t.NNO IV -N. 9-10 . . SETTEMBRE-�TTOBRE 1951 tRASSEGNA MENSILE DELL'AVVOCATURA DELLO STATO PUBBLICJAZIONE DI SERVIZIO LA DELEGAZIONE DI POTEST� LEGISLATIVA AL GOVERNO PER L'ATTUAZIONE DELLA RIFORMA FONDIARIA Nella legge 12 maggio 1950, n. 230, recante provvedimenti per la colonizzazione dell'altopiano silano, ~ contenuta una norma (art. 5) la quale testualmente dispone: <<Il Governo, per delegazione cone'essa con la presente legge, e secondo i principi e i criteri direttivi defi,niti dalla legge medesima, sentito il parere di una Commissione composta di tre senatori e di tre deputati, eletti dalle rispettive Camere, provvede, entro il 31 dicembre 1951, con decreti aventi valore di legge ordinaria: a) all'approvazione dei piani particolareggiati di espropriazioni; b) alle occupazioni d'urgenza d�i beni sottoposti ad espropriazione; e) ai trasferimenti dei terreni indicati all'articolo 3 in favore dell'Opera �. In merito a questa norma, che contiene una vera e propria delega legislativa, (come ne fa fede la formula usata che � quella caratteristica d�lle deleghe legislative quali sono regolate dall'art. 76 della Costituzione), si � aperto un acceso dibattito nella dottrina ed infatti, gi� in questa Rassegna (1950, pagg. 141, 204) abbiamo, molto sommariamente, esaminato i dubbi che sulla legittimit� della norma surriferita erano stati sollevati da qualche scrittore. Recentemente, peraltro, � comparso sulla Rivista Amministrativa (1950, pag. 518 e segg.) uno scritto del Consigliere di Stato Roehrseenn, il quale tratta la questione molto diffusamente, giungendo a conclusioni che pienamente condividiamo nella parte in cui affermano la impossibilit� di impugnare in via giurisdizionale gli atti emanati dal Governo in base al citato art. 5, ma la cui esattezza riteniamo di dover contestare nella parte in cui affermano che l'art. 5 in questione sarebbe incostituzionale. Secondo l'A. i decreti legislativi emanati dal Governo in forza della disposizione dell'art. 5 della legge sopra,citata sarebbero in s� e per s�, nella loro reale natura, atti amministriJ,tivi speciali perch� �essi hanno un fi,ne concreto pratico e specifi, co di reg,lizzazione di un pubblico interesse; (nella specie, valorizzazione dell'altopiano silano o trasformazion� fondiaria ed agraria), cio� un interesse che riguarda l'intiera comunit� nazionale�; e�i ancora perch� <<sono atti necessari per l'esecuzlone d'una legge che, a sua� volta; rientra nella orbita del diritto amministrativo,� poich� essa medesima tende a soddisfare il cennato interesse collettivo �. L'esaltazione al piano legislativo di questi atti sarebbe, pertanto, puramente formale: l'art. 5 dellt1 legge Sila non ne ha alterata, n� poteva alterare la sostanziale natura, n� i caratteri ontologici: fornia di legge contenuto e realt� di atto amministrativo. Fermiamoci a questo punto per osservare che il giurista, cui appartengono i sopra riassunti pensieri ed altri che verranno in seguito riferiti, nel far uso di termini cos� vaghi e generici per defi,nire la funzione amministrativa (il fine concreto pratico e specifi,co di realizzazione di un'interesse che riguarda l'intiera comunit� nazionale � notazione che pu� normalmente caratterizzare tutta quanta la multiforme attivit� dello Stato, non solo quella amministrativa) non � incorso affatto in un errore od in un l�ipus. � vero, invece, che egli si � trovato di fronte alla irresolubilit� del problema di defi,nire l'attivit� amministrativa (come funzione e come somma di singoli atti) f:-i,cendo astrazione da un termine necessario, la singola legge (costituzionale od ordinaria) che --di volta in volta -attribuisca agli organi dell'esecutivo questo o quell'altro potere in questa od in quell'altra misura. Ma tener presente questo elemento portava a negare la tesi dello <<atto amu1inistrativo di diritto naturale� e quindi a capoYolgere l'assunto. La verit� � che una definizione �per genus pro- aimum ac per differentiam specificam � dell'attivit� amministrativa, defi,nizione che -cio� -non si limita ad una approssimativa descrizione empirica del contenuto pi� frequente degli atti amministrativi (supposti noti aliunde) non pu� essere data se 11on ricorrendo al decisivo elemento di integrazione dell'attribuzione conferita alla Pubblica Amministrazione dall'ordinamento giuridico, che � Fesecuzione delle singole leggi. Quanto sopra si ._ ~riferito va completato come segue: <<atti che hanno it fi,ne concreto, pratico e specifico di realizzare nn pubblico interesse, la cui soddisfazione l'ordinamento giuridico demanda agli organi della.Pub -154 blica Amministrazione mediante l'applicazione delle leggi e degli atti aventi forza di legge�. Come si vede, non si � poi troppo lontani dalla scolastica � mimifestazione di volont�, ecc. di un Organo della Pubblica Amministrazione nell'esercizio della funzione amministrativa determinata dalle leggi�. Sol facendosi riferimento all'elemento delle leggi � possibile differenziare l'attivit� amministrativa da quella legislativa, e rendersi conto dei limiti e della natura di essa. Giacch� la defi,nizione di attivit� amministrativa sopra riferita, e che si confuta, va bene per tutto: il codice penale, il lodo De Gasperi, l'esecuzione d'un prestito e la concessione d'un pubblico servizio. Non esiste attivit� dello Stato senza riferimento all'attualit� politica e sociale, attivit� cio�- che non sia concreta. Non esiste attivit� dello Stato che sia puramente teoretica o conoscitiva, e che cio� non sia pratica. E, per quanto riguarda la << specifi.cit� n, si vorr� dire che un� regolamento comunale non appartenga alla categoria degli atti amministrativi, unicamente. perch� le prescrizioni che esso contiene sono di carattere generale! L'atto amministrativo � funzione della legge ed in questa funzionalit� soltanto pu� defi.nirsi. � condizionato dalla legge e non pu� condizionarla. Rivendicare una autonomia categorica della atti vit� amministrativa rispetto a quella legislativa (e meno che mai una dipendenza concettuale della seconda di fronte alla prima) � impresa impossibile. * * * Non trattasi soltanto di �subordinazione con cettuale di rilevanza esclusivamente dogmatica, ma di vero e proprio rapporto di dipendenza fun zionale ed organico, che dal punto di vista storico costituzionale si presenta in una luce veramente suggestiva. L'idea di una �riserva dell'atto amministrativo JJ (analoga al principio della riserva della legge) si sarebbe potuto avanzare in regime di Statuto al bertino sopra una base positiva costituita parti, colarmente dagli articoli 5 e 6 di quel testo: al Re solo appartiene il potere esecutivo, il Re fa i decreti ed i regolamenti necessari per l'esecuzione delle leggi. Eppure, anche in presenza di queste affermazioni cos� chiare, nessuno pens� mai che una legge contenente disposizioni regolamentari, ovvero una legge ordinante, p. es., un'espropriazione per pub blica utilit�, fosse in contrasto con le norme dello Statuto. Ci�, non gi� perch� tali leggi si conside rassero come apportanti un emendamento alla Costituzione, allora flessibile, ma perch� s'intese che i poteri (del Governo) del Re cominciavano esattamente l� dove il legislatore aveva terminato di disporre e di ordinare. Dai notare, ancora, che il testo statutario del 1848 confi.gurava un sistema costituzionale puro: dove, cio�, il Governo si assumeva giuridicamente e politicamente autonomo e nettamente separato dal Parlamento, restando legato solo alla fi,ducia del Sovrano. Nel vigente sistema costituzionale manca, invece, qualsiasi norma che direttamente od indirettamente ripeta gli articoli 5 e 6 dello Statuto albertino, mentre l'art. 94 della Costituzione instaura un vero e proprio rapporto giuridico costituzionale di dipendenza del Governo dal Parlamento. Insostenibile il principio della riserva dell'atto amministrativo di fronte a1lo Statuto, esso risulta pertanto ancora pi� insostenibile di fronte alla vigente Costituzione della Repubblica. * * * Dopo siffatta premessa, la tesi che forma oggetto di esame si snoda in due successivi anelli: la impossibilit� che il legislativo deleghi all'esecutivo una attribuzione che esso stesso non ha (e cio� quella di emettere atti amministrativi) e la impossibilit� che l'esecutivo riceva in via di delega un potere che esso stesso gi� -potenzialmente od attualmente non rileva -possiede primariamente ed istituzionalmente: il potere di ordinare espropriazioni ed occupazioni. Da qui l'asserita incostituzionalit� dell'art. 5 della legge 12 maggio 1950, n. 230, e dei decreti legislativi di espropriazione emanati in esecuzione della legge predetta. Tali conseguenze sono sin troppo evidenti, se � vera la premessa che esista una sfera di �atti o tipicamente amministrativi >J preclusa al legislatore e di originaria, esclusiva ed inderogabile apportenenza dell'amministratore. Ma esse si manifestano, con altrettanta evidenza, prive di signifi. cato giuridico se � vero -come si ritiene ormai sufficientemente dimostrato -che la legge � la misura delle attribuzioni dell'amministratore esecutore, il fondamento (e non solo il limite) delle sue potest�, la fonte delle sue funzioni. Ci� va, senz'altro, tenuto per fermo in linea di principio. Ma val la pena -anche in considerazione dell'importanza dottrinaria dell'assunto in istudio -esaminare i particolari della questione. * * * La teoria del TOSATO (Le leggi di delegazione, Padova, 1931), che si cita in questa trama di ragionamento, e per la quale � necessario avvertire che essa � in contrasto con le vedute di autorevolissimi Maestri del� diritto (ci si limita a ricordare MAYER, RANELLETTI, e lo stesso CAMMEO), si riduce, in sostanza, e per quel che interessa nella attuale discussione alle seguenti proposizioni (l. cit. pag. 33 seg.); non pu� ammettersi una delegazione di carattere puramente formale, e cio� non pu� ammettersi che per via di legge di delega il legislatore conferisca ad un diverso Organo dello Stato il potere di emanare atti che -senza avere natura legislativa, o, pi� esattamente, senza rientrare nell'ambito della competenza del l�gisTa-tivo -abbiano forza di legge. Non �, infatti, il potere legislativo che ha la competenza di emanare atti con forza di legge, ma sono, invece, gli atti del potere legislativo che hanno forza di legge. ;;;;;;;;;;w :::::&::::::::::::: mm;mxz.:: -155 In altre parole perch� si abbia una vera e propria delegazione legislativa non basta soltanto che il legislatore dica all'Organo statale designato (ed ai terzi): <<l'atto che tu emanerai avr� forza di legge �. Occorre invece che l'atto emanando sia fra quelli che possono, in difetto della delega, essere compiuti dallostesso potere legislativo. Con ci� -avverte testualmente TOSATO (l. cit. pag. 36) non si esclude il fatto che taluni atti emanati da organi diversi dal potere legislativo e per volont� di quest'ultimo assumano talora forza di legge: si esclude soltanto che la forza di legge sia oggetto di delegazione da parte del potere considerato. * * * Sulla base della suesposta teoria (vedremo, poi, se e sino a che punto essa sia d'attualit�), occorre vedere nel caso attuale se il disporre con legge una espropriazione per pubblica utilit� rientri o non rientri nella competenza del potere legislativo. E poich� per la funzione legislativa � lecito ripetere quanto dai privatisti si dice per la propriet�, e cio� che essa pu� definirsi soltanto dai suoi limiti, bisogna stabilire se nel vigente sistema costituzionale esista, esplicito od implicito, un divieto analogo a quello delle XII tavole: <<privilegia ne inroganto �. Crediamo di potere dimostrare e provare che secondo la Costituzione attuale la lex generalis e la lex in privos lata sono esattamente sullo stesso piano, che -cio� -la competenza del legislatore include tanto la facolt� di emanare discipline generali ed astratte, quanto il potere di dettare comandi singoli ed individuali; che pertanto un comando di questa seconda specie � veramente e sostanzialmente legislativo, e la del�gazione ad emanarlo conferita ad altro Organo non � affatto meramente formale, ma propriamente materiale. ;w Si rileggano a tal fine gli articoli 21, penultimo comma e 43 della Costituzione della Repubblica: 21: �La legge pu� stabilire, con norme di carattere generale, che siano resi noti i mezzi di finanziamento della stampa periodica �. 43: <<A. fini di utilit� generale la legge pu� riservare originariamente o trasferire, mediante espropriazione e salvo indennizzo, allo Stato ad enti pubblici o a comunit� di lavoratori o di utenti determinate imprese o categorie di imprese ... >>. Quale il significato della coesistenza di queste due norme nello stesso corpus, se� non che il costituente ha considerato la legge tanto idonea a dar vita a '{lrecetti generfl.li, quanto capace di regolare situazioni individuaM E che nel caso della pubblicit� dei mezzi di finanziamento della stampa periodica, ner evitare il costituirsi di privilegi odiosi a c>trico di singoli giornali, '{ll'ivilegi ritenuti politicamente sconsigliabili, ha imposta la disciplina generale; mentre nel caso di socializzazione o di nazionalizzazione di imprese, al fine di determinare l'adesione ni� perfetta alla variet� di condizioni che la realt� economica -presenta, ha voluto il comando individuale e s-pecifico~ Nello snirito della Costituzione tra precetto generale ed astratto e comando individuale, at tuale e specifico non corre un rapporto n� di principio a deroga, n� di regola ad eccezione. Il legislatore � egualmente competente, a condizioni di parit�, ad emanare l'uno e l'altro: e l'uno e l'altro comando sono veramente e propriament� leggi. Come, del resto, argomentare. un divi!)tQ di emanare disposizioni << in singulos ))' quando � proprio la stessa Costituzione a dettare precetti di questo tipo~ Quel che vale per la norma legislativa ordinaria dovrebbe <<a fortiori>> valere per la norma costituzionale. Ma di << leges in privos latae)) la Costituzione ne contiene almeno una: la XIII Disposizione transitoria, per quel che attiene alla incapacit� dei membri di Casa Savoia e -pi� ancora -alla avocazione allo Stato dei beni dei medesimi! Con quanto precede crediamo di aver raggiunta la dimostrazione che, pur adottandosi le vedute del TOSATO, la delega legislativa di cui all'art. 5 della legge Sila � costituzionalmente ortodossa. * * * Il fatto � che, per�, la nostra Costituzione in fatto di deleghe legislative ha delle vedute ben pi� ampie che non quelle dell'illustre costituzionalista test� citato. Le leggi di delegazione sono, infatti, considerate da due diversi articoli della Carta costituzionale: gli articoli 76 e 77. E se per il primo ben pu� dirsi che esso considera 'la delegazione materiale (la delegazione Tosato per intenderci), per il secondo � da tenere altro discorso. Qui l'effettivo contenuto della volont� del Governo, e pertanto dell'atto destinato ad acquistare valore di legge, non viene minimamente in questione: la lettera della norma costituzionale considerando unicamente la forma del provvedimento mediante l'espressione<< decreto))' che -come ben si sa -serve sino ad un certo punto a determinare la provenienza soggettiva di un atto dagli Organi del potere esecutivo, ma non vale a specificare la portata e la qualificazione oggettiva di esso. In particolare, con << decreto >> tanto bene si denomina l'atto amministrativo quanto l'atto materialmente legislativo. La verit� � quella che le parole usate dalla Costituzione, il loro ordine e la loro connessione, la visione concr'eta della operazione giuridica pre vista nell'art.. 77, conclamano. La �forza di legge))' il << valore di legge ordinaria ))' sono qui considerate come qualche cosa di esterno e di adiettizio al provvedimento: una qualit� acquisibile per voto del Parlamento da qualsiasi atto che sia posto in essere dal Governo. In sostanza, se si vuole dare una spiegazione razionale alla coesistenza nella Carta costituzio nale degli articoli 76 e 77 primo comma, se -in altri termini -si vuole evitare di pervenire alla conclusione, per altro verso non giusti:~�cabile, che l'art. 77, primo comma, � una pleonastica _ ripetizione dell'art. 76 e che esso pertanto non deve essere letto dall'interprete, � forza dire che la Costituzione della Repubblica ha accolta la teoria opposta a quella sostenuta dal Tosato., de -..---1 -156 ha espressamente regolata la possibilit� della delegazione meramente formale. In altri termini, per usare le parole del MAYER, Ja �forza di legge n nell'ordinamento costituzionale italiano rappresenta il grado di intensit� di volere assegnato al potere legislativo, grado essenzialmente superiore a quello attribuito agli altri Organi in cui si articola la sovranit� dello Stato (cfr. TOSATO, op. cit., pag. 35 e nota 1). La �forza di legge n si considera, cos�, come un potere -categoricamente individuato -di competenza propria degli Organi del legislativo, che questi possono delegare (consentendolo l'ordinamento positivo) ad Organi diversi, la cui volont� sia �ab origine n meno efficace e destinata ad operare �d un livello inferiore. In tal modo ha luogo una supervalutazione degli effetti dell'atto: questi saranno quelli di una legge. Storicamente ci� sembra dimostrabile proprio sulla base di quella supremazia, non solo politica, ma veramente giuridico-costituzionale, che nel nostro diritto il Parlamento ha .nei confronti del Governo, ed alla quale si � gi� fatto cenno. Se � vero questo rapporto di dipedenza organico-funzionale, � facilmente inducibile che nello spirito del Costituente ci� -sia stato come una prevalenza qualitativa deJla volont� del legislatore su quella dell'esecutivo (quel che comunemente si dice del Parlamento �sovrano n). Ed una volta che si discorre di preponderanza di volont�, gi� si � in pieno nella dottrina della delega meramente formale. Ma, con la dottrina di Mayer, di Ranelletti e di Cammeo, la questione del contenuto dell'atto delegato si trova ad essere istantaneamente e completamente svalutata. Non ha pi�i, infatti, importanza di sorta l'esaminare se l'atto delegato abbia contenuto di atto legislativo o di atto ammi nistrativo, una volta che la cc vis ac potestas legis >> (non sindacabilit� e modificabilit� solo per legge) pu� essere applicata a qualunque atto del Gover no, con un voto di valore esclusivamente formale. * * * E non � neppure il caso di discorrere come fa il Roherssen di atti emanati, se non in violazione, in elusione dell'art. 113 della Costituzione. Il legisla tore ordinario, per frustrare il normale sindacato di legittimit� �negli atti amministrativi, avrebbe rivestito questi decreti del fittizio abito della legge. Insomma, rileva qui il fine per cui il legislatore ha agito. E la considerazione di questo fine rende condannabile l'atto, ancorch� emanato in termini di regolarit� formale. Va senz'altro osservato che, almeno sul piano del diritto (che � poi l'unico sul quale possono porsi le argomentazioni presenti) non � consentita una siffatta apertura di ragionamento. L'cc eccesso di potere legislativo n -con tutto il riguardo alle opinioni professate dal 0ALAMANDREI -� nozione politica e non giuridica. Al giurista non �, infatti, consentito scrutare la rispondenza della legge ad un certo o ad un diverso fine, quando il fine -storicaniente inteso -della legge appar tiene al dominio della politica e non a quello del diritto. Giuridicamente, invece, si deve, di necesc sit�, rimanere a SUAREZ (De legibus et de De legislatore, lib. III, XII e XX), il quale insegnava che cc finis legis non cadit sub lege n, giacch� cc finis legis est ipsa lex n. . Ci�, almeno, sino a quando la Carta costituzionale non indirizzi espressamente ad un certo fine l'opera del legislatore: se questa finalizzazione esista, l'indagine intesa a stabilire se la norma della legge eventualmente contrasti al voto della Costituzione � sindacato di violazione cc stricto sensu � di norma costituzionale, e non figura di eccesso di potere. Del resto, a voler discendere proprio sul terreno di codesto non plausibile sindacato, qual'� il compito del giudice di legittimit� degli atti aromi �nistrativi, nell'esercizio di quel sindacato, che ora si lamenta per eluso, se non quello di stabilire la conformit� del provvedimento alla volont� del legislatore' In altri termini quello di immaginare un legislatore . proteso a regolare il singolo caso, e paragonare, poi, l'operato dell'esecutore a quello che sarebbe stato il provvedimento del legislatore, se questi fosse stato al posto del prii:no' Ed allora dov'� l'elusione dell'art. 113, quando � il legislatore stesso a far propria l'opera del Governo' Dov'� l'elusione dell'art. 113, quando, per giunta, � il Parlamento stesso ad essere realmente ed immanentemente presente nell'emanazione del provvedimento <<de quo n, attraverso la Commissione di cui all'art. 5 della legge Sila' A meno che, con curiosa interversione �di ter~ mini, non si muova dalla posizione mentale che non i controlli debbano essere istituiti per gli atti, ma gli atti per i controlli. Ohe, cio�, soJo allora un atto sia legittimo quando esso possa essere dichiarato illegittimo. Ma nessuno, si ritiene, pu� seriamente far leva su cosi� manifesto sofisma. * * * Esposti i punti di dissenso con il lavoro che si esamina, � doveroso esprim�re il consenso con le opinioni ivi professate in merito alla attuale impugnabilit� degli atti in questione e cio�: � � 10 non � possibile attualmente assoggettare ad un controllo giurisdizionale sostanziale i decreti legislativi in questione; 20 l'impugnazione in via principale e diretta � da escludere; � 30 non � configurabile l'impugnazione in via incidentale degli atti in questione, giacch� essi sono di per s� oltre che atti costituzionali anche atti di esecuzione, n� il fatto materiale dell'esproprio pu� formare oggetto di imp�gnativa; 40 il controllo della stessa futura Carta costituzionale, a' sensi dell'art. 134 della Costituzione, dovr� essere contenuto in limiti assai circos�critti; 50 non si possono impugnare questi decreti legislativi avanti al Giudice normale, per ottenere il rinvio alla Corte costituzionale. Trattasi, infatti, di �ricorsi inammissibili in �rito,' eh-e nonpossono diventare ammissibili solo perch� intesi a provocare la pronuncia del Giudice �ostituzionale. LA REDAZIONE NOTE D I DOTTRINA Crno VITTA : Afti presidenziali e proposte ministeriali nella vigente Costituzione. cc Riv. Amministrati vaii, 1951, p. 297 segg. Il principio della irresponsabilit� del Capo dello Stato, sia nelle costituzioni monarchiche sia in quelle repubblicane, � collegato all'altro, per cui nessun atto del Capo dello Stato � valido se non sia controfi,rmato dai ministri proponenti che ne assumono la responsabilit�. Cosicch� la irresponsabilit� del Capo dello Stato viene integrata dalla responsabilit� dei ministri, cui si riportano gli atti del Capo dello Stato, che, quali atti complessi, secondo la formulazione generalmente accolta dalla dottrina, sono attribuiti a quel supremo organo solo sotto l'aspetto formale, invece, dal punto di vista materiale, sono considerati atti dei ministri controfi.rmanti, che ne hanno determinato il contenuto. Mentre per gli atti del Presidente della Repubblica i quali sostanzialmente sono determinati dai ministri responsabili non sorge dubbio alcuno sulla controfi.rma da parte di questi ultimi, diversa � la situazione per taluni atti che sembra costituiscano manifestazione di un potere d'iniziativa del Capo dello Stato. Difatti, per coloro i quali riconoscono che, per alcuni atti, il Capo dello Stato possa agire di sua iniziativa, rimane da esaminare come possa farsi luogo alla controfi,rma di essi nel caso in cui il ministro competente non ne condivida il contenuto, non potendosi prescindere dalla controfi.rma ministeriale. Nell'articolo oggetto della presente recensione, il Vitta, dopo aver rilevato cc che non soltanto gli atti presidenziali che hanno contenuto giuridico, ma ogni altra manifestazione scritta od orale che il Presidente compia nell'esercizio delle sue alte funzioni, debbono essere emanati col consenso ministeriale �, esamina degli atti per i quali la necessit� della controfi,rma ministeriale pu� dar luogo a dubbi o a difficolt� politiche nella sua applicazione, dato che essi si presentano come tipica manifestazione d'iniziativa del Capo dello Stato. Innanzi tutto egli esamina se l'atto di nomina del Presidente del Consiglio dei ministri debba essere controfirmato dal Presidente uscente o da quello di nuova nomina.1 La questione, la quale si � agitata nel nostro sistema costituziona[e prima delle riforme attuate dal regime fascista, si pone tutt'ora, non essendo stata dettata alcuna norma al riguardo dalla nuova Costituzione. Sia l'una che l'altra tesi offre il fi,anco alla critica, in quanto, se da una,parte, contro la fi.rma del Presidente del Consiglio dimissionario, si osserva essere illogico che a quello si faccia assumere la responsabilit� per una nomina che prelude ad un indirizzo politico che egli assai probabilmente non condivide, responsabilit� di cui, peraltro, non potr� pi� rispondere di fronte alle Camere, d'altra parte, contro la fi,rma del Presidente di nuova nomina, sotto il rifl�sso giuridico si rileva che egli non pu:� esercitare funzioni inerenti a tale carica prima di aver� prestato giuramento e, dal lato politico, si afferma che l'arrogarsi da rn stesso il titolo ad essere il solo responsabile porta a dare una preminenza tale alla fi,gura del Presidente del Consiglio dei ministri che male si addice ad un sistema parlamentare. Fra i due sistemi, i quali presentano entrambi manchevolezze, il Vitta propende per il primo, che � poi quello seguito in Inghilterra ed in Francia e che in Italia � stato osservato fi,no al 1925. Sebbene la risoluzione cui accede il Vitta abbia il s�:ffragio dell'accennata prassi costituzionale e sia condivisa dalla dottrina di gran lunga prevalente non ci sembra che essa sia accettabile. Ed invero, il principio di fare controfi.rmare la nomina del Capo del Governo alla perrnna chiamata a coprire tale ufficio, pur non avendo ancora essa la veste giuridica di ministro, fu introdotto con la legge 24 dicembre 1925, n. 2263, art. 2 comma secondo, al fi,ne di evitare il grave inconveniente di addossare la responsabilit� a chi non poteva pi� rispondere politicamente dell'atto. Di conseguenza, nulla disponendo la nuova Costituzione circa la persona che dovr� controfi,rmare la nomina del Presidente del Consiglio dei ministri, � da esaminare in primo luogo se il principio sancito dalla citata legge 24 dicembre 1924 sia tutt'ora in vigore, per non ernere in contrasto con la Costituzione, ovvero sia stato impli,pitamente abrogato da questa.. . Al problema, secondo noi, bisogna dare risposta positiva, posto che l'accennata disposizioJ).e, costi tuzionale s'inquadra perfettamente nei principi_ che stanno a base della nuova struttura costitu zionale dello Stato. Non ci sembra esatta, difatti, l'affermazione del Vitta, che � condivisa da una larga parte della dottrina (in merito cfr. LETTIERI: La controfor'ma -158 degli atti del Presidente della Repubblica, Roma, 1951, p. 87 e segg), secondo cui tale disposizione sarebbe in contrasto con il regime parlamentare per il fatto di dare preminenza alla fi,gura del Presidente del Consiglio dei ministri, poich� la controfirma non equivale a proposta della nomina, ma indica solamente assunzione di responsabilit� per l'indirizzo politico che sar� attuato da quel Presidente con il concorso degli altri ministri. Ritenendo vigente la disposizione in esame si supera anche, come � intuitivo, l'ostacolo giuridico che si rinviene nel fatto di fare apporre la controflrma al subentrante prima che egli possa esercitare le sue funzioni, in quanto tale disposizione si pone come eccezione al principio generale del non esercizio di funzioni prima del giuramento. Una conferma della compatibilit� della disposizione in esame con i principi del regime parlamentare pu� trarsi dal fatto che, nel recente periodo costituzionale transitorio, in cui manifestamente si volle attuare un ritorno al regime parlamentare sia pure nei limiti consentiti dalla mancanza di alcuni organi rappresentativi, si ritenne vigente tale disposizione essendo stati controfirmati i decreti di nomina del Presidente del Consiglio Bonomi, Parri e De Gasperi dai rispettivi interessati. Non � dato, invece, stabilire se anche dopo la entrata in vigore della nuova Cost:ltuzione abbia voluto seguirsi lo stesso sistema, in quanto la contronrma dei due decreti di nomina del Presidente del Consiglio De Gasperi, che fu effettuata ~da questi, non indica se l'intervento debba attribuir~i al Presidente dimissionario ovvero a quello suben _ trante. essendo identica la persona nelle due funzioni. Anche la contronrma dell'atto di scioglimento delle Camere � oggetto di particolare esame da parte dell' A. Lo scioglimento delle Camere pu� avvenire per una delle tre seguenti cause: 1� perch� le Camere non funzionino regolarmente; 2� perch�, pur funzionando con regolarit�, si ritenga che i loro atti non corrispondano pi� all'orientamento politico del paese; 30 perch� il Capo dello Stato ritenga che l'orientamento politico del paese, pur non essendo in contrasto con l'indirizzo politico segu�to dalle Camere, sia pregiudizievole ai supremi interessi della Nazione e, quindi, si renda necessario richiamare il popolo ad una nuova manifestazione della sua volont�. Mentr~ la prima ipotesi non d� luogo a dubbi quanto alla controfuma, dato che il Capo dello Stato trover� consenziente il Governo allo scioglimento delle Camere, se non � stato sollecitato addirittura da esso, diversamente avviene negli altri due casi, nei quali il Governo molto facilmente dissentir� dallo scioglimento delle Camere di cui gode la nducia. Qualora ci� si veriflchi, ritiene il Vitta che i ministri, i quali non intendano assumersi la responsabilit� di controfumare l'atto di scioglimento, <<dovranno essere persuasi a dare le proprie di missioni ed il Presidente della Repubblica proceder� alla nomina di un gabinetto d'affari, incaricato di indire le elezioni �. Con analoghi argomenti l'A. conclude per la controfirma del veto sospensivo alla promulgazione delle leggi da parte del Presidente della Repubblica. Pur convenendo con il Vitta che, sia .l'atto di scioglimento delle Camere sia quello del veto sospensivo alla promulgazione delle leggi, debbano essere contronrmati dai Ministri responsabili, non condividiamo, invece, l'idea che, in caso di dissenso con il Governo, il Capo dello �Stato possa nominare, qualora il Governo stesso si dimetta, un Gabinetto d'affari incaricato d'indire le elezioni. Un governo del genere assumerebbe la fi,sionomia di quello che viene chiamato gabinetto di lotta e che � stato oggetto di contrastanti opinioni, soprattutto fra gli studiosi stranieri. Avendo riguardo af nostro sistema costituzionale un simile Gabinetto potrebbe raggiungere lo scopo controfi,rmando l'atto di scioglimento delle Camere e quello successivo che ind�ce le elezioni prima della sua presentazione al Parlamento per ottenere il voto di fi,ducia, essendo presumibile che questo voto gli manchi. Ma ci� non sembra che sia giuridicamente legittimo in quanto, quand'anche si ritenga che la presentazione del Gabinetto dinanzi alle Camere ed il voto di fi,ducia non costituisca condizione di effi, cacia della nomina, bens� condizione risolutiva di una nomina gi� regolarmente effettuata, rimane sempre il fatto che, per una consuetudine che si era affermata nel nostro ordinamento costituzionale e che tutt'ora deve ritenersi vigente, essendo perfettamente aderente ai principi della nuova Costituzione, prima della presentazione al Parlamento per il voto di fiducia, il Gabinetto pu� svolgere solo attivit� di ordinaria amministrazione, salvo che si presentino situazioni di particolaTi gravit�, nelle quali, ceTt~mente, non va compreso lo scioglimento delle Camere, che, per di pi�, costituisce lo scopo della formazione del Gabinetto d'affari. Questo principio, peraltro, � una diretta conseguenza dell'altro statuito dall'art. 94 della Costituzione, secondo il quale il Governo deve avere la fiducia delle Camere. Se la fiducia delle Camere investe l'indirizzo politico che il Governo intende attuare � logico che quest'ultimo non possa svolgere attivit� di indirizzo politico, in cui rientra l'atto di scioglimento delle Camere, prima di avere ottenuta tale fi,ducia. Altrimenti, qualora si riconoscesse la facolt� di agire per lo scioglimento delle Camere ad un Gabinetto che non ha ancora avuto la fi,ducia del Parlamento, si altererebbe l'equilibrio del sistema parlamentare e si trasformerebbe l'istituto dello scioglimento in mio strumento di dittatura presidenziale (in questo senso v. VIRGA: Le crisi e le dimissioni del Gabinetto, Milano 1948, p. 60}. Anche per quanto riguarda l'atto di nomina di cinque giudici dell'Alta Corte di Giustizia e di cinque senatori a vita, il Vitta ritiene necessaria la controfi,rma ministeriale, pur osse1vando che, per i primi, la questione, mmai, pu� dirsi superata wm&& --159 per il fatto che nel disegno di legge sulla Corte costituzionale � disposto che la nomina di quei giudici ha luogo su proposta del Ministero di grazia e giustizia. Relativamente all'atto di nomina dei cinque senatori l'A. osserva che la controfi,rma non postula necessariamente la proposta del controfi,rmante, dato che �nomina controfi,rmata non � sempre equivalente a nomina proposta �. � Vero � -aggiunge -che l'art. 89 parla in genere di proposta ministeriale, ma pu� ben darsi che con ci� esso accenni a id quod plerumque accidit, e si riferisca a quei numerosi atti che sono compresi nell'elenco degli articoli immediatamente anteriori, mentre per altri casi la stessa regola non imperi, purch� vi siano buone ragioni per recarvi qualche eccezione. Queste ragioni di eccezioni non mancano certamente per' le nomine presidenziali dei cinque senatori vitalizi e dei cinque giudici della Corte costituzionale, per le quali la Costitu-. zione sembra indicare chiaramente che si tratta di una iniziativa del Presidente: anzi per la nomina dei cinque senatori si vede che questa � mera facolt�, non obbligo, del Presidente stesso>>. Anche quest'opinione dell'illustre A. non ci sembra accettabile poich� conduce necessariamente alla possibilit� di nominare un governo di lotta, che gi� abbiamo criticato. Difatti, dal principio secondo il quale il Capo dello Stato nell'esercizio del potere in esame agisce di sua iniziativa e la controfi.rma dei relativi atti da parte del Ministro responsabile non equivale a proposta, discende che, qualora il Ministro non intenda firmare una nomina che non condivide, il Presidente della Repubblica, per attuare il suo proposito, potrebbe ricorrere ad un gabinetto di lotta, agire cio� in una ma.niera �he. come si � detto, non � consentita nel nostro ordinamento costituzionale. Bisogna, pertanto, concludere che nel nostro sistema costituzionale l'iniziativa del Capo dello Stato pu� assumere solo rilevanza politica, provocando cio� l'assentimento dei ministri responsabili in merito agli atti che egli intende adottare (iniziativa questa che indubbiamente pu� essere fruttuosa quando sia esercitata da persona di largo prestigio personale), mentre dal punto di vista giuridico l'azione di quell'organo costituzionale non pu� che manifestarsi in relazione alle proposte o comunque con l'assentimento del Governo, che ne assume la responsabilit�. (C. C.) GINO VITTA : Competenza giudiziaria su diniego di potere discrezionale in atti amministrativi. �Giur. It. �, 1951, I, 1, 519. In questa nota alla-sentenza delle Sezioni Unite 4 luglio 1949, n. 1657, l'egregio A. svolge delle interessanti osservazioni sui limiti della competenza giudiziaria in tema di sindacato su atti ammin1strativi discrezionali. Riconosciuti esatti i principi affermati dalla sentenza -secondo i quali� il cittadino resta titolare di un diritto subbiettivo anche di fronte aill' Amministrazione pub blica fi,nch� questa non abbia il potere di sopprimerlo o limitarlo, e quindi l'accertare l'esistenza di quel diritto rientra nella competenza dei Tribunali ordinari -, l'A. passa a considerare i casi nei quali il diritto subbiettivo perm�linga, malgrado qualche atto o fatto che appaia proveniente dalla Pubblica Amministrazione intenda limitarlo; e cio� i casi nei quali l'atto abbia solo la parvenza, ma non la sostanza di atto amministrativo, o meglio sia un atto radicalmente nullo o, secondo alcuni, inesistente. L'indagine venne �prima rivolta all'elemento soggettivo, e cio� all'agente che deve porre in essere l'atto, ritenendosi idoneo a produrre effetti giuridici l'atto che emani da una Autorit� amministrativa, anche se l'investitura nell'ufficio sia per qualche motivo viziata, e improduttivo di ef-. fetti l'atto che sia stato posto in essere da un privato che non abbia ottenuto l'investitura, ovvero da un funzionario che apparte�ga ad un ramo del1' Amministrazione pubblica del tutto diverso da quello che avrebbe dovuto emanare l'atto. Trattasi in questa ultima ipotesi di un caso di incompetenza assoluta che potrebbe ravvisarsi allorch� i limiti della sfera di attribuzioni dell'organo siano stati violati in modo cosi grave che il vizio sia accertabile ictu oculi, senza necessit� di indagini approfondite. Un altro caso di ine~istenza si ha quando all'atto il funzionario sia stato costretto da una violenza assoluta che impedisca la libera manifestazione volitiva. Ogni atto �, infatti, estrinsecazione di un comportamento volontario. Altri vizi possono riguardare l'oggetto o il contenuto, e si verificano quando l'uno non � determinato e l'altro sia impossibile ad eseguirsi o concerna una azione delittuosa. L'atto pu� ritenersi inesistente anche quand� non abbia la forma scritta, che sia richiesta dalla legge ad substantiam. Il vizio della causa non determina mai la inesistenza, ma solo l'annullabilit�, risolvendosi esso nel vizio di eccesso di potere, nel quale vengono compresi anche i casi in cui la causa manchi o sia addirittura illecita. Enunciati questi casi di atto amministrativo apparente, ma improduttivo di effetti giuridici, l'A. passa a risolvere la questione se e chi debba giudicarne. Secondo la sentenza annotata la competenza spetta al giudice ordinario, perch� non solo manca l'esercizio di un potere discrezionale, ma assolutamente l'esercizio di una qualsiasi pubblica funzione idonea a limitare il diritto individuale. Questa conclusione che potrebbe apparire indiscutibile, � stata invece contrastata dalla stessa giurisprudenza, perch�, portata la questione innanzi al Consiglio di Stato, questo talvolta ha ritenuto la impugnabilit� dell'atto, soggiungendo che la impugnazione non fosse soggetta aWordinario termine di decadenza, talvolta ha ritenuto inammissibile il ricorso, mentre la dottrina, con diversa giustifi,cazione, non ha mai negato la competenza del giudice ordinario. Il Redenti, per es., ha espresso l'avviso che nei casi di inesistenza dell'atto il giudice amministrativo 11011 ha il po rn= u 00 &. 3;;; rn= u 00 &. 3;;; -160 tere di decidere. Il potere di annullamento per illegittimit� spettante al Consiglio di Stato ha, infatti -secondo il Redenti -carattere costitutivo in quanto annulla un atto fi,no ad allora produttivo di effetti, e non pu� comprendere anche il diverso potere di mero accertamento della inesistenza o nullit� assoluta dell'atto, perch� codesto accertamento ha carattere dichiarativo. A questa conclusione aderisce il Vitta, sebbene con diverso ragionamento. La giurisdizione amministrativa, secondo il V., ha competenza solo su atti amministrativi, mentre ne� casi sovraccennati non siamo in presenza di atti della Pubblica Amministrazione, ma solo di� atti apparentemente amministrativi. Orbene, se non vi � un atto della Pubblica Amministrazione, il diritto del cittadino resta tale, non si affievolisce a interesse legittimo, e su di esso ferma rimane la competenza del giudice ordinario. A questi casi di inesistenza il V. aggiunge gli altri nei quali manca una pronuncia di giudizio di volont�, e si ha solo un fatto materiale dell'Ammi~ nistrazione Pubblica, non appoggiato ad alcun titolo. I tribunali ordinari dovrebbero dichiarare come illeciti codesti fatti materiali e limitarsi ad aggiudicare i danni, tranne quando l'Amministrazione regolarizzi, con effetto ex nunc, la suaposizione emanando una formale pronuncia. Il titolo pu� mancare anche se esso viene riferito all'oggetto, attribuendo talvolta la legge il potere di prendere certi provvedimenti solo su alcuni oggetti e non su altri, come, per es., l'espropriazione pu� esgere limitata solo ad alcuni beni enumerati in apposito elenc�; onde la espropriazione adottata su beni diversi non costituisce titolo legittimo per sorreggere la pretesa dell'Amministrazione Pubblica. Dopo questi rilievi che riguardano la limitazione del diritto di propriet�, I'A. ricorda gli altri limiti che possono essere imposti ad altri diriW dei cittadini, �ome per es., l'incolumit�, la libert� personale, la inviolabilit� di domicilio. Pure essendo possibile che in qualche caso tali diritti vengano in contrasto col pubblico interesse, il cittadino � sempre garentito dal fatto che il potere di limitarli � riservato esclusivamente all'a.g.o., essendo ammesso solo in ipotesi eccezionali l'intervento del funzionario amministrativo che resta per� sotto il controllo del giudice ordinario. Identico ragionamento vale anche per il sequestro di stampati non periodici che pu� avvenire solo con atto motivato dell'a.g.o., mentre per quelli periodici � consentito in alcune evenienze il sequestro da parte di ufficiali di polizia giudiziaria con l'obbligo di denuncia entro le 24 ore al giudice ordinario. Venunciazione ora svolta dei casi di inesistenza dt;Jll'atto amministrativo, anche se pu� apparire praticamente esatta, non offre tuttavia la possibilit� di affermare un principio generale che valga ad individuare i limiti di esistenza dell'atto amministrativo, al di l� dei quali possa riconoscersi la con:ipetenza del giudice ordinario. Non sembra, infatti, ��_a potersi accettare la tesi del Vitta secondo la qua,le l'atto deve ritenersi inesistente q�~~ndo sia affetto da un vizio macroscopico che si rilevi ictu oculi, senza necessit� di indagini a11-� profondite. N� sembra che il criterio per la individuazione di quei limiti possa essere diverso a seconda che l'atto sia discrezionale o vincolato, pur non potendosi discono~cere che . nell'ipotesi della discrezionalit� l'indagine � pi� delicata e complessa. Inoltre, in qualche caso citate dal Vitta si deve invece riconoscere che un atto amministrativo possa esistere. Si pu� ricordare l'esempio dell'atto che un privato, sprovvisto di legittima investitura., compie nella esplicazione, di una funzione amministrativa. In tal caso il cittadino pu� essere qualificato all'esercizio dell'attivit� pubblica (anche se non sia stato legittimamente investito) dalla necessit� di svolgere una attivit� che rivesta carattere essenziale ed indifferibile. Il fenomeno della funzione di fatto, invero, ricorre sia quando l'investitura nell'ufficio sia per qualche motivo viziata, sia quando essa non esiste affatto e sorga la necessit� di compiere una funzione essenziale e indifferibile che l'autorit� legittimamente investita si trova nell'impossibilit� di compiere. Ci� premesso, a nostro avviso, l'indagine va rivolta non sugli elementi dell'atto, bens� sui fattori del potere, e cio� sui fattori che sono rilevanti per esistenza del potere e su quelli che sono rilevanti per il suo esercizio. Solo se tra gli uni e gli altri una esatta discriminazione viene compiuta, possono distinguersi i casi di defi,cienza del potere ove manchi un fattore della prima categoria, dai casi di vizi nell'esercizio del potere se difetti o sia viziato un fattore della seconda categoria. Nella seconda ipotesi l'atto, nel quale la estrinsecazione del potere si risolve, pu� considerarsi come venuto in vita, perch� si presuppone gi� superato il problema dell'esistenza del potere. Infatti, secondo la pi� autorevole dottrina (vedi in particolare MrnLE, Principio di diritto amministrativo, Pisa, 1945; SANDUI.Ll: Per la delimitazione del vizio di incompetenza degli atti amministrativi, in � Rass. Dir. Pubbl. �, 1947, I), una volta accertato che nessuna potest� pubblica ricorre, con la esclusione di ogni interferenza tra quella potest� e le situazioni giuridiche subbiettive, a tali situazioni va riconosciuta la qualit� dei diritti soggettivi. Ammesso invece l'esistenza di una potest� pubblica, ne deriva insieme con la interverenza del pubblico potere sulle situazioni giuridiche soggettive, la degradazione dei diritti ad interessi legittimi, intendendosi per tali sia quelli indirettamente o occasionalmente protetti dalle norme rivolte invece a disciplinarn l'esercizio del pubblico potere, sia i; diritti che vengono ad affievolirsi a seguito dell'esercizio di un potere discrezionale. Occorre ora considerare da quali fattori dipenda la esistenza del potere e quali invece ineriscano al suo esercizio. In conformit� alla dottrina che si � particolarmente dedicata a tale i~dagine (Sandulli), sono fattori della prima categoria, i termini. del potere, quello attivo (soggetto) e quello passsivo (oggetto), e gli elementi che concernino l'aspetto sostanziale del potere (contenuto e causa). Se quindi la fattispecie concreta non coincida con quella normativa perch� manC'a uno solo dei cen ml : Q E ilrnfil J&SrnfilQ& ml : Q E ilrnfil J&SrnfilQ& -161 nati fattori, pu� affermarsi che il potere, che si � inteso esercitare, non esiste, con la conseguenza c.he le situazioni giuridiche soggettive possono riconoscersi come diritti subbiettivi, nessuna interferenza essendosi consentita al pubblico potere in ordine ad essa. "'~ Ai fattori di tale categoria possono appartenere anche le circostanze che fanno parte della situazione storico ambientale in seno alla quale il potere li inquadra. Al riguardo occorre per� indagare come la circostanza viene inquadrata dalla norma nella fattispecie; se cio� essa sia un elemento dal quale dipenda la esistenza ovvero l'attribuzione del potere. � quindi un problema di interpretazione della norma, (cfr. IACCARINO: In tema di sindacato di incompetenza, � Foro It. >> 1947, III, 93). Per es.: col concorso dell'urgenza il potere viene attribuito ad un organo, mentre normalmente � attribuito ad un altro organo. Vedesi per es., l'art. 251 del Testo unico comm. e provv. del 1915. In questa ipotesi, ove venga accertato che l'urgenza non esiste, non si potr� dedurre che il potere non esiste, bensi che vi � un vizio nell'esercizio del potere stesso, e cio� che il vizio concerne la legittimazione dell'OTgano ad agire, o, meglio, la competenza dell'organo. � anche opportuno chiarire che se nella fattispecie concreta il termine attivo del potere, e cio� il soggetto, non coincida con quello previsto dalla norma, potr� aversi, a seconda dei casi, una deficienza del potere ovvero un dif�tto nella legittimazione attiva. Si ha la prima ipotesi se l'organo che ha agito appartiene ad un ordine diverso da quello di cui fa parte l'organo previsto dalla norma; si ha la seconda se l'organo che ha agito � dello stesso ordine..Il vizio � di incompetenza, quindi, presuppone gi� superato il problema dell'esistenza del potere, e riguarda invece la fase dell'esercizio, concerne cio� la legittimazione dell'organo ad agire. Appartengono ancora agli elementi rilevanti nell'esercizio del potere la forma che questo deve rivestire e l'uso col quale esso va impiegato. L'indagine sulla validit� formale pu� portare alla violazione di legge con l'annullabilit� dell'atto. Porta invece a ritenere l'atto inesistente e quindi l'esercizio del potere come non avvenuto, se non � stata adottata quella forma che la legge richiedeva ad substantiam. L'indagine sul modo dell'uso del potere importa la valutazione del fine e rientra ncl sindacato per eccesso di potere. Concludendo, il problema dei limiti del sindacato da parte del giudice ordinario su un atto amministrativo, vincolato o discrezionale, si riduce a quello della discriminazione dei fattori dal cui concorso dipenda la esistenza del potere giuridico, dai fattori i quali invece ne condizionano l'esercizio, con la conseguenza che la mancanza di nn fattore della prima categoria importa la deficienza del potere e quin.di la qualifica di diritti alle situazioni giuridiche soggettive con le quali la potest� pubblica apparentemente � venuta a contatto,. e sulle quali resta ferma la competenza del giudice ordinario; la defi.cienza di un fattore della seconda categoria importa un vizio nell'esercizio del potere nelle tre forme dell'incompetenza, violazione di legge ed eccesso di potere, e quindi la degradazione a ihteressi legittimi dei diritti subbiettivi con la competenza del giudice amministrativo. Ecco perch� l'Avvocatura dello Stato ha sempre sostenuto che la discriminazione fra giurisdizione ordinaria e amministrativa va fatta sulla base della causa petenti, ma poi ricercando obbiettivamente la volont� di legge e stabilendo se inbase ad essa possa ritenersi che il potere esiste ovvero no. E la sentenza 4 luglio 1949, 11. 1657, si presta a una qualche misura per non essere stata del tutto chiara su questo punto, sembrando che ai fini della competenza si sia voluto rimettere a quello che il privato sostiene nella sua domanda; anzich� a quella che � invece la risultanza obbiettiva di legge. Pertanto la suddetta sentenza, come l'altra successiva delle Sezioni Unite 9 febbraio 1950, n. 767 sono state esaminate gi� sotto questo profilo nella Rassegna Mensile (1950, 151), e in quella sede sono stati esposti dettagliatamente i motivi che portano su questo punto a dissentire dalle affermazioni della Corte Cuprema. (U. G.) mrnm: i; fBfMZT*:&TT mmrITllillifil[ff 7w.rulKMJLill18JU&fill:mJiillfC?FN ili tL .J i m� t!fiil:JRI . E '.EH . iLJ TE RACCOLTA DI GIURISPRUDENZA ACQUE PUBBLICHE -Tribunale delle acque -Gravame -Ricorso per violazione di legge contro la decision2 del Tribunale S�_:,eriore in sede di giustizia amministrativa, art. 111 della Costituz.:one. (Corte di Cass., Sez. Unite, Sent. n. 194.8-51 -Pres.: Ferrara, Est.: D'Apolito, P. M.: Eula -Spina contro Milone e Ministero dei lavori pubblici). In forza dell'art. 111 della Costituzione (che non pone alcuna distinzione tra le giurisdizioni di mera legittimit� e quelle chiamate a decidere su diritti subiettivi, salvo le eccezioni espresse), avverso le decisioni del Tribunale Superiore delle Acque sulle materie contemplate nell'art. 143 del T. U. sulla acque pubbliche, contro le quali era ammesso ricorso alle Sezioni Unite della Corte di Cassazione soltanto per incompetenza o eccesso di potere (art. 201 del citato T. U.) � ora ammesso ricorso alla Corte Suprema per violazione di legge. Riportiamo anzitutto il testo della motivazione della sentenza per la parte che si riferisce alla massima sopra trascritta. � Questa disposizione a dir vero, offre adito a dubbi. La Costituzione, pur adottando, in via di massima, il principio della giurisdizione unica, ha posto alcune eccezioni (art. 103) mantenendo tre giurisdizioni speciali, e cio�, oltre i tribunali militari e la Corte dei Conti, " il Consiglio di Stato e gli altri organi di giurisdizione amministrativa,, per la tutela nei confronti della Pubblica Amministrazione degli interessi legittimi (e, in particolari materie, anche dei d,iritti soggettivi). Ora tra le '' giurisdizioni speciali , , , cos� genericamente indicate nel secondo comma dell'art. 111, non possono comprendere n� il Tribunale militare, n� la Corte dei Conti, n� il Consiglio di Stato, per i quali lo stesso articolo specificamente dispone, e nemmeno gli altri organi di giustizia amministrativa accennati nell'art. 113, i quali, come fu chiarito in sede parlamentare dal Presidente della Commissione, non sono altri che gli organi locali o periferici (articoli 125-130); che, come anche fu ivi detto, "confluiscono al vertice del Consiglio di Stato , , e come tali, costituendo, in genere, rispetto a questo, il giudice di primo grado, non sono soggetti direttamente al controllo di legalit�, della Corte di Cassazione. <<La tesi, accennata nal controricorso, che la Costituzione si riferisca solo alle giurisdizioni speciali che abbiano, in determinati campi, la tutela dei diritti soggettivi, e siano, perci�, escluse dalla soggezione alla norma le decisioni di qualsiasi organo avente mera gi-urisdizione di legittimit�, introduce nel testo una distinzione che s�mbra �arbitraria. La legge non appresta alcun elemento, riferibile alla materia controversa, per sorreggere questa interpretazione. Anzi la vol.ta limitazione, di cui non � traccia nei lavori prepa;ratori, � resistita dal tenore della norma, che contro tutte le sentenze, senza distinzione sul loro oggetto e sulla specie dell'organo da cui promanino, ammette '' sempre , , il ricorso in cassazione per violazione di legge, ed � resistita dal pales(J intento del legislatore costituente di reagire all'indirizzo, negli ultimi anni assai diffuso, di impedire un pi� penetrante controllo giurisdizionale, . con escludere in molti casi, generalmente in controversie di diritto amministrativo, l'impugnativa per violazione di legge. N � pu� infine ritenersi che la limitazione sorga dalla natura stessa del giudizio di legittimit�, in quanto il sindacato della Corte Supr�ma per violazione di legge si tradurrebbe in un riesame, in secondo grado, della legittimit� dell'atto amministrativo, perch� non sull'esistenza o meno del denunziato vizio dell'atto, in relazione alle circostanze di fatto, dovrebbe giudicare la Corte di Cassazione, ma sui principi di diritto che hanno servito di guida al giudice speciale sull'esistenza o meno di un suo fraintendimento o falsa applicazione di una norma astratta di legge, nel suo concreto giudizio, sulla legittimit� dell'atto. Si pu� piuttosto osservare che la menzione, nell'art. 111, degli organi di giurisdizione speciale -la quale aveva ragion d'essere quando, secondo il progetto, era ammessa la possibilit� di loro istituzione sia pure con legge da approvarsi con maggioranza qualificata -ha ormai valore di semplice direttiva generale e spiega, in realt�, efficacia meramente contingente, dopo che � stato sancito il divieto di altre giurisdizioni speciali, oltre le tre suaccennate, e disposta la revisione di quelle esistenti, ma intanto, in riguardo a queste ultime, pone un principio precettivo che basta� nella fattispecie, per la decisione del punto in esame. �Se, sotto l'accennato rifiesso, non appare possibile sottrarre fo decisioni del Tribunale Superiore all'applicabilit� del principio generale stabilito nell'art. 111, nemmeno si pu� pervenire a quella conseguenza per altra via, facendo capo cio� al terzo capoverso della disposizione ed assimilando le decisioni del Tribunale Superiore in unico graao �a quelle del Consiglio di Stato. �Non � contestabile che per l'origine storica, per la natiira delle attribuzioni, per i poteri conferiti il Tribunale Superiore in sede di congnizione diretta 163 debba considerarsi sostituito, nella materia propria, al Consiglio di Stato, di cui ha assorbito le funzioni, esercitando come quest'ultimo, una giurisdizione di leggittimit�, con carattere generale, su tutti i provvedimenti dell'autorit� amministrativa in materia di acque pubbliche che ledano l'interesse del privato, nonch�, nei casi deter~inati dalla legge, una giurisdizione di merito. Ma ci�, come non importa assimilazione tra i due organi che hanno nell'ordinamento giuridico posizione autonoma, cos� non pu� nemmeno autorizzare una estensione analogica della citata disposizione della Carta costituzionale. Anzitutto, il procedimento per analogia, utile per la regolamentazione di rapporti giuridici sfuggiti alla specifica considerazione del legislatore, non pu� essere ammesso in materia di istituzione e organizzazione delle giurisdizioni, le quali non possono ripetere il loro potere, con le inerenti determinazioni circa il suo contenuto e il limite, che da esplicita disposizion12 di legge,� principio che � ancor pi� rigorosamente da aff efmare nei confronti di una norma costituzionale insuscettibile di subire modificazioni, nonch� attraverso un'interpretazione logica, nemmeno mediante una legge ordinaria. Mancherebbe, del resto, per la generica estensione di cui � parola, un criterio sicuro di guida, desumibile dalla materia controversa, laddove dai lavori parlamentari risulta chiaramente che la deroga al principio della impugnabilit� per violazione di legge tu� circoscritta nominativ�mente al Consiglio di Stato ed alla Corte dei Conti. L'on. Leoni faceva rilevare che rispetto a questi due organi non si poteva stabilire la impugnabilit� in cassazione per violazione di legge, ma doveva mantenersi il principio vigente della impugnabilit� per difetto di giurisdizione e di competenza '' perch� la stessa ragion d'essere di queste giurisdizioni, lo stesso motivo che ci ha indotti a defiettere dal principio dell'unit� della giurisdizione dal quale siano mossi, a mantenere queste giurisdizioni, deve valere per limitare il ricorso in Cassazione ai soli casi di difetto di giurisdizione ,, . E concludeva che affidandosi i giudici di legittimit� alla Corte di Cassazione, restavano " come unica eccezione quei soli organi speciali, come la Corte di Conti e il Consiglio di Stato ,, per i quali esistevano ragioni per '' discostarsi dal criterio generale di condurre nell'alveo della Cassazione i ricorsi avverso i giudici speciali, anche per violazione di legge''. Questa sentenza della Corte Suprema, che ha trovato una successiva conferma nella sentenza numero 2518 del 1951 delle stesse Sezioni Unite, in causa Imperi contro S.R.E., � di gra-nde importanza, non tanto per aver deciso la questione relativa alla impugnabilit� delle sentenze del Tribunale Superiore delle Acque pubbliche, quanto per aver precisato la portata della norma dell'art. 111 della Costituzione in funzione del concetto di violazione di legge. Non crediamo, tuttavia, che il grave problema possa considerarsi definitivarnente risolto con la sentenza in esame, in quanto gli argomenti addotti dalla Corte Suprema per ammettere il ricorso per cassazione contro le sentenze degli organi di giurisdizione speciale anche per i capi che decidono questioni di interesse legittimo e non di diritto soggettivo, non possono considerarsi decisivi. Ed invero potrebbe pensarsi ch,e la <Jorte Suprmna non eserciti la stessa funzione,� e non si valga di un identico potere, sia quando sindaca, sotto il profilo della violazione di legge, le sentenze degli organi di giurisdizione ordinaria e degli organi di giurisdizione speciale, sia quando le sindaca sotto il profi.lo del difetto di giurisdizione. � In altri termini, potrebbe dirsi che la Corte Suprema, nell'esercizio dei poteri previsti dall'art. 111 della Costituzione, si presenta come l'organo supremo della giurisdizione ordinaria nel primo caso, e come il massimo organo regolatore della �giurisdizione, nel secondo caso, al di sopra cio� di tutte le giurisdizioni. Ci� significa che, la Corte Suprema, quando giudica sul vizio di violazione di legge, � soggetta a quei Umiti di giurisdizione ai quali sono soggetti tutti gli altri organi della giurisdizione ordinaria, tra i quali Umi ti c'� quello fondamentale che scaturisce dal nostro ordinamento giuridico in materia di ripartizione della giurisdizione, secondo il quale gli� organi di giurisdizione ordinaria sono competenti solo in materia di diritti soggettivi. Seguendo l'opinione contraria d'altra parte potrebbe sorgere il dubbio che l'art. 111 della Costituzione abbia attribuito alla Corte di Cassazione il potere di conoscere anche di quelle controversie che attengono all'uso del potere discrezionale da parte della Pubblica Amministrazione (nel che si concreta, vista dall'altro lato, la competenza in materia di interessi legittimi), con la conseguenza che, non potendosi attribuire alla espressione '' violazione di legge '', contenuta nel citato art. 111, la stessa portata limitata che quella espressione ha nell'art. 26 del T. U. delle leggi sul Consiglio di Stato si dovrebbe finire con l'ammettere la possibilit� per la Corte Suprema di accertare anche l'eventuale esistenza di un vizio di eccesso di potere che, in senso lato, costituisce anche esso una violazione di legge. Come si vede, le conseguenze sono troppo gravi perch� la questione non meriti di essere riesaminata a fondo; n� pu� ritenersi che essa sia pregiudicata dalle affermazioni ormai costanti della giurisprudenza deila stessa Corte Suprema in tema di impugnazione ea; art. 111 della Costituzione delle decisioni della Commissione centrale delle imposte in materia di profitti di regime, (si veda per tutte in cc Foro Amm. >>, 1951, II, 1, 122) nelle quali si � costantemente esclusa l'applicazione del principio del sol ve et repete, con l'argomento che questo varrebbe solo nelle controversie d'imposte davanti l'Autorit� giudiziaria ordinaria. Invero, il dubbio che da una tale aff ermazione pu� sorgere, e cio� che �con essa la Corte Suprema abbia inteso affermare il principio che il potere da essa esercitato ex art. 111 attenga ad un suo carattere di organo 'supergiurisdizionale e non al suo carattere di mass�mo organo della giurisdizione ordinaria, sembra cadere di fronte alla considerazione che, per il suo evidente carattere eccezionale, il principio del solve et repete viene dalla giurisprudenza sempre pi� ristretto nella sua 'applicazione, escludendolo in tittti i casi di azione giudifdaria che, sotto qualche aspetto, siano diversi dalla procedura ordinaria (si veda in proposito in questa Rassegna, 1949, pag. 87 e segg.). (A.S.) -164 DEMANIO -Immobile espropriato per p. u., rientra nel patrimonio indisponibile -Patrimonio indisponibile, pu� essere oggetto di rapporti di diritto privato -Immobile espropriato per p. u., Continuazione di precedente locazione -Ammissibilit�. (Corte di Cass., Sez. III, ffant. n. 1741-951 -Presidente: Acampora, Est.: Ricc;, P. M.: Caruso ( conf.) Comune di Roma-Renzi). II carattere di demanialit� di un immobile deriva esclusivamente dal diritto positivo, il quale non consente di attribuire la qualit� demaniale ad un immobile solo per essere stata effettuata l'espropriazione da parte ed a favore di un Ente pubblico (nella specie Comune); tuttavia l'espropriazione, creando un rapporto. essenzialmente di Diritto pubblico, importa che l'immobile stesso entri a far parte del patrimonio indisponibile dell'Ente che ad essa ha proceduto. I beni appartenenti al patrimonio indisponibile dello Stato e degli Enti pubblici minori possono formare oggetto di private contrattazioni (e quindi di locazione), sempre che tali rapporti non contraddicano alla loro destinazione. Qualora il Comune, avendo proceduto alla espropriazione di un edif�.cio, al fine di attuazione di un piano regolatore, abbia soprassedendo alla demolizione, continuato a riconoscere la locazione stipulata dal conduttore con il proprietario espropriato, non pu� ritenersi che, per effetto della espropriazione, il rapporto di locazione sia trasformato in una concessione-contratto di bene demaniale, sottratta ai vincoli imposti dalle leggi in vigore in ordine alla misura del canone degli immobili urbani. Il passaggio, per effetto della espropriazione, dell'immobile nel patrimonio indisponibile del Comune, non altera la natura del precedente rapporto privato di locazi~ne-conduzione. Pertanto a tale rapporto sono applicabili gli aumenti previsti dalle vigenti leggi vincolistiche; e in caso di controversia tra Comune e conduttore circa la misura dovuta dell'ammontare, la domanda per fare risolvere la controversia relativa � proponibile da parte del conduttore, oltre che dal Comune, dinanzi alla Commissione arbitrale per l'equo f�.tto. La Cassazione ha avuto altre volte occassione di avvertire che, fra l'insorgere della demanialit� e l'atto espropriativo, il bene espropriato si trova in uno status di transizione, durante il quale esso � suscettibile di limitati usi da parte del privato. � Si �, infatti, in presenza dello stadio � formativo >> della demanialit� 7a quale, a tenore dei principi, non si attua con il semplice passaggio della propriet� del bene nell'Amministrazione espropriante, ma attraverso la destinazione successiva dello stesso al fine specifico di pubblica utilit� perseguito. V'�, pertanto, una fase di assestamento, determinata dalla necessit� di porre i debiti elementi di coesistenza fra la propriet�, destinata a far parte del p1tbblico demanio, e la parte residua, rimasta all' esvropriato, . . . Ove occorra, la Pubblica A mministrazione pu� perfino disporre della cosa demaniale, cambiandone la destinazione e stabilire su di essa diritti dei privati, purch� a ci� addivenga non con le forme e, quindi, con gli effetti del diritto civile, ma con le forme e l'efficacia che sono proprie del diritto amministrativo>>. (Cass. 5 agosto 1949, Giur. Compl. Cass. Civ. 1949, III, 1164 con nota). L'attuale sentenza meglio chiarisce il pensiero della Corte Suprema, attribuendo al bene, nella fase di transizione, il carattere specifico di �patrimonio indisponibile �: carattere dal quale seaturiscono effetti ben determinati, rispondendo esso ad una figura ben nota nel campo del. Diritto pubblico. � Le due sentenze sembrano, quindi, reciprocamente integrarsi, ribadendo il principio che la demanialit� sorge non per il solo momento soggetti,vo (manifesta. zione di volont� dell'ente), ma per la combinazione di questo con l'elemento oggettivo (atti concreti di destinazione ad una funzione pubblica). Principio, del resto, che � dominante in dottrina (cfr. i richiami in nota alla sentenza 5 agosto 1949 sopra citata), e che ha trovato il consenso della Suprema Corte. Questa ha, infatti, costantemente escluso che una destinazione di fatto sia sufficiente a determinare la demanialit� (Cass. 26 febbraio 1943, Foro Amm. 1944, II, 43; Carugno, Espropr. per p. u., ed. 1950, p. 366. Contra Papaldo, �Le cose demaniali come oggetto di appartenenza necessaria>> in Riv. dei beni pubblici, 1939, I, 180 e 566). Con l'attuale sentenza viene ribadito il principio parallelo dell'insufficienza del solo elemento soggettivo. Esclusa la demanialit�, restava da accertare la disciplina giuridica del bene prima della combinazione dei due elementi, Questi, infatti, non s�mpre si presentano contemporaneamente. E' anzi normale che l'effettiva utilizzazione del bene segua gli atti espropriativi ad una certa distanza di tempo. E non � raro il caso inverso, cio� che l'esecuzione dell'opera pubblica preceda l'espropriazione, la quale viene cos� a normalizzare un fatto compiuto: fenomeno in cui si estrinseca un esercizio pienamente legittitno del potere espropriativo (cfr. Cass. 26 febbraio 1943 sopra cit. ). Proprio rispetto a questa ipotesi, la Cassazione aveva anzi rilevato (sent. 18 aprile 1941, Rep. Giur. It., 1941, 224, n. 56) che durante il periodo precedente nell'emanazione del decreto di esproprio i beni del privato, gi� di fatto utilizati, dovevano ritenersi in sostanza vincolati. � La gi� avvenuta concreta destinazione del bene privato allo scopo di' pubblica utilit�, l'occupazione o la trasformazione di esso in via di urgenza con la esecuzione di opere stabili, importano per il proprietario espropriando la definitiva perdita del possesso e della disponibilit�, e l'impossibilit� di farne un uso diverso da quello della gi� concretatasi sua destinazione all'opera di utilit� pubblica n. Se la Cassazione avesse osato allora affermare in modo esplicito che la gi� avvenuta destinazione inquadrava aitto�maticamente il bene nel patrimonio indisponibile dell'Ente espropriante, potremmo giun gere a questa conclusione di portata generale � Il verificarsi di uno qualsiasi dei due momenti costi tutivi della demanialit� (soggettivo od obbiettivo) � s1tfficiente per attribuire al bene il carattere dell'in disponibilit� n. Ora, questo carattere sembra inconciliabile con l'insorgere di rapporti obbligatori di diritto privato, aventi per oggetto l'utilizzazione del bene. Possono costituirsi rapporti di contenuto analogo, ma essi rimangono disciplinati da norme di Diritto pubblico, poich� sono soltanto queste norme, ormai, che diret -165 tamente riguardano il bene indisponibile (828 C. C.). Questo pu� essere goduto dal privato cos� come ne godrebbe un conduttore, ma ci� non significa ancora che sia in, atto un rapporto di locazione, giacch� stilla natura di tale rapporto infiuisce in modo determinante la natura del bene. � Poich� questo � compreso nel patrimonio indisponibile dello Stato, essendo destinato, sia pure indirettamente, ad un pubblico servizio, � logico che una situazione giuridica a favore del privato in tanto possa "Sorgere in quanto l'Autorit� amministrativa abbia pre'l'iamente accertato la convenienza di far coesistere all'uso pubblico un uso privato della cosa; il che porta senza altro nel campo del Diritto pubblico ed alla figura della concessione>>. (Cons. Stato 31 marzo 1950, Foro Amm., 1950, I, 1,293; Rassegna Avv. 1950, 107; Cons. Stato 19 aprile 1950, Giur. compl. Cass. Civ., 1950, III, 760 con nota). Nello stesso senso, e, cio�, per l'esclusione di rapporti di diritto privato su beni indisponibili, si era espressa anche la Corte Suprema in altra vertenza, stabilendo l'esatto principio che <<i beni indisponibili e come tali inalienabili e genericamente fuori commercio, sia direttamente che indirettamente assolvono ad un servizio pubblico e possono anche produrre 1in reddito in relazione non al criterio di normale economia, ma per l'utilit� che ne ridonda al pubblico servizio. Questi beni, per tal titolo, possono essere oggetto di concessione amministrativa, la quale ha per carattere causale il pubblico 'interesse che � decisivo per la qualificazione giuridica del negozio>> (Cass. 30 novembre 1949, Riv. Amm., 1950, 326; Giur. Compl. Cass. Civ., 1949, III, 929 con nota). E pi� oltre la stessa sentenza metteva in evidenza le caratteristiche del rapporto, cc fra le quali domina il pubblico interesse che afferisce alla indisponib~lit� del bene �, ricollegando quindi alla natura stessa del bene l'elemento determinante per la qualificazione del negozio. Conclusione esattissima, gi� chiaramente affermata dalla dottrina (ZANOBINI, Corso, vol. IV, p. 151) che parifica il bene indisponibile al bene demaniale per tutto ci� che riguarda la sua utilizzazione, infiuenzata in modo decisivo dalla destinazione al pubblico servizio. La sentenza annotata � di diverso avviso. La Cas8azione si � trovata di fronte ad una utilizzazione da parte del privato apparentemente immutata, nella quale, per�, si era verificato, per effetto dell'espropriazione, un mutamento nella natura giuridica del bene utilizzato: e, nonostante siffatto mutamento, ha ritenuto che il carattere originario (privatistico) rimanesse inalterato. Non sembra che si possa consentire in questa affermazione. Il raporto originario di locazione viene senz'altro troncato dall'espropriazione, che risolve de jure ogni diritto personale avente per oggetto il bene espropriato, ivi compreso il diritto del conduttore (CARUGNO, Espropriazione per p. u., ed. 1950, 147; SABBATLL';I, Espr. per p. u., vol. II. 199). Perfino i diritti reali vengono automaticamente risolti, apvunto per la trasformazione della natura del bene, che reagisce immediatamente siti rapporti che lo riguardano. (art. 52 legge 25 giugno 1865, n. 2359). In altri termini, il passaggio dellli condizione privatistica a quella pubblicistica muta tutta la disciplina legislativa del bene, con la conseguente impossibilit� di applicare ancora le norme prfoatistiche. Non dit'ersamente accade nel caso di un bene demaniale che venga trasferito ad uno .Stato straniero: con il cambiamento delle norme che lo regolano, cio� del suo status giuridico, vengono meno tutte quelle forme di utilizzazione che derivano dalla sua condizione precedente, non escluse le concessioni (Cons. Stato 2 luglio 1948, Giur. Compl. Cass. Oiv. 1948, III, 1024). Neppure il principio generale dell'art. 22 delle disposizioni della legge in generale pot� evitare, in questo caso singolare, la soverchiante e decisiva infiuenza del cambiamento della condizione giuridica del bene. � probabile che la Corte Suprema, nell'attuale vertenza, sia rimasta dominata dalla considerazione che, di fatto, l'Ente espropriante continii� a tollerare il godimento dell'immobile da parte dell'antico conduttore. Ma questa permanenza di una utilizzazione di fatto non ha alcuna rilevanza rispetto alla configurazione giuridica del rapporto. Perfino nel caso della ricondizione tacita di diritto privato la giurisprudenza nega costantemente la permanenza del vecchio contratto, ravvisando nella riconduzione la stipulazione di un nuovo negozio, sia pure con le stesse clausole del precedente: il che ribadisce l'impossibilit� di fondare una continuit� del contratto su una semplice continitit� della situazione di fatto, permessa o tollerata dal proprietario della cosa. Altrettanto irrilevante � la permanenza della situazione di fatto, allorquando muta la nat�ura giuridica del bene. Anche in questo caso il silenzio o la talle� ranza possono eventualmente provocare la costituzione di un nuovo rapporto, non l'eternarsi del vecchio: ed il nuovo rapporto non pu� prescindere dalla mutata natura del bene, alla quale deve per forza di cose adattarsi, assumendo la veste ed i contorni di una vera e propria concessione. N � sembra che l'essere il bene nella fase dt: transizione possa legittimare una diversa conclusione, giacch� anche al primo� gradino (indisponibilit�) il bene � svincolato dalle norme privatistiche, pur non avendo. ancora varcato la soglia della demanialit�. Nessuno contesta che l'indisponibilit� possa permettere determinati usi da parte del privato non incompatibili con la sua destinazione. La Cassazione ebbe anzi a decidere, con alquanta larghezza di criteri, che il proprierario espropriato, il quale continua nel possesso dell'immobile, in attesa dell'effettiva occupazione � possessore di buona fede, e quindi continua a far suoi i frutti (Cass. 1 luglio 1940, Foro it., 1940, I, 921). Analogamente, si pu� riconoscere che il condiittore, rimasto nel godimento dell'immobile dopo l'e8proprio, non possa considerarsi occupante abusivo: ma la legittimit� della sua permanenza nell'immobile potrebbe essere fondata solo su un rapporto di concessione (ammesso che �ne ricorrano gli estr�ni), e non mai su un contratto di locazione di diritto privato, incompatibile con la natura del b01w. (A.C.) -lGG ESPROPRIAZIONE PER PUBBLICA UTILIT� -In� dennit� -Concorc!ata -Valore del bene -Vincola� tivit� del negozio -Protrarsi del procedimento di espropriazione -Colpa e dolo dell'AmministrazioneDanni -Svalutazione monetaria. (Corte di Cassazione, SJz. II, Sent. n. 1994-951 -Pres.: Russo, Est.: Flore, P. M.: Rossi -Guadalupi contro Ministero Difesa). dano fattori anormali, quali l'illegittimit� del comportamento dell'amministrazione o dell'espropriante o la colpa o il dolo dell'una (o dei suoi organi) ovvero dell'altro, non per questo l'accordo perder� efficacia; ne conseguir� invece l'obbligazione a risarcire il danno, con l'eliminazione conseguente dell'eventuale effetto della svalutazione monetaria. Nell'ipotesi di indennit� concordata l'espropriato, trattandosi di diritti patrimoniali e quindi disponibili, per quanto riflette il riferimento� del valore del bene ad un momento qualsiasi, anteriore, contemporaneo o posteriore all'accordo, � libero � di determinarsi come meglio creda; di talch� se egli non ha creduto di cautelarsi nei modi consentitigli dalla legge, il negozio, di per s�, lo vincola, qualunque sia il tempo decorso tra l'accordo ed il perfezionamento del procedimento di espropriazione. Oh� se sul protrarsi di questo abbiano inciso fattori anormali, quali l'illegittimit� del comportamento dell'amministrazione o dello espropriante o la colpa o il dolo dell'una o dei suoi organi ovvero dello altro, non per questo l'accordo perder� efficacia; ne conseguir� invece l'obbligazione conseguente dell'eventuale effetto della svalutazione monetaria. Con questa sentenza, prege'vole per la sobriet� e la chiarezza, la Corte Suprema dopo avere ancora" una volta con/ ermato il principio che il debito derivante da espropriazione per p. u. o comunque da responsabilit� per atti legittimi � un debito di valuta, ha fissato concetti precisi e definitivi sulla natura giuridica e sulle conseguenze dei cosiddetti accordi amichevoli in materia di indennit� di espropriazione, accogliendo integralmente la � tesi dell'Avvocatura dello Stato. Riportiamo qui di seguito la motivazione: � Oppongono i ricorrenti che l'indennit�, secondo il sistema, deve essere liquidata con riferimento al tempo del trasferimento del bene. L'assunto, che appare fondato, se riguarda la liquidazione amministrativa o giudiziale in seguito al rifiuto da parte dell'espropriando, dell'indennit� offerta, non ha pregio, se riferito all'indennit� concordata. Qui entra in giuoco il potere di disposizione della parte che, trattandosi di diritti patrimoniali e quindi disponibili, � libero e pu� esercitarsi come si crede, con riferimento, pertanto, al valore del bene considerato in un .momento qualsiasi anteriore o contemporaneo o posteriore all'accordo. La legge stessa, poi, d� al soggetto passivo del procedimento di espropriazione i mezzi per rendere piu aderente al proprio interesse la valutazione fra danno e in� dennit�, allorch� (art. 25 ultimo comma) gli consente di subordinare l'accettazione dell'indennit� offerta <tagli effetti delle sue osservazioni>> cio� all'avveramento di vere e proprie condizioni. <t Ne � escluso che la parte possa subordinare la efficacia vincolante del suo assenso alla condizione che atti del procedimento, come l'approvazione dell'accordo e il deposito, seguano in un tempo determinato. Di talch�, se l'espropriato non ha creditto di cautelarsi nei modi consentiti, il negozio di per s�, lo vincola, qualunque sia il tempo decorso tra l'accordo ed il perfezionamento dei procedimenti di nspropriazione. Che se sul protrarsi di questo inci <<Resta il terzo mezzo; l'amministrazione, pagando un'indennit� vile, si sarebbe arricchita dell'incremento cli valore del bene, lucrando sul danno sofferto dal Gua dalupi, al quale corrispose meno del valore ottenuto. Questo motivo non � piu fondata dei precedenti. Disse la Corte che, anche se l'azione fosse stata ammissibile per avere l'amministrazione, portando a termine il procedimento, riconosciuto l' in rem versum, non era superabile l'obiezione risultante da ci�, che mancava il presupposto dell'inesistenza di un titolo a conseguire il vantaggio; il titolo c'era ed era costituito dall'accqrdo relativo all'indennit�. Questa affermazione. � esatta e corrisponde agli insegnamenti della Corte Suprema (sentenze n. 17 del 195/5, 2103 del 1949) >>. � OBBLIGAZIONI E CONTRATTI -Contratti con la Pubblica Amministrazione -Obbligo d'assegnazione della materia prima contingentata-Inadempimento Causa estranea -Fatto del debitore. Corte di Cas sazione, Sez. Unite, Sent. n. 1912-951 -Pres. : Pelle grini, Est.: Di Liberti, P. M.: P!lofundi -Ministero Difesa-Esercito contro Ditta Brigida). Se non sono previste speciali clausole contrattuali, lo Stato, esplicando una funzione amministrativa, non pu� di regola far venir meno di diritti che, coi contratti conclusi coi privati, esso ha fatto sorgere a favore di questi. Pertanto se nel contratto di fornitura l'Amministrazione si sia impegnata ad assegnare il ferro contingentato necessario alla esecuzione della fornitura, il diritto a detta prestazione non pu� essere annullato, affievolito o degredato alla categoria di interessi per il solo fatto che l'attivit� da svolgere per adempiere il vincolo aveva� carattere amministrativo e natura discrezionale. .Anche nel sistema del codice civile abrogato l'estraneit� della causa atta a scusare l'inadempimento dell'obbligazione (art. 125 c. c.) poteva rinvenirsi nel fatto del debitore, se la volont� di questi, nel non eseguire la prestazione, era stata determinata da motivi che si erano presentati come una necessitas altrettanto cogente come quello proveniente da un fatto materiale ed estraneo alla persona del debitore. La specie di fatto sottoposta all'esame della Cassazione era la seguente: Tra il Ministero della guerra e la Ditta Brigida era stato concluso nel maggio 1940 un contratto per la fornitura di letti, comodini e sgabelli per ospedali militari. La Ditta aveva l'obbligo di consegnare il materiale � entro tre mesi dalla data in .cui la ditta stessa avrebbe ricevuto tutta la materia prima --da , assegnarsi al ~Ministero della guerra>>. Il Ministero non aveva potuto procedere all'assegnazione di materia prima e in data 25 novembre z942, permanendo l'impossibilit� di tale assegnazione, decideva di ~ 5 5 &JTII lill[[ :::::: i: ~,,. ::::% -167 rescindere il contratto mediante il pagamento d'un � indennizzo. La Ditta non era soddisfatta dell'indennizzo proposto, e, assumendo di aver dovuto . affrontare forti spese per mettersi in grado di effettuare la fornitura, chiedM1a che nel risarcimento dei danni dovutole fossero comprese anche queste spese. La questione da decidere era se la mancata assegnazione di materia prima da parte del Ministero della guerra dovesse considerarsi inadempimento contrattuale e quindi fosse un diritto soggettivo perfetto da parte della Ditta ad ottenere tale assegnazione, con il correlativo potere dell'autorit� giudiziaria di sindacare il modo in cui l'autorit� amministrativa aveva proceduto alle assegnazioni di materia prima disponibile. Su questo punto la Corte Suprema ha cos� moti-, vato: cc ����� baster� rilevare essere pacifico in causa che con lo stesso contratto con il quale la Ditta Brigida si obbligava alla fornitura..... verso l'amministrazione militare, si stabiliva che il ferro necessario alla � esecuzione della forni tura sarebbe stato consegnato a quella Ditta dalla stessa Amministrazione contraent�. Trattavasi, dunque, di una prestazione che �il contratto poneva chiaramente a carico dell'Amministrazione pubblica e che nel contratto trovava la sua norma e la sua garanzia, con la conseguenza di far sorgere un preciso dovere giuridico per detta Amministrazione e un perfetto diritto subiettivo per la Ditta appaltatrice per la esigibilit� di quanto, in ordine alla consegna del materiale, le veniva premesso. Tutto ci� naturalmente importava che questo diritto della Ditta appaltatrice non potesse essere . annullato o affievolito o degradato alla categoria di interesse per il solo fatto che l'attivit� da svolgersi dalla Pubblica Amministrazione per adempiere il vincolo assuntosi col contratto, avesse poi carattere amministrativo e fosse di natura discrezionale. � infatti principio noto, che se non sono previste speciali clausole contrattuali, lo Stato esplicando una funzione amministrativa, non possa, di regola, far venir meno i diritti che, coi contratti conclusi con i privati, esso ha fatto sorgere a favore di questi; soltanto con l'attivit� legislativa quando esterne necessit� di interesse pubblico lo iYmpongono, si pu� raggiungere un simile risultato. Quindi la discrezionalit� di cui, nel caso' in esame, poteva fa~ uso la Pubblica Amministrazione, rappresentata sia dal sottosegreta,rio per le fabbricazioni di guerra o dallo stesso Ministero della guerra nel procedere alle assegnazioni del ferro per gli usi di guerra, non costituisce elemento tale da poter incidere nella questione della competenza; poich'� la tutela invocata dalla Ditta contraente, avendo come presupposto l'inadempimento di un obbligo contrattuale da parte della Pubblica Amministrazione, obbligo contrattuale di cui, c�me si � detto, sarebbe vano contestare l'esistenza non poteva n� pu� essere presa in esame che nell'afmbito �dei diritti e dell' A utorit� giudiziaria� ordinaria �. Partendo da tali premesse, la Corte non ha potuto, tuttavia, non preoccuparsi delle gravi conseguenze cui si sarebbe andati� incontro seguendo rigorosamente i principi da essa enunciati e che ci riserviamo di criticare ed ha perci� ritenuto che, pur costituendo la mancata assegnazione un inadempimento contrattuale, dovesse esaminarsi se esso derivasse da colpa dell'Amministrazione contraente o da forza maggiore. E, in contrasto con la Corte d'Appello, la quale tale forza maggiore aveva esclusa;� ha cos� motivato: � cc Occ�rre premettere che la qitestione di cui trattasi, va esaminata e decisa non in base agli .articoli 1218 e 1256 del Codice civile vigente, come erroneamente hanno ritenuto i giudici di merito e come mostra di ritenere anche la difesa dello Stato col richiamare nel motivo di censura alle norme di quel codice, ma bens� con i principi dettati sugli effetti delle obbligazioni dal Codice civile abrogato, poich� il contratto di appalto-fornitura di cui si discute fu concluso nell'agosto 1940 e la dichiarazione del Ministero della guerra, con la quale, prospettandosi la estrema difficolt� del rifornimento del ferro, si proponeva alla Ditta Brigida la rescissione di tal contratto, risale all'agosto 1941, cio� ad epoca anteriore alla data di entrata in vigore (21 aprile 1942) che gi� il regio decreto 30 gennaio 1941 articolo 16 ebbe ad assegnare al libro delle .obbligazioni e che poi fu anche quella del nuovo codice civile. Questa circostanza potrebbe, a prima vista, far s�mbrare meno agevole la soluzione del problema proposto, dato che questo, come si � visto, � venuto a gravitare tutto sul punto se potesse considerarsi� impossibile la prestazione per l'Amministrazione la quale,, pur avendo avuto nella sua disponibilit� la quantit�. di ferro che avrebbe dovuto consegnare alla Ditta Brigida ci� non fece in obbedienza a certi criteri da essa ritenuti giusti. Quindi in definitiva, in questa situazione poteva ben dirsi che la causa dell'inadempimento non fosse estranea alla volont� della stessa Amministrazione ed � noto che la dottrina formatasi in base al vecchio codice, richiamandosi a quanto stabiliva per scusare l'inadempimento dell'obbligazione (causa estranea e non imputabile al debitore) l'art. 1225 riteneva che non poteva concepirsi una impossibilit� della prestazione l� dove questa era dipesa dal fatto del debitore e finiva con l'identificare questa impossibilit� nell'ostacolo assoluto e insormontabile che nessuna forza umana avrebbe potuto evitare. Invece il nuovo codice, abbandonando ogni f ormulazione impegnativa e specifica al riguardo si � riferito, negli articoli 1218 e 1256, che regolano la impossibilit� della prestazione e i suoi effetti, al solo estremo della cc non imputabilit� � della causa da cui qitella impossibilit� � derivata e cos�, come spiega la relazione, d� agio di valittare ai fini liberatori cc anche gli impedimenti che si verifichino nella persona o nella economia del debitore..... quando incidano sulla prestazione considerata in s� e � per s� nella sua sostanza o nei suoi obiettivi presupposti �. 8 enoncb,� come anche detta Relazione ebbe cura di avvertire, non mancarono le dispute, quando ancora vigeva il vecchio codice�, sul modo di intendere la cc estraneit� >> della causa che aveva imp.edito al debitore di eseguire la prestazione contro coloro che,appellandosi specialmente ad un principio affermato nelle fonti romane circa il permanere delle obbligazioni di chi in buona fede distrugge la cosa dovuta ex legati causa aut ex stipulata, sostene :l:HE i E;;; l&&f =% : P 5fID7if' ' l&l E I -1()8 vano che il fatto proprio del debitore non � mai un fortuito che possa liberarlo da responsabilit� ed escludevano, quindi, senz'altro come causa liberatrice, ogni impossibilit� soggettiva di eseguire la prestazione non mancava chi contestava lo eccessivo rigore di un simile principio e opponeva che la � estraneit� )) della causa poteva rinvenirsi anche nel fatto del debitore se la volont� di questi, nel non eseguire la prestazione era stata determinata da motivi che si erano presentati come una cc necessitas J> altrettanto cogente e irresistibile come quella proveniente da un fatto materiale ed estraneo alla persona del debitore. � Orbene, ritiene questo Supremo Collegio che appunto alla stregua di un tal principio, che, pur vigendo il vecchio codice, aveva gi� ai,uto non rare affermazioni giurisprudenziali e che comunque appare consono al concetto moderno dell'obbligazione accolta nel nuovo codice, potesse e dovesse essere esdminata la situazione giuridica determinatasi tra la Am'ministrazione militare e la Ditta Brigida, in relazione alla quantit� di ferri che la prima si era obbligata a forni re alla seconda. In definitiva l'Amministrazione adduceva una duplice necessit�, per giustificare l'impossibilit� in cui si era venuta a trovare di consegnare quel ferro e precisamente: a) il fatto che aveva dovuto dare la precedenza in queste consegne a quelle Ditte che erano state incaricate di fabbricare per suo conto materiale sanitario pi� necessario per essa che non i letti e gli sgabelli; b) il fatto che suoi contraenti per la fornitura di questi letti non era la sola Ditta ma anche altre ditte, a cui aveva pur dovuto in proporzionata misura, consegnare una parte del ferro che era stato messo a sua dispos,izione dal Sottosegretario per le fabbrieazioni di guerra. La Corte di merito ritenne che queste ragioni non valessero ad esonerare da responsabilit� l' A mministrazione militare perch� esse attenevano all'esercizio di un potere discrezionale da cui il vincolo del contratto non le consentiva di fare uso. Ma in ci� sta il fonda mentale errore in cui quella Corte � incorsa, giacch� non si trattava affatto di un potere discrezionale amministrativo che nel caso in esame veniva in questione, ma di un diritto che in situazione analoga neppure ad un debitore privato -si sarebbe potuto negare di esercitare. Se infatti, la Pubblica Amministrazione aveva dovuto obbligarsi in un medesimo tempo verso varie ditte, per procurarsi tutti quei beni che le occorrevano per le necessit� del momento, vi era in campo, quanto al rifornimento della materia prima indispensabile per l'approntamento di �questi ben da parte dei fornitori non il solo interesse della Ditta Brigida,� ma anche quello delle altre Ditte e tutti questi iriteressi avevano, una uguale tutela nel dovere giuridico assuntosi dall'Amministrazione di dare ad esse la possibilit� di eseguire la fornitura. In questa situazione l'Amministrazione non avreb be potuto procedere all'assegnazione del ferro posto a sua disposizione in quantit� non sufficiente a soddi sfare tutti i suoi contraenti, tener conto soltanto dell'interesse della Ditta Brigida ed a questa soltanto assegnare tutto il ferro disponibile, invece cli ripar tirlo in equa proporzione anche alle altre ditte cui l'equale fornitura dei mobili di ferro era stata commessa. Se questo realmente avesse fatto, come avrebbe voluto la Corte di merito, per ritenerla esente da colpa, avrebbe violato indubbiamente i diritti che dai rispettivi contratti sorgevano ancne a f avor� delle altre ditte, il che non sarebbe stato lecito, poieh� l'adempimento dell'obbligo attraverso la violazione di un diritto che ctd altri competa non � concetto che pu� accogliersi in un ordinamento giuridico per il quale tutti comandi posti dalla legge e dal contratto devono essere validi e meritevoli di essere osservati. Ma nella situazione prospettata vi era anche l'interesse dell'Amministrazione che, pur nell'ambito del contratto, meritava tutela ed era quello che derivava d{Jlla varia importanza dei beni che essa doveva procurarsi. Non si entra certamente nel merito della -causa quando ~i osserva che per le necessit� in cui versava l'Amministrazione, la eostruzione del materiale chirurgico per curare i feriti era innegabilmente pi� indispensabile e pi� urgente che non f asse la suppellettile occorrente per arredare gli ospedali, onde non pu� dirsi che abbia operato fuori del 'diritto detta Amministrazione quando ha ritenuto di dover fornire con precedenza il ferro alle ditte costruttive di quel materiale >> � Non possiamo nascondere un vivo senso di perplessit� di fronte a questa sentenza della Corte Suprema della quale non pu� non dirsi che �, per lo meno, viziata da una intima ed insanabile contraddizione. Come si pu�, infatti, ammettere che l'Amministrazione che si � i'mpegnata a fornire materiale soggetto a vincoli di assegnazione ad una ditta alla quale ha co.mmesso la fornitura di determinati manufatti, si trovi nei confronti di questa impegnata alla pari di un qualsiasi contraente privato, e nello stesso tempo riconoscere che quest'obbligo contrattuale possa essere eliminato, per forza maggiore, dalla circostanza che il materiale disponibile non fosse sufficiente a coprire tutti gli impegni analoghi assunti verso altre ditte e, peggio ancora, che non fosse sufficiente a far fronte ad impegni analoghi considerati pi� urgenti e pi� importanti ? Se una tale teoria si dovesse applicare nei riguardi di qualsiasi privato contraente si arriverebbe addirittura al rovesci�mento del principio codificato ri;ell'art. 2740 del c. c.; e, cio�, all'assurda affermazione che assumere obbligazioni superiori alle proprie possibilit� economiche non rappresenta un aggravamento della responsabilit� del debitore che la legge colpisce anche con la sanzione del fallimento, ma rappresenta, invece, una giustificazione per l'inadempimento; e alla non meno assurda tesi secondo la quale � consentito al debitore, o anche al giudice per lui, graduare l'importanza (per il debitore e non per il creditore) delle varie prestazioni, al fine di giustificare l'inadempimento di quelle meno importanti, ove la potenzialit� del debitore fosse tale da determinarne necessariamente il sacrificio a favo re delle pi� importanti. Una contraddizione cos� stridente come quella sopra esposta, deve necessariamente trovare la sua origine in un radicale errore di impostazione del problema giuridico. E l'errore si riscontra facilmente nel fatto che la Corte Suprema ha confuso in una sola le due -16!) posizioni in cui l' .Amministrazione si presenta nei rapporti con i privati: la posizione di contraente, sullo stesso piano del contraente privato, e la posizione di pubblica autorit�, su un piano .nettamente superiore. Nella fattispecie in esame, la confusione consiste appunto nell'aver considerato unitariamente la situazione giuridica derivante dall'attivit� svolta dalla Amministrazione come contraente nel rapporto di fornitura e quella derivante dall'attivit� svolta come autorit� cui � dalla legge attribuito il potere di assegnazione di merci contingentate. Ora tale confusione poteva essere tanto pi� facilmente evitata in quanto normalmente ai due tipi di attivit� corrispondono addirittura organi ed uffici diversi, ed infatti; nella specie, mentre nel rapporto (lOntrattuale di fornitura l' .Amministrazione si impersonava negli uffici di commissariato del Ministero della guerra, per il rapporto autoritativo di assegnazione di merci, l'Amministrazione si impersonava negli appositi uffici creati per la disciplina della produzione bellica (Fabbriguerra, Ministero della produzione bellica, ecc.). N � alla concepibilit� di una distinzione organica come effetto di una distinzione funzionale si pu� opporre il principio della unitariet� della personalit� dello Stato, in quanto, come la stessa Corte Suprema ha aff er'mato ripetutamente (v. per tutte in questa Rassegna, 1948, fase. 1-2, pag. 9), �se la personalit� dello Stato � unica, tuttavia, per il raggiungimento dei suoi fini molteplici, il sistema delle nostre leggi riconosce� a ciascuno dei Dicasteri e delle .Amministrazioni autonome dello Stato una propria individualit� giuridica�. Su ~uesto punto, d'altronde, gi� abbiamo. espresso diffusamente la nostra opinione (v. in Rassegna, 1943, fase. 5, pag. 13), n� gli argomenti allora esposti possono considerarsi minimamente confutati dalle dffermazioni contenute nella sentenza in esame la quale, come abbiamo visto, sembra implicitamente ammettere la pussibilit� che l'Amministrazione possa essere rappresentata indifferentemente dall'uno o dall'altro Ufficio nella materia delle assegnazioni, e che questo fatto non abbia alcun rilievo ed alcuna incidenza sugli obblighi contrattuali da essa assunti. Per rendersi conto della erroneit� di questa posizione, baster�, inoltre, rilevare come in tal modo si viene a fare all' .Amministrazione itna posizione deteriore di quella che si farebbe al privato. � evidente, infatti, che itn privato il quale si sia impegnato a dare materia prima per una fornitura da lui commessa, sarebbe liberato dal suo obbligo �ove, essendo la materia prima contingentata, l'ufficio pitbblico assegnatore gliene rifiutasse l'assegnazione. Non si capisce perch� una tale liberazione non dovrebbe valere quando contraente nel rapporto di fornitura sia l' .Amministrazione, la quale nel rapporha �vincolato la sua responsabilit� patrimoniale ma non (e d'altronde le era giuridicamente impossibile) l'esercizio di pubblici poteri. � stata questa assurda conseguenza che ha spinto la Corte a trovare una via d'uscita che salvasse il principio da essa incautamente ammesso nella prima parte della decisione sopra riportata, ed insieme ne evitasse gli inaccettabili effetti. JJIa appare chiaro come per giungere a tanto, la via giusta da seguire avrebbe dovuto essere diversa da quella segnata dalla Cassazione. In altri termini, per arrivare alla soluzione cui � arrivata la Corte, sotto l'inesorabile spinta della realt�, doveva affermarsi esplicitamente, in conformit� della tesi sempre sostenuta dall' .Avvocatura, e nei confronti del potere di assegnazione di merci contingentate il privato si pu� trovare solo in una posizione di interesse legittimo e di diritto affievolito: si trova in una posizione di interesse legittimo quando la sua pretesa all'assegnazione prescinda da ogni rapporto precedente con l' .Amministrazione pubblica, (quando cio� si chieda l'assegnazione di materie contingentate per esigenze della produzione privata): si trova, invece, in una posizione di diritto affievolito quando la pretesa alla assegnazione si basi su un impegno contrattuale della Pubblica .Amministrazione per le esigenze di una fornitura che ad essa debba essere prestata. Ci� significa che il fornitore al quale l' .Amministrazione committente abbia promesso l'assegnazione di materia prima per l' esecuzione della fornitura non ha diritto soggettivo a conseguire l'assegnazione stessa ma, la sua pretesa pu� essere sacrificata ove le materie di assegnazione non siano tali da soddisfare tutte le esigenze degli altri fornitori valutate al lume dell'interesse pubblico secondo il quale soltanto deve graduarsi l'importanza relativa delle varie forniture. .Abbi�mo ritenuto di dedicare ampio spazio alla questione perch� tutto lascia ritenere che il problema delle assegnazioni di m�terie prime e dei loro rifiessi nel campo del diritto pubblico e privato sia tutt'altrq (jhe inattuale. ORIENTAMENTI GlURISPR UDENZIALI DELLE CORTI DI MERITO AMMINISTRAZIONE PUBBLICA -Enti Statali Caratteri distintivi -Aziende portuali, mezzi mec canici -Sono enti statali. (Tr:b. La Spezia, 24 apri le 1950 -Pres. ed est.: Antonini -Soc. It.ahnarina contro Azienda portuale mezzi meccanici di L8' Spo . zia ed a.Itri). Per stabilire se un Ente pubblico sia un Ente statale si deve guardare non solo alla sua struttura giuridica. ma anche alla sua composizione, alla intensit� del controllo e delle direttive statali cui � sottoposto, ed in genere al rapporto in cui l'ente si trova con lo Stato. Le Aziende portuali mezzi meccanici, disciplinate dal R. D. 9 gennaio 1941, n. 541, sono enti statali. Questa sentenza del Tribunale di La Spezia, estesa dallo stesso Presidente, merita di essere segnalata per la chiarezza con la qua.le ha fissato i criteri distintivi del carattere statale di Ente pubblico. Il problema si ricollega all'altro, recentemente dibattuto in dottrina, della possibilit� di un'autonoma personalit� giuridica di alcuni enti statali. (R. SANDULLI: .In tema di Ente economico della Zootecnica e di tassa di occupazione di suolo pubblico cc Foro it. ))' 1949, I, 1171; U. FRAGOLA: Nuovi aspetti della teoria organica dello Stato, cc Foro it. ))' 1950, IV, 84 e recensione in questa Rassegna 1950, 167; COLZI: Soggettivit� giuridica dell'organo e organo persona giuridica, cc Foro Pad. ))' 1951, I, 88). L'elaborazione giurisprudenziale appare in materia scarsa e, in un certo senso, faticosa. L'annotata sentenza imposta il problema nei suoi punti essenziali e lo risolve con questa esatta motivazione: cc Quali sono i criteri per distinguere 1tna amministrazione dello Stato ad ordinamento autonomo da una azienda pubblica non statale ? cc Per rispondere a tale delicato quesito �, anzitutto, opportuno tener presente che le amministrazioni dette con termine impreciso, autonome, traggono la loro ragione dal decreto 24 ottobre 1866, n. 2306, che all'art .. 3 attribuiva ai capi di amministrazione generale, non costituenti uffici inerenti ai Ministeri, la trattazione di tutti gli affari riuniti sotto la loro direzione ed il potere di risolvere definitivamente gli affari di loro competenza. Sorsero cosi, nell'ambito dell'Amministrazione centrale dello Stato, amministrazioni la cui natura statale non pu� essere posta in dubbio per essere esse dipendenti da un dato Ministero e fornite soltanto di una limitata autonomia amministrativa. Ma ci. si pu� trovare di fronte ad amministrazioni fornite di personalit� giuridica, nelle quali l'organo che le rappresenta appare come organo esterno ed essere non dello Stato; anche in tal caso si pu� avere, qualora concorrano particolari elementi, una amministrazione autonoma statale. cc Che un ramo dell'Amministrazione statale possa avere personalit� giuridica � generalmente ammesso, in quanto una persona giuridica pu�, come una persona, fisica, essere investita d'un pubblico ufficio, e perci� p1t� anche essere considerata Amministrazione dello Stato se il suo rapporto organico con lo Stato sia tale, per la sua struttura, da incastrarla, da collegarla intimamente all'ordinamento dello Stato cosi da costituire una parte di questa. cc Nell'indagine se una persona giuridica pubblica possa essere considerata amministrazione autonoma statale ben poco vale il criterio del fine; la dimostrazione che il fine di una persona giuridica � comune con lo Stato, se pu� valere a provare che essa � persona di diritto pubblico, non � idonea a provare che essa costituisca una amministrazione dello Stato. Per stabilire se una persona giuridica debba essere considerata Amministrazione dello Stato ai fini della distinzione tra cc Amministrazione dello Stato eventualmente a ordinamento autonomo >> ed Enti pubblici non statali, si deve aver riguardo al rapporto in cui l'Ente si trova con lo Stato. Ci si trover� di fronte ad ima Amministrazione statale ogni qual volili tale rapporto determini l'attivit� prevalente e caratteristica dell'Ente, influendo sulla sua struttura e determinandone le posizione nell'organizza.zione dello Stato; l'Ente deve presentarsi nella sua attivit� caratteristica come organo esterno dello Stato, in modo da esser prevalente non la titolarit� di una attivit� amministrativa propria ma la titolarit� dell'esercizio di una attivit� amministrativa dello Stato; -in altri termini l'Ente deve essere nella sua attivitd prevalente e caratteristica organo attivo della Amministrazione statale fornito di una generica capacit� giuridica che potrebbe anche mancare. cc Ne consegue che, nella ricerca, si deve avere riguardo non tanto alla struttura giur�dica intema._ dell'Ente, che pu� anche avere analogia con la struttura delle societ� commerciali, quanto alla sua composizione, alla intensit� del controllo e delle direttive statali a cui esso Ente � sottoposto. La circostanza che i dirigenti dell'Ente siano funzionari -171 dello Stato e siano di nomina statale, la stretta dipendenza della sua attivit� dalle direttive impartite da organi statali e dal loro controllo, dimostrano che esso Ente si trova in rapporto di subordinazione con lo Stato pi� intenso di quello proprio di ogni persona giuridica pubblica e che pi� si avvicina al rapporto di gerarchia n. Passando quindi all'esame della specifica natura delle Aziende portuali mezzi. meccanici, la sentenza annotata osserva che l'uso dei mezzi meccanici <<delle grue per l'imbarco e lo� sbarco delle merci n impianti dallo S~ato nei porti italiani, avveniva, vigente il R. D. 26 settermbre 1904, n. 713, o direttamente da parte delle Capitanerie di Porto o a mezzo di concessione a privati o ad enti morali (art. 122 e 123). .Dopo che con R.D.L. 1� febbraio 1925, n. 232 il Jlfinistero delle comunicazioni venne autorizzato a istit-uire presso la Capitaneria di Porto un Ufficio del lavoro portuale, i decreti ministeriali istitutivi affidarono esplicit�mente a tale ufficio la gestione degli apparecchi meccanici: e cos� avvenne anche per il porto di La Spezia, dove (art. 1 del decreto ministeriale del 13 gennaio 1926) l'ufficio di lavori portuali ebbe, fin dalla sua costituzione << la gestione degli apparecchi meccanici di carico e scarico del porto l>. Segu�, infine, il regio decreto 9 gennaio 1941, .n. 541 il quale contiene (rileva la sentenza annotata) disposizioni tali da non lasciar alcun dubbio che l'azienda portuale mezzi meccanici debba considerarsi uri,a Amministrazione statale ad ordinamento autonomo, agente come organo esterno dello Stato attraverso l'attivit� dei suoi dirigenti. Questi elementi determinanti la natura statale delle Aziende portuali sono, in succinto, i seguenti: 1o la dipendenza organica delle Aziende dal capitano di porto, giusta l'art. 3 del R. D. 9 gennaio 1941, n. 541; 2� la propriet� dello Stato sugli impianti di carico e scarico, gestiti dalla capitaneria mediante la costituzione delle Aziende (art. 1); 30 il controllo finanziario esercitato dallo Stato sui bilanci di previsione ed i conti consuntivi (arti colo 9); 40 la devoluzione degli avanzi di gestione ad un fondo vincolato per nuove opere portuali (art. 10), la cui spesa � a carico dello Stato, gravato anche di un contributo speciale del R.D.L. 7 settembre 1986, n. 674; 50 il potere ispettivo riservato al Ministero (art. 11). Dall'accertata natura statale dell'Azienda il Tribunale dedusse infine, nella fattispecie, l'obbligatoria devoluzione dell'intera causa al foro dello Stato, in applicazione dell'art. 6 R. D. 10 ottobre 1933, n. 1611. IMPOSTE E TASSE -Ricchezza mobile -Privilegio ex art. 2752 Cod. civ. -Ruoli supplettivi -Biennio Quali siano le annualit� da comprendersi in tale locuzione. << Poich� gli ultimi due anni considerati dal primo comma dell'art. 2752 Codice civile debbono essere due anni continui ed ininterrotti, la locuzione <<ultimo biennio n contenuta nel secondo comma dello stesso articolo, afferente ai ruoli suppletivi, deve intendersi abbia la stessa portata di quella precedente. Di conseguenza anche il <<biennio n portato nei ruoli suppletivi comprende l'anno in cui si procede o si interviene nell'esecuzione e l'anno precedente n (Trib. �Parma, &e~. I, 23 aprile 1949: Pres.: Stellatelli, Estens.: De Angelis; Esattoria Parma contro fall. Soc. Coop. <<Ricostruzione ll). <<L'ultimo. biennio di cui all'art. 2752, secondo comma, Codice civile non coincide necessariamente con gli ultimi due anni menzionati dal primo comma dello stesso articolo, giacch� per il ruolu suppletivo la legge esige soltanto che le due annualit� siano le due ultime inscritte nel ruolo medesimo e non anche che le annualit� predette, oltre ad essere le ultime, siano consecutive l'una all'altra. n. (Corte App. Bologna, Sez. I, 26 giugno 195]: Pres.: Gervasio, Estens.: Nardella, Esattoria Parmn contro fall. Soc. Coop. <<Ricostruzione n). Le difformi pronunzie sopra indicate invitano a meditare intorno alla effettiva portata dell'art. 2752 Codice civile in punto di privilegio concesso alle annualit� d'imposta incluse in ruoli suppletivi e ci sembra che la Corte bolognese abbia fatto buon governo della legge riformando la sentenza del Tribunale di Parma che, in cospetto di ruolo suppletivo emesso nel 1947, portante imposte affere11,ti al 1947 ed al 1946, aveva escluso dal privilegio la R. JI![, dovuta per quest'ultimo anno. La giurisprudenza della Suprema Corte sotto lo impero del codice abrogato ebbe ad accogliere l'interpretazione propugnata dalle Finanze dello Stato in ordine al concetto di anno in corso di cui all'art. 1957 Codice civile 1865, giacch� pi� e pi� volte -in tema di ruoli suppletivi -decise che per anno in corso doveva intendersi quello nel quale il ruolo entrava in riscossione, non quello in cui il reddito si era prodotto. Da ci� conseguiva che il privilegio sancito dal detto articolo 1957 assisteva tutte le annate comprese nei ruoli suppletivi dell'anno in cui il ruolo cadeva in riscossione� e del precedente, anche se dette imposte si fossero riferite ad anni anteati di produzione del reddito. Il codice vigente, rielaborando la materia ha tenuto presenti sia l'orientamento giurisprudenziale, sia la dissenziente dottrina, disciplinando diversamente l'estensione temporale del privilegio in vista delle critiche mosse dalla dottrina medesimn all'opinamento della Cassazione. Cos� nel formulare l'art. 2752 del vigente Codice civile, il legislatore si � inspirato al concetto che la pur doverosa tutela dei diritti dell'Erario non dovesse soverchiamente sacrificare i diritti degli altri creditori, e la dottrina (Commentario del D'Amelio al O. O. Libro della tutela dei diritti, pagg. 478 e segg.; Commentario O.O. a cura di Scialoja e Branca, Libro VI, art. 2752) mette appunto in luce le innovazioni introdotte dal legislatore alla stregua dei criteri avanti indioati. In concreto si rileva che nel primo comma del l'art. 2752 Oodiae civile viene precisato, senza possi bilit� di equivoci, che per i ruoli principali il privilegio assiste le imposte portate nel ruolo dell'anno in 01,1,i l'esattore procede alla riscossione o interviene -172 (in procedura esecutiva o concorsuale) e di qtwllo precedente, mentre per i ruoli suppletivi si � invece stabilito che assistite da privilegio siano le imposte dell'ultimo biennio portate nei ruoli stessi. Cos�, data l'esplicita dizione della legge e l'indubbia innovazione introdotta rispetto al pensiero della Suprema' Corte, innovazione chiaramente palese attraverso la formulazione letterale dell'articolo 2752, � oggi impossibile sostenere l'estensione del privilegio a tutte le imposte inscritte nei ruoli principali� o suppletfoi dell'anno in corso e del precedente, poich� deve restare fermo il criterio generale informativo che limita il privilegio nel tempo. Questo � chiaramente precisato per i ruoli principali; resta quindi da esaminare l'iflettiva portata e l'esatto riferimento temporale della locuzione adottata dal corrtma secondo secondo per i ruoli suppletivi, in ordine ai quali � ivi sancito cc che il privilegio non pu� esercitarsi per un importo superiore a quello dell'ultimo biennio n. Le ipotesi possibili sono quattro: a) che anche per i ruoli suppletivi debbasi seguire lo stesso criterio adottato per quelli principali, e cio� che il privilegio si estenda soltanto alle imposte inscritte nei suppletivi per l'anno in cui l'esattore procede o interviene nell'esecuzione e per l'anno precedente; b) che il privilegio possa essere fatto valere non in relazione agli anni ma in relazione alla quantit� delle imposte arretrate; cio� intendere cc importo non superiore a quello dell'ulti1no biennio � colme importo di tributi portato nei ruoli suppletivi non superiore all'importo delle imposte assistite da privilegio per essere portate nei ruoli principali dell'anno in corso e del precedente; e) che il privilegio assista soltanto l'ultimo biennio portato nel ruolo o nei ruoli suppletivi, indipendentemente dal fatto che. detti anni coincidano con quelli assistiti da privilegio per i ruoli principali. Ad esempio, se l'esecuzione o l'intervento si sono verificati nel 1947 il privilegio non deve essere limitato ai suppletivi afferenti al 1946 e 1947. Anche se detti ruoli comprendono imposte del 1940-1941-1942 e 1943 saranno assistite da privilegio solo quelle dell'ultimo biennio, e cio� quelle del 1942 e 1943. d) che il termine biennio non debba essere inteso nel senso rigoroso di due anni consecutivi, come nell'ipotesi precedente, .�ma soltanto nel senso dei due ultimi anni inscritti a ruolo. Cos� un suppletivo per gli anni 1945-1946-1948 potr� essere assistito da privilegio per gli ultimi due anni (1948 e 1946) ariche se trattasi di anni non consecutivi. Il Tribunale di Parma ha seguito la soluzione sub-a suffragandola con le seguenti argomentazioni: 1o poich� il legislatore ha, nel primo comrna dell'art. 2752, fatto riferimento sicuro a due anni continiti ed ininterrotti, non si vedono motivi per cui al comma secondo possa essere stato seguito un criterio diverso: altrimenti verrebbe ampliato il concetto gi� espresso in modo certo per i ruoli principali e si allargherebbe l'estensione del privilegio non ad un solo biennio ma addirittura anche ad un quadriennio se ad esempio il suppletivo concernesse imposte pel 1947 e 1944. 2� Le disposizioni portate nella medesima norma (art. 2752) debbono essere interpretate in correlazi. one l'una alValtra, cosicch� il punto di riferimento per calcolare l'ultimo biennio non pu� non essere, anche nel caso dei ruoli suppletivi, che il medesimo dei ruoli principali e cio� l'anno in cui l'esattore procede. 3� Anche nel linguaggio comune la frase cc ultimo biennio �ha un significato ben� d�finito di due anni consecutivi, mentre inoltre il termine e< importo � che la precede, usato al singolare, rafforza notevolmente il concetto scaturente dalla frase che segue, in quanto si � tanto pensato ad un periodo continuo ed ininterrotto che si � usato il termine � importo � al singolare. Se si fosse usato il plurale si sarebbe potuto pensare che il legislatore avesse voluto tenere distinto l'importo riferentesi al suppletivo di un. anno da quello riferentesi al suppletivo dell'altro anno rlel biennio, ma l'uso del singolare chiarisce la mens legis. Ma valide ragioni� inducono a non condividere il pensiero del Tribunale. Se l'ultimo biennio dei suppletivi fosse identico a quello dei ruoli principali, non vi sarebbe stata necessit� di usare nel primo capoverso del 2752 un� locuzione diversa da quella adottata nella prima parte dello stesso articolo. Sarebbe bastato, anzich� formare apposito capo per il privilegio afferente ai ruoli suppletivi, aggiungere nella prima parte di detto articolo dopo � ruolo principale � la dizione cc e suppletivo � perch� il concetto del legislatore fosse palesato senza dubbi o perplessit�. L'aver invece usato termini diversi, induce a ritenerli non equivalenti, giacch� una diversit� di locuzione � conseguente ad un diverso criterio informativo che, altrimenti, non avrebbe avuto ragione di essere espresso in norma a s� stante. Tanto pi� quando in pratica � normale che i ruoli suppletivi siano formati per anni di tassazione diversi da quelli portati nei ruoli principali, come chiaramente si evince dagli artt. 107, 108, 109, 111 e 112 del regolamento 11 lu� glio 1907, n. 560 per l'imposta di R.M., in relazione all'art. 2 del T.U. 17 ottobre 1922, n�. 1461 sulla riscossione delle imposte dirette. Inoltre il voler identificare il biennio dei ruoli suppletivi con l'anno in corso e quello precedente indicati nella prima parte del 2752, porta necessariamente a ritenere che il legislatore abbia inteso limitare il privilegio agli stessi due anni sia per le imposte portate nei ruoli principali che per quelle portate nei suppletivi. Il che condurrebbe a negare in realt� ogni privilegio per le imposte portate in questi ult~mi ruoli, appunto perch� i tributi indicati nei medesimi non coincidono di norma con quelli degli anni compresi nei ruoli principali. L'ipotesi sub-b) che il Tribunale di Parma ha preso in considerazione per rafforzare, sia pure con argomento indiretto, la propria tesi, non appare rispondente alla mens legis. La quantit� dell'imposta assistita da privilegio per i ruoli suppletivi non pu� essere in relazione di parit� con un corrispondente importo dei ruoli principali, poich� tutto lo spirito della innovazione, in stretto e preciso riferimento al precedente orientamento giurisprudenziale ed alle criticlie �mosse __ dafla _ dottrina, esclude che si sia voluto far questione di� quantit� per i tributi compresi nei ruoli suppletivi, quantit� da c�mmisurare a pari c�mma segnata nei ruoli principali, in modo che si defJba osservare una esatta rispondenza di importo fra gli uni e gli altri. -173 Se quest� fosse stato lo spirito della riforma, sarebbe stato ne�essario tradurlo in un chiaro, esplicito richiamo ai ruoli principali, il che non � stato fatto; cosicch� nel silenzio della legge -che avrebbe dovuto sanzionare siffatto criterio profondamente innovativo rispetto a quello vigente sotto l'impero del codice 1865 ~ non � consentito all'interprete introdurre s� radicale mutamento al criterio generale informatore della nuova disposizione. . Esclusa, adunque, la possibilit� di considerare identici i periodi di tempo indicati nel primo e nel secondo comma dell'art. 2752, restano soltanto da esaminare le ipotesi sub-e) e d), le quali si differenziano per il significato da dare al termine (( biennio )), Contro la soluzione che, in senso terrr,iinologicotecnico, considera il biennio come unit� temporale a s� stante ed inscindibile (due anni consecutivi) si erige sempre il concetto d�minante dell'innova-' zione attuata rispetto ai ruoli suppletivi; contro un privilegio prima esteso a tutte le annualit� inscritte nei suppletivi si � voluto. limitare a due .sole annualit� �l privilegio stesso, re8tando per� fermo il repudio di ogni riferimento all'anno d_i produzione del reddito. Ci�� posto, non si vede una ragione logica che imponga che debba trattarsi necessariamente di due anni consecutivi, poick� � da escludere che il legislatore -pur riconoscendo in i�stratto il diritto di prelazione alla imposta di due arini -abbia poi, in concreto, resa meno vantaggiosa la posizione creditoria delle Fin�n, ze dello Stato prescrivendo che il diritto in. parola valga per due anni, ma solo se consecutivi. Il che, in pratica, condurreb.be spesso a concedere il privilegio per un anno soltanto, l'ultimo inscritto a ruolo, se yl{ uitimi due non sono consecutivi, quando non � facile individuare il motivo che renda necessaria tale ~llogica eons�cutivit�. � Bene� ha quindi deciso� la Corte bolognese ripudiando il� criterio seguito dal� primo giudice, criterio che ha giudicato 'non accettabile (( poich� prescinde dal riftesso Che nel secondo comm� dell'art. 2752 si parla di esercwio d�l priviieg�o per un importo. non superiore a quello dell'ultimo biennio, fissandosi iw tal guisa un criterio quanti�ativo che dimostra come lo scopo j>ratico della norma si� quello di ritenere privilegiate le due Ultime� annualit� d'imposta inscritte nel ruolo suppletivo, indipendent�mente dall'essere o meno le due annualit� una susseguente all'altra. In altri termini, ci� che la legge esige � soltanto che le 'due annua7it� 'Siano re due ultime inscritte nel ruolo suppletivo e non anche che� le medesime, oltre ad �essere� le ulti�me, siano consecutive l'una all'altra n Non pu� negarsi' che .l'uso della locuzione � biennio � possa indurre a valutare la locuZione medesima da un punto di vista rigorosamente lessicale, ma appare eccessivo dar 'peso determinante a criteri di strettissima terminologia, quanto il significato comune di -biennio � � ben quello di due �nni. Del r�sto la Corte� d'appello non ha mancato di invocare, a sostegno del suo assunto, l'unico autorevole precedente giurisprudenziale in subjecta materia, quello della sentenza n. 7 della Suprema Corte in data 9 gennaio 1947, resa in causa Anzil-Esattoria di Conegliano. (Foro It. 1947,.I, 188), la.quale occupandosi dell'art. 2771, ultimo comma, Codice civile vigente. redatto in termini identici a quelli del comma secondo del 2752, ha deciso appunto che, cc privilegiate dovevano considerarsi le due ultime annualit� inscritte nel ruolo suppletivo n senza fare distinzione alcuna fra annualit� consecutive e non. E non vediamo ragioni sufficienti per ammettere che tal mancata distinzione possa essere sfuggita alla Corte regolatrice e non rispecchi appieno l'interpretazione data dal termine cc biennio n su cui era pur caduta l'indagine. (E. M.) IMPOSTE E TASSE -Salve et repete. (Trib. Roma, Sez. I, n. 3790 del 23 giugno 1951 -Pres. : Elia, Rel.: Milano -Societ� Molinari-Dogana. Il .pagamento del tributo � condizione necessaria per la� proponibilit� dell'opposizione giudiziale. Tale condizione deve sussistere prima dell'intitaurazione del giudizio. Non assolve al precetto del solve et repete il pagamento del tributo, effettuato dopo la notificazic;me dell'atto di citazione e prima della iscrizione della causa a ruolo. Per l'a:rt: 24 della legge doganale 15 aprile 1940, n. 1424 l'atto di opposizione non � valido, se non sia stato preceduto dal pagamento del tributo. Il pagamento eseguito a mezzo assegno . non � idoneo ad assolvere al precetto del solve et repete, l'unica prova ammessa essendo la regolare quie tanza. La liberazione dello speditore dagli obblighi contratti con la bolletta di cauzione, avviene soltanto col rilascio del certifi,cato di scarico, emesso a segui~o di regolare visita, che accerti l'identit�, pef quantit� e qualit�, della, merce indicata nella bolletta. Le massime sono pacifiche, ma la sentenza merita di essere segnalata per la chiarezza della motivazione e la precisione dei concetti. Esattamente, nella specie, il precetto del solve et repete � stato applicato rigorosamente in considerazione dell'art. 24 legge doganale, che esclude ogni validit� dell'atto di .opposizione non preceduto dal pagamento del tributo, da provarsi esclusivamente con la quietanza, all'atto di emissione della quale, soltanto, pu� dirsi pagato il tributo. Il principio sembra, per�,. che debba applicarsi in ogni altra ipotesi di solve et repete. ili& ili& RASSEGNA DI LEGISLAZIONE I PROVVEDIMENTI SONO ELENO�TI SECONDO L'ORDINE DI PUBBLIO�ZIONE SULL� e G&ZZETT� UFFJO!�LE, I. I. Legge 1� ottobre 1951, n. 1140 (G..U. n. 259): Rapporti di impiego civile e di lavoro dei cittadini dichiarati irreperibili per eventi di guerra o connessi allo stato di guerra. -� la prima volta che si d� valore allo stato di irreperibilit� al di fuori dell'ambito strettamente militare. Com'� noto, infatti, l'irreperibilit� � un istituto proprio della legislazione militare per il tempo di guerra. Nella relazione alla legge (v. le leggi, 1951, pag. 1832) sono spiegati i motivi per i quali si � ritenuto necessaria una tale estensione. Naturalmente la portata delle norme della legge in esame non pu� andare oJtre i casi previsti, avendo esse natura evidentemente eccezionale. In altri termini l'irreperibile non pu� essere considerato morto se non per quei rapporti per i quali la legge lo prevede espressamente, per tutti gli altri rapporti occorrer� la dichiarazione di morte presunta secondo le norme del codice civile. II. SENATO DELLA REPUBBLICA I. Disegno di legge n. 900-C (iniziativa governativa) : Riforma della carriera diplomatica. -Con questo disegno di legge viene nuovamente unificata la carriera diplomatica che nel 1927 era scissa nei rami diplomatico e consolare. Notevole l'ultimo comma dell'art. 1 secondo il quale cc l'Amministrazione pu� non accogliere le domande di ammissione al concorso per difetto di attitudine professionale �. Non � questa norma da considerarsi simile alle disposizioni gi� contenute nella legislazione anteriore alla Costituzione, le quali permettevano all'Amministrazione di negare l'ammissione ai concorsi insindacabilmente; il difetto di attitudine professionale � invero una ragione che legittima la mancata ammissione, mentre la valutazione se un tale difetto sussista o meno involge evidentemente un esame di merito il cui sindacato � precluso in sede di giurisdizione di legittimit�. Il Senato aveva approvato una norma (art. 17)secondo la quale si potevano collocare a riposo funzionari della carriera diplomatica dopo dieci anni di servizio effettivo, sentito il Consiglio di Stato. La Camera ha soppresso l'obbligo di sentire questo parere e, se si considera che si trattava di una innovazione che non aveva precedenti nell'ordinamento dell'impiego statale in Italia, non vi � che da convenire cgn la Camera sulla opportunit� di tale emendamento. . 2. Disegno di legge n. 1412-A (iniziativa parlamentare): _Disposizioni per la determinazione dell'annq finanziario e per l'esame e l'approvazione dei bilanci. -Con questo disegno di legge, proposto, da un gruppo di senatori, si vuole anzitutto far coincidere l'anno finanziario con l'anno solare modificando il sistema attuale. Si vuole, poi, snellire la procedura di approvazione dei bilanci e, abbandonando il sistema proposto in un precedente disegno di legge di iniziativa governativa (vedi in questa Rassegna, 1951,' 57), si propone che, pur essend�vi tanti disegni di legge quanti sono. gli stati di previsione delle. spese distinti per Ministeri (in ossequio all'art. 81 della Costituzione), la discussione generale, che deve precedere la votazione, sia una sola in sede di stato di previsione dell'entrata e di riepilogo della spesa, limitandosi, per i singoli stati di previsione della spesa, alla discussione ed approvazione per capitoli. Sembra che una tale soluzione urti contro il dispost. o del regolamento della Camez:a (art. 80), secondo il quale la discussione generale � obbligatoria, per ogni progetto di legge; n� si vede .come risolvereilconflitto tra questa norma e una legge ordinaria contraria, specie ove si pensi che, a sensi dell'art. 64 della Costituzione, il regolamento delle Camere � adottato con una maggioranza qualificata che 'non � quella richiesta per l'approvazione delle leggi ordinarie. Infine l'art. 4 del disegno di legge in esame dispone che << il Governo della Repubblica � autorizzato a coordinare con questa legge le disposizioni vigenti �. Ora se questa � una delega legislativa, ne difettano i requisiti richiesti dall'art. 76 della Costituzione (tempo determinato, criteri direttivi); se non � una��delega legislativa � una norma perfettamente inutile perch� la-co�r-dinazione che il Governo pu� fare � evidentemente solo quella che rientra nel suo potere regolamentare, per esercitare il quale non ha bisogno di alcuna autorizzazione. B Eli&d&M= '"i&Ak I N D I e E sI �s T E M A T I e o� DELLE CONSULTAZIONI LA FORMULAZIONE DEL QUESITO NON RIFLETTE IN ALCUN MODO LA SOLUZIONE CHE NE � STATA DATA ALBERGHI. -I) Se la mancata inclusione di uno stabile nell'elenco degli alberghi, pubblicato nella Gazzetta Uffioiale ai fini della loro classifica, escluda che lo stabile stesso possa essere soggetto al vincolo alberghiero previsto dalla legge 26 luglio 1936, n. 1692 e dal D.L.L. 10 marzo 1945, n. 117 (n. 6). -II) Se il Commissariato per il Turismo possa dichiarare non necessaria alle esigenze del movimento turistico la destinazione di un edificio ad albergo anche contro il parere dell'Ufficio provinciale per il Turismo (n. 6�). -III) Quale sia il valore giuridico d'un impegno assunto da una Societ� di costruire un albergo, come condizione per ottenere l'autorizzazione a demolire un albergo gi� esistente (n. 7). AMMINISTRAZIONE PUBBLICA. -I) Come..debbano essere risolte le liti tra gli uffici stralcio delle disciolte Confederazioni sindacali fasciste e i vari Ministeri o uffici statali in genere (n. 117). -II) Quale sia la natura giuridica dei Consorzi anticoccidici (n. 118). III) Quale sia stata l'evoluzione e quale sia la natura giuridica attuale del servizio contributi unificati della agricoltura (n. 119). -IV Quale sia la natura giuridica dell'Ente nazionale Costruzioni ospedaliere e scolastiche in Albania (n. 120). ANTICHIT� E BELLE ARTI. -Se i cittadini di un determinato Comune abbiano diritto a che un quadro artistico gi� esistente in una chiesa e poi rimosso dallo Stato che ne era diventato proprietario secondo le leggi eversive dell'asse ecclesiastico, sia di nuovo rimesso al suo vecchio posto, come estrinsecazione della dioatio ad patriam (n. 18). APPALTI. -Se tra le somme che l'Amministrazione appaltante pu� pagare direttamente agli operai ai sensi dell'art. 357 della legge sui lavori� pubblici possano comprendersi anche quelle dovute a titolo di indennit� di licenziamento, e comunque, di cessazione di rapporto di lavoro (n. 148). CASE ECONOMICHE E POPOLARI. -Se possa subordinarsi la facolt� di riscatto prevista dall'art. 14 della legge 28 gennaio 1949, n. 43 all'obbligo dell'assegnatario riscattante di non vendere l'alloggio per un certo numero di anni se non a determinate condizioni (n. 3lj. CATASTO. -Se l'Amministrazione possa servirsi di mezzi coattivi di carattere giudiziario per obbligare i cittadini a compiere gli atti necessari per rendere possibili le volture catastali (n. 2). C.ONFISCA. -Se annullata in seguito a giudizio di revisione una sentenza di condanna per collaborazionismo� debbano restituirsi i beni confiscati al condannato, senza bisogno di un ordi�e di restituzione specifico (n. 8). . CONTABILIT� DELLO STATO. -I) Se le domande previste dal D.L. 19 aprile 1948, n. 517, per la liquidazione dei debiti contratti dalle formazioni partigiane, debbano essere presentate tutte alle Intendenze di Finanza o anche al Ministero a seconda del valore (n. 77). -II) Se ed in quali limiti possa esercitarsi dalla Amministrazione azione di rivalsa contro i componenti di una Commissione in; caricata di procedere alla aggiudicazione di merci �di propriet� dello Stato per asta pubblica, quando tale aggiudicazione sia seguita contro le norme fissate nelle condizioni di asta stabilite dalla Amministrazione (n. 78). III) Se vi siano norme che obblighino l'Amministrazione a dare la precedenza nei pagamenti dei mandati a quelli relativi a crediti ceduti nei confronti di quelli relativi a crediti non ceduti (n. 79). -IV) Se il termine previsto dall'art. 13 del Capitolato generale di appalto per le opere pubbliche e dall'art. 114 del Regolamento di contabilit� generale dello Stato si riferisca�alla sola emanazione del decreto di approvazione del contratto, o se �invece comprenda anche la registrazione di esso (n. 80). ENTI E BENI ECCLESIASTICI. -I) Se il diritto alla irrevocabile destinazione di un quadro al servizio di una chiesa previsto dall'art. 7 della legge 27 maggio 1929, n. 848, possa essere fatto valere dai fedeli frequentatori della chiesa stessa o comunque appartenenti alla circoscrizione ecclesiastica in cui essa � posta (n. 16). -II) Se il titolare di una parrocchia incorporata in un convento sia il convento stesso anche ai fini del supplemento di congrua (n. 17). FERROVIE. -I) Sotto quale data debba intendersi smilitarizzato il personale ferroviario in servizio nel territorio controllato dalla r.s.i. (n. 135). -II) Se sia ammissibile il reintegro a favore delle Ferrovie concesse ; 00 tW lilli+:::;::: -176 dell'onere�da esse sopportato per la concessione di facilita~ ioni di viaggio stabilite posteriormente alla .data della convenzione tra esse e lo Stato, quando queste facilita: i;ioni siano da esse dovute in via di estensione di norme stabilite nei riguardi delle Ferrovie dello Stato, norme che prevedano il reintegro dell'onere a carico del Tesoro (n. 136). IMPIEGO PUBBLICO. -I) Se la falsa dichiara~ione di essere combattente contenuta in una domanda di assunzione ad impiego pubblico costituisca reato (n. 273). -II) Se la rimozione dal grado considerata come pena accessoria per una condanna riportata per reato militare possa essere inflitta al di fuor delle ipotesi previste dall'art. 33 del C.P.M.P. (n. 274). -III) Se l'Amministrazione statale sia tenuta a rimborsare l'I.N.A.I.L. di somme da questo pagate per l'infortunio subito da un inserviente diurnista assunto sotto il governo della r.s.i. e mantenuto in servizio dal governo legittimo senza un provvedimento formale (n. 275). -IV) Se vi sia nella nostra legislazione una norma esplicita la quale vieti la riassunzione nella stessa -Amministrazione o in altra Amministrazione statale o altro Ente pubblico degli impiegati gi� dispensati dal servizio per epurazione (n. 276). V) Quali siano le clausole �di un contratto di impiego con la Cassa del Mezzogiorno, compatibili con le norme della legge 10 agosto 1950, n. 646, che tale rapporto .di legge regolano in via generale (n. 277). IMPOSTA DI REGISTRO. -Se un contratto di un Comune soggetto al visto di esecutoriet� previsto dalla legge comunale e provinciale debb1;t considerarsi contratto soggetto all'approvazione ai sensi e per gli effetti dell'art. 81 della legge di registro (n. ,70). IMPOSTE E TASSE. -I) Se al fine di stabilire le incompatibilt� per la,. gestione dell'appalto delle imposte di consumo possa farsi �riferimento all'art. 599 e.e. agli effetti di determinare se un aspirante appaltatore gestisca un commercio di generi soggetti ad imposta per interposta persona (n. 163). -II) Se il termine di sei mesi per l'impugnatura giudiziaria di decisioni delle Commissioni tributarie decorra dalla decisione della Commissione provinciale quando il ricorso alla Commissione centrale contro di questa sia stato. proposto per motivi tali da essere dichiar�to inammissibile (n. 164). -III) Se ai fini dell'esenzione venticinquennale dell'imposta sui fabbricati, la abitabilit� dell'edificio debba risultare nei modi prescritti dalla legge o possa essere provata in modo equipollente (n. 164). -IV) Se alla riscossione delle imposte dirette gra,vanti sugli assegni dei dipendenti della G.R.A. debba provvedersi_ a mezzo di ritenuta diretta (n. 165) PROPRIET� -Se costruito un edificio a distanza di pochi centimetri da un muro di un altro edificio,' distanza imposta da esigenze tecniche di costruzione che non consentono l'aderenza dei due muri, possa il proprietario del�'edificio gi� esistente, chiedere la coniunione del muro del nuovo edificio o, alterna:t;ivamente, il rispetto della distanza di tr,~ metri stabilita dall'art' 873 d~l Codice civile (n. 5). RAPPORTI DI LAVORO. -I)"Se costituisca m~dia zione vietata in assunzione di mano-d'opera l'invio di _lavora_tori assunti da una ditt11-a proprio carico, a lavorare presso altre ditte mediante un compenso forfettario' (n. 17). -II) Se la pena pec~iaria da irifliggere per le contravvenzioni alla legge 21 agosto 1921, n. 1312, sull'assunzione degli invalidi di guerra debba corrispondere al risultato del calcolo aritmetico avente per fattori il numero degli invalidi non assunti, i giorni lavorativi di mancata assunzione e l'ammenda unitaria, o se possa il relativo prodotto essere assoggettato a discrezionale ridu zione da parte del giudice (n. �8). RESPONSABILIT� CIVILE. -I) Se sussista responsabilit� dell'Amministrazione per danni derivati alle peschiere sarde in seguito all'uso di prodotti antianofelici per la lotta contro la malaria (n. 120). -II) Se lo Stato risponda dei danni derivanti dall'attivit� di disinfezione compiuta dai Consorzi anticoccidici (n. 121). hl) Se sia consentito_ all'Amministrazione, sulla quale gravi responsabilit� per investiment� automobilistico, ai obbligarsi nei confronti dell'I.N;A.I.L. a rimborsarlo delle rendite erogate all'infortunato annualmente, o se debba l'Amministrazione corrispondere all'Istituto il capitale della rendita stessa (n. 122). -IV) Se all'azione di rivalsa dell'Amministrazione verso il conducente di un. autoveicolo che abbia ~agionato danni_ si applichi la prescrizione ordinaria (n. 123). SEQUESTRO. -Se per l'applicazione del D.L.L. 5 maggio 1946, n. 393, a favore degli appartenenti alla razzft ebraica sia indispensabile che costo~o . esibiscano l'atto formale col quale i loro beni furono sequestrati o confiscati, o se sia sufficiente che risulti che i loro beni furono presi per un atto dell'autorit� (n. 7). SINDACATI. -I) Quale sia stata e quale sia la natura giuridica del servizio interconfederale dei contribu'ti unificati (n. 10) . -II) Come debbano essere risolte le liti tra gli Uffici stralcio delle cessate organizzazioni sindacali fasciste e le Amministrazioni dello Stato (n. 11): SUCCESSIONI. -Se ed a quale titolo debbano essere dedotte dall'asse ereditario, ai fini dell'imposta di successioni, le somme dovute dal de ouius per la sua qualit� di amministratore giudiziario di beni (n. 28).. TRATTATO DI PACE. -I) Se possano essere liquidati ai sensi� dell'art. 79 del Trattato �di Pace i crediti vantati da. imrese italiane verso un ente pubblico costuito in Albania nel giugno del 1940 con�decreto del luogotenente_ del re d'Italia (n. 36). -U) Se possa r�ten�rsi invocabile l'art. '87 del Trattato di Pace nei casi in cui mediante scambio di lettere tra il Gov~rno francese e il Governoitaliano siano stat~ regolate questioni relative alla liquidabilit� di beni di cittadini italiani in Tunisia (n~ 37); (810s50I) Roma -Istituto Poligrafico dello Staio -G. C.