/2002, e 
come 
difensore 
di 
persone 
ammesse 
al 
patrocinio a 
spese dello Stato ex art. 82 DPr 115/2002. 
11. Il 
ministero rileva 
che 
durante 
l’opposizione 
l’Ufficio spese 
di 
giustizia 
presso la 
Corte 
d’appello 
di 
Venezia 
ha 
emesso 
a 
favore 
dell’avvocato 
gli 
ordinativi 
per 
il 
pagamento 
delle 
fatture 
n. 14-15-16-17-18-19-20-21-22-23-24 del 
2019 per € 11.853,30 (pagate 
il 
10 giugno 2020) e 
delle 
fatture 
n. 38-48-49-50 sempre 
riferibili 
al 
2019 per € 5.390,12 
(pagate con gli ordinativi del 6 novembre 2020, 30 novembre 2020 e 7 dicembre 2020). 
12. 
Il 
tribunale 
con 
la 
sentenza 
gravata 
ha 
revocato 
il 
decreto 
ingiuntivo 
n. 
3222/2019 
emesso 
il 
30 dicembre 
2019, e 
condannato il 
Ministero della 
Giustizia 
a 
pagare 
all’avvocato € 
2.516,98 (fatture 
25/2019, 52/2019, 53/2019 che 
non erano state 
pagate 
medio tempore), 
oltre interessi. 
13. 
Col 
primo 
motivo 
l’appellante 
deduce 
violazione 
e/o 
falsa 
applicazione 
del 
DPr 
115/2002, 
erroneità 
della 
sentenza 
impugnata 
che 
ha 
ritenuto esigibili 
i 
crediti 
oggetto di 
giudizio 
e, in particolare, i 
crediti 
relativi 
alle 
fatture 
25/2019 (€ 538,2), 52/2019 (€ 1.363,44) e 
53/2019 (€ 615,34), per il complessivo importo di € 2.516,98. 
14. Il 
motivo è 
fondato, poiché 
il 
ricorso per decreto ingiuntivo ha 
considerato lo Stato e 
il 
Ministero della 
Giustizia 
alla 
stregua 
di 
un comune 
debitore, e 
il 
decreto di 
liquidazione 
ex 
art. 
82 
DPr 
115/2002 
come 
un 
titolo 
che 
legittima 
a 
pretendere 
l’immediato 
pagamento 
dell’importo liquidato. 
15. 
Così 
non 
è: 
nel 
ricorso 
monitorio 
l’avvocato 
precisa 
che 
ha 
ottenuto 
i 
decreti 
di 
liquidazione 
dalle 
autorità 
procedenti, 
ormai 
divenuti 
esecutivi, 
e 
che 
sono 
state 
emesse 
le 
fatture 
elettroniche 
intestate 
ai 
singoli 
uffici 
giudiziari; 
su 
questa 
base 
di 
fatto 
ha 
duplicato 
la 
pretesa 
chiedendo 
anche 
il 
DI 
(con 
relative 
spese 
del 
monitorio); 
quindi 
si 
è 
radicata 
l’opposizione 
(con 
ulteriore 
aggravio 
di 
spese) 
ma, 
aggiunge 
il 
legale, 
«il 
ministero 
della 
Giustizia 
con 
Circolare 
del 
19 
ottobre 
2009 
ha 
precisato 
che 
i 
decreti 
di 
liquidazione, 
non 
hanno 
natura 
di 
titolo 
esecutivo, 
ma 
costituiscono 
solo 
titoli 
per 
ottenere 
il 
pagamento». 

CoNteNzIoSo 
NazIoNaLe 


16. In realtà, se 
già 
ha 
i 
titoli 
per ottenere 
il 
pagamento, non appare 
giustificato promuovere 
una 
causa 
sulla 
medesima 
pretesa. Secondo il 
tribunale, è 
ammissibile 
la 
tutela 
monitoria 
dei 
crediti 
originati 
da 
decreti 
ex art. 82 DPr 115/2002, che 
pure 
costituiscono «titolo di 
pagamento», 
poiché 
nella 
sostanza 
l’espressa 
qualificazione 
come 
titolo 
di 
pagamento 
non implica la natura di «titolo esecutivo». 
17. In argomento la 
giurisprudenza 
ha 
affermato quanto segue: 
Cass. 31820/2019: 
«in tema 
di 
difesa 
d’ufficio, 
il 
ricorso 
al 
procedimento 
monitorio 
costituisce 
un 
passaggio 
obbligato 
per 
richiedere 
la liquidazione 
dei 
compensi 
ai 
sensi 
del 
combinato disposto degli 
artt. 82 
e 
116 DPr 
115/2002, sicché 
i 
relativi 
costi, comprensivi 
di 
spese, diritti 
e 
onorari, debbono 
rientrare nell’ambito di quelli che l’erario è tenuto a rimborsare». 
18. Inoltre, Cass. 8359/2020: 
«in tema di 
patrocinio a spese 
dello Stato, ai 
sensi 
dell’art. 116 
del 
d.P.r. 30 maggio 2002, n. 115, il 
difensore 
d’ufficio non può ottenere 
la liquidazione 
dell’onorario a carico dell’erario senza dimostrare 
di 
aver 
effettuato un vano e 
non 
pretestuoso 
tentativo 
di 
recupero 
(nella 
specie 
attraverso 
l’emissione 
del 
decreto 
ingiuntivo, 
l’intimazione 
dell’atto di 
precetto ed il 
verbale 
di 
pignoramento immobiliare 
negativo), 
ma non è 
tenuto a provare 
anche 
l’impossidenza dell’assistito, che 
si 
risolverebbe 
in un 
onere eccessivo e non funzionale all’istituto della difesa d’ufficio». 
19. 
Si 
capisce 
dunque 
che 
il 
titolo 
giudiziale 
va 
richiesto 
dall’avvocato 
contro 
il 
suo 
assistito, 
ovvero 
la 
parte 
del 
contratto 
di 
patrocinio. 
Nel 
caso 
specifico, 
l’avvocato 
aveva 
già 
in 
mano i 
decreti 
di 
liquidazione 
emessi 
dall’ufficio spese 
di 
giustizia 
nei 
confronti 
del 
ministero 
che 
non era 
la 
sua 
controparte, bensì 
semplicemente 
l’organo indicato dalla 
legge 
per 
pagare 
l’indennità 
qual 
è 
il 
compenso 
del 
patrocinio 
pubblico, 
ove 
mai 
l’assistito 
fosse 
privo di mezzi («impossidente»). 
20. 
Pertanto, 
a 
parere 
della 
Corte 
non 
v’è 
ragione 
di 
ammettere 
anche 
l’ingiunzione 
sulla 
base 
dei 
titoli 
per il 
pagamento (che 
sarebbero la 
prova 
scritta 
del 
credito) già 
resi 
e 
diventati 
definitivi 
nei 
confronti 
del 
Ministero come 
pacificamente 
si 
ammette, tanto più 
che 
alla 
fine 
la 
possibilità 
di 
assoggettare 
a 
esecuzione 
forzata 
le 
somme 
del 
ministero è 
sempre 
subordinata 
alla 
loro concreta 
disponibilità 
-in argomento vd. Cass. 22854/2014: 
«... sempre 
che 
esistano in contabilità fondi 
soggetti 
a esecuzione 
forzata»; 
conf. Cass. 
7121/2015. 
21. D’altro canto, la 
legge 
di 
stabilità 
del 
2016 (comma 
778 art. 1 l. 208/2015) ha 
introdotto 
la 
possibilità 
di 
compensare 
i 
debiti 
dello Stato per il 
patrocinio pubblico con ogni 
imposta, 
tassa 
e 
contributi 
dovuti 
dall’avvocato per i 
dipendenti. Inoltre, la 
nuova 
legge 
di 
bilancio 
del 
2023 (comma 
860 l. 197/2022) consente 
di 
compensare 
anche 
con i 
contributi 
dovuti 
dagli 
avvocati 
alla 
cassa 
forense 
a 
titolo 
di 
oneri 
previdenziali: 
gli 
avvocati 
devono 
prima 
emettere 
fattura 
registrata 
sulla 
piattaforma 
elettronica 
di 
certificazione 
del 
MeF, 
quindi 
optare 
per la 
compensazione 
certificando la 
sola 
liquidazione 
(non il 
pagamento) 
del 
debito 
da 
parte 
dell’autorità 
giudiziaria 
con 
decreto 
di 
pagamento 
non 
opposto: 
se 
dunque 
il 
titolo di 
pagamento è 
definitivo, il 
debito è 
accertato, può essere 
compensato 
col debito del legale verso la cassa di previdenza. 
22. 
Il 
sistema 
normativo 
prevede 
altresì 
un 
termine 
perentorio 
per 
eseguire 
il 
pagamento, 
stabilisce 
che 
i 
pagamenti 
devono 
avvenire 
in 
ordine 
cronologico; 
inoltre, 
se 
l’accreditamento 
all’avente 
diritto 
in 
ordine 
cronologico 
non 
può 
essere 
eseguito 
proprio 
per 
mancanza 
o 
insufficienza 
dei 
fondi, 
il 
pagamento 
deve 
avvenire 
nei 
giorni 
immediatamente 
successivi, 
non 
appena 
vi 
sia 
la 
disponibilità 
dei 
fondi 
(vd. 
art. 
181 
DPr 
115/2002), 
senza 
far 
scattare 
alcuna 
sanzione, 
né 
la 
decorrenza 
di 
interessi 
per 
il 
ritardato 
pagamento. 

raSSeGNa 
aVVoCatUra 
DeLLo 
Stato -N. 4/2022 


23. 
In 
base 
ai 
rilievi 
fin 
qui 
svolti, 
pertanto, 
sono 
assorbiti 
sia 
il 
secondo 
motivo 
(che 
contesta 
l’applicazione 
degli 
interessi), 
sia 
il 
terzo 
(che 
lamenta 
la 
violazione 
dell’art. 
1284, 
4° 
comma 
cc 
per aver applicato ai 
crediti 
controversi 
la 
disciplina 
prevista 
per i 
ritardi 
dei 
pagamenti nelle transazioni commerciali ex D. Lvo 231/2002). 
24. 
L’appello 
proposto 
dal 
ministero 
della 
giustizia 
va 
accolto. 
Le 
spese 
sono 
regolate 
secondo 
la 
soccombenza 
e 
liquidate 
applicando 
i 
valori 
previsti 
dallo 
scaglione 
di 
riferimento, 
avuto riguardo a 
tipologia 
della 
causa, difficoltà 
e 
valore 
economico dell’affare, importanza 
dell’attività prestata (art. 4 DM 55/2014). 
25. La 
motivazione 
è 
sintetica 
e 
non analitica, poiché 
«gli 
atti 
di 
parte 
e 
i 
provvedimenti 
depositati 
con 
modalità 
telematiche 
sono 
redatti 
in 
maniera 
sintetica» 
(art. 
9-octies 
DL 
83/2015, conv. in l. 132/2015). 
PEr QUESti motivi 
la 
Corte 
d’appello di 
Venezia, quarta 
sezione 
civile, definitivamente 
pronunciando, disattesa 
ogni diversa e contraria istanza ed eccezione, così provvede: 


1. in riforma 
della 
sentenza 
indicata 
in epigrafe, dichiara 
che 
nulla 
è 
dovuto dal 
Ministero 
della 
Giustizia 
all’avvocato (...) a 
titolo di 
interessi 
e 
spese 
a 
fronte 
della 
inesigibilità 
dei 
crediti azionati; 
2. 
condanna 
(...) 
a 
rifondere 
le 
spese 
liquidate 
per 
il 
primo 
grado 
in 
€ 
2.540,00, 
e 
per 
l’appello 
in € 1.889,00 (scaglione 
da 
€ 5.201,00 a 
€ 26.000,00) per compenso, oltre 
accessori 
di 
legge; 
3. dispone 
che 
in caso di 
diffusione 
del 
presente 
provvedimento siano omesse 
le 
generalità 
delle 
parti 
e 
dei 
soggetti 
menzionati 
nel 
medesimo a 
norma 
dell’art. 52 D. Lvo 196/2003. 
Venezia, 15 febbraio 2023. 



PAreridelComitAtoConSultivo
Convenzioni-quadro stipulate dalla Concessionaria 
servizi informatici pubblici (Consip) S.p.A. 
Sulla possibile deroga all’obbligo di adesione 
previsto per le 
Amministrazioni dello Stato 

Parere 
del 
23/03/2022 
-192042, al 48513/2021, 
avv. emanuele 
Feola 


Con 
la 
nota 
in 
riscontro, 
codesta 
Amministrazione 
ha 
chiesto 
il 
parere 
della 
Scrivente 
in merito ai 
requisiti 
in presenza 
dei 
quali 
è 
possibile 
derogare 
all’obbligo, previsto per le 
Amministrazioni 
dello Stato, di 
aderire 
alle 
convenzioni-
quadro stipulate dalla Consip S.p.A. 


In 
particolare, 
nella 
richiesta 
di 
parere, 
sono 
state 
rappresentate 
le 
seguenti 
circostanze di fatto: 


a) in data 
10 maggio 2021, codesto Dicastero ha 
deliberato di 
procedere 
all’affidamento mediante 
gara 
del 
servizio di 
pulizia 
e 
igiene 
ambientale 
relativo 
alle 
sedi 
territoriali 
e 
alle 
strutture 
centrali 
di 
formazione 
del 
Corpo nazionale 
dei 
vigili 
del 
fuoco 
per 
il 
biennio 
2022/2024, 
in 
base 
al 
criterio 
dell’offerta economicamente più vantaggiosa; 
b) 
le 
procedure 
di 
gara 
sono state 
gestite 
dalle 
Direzioni 
regionali 
dei 
Vigili 
del fuoco in qualità di stazioni appaltanti; 
c) 
tali procedure di gara sono giunte alla fase dell’aggiudicazione; 
d) 
tuttavia, nelle 
more 
delle 
procedure 
di 
gara, è 
stata 
attivata 
-per taluni 
lotti 
geografici 
-una 
convenzione-quadro 
stipulata 
dalla 
Consip 
S.p.A., 
avente 
ad oggetto l’erogazione del medesimo servizio di pulizia. 
Pertanto, 
con 
la 
nota 
in 
riscontro, 
si 
è 
chiesto 
alla 
Scrivente 
di 
specificare 
se, 
in 
considerazione 
della 
sopravvenuta 
attivazione 
della 
suddetta 
convenzione-
quadro, 
codesta 
Amministrazione 
possa 
procedere 
all’aggiudicazione 
delle procedure di gara gestite dalle singole Direzioni regionali. 


Al 
fine 
di 
rendere 
il 
parere 
richiesto, 
appare 
opportuno 
ricostruire 
-sia 
pure 



rASSegnA 
AVVoCAturA 
DeLLo 
StAto -n. 4/2022 


sinteticamente 
-la 
normativa 
concernente 
l’obbligo 
per 
le 
Amministrazioni 
pubbliche 
di 
avvalersi 
delle 
convenzioni-quadro 
stipulate 
dalla 
Consip 
S.p.A. 


L’art. 26 della 
legge 
23 dicembre 
1999, n. 488, e 
s.m.i., dispone 
che 
“1. 
Il 
ministero del 
tesoro, del 
bilancio e 
della programmazione 
economica, nel 
rispetto della vigente 
normativa in materia di 
scelta del 
contraente, stipula, 
anche 
avvalendosi 
di 
società 
di 
consulenza 
specializzate, 
selezionate 
anche 
in deroga alla normativa di 
contabilità pubblica, con procedure 
competitive 
tra 
primarie 
società 
nazionali 
ed 
estere, 
convenzioni 
con 
le 
quali 
l’impresa 
prescelta 
si 
impegna 
ad 
accettare, 
sino 
a 
concorrenza 
della 
quantità 
massima 
complessiva stabilita dalla convenzione 
ed ai 
prezi 
e 
condizioni 
ivi 
previsti, 
ordinativi 
di 
fornitura di 
beni 
e 
servizi 
deliberati 
dalle 
amministrazioni 
dello 
Stato anche con il ricorso alla locazione finanziaria 
[...] 


3. le 
amministrazioni 
pubbliche 
possono ricorrere 
alle 
convenzioni 
stipulate 
ai 
sensi 
del 
comma 
1, 
ovvero 
ne 
utilizzano 
i 
parametri 
di 
prezzo-qualità, 
come 
limiti 
massimi, 
per 
l’acquisto 
di 
beni 
e 
servizi 
comparabili 
oggetto 
delle 
stesse, 
anche 
utilizzando procedure 
telematiche 
per 
l’acquisizione 
di 
beni 
e 
servizi 
ai 
sensi 
del 
decreto del 
Presidente 
della repubblica 4 aprile 
2002, n. 
101. 
la 
stipulazione 
di 
un 
contratto 
in 
violazione 
del 
presente 
comma 
è 
causa 
di 
responsabilità amministrativa, ai 
fini 
della determinazione 
del 
danno erariale 
si 
tiene 
anche 
conto della differenza fra il 
prezzo previsto nelle 
convenzioni 
e quello indicato nel contratto. 
3-bis. I provvedimenti 
con cui 
le 
amministrazioni 
pubbliche 
deliberano 
di 
procedere 
in modo autonomo a singoli 
acquisti 
di 
beni 
e 
servizi 
sono trasmessi 
alle 
strutture 
e 
agli 
uffici 
preposti 
al 
controllo di 
gestione, per 
l’esercizio 
delle 
funzioni 
di 
sorveglianza 
e 
di 
controllo 
[...] 
Il 
dipendente 
che 
ha 
sottoscritto il 
contratto allega allo stesso una apposita dichiarazione 
con la 
quale 
attesta, ai 
sensi 
e 
per 
gli 
effetti 
degli 
articoli 
47 e 
seguenti 
del 
decreto 
del 
Presidente 
della repubblica 28 dicembre 
2000, n. 445, e 
successive 
modifiche, 
il rispetto delle disposizioni contenute nel comma 3”. 


L’art. 58 della 
legge 
23 dicembre 
2000, n. 388, ha 
precisato che 
“ai 
sensi 
di 
quanto previsto dall’articolo 26, comma 3, della legge 
23 dicembre 
1999, 


n. 
488, 
per 
pubbliche 
amministrazioni 
si 
intendono 
quelle 
definite 
dall’articolo 
1 del 
decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29” 
e 
che 
“le 
convenzioni 
di 
cui 
al 
citato articolo 26 sono stipulate 
dalla Concessionaria servizi 
informatici 
pubblici (ConSIP) Spa”. 
Dalle 
disposizioni 
sopra 
trascritte, si 
evince, quindi, l’obbligo per le 
amministrazioni 
pubbliche 
indicate 
dall’art. 
1 
del 
decreto-legislativo 
n. 
29 
del 
1993 (oggi 
sostituito dall’art. 1 del 
decreto-legislativo n. 165 del 
2001) di 
avvalersi 
delle 
convenzioni 
stipulate 
dalla 
Consip S.p.A. oppure 
-in alternativa 
-di 
utilizzarne 
i 
parametri 
di 
prezzo-qualità, 
come 
limiti 
massimi, 
qualora 
procedano 
all’acquisto 
di 
beni 
e 
servizi 
comparabili 
a 
quelli 
che 
costituiscono 
l’oggetto delle citate convenzioni. 



PArerI 
DeL 
CoMItAto 
ConSuLtIVo 


tuttavia, 
nel 
caso 
delle 
amministrazioni 
pubbliche 
statali, 
l’obbligo 
in 
questione 
è 
ancor più stringente, dato che, in presenza 
di 
una 
convenzione 
stipulata 
dalla 
Consip S.p.A., tali 
amministrazioni 
sono tenute 
-in linea 
di 
principio 
- ad utilizzarla, senza poter ricorrere a strumenti alternativi. 


Difatti, 
l’articolo 
1, 
co. 
449, 
della 
legge 
27 
dicembre 
2006, 
n. 
296, 
e 
s.m.i., 
dispone 
che 
“nel 
rispetto 
del 
sistema 
delle 
convenzioni 
di 
cui 
agli 
articoli 
26 
della 
legge 
23 
dicembre 
1999, 
n. 
488, 
e 
successive 
modificazioni, 
e 
58 
della 
legge 
23 
dicembre 
2000, 
n. 
388, 
tutte 
le 
amministrazioni 
statali 
centrali 
e 
periferiche, 
ivi 
compresi 
gli 
istituti 
e 
le 
scuole 
di 
ogni 
ordine 
e 
grado, 
le 
istituzioni 
educative 
e 
le 
istituzioni 
universitarie, 
nonché 
gli 
enti 
nazionali 
di 
previdenza 
e 
assistenza 
sociale 
pubblici 
e 
le 
agenzje 
fiscali 
di 
cui 
al 
decreto 
legislativo 
30 
luglio 
1999, 


n. 
300, 
sono 
tenute 
ad 
approvigionarsi 
utilizzando 
le 
convenzioni-quadro”. 
Le 
disposizioni 
menzionate, che 
prevedono l’obbligo di 
avvalersi 
delle 
convenzioni 
stipulate 
dalla 
Consip S.p.A., costituiscono norme 
imperative 
e 
la 
violazione 
delle 
medesime 
implica 
conseguenze 
sul 
piano civilistico, disciplinare 
e contabile. 


In particolare, l’art. 1, co. 1, del 
decreto-legge 
6 luglio 2012, n. 95, convertito 
dalla 
legge 
7 
agosto 
2012, 
n. 
135, 
stabilisce 
che 
“Successivamente 
alla 
data 
di 
entrata 
in 
vigore 
della 
legge 
di 
conversione 
del 
presente 
decreto, 
i 
contratti 
stipulati 
in 
violazione 
dell’articolo 
26, 
comma 
3 
della 
legge 
23 
dicembre 
1999, n. 488 ed i 
contratti 
stipulati 
in violazione 
degli 
obblighi 
di 
approvvigionarsi 
attraverso gli 
strumenti 
di 
acquisto messi 
a disposizione 
da Consip 


S.p.a. sono nulli, costituiscono illecito disciplinare 
e 
sono causa di 
responsabilità 
amministrativa. ai 
fini 
della determinazione 
del 
danno erariale 
si 
tiene 
anche 
conto della differenza tra il 
prezzo, ove 
indicato, dei 
detti 
strumenti 
di 
acquisto e quello indicato nel contratto”. 
Peraltro, il 
medesimo articolo introduce 
una 
prima 
eccezione 
alla 
menzionata 
regola 
generale, 
disponendo 
che 
essa 
“non 
si 
applica 
alle 
amministrazioni 
dello 
Stato 
quando 
il 
contratto 
sia 
stato 
stipulato 
ad 
un 
prezzo 
più 
basso 
di 
quello derivante 
dal 
rispetto dei 
parametri 
di 
qualità e 
di 
prezzo degli 
strumenti 
di 
acquisto messi 
a disposizione 
da Consip S.p.a., ed a condizione 
che 
tra l’amministrazione 
interessata e 
l’impresa non siano insorte 
contestazioni 
sulla esecuzione di eventuali contratti stipulati in precedenza”. 


Il 
contenuto dell’eccezione 
de 
qua 
è 
ulteriormente 
precisato dalla 
circolare 
del Ministero dell’economia e delle Finanze del 25 agosto 2015. 


La 
suddetta 
circolare 
ha 
chiarito che 
le 
Amministrazioni 
statali 
sono tenute, 
nei 
casi 
in 
cui 
stipulino 
contratti 
senza 
utilizzare 
gli 
strumenti 
di 
acquisto 
centralizzati 
messi 
a 
disposizione 
dalla 
Consip 
S.p.A., 
“a 
fornire 
ai 
competenti 
uffici 
di 
controllo e 
regolarità amministrativa e 
contabile 
adeguata indicazione 
dei 
concreti 
motivi 
per 
i 
quali 
si 
è 
proceduto 
in 
deroga 
agli 
obblighi 
sopra richiamati. In particolare, ai 
fini 
della prova dell’osservanza dei 
benchmark 
di 
qualità e 
prezzo messi 
a diposizione 
da Consip, occorrerà operare 



rASSegnA 
AVVoCAturA 
DeLLo 
StAto -n. 4/2022 


un raffronto tra fattori 
di 
comparazione 
omogenei 
(es. tra prezzi 
della convenzione 
Consip di 
durata settennale 
e 
prezzi 
relativi 
al 
contratto stipulato al 
di 
fuori 
degli 
strumenti 
di 
acquisto 
centralizzati 
di 
pari 
durata 
settennale), 
tenendo 
in 
particolare 
attenzione, 
per 
la 
verifica 
dell’omogeneità 
degli 
strumenti, 
le 
prestazioni 
contrattuali 
principali 
e 
le 
caratteristiche 
essenziali 
dell’oggetto delle stesse”. 


una 
seconda 
eccezione 
alla 
regola 
generale 
relativa 
all’utilizzo 
delle 
convenzioni-
quadro 
stipulate 
dalla 
Consip 
S.p.A. 
è 
stata 
introdotta 
dall'articolo 
1, co. 510, della legge 28 dicembre 2015, n. 288. 


tale 
norma 
prevede 
che 
“le 
amministrazioni 
pubbliche 
obbligate 
ad approvvigionarsi 
attraverso le 
convenioni 
di 
cui 
all’articolo 26 della legge 
23 
dicembre 
1999, n. 488, stitulate 
da Consip S.p.a. [...] 
possono procedere 
ad 
acquisti 
autonomi 
esclusivamente 
a seguito di 
apposita autorizzazione 
specficamente 
motivata resa dall’organo di 
vertice 
amministrativo e 
trasmessa al 
competente 
ufficio della Corte 
dei 
conti, qualora il 
bene 
o il 
servizio oggetto 
di 
convenzione 
non sia idoneo al 
soddisfacimento dello specifico fabbisogno 
dell’amministrazione per mancanza di caratteristiche essenziali”. 


nella 
sentenza 
n. 1937 del 
2018, il 
Consiglio di 
Stato -nell'esaminare 
il 
contesto 
normativo 
sopra 
sintetizzato 
-ha 
ribadito 
come 
si 
rinvengano, 
in 
sede 
di 
centralizzazione, 
le 
migliori 
possibili 
condizioni 
di 
offerta 
da 
porre 
a 
disposizione 
delle 
pubbliche 
amministrazioni; 
sicché, 
ad 
esse 
è 
consentito 
procedere 
in 
modo 
autonomo, 
soltanto 
in 
via 
eccezionale 
e 
motivata, 
qualora 
dimostrino 
di 
aver ricercato e 
conseguito condizioni 
migliorative 
rispetto a 
quelle 
contenute 
nelle convenzioni-quadro stipulate dalla Consip S.p.A. 


In 
altri 
termini, 
fermo 
il 
carattere 
di 
principio 
dell'obbligo 
di 
avvalersi 
delle 
suddette 
convenzioni-quadro, permane 
sempre 
la 
facoltà 
per le 
amministrazioni 
statali 
(centrali 
e 
periferiche) di 
attivare 
in concreto propri 
strumenti 
di 
negoziazione, 
laddove 
tale 
opzione 
sia 
orientata 
a 
conseguire 
condizioni 
economiche 
più favorevoli 
rispetto a 
quelle 
stabilite 
nelle 
richiamate 
convenzioni-
quadro. 


Pertanto, ad avviso del 
Consiglio di 
Stato, le 
disposizioni 
in esame 
delineano 
“un coerente 
quadro normativo nel 
quale 
è 
demandato alla Consip il 
compito di 
rinvenire, in sede 
di 
centralizzazione, le 
migliori 
possibili 
condizioni 
di 
offerta 
da 
porre 
a 
disposizione 
delle 
amministrazioni, 
ma 
è 
consentito 
alle 
amministrazioni 
di 
procedere 
in modo autonomo, a condizione 
che 
possano 
dimostrare 
di 
aver 
ricercato 
e 
conseguito 
condizioni 
migliorative 
rispetto 
a 
quelle 
contenute 
nelle 
convenzioni-quadro, 
attraverso 
un 
meccanismo 
di 
responsabilizzazione 
delle 
amministrazioni 
stesse, che 
è 
coerente 
con la disciplina 
euro-unitaria” 
(cfr. sentenza n. 6817 del 2021). 


In 
applicazione 
del 
suddetto 
indirizzo 
ermeneutico, 
la 
giurisprudenza 
amministrativa 
ha 
altresì 
chiarito 
i 
rapporti 
tra 
gara 
indetta 
ed 
espletata 
da 
Consip 
S.p.A., e 
gara 
condotta 
in modo autonomo dalla 
stazione 
appaltante, con par



PArerI 
DeL 
CoMItAto 
ConSuLtIVo 


ticolare 
riferimento all’ipotesi 
in cui 
la 
prima 
sia 
stata 
portata 
a 
compimento 
con la 
stipulazione 
della 
relativa convenzione-quadro, quando la 
seconda era 
ancora in corso di svolgimento. 


In 
tal 
caso, 
invero, 
si 
pone 
il 
problema 
per 
l’Amministrazione 
della 
scelta 
tra 
l’adesione 
alla 
convenzione-quadro stipulata 
dalla 
Consip S.p.A. e 
il 
completamento 
della 
procedura 
di 
gara 
avviata 
autonomamente 
dalla 
stazione 
appaltante. 


ebbene, nella 
sentenza 
n. 1071 del 
2021, il 
t.a.r. toscana 
-Firenze, dopo 
aver richiamato i 
suddetti 
principi 
di 
diritto enunciati 
dal 
Consiglio di 
Stato, 
ha 
ritenuto 
che 
“l'opzione 
fra 
aderire 
alla 
convenzione 
Consip 
oppure 
portare 
a termine 
la procedura di 
gara implica valutazioni 
di 
natura tecnico-discrezionale 
sulla convenienza delle 
condizioni 
dei 
due 
capitolati 
ma anche 
valutazioni 
di 
opportunità, 
sindacabili 
per 
eccesso 
di 
potere, 
nei 
limiti 
dell’evidente 
illogicità, della contraddittorietà, dell’arbitrarietà o dell’irragionevolezza”. 


nella 
specie, il 
Collegio ha 
affermato la 
legittimità 
della 
scelta 
compiuta 
dall’Amministrazione 
di 
concludere 
la 
gara 
precedentemente 
indetta, 
emergendo 
dagli 
atti 
depositati 
come 
l’Amministrazione 
avesse 
“ampiamente 
spiegato 
le 
ragioni 
che 
l’hanno 
condotta 
a 
concludere 
la 
gara 
con 
l’aggiudicazione 
[...], anziché 
ad aderire 
alla convenzione 
Consip"; 
essa, infatti, 
aveva 
compiutamente 
valutato 
"la complessiva maggiore 
convenienza e 
utilità 
dell’offerta 
[...] 
e 
comunque 
la 
non 
sovrapponibilità 
fra 
le 
due 
gare 
dato che 
alcuni 
dei 
servizi 
messi 
a bando [...] non erano presenti 
nella convenzione 
Consip, mentre 
in quest’ultima erano ricomprese 
prestazioni 
già affidate 
[...] 
ad altri operatori economici, o di nessun interesse per la stessa”. 


Peraltro, è 
ben possibile 
che 
la 
procedura 
di 
gara 
gestita 
autonomamente 
dalla 
stazione 
appaltante 
si 
concluda 
prima 
della 
stipulazione 
della 
convenzione-
quadro da parte della Consip. 


In questo caso, si pongono due problemi ulteriori: 


a) 
il 
primo concerne 
l’individuazione 
dei 
vincoli 
cui 
è 
soggetta 
l'autonomia 
negoziale 
della 
stazione 
appaltante 
nella 
predisposizione 
delle 
condizioni 
contrattuali; 
b) 
il 
secondo è 
relativo alle 
conseguenze 
che 
la 
successiva 
stipulazione 
della 
convenzione-quadro può avere 
-sotto il 
profilo civilistico -sul 
contratto 
concluso con l’impresa aggiudicataria. 
Con riguardo alla 
questione 
sub 
a), si 
evidenzia 
che 
-anche 
in caso di 
assenza 
di 
una 
convenzione 
stipulata 
dalla 
Consip 
-l’autonomia 
negoziale 
delle 
stazioni 
appaltanti 
resta 
limitata 
dal 
disposto di 
cui 
all’articolo 9 del 
decreto-
legge 
24 aprile 
2014, n. 66, convertito, con modificazioni, dalla 
legge 
23 giugno 
2014, n. 89. 


Il 
co. 3-bis 
della 
disposizione 
appena 
citata 
prevede 
che 
le 
Amministrazioni 
pubbliche 
possono 
procedere, 
qualora 
non 
siano 
disponibili 
convenzioni



rASSegnA 
AVVoCAturA 
DeLLo 
StAto -n. 4/2022 


quadro stipulate 
dalla 
Consip e 
in caso di 
motivata 
urgenza, allo svolgimento 
di 
autonome 
procedure 
di 
acquisto dirette 
alla 
stipula 
di 
contratti 
“aventi 
durata 
e misura strettamente necessaria”. 


Il 
successivo co. 7 aggiunge 
che 
“l’autorità nazionale 
anticorruzione, a 
partire 
dal 
1° 
ottobre 
2014, attraverso la banca dati 
nazionale 
dei 
contratti 
pubblici 
[...] fornisce, tenendo anche 
conto della dinamica dei 
prezzi 
dei 
diversi 
beni 
e 
servizi, 
alle 
amministrazioni 
pubbliche 
un’elaborazione 
dei 
prezzi 
di 
riferimento 
alle 
condizioni 
di 
maggiore 
efficienza 
di 
beni 
e 
di 
servizi 
tra 
quelli 
di 
maggiore 
impatto in termini 
di 
costo a carico della pubblica amministrazione, 
nonché 
pubblica sul 
proprio sito web i 
prezzi 
unitari 
corrisposti 
dalle 
pubbliche 
amministrazioni 
per 
gli 
acquisti 
di 
tali 
beni 
e 
servizi. I prezzi 
di 
riferimento pubblicati 
dall’autorità e 
dalla stessa aggiornati 
entro il 
1° 
ottobre 
di 
ogni 
anno, 
sono 
utilizzati 
per 
la 
programmazione 
dell’attività 
contrattuale 
della 
pubblica 
amministrazione 
e 
costituiscono 
prezzo 
massimo 
di 
aggiudicazione, 
anche 
per 
le 
procedure 
di 
gara 
aggiudicate 
all’offerta 
più 
vantaggiosa, in tutti 
i 
casi 
in cui 
non è 
presente 
una convenzione 
stipulata ai 
sensi 
dell’articolo 26, comma 1, della legge 
23 dicembre 
1999, n. 488, in ambito 
nazionale 
ovvero nell’ambito territoriale 
di 
riferimento. I contratti 
stipulati 
in violazione di tale prezzo massimo sono nulli”. 


In sintesi, le 
disposizioni 
da 
ultimo menzionate 
consentono alle 
stazioni 
appaltanti 
di 
procedere 
in modo autonomo, quando non sia 
presente 
una 
convenzione 
stipulata 
dalla 
Consip, 
qualora 
sussista 
un 
“caso 
di 
motivata 
urgenza” 
inoltre, il 
contratto dovrà 
avere 
-in attesa 
dell’attivazione 
della 
convenzione-
quadro 
-“durata 
e 
misura 
strettamente 
necessaria”, 
nonché 
prevedere 
-a 
pena 
di 
nullità 
-un 
prezzo 
non 
superiore 
a 
quello 
massimo 
individuato 
dall’A.n.A.C., anche 
nel 
caso in cui 
la 
gara 
venga 
aggiudicata 
con il 
criterio 
dell’offerta economicamente più vantaggiosa. 


Quanto al 
problema 
individuato sub 
b), si 
osserva 
che, qualora 
sopravvenga 
la 
stipulazione 
della 
convenzione-quadro da 
parte 
della 
Consip S.p.A., 
è stata introdotta dal legislatore una peculiare ipotesi di recesso contrattuale. 


Si 
tratta 
dell’ipotesi 
di 
recesso 
prevista 
dall’articolo 
1, 
co. 
13, 
del 
decreto-
legge 
6 luglio 2012, n. 95, convertito dalla 
legge 
7 agosto 2012, n. 135, secondo 
cui 
“le 
amministraioni 
pubbliche 
che 
abbiano validamente 
stipulato 
un 
autonomo 
contratto 
di 
fornitura 
o 
di 
servizi 
hanno 
diritto 
di 
recedere 
in 
qualsiasi 
tempo dal 
contratto, previa formale 
comunicazione 
all’appaltatore 
con preavviso non inferiore 
a quindici 
giorni 
e 
previo pagamento delle 
prestazioni 
già 
eseguite 
oltre 
al 
decimo 
delle 
prestazioni 
non 
ancora 
eseguite, 
nel 
caso in cui, tenuto conto anche 
dell’importo dovuto per 
le 
prestazioni 
non 
ancora eseguite, i 
parametri 
delle 
convenzioni 
stipulate 
da Consip S.p.a. ai 
sensi 
dell’articolo 
26, 
comma 
1, 
della 
legge 
23 
dicembre 
1999, 
n. 
488 
successivamente 
alla 
stipula 
del 
predetto 
contratto 
siano 
migliorativi 
rispetto 
a 
quelli 
del 
contratto stipulato e 
l’appaltatore 
non acconsenta ad una modifica delle 



PArerI 
DeL 
CoMItAto 
ConSuLtIVo 


condizioni 
economiche 
tale 
da 
rispettare 
il 
limite 
di 
cui 
all’articolo 
26, 
comma 
3 
della 
legge 
23 
dicembre 
1999, 
n. 
488. 
ogni 
patto 
contrario 
alla 
presente 
disposizione 
è 
nullo. Il 
diritto di 
recesso si 
inserisce 
automaticamente 
nei 
contratti 
in corso ai 
sensi 
dell’articolo 1339 c.c., anche 
in deroga alle 
eventuali 
clausole 
difformi 
apposte 
dalle 
parti. nel 
caso di 
mancato esercizio del 
detto 
diritto di 
recesso l’amministrazione 
pubblica ne 
dà comunicazione 
alla Corte 
dei 
conti, 
entro 
il 
30 
giugno 
di 
ogni 
anno, 
ai 
fini 
del 
controllo 
successivo 
sulla 
gestione 
del 
bilancio 
e 
del 
patrimonio 
di 
cui 
all’articolo 
3, 
comma 
4, 
della 
legge 14 gennaio 1994, n. 20”. 


In altri 
termini, il 
legislatore 
ha 
introdotto, mediante 
la 
suddetta 
disposizione, 
il 
diritto/dovere 
per le 
amministrazioni 
pubbliche 
di 
recedere 
dai 
contratti 
stipulati 
prima 
dell’attivazione 
della 
convenzione-quadro, 
quando 
le 
condizioni 
economiche 
di 
quest’ultima 
siano più favorevoli 
di 
quelle 
previste 
nei 
contratti 
già 
stipulati, a 
meno che 
l’aggiudicatario non acconsenta 
a 
modificare 
di conseguenza le pertinenti clausole contrattuali. 


La 
disposizione 
in esame 
ha 
natura 
imperativa: 
infatti, ogni 
patto contrario 
è 
nullo e 
il 
diritto di 
recesso si 
inserisce 
“automaticamente” 
nei 
contratti 
in corso, ai 
sensi 
dell’articolo 1339 cod. civ., “anche 
in deroga alle 
eventuali 
clausole difformi apposte dalle parti”. 


ricostruito in questi 
termini 
il 
contesto normativo e 
giurisprudenziale 
di 
riferimento, si 
ritiene 
che 
-nel 
caso sottoposto all’esame 
della 
Scrivente 
-occorra 
distinguere due ipotesi: 


1) 
quella 
delle 
gare 
che 
hanno 
ad 
oggetto 
il 
servizio 
di 
pulizia 
nei 
lotti 
geografici 
per 
i 
quali 
non 
è 
ancora 
attiva 
la 
convenzione-quadro 
stipulata 
dalla 
Consip S.p.A.; 
2) 
quella 
delle 
gare 
relative 
a 
lotti 
geografici 
per i 
quali 
la 
suddetta 
con-
venzione-quadro è già stata attivata. 
nel 
primo caso, la 
Scrivente 
ritiene 
che 
si 
possa 
senz’altro procedere 
al-
l’aggiudicazione delle procedure di gara in atto, ferma restando: 


1) 
l’osservanza 
dei 
vincoli 
previsti 
dal 
menzionato 
art. 
9 
del 
decreto-legge 
24 
aprile 
2014, 
n. 
66, 
convertito, 
con 
modificazioni, 
dalla 
legge 
23 
giugno 
2014, n. 89; e 
2) 
la 
possibilità 
di 
recedere 
dai 
contratti 
stipulati, 
qualora 
sussistano 
le 
condizioni 
previste 
dall’articolo 1, co. 13, del 
decreto-legge 
6 luglio 2012, n. 
95, convertito dalla legge 7 agosto 2012, n. 135. 
nel secondo caso, per contro, occorre verificare: 


1) 
se 
l’offerta 
dell’aggiudicatario 
presenti 
una 
“complessiva 
maggiore 
convenienza e 
utilità” 
rispetto alle 
specifiche 
condizioni 
contrattuali 
previste 
nella 
convenzione-quadro 
(art. 
1, 
co. 
1, 
del 
decreto-legge 
6 
luglio 
2012, 
n. 
95, 
convertito dalla 
legge 
7 agosto 2012, n. 135; 
nonché, in giurisprudenza, Consiglio 
di Stato n. 1937 del 2018 e n. 6817 del 2021); 
2) ovvero, se 
le 
condizioni 
previste 
nella 
convenzione-quadro siano ef

rASSegnA 
AVVoCAturA 
DeLLo 
StAto -n. 4/2022 


fettivamente 
idonee 
al 
soddisfacimento 
dello 
specifico 
fabbisogno 
dell'amministrazione 
(idoneità 
che 
-come 
s’è 
detto 
-verrebbe 
meno 
“per 
assenza 
di 
caratteristiche 
essenziali”) e, quindi, vi 
sia 
una 
concreta 
sovrapponibilità 
con le 
condizioni 
negoziali 
offerte 
dall’aggiudicatario (cfr. dall’art. 1, co. 510, della 
legge 
28 dicembre 
2015, n. 288; 
nonché, in giurisprudenza, t.a.r. toscana 
Firenze, 
n. 1071 del 2021). 


Difatti, soltanto in presenza 
delle 
suddette 
condizioni 
alternative, è 
possibile 
addivenire alla legittima aggiudicazione del contratto di appalto. 


ebbene, la 
Scrivente 
ritiene 
che 
-nel 
caso in esame 
-si 
possa 
procedere 
alla 
conclusione 
delle 
gare 
gestite 
in via 
autonoma 
dalle 
singole 
Direzioni 
regionali 
dei 
vigili 
del 
fuoco, in quanto esse 
sembrerebbero condurre 
alla 
stipulazione 
di 
appalti 
connotati 
da 
condizioni 
contrattuali 
di 
“complessiva 
maggiore 
convenienza e 
utilità”, rispetto a 
quelle 
previste 
nella 
convenzione-
quadro, anche 
in considerazione 
della 
sovrapponibilità 
soltanto parziale 
tra 
i 
due strumenti negoziali. 


ed invero, codesto Dicastero ha evidenziato che: 


1) 
la 
convenzione-quadro è 
strutturata 
per Province, in alcuni 
casi 
anche 
non 
coincidenti 
con 
il 
territorio 
regionale 
di 
riferimento 
e, 
nel 
caso 
del 
Comune 
di 
roma, per Municipi; 
pertanto, in ragione 
dell’articolazione 
su base 
regionale 
dei 
centri 
di 
spesa, l’adesione 
alla 
suddetta 
convenzione-quadro comporterebbe 
notevoli 
aggravi 
procedurali, 
amministrativi 
e 
contabili, 
rispetto 
all’aggiudicazione 
delle 
gare 
in corso, già 
strutturate 
su base 
regionale 
e 
interregionale, 
nonché 
su 
tre 
lotti 
funzionali 
per 
le 
Scuole 
centrali 
di 
formazione; 
2) 
il 
disciplinare 
di 
gara 
ed 
il 
capitolato 
tecnico 
della 
Consip 
stabiliscono 
che 
la 
durata 
dei 
contratti 
sia 
pari 
a 
tre 
anni; 
sicché, l’eventuale 
adesione 
alla 
convenzione-quadro 
comporterebbe 
un 
onere 
economico 
eccedente 
rispetto 
alle 
attuali 
disponibilità 
di 
bilancio previste 
per un biennio e 
già 
prese 
in considerazione 
nell’ambito delle 
singole 
gare 
di 
appalto, che 
prevedono appunto 
l’aggiudicazione di contratti di appalto della durata di due anni; 
3) 
sussiste 
una 
sovrapponibilità 
soltanto 
parziale 
delle 
condizioni 
contrattuali 
sul 
piano 
qualitativo 
e 
normativo, 
in 
ragione 
-inter 
alia 
-delle 
seguenti 
circostanze: 
a) 
la 
convenzione-quadro 
stipulata 
dalla 
Consip, 
a 
differenza 
dell’appalto 
specifico bandito da 
codesto Dicastero, non è 
aggiornata 
ai 
nuovi 
Criteri 
Ambientali 
Minimi 
(CAM) 
di 
cui 
al 
D.M. 
n. 
51 
29 
gennaio 
2021, 
pubblicato 
sulla 
g.u. n. 42 del 19 febbraio 2021, in vigore dal 19 giugno 2021; 
b) 
la 
convenzione-quadro 
ha 
ad 
oggetto 
un 
appalto 
a 
misura 
e 
non 
a 
corpo, 
come 
accade 
invece 
nel 
caso 
delle 
gare 
bandite 
da 
codesta 
Amministrazione, 
con 
la 
conseguenza 
che 
l’adesione 
alla 
convenzione-quadro 
potrebbe 
comportare 
-in 
concreto 
-dei 
costi 
maggiori 
per 
le 
singole 
stazioni 
appaltanti; 
c) 
la 
suddetta 
convenzione-quadro prevede 
un extra 
canone 
per l’attività 

PArerI 
DeL 
CoMItAto 
ConSuLtIVo 


di 
pulizia 
straordinaria 
da 
calcolare 
separatamente, 
con 
un 
ulteriore 
incremento 
del 
prezzo a 
carico delle 
stazioni 
appaltanti, laddove 
il 
capitolato tecnico predisposto 
da 
codesto 
Dicastero 
prevede 
la 
possibilità 
di 
ore 
aggiuntive 
di 
pulizia 
straordinaria già nell’ambito dell’offerta economica complessiva. 


Pertanto, 
in 
considerazione 
dei 
suddetti 
elementi 
riferiti 
da 
codesta 
Amministrazione, 
si 
ritiene 
che 
nulla 
osti 
all’aggiudicazione 
delle 
gare 
in 
corso, 
ferma 
restando 
la 
possibilità 
di 
recedere 
dai 
contratti 
stipulati, 
qualora 
-nell’ambito 
dell’esecuzione 
concreta 
del 
singolo 
rapporto 
negoziale 
-dovesse 
emergere 
la 
sussistenza 
delle 
condizioni 
previste 
dall’articolo 
1, 
co. 
13, 
del 
de-
creto-legge 
6 
luglio 
2012, 
n. 
95, 
convertito 
dalla 
legge 
7 
agosto 
2012, 
n. 
135. 


La 
questione 
è 
stata 
sottoposta 
al 
Comitato Consultivo dell’Avvocatura 
dello Stato, che si è espresso in conformità nella seduta del 16 marzo 2022. 



rASSegnA 
AVVoCAturA 
DeLLo 
StAto -n. 4/2022 


Corrispondenza intercorrente tra Amministrazioni 
dello Stato e 
Avvocatura dello Stato inerente ad atti 
defensionali. istanza di accesso ed ostensibilità 


Parere 
del 
07/04/2022 
-226377, al 19451/2021, 
avv. maurIzIo 
GreCo 


Con la 
nota 
che 
si 
riscontra 
n. 5319/15-37-12, del 
3 dicembre 
2021, codesto 
Comando rappresenta quanto segue. 


Il 
-omissis-ebbe 
a 
proporre 
ricorso al 
t.a.r. Lazio avverso un provvedimento 
di 
trasferimento 
che 
riguardava 
altro 
ufficiale 
dell’Arma 
destinato 
alla 
sede di Imperia. 


Il 
t.a.r. Lazio ha 
dichiarato la 
propria 
incompetenza 
territoriale 
e 
l’ufficiale 
ha 
così 
provveduto alla 
riassunzione 
del 
giudizio avanti 
al 
t.a.r. Liguria. 


Il 
t.a.r Liguria 
ha 
poi 
stabilito, in data 
11 novembre 
2021, l’improcedibilità 
per sopravvenuta 
carenza 
di 
interesse, dato l’atto di 
rinuncia 
proposto 
dall’ufficiale in data 27 settembre 2021. 


medio 
tempore, 
il 
9 
agosto 
2021, 
l’ufficiale 
aveva 
chiesto 
che 
gli 
venisse 
inviata 
copia 
della 
memoria 
con 
cui 
l’Amministrazione 
aveva 
interloquito 
con 
la 
Scrivente 
sui 
motivi 
di 
ricorso, richiesta 
che 
non era 
stata 
accolta 
alla 
luce 
dell’art. 2 del D.P.C.M. n. 200/1996. 


Detta richiesta sarebbe stata reiterata in data 16 novembre 2021. 


Ciò premesso, si 
osserva 
che 
non risulta 
possibile 
dare 
favorevole 
corso 
alla istanza dell’ufficiale. 


ed 
infatti, 
agli 
atti 
della 
Scrivente 
risulta 
pervenuta 
la 
nota 
di 
codesto 
Comando 
n. 5319/14-10-18, in data 
8 giugno 2021, contenente 
gli 
elementi 
difensivi 
dell’Amministrazione. 


Detta 
nota, proprio per la 
sua 
natura, facendo riferimento ad elementi 
finalizzati 
ad assicurare 
la 
difesa 
dell’Amministrazione 
ed essendo quindi 
direttamente 
funzionale 
alla 
tutela 
della 
stessa 
in 
giudizio 
(cfr., 
art. 
14 
r.D. 
1611/1933), 
contenendo 
valutazioni 
di 
ordine 
strategico-difensivo, 
appare 
essere 
sottratta 
in quanto tale 
al 
regime 
ostensivo in virtù di 
quanto previsto dal 
combinato disposto degli 
artt. 24 comma 
1), lettera 
a, L. 241/1990, 2 e 
5 del 


D.P.C.M. n. 200/1996 (cfr., tra 
le 
tante, Cons. St. sez. IV 
sentt. nn. 2496/2021 
e 6115/2021). 
In 
particolare 
si 
sottolinea 
che 
ai 
sensi 
dell’art. 
2 
del 
citato 
D.P.C.M. 
200/96 sono sottratti 
all’accesso i 
seguenti 
documenti: 
“a) pareri 
resi 
in relazione 
a lite 
in potenza o in atto e 
la inerente 
corrispondenza; b) atti 
defensionali; 
c) corrispondenza inerente agli affari di cui ai punti a) e b)”. 


Il 
requisito dell’attinenza 
“a 
lite 
in potenza 
o in atto” 
è 
dunque 
previsto 
solo 
per 
i 
pareri 
(resi, 
evidentemente 
dall’Avvocatuxa 
dello 
Stato, 
in 
relazione 
a 
una 
lite); 
ne 
consegue 
che 
analoga 
riferibilità 
non sussiste 
in relazione 
agli 



PArerI 
DeL 
CoMItAto 
ConSuLtIVo 


atti 
defensionali 
e 
alla 
corrispondenza 
ad essa 
(punto b) inerente, che 
devono 


quindi ritenersi sottratti all’accesso sine die. 


È questa la fattispecie che emerge nel presente caso. 


Infatti, 
con 
la 
nota 
in 
esame, 
sono 
stati 
forniti 
tutti 
gli 
elementi 
informativi 
e 
tecnico-difensivi 
della 
controversia 
che 
appunto, in quanto tali, sono caratterizzati 
dalla 
riservatezza, mirando alla 
tutela 
della 
posizione 
dell’Amministrazione, 
la 
quale 
deve 
essere 
libera 
di 
esercitare 
il 
proprio diritto di 
difesa 
garantito dalla 
Costituzione 
e 
deve 
poter fruire, in detto ambito, di 
una 
tutela 
pari 
a 
quella 
di 
qualsiasi 
altro soggetto dell’ordinamento quando ha 
interlocuzioni 
con il proprio legale Istituzionale. 


Ferme 
queste 
osservazioni, anche 
a 
voler, in via 
meramente 
ipotetica 
e 
qui 
denegata, 
opinare 
diversamente 
ritenendo 
necessaria 
l’attinenza 
del 
documento 
a 
lite 
in potenza 
o in atto, rimarrebbe 
comunque 
impregiudicata 
la 
circostanza 
che, 
come 
sopra 
cennato, 
trattasi 
di 
controversia 
esaurita, 
non 
sussistendo 
così 
alcuna 
ragione 
né 
difensiva 
né 
di 
altro 
genere 
da 
cui 
parte 
istante possa trarre concreta utilità da un eventuale accesso. 


L’accesso richiesto, infatti, non può essere 
ritenuto funzionale 
alla 
tutela 
di 
alcun interesse 
giuridicamente 
rilevante 
(accesso c.d. conoscitivo) né, tantomeno, 
stante 
l’intervenuta 
definizione 
della 
lite, è 
strumentale 
alla 
difesa 
in 
giudizio (c.d. accesso difensivo). 


Si rimane a disposizione per quanto ulteriormente necessario. 


Sul 
presente 
parere 
si 
è 
espresso 
in 
conformità 
il 
Comitato 
consultivo 
nella seduta del 16 marzo 2022. 



rASSegnA 
AVVoCAturA 
DeLLo 
StAto -n. 4/2022 


Soggetti danneggiati da trasfusioni con sangue infetto. 
Procedure transattive di cui alla l. 29 novembre 2007 n. 222 
e all’articolo 2, comma 362, della l. 31 dicembre 2007 n. 244 
alla luce della nota sentenza 5 novembre 2021, n. 16 
dell’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato 


Parere 
del 
16/06/2022 
-397040, al 48906/2021, 

v.a.G. enrICo 
de 
GIovannI 
Con 
la 
nota 
in 
epigrafe 
codesta 
Amministrazione 
segnala 
di 
trovarsi 
nella 
necessità 
di 
far 
fronte 
all’esecuzione 
di 
alcune 
sentenze 
del 
Consiglio 
di 
Stato 
in 
materia 
di 
transazioni 
disciplinate 
dalle 
leggi 
nn. 
222 
e 
244/2007, 
che 
hanno 
annullato i 
provvedimenti 
di 
rigetto adottati 
dall’Amministrazione 
in considerazione 
della 
ritenuta 
maturazione 
-peraltro 
esclusa 
dal 
giudice 
di 
primo 
grado - dei termini previsti dall’art. 5, comma 1, del d.m. 4 maggio 2012. 


In 
particolare, 
svolge 
le 
seguenti 
osservazioni 
in 
riferimento 
alla 
sentenza 


n. 3698 del 2021 del Consiglio di Stato, pubblicata in data 11 maggio 2021. 
nella 
prefata 
sentenza, il 
Consiglio di 
Stato ha 
statuito che 
il 
Ministero 
della 
Salute 
dovrà 
riesaminare 
la 
domanda 
di 
ammissione 
alla 
transazione 
presentata 
dall’appellante 
tenendo conto dei 
principi 
espressi 
in motivazione 
ed 
accertando se, come 
dedotto in giudizio (e 
provato con la 
relativa 
documentazione), 
altri 
danneggiati 
che 
versavano nella 
medesima 
condizione 
dell’appellante 
siano stati ammessi alla transazione. 


Con 
riferimento 
alla 
prima 
parte 
della 
statuizione 
nella 
motivazione 
si 
legge 
che 
si 
“imponeva all’amministrazione 
di 
approfondire 
la problematica 
rappresentata dalla parte 
danneggiata, indicando compiutamente 
le 
ragioni 
giuridiche 
per 
le 
quali, 
a 
fronte 
di 
una 
decisione 
esecutiva 
di 
primo 
grado, 
che 
aveva rigettato l’eccezione 
di 
prescrizione 
e 
che 
aveva riconosciuto il 
diritto 
al 
risarcimento del 
danno, l’amministrazione 
aveva nondimeno negato 
l’accesso 
alla 
procedura 
transattiva 
(introdotta 
dal 
legislatore 
a 
scopo 
deflattivo 
del 
contenzioso risarcitorio) sulla base 
di 
un presupposto (quello dell’intervenuta 
prescrizione del diritto), ritenuto insussistente dal giudice”. 


Codesta 
Amministrazione 
segnala 
che 
siffatto rigetto, a 
seguito di 
conforme 
parere 
della 
Scrivente, si 
fondava 
sul 
carattere 
non definitivo della 
sentenza 
di 
I 
grado 
(n. 
19054 
del 
2014 
del 
tribunale 
di 
roma), 
che 
ha 
riconosciuto, 
respingendo 
l’eccezione 
di 
prescrizione, 
il 
diritto 
al 
risarcimento 
del 
danno 
a 
favore 
dell’interessata, 
argomentazioni 
che 
sono 
state 
riaffermate, 
senza successo, nelle difese dinanzi al Consiglio di Stato. 


Pertanto, 
si 
teme 
che 
un 
eventuale 
ulteriore 
provvedimento 
di 
rigetto 
da 
parte 
dell’Amministrazione, 
fondato 
sull’eccezione 
di 
maturata 
prescrizione, 
determinerebbe, 
in 
caso 
di 
impugnazione 
ex 
art. 
112 
cod. 
proc. 
amm., 
un 
nuovo 
annullamento 
del 
provvedimento 
per 
violazione 
o 
elusione 
del 
giudicato. 



PArerI 
DeL 
CoMItAto 
ConSuLtIVo 


Per 
quanto 
concerne 
la 
seconda 
parte 
della 
pronuncia, 
laddove 
si 
richiede 
all’Amministrazione 
di 
accertare 
se 
altri 
danneggiati 
che 
versavano 
nella 
stessa 
condizione 
dell’appellante 
siano stati 
ammessi 
alla 
transazione, viene 
qui 
comunicato 
che 
una 
verifica 
istruttoria 
dell’ufficio, 
effettuata 
per 
le 
vie 
brevi, 
ha 
consentito di 
accertare 
che 
per tutti 
i 
soggetti 
stipulanti 
era 
stata 
accertata 
la 
sussistenza 
del 
requisito dell’art. 5, comma 
1, lett. a) d.m. citato, vale 
a 
dire 
la 
non intervenuta prescrizione del diritto al risarcimento. 


Premesso quanto sopra, codesta 
Amministrazione, ai 
fini 
di 
valutare 
se 
procedere 
o 
meno 
all’eventuale 
stipula 
della 
relativa 
transazione, 
chiede 
un 
parere 
sul 
caso sopra 
illustrato che 
possa 
fornire, in tema 
di 
prescrizione, utili 
elementi anche per eventuali successive fattispecie analoghe. 


ulteriore 
questione, che 
viene 
sottoposta 
alla 
Scrivente, riguarda 
quanto 
statuito dalle 
sentenze 
nn. 3533 e 
3376 del 
2021 del 
Consiglio di 
Stato, anche 
in considerazione 
dei 
provvedimenti 
adottati 
in conseguenza 
delle 
stesse 
dal 
Commissario ad acta 
nominato. 


La 
sentenza 
n. 3533 del 
2021 (la 
sentenza 
n. 3376 del 
2021 del 
Consiglio 
di 
Stato ha 
identico contenuto) ha 
statuito, fra 
l’altro, che: 
“Gli 
indennizzi 
in 
parola sono previsti 
e 
disciplinati 
da una disciplina di 
legge 
speciale 
(leggi 


n. 222/2007, art. 33, e 
244/2007, art. 2, comma 360) che 
“autorizza il 
ministero 
della 
Salute, 
di 
concerto 
con 
il 
ministero 
dell’economia 
e 
delle 
Finanze, 
a stipulare 
transazioni 
con soggetti 
talassemici, affetti 
da altre 
emoglobinopatie 
o 
affetti 
da 
anemie 
ereditarie, 
emofiliaci 
ed 
emotrasfusi 
occasionali 
danneggiati 
da 
trasfusioni 
con 
sangue 
infetto 
o 
da 
somministrazione 
di 
emoderivati 
infetti 
e 
con 
soggetti 
danneggiati 
da 
vaccinazioni 
obbligatorie 
che 
avessero istaurato azioni 
di 
risarcimento ai 
sensi 
dell’art. 2043 ss. c.c.” 
e 
che 
impone 
l’“equa riparazione 
per 
i 
soggetti 
danneggiati 
da trasfusione 
con 
sangue 
infetto 
o 
emoderivati 
infetti 
da 
vaccinazioni 
obbligatorie” 
che 
abbiano 
presentato domanda di 
adesione 
alla procedura transattiva, di 
cui 
alla 
l. 244 del 2007, entro il 19 gennaio 2010”. 
ritiene 
il 
Consiglio 
di 
Stato 
che 
i 
plurimi 
interventi 
legislativi 
in 
materia 
rispondono 
ad 
una 
evidente 
ratio 
equitativa, 
volta 
a 
contenere 
il 
conseguente 
imponente 
e 
finanziariamente 
molto 
oneroso 
-contenzioso 
risarcitorio 
mediante 
la 
possibilità, 
per 
tutti 
gli 
interessati, 
di 
accedere 
in 
modo 
paritario 
ad 
un 
equo 
indennizzo, 
sottraendosi 
ai 
tempi, 
ai 
costi 
ed 
all’alea 
di 
un 
giudizio 
civilistico. 
ne 
consegue, 
sempre 
secondo 
le 
citate 
sentenze, 
che 
il 
giudice 
amministrativo 
deve 
prendere 
atto 
dell’avvenuto 
conferimento, 
all’Amministrazione, 
di 
una 
potestà 
pubblicistica, 
e 
quindi 
del 
potere-dovere 
di 
ristorare 
il 
danno 
indebitamente 
subito 
dai 
pazienti 
emotrasfusi, 
anche 
stipulando 
una 
transazione 
con 
ogni 
soggetto 
richiedente 
qualora 
lo 
stesso 
risulti 
oggettivamente 
compreso 
fra 
quelli 
danneggiati 
ed 
abbia 
formulato 
“domanda 
di 
risarcimento 
del 
danno 
ai 
sensi 
dell’art. 
2043 
ss. 
cc.” 
ovvero 
abbia 
presentato 
“domanda 
di 
adesione 
alla 



rASSegnA 
AVVoCAturA 
DeLLo 
StAto -n. 4/2022 


procedura 
transattiva, 
di 
cui 
alla 
1. 
244 
del 
2007, 
entro 
il 
19 
gennaio 
2010”, 
risultando 
“ultroneo” 
ogni 
diverso 
ed 
ulteriore 
limite 
prescrizionale 
o 
temporale 
previsto 
dalla 
normativa 
codicistica 
e 
discendendone 
l’impossibilità 
di 
applicare 
la 
ordinaria 
disciplina 
prescrizionale 
per 
la 
parte 
in 
cui 
ciò 
impedisse 
di 
dare 
attuazione al chiaro disposto della citata previsione di legge speciale. ne consegue, 
nei 
casi 
esaminati 
dalle 
citate 
decisioni, 
che, 
in 
presenza 
di 
una 
domanda 
di 
risarcimento 
ex 
art. 
2043 
c.c. 
ritualmente 
proposta 
(e 
peraltro 
accolta 
dal 
tribunale 
civile 
di 
primo 
grado) 
e 
di 
plurime 
domande 
di 
indennizzo 
reiteratamente 
proposte 
dall’interessata 
già 
prima 
dell’azione 
in 
giudizio, 
la 
previsione 
di 
cui 
al 
D.M. 
4 
maggio 
2012, 
art. 
5, 
comma 
1, 
lett. 
a), 
non 
poteva 
in 
ogni 
caso 
ritenersi 
ostativa 
alla 
stipula 
della 
richiesta 
transazione 
mediante 
il 
richiamo 
a 
termini 
prescrizionali 
in 
realtà 
non 
applicabili 
alla 
fattispecie 
in 
esame; 
non 
è 
quindi 
possibile, 
prosegue 
il 
giudice 
amministrativo, 
individuare 
particolari 
ragioni 
ostative 
debitamente 
valutate 
dall’Amministrazione 
al 
fine 
di 
giustificare 
la 
non 
ammissione 
dell’appellante 
alla 
procedura 
transattiva. 


Il 
Consiglio 
di 
Stato 
ha 
disposto, 
in 
conclusione, 
che 
l’appello 
sia 
accolto 
e, 
per 
l’effetto, 
annullando 
l’impugnato 
diniego, 
ha 
dichiarato 
l’obbligo 
del 
nominato 
commissario 
ad 
acta 
di 
riesaminare 
la 
domanda 
dell’appellante, 
ammettendola 
alla 
procedura 
transattiva 
ai 
fini 
della 
corresponsione 
del 
previsto 
indennizzo. 


Codesta 
Amministrazione 
comunica 
quindi 
che 
a 
seguito delle 
predette 
sentenze 
il 
Commissario 
ad 
acta 
ha 
adottato 
due 
provvedimenti 
di 
ammissione 
alla procedura transattiva. 


tanto premesso si rileva quanto segue. 
**** 
Il 
presente 
parere 
prenderà 
in 
considerazione 
le 
questioni 
generali 
e 
di 
massima 
sollevate 
dalle 
descritte 
sentenze 
e 
valuterà 
gli 
effetti, sul 
piano interpretativo 
e, 
quindi, 
applicativo 
della 
vigente 
normativa, 
della 
nota 
sentenza 
5 novembre 
2021, n. 16 dell’Adunanza 
plenaria 
del 
Consiglio di 
Stato; 
alla 
luce 
dei 
principi 
che 
saranno 
di 
seguito 
esposti 
si 
procederà 
poi, 
con 
successive 
note, 
a 
fornire 
specifiche 
indicazioni 
operative 
ai 
fini 
dell’esecuzione 
delle 
sopra riassunte sentenze del Consiglio di Stato. 
**** 


Come 
è 
noto, con la 
1. 29 novembre 
2007, n. 222 (di 
conversione 
del-
l’articolo 
33 
del 
d.l. 
1 
ottobre 
2007, 
n. 
159) 
e 
con 
l’articolo 
2, 
comma 
362, 
della 
1. 31 dicembre 
2007, n. 244, si 
è 
prevista 
la 
possibilità 
per il 
Ministero 
della 
Salute 
di 
stipulare 
transazioni 
con 
soggetti 
danneggiati 
da 
trasfusioni 
con 
sangue 
infetto che 
abbiano instaurato azioni 
di 
risarcimento tuttora 
pendenti; 
con 
decreto 
28 
aprile 
2009, 
n. 
132, 
del 
Ministro 
del 
lavoro, 
della 
salute 
e 
delle 
politiche 
sociali, di 
concerto con il 
Ministro dell’economia 
e 
delle 
finanze, è 
stato adottato il 
regolamento che 
ha 
fissato i 
criteri 
in base 
ai 
quali 
definire 
le 
transazioni da stipulare con i soggetti individuati dalla normativa. 



PArerI 
DeL 
CoMItAto 
ConSuLtIVo 


Con decreto 4 maggio 2012 del 
Ministro della 
salute, di 
concerto con il 
Ministro dell’economia 
e 
delle 
finanze 
(c.d. “Decreto moduli”) sono stati 
definiti 
i 
moduli 
transattivi 
per cui 
sono state 
ritenute 
ammissibili, ai 
sensi 
del-
l’art. 5, comma 1, dello stesso le sole istanze per le quali: 


“a) 
non 
siano 
decorsi 
più 
di 
cinque 
anni 
fra 
la 
data 
di 
presentazione 
della 
domanda per 
l’indennizzo di 
cui 
alla legge 
25 febbraio 1992, n. 210 e 
la data 
di notifica dell’atto di citazione, da parte dei danneggiati viventi; 


b) 
non siano decorsi 
più di 
dieci 
anni 
tra la data del 
decesso e 
la data di 
notifica dell’atto di citazione da parte degli eredi dei danneggiati deceduti; 
c) 
non sia già intervenuta una sentenza dichiarativa della prescrizione”. 
Premesso 
che 
è 
stato 
autorevolmente 
affermato 
in 
giurisprudenza 
che, 
contrariamente 
a 
quanto ora 
ritenuto dal 
Consiglio di 
Stato nelle 
sentenze 
nn. 
3533 e 
3376/2021, il 
Ministero della 
Salute, in forza 
delle 
richiamate 
disposizioni, 
non 
ha 
l’obbligo 
giuridico 
di 
consentire 
la 
stipula 
delle 
transazioni, 
trattandosi 
di 
scelta 
rimessa 
alle 
valutazioni 
dell’ufficio 
competente, 
non 
comprimibili 
attraverso l’indicazione 
vincolante 
di 
un loro esito predeterminato 
(cfr. Corte 
di 
cassazione, sez. VI, sentenza 
n. 17403 del 
30 luglio 2014; 
Consiglio di 
Stato, parere 
13/2015 del 
5 gennaio 2015), e 
che 
la 
circostanza 
che 
siffatta 
affermazione 
sia 
stata 
resa 
anche 
dalla 
Suprema 
Corte 
di 
cassazione, 
cui 
spetta 
la 
superiore 
funzione 
nomofilattica, appare 
per tale 
motivo 
particolarmente 
significativo (tale 
da 
superare 
diverse 
valutazioni 
anche 
del 
giudice 
Amministrativo), 
è 
stato 
posto 
il 
problema 
dell’interpretazione 
del 
citato 
art. 5. 


Come 
è 
noto, 
nei 
propri 
pareri 
e 
atti 
defensionali 
la 
Scrivente 
ha 
più 
volte 
affermato 
(in 
armonia 
con 
il 
disposto 
dell’art. 
5 
in 
esame) 
che, 
allorché 
il 
soggetto 
interessato (il 
danneggiato vivente 
nel 
caso della 
lettera 
a) abbia 
presentato 
domanda 
di 
adesione 
alla 
transazione 
quando 
sono 
trascorsi 
più 
di 
cinque 
anni 
tra 
la 
data 
di 
presentazione 
della 
domanda 
per l’indennizzo di 
cui 
alla 
l. 


n. 210 del 
1992 e 
quella 
di 
notificazione 
dell’atto introduttivo del 
giudizio risarcitorio 
ovvero (essendo erede 
di 
danneggiato deceduto, lett. b) l’abbia 
presentata 
quando sono decorsi 
più di 
10 anni 
tra 
la 
data 
del 
decesso del 
dante 
causa 
e 
quella 
di 
notifica 
dell’atto 
di 
citazione 
risarcitorio, 
l’istanza 
deve 
essere 
rigettata, e, ciò, si 
era 
ritenuto, perché, in questi 
casi, il 
diritto al 
risarcimento 
del 
danno 
doveva 
ritenersi 
estinto 
valutandosi 
che 
siffatti 
termini 
facessero 
riferimento 
all’intervenuta 
prescrizione 
quinquennale 
o decennale 
del 
relativo 
diritto. 
Le 
sentenze 
sopra 
ricordate 
del 
Consiglio di 
Stato giungono invece 
addirittura 
ad 
affermare, 
nel 
respingere 
le 
tesi 
difensive 
erariali, 
che 
“il 
giudice 
amministrativo 
deve 
prendere 
atto 
dell’avvenuto 
conferimento, 
all’amministrazione, 
di 
una potestà pubblicistica, e 
quindi 
del 
potere-dovere 
di 
ristorare 
il 
danno 
indebitamente 
subito 
dai 
pazienti 
-omISSIS-, 
anche 
stipulando 
una 
transazione 
con ogni 
soggetto richiedente 
qualora lo stesso risulti 
oggettiva



rASSegnA 
AVVoCAturA 
DeLLo 
StAto -n. 4/2022 


mente 
compreso fra quelli 
danneggiati 
ed abbia formulato “domanda di 
risarcimento 
del 
danno ai 
sensi 
dell’art. 2043 ss. c.c.” 
ovvero abbia presentato 
“domanda di 
adesione 
alla procedura transattiva, di 
cui 
alla l. 244 del 
2007, 
entro il 
19 gennaio 2010”.... alla luce 
della predetta previsione 
di 
legge 
speciale, 
risulta evidentemente 
ultroneo ogni 
diverso ed ulteriore 
limite 
prescrizionale 
o 
temporale 
previsto 
dalla 
normativa 
codicistica, 
discendendone 
la 
impossibilità di 
applicare 
la ordinaria disciplina prescrizionale 
per 
la parte 
in cui 
ciò impedirebbe 
di 
dare 
attuazione 
al 
chiaro disposto della citata previsione 
di 
legge 
speciale”; 
si 
tratta, come 
ben si 
vede, di 
una 
sostanziale 
e 
totale 
disapplicazione 
delle 
ricordate 
previsioni 
dell’art. 
5 
del 
d.m. 
4 
maggio 
2012 
in 
esame 
e, 
in 
particolare, 
dei 
termini 
ivi 
previsti 
per 
l’ammissibilità 
delle 
domande, ma, ancor di 
più, si 
tratta 
della 
totale 
disapplicazione 
delle 
norme 
di 
legge 
primaria 
che 
riconnettono 
l’estinzione 
di 
una 
posizione 
giuridica 
attiva 
al 
trascorrere 
di 
un determinato lasso di 
tempo, giungendosi, così, di 
fatto ad 
una 
violazione 
dei 
principi 
fondamentali 
del 
diritto in materia 
di 
prescrizione. 


A 
ciò 
si 
aggiunga 
che 
nelle 
prefate 
decisioni 
il 
Consiglio 
di 
Stato 
fa 
espresso 
riferimento 
all’istituto 
della 
prescrizione 
(“impossibilità 
di 
applicare 
la ordinaria disciplina prescrizionale”) evidentemente 
intendendo che 
i 
termini 
di cui all’art. 5 abbiano, appunto, natura prescrizionale. 


Va 
tuttavia 
ricordato 
che 
sul 
tema 
specifico 
è 
intervenuta 
la 
citata 
sentenza 


n. 
16/2021 
dell’Adunanza 
plenaria 
del 
Consiglio 
di 
Stato 
che 
così 
si 
è 
espressa 
nell’esaminare l’art. 5, comma 1, del decreto 4 maggio 2012. 
“È 
proprio sulle 
lettere 
a) e 
b) del 
“decreto moduli” 
che 
si 
appunta la 
quaestio iuris sollevata..., 
la 
Sezione 
rimettente 
non 
nutre 
dubbio 
alcuno 
che 
la 
lett. 
b), 
nel 
tracciare 
il 
perimetro di 
applicabilità della speciale 
procedura transattiva, si 
riferisca 
al 
danno 
iure 
hereditatis, 
con 
esclusione 
del 
danno 
eventualmente 
subito 
dalle 
vittime 
secondarie 
iure 
proprio 
(si 
rinvia 
sul 
punto 
all’ampia 
argomentazione 
contenuta nell’ordinanza di 
rinvio, paragrafo 17) e 
dunque 
si 
limita a interrogare 
questa adunanza sul 
significato utile 
da dare 
alla previsione 
ivi 
riportata 
con 
riferimento 
al 
solo 
danno 
iure 
hereditatis, 
non 
mancando 
di 
prospettare 
un range 
di 
opzioni 
esegetiche 
di 
natura conservativa che 
si 
basano, 
in tesi, su una possibile 
rinuncia alla prescrizione 
fondata sulla pietas 
dell’ordinamento verso le 
ipotesi 
più gravi 
(opzione 
tuttavia ritenuta impraticabile 
stante 
il 
disposto dell’art. 2937, comma 2, c. c., secondo il 
quale 
“si 
può rinunziare 
alla prescrizione 
solo quando questa è 
compiuta”) o, secondo 
altra tesi, di 
natura demolitiva, fondata, per 
converso, sull’esistenza di 
un’irriducibile 
aporia in ordine 
ai 
termini 
prescrizionali 
applicabili, da risolvere 
attraverso 
gli 
strumenti 
della 
disapplicazione 
(se 
e 
in 
quanto 
si 
possa 
ritenere 
la 
fonte 
di 
natura 
“sostanzialmente” 
regolamentare) 
oppure 
della 
declaratoria 
di nullità del “dm moduli”. 



PArerI 
DeL 
CoMItAto 
ConSuLtIVo 


3.1. 
Tra 
le 
opzioni 
esegetiche 
passate 
in 
rassegna 
dalla 
Sezione 
ve 
n'è 
infine 
una che, senza sottacere 
l’equivocità della formulazione 
normativa, ha il 
pregio di 
stemperare 
il 
problematico rapporto delle 
previsioni 
del 
“dm moduli” 
con 
i 
principi 
generali 
in 
tema 
di 
prescrizione, 
assegnando 
al 
citato 
dm 
il 
ruolo 
meramente 
applicativo 
di 
definizione 
temporale 
delle 
condizioni 
di 
accessibilità 
degli 
eredi 
al 
modulo 
transattivo 
fermo 
il 
regime 
sostanziale 
della 
prescrizione fissato dalla legge. 
4. 
ritiene 
la Sezione 
che 
questa ultima sia l’opzione 
ermeneutica da seguire. 
5. 
né 
il 
regolamento di 
cui 
al 
dm 28 aprile 
2009, n. 132, né 
il 
“dm moduli” 
a cui 
il 
primo ha demandato la fissazione 
di 
alcuni 
profili 
meramente 
attuativi 
della fattispecie 
avrebbero potuto prevedere 
alcunché 
di 
innovativo 
in materia di 
prescrizione, non avendo forza di 
legge 
(cfr. art. 2946 cc 
e 
seguenti). 
Trattasi 
di 
fonti 
e 
atti 
generali 
applicativi, 
il 
cui 
unico 
compito 
è 
piuttosto 
quello 
di 
dettare 
criteri 
e 
modalità 
operative 
per 
la 
definizione 
transattiva delle 
liti 
pendenti, alla luce 
dei 
principi 
generali 
in materia di 
decorrenza 
dei termini di prescrizione del diritto fissati dal codice civile. 
6. 
l’amministrazione, nell’adempiere 
a tale 
compito a mezzo del 
“dm 
moduli”, 
ha 
ritenuto 
di 
individuare 
quale 
criterio 
primario, 
idoneo 
a 
scremare 
l’area della materia contenziosa suscettibile 
di 
speciale 
transazione, quello 
dell’insussistenza 
di 
una 
sentenza 
dichiarativa 
della 
prescrizione 
(lett 
c). 
Questa 
è 
invero 
l’unica 
previsione 
che 
deve 
ritenersi 
direttamente 
collegata 
all’effettivo 
decorso dei 
termini 
prescrizionali: essa è 
declinata nel 
senso che 
se 
la 
prescrizione 
è 
stata 
oggetto 
di 
accertamento 
giurisdizionale, 
seppur 
non 
coperto da giudicato, l’accesso al 
modulo transattivo è 
da ritenersi 
precluso. 
6.1. 
le 
altre 
due 
coordinate 
selettive, 
riferite 
rispettivamente 
ai 
“danneggiati 
viventi” 
(lett. a) e 
agli 
“eredi 
dei 
danneggiati 
deceduti” 
(lett. b) si 
limitano, 
ferma la condizione 
del 
mancato intervento di 
una sentenza accertativa 
della prescrizione, a definire un arco temporale entro il quale la domanda di 
adesione 
alla 
procedura 
transattiva 
può 
essere 
presentata. 
Ciò 
fanno, 
è 
da 
ritenere, 
sulla 
base 
di 
motivazioni 
che 
non 
attengono 
al 
presunto 
maturarsi 
della prescrizione 
alla luce 
delle 
previsioni 
codicistiche, ma a ragioni 
di 
carattere 
gestionale 
correlate 
alla 
limitatezza 
delle 
risorse 
messe 
a 
disposizione, 
e, probabilmente, al 
grado di 
interesse 
e 
bisogno del 
danneggiato presuntivamente 
evincibile 
dai 
tempi 
di 
attivazione 
del 
giudizio. del 
resto, se 
così 
non 
fosse, e 
se 
viceversa si 
ritenesse 
che 
il 
quinquennio indicato in seno alla lett. 
a) nonché 
il 
decennio di 
cui 
alla lett. b) fossero in qualche 
modo correlati 
al 
decorso 
del 
termine 
prescrizionale, 
sarebbe 
agevole 
osservare 
che 
tali 
termini 
sono 
suscettibili 
di 
interruzione 
anche 
a 
mezzo 
di 
atto 
stragiudiziale, 
e 
sarebbe 
pertanto 
errato 
presumere 
il 
maturarsi 
della 
prescrizione 
senza 
estendere 
l’indagine 
e le valutazioni anche al rapporto preprocessuale. 
6.2. 
l’indicata 
soluzione 
esegetica, 
che 
sgancia 
il 
disposto 
applicativo 

rASSegnA 
AVVoCAturA 
DeLLo 
StAto -n. 4/2022 


dalle 
disposizioni 
codicistiche 
in 
tema 
di 
prescrizione, 
deriva, 
oltre 
che 
dal 
tenore 
testuale 
delle 
disposizioni, 
anche 
dai 
criteri 
ermeneutici 
di 
carattere 
sistematico e 
teleologico. Il 
procedimento transattivo del 
quale 
si 
discorre 
è 
certamente 
procedimento di 
carattere 
speciale 
che 
non esclude 
la percorribilità 
della transazione 
ordinaria fra le 
parti 
ove 
ne 
ricorrano i 
presupposti 
generali 
di cui all’art. 1965 c.c. 


esso 
ha 
la 
duplice 
finalità 
di 
incidere 
sul 
vasto 
contenzioso 
che 
la 
vicenda 
ha 
generato 
nonché 
di 
offrire 
in 
tempi 
rapidi 
(purtroppo 
solo 
auspicati) 
ai 
danneggiati 
o 
ai 
loro 
eredi 
un 
ristoro, 
sì 
da 
evitare 
che, 
specialmente 
nelle 
fasce 
di 
popolazione 
a basso reddito, al 
danno si 
associno ulteriori 
disagi 
sociali 
ed economici. 


6.3. la soluzione 
interpretativa è 
anche 
l’unica coerente 
con il 
topos 
ermeneutico 
dell’interpretazione 
“conforme” 
atteso 
che 
è 
l’unica, 
alla 
luce 
della 
formulazione 
testuale 
della 
disposizione, 
ad 
assicurare 
la 
conformità 
dell’impianto 
attuativo con le 
superiori 
regole 
in materia di 
prescrizione, così 
come 
chiarite 
dalla Corte 
di 
Cassazione, a mente 
delle 
quali 
in caso di 
decesso del 
danneggiato a causa del 
contagio, la prescrizione 
rimane 
quinquennale 
per 
il 
danno subito da quel 
soggetto in vita, del 
quale 
il 
congiunto chieda il 
risarcimento 
iure 
hereditatis 
“trattandosi 
pur 
sempre 
di 
un danno da lesione 
colposa, 
e 
dunque 
di 
un 
reato 
a 
prescrizione 
quinquennale” 
(da 
ultimo, 
Cass. 
civ., n. 5964/2016 cit.). 
7. Può dunque 
rispondersi 
ai 
quesiti 
posti 
dalla Sezione 
III nel 
modo che 
segue: 
a) 
la previsione 
di 
cui 
all’art. 5, comma 1, lettera b), del 
d.m 4 maggio 
2012 
comprende 
nel 
proprio 
ambito 
applicativo 
l’ipotesi 
della 
richiesta 
di 
adesione 
alla 
transazione 
formulata 
dall’erede 
del 
danneggiato 
da 
emotrasfusioni, 
il 
quale 
abbia fatto valere 
in giudizio la propria pretesa al 
risarcimento 
del danno iure hereditario; 
b) 
il 
termine 
decennale 
contemplato 
dal 
citato 
art. 
5, 
comma 
1, 
lettera 
b), non è 
riferibile 
alla presunta prescrizione 
ma si 
limita a segnare 
l’ambito 
temporale 
entro 
il 
quale 
la 
pendenza 
del 
giudizio 
costituisce 
il 
necessario 
presupposto 
per l’ammissione alla transazione. 
Siffatta 
ricostruzione 
della 
natura 
dei 
termini 
previsti 
dall’art. 5 in esame 
si 
pone 
dunque 
in contrasto con le 
pregresse 
sentenze 
dello stesso Consiglio 
di 
Stato sopra 
illustrate, sulle 
quali 
codesta 
Amministrazione 
chiede 
indicazioni 
a 
questo g.u., ed impone 
un ripensamento anche 
delle 
tesi 
finora 
sostenute 
dalla 
Scrivente 
in sede 
sia 
processuale 
che 
consultiva, giacché, come 
già 
segnalato, questa 
Avvocatura 
aveva 
in passato talvolta 
ritenuto che 
i 
termini 
in 
esame 
fossero 
riconducibili 
all’istituto 
della 
prescrizione: 
al 
contrario, 
come 
affermato dall’A.P., “le 
... due 
coordinate 
selettive, riferite 
rispettivamente 
ai 
“danneggiati 
viventi” 
(lett. a) e 
agli 
“eredi 
dei 
danneggiati 
deceduti” 
(lett. 



PArerI 
DeL 
CoMItAto 
ConSuLtIVo 


b) ... non attengono al 
presunto maturarsi 
della prescrizione”, 
ma 
si 
limitano 
“a segnare 
l’ambito temporale 
entro il 
quale 
la pendenza del 
giudizio costituisce 
il 
necessario 
presupposto 
per 
l’ammissione 
alla 
transazione”; 
detti 
termini 
hanno, quindi, natura 
procedimentale, integrando altrettante 
condizioni 
di 
ammissibilità 
dell’istanza 
di 
adesione 
alla 
procedura 
transattiva 
speciale, 
ferma 
restando l’ulteriore 
condizione 
del 
mancato intervento di 
una 
sentenza, 
anche 
non definitiva, accertativa 
della 
prescrizione, di 
cui 
alla 
successiva 
lett. 
c) del comma 1 dell’art. 5 del decreto c.d. moduli. 
L’A.P. precisa 
che 
tali 
previsioni 
si 
giustificano, non in relazione 
al 
presunto 
maturarsi 
della 
prescrizione 
alla 
luce 
delle 
previsioni 
codicistiche, ma 
sulla 
base 
di 
ragioni 
di 
carattere 
gestionale 
correlate 
alla 
limitatezza 
delle 
risorse 
messe 
a 
disposizione, e, probabilmente, al 
grado di 
interesse 
e 
bisogno 
del 
danneggiato presuntivamente 
evincibile 
dai 
tempi 
di 
attivazione 
del 
giudizio. 


Viene 
dunque 
radicalmente 
superato ogni 
riferimento al 
concetto di 
prescrizione 
nell’interpretazione 
e 
applicazione 
del 
disposto dell’art. 5, comma 
1, lettere a) e b) del decreto all’esame. 


tuttavia, si 
precisa, il 
regime 
legale 
della 
prescrizione 
-la 
sua 
durata 
e, 
ancor prima, la 
sua 
operatività 
-rimane 
fermo, anche 
perché 
tale 
regime 
può 
essere 
modificato soltanto da 
una 
fonte 
normativa 
primaria, quale 
i 
decreti 
al-
l’esame 
certamente 
non sono (v., del 
resto, i 
riferimenti 
all’istituto della 
prescrizione 
contenuti 
nell’art. 2, comma 
2, del 
d.m. n. 132/2009 e 
nella 
stessa 
sentenza dell’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato). 


**** 


tanto precisato si impone, tuttavia, un ulteriore chiarimento. 


Come 
più volte 
affermato dalla 
giurisprudenza, ivi 
compresa 
quella 
del 
Consiglio di 
Stato a 
sezioni 
semplici 
sopra 
ricordata, la 
procedura 
transattiva 
speciale 
in 
questione 
è 
stata 
introdotta 
dal 
legislatore 
a 
scopo 
deflattivo 
del 
contenzioso risarcitorio. 


tuttavia, qualora 
il 
contenzioso risarcitorio civile 
sia, sulla 
base 
di 
concreti 
elementi, suscettibile 
di 
essere 
definito (o, addirittura, sia 
già 
stato definito, 
anche 
se 
non in via 
di 
giudicato, come 
precisato nella 
già 
ricordata 
lett. 


c) del 
comma 
1 dell’art. 5 in esame) in relazione 
all’intervenuta 
prescrizione 
del 
diritto al 
risarcimento del 
danno, non vi 
è 
ragione 
per accedere 
alla 
soluzione 
transattiva: 
il 
che 
vuol 
dire 
che 
resta 
fermo il 
fatto che 
codesta 
Amministrazione, 
nell’esercizio della 
propria 
discrezionalità, non potrà 
comunque 
prescindere 
da 
una 
valutazione 
prognostica 
circa 
la 
ricorrenza, 
appunto, 
di 
un’eventuale 
prescrizione 
del 
diritto, e 
dovrà 
dunque 
denegare 
la 
transazione 
ogni 
qualvolta 
riterrà 
plausibile 
l’intervenuta 
prescrizione, 
in 
applicazione 
delle 
ordinarie 
norme 
civilistiche, 
del 
diritto 
predetto, 
salvo, 
s’intende, 
che 
già 
non esista un giudicato negativo al riguardo. 
**** 



rASSegnA 
AVVoCAturA 
DeLLo 
StAto -n. 4/2022 


Dunque, alla 
luce 
di 
quanto finora 
esposto, si 
ritiene 
di 
poter affermare 
che: 


1) 
le 
previsioni 
di 
cui 
all’art. 5, comma 
1, lett. a), b) e 
c) del 
d.m. 4 maggio 
2012 contemplano altrettante 
condizioni 
di 
ammissibilità 
alla 
procedura 
transattiva 
speciale: 
ne 
va 
quindi 
previamente 
e 
preliminarmente 
verificata 
la 
sussistenza 
in ogni 
singolo caso; 
ne 
consegue 
che 
l’accesso alla 
transazione 
dovrà 
essere 
negato 
ogni 
qualvolta 
risultino 
carenti 
dette 
condizioni, 
senza 
che 
in 
tal 
caso 
assumano 
rilevanza 
eventuali 
decisioni 
intervenute 
in 
sede 
processuale 
civile 
in relazione 
alla 
non maturata 
prescrizione 
del 
diritto al 
risarcimento 
dei 
danni, 
ferma, 
comunque, 
la 
autonoma 
rilevanza 
ostativa 
di 
una 
sentenza 
dichiarativa 
della 
prescrizione, 
anche 
se 
non 
passata 
in 
giudicato, 
prevista 
dalla 
lett. c) (costituente 
anch’essa 
autonoma 
condizione 
di 
(in)ammissibilità 
della domanda di adesione); 
2) 
altro, invece, sono i 
requisiti 
di 
merito -attinenti 
anche 
alla 
“convenienza”, 
per l’Amministrazione, della 
transazione, tra 
i 
quali 
rileva, in primis, 
la 
non intervenuta 
estinzione, per prescrizione, del 
diritto al 
risarcimento del 
danno -che 
andranno anch’essi 
debitamente 
valutati, sempreché, beninteso, 
l’istanza risulti ammissibile ai sensi della disposizione più sopra citata. 
Dunque 
(si 
sottolineano i 
diversi 
riferimenti 
ai 
danneggiati 
viventi 
e 
agli 
eredi 
di 
quelli 
deceduti) dovrà 
negarsi 
la 
transazione 
qualora 
l’istanza 
risulti 
inammissibile poiché: 


-(ipotesi 
a)) sono decorsi 
più di 
cinque 
anni 
tra 
la 
data 
di 
presentazione 
della 
domanda 
per l’indennizzo di 
cui 
alla 
legge 
25 febbraio 1992, n. 210 e 
la 
data di notifica dell’atto di citazione da parte dei danneggiati viventi; 
-(ipotesi 
b)) 
sono 
decorsi 
più 
di 
dieci 
anni 
tra 
la 
data 
del 
decesso 
e 
la 
data 
di 
notifica 
dell’atto di 
citazione 
da 
parte 
degli 
eredi 
dei 
danneggiati 
deceduti; 


-(ipotesi 
c)) 
sempre, 
qualora 
sia 
già 
intervenuta 
una 
sentenza 
dichiarativa 
della prescrizione, anche se non definitiva. 


Qualora 
l’istanza 
risulti 
ammissibile, 
occorrerà 
poi 
verificare 
la 
sussistenza 
di 
tuffi 
i 
requisiti 
di 
merito, fra 
i 
quali 
assume 
particolare 
rilevanza 
la 
mancata estinzione del diritto risarcitorio per prescrizione. 


Sulla 
base 
di 
tale 
(nuova) opzione 
ermeneutica, particolarmente 
autorevole 
in 
ragione 
dell’organo 
dal 
quale 
promana 
(Adunanza 
Plenaria 
del 
C.D.S.) 
si 
potrà 
d’ora 
in poi 
operare 
a 
fronte 
di 
istanze 
transattive; 
sotto tale 
specifico 
profilo, risultano dunque 
superate, quali 
precedenti 
giurisprudenziali, anche 
le 
sentenze 
nn. 3533 e 
3376 del 
2021 del 
Consiglio di 
Stato (che, in quanto 
coperte 
dal 
giudicato, tuttavia 
restano pienamente 
vincolanti 
ed esecutive 
con 
riferimento alle 
parti 
dei 
rispettivi 
giudizi 
e 
che 
quindi 
in tal 
senso andranno 
senz’altro eseguite). 


**** 


Dalla 
suestesa 
impostazione 
-fondata 
sulla 
distinzione 
e 
concorrenza 
di 



PArerI 
DeL 
CoMItAto 
ConSuLtIVo 


condizioni 
di 
ammissibilità 
e 
requisiti 
di 
merito, prescrizione 
in primis, della 
transazione 
speciale 
-deriva 
inoltre 
la 
necessità, in sede 
civile 
risarcitoria, di 
continuare 
ad eccepire 
tempestivamente, ove 
ne 
ricorrano gli 
estremi, la 
prescrizione 
del diritto al risarcimento del danno. 


**** 


Altra 
questione, 
anch’essa 
posta 
da 
codesta 
Amministrazione, 
è 
quella 
riguardante 
il 
caso 
in 
cui 
sia 
già 
intervenuto 
un 
provvedimento 
del 
Commissario 
ad acta 
che 
abbia 
ammesso il 
richiedente 
alla 
transazione; 
in tal 
caso, deve 
ritenersi 
che 
l’Amministrazione 
sia 
tenuta 
a 
dare 
esecuzione 
al 
provvedimento 
stesso; 
qualora, 
come 
affermato 
dal 
C.D.S. 
nelle 
citate 
sentenze 
nn. 
3533 
e 
3376 del 
2021 (che 
sul 
punto appaiono corrette), risultino profili 
ostativi 
diversi 
da 
quelli 
che 
sono stati 
oggetto del 
contenzioso e 
dunque 
decisi 
dal 
giudice 
amministrativo 
(diversi, 
quindi, 
per 
restare 
alle 
questioni 
oggetto 
del 
presente 
parere, da 
quelle 
legate 
all’assenza 
delle 
condizioni 
di 
cui 
all’art. 5 
in esame), i 
profili 
medesimi 
dovranno essere 
riscontrati 
e 
valutati 
dal 
medesimo 
Commissario ad acta, e 
non dall’Amministrazione 
(che 
con l’insediamento 
di questi ha oramai perso il potere di provvedere). 


**** 


resta 
il 
problema 
dell’ottemperanza 
alle 
pregresse 
sentenze, definitive, 
che 
abbiano già 
statuito in senso difforme 
rispetto alle 
suesposte 
indicazioni; 
naturalmente, 
in 
questi 
casi 
opera 
il 
limite 
del 
giudicato, 
cosicché 
ad 
esse 
dovrà 
prestarsi puntuale esecuzione. 


È 
il 
caso, si 
cita 
ad esempio, della 
sentenza 
n. 3533/2021, a 
cui 
fa 
riferimento 
la 
richiesta 
di 
parere; 
in questa 
ipotesi 
il 
CDS 
ha 
ordinato “al 
nominato 
commissario 
ad 
acta 
di 
ammettere 
l’appellante 
alla 
richiesta 
procedura 
transattiva 
nei 
termini 
e 
alle 
condizioni 
di 
cui 
in 
motivazione 
e 
di 
procedere 
in 
caso positivo alla liquidazione 
dell’indennizzo di 
legge”: 
il 
Commissario ad 
acta, ausiliario del 
g.A., ha 
operato e 
provveduto in esecuzione 
dell’ordine 
del 
giudice 
e 
codesta 
Amministrazione 
non potrà 
che 
prendere 
atto delle 
determinazioni 
al riguardo assunte. 


Sulla 
questione 
si 
è 
espresso in senso conforme 
il 
Comitato Consultivo 
dell’Avvocatura dello Stato nella seduta del giorno 9 giugno 2022. 



rASSegnA 
AVVoCAturA 
DeLLo 
StAto -n. 4/2022 


Quesito sulla trasferibilità da parte dell’esacri 
in liquidazione coatta amministrativa in favore 
dell’Associazione nazionale Cri, di beni immobili 
ai sensi dell’art. 4-bis, d.lgs. 28 settembre 2012, n. 178 
inserito dall’art. 1, co. 486, l. 30 dicembre 2020, n. 178 

Parere 
del 
18/07/2022-469877, al 14244/2021, 
ProC. valerIa 
romano 


1. il quesito e il metodo per la relativa soluzione. 
Con 
la 
nota 
in 
riscontro 
codesto 
ente 
ha 
chiesto 
alla 
Scrivente 
di 
esprimere 
il 
proprio 
avviso 
in 
ordine 
al 
corretto 
significato 
da 
ascrivere 
ed 
alla 
precisa 
portata 
applicativa 
da 
riconoscere 
all’art. 
4-bis 
del 
d.lgs. 
28 
settembre 
2012, 
n. 
178. 
Più 
in 
particolare, 
l’Amministrazione 
ha 
chiesto 
di 
chiarire 
se 
sia 
o 
meno 
possibile, 
in 
pendenza 
della 
procedura 
di 
liquidazione 
coatta 
amministrativa, 
disporre, 
ai 
sensi 
della 
norma 
richiamata, 
il 
trasferimento 
a 
titolo 
gratuito 
in 
favore 
dell’Associazione 
nazionale 
CrI 
di 
tre 
beni 
immobili 
rispettivamente 
siti 
in 
roma, 
Albino 
(Bg) 
e 
Scarlino 
(gr) 
con 
la 
precisazione 
che 
i 
cespiti 
in 
parola 
sono 
impiegati 
per 
scopi 
sanitari, 
sociali 
ed 
assistenziali 
risultando 
il 
primo, 
sito 
in 
roma, 
locato 
al 
Ministero 
della 
giustizia 
e 
destinato 
alla 
tutela 
dei 
minori 
colti 
in 
flagranza 
di 
reato 
ed 
in 
condizioni 
di 
disagio, 
il 
secondo, 
sito 
in 
Albino 
(Bg), 
impiegato 
per 
l’assistenza 
di 
anziani 
non 
autosufficienti 
ed 
il 
terzo 
bene, 
ubicato 
nel 
territorio 
del 
comune 
di 
Scarlino 
(gr), 
attualmente 
concesso 
in 
locazione 
alla 
ASL 
toscana 
sud-est, 
deputato 
allo 
svolgimento 
di 
attività 
ambulatoriale 
in 
favore 
della 
comunità 
del 
luogo. 


In 
disparte 
la 
destinazione 
ed 
il 
regime 
giuridico 
dei 
singoli 
immobili 
sui 
quali 
la 
disamina 
si 
intratterrà 
infra 
(1), 
l’oggetto 
del 
quesito 
innanzi 
riassunto, 
già 
ad 
un 
primo 
esame, 
pare 
alla 
Scrivente 
far 
emergere 
il 
tratto 
peculiare 
di 
fondo 
della 
procedura 
di 
liquidazione 
coatta 
amministrativa 
cui 
è 
sottoposto 
l’esacri 
in 
forza 
del 
d.lgs. 
28 
settembre 
2012, 
n. 
178. 
Detta 
peculiarità 
risiede, 
infatti, 
nella 
circostanza 
per 
cui 
gli 
organi 
alla 
stessa 
preposti 
non 
sono 
chiamati 
a 
perseguire 
unicamente 
finalità 
di 
smobilitazione 
coattiva 
del 
patrimonio 
dell’ente 
debitore 
nell’interesse 
esclusivo 
dei 
creditori, 
ma 
finalizzano 
la 
propria 
attività 
anche 
alla 
realizzazione 
di 
interessi 
di 
tipo 
pubblicistico 
direttamente 
indicati 
dal 
Legislatore 
tra 
i 
quali 
-giusta 
il 
disposto 
dell’art. 
2 
del 
d.lgs. 
28 
settembre 
2012, 
n. 
178 
-l’interesse 
a 
“concorrere 
temporaneamente 
allo 
sviluppo” 
dell’Associazione 
della 
Croce 
rossa 
italiana. 
In 
altri 
termini, 
la 
questione 
se 
taluni 
immobili, 
in 
concreto 
impiegati 
per 
finalità 
sociali 
ma 
contestualmente 
qualificabili 
come 
poste 
attive 
nel 
patrimonio 
dell’ente 
in 
indirizzo, 
possano 
essere 
trasferiti, 
a 
titolo 
gratuito, 


(1) Si rinvia al § 3.1. 

PArerI 
DeL 
CoMItAto 
ConSuLtIVo 


all’organizzazione 
privata 
di 
volontariato 
nell’ottica 
di 
concorrere 
allo 
sviluppo 
della 
stessa 
ovvero 
debbano 
essere 
sottoposti 
alle 
procedure 
di 
vendita 
coattiva 
affinché 
il 
relativo 
ricavato 
sia 
ripartito 
tra 
i 
creditori, 
evidenzia 
la 
dualità 
e 
la 
intrinseca 
conflittualità 
degli 
scopi 
che 
contestualmente 
permeano 
ex 
lege 
la 
liquidazione 
coatta 
amministrativa 
cui 
è 
sottoposta 
l’Amministrazione 
in 
indirizzo 
perché, 
come 
evidente, 
l’interesse 
dei 
creditori 
di 
codesto 
ente 
pubblico 
al 
soddisfacimento 
dei 
crediti 
ammessi 
al 
passivo 
della 
procedura 
concorsuale 
può 
subire 
un 
detrimento 
a 
causa 
di 
atti 
dispositivi 
in 
favore 
dell’Associazione 
CrI, 
pur 
sempre 
compiuti 
-sebbene 
con 
lo 
scopo 
di 
concorrere 
all’attuazione 
delle 
finalità 
istituzionali 
dell’Associazione 
-a 
titolo 
gratuito 
ed 
in 
pendenza 
della 
liquidazione 
coatta 
amministrativa 
con 
conseguente 
incisione 
pregiudizievole 
sull’attivo 
concorsuale. 


Muovendo da 
tale 
sfondo concettuale 
che 
evoca 
il 
generale 
tema 
del 
valore 
da 
assegnare 
alla 
soddisfazione 
degli 
interessi 
collettivi 
nelle 
procedure 
concorsuali 
liquidatorie, 
l’approccio 
metodologico 
che 
pare 
alla 
Scrivente 
più 
consono alla 
ricerca 
della 
soluzione 
del 
quesito formulato postula, in primis, 
un’analisi 
sul 
come 
-sul 
piano 
normativo 
-prima 
dell’entrata 
in 
vigore 
dell’art. 
4-bis 
del 
d.lgs. 28 settembre 
2012, n. 178, il 
Legislatore 
delegato abbia 
disciplinato 
i 
limiti 
e 
le 
condizioni 
dell’esercizio del 
potere 
traslativo di 
titolarità 
di 
codesto ente 
in favore 
dell’Associazione 
italiana 
della 
Croce 
rossa, bilanciando 
l’interesse 
patrimoniale 
dei 
creditori 
con 
l’interesse 
dell’organizzazione 
di 
volontariato 
alla 
continuità 
nell’esercizio 
delle 
proprie 
finalità 
istituzionali. In seconda 
battuta 
si 
renderà 
necessaria 
un’analisi 
testuale 
e 
teleologica 
dell’art. 
4-bis 
del 
d.lgs. 
28 
settembre 
2012, 
n. 
178 
e 
-successivamente 
-una 
verifica 
circa 
la 
sussistenza, nel 
testo dell’art. 4-bis 
nonché 
alla 
stregua 
dell’intero ordito normativo del 
d.lgs. 28 settembre 
2012, n. 178, di 
indicazioni 
legislative 
utili 
per 
orientare 
l’Amministrazione, 
nel 
caso 
di 
specie, 
ad un ponderato bilanciamento delle 
contrapposte 
esigenze 
in rilievo ed alla 
conseguente 
valutazione 
in ordine 
alla 
trasferibilità 
o meno delle 
unità 
immobiliari 
oggetto della nota in riscontro. 


2. il 
potere 
traslativo di 
beni 
immobiliari 
dell’esacri 
in 
liquidazione 
coatta 
amministrativa 
in 
favore 
dell’Associazione 
italiana 
Cri 
prima 
dell’entrata in 
vigore 
dell’art. 4-bis 
del 
d.lgs. 28 settembre 
2012, n. 178: 
natura giuridica, limiti e condizioni legittimanti. 
già 
nell’assetto 
normativo 
antecedente 
all’entrata 
in 
vigore 
dell’art. 
4bis 
del 
d.lgs. 
28 
settembre 
2012, 
n. 
178, 
il 
Legislatore 
delegato 
riconosceva, 
in 
capo 
all’esacri, 
il 
potere 
di 
adottare 
provvedimenti, 
ex 
uno 
latere 
e 
fuori 
da 
un 
contesto 
negoziale, 
di 
trasferimento 
in 
favore 
dell’Associazione 
della 
proprietà 
di 
beni 
immobili 
ritenuti, 
dall’ente 
pubblico 
procedente, 
necessari 
allo 
svolgimento 
dei 
compiti 
istituzionali 
dell’organizzazione 
di 
volontariato 
di 
diritto 
privato. 
La 
base 
normativa 
legittimante 
l’esercizio 
del 
potere 
in 



rASSegnA 
AVVoCAturA 
DeLLo 
StAto -n. 4/2022 


parola 
era 
rappresentata 
dall’art. 
4, 
comma 
1 
bis, 
d.lgs. 
n. 
178/12 
a 
mente 
del 
quale: 
“l’ente 
individua 
con 
propri 
provvedimenti 
i 
beni 
mobili 
ed 
immobili 
da 
trasferire 
in 
proprietà 
all’associazione 
ai 
sensi 
del 
presente 
decreto. 
I 
provvedimenti 
hanno 
effetto 
traslativo 
della 
proprietà, 
producono 
gli 
effetti 
previsti 
dall’articolo 
2644 
del 
codice 
civile 
e 
costituiscono 
titolo 
per 
la 
trascrizione. 
I 
provvedimenti 
di 
individuazione 
dei 
beni 
costituiscono, 
altresì, 
titolo 
idoneo 
ai 
fini 
del 
discarico 
inventariale 
dei 
beni 
mobili 
da 
trasferire 
in 
proprietà 
all’associazione 
nonché 
per 
l’assunzione 
in 
consistenza 
da 
parte 
di 
quest’ultima. 
I 
provvedimenti 
di 
cui 
al 
presente 
comma 
sono 
esenti 
dal 
pagamento 
delle 
imposte 
o 
tasse 
previste 
per 
la 
trascrizione, 
nonché 
di 
ogni 
imposta 
o 
tassa 
connessa 
con 
il 
trasferimento 
della 
proprietà 
dei 
beni 
all’associazione”. 


La 
disposizione 
innanzi 
richiamata 
attribuiva, dunque, all’ente 
in indirizzo 
un vero e 
proprio potere 
autoritativo destinato ad estrinsecarsi 
nell’adozione 
di 
atti 
unilaterali 
di 
trasferimento 
della 
proprietà 
idonei 
ad 
incidere 
unilateralmente 
sulla 
sfera 
giuridica 
dell’Associazione 
attraverso l’adozione 
di 
“provvedimenti” 
aventi 
effetto reale 
e 
costituenti 
titolo per la 
trascrizione 
nei 
registi 
immobiliari 
in favore 
del 
destinatario del 
provvedimento senza 
che 
la 
previa 
acquisizione 
del 
consenso dell’Associazione 
accipiens 
fosse 
normativamente 
richiesta 
quale 
elemento costitutivo della 
fattispecie 
traslativa 
diversamente 
da 
quanto previsto per gli 
atti 
traslativi 
di 
diritti 
reali 
immobiliari 
tra 
privati 
per i 
quali 
è 
-di 
regola 
-richiesta 
una 
manifestazione 
di 
volontà 
del 
destinatario degli 
effetti 
traslativi 
sia 
nella 
forma 
dell’accettazione 
in ambito 
contrattuale 
o di 
delazione 
ereditaria 
a 
titolo universale, sia 
nella 
forma 
del 
rifiuto 
in materia, ad esempio, di delazione ereditaria a titolo particolare (2). 


La 
produzione, 
iure 
imperii, 
dell’effetto 
traslativo 
immediatamente 
e 
direttamente 
ricondotto 
all’adozione 
dei 
provvedimenti 
di 
cui 
all’art. 
4, 
comma 
1 
bis, 
d.lgs. 
n. 
178/12 
-ponendosi 
in 
deroga 
al 
principio 
per 
cui, 
salve 
le 
fattispecie 
di 
acquisto 
a 
titolo 
originario 
della 
proprietà, 
ai 
fini 
dell’acquisto 
di 
un 
diritto 
reale 
immobiliare 
è 
di 
regola 
richiesta 
nel 
nostro 
ordinamento 
una 
manifestazione 
di 
volontà 
dell’interessato 
-è 
stata 
debitamente 
circoscritta 
dal 
Legislatore 
delegato 
sia 
ratione 
temporis 
sia 
con 
riguardo 
alle 
condizioni 
legittimanti 
l’adozione 
dello 
schema 
traslativo 
provvedimentale 
in 
parola 
da 
parte 
di 
codesto 
ente. 
In 
tale 
ottica, 
l’art. 
8, 
comma 
2, 
d.lgs. 
n. 
178/12 
così 
disponeva 
“... 
entro 
il 
31 
dicembre 
2017, 
i 
beni 
mobili 
ed 
immobili 
necessari 
ai 
fini 
statutari 
e 
allo 
svolgimento 
dei 
compiti 
istituzionali 
e 
di 
interesse 
pubblico 
dell’associazione 
sono 
trasferiti 
alla 
stessa. 
alla 
conclusione 
della 
liquidazione, 
i 
beni 
mobili 
e 
immobili 


(2) In tema 
si 
v., amplius 
punto IV 
del 
parere 
reso dalla 
Scrivente 
con riguardo all’affare 
legale 
CS 
51830/19 in riscontro alle 
Vostre 
note 
del 
26 giugno 2019 n. 11066 e 
prot. n. 9697 del 
31 maggio 
2019. 

PArerI 
DeL 
CoMItAto 
ConSuLtIVo 


rimasti 
di 
proprietà 
dell’ente 
sono 
trasferiti 
all’associazione, 
che 
subentra 
in 
tutti 
i 
rapporti 
attivi 
e 
passivi 
...”. 


Alla 
stregua 
delle 
disposizioni 
richiamate 
il 
potere 
traslativo 
della 
proprietà 
di 
beni 
immobiliari 
dell’esacri 
in liquidazione 
coatta 
amministrativa 
in 
favore 
dell’Associazione 
italiana 
CrI prima 
dell’entrata 
in vigore 
dell’art. 4bis 
del d.lgs. 28 settembre 2012, n. 178 poteva avere ad oggetto: 


a) 
gli 
immobili 
necessari 
ai 
fini 
statutari 
e 
allo svolgimento dei 
compiti 
istituzionali e di interesse pubblico dell’Associazione; 
b) 
i 
cespiti 
residuati 
-alla 
chiusura 
della 
procedura 
concorsuale 
-in proprietà 
dell’ente. 
Sotto 
il 
profilo 
temporale, 
la 
disciplina 
recata 
dal 
combinato 
disposto 
degli 
artt. 4, comma 
1-bis, e 
8, comma 
2, del 
d.lgs. n. 178/12 collocava 
la 
facoltà, 
per l’ente 
in indirizzo, di 
esercizio del 
potere 
traslativo pubblicistico in 
esame in due specifici segmenti cronologici: 


a) 
prima 
dell’avvio della 
liquidazione 
coatta 
amministrativa 
(entro il 
31 
dicembre 
2017) 
per 
l’adozione 
dei 
provvedimenti 
traslativi 
di 
immobili 
ritenuti 
necessari 
ai 
fini 
statutari 
e 
allo svolgimento dei 
compiti 
istituzionali 
e 
di 
interesse 
pubblico dell’Associazione; 
b) 
successivamente 
alla 
chiusura 
della 
stessa 
procedura 
concorsuale 
per 
i cespiti 
rimasti 
a quel momento in proprietà dell’ente. 
Dalla 
disciplina 
innanzi 
riassunta 
era 
dato inferirsi 
-in ragione 
del 
principio 
di 
legalità 
e 
tipicità 
dei 
provvedimenti 
amministrativi 
-che 
nel 
frangente 
temporale 
intermedio, intercorrente 
tra 
l’avvio della 
liquidazione 
coatta 
amministrativa 
(1 gennaio 2018) (3) e 
la 
chiusura 
della 
procedura, non risultava 
ascrivibile 
-in difetto di 
una 
base 
normativa 
legittimante 
-in capo all’ente 
in 
indirizzo alcun potere 
traslativo con riguardo ai 
beni 
che, sebbene 
necessari 
allo svolgimento dei 
compiti 
istituzionali 
dell’Associazione, non erano stati 
trasferiti 
entro 
il 
termine 
assegnato 
dal 
Legislatore 
del 
31 
dicembre 
2017, 
mentre 
risultava 
sussistente, anche 
in pendenza 
della 
procedura 
di 
liquidazione, il 
potere 
-non 
temporalmente 
circoscritto 
-di 
trasferimento 
di 
cui 
all’art. 
4, 
comma 
1, lett. d) 
d.lgs. n. 178/12 a 
mente 
del 
quale 
“Il 
Commissario e 
successivamente 
il 
Presidente 
nazionale 
(...) 
trasferiscono 
all’associazione, 
a 
decorrere 
dal 
1° 
gennaio 
2016, 
i 
beni 
pervenuti 
alla 
CrI 
attraverso 
negozi 
giuridici 
modali 
e 
concedono in uso gratuito, con spese 
di 
manutenzione 
ordinaria 
a carico dell’usuario, alla medesima data quelli 
necessari 
allo svolgimento 
dei fini statutari e dei compiti istituzionali”. 


In 
sintesi 
-dunque 
-dalla 
lettura 
coordinata 
delle 
tre 
disposizioni 
innanzi 
riportate 
(art. 4, comma 
1, lett. d); 
art. 4, comma 
1-bis, e 
art. 8, comma 
2, del 


(3) 
Ai 
sensi 
dell’art. 
8, 
comma 
2, 
d.lgs. 
n. 
178/12, 
difatti, 
“a 
far 
data 
dal 
1° 
gennaio 
2018, 
l’ente 
è 
posto in liquidazione 
ai 
sensi 
del 
titolo v 
del 
regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, fatte 
salvo le 
disposizioni 
di cui al presente comma”. 

rASSegnA 
AVVoCAturA 
DeLLo 
StAto -n. 4/2022 


d.lgs. 
n. 
178/12) 
emergeva 
la 
seguente 
modulazione 
del 
potere 
traslativo 
di 
beni 
immobiliari 
dell’esacri 
in liquidazione 
coatta 
amministrativa 
in favore 
dell’Associazione 
italiana 
CrI prima 
dell’entrata 
in vigore 
dell’art. 4-bis 
del 
d.lgs. 28 settembre 2012, n. 178: 


-quanto ai 
beni 
necessari 
per lo svolgimento dei 
fini 
statutari 
e 
dei 
compiti 
istituzionali 
dell’Associazione, 
in 
base 
all’art. 
8, 
comma 
2, 
d.lgs. 
n. 
178/12, 
gli 
stessi 
potevano essere 
trasferiti 
all’Associazione 
per mezzo dei 
provvedimenti 
traslativi 
della 
proprietà 
adottati 
ex 
art. 
4, 
comma 
1 
bis 
del 
d.lgs. 
n. 
178/12 solo prima 
dell’avvio della 
liquidazione 
coatta 
amministrativa 
(entro 
il 31 dicembre 2017); 
-quanto ai 
beni 
pervenuti 
alla 
CrI attraverso negozi 
giuridici 
modali 
si 
prevedeva, ex 
art. 4, comma 
1 lett. d) d.lgs. n. 178/12, la 
trasferibilità 
all’Associazione 
in pendenza della procedura concorsuale liquidatoria e senza il limite 
temporale 
del 
31 dicembre 
2017 esplicitamente 
assegnato per i 
soli 
beni 
necessari 
ai 
fini 
statutari 
e 
per 
lo 
svolgimento 
dei 
compiti 
istituzionali 
del-
l’Associazione; 
-quanto ai 
cespiti 
residuanti 
in proprietà 
dell’ente 
alla 
conclusione 
della 
liquidazione 
coatta 
amministrativa 
il 
trasferimento 
restava 
subordinato 
alla 
formale chiusura della procedura concorsuale. 
In un’ottica 
di 
interpretazione 
teleologica 
della 
disciplina 
innanzi 
richiamata, 
la 
scelta 
del 
Legislatore 
delegato 
di 
precludere 
-oltre 
il 
31 
dicembre 
2017 ed in pendenza 
della 
procedura 
di 
liquidazione 
coatta 
amministrativa 
l’adozione 
di 
provvedimenti 
traslativi 
ex 
art. 
4, 
comma 
1-bis, 
di 
beni 
immobili 
non 
provenienti 
da 
negozi 
giuridici 
modali 
e 
non 
tempestivamente 
ricompresi 
dall’ente 
nella 
portata 
oggettiva 
dei 
provvedimenti 
traslativi 
assunti 
entro il 
31 dicembre 
2017 rispondeva 
all’esigenza 
di 
evitare, dopo la 
data 
del 
31 dicembre 
2017, 
la 
sottrazione 
alla 
liquidazione 
di 
parte 
dell’attivo 
per 
destinarlo 
allo sviluppo dell’organizzazione 
di 
volontariato con conseguente 
sacrificio 
delle 
ragioni 
dei 
creditori 
in capo ai 
quali 
sarebbe, in ultima 
istanza, rimasto 
allocato 
l’onere 
finanziario 
dello 
sviluppo 
dell’Associazione. 
Proprio 
su 
detta 
impostazione 
e 
sul 
bilanciamento di 
interessi 
alla 
stessa 
sottesa, il 
Legislatore 
è 
intervenuto tipizzando -con l’entrata 
in vigore 
dell’art. 4-bis 
del 
d.lgs. 28 
settembre 
2012, n. 178 -una 
nuova 
ipotesi 
al 
ricorrere 
della 
quale 
l’ente 
in 
indirizzo risulta 
titolare, in pendenza 
della 
procedura 
concorsuale, di 
un sopravvenuto 
potere 
di 
adozione 
dei 
provvedimenti 
traslativi 
in favore 
dell’Associazione. 


3. Analisi testuale dell’art. 4-bis 
del d.lgs. 28 settembre 2012, n. 178. 
L’art. 
4-bis 
del 
d.lgs. 
28 
settembre 
2012 
n. 
178, 
inserito 
dall’art. 
1, 
comma 
486, 
L. 
30 
dicembre 
2020, 
n. 
178, 
rubricato 
“riorganizzazione 
del-
l’associazione 
italiana 
della 
Croce 
rossa 
(CrI)” 
ed 
in 
vigore 
a 
decorrere 
dal 
1° 
gennaio 
2021, 
così 
testualmente 
dispone: 
“I 
beni 
immobili 
e 
le 
unità 



PArerI 
DeL 
CoMItAto 
ConSuLtIVo 


immobiliari 
di 
proprietà 
dell’ente 
strumentale 
alla 
CrI 
in 
liquidazione 
coatta 
amministrativa 
che, 
a 
decorrere 
dal 
1° 
gennaio 
2018, 
sono 
utilizzati 
quali 
sedi 
istituzionali 
od 
operative 
dei 
comitati 
regionali, 
territoriali 
e 
delle 
province 
autonome 
di 
Trento 
e 
di 
Bolzano 
e 
che 
ai 
sensi 
del 
comma 
1-bis 
dell’articolo 
4 
avrebbero 
dovuto 
essere 
trasferiti 
all’associazione 
transitano 
alla 
stessa 
per 
lo 
svolgimento 
dei 
suoi 
compiti 
statutari. 
2. 
entro 
sessanta 
giorni 
dalla 
data 
di 
entrata 
in 
vigore 
della 
presente 
disposizione, 
il 
Presidente 
nazionale 
dell’associazione 
fa 
istanza 
di 
trasferimento 
all’ente 
strumentale 
alla 
CrI 
e 
il 
commissario 
liquidatore, 
previo 
parere 
del 
comitato 
di 
sorveglianza 
e 
previa 
autorizzazione 
dell’autorità 
di 
vigilanza, 
adotta 
gli 
atti 
conseguenti 
per 
attuare 
il 
trasferimento. 
3. 
I 
provvedimenti 
di 
trasferimento 
adottati 
dal 
commissario 
liquidatore 
hanno 
effetto 
traslativo 
della 
proprietà, 
producono 
gli 
effetti 
previsti 
dall’articolo 
2644 
del 
codice 
civile 
e 
costituiscono 
titolo 
per 
la 
trascrizione. 
Il 
suddetto 
trasferimento 
è 
esente 
dal 
pagamento 
delle 
imposte 
o 
tasse 
previste 
per 
la 
trascrizione, 
nonché 
di 
ogni 
altra 
imposta 
o 
tassa 
connessa 
con 
il 
trasferimento 
della 
proprietà 
dei 
beni 
all’associazione. 
4. 
Tutti 
i 
beni 
immobili 
di 
proprietà 
dell’ente 
strumentale 
alla 
CrI 
in 
liquidazione 
coatta 
amministrativa 
utilizzati 
dall’associazione, 
per 
scopi 
istituzionali, 
a 
far 
data 
dal 
1° 
gennaio 
2018, 
in 
via 
transitoria 
sono 
concessi 
in 
uso 
gratuito 
alla 
stessa. 
le 
spese 
di 
gestione 
e 
di 
manutenzione 
ordinaria 
e 
straordinaria 
sono 
a 
carico 
dell’usuario. 
5. 
I 
lasciti 
disposti 
con 
atti 
testamentari 
entro 
il 
31 
dicembre 
2017, 
per 
i 
quali 
l’apertura 
della 
successione 
sia 
intervenuta 
successivamente 
al 
1° 
gennaio 
2018, 
spettano 
all’associazione”. 


La 
norma 
innanzi 
riportata 
attribuisce 
all’Amministrazione 
in 
indirizzo 
un 
nuovo 
potere 
di 
adozione 
di 
provvedimenti 
traslativi 
della 
proprietà 
in 
favore 
dell’Associazione: 
detto 
potere 
-mentre 
appare 
assimilabile 
all’illustrata 
potestà 
traslativa 
provvedimentale 
ante-riforma 
sotto 
il 
profilo 
degli 
effetti 
reali, 
collegati 
immediatamente 
e 
direttamente 
all’atto 
amministrativo 
-si 
distingue 
dal 
potere 
esauritosi 
alla 
data 
del 
31 
dicembre 
2017 
sia 
sotto 
il 
profilo 
temporale 
sia 
con 
riguardo 
alle 
condizioni 
del 
relativo 
esercizio 
sia 
per 
quanto 
afferisce 
alla 
selezione 
legislativa 
dei 
beni 
immobili 
suscettibili 
di 
essere 
traslati 
in 
capo 
all’organizzazione 
privata. 
Più 
in 
particolare, 
dal 
punto 
di 
vista 
temporale 
il 
Legislatore 
delegato 
ha, 
infatti, 
attribuito 
un 
potere 
provvedimentale 
traslativo 
esercitabile, 
da 
parte 
di 
codesto 
ente, 
nella 
finestra 
temporale 
tra 
il 
1 
febbraio 
2018 
e 
la 
chiusura 
della 
liquidazione, 
prima 
non 
fruibile 
per 
i 
trasferimenti 
immobiliari 
non 
aventi 
ad 
oggetto 
beni 
provenienti 
da 
negozi 
giuridici 
modali. 
Sotto 
diverso 
profilo, 
il 
potere 
ex 
art. 
4-bis 
del 
d.lgs. 
28 
settembre 
2012, 
n. 
178, 
diversamente 
dal 
potere 
provvedimentale 
previgente, 
che 
prescindeva 
dal 
consenso 
dell’Associazione 
accipiens, 
postula 
un’attività 
di 
impulso 
procedimentale 
soggettivamente 
qualificata 
e 
sottoposta 
a 
termine 
decadenziale 
essendo 
prevista, 
ai 
fini 
del



rASSegnA 
AVVoCAturA 
DeLLo 
StAto -n. 4/2022 


l’avvio 
dell’iter 
procedimentale 
volto 
all’adozione 
del 
provvedimento 
di 
trasferimento, 
la 
necessaria 
presentazione 
di 
un’istanza 
del 
Presidente 
nazionale 
dell’Associazione 
entro 
il 
2 
marzo 
2021. 


Dal 
punto 
di 
vista 
dell’oggetto, 
mentre 
il 
previgente 
potere 
di 
trasferimento, 
consumatosi 
in 
data 
31 
dicembre 
2017, 
risultava 
esercitabile 
solo 
in 
riferimento 
ai 
beni 
immobili 
necessari 
ai 
fini 
statutari 
ed 
allo 
svolgimento 
dei 
compiti 
istituzionali 
e 
di 
interesse 
pubblico 
dell’Associazione, 
le 
determinazioni 
traslative 
ex 
art. 
4 
bis 
cit. 
possono 
incidere 
sui 
beni 
immobili 
che, 
ai 
sensi 
del 
comma 
1-bis 
dell’articolo 
4 
del 
d.lgs. 
28 
settembre 
2012, 


n. 
178, 
avrebbero 
dovuto 
essere 
trasferiti 
all’Associazione 
prima 
del 
31 
dicembre 
2017 
che, 
a 
decorrere 
dal 
1° 
gennaio 
2018, 
siano 
utilizzati 
quali 
sedi 
istituzionali 
od 
operative 
dei 
comitati 
regionali 
e 
territoriali 
della 
CrI. 
Con 
maggiore 
impegno 
esplicativo, 
la 
norma 
-interpretata 
ex 
art. 
12 
delle 
preleggi 
in 
base 
al 
significato 
letterale 
e 
semantico 
delle 
parole 
utilizzate 
nonché 
sulla 
scorta 
della 
connessione 
tra 
le 
stesse 
-limita, 
sotto 
il 
profilo 
dell’oggetto, 
come 
evidenziato 
dall’impiego 
della 
preposizione 
congiuntiva 
“e” 
in 
luogo 
di 
quella 
disgiuntiva 
“o” 
-l’esercizio 
del 
potere 
traslativo 
in 
parola 
al 
ricorrere 
di 
due 
requisiti 
cumulativi: 
a) 
la 
necessarietà 
degli 
immobili, 
prima 
dell’avvio 
della 
liquidazione 
coatta 
amministrativa 
(entro 
il 
31 
dicembre 
2017), 
al 
perseguimento 
dei 
fini 
statutari 
e 
allo 
svolgimento 
dei 
compiti 
istituzionali 
e 
di 
interesse 
pubblico 
dell’Associazione; 
b) 
il 
concreto 
utilizzo 
dei 
medesimi 
cespiti, 
a 
decorrere 
dal 
1° 
gennaio 
2018, 
quali 
sedi 
istituzionali 
od 
operative 
dei 
comitati 
regionali, 
territoriali 
e 
delle 
Province 
autonome 
di 
trento 
e 
di 
Bolzano 
della 
CrI. 
Così 
riassunto il 
contenuto della 
disposizione 
in esame 
e 
tracciato il 
quadro 
comparativo tra 
il 
potere 
traslativo riconosciuto dalla 
novella 
e 
il 
previgente 
assetto normativo, al 
fine 
di 
verificare, come 
richiesto nel 
quesito che 
si 
riscontra, la 
trasferibilità 
degli 
immobili 
siti 
in roma, Albino (Bg) e 
Scarlino 
(gr) oggetto della 
nota 
in riferimento, pare 
necessario verificare 
la 
concorrente 
presenza 
dei 
requisiti 
innanzi 
indicati 
non potendosi 
prescindere, in tale 
ottica, da 
una 
propedeutica 
definizione 
della 
nozione 
di 
“sedi 
istituzionali 
od 
operative”. 


3.1 
Sulle 
nozioni 
di 
“sede 
istituzionale 
e 
sede 
operativa” 
di 
cui 
all’art. 
4-bis 
del d.lgs. 28 settembre 2012, n. 178. 
Come 
è 
noto, l’ordinamento civilistico non conosce 
una 
definizione 
legislativa 
unitaria 
della 
nozione 
di 
“sede” 
sicché 
occorre 
rifarsi 
-in mancanza 
di 
una 
definizione 
normativa 
generale 
-con approccio empirico al 
linguaggio 
comune. In tale 
ottica, la 
“sede” 
può essere 
definita 
-almeno in via 
di 
primissima 
approssimazione 
-come 
il 
criterio di 
riferimento della 
collocazione 
spaziale 
per le 
persone 
giuridiche 
alternativo alla 
residenza 
ed al 
domicilio che 
riguardano 
le 
persone 
fisiche. 
Come 
correttamente 
osservato 
in 
dottrina, 
le 
re



PArerI 
DeL 
CoMItAto 
ConSuLtIVo 


gole 
relative 
alla 
sede 
della 
persona 
giuridica 
“esprimono un’esigenza di 
organizzazione 
dei 
rapporti 
giuridici” 
(4) 
consistente 
nella 
necessità 
di 
attribuire 
a 
ciascun soggetto di 
diritto, nei 
rapporti 
con i 
terzi, una 
posizione 
definita 
rispetto 
ai 
luoghi. 
nell’ambito 
di 
questa 
generale 
cornice, 
la 
nozione 
di 
sede 
assume, 
nel 
nostro 
ordinamento, 
significati 
non 
del 
tutto 
sovrapponibili 
a 
seconda 
dell’aggettivo 
che, 
di 
volta 
in 
volta, 
accompagna 
il 
termine 
(5). 
Ai 
fini 
del 
presente 
parere 
vengono, in particolare, in rilievo le 
nozioni 
di 
“sede 
istituzionale” 
edi 
“sede 
operativa” 
testualmente 
riportate 
all’art. 
4-bis 
del 
d.lgs. 28 settembre 2012, n. 178. 


La 
sede 
istituzionale 
o legale 
è 
notoriamente 
quella 
indicata 
convenzionalmente 
nell’atto costitutivo o nello statuto della 
persona 
giuridica 
la 
cui 
indicazione 
ha 
la 
funzione 
di 
indicare, 
per 
evidenti 
ragioni 
di 
certezza 
dei 
rapporti 
giuridici, “il 
luogo deputato o stabilmente 
utilizzato per 
l’accentramento 
dei 
rapporti 
interni 
e 
con 
i 
terzi 
in 
vista 
del 
compimento 
degli 
affari 
dell’ente” 
(6). 
La 
nozione 
di 
sede 
operativa 
è 
definita, 
in 
giurisprudenza, 
come 
“il 
luogo 
ove 
hanno 
stabilmente 
sede 
gli 
organi 
e 
gli 
uffici 
di 
una 
persona 
giuridica 
e 
dove 
detti 
organi 
ed 
uffici 
svolgono 
le 
attività 
deliberative 
ed 
esecutive 
di 
cui 
sono investiti 
per 
la gestione 
delle 
funzioni 
dell’ente, anche 
se 
diverso 
dalla sede 
legale, al 
quale 
attribuisce 
rilevanza, in alternatia a quest’ultima, 
l’art. 46 c.c., comma 2” 
(7). Sicché 
la 
sede 
operativa 
di 
una 
persona 
giuridica 
coincide 
con il 
luogo ove 
è 
situato l’effettivo centro di 
direzione 
dell’ente 
o, 
comunque, 
il 
contesto 
spaziale 
ove 
risulta 
fissata, 
nel 
complessivo 
ambito 
della 
gestione 
del 
soggetto collettivo, con effettività 
e 
continuità, l’attività 
di 
direzione, 
controllo ed impulso dell’attività 
dell’ente 
identificandosi 
con il 
centro 
effettivo 
dei 
suoi 
interessi, 
dove 
l’ente 
vive 
ed 
opera 
e 
dove 
si 
trattano 
gli 
affari 
nonché 
dove 
i 
diversi 
fattori 
dell’attività 
vengono organizzati 
e 
coordinati 
per 
il raggiungimento dei fini statutari. 


Calando 
le 
coordinate 
teoriche 
e 
le 
definizioni 
giurisprudenziali 
delle 
nozioni 
di 
“sede 
istituzionali” 
e 
di 
“sede 
operativa” 
sopra 
richiamate 
al 
caso in 
esame 
bisogna 
verificare 
se 
gli 
immobili 
siti 
in 
roma, 
Albino 
(Bg) 
e 
Scarlino 
(gr) oggetto del 
presente 
parere 
siano o meno qualificabili 
come 
“sedi 
operative” 
dei 
comitati 
regionali 
o territoriali 
della 
CrI e 
possano essere, per tale 
ragione, trasferiti 
all’Associazione 
ex 
art. 4-bis 
del 
d.lgs. 28 settembre 
2012, 


n. 
178. 
ebbene, 
dalla 
documentazione 
in 
possesso 
della 
Scrivente, 
emerge 
che 
il 
tratto 
comune 
dei 
tre 
immobili 
oggetto 
del 
presente 
parere 
è 
quello 
di 
trovarsi 
(4) D. CAnDIAn, Voce 
domicilio, residenza, dimora, in dig. Civ. 
VII, p. 110. 
(5) Il 
Legislatore 
distingue, infatti, tra 
“sede 
legale” 
e 
“sede 
effettiva” 
all’art. 46 c.c., il 
codice 
di 
rito impiega 
il 
concetto di 
“sede 
principale” 
all’art. 19 c.p.c., l’art. 9 della 
legge 
fallimentare 
si 
riferisce 
alla 
nozione 
di 
“sede 
secondaria”, il 
Legislatore 
tributario impiega 
il 
concetto di 
“sede 
dell’amministrazione” 
all’art. 73 t.u.i.r. 
(6) Cass. 13 aprile 9004, n. 7037; Cass. 6 agosto 1997, n. 7279. 
(7) Cass. 9 marzo 2009 n. 5654; Cass. 26 marzo 2003 n. 4490; Cass. 9 giugno 2000 n. 7849. 

rASSegnA 
AVVoCAturA 
DeLLo 
StAto -n. 4/2022 


nella 
disponibilità 
materiale 
di 
soggetti 
diversi 
dai 
comitati 
regionali 
o territoriali 
della CrI. 


Quanto 
all’immobile 
sito 
in 
roma 
lo 
stesso 
risulta 
locato 
a 
titolo 
oneroso 
al 
Ministero 
della 
giustizia 
in 
forza 
del 
contratto 
di 
locazione 
stipulato 
in 
data 
28 
giugno 
2007 
tra 
l’Associazione 
Italiana 
Croce 
rossa, 
in 
qualità 
di 
locatore, 
ed il 
Dipartimento di 
giustizia 
Minorile, in qualità 
di 
conduttore. Con detto 
contratto le 
parti 
hanno convenuto (art. 1) la 
destinazione 
dell’immobile 
al-
l’attuazione 
degli 
scopi 
pattuiti 
in 
una 
separata 
convenzione 
stipulata 
tra 
l’ufficio 
Centrale 
della 
giustizia 
Minorile, 
la 
Fondazione 
“il 
Faro” 
e 
la 
Croce 
rossa 
Italiana 
in data 
24 luglio 1997. Per quel 
che 
in questa 
sede 
rileva, con 
la 
convenzione 
cui 
il 
contratto 
di 
locazione 
rinvia, 
l’immobile 
è 
stato 
deputato 
ad 
ospitare 
un 
centro 
operativo 
polifunzionale 
per 
l’attivazione 
di 
progetti, 
programmi 
formativi, di 
studio lavoro e 
tempo libero per l’accoglienza 
e 
l’assistenza 
di 
minori 
in situazione 
di 
disagio. Ciò premesso ed alla 
stregua 
della 
regolamentazione 
contrattuale 
e 
convenzionale 
avente 
ad oggetto l’immobile 
in 
parola, 
la 
Scrivente 
ritiene 
che 
detta 
unità 
immobiliare 
non 
possa 
essere 
considerata 
-ai 
fini 
dell’art. 4-bis 
del 
d.lgs. 28 settembre 
2012, n. 178 -quale 
sede 
operativa 
di 
comitati 
regionali 
o territoriali 
della 
CrI perché 
il 
contratto 
di 
locazione 
stipulato in data 
28 giugno 2007 costituisce 
il 
titolo giuridico legittimante 
la 
disponibilità 
dell’immobile 
da 
parte 
del 
soggetto 
conduttore 
-nel 
caso di 
specie 
il 
Ministero della 
giustizia 
-contrattualmente 
tenuto ad avvalersi 
degli 
spazi 
in 
locazione 
per 
l’attuazione 
degli 
scopi 
concordati 
tra 
le 
parti 
con la 
convenzione 
a latere 
del 
contratto di 
locazione 
-con la 
conseguenza 
che 
dalla 
disponibilità 
dell’immobile 
in capo al 
Ministero deve 
inferirsi 
che 
detto cespite 
ospiti 
una 
sede 
operativa 
decentrata 
del 
Dicastero e 
non quella 
di 
un comitato regionale 
o territoriale 
della 
CrI. Sul 
punto va 
rilevato, a 
conforto 
delle 
considerazioni 
che 
precedono, 
che 
la 
giurisprudenza 
amministrativa 


-interessatasi 
del 
tema 
per verificare 
la 
legittimità 
delle 
clausole 
dei 
bandi 
di 
gara 
richiedenti 
agli 
operatori 
economici 
la 
titolarità 
di 
una 
sede 
operativa 
in 
prossimità 
del 
luogo 
di 
esecuzione 
della 
prestazione 
-ha 
affermato 
che 
il 
contratto 
di 
locazione 
costituisce, 
“per 
comune 
esperienza 
ed 
in 
base 
all’ordinaria 
razionalità, 
una 
delle 
possibili 
forme 
di 
disponibilità 
della 
sede 
operativa” 
(8). Muovendo dalla 
corretta 
analisi 
della 
regolazione 
pattizia 
dei 
rapporti 
tra 
le 
parti, è 
-peraltro -la 
stessa 
Associazione 
che 
ha 
formulato l’istanza 
di 
trasferimento 
dell’immobile 
in 
parola 
a 
rilevare 
testualmente 
che 
il 
cespite 
è 
stato 
adibito dal 
Ministero della 
giustizia 
“a sede 
dell’ufficio sociale 
per 
i 
minorenni 
e 
centro 
di 
prima 
accogIienza 
per 
minori 
colti 
in 
fragranza 
di 
reato” 
(9) 
con 
la 
conseguenza 
che 
il 
predetto 
immobile 
non 
può 
ritenersi 
sussumibile 
nel 
dettato dell’art. 4-bis 
del 
d.lgs. 28 settembre 
2012, n. 178 nella 
parte 
in cui 
di(
8) t.A.r. umbria Perugia Sez. I, sent. 26 giugno 2009, n. 357. 
(9) Così 
la 
nota 
del 
23 marzo 2022 avente 
ad oggetto “supplemento di 
istruttoria 
-riscontro cri”. 

PArerI 
DeL 
CoMItAto 
ConSuLtIVo 


spone 
che 
“i 
beni 
immobili 
e 
le 
unità immobiliari 
(...) 
che 
(...) 
sono utilizzati 
quali 
sedi 
istituzionali 
od operative 
dei 
comitati 
regionali, territoriali 
e 
delle 
province 
autonome 
di 
Trento e 
di 
Bolzano (...) 
transitano” 
all’Associazione 
“per lo svolgimento dei suoi compiti statutari”. 

Parimenti, 
con 
riguardo 
all’immobile 
sito 
nel 
territorio 
del 
comune 
di 
Scarlino 
(gr) 
(10) 
lo 
stesso 
risulta 
essere 
concesso 
in 
locazione 
alla 
ASL 
locale 
la 
quale 
vi 
eroga 
prestazioni 
sanitarie 
ambulatoriali 
a 
favore 
della 
comunità 
del 
luogo 
sicché 
la 
Scrivente 
non 
ritiene 
di 
poter 
qualificare 
l’immobile 
quale 
sede 
operativa 
del 
comitato 
territoriale 
della 
CrI 
condividendosi, 
sul 
punto, 
l’avviso 
espresso 
da 
codesta 
Amministrazione 
per 
cui 
“sembra 
evidente, 
quindi, 
che 
semmai 
questa 
è 
una 
sede 
operativa 
della 
aSl 
e 
non 
della 
CrI”. 


Quanto, 
infine, 
all’immobile 
sito 
in 
Albino 
il 
regime 
giuridico 
del 
cespite 
è 
regolato da 
un contratto “per 
l’affidamento in concessione 
per 
la durata di 
anni 
dieci 
dei 
servizi 
relativi 
alla 
gestione 
di 
una 
residenza 
sanitario 
assistenziale 
disabili 
(rSd) 
con 
annesso 
poliambulatorio 
convenzionato 
con 
il 
SSSn” 
stipulato in data 
29 settembre 
2011, registrato in data 
17 ottobre 
2011 al 
numero 
8004 serie 
3 e 
prorogato fino al 
31 luglio 2022. In forza 
della 
predetta 
convenzione 
la 
Casa 
di 
cura 
H. 
s.p.a. 
risulta 
affidataria, 
a 
titolo 
oneroso, 
di 
tutti 
i 
servizi 
sanitari 
e 
socio-assistenziali 
erogati 
nella 
struttura 
nonché 
soggetto 
responsabile 
della 
gestione, della 
conservazione 
dell’immobile 
e 
delle 
relative 
pertinenze, 
della 
manutenzione 
dei 
relativi 
arredi, 
degli 
impianti 
di 
servizio 
e 
delle 
attrezzature 
presenti 
nell’immobile 
avendo 
il 
concedente 
Croce 
rossa 
Italiana, ai 
sensi 
dell’art. 13 del 
contratto, assunto l’obbligo di 
“porre 
a 
disposizione 
del 
concessionario 
l’immobile”. 
Alla 
stregua 
della 
documentazione 
in 
atti 
pare, 
pertanto, 
alla 
Scrivente 
che 
l’immobile 
sia 
qualificabile 
come 
la 
sede 
operativa 
non già 
del 
Comitato provinciale 
di 
Bergamo, ma 
del 
concessionario 
H. s.p.a 
tenuto conto che 
l’unità 
immobiliare 
risulta 
interamente 
gestita 
nonché 
sfruttata 
economicamente 
dalla 
medesima 
Casa 
di 
Cura 
la 
quale, 
come 
indicato 
nella 
premessa 
del 
contratto 
stipulato 
in 
data 
29 
settembre 
2011, trova 
“la propria remunerazione 
attraverso la riscossione 
diretta delle 
rette 
degli 
ospiti 
della 
r.S.d. 
e 
di 
tutti 
i 
proventi 
connessi 
alla 
gestione 
dei 
servizi 
e 
delle 
attività, 
anche 
private 
o 
in 
convenzione 
del 
poliambulatorio 
con 
il 
s.s.n. 
rivolte 
agli 
ospiti 
ed 
ai 
soggetti 
esterni”. 
L’immobile 
è, 
dunque, 
il 
luogo in cui 
il 
concessionario H. s.p.a 
svolge 
l’attività 
concordata 
con il 
concedente 
finalizzando 
detta 
attività 
al 
soddisfacimento 
di 
uno 
scopo 
di 
carattere 
privato 
(quale 
quello 
di 
introitare 
una 
remunerazione 
per 
il 
servizio 
svolto) 
del 
quale 
è 
certo sintomo il 
pagamento di 
un canone 
per la 
disponibilità 
del-
l’immobile 
che, dunque, non può che 
essere 
considerato come 
la 
sede 
operativa 
del concessionario. 


(10) contrassegnato dai seguenti estremi catastali foglio 33 particella 277 sub 8 cat. A/ 10. 

rASSegnA 
AVVoCAturA 
DeLLo 
StAto -n. 4/2022 


né 
può 
dirsi, 
come 
pare 
evincibile 
da 
pagina 
8 
del 
quesito 
che 
si 
riscontra 
che 
gli 
immobili 
siti 
in roma, Albino (Bg) e 
Scarlino (gr) possano essere 
qualificati 
come 
“sedi 
operative” 
di 
comitati 
regionali 
o territoriali 
della 
CrI 
perché, 
seppur 
nella 
disponibilità 
di 
soggetti 
conduttori 
o 
concessionari, 
gli 
anzidetti 
comitati 
vi 
eserciterebbero le 
loro attività 
e 
vi 
perseguirebbero i 
propri 
compiti 
istituzionali 
in “via mediata” 
avvalendosi 
di 
soggetti 
terzi. In proposito 
vale 
in 
primis 
sottolineare 
come 
l’art. 
4-bis 
del 
d.lgs. 
28 
settembre 
2012, 


n. 
178 
nella 
parte 
in 
cui 
consente 
l’esercizio 
di 
un 
potere 
traslativo 
di 
beni 
immobili 
a 
titolo gratuito ed in pendenza 
di 
una 
procedura 
concorsuale 
liquidatoria 
è 
una 
norma 
eccezionale 
che 
-ponendosi 
in deroga 
al 
divieto derivante 
dall’art. 2740 c.c 
di 
sottrarre 
poste 
attiva 
alla 
proceduta 
concorsuale 
-è 
soggetta 
alla 
regola 
della 
“stretta 
interpretazione” 
sicché 
non 
è 
dato 
includere 
nella 
portata 
applicativa 
della 
norma 
la 
nozione 
di 
“sede 
operativa in via mediata” 
suggerita 
dall’ente 
in indirizzo. L’operatività 
della 
norma 
deve 
essere 
conseguentemente 
esclusa 
in ipotesi 
di 
utilizzazione 
degli 
immobili 
da 
parte 
di 
terzi, quand’anche 
svolgenti 
in essi 
un’attività 
di 
pubblico interesse. D’altronde, 
muovendo dalla 
nozione 
di 
“sede 
operativa” 
quale 
luogo in cui 
effettivamente 
un 
ente 
persegue 
i 
propri 
compiti 
e 
fini 
istituzionali, 
deve 
anche 
essere 
richiamata 
la 
giurisprudenza 
secondo 
la 
quale 
“la 
locuzione 
‘compiti 
istituzionali’ 
si 
riferisce 
a 
quelle 
funzioni 
che 
costituiscono 
la 
ragion 
d’essere 
dell’ente 
e, 
pertanto, 
possono 
essere 
svolte 
solo 
da 
quest’ultimo 
e 
non 
va 
confusa 
con il 
concetto di 
servizio pubblico che 
può, invece, essere 
svolto anche 
da un altro soggetto anche privato” (11). 
Alla 
stregua 
delle 
considerazioni 
che 
precedono 
la 
Scrivente 
ritiene 
di 
escludere 
che 
gli 
immobili 
siti 
in 
roma, 
Albino 
(Bg) 
e 
Scarlino 
(gr) 
possano 
essere 
qualificati, ai 
fini 
del 
trasferimento all’Associazione 
privata 
ex 
art. 4bis 
del 
d.lgs. 28 settembre 
2012, n. 178, come 
beni 
immobili 
“utilizzati 
quali 
sedi 
istituzionali 
od operative 
dei 
comitati 
regionali 
territoriali 
e 
delle 
province 
autonome di Trento e di Bolzano”. 

3.2 
Conclusioni. 
Sull’annoverabilità 
delle 
unità 
immobiliari 
site 
in 
roma, 
Albino 
(BG) 
e 
Scarlino 
(Gr) 
tra 
i 
beni 
suscettibili 
di 
essere 
concessi 
in 
uso gratuito alla Associazione 
ex 
art. 4-bis, comma 4, del 
d.lgs. 28 settembre 
2012 n. 178. 
Alla 
stregua 
delle 
considerazioni 
che 
precedono, 
tenuto 
conto 
del 
carattere 
cumulativo 
dei 
requisiti 
cui 
la 
norma 
in 
esame 
subordina 
-come 
detto 
(12) 
-la 


(11) Comm. trib. regionale 
Marche 
Ancona 
Sez. V, Sent., 2 dicembre 
2019, n. 870 che 
richiama 
la 
giurisprudenza 
della 
Corte 
di 
Cassazione 
Cass. 14226/15, 14912/16 e 
Cass. 16797/2017 in tema 
di 
quando ricorra 
un asservimento di 
beni 
immobili 
ai 
compiti 
istituzionali 
dello Stato in relazione 
all’interpretazione 
dell’art. 7, comma 
1, lett. a), del 
d.lgs. n. 504 del 
1992 che 
prevede 
l’esenzione 
dall’assoggettamento 
al tributo ICI (poi IMu) per gli immobili posseduti dallo Stato. 

PArerI 
DeL 
CoMItAto 
ConSuLtIVo 


trasferibilità 
degli 
immobili 
non 
provenienti 
da 
negozi 
giuridici 
modali 
dopo 
il 
31 
dicembre 
2017, 
rimane 
assorbita 
-in 
difetto 
del 
primo 
dei 
requisiti 
in 
esame 
-la 
questione 
se 
le 
unità 
immobiliari 
oggetto 
del 
presente 
parere 
possano 
essere 
qualificate 
come 
beni 
“che, 
ai 
sensi 
del 
comma 
1-bis 
dell’articolo 
4, 
avrebbero 
dovuto 
essere 
trasferiti 
all’associazione 
... 
per 
lo 
svolgimento 
dei 
suoi 
compiti 
statutari”. 
In 
assenza, 
infatti, 
di 
uno 
dei 
due 
presupposti 
per 
l’esercizio 
del 
potere 
traslativo 
ex 
art. 
4-bis, 
comma 
1, 
del 
d.lgs. 
28 
settembre 
2012, 
n. 
178, 
la 
Scrivente 
non 
può 
che 
esprimere 
parere 
negativo 
rispetto 
alla 
trasferibilità 
al-
l’Associazione 
privata 
di 
tutti 
e 
tre 
i 
cespiti 
oggetto 
del 
quesito. 


esclusa 
l’applicabilità 
agli 
immobili 
siti 
in 
roma, 
Albino 
(Bg) 
e 
Scarlino 
(gr) dell’art. 4-bis, comma 
1, del 
d.lgs. 28 settembre 
2012 n. 178 occorre 
verificare 
se 
detti 
beni 
possano 
ritenersi 
ricompresi 
nel 
dettato 
del 
comma 
4 
della 
medesima 
disposizione 
a 
mente 
del 
quale 
“Tutti 
i 
beni 
immobili 
di 
proprietà 
dell’ente 
strumentale 
alla 
CrI 
in 
liquidazione 
coatta 
amministrativa, 
utilizzati 
dall’associatione 
per 
scopi 
istituzionali, a far 
data dal 
1° 
gennaio 2018, in 
via transitoria, sono concessi 
in uso gratuito alla stessa. le 
spese 
di 
gestione 
e di manutenzione ordinaria e straordinaria sono a carico dell’usuario”. 


Al 
fine 
di 
procedere 
alla 
corretta 
interpretazione 
della 
disposizione 
innanzi 
testualmente 
richiamata, 
la 
Scrivente 
ritiene 
opportuno 
segnalare, 
in 
primis, 
la 
natura 
eccezionale 
anche 
del 
comma 
4 
dell’art. 
4-bis, 
del 
d.lgs. 
28 
settembre 
2012, 
n. 
178, 
in 
quanto 
norma 
derogatoria 
rispetto 
al 
principio 
della 
necessaria 
fruttuosità 
del 
patrimonio 
immobiliare 
nella 
titolarità 
di 
soggetti 
pubblici 
quale 
corollario 
del 
canone 
di 
buon 
andamento 
della 
P.a. 
di 
cui 
all’art. 
97 Cost. In base 
a 
detto principio, come 
noto, le 
Pubbliche 
Amministrazioni 
debbono improntare 
la 
gestione 
del 
patrimonio pubblico immobiliare 
al 
criterio 
di 
necessaria 
redditività 
dei 
cespiti 
valorizzandone 
il 
potenziale 
economico 
mentre 
-come 
evidente 
-un contratto di 
comodato, per sua 
natura 
essenzialmente 
gratuito (v. art. 1803, comma 
2, cod. civ.), costituisce 
una 
forma 
di 
utilizzo 
infruttifero 
del 
bene 
pubblico 
in 
quanto 
schema 
contrattuale 
di 
per 
sé 
idoneo a 
determinare 
l’attribuzione 
di 
un “vantaggio economico” 
in favore 
di 
un soggetto (comodatario) che 
-non recando alcuna 
entrata 
in senso strettamente 
monetario 
-può 
risultare 
fonte 
di 
depauperamento 
del 
concedente 
“pari 
alla mancata entrata retraibile dal cespite” (13). 


(12) v. supra 
§ 3. 
(13) Così 
Corte 
dei 
Conti 
Liguria 
Sez. giurisdiz., Sent., (ud. 23/07/2021) 04-05-2022, n. 42. In 
generale, sul 
rapporto tra 
il 
principio di 
necessaria 
redditività 
del 
patrimonio pubblico e 
la 
relativa 
con-
cedibilità 
-in ipotesi 
eccezionali 
-in comodato gratuito si 
rinvia 
a 
Corte 
dei 
Conti 
Liguria 
Sez. contr. 
Delib., 31/01/2017, n. 2, t.A.r. Campania 
napoli 
Sez. I, Sent., (ud. 25/09/2019) 28-11-2019, n. 5623. 
In termini 
anche 
Corte 
dei 
Conti 
Sez. II App., Sent., (ud. 11/06/2019) 06-10-2020, n. 224 secondo la 
quale: 
“Il 
comodato gratuito di 
un bene 
di 
proprietà pubblica, siccome 
rappresenta una deroga al 
principio 
generale 
della redditività del 
patrimonio pubblico, deve 
costituire 
uno strumento per 
perseguire 
esclusivamente 
interessi 
pubblici, ma pur 
sempre 
perseguendo l’economicità della gestione 
della res 
publica”. 

rASSegnA 
AVVoCAturA 
DeLLo 
StAto -n. 4/2022 


Muovendo da 
tale 
premessa 
concettuale 
pare, quindi, potersi 
inferire 
che 


-nella 
logica 
del 
Legislatore 
della 
novella 
del 
dicembre 
del 
2020 -la 
mancata 
redditività 
di 
taluni 
beni 
di 
proprietà 
di 
esacri 
suscettibili 
di 
essere 
concessi 
in 
uso 
gratuito 
in 
favore 
dell’organizzazione 
di 
volontariato 
privato 
-in 
deroga 
al 
principio di 
generale 
fruttuosità 
del 
patrimonio pubblico nonché 
con conseguente 
compromissione 
degli 
interessi 
della 
classe 
creditoria 
di 
codesto 
ente 
(14) -è 
da 
ritenersi 
eccezionalmente 
ammissibile 
solo ove 
detti 
beni 
siano direttamente 
“utilizzati 
dall’associazione” 
per scopi 
istituzionali 
di 
guisa 
che 
la 
mancata 
redditività 
dei 
cespiti 
concessi 
in 
uso 
gratuito 
risulti 
compensata 
dalla 
valorizzazione 
di 
altro interesse 
rilevante, che 
trova 
il 
suo riconoscimento e 
fondamento nell’art. 2 del 
d.lgs. 28 settembre 
2012, n. 178, ovvero nella 
necessità 
di 
“concorrere 
temporaneamente 
allo 
sviluppo” 
dell’Associazione 
della Croce rossa italiana. 
Stante 
l’illustrato contemperamento di 
interessi 
sotteso alla 
disposizione 
in 
esame, 
può 
concludersi 
nel 
senso 
che 
la 
concessione 
in 
uso 
gratuito 
dei 
beni 
immobili 
prevista 
dal 
comma 
4 
dell’art. 
4 
bis, 
comma 
1, 
del 
d.lgs. 
28 
settembre 
2012 n. 178, tenuto conto della 
natura 
eccezionale 
della 
disposizione, non interpretabile, 
come 
tale, in via 
estensiva, non suppone 
un qualsivoglia 
impiego 
attraverso soggetti 
terzi 
degli 
immobili 
per finalità 
latamente 
riconducibili 
all’ampio 
oggetto 
istituzionale 
ed 
alle 
numerose 
funzioni 
dell’Associazione, 
ma 
risulta 
legislativamente 
subordinata 
alla 
previa 
positiva 
verifica 
dell’utilizzo, 
in modo diretto, e 
non semplicemente 
mediato, degli 
immobili 
per l’assolvimento 
dei 
compiti 
istituzionali 
dell’Associazione 
intendendo 
per 
tali 
quelli 
che costituiscono la “ragion d’essere” della stessa. 


Sulla 
scorta 
di 
siffatto riscontro, richiamando quanto esposto con specifico 
riferimento ai 
tre 
immobili 
oggetto del 
presente 
parere 
in ordine 
all’irrilevanza 
dell’utilizzo 
“mediato” 
ai 
fini 
del 
trasferimento 
in 
proprietà 
all’Associazione 
ex 
art. 4-bis, comma 
1, del 
d.lgs. 28 settembre 
2012, n. 178 


(15) 
si 
esprime 
parere 
negativo 
anche 
in 
relazione 
alla 
qualificabilità 
dei 
cespiti 
siti 
in 
roma, 
Albino 
(Bg) 
e 
Scarlino 
(gr) 
quali 
beni 
suscettibili 
di 
essere 
concessi 
in uso gratuito all’Associazione 
ex 
art. 4-bis, comma 
4, del 
d.lgs. 28 settembre 
2012, n. 178. 
ed infatti, l’attuale 
concessione 
dei 
beni 
in esame 
in godimento -a 
terzi 


(16) soprattutto se 
a 
titolo oneroso -dimostra 
ipso facto 
che 
i 
beni 
di 
roma, 
Albino (Bg) e 
Scartino (gr) non sono né 
necessari 
né 
essenziali 
“ai 
fini 
statuari 
e allo svolgimento dei compiti istituzionali e di interesse pubblico” del-
l’Associazione: 
se 
venissero, 
infatti, 
concessi 
in 
uso 
gratuito 
ex 
art. 
4-bis, 
(14) Si rinvia al § 1. 
(15) v. supra 
§ 3.1. 
(16) rispettivamente 
il 
Ministero della 
giustizia, la 
Casa 
di 
cura 
H. s.p.a., la 
ASL 
toscana 
sud 
est. 

PArerI 
DeL 
CoMItAto 
ConSuLtIVo 


comma 
4, del 
d.lgs. 28 settembre 
2012, n. 178, l’organizzazione 
privata 
comodataria 
verosimilmente 
continuerebbe 
-e 
si 
limiterebbe 
-a 
percepire 
il 
canone 
dai 
(sub)concessionari 
e 
dai 
(sub)conduttori 
al 
pari 
di 
una 
qualsiasi 
società 
immobiliare, 
non 
funzionalizzando 
direttamente, 
come 
preteso 
dal 
Legislatore, 
i 
cespiti 
in parola 
al 
perseguirnento dei 
scopi 
che 
rappresentano la 
“ragion d’essere” dell’Associazione. 


Si 
esprime, 
quindi, 
parere 
contrario 
sia 
al 
trasferimento 
degli 
immobili 
di 
roma, Albino (Bg) e 
Scarlino (gr) in proprietà 
all’Associazione 
ex 
art. 4bis, 
comma 
1, del 
d.lgs. 28 settembre 
2012, n. 178 sia 
alla 
concessione 
in uso 
gratuito dei 
medesimi 
immobili 
all’Associazione 
ex 
art. 4-bis, comma 
1, del 
d.lgs. 
28 
settembre 
2012, 
n. 
178 
non 
ricorrendone, 
in 
entrambi 
i 
casi, 
alla 
stregua 
dell’attuale 
formulazione 
delle 
norme 
in rilievo, i 
presupposti 
legislativi. 


Sul 
presente 
parere 
si 
espresso 
in 
senso 
conforme 
il 
Comitato 
Consultivo 
dell’Avvocatura dello Stato nella seduta del 9 giugno 2022. 



rASSegnA 
AVVoCAturA 
DeLLo 
StAto -n. 4/2022 


rimborsabilità delle spese legali ai sensi dell’art. 18 

d.l. n. 67/1997 sostenute dal dipendente pubblico in 
procedimento preliminare avviato ex art. 67 del Codice di 
Giustizia Contabile e definito con decreto di archiviazione 
Parere 
del 
19/07/2022 
-473519, al 7140/2022, 
ProC. melvIo 
mauGerI 


Con la 
nota 
che 
si 
riscontra, codesta 
Avvocatura 
ha 
chiesto alla 
Scrivente 
di fornire un parere di massima in merito alla questione indicata in oggetto. 


La 
richiesta 
rinviene 
la 
sua 
ragion 
d’essere 
nel 
possibile 
contrasto 
tra 
quanto indicato nella 
circolare 
n. 26/2021, con la 
quale 
questo ufficio ha 
affermato 
che, “a tenore 
[della 
sentenza 
31 luglio 2020, n. 189 della 
Corte 
Costituzionale], 
anche 
la 
fase 
non 
contenziosa 
del 
giudizio 
contabile 
può, 
ricorrendone 
tutti 
gli 
altri 
requisiti, essere 
oggetto di 
rimborso”, e 
“l’orientamento 
granitico 
della 
giurisprudenza 
amministrativa, 
contabile 
e 
ordinaria 
... [secondo cui 
l’art. 18, comma 
1, del 
decreto legge 
25 marzo 1997, n. 67], 
così 
come 
autenticamente 
interpretato dall’art. 10 bis, comma 10, l. 2 dicembre 
2005, 
n. 
248, 
non 
consente 
il 
rimborso 
delle 
spese 
legali 
sostenute 
dal 
pubblico dipendente 
nella fase 
antecedente 
all’eventuale 
giudizio, caratterizzato 
dalla 
archiviazione 
del 
procedimento 
a 
seguito 
di 
deduzioni 
difensive 
che 
il 
dipendente 
ha depositato dopo essere 
stato invitato a dedurre” 
(nota 
prot. 
n. 25400 del 16 febbraio 2022). 


nel 
dettaglio, sostiene 
l’Avvocatura 
in indirizzo che 
la 
Corte 
costituzionale, 
con la 
suindicata 
sentenza 
n. 189/2020, non avrebbe 
interpretato la 
normativa 
statale 
(1) 
nel 
senso 
di 
attribuirle 
il 
significato 
secondo 
cui 
sarebbe 
ammessa 
la 
rimborsabilità 
delle 
spese 
in 
questione. 
Muovendo 
da 
tale 
presupposto 
e 
richiamato 
l’orientamento 
giurisprudenziale 
secondo 
cui 
“è 
illegittimo 
il 
rimborso, da parte 
dell’ente 
di 
appartenenza, delle 
spese 
legali 
sostenute 
da 
soggetto 
destinatario 
di 
provvedimento 
di 
archiviazione 
dell’azione, 
poiché 
il 
beneficio è 
subordinato al 
definitivo proscioglimento del 
presunto responsabile” 
(così 
Corte 
dei 
conti 
Veneto 4 dicembre 
2006, n. 1146), ha 
chiesto a 
questa 
Avvocatura di riesaminare la questione in oggetto. 


tanto premesso, si osserva quanto segue. 


Come 
in 
effetti 
evidenziato 
nella 
nota 
che 
si 
riscontra, 
la 
Corte 
costituzionale 
non 
ha 
interpretato 
il 
combinato 
disposto 
degli 
artt. 
18, 
comma 
1, 
d.l. 
n. 
67/1997, 
3, 
comma 
2 
bis, 
d.l. 
n. 
543/1996 
e 
10 
bis, 
comma 
10, 
d.l. 
n. 
203/2005 
nel 
senso 
che 
gli 
stessi 
imporrebbero 
il 
rimborso 
delle 
spese 
difensive 
sostenute 


(1) Cioé, l’art. 18, comma 
1, del 
decreto legge 
25 marzo 1997, n. 67, l’art. 3, comma 
2 bis, del 
decreto legge 
23 ottobre 
1996, n. 543 e 
l’art. 10 bis, comma 
10, del 
decreto legge 
30 settembre 
2005, n. 
203. 

PArerI 
DeL 
CoMItAto 
ConSuLtIVo 


dai 
dipendenti 
pubblici 
nella 
fase 
preliminare 
dei 
giudizi 
di 
responsabilità 
innanzi 
alla 
Corte 
dei 
conti; 
ha, 
però, 
ritenuto 
coerente 
con 
la 
ratio 
di 
tali 
norme 
una 
legge 
provinciale 
(2) 
che 
ammetteva 
proprio 
tale 
rimborso 
(3). 


Se 
così 
è, il 
reale 
problema 
che 
si 
pone 
diventa 
quello di 
comprendere 
se 
le 
norme 
sopra 
richiamate 
possano o meno essere 
interpretate 
nel 
senso indicato 
nella circolare n. 26/2021. 


Per affrontare 
la 
questione, occorre 
muovere 
dalla 
lettera 
delle 
seguenti 
disposizioni: 


a) art. 3, comma 
2 bis, d.l. n. 543/1996: 
“In caso di 
definitivo proscioglimento 
ai 
sensi 
di 
quanto previsto dal 
comma 1 dell’art. 1 della legge 
14 gennaio 
1994, 
n. 
20, 
come 
modificato 
dal 
comma 
1 
del 
presente 
articolo, 
le 
spese 
legali 
sostenute 
dai 
soggetti 
sottoposti 
al 
giudizio della Corte 
dei 
conti 
sono 
rimborsate dall’amministrazione di appartenenza”; 
b) 
art. 18, comma 
1, d.l. n. 67/1997: 
“le 
spese 
legali 
relative 
a giudizi 
per 
responsabilità civile, penale 
e 
amministrativa (4), promossi 
nei 
confronti 
di 
dipendenti 
di 
amministrazioni 
statali 
in 
conseguenza 
di 
fatti 
ed 
atti 
connessi 
con l’espletamento del 
servizio o con l’assolvimento di 
obblighi 
istituzionali 
e 
conclusi 
con sentenza o provvedimento che 
escluda la loro responsabilità, 
sono 
rimborsate 
dalle 
amministrazioni 
di 
appartenenza 
nei 
limiti 
riconosciuti 
congrui 
dall’avvocatura dello Stato. le 
amministrazioni 
interessate, sentita 
(2) nella specie, l’art. 18, comma 1, della legge provinciale 
trento 27 agosto 1999 n. 3. 
(3) Si 
legge 
nella 
sentenza 
n. 189/2020: 
“5.4.-nella specie, con l’art. 18, comma 1, della legge 
prov. Trento n. 3 del 
1999, è 
stata prevista la possibilità di 
rimborso delle 
spese 
sostenute 
per 
attività 
difensive 
svolte 
sia 
nelle 
fasi 
preliminari 
di 
giudizi 
civili, 
penali 
e 
contabili, 
sia 
nei 
procedimenti 
conclusi 
con l’archiviazione. Tale 
intervento attiene 
non al 
rapporto di 
impiego e 
quindi 
alla competenza statale 
in materia di 
«ordinamento civile» -bensì 
al 
rapporto di 
servizio e 
si 
inserisce 
nel 
quadro di 
un complessivo 
apparato normativo volto a evitare 
che 
il 
pubblico dipendente 
possa subire 
condizionamenti 
in ragione 
delle 
conseguenze 
economiche 
di 
un procedimento giudiziario, anche 
laddove 
esso si 
concluda 
senza l’accertamento di 
responsabilità. 5.4.1.- Si 
tratta, invero, di 
finalità coerenti 
con la ratio 
della 
disciplina 
statale 
che 
-già 
con 
l’art. 
1, 
comma 
1, 
della 
legge 
14 
gennaio 
1994, 
n. 
20 
(disposizioni 
in 
materia 
di 
giurisdizione 
e 
controllo 
della 
Corte 
dei 
conti) 
-ha 
delimitato 
la 
responsabilità 
dei 
soggetti 
sottoposti 
alla giurisdizione 
della Corte 
dei 
conti 
in materia di 
contabilità pubblica ai 
fatti 
e 
alle 
omissioni 
commessi 
con 
dolo 
o 
con 
colpa 
grave. 
In 
questo 
modo, 
il 
legislatore 
statale 
ha 
inteso 
«predisporre, 
nei 
confronti 
degli 
amministratori 
e 
dei 
dipendenti 
pubblici, un assetto normativo in cui 
il 
timore 
delle 
responsabilità 
non 
esponga 
all’eventualità 
di 
rallentamenti 
ed 
inerzie 
nello 
svolgimento 
dell’attività 
amministrativa [...] 
determinando quanto del 
rischio dell’attività debba restare 
a carico dell’apparato 
e 
quanto a carico del 
dipendente, nella ricerca di 
un punto di 
equilibrio tale 
da rendere, per 
dipendenti 
ed amministratori 
pubblici, la prospettiva della responsabilità ragione 
di 
stimolo, e 
non di 
disincentivo 
[...]» (sentenza n. 371 del 
1998). risulta ispirato alla medesima ratio anche 
l’art. 18, comma 1, del 
decreto 
legge 
25 marzo 1997, n. 67 (disposizioni 
urgenti 
per 
favorire 
l’occupazione)... nella stessa direzione 
si 
pone 
l’interpretazione 
autentica di 
quest’ultima disposizione, indicata dall’art. 10 bis, comma 
10, del 
decreto legge 
30 settembre 
2005, n. 203 (misure 
di 
contrasto all’evasione 
fiscale 
e 
disposizioni 
urgenti in materia tributaria e finanziaria) ...”. 
(4) Allorquando si 
riferisce 
alla 
“responsabilità ... amministrativa”, l’art. 18 cit. si 
riferisce 
sicuramente 
anche 
alla 
responsabilità 
contabile 
(così 
la 
circolare 
n. 26/2021); 
del 
resto, se 
così 
non fosse, 
non avrebbe 
alcun senso il 
richiamo operato dall’art. 10 bis, comma 
10, d.l. 203/2005, espressamente 
riferito al giudizio contabile, al suddetto art. 18. 

rASSegnA 
AVVoCAturA 
DeLLo 
StAto -n. 4/2022 


l’avvocatura 
dello 
Stato, 
possono 
concedere 
anticipazioni 
del 
rimborso, 
salva 
la ripetizione nel caso di sentenza definitiva che accerti la responsabilità”; 


c) 
art. 10 bis, comma 
10, d.l. n. 203/2005: 
“le 
disposizioni 
dell’articolo 
3, 
comma 
2-bis, 
del 
decreto-legge 
23 
ottobre 
1996, 
n. 
543, 
convertito, 
con 
modificazioni, 
dalla legge 
20 dicembre 
1996, n. 639 e 
dell’articolo 18, comma 
1, 
del 
decreto-legge 
25 
marzo 
1997, 
n. 
67, 
convertito, 
con 
modificazioni 
dalla 
legge 
23 maggio 1997, n. 135, si 
interpretano nel 
senso che 
il 
giudice 
contabile, 
in caso di 
proscioglimento nel 
merito, e 
con la sentenza che 
definisce 
il 
giudizio, ai 
sensi 
e 
con le 
modalità di 
cui 
all’articolo 91 del 
codice 
di 
procedura 
civile, non può disporre 
la compensazione 
delle 
spese 
del 
giudizio e 
liquida 
l’ammontare 
degli 
onorari 
e 
diritti 
spettanti 
alla difesa del 
prosciolto, 
fermo 
restando 
il 
parere 
di 
congruità 
dell’avvocatura 
dello 
Stato 
da 
esprimere 
sulle 
richieste 
di 
rimborso 
avanzate 
all’amministrazione 
di 
appartenenza” 
(5). 
Dalla 
lettura 
delle 
norme 
sopra 
richiamate 
emerge 
che, a 
differenza 
del-
l’art. 3, comma 
2 bis, d.l. n. 543/1996, l’art. 18 d.l. n. 67/1997 non richiede 
necessariamente 
un giudizio conclusosi 
con un “definitivo proscioglimento”, 
ma 
reputa 
sufficiente 
un 
“provvedimento 
che 
escluda 
la... 
responsabilità”. 
Proprio 
tale 
ultimo inciso ha 
permesso alla 
Scrivente 
di 
affermare, nella 
circolare 


n. 
26/2021, 
che 
il 
rimborso 
delle 
spese 
presuppone 
che 
“il 
giudizio 
che 
ha 
visto 
convenuto 
o 
indagato/imputato 
l’interessato 
si 
sia 
concluso 
con 
sentenza 
o 
provvedimento 
che 
abbia 
escluso 
la 
sua 
responsabilità. 
la 
sentenza 
deve 
necessariamente 
essere 
passata 
in 
giudicato; 
mentre, 
a 
seconda 
dei 
casi 
il 
provvedimento 
può 
non 
essere 
definitivo, 
quale, 
ad 
esempio, 
un’archiviazione 
nel merito da parte del GIP”. 
Da 
questo 
punto 
di 
vista, 
l’art. 
18 
cit. 
sembrerebbe 
ammettere, 
prima 
facie, il 
rimborso delle 
spese 
sostenute 
dal 
dipendente 
pubblico invitato a 
dedurre 
ex 
art. 67 d.lgs. 26 agosto 2016, n. 174 (Codice 
di 
giustizia 
Contabile) 
nell’ambito 
di 
un 
procedimento 
contabile 
archiviato 
ai 
sensi 
del 
successivo 
art. 69, anche 
al 
fine 
di 
non creare 
una 
disparità 
di 
trattamento rispetto all’indagato 
sottoposto ad un procedimento penale oggetto di archiviazione. 


Sennonché, 
ricorda 
opportunamente 
l’Avvocatura 
in 
indirizzo, 
con 
il 
conforto 
della 
giurisprudenza 
contabile 
(6), che 
tale 
conclusione 
sembrerebbe 
essere 
smentita considerando: 


(5) 
Il 
contenuto 
dell’art. 
10-bis 
sopra 
citato 
è 
stato 
in 
parte 
trasfuso 
nell’art. 
31 
del 
d.lgs. 
26 
agosto 
2016, n. 174, il 
quale, dopo aver chiarito al 
comma 
1 che 
“il 
giudice, con la sentenza che 
chiude 
il 
processo 
davanti 
a lui, condanna la parte 
soccombente 
al 
rimborso delle 
spese 
a favore 
dell’altra parte 
e 
ne 
liquida l’ammontare 
insieme 
con gli 
onorari 
di 
difesa”, così 
dispone 
al 
successivo comma 
2: 
“Con 
la 
sentenza 
che 
esclude 
definitivamente 
la 
responsabilità 
amministrativa 
per 
accertata 
insussistenza 
del 
danno, ovvero, della violazione 
di 
obblighi 
di 
servizio, del 
nesso di 
causalità, del 
dolo o della colpa 
grave, il 
giudice 
non può disporre 
la compensazione 
delle 
spese 
del 
giudizio e 
liquida, a carico del-
l’amministrazione di appartenenza, l’ammontare degli onorari e dei diritti spettanti alla difesa”. 
(6) Cfr. Corte dei conti Marche, Sez. reg. giurisd., 20 dicembre 2010, n. 249. 

PArerI 
DeL 
CoMItAto 
ConSuLtIVo 


1) 
la 
differenza 
letterale 
sussistente 
tra 
il 
termine 
“proscioglimento” 
eil 
termine “archiviazione”; 
2) 
la 
circostanza 
per la 
quale 
nel 
procedimento contabile 
il 
decreto di 
archiviazione 
è 
emesso 
dal 
Pubblico 
Ministero, 
mentre 
il 
proscioglimento 
è 
pronunciato 
da un giudice a seguito di un vero e proprio giudizio; 
3) 
la 
mancanza 
di 
un 
controllo 
giudiziale 
sul 
decreto 
di 
archiviazione 
emesso dal Pubblico Ministero; 
4) 
l’assenza 
di 
obbligatorietà 
della 
difesa 
tecnica 
nella 
fase 
delle 
indagini 
contabili. 
In realtà, ritiene 
la 
Scrivente 
che 
le 
superiori 
argomentazioni 
non siano 
dirimenti. 
In 
particolare, 
l’argomento 
sub 
1) 
non 
pare 
decisivo 
in 
quanto 
-come 
anticipato 
-l’art. 
18 
d.l. 
67/1997, 
a 
differenza 
dell’art. 
3, 
comma 
2 
bis, 
d.l. 
543/1996, reputa 
sufficiente 
un qualunque 
“provvedimento che 
escluda la ... 
responsabilità”, 
quale 
può 
di 
certo 
essere, 
quantomeno 
in 
astratto, 
anche 
il 
provvedimento di archiviazione. 


Parimenti 
non decisivo pare 
l’argomento sub 
2), in quanto la 
scelta 
del 
Legislatore 
di 
attribuire 
al 
Pubblico Ministero, e 
non al 
giudice, il 
potere 
di 
archiviare 
il 
procedimento 
contabile 
non 
sembra 
poter 
incidere 
sulla 
disciplina 
del rimborso delle spese in questione. 


né, 
d’altro 
canto, 
sembra 
potersi 
dare 
rilievo 
alla 
circostanza 
che 
con 
l’invito 
a 
dedurre 
si 
aprirebbe 
(non 
già 
una 
“fase 
processuale” 
in 
senso 
stretto, 
ma) 
una 
“fase 
procedimentale”, 
trattandosi 
di 
differenza 
formalistica 
irrilevante 
ai 
fini 
perseguiti 
dalla 
normativa 
in 
esame, 
che 
-come 
ricordato 
nella 
citata 
sentenza 
della 
Corte 
costituzionale 
n. 
189/2020 
-sono 
da 
individuare 
nell’esigenza 
di 
“predisporre, 
nei 
confronti 
degli 
amministratori 
e 
dei 
dipendenti 
pubblici, 
un 
assetto 
normativo 
in 
cui 
il 
timore 
delle 
responsabilità 
non 
esponga 
all’eventualità 
di 
rallentamenti 
ed 
inerzie 
nello 
svolgimento 
dell’attività 
amministrativa”: 
il 
timore 
di 
essere 
coinvolto 
in 
un 
“procedimento” 
per 
l’accertamento 
di 
una 
eventuale 
responsabilità 
erariale 
opera, 
infatti, 
sulla 
psiche 
del 
dipendente 
pubblico 
in 
termini 
del 
tutto 
analoghi 
al 
timore 
di 
essere 
coinvolto 
in 
un 
“giudizio” 
per 
l’accertamento 
di 
una 
responsabilità 
civile 
o 
penale. 


Ad 
ogni 
modo, 
il 
dubbio 
circa 
l’applicabilità 
dell’art. 
18 
cit. 
anche 
ai 
“procedimenti” 
e 
non solo ai “processi”, non sembra avere reale ragion d’essere 
nel 
caso in esame, ove 
la 
richiesta 
di 
rimborso proviene 
da 
un dipendente 
dell’Agenzia 
del 
Demanio, cui 
risulta 
applicabile 
l’art. 91, comma 
7, de 
Contratto 
Collettivo nazionale 
di 
Lavoro relativo al 
personale 
del 
comparto delle 
Agenzie 
Fiscali 
per il 
quadriennio normativo 2002 -2005, il 
quale 
si 
riferisce 
espressamente 
anche 
al 
“procedimento di 
responsabilità civile, penale 
o amministrativa 
- contabile” (7). 


(7) 
L’art. 
91, 
comma 
7, 
del 
Contratto 
Collettivo 
nazionale 
di 
Lavoro 
relativo 
al 
personale 
del 

rASSegnA 
AVVoCAturA 
DeLLo 
StAto -n. 4/2022 


Quanto 
all’argomento 
sub 
3), 
se 
è 
vero 
che 
il 
decreto 
di 
archiviazione 
emesso 
dal 
Pubblico 
Ministero 
contabile 
non 
è 
sottoposto 
al 
vaglio 
di 
un 
giudice 
in senso stretto, è 
altrettanto vero che 
tale 
provvedimento, “debitamente 
motivato” 
(al 
pari 
del 
decreto emesso dal 
giudice 
per le 
indagini 
preliminari 
ai 
sensi 
dell’art. 409 c.p.p.), deve 
essere 
“sottoposto al 
visto del 
procuratore 
generale”, il 
quale, se 
non condivide 
le 
motivazioni 
dell’archiviazione, “formula 
per 
iscritto 
le 
proprie 
motivate 
osservazioni, 
comunicandole 
al 
pubblico 
ministero assegnatario del 
fascicolo” 
e, nel 
caso in cui 
permanga 
il 
dissenso, 
“avoca 
il 
fascicolo 
istruttorio, 
adottando 
personalmente 
le 
determinazioni 
inerenti 
l’esercizio 
dell’azione 
erariale” 
(art. 
69, 
commi 
3, 
5 
e 
6, 
d.lgs. 
174/2016). 


Infine, 
per 
quel 
che 
riguarda 
l’argomento 
sub 
4), 
non 
sembra 
che 
l’assenza 
dell’obbligo della 
difesa 
tecnica 
sia 
dirimente, non essendo sindacabile 
la 
scelta 
del 
dipendente 
invitato a 
dedurre 
di 
farsi 
assistere 
o meno da 
un difensore 
(8). 
Al 
più, 
la 
necessarietà 
o 
meno 
dell’assistenza 
legale 
e, 
soprattutto, 
l’effettività 
dell’apporto 
difensivo 
rispetto 
al 
provvedimento 
di 
archiviazione, 
potranno 
essere 
valutate 
sotto 
il 
profilo 
della 
quantificazione 
dell’importo 
concretamente 
dovuto a titolo di rimborso. 


Da 
altra 
angolazione, 
la 
conclusione 
cui 
è 
pervenuta 
la 
circolare 
n. 
26/2021 
non 
pare 
porsi 
in 
contrasto 
con 
l’interpretazione 
autentica 
dell’art. 
18 


d.l. n. 67/1997 fornita dall’art. 10-bis, comma 10, d.l. 203/2005. 
Ciò 
in 
quanto 
-come 
affermato 
dalla 
Corte 
costituzionale 
con 
la 
citata 
sentenza 
n. 
189/2020 
-“ferma 
restando 
la 
regolamentazione 
da 
parte 
del 
giudice 
contabile 
delle 
spese 
del 
relativo 
giudizio 
-deve 
essere 
distinto 
il 
rapporto 


comparto 
delle 
Agenzie 
Fiscali 
per 
il 
quadriennio 
normativo 
2002 
-2005 
così 
dispone: 
“In 
applicazione 
dell’art. 18 del 
d.l. 25 marzo 1997, n. 67, convertito con modificazioni, dalla legge 
23 maggio 1997, n. 
135, l’agenzia, nella tutela dei 
propri 
diritti 
ed interessi, ove 
si 
verifichi 
l’apertura di 
un procedimento 
di 
responsabilità civile, penale 
o amministrativa-contabile 
nei 
confronti 
del 
dipendente, per 
fatti 
o atti 
compiuti 
nell’espletamento del 
servizio e 
nell’adempimento dei 
compiti 
d’ufficio eroga al 
dipendente 
stesso, su sua richiesta e 
previo parere 
di 
congruità dall’avvocatura Generale 
dello Stato, il 
rimborso 
e, tenuto conto della sua situazione 
economica, eventuali 
anticipazioni 
per 
gli 
oneri 
di 
difesa, a condizione 
che non sussista conflitto di interesse”. 
tale 
disposizione 
continua 
ad 
essere 
applicabile 
ai 
dipendenti 
dell’Agenzia 
del 
Demanio 
in 
quanto 
compatibile 
con successivi 
contratti 
collettivi, dai 
quali 
non è 
stata 
espressamente 
disapplicata 
(cfr. art. 96 
del 
Contratto 
Collettivo 
nazionale 
di 
Lavoro 
relativo 
al 
personale 
del 
comparto 
funzioni 
centrali 
triennio 
2016-2018 e 
62 del 
Contratto Collettivo nazionale 
di 
Lavoro del 
personale 
del 
comparto funzioni 
centrali 
triennio 2019-2021). 


(8) Sia 
pur riferito ad una 
materia 
diversa 
da 
quella 
in esame, non sembra 
inutile 
in questa 
sede 
il 
richiamo 
al 
principio 
di 
diritto 
espresso 
nei 
seguenti 
termini 
da 
Cass. 
Civ. 
14 
dicembre 
2017, 
n. 
30069: 
“ai 
sensi 
degli 
artt. 74 e 
75 d.P.r 
n. 115 del 
2002, il 
patrocinio a spese 
dello Stato è 
assicurato in ogni 
procedimento 
civile, 
con 
inclusione 
della 
volontaria 
giurisdizione, 
ed 
anche 
quando 
l’assistenza 
tecnica 
del 
difensore 
non 
è 
prevista 
come 
obbligatoria, 
perché 
l’istituto 
copre 
ogni 
esigenza 
di 
accesso 
alla 
tutela giurisdizionale, sia quando questa tutela coinvolge 
necessariamente 
l’opera di 
un avvocato, sia 
quando la parte 
non abbiente, pur 
potendo stare 
in giudizio personalmente, richieda la nomina di 
un 
difensore, al 
fine 
di 
essere 
consigliata nel 
miglior 
modo sull’esistenza a sulla consistenza dei 
propri 
diritti, 
ritenendo di non essere in grado di operare da sé”. 

PArerI 
DeL 
CoMItAto 
ConSuLtIVo 


che 
ha per 
oggetto il 
giudizio di 
responsabilità contabile 
da quello che 
si 
instaura 
fra l’incolpato, poi 
assolto o prosciolto, e 
l’amministrazione 
di 
appartenenza, 
relativamente 
al 
rimborso 
delle 
spese 
per 
la 
difesa. 
Sia 
la 
giurisprudenza 
ordinaria, 
sia 
quella 
amministrativa, 
infatti, 
hanno 
riconosciuto 
che 
tra i 
due 
rapporti 
non vi 
sono elementi 
di 
connessione, in ragione 
della diversità del 
loro oggetto (Consiglio di 
Stato, sezione 
III, sentenza 28 
luglio 2017, n. 3779; nello stesso senso, Corte 
di 
cassazione, sezioni 
unite 
civili, 
sentenze 
14 marzo 2011, n. 5918, 24 marzo 2010, n. 6996, e 
12 novembre 
2003, n. 17014)”. 


Detto altrimenti, con l’art. 10-bis 
cit. il 
Legislatore 
ha 
inteso incidere 
solamente 
sulla 
disciplina 
della 
regolamentazione 
delle 
spese 
di 
lite 
nel 
giudizio 
contabile 
(9), 
consentendo 
una 
condanna 
al 
pagamento 
delle 
predette 
spese 
nei 
confronti 
della 
Pubblica 
Amministrazione 
altrimenti 
difficilmente 
ipotizzabile 
(10), senza 
al 
contempo incidere 
sul 
rapporto fra 
il 
dipendente 
e 
l’Amministrazione 
di appartenenza. 


Quest’ultimo rapporto, a 
differenza 
di 
quanto ritenuto in giurisprudenza 
in tempi 
relativamente 
recenti 
(11), resta, dunque, assoggettato alla 
disciplina 
ordinaria 
sancita 
-per quel 
che 
qui 
interessa 
-dall’art. 18 d.l. n. 67/1997, la 
cui 
lettera, laddove 
fa 
riferimento al 
“provvedimento che 
escluda la responsabilità”, 
e 
la 
cui 
ratio, 
così 
come 
individuata 
anche 
dalla 
Corte 
costituzionale 
con la 
sentenza 
sopra 
indicata, giustificano, in caso di 
archiviazione, il 
rimborso 
delle 
spese 
affrontate 
dal 
dipendente 
pubblico 
invitato 
a 
dedurre 
dal 
Pubblico Ministero ex 
art. 67 del Codice di giustizia Contabile. 


Del 
resto, il 
rimborso di 
tali 
spese, lungi 
dall’arrecare 
un danno erariale, 


(9) oggi disciplinate dall’art. 31 del d.lgs. n. 174/2016, richiamato nella precedente nota n. 5. 
(10) Come 
ricordato da 
Cass. Civ., Sez. Lav., 19 agosto 2013, n. 19195, gli 
artt. 18 d.1. 67/1997 
e 
3, 
comma 
2 
bis, 
d.l. 
543/1996 
sono 
“norme 
concepite 
pur 
sempre 
in 
vista 
di 
un 
rimborso 
extragiudiziale 
e 
non giudiziale, benché 
certa giurisprudenza contabile 
(Corte 
dei 
conti, sez. Basilicata, 13.2.97 n. 43) 
avesse 
ritenuto in via di 
interpretazione 
logico-sistematica la assoggettabilità a condanna dell’amministrazione 
in caso di 
rigetto della domanda di 
responsabilità, cosa che 
la giurisprudenza della Corte 
dei 
conti 
aveva prevalentemente 
negato in base 
al 
rilievo che 
il 
giudizio era introdotto da una citazione 
del 
Procuratore 
contabile, considerato solo come 
Pubblico ministero e 
quindi 
come 
parte 
esclusivamente 
formale 
(come 
s’è 
detto). le 
persistenti 
perplessità applicative 
di 
tali 
norme 
hanno infine 
indotto 
il 
legislatore 
ad intervenire 
con il 
d.l. n. 203 del 
2005, art. 10 bis, comma 10 (convertito, con modificazioni, 
in l. n. 248 del 2005)”. 
(11) Il 
riferimento è 
alla 
già 
citata 
Cass. Civ., Sez. Lav., n. 19195/2013, secondo cui 
“dopo l’entrata 
in vigore 
dell’art. 10 bis, comma 10, del 
d.l. 30 settembre 
2005 n. 203, conv. in legge 
2 dicembre 
2005, n. 248, in caso di 
proscioglimento nel 
merito del 
convenuto in giudizio per 
responsabilità amministrativo-
contabile 
innanzi 
alla Corte 
dei 
conti, spetta esclusivamente 
a detto giudice, con la sentenza 
che 
definisce 
il 
giudizio, liquidare 
-ai 
sensi 
e 
con le 
modalità di 
cui 
all’art. 91 c.p.c. ed a carico del-
l’amministrazione 
di 
appartenenza -l’ammontare 
delle 
spese 
di 
difesa del 
prosciolto, senza successiva 
possibilità 
per 
quest’ultimo 
di 
chiedere 
in 
separata 
sede, 
all’amministrazione 
medesima, 
la 
liquidazione 
di dette spese, neppure in via integrativa della liquidazione operata dal giudice contabile”. 
tuttavia, come 
già 
ampiamente 
evidenziato nella 
circolare 
n. 11/2021, a 
seguito dell’intervento di 
C. 
Cost. 189/2020, quest’orientamento deve ritenersi superato. 

rASSegnA 
AVVoCAturA 
DeLLo 
StAto -n. 4/2022 


può 
anche 
determinare 
un 
minore 
esborso 
per 
l’Amministrazione, 
dal 
momento 
che, normalmente, le 
spese 
legali 
relative 
all’attività 
difensiva 
svolta 
nella 
fase 
preliminare 
sono quantificate 
in misura 
inferiore 
rispetto a 
quelle 
relative 
alla 
medesima 
attività 
svolta 
nella 
successiva 
fase 
giudiziale, in tesi 
evitabile 
laddove 
il 
dipendente 
avesse 
adeguatamente 
interloquito 
-se 
del 
caso, 
proprio a 
mezzo di 
difensore 
-con il 
Pubblico Ministero al 
fine 
di 
indurlo ad 
archiviare il caso. 


In definitiva, alla 
luce 
delle 
superiori 
considerazioni, la 
Scrivente 
ritiene 
che, 
ai 
sensi 
dell’art. 
18 
d.l. 
n. 
67/1997 
e 
alle 
condizioni 
ivi 
indicate, 
siano 
rimborsabili 
anche 
le 
spese 
sostenute 
dal 
dipendente 
pubblico nello specifico 
procedimento 
preliminare 
avviato 
dall’art. 
67 
d.lgs. 
n. 
174/2016 
e 
definito 
con 
decreto 
di 
archiviazione 
emesso 
ai 
sensi 
del 
successivo 
art. 
69, 
fermo 
restando 
il 
diritto di 
ripetizione 
dell’Amministrazione 
in caso di 
successiva 
riapertura 
del fascicolo istruttorio. 


Sul 
presente 
parere 
si 
è 
espresso in senso conforme 
il 
Comitato Consultivo 
nella seduta del 7 luglio 2022. 



PArerI 
DeL 
CoMItAto 
ConSuLtIVo 


rimborsabilità delle spese legali ai sensi dell’art. 18 

d.l. n. 67/1997 sostenute dal dipendente pubblico in 
procedimento di accertamento tecnico preventivo 
a fini conciliativi ex art. 696 bis c.p.c. 

Parere 
del 
05/08/2022 
-512987, al 12646/2022, 
ProC. elIo 
CuCChIara 


Codesta 
Avvocatura 
Distrettuale 
ha 
formulato richiesta 
di 
parere 
di 
massima 
in 
ordine 
all’ammissibilità 
del 
rimborso 
spese 
legali 
ex 
art. 
18 
D.L. 
67/1997 
per 
il 
caso 
in 
cui 
il 
pubblico 
dipendente 
sia 
stato 
convenuto 
in 
un 
procedimento 
di 
accertamento 
tecnico 
preventivo 
a 
fini 
conciliativi 
ex 
art. 
696 
bis 
c.p.c. conclusosi, per quanto riferito nell’istanza 
di 
rimborso, con il 
riconoscimento 
della 
estraneità 
del 
dipendente 
rispetto ai 
fatti 
oggetto di 
contestazione 
e 
a 
cui 
non 
sia 
seguita 
l’instaurazione 
del 
successivo 
giudizio 
di 
merito. 


tanto premesso, al 
fine 
di 
fornire 
risposta 
al 
suddetto quesito, appare 
in 
primo 
luogo 
opportuno 
riportare 
di 
seguito 
il 
testo 
dell’art. 
18, 
co. 
1, 
D.L. 
67/1997: 


«le 
spese 
legali 
relative 
a giudizi 
per 
responsabilità civile, penale 
e 
amministrativa, 
promossi 
nei 
confronti 
di 
dipendenti 
di 
amministrazioni 
statali 
in conseguenza di 
fatti 
ed atti 
connessi 
con l’espletamento del 
servizio o con 
l’assolvimento 
di 
obblighi 
istituzionali 
e 
conclusi 
con 
sentenza 
o 
provvedimento 
che 
escluda la loro responsabilità, sono rimborsate 
dalle 
amministrazioni 
di 
appartenenza 
nei 
limiti 
riconosciuti 
congrui 
dall’avvocatura 
dello 
Stato. le 
amministrazioni 
interessate, sentita l’avvocatura dello Stato, possono 
concedere 
anticipazioni 
del 
rimborso, 
salva 
la 
ripetizione 
nel 
caso 
di 
sentenza definitiva che accerti la responsabilità». 


Come 
può leggersi, la 
norma, ai 
fini 
della 
concessione 
del 
rimborso, richiede 
espressamente, sotto il 
profilo oggettivo, la 
sussistenza 
di 
due 
condizioni: 


-che 
sia 
promosso un giudizio di 
responsabilità 
del 
dipendente 
pubblico 
relativo 
a 
fatti 
e/o 
atti 
afferenti 
all’espletamento 
del 
servizio 
o 
all’assolvimento 
di obblighi istituzionali; 
-che 
detto giudizio si 
sia 
concluso con sentenza 
od altro provvedimento 
che abbia escluso la responsabilità dell’istante. 
A 
queste 
si 
aggiunge 
una 
terza 
condizione, l’assenza 
di 
conflitto d’interessi 
con 
l’Amministrazione, 
di 
elaborazione 
dottrinale 
e 
giurisprudenziale 
(cfr. 
ex 
multis 
ord. Cass. civ., sez. lav., n. 17874 del 
6 luglio 2018; 
sent. Cons. 
Stato n. 1816 del 5 maggio 2016). 


Dal 
punto di 
vista 
soggettivo, invece, il 
rimborso deve 
essere 
presentato 
da parte di “dipendenti di amministrazioni statali”. 



rASSegnA 
AVVoCAturA 
DeLLo 
StAto -n. 4/2022 


Ciò 
premesso, 
sebbene 
la 
questione 
di 
massima 
prospettata 
attenga 
essenzialmente 
alla 
valutazione 
dei 
requisiti 
oggettivi 
della 
richiamata 
norma, 
deve, 
tuttavia, 
rilevarsi 
come, 
nel 
caso 
concreto, 
appaia 
invece 
dirimente 
il 
profilo soggettivo, venendo in considerazione 
un’istanza 
di 
rimborso presentata 
all’università da parte di un docente della medesima. 


orbene, 
questa 
Avvocatura 
generale, 
con 
soluzione 
assunta 
ad 
esito 
della 
riunione 
del 
Comitato 
Consultivo 
del 
7-8 
luglio 
2022 
in 
relazione 
agli 
AA.LL. 
21273/22 (roma) e 
610/22 (ADS 
Firenze), si 
è 
espressa 
in senso contrario al-
l’ammissibilità 
del 
rimborso 
ex 
art. 
18 
D.L. 
67/1997 
in 
favore 
dei 
docenti 
universitari, 
in 
quanto 
non 
qualificabili 
alla 
stregua 
di 
“dipendenti 
di 
amministrazioni statali” nel senso fatto proprio dalla menzionata norma. 


rimandandosi 
per 
ogni 
ulteriore 
approfondimento 
sul 
punto 
a 
quanto 
ampiamente 
dedotto nel 
richiamato parere, che, ad ogni 
buon conto si 
allega 
(*), 
l’insussistenza 
nel 
caso 
concreto 
delle 
condizioni 
soggettive 
del 
diritto 
al 
rimborso 
costituisce, pertanto, ragione 
sufficiente 
a 
negarne 
la 
concessione, con 
conseguente assorbimento della questione di massima qui in esame. 


In 
ogni 
caso, 
per 
completezza 
espositiva, 
quanto 
al 
profilo 
oggettivo, 
deve, 
comunque, 
evidenziarsi, 
in 
via 
di 
prima 
approssimazione, 
come 
possano 
ritenersi 
sussistenti 
fondati 
dubbi 
in ordine 
alla 
possibilità 
di 
ricondurre 
i 
procedimenti 
ex 
art. 696 bis 
c.p.c. nell’alveo oggettivo dell’art. 18 D.L. 67/1997 
e, conseguentemente, di ammettere il rimborso delle relative spese. 


L’art. 
696 
bis 
c.p.c. 
consente, 
infatti, 
l’immediato 
espletamento 
di 
una 
consulenza 
tecnica 
“ai 
fini 
dell’accertamento e 
della relativa determinazione 
dei 
crediti 
derivanti 
dalla mancata inesatta esecuzione 
di 
obbligazioni 
contrattuali 
o da fatto illecito”. 


Quanto 
all’articolazione 
della 
procedura, 
la 
stessa 
consiste 
semplicemente 
nella 
nomina 
del 
consulente 
d’ufficio 
e 
nello 
svolgimento 
delle 
operazioni 
peritali. 
unica 
peculiarità 
è 
data 
dal 
fatto 
che 
il 
consulente 
“prima 
di 
provvedere 
al 
deposito della relazione, tenta, ove 
possibile, la conciliazione 
delle 
parti”. 
Inoltre, qualora 
il 
tentativo di 
conciliazione 
abbia 
esito positivo, è 
prevista 
la 
formazione 
di 
processo verbale, al 
quale 
il 
giudice, con proprio decreto, attribuisce 
valore 
di 
titolo esecutivo. nell’ipotesi 
in cui, invece, la 
conciliazione 
non riesca, la 
parte 
interessata, nell’eventuale 
successivo giudizio di 
merito, 
può chiedere 
l’acquisizione 
della 
relazione 
peritale. In ogni 
caso, in base 
all’art. 
698, co. 2 e 
3, c.p.c. (applicabile 
anche 
al 
procedimento ex 
696 
bis 
c.p.c. 


-cfr. Cass 
civ., Sez. un., n. 14301 del 
20 giugno 2007), lo svolgimento della 
consulenza 
tecnica 
preventiva 
non spiega 
effetti 
preclusivi 
nel 
procedimento 
di 
merito, 
potendosi 
comunque 
contestare 
l’ammissibilità 
e 
la 
rilevanza 
di 
tale 
attività istruttoria, come anche chiedersene la rinnovazione. 
trattasi, 
quindi, 
di 
una 
procedura 
non 
articolata 
in 
una 
vera 
e 
propria 
fase 


(*) In questa 
rass., 2022, vol. 2, pp. 39-45. 



PArerI 
DeL 
CoMItAto 
ConSuLtIVo 


contenziosa, 
ma 
che 
si 
sostanzia 
unicamente 
nell’espletamento 
delle 
operazioni 
peritali 
e 
nell’eventuale 
conciliazione 
tra 
le 
parti, 
senza 
che 
il 
giudice 
sia 
mai 
chiamato 
a 
svolgere 
alcuna 
funzione 
decisoria, 
nemmeno 
in 
ordine 
alla 
ripartizione 
delle 
spese 
di 
lite, potendosi 
ammettere 
una 
pronuncia 
su tale 
profilo 
solo 
ove 
il 
ricorso 
venga 
dichiarato 
inammissibile 
o 
rigettato 
senza 
procedere 
all’assunzione 
della 
prova 
(cfr. Cass. civ., sez. VI, n. 26573 del 
22 
ottobre 2018). 


non 
a 
caso 
la 
Corte 
di 
Cassazione 
ha 
escluso 
l’inammissibilità 
di 
qualsiasi 
forma 
di 
impugnazione 
degli 
atti 
adottati 
nell’ambito di 
procedimenti 
ex 
art. 
696 bis 
c.p.c. (cfr. ord. Cass. civ., Sez. unite, n. 14301 del 20 giugno 2007). 


Alla 
luce 
di 
quanto 
appena 
evidenziato, 
deve, 
quindi, 
rilevarsi 
come 
il 
procedimento ex 
art. 696 bis 
c.p.c. sia 
strutturalmente 
inidoneo a 
concludersi 
con una 
sentenza 
o altro provvedimento di 
esclusione 
della 
responsabilità 
civile 
del dipendente pubblico. 


Anzi, 
proprio 
le 
peculiari 
caratteristiche 
sopra 
delineate 
permettono 
di 
dubitare 
della 
possibilità 
stessa 
di 
qualificare 
detto procedimento alla 
stregua 
di 
un vero e 
proprio giudizio per responsabilità 
civile, difettando la 
formulazione 
di 
una 
domanda 
all’autorità 
giudiziaria 
di 
condanna 
del 
dipendente 
pubblico 
o anche 
solo di 
accertamento della 
sua 
responsabilità. tale 
tesi, peraltro, 
trova 
conferma 
nell’ordinanza 
Cass. 
civ., 
sez. 
III, 
n. 
21975 
del 
3 
settembre 
2019 (citata 
nella 
richiesta 
di 
parere 
di 
massima), la 
quale 
ha, in effetti, evidenziato 
che 
“le 
spese 
per 
la consulenza tecnica preventiva disposta ex 
art. 
696 bis 
c.p.c. [...] non hanno natura giudiziale 
[...] 
rientrando esse 
nel 
complesso 
delle 
spese 
stragiudiziali 
sopportate 
dalla parte 
prima della lite 
(cfr. 
Cass. Sez. 6-3, ordinanza n. 26573 del 22 ottobre 2018)”. 


In conclusione, ferme 
restando, quindi, le 
assorbenti 
e 
preliminari 
considerazioni 
in 
ordine 
alla 
non 
ammissibilità 
nel 
caso 
di 
specie 
del 
rimborso 
sotto 
il 
profilo soggettivo, anche 
dal 
punto di 
vista 
oggettivo può, in via 
di 
prima 
approssimazione 
e 
fatto salvo ogni 
ulteriore 
approfondimento sul 
punto, evidenziarsi 
la 
sussistenza 
di 
fondati 
dubbi 
in ordine 
alla 
riconducibilità 
dei 
procedimenti 
ex 
art. 
696 
bis 
c.p.c. 
nell’alveo 
dell’art. 
18 
D.L. 
67/1997, 
quantomeno nel 
caso in cui 
non si 
addivenga 
ad un’interpretazione 
estensiva 
della suddetta disposizione. 


Sul 
presente 
parere 
è 
stato 
sentito 
il 
Comitato 
Consultivo 
dell’Avvocatura 
dello 
Stato 
che 
si 
è 
espresso 
in 
conformità 
nelle 
sedute 
in 
data 
7-8 
luglio 
2022. 



rASSegnA 
AVVoCAturA 
DeLLo 
StAto -n. 4/2022 


ente già ammesso al patrocinio autorizzato 
dell’Avvocatura dello Stato ai sensi dell’art. 43 
del r.d. n. 1611/1933. istituzione di una 
“Avvocatura interna” dell’ente in questione 


Parere 
del 
13/02/2023-112733, al 5531/2023, 

v.a.G. marIa 
leTIzIa 
GuIda 
Con 
nota 
del 
3 
febbraio 
2023, 
prot. 
n. 
52731, 
codesta 
Amministrazione 
ha 
chiesto 
il 
parere 
di 
questa 
Avvocatura 
in 
merito 
alla 
iniziativa 
assunta 
dal 
omissis 
relativa 
alla 
istituzione 
di 
un 
proprio 
ufficio 
denominato 
“Avvocatura 
omissis”. 


Dalla documentazione trasmessa risulta che: 


-con delibera 
del 
Consiglio di 
Amministrazione 
n. 117 del 
2018 è 
stato 
adottato 
il 
“regolamento 
dell’avvocatura 
del 
omissis” 
ed 
è 
stato 
istituito 
l’ufficio 
legale dell’ente denominato “Avvocatura 
omissis”; 
-con delibera 
n. 11/2022 del 
Consiglio di 
Amministrazione 
è 
stato adottato 
il nuovo statuto dell’ente; 
-con delibera 
del 
Consiglio di 
Amministrazione 
n. 111/22 è 
stato approvato 
il regolamento di organizzazione e funzionamento. 
Il 
regolamento di 
organizzazione 
e 
funzionamento del 
12 ottobre 
2022, 
adottato 
ai 
sensi 
dell’art. 
16, 
comma 
4, 
del 
nuovo 
Statuto 
(del 
16 
febbraio 
2022) 
all’art. 
15 
attribuisce 
all’Avvocatura 
del 
omissis 
la 
rappresentanza, 
il 
patrocinio, l’assistenza in giudizio dell’ente e l’alta consulenza legale. 


Il 
comma 
2 della 
predetta 
norma 
stabilisce 
che 
“essa cura i 
rapporti 
con 
l’avvocatura dello Stato ...”. 


Il 
regolamento dell’Avvocatura 
del 
omissis, all’art. 3, comma 
2, stabilisce 
che 
“il 
omissis 
si 
avvale 
dell’avvocatura 
del 
omissis, 
dell’avvocatura 
dello 
Stato ovvero, previa deliberazione 
del 
Consiglio di 
amministrazione, di 
avvocati 
del 
libero foro, specialisti 
della materia, attraverso il 
conferimento di 
mandato congiunto, con gli avvocati dell’avvocatura del 
omissis”. 


Il 
successivo comma 
3 dispone 
che 
“Il 
patrocinio dell’avvocatura dello 
Stato sarà mantenuto fino a quando l’avvocatura non sarà dotata del 
personale 
sufficiente 
a 
garantirne 
il 
funzionamento 
e 
comunque 
rimarrà 
per 
le 
controversie 
rimesse 
alle 
giurisdizioni 
di 
grado 
superiore 
o 
che 
ineriscono 
a 
questioni 
di 
massima e/o rivestano particolare 
rilevanza o che 
necessitano di 
condotta difensiva uniforme sul territorio nazionale”. 


In tali 
casi, il 
comma 
4 attribuisce 
al 
direttore 
generale, previa 
autorizzazione 
del Consiglio di 
Amministrazione, il potere di conferire l’incarico. 


Così 
delineata, per la 
parte 
che 
qui 
rileva, la 
disciplina 
regolamentare 
e 
statutaria, questa 
Avvocatura 
ritiene 
che 
la 
stessa 
debba 
necessariamente 
coordinarsi 
con 
la 
disciplina 
normativa 
e 
con 
i 
consolidati 
principi 
giurisprudenziali 
in materia 
di 
patrocinio “autorizzato”, quale 
nel 
caso di 
specie 
è 
quello 



PArerI 
DeL 
CoMItAto 
ConSuLtIVo 


conferito 
all’Avvocatura 
dello 
Stato 
in 
favore 
dell’ente 
con 
DPCM 
23 
dicembre 
2003, confermato con successivo DPCM 14 luglio 2016. 


In 
particolare, 
il 
DPCM 
23 
dicembre 
2003, 
nella 
premessa, 
richiama 
espressamente 
l’art. 43 del 
t.u. delle 
leggi 
e 
delle 
norme 
giuridiche 
sulla 
rappresentanza 
e 
difesa 
in 
giudizio 
dello 
Stato 
approvato 
con 
r.D. 
n. 
1611 
del 
1933, autorizzando l’Avvocatura 
dello Stato ad assumere 
la 
rappresentanza 
e 
la 
difesa 
dell’ente 
in 
tutti 
i 
giudizi 
attivi 
e 
passivi 
avanti 
le 
autorità 
giudiziarie, 
i collegi arbitrali, le giurisdizioni amministrative e speciali. 


A 
seguito 
dell’istituzione 
dell’ente, 
il 
successivo 
DPCM 
del 
2016 
ha 
confermato, 
nei termini sopra indicati, la predetta autorizzazione. 


La 
giurisprudenza 
intervenuta 
sulla 
questione 
relativa 
alla 
natura 
del 
patrocinio 
autorizzato, previsto dall’art. 43 del 
citato r.D. n. 1611/1933 citato, 
ha affermato che: 


“Qualora sia intervenuta l’autorizzazione, di 
cui 
al 
comma 1, la rappresentanza 
e 
la 
difesa 
nei 
giudizi 
indicati 
nello 
stesso 
comma 
sono 
assunte 
dalla 
avvocatura dello Stato in via organica ed esclusiva, eccettuati 
i 
casi 
di 
conflitto 
di 
interessi 
con lo Stato o con le 
regioni. Salve 
le 
ipotesi 
di 
conflitto, ove 
tali 
amministrazioni 
ed enti 
intendano in casi 
speciali 
non avvalersi 
della avvocatura 
dello Stato, debbono adottare 
apposita motivata delibera da sottoporre 
agli 
organi 
di 
vigilanza. 
le 
disposizioni 
di 
cui 
ai 
precedenti 
commi 
sono 
estese agli enti regionali, previa deliberazione degli organi competenti”; 


essa 
è 
una 
difesa, 
come 
testualmente 
precisa 
l’art. 
43, 
“organica 
ed 
esclusiva”: 
questo 
significa, 
sotto 
un 
duplice 
profilo: 
a) 
che 
l’amministrazione 
non 
statale 
è 
tenuta 
in 
via 
generale 
ed 
ordinaria 
ad 
avvalersi 
dell’avvocatura 
dello 
Stato; 
b) 
che 
l’avvocatura 
dello 
Stato 
deve 
simmetricamente 
dare 
il 
proprio 
patrocinio; 
... 
(Cass., 
n. 
22675/2020 
in 
causa 
riguardante 
proprio 
il 
omissis; 
cfr. Cass., SS.uu., n. 24876/2017; Cass. n. 24545/2018). 


In conformità 
a 
tali 
principi, la 
previsione 
contenuta 
all’art. 15 del 
regolamento 
di 
organizzazione 
sopra 
citato 
riconosce 
l’esistenza 
del 
patrocinio 
autorizzato, 
laddove 
affida 
all’Avvocatura 
interna 
di 
curare 
i 
rapporti 
con 
l’Avvocatura dello Stato. 


Così 
come 
anche 
l’art. 
2 
del 
regolamento 
dell’Avvocatura 
del 
omissis 
stabilisce, 
tra 
i 
compiti 
di 
questo, 
di 
curare 
l’istruttoria 
delle 
pratiche 
per 
l’Avvocatura 
Distrettuale 
o 
generale 
dello 
Stato 
nelle 
cause 
dalla 
stessa 
patrocinate. 


Anche 
il 
successivo 
art. 
3, 
al 
comma 
2, 
riconosce 
che 
l’ente 
si 
avvale 
(tra 
l’altro) dell’Avvocatura dello Stato. 


Le 
suddette 
disposizioni, tuttavia, presentano alcuni 
profili 
di 
contrasto 
con 
i 
suesposti 
principi, 
nella 
parte 
in 
cui 
attribuiscono 
all’Avvocatura 
del 
omissis 
compiti 
e 
funzioni 
che, invece, competono all’Avvocatura 
dello Stato 
in virtù del patrocinio autorizzato a suo tempo concesso. 


In 
particolare, 
lo 
stesso 
art. 
2, 
pur 
richiamando 
i 
rapporti 
con 
l’Avvocatura 
dello Stato nelle 
cause 
da 
quest’ultima 
patrocinate, indica, tra 
i 
compiti 
del



rASSegnA 
AVVoCAturA 
DeLLo 
StAto -n. 4/2022 


l’Avvocatura 
interna, “la rappresentanza, patrocinio, assistenza e 
difesa del-
l’ente 
in 
sede 
stragiudiziale 
e 
giudiziale 
dinanzi 
a 
tutte 
le 
magistrature 
nonché 
ad 
eventuali 
collegi 
arbitrali”; 
“ricorsi 
amministrativi 
compreso 
il 
ricorso 
straordinario al Capo dello Stato”. 


Si 
ritiene, quindi, che 
lo ius 
postulandi 
sia 
prefigurato, in via 
principale 
e primaria, all’Avvocatura interna. 


Analoghi 
profili 
di 
contrasto con il 
carattere 
esclusivo del 
patrocinio autorizzato 
sussistono 
con 
riferimento 
alle 
disposizioni 
di 
cui 
ai 
commi 
3 
e 
4 
dell’art. 3 laddove: 
a) viene 
previsto il 
mantenimento del 
patrocinio dell’Avvocatura 
dello Stato solo fino a 
quando l’Avvocatura 
interna 
non sarà 
dotata 
del 
personale 
sufficiente 
a 
garantirne 
il 
funzionamento; 
b) il 
patrocinio del-
l’Avvocatura 
dello Stato, comunque, rimane 
per le 
sole 
controversie 
rimesse 
alle 
giurisdizioni 
di 
grado superiore 
o che 
ineriscono a 
questioni 
di 
massima 


o particolare 
rilevanza; 
c) in tali 
casi 
-questioni 
di 
massima 
o particolare 
rilevanza 
-l’incarico deve 
essere 
conferito dal 
direttore 
generale 
previa 
autorizzazione 
del Consiglio di 
Amministrazione. 
Le 
citate 
disposizioni 
regolamentari, 
invero, 
contrastano 
con 
l’art. 
43, 
commi 
3 e 
4, del 
citato r.D. n. 1611/1933, che 
disciplinano espressamente 
i 
casi di esonero dal patrocinio autorizzato. 


tali 
disposizioni, 
invero, 
prevedono 
la 
possibilità 
che 
il 
patrocinio 
erariale 
autorizzato possa 
essere 
derogato sia 
per la 
difesa 
davanti 
alle 
giurisdizioni 
di 
primo grado e, comunque, dinanzi 
al 
t.a.r., sia 
allorché 
il 
Consiglio di 
Amministrazione, 
a 
suo 
insindacabile 
giudizio, 
decida 
di 
affidare 
il 
patrocinio 
all’Avvocatura 
in considerazione 
della 
particolare 
rilevanza 
o delicatezza 
delle 
questioni giuridiche da trattare. 


La 
norma 
regolamentare 
non 
può 
contenere 
disposizioni 
riduttive 
del 
patrocinio 
erariale, 
attribuite 
con 
norme 
di 
rango 
superiore, 
diverse 
da 
quelle 
previste dal citato art. 43, commi 3 e 4. 


tale 
disciplina 
rischia 
di 
generare 
gravi 
incertezze 
sulla 
validità 
dell’attività 
di 
difesa 
e 
rappresentanza 
in giudizio (ius 
postulandi), ma, soprattutto, 
si 
ritiene 
determini 
la 
nullità 
-rilevabile 
dal 
giudice 
di 
ufficio -dell’attività 
difensiva 
direttamente 
svolta 
dall’ente 
in 
deroga 
alla 
citata 
disposizione 
di 
legge (cfr. tra le tante, Cass. n. 39430/21). 


Per completezza, si 
evidenzia 
che 
l’Avvocatura 
interna 
del 
omissis 
non 
costituisce 
un’unità 
organica 
dotata 
di 
autonomia 
e 
indipendenza 
anche 
sotto 
il 
profilo strutturale 
e 
organizzativo, così 
come 
affermato dall’ente 
nella 
nota 
del 3 gennaio 2023 prot. 004799. 


essa, infatti, né 
nello Statuto e 
neppure 
nel 
regolamento di 
organizzazione 
è 
indicata 
tra 
gli 
organi 
dell’ente, per cui 
deve 
considerarsi 
solo come 
un’articolazione organizzativa interna. 


Alla 
stregua 
delle 
suesposte 
considerazioni, 
valuterà 
codesta 
Amministrazione 
le opportune iniziative da adottare. 



PArerI 
DeL 
CoMItAto 
ConSuLtIVo 


Sulla 
questione 
è 
stato 
sentito 
il 
Comitato 
Consultivo 
dell’Avvocatura 
dello Stato che si è espresso in conformità nella seduta del 10 febbraio 2023. 
. 


l’avvocato Generale 
Gabriella Palmieri Sandulli 



rASSegnA 
AVVoCAturA 
DeLLo 
StAto -n. 4/2022 


interpretazione del nuovo Codice dei contratti pubblici (d.lgs. 


n. 36/2023) in tema di cause di esclusione dalle procedure di 
gara a fronte della novella introdotta dalla c.d. riforma 
Cartabia (d.lgs n. 150/2022) sull’istituto dell’applicazione 
della pena su richiesta delle parti di cui all’art. 444 c.p.p. 

Parere 
del 
16/06/2023-405560, al 17349/2023, 
avv. marCo 
STIGlIano 
meSSuTI, ProC. adele 
BerTI 
Suman 


Con la 
nota 
in epigrafe, Consip S.p.A. ha 
chiesto a 
questa 
Avvocatura 
un 
parere 
in 
merito 
alla 
corretta 
interpretazione 
delle 
previsioni 
del 
nuovo 
Codice 
dei 
contratti 
pubblici 
(d.lgs. n. 36/2023) in tema 
di 
cause 
di 
esclusione 
dalle 
procedure 
di 
gara 
a 
fronte 
della 
novella 
introdotta 
dal 
decreto legislativo 10 
ottobre 
2022, 
n. 
150 
(c.d. 
riforma 
Cartabia) 
sull’istituto 
dell’applicazione 
della 
pena su richiesta. 


nello 
specifico, 
il 
comma 
1-bis 
dell’articolo 
445 
c.p.p., 
così 
come 
novellato 
dall’articolo 25, comma 
1, lett. b) del 
d.lgs. n. 150/2022 ha 
previsto che 
“se 
non sono applicate 
pene 
accessorie, non producono effetti 
le 
disposizioni 
di 
leggi, 
diverse 
da 
quella 
penale, 
che 
equiparano 
la 
sentenza 
prevista 
dall’art. 
444 comma 2, c.p.p. alla sentenza di condanna”. 


La 
c.d. riforma 
Cartabia, nell’ottica 
di 
incentivare 
il 
ricorso all’applicazione 
della 
pena 
su richiesta 
per finalità 
deflattive 
della 
giustizia 
penale, ha 
dunque 
stabilito che, salvo il 
caso in cui 
sia 
il 
giudice 
penale, con la 
sentenza 
di 
patteggiamento, 
a 
disporre 
una 
“pena 
accessoria”, 
la 
sentenza 
di 
patteggiamento 
in sede 
extra-penale 
non può essere 
equiparata 
ad una 
sentenza 
di 
condanna. 
In 
questo 
senso, 
recita 
infatti 
l’art. 
445, 
comma 
1-bis, 
c.p.p., 
le 
disposizioni extra-penali “non producono effetti”. 


Come 
già 
affermato 
in 
precedenti 
consultazioni 
(cfr. 
CS 
9291/2023 
parere 
del 
27 
febbraio 
2023, 
n. 
153480 
in 
ordine 
alla 
possibilità 
che 
la 
sentenza 
di 
patteggiamento 
determini 
a 
carico 
dell’imputato 
una 
situazione 
di 
incandidabilità 
ai 
sensi 
del 
d.lgs. 
235/2012, 
c.d. 
decreto 
Severino), 
dal 
tenore 
testuale 
della 
novellata 
disposizione 
si 
ricava 
che, 
salvo 
il 
caso 
di 
applicazione 
di 
pene 
accessorie, 
tutte 
quelle 
disposizioni 
legislative 
non 
qualificabili 
come 
penali, 
nelle 
quali 
la 
sentenza 
resa 
ex 
art. 
444 
c.p.p. 
è 
equiparata 
alla 
sentenza 
di 
condanna, 
non 
trovano 
più 
applicazione 
a 
far 
data 
dall’entrata 
in 
vigore 
della 
riforma 
Cartabia 
(30 
dicembre 
2022, 
ai 
sensi 
del 
D.L. 
n. 
162/2022). 


*** 


Con 
la 
nota 
a 
riscontro 
Consip 
S.p.a. 
si 
interroga 
in 
merito 
alle 
conseguenze 
che 
la 
predetta 
novella 
normativa 
ha 
sulle 
disposizioni 
del 
nuovo 
Codice 
dei 
contratti 
pubblici 
(d.lgs. 
n. 
36/2023) 
in 
tema 
di 
cause 
di 
esclusione. 



PArerI 
DeL 
CoMItAto 
ConSuLtIVo 


nello specifico, si chiede a questo g.u. di confermare che: 


“la sentenza irrevocabile 
di 
applicazione 
della pena su richiesta ai 
sensi 
dell’articolo 444 c.p.p. per 
uno dei 
reati 
di 
cui 
all’articolo 94, comma 1, del 
d.lgs. n. 36/2023 non costituisce 
adeguato mezzo di 
prova ai 
fini 
dell’esclusione 
(non automatica) di 
cui 
all’articolo 98 comma 3, lett. g) del 
medesimo 
decreto legislativo; 


-la sentenza irrevocabile 
di 
applicazione 
della pena su richiesta ai 
sensi 
dell’articolo 444 c.p.p. per 
uno dei 
reati 
di 
cui 
all’articolo 98, comma 3, lett. 
h) 
del 
d.lgs. 
n. 
36/2023 
non 
costitusce 
adeguato 
mezzo 
di 
prova 
ai 
fini 
del-
l’esclusione (non automatica) ivi prevista; 
-la sentenza non irrevocabile 
di 
applicazione 
della pena su richiesta ai 
sensi 
dell’articolo 444 c.p.p. per 
uno dei 
reati 
di 
cui 
all’articolo 98, comma 
3, lett. h) del 
d.lgs. n. 36/2023 non costituisce 
adeguato mezzo di 
prova ai 
fini 
dell’esclusione (non automatica) ivi prevista”. 
Si 
richiede, 
inoltre, 
di 
fornire 
un 
parere 
circa 
l’interpretazione 
dell’articolo 
98, comma 
6, lett. g) del 
d.lgs. n. 36/2023 (che 
attribuisce 
valenza 
probatoria 
alla 
sentenza 
non irrevocabile 
di 
applicazione 
della 
pena 
su richiesta 
equiparandola 
in 
questo 
senso 
alla 
sentenza 
di 
condanna 
non 
definitiva) 
in 
combinato 
disposto con il novellato articolo 445 c.p.p. 


In 
particolare, 
“fermo 
restando 
che 
le 
disposizioni 
del 
Codice 
dei 
contratti 
pubblici non hanno natura di legge penale”, Consip domanda se: 


-le 
sentenze 
di 
“patteggiamento” 
rilevanti 
ai 
sensi 
dell’articolo 
98, 
comma 6, lett. g) del 
d.lgs. n. 36/2023 siano solo quelle 
che 
prevedono pene 
accessorie 
e, 
in 
caso 
affermativo, 
se 
assume 
rilievo 
l’applicazione 
di 
qualsiasi 
pena 
accessoria 
ovvero 
soltanto 
l’applicazione 
della 
pena 
accessoria 
rilevante 
nel 
contesto 
della 
contrattualistica 
pubblica, 
ovverosia 
l’incapacità 
di 
contrattare 
con la Pubblica amministrazione; 


ovvero se 
-nell’applicazione 
dell’articolo 
98 
comma 
6, 
lett. 
g) 
del 
d.lgs. 
n. 
36/2023 


-in quanto norma successiva e 
speciale 
che 
tiene 
conto delle 
sentenze 
di 
applicazione 
della pena su richiesta ai 
soli 
fini 
della valutazione 
discrezionale 
dell’illecito 
professionale 
nei 
limitati 
casi 
in 
cui 
venga 
contestato 
uno 
dei 
reati 
tassativamente 
elencati 
all’art. 94 comma 1 dello stesso decreto legislativo deve 
essere 
privilegiata 
un 
interpretazione 
letterale 
da 
cui 
consegue 
che 
le 
dette 
sentenze 
assumono rilievo anche 
ove 
non sia disposta l’applicazione 
di 
pene accessorie”. 
*** 


Al 
fine 
di 
rendere 
la 
consultazione 
richiesta, occorre 
anzitutto analizzare 
la 
disciplina 
introdotta 
dal 
nuovo Codice 
dei 
contratti 
pubblici 
(nel 
prosieguo 
anche 
solo 
“nuovo 
Codice”), 
approvato 
con 
d.lgs. 
31 
marzo 
2023, 
n. 
36, 
in 
attuazione 
della 
legge 
delega 
21 giugno 2022, n. 78, che, rispetto al 
testo precedente, 
presenta molteplici profili innovativi (1). 



rASSegnA 
AVVoCAturA 
DeLLo 
StAto -n. 4/2022 


Con 
particolare 
riferimento 
alle 
cause 
di 
esclusione 
dalle 
procedure 
di 
gara, che 
interessano in questa 
sede, il 
nuovo impianto codicistico distingue 
tra 
cause 
di 
esclusione 
c.d. “automatica” 
(cioè 
quelle 
che 
trovavano applicazione 
in 
via 
diretta, 
senza 
alcun 
margine 
di 
apprezzamento 
valutativo 
da 
parte 
della 
stazione 
appaltante 
in merito alla 
sussistenza 
dei 
presupposti) e 
causa di 
esclusione c.d. “non automatica”. 


Con 
riferimento 
alla 
prime, 
l’articolo 
94, 
co. 
1, 
del 
nuovo 
Codice 
prevede 
che 
“è 
causa di 
esclusione 
di 
un operatore 
economico dalla partecipazione 
a 
una 
procedura 
d’appalto 
la 
condanna 
con 
sentenza 
definitiva 
o 
decreto 
penale 
di 
condanna divenuto irrevocabile”, per uno dei 
reati 
tassativamente 
elencati 
nelle successive lettere da 
a) 
a 
h). 


L’articolo 
95 
disciplina, 
invece, 
le 
cause 
di 
esclusione 
non 
automatica, 
che 
rimettono 
alla 
stazione 
appaltante 
il 
potere 
decisorio 
di 
esclusione 
del-
l’operatore 
economico, tra 
le 
quali 
rientra 
anche 
la 
fattispecie 
del 
c.d. “grave 
illetito 
professionale” 
già 
prevista 
dall’articolo 
80, 
comma 
5, 
lettera 
c) 
del 
d.lgs. n. 50 del 
2016, che 
viene 
specificatamente 
disciplinata 
nel 
successivo 
articolo 98. 


L’articolo 98, in senso innovativo rispetto al 
codice 
del 
2016, si 
occupa 
nel 
dettaglio del 
grave 
illecito professionale, elencando le 
fattispecie 
che 
possono 
condurre 
alla 
adozione 
di 
una 
deliberazione 
motivata 
di 
esclusione 
(“non 
automatica” 
per quanto indicato nell’articolo 95, comma 
1, lett. e)) dell’operatore 
economico, 
eliminando 
gli 
elementi 
di 
incertezza 
che 
hanno 
comportato 
un vasto contenzioso in materia, esigenza 
fortemente 
avvertita 
dagli 
operatori 
del 
settore 
e 
favorevolmente 
accolta 
anche 
dall’Autorità 
nazionale 
Anticorruzione 
nell’atto di 
segnalazione 
n. 3 del 
27 luglio 2022, oltre 
che 
espressamente 
contemplata nella legge delega (2). 


nello specifico, il 
“nuovo” 
articolo sull’illecito professionale 
enumera 
e 
descrive le fattispecie rilevanti, tra le quali rientrano (articolo 98, comma 3): 


‑lett. 
g) 
“contestata 
commissione 
da 
parte 
dell’operatore 
economico 
(...) 
di 
taluno 
dei 
reati 
consumati 
o 
tentati 
di 
cui 
al 
comma 
1 
del 
medesimo 
articolo 
94”; 


lett. 
h) 
“contestata 
o 
accertata 
commissione, 
da 
parte 
dell’operatore 
economico 
(...) di 
taluno dei 
seguenti 
reati 
consumati 
(...)” 
(abusivo esercizio di 
una professione, bancarotta, reati tributari, etc.). 


(1) 
Il 
nuovo 
Codice 
dei 
contratti 
pubblici 
è 
entrato 
in 
vigore 
con 
i 
relativi 
Allegati 
il 
1° 
aprile 
2023, ma 
sarà 
efficace 
solo a 
partire 
dal 
1° 
luglio 2023. È 
infatti 
prevista 
una 
fase 
transitoria 
di 
tre 
mesi, 
sicché 
il 
d.lgs. 
18 
aprile 
2016, 
n. 
50, 
abrogato 
dal 
1° 
luglio 
2023, 
continuerà 
da 
questa 
data 
ad 
applicarsi 
esclusivamente ai procedimenti in corso. Vi è quindi allo stato una “convivenza” delle due discipline. 
(2) La 
legge 
delega 
per la 
riforma 
del 
codice 
dei 
contratti 
pubblici 
(legge 
21 giugno 2022 n. 78) 
all’articolo 
1, 
comma 
2, 
lettera 
n), 
ha 
previsto 
espressamente 
la: 
«n) 
razionalizzazione 
e 
semplificazione 
delle 
cause 
di 
esclusione, al 
fine 
di 
rendere 
le 
regole 
di 
partecipazione 
chiare 
e 
certe, individuando le 
fattispecie 
che 
configurano 
l’illetito 
professionale 
di 
cui 
all’articolo 
57, 
paragrafo 
4, 
della 
direttiva 
2014/24/ue del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 febbraio 2014». 

PArerI 
DeL 
CoMItAto 
ConSuLtIVo 


I successivi 
commi 
indicano i 
mezzi 
di 
prova 
che 
la 
stazione 
appaltante 
può utilizzare 
al 
fine 
di 
comprovare 
la 
sussistenza 
di 
un illecito professionale, 
chiarendo altresì la portata dell’obbligo motivazionale. 


In particolare, in relazione 
alle 
fattispecie 
sopra 
citate 
di 
cui 
alle 
lettere 


g) e 
f) del 
comma 
3, si 
prevede 
che 
costituiscano mezzi 
di 
prova 
adeguati: 
“g) 
quanto alla lettera g), gli 
atti 
di 
cui 
all’articolo 407-bis, comma 1, del 
codice 
di 
procedura penale, il 
decreto che 
dispone 
il 
giudizio ai 
sensi 
dell’articolo 
429 del 
codice 
di 
procedura penale, o eventuali 
provvedimenti 
cautelari 
reali 
o 
personali 
emessi 
dal 
giudice 
penale, 
la 
sentenza 
di 
condanna 
non 
definitiva, 
il 
decreto penale 
di 
condanna non irrevocabile, la sentenza non irrevocabile 
di 
applicazione 
della pena su richiesta ai 
sensi 
dell’articolo 444 del 
codice 
di 
procedura 
penale; 
h) 
quanto 
alla 
lettera 
h), 
la 
sentenza 
di 
condanna 
definitiva, 
il 
decreto 
penale 
di 
condanna 
irrevocabile, 
la 
condanna 
non 
definitiva, 
i 
provvedimenti 
cautelari 
reali 
o 
personali, 
ove 
emessi 
dal 
giudice 
penale” 
(articolo 
98, comma 6). 
La 
disposizione 
precisa 
che 
la 
stazione 
appaltante 
deve 
valutare 
i 
provvedimenti 
sanzionatori 
e 
giurisdizionali 
di 
cui 
al 
comma 
6 
motivando 
sulla 
ritenuta 
idoneità 
dei 
medesimi 
a 
incidere 
sull’affidabilità 
e 
sull’integrità 
del-
l’offerente 
e 
che 
l’eventuale 
impugnazione 
dei 
medesimi 
è 
considerata 
nel-
l’ambito 
della 
valutazione 
volta 
a 
verificare 
la 
sussistenza 
della 
causa 
escludente. 


Infine, 
viene 
puntualizzato 
che 
il 
provvedimento 
di 
esclusione 
deve 
essere 
motivato in relazione 
a 
tutte 
e 
tre 
le 
condizioni 
di 
cui 
al 
comma 
2 (ossia, “a) 
elementi 
sufficienti 
ad 
integrare 
il 
grave 
illecito 
professionale; 
b) 
idoneità 
del 
grave 
illecito professionale 
ad incidere 
sull’affidabilità e 
integrità dell’operatore; 
c) adeguati mezzi di prova di cui al comma 6”). 


*** 


tanto 
premesso, 
si 
ritiene 
di 
concordare 
nell’interpretazione 
fornita 
da 
Consip S.p.a. nel 
senso che 
la 
sentenza 
di 
applicazione 
della 
pena 
su richiesta 
di 
cui 
all’articolo 444 c.p.p. non rileva 
anzitutto ai 
fini 
dell’esclusione 
automatica 
di 
cui 
all’articolo 94, comma 
1, del 
nuovo Codice. Invero, la 
disposizione, 
nel 
prevedere 
l’esclusione 
automatica 
a 
carico 
degli 
operatori 
economici 
che 
abbiano 
riportato 
una 
condanna 
per 
uno 
fra 
i 
reati 
specificamente 
indicati, 
elenca 
testualmente, nella 
sua 
versione 
definitiva, le 
sole 
ipotesi 
di 
“sentenza 
definitiva 
o 
decreto 
penale 
di 
condanna 
divenuto 
irrevocabile” 
sicché 
si 
esclude 
che 
possa 
avere 
valore 
automaticamente 
escludente 
la 
sentenza 
di 
applicazione 
della pena su richiesta delle parti. 


Si 
ritiene, altresì, corretto affermare, per le 
medesime 
ragioni 
di 
ordine 
testuale, 
che 
la 
stessa 
non 
rilevi 
ai 
fini 
della 
causa 
di 
esclusione 
non 
automatica 
di 
cui 
all’articolo 98, comma 
3, lett. h), elencando l’articolo 98, comma 
6, tra 
i 
mezzi 
di 
prova, 
“la 
sentenza 
di 
condanna 
definitiva, 
il 
decreto 
penale 
di 
condanna 
irrevocabile, 
la 
condanna 
non 
definitiva, 
i 
provvedimenti 
cautelari 
reali 



rASSegnA 
AVVoCAturA 
DeLLo 
StAto -n. 4/2022 


o 
personali, 
ove 
emessi 
dal 
giudice 
penale”, 
senza 
dunque 
fare 
riferimento 
alla sentenza di applicazione della pena su richiesta ex art. 444 c.p.p. 
Ciò vale 
sia 
per la 
sentenza irrevocabile, sia 
per la 
sententa non irrevocabile 
di 
applicazione 
della 
pena 
su richiesta 
ai 
sensi 
dell’articolo 444 c.p.p., 
in 
quanto 
il 
tenore 
letterale 
della 
disposizione 
è 
chiaro 
nell’escludere 
qualsiasi 
tipologia 
di 
sentenza 
ex art. 444 c.p.p. per uno dei 
reati 
di 
cui 
all’articolo 98, 
comma 
3, lett. h) del 
d.lgs. n. 36/2023 tra 
i 
mezzi 
di 
prova 
rilevanti 
ai 
fini 
del-
l’esclusione (non automatica) ivi prevista. 


Viceversa, 
alla 
luce 
del 
tenore 
letterale 
dell’articolo 
98, 
comma 
6, 
lettera 
g), 
quest’ultima 
sembrerebbe 
di 
per 
sé 
(e 
quindi 
anche 
ove 
non 
sia 
disposta 
l’applicazione 
delle 
pene 
accessorie) 
rilevare 
come 
mezzo 
di 
prova 
ai 
fini 
delle 
valutazioni 
in 
merito 
alla 
sussistenza 
di 
un 
grave 
illecito 
professionale 
per 
le 
ipotesi 
contemplate 
dal 
comma 
3, 
lettera 
g), 
in 
quanto 
si 
fa 
espresso 
riferimento 
agli 
“atti 
di 
cui 
all’articolo 
407-bis, 
comma 
1, 
del 
codice 
di 
procedura 
penale, 
il 
decreto 
che 
dispone 
il 
giudizio 
ai 
sensi 
dell’articolo 
429 
del 
codice 
di 
procedura 
penale, 
o 
eventuali 
provvedimenti 
cautelari 
reali 
o 
personali 
emessi 
dal 
giudice 
penale, 
la 
sentenza 
di 
condanna 
non 
definitiva, 
il 
decreto 
penale 
di 
condanna 
non 
irrevocabile, 
la 
sentenza 
non 
irrevocabile 
di 
applicazione 
della 
pena 
su 
richiesta 
ai 
sensi 
dell’articolo 
444 
del 
codice 
di 
procedura 
penale”. 


La 
disposizione, dunque, espressamente 
attribuisce 
valenza 
probatoria 
ai 
fini 
della 
valutazione 
del 
grave 
illecito professionale 
alla 
sentenza 
non irrevocabile 
di 
applicazione 
della 
pena 
su richiesta 
per uno dei 
reati 
consumati 
o 
tentati 
di 
cui 
al 
comma 
1 dell’articolo 94, equiparandola 
in questo senso alla 
“sentenza 
di 
condanna 
non 
definitiva” 
(oltre 
che 
al 
decreto 
penale 
di 
condanna 
non irrevocabile). 


Ciò, tuttavia, potrebbe 
apparire 
non coerente 
con la 
nuova 
disciplina 
introdotta 
dalla 
c.d. riforma 
Cartabia 
al 
comma 
1-bis 
dell’articolo 445 c.p.p. in 
quanto 
in 
questo 
modo 
vi 
sarebbe 
una 
sostanziale 
equiparazione 
della 
sentenza 
(non irrevocabile) ex articolo 444 c.p.p. alla 
sentenza 
di 
condanna 
(non definitiva) 
come 
mezzo di 
prova 
discrezionalmente 
valutabile 
dalla 
stazione 
appaltante 
al 
fine 
della 
verifica 
in 
merito 
alla 
idoneità 
e 
affidabilità 
dell’operatore 
economico concorrente. 


una 
prima 
soluzione 
interpretativa 
sarebbe 
dunque 
quella 
di 
ritenere, 
pur a 
fronte 
della 
equiparazione 
prevista 
dall’articolo 98, comma 
6, lettera 
g), 
del 
nuovo Codice 
fra 
sentenze 
(non definitive) di 
condanna 
e 
sentenze 
(non 
irrevocabili) 
di 
patteggiamento, 
che 
quest’ultime 
acquistino 
rilievo 
ai 
fini 
probatori 
solo 
qualora 
sia 
prevista 
l’applicazione 
di 
pene 
accessorie, 
a 
fronte 
della 
nuova disciplina dell’art. 445, comma 1-bis, c.p.p. 


tale 
conclusione 
sembrerebbe 
per un verso anche 
supportata 
dai 
lavori 
preparatori, 
posto 
che 
in 
sede 
parlamentare 
sono 
stati 
espunti 
i 
riferimenti 
“alla 
sentenza irrevocabile 
di 
applicazione 
della pena su richiesta ai 
sensi 
dell’articolo 
444 del 
codice 
di 
procedura penale”, in origine 
contenuti 
nell’articolo 



PArerI 
DeL 
CoMItAto 
ConSuLtIVo 


98 comma 
6, lett. h) e 
alla 
“sentenza di 
applicazione 
della pena su richiesta 
ai 
sensi 
dell’articolo 
444 
del 
codice 
di 
procedura 
penale” 
all’articolo 
94, 
comma 
1, 
del 
nuovo 
Codice, 
mentre 
è 
stato 
lasciato 
il 
riferimento 
nell’articolo 
98, comma 6, lett. g). 


Come 
si 
legge 
nella 
relazione 
illustrativa 
di 
accompagnamento 
al 
nuovo 
Codice: 
“rispetto al 
testo approvato in via preliminare 
dal 
Consiglio dei 
ministri, 
in accoglimento dell’osservazione 
con la quale 
entrambe 
le 
Commissioni 
parlamentari 
hanno 
chiesto 
al 
Governo 
di 
valutare 
l’opportunità 
di 
coordinare 
lo 
schema 
di 
decreto 
legislativo 
con 
le 
novità 
introdotte 
dal 
decreto 
legislativo 10 ottobre 
2022, n. 150 sugli 
effetti 
extra-penali 
delle 
sentenze 
di 
applicazione 
della pena su richiesta delle 
parti 
ai 
sensi 
dell’articolo 444 del 
codice 
di 
procedura penale, all’alinea del 
comma 1 è 
stato soppresso il 
riferimento 
al citato articolo 444 del codice di procedura penale” [...] 


“sono 
state 
apportate 
anche 
le 
necessarie 
modifiche 
alla 
lettera 
h) 
del 
comma 7, finalizzate 
-per 
l’illecito professionale 
-ad eliminare 
il 
riferimento 
alla 
sentenza 
irrevocabile 
di 
applicazione 
della 
pena 
su 
richiesta 
ai 
sensi 
dell’articolo 
444 
del 
codice 
di 
procedura 
penale, 
al 
decreto 
penale 
di 
condanna 
non 
irrevocabile 
oppure 
agli 
atti 
di 
cui 
agli 
articoli 
405 
407-bis, 
comma 
1 del 
codice 
di 
procedura penale 
nonché 
al 
decreto che 
dispone 
il 
giudizio ai 
sensi 
dell’articolo 429 del 
codice 
di 
procedura penale, come 
mezzi 
di 
prova 
di 
per 
sé 
sufficienti 
a concretare 
l’esclusione, mentre 
è 
rimasto il 
riferimento 
alla condanna, definitiva e non definitiva, e alle misure cautelari penali”. 


Il 
permanente 
riferimento 
alla 
sentenza 
(non 
irrevocabile) 
di 
applicazione 
della 
pena 
su 
richiesta 
ai 
sensi 
dell’articolo 
444 
c.p.p. 
come 
mezzo 
di 
prova 
del 
“grave 
illecito 
professionale” 
ai 
sensi 
all’articolo 
98, 
comma 
6, 
lett. 
g) 
sembrerebbe 
dunque 
rappresentare, 
qualora 
si 
ritenesse 
di 
accedere 
a 
questa 
prima 
soluzione 
interpretativa, 
un 
difetto 
di 
coordinamento 
tra 
i 
due 
testi 
normativi 
(nuovo 
codice 
dei 
contratti 
e 
riforma 
Cartabia), 
non 
rinvenendosi 
ragioni 
per 
eliminare 
tale 
riferimento 
nelle 
ipotesi 
di 
cui 
al 
medesimo 
comma 
6, 
lett. 
h) 
e 
all’articolo 
94, 
comma 
1, 
al 
dichiarato 
fine 
di 
“coordinare 
lo 
schema 
di 
decreto 
legislativo 
con 
le 
novità 
introdotte 
dal 
decreto 
legislativo 
10 
ottobre 
2022, 
n. 
150 
sugli 
effetti 
extra-penali 
delle 
sentenze 
di 
applicazione 
della 
pena 
su 
richiesta 
delle 
parti 
ai 
sensi 
dell’articolo 
444 
del 
codice 
di 
procedura 
penale” 
lasciandolo 
invece 
al 
successivo 
articolo 
98, 
comma 
6, 
lett. 
g). 
né 
si 
rinvengono, 
nella 
relazione 
di 
accompagnamento, 
indicazioni 
in 
tal 
senso. 


Pertanto, ragioni 
di 
ordine 
logico e 
sistematico, nonché 
di 
coerenza 
con 
la 
lettera 
e 
con la 
ratio 
della 
nuova 
disciplina 
del 
patteggiamento, potrebbero 
indurre 
a 
ritenere 
che 
le 
sentenze 
di 
applicazione 
della 
pena 
su richiesta 
delle 
parti 
ex art. 444 c.p.p. rilevanti 
ai 
sensi 
dell’articolo 98, comma 
6, lett. g) del 
d.lgs. 
n. 
36/2023, 
stante 
la 
pacifica 
natura 
non 
penale 
della 
predetta 
legge, 
siano solo quelle 
che 
prevedono pene 
accessorie, trattandosi 
dell’unica 
eccezione 
espressamente prevista dal novellato art. 445 c.p.p. 



rASSegnA 
AVVoCAturA 
DeLLo 
StAto -n. 4/2022 


*** 


tuttavia, 
non 
sfugge 
alla 
Scrivente 
che 
la 
predetta 
soluzione 
interpretativa 
comporterebbe, 
di 
fatto, 
una 
interpretatio 
abrogans 
della 
norma, 
andando 
oltre 
alla 
sua 
interpretazione 
letterale, circostanza 
che 
potrebbe 
invero condurre 
a 
ritenere 
ragionevole 
una 
diversa soluzione 
interpretativa, che 
invece 
ravvisi 
nel 
mantenimento del 
riferimento alla 
sentenza 
ex art. 444 c.p.p. come 
mezzo 
di 
prova 
ai 
sensi 
dell’articolo 98, comma 
6, lett. g) una 
precisa 
scelta 
del 
legislatore. 


non 
può 
infatti 
non 
rilevarsi 
come, 
dal 
punto 
di 
vista 
temporale, 
il 
Codice 
dei 
contratti 
pubblici 
sia 
successivo 
all’entrata 
in 
vigore 
della 
c.d. 
riforma 
Cartabia 
(e, quindi, non possa 
ravvisarsi 
una 
forma 
di 
c.d. abrogazione 
implicita, 
come 
avvenuto con riguardo alle 
disposizioni 
del 
c.d. decreto Severino nella 
consultazione 
richiamata 
nelle 
premesse), oltre 
ad essere 
una 
normativa 
speciale 
che, di 
per sé, dovrebbe 
comunque 
prevalere 
rispetto ad una 
legge 
precedente 
e 
generale, in virtù dei 
noti 
principi 
di 
risoluzione 
delle 
antinomie 
tra 
norme 
“incompatibili” 
compendiati 
nei 
brocardi 
latini 
lex 
posterior 
derogat 
priori 
e 
lex specialis derogat legi generali. 


Peraltro, occorre 
evidenziare 
anche 
la 
diversità 
delle 
fattispecie 
previste 
dall’art. 98, comma 
3, lettera 
g) e 
dalla 
lettera 
h), cui 
il 
comma 
6 rinvia. Solo 
con riguardo alla 
seconda, infatti, il 
legislatore 
ha 
ritenuto di 
espungere 
il 
riferimento 
alla 
sentenza 
di 
patteggiamento, 
motivato 
-come 
visto 
-proprio 
dall’esigenza 
di 
coordinare 
la 
disposizione 
alla 
novità 
introdotta 
dalla 
c.d. riforma 
Cartabia, mentre tale richiamo è rimasto immutato nella lettera g). 


Invero, 
mentre 
l’art. 
98, 
comma 
3, 
lettera 
g) 
fa 
riferimento 
all’ipotesi 
di 
“g) 
contestata 
commissione 
da 
parte 
dell’operatore 
economico, 
ovvero 
dei 
soggetti 
di 
cui 
al 
comma 
3 
dell’articolo 
94 
di 
taluno 
dei 
reati 
consumati 
o 
tentati 
di 
cui 
al 
comma 
1 
del 
medesimo 
articolo 
94”, 
ossia 
gli 
stessi 
reati 
che 
impongono 
l’esclusione 
automatica, 
la 
lettera 
h) 
fa 
riferimento 
alla 
“h) 
contestata 
o 
accertata 
commissione, 
da 
parte 
dell’operatore 
economico 
oppure 
dei 
soggetti 
di 
cui 
al 
comma 
3 
dell’articolo 
94, 
di 
taluno 
dei 
seguenti 
reati 
consumati: 
1) 
abusivo 
esercizio 
di 
una 
professione, 
ai 
sensi 
dell’articolo 
348 
del 
codice 
penale; 
2) 
bancarotta 
semplice, 
bancarotta 
fraudolenta, 
omessa 
dichiarazione 
di 
beni 
da 
comprendere 
nell’inventario 
fallimentare 
o 
ricorso 
abusivo 
al 
credito, 
di 
cui 
agli 
articoli 
216, 
217, 
218 
e 
220 
del 
regio 
decreto 
16 
marzo 
1942, 
n. 
267; 
3) 
i 
reati 
tributari 
ai 
sensi 
del 
decreto 
legislativo 
10 
marzo 
2000, 
n. 
74, 
i 
delitti 
societari 
di 
cui 
agli 
articoli 
2621 
e 
seguenti 
del 
codice 
civile 
o 
i 
delitti 
contro 
l’industria 
e 
il 
commercio 
di 
cui 
agli 
articoli 
da 
513 
a 
517 
del 
codice 
penale; 
4) 
i 
reati 
urbanistici 
di 
cui 
all’articolo 
44, 
comma 
1, 
lettere 
b) 
e 
c), 
del 
testo 
unico 
delle 
disposizioni 
legislative 
e 
regolamentari 
in 
materia 
di 
edilizia, 
di 
cui 
al 
decreto 
del 
Presidente 
della 
repubblica 
6 
giugno 
2001, 
n. 
380, 
con 
riferimento 
agli 
affidamenti 
aventi 
ad 
oggetto 
lavori 
o 
servizi 
di 
architettura 
e 
ingegneria; 
5) 
i 
reati 
previsti 
dal 
decreto 
legislativo 
8 
giugno 
2001, 
n. 
231”. 



PArerI 
DeL 
CoMItAto 
ConSuLtIVo 


Queste 
seconde 
ipotesi, 
in 
quanto 
di 
per 
sé 
fattispecie 
non 
idonee 
alla 
esclusione 
automatica 
ex art. 94 cit., potrebbero ritenersi 
“meno gravi” 
e 
dunque 
tali 
da 
condurre 
a 
ritenere 
non sufficiente, quale 
mezzo di 
prova, la 
sola 
sentenza di patteggiamento ex art. 444 c.p.p. 


Peraltro, proprio dal 
fatto che 
-come 
visto -nelle 
altre 
ipotesi 
in cui 
la 
sentenza 
ex art. 444 c.p.p. era 
espressamente 
menzionata 
(art. 94 e 
art. 98, co. 
6, lett. h)) il 
legislatore 
ha 
espressamente 
deciso di 
espungere 
il 
riferimento 
nel 
dichiarato 
fine 
di 
coordinare 
il 
testo 
alla 
c.d. 
riforma 
Cartabia 
(cfr. 
relazione 
illustrativa 
prima 
citata), 
se 
ne 
potrebbe 
dedurre, 
a 
contrario, 
che 
il 
permanere 
del 
richiamo alla 
sentenza 
di 
patteggiamento nell’art. 98, comma 
6, lettera 
g) 
rappresenti 
una 
precisa 
scelta 
legislativa, alla 
luce 
della 
maggior gravità 
probatoria 
rappresentata 
dalla 
presenza 
di 
una 
sentenza 
(anche 
non irrevocabile) 
di 
patteggiamento 
per 
reati 
che 
di 
per 
sé 
rilevano 
anche 
ai 
fini 
della 
esclusione 
automatica ex art. 94. 


tanto 
premesso, 
considerato 
che 
le 
due 
possibili 
letture 
sopra 
descritte 
avrebbero 
l’effetto, 
l’una, 
di 
interpretare 
la 
disposizione 
normativa 
in 
questione 
come 
relativa 
alle 
sole 
sentenze 
di 
patteggiamento che 
prevedono l’applicazione 
di 
pene 
accessorie, 
superando 
il 
tenore 
letterale 
della 
norma, 
l’altra, 
di 
far sorgere 
un possibile 
problema 
di 
coordinamento con la 
disciplina 
introdotta 
dalla 
c.d. riforma 
Cartabia, attesa 
la 
delicatezza 
della 
questione 
nonché 
le 
conseguenze 
derivanti 
dalle 
soluzioni 
prescelte 
in termini 
di 
possibile 
contenzioso, 
la 
Scrivente 
ritiene 
opportuno, prima 
di 
assumere 
le 
proprie 
determinazioni 
conclusive 
in ordine 
alla 
corretta 
interpretazione 
dall’articolo 98, 
comma 
6, lettera 
g), del 
nuovo Codice 
dei 
contratti 
pubblici, acquisire 
preliminarmente 
l’avviso dei 
Ministeri 
in indirizzo, nonché 
ogni 
eventuale 
contributo 
utile 
da 
parte 
della 
Presidenza 
del 
Consiglio dei 
Ministri 
e 
dell’Autorità 
nazionale 
Anticorruzione. 


Si 
rappresenta 
l’urgenza 
di 
definire 
il 
quesito posto, suscettibile 
di 
interessare 
diverse 
Amministrazioni, oltre 
a 
Consip, considerato che 
le 
norme 
del 
nuovo Codice 
acquisiranno efficacia 
a 
decorrere 
dal 
1° 
luglio 2023 e 
che 
la 
problematica 
sottoposta 
riguarda 
una 
materia, quella 
del 
“grave 
illecito professionale” 
quale 
fattispecie 
escludente 
nel 
settore 
delle 
gare 
pubbliche, che 
ha 
già 
generato 
nel 
passato 
un 
vasto 
contenzioso, 
sfociato 
in 
decisioni 
non 
sempre 
lineari 
e 
coerenti 
tra 
loro, 
contribuendo 
ad 
aumentare 
le 
incertezze 
applicative 
da parte degli operatori del settore. 


*** 


Il 
presente 
parere 
è 
stato sottoposto all’esame 
del 
Comitato Consultivo 
che, nella seduta del 5 giugno 2023, si è espresso in conformità. 



LEGISLAZIONEEDATTUALITÀ
Responsabilità medica e sanità digitale 


Gaetana Natale* 


To 
cure 
o 
to 
care: 
per 
un 
medico 
esercitare 
la 
propria 
professione 
significa 
curare 
una 
malattia 
o 
“prendersi 
cura” 
del 
paziente 
come 
persona? 
La 
necessità 
della 
c.d. 
“umanizzazione 
delle 
cure” 
potrà 
realizzarsi 
con 
le 
nuove 
tecnologie 
digitali? 
La 
blockchian 
potrà 
realizzare 
la 
“c.d. continuità assistenziale 
integrata?”. 
Uno degli 
aforismi 
della 
Scuola 
Medica 
Salernitana 
recitava: 
“Si 
tibi 
deficiant 
medici, 
medici 
tibi 
fiant 
haec 
tria: 
mens 
laeta, 
requies, 
moderata 
diaeta”: 
certo ognuno di 
noi 
deve 
essere 
medico di 
sé 
stesso, ma 
il 
rapporto 
di 
cura 
deve 
realizzarsi 
sulla 
base 
della 
fiducia 
e 
dell’empatia 
con 
lo 
specialista 
che 
non solo deve 
guarirci 
dalla 
malattia, ma 
riportarci 
ad una 
situazione 
di 
completo benessere. 


In un momento storico come 
quello attuale, nel 
quale 
anche 
la 
medicina 
(o, almeno, quella 
di 
elezione) si 
è 
dovuta 
confrontare 
con il 
tema 
del 
distanziamento 
sociale, 
la 
c.d. 
“telemedicina” 
ha 
senz’altro 
rappresentato 
una 
grande 
opportunità 
ma 
anche, 
sotto 
alcuni 
profili, 
una 
grande 
sfida. 
Essa 
è 
considerata, 
indubbiamente, una 
delle 
nuove 
frontiere 
dell’organizzazione 
del 
sistema 
sanitario 
a livello internazionale. 

Difatti, 
l’emergenza 
pandemica 
ha 
determinato 
la 
necessità 
di 
ridisegnare 
i 
servizi 
sanitari 
anche 
attraverso 
un’attenta 
governance 
della 
digitalizzazione 
(1). 


(*) Avvocato dello Stato, Professore 
di 
Sistemi 
Giuridici 
Comparati, Consigliere 
giuridico del 
Garante 
per la tutela dei dati personali. 

Il 
presente 
articolo costituisce 
l’elaborazione 
di 
una relazione 
tenuta dall’Autrice 
il 
13 dicembre 
2022 
presso il Centro Innovazioni Tecnologiche dell’Istituto Superiore della Sanità. 
Elaborazione 
redatta dall’Autrice 
unitamente 
alla DoTT.SSA 
FAbIolA 
AnDronACI, già praticante 
presso 
l’Avvocatura dello Stato. 


(1) La 
pandemia 
di 
Covid ha 
infatti 
portato alla 
luce, in maniera 
inequivocabile, il 
bisogno di 
im

RASSEGNA 
AvvoCAtURA 
DELLo 
StAto -N. 4/2022 


Nell’ultimo periodo, si 
è 
assistito ad una 
vera 
e 
propria 
accelerazione 
del 
processo normativo e 
applicativo di 
implementazione 
della 
sanità 
digitale, intesa 
quale 
sommatoria 
di 
progetti 
e 
strumenti, che 
vanno dal 
Fascicolo Sanitario 
Elettronico 
alla 
dematerializzazione 
delle 
ricette, 
dallo 
sviluppo 
delle 
App 
mediche 
alla 
telemedicina, 
fino 
a 
giungere 
allo 
sviluppo 
dell’intelligenza 
artificiale applicata alle attività medicali. 

Sono variegate 
le 
ragioni 
che 
stanno determinando il 
crescente 
sviluppo 
della 
sanità 
digitale 
e 
vanno ricercare 
in molteplici 
fattori, tra 
i 
quali 
l’incremento 
anagrafico della 
popolazione, l’aumento dell’incidenza 
delle 
patologie 
croniche, oltre 
alla 
già 
cennata 
necessità 
di 
una 
rinnovazione 
e 
implementazione 
della rete dei servizi assistenziali e sanitari. 

L’ambizioso progetto della 
telemedicina, che 
ha 
visto primi 
tentativi 
applicativi 
alcuni 
decenni 
fa, soprattutto in ragione 
del 
tentativo di 
erogare 
prestazioni 
sanitarie 
in 
luoghi 
difficilmente 
accessibili, 
quali 
imbarcazioni, 
centri 
di 
ricerche 
localizzati 
in 
zone 
remote 
o 
nell’ambito 
di 
scenari 
bellici, 
ha 
da 
alcuni 
anni visto una nuova primavera, anche grazie alla crescita tecnologica. 


Difatti, 
dal 
2014 
esistono 
nel 
nostro 
Paese 
linee 
guida 
emanate 
dal 
Ministero 
della 
Salute 
riguardanti 
il 
progetto 
di 
sanità 
a 
distanza, 
che 
tentano 
di 
focalizzare 
i 
molti 
aspetti 
spinosi 
e 
le 
difficoltà 
applicative 
di 
tale 
ambizioso 
strumento, 
anche 
tenendo 
in 
considerazione 
la 
frammentazione 
regionale 
dei 
sistemi 
sanitari. 


In 
coerenza 
con 
tali 
previsioni 
la 
Corte 
di 
Cassazione 
penale 
(2) 
si 
è 
espressa 
in merito alle 
modalità 
di 
effettuazione 
di 
quegli 
atti 
medici, prevalentemente 
attività 
diagnostiche, svolte 
“tra 
assenti”, venendo meno la 
compresenza 
nel 
medesimo 
luogo 
del 
paziente 
e 
dell’operatore 
sanitario 
che 
analizza dati rilevati altrove e ricevuti attraverso tecnologie informatiche. 

In particolare, la 
Corte 
ha 
confermato che 
“non è 
necessaria l’autorizzazione 
per 
le 
postazioni 
di 
telemedicina, in quanto il 
paziente 
vi 
effettua solo 
delle rilevazioni dei parametri che non implicano attività sanitaria”. 


Senza 
ombra 
di 
dubbio, l’emergenza 
sanitaria 
ha 
comportato un’accelerazione 
di 
tale 
progetto: 
si 
guardi 
all’approvazione 
del 
dicembre 
2020 in sede 
di 
Conferenza 
Stato-Regioni 
delle 
indicazioni 
nazionali 
per 
l’erogazione 
delle 
prestazioni 
in 
telemedicina, 
che 
ha 
realizzato 
il 
pieno 
inserimento 
delle 
attività 
a distanza nel Sistema sanitario nazionale. 


Questo provvedimento, cui 
ovviamente 
dovranno seguire 
ulteriori 
applicativi, 
è 
particolarmente 
importante 
poiché 
ha 
consentito l’introduzione 
della 
telemedicina 
con 
ruolo 
autonomo 
e 
definito 
nei 
LEA 
(Livelli 
Essenziali 
di 
Assistenza), 
garantendo così 
la 
possibilità 
di 
erogazione 
proprio attraverso il 
Sistema 
sanitario 
nazionale, 
con 
relativo 
sistema 
di 
tariffazione 
delle 
varie 


maginare 
nuove 
modalità 
di 
erogazione 
delle 
prestazioni 
che 
possano permettere 
di 
seguire 
i 
pazienti 
anche da remoto, mediante l’uso di strumenti di tecnologia. 

(2) Cass. penale, sez. III, sent. n. 38485/2019. 

LEGISLAzIoNE 
ED 
AttUALItà 


tipologie 
di 
attività, tra 
le 
quali 
rientrano la 
televisita, il 
teleconsulto medico, 
la 
teleconsulenza 
medico-sanitaria, 
la 
teleassistenza 
da 
parte 
di 
professioni 
sanitarie 
e la telerefertazione. 


Si 
tratta 
di 
un 
ambizioso 
progetto 
dai 
risvolti 
complessi, 
dal 
punto 
di 
vista 
organizzativo 
e 
tecnico, 
per 
le 
strutture 
sanitarie 
coinvolte 
e 
che 
mira 
a 
rendere 
possibile 
la 
fruizione 
di 
servizi 
sanitari 
a 
distanza, con svariati 
vantaggi, sia 
a 
favore 
dei 
pazienti, 
che 
potranno 
usufruire 
di 
servizi 
sanitari, 
senza 
doversi 
recare 
fisicamente 
presso le 
strutture 
sanitarie, sia 
del 
personale 
sanitario, che 
sarà 
posto nelle 
condizioni 
di 
porre 
in essere 
prestazioni 
con l’abbattimento 
delle limitazioni logistiche. 


Le 
cennate 
linee 
guida, dal 
punto di 
vista 
operativo-tecnico, prevedono 
elementi 
standard necessari 
al 
fine 
della 
possibilità 
di 
erogazione 
dei 
servizi 
a 
distanza, tra 
i 
quali 
la 
piena 
disponibilità 
di 
una 
rete 
internet, la 
presenza 
di 
un portale 
a 
cui 
il 
personale 
medico dovrà 
accedere 
con credenziali 
e 
relativi 
privilegi 
all’accesso, un’applicazione 
web raggiungibile 
dai 
pazienti, previa 
verifica 
dell’identità, il 
rispetto delle 
indicazioni 
riguardanti 
il 
trattamento dei 
dati 
personali, e 
da 
ultimo la 
certificazione 
dell’hardware 
e 
dei 
software 
utilizzati 
dalle strutture per la sanità digitale, quali dispositivi medici. 


Alla 
luce 
dell’avvio 
sempre 
più 
consistente 
della 
telemedicina, 
appare 
fondamentale 
un’attenta 
attività 
di 
risk 
management 
e 
di 
governance 
aziendale 
che 
ponga 
attuazione 
alle 
previsioni 
volte 
alla 
realizzazione 
delle 
attività 
finalizzate 
alla 
prevenzione 
e 
alla 
gestione 
del 
rischio, 
anche, 
e 
forse 
soprattutto, 
ponendo in essere 
adeguati 
percorsi 
informativi 
e 
formativi 
volti 
alla 
corretta 
gestione 
e 
utilizzazione 
delle 
nuove 
tecnologie. Infatti, riguardo al 
profilo del 
risk 
management 
occorre 
constatare 
come 
la 
sicurezza 
delle 
cure 
sia 
considerata 
“parte 
costitutiva 
del 
diritto 
alla 
salute” 
(3) 
ed 
essa, 
si 
realizzi 
“anche 
mediante 
l’insieme 
di 
tutte 
le 
attività 
finalizzate 
alla 
prevenzione 
e 
alla 
gestione 
del 
rischio connesso all’erogazione 
di 
prestazioni 
sanitarie 
e 
l’utilizzo appropriato 
delle 
risorse 
strutturali, tecnologiche 
e 
organizzative” 
(4). Proprio per 
il 
raggiungimento di 
tale 
scopo, l’art. 3 (5) ha 
previsto l’istituzione 
dell’osservatorio 
nazionale 
delle 
buone 
pratiche 
sulla 
sicurezza 
nella 
sanità, 
che 
è 
stato costituito con decreto del 
Ministro della 
Salute 
del 
29 settembre 
2017 e 
si è insediato presso l’AGENAS (6) nel marzo del 2018. 

Il 
primo rapporto formulato dall’osservatorio, riguardante 
l’anno 2018 e 
inviato al 
Parlamento il 
25 febbraio scorso, evidenzia 
come 
il 
compiuto conseguimento 
della 
sicurezza 
del 
paziente, delle 
cure 
e 
dell’intero sistema 
sani


(3) Dall’art. 1, co. 1, l. 24/2017. 
(4) Dall’art. 1, co. 2, l. 24/2017. 
(5) L. 24/2017. 


(6) Agenzia 
nazionale 
per i 
servizi 
sanitari 
regionali, ente 
pubblico non economico di 
rilievo nazionale. 
Svolge 
una 
funzione 
di 
supporto 
tecnico 
ed 
operativo 
alle 
politiche 
di 
governo 
dei 
servizi 
sanitari 
di Stato e Regioni, mediante attività di ricerca, monitoraggio, valutazione, formazione e innovazione. 

RASSEGNA 
AvvoCAtURA 
DELLo 
StAto -N. 4/2022 


tario si 
basi 
sui 
principi 
di 
decentramento ed estrema 
periferizzazione, fino a 
giungere 
al 
singolo operatore 
sanitario della 
gestione 
del 
rischio; 
di 
accentramento 
della 
gestione 
dei 
sinistri 
a 
livello aziendale, interaziendale 
e/o anche 
solo regionale; 
di 
integrazione, in entrambi 
i 
sistemi 
di 
gestione, con piattaforme 
informatico 
-telematiche, volte 
alla 
reciproca 
alimentazione 
dei 
dati 
e 
delle attività di prevenzione e valutazione delle casistiche. 

È 
presumibile 
che 
sulla 
base 
delle 
iniziative 
che 
verranno 
assunte 
nei 
territori, 
si 
definiscano 
buone 
pratiche 
per 
la 
sicurezza 
anche 
nell’ambito 
della 
telemedicina, 
al 
fine 
di 
definire 
interventi 
che 
riducano 
il 
rischio 
di 
eventi 
avversi 
che 
possano 
essere 
determinati 
dall’uso 
non 
congruo 
o 
scarsamente 
professionale 
delle 
strumentazioni 
informatiche 
o 
dall’utilizzo 
di 
apparecchiature 
non 
adeguate. 


Da 
questo punto di 
vista 
si 
può dire 
che 
il 
percorso da 
intraprendere 
sarà 
sicuramente 
lungo 
e 
difficoltoso 
anche 
se 
alcuni 
territori 
annoverano 
già 
esperienze 
valide, 
ulteriormente 
avvalorate 
da 
forme 
di 
cooperazioni 
interregionali 
o transnazionali (7). 


Appare 
opportuno 
individuare 
le 
finalità 
che 
si 
intendono 
conseguire 
con 
la telemedicina. 


In 
primis, 
si 
tratta 
di 
servizi 
dedicati 
alle 
categorie 
di 
persone 
già 
classificate 
a 
rischio 
o 
persone 
già 
affette 
da 
patologie 
(come 
diabete 
o 
patologie 
cardiovascolari), 
le 
quali, 
pur 
conducendo 
una 
vita 
normale, 
devono 
sottoporsi 
a 
costante 
monitoraggio 
di 
alcuni 
parametri 
vitali, 
come 
ad 
esempio, 
tasso 
di 
glicemia 
per 
il 
paziente 
diabetico, 
al 
fine 
di 
ridurre 
il 
rischio 
di 
insorgenza 
di 
complicazioni. 


Per quanto concerne 
la 
diagnosi, questa 
comprende 
i 
servizi 
che 
hanno 
come 
obiettivo quello di 
muovere 
le 
informazioni 
diagnostiche 
anziché 
il 
paziente. 
Sebbene 
risulti 
difficilmente 
eseguibile 
un iter diagnostico attraverso 
l’uso esclusivo di 
strumenti 
di 
telemedicina, essa 
può costituire 
un completamento 
o 
consentire 
approfondimenti 
utili 
al 
processo 
di 
diagnosi 
e 
cura, 
ad 
esempio, 
attraverso 
la 
possibilità 
di 
usufruire 
di 
esami 
diagnostici 
refertati 
dallo 
specialista, 
presso 
l’ambulatorio 
del 
medico 
di 
medicina 
generale, 
la 
farmacia 
ovvero il domicilio del paziente. 


Per 
cura 
si 
deve 
intendere 
l’insieme 
dei 
servizi 
finalizzati 
a 
operare 
scelte 
terapeutiche 
e 
a 
valutare 
l’andamento 
prognostico 
riguardante 
pazienti 
per 
cui 
la 
diagnosi 
è 
ormai 
chiara. Si 
tratta 
ad esempio di 
servizi 
di 
teledialisi 
o della 
possibilità di interventi chirurgici a distanza. 


Poi, 
vi 
è 
la 
riabilitazione 
ovvero 
i 
servizi 
erogati 
presso 
il 
domicilio 
o 
altre 
strutture 
assistenziali 
a 
pazienti 
cui 
viene 
prescritto l’intervento riabilitativo 
come pazienti fragili, bambini, disabili, cronici, anziani. 


(7) È il 
caso questo della 
Provincia 
autonoma 
di 
trento con la 
sua 
partecipazione 
al 
progetto nathCare, 
elaborato 
nell’ambito 
del 
programma 
di 
cooperazione 
territoriale 
europea 
“Spazio 
alpino 
20072013” 
mirante 
a 
creare 
una 
rete 
transnazionale 
di 
sistemi 
sanitari 
per 
buona 
parte 
incentrato 
proprio 
sulla sanità elettronica. 

LEGISLAzIoNE 
ED 
AttUALItà 


La 
fase 
di 
monitoraggio, invece, mira 
alla 
gestione, anche 
nel 
tempo, dei 
parametri 
vitali, e 
indica 
lo scambio di 
dati 
(parametri 
vitali) tra 
il 
paziente 
(a 
casa, in farmacia, in strutture 
assistenziali 
dedicate) in collegamento con una 
postazione di monitoraggio per l’interpretazione dei dati. 


Gli 
utenti 
sono i 
soggetti 
che 
fruiscono di 
un servizio di 
telemedicina. Si 
può trattare 
di: 
un paziente/caregiver 
(televisita, telesalute) -un medico in assenza 
del 
paziente 
(teleconsulto) 
-un 
medico 
o 
altro 
operatore 
sanitario 
in 
presenza 
del 
paziente 
(televisita, 
telecooperazione 
sanitaria). 
L’utente 
dovrà 
provvedere 
alla 
trasmissione 
delle 
informazioni 
sanitarie 
(dati, 
segnali, 
immagini, 
ecc.) e riceve gli esiti del servizio (diagnosi, indirizzi terapeutici). 


occorre distinguere un Centro erogatore e un Centro servizi. 


Il 
Centro erogatore 
può essere 
rappresentato da 
strutture 
del 
Servizio Sanitario 
Nazionale, autorizzate 
o accreditate, pubbliche 
o private, operatori 
del 
SSN 
quali 
medici 
di 
medicina 
generale 
e 
pediatri 
di 
libera 
scelta, medici 
specialisti 
che 
erogano prestazioni 
sanitarie 
attraverso una 
rete 
di 
telecomunicazioni. 
Il 
Centro 
erogatore 
riceve 
le 
informazioni 
sanitarie 
dall’utente 
e 
trasmette all’utente gli esiti della prestazione. 


Il 
Centro 
servizi, 
invece, 
è 
la 
struttura 
che 
ha 
la 
funzione 
di 
gestione 
e 
manutenzione 
di 
un 
sistema 
informativo, 
attraverso 
il 
quale 
il 
Centro 
erogatore 
svolge 
la 
prestazione 
in 
telemedicina, 
la 
installazione 
e 
manutenzione 
degli 
strumenti 
nei 
siti 
remoti 
(casa 
del 
paziente 
o siti 
appositamente 
predisposti), 
la 
fornitura, gestione 
e 
manutenzione 
dei 
mezzi 
di 
comunicazione 
(compresa 
la 
gestione 
dei 
messaggi 
di 
allerta) tra 
pazienti 
e 
medici 
o altri 
operatori 
sanitari, 
l’addestramento di 
pazienti 
e 
familiari 
all’uso degli 
strumenti. Il 
Centro 
servizi 
ha 
il 
compito di 
gestire 
le 
informazioni 
sanitarie 
generate 
dall’utente 
che 
devono 
pervenire 
al 
Centro 
erogatore 
della 
prestazione 
sanitaria, 
e 
gli 
esiti 
della 
prestazione 
che 
devono essere 
trasmessi 
dal 
Centro erogatore 
all’utente. 
Nel 
caso in cui 
non sia 
presente 
un Centro servizi, le 
funzioni 
del 
Centro servizi 
devono essere ottemperate dal Centro erogatore. 


Indubbiamente, 
la 
possibilità 
di 
connettere 
pazienti 
e 
medici 
attraverso 
App 
e 
piattaforme 
digitali 
ha 
consentito 
di 
mantenere 
attivo 
e 
vitale 
il 
rapporto 
medico-paziente, nonché 
di 
dare 
continuità 
ai 
percorsi 
di 
cura 
-laddove 
possibile 
-e 
ciò 
nelle 
modalità 
della 
“televisita” 
o 
“teleconsulto”, 
tuttavia 
non 
sono mancate 
(e 
ancora 
oggi 
non mancano) le 
preoccupazioni 
per quanto riguarda 
l’affidabilità 
dei 
sistemi, la 
sicurezza 
degli 
strumenti 
tecnologici 
prescelti 
e, in ultimo, i 
possibili 
profili 
di 
responsabilità 
legati 
a 
questa 
“nuova” 
modalità 
di 
erogazione 
delle 
prestazioni 
sanitarie. 
La 
prima 
volta 
che 
viene 
introdotta 
una 
definizione 
normativa 
di 
telemedicina 
avviene 
con il 
Decreto 
Ministero della Salute n. 77 del 23 maggio 2022 (8). 


(8) Regolamento recante 
la 
definizione 
di 
modelli 
e 
standard per lo sviluppo dell’assistenza 
territoriale 
nel Servizio sanitario nazionale. 

RASSEGNA 
AvvoCAtURA 
DELLo 
StAto -N. 4/2022 


“la 
telemedicina 
è 
una 
modalità 
di 
erogazione 
di 
servizi 
e 
prestazioni 
assistenziali 
sanitarie 
sociosanitarie 
a 
rilevanza 
sanitaria 
a 
distanza, 
abilitata 
dalle 
tecnologie 
dell’informazione 
e 
della comunicazione, e 
utilizzata da un 
professionista 
sanitario 
per 
fornire 
prestazioni 
sanitarie 
agli 
assistiti 
(telemedicina 
professionista sanitario -assistito) o servizi 
di 
consulenza e 
supporto 
ad altri 
professionisti 
sanitari 
(telemedicina professionista sanitario -professionista 
sanitario)” (9). 


Si pone allora il problema della responsabilità sanitaria. 


Sostanzialmente, 
ci 
si 
domanda 
se 
sia 
cambiata 
la 
responsabilità 
sanitaria 
nell’erogazione di una prestazione in telemedicina. 


Il 
tema 
della 
c.d. “telemedicina” 
è 
preso in considerazione 
dalla 
più recente 
disposizione 
normativa 
in 
tema 
di 
responsabilità 
professionale 
sanitaria, 
ossia 
la 
L. n. 24/2017 (meglio nota 
come 
Legge 
“Gelli”) concernente 
la 
responsabilità 
professionale in ambito sanitario. 


L’art. 
7 
della 
summenzionata 
legge, 
nel 
dettare 
le 
regole 
per 
il 
riparto 
della 
responsabilità 
fra 
struttura 
sanitaria 
e 
singolo 
esercente, 
prevede 
che 
“la 
struttura 
sanitaria 
o 
sociosanitaria 
pubblica 
o 
privata 
che, 
nell’adempimento 
della propria obbligazione, si 
avvalga dell’opera di 
esercenti 
la professione 
sanitaria, anche 
se 
scelti 
dal 
paziente 
e 
ancorché 
non dipendenti 
della struttura 
stessa, 
risponde, 
ai 
sensi 
degli 
articoli 
1218 
e 
1228 
del 
Codice 
civile, 
delle 
loro condotte 
dolose 
o colpose. la disposizione 
di 
cui 
al 
comma 1 si 
applica 
anche 
alle 
prestazioni 
sanitarie 
svolte 
in 
regime 
di 
libera 
professione 
intramuraria 
ovvero 
nell’ambito 
di 
attività 
di 
sperimentazione 
e 
di 
ricerca 
clinica 
ovvero in regime 
di 
convenzione 
con il 
Servizio sanitario nazionale 
nonché 
attraverso la telemedicina”. 


Dalla 
lettura 
della 
disposizione, si 
evince 
come 
la 
prestazione 
possa 
essere 
erogata 
anche 
in 
forma 
“digitale”, 
ossia 
ricorrendo 
agli 
strumenti 
della 
telemedicina. 


Il 
richiamo esplicito a 
questa 
modalità 
di 
erogazione 
della 
prestazione 
fa 
sì 
che 
per 
i 
consulti 
effettuati 
“a 
distanza” 
valgano 
le 
medesime 
regole 
previste 
con riguardo alle 
modalità 
tradizionali 
di 
visita, ossia 
quelle 
in compresenza, 
applicandosi a entrambe analoga disciplina. 


Pertanto, 
dal 
punto 
di 
vista 
normativo, 
non 
vi 
sono 
differenze 
per 
quanto 
attiene 
al 
tema 
della 
responsabilità 
professionale, 
ma 
ciò 
che 
rileva 
è 
il 
modo 
in 
cui 
si 
utilizza 
la 
tecnologia, 
ossia 
lo 
strumento, 
e 
la 
scelta 
che 
si 
opera 
in 
tal 
senso. 


Difatti, il 
professionista 
sanitario deve 
sempre 
adottare 
la 
soluzione 
operativa 
che 
offra 
le 
migliori 
garanzie 
di 
proporzionalità, appropriatezza, efficacia 
e 
sicurezza, soprattutto, è 
tenuto a 
valutare 
se 
le 
specifiche 
circostanze 
del 
singolo caso concreto rendono possibile ricorrere a un servizio a distanza. 

Si 
dovrà, dunque, evitare 
di 
ricorrere 
allo strumento della 
televisita/del 


(9) L’allegato 1 punto 15 Decreto Ministero della Salute n. 77 del 23 maggio 2022. 

LEGISLAzIoNE 
ED 
AttUALItà 


teleconsulto se, in scienza 
e 
coscienza, si 
ritiene 
tale 
strumento non capace 
di 
fornire 
una 
risposta 
certa 
per via 
della 
patologia 
clinica 
del 
paziente 
oppure 
in 
ragione della inadeguatezza dei mezzi a disposizione. 

tuttavia, sul 
punto è 
ampio il 
dibattito, considerando che 
parte 
della 
dottrina 
ritiene 
che 
le 
prestazioni 
sanitarie 
effettuate 
attraverso strumenti 
digitali 
abbiano minor rango interpretativo (sia 
circa 
la 
sfera 
clinica 
che 
riguardo a 
risvolti 
connessi 
a 
profili 
di 
responsabilità 
del 
personale 
esercente 
la 
professione 
medica) rispetto a quelle poste in essere “in presenza”. 


tale 
tesi 
non 
risulta 
condivisibile, 
difatti 
il 
legislatore 
ha 
stabilito 
che 
possono 
rientrare 
nelle 
previsioni 
di 
cui 
agli 
artt. 1218 e 
1228, non solo le 
prestazioni 
dirette 
svolte 
nell’ambito 
di 
strutture 
sanitarie, 
ma 
anche 
quelle 
effettuate 
attraverso strumenti di telemedicina. 

Ciò 
significa 
che 
le 
prestazioni 
di 
sanità 
digitale, 
sebbene 
siano 
effettuate 
con 
l’ausilio 
di 
strumenti 
digitali 
e 
attraverso 
la 
rete 
internet, 
rientrano 
a 
pieno 
titolo 
nell’ambito 
delle 
prestazioni 
professionali 
sanitarie 
ed 
eventuali 
violazioni 
dovranno 
essere 
trattate 
alla 
stregua 
di 
tutte 
le 
attività 
medicali 
svolte 
sulla 
base 
di 
rapporto 
strutturato 
tra 
il 
paziente 
e 
l’esercente 
la 
professione 
sanitaria. 
La 
ripartizione 
delle 
responsabilità 
dei 
soggetti 
coinvolti 
nella 
sanità 
digitale 
presenta, 
invece, 
spazi 
ancora 
labili 
e 
che 
presuppongono 
attente 
valutazioni. 


Come 
è 
stato 
spiegato, 
l’organizzazione 
delle 
attività 
di 
sanità 
digitale 
appare 
alquanto 
complessa, 
in 
virtù 
dell’articolata 
organizzazione 
dei 
servizi, 
che 
vedono 
l’esistenza 
di 
un 
Centro 
erogatore, 
rappresentato 
dalle 
strutture 
sanitarie 
(siano 
esse 
del 
SSN 
o 
accreditate, 
o 
ancora 
private) 
oltre 
agli 
operatori 
sanitari 
(medici 
di 
medicina 
generale, 
pediatri 
di 
libera 
scelta, 
o 
ancora 
medici 
specialisti) 
che 
effettuano 
le 
attività 
sanitarie 
in 
favore 
degli 
utenti/pazienti 
attraverso 
gli 
strumenti 
tecnici 
approntati 
e 
gestiti 
dal 
Centro 
servizi. 
Il 
ruolo 
del 
Centro 
servizi 
appare 
quindi 
l’installazione 
e 
la 
manutenzione 
degli 
strumenti, 
oltre 
alla 
fornitura, 
la 
gestione 
e 
manutenzione 
dei 
mezzi 
di 
comunicazione 
digitale. 


Ebbene, la 
complessità 
appare 
evidente 
in quanto il 
servizio di 
telemedicina 
presuppone 
la 
necessaria 
interazione 
fra 
le 
tre 
figure 
fondamentali: 
il 
fornitore 
della 
strumentazione, l’azienda 
che 
eroga 
il 
servizio e 
il 
professionista 
che effettua la prestazione. 


Profili 
di 
responsabilità, 
nei 
casi 
di 
prestazioni 
viziate 
da 
censure, 
potranno 
quindi 
essere 
ravvisate 
in capo alle 
strutture 
che 
erogano il 
servizio, in 
buona 
sostanza 
per 
possibili 
errori 
di 
carattere 
organizzativo, 
ma 
anche 
in 
capo 
al 
professionista 
che 
effettua 
materialmente 
l’attività 
di 
telemedicina, ravvisandosi 
in tal 
caso le 
previsioni 
ben note 
relativamente 
alle 
fattispecie 
di 
responsabilità 
diretta dell’esercente la professione sanitaria. 


Potrà 
rispondere 
di 
eventuali 
malfunzionamenti 
dei 
sistemi 
informatici 
e 
di 
rete 
anche 
quel 
soggetto (fornitore 
della 
strumentazione) che 
ha 
l’onere 
di approntare l’installazione e la manutenzione di tali strumenti. 


Inoltre, 
implicando 
conservazione, 
archiviazione 
e 
trasmissione, 
anche 



RASSEGNA 
AvvoCAtURA 
DELLo 
StAto -N. 4/2022 


internazionale, di 
dati 
sensibili 
(rectius, dati 
sanitari) concernenti 
lo stato di 
salute 
dei 
pazienti, 
così 
come 
la 
collaborazione 
a 
distanza 
di 
professionisti 
che 
prestino la 
propria 
opera, la 
telemedicina 
pone, anche, un problema 
di 
tutela 
della 
privacy 
dei 
pazienti, ossia 
di 
corretto trattamento dei 
dati 
concernenti 
il 
loro stato di 
salute. In linea 
teorica, ad esempio, la 
riservatezza 
dei 
dati 
personali 
del 
paziente 
può essere 
violata, intenzionalmente 
o accidentalmente, per 
errore 
umano, 
sia 
durante 
l’incontro 
vero 
e 
proprio 
di 
telemedicina 
che 
durante 
la 
trasmissione 
delle 
informazioni 
a 
distanza 
o in sede 
di 
archiviazione 
della 
cartella clinica, quest’ultima in forma cartacea od elettronica. 

Nel 
Codice 
della 
privacy 
(d.lgs. 30 giugno 2003, n. 196) non sono dedicate 
specifiche 
norme 
sull’argomento; 
anche 
il 
titolo v 
della 
Parte 
I dedicata 
al 
trattamento di 
dati 
personali 
in ambito sanitario (artt. 75 ss.) non prende 
in 
specifica 
considerazione 
il 
trattamento dei 
dati 
sensibili 
nell’ambito della 
telemedicina. 
Nonostante 
l’assenza 
di 
indicazioni 
puntuali, 
principi 
e 
norme 
del 
Codice 
della 
privacy, i 
dati 
sensibili 
possono essere 
applicati 
analogicamente 
ai trattamenti sanitari di telemedicina. 


Un ultimo profilo che 
appare 
opportuno valutare 
concerne 
la 
disciplina 
del consenso informato. 


Difatti, 
il 
consenso 
informato 
del 
paziente 
è 
obbligatorio 
per 
i 
trattamenti 
medici 
in 
genere, 
essendo 
diretta 
applicazione 
tanto 
dell’art. 
32, 
comma 
2 
Cost. (volontarietà 
dei 
trattamenti 
sanitari), quanto dell’art. 13 Cost. (inviolabilità 
della 
libertà 
personale) 
e 
dell’art. 
33, 
legge 
23 
dicembre 
1978 
n. 
833 
(che 
esclude 
la 
possibilità 
d’accertamenti 
e 
di 
trattamenti 
sanitari 
contro 
la 
volontà 
del 
paziente, se 
questo è 
in grado di 
prestarlo) (10), a fortiori, quindi, 
esso deve 
essere 
richiesto specificamente 
anche 
per i 
trattamenti 
di 
telemedicina 
non 
potendosi 
presumere 
ch’esso 
sia 
prestato 
in 
relazione 
alla 
pratica 
medica 
tradizionale. 
Per 
quanto 
riguarda 
la 
trasparenza 
dei 
dati 
relativi 
alla 
salute 
ed il 
loro trattamento, l’art. 4, co. 1, l. 24/2017 stabilisce 
che 
le 
prestazioni 
sanitarie 
erogate 
dalle 
strutture 
pubbliche 
e 
private 
sono soggette 
all’obbligo di 
trasparenza 
nel 
rispetto del 
codice 
di 
materia 
di 
protezione 
dei 
dati 
personali, 


il c.d. codice della 
privacy 
(11). 
I 
successivi 
commi 
dell’art. 
4 
della 
l. 
24/2017 
configurano 
il 
diritto 
di 
accesso 
alla 
documentazione 
sanitaria 
come 
un 
diritto 
di 
accesso 
sui 
generis, 
azionabile 
anche 
nei 
confronti 
di 
soggetti 
privati, 
quali 
le 
strutture 
sanitarie 
private, e 
distinguibile 
sia 
dal 
diritto di 
accesso ai 
documenti 
amministrativi 
sia 
dal 
diritto di 
accesso civico, ponendo in capo alla 
direzione 
sanitaria 
della 
struttura 
pubblica 
o 
privata 
di 
fornire 
entro 
7 
giorni 
al 
richiedente 
avente 
diritto 


(10) Cass. civ., sez. III, 9 febbraio 2010, n. 2847. 
(11) Come 
noto ampiamente 
modificato dal 
d.lgs. 101/2018 ed a 
sua 
volta 
emanato per adeguare 
il 
nostro sistema 
al 
Regolamento Ue 
679/2016, divenuto pienamente 
operativo a 
partire 
dal 
25 maggio 
2018. 

LEGISLAzIoNE 
ED 
AttUALItà 


la 
documentazione 
relativa 
al 
paziente 
“preferibilmente 
in 
formato 
elettronico” 
(art. 4, co. 2). 

In generale 
il 
trattamento dei 
dati 
personali 
che 
viene 
operato nell’espletamento 
dei 
servizi 
di 
telemedicina 
è 
assimilabile 
al 
trattamento dei 
dati 
personali 
di natura sensibile. 


I dati 
informativi 
relativi 
alla 
salute 
del 
paziente 
sono oggetto di 
particolare 
protezione. 

Essi 
sono definiti 
dall’art. 4, n. 15, regolamento Ue 
2016/679 quali 
“dati 
personali 
attinenti 
alla 
salute 
fisica 
o 
mentale 
di 
una 
persona 
fisica, 
compresa 
la prestazione 
di 
servizi 
di 
assistenza sanitaria, che 
rivelano informazioni 
relative 
al suo stato di salute”. 

Questo 
fa 
sì 
che 
tali 
dati 
siano 
sottoposti 
ad 
un 
sistema 
particolarmente 
accurato 
che 
ne 
tutela 
il 
trattamento. 
In 
generale, 
sulla 
base 
dell’art. 
9, 
par. 
1 
del 
più 
volte 
citato 
regolamento 
Ue, 
che 
ricomprende 
i 
dati 
relativi 
alla 
salute 
nelle 
categorie 
particolari 
di 
dati 
personali, 
vige 
il 
principio 
del 
loro 
divieto 
di 
trattamento. 


Il 
trattamento è 
tuttavia 
possibile 
quando si 
verifica 
uno dei 
casi 
indicati 
nel 
co. 2 del 
predetto articolo, il 
quale 
prevede 
al 
primo posto l’ipotesi 
in cui 
l’interessato abbia 
prestato il 
proprio consenso esplicito al 
trattamento di 
tali 
dati per una o più finalità specifiche. 

Per i 
profili 
che 
qui 
interessano, ai 
sensi 
di 
quanto stabilito nella 
lett. h) 
del 
co. 2 del 
surrichiamato articolo, il 
trattamento è 
possibile 
quando “è 
necessario 
per 
finalità di 
medicina preventiva o di 
medicina del 
lavoro... diagnosi, 
assistenza 
o 
terapia 
sanitaria 
o 
sociale 
ovvero 
gestione 
dei 
sistemi 
e 
servizi 
sanitari 
o 
sociali 
sulla 
base 
del 
diritto 
dell’Unione 
o 
degli 
Stati 
membri 


o conformemente al contratto con un professionista della sanità”. 
Ebbene, sostanzialmente 
quando ricorre 
l’esigenza 
di 
cura 
o diagnosi, il 
trattamento dei 
dati 
sanitari 
non solo non subisce 
divieti 
ma 
è 
praticabile 
prescindendosi 
dal consenso dell’interessato. 


Il 
regolamento Ue 
2016/679 appare, in generale, particolarmente 
attento 
ai 
processi 
della 
evoluzione 
tecnologica, 
tant’è 
che 
nel 
considerando 
(6) 
viene 
fatto 
rilevare 
che 
“la 
rapidità̀ 
dell’evoluzione 
tecnologica 
e 
la 
globalizzazione 
comportano nuove 
sfide 
per 
la protezione 
dei 
dati 
personali” 
e 
nel 
considerando 
(7) 
viene 
sottolineato 
che 
l’evoluzione 
tecnologica 
“richiede 
un 
quadro 
più solido e 
coerente 
in materia di 
protezione 
dei 
dati 
dell’Unione, affiancato 
da 
efficaci 
misure 
di 
attuazione, 
data 
l’importanza 
di 
creare 
il 
clima 
di 
fiducia 
che 
consentirà lo sviluppo dell’economia digitale 
in tutto il 
mercato interno”. 

Il 
problema 
di 
maggior rilievo che 
si 
pone 
a 
proposito di 
trattamento di 
dati 
sanitari 
in telemedicina 
è 
quello di 
garantire 
la 
sicurezza 
delle 
informazioni. 
In generale 
il 
titolare 
del 
trattamento ha 
il 
compito di 
predisporre 
le 
misure 
di 
ordine 
tecnico 
e 
organizzativo 
che 
siano 
idonee 
e 
adeguate 
al 
soddisfacimento di tale esigenza (art. 32 reg. UE 2016/679). 

In tale 
contesto assume 
una 
particolare 
valenza 
il 
principio della 
accoun



RASSEGNA 
AvvoCAtURA 
DELLo 
StAto -N. 4/2022 


tability, 
in 
quanto 
il 
reg. 
UE 
dianzi 
citato 
prescinde 
dalla 
imposizione 
di 
misure 
minime 
(o, comunque, qualificabili 
come 
sufficienti), indicandole 
nel 
dettaglio, 
ma 
prescrive 
l’adozione 
di 
misure 
che 
debbono 
essere 
effettivamente 
idonee 
ed adeguate. 

Anche 
sotto questo aspetto la 
normativa 
statale 
si 
è 
adeguata 
al 
principio 
generale 
introdotto dal 
regolamento UE 
e, comunque, già 
prima 
dell’entrata 
in vigore 
del 
d.lgs. 101 2018, le 
sezioni 
unite 
della 
Cassazione 
avevano evidenziato 
il 
profilo della 
idoneità 
delle 
misure 
da 
adottare, precisando che 
“i 
dati 
sensibili 
idonei 
a 
rivelare 
lo 
stato 
di 
salute 
possono 
essere 
trattati 
soltanto 
mediante 
modalità organizzative 
quali 
tecniche 
di 
cifratura o criptatura che 
rendono 
non 
identificabile 
l’interessato. 
ne 
consegue 
-rilevano 
le 
Sezioni 
Unite 
-che 
i 
soggetti 
pubblici 
o le 
persone 
giuridiche 
private, anche 
quando 
agiscano 
rispettivamente 
in 
funzione 
della 
realizzazione 
di 
una 
finalità 
di 
pubblico 
interesse 
o in adempimento di 
un obbligo contrattuale, sono tenuti 
all’osservanza 
delle predette cautele nel trattamento dei dati in questione”. 

La 
legislazione 
italiana 
riserva 
una 
qualche 
attenzione 
ai 
profili 
concernenti 
la 
tutela 
dei 
dati 
relativi 
alla 
salute 
la 
cui 
acquisizione 
abbia 
luogo attraverso 
l’uso di nuove tecnologie. 


Un 
profilo 
particolare 
nel 
contesto 
dell’informatizzazione 
dei 
dati 
sanitari 
è 
quello riguardante 
il 
fascicolo sanitario elettronico, istituito dall’art. 12, d.l. 
179/2012. 

tale 
strumento informatico riunisce 
i 
dati 
e 
i 
documenti 
digitali 
o digitalizzati 
di tipo sanitario e socio sanitario, relativi al paziente. 


Esso 
è 
costantemente 
aggiornato 
ed 
è 
accessibile, 
oltre 
che 
all’interessato, 
al 
personale 
sanitario autorizzato, mentre 
è 
esclusa 
la 
possibilità 
di 
accesso a 
datori di lavoro, periti assicurativi e terzi in generale. 

Nonostante 
tali 
garanzie, l’inserimento dei 
dati 
all’interno del 
fascicolo 
sanitario elettronico è 
subordinato al 
consenso del 
paziente, il 
quale 
deve 
essere 
informato 
su 
chi 
ha 
accesso 
ai 
dati 
contenuti 
nel 
fascicolo 
e 
su 
come 
i 
dati stessi possano essere utilizzati. 

In mancanza 
di 
una 
abrogazione 
espressa 
dell’art. 12, è 
da 
ritenere 
che 
la 
disposizione 
concernente 
la 
preventiva, 
obbligatoria 
acquisizione 
del 
consenso 
sia tuttora vigente. 


Infatti, 
pur 
sancendo 
l’art. 
75 
del 
codice 
della 
privacy, 
nella 
sua 
nuova 
formulazione, 
che 
per 
il 
trattamento 
dei 
dati 
effettuati 
per 
finalità 
di 
cura 
e 
diagnosi 
non 
occorra 
più, 
in 
generale, 
come 
abbiamo 
visto, 
il 
consenso 
dell’interessato, 
conformemente 
a 
quanto 
previsto 
dall’art. 
9 
reg. 
2016/679, 
ciò 
non 
equivale 
al-
l’abrogazione 
tout 
court 
di 
quelle 
disposizioni 
legislative 
che 
prevedono 
il 
consenso 
dell’interessato, 
giacché 
proprio 
ai 
sensi 
della 
normativa 
europea 
è 
rimessa 
agli 
Stati 
membri 
la 
valutazione 
circa 
l’opportunità 
“di 
mantenere 
ulteriori 
condizioni, 
comprese 
limitazioni, 
con 
riguardo 
al 
trattamento 
di 
dati 
genetici, 
dati 
biometrici 
o 
dati 
relativi 
alla 
salute” 
(art. 
9, 
par. 
4, 
reg. 
Ue 
2016/679). 



LEGISLAzIoNE 
ED 
AttUALItà 


Il 
paziente, pertanto, dovrà 
prestare 
specifica 
adesione 
a 
questa 
speciale 
forma 
di 
medicina, non potendo il 
sanitario supporne 
la 
spontanea 
adesione 
dello stesso. 


Per quanto diffusa 
ed auspicata, infatti, la 
pratica 
della 
telemedicina 
non 
costituisce 
ancora 
un normale 
atto medico con la 
conseguenza 
che 
essa 
deve 
essere 
autorizzata 
distintamente 
dal 
paziente. La 
distinzione 
tra 
consenso informato 
prestato in relazione 
alla 
medicina 
tradizionale 
e 
a 
quella 
elettronica 
implica 
che 
il 
rifiuto della 
telemedicina 
non implichi 
pure 
il 
rifiuto delle 
cure 
mediche 
in 
genere. 
Se 
qualsiasi 
atto 
di 
telemedicina 
deve 
considerarsi 
atto 
medico, 
il 
paziente 
deve 
essere 
adeguatamente 
informato 
sulle 
caratteristiche 
del 
servizio, sui 
rischi 
collegati, ivi 
inclusi 
i 
ritardi 
nel 
trattamento dovuti 
a 
complicazioni 
della 
pianificazione 
della 
visita 
ospedaliera, 
sugli 
esiti 
attesi, 
su 
quelli 
probabili 
e 
su 
quelli 
possibili, 
sul 
funzionamento 
della 
telemedicina, 
sul 
personale 
che 
sarà 
presente 
nel 
corso dell’esame 
clinico, sui 
rischi 
per la 
riservatezza 
delle 
informazioni 
del 
paziente, comprese 
le 
politiche 
istituzionali 
riguardanti 
l’istruzione 
o la 
registrazione 
dell’incontro telemedico e 
le 
conseguenze 
del 
rifiuto. Per quanto essenziali, tali 
notizie 
possono essere 
incluse 
in 
un 
documento 
di 
consenso 
generale 
per 
la 
cura 
del 
paziente 
ovvero 
essere 
contenute 
in un documento separato, purché, ripetersi, il 
paziente 
riceva 
informazioni 
specifiche su quelle notizie. 


Perciò, si 
può affermare, che 
la 
situazione 
non cambia: 
il 
richiamo esplicito 
da 
parte 
del 
legislatore 
a 
questa 
nuova 
forma 
di 
modalità 
di 
erogazione 
della 
prestazione 
sanitaria 
comporta 
che 
per gli 
atti 
medici 
svolti 
in telemedicina 
varranno le stesse regole previste per la medicina “tradizionale”. 

Per quanto riguarda 
invece 
la 
casistica, seppure 
le 
segnalazioni 
negative 
e/o di 
problematiche 
sorte, è 
molto parca, non si 
può negare 
che 
l’erogazione 
di 
una 
prestazione 
in 
telemedicina 
possa 
presentare 
rischi 
specifici 
e 
certamente 
diversi 
rispetto a 
quelli 
tipicamente 
connessi 
alla 
medicina 
“tradizionale”. 


Il 
che 
non significa 
che 
la 
telemedicina 
sia 
più “pericolosa”, ma 
significa 
solo che i rischi possono essere “diversi” da quelli tradizionali. 


Quindi è necessario effettuare una specifica analisi di detti rischi. 


Con l’avvento della 
telemedicina 
si 
è 
ragionato su quali 
possibili 
scenari 
possano 
emergere 
e 
che, 
pertanto, 
tutti 
i 
medici 
dovrebbero 
avere 
presente 
per 
evitare 
di 
incorrere 
in 
responsabilità 
sanitaria 
derivante 
da 
un 
suo 
uso 
scorretto. 

Un primo scenario di 
“nuovi” 
contenziosi 
potrebbe 
riguardare 
l’opportunità 
del sanitario di ricorrere alla telemedicina. 


In particolare, si 
potrebbero profilare 
due 
casi 
di 
responsabilità 
sanitaria: 


-il 
medico fa 
colpevolmente 
ricorso alla 
telemedicina, o perché 
la 
patologia 
del 
paziente 
controllato 
(telecontrollo) 
o 
monitorato 
(telemonitoraggio) 
richiede 
un 
grado 
di 
controllo/monitoraggio 
maggiore 
rispetto 
a 
quello 
garantito 
dalla 
telemedicina 
(12), o perché 
il 
medico effettua 
una 
televisita 
in so

RASSEGNA 
AvvoCAtURA 
DELLo 
StAto -N. 4/2022 


stituzione 
di 
una 
visita 
in 
presenza 
che, 
attraverso 
un 
esame 
obiettivo 
completo 
(13), avrebbe consentito di rilevare una diversa e/o più grave patologia; 


-il 
medico ha 
colpevolmente 
omesso di 
far ricorso alla 
telemedicina, per 
esempio 
quando 
un 
telecontrollo/telemonitoraggio 
avrebbe 
potuto 
migliorare 
le 
condizioni 
di 
salute 
del 
paziente 
se 
affiancato 
al 
ricorso 
della 
medicina 
“tradizionale”. 
Il 
medico, in sostanza, è 
tenuto a 
valutare 
in quali 
situazioni 
e 
in che 
misura 
la 
telemedicina 
può 
essere 
impiegata 
in 
favore 
del 
paziente. 
Il 
fondamento 
della 
responsabilità, quindi, non sarebbe 
rinvenibile 
nelle 
modalità 
di 
erogazione 
della 
prestazione 
sanitaria, ma 
nella 
scelta 
stessa 
di 
ricorrere 
alla 
telemedicina. 


Questo 
è 
quanto 
accaduto 
per 
esempio 
nel 
risalente 
precedente 
giurisprudenziale 
in 
cui 
la 
Cassazione 
penale, 
con 
la 
sentenza 
n. 
9279 
del 
28 
marzo 
2003, 
ha 
deciso 
di 
condannare 
per 
omicidio 
colposo 
tre 
medici 
che 
avevano 
seguito 
un 
paziente 
per 
telefono, 
così 
omettendo 
la 
necessaria 
visita 
in 
presenza. 
E 
infatti, 
in 
questo 
noto 
caso 
giudiziario 
la 
condanna 
non 
scaturì 
dal 
contenuto 
della 
prestazione 
sanitaria, 
bensì 
dalla 
erronea 
scelta 
di 
prescrivere 
diagnosi 
e 
terapie 
senza 
prevedere 
la 
necessità 
di 
svolgere 
una 
visita 
in 
presenza. 


Al 
“nuovo” 
profilo 
di 
cui 
al 
punto 
precedente 
potrebbero 
aggiungersi 
anche 
gli 
atti 
di 
malpractice 
sanitaria 
derivanti 
dall’inosservanza 
dei 
requisiti 
richiesti 
dalla 
legge 
e/o dalle 
linee 
guida 
per l’erogazione 
di 
una 
prestazione 
in telemedicina. 


In questa 
diversa 
ipotesi, il 
paziente 
potrebbe 
contestare 
la 
modalità 
attraverso 
la 
quale 
la 
prestazione 
in telemedicina 
è 
stata 
erogata 
(14). Ciò potrebbe 
accadere, per esempio, nei casi in cui: 


-venga 
effettuato un telecontrollo (o un telemonitoraggio) senza 
garantire 
al 
paziente 
di 
essere 
visitato 
in 
presenza 
in 
un 
tempo 
congruo 
al 
suo 
quadro 
clinico (15); 
-il 
medico non riesca 
a 
rilevare 
durante 
una 
televisita 
una 
patologia 
a 
causa 
della 
impossibilità 
tecnica 
del 
paziente 
di 
fornire 
in tempo reale 
tutti 
i 
necessari 
dati 
clinici, referti 
medici, immagini, audio-video, requisito invece 
ritenuto indispensabile 
dalle 
citate 
“Indicazioni 
del 
Ministero della Salute 
del 
17 dicembre 2020” 
(16). 
È 
chiaro come 
in tali 
casi 
spetterà 
alla 
struttura 
provare 
di 
non avere 
responsabilità 
per 
i 
danni 
subiti 
dal 
paziente, 
per 
cui 
sarà 
fondamentale 
disporre 


(12) Ad esempio ricovero in struttura. 
(13) tradizionalmente composto da ispezione, palpazione, percussione e auscultazione. 
(14) Non il ricorso stesso alla telemedicina come nel caso precedente. 
(15) Come richiesto dalle citate “Indicazioni del Ministero della Salute del 17 dicembre 2020”. 
(16) Sul 
punto si 
precisa 
che, secondo le 
nuove 
linee 
di 
indirizzo, in caso di 
difficoltà 
nell’esecuzione 
della 
prestazione 
per qualunque 
motivo tecnico legato alle 
condizioni 
riscontrate 
del 
paziente, il 
sanitario dovrà riprogrammare la prestazione in presenza. 

LEGISLAzIoNE 
ED 
AttUALItà 


di 
idonea 
documentazione, 
anche 
videoregistrata, 
della 
corretta 
esecuzione 
della prestazione. 


In 
terzo 
luogo, 
è 
pacifico 
che 
la 
prestazione 
sanitaria 
in 
telemedicina 
debba 
rispettare 
gli 
stessi 
requisiti 
previsti 
per la 
“medicina tradizionale” 
in 
materia 
di 
consenso 
informato 
in 
conformità 
ai 
requisiti 
introdotti 
dalla 
Legge 
Gelli. 


Ciò implica 
che 
il 
sanitario dovrà 
specificare 
nel 
modulo di 
consenso informato, 
oltre 
alle 
informazioni 
indicate 
nell’ambito 
delle 
attività 
svolte 
in 
presenza, anche 
quelle 
più specificamente 
connesse 
all’erogazione 
della 
prestazione 
sanitaria da remoto. 


La 
mancanza 
di 
tali 
ulteriori 
informazioni 
potrebbe 
dunque 
comportare 
una 
responsabilità 
per violazione 
della 
disciplina 
in materia 
di 
consenso informato 
ed esporre il professionista al risarcimento dei danni. 


tra 
queste 
informazioni 
possiamo certamente 
annoverare 
quelle 
ritenute 
indispensabili 
dalle 
citate 
“Indicazioni 
del 
Ministero 
della 
Salute 
del 
17 
dicembre 
2020” e, quindi, la circostanza che: 


-l’intervento tenuto in via 
telematica 
si 
potrebbe 
interrompere 
a 
causa 
di 
blackout, blocchi di sistema o instabilità della linea internet; 
-i 
dati 
del 
paziente 
potrebbero essere 
esposti 
a 
ulteriori 
e 
diversi 
rischi 
di 
riservatezza; 
-in caso di 
rifiuto della 
prestazione 
in telemedicina, il 
paziente 
potrebbe 
correre 
dei 
rischi 
a 
causa 
dell’attesa 
dei 
tempi 
di 
programmazione 
per una 
visita 
in presenza. 
Infine, 
un’altra 
possibile 
causa 
di 
contenzioso 
correlata 
alla 
telemedicina 
potrebbe 
riguardare 
il 
riparto 
delle 
responsabilità 
tra 
i 
diversi 
soggetti 
coinvolti 
nella erogazione della prestazione sanitaria in telemedicina. 

E 
infatti 
la 
telemedicina 
implica 
che 
la 
prestazione 
sanitaria 
del 
medico 
venga 
filtrata 
attraverso l’uso di 
dispositivi 
digitali, rete 
internet, software 
e 
sistemi 
di 
comunicazione. 
Il 
ruolo 
nella 
telemedicina 
del 
proprietario 
delle 
tecnologie 
è 
stato codificato per la 
prima 
volta 
nelle 
già 
citate 
Linee 
Guida 
Nazionali 
del 
Ministero 
della 
Salute 
del 
10 
luglio 
2012 
che 
gli 
hanno 
attribuito 
il 
ruolo 
di 
“Centro 
Servizi”. 
Si 
tratta 
di 
“una 
struttura 
che 
ha 
le 
funzioni 
di 
gestione 
e 
manutenzione 
di 
un sistema informativo, attraverso il 
quale 
il 
Centro 
Erogatore 
svolge 
la prestazione 
in Telemedicina, la installazione 
e 
manutenzione 
degli 
strumenti 
nei 
siti 
remoti 
(casa 
del 
paziente 
o 
siti 
appositamente 
predisposti), 
la 
fornitura, 
gestione 
e 
manutenzione 
dei 
mezzi 
di 
comunicazione 
(compresa 
la 
gestione 
dei 
messaggi 
di 
allerta) 
tra 
pazienti 
e 
medici 
o 
altri 
operatori 
sanitari, l’addestramento di 
pazienti 
e 
familiari 
all’uso degli 
strumenti). 
Di 
minima, esemplificando, il 
Centro Servizi 
gestisce 
le 
informazioni 
sanitarie 
generate 
dall’Utente 
che 
devono 
pervenire 
al 
Centro 
Erogatore 
della 
prestazione 
sanitaria, 
e 
gli 
esiti 
della 
prestazione 
che 
devono 
essere 
trasmessi 
dal Centro Erogatore all’Utente” (17). 



RASSEGNA 
AvvoCAtURA 
DELLo 
StAto -N. 4/2022 


Le 
stesse 
Indicazioni 
chiariscono 
in 
tema 
di 
responsabilità 
il 
seguente 
principio: 


“Il 
Centro 
Servizi 
non 
interviene 
a 
livello 
di 
responsabilità 
clinica, 
risponde 
al 
Centro 
Erogatore 
per 
quanto 
riguarda 
lo 
svolgimento 
efficace 
di 
tutti 
i 
suoi 
compiti, in particolare 
per 
gli 
aspetti 
di 
integrità e 
sicurezza delle 
informazioni sanitarie trasmesse durante le attività di Telemedicina”. 


Di 
conseguenza, 
nella 
telemedicina 
la 
responsabilità 
professionale 
(i.e. 
clinica) 
rimane 
in 
capo 
alla 
struttura 
sanitaria 
e 
non 
si 
trasferisce 
al 
Centro 
Servizi. 


tuttavia, vi è un’eccezione. 


Come 
chiarito 
dalla 
Cassazione 
(18) 
il 
Centro 
servizi 
potrebbe 
rispondere 
qualora 
il 
servizio fornito, anche 
se 
non qualificato come 
atto sanitario, risulti 
pur sempre una prestazione sanitaria ai sensi delle normative vigenti. 

tale 
accertamento 
sarà 
di 
competenza 
dell’Autorità 
Giudiziaria, 
la 
quale, 
nel 
caso 
ritenga 
il 
servizio 
una 
prestazione 
sanitaria, 
riterrebbe 
inevitabilmente 
configurata 
la 
contravvenzione 
sanzionata 
dal 
R.D. n. 1265 del 
1934, art. 193 
per assenza 
della 
prescritta 
autorizzazione 
sanitaria. Ai 
fini 
della 
responsabilità, 
dunque, sarà 
dirimente 
per la 
Struttura 
sanitaria 
e 
il 
Centro servizi 
assicurarsi 
che 
il 
servizio 
da 
quest’ultimo 
erogato 
non 
abbia 
le 
caratteristiche 
dell’atto medico. 


Se 
è 
vero che 
la 
responsabilità 
professionale 
(al 
netto della 
eccezione 
indicata) 
non si 
trasferisce 
al 
Centro servizi, è 
altrettanto vero che 
il 
Centro servizi 
risponde 
(nei 
confronti 
della 
struttura 
sanitaria 
e 
del 
paziente) dei 
danni 
derivanti 
da 
un difetto della 
tecnologia 
e/o, più in generale, da 
un malfunzionamento 
del 
servizio (es. si 
pensi 
al 
caso in cui 
il 
software 
utilizzato dal 
paziente 
elabori 
la 
pressione 
o 
la 
glicemia 
in 
modo 
errato, 
ovvero 
ritardi 
la 
trasmissione 
dei 
dati 
al 
punto tale 
da 
far scaturire 
un ritardo diagnostico o di 
trattamento). In questo caso, qualora 
il 
danno sia 
imputabile 
al 
prodotto e/o 
servizio fornito dal Centro servizi, il paziente potrà chiedere i danni: 


-al 
Centro servizi 
direttamente 
a 
titolo di 
responsabilità 
del 
“produttore” 
come 
regolata 
dal 
Codice 
del 
Consumo per aver fornito un prodotto/servizio 
difettoso (Cfr. Cass. n. 3258/2016); 
-alla 
struttura 
sanitaria 
a 
titolo di 
responsabilità 
professionale 
per essersi 
avvalsa 
nell’erogazione 
della 
prestazione 
in 
telemedicina 
di 
una 
tecnologia 
malfunzionante 
e/o difettosa, fermo restando il 
diritto di 
quest’ultima 
di 
rivalersi 
nei 
confronti 
del 
Centro servizi 
per avergli 
fornito un prodotto/servizio 
che ha arrecato danni ai propri pazienti. 
Il 
principale 
vantaggio 
della 
sanità 
digitale 
è 
la 
possibilità 
di 
garantire 
un’interconnessione 
completa, 
non 
più 
legata 
al 
luogo 
di 
una 
struttura 
o 
agli 


(17) Definizione ministeriale. 
(18) Cass. Pen., sez. III, sent. n. 38485 del 17 settembre 2019. 

LEGISLAzIoNE 
ED 
AttUALItà 


orari 
in 
cui 
è 
possibile 
prenotare 
una 
visita 
medica. 
Al 
contrario, 
la 
notevole 
espansione 
delle 
soluzioni 
per 
la 
telemedicina 
e 
la 
nascita 
di 
soluzioni 
innovative, 
hanno 
portato 
ad 
una 
partecipazione 
informata 
da 
parte 
dei 
pazienti 
e 
ha 
incrementato 
il 
loro 
benessere 
personale. 
Inoltre, 
si 
sta 
ampliando 
l’interesse 
generale 
dei 
sistemi 
sanitari 
per 
velocizzare 
il 
processo 
di 
digitalizzazione. 


Così 
facendo si 
ottiene 
un duplice 
vantaggio non indifferente: 
vengono 
ridotti 
i 
costi 
effettivi 
delle 
cure 
e, 
contemporaneamente, 
si 
garantisce 
una 
maggior accuratezza 
di 
diagnosi 
e 
procedure. Ma 
non solo, poter avere 
a 
disposizione 
dei 
medici 
con cui 
consultarsi 
e 
mettere 
a 
disposizione 
su un network 
i 
propri 
servizi 
a 
favore 
dei 
pazienti, 
permette 
la 
prevenzione 
di 
condizioni 
mediche 
gravi 
e 
un adeguato supporto alla 
gestione 
delle 
loro patologie. 


I servizi principali della sanità digitale sono: 


-la 
telemedicina. Il 
settore 
della 
telemedicina 
permette 
a 
strutture 
e 
medici 
di 
comunicare 
facilmente 
sia 
con 
pazienti 
che 
con 
altri 
professionisti 
senza 
essere 
presenti 
fisicamente, ottimizzando tempi 
e 
risorse. trattandosi 
di 
dati 
sensibili 
si 
entra 
in un contesto molto spinoso, in quanto va 
garantita 
ad ogni 
livello 
e 
settore 
la 
privacy 
di 
ogni 
paziente. 
Perciò 
è 
importante 
che 
le 
aziende 
creino delle 
policy 
corredate 
di 
procedure 
per il 
consenso, in linea 
con le 
normative 
giuridiche. 
Inoltre, 
in 
questo 
particolare 
ambito, 
tendenzialmente 
si 
utilizzano dei 
servizi 
in cloud 
per conservare 
i 
dati 
sanitari. Quindi 
è 
molto 
importante 
essere 
ben 
aggiornati 
sugli 
standard 
di 
riservatezza 
che 
le 
informative 
privacy 
impongono; 
-la 
cartella 
clinica 
elettronica, o fascicolo elettronico (FSE). La 
cartella 
clinica 
elettronica 
è 
uno strumento molto utile 
per contenere 
lo storico della 
vita 
sanitaria 
dei 
pazienti 
interessati. 
Il 
trasferimento 
dei 
dati 
tra 
pazienti 
e 
professionisti 
sanitari 
è 
così 
agevolato 
dagli 
strumenti 
digitali 
disponibili. 
Naturalmente 
anche 
in questo ambito è 
molto importante 
la 
questione 
legata 
alla 
privacy. 
Il 
continuo 
sviluppo 
del 
significato 
di 
privacy 
e 
protezione 
di 
dati 
personali 
nonché 
della 
tutela 
stessa 
è 
causato 
proprio 
dall’evoluzione 
della 
tecnologia. È 
quindi 
indispensabile 
stabilire 
in principio chi 
ha 
i 
permessi 
per 
consultare i quadri clinici; 
-la 
ricetta 
elettronica. Il 
concetto di 
ricetta 
elettronica 
è 
un concetto rivoluzionario 
e 
fondamentale 
per snellire 
le 
attività 
rese 
all’interno degli 
ambulatori, 
anche 
se 
non sarà 
un’abitudine 
semplice 
da 
accettare 
per i 
cittadini 
italiani 
legati 
alle 
vecchie 
ricette 
cartacee. 
Con 
la 
ricetta 
elettronica 
si 
evita 
prima 
di 
tutto l’errore 
frequente 
che 
si 
verifica 
nel 
momento in cui 
vengono 
prescritti 
i 
farmaci. Spesso, infatti, è 
il 
farmacista 
a 
dover avere 
la 
capacità 
di 
interpretare 
la 
scrittura 
del 
medico di 
base 
per riuscire 
a 
capire 
di 
quale 
farmaco 
il 
paziente 
ha 
bisogno. Un altro vantaggio è 
legato al 
fatto che 
la 
ricetta 
elettronica 
permette 
allo Stato un controllo maggiore 
e 
un risparmio sui 
costi, 
dal 
momento che 
la 
ricetta 
elettronica 
costa 
molto meno rispetto a 
quella 
tra

RASSEGNA 
AvvoCAtURA 
DELLo 
StAto -N. 4/2022 


dizionale 
che 
va 
stampata. In ultima 
analisi, la 
ricetta 
elettronica 
permette 
di 
semplificare 
le 
operazioni 
di 
farmacovigilanza 
e 
di 
controllo 
effettuate, 
ad 
esempio, dalle 
ASL 
italiane. La 
legge, infatti, prevede 
che 
tutte 
le 
ricette 
prodotte 
e consegnate nelle strutture sanitarie debbano essere controllate. 


È 
ormai 
evidente 
che 
gli 
strumenti 
della 
sanità 
digitale 
che 
ci 
coinvolgono 
apportano 
dei 
sostanziali 
benefici 
sull’intero 
sistema 
sanitario 
e 
che 
la 
direzione 
intrapresa 
dalle 
principali 
strutture 
sanitarie 
sia 
quella 
di 
garantire 
massima 
affidabilità, 
puntualità 
e 
sicurezza. 
La 
sanità 
moderna 
non 
può 
più 
limitarsi 
al-
l’assicurare 
le 
cure 
necessarie 
durante 
le 
emergenze. 
Anche 
perché 
molto 
spesso 
i 
problemi 
sono 
aggravati 
da 
lunghe 
attese 
o 
da 
una 
comunicazione 
gestita 
male. 
Perciò 
nasce 
l’esigenza 
di 
affidarsi 
a 
soluzioni 
di 
sanità 
digitale. 


Si 
è 
parlato 
anche 
di 
“telenegligenza”. 
Senza 
dubbio 
è 
veritiero 
che 
una 
prestazione 
erogata 
in 
telemedicina 
ha 
lo 
stesso 
valore 
di 
una 
prestazione 
erogata 
in 
presenza, 
e 
che 
alle 
attività 
svolte 
in 
telemedicina 
si 
applicano 
tutte 
le 
disposizioni 
-normative 
e 
deontologiche 
-applicabili 
delle 
professioni 
sanitarie; 
ma 
d’altra 
parte 
è 
vero 
che 
la 
telemedicina 
può 
porre 
problemi, 
come 
già 
anticipato 
precedentemente, 
inediti 
sotto 
il 
profilo 
della 
malpractice 
medica. 


Come 
ci 
ricorda 
l’Istituto 
Superiore 
di 
Sanità, 
agire 
in 
telemedicina 
significa 
assumersene 
piena 
responsabilità 
professionale, anche 
in ordine 
alla 
corretta gestione delle limitazioni dovute alla distanza fisica. 


Ad esempio, è 
raccomandabile 
utilizzare 
dispositivi 
medici 
di 
una 
particolare 
classe 
per la 
televisita 
(19), perché 
solo così 
viene 
assicurato il 
trasferimento 
in 
tempo 
reale 
di 
immagini 
video 
e 
audio, 
mentre 
è 
meno 
sicuro 
l’uso 
di strumenti digitali presenti al domicilio del paziente. 


Un 
primo 
spunto 
di 
riflessione 
in 
tema 
di 
compatibilità 
della 
telemedicina 
con il 
quadro normativo generale 
lo si 
può rinvenire 
nel 
riferimento alla 
forza 
espansiva 
del 
Codice 
dell’Amministrazione 
digitale, laddove, all’art. 9, è 
stabilito 
che 
“le 
amministrazioni 
pubbliche 
favoriscono ogni 
forma di 
uso delle 
nuove 
tecnologie 
per 
promuovere 
una maggiore 
partecipazione 
dei 
cittadini, 
anche 
residenti 
all’estero, 
al 
processo 
democratico 
e 
per 
facilitare 
l’esercizio 
dei 
diritti 
politici 
e 
civili 
e 
migliorare 
la qualità dei 
propri 
atti”. Poiché 
tra 
le 
amministrazioni 
pubbliche 
rientrano 
anche 
le 
amministrazioni 
che 
costituiscono 
il 
Servizio sanitario nazionale, ne 
discende 
la 
piena 
applicabilità, nel-
l’ambito 
sanitario, 
dei 
principi 
affermati 
nel 
CAD, 
ferme 
restando 
le 
attribuzioni 
previste 
in tema 
di 
tutela 
della 
salute 
dall’art. 117 Cost. e 
le 
disposizioni 
che disciplinano la riservatezza e la protezione dei dati sensibili. 

Con 
riguardo 
al 
profilo 
concernente 
la 
responsabilità 
nelle 
sue 
diverse 
articolazioni, 
civile, penale, amministrativa 
e 
all’approntamento di 
un contesto 
tale 
da 
definirne 
con esattezza 
gli 
ambiti, è 
bene 
preliminarmente 
chiarire 
che 
essendo il 
servizio di 
telemedicina 
assimilabile 
a 
qualunque 
servizio sanitario 


(19) La classe “2-a”. 

LEGISLAzIoNE 
ED 
AttUALItà 


diagnostico-terapeutico, la 
prestazione 
in telemedicina 
non sostituisce 
la 
prestazione 
sanitaria 
tradizionale 
che 
si 
ha 
nel 
rapporto 
personale 
medico 
-paziente, 
ma 
integra 
quest’ultima 
per 
migliorarne 
l’efficacia, 
l’efficienza 
e 
l’appropriatezza. 

Questa 
annotazione, ai 
fini 
dell’accertamento delle 
responsabilità 
in ambito 
sanitario in un contesto caratterizzato dall’utilizzo della 
tecnologia 
informatica 
e 
telematica 
per 
l’assistenza 
e 
la 
cura 
dei 
pazienti, 
va 
tenuta 
costantemente 
presente 
in 
quanto 
la 
prestazione 
sanitaria 
mediata 
da 
Information 
and communication technology 
(ICt) è 
da 
ritenere 
assimilata 
alla 
prestazione 
erogata 
secondo 
le 
forme 
cosiddette 
tradizionali, 
avendo 
essa 
il 
fine 
precipuo 
di 
migliorare 
la 
qualità 
e 
l’appropriatezza 
delle 
cure 
complessivamente 
erogate dal sistema sanitario. 

In 
conclusione, 
si 
può 
affermare 
come 
la 
diffusione 
delle 
procedure 
e 
delle 
piattaforme 
digitali 
possa 
svolgere 
un ruolo chiave 
nella 
elaborazione 
di 
nuovi modelli di cura e di assistenza sanitaria. 


Permangono 
diverse 
problematiche 
applicative, 
cui 
abbiamo 
fatto 
cenno, 
soprattutto 
di 
compatibilità 
con 
i 
tradizionali 
contesti 
normativi 
e 
amministrativi. 


Il 
superamento di 
tali 
problematiche 
non può essere 
rimesso a 
interventi 
limitati 
ed episodici 
ma 
esige 
l’approntamento di 
un sistema 
organico per la 
sanità 
digitale 
in 
grado 
di 
fornire 
garanzia 
agli 
operatori 
e 
ai 
pazienti, 
fissando 
con chiarezza gli ambiti di responsabilità. 


RASSEGNA 
AvvoCAtURA 
DELLo 
StAto -N. 4/2022 


L’ornitorinco del diritto costituzionale ovvero l’esercizio 
di stile nella tassonomia delle forme di governo 


Fabio Ratto Trabucco* 


l’articolo svolge 
una puntuale 
critica sul 
tema dell’eccesso ripartitorio 
dei 
sistemi 
di 
governo, 
riprendendo 
il 
caso 
della 
vicenda 
tassonomica 
dell’ornitorinco 
nell’ambito 
delle 
scienze 
umane. 
Attesa 
l’inesportabilità 
ovvero 
travaso 
delle 
forme 
di 
governo da un Paese 
all’altro, l’esercizio ozioso e 
vano 
della classificazione 
dei 
sistemi 
degli 
esecutivi 
non giova all’ingegneria costituzionale. 
Al 
contrario, l’analisi 
di 
ogni 
singola forma, quale 
calata in un 
determinato Paese, nel 
suo contesto evolutivo storico-politico-sociologico, è 
quanto mai 
utile 
per 
comprenderne 
vantaggi 
e 
limiti. l’utopia dell’idealtipo 
di governo cozza quindi con i vari archetipi dei sistemi qua e là esistenti ed i 
fiumi 
d’inchiostro dedicati 
alla loro classificazione 
appaiono perciò del 
tutto 
fini 
a sé 
stessi, alla stregua di 
una mera sterile 
speculazione 
dogmatica. Il 
diritto 
costituzionale 
non 
necessita, 
né 
tantomeno 
merita, 
perciò, 
un 
proprio 
ornitorinco 
da dissezionare in un campo di battaglia fra scienziati. 


Parliamoci 
chiaro: 
la 
partizione 
delle 
forme 
ovvero sistemi 
di 
governo é 
un 
mero 
esercizio 
di 
stile 
fine 
a 
se 
stesso 
caro 
ai 
costituzionalisti 
di 
lungo 
corso 
ed 
alto 
lignaggio. 
Non 
è 
certo 
questa 
la 
sede 
per 
un 
contributo 
del 
tutto 
estemporaneo 
e 
forse 
anche 
dissacratore 
di 
quella 
tradizione 
dottrinale 
che 
si 
occupa 
di 
comparazione 
con 
metodo 
universalizzante 
ma 
si 
reputa 
opportuno 
svolgere 
una libera critica in tema di catalogazione delle forme di governo. 


L’applicazione 
della 
disciplina 
tassonomica 
-da 
τάξις/tàxis, 
ordinamento 
e 
νόμος/nòmos, 
norma 
-alle 
forme 
di 
governo, 
in 
luogo 
delle 
classiche 
scienze 
naturali 
con 
la 
nota 
tassonomia 
biologica, 
costituisce 
la 
volontà 
di 
operare 
una 
classificazione gerarchica di elementi dell’ingegneria costituzionale. 


Infatti, 
da 
oltre 
un 
secolo 
la 
dottrina 
dei 
settori 
giuspubblicistico 
nonché 
politologico 
s’é 
variamente 
sforzata 
di 
trovare 
un 
punto 
d’equilibrio 
comune 
per 
riordinare 
in 
partizioni 
unanimemente 
accettate 
le 
forme 
degli 
esecutivi 
esistenti 
al 
mondo. 
L’obiettivo 
sarebbe 
anche 
quello 
di 
tendere 
ad 
una 
forma 
di 
governo 
ideale 
per 
l’architettura 
costituzionale 
del 
singolo 
Paese 
preso 
in 
esame. 


orbene, 
gli 
esiti 
sono 
stati 
del 
tutto 
vani. 
Basti 
al 
riguardo 
evocare 
il 
caso 
della 
negletta 
forma 
di 
governo semipresidenziale: 
da 
Duverger (1) a 
Frison-
Roche 
(2) 
all’estero, 
da 
Biscaretti 
di 
Ruffìa 
(3) 
a 
volpi 
(4) 
in 
Italia, 
hanno 


(*) Professore a contratto in Istituzioni di diritto pubblico nell’Università di Padova. 


(1) Cfr. M. DUvERGER, le 
système 
politique 
française, XX, Paris, PUF, 1990, 527 ed ID., Échec 
au roi, Paris, Albin-Michel, 1978, 33, 122. 

LEGISLAzIoNE 
ED 
AttUALItà 


escogitato innumerevoli 
soluzioni 
modellistiche 
applicative, ma 
gli 
esiti 
appaiono 
non collimanti, se 
non financo contrapposti 
se 
pensiamo alle 
posizioni 
antitetiche al riguardo di Duverger e 
volpi. 

Anche 
la 
stessa 
classificazione 
tassonomica 
della 
forma 
di 
governo italiana 
proposta 
dall’Elia 
(5) é 
stata 
abilmente 
revocata 
in dubbio dal 
Luciani 
per il 
quale, più che 
di 
mutazioni 
del 
nostro sistema, si 
dovrebbe 
parlare 
della 
mera 
evoluzione 
del 
suo funzionamento (6): 
dunque 
la 
necessità 
di 
una 
“nontassonomia” 
delle 
forme 
di 
governo che 
ne 
distingua 
nettamente 
la 
struttura 
ed il funzionamento (7). 


Ne 
appare 
un tema 
piuttosto stantio e 
che 
per l’effetto appare 
sommessamente 
immeritevole 
d’ulteriori 
arzigogolate 
disquisizioni 
da 
parte 
della 
più 
attenta 
dottrina 
d’approccio 
metodologico 
sistemico 
e 
comparato 
e 
questo 
senza 
cadere 
nell’autocontraddizione 
della 
tesi 
critica 
qui 
esposta 
non 
certo 
dal Mortati “redivivo e pentito”. 


Sotto 
altro 
profilo, 
il 
tentativo 
di 
procedere 
a 
qualsiasi 
costo 
ad 
una 
classificazione 
rischia 
spesso 
di 
produrre 
dispute 
che 
poi 
si 
rivelano 
meramente 
nominalistiche. 
Ed 
un 
caso 
emblematico 
è 
rappresentato 
proprio 
dalle 
partizioni 
delle 
forme 
di 
governo, 
elaborate 
da 
costituzionalisti 
e 
politologi 
sotto 
forma 
di 
numerosissime 
varianti 
(8). 
Del 
resto, 
al 
fine 
di 
una 
corretta 
comprensione 
delle 
forme 
di 
governo, 
fare 
riferimento 
non 
solo 
ai 
dati 
formali, 
che 
in 
ogni 
caso 
devono 
essere 
individuati 
in 
modo 
corretto, 
distinguendo 
quelli 
«essenziali» 
da 
quelli 
«marginali», 
ma 
anche 
a 
quelli 
che 
emergono 
dall’effettività 
(9). 


Del 
resto, la 
necessità 
di 
classificare 
ed assegnare 
un nome 
agli 
oggetti 
sconosciuti 
non è 
certamente 
una 
prerogativa 
del 
solo diritto costituzionale, 
ma 
si 
può rintracciare 
in qualunque 
campo del 
sapere, dalle 
scienze 
sociali 
a 
quelle della natura. 


(2) Cfr. F. FRISoN-RoChE, le 
“modèle 
semi-présidentiel” 
comme 
instrument 
de 
la transition en 
Europe post-communiste, Bruxelles, Bruylant, 2005, 283. 
(3) Cfr. P. BISCAREttI 
DI 
RUFFìA, Diritto costituzionale, Napoli, Jovene, 1989, 212-213. 
(4) Cfr. M. voLPI, Esiste 
una forma di 
governo semipresidenziale?, in 
L. PEGoRARo, A. RINELLA 
(cur.), Semipresidenzialismi, Padova, Cedam, 1997, 25 ss. e 
ID., Sulla classificazione 
delle 
forme 
di 
governo 
proposta da Duverger, in A. BALDASSARRE, G. RoSSI 
(cur.), le 
istituzioni 
costituzionali 
in Italia. 
Il 
dubbio della riforma. Colloquio con Maurice 
Duverger, Roma, Autonomie, 1986, 39 ss., 99. Da 
ultimo, 
M. voLPI, Il semipresidenzialismo tra teoria e realtà, Bologna, Bononia University Press, 2014. 
(5) Cfr. L. ELIA, Governo (forme 
di) 
(voce), in «Enc. Dir.», XIX, Milano, Giuffré, 1970, 634 ss., 
su cui 
R. NANIA, Forma di 
governo e 
sistema dei 
partiti: rileggendo leopoldo Elia, in «Nomos», 2014, 
1-8. 
(6) Cfr. M. LUCIANI, Governo (forme 
di) 
(voce), in «Enc. Dir.», Annali 
III, Milano, Giuffré, 2010, 
538. 
(7) Ibid. 
(8) Cfr. L. PEGoRARo, Forme 
di 
governo, definizioni, classificazioni 
(con particolare 
riferimento 
alla forma di 
governo semipresidenziale), in 
AA.vv., Studi 
in onore 
di 
leopoldo Elia, Milano, Giuffré, 
1999, II, 1216-1230 e 
R. tARChI, la classificazione 
delle 
forme 
di 
governo. Il 
difficile 
passaggio dal 
catalogo al sistema, Pisa, s.n., 1989. 
(9) Cfr. P. CIARLo, Il 
presidenzialismo regional 
style, in «Quaderni 
costituzionali», 2001, 1, 133. 

RASSEGNA 
AvvoCAtURA 
DELLo 
StAto -N. 4/2022 


Ma 
a 
ben 
vedere, 
l’esercizio 
classificatorio 
non 
é 
certo 
prerogativa 
dei 
sistemi 
di 
governo. Nell’ambito delle 
scienze 
animali 
è 
nota 
la 
vicenda 
tassonomica 
dell’ornitorinco, 
l’animale 
scoperto 
in 
Australia 
a 
fine 
Settecento, 
che 
presentava 
caratteristiche 
anatomiche 
tali 
per cui 
risultava 
impossibile 
incasellarlo 
nelle 
categorie 
sino ad allora 
elaborate. Nacquero dispute 
infinite 
tra 
i 
naturalisti 
e 
furono necessari 
più di 
ottant’anni 
di 
disquisizioni, non senza 
duri 
contrasti 
tra 
scuole 
di 
pensiero differenti, per giungere 
alla 
conclusione 
che 
l’ornitorinco 
è 
un 
mammifero 
che 
depone 
le 
uova 
(l’unico 
insieme 
all’echidna 
o 
formichiere 
spinoso, 
anch’essa 
d’esclusiva 
stanza 
australiana) 
(10). 

Se 
è 
vero che, talvolta, le 
classificazioni 
mostrano con evidenza 
intenti 
di 
carattere 
meramente 
descrittivo ed autoreferenziale, più spesso le 
tipizzazioni 
delle 
forme 
di 
governo non ambiscono a 
tali 
usi, ma 
contribuiscono al 
dibattito 
sulle 
riforme 
istituzionali, 
alimentando 
le 
infinite 
discussioni 
sulla 
ricerca 
della 
migliore 
forma 
di 
governo. 
La 
modellistica 
delle 
forme 
di 
governo 
è, infatti, strettamente 
funzionale 
all’ingegneria 
costituzionale 
giacché 
ogni 
modello contiene 
al 
suo interno una 
soluzione 
normativa 
adatta 
al 
contesto 
politico-partitico da analizzare. 


Al 
limite, per evitare 
degenerazioni 
concettuali 
si 
potrebbe 
anche 
eliminare 
il 
male 
alla 
radice 
e 
sostenere 
-come 
del 
resto 
è 
stato 
fatto 
-che 
nel 
diritto 
costituzionale 
e, in particolare 
nel 
campo dei 
sistemi 
di 
governo, le 
classificazioni 
non 
abbiano 
nessun 
senso 
e 
si 
fondano 
sul 
presupposto, 
del 
tutto 
assurdo, 
che 
le 
forme 
di 
governo teoriche 
siano altrettante 
entità 
reali 
ed in ogni 
caso 
servano solo come 
supporto argomentativo in caso di 
dubbio sul 
reale 
funzionamento 
delle istituzioni. 


Del 
resto, per capire 
se 
la 
classificazione 
delle 
forme 
di 
governo presenti 
una 
qualche 
utilità 
è 
necessario 
porsi 
alcuni 
quesiti 
(11). 
In 
primo 
luogo 
si 
tratta 
di 
verificare 
se, 
una 
volta 
definiti, 
per 
esempio, 
i 
caratteri 
distintivi 
della 
forma 
di 
governo parlamentare 
e 
di 
quella 
presidenziale 
(separazione 
rigida 
dei 
poteri 
nel 
secondo caso, separazione 
souple 
nel 
primo) risulta 
una 
griglia 
teorica 
in grado di 
includere 
o escludere 
nella 
categoria 
così 
costruita 
le 
esperienze 
concrete. 
La 
risposta 
non 
può 
che 
essere 
negativa, 
in 
quanto 
se 
andiamo 
ad 
analizzare 
l’esperienza 
presidenziale 
statunitense 
vediamo 
che 
quella 
forma 
di 
governo 
presenta 
tutta 
una 
serie 
di 
elementi 
istituzionali 
(veto 
presidenziale 
sulle 
leggi, partecipazione 
del 
Senato per le 
nomine 
governative 
più importanti, 
etc.) che 
attenuano di 
molto il 
carattere 
rigido della 
separazione 
dei 
poteri. 
ovvio 
che 
la 
dottrina 
“corra 
ai 
ripari” 
individuando 
altri 
criteri 
per 
la 
distinzione 
tra 
forme 
di 
governo presidenziali 
e 
parlamentari, in primo luogo 
l’elezione 
diretta 
del 
Capo dello Stato nel 
primo caso, il 
rapporto fiduciario 


(10) Cfr. U. ECo, 
Kant e l’ornitorinco, Milano, Bompiani, 1999, 208 ss. 
(11) Cfr. M. tRoPER, les 
classifications 
en droit 
constitutionnel, in «Revue 
de 
droit 
public 
et 
de 
la science politique», 1989, 4, 945 ss. 

LEGISLAzIoNE 
ED 
AttUALItà 


tra 
Governo e 
Parlamento nel 
secondo. Anche 
in questa 
prospettiva, però, è 
facile 
cadere 
in numerose 
contraddizioni 
logiche. Per esempio, bisognerebbe 
dimostrare 
(cosa 
in realtà 
impossibile) che 
siano proprio i 
criteri 
individuati 
dal 
costituzionalista 
quelli 
che 
fanno funzionare 
una 
forma 
di 
governo in tal 
modo. Paradossalmente 
la 
classificazione 
così 
ottenuta 
non si 
distinguerebbe 
in nulla 
da 
quella 
che 
prendesse 
in considerazione 
le 
forme 
di 
governo nelle 
quali, per esempio, il 
Capo dello Stato è 
un uomo o una 
donna 
o quelle 
nelle 
quali 
la 
Costituzione 
è 
scritta 
o meno. Ancora, dal 
punto di 
vista 
scientifico la 
classificazione 
delle 
forme 
di 
governo non ha 
nessuna 
utilità 
perché 
una 
volta 
costruita 
una 
determinata 
tipologia 
bisognerebbe 
arrivare 
alla 
conclusione 
che 
tutte 
le 
forme 
di 
governo che 
presentano caratteristiche 
istituzionali 
identiche 
funzionano 
allo 
stesso 
modo, 
affermazione 
non 
difficilmente 
falsificabile 
(12). 

Al 
contrario, 
non 
manca 
chi 
cerca 
di 
dimostrare 
che 
la 
classificazione 
delle 
forme 
di 
governo ha 
ancora 
oggi 
un senso, in quanto alla 
contrapposizione 
tra 
la 
forma 
di 
governo 
parlamentare 
e 
quella 
presidenziale 
sarebbe 
possibile 
individuare 
delle 
vere 
e 
proprie 
logiche 
di 
funzionamento che, ancorate 
a 
precise 
argomentazioni 
di 
ordine 
storico, consentirebbero il 
mantenimento 
della tipologia classificatoria classica (13). 

In 
questo 
modo, 
in 
realtà, 
si 
entra 
in 
un 
circolo 
vizioso 
dal 
quale 
non 
sembra 
facile 
uscire. 
Negare 
che 
le 
classificazioni 
detengano 
una 
qualche 
funzione 
potrebbe 
anche 
rappresentare 
la 
soluzione 
del 
problema, sennonché 
le 
partizioni 
esistono e 
-come 
sopra 
cennato -non si 
limitano sempre 
ad una 
mera 
descrizione 
dell’esistente, ma, talvolta, ambiscono a 
suggerire 
soluzioni 
istituzionali 
ad ordinamenti 
in fase 
di 
manutenzione. Paradossalmente, la 
stessa 
semplificazione 
dei 
concetti 
a 
fini 
classificatori 
non genera 
soluzione, bensì 
ulteriore complicazione (14). 


A 
ben vedere, il 
nodo cardine 
appare 
l’estrema 
difficoltà 
del 
mondo accademico 
costituzionalistico 
a 
pensare 
per 
categorie 
generali, 
da 
cui 
il 
concreto 
sotteso 
rischio 
di 
“impiccarsi” 
alle 
microdefinizioni. 
A 
fronte 
del 
rischio 
di 
obliare 
una 
qualche 
categoria 
si 
finisce 
per 
elencarle 
tutte, 
anche 
se 
poi 
dimenticarsi 
comunque qualcuna è fatale. 

Inoltre, le 
classificazioni 
dei 
sistemi 
di 
governo restano sempre 
contraddistinte 
da 
una 
certa 
astrattezza 
di 
base, con la 
conseguente 
inevitabile 
difficoltà 
a 
calare 
un 
determinato 
idealtipo 
nella 
realtà 
concreta 
di 
un 
certo 


(12) Sull’utilità 
del 
diritto comparato nella 
tipizzazione 
delle 
varie 
forme 
di 
governo, cfr. G.U. 
RESCIGNo, Forme 
di 
stato e 
forme 
di 
governo, in «Enciclopedia 
giuridica 
treccani», Roma, IEI, XIv, 
1989, 21-22 e 
M. DoGLIANI, Spunti 
metodologici 
per 
un’indagine 
sulle 
forme 
di 
governo, in «Giustizia 
costituzionale», 1973, 1, 214-243. 
(13) 
Cfr. 
P. 
LAUvAUX, 
Propositions 
méthodologiques 
pour 
la 
classification 
des 
régimes, 
in 
«Droits», 2000, 32, 109 ss. 
(14) Cfr. M. AINIS, la semplificazione 
complicante, in AA.vv., Diritto amministrativo ed economia: 
una sinergia per la competitività del Paese, Milano, Giuffré, 2015, 567-576. 

RASSEGNA 
AvvoCAtURA 
DELLo 
StAto -N. 4/2022 


ordinamento, all’interno del 
quale 
si 
muovono differenti 
variabili 
-anche 
extraparlamentari 
(15) 
se 
non 
extragiuridiche 
con 
riferimento 
alla 
tecnologia 


(16) 
-sempre 
difficili 
da 
catalogare 
all’interno 
di 
una 
casistica 
predeterminata. 
occorre, 
quindi, 
considerare 
le 
varie 
partizioni 
con 
una 
buona 
dose 
di 
elasticità 
al fine di non limitare la gamma solo ad alcuni prototipi di governo. 
Ecco dunque 
che 
la 
furia 
ripartitoria 
all’ennesima 
potenza 
dei 
sistemi 
di 
governo, e 
quasi 
iconoclasta 
delle 
opposte 
classificazioni, s’appalesa 
discutibile 
se 
non 
dannosa 
per 
la 
stessa 
scienza 
costituzionalistica 
che 
deve 
saper 
contemperare 
e 
non certo contrapporre 
la 
diversa 
modellistica 
di 
governo. Attesa 
la 
stessa 
inesportabilità 
ovvero 
travaso 
delle 
forme 
di 
governo 
da 
un 
Paese 
all’altro, l’esercizio ozioso e 
vano della 
classificazione 
dei 
sistemi 
degli 
esecutivi 
non 
giova 
all’ingegneria 
costituzionale. 
Al 
contrario, 
per 
l’analisi 
di 
ogni 
singola 
forma, 
quale 
calata 
in 
un 
determinato 
Paese, 
nel 
suo 
contesto 
evolutivo 
storico-politico-sociologico 
(17), 
quanto 
mai 
utile 
per 
comprenderne 
vantaggi 
e 
limiti. 
L’utopia 
dell’idealtipo 
di 
governo 
cozza 
quindi 
con 
i 
vari 
archetipi 
dei 
sistemi 
qua 
e 
là 
esistenti 
ed i 
fiumi 
d’inchiostro dedicati 
alla 
loro 
classificazione 
appaiono 
perciò 
del 
tutto 
fini 
a 
sé 
stessi, 
alla 
stregua 
di 
una 
mera sterile speculazione dogmatica. 

Il 
diritto 
costituzionale 
non 
necessita, 
né 
tantomeno 
merita, 
perciò, 
un 
proprio ornitorinco da 
dissezionare 
in un campo di 
battaglia 
fra 
scienziati. Se 
la 
tassonomia 
nella 
visione 
predarwiniana 
ha 
lo scopo di 
individuare 
la 
gerarchia 
ordinata 
dei 
“tipi 
naturali” 
senza 
ammettere 
eccezioni, 
intermedi, 
anomalie, 
essa 
non s’attaglia 
ai 
sistemi 
di 
governo. Semmai 
occorre 
ripensare 
il 
concetto 
stesso 
di 
tassonomia 
come 
vera 
guida 
all’azione, 
nella 
quale, 
ad 
esempio, 
evitare 
di 
collocare 
il 
semipresidenzialismo 
in 
una 
o 
nell’altra 
casella 
classificatoria 
esistente 
e 
suggerendo 
sempre 
la 
necessità 
di 
un 
ulteriore 
esame 
invece che adagiarsi su dati suppostamente acquisiti ed inconfutabili. 


Inevitabile 
in questa 
sede 
un serio riferimento alle 
varie 
concezioni 
delle 
categorizzazioni, dai 
concetti 
di 
tipo e 
archetipo di 
Bentham 
alle 
nozioni 
di 
type 
e 
token 
di 
Peirce, dal 
concetto di 
idealtipo di 
Weber alle 
nozioni 
di 
crittotipo, 
fenotipo e 
genotipo di 
Sacco, dal 
principio di 
archetipo di 
Black sino 
all’idea di protipo di Rosch, per fare alcuni esempi. 


Lungi 
dall’appiattire 
la 
tematica 
delle 
forme 
di 
governo 
trascurando 
la 
ricaduta 
prescrittiva 
che 
la 
modellistica 
porta 
con sé, che 
è 
il 
vero aspetto interessante 
della 
teoria 
delle 
medesime, appare 
come, in luogo della 
tassonomia 


(15) Cfr. C. FASoNE, Sistemi 
di 
commissioni 
parlamentari 
e 
forme 
di 
governo, Padova, Cedam, 
2012, 321-569. 
(16) 
Cfr. 
A. 
SANtoSUoSSo, 
G. 
PINottI, 
Il 
diritto 
delle 
corti, 
la 
scienza 
e 
la 
tecnica: 
una 
tassonomia, 
in «Rivista di BioDiritto», 2017, 1, 53-79. 
(17) 
Sulla 
differenza 
tra 
diritto 
comparato, 
altre 
discipline 
giuridiche, 
storiche, 
politologiche 
e 
sociologiche, cfr. G. LoMBARDI, Premesse 
al 
corso di 
diritto pubblico comparato. Problemi 
di 
metodo, 
Milano, Giuffré, 1986. 

LEGISLAzIoNE 
ED 
AttUALItà 


delle 
forme 
di 
governo, non possa 
che 
trovare 
ulteriore 
conferma 
propria 
l’illustre 
teoria 
del 
Sacco circa 
i 
c.d. formanti 
non verbalizzati 
o crittotipi 
(18), 
quali 
modelli 
inespressi 
dell’ordinamento. Come 
nell’eloquente 
caso del 
presidenzialismo 
latinoamericano quale 
crittotipo radicato nella 
storia 
coloniale 
dell’area 
in quanto connesso ad un istituto dell’antico diritto precolombiano 
che 
corrisponde 
a 
quello che 
sarà 
poi 
l’istituto presidenziale 
una 
volta 
affermata 
l’indipendenza dalla corona spagnola (19). 


Il 
minimo comune 
denominatore 
cruciale 
e 
dirimente 
dei 
sistemi 
di 
governo 
delle 
liberaldemocrazie 
resta 
unicamente 
la 
c.d. opposizione 
garantita 
(20), 
titolare 
di 
un’autentica 
funzione 
costituzionale 
istituzionalizzata, 
alla 
stregua 
di 
una 
delle 
più 
sorprendenti 
scoperte 
sociali 
dell’umanità 
(21). 
Ne 
sono esempi 
passim, fra 
l’altro, lo shadow cabinet 
inglese, il 
diritto di 
costituire 
commissioni 
d’inchiesta 
a 
richiesta 
di 
un quarto dei 
membri 
del 
bundestag, 
il 
diritto di 
ricorrere 
alla 
giustizia 
costituzionale 
da 
parte 
di 
minoranze 
parlamentari 
in 
Austria, 
Francia, 
Germania 
e 
Spagna 
ovvero 
la 
regola 
convenzionale 
di 
assicurare 
all’opposizione 
la 
presidenza 
di 
alcune 
Commissioni 
parlamentari 
con 
funzioni 
di 
controllo 
e, 
talvolta, 
la 
presidenza 
di 
una 
delle 
Assemblee, 
come 
anche 
in 
Italia. 
E 
per 
quanto 
il 
ruolo 
dell’opposizione 
possa 
in 
certi 
casi 
risultare 
appannato 
(governi 
di 
grande 
coalizione, 
gabinetti 
di 
guerra, democrazie 
consociative 
sul 
modello elvetico, etc.) ne 
deriva 
ineluttabile 
la 
perdita 
di 
significato della 
stessa 
separazione 
dei 
poteri 
statuali 
tra 
Parlamento 
e 
Governo. 
Al 
contrario, 
s’è 
in 
ogni 
caso 
affermata 
una 
diversa 
contrapposizione 
ovvero un nuovo dualismo funzionale 
(22) tra 
esecutivo e 
maggioranza 
parlamentare, 
da 
un 
lato, 
ed 
opposizione 
cui 
è 
affidata 
la 
funzione 
di 
controllo, 
dall’altro 
lato, 
in 
sostituzione 
della 
classica 
dicotomia 
Parlamento 
borghese 
vs. Governo del 
monarca. La 
funzione 
attiva 
delle 
minoranze 
pone 
in secondo piano la 
stessa 
rilevanza 
del 
pluripartitismo e 
genera 
per l’effetto 
in ogni 
caso delle 
forme 
di 
governo ad opposizione 
garantita 
(23) che 
si 
distinguono 
dalle 
mere 
“democrazie 
di 
facciata” 
autocratiche, del 
tutto avulse 
dai principi classici del costituzionalismo liberale. 


(18) Cfr. R. SACCo, Crittotipo 
(voce), in «Digesto delle 
discipline 
privatistiche», II, Utet, torino, 
1990, 39 e ID., Introduzione al diritto comparato, torino, Giappichelli, 1980, 33-35. 
(19) Cfr. G. LoMBARDI, cit., 64-65 e 
da 
ultimo sul 
tema 
D.A. SABSAy, Constitución y 
transición a 
la democracia en América latina. Ensayos selectos, Santiago del Cile, olejnik, 2019. 
(20) Cfr. G. DE 
vERGottINI, Diritto costituzionale comparato, Padova, Cedam, 2019, 210. 
(21) Cfr. R.A. DAhL, Toward Democracy: A 
Journey, Berkeley, University of California 
Press, 
1997, 10 e 
M. BAILEy, D. BRAyBRookE, robert 
A. Dahl’s 
Philosophy 
of 
Democracy 
Exhibited in his 
Essays, 
in «Annual Review of Political Science», 2003, 6, 99-118. 
(22) Cfr. G. DE 
vERGottINI, cit., 210. 
(23) 
Cfr. 
G. 
DE 
vERGottINI, 
la 
forma 
de 
gobierno 
de 
oposición 
garantizada, 
in 
«Revista 
de 
Estudios 
Políticos», 1979, 9, 5-41. 

CONTRIBUTIDIDOTTRINA
Autorità Amministrative Indipendenti. 
Caratteri, tipologie, procedimenti in attribuzione 
e tutele giurisdizionali 


Gerardo Michele* 


Sommario: 
1. 
autonomia 
ed 
indipendenza 
delle 
autorità 
amministrative 
indipendenti 



2. 
Natura 
giuridica 
delle 
autorità 
indipendenti 
-3. 
Un 
modello 
deviante 
da 
quello 
ministeriale. 
Problemi 
di 
compatibilità 
costituzionale 
-4. 
Poteri 
caratterizzanti 
le 
autorità 
indipendenti: 
poteri 
normativi, 
regolatori, 
amministrativi 
(vigilanza/sanzionatori) 
-5. 
autorità 
garante 
della 
concorrenza 
e 
del 
mercato 
(c.d. 
antitrust) 
-5.1. 
Procedimenti 
in 
attribuzione 
all’antitrust 
-6. 
autorità 
per 
la 
garanzia 
delle 
comunicazioni 
(c.d. 
agcom) 
-7. 
autorità 
di 
regolazione 
per 
energia, 
reti 
e 
ambiente 
(c.d. 
arera) 
-8. 
autorità 
di 
regolazione 
dei 
trasporti 
(c.d. 
art) 
-9. 
autorità 
nazionale 
anticorruzione 
(c.d. 
anac) 
-10. 
Garante 
per 
la 
protezione 
dei 
dati 
personali 
(c.d. 
Garante 
della 
privacy) 
-11. 
Banca 
d’italia 
-12. 
istituto 
per 
la 
vigilanza 
sulle 
assicurazioni 
(c.d. 
ivass) 
-13. 
Commissione 
nazionale 
per 
la 
Società 
e 
la 
Borsa 
(c.d. 
Consob) 
-14. 
agenzia 
per 
la 
rappresentanza 
negoziale 
delle 
Pubbliche 
amministrazioni 
(c.d. 
aran) 
-15. 
Difensore 
Civico 
-16. 
Procedimenti 
para-giurisdizionali 
in 
attribuzione 
alle 
autorità 
amministrative 
indipendenti 
-17. 
rimedi 
giurisdizionali 
avverso 
gli 
atti 
delle 
autorità 
amministrative 
indipendenti 
-18. 
Necessità 
di 
una 
riflessione 
sulla 
vitalità 
delle 
autorità 
amministrative 
indipendenti. 
1. autonomia ed indipendenza delle autorità amministrative indipendenti. 
Gli 
enti 
indipendenti 
sono enti 
pubblici 
dotati 
di 
autonomia 
ed indipendenza, 
al 
vertice 
di 
ordinamenti 
sezionali, specie 
nel 
campo economico, con 
compiti 
regolatori 
e 
di 
garanzia 
in 
posizione 
neutrale, 
di 
equidistanza 
tra 
i 
soggetti, 
pubblici 
e 
privati, in gioco. Le 
varie 
leggi 
istitutive 
enunciano che 
le 
au


(*) Avvocato dello Stato. 


Le opinioni espresse nel presente scritto rappresentano esclusivamente il pensiero dell’Autore. 



rASSeGnA 
AVVoCAturA 
DeLLo 
StAto -n. 4/2022 


torità 
operano in piena 
autonomia 
e 
con indipendenza 
di 
giudizio e 
di 
valutazione. 


L’autonomia, come 
di 
consueto, implica 
la 
capacità 
di 
autodeterminarsi 
in determinati ambiti. 


L’indipendenza 
deve 
sussistere 
specialmente 
rispetto 
ad 
un 
particolare 
soggetto in gioco, ossia 
dal 
Governo. Si 
reputa 
che 
la 
particolarità 
degli 
interessi 
richiede 
che 
gli 
stessi 
vengano gestiti 
in modo neutro, in mera 
applicazione 
della 
legge, senza 
posizioni 
di 
parte 
quale 
potrebbe 
essere 
l’influenza 
esercitata 
dall’indirizzo politico del 
governo o il 
controllo dell’esecutivo. La 
neutralità 
implica 
uno stato di 
indifferenza 
rispetto all’assetto degli 
interessi 
oggetto di 
regolazione 
e 
la 
piena 
equidistanza 
tra 
le 
posizioni 
dei 
vari 
soggetti 


o gruppi 
interessati. La 
neutralità 
è 
quindi 
diversa 
dalla 
imparzialità. Questa 
ultima 
richiede 
che 
nel 
procedimento è 
doveroso valutare 
e 
ponderare 
tutti 
gli 
interessi 
pubblici 
e 
privati 
coinvolti, 
e 
non 
favorire 
uno 
specifico 
interesse, 
ma 
sempre 
in funzione 
della 
migliore 
tutela 
dello specifico interesse 
pubblico 
in attribuzione dell’autorità procedente. 
L’indipendenza 
viene 
garantita 
dalla 
assenza 
di 
interferenze 
del 
Governo 
sui 
vertici 
dell’autorità. L’indipendenza 
è 
il 
frutto del 
concorso di 
diverse 
circostanze: 
attribuzione 
del 
potere 
di 
nomina 
dei 
vertici 
dell’autorità 
indipendente 
ad 
autorità 
diverse 
dal 
Governo; 
vertici 
scelti 
tra 
soggetti 
dotati 
di 
specifica 
ed 
elevata 
professionalità; 
dotare 
le 
dette 
autorità 
di 
autonome 
e 
sufficienti 
risorse 
umane, 
materiali 
e 
strumentali. 
Va 
registrato 
che 
tali 
circostanze 
non sempre ricorrono per tutte le autorità. 


oltre 
all’estraneità 
rispetto all’indirizzo politico ulteriore 
tratto caratterizzante 
le 
Autorità 
in 
esame 
è 
l’elevata 
expertise 
tecnica, 
l’elevata 
conoscenza 
tecnica 
attese 
le 
complesse 
funzioni 
esercitate 
(operative, 
regolatorie, 
quasi 
giurisdizionali) (1). 


2. Natura giuridica delle autorità indipendenti. 
Le 
autorità 
indipendenti 
sono 
amministrazioni 
dello 
Stato, 
diverse 
dai 
Ministeri. Spesso, al 
momento della 
loro istituzione, la 
legge 
dispone 
che 
le 
attribuzioni 
in un dato settore 
fino ad allora 
spettanti 
al 
Ministero sono trasferite 
all’Autorità. 
trattasi 
di 
enti 
aventi 
natura 
amministrativa 
e 
non 
-esaltando 
i 
poteri 
regolatori 
e 
la 
neutralità 
dell’esercizio 
delle 
funzioni 
-un 
tertium 
genus 
tra amministrazione e giurisdizione (2). 


(1) 
Così: 
M. 
D’ALberti, 
Lezioni 
di 
diritto 
amministrativo, 
iV 
edizione, 
Giappichelli, 
2019, 
p. 
110. 
(2) Ex 
plurimis: 
C. ConteSSA, A. LALLi, 
manuale 
di 
diritto amministrativo, La 
tribuna, 2021, p. 
349. in giurisprudenza: 
Cons. Stato, 30 maggio 2014, n. 2818 secondo cui 
le 
autorità 
indipendenti 
sono 
amministrazioni 
pubbliche 
in senso stretto, poiché, composte 
da 
soggetti 
ai 
quali 
è 
attribuito lo status 
di 
pubblici 
ufficiali 
(art. 
2, 
comma 
10, 
legge 
n. 
481 
del 
1995), 
svolgono 
compiti 
propri 
dello 
Stato, 
dotate 
di 
potere 
normativo secondario (o, altrimenti, il 
potere 
di 
emanazione 
di 
atti 
amministrativi 
pre

Contributi 
Di 
DottrinA 


Corollario di 
tale 
dato è 
che 
gli 
atti 
adottati 
dalle 
amm.ni 
in esame 
sono 
sottoposti 
all’ordinario 
sindacato 
giurisdizionale 
del 
giudice 
amministrativo 
(con l’eccezione, per deroga 
legale, del 
Garante 
della 
privacy 
ed altresì 
per le 
controversie 
in materia 
di 
opposizione 
avverso le 
sanzioni 
irrogate 
dalla 
Consob 
e 
dalla 
banca 
d’italia, ove 
la 
giurisdizione 
spetta 
all’A.G.o.). inoltre 
la 
rappresentanza, il 
patrocinio e 
l’assistenza 
in giudizio delle 
autorità 
spettano 
ex 
lege 
all’Avvocatura 
dello 
Stato 
in 
virtù 
dell’art. 
1 
r.D. 
30 
ottobre 
1933, 
n.1611 (3). Poi, in virtù dell’art. 2 bis, comma 
1, D.L.vo 14 marzo 2013, n. 
33, la 
disciplina 
riguardante 
il 
diritto di 
accesso civico e 
gli 
obblighi 
di 
pubblicità, 
trasparenza 
e 
diffusione 
di 
informazioni 
da 
parte 
delle 
pubbliche 
amministrazioni 
si 
applica 
altresì 
alle 
autorità 
amministrative 
indipendenti 
di 
garanzia, vigilanza e regolazione. 


Vengono 
ricondotti 
a 
tale 
categoria 
-tra 
l’altro 
-i 
seguenti 
enti: 
l’Autorità 
garante 
della 
concorrenza 
e 
del 
mercato, (c.d. Antitrust), l’Autorità 
per la 
garanzia 
delle 
comunicazioni 
(c.d. Agcom), l’Autorità 
di 
regolazione 
per energia 
reti 
e 
Ambiente 
(c.d. Arera), l’Autorità 
di 
regolazione 
dei 
trasporti 
(c.d. 
Art), l’Autorità 
nazionale 
anticorruzione 
(c.d. Anac), il 
Garante 
per la 
protezione 
dei 
dati 
personali 
(c.d. 
Garante 
della 
Privacy), 
la 
banca 
d’italia, 
la 
Commissione 
nazionale 
per 
la 
società 
e 
la 
borsa 
(c.d. 
Consob), 
l’istituto 
per 
la 
vigilanza 
sulle 
assicurazioni 
(c.d. ivass), l’Agenzia 
per la 
rappresentanza 
negoziale 
delle Pubbliche 
Amministrazioni (c.d. Aran), il Difensore Civico. 


Le 
autorità 
amministrative 
indipendenti 
sono 
strutture 
particolarmente 
diffuse 
a 
partire 
dall’inizio 
degli 
anni 
’90 
del 
secolo 
scorso 
sul 
modello 
di 
enti 
già 
presenti 
nel 
nostro ordinamento (quali 
la 
banca 
d’italia) e 
di 
suggestioni 
del 
mondo anglosassone 
(le 
c.d. authority). Con il 
tempo, nel 
decennio fino 
al 
2000, tuttavia 
si 
è 
avuta 
una 
vera 
e 
propria 
proliferazione 
di 
enti 
indipendenti, 
non sempre necessari e non sempre indipendenti. 


3. Un modello deviante 
da quello ministeriale. Problemi 
di 
compatibilità costituzionale. 
Con gli 
enti 
indipendenti 
viene 
creato, come 
detto, un ordinamento sezionale. 
ossia 
una 
data 
branca 
del 
diritto 
amministrativo 
fuoriesce 
dal 
modello 


cettivi 
collettivi), di 
poteri 
sanzionatori, di 
ispezione 
e 
di 
controllo; 
esse 
hanno poteri 
direttamente 
incidenti 
sulla 
vita 
dei 
consociati 
che 
si 
giustificano solo in forza 
della 
natura 
pubblica 
che 
deve 
-necessariamente 
- essere loro riconosciuta. 


(3) 
Secondo 
cui 
“La 
rappresentanza, 
il 
patrocinio 
e 
l’assistenza 
in 
giudizio 
delle 
amministrazioni 
dello Stato, anche 
se 
organizzate 
ad ordinamento autonomo, spettano alla avvocatura dello Stato. Gli 
avvocati 
dello Stato, esercitano le 
loro funzioni 
innanzi 
a tutte 
le 
giurisdizioni 
ed in qualunque 
sede 
e 
non hanno bisogno di 
mandato, neppure 
nei 
casi 
nei 
quali 
le 
norme 
ordinarie 
richiedono il 
mandato 
speciale, bastando che 
consti 
della loro qualità”. ricognitivamente 
si 
conferma 
il 
patrocinio erariale 
in 
favore 
di 
date 
Autorità 
con diverse 
disposizioni 
(art. 154 ter, comma 
2, D.L.vo 30 giugno 2003, n. 196 
con riferimento al 
Garante 
della 
Privacy; 
D.P.C.M. 22 giugno 1995 con riferimento all’ArAn; 
art. 1, 
comma 10, D.L. 8 aprile 1974, conv. L. 7 giugno 1974, n. 216 con riferimento alla ConSob). 

rASSeGnA 
AVVoCAturA 
DeLLo 
StAto -n. 4/2022 


ministeriale 
per essere 
regolato, in autonomia 
ed indipendenza, da 
un distinto 
ente. 
tale 
modello 
pone 
un 
problema 
di 
compatibilità 
costituzionale, 
atteso 
che 
l’indipendenza 
spezza 
il 
cordone 
ombelicale 
che 
deve 
legare 
-in 
modo 
diretto o indiretto -l’apparato amministrativo al 
corpo elettorale, in ossequio 
all’art. 1, comma 
2, Cost., secondo cui 
“La sovranità appartiene 
al 
popolo, 
che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione”. 


nel 
modello 
ministeriale, 
i 
rappresentanti 
del 
popolo 
(Parlamento) 
aventi 
funzioni 
di 
indirizzo e 
controllo -danno la 
fiducia 
al 
Governo che 
è 
al 
vertice 
dell’apparato 
amministrativo 
(rectius: 
ogni 
articolazione 
statale 
dipende 
-in misura 
più o meno intensa 
-da 
un Ministro); 
il 
Governo, poi, risponde 
dei 
risultati 
della 
propria 
condotta, 
a 
titolo 
di 
responsabilità 
politica 
e/o amministrativa (4). 

Quando 
si 
segue 
il 
modello 
delle 
autorità 
amministrative 
indipendenti 
tanto non avviene. Anzi, quanto più si 
esalta 
l’indipendenza 
tanto più ci 
si 
allontana 
dal 
modello 
ministeriale 
(5). 
Ma 
tant’è. 
Le 
autorità 
amministrative 
indipendenti 
pullulano 
rigogliose 
nel 
mondo 
giuridico. 
Per 
il 
principio 
di 
effettività occorre prenderne atto, segnalando la detta aporia. 


Diversamente 
opinando 
si 
ritiene 
che 
la 
fonte 
di 
rango 
costituzionale 
di 
queste 
autorità 
è 
data 
piuttosto 
da 
norme 
e 
principi 
dell’ordinamento 
del-
l’unione 
europea 
che, 
almeno 
per 
alcune 
di 
esse, 
espressamente 
prevedono 
il 
requisito 
dell’indipendenza 
(6). 
Molte 
autorità 
sono 
state 
istituite 
in 
attuazione 
del 
diritto 
dell’unione 
europea 
che 
ha 
dato 
origine 
ad 
una 
rete 
integrata 
di 
organismi 
istituiti 
in 
ciascuno 
Stato 
membro 
svolgenti 
in 
modo 
coordinato 
la 
propria 
attività 
per 
curare 
l’attuazione 
del 
diritto 
europeo 
in 
particolari 
materie. 
Ad 
es., 
in 
tema 
di 
protezione 
delle 
persone 
fisiche 
con 
riguardo 
al 
trattamento 
dei 
dati 
personali, 
l’art. 
51, 
commi 
1 
e 
2, 
del 
reg. 
(Ce) 
27 
aprile 
2016, 
n. 
2016/679/ue 
del 
Parlamento 
europeo 
prevede: 
“1. 
ogni 
Stato 
membro 
dispone 
che 
una 
o 
più 
autorità 
pubbliche 
indipendenti 
siano 
incaricate 
di 
controllare 
l’applicazione 
del 
presente 
regolamento 
al 
fine 
di 
tutelare 
i 
diritti 
e 
le 
libertà 
fondamentali 
delle 
persone 
fisiche 
con 
riguardo 
al 
trattamento 
e 
di 
agevolare 
la 
libera 
circolazione 
dei 
dati 
personali 
all’interno 
dell’Unione 
(«autorità 
di 
controllo»). 
2. 
ogni 
autorità 
di 
controllo 
contribuisce 
alla 
coerente 
applicazione 
del 
presente 
regolamento 
in 
tutta 
l’Unione. 
a 
tale 
scopo, 
le 
autorità 
di 
controllo 
cooperano 
tra 
loro 
e 
con 
la 
Commissione, 
conformemente 
al 
capo 
Vii 
”. 


(4) Ai 
sensi 
dell’art. 95, commi 
1 e 
2, Cost. “il 
Presidente 
del 
Consiglio dei 
ministri 
dirige 
la politica 
generale 
del 
Governo 
e 
ne 
è 
responsabile. 
mantiene 
l’unità 
di 
indirizzo 
politico 
ed 
amministrativo, 
promuovendo 
e 
coordinando 
l’attività 
dei 
ministri. 
i 
ministri 
sono 
responsabili 
collegialmente 
degli 
atti del Consiglio dei ministri, e individualmente degli atti dei loro dicasteri”. 
(5) esprime 
dubbi 
sulla 
legittimità 
costituzionale 
della 
istituzione 
delle 
autorità 
in questione 
e. 
CASettA, manuale di diritto amministrativo, XVi edizione, Giuffré, 2014, pp. 248-249. 
(6) 
Così: 
V. 
CeruLLi 
ireLLi, 
Lineamenti 
del 
diritto 
amministrativo, 
Vi 
edizione, 
Giappichelli, 
2017, p. 108. 

Contributi 
Di 
DottrinA 


ulteriore 
argomento 
in 
favore 
della 
compatibilità 
costituzionale 
delle 
autorità 
indipendenti 
è 
costituito 
dalle 
particolari 
garanzie 
partecipative 
degli 
operatori 
del 
settore 
caratterizzanti 
-per numerose 
autorità, secondo la 
disciplina 
legislativa 
-l’attività 
di 
regolazione, 
con 
la 
sottoposizione 
di 
una 
attività, 
spesso normativa, al principio del contraddittorio (7). 


4. 
Poteri 
caratterizzanti 
le 
autorità 
indipendenti: 
poteri 
normativi, 
regolatori, 
amministrativi (vigilanza/sanzionatori). 
La 
creazione 
dell’ordinamento sezionale 
comporta 
che 
l’autorità 
è 
l’ente 
di 
riferimento nella 
materia, con poteri 
normativi, regolatori, amministrativi, 
il 
cui 
esercizio è 
connotato, spesso, da 
discrezionalità 
tecnica. Difatti 
le 
leggi 
costitutive delle autorità prevedono, di norma, che queste: 


-sono 
dotate 
di 
un 
potere 
normativo 
secondario, 
ossia 
di 
adottare 
regolamenti, 
quanto 
meno 
riferito 
alla 
propria 
organizzazione 
(disegno 
organizzativo, 
personale, 
contabilità), 
senza 
soggezione 
al 
potere 
regolamentare 
in 
materia 
di 
organizzazione 
attribuito 
al 
governo 
ex 
art. 
17, 
comma 
1, 
lett. 


d) 
L. 
23 
agosto 
1988, 
n. 
400. 
Le 
amministrazioni 
indipendenti 
si 
caratterizzano 
per 
la 
loro 
soggezione 
soltanto 
alla 
legge. 
Sovente 
è 
prescritto 
che 
il 
regolamento 
deve 
essere 
motivato, 
in 
deroga 
alla 
regola 
generale 
di 
cui 
all’art. 
3 
L. 
7 
agosto 
1990, 
n. 
241 
che 
non 
prescrive 
la 
motivazione 
per 
gli 
atti 
normativi; 
ciò 
è 
prescritto, 
ad 
es., 
per 
i 
provvedimenti 
aventi 
natura 
regolamentare 
o 
di 
contenuto 
generale 
(esclusi 
quelli 
attinenti 
all’organizzazione 
interna) 
della 
banca 
d’italia, 
della 
Consob, 
dell’isvap 
che 
“devono 
essere 
motivati 
con 
riferimento 
alle 
scelte 
di 
regolazione 
e 
di 
vigilanza 
del 
settore 
ovvero 
della 
materia 
su 
cui 
vertono” 
(art. 
23, 
comma 
1, 
L. 
28 
dicembre 
2005, 
n. 
262); 
-hanno potere 
regolatorio del 
settore, a 
mezzo di 
atti 
generali 
(a 
seconda 
delle 
previsioni: 
regolamenti, 
linee 
guida, 
raccomandazioni, 
orientamenti), 
incidendo 
pertanto su attività 
e 
situazioni 
dei 
terzi, guidando e 
conformando i 
comportamenti degli operatori (es. imprese operanti in certi mercati); 
-gestiscono 
in 
modo 
concreto 
gli 
interessi 
pubblici 
in 
attribuzione, 
a 
mezzo di 
procedimenti 
amministrativi 
diretti 
al 
controllo del 
rispetto della 
disciplina 
in materia, sanzionando le 
condotte 
difformi 
degli 
operatori 
rispetto 
al 
quadro di 
riferimento. in tale 
attività 
le 
autorità 
fanno uso, sovente, della 


c.d. discrezionalità tecnica dovendosi operare delle valutazioni tecniche. 
5. autorità garante della Concorrenza e del mercato (c.d. antitrust). 
L’Autorità 
è 
stata 
istituita 
con 
la 
L. 
10 
ottobre 
1990, 
n. 
287. 
Ha 
autonomia 
organizzativa; 
ha 
altresì 
autonomia 
finanziaria 
nei 
limiti 
del 
contributo 
fissato 
dalla 
legge 
(art. 10, commi 
6 e 
7, L. n. 287/1990). È 
una 
Autorità 
di 
tipo ge


(7) Conf. Cons. Stato, 1 ottobre 2014, n. 4874. 

rASSeGnA 
AVVoCAturA 
DeLLo 
StAto -n. 4/2022 


neralista 
atteso che 
esercita 
i 
propri 
poteri, in modo trasversale, nei 
confronti 
di tutte le imprese o di altri soggetti pubblici o privati (8). 


Composizione 
e 
nomina. 
L’Autorità 
è 
organo 
collegiale 
costituito 
dal 
presidente 
e 
da 
quattro membri, nominati 
con determinazione 
adottata 
d’intesa 
dai 
Presidenti 
della 
Camera 
dei 
deputati 
e 
del 
Senato della 
repubblica. il 
presidente 
è 
scelto tra 
persone 
di 
notoria 
indipendenza 
che 
abbiano ricoperto incarichi 
istituzionali 
di 
grande 
responsabilità 
e 
rilievo. i quattro membri 
sono 
scelti 
tra 
persone 
di 
notoria 
indipendenza 
da 
individuarsi 
tra 
magistrati 
del 
Consiglio 
di 
Stato, 
della 
Corte 
dei 
conti 
o 
della 
Corte 
di 
cassazione, 
professori 
universitari 
ordinari 
di 
materie 
economiche 
o giuridiche, e 
personalità 
provenienti 
da 
settori 
economici 
dotate 
di 
alta 
e 
riconosciuta 
professionalità. 
i 
membri 
dell’Autorità 
sono 
nominati 
per 
sette 
anni 
e 
non 
possono 
essere 
confermati 
(art. 10, commi 2 e 3, L. n. 287/1990). 


Compiti. È 
preposta 
alla 
tutela 
della 
libera 
concorrenza 
in una 
economia 
liberale, 
con 
poteri 
di 
controllo/ispettivi, 
sanzionatori, 
conoscitivi 
e 
consultivi. 
L’autorità 
non 
è 
invece 
titolare 
di 
poteri 
regolatori, 
atteso 
che 
gli 
interventi 
della 
stessa 
sono riferiti 
a 
comportamenti 
già 
posti 
in essere 
dalle 
imprese. È 
escluso, dall’ambito della 
tutela 
della 
concorrenza 
in capo alla 
detta 
Autorità, 
il settore del credito, che rimane di competenza della banca d’italia. 


La 
libera 
concorrenza 
vuole 
che 
non vi 
siano ostacoli 
e 
dal 
lato della 
domanda 
e, soprattutto, dal 
lato dell’offerta. Dal 
lato della 
domanda 
i 
consumatori 
devono 
potere 
scegliere 
prodotti 
e 
servizi 
in 
base 
alla 
convenienza 
per 
prezzo e 
qualità; 
dal 
lato della 
offerta 
le 
imprese 
devono competere 
e 
conquistare 
il mercato solo per la loro capacità ed i loro meriti. 

L’autorità 
è 
uno 
dei 
soggetti 
rilevanti 
della 
rete 
europea 
per 
la 
tutela 
della 
concorrenza, 
ordinamento 
sezionale 
che 
comprende 
la 
Commissione 
europea 
e 
le 
autorità 
nazionali 
sulla 
concorrenza 
(AnC), 
che 
per 
l’italia 
è 
costituita, 
appunto, 
dall’ente 
in 
esame. 
Antitrust 
e 
Commissione 
sono 
attori, 
nazionali 
ed 
europei, 
competenti 
per 
la 
tutela 
della 
concorrenza 
secondo 
la 
disciplina 
contenuta 
essenzialmente 
negli 
artt. 
101-109 
trattato 
sul 
funzionamento 
dell’unione 
europea 
(t.F.u.e.), 
nel 
regolamento 
(Ce) 
n. 
1/2003 
del 
Consiglio 
del 
16 
dicembre 
2002 
concernente 
l’applicazione 
delle 
regole 
di 
concorrenza 
di 
cui 
agli 
artt. 
101 
e 
102 
del 
t.F.u.e. 
e 
nel 
regolamento 
(Ce) 
n. 
139/2004 
del 
Consiglio 
del 
20 
gennaio 
2004 
relativo 
al 
controllo 
delle 
concentrazioni 
tra 
imprese. 
nell’ambito 
della 
rete 
europea 
della 
concorrenza 
vi 
è 
una 
cooperazione 
al 
fine 
della 
assistenza 
investigativa 
(artt. 
15 
octies 
-15 
duodecies 
L. 
n. 
287/1990). 


L’autorità 
è 
competente 
su cartelli 
e 
abusi 
di 
posizione 
dominante 
di 
rilevanza 
nazionale 
ed anche 
europea 
(in quest’ultima 
ipotesi 
l’intervento del-
l’antitrust 
è 
consentito 
per 
il 
principio 
delle 
competenze 
parallele 
tra 


(8) M. CLAriCH, manuale di diritto amministrativo, iii edizione, il Mulino, 2013, p. 349. 

Contributi 
Di 
DottrinA 
259 


Commissione 
dell’u.e. 
ed 
autorità 
nazionali) 
(9); 
per 
i 
procedimenti 
gestiti 
dalla 
Commissione, 
poi, 
può 
prestare 
assistenza 
e, 
quindi, 
contribuire 
all’istruttoria. 
invece, per le 
concentrazioni, è 
competente 
solo per le 
operazioni 
di 
rilevanza 
nazionale, atteso che 
per quelle 
di 
rilevanza 
europea 
è 
competente 
la 
Commissione. 


5.1. Procedimenti in attribuzione all’antitrust. 
i procedimenti in attribuzione dell’autorità più rilevanti sono tre. 


Procedimenti 
di 
controllo/ispettivi, 
ed 
eventualmente 
sanzionatori, 
in 
materia di 
cartelli 
ed abuso di 
posizione 
dominante, sia di 
dimensione 
nazionale 
(artt. 2 e 
3 L. n. 287/1990) che 
di 
dimensione 
europea (artt. 101 e 
102 
T.F.U.E.). 


A 
tutela 
del 
libero gioco della 
concorrenza 
sono vietate 
le 
intese 
tra 
imprese 
-ossia 
gli 
accordi 
e/o le 
pratiche 
concordati 
tra 
imprese 
nonché 
le 
deliberazioni, 
anche 
se 
adottate 
ai 
sensi 
di 
disposizioni 
statutarie 
o 
regolamentari, 
di 
consorzi, associazioni 
di 
imprese 
ed altri 
organismi 
similari 
-che 
abbiano 
per oggetto o per effetto di 
impedire, restringere 
o falsare 
in maniera 
consistente 
il 
gioco 
della 
concorrenza 
all’interno 
del 
mercato 
nazionale 
o 
in 
una 
sua 
parte 
rilevante. 
Le 
intese 
vietate 
sono 
nulle 
ad 
ogni 
effetto; 
è 
altresì 
vietato 
l’abuso da 
parte 
di 
una 
o più imprese 
di 
una 
posizione 
dominante 
all’interno 
del mercato nazionale o in una sua parte rilevante. 


il 
procedimento, in uno ai 
poteri 
dell’antitrust, 
è 
delineato negli 
artt. 12 
-15 
septies 
L. 
n. 
287/1990. 
il 
procedimento 
de 
quo, 
in 
applicazione 
degli 
Engel 
criteria 
della 
Corte 
eDu, 
potendo 
sfociare 
in 
una 
sanzione 
quasi 
penale 
(quale 
una 
sanzione 
amministrativa 
pecuniaria 
di 
elevato 
ammontare) 
deve 
rispettare 
i principi del giusto processo di cui all’art. 6 CeDu. 


L’autorità 
può 
attivare, 
d’ufficio 
o 
ad 
istanza 
di 
parte 
(“chiunque 
vi 
abbia 
interesse”, ad es. di 
imprese 
concorrenti 
o di 
consumatori) un procedimento 
per valutare l’esistenza delle fattispecie vietate. 

il 
materiale 
conoscitivo 
è 
molto 
ampio: 
“i 
tipi 
di 
prove 
ammissibili 
dinanzi 
all’autorità 
comprendono 
i 
documenti, 
le 
dichiarazioni 
orali, 
i 
messaggi 
elettronici, le 
registrazioni 
e 
tutti 
gli 
altri 
documenti 
contenenti 
informazioni, 
indipendentemente 
dalla loro forma e 
dal 
supporto sul 
quale 
le 
informazioni 
sono conservate” 
(art. 12, comma 
1 bis). i poteri 
di 
indagine 
sono ampi 
ed ufficiosi. 
L’antitrust, tra 
l’altro: 
può operare 
indagini 
conoscitive 
di 
natura 
generale 
nei 
settori 
economici 
nei 
quali 
l’evoluzione 
degli 
scambi, 
il 
comportamento dei 
prezzi, o altre 
circostanze 
facciano presumere 
che 
la 
con


(9) 
tanto 
è 
confermato 
dall’art. 
1, 
comma 
2, 
L. 
n. 
287/1990 
secondo 
cui 
l’Antitrust 
“applica 
anche 
parallelamente 
in 
relazione 
a 
uno 
stesso 
caso 
gli 
articoli 
101 
e 
102 
del 
Trattato 
sul 
funzionamento 
dell’Unione 
europea e 
gli 
articoli 
2 e 
3 della presente 
legge 
in materia di 
intese 
restrittive 
della libertà 
di concorrenza e di abuso di posizione dominante”. 

rASSeGnA 
AVVoCAturA 
DeLLo 
StAto -n. 4/2022 


correnza 
sia 
impedita, ristretta 
o falsata; 
può richiedere 
a 
imprese 
e 
a 
enti 
che 
ne 
siano in possesso di 
fornire 
informazioni 
e 
di 
esibire 
documenti 
utili; 
può 
convocare 
in 
audizione 
ogni 
rappresentante 
di 
un’impresa 
o 
di 
un’associazione 
di 
imprese, un rappresentante 
di 
altre 
persone 
giuridiche 
e 
ogni 
persona 
fisica 
se 
tali 
rappresentanti 
o tali 
persone 
fisiche 
possono essere 
in possesso di 
informazioni 
rilevanti 
ai 
fini 
dell’istruttoria; 
può disporre 
perizie 
e 
analisi 
economiche 
e 
statistiche 
nonché 
la 
consultazione 
di 
esperti 
in ordine 
a 
qualsiasi 
elemento rilevante 
ai 
fini 
dell’istruttoria; 
può disporre 
presso imprese 
e 
associazioni 
di 
imprese 
tutte 
le 
ispezioni 
necessarie 
all’applicazione 
della 
normativa 
antitrust. 


ove 
prima facie 
non sussistano le 
fattispecie 
vietate 
la 
pratica 
viene 
archiviata. 
Diversamente 
il 
procedimento 
evolve 
con 
la 
notifica 
dell’atto 
di 
contestazione 
degli 
addebiti. L’istruttoria 
del 
procedimento è 
in contraddittorio e, 
nella 
pendenza 
dello 
stesso, 
possono 
anche 
essere 
adottate 
misure 
cautelari 
(art. 14 bis). 


il 
procedimento 
si 
chiude, 
ove 
accertata 
l’infrazione, 
con 
il 
provvedimento 
che 
ordina 
la 
cessazione 
della 
condotta, 
la 
rimozione 
degli 
effetti 
e 
l’applicazione 
di 
una 
sanzione; 
diversamente 
con 
un 
provvedimento 
di 
archiviazione. 
L’Autorità 
può 
comminare 
sanzioni 
oltrecché 
al 
termine 
del 
procedimento anche laddove proprie prescrizione siano violate. 


Le 
decisioni 
dell’antitrust 
che 
constatano una 
violazione 
del 
diritto della 
concorrenza 
fanno stato nel 
giudizio civile 
instaurato dalla 
parte 
danneggiata 
per quanto riguarda 
la 
natura 
della 
violazione 
e 
la 
sua 
portata 
materiale, personale, 
temporale 
e 
territoriale, ma 
non anche 
per il 
nesso di 
causalità 
e 
l’esistenza 
del danno (art. 7, comma 1, D.L.vo 19 gennaio 2017, n. 3). 


Attesa 
la 
complessità 
delle 
procedure 
e 
la 
difficoltà 
dell’accertamento 
delle 
condotte 
anticoncorrenziale 
il 
sistema 
prevede 
dei 
meccanismi 
collaborativi/
premiali 
miranti 
al 
ristoro 
dei 
pregiudizi 
arrecati 
alla 
concorrenza. 
Vengono 
in rilievo le seguenti misure: 


a) 
ravvedimento 
operoso. 
il 
procedimento 
si 
può 
chiudere 
anche 
con 
una 
sorta 
di 
patteggiamento: 
entro 
tre 
mesi 
dalla 
notifica 
dell’apertura 
di 
un’istruttoria 
per l’accertamento della 
violazione, le 
imprese 
possono presentare 
impegni 
tali 
da 
far 
venire 
meno 
i 
profili 
anticoncorrenziali 
oggetto 
dell’istruttoria; 
l’autorità, valutata 
l’idoneità 
di 
tali 
impegni 
e 
previa 
consultazione 
degli 
operatori 
del 
mercato, può renderli 
obbligatori 
per le 
imprese 
e 
chiudere 
il 
procedimento 
senza 
accertare 
l’infrazione 
(art. 14 ter, comma 
1) (10). Questa 
sorta 
(10) i commi 
2 e 
3 dell’articolo dispongono “2. L’autorità in caso di 
mancato rispetto degli 
impegni 
resi 
obbligatori 
ai 
sensi 
del 
comma 1 può irrogare 
una sanzione 
amministrativa pecuniaria fino 
al 
10 per 
cento del 
fatturato totale 
realizzato a livello mondiale 
durante 
l’esercizio precedente. al 
fine 
di 
monitorare 
l’attuazione 
degli 
impegni, 
l’autorità 
esercita 
i 
poteri 
di 
cui 
all’articolo 
14 
della 
presente 
legge. 3. L’autorità può d’ufficio riaprire 
il 
procedimento se: a) si 
modifica in modo determinante 
la 
situazione 
di 
fatto rispetto ad un elemento su cui 
si 
fonda la decisione; b) le 
imprese 
interessate 
con

Contributi 
Di 
DottrinA 
261 


di 
patteggiamento viene 
veicolato in un accordo sostitutivo di 
provvedimento 
ex art. 11 L. n. 241/1990. 


b) 
transazione 
(art. 
14 
quater). 
Avviata 
l’istruttoria 
l’autorità 
può 
fissare 
un 
termine 
entro 
il 
quale 
le 
imprese 
interessate 
possono 
manifestare 
per 
iscritto 
la 
loro 
disponibilità 
a 
partecipare 
a 
discussioni 
in 
vista 
dell’eventuale 
presentazione 
di 
proposte 
di 
transazione. 
L’Autorità 
può 
informare 
le 
parti 
che 
partecipano 
a 
discussioni 
di 
transazione 
circa: 
“a) 
gli 
addebiti 
che 
intende 
muovere 
nei 
loro 
confronti; 
b) 
gli 
elementi 
probatori 
utilizzati 
per 
stabilire 
gli 
addebiti 
che 
intende 
muovere; 
c) 
versioni 
non 
riservate 
di 
qualsiasi 
specifico 
documento 
accessibile, 
elencato 
nel 
fascicolo 
in 
quel 
momento, 
nella 
misura 
in 
cui 
la 
richiesta 
della 
parte 
sia 
giustificata 
al 
fine 
di 
consentirle 
di 
accertare 
la 
sua 
posizione 
in 
merito 
a 
un 
periodo 
di 
tempo 
o 
a 
qualsiasi 
altro 
aspetto 
particolare 
del 
cartello; 
d) 
la 
forcella 
delle 
potenziali 
ammende. 
Tali 
informazioni 
sono 
riservate 
nei 
confronti 
di 
terzi 
salvo 
che 
l’autorità 
ne 
abbia 
esplicitamente 
autorizzato 
la 
divulgazione”. 
in 
caso 
di 
esito 
favorevole 
di 
tali 
discussioni, 
l’autorità 
può 
fissare 
un 
termine 
entro 
il 
quale 
le 
imprese 
interessate 
possono 
impegnarsi 
a 
seguire 
la 
procedura 
di 
transazione 
presentando 
proposte 
transattive 
che 
rispecchino 
i 
risultati 
delle 
discussioni 
svolte 
e 
in 
cui 
riconoscano 
la 
propria 
partecipazione 
a 
un’infrazione 
degli 
artt. 
2 
e 
3 
L. 
n. 
287/1990 
ovvero 
degli 
artt. 
101 
e 
102 
t.F.u.e., 
nonché 
la 
rispettiva 
responsabilità. 
L’incentivo, 
finalizzato 
all’esito 
positivo 
della 
procedura, 
è 
costituito 
dalla 
riduzione 
dell’entità 
della 
sanzione 
di 
cui 
all’art. 
15, 
comma 
1 
bis. 
c) 
Programmi 
di 
clemenza. 
Al 
fine 
di 
favorire 
le 
denunce 
spontanee 
sulla 
esistenza 
di 
cartello, 
l’Autorità 
adotta 
con 
proprio 
provvedimento 
generale 
un 
programma 
di 
trattamento 
favorevole 
(leniency 
programmes) 
che 
definisce 
i 
casi 
in 
cui, 
in 
virtù 
della 
qualificata 
collaborazione 
prestata 
dalle 
imprese 
nell’accertamento 
di 
infrazioni 
delle 
regole 
di 
concorrenza, 
la 
sanzione 
amministrativa 
pecuniaria 
può 
essere 
non 
applicata 
o 
ridotta 
per 
le 
imprese 
che 
rivelino 
la 
loro 
partecipazione 
a 
cartelli 
segreti 
(artt. 
15 
bis 
-15 
septies). 
Procedimenti 
autorizzativi, 
in 
materia 
di 
operazioni 
di 
concentrazione 
(artt. 5-6 e 16-19 L. n. 287/1990). 


Le 
concentrazioni 
tra 
imprese 
-realizzate 
con fusioni 
tra 
imprese, creazione 
di 
società 
comuni 
o accordi 
negoziali 
-sono un potenziale 
pericolo per 
la 
concorrenza 
perché 
potrebbero 
ridurre 
gli 
operatori 
dal 
lato 
dell’offerta. 
Potrebbero 
però 
anche 
essere 
utili, 
in 
quanto, 
ad 
es., 
razionalizzano 
costi 
con 
beneficio 
con 
i 
consumatori. 
Sicché 
tali 
operazioni 
non 
sono 
vietate. 


travvengono 
agli 
impegni 
assunti; 
c) 
la 
decisione 
si 
fonda 
su 
informazioni 
trasmesse 
dalle 
parti 
che 
sono incomplete inesatte o fuorvianti 
”. 



rASSeGnA 
AVVoCAturA 
DeLLo 
StAto -n. 4/2022 


Semplicemente, ove 
siano economicamente 
rilevanti, vanno valutate 
dall’autorità 
ed ove 
siano reputate 
compatibili 
con il 
libero mercato sono ammesse, 
diversamente sono vietate. 


il 
procedimento 
inizia 
con 
la 
comunicazione 
delle 
imprese 
interessate 
all’autorità 
della 
decisione 
di 
volere 
realizzare 
l’operazione. 
nelle 
more 
l’operazione 
non 
può 
essere 
realizzata. 
All’esito 
dell’istruttoria 
l’autorità, 
se 
accerta 
che 
l’operazione 
di 
concentrazione 
ostacoli 
in 
modo 
significativo 
la 
concorrenza 
effettiva 
nel 
mercato 
nazionale 
o 
in 
una 
sua 
parte 
rilevante, 
in 
particolare 
a 
causa 
della 
costituzione 
o 
del 
rafforzamento 
di 
una 
posizione 
dominante 
(11), 
vieta 
la 
concentrazione 
(ovvero 
l’autorizza 
prescrivendo 
le 
misure 
necessarie 
ad 
impedire 
tali 
conseguenze); 
diversamente 
la 
reputa 
compatibile. 
il 
provvedimento 
definitorio 
del 
procedimento 
ha 
portata 
costitutiva, 
tanto 
che, 
se 
l’operazione 
di 
concentrazione 
è 
già 
stata 
realizzata 
nelle 
more 
del 
procedimento 
che 
si 
chiude, 
poi, 
favorevolmente 
per 
le 
imprese 
prescrive 
le 
misure 
necessarie 
a 
ripristinare 
condizioni 
di 
concorrenza 
effettiva, 
eliminando 
gli 
effetti 
distorsivi. 
il 
procedimento, 
in 
uno 
ai 
poteri 
dell’antitrust 
(tra 
cui: 
richieste 
di 
informazioni, 
sospensione 
temporanea 
dell’operazione 
di 
concentrazione, 
sanzioni 
amministrative 
pecuniarie 
per 
inottemperanza 
al 
divieto 
di 
concentrazione 
o 
all’obbligo 
di 
notifica) 
è 
delineato 
negli 
artt. 
16 
-19 
L. 
n. 
287/1990. 


Procedimenti 
correttivi 
di 
atti 
delle 
PP.aa. violativi 
delle 
norme 
a tutela 
della concorrenza e del mercato (art. 21 bis L. n. 287/1990). 


L’Autorità 
è 
anche 
un guardiano affinché 
gli 
atti 
amministrativi 
adottati 
dalla 
PP.AA. non violino le 
norme 
a 
tutela 
della 
concorrenza 
e 
del 
mercato. 
in presenza 
di 
tali 
atti 
l’antitrust, in prima 
battuta 
-in ossequio al 
principio di 
leale 
collaborazione 
tra 
PP.AA. -invita 
motivatamente 
la 
P.A. a 
rimuovere 
il 
vulnus; 
ove 
l’invito 
non 
sortisca 
effetto 
potrà 
chiedere 
all’autorità 
giurisdizionale 
l’annullamento 
dell’atto. 
La 
fase 
procedimentale, 
precontenziosa 
-all’evidenza 
- è la prima. Questa la specifica disciplina: 


a) 
L’autorità 
garante, se 
ritiene 
che 
una 
qualsiasi 
P.A. abbia 
emanato un 
atto -sia 
atto amministrativo generale, sia 
regolamento, sia 
provvedimento in 
violazione 
delle 
norme 
a 
tutela 
della 
concorrenza 
e 
del 
mercato, 
emette, 
(11) “Tale 
situazione 
deve 
essere 
valutata in ragione 
della necessità di 
preservare 
e 
sviluppare 
la 
concorrenza effettiva tenendo conto della struttura di 
tutti 
i 
mercati 
interessati 
e 
della concorrenza attuale 
o potenziale, nonché 
della posizione 
sul 
mercato delle 
imprese 
partecipanti, del 
loro potere 
economico 
e 
finanziario, delle 
possibilità di 
scelta dei 
fornitori 
e 
degli 
utilizzatori, del 
loro accesso alle 
fonti 
di 
approvvigionamento o agli 
sbocchi 
di 
mercato, dell’esistenza di 
diritto o di 
fatto di 
ostacoli 
all’entrata, 
dell’andamento dell’offerta e 
della domanda dei 
prodotti 
e 
dei 
servizi 
in questione, degli 
interessi 
dei 
consumatori 
intermedi 
e 
finali, nonché 
del 
progresso tecnico ed economico purché 
esso sia 
a vantaggio del 
consumatore 
e 
non costituisca impedimento alla concorrenza. L’autorità può valutare 
gli 
effetti 
anticompetitivi 
di 
acquisizioni 
di 
controllo su imprese 
di 
piccole 
dimensioni 
caratterizzate 
da 
strategie innovative, anche nel campo delle nuove tecnologie” (art. 6, comma 1, L. n. 287/1990). 

Contributi 
Di 
DottrinA 


entro sessanta 
giorni, un parere 
motivato, nel 
quale 
indica 
gli 
specifici 
profili 
delle 
violazioni 
riscontrate, ossia 
vengono segnalate 
le 
violazioni 
riscontrate 
e 
sono indicati 
i 
rimedi 
per eliminarli 
e 
ripristinare 
il 
corretto funzionamento 
della 
concorrenza 
e 
del 
mercato. il 
parere 
costituisce 
un presupposto di 
inammissibilità 
del successivo ricorso giurisdizionale (12). 

b) Se 
la 
P.A. non si 
conforma 
nei 
sessanta 
giorni 
successivi 
alla 
comunicazione 
del 
parere, 
l’Autorità 
può 
presentare, 
tramite 
l’Avvocatura 
dello 
Stato, 
il 
ricorso al 
t.a.r., entro i 
successivi 
trenta 
giorni 
introduttivo di 
un giudizio 
secondo il 
rito abbreviato di 
cui 
al 
Libro iV, titolo V, D.L.vo 2 luglio 2010, n. 
104 (codice del processo amministrativo - c.p.a.). 
6. autorità per la Garanzia delle Comunicazioni (c.d. agcom). 
L’Autorità 
è 
stata 
istituita 
con 
l’art. 
1 
della 
L. 
31 
luglio 
1997, 
n. 
249. 
Ha 
autonomia 
normativa 
e 
organizzativa; 
ha 
altresì 
autonomia 
finanziaria 
nei 
limiti 
del 
fondo 
stanziato 
a 
tale 
scopo 
nel 
bilancio 
dello 
Stato 
ed 
iscritto 
in 
apposito 
capitolo 
dello 
stato 
di 
previsione 
della 
spesa 
del 
Ministero 
del-
l’economia 
e 
delle 
Finanze 
(art. 
1, 
comma 
9, 
L. 
n. 
249/1997). 
All’Autorità 
si 
applicano 
le 
disposizioni 
di 
cui 
all’art. 
2 
L. 
14 
novembre 
1995, 
n. 
481 
(relative 
all’Autorità 
per 
i 
servizi 
di 
pubblica 
utilità, 
ora 
Arera), 
non 
derogate 
dalle 
disposizioni 
dalla 
legge 
n. 
249/1997 
(così 
dispone 
il 
comma 
21 
dell’art. 
1 
L. 
n. 
249/1997). 


Le 
funzioni 
in attribuzione 
dell’Agcom 
riguardano, essenzialmente, tre 
profili: 


-analisi 
dei 
mercati, con la 
definizione 
dei 
mercati 
geografici 
rilevanti, 
sentita 
l’antitrust, al 
fine 
di 
garantire 
la 
concorrenza 
e 
con interventi 
rivolta 
a 
ripristinarla 
nel 
caso 
di 
distorsioni 
conseguenza 
dell’attività 
di 
imprese 
che 
dispongono di un significativo potere di mercato; 
-garanzia 
del 
servizio universale, ossa 
dell’insieme 
di 
diritti 
che 
tutti 
gli 
utenti 
finali 
possono 
vantare 
in 
relazione 
ad 
un 
insieme 
minimo 
di 
prestazioni 
su tutto il 
territorio nazionale 
e 
con carattere 
di 
continuità 
(in particolare 
una 
connessione 
in postazione 
fissa 
alla 
rete 
telefonica 
pubblica, un efficace 
accesso 
e un elenco degli abbonati); 
-risoluzione 
delle 
controversie 
stragiudiziarie 
insorte 
tra 
gli 
operatori 
in 
relazione 
agli 
obblighi 
previsti 
dal 
Codice 
delle 
comunicazioni 
elettroniche 
e 
quelle insorte tra operatori e utenti. 
organi 
e 
nomina. 
Sono 
organi 
dell’autorità 
il 
presidente, 
la 
commissione 
per le 
infrastrutture 
e 
le 
reti, la 
commissione 
per i 
servizi 
e 
i 
prodotti 
e 
il 
consiglio. 
Ciascuna 
commissione 
è 
organo 
collegiale 
costituito 
dal 
presidente 
dell’Autorità 
e 
da 
due 
commissari. il 
consiglio è 
costituito dal 
presidente 
e 
da 
tutti 
i 
commissari. il 
Senato della 
repubblica 
e 
la 
Camera 
dei 
deputati 
eleg


(12) Conf. Cons. Stato, 23 luglio 2020, n. 4715; Cons. Stato, 28 gennaio 2016, n. 323. 

rASSeGnA 
AVVoCAturA 
DeLLo 
StAto -n. 4/2022 


gono due 
commissari 
ciascuno, i 
quali 
vengono nominati 
con decreto del 
Presidente 
della 
repubblica. 
il 
presidente 
dell’autorità 
è 
nominato 
con 
decreto 
del 
Presidente 
della 
repubblica 
su proposta 
del 
Presidente 
del 
Consiglio dei 
ministri 
d’intesa 
con 
il 
Ministro 
delle 
comunicazioni. 
La 
designazione 
del 
nominativo 
del 
presidente 
dell’Autorità 
è 
previamente 
sottoposta 
al 
parere 
delle 
competenti 
Commissioni 
parlamentari 
ai 
sensi 
dell’art. 
2 
L. 
n. 
481/1995. 
i 
componenti 
dell’Autorità 
sono scelti 
fra 
persone 
dotate 
di 
alta 
e 
riconosciuta 
professionalità 
e 
competenza 
nel 
settore; 
durano 
in 
carica 
sette 
anni 
e 
non 
possono 
essere confermati (art. 1, commi 3 e 5, L. n. 249/1997). 


Compiti. 
È 
preposta 
alla 
tutela 
dello 
svolgimento 
regolare 
del 
settore 
delle 
comunicazioni, 
con 
poteri: 
a) 
normativi 
(adozione 
di 
regolamenti); 
b) 
regolatori 
(sia 
con 
atti 
vincolanti 
come 
le 
direttive, 
che 
non 
vincolanti, 
c.d. 
soft 
law, 
quali 
indirizzi, 
linee 
guida, 
codici 
di 
condotta); 
c) 
ispettivi; 
d) 
sanzionatori 
(13); 
e) 
conoscitivi; 
f) 
propositivi; 
g) 
giustiziali 
(decisione 
di 
ricorsi 
amministrativi; 
intervento 
in 
controversie 
giurisdizionali); 
h) 
consultivi. 


tali 
compiti 
vengono esercitati 
dalla 
commissione 
per le 
infrastrutture 
e 
le 
reti, 
dalla 
commissione 
per 
i 
servizi 
e 
i 
prodotti 
e 
dal 
consiglio 
secondo 
l’attribuzione 
di competenza operata dal comma 6 dell’art. 1 L. n. 249/1997. 


La 
commissione 
per 
le 
infrastrutture 
e 
le 
reti 
esercita, 
tra 
l’altro, 
le 
seguenti 
funzioni: 


-esprime 
parere 
al 
Ministero 
delle 
comunicazioni 
sullo 
schema 
del 
piano 
nazionale 
di 
ripartizione 
delle 
frequenze 
da 
approvare 
con decreto del 
detto 
Ministro; 


-elabora, avvalendosi 
anche 
degli 
organi 
del 
Ministero delle 
comunica(
13) L’art. 1, commi 29-32, L. n. 249/1997 recita: 
“29. i soggetti 
che 
nelle 
comunicazioni 
richieste 
dall’autorità espongono dati 
contabili 
o fatti 
concernenti 
l’esercizio della propria attività non rispondenti 
al 
vero, sono puniti 
con le 
pene 
previste 
dall’articolo 
2621 del codice civile. 
30. i soggetti 
che 
non provvedono, nei 
termini 
e 
con le 
modalità prescritti, alla comunicazione 
dei 
documenti, 
dei 
dati 
e 
delle 
notizie 
richiesti 
dall’autorità sono puniti 
con la sanzione 
amministrativa pecuniaria 
da euro 516 a euro 103.29 irrogata dalla stessa autorità. 
31. 
i 
soggetti 
che 
non 
ottemperano 
agli 
ordini 
e 
alle 
diffide 
dell’autorità, 
impartiti 
ai 
sensi 
della 
presente 
legge, sono puniti 
con la sanzione 
amministrativa pecuniaria da euro 10.329 a euro 258.228. Se 
l’inottemperanza 
riguarda provvedimenti 
adottati 
in ordine 
alla violazione 
delle 
norme 
sulle 
posizioni 
dominanti 
o in applicazione 
del 
regolamento (UE) 2019/1150 del 
Parlamento europeo e 
del 
Consiglio, del 
20 giugno 2019, si 
applica a ciascun soggetto interessato una sanzione 
amministrativa pecuniaria non 
inferiore 
al 
2 per 
cento e 
non superiore 
al 
5 per 
cento del 
fatturato realizzato dallo stesso soggetto nel-
l’ultimo esercizio chiuso anteriormente 
alla notificazione 
della contestazione. Se 
l’inottemperanza riguarda 
ordini 
impartiti 
dall’autorità nell’esercizio delle 
sue 
funzioni 
di 
tutela del 
diritto d’autore 
e 
dei 
diritti 
connessi, si 
applica a ciascun soggetto interessato una sanzione 
amministrativa pecuniaria da 
euro 
diecimila 
fino 
al 
2 
per 
cento 
del 
fatturato 
realizzato 
nell’ultimo 
esercizio 
chiuso 
anteriormente 
alla 
notifica 
della 
contestazione 
Le 
sanzioni 
amministrative 
pecuniarie 
previste 
dal 
presente 
comma 
sono irrogate dall’autorità. 
32. Nei 
casi 
previsti 
dai 
commi 
29, 30 e 
31, se 
la violazione 
è 
di 
particolare 
gravità o reiterata, può 
essere 
disposta 
nei 
confronti 
del 
titolare 
di 
licenza 
o 
autorizzazione 
o 
concessione 
anche 
la 
sospensione 
dell’attività, per un periodo non superiore ai sei mesi, ovvero la revoca”. 

Contributi 
Di 
DottrinA 


zioni 
e 
sentite 
la 
concessionaria 
pubblica 
e 
le 
associazioni 
a 
carattere 
nazionale 
dei 
titolari 
di 
emittenti 
o reti 
private 
nel 
rispetto del 
piano nazionale 
di 
ripartizione 
delle 
frequenze, i 
piani 
di 
assegnazione 
delle 
frequenze 
e 
li 
approva, 
con 
esclusione 
delle 
bande 
attribuite 
in 
uso 
esclusivo 
al 
Ministero 
della 
difesa 
che 
provvede 
alle 
relative 
assegnazioni. 
Per 
quanto 
concerne 
le 
bande 
in 
compartecipazione 
con 
il 
Ministero 
della 
difesa, 
l’Autorità 
provvede 
al 
previo 
coordinamento 
con il medesimo; 


-definisce 
le 
misure 
di 
sicurezza 
delle 
comunicazioni 
e 
promuove 
l’intervento 
degli 
organi 
del 
Ministero 
delle 
comunicazioni 
per 
l’eliminazione 
delle 
interferenze 
elettromagnetiche, 
anche 
attraverso 
la 
modificazione 
di 
impianti, 
sempreché conformi all’equilibrio dei piani di assegnazione; 
-determina, sentito il 
parere 
del 
Ministero delle 
comunicazioni, gli 
standard 
per i decodificatori in modo da favorire la fruibilità del servizio; 
-cura 
la 
tenuta 
del 
registro 
degli 
operatori 
di 
comunicazione 
e 
postali 
(14). L’autorità 
adotta 
apposito regolamento per l’organizzazione 
e 
la 
tenuta 
del 
registro 
e 
per 
la 
definizione 
dei 
criteri 
di 
individuazione 
dei 
soggetti 
tenuti 
all’iscrizione; 


-definisce 
criteri 
obiettivi 
e 
trasparenti, 
anche 
con 
riferimento 
alle 
tariffe 
massime, per l’interconnessione 
e 
per l’accesso alle 
infrastrutture 
di 
telecomunicazione 
secondo criteri di non discriminazione; 


-regola 
le 
relazioni 
tra 
gestori 
e 
utilizzatori 
delle 
infrastrutture 
di 
telecomunicazioni 
e 
verifica 
che 
i 
gestori 
di 
infrastrutture 
di 
telecomunicazioni 
garantiscano 
i 
diritti 
di 
interconnessione 
e 
di 
accesso 
alle 
infrastrutture 
ai 
soggetti 
che 
gestiscono 
reti 
ovvero 
offrono 
servizi 
di 
telecomunicazione; 
promuove 
accordi 
tecnologici 
tra 
gli 
operatori 
del 
settore 
per evitare 
la 
proliferazione 
di 
impianti tecnici di trasmissione sul territorio; 
-dirime 
le 
controversie, sentite 
le 
parti 
interessate, in tema 
di 
interconnessione 
e accesso alle infrastrutture di telecomunicazione; 
-riceve 
periodicamente 
un’informativa 
dai 
gestori 
del 
servizio pubblico 
di 
telecomunicazioni 
sui 
casi 
di 
interruzione 
del 
servizio agli 
utenti, formu(
14) A 
tale 
registro si 
devono iscrivere, in virtù della 
L. n. 249/1997, i 
soggetti 
destinatari 
di 
concessione 
ovvero di 
autorizzazione 
da 
parte 
dell’autorità 
o delle 
amministrazioni 
competenti, i 
fornitori 
di 
servizi 
postali, 
compresi 
i 
fornitori 
di 
servizi 
di 
consegna 
dei 
pacchi, 
le 
imprese 
concessionarie 
di 
pubblicità 
da 
trasmettere 
mediante 
impianti 
radiofonici 
o 
televisivi 
o 
da 
diffondere 
su 
giornali 
quotidiani 
o periodici, sul 
web 
e 
altre 
piattaforme 
digitali 
fisse 
o mobili, le 
imprese 
di 
produzione 
e 
distribuzione 
dei 
programmi 
radiofonici 
e 
televisivi, 
i 
fornitori 
di 
servizi 
di 
intermediazione 
on 
line 
e 
i 
motori 
di 
ricerca 
on line, anche 
se 
non stabiliti, che 
offrono servizi 
in italia, i 
fornitori 
di 
servizi 
di 
piattaforma 
per la 
condivisione 
di 
video di 
cui 
alle 
disposizioni 
attuative 
della 
direttiva 
(ue)1808/2018 i 
prestatori 
di 
servizi 
della 
società 
dell’informazione, comprese 
le 
imprese 
di 
media monitoring 
e 
rassegne 
stampa, 
nonché 
quelle 
operanti 
nel 
settore 
del 
video 
on 
demand, 
nonché 
le 
imprese 
editrici 
di 
giornali 
quotidiani, 
di 
periodici 
o riviste 
e 
le 
agenzie 
di 
stampa 
di 
carattere 
nazionale, nonché 
le 
imprese 
fornitrici 
di 
servizi 
telematici 
e 
di 
telecomunicazioni 
ivi 
compresa 
l’editoria 
elettronica 
e 
digitale; 
nel 
registro sono altresì 
censite le infrastrutture di diffusione operanti nel territorio nazionale. 

rASSeGnA 
AVVoCAturA 
DeLLo 
StAto -n. 4/2022 


lando eventuali 
indirizzi 
sulle 
modalità 
di 
interruzione. Gli 
utenti 
interessati 
possono proporre 
ricorso all’Autorità 
avverso le 
interruzioni 
del 
servizio, nei 
casi previsti da un apposito regolamento definito dalla stessa 
Autorità; 


-interviene 
nelle 
controversie 
tra 
l’ente 
gestore 
del 
servizio di 
telecomunicazioni 
e gli utenti privati; 
-vigila 
sui 
tetti 
di 
radiofrequenze 
compatibili 
con la 
salute 
umana 
e 
verifica 
che 
tali 
tetti, anche 
per effetto congiunto di 
più emissioni 
elettromagnetiche, 
non 
vengano 
superati, 
anche 
avvalendosi 
degli 
organi 
periferici 
del 
Ministero delle comunicazioni. 
La commissione per i servizi e i prodotti, tra l’altro: 


-vigila 
sulla 
conformità 
alle 
prescrizioni 
della 
legge 
dei 
servizi 
e 
dei 
prodotti 
che 
sono forniti 
da 
ciascun operatore 
destinatario di 
concessione 
ovvero 
di 
autorizzazione 
promuovendo l’integrazione 
delle 
tecnologie 
e 
dell’offerta 
di servizi di telecomunicazioni; 


-emana 
direttive 
concernenti 
i 
livelli 
generali 
di 
qualità 
dei 
servizi 
e 
per 
l’adozione, da 
parte 
di 
ciascun gestore, di 
una 
carta 
del 
servizio recante 
l’indicazione 
di 
standard 
minimi per ogni comparto di attività; 
-vigila 
sulle 
modalità 
di 
distribuzione 
dei 
servizi 
e 
dei 
prodotti, inclusa 
la 
pubblicità 
in qualunque 
forma 
diffusa 
e 
può emanare 
regolamenti 
per la 
disciplina 
delle 
relazioni 
tra 
gestori 
di 
reti 
fisse 
e 
mobili 
e 
operatori 
che 
svolgono 
attività di rivendita di servizi di telecomunicazioni; 
-in materia 
di 
pubblicità 
sotto qualsiasi 
forma 
e 
di 
televendite, emana 
i 
regolamenti 
attuativi 
delle 
disposizioni 
di 
legge 
e 
regola 
l’interazione 
organizzata 
tra 
il 
fornitore 
del 
prodotto 
o 
servizio 
o 
il 
gestore 
di 
rete 
e 
l’utente, 
che 
comporti 
acquisizione 
di 
informazioni 
dall’utente, 
nonché 
l’utilizzazione 
delle 
informazioni relative agli utenti; 
-verifica 
il 
rispetto nel 
settore 
radiotelevisivo delle 
norme 
in materia 
di 
tutela 
dei 
minori 
e 
in caso di 
inosservanza 
delle 
norme 
in materia 
di 
tutela 
dei 
minori delibera l’irrogazione delle sanzioni; 
-garantisce 
l’applicazione 
delle 
disposizioni 
vigenti 
sulla 
propaganda, 
sulla 
pubblicità 
e 
sull’informazione 
politica 
nonché 
l’osservanza 
delle 
norme 
in materia 
di 
equità 
di 
trattamento e 
di 
parità 
di 
accesso nelle 
pubblicazioni 
e 
nella 
trasmissione 
di 
informazione 
e 
di 
propaganda 
elettorale 
ed 
emana 
le 
norme di attuazione; 


-propone 
al 
Ministero delle 
comunicazioni 
lo schema 
della 
convenzione 
annessa 
alla 
concessione 
del 
servizio pubblico radiotelevisivo e 
verifica 
l’attuazione 
degli 
obblighi 
previsti 
nella 
suddetta 
convenzione 
e 
in tutte 
le 
altre 
che 
vengono stipulate 
tra 
concessionaria 
del 
servizio pubblico (rai 
-radiotelevisione 
italiana S.p.A.) e amministrazioni pubbliche; 
-garantisce 
che 
le 
rilevazioni 
degli 
indici 
di 
ascolto 
e 
di 
lettura 
dei 
diversi 
mezzi 
di 
comunicazione, su qualsiasi 
piattaforma 
di 
distribuzione 
e 
di 
diffusione, 
si 
conformino a 
criteri 
di 
correttezza 
metodologica, trasparenza, verifi



Contributi 
Di 
DottrinA 


cabilità 
e 
certificazione 
da 
parte 
di 
soggetti 
indipendenti 
e 
siano realizzate 
da 
organismi 
dotati 
della 
massima 
rappresentatività 
dell’intero settore 
di 
riferimento; 
emana 
le 
direttive 
necessarie 
ad assicurare 
il 
rispetto dei 
citati 
criteri 
e princìpi e vigila sulla loro attuazione; 


-verifica 
che 
la 
pubblicazione 
e 
la 
diffusione 
dei 
sondaggi 
sui 
mezzi 
di 
comunicazione 
di 
massa 
siano 
effettuate 
rispettando 
i 
criteri 
contenuti 
nell’apposito 
regolamento che essa stessa provvede ad emanare. 
il consiglio, tra l’altro: 


-garantisce 
l’applicazione 
delle 
norme 
legislative 
sull’accesso ai 
mezzi 
e 
alle 
infrastrutture 
di 
comunicazione, anche 
attraverso la 
predisposizione 
di 
specifici regolamenti; 
-adotta 
il 
regolamento concernente 
l’organizzazione 
e 
il 
funzionamento, 
i 
bilanci, 
i 
rendiconti 
e 
la 
gestione 
delle 
spese, 
anche 
in 
deroga 
alle 
disposizioni 
sulla 
contabilità 
generale 
dello Stato, nonché 
il 
trattamento giuridico ed economico 
del personale addetto; 
-adotta 
regolamenti 
sulle 
modalità 
operative 
e 
comportamentali 
del 
personale, 
dei 
dirigenti 
e 
dei 
componenti 
della 
Autorità 
attraverso l’emanazione 
di 
un documento denominato Codice 
etico dell’Autorità 
per le 
garanzie 
nelle 
comunicazioni; 
-disciplina 
con 
propri 
provvedimenti 
le 
modalità 
per 
la 
soluzione 
non 
giurisdizionale 
delle 
controversie 
che 
possono 
insorgere 
fra 
utenti 
o 
categorie 
di 
utenti 
ed 
un 
soggetto 
autorizzato 
o 
destinatario 
di 
licenze 
oppure 
tra 
soggetti 
autorizzati 
o 
destinatari 
di 
licenze 
tra 
loro. 
Per 
le 
predette 
controversie, 
individuate 
con 
provvedimenti 
dell’Autorità, 
non 
può 
proporsi 
ricorso 
in 
sede 
giurisdizionale 
fino 
a 
che 
non 
sia 
stato 
esperito 
un 
tentativo 
obbligatorio 
di 
conciliazione 
da 
ultimare 
entro 
trenta 
giorni 
dalla 
proposizione 
dell’istanza 
al-
l’Autorità. 
A 
tal 
fine, 
i 
termini 
per 
agire 
in 
sede 
giurisdizionale 
sono 
sospesi 
fino 
alla 
scadenza 
del 
termine 
per 
la 
conclusione 
del 
procedimento 
di 
conciliazione; 


-adotta 
il 
regolamento sui 
criteri 
e 
sulle 
modalità 
di 
rilascio delle 
concessioni 
e 
delle 
autorizzazioni 
in materia 
radiotelevisiva 
e 
per la 
determinazione 
dei relativi canoni e contributi; 
-verifica 
i 
bilanci 
ed i 
dati 
relativi 
alle 
attività 
ed alla 
proprietà 
dei 
soggetti 
autorizzati 
o 
concessionari 
del 
servizio 
radiotelevisivo, 
secondo 
modalità 
stabilite con regolamento; 
-accerta 
la 
effettiva 
sussistenza 
di 
posizioni 
dominanti 
nel 
settore 
radiotelevisivo 
e 
comunque 
vietate 
ai 
sensi 
della 
L. n. 249/1997 e 
adotta 
i 
conseguenti 
provvedimenti; 
-esprime, entro trenta 
giorni 
dal 
ricevimento della 
relativa 
documentazione, 
parere 
obbligatorio sui 
provvedimenti, riguardanti 
operatori 
del 
settore 
delle 
comunicazioni 
e 
del 
settore 
postale, predisposti 
dall’antitrust 
in applicazione 
degli artt. 2, 3, 4 e 6 L. n. 287/1990. 
Procedimenti. 
i 
procedimenti 
in 
attribuzione 
dell’Autorità, 
alla 
luce 
di 



rASSeGnA 
AVVoCAturA 
DeLLo 
StAto -n. 4/2022 


quanto soprariportato, sono numerosi, tanto da 
farne 
una 
delle 
autorità 
con i 
poteri 
più 
significativi. 
Abbiamo, 
tra 
l’altro: 
a) 
procedimenti 
normativi, 
diretti 
alla 
adozione 
di 
regolamenti; 
b) 
procedimenti 
regolatori, sfocianti 
nella 
adozione 
di 
provvedimenti 
generali; 
c) 
procedimenti 
ispettivi, ed eventualmente 
sanzionatori; 
d) 
procedimenti 
dichiarativi 
(tenuta 
del 
registro degli 
operatori 
di 
comunicazione 
e 
postali); 
e) 
procedimenti 
giustiziali, 
diretti 
a 
dirimere 
controversie 
in vie amministrativa; 
f) 
procedimenti consultivi. 


Per lo svolgimento delle 
proprie 
funzioni, l’autorità 
esercita 
i 
poteri 
descritti 
nei 
commi 
20 e 
22 dell’art. 2 L. n. 481/1995, giusta 
il 
richiamo operato 
dal 
comma 
21 dell’art. 1 L. n. 249/1997, in quanto non derogate 
dalle 
disposizioni 
dalla 
legge 
n. 249/1997. ossia: 
a) 
richiesta, ai 
soggetti 
esercenti 
il 
servizio, 
informazioni 
e 
documenti 
sulle 
loro attività; 
b) 
controlli; 
c) 
irrogazione 
di 
sanzioni; 
d) ordine 
al 
soggetto esercente 
il 
servizio la 
cessazione 
di 
comportamenti 
lesivi 
dei 
diritti 
degli 
utenti, 
imponendo 
l’obbligo 
di 
corrispondere 
un indennizzo; 
e) 
adozione, nell’ambito della 
procedura 
di 
conciliazione 
o di 
arbitrato, 
di 
provvedimenti 
temporanei 
diretti 
a 
garantire 
la 
continuità 
dell’erogazione 
del 
servizio ovvero a 
far cessare 
forme 
di 
abuso o di 
scorretto funzionamento 
da 
parte 
del 
soggetto 
esercente 
il 
servizio. 
All’uopo 
si 
rinvia 
all’esame che verrà svolto nella trattazione dell’Arera. 


7. autorità di regolazione per Energia, reti e 
ambiente (c.d. arera). 
L’Autorità 
è 
stata 
istituita 
con la 
L. 14 novembre 
1995, n. 481 (15). Ha 
autonomia 
normativa, 
organizzativa, 
amministrativa 
e 
contabile. 
il 
bilancio 
preventivo 
e 
il 
rendiconto 
della 
gestione 
è 
soggetto 
al 
controllo 
della 
Corte 
dei 
conti. Ha 
altresì 
autonomia 
finanziaria 
(16), con possibilità 
di 
deroga 
alle 
norme 
sulla 
contabilità 
generale 
dello 
Stato 
(art. 
1, 
comma 
21, 
L. 
n. 
249/1997). 


Composizione 
e 
nomina. 
L’Autorità 
è 
organo 
collegiale 
costituito 
dal 
presidente 
e 
da 
quattro membri, nominati, ai 
sensi 
dell’art. 2, commi 
7 e 
8, L. n. 
481/1995 
(17), 
su 
proposta 
del 
Ministro 
dello 
sviluppo 
economico 
d’intesa 


(15) originariamente 
denominata 
-dalla 
sua 
istituzione 
il 
14 novembre 
1995 fino al 
24 dicembre 
2013 
-Autorità 
per 
l’energia 
elettrica 
e 
il 
gas 
(AeeG), 
poi, 
fino 
al 
27 
dicembre 
2017, 
Autorità 
per 
l’energia 
elettrica 
il 
gas 
ed il 
sistema 
idrico (AeeGSi). Con l’art. 1, comma 
528, L. 27 dicembre 
2017, n. 205 
si 
è 
disposto: 
“La 
denominazione 
«autorità 
per 
l’energia 
elettrica, 
il 
gas 
e 
il 
sistema 
idrico» 
è 
sostituita, 
ovunque 
ricorre, 
dalla 
denominazione 
«autorità 
di 
regolazione 
per 
energia, 
reti 
e 
ambiente» 
(arEra)”. 
(16) Per l’art. 2, comma 
38, L. n. 581/1995 “all’onere 
derivante 
dall’istituzione 
e 
dal 
funzionamento 
delle 
autorità, […], si 
provvede:[…] 
a decorrere 
dal 
1996, mediante 
contributo di 
importo non 
superiore 
all’uno 
per 
mille 
dei 
ricavi 
dell’ultimo 
esercizio, 
versato 
dai 
soggetti 
esercenti 
il 
servizio 
stesso”. inoltre 
per l’art. 1, comma 
528, L. n. 205/2017:“all’onere 
derivante 
dal 
funzionamento del-
l’arEra, in relazione 
ai 
compiti 
di 
regolazione 
e 
controllo in materia di 
gestione 
dei 
rifiuti 
di 
cui 
al 
comma 527, si 
provvede 
mediante 
un contributo di 
importo non superiore 
all’uno per 
mille 
dei 
ricavi 
dell’ultimo esercizio versato dai 
soggetti 
esercenti 
il 
servizio di 
gestione 
dei 
rifiuti 
medesimi, ai 
sensi 
dell’articolo 2, comma 38, lettera b), della legge 
14 novembre 
1995, n. 481, e 
dell’articolo 1, comma 
68-bis, della legge 23 dicembre 2005, n. 266”. 
(17) 
“7. 
[…] 
nominati 
con 
decreto 
del 
Presidente 
della 
repubblica, 
previa 
deliberazione 
del 
Con

Contributi 
Di 
DottrinA 


con 
il 
Ministro 
dell’Ambiente 
e 
della 
Sicurezza 
energetica 
(art. 
1, 
comma 
528, 
L. n. 205/2017). 


Compiti. 
È 
preposta 
alla 
tutela 
delle 
regole 
del 
gioco 
nell’ordinamento 
sezionale 
relativo 
all’energia, 
reti, 
servizio 
idrico 
integrato 
e 
al 
ciclo 
dei 
rifiuti 
anche 
differenziati 
urbani 
e 
assimilati, con poteri 
normativi, regolatori 
(quali 
quelli 
tariffari), di 
controllo (con conseguente 
potestà 
ispettiva 
e 
sanzionatoria), 
conoscitivi, 
propositivi, 
e 
consultivi. 
L’Autorità, 
tra 
l’altro, 
in 
base 
all’art. 
2, comma 12, L. n. 481/1995 ed all’art. 1, comma 527, L. n. 205/2017: 


-controlla 
che 
le 
condizioni 
e 
le 
modalità 
di 
accesso per i 
soggetti 
esercenti 
i 
servizi 
siano attuate 
nel 
rispetto dei 
princìpi 
della 
concorrenza 
e 
della 
trasparenza, anche 
al 
fine 
di 
prevedere 
l’obbligo di 
prestare 
il 
servizio in condizioni 
di 
eguaglianza, in modo che 
tutte 
le 
ragionevoli 
esigenze 
degli 
utenti 
siano soddisfatte; 
-propone 
la 
modifica 
delle 
clausole 
delle 
concessioni 
e 
delle 
convenzioni, 
delle 
autorizzazioni, dei 
contratti 
di 
programma 
in essere 
e 
delle 
condizioni 
di 
svolgimento dei 
servizi, ove 
ciò sia 
richiesto dall’andamento del 
mercato o 
dalle ragionevoli esigenze degli utenti; 


-stabilisce 
e 
aggiorna, in relazione 
all’andamento del 
mercato e 
del 
reale 
costo di 
approvvigionamento della 
materia 
prima, la 
tariffa 
base, i 
parametri 
e 
gli 
altri 
elementi 
di 
riferimento 
per 
determinare 
le 
tariffe 
-ossia: 
i 
prezzi 
massimi 
unitari 
dei 
servizi 
al 
netto 
delle 
imposte 
(18) 
-nonché 
le 
modalità 
per 
il 
recupero dei 
costi 
eventualmente 
sostenuti 
nell’interesse 
generale 
in modo 
da 
assicurare 
la 
qualità, 
l’efficienza 
del 
servizio 
e 
l’adeguata 
diffusione 
del 
medesimo sul 
territorio nazionale, nonché 
la 
realizzazione 
degli 
obiettivi 
generali 
di 
carattere 
sociale, di 
tutela 
ambientale 
e 
di 
uso efficiente 
delle 
risorse, 
tenendo separato dalla 
tariffa 
qualsiasi 
tributo od onere 
improprio; 
verifica 
la 
conformità 
ai 
criteri 
determinativi 
della 
tariffa 
delle 
proposte 
di 
aggiornamento 
delle tariffe annualmente presentate; 
siglio dei 
ministri 
[…]. Le 
designazioni 
effettuate 
dal 
Governo sono previamente 
sottoposte 
al 
parere 
delle 
competenti 
Commissioni 
parlamentari. 
in 
nessun 
caso 
le 
nomine 
possono 
essere 
effettuate 
in 
mancanza 
del 
parere 
favorevole 
espresso dalle 
predette 
Commissioni 
a maggioranza dei 
due 
terzi 
dei 
componenti. 
Le 
medesime 
Commissioni 
possono procedere 
all’audizione 
delle 
persone 
designate. 
[…]. 
8. i 
componenti 
di 
ciascuna autorità sono scelti 
fra persone 
dotate 
di 
alta e 
riconosciuta professionalità e 
competenza nel settore; durano in carica sette anni e non possono essere confermati. […]”. 


(18) Così 
l’art. 2, comma 
17, L. n. 481/1995. i successivi 
due 
commi 
precisano che 
i 
parametri 
che 
l’Autorità 
fissa 
per la 
determinazione 
della 
tariffa 
con il 
metodo del 
price-cap, inteso come 
limite 
massimo della 
variazione 
di 
prezzo vincolata 
per un periodo pluriennale, sono i 
seguenti: 
“a) tasso di 
variazione 
medio 
annuo 
riferito 
ai 
dodici 
mesi 
precedenti 
dei 
prezzi 
al 
consumo 
per 
le 
famiglie 
di 
operai 
e 
impiegati 
rilevato dall’iSTaT; b) obiettivo di 
variazione 
del 
tasso annuale 
di 
produttività, prefissato 
per 
un periodo almeno triennale. 19. ai 
fini 
di 
cui 
al 
comma 18 si 
fa altresì 
riferimento ai 
seguenti 
elementi: 
a) 
recupero 
di 
qualità 
del 
servizio 
rispetto 
a 
standards 
prefissati 
per 
un 
periodo 
almeno 
triennale; 
b) costi 
derivanti 
da eventi 
imprevedibili 
ed eccezionali, da mutamenti 
del 
quadro normativo o dalla 
variazione 
degli 
obblighi 
relativi 
al 
servizio 
universale; 
c) 
costi 
derivanti 
dall’adozione 
di 
interventi 
volti al controllo e alla gestione della domanda attraverso l’uso efficiente delle risorse”. 

rASSeGnA 
AVVoCAturA 
DeLLo 
StAto -n. 4/2022 


-emana 
le 
direttive 
per la 
separazione 
contabile 
e 
amministrativa 
e 
verifica 
i 
costi 
delle 
singole 
prestazioni 
per assicurare, tra 
l’altro, la 
loro corretta 
disaggregazione 
e 
imputazione 
per funzione 
svolta, per area 
geografica 
e 
per 
categoria 
di 
utenza 
evidenziando 
separatamente 
gli 
oneri 
conseguenti 
alla 
fornitura 
del servizio universale definito dalla convenzione; 
-controlla 
lo svolgimento dei 
servizi 
con poteri 
di 
ispezione, di 
accesso, 
di 
acquisizione 
della 
documentazione 
e 
delle 
notizie 
utili, 
determinando 
altresì 
i 
casi 
di 
indennizzo automatico da 
parte 
del 
soggetto esercente 
il 
servizio nei 
confronti 
dell’utente 
ove 
il 
medesimo 
soggetto 
non 
rispetti 
le 
clausole 
contrattuali 
o eroghi 
il 
servizio con livelli 
qualitativi 
inferiori 
a 
quelli 
stabiliti 
nel 
regolamento di 
servizio, nel 
contratto di 
programma 
ovvero ai 
livelli 
generali 
di 
qualità 
riferiti 
al 
complesso delle 
prestazioni 
e 
i 
livelli 
specifici 
di 
qualità 
riferiti alla singola prestazione da garantire all’utente; 
-emana 
le 
direttive 
concernenti 
la 
produzione 
e 
l’erogazione 
dei 
servizi 
da 
parte 
dei 
soggetti 
esercenti 
i 
servizi 
medesimi, definendo in particolare 
i 
livelli 
generali 
di 
qualità 
riferiti 
al 
complesso delle 
prestazioni 
e 
i 
livelli 
specifici 
di 
qualità 
riferiti 
alla 
singola 
prestazione 
da 
garantire 
all’utente. tali 
determinazioni 
producono 
la 
modifica 
o 
integrazione 
del 
regolamento 
di 
servizio 
che deve essere predisposto dal soggetto esercente il servizio; 
-pubblicizza 
e 
diffonde 
la 
conoscenza 
delle 
condizioni 
di 
svolgimento 
dei 
servizi 
al 
fine 
di 
garantire 
la 
massima 
trasparenza, la 
concorrenzialità 
del-
l’offerta 
e 
la 
possibilità 
di 
migliori 
scelte 
da 
parte 
degli 
utenti 
intermedi 
o finali; 


-valuta 
reclami, istanze 
e 
segnalazioni 
presentate 
dagli 
utenti 
o dai 
consumatori, 
singoli 
o 
associati, 
in 
ordine 
al 
rispetto 
dei 
livelli 
qualitativi 
e 
tariffari 
da 
parte 
dei 
soggetti 
esercenti 
il 
servizio nei 
confronti 
dei 
quali 
interviene 
imponendo, 
ove 
opportuno, modifiche 
alle 
modalità 
di 
esercizio degli 
stessi 
ovvero 
procedendo alla revisione del regolamento di servizio; 
-decide 
le 
controversie 
insorte 
tra 
utenti 
e 
soggetti 
esercenti 
il 
servizio 
nell’ambito delle procedure di conciliazione o di arbitrato; 
-verifica 
la 
congruità 
delle 
misure 
adottate 
dai 
soggetti 
esercenti 
il 
servizio 
al 
fine 
di 
assicurare 
la 
parità 
di 
trattamento 
tra 
gli 
utenti, 
garantire 
la 
continuità 
della 
prestazione 
dei 
servizi, 
verificare 
periodicamente 
la 
qualità 
e 
l’efficacia delle prestazioni; 
-controlla 
che 
ciascun soggetto esercente 
il 
servizio adotti, in base 
alla 
direttiva 
sui 
princìpi 
dell’erogazione 
dei 
servizi 
pubblici 
del 
Presidente 
del 
Consiglio dei 
ministri 
del 
27 gennaio 1994, pubblicata 
nella 
G.u. n. 43 del 
22 
febbraio 1994, una 
carta 
di 
servizio pubblico con indicazione 
di 
standards 
dei 
singoli servizi e ne verifica il rispetto; 
- effettua controlli ed irroga sanzioni amministrative pecuniarie; 
-adotta 
i 
regolamenti 
a) 
per 
disciplinare 
le 
audizioni 
periodiche 
delle 
formazioni 
associative 
nelle 
quali 
i 
consumatori 
e 
gli 
utenti 
siano 
organizzati, 



Contributi 
Di 
DottrinA 


delle 
associazioni 
ambientaliste, delle 
associazioni 
sindacali 
delle 
imprese 
e 
dei 
lavoratori 
e 
lo svolgimento di 
rilevazioni 
sulla 
soddisfazione 
degli 
utenti 
e 
sull’efficacia 
dei 
servizi; 
b) 
per definire 
le 
norme 
concernenti 
l’organizzazione 
interna 
e 
il 
funzionamento, 
la 
pianta 
organica 
del 
personale 
di 
ruolo, 
l’ordinamento 
delle 
carriere, 
nonché, 
in 
base 
ai 
criteri 
fissati 
dal 
contratto 
collettivo 
di 
lavoro in vigore 
per l’antitrust 
e 
tenuto conto delle 
specifiche 
esigenze 
funzionali 
e 
organizzative, 
il 
trattamento 
giuridico 
ed 
economico 
del 
personale. 

Procedimenti. 
Per 
i 
procedimenti 
in 
attribuzione 
dell’Autorità 
vale 
quanto 
detto a proposito dell’Autorità per la Garanzia delle Comunicazioni. 


i commi 
20 e 
22 dell’art. 2 L. n. 481/1995 stabiliscono che 
per lo svolgimento 
delle 
proprie 
funzioni, 
l’autorità: 
a) 
richiede, 
ai 
soggetti 
esercenti 
il 
servizio, 
informazioni 
e 
documenti 
sulle 
loro 
attività; 
b) 
effettua 
controlli 
in 
ordine 
al 
rispetto degli 
atti 
di 
cui 
ai 
commi 
36 e 
37 dell’art. 2 L. n. 481/1995 
(19); 
c) 
irroga, salvo che 
il 
fatto costituisca 
reato, in caso di 
inosservanza 
dei 
propri 
provvedimenti 
o in caso di 
mancata 
ottemperanza 
da 
parte 
dei 
soggetti 
esercenti 
il 
servizio, alle 
richieste 
di 
informazioni 
o a 
quelle 
connesse 
all’effettuazione 
dei 
controlli, ovvero nel 
caso in cui 
le 
informazioni 
e 
i 
documenti 
acquisiti 
non siano veritieri, sanzioni 
amministrative 
pecuniarie 
non inferiori 
nel 
minimo a 
euro 2.500 e 
non superiori 
nel 
massimo a 
euro 154.937,07; 
in 
caso 
di 
reiterazione 
delle 
violazioni 
ha 
la 
facoltà, 
qualora 
ciò 
non 
comprometta 
la 
fruibilità 
del 
servizio 
da 
parte 
degli 
utenti, 
di 
sospendere 
l’attività 
di 
impresa 
fino a 
6 mesi 
ovvero proporre 
al 
Ministro competente 
la 
sospensione 
o la 
decadenza 
della 
concessione; 
d) ordina 
al 
soggetto esercente 
il 
servizio la 
cessazione 
di 
comportamenti 
lesivi 
dei 
diritti 
degli 
utenti, imponendo l’obbligo 
di 
corrispondere 
un indennizzo; 
e) 
può adottare, nell’ambito della 
procedura 
di 
conciliazione 
o di 
arbitrato, provvedimenti 
temporanei 
diretti 
a 
garantire 
la 
continuità 
dell’erogazione 
del 
servizio ovvero a 
far cessare 
forme 
di 
abuso o 
di 
scorretto 
funzionamento 
da 
parte 
del 
soggetto 
esercente 
il 
servizio; 
f) 
Le 
PP.AA. e 
le 
imprese 
sono tenute 
a 
fornire 
alle 
autorità, oltre 
a 
notizie 
e 
informazioni, 
la collaborazione per l’adempimento delle loro funzioni. 


8. autorità di regolazione dei trasporti (c.d. art). 
L’Autorità 
è 
stata 
istituita 
e 
disciplinata 
-anche 
con riguardo alle 
compe


(19) “36. L’esercizio del 
servizio in concessione 
è 
disciplinato da convenzioni 
ed eventuali 
contratti 
di 
programma stipulati 
tra l’amministrazione 
concedente 
e 
il 
soggetto esercente 
il 
servizio, nei 
quali 
sono definiti, in particolare, l’indicazione 
degli 
obiettivi 
generali, degli 
scopi 
specifici 
e 
degli 
obblighi 
reciproci 
da perseguire 
nello svolgimento del 
servizio; le 
procedure 
di 
controllo e 
le 
sanzioni 
in 
caso di 
inadempimento; le 
modalità e 
le 
procedure 
di 
indennizzo automatico nonché 
le 
modalità di 
aggiornamento, 
revisione 
e 
rinnovo del 
contratto di 
programma o della convenzione. 37. il 
soggetto esercente 
il 
servizio 
predispone 
un 
regolamento 
di 
servizio 
nel 
rispetto 
dei 
princìpi 
di 
cui 
alla 
presente 
legge 
e di quanto stabilito negli atti di cui al comma 36. […]”. 

rASSeGnA 
AVVoCAturA 
DeLLo 
StAto -n. 4/2022 


tenze 
-con l’art. 37 D.L. 6 dicembre 
2011, n. 201, conv. L. 22 dicembre 
2011, 


n. 214. All’Autorità 
si 
applicano, in quanto compatibili, le 
disposizioni 
organizzative 
e 
di 
funzionamento di 
cui 
alla 
legge14 novembre 
1995, n. 481, relativa 
alla 
Autorità 
di 
regolazione 
per energia 
reti 
e 
Ambiente. Pertanto, come 
quest’ultima 
ha 
autonomia 
normativa, organizzativa, amministrativa 
e 
contabile. 
il 
bilancio preventivo e 
il 
rendiconto della 
gestione 
è 
sottoposto al 
controllo 
della 
Corte 
dei 
conti. Ha 
altresì 
autonomia 
finanziaria, con possibilità 
di deroga alle norme sulla contabilità generale dello Stato. 
Composizione 
e 
nomina. 
L’Autorità 
è 
organo 
collegiale 
composto 
dal 
presidente 
e 
da 
due 
componenti 
nominati 
secondo le 
procedure 
di 
cui 
all’articolo 
2, 
comma 
7, 
L. 
n. 
481/1995. 
Ai 
componenti 
e 
ai 
funzionari 
dell’Autorità 
si 
applica 
il 
regime 
previsto dall’art. 2, commi 
da 
8 a 
11, della 
medesima 
legge. 
i componenti 
dell’Autorità 
sono scelti, nel 
rispetto dell’equilibrio di 
genere, 
tra 
persone 
di 
indiscussa 
moralità 
e 
indipendenza 
e 
di 
comprovata 
professionalità 
e 
competenza 
nei 
settori 
in cui 
opera 
l’Autorità. i componenti 
dell’Autorità 
sono 
nominati 
per 
un 
periodo 
di 
sette 
anni 
e 
non 
possono 
essere 
confermati nella carica. 

Compiti. 
È 
preposta 
alla 
tutela 
delle 
regole 
del 
gioco 
nell’ordinamento 
sezionale 
relativo al 
settore 
dei 
trasporti 
e 
dell’accesso alle 
relative 
infrastrutture 
e 
ai 
servizi 
accessori, con poteri 
normativi, regolatori, ispettivi, sanzionatori, 
conoscitivi, giustiziali e consultivi. L’Autorità, tra l’altro, provvede: 


-a 
garantire 
l’efficienza 
produttiva 
delle 
gestioni 
e 
il 
contenimento dei 
costi 
per gli 
utenti, le 
imprese 
e 
i 
consumatori, condizioni 
di 
accesso eque 
e 
non discriminatorie 
alle 
infrastrutture 
ferroviarie, portuali, aeroportuali 
e 
alle 
reti 
autostradali, 
nonché 
in 
relazione 
alla 
mobilità 
dei 
passeggeri 
e 
delle 
merci 
in 
ambito 
nazionale, 
locale 
e 
urbano 
anche 
collegata 
a 
stazioni, 
aeroporti 
e 
porti; 
-a 
definire 
i 
criteri 
per 
la 
fissazione 
da 
parte 
dei 
soggetti 
competenti 
delle 
tariffe, 
dei 
canoni, 
dei 
pedaggi, 
tenendo 
conto 
dell’esigenza 
di 
assicurare 
l’equilibrio 
economico 
delle 
imprese 
regolate, 
l’efficienza 
produttiva 
delle 
gestioni 
e il contenimento dei costi per gli utenti, le imprese, i consumatori; 


-a 
stabilire 
le 
condizioni 
minime 
di 
qualità 
dei 
servizi 
di 
trasporto nazionali 
e 
locali 
connotati 
da 
oneri 
di 
servizio pubblico, individuate 
secondo caratteristiche 
territoriali di domanda e offerta; 
-a 
definire, 
in 
relazione 
ai 
diversi 
tipi 
di 
servizio 
e 
alle 
diverse 
infrastrutture, 
il 
contenuto 
minimo 
degli 
specifici 
diritti, 
anche 
di 
natura 
risarcitoria, 
che 
gli 
utenti 
possono esigere 
nei 
confronti 
dei 
gestori 
dei 
servizi 
e 
delle 
infrastrutture 
di trasporto e a dirimere le relative controversie; 


-a 
definire 
gli 
schemi 
dei 
bandi 
delle 
gare 
per l’assegnazione 
dei 
servizi 
di 
trasporto 
in 
esclusiva 
e 
delle 
convenzioni 
da 
inserire 
nei 
capitolati 
delle 
medesime 
gare 
e 
a 
stabilire 
i 
criteri 
per la 
nomina 
delle 
commissioni 
aggiudicatrici. 
Con riferimento al 
trasporto pubblico locale 
l’Autorità 
definisce 
anche 

Contributi 
Di 
DottrinA 


gli 
schemi 
dei 
contratti 
di 
servizio per i 
servizi 
esercitati 
da 
società 
in house 
o 
da 
società 
con 
prevalente 
partecipazione 
pubblica 
ai 
sensi 
del 
D.L.vo 
19 
agosto 
2016, n. 175, nonché 
per quelli 
affidati 
direttamente. Sia 
per i 
bandi 
di 
gara 
che 
per 
i 
predetti 
contratti 
di 
servizio 
esercitati 
in 
house 
o 
affidati 
direttamente 
l’Autorità 
determina 
la 
tipologia 
di 
obiettivi 
di 
efficacia 
e 
di 
efficienza 
che 
il 
gestore 
deve 
rispettare, nonché 
gli 
obiettivi 
di 
equilibrio finanziario; 
per tutti 
i 
contratti 
di 
servizio prevede 
obblighi 
di 
separazione 
contabile 
tra 
le 
attività 
svolte in regime di servizio pubblico e le altre attività; 


-con 
riferimento 
al 
settore 
autostradale, 
a 
stabilire 
per 
le 
concessioni 
i 
sistemi 
tariffari 
dei 
pedaggi 
basati 
sul 
metodo 
del 
price 
cap; 
a 
definire 
gli 
schemi 
di 
concessione 
da 
inserire 
nei 
bandi 
di 
gara 
relativi 
alla 
gestione 
o costruzione; 
a 
definire 
gli 
schemi 
dei 
bandi 
relativi 
alle 
gare 
cui 
sono 
tenuti 
i 
concessionari autostradali; 


-con riferimento all’accesso all’infrastruttura 
ferroviaria, a 
definire 
i 
criteri 
per la 
determinazione 
dei 
pedaggi 
da 
parte 
del 
gestore 
dell’infrastruttura 
e 
i 
criteri 
di 
assegnazione 
delle 
tracce 
e 
della 
capacità 
e 
a 
vigilare 
sulla 
loro 
corretta applicazione da parte del gestore dell’infrastruttura; 
-con riferimento al 
servizio taxi, a 
monitorare 
e 
verificare 
la 
corrispondenza 
dei 
livelli 
di 
offerta 
del 
servizio taxi, delle 
tariffe 
e 
della 
qualità 
delle 
prestazioni 
alle 
esigenze 
dei 
diversi 
contesti 
urbani, secondo i 
criteri 
di 
ragionevolezza 
e 
proporzionalità, allo scopo di 
garantire 
il 
diritto di 
mobilità 
degli 
utenti. Comuni 
e 
regioni, nell’ambito delle 
proprie 
competenze, provvedono, 
previa 
acquisizione 
di 
preventivo parere 
da 
parte 
dell’Autorità, ad adeguare 
il 
servizio dei taxi. 
Procedimenti. 
Per 
i 
procedimenti 
in 
attribuzione 
dell’Autorità 
vale 
quanto 
detto a proposito dell’Agcom. 


nell’esercizio 
dei 
compiti 
innanzi 
delineati, 
l’Autorità 
-giusta 
il 
comma 
3 
dell’art. 
37 
cit. 
-tra 
l’altro: 
a) 
può 
sollecitare 
e 
coadiuvare 
le 
PP.AA. 
competenti 
all’individuazione 
degli 
ambiti 
di 
servizio 
pubblico 
e 
dei 
metodi 
più 
efficienti 
per 
finanziarli, 
mediante 
l’adozione 
di 
pareri 
che 
può 
rendere 
pubblici; 
b) 
determina 
i 
criteri 
per 
la 
redazione 
della 
contabilità 
delle 
imprese 
regolate 
e 
può 
imporre, 
se 
necessario 
per 
garantire 
la 
concorrenza, 
la 
separazione 
contabile 
e 
societaria 
delle 
imprese 
integrate; 
c) 
propone 
all’amministrazione 
competente 
la 
sospensione, 
la 
decadenza 
o 
la 
revoca 
degli 
atti 
di 
concessione, 
delle 
convenzioni, 
dei 
contratti 
di 
servizio 
pubblico, 
dei 
contratti 
di 
programma 
e 
di 
ogni 
altro 
atto 
assimilabile 
comunque 
denominato, 
qualora 
sussistano 
le 
condizioni 
previste 
dall’ordinamento; 
d) 
richiede 
a 
chi 
ne 
è 
in 
possesso 
le 
informazioni 
e 
l’esibizione 
dei 
documenti 
necessari 
per 
l’esercizio 
delle 
sue 
funzioni, 
nonché 
raccoglie 
da 
qualunque 
soggetto 
informato 
dichiarazioni, 
da 
verbalizzare 
se 
rese 
oralmente; 
e) 
se 
sospetta 
possibili 
violazioni 
della 
regolazione 
negli 
ambiti 
di 
sua 
competenza, 
svolge 
ispezioni 
presso 
i 
soggetti 
sottoposti 
alla 
regolazione 
mediante 
accesso 
a 
impianti, 
a 
mezzi 
di 
trasporto 
e 
uffici; 



rASSeGnA 
AVVoCAturA 
DeLLo 
StAto -n. 4/2022 


durante 
l’ispezione, 
anche 
avvalendosi 
della 
collaborazione 
di 
altri 
organi 
dello 
Stato, 
può 
controllare 
i 
libri 
contabili 
e 
qualsiasi 
altro 
documento 
aziendale, 
ottenerne 
copia, 
chiedere 
chiarimenti 
e 
altre 
informazioni, 
apporre 
sigilli; 
delle 
operazioni 
ispettive 
e 
delle 
dichiarazioni 
rese 
deve 
essere 
redatto 
apposito 
verbale; 
f) 
ordina 
la 
cessazione 
delle 
condotte 
in 
contrasto 
con 
gli 
atti 
di 
regolazione 
adottati 
e 
con 
gli 
impegni 
assunti 
dai 
soggetti 
sottoposti 
a 
regolazione, 
disponendo 
le 
misure 
opportune 
di 
ripristino; 
nei 
casi 
in 
cui 
intenda 
adottare 
una 
decisione 
volta 
a 
fare 
cessare 
un’infrazione 
e 
le 
imprese 
propongano 
impegni 
idonei 
a 
rimuovere 
le 
contestazioni 
da 
essa 
avanzate, 
può 
rendere 
obbligatori 
tali 
impegni 
per 
le 
imprese 
e 
chiudere 
il 
procedimento 
senza 
accertare 
l’infrazione; 
può 
riaprire 
il 
procedimento 
se 
mutano 
le 
circostanze 
di 
fatto 
su 
cui 
sono 
stati 
assunti 
gli 
impegni 
o 
se 
le 
informazioni 
trasmesse 
dalle 
parti 
si 
rivelano 
incomplete, 
inesatte 
o 
fuorvianti; 
in 
circostanze 
straordinarie, 
ove 
ritenga 
che 
sussistano 
motivi 
di 
necessità 
e 
di 
urgenza, 
al 
fine 
di 
salvaguardare 
la 
concorrenza 
e 
di 
tutelare 
gli 
interessi 
degli 
utenti 
rispetto 
al 
rischio 
di 
un 
danno 
grave 
e 
irreparabile, 
può 
adottare 
provvedimenti 
temporanei 
di 
natura 
cautelare; 
g) 
valuta 
i 
reclami, 
le 
istanze 
e 
le 
segnalazioni 
presentati 
dagli 
utenti 
e 
dai 
consumatori, 
singoli 
o 
associati, 
in 
ordine 
al 
rispetto 
dei 
livelli 
qualitativi 
e 
tariffari 
da 
parte 
dei 
soggetti 
esercenti 
il 
servizio 
sottoposto 
a 
regolazione, 
ai 
fini 
dell’esercizio 
delle 
sue 
competenze; 
h) 
disciplina, 
con 
propri 
provvedimenti, 
le 
modalità 
per 
la 
soluzione 
non 
giurisdizionale 
delle 
controversie 
tra 
gli 
operatori 
economici 
che 
gestiscono 
reti, 
infrastrutture 
e 
servizi 
di 
trasporto 
e 
gli 
utenti 
o 
i 
consumatori 
mediante 
procedure 
semplici 
e 
non 
onerose 
anche 
in 
forma 
telematica. 
Per 
le 
predette 
controversie 
non 
è 
possibile 
proporre 
ricorso 
in 
sede 
giurisdizionale 
fino 
a 
che 
non 
sia 
stato 
esperito 
un 
tentativo 
obbligatorio 
di 
conciliazione, 
da 
ultimare 
entro 
trenta 
giorni 
dalla 
proposizione 
dell’istanza 
all’Autorità. 
A 
tal 
fine, 
i 
termini 
per 
agire 
in 
sede 
giurisdizionale 
sono 
sospesi 
fino 
alla 
scadenza 
del 
termine 
per 
la 
conclusione 
del 
procedimento 
di 
conciliazione; 
i) 
irroga 
una 
sanzione 
amministrativa 
pecuniaria 
fino 
al 
10 
% 
del 
fatturato 
dell’impresa 
interessata 
nei 
casi 
di 
inosservanza 
dei 
criteri 
per 
la 
formazione 
e 
l’aggiornamento 
di 
tariffe, 
canoni, 
pedaggi, 
diritti 
e 
prezzi 
sottoposti 
a 
controllo 
amministrativo, 
comunque 
denominati, 
di 
inosservanza 
dei 
criteri 
per 
la 
separazione 
contabile 
e 
per 
la 
disaggregazione 
dei 
costi 
e 
dei 
ricavi 
pertinenti 
alle 
attività 
di 
servizio 
pubblico 
e 
di 
violazione 
della 
disciplina 
relativa 
all’accesso 
alle 
reti 
e 
alle 
infrastrutture 
o 
delle 
condizioni 
imposte 
dalla 
stessa 
Autorità, 
nonché 
di 
inottemperanza 
agli 
ordini 
e 
alle 
misure 
disposti; 
l) 
applica 
una 
sanzione 
amministrativa 
pecuniaria 
fino 
all’1 
% 
del 
fatturato 
del-
l’impresa 
interessata 
qualora: 
1) 
i 
destinatari 
di 
una 
richiesta 
della 
stessa 
Autorità 
forniscano 
informazioni 
inesatte, 
fuorvianti 
o 
incomplete, 
ovvero 
non 
forniscano 
le 
informazioni 
nel 
termine 
stabilito; 
2) 
i 
destinatari 
di 
un’ispezione 
rifiutino 
di 
fornire 
ovvero 
presentino 
in 
modo 
incompleto 
i 
documenti 
aziendali, 
nonché 
rifiutino 
di 
fornire 
o 
forniscano 
in 
modo 
inesatto, 
fuorviante 
o 
in



Contributi 
Di 
DottrinA 


completo 
i 
chiarimenti 
richiesti; 
m) 
nel 
caso 
di 
inottemperanza 
agli 
impegni 
di 
cui 
alla 
lettera 
f) 
applica 
una 
sanzione 
fino 
al 
10 
% 
del 
fatturato 
dell’impresa 
interessata. 


9. autorità nazionale anticorruzione (c.d. anac). 
L’Autorità 
è 
stata 
istituita 
con 
l’art. 
1 
L. 
6 
novembre 
2012, 
n. 
190. 
Ha 
autonomia 
normativa 
ed organizzativa. non ha 
autonomia 
finanziaria 
in quanto 
agli 
oneri 
di 
funzionamento 
si 
provvede 
nei 
limiti 
dell’autorizzazione 
di 
spesa 
di cui all’articolo 4, comma 3, primo periodo, L. 4 marzo 2009, n. 15. 


Composizione 
e 
nomina. 
L’Autorità 
è 
organo 
collegiale 
composto 
dal 
presidente 
e 
da 
quattro 
componenti 
scelti 
tra 
esperti 
di 
elevata 
professionalità, 
anche 
estranei 
all’amministrazione, 
con 
comprovate 
competenze 
in 
italia 
e 
all’estero, 
sia 
nel 
settore 
pubblico 
che 
in 
quello 
privato, 
di 
notoria 
indipendenza 
e 
comprovata 
esperienza 
in materia 
di 
contrasto alla 
corruzione. il 
presidente 
e 
i 
componenti 
sono 
nominati 
con 
decreto 
del 
Presidente 
della 
repubblica, previa 
deliberazione 
del 
Consiglio dei 
Ministri, previo parere 
favorevole 
delle 
Commissioni 
parlamentari 
competenti 
espresso 
a 
maggioranza 
dei 
due 
terzi 
dei 
componenti. 
il 
presidente 
è 
nominato 
su 
proposta 
del 
Ministro 
per la 
pubblica 
amministrazione 
e 
la 
semplificazione, di 
concerto con il 
Ministro 
della 
giustizia 
e 
il 
Ministro dell’interno; 
i 
componenti 
sono nominati 
su 
proposta 
del 
Ministro per la 
pubblica 
amministrazione 
e 
la 
semplificazione. il 
presidente 
e 
i 
componenti 
dell’Autorità 
non possono essere 
scelti 
tra 
persone 
che 
rivestono incarichi 
pubblici 
elettivi 
o cariche 
in partiti 
politici 
o in organizzazioni 
sindacali 
o che 
abbiano rivestito tali 
incarichi 
e 
cariche 
nei 
tre 
anni 
precedenti 
la 
nomina 
e, in ogni 
caso, non devono avere 
interessi 
di 
qualsiasi 
natura 
in conflitto con le 
funzioni 
dell’Autorità. i componenti 
sono nominati 
per un periodo di 
sei 
anni 
e 
non possono essere 
confermati 
nella 
carica 
(art. 
13, comma 3, D.L.vo 27 ottobre 2009, n. 150). 


Compiti. È 
l’autorità 
indipendente 
nella 
materia 
della 
prevenzione 
della 
corruzione 
e 
della 
trasparenza 
nella 
P.A. 
(20), 
con 
poteri 
normativi, 
regolatori, 
di 
vigilanza 
e 
controllo (con facoltà 
ispettive 
e 
potestà 
sanzionatoria), conoscitivi 
e consultivi. 

L’Autorità 
definisce 
con propri 
regolamenti 
le 
norme 
concernenti 
il 
proprio 
funzionamento (art. 13, comma 4, L. n. 150/2009). 


i suoi 
compiti 
sono delineati 
nell’art. 1, comma 
2, della 
L. 6 novembre 
2012 n. 190 a termine dei quali, tra l’altro: 


-in virtù del 
potere 
regolatorio, adotta 
il 
Piano nazionale 
anticorruzione 
ai 
sensi 
del 
successivo comma 
2 bis. il 
Piano ha 
durata 
triennale 
ed è 
aggiornato 
annualmente. 
esso 
costituisce 
atto 
di 
indirizzo 
per 
le 
PP.AA. 
di 
cui 
all’art. 
(20) Sulla 
materia: 
M. GerArDo, anticorruzione 
e 
trasparenza nella pubblica amministrazione. 
Profili giuridici, economici ed informatici, in questa 
rassegna, 2016, 3, pp. 219-243. 

rASSeGnA 
AVVoCAturA 
DeLLo 
StAto -n. 4/2022 


1, comma 
2, D.L.vo 30 marzo 2001, n. 165, ai 
fini 
dell’adozione 
dei 
propri 
piani 
triennali 
di 
prevenzione 
della 
corruzione, e 
per gli 
altri 
soggetti 
di 
cui 
all’art. 2 bis, comma 
2, D.L.vo n. 33/2013, ai 
fini 
dell’adozione 
di 
misure 
di 
prevenzione 
della 
corruzione 
integrative 
di 
quelle 
adottate 
ai 
sensi 
del 
D.L.vo 
8 
giugno 
2001, 
n. 
231. 
il 
Piano, 
anche 
in 
relazione 
alla 
dimensione 
e 
ai 
diversi 
settori 
di 
attività 
degli 
enti, 
individua 
i 
principali 
rischi 
di 
corruzione 
e 
i 
relativi 
rimedi 
e 
contiene 
l’indicazione 
di 
obiettivi, tempi 
e 
modalità 
di 
adozione 
e 
attuazione 
delle misure di contrasto alla corruzione; 


-in virtù del 
potere 
conoscitivo analizza 
le 
cause 
e 
i 
fattori 
della 
corruzione 
e 
individua 
gli 
interventi 
che 
ne 
possono 
favorire 
la 
prevenzione 
e 
il 
contrasto; 
-in virtù del 
potere 
consultivo esprime 
parere 
obbligatorio sugli 
atti 
di 
direttiva 
e 
di 
indirizzo, nonché 
sulle 
circolari 
del 
Ministro per la 
pubblica 
amministrazione 
e 
la 
semplificazione 
in materia 
di 
conformità 
di 
atti 
e 
comportamenti 
dei 
funzionari 
pubblici 
alla 
legge, 
ai 
codici 
di 
comportamento 
e 
ai 
contratti, collettivi e individuali, regolanti il rapporto di lavoro pubblico; 
-esercita 
la 
vigilanza 
e 
il 
controllo sull’effettiva 
applicazione 
e 
sull’efficacia 
delle 
misure 
adottate 
dalle 
PP.AA. ai 
sensi 
dei 
commi 
4 e 
5 dell’art. 1 in 
esame 
-ossia 
sugli 
atti 
e 
documenti 
finalizzati 
alla 
prevenzione 
e 
contrasto 
della 
corruzione 
e 
dell’illegalità 
nella 
P.A. 
-e 
sul 
rispetto 
delle 
regole 
sulla 
trasparenza 
dell’attività 
amministrativa 
previste 
dai 
commi 
da 
15 
a 
36 
dell’art. 
1 in esame 
e 
dalle 
altre 
disposizioni 
vigenti. Sul 
punto, il 
comma 
3 dell’art. 1 
citato precisa 
che 
per l’esercizio delle 
dette 
funzioni 
l’Anac 
“esercita poteri 
ispettivi 
mediante 
richiesta 
di 
notizie, 
informazioni, 
atti 
e 
documenti 
alle 
pubbliche 
amministrazioni, e 
ordina l’adozione 
di 
atti 
o provvedimenti 
richiesti 
dai 
piani 
di 
cui 
ai 
commi 
4 e 
5 e 
dalle 
regole 
sulla trasparenza dell’attività 
amministrativa 
previste 
dalle 
disposizioni 
vigenti, 
ovvero 
la 
rimozione 
di 
comportamenti 
o atti 
contrastanti 
con i 
piani 
e 
le 
regole 
sulla trasparenza citati”; 
- esercita la vigilanza e il controllo sui contratti pubblici. 
Al 
fine 
di 
delineare 
il 
volto dell’Anac 
è 
necessario altresì 
il 
richiamo alle 
disposizioni 
del 
Codice 
dei 
contratti 
(D.L.vo 18 aprile 
2016, n. 50) da 
cui 
è 
dato evincere 
che 
l’Autorità 
ha 
funzioni 
di 
regolazione, vigilanza 
e 
controllo 
sui 
contratti 
pubblici, 
agisce 
anche 
al 
fine 
di 
prevenire 
e 
combattere 
l’illegalità 
e 
la 
corruzione 
(art. 213, comma 
1, D.L.vo n. 50/2016), dispone 
di 
poteri 
di 
ispezione 
(comma 
5), di 
denuncia 
(comma 
6), di 
sanzione 
verso chi 
non dà 
informazioni 
o 
documenti 
(comma 
13); 
dà 
pareri 
vincolanti 
di 
precontenzioso 
(ove 
le 
parti 
acconsentano) su questioni 
insorte 
durante 
lo svolgimento delle 
procedure di gara (art. 211, comma 1, D.L.vo n. 50/2016). 


L’AnAC, giusta 
il 
codice 
dei 
contratti, dispone 
-secondo la 
previsione 
generale 
dell’art. 213, comma 
2, D.L.vo n. 50/2016 -di 
un ampio potere 
regolatorio, 
attraverso l’emanazione 
di 
linee 
guida, bandi-tipo, capitolati-tipo, 
contratti-tipo e 
altri 
strumenti 
di 
regolazione 
flessibile 
(es.: 
art. 38 commi 
6 e 



Contributi 
Di 
DottrinA 


7 
sulle 
modalità 
attuative 
del 
sistema 
di 
qualificazione 
delle 
stazioni 
appaltanti 
e 
centrali 
di 
committenza; 
art. 71 sulla 
adozione 
da 
parte 
dell’AnAC di 
bandi 
tipo; 
art. 80, comma 
13 sulle 
linee 
guida 
per omogeneizzare 
l’accertamento 
di 
determinate 
cause 
di 
esclusione 
di 
un operatore 
economico dalla 
partecipazione 
a 
una 
procedura 
d’appalto o concessione). Viene 
in rilievo, solitamente, 
un potere 
normativo vincolante, avente 
natura 
regolamentare. in dati 
casi 
tale 
potere 
regolatorio costituisce 
un mero atto di 
indirizzo, non vincolante 
e 
disapplicabile 
dalle 
stazioni 
appaltanti: 
c.d. soft 
law; 
es. art. 71 nel 
predisporre 
bandi 
tipo: 
la 
disposizione 
stabilisce 
che 
i 
bandi 
di 
gara 
sono redatti 
in conformità 
dei 
bandi 
tipo, 
tuttavia 
le 
stazioni 
appaltanti 
possono 
discostarsene, 
motivando espressamente in ordine alle deroghe nella delibera a contrarre. 


L’autorità 
dispone 
altresì 
di 
poteri 
di 
intervento nella 
fase 
esecutiva 
dei 
contratti. Può supportare 
le 
stazioni 
appaltanti 
nella 
predisposizione 
degli 
atti 
e 
nella 
gestione 
delle 
procedure 
di 
particolare 
importanza 
(c.d. vigilanza 
collaborativa). 


L’Autorità 
-nelle 
materie 
del 
diritto 
di 
accesso 
civico 
e 
di 
obblighi 
di 
pubblicità, 
trasparenza 
e 
diffusione 
di 
informazioni 
da 
parte 
delle 
PP.AA. 
controlla 
il 
rispetto dell’esatto adempimento degli 
obblighi 
di 
pubblicazione, 
ispeziona 
e 
dà 
ordini 
di 
procedere 
alle 
pubblicazioni 
rilevanti, 
controlla 
l’operato 
del 
responsabile 
della 
Prevenzione 
della 
Corruzione 
e 
dell’oiV, 
denuncia 
illeciti, irroga sanzioni (art. 45 D.L.vo n. 33/2013). 


L’Autorità 
vigila 
sul 
rispetto della 
materia 
della 
inconferibilità 
e 
incompatibilità 
di 
incarichi 
presso 
le 
PP.AA. 
e 
presso 
gli 
enti 
privati 
in 
controllo 
pubblico, con poteri 
ispettivi 
e 
di 
accertamento e 
funzioni 
consultive 
su direttive 
e circolari ministeriali (art. 16 D.L.vo 8 aprile 2013). 


Procedimenti. 
i 
procedimenti 
in 
attribuzione 
dell’Autorità 
più 
rilevanti 
sono: 
a) 
procedimenti 
normativi 
e 
amministrativi 
generali 
con 
funzione 
di 
regolazione; 
b) 
procedimenti 
dichiarativi, 
sfocianti 
in 
provvedimenti 
abilitativi, 
ad 
esempio 
di 
qualificazione 
delle 
stazioni 
appaltanti 
e 
centrali 
di 
committenza 
(art. 
38 
D.L.vo 
n. 
50/2016); 
c) 
procedimenti 
ispettivi, 
ed 
eventualmente 
sanzionatori. 


10. Garante 
per 
la protezione 
dei 
dati 
personali 
(c.d. Garante 
della privacy). 
il 
Garante 
è 
stato istituito con la 
L. 31 dicembre 
1996, n. 675, successivamente 
abrogata 
e 
sostituita 
con 
il 
D.L.vo 
del 
30 
giugno 
2003, 
n. 
196 
(Codice 
in materia 
di 
protezione 
dei 
dati 
personali), il 
quale 
all’art. 1 dispone 
che 
“il 
trattamento 
dei 
dati 
personali 
avviene 
secondo 
le 
norme 
del 
regolamento 
(UE) 
2016/679 del 
Parlamento europeo e 
del 
Consiglio, del 
27 aprile 
2016, di 
seguito 
«regolamento», e 
del 
presente 
codice, nel 
rispetto della dignità umana, 
dei 
diritti 
e 
delle 
libertà fondamentali 
della persona”. All’evidenza 
viene 
in 
rilievo una 
materia 
nella 
quale 
vi 
è 
una 
disciplina 
integrata, sia 
dell’unione 
europea che nazionale. 



rASSeGnA 
AVVoCAturA 
DeLLo 
StAto -n. 4/2022 


Come 
l’antitrust, 
anche 
il 
Garante 
è 
una 
autorità 
di 
tipo 
generalista, 
esercitando 
i 
propri 
poteri, in modo trasversale, nei 
confronti 
di 
tutte 
le 
imprese 
o 
di altri soggetti pubblici o privati. 


La 
disciplina 
relativa 
al 
Garante 
è 
contenuta 
nella 
Parte 
iii, titolo ii del 
D.L.vo n. 196/2003 (artt. 153-160-bis). 


Ha 
autonomia 
normativa, organizzativa 
e 
contabile, anche 
in deroga 
alle 
norme 
sulla 
contabilità 
generale 
dello Stato. Ha 
altresì 
autonomia 
finanziaria 
garantita 
da 
un fondo stanziato a 
tale 
scopo nel 
bilancio dello Stato e 
iscritto 
in 
apposita 
missione 
e 
programma 
di 
spesa 
del 
Ministero 
dell’economia 
e 
delle 
finanze; 
il 
rendiconto della 
gestione 
finanziaria 
è 
soggetto al 
controllo della 
Corte 
dei 
conti. 
il 
Garante 
può 
esigere 
dal 
titolare 
del 
trattamento 
il 
versamento 
di 
diritti 
di 
segreteria 
in relazione 
a 
particolari 
procedimenti 
(art. 156, comma 
8, D.L.vo n. 196/2003). 


Composizione 
e 
nomina. il 
Garante 
è 
composto dal 
Collegio, che 
ne 
costituisce 
il 
vertice, 
e 
dall’ufficio. 
il 
Collegio 
è 
costituito 
da 
quattro 
componenti, 
eletti 
due 
dalla 
Camera 
dei 
deputati 
e 
due 
dal 
Senato della 
repubblica 
con voto limitato. i componenti 
devono essere 
eletti 
tra 
coloro che 
presentano 
la 
propria 
candidatura 
nell’ambito di 
una 
procedura 
di 
selezione 
il 
cui 
avviso 
deve 
essere 
pubblicato nei 
siti 
internet 
della 
Camera, del 
Senato e 
del 
Garante 
almeno 
sessanta 
giorni 
prima 
della 
nomina. 
Le 
candidature 
possono 
essere 
avanzate 
da 
persone 
che 
assicurino 
indipendenza 
e 
che 
risultino 
di 
comprovata 
esperienza 
nel 
settore 
della 
protezione 
dei 
dati 
personali, con particolare 
riferimento 
alle 
discipline 
giuridiche 
o dell’informatica. i componenti 
eleggono 
nel 
loro ambito un presidente, il 
cui 
voto prevale 
in caso di 
parità. eleggono 
altresì 
un vice 
presidente, che 
assume 
le 
funzioni 
del 
presidente 
in caso di 
sua 
assenza 
o 
impedimento. 
L’incarico 
di 
presidente 
e 
quello 
di 
componente 
hanno 
durata settennale e non sono rinnovabili (art. 153 D.L.vo n. 196/2003). 


Compiti. 
È 
preposto 
alla 
tutela 
della 
protezione 
dei 
dati 
personali, 
con 
poteri 
normativi, regolatori, di 
accertamento e 
controllo, sanzionatori, giustiziali, 
conoscitivi, propositivi e consultivi. 

Ha 
il 
compito, 
giusta 
gli 
artt. 
154, 
154 
bis, 
154 
ter 
e 
156, 
comma 
3, 
D.L.vo n. 196/2003, tra l’altro, di: 


-controllare 
se 
i 
trattamenti 
sono 
effettuati 
nel 
rispetto 
della 
disciplina 
applicabile, anche 
in caso di 
loro cessazione 
e 
con riferimento alla 
conservazione 
dei dati di traffico; 


-trattare 
i 
reclami 
presentati 
ai 
sensi 
del 
regolamento (ue) 2016/679 e 
delle 
disposizioni 
contenute 
nel 
D.L.vo n. 196/2003, anche 
individuando con 
proprio regolamento modalità specifiche per la trattazione; 
-promuovere 
l’adozione 
di 
regole 
deontologiche 
per 
i 
trattamenti 
previsti 
dalle 
disposizioni 
di 
cui 
agli 
articoli 
6, 
paragrafo 
1, 
lettere 
c) 
ed 
e), 
9, 
paragrafo 
4, e 
al 
capo iX 
del 
regolamento (ue) 2016/679 e 
procedere 
alla 
loro approvazione; 



Contributi 
Di 
DottrinA 


-rendere 
pareri 
sulle 
proposte 
di 
legge 
o 
di 
regolamento 
riguardanti 
la 
materia del trattamento dei dati personali; 


-adottare 
linee 
guida 
di 
indirizzo riguardanti 
le 
misure 
organizzative 
e 
tecniche di attuazione dei principi del regolamento (ue) 2016/679; 
-controllo 
o 
assistenza 
in 
materia 
di 
trattamento 
dei 
dati 
personali 
prevista 
da 
leggi 
di 
ratifica 
di 
accordi 
o 
convenzioni 
internazionali 
o 
da 
atti 
dell’unione 
europea; 


-disciplinare 
con regolamento, pubblicato nella 
Gazzetta 
ufficiale 
della 
repubblica 
italiana, le 
modalità 
specifiche 
dei 
procedimenti 
relativi 
all’esercizio 
dei 
compiti 
e 
dei 
poteri 
ad 
esso 
attribuiti 
dal 
regolamento 
(ue) 
2016/679 
e dal D.L.vo n. 196/2003; 
-agire 
in giudizio nei 
confronti 
del 
titolare 
o del 
responsabile 
del 
trattamento 
in 
caso 
di 
violazione 
delle 
disposizioni 
in 
materia 
di 
protezione 
dei 
dati 
personali; 
-adottare 
regolamenti, pubblicati 
nella 
Gazzetta 
ufficiale 
della 
repubblica 
italiana, per definire: 
l’organizzazione 
e 
il 
funzionamento dell’ufficio; 
l’ordinamento 
delle 
carriere 
e 
le 
modalità 
di 
reclutamento 
del 
personale 
secondo 
i 
principi 
e 
le 
procedure 
di 
cui 
agli 
artt. 1, 35 e 
36 D.L.vo n. 165/2001; 
la 
ripartizione 
dell’organico 
tra 
le 
diverse 
aree 
e 
qualifiche; 
il 
trattamento 
giuridico 
ed 
economico 
del 
personale, 
secondo 
i 
criteri 
previsti 
dalla 
L. 
n. 
249/1997, e, per gli 
incarichi 
dirigenziali, dagli 
articoli 
19, comma 
6, e 
23 bis 
D.L.vo n. 165/2001; 
la 
gestione 
amministrativa 
e 
la 
contabilità, anche 
in deroga 
alle norme sulla contabilità generale dello Stato. 
Procedimenti. 
i 
procedimenti 
in 
attribuzione 
del 
Garante 
sfociano 
nella 
adozione 
di 
atti 
generali 
(regolamenti 
o 
provvedimenti 
amministrativi 
generali) 


o 
provvedimenti 
particolari. 
L’impugnazione 
degli 
stessi 
-in 
deroga 
alle 
ordinarie 
regole 
sul 
riparto 
della 
giurisdizione 
-va 
fatta 
dinanzi 
al 
giudice 
ordinario 
e 
non 
a 
quello 
amministrativo. 
tanto 
è 
disposto 
dall’art. 
152 
D.L.vo 
n. 
196/2003. 
i procedimenti in attribuzione del Garante più rilevanti sono: 


- procedimenti normativi (adozione di regolamenti); 
-procedimenti 
finalizzati 
alla 
adozione 
di 
atti 
amministrativi 
generali 
(Linee guida, regole deontologiche, ecc.) con funzione di regolazione; 
-procedimenti 
autorizzatori 
(ad 
es. 
relativi 
alle 
autorizzazioni, 
individuali 


o generali, al 
trattamento ulteriore 
di 
dati 
personali 
a 
fini 
di 
ricerca 
scientifica 
o a fini statistici: art. 110 bis); 
-procedimenti 
di 
accertamento e 
controllo, secondo la 
disciplina 
contenuta 
negli 
artt. 157-160-bis 
D.L.vo n. 196/2003 prevedenti 
poteri 
di: 
richiesta 
di 
informazioni 
e 
di 
esibizione 
di 
documenti; 
accertamenti, 
ossia 
accessi 
a 
banche 
di 
dati, archivi 
o altre 
ispezioni 
e 
verifiche 
nei 
luoghi 
ove 
si 
svolge 
il 
trattamento o nei 
quali 
occorre 
effettuare 
rilevazioni 
comunque 
utili 
al 
controllo 
del 
rispetto della 
disciplina 
in materia 
di 
trattamento dei 
dati 
personali; 
-procedimenti 
sanzionatori, con adozione 
di 
provvedimenti 
correttivi 
e 

rASSeGnA 
AVVoCAturA 
DeLLo 
StAto -n. 4/2022 


sanzionatori 
(ossia: 
sanzioni 
amministrative 
pecuniarie 
e 
sanzioni 
amministrative 
accessorie). 
La 
disciplina 
è 
contenuta 
nell’art. 
166 
D.L.vo 
n. 
196/2003, 
il 
quale 
al 
comma 
9 
prevede 
che 
“con 
proprio 
regolamento 
pubblicato 
nella 
Gazzetta 
Ufficiale 
della 
repubblica 
italiana, 
il 
Garante 
definisce 
le 
modalità 
del 
procedimento 
per 
l’adozione 
dei 
provvedimenti 
e 
delle 
sanzioni 
di 
cui 
al 
comma 
3 
ed 
i 
relativi 
termini, 
in 
conformità 
ai 
principi 
della 
piena 
conoscenza 
degli 
atti 
istruttori, 
del 
contraddittorio, 
della 
verbalizzazione, 
nonché 
della 
distinzione 
tra 
funzioni 
istruttorie 
e 
funzioni 
decisorie 
rispetto 
all’irrogazione 
della 
sanzione”; 


-procedimenti 
giustiziali 
(141-144 
D.L.vo 
n. 
196/2003: 
reclami 
e 
segnalazioni 
al 
Garante). 
Giusta 
l’art. 
140 
bis 
D.L.vo 
n. 
196/2003, 
l’interessato, 
qualora 
ritenga 
che 
i 
diritti 
di 
cui 
gode 
sulla 
base 
della 
normativa 
in materia 
di 
protezione 
dei 
dati 
personali 
siano 
stati 
violati, 
può 
proporre 
reclamo 
al 
Garante 


o 
ricorso 
dinanzi 
all’autorità 
giudiziaria. 
i 
commi 
2 
e 
3 
della 
disposizione 
statuiscono 
che 
il 
reclamo 
al 
Garante 
non 
può 
essere 
proposto 
se, 
per 
il 
medesimo 
oggetto 
e 
tra 
le 
stesse 
parti, 
è 
stata 
già 
adita 
l’autorità 
giudiziaria 
e 
che 
la 
presentazione 
del 
reclamo 
al 
Garante 
rende 
improponibile 
un’ulteriore 
domanda 
dinanzi 
all’autorità 
giudiziaria 
tra 
le 
stesse 
parti 
e 
per 
il 
medesimo 
oggetto. 
il 
reclamo 
è 
un 
ricorso 
amministrativo 
il 
cui 
procedimento 
è 
disciplinato 
dal 
Garante 
con 
proprio 
regolamento 
(art. 
142, 
comma 
5, 
D.L.vo 
n. 
196/2003). 
il 
reclamo 
deve 
essere 
deciso 
dal 
Garante 
entro 
nove 
mesi 
dalla 
data 
di 
presentazione 
ed 
avverso 
la 
decisione 
è 
ammesso 
ricorso 
giurisdizionale 
all’A.G.o. 
ex 
art. 
152 
D.L.vo 
n. 
196/2003 
(art. 
143, 
commi 
3 
e 
4, 
D.L.vo 
n. 
196/2003). 
11. Banca d’italia. 
“La 
Banca 
d’italia, 
istituto 
di 
diritto 
pubblico, 
è 
la 
banca 
centrale 
della 
repubblica 
italiana, 
è 
parte 
integrante 
del 
Sistema 
Europeo 
di 
Banche 
Centrali 
ed 
è 
autorità 
nazionale 
competente 
nel 
meccanismo 
di 
vigilanza 
unico 
di 
cui 
all’articolo 
6 
del 
regolamento 
(UE) 
n. 
1024/2013 
del 
Consiglio 
del 
15 
ottobre 
2013. 
È 
indipendente 
nell’esercizio 
dei 
suoi 
poteri 
e 
nella 
gestione 
delle 
sue 
finanze” 
(così 
art. 
4, 
comma 
1, 
D.L. 
30 
novembre 
2013, 
n. 
133, 
conv. 
L. 
29 
gennaio 
2014, 


n. 
5) 
(21). 
La 
banca 
d’italia 
è 
fornita 
di 
autonoma 
personalità 
giuridica 
(22). 
Per preservare 
l’indipendenza 
dell’istituto dal 
potere 
politico è 
previsto 
che 
le 
quote 
di 
partecipazione 
nel 
capitale 
della 
banca 
d’italia 
possano 
appartenere 
solo a 
banche 
e 
imprese 
di 
assicurazione 
e 
riassicurazione 
aventi 
sede 
legale 
e 
amministrazione 
centrale 
in 
italia, 
fondazioni 
di 
cui 
all’art. 
27 
D.L.vo 
17 maggio 1999, n. 53 (23), enti 
ed istituti 
di 
previdenza 
e 
assicurazione 
con 
sede 
in italia 
e 
fondi 
pensione 
istituiti 
ai 
sensi 
dell’art. 4, comma 
1, D.L.vo 5 


(21) in senso analogo l’art. 19, commi 1 e 2, L. 28 dicembre 2005, n. 262. 
(22) in tal senso: Cass., S.u., 21 luglio 2006, n. 16751. 
(23) ossia 
le 
fondazioni 
che 
hanno effettuato il 
conferimento dell’azienda 
bancaria 
ai 
sensi 
del 
D. L.vo 20 novembre 1990, n. 356. 

Contributi 
Di 
DottrinA 


dicembre 
2005, n. 252; 
inoltre 
ciascun partecipante 
non può possedere, direttamente 
o indirettamente, una 
quota 
del 
capitale 
superiore 
al 
5 per cento (così 
art. 4, commi 4-5 D.L. n. 133/2013). 

oltre 
all’autonomia 
organizzativa 
e 
finanziaria, è 
altresì 
dotata 
di 
autonomia 
normativa (art. 23 L. n. 262/2005). 


Composizione 
e 
nomina. 
organi 
della 
banca 
d’italia 
sono 
il 
Governatore, 
il 
Direttorio, il 
Consiglio Superiore 
della 
banca 
d’italia, l’Assemblea 
dei 
partecipanti. 
il 
governatore 
e 
gli 
altri 
membri 
del 
direttorio durano in carica 
sei 
anni, con la 
possibilità 
di 
un solo rinnovo del 
mandato. La 
nomina 
del 
governatore 
è 
disposta 
con decreto del 
Presidente 
della 
repubblica, su proposta 
del 
Presidente 
del 
Consiglio dei 
ministri, previa 
deliberazione 
del 
Consiglio dei 
ministri, sentito il 
parere 
del 
Consiglio superiore 
della 
banca 
d’italia 
(art. 19, 
commi 7 ed 8, L. n. 262/2005). 


il 
Consiglio Superiore 
della 
banca 
d’italia 
si 
compone 
del 
Governatore 
e 
di 
13 
consiglieri, 
nominati 
nelle 
assemblee 
dei 
partecipanti 
presso 
le 
sedi 
della 
banca, 
fra 
i 
candidati 
individuati 
da 
un 
comitato 
costituito 
all’interno 
dello stesso Consiglio tra 
persone 
che 
posseggano i 
requisiti 
di 
indipendenza, 
onorabilità 
e 
professionalità 
previsti 
dallo Statuto della 
banca 
d’italia 
(art. 5 


D.L. 30 novembre 2013, n. 133, conv. L. 29 gennaio 2014, n. 5). 
Compiti. 
Le 
principali 
funzioni 
della 
banca 
d’italia 
sono dirette 
ad assicurare 
la 
stabilità 
monetaria 
e 
la 
stabilità 
finanziaria, 
in 
attuazione 
del 
principio 
della 
tutela 
del 
risparmio 
sancito 
dalla 
Costituzione 
(art. 
47) 
con 
funzione, 
quindi, monetaria e di vigilanza. 


La 
funzione 
monetaria 
-governo della 
moneta 
per garantirne 
la 
stabilità 
-vede 
quale 
protagonista 
principale 
l’unione 
europea, 
con 
il 
Sistema 
europeo 
delle 
banche 
centrali 
(SebC), 
il 
quale 
si 
compone 
delle 
banche 
centrali 
e 
della 
banca 
centrale 
europea 
(bCe), 
alle 
quali 
l’art. 
130 
del 
t.F.u.e. 
garantisce 
l’indipendenza 
dai 
governi 
nazionali 
che 
non possono impartire 
istruzioni 
o 
influenzare 
altrimenti 
le 
loro decisioni. il 
t.F.u.e. (artt. 127 e 
128) devolve 
al 
SebC le 
funzioni 
di 
definire 
ed attuare 
la 
politica 
monetaria 
con l’obiettivo 
del 
mantenimento della 
stabilità 
dei 
prezzi 
e 
con il 
potere 
in via 
esclusiva 
di 
autorizzare 
l’emissione 
di 
banconote 
all’interno 
dell’u.e. 
e 
di 
definire 
e 
attuare 
la 
politica 
monetaria 
dell’u.e. Giusta 
l’art. 14, comma 
3, dello Statuto bCe 
“Le 
banche 
centrali 
nazionali 
costituiscono parte 
integrante 
del 
SEBC e 
agiscono 
secondo 
gli 
indirizzi 
e 
le 
istruzioni 
della 
BCE”. 
All’evidenza, 
le 
funzioni 
monetarie sono accentrate in capo alla bCe. 


in 
questo 
contesto 
la 
banca 
d’italia 
può 
effettuare 
operazioni 
in 
cambi 
conformemente 
alle 
norme 
fissate 
dall’eurosistema. Gestisce 
le 
riserve 
valutarie 
proprie; 
gestisce, inoltre, una 
quota-parte 
di 
quelle 
della 
bCe 
per conto 
di 
quest’ultima. È 
responsabile 
della 
produzione 
delle 
banconote 
in euro, in 
base 
alla 
quota 
definita 
nell’ambito dell’eurosistema, della 
gestione 
della 
circolazione 
e dell’azione di contrasto alla contraffazione. 



rASSeGnA 
AVVoCAturA 
DeLLo 
StAto -n. 4/2022 


La 
funzione 
di 
vigilanza 
è 
svolta 
sugli 
istituti 
di 
credito 
al 
fine 
di 
garantirne 
la 
solvibilità. 
essa 
è 
disciplinata 
dal 
testo 
unico 
delle 
leggi 
bancarie 
e 
creditizie 
(D.L.vo 
1 
settembre 
1993, 
n. 
385) 
e 
da 
un 
corpo 
di 
norme 
europee. 
il 
testo 
unico 
attribuisce 
alla 
banca 
d’italia, 
ma 
anche 
in 
parte 
al 
Ministero 
dell’economia 
e 
delle 
finanze 
e 
al 
Comitato 
interministeriale 
per 
il 
credito 
e 
il 
risparmio, 
un’ampia 
gamma 
di 
poteri: 
normativi, 
volti 
a 
disciplinare 
-con 
regolamento 
-l’attività 
delle 
banche 
sotto 
il 
profilo, 
ad 
esempio, 
dell’adeguatezza 
del 
patrimonio, 
del 
contenimento 
dei 
rischi, 
dei 
limiti 
all’acquisto 
di 
partecipazioni, 
dell’organizzazione 
amministrativa 
e 
contabile, 
dei 
controlli 
interni 
e 
dei 
sistemi 
di 
remunerazione 
e 
di 
incentivazione 
(art. 
53); 
amministrativi 
come, 
ad 
es., 
nel 
procedimento 
di 
autorizzazione 
o 
revoca 
all’esercizio 
dell’attività 
bancaria 
(art. 
14) 
(24) 
o 
nel 
procedimento 
di 
autorizzazione, 
sospensione 
o 
revoca 
all’acquisto 
di 
partecipazioni 
in 
banche 
(art. 
19) 
(25); 
poteri 
ispettivi 
(art. 
54); 
poteri 
d’intervento 
prescrittivi, 
come 
il 
divieto 
di 
distribuire 
utili 
o 
di 
effettuare 
particolari 
operazioni 
(art. 
53 
bis); 
sanzionatori 
(art. 
144). 


nell’esercizio di 
questa 
funzione 
la 
banca 
d’italia 
agisce 
in modo integrato 
e 
sotto 
la 
supervisione 
dell’European 
Banking 
authority 
(organismo 
dell’u.e. che 
ha 
il 
compito di 
sorvegliare 
il 
mercato bancario europeo) e 
soprattutto 
della 
bCe. in europa, la 
banca 
d’italia 
è 
l’autorità 
nazionale 
competente 
nell’ambito 
del 
Meccanismo 
di 
vigilanza 
unico 
(Single 
Supervisory 
mechanism, 
SSM) 
sulle 
banche 
ed 
è 
autorità 
nazionale 
di 
risoluzione 
nell’ambito 
del 
Meccanismo 
di 
risoluzione 
unico 
(Single 
resolution 
mechanism, 
SrM) delle banche e delle società di intermediazione mobiliare. 


Procedimenti. 
i procedimenti 
in attribuzione 
della 
banca 
d’italia 
più rilevanti 
sono: 


-procedimenti 
normativi 
e 
ad 
amministrativi 
generali 
con 
funzione 
di 
regolazione. 
La 
disciplina 
generale 
su tali 
procedimenti 
è 
contenuta 
nell’art. 23 


L. 
262/2005 
secondo 
cui 
i 
provvedimenti 
della 
banca 
d'italia, 
della 
ConSob, 
dell’iSVAP, ora 
iVASS 
aventi 
natura 
regolamentare 
o di 
contenuto generale, 
esclusi 
quelli 
attinenti 
all’organizzazione 
interna, devono essere 
motivati 
con 
riferimento 
alle 
scelte 
di 
regolazione 
e 
di 
vigilanza 
del 
settore 
ovvero 
della 
materia 
su cui 
vertono. tanto in deroga 
all’art. 3 L. n. 241/1990 secondo cui 
(24) 
Che 
al 
comma 
2 
statuisce: 
“L’autorizzazione 
è 
rilasciata 
dalla 
BCE, 
su 
proposta 
della 
Banca 
d’italia; è 
negata, dalla Banca d’italia o dalla BCE, quando dalla verifica delle 
condizioni 
indicate 
nel 
comma 1 non risulti 
garantita la sana e 
prudente 
gestione”. i commi 
3 bis 
e3 ter 
prevedono inoltre 
che 
la 
revoca 
dell’autorizzazione 
è 
disposta 
dalla 
bCe, sentita 
la 
banca 
d’italia 
o su proposta 
di 
questa 
sussistendo 
le condizioni ivi indicate. 
(25) Che 
al 
comma 
5 e 
5 bis 
statuisce: 
“5. L’autorizzazione 
è 
rilasciata dalla BCE, su proposta 
della Banca d'italia. 
[…]. L’autorizzazione 
può essere 
sospesa o revocata se 
vengono meno o si 
modificano 
i 
presupposti 
e 
le 
condizioni 
per 
il 
suo rilascio. 5-bis. La Banca d’italia propone 
alla BCE 
di 
negare 
l’autorizzazione 
all’acquisizione 
della 
partecipazione 
quando 
dalla 
verifica 
delle 
condizioni 
indicate nel comma 5 non risulti garantita la sana e prudente gestione della banca”. 

Contributi 
Di 
DottrinA 


tali 
tipologie 
di 
atti 
sono 
esenti 
dall’obbligo 
della 
motivazione. 
i 
provvedimenti 
de 
quibus 
sono accompagnati 
da 
una 
relazione 
che 
ne 
illustra 
le 
conseguenze 
sulla 
regolamentazione, sull’attività 
delle 
imprese 
e 
degli 
operatori 
e 
sugli 
interessi 
degli 
investitori 
e 
dei 
risparmiatori. nella 
definizione 
del 
contenuto 
degli 
atti 
di 
regolazione 
generale, 
le 
Autorità 
tengono 
conto 
in 
ogni 
caso del 
principio di 
proporzionalità, inteso come 
criterio di 
esercizio del 
potere 
adeguato al 
raggiungimento del 
fine, con il 
minore 
sacrificio degli 
interessi 
dei 
destinatari. 
A 
questo 
fine, 
esse 
consultano 
gli 
organismi 
rappresentativi 
dei 
soggetti 
vigilati, 
dei 
prestatori 
di 
servizi 
finanziari 
e 
dei 
consumatori; 
le 
Autorità 
disciplinano 
con 
propri 
regolamenti 
l’applicazione 
dei 
principi 
descritti, indicando altresì 
i 
casi 
di 
necessità 
e 
di 
urgenza 
o le 
ragioni 
di riservatezza per cui è ammesso derogarvi; 


-procedimenti 
di 
controllo 
a 
carattere 
contenzioso 
e 
procedimenti 
sanzionatori. 
tali 
procedimenti 
sono 
svolti 
nel 
rispetto 
dei 
principi 
della 
piena 
conoscenza 
degli 
atti 
istruttori, 
del 
contraddittorio, 
della 
verbalizzazione 
nonché 
nel 
rispetto 
del 
principio 
della 
distinzione 
tra 
funzioni 
istruttorie 
e 
funzioni 
decisorie 
rispetto 
all’irrogazione 
della 
sanzione 
(art. 
24 
L. 
262/2005; 
la 
descritta 
disciplina 
si 
applica 
anche 
ai 
provvedimenti 
adottati 
dalla 
ConSob, 
dall’iSVAP, 
ora 
iVASS). 
tanto 
alla 
luce 
della 
circostanza 
che 
alla 
banca 
d’italia 
compete 
-secondo 
la 
disciplina 
contenuta 
nel 
D.L.vo 


n. 
385/1993 
-la 
funzione 
di 
vigilanza 
e 
controllo 
sulle 
banche, 
caratterizzata 
dalla 
titolarità 
di 
poteri 
ispettivi 
e 
sanzionatori 
e 
finalizzata 
a 
garantire 
la 
sana 
e 
prudente 
gestione 
dei 
soggetti 
vigilati. 
nonché, 
in 
generale, 
mirante 
a 
preservare 
la 
stabilità 
complessiva, 
l’efficienza 
e 
la 
competitività 
del 
sistema. 
12. istituto per la vigilanza sulle assicurazioni. 
L’iVASS 
è 
stato 
istituito 
e 
disciplinato 
con 
l’art. 
13 
D.L. 
6 
luglio 
2012, 


n. 
95, 
conv. 
Legge 
7 
agosto 
2012, 
n. 
135. 
esso 
svolge 
l’attività 
di 
vigilanza 
nel 
settore 
assicurativo, 
anche 
attraverso 
un 
più 
stretto 
collegamento 
con 
la 
vigilanza 
bancaria. 
i 
commi 
dal 
2 
al 
4 
dell’articolo 
citato 
così 
dispongono: 
“2. 
L’iVaSS 
ha 
personalità 
giuridica 
di 
diritto 
pubblico. 
3. 
L’istituto 
opera 
sulla 
base 
di 
principi 
di 
autonomia 
organizzativa, 
finanziaria 
e 
contabile, 
oltre 
che 
di 
trasparenza 
e 
di 
economicità, 
mantenendo 
i 
contributi 
di 
vigilanza 
annuali 
previsti 
dal 
Capo 
ii 
del 
Titolo 
XiX 
del 
decreto 
legislativo 
7 
settembre 
2005, 
n. 
209 
(Codice 
delle 
assicurazione 
private). 
4. 
L’iVaSS 
e 
i 
componenti 
dei 
suoi 
organi 
operano 
con 
piena 
autonomia 
e 
indipendenza 
e 
non 
sono 
sottoposti 
alle 
direttive 
di 
altri 
soggetti 
pubblici 
o 
privati. 
L’iVaSS 
può 
fornire 
dati 
al 
ministro 
dello 
sviluppo 
economico 
e 
al 
ministro 
dell’economia 
e 
delle 
finanze, 
esclusivamente 
in 
forma 
aggregata”. 
Svolge 
le 
funzioni 
già 
affidate 
all’istituto 
per 
la 
vigilanza 
sulle 
assicurazioni 
private 
e 
di 
interesse 
collettivo 
(iSVAP) 
ai 
sensi 
dell’art. 
4 
della 
legge 
12 
agosto 
1982, 

rASSeGnA 
AVVoCAturA 
DeLLo 
StAto -n. 4/2022 


n. 
576 
(riforma 
della 
vigilanza 
sulle 
assicurazioni) 
e 
dell’art. 
5 
del 
D.L.vo 
7 
settembre 
2005, 
n. 
209 
(26). 
È 
un’autorità 
amministrativa 
indipendente 
che 
esercita 
la 
vigilanza 
sul 
mercato assicurativo italiano, per garantirne 
la 
stabilità 
e 
tutelare 
il 
consumatore. 
oltre 
che 
di 
autonomia 
organizzativa, finanziaria 
e 
contabile 
è 
dotata 
altresì 
di autonomia normativa. È sottoposta al controllo della Corte dei conti. 


Composizione 
e 
nomina. Sono organi 
dell’iVASS 
il 
Presidente, il 
Consiglio 
ed il 
Direttorio di 
cui 
all’art. 21 dello Statuto della 
banca 
d’italia. Presidente 
dell’istituto è 
il 
Direttore 
Generale 
della 
banca 
d’italia. il 
Presidente 
è 
il 
legale 
rappresentante 
dell’istituto 
e 
presiede 
il 
Consiglio. 
il 
Consiglio 
è 
composto 
dal 
Presidente 
e 
da 
due 
consiglieri 
scelti 
tra 
persone 
di 
indiscussa 
moralità 
ed 
indipendenza 
oltre 
che 
di 
elevata 
qualificazione 
professionale 
in 
campo 
assicurativo, 
nominati 
con 
decreto 
del 
Presidente 
della 
repubblica, 
previa 
delibera 
del 
Consiglio 
dei 
Ministri, 
ad 
iniziativa 
del 
Presidente 
del 
Consiglio, 
su proposta 
del 
Governatore 
della 
banca 
d’italia 
e 
di 
concerto con il 
Ministro 
dello 
sviluppo 
economico. 
i 
due 
consiglieri 
restano 
in 
carica 
sei 
anni, 
con possibilità 
di 
rinnovo per un ulteriore 
mandato. Al 
Consiglio spetta 
l’amministrazione 
generale 
dell’iVASS. tra 
l’altro, il 
Consiglio: 
adotta 
il 
regolamento 
organizzativo dell’iVASS; 
delibera 
in ordine 
al 
trattamento normativo 
ed economico del 
personale 
dipendente 
dell’istituto e 
adotta 
il 
relativo regolamento; 
adotta 
i 
provvedimenti 
di 
nomina, assegnazione, promozione 
e 
cessazione 
dal 
servizio 
dei 
dipendenti; 
conferisce 
gli 
incarichi 
di 
livello 
dirigenziale; 
approva 
gli 
accordi 
stipulati 
con 
le 
organizzazioni 
sindacali; 
provvede 
alla 
gestione 
dei 
contributi 
dei 
soggetti 
vigilati; 
esamina 
ed approva 
il 
bilancio. Al 
Direttorio integrato spetta 
l’attività 
di 
indirizzo e 
direzione 
strategica 
dell’iVASS, 
la 
competenza 
ad 
assumere 
i 
provvedimenti 
aventi 
rilevanza 
esterna 
relativi 
all’esercizio 
delle 
funzioni 
istituzionali 
in 
materia 
di 
vigilanza 
assicurativa 
e 
l’adozione 
di 
provvedimenti 
a 
carattere 
normativo, 
tra 
cui lo Statuto. 


Compiti. L’istituto, tra l’altro, esercita le seguenti funzioni: 


-vigilanza 
dell’osservanza 
delle 
leggi 
e 
dei 
regolamenti 
da 
parte 
delle 
imprese 
e 
degli 
agenti 
sul 
settore 
assicurativo, mediante 
l’esercizio dei 
poteri 
di 
natura 
autorizzativa, 
prescrittiva, 
accertativa, 
cautelare 
e 
repressiva 
previsti 
dalle 
disposizioni 
del 
codice 
delle 
assicurazioni 
private. nell’esercizio di 
tale 
funzione 
è 
parte 
del 
SeViF 
(Sistema 
europeo 
delle 
autorità 
di 
vigilanza 
finanziaria) 
e 
partecipa 
alle 
attività 
che 
esso 
svolge, 
tenendo 
conto 
della 
convergenza 
degli 
strumenti 
e 
delle 
prassi 
di 
vigilanza 
in 
ambito 
europeo 
(art. 
5, 
commi 
1 e 
1 bis, D.L.vo 7 settembre 
2005, n. 209, c.d. Codice 
delle 
assicurazioni 
private); 


(26) 
Giusta 
l’art. 
13, 
comma 
42, 
D.L. 
n. 
95/2012 
“ogni 
riferimento 
all’iSVaP 
contenuto 
in 
norme 
di legge o in altre disposizioni normative è da intendersi effettuato all’iVaSS”. 

Contributi 
Di 
DottrinA 


-adotta 
ogni 
regolamento 
necessario 
per 
la 
sana 
e 
prudente 
gestione 
delle 
imprese 
o per la 
trasparenza 
e 
la 
correttezza 
dei 
comportamenti 
dei 
soggetti 
vigilati 
ed allo stesso fine 
rende 
nota 
ogni 
utile 
raccomandazione 
o interpretazione 
(art. 5, comma 
2, D.L.vo n. 209/2005); 
controlla 
la 
gestione 
tecnica, 
finanziaria, patrimoniale e contabile delle imprese di assicurazione; 


-rileva 
i 
dati 
di 
mercato necessari 
per la 
formazione 
delle 
tariffe 
e 
delle 
condizioni di polizza; 
-coopera 
con 
le 
altre 
autorità 
indipendenti, 
per 
assicurare 
il 
corretto 
esercizio 
delle rispettive funzioni, tra cui quelle in materia 
antitrust; 


- autorizza l’esercizio dell’attività assicurativa; 
-assicura 
la 
trasparenza 
dell’offerta 
agli 
utenti. All’uopo è 
titolare 
di 
potere 
regolamentare 
-da 
esercitarsi 
previa 
consultazione 
con le 
imprese 
assicurative 
-in 
ordine 
alla 
correttezza 
della 
pubblicità, 
alle 
regole 
di 
presentazione 
e 
di 
comportamento delle 
imprese 
e 
degli 
intermediari 
nell’offerta 
di 
prodotti 
assicurativi, 
nonché 
agli 
obblighi 
informativi 
prima 
della 
conclusione 
del contratto e durante l’esecuzione di esso; 
-regolazione 
a 
tutela 
dei 
consumatori. 
A 
tal 
fine 
raccoglie 
i 
reclami 
presentati 
nei 
confronti 
delle 
imprese 
assicurative, 
li 
censisce 
in 
un 
registro 
dei 
reclami, 
agevola 
la 
corretta 
esecuzione 
dei 
contratti 
assicurativi 
e 
facilita 
la 
soluzione 
delle 
questioni 
che 
gli 
vengono 
sottoposte 
intervenendo 
nei 
confronti 
dei 
soggetti 
vigilati 
con 
provvedimenti 
e 
sanzioni; 
monitora 
le 
richieste 
di 
risarcimento 
inoltrate 
a 
tutti 
gli 
istituti 
assicurativi 
in 
attività 
sul 
territorio 
italiano 
al 
fine 
di 
prevenire 
truffe 
e 
abusi 
(art. 
5, 
comma 
3, 
D.L.vo 
n. 
209/2005) 
(27). 


Procedimenti. 
i 
caratteri 
dei 
procedimenti 
in 
attribuzione 
all’iVASS 
sono 
analoghi a quelli riguardanti la banca d’italia. 


13. Commissione nazionale per la Società e la Borsa. 
La 
Commissione 
nazionale 
per la 
Società 
e 
la 
borsa 
-Consob è 
stata 
istituita 
con il 
D.L. 8 aprile 
1974, n. 95, conv. L. 7 giugno 1974, n. 216. La 
stessa 
“ha personalità giuridica di 
diritto pubblico e 
piena autonomia nei 
limiti 
stabiliti 
dalla legge” (art. 1, comma 2, D.L. n. 95/1974). 

È 
un ente 
rivolto -con l’esercizio di 
funzioni 
di 
vigilanza 
e 
di 
garanzia 
della 
stabilità 
e 
del 
contenimento del 
rischio -alla 
tutela 
degli 
investitori, all’efficienza, 
alla 
trasparenza 
e 
allo sviluppo del 
mercato finanziario. Questo è 
articolato in tre 
distinti 
settori: 
a) intermediari 
finanziari 
(sim, promotori 
finanziari, 
ecc.); 
b) emittenti 
strumenti 
finanziari 
(società 
di 
capitali, quotate 
o 
non quotate); 
c) società 
di 
gestione 
dei 
mercati 
regolamentati 
(borse). La 
materia 
è 
principalmente 
disciplinata 
dal 
D.L.vo 
24 
febbraio 
1998, 
n. 
58, 
c.d. 
testo 
unico 
delle 
disposizioni 
in 
materia 
di 
intermediazione 
finanziaria. 
La 


(27) 
Sulle 
funzioni 
dell’istituto: 
F.G. 
SCoCA 
(a 
cura 
di), 
Diritto 
amministrativo, 
iii 
edizione, 
Giappichelli, 
2014, pp. 63-633. 

rASSeGnA 
AVVoCAturA 
DeLLo 
StAto -n. 4/2022 


funzione 
di 
vigilanza 
spetta 
alla 
banca 
di 
italia, per quanto riguarda 
l’attività 
degli istituti di credito italiani o di diritto estero operanti in italia. 

È 
dotata 
di 
autonomia 
normativa, organizzativa, finanziaria 
e 
contabile. 
La 
Commissione 
provvede 
all’autonoma 
gestione 
delle 
spese 
per 
il 
proprio 
funzionamento 
nei 
limiti 
del 
fondo 
stanziato 
a 
tale 
scopo 
nel 
bilancio 
dello 
Stato 
e 
iscritto, 
con 
unico 
capitolo, 
nello 
stato 
di 
previsione 
della 
spesa 
del 
Ministero del 
tesoro. La 
gestione 
finanziaria 
si 
svolge 
in base 
al 
bilancio di 
previsione 
approvato dalla 
Commissione 
entro il 
31 dicembre 
dell’anno precedente 
a 
quello cui 
il 
bilancio si 
riferisce. il 
contenuto e 
la 
struttura 
del 
bilancio 
di 
previsione, 
il 
quale 
deve 
comunque 
contenere 
le 
spese 
indicate 
entro 
i 
limiti 
delle 
entrate 
previste, sono stabiliti 
da 
proprio regolamento. il 
rendiconto 
della 
gestione 
finanziaria 
è 
soggetto al 
controllo della 
Corte 
dei 
conti. 
La 
Commissione, con regolamento, delibera 
le 
norme 
concernenti 
la 
propria 
organizzazione 
ed il 
proprio funzionamento, disciplinando in ogni 
caso i 
rapporti 
tra 
il 
presidente 
ed 
i 
commissari 
anche 
ai 
fini 
della 
relazione 
in 
Commissione 
su 
singoli 
affari; 
quelle 
concernenti 
il 
trattamento 
giuridico 
ed 
economico del 
personale 
e 
l’ordinamento delle 
carriere, nonché 
quelle 
dirette 
a 
disciplinare 
la 
gestione 
delle 
spese 
nei 
limiti 
previsti 
dalla 
legge, anche 
in 
deroga 
alle 
disposizioni 
sulla 
contabilità 
generale 
dello 
Stato. 
Le 
deliberazioni 
della 
Commissione 
concernenti 
i 
regolamenti 
sono 
sottoposti 
al 
Presidente 
del 
Consiglio dei 
ministri, il 
quale 
ne 
verifica 
la 
legittimità 
e 
li 
rende 
esecutivi, 
ove 
non intenda 
formulare, entro il 
termine 
suddetto, proprie 
eventuali 
osservazioni. 
Queste 
ultime 
devono 
essere 
effettuate, 
in 
unico 
contesto, 
sull’insieme 
del regolamento e sulle singole disposizioni. 

Composizione 
e 
nomina. 
La 
Commissione 
è 
composta 
da 
un presidente 
e 
da 
quattro membri, scelti 
tra 
persone 
di 
specifica 
e 
comprovata 
competenza 
ed esperienza 
e 
di 
indiscussa 
moralità 
e 
indipendenza, nominati 
con decreto 
del 
Presidente 
della 
repubblica 
su proposta 
del 
Presidente 
del 
Consiglio dei 
ministri, 
previa 
deliberazione 
del 
Consiglio 
stesso. 
essi 
durano 
in 
carica 
7 
anni 
e l’incarico non è rinnovabile. 

Compiti. 
La 
Consob, 
tra 
l’altro, 
regolamenta 
la 
prestazione 
dei 
servizi 
di 
investimento, 
gli 
obblighi 
informativi 
delle 
società 
quotate 
e 
le 
offerte 
al 
pubblico 
di 
prodotti 
finanziari; 
autorizza 
la 
pubblicazione 
dei 
prospetti 
informativi 
relativi 
ad 
offerte 
pubbliche 
di 
vendita 
e 
dei 
documenti 
d’offerta 
concernenti 
offerte 
pubbliche 
di 
acquisto; 
l’esercizio 
dei 
mercati 
regolamentati; 
le 
iscrizioni 
agli 
albi 
di 
settore; 
vigila 
sulle 
società 
di 
gestione 
dei 
mercati 
e 
sulla 
trasparenza 
e 
l’ordinato 
svolgimento 
delle 
negoziazioni, 
nonché 
sulla 
trasparenza 
e 
correttezza 
dei 
comportamenti 
degli 
intermediari 
e 
dei 
promotori 
finanziari; 
sanziona 
i 
soggetti 
vigilati, 
direttamente 
o 
formulando 
una 
proposta 
al 
Ministero 
dell’economia 
e 
delle 
Finanze; 
controlla 
le 
informazioni 
fornite 
al 
mercato 
dalle 
società 
quotate 
e 
da 
chi 
promuove 
offerte 
al 
pubblico 
di 
strumenti 
finanziari, 
nonché 
le 
informazioni 
contenute 
nei 
do



Contributi 
Di 
DottrinA 


cumenti 
contabili 
delle 
società 
quotate; 
accerta 
eventuali 
andamenti 
anomali 
delle 
contrattazioni 
su 
titoli 
quotati 
e 
compie 
ogni 
altro 
atto 
di 
verifica 
di 
violazioni 
delle 
norme 
in 
materia 
di 
manipolazione 
del 
mercato 
(fattispecie 
oggi 
applicabile 
in 
caso 
di 
società 
quotate), 
abuso 
di 
informazioni 
privilegiate 
(insider 
trading) 
e 
di 
aggiotaggio. 


Procedimenti. 
i procedimenti 
in attribuzione 
della 
Consob più rilevanti 
sono: 


-procedimenti 
normativi 
e 
ad 
amministrativi 
generali 
con 
funzione 
di 
regolazione, 
mediante 
i 
quali 
vengono stabiliti 
i 
requisiti 
di 
solidità 
finanziaria 
e 
patrimoniale 
che 
gli 
operatori 
devono possedere. Come 
visto innanzi, la 
disciplina 
generale 
su tali 
procedimenti 
è 
contenuta 
nell’art. 23 L. 262/2005 secondo 
cui 
i 
provvedimenti, 
tra 
l’altro, 
della 
Consob 
aventi 
natura 
regolamentare 
o di 
contenuto generale, esclusi 
quelli 
attinenti 
all’organizzazione 
interna, 
devono 
essere 
motivati 
con 
riferimento 
alle 
scelte 
di 
regolazione 
e di vigilanza del settore ovvero della materia su cui vertono; 


-procedimenti 
autorizzatori. 
L’attività 
degli 
intermediari 
(diversi 
dalle 
banche, nel 
qual 
caso interviene 
la 
banca 
d’italia) e 
delle 
società 
di 
gestione 
dei 
mercati 
regolamentati 
è 
sottoposta 
alla 
autorizzazione 
preventiva 
della 
Consob; 


-procedimenti 
di 
controllo e 
procedimenti 
sanzionatori. i procedimenti 
de 
quibus, in applicazione 
degli 
Engel 
criteria 
della 
Corte 
eDu, potendo sfociare 
in una 
sanzione 
quasi 
penale 
(quale 
una 
sanzione 
amministrativa 
pecuniaria 
di 
elevato ammontare) devono rispettare 
i 
principi 
del 
giusto processo 
di 
cui 
all’art. 
6 
CeDu. 
La 
normativa 
nazionale 
è 
coerente 
con 
tale 
dato. 
Difatti 
tali 
procedimenti 
sono svolti 
nel 
rispetto dei 
principi 
della 
piena 
conoscenza 
degli 
atti 
istruttori, 
del 
contraddittorio, 
della 
verbalizzazione 
nonché 
nel 
rispetto 
del 
principio 
della 
distinzione 
tra 
funzioni 
istruttorie 
e 
funzioni 
decisorie 
rispetto all’irrogazione della sanzione (art. 24 L. 262/2005). 
ove 
non venga 
svolta 
correttamente 
l’attività 
di 
controllo e 
vigilanza, ad 
esempio 
per 
omissioni, 
e 
si 
arrechino 
danni 
agli 
investitori, 
la 
Consob 
è 
tenuta 
al 
risarcimento 
del 
danno 
cagionato 
con 
giurisdizione 
esclusiva 
del 
giudice 
amministrativo (art. 133, comma 
1, lett. c, c.p.a.) (28). Va 
precisato che 
nel-
l’esercizio 
delle 
proprie 
funzioni 
di 
controllo 
la 
Consob 
(come 
anche 
la 
banca 
d’italia, 
l’isvap 
ora 
ivass, 
la 
Covip 
e 
l’autitrust), 
i 
componenti 
dei 
loro 
organi 
nonché 
i 
loro dipendenti 
rispondono dei 
danni 
cagionati 
da 
atti 
o comporta


(28) “Sono devolute 
alla giurisdizione 
esclusiva del 
giudice 
amministrativo […] 
le 
controversie 
in materia di 
pubblici 
servizi 
relative 
a concessioni 
di 
pubblici 
servizi, escluse 
quelle 
concernenti 
indennità, 
canoni 
ed altri 
corrispettivi, ovvero relative 
a provvedimenti 
adottati 
dalla pubblica amministrazione 
o 
dal 
gestore 
di 
un 
pubblico 
servizio 
in 
un 
procedimento 
amministrativo, 
ovvero 
ancora 
relative 
all’affidamento di 
un pubblico servizio, ed alla vigilanza e 
controllo nei 
confronti 
del 
gestore, nonché 
afferenti 
alla 
vigilanza 
sul 
credito, 
sulle 
assicurazioni 
e 
sul 
mercato 
mobiliare, 
al 
servizio 
farmaceutico, 
ai trasporti, alle telecomunicazioni e ai servizi di pubblica utilità”. 

rASSeGnA 
AVVoCAturA 
DeLLo 
StAto -n. 4/2022 


menti 
posti 
in essere 
con dolo o colpa 
grave 
(così 
art. 24, comma 
6 bis, L. n. 
262/2005). 


14. 
agenzia 
per 
la 
rappresentanza 
negoziale 
delle 
Pubbliche 
amministrazioni. 
L’ArAn 
è 
stata 
istituita 
con l’art. 50 D.L.vo 3 febbraio 1993, n. 29, poi 
abrogato e 
sostituito dall’art. 46 D.L.vo n. 165/2001. Ai 
sensi 
dei 
commi 
10 e 
11 dell’articolo da 
ultimo citato “10. L’araN ha personalità giuridica di 
diritto 
pubblico. Ha autonomia organizzativa e 
contabile 
nei 
limiti 
del 
proprio 
bilancio. affluiscono direttamente 
al 
bilancio dell’araN i 
contributi 
di 
cui 
al 
comma 8. L’araN definisce 
con propri 
regolamenti 
le 
norme 
concernenti 
l’organizzazione 
interna, il 
funzionamento e 
la gestione 
finanziaria. i regolamenti 
sono soggetti 
al 
controllo del 
Dipartimento della funzione 
pubblica e 
del 
ministero dell’economia e 
delle 
finanze, adottati 
d’intesa con la Conferenza 
unificata, 
da 
esercitarsi 
entro 
quarantacinque 
giorni 
dal 
ricevimento 
degli 
stessi. La gestione 
finanziaria è 
soggetta al 
controllo consuntivo della 
Corte 
dei 
conti. 11. il 
ruolo del 
personale 
dipendente 
dell’araN è 
definito in 
base ai regolamenti di cui al comma 10. […]”. 


L’Agenzia 
costituisce 
una 
struttura 
tecnica 
-dotata 
di 
autonomia 
normativa, 
organizzativa, gestionale 
e 
contabile 
-che 
rappresenta 
le 
pubbliche 
amministrazioni 
nella contrattazione collettiva nazionale di lavoro. 


Composizione 
e 
nomina. 
Sono 
organi 
dell’ArAn 
il 
Presidente 
ed 
il 
Collegio 
di 
indirizzo 
e 
controllo. 
il 
Presidente 
dell’ArAn 
è 
nominato 
con 
decreto 
del 
Presidente 
della 
repubblica, 
su 
proposta 
del 
Ministro 
per 
la 
pubblica 
amministrazione 
e 
l’innovazione 
previo 
parere 
della 
Conferenza 
unificata. 
il 
Presidente 
rappresenta 
l’agenzia 
ed 
è 
scelto 
fra 
esperti 
in 
materia 
di 
economia 
del 
lavoro, 
diritto 
del 
lavoro, 
politiche 
del 
personale 
e 
strategia 
aziendale, 
anche 
estranei 
alla 
pubblica 
amministrazione, 
nel 
rispetto 
delle 
disposizioni 
riguardanti 
le 
incompatibilità 
di 
legge. 
il 
Presidente 
dura 
in 
carica 
quattro 
anni 
e 
può 
essere 
riconfermato 
per 
una 
sola 
volta. 
il 
collegio 
di 
indirizzo 
e 
controllo 
è 
costituito 
da 
quattro 
componenti 
scelti 
tra 
esperti 
di 
riconosciuta 
competenza 
in 
materia 
di 
relazioni 
sindacali 
e 
di 
gestione 
del 
personale, 
anche 
estranei 
alla 
pubblica 
amministrazione 
e 
dal 
presidente 
dell’Agenzia 
che 
lo 
presiede; 
due 
di 
essi 
sono 
designati 
con 
decreto 
del 
Presidente 
del 
Consiglio 
dei 
Ministri, 
su 
proposta, 
rispettivamente, 
del 
Ministro 
per 
la 
pubblica 
amministrazione 
e 
l’innovazione 
e 
del 
Ministro 
dell’economia 
e 
delle 
finanze 
e 
gli 
altri 
due, 
rispettivamente, 
dall’AnCi 
e 
dall’uPi 
e 
dalla 
Conferenza 
delle 
regioni 
e 
delle 
province 
autonome. 
il 
collegio 
coordina 
la 
strategia 
negoziale 
e 
ne 
assicura 
l’omogeneità, 
assumendo 
la 
responsabilità 
per 
la 
contrattazione 
collettiva 
e 
verificando 
che 
le 
trattative 
si 
svolgano 
in 
coerenza 
con 
le 
direttive 
contenute 
negli 
atti 
di 
indirizzo. 
il 
collegio 
dura 
in 
carica 
quattro 
anni 
e 
i 
suoi 
componenti 
possono 
essere 
riconfermati 
per 
una 
sola 
volta. 



Contributi 
Di 
DottrinA 


Compiti. L’ArAn 
esercita 
a 
livello nazionale, in base 
agli 
indirizzi 
ricevuti 
dalle 
pubbliche 
amministrazioni 
rappresentate, ogni 
attività 
relativa 
alle 
relazioni 
sindacali, alla 
negoziazione 
dei 
contratti 
collettivi 
e 
alla 
assistenza 
delle 
pubbliche 
amministrazioni 
ai 
fini 
dell’uniforme 
applicazione 
dei 
contratti 
collettivi. 
Sottopone 
alla 
valutazione 
della 
commissione 
di 
garanzia 
dell’attuazione 
della 
L. 
12 
giugno 
1990, 
n. 
146 
gli 
accordi 
nazionali 
sulle 
prestazioni 
indispensabili ai sensi dell’art. 2 della legge citata. 


Le 
pubbliche 
amministrazioni 
possono 
avvalersi 
dell’assistenza 
del-
l’ArAn ai fini della contrattazione integrativa. 

L’ArAn 
cura 
le 
attività 
di 
studio, monitoraggio e 
documentazione 
necessarie 
all’esercizio della contrattazione collettiva. 

Procedimenti. 
L’Agenzia 
ha 
in 
attribuzione 
procedimento 
normativi 
ed 
altresì 
procedimenti 
rappresentativi 
sfocianti 
nella 
stipula 
di 
contratti 
collettivi. 


15. Difensore civico. 
il 
difensore 
civico è 
un istituto tipico degli 
enti 
territoriali, posto a 
garanzia 
del 
cittadino 
nei 
confronti 
delle 
pubbliche 
amministrazioni. 
interviene, 
d’ufficio o a 
istanza 
di 
parte, allorché 
vi 
sono patologie 
nell’azione 
amministrativa, 
con un ruolo di 
impulso, denuncia, sollecitazione 
e 
-ove 
venga 
in rilievo 
attività 
vincolata 
-di 
sostituzione 
nell’attività. 
nell’ordinamento 
giuridico italiano la 
figura 
è 
diffusa 
a 
livello regionale 
(prevista 
negli 
Statuti 
delle 
regioni) 
e 
provinciale 
(29). 
È 
in 
posizione 
di 
indipendenza, 
imparzialità, 
autonomia e neutralità rispetto all’ente territoriale di riferimento. 


La 
Corte 
costituzionale 
evidenzia 
che 
il 
difensore 
civico 
“è 
generalmente 
titolare 
di 
sole 
funzioni 
di 
tutela della legalità e 
della regolarità amministrativa, 
in larga misura assimilabili 
a quelle 
di 
controllo” 
(30). il 
giudice 
di 
le


(29) L’art. 11 t.u.e.L. dispone: 
“1. Lo statuto comunale 
e 
quello provinciale 
possono prevedere 
l’istituzione 
del 
difensore 
civico, con compiti 
di 
garanzia dell’imparzialità e 
del 
buon andamento della 
pubblica amministrazione 
comunale 
o provinciale, segnalando, anche 
di 
propria iniziativa, gli 
abusi, 
le 
disfunzioni, le 
carenze 
ed i 
ritardi 
dell’amministrazione 
nei 
confronti 
dei 
cittadini. 2. Lo statuto disciplina 
l’elezione, le 
prerogative 
ed i 
mezzi 
del 
difensore 
civico nonché 
i 
suoi 
rapporti 
con il 
consiglio 
comunale 
o 
provinciale. 
3. 
il 
difensore 
civico 
comunale 
e 
quello 
provinciale 
svolgono 
altresì 
la 
funzione 
di 
controllo 
nell’ipotesi 
prevista 
all’articolo 
127”. 
Successivamente 
è 
stato 
soppresso 
il 
difensore 
civico 
comunale 
con l’art. 2, comma 
186, lett. a), L. 23 dicembre 
2009, n. 191, il 
quale 
ha 
così 
disposto: 
“al 
fine 
del 
coordinamento della finanza pubblica e 
per 
il 
contenimento della spesa pubblica, i 
comuni 
devono 
adottare 
le 
seguenti 
misure: a) soppressione 
della figura del 
difensore 
civico comunale 
di 
cui 
all’articolo 
11 del 
testo unico delle 
leggi 
sull’ordinamento degli 
enti 
locali, di 
cui 
al 
decreto legislativo 
18 agosto 2000, n. 267. Le 
funzioni 
del 
difensore 
civico comunale 
possono essere 
attribuite, mediante 
apposita convenzione, al 
difensore 
civico della provincia nel 
cui 
territorio rientra il 
relativo comune. 
in tale 
caso il 
difensore 
civico provinciale 
assume 
la denominazione 
di 
«difensore 
civico territoriale» 
ed 
è 
competente 
a 
garantire 
l’imparzialità 
e 
il 
buon 
andamento 
della 
pubblica 
amministrazione, 
segnalando, 
anche 
di 
propria iniziativa, gli 
abusi, le 
disfunzioni, le 
carenze 
e 
i 
ritardi 
dell’amministrazione 
nei confronti dei cittadini; […]”. 
(30) Corte cost., 6 aprile 2004, n. 112. 

rASSeGnA 
AVVoCAturA 
DeLLo 
StAto -n. 4/2022 


gittimità 
-in una 
vicenda 
relativa 
ad una 
legge 
regionale 
che 
attribuiva 
ad un 
difensore 
civico regionale, nei 
confronti 
di 
un ente 
locale 
inerte, il 
potere 
di 
nomina 
di 
un commissario ad acta 
che 
provvede 
in via 
sostitutiva 
-intende 
in 
senso restrittivo i 
poteri 
del 
difensore 
civico, negandogli 
il 
potere 
sostitutivo 
nel 
caso di 
inerzie 
su atti 
vincolati, sul 
rilievo che 
il 
difensore 
civico è 
un organo 
“preposto 
alla 
vigilanza 
sull’operato 
dell’amministrazione 
regionale 
con 
limitati 
compiti 
di 
segnalazione 
di 
disfunzioni 
amministrative, 
al 
quale 
non 
può dunque 
essere 
legittimamente 
attribuita, proprio perché 
non è 
un organo 
di 
governo regionale, la responsabilità di 
misure 
sostitutive 
che 
incidono in 
modo diretto e 
gravoso sull’autonomia costituzionalmente 
garantita dei 
Comuni” 
(31). 


Composizione 
e 
nomina. È 
un organo monocratico nominato, di 
solito, 
dall’organo 
politico 
collegiale 
eletto 
direttamente 
dalla 
comunità 
di 
riferimento 
(consiglio regionale 
e 
provinciale). il 
titolare 
deve 
avere 
una 
specifica 
professionalità. 


Compiti. 
i compiti 
sono delineati 
nello Statuto della 
regione 
o della 
Provincia, 
o 
nella 
fonte 
subordinata 
alla 
quale 
lo 
Statuto 
rinvia. 
Solitamente 
le 
fonti prevedono le seguenti evenienze: 


-il 
potere 
di 
seguire, a 
tutela 
dei 
singoli, degli 
enti 
e 
delle 
formazioni 
sociali 
che 
vi 
hanno interesse 
e 
che 
ne 
facciano richiesta, l’adozione 
degli 
atti 
e 
lo svolgimento dei 
procedimenti 
posti 
in essere 
dall’amministrazione 
di 
riferimento, 
dagli 
enti 
ed 
aziende 
dipendenti 
e 
titolari 
di 
delega, 
limitatamente, 
per questi 
ultimi, alle 
funzioni 
delegate, con speciale 
riferimento alla 
salvaguardia 
dei 
diritti 
costituzionali 
dell’utente 
in 
modo 
che 
siano 
assicurate 
le 
tempestività e le regolarità; 
-il 
difensore 
civico qualora 
nell’esercizio dei 
propri 
compiti 
istituzionali 
rilevi 
o abbia 
notizia 
che 
nell’operato di 
altre 
amministrazioni 
si 
verifichino 
disfunzioni 
od anomalie 
comunque 
incidenti 
sulla 
qualità 
e 
regolarità 
dell’attività 
amministrativa 
regionale 
diretta 
o delegata, ne 
riferisce 
al 
consiglio del-
l’ente di riferimento; 
-ha 
diritto di 
ottenere 
dagli 
uffici 
dell’amministrazione 
di 
riferimento e 
dagli 
enti 
e 
aziende 
strumentali 
e/o 
ausiliarie 
copia 
di 
atti 
e 
documenti, 
nonché 
ogni notizia connessa alla questione trattata; 
-decorso 
un 
dato 
termine 
dall’acquisizione 
dei 
documenti 
e 
notizie 
richiesti, 
fissa 
il 
termine 
per la 
definizione 
dell’affare 
o chiede 
ai 
preposti 
agli 
uffici 
competenti 
di 
procedere 
congiuntamente 
all’esame 
della 
questione, al 
fine di contribuire alla sua sollecita definizione; 


-se 
il 
difensore 
civico accerta 
che 
l’atto richiesto, per il 
quale 
è 
stato sollecitato 
il 
suo intervento, sia 
un atto dovuto omesso illegittimamente, ha 
l’obbligo 
di 
chiedere 
al 
Presidente 
della 
giunta 
regionale 
o 
provinciale 
-a 
seconda 
(31) Corte cost., n. 112/2004. 

Contributi 
Di 
DottrinA 


che 
venga 
in rilievo il 
difensore 
civico regionale 
o provinciale 
-la 
nomina 
di 
un commissario ad acta per l’adozione dell’atto omesso; 


-nei 
confronti 
dei 
preposti 
agli 
uffici 
che 
ostacolino 
con 
atti 
od 
omissioni 
lo 
svolgimento 
della 
sua 
funzione, 
il 
difensore 
civico 
può 
proporre 
agli 
organi 
competenti 
dell’amministrazione 
di 
appartenenza 
la 
promozione 
dell’azione 
disciplinare, a 
norma 
dei 
rispettivi 
ordinamenti. ove 
il 
fatto costituisca 
reato, 
il 
difensore 
civico che 
ne 
venga 
a 
conoscenza 
nell’esercizio delle 
funzioni 
di 
ufficio ha l’obbligo di denunziarlo all’autorità giudiziaria; 


-poteri 
in materia 
di 
accesso, secondo quanto già 
precisato sopra 
descrivendo 
gli organi degli enti territoriali. 
Procedimenti. 
i 
procedimenti 
in 
attribuzione 
dei 
difensori 
civici 
sono 
tendenzialmente 
di 
secondo grado, atteso che 
il 
difensore 
civico si 
inserisce, per 
definizione 
potrebbe 
dirsi, in un procedimento di 
primo grado arenatosi, oppure 
definito in modo patologico. 


16. 
Procedimenti 
para-giurisdizionali 
in 
attribuzione 
alle 
autorità 
amministrative 
indipendenti. 
Come 
regola, 
i 
procedimenti 
in 
attribuzione 
alle 
autorità 
indipendenti 
hanno natura amministrativa. 

Peculiarità, 
tuttavia, 
presenta 
la 
tipologia 
di 
procedimenti 
che, 
nell’ambito 
dell’attività 
di 
vigilanza, conduce 
alla 
adozione 
di 
una 
sanzione 
amministrativa. 
Sulla 
materia, la 
Corte 
eDu 
e, di 
conseguenza, la 
giurisprudenza 
nazionale, 
ritiene 
che 
il 
procedimento 
abbia 
sostanza 
giurisdizionale, 
rectius: 
di 
giudizio 
penale, 
con 
applicazione, 
di 
conseguenza, 
dell’art. 
6 
CeDu 
sul 
diritto 
a un equo processo (32). 


tanto in applicazione 
dei 
c.d. Engel 
criteria, al 
fine 
di 
individuare 
l’ambito 
della 
materia 
penale 
sostanziale 
e 
processuale, per tutte 
le 
conseguenze 


(32) “1. ogni 
persona ha diritto a che 
la sua causa sia esaminata equamente, pubblicamente 
ed 
entro un termine 
ragionevole 
da un tribunale 
indipendente 
e 
imparziale, costituito per 
legge, il 
quale 
sia chiamato a pronunciarsi 
sulle 
controversie 
sui 
suoi 
diritti 
e 
doveri 
di 
carattere 
civile 
o sulla fondatezza 
di 
ogni 
accusa penale 
formulata nei 
suoi 
confronti. La sentenza deve 
essere 
resa pubblicamente, 
ma l’accesso alla sala d’udienza può essere 
vietato alla stampa e 
al 
pubblico durante 
tutto o parte 
del 
processo 
nell’interesse 
della 
morale, 
dell’ordine 
pubblico 
o 
della 
sicurezza 
nazionale 
in 
una 
società 
democratica, 
quando lo esigono gli 
interessi 
dei 
minori 
o la protezione 
della vita privata delle 
parti 
in 
causa, o, nella misura giudicata strettamente 
necessaria dal 
tribunale, quando in circostanze 
speciali 
la 
pubblicità 
possa 
portare 
pregiudizio 
agli 
interessi 
della 
giustizia. 
2. 
ogni 
persona 
accusata 
di 
un 
reato è 
presunta innocente 
fino a quando la sua colpevolezza non sia stata legalmente 
accertata. 3. in 
particolare, 
ogni 
accusato 
ha 
diritto 
di: 
(a) 
essere 
informato, 
nel 
più 
breve 
tempo 
possibile, 
in 
una 
lingua a lui 
comprensibile 
e 
in modo dettagliato, della natura e 
dei 
motivi 
dell’accusa formulata a suo 
carico; (b) disporre 
del 
tempo e 
delle 
facilitazioni 
necessarie 
a preparare 
la sua difesa; (c) difendersi 
personalmente 
o avere 
l’assistenza di 
un difensore 
di 
sua scelta e, se 
non ha i 
mezzi 
per 
retribuire 
un 
difensore, poter 
essere 
assistito gratuitamente 
da un avvocato d’ufficio, quando lo esigono gli 
interessi 
della giustizia; (d) esaminare 
o far 
esaminare 
i 
testimoni 
a carico e 
ottenere 
la convocazione 
e 
l’esame 
dei 
testimoni 
a discarico nelle 
stesse 
condizioni 
dei 
testimoni 
a carico; (e) farsi 
assistere 
gratuitamente 
da un interprete se non comprende o non parla la lingua usata in udienza”. 

rASSeGnA 
AVVoCAturA 
DeLLo 
StAto -n. 4/2022 


convenzionali 
(non solo circa 
l’applicazione 
dell’art. 6 CeDu, ma 
anche 
per 
l’applicazione 
dell’art. 
7 
CeDu) 
(33). 
Con 
gli 
Engel 
criteria, 
la 
giurisprudenza 
della 
Corte 
eDu 
ritiene 
che 
si 
è 
in presenza 
di 
un giudizio penale 
in tre 
evenienze: 
a) 
giudizio qualificato espressamente 
penale 
dalla 
legge 
nazionale; 
b) 
procedimento formalmente 
amministrativo, ma 
nel 
quale 
viene 
applicata 
una 
sanzione 
afflittiva 
avente 
finalità 
di 
prevenzione 
generale 
e/o speciale, analogicamente 
alla 
sanzione 
penale; 
c) 
procedimento 
formalmente 
amministrativo, 
ma 
nel 
quale 
viene 
applicata 
una 
sanzione 
di 
ammontare 
molto 
rilevante, 
enorme 
(34). 
in 
applicazione 
dei 
criteri 
di 
cui 
alle 
lettere 
b) 
e 
c) 
si 
è 
qualificato, 
ad 
esempio, 
il 
procedimento 
sanzionatorio 
dinanzi 
all’antitrust 
e 
alla 
Consob, 
come 
procedimento quasi-giurisdizionale, con l’esigenza 
di 
applicare 
le 
garanzie 
previste 
per il 
processo penale 
nell’art. 6 CeDu, nell’interpretazione 
datane dalla Corte eDu, tra cui: 


a) 
diritto 
al 
silenzio. 
All’uopo 
il 
giudice 
delle 
leggi, 
con 
sentenza 
30 
aprile 
2021, n. 84 ha 
dichiarato costituzionalmente 
illegittimo, per violazione 
degli 
artt. 
24, 
111 
e 
117, 
comma 
1, 
Cost. 
-quest’ultimo 
in 
relazione 
all’art. 
6 
CeDu, 
all’art. 14, comma 
3, lettera 
g), del 
Patto internazionale 
sui 
diritti 
civili 
e 
politici 
(PiDCP) e 
all’art. 47 della 
Carta 
dei 
diritti 
fondamentali 
dell’unione 
europea 
(CDFue) -l’art. 187 quinquiesdecies 
del 
D.L.vo n. 58/1998, nel 
testo 
originariamente 
introdotto 
dall’art. 
9, 
comma 
2, 
lettera 
b), 
della 
legge 
18 
aprile 
2005, n. 62, nella 
parte 
in cui 
si 
applica 
anche 
alla 
persona 
fisica 
che 
si 
sia 
rifiutata 
di 
fornire 
alla 
Consob risposte 
che 
possano far emergere 
la 
sua 
responsabilità 
per 
un 
illecito 
passibile 
di 
sanzioni 
amministrative 
di 
carattere 
punitivo, ovvero per un reato (35); 
b) 
imparzialità 
e 
terzietà 
della 
istituzione 
che 
deve 
applicare 
la 
sanzione, 
con 
la 
necessità 
della 
separazione 
tra 
chi 
esercita 
funzioni 
istruttorie 
e 
chi 
esercita 
funzioni 
decisorie. 
nei 
regolamenti 
procedimentali, 
a 
volte, 
non 
vi 
è 
la 
detta 
distinzione 
tra 
“inquirente” 
e 
“giudicante”. 
Gli 
stessi 
do(
33) “1. Nessuno può essere 
condannato per 
una azione 
o una omissione 
che, al 
momento in cui 
è 
stata commessa, non costituiva reato secondo il 
diritto interno o internazionale. Parimenti, non può 
essere inflitta una pena più grave di quella applicabile al momento in cui il reato è stato commesso”. 
(34) 
Corte 
eDu, 
8 
giugno 
1976, 
Engel 
e 
altri 
c. 
Paesi 
Bassi, 
ricorsi 
nn. 
5100/71, 
5101/71, 
5102/71, 5354/72 e 5370/72. 
(35) 
inoltre, 
in 
via 
consequenziale, 
ha 
dichiarato 
l’illegittimità 
costituzionale 
del 
predetto 
art. 
187 
quinquiesdecies 
D.L.vo n. 58 del 
1998, nel 
testo modificato dall’art. 24, comma 
1, lettera 
c), D.L. 18 
ottobre 
2012, n. 179, conv. L. 17 dicembre 
2012, n. 221, nella 
parte 
in cui 
si 
applica 
anche 
alla 
persona 
fisica 
che 
si 
sia 
rifiutata 
di 
fornire 
alla 
banca 
d’italia 
o alla 
Consob risposte 
che 
possano far emergere 
la 
sua 
responsabilità 
per 
un 
illecito 
passibile 
di 
sanzioni 
amministrative 
di 
carattere 
punitivo, 
ovvero 
per un reato. 
infine, in via 
consequenziale, ha 
dichiarato l’illegittimità 
costituzionale 
del 
predetto art. 187 quinquiesdecies 
D.L.vo n. 58 del 
1998, nel 
testo modificato dall’art. 5, comma 
3, del 
D.L.vo 3 agosto 2017, n. 
129, 
nella 
parte 
in 
cui 
si 
applica 
anche 
alla 
persona 
fisica 
che 
si 
sia 
rifiutata 
di 
fornire 
alla 
banca 
d’italia 
o 
alla 
Consob 
risposte 
che 
possano 
far 
emergere 
la 
sua 
responsabilità 
per 
un 
illecito 
passibile 
di 
sanzioni 
amministrative di carattere punitivo, ovvero per un reato. 

Contributi 
Di 
DottrinA 


vrebbero, 
quindi 
essere 
illegittimi. 
È 
prevalso, 
tuttavia 
un 
orientamento 
giurisprudenziale 
per 
il 
quale 
la 
possibilità 
di 
impugnare 
il 
successivo 
provvedimento 
sanzionatorio 
dinanzi 
ad 
un 
giudice 
dotato 
di 
piena 
giurisdizione 
consente 
di 
ritenere 
che, 
nella 
sostanza, 
sia 
rispettato 
l’art. 
6 
CeDu. 
Si 
ritiene 
che 
-in 
un 
certo 
senso 
-vi 
è 
una 
sorta 
di 
globale 
procedimento, 
una 
specie 
di 
partita 
di 
due 
tempi 
sulla 
vicenda, 
articolantesi 
in 
una 
prima 
fase 
amministrativa 
e 
una 
successiva 
giurisdizionale. 
Si 
ritiene 
quindi 
che 
la 
seconda 
fase 
giurisdizionale 
-ossia: 
impugnativa 
dinanzi 
ad 
un 
giudice 
in 
sede 
di 
giurisdizione 
esclusiva 
e 
di 
merito 
-rispetti 
gli 
standard 
richiesti 
dalla 
CeDu 
(36). 
All’evidenza 
il 
descritto 
orientamento 
giurisprudenziale 
è 
un 
artificio 
verbale 
e 
cozza 
con 
le 
premesse: 
se 
quello 
dinanzi 
alla 
Consob 
e 
all’antitrust 
è 
nella 
sostanza 
un 
giudizio 
penale 
l’art. 
6 
CeDu 
va 
applicato 
nella 
sua 
interezza 
e 
quindi 
i 
procedimenti 
in 
materia 
sono 
illegittimi; 
se 
non 
è 
un 
giudizio 
penale 
l’art. 
6 
CeDu 
non 
è 
violato; 
diversamente 
è 
un 
giocare 
con 
le 
parole. 


Va 
precisato 
che, 
come 
visto 
innanzi, 
per 
la 
banca 
d’italia, 
la 
Consob, 
l’isvap ora 
ivass, il 
“principio della distinzione 
tra funzioni 
istruttorie 
e 
funzioni 
decisorie 
rispetto all’irrogazione 
della sanzione” 
è 
espressamente 
imposto 
dall’art. 24, comma 1, L. n. 262/2002. 

17. rimedi 
giurisdizionali 
avverso gli 
atti 
delle 
autorità amministrative 
indipendenti. 
Per 
i 
loro 
connotati 
le 
autorità 
indipendenti 
sono 
un 
ente 
pubblico. 
È 
ormai 
sopita 
la 
discussione 
sulla 
loro 
natura 
giuridica, 
ritenendosi 
da 
alcuni 
giuristi 
che 
esse 
fossero 
un’autorità 
giustiziale 
o 
para-giurisdizionale; 
opinioni, 
queste 
non 
accoglibili, 
perché, 
come 
detto, 
in 
contrasto 
con 
i 
caratteri 
delle 
dette 
autorità. 


La 
qualità 
di 
ente 
pubblico delle 
autorità 
in esame 
comporta, tra 
l’altro, 
che 
gli 
atti 
adottati 
sono provvedimenti 
amministrativi, vieppiù anche 
normativi 
ove 
vengano in rilievo regolamenti, avverso i 
quali 
gli 
interessati 
possono 
chiedere 
tutela 
dinanzi 
al 
giudice 
amministrativo, in base 
alle 
normali 
regole 
sul riparto di giurisdizione, salve le eccezioni normative. 


Cognizione 
ordinaria 
del 
giudice 
amministrativo, 
in 
sede 
di 
giurisdizione 
esclusiva. 
in 
materia 
vi 
è 
la 
giurisdizione 
esclusiva 
del 
giudice 
amministrativo. 


(36) 
La 
Corte 
eDu, 
ad 
es., 
ritiene 
che 
il 
procedimento 
sanzionatorio 
azionato 
dall’Agcom 
per 
omessa 
comunicazione 
di 
un rapporto di 
controllo societario, prevista 
per le 
società 
che 
chiedano finanziamenti 
pubblici 
all’editoria, non viola, nel 
caso concreto, l’art. 6 par. 1 della 
CeDu 
poiché 
esso, 
pur 
essendosi 
svolto 
essenzialmente 
per 
iscritto 
ed 
essendo 
stata 
offerta 
solo 
in 
parte 
ai 
soggetti 
interessati 
la 
possibilità 
di 
interloquire 
sugli 
elementi 
di 
prova 
raccolti 
dall’Autorità, ha 
trovato in sede 
giurisdizionale 
un sindacato pieno (sentenza 
del 
10 dicembre 
2020, Edizioni 
del 
roma Società Cooperativa a 
r.l. e 
Edizioni 
del 
roma S.r.l. v. italia, ricorsi 
nn. 68954/13 e 
70495/13, su cui 
G. QuAGLiArieLLo, Le 
sanzioni 
sostanzialmente 
penali 
dell’aGCom e 
il 
sindacato di 
piena giurisdizione, in questa 
rassegna, 
2021, 2, pp. 17-38). 

rASSeGnA 
AVVoCAturA 
DeLLo 
StAto -n. 4/2022 


All’uopo 
l’art. 
133, 
comma 
1, 
lett. 
l), 
c.p.a. 
dispone 
che 
sono 
devolute 
alla 
giurisdizione 
esclusiva 
del 
giudice 
amministrativo 
“l) 
le 
controversie 
aventi 
ad 
oggetto 
tutti 
i 
provvedimenti, 
compresi 
quelli 
sanzionatori 
(37) 
ed 
esclusi 
quelli 
inerenti 
ai 
rapporti 
di 
impiego 
privatizzati, 
adottati 
dalla 
Banca 
d’italia, 
[…], 
dall’autorità 
garante 
della 
concorrenza 
e 
del 
mercato, 
dall’autorità 
per 
le 
garanzie 
nelle 
comunicazioni, 
dall’autorità 
per 
l’energia 
elettrica 
e 
il 
gas, 
e 
dalle 
altre 
autorità 
istituite 
ai 
sensi 
della 
legge 
14 
novembre 
1995, 
n. 
481, 
dall’autorità 
per 
la 
vigilanza 
sui 
contratti 
pubblici 
di 
lavori, 
servizi 
e 
forniture, 
[…], 
dalla 
Commissione 
per 
la 
valutazione, 
la 
trasparenza 
e 
l’integrità 
della 
pubblica 
amministrazione, 
dall’istituto 
per 
la 
vigilanza 
sulle 
assicurazioni 
private, 
comprese 
le 
controversie 
relative 
ai 
ricorsi 
avverso 
gli 
atti 
che 
applicano 
le 
sanzioni 
ai 
sensi 
dell’articolo 
326 
del 
decreto 
legislativo 
7 
settembre 
2005, 
n. 
209”. 


La 
giurisdizione 
esclusiva 
del 
giudice 
amministrativo allorché 
abbia 
ad 
oggetto le sanzioni pecuniarie è estesa al merito (art. 134, lett. c, c.p.a.). 

Sindacato 
del 
giudice 
amministrativo. 
il 
giudice 
amministrativo 
ha 
un 
sindacato 
pieno 
sui 
detti 
provvedimenti. 
Questi 
costituiscono, 
spesso, 
manifestazione 
della 
c.d. 
discrezionalità 
tecnica. 
il 
sindacato 
sulle 
valutazioni 
tecniche 
è 
oltrecché 
estrinseco 
(sulla 
manifesta 
illogicità 
ed 
incongruenza), 
anche 
intrinseco 
(ossia 
vi 
è 
il 
controllo 
dell’attendibilità 
del 
criterio 
tecnico 
utilizzato 
dall’Autorità 
e 
il 
suo 
esito 
applicativo). 
tanto 
trova 
conferma 
nell’art. 
7 
D.L.vo 
19 
gennaio 
2017, 
n. 
3 
-recante 
l’attuazione 
della 
direttiva 
2014/104/ue 
del 
Parlamento 
europeo 
e 
del 
Consiglio, 
del 
26 
novembre 
2014, 
relativa 
a 
determinate 
norme 
che 
regolano 
le 
azioni 
per 
il 
risarcimento 
del 
danno 
ai 
sensi 
del 
diritto 
nazionale 
per 
violazioni 
delle 
disposizioni 
del 
diritto 
della 
concorrenza 
degli 
Stati 
membri 
e 
dell’unione 
europea 
(c.d. 
private 
enforcement) 
-secondo 
cui 
“il 
sindacato 
del 
giudice 
del 
ricorso 
comporta 
la 
verifica 
diretta 
dei 
fatti 
posti 
a 
fondamento 
della 
decisione 
impugnata 
e 
si 
estende 
anche 
ai 
profili 
tecnici 
che 
non 
presentano 
un 
oggettivo 
margine 
di 
opinabilità, 
il 
cui 
esame 
sia 
necessario 
per 
giudicare 
la 
legittimità 
della 
decisione 
medesima”. 


Vuol 
dirsi 
che 
il 
giudice 
può 
prendere 
diretta 
cognizione 
dei 
fatti 
rilevanti 
e 
valutarli 
alla 
stregua 
delle 
regole 
giuridiche 
e 
tecniche 
del 
settore 
(38). 
il 


(37) La 
Corte 
costituzionale, con sentenze 
27 giugno 2012, n. 162 e 
15 aprile 
2014, n. 94, ha 
dichiarato 
l’illegittimità 
costituzionale 
della 
presente 
lettera 
-con riguardo alle 
controversie 
in materia 
di 
sanzioni 
irrogate, rispettivamente, dalla 
Consob 
e 
dalla 
banca 
d’italia 
-nella 
parte 
in cui 
attribuisce 
alla 
giurisdizione 
esclusiva 
del 
giudice 
amministrativo con cognizione 
estesa 
al 
merito e 
alla 
competenza 
funzionale del 
tAr Lazio (sede di roma). 
(38) Sugli 
accertamenti 
nella 
materia 
de 
qua: 
Cons. Stato, 15 luglio 2019, n. 4990 (oggetto del 
giudizio 
è 
la 
concertazione 
anticompetitiva 
contestata 
dall’Antitrust 
nei 
confronti 
delle 
società 
del 
gruppo 
r. e 
n., le 
quali 
avrebbero tra 
loro concertato strategie 
-in specie 
una 
intesa 
orizzontale 
restrittiva 
della 
concorrenza 
in violazione 
dell’art. 101 tFue 
-volte 
ad ostacolare 
la 
legittima 
possibilità 
di 
acquisto ed 
impiego del 
farmaco “A.” 
per la 
cura 
delle 
patologie 
oculari, al 
fine 
di 
favorire 
le 
maggiori 
vendite 
del 
farmaco “L.”, di gran lunga più costoso del primo). 

Contributi 
Di 
DottrinA 


giudice, quindi, non è 
tenuto a 
prendere 
cognizione 
dei 
fatti 
solo attraverso la 
descrizione 
contenuta 
nel 
provvedimento impugnato. il 
giudice 
può prendere 
diretta 
cognizione 
dei 
fatti 
anche 
con 
l’ausilio 
di 
C.t.u., 
di 
verificazione, 
della 
prova 
orale. Fatti 
che, come 
in ogni 
giudizio con discrezionalità 
tecnica, possono 
essere 
suscettibili 
di 
varia 
valutazione. È 
il 
caso -in materia 
di 
concorrenza 
-ad 
es., 
della 
nozione 
di 
mercato 
rilevante, 
del 
concetto 
di 
abuso 
di 
posizione 
dominante, del 
concetto di 
pratica 
concordata; 
è 
il 
caso altresì, in 
materia 
di 
servizi 
pubblici, 
della 
variazione 
dei 
meccanismi 
di 
determinazione 
tariffaria. 
il 
giudicante 
quindi 
può 
sindacare 
il 
metodo 
scientifico 
e/o 
il 
criterio 
tecnico e/o regole 
tecniche 
prescelti 
-valutando se 
la 
scelta 
risulti 
attendibile 
e 
ragionevole 
-ed 
il 
procedimento 
applicativo 
seguito 
dall’Autorità, 
con 
l’unico limite della sostituzione all’Autorità (39). 

La 
discrezionalità 
tecnica 
nel 
caso 
in 
esame 
differisce 
dalla 
normale 
discrezionalità 
tecnica 
sotto 
l’aspetto 
quantitativo: 
vengono 
in 
rilievo 
dati 
fattuali 
enormemente 
complessi 
e 
di 
grande 
rilevanza 
economica 
(è 
il 
caso, 
ad 
esempio, 
dei 
servizi 
di 
rete), 
nei 
quali 
già 
la 
mera 
lettura 
del 
puro 
dato 
è 
connotata 
da 
difficoltà; 
vengono 
in 
rilievo 
altresì 
scelte 
regolatorie 
spesso 
caratterizzate 
da 
un 
elevato 
tasso 
di 
tecnicismo 
di 
carattere 
prevalentemente 
economico 
e 
finanziario. 


il 
giudicante 
non 
può, 
in 
ossequio 
alle 
regole 
sui 
limiti 
della 
giurisdizione, 
sostituirsi 
all’Amm.ne. nel 
caso che 
il 
dato fattuale 
conduca 
a 
più valutazioni 
e 
soluzioni 
(ad es. A, b, C) e 
l’Amm.ne 
tra 
queste 
ne 
abbia 
privilegiata 
una 
(ad. es. b), il 
giudicante 
può controllare 
se 
la 
scelta 
fatta 
dall’Amm.ne 
sia 
attendibile 
alla 
stregua 
delle 
regole 
tecniche. non può il 
giudicante 
sostituirsi 
all’Amm.ne; 
ad es. ritenere 
che 
la 
soluzione 
scelta 
dall’Amm.ne 
non è 
la 
migliore 
tra 
quelle 
ricavabili 
dalle 
regole 
tecniche 
e, quindi 
annullare 
l’atto impugnato 
e 
con 
la 
propria 
sentenza 
scegliere 
la 
soluzione 
reputata 
come 
la 
migliore 
(ad 
es. 
D) 
oppure 
annullare 
l’atto 
impugnato 
e 
con 
la 
propria 
sentenza 
ordinare 
all’Amm.ne 
di 
recepire 
la 
soluzione 
da 
lui 
reputata 
come 
la 
migliore. 
ove 
la 
scelta 
fatta 
dall’Amm.ne 
sia 
inattendibile 
alla 
stregua 
delle 
regole 
tecniche 
(le 
regole 
tecniche 
possono condurre 
a 
tre 
possibili 
soluzioni 
-ad es. A, 
b, C -e 
l’Amm.ne 
opta 
per la 
soluzione 
e), il 
giudice 
può annullare 
il 
provvedimento 
dell’Amm.ne. 


Cognizione, 
in 
via 
di 
eccezione 
alla 
regola 
della 
giurisdizione 
esclusiva 
del 
giudice 
amministrativo, 
del 
giudice 
ordinario. 
Quale 
eccezione 
a 
tale 
linea 
tendenziale 
sulla 
giurisdizione, 
spettano 
alla 
cognizione 
del 
giudice 
ordinario: 


a) 
tutte 
le 
controversie 
in materia 
di 
protezione 
dei 
dati 
personali, comprese 
quelle 
aventi 
ad oggetto l’impugnativa 
dei 
provvedimenti 
del 
Garante 
per 
la 
protezione 
dei 
dati 
personali 
(art. 
152 
D.L.vo 
n. 
196/2003 
e 
art. 
10, 
(39) Sulla 
materia: 
M. FiLiCe, il 
problematico confine 
tra i 
poteri 
dell’agcom 
e 
il 
sindacato del 
giudice, in Giorn. Dir. amm., 2017, 3, pp. 389 e 
ss.; 
M. FiLiCe, Verso un sindacato consapevole 
sulle 
valutazioni tecnico-discrezionali, in Giorn. Dir. amm., 2016, 5, pp. 684 e ss. 

rASSeGnA 
AVVoCAturA 
DeLLo 
StAto -n. 4/2022 


comma 
10, 
D.L.vo 
1 
settembre 
2011, 
n. 
150). 
La 
cognizione 
dell’A.G.o. 
è 
una di giurisdizione esclusiva; 


b) 
le 
controversie 
in materia 
di 
opposizione 
avverso le 
sanzioni 
irrogate 
dalla 
Consob e 
dalla 
banca 
d’italia. tanto risulta 
all’esito delle 
sentenze 
della 
Corte 
costituzionale 
nn. 
162/2012 
e 
94/2014 
innanzi 
citate 
(40) 
-reputanti 
che 
la 
materia 
de 
qua 
involga 
diritti 
soggettivi 
-determinanti 
l’espressa 
revivescenza 
-“delle 
disposizioni 
del 
d.lgs. 24 febbraio 1998, n. 58 [ossia 
articoli 
187 
septies, commi 
da 
4 a 
8; 
195, commi 
da 
4 a 
8], che 
attribuiscono alla Corte 
d’appello la competenza funzionale 
in materia di 
sanzioni 
inflitte 
dalla CoN-
SoB” (così la sentenza n. 162/2012) e 
-degli 
artt. 
“145, 
commi 
da 
4 
a 
8, 
del 
decreto 
legislativo 
1° 
settembre 
1993, n. 385 (Testo unico delle 
leggi 
in materia bancaria e 
creditizia)”, “187septies, 
commi 
da 4 a 8, e 
195, commi 
da 4 a 8, del 
decreto legislativo 24 febbraio 
1998, 
n. 
58 
(Testo 
unico 
delle 
disposizioni 
in 
materia 
di 
intermediazione 
finanziaria, ai 
sensi 
degli 
articoli 
8 e 
21 della legge 
6 febbraio 1996, n. 52)” 
(così la sentenza n. 94/2014). 


18. Necessità di 
una riflessione 
sulla vitalità delle 
autorità amministrative 
indipendenti. 
Giunti 
al 
fondo di 
questa 
breve 
disamina 
occorre 
chiedersi: 
sono necessarie 
le 
authority? 


La 
creazione 
delle 
authority 
ha 
avuto 
quale 
volano 
l’esigenza 
che 
dati 
settori, specie 
dell’economia, fossero regolati 
da 
soggetti 
indipendenti 
ed au


(40) Le 
dette 
sentenze 
reputano illegittima 
la 
norma 
perché 
il 
legislatore 
delegato non ha 
“tenuto 
conto 
della 
giurisprudenza 
delle 
sezioni 
unite 
civili 
della 
Corte 
di 
cassazione, 
formatasi 
specificamente 
sul 
punto. La Corte 
di 
cassazione 
ha, infatti, sempre 
precisato che 
la competenza giurisdizionale 
a conoscere 
delle 
opposizioni 
(art. 196 del 
d.lgs. 24 febbraio 1998, n. 58) avverso le 
sanzioni 
inflitte 
dalla 
CoNSoB 
ai 
promotori 
finanziari, anche 
di 
tipo interdittivo, spetta all’autorità giudiziaria ordinaria, 
posto che 
anche 
tali 
sanzioni, non diversamente 
da quelle 
pecuniarie, debbono essere 
applicate 
sulla 
base 
della gravità della violazione 
e 
tenuto conto dell’eventuale 
recidiva e 
quindi 
sulla base 
di 
criteri 
che 
non possono ritenersi 
espressione 
di 
discrezionalità amministrativa (Corte 
di 
cassazione, sezioni 
unite 
civili, 22 luglio 2004, n. 13703; nello stesso senso 11 febbraio 2003, n. 1992; 11 luglio 2001, n. 
9383).[…]. 
La citata giurisprudenza della Corte 
di 
cassazione, la quale 
esclude 
che 
l’irrogazione 
delle 
sanzioni 
da parte 
della CoNSoB 
sia espressione 
di 
mera discrezionalità amministrativa, unitamente 
alla considerazione 
che 
tali 
sanzioni 
possono essere 
sia di 
natura pecuniaria, sia di 
tenore 
interdittivo 
(giungendo persino ad incidere 
sulla possibilità che 
il 
soggetto sanzionato continui 
ad esercitare 
l’attività 
intrapresa), impedisce 
di 
giustificare 
sul 
piano della legittimità costituzionale 
l’intervento del 
legislatore 
delegato, 
il 
quale, 
incidendo 
profondamente 
sul 
precedente 
assetto, 
ha 
trasferito 
alla 
giurisdizione 
esclusiva 
del 
giudice 
amministrativo 
le 
controversie 
relative 
alle 
sanzioni 
inflitte 
dalla 
CoNSoB, 
discostandosi 
dalla 
giurisprudenza 
della 
Corte 
di 
cassazione, 
che 
invece 
avrebbe 
dovuto 
orientare 
l’intervento 
del 
legislatore 
delegato, 
secondo 
quanto 
prescritto 
dalla 
delega. 
Di 
conseguenza, 
deve 
ritenersi 
che, limitatamente 
a simile 
attribuzione 
di 
giurisdizione, siano stati 
ecceduti 
i 
limiti 
della 
delega conferita, con conseguente 
violazione 
dell’art. 76 Cost.” 
(così 
la 
sentenza 
n. 162/2012, con argomentazioni 
richiamate nella successiva sentenza n. 94/2014). 

Contributi 
Di 
DottrinA 


tonomi 
dal 
potere 
politico. Quanto evidenziato a 
favore 
della 
creazione 
delle 
authority 
non 
è 
irresistibile: 
a) 
in 
primo 
luogo 
l’intervenuta 
separazione, 
a 
metà 
degli 
anni 
’90 
del 
secolo 
trascorso, 
tra 
sfera 
politica 
ed 
amministrazione, 
nel 
rispetto del 
principio di 
legalità 
anche 
di 
fonte 
comunitaria, rende 
non necessarie 
-nel 
disegno 
organizzativo 
dell’organizzazione 
amministrativa 
italiana 
-le 
autorità 
indipendenti. 
i 
compiti 
di 
queste 
potrebbero 
essere 
svolti 
dall’apparato amministrativo con marcata 
autonomia 
rispetto al 
potere 
politico; 
b) 
inoltre 
deve 
rilevarsi 
che 
in 
determinati 
settori 
e 
in 
determinati 
casi 
potrebbe 
essere, anzi, opportuno favorire 
la 
massima 
coesione 
tra 
l’indirizzo 
politico e l’attività dei regolatori di un certo settore. 


Peraltro, nella pratica, le 
authority 
hanno dato luogo a varie aporie: 


-si 
è 
creata 
una 
burocrazia 
parallela 
a 
quella 
ministeriale 
con 
un 
personale 
di 
serie 
A, tenuto conto dei 
generosi 
trattamenti 
economici 
del 
personale 
dipendente 
delle 
authority, 
peraltro 
non 
assunto 
-almeno 
nella 
fase 
di 
attivazione 
-con 
selezione 
e 
competenze 
che 
giustificasse 
il 
surplus 
economico, 
ma 
per trasferimenti e/o mobilità da altri enti pubblici; 


-la 
indipendenza 
degli 
organi 
apicali, che 
dovrebbe 
essere 
la 
cifra 
giustificativa 
della 
esistenza 
delle 
authority, non sempre 
sussiste. Anzi, dalla 
disamina 
fatta, 
emerge 
che 
la 
nomina 
degli 
organi 
della 
maggior 
parte 
delle 
authority 
è riconducibile - in modo diretto o indiretto - al Governo; 
-deficit 
di 
legittimazione 
democratica. tra 
le 
altre, le 
autorità 
indipendenti, 
svolgono 
funzioni 
normative 
(adozione 
di 
regolamenti). 
tuttavia, 
come 
evidenziato, 
la 
funzione 
normativa 
è 
da 
ricondurre 
agli 
organi 
espressione 
della 
volontà 
popolare 
(Parlamento e 
Governo; 
Consiglio e 
Giunta 
regionale, 
provinciale, comunale), in ossequio al 
precetto secondo cui 
“La sovranità appartiene 
al 
popolo, che 
la esercita nelle 
forme 
e 
nei 
limiti 
della Costituzione” 
(art. 1, comma 2, Cost.); 
-a 
livello di 
risultati, il 
bilancio operativo dell’attività 
delle 
authority 
è 
magro. L’attività 
dell’antitrust 
non ha 
scalfito i 
cartelli 
oligopolistici 
nel 
settore 
dei 
servizi; 
ad es., nella 
vendita 
di 
carburante 
la 
differenza 
di 
prezzo tra 
le 
varie 
Compagnie 
è 
insignificante. L’Agcom 
non ha 
inciso sul 
-sostanziale 
-duopolio 
televisivo, 
sulla 
qualità 
della 
programmazione 
della 
televisione 
pubblica. 
L’AnAC 
ha 
natura 
spuria: 
ente 
di 
natura 
para-amministrativo 
e/o 
para-giurisdizionale; 
in fondo è 
un ispettore 
qualificato, ma 
tanto basta 
a 
ricondurlo 
all’apparato amministrativo. il 
Garante 
della 
privacy, si 
rivela, nella 
sostanza, fattore 
di 
appesantimento con le 
tutele 
formali 
(ad es. i 
modelli 
di 
consenso 
alla 
privacy) 
e 
-soprattutto 
-irrilevante 
nella 
tutela 
della 
materia 
commessagli; 
su internet 
si 
consumano ordinariamente 
violazioni 
di 
dati 
sensibili 
e 
si 
vedono le 
cose 
più turpi, eppure 
il 
Garante 
della 
privacy 
agisce 
in 
modo accidentale 
e 
marginale: 
è 
successo che 
è 
stato sanzionato il 
rappresentante 
dell’ente 
pubblico che 
sul 
sito istituzionale 
ha 
pubblicato la 
compravendita 
di 
un terreno all’ente 
nella 
quale 
il 
nominativo dei 
venditori 
è 
riportato 

rASSeGnA 
AVVoCAturA 
DeLLo 
StAto -n. 4/2022 


per intero e 
non solo con le 
iniziali 
(sic). L’attività 
di 
vigilanza 
della 
Consob 
e 
della 
banca 
d’italia 
-nell’ultimo ventennio, nel 
quale 
si 
sono stabilizzati 
i 
caratteri 
di 
authority 
dei 
due 
enti 
-è 
largamente 
deficitaria 
con performance 
non esaltanti, specie nella vigilanza sulle imprese bancarie ed industriali. 


L’agevole 
corollario delle 
aporie 
evidenziate 
è 
chiaro: 
abolizione 
di 
tutte 
le 
authority 
e 
riconduzione 
di 
strutture 
e 
funzioni 
nell’ambito dei 
Ministeri, 
beninteso 
con 
autonomia 
marcata 
nel 
rispetto 
degli 
stimoli 
derivanti 
dal-
l’unione europea. 



Contributi 
Di 
DottrinA 


Il principio del contraddittorio nei procedimenti 
amministrativi di cui all’art. 13 della l. n. 241/1990 


Rosa Amatucci* 


Sommario: 1. Premessa generale: delimitazione 
dell’oggetto di 
indagine 
-2.1 metodo 
di 
analisi. ricognizione 
morfologica: esempi 
di 
fattispecie 
sottoposte 
all’art. 13 secondo la 
giurisprudenza -2.2 metodo di 
analisi 
dogmatica -3. atti 
normativi 
-4. atti 
amministrativi 
generali 
-4.1 Piani 
e 
programmi 
-4.2 Le 
programmazioni 
-4.3 Gli 
atti 
amministrativi 
generali 
delle 
autorità 
amministrative 
indipendenti 
-5. 
Dibattito 
pubblico 
-6. 
Procedimenti 
espropriativi 
-7. 
Procedimenti 
tributari 
-8. 
Procedimenti 
previdenziali 
-9. 
La 
tutela 
del 
contraddittorio negli 
accordi 
di 
cui 
all’art. 11 -10. Collegamenti 
dell’art. 13 col 
diritto di 
accesso di cui all’art. 22 - 11. Conclusioni generali. 

1. Premessa generale: delimitazione dell’oggetto di indagine. 
il 
capo iii -rubricato “Partecipazione 
al 
procedimento amministrativo” 


(1) -della 
legge 
7 agosto 1990 n. 241, delinea 
presupposti 
e 
strumenti 
per instaurare 
“un 
confronto 
(o 
scontro) 
ad 
armi 
pari” 
tra 
privati 
cittadini 
e 
pubblica 
amministrazione 
(2), dando attuazione 
ai 
principi 
di 
diritto interno (primi 
tra 
tutti, “buon andamento” 
ed “imparzialità” 
di 
cui 
all’art. 97 Costituzione), europeo 
(“buona 
amministrazione” 
ex 
art. 41 CDFue) ed internazionale 
(“equo 
processo” 
ex 
art. 6 CeDu). Se 
da 
un lato, le 
primissime 
sentenze 
della 
Consulta 
mostravano una 
certa 
ritrosia 
nel 
riconoscere 
il 
contraddittorio amministrativo 
principio di 
rango costituzionale 
(3), dall’altro, illuminata 
dottrina, a 
livello 
teorico, 
lo 
definiva 
come 
“condizione 
extraprocessuale 
al 
processo 
giurisdizionale” 
(4) e 
il 
legislatore, a 
livello dogmatico, lo configurava 
come 
cri(*) 
Dottoressa 
in 
Giurisprudenza, 
ammessa 
alla 
Pratica 
forense 
presso 
l’Avvocatura 
Generale 
dello 
Stato 
(avv. Stato GAetAnA 
nAtALe). 


(1) Ai 
fini 
dell’indagine 
che 
si 
sta 
conducendo, è 
utile 
segnalare 
che 
nell’originario schema 
del 
d.d.l. della 
Commissione 
nigro, la 
rubrica 
del 
capo iii recitava 
“contraddittorio nel 
procedimento amministrativo” 
e 
non, 
come 
oggi 
“partecipazione 
nel 
procedimento 
amministrativo”. 
in 
realtà, 
questa 
scelta 
si 
spiega 
con l’esigenza 
di 
ricomprendere 
nel 
genus 
partecipazione, tanto il 
modulo collaborativo 
(mediante 
il 
deposito di 
osservazioni) quanto quello difensivo (con l’atto tipico dell’opposizione). Per 
approfondire, si rinvia al parere del Consiglio di Stato, n. 7, 19 febbraio 1987. 
(2) Si tratta: 
a) della comunicazione di avvio del procedimento (ex 
artt. 7-8); 
b) del potere di intervento degli interessati (ex 
art. 9); 
c) del 
diritto dei 
partecipanti 
di 
prendere 
visione 
degli 
atti 
relativi 
al 
procedimento in essere 
e, successivamente, 
di presentare memorie e documenti (ex 
art. 10); 
d) della 
comunicazione 
dei 
motivi 
ostativi 
all’accoglimento della 
domanda 
nei 
procedimenti 
ad istanza 
di parte (ex 
art. 10-bis). 
(3) Corte Cost., sent. n. 13 del 2 marzo 1962; Corte Cost., sent n. 23 del 1978. 
(4) F. benVenuti, voce 
Contraddittorio 
(Diritto amministrativo), in Enciclopedia del 
diritto, vol. 
iX. 

rASSeGnA 
AVVoCAturA 
DeLLo 
StAto -n. 4/2022 


terio 
generale 
della 
presenza 
del 
cittadino 
al 
percorso 
decisionale 
pubblico 
(5). 
in tempi 
più recenti, le 
riforme 
costituzionali 
e 
ordinarie 
(6), e 
la 
sinergia 
di 
dottrina 
e 
giurisprudenza, 
hanno 
fugato 
ogni 
dubbio 
circa 
la 
natura 
costituzionale 
del principio in esame. 


tutto 
quanto 
premesso, 
si 
tratta 
di 
capire 
se 
il 
principio 
del 
contraddittorio 
amministrativo 
trovi 
applicazione 
indiscriminatamente 
in 
qualsiasi 
tipo 
di 
procedimento 
pubblico ovvero se, a 
seconda 
della 
funzione 
esercitata, esso subisca 
delle deroghe. 

invero, a 
livello normativo, il 
capo iii della 
suddetta 
legge 
si 
chiude 
con 
una 
disposizione, l’art. 13, che 
delimita 
oggettivamente 
l’ambito di 
applicazione 
delle 
garanzie 
in esso contenute. tuttavia, la 
rubrica 
“Ambito di 
applicazione 
delle 
norme 
sulla 
partecipazione” 
non 
corrisponde 
del 
tutto 
al 
suo 
contenuto: 
avrebbe 
piuttosto dovuto rappresentare 
che 
le 
norme 
sulla 
partecipazione 
individuale 
(e 
quindi 
sul 
contraddittorio) di 
cui 
ai 
precedenti 
articoli, 
non si 
applicano a 
determinati 
procedimenti; 
invece, il 
titolo è 
tale 
da 
poter 
indurre 
nell’equivoco che 
in questi 
procedimenti 
non sia 
garantito l’esercizio 
del 
contraddittorio. inoltre, l’elenco contenuto nel 
testo della 
norma 
(7) non è 
esaustivo, perché 
sotto l’ombrello generico di 
atti 
amministrativi 
generali, ricomprende 
tutta 
una 
serie 
di 
specie 
di 
difficile 
individuazione. Ancora, l’indicazione 
specifica 
ma 
distinta 
da 
quella 
degli 
atti 
amministrativi 
generali, 
degli 
atti 
di 
pianificazione 
e 
programmazione 
costituisce 
una 
ridondanza, 
perché 
essi sono, per eccellenza, atti amministrativi generali. 

occorre 
anche 
precisare 
che, dal 
punto di 
vista 
dei 
principi 
generali 
del 
diritto 
amministrativo, 
il 
concetto 
di 
sovranità, 
alla 
base 
della 
autoritarietà 
dell’atto 
amministrativo 
e 
della 
sua 
imperatività, 
è 
diverso 
da 
quello 
fatto 
proprio 
dagli 
altri 
Paesi 
membri 
dell’unione 
e 
soprattutto 
del 
diritto 
europeo: 
dove 
i 
c.d. atti 
“normativi” 
(convenzioni, regolamenti, direttive 
e 
decisioni) 
debbono essere 
comunque 
motivati 
in base 
ai 
c.d. considerando. Questo obbligo 
risale 
addirittura 
alla 
formulazione 
originaria 
dell’art. 190 del 
trattato 
Cee 
di 
roma. nel 
sistema 
nazionale 
e 
costituzionale, viceversa, prevale 
tuttora 
una 
concezione 
“bilaterale” 
dei 
rapporti 
tra 
cittadino ed amministrazione 
(l’amministrato, piuttosto che 
il 
cittadino), per cui 
la 
tutela 
piena 
del 
contraddittorio 
è 
limitata 
a 
quei 
procedimenti 
individuali 
che 
la 
dottrina 
chiama 
“so


(5) 
G. 
berti, 
Procedimento, 
procedura, 
partecipazione 
in 
Studi 
in 
onore 
di 
E. 
Guicciardi, 
Padova, 
1975, p. 799. 
(6) tra 
le 
tante, si 
ricorda 
la 
legge 
costituzionale 
n. 2 del 
23 novembre 
1999 (“inserimento dei 
principi del giusto processo nell’art. 111 della Costituzione”). 
(7) Art. 13 “ambito di applicazione delle norme sulla partecipazione” 
1. 
Le 
disposizioni 
contenute 
nel 
presente 
capo 
non 
si 
applicano 
nei 
confronti 
dell’attività 
della 
pubblica 
amministrazione 
diretta alla emanazione 
di 
atti 
normativi, amministrativi 
generali, di 
pianificazione 
e 
di programmazione, per i quali restano ferme le particolari norme che ne regolano la formazione. 
2. 
Dette 
disposizioni 
non 
si 
applicano 
altresì 
ai 
procedimenti 
tributari 
per 
i 
quali 
restano 
parimenti 
ferme le particolari norme che li regolano. 

Contributi 
Di 
DottrinA 


stanziali”. Al 
contrario, gli 
atti 
normativi 
(regolamenti 
soprattutto) sono considerati 
estranei 
a 
questo tipo di 
rapporto, e 
pertanto non debbono essere 
motivati, 
ma 
piuttosto 
semplicemente 
“giustificati” 
con 
il 
richiamo 
ai 
presupposti 
e 
alla 
normativa 
di 
cui 
sono applicazione. Questo modo di 
procedere 
ha 
influenzato 
anche 
la 
dogmatica 
dei 
c.d. 
atti 
amministrativi 
generali, 
al 
punto 
che 
molti 
di 
essi 
sono 
stati 
qualificati, 
e 
non 
da 
ora, 
come 
atti 
sostanzialmente 
normativi. 


Da 
ciò 
discende 
una 
ultima 
considerazione 
di 
carattere 
generale. 
Data 
l’enorme 
varietà 
degli 
atti 
amministrativi 
c.d. 
generali, 
il 
metodo 
di 
indicazione 
non 
può 
che 
essere 
tassonomico, 
perché 
a 
seconda 
del 
tipo 
di 
atto 
ricompreso 
nell’art. 13, si 
rinviene 
la 
più ampia 
gamma 
di 
effetti 
giuridici: 
per 
gli 
atti 
normativi 
è 
il 
vincolo di 
obbedienza, come 
per la 
legge, mentre 
gli 
atti 
amministrativi 
generali 
possono avere 
effetti 
costitutivi 
e 
conformativi 
(come 
ad 
esempio 
i 
piani 
regolatori 
generali 
e 
le 
programmazioni 
ambientali); 
ancora 
effetti 
dichiarativi 
con 
valore 
costitutivo, 
come 
l’iscrizione 
nelle 
liste 
delle 
bellezze 
naturali 
e 
dei 
beni 
culturali. 
Addirittura, 
vi 
può essere 
potestà 
con-
formativa 
del 
negozio 
giuridico, 
integrazione 
amministrativa 
delle 
clausole 
contrattuali, obbligo di 
rispetto di 
standard come 
avviene 
per gli 
atti 
delle 
autorità 
indipendenti 
di 
regolamentazione. 
tali 
sono 
ad 
esempio, 
i 
provvedimenti 
di 
fissazione 
delle 
tariffe 
o di 
determinazione 
dei 
prezzi 
che 
costituiscono, secondo 
la 
migliore 
dottrina 
(8), 
una 
conformazione 
amministrativa 
del 
negozio 
giuridico. Degli 
altri 
speciali 
procedimenti 
indicati 
espressamente 
dall’art. 13 
(procedimenti 
amministrativi 
tributari 
e 
previdenziali; 
ovvero 
dei 
procedimenti 
di 
cambiamento della 
generalità 
ai 
fini 
di 
protezione 
dei 
collaboratori 
ai 
sensi 
del d.lgs. 119/93) si parlerà a suo tempo. 


un 
vero 
rebus 
giuridico 
è 
rappresentato 
infine 
dalla 
natura 
giuridica 
delle 
“linee 
guida” 
presenti 
nei 
più vari 
settori 
della 
attività 
amministrativa: 
la 
giurisprudenza 
ha 
già 
riconosciuto 
-ai 
fini 
della 
tutela 
giurisdizionale 
-natura 
vincolante 
alle 
linee 
guida 
dell’AnAC, 
del 
GSe 
(Gestore 
del 
Sistema 
elettrico) 
e perfino dell’Agenzia per l’italia digitale. 


2.1 metodo di 
analisi. ricognizione 
morfologica: esempi 
di 
fattispecie 
sottoposte 
all’art. 13 secondo la giurisprudenza. 
Prima 
di 
tentare 
una 
ricognizione 
dogmatica 
appare 
utile 
effettuare 
-a 
campione 
-una 
ricognizione 
di 
tipo morfologico. Sotto questo profilo, nella 
prassi 
giudiziaria 
si 
registra 
la 
tendenza 
ad 
allargare 
lo 
spettro 
delle 
fattispecie 
da 
attrarre 
nella 
categoria 
degli 
atti 
amministrativi 
generali, 
e 
dunque 
della 
stessa 
operatività 
dell’art. 
13. 
in 
particolare, 
si 
rinvengono 
esempi 
nei 
seguenti 
settori o materie: 


(8) 
Cfr. 
M.S. 
GiAnnini, 
il 
pubblico 
potere, 
bologna, 
1986; 
M.S. 
GiAnnini, 
Diritto 
amministrativo, 
Milano, 1988, ii. 

rASSeGnA 
AVVoCAturA 
DeLLo 
StAto -n. 4/2022 


a) 
procedure 
di 
formazione 
dei 
piani 
regolatori 
generali 
e 
loro 
varianti 
(9); 
b) 
tutti 
i 
piani 
particolareggiati 
sia 
di 
carattere 
generale 
(PPe 
piano particolareggiato 
di esecuzione) sia di carattere speciale: 
a. piani di insediamenti produttivi (PiP) (10); 
b. 
piani 
di 
edilizia 
economica 
e 
popolare 
(PeeP), 
ma 
non 
le 
localizzazioni 
individuali di opera di edilizia economica e popolare (art. 51 l. 865/71); 
c) 
procedimento 
di 
panificazione 
programmazione 
del 
programma 
urbano 
di parcheggi (PuP) (11); 
d) 
atti 
di 
programmazione 
economico sociale, quali 
ad esempio la 
programmazione 
regionale 
della 
spesa 
sanitaria 
(12). tuttavia, secondo il 
Consiglio 
di 
Stato (13), “la 
deliberazione 
regionale 
con la 
quale 
sono stati 
fissati 
i 
tetti 
di 
spesa 
delle 
prestazioni 
sanitarie, è 
stata 
qualificata 
come 
atto plurimo 
e 
non 
come 
atto 
amministrativo 
generale 
e 
quindi 
è 
da 
considerare 
illegittima, 
se adottata senza previo avviso dell’avvio del procedimento”; 
e) 
c.d. localizzazioni o individuazioni di aree rispettivamente per: 
a. impianti di stazioni radio per telefonia cellulare (14); 
b. localizzazione di impianti di termovalorizzazione (15); 
c. localizzazione di impianti di rifiuti solidi urbani (16); 
d. 
le 
delibere 
di 
individuazione 
di 
zone 
carenti 
di 
servizio 
farmaceutico 
(17); 
e. provvedimenti 
di 
revisione 
della 
pianta 
organica 
delle 
sedi 
farmaceutiche 
(18); 
f. istituzione di nuove sedi farmaceutiche (19); 
f) 
determinazione 
dei 
prezzi 
(20); 
approvazione 
di 
servizi 
pubblici 
(21); 
provvedimenti di adeguamento delle tariffe telefoniche (22); 
g) 
provvedimenti 
in materia 
di 
contabilità, finanza, beni 
demaniali 
e 
patrimoniali, 
quali 
ad esempio gli 
atti 
di 
aggiornamento dei 
canoni 
di 
concessione 
dei medesimi (23); 
(9) t.a.r. Molise, sez. i, n. 239/2021; Cons. Stato, sez. iV, n. 1914/2016. 
(10) Con. Stato n. 5819/2014. 
(11) Cons. Stato, sez. V, n. 2852/2003. 
(12) t.a.r. Campania, napoli, sez. i, n. 16660/2005. 
(13) Cons. Stato, sez. iV, 13 luglio n. 3920/2020. 
(14) t.a.r. emilia-romagna, sez. i, n. 3/2021; 
t.a.r. Sardegna, sez. ii, n. 163/2008. 
(15) t.a.r. Piemonte, sez. ii, n. 3607/2000. 
(16) Cons. Stato, sez. V, n. 2471/2006. Sono ipotesi 
in cui 
è 
potenzialmente 
applicabile 
l’istituto 
del dibattito pubblico. 
(17) Cons. Stato, sez. V, 22 dicembre 2005, n. 7356. 
(18) t.a.r. emilia-romagna, Parma, sez. i, 1° 
dicembre 
2008, n. 442; 
Cons. Stato, sez. iV, 26 ottobre 
1999, n. 1628. 
(19) Cons. Stato, sez. iii, n. 3136/2018. 
(20) t.a.r. Campania, sez. i, 14 settembre 1999, n. 2320. 
(21) Cons. Stato, sez. Vi, 17 aprile 2009, n. 2308. 
(22) t.a.r. Lazio, sez. ii, 8 giugno 1993, n. 657. 
(23) t.a.r. toscana, 17 aprile 2002, n. 153. 

Contributi 
Di 
DottrinA 


h) 
procedimenti 
dichiarativi 
in materia 
di 
tutela 
del 
paesaggio, quale 
integrazione 
degli 
elenchi 
delle 
bellezze 
ambientali 
e 
dei 
beni 
ambientali 
e 
culturali 
(24); 
i) 
procedimenti 
di 
pianificazione 
in 
materia 
ambientale, 
valutazioni 
di 
impatto ambientale, autorizzazioni 
ambientali. Come 
hanno notato autorevoli 
commentatori 
(25), 
“la 
disciplina 
della 
partecipazione 
nei 
procedimenti 
di 
pianificazioni 
in materia 
ambientale 
risulta 
fortemente 
condizionata 
dalla 
regolamentazione 
internazionale 
(Convenzione 
di 
Aarhus, 
ratificata 
nel 
nostro 
Paese 
con 
l. 
108/2001) 
e 
comunitaria, 
che 
la 
incentiva 
proprio 
nei 
procedimenti 
volti 
all’emanazione 
di 
piani 
e 
programmi 
nonché 
di 
atti 
normativi 
(26). 
in 
tutti 
questi 
casi 
più 
che 
la 
figura 
del 
legittimo 
contraddittore, 
vi 
è 
quello 
del 
portatore 
di 
interessi 
o 
stakeholder, 
molto 
variegati, 
si 
va 
dal 
proprietario 
confinante 
rispetto al 
progetto di 
una 
discarica 
di 
rifiuti 
ad associazioni 
di 
categoria 
(ordini 
e 
collegi 
professionali, 
società 
di 
ingegneria), 
portatori 
di 
interessi 
diffusi 
e 
collettivi, 
quali 
le 
organizzazioni 
non 
governative 
riconosciute 
dal 
Ministero 
dell’Ambiente 
aventi 
finalità 
di 
protezione 
dell’ambiente 
stesso 
oppure 
miste come il CoDAConS (27). 
2.2. metodo di analisi dogmatica. 
Sebbene 
il 
metodo dell’analisi 
giuridica 
delle 
fattispecie 
sia 
plurimo ed 
opinabile 
(per soggetti, per tipo di 
attività, per tipo di 
procedimento, per funzione, 
per 
considerazione 
degli 
interessi 
pubblici 
ecc.) 
sembra 
efficace 
ispirarsi 
alla 
tassonomia 
proposta 
dalla 
grande 
dottrina 
(28) 
che 
li 
articola 
in 
ordine 
discendente, 
ed 
in 
relazione 
al 
tipo 
di 
potere 
esercitato. 
Questo 
metodo 
comporta 
che 
in primo luogo vengano considerati 
gli 
atti 
normativi 
secondari, che 
sono 
diretta 
esecuzione 
delle 
fonti 
primarie 
del 
diritto e, successivamente, le 
funzioni 
di 
indirizzo, coordinamento, pianificazione 
e 
programmazione, regolazione 
e conformazione. 


3. atti normativi. 
una 
rapida 
trattazione 
del 
regime 
giuridico degli 
atti 
normativi 
si 
giustifica 
per 
la 
loro 
profonda 
differenza 
di 
natura 
giuridica, 
funzione 
ed 
effetti 
(ma 
anche 
procedure) rispetto alle 
altre 
categorie 
di 
atti 
inclusi 
nell’art. 13, compresi 
gli stessi atti amministrativi generali. 

Come 
si 
è 
accennato 
in 
premessa, 
l’impostazione 
finora 
data 
all’interpre


(24) Cons. Stato, n. 1898/2002. 
(25) M.C. roMAno, in commento all’art. 13 ambito di 
applicazione 
delle 
norme 
sulla partecipazione 
in L’azione amministrativa, a cura di 
A. roMAno, torino, 2016, pp. 442 ss. 
(26) Così M.C. roMAno, op. cit., p. 443. 
(27) non rientrando nell’oggetto dello specifico lavoro, si 
rinvia 
per ulteriori 
dettagli 
soprattutto 
a M.C. roMAno, op. cit., pp. 443-445. 
(28) M.S. GiAnnini, istituzioni di Diritto amministrativo, Milano, 1981. 

rASSeGnA 
AVVoCAturA 
DeLLo 
StAto -n. 4/2022 


tazione 
della 
Costituzione, ed estrapolabile 
dalle 
sentenze 
della 
Corte 
Costituzionale, 
è 
molto 
tradizionale, 
perché 
risale 
all’applicazione 
consueta 
del 
principio 
di 
separazione 
dei 
poteri, 
anche 
se, 
come 
noto, 
essa 
viene 
ampiamente 
criticata anche nei Paesi di 
civil law 
e non solo di 
common law. 

infatti, 
i 
regolamenti 
nella 
manualistica 
(29) 
vengono 
situati 
tra 
gli 
atti 
del 
potere 
esecutivo, 
a 
differenza 
non 
solo 
delle 
leggi, 
ma 
anche 
di 
tutti 
gli 
atti 
con 
forza 
o 
valore 
di 
legge, 
che 
pur 
sarebbero 
di 
competenza 
del 
Governo. 
Ma 
in 
realtà, 
specialmente 
dalla 
politica 
vengono 
percepiti 
come 
un 
continuum, 
soprattutto 
per 
quanto 
riguarda 
la 
categoria 
più 
importante: 
i 
regolamenti 
di 
esecuzione 
(ma 
anche 
i 
regolamenti 
di 
organizzazione). 
un 
tipo 
di 
atto 
relativamente 
nuovo 
è 
poi 
costituito 
dai 
decreti 
ministeriali 
autorizzati, 
espressione 
della 
“riserva 
di 
amministrazione” 
come 
limite 
del 
potere 
legislativo 
in 
base 
ai 
principi 
di 
cui 
all’articolo 
97 
Cost. 
Dal 
punto 
di 
vista 
sociologico, 
è 
evidente 
che 
anche 
nella 
loro 
preparazione 
vi 
è 
un 
confronto 
almeno 
informale 
con 
i 
portatori 
di 
interessi 
(altrove 
chiamati 
“lobbisti”). 
tuttavia, 
non 
è 
un 
confronto 
paragonabile 
alla 
metodologia 
seguita 
dalla 
unione 
europea 
dove 
-prima 
di 
normare 
un 
determinato 
settore, 
vi 
sono 
indagini 
conoscitive 
(libri 
bianchi), 
orientamenti 
di 
principio 
(libri 
verdi), 
ampie 
procedure 
di 
consultazione 
(es. 
appalti 
pubblici), 
pareri 
espressi 
dai 
più 
vari 
comitati. 


Come 
autorevole 
dottrina 
(30) 
ha 
suggerito, 
infatti, 
accanto 
alle 
c.d. 
fonti 
giuridiche 
del 
diritto, tradizionalmente 
distinte 
in fonti 
primarie 
e 
secondarie, 
il 
contesto 
europeo 
apre 
alla 
nozione 
di 
fonti 
culturali, 
cioè 
più 
in 
generale 
dell’apporto che 
soggetti 
non politici, ma 
istituzionali 
ovvero stakeholders 
e 
rappresentanti 
di 
associazioni 
di 
interessi 
di 
categoria, collettivi 
e 
diffusi, alla 
formazione 
delle 
c.d. leggi 
comunitarie. Ciò è 
constatabile 
dalle 
ampie 
procedure 
di 
consultazione 
utilizzate 
non 
solo 
per 
redigere 
documenti, 
quali 
libri 
bianchi, 
verdi 
e 
comunicazioni, 
ma 
soprattutto 
in 
tema 
di 
direttive, 
come 
quelle 
sugli appalti pubblici. 

Da 
questo 
quadro 
emerge, 
come 
sottolineato 
dalla 
dottrina 
sopracitata, 
che 
anche 
la 
normazione 
europea 
è 
soggetta 
alla 
verifica 
della 
sua 
ragionevolezza 
e 
della 
conformità 
all’interesse 
pubblico concreto specifico ed attuale, 
diversamente 
dalle 
leggi 
e 
dai 
regolamenti 
dello Stato italiano, che 
si 
basano 
unicamente sul principio di autorità. 

È 
quindi 
evidente 
che 
i 
regolamenti 
non sono soggetti 
al 
contraddittorio, 
al contrario degli atti amministrativi generali, come si dimostrerà oltre. 

(29) 
Cfr. 
tra 
i 
tanti 
e. 
CASettA, 
manuale 
di 
diritto 
amministrativo, 
XiV, 
Milano, 
2022; 
F.G. 
SCoCA, 
Diritto amministrativo, Vii, torino, 2021. 
(30) e. PiCozzA, Diritto amministrativo e 
comunitario, ii edizione, torino, 2004, pp. 36 ss.; 
G. 
zAGrebeLSki, manuale 
di 
diritto costituzionale, vol. i, il 
sistema delle 
fonti 
del 
diritto, torino, 1987; 
A. 
PizzoruSSo, Fonti 
(sistema costituzionale 
del 
diritto) 
in Studi 
in onore 
di 
E.T. Liebman, Milano, 1979, 
i, pp. 327 ss. 

Contributi 
Di 
DottrinA 


Come 
è 
noto, nel 
cosiddetto preambolo, ove 
esistente, (ed in modo del 
tutto simile 
ai 
decreti-legge 
o ai 
decreti 
legislativi 
delegati) la 
distinzione 
di 
fondo 
è 
tra 
giustificazioni 
(l’indicazione 
delle 
norme 
che 
appunto 
giustificano 
l’emanazione 
del 
regolamento, presupposti 
di 
fatto e 
di 
diritto, che 
variano a 
seconda 
del 
tipo 
di 
regolamento) 
e 
motivazione 
sulla 
sola 
procedura 
di 
approvazione, 
che 
spesso è 
obbligatoria 
ed il 
cui 
mancato rispetto comporta 
l’illegittimità 
(31). 
tale 
differenza 
rispetto 
alle 
altre 
categorie 
di 
atti 
generali 
si 
nota 
anche 
sul 
piano processuale, in quanto è 
ben rara 
in giurisprudenza 
l’ipotesi 
della 
loro 
impugnabilità 
diretta 
e 
immediata; 
normalmente, 
anzi, 
un 
regolamento 
non 
è 
impugnabile 
ex 
se, 
ma 
solo 
insieme 
ad 
un 
atto 
applicativo 
del 
quale costituisca presupposto di legittimità. 

Si 
potrebbe, quindi, concludere 
brevemente 
nel 
senso che 
i 
regolamenti, 
come 
le 
leggi, 
non 
sono 
soggetti 
all’esercizio 
del 
diritto 
al 
contraddittorio 
procedimentale, 
ma 
solo 
ad 
una 
verifica 
della 
loro 
legalità 
a 
posteriori, 
che 
si 
attua in sede giurisdizionale amministrativa. 

Per 
completezza, 
si 
deve 
anche 
osservare 
che, 
comunque, 
una 
tutela 
in 
generale 
della 
legalità 
è 
contenuta, 
sul 
piano 
sostanziale, 
nell’art. 
4 
delle 
Preleggi 
al 
Codice 
Civile, 
a 
mente 
del 
quale 
i 
regolamenti 
non 
possono 
contenere 
norme 
contrarie 
alla 
legge 
e, 
sul 
piano 
processuale, 
attraverso 
la 
previsione 
della 
competenza 
del 
giudice 
ordinario 
civile 
e 
penale 
ai 
sensi 
degli 
artt. 
4 
e 
5 
della 
Legge 
20 
Marzo 
1865/2248 
All. 
e, 
abolitrice 
del 
contenzioso 
amministrativo. 
infatti, 
l’art. 
4 
prescrive 
che 
il 
giudice 
applicherà 
i 
regolamenti 
in 
quanto 
rispettosi 
della 
legge. 


in disparte 
poi 
appare 
il 
rimedio della 
c.d. illegittimità 
comunitaria 
(che 
peraltro secondo la 
giurisprudenza 
della 
Corte 
di 
Giustizia 
della 
unione 
europea, 
si 
applica 
a 
tutti 
gli 
atti 
e 
provvedimenti 
nazionali 
di 
qualsiasi 
livello: 
leggi, 
atti 
con 
forza 
o 
valore 
di 
legge, 
regolamenti, 
provvedimenti 
amministrativi, 
negozi 
giuridici 
pubblici 
e 
privati 
e 
perfino pronunce 
dei 
giudici 
nazionali). 
esso non può essere 
esaminato in questa 
sede, ma 
-in qualche 
modo 


-entra 
nel 
concetto di 
“contraddittorio” 
anche 
se 
non procedimentale: 
ciò in 
quanto l’interessato può sempre 
invitare 
e 
diffidare 
(con il 
tradizionale 
atto di 
invito e 
diffida 
ex 
articolo 25 del 
t.u. sul 
pubblico impiego, per questa 
parte 
ancora 
vigente) qualsiasi 
autorità 
nazionale, ad interpretare 
la 
propria 
normativa 
in modo conforme 
al 
diritto europeo. ed in caso di 
incompatibilità 
accertate 
a 
disapplicare 
la 
normativa 
medesima 
(32). 
La 
portata 
del 
primato 
del 
diritto comunitario e 
la 
diretta 
applicabilità 
del 
medesimo è 
tale 
che 
suddetto 
obbligo non si 
applica 
solo alle 
Autorità 
Centrali 
dello Stato, ma 
anche 
alla 
(31) Sugli 
argomenti 
della 
giustificazione 
e 
della 
motivazione 
si 
rimanda 
ampiamente 
alle 
considerazioni 
di 
S. PeronGini, Teoria e 
dogmatica del 
provvedimento amministrativo, torino, 2016 e 
di 
P. 
VirGA, il provvedimento amministrativo, Milano, 1972. 
(32) V. già Corte di Giustizia 22 giugno 1989 in causa 103/1988, fratelli Costanzo. 

rASSeGnA 
AVVoCAturA 
DeLLo 
StAto -n. 4/2022 


classe 
politica 
e 
ai 
dirigenti 
locali, e 
perfino alle 
autorità 
giurisdizionali. La 
stessa 
legge 
117/1988 e 
s.m.i. sulla 
responsabilità 
dei 
magistrati, richiama 
le 
conseguenze 
della 
mancata 
applicazione 
o 
disapplicazione, 
dell’obbligo 
di 
interpretazione 
conforme 
e 
perfino della 
omissione 
di 
una 
questione 
pregiudiziale 
ai 
sensi 
dell’articolo 267 del 
t.F.u.e. eguali 
considerazioni 
in ordine 
al 
mancato rispetto del 
diritto internazionale 
ed in particolare 
della 
CeDu 
(33). 


4. atti amministrativi generali. 
Contrariamente 
agli 
atti 
normativi, la 
categoria 
degli 
atti 
amministrativi 
generali 
è 
molto 
vasta 
e, 
come 
si 
affermava 
in 
premessa, 
può 
essere 
inquadrata 
solo sotto un profilo tassonomico, non in base 
al 
criterio più comune 
degli 
effetti 
giuridici. 
in 
un 
primo 
tempo, 
la 
dottrina 
ritenne 
che 
gli 
atti 
amministrativi 
generali 
avessero 
tutti 
un 
contenuto 
sostanzialmente 
regolamentare, 
ma 
che 
non 
costituissero 
fonti 
del 
diritto 
(34). 
Di 
conseguenza 
le 
principali 
differenze 
dagli 
atti 
normativi 
consistevano in queste 
caratteristiche: 
mancanza 
della 
vacatio 
legis, non applicazione 
del 
principio iura novit 
curia, mancanza 
di 
parametro 
nei 
giudizi 
di 
Cassazione, 
carattere 
generale, 
ma 
non 
astratto 
delle 
norme in esso contenute (35). 


Si 
deve 
all’opera 
di 
Massimo 
Severo 
Giannini 
(36) 
l’inquadramento 
degli 
atti 
amministrativi 
generali 
nei 
c.d. 
procedimenti 
precettivi, 
cioè 
procedimenti 
tesi 
a 
creare 
“precetti” 
intermedi 
tra 
la 
legge 
e 
l’atto 
amministrativo 
concreto. 
Si 
tratterebbe, 
quindi, 
di 
atti 
non 
normativi, 
ma 
comunque 
ad 
effetto 
conformativo 
delle 
situazioni 
giuridiche 
soggettive. 
tale 
ricostruzione 
segue 
evidentemente 
la 
tesi 
della 
natura 
sostanzialmente 
“normativa” 
dell’atto 
amministrativo 
generale, 
cioè 
della 
discrezionalità 
“creativa” 
e 
non 
semplicemente 
“attuativa” 
della 
legge 
(37). 
tra 
di 
essi 
rientrano 
sicuramente 
piani 
e 
programmi 
che, 
evidentemente, 
l’art. 
13 
ha 
voluto 
evidenziare 
per 
la 
loro 
importanza, 
ma 
che 
rientrano 
a 
pieno 
titolo 
tra 
gli 
atti 
amministrativi 
generali. 


Seguendo però il 
Giannini, prima 
di 
arrivare 
a 
livello degli 
atti 
di 
pianificazione 
-ma 
sempre 
all’interno della 
categoria 
dei 
procedimenti 
precettivi 
ci 
sono altri 
atti 
di 
eguale 
importanza, appartenenti 
alle 
seguenti 
tre 
funzioni: 
funzioni di indirizzo, funzioni di coordinamento, funzioni di direzione (38). 

(33) V. in particolare Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, n. 1/2022. 
(34) 
in 
questo 
senso, 
G. 
SAntAnieLLo, 
Gli 
atti 
amministrativi 
generali 
a 
contenuto 
non 
normativo, 
Giuffrè, Milano, 1963; 
G. GuArino, atti 
e 
poteri 
amministrativi, Milano, 1994; 
M.S. GiAnnini, Provvedimenti 
amministrativi 
generali 
e 
regolamenti 
ministeriali, in 
Scritti, vol. iii, Milano, 2003, 769 ss.; 
M.A. SAnDuLLi, Sugli 
atti 
amministrativi 
generali 
a contenuto non normativo, ora 
in Scritti 
giuridici, 
vol. i, napoli, 1990, 39 ss. 
(35) una 
applicazione 
ai 
piani 
regolatori 
in e. PiCozzA, il 
piano regolatore 
generale 
urbanistico, 
Padova, 1983. 
(36) M.S. GiAnnini, Diritto amministrativo, vol. ii, iii ed., Milano, 1993. 
(37) 
V. 
per 
tutti 
A. 
PirAS, 
Discrezionalità 
amministrativa 
in 
Enciclopedia 
del 
Diritto, 
Milano 
Giuffrè 
ad vocem. 

Contributi 
Di 
DottrinA 


Per quanto riguarda 
le 
funzioni 
di 
indirizzo, autorevole 
dottrina 
(39) ha 
individuato tale 
funzione 
come 
quella 
che 
si 
pone 
a 
cavallo tra 
funzione 
politica 
e funzione amministrativa. 

il 
concetto 
è 
stato 
codificato 
negli 
articoli 
4 
e 
25 
del 
d.P.r. 
165/2001 
s.m.i. 
sulla 
distinzione 
tra 
attività 
di 
indirizzo e 
attività 
di 
gestione. È 
chiaro che, in 
questo 
caso, 
non 
si 
pone 
un 
problema 
di 
contraddittorio, 
rientrando 
queste 
norme 
nella 
categoria 
delle 
c.d. norme 
di 
azione 
riguardanti 
la 
p.a., e 
non di 
relazione, attinenti 
ai 
rapporti 
con gli 
amministrati. Ci 
possono essere, però, 
atti 
di 
indirizzo lesivi 
di 
situazioni 
giuridiche 
soggettive 
in ordine 
ai 
quali 
la 
tutela è rimessa, come per i regolamenti, solo all’attività processuale. 

Contigua 
all’attività 
di 
indirizzo 
è 
l’attività 
di 
coordinamento, 
che 
può 
sfociare 
in vere 
e 
proprie 
intese, come 
ad esempio quelle 
con la 
conferenza 
Stato-regioni, 
oppure 
in 
pareri, 
come 
nella 
Conferenza 
Stato-città. 
La 
dottrina 


(40) ha 
sottolineato che 
non si 
tratta 
di 
esercizio del 
contraddittorio procedi-
mentale, ma 
di 
forme 
di 
consulenza 
o di 
consultazione. Sono in altri 
termini 
forme 
di 
concertazione 
obbligatoria 
tra 
livelli 
differenti 
di 
poteri, incrementatesi 
soprattutto 
dopo 
la 
riforma 
del 
titolo 
V 
della 
Costituzione. 
Secondo 
la 
giurisprudenza 
della 
Corte 
Costituzionale, 
quanto 
meno 
nelle 
materie 
che 
incidono 
sulle 
competenze 
regionali, 
la 
mancanza 
di 
intesa 
potrebbe 
infatti 
sfociare 
nella 
dichiarazione 
di 
incostituzionalità 
della 
legge 
statale, 
ovvero 
nel 
conflitto di attribuzioni ai sensi dell’articolo 134 Cost. 
infine, va 
fatto un cenno all’attività 
di 
direzione 
che 
si 
situa 
gerarchicamente 
subito dopo l’attività 
di 
indirizzo, con cui 
spesso può essere 
confusa. 
Anche 
in questo caso, non vi 
è 
un vero e 
proprio contraddittorio tra 
chi 
dirige 
e 
chi 
esegue 
le 
direttive, ma 
poiché 
il 
rapporto tra 
questi 
soggetti 
è 
fiduciario, 
può esserci 
un momento di 
contraddittorio nel 
caso in cui 
il 
dirigente 
venga 
revocato o rimosso. Come 
insegna 
la 
giurisprudenza, infatti, il 
rapporto che 
si 
instaura 
ad esempio tra 
un ministro ed un ente 
pubblico dipendente 
da 
quel 
ministero è 
un rapporto di 
amministrazione 
basato sulla 
fiducia. Pertanto, in 
caso di 
revoca, valgono tutte 
le 
garanzie 
del 
contraddittorio a 
partire 
dalla 
comunicazione 
dell’avvio del 
procedimento di 
autotutela 
ai 
sensi 
degli 
artt. 7-8, 
anche 
se 
la 
Corte 
Costituzionale 
ha 
riconosciuto 
un 
alto 
tasso 
di 
discrezionalità 
nella 
decisione. A 
tal 
proposito, è 
nota 
la 
prassi 
per cui 
entro sei 
mesi 
dall’insediamento 
del 
nuovo Governo i 
dirigenti 
del 
precedente 
possono essere 
confermati 
o rimossi. 


(38) M.S. GiAnnini, istituzioni di diritto amministrativo, Milano, 1981. 
(39) e. PiCozzA, L’attività di indirizzo della pubblica amministrazione, Padova, 1988. 
(40) G. GHetti, La consulenza amministrativa, CeDAM, Padova, 1974; 
G. GHetti, il 
contraddittorio 
amministrativo, Padova, 1971. 

rASSeGnA 
AVVoCAturA 
DeLLo 
StAto -n. 4/2022 


4.1 Piani e programmi. 
Mentre 
per 
gli 
atti 
di 
indirizzo, 
coordinamento 
e 
direzione, 
come 
si 
è 
visto, non si 
pongono grandi 
problemi 
di 
esercizio del 
contraddittorio, non è 
così per pianificazioni e programmazioni. 

in 
questi 
procedimenti 
la 
regola 
del 
contraddittorio 
segue 
essenzialmente, 
come 
evidenziato 
dalla 
dottrina 
(41), 
l’effetto 
giuridico 
prodotto 
dal 
provvedimento 
terminale. 
Ad 
esempio, 
la 
normativa 
di 
diritto 
urbanistico, 
segue 
la 
distinzione 
tra 
piani 
di 
assetto e 
piani 
operativi, laddove 
la 
legge 
1150/1942 
distingue 
appunto 
tra 
piano 
generale 
e 
piano 
particolareggiato. 
Anche 
qui 
si 
può 
ipotizzare, 
in 
termini 
più 
moderni, 
una 
distinzione 
tra 
attività 
di 
regolazione 
(del 
territorio, 
dell’ambiente, 
del 
paesaggio) 
e 
un’attività 
conformativa 
e 
di 
controllo. 


ne 
consegue 
che 
il 
principio 
del 
contraddittorio 
nel 
procedimento 
è 
sempre 
rispettato, 
ma 
non 
sono 
applicabili 
gli 
articoli 
del 
capo 
iii 
della 
l. 
241/1990 
perché 
le 
leggi 
di 
settore 
hanno una 
propria 
disciplina. Soprattutto l’ampiezza 
del 
contraddittorio, si 
ispira 
al 
livello politico della 
decisione. nonostante 
gli 
sforzi 
di 
alcune 
leggi 
regionali, consistenti 
nel 
porre 
a 
disposizione 
della 
consultazione 
pubblica, il 
progetto di 
strumento urbanistico, ancora 
prima 
della 
sua 
formale 
adozione 
-in realtà 
la 
classe 
politica 
tende 
ancora 
ad ispirarsi 
al 
principio 
novecentesco 
della 
c.d. 
integrazione 
politica 
(42) 
cioè 
ritenendo 
tutt’oggi 
la 
classe 
politica 
in 
grado 
di 
risolvere 
i 
conflitti 
tra 
i 
vari 
interessi 
privati 
e 
sociali. 
tuttavia, 
come 
si 
vedrà 
nel 
paragrafo 
sugli 
accordi, 
il 
principio 
di 
sussidiarietà 
orizzontale 
e 
le 
diffuse 
forme 
di 
partenariato 
pubblico-privato, 
stanno rendendo recessivo questo modo unilaterale 
ed autoritativo di 
procedere, 
che difetta spesso di trasparenza e imparzialità. 


È 
nota 
in proposito la 
distinzione, in tema 
di 
piani 
regolatori, tra 
osservazioni 
e opposizioni. 

Poiché 
il 
piano regolatore 
generale 
è 
un procedimento complesso, fatto 
di 
una 
prima 
fase 
detta 
di 
adozione 
di 
competenza 
comunale, 
e 
di 
una 
seconda 
fase, detta 
di 
approvazione 
di 
competenza 
regionale, il 
privato può presentare 
osservazioni 
nei 
confronti 
del 
piano adottato, cui 
l’amministrazione 
ha 
il 
dovere 
di 
rispondere 
sia 
pure 
sinteticamente. Sebbene 
la 
giurisprudenza 
ritenga 
che 
di 
per sé 
la 
mancanza 
di 
una 
risposta 
ad una 
singola 
osservazione 
non costituisca 
né 
violazione 
di 
legge 
né 
eccesso 
di 
potere, 
tuttavia 
ne 
tiene 
in 
qualche 
modo conto, soprattutto se 
un’area 
fabbricabile 
perde 
per la 
prima 
volta 
il 
carattere 
di 
edificabilità. 
in 
altri 
termini 
la 
giurisprudenza 
amministrativa, 
molto 
opportunamente, segue 
il 
metodo della 
interpretazione 
adeguata 
al 
caso concreto, 
inaugurato dalla giurisprudenza costituzionale già da molto tempo. 


Per quanto riguarda, invece, i 
piani 
esecutivi, il 
privato può opporsi 
alle 


(41) e. PiCozzA, 
il piano regolatore urbanistico, CeDAM, Padova, 1983. 
(42) V. già r. SMenD, Dottrina della costituzione, Milano. 

Contributi 
Di 
DottrinA 


prescrizioni 
contenute 
nell’atto di 
adozione, dando vita 
ad una 
vera 
e 
propria 
forma 
di 
esercizio 
del 
contraddittorio 
procedimentale, 
per 
cui 
l’autorità 
comunale 
deve 
congruamente 
motivare 
l’eventuale 
rigetto (43). Come 
si 
ricorderà 
infatti, il 
ricorso in opposizione 
rappresenta 
una 
delle 
tre 
forme 
classiche 
di 
ricorso amministrativo (insieme 
a 
quello gerarchico e 
al 
ricorso gerarchico 
improprio). 


riassumendo, 
quindi, 
si 
può 
parlare 
di 
forme 
di 
partecipazione 
del 
privato 
alla 
decisione 
amministrativa, nei 
confronti 
della 
formazione 
del 
piano regolatore 
generale; 
e 
di 
forme 
di 
contraddittorio procedimentale 
nei 
confronti 
dei 
piani particolareggiati. 

È 
bene 
precisare 
che, 
in 
base 
alle 
pertinenti 
disposizioni 
del 
d.P.r. 
327/2001 (“testo unico delle 
disposizioni 
legislative 
e 
regolamentari 
in materia 
di 
espropriazione 
per pubblica 
utilità”), può effettivamente 
capitare 
che 
ci 
sia 
una 
pluralità 
di 
procedimenti 
concomitanti, quali 
l’approvazione 
di 
un 
progetto 
di 
opera 
pubblica 
con 
effetto 
di 
variante 
al 
piano 
regolatore. 
in 
questo 
caso 
poiché 
l’effetto 
giuridico 
è 
la 
creazione 
di 
un 
vincolo 
finalizzato 
all’esproprio, 
l’esercizio del 
contraddittorio sarà 
disciplinato proprio dalla 
legge 
sull’espropriazione 
per pubblica utilità. 

Questi 
principi 
generali 
valgono per tutte 
le 
pianificazioni 
incidenti 
sul 
territorio, quindi 
non solo per quelle 
urbanistiche, ma 
anche 
per i 
piani 
paesistici, 
per i piani relativi agli interventi per la protezione della natura etc. 


non rientrano invece, nell’eccezione 
di 
cui 
all’art. 13 l. 241/1990 le 
valutazioni 
ambientali 
(VAS, 
ViA, 
VinCA) 
né 
le 
autorizzazioni 
integrate 
ed 
uniche 
in materia 
ambientale 
(AiA, AuA, iPPC). in questi 
casi, infatti, secondo 
la 
logica 
del 
capo 
iii, 
vi 
è 
una 
pluralità 
di 
soggetti 
potenziali 
interessati, 
proprio 
come 
nei 
procedimenti 
sostanziali 
e 
cioè 
rispettivamente: 
i 
destinatari, i 
pregiudicati, 
gli 
intervenienti, 
comprese 
altre 
amministrazioni 
preposte 
alla 
tutela 
di 
altri 
interessi 
pubblici. Di 
conseguenza 
l’esercizio del 
diritto al 
contraddittorio 
procedimentale segue il corso normale (44). 


4.2 Le programmazioni. 
Dal 
punto di 
vista 
giuridico lessicale, non è 
stata 
mai 
molto chiara 
la 
distinzione 
tra 
pianificazioni 
e 
programmazioni, perché 
spesso sono usate 
dalle 
leggi 
e 
anche 
dalla 
dottrina, 
nonché 
dalla 
giurisprudenza 
amministrativa 
in 
modo intercambiabile 
come, ad esempio, nel 
caso della 
pianificazione 
o programmazione 
territoriale ovvero ambientale. 

La 
manualistica 
del 
diritto 
amministrativo 
è 
più 
precisa 
perché 
li 
distingue 


(43) Si 
ricorda 
che 
le 
opposizioni 
vengono inquadrate 
nei 
c.d. ricorsi 
amministrativi 
insieme 
ai 
ricorsi gerarchici e ai ricorsi gerarchici impropri. 
(44) Piuttosto, si 
deve 
osservare 
come 
molta 
di 
questa 
materia 
sia 
di 
derivazione 
comunitaria 
ed 
internazionale; 
le 
convenzioni, in particolare, spesso contengono disposizioni 
molto specifiche 
che 
prevalgono 
su quelle della legge 241/1990. 

rASSeGnA 
AVVoCAturA 
DeLLo 
StAto -n. 4/2022 


in base 
agli 
effetti 
giuridici: 
per esempio nelle 
pianificazioni 
territoriali, l’effetto 
giuridico è 
di 
tipo imperativo e 
può spingersi 
a 
costituire 
e 
conformare 
situazioni giuridiche soggettive (45). 

Viceversa, 
le 
programmazioni 
economiche, 
specialmente 
quelle 
di 
sviluppo 
economico e 
sociale 
ovvero quelle 
economiche-finanziare 
non hanno 
normalmente 
un 
effetto 
così 
imperativo, 
ma 
piuttosto 
“condizionale”, 
nel 
senso 
che 
prevedono 
la 
possibilità 
di 
raggiungere 
dei 
risultati 
e 
prescrivono 
le 
misure 
per poterli 
monitorare, controllare, aggiornare, ed eventualmente 
modificare 
(46). un esempio emblematico di 
tali 
difficoltà 
è 
la 
spesa 
annuale 
sanitaria. 
in via 
generale, queste 
programmazioni 
sono previste 
dal 
d.lgs. 165/2001, infatti, 
tra 
gli 
atti 
fondamentali 
di 
indirizzo politico amministrativo degli 
organi 
di 
governo figurano proprio le 
definizioni 
degli 
obiettivi 
e 
dei 
programmi 
da 
attuare ed in particolare: 


a) 
le 
decisioni 
in materia 
di 
atti 
normativi 
e 
l’adozione 
dei 
relativi 
atti 
di 
b) 
indirizzo interpretativo e applicativo; 
c) 
la 
definizione 
di 
obiettivi, priorità, piani, programmi, e 
direttive 
generali 
amministrativi e la gestione; 
d) 
l’individuazione 
delle 
risorse 
umane, materiali, economico-finanziare 
da 
destinare 
a 
diverse 
finalità 
e 
la 
loro ripartizione 
tra 
gli 
uffici 
di 
livello dirigenziale 
generale; 
e) 
la 
definizione 
dei 
criteri 
generali 
in materia 
di 
ausili 
finanziari 
a 
terzi 
e di determinazioni di tariffe, canoni, e analoghi oneri a carico di terzi. 
Appare 
evidente 
che 
questi 
programmi 
appartengono alle 
c.d. norme 
di 
azione, cioè 
quelle 
dirette 
al 
funzionamento della 
pubblica 
amministrazione 
e 
all’attuazione 
delle 
politiche 
pubbliche 
nelle 
materie 
di 
propria 
competenza, 
quindi, non si 
può porre 
proprio il 
problema 
della 
tutela 
di 
un contraddittorio. 
Semmai, viene 
in gioco, il 
principio di 
leale 
collaborazione 
tra 
Stato, enti 
ed 
istituzioni, e 
quindi 
forme 
di 
partecipazione 
completamente 
diverse 
rispetto 
ad altri 
programmi 
di 
sviluppo ad impatto territoriale 
quali 
gli 
accordi 
di 
programma, 
la 
programmazione 
negoziata 
e 
gli 
stessi 
parchi 
territoriali. 
tuttavia, 
si 
deve 
porre 
particolare 
attenzione 
quando 
questi 
atti 
siano 
lesivi 
di 
situazioni 
giuridiche 
soggettive 
protette 
direttamente 
dal 
diritto 
comunitario 
come 
diritti 
soggettivi. infatti, il 
diritto comunitario non riconosce 
a 
questi 
effetti 
proprio 
tale distinzione (47). 

(45) e. PiCozzA, il piano regolatore urbanistico, CeDAM, Padova, 1983. 
(46) Vedi già u. PototSCHniG, i pubblici servizi, CeDAM, Padova, 1984. 
(47) 
e. 
PiCozzA, 
Diritto 
amministrativo 
e 
diritto 
comunitario, 
cit. 
in 
giurisprudenza 
Corte 
di 
Giustizia 
5 marzo 1986 in cause 
Brasserie du pecheur e Factortame 
nn. 43 e 48. 

Contributi 
Di 
DottrinA 


4.3 
Gli 
atti 
amministrativi 
generali 
delle 
autorità 
amministrative 
indipendenti. 
Come 
è 
noto, 
le 
Autorità 
Amministrative 
indipendenti 
sono 
oggetto 
di 
un 
notevole 
dibattito in dottrina 
(48) in quanto non hanno una 
copertura 
costituzionale 
esplicita, anche 
se 
normalmente 
vengono fatte 
rientrare 
nel 
concetto 
di 
pubblica 
amministrazione 
e 
di 
ente 
pubblico 
di 
cui 
all’art. 
97 
Cost. 
(49). 
normalmente 
la 
distinzione 
adottata 
è 
in 
linea 
teorica 
tra 
Autorità 
di 
Garanzia, 
Autorità 
di 
regolazione 
(ad esempio della 
concorrenza) e 
Autorità 
di 
regolamentazione 
(ad esempio della 
energia 
elettrica). tuttavia 
la 
distinzione 
è 
solo 
di 
massima, sia 
perché 
anche 
Autorità 
di 
regolazione 
possono essere 
titolari 
di 
poteri 
conformativi 
oltre 
che 
sanzionatori, 
sia 
perché 
la 
giurisprudenza 
amministrativa 
tende 
ad 
applicare 
il 
c.d. 
rito 
abbreviato 
di 
cui 
all’articolo 
119 
del 
codice 
del 
processo amministrativo, anche 
ad Autorità 
di 
Vigilanza 
(come 
la 
banca 
d’italia) che 
non sono formalmente 
denominabili 
come 
Autorità 
Amministrative 
indipendenti. 


in effetti, la 
loro attività 
è 
molto vasta 
perché 
sono preposte 
alla 
regolazione 
o 
addirittura 
alla 
regolamentazione 
di 
interi 
settori 
di 
attività 
economica 
precedentemente 
di 
competenza 
dei 
ministeri 
pertinenti. in particolare, sono 
di 
competenza 
di 
queste 
autorità 
i 
c.d. 
servizi 
pubblici 
a 
rete, 
quali 
acqua, 
energia 
trasporti 
e 
comunicazioni 
elettroniche. 
il 
Consiglio 
di 
Stato 
ha 
ritenuto 
che 
non 
pochi 
procedimenti 
delle 
Autorità 
indipendenti 
rientrino 
nel 
campo 
di 
applicazione 
dell’art. 13 (50). 


tuttavia, 
occorre 
nettamente 
distinguere 
tra: 
provvedimenti 
generali, 
quali 
la 
fissazione 
di 
prezzi 
e 
tariffe 
(ad esempio prezzo dell’energia 
elettrica 
e 
del 
gas), 
procedimenti 
individuali, 
spesso 
di 
tipo 
monitorio 
o 
addirittura 
sanzionatorio. 
Solo 
per 
i 
primi 
vale 
l’esimente 
dell’art. 
13, 
ma 
come 
e 
più 
che 
per i 
piani 
regolatori 
generali, è 
assicurata 
un’ampia 
forma 
di 
consultazione 
delle 
imprese 
e 
degli 
altri 
stakeholders 
prima 
dell’approvazione 
del 
regime 
tariffario 
o 
comunque 
del 
prezzo 
amministrato. 
Viceversa, 
tutti 
i 
procedimenti 
individuali 
debbono 
obbligatoriamente 
rispettare 
il 
diritto 
al 
contraddittorio 
procedimentale 
anche 
se 
la 
l. 241/1990 viene 
sul 
punto integrata 
o addirittura 
sostituita 
dagli 
specifici 
regolamenti 
sulle 
c.d. 
istruttorie 
di 
competenza 
di 
queste 
Autorità. 

emblematico 
è 
il 
caso 
delle 
istruttorie 
sulle 
possibili 
violazioni 
della 
concorrenza 
ai sensi della l. 287/1990 e delle pertinenti norme del 
tFue. 

(48) 
Sui 
termini 
di 
questo 
dibattito 
cfr. 
M. 
Cuniberti, 
autorità 
indipendenti 
e 
libertà 
costituzionali, 
Milano, 2007; 
G. PeriCu, Brevi 
riflessioni 
sul 
ruolo istituzionale 
delle 
autorità amministrative 
indipendenti, 
in Dir. amm., 1996, 1 ss.; 
di 
“rompicapo costituzionale” 
ha 
parlato e. CHeLi, L’innesto costituzionale 
delle autorità indipendenti: problemi e conseguenze, in 
www.astridonline.it. 
(49) Cons. Stato comm. spec., 29 maggio 1998, in Foro amm., 1999, 414 ss. 
(50) Vedi già Cons. Stato, Vi, n. 2003/2006, n. 2248/2006, n. 1409/2006, n. 7972/2006. 

rASSeGnA 
AVVoCAturA 
DeLLo 
StAto -n. 4/2022 


non vi 
è 
dubbio che 
in questo caso ci 
sia 
un pieno esercizio del 
contraddittorio 
procedimentale 
da 
parte 
delle 
imprese 
sottoposte 
ad 
istruttoria 
e, 
in 
alcuni 
casi, anche 
a 
proposito del 
procedimento di 
irrogazione 
della 
sanzione. 


5. Dibattito pubblico. 
L’istituto 
del 
cd. 
dibattito 
pubblico, 
o 
débat 
publique, 
per 
richiamare 
l’esperienza 
francese, è 
al 
centro dei 
più significativi 
interventi 
di 
riforma 
che 
interessano l’ordinamento italiano. 


La 
legge 
delega 
21 
giugno 
2022, 
n. 
78 
stabilisce 
che 
il 
Governo, 
nell’adozione 
della 
nuova 
disciplina 
dei 
contratti 
pubblici 
provveda 
“alla 
revisione 
e 
alla 
semplificazione 
della 
normativa 
primaria 
in materia 
di 
programmazione, 
localizzazione 
delle 
opere 
pubbliche 
e 
dibattito pubblico, al 
fine 
di 
rendere 
le 
relative 
scelte 
maggiormente 
rispondenti 
ai 
fabbisogni 
della 
comunità, 
nonché 
di 
rendere 
più 
celeri 
e 
meno 
conflittuali 
le 
procedure 
finalizzate 
al 
raggiungimento 
dell’intesa 
fra 
i 
diversi 
livelli 
territoriali 
coinvolti 
nelle 
scelte 
stesse” (art. 1, comma 2, lett. o, l. 21 giugno 2022, n. 78). 


La 
ratio 
perseguita 
è 
quella 
di 
rafforzare 
l’istituto del 
dibattito pubblico, 
nel 
senso 
dell’affinamento 
e 
della 
semplificazione 
della 
disciplina 
vigente 
(51). invero, il 
dibattito pubblico è 
stato introdotto con l’art. 22 del 
d.lgs. n. 
50/2016 
(52) 
come 
strumento 
per 
realizzare 
opere 
pubbliche 
trasparenti 
e 
con


(51) A. SCoGnAMiGLio, il 
nuovo codice 
dei 
contratti 
pubblici: dibattito pubblico indietro tutta, in 
apertaContrada. riflessioni su società, diritto, economia. 
(52) Art. 22, d.lgs. n. 50/2016, “Trasparenza nella partecipazione 
di 
portatori 
di 
interessi 
e 
dibattito 
pubblico”: 
1. Le 
amministrazioni 
aggiudicatrici 
e 
gli 
enti 
aggiudicatori 
pubblicano, nel 
proprio profilo del 
committente, 
i 
progetti 
di 
fattibilità relativi 
alle 
grandi 
opere 
infrastrutturali 
e 
di 
architettura di 
rilevanza 
sociale, aventi 
impatto sull’ambiente, sulle 
città e 
sull’assetto del 
territorio, nonché 
gli 
esiti 
della consultazione 
pubblica, comprensivi 
dei 
resoconti 
degli 
incontri 
e 
dei 
dibattiti 
con i 
portatori 
di 
interesse. 
i contributi 
e 
i 
resoconti 
sono pubblicati, con pari 
evidenza, unitamente 
ai 
documenti 
predisposti 
dal-
l’amministrazione e relativi agli stessi lavori. 
2. Con decreto del 
Presidente 
del 
Consiglio dei 
ministri, adottato entro un anno dalla data di 
entrata in 
vigore 
del 
presente 
codice, 
su 
proposta 
del 
ministro 
delle 
infrastrutture 
e 
dei 
trasporti, 
sentito 
il 
ministro 
dell’ambiente 
e 
della tutela del 
territorio e 
del 
mare 
e 
il 
ministro per 
i 
beni 
e 
le 
attività culturali, previo 
parere 
delle 
Commissioni 
parlamentari 
competenti, 
in 
relazione 
ai 
nuovi 
interventi 
avviati 
dopo 
la 
data 
di 
entrata in vigore 
del 
medesimo decreto, sono fissati 
i 
criteri 
per 
l’individuazione 
delle 
opere 
di 
cui 
al 
comma 1, distinte 
per 
tipologia e 
soglie 
dimensionali, per 
le 
quali 
è 
obbligatorio il 
ricorso alla procedura 
di 
dibattito 
pubblico, 
e 
sono 
altresì 
definiti 
le 
modalità 
di 
svolgimento 
e 
il 
termine 
di 
conclusione 
della medesima procedura. Con il 
medesimo decreto sono altresì 
stabilite 
le 
modalità di 
monitoraggio 
sull’applicazione 
dell’istituto del 
dibattito pubblico. a 
tal 
fine 
è 
istituita, senza oneri 
a carico della finanza 
pubblica, una commissione 
presso il 
ministero delle 
infrastrutture 
e 
dei 
trasporti, con il 
compito 
di 
raccogliere 
e 
pubblicare 
informazioni 
sui 
dibattiti 
pubblici 
in corso di 
svolgimento o conclusi 
e 
di 
proporre 
raccomandazioni 
per 
lo 
svolgimento 
del 
dibattito 
pubblico 
sulla 
base 
dell’esperienza 
maturata. 
Per 
la partecipazione 
alle 
attività della commissione 
non sono dovuti 
compensi, gettoni, emolumenti, 
indennità 
o 
rimborsi 
di 
spese 
comunque 
denominati 
(disposizione 
modificata 
dal 
D.Lgs. 
56/17 
in 
vigore 
dal 20 maggio 2017). 
3. 
L’amministrazione 
aggiudicatrice 
o 
l’ente 
aggiudicatore 
proponente 
l’opera 
soggetta 
a 
dibattito 
pub

Contributi 
Di 
DottrinA 


divise. Alla 
disciplina 
è 
stata 
data 
attuazione 
con il 
D.P.C.M. n. 76 del 
24 agosto 
2018, che 
ha 
definito dettagliatamente 
la 
procedura 
(53) e 
ha 
elencato le 
opere 
per le 
quali 
è 
obbligatoria 
(54). Vengono, poi, precisate 
le 
modalità 
di 
controllo sull’applicazione 
dell’istituto per il 
tramite 
di 
una 
Commissione 
da 
istituirsi presso il Ministero delle infrastrutture (55). 


A 
ciò si 
aggiunge 
l’art. 46 del 
d.l. n. 77/2021, convertito con l. 29 luglio 
2021 n. 108, nel 
quale 
sono state 
elencate 
delle 
opere 
infrastrutturali 
di 
notevole 
interesse 
finanziate 
con il 
Pnrr obbligatoriamente 
assoggettate 
a 
dibattito 
pubblico. 
È 
necessario 
precisare 
che, 
al 
fine 
di 
rendere 
più 
spedite 
le 
procedure 
per 
la 
realizzazione 
di 
queste 
nuove 
opere, 
il 
legislatore 
ha 
derogato 
alla 
disciplina 
ordinaria, 
nell’ottica 
dello 
snellimento 
della 
procedura. 
A 
tal 
riguardo, 
l’art. 46, d.l. cit., stabilisce 
che 
il 
dibattito pubblico deve 
concludersi 
nel 
termine 
di 
30 
giorni 
dalla 
sua 
indizione 
e 
che 
tutti 
i 
termini 
previsti 
dal 
decreto 
attuativo n. 76/2018 sono dimidiati. Di 
seguito, la 
Commissione 
nazionale, 
ha 
adottato 
la 
raccomandazione 
n. 
2 
e 
le 
nuove 
linee 
guida, 
al 
fine 
di 
dettagliare 
le 
fasi 
del 
procedimento di 
dibattito pubblico “accelerato” 
per le 
opere 
di 
cui 
all’all. 4, d.l. cit. Su tale 
scia, ha 
scandito le 
varie 
fasi 
del 
procedimento, 
aggiornandolo nei 
tempi 
e 
nei 
passaggi. Da 
ultimo, è 
doveroso precisare 
che, all’art. 46, d.l. cit., è 
previsto che, in caso di 
inosservanza 
da 
parte 
della 
stazione 
appaltante 
dei 
termini 
di 
svolgimento 
del 
dibattito 
pubblico 
“accelerato”, 
la 
Commissione 
nazionale 
esercita, 
senza 
indugio, 
i 
necessari 
poteri 
sostitutivi. in tal 
modo, alla 
Commissione 
sono state 
attribuite 
delle 
compe


blico 
indice 
e 
cura 
lo 
svolgimento 
della 
procedura 
esclusivamente 
sulla 
base 
delle 
modalità 
individuate 
dal decreto di cui al comma 2. 

4. Gli 
esiti 
del 
dibattito pubblico e 
le 
osservazioni 
raccolte 
sono valutate 
in sede 
di 
predisposizione 
del 
progetto definitivo e 
sono discusse 
in sede 
di 
conferenza di 
servizi 
relativa all’opera sottoposta al 
dibattito 
pubblico. 
(53) Per opere 
di 
dimensioni 
comprese 
tra 
la 
soglia 
e 
i 
due 
terzi, il 
dibattito si 
indice 
su richiesta 
di 
soggetti 
altamente 
qualificati 
in senso istituzionale/rappresentativo: 
a) Presidenza 
del 
Consiglio dei 
ministri 
o Ministeri 
direttamente 
interessati 
alla 
realizzazione 
dell’opera; 
b) un Consiglio regionale 
o 
una 
Provincia 
o 
una 
Città 
metropolitana 
o 
un 
Comune 
capoluogo 
di 
provincia 
territorialmente 
interessati 
dall’intervento; 
c) uno o più consigli 
comunali 
o unioni 
di 
comuni 
territorialmente 
interessati 
dall’intervento, 
se 
complessivamente 
rappresentativi 
di 
almeno 100.000 abitanti; 
d) almeno 50.000 cittadini 
elettori 
nei 
territori 
in 
cui 
è 
previsto 
l’intervento; 
e) 
almeno 
un 
terzo 
dei 
cittadini 
elettori 
per 
gli 
interventi 
che 
interessano le 
isole 
con non più di 
100.000 abitanti 
e 
per il 
territorio di 
comuni 
di 
montagna. il 
dibattito 
pubblico può avere 
una 
durata 
non superiore 
ai 
quattro mesi 
a 
partire 
dalla 
data 
di 
pubblicazione 
del 
dossier 
di 
progetto. 
Questo 
termine 
è 
prorogabile 
da 
chi 
ha 
indetto 
la 
procedura 
per 
ulteriori 
due 
mesi, su iniziativa del coordinatore e laddove sussistano ragioni di comprovata necessità. 
(54) Le 
categorie 
di 
opere 
sottoposte 
al 
dibattito pubblico sono esplicate 
nell’Allegato 1 del 
su 
indicato 
decreto 
attuativo. 
in 
particolare, 
si 
tratta 
di 
opere 
che 
superano 
determinate 
soglie 
dimensionali, 
per le 
quali 
il 
legislatore 
ha 
ritenuto che 
tale 
procedura 
debba 
essere 
obbligatoriamente 
avviata, stante 
l’impatto che le stesse hanno sul territorio sul quale verranno realizzate. 
Queste 
soglie 
sono diminuite 
del 
50% se 
l’opera 
è 
inclusa, anche 
parzialmente, in beni 
del 
patrimonio 
naturale 
o 
culturale 
uneSCo 
o 
zone 
contigue 
uneSCo, 
parchi 
naturali 
nazionali 
o 
regionali, 
aree 
marine 
protette. 
(55) istituita con d.m. 627/2020. 

rASSeGnA 
AVVoCAturA 
DeLLo 
StAto -n. 4/2022 


tenze 
più pregnanti 
rispetto a 
quelle 
meramente 
organizzative 
e 
pertanto, ben 
si 
comprende 
come 
la 
stessa 
ha 
assunto 
un 
ruolo 
centrale 
nell’intera 
procedura, 
sia di tipo direttivo che di tipo regolatorio. 


in 
generale, 
il 
dibattito 
pubblico 
è 
una 
procedura 
partecipativa 
già 
prevista 
in altri 
ordinamenti, in particolare 
in quello francese, ove 
la 
loi 
95-101 
statuisce 
che 
tutti 
i 
grandi 
progetti 
infrastrutturali 
di 
interesse 
nazionale, prima 
di 
essere 
sottoposti 
a 
valutazione 
di 
impatto 
ambientale 
o 
inchiesta 
pubblica, 
devono 
formare 
oggetto di 
débat 
public; 
tale 
dibattito riguarda 
gli 
obiettivi 
e 
le 
caratteristiche 
principali 
dei 
progetti 
ed è 
organizzato dalla 
Commission National 
du Débat Public 
(CnDP). 


Sul 
modello francese, rappresenta 
quel 
modello di 
procedimento amministrativo 
che 
realizza 
un 
confronto 
tra 
il 
proponente 
l’opera 
ed 
i 
soggetti 
pubblici 
e 
privati 
ad essa 
interessati 
e 
coinvolti 
dai 
suoi 
effetti 
e 
che 
è 
finalizzato 
a 
far emergere 
eventuali 
più soddisfacenti 
soluzioni 
progettuali 
ed a 
disinnescare 
il 
conflitto 
potenzialmente 
implicito 
in 
qualsiasi 
intervento 
che 
abbia 
un 
impatto significativo sul territorio (56). 

in questo senso, dà 
piena 
attuazione 
al 
principio di 
democrazia 
partecipativa 
(57), 
permettendo 
agli 
interessati 
di 
esprimere 
“direttamente” 
la 
propria 
volontà, 
opinioni, 
aspettative. 
Ciò 
determina, 
tra 
l’altro, 
diversi 
vantaggi. 
il 
primo 
è 
la 
riduzione 
del 
contenzioso: 
risulta 
evidente 
come 
il 
dibattito 
pubblico 
dovrebbe 
consentire 
l’adozione 
di 
scelte 
condivise 
e 
partecipate, evitando il 
proliferare 
di 
contenziosi 
durante 
la 
fase 
di 
approvazione 
dei 
progetti. il 
secondo 
consiste 
nella 
riduzione 
dei 
costi 
e, soprattutto, dei 
tempi 
di 
realizzazione 
delle opere. 


Sotto 
il 
profilo 
soggettivo, 
il 
comma 
1 
dell’art. 
22, 
nell’indicare 
i 
soggetti 
che 
possono (o devono ricorrere) alla 
procedura 
del 
dibattito pubblico, fa 
riferimento 
sia alle amministrazioni aggiudicatrici che agli enti aggiudicatori. 

Assume, poi, un ruolo di 
rilievo la 
figura 
del 
coordinatore, al 
quale 
è 
assegnata 
la 
progettazione 
e 
conduzione 
del 
dibattito pubblico e 
che 
deve 
svolgere 
le 
attività 
affidate 
con 
responsabilità 
e 
autonomia 
professionale. 
Lo 
stesso 
deve 
avere 
requisiti 
di 
attestata 
esperienza 
e 
competenza 
nella 
direzione 
di 
processi 
partecipativi 
e 
nella 
gestione 
ed 
esecuzione 
di 
attività 
di 
programmazione 
e 
pianificazione 
in materia 
infrastrutturale, urbanistica, territoriale 
e 
socioeconomica. 
L’imparzialità 
della 
figura 
è 
garantita 
dal 
fatto 
che 
lo 
stesso 
dev’essere 
esterno all’amministrazione 
aggiudicatrice 
e 
non dev’essere 
né 
residente, 
né 
domiciliato nel 
territorio in cui 
verrà 
realizzata 
l’opera. il 
coordinatore 
è 
individuato dal 
Ministro competente 
per materia 
tra 
i 
suoi 
dirigenti. 


(56) Definizione della Corte Cost. sent. 14 dicembre 2018/235. 
(57) Sulla 
democrazia 
partecipativa 
cfr. G. Di 
GASPAre, il 
dibattito pubblico tra democrazia rappresentativa 
e 
democrazia partecipativa, in amministrazione 
in cammino, 30 settembre 
2017; 
in tema 
vedi 
anche 
u. ALLeGretti 
(a 
cura 
di), Democrazia partecipativa. Esperienze 
e 
prospettive 
in italia e 
in 
Europa, Firenze university Press, 2010. 

Contributi 
Di 
DottrinA 


Se, però, l’amministrazione 
aggiudicatrice 
o l’ente 
aggiudicatore 
è 
un Ministero, 
lo stesso è 
nominato dalla 
Presidenza 
del 
Consiglio dei 
ministri 
tra 
dirigenti 
pubblici estranei al Ministero interessato. 


A 
questi 
soggetti 
è 
assegnata 
la 
stesura 
dei 
documenti 
che 
riguardano il 
dibattito. 
nel 
dettaglio, 
l’amministrazione 
aggiudicatrice 
deve 
redigere 
il 
dossier 
del 
progetto e 
il 
dossier 
conclusivo (fase 
di 
iniziativa 
e 
fase 
decisionale), 
mentre 
il 
coordinatore 
deve 
realizzare 
il 
documento di 
progetto e 
la 
relazione 
conclusiva, avendo cura 
di 
individuare 
i 
temi 
del 
dibattito, il 
calendario degli 
incontri, le modalità di partecipazione e la comunicazione al pubblico. 

Ai 
fini 
dell’instaurazione 
del 
contraddittorio, assumono notevole 
importanza 
gli 
adempimenti 
di 
pubblicità 
affidati 
al 
coordinatore, che 
attua 
il 
piano 
di 
comunicazione 
e 
informazione 
al 
pubblico ed è 
responsabile 
della 
pianificazione 
e 
degli 
aggiornamenti 
della 
pagina 
internet 
del 
dibattito pubblico. in 
particolare, l’avvio del 
dibattito va 
comunicato dall’amministrazione 
aggiudicatrice 
alla 
Commissione 
e 
alle 
amministrazioni 
territoriali 
interessate, 
ai 
fini 
della 
pubblicazione, 
da 
effettuarsi 
nel 
termine 
di 
sette 
giorni 
dalla 
richiesta, 
sul 
sito 
internet 
della 
Commissione 
e 
sui 
siti 
delle 
amministrazioni 
locali 
coinvolte 
dall’intervento. 


La 
partecipazione 
alla 
procedura 
è 
estesa, senza 
limiti, a 
tutti 
i 
“portatori 
di 
interesse” 
(ad es. comitati 
di 
cittadini), di 
modo che 
sia 
dato ascolto alle 
ragioni 
dei 
residenti 
di 
quei 
territori 
che 
dovrebbero ospitare 
opere 
potenzialmente 
lesive 
della 
salute, 
dell’ambiente 
e 
del 
paesaggio. 
L’impostazione 
appena 
descritta 
si 
pone 
in un rapporto di 
perfetta 
simmetria 
con quella 
di 
cui 
all’art. 7, e 
soprattutto, di 
cui 
all’art. 9 della 
legge 
241/1990, nella 
parte 
in cui 
la 
legge 
generale 
sul 
procedimento non solo legittima 
all’intervento coloro i 
quali 
sono nella 
possibilità 
di 
subire 
un pregiudizio dal 
provvedimento conclusivo 
del 
procedimento 
in 
corso, 
ma 
anche 
i 
soggetti 
“nei 
confronti 
dei 
quali 
il provvedimento finale è destinato a produrre effetti diretti” (58). 


Certamente 
gli 
enti 
e 
gli 
altri 
soggetti 
ammessi 
al 
dibattito 
hanno 
il 
diritto 
di 
essere 
ascoltati 
e 
di 
esprimere 
opinioni, ma 
non hanno anche 
il 
potere 
né 
il 
diritto 
di 
decidere 
se 
e 
come 
realizzare 
l’opera. 
La 
decisione, 
in 
ogni 
caso 
spetta all’amministrazione proponente. 


Secondo 
quanto 
spiega 
il 
Codice, 
“gli 
esiti 
del 
dibattito 
pubblico 
e 
le 
osservazioni 
raccolte 
sono 
valutate 
in 
sede 
di 
predisposizione 
del 
progetto 
definitivo 
e 
sono 
discusse 
in 
sede 
di 
conferenza 
di 
servizi 
relativa 
all’opera 
sottoposta 
al 
dibattito 
pubblico”. 
Segue 
un 
obbligo 
di 
motivazione, 
forma


(58) 
Come 
giustamente 
sottolinea 
G. 
CoLAVitti, 
il 
“dibattito 
pubblico” 
e 
la 
partecipazione 
degli 
interessi 
nella prospettiva costituzionale 
del 
giusto procedimento, in amministrazione 
in Cammino, del 
9 aprile 
2020, pag. 11, “La ratio della previsione 
appare 
ragionevolmente 
essere 
quella di 
consentire 
a 
tutti 
coloro 
che 
possono 
comunque 
subire 
delle 
conseguenze 
dal 
procedimento 
in 
corso, 
di 
“far 
presente” 
(rappresentare, 
appunto) 
la 
propria 
posizione 
rispetto 
alla 
decisione 
da 
assumere, 
o 
comunque 
addurre 
elementi utili ai fini della deliberazione dell’autorità decidente”. 

rASSeGnA 
AVVoCAturA 
DeLLo 
StAto -n. 4/2022 


lizzato 
nel 
decreto 
attuativo 
(art. 
7, 
comma 
1, 
lett. 
a, 
DPCM 
cit.), 
laddove 
nel 
dossier 
conclusivo 
redatto 
a 
cura 
dell’amministrazione 
saranno 
doverosamente 
esplicitate 
“le 
ragioni 
che 
hanno 
condotto 
a 
non 
accogliere 
eventuali 
proposte”. 


Come 
rilevato 
da 
attenta 
dottrina 
(59), 
un 
istituto, 
espressione 
diretta 
della 
democrazia 
partecipativa, 
dovrebbe 
rendere 
vincolanti 
i 
risultati 
del 
confronto. 
Se 
questa 
riflessione 
è 
assolutamente 
coerente 
con 
le 
finalità 
del 
dibattito 
pubblico, 
essa 
va 
comunque 
bilanciata 
con altre 
esigenze, specie 
quelle 
di 
buon 
andamento, 
efficacia, 
economicità 
e 
non 
aggravamento 
del 
procedimento 
amministrativo 
(ex 
art. 97 Cost. e art. 1 l. 241/90). 


6. Procedimenti espropriativi. 
il 
caso dei 
procedimenti 
espropriativi 
(rectius 
ablatori) è 
particolarmente 
interessante 
perché 
in 
parte 
sono 
esclusi 
dal 
capo 
iii 
per 
la 
specificità 
delle 
norme 
contenute 
nel 
testo 
unico 
sull’espropriazione 
per 
pubblica 
utilità, 
in 
parte vengono integrati proprio dalle norme di cui alla l. 241 citata. 

il 
concetto 
generale 
risale 
ai 
provvedimenti 
amministrativi 
dichiarativi 
di 
c.d. individuazione 
del 
vincolo espropriativo, rappresentati 
dalla 
dichiarazione 
di 
pubblica 
utilità, indifferibilità 
ed urgenza 
contenuta 
spesso nell’approvazione 
di 
un 
progetto 
di 
opera 
pubblica. 
Dispone, 
infatti, 
l’art. 
11 
del 


d.P.r. 327/2001 ( “la 
partecipazione 
degli 
interessati”) che 
va 
sempre 
inviato 
l’avviso di 
inizio del 
procedimento, sia 
nel 
caso dell’adozione 
di 
una 
variante 
al 
piano regolatore 
per la 
realizzazione 
di 
una 
singola 
opera 
pubblica; 
sia 
nel 
caso in cui 
il 
vincolo preordinato all’esproprio sia 
richiesto dallo stesso interessato 
ovvero 
su 
iniziativa 
dell’amministrazione 
competente 
all’approvazione 
del 
progetto mediante 
conferenza 
di 
servizi, accordo di 
programma, intesa 
o 
anche 
altro 
atto 
di 
natura 
territoriale, 
che 
in 
base 
alla 
legislazione 
vigente, 
comporti la variante al piano urbanistico. 
Ai 
sensi 
dell’art. 11, comma 
2, l’avviso di 
inizio del 
procedimento deve 
precisare 
dove 
e 
con quali 
modalità 
può essere 
consultato il 
piano progetto. 
Gli 
interessati 
possono formulare 
entro i 
successivi 
30 giorni 
“osservazioni” 
che 
vengono valutate 
dall’autorità 
espropriante 
ai 
fini 
delle 
definitive 
determinazioni. 
È 
appena 
il 
caso 
di 
aggiungere 
che 
anche 
quando 
la 
partecipazione 
al 
procedimento presenti 
forme 
di 
contraddittorio c.d. “indebolito” 
l’interessato 
può 
sempre 
impugnare 
direttamente 
l’atto 
dichiarativo 
della 
pubblica 
utilità 
presso il competente 
t.a.r. 

Forme 
di 
contraddittorio 
sono 
previste 
anche 
per 
il 
procedimento 
provvisorio, 
che 
normalmente 
precede 
l’approvazione 
del 
progetto 
definitivo 
(vedi 
art. 
16, 
comma 
10) 
(60). 
Così 
pure 
forme 
di 
contraddittorio 
sono 
previste 
nel


(59) Si 
veda 
a 
proposito A. SCoGnAMiGLio, il 
nuovo codice 
dei 
contratti 
pubblici: dibattito pubblico 
indietro tutta, in apertaContrada. riflessioni su società, diritto, economia. 

Contributi 
Di 
DottrinA 


l’ambito 
del 
procedimento 
provvisorio 
che 
normalmente 
precede 
il 
provvedimento 
espropriativo 
(c.d. 
occupazione 
d’urgenza). 
infatti, 
il 
proprietario 
e 
gli 
altri 
interessati 
hanno 
il 
diritto 
di 
presenziare 
alle 
operazioni 
di 
immissione 
in 
possesso 
del 
bene, 
di 
redazione 
dello 
stato 
di 
consistenza 
degli 
immobili 
da 
espropriare 
e 
così 
avviene 
anche 
in 
ordine 
alla 
notifica 
del 
decreto 
di 
esproprio; 
in 
ogni 
caso 
possono 
sempre 
presentarsi 
“osservazioni” 
(art. 
23, 
comma 
3) 
(61). 


in 
conclusione, 
non 
si 
può 
certamente 
affermare 
che 
nei 
procedimenti 
ablatori 
reali 
(occupazione, espropriazione 
imposizione 
di 
servitù etc.) sia 
assente 
un diritto all’esercizio del 
contraddittorio. Si 
tratta 
piuttosto di 
appurare 
quanta 
parte 
sia 
assoggettata 
a 
specifiche 
disposizioni 
in deroga 
all’applicazione 
del 
capo 
iii 
e 
quanta, 
invece, 
venga 
opportunatamente 
integrata 
dalle 
disposizioni del capo medesimo. 


7. Procedimenti tributari. 
L’articolo 13, secondo comma 
della 
l. n. 241/90, esclude 
dall’ambito di 
applicazione 
del 
capo iii altresì 
i 
procedimenti 
tributari, precisando che 
per 
essi restano ferme le particolari norme che li regolano. 

La 
ratio 
della 
disposizione, come 
si 
chiariva 
in premessa, non è 
quella 
di 
esentare 
un gruppo di 
procedimenti 
amministrativi 
dall’esercizio del 
diritto al 
contraddittorio in termini 
assoluti, ma 
di 
sottrarli 
esclusivamente 
dal 
modulo 
partecipativo di 
cui 
agli 
artt. 7 e 
seguenti 
della 
l. n. 241/90. in ragione 
delle 
loro caratteristiche, il 
legislatore 
detta 
specifiche 
discipline 
atte 
a 
regolare 
le 
modalità di partecipazione degli interessati all’attività pubblica. 


Per 
quanto 
sia 
pacifico 
che 
l’imposizione 
tributaria 
sia 
manifestazione 
della 
potestà 
amministrativa, le 
peculiarità 
di 
questa 
attività 
-prima 
tra 
tutte 
la 
natura 
vincolata 
del 
potere 
esercitato (62) -non ammettono una 
estesa 
applicazione 
della 
legge 
generale 
del 
procedimento amministrativo. invero, la 
materia 
tributaria 
è 
retta 
da 
leggi 
speciali, che 
contengono una 
regolamentazione 
dettagliata 
e 
minuziosa, 
non 
sempre 
compatibile 
con 
la 
ratio 
garantistica 
della legge n. 241/1990 (63). 


Va 
detto, peraltro, che 
la 
giurisprudenza 
di 
Cassazione 
è 
incline 
ad am


(60) testualmente: 
“il 
proprietario e 
ogni 
altro interessato possono formulare 
osservazioni 
al 
responsabile 
del 
procedimento, nel 
termine 
perentorio di 
trenta giorni 
dalla comunicazione 
o dalla pubblicazione 
dell’avviso”. 
(61) Di 
seguito il 
testo della 
norma 
“la notifica del 
decreto di 
esproprio può avere 
luogo contestualmente 
alla 
sua 
esecuzione. 
Qualora 
vi 
sia 
l’opposizione 
del 
proprietario 
o 
del 
possessore 
del 
bene, 
nel 
verbale 
si 
dà 
atto 
dell’opposizione 
e 
le 
operazioni 
di 
immissione 
in 
possesso 
possono 
essere 
differite 
di dieci giorni”. 
(62) 
Secondo 
L. 
Perrone, 
La 
disciplina 
del 
procedimento 
tributario 
nello 
Statuto 
del 
contribuente, 
in rass. trib., 2009, 569 ss. “L’assenza di 
discrezionalità giustificherebbe 
una netta differenziazione 
tra 
procedure 
tributarie 
e 
procedimento amministrativo, rendendo inapplicabili 
alla materia tributaria la 
l. n. 241/1990”. 
(63) Per approfondire G. MeLiS, manuale di diritto tributario, torino, 2022. 

rASSeGnA 
AVVoCAturA 
DeLLo 
StAto -n. 4/2022 


mettere 
l’applicabilità 
della 
l. 
241/1990 
alla 
materia 
tributaria 
ritenendo, 
in 
linea 
generale, che 
“i 
principi 
generali 
dell’attività amministrativa, stabiliti 
dalla l. 241/1990, si 
applicano, salva la specialità, anche 
per 
il 
procedimento 
amministrativo 
tributario 
in 
quanto 
sul 
piano 
normativo 
generale 
si 
deve 
tener 
presente 
che 
il 
procedimento 
amministrativo, 
anche 
quello 
tributario, 
è 
la 
forma della funzione 
e 
che 
il 
potere 
di 
adottare 
l’atto amministrativo finale 
è 
solo 
l’esercizio 
terminale 
di 
un 
potere 
che 
è 
stato 
frazionato, 
in 
conformità 
alle 
norme, ispirate 
alla natura delle 
cose, sul 
procedimento, e 
quindi 
sulla 
divisione del potere amministrativo, anche nel potere di iniziativa” (64). 


il 
procedimento 
tributario 
è 
normato 
dallo 
Statuto 
del 
Contribuente 
(legge 


n. 212/2000), le 
cui 
disposizioni, ai 
sensi 
dell’art. 1 della 
stessa 
legge, costituiscono 
attuazione 
degli 
artt. 3, 23, 53 e 
97 della 
Costituzione 
ed assurgono 
a 
principi 
generali 
dell’ordinamento 
tributario. 
tuttavia, 
diversamente 
da 
quanto accade 
per il 
procedimento ammnistrativo, ove 
il 
contraddittorio è 
attentamente 
disciplinato, 
alcuna 
disposizione 
né 
dello 
Statuto 
del 
contribuente, 
né 
di 
altra 
legge 
dell’ordinamento 
tributario, 
sancisce, 
in 
via 
generale, 
il 
diritto 
del contribuente al contraddittorio amministrativo. 
Dunque, 
si 
pone 
il 
problema 
di 
individuare 
quali 
sono 
le 
“particolari 
norme” che regolano la partecipazione nel procedimento tributario. 


invero, lo Statuto del 
contribuente, pur senza 
contenere 
nessuna 
disposizione 
di 
carattere 
generale, 
ha 
introdotto 
nell’ordinamento 
alcuni 
importanti 
istituti 
partecipativi, in chiave 
difensiva, tra 
cui 
l’obbligo degli 
uffici, a 
pena 
di 
nullità 
dell’iscrizione 
a 
ruolo, a 
seguito di 
liquidazione 
della 
dichiarazione, 
di 
invitare 
il 
contribuente 
a 
fornire 
chiarimenti 
o 
documenti 
prima 
di 
procedere 
all’iscrizione 
stessa 
(art. 6, co. 5, l. n. 212/2000) ed il 
diritto del 
contribuente 
di 
presentare 
deduzioni 
difensive 
dopo 
la 
notifica 
del 
processo 
verbale 
di 
constatazione, 
deduzioni 
che 
l’ufficio deve 
valutare 
(anche 
se 
sembrerebbe 
che 
dalla 
inosservanza 
di 
questa 
prescrizione 
non 
possa 
derivare 
la 
nullità 
dell’atto 
di 
accertamento, poiché 
la 
norma 
non la 
prevede) prima 
di 
emettere 
l’atto di 
accertamento (art. 12, co. 7, l. n. 212/2000). Proprio su quest’ultima 
disposizione 
e 
sulla 
portata 
applicativa 
si 
è 
concentrato 
maggiormente 
il 
dibattito 
nazionale 
giurisprudenziale (65). 


Merito 
dello 
Statuto 
è 
anche 
l’aver 
espresso 
principi 
di 
carattere 
generale 


-come 
quello che 
riconosce 
il 
diritto del 
contribuente 
ad una 
piena 
informazione 
ed i 
principi 
di 
buona 
fede 
e 
di 
collaborazione 
tra 
contribuente 
ed amministrazione 
-decisivi 
anche 
al 
fine 
di 
garantire 
l’effettività 
della 
partecipazione 
e 
del 
contraddittorio attraverso gli 
specifici 
istituti 
previsti 
dal 
legislatore (66). 
(64) Cass. Civ., sez. V, 1236/2006. 
(65) V. FortunAto, il 
contraddittorio endoprocedimentale 
tributario tra diritto interno e 
diritto 
comunitario 
in riv. Cammino Diritto, iSSn 2532-9871, Fasc. 01/2017. 

Contributi 
Di 
DottrinA 


La 
mancanza 
di 
una 
disposizione 
di 
carattere 
generale 
sulla 
partecipazione 
del 
contribuente 
induce 
ad affermare 
che 
la 
stessa 
è 
consentita 
solo attraverso 
i 
singoli 
strumenti 
partecipativi 
previsti 
da 
disposizione 
fiscali 
di 
carattere 
specifico. 
il 
“giusto 
procedimento” 
in 
tutte 
le 
sue 
accezioni 
troverebbe 
pertanto espressione 
nell’ordinamento solo se 
e 
in quanto il 
legislatore 
abbia 
previsto specifici 
istituti 
diretti 
a 
garantire 
la 
piena 
tutela 
di 
tutte 
le 
parti 
coinvolte. 


tale 
conclusione 
non 
vale 
in 
ambito 
europeo, 
ove 
la 
giurisprudenza 
prima 
ed il 
legislatore 
poi, hanno cristallizzato il 
principio del 
contraddittorio endoprocedimentale 
anche nei riguardi dei procedimenti tributari. 

La 
parabola 
evolutiva 
del 
principio del 
contraddittorio ha 
il 
proprio abbrivio 
nella 
sentenza 
della 
CGue 
Sopropè 
del 
2008. 
i 
giudici 
affermavano 
che 
il 
contraddittorio è 
un principio fondamentale 
del 
diritto dell’unione 
europea 
“che 
trova applicazione 
ogni 
qualvolta l’amministrazione 
si 
proponga 
di 
adottare 
nei 
confronti 
di 
un 
soggetto 
un 
atto 
lesivo. 
in 
forza 
di 
tale 
principio, 
i 
destinatari 
di 
decisioni 
che 
incidono sensibilmente 
sui 
loro interessi 
devono 
essere 
messi 
in 
condizione 
di 
manifestare 
utilmente 
il 
loro 
punto 
di 
vista 
in 
merito agli 
elementi 
sui 
quali 
l’amministrazione 
intende 
fondare 
la sua decisione. 
a tal fine essi devono beneficiare di un termine sufficiente” (67). 

Successivamente 
il 
principio 
del 
contraddittorio 
ha 
assunto 
una 
valenza 
sostanziale 
e 
non 
meramente 
formale, 
nel 
senso 
che 
“la 
decisione 
adottata 
in 
violazione 
del 
principio 
del 
rispetto 
dei 
diritti 
della 
difesa 
comporta 
l’annullamento 
della 
decisione 
soltanto 
quando 
senza 
tale 
violazione, 
il 
procedimento 
avrebbe 
potuto 
condurre 
ad 
un 
risultato 
differente” 
(CGue 
-
Kamino) 
(68). 
La 
violazione 
degli 
obblighi 
sulla 
partecipazione 
del 
contribuente 
al 
procedimento 
tributario 
potrebbe 
comportare 
anche 
l’annullamento 
dell’avviso 
di 
accertamento 
purché 
il 
contribuente 
dimostri 
che 
il 
suo 
coinvolgimento 
nel 
procedimento 
tributario 
avrebbe 
potuto 
condurre 
ad 
un 
esito 
diverso. 


in conclusione, in ambito giurisprudenziale 
europeo, è 
certo che 
sussiste 
un 
obbligo 
dell’amministrazione 
finanziaria 
di 
consentire 
la 
partecipazione 
del 
contribuente 
al 
procedimento 
tributario. 
il 
diritto 
viene 
sostanzialmente 
ricondotto 
all’articolo 41 CDFue 
che 
delinea 
il 
principio del 
giusto procedimento, 
e 
nel 
farlo, 
prevede, 
oltre 
al 
diritto 
di 
accesso 
ad 
un 
determinato 


(66) Si 
veda 
ampiamente 
L. SALVini, Procedimento amministrativo 
(dir. trib.), in Diz. dir. pubbl. 
Cassese, 4531. 
(67) CGue, 18 dicembre 
2008, n. C-349/07, Sopropé, in rass. Trib., 2009, 570, con nota 
di 
G. 
rAGuCCi, il 
contraddittorio come 
principio generale 
del 
diritto comunitario 
e 
in GT 
-riv. giur. trib., 
2009, 210, con nota 
di 
A. MArCHeSeLLi, il 
diritto al 
contraddittorio nel 
procedimento amministrativo 
tributario è diritto fondamentale del diritto comunitario. 
(68) CGue, 3 luglio 2014, cause 
riunite 
C-129/13 e 
C-130/13, Kamino e 
Datema, in GT 
-riv. 
giur. trib., 2014, 838, con nota 
di 
r. iAiA, i confini 
di 
illegittimità del 
provvedimento lesivo del 
diritto 
europeo al contraddittorio preliminare. 

rASSeGnA 
AVVoCAturA 
DeLLo 
StAto -n. 4/2022 


fascicolo e 
a 
una 
decisione 
motivata, anche 
il 
diritto ad essere 
ascoltati 
prima 
dell’adozione di un provvedimento lesivo (69). 

L’obbligo 
di 
attivare 
il 
contraddittorio 
incombe 
sulle 
Amministrazioni 
finanziarie 
degli 
Stati 
membri 
limitatamente 
ai 
procedimenti 
relativi 
ai 
tributi 
armonizzati 
(ad es. iVA); 
laddove 
per i 
tributi 
nazionali 
(si 
pensi 
all’irPeF), 
restano ferme 
le 
diposizioni 
fiscali 
di 
diritto interno. Da 
ultimo la 
giurisprudenza 
di 
legittimità 
ha 
emesso 
il 
seguente 
principio 
di 
diritto: 
“differentemente 
dal 
diritto dell’Unione 
europea, il 
diritto nazionale, allo stato della legislazione, 
non 
pone 
in 
capo 
all’amministrazione 
fiscale 
che 
si 
accinga 
ad 
adottare 
un 
provvedimento 
lesivo 
dei 
diritti 
del 
contribuente, 
in 
assenza 
di 
specifica 
prescrizione, 
un 
generalizzato 
obbligo 
di 
contraddittorio 
endoprocedimentale, 
comportante, in caso di 
violazione, la invalidità dell’atto. Ne 
consegue 
che, 
in tema di 
tributi 
“non armonizzati”, l’obbligo dell’amministrazione 
di 
attivare 
il 
contraddittorio 
endoprocedimentale, 
pena 
l’invalidità 
dell’atto, 
sussiste 
esclusivamente 
in 
relazione 
alle 
ipotesi 
per 
le 
quali 
siffatto 
obbligo 
risulti 
specificamente 
sancito; 
mentre 
in 
tema 
di 
tributi 
“armonizzati”, 
avendo 
luogo 
la 
diretta 
applicazione 
del 
diritto 
dell’Unione, 
la 
violazione 
dell’obbligo 
del 
contraddittorio 
endoprocedimentale 
da parte 
dell’amministrazione 
comporta in 
ogni 
caso, anche 
in campo tributario, l’invalidità dell’atto purché 
in giudizio 
il 
ricorrente 
assolva l’onere 
di 
enunciare 
in concreto le 
ragioni 
che 
avrebbe 
potuto far 
valere, qualora il 
contraddittorio fosse 
stato tempestivamente 
attivato, 
e 
che 
l’opposizione 
di 
dette 
ragioni 
si 
riveli 
non puramente 
pretestuosa 
e 
tale 
da 
configurare, 
in 
relazione 
al 
canone 
generale 
di 
correttezza 
e 
di 
buona 
fede 
ed 
al 
principio 
di 
lealtà 
processuale, 
sviamento 
dello 
strumento 
difensivo 
rispetto alla finalità di 
corretta tutela dell’interesse 
sostanziale, per 
le 
quali 
è stato predisposto” (70). 


Le 
Sezioni 
unite, 
dopo 
aver 
negato 
l’immanenza 
di 
un 
obbligo 
generalizzato 
di 
contraddittorio, 
e 
quindi 
la 
possibilità 
di 
considerare 
l’art. 
12, 
comma 
7 
dello 
Statuto 
come 
fonte 
di 
esso, 
delineano 
una 
duplicità 
di 
regime 
giuridico: 
da 
un 
lato 
i 
procedimenti 
relativi 
a 
tributi 
armonizzati 
e 
dall’altro 
i 
procedimenti 
relativi 
a 
tributi 
non 
armonizzati. 
relativamente 
a 
questi 
vi 
sarà 
un 
obbligo 
di 
attivazione 
del 
contraddittorio 
endoprocedimentale 
ogni 
qualvolta 
ciò 
sia 
previsto 
dalla 
norma 
specifica, 
la 
quale, 
definisce 
altresì 
le 
conseguenze 
giuridiche, 
in 
termini 
di 
validità 
dell’atto, 
in 
caso 
di 
violazione 
dell’obbligo 
in 
questione. 
Pertanto, 
a 
tali 
procedimenti 
non 
si 
applicherà 
il 
diritto 
europeo 
(71). 


L’orientamento 
della 
Suprema 
Corte, 
per 
quanto 
ben 
argomentato, 
non 
può 
essere 
condiviso. 
in 
primis, 
come 
avvertito 
da 
attenta 
giurisprudenza 
(72), 


(69) CGue, 22 novembre 2012, n. C-277/11. 
(70) SS.uu., n. 24823, 9 dicembre 2015. 


(71) V. FortunAto, il 
contraddittorio endoprocedimentale 
tributario tra diritto interno e 
diritto 
comunitario 
in riv. Cammino Diritto, Fasc. 01/2017. 

Contributi 
Di 
DottrinA 


una 
distinzione 
tra 
tributi 
potrebbe 
essere 
fonte 
di 
irragionevoli 
discriminazioni 
in 
relazione 
alle 
tutele 
applicabili. 
in 
secundis, 
la 
soluzione 
prospettata 
finisce 
per svalutare 
le 
potenzialità 
dell’articolo 97 della 
Costituzione, norma 
dalla 
quale 
far 
discendere 
l’affermazione 
generalizzata 
del 
principio 
del 
contraddittorio 
endoprocedimentale (73). 


È 
estremamente 
significativa 
la 
recente 
pronuncia 
della 
Consulta, con la 
quale 
è 
stata 
dichiarata 
inammissibile 
la 
questione 
di 
legittimità 
costituzionale 
relativa 
all’art. 12, comma 
7 della 
l. 212/2020, rispetto all’art. 3 della 
Costituzione. 
Ad avviso del 
giudice 
a quo, infatti, il 
sistema 
procedimentale 
tributario 
sarebbe 
caratterizzato da 
un’ingiustificata 
disparità 
di 
trattamento tra 
le 
verifiche 
precedute 
da 
accessi 
in 
loco 
di 
cui 
all’art. 
12, 
comma 
7 
e 
le 
verifiche 
“a 
tavolino”, sottratte 
all’obbligo di 
un contraddittorio preventivo con il 
contribuente. 
Sebbene 
la 
Corte 
Costituzionale 
abbia 
messo ben evidenza 
la 
frammentarietà 
delle 
norme 
sul 
contraddittorio, 
segnala 
allo 
stesso 
tempo 
l’esistenza 
di 
un percorso evolutivo tale 
per cui 
l’attivazione 
del 
contraddittorio 
endoprocedimentale 
non costituisce 
più un’ipotesi 
residuale, ma 
aspira 
ad 
assurgere 
a 
principio generale, anche 
in ambito tributario. Pertanto, si 
esorta 
il 
Parlamento a 
generalizzare 
il 
principio del 
contraddittorio preventivo con il 
contribuente, 
espressione 
del 
principio 
costituzionale 
di 
“giusto 
procedimento”, 
criterio 
di 
orientamento 
non 
solo 
per 
l’interprete, 
ma 
prima 
ancora 
per il legislatore (74). 


8. Procedimenti previdenziali. 
Anche 
gli 
enti 
previdenziali, 
in 
qualità 
di 
enti 
di 
diritto 
pubblico, 
agiscono 
in pieno regime 
di 
diritto amministrativo. naturale 
conseguenza 
di 
tale 
affermazione 
è 
l’applicazione 
della 
legge 
generale 
sul 
procedimento amministrativo. 


in proposito, l’inPS 
-con deliberazione 
n. 36 del 
30 maggio 1991 -ha 
adottato il 
regolamento di 
attuazione 
della 
l. 241/1990, destinato a 
trovare 
applicazione 
in tutti 
i 
procedimenti 
amministrativi 
che 
prendono avvio d’ufficio 


(72) Ctr toscana, ordinanza 
736/2016. È 
stata 
sollevata 
una 
questione 
di 
legittimità 
costituzionale 
dell’articolo 12, comma 
7, dello statuto del 
contribuente 
rispetto agli 
articoli 
3, 24, 53, 111, 117 
della 
Costituzione, nella 
parte 
in cui 
si 
riconosce 
al 
contribuente 
il 
diritto a 
ricevere 
copia 
del 
processo 
verbale 
di 
constatazione, 
da 
cui 
decorrono 
60 
giorni 
per 
le 
controdeduzioni 
per 
le 
sole 
ipotesi 
di 
verifica 
in loco 
presso la sede in cui si svolge l’attività del contribuente. 
(73) Già 
Cons. di 
Stato, sez. V, 22 maggio 2001, n. 2823, “l’avviso d’avvio del 
procedimento amministrativo 
ex 
art. 7, 1° 
comma, L. 7 agosto 1990 n. 241, costituisce 
principio generale 
dell’ordinamento 
ed è 
strettamente 
connesso con i 
canoni 
costituzionali 
dell’imparzialità e 
del 
buon andamento 
dell’azione 
amministrativa, onde 
non tollera interpretazioni 
che 
ne 
limitino arbitrariamente 
l’applicazione 
generalizzata a tutti 
i 
procedimenti, anche 
vincolati, perché 
la partecipazione 
al 
procedimento ha 
la sua ragion d’essere 
pure 
quando i 
presupposti 
dell’atto da adottare, pur 
se 
stabiliti 
in modo preciso 
e 
puntuale 
dalla legge, richiedano comunque 
un accertamento, nel 
cui 
ambito si 
deve 
garantire 
il 
contraddittorio 
con il privato”. 
(74) Corte Cost., 21 marzo n. 47/2023. 

rASSeGnA 
AVVoCAturA 
DeLLo 
StAto -n. 4/2022 


o su istanza 
di 
parte 
finalizzati 
all’adozione 
di 
un provvedimento amministrativo. 
Le 
recenti 
modifiche 
apportate 
dal 
c.d. 
decreto 
semplificazioni 
(d.l. 
76/2020 
conv. 
in 
l. 
120/2020) 
hanno 
imposto 
una 
modifica 
e/o 
integrazioni 
delle 
disposizioni 
regolamentari, specie 
in materia 
di 
termini 
di 
conclusione 
dei procedimenti amministrativi. 
in 
particolare, 
l’art. 
5 
è 
stato 
aggiornato 
alla 
luce 
del 
novellato 
art. 
10-bis 
della 
legge 
n. 
241/1990, 
che 
expressis 
verbis 
esclude 
dall’obbligo 
di 
tempestiva 
comunicazione 
all’istante 
dei 
motivi 
ostativi 
all’accoglimento 
della 
domanda 
le 
procedure 
concorsuali 
e 
i 
procedimenti 
in 
materia 
previdenziali 
e 
assistenziale, 
sorti 
a 
seguito 
di 
istanza 
di 
parte 
e 
gestiti 
dagli 
enti 
previdenziali. 


Le 
ragioni 
di 
una 
simile 
esclusione 
sono diverse 
(75): 
in primis, l’instaurazione 
di 
un contraddittorio per ciascun procedimento avviato su istanza 
di 
parte 
rischierebbe 
di 
paralizzare 
l’attività 
dell’ente, vista 
la 
rilevante 
mole 
di 
procedure 
in corso; 
in secundis, non meno rilevante 
è 
la 
natura 
(vincolata) del 
potere 
esercitata 
dagli 
enti 
previdenziale, 
che 
finirebbe, 
addirittura, 
per 
rendere 
inutile la disposizione in parola (76). 

9. La tutela del contraddittorio negli accordi di cui all’art. 11. 
La 
problematica 
relativa 
all’interferenza 
della 
disciplina 
degli 
accordi 
integrativi 
o sostitutivi 
del 
provvedimento è 
nata 
dall’inserzione 
del 
comma 
1bis, 
sui 
c.d. 
accordi 
procedimentali, 
nel 
testo 
dell’art. 
11 
l. 
241/1990, 
che 
prescrive: 
“al 
fine 
di 
favorire 
la conclusione 
degli 
accordi 
di 
cui 
al 
comma 1, 
il 
responsabile 
del 
procedimento può predisporre 
un calendario di 
incontri 
in 
cui 
invita, 
separatamente 
o 
contestualmente, 
il 
destinatario 
del 
provvedimento 
ed eventuali controinteressati” (77). 

il 
solo fatto che 
la 
norma 
citi 
testualmente 
il 
termine 
“controinteressati” 
fa 
rientrare, in un certo senso, la 
fattispecie 
quantomeno nei 
principi 
generali 
della 
legge 
sul 
procedimento; 
infatti, il 
campo di 
azione 
della 
norma 
è 
molto 
ampio, 
potendo 
riguardare 
sia 
provvedimenti 
attuativi 
di 
atti 
amministrativi 
generali, come 
le 
convenzioni 
di 
lottizzazione 
(78), sia 
provvedimenti 
edilizi, 
quali il permesso di costruire. 

Sembra, invece, meno frequente 
l’applicazione 
dell’istituto del 
contraddittorio 
ai 
c.d. 
accordi 
sostitutivi 
di 
provvedimento. 
in 
proposito, 
alcuni 
Autori 


(75) 
Le 
ragioni 
dell’esclusione 
non 
convincono 
del 
tutto 
la 
dottrina: 
A. 
zito, 
il 
procedimento 
amministrativo, 
in F.G. SCoCA 
(a 
cura 
di) Diritto amministrativo, torino, 2022, pag. 228; 
F. LA 
CAVA, La 
comunicazione 
preventiva dei 
motivi 
che 
ostano all’accoglimento di 
un’istanza di 
parte: un’anticipazione 
del 
contraddittorio alla fase 
precedente 
il 
provvedimento in chiave 
deflativa del 
contenzioso, in 
amministrazione in cammino, pag. 4. 
(76) CeruLLi 
ireLLi, osservazioni 
generali 
sulla legge 
di 
modifica della l. 241/1990, parte 
ii, p. 
3, su www.giustamm.it. 
(77) Comma 
inserito dall’art. 3 quinquies, D.L. 12 maggio 1995, n. 163, convertito, con modificazioni, 
dalla L. 11 luglio 1995, n. 273. 
(78) Cons. di Stato, sez. iV, n. 2355/2008. 

Contributi 
Di 
DottrinA 


hanno 
lucidamente 
rappresentato 
i 
rapporti 
tra 
le 
fattispecie 
consensuali 
di 
cui 
all’art. 
11 
e 
la 
partecipazione 
di 
cui 
al 
comma 
1 
della 
norma. 
infatti, 
osservano 
“come 
la 
stipulazione 
di 
entrambe 
le 
tipologie 
di 
accordi 
abbia 
luogo “in accoglimento 
di osservazioni e proposte presentate a norma dell’art. 10” (79). 

Del 
resto, 
non 
casualmente, 
il 
legislatore 
colloca 
gli 
accordi 
de 
quibus 
nel 
capo 
iii 
della 
legge 
241/90 
rubricato 
“partecipazione 
al 
procedimento 
amministrativo”. 
invero 
l’inclusione 
della 
disciplina 
degli 
accordi 
amministrativi 
nel 
capo della 
legge 
sul 
procedimento, dedicato alla 
partecipazione 
non può 
non subire 
un influsso di 
tale 
istituto: 
la 
partecipazione 
svolge, infatti, la 
funzione 
di 
mezzo 
di 
difesa 
del 
cittadino, 
ovvero 
in 
misura 
maggioritaria, 
di 
strumento 
di 
collaborazione 
del 
privato con la 
pubblica 
amministrazione, avente 
la 
finalità 
del 
migliore 
perseguimento 
dell’interesse 
pubblico 
(80). 
riassumendo 
quindi 
sembra 
di 
poter delineare 
nella 
ricostruzione 
della 
natura 
giuridica 
degli 
accordi 
integrativi 
e 
sostitutivi 
di 
procedimenti 
di 
cui 
all’art. 
11 
della 


l. 241/1990 ben tre istituti: 
a) 
L’istituto partecipativo in senso puro, cioè 
quello che 
si 
esprime 
in osservazioni 
e 
proposte 
(art. 
11, 
comma 
1) 
e 
che 
può 
riguardare 
una 
pluralità 
indeterminata 
di soggetti e che attiene agli apporti collaborativi; 
b) 
il 
contraddittorio c.d. interno tra 
soggetto che 
vuole 
concludere 
un accordo 
e 
la 
pubblica 
amministrazione 
competente, al 
quale 
si 
applicano in via 
analogica tutti gli istituti del capo iii; 
c) 
un contraddittorio c.d. esterno da 
parte 
dei 
soggetti 
controinteressati, 
ipotesi 
frequente 
quando viene 
messa 
a 
disposizione 
un bene 
pubblico scarso 
per cui non è possibile accontentare tutti portatori di interesse. 
Per 
completezza, 
si 
ricorda 
che 
l’art. 
15 
prevede 
che 
anche 
al 
di 
fuori 
delle 
ipotesi 
disciplinate 
all’art. 
14, 
le 
amministrazioni 
pubbliche 
possano 
sempre 
concludere 
tra 
loro accordi 
per disciplinare 
lo svolgimento in collaborazione 
di 
attività 
di 
interesse 
comune. 
Sembra 
che 
sia 
difficile, 
se 
non 
impossibile, 
applicare 
in 
questo 
caso 
l’istituto 
del 
contraddittorio. 
infatti, 
come 
insegna 
la 
giurisprudenza 
a 
proposito della 
loro natura 
giuridica 
“le 
amministrazioni 
pubbliche 
stipulanti 
partecipano all’accordo in posizione 
di 
equiordinazione, 
ma 
non già 
al 
fine 
di 
comporre 
un conflitto di 
interessi 
di 
carattere 
patrimoniale, bensì 
di 
coordinare 
i 
rispettivi 
ambiti 
di 
intervento su oggetti 
di 
interesse 
comune” 
(81). La 
diversità 
di 
posizione 
si 
riflette 
anche 
nella 
fase 
contenziosa, infatti, secondo i 
commentatori, “ne 
deriva 
che 
le 
controversie 
insorte 
nelle 
fasi 
di 
formazione, 
conclusione, 
ed 
esecuzione 
degli 
accordi, 


(79) 
È 
la 
chiosa 
contenuta 
nel 
Codice 
amministrativo 
commentato, 
diretto 
da 
CArinGeLLA, 
Milano, 
2022, ad opera di 
LuiGi 
tArAntino, sub 
art.11. 
(80) Cfr. tArAntino, op. cit., 
nel 
testo, pag. 764 che 
cita 
D’AnGioLiLLo 
accordi 
amministrativi 
e 
programmazione negoziata nella prospettiva del potere discrezionale, napoli, 2009. 
(81) Così 
Cons. Stato, sez. V, n. 3145/2014; 
Cons. Stato, sez. Vi, n. 3202/2012, Cons. Stato, sez. 
V, n. 4952/2008. 

rASSeGnA 
AVVoCAturA 
DeLLo 
StAto -n. 4/2022 


quand’anche 
in presenza 
di 
un accertamento dell’adempimento contrattuale, 
sono devolute 
alla 
giurisdizione 
esclusiva 
ex 
art. 133, comma, 1 lettera 
a), n. 
2 del d.lgs. 104/2010 (82). 


10. Collegamenti dell’art. 13 col diritto di accesso di cui all’art. 22. 
L’art. 
24 
della 
legge 
sul 
procedimento 
amministrativo 
(“esclusione 
dal 
diritto di 
accesso”) esonera 
dal 
diritto di 
accesso ben tre 
categorie 
di 
procedimenti 
che 
sono collegati 
all’art. 13: 
lett. b) procedimenti 
tributari, per 
i 
quali 
restano ferme 
le 
particolari 
norme 
che 
li 
regolano 
(interpello); 
lett. c) attività 
della pubblica amministrazione 
diretta all’emanazione 
di 
atti 
normativi, amministrativi 
generali, 
di 
pianificazione, 
di 
programmazione, 
per 
i 
quali 
restano 
ferme 
le 
particolari 
norme 
che 
ne 
regolano 
la 
formazione 
(83). 
tuttavia, 
il 
recente 
inserimento dell’istituto del 
dibattito pubblico nell’ambito delle 
misure 
di 
attuazione 
del 
Pnrr e 
l’art. 40 della 
seconda 
bozza 
del 
nuovo codice 
dei 
contratti 
potrebbero 
aprire 
a 
forme 
di 
informazione 
collettiva 
anche 
telematica, 
quale 
presupposto 
necessario 
ed 
indispensabile 
del 
dibattito 
stesso; 
lett. 
d) 
procedimenti 
selettivi 
nei 
confronti 
di 
documenti 
amministrativi 
contenenti 
informazioni 
di 
carattere 
psico-attitudinale 
relativi 
a 
terzi. 
Questa 
norma 
si 
collega 
indirettamente 
alla 
disciplina 
del 
d.lgs. 119/1993, in materia 
di 
cambiamento 
delle 
generalità 
per 
i 
collaboratori 
di 
giustizia 
e 
più 
in 
generale 
con 
le 
garanzie 
offerte dalla disciplina della 
privacy. 

A 
parte 
si 
colloca 
il 
divieto di 
accesso per il 
segreto (lett. a), istituto che 
per se 
stesso esclude 
la 
possibilità 
di 
contraddittorio. tuttavia, “la 
giurisprudenza 
non ritiene 
che 
la 
limitazione 
all’esercizio del 
diritto di 
accesso, quale 
facoltà 
della 
partecipazione, nei 
procedimenti 
elencati 
all’art. 13 debba 
automaticamente 
estendersi 
all’accesso 
previsto 
dell’art. 
24, 
essendo 
quest’ultimo 
preordinato ad una 
finalità 
di 
difesa 
giurisdizionale 
dei 
propri 
interessi” 
(84). 


11. Conclusioni generali. 
Alla 
fine 
di 
questa 
necessariamente 
breve 
analisi, pare 
di 
poter affermare 
con ragionevole 
fondamento che 
comunque 
tutte 
le 
fattispecie 
sopra 
considerate 
debbano rispettare 
i 
principi 
generali 
contenuti 
nell’articolo 1 della 
legge 
generale 
sul 
procedimento 
amministrativo, 
cioè 
trasparenza, 
pubblicità, 
imparzialità, 
proporzionalità, collaborazione 
e 
buona 
fede 
(c.d. affidamento), a 
maggior ragione 
se 
si 
considera 
che, a 
parere 
di 
illustre 
dottrina 
e 
consolidata 
giurisprudenza, essi 
non sono altro che 
un irrobustimento delle 
garanzie 
già 
consacrate 
nella 
Carta 
Costituzionale 
(85). 
non 
solo, 
anche 
i 
principi 
generali 


(82) Così Cass., SS.uu., n. 5923/2011. 
(83) Si rimanda ai paragrafi che precedono. 
(84) Così 
M.C. roMAno, cit., pp. 436 ss. Per la 
giurisprudenza 
si 
veda 
Cons. Stato, sez. iV, 28 
marzo 2012, n. 1816 in Foro amm.; 
Cons. Stato, sez. V, 5 febbraio 2007, n. 453 in 
www.giustiziaamministrativa.
it. 

Contributi 
Di 
DottrinA 


o particolari 
imposti 
dal 
diritto europeo, sia 
a 
livello generale 
del 
diritto originario 
(tue, tFue, CeDu) sia 
a 
livello di 
diritto derivato (convenzioni, regolamenti, 
direttive, 
decisioni). 
non 
è 
un 
caso 
che 
nel 
diritto 
vivente, 
rappresentato 
dalla 
giurisprudenza 
soprattutto 
amministrativa, 
tali 
atti 
generali 
vengono annullati 
proprio in quanto lesivi 
dei 
suddetti 
principi 
generali 
a 
prescindere 
da 
vizi 
formali 
quale 
l’eventuale 
difetto o insufficienza 
della 
motivazione. 
in altri 
termini, il 
controllo sulla 
legittimità 
di 
atti 
e 
provvedimenti 
(articolo 29 del 
c.p.a.) tende 
a 
trasformarsi 
in un controllo sulla 
legalità 
sostanziale; 
e 
così 
l’oggetto del 
giudizio amministrativo, da 
verifica 
della 
legittimità 
del 
potere 
esercitato, 
all’accertamento 
del 
rapporto. 
Proprio 
ai 
fini 
di 
tale 
accertamento si 
deve 
concludere 
che 
il 
rispetto del 
principio del 
contradditorio 
-nella 
fase 
di 
gestione 
del 
procedimento 
amministrativo 
-gioca 
un 
ruolo 
fondamentale 
anche 
a 
proposito 
delle 
fattispecie 
di 
cui 
all’articolo 
13 
della 
legge 
241/90. in definitiva 
e 
prendendo posizione 
sul 
quesito formulato 
in 
premessa 
(il 
principio 
del 
contraddittorio 
amministrativo 
trova 
applicazione 
indiscriminatamente 
in qualsiasi 
tipo di 
procedimento pubblico ovvero in taluni 
procedimenti 
subisce 
delle 
eccezioni?), si 
sostiene 
che 
il 
contraddittorio, 
quale 
principio 
di 
rango 
costituzionale, 
non 
soffre 
delle 
vere 
e 
proprie 
deroghe, 
quanto piuttosto degli 
adeguamenti 
dettati 
dalla 
natura 
del 
potere 
esercitato, 
della 
funzione 
svolta 
e, dunque 
del 
tipo di 
procedimento in esame, secondo il 
principio di 
differenziazione. una 
diversa 
interpretazione 
appare 
contraria 
ai 
principi 
di 
democrazia 
partecipativa 
(artt. 1-3 Cost.), e 
di 
rispetto delle 
situazioni 
giuridiche soggettive (artt. 24-113 Cost.). 
(85) 
S. 
CASSeSe, 
Passato 
presente 
e 
futuro 
della 
legge 
sul 
procedimento 
amministrativo, 
in 
Nuova 
rass., 1994, p. 2401, secondo cui 
“la legge 
sul 
procedimento non è 
altro che 
una parte 
della Costituzione”. 
Allo stesso modo, G. MorbiDeLLi, Note 
sulla riserva di 
procedimento amministrativo, in Studi 
in memoria di 
Franco Piga, Milano, 1992. in giurisprudenza, si 
veda 
Cons. Stato, Ad. Gen., parere 
19 
febbraio 1987, n. 7. 

(*)

COMUNICATO 
DELL’AVVOCATO 
GENERALE 


Lascia 
oggi 
il 
servizio, dopo quarantadue 
anni 
di 
significativa 
presenza, l’Avv. Antonio 
Valicenti. 


Al 
Collega 
e 
Amico 
che 
ha 
onorato 
l’Istituto 
con 
la 
Sua 
professionalità, 
la 
Sua 
dedizione 
alla 
cura 
degli 
interessi 
del 
Paese, vanno i 
saluti 
e 
gli 
auguri 
più affettuosi 
miei 
e 
di 
tutti 
gli 
Avvocati e Procuratori dello Stato e del Personale dell’Avvocatura. 


Gabriella Palmieri Sandulli 


(*) E-mail Segreteria Particolare, mercoledì 9 agosto 2023. 



(*)

COMUNICATO 
DELL’AVVOCATO 
GENERALE 


Oggi 
lascia 
il 
servizio, 
dopo 
quarantuno 
anni 
di 
significativa 
presenza, 
l’Avv. 
Gabriella 
Onano, dell’Avvocatura Distrettuale di Firenze. 


Alla 
carissima 
Collega 
e 
Amica 
che 
ha 
onorato l’Istituto con la 
Sua 
professionalità, la 
Sua 
dedizione 
alla 
cura 
degli 
interessi 
del 
Paese, vanno i 
saluti 
e 
gli 
auguri 
più affettuosi 
miei 
e di tutti gli 
Avvocati e Procuratori dello Stato e del Personale dell’Avvocatura. 


Gabriella Palmieri Sandulli 


(*) E-mail Segreteria Particolare, giovedì 31 agosto 2023. 



Da: Nunziata 
Vincenzo 
Inviato: 
Venerdì, Giugno 9, 2023 11:32:28 AM 


A: 
Avvocati_tutti; 
Amministrativi_tutti 
Oggetto: saluto 
« 
Carissimi, in relazione 
a sopraggiunti 
impegni 
lavorativi 
esterni, ho rassegnato le 
mie 
dimissioni 
dall’Istituto. 
Si 
è 
trattato 
di 
una 
decisione 
difficile 
e 
sofferta; 
sono 
entrato, 
oltre 
quaranta 
anni 
fa, 
in 
quella 
che 
ho 
sempre 
considerato 
la 
mia 
“casa”, 
Una 
Istituzione 
apprezzata 
all’esterno 
in 
ogni 
Sede, che 
credo meriti 
il 
nostro senso di 
appartenenza e 
contribuisca a far 
crescere 
professionalmente 
tutti noi. 
Rivolgo 
un 
saluto 
particolare 
all’Avvocato 
Generale, 
all’Avvocato 
Generale 
Aggiunto, 
al 
Segretario 
Generale, ai tanti Colleghi con i quali ho condiviso il lavoro in questi anni. 
Un 
saluto 
ed 
un 
ringraziamento 
a 
tutto 
il 
personale 
amministrativo, 
componente 
insostituibile 
del funzionamento dell’Istituto. 
A tutti un sincero abbraccio, augurandomi di poterlo fare di persona nei prossimi giorni 
» 


Da: Palmieri Gabriella 
Inviato: venerdì 9 giugno 2023 19:51 


A: Nunziata 
Vincenzo; 
Avvocati_tutti; 
Amministrativi_tutti 
Oggetto: saluto 
« 
Carissimo Vincenzo, 
abbiamo 
condiviso 
il 
percorso 
universitario 
e 
poi 
quello 
dei 
concorsi 
fatti 
e 
superati 
insieme. 
Ho sempre 
apprezzato le 
tue 
non comuni 
doti 
intellettuali, di 
preparazione 
giuridica e 
il 
tuo 
pragmatismo intelligente. 
Hai 
lasciato il 
segno in Avvocatura come 
in ogni 
incarico istituzionale 
anche 
esterno che 
hai 
ricoperto sempre nel migliore dei modi. 
Ti 
formulo gli 
auguri 
più affettuosi 
per 
il 
tuo nuovo prestigioso incarico e 
ti 
abbraccio forte» 


Da: Grasso Paolo 
Inviato: sabato 10 giugno 2023 18:16 


A: Nunziata 
Vincenzo; 
Avvocati_tutti; 
Amministrativi_tutti 
Oggetto: saluto 
« 
Carissimo Vincenzo, 
mi 
unisco al 
coro unanime 
delle 
lodi 
che 
i 
Colleghi 
ti 
hanno sin qui 
giustamente 
tributato, 
per 
rinnovarti 
la 
grande 
stima 
ed 
il 
sincero 
affetto 
che 
provo 
nei 
tuoi 
confronti, 
non 
disgiunto 
dal 
dispiacere 
per 
la tua decisione 
di 
lasciare 
anzitempo l’Istituto, ancorché 
per 
svolgere 
un 
prestigioso incarico. 
Ho sempre 
ammirato la dedizione 
e 
l’impegno con cui 
hai 
onorato la tua brillante 
carriera 
di 
Avvocato dello Stato ed i 
numerosi 
ed importanti 
incarichi 
esterni, costituendo un sicuro e 
generoso punto di riferimento per tutti. 
In Avvocatura mancheranno i 
tuoi 
saggi 
consigli 
e 
le 
tue 
acute 
intuizioni, il 
tuo sapere 
giuridico 
e la tua divertente ironia. 



Mi 
rincuora 
ad 
ogni 
modo 
la 
certezza 
che 
avremo 
modo 
di 
proseguire 
in 
altri 
contesti 
le 
nostre 
frequentazioni 
e 
che 
manterrai 
quella 
preziosa 
disponibilità 
e 
quella 
apprezzata 
attenzione 
che hai sempre dimostrato. 
In bocca al 
lupo per 
il 
tuo nuovo percorso professionale, che 
saprai 
svolgere 
con meritato 
successo e che ti auguro ricco di ogni soddisfazione. 
Un abbraccio affettuoso» 



Finito di stampare nel mese di ottobre 2023 
Stabilimenti 
Tipografici Carlo Colombo S.p.A. 
Vicolo della Guardiola n. 22 - 00186 Roma