ANNO LXXIV - N. 3 
LUGLIO - SETTEMBRE 2022 


RASSEGNA 
AV V O C AT U R A 
DELLO STATO 

PUBBLICAZIONE 
TRIMESTRALE DI SERVIZIO 



COMITATO 
SCIENTIfICO: 
Presidente: 
Michele 
Dipace. 
Componenti: 
Franco 
Coppi 
-Natalino 
Irti 
-Eugenio 
Picozza - Franco Gaetano Scoca. 


DIRETTORE 
RESPONSABILE: 
Giuseppe 
Fiengo 
-CONDIRETTORI: 
Maurizio 
Borgo, 
Danilo 
Del 
Gaizo 
e 
Stefano Varone. 


COMITATO 
DI 
REDAZIONE: 
Giacomo Aiello -Lorenzo 
D’Ascia 
-Gianni 
De 
Bellis 
-Wally 
Ferrante 
-Sergio 
Fiorentino 
-Paolo 
Gentili 
-Maria 
Vittoria 
Lumetti 
-Francesco 
Meloncelli 
-Marina 
Russo. 


CORRISPONDENTI 
DELLE 
AVVOCATURE 
DISTRETTUALI: 
Andrea 
Michele 
Caridi 
-Stefano 
Maria 
Cerillo 
Pierfrancesco 
La 
Spina 
-Marco 
Meloni 
-Maria 
Assunta 
Mercati 
-Alfonso 
Mezzotero 
-Riccardo 
Montagnoli 
-Domenico 
Mutino 
-Nicola 
Parri 
-Adele 
Quattrone 
-Piero 
Vitullo. 


HANNO 
COLLABORATO 
INOLTRE 
AL 
PRESENTE 
fASCICOLO: 
Marco 
Cerase, 
Manuela 
Di 
Blasi, 
Andrea 
Ferri, 
Michele 
Gerardo, 
Paolo 
Giangrosso, 
Herik 
Mutarelli, 
Gaetana 
Natale, 
Gabriella 
Palmieri 
Sandulli, 
Carlo 
Maria 
Pisana, 
Emanuela 
Rosanò, 
Daniele 
Saccoccio, 
Isabella 
Vitiello. 


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Giuseppe fiengo 
rassegna@avvocaturastato.it 


maurizio.borgo@avvocaturastato.it 
danilodelgaizo@avvocaturastato.it 
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IBAN: 
IT 
42Q 
01000 
03245 
348 
0 
10 
2368 
05, 
causale 
di 
versamento, 
indirizzo 
ove 
effettuare 
la 
spedizione, 
codice 
fiscale 
del 
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I 
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della 
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sono 
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di 
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eventuali 
variazioni 
di 
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AVVOCATURA 
GENERALE 
DELLO 
STATO 
RASSEGNA 
-Via dei Portoghesi, 12, 00186 Roma 
E-mail: rassegna@avvocaturastato.it - Sito www.avvocaturastato.it 


Stampato in Italia - Printed in Italy 


Autorizzazione 
Tribunale di Roma - Decreto n. 11089 del 13 luglio 1966 



indice 
-sommario 


TEMI 
ISTITUZIONALI 
Audizione 
dell’Avvocato 
Generale 
dello 
Stato, 
Avv. 
Gabriella 
Palmieri 
Sandulli, del 
25 gennaio 2023. Camera dei 
Deputati, XIV 
Commissione 
- Politiche dell’Unione europea 
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 
1 
Intervento 
dell’Avvocato 
Generale 
dello 
Stato 
in 
occasione 
della 
cerimonia 
di inaugurazione dell’Anno Giudiziario 2023 
. . . . . . . . . . . . . . . . . . ›› 
7 
Intervento 
dell’Avvocato 
Generale 
dello 
Stato 
in 
occasione 
della 
cerimonia 
di 
insediamento del 
Presidente 
del 
Consiglio di 
Stato e 
di 
presentazione 
della 
“Relazione 
sull’attività 
della 
Giustizia 
Amministrativa” 
anno 
2022. Inaugurazione dell’Anno Giudiziario 2023 
. . . . . . . . . . . . . . . . . . ›› 
10 
Intervento 
dell’Avvocato 
Generale 
dello 
Stato 
in 
occasione 
della 
cerimonia 
di inaugurazione dell’Anno Giudiziario 2023 del T.a.r. Lazio. . . . . . ›› 
13 
Protocollo 
d’intesa 
sul 
processo 
civile 
in 
Cassazione 
tra 
la 
Corte 
Suprema 
di 
cassazione, 
la 
Procura 
Generale 
della 
Corte 
di 
cassazione, 
l’Avvocatura 
Generale 
dello 
Stato 
ed 
il 
Consiglio 
Nazionale 
Forense, 
1° 
marzo 
2023 
›› 
17 
Ricorsi 
proposti 
davanti 
al 
Giudice 
di 
Pace 
contro gli 
avvisi 
di 
addebito 
di 
cui 
all’art. 
4-sexies, 
comma 
6, 
D.L. 
1 
aprile 
2021 
n. 
44, 
convertito 
nella 
legge 
28 maggio 2021 n. 76 notificati 
dall’Agenzia delle 
entrate-Riscossione 
(ADER) 
a 
titolo 
di 
sanzione 
per 
inadempimeto 
all’obbligo 
vaccinale 
anti 
COVID-19. 
Istruzioni 
operative, 
Circolare 
A.G. 
prot. 
89980 
del 
3 
febbraio 2023 n. 7. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ›› 
23 
Ulteriori 
indicazioni 
per 
la gestione 
del 
contenzioso relativo ai 
giudizi 
di 
convalida di 
licenza per 
finita locazione 
degli 
immobili 
FIP 
-Atti 
di 
intimazione 
per 
finita locazione 
notificati 
da Investire 
SGR 
e 
altri 
locatori 
nei 
confronti 
dell’Agenzia del 
Demanio, in relazione 
a immobili 
conferiti 
nei 
fondi 
di 
cui 
all’articolo 4 del 
D.L. 25 settembre 
2001, n. 351, conv. 
con mod. in L. 23 novembre 
2001, n. 410, assegnati 
a varie 
amministrazioni 
usuarie, Circolare 
A.G. prot. 120104 del 14 febbraio 2023 n. 10 
. . ›› 
28 
D.P.C.M. 
30 
gennaio 
2023 
recante 
“Autorizzazione 
all’Avvocatura 
dello 
Stato 
ad 
assumere 
e 
continuare 
la 
rappresentanza 
e 
la 
difesa 
della 
società 
‘Infrastrutture 
Milano 
Cortina 
2020-2026 
S.p.a.’ 
nei 
giudizi 
attivi 
e 
passivi 
avanti 
le 
autorità 
giudiziarie, 
i 
collegi 
arbitrali, 
le 
giurisdizioni 
amministrative 
e 
speciali”, 
Circolare 
A.G. 
prot. 
164257 
del 
2 
marzo 
2023 
n. 
13 
m 
›› 
30 
Soppressione 
di 
Riscossione 
Sicilia 
s.p.a. 
e 
successione 
a 
titolo 
universale 
di 
Agenzia 
delle 
Entrate-Riscossione 
(ADER) 
a 
decorrere 
dal 
1° 
ottobre 
2021. 
Piena 
operatività 
del 
patrocinio 
dell’Avvocatura 
dello 
Stato 
a 
decorrere 
dal 
1° 
aprile 
2023, 
Circolare 
A.G. 
prot. 
224411 
del 
27 
marzo 
2023 
n. 
21 
. 
. 
. 
. 
. 
›› 
31 
CONTENZIOSO 
COMUNITARIO 
ED 
INTERNAZIONALE 
Herik Mutarelli, “Lexitor”. (segue) Rimborso anticipato del 
credito alla 
luce 
della 
“nuova” 
pronuncia 
della 
Corte 
di 
Giustizia 
del 
9 
febbraio 
2023, UniCredit Bank 
Austria, C-555/21 
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ›› 
33 



Wally ferrante, Protezione 
internazionale 
e 
vincolatività delle 
decisioni 
degli 
Stati 
membri 
(C. 
giust. 
Ue, 
Osservazioni 
del 
Governo 
italiano 
in 
causa C-753/22) 
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 

Emanuela 
Rosanò, 
AIRBNB: la Corte 
di 
Giustizia U.E. interviene 
sul 
regime 
fiscale 
dei 
servizi 
di 
intermediazione 
immobiliare 
riguardanti 
le 
locazioni 
brevi 
e 
sull’obbligo 
di 
nomina 
di 
un 
rappresentante 
fiscale 
residente 
in Italia (C. giust. Ue, Sez. II, sent. 22 dicembre 
2022, causa 
C83/
21) 
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 

CONTENZIOSO 
NAZIONALE 


Manuela 
Di 
Blasi, 
La 
tutela 
della 
sovranità 
agroalimentare 
come 
interesse 
nazionale 
strategico nel 
prisma dell’evoluzione 
normativa in materia 
di 
golden 
power. 
Il 
caso 
Verisem 
(Cons. 
Stato, 
Sez. 
IV, 
sent. 
9 
gennaio 
2023 n. 289) 
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 

Marco Cerase, Istituzioni 
AFAM e 
procedura dell’istituto del 
commissariamento. 
Brevi 
osservazioni 
a 
T.a.r. 
Lazio, 
Sez. 
III 
ter, 
sentenza 
9 
febbraio 
2023 n. 2232 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 

LEGISLAZIONE 
ED 
ATTUALITà 


Michele 
Gerardo, 
Rapporto di 
lavoro con la P.A.: selezione 
dei 
pubblici 
dipendenti, perfomance, situazioni 
giuridiche 
soggettive 
inter 
partes 
e 
le 
varie responsabilità del lavoratore 
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 

Paolo Giangrosso, 
Il 
contesto europeo del 
Cybercrime 
e 
la l. n. 48/2008 
di ratifica alla Convenzione sul Cybercrime 
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 

Daniele Saccoccio, Accesso abusivo ad un sistema informatico 
. . . . . . . 
Daniele 
Saccoccio, La Frode 
Informatica. Il 
discrimine 
tra truffa e 
frode 
informatica 
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 

CONTRIBUTI 
DI 
DOTTRINA 


Carlo Maria Pisana, Introduzione al giudizio di legittimità civile 
. . . . . . 

Gaetana 
Natale, 
La 
microrigenerazione 
urbana 
come 
esperienza 
di 
cittadinanza 
attiva 
e 
modello 
operativo 
della 
c.d. 
Amministrazione 
condivisa 
..................................................... 


Gaetana 
Natale, 
La 
concessione: 
l’istituto 
generatore 
di 
sistemi 
complessi 


Isabella 
Vitiello, 
Le 
prove 
e 
l’istruzione 
probatoria 
nel 
processo 
tributario 
................................................... 


Andrea 
ferri, Anonimato e 
segni 
di 
riconoscimento nelle 
procedure 
concorsuali; 
il percorso della giurisprudenza amministrativa 
. . . . . . . . . . . 

pag. 
48 
›› 
56 
›› 
83 
›› 
114 
›› 
129 
›› 
219 
›› 
223 
›› 
227 
›› 
231 
›› 
244 
›› 
263 
›› 
277 
›› 
310 


Comunicato 
dell’Avvocato 
Generale, 
Pensionamento 
Avv. 
Massimo 
Lucci. 
. 
................................................. 



temiistituzionali
Camera 
dei 
deputati 
xiv 
Commissione 
- politiChe 
dell’unione 
europea 


Audizione dell’Avvocato Generale dello Stato, 
Avv. Gabriella Palmieri Sandulli, del 25 gennaio 2023 


On.le Presidente, On.li Deputati. 


Desidero anzitutto ringraziarvi 
per avere 
voluto associare 
anche 
me 
-e 
attraverso me 
l’Istituto che 
ho l’onore 
di 
rappresentare 
-a 
questo ciclo di 
audizioni, 
che 
fanno 
seguito 
alla 
pubblicazione 
della 
recente 
comunicazione 
della 
Commissione 
europea 
sull’applicazione 
del 
diritto 
dell’Unione 
per 
un’Europa 
dei Risultati. 


L’Avvocatura 
dello Stato è 
l’organo legale 
dello Stato al 
quale 
sono assegnati 
compiti 
di 
consulenza 
giuridica 
e 
di 
difesa 
dello Stato, degli 
Organi 
costituzionali 
e 
delle 
Amministrazioni 
statali 
in 
tutti 
i 
giudizi 
civili, 
penali, 
amministrativi, arbitrali, comunitari e internazionali. 


Tra 
i 
compiti 
dell’Avvocatura 
dello Stato vi 
è, dunque, anche 
quello di 
rappresentare 
la 
Repubblica 
italiana 
dinnanzi 
a 
tutte 
le 
giurisdizioni 
internazionali 
e 
sovranazionali, ivi 
compresa 
-per quanto qui 
interessa 
-la 
Corte 
di 
giustizia dell’Unione europea. 


Ricordo, 
inoltre, 
che 
ai 
sensi 
dell’art. 
42, 
comma 
3, 
della 
legge 
n. 
234 
del 
2012 
-ossia 
della 
legge 
che 
reca 
le 
norme 
generali 
sulla 
partecipazione 
dell’Italia 
alla 
formazione 
e 
all’attuazione 
della 
normativa 
e 
delle 
politiche 
dell’Unione 
europea 
-il 
ruolo 
di 
Agente 
del 
Governo 
italiano 
presso 
la 
Corte 
di 
giustizia 
dell’Unione 
europea 
deve 
essere 
necessariamente 
conferito 
ad 
un 
Avvocato 
dello 
Stato. 


Attualmente 
questo 
ruolo 
è 
attribuito 
direttamente 
al 
vertice 
dell’Istituto, 
ossia 
a 
chi 
vi 
parla, a 
testimonianza 
della 
rilevanza 
che 
annettiamo a 
questo 
contenzioso. 


Questo 
complesso 
di 
attribuzioni 
fa 
dell’Avvocatura 
dello 
Stato 
un 
os



RASSEGNA 
AvvOCATURA 
DELLO 
STATO -N. 3/2022 


servatorio privilegiato per uno dei 
temi 
che 
formano oggetto della 
Comunicazione 
della 
Commissione 
europea, quello dello stato di 
attuazione 
e 
applicazione 
del diritto dell’Unione europea nel nostro Paese. 


Dal 
mio osservatorio non posso che 
confermare 
che 
la 
cultura 
giuridica 
delle 
istituzioni 
e 
delle 
corti 
italiane, così 
come 
quella 
del 
mondo forense 
nazionale, 
è tra le più attente alle istanze provenienti dal diritto europeo. 


Come 
è 
stato di 
recente 
riconosciuto anche 
dal 
Presidente 
della 
Corte 
di 
giustizia 
Koen Lenaerts, nel 
corso delle 
celebrazioni 
del 
70° 
anniversario del-
l’istituzione 
di 
tale 
Corte, il 
6 dicembre 
2022, la 
nostra 
Corte 
costituzionale 
ha, 
negli 
anni, 
assunto 
un 
ruolo 
di 
assoluto 
protagonismo 
in 
quel 
proficuo 
dialogo 
istituzionale 
che 
si 
è 
sempre 
più sviluppato tra 
le 
Alte 
Corti 
europee, la 
Corte 
di 
giustizia 
dell’Unione 
europea 
e 
la 
Corte 
europea 
dei 
diritti 
dell’uomo. 


È 
di 
pochi 
anni 
fa 
la 
nota 
sentenza 
c.d. Taricco 2, nella 
quale 
questo dialogo 
ci 
ha 
consegnato 
una 
soluzione 
particolarmente 
equilibrata, 
che 
ha 
saputo 
contemperare 
l’osservanza 
del 
diritto dell’Unione 
europea, e 
della 
sua 
primazia, 
con 
il 
rispetto 
delle 
tradizioni 
costituzionali 
e 
delle 
identità 
nazionali 
degli 
Stati 
membri 
(nella 
fattispecie, 
la 
nostra 
visione 
della 
prescrizione 
penale 
quale 
istituto di 
diritto sostanziale, che 
non ne 
consente 
un’applicazione 
retroattiva 
in danno dell’imputato). 


Più 
di 
recente, 
desidero 
ricordare 
la 
sentenza 
n. 
54 
del 
2022, 
nella 
quale 
la 
Corte 
costituzionale, 
dopo 
avere 
investito 
la 
Corte 
di 
giustizia 
dell’Unione 
europea 
con 
un 
rinvio 
pregiudiziale 
ex 
art. 
267 
TFUE, 
ha 
riconosciuto 
il 
diritto 
all’assegno 
di 
maternità 
e 
all’assegno di 
natalità 
ai 
cittadini 
degli 
Stati 
terzi 
ammessi 
a 
soggiornare 
in 
Italia 
a 
norma 
del 
diritto 
dell’Unione 
europea. 
O, 
ancora, 
la 
sentenza 
n. 
263 
del 
2022, 
nella 
quale 
la 
Corte 
costituzionale 
ha 
riconosciuto 
importanti 
diritti 
ai 
consumatori 
nei 
confronti 
degli 
istituti 
di 
credito 
(in 
particolare, 
il 
diritto 
alla 
restituzione 
dei 
costi 
del 
finanziamento, 
nel 
caso 
di 
rimborso 
anticipato), 
dando 
prevalenza 
al 
diritto 
dell’Unione, 
così 
come 
interpretato 
dalla 
Corte 
di 
giustizia 
nella 
nota 
sentenza 
Lexitor, 
sul 
diritto 
nazionale. 


In tutti 
questi 
giudizi 
l’Avvocatura 
dello Stato è 
stata, ovviamente, presente 
e 
ha 
cercato di 
contribuire 
all’individuazione 
di 
una 
soluzione 
che 
conducesse 
alla 
migliore 
integrazione 
tra 
diritto 
nazionale 
e 
diritto 
europeo, 
evitando che 
si 
creassero punti 
di 
frizione 
e, in ultima 
analisi, che 
si 
determinasse 
il rischio di procedure di infrazione. 


La 
sensibilità 
verso il 
diritto dell’Unione 
europea 
dimostrata 
dalla 
Corte 
costituzionale trova riscontro anche presso tutte le giurisdizioni nazionali. 


Nel 
panorama 
europeo, 
i 
giudici 
italiani 
sono 
tra 
i 
più 
assidui 
nella 
ricerca 
del 
dialogo 
e 
della 
collaborazione 
con 
la 
Corte 
di 
giustizia 
dell’Unione 
europea. 


Dall’ultima 
relazione 
annuale 
della 
Corte 
disponibile, quella 
relativa 
all’anno 
2021, 
emerge 
che 
su 
567 
rinvii 
pregiudiziali, 
ben 
46 
provengono 
da 
giudici 
italiani. Si 
tratta 
di 
un numero particolarmente 
rilevante, se 
si 
pensa 
che 
dalla 
Francia 
-ossia 
da 
uno Stato membro paragonabile 
al 
nostro per di



TEmI 
ISTITUzIONALI 


mensioni 
-ne 
sono stati 
effettuati 
esattamente 
la 
metà 
(23), mentre 
i 
giudici 
spagnoli ne hanno sollevati 35. 

Complessivamente, 
nel 
quinquennio 
2017-2021, 
i 
rinvii 
pregiudiziali 
italiani 
sono stati 285: solo la Germania ne ha sollevati di più. 

L’Avvocatura 
dello 
Stato 
è 
normalmente 
presente 
in 
tutti 
queste 
cause 
pregiudiziali, 
come 
lo 
è 
nelle 
cause 
che 
originano 
da 
rinvii 
pregiudiziali 
da 
parte 
di 
giudici 
nazionali 
di 
altri 
Stati 
membri 
e 
che, 
tuttavia, 
nella 
visione 
delle 
autorità 
nazionali, 
possono 
coinvolgere 
nostri 
interessi 
politici 
o 
amministrativi. 


Diminuiscono 
invece 
-ma 
questo 
è 
un 
dato 
va 
letto 
in 
chiave 
evidentemente 
positiva 
-le 
cause 
di 
infrazione 
contro 
la 
Repubblica 
italiana: 
nel 
2021 
ne 
è 
stata 
avviata 
solo 
una, 
due 
nel 
2020. 
Il 
progresso 
è 
notevole, 
considerato 
che 
nel 
biennio 
2018/19 
la 
Commissione 
europea 
ci 
aveva 
deferito 
11 
volte 
in 
Corte 
di 
giustizia. 


Da 
ultimo, 
bisogna 
menzionare 
i 
giudizi 
-non 
numerosi, 
ma 
sicuramente 
di 
rilievo -che 
hanno ad oggetto l’impugnazione, da 
parte 
della 
Repubblica 
italiana, di 
decisioni 
della 
Commissione 
o di 
altre 
Istituzioni 
dell’Unione 
europea, 
come 
ad esempio le 
decisioni 
in materia 
di 
aiuti 
di 
Stato o le 
decisioni 
di recupero del Fondo europeo agricolo di orientamento e di garanzia. 


Tra 
questi, 
mi 
piace 
ricordare, 
anche 
perché 
è 
un 
contenzioso 
sinora 
sempre 
risultato vincente, i 
numerosi 
ricorsi 
proposti 
dall’Avvocatura 
dello Stato 
a 
difesa 
dell’uso della 
lingua 
italiana 
nelle 
procedure 
di 
concorso per il 
reclutamento 
del 
personale 
delle 
istituzioni 
dell’Unione. La 
pari 
dignità 
di 
tutte 
le 
lingue 
nazionali 
degli 
Stati 
membri 
-che, ricordo, sono tutte 
lingue 
ufficiali 
dell’Unione 
-è 
un valore 
fondamentale 
per la 
coesione 
sociale 
europea 
e 
per 
il 
radicarsi 
di 
un 
effettivo 
sentimento 
di 
cittadinanza 
europea. 
Questo 
obiettivo 
è 
stato costantemente 
perseguito dai 
governi 
nazionali 
che 
si 
sono succeduti 
negli 
ultimi 
anni. Personalmente, sono particolarmente 
d’accordo con questa 
battaglia 
contro ogni 
tentativo di 
introdurre 
un trilinguismo di 
fatto, limitato 
all’inglese, al francese e al tedesco, che discrimini la lingua italiana. 


Da 
ultimo, 
il 
9 
dicembre 
2022, 
il 
Governo 
è 
intervenuto 
nella 
causa 
T-555/22 
a 
sostegno 
della 
Francia 
che 
aveva 
contestato 
la 
previsione 
del 
bando 
che 
prevede 
esclusivamente 
l’inglese 
quale 
seconda 
lingua 
richiesta 
ai 
candidati, 
ritenendola 
lesiva 
dei 
principi 
del 
pluralismo 
linguistico 
e 
della 
non 
discriminazione. 


Il 
16 
febbraio 
prossimo 
sarà 
depositata 
la 
sentenza 
della 
Corte 
di 
giustizia 
nella 
causa 
C-635/20 P, appello proposto dalla 
Commissione 
avverso la 
sentenza 
del 
Tribunale 
Ue 
che 
aveva 
accolto 
il 
ricorso 
del 
Governo 
italiano 
e 
spagnolo 
che 
censuravano 
la 
decisione 
del 
bando 
di 
limitare 
al 
solo 
inglese, 
francese, tedesco le 
lingue 
nelle 
quali 
è 
consentito, ai 
candidati 
che 
abbiano 
superato le 
prove 
preselettive, sostenere 
le 
prove 
selettive 
del 
concorso (colloquio 
strutturato, studio di 
caso, esercizio in gruppo, redazione 
di 
una 
relazione) 
e 
la 
riduzione 
alle 
predette 
lingue 
IFT 
quelle 
nelle 
quali 
era 
consentito 
ai 
candidati 
presentare 
la 
candidatura 
e 
ricevere 
dall’Epso le 
comunicazioni 
inerenti allo svolgimento della procedura. 


RASSEGNA 
AvvOCATURA 
DELLO 
STATO -N. 3/2022 


voglio 
ancora, 
in 
questa 
sede, 
ricordare 
che, 
a 
seguito 
della 
riforma 
di 
Lisbona 
dei 
Trattati 
e, in particolare, a 
seguito dell’adozione 
del 
Protocollo n. 
2 
al 
Trattato 
sul 
funzionamento 
dell’Unione 
europea, 
relativo 
all’applicazione 
dei 
principi 
di 
sussidiarietà 
e 
proporzionalità, 
tra 
i 
soggetti 
legittimati 
ad 
adire 
direttamente 
la 
Corte 
di 
giustizia 
vi 
sono i 
Parlamenti 
nazionali 
e, nei 
sistemi 
bicamerali, anche 
le 
singole 
Camere 
di 
tali 
Parlamenti 
nazionali. L’art. 8 del 
Protocollo, infatti, contempla 
la 
possibilità 
delle 
Camere 
di 
proporre 
ricorso 
per 
violazione 
del 
principio 
di 
sussidiarietà, 
nel 
quadro 
del 
controllo 
sul 
rispetto 
del 
principio di 
solidarietà 
che 
l’art. 68 del 
TFUE 
demanda, per l’appunto, 
ai 
Palamenti 
nazionali. 
Si 
tratta 
di 
uno 
strumento 
di 
difesa 
delle 
competenze 
nazionali 
di 
cui 
i 
Parlamenti 
nazionali 
non 
si 
sono, 
sin 
qui, 
avvalsi, 
ma 
di 
cui 
credo debba 
tenersi 
conto, sia 
pure 
quale 
extrema ratio, nel 
dialogo 
con le 
Istituzioni 
dell’Unione. L’Avvocatura 
dello Stato è, ovviamente, a 
disposizione 
del 
Parlamento, 
per 
fornire 
la 
propria 
consulenza 
e 
assistenza, 
qualora, 
in futuro, manifestasse l’eventualità di un’iniziativa di questo tipo. 

Credo possano essere 
di 
un qualche 
interesse 
per la 
Commissione 
alcuni 
cenni 
sul 
processo 
attraverso 
cui, 
in 
Italia, 
si 
arriva 
alla 
decisione 
di 
intervento 
e di ricorso, in relazione ai giudizi di cui ho appena parlato. 


Una 
modalità 
operativa 
concreta 
che 
non si 
inquadra 
in una 
organizzazione 
burocratica, 
ma 
assume 
caratteristiche 
di 
duttilità 
per 
adattarsi 
e 
risolvere 
singole 
situazioni; 
nell’ambito di 
un regime 
di 
competenze 
non rigidamente 
delineate, ma 
concretamente 
operative 
e 
finalizzate 
alla 
migliore 
espressione 
dell’interesse pubblico, della collettività. 


Gli attori di questo processo sono, nella sostanza, tre: 


-l’Avvocatura 
dello Stato, che 
ha 
un ruolo strettamente 
tecnico, ma 
-mi 
permetto di dire - non per questo minore; 
-le 
autorità 
pubbliche 
coinvolte, 
che 
non 
sono 
necessariamente 
le 
sole 
autorità 
governative. 
Il 
Governo 
italiano 
interviene 
in 
giudizio 
in 
rappresentanza 
della 
Repubblica 
italiana 
e, 
dunque, 
deve 
tenere 
conto 
di 
tutte 
le 
articolazioni 
che 
la 
compongono: 
tanto 
in 
senso 
territoriale, 
quanto 
in 
senso 
istituzionale. 
Al 
dibattito 
circa 
l’opportunità 
dell’intervento 
partecipano, 
dunque, 
non 
solo 
le 
Amministrazioni 
di 
governo, 
ma 
-a 
pieno 
titolo 
-gli 
altri 
organi 
costituzionali, 
le 
autorità 
indipendenti 
e, 
se 
del 
caso, 
anche 
le 
Regioni 
e 
gli 
enti 
territoriali 
(anche 
perché, 
come 
noto, 
lo 
Stato 
risponde 
verso 
l’Unione 
europea 
anche 
del 
fatto 
di 
questi 
enti, 
salvo 
il 
diritto 
di 
rivalsa 
su 
di 
essi. 
Ecco, 
quindi, 
che 
è 
necessario 
che 
questi 
enti 
abbiano 
l’opportunità 
di 
interloquire 
sulla 
linea 
difensiva 
dello 
Stato). 
Personalmente, 
quindi, 
troverei 
utile 
che, 
in 
relazione 
alle 
questioni 
di 
maggiore 
rilevanza 
e 
che 
interessano 
direttamente 
il 
Parlamento, 
anche 
le 
Camere 
siano 
coinvolte 
in 
questa 
fase, 
così 
come 
già 
avviene 
per 
altri 
Organi 
costituzionali 
(penso, 
ad 
esempio, 
al 
Consiglio 
Superiore 
della 
magistratura); 


-l’Agente 
del 
Governo, che 
è 
una 
figura 
a 
un tempo tecnica 
-è 
infatti, 
per legge, un avvocato dello Stato, come 
ho prima 
ricordato -e 
“politica”, es

TEmI 
ISTITUzIONALI 


sendo 
incardinato 
presso 
il 
ministero 
degli 
affari 
esteri. 
L’Agente 
del 
Governo 
svolge, 
quindi, 
un 
ruolo 
fondamentale 
nel 
contemperamento 
delle 
esigenze 
tecniche 
e 
politiche 
cui 
prima 
ho fatto cenno e, non a 
caso, co-presiede, con 
la 
Presidenza 
del 
Consiglio 
-Dipartimento 
per 
le 
Politiche 
Europee, 
le 
riunioni 
di cui subito dirò, nelle quali appunto si prendono le decisioni di intervento. 


Il 
processo di 
elaborazione 
di 
queste 
decisioni 
si 
articola 
in alcuni 
semplici 
passaggi. 


L’Agente 
del 
Governo, quando ha 
notizia 
di 
una 
nuova 
causa 
-vuoi 
per 
la 
notifica 
di 
rinvii 
pregiudiziali 
o 
di 
giudizi 
diretti 
che 
riguardano 
l’Italia, 
vuoi 
in 
qualsiasi 
altra 
forma, 
nel 
caso 
di 
giudizi 
diretti 
che 
non 
riguardano 
l’Italia 
-comunica 
l’atto introduttivo del 
giudizio, da 
un lato, all’Avvocatura 
dello Stato e, dall’altro lato, a tutte le autorità interessate. 


A 
questo punto, compito dell’Avvocatura 
è 
di 
rappresentare 
quali 
siano 
le 
possibili 
ricadute 
giuridiche 
e 
pratiche 
delle 
questioni 
sottoposte 
alla 
Corte, 
affinché 
le 
autorità 
coinvolte 
possano assumere, con cognizione 
di 
causa, le 
proprie decisioni. 


Compito 
di 
queste 
autorità 
è 
di 
identificare 
quale 
sia 
la 
posizione 
sostanziale 
che 
convenga 
assumere 
al 
Governo. 
In 
alcuni 
casi 
questo 
interesse 
è 
evidente: 
pensiamo, 
ad 
esempio, 
ai 
giudizi 
di 
infrazione 
che 
coinvolgono 
l’Italia 
o 
alle 
cause 
pregiudiziali 
che 
hanno 
ad 
oggetto, 
per 
così 
dire, 
delle 
para-infrazioni 
(quando, 
cioè, 
il 
quesito 
posto 
inizia 
con 
la 
frase: 
«Dica 
la 
Corte 
se 
il 
diritto 
europeo 
osti 
a 
una 
normativa 
nazionale, 
etc..»). 
Negli 
altri 
casi 
l’interesse 
va 
individuato 
sulla 
base 
dei 
principi 
di 
diritto 
che 
vengono 
in 
gioco 
nel 
giudizio. 


È 
questo, 
evidentemente, 
un 
ruolo 
essenziale 
che, 
a 
mio 
avviso, 
dovrebbe 
collocarsi 
a 
livello del 
Gabinetto o, comunque, degli 
staff degli 
organi 
di 
vertice 
di tali autorità. 

È, 
infatti, 
fondamentale, 
come 
dicevo, 
che 
in 
questa 
fase 
si 
identifichi 
non 
tanto 
la 
giusta 
soluzione 
tecnica, 
quanto 
l’effettivo 
interesse 
nazionale. 
Non sarei, al 
riguardo, pregiudizialmente 
contraria 
a 
che 
le 
Amministrazione 
coinvolte 
aprissero, 
a 
questo 
stadio, 
anche 
una 
fase 
di 
consultazione 
pubblica, 
che 
consenta 
al 
Governo 
di 
acquisire, 
ai 
soli 
fini 
istruttori, 
le 
posizioni 
dei 
portatori 
di 
interessi 
nazionali 
(imprese, 
associazioni, 
consumatori, 
etc.), 
onde 
poi definire con maggiore consapevolezza la posizione processuale. 


Questa 
fase 
decisionale, ormai 
già 
da 
qualche 
anno -direi 
da 
subito dopo 
l’entrata 
in vigore 
della 
legge 
n. 234 del 
2012 -si 
conclude 
con una 
riunione 
presso 
la 
Presidenza 
del 
Consiglio, 
come 
dicevo 
co-presieduta 
dall’Agente 
del 
Governo e 
dal 
Dipartimento per gli 
affari 
europei, nel 
quale 
si 
assume 
la 
decisione definitiva. 


Ai 
sensi 
dell’art. 
42, 
primo 
comma, 
della 
legge 
n. 
234 
del 
2012, 
infatti, 
le 
decisioni 
sui 
ricorsi 
e 
sugli 
interventi 
spettano, 
in 
ultima 
istanza, 
al 
Presidente 
del 
Consiglio 
dei 
ministri, 
che 
deve 
agire 
“in 
raccordo” 
-dice 
la 
legge 
-con 
il 
ministro 
degli 
affari 
esteri 
e 
con 
i 
ministri 
direttamente 
interessati 
alla 
materia. 



RASSEGNA 
AvvOCATURA 
DELLO 
STATO -N. 3/2022 


Nel 
caso 
che 
si 
decida 
per 
l’intervento, 
viene, 
quindi, 
conferito 
il 
“mandato” 
all’Avvocatura 
dello 
Stato, 
con 
indicazione 
degli 
obiettivi 
dell’intervento. 
Spetta, 
poi, 
all’Avvocatura, 
nella 
propria 
autonomia 
tecnico-professionale, 
inquadrare 
tali 
obiettivi 
in 
una 
difesa 
tecnica. 


Si 
tratta 
di 
un modello che, a 
mio avviso, ha 
dato buona 
prova 
ed è 
da 
valutare positivamente. 


Da 
ultimo, ma 
non per importanza, devo ricordare 
il 
contributo alla 
corretta 
attuazione 
e 
applicazione 
del 
diritto dell’Unione 
che 
l’Avvocatura 
dello 
Stato apporta nell’esercizio della sua attività di consulenza. 


È, 
questo, 
un 
aspetto 
direi 
essenziale 
della 
nostra 
funzione, 
che 
contribuisce 
ad evitare 
che 
l’azione 
del 
Governo e 
delle 
altre 
autorità 
statali 
entri 
in 
conflitto con il diritto dell’Unione europea. 


Ciò sia 
al 
fine 
di 
evitare 
il 
danno di 
immagine, e 
potenzialmente 
finanziario, 
che 
può 
derivare 
dall’apertura 
di 
una 
procedura 
di 
infrazione, 
sia 
al 
fine 
di 
non 
incorrere 
-ed 
è 
questo 
un 
aspetto 
spesso 
trascurato 
-nella 
responsabilità 
patrimoniale dello Stato che deriva dalla violazione del diritto europeo. 


La 
violazione 
del 
diritto dell’Unione, da 
parte 
di 
qualsiasi 
Organo dello 
Stato (ivi 
compreso il 
legislatore, come 
ha 
chiarito la 
Corte 
sin dalle 
note 
sentenze 
Francovich 
e 
Brasserie 
du Pecheur), è, infatti, fonte 
di 
responsabilità 
diretta 
dello Stato verso i 
cittadini 
o le 
imprese 
ed è 
stata, in passato, causa 
di 
un contenzioso nazionale 
risarcitorio dalle 
dimensioni 
spesso molto rilevanti: 
penso, 
ad 
esempio, 
al 
caso 
dei 
medici 
specializzandi 
o 
a 
quello 
dei 
c.d. 
precari 
della scuola. 


Oltre 
che 
nella 
prevenzione 
delle 
infrazioni, l’Avvocatura 
dello Stato è 
costantemente 
impegnata 
nella 
gestione 
delle 
procedure 
di 
infrazione 
aperte 
dalla 
Commissione 
europea, anche 
nella 
fase 
pre-processuale, avendo già 
da 
anni, 
al 
riguardo, 
avviato 
una 
proficua 
collaborazione 
con 
l’apposita 
Struttura 
di 
missione, 
costituita 
alle 
dipendenze 
del 
ministro 
per 
gli 
affari 
europei, 
il 
cui 
coordinatore 
Prof. massimo Condinanzi 
è 
stato già 
audito da 
questa 
Commissione 
nel corso del presente ciclo di audizioni. 

On.le 
Presidente, 
On.le 
Deputati 
della 
Commissione, 
spero 
con 
questo 
mio 
breve 
intervento 
di 
avervi 
fornito 
un 
quadro 
sintetico, 
ma 
sufficientemente 
chiaro, 
del 
contributo 
dato 
dall’Istituto 
che 
dirigo 
all’attuazione 
e 
alla 
corretta 
applicazione del diritto dell’Unione europea. 


vi 
ringrazio 
dell’attenzione 
e 
resto 
a 
disposizione 
per 
gli 
eventuali 
quesiti 
che gli On.li Deputati vorranno sottopormi. 


Gabriella Palmieri Sandulli 
Avvocato Generale dello Stato 



TEmI 
ISTITUzIONALI 


Cerimonia 
di 
inaugurazione 
dell’anno 
giudiziario 
2023 


Intervento dell’Avvocato Generale dello Stato 
Avv. Gabriella Palmieri Sandulli 


Signor Presidente della Repubblica, 
Autorità Civili, Militari e Religiose, 
Signor Primo Presidente della Corte di Cassazione, 
Signor Procuratore Generale, 
Illustri Ospiti, 


prendo la 
parola 
in questa 
solenne 
Cerimonia 
per porgere 
il 
saluto del-
l’Istituto che ho l’alto onore di dirigere. 


2. 
Nella 
sua 
approfondita 
e 
ampia 
relazione 
il 
Primo 
Presidente 
ha 
riferito 
in 
modo 
analitico 
e 
dettagliato 
sui 
risultati 
raggiunti 
dalla 
Suprema 
Corte 
anche 
nell’anno 
2022, 
frutto, 
ancora 
una 
volta, 
del 
grandissimo 
impegno 
profuso 
dai 
magistrati 
e 
da 
tutto il 
Personale 
amministrativo, ai 
quali 
vanno il 
più sentito 
apprezzamento e la più viva gratitudine. 
La 
sinergia 
fra 
i 
diversi 
attori 
dell’attività 
giudiziaria 
si 
sviluppa, 
sul 
piano 
strettamente 
giurisdizionale, nel 
reciproco impegno per una 
celere 
ed efficace 
definizione del contenzioso pendente. 


Anche 
nel 
2022 
è, 
pertanto, 
proseguita 
la 
collaborazione 
dell’Avvocatura 
dello Stato con la 
Corte 
di 
cassazione 
sia 
per lo svolgimento di 
udienze 
tematiche, 
sia 
per l’individuazione 
di 
significative 
questioni 
da 
sottoporre 
alle 
Sezioni 
Unite 
al 
fine 
di 
determinare 
un 
indirizzo 
univoco 
necessario 
per 
la 
riduzione del contenzioso pendente anche dinanzi ai giudici di merito. 


3. 
Il 
2022 
ha 
registrato 
anche 
un 
deciso 
e 
significativo 
progresso 
nella 
digitalizzazione 
dell’attività 
giudiziaria 
che 
si 
è 
definitivamente 
compiuta 
in 
virtù del 
Decreto Legislativo n. 149/2022, con la 
previsione 
della 
obbligatorietà, 
a 
decorrere 
dal 
1° 
gennaio 2023, del 
processo telematico anche 
dinanzi 
alla Corte di cassazione. 
L’Avvocatura 
dello Stato ha 
contribuito in modo significativo, nel 
corso 
del 
2022, 
al 
progressivo 
superamento 
dei 
depositi 
cartacei 
e 
all’utilizzo 
del 
deposito telematico: 
nel 
solo mese 
di 
dicembre 
2022 è 
stata 
raggiunta 
la 
significativa 
cifra di circa 1000 depositi telematici effettuati. 


4. 
La 
riforma 
ha 
introdotto anche 
una 
nuova 
formulazione 
dell’articolo 
380-bis 
del 
c.p.c. 
con 
la 
previsione 
di 
un 
inedito 
procedimento 
per 
la 
decisione 
accelerata 
dei 
ricorsi 
inammissibili, 
improcedibili 
o 
manifestamente 
infondati. 
Si 
tratta 
di 
una 
innovazione 
che 
potrà 
razionalizzare 
e 
semplificare 
il 
giudizio 
civile 
di 
cassazione, contribuendo alla 
eliminazione 
dell’arretrato, con 



RASSEGNA 
AvvOCATURA 
DELLO 
STATO -N. 3/2022 


l’obiettivo condiviso di 
giungere 
ad una 
giustizia 
non solo celere, ma 
anche 
effettiva. 


L’Avvocatura 
dello 
Stato, 
come 
sempre, 
darà 
il 
suo 
apporto 
in 
chiave 
collaborativa, 
sia 
per il 
ruolo istituzionale 
che 
la 
legge 
le 
attribuisce, sia 
perché 
la 
gran 
parte 
dei 
processi 
civili 
in 
cassazione 
la 
vedono 
direttamente 
interessata 
a difesa delle 
Amministrazioni pubbliche. 


va 
osservato che 
lo strumento deflattivo introdotto con il 
novellato art. 
380-bis, potrà 
avere 
gli 
auspicati 
effetti 
positivi 
se 
la 
proposta 
sfavorevole 
al 
ricorrente 
formulata 
dal 
Presidente 
della 
Sezione 
o dal 
Consigliere 
delegato 
(che 
la 
legge 
definisce 
come 
una 
“sintetica 
proposta 
di 
definizione 
del 
giudizio”), 
risulti 
-pur nella 
sua 
“sinteticità” 
-il 
più possibile 
esaustiva 
in ordine 
ai motivi che ne sono alla base. 


Con 
la 
valorizzazione 
del 
concetto 
di 
sinteticità 
in 
chiave 
di 
“sufficienza” 
della 
proposta 
e 
non 
soltanto 
con 
l’applicazione 
del 
terzo 
e 
del 
quarto 
comma 
del-
l’art. 
96 
c.p.c. 
che 
prescinda 
dalla 
verifica 
in 
concreto 
della 
temerarietà 
della 
lite 
solo 
perché 
connessa 
alla 
mera 
volontà 
di 
proseguire 
il 
giudizio, 
si 
raggiungerà 
lo 
scopo 
deflattivo 
che 
la 
norma 
si 
propone, 
inducendo 
i 
ricorrenti 
ad 
abbandonare 
il 
giudizio 
(omettendo 
di 
depositare 
l’istanza 
di 
trattazione 
entro 
40 
giorni), 
in 
quanto 
fondatamente 
persuasi 
del 
prevedibile 
esito 
negativo 
del 
ricorso 
proposto. 


5. 
La 
digitalizzazione 
e 
dematerializzazione 
dell’attività 
giudiziaria 
ha 
interessato anche 
l’attività 
svolta 
dall’Avvocatura 
dello Stato in relazione 
sia 
ai compiti amministrativi, sia a quelli propriamente defensionali. 
Ai 
dati 
relativi 
al 
giudizio di 
legittimità 
si 
aggiungono quelli, rilevantissimi, 
dei 
depositi 
nei 
gradi 
di 
merito civile 
(Corte 
d’appello e 
Tribunale) -in 
regime 
di 
esclusivo 
deposito 
telematico 
sin 
dal 
marzo 
2020 
-per 
i 
quali 
si 
conferma 
l’andamento del 
2021 (circa 
95 mila 
depositi 
telematici 
e 
circa 
il 
90 per 
cento in più di quelli eseguiti nel 2020). 

Andamento 
analogo 
per 
le 
notifiche 
telematiche 
eseguite 
dall’Avvocatura 
dello Stato: 
si 
confermano le 
47 mila 
notifiche 
del 
2021, con un aumento di 
circa il 30 per cento rispetto al 2020. 


6. 
Nel 
2022 
si 
è 
registrato 
nell’Avvocatura 
dello 
Stato 
un 
incremento 
degli 
affari 
nuovi 
in 
tutta 
Italia 
di 
circa 
il 
9% 
rispetto 
al 
2021; 
nella 
sola 
sede 
di 
Roma 
i 
nuovi 
affari 
hanno raggiunto la 
notevole 
cifra 
di 
circa 
54.000, ritornando, 
dunque, ai livelli del 2019 precedenti alla pandemia. 
Per quanto riguarda 
gli 
esiti 
dei 
giudizi 
in cui 
è 
parte 
l'Avvocatura 
dello 
Stato -che 
con il 
contenzioso tributario impegna 
in maniera 
rilevante 
la 
Corte 
di 
cassazione 
-si 
conferma 
una 
percentuale 
di 
successo 
nelle 
cause 
patrocinate 
nella media superiore al 68%. 


Tali 
dati 
sottolineano l’intensità 
del 
lavoro di 
tutti 
i 
componenti 
dell’Avvocatura 
dello Stato per assicurare 
l’ottimale 
svolgimento dei 
compiti 
istituzionali 
al servizio del Paese. 



TEmI 
ISTITUzIONALI 


7. Da 
ultimo, dall’osservatorio privilegiato di 
Agente 
del 
Governo della 
Repubblica 
italiana, ricordo come 
sia 
efficacemente 
proseguito il 
dialogo tra 
la Corte di cassazione e la Corte di giustizia dell’Unione europea. 
Nel 
2022 sono state 
proposte 
nove 
questioni 
di 
rinvio pregiudiziale 
che 
hanno riguardato ambiti 
diversi, mandato d’arresto europeo, disciplina 
delle 
accise, 
diritti 
dei 
lavoratori, 
diritto 
societario, 
confermando 
l’importanza 
di 
tale 
strumento, 
che 
assume 
una 
funzione 
fondamentale 
affinché 
l’integrazione 
tra 
l’ordinamento interno e 
quello sovranazionale 
avvenga 
nel 
rispetto delle 
tradizioni 
costituzionali 
nazionali 
e 
dei 
principi 
supremi 
che 
ne 
sono 
alla 
base. 

8. 
Nel 
formulare 
i 
più vivi 
auguri 
di 
buon lavoro al 
vice 
Presidente 
del 
Consiglio Superiore 
della 
magistratura, Avv. Fabio Pinelli, concludo questo 
mio intervento certa 
di 
poter confermare, Signor Presidente 
della 
Repubblica, 
che 
l’Avvocatura 
dello Stato e 
tutti 
i 
suoi 
Componenti 
continueranno a 
profondere 
il 
massimo impegno per essere 
sempre 
all’altezza 
delle 
rilevanti 
funzioni 
loro assegnate. 
Grazie per l’attenzione. 


Roma, 26 gennaio 2023 
Palazzo di Giustizia, Aula Magna 



RASSEGNA 
AvvOCATURA 
DELLO 
STATO -N. 3/2022 


Cerimonia 
di 
insediamento 
del 
presidente 
del 
Consiglio 
di 
stato 
luigi 
maruotti 
e 
di 
presentazione 
della 
“relazione 
sull’attività 
della 
giustizia 
amministrativa” anno 
2022 
inaugurazione 
dell’anno 
giudiziario 
2023 


Intervento dell’Avvocato Generale dello Stato 
Avv. Gabriella Palmieri Sandulli 


Signor Presidente della Repubblica, 


Signor Sottosegretario, 

Autorità, 

Signor Presidente del Consiglio di Stato, 


Illustri Ospiti, 


sono davvero onorata 
di 
prendere 
la 
parola 
in questa 
solenne 
Cerimonia 
per 
portare 
il 
saluto 
dell’Istituto 
che 
ho 
il 
privilegio 
di 
dirigere, 
nel 
segno 
della 
tradizionale 
e 
consolidata 
reciproca 
collaborazione 
istituzionale, della 
quale 
ringrazio Lei, Signor Presidente, i 
Suoi 
Predecessori, nel 
ricordo commosso 
del 
Presidente 
Franco Frattini, tutti 
i 
magistrati 
e 
il 
Personale 
amministrativo; 
e 
sono particolarmente 
onorata, poiché 
Lei, Signor Presidente, ha 
iniziato la 
Sua 
così 
prestigiosa 
e 
brillante 
carriera 
proprio nel 
nostro Istituto, all’Avvocatura 
Generale 
e 
all’Avvocatura 
Distrettuale 
di 
Napoli, dimostrando di 
possedere 
quelle 
grandi 
doti 
di 
preparazione 
giuridica, di 
dedizione, di 
capacità 
professionale, che, unite 
a 
un profondo senso dello Stato, hanno sempre 
caratterizzato 
il Suo così notevole percorso istituzionale. 


La 
Sua 
attività 
giurisdizionale, svolta 
prima 
presso i 
Tribunali 
Amministrativi 
Regionali 
e, 
poi, 
presso 
il 
Consiglio 
di 
Stato, 
si 
è 
sempre 
coniugata 
con 
un 
rilevante 
impegno 
scientifico 
e 
didattico, 
testimoniato 
dalla 
importante 
produzione di monografie e articoli. 


* 


Anche 
nel 
2022, grazie 
alla 
sinergia 
fra 
tutti 
i 
protagonisti 
del 
processo 
amministrativo, è 
stato possibile 
affrontare 
sia 
le 
sfide 
poste 
dall’emergenza 
epidemiologica, sia 
perseguire 
l’elaborazione 
di 
soluzioni 
condivise 
che, tenendo 
conto dell’interesse 
di 
tutte 
le 
parti 
del 
giudizio, costituiscono presupposto 
essenziale 
per un’amministrazione 
della 
giustizia 
sempre 
più efficiente. 


Con lo spirito collaborativo proprio dell’Avvocatura 
dello Stato auspico 
che questo percorso condiviso possa proseguire. 


La 
Giustizia 
amministrativa 
riveste 
un 
ruolo 
chiave 
anche 
nell’assicurare 
il rispetto degli obiettivi del PNRR. 


L’art. 12-bis 
del 
decreto-legge 
n. 68/2022 ha 
impresso un’accelerazione 
ai 
giudizi 
amministrativi 
riferibili, 
in 
qualsiasi 
modo, 
ai 
finanziamenti 
del 
PNRR, introducendo una 
nuova 
ipotesi 
di 
rito accelerato è 
richiedendo, per



TEmI 
ISTITUzIONALI 


tanto, un ulteriore 
importante 
impegno, da 
un lato, al 
Giudice 
amministrativo 
e, dall’altro, anche 
alle 
Amministrazioni 
pubbliche 
per assicurare 
l’efficacia 
della difesa in giudizio. 


* 
L’attività 
dell’Avvocatura 
dello Stato si 
svolge 
in misura 
rilevantissima 
dinanzi 
alla 
magistratura 
amministrativa, cui 
auspica 
di 
fornire 
un utile 
contributo, 
come 
è 
già 
avvenuto per la 
partecipazione 
alla 
Commissione 
istituita 
per redigere 
la 
bozza 
del 
nuovo Codice 
dei 
contratti 
pubblici, sia 
nello svolgimento 
dell’attività 
giurisdizionale, 
nella 
quale 
si 
esprime 
la 
missione 
del-
l’Istituto, 
sia 
nei 
settori 
di 
natura 
organizzativa, 
collaterali, 
ma 
non 
meno 
importanti, 
come 
il 
costante 
contributo 
fornito 
nel 
progetto 
che 
ha 
portato 
alla 
nascita 
e 
al 
rafforzamento 
dell’efficienza 
del 
processo 
amministrativo 
telematico. 


* 


La 
giustizia 
amministrativa 
è 
stata, 
infatti, 
il 
primo 
plesso 
giurisdizionale 
a 
passare, 
sin 
dal 
gennaio 
del 
2018, 
a 
una 
modalità 
esclusivamente 
telematica 
di 
deposito 
degli 
atti 
difensivi 
e 
dei 
provvedimenti 
giurisdizionali 
in 
tutti 
i 
giudizi. 


Ciò ha 
consentito di 
affrontare 
il 
momento emergenziale 
con strumenti 
già 
consolidati, nell’occasione 
integrati, con tempestività 
ed efficacia, anche 
con Protocolli condivisi. 


Nuove sfide innovative si impongono. 


Un auspicabile 
obiettivo ancora 
più importante 
a 
seguito dell’attivazione 
dei 
processi 
telematici 
avanti 
alla 
Corte 
di 
cassazione 
e 
alla 
Corte 
costituzionale 
è 
la 
ricerca 
di 
un’armonizzazione 
delle 
norme, delle 
piattaforme 
e 
degli 
strumenti 
di 
deposito, 
notifica 
e 
consultazione 
nei 
vari 
processi 
giurisdizionali 
telematici, al 
fine 
di 
assicurare 
un’immediata 
condivisione 
dei 
provvedimenti 
giurisdizionali, degli 
atti 
e 
dei 
documenti 
difensivi, nella 
prospettiva 
del 
costante 
miglioramento complessivo del servizio giustizia. 


* 


va 
ricordato, con specifico riferimento all’attività 
dell’Avvocatura 
dello 
Stato, il 
rilevantissimo volume 
degli 
scambi 
processuali 
con la 
giustizia 
amministrativa. 


Nel 
2022, si 
è 
registrato un ulteriore 
incremento dei 
depositi 
telematici, 
passati 
da 
80.000 a 
quasi 
90.000 (12mila 
verso il 
Consiglio di 
Stato), con un 
aumento del 12,5%. 


I depositi 
telematici 
effettuati 
dall’Avvocatura 
dello Stato hanno rappresentato, 
pertanto, il 
35% del 
complessivo numero di 
quelli 
effettuati 
a 
livello 
nazionale. 


Dai 
predetti 
dati 
emerge, 
con 
chiarezza, 
l’intensità 
dell’impegno 
dell’Avvocatura 
dello Stato, unita 
alla 
considerazione 
dell’importanza 
e 
della 
centralità 
degli 
ambiti 
e 
delle 
materie 
trattate 
quotidianamente 
davanti 
al 
Giudice 
Amministrativo. 



RASSEGNA 
AvvOCATURA 
DELLO 
STATO -N. 3/2022 


* 


Come 
è 
proseguito l’impegno innanzi 
alle 
giurisdizioni 
sovranazionali, 
Corte 
di 
giustizia 
e 
Tribunale 
della 
Ue 
e 
CEDU, essendo costante 
la 
necessità 
di 
confrontarsi 
con la 
normativa 
europea 
e 
la 
tutela 
uniforme 
dei 
diritti 
che 
ne 
deriva. 


In 
questo 
delicato 
compito 
le 
Sezioni 
giurisdizionali 
e 
consultive 
del 
Consiglio 
di 
Stato hanno continuato a 
svolgere 
un importante 
ruolo di 
indirizzo, 
essendo, peraltro, Giudici di ultima istanza. 


Nel 
2022, infatti, i 
Giudici 
amministrativi 
hanno proposto 21 rinvii 
pregiudiziali, 
10 il 
Consiglio di 
Stato, riguardanti 
delicate 
tematiche, come 
appalti, 
concorrenza, tutela dei consumatori, pratiche commerciali scorrette. 


L’importanza 
del 
rinvio 
pregiudiziale, 
delineata 
dalla 
stessa 
Corte 
di 
giustizia 
come 
strumento di 
cooperazione 
“da 
giudice 
a 
giudice”, è 
considerata, 
perciò, una “chiave di volta” del sistema giurisdizionale della Ue. 


Proprio nel 
meccanismo del 
rinvio pregiudiziale 
si 
evidenzia 
la 
collaborazione 
istituzionale 
tra 
il 
Consiglio di 
Stato e 
l’Avvocatura 
dello Stato, che, 
già 
presente 
nei 
giudizi 
nazionali, è 
chiamata 
a 
sostenere 
le 
ragioni 
del 
Governo 
italiano 
anche 
innanzi 
alla 
Corte 
di 
giustizia, 
per, 
poi, 
rappresentarne 
esiti 
e 
conseguenze 
alla 
ripresa 
del 
giudizio 
dinnanzi 
al 
Giudice 
nazionale. 
Un 
circuito virtuoso. 


* 


Concludo questo mio intervento confermando il 
massimo impegno del-
l’Avvocatura 
dello 
Stato 
nello 
svolgimento 
dei 
compiti 
ad 
essa 
assegnati 
e 
formulando 
a 
Lei, Signor Presidente, a 
nome 
dell’Avvocatura 
dello Stato e 
mio 
personale, gli auguri più fervidi e più sinceri di un proficuo lavoro. 


Grazie per l’attenzione. 


Roma, 30 gennaio 2023 
Palazzo Spada 



TEmI 
ISTITUzIONALI 


Cerimonia 
di 
inaugurazione 
dell’anno 
giudiziario 
2023 
del 
tribunale 
amministrativo 
regionale 
del 
lazio 


Intervento dell’Avvocato Generale dello Stato 
Avv. Gabriella Palmieri Sandulli 


Signor Presidente, 


Signori Magistrati, 

Autorità, Colleghi 
Avvocati, 

Gentili Ospiti anche collegati da remoto, 


1. 
Con grande 
piacere 
prendo la 
parola 
in questa 
Cerimonia 
per portare 
il saluto dell’Istituto che ho l’alto onore di dirigere. 
Anche 
quest’anno l’Avvocatura 
dello Stato, è 
chiamata 
ad intervenire 
in 
questa 
solenne 
occasione, consentendo, pertanto, la 
prosecuzione 
di 
un continuo 
e 
proficuo scambio e 
confronto tra 
l’Avvocatura, del 
Foro libero e 
Pubblica, 
unitariamente 
intesa, 
e 
la 
magistratura 
amministrativa 
a 
conferma 
di 
quello spirito di 
collaborazione 
istituzionale 
che 
sussiste 
e 
deve 
esserci 
tra 
il 
Giudice amministrativo e gli 
Avvocati. 


* 


2. 
Il 
T.a.r. del 
Lazio è 
certamente 
un organo giudiziario che 
costituisce 
un 
unicum 
nel 
panorama 
sia 
nazionale 
che 
europeo, 
concentrando 
in 
sé 
le 
competenze 
di 
T.a.r. regionale e di 
T.a.r. centrale. 
Il 
contenzioso che 
gli 
è 
riservato è 
tanto numeroso quanto delicato incidendo 
nei 
più rilevanti 
settori 
della 
vita 
economica 
del 
Paese, reso ancora 
più 
importante 
dall’attuale 
momento storico in cui 
la 
Pubblica 
Amministrazione 
si 
trova 
ad 
affrontare, 
nel 
perseguimento 
dell’interesse 
pubblico, 
sempre 
nuove 
sfide, quali quelle derivanti dal PNRR. 


Il 
PNRR ha 
un notevole 
impatto sulla 
giustizia 
amministrativa 
e 
su tutti 
gli 
operatori 
che 
vi 
sono coinvolti 
a 
vario titolo, compresi 
gli 
Avvocati 
dello 
Stato, poiché 
esso imponendo, da 
un lato, lo smaltimento dell’arretrato e, dal-
l’altro, 
avendo 
ispirato 
la 
previsione 
di 
un 
“rito 
accelerato” 
-quello 
introdotto, 
appunto, 
dall’articolo 
12-bis 
del 
decreto-legge 
n. 
68, 
del 
16 
giugno 
2022, 
convertito 
in 
legge 
5 
agosto 
2022, 
n. 
108, 
per 
tutti 
i 
ricorsi 
che 
abbiano 
ad 
oggetto 
qualsiasi 
procedura 
amministrativa 
che 
riguardi 
interventi 
finanziati 
in tutto o 
in 
parte 
con 
le 
risorse 
previste 
dal 
PNRR 
-comporta 
un 
costante 
impegno 
collettivo 
al 
fine 
di 
realizzare 
i 
traguardi 
assegnati 
nell’interesse 
del 
Paese 
e 
delle 
future 
generazioni, come 
ha 
sottolineato anche 
Lei, Signor Presidente, nella 
Sua Relazione. 


All’obiettivo 
di 
un 
progressivo 
incremento 
dell’efficacia 
ed 
efficienza 
dell’attività 
giurisdizionale 
nella 
sua 
più ampia 
accezione 
concorre 
l’Avvocatura 
dello Stato con il suo impegno costante. 



RASSEGNA 
AvvOCATURA 
DELLO 
STATO -N. 3/2022 


* 


L’intensa 
attività 
giurisdizionale 
del 
T.a.r. Lazio vede, infatti, nell’Avvocatura 
dello Stato, quale 
difensore 
istituzionale 
delle 
pubbliche 
Amministrazioni, 
il principale interlocutore. 


I 
dati 
numerici 
ne 
sono 
un’evidente 
rappresentazione: 
nel 
2022 
sono 
stati 
impiantati 
in 
Avvocatura 
Generale 
oltre 
13.000 
nuovi 
affari 
di 
competenza 
delle 
Sezioni 
romane 
del 
T.a.r. Lazio, con un aumento di 
circa 
il 
28% rispetto 
all’anno precedente, in linea 
con quel 
consistente 
aumento generale 
del 
contenzioso 
segnalato anche da Lei, Signor Presidente, nella sua Relazione. 


Nel 
2022, infatti, i 
depositi 
effettuati 
dall’Avvocatura 
dello Stato al 
T.a.r. 
del 
Lazio 
(Roma) 
sono 
stati 
oltre 
29.000, 
con 
un 
significativo 
incremento 
(pari 
anche in questo caso a circa il 30% in più) anche rispetto ai 22.000 del 2021. 


* 


Come 
già 
ricordato, il 
T.a.r. Lazio, nell’ampio quadro delle 
sue 
competenze, 
si 
occupa 
del 
public 
enforcement 
del 
diritto della 
concorrenza 
e 
della 
regolazione 
dei 
mercati, 
che 
ormai 
riguarda 
pressoché 
tutti 
i 
settori 
economici, 
nonché 
dei 
provvedimenti 
che 
riguardano l’esercizio di 
poteri 
fondamentali 
dello Stato, come, ad esempio, il 
golden power, e, più in generale, tutti 
i 
principali 
atti 
di 
governo, 
che 
trovano 
nel 
T.a.r. 
Lazio 
il 
loro 
giudice 
naturale 
e 
nell’Avvocatura dello Stato il difensore istituzionale. 


* 


Proprio 
analizzando 
alcune 
delle 
più 
rilevanti 
questioni 
che 
assumono 
impatto 
significativo 
sulla 
vita 
economica 
del 
Paese 
in 
questo 
periodo 
di 
grande 
tensione 
internazionale, va 
menzionato il 
delicato contenzioso che 
ha 
avuto ad oggetto il 
provvedimento 17 giugno 2022 del 
Direttore 
dell’Agenzia 
delle 
entrate 
(nonché 
le 
successive 
Circolari 
interpretative) 
con 
cui 
è 
stata 
data 
attuazione 
all’art. 37, comma 
5, del 
D.L. n. 21 del 
2022, (convertito con modificazioni 
con la 
L. n. 51 del 
2022), nella 
misura 
in cui 
questo prevede 
che 
siano «... definiti 
gli 
adempimenti, anche 
dichiarativi, e 
le 
modalità di 
versamento
» del “Contributo straordinario contro il caro bollette”. 


Si 
tratta 
del 
c.d. tributo una tantum, valido per la 
sola 
annualità 
2022, finalizzato 
a 
contrastare, in favore 
di 
famiglie 
e 
imprese, l’aumento vertiginoso 
del 
costo dell’energia, gravante 
sui 
cc.dd. “extraprofitti” 
fatti 
registrare 
dalle 
imprese individuate nell’art. 37, comma 1, del D.L. n. 21/22 citato. 


va 
ricordato, 
poi, 
il 
provvedimento 
cautelare 
favorevole 
(ordinanza 
n. 
7917/2022), 
reso 
nel 
ricorso 
avente 
ad 
oggetto 
l’impugnazione 
dell’ordinanza 
n. 
140/2022 
del 
Commissario 
straordinario 
(Presidente 
della 
Regione 
Toscana), 
che 
ha 
autorizzato 
il 
progetto 
per 
la 
realizzazione 
di 
un’unità 
galleggiante 
di 
stoccaggio 
e 
rigassificazione 
presso 
la 
Darsena 
del 
porto 
di 
Piombino 
e 
il 
trasferimento 
via 
condotta 
del 
gas 
naturale 
vaporizzato 
fino 
al 
punto 
di 
ingresso 
nella 
rete 
nazionale 
gasdotti, 
per 
far 
fronte 
alla 
necessità 
di 
diversificare 
le 
fonti 
di 
approvvigionamento 
di 
gas 
ai 
fini 
della 
sicurezza 



TEmI 
ISTITUzIONALI 


energetica 
nazionale, 
a 
seguito 
della 
nota 
crisi 
aperta 
con 
il 
conflitto 
bellico 
tra 
Ucraina 
e 
Russia. 


va 
menzionata, 
poi, 
la 
controversia 
originata 
dal 
ricorso 
avverso 
il 
DPCm 
del 
29 marzo 2022 (pubblicato sulla 
Gazzetta 
Ufficiale 
n. 125 del 
30 maggio 
2022,) che 
definisce 
la 
configurazione 
infrastrutturale 
per consentire, relativamente 
al 
territorio della 
Regione 
Sardegna, il 
phase 
out 
delle 
centrali 
a 
carbone 
presenti 
nell’Isola, 
che 
rientra 
tra 
gli 
obiettivi 
del 
Piano 
Nazionale 
Integrato per l’Energia e il Clima 2030 (PNIEC) 2019. 


Non 
ultimo, 
tra 
i 
più 
rilevanti 
obiettivi 
infrastrutturali 
richiesti 
dal 
PNRR, 
ovvero la 
digitalizzazione 
della 
Pubblica 
Amministrazione, va 
rammentato il 
delicato giudizio relativo alla 
procedura 
di 
project 
financing 
per l’aggiudicazione 
di 
un nuovo sistema 
infrastrutturale 
informatico, con la 
realizzazione 
e 
gestione 
del 
PSN 
(Polo Strategico Nazionale) a 
servizio di 
tutta 
la 
Pubblica 
Amministrazione. 
Il 
T.a.r. 
ha 
respinto 
l’istanza 
cautelare 
con 
ordinanza 
n. 
4993 
del 3 agosto 2022 (poi confermata in appello). 


La 
globalizzazione, le 
sfide 
della 
concorrenza 
e 
la 
necessità 
di 
tutelare 
la 
libertà 
di 
stabilimento 
garantita 
dall’art. 
49 
TFUE, 
da 
contemperarsi 
con 
il 
perseguimento degli 
obiettivi 
di 
tutela 
dei 
settori 
strategici 
e 
delle 
peculiarità 
del 
tessuto industriale 
italiano, sono alla 
base 
della 
complessa 
disciplina 
del 
golden power, che 
ha 
da 
ultimo impegnato il 
giudice 
Amministrativo con una 
sentenza 
del 
T.a.r. Lazio (n. 4486/22) confermata 
nel 
gennaio scorso dal 
Consiglio 
di 
Stato 
(n. 
289/23) 
proprio 
con 
riferimento 
al 
DPCm 
con 
il 
quale 
erano 
stati 
esercitati 
i 
poteri 
speciali 
per scongiurare 
la 
dispersione 
di 
un prezioso 
know-how 
nel 
settore 
agroalimentare 
che 
rappresenta 
un asset 
caratterizzante 
del “made in Italy”. 


* 


L’evoluzione 
del 
quadro normativo interno, come 
visto, è 
sempre 
più influenzato 
e 
compenetrato con l’ordinamento eurounitario e 
pone, così, il 
giudice 
amministrativo ed il 
T.a.r. Lazio, in particolare, di fronte a nuove sfide. 


Ricordo, 
dal 
mio 
osservatorio 
privilegiato 
di 
Agente 
del 
Governo 
innanzi 
alla 
Corte 
di 
giustizia 
e 
al 
Tribunale 
dell’Unione 
europea 
e 
seguendo 
l’Avvocatura 
Generale 
tutto 
il 
relativo 
contenzioso, 
che, 
il 
T.a.r. 
del 
Lazio, 
nel 
2022, 
ha 
sollevato, 
pur 
non 
essendo 
giudice 
di 
ultima 
istanza, 
ben 
nove 
questioni 
pregiudiziali 
dinnanzi 
alla 
Corte 
di 
giustizia, 
anch’esse 
aventi 
ad 
oggetto 
varie 
significative 
questioni 
che 
toccano 
il 
tema 
dell’ambiente, 
della 
concorrenza 
e 
dell’attualissima 
questione 
della 
tutela 
dei 
diritti 
dei 
fruitori 
dei 
servizi 
dell’informazione 
da 
contemperarsi 
con 
la 
incisività 
degli 
obblighi 
informativi 
da 
pretendersi 
a 
carico 
degli 
operatori 
stessi, 
rendendo 
sempre 
più 
evidente 
il 
ruolo 
centrale 
delle 
autorità 
nazionali 
di 
regolazione 
(C 
663/22), 
come 
l’obbligo 
di 
invio 
dell’informativa 
economica 
di 
sistema 
anche 
a 
carico 
dei 
fornitori 
di 
servizi 
di 
intermediazione 
on 
line 
e 
dei 
fornitori 
di 
motori 
di 
ricerca 
on 
line 
(gruppo 
di 
pregiudiziali 
parzialmente 
riunite 
C 
662/22, 
C 
664-666/22). 



RASSEGNA 
AvvOCATURA 
DELLO 
STATO -N. 3/2022 


* 


Anche 
dopo il 
superamento del 
difficile 
periodo dell’emergenza 
epidemiologica 
è 
stata 
proficua, e 
tuttora 
permane 
tale, la 
collaborazione 
dell’Istituto 
con i 
rappresentanti 
della 
Giustizia 
amministrativa 
e 
dell’Avvocatura 
del 
libero foro, sia 
per assicurare 
lo svolgimento dell’attività 
processuale 
in condizioni 
di 
sicurezza, sia 
per il 
miglioramento del 
processo amministrativo telematico 
di cui, peraltro, l’Avvocatura dello Stato è il principale fruitore. 


* 


Ritengo, infine, utile 
e 
doveroso osservare, in conclusione, come 
l’efficace 
assolvimento 
del 
compito 
di 
difesa 
in 
giudizio 
delle 
amministrazioni 
pubbliche 
patrocinate 
dall’Avvocatura 
dello 
Stato 
dipende 
non 
solo, 
evidentemente, dalla 
collaborazione 
di 
queste 
ultime, ma 
anche 
dalla 
possibilità 
di 
affidarsi 
a 
indirizzi 
giurisprudenziali 
consolidati; 
indispensabile 
anche 
per 
orientare 
l’agire 
amministrativo 
nell’esercizio 
delle 
funzioni 
consultive 
attribuite 
all’Avvocatura 
dello 
Stato 
e 
così 
favorire, 
ove 
possibile, 
la 
deflazione 
del 
contenzioso, laddove 
quegli 
indirizzi 
rendano evidente 
la 
non utile 
proseguibilità 
della 
fase 
giudiziale, al 
fine 
di 
offrire 
risposte 
corrette 
rapide 
ed efficaci 
al cittadino che si rivolge alla pubblica amministrazione. 


* 


Concludo ringraziando Lei, Signor Presidente, i 
magistrati 
e 
il 
Personale 
amministrativo 
del 
T.a.r. 
Lazio 
e 
unendomi 
al 
ricordo 
e 
all’omaggio 
commosso 
per 
il 
Presidente 
Franco 
Frattini 
e 
per 
il 
Presidente 
Giampiero 
Lo 
Presti, 
di 
recente 
scomparsi prematuramente. 


Grazie per l’attenzione. 


Roma, 3 marzo 2023 



TEmI 
ISTITUzIONALI 


protoCollo 
d’intesa 
sul 
proCesso 
Civile 
in 
Cassazione 


Da: Palmieri Gabriella <gabriella.palmieri@avvocaturastato.it> 
Inviato: giovedì 2 marzo 2023 16:07 


A: 
Avvocati_tutti <Avvocati_tutti@avvocaturastato.it> 
Oggetto: Protocollo di intesa - processo civile in Cassazione 
Si 
trasmette 
per 
opportuna 
conoscenza 
il 
Protocollo 
d’intesa 
sul 
processo 
civile 
in 
Cassazione, 
con 
i 
relativi 
allegati, 
sottoscritto 
ieri 
[1° 
marzo 
2023, 
n.d.r.] 
dalla 
Corte 
Suprema 
di 
cassazione, 
dalla 
Procura 
Generale 
della 
Corte 
di 
cassazione, 
dall’Avvocatura 
Generale 
dello 
Stato 
e 
dal 
Consiglio 
Nazionale 
Forense. 
Il 
Protocollo 
abroga 
espressamente 
quelli 
finora 
adottati 
al 
dichiarato 
scopo 
-come 
indicato 
nelle 
premesse 
-di 
“manifestare 
la 
volontà 
comune 
di 
costruire 
insieme 
una 
prassi 
organizzativa 
e 
un’interpretazione 
condivisa” 
attraverso 
la 
sottoscrizione 
di 
un 
testo 
unico 
dei 
protocolli. 


Gabriella Palmieri Sandulli 


protoCollo 
d’intesa 
sul 
proCesso 
Civile 
in 
Cassazione 


tra la Corte Suprema di cassazione, la Procura Generale della Corte di cassazione, 
l’Avvocatura Generale dello Stato ed il Consiglio Nazionale Forense 


premesso che 


Il 
decreto legislativo 10 ottobre 
2022, n. 149, di 
«Attuazione 
della 
legge 
26 novembre 
2021, 


n. 206, recante 
delega 
al 
Governo per l’efficienza 
del 
processo civile 
e 
per la 
revisione 
della 
disciplina 
degli 
strumenti 
di 
risoluzione 
alternativa 
delle 
controversie 
e 
misure 
urgenti 
di 
razionalizzazione 
dei 
procedimenti 
in materia 
di 
diritti 
delle 
persone 
e 
delle 
famiglie 
nonché 
in 
materia 
di 
esecuzione 
forzata», 
ha 
comportato 
una 
rilevante 
riforma 
del 
processo 
civile 
di 
cassazione. 
Nell’ambito 
della 
medesima 
riforma 
sono 
state 
introdotte 
norme 
che 
potrebbero 
essere 
definite 
“trasversali”, 
come 
l’estensione 
e 
il 
rafforzamento 
del 
processo 
civile 
telematico 
ovvero 
l’accentuazione 
della 
“dimensione 
valoriale” 
del 
processo, sottolineando il 
ruolo fondamentale 
dei principi di chiarezza e sinteticità degli atti e di collaborazione tra le parti e il giudice. 
Si 
tratta 
di 
modifiche 
importanti, finalizzate 
a 
garantire 
maggiore 
effettività 
alla 
tutela 
giurisdizionale 
in sede 
civile, sia 
attraverso la 
riduzione 
della 
durata 
dei 
procedimenti, sia 
consentendo 
di 
concentrare 
risorse 
ed 
energie 
nell’espletamento 
della 
funzione 
nomofilattica 
propria 
di una Corte Suprema. 
Tutto ciò rende 
necessario aggiornare 
e 
ricalibrare 
i 
vari 
Protocolli 
d’intesa 
intercorsi 
tra 
la 
Corte 
di 
cassazione, 
la 
Procura 
Generale, 
l’Avvocatura 
Generale 
dello 
Stato 
e 
il 
Consiglio 
Nazionale 
Forense 
di 
seguito elencati: 
il 
Protocollo sulle 
regole 
redazionali 
dei 
ricorsi, civili 
e 
tributari, del 
17 dicembre 
2015; 
il 
Protocollo sull’attuazione 
del 
rito civile 
in cassazione 
del 
15 
dicembre 
2016; 
il 
Protocollo 
sull’avvio 
del 
processo 
telematico 
e 
sulla 
digitalizzazione 
del 27 ottobre 2020, come integrato in data 18 novembre 2020 e 7 aprile 2021. 
Attraverso la 
sottoscrizione 
di 
un testo unico dei 
protocolli, destinato a 
ricomprendere 
e 
su

RASSEGNA 
AvvOCATURA 
DELLO 
STATO -N. 3/2022 


perare 
quelli 
sinora 
siglati, si 
intende 
manifestare 
la 
volontà 
comune 
di 
costruire 
insieme 
una 
prassi 
organizzativa 
e 
un’interpretazione 
condivisa 
di 
alcuni 
snodi 
altrimenti 
problematici 
delle 
modifiche 
normative, nella 
convinzione 
che 
il 
modo più efficace 
per produrre 
il 
cambiamento 
culturale 
richiesto 
dalla 
riforma 
sia 
quello 
del 
pieno 
e 
fattivo 
coinvolgimento 
di 
tutti 
i 
soggetti 
del 
processo 
sui 
quali 
ricade 
la 
comune 
responsabilità 
di 
farlo 
funzionare, 
e 
che 
nessuna 
significativa 
modifica 
del 
modo 
di 
essere 
e 
funzionare 
della 
Corte 
di 
cassazione 
può 
prescindere 
dal consenso e dal contributo della classe forense. 
La 
realizzazione 
di 
questo Protocollo, suscettibile 
di 
progressivi 
aggiornamenti 
è 
espressione 
della 
necessità 
-avvertita 
da 
tutti 
i 
sottoscrittori 
-di 
affrontare 
i 
temi 
di 
comune 
interesse 
con 
il metodo del confronto sui problemi e della condivisione degli obiettivi. 


tanto premesso 
la 
Corte 
di 
cassazione, la 
Procura 
Generale 
della 
Corte 
di 
cassazione, l’Avvocatura 
Generale 
dello Stato ed il Consiglio Nazionale Forense approvano il seguente 


protoCollo 
d’intesa 


1. regole 
redazionali 
degli 
atti 
proCessuali. 
Si 
conviene 
che, 
in 
considerazione 
della 
codificazione 
del 
principio 
di 
chiarezza 
e 
sintesi 
degli 
atti 
e 
provvedimenti, 
di 
cui 
al 
novellato 
art. 
121 
c.p.c., 
si 
rende 
necessario 
ribadire 
le 
regole 
redazionali 
già 
convenute 
nel 
protocollo 
siglato 
nel 
2015, 
con 
le 
attualizzazioni 
imposte 
dalla 
obbligatorietà 
del 
processo 
civile 
telematico 
e 
l’adozione 
di 
un 
modulo 
redazionale 
dei 
ricorsi, 
che 
ne 
definisca 
l’estensione 
e 
ne 
agevoli 
la 
comprensione, 
senza 
che 
l’eventuale 
mancato 
rispetto 
della 
regola 
sui 
limiti 
dimensionali 
comporti 
un’automatica 
sanzione 
di 
tipo 
processuale. 


1.1. redazione dei ricorsi. 
I 
ricorsi 
dovranno 
essere 
redatti 
secondo 
lo 
schema 
strutturato, 
approvato 
e 
pubblicato 
sul 


p.s.t. (portale servizi telematici), inserendo, in particolare, le seguenti indicazioni. 
parte ricorrente 


Cognome 
e 
nome 
-denominazione 
sociale 
-data 
e 
luogo di 
nascita 
-legale 
rappresentante 
luogo 
di residenza - sede sociale - codice fiscale 
dati del difensore (cognome e nome, codice fiscale) 
dati del domiciliatario (cognome e nome, codice fiscale) - eventuale 


parte intimata 


Gli stessi dati indicati per la parte ricorrente (se noti alla medesima parte ricorrente). 


sentenza impugnata 


Estremi 
del 
provvedimento 
impugnato 
(Autorità 
Giudiziaria 
che 
lo 
ha 
emesso, 
codice 
ufficio, 
Sezione, 
numero 
del 
provvedimento, 
data 
della 
decisione, 
data 
della 
pubblicazione, 
data 
della 
notifica se notificato). 


codice materia 


Codice 
materia 
correlato al 
codice-oggetto del 
giudizio di 
merito (ad eccezione 
del 
giudizio 
tributario), secondo le 
disposizioni 
riportate 
sul 
sito della 
Corte 
di 
cassazione 
ed allegate 
al 
presente 
protocollo (v., All. n. 1), al 
fine 
della 
corretta 
assegnazione 
del 
ricorso alla 
Sezione 
tabellarmente competente. 


valore della controversia 


Specificazione 
del 
valore 
della 
controversia 
ai 
fini 
della 
determinazione 
del 
contributo unificato. 


parole chiave 


massimo 10 (dieci) parole, che descrivano sinteticamente la materia oggetto del giudizio. 



TEmI 
ISTITUzIONALI 


sintesi dei motivi 


Sintesi 
dei 
motivi 
del 
ricorso (in non più di 
alcune 
righe 
per ciascuno di 
essi 
e 
contrassegnandoli 
numericamente), mediante 
la 
specifica 
indicazione, per ciascun motivo, delle 
norme 
di 
legge 
che 
la 
parte 
ricorrente 
ritenga 
siano state 
violate 
dal 
provvedimento impugnato e 
delle 
questioni 
trattate. 
Nella 
sintesi 
dovrà 
essere 
indicato 
per 
ciascun 
motivo 
anche 
il 
numero 
della 
pagina 
ove 
inizia 
lo svolgimento delle 
relative 
argomentazioni 
a 
sostegno nel 
prosieguo del 
ricorso, eventualmente inserendo il 
link 
di invio diretto alla pagina di riferimento. 
svolgimento del processo 


Esposizione, 
di 
regola, 
in 
massimo 
5 
pagine, 
del 
fatto 
processuale 
in 
modo 
funzionale 
alla 
chiara 
percepibilità 
delle 
ragioni 
poste 
a 
fondamento 
delle 
censure 
sviluppate 
nella 
parte 
motiva. 


motivi di impugnazione 


Argomenti 
a 
sostegno 
delle 
censure 
già 
sinteticamente 
indicate 
nella 
parte 
denominata 
“sintesi 
dei motivi”. 
L’esposizione 
deve 
rispondere 
al 
criterio di 
specificità 
e 
di 
concentrazione 
dei 
motivi 
e 
deve 
essere contenuta, di regola, nel limite massimo di 30 pagine. 
Per ciascuno dei 
motivi 
devono essere 
indicati 
gli 
atti 
processuali, i 
documenti, i 
contratti 
o 
gli 
accordi 
collettivi 
sui 
quali 
il 
motivo si 
fonda, illustrandone 
il 
contenuto rilevante 
(eventualmente 
inserendo apposito link). 
conclusioni 


Provvedimento richiesto (ad esempio: 
cassazione 
con rinvio, cassazione 
senza 
rinvio con decisione 
di merito, ecc.). 


documenti da depositare ai sensi dell’art. 369, secondo comma, n. 4, c.p.c. 


Atti 
e/o documenti 
espressamente 
indicati 
in relazione 
a 
ciascun motivo, elencati 
secondo un 
ordine numerico progressivo. 
I relativi 
file 
vanno denominati 
utilizzando la 
stessa 
nomenclatura 
e 
numerazione 
utilizzate 
nell’elenco. 


caratteri 


Per 
facilitare 
la 
lettura, 
si 
raccomanda 
di 
utilizzare 
caratteri 
di 
tipo 
corrente 
e 
di 
dimensioni 
di 
almeno 
12 
pt 
nel 
testo, 
con 
interlinea 
1,5 
e 
margini 
orizzontali 
e 
verticali 
di 
almeno 
cm. 
2,5. 


1.2. redazione dei controricorsi e ricorsi incidentali. 
Tutte 
le 
indicazioni 
relative 
al 
ricorso, 
comprese 
quelle 
sulle 
misure 
dimensionali 
e 
i 
caratteri, 
si estendono, per quanto compatibili, ai controricorsi. 
In particolare, per quanto attiene 
alla 
sintesi 
dei 
motivi, sarà 
opportuna 
una 
sintesi 
degli 
argomenti 
difensivi correlati ai singoli motivi di ricorso (“contromotivi”). 
Analogamente, sarà 
opportuno indicare, in relazione 
a 
ciascun motivo del 
ricorso avversario, 
gli eventuali atti, documenti o contratti collettivi su cui si fonda la difesa. 
Qualora 
il 
controricorso contenga 
anche 
un ricorso incidentale, si 
applicano integralmente 
le 
previsioni dettate per i ricorsi. 


1.3. memorie illustrative. 
Le 
memorie 
non devono superare, di 
regola, le 
15 pagine, con l’osservanza 
delle 
raccomandazioni 
sull’uso dei caratteri previsti per i ricorsi. 


1.4. atti codificati del processo civile telematico. 
Per 
il 
deposito 
telematico 
occorre 
utilizzare 
l’apposito 
atto 
codificato 
dal 
sistema 
informatico 
(v., All. n. 2) per la 
corretta 
indicazione 
nel 
fascicolo informatico ai 
fini 
della 
più immediata 
consultabilità. 


1.5. principio di specificità e localizzazione. 

RASSEGNA 
AvvOCATURA 
DELLO 
STATO -N. 3/2022 


Tale principio deve ritenersi rispettato quando: 


1) ciascun motivo articolato nel 
ricorso risponda 
ai 
criteri 
di 
chiarezza 
e 
sinteticità 
previsti 
dal codice di rito; 
2) nel 
testo di 
ciascun motivo che 
lo richieda 
sia 
indicato l’atto, il 
documento, il 
contratto o 
l’accordo collettivo su cui 
si 
fonda 
il 
motivo stesso (art. 366, primo comma. n. 6, c.p.c.), con 
l’illustrazione 
del 
contenuto rilevante 
e 
la 
precisazione 
del 
luogo (punto) dell’atto, del 
documento, 
del contratto o dell’accordo collettivo al quale ci si riferisce; 
3) nel 
testo di 
ciascun motivo che 
lo richieda 
siano indicati 
la 
fase 
processuale 
e 
il 
momento 
in cui 
è 
avvenuto il 
deposito dell’atto, del 
documento, del 
contratto o dell’accordo collettivo; 
4) 
siano 
depositati 
mediante 
allegazione 
nella 
busta 
telematica, 
ai 
sensi 
dell’art. 
369, 
secondo 
comma, n. 4, c.p.c., gli 
atti, i 
documenti, il 
contratto o l’accordo collettivo ai 
quali 
si 
sia 
fatto 
riferimento nel ricorso. 
1.6. note a chiarimento. 
1) Il 
mancato rispetto dei 
limiti 
dimensionali 
e 
delle 
ulteriori 
indicazioni 
sin qui 
previste 
non 
comporta 
l’inammissibilità 
o 
l’improcedibilità 
del 
ricorso 
(e 
degli 
altri 
atti 
difensivi 
or 
ora 
citati), 
salvo che ciò non sia espressamente previsto dalla legge. 
2) Nel 
caso che 
per la 
loro particolare 
complessità 
le 
questioni 
da 
trattare 
non appaiano ragionevolmente 
comprimibili 
negli 
spazi 
dimensionali 
indicati, dovranno essere 
esposte 
specificamente, 
nell’ambito del 
medesimo ricorso (o atto difensivo), le 
ragioni 
per le 
quali 
sia 
risultato necessario scrivere 
di 
più. La 
presentazione 
di 
un ricorso incidentale, nel 
contesto 
del 
controricorso, costituisce 
di 
per sé 
ragione 
giustificatrice 
di 
un ragionevole 
superamento 
dei limiti dimensionali fissati. 
3) 
L’eventuale 
riscontrata 
e 
motivata 
infondatezza 
delle 
motivazioni 
addotte 
per 
il 
superamento 
dei 
limiti 
dimensionali 
indicati, pur non comportando inammissibilità 
del 
ricorso (o 
atto difensivo), può essere valutata ai fini della liquidazione delle spese. 
4) 
Dai 
limiti 
dimensionalì 
sono 
esclusi: 
a) 
l’intestazione; 
b) 
l’indicazione 
delle 
parti 
processuali, 
del 
provvedimento 
impugnato, 
dell’oggetto 
del 
giudizio, 
del 
valore 
della 
controversia, 
della 
sintesi 
dei 
motivi 
e 
delle 
conclusioni; 
e) 
l’elenco 
degli 
atti, 
dei 
documenti 
e 
dei 
contratti 
o 
accordi 
collettivi 
sui 
quali 
si 
fonda 
il 
ricorso; 
d) 
la 
procura 
in 
calce; 
e) 
la 
relazione 
di 
notificazione. 
5) L’uso di 
particolari 
tecniche 
di 
redazione 
degli 
atti 
(in particolare, quando consentano la 
ricerca 
testuale 
all’interno 
dell’atto 
e 
dei 
documenti 
allegati, 
nonché 
la 
navigazione 
all’interno 
dell’atto), tali 
da 
agevolarne 
la 
consultazione 
e 
la 
fruizione 
al 
magistrato e 
alle 
altre 
parti 
del 
processo, comporta 
l’aumento del 
compenso professionale, ai 
sensi 
dell’art. 4, comma 
1-bis, 
del d.m. 10 marzo 2014, n. 55. 
2. disposizioni 
per 
il 
rito 
Camerale 
unifiCato. 
2.1. avviso di fissazione dell’adunanza camerale. 
L’avviso 
di 
fissazione 
dell’adunanza 
camerale 
sarà 
redatto 
secondo 
il 
modello 
predisposto 
dall’ufficio e riporterà: 


- l’indicazione della data, dell’ora e del luogo dell’adunanza stessa; 
- l’indicazione che l’adunanza camerale non è partecipata; 
- l’indicazione del termine entro il quale le parti hanno facoltà di depositare memoria; 
- l’indicazione della facoltà di cui al punto 2.4. 
2.2. Conclusioni scritte del procuratore generale. 
Le 
conclusioni 
scritte 
formulate 
dal 
Procuratore 
Generale 
e 
trasmesse 
tramite 
piattaforma 


p.c.t. saranno rese disponibili alle parti attraverso la consultazione del p.s.t. 
2.3. istanza di trattazione della causa in pubblica udienza. 

TEmI 
ISTITUzIONALI 


Qualora 
un ricorso sia 
avviato alla 
trattazione 
camerale, le 
parti 
potranno richiedere 
motivatamente, 
nella 
memoria 
depositata 
a 
norma 
dell’art. 380 bis.l, c.p.c. o con apposita 
istanza, 
che 
la 
trattazione 
avvenga 
invece 
in pubblica 
udienza 
indicando la 
questione 
di 
diritto di 
particolare 
rilevanza che, a loro avviso, giustifica la discussione pubblica. 


2.4. regime 
transitorio (di 
cui 
al 
comma 2 dell’art. 1 bis 
del 
d.l. n. 168 del 
2016, conv. in 
l. n. 197 del 2016). 
Per i 
ricorsi 
già 
depositati 
alla 
data 
del 
30 ottobre 
2016 per i 
quali 
venga 
successivamente 
fissata 
l’adunanza 
camerale, l’intimato che 
non abbia 
provveduto a 
notificare 
e 
a 
depositare 
il 
controricorso nei 
termini 
di 
cui 
all’art. 370 c.p.c., ma 
che, in base 
alla 
pregressa 
normativa, 
avrebbe 
ancora 
avuto la 
possibilità 
di 
partecipare 
alla 
discussione 
orale, potrà, per sopperire 
al 
venir 
meno 
di 
siffatta 
facoltà, 
presentare 
memoria, 
munita 
di 
procura 
speciale, 
nei 
medesimi 
termini entro quali può farlo il controricorrente. 
Della 
possibilità 
di 
avvalersi 
di 
tale 
facoltà 
si 
darà 
notizia 
alle 
parti 
destinatarie 
dell’avviso di 
fissazione dell’adunanza. 
Nei 
medesimi 
casi 
la 
parte 
intimata, 
che 
non 
ha 
notificato 
il 
controricorso, 
è 
autorizzata 
a 
presentare 
l’istanza prevista dall’art. 23, comma 8-bis, del d.l. n. 137 del 2020. 


3. proCedimento 
per 
la 
deCisione 
aCCelerata 
dei 
riCorsi 
ex 
art. 380 bis 
C.p.C. 
Quanto alla 
sintetica 
proposta 
di 
definizione 
del 
giudizio ex 
art. 380 bis 
c.p.c., tenuto conto 
dell’esigenza 
manifestata 
dall’Avvocatura 
di 
una 
adeguata 
informazione 
circa 
le 
ragioni 
addotte, 
si conviene che: 
la proposta dovrà indicare: 


-quanto alla 
prognosi 
di 
inammissibilità 
o di 
improcedibilità, a 
quale 
ipotesi 
si 
faccia 
riferimento 
(tramite 
menzione 
del 
dato normativa 
o, in alternativa, del 
precedente 
o, ancora, con 
breve formula libera); 
-quanto alla 
prognosi 
di 
manifesta 
infondatezza, quali 
siano i 
precedenti 
giurisprudenziali 
di 
riferimento 
e 
le 
ragioni 
del 
giudizio 
prognostico 
sui 
motivi 
di 
ricorso, 
anche 
mediante 
una 
valutazione sintetica e complessiva degli stessi, ove ne ricorrano i presupposti. 
Tale 
proposta 
sarà 
formulata 
secondo un modello informatizzato e 
verrà 
comunicata 
ai 
difensori 
con l’indicazione 
espressa 
che 
entro quaranta 
giorni 
dalla 
comunicazione 
la 
parte 
ricorrente, 
con 
istanza 
sottoscritta 
dal 
difensore 
munito 
di 
una 
nuova 
procura 
speciale, 
può 
chiedere 
la 
decisione 
e 
che, in mancanza, il 
ricorso si 
intende 
rinunciato e 
la 
Corte 
provvederà 
ai 
sensi 
dell’art. 
391 
c.p.c., 
nonché 
con 
l’avvertimento 
che, 
se 
entro 
il 
termine 
indicato 
al 
secondo 
comma la parte chiede la decisione, la Corte procederà ai sensi dell’art. 380-bis.1 c.p.c. 
4. digitalizzazione 
degli 
atti 
nei 
proCessi 
Civili 
davanti 
alla 
Corte 
di 
Cassazione. 
Considerato che 
è 
attualmente 
pendente 
innanzi 
alla 
Corte 
un numero rilevantissimo di 
procedimenti 
civili 
introdotti 
nelle 
forme 
ordinarie, 
mediante 
il 
deposito 
degli 
atti 
esclusivamente 
in forma 
cartacea, per favorire 
lo sviluppo del 
processo telematico appare 
di 
estrema 
utilità 
che 
gli 
atti 
processuali 
già 
depositati 
in modalità 
analogica 
dalle 
parti 
siano veicolati 
in via 
telematica 
tramite 
piattaforma 
p.c.t., 
nei 
termini 
e 
con 
le 
modalità 
di 
seguito 
specificate, 
e 
così 
resi 
disponibili 
ai 
magistrati 
nell’apposito applicativo ministeriale 
(il 
cd. desk del 
magistrato) 
in uso presso le sezioni civili della Cassazione e della Procura Generale. 
A tal fine si conviene quanto segue. 


4.1. Contenuto del provvedimento di fissazione dell’udienza. 
1. Con la 
comunicazione 
contenente 
l’avviso di 
fissazione 
dell’udienza 
pubblica 
o dell’adunanza 
camerale 
non partecipata, la 
Cancelleria 
della 
Corte 
di 
cassazione 
inviterà 
i 
difensori 
e 
l’Avvocatura 
Generale 
dello 
Stato 
a 
trasmettere, 
ove 
nella 
loro 
disponibilità 
e 
secondo 
le 

RASSEGNA 
AvvOCATURA 
DELLO 
STATO -N. 3/2022 


forme 
di 
cui 
agli 
articoli 
seguenti 
del 
presente 
protocollo, entro dieci 
giorni 
dal 
ricevimento 
della 
comunicazione 
stessa, copia 
informatica 
-nel 
formato pdf previsto per i 
documenti 
informatici 
allegati, ex 
art. 12 del 
d.m. 21 febbraio 2011, n. 44 -di 
tutti 
gli 
atti 
processuali 
del 
giudizio di 
cassazione 
già 
depositati 
in cartaceo nelle 
forme 
ordinarie 
(ricorso, controricorso, 
nota di deposito ex art. 372, comma secondo, c.p.c., provvedimento impugnato). 


4.2. modalità di deposito delle copie informatiche degli atti cartacei. 
1. I difensori 
delle 
parti, compresa 
l’Avvocatura 
Generale 
dello Stato, provvederanno a 
depositare 
in via 
telematica 
sulla 
piattaforma 
p.c.t, le 
copie 
informatiche 
di 
tutti 
gli 
atti 
processuali 
del giudizio di cassazione, già depositati in cartaceo, ove nella loro disponibilità. 
2. 
L’adesione 
all’invito 
di 
cui 
al 
presente 
protocollo 
implica 
l’impegno 
a 
trasmettere 
copie 
informatiche 
di 
contenuto 
uguale 
agli 
originali 
o 
alle 
copie 
già 
presenti 
nel 
fascicolo 
cartaceo. 
4.3. utilizzo della piattaforma del 
processo telematico per 
le 
memorie 
e 
le 
richieste 
del-
l’udienza cartolare. 
Secondo le 
stesse 
modalità 
saranno depositate 
le 
memorie 
e 
le 
richieste 
previste 
dall’art. 23, 
comma 
8-bis, 
del 
d.l. 
n. 
37 
del 
2020, 
convertito, 
con 
modificazioni, 
dalla 
legge 
n. 
76 
del 
2020, 
la cui efficacia è stata prorogata con il d.l. n. 198 del 2022 sino al 30 giugno 2023. 


5. Costituzione 
del 
gruppo 
dei 
referenti 
per 
l’attuazione 
del 
protoCollo. 
Per seguire 
lo sviluppo delle 
attività 
atte 
a 
garantire 
la 
piena 
attuazione 
e 
l’aggiornamento del 
protocollo è 
costituito un gruppo di 
lavoro, formato da: 
per la 
Corte 
di 
cassazione: 
Segretario 
generale 
agg. cons. Irene 
Tricomi, vice 
Segretario generale 
cons. Giuseppe 
Fuochi 
Tinarelli; 
Direttore 
del 
CED 
cons. Enzo vincenti, magistrato addetto al 
CED 
cons. Ileana 
Fedele; 
per 
il 
Consiglio 
Nazionale 
Forense: 
Avvocato 
Francesco 
Greco, 
Avvocato 
Alessandro 
Patelli; 
per 
l’Avvocatura 
Generale 
dello 
Stato: 
Avvocato 
dello 
Stato 
marco 
La 
Greca, 
Avvocato 
dello 
Stato Gianna 
maria 
De 
Socio; 
per la 
Procura 
Generale 
della 
Corte 
di 
cassazione: 
Avvocato 
Generale 
Renato 
Finocchi 
Ghersi, 
Avvocato 
Generale 
Rita 
Sanlorenzo. 
Il 
gruppo 
dei 
referenti 
provvederà 
altresì 
a 
promuovere 
la 
formazione 
per tutti 
i 
soggetti 
coinvolti 
(personale 
amministrativo 
e 
tecnico, 
avvocatura, 
magistrati), 
anche 
attraverso 
l’organizzazione 
di 
iniziative 
congiunte e trasversali fra i diversi interlocutori istituzionali. 
Il 
medesimo gruppo provvederà 
infine 
a 
promuovere 
l’adozione 
delle 
misure 
organizzative 
necessarie 
a 
supportare 
l’efficace 
avvio 
e 
sviluppo 
della 
riforma, 
anche 
attraverso 
l’eventuale 
formulazione di modifiche normative che si rendessero opportune. 


6. abrogazione 
dei 
preCedenti 
protoColli. 
Con la 
sottoscrizione 
del 
presente 
protocollo cessano di 
avere 
validità 
i 
precedenti 
protocolli 


sottoscritti dalle medesime parti in materia civile. 
Roma, 
Il Primo Presidente Il Procuratore Generale 
della Corte di Cassazione della Corte di Cassazione 
Pietro Curzio 
Luigi Salvato 
L’Avvocato Generale La Presidente del Consiglio 
dello Stato Nazionale Forense 
Gabriella Palmieri Sandulli 
Maria Masi 


Allegati 


(omissis) 



TEmI 
ISTITUzIONALI 


Avvocatura 
Generaledello 
Stato 


CIrColAre 
n. 7/2023 


oggetto: 
ricorsi 
proposti 
davanti 
al 
Giudice 
di 
Pace 
contro gli 
avvisi 
di 
addebito di 
cui 
all’art. 4-sexies, comma 6, D.l. 1 aprile 
2021 n. 44, convertito 
nella 
legge 
28 
maggio 
2021 
n. 
76 
notificati 
dall’Agenzia 
delle 
entrate-
riscossione 
(ADer) 
a 
titolo 
di 
sanzione 
per 
inadempimento 
all’obbligo 
vaccinale anti CoVID-19. Istruzioni operative. 


L’art. 4-sexies 
del 
D.L. n. 44/2021, ha 
previsto ai 
commi 
1 e 
2 la 
irrogazione 
della 
sanzione 
amministrativa 
di 
100 euro per i 
casi 
di 
inadempimento 
dell’obbligo vaccinale 
anti 
COvID-19 previsto dagli 
artt. 4-ter.1, 4-ter.2 e 
4quater 
dello stesso decreto. 


Nei 
successivi 
commi 
da 
3 a 
6 (1) è 
disciplinata 
la 
procedura 
di 
accertamento 
dell’inadempimento all’obbligo e 
della 
conseguente 
irrogazione 
della 
sanzione. 


' 
(1) I commi da 3 a 6 dell’art. 4-sexies 
D.L. 44/2021 così dispongono: 


« 
3. L’irrogazione 
della sanzione 
di 
cui 
al 
comma 1, nella misura ivi 
stabilita, è 
effettuata dal 
Ministero 
della 
salute 
per 
il 
tramite 
dell’Agenzia 
delle 
entrate-Riscossione, 
che 
vi 
provvede, 
sulla 
base 
degli 
elenchi 
dei 
soggetti 
inadempienti 
all’obbligo 
vaccinale 
periodicamente 
predisposti 
e 
trasmessi 
dal 
medesimo 
Ministero, anche 
acquisendo i 
dati 
resi 
disponibili 
dal 
Sistema Tessera Sanitaria sui 
soggetti 
assistiti 
dal 
Servizio Sanitario Nazionale 
vaccinati 
per 
COVID-19, nonché 
su quelli 
per 
cui 
non risultano vaccinazioni 
comunicate 
dal 
Ministero della salute 
al 
medesimo sistema e, ove 
disponibili, sui 
soggetti 
che 
risultano 
esenti 
dalla 
vaccinazione. 
Per 
la 
finalità 
di 
cui 
al 
presente 
comma, 
il 
Sistema 
Tessera 
Sanitaria 
è 
autorizzato al 
trattamento delle 
informazioni 
su base 
individuale 
inerenti 
alle 
somministrazioni, acquisite 
dall’Anagrafe 
Nazionale 
Vaccini 
ai 
sensi 
dell’articolo 
3, 
comma 
5-ter, 
del 
decreto-legge 
14 
gennaio 
2021, n. 2, convertito, con modificazioni, dalla legge 
12 marzo 2021, n. 29, nonché 
al 
trattamento 
dei 
dati 
relativi 
agli 
esenti, acquisiti 
secondo le 
modalità definite 
con il 
decreto del 
Presidente 
del 
Consiglio 
dei 
ministri 
di 
cui 
all’articolo 
9-bis, 
comma 
3, 
del 
decreto-legge 
22 
aprile 
2021, 
n. 
52, 
convertito, 
con modificazioni, dalla legge 17 giugno 2021, n. 87. 
4. Il 
Ministero della salute, avvalendosi 
dell’Agenzia delle 
entrate-Riscossione, comunica ai 
soggetti 
inadempienti 
l’avvio 
del 
procedimento 
sanzionatorio 
e 
indica 
ai 
destinatari 
il 
termine 
perentorio 
di 
dieci 
giorni 
dalla 
ricezione, 
per 
comunicare 
all’Azienda 
sanitaria 
locale 
competente 
per 
territorio 
l’eventuale 
certificazione 
relativa al 
differimento o all’esenzione 
dall’obbligo vaccinale, ovvero altra 
ragione 
di 
assoluta e 
oggettiva impossibilità. Entro il 
medesimo termine, gli 
stessi 
destinatari 
danno 
notizia all’Agenzia delle entrate-Riscossione dell’avvenuta presentazione di tale comunicazione. 
5. 
L’Azienda 
sanitaria 
locale 
competente 
per 
territorio 
trasmette 
all’Agenzia 
delle 
entrate-Riscossione, 
nel 
termine 
perentorio 
di 
dieci 
giorni 
dalla 
ricezione 
della 
comunicazione 
dei 
destinatari 
prevista 
al 
comma 4, previo eventuale 
contraddittorio con l’interessato, un’attestazione 
relativa alla insussistenza 
dell’obbligo vaccinale o all’impossibilità di adempiervi di cui al comma 4. 
6. L’Agenzia delle 
entrate-Riscossione, nel 
caso in cui 
l’Azienda sanitaria locale 
competente 
non confermi 
l’insussistenza dell’obbligo vaccinale, ovvero l’impossibilità di 
adempiervi, di 
cui 
al 
comma 4, 
provvede, in deroga alle 
disposizioni 
contenute 
nella legge 
24 novembre 
1981, n. 689, e 
mediante 
la 
notifica, 
ai 
sensi 
dell’articolo 
26 
del 
decreto 
del 
Presidente 
della 
Repubblica 
29 
settembre 
1973, 
n. 
602, 
entro duecentosettanta giorni 
dalla relativa trasmissione, di 
un avviso di 
addebito, con valore 
di 
titolo 
esecutivo. 
Si 
applicano, 
in 
quanto 
compatibili, 
le 
disposizioni 
dell’articolo 
30 
del 
decreto-legge 
31 
maggio 
2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122». 

RASSEGNA 
AvvOCATURA 
DELLO 
STATO -N. 3/2022 


In particolare, il 
comma 
6 prevede 
che 
“L’Agenzia delle 
entrate-Riscossione, 
nel 
caso 
in 
cui 
l’Azienda 
sanitaria 
locale 
competente 
non 
confermi 
l’insussistenza 
dell’obbligo 
vaccinale, 
ovvero 
l’impossibilità 
di 
adempiervi, 
di 
cui 
al 
comma 4, provvede, in deroga alle 
disposizioni 
contenute 
nella legge 
24 novembre 
1981, n. 689, e 
mediante 
la notifica, ai 
sensi 
dell’articolo 26 del 
decreto 
del 
Presidente 
della 
Repubblica 
29 
settembre 
1973, 
n. 
602, 
entro 
duecentosettanta 
giorni 
dalla relativa trasmissione, di 
un avviso di 
addebito, con 
valore 
di 
titolo esecutivo. Si 
applicano, in quanto compatibili, le 
disposizioni 
dell’articolo 30 del 
decreto-legge 
31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, 
dalla legge 30 luglio 2010, n. 122”. 


Infine, il 
comma 
7 dello stesso articolo prevede 
che 
“In caso di 
opposizione 
alla 
sanzione 
contenuta 
nell’avviso 
di 
cui 
al 
comma 
6 
resta 
ferma 
la 
competenza del 
Giudice 
di 
Pace 
e 
l’Avvocatura dello Stato assume 
il 
patrocinio 
dell’Agenzia delle entrate-Riscossione, passivamente legittimata”. 


L’ADER 
ha 
comunicato 
che 
ad 
oggi 
risultano 
notificati 
circa 
770.000 
avvisi 
di addebito. 


Per i 
rimanenti 
avvisi 
da 
notificare, opera 
invece 
(dal 
31 dicembre 
2022) 
la 
sospensione 
prevista 
dall’art. 
7, 
comma 
1-bis, 
del 
D.L. 
n. 
162/2022 
convertito 
nella 
legge 
n. 199/2022, in base 
al 
quale: 
“Dalla data di 
entrata in vigore 
della legge 
di 
conversione 
del 
presente 
decreto fino al 
30 giugno 2023 sono 
sospesi 
le 
attività e 
i 
procedimenti 
di 
irrogazione 
della sanzione 
previsti 
dal-
l’articolo 
4-sexies, 
commi 
3, 
4 
e 
6, 
del 
decreto-legge 
1° 
aprile 
2021, 
n. 
44, 
convertito, con modificazioni, dalla legge 28 maggio 2021, n. 76”. 


Tenuto conto del 
numero elevato di 
avvisi 
notificati, anche 
una 
piccola 
percentuale 
di 
impugnazione 
di 
tali 
atti 
comporta 
la 
instaurazione 
a 
livello 
nazionale 
di 
numerosi 
giudizi 
davanti 
a 
Giudici 
di 
pace, in relazione 
ai 
quali 
si 
ritiene opportuno emanare le seguenti istruzioni. 


* * * 


Patrocinio dell’Avvocatura dello Stato 


Il 
legislatore 
-in considerazione 
della 
peculiarità 
del 
contenzioso -ha 
introdotto 
una 
particolare 
ipotesi 
di 
patrocinio necessario dell’Avvocatura 
dello 
Stato, in deroga a quanto previsto dall’art. 1 comma 5 del D.L. n. 193/2016. 


Infatti, il 
citato comma 
7 dell’art. 4-sexies 
prevede 
che 
“In caso di 
opposizione 
alla sanzione 
contenuta nell’avviso di 
cui 
al 
comma 6 resta ferma la 
competenza del 
Giudice 
di 
Pace 
e 
l’Avvocatura dello Stato assume 
il 
patrocinio 
dell’Agenzia delle entrate-Riscossione, passivamente legittimata”. 


Tale 
speciale 
disposizione 
deve 
ritenersi 
derogatoria 
anche 
rispetto alla 
possibilità 
-prevista 
dall’art. 
3 
del 
R.D. 
n. 
1611/1933 
-che 
l’Amministrazione 
difesa 
sia 
rappresentata, 
intesa 
l’Avvocatura 
dello 
Stato, 
“dai 
propri 
funzionari 
che siano per tali riconosciuti”. 


Ne 
consegue 
che 
la 
costituzione 
in giudizio dovrà 
essere 
curata 
direttamente 
dall’Avvocatura dello Stato. 



TEmI 
ISTITUzIONALI 


Neppure 
appare 
opportuna 
la 
delega 
ai 
funzionari 
di 
ADER per la 
partecipazione 
all’udienza 
(ai 
sensi 
dell’art. 
2 
R.D. 
n. 
1611/1933), 
tenuto 
conto 
della 
scarsità 
di 
risorse 
umane 
di 
ADER, 
della 
esiguità 
del 
valore 
delle 
singole 
cause 
e 
della 
non necessità 
di 
presenziare 
all’udienza, trattandosi 
di 
controversie 
definibili di norma sulla base di prove documentali. 


* * * 


notificazione dei ricorsi presso l’Avvocatura dello Stato 


Pur 
essendo 
prevista 
una 
particolare 
ipotesi 
di 
patrocinio 
necessario 
dell’Avvocatura, tenuto conto della 
natura 
giuridica 
di 
ADER (ente 
pubblico 
economico, ai 
sensi 
dell’art. 1, comma 
3, del 
D.L. n. 193/2016), deve 
escludersi 
la 
necessità 
della 
notifica 
dei 
ricorsi 
presso l’Avvocatura 
dello Stato, in 
quanto 
l’art. 
11 
comma 
1 
del 
R.D. 
n. 
1611/1933 
impone 
tale 
adempimento 
solo per le “Amministrazioni dello Stato”. 


Ovviamente 
nei 
casi 
di 
notifica 
eseguita 
solo 
presso 
l’Avvocatura 
sarà 
opportuno -qualora 
sia 
possibile 
-costituirsi 
comunque 
in giudizio (con ciò 
sanando 
ex 
tunc 
la 
nullità 
della 
notifica), 
evitando 
un 
aggravio 
della 
procedura 
derivante da un ordine del giudice di rinnovazione della notifica stessa. 


* * * 


legittimazione passiva esclusiva di 
ADer 

Il 
citato 
comma 
7 
dell’art. 
4-sexies 
individua 
ADER 
come 
“passivamente 
legittimata”. Da 
tale 
disposizione 
emerge, quindi, la 
volontà 
del 
legislatore 
di 
individuare 
in ADER il 
solo soggetto nei 
cui 
confronti 
dovrà 
essere 
proposta 
una eventuale opposizione all’avviso di addebito. 


In 
tale 
situazione, 
nelle 
ipotesi 
in 
cui 
le 
censure 
proposte 
dai 
ricorrenti 
afferiscano 
ad 
attività 
o 
inadempienze 
riferibili 
ad 
altri 
soggetti 
pubblici 
diversi 
da 
ADER 
(come 
la 
ASL), 
non 
appare 
opportuna 
la 
chiamata 
in 
causa 
degli 
stessi. Ciò provocherebbe, infatti, sia 
un aggravio dell’attività 
giurisdizionale 


-con costi 
di 
difesa 
(che 
verrebbero comunque 
a 
gravare 
sulla 
finanza 
pubblica) 
non giustificati 
dall’esiguo valore 
delle 
singole 
controversie 
-sia 
un allungamento 
dei tempi di decisione della causa. 
Una 
simile 
scelta 
si 
porrebbe 
anche 
in contrasto con la 
volontà 
del 
legislatore 
di 
individuare 
in 
ADER 
l’unico 
soggetto 
passivamente 
legittimato 
a 
contraddire in giudizio. 


Qualora 
fosse 
necessario 
acquisire 
gli 
elementi 
istruttori 
che 
non 
sono 
nella 
disponibilità 
di 
ADER, sarà 
comunque 
possibile 
formulare 
istanza 
di 
richiesta 
di informazioni alla p.a. prevista dall’art. 213 c.p.c. (2). 


(2) L’art. 213 c.p.c. nel testo di recente introdotto dal D.Lgs. n. 149/2022 così dispone: 
“Fuori 
dei 
casi 
previsti 
negli 
articoli 
210 e 
211, il 
giudice 
può richiedere 
d’ufficio alla pubblica amministrazione 
le 
informazioni 
scritte 
relative 
ad atti 
e 
documenti 
dell’amministrazione 
stessa, che 
è 
necessario 
acquisire al processo. 
L’amministrazione 
entro 
sessanta 
giorni 
dalla 
comunicazione 
del 
provvedimento 
di 
cui 
al 
primo 
comma 
trasmette le informazioni richieste o comunica le ragioni del diniego”. 

RASSEGNA 
AvvOCATURA 
DELLO 
STATO -N. 3/2022 


* * * 


Il giudizio davanti al Giudice di Pace 


Il 
comma 
6 
dell’art. 
4-sexies 
prevede 
che 
ADER 
“provvede, 
in 
deroga 
alle 
disposizioni 
contenute 
nella legge 
24 novembre 
1981, n. 689, e 
mediante 
la 
notifica, 
ai 
sensi 
dell’articolo 
26 
del 
decreto 
del 
Presidente 
della 
Repubblica 
29 
settembre 
1973, 
n. 
602, 
entro 
duecentosettanta 
giorni 
dalla 
relativa 
trasmissione, 
di un avviso di addebito, con valore di titolo esecutivo”. 


Il 
successivo comma 
7 prevede 
poi 
che 
“In caso di 
opposizione 
alla sanzione 
contenuta nell’avviso di 
cui 
al 
comma 6 resta ferma la competenza del 
Giudice di Pace”. 


In 
particolare, 
da 
quest’ultima 
disposizione 
si 
può 
dedurre 
che 
al 
giudizio 
di 
opposizione 
all’avviso di 
addebito si 
applica 
il 
rito previsto dagli 
artt. 22 
della legge n. 689/1981 e 6 del D.lgs. n. 150/2011. 


La 
deroga 
alla 
legge 
n. 689/1981 prevista 
dal 
comma 
6 dell’art. 4-sexies 
sembra 
riferibile 
alla 
natura 
dell’atto 
sanzionatorio 
(avviso 
di 
addebito, 
anziché 
ordinanza-ingiunzione) e 
alla 
modalità 
semplificata 
di 
notificazione 
dell’atto, 
da eseguirsi ai sensi dell’art. 26 D.P.R. 602/1973. 


L’art. 6 del 
citato D.lgs. n. 150/2011, prevede 
che 
“il 
giudice 
ordina al-
l’autorità che 
ha emesso il 
provvedimento impugnato di 
depositare 
in cancelleria, 
dieci 
giorni 
prima dell’udienza fissata, copia del 
rapporto con gli 
atti 
relativi 
all’accertamento, 
nonché 
alla 
contestazione 
o 
notificazione 
della 
violazione. 
Il 
ricorso e 
il 
decreto sono notificati, a cura della cancelleria, all’opponente 
e all’autorità che ha emesso l’ordinanza”. 


Sulla 
base 
di 
tale 
previsione 
potrà, 
pertanto, 
essere 
depositata 
una 
memoria 
di 
costituzione 
per conto di 
ADER con la 
relativa 
documentazione. In ordine 
alle 
modalità 
di 
deposito si 
evidenzia 
che 
l’art. 35, comma 
3, del 
D.lgs. 


n. 149/2022 prevede 
l’obbligatorietà 
del 
deposito telematico nei 
giudizi 
davanti 
al 
Giudice 
di 
Pace 
“a decorrere 
dal 
30 giugno 2023 anche 
ai 
procedimenti 
pendenti a tale data” (3). 
Fino 
al 
30 
giugno 
2023, 
quindi, 
il 
deposito 
dovrà 
essere 
effettuato 
con 
modalità 
non 
telematiche, 
avendo 
cura 
di 
verificare 
se 
la 
prassi 
dei 
singoli 
uffici 
giudiziari 
consenta 
l’invio 
delle 
difese 
tramite 
PEC 
ovvero 
con 
spedizione 
a 
mezzo 
del 
servizio 
postale 
(sistema 
quest’ultimo, 
che 
dovrebbe 
ritenersi 
consentito, 
alla 
luce 
dell’art. 
6, 
comma 
6, 
del 
D.lgs. 
n. 
150/2011 
il 
quale 
prevede 
che 
il 
ricorso 
introduttivo 
“può 
essere 
depositato 
anche 
a 
mezzo 
del 
servizio 
postale”; 
cfr. 
al 
riguardo 
Cass. 
SS.UU. 
n. 
5160/2009; 
Cass. 
12663/2010 
e 
1027/2017). 


Si 
ricorda, 
infine, 
che 
l’ultimo 
periodo 
del 
comma 
6 
prevede 
che 
“Si 
ap


(3) Lo stesso comma 
3 dell’art. 35 dispone 
poi 
che 
“Con uno o più decreti 
non aventi 
natura regolamentare 
il 
Ministro della giustizia, accertata la funzionalità dei 
relativi 
servizi 
di 
comunicazione, 
può individuare 
gli 
uffici 
nei 
quali 
viene 
anticipato, anche 
limitatamente 
a specifiche 
categorie 
di 
procedimenti, 
il termine di cui al secondo periodo”. 

TEmI 
ISTITUzIONALI 


plicano, 
in 
quanto 
compatibili, 
le 
disposizioni 
dell’articolo 
30 
del 
decreto-legge 
31 
maggio 
2010, 
n. 
78 
convertito, 
con 
modificazioni, 
dalla 
legge 
30 
luglio 
2010, 
n. 
122”. 
Le 
disposizioni 
suddette 
(richiamate 
“in 
quanto 
compatibili”) 
attribuiscono 
immediata 
esecutività 
agli 
avvisi 
di 
addebito, 
con 
la 
conseguenza 
che 
per 
la 
riscossione 
dei 
relativi 
crediti 
non 
sarà 
necessaria 
l’emissione 
di 
una 
successiva 
cartella 
di 
pagamento 
(cfr. 
il 
comma 
14 
del 
medesimo 
art. 
30) 
(4). 


* * * 


Cenni sulle difese di merito nella causa 

La 
memoria 
difensiva 
potrà 
essere 
argomentata 
in 
maniera 
sintetica, 
considerata 
la natura del giudizio. 


Nei 
casi 
in cui 
venga 
eccepita 
l’illegittimità 
degli 
articoli 
sopra 
citati 
del 


D.L. 
n. 
44/2021 
per 
contrasto 
con 
norme 
costituzionali 
o 
dell’Unione 
europea, 
si 
potrà 
(anche) richiamare 
la 
decisione 
della 
Corte 
costituzionale 
in corso di 
deposito (*), ma 
già 
oggetto del 
comunicato stampa 
del 
1° 
dicembre 
2022, con 
il 
quale 
la 
Corte 
ha 
precisato di 
avere 
ritenuto “non irragionevoli, né 
sproporzionate, 
le 
scelte 
del 
legislatore 
adottate 
in periodo pandemico sull’obbligo 
vaccinale del personale sanitario”. 
Riguardo, 
invece, 
l’ipotizzato 
contrasto 
con 
la 
normativa 
dell’Unione 
europea, 
si potrà eccepire che la materia degli obblighi vaccinali all’interno dei 
singoli 
Stati 
non è 
armonizzata, con la 
conseguenza 
che 
rispetto ad essa 
ogni 
Stato membro conserva 
un ampio margine 
di 
autonomia, come 
emerge 
dal-
l’articolo 
168 
del 
TFUE, 
il 
cui 
paragrafo 
7 
dispone 
che 
“L’azione 
dell’Unione 
rispetta le 
responsabilità degli 
Stati 
membri 
per 
la definizione 
della loro politica 
sanitaria e 
per 
l’organizzazione 
e 
la fornitura di 
servizi 
sanitari 
e 
di 
assistenza 
medica. Le 
responsabilità degli 
Stati 
membri 
includono la gestione 
dei 
servizi 
sanitari 
e 
dell’assistenza 
medica 
e 
l’assegnazione 
delle 
risorse 
loro 
destinate. Le 
misure 
di 
cui 
al 
paragrafo 4, lettera a) non pregiudicano le 
disposizioni 
nazionali 
sulla donazione 
e 
l’impiego medico di 
organi 
e 
sangue”. 


Su 
tale 
questione, 
peraltro, 
la 
CGUE 
dovrà 
pronunciarsi 
nei 
prossimi 
mesi 
nell’ambito di 
una 
causa 
pregiudiziale, originata 
ex art. 267 TFUE, dall’ordinanza 
17 
dicembre 
2021 
del 
Tribunale 
di 
Padova 
(Ct. 
3245/22 
-causa 
C765/
21). 


L’AvvOCATO GENERALE 
Gabriella 
PALmIERI SANDULLI 


(4) 
L'art. 
30, 
comma 
14, 
del 
D.L. 
n. 
78/2010 
prevede 
infatti 
che 
“Ai 
fini 
di 
cui 
al 
presente 
articolo, 
i 
riferimenti 
contenuti 
in 
norme 
vigenti 
al 
ruolo, 
alle 
somme 
iscritte 
a 
ruolo 
e 
alla 
cartella 
di 
pagamento 
si 
intendono effettuati 
ai 
fini 
del 
recupero delle 
somme 
dovute 
a qualunque 
titolo all’INPS al 
titolo esecutivo 
emesso 
dallo 
stesso 
Istituto, 
costituito 
dall’avviso 
di 
addebito 
contenente 
l’intimazione 
ad 
adempiere 
l’obbligo 
di 
pagamento 
delle 
medesime 
somme 
affidate 
per 
il 
recupero 
agli 
agenti 
della 
riscossione”. 
(*) 
Corte Cost., sentt. nn. 14, 15 e 16 dep. 9 febbraio 2023 (n.d.r.). 



RASSEGNA 
AvvOCATURA 
DELLO 
STATO -N. 3/2022 


Avvocatura 
Generaledello 
Stato 


CIrColAre 
n. 10/2023 


oggetto: 
Ulteriori 
indicazioni 
per 
la gestione 
del 
contenzioso relativo 
ai 
giudizi 
di 
convalida di 
licenza per 
finita locazione 
degli 
immobili 
FIP 
Atti 
di 
intimazione 
per 
finita locazione 
notificati 
da Investire 
SGr e 
altri 
locatori 
nei 
confronti 
dell’Agenzia del 
Demanio, in 
relazione 
a immobili 
conferiti 
nei 
fondi 
di 
cui 
all’articolo 4 del 
D.l. 25 settembre 
2001, n. 351, conv. 
con 
mod. 
in 
l. 
23 
novembre 
2001, 
n. 
410, 
assegnati 
a 
varie 
amministrazioni 
usuarie. 


1. l’attuale quadro giurisprudenziale. 
Con 
riferimento 
ai 
contenziosi 
oggetto 
delle 
direttive 
impartite 
con 
la 
circolare 
n. 57 del 
2022, il 
quadro giurisprudenziale 
finora 
delineatosi 
ha 
visto 
prevalentemente 
recepite 
le 
ragioni 
di 
fatto e 
giuridiche 
poste 
a 
fondamento 
delle 
opposizioni 
spiegate 
nell’interesse 
dell’Amministrazione. Allo stato, la 
quantità 
di 
ordinanze, con cui 
i 
Tribunali 
hanno accolto le 
difese 
erariali 
fondate 
sull’applicazione 
dell’art. 4 del 
decreto-legge 
25 settembre 
2001, n. 351, 
così 
come 
modificato dall’art. 69 del 
decreto-legge 
14 agosto 2020, n. 104, è, 
infatti, superiore 
al 
75% delle 
pronunce 
(36) complessivamente 
emanate 
dai 
giudici di merito. 


Nei 
suddetti 
provvedimenti 
è 
stato espresso l’orientamento volto a 
riconoscere, 
da 
un 
lato, 
la 
sussistenza 
della 
prova 
scritta 
e, 
dall’altro, 
la 
sussistenza 
dei 
gravi 
motivi 
in contrario di 
cui 
all’art. 665, comma 
1, c.p.c.; 
in entrambi 
i 
casi, 
il 
ricorrere 
delle 
suddette 
circostanze 
è 
risultato 
ostativo 
all’adozione 
del 
provvedimento 
di 
rilascio. 
La 
generale 
valutazione 
positiva 
dell’esito 
della 
difesa 
dell’Amministrazione 
in 
giudizio 
è, 
altresì, 
suffragata 
dalla 
considerazione 
che, 
in 
diversi 
casi, 
i 
pochi 
precedenti 
sfavorevoli 
paiono 
essere 
stati 
determinati soprattutto da concrete situazioni di natura meramente fattuale. 


2. le ulteriori determinazioni. 
2.1. impugnazione delle ordinanze di rilascio. 
Nel 
descritto contesto, appare 
opportuno continuare 
a 
perseguire 
la 
strategia 
sinora 
adottata, consistente 
nell’impugnazione, mediante 
reclamo e 
appello, 
delle 
eventuali 
ordinanze 
sfavorevoli 
di 
rilascio. 
L’impugnazione 
risponde, infatti, all’esigenza 
di 
evitare 
la 
strumentalizzazione 
dei 
minoritari 
precedenti 
sfavorevoli, 
da 
parte 
di 
Investire 
S.G.R., 
con 
conseguente 
possibile 
compromissione del buon esito dell’intera vicenda processuale. 


Quanto 
ai 
mezzi 
d’impugnazione 
esperibili, 
ribadendo 
quanto 
già 
rilevato 
in 
passato 
in 
relazione 
a 
singoli 
casi, 
si 
evidenzia 
che, 
sebbene 
l’art. 
665 
c.p.c. 
preveda 
espressamente 
la 
non 
impugnabilità 
dell’ordinanza 
di 
rilascio, 
cionondimeno 
appare 
percorribile 
l’ordinario 
mezzo 
impugnatorio 
dell’appello, 
la 
cui 
generale 
ammissibilità 
è 
stata 
affermata 
dalla 
giurisprudenza 
di 
legittimità 
nel



TEmI 
ISTITUzIONALI 


l’ipotesi 
in 
cui 
l’ordinanza 
sia 
stata 
emessa 
al 
di 
fuori 
dei 
suoi 
presupposti 
di 
legge. 
Al 
riguardo, 
infatti, 
la 
Corte 
di 
Cassazione 
ha 
espressamente 
statuito 
che 
“sia 
il 
provvedimento 
di 
convalida 
ex 
art. 
663 
c.p.c., 
sia 
quello 
di 
rilascio 
ex 
art. 
665 
c.p.c., 
assumono 
forma 
e 
natura 
di 
ordinanze 
non 
impugnabili, 
avverso 
le 
quali 
è 
ammissibile 
esclusivamente, 
nel 
primo 
caso, 
l’opposizione 
tardiva 
di 
cui 
all’art. 
668 
dello 
stesso 
codice 
[...]. 
Ove 
peraltro 
tali 
provvedimenti 
siano 
stati 
emessi 
al 
di 
fuori 
delle 
condizioni 
previste 
dalla 
legge, 
assumono 
natura 
sostanzialmente 
decisoria 
e 
di 
sentenza, 
sicché 
sono 
impugnabili 
con 
l’appello, 
restando 
esclusa 
l’esperibilità 
del 
ricorso 
per 
cassazione 
a 
norma 
dell’art. 
111 
Cost.” 
(Cassazione 
civile 
sez. 
III, 
6 
settembre 
1995, 
n. 
9375). 


Pertanto, 
stante 
la 
natura 
cautelare 
e 
sommaria 
dell’intimazione 
di 
licenza 
per 
finita 
locazione, 
si 
ritiene 
percorribile 
l’ipotesi 
dell’impugnazione 
ordinaria 
in appello, nel 
caso in cui 
il 
giudicante, pur riconoscendo la 
sussistenza 
della 
prova 
scritta, ordini 
il 
rilascio e, comunque, nel 
caso in cui 
entri 
direttamente 


-e 
indebitamente 
-nel 
merito della 
controversia, escludendo la 
valenza 
probatoria 
della prova allegata dall’amministrazione. 
In 
considerazione 
della 
peculiarità 
del 
rito, 
nonché 
dell’importanza 
del 
contenzioso 
in 
oggetto, 
si 
indica, 
altresì, 
la 
possibilità 
di 
avvalersi, 
senza 
escludere 
la 
coltivazione 
dell’appello, 
anche 
dell’ulteriore 
rimedio 
costituito 
dal 
reclamo ex art. 669-terdecies 
c.p.c., la 
cui 
proposizione 
può indurre 
il 
giudice 
adito in prima 
istanza 
a 
rimeditare 
funditus 
gli 
elementi 
di 
fatto posti 
a 
base 
dell’opposizione 
alla 
domanda 
di 
convalida, 
con 
particolare 
riguardo 
alla 
mancanza 
di idonee alternative allocative. 


Entrambi 
i 
rimedi, quindi, potranno essere 
proposti 
congiuntamente 
-segnalandone 
opportunamente 
la 
pendenza 
al 
giudicante 
-salvo 
abbandonare 
uno di essi al momento del conseguimento della prima decisione utile. 


2.2. trattazione della causa. 
Ribadita 
l’importanza 
e 
la 
delicatezza 
del 
contenzioso 
in 
esame, 
sia 
in 
considerazione 
del 
notevole 
numero 
di 
immobili 
che 
ne 
forma 
oggetto, 
sia 
con 
riguardo agli 
immediati 
effetti 
che 
l’eventuale 
consolidamento di 
un orientamento 
negativo 
alle 
ragioni 
dell’Amministrazione 
potrebbe 
avere 
su 
scala 
nazionale, 
e 
rilevata, altresì, l’esigenza 
di 
ridurre 
i 
rischi 
fattuali 
connessi 
alla 
gestione 
delle 
cause, si 
evidenzia, infine, la 
necessità 
di 
promuovere 
e 
assicurare 
la 
trattazione 
orale 
delle 
future 
udienze, specie 
ove 
si 
svolgano nella 
città 
in cui 
ha 
sede 
l’ufficio della 
competente 
Avvocatura, ponendo in essere 
ogni 
tutela 
processuale 
atta 
a 
tal 
fine, ivi 
inclusa 
la 
richiesta 
espressa 
di 
tale 
trattazione 
ove 
il 
giudice 
abbia 
disposto 
la 
sostituzione 
dell’udienza 
con 
il 
deposito 
di 
note 
scritte, 
ai 
sensi 
dell’art. 
127-ter 
c.p.c., 
assicurando, 
in 
ogni 
caso, 
la 
presenza personale alla discussione dell’Avvocato incaricato. 


L’AvvOCATO GENERALE 
Gabriella 
PALmIERI SANDULLI 



RASSEGNA 
AvvOCATURA 
DELLO 
STATO -N. 3/2022 


Avvocatura 
Generaledello 
Stato 


CIrColAre 
n. 13/2023 


oggetto: 
D.P.C.M. 30 gennaio 2023 recante 
“Autorizzazione 
all’Avvocatura 
dello Stato ad assumere 
e 
continuare 
la rappresentanza e 
la difesa 
della società ‘Infrastrutture 
Milano Cortina 2020 
-2026 S.p.a.’ 
nei 
giudizi 
attivi 
e 
passivi 
avanti 
le 
autorità 
giudiziarie, 
i 
collegi 
arbitrali, 
le 
giurisdizioni 
amministrative e speciali”. 


Si 
comunica 
che 
con D.P.C.m. del 
30 gennaio u.s., in fase 
di 
pubblicazione 
in Gazzetta 
Ufficiale, l’Avvocatura 
dello Stato è 
stata 
autorizzata 
ad assumere 
e 
continuare 
la 
rappresentanza 
e 
la 
difesa 
della 
società 
“Infrastrutture 
milano 
Cortina 
2020-2026 
S.p.a.” 
nei 
giudizi 
attivi 
e 
passivi 
avanti 
le 
autorità 
giudiziarie, i collegi arbitrali, le giurisdizioni amministrative e speciali. 


L’AvvOCATO GENERALE 
Gabriella 
PALmIERI SANDULLI 



TEmI 
ISTITUzIONALI 


Avvocatura 
Generaledello 
Stato 


CIrColAre 
n. 21/2023 


oggetto: 
Soppressione 
di 
riscossione 
Sicilia 
s.p.a. 
e 
successione 
a 
titolo 
universale 
di 
Agenzia delle 
entrate-riscossione 
(ADer) a decorrere 
dal 
1° 
ottobre 
2021. Piena operatività del 
patrocinio dell’Avvocatura dello Stato a 
decorrere dal 1° aprile 2023. 


Com’è 
noto, con n. 3 Addendum 
al 
Protocollo d’intesa 
sottoscritto il 
24 
settembre 
2020 tra 
l’Avvocatura 
dello Stato e 
ADER, si 
era 
stabilito che 
fino 
al 
31 marzo 2023 l’Avvocatura 
non avrebbe 
prestato (di 
norma) il 
proprio patrocinio 
nelle 
“cause 
sia 
passive 
che 
attive, 
riferibili 
alle 
attività 
della 
disciolta 
Riscossione 
Sicilia 
S.p.A., 
e 
ciò 
indipendentemente 
dal 
grado 
di 
giudizio 
e 
dalla magistratura adita” 
(cfr. in relazione 
al 
terzo Addendum, l’allegata 
Circolare 
n. 73/2022). 


Le 
ragioni 
che 
hanno 
portato 
a 
posticipare 
l’assunzione 
del 
patrocinio 
sono 
ormai 
venute 
meno, 
con 
la 
conseguenza 
che 
dal 
1° 
aprile 
2023 
la 
gestione 
delle 
controversie 
di 
ADER già 
di 
pertinenza 
della 
soppressa 
Riscossione 
Sicilia 
s.p.a. 
sarà 
disciplinata 
-come 
per 
tutte 
le 
altre 
cause 
che 
vedono 
coinvolta 
ADER -dal 
vigente 
Protocollo d’intesa 
sottoscritto il 
24 settembre 
2020 e 
diramato 
con la Circolare n. 60/2020 (pure allegata). 


Si 
ricorda, da 
ultimo, che 
in particolari 
situazioni 
di 
difficoltà 
nella 
gestione 
del 
contenzioso di 
ADER è 
comunque 
possibile 
declinare 
il 
patrocinio 
consentendo all’Ente 
di 
avvalersi 
di 
avvocati 
del 
libero foro, ai 
sensi 
dell’art. 
4-novies 
del 
D.L. n. 34/2019 (convertito nella 
legge 
n. 58/2019) in forza 
della 
quale: 


«Il 
comma 
8 
dell’articolo 
1 
del 
decreto-legge 
22 
ottobre 
2016, 
n. 
193, 
convertito, con modificazioni, dalla legge 
1° 
dicembre 
2016, n. 225, si 
interpreta 
nel 
senso che 
la disposizione 
dell’articolo 43, quarto comma, del 
testo 
unico di 
cui 
al 
regio decreto 30 ottobre 
1933, n. 1611, si 
applica esclusivamente 
nei 
casi 
in cui 
l’Agenzia delle 
entrate-Riscossione, per 
la propria rappresentanza 
e 
difesa in giudizio, intende 
non avvalersi 
dell’Avvocatura dello 
Stato nei 
giudizi 
a quest’ultima riservati 
su base 
convenzionale; la medesima 
disposizione 
non si 
applica nei 
casi 
di 
indisponibilità della stessa Avvocatura 
dello Stato ad assumere il patrocinio». 


La 
declinatoria 
sarà 
particolarmente 
opportuna 
nei 
casi 
previsti 
dall’art. 


3.3 del 
protocollo, con riferimento alle 
“altre 
liti 
innanzi 
al 
Tribunale 
Civile 
(ivi 
comprese 
le 
opposizioni 
all’esecuzione 
e 
agli 
atti 
esecutivi) e 
alla Corte 
di 
Appello Civile, limitatamente 
alle 
ipotesi 
in cui 
sia parte 
-non come 
terzo 
pignorato -anche 
un ente 
difeso dall’Avvocatura dello Stato”, allorché 
l’Ente 
difeso 
dall’Avvocatura 
(ancorchè 
ritualmente 
evocato) 
non 
abbia 
interesse 
alla 
costituzione in giudizio. 

RASSEGNA 
AvvOCATURA 
DELLO 
STATO -N. 3/2022 


Ovviamente 
la 
declinatoria 
dovrà 
essere 
tempestivamente 
comunicata 
all’ADER onde evitare pregiudizi nell’attività difensiva. 


Si 
coglie 
l’occasione 
per 
ricordare 
che 
le 
sentenze 
o 
ordinanze 
(anche 
cautelari) emesse 
nei 
confronti 
di 
ADER vanno comunicate 
con la 
massima 
tempestività 
al 
fine 
di 
evitare 
azioni 
risarcitorie 
da 
parte 
dei 
contribuenti 
per 
l’illegittima prosecuzione di azioni esecutive a loro danno. 


Allegati: 
(omissis) 


L’AvvOCATO GENERALE 
Gabriella 
PALmIERI SANDULLI 



ContenziosoComUnitARioedinteRnAzionALe
“Lexitor”. (segue) Rimborso anticipato del credito alla luce 
della “nuova” pronuncia della Corte di Giustizia del 9 
febbraio 2023, UniCredit Bank 
Austria, C-555/21 


Herik Mutarelli* 


la 
corretta 
esegesi 
della 
sentenza 
della 
Corte 
Costituzionale 
del 
22 
dicembre 
2022 n. 263 (1), in tema 
di 
disciplina 
dei 
rimborsi 
anticipati 
del 
finanziamento, 
deve 
essere 
ora 
aggiornata 
anche 
alla 
luce 
dei 
principi 
desumibili 
dall’ancora 
più recente 
sentenza 
della 
Corte 
di 
Giustizia 
del 
9 febbraio 2023 
(C-555/21, 
UniCredit 
Bank 
Austria) 
che 
si 
è 
pronunciata 
in 
materia 
di 
contratti 
di 
credito ai 
consumatori 
relativi 
a 
beni 
immobili 
residenziali 
di 
cui 
alla 
direttiva 
2014/17/ue, 
dando 
vita 
a 
nuovi 
profili 
interpretativi 
della 
disciplina 
in 
subiecta materia. 
in particolare 
la 
predetta 
decisione 
ha 
statuito, in evidente 
discontinuità 
rispetto 
alla 
precedente 
sentenza 
11 
settembre 
2019 
(c.d. 
Lexitor), 
che 
la 
«direttiva 
2014/17/UE 
del 
Parlamento 
europeo 
[…] 
non 
osta 
a 
una 
normativa 
nazionale 
che 
prevede 
che 
il 
diritto 
del 
consumatore 
alla 
riduzione 
del 
costo totale 
del 
credito, in caso di 
rimborso anticipato del 
medesimo, includa 
soltanto gli interessi e i costi dipendenti dalla durata del credito». 


Come 
noto, con la 
sentenza 
n. 263/2022 la 
Corte 
Costituzionale 
si 
è 
pronunciata 
sulla 
questione 
di 
legittimità 
costituzionale 
sollevata 
dal 
tribunale 
di 
torino (ord. 2 novembre 
2021) con riferimento all’art. 11-octies, comma 
2, 
del 
d.l. 
n. 
73/2021, 
convertito 
in 
legge 
n. 
106/2021, 
che 
aveva 
modificato 
l’art. 
125-sexies 
t.u.B. 
nel 
testo 
introdotto 
dal 
d.lgs. 
13 
agosto 
2010, 
n. 
141 
in 
sede 


(*) Avvocato del libero foro, già praticante presso l’Avvocatura dello Stato. 


(1) Corte 
Cost. 22 dicembre 
2022, n. 263, in Foro it., 2023, c. 329, con nota 
di 
M. NAtAle, Il 
pasticcio 
della Lexitor 
bocciato dalla Corte 
Costituzionale, ivi 
ancora 
nota 
di 
N. De 
luCA, “Dura Lexitor, 
sed lex”. I costi 
up front 
esistono (oggi, domani 
come 
ieri) 
e, infine, ivi 
R. PARDoleSi, “Lexitor”: falsi 
positivi e altri incidenti di percorso. 

RASSeGNA 
AVVoCAtuRA 
Dello 
StAto -N. 3/2022 


di 
recepimento 
della 
direttiva 
2008/48/Ce. 
la 
cennata 
disposizione 
prevedeva 
che 
«alle 
estinzioni 
anticipate 
dei 
contratti 
sottoscritti 
prima 
della 
data 
di 
entrata 
in vigore 
della legge 
di 
conversione 
del 
presente 
decreto continuano ad 
applicarsi 
le 
disposizioni 
dell’art. 125-sexies 
del 
testo unico di 
cui 
al 
decreto 
legislativo n. 385 del 
1993 e 
le 
norme 
secondarie 
contenute 
nelle 
disposizioni 
di 
trasparenza e 
di 
vigilanza della Banca d’Italia vigenti 
alla data della sottoscrizione 
dei 
contratti». 
Viceversa 
con 
i 
contratti 
sottoscritti 
successivamente 
all’entrata 
in 
vigore 
della 
legge 
si 
applica 
il 
principio, 
espresso 
nell’art. 
16 
par. 
1 
della 
direttiva 
2008/48/Ce, 
come 
interpretata 
dalla 
sentenza 
della 
Corte 
di 
Giustizia 
dell’unione 
europea 
in data 
11 settembre 
2019 C-383/18 e 
recepito 
nel 
novellato art. 125-sexies 
comma 
1 tuB per il 
quale 
“il 
consumatore 
che 
rimborsa 
anticipatamente, in tutto o in parte, l’importo dovuto al 
finanziatore 
ha 
diritto 
alla 
riduzione, in misura 
proporzionale 
alla 
vita 
residua 
del 
contratto, degli 
interessi 
e 
di 
tutti 
i 
costi 
compresi 
nel 
costo totale 
del 
credito, 
escluse le imposte”. 


la 
Corte 
Costituzionale 
ha 
preliminarmente 
respinto 
la 
tesi 
di 
una 
pretesa 
inconciliabilità 
del 
vecchio 
testo 
dell’art. 
125-sexies 
t.u.B. 
con 
l’art. 
16, 
paragrafo 
1, 
della 
direttiva 
2008/48/Ce. 
Secondo 
la 
Corte, 
infatti, 
la 
distinzione 
tra 
il 
precedente 
tenore 
letterale 
dell’art. 
125-sexies 
t.u.B. 
e 
il 
testo 
dell’art. 
16, 
paragrafo 
1, 
della 
direttiva 
2008/48/Ce, 
«pur 
non 
essendo 
del 
tutto 
marginale, 
non 
sarebbe 
tale 
da 
fare 
escludere 
una 
loro 
sostanziale 
corrispondenza». 


l’espressione 
“comprende”, 
utilizzata 
nella 
direttiva 
2008/48/Ce, 
va 
letta 


-ha 
affermato la 
Corte 
-in sintonia 
con i 
principi 
desumibili 
dalla 
sentenza 
Lexitor 
e 
cioè 
nel 
senso di 
includere 
nel 
rimborso al 
Consumatore 
“anche” 
i 
costi 
dovuti 
per 
la 
vita 
residua 
del 
contratto, 
laddove 
invece 
l’espressione 
“pari 
a” 
utilizzata 
nell’originaria 
formulazione 
dell’art. 125-sexies 
del 
t.u.B. (nel 
testo vigente 
ante 
d.l. 73/2021) sembra 
alludere 
a 
una 
dimensione 
più circoscritta, 
limitata al rimborso dei 
soli 
costi 
recurring. 
Per superare 
l’apparente 
dissidio lessicale 
la 
Corte 
si 
è 
soffermata 
da 
un 
lato 
sul 
paradigma 
cui 
è 
riferita 
la 
riduzione, 
e 
cioè 
il 
«costo 
totale 
del 
credito», 
dall’altro sulla 
nozione 
dei 
«costi 
dovuti 
per 
la durata residua del 
contratto». 
Ha 
quindi 
osservato che 
la 
preposizione 
“per” 
utilizzata 
in quest’ultima 
nozione 
potrebbe 
tanto riferirsi 
ai 
costi 
dovuti 
“lungo” 
la 
durata 
del 
contratto, i 
soli 
costi 
recurring, quanto ai 
costi 
dovuti 
“in funzione 
della durata del 
contratto”, 
così 
evocando 
la 
misura 
della 
riduzione. 
Ad 
avviso 
della 
Corte 
sarebbe 
dunque 
preferibile 
questa 
seconda 
opzione 
dal 
momento 
che 
collima 
con 
il 
paradigma 
cui 
si 
riferisce 
la 
riduzione, vale 
a 
dire 
il 
“costo totale 
del 
credito”: 
in tanto si 
giustificherebbe 
tale 
richiamo in quanto tutti 
i 
costi 
siano riducibili 
e 
lo 
siano, 
pertanto, 
in 
funzione 
della 
durata 
residua 
del 
contratto 
quale 
misura 
della riduzione proporzionale. 


Quanto 
sopra 
richiamato 
costituisce 
il 
proprium 
fondante 
delle 
argomentazioni 
con cui 
la 
Corte 
Costituzionale 
con sentenza 
n. 263/2022 ha 
accolto, 



CoNteNzioSo 
CoMuNitARio 
eD 
iNteRNAzioNAle 


limitatamente 
alle 
parole 
«e 
le 
norme 
secondarie 
contenute 
nelle 
disposizioni 
di 
trasparenza e 
di 
vigilanza della Banca d’Italia vigenti 
alla data di 
sottoscrizione 
dei 
contratti», 
le 
censure 
di 
incostituzionalità 
sollevate 
dal 
tribunale 
di 
torino. Sarebbe 
infatti 
proprio il 
collegamento tra 
l’art. 125-sexies 
t.u.B. 
e 
le 
richiamate 
norme 
secondarie 
a 
segnare 
una 
«forte 
discontinuità 
tra 
passato 
e 
presente» così 
inibendo quell’interpretazione 
sopra 
riportata 
dell’art. 125sexies 
che, ad avviso della 
Corte, risulterebbe 
conforme 
ai 
principi 
affermati 
dalla sentenza 
Lexitor. 

Su 
tali 
basi 
ricostruttive 
la 
Corte 
Costituzionale 
si 
è 
pertanto 
pronunciata 
statuendo 
che 
«La 
disposizione 
censurata 
deve, 
dunque, 
ritenersi 
costituzionalmente 
illegittima 
limitatamente 
alle 
parole 
«e 
le 
norme 
secondarie 
contenute 
nelle 
disposizioni 
di 
trasparenza 
e 
di 
vigilanza 
della 
Banca 
d’Italia», 
e, 
pertanto, 
l’art. 
125-sexies, 
comma 
1, 
t.u.B. 
può 
nuovamente 
accogliere 
il 
solo 
contenuto 
normativo 
conforme 
alla 
sentenza 
Lexitor. 
l’eliminazione 
della 
citata 
parte 
dell’art. 
11-octies, 
comma 
2 
del 
d.l. 
n. 
73/2021 
rimuoverebbe, 
pertanto, 
l’attrito 
con 
i 
vincoli 
imposti 
dall’adesione 
dell’italia 
all’unione 
europea. 


Deve 
tuttavia 
avvertirsi 
che 
il 
decisum 
della 
Corte 
Costituzionale, 
nel 
dare 
per scontata 
la 
assoluta 
retroattività 
della 
sentenza 
Lexitor, non può tuttavia 
essere 
interpretato nel 
senso di 
sollevare 
in via 
definitiva 
il 
giudice 
nazionale 
dalla 
delicata 
opera 
di 
interpretazione 
della 
disposizione 
interna 
di 
recepimento della 
direttiva 
2008/48/Ce 
e 
di 
attualizzarla 
in costante 
sintonia 
con l’evoluzione della giurisprudenza della Corte di Giustizia. 


Del 
resto, 
costituisce 
giurisprudenza 
granitica 
della 
Corte 
di 
Giustizia 
quella 
secondo cui 
il 
«il 
principio di 
interpretazione 
conforme 
richiede 
nondimeno 
che 
i 
giudici 
nazionali 
facciano 
tutto 
quanto 
compete 
loro, 
prendendo 
in considerazione 
il 
diritto interno nella sua interezza e 
applicando i 
metodi 
di 
interpretazione 
riconosciuti 
da quest’ultimo, al 
fine 
di 
garantire 
la piena 
efficacia della direttiva di 
cui 
trattasi 
e 
pervenire 
ad una soluzione 
conforme 
alla 
finalità 
perseguita 
da 
quest’ultima» 
(cfr.: 
Corte 
di 
Giustizia 
4 
luglio 
2006, 
causa 
C-212/2004, 
K. 
Adeneler 
e 
a.; 
5 
ottobre 
2004, 
cause 
riunite 
da 
C-397/01 
a C-403/01, Pfeiffer e a.). 


Al 
giudice 
resta 
quindi 
pur 
sempre 
riservata 
la 
delicata 
funzione 
di 
verificare 
che 
nell’ordinamento 
di 
riferimento 
sia 
normativamente 
garantito 
il 
perseguimento 
delle 
finalità 
della 
direttiva 
2008/48/Ce 
alla 
luce 
della 
sentenza 
della 
Corte 
di 
Giustizia 
dell’11 
settembre 
2019 
(c.d. 
Lexitor), 
come 
poi 
arricchita 
dai 
principi 
desumibili 
dalla 
sentenza 
9 
febbraio 
2023 
(c.d. 
UniCredit 
Bank 
Austria). 


orbene, 
è 
pacifico 
che 
la 
sentenza 
Lexitor 
è 
ispirata 
dall’avvertita 
esigenza 
di 
evitare 
speculazioni 
a 
carico dei 
Consumatori 
«dato che 
i 
costi 
e 
la 
loro ripartizione 
sono determinati 
unilateralmente 
dalla Banca e 
che 
la fatturazione 
dei 
medesimi 
può includere 
un certo margine 
di 
profitto», con la 
conseguenza 
che 
«il 
creditore 
potrebbe 
essere 
tentato di 
ridurre 
al 
minimo i 
costi 
dipendenti dalla durata del contratto». 



RASSeGNA 
AVVoCAtuRA 
Dello 
StAto -N. 3/2022 


Ciascun 
giudice 
dei 
Paesi 
membri 
è 
chiamato 
quindi 
dalla 
stessa 
sentenza 
Lexitor 
a 
verificare 
in 
concreto 
se 
il 
proprio 
ordinamento 
preveda 
adeguate 
forme 
di 
tutela 
in 
favore 
dei 
consumatori 
e 
la 
loro 
sintonia 
rispetto 
alle 
finalità 
desumibili 
dalla 
direttiva 
da 
ultimo ricordata. Cartina 
al 
tornasole 
della 
correttezza 
del 
proposto 
iter 
argomentativo 
è 
costituito 
proprio 
dalla 
sentenza 
della 
Corte 
di 
Giustizia 
del 
9 febbraio 2023 (UniCredit 
Bank 
Austria) in tema 
di contratti di credito relativi a beni immobili residenziali. 


Con tale 
sentenza 
la 
Corte 
ha 
osservato, seppur con riferimento alla 
direttiva 
2014/17/ue, 
come 
la 
normativa 
nazionale 
possa 
prevedere 
che, 
in 
caso 
di 
rimborso 
anticipato 
del 
finanziamento, 
lo 
stesso 
includa 
soltanto 
gli 
interessi 
e i costi dipendenti dalla durata del contratto e, non quindi, i costi 
up front. 


l’interpretazione 
offerta 
è 
senza 
dubbio 
stravagante 
rispetto 
alla 
sentenza 
Lexitor: 
la 
decisione 
UniCredit 
Bank 
finisce 
per 
demarcare, 
infatti, 
all’interno 
dei 
contratti 
di 
credito ai 
consumatori, un inedito confine 
tra 
i 
contratti 
di 
credito 
relativi 
ai 
beni 
immobili 
residenziali 
e 
tutti 
gli 
altri. Solo i 
primi, infatti, 
potrebbero sfuggire 
-se 
la 
normativa 
nazionale 
lo prevede 
-alla 
regola 
residuale 
secondo cui, in caso di 
estinzione 
anticipata 
del 
contratto di 
credito, devono 
essere 
rimborsati 
al 
consumatore 
tutti 
i 
costi 
del 
finanziamento (sia 
up 
front 
che 
recurring). 


Per 
i 
Giudici 
di 
lussemburgo, 
nulla 
vieta, 
infatti, 
in 
riferimento 
ai 
contratti 
di 
credito 
relativi 
a 
immobili 
residenziali, 
l’esistenza 
di 
una 
normativa 
nazionale 
che 
preveda 
una 
rimborsabilità 
«… 
che 
includa 
soltanto 
gli 
interessi 
e 
i 
costi 
dipendenti 
dalla 
durata 
del 
contratto» 
(vale 
a 
dire: 
i 
soli 
costi 
recurring). 


Resta 
ora 
da 
comprendere 
le 
motivazioni 
che 
hanno 
spinto 
la 
Corte 
di 
Giustizia 
ad addivenire 
con la 
sentenza 
UniCredit 
Bank 
a 
conclusioni 
dissonanti 
rispetto 
a 
quelle 
della 
precedente 
sentenza 
Lexitor 
riservando, 
a 
seconda 
della 
natura 
immobiliare 
o 
meno 
del 
credito 
ai 
consumatori, 
un 
trattamento 
così 
apparentemente 
differenziato 
in 
ordine 
al 
regime 
e 
all’estensione 
dei 
costi 
rimborsabili. 


la 
riduzione 
di 
“tutti 
i 
costi” 
-osserva 
la 
Corte 
di 
Giustizia 
nella 
sentenza 
Unicredit 
Bank 
-si 
giustifica 
solo in ragione 
della 
difficoltà 
di 
diversificare 
quali 
siano i 
costi 
«correlati 
alla durata del 
contratto»; 
e 
poiché 
nel 
caso dei 
contratti 
di 
credito immobiliare 
di 
cui 
alla 
direttiva 
2014/17/ue 
«[par. 34] 
il 
creditore 
o, se 
del 
caso, l’intermediario del 
credito o il 
rappresentante 
designato 
sono tenuti 
a fornire 
al 
consumatore 
informazioni 
precontrattuali 
mediante 
il 
PIES» 
dalle 
quali 
è 
agevole 
evincere 
la 
ripartizione 
dei 
costi 
tra 
recurring 
e 
non, 
in 
relazione 
ai 
suddetti 
crediti 
la 
riducibilità 
di 
tutti 
i 
costi 
non può essere giustificata né, pertanto, imposta. 


È 
significativo rilevare 
che 
la 
stessa 
Corte 
ha 
avvertito l’esigenza 
di 
rappresentare 
che, sebbene 
la 
sua 
pronuncia 
abbia 
avuto ad oggetto l’interpretazione 
della 
direttiva 
2014/17/ue 
(e 
non già 
della 
direttiva 
2008/48/Ce, come 
interpretata 
dalla 
sentenza 
Lexitor), 
«l’art. 
25, 
par. 
1, 
della 
direttiva 



CoNteNzioSo 
CoMuNitARio 
eD 
iNteRNAzioNAle 


2014/17/UE 
è 
formulato in termini 
quasi 
identici 
a quelli 
dell’art. 16, par. 1, 
della direttiva 2008/48/UE, sicchè 
occorre 
ritenere 
che 
la sua formulazione 
non consenta di 
determinare, da sola, la portata esatta della riduzione 
di 
cui 
a tale 
disposizione. Si 
deve 
quindi 
interpretare 
quest’ultima alla luce 
del 
suo 
contesto e degli obiettivi perseguiti dalla normativa di cui essa fa parte». 

Siffatto orientamento, motivatamente 
straniante, erode 
e 
illumina 
ad un 
tempo la 
presa 
di 
posizione 
espressa 
dai 
Giudici 
di 
lussemburgo nella 
precedente 
sentenza 
Lexitor. Si 
aggiunga 
che 
la 
Corte 
di 
Giustizia 
con la 
sentenza 
UniCredit 
Bank 
precisa 
altresì 
che: 
«[par. 32] Vero è 
che, nel 
contesto della 
direttiva 2008/48/CE, la Corte 
ha dichiarato che 
l’effettiva portata del 
diritto 
del 
consumatore 
alla riduzione 
del 
costo totale 
del 
credito risulterebbe 
sminuita, 
qualora 
tale 
riduzione 
potesse 
limitarsi 
alla 
presa 
in 
considerazione 
dei 
soli 
costi 
qualificati 
dal 
creditore 
come 
dipendenti 
dalla durata del 
contratto, 
dato che 
i 
costi 
e 
la loro ripartizione 
sono determinati 
unilateralmente 
dalla 
banca 
e 
che 
la 
fatturazione 
dei 
medesimi 
può 
includere 
un 
certo 
margine 
di profitto». 


laddove 
invece 
-distingue 
la 
Corte 
-sia 
previsto un prospetto delle 
informazioni 
precontrattuali 
grazie 
al 
quale 
il 
consumatore 
è 
posto in grado di 
distinguere 
la 
diversa 
natura 
dei 
costi 
del 
credito, la 
finalità 
di 
tutela 
del 
consumatore 
può 
considerarsi 
soddisfatta 
e 
dunque 
non 
giustificata 
l’imposizione 
di pagare tutti i costi, ivi compresi gli 
up front. 


Ciò in quanto, sempre 
alla 
luce 
della 
sentenza 
n. 555 del 
9 febbraio 2023 
della 
Corte 
di Giustizia (par. 35) «una siffatta ripartizione regolamentata dei 
costi 
posti 
a carico del 
consumatore 
riduce 
sensibilmente 
il 
margine 
di 
manovra 
di 
cui 
dispongono gli 
enti 
creditizi 
nella loro fatturazione 
e 
nella loro 
organizzazione 
interna e 
consente, sia al 
consumatore 
che 
al 
giudice 
nazionale, 
di 
verificare 
se 
un tipo di 
costo è 
oggettivamente 
connesso alla durata 
del contratto». 

la 
differenza 
tra 
i 
contratti 
di 
credito immobiliare 
e 
gli 
altri 
contratti 
di 
credito 
starebbe 
proprio 
in 
ciò: 
solo 
per 
i 
primi 
la 
direttiva 
2014/17/ue 
all’art. 
14, 
parr. 
1 
e 
2, 
prevede 
che 
il 
creditore 
è 
tenuto 
a 
fornire 
al 
consumatore, 
grazie 
al 
modulo 
c.d. 
PieS, 
le 
informazioni 
precontrattuali 
necessarie 
per 
distinguere 
tra costi 
up front 
e costi 
recurring. 


tanto 
premesso, 
è 
agevole 
osservare 
che, 
alla 
luce 
della 
sentenza 
Uni-
Credit 
Bank, 
viene 
chiaramente 
assegnata 
ad 
entrambe 
le 
direttive 
2008/48/Ce 
(di 
cui 
alla 
sentenza 
Lexitor) 
e 
2014/17/ue 
(di 
cui 
alla 
sentenza 
UniCredit 
Bank) 
l’identica 
funzione 
di 
garantire 
la 
trasparenza 
in 
favore 
del 
consumatore 
riducendo i margini di possibili abusi dell’intermediario creditizio. 


Rispetto 
alla 
descritta 
finalità 
unitaria 
delle 
richiamate 
direttive 
la 
sentenza 
UniCredit 
Bank 
appare 
proporsi 
come 
una 
sorta 
di 
intervento “precisativo” 
che 
emerge 
anche 
dalla 
diffusa 
motivazione 
che 
viene 
riservata 
all’iter 
argomentativo proposto dalla precedente sentenza 
Lexitor. 



RASSeGNA 
AVVoCAtuRA 
Dello 
StAto -N. 3/2022 


orbene, se 
questa 
è 
la 
chiave 
di 
lettura 
dei 
Giudici 
di 
lussemburgo, ne 
discende 
che 
il 
principio di 
rimborsabilità 
di 
tutti 
i 
costi 
non può operare 
indiscriminatamente 
ma 
deve 
tener 
conto 
dei 
presidi 
eventualmente 
posti 
nei 
singoli 
ordinamenti 
degli 
Stati 
membri 
a 
tutela 
del 
consumatore. 
ove 
si 
ravvisi 
l’esistenza 
di 
previsioni 
normative 
già 
sufficienti 
a 
garantire 
il 
perseguimento 
dei 
fini 
della 
direttiva 
la 
rimborsabilità 
dei 
costi 
del 
credito potrà 
limitarsi 
ai 
soli costi 
recurring. 


Rivolgendo 
lo 
sguardo 
all’ordinamento 
italiano 
il 
giudice 
dovrà, 
pertanto, 
indagare 
se 
esistano norme 
che, sommate 
alla 
direttiva 
2008/48/Ce 
(che 
prevede 
presidi 
normativi 
a 
tutela 
del 
consumatore 
tra 
cui 
la 
sottoscrizione 
del 
modulo 
di 
trasparenza 
c.d. 
SeCCi), 
possano 
nel 
loro 
complesso 
integrare 
quella 
garanzia 
di 
trasparenza 
che 
la 
sentenza 
UniCredit 
Bank 
ha 
riconosciuto 
sussistente 
già 
alla 
previsione 
della 
sottoscrizione 
del 
(solo) 
modello 
PieS 
previsto 
dalla 
direttiva 
2014/17/ue. 
Alla 
tutela 
di 
trasparenza 
sui 
costi, 
già 
derivante 
dalla 
disciplina 
unionale, 
dovranno 
sommarsi 
le 
tutele 
precontrattuali 
e 
contrattuali 
(nullità 
protettive 
o 
vessatorietà) 
previste 
nel 
nostro 
ordinamento 
in una sorta di prova di forza dell’ordinamento. 


Con 
specifico 
riferimento 
alla 
tutela 
precontrattuale, 
dovrà 
anche 
valutarsi 
il 
rilievo 
da 
riconoscere 
all’art. 
6-bis, 
comma 
3 
del 
d.P.R., 
5 
gennaio 
1950, 
n. 
180 
(introdotto 
dal 
d.lgs. 
19 
settembre 
2012, 
n. 
169 
-successivo 
evidentemente 
all’art. 
125-sexies 
t.u.B.); 
previsione 
normativa 
non 
colpita 
dalla 
dichiarazione 
di 
incostituzionalità 
di 
cui 
alla 
richiamata 
sentenza 
della 
Corte 
Cost. 
263/2023 
in 
quanto 
non 
facente 
parte 
dell’incidente 
di 
costituzionalità 
sollevato. 


tale 
norma 
affida 
alla 
Banca 
d’italia 
proprio 
il 
compito 
di 
definire, 
ai 
sensi 
del 
d.lgs. 
1 
settembre 
1993, 
n. 
385, 
disposizioni 
per 
favorire 
la 
trasparenza 
e 
la 
correttezza 
dei 
comportamenti 
nonché 
l’efficienza 
nel 
processo 
di 
erogazione 
di 
finanziamenti 
verso 
la 
cessione 
di 
quote 
di 
stipendio 
o 
salario 
o 
di 
pensione, 
con 
l’obiettivo 
di: 
«[…] 
rendere 
la 
struttura 
delle 
commissioni 
trasparente, 
in 
modo 
da 
permettere 
al 
cliente 
di 
distinguere 
le 
componenti 
di 
costo 
dovute 
all’intermediario 
e 
quelle 
dovute 
a 
terzi, 
nonché 
gli 
oneri 
che 
devono 
essergli 
rimborsati 
in 
caso 
di 
estinzione 
anticipata 
del 
contratto». 


Ne 
consegue 
che 
nel 
contesto 
normativo 
così 
ricostruito, 
l’opera 
interpretativa 
del 
giudice 
è 
particolarmente 
delicata 
in quanto deve 
indagare 
se 
il 
complesso 
delle 
previsioni 
normative 
interne, 
sommate 
a 
quelle 
derivanti 
dalla 
direttiva 
2008/48/Ce, 
non 
integrino 
una 
tutela 
equivalente 
a 
quella 
che 
la 
sentenza 
UniCredit 
Bank 
ha 
riconosciuto alla 
sottoscrizione 
del 
(solo) modello 
PieS. 

l’indagine 
proposta 
è 
rispettosa 
del 
carattere 
retroattivo della 
“Lexitor”, 
anzi 
lo presuppone, in quanto in caso contrario il 
Giudice 
non sarebbe 
tenuto 
a 
verificare 
la 
compatibilità 
tra 
disciplina 
interna 
e 
le 
finalità 
perseguite 
dalla 
predetta 
direttiva 
2008/48/Ce 
come 
arricchite 
dalla 
sentenza 
UniCredit 
Bank 
che 
in parte qua deve essere ritenuta integrativa della 
Lexitor. 



CoNteNzioSo 
CoMuNitARio 
eD 
iNteRNAzioNAle 


Su 
tali 
premesse 
può 
fondatamente 
ritenersi 
che 
il 
perseguimento 
delle 
finalità 
anti-speculative 
perseguito 
dalla 
sentenza 
Lexitor 
è 
stato 
già 
garantito 
nel 
nostro 
ordinamento 
che 
presenta 
misure 
a 
tutela 
del 
credito 
nel 
loro 
complesso 
del 
tutto 
equivalenti 
(se 
non 
superiori) 
a 
quelle 
che 
la 
stessa 
Corte 
di 
Giustizia 
nella 
sentenza 
UniCredit 
Bank 
ha 
ritenuto 
sufficienti 
a 
tutela 
del 
consumatore. 


Del 
resto 
è 
di 
intuitiva 
evidenza 
che 
il 
sistema 
normativo 
polacco, 
rispetto 
a 
cui 
è 
stata 
pronunziata 
la 
sentenza 
Lexitor, non presentava 
un complesso di 
tutele 
pari 
a 
quello garantito nell’ordinamento italiano a 
tutela 
del 
consumatore, 
sicché 
in 
assenza 
di 
una 
disciplina 
interna 
di 
garanzia, 
appare 
quanto 
mai 
opportuno che 
in sede 
di 
estinzione 
anticipata 
vengano restituiti 
tutti 
i 
costi 
(up front 
e 
recurring). 

Nella 
proposta 
chiave 
interpretativa 
si 
segnala 
il 
tribunale 
di 
Castrovillari 


(2) 
con 
la 
sentenza 
del 
10 
marzo 
2023 
secondo 
la 
quale 
appare 
opportuno: 
«fare 
applicazione 
dell’orientamento 
giurisprudenziale 
di 
merito 
sopra 
richiamato, 
prevalente 
in 
epoca 
antecedente 
alla 
sentenza 
Lexitor, 
oggi 
superata 
dalla nuova sentenza n. 555 della CGUE, e 
riconoscere, quindi, al 
consumatore, 
in 
caso 
di 
estinzione 
anticipata 
del 
finanziamento, 
una 
riduzione 
soltanto 
dei 
costi 
recurring e 
non anche 
degli 
up front, in quanto questi 
ultimi 
attengono 
a prestazioni 
poste 
in essere 
preliminarmente 
alla concessione 
del 
credito, 
integralmente esaurite al momento dell’estinzione anticipata». 
Non pervenendo alla 
soluzione 
prospettata 
sembra 
auspicabile 
e 
necessitato 
un 
nuovo 
rinvio 
pregiudiziale 
interpretativo 
alla 
Corte 
di 
Giustizia 
per 
dar 
modo alla 
stessa 
di 
chiarire 
in via 
definitiva 
e 
trasversale 
rispetto a 
tutte 
le 
tipologie 
di 
finanziamento 
la 
qualità 
di 
tutela 
che 
deve 
essere 
garantita 
dalla 
disciplina 
dei singoli Stati membri. 


Del 
resto, 
per 
pacifica 
giurisprudenza 
della 
Corte 
di 
Giustizia 
«l’efficacia 
vincolante 
che 
le 
sentenze 
pregiudiziali 
hanno 
nei 
confronti 
dei 
giudici 
nazionali 
non osta a che 
il 
giudice 
nazionale 
destinatario di 
una siffatta sentenza 
si 
rivolga nuovamente 
alla Corte 
qualora lo ritenga necessario per 
la decisione 
della causa principale. Il 
nuovo rinvio può essere 
giustificato qualora 
il 
giudice 
nazionale 
sottoponga alla Corte 
una nuova questione 
di 
diritto, oppure 
qualora 
egli 
le 
sottoponga 
nuovi 
elementi 
di 
valutazione 
che 
possano 
indurla 
a 
risolvere 
diversamente 
una 
questione 
già 
sollevata» 
(in 
tal 
senso 
anche 
ord. 5 marzo 1986, C-69/85). 

Nelle 
«raccomandazioni 
della Corte 
di 
Giustizia all’attenzione 
dei 
giudici 
nazionali, relative 
alla presentazione 
di 
domande 
di 
pronuncia pregiudiziale
» 
(G.u.u.e. 
25 
novembre 
2016) 
si 
è 
altresì 
ribadito 
che 
«un 
rinvio 
pregiudiziale 
può, 
segnatamente, 
risultare 
particolarmente 
utile 
quando 
dinanzi 
al 
giudice 
nazionale 
è 
sollevata una questione 
di 
interpretazione 
nuova 


(2) trib. Castrovillari, 10 marzo 2023, in Ex 
Parte 
Creditoris, con nota 
di 
W.G. CAtuRANo, Caso 
Lexitor: dopo la CGUE anche la giurisprudenza nazionale “ci ripensa”. 

RASSeGNA 
AVVoCAtuRA 
Dello 
StAto -N. 3/2022 


che 
presenta 
un 
interesse 
generale 
per 
l’applicazione 
uniforme 
del 
diritto 
dell’Unione, o quando la giurisprudenza esistente 
non sembra fornire 
i 
chiarimenti 
necessari in un contesto di diritto o di fatto inedito». 


Con specifico riferimento all’ordinamento italiano il 
proposto rinvio potrebbe 
essere 
richiesto affinché 
la 
Corte 
si 
pronunzi 
sul 
se 
la 
disciplina 
garantita 
dall’ordinamento 
italiano, 
in 
sede 
di 
estinzione 
anticipata 
del 
credito, 
sommata 
alle 
tutele 
di 
cui 
alla 
direttiva 
2008/48/Ce 
non 
sia 
(quantomeno) 
equivalente 
alla 
tutela 
garantita 
dal 
modello 
PieS 
di 
cui 
alla 
direttiva 
2014/17/ue 
in materia 
di 
estinzione 
anticipata 
dei 
contratti 
di 
credito immobiliare 
ai consumatori. 


Corte 
di 
Giustizia dell’Unione 
europea, terza sezione, sentenza 9 febbraio 2023 nella 
causa 
C‑555/21 
-Pres. 
K. 
Jürimäe, 
Rel. 
M. 
Safjan 
-Domanda 
di 
pronuncia 
pregiudiziale 
proposta 
dall’oberster Gerichtshof (Corte 
suprema, Austria), con decisione 
del 
19 agosto 2021, 
pervenuta 
in cancelleria 
il 
9 settembre 
2021, nel 
procedimento uniCredit 
Bank Austria 
AG 
c. 
Verein für Konsumenteninformation. 


«Rinvio pregiudiziale 
-tutela 
dei 
consumatori 
-Direttiva 
2014/17/ue 
-Contratti 
di 
credito 
ai 
consumatori 
relativi 
a 
beni 
immobili 
residenziali 
-Articolo 25, paragrafo 1 -Rimborso anticipato 
-Diritto del 
consumatore 
a 
una 
riduzione 
del 
costo totale 
del 
credito, che 
riguarda 
gli 
interessi 
e 
i 
costi 
dovuti 
per la 
restante 
durata 
del 
contratto -Articolo 4, punto 13 -Nozione 
di 
“costo 
totale 
del 
credito 
per 
il 
consumatore” 
-Costi 
che 
non 
dipendono 
dalla 
durata 
del 
contratto» 


1 la 
domanda 
di 
pronuncia 
pregiudiziale 
verte 
sull’interpretazione 
dell’articolo 25, paragrafo 
1, 
della 
direttiva 
2014/17/ue 
del 
Parlamento 
europeo 
e 
del 
Consiglio, 
del 
4 
febbraio 
2014, in merito ai 
contratti 
di 
credito ai 
consumatori 
relativi 
a 
beni 
immobili 
residenziali 
e 
recante 
modifica 
delle 
direttive 
2008/48/Ce 
e 
2013/36/ue 
e 
del 
regolamento (ue) n. 
1093/2010 (Gu 2014, l 60, pag. 34). 


2 
tale 
domanda 
è 
stata 
presentata 
nell’ambito 
di 
una 
controversia 
tra 
la 
uniCredit 
Bank 
Austria 
AG 
(in prosieguo: 
la 
«uCBA») e 
il 
Verein für Konsumenteninformation (in prosieguo: 
il 
«VKi»), relativamente 
all’utilizzo, da 
parte 
della 
uCBA, di 
una 
clausola 
standard, 
contenuta 
nei 
suoi 
contratti 
di 
credito 
immobiliare, 
che 
prevede 
che, 
in 
caso 
di 
rimborso 
anticipato 
del 
credito 
da 
parte 
del 
consumatore, 
le 
spese 
di 
gestione 
indipendenti 
dalla durata del credito non gli vengano rimborsate. 


Contesto normativo 


Diritto dell’Unione 


Direttiva 2008/48/CE 


3 
l’articolo 
3 
della 
direttiva 
2008/48/Ce 
del 
Parlamento 
europeo 
e 
del 
Consiglio, 
del 
23 
aprile 
2008, 
relativa 
ai 
contratti 
di 
credito 
ai 
consumatori 
e 
che 
abroga 
la 
direttiva 
87/102/Cee 
del 
Consiglio 
(Gu 
2008, 
l 
133, 
pag. 
66), 
intitolato 
«Definizioni», 
dispone 
quanto 
segue: 
«Ai fini della presente direttiva si applicano le seguenti definizioni: 
(...) 


g) 
“costo 
totale 
del 
credito 
per 
il 
consumatore”: 
tutti 
i 
costi, 
compresi 
gli 
interessi, 
le 
com

CoNteNzioSo 
CoMuNitARio 
eD 
iNteRNAzioNAle 
41 


missioni, le 
imposte 
e 
tutte 
le 
altre 
spese 
che 
il 
consumatore 
deve 
pagare 
in relazione 
al 
contratto di 
credito e 
di 
cui 
il 
creditore 
è 
a 
conoscenza, escluse 
le 
spese 
notarili; 
sono inclusi 
anche 
i 
costi 
relativi 
a 
servizi 
accessori 
connessi 
con il 
contratto di 
credito, in particolare 
i 
premi 
assicurativi, 
se, 
in 
aggiunta, 
la 
conclusione 
di 
un 
contratto 
avente 
ad 
oggetto un servizio è 
obbligatoria 
per ottenere 
il 
credito oppure 
per ottenerlo alle 
condizioni 
contrattuali offerte. 
(...)». 
4 l’articolo 16 della 
direttiva 
2008/48, intitolato «Rimborso anticipato», al 
paragrafo 1 
così dispone: 
«il 
consumatore 
ha 
il 
diritto di 
adempiere 
in qualsiasi 
momento, in tutto o in parte, agli 
obblighi 
che 
gli 
derivano dal 
contratto di 
credito. in tal 
caso, egli 
ha 
diritto ad una 
riduzione 
del 
costo 
totale 
del 
credito, 
che 
comprende 
gli 
interessi 
e 
i 
costi 
dovuti 
per 
la 
restante 
durata del contratto». 


Direttiva 2014/17 


5 i considerando 15, 19, 20, 22 e 50 della direttiva 2014/17 sono così formulati: 
«(15) l’obiettivo della 
presente 
direttiva 
è 
garantire 
un elevato livello di 
protezione 
dei 
consumatori che sottoscrivano contratti di credito relativi a beni immobili. (...) 
(...) 


(19) Per ragioni 
di 
certezza 
del 
diritto, il 
quadro giuridico dell’unione 
in materia 
di 
contratti 
di 
credito relativi 
a 
beni 
immobili 
residenziali 
dovrebbe 
essere 
coerente 
con gli 
altri 
atti 
dell’unione 
[europea] e 
complementare 
ad essi, in particolare 
nei 
settori 
della 
protezione 
dei consumatori e della vigilanza prudenziale. (...) 
(20) Per garantire 
ai 
consumatori 
del 
settore 
creditizio un quadro coerente 
e 
per ridurre 
al 
minimo 
gli 
oneri 
amministrativi 
per 
i 
creditori 
e 
gli 
intermediari 
del 
credito, 
la 
struttura 
della 
presente 
direttiva 
dovrebbe 
seguire, ove 
possibile, quella 
della 
direttiva 
[2008/48] 
(...) 
(22) Allo stesso tempo, è 
importante 
tenere 
conto delle 
specificità 
dei 
contratti 
di 
credito 
relativi a beni immobili residenziali, che giustificano un approccio differenziato. (...) 
(...) 
(50) 
il 
costo 
totale 
del 
credito 
per 
il 
consumatore 
dovrebbe 
comprendere 
tutti 
i 
costi 
legati 
al 
contratto di 
credito che 
il 
consumatore 
deve 
pagare 
e 
che 
sono noti 
al 
creditore. Dovrebbe 
pertanto includere 
interessi, commissioni, imposte, compensi 
per gli 
intermediari 
del 
credito, costi 
della 
valutazione 
dei 
beni 
immobili 
a 
fini 
ipotecari 
e 
tutte 
le 
altre 
spese, 
escluse 
le 
spese 
notarili, richieste 
per ottenere 
il 
credito, per esempio un’assicurazione 
sulla 
vita, oppure 
per ottenerlo alle 
condizioni 
contrattuali 
previste, per esempio un’assicurazione 
contro gli 
incendi. (...) il 
costo totale 
del 
credito per il 
consumatore 
dovrebbe 
escludere 
i 
costi 
che 
il 
consumatore 
sostiene 
in 
relazione 
all’acquisto 
dell’immobile 
o 
del 
terreno, ad esempio le 
tasse 
associate 
e 
le 
spese 
notarili 
o i 
costi 
di 
registrazione 
catastale 
(...)». 
6 l’articolo 1 di tale direttiva, intitolato «oggetto», dispone quanto segue: 
«la 
presente 
direttiva 
definisce 
un quadro comune 
per alcuni 
aspetti 
delle 
disposizioni 
legislative, regolamentari 
e 
amministrative 
degli 
Stati 
membri 
concernenti 
contratti 
concernenti 
i 
crediti 
ai 
consumatori 
garantiti 
da 
un’ipoteca 
o altrimenti 
relativi 
a 
beni 
immobili 
residenziali, 
compreso 
l’obbligo 
di 
effettuare 
una 
valutazione 
del 
merito 
creditizio 
prima 
di 
concedere 
un 
credito, 
come 
base 
per 
lo 
sviluppo 
di 
standard 
efficaci 
per 
la 
stipula 
in relazione 
a 
beni 
immobili 
residenziali 
negli 
Stati 
membri, e 
per alcuni 
requisiti 
pru



RASSeGNA 
AVVoCAtuRA 
Dello 
StAto -N. 3/2022 


denziali 
e 
di 
vigilanza, anche 
per quanto riguarda 
lo stabilimento e 
la 
vigilanza 
di 
intermediari 
del credito, rappresentanti designati e enti non creditizi». 


7 l’articolo 4 di detta direttiva, intitolato «Definizioni», così prevede: 
«Ai fini della presente direttiva si applicano le seguenti definizioni: 
(...) 


13. “costo totale 
del 
credito per il 
consumatore”: 
il 
costo totale 
del 
credito per il 
consumatore 
quale 
definito 
all’articolo 
3, 
lettera 
g), 
della 
direttiva 
[2008/48], 
inclusi 
i 
costi 
della 
valutazione 
dei 
beni 
se 
tale 
valutazione 
è 
necessaria 
per 
ottenere 
il 
credito 
ma 
esclusi 
i 
costi 
di 
registrazione 
fondiaria 
per il 
trasferimento della 
proprietà 
del 
bene 
immobile. 
Sono escluse 
eventuali 
penali 
pagabili 
dal 
consumatore 
per la 
mancata 
esecuzione 
degli 
obblighi stabiliti nel contratto di credito; 
(...)». 
8 l’articolo 14 della 
medesima 
direttiva, intitolato «informazioni 
precontrattuali», ai 
paragrafi 
1 e 2 dispone quanto segue: 


«1. Gli 
Stati 
membri 
provvedono affinché 
il 
creditore 
e, se 
del 
caso, l’intermediario del 
credito o il 
rappresentante 
designato forniscano al 
consumatore 
le 
informazioni 
personalizzate 
necessarie 
a 
confrontare 
i 
crediti 
disponibili 
sul 
mercato, 
valutarne 
le 
implicazioni 
e 
prendere 
una 
decisione 
informata 
sull’opportunità 
di 
concludere 
un 
contratto 
di 
credito: 
a) senza 
indebito ritardo, dopo che 
il 
consumatore 
ha 
fornito le 
informazioni 
necessarie 
circa 
le 
sue 
esigenze, la 
sua 
situazione 
finanziaria 
e 
le 
sue 
preferenze 
in conformità 
con 
l’articolo 20; e 
b) in tempo utile, prima 
che 
il 
consumatore 
sia 
vincolato da 
un contratto di 
credito o da 
un’offerta. 
2. le 
informazioni 
personalizzate 
di 
cui 
al 
paragrafo 1, su supporto cartaceo o su altro 
supporto 
durevole, 
sono 
fornite 
mediante 
il 
[prospetto 
informativo 
europeo 
standardizzato 
(PieS)] di cui all’allegato ii». 
9 l’articolo 
25 
della 
direttiva 
2014/17, 
intitolato 
«estinzione 
anticipata», 
al 
paragrafo 
1 
prevede 
quanto 
segue: 
«Gli 
Stati 
membri 
assicurano 
che 
il 
consumatore 
abbia 
il 
diritto 
di 
adempiere 
in 
tutto 
o 
in 
parte 
agli 
obblighi 
che 
gli 
derivano 
da 
un 
contratto 
di 
credito 
prima 
della 
scadenza 
di 
tale 
contratto. 
in 
tal 
caso, 
il 
consumatore 
ha 
diritto 
ad 
una 
riduzione 
del 
costo 
totale 
del 
credito 
al 
consumatore, 
che 
riguarda 
gli 
interessi 
e 
i 
costi 
dovuti 
per 
la 
restante 
durata 
del 
contratto». 


10 l’articolo 41 di 
tale 
direttiva, intitolato «Natura 
vincolante 
della 
presente 
direttiva», prevede 
quanto segue: 
«Gli Stati membri assicurano che: 
(...) 


b) le 
disposizioni 
adottate 
per il 
recepimento della 
presente 
direttiva 
non possano essere 
eluse 
in un modo che 
possa 
determinare 
la 
perdita 
della 
protezione 
concessa 
ai 
consumatori 
dalla 
presente 
direttiva 
attraverso 
particolari 
formulazioni 
dei 
contratti, 
in 
particolare 
includendo contratti 
di 
credito che 
rientrano nell’ambito di 
applicazione 
della 
presente 
direttiva 
in contratti 
di 
credito la 
cui 
natura 
o finalità 
consenta 
di 
evitare 
l’applicazione 
di tali disposizioni». 
Diritto austriaco 


11 l’articolo 20 del 
Bundesgesetz 
über Hypothekar-und immobilienkreditverträge 
und sonstige 
Kreditierungen zu Gunsten von Verbrauchern (legge 
federale 
in materia 
di 
contratti 
di 
credito 
ipotecario 
e 
immobiliare 
e 
altri 
crediti 
al 
consumo), 
del 
26 
novembre 
2015 



CoNteNzioSo 
CoMuNitARio 
eD 
iNteRNAzioNAle 
43 


(BGBl. 
i, 
135/2015), 
nella 
versione 
in 
vigore 
fino 
al 
31 
dicembre 
2020 
(BGBl. 
i, 
93/2017), intitolato «estinzione anticipata», al paragrafo 1 prevedeva quanto segue: 
«il 
mutuatario 
ha 
diritto, 
in 
qualsiasi 
momento, 
di 
rimborsare 
parzialmente 
o 
integralmente 
l’importo del 
credito prima 
della 
scadenza 
del 
periodo stabilito. il 
rimborso anticipato 
dell’intero 
importo 
del 
credito, 
maggiorato 
degli 
interessi, 
è 
considerato 
come 
risoluzione 
del 
contratto 
di 
credito. 
in 
caso 
di 
rimborso 
anticipato 
del 
credito, 
gli 
interessi 
dovuti 
dal 
mutuatario sono ridotti 
in funzione 
della 
riduzione 
del 
debito residuo ed eventualmente 
in funzione 
della 
conseguente 
riduzione 
della 
durata 
del 
contratto. i costi 
dipendenti 
dalla durata del contratto sono ridotti proporzionalmente». 


Procedimento principale e questione pregiudiziale 


12 
il 
VKi, 
un’associazione 
per 
la 
tutela 
degli 
interessi 
dei 
consumatori, 
ha 
proposto 
un 
ricorso 
dinanzi 
agli 
organi 
giurisdizionali 
civili 
austriaci 
affinché 
venisse 
ingiunto alla 
uCBA, 
ente 
creditizio, di 
cessare 
l’utilizzo -in sede 
di 
conclusione 
di 
contratti 
vertenti 
su crediti 
garantiti 
da 
ipoteche 
rientranti 
nella 
direttiva 
2014/17 -di 
una 
clausola 
contrattuale 
standard. 
tale 
clausola 
prevede 
che, in caso di 
rimborso anticipato del 
credito da 
parte 
del 
consumatore, 
gli 
interessi 
nonché 
i 
costi 
dipendenti 
dalla 
durata 
del 
credito 
vengano 
ridotti 
proporzionalmente, 
mentre 
invece 
«le 
spese 
di 
gestione 
indipendenti 
dalla 
durata 
del 
credito 
non vengono rimborsate, neppure proporzionalmente». 


13 il 
VKi ritiene 
che 
una 
simile 
clausola 
sia 
incompatibile 
con l’articolo 25, paragrafo 1, 
della 
direttiva 
2014/17, che 
sancisce 
il 
diritto del 
consumatore 
alla 
riduzione 
del 
costo 
totale 
del 
credito in caso di 
rimborso anticipato del 
credito. esso si 
riferisce, al 
riguardo, 
alla 
sentenza 
dell’11 
settembre 
2019, 
lexitor 
(C‑383/18, 
eu:C:2019:702), 
in 
cui 
la 
Corte 
avrebbe 
dichiarato che 
l’articolo 16, paragrafo 1, della 
direttiva 
2008/48 -che 
prevede 
un 
siffatto 
diritto 
in 
materia 
di 
contratti 
di 
credito 
ai 
consumatori 
-deve 
essere 
interpretato 
nel senso che tale diritto include tutte i costi posti a carico del consumatore. 


14 
il 
giudice 
di 
primo 
grado 
ha 
respinto 
il 
ricorso 
del 
VKi, 
per 
il 
motivo 
che 
la 
direttiva 
2014/17 stabilisce 
un sistema 
differente 
da 
quello della 
direttiva 
2008/48. Queste 
due 
direttive 
presenterebbero differenze 
in particolare 
quanto alla 
nozione 
di 
«costo totale 
del 
credito per il consumatore», oggetto di riduzione in caso di rimborso anticipato. 


15 il 
giudice 
d’appello ha 
riformato tale 
sentenza 
ritenendo che, a 
causa 
delle 
loro formulazioni 
quasi 
identiche, l’articolo 16, paragrafo 1, della 
direttiva 
2008/48 e 
l’articolo 25, 
paragrafo 1, della 
direttiva 
2014/17 debbano essere 
interpretati 
nella 
medesima 
maniera. 
Alla 
luce 
della 
sentenza 
dell’11 
settembre 
2019, 
lexitor 
(C‑383/18, 
eu:C:2019:702), 
non 
sarebbe 
possibile 
dedurre 
dalla 
direttiva 
2014/17 che 
i 
costi 
indipendenti 
dalla 
durata 
del 
contratto di credito non debbano essere rimborsati proporzionalmente. 


16 investito 
di 
un 
ricorso 
per 
cassazione 
(Revision) 
da 
parte 
della 
uCBA, 
il 
giudice 
del 
rinvio, 
l’oberster 
Gerichtshof 
(Corte 
suprema, 
Austria), 
giudica 
che 
la 
posizione 
del 
giudice 
d’appello 
non 
risulta 
convincente 
con 
la 
dovuta 
evidenza. 


17 Secondo il 
giudice 
del 
rinvio, vero è 
che 
si 
potrebbe 
ritenere 
che, in considerazione 
della 
formulazione 
quasi 
identica 
delle 
due 
disposizioni 
nonché 
dell’obiettivo 
comune 
alle 
due 
direttive 
di 
assicurare 
una 
tutela 
elevata 
del 
consumatore, 
l’articolo 
25, 
paragrafo 
1, 
della 
direttiva 
2014/17 
debba 
essere 
interpretato 
nel 
medesimo 
senso 
dell’articolo 
16, 
paragrafo 
1, della direttiva 2008/48. 


18 tuttavia, i 
contratti 
di 
credito ai 
consumatori 
disciplinati 
dalla 
direttiva 
2008/48 presenterebbero 
considerevoli 
differenze 
rispetto ai 
contratti 
di 
credito garantiti 
da 
un’ipoteca 


o relativi 
ai 
beni 
immobili, disciplinati 
dalla 
direttiva 
2014/17, atteso che 
questi 
ultimi 

RASSeGNA 
AVVoCAtuRA 
Dello 
StAto -N. 3/2022 


implicano generalmente 
numerose 
spese 
che 
non dipendono dalla 
durata 
del 
contratto e 
il 
cui 
importo sfuggirebbe 
al 
controllo dall’ente 
creditizio. A 
tale 
titolo, il 
giudice 
del 
rinvio 
menziona, in particolare, le 
spese 
relative 
alla 
valutazione 
del 
bene 
immobile, all’autenticazione 
delle 
firme 
ai 
fini 
dell’iscrizione 
dell’ipoteca 
nel 
registro 
catastale 
e 
alla 
domanda 
di 
riconoscimento del 
grado ipotecario in vista 
di 
una 
cessione 
o di 
una 
costituzione 
in 
garanzia, 
nonché 
quelle 
relative 
alla 
registrazione 
per 
la 
domanda 
di 
iscrizione 
catastale dell’ipoteca. 


19 inoltre, per quanto riguardo le 
spese 
indipendenti 
dalla 
durata 
del 
contratto nell’ambito 
della 
direttiva 
2014/17, 
il 
creditore 
non 
disporrebbe 
affatto 
di 
un 
margine 
di 
manovra 
contrattuale 
per 
riqualificare 
tali 
spese 
come 
costi 
che 
dipendono 
da 
tale 
durata. 
Al 
riguardo, 
gli 
organi 
giurisdizionali 
austriaci 
potrebbero controllare, se 
del 
caso mediante 
riqualificazione, se 
taluni 
costi 
posti 
a 
carico del 
consumatore 
corrispondano a 
un compenso 
per l’uso temporaneo dei 
capitali 
o se 
essi 
mirino a 
indennizzare 
una 
prestazione 
del creditore indipendente dalla durata del contratto. 


20 in tale 
contesto, l’oberster Gerichtshof (Corte 
suprema) ha 
deciso di 
sospendere 
il 
procedimento 
e di sottoporre alla Corte la seguente questione pregiudiziale: 
«Se 
l’articolo 
25, 
paragrafo 
1, 
della 
direttiva 
[2014/17] 
debba 
essere 
interpretato 
nel 
senso 
che 
esso osta 
a 
una 
normativa 
nazionale 
che 
prevede, in caso di 
esercizio del 
diritto del 
mutuatario di 
rimborsare 
parzialmente 
o integralmente 
l’importo del 
credito prima 
della 
scadenza 
del 
periodo stabilito, che 
gli 
interessi 
dovuti 
dallo stesso mutuatario e 
i 
costi 
dipendenti 
dalla 
durata 
del 
contratto siano ridotti 
proporzionalmente, mentre 
una 
simile 
disposizione 
non è prevista per i costi che non dipendono da tale durata». 
sulla questione pregiudiziale 


21 Con la 
sua 
questione 
il 
giudice 
del 
rinvio chiede, in sostanza, se 
l’articolo 25, paragrafo 
1, 
della 
direttiva 
2014/17 
debba 
essere 
interpretato 
nel 
senso 
che 
esso 
osta 
a 
una 
normativa 
nazionale 
che 
prevede 
che 
il 
diritto del 
consumatore 
a 
una 
riduzione 
del 
costo totale 
del 
credito, 
in 
caso 
di 
rimborso 
anticipato 
del 
medesimo, 
includa 
soltanto 
gli 
interessi 
e 
i 
costi che dipendono dalla durata del credito. 


22 
Conformemente 
a 
tale 
disposizione, 
gli 
Stati 
membri 
devono 
assicurare 
che 
il 
consumatore 
abbia 
il 
diritto 
di 
adempiere 
in 
tutto 
o 
in 
parte 
agli 
obblighi 
che 
gli 
derivano 
da 
un 
contratto 
di 
credito prima 
della 
scadenza 
di 
tale 
contratto. in tal 
caso, il 
consumatore 
ha 
diritto a 
una 
riduzione 
del 
costo totale 
del 
credito che 
riguarda 
gli 
interessi 
e 
i 
costi 
dovuti 
per la 
restante durata del contratto. 


23 Per quanto riguarda, in primo luogo, le 
spese 
che 
possono essere 
comprese 
nel 
«costo totale 
del 
credito 
al 
consumatore», 
il 
legislatore 
dell’unione 
ha 
accolto 
una 
definizione 
ampia di tale nozione. 


24 infatti, dall’articolo 4, punto 13, della 
direttiva 
2014/17, in combinato disposto con l’articolo 
3, 
lettera 
g), 
della 
direttiva 
2008/48, 
emerge 
che 
la 
nozione 
di 
«costo 
totale 
del 
credito 
per il 
consumatore», ai 
sensi 
della 
prima 
di 
tali 
diposizioni, include 
tutti 
i 
costi 
che 
il 
consumatore 
deve 
pagare 
a 
titolo del 
contratto di 
credito, di 
cui 
è 
a 
conoscenza 
il 
creditore. 
tale disposizione esclude espressamente - come confermato dal considerando 50 
della 
direttiva 
2014/14 -soltanto le 
spese 
notarili, i 
costi 
di 
registrazione 
fondiaria 
per il 
trasferimento della 
proprietà 
del 
bene 
immobile, come 
i 
costi 
di 
registrazione 
catastale 
e 
le 
tasse 
associate, 
nonché 
le 
eventuali 
penali 
pagabili 
dal 
consumatore 
per 
l’inosservanza 
degli obblighi stabiliti nel contratto di credito. 


25 Spetta 
pertanto al 
giudice 
del 
rinvio verificare 
se 
i 
tipi 
di 
costi 
dallo stesso indicati, ri



CoNteNzioSo 
CoMuNitARio 
eD 
iNteRNAzioNAle 
45 


chiamati 
al 
punto 18 della 
presente 
sentenza, rientrino nei 
costi 
che 
il 
consumatore 
è 
tenuto 
a 
pagare 
sulla 
base 
del 
contratto di 
credito in questione 
nella 
controversia 
di 
cui 
al 
procedimento principale 
e 
che 
sono noti 
al 
creditore, segnatamente 
a 
titolo delle 
ipotesi 
espressamente 
previste 
all’articolo 4, punto 13, della 
direttiva 
2014/17 e 
all’articolo 3, 
lettera 
g), della 
direttiva 
2008/48, e 
se 
esse 
rientrino, eventualmente, nelle 
eccezioni 
sintetizzate 
al punto precedente, in particolare nelle spese notarili. 


26 Per 
quanto 
riguarda, 
in 
secondo 
luogo, 
la 
portata 
della 
nozione 
di 
«riduzione 
del 
costo 
totale 
del 
credito 
al 
consumatore», 
di 
cui 
all’articolo 
25, 
paragrafo 
1, 
della 
direttiva 
2014/17, 
la 
Corte 
ha 
già 
constatato, 
ai 
punti 
24 
e 
25 
della 
sentenza 
dell’11 
settembre 
2019 
(lexitor, 
C‑383/18, 
eu:C:2019:702), 
in 
relazione 
all’articolo 
16, 
paragrafo 
1, 
della 
direttiva 
2008/48, 
che 
né 
il 
riferimento 
alla 
«restante 
durata 
del 
contratto», 
di 
cui 
a 
tale 
disposizione, 
né 
un’analisi 
comparativa 
delle 
diverse 
versioni 
linguistiche 
di 
quest’ultima 
permettono 
di 
determinare 
la 
portata 
esatta 
della 
riduzione 
prevista 
da 
detta 
disposizione. 
la 
Corte 
ne 
ha 
dedotto, al 
punto 26 di 
tale 
sentenza, che 
tale 
diposizione 
doveva 
essere 
interpretata, conformemente 
alla 
sua 
giurisprudenza 
constante, alla 
luce 
del 
suo contesto 
nonché degli obiettivi perseguiti dalla normativa di cui essa fa parte. 


27 l’articolo 25, paragrafo 1, della 
direttiva 
2014/17 è 
formulato in termini 
quasi 
identici 
a 
quelli 
dell’articolo 16, paragrafo 1, della 
direttiva 
2008/48, sicché 
occorre 
ritenere 
che 
la 
sua 
formulazione 
non consenta 
di 
determinare, da 
sola, la 
portata 
esatta 
dalla 
riduzione 
di 
cui 
a 
tale 
disposizione. Si 
deve 
quindi 
interpretare 
quest’ultima 
alla 
luce 
del 
suo contesto 
e degli obiettivi perseguiti dalla normativa di cui essa fa parte. 


28 A 
tal 
riguardo, dai 
considerando 19 e 
20 della 
direttiva 
2014/17 emerge 
che, per ragioni 
di 
certezza 
del 
diritto, 
la 
direttiva 
in 
parola 
dovrebbe 
essere 
coerente 
con 
gli 
altri 
atti 
adottati 
nel 
settore 
della 
protezione 
dei 
consumatori, nonché 
complementare 
ad essi. Nondimeno, 
dal 
considerando 22 di 
tale 
direttiva 
si 
evince 
anche 
che 
è 
importante 
tenere 
conto 
delle 
specificità 
dei 
contratti 
di 
credito relativi 
a 
beni 
immobili 
residenziali, specificità 
che giustificano un approccio differenziato. 


29 inoltre, occorre 
ricordare 
che, in forza 
dell’articolo 1 della 
direttiva 
2014/17, letto alla 
luce 
del 
suo 
considerando 
15, 
quest’ultima 
definisce 
un 
quadro 
comune 
per 
alcuni 
aspetti 
delle 
disposizioni 
legislative, regolamentari 
e 
amministrative 
degli 
Stati 
membri 
concernenti 
contratti 
riguardanti 
i 
crediti 
ai 
consumatori 
garantiti 
da 
un’ipoteca 
o altrimenti 
relativi 
a 
beni 
immobili 
residenziali 
al 
fine 
di 
assicurare 
a 
questi 
ultimi 
un elevato livello 
di 
protezione 
(v., 
in 
tal 
senso, 
sentenza 
del 
15 
ottobre 
2020, 
Association 
française 
des 
usagers de banques, C‑778/18, eu:C:2020:831, punto 34). 


30 orbene, occorre 
constatare, come 
sottolineato dall’avvocato generale, in sostanza, al 
paragrafo 
69 delle 
sue 
conclusioni, che 
il 
diritto alla 
riduzione 
di 
cui 
all’articolo 25, paragrafo 
1, della 
direttiva 
2014/17 non è 
volto a 
porre 
il 
consumatore 
nella 
situazione 
in cui 
si 
troverebbe 
qualora 
il 
contratto 
di 
credito 
fosse 
stato 
concluso 
per 
un 
periodo 
più 
breve, 
un 
importo 
inferiore 
o, 
più 
generalmente, 
a 
condizioni 
diverse. 
esso 
mira, 
invece, 
ad 
adattare 
tale contratto in funzione delle circostanze del rimborso anticipato. 


31 
Stanti 
tali 
condizioni, 
siffatto 
diritto 
non 
può 
includere 
i 
costi 
che, 
indipendentemente 
dalla 
durata 
del 
contratto, siano posti 
a 
carico del 
consumatore 
a 
favore 
sia 
del 
creditore 
che 
dei 
terzi 
per prestazioni 
che 
siano già 
state 
eseguite 
integralmente 
al 
momento del 
rimborso anticipato. 


32 
Vero 
è 
che, 
nel 
contesto 
della 
direttiva 
2008/48, 
la 
Corte 
ha 
dichiarato 
che 
l’effettiva 
portata 
del 
diritto 
del 
consumatore 
alla 
riduzione 
del 
costo 
totale 
del 
credito 
risulterebbe 



RASSeGNA 
AVVoCAtuRA 
Dello 
StAto -N. 3/2022 


sminuita, 
qualora 
tale 
riduzione 
potesse 
limitarsi 
alla 
presa 
in 
considerazione 
dei 
soli 
costi 
qualificati 
dal 
creditore 
come 
dipendenti 
dalla 
durata 
del 
contratto, 
dato 
che 
i 
costi 
e 
la 
loro 
ripartizione 
sono 
determinati 
unilateralmente 
dalla 
banca 
e 
che 
la 
fatturazione 
dei 
medesimi 
può 
includere 
un 
certo 
margine 
di 
profitto. 
inoltre, 
limitare 
la 
riduzione 
del 
costo 
totale 
del 
credito 
ai 
soli 
costi 
espressamente 
correlati 
alla 
durata 
del 
contratto 
comporterebbe 
il 
rischio 
che 
al 
consumatore 
vengano 
imposti 
pagamenti 
una 
tantum 
più 
elevati 
al 
momento 
della 
conclusione 
del 
contratto 
di 
credito, 
poiché 
il 
creditore 
potrebbe 
essere 
tentato 
di 
ridurre 
al 
minimo 
i 
costi 
dipendenti 
dalla 
durata 
del 
contratto 
(v., 
in 
tal 
senso, 
sentenza 
dell’11 
settembre 
2019, 
lexitor, 
C‑383/18, 
eu:C:2019:702, 
punti 
31 
e 
32). 


33 
A 
tal 
fine 
la 
Corte 
ha 
evidenziato 
che, 
nell’ambito 
di 
detta 
direttiva, 
il 
margine 
di 
manovra 
di 
cui 
dispongono gli 
istituti 
creditizi 
nella 
loro fatturazione 
e 
nella 
loro organizzazione 
interna 
rende, in pratica, molto difficile 
la 
determinazione, da 
parte 
di 
un consumatore 
o 
di 
un giudice, dei 
costi 
oggettivamente 
correlati 
alla 
durata 
del 
contratto (v., in tal 
senso, 
sentenza dell’11 settembre 2019, lexitor, C‑383/18, eu:C:2019:702, punto 33). 


34 Al 
riguardo, 
occorre 
tuttavia 
ricordare 
che, 
conformemente 
all’articolo 
14, 
paragrafi 
1 
e 
2, 
della 
direttiva 
2014/17, 
il 
creditore 
o, 
se 
del 
caso, 
l’intermediario 
del 
credito 
o 
il 
rappresentante 
designato 
sono 
tenuti 
a 
fornire 
al 
consumatore 
informazioni 
precontrattuali 
mediante 
il 
PieS 
di 
cui 
all’allegato 
ii 
a 
tale 
direttiva. 
tale 
prospetto 
prevede 
una 
ripartizione 
delle 
spese 
che 
il 
consumatore 
deve 
pagare 
in 
funzione 
del 
loro 
carattere 
ricorrente 
o 
meno. 


35 orbene, una 
siffatta 
ripartizione 
regolamentata 
dei 
costi 
posti 
a 
carico del 
consumatore 
riduce 
sensibilmente 
il 
margine 
di 
manovra 
di 
cui 
dispongono gli 
enti 
creditizi 
nella 
loro 
fatturazione 
e 
nella 
loro 
organizzazione 
interna 
e 
consente, 
sia 
al 
consumatore 
che 
al 
giudice 
nazionale, di 
verificare 
se 
un tipo di 
costo è 
oggettivamente 
connesso alla 
durata 
del 
contratto. 


36 Di 
conseguenza, il 
rischio di 
comportamento abusivo del 
creditore, evocato nella 
giurisprudenza 
citata 
ai 
punti 
32 
e 
33 
della 
presente 
sentenza, 
non 
può 
giustificare 
l’inclusione 
dei 
costi 
indipendenti 
dalla 
durata 
del 
contratto nel 
diritto alla 
riduzione 
del 
costo totale 
del credito, di cui all’articolo 25, paragrafo 1, della direttiva 2014/17. 


37 A 
tal 
proposito, occorre 
nondimeno ricordare 
che, al 
fine 
di 
garantire 
la 
tutela 
di 
cui 
beneficiano 
i 
consumatori 
ai 
sensi 
della 
direttiva 
2014/17, l’articolo 41, lettera 
b), di 
quest’ultima 
impone 
agli 
Stati 
membri 
di 
assicurare 
che 
le 
disposizioni 
adottate 
per 
il 
recepimento di 
tale 
direttiva 
non possano essere 
eluse 
in un modo che 
possa 
determinare 
la 
perdita 
della 
protezione 
concessa 
ai 
consumatori 
da 
detta 
direttiva, 
mediante 
particolari 
formulazioni dei contratti. 


38 Al 
fine 
di 
garantire 
detta 
tutela, spetta 
agli 
organi 
giurisdizionali 
nazionali 
assicurare 
che 
i 
costi 
che, indipendentemente 
dalla 
durata 
del 
contratto di 
credito, sono posti 
a 
carico 
del 
consumatore 
non costituiscano oggettivamente 
una 
remunerazione 
del 
creditore 
per 
l’uso temporaneo del 
capitale 
oggetto di 
tale 
contratto o per prestazioni 
che, al 
momento 
del 
rimborso anticipato, dovrebbero ancora 
essere 
fornite 
al 
consumatore. il 
creditore 
è, 
al riguardo, tenuto a provare il carattere ricorrente o meno dei costi in questione. 


39 Alla 
luce 
dell’insieme 
delle 
considerazioni 
che 
precedono, 
occorre 
rispondere 
alla 
questione 
posta 
dichiarando 
che 
l’articolo 
25, 
paragrafo 
1, 
della 
direttiva 
2014/17 
deve 
essere 
interpretato 
nel 
senso 
che 
esso 
non 
osta 
a 
una 
normativa 
nazionale 
che 
prevede 
che 
il 
diritto 
del 
consumatore 
alla 
riduzione 
del 
costo 
totale 
del 
credito, 
in 
caso 
di 
rimborso 
anticipato 
del 
medesimo, 
includa 
soltanto 
gli 
interessi 
e 
i 
costi 
dipendenti 
dalla 
durata 
del 
credito. 



CoNteNzioSo 
CoMuNitARio 
eD 
iNteRNAzioNAle 
47 


sulle spese 


40 Nei 
confronti 
delle 
parti 
nel 
procedimento principale 
la 
presente 
causa 
costituisce 
un incidente 
sollevato dinanzi 
al 
giudice 
del 
rinvio, cui 
spetta 
quindi 
statuire 
sulle 
spese. le 
spese 
sostenute 
da 
altri 
soggetti 
per presentare 
osservazioni 
alla 
Corte 
non possono dar 
luogo a rifusione. 
Per questi motivi, la Corte (terza Sezione) dichiara: 
L’articolo 25, paragrafo 1, della direttiva 2014/17/Ue del 
Parlamento europeo e 
del 
Consiglio, 
del 
4 
febbraio 
2014, 
in 
merito 
ai 
contratti 
di 
credito 
ai 
consumatori 
relativi 
a 
beni 
immobili 
residenziali 
e 
recante 
modifica 
delle 
direttive 
2008/48/Ce 
e 
2013/36/Ue e del regolamento (Ue) n. 1093/2010, 
deve essere interpretato nel senso che: 
esso non 
osta a una normativa nazionale 
che 
prevede 
che 
il 
diritto del 
consumatore 
alla riduzione 
del 
costo totale 
del 
credito, in 
caso di 
rimborso anticipato del 
medesimo, 
includa soltanto gli interessi e i costi dipendenti dalla durata del credito. 



RASSeGNA 
AVVoCAtuRA 
Dello 
StAto -N. 3/2022 


Protezione internazionale e vincolatività 
delle decisioni degli stati membri 


CoRtE 
DI 
GIUStIzIA 
DELL’UnIonE 
EURoPEA, oSSERVAzIonI 
DEL 
GoVERno 
ItALIAno 


In 
CAUSA 
C-753/22, PRomoSSA 
Con 
oRDInAnzA 
DEL 
12 DICEmBRE 
2022 

DAL 
BUnDESVERwALtUnGSGERICht 
- GERmAnIA 


1. 
Con 
l’ordinanza 
in 
epigrafe, 
è 
stato 
chiesto 
alla 
Corte 
di 
Giustizia 
dell’unione 
europea 
di 
pronunciarsi, 
ai 
sensi 
dell’art. 
267 
tFue, 
sulla 
seguente 
questione pregiudiziale: 
Se, nel 
caso in cui 
uno Stato membro non possa avvalersi 
della facoltà, 
conferita dall’articolo 33, paragrafo 2, lettera a), della direttiva 2013/32, di 
respingere 
una 
domanda 
di 
protezione 
internazionale 
in 
quanto 
inammissibile 
alla 
luce 
del 
riconoscimento 
dello 
status 
di 
rifugiato 
in 
un 
altro 
Stato 
membro, 
poiché 
le 
condizioni 
di 
vita in tale 
Stato membro esporrebbero il 
richiedente 
a un grave 
rischio di 
trattamenti 
inumani 
o degradanti 
ai 
sensi 
dell’articolo 
4 
della 
Carta, 
l’articolo 
3, 
paragrafo 
1, 
seconda 
frase, 
del 
regolamento 
n. 
604/2013, l’articolo 4, paragrafo 1, seconda frase 
e 
l’articolo 13 della direttiva 
2011/95, nonché 
l’articolo 10, paragrafi 
2 e 
3, l’articolo 33, paragrafi 
1 
e 
2, lettera a), della direttiva 2013/32 debbano essere 
interpretati 
nel 
senso 
che 
la circostanza che 
lo status 
di 
rifugiato sia già stato riconosciuto impedisce 
allo Stato membro di 
sottoporre 
a un esame 
dall’esito aperto la domanda 
di 
protezione 
internazionale 
che 
gli 
è 
stata presentata e 
impone 
allo stesso di 
accordare 
al 
richiedente 
lo status 
di 
rifugiato senza verificare 
l’esistenza dei 
requisiti sostanziali di tale protezione. 

esposizione dei fatti di causa 


2. 
la 
questione 
pregiudiziale 
sollevata 
dal 
Giudice 
tedesco trae 
origine 
dal 
ricorso 
di 
una 
cittadina 
siriana, 
nata 
nel 
1999 
-alla 
quale 
l’ufficio 
federale 
per la migrazione e i rifugiati della Germania ha accordato la protezione sussidiaria 
-che 
chiede 
il 
riconoscimento 
dello 
status 
di 
rifugiato 
già 
riconosciuto 
da altro Stato membro, la Grecia. 
3. 
la 
ricorrente, in base 
a 
una 
decisione 
definitiva 
del 
tribunale 
amministrativo 
tedesco, 
non 
può 
rientrare 
in 
Grecia 
perché 
in 
tale 
Stato 
sarebbe 
esposta 
ad un grave 
rischio di 
subire 
trattamenti 
inumani 
e 
degradanti 
ai 
sensi 
dell’art. 4 della Carta di Nizza. 
4. 
il 
predetto ufficio federale 
ha 
rigettato nel 
merito la 
sua 
domanda 
di 
riconoscimento 
dello 
status 
di 
rifugiato 
in 
quanto 
la 
stessa 
non 
sarebbe 
esposta 
al rischio di subire persecuzioni in Siria. 
5. 
la 
ricorrente 
sostiene 
invece 
che 
il 
riconoscimento 
dello 
status 
di 
rifugiato 
da 
parte 
di 
uno 
Stato 
membro 
sarebbe 
vincolante 
per 
gli 
altri 
Stati 
membri. 
normativa dell’Unione 


6. 
l’art. 4 della 
Carta 
dei 
diritti 
fondamentali 
dell’unione 
europea 
pre

CoNteNzioSo 
CoMuNitARio 
eD 
iNteRNAzioNAle 


vede 
che 
“nessuno 
può 
essere 
sottoposto 
a 
tortura, 
né 
a 
pene 
o 
trattamenti 
inumani o degradanti”. 


7. il 
regolamento n. 604/2013, che 
stabilisce 
i 
criteri 
e 
i 
meccanismi 
di 
determinazione 
dello Stato membro competente 
per l’esame 
di 
una 
domanda 
di 
protezione 
internazionale 
presentata 
in uno degli 
Stati 
membri 
da 
un cittadino 
di 
un paese 
terzo o da 
un apolide 
(c.d. Dublino iii), prevede, all’art. 3, 
relativo all’accesso alla 
procedura 
di 
esame 
di 
una 
domanda 
di 
protezione 
internazionale, 
che 
“1. Gli 
Stati 
membri 
esaminano qualsiasi 
domanda di 
protezione 
internazionale 
presentata 
da 
un 
cittadino 
di 
un 
paese 
terzo 
o 
da 
un 
apolide 
sul 
territorio di 
qualunque 
Stato membro, compreso alla frontiera e 
nelle 
zone 
di 
transito. 
Una 
domanda 
d’asilo 
è 
esaminata 
da 
un 
solo 
Stato 
membro, che 
è 
quello individuato come 
Stato competente 
in 
base 
ai 
criteri 
enunciati al capo III. 
2. Quando lo Stato membro competente 
non può essere 
designato sulla 
base 
dei 
criteri 
enumerati 
nel 
presente 
regolamento, 
è 
competente 
il 
primo 
Stato membro nel 
quale 
la domanda è 
stata presentata. Qualora sia impossibile 
trasferire 
un 
richiedente 
verso lo Stato membro inizialmente 
designato 
come 
competente 
in 
quanto 
si 
hanno 
fondati 
motivi 
di 
ritenere 
che 
sussistono 
carenze 
sistemiche 
nella procedura di 
asilo e 
nelle 
condizioni 
di 
accoglienza 
dei 
richiedenti 
in 
tale 
Stato membro, che 
implichino il 
rischio di 
un 
trattamento 
inumano 
o 
degradante 
ai 
sensi 
dell’articolo 
4 
della 
Carta 
dei 
diritti 
fondamentali 
dell'Unione 
europea, 
lo 
Stato 
membro 
che 
ha 
avviato 
la 
procedura 
di 
determinazione 
dello 
Stato 
membro 
competente 
prosegue 
l’esame 
dei 
criteri 
di 
cui 
al 
capo III per 
verificare 
se 
un altro Stato membro 
possa essere 
designato come 
competente. Qualora non sia possibile 
eseguire 
il 
trasferimento a norma del 
presente 
paragrafo verso un altro Stato membro 
designato in base 
ai 
criteri 
di 
cui 
al 
capo III o verso il 
primo Stato membro in 
cui 
la domanda è 
stata presentata, lo Stato membro che 
ha avviato la procedura 
di determinazione diventa lo Stato membro competente. 
3. ogni 
Stato membro mantiene 
la possibilità di 
inviare 
un richiedente 
in 
un 
paese 
terzo 
sicuro, 
nel 
rispetto 
delle 
norme 
e 
delle 
garanzie 
previste 
dalla direttiva 2013/32/UE” (enfasi aggiunta). 
8. 
Conformemente 
al 
Capo iii, i 
criteri 
per la 
determinazione 
dello Stato 
membro 
competente 
si 
applicano 
nell’ordine 
nel 
quale 
sono 
definiti 
nello 
stesso capo. in particolare, la 
determinazione 
dello Stato membro competente 
avviene 
sulla 
base 
della 
situazione 
esistente 
al 
momento in cui 
il 
richiedente 
ha 
presentato domanda 
di 
protezione 
internazionale 
per la 
prima 
volta 
in uno 
Stato membro. Ai 
fini 
dell’applicazione 
dei 
criteri 
di 
cui 
agli 
articoli 
8 (minori), 
10 
(familiari 
beneficiari 
di 
protezione 
internazionale) 
e 
16 
(persone 
a 
carico), gli 
Stati 
membri 
tengono conto di 
qualsiasi 
elemento di 
prova 
disponibile 
per quanto riguarda 
la 
presenza 
nel 
territorio di 
uno Stato membro, di 
familiari, 
parenti 
o 
persone 
legate 
da 
altri 
vincoli 
di 
parentela 
con 
il 
richie

RASSeGNA 
AVVoCAtuRA 
Dello 
StAto -N. 3/2022 


dente, 
a 
condizione 
che 
tali 
prove 
siano 
prodotte 
prima 
che 
un 
altro 
Stato 
membro 
accolga 
la 
richiesta 
di 
presa 
o 
ripresa 
in 
carico 
dell’interessato 
e 
che 
le 
precedenti 
domande 
di 
protezione 
internazionale 
del 
richiedente 
non 
siano state ancora oggetto di una prima decisione sul merito. 


9. 
A 
norma 
dell’art. 33, paragrafo 1 della 
direttiva 
2013/32/ue 
(c.d. direttiva 
procedure), recante 
“Domande 
inammissibili”, “1. oltre 
ai 
casi 
in cui 
una domanda non è 
esaminata a norma del 
regolamento (UE) n. 604/2013, 
gli 
Stati 
membri 
non 
sono 
tenuti 
ad 
esaminare 
se 
al 
richiedente 
sia 
attribuibile 
la 
qualifica 
di 
beneficiario 
di 
protezione 
internazionale 
a 
norma 
della 
direttiva 
2011/95/UE, 
qualora 
la 
domanda 
sia 
giudicata 
inammissibile 
a 
norma 
del 
presente 
articolo”. in base 
al 
successivo paragrafo 2, lettera 
a), “2. Gli 
Stati 
membri 
possono giudicare 
una domanda di 
protezione 
internazionale 
inammissibile 
soltanto se: a) un altro Stato membro ha concesso la protezione 
internazionale”. 
10. 
Ai 
sensi 
dell’art. 
10, 
par. 
2 
della 
direttiva 
procedure, 
“Nell’esaminare 
una domanda di 
protezione 
internazionale, l’autorità accertante 
determina 
anzitutto se 
al 
richiedente 
sia attribuibile 
la qualifica di 
rifugiato e, in 
caso 
contrario, 
se 
l’interessato 
sia 
ammissibile 
alla 
protezione 
sussidiaria” 
(enfasi 
aggiunta). il 
successivo par. 3 dispone 
che 
“Gli 
Stati 
membri 
provvedono affinché 
le 
decisioni 
dell’autorità 
accertante 
relative 
alle 
domande 
di 
protezione 
internazionale siano adottate previo congruo esame …”. 
11. la 
direttiva 
2011/95/ue 
(c.d. direttiva 
qualifiche) prevede, all’art. 4, 
par. 1, seconda 
frase 
che 
“Lo Stato membro è 
tenuto, in cooperazione 
con il 
richiedente, 
a 
esaminare 
tutti 
gli 
elementi 
significativi 
della 
domanda”. 
il 
successivo 
art. 13, recante 
riconoscimento dello status 
di 
rifugiato, dispone 
che 
“gli 
Stati 
membri 
riconoscono lo status 
di 
rifugiato al 
cittadino di 
un paese 
terzo o all’apolide 
aventi 
titolo al 
riconoscimento dello status 
di 
rifugiato in 
conformità 
dei 
capi 
II 
e 
III”. 
i 
capi 
ii 
e 
iii 
disciplinano, 
rispettivamente, 
la 
valutazione 
delle 
domande 
di 
protezione 
internazionale 
e 
i 
requisiti 
per essere 
considerato rifugiato. 
Risposta al quesito 


12. Con il 
quesito, il 
giudice 
del 
rinvio chiede 
in sostanza 
alla 
Corte 
di 
giustizia 
di 
chiarire 
se 
il 
fatto 
che 
lo 
status 
di 
rifugiato 
sia 
già 
stato 
riconosciuto 
da 
altro 
Stato 
membro 
(nella 
specie 
la 
Grecia) 
impedisca 
ad 
uno 
Stato 
membro 
(nella 
fattispecie 
la 
Germania) di 
sottoporre 
ad un esame 
dall’esito aperto la 
domanda 
di 
protezione 
internazionale 
che 
gli 
è 
stata 
presentata 
ed 
imponga 
allo 
stesso 
di 
accordare 
al 
richiedente 
lo 
status 
di 
rifugiato 
senza 
verificare 
l’esistenza dei requisiti sostanziali per il riconoscimento di tale protezione. 
13. 
in 
altri 
termini, 
la 
Corte 
amministrativa 
federale 
tedesca 
domanda 
alla 
Corte 
di 
Giustizia 
se 
in 
base 
al 
diritto 
primario 
e 
del 
diritto 
derivato 
del-
l’unione 
il 
riconoscimento 
dello 
status 
di 
rifugiato 
da 
parte 
di 
uno 
Stato 
membro 
abbia effetto vincolante per un altro Stato membro. 

CoNteNzioSo 
CoMuNitARio 
eD 
iNteRNAzioNAle 


14. il Governo italiano ritiene di dare risposta positiva al quesito. 
15. Come 
si 
è 
detto, il 
rinvio pregiudiziale 
trae 
origine 
dal 
ricorso di 
una 
cittadina 
siriana 
che 
ha 
ottenuto il 
riconoscimento dello status 
di 
rifugiato in 
Grecia 
e 
che 
chiede 
la 
protezione 
internazionale 
anche 
in Germania 
in quanto 
il 
rientro in Grecia 
la 
esporrebbe 
ad un grave 
rischio di 
subire 
trattamenti 
inumani 
o degradanti ai sensi dell’art. 4 della Carta. 
16. Nella 
fattispecie 
la 
domanda 
è 
stata 
respinta 
dal 
tribunale 
amministrativo 
tedesco non perché 
alla 
ricorrente 
era 
già 
stato riconosciuto lo status 
di 
rifugiato in Grecia 
ma 
perché 
la 
domanda 
era 
infondata 
nel 
merito, reputando 
il 
tribunale 
che 
la 
stessa 
non fosse 
esposta 
a 
rischio di 
subire 
persecuzioni 
in Siria. 
17. la 
questione 
giuridica 
sottoposta 
alla 
Corte 
è 
dunque 
quella 
della 
natura 
vincolante 
o 
meno 
in 
tutti 
gli 
Stati 
membri 
del 
riconoscimento 
dello 
status 
di 
rifugiato 
in 
uno 
Stato 
membro, 
che 
non 
sembrerebbe 
evincersi 
esplicitamente, 
secondo il 
giudice 
del 
rinvio, né 
dal 
diritto primario dell’unione, né 
da quello derivato. 
18. 
la 
legislazione 
italiana 
(art. 
29, 
comma 
1, 
lettera 
a) 
del 
d.lgs. 
n. 
25/2008) ha 
recepito l’art. 33, par. 2, lett. a) della 
direttiva 
procedure 
prevedendo 
che 
la 
Commissione 
territoriale 
dichiari 
inammissibile 
la 
domanda 
e 
non 
proceda 
all’esame 
qualora 
il 
richiedente 
sia 
stato 
riconosciuto 
rifugiato 
da 
uno 
Stato 
firmatario 
della 
Convenzione 
di 
Ginevra 
e 
possa 
ancora 
avvalersi 
di tale protezione. 
19. lo stesso giudice 
del 
rinvio riconosce 
che 
la 
possibilità 
conferita 
agli 
Stati 
membri 
dall’art. 
33, 
par. 
2, 
lett. 
a) 
della 
direttiva 
2013/32/ue 
di 
rinunciare 
a 
pronunciarsi 
nel 
merito 
nel 
caso 
in 
cui 
un 
altro 
Stato 
membro 
abbia 
concesso 
la 
protezione 
internazionale, 
disciplinata 
per 
la 
Repubblica 
federale 
di 
Germania 
all’articolo 29, paragrafo 1, secondo comma, dell’AsylG, potrebbe 
doversi 
intendere 
come 
espressione 
del 
principio di 
un unico esame 
nel 
merito 
di una domanda di asilo in un solo Stato membro dell’unione europea. 
20. tuttavia, il 
giudice 
del 
rinvio assume 
che 
la 
Corte 
di 
Giustizia 
non si 
sia 
ancora 
pronunciata 
in maniera 
espressa 
sulla 
vincolatività 
del 
riconoscimento 
da 
parte 
di 
uno Stato membro dello status 
di 
rifugiato per gli 
altri 
Stati 
membri. 
21. 
Sul 
punto, 
infatti, 
la 
Corte 
di 
Giustizia 
dell’unione 
europea, 
basandosi 
sull’articolo 
unico 
del 
Protocollo 
n. 
24 
sull’asilo 
per 
i 
cittadini 
degli 
Stati 
membri 
dell’unione 
europea 
allegato 
ai 
trattati 
-in 
base 
al 
quale 
“gli 
Stati 
membri 
dell’Unione 
europea, dato il 
livello di 
tutela dei 
diritti 
e 
delle 
libertà fondamentali 
si 
considerano 
reciprocamente 
Paesi 
di 
origine 
sicuri 
a 
tutti 
i 
fini 
giuridici 
e 
pratici 
connessi 
a questioni 
inerenti 
l’asilo” 
-si 
è 
limitata 
a 
ribadire 
il 
principio di 
mutua 
fiducia 
che 
sottende 
alla 
creazione 
dello spazio di 
libertà, 
sicurezza 
e 
giustizia, senza, tuttavia, pronunciarsi 
in maniera 
specifica 
sulla 
vincolatività 
delle 
decisioni 
degli 
Stati 
membri 
in materia 
di 
protezione 
inter

RASSeGNA 
AVVoCAtuRA 
Dello 
StAto -N. 3/2022 


nazionale, tenuto conto anche 
che 
la 
direttiva 
“qualifiche” 
e 
la 
direttiva 
“procedure” 
non 
prevedono 
in 
modo 
esplicito 
l’automatico 
riconoscimento, 
da 
parte 
di 
uno 
Stato 
dell’ue, 
della 
protezione 
internazionale 
ottenuta 
in 
un 
altro 
Stato membro. 


22. 
tuttavia, 
l’accertamento 
da 
parte 
di 
uno 
Stato 
dello 
status 
di 
rifugiato 
dovrebbe 
avere 
un 
effetto 
sovranazionale, 
almeno 
tra 
gli 
altri 
Stati 
aderenti 
alla Convenzione di Ginevra sullo status 
dei rifugiati del 1951. 
23. Del 
resto, il 
Comitato esecutivo dell’Alto Commissariato delle 
Nazioni 
unite 
per i 
Rifugiati 
(uNHCR), nella 
conclusione 
n. 12 (XXiX)-1978, 
relativa 
all’effetto 
extraterritoriale 
della 
determinazione 
dello 
status 
di 
rifugiato, 
ha 
espresso il 
principio secondo il 
quale 
“lo status 
di 
rifugiato determinato 
da 
uno 
Stato 
contraente 
sarà 
riconosciuto 
anche 
dagli 
altri 
Stati 
contraenti”. 
24. inoltre, come 
sottolineato dall’uNHCR, “lo status 
di 
rifugiato riconosciuto 
da 
uno 
Stato 
Parte 
[della 
Convenzione 
del 
1951] 
dovrebbe 
essere 
messo 
in 
discussione 
da 
un 
altro 
Stato 
Parte 
soltanto 
in 
casi 
eccezionali, 
quando appare 
evidente 
che 
la persona non abbia i 
requisiti 
di 
inclusione 
di 
cui alla Convenzione del 1951”. 
25. tale 
conclusione 
sembra 
ostare 
alla 
possibilità 
che 
lo Stato membro 
proceda 
ad una 
sostanziale 
rivalutazione 
del 
rischio di 
persecuzione 
politica 
della 
ricorrente 
nel 
paese 
di 
origine 
allorché 
le 
autorità 
di 
altro Stato membro 
abbiano 
precedentemente 
riconosciuto 
la 
sussistenza 
dei 
presupposti 
per 
la 
concessione dello status 
di rifugiato alla cittadina di Paese terzo. 
26. il 
Governo italiano ritiene 
che 
un’eventuale 
risposta 
negativa 
al 
quesito 
posto dal 
Giudice 
del 
rinvio, tendente 
ad affermare 
che 
il 
riconoscimento 
dello status 
di 
rifugiato non sia 
vincolante 
per gli 
altri 
Stati 
membri 
potrebbe 
comportare 
un 
pregiudizio 
rispetto 
alla 
necessaria 
omogeneità 
giuridica 
in 
ambito 
u.e., come 
già sostenuto nella causa C-352/22 afferente 
a questioni 
similari. 
27. 
Se 
un 
soggetto 
fosse 
riconosciuto 
rifugiato 
politico 
in 
uno 
Stato 
membro 
e 
il 
suo trasferimento in un altro Paese 
u.e. lo esponesse 
al 
rischio di 
una 
nuova 
e 
diversa 
valutazione, 
autonomamente 
compiuta 
dalle 
autorità 
nazionali 
sul 
suo caso in ordine 
al 
fondato timore 
di 
persecuzione 
nel 
Paese 
di 
origine, 
verrebbe compromesso un basilare principio dell’ordinamento unionale. 
28. 
Si 
rischierebbe 
infatti 
di 
favorire 
il 
fenomeno 
del 
c.d. 
forum 
shopping, 
poiché 
gli 
stranieri 
che 
ambissero al 
riconoscimento dello status 
di 
rifugiato 
sarebbero chiaramente 
indotti 
a 
sottoporre 
i 
loro casi 
alle 
sole 
autorità 
degli 
Stati 
membri 
che 
apparissero maggiormente 
sensibili 
al 
riconoscimento delle 
istanze protettive. 
29. inoltre, nella 
causa C-483/20 
citata 
dal 
giudice 
del 
rinvio, è 
stata 
depositata 
dalla 
Corte 
di 
Giustizia, Grande 
sezione, la sentenza del 
22 febbraio 
2022 
che 
ha 
chiarito 
che 
l’articolo 
33, 
paragrafo 
2, 
lettera 
a), 
della 

CoNteNzioSo 
CoMuNitARio 
eD 
iNteRNAzioNAle 


direttiva 
2013/32/ue 
deve 
essere 
interpretato nel 
senso che 
esso non osta 
a 
che 
uno 
Stato 
membro 
eserciti 
la 
facoltà 
offerta 
da 
tale 
disposizione 
di 
dichiarare 
inammissibile 
una 
domanda 
di 
protezione 
internazionale 
con la 
motivazione 
che 
al 
richiedente 
è 
già 
stato concesso lo status 
di 
rifugiato da 
parte 
di 
un altro Stato membro, qualora 
tale 
richiedente 
sia 
il 
padre 
di 
un minore 
non 
accompagnato 
che 
ha 
ottenuto 
il 
beneficio 
della 
protezione 
sussidiaria 
nel 
primo Stato membro, fatta 
salva, tuttavia, l’applicazione 
dell’articolo 23, paragrafo 
2, della 
direttiva 
2011/95/ue 
sul 
mantenimento del 
nucleo dell’unità 
familiare. 

30. Con ciò confermando il 
principio secondo cui 
la 
domanda 
di 
asilo di 
un richiedente 
è 
esaminata 
nel 
merito solo dallo Stato membro competente 
in 
base ai criteri enunciati dal regolamento di Dublino iii. 
31. invero, l’accertamento del 
giudice 
tedesco secondo il 
quale 
il 
rientro 
in Grecia 
esporrebbe 
la 
ricorrente 
a 
trattamenti 
inumani 
e 
degradanti 
pare 
invero 
un caso peculiare. Nella 
citata 
sentenza 
della 
Corte 
di 
Giustizia, Grande 
Sezione, causa 
C-483/20, al 
punto 27, si 
parte 
infatti 
dal 
presupposto che 
“il 
diritto 
dell’Unione 
poggia 
sulla 
premessa 
fondamentale 
secondo 
cui 
ciascuno 
Stato 
membro 
condivide 
con 
tutti 
gli 
altri 
Stati 
membri, 
e 
riconosce 
che 
questi 
condividono con 
esso, una serie 
di 
valori 
comuni 
sui 
quali 
l’Unione 
si 
fonda, così 
come 
precisato all’articolo 2 tUE. tale 
premessa implica e 
giustifica 
l’esistenza della fiducia reciproca tra gli 
Stati 
membri 
nel 
riconoscimento 
di 
tali 
valori 
e, dunque, nel 
rispetto del 
diritto dell’Unione 
che 
li 
attua 
nonché 
nel 
fatto che 
i 
rispettivi 
ordinamenti 
giuridici 
nazionali 
sono in grado 
di 
fornire 
una tutela equivalente 
ed effettiva dei 
diritti 
fondamentali, riconosciuti 
dalla Carta, segnatamente 
agli 
articoli 
1 e 
4 di 
quest’ultima, che 
sanciscono 
uno 
dei 
valori 
fondamentali 
dell’Unione 
e 
dei 
suoi 
Stati 
membri 
(sentenza del 
19 marzo 2019, Ibrahim 
e 
a., C 297/17, C 318/17, C 319/17 e 
C 
438/17, 
EU:C:2019:219, 
punto 
83 
e 
giurisprudenza 
ivi 
citata), 
ossia 
la 
dignità 
umana, che 
comprende, segnatamente, il 
divieto di 
trattamenti 
inumani 
o 
degradanti”. 
32. Di 
regola, i 
Paesi 
dell’unione 
dovrebbero quindi 
condividere 
i 
medesimi 
valori sul fronte del rispetto dei diritti fondamentali. 
33. La Corte 
di 
Giustizia, Grande 
sezione, causa C-720/20, sentenza 
del 
1 
agosto 
2022, 
si 
è 
inoltre 
di 
recente 
pronunciata 
sui 
limiti 
ed 
i 
presupposti 
in cui 
può essere 
dichiarata 
inammissibile 
una 
domanda 
di 
protezione 
internazionale 
già concessa da altro Stato membro. 
34. 
in 
proposito, 
secondo 
la 
Corte, 
occorre 
ricordare 
che, 
ai 
sensi 
dell’articolo 
33, paragrafo 1, della 
direttiva 
procedure, gli 
Stati 
membri 
non sono tenuti 
ad esaminare 
se 
al 
richiedente 
sia 
attribuibile 
la 
qualifica 
di 
beneficiario 
di 
protezione 
internazionale 
a 
norma 
della 
direttiva 
2011/95/ue, 
qualora 
la 
domanda 
sia 
giudicata 
inammissibile 
a 
norma 
di 
tale 
articolo. Al 
riguardo, il 
paragrafo 2 di 
detto articolo elenca 
tassativamente 
le 
situazioni 
in cui 
gli 
Stati 

RASSeGNA 
AVVoCAtuRA 
Dello 
StAto -N. 3/2022 


membri 
possono considerare 
inammissibile 
una 
domanda 
di 
protezione 
internazionale 
[sentenze 
del 
19 marzo 2019, ibrahim 
e 
a., C 297/17, C 318/17, C 
319/17 e 
C 438/17, eu:C:2019:219, punto 76, nonché 
del 
22 febbraio 2022, 
Commissaire 
général 
aux 
réfugiés 
et 
aux 
apatrides 
(unità 
del 
nucleo 
familiare 


- Protezione già accordata), C-483/20, eu:C:2022:103, punto 23] (punto 48) 
35. 
la 
Corte 
precisa 
che 
tale 
carattere 
tassativo 
si 
fonda 
sia 
sul 
tenore 
letterale 
di 
quest’ultima 
disposizione, in particolare 
sul 
termine 
«soltanto» che 
precede 
l’elencazione 
dei 
motivi 
di 
inammissibilità, 
sia 
sulla 
sua 
finalità, 
consistente, 
come 
già 
dichiarato dalla 
Corte, nel 
temperare 
l’obbligo dello Stato 
membro competente 
di 
esaminare 
una 
domanda 
di 
protezione 
internazionale 
definendo 
i 
casi 
nei 
quali 
una 
siffatta 
domanda 
è 
giudicata 
inammissibile 
[sentenza 
del 
19 marzo 2020, Bevándorlási 
és 
Menekültügyi 
Hivatal 
(tompa), C 
564/18, eu:C:2020:218, punto 30 nonché 
giurisprudenza 
ivi 
citata]. inoltre, 
alla 
luce 
di 
tale 
finalità, 
l’articolo 
33, 
paragrafo 
2, 
della 
direttiva 
procedure 
presenta, nel 
suo insieme, un carattere 
derogatorio rispetto all’obbligo degli 
Stati 
membri 
di 
esaminare 
nel 
merito tutte 
le 
domande 
di 
protezione 
internazionale 
(punto 49). 
36. 
in 
particolare, 
“Ai 
sensi 
dell’articolo 
33, 
paragrafo 
2, 
lettera 
a), 
della 
direttiva procedure, gli 
Stati 
membri 
possono giudicare 
inammissibile 
una 
domanda 
di 
protezione 
internazionale, 
qualora 
un 
altro 
Stato 
membro 
abbia 
concesso la protezione 
internazionale. Tale 
possibilità si 
spiega, in 
particolare, 
con 
l’importanza nel 
diritto dell’Unione 
del 
principio di 
fiducia reciproca, 
in 
particolare 
nello spazio di 
libertà, sicurezza e 
giustizia costituito 
dall’Unione, di 
cui 
tale 
disposizione 
costituisce 
un’espressione 
nell’ambito 
della 
procedura 
comune 
di 
asilo 
istituita 
da 
tale 
direttiva 
[v., 
in 
tal 
senso, 
sentenza del 
22 febbraio 2022, Commissaire 
général 
aux 
réfugiés 
et 
aux 
apatrides 
(Unità 
del 
nucleo 
familiare 
-Protezione 
già 
accordata), 
C 
483/20, 
EU:C:2022:103, punti 28 e 29] 
” (punto 50). 
37. Ne 
discende 
che 
le 
norme 
primarie 
e 
derivate 
del 
diritto dell’unione 
europea, 
come 
interpretate 
sinora 
dalla 
Corte 
di 
Giustizia, 
seppur 
in 
fattispecie 
parzialmente 
diverse, sembrano far concludere 
per l’unicità 
dell’esame 
della 
domanda 
di 
protezione 
internazionale 
e 
sulla 
conseguente 
vincolatività 
del 
riconoscimento 
dal 
parte 
di 
uno Stato membro dello status 
di 
rifugiato nei 
confronti 
degli altri Stati membri. 
Conclusioni 


38. il 
Governo italiano propone 
quindi 
alla 
Corte 
di 
rispondere 
positivamente 
al 
quesito, 
affermando 
che, 
nel 
caso 
in 
cui 
uno 
Stato 
membro 
non 
possa 
avvalersi 
della 
facoltà, conferita 
dall’articolo 33, paragrafo 2, lettera 
a), della 
direttiva 
2013/32, di 
respingere 
una 
domanda 
di 
protezione 
internazionale 
in 
quanto inammissibile 
alla 
luce 
del 
riconoscimento dello status 
di 
rifugiato in 
un 
altro 
Stato 
membro, 
poiché 
le 
condizioni 
di 
vita 
in 
tale 
Stato 
membro 
esporrebbero 
il 
richiedente 
a 
un grave 
rischio di 
trattamenti 
inumani 
o degradanti 

CoNteNzioSo 
CoMuNitARio 
eD 
iNteRNAzioNAle 


ai 
sensi 
dell’articolo 4 della 
Carta, l’articolo 3, paragrafo 1, seconda 
frase, del 
regolamento n. 604/2013, l’articolo 4, paragrafo 1, seconda 
frase 
e 
l’articolo 
13 della 
direttiva 
2011/95, nonché 
l’articolo 10, paragrafi 
2 e 
3, l’articolo 33, 
paragrafi 
1 e 
2, lettera 
a), della 
direttiva 
2013/32 debbano essere 
interpretati 
nel 
senso che 
la 
circostanza 
che 
lo status 
di 
rifugiato sia 
già 
stato riconosciuto 
impedisce 
allo Stato membro di 
sottoporre 
a 
un esame 
dall’esito aperto la 
domanda 
di 
protezione 
internazionale 
che 
gli 
è 
stata 
presentata 
e 
impone 
allo 
stesso di 
accordare 
al 
richiedente 
lo status 
di 
rifugiato senza 
verificare 
l’esistenza 
dei requisiti sostanziali di tale protezione. 

Roma, 4 aprile 2023 

Wally Ferrante 
Avvocato dello Stato 



RASSeGNA 
AVVoCAtuRA 
Dello 
StAto -N. 3/2022 


AiRBnB: la Corte di Giustizia U.e. interviene 
sul regime fiscale dei servizi di intermediazione immobiliare 
riguardanti le locazioni brevi e sull’obbligo di nomina 
di un rappresentante fiscale residente in italia 


notA 
A 
CoRtE 
DI 
GIUStIzIA 
DELL’UnIonE 
EURoPEA, SEzIonE 
SEConDA, 
SEntEnzA 
22 DICEmBRE 
2022, CAUSA 
C-83/21 


Emanuela Rosanò* 


Con la 
sentenza 
pubblicata 
il 
22 dicembre 
2022 nella 
causa 
C-83/21 la 
Corte 
di 
Giustizia 
dell’unione 
europea, 
Seconda 
Sezione, 
si 
è 
pronunciata 
sulla 
compatibilità 
con 
il 
diritto 
euro-unitario 
della 
normativa 
italiana 
che 
disciplina 
il 
regime 
fiscale 
delle 
locazioni 
brevi 
(Decreto-legge 
n. 
50 
del 
24 
aprile 
2017 
-Disposizioni 
urgenti 
in 
materia 
finanziaria, 
iniziative 
a 
favore 
degli 
enti 
territoriali, 
ulteriori 
interventi 
per 
le 
zone 
colpite 
da 
eventi 
sismici 
e 
misure 
per 
lo 
sviluppo 
-convertito, 
con 
modificazioni, 
dalla 
legge 
del 
21 
giugno 
2017, 
n. 
96). 
il 
rinvio 
pregiudiziale 
è 
stato 
operato 
dal 
Consiglio 
di 
Stato, 
Sezione 
Quarta, 
con 
ordinanza 
n. 
777/2021 
del 
26 
gennaio 
2021, 
nell’ambito 
di 
una 
controversia 
insorta 
tra, 
da 
un 
lato, 
le 
società 
Airbnb 
ireland 
unlimited 
Company 
e 
Airbnb 
Payments 
uK 
limited 
e, 
dall’altro, 
l’Agenzia 
delle 
entrate. 


in 
particolare 
i 
Giudici 
di 
Palazzo 
Spada 
hanno 
sollevato 
le 
seguenti 
questioni 
pregiudiziali: 


“1 -Dica la Corte 
di 
Giustizia quale 
sia l’esegesi 
delle 
espressioni 
<regola 
tecnica> 
dei 
servizi 
della 
società 
dell’informazione 
e 
<regola 
relativa 
ai 
servizi> 
della 
società 
dell’informazione, 
di 
cui 
alla 
direttiva 
2015/1535/UE, 
e, in particolare, dica la Corte 
se 
tali 
espressioni 
debbano interpretarsi 
come 
comprensive 
anche 
di 
misure 
di 
carattere 
tributario non direttamente 
volte 
a 
regolamentare 
lo 
specifico 
servizio 
della 
società 
dell'informazione, 
ma 
comunque 
tali 
da 
conformarne 
il 
concreto 
esercizio 
all’interno 
dello 
Stato 
membro, 
in 
particolare 
gravando 
tutti 
i 
prestatori 
di 
servizi 
di 
intermediazione 
immobiliare 
-ivi 
inclusi, 
dunque, 
gli 
operatori 
non 
stabiliti 
che 
prestino 
i 
propri 
servizi 
online 
-di 
obblighi 
ancillari 
e 
strumentali 
all’efficace 
riscossione 
delle imposte dovute dai locatori, quali: 

a) 
la 
raccolta 
e 
la 
successiva 
comunicazione 
alle 
Autorità 
fiscali 
dello 
Stato 
membro 
dei 
dati 
relativi 
ai 
contratti 
di 
locazione 
breve 
stipulati 
a 
seguito 
dell'attività dell’intermediario; 
b) la ritenuta della quota-parte 
dovuta al 
Fisco delle 
somme 
versate 
dai 
conduttori 
ai 
locatori 
ed il 
conseguente 
versamento all'Erario di 
tali 
somme. 
2 - Dica la Corte di Giustizia: 


(*) Avvocato, già Praticante presso l’Avvocatura Generale dello Stato. 



CoNteNzioSo 
CoMuNitARio 
eD 
iNteRNAzioNAle 


a) 
se 
il 
principio 
di 
libera 
prestazione 
di 
servizi 
di 
cui 
all’art. 
56 
tFUE, 
nonché, 
ove 
ritenuti 
applicabili 
nella 
materia 
di 
specie, 
gli 
analoghi 
principi 
desumibili 
dalle 
direttive 
2006/123/CE 
e 
2000/31/CE, 
ostino 
ad 
una 
misura 
nazionale 
che 
preveda, 
a 
carico 
degli 
intermediari 
immobiliari 
attivi 
in 
Italia 
-ivi 
inclusi, 
dunque, 
gli 
operatori 
non 
stabiliti 
che 
prestino 
i 
propri 
servizi 
online 
-obblighi 
di raccolta dei dati inerenti ai contratti di locazione breve conclusi loro tramite 
e 
successiva 
comunicazione 
all’Amministrazione 
finanziaria, 
per 
le 
finalità 
relative 
alla 
riscossione 
delle 
imposte 
dirette 
dovute 
dai 
fruitori 
del 
servizio; 
b) se 
il 
principio di 
libera prestazione 
di 
servizi 
di 
cui 
all’art. 56 tFUE, 
nonché, ove 
ritenuti 
applicabili 
nella materia di 
specie, gli 
analoghi 
principi 
desumibili 
dalle 
direttive 
2006/123/CE 
e 
2000/31/CE, ostino ad una misura 
nazionale 
che 
preveda, a carico degli 
intermediari 
immobiliari 
attivi 
in Italia 
-ivi 
inclusi, 
dunque, 
gli 
operatori 
non 
stabiliti 
che 
prestino 
i 
propri 
servizi 
online 
-che 
intervengano nella fase 
del 
pagamento dei 
contratti 
di 
locazione 
breve 
stipulati 
loro tramite, l’obbligo di 
operare, per 
le 
finalità relative 
alla 
riscossione 
delle 
imposte 
dirette 
dovute 
dai 
fruitori 
del 
servizio, una ritenuta 
su tali pagamenti con successivo versamento all’Erario; 
c) in caso di 
risposta positiva ai 
quesiti 
che 
precedono, se 
il 
principio di 
libera prestazione 
di 
servizi 
di 
cui 
all'art. 56 tFUE, nonché, ove 
ritenuti 
applicabili 
nella 
materia 
di 
specie, 
gli 
analoghi 
principi 
desumibili 
dalle 
direttive 
2006/123/CE 
e 
2000/31/CE, 
possano 
comunque 
essere 
limitati 
in 
maniera 
conforme 
al 
diritto unionale 
da misure 
nazionali 
quali 
quelle 
descritte 
supra, 
sub a) e 
b), in considerazione 
dell’inefficacia altrimenti 
del 
prelievo fiscale 
relativo alle imposte dirette dovute dai fruitori del servizio; 
d) se 
il 
principio di 
libera prestazione 
di 
servizi 
di 
cui 
all'art. 56 tFUE, 
nonché, ove 
ritenuti 
applicabili 
nella materia di 
specie, gli 
analoghi 
principi 
desumibili 
dalle 
direttive 
2006/123/CE 
e 
2000/31/CE, possono essere 
limitati 
in 
maniera 
conforme 
al 
diritto 
unionale 
da 
una 
misura 
nazionale 
che 
imponga, 
a carico degli 
intermediari 
immobiliari 
non stabiliti 
in Italia, l'obbligo di 
nominare 
un rappresentante 
fiscale 
tenuto ad adempiere, in nome 
e 
per 
conto 
dell'intermediario non stabilito, alle 
misure 
nazionali 
descritte 
supra, sub b), 
stante 
l’inefficacia altrimenti 
del 
prelievo fiscale 
relativo alle 
imposte 
dirette 
dovute dai fruitori del servizio. 
3 
-Dica 
la 
Corte 
di 
Giustizia 
se 
l’art. 
267, 
paragrafo 
terzo, 
tFUE 
debba 
essere 
interpretato 
nel 
senso 
che, 
in 
presenza 
di 
una 
questione 
di 
interpretazione 
del 
diritto 
unionale 
(originario 
o 
derivato) 
sollevata 
da 
una 
delle 
parti 
e 
corredata 
dalla 
precisa 
indicazione 
del 
testo 
del 
quesito, 
il 
Giudice 
mantenga 
comunque 
la 
facoltà 
di 
procedere 
all'automa 
articolazione 
del 
quesito 
stesso, 
individuando 
discrezionalmente, 
in 
scienza 
e 
coscienza, 
i 
referenti 
del 
diritto 
unionale, 
le 
disposizioni 
nazionali 
con 
essi 
potenzialmente 
in 
contrasto 
ed 
il 
tenore 
lessicale 
della 
rimessione, 
purché 
nei 
limiti 
della 
materia 
oggetto 
del 
contendere, 
ovvero 
sia 
tenuto 
a 
recepire 
il 
quesito 
come 
formulato 
dalla 
parte 
istante”. 



RASSeGNA 
AVVoCAtuRA 
Dello 
StAto -N. 3/2022 


Elementi di fatto e di diritto del giudizio. 


il 
giudizio nel 
quale 
sono state 
sollevate 
le 
questioni 
pregiudiziali 
ha 
ad 
oggetto l’impugnazione 
della 
sentenza 
con cui 
il 
tar per il 
lazio ha 
respinto 
il 
ricorso 
proposto 
dalle 
due 
società 
Airbnb 
ireland 
unlimited 
Company 
ed 
Airbnb 
Payments 
uK 
limited 
avverso 
il 
provvedimento 
con 
cui 
l’Agenzia 
delle 
entrate, 
in 
attuazione 
del 
decreto-legge 
del 
24 
aprile 
2017, 
n. 
50 
convertito 
dalla 
l. 21 giugno 2017, n. 96, ha 
imposto loro sia 
obblighi 
informativi 
(trasmissione 
all’Agenzia 
delle 
entrate 
dei 
dati 
relativi 
ai 
contratti 
conclusi 
tramite 
il 
portale 
telematico -art. 4, comma 
4) (1) che 
fiscali 
(effettuazione 
della 
ritenuta 
fiscale 
sui 
pagamenti 
operati 
in 
relazione 
ai 
contratti 
conclusi 
tramite 
il 
portale 
telematico 
con 
conseguente 
versamento 
all’erario 
-art. 
4, 
comma 
5) 
(2) 
nonché 
l'obbligo 
di 
nomina, 
a 
carico 
dei 
soggetti 
non 
fiscalmente 
residenti 
né, comunque, stabiliti 
in italia, di 
un rappresentante 
fiscale, tenuto 
in nome 
e 
per conto dell’intermediario, contestualmente 
qualificato come 
responsabile 
di 
imposta, 
del 
versamento 
all’erario 
della 
ritenuta 
previamente 
effettuata (art. 4, comma 5-bis) (3). 

Ad avviso delle 
appellanti 
il 
regime 
fiscale 
per le 
locazioni 
brevi 
introdotto 
dal 
D.l. n. 50/2017 (di 
cui 
il 
provvedimento impugnato costituisce 
attuazione), 
è 
stato adottato disattendendo l’obbligo sancito dagli 
articoli 
4 (4) 


(1) 
“I 
soggetti 
che 
esercitano 
attività 
di 
intermediazione 
immobiliare, 
nonché 
quelli 
che 
gestiscono 
portali 
telematici, 
mettendo in contatto persone 
in ricerca di 
un immobile 
con persone 
che 
dispongono 
di 
unità immobiliari 
da locare, trasmettono i 
dati 
relativi 
ai 
contratti 
di 
cui 
ai 
commi 
1 e 
3 conclusi 
per 
il 
loro 
tramite 
entro 
il 
30 
giugno 
dell'anno 
successivo 
a 
quello 
a 
cui 
si 
riferiscono 
i 
predetti 
dati. 
L'omessa, 
incompleta o infedele 
comunicazione 
dei 
dati 
relativi 
ai 
contratti 
di 
cui 
al 
comma 1 e 
3 è 
punita con la 
sanzione 
di 
cui 
all'articolo 11, comma 1 del 
decreto legislativo 18 dicembre 
1997, n. 471. La sanzione 
è 
ridotta 
alla 
metà 
se 
la 
trasmissione 
è 
effettuata 
entro 
i 
quindici 
giorni 
successivi 
alla 
scadenza, 
ovvero 
se, nel medesimo termine, è effettuata la trasmissione corretta dei dati”. 
(2) “I soggetti 
residenti 
nel 
territorio dello Stato che 
esercitano attività di 
intermediazione 
immobiliare, 
nonché 
quelli 
che 
gestiscono portali 
telematici, mettendo in contatto persone 
in ricerca di 
un immobile 
con persone 
che 
dispongono di 
unità immobiliari 
da locare, qualora incassino i 
canoni 
o 
i 
corrispettivi 
relativi 
ai 
contratti 
di 
cui 
ai 
commi 
1 e 
3, ovvero qualora intervengano nel 
pagamento 
dei 
predetti 
canoni 
o corrispettivi, operano, in qualità di 
sostituti 
d’imposta, una ritenuta del 
21 per 
cento sull’ammontare 
dei 
canoni 
e 
corrispettivi 
all’atto del 
pagamento al 
beneficiario e 
provvedono al 
relativo versamento con le 
modalità di 
cui 
all'articolo 17 del 
decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241, 
della 
relativa 
certificazione 
ai 
sensi 
dell’articolo 
4 
del 
regolamento 
di 
cui 
al 
decreto 
del 
Presidente 
della Repubblica 22 luglio 1998, n. 322. nel 
caso in cui 
non sia esercitata l’opzione 
per 
l'applicazione 
del regime di cui al comma 2, la ritenuta si considera operata a titolo di acconto”. 
(3) “I soggetti 
di 
cui 
al 
comma 5 non residenti 
in possesso di 
una stabile 
organizzazione 
in Italia, 
ai 
sensi 
dell’articolo 162 del 
testo unico delle 
imposte 
sui 
redditi, di 
cui 
al 
decreto del 
Presidente 
della 
Repubblica 22 dicembre 
1986, n. 917 [- Approvazione 
del 
testo Unico delle 
imposte 
sui 
redditi 
(supplemento 
ordinario 
alla 
GURI 
n. 
302, 
del 
31 
dicembre 
1986)], 
qualora 
incassino 
i 
canoni 
o 
i 
corrispettivi 
relativi 
ai 
contratti 
di 
cui 
ai 
commi 
1 
e 
3, 
ovvero 
qualora 
intervengano 
nel 
pagamento 
dei 
predetti 
canoni 
o 
corrispettivi, 
adempiono 
agli 
obblighi 
derivanti 
dal 
presente 
articolo 
tramite 
la 
stabile 
organizzazione. 
I soggetti 
non residenti 
riconosciuti 
privi 
di 
stabile 
organizzazione 
in Italia, ai 
fini 
dell’adempimento 
degli 
obblighi 
derivanti 
dal 
presente 
articolo, in qualità di 
responsabili 
d’imposta, nominano un rappresentante 
fiscale 
individuato tra i 
soggetti 
indicati 
nell’articolo 23 del 
decreto del 
Presidente 
della 
Repubblica 29 settembre 1973, n. 600”. 

CoNteNzioSo 
CoMuNitARio 
eD 
iNteRNAzioNAle 


e 
5, 
comma 
1 
(5), 
della 
direttiva 
n. 
1535/2015/ue 
(che 
prevede 
una 
procedura 
d’informazione 
per le 
regolamentazioni 
tecniche 
e 
le 
regole 
relative 
ai 
servizi 
della 
società 
dell’informazione) e 
dall’art. 56 tFue 
in materia 
di 
libera 
prestazione 
dei 
servizi, 
di 
comunicare 
preventivamente 
alla 
Commissione 
europea 
ogni 
progetto di 
regola 
tecnica 
inerente 
i 
servizi 
resi 
dalla 
società 
di 
informazione. 
la 
disciplina 
legislativa 
cui 
il 
provvedimento 
gravato 
dà 
attuazione 
colpirebbe 
“proprio l’elemento di 
peculiarità del 
servizio di 
intermediazione 
di 
Airbnb”, il 
cui 
“unico” 
modello di 
business 
si 
caratterizzerebbe 
appunto per 
l’intervento 
nel 
pagamento 
della 
transazione, 
“riscuotendo 
il 
corrispettivo 
dal 
conduttore 
prima 
della 
consegna 
dell’immobile 
e 
trasferendolo 
al 
locatore 
solo 
dopo 
l’avvio 
della 
locazione 
senza 
contestazioni”. 
la 
mancanza 
della 
previa 
notifica 
della 
novella 
legislativa 
alla 
Commissione 
ne 
determinerebbe, 
pertanto, la 
radicale 
inapplicabilità; 
in subordine, sarebbe 
necessario operare 
rinvio pregiudiziale 
alla 
Corte 
di 
Giustizia 
affinché 
venga 
chiarito l’esatto significato 
da 
attribuire 
al 
diritto euro-unitario, sì 
da 
appurare 
se 
la 
disciplina 
interna 
sia 
ad esso conforme. Gli 
obblighi 
informativi 
e 
fiscali 
imposti 
all’intermediario 
telematico avrebbero altresì 
l’effetto di 
pregiudicare 
il 
funzionamento 
del 
mercato 
interno 
e 
di 
discriminare 
arbitrariamente 
Airbnb. 
in 
particolare, 
le 
previsioni 
concernenti 
la 
ritenuta 
della 
tassazione 
sulle 
locazioni 
e 
l’onere 
relativo alla 
riscossione 
dell’imposta 
di 
soggiorno ostacolerebbero 
la 
libera 
prestazione 
del 
servizio 
offerto 
(tutelata 
dall’art. 
56 
tFue), 
in 
quanto 
ai 
gestori 
di 
piattaforme 
online 
come 
Airbnb è 
richiesto di 
operare 
quale 
sostituto 
d’imposta 
nel 
primo caso, ovvero responsabile 
del 
pagamento dell’imposta 
di 
soggiorno 
nel 
secondo, 
assumendo 
oneri 
e 
responsabilità 
del 
tutto 
estranei 
al 
servizio 
prestato. 
osservano, 
infine 
le 
appellanti 
come 
il 
legislatore 
abbia 
approntato, 
in 
relazione 
ad 
altri 
operatori 
che 
svolgono 
servizi 
analoghi, 
una 
serie 
di 
misure 
alternative 
-proporzionali 
e 
ragionevoli 
-per 
far 
emergere 
il 
sommerso, pienamente 
satisfattive 
dell’interesse 
generale 
alla 
lotta 
all’evasione 
fiscale; 
ciò a 
dimostrazione 
che 
gli 
oneri 
posti 
a 
carico di 
Airbnb siano 
ingiustificatamente ed eccessivamente gravosi. 


Contesto normativo e interpretazione del giudice a quo. 


in ordine 
alle 
prima 
questione 
pregiudiziale, il 
giudice 
del 
rinvio ritiene 


(4) “Gli 
Stati 
membri 
comunicano alla Commissione, conformemente 
all'articolo 5, paragrafo 1, 
tutte 
le 
richieste 
presentate 
agli 
organismi 
di 
normazione 
volte 
a elaborare 
specifiche 
tecniche 
o una 
norma 
per 
prodotti 
specifici, 
in 
previsione 
dell’elaborazione 
di 
una 
regola 
tecnica 
per 
tali 
prodotti 
come 
progetto di regola tecnica e indicano i motivi che ne giustificano la formulazione”. 
(5) 
“Fatto 
salvo 
l'articolo 
7, 
gli 
Stati 
membri 
comunicano 
immediatamente 
alla 
Commissione 
ogni 
progetto di 
regola tecnica, salvo che 
si 
tratti 
del 
semplice 
recepimento integrale 
di 
una norma internazionale 
o europea, nel 
qual 
caso è 
sufficiente 
una semplice 
informazione 
sulla norma stessa. Essi 
le 
comunicano brevemente 
anche 
i 
motivi 
che 
rendono necessario adottare 
tale 
regola tecnica a meno 
che non risultino già dal progetto”. 

RASSeGNA 
AVVoCAtuRA 
Dello 
StAto -N. 3/2022 


che 
gli 
obblighi 
di 
carattere 
tributario imposti 
dalla 
norma 
nazionale 
a 
carico 
dei 
prestatori 
di 
servizi 
di 
intermediazione 
immobiliare, quali 
la 
raccolta 
e 
la 
successiva 
comunicazione 
alle 
Autorità 
fiscali 
dei 
dati 
relativi 
ai 
contratti 
di 
locazione 
breve 
nonchè 
l’effettuazione 
della 
ritenuta 
sulle 
somme 
versate 
dai 
conduttori 
ai 
locatori 
ed il 
successivo versamento all’erario non siano sussumibili 
sotto 
la 
nozione 
euro-unitaria 
di 
“regola 
tecnica” 
di 
cui 
all'art. 
1, 
comma 
1, lett. f) (6), della 
direttiva 
2015/1153 /ue, dei 
servizi 
della 
società 
dell’informazione, 
in 
quanto 
misure 
atte 
non 
a 
disciplinare 
specificamente 
il 
servizio 
di 
intermediazione 
immobiliare 
effettuato 
on 
line 
ma 
essenzialmente 
strumentali 
a 
garantire 
l’efficacia 
della 
riscossione 
delle 
imposte 
sul 
reddito da 
locazioni 
brevi 
mediante, 
tra 
l’altro, 
l’imposizione 
di 
obblighi 
in 
capo 
agli 
intermediari 
immobiliari, quale 
che 
ne 
sia 
la 
metodologia 
operativa 
(on line 
o 
off 
line) ed il 
rapporto con il 
territorio nazionale 
(soggetti 
residenti, stabiliti 
o 
privi 
di 
stabile 
organizzazione). Difetta, dunque, ad avviso del 
Collegio, il 
requisito 
della 
specificità, espressamente 
richiesto dal 
diritto unionale 
perché 
si 
possa 
configurare 
una 
“regola tecnica”, sub specie 
di 
“regola relativa ai 
servizi” 
(cfr. par. 51 ordinanza 777/2021). 


Sulla 
seconda 
questione 
pregiudiziale, 
il 
giudice 
del 
rinvio 
ritiene 
che 
l’imposizione 
di 
obblighi 
di 
raccolta 
e 
comunicazione 
di 
dati 
all’Amministrazione 
finanziaria, 
nonché 
di 
effettuazione 
di 
ritenuta 
e 
conseguente 
versamento 
all’erario, 
non 
violino 
-in 
base 
alla 
giurisprudenza 
della 
Corte 
di 
Giustizia 
ue 
-il 
principio di 
libera 
prestazione 
di 
servizi 
di 
cui 
all'art. 56 tFue. ed invero, 
ogni 
intermediario immobiliare 
che 
intenda 
operare 
in italia 
(stabilendovisi 
o 
prestando 
i 
propri 
servizi 
da 
altro 
Stato 
membro, 
valendosi 
di 
strumenti 
telematici 
ovvero 
operando 
fisicamente 
sul 
territorio) 
è 
tenuto 
ad 
adempiere 
agli 
obblighi 
previsti 
dalla 
normativa. Difetta, dunque, ad avviso 
del 
Collegio, 
“una 
qualsiasi 
alterazione 
del 
level 
playing 
field 
fra 
soggetti 
nazionali 
(in 
quanto 
residenti 
o 
stabiliti) 
e 
soggetti 
operanti 
da 
un 
altro 
Stato 
membro in regime 
di 
libera prestazione 
di 
servizi, essendosi 
in definitiva in 
presenza 
della 
mera 
regolamentazione 
generale, 
da 
parte 
dello 
Stato 
italiano, 
dell'attività 
di 
intermediazione 
volta 
alla 
stipulazione 
di 
contratti 
di 
locazione 
breve 
di 
immobili 
ubicati 
nel 
territorio 
nazionale” 
(cfr. 
par. 
83 
ordinanza 
777/2021). le 
misure 
adottate 
appaiono peraltro conformi 
al 
principio di 
proporzionalità 
dato l’alto tasso strutturale 
di 
evasione 
nel 
settore 
delle 
locazioni 
brevi. 
Anche 
l’obbligo 
di 
nomina 
di 
un 
rappresentante 
fiscale 
per 
gli 
operatori 
non stabiliti 
risponde 
a 
ragioni 
analoghe 
e, pertanto, secondo il 
Collegio, non 


(6) 
tale 
disposizione, 
in 
particolare, 
stabilisce, 
per 
quanto 
qui 
di 
interesse, 
che 
per 
“regola 
tecnica” 
si 
intende 
“una specificazione 
tecnica o altro requisito o una regola relativa ai servizi, comprese le 
disposizioni 
amministrative 
che 
ad esse 
si 
applicano, la cui 
osservanza è 
obbligatoria, de 
jure 
o de 
facto, 
per 
la 
commercializzazione, 
la 
prestazione 
di 
servizi, 
lo 
stabilimento 
di 
un 
fornitore 
di 
servizi 
o 
l’utilizzo 
degli stessi in uno Stato membro o in una parte importante di esso ...”. 

CoNteNzioSo 
CoMuNitARio 
eD 
iNteRNAzioNAle 


viola 
ingiustificatamente 
le 
libertà 
fondamentali 
del 
trattato, 
ponendosi 
in 
un’ottica 
di 
semplificazione 
delle 
procedure 
di 
accertamento 
e 
riscossione, 
altrimenti 
destinate 
a 
disperdersi 
in plurime 
pratiche 
di 
informazione 
e 
collaborazione 
inter-statale, 
oltretutto 
attivabili 
solo 
in 
relazione 
agli 
specifici 
rapporti 
già previamente individuati dall’Autorità italiana. 


Sulla 
terza 
questione 
pregiudiziale, infine, il 
Collegio, premesso che 
la 
parte 
interessata 
non si 
è 
limitata 
alla 
generica 
istanza 
di 
devoluzione 
dell’affare 
alla 
Corte, ma 
ha 
altresì 
provveduto a 
delineare 
l’esatta 
formulazione 
del 
quesito, 
chiede 
alla 
Corte 
di 
Giustizia 
ue 
di 
chiarire 
gli 
esatti 
contorni 
del 
dovere 
di 
rimessione 
in 
capo 
al 
Giudice 
di 
ultima 
istanza, 
specificando 
se, 
in 
presenza 
della 
richiesta 
di 
rimessione 
di 
una 
delle 
parti 
corredata 
dalla 
precisa 
indicazione 
del 
testo 
del 
quesito, 
il 
Giudice 
possa 
comunque 
procedere 
all’autonoma 
articolazione 
del 
quesito 
stesso, 
individuando 
discrezionalmente, 
in 
scienza 
e 
coscienza, i 
referenti 
del 
diritto unionale, le 
disposizioni 
nazionali 
con 
essi 
potenzialmente 
in 
contrasto 
ed 
il 
puntuale 
tenore 
lessicale 
della 
rimessione 
-purché 
evidentemente 
nei 
limiti 
della 
materia 
oggetto del 
contendere 
-ovvero 
sia 
tenuto 
alla 
pedissequa 
riproduzione 
del 
quesito 
formulato 
dalla parte interessata. 


La sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione europea. 


la 
Corte 
di 
Giustizia, pronunciandosi 
sui 
quesiti 
sollevati 
dal 
Consiglio 
di Stato ha così statuito: 


“1 - L’articolo 56 TFUE deve essere interpretato nel senso che: 


-in 
primo 
luogo, 
esso 
non 
osta 
alla 
normativa 
di 
uno 
Stato 
membro 
che 
impone 
ai 
prestatori 
di 
servizi 
di 
intermediazione 
immobiliare, indipendentemente 
dal 
loro 
luogo 
di 
stabilimento 
e 
dalla 
modalità 
attraverso 
cui 
essi 
intervengono, riguardo a locazioni 
di 
durata non 
superiore 
a 30 giorni 
concernenti 
beni 
immobili 
situati 
nel 
territorio di 
tale 
Stato membro, di 
raccogliere 
e 
successivamente 
comunicare 
all’amministrazione 
fiscale 
nazionale 
i 
dati 
relativi 
ai 
contratti 
di 
locazione 
stipulati 
a 
seguito 
della 
loro 
intermediazione 
e, 
qualora 
tali 
prestatori 
abbiano 
incassato 
i 
canoni 
o 
i 
corrispettivi 
corrispondenti 
oppure 
siano intervenuti 
nella loro percezione, di 
prelevare 
alla fonte 
l’ammontare 
dell’imposta dovuta sulle 
somme 
versate 
dai conduttori ai locatori e di versarlo all’Erario di detto Stato membro; 


-in 
secondo luogo, esso osta alla normativa di 
uno Stato membro che 
impone 
ai 
prestatori 
di 
servizi 
di 
intermediazione 
immobiliare, riguardo a 
locazioni 
di 
durata non 
superiore 
a 30 giorni 
concernenti 
beni 
immobili 
situati 
nel 
territorio di 
tale 
Stato membro, qualora tali 
prestatori 
abbiano incassato 
i 
canoni 
o 
i 
corrispettivi 
corrispondenti 
oppure 
siano 
intervenuti 
nella loro percezione 
e 
risiedano o siano stabiliti 
nel 
territorio di 
uno Stato 
membro 
diverso 
da 
quello 
di 
imposizione, 
di 
designare 
un 
rappresentante 
fiscale 
residente 
o stabilito nel 
territorio dello Stato membro di 
imposizione. 

RASSeGNA 
AVVoCAtuRA 
Dello 
StAto -N. 3/2022 


2 -L’articolo 267 TFUE deve 
essere 
interpretato nel 
senso che, in 
presenza 
di 
una 
questione 
di 
interpretazione 
del 
diritto 
dell’Unione 
sollevata 
da una delle 
parti 
nel 
procedimento principale, la determinazione 
e 
la formulazione 
delle 
questioni 
da sottoporre 
alla Corte 
spettano soltanto al 
giudice 
nazionale e tali parti non possono imporne o modificarne il tenore”. 


in ordine 
alle 
prime 
due 
questioni 
pregiudiziali, finalizzate 
a 
stabilire 
se 
le 
misure 
introdotte 
nel 
diritto italiano dall’articolo 4 del 
decreto-legge 
del 
24 
aprile 
2017, 
n. 
50, 
convertito, 
con 
modificazioni, 
dalla 
legge 
del 
21 
giugno 
2017, 
n. 
96, 
rientrino 
nel 
«settore 
tributario», 
ai 
sensi 
dell’articolo 
1, 
paragrafo 
5, lettera 
a) (7), della 
direttiva 
2000/31, nel 
«settore 
fiscale», ai 
sensi 
dell’articolo 
2, 
paragrafo 
3 
(8), 
della 
direttiva 
2006/123, 
e 
siano 
quindi 
«disposizioni 
fiscali», ai 
sensi 
dell’articolo 114 tFue, cui 
rimanda 
espressamente 
la 
direttiva 
2015/1535, la 
Corte 
ha 
ritenuto di 
fornire 
una 
risposta 
affermativa, con la 
conseguenza 
di 
escludere 
dette 
misure 
dal 
rispettivo ambito di 
applicazione 
delle 
tre 
direttive 
in parola. Si 
pone, quindi, il 
problema 
di 
stabilire 
se 
i 
tre 
tipi 
di 
obblighi 
imposti 
dal 
regime 
fiscale 
del 
2017, 
siano 
o 
meno 
legittimi 
alla 
luce del divieto sancito dall’art. 56 tFue. 


Per 
quanto 
riguarda 
l’obbligo 
di 
raccolta 
e 
comunicazione 
alle 
autorità 
fiscali 
dei 
dati 
relativi 
ai 
contratti 
di 
locazione 
stipulati 
a 
seguito 
dell’intermediazione 
immobiliare 
si 
tratta, argomenta 
la 
Corte 
di 
Giustizia, di 
una 
misura 
che 
si 
colloca 
all’interno 
di 
una 
strategia 
complessiva 
di 
contrasto 
all’evasione 
fiscale. 
la 
suddetta 
misura 
in 
quanto 
rivolta 
“a 
tutti 
i 
terzi 
che 
intervengono in un processo di 
locazione 
immobiliare 
breve 
sul 
territorio italiano, 
indipendentemente 
dal 
fatto 
che 
si 
tratti 
di 
persone 
fisiche 
o 
giuridiche, 
che 
queste 
ultime 
risiedano o siano stabilite 
in detto territorio o meno e 
intervengano 
tramite 
strumenti 
digitali 
o con altre 
modalità di 
contatto” 
(par. 43 
della 
sentenza 
in 
commento) 
non 
è, 
quindi, 
discriminatoria 
e 
non 
verte, 
in 
quanto tale, sulle 
condizioni 
della 
prestazione 
di 
servizi 
di 
intermediazione, 
ma 
impone 
solamente 
ai 
prestatori 
di 
servizi, una 
volta 
realizzata 
detta 
prestazione, 
di 
conservarne 
i 
dati 
ai 
fini 
dell’esatta 
riscossione 
delle 
imposte 
relative 
alla 
locazione 
dei 
beni 
di 
cui 
trattasi 
presso 
i 
proprietari 
interessati. 
Questo primo tipo di 
obblighi 
non comporta 
quindi 
restrizioni 
alla 
libera 
prestazione 
di servizi garantita dall’articolo 56 tFue. 


Per 
quanto 
riguarda 
l’obbligo 
di 
ritenuta 
alla 
fonte 
dell’imposta 
dovuta 
sulle 
somme 
versate 
dai 
conduttori 
ai 
locatori 
e 
di 
versamento 
di 
detta 
imposta 
all’erario 
non 
risulta, 
osserva 
la 
Corte, 
fatta 
salva 
la 
valutazione 
del 
giudice 
del 
rinvio, 
che 
tale 
onere 
sia 
più 
gravoso 
per 
i 
prestatori 
di 
servizi 
di 
intermediazione 
immobiliare 
stabiliti 
in 
uno 
Stato 
membro 
diverso 
dall’italia 
rispetto 
a 
quanto 
lo 
sia 
per 
le 
imprese 
che 
hanno 
ivi 
uno 
stabilimento, 
nono


(7) “La presente direttiva non si applica al settore tributario”. 
(8) “La presente direttiva non si applica al settore fiscale”. 

CoNteNzioSo 
CoMuNitARio 
eD 
iNteRNAzioNAle 


stante 
la 
loro 
differente 
denominazione. 
Detto 
regime 
fiscale, 
infatti, 
impone 
loro 
gli 
stessi 
obblighi 
di 
ritenuta 
alla 
fonte 
in 
nome 
dell’amministrazione 
fiscale 
e 
di 
pagamento 
dell’imposta 
cedolare 
secca 
del 
21% 
a 
quest’ultima, 
dato 
che 
il 
prelievo 
è 
effettuato 
a 
titolo 
liberatorio, 
quando 
il 
proprietario 
del 
bene 
immobile 
interessato 
ha 
optato 
per 
l’aliquota 
preferenziale, 
e 
a 
titolo 
di 
acconto, 
qualora 
così 
non 
fosse. 
Ne 
deriva 
che 
l’obbligo 
summenzionato 
non 
vieta 
né 
ostacola 
e/o 
rende 
meno 
attraente 
l’esercizio 
della 
libera 
prestazione 
dei 
servizi. 


il 
terzo 
obbligo, 
quello 
di 
designare 
un 
rappresentante 
fiscale 
in 
italia, 
premesso che 
si 
impone 
unicamente 
nei 
confronti 
dei 
prestatori 
di 
servizi 
di 
intermediazione 
immobiliare 
privi 
di 
una 
stabile 
organizzazione 
in 
italia 
e 
che 
intendano integrare 
nelle 
loro prestazioni 
di 
servizi 
i 
canoni 
o i 
corrispettivi 
relativi 
ai 
contratti 
oggetto del 
regime 
fiscale 
del 
2017, oppure 
di 
intervenire 


o meno nella 
riscossione 
di 
detti 
canoni 
o corrispettivi, si 
pone, invece 
in contrasto 
con 
l’art. 
56 
tFue, 
introducendo 
nel 
mercato 
una 
restrizione 
alla 
libera 
circolazione 
dei 
servizi 
non 
proporzionata 
rispetto 
al 
fine 
perseguito 
in 
quanto 
determina 
“per 
detti 
operatori, 
un 
ostacolo 
idoneo 
a 
dissuaderli 
dall’effettuare 
servizi 
di 
intermediazione 
immobiliare 
in Italia, quantomeno secondo le 
modalità 
corrispondenti 
alla 
loro 
volontà” 
(par. 
59 
della 
sentenza 
in 
commento). 
ed invero pure 
ritenendo necessario “garantire 
l’efficacia della riscossione 
dell’imposta”, occorre, tuttavia, indagare 
se, sotto il 
profilo della 
proporzionalità 
della 
misura 
rispetto 
al 
fine 
perseguito, 
non 
sussistano 
misure 
idonee 
a 
soddisfare 
l’obiettivo del 
contrasto all’evasione 
fiscale 
e 
dell’esatta 
riscossione 
dell’imposta, 
da 
parte 
dell’amministrazione 
fiscale 
interessata, 
che 
siano 
meno 
lesive 
della 
libera 
prestazione 
dei 
servizi 
rispetto 
all’obbligo 
di 
designare 
un 
rappresentante 
fiscale 
residente 
o 
stabilito 
nel 
territorio 
dello 
Stato membro di 
imposizione. Secondo la 
Corte, il 
legislatore 
italiano non ha 
considerato 
la 
possibilità 
che 
il 
summenzionato 
rappresentante 
fiscale 
-presso 
cui 
esso possa 
sincerarsi 
dell’esatta 
riscossione 
delle 
imposte 
da 
parte 
di 
tali 
prestatori 
di 
servizi 
nonché 
del 
corretto 
versamento 
all’erario 
degli 
importi 
corrispondenti 
-abbia 
la 
possibilità 
di 
risiedere 
o 
di 
essere 
stabilito 
in 
uno 
Stato membro diverso dall’italia. in proposito, la 
semplice 
affermazione 
che 
il 
requisito 
della 
residenza 
costituisce 
la 
migliore 
garanzia 
dell’efficace 
adempimento 
degli 
obblighi 
di 
natura 
tributaria 
incombenti 
sul 
rappresentante 
fiscale 
è, ad avviso della CGue, irrilevante. 

osserva, infatti, la 
Corte 
che, se 
anche 
il 
controllo su un tale 
rappresentante 
da 
parte 
delle 
autorità 
fiscali 
di 
uno 
Stato 
membro 
può 
effettivamente 
risultare 
più difficile 
qualora 
questi 
sia 
stabilito in un altro Stato membro, si 
evince, al 
contrario, nei 
precedenti 
della 
giurisprudenza 
della 
Corte 
(9), che 


(9) Si 
v. in tal 
senso, sentenza 
dell’11 dicembre 
2014, Commissione/Spagna, C-678/11, punto 61 
e giurisprudenza ivi citata. 

RASSeGNA 
AVVoCAtuRA 
Dello 
StAto -N. 3/2022 


le 
difficoltà 
amministrative 
non costituiscono, di 
per sé, un motivo atto a 
giustificare 
un 
ostacolo 
a 
una 
libertà 
fondamentale 
garantita 
dal 
diritto 
del-
l’unione. 
Date 
tali 
circostanze, 
conclude 
la 
CGue 
“non 
risulta 
che 
il 
controllo 
del 
rispetto degli 
obblighi 
gravanti 
sui 
prestatori 
di 
servizi 
interessati 
in qualità 
di 
responsabili 
d’imposta 
non 
possa 
essere 
garantito 
con 
mezzi 
meno 
lesivi 
dell’articolo 56 tFUE 
rispetto alla nomina di 
un rappresentante 
fiscale 
residente 
in Italia” (par. 75 della sentenza in commento). 


in 
risposta 
all’ultimo 
quesito, 
relativo 
alla 
possibilità 
per 
le 
parti 
in 
causa 
di 
condizionare 
il 
giudice 
del 
rinvio 
nella 
formulazione 
dei 
quesiti 
pregiudiziali, 
la 
Corte 
di 
Giustizia 
dell’u.e., 
premessa 
l’autonomia 
del 
giudice 
nazionale, 
cui 
è 
stata 
sottoposta 
la 
controversia 
e 
che 
deve 
assumersi 
la 
responsabilità 
della 
futura 
decisione 
giurisdizionale, 
ritiene 
che 
“la 
determinazione 
e 
la 
formulazione 
delle 
questioni 
da 
sottoporre 
alla 
Corte 
spettano 
unicamente 
al 
giudice 
nazionale 
e 
che 
le 
parti 
in 
causa 
nel 
procedimento 
principale 
non 
possono 
imporne 
o 
modificarne 
il 
tenore”, 
ribadendo, 
quindi, 
il 
principio 
di 
indipendenza 
posto 
alla 
base 
dell’esercizio 
del 
potere 
di 
valutazione 
del 
giudice 
del 
rinvio, 
sia 
nello 
stabilire 
se 
sia 
necessaria 
una 
pronuncia 
su 
un 
punto 
di 
diritto 
dell’unione, 
onde 
consentire 
la 
sua 
decisione, 
sia 
nella 
scelta 
della 
formulazione 
delle 
conseguenti 
questioni 
pregiudiziali. 


Corte 
di 
giustizia 
dell’Unione 
europea, 
sezione 
seconda, 
sentenza 
del 
22 
dicembre 
2022, 
C-83/21 
-Pres. A. Prechal, Rel. N. Wahl 
-Domanda 
di 
pronuncia 
pregiudiziale 
proposta 
dal 
Consiglio 
di 
Stato 
(italia), 
con 
ordinanza 
del 
26 
gennaio 
2021 
-Airbnb 
ireland 
uC 
plc, 
Airbnb 
Payments uK ltd c. Agenzia delle entrate. 


«Rinvio pregiudiziale 
-Mercato interno -Articolo 114, paragrafo 2, tFue 
-esclusione 
delle 
disposizioni 
fiscali 
-Direttiva 
2000/31/Ce 
-Servizi 
della 
società 
dell’informazione 
-Commercio 
elettronico 
-Portale 
telematico 
di 
intermediazione 
immobiliare 
-Articolo 
1, 
paragrafo 
5, 
lettera 
a) 
-esclusione 
del 
“settore 
tributario” 
-Direttiva 
2006/123/Ce 
-Servizi 
nel 
mercato 
interno -Articolo 2, paragrafo 3 -esclusione 
del 
“settore 
fiscale” 
-Direttiva 
(ue) 2015/1535 


-Articolo 1, paragrafo 1, lettere 
e) ed f) -Nozioni 
di 
“regola 
relativa 
ai 
servizi” 
e 
di 
“regola 
tecnica” 
-obbligo imposto ai 
prestatori 
di 
servizi 
di 
intermediazione 
immobiliare 
di 
raccogliere 
e 
comunicare 
al 
fisco i 
dati 
relativi 
ai 
contratti 
di 
locazione 
e 
di 
procedere 
alla 
ritenuta 
alla 
fonte 
dell’imposta 
sui 
pagamenti 
effettuati 
-obbligo 
di 
designare 
un 
rappresentante 
fiscale 
imposto ai 
prestatori 
di 
servizi 
privi 
di 
stabile 
organizzazione 
in italia 
-Articolo 56 tFue 
Carattere 
restrittivo 
-obiettivo 
legittimo 
-Carattere 
sproporzionato 
dell’obbligo 
di 
designare 
un rappresentante 
fiscale 
-Articolo 267, terzo comma, tFue 
-Prerogative 
di 
un giudice 
nazionale 
le 
cui 
decisioni 
non 
sono 
impugnabili 
con 
un 
ricorso 
giurisdizionale 
di 
diritto 
interno» 
la 
domanda 
di 
pronuncia 
pregiudiziale 
verte 
sull’interpretazione 
dell’articolo 
1, 
paragrafo 
5, lettera 
a), della 
direttiva 
2000/31/Ce 
del 
Parlamento europeo e 
del 
Consiglio, dell’8 
giugno 2000, relativa 
a 
taluni 
aspetti 
giuridici 
dei 
servizi 
della 
società 
dell’informazione, 
in 
particolare 
il 
commercio 
elettronico, 
nel 
mercato 
interno 
(«Direttiva 
sul 
commercio 



CoNteNzioSo 
CoMuNitARio 
eD 
iNteRNAzioNAle 
65 


elettronico») 
(Gu 
2000, 
l 
178, 
pag. 
1), 
dell’articolo 
2, 
paragrafo 
3, 
della 
direttiva 
2006/123/Ce 
del 
Parlamento europeo e 
del 
Consiglio, del 
12 dicembre 
2006, relativa 
ai 
servizi 
nel 
mercato 
interno 
(Gu 
2006, 
l 
376, 
pag. 
36), 
e 
dell’articolo 
1, 
paragrafo 
1, 
lettere 
e) ed f), della 
direttiva 
(ue) 2015/1535 del 
Parlamento europeo e 
del 
Consiglio, 
del 
9 settembre 
2015, che 
prevede 
una 
procedura 
d’informazione 
nel 
settore 
delle 
regolamentazioni 
tecniche 
e 
delle 
regole 
relative 
ai 
servizi 
della 
società 
dell’informazione 
(Gu 
2015, 
l 
241, 
pag. 
1), 
nonché 
dell’articolo 
56 
e 
dell’articolo 
267, 
terzo 
comma, 
tFue. 


2 tale 
domanda 
è 
stata 
presentata 
nell’ambito di 
una 
controversia 
fra, da 
un lato, Airbnb 
ireland uC plc 
e 
Airbnb Payments 
uK 
ltd, e, dall’altro, l’Agenzia 
delle 
entrate 
(italia), 
relativamente 
alla 
legittimità 
di 
un istituto di 
diritto italiano relativo al 
regime 
fiscale 
dei 
servizi di intermediazione immobiliare riguardanti locazioni brevi. 
Contesto normativo 
Diritto dell’Unione 
Direttiva 2000/31 


3 Ai sensi del considerando 12 della direttiva 2000/31: 
«È 
necessario escludere 
dal 
campo d’applicazione 
della 
presente 
direttiva 
talune 
attività, 
dal 
momento che 
in questa 
fase 
la 
libera 
circolazione 
dei 
servizi 
in tali 
ambiti 
non può 
essere 
garantita 
dal 
trattato 
o 
dal 
diritto 
comunitario 
derivato 
in 
vigore. 
Questa 
esclusione 
deve 
far salvi 
gli 
eventuali 
strumenti 
che 
possono rivelarsi 
necessari 
per il 
buon funzionamento 
del 
mercato interno. la 
materia 
fiscale, soprattutto l’iVA 
che 
colpisce 
numerosi 
servizi 
contemplati 
dalla 
presente 
direttiva, 
deve 
essere 
esclusa 
dal 
campo 
di 
applicazione 
della presente direttiva». 


4 il considerando 13 di tale decisione enuncia quanto segue: 
«la 
presente 
direttiva 
non è 
volta 
a 
definire 
norme 
in materia 
di 
obblighi 
fiscali. Né 
osta 
all’elaborazione 
di 
strumenti 
comunitari 
riguardanti 
gli 
aspetti 
fiscali 
del 
commercio 
elettronico
». 


5 
l’articolo 
1 
di 
detta 
direttiva, 
intitolato 
«obiettivi 
e 
campo 
d’applicazione», 
così 
dispone: 


«1. la 
presente 
direttiva 
mira 
a 
contribuire 
al 
buon funzionamento del 
mercato interno 
garantendo 
la 
libera 
circolazione 
dei 
servizi 
della 
società 
dell’informazione 
tra 
Stati 
membri. 
(...) 
5. la presente direttiva non si applica: 
a) al settore tributario, 
(...)». 
Direttiva 2006/123 


6 Ai sensi del considerando 29 della direttiva 2006/123: 
«Poiché 
il 
trattato prevede 
basi 
giuridiche 
specifiche 
in materia 
fiscale 
e 
considerate 
le 
norme 
comunitarie 
già 
adottate 
in questo ambito, occorre 
escludere 
il 
settore 
fiscale 
dal 
campo di applicazione della presente direttiva». 


7 l’articolo 2 di 
tale 
direttiva, intitolato «Campo di 
applicazione», così 
dispone 
al 
suo paragrafo 
3: 
«la presente direttiva non si applica al settore fiscale». 
Direttiva 2015/1535 


8 l’articolo 1, paragrafo 1, della direttiva 2015/1535 così recita: 


«1. Ai fini della presente direttiva si applicano le seguenti definizioni: 
(...) 

RASSeGNA 
AVVoCAtuRA 
Dello 
StAto -N. 3/2022 


e) “regola 
relativa 
ai 
servizi”: 
un requisito di 
natura 
generale 
relativo all’accesso alle 
attività 
di 
servizio [della 
società 
dell’informazione] e 
al 
loro esercizio, in particolare 
le 
disposizioni 
relative 
al 
prestatore 
di 
servizi, 
ai 
servizi 
e 
al 
destinatario 
di 
servizi, 
ad 
esclusione delle regole che non riguardino specificamente [tal]i servizi (...). 
Ai fini della presente definizione: 
i) una 
regola 
si 
considera 
riguardante 
specificamente 
i 
servizi 
della 
società 
dell’informazione 
quando, alla 
luce 
della 
sua 
motivazione 
e 
del 
testo del 
relativo dispositivo, essa 
si 
pone 
come 
finalità 
e 
obiettivo 
specifici, 
nel 
suo 
insieme 
o 
in 
alcune 
disposizioni 
puntuali, 
di disciplinare in modo esplicito e mirato tali servizi; 
ii) una 
regola 
non si 
considera 
riguardante 
specificamente 
i 
servizi 
della 
società 
dell’informazione 
se essa riguarda tali servizi solo in modo implicito o incidentale; 
f) “regola 
tecnica”: 
una 
specificazione 
tecnica 
o altro requisito o una 
regola 
relativa 
ai 
servizi, comprese 
le 
disposizioni 
amministrative 
che 
ad esse 
si 
applicano, la 
cui 
osservanza 
è 
obbligatoria, 
de 
jure 
o 
de 
facto, 
per 
la 
commercializzazione, 
la 
prestazione 
di 
servizi, 
lo 
stabilimento 
di 
un 
fornitore 
di 
servizi 
o 
l’utilizzo 
degli 
stessi 
in 
uno 
Stato 
membro 
o in una 
parte 
importante 
di 
esso, nonché, fatte 
salve 
quelle 
di 
cui 
all’articolo 7, le 
disposizioni 
legislative, regolamentari 
o amministrative 
degli 
Stati 
membri 
che 
vietano la 
fabbricazione, 
l’importazione, la 
commercializzazione 
o l’utilizzo di 
un prodotto oppure 
la 
prestazione o l’utilizzo di un servizio o lo stabilimento come fornitore di servizi. 
Costituiscono in particolare regole tecniche de facto: 
i) 
le 
disposizioni 
legislative, 
regolamentari 
o 
amministrative 
di 
uno 
Stato 
membro 
che 
fanno riferimento o a 
specificazioni 
tecniche 
o ad altri 
requisiti 
o a 
regole 
relative 
ai 
servizi, 
o a 
codici 
professionali 
o di 
buona 
prassi 
che 
si 
riferiscono a 
loro volta 
a 
specificazioni 
tecniche 
o ad altri 
requisiti 
ovvero a 
regole 
relative 
ai 
servizi 
e 
la 
cui 
osservanza 
conferisce 
una 
presunzione 
di 
conformità 
alle 
prescrizioni 
fissate 
dalle 
suddette 
disposizioni 
legislative, regolamentari o amministrative; 
ii) gli 
accordi 
facoltativi 
dei 
quali 
l’autorità 
pubblica 
è 
parte 
contraente 
e 
che, nell’interesse 
generale 
mirano al 
rispetto di 
specificazioni 
tecniche 
o di 
altri 
requisiti, o di 
regole 
relative ai servizi, ad eccezione del capitolato degli appalti pubblici; 
iii) le 
specificazioni 
tecniche 
o altri 
requisiti 
o le 
regole 
relative 
ai 
servizi 
connessi 
con 
misure 
di 
carattere 
fiscale 
o 
finanziario 
che 
influenzano 
il 
consumo 
di 
prodotti 
o 
di 
servizi 
promuovendo 
l’osservanza 
di 
tali 
specificazioni 
tecniche 
o 
altri 
requisiti 
o 
regole 
relative 
ai 
servizi; 
non sono contemplati 
le 
specificazioni 
tecniche, o altri 
requisiti 
o le 
regole 
relative 
ai servizi connessi con i regimi nazionali di sicurezza sociale. 
(...)». 
9 l’articolo 5, paragrafo 1, primo comma, della direttiva in parola così dispone: 
«Fatto 
salvo 
l’articolo 
7, 
gli 
Stati 
membri 
comunicano 
immediatamente 
alla 
Commissione 
[europea] ogni 
progetto di 
regola 
tecnica, salvo che 
si 
tratti 
del 
semplice 
recepimento integrale 
di 
una 
norma 
internazionale 
o europea, nel 
qual 
caso è 
sufficiente 
una 
semplice 
informazione 
sulla 
norma 
stessa. essi 
le 
comunicano brevemente 
anche 
i 
motivi 
che 
rendono 
necessario adottare tale regola tecnica a meno che non risultino già dal progetto». 
Diritto italiano 


10 l’articolo 4 del 
decreto-legge 
del 
24 aprile 
2017, n. 50 -Disposizioni 
urgenti 
in materia 
finanziaria, 
iniziative 
a 
favore 
degli 
enti 
territoriali, 
ulteriori 
interventi 
per 
le 
zone 
colpite 
da 
eventi 
sismici 
e 
misure 
per lo sviluppo (supplemento ordinario alla 
GuRi n. 95 del 
24 
aprile 
2017), convertito, con modificazioni, dalla 
legge 
del 
21 giugno 2017, n. 96 (sup



CoNteNzioSo 
CoMuNitARio 
eD 
iNteRNAzioNAle 


plemento ordinario alla 
GuRi n. 144 del 
23 giugno 2017), nella 
versione 
applicabile 
al 
procedimento principale 
(in prosieguo: 
il 
«regime 
fiscale 
del 
2017»), intitolato «Regime 
fiscale delle locazioni brevi», così dispone: 


«1. Ai 
fini 
del 
presente 
articolo, si 
intendono per locazioni 
brevi 
i 
contratti 
di 
locazione 
di 
immobili 
ad 
uso 
abitativo 
di 
durata 
non 
superiore 
a 
30 
giorni, 
ivi 
inclusi 
quelli 
che 
prevedono 
la 
prestazione 
dei 
servizi 
di 
fornitura 
di 
biancheria 
e 
di 
pulizia 
dei 
locali, 
stipulati 
da 
persone 
fisiche, al 
di 
fuori 
dell’esercizio di 
attività 
d’impresa, direttamente 
o tramite 
soggetti 
che 
esercitano attività 
di 
intermediazione 
immobiliare, ovvero soggetti 
che 
gestiscono 
portali 
telematici, 
mettendo 
in 
contatto 
persone 
in 
cerca 
di 
un 
immobile 
con 
persone 
che dispongono di unità immobiliari da locare. 
2. A 
decorrere 
dal 
1° 
giugno 2017, ai 
redditi 
derivanti 
dai 
contratti 
di 
locazione 
breve 
stipulati 
a 
partire 
da 
tale 
data 
si 
applicano le 
disposizioni 
dell’articolo 3 del 
decreto legislativo 
14 
marzo 
2011, 
n. 
23 
[Disposizioni 
in 
materia 
di 
federalismo 
Fiscale 
Municipale 
2011 
(GuRi 
n. 
67, 
del 
23 
marzo 
2011)], 
con 
l’aliquota 
del 
21 
per 
cento 
in 
caso 
di 
opzione 
per l’imposta sostitutiva nella forma della cedolare secca. 
3. 
le 
disposizioni 
del 
comma 
2 
si 
applicano 
anche 
ai 
corrispettivi 
lordi 
derivanti 
dai 
contratti 
di 
sublocazione 
e 
dai 
contratti 
a 
titolo oneroso conclusi 
dal 
comodatario aventi 
ad 
oggetto 
il 
godimento 
dell’immobile 
da 
parte 
di 
terzi, 
stipulati 
alle 
condizioni 
di 
cui 
al 
comma 1. 
(...) 
4. 
i 
soggetti 
che 
esercitano 
attività 
di 
intermediazione 
immobiliare, 
nonché 
quelli 
che 
gestiscono 
portali 
telematici, mettendo in contatto persone 
in ricerca 
di 
un immobile 
con 
persone 
che 
dispongono di 
unità 
immobiliari 
da 
locare, trasmettono i 
dati 
relativi 
ai 
contratti 
di 
cui 
ai 
commi 
1 e 
3 conclusi 
per il 
loro tramite 
entro il 
30 giugno dell’anno successivo 
a 
quello 
a 
cui 
si 
riferiscono 
i 
predetti 
dati. 
l’omessa, 
incompleta 
o 
infedele 
comunicazione 
dei 
dati 
relativi 
ai 
contratti 
di 
cui 
al 
comma 
1 e 
3 è 
punita 
con la 
sanzione 
di 
cui 
all’articolo 
11, 
comma 
1 
del 
decreto 
legislativo 
18 
dicembre 
1997, 
n. 
471 
[-Riforma 
delle 
sanzioni 
tributarie 
non 
penali 
in 
materia 
di 
imposte 
dirette, 
di 
imposta 
sul 
valore 
aggiunto e 
di 
riscossione 
dei 
tributi, a 
norma 
dell’articolo 3, comma 
133, lettera 
q), della 
legge 
23 dicembre 
1996, n. 662 (supplemento ordinario alla 
GuRi n. 5, dell’8 gennaio 
1998)]. 
la 
sanzione 
è 
ridotta 
alla 
metà 
se 
la 
trasmissione 
è 
effettuata 
entro 
i 
quindici 
giorni 
successivi 
alla 
scadenza, ovvero se, nel 
medesimo termine, è 
effettuata 
la 
trasmissione 
corretta dei dati. 
5. i soggetti 
residenti 
nel 
territorio dello Stato che 
esercitano attività 
di 
intermediazione 
immobiliare, 
nonché 
quelli 
che 
gestiscono 
portali 
telematici, 
mettendo 
in 
contatto 
persone 
in 
ricerca 
di 
un 
immobile 
con 
persone 
che 
dispongono 
di 
unità 
immobiliari 
da 
locare, 
qualora 
incassino 
i 
canoni 
o 
i 
corrispettivi 
relativi 
ai 
contratti 
di 
cui 
ai 
commi 
1 
e 
3, 
ovvero 
qualora 
intervengano 
nel 
pagamento 
dei 
predetti 
canoni 
o 
corrispettivi, 
operano, 
in 
qualità 
di 
sostituti 
d’imposta, una 
ritenuta 
del 
21 per cento sull’ammontare 
dei 
canoni 
e 
corrispettivi 
all’atto del 
pagamento al 
beneficiario e 
provvedono al 
relativo versamento (...). 
Nel 
caso 
in 
cui 
non 
sia 
esercitata 
l’opzione 
per 
l’applicazione 
del 
regime 
di 
cui 
al 
comma 
2, la ritenuta si considera operata a titolo di acconto. 
5 bis 
i soggetti 
di 
cui 
al 
comma 
5 non residenti 
in possesso di 
una 
stabile 
organizzazione 
in 
italia, 
ai 
sensi 
dell’articolo 
162 
del 
testo 
unico 
delle 
imposte 
sui 
redditi, 
di 
cui 
al 
decreto 
del 
Presidente 
della 
Repubblica 
22 
dicembre 
1986, 
n. 
917 
[-Approvazione 
del 
testo 
unico 
delle 
imposte 
sui 
redditi 
(supplemento 
ordinario 
alla 
GuRi 
n. 
302, 
del 
31 
dicembre 

RASSeGNA 
AVVoCAtuRA 
Dello 
StAto -N. 3/2022 


1986)], qualora 
incassino i 
canoni 
o i 
corrispettivi 
relativi 
ai 
contratti 
di 
cui 
ai 
commi 
1 
e 
3, 
ovvero 
qualora 
intervengano 
nel 
pagamento 
dei 
predetti 
canoni 
o 
corrispettivi, 
adempiono 
agli 
obblighi 
derivanti 
dal 
presente 
articolo 
tramite 
la 
stabile 
organizzazione. 
i 
soggetti 
non 
residenti 
riconosciuti 
privi 
di 
stabile 
organizzazione 
in 
italia, 
ai 
fini 
dell’adempimento 
degli 
obblighi 
derivanti 
dal 
presente 
articolo, 
in 
qualità 
di 
responsabili 
d’imposta, nominano un rappresentante 
fiscale 
individuato tra 
i 
soggetti 
indicati 
nell’articolo 
23 del 
decreto del 
Presidente 
della 
Repubblica 
29 settembre 
1973, n. 600 [- Disposizioni 
comuni 
in 
materia 
di 
accertamento 
delle 
imposte 
sui 
redditi 
(supplemento 
ordinario 
alla GuRi n. 268, del 16 ottobre 1973)]. 
5 ter il 
soggetto che 
incassa 
il 
canone 
o il 
corrispettivo, ovvero che 
interviene 
nel 
pagamento 
dei 
predetti 
canoni 
o corrispettivi, è 
responsabile 
del 
pagamento dell’imposta 
di 
soggiorno 
di 
cui 
all’articolo 
4 
del 
decreto 
legislativo 
14 
marzo 
2011, 
n. 
23, 
e 
del 
contributo 
di 
soggiorno 
(...), 
nonché 
degli 
ulteriori 
adempimenti 
previsti 
dalla 
legge 
e 
dal 
regolamento 
comunale. 


6. 
Con 
provvedimento 
del 
direttore 
dell’Agenzia 
delle 
entrate, 
da 
emanarsi 
entro 
novanta 
giorni 
dall’entrata 
in vigore 
del 
presente 
decreto, sono stabilite 
le 
disposizioni 
di 
attuazione 
dei 
commi 
4, 
5 
e 
5-bis 
del 
presente 
articolo, 
incluse 
quelle 
relative 
alla 
trasmissione 
e conservazione dei dati da parte dell’intermediario». 
11 il 
regime 
fiscale 
del 
2017 è 
stato modificato dal 
decreto-legge 
del 
30 aprile 
2019, n. 34 Misure 
urgenti 
di 
crescita 
economica 
e 
per la 
risoluzione 
di 
specifiche 
situazioni 
di 
crisi 
(GuRi 
n. 
100 
del 
30 
aprile 
2019), 
convertito, 
con 
modificazioni, 
dalla 
legge 
del 
28 
giugno 
2019, n. 58 (supplemento ordinario alla 
GuRi n. 151 del 
29 giugno 2019; 
in prosieguo: 
il «decreto-legge del 2019»). 


12 
Ai 
sensi 
dell’articolo 
13 
quater, 
comma 
1, 
del 
decreto-legge 
del 
2019, 
l’articolo 
4, 
comma 
5 bis, del regime fiscale del 2017 è così completato: 
«in assenza 
di 
nomina 
del 
rappresentante 
fiscale, i 
soggetti 
residenti 
nel 
territorio dello 
Stato che 
appartengono allo stesso gruppo dei 
soggetti 
di 
cui 
al 
periodo precedente 
sono 
solidalmente 
responsabili 
con questi 
ultimi 
per l’effettuazione 
e 
il 
versamento della 
ritenuta 
sull’ammontare 
dei 
canoni 
e 
corrispettivi 
relativi 
ai 
contratti 
di 
cui 
ai 
commi 
1 e 
3». 


13 l’articolo 13 quater, comma 4, di detto decreto-legge prevede quanto segue: 
«Al 
fine 
di 
migliorare 
la 
qualità 
dell’offerta 
turistica, 
assicurare 
la 
tutela 
del 
turista 
e 
contrastare 
forme 
irregolari 
di 
ospitalità, 
anche 
ai 
fini 
fiscali, 
(...) 
è 
istituita 
una 
apposita 
banca 
dati 
delle 
strutture 
ricettive 
nonché 
degli 
immobili 
destinati 
alle 
locazioni 
brevi 
(...) presenti 
nel 
territorio nazionale, identificati 
mediante 
un codice 
alfanumerico, di 
seguito 
denominato “codice 
identificativo”, da 
utilizzare 
in ogni 
comunicazione 
inerente 
all’offerta e alla promozione dei servizi all’utenza». 


14 
Ai 
sensi 
dell’articolo 
13 
quater, 
comma 
7, 
del 
decreto-legge 
in 
parola, 
«[i] 
soggetti 
titolari 
delle 
strutture 
ricettive, i 
soggetti 
che 
esercitano attività 
di 
intermediazione 
immobiliare 
e 
i 
soggetti 
che 
gestiscono portali 
telematici, mettendo in contatto persone 
in cerca 
di 
un 
immobile 
o porzioni 
di 
esso con persone 
che 
dispongono di 
unità 
immobiliari 
o porzioni 
di 
esse 
da 
locare, 
sono 
tenuti 
a 
pubblicare 
il 
codice 
identificativo 
nelle 
comunicazioni 
inerenti all’offerta e alla promozione». 


15 infine, a 
termini 
dell’articolo 13 quater, comma 
8, del 
decreto-legge 
del 
2019, «[l]’inosservanza 
delle 
disposizioni 
di 
cui 
al 
comma 
7 comporta 
l’applicazione 
della 
sanzione 
pecuniaria 
da 
500 
euro 
a 
5000 
euro» 
e, 
«[i]n 
caso 
di 
reiterazione 
della 
violazione, 
la 
sanzione 
è maggiorata del doppio». 



CoNteNzioSo 
CoMuNitARio 
eD 
iNteRNAzioNAle 
69 


Procedimento principale e questioni pregiudiziali 


16 le 
ricorrenti 
nel 
procedimento principale 
gestiscono il 
portale 
telematico di 
intermediazione 
immobiliare 
Airbnb che 
consente 
di 
mettere 
in contatto, da 
un lato, locatori 
che 
dispongono 
di 
alloggi 
e, 
dall’altro, 
persone 
che 
cercano 
tale 
tipo 
di 
sistemazione, 
riscuotendo dal 
cliente 
il 
pagamento per la 
fornitura 
dell’alloggio prima 
dell’inizio della 
locazione 
e 
trasferendo detto pagamento al 
locatore 
dopo l’inizio della 
locazione, in assenza 
di contestazioni da parte del conduttore. 


17 le 
ricorrenti 
nel 
procedimento principale 
hanno proposto un ricorso al 
tribunale 
amministrativo 
regionale 
per 
il 
lazio 
(italia), 
volto 
all’annullamento, 
in 
primo 
luogo, 
del 
provvedimento 
dell’Agenzia 
delle 
entrate 
del 
12 
luglio 
2017, 
n. 
132395, 
che 
ha 
dato 
attuazione 
al 
regime 
fiscale 
del 
2017, e, in secondo luogo, della 
circolare 
interpretativa 
dell’Agenzia 
delle 
entrate 
del 
12 
ottobre 
2017, 
n. 
24 
-Regime 
fiscale 
delle 
locazioni 
brevi 
-Articolo 
4 
del 
[regime 
fiscale 
del 
2017], 
nella 
versione 
applicabile 
alla 
controversia 
di cui al procedimento principale, relativa all’applicazione del regime fiscale in parola. 


18 
Con 
sentenza 
del 
18 
febbraio 
2019, 
il 
suddetto 
giudice 
ha 
respinto 
tale 
ricorso 
dichiarando 
che, in primo luogo, il 
regime 
fiscale 
del 
2017 non aveva 
introdotto una 
«regola 
tecnica» 


o 
una 
«regola 
relativa 
ai 
servizi», 
in 
secondo 
luogo, 
l’obbligo 
di 
trasmettere 
i 
dati 
dei 
contratti 
e 
di 
applicare 
una 
ritenuta 
alla 
fonte 
non violava 
né 
il 
principio della 
libera 
prestazione 
dei 
servizi 
né 
il 
principio di 
libera 
concorrenza 
e, in terzo luogo, l’obbligo di 
designare 
un rappresentante 
fiscale, qualora 
una 
persona 
che 
gestisce 
un portale 
telematico 
di 
intermediazione 
immobiliare 
non fosse 
residente 
o stabilita 
in italia, era 
conforme 
ai 
requisiti 
di 
proporzionalità 
e 
necessità 
fissati 
dalla 
giurisprudenza 
della 
Corte 
in materia 
di libera prestazione dei servizi. 
19 
le 
ricorrenti 
nel 
procedimento 
principale 
hanno 
impugnato 
tale 
sentenza 
dinanzi 
al 
Consiglio 
di Stato (italia), giudice del rinvio. 


20 Con ordinanza 
dell’11 luglio 2019, pervenuta 
alla 
Corte 
il 
30 settembre 
2019, il 
giudice 
del 
rinvio 
ha 
sottoposto 
alla 
Corte 
tre 
questioni 
pregiudiziali 
vertenti 
su 
varie 
disposizioni 
di diritto dell’unione. 


21 
Con 
ordinanza 
del 
30 
giugno 
2020, 
Airbnb 
ireland 
e 
Airbnb 
Payments 
uK 
(C‑723/19, 
non pubblicata, eu:C:2020:509), la 
Corte 
ha 
dichiarato manifestamente 
irricevibile 
tale 
domanda 
di 
pronuncia 
pregiudiziale, 
precisando 
al 
contempo 
che 
il 
giudice 
del 
rinvio 
avrebbe 
potuto presentare 
una 
nuova 
domanda 
di 
pronuncia 
pregiudiziale 
contenente 
indicazioni 
che le consentissero di fornire una risposta utile alle questioni sollevate. 


22 
in 
tale 
contesto, 
il 
Consiglio 
di 
Stato 
ha 
nuovamente 
deciso 
di 
sospendere 
il 
procedimento 
e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali: 
«1) 
Dica 
la 
Corte 
di 
giustizia 
quale 
sia 
l’esegesi 
delle 
espressioni 
“regola 
tecnica” 
dei 
servizi 
della 
società 
dell’informazione 
e 
“regola 
relativa 
ai 
servizi” 
della 
società 
dell’informazione, 
di 
cui 
alla 
direttiva 
2015/1535(…), 
e, 
in 
particolare, 
dica 
la 
Corte 
se 
tali 
espressioni 
debbano 
interpretarsi 
come 
comprensive 
anche 
di 
misure 
di 
carattere 
tributario 
non 
direttamente 
volte 
a 
regolamentare 
lo 
specifico 
servizio 
della 
società 
dell’informazione, 
ma 
comunque 
tali 
da 
conformarne 
il 
concreto 
esercizio 
all’interno 
dello 
Stato 
membro, 
in 
particolare 
gravando 
tutti 
i 
prestatori 
di 
servizi 
di 
intermediazione 
immobiliare 
-ivi 
inclusi, 
dunque, 
gli 
operatori 
non 
stabiliti 
che 
prestino 
i 
propri 
servizi 
online 
-di 
obblighi 
ancillari 
e 
strumentali 
all’efficace 
riscossione 
delle 
imposte 
dovute 
dai 
locatori, 
quali: 


a) 
la 
raccolta 
e 
la 
successiva 
comunicazione 
alle 
Autorità 
fiscali 
dello 
Stato 
membro 
dei 
dati 
relativi 
ai 
contratti 
di 
locazione 
breve 
stipulati 
a 
seguito 
dell’attività 
dell’intermediario; 

RASSeGNA 
AVVoCAtuRA 
Dello 
StAto -N. 3/2022 


b) la 
ritenuta 
della 
quota-parte 
dovuta 
al 
Fisco delle 
somme 
versate 
dai 
conduttori 
ai 
locatori 
ed il conseguente versamento all’erario di tali somme. 
2) Dica la Corte di giustizia: 
a) se 
il 
principio di 
libera 
prestazione 
di 
servizi 
di 
cui 
all’articolo 56 tFue, nonché, ove 
ritenuti 
applicabili 
nella 
materia 
di 
specie, gli 
analoghi 
principi 
desumibili 
dalle 
direttive 
2006/123 (…) e 
2000/31 (…), ostino ad una 
misura 
nazionale 
che 
preveda, a 
carico degli 
intermediari 
immobiliari 
attivi 
in 
italia 
-ivi 
inclusi, 
dunque, 
gli 
operatori 
non 
stabiliti 
che 
prestino i 
propri 
servizi 
online 
-obblighi 
di 
raccolta 
dei 
dati 
inerenti 
ai 
contratti 
di 
locazione 
breve 
conclusi 
loro 
tramite 
e 
successiva 
comunicazione 
all’Amministrazione 
finanziaria, 
per le 
finalità 
relative 
alla 
riscossione 
delle 
imposte 
dirette 
dovute 
dai 
fruitori 
del servizio; 
b) se 
il 
principio di 
libera 
prestazione 
di 
servizi 
di 
cui 
all’articolo 56 tFue, nonché, ove 
ritenuti 
applicabili 
nella 
materia 
di 
specie, gli 
analoghi 
principi 
desumibili 
dalle 
direttive 
2006/123 (…) e 
2000/31 (…), ostino ad una 
misura 
nazionale 
che 
preveda, a 
carico degli 
intermediari 
immobiliari 
attivi 
in 
italia 
-ivi 
inclusi, 
dunque, 
gli 
operatori 
non 
stabiliti 
che 
prestino i 
propri 
servizi 
online 
-che 
intervengano nella 
fase 
del 
pagamento dei 
contratti 
di 
locazione 
breve 
stipulati 
loro tramite, l’obbligo di 
operare, per le 
finalità 
relative 
alla 
riscossione 
delle 
imposte 
dirette 
dovute 
dai 
fruitori 
del 
servizio, una 
ritenuta 
su tali 
pagamenti 
con successivo versamento all’erario; 
c) 
in 
caso 
di 
risposta 
positiva 
ai 
quesiti 
che 
precedono, 
se 
il 
principio 
di 
libera 
prestazione 
di 
servizi 
di 
cui 
all’articolo 
56 
tFue, 
nonché, 
ove 
ritenuti 
applicabili 
nella 
materia 
di 
specie, 
gli 
analoghi 
principi 
desumibili 
dalle 
direttive 
2006/123 
(…) 
e 
2000/31 
(…), 
possano 
comunque 
essere 
limitati 
in 
maniera 
conforme 
al 
diritto 
[dell’unione 
europea] 
da 
misure 
nazionali 
quali 
quelle 
descritte 
supra, 
sub 
a) 
e 
b), 
in 
considerazione 
dell’inefficacia 
altrimenti 
del 
prelievo 
fiscale 
relativo 
alle 
imposte 
dirette 
dovute 
dai 
fruitori 
del 
servizio; 
d) se 
il 
principio di 
libera 
prestazione 
di 
servizi 
di 
cui 
all’articolo 56 tFue, nonché, ove 
ritenuti 
applicabili 
nella 
materia 
di 
specie, gli 
analoghi 
principi 
desumibili 
dalle 
direttive 
2006/123 
(…) 
e 
2000/31 
(…), 
possano 
essere 
limitati 
in 
maniera 
conforme 
al 
diritto 
[dell’unione 
europea] da 
una 
misura 
nazionale 
che 
imponga, a 
carico degli 
intermediari 
immobiliari 
non stabiliti 
in italia, l’obbligo di 
nominare 
un rappresentante 
fiscale 
tenuto 
ad adempiere, in nome 
e 
per conto dell’intermediario non stabilito, alle 
misure 
nazionali 
descritte 
supra, sub b), stante 
l’inefficacia 
altrimenti 
del 
prelievo fiscale 
relativo alle 
imposte 
dirette dovute dai fruitori del servizio. 
3) Dica 
la 
Corte 
di 
giustizia 
se 
l’articolo 267, paragrafo terzo, tFue 
debba 
essere 
interpretato 
nel 
senso 
che, 
in 
presenza 
di 
una 
questione 
di 
interpretazione 
del 
diritto 
[dell’unione 
europea] 
(originario 
o 
derivato) 
sollevata 
da 
una 
delle 
parti 
e 
corredata 
dalla 
precisa 
indicazione 
del 
testo 
del 
quesito, 
il 
Giudice 
mantenga 
comunque 
la 
facoltà 
di 
procedere 
all’autonoma 
articolazione 
del 
quesito stesso, individuando discrezionalmente, in 
scienza 
e 
coscienza, 
i 
referenti 
del 
diritto 
[dell’unione 
europea], 
le 
disposizioni 
nazionali 
con essi 
potenzialmente 
in contrasto ed il 
tenore 
lessicale 
della 
rimessione, purché 
nei 
limiti 
della 
materia 
oggetto 
del 
contendere, 
ovvero 
sia 
tenuto 
a 
recepire 
il 
quesito 
come 
formulato dalla parte istante». 
sulle questioni pregiudiziali 


Sulla prima e sulla seconda questione pregiudiziale 


Sull’applicabilità delle 
direttive 
2000/31, 2006/123 e 
2015/1535 alle 
misure 
di 
carattere 
tributario 



CoNteNzioSo 
CoMuNitARio 
eD 
iNteRNAzioNAle 
71 


23 Con la 
sua 
prima 
questione 
pregiudiziale, il 
giudice 
del 
rinvio chiede 
alla 
Corte, in sostanza, 
se 
le 
espressioni 
«regola 
tecnica» 
dei 
servizi 
della 
società 
dell’informazione 
e 
«regola 
relativa 
ai 
servizi» 
della 
società 
dell’informazione, 
contenute 
nella 
direttiva 
2015/1535, debbano essere 
intese 
nel 
senso che 
esse 
comprendono parimenti 
misure 
di 
carattere 
tributario che 
non mirano direttamente 
a 
disciplinare 
un servizio specifico della 
società 
dell’informazione, ma 
che 
sono idonee 
a 
disciplinare 
l’esercizio concreto dell’attività 
di cui trattasi nel territorio dello Stato membro interessato. 


24 Nell’ambito della 
seconda 
questione 
pregiudiziale, lettere 
da 
a) a 
d), il 
giudice 
del 
rinvio 
menziona 
le 
direttive 
2000/31 e 
2006/123, nell’ipotesi 
che 
i 
principi 
che 
esse 
enunciano 
siano «ritenuti applicabili nella materia di specie». 


25 Per quanto riguarda, innanzitutto la 
direttiva 
2000/31, come 
la 
Corte 
ha 
avuto modo di 
sottolineare 
ai 
punti 
da 
27 
a 
30 
della 
sentenza 
del 
27 
aprile 
2022, 
Airbnb 
ireland 
(C‑674/20, eu:C:2022:303; 
in prosieguo: 
la 
«sentenza 
Airbnb ireland»), in primo luogo, 
tale 
direttiva 
è 
stata 
adottata 
sul 
fondamento, in particolare, dell’articolo 95 Ce, i 
cui 
termini 
sono stati 
ripresi 
all’articolo 114 tFue 
il 
quale, al 
suo paragrafo 2, esclude 
dal 
proprio 
ambito di 
applicazione 
le 
«disposizioni 
fiscali», laddove 
tali 
termini 
riguardano non 
solo tutti 
i 
settori 
tributari, ma 
anche 
tutti 
gli 
aspetti 
di 
detta 
materia. in secondo luogo, 
una 
tale 
interpretazione 
si 
ricava 
altresì 
dal 
fatto che 
l’articolo 114, paragrafo 2, tFue 
fa 
parte 
del 
capo 
3, 
intitolato 
«Ravvicinamento 
delle 
legislazioni», 
che 
segue 
un 
capo 
2, 
denominato 
«Disposizioni 
fiscali», 
all’interno 
del 
titolo 
Vii 
del 
trattato 
Fue, 
avente 
ad 
oggetto 
le 
«[n]orme 
comuni 
sulla 
concorrenza, 
sulla 
fiscalità 
e 
sul 
ravvicinamento 
delle 
legislazioni», cosicché 
tutto ciò che 
attiene 
a 
tale 
capo 3, vale 
a 
dire 
il 
ravvicinamento 
delle 
legislazioni, non riguarda 
quanto rientra 
nel 
suddetto capo 2, vale 
a 
dire 
le 
disposizioni 
fiscali. in terzo luogo, un tale 
ragionamento si 
impone 
per quanto riguarda 
il 
diritto 
derivato 
adottato 
sul 
fondamento 
dell’articolo 
95 
Ce, 
e 
successivamente 
dell’articolo 
114 
tFue 
ed 
è 
corroborato 
dall’interpretazione 
letterale 
dei 
termini 
ampi 
utilizzati 
all’articolo 
1, 
paragrafo 
5, 
lettera 
a), 
della 
direttiva 
2000/31, 
vale 
a 
dire 
il 
«settore 
tributario». 
in 
quarto 
luogo, 
tali 
considerazioni 
sono 
confermate 
dai 
considerando 
12 
e 
13 
della 
direttiva 
2000/31. 


26 
Per 
quanto 
riguarda, 
poi, 
la 
direttiva 
2006/123, 
occorre, 
da 
un 
lato, 
rilevare 
che 
essa 
esclude 
dal 
suo ambito di 
applicazione, secondo i 
termini 
di 
cui 
all’articolo 2, paragrafo 
3, di tale direttiva, il «settore fiscale». 


27 D’altro lato, il 
considerando 29 di 
detta 
direttiva 
è 
esplicito quanto al 
motivo dell’esclusione 
in parola, poiché 
ricorda 
che 
il 
trattato Fue 
prevede 
basi 
giuridiche 
specifiche 
in 
materia 
fiscale 
e 
che, considerate 
le 
norme 
di 
diritto dell’unione 
già 
adottate 
in siffatto 
ambito, occorre 
escludere 
il 
settore 
fiscale 
dal 
campo di 
applicazione 
della 
medesima 
direttiva. 


28 tenuto conto della 
genericità 
dei 
termini 
«settore 
fiscale» e 
«settore 
tributario», nonché 
delle 
basi 
giuridiche 
espresse 
previste 
al 
riguardo 
dal 
trattato 
Fue, 
le 
considerazioni 
svolte 
al 
punto 
25 
della 
presente 
sentenza 
valgono 
quindi 
parimenti 
per 
quanto 
attiene 
all’esclusione del «settore fiscale» dalla direttiva 2006/123. 


29 Per quanto riguarda, infine, la 
direttiva 
2015/1535, occorre 
rilevare 
che 
essa 
richiama 
«il 
trattato [Fue], e 
in particolare 
gli 
articoli 
114, 337 e 
43». Pertanto, va 
anzitutto rilevato 
che 
l’esclusione 
prevista 
all’articolo 114, paragrafo 2, tFue 
riguardo alle 
«disposizioni 
fiscali» si 
applica 
anche 
riguardo a 
tale 
direttiva, per i 
motivi 
esposti 
al 
punto 25 della 
presente sentenza. 



RASSeGNA 
AVVoCAtuRA 
Dello 
StAto -N. 3/2022 


30 
inoltre, 
il 
tenore 
della 
direttiva 
2015/1535 
conferma 
indirettamente 
l’esclusione 
delle 
«disposizioni 
fiscali» dal 
suo ambito di 
applicazione, poiché 
la 
formulazione 
dell’articolo 
1, paragrafo 1, lettera 
f), iii), di 
tale 
direttiva 
menziona, tra 
le 
regole 
tecniche 
de 
facto, le 
specificazioni 
tecniche 
o 
altri 
requisiti 
o 
le 
regole 
relative 
ai 
servizi 
«connessi 
con 
misure 
di 
carattere 
fiscale 
o 
finanziario». 
Non 
si 
tratta 
quindi 
di 
misure 
di 
carattere 
fiscale 
in 
quanto 
tali, 
ma 
unicamente 
di 
misure 
connesse 
a 
misure 
di 
carattere 
fiscale 
(v., 
in 
tal 
senso, 
sentenza 
dell’8 
ottobre 
2020, 
Admiral 
Sportwetten 
e 
a., 
C‑711/19, 
eu:C:2020:812, 
punto 38), sicché 
queste 
ultime 
restano, in quanto tali, al 
di 
fuori 
dell’ambito di 
applicazione 
della direttiva in parola. 


31 Pertanto, occorre 
stabilire 
se 
misure 
come 
quelle 
introdotte 
nel 
diritto italiano dal 
regime 
fiscale 
del 
2017 
rientrino 
nel 
«settore 
tributario», 
ai 
sensi 
dell’articolo 
1, 
paragrafo 
5, 
lettera 
a), della 
direttiva 
2000/31, nel 
«settore 
fiscale», ai 
sensi 
dell’articolo 2, paragrafo 3, 
della 
direttiva 
2006/123, e 
siano quindi 
«disposizioni 
fiscali», ai 
sensi 
dell’articolo 114 
tFue, cui rimanda espressamente la direttiva 2015/1535. 


32 Come 
risulta 
dal 
punto 10 della 
presente 
sentenza, il 
regime 
fiscale 
del 
2017 modifica 
la 
normativa 
tributaria 
italiana 
relativa 
alle 
locazioni 
brevi, a 
prescindere 
dal 
fatto che 
dette 
locazioni 
siano effettuate, ai 
sensi 
dell’articolo 4, comma 
1, di 
tale 
regime, «direttamente 


o tramite 
soggetti 
che 
esercitano attività 
di 
intermediazione 
immobiliare, ovvero soggetti 
che gestiscono portali telematici». 
33 Gravano pertanto sul 
complesso dei 
soggetti 
summenzionati 
tre 
tipi 
di 
obblighi, vale 
a 
dire, in primo luogo, l’obbligo di 
raccolta 
e 
comunicazione 
alle 
autorità 
fiscali 
dei 
dati 
relativi 
ai 
contratti 
di 
locazione 
stipulati 
a 
seguito della 
loro intermediazione, in secondo 
luogo, tenuto conto del 
loro intervento nel 
pagamento del 
canone 
di 
locazione, l’obbligo 
di 
ritenuta 
dell’imposta 
dovuta 
sulle 
somme 
versate 
dai 
conduttori 
ai 
locatori 
ed il 
versamento 
di 
tale 
imposta 
all’erario, vuoi 
a 
titolo di 
cedolare 
secca, vuoi 
a 
titolo di 
acconto 
in 
funzione 
della 
scelta 
effettuata 
dai 
locatori, 
e, 
in 
terzo 
luogo, 
in 
mancanza 
di 
una 
stabile 
organizzazione in italia, l’obbligo di designarvi un rappresentante fiscale. 


34 Per quanto riguarda, in primo luogo, l’obbligo di 
raccolta 
e 
comunicazione 
alle 
autorità 
fiscali 
dei 
dati 
relativi 
ai 
contratti 
di 
locazione 
stipulati 
a 
seguito 
dell’intermediazione 
immobiliare, occorre 
sottolineare 
che, se 
è 
vero che 
una 
siffatta 
misura 
non si 
rivolge 
di 
per sé 
ai 
soggetti 
passivi 
dell’imposta, bensì 
alle 
persone 
fisiche 
o giuridiche 
che 
hanno 
svolto 
un 
ruolo 
di 
intermediario 
nelle 
locazioni 
brevi, 
e 
che 
il 
suo 
oggetto 
è 
la 
trasmissione 
di 
informazioni 
all’amministrazione 
fiscale, a 
pena 
di 
sanzione 
pecuniaria, resta 
il 
fatto 
che, 
innanzitutto, 
l’amministrazione 
destinataria 
di 
tali 
informazioni 
è 
l’amministrazione 
fiscale; 
inoltre, 
la 
misura 
in 
parola 
fa 
parte 
di 
una 
normativa 
tributaria, 
vale 
a 
dire 
il 
regime 
fiscale 
del 
2017; 
e, 
infine, 
le 
informazioni 
oggetto 
dell’obbligo 
di 
trasmissione 
sono, 
quanto 
alla 
loro 
sostanza, 
inscindibili 
da 
detta 
normativa, 
essendo 
le 
sole 
in 
grado 
di 
identificare 
il 
soggetto effettivamente 
debitore 
dell’imposta, grazie 
all’indicazione 
del 
luogo 
delle 
locazioni 
e 
dell’identità 
dei 
locatori, 
di 
consentire 
di 
determinare 
la 
base 
imponibile 
della 
medesima 
imposta, 
in 
funzione 
degli 
importi 
percepiti, 
e, 
di 
conseguenza, 
di 
fissarne 
l’ammontare (v., per analogia, sentenza 
Airbnb ireland, punto 33). 


35 
Siffatto 
obbligo 
rientra 
quindi 
nelle 
«disposizioni 
fiscali», 
ai 
sensi 
dell’articolo 
114 
tFue. 


36 
Per 
quanto 
riguarda, 
in 
secondo 
luogo, 
l’obbligo 
di 
ritenuta 
alla 
fonte 
dell’imposta 
dovuta 
sulle 
somme 
versate 
dai 
conduttori 
ai 
locatori 
e 
di 
versamento 
di 
detta 
imposta 
all’erario, 
vuoi 
a 
titolo 
di 
cedolare 
secca 
con 
aliquota 
preferenziale 
del 
21%, 
vuoi 
a 
titolo 
di 
acconto 
di 
un’imposta 
stabilita 
in tal 
caso ad un’aliquota 
più elevata, in funzione 
della 
scelta 
ef



CoNteNzioSo 
CoMuNitARio 
eD 
iNteRNAzioNAle 
73 


fettuata 
dai 
locatori, si 
deve 
constatare 
che, come 
rilevato dall’avvocato generale 
al 
paragrafo 
52 delle 
sue 
conclusioni, si 
tratta 
di 
misure 
che 
presentano «natura 
tributaria 
per 
eccellenza», 
giacché 
consistono 
nel 
prelevare 
l’imposta 
in 
nome 
dell’amministrazione 
fiscale, 
versando poi a quest’ultima l’importo riscosso. 


37 Per quanto riguarda, in terzo luogo, l’obbligo, imposto ai 
prestatori 
di 
servizi 
di 
intermediazione 
immobiliare 
non 
stabiliti 
in 
italia, 
di 
designare 
un 
rappresentante 
fiscale, 
si 
deve 
osservare 
che 
si 
tratta 
parimenti 
di 
una 
misura 
fiscale, 
poiché 
è 
volta 
a 
garantire 
l’efficace 
riscossione 
delle 
imposte 
in relazione 
al 
prelievo alla 
fonte 
effettuato in qualità 
di 
«responsabile 
d’imposta» dai 
prestatori 
di 
servizi 
stabiliti 
in un altro Stato membro, in particolare 
quelli che gestiscono portali telematici. 


38 Da 
quanto precede 
risulta 
che 
i 
tre 
tipi 
di 
obblighi 
introdotti 
dal 
regime 
fiscale 
del 
2017 
nel 
diritto italiano rientrano nel 
«settore 
tributario», ai 
sensi 
dell’articolo 1, paragrafo 5, 
lettera 
a), della 
direttiva 
2000/31, nel 
«settore 
fiscale», ai 
sensi 
dell’articolo 2, paragrafo 
3, della 
direttiva 
2006/123, e 
sono quindi 
«disposizioni 
fiscali», ai 
sensi 
dell’articolo 114 
tFue, richiamato espressamente 
dalla 
direttiva 
2015/1535. tali 
misure 
sono, di 
conseguenza, 
escluse dal rispettivo ambito di applicazione delle tre direttive in parola. 


39 
la 
risposta 
da 
fornire 
alla 
prima 
e 
alla 
seconda 
questione 
pregiudiziale 
presuppone 
quindi 
unicamente 
l’esame 
della 
legittimità 
di 
misure 
come 
il 
regime 
fiscale 
del 
2017 rispetto al 
divieto di cui all’articolo 56 tFue. 


40 Se 
ne 
deve 
concludere 
che, con tali 
questioni, il 
giudice 
del 
rinvio chiede, in sostanza, se 
la 
suddetta 
disposizione 
debba 
essere 
interpretata 
nel 
senso che 
essa 
osta 
a 
misure 
quali 
i tre tipi di obblighi esposti al punto 33 della presente sentenza. 
Sulla legittimità di 
misure 
come 
quelle 
derivanti 
dal 
regime 
fiscale 
del 
2017 alla luce 
del 
divieto sancito dall’articolo 56 tFUE 


41 in via 
preliminare, occorre 
ricordare 
che 
il 
rispetto dell’articolo 56 tFue 
si 
impone 
agli 
Stati 
membri 
anche 
nell’ambito dell’adozione 
di 
una 
normativa 
come 
il 
regime 
fiscale 
del 
2017, 
nonostante 
quest’ultimo 
riguardi 
le 
imposte 
dirette. 
Secondo 
costante 
giurisprudenza, 
infatti, 
sebbene 
la 
materia 
delle 
imposte 
dirette 
rientri 
nella 
competenza 
degli 
Stati 
membri, 
questi 
ultimi 
devono 
tuttavia 
esercitarla 
nel 
rispetto 
del 
diritto 
dell’unione 
(sentenza 
del 
23 gennaio 2014, Commissione/Belgio, C‑296/12, eu:C:2014:24, punto 27 e 
giurisprudenza ivi citata). 


42 occorre 
quindi 
esaminare 
nell’ordine 
i 
tre 
tipi 
di 
obblighi 
imposti 
dal 
regime 
fiscale 
del 
2017. 


43 in primo luogo, per quanto riguarda 
l’obbligo di 
raccolta 
e 
comunicazione 
alle 
autorità 
fiscali 
dei 
dati 
relativi 
ai 
contratti 
di 
locazione 
stipulati 
a 
seguito 
dell’intermediazione 
immobiliare, risulta, anzitutto, dalla 
formulazione 
del 
regime 
fiscale 
del 
2017 che 
quest’ultimo 
impone 
tale 
obbligo a 
tutti 
i 
terzi 
che 
intervengono in un processo di 
locazione 
immobiliare 
breve 
sul 
territorio italiano, indipendentemente 
dal 
fatto che 
si 
tratti 
di 
persone 
fisiche 
o giuridiche, che 
queste 
ultime 
risiedano o siano stabilite 
in detto territorio 


o meno e 
intervengano tramite 
strumenti 
digitali 
o con altre 
modalità 
di 
contatto. la 
riforma 
concretizzata 
dal 
regime 
fiscale 
del 
2017 verte, come 
risulta 
dalle 
motivazioni 
alla 
base 
della 
sua 
adozione, 
sul 
trattamento 
fiscale 
di 
tutte 
le 
locazioni 
brevi 
e 
si 
colloca, 
come 
risulta 
dal 
fascicolo sottoposto alla 
Corte, all’interno di 
una 
strategia 
complessiva 
di 
contrasto all’evasione 
fiscale 
nel 
settore 
in parola, in cui 
essa 
è 
frequente, mediante, 
segnatamente, l’introduzione di un obbligo siffatto. 
44 una 
simile 
normativa 
non è 
quindi 
discriminatoria 
e 
non verte, in quanto tale, sulle 
con



RASSeGNA 
AVVoCAtuRA 
Dello 
StAto -N. 3/2022 


dizioni 
della 
prestazione 
di 
servizi 
di 
intermediazione, 
ma 
impone 
solamente 
ai 
prestatori 
di 
servizi, una 
volta 
realizzata 
detta 
prestazione, di 
conservarne 
i 
dati 
ai 
fini 
dell’esatta 
riscossione 
delle 
imposte 
relative 
alla 
locazione 
dei 
beni 
di 
cui 
trattasi 
presso 
i 
proprietari 
interessati (v., per analogia, sentenza 
Airbnb ireland, punto 41). 


45 A 
tal 
riguardo, da 
una 
giurisprudenza 
costante 
risulta 
che 
una 
normativa 
nazionale 
opponibile 
a 
tutti 
gli 
operatori 
che 
esercitano determinate 
attività 
sul 
territorio nazionale, che 
non ha 
lo scopo di 
disciplinare 
le 
condizioni 
relative 
all’esercizio della 
prestazione 
dei 
servizi 
delle 
imprese 
interessate 
e 
i 
cui 
eventuali 
effetti 
restrittivi 
sulla 
libera 
prestazione 
dei 
servizi 
sono troppo aleatori 
e 
troppo indiretti 
perché 
l’obbligo da 
essa 
sancito possa 
considerarsi 
idoneo 
a 
ostacolare 
tale 
libertà, 
non 
contrasta 
con 
il 
divieto 
di 
cui 
all’articolo 
56 tFue (sentenza 
Airbnb ireland, punto 42 e giurisprudenza ivi citata). 


46 le 
ricorrenti 
nel 
procedimento principale 
obiettano che 
la 
quasi 
totalità 
delle 
piattaforme 
online 
di 
cui 
trattasi, e 
più in particolare 
quelle 
che 
gestiscono anche 
i 
pagamenti, sono 
stabilite 
in 
Stati 
membri 
diversi 
dall’italia 
e 
che, 
pertanto, 
il 
regime 
fiscale 
del 
2017 
incide 
più 
specificamente 
su 
servizi 
di 
intermediazione 
come 
quelli 
che 
esse 
assicurano. 
Nel 
corso 
dell’udienza, 
esse 
hanno 
aggiunto 
che, 
in 
realtà, 
tale 
regime 
fiscale 
era 
stato 
previsto 
per le piattaforme che gestiscono i pagamenti ed esclusivamente per queste ultime. 


47 A 
tal 
proposito, è 
vero che 
l’evoluzione 
dei 
mezzi 
tecnologici 
nonché 
l’attuale 
configurazione 
del 
mercato della 
prestazione 
di 
servizi 
di 
intermediazione 
immobiliare 
portano 
alla 
constatazione 
che 
gli 
intermediari, 
che 
forniscono 
le 
loro 
prestazioni 
mediante 
un 
portale 
telematico, possono far fronte, in applicazione 
di 
una 
normativa 
come 
quella 
di 
cui 
al 
procedimento principale, a 
un obbligo di 
trasmissione 
di 
dati 
all’amministrazione 
tributaria 
più 
frequente 
e 
più 
impegnativo 
di 
quello 
gravante 
su 
altri 
intermediari. 
tuttavia, 
tale 
obbligo più gravoso è 
solo il 
riflesso di 
un maggior numero di 
transazioni 
alle 
quali 
detti 
intermediari 
procedono 
e 
della 
loro 
rispettiva 
quota 
di 
mercato 
(sentenza 
Airbnb 
ireland, 
punto 44). 


48 inoltre, nel 
caso di 
specie, contrariamente 
a 
quanto constatato dalla 
Corte 
nella 
sentenza 
del 
12 
settembre 
2019, 
VG 
Media 
(C‑299/17, 
eu:C:2019:716, 
punto 
37), 
la 
formulazione 
del 
regime 
fiscale 
del 
2017 non è 
neutra 
solo in apparenza, poiché 
essa 
riguarda 
effettivamente 
tutti 
i 
prestatori 
di 
servizi 
di 
intermediazione 
immobiliare 
e, 
in 
particolare, 
come 
ricordato dalla Commissione in udienza, le agenzie immobiliari. 


49 la 
Corte 
ha 
poi 
avuto modo di 
sottolineare 
che 
non rientrano nell’ambito dell’articolo 56 
tFue 
misure 
il 
cui 
unico effetto sia 
quello di 
causare 
costi 
supplementari 
per la 
prestazione 
di 
cui 
si 
tratti 
e 
che 
incidano allo stesso modo sulla 
prestazione 
di 
servizi 
tra 
gli 
Stati 
membri 
e 
su quella 
interna 
a 
uno Stato membro (sentenza 
Airbnb ireland, punto 46 
e giurisprudenza ivi citata). 


50 infine, anche 
se 
l’obbligo, imposto a 
tutti 
i 
prestatori 
di 
servizi 
di 
intermediazione 
immobiliare, 
di 
raccogliere 
e 
fornire 
all’amministrazione 
fiscale 
informazioni 
afferenti 
ai 
dati 
relativi 
ai 
contratti 
di 
locazione 
stipulati 
a 
seguito della 
loro intermediazione 
può causare 
costi 
supplementari, segnatamente 
connessi 
alla 
ricerca 
e 
all’archiviazione 
dei 
dati 
di 
cui 
trattasi, 
si 
deve 
osservare, 
soprattutto 
nel 
caso 
di 
servizi 
di 
intermediazione 
forniti 
tramite 
strumenti 
digitali, 
che 
i 
dati 
in 
parola 
sono 
memorizzati 
e 
digitalizzati 
da 
intermediari 
come 
le 
ricorrenti 
nel 
procedimento 
principale 
cosicché, 
in 
ogni 
caso, 
il 
costo 
supplementare 
che suddetto obbligo causa ad intermediari siffatti appare ridotto. 


51 Questo primo tipo di 
obblighi 
non comporta 
quindi 
restrizioni 
alla 
libera 
prestazione 
di 
servizi garantita dall’articolo 56 tFue. 



CoNteNzioSo 
CoMuNitARio 
eD 
iNteRNAzioNAle 
75 


52 
in 
secondo 
luogo, 
per 
quanto 
riguarda 
l’obbligo 
di 
ritenuta 
alla 
fonte 
dell’imposta 
dovuta 
sulle 
somme 
versate 
dai 
conduttori 
ai 
locatori 
e 
di 
versamento 
di 
detta 
imposta 
all’erario, 
occorre 
rilevare, da 
un lato, per gli 
stessi 
motivi 
esposti 
ai 
punti 
da 
43 a 
48 della 
presente 
sentenza, che 
il 
regime 
fiscale 
del 
2017 concerne, a 
tale 
riguardo, tutti 
i 
terzi 
che 
intervengono 
in un processo di 
locazione 
immobiliare 
breve, indipendentemente 
dal 
fatto che 
si 
tratti 
di 
persone 
fisiche 
o giuridiche, che 
queste 
ultime 
risiedano o siano stabilite 
sul 
territorio 
italiano 
o 
meno 
e 
che 
intervengano 
tramite 
strumenti 
digitali 
o 
con 
altre 
modalità 
di 
contatto, qualora 
essi 
abbiano scelto, nell’ambito della 
loro prestazione 
di 
servizi, di 
incassare 
i 
canoni 
o 
i 
corrispettivi 
relativi 
ai 
contratti 
oggetto 
del 
regime 
del 
2017, 
oppure 
di intervenire nella riscossione di siffatti canoni o corrispettivi. 


53 
D’altro 
lato, 
è 
vero, 
tuttavia, 
come 
rilevato 
dalla 
Commissione 
nelle 
sue 
osservazioni, 
che, 
quando 
il 
prestatore 
di 
servizi 
è 
stabilito 
in 
uno 
Stato 
membro 
diverso 
dall’italia, 
agisce 
in 
qualità 
di 
«responsabile 
d’imposta», 
conformemente 
all’articolo 
4, 
comma 
5 
bis, del 
regime 
fiscale 
del 
2017, mentre, quando è 
stabilito in italia, esso ha 
la 
qualità, ai 
sensi 
dell’articolo 4, comma 
5, di 
tale 
regime, di 
«sostituto d’imposta», vale 
a 
dire 
di 
sostituto 
fiscale, 
il 
che 
ha 
come 
conseguenza, 
nei 
confronti 
dell’erario, 
di 
sostituirlo 
al 
contribuente 
e di renderlo debitore dell’imposta. 


54 Benché 
occorra 
considerare, al 
pari 
dell’avvocato generale 
al 
paragrafo 56 delle 
sue 
conclusioni, 
che 
questo secondo tipo di 
obblighi 
comporta, per i 
prestatori 
di 
servizi 
di 
intermediazione 
immobiliare, un onere 
ben più rilevante 
di 
quello collegato ad un semplice 
obbligo di 
informazione, anche 
solo a 
causa 
della 
responsabilità 
finanziaria 
che 
esso genera 
non 
solo 
nei 
confronti 
dello 
Stato 
di 
imposizione, 
ma 
altresì 
nei 
confronti 
dei 
clienti, 
dal 
regime 
fiscale 
del 
2017 non risulta, fatta 
salva 
la 
valutazione 
del 
giudice 
del 
rinvio, 
che 
tale 
onere 
sia 
più gravoso per i 
prestatori 
di 
servizi 
di 
intermediazione 
immobiliare 
stabiliti 
in 
uno 
Stato 
membro 
diverso 
dall’italia 
rispetto 
a 
quanto 
lo 
sia 
per 
le 
imprese 
che 
hanno 
ivi 
uno 
stabilimento, 
nonostante 
la 
loro 
differente 
denominazione. 
Detto 
regime 
fiscale, infatti, impone 
loro gli 
stessi 
obblighi 
di 
ritenuta 
alla 
fonte 
in nome 
dell’amministrazione 
fiscale 
e 
di 
pagamento 
dell’imposta 
cedolare 
secca 
del 
21% 
a 
quest’ultima, 
dato 
che 
il 
prelievo è 
effettuato a 
titolo liberatorio, quando il 
proprietario del 
bene 
immobile 
interessato ha 
optato per l’aliquota 
preferenziale, e 
a 
titolo di 
acconto, qualora 
così 
non 
fosse. 


55 Non risulta 
quindi, per quanto riguarda 
il 
secondo tipo di 
obblighi, che 
sia 
possibile 
ritenere 
che 
una 
normativa 
come 
il 
regime 
fiscale 
del 
2017, il 
cui 
unico effetto è 
quello di 
causare 
costi 
supplementari 
per 
la 
prestazione 
di 
cui 
trattasi 
e 
che 
incide 
allo 
stesso 
modo 
sulla 
prestazione 
di 
servizi 
fra 
gli 
Stati 
membri 
e 
su quella 
interna 
ad uno Stato membro, 
vieti, ostacoli 
o renda 
meno attraente 
l’esercizio della 
libera 
prestazione 
dei 
servizi 
(v., 
in 
tal 
senso, 
sentenza 
del 
3 
marzo 
2020, 
Google 
ireland, 
C‑482/18, 
eu:C:2020:141, 
punti 
25 e 26 e giurisprudenza ivi citata). 


56 
in 
terzo 
luogo, 
per 
quanto 
riguarda 
l’obbligo 
di 
designare 
un 
rappresentante 
fiscale 
in 
italia, dalla 
formulazione 
stessa 
dell’articolo 4, commi 
5 e 
5 bis, del 
regime 
fiscale 
del 
2017 risulta 
che 
esso grava 
unicamente 
su taluni 
prestatori 
di 
servizi 
di 
intermediazione 
immobiliare 
privi 
di 
stabile 
organizzazione 
in 
italia, 
qualificati 
come 
«responsabili 
d’imposta
», 
mentre 
i 
prestatori 
di 
tali 
servizi 
stabiliti 
in 
italia, 
qualificati 
come 
«sostituti 
d’imposta
», vale a dire sostituti fiscali, non vi sono assoggettati. 


57 occorre 
precisare, al 
riguardo, che 
questo terzo tipo di 
obblighi 
non riguarda 
tutti 
i 
prestatori 
di 
servizi 
di 
intermediazione 
immobiliare 
non stabiliti 
in italia 
e 
che 
intervengono 



RASSeGNA 
AVVoCAtuRA 
Dello 
StAto -N. 3/2022 


nel 
processo 
di 
locazione 
breve 
di 
beni 
immobili 
ivi 
situati. 
infatti, 
l’obbligo 
di 
designare 
un rappresentante 
fiscale 
dipende 
dalla 
scelta, da 
parte 
dei 
prestatori 
summenzionati, di 
incassare 
o meno i 
canoni 
o i 
corrispettivi 
relativi 
ai 
contratti 
oggetto del 
regime 
fiscale 
del 
2017, oppure 
di 
intervenire 
o meno nella 
riscossione 
di 
detti 
canoni 
o corrispettivi, 
vale 
a 
dire 
di 
assoggettarsi, in pratica, al 
secondo tipo di 
obblighi 
e 
di 
effettuare 
a 
tale 
titolo 
un 
prelievo 
sulle 
somme 
riscosse, 
a 
titolo 
liberatorio, 
quando 
il 
proprietario 
del 
bene 
immobile 
interessato ha 
optato per l’aliquota 
preferenziale 
del 
21%, e 
a 
titolo di 
acconto, 
qualora così non fosse. 


58 Ciò nondimeno, occorre 
constatare 
che 
il 
regime 
fiscale 
del 
2017 tratta 
in modo diverso, 
a 
seconda 
che 
dispongano o meno di 
una 
stabile 
organizzazione 
in italia, i 
prestatori 
di 
servizi di intermediazione immobiliare che effettuano tali incassi o tali interventi. 


59 Pertanto, è 
incontestabile 
che, obbligando i 
prestatori 
di 
servizi 
di 
intermediazione 
immobiliare 
privi 
di 
una 
stabile 
organizzazione 
in italia 
e 
che 
intendano integrare 
nelle 
loro 
prestazioni 
di 
servizi 
detti 
incassi 
o detti 
interventi 
a 
designare 
nello Stato membro in parola 
un 
rappresentante 
fiscale, 
il 
regime 
fiscale 
del 
2017 
impone 
loro 
di 
avviare 
procedure 
e 
di 
sopportare, in pratica, il 
costo della 
retribuzione 
di 
detto rappresentante. tali 
vincoli 
determinano, per detti 
operatori, un ostacolo idoneo a 
dissuaderli 
dall’effettuare 
servizi 
di 
intermediazione 
immobiliare 
in 
italia, 
quantomeno 
secondo 
le 
modalità 
corrispondenti 
alla 
loro volontà. Ne 
deriva 
che 
l’obbligo summenzionato deve 
essere 
considerato quale 
restrizione 
alla 
libera 
circolazione 
dei 
servizi, vietata, in linea 
di 
principio, dall’articolo 
56 
tFue 
(v., 
per 
analogia, 
sentenza 
del 
5 
maggio 
2011, 
Commissione/Portogallo, 
C‑267/09, eu:C:2011:273, punto 37). 


60 Ciò 
posto, 
il 
giudice 
del 
rinvio 
ha 
correttamente 
rilevato 
che 
la 
Corte, 
nella 
sua 
giurisprudenza, 
non 
aveva 
enunciato 
un 
principio 
di 
incompatibilità 
tra 
l’obbligo 
di 
designare 
un 
rappresentante 
fiscale, 
imposto 
da 
una 
normativa 
o 
da 
una 
disciplina 
nazionale 
nei 
confronti 
di 
persone 
fisiche 
o 
giuridiche 
residenti 
o 
stabilite 
in 
uno 
Stato 
membro 
diverso 
da 
quello 
di 
imposizione, 
e 
la 
libera 
prestazione 
dei 
servizi, 
dal 
momento 
che, 
in 
ogni 
caso 
di 
specie, 
la 
Corte 
ha 
esaminato, 
alla 
luce 
delle 
caratteristiche 
proprie 
dell’obbligo 
in 
esame, 
se 
la 
restrizione 
che 
quest’ultimo 
comportava 
potesse 
essere 
giustificata 
alla 
luce 
dei 
motivi 
imperativi 
d’interesse 
generale 
perseguiti 
dalla 
disciplina 
nazionale 
in 
discussione, 
quali 
invocati 
dinanzi 
alla 
Corte 
dallo 
Stato 
membro 
interessato 
(sentenze 
del 
5 
luglio 
2007, 
Commissione/Belgio, 
C‑522/04, 
eu:C:2007:405, 
punti 
da 
47 
a 
58; 
del 
5 
maggio 
2011, 
Commissione/Portogallo, 
C‑267/09, 
eu:C:2011:273, 
punti 
da 
38 
a 
46, 
e 
dell’11 
dicembre 
2014, 
Commissione/Spagna, 
C‑678/11, 
eu:C:2014:2434, 
punti 
da 
42 
a 
62). 


61 
occorre, 
di 
conseguenza, 
procedere 
all’esame 
dell’obbligo 
imposto 
ai 
«responsabili 
d’imposta
» di 
designare 
un rappresentante 
fiscale 
alla 
luce 
della 
giurisprudenza 
ricordata 
al 
punto 60 della presente sentenza. 


62 in primo luogo, per quanto riguarda 
i 
motivi 
addotti 
dallo Stato membro interessato per 
giustificare 
la 
restrizione 
rilevata 
al 
punto 59 della 
presente 
sentenza, essi 
rientrano nel-
l’ambito del 
contrasto all’evasione 
fiscale 
nel 
settore 
delle 
locazioni 
brevi, poiché 
quest’ultimo 
presenta, 
secondo 
i 
termini 
del 
giudice 
del 
rinvio, 
un 
«tasso 
strutturalmente 
alto 
di 
evasione 
fiscale». A 
tal 
riguardo, occorre 
sottolineare 
che 
la 
Corte 
ha 
più volte 
dichiarato 
che 
la 
lotta 
contro l’evasione 
fiscale 
e 
l’efficacia 
dei 
controlli 
fiscali 
possono essere 
invocate 
per giustificare 
restrizioni 
all’esercizio delle 
libertà 
fondamentali 
garantite 
dal 
trattato 
Fue 
(sentenza 
dell’11 
dicembre 
2014, 
Commissione/Spagna, 
C‑678/11, 
eu:C:2014:2434, punto 45 e giurisprudenza ivi citata). 



CoNteNzioSo 
CoMuNitARio 
eD 
iNteRNAzioNAle 


63 Parimenti, la 
necessità 
di 
garantire 
l’efficacia 
della 
riscossione 
dell’imposta 
costituisce 
una 
ragione 
imperativa 
di 
interesse 
generale 
tale 
da 
giustificare 
una 
restrizione 
alla 
libera 
prestazione 
dei 
servizi 
(sentenza 
dell’11 
dicembre 
2014, 
Commissione/Spagna, 
C‑678/11, 
eu:C:2014:2434, punto 46 e giurisprudenza ivi citata). 


64 È 
precisamente 
nel 
perseguimento di 
tale 
obiettivo che 
si 
inserisce 
l’obbligo, imposto ai 
prestatori 
di 
servizi 
di 
intermediazione 
immobiliare 
che 
effettuano gli 
incassi 
o gli 
interventi 
menzionati 
al 
punto 58 della 
presente 
sentenza 
e 
privi 
di 
una 
stabile 
organizzazione 
in italia, di 
designarvi 
un rappresentante 
fiscale. infatti, nei 
limiti 
in cui, in qualità 
di 
«responsabili 
d’imposta», 
i 
prestatori 
suddetti 
sono 
incaricati 
di 
effettuare 
il 
prelievo 
alla 
fonte 
in nome 
delle 
autorità 
italiane, queste 
ultime 
intendono, tramite 
il 
rappresentante 
fiscale, assicurarsi 
che 
tale 
compito sia 
stato condotto a 
buon fine 
e 
che 
gli 
importi 
percepiti, 
debitamente 
prelevati, 
siano 
stati 
poi 
correttamente 
versati 
all’amministrazione 
fiscale, 
fermo 
restando 
che 
siffatta 
attività 
di 
controllo 
è 
semplificata 
per 
i 
prestatori 
di 
servizi 
di 
intermediazione 
immobiliare 
stabiliti 
in italia 
poiché, dal 
momento che 
effettuano 
prelievi 
del 
genere, 
essi 
acquistano 
ipso 
iure, 
come 
si 
evince 
dal 
punto 
53 
della 
presente 
sentenza, la qualità di «sostituti d’imposta», vale a dire di sostituti fiscali. 


65 Del 
resto, è 
paradossale 
che 
le 
ricorrenti 
nel 
procedimento principale 
contestino alle 
autorità 
italiane 
di 
aver istituito, adottando il 
regime 
fiscale 
del 
2017, una 
presunzione 
generale 
di 
evasione 
o frode 
fiscale 
fondata 
sulla 
circostanza 
che 
un prestatore 
di 
servizi 
è 
stabilito in un altro Stato membro, presunzione 
esclusa 
dall’articolo 56 tFue 
(sentenza 
del 
19 
giugno 
2014, 
Strojírny 
Prostějov 
e 
ACo 
industries 
tábor, 
C‑53/13 
e 
C‑80/13, 
eu:C:2014:2011, 
punto 
56 
e 
giurisprudenza 
ivi 
citata), 
laddove 
tale 
regime 
conferisce 
loro, 
al 
contrario, 
il 
compito 
di 
effettuare, 
in 
nome 
dell’amministrazione 
fiscale, 
il 
prelievo 
alla 
fonte 
dell’importo corrispondente 
all’imposta 
dovuta 
e 
di 
effettuarne 
il 
versamento 
all’erario, compito il 
cui 
controllo il 
legislatore 
italiano ha 
inteso semplificare 
tramite 
la 
designazione di un rappresentante fiscale in italia. 


66 
occorre 
dunque 
considerare 
che 
una 
misura 
fiscale 
come 
il 
terzo 
tipo 
di 
obblighi 
risultanti 
dal 
regime 
fiscale 
del 
2017 
persegue 
uno 
scopo 
legittimo 
compatibile 
con 
il 
trattato 
Fue 
ed è giustificata da motivi imperativi di interesse generale. 


67 
in 
secondo 
luogo, 
è 
incontestabile 
che 
siffatto 
tipo 
di 
obblighi 
è, 
in 
circostanze 
come 
quelle 
di 
cui 
al 
procedimento 
principale, 
idoneo 
a 
garantire 
la 
realizzazione 
dell’obiettivo 
del contrasto all’evasione fiscale. 


68 in particolare, occorre 
porre 
in evidenza 
il 
fatto che, come 
rilevato, in sostanza, dall’avvocato 
generale 
ai 
paragrafi 
2 e 
3 delle 
sue 
conclusioni, il 
ricorso a 
prestatori 
di 
servizi 
di 
intermediazione 
immobiliare 
che 
gestiscono un portale 
telematico, come 
le 
ricorrenti 
nel 
procedimento principale, ha 
conosciuto uno sviluppo esponenziale 
e 
che 
tali 
prestazioni 
di 
servizi, le 
quali, fornite 
via 
internet, possono quindi, in linea 
di 
principio, essere 
transfrontaliere, corrispondono tuttavia 
ad operazioni 
di 
locazione 
che 
hanno un’ubicazione 
fisica 
precisa 
e, di 
conseguenza, risultano atte 
ad essere 
soggette 
ad imposizione 
in 
funzione del diritto tributario dello Stato membro interessato. 


69 inoltre, indipendentemente 
dal 
fatto che 
le 
prestazioni 
di 
servizi 
di 
intermediazione 
immobiliare 
di 
cui 
trattasi 
siano svolte 
da 
prestatori 
che 
esercitano la 
loro attività 
mediante 
portali 
telematici, come 
le 
ricorrenti 
nel 
procedimento principale, o che 
siano effettuate 
da 
operatori 
economici 
più tradizionali, quali 
le 
agenzie 
immobiliari, si 
deve 
rilevare 
che 
tali 
locazioni 
sono spesso brevi, ai 
sensi 
dell’articolo 4, comma 
1, del 
regime 
fiscale 
del 
2017. Di 
conseguenza, qualunque 
sia 
la 
modalità 
di 
intermediazione 
dei 
prestatori 
di 
ser



RASSeGNA 
AVVoCAtuRA 
Dello 
StAto -N. 3/2022 


vizi 
interessati, 
uno 
stesso 
bene 
immobile 
situato 
in 
italia 
può 
essere 
oggetto 
di 
locazione 
numerose 
volte 
nel 
corso di 
un esercizio fiscale 
da 
parte 
di 
un dato locatore 
a 
favore 
di 
conduttori 
ipoteticamente 
residenti 
in 
altri 
Stati 
membri, 
per 
il 
tramite 
di 
prestatori 
di 
servizi 
essi 
stessi, 
eventualmente, 
stabiliti 
sul 
territorio 
di 
un 
altro 
Stato 
membro, 
i 
quali, 
ciononostante, 
sono 
incaricati 
di 
prelevare 
alla 
fonte 
l’importo 
corrispondente 
all’ammontare 
dell’imposta 
dovuta 
dal 
locatore 
e 
di 
versarlo 
all’amministrazione 
fiscale. 
Si 
deve 
quindi 
ritenere 
che 
l’obbligo, imposto ai 
prestatori 
di 
servizi 
di 
intermediazione 
immobiliare 
privi 
di 
una 
stabile 
organizzazione 
in italia, di 
designarvi 
un rappresentante 
fiscale 
sia 
idoneo 
a 
garantire 
il 
conseguimento 
dell’obiettivo 
di 
contrasto 
all’evasione 
fiscale e a consentire l’esatta riscossione dell’imposta. 


70 in terzo luogo, occorre 
verificare 
se 
una 
misura 
come 
il 
terzo tipo di 
obblighi 
risultanti 
dal 
regime 
fiscale 
del 
2017 non ecceda 
quanto necessario per raggiungere 
tale 
obiettivo. 


71 
Anzitutto, 
l’esame 
della 
proporzionalità 
di 
una 
siffatta 
misura 
porta 
a 
constatare 
che, 
a 
differenza 
delle 
cause 
all’origine 
delle 
sentenze 
citate 
al 
punto 
60 
della 
presente 
sentenza, 
nelle 
quali 
le 
persone 
fisiche 
o giuridiche 
interessate 
dall’obbligo di 
designazione 
di 
un 
rappresentante 
fiscale 
nel 
territorio 
dello 
Stato 
membro 
di 
imposizione 
erano 
contribuenti, 
l’obbligo in parola 
riguarda, nel 
caso di 
specie, prestatori 
di 
servizi 
che 
hanno agito in 
qualità 
di 
responsabili 
d’imposta 
e 
che 
hanno già, a 
tale 
titolo, prelevato l’importo corrispondente 
all’imposta 
dovuta 
dai 
contribuenti, vale 
a 
dire 
i 
proprietari 
degli 
immobili 
interessati, 
per conto dell’erario. Ciò non toglie 
che, anche 
in una 
fattispecie 
del 
genere, il 
carattere 
proporzionato di 
un siffatto obbligo implica 
che 
non esistano misure 
idonee 
a 
soddisfare 
l’obiettivo 
del 
contrasto 
all’evasione 
fiscale 
e 
dell’esatta 
riscossione 
della 
suddetta 
imposta, 
da 
parte 
dell’amministrazione 
fiscale 
interessata, 
che 
siano 
meno 
lesive 
della 
libera 
prestazione 
dei 
servizi 
rispetto all’obbligo di 
designare 
un rappresentante 
fiscale 
residente o stabilito nel territorio dello Stato membro di imposizione. 


72 
inoltre, 
poiché 
l’obbligo 
in 
parola 
si 
applica 
indifferentemente 
a 
tutti 
i 
prestatori 
di 
servizi 
di 
intermediazione 
immobiliare 
privi 
di 
una 
stabile 
organizzazione 
in italia 
e 
che 
hanno 
scelto, 
nell’ambito 
delle 
loro 
prestazioni, 
di 
incassare 
i 
canoni 
di 
locazione 
o 
i 
corrispettivi 
relativi 
ai 
contratti 
oggetto 
del 
regime 
fiscale 
del 
2017, 
oppure 
di 
intervenire 
nella 
riscossione 
di 
tali 
canoni 
o corrispettivi, senza 
distinguere 
in funzione, ad esempio, del 
volume 
di 
entrate 
fiscali 
prelevate 
o 
che 
poteva 
essere 
prelevato 
annualmente 
per 
conto 
dell’erario 
da 
parte 
dei 
suddetti 
prestatori, occorre 
considerare 
che 
il 
terzo tipo di 
obblighi 
risultanti 
dal 
regime 
fiscale 
del 
2017 eccede 
quanto necessario per raggiungere 
gli 
obiettivi 
del 
regime 
di cui trattasi. 
73 infine, anche 
se 
è 
corretto affermare 
che 
il 
gran numero di 
transazioni 
e 
di 
beni 
immobili 
che 
possono essere 
oggetto di 
una 
transazione 
per il 
tramite 
dei 
prestatori 
d’intermediazione 
immobiliare 
interessati 
rende 
complesso 
il 
compito 
delle 
autorità 
fiscali 
dello 
Stato 
membro di 
imposizione, esso non comporta 
tuttavia, contrariamente 
a 
quanto sostiene 
il 
governo italiano, il 
ricorso ad una 
misura 
come 
l’obbligo di 
designazione 
di 
un rappresentante 
fiscale 
residente 
o stabilito nel 
territorio di 
tale 
Stato posto che, in primo luogo, 
il 
primo tipo di 
obblighi 
è 
volto precisamente 
a 
fornire 
a 
dette 
autorità 
fiscali 
tutte 
le 
informazioni 
atte 
a 
consentire 
al 
contempo 
di 
identificare 
i 
contribuenti 
debitori 
dell’imposta 
e 
di 
determinare 
la 
base 
imponibile 
di 
quest’ultima, in secondo luogo, il 
secondo tipo di 
obblighi 
consente 
di 
garantire 
il 
prelievo 
alla 
fonte 
dell’imposta 
in 
parola 
e, 
in 
terzo 
luogo, 
il 
legislatore 
italiano non ha 
considerato la 
possibilità 
che 
il 
summenzionato rappresentante 
fiscale 
-presso 
cui 
esso 
possa 
sincerarsi 
dell’esatta 
riscossione 
delle 
imposte 
da 



CoNteNzioSo 
CoMuNitARio 
eD 
iNteRNAzioNAle 


parte 
di 
tali 
prestatori 
di 
servizi 
nonché 
del 
corretto versamento all’erario degli 
importi 
corrispondenti 
-abbia 
la 
possibilità 
di 
risiedere 
o di 
essere 
stabilito in uno Stato membro 
diverso dall’italia. 


74 in proposito, la 
semplice 
affermazione 
che 
il 
requisito della 
residenza 
costituisce 
la 
migliore 
garanzia 
dell’efficace 
adempimento degli 
obblighi 
di 
natura 
tributaria 
incombenti 
sul 
rappresentante 
fiscale 
è 
irrilevante. Se 
il 
controllo su un tale 
rappresentante 
da 
parte 
delle 
autorità 
fiscali 
di 
uno 
Stato 
membro 
può 
effettivamente 
risultare 
più 
difficile 
qualora 
questi 
sia 
stabilito in un altro Stato membro, dalla 
giurisprudenza 
discende 
tuttavia 
che 
le 
difficoltà 
amministrative 
non costituiscono, di 
per sé, un motivo atto a 
giustificare 
un 
ostacolo a 
una 
libertà 
fondamentale 
garantita 
dal 
diritto dell’unione 
(v., in tal 
senso, sentenza 
dell’11 dicembre 
2014, Commissione/Spagna, C‑678/11, eu:C:2014:2434, punto 
61 e giurisprudenza ivi citata). 


75 Date 
tali 
circostanze, non risulta 
che 
il 
controllo del 
rispetto degli 
obblighi 
gravanti 
sui 
prestatori 
di 
servizi 
interessati 
in qualità 
di 
responsabili 
d’imposta 
non possa 
essere 
garantito 
con mezzi 
meno lesivi 
dell’articolo 56 tFue 
rispetto alla 
nomina 
di 
un rappresentante 
fiscale residente in italia. 


76 
Va 
ulteriormente 
osservato, 
come 
rilevato 
dall’avvocato 
generale 
al 
paragrafo 
82 
delle 
sue 
conclusioni, 
che 
l’obbligo 
di 
designare 
un 
rappresentante 
fiscale 
è, 
in 
circostanze 
come 
quelle 
di 
cui 
al 
regime 
fiscale 
del 
2017, contrario all’articolo 56 tFue 
(v., in tal 
senso, 
sentenze 
del 
5 
luglio 
2007, 
Commissione/Belgio, 
C‑522/04, 
eu:C:2007:405, 
e 
dell’11 dicembre 2014, Commissione/Spagna, C‑678/11, eu:C:2014:2434). 


77 tenuto 
conto 
di 
tutte 
le 
considerazioni 
che 
precedono, 
occorre 
rispondere 
alla 
prima 
e 
alla 
seconda 
questione 
pregiudiziale 
dichiarando 
che 
l’articolo 
56 
tFue 
deve 
essere 
interpretato 
nel 
senso 
che: 


-in primo luogo, esso non osta 
alla 
normativa 
di 
uno Stato membro che 
impone 
ai 
prestatori 
di 
servizi 
di 
intermediazione 
immobiliare, 
indipendentemente 
dal 
loro 
luogo 
di 
stabilimento 
e 
dalla 
modalità 
attraverso 
cui 
essi 
intervengono, 
riguardo 
a 
locazioni 
di 
durata 
non superiore 
a 
30 giorni 
concernenti 
beni 
immobili 
situati 
nel 
territorio di 
tale 
Stato 
membro, 
di 
raccogliere 
e 
successivamente 
comunicare 
all’amministrazione 
fiscale 
nazionale 
i 
dati 
relativi 
ai 
contratti 
di 
locazione 
stipulati 
a 
seguito 
della 
loro 
intermediazione 
e, 
qualora 
tali 
prestatori 
abbiano 
incassato 
i 
canoni 
o 
i 
corrispettivi 
corrispondenti 
oppure 
siano intervenuti 
nella 
loro percezione, di 
prelevare 
alla 
fonte 
l’ammontare 
dell’imposta 
dovuta 
sulle 
somme 
versate 
dai 
conduttori 
ai 
locatori 
e 
di 
versarlo 
all’erario 
di 
detto 
Stato 
membro; 
-in 
secondo 
luogo, 
esso 
osta 
alla 
normativa 
di 
uno 
Stato 
membro 
che 
impone 
ai 
prestatori 
di 
servizi 
di 
intermediazione 
immobiliare, riguardo a 
locazioni 
di 
durata 
non superiore 
a 
30 giorni 
concernenti 
beni 
immobili 
situati 
nel 
territorio di 
tale 
Stato membro, qualora 
tali 
prestatori 
abbiano incassato i 
canoni 
o i 
corrispettivi 
corrispondenti 
oppure 
siano intervenuti 
nella 
loro 
percezione 
e 
risiedano 
o 
siano 
stabiliti 
nel 
territorio 
di 
uno 
Stato 
membro 
diverso da 
quello di 
imposizione, di 
designare 
un rappresentante 
fiscale 
residente 
o 
stabilito nel territorio dello Stato membro di imposizione. 
Sulla terza questione pregiudiziale 


78 Con la 
terza 
questione 
pregiudiziale, il 
giudice 
del 
rinvio chiede 
se 
l’articolo 267 tFue 
debba 
essere 
interpretato nel 
senso che, in presenza 
di 
una 
questione 
di 
interpretazione 
del 
diritto 
dell’unione 
sollevata 
da 
una 
delle 
parti 
nel 
procedimento 
principale, 
il 
giudice 
nazionale, le 
cui 
decisioni 
non sono impugnabili 
con un ricorso giurisdizionale 
di 
diritto 



RASSeGNA 
AVVoCAtuRA 
Dello 
StAto -N. 3/2022 


interno, mantenga 
la 
facoltà 
di 
procedere 
all’autonoma 
formulazione 
delle 
questioni 
pregiudiziali 
da 
sottoporre 
alla 
Corte 
o se 
sia 
tenuto a 
riportare 
le 
questioni 
così 
come 
formulate 
dalla parte nel procedimento principale che chiede il rinvio. 


79 
Come 
la 
Corte 
ha 
recentemente 
avuto 
modo 
di 
ricordare, 
allorché 
non 
esiste 
alcun 
ricorso 
giurisdizionale 
di 
diritto 
interno 
avverso 
la 
decisione 
di 
un 
giudice 
nazionale, 
quest’ultimo 
è, 
in 
linea 
di 
principio, 
tenuto 
a 
rivolgersi 
alla 
Corte, 
ai 
sensi 
dell’articolo 
267, 
terzo 
comma, tFue, quando è 
chiamato a 
pronunciarsi 
su una 
questione 
d’interpretazione 
del 
diritto 
dell’unione 
(sentenza 
del 
6 
ottobre 
2021, 
Consorzio 
italian 
Management 
e 
Catania 
Multiservizi, C‑561/19, eu:C:2021:799, punto 32 e giurisprudenza ivi citata). 


80 un giudice 
nazionale, avverso le 
cui 
decisioni 
non possa 
proporsi 
un ricorso giurisdizionale 
di 
diritto interno, può essere 
esonerato da 
tale 
obbligo solo quando abbia 
constatato 
che 
la 
questione 
sollevata 
non è 
rilevante, o che 
la 
disposizione 
del 
diritto dell’unione 
di 
cui 
trattasi 
è 
già 
stata 
oggetto 
d’interpretazione 
da 
parte 
della 
Corte, 
oppure 
che 
la 
corretta 
interpretazione 
del 
diritto dell’unione 
si 
impone 
con tale 
evidenza 
da 
non lasciar adito a 
ragionevoli 
dubbi 
(sentenza 
del 
6 ottobre 
2021, Consorzio italian Management 
e 
Catania 
Multiservizi, C‑561/19, eu:C:2021:799, punto 33 e giurisprudenza ivi citata). 


81 A 
tal 
riguardo occorre 
rammentare, in primo luogo, che 
dal 
rapporto fra 
il 
secondo e 
il 
terzo comma 
dell’articolo 267 tFue 
discende 
che 
i 
giudici 
di 
cui 
a 
detto comma 
terzo 
dispongono dello stesso potere 
di 
valutazione 
di 
tutti 
gli 
altri 
giudici 
nazionali 
nello stabilire 
se 
sia 
necessaria 
una 
pronuncia 
su un punto di 
diritto dell’unione, onde 
consentire 
loro di 
decidere. tali 
giudici 
non sono pertanto tenuti 
a 
sottoporre 
una 
questione 
di 
interpretazione 
del 
diritto dell’unione 
sollevata 
dinanzi 
ad essi 
se 
questa 
non è 
rilevante, vale 
a 
dire 
nel 
caso 
in 
cui 
la 
sua 
soluzione, 
qualunque 
essa 
sia, 
non 
possa 
in 
alcun 
modo 
influire 
sull’esito della 
controversia 
(sentenza 
del 
6 ottobre 
2021, Consorzio italian Management 
e 
Catania 
Multiservizi, C‑561/19, eu:C:2021:799, punto 34 e 
giurisprudenza 
ivi 
citata). 


82 
Spetta 
al 
solo 
giudice 
nazionale, 
cui 
è 
stata 
sottoposta 
la 
controversia 
e 
che 
deve 
assumersi 
la 
responsabilità 
della 
futura 
decisione 
giurisdizionale, 
valutare, 
alla 
luce 
delle 
particolari 
circostanze 
della 
causa, 
tanto 
la 
necessità 
quanto 
la 
rilevanza 
delle 
questioni 
che 
sottopone 
alla 
Corte 
(sentenza 
del 
6 ottobre 
2021, Consorzio italian Management 
e 
Catania 
Multi-
servizi, C‑561/19, eu:C:2021:799, punto 35 e giurisprudenza ivi citata). 


83 A 
tal 
riguardo occorre 
rammentare 
che 
il 
sistema 
di 
cooperazione 
diretta 
tra 
la 
Corte 
e 
i 
giudici 
nazionali, 
instaurato 
dall’articolo 
267 
tFue, 
è 
estraneo 
a 
qualsiasi 
iniziativa 
delle 
parti 
nel 
procedimento principale. Queste 
ultime 
non possono privare 
i 
giudici 
nazionali 
della 
loro 
indipendenza 
nell’esercizio 
del 
potere 
di 
valutazione 
di 
cui 
ai 
punti 
81 
e 
82 
della 
presente 
sentenza, 
segnatamente 
obbligandoli 
a 
presentare 
una 
domanda 
di 
pronunzia 
pregiudiziale 
(v., in tal 
senso, sentenza 
del 
6 ottobre 
2021, Consorzio italian Management 
e 
Catania 
Multiservizi, 
C‑561/19, 
eu:C:2021:799, 
punto 
53 
e 
giurisprudenza 
ivi 
citata). 


84 Ne 
consegue 
che 
la 
determinazione 
e 
la 
formulazione 
delle 
questioni 
da 
sottoporre 
alla 
Corte 
spettano unicamente 
al 
giudice 
nazionale 
e 
che 
le 
parti 
in causa 
nel 
procedimento 
principale 
non possono imporne 
o modificarne 
il 
tenore 
(v., in tal 
senso, sentenza 
del 
6 
ottobre 
2021, 
Consorzio 
italian 
Management 
e 
Catania 
Multiservizi, 
C‑561/19, 
eu:C:2021:799, punti 54 e 55 e giurisprudenza ivi citata). 


85 tenuto conto di 
tutte 
le 
considerazioni 
che 
precedono, occorre 
rispondere 
alla 
terza 
questione 
pregiudiziale 
dichiarando 
che 
l’articolo 
267 
tFue 
deve 
essere 
interpretato 
nel 
senso 
che, 
in 
presenza 
di 
una 
questione 
di 
interpretazione 
del 
diritto 
dell’unione 
sollevata 



CoNteNzioSo 
CoMuNitARio 
eD 
iNteRNAzioNAle 


da 
una 
delle 
parti 
nel 
procedimento principale, la 
determinazione 
e 
la 
formulazione 
delle 
questioni 
da 
sottoporre 
alla 
Corte 
spettano soltanto al 
giudice 
nazionale 
e 
tali 
parti 
non 
possono imporne o modificarne il tenore. 


sulle spese 


86 Nei 
confronti 
delle 
parti 
nel 
procedimento principale 
la 
presente 
causa 
costituisce 
un incidente 
sollevato dinanzi 
al 
giudice 
nazionale, cui 
spetta 
quindi 
statuire 
sulle 
spese. le 
spese 
sostenute 
da 
altri 
soggetti 
per presentare 
osservazioni 
alla 
Corte 
non possono dar 
luogo a rifusione. 
Per questi motivi, la Corte (Seconda Sezione) dichiara: 


1) L’articolo 56 tFUe deve essere interpretato nel senso che: 
-in 
primo luogo, esso non 
osta alla normativa di 
uno stato membro che 
impone 
ai 
prestatori 
di 
servizi 
di 
intermediazione 
immobiliare, 
indipendentemente 
dal 
loro 
luogo di 
stabilimento e 
dalla modalità attraverso cui 
essi 
intervengono, riguardo a 
locazioni 
di 
durata non 
superiore 
a 30 giorni 
concernenti 
beni 
immobili 
situati 
nel 
territorio 
di 
tale 
stato 
membro, 
di 
raccogliere 
e 
successivamente 
comunicare 
all’amministrazione 
fiscale 
nazionale 
i 
dati 
relativi 
ai 
contratti 
di 
locazione 
stipulati 
a seguito 
della 
loro 
intermediazione 
e, 
qualora 
tali 
prestatori 
abbiano 
incassato 
i 
canoni 
o 
i 
corrispettivi 
corrispondenti 
oppure 
siano 
intervenuti 
nella 
loro 
percezione, 
di 
prelevare 
alla fonte 
l’ammontare 
dell’imposta dovuta sulle 
somme 
versate 
dai 
conduttori 
ai locatori e di versarlo all’erario di detto stato membro; 
-in 
secondo 
luogo, 
esso 
osta 
alla 
normativa 
di 
uno 
stato 
membro 
che 
impone 
ai 
prestatori 
di 
servizi 
di 
intermediazione 
immobiliare, 
riguardo 
a 
locazioni 
di 
durata 
non 
superiore 
a 
30 
giorni 
concernenti 
beni 
immobili 
situati 
nel 
territorio 
di 
tale 
stato 
membro, 
qualora 
tali 
prestatori 
abbiano 
incassato 
i 
canoni 
o 
i 
corrispettivi 
corrispondenti 
oppure 
siano intervenuti 
nella loro percezione 
e 
risiedano o siano stabiliti 
nel 
territorio 
di 
uno 
stato 
membro 
diverso 
da 
quello 
di 
imposizione, 
di 
designare 
un 
rappresentante 
fiscale 
residente 
o stabilito nel 
territorio dello stato membro di 
imposizione. 
2) L’articolo 267 tFUe deve 
essere 
interpretato nel 
senso che, in 
presenza di 
una questione 
di 
interpretazione 
del 
diritto dell’Unione 
sollevata da una delle 
parti 
nel 
procedimento 
principale, 
la 
determinazione 
e 
la 
formulazione 
delle 
questioni 
da 
sottoporre 
alla Corte 
spettano soltanto al 
giudice 
nazionale 
e 
tali 
parti 
non 
possono 
imporne o modificarne il tenore. 

CONTENZIOSONAZIONALE
La Tutela della sovranità agroalimentare come interesse 
nazionale strategico nel prisma dell’evoluzione normativa 
in materia di golden power. Il caso Verisem 


Nota 
a 
CoNsiglio 
di 
stato, sez. Quarta, seNteNza 
9 geNNaio 
2023 N. 289 


Manuela Di Blasi* 

sommario: 1. evoluzione 
normativa in materia di 
golden power 
-2. la saga Verisemsyngenta 
e 
lo svolgimento del 
primo grado di 
giudizio -3. la tutela della sovranità agroalimentare 
quale 
interesse 
strategico 
nazionale 
nella 
sentenza 
del 
Consiglio 
di 
stato 
n. 
289/2023 


- 4. osservazioni sulla procedura dell’esercizio dei poteri speciali. 
La 
recente 
pronuncia 
del 
consiglio di 
Stato n. 289/2023 del 
9 gennaio 2023 offre 
un importante 
spunto di 
riflessione 
circa 
il 
delicato tema 
dell’esercizio dei 
poteri 
speciali 
governativi, 
meglio 
conosciuto 
come 
golden 
power 
ed 
i 
nuovi 
interessi 
di 
rilevanza 
strategica 
delineati 
dal vigente quadro normativo nazionale ed euro unitario. 
com’è 
noto, in particolari 
settori 
di 
rilevanza 
strategica, al 
Governo è 
riconosciuta 
la 
facoltà 
di 
dettare 
specifici 
vincoli 
nei 
confronti 
dei 
privati 
in ordine 
all’acquisito di 
partecipazioni 
nonché 
di 
porre 
il 
veto all’adozione 
di 
determinate 
delibere 
societarie 
o di 
opporsi 
in toto 
all’acquisto 
di 
partecipazioni, 
al 
fine 
di 
introdurre 
uno 
scudo 
garantista 
a 
tutela 
di 
alcuni 
interessi 
nazionali. 


1. evoluzione normativa in materia di golden Power. 
Per 
comprendere 
al 
meglio 
le 
dinamiche 
della 
complessa 
vicenda 
in 
esame, 
è 
necessario 
prendere 
le 
mosse 
da 
un’attenta 
disamina 
dell’evoluzione 
della disciplina in materia di 
golden power. 


A 
tal 
proposito, 
appare 
oltremodo 
indispensabile 
una 
attenta 
ricognizione 


(*) 
Dottoressa 
in 
Giurisprudenza, 
ammessa 
alla 
pratica 
forense 
presso 
l’Avvocatura 
Generale 
dello 
Stato 
(Avv. StAto 
LAurA 
DeLbono, Avv. StAto 
GiAcomo 
AieLLo). 



rASSeGnA 
AvvocAturA 
DeLLo 
StAto -n. 3/2022 


delle 
principali 
tappe 
che 
hanno 
segnato 
siffatto 
iter 
nella 
regolamentazione 
nazionale 
in 
piena 
conformità 
con 
il 
framework 
normativo 
di 
matrice 
euro 
unitaria. 


La 
svolta 
significativa 
è 
determinata, 
in 
una 
prima 
fase, 
dal 
passaggio 
dal 


c.d. regime della 
golden share 
a quello della 
golden power. 
Al 
riguardo 
occorre 
partire 
dal 
Decreto 
Legge 
n. 
332 
del 
1994, 
convertito 
con la 
Legge 
n. 47 del 
30 luglio 1994, con cui 
il 
Legislatore 
aveva 
introdotto 
ex ante 
il peculiare istituto della 
golden share 
(1). 

Detto 
strumento, 
attingendo 
peraltro 
alla 
tradizione 
britannica, 
nello 
specifico 
ambito 
delle 
procedure 
di 
privatizzazione 
di 
imprese 
di 
origine 
pubblica, 
mirava 
a 
salvaguardare 
le 
prerogative 
dello 
Stato 
concernenti 
le 
partecipazioni 
azionarie, con notevoli poteri rispetto ai privati azionisti. 


in 
particolare, 
con 
l’istituto 
della 
golden 
share, 
il 
Governo, 
attraverso 
il 
ministro 
dell’economia 
e 
delle 
finanze, 
riservava 
a 
sé 
uno 
speciale 
potere 
di 
controllo 
rispetto 
al 
pacchetto 
azionario 
delle 
società 
privatizzate 
con 
riferimento 
ad 
operazioni 
di 
carattere 
strategico 
nonché 
sulle 
variazioni 
dello 
statuto, 
inserendosi 
in 
società 
operanti 
in 
settori 
relativi 
ai 
servizi 
pubblici, 
tra 
i 
quali 
quello 
della 
difesa, 
dei 
trasporti, 
delle 
telecomunicazioni 
e 
delle 
le 
fonti 
di 
energia 
(2). 


(1) con sentenza 
pronunciata 
il 
23 maggio 2000, la 
corte 
di 
Giustizia 
dell’unione 
europea 
ha 
dichiarato la 
già 
menzionata 
normativa 
in materia 
di 
golden share, originariamente 
introdotta 
dal 
citato 
decreto, 
in 
contrasto 
con 
le 
disposizioni 
del 
trattato 
ce 
in 
materia 
di 
diritto 
di 
stabilimento 
(art. 
43 
trattato 
ce), libera prestazione dei servizi (art. 49) e libera circolazione dei capitali (art. 56). 
ed ancora, con riferimento alla 
normativa 
intervenuta 
successivamente 
ad una 
prima 
procedura 
di 
infrazione 
(articolo 
66 
della 
legge 
n. 
488/1999 
-Legge 
finanziaria 
per 
il 
2000 
e 
D.P.c.m. 
11 
febbraio 
2000), la 
commissione 
ue 
ha 
provveduto ad inviare 
nel 
febbraio 2003, una 
lettera 
di 
messa 
in mora 
al 
Governo italiano, prospettando la violazione degli articoli 43 e 56 del 
trattato ce. 
A 
fronte 
di 
ciò, il 
Governo italiano, nelle 
osservazioni 
inviate 
alla 
commissione 
il 
4 giugno 2003 si 
è 
impegnato a 
procedere 
in tempi 
rapidi 
a 
una 
modifica 
della 
regolamentazione 
nazionale 
in materia 
di 
esercizio dei 
poteri 
speciali, al 
fine 
di 
rendere 
tale 
strumento pienamente 
conforme 
alla 
giurisprudenza 
della corte di Giustizia ed ai principi del diritto euro unitario. 
(2) 
L’art. 
2 
L. 
n. 
332 
del 
1994 
stabilisce 
che 
tali 
poteri 
possono 
essere 
esercitati 
nel 
caso 
di 
società 
operanti 
nel 
settore 
della 
difesa, 
dei 
trasporti, 
delle 
telecomunicazioni, 
delle 
fonti 
di 
energia, 
e 
degli 
altri 
pubblici servizi. 
Lo Stato si può opporre ad esempio ad un’acquisizione qualora sia a rischio un interesse collettivo. 
Questo in particolare 
può avvenire 
per quelle 
acquisizioni 
che: 
-non garantiscono la 
trasparenza 
delle 
operazioni 
e 
non permettono di 
conoscere 
con chiarezza 
la 
catena 
partecipativa 
-pregiudicano la 
libera 
concorrenza 
e 
l’apertura 
dei 
mercati 
mettendo 
a 
rischio 
l’interesse 
della 
collettività 
-determinano 
il 
coinvolgimento 
in 
attività 
illecite 
-ledono 
la 
conservazione 
dei 
poteri 
speciali 
-recano 
grave 
pregiudizio 
agli 
interessi 
pubblici 
che 
la 
golden share 
mira 
a 
tutelare. La 
golden share 
garantisce 
altresì 
la 
nomina 
di un amministratore senza diritto di voto. 
tali 
poteri 
possono essere 
esercitati 
esclusivamente 
ove 
ricorrano rilevanti 
e 
imprescindibili 
motivi 
di 
interesse 
generale, in particolare 
con riferimento all’ordine 
pubblico, alla 
sicurezza 
pubblica, alla 
sanità 
pubblica 
e 
alla 
difesa. 
tra 
questi 
la 
legge 
cita: 
il 
pericolo 
di 
una 
carenza 
di 
approvvigionamento 
nazionale 
anche 
minimo 
di 
prodotti 
petroliferi 
ed 
energetici, 
l’erogazione 
di 
servizi 
pubblici 
essenziali 
e 
un 
livello 
minimo di 
servizi 
di 
telecomunicazione 
e 
di 
trasporto; 
il 
pericolo di 
una 
discontinuità 
nell’erogazione 
di 
servizi 
pubblici 
alla 
collettività; 
il 
pericolo per la 
sicurezza 
degli 
impianti 
e 
delle 
reti 
dei 
servizi 
pubblici 
essenziali; 
gravi 
pericoli 
per 
la 
difesa 
nazionale, 
la 
sicurezza 
militare, 
l'ordine 
pubblico 
e 
la 
sicurezza 
pubblica; e le emergenze sanitarie. 

contenzioSo 
nAzionALe 


Successivamente, con l’adozione 
del 
Decreto-legge 
n. 21 del 
2012 (3), 
l’attenzione 
del 
Legislatore 
si 
focalizza 
non più soltanto sulle 
società 
privatizzate, 
ma 
piuttosto, prescindendo dalla 
titolarità 
in capo allo Stato di 
partecipazioni 
azionarie, rileva 
l’esercizio dei 
poteri 
speciali 
nei 
confronti 
di 
tutte 
le società che svolgono attività di rilevanza strategica. 


A 
tal 
proposito, è 
d’uopo evidenziare 
che, in una 
prima 
fase, il 
perimetro 
normativo su citato si 
presentava 
piuttosto circoscritto ai 
meri 
settori 
della 
difesa, 
sicurezza nazionale, dell’energia, dei trasporti, delle comunicazioni. 


con 
D.L. 
16 
ottobre 
2017 
n. 
148, 
i 
poteri 
speciali 
dell’esecutivo 
si 
estendono 
anche 
ai 
settori 
ad alta 
intensità 
tecnologica 
quali 
la 
gestione 
dei 
dati, la 
robotica e l’intelligenza artificiale (4). 

in 
seguito, 
il 
D.L. 
8 
aprile 
2020 
n. 
23 
(c.d. 
Decreto 
Liquidità), 
modificando 
il 
su 
menzionato 
D.L. 
2012 
n. 
21, 
estende 
ulteriormente 
l’ambito 
operativo 
della 
golden 
power, 
affinché 
nuovi 
settori, 
quali 
quello 
della 
salute, 
agroalimentare 
e 
finanziario 
possano 
rientrare 
nel 
medesimo 
alveo 
normativo 
(5). 


(3) Decreto-LeGGe 
15 marzo 2012, n. 21 “Norme 
in materia di 
poteri 
speciali 
sugli 
assetti 
societari 
nei 
settori 
della 
difesa 
e 
della 
sicurezza 
nazionale, 
nonché 
per 
le 
attività 
di 
rilevanza 
strategica 
nei settori dell’energia, dei trasporti e delle comunicazioni”. 
in 
particolare, 
l’art. 
2, 
comma 
3, 
prevede: 
“Con 
decreto 
del 
Presidente 
del 
Consiglio 
dei 
ministri 
adottato 
su 
conforme 
deliberazione 
del 
Consiglio 
dei 
ministri, 
da 
trasmettere 
tempestivamente 
e 
per 
estratto 
alle 
Commissioni 
parlamentari 
competenti, può essere 
espresso il 
veto alle 
delibere, atti 
e 
operazioni 
di 
cui 
ai 
commi 
2 e 
2-bis, che 
diano luogo a una situazione 
eccezionale, non disciplinata dalla normativa nazionale 
ed europea di 
settore, di 
minaccia di 
grave 
pregiudizio per 
gli 
interessi 
pubblici 
relativi 
alla sicurezza 
e al funzionamento delle reti e degli impianti e alla continuità degli approvvigionamenti”. 
(4) in particolare, con il 
D.L. 148/2017 il 
legislatore 
interviene 
per modificare 
il 
D.L. 15 marzo 
2012, n. 21. tra 
le 
innovazioni 
più rilevanti, l’estensione 
dei 
poteri 
governativi 
e 
degli 
obblighi 
di 
cui 
al 
D.L. 21/2012, in aggiunta 
ai 
settori 
dell’energia, dei 
trasporti 
e 
delle 
comunicazioni, anche 
ai 
“settori 
ad alta intensità tecnologica” 
tra 
cui 
le 
infrastrutture 
critiche 
o sensibili, le 
tecnologie 
critiche 
-“compresa 
l’intelligenza artificiale 
e 
la robotica 
[…] la sicurezza in rete, la tecnologia spaziale 
o nucleare” 
-l’accesso a 
informazioni 
sensibili 
o capacità 
di 
controllare 
le 
informazioni 
sensibili. La 
norma 
rinvia 
ad un regolamento ministeriale l’esatta individuazione. 
il 
decreto innova 
inoltre 
circa 
i 
criteri 
per determinare 
se 
un investimento estero da 
parte 
di 
un soggetto 
esterno all’unione europea possa incidere sulla sicurezza o sull’ordine pubblico. 
(5) 
Quanto 
disposto 
ai 
sensi 
degli 
articoli 
15 
e 
16 
e 
17 
del 
menzionato 
Decreto 
Liquidità, 
interviene 
sull’impianto 
normativo 
pregresso, 
determinando 
una 
significativa 
estensione 
del 
golden 
power, 
sia 
sotto 
un 
profilo 
oggettivo 
che 
soggettivo. 
in 
particolare, 
le 
principali 
novità 
normative 
riguardano 
l’ampliamento 
dei 
settori 
e 
dei 
poteri 
della 
consob; 
l’estensione 
degli 
obblighi 
di 
notifica 
nonché 
nell’incremento 
dei soggetti tenuti alla notifica; nell’avviamento della procedura d’ufficio. 
Ai 
fini 
dell’analisi 
della 
sentenza 
in commento, giova 
richiamare 
quanto previsto dall’art. 15, co. 3 bis, 
lett. 
a) 
e 
b) 
con 
riferimento 
all’ampliamento 
degli 
atti 
soggetti 
alla 
notifica, 
secondo 
cui 
“alle 
fattispecie 
in precedenza previste, si aggiungono: 
a) 
l’acquisizione 
di 
partecipazioni 
di 
controllo 
in 
società 
che 
detengano 
beni 
o 
rapporti 
nei 
cinque 
settori strategici individuati dal regolamento 2019/452/ue; 
b) 
le 
delibere 
che 
determinano 
modifiche 
della 
titolarità, 
del 
controllo 
o 
della 
disponibilità 
di 
assets 
nei 
medesimi 
cinque 
settori 
e 
sono soggetti 
all’obbligo di 
notifica anche 
gli 
acquisti 
a qualsiasi 
titolo 
di 
partecipazioni, da parte 
di 
soggetti 
esteri, anche 
appartenenti 
all’unione 
europea, di 
rilevanza tale 
da 
determinare 
l’insediamento 
stabile 
dell’acquirente 
in 
ragione 
dell’assunzione 
del 
controllo 
della 
società 
la 
cui 
partecipazione 
è 
oggetto 
dell’acquisto, 
ai 
sensi 
dell’articolo 
2359 
del 
codice 
civile 
e 
del 

rASSeGnA 
AvvocAturA 
DeLLo 
StAto -n. 3/2022 


Perdipiù, con tale 
intervento legislativo, introducendo la 
figura 
del 
c.d. 
golden 
power 
rafforzato, 
il 
Legislatore 
estende 
gli 
obblighi 
di 
notifica 
preventiva 
ad operazioni realizzate da soggetti esteri ue ed attori extra ue. 


Del 
resto, 
ciò 
si 
pone 
in 
perfetta 
conformità 
con 
il 
quadro 
normativo 
euro 
unitario 
di 
riferimento 
e 
segnatamente, 
con 
il 
regolamento 
ue 
452/2019 
del 
Parlamento 
europeo 
e 
del 
consiglio 
del 
19 
marzo 
2019 
(6) 
che 
detta 
un’apposita 
disciplina 
in 
termini 
di 
controllo 
degli 
investimenti 
esteri 
diretti 
nell’unione. 


testo unico di 
cui 
al 
decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, nonché 
gli 
acquisti 
di 
partecipazioni, 
da parte 
di 
soggetti 
esteri 
non appartenenti 
all’unione 
europea, che 
attribuiscono una quota dei 
diritti 
di 
voto o del 
capitale 
almeno pari 
al 
10 per 
cento, tenuto conto delle 
azioni 
o quote 
già direttamente 
o 
indirettamente 
possedute, e 
il 
valore 
complessivo dell’investimento sia pari 
o superiore 
a un milione 
di 
euro, e 
sono altresì 
notificate 
le 
acquisizioni 
che 
determinano il 
superamento delle 
soglie 
del 
15 per 
cento, 20 per cento, 25 per cento e 50 per cento”. 


(6) reGoLAmento 
(ue) 2019/452 DeL 
PArLAmento 
euroPeo 
e 
DeL 
conSiGLio 
del 
19 marzo 2019 che 
istituisce 
un quadro per il 
controllo degli 
investimenti 
esteri 
diretti 
nell’unione. 
in 
particolare, 
nella 
sentenza 
in 
commento, 
il 
consiglio 
di 
Stato 
fa 
esplicito 
richiamo 
di 
quanto 
previsto: 
-al 
considerando 2, secondo cui 
“nelle 
relazioni 
con il 
resto del 
mondo, l'unione 
afferma e 
promuove 
i 
suoi 
valori 
e 
interessi”; 
-al 
considerando 3, “conformemente 
agli 
impegni 
internazionali 
assunti 
nel-
l'ambito 
dell'organizzazione 
mondiale 
del 
commercio 
(omC), 
dell'organizzazione 
per 
la 
cooperazione 
e 
lo 
sviluppo 
economici 
e 
degli 
accordi 
commerciali 
e 
di 
investimento 
conclusi 
con 
paesi 
terzi, 
l'unione 
e 
gli 
stati 
membri 
possono adottare, per 
motivi 
di 
sicurezza o di 
ordine 
pubblico, misure 
restrittive 
nei 
confronti 
degli 
investimenti 
esteri 
diretti, purché 
siano rispettate 
alcune 
condizioni”; 
-al 
considerando 
6, 
“gli 
investimenti 
esteri 
diretti 
rientrano 
nell'ambito 
della 
politica 
commerciale 
comune. 
a 
norma 
del-
l'articolo 3, paragrafo 1, lettera e), tFue, l’unione 
ha competenza esclusiva per 
quanto concerne 
la 
politica commerciale 
comune”; 
-al 
considerando 8, “il 
quadro per 
il 
controllo degli 
investimenti 
esteri 
diretti 
e 
per 
la cooperazione 
dovrebbe 
dotare 
gli 
stati 
membri 
e 
la Commissione 
degli 
strumenti 
per 
affrontare 
in 
modo 
globale 
i 
rischi 
per 
la 
sicurezza 
o 
per 
l'ordine 
pubblico 
e 
per 
adeguarsi 
al 
mutare 
delle 
circostanze, 
mantenendo 
nel 
contempo 
la 
necessaria 
flessibilità 
per 
consentire 
agli 
stati 
membri 
di 
controllare 
gli 
investimenti 
esteri 
diretti 
per 
motivi 
di 
sicurezza e 
ordine 
pubblico, tenendo conto delle 
rispettive 
situazioni 
individuali 
e 
delle 
specificità 
nazionali. 
spetta 
esclusivamente 
allo 
stato 
membro 
interessato decidere 
se 
istituire 
un meccanismo di 
controllo o se 
controllare 
un investimento estero diretto”; 
-al 
considerando 11, stabilisce 
che 
“dovrebbe 
essere 
possibile 
per 
gli 
stati 
membri 
valutare 
i 
rischi 
per 
la 
sicurezza 
o 
per 
l’ordine 
pubblico 
derivanti 
da 
cambiamenti 
significativi 
dell'assetto 
proprietario 
o 
delle 
caratteristiche 
fondamentali 
di 
un 
investitore 
estero 
determinato”; 
-al 
considerando 
12, “al 
fine 
di 
orientare 
gli 
stati 
membri 
e 
la Commissione 
nell'applicazione 
del 
presente 
regolamento, 
è 
opportuno indicare 
un elenco di 
fattori 
che 
potrebbero essere 
presi 
in considerazione 
nel 
determinare 
se 
un investimento estero diretto possa incidere 
sulla sicurezza o sull'ordine 
pubblico ... l'elenco di 
fattori 
che 
possono incidere 
sulla sicurezza o sull'ordine 
pubblico dovrebbe 
restare 
non esaustivo”; 
-al 
considerando 
13, 
“Nel 
determinare 
se 
un 
investimento 
estero 
diretto 
possa 
incidere 
sulla 
sicurezza 
o 
sull'ordine 
pubblico, dovrebbe 
essere 
possibile 
per 
gli 
stati 
membri 
e 
la Commissione 
tenere 
conto di 
tutti 
i 
fattori 
pertinenti, 
compresi 
gli 
effetti 
sulle 
infrastrutture 
critiche, 
sulle 
tecnologie, 
comprese 
le 
tecnologie 
abilitanti 
fondamentali, e 
sui 
fattori 
produttivi 
che 
sono essenziali 
per 
la sicurezza o il 
mantenimento 
dell'ordine 
pubblico la cui 
perturbazione, disfunzione, perdita o distruzione 
avrebbe 
un impatto 
significativo 
in 
uno 
stato 
membro 
o 
nell'unione. 
a 
tale 
proposito, 
dovrebbe 
altresì 
essere 
possibile 
per 
gli 
stati 
membri 
e 
la Commissione 
tenere 
conto del 
contesto e 
delle 
circostanze 
dell'investimento 
estero diretto, in particolare 
della possibilità che 
un investitore 
estero sia controllato direttamente 
o indirettamente, 
ad 
esempio 
attraverso 
finanziamenti 
consistenti, 
comprese 
le 
sovvenzioni, 
da 
parte 
del 
governo di 
un paese 
terzo, o persegua progetti 
o programmi 
all'estero a guida statale”; 
-all’art. 2, definisce 
come 
“investimento estero diretto, un investimento di 
qualsiasi 
tipo da parte 
di 
un investitore 
estero inteso a stabilire 
o mantenere 
legami 
durevoli 
e 
diretti 
tra l'investitore 
estero e 
l'imprenditore 
o 

contenzioSo 
nAzionALe 


La 
ratio 
della 
normativa 
europea 
è 
da 
rinvenirsi 
nella 
ricerca 
di 
un soddisfacente 
bilanciamento 
tra 
la 
tutela 
dei 
diritti 
degli 
investitori 
ex 
art. 
63 
tFue 
e 
la 
scrupolosa 
salvaguardia 
degli 
asset 
settoriali 
nazionali 
di 
natura 
strategica. 


in 
tale 
ambito, 
è 
di 
palmare 
evidenza 
la 
stretta 
correlazione 
tra 
un 
siffatto 
fine, perseguito dal 
Legislatore 
di 
Lussemburgo, e 
lo strumento della 
golden 
power 
rafforzata, atto a tutelare rilevanti interessi pubblici nazionali. 


A 
ben 
vedere, 
in 
perfetta 
sintonia 
con 
il 
citato 
regolamento 
ue, 
l’individuazione 
di 
“una 
potenziale 
minaccia 
di 
grave 
pregiudizio” 
per 
gli 
interessi 
nazionali 
rappresenta 
la 
condicio 
sine 
qua 
non 
al 
fine 
di 
poter 
attivare 
tale 
strumento. 


orbene, 
alla 
stregua 
dell’attività 
di 
enforcement 
espletata 
da 
diversi 
Stati 
ue 
con 
riferimento 
a 
detto 
impianto 
normativo 
euro 
unitario, 
la 
potenziale 
minaccia 
percepita 
appare 
strettamente 
correlata 
alla 
differenza 
circa 
il 
paradigma 
politico 
ed 
economico 
adottato 
dal 
Paese 
target 
e 
lo 
Stato 
interessato 
all’iDe. 


Da 
ultimo, occorre 
tenere 
in debito conto il 
recente 
intervento normativo 
confluito 
nel 
D.L. 
del 
21 
marzo 
2022 
n. 
21 
(7) 
che 
ha 
ulteriormente 
implementato 
la 
disciplina 
del 
golden 
power 
in 
merito 
al 
controllo 
degli 
investimenti 
stranieri 
in italia, in considerazione 
degli 
effetti 
economici 
e 
umanitari 
della 
crisi ucraina (8). 

indi, è 
agevole 
constatare 
che 
la 
normativa 
vigente 
al 
momento in cui 
si 
scrive, si 
ispira 
ictu oculi 
alla 
logica 
di 
estensione 
e 
rafforzamento dei 
poteri 
dell’esecutivo, poggiando sul 
crinale 
incerto della 
libera 
concorrenza 
e 
contendibilità 
delle 
imprese 
nel 
mercato da 
un lato e 
della 
tutela 
degli 
interessi 
nazionali in specifici settori qualificati come strategici dall’altro. 


l'impresa cui 
è 
messo a disposizione 
il 
capitale 
al 
fine 
di 
esercitare 
un'attività economica in uno stato 
membro, compresi 
gli 
investimenti 
che 
consentono una partecipazione 
effettiva alla gestione 
o al 
controllo 
di 
una società che 
esercita un'attività economica”; 
-all’art. 3, “conformemente 
al 
presente 
regolamento, 
gli 
stati 
membri 
possono 
mantenere, 
modificare 
o 
adottare 
meccanismi 
per 
controllare 
gli 
investimenti 
esteri 
diretti 
nel 
loro 
territorio 
per 
motivi 
di 
sicurezza 
o 
di 
ordine 
pubblico” 
e, 
in 
tale 
ambito, 
“stabiliscono 
in 
particolare 
le 
circostanze 
che 
danno 
luogo 
al 
controllo, 
i 
motivi 
del 
controllo 
e 
le 
regole 
procedurali dettagliate applicabili”. 


(7) misure 
urgenti 
per contrastare 
gli 
effetti 
economici 
e 
umanitari 
della 
crisi 
ucraina 
(in Gu 
n. 
67 del 
21 marzo 2022), entrata 
in vigore 
del 
provvedimento il 
22 marzo 2022, rafforzata 
la 
disciplina 
del 
golden power 
finalizzata 
al 
controllo degli 
investimenti 
stranieri 
in italia, in considerazione 
dell’accresciuta 
strategicità 
di 
alcuni 
settori: 
dalla 
difesa 
a 
quello della 
sicurezza, per arrivare 
ai 
servizi 
di 
comunicazione 
elettronica a banda larga basati sulla tecnologia 5G e al 'cloud' nazionale. 
(8) 
il 
potere 
di 
veto 
del 
Governo 
viene 
ampliato 
ad 
ogni 
atto 
ed 
operazione 
dell’assemblea 
o 
degli 
organi 
di 
amministrazione 
delle 
società 
operanti 
in ambiti 
di 
rilevanza 
strategica 
che 
possano generare 
un cambio nella titolarità o nel controllo della stessa società. 
Da 
ultimo, con il 
c.d. “regolamento Semplificazioni”, entrato in vigore 
il 
24 settembre 
2022 è 
stato introdotto 
l’istituto della 
c.d. Prenotifica, al 
fine 
di 
ottimizzare 
le 
notifiche 
che 
le 
società 
inviano al 
Governo, 
rendendo 
più 
agevole 
il 
procedimento 
di 
autorizzazione 
e 
diminuendo 
i 
procedimenti 
sanzionatori 
per omessa notifica. 

rASSeGnA 
AvvocAturA 
DeLLo 
StAto -n. 3/2022 


2. la saga Verisem-syngenta e lo svolgimento del primo grado di giudizio. 
tutto ciò premesso, la 
sentenza 
che 
ci 
si 
accinge 
a 
commentare, assume 
particolare 
pregio 
nel 
porre 
l’accento 
sulla 
tutela 
della 
sovranità 
agro 
-alimentare 
quale 
interesse 
nazionale 
strategico da 
tutelare 
mediante 
l’esercizio della 
golden power. 


in 
tale 
ambito, 
nel 
riconoscere 
la 
piena 
legittimità 
dell’esercizio 
dei 
poteri 
speciali 
governativi, i 
giudici 
di 
Palazzo Spada 
concludono la 
nota 
saga 
verisem 
-Syngenta 
(9) concernente 
l’operazione 
di 
acquisizione, da 
parte 
di 
una 
società 
pubblica 
controllata 
dal 
governo della 
repubblica 
popolare 
cinese, di 
una 
nota 
multinazionale 
italiana, operante 
nel 
campo della 
produzione 
di 
speciali 
semi a respiro globale. 


il 
caso di 
specie 
ha 
origine 
dall’esercizio del 
potere 
di 
veto da 
parte 
del-
l’esecutivo 
circa 
l’acquisto, 
da 
parte 
della 
società 
di 
diritto 
svizzero 
Syngenta 
crop 
Protection 
AG, 
dell’intero 
capitale 
sociale 
della 
società 
di 
diritto 
olandese 
verisem b.v. e delle sue controllate, ivi incluse quelle con sede in italia. 


Avverso 
la 
delibera 
del 
consiglio 
dei 
ministri, 
la 
società 
verisem 
interessata 
all’operazione, ha 
radicato ricorso dinanzi 
al 
t.a.r. per il 
Lazio, contestando 
il 
modus 
operandi 
dell’esecutivo 
sotto 
vari 
profili 
concernenti 
la 
rilevanza 
strategica 
dell’operazione 
in oggetto, la 
pretesa 
violazione 
dei 
principi 
di 
legalità, 
proporzionalità 
sottesi 
all’esercizio 
della 
golden 
power, 
la 
mancanza 
del 
preavviso 
di 
rigetto 
nonché 
la 
discrasia 
tra 
fase 
istruttoria 
e 
decisoria 
dell’iter procedurale (10). 

(9) 
in 
data 
5 
luglio 
2021 
le 
società 
Syngenta 
crop 
Protection 
AG 
e 
PSP 
verisem 
Luxembourg 
Holdings 
S.à 
r.l. 
hanno 
congiuntamente 
notificato, 
ai 
sensi 
dell’articolo 
2 
del 
decreto-legge 
15 
marzo 
2012, 
n. 
21, 
l’acquisizione, 
da 
parte 
di 
Syngenta 
crop 
Protection 
AG, 
dell’intero 
capitale 
sociale 
di 
verisem 
b.v. 
e 
delle 
sue 
controllate, 
ivi 
incluse 
quelle 
aventi 
sede 
in 
italia, 
operanti 
nel 
settore 
delle 
sementi. 
Syngenta 
crop 
Protection 
AG, 
società 
di 
diritto 
svizzero, 
è 
una 
delle 
4 
business 
units 
del 
gruppo 
svizzero 
Syngenta 
AG, considerata 
una 
delle 
aziende 
leader a 
livello mondiale 
nell’offerta 
di 
soluzioni 
tecnologiche 
ed innovative 
nel 
campo agricolo, la 
quale 
è 
controllata 
in ultima 
istanza 
da 
chemchina. chemchina 
è 
una 
multinazionale 
pubblica 
cinese 
che 
opera 
in 
settori 
eterogenei 
(petrolchimico, 
agrochimico, 
sementi, immobiliare, ecc.). 
il 
Gruppo Syngenta 
è 
presente 
in italia 
dal 
2000 tramite 
la 
società 
Syngenta 
italia 
S.p.a. che 
opera 
nel 
campo 
della 
commercializzazione 
dei 
fattori 
produttivi 
nel 
settore 
agricolo, 
in 
particolare 
sementi 
di 
specie agrarie e fitofarmaci. 
PSP 
verisem 
Luxembourg Holdings 
S.à 
r.l. è 
una 
società, di 
diritto lussemburghese, il 
cui 
azionista 
di 
maggioranza è il fondo di investimento statunitense. 
il 
Global 
ultimate 
owner di 
Syngenta 
crop Protection AG 
è 
la 
china 
national 
chemical 
corporation 
Limited, che 
rappresenta 
una 
State-owned enterprise 
(Soe) della 
repubblica 
Popolare 
cinese 
e 
che, 
pertanto, emerge un rapporto di controllo del Governo cinese. 
(10) evocando in giudizio la 
Presidenza 
del 
consiglio dei 
ministri 
e 
la 
Presidenza 
della 
repubblica, 
la 
società 
ricorrente 
ha 
avanzato quattro ordini 
di 
censure, così 
sintetizzabili: 
a1) difetto di 
entrambe 
le 
condizioni 
alla 
cui 
contestuale 
sussistenza 
è 
ex 
lege 
subordinato 
il 
legittimo 
esercizio 
del 
potere 
di 
veto. 
in 
particolare, 
assenza 
del 
carattere 
strategico 
delle 
attività 
delle 
società 
italiane 
del 
gruppo 
verisem 
e, 
comunque, 
strutturale 
incapacità 
della 
relativa 
acquisizione 
(di 
carattere, 
peraltro, 
estero 
su 
estero) 
di 
determinare 
una 
“situazione 
eccezionale, 
non 
disciplinata 
dalla 
normativa 
nazionale 

contenzioSo 
nAzionALe 


il 
t.a.r. 
Lazio, 
con 
la 
sentenza 
n. 
4486 
del 
13 
aprile 
2022, 
non 
ha 
accolto 
quanto 
dedotto 
dalla 
società, 
pronunciandosi 
sulla 
reiezione 
del 
ricorso 
con 
una 
motivazione 
del 
seguente 
tenore: 
“il 
provvedimento 
sarebbe 
espressione 
di 
“amplissima 
discrezionalità, 
in 
ragione 
della 
natura 
degli 
interessi 
tutelati, 
attinenti 
alla 
sicurezza 
nazionale”; 
si 
tratterebbe, 
dunque, 
di 
atto 
di 
alta 
amministrazione, 
come 
tale 
“sindacabile 
dal 
giudice 
amministrativo 
nei 
ristretti 
limiti 
della 
sussistenza 
di 
una 
manifesta 
illogicità”, 
nella 
specie 
non 
riscontrabile, 
atteso 
che 
il 
provvedimento 
non 
sarebbe 
in 
contrasto 
con 
la 
propedeutica 
istruttoria 
e 
sarebbe 
articolatamente 
motivato, 
posto 
che 
“risultano 
individuati 
gli 
asset 
strategici, 
rilevanti 
sotto 
il 
profilo 
dei 
fattori 
produttivi 
critici, 
delle 
tecnologie 
produttive 
e 
delle 
informazioni 
possedute”; 
non 
sarebbe 
neppure 
illegittimo 
l’art. 
11, 
lett. 
c), 
del 
d.P.C.m. 
che, 
a 
monte, 
individua 
i 
settori 
economici 
suscettibili 
di 
uso 
del 
potere 
di 
veto, 
giacché 
“la 
tecnica 
redazionale 
adoperata 
per 
individuare 
gli 
asset 
nel 
settore 
agroalimentare 
rappresenta 
un 
adeguato 
compromesso 
tra 
la 
tutela 
della 
libertà 
di 
impresa 
e 
la 
garanzia 
della 
sicurezza 
nazionale 
e 
tiene 
conto 
dell’impossibilità 
di 
una 
catalogazione 
puntuale 
e 
minuta 
degli 
attivi 
strategici”; 
c) 
non 
sarebbe 
leso 
il 
principio 
di 
proporzionalità, 
giacché 
“il 
decreto 
contiene 
una 
giustificazione 
del 
tutto 
logica 
in 
ordine 
all’inutilità 
di 
imporre 
misure 
meno 
gravose 
del 
divieto 
dell’operazione, 
quali 
eventuali 
prescrizioni, 
in 
ragioni 
della 
circostanza, 
non 
controversa, 
che 
l’effettivo 
proprietario 
della 
società 
acquirente 
è 
il 
governo 
cinese 
e 
della 
difficoltà 
di 
attuare 
misure 
di 
enforcement 
realmente 
efficaci 


ed europea di 
settore, di 
minaccia di 
grave 
pregiudizio per 
gli 
interessi 
pubblici 
relativi 
alla sicurezza 
e 
al 
funzionamento 
delle 
reti 
e 
degli 
impianti 
e 
alla 
continuità 
degli 
approvvigionamenti” 
(art. 
2, 
comma 
3, d.l. n. 21 del 
2012) nel 
campo agroalimentare, perché 
le 
società 
italiane 
del 
gruppo: 
i) detengono una 
quota 
del 
mercato professionale 
nazionale 
dei 
semi 
pari 
solo all’1%; 
ii) non svolgono alcuna 
attività 
di 
produzione 
di 
semi, né 
di 
sviluppo e 
ricerca, limitandosi 
alla 
commercializzazione 
all’ingrosso ed alla 
distribuzione 
dei 
semi 
prodotti 
da 
terzi; 
iii) 
non 
sono 
titolari 
di 
diritti 
di 
privativa 
industriale 
o 
di 
proprietà 
intellettuale; 
iv) non possiedono i 
terreni 
dove 
i 
semi 
vengono coltivati; 
v) lavorano prevalentemente 
nel 
mercato 
hobbistico, 
di 
cui, 
oltretutto, 
detengono 
non 
più 
del 
20-25% 
a 
livello 
nazionale; 
a2) 
mancata 
formulazione 
di 
una 
motivazione 
rafforzata 
che 
giustifichi 
l’assunzione 
di 
una 
decisione 
distonica 
rispetto 
alle 
risultanze 
dell’istruttoria, giacché 
il 
gruppo di 
coordinamento si 
era 
dichiarato favorevole 
al-
l’operazione 
con 
raccomandazioni 
e, 
nell’ambito 
dei 
relativi 
lavori, 
pure 
il 
Dipartimento 
delle 
informazioni 
per la 
Sicurezza 
-DiS 
si 
era 
espresso favorevolmente, sia 
pure 
chiedendo l’imposizione 
di 
più 
incisive 
prescrizioni; 
la 
proposta 
di 
decisione 
finale 
formalizzata 
dal 
ministero 
delle 
Politiche 
agricole, 
alimentari 
e 
forestali 
suggeriva 
l’assenso 
con 
raccomandazioni 
o 
con 
prescrizioni, 
ma 
non 
menzionava 
affatto 
l’esercizio 
del 
potere 
di 
veto; 
a3) 
illegittimità, 
a 
monte, 
dell’art. 
11, 
lett. 
c), 
D.P.c.m. 


n. 179 del 
2020, in tesi 
generico, tautologico ed indeterminato, in violazione 
del 
principio di 
legalità; 
b) 
errato richiamo agli 
artt. 6 e 
9 D.P.c.m. n. 179 del 
2020, perché 
le 
società 
del 
gruppo non svolgono attività 
di 
raccolta 
dati 
critici, 
né 
si 
occupano 
di 
intelligenza 
artificiale 
o, 
comunque, 
di 
tecnologie 
critiche, 
quali 
la 
machine 
learning; 
a 
tutto concedere, tali 
rilievi 
non sono emersi 
in istruttoria; 
c) violazione 
del 
principio 
di 
proporzionalità 
rispetto 
a 
scelte 
meno 
impattanti 
sull’autonomia 
privata 
e 
sul 
libero 
operare 
delle 
dinamiche 
di 
mercato, anche 
in considerazione 
dei 
precisi 
impegni 
assunti 
dall’acquirente 
in sede 
di notifica dell’operazione; d) mancanza del preavviso di rigetto. 

rASSeGnA 
AvvocAturA 
DeLLo 
StAto -n. 3/2022 


in 
caso 
di 
inottemperanza 
alle 
prescrizioni 
imposte 
per 
il 
trasferimento 
dell’asset 
all’estero” 
(11). 


in seguito, la 
società 
verisem 
ha 
spiegato appello dinanzi 
al 
consiglio di 
Stato riproponendo le censure sollevate nel giudizio di prime cure. 


3. la tutela della sovranità agroalimentare 
quale 
interesse 
strategico nazionale 
nella sentenza del Consiglio di stato n. 289/2023. 
con la 
sentenza 
n. 289/2023 il 
Supremo consesso della 
giustizia 
amministrativa, 
confermando 
il 
decisum 
del 
t.a.r. 
Lazio, 
approfondisce 
ulteriormente 
alcuni 
profili 
intrinsecamente 
correlati 
all’esercizio 
della 
golden 
power, 
soffermandosi 
su alcuni 
risvolti 
procedurali 
e 
soprattutto sulla 
tutela 
della 
sovranità 
e 
sicurezza 
agro 
alimentare 
nazionale, 
quale 
pregnante 
interesse 
di 
natura 
strategica da presidiare. 


in 
tale 
ambito, 
la 
salvaguardia 
degli 
interessi 
nazionali 
strategici, 
oggetto 
della 
golden power, viene 
declinata 
come 
una 
inedita 
e 
stringente 
tutela 
della 
sovranità 
alimentare, in un binomio imprescindibile 
tra 
la 
sicurezza 
pubblica 
domestica e la sicurezza alimentare dello Stato. 


Difatti, con riferimento all’acquisizione 
societaria, oggetto del 
potere 
di 
veto 
governativo, 
il 
consiglio 
di 
Stato 
ha 
scrupolosamente 
osservato 
che 
la 
golden power 
si 
caratterizza 
per “un’ampia valutazione 
prospettica di 
scenario, 
tesa da un lato a preservare 
il 
Paese 
da possibili 
fattori 
di 
rischio prospetticamente 
rilevanti, dall’altro e 
contestualmente, ad arginare 
iniziative 
di 
Paesi 
terzi 
potenzialmente 
pericolosi 
o 
per 
i 
quali, 
comunque, 
sia 
ritenuto 
opportuno 
un ingaggio geopolitico particolarmente prudente”. 


nello specifico, quanto alla 
strategicità 
dell’asset, il 
Supremo consesso 
ha 
riconosciuto la 
legittimità 
del 
modus 
operandi 
del 
consiglio dei 
ministri, 
evidenziando come 
il 
medesimo abbia 
“inteso evitare 
che, grazie all’acquisizione, 
il 
Governo cinese 
potesse 
volgere 
a 
vantaggio del 
proprio mercato domestico 
il 
potenziale 
produttivo 
delle 
target 
italiane 
mediante, 
inter 
alia, 
la 
‘rimodulazione 
delle 
priorità e 
delle 
tempistiche 
dell’agenda produttiva delle 
aziende 
agricole 
italiane’, la 
‘delocalizzazione 
dei 
punti 
decisionali 
fuori 
dai 
confini 
nazionali’, 
il 
‘mutamento 
del 
modello 
di 
business’, 
‘l’accelerazione 
del processo di standardizzazione nella produzione di sementi’. 


A 
ben vedere, il 
settore 
sementiero rappresenta 
indiscutibilmente 
un ambito 
strategico 
di 
interesse 
nazionale, 
in 
quanto 
cardine 
del 
più 
ampio 
comparto 
agroalimentare, 
che 
incide 
indiscutibilmente 
ed 
in 
modo 
rilevante 
sulla 
se


(11) ed ancora 
: 
“nella fase 
istruttoria il 
compito del 
gruppo di 
coordinamento, che 
si 
avvale 
del 
contributo 
partecipativo 
delle 
amministrazioni 
coinvolte, 
affiancate 
dal 
dipartimento 
della 
pubblica 
sicurezza, oltre 
che 
dell’apporto partecipativo dei 
soggetti 
interessati 
dall’operazione 
di 
acquisizione, 
è 
quello 
di 
raccogliere 
gli 
elementi 
di 
valutazione 
tecnica 
da 
sottoporre 
al 
Consiglio 
dei 
ministri 
in 
sede 
collegiale, che 
non è 
pertanto vincolato o comunque 
tenuto ad adottare 
una motivazione 
rafforzata nel 
caso vengano formulate in fase istruttoria proposte differenti rispetto all’esercizio del potere di veto”. 

contenzioSo 
nAzionALe 


guente 
fase 
relativa 
la 
produzione 
di 
prodotti 
agroalimentari 
necessari 
a 
sostenere 
una filiera nazionale (12). 

Peraltro, nel 
caso di 
specie, il 
collegio pone 
particolare 
enfasi 
sulle 
possibili 
implicazioni 
che 
potrebbero 
derivare 
da 
una 
siffatta 
operazione 
in 
merito 
alla 
sicurezza 
e 
continuità 
di 
approvvigionamenti, stante 
il 
pericoloso impatto 
su 
“fattori 
produttivi 
critici 
della 
filiera 
alimentare” 
quali 
indubbiamente 
sono 
le sementi e la libertà contrattuale dei produttori agricoli nazionali (13). 

L’emergenza 
epidemiologica 
da 
covid-19 
degli 
ultimi 
tempi, 
ha 
inoltre 
evidenziato 
la 
strategicità 
e 
l’importanza 
del 
settore 
per 
la 
produzione 
di 
cibo 
sufficiente 
a 
garantire 
la 
copertura 
del 
fabbisogno 
nazionale, 
indispensabile 
in 
un 
clima 
di 
incertezza 
e 
tensioni, 
da 
ultimo 
acuito 
per 
effetto 
del 
conflitto 
in 
ucraina. 


Diversamente 
dal 
passato, dove 
l’esercizio del 
potere 
di 
veto era 
una 
misura 
remota, 
il 
contesto 
socio-economico, 
derivante 
dagli 
strascichi 
della 
pandemia 
in 
atto, 
ha 
dunque 
determinato 
una 
significativa 
inversione 
di 
tendenza, 
obbligando 
il 
Governo 
italiano 
a 
porre 
una 
maggiore 
attenzione 
sulle 
possibili 
minacce 
alla 
tutela 
dei 
propri 
attivi 
strategici, 
valutando 
con 
estrema 
precisione 
i 
possibili 
collegamenti 
con gli 
Stati 
esteri, in particolare 
quelli 
che 
non vantano 
elevati standard di democrazia, detenuti da un potenziale acquirente. 

un siffatto mutamento di 
paradigma 
emerge 
anche 
dalla 
comunicazione 
(2020) 
del 
13 
marzo 
2020 
della 
commissione 
ue 
(14) 
(al 
Parlamento 
europeo, 


(12) A 
tal 
riguardo, al 
par. 15.3 della 
sentenza, il 
collegio precisa 
che: 
“più in generale, l’ascrizione 
di 
“rilevanza 
strategica 
per 
l’interesse 
nazionale” 
ai 
“beni 
e 
rapporti” 
coinvolti 
da 
un’operazione 
notificata, al 
fine 
della verifica circa la sussistenza di 
un “possibile 
pregiudizio alla sicurezza e 
… 
alla 
continuità 
degli 
approvvigionamenti” 
(cfr. 
d.l. 
n. 
21 
del 
2012, 
art. 
2, 
comma 
1-ter), 
è 
stata 
già 
operata 
a 
monte 
con 
d.P.C.m. 
n. 
179 
del 
2020, 
che, 
per 
quanto 
qui 
di 
interesse, 
così 
dispone: 
i) 
qualifica 
“attività 
economiche 
di 
rilevanza strategica … 
le 
attività economiche 
essenziali 
per 
il 
mantenimento delle 
funzioni 
vitali 
della 
società”, 
quali 
certo 
sono 
quelle 
del 
settore 
agroalimentare, 
fondamentale 
per 
la 
stessa 
esistenza fisica dell’uomo; ii) con specifico riferimento al 
settore 
agroalimentare, qualifica come 
strategico 
“l’approvvigionamento di 
fattori 
produttivi 
critici 
della filiera alimentare”, quali 
certo sono le 
sementi, 
base 
imprescindibile 
di 
ogni 
coltivazione 
agricola. 
16. 
tale 
ultima 
locuzione 
non 
presenta 
l’intollerabile 
profilo di 
genericità ed indeterminatezza lamentato dall’appellante, ove 
si 
ponga mente 
allo 
scopo della normativa (primaria e 
secondaria) in tema di 
golden power, che 
è 
quello di 
apprestare 
una 
disciplina a maglie 
volutamente 
larghe 
al 
fine 
di 
non imbrigliare 
-e, quindi, depotenziare 
-il 
presidio 
costituito dalla spendita del potere omonimo”. 
(13) cfr. par. 18 “alla luce 
di 
queste 
puntuali 
coordinate 
legislative, in considerazione 
degli 
impatti 
che 
l’operazione 
potrebbe 
avere 
su “fattori 
produttivi 
critici 
della filiera alimentare” 
(quali 
indubbiamente 
sono 
le 
sementi 
e 
la 
libertà 
contrattuale 
dei 
produttori 
agricoli 
nazionali) 
e 
della 
riconducibilità della società acquirente 
al 
governo di 
un Paese 
estraneo all’unione 
europea e 
connotato 
da una forma di 
governo differente 
da quelle 
occidentali, il 
Consiglio dei 
ministri 
ha riscontrato 
la sussistenza di 
una “situazione 
eccezionale, non disciplinata dalla normativa nazionale 
ed europea 
di 
settore, di 
minaccia di 
grave 
pregiudizio per 
gli 
interessi 
pubblici 
relativi 
alla sicurezza e 
alla continuità 
degli 
approvvigionamenti”, cui 
la normativa primaria (cfr. d.l. n. 21 del 
2012, art. 2, comma 3) 
subordina l’esercizio dei poteri di golden power sub specie di veto all’operazione”. 
(14) 
comunicAzione 
DeLLA 
commiSSione 
AL 
PArLAmento 
euroPeo, 
AL 
con-
SiGLio 
euroPeo, AL 
conSiGLio, ALLA 
bAncA 
centrALe 
euroPeA, ALLA 
bAncA 
euroPeA 
Per GLi inveStimenti e 
ALL'euroGruPPo. 

rASSeGnA 
AvvocAturA 
DeLLo 
StAto -n. 3/2022 


al 
consiglio europeo, al 
consiglio, alla 
bce, alla 
banca 
europea 
per gli 
investimenti 
e 
all’eurogruppo), in cui 
si 
è 
affermato che 
“gli 
stati 
membri 
devono 
essere 
vigili 
e 
utilizzare 
tutti 
gli 
strumenti 
disponibili 
a 
livello 
nazionale 
e 
unionale 
per 
evitare 
che 
l’attuale 
crisi 
determini 
una perdita di 
risorse 
e 
tecnologie 
critiche”. 

ciò 
vale 
in 
particolare 
modo, 
da 
ultimo, 
con 
la 
diffusione 
della 
pandemia 
da 
Sars-covid 19 che 
ha 
costretto gli 
Stati 
membri 
a 
porre 
in essere 
soluzioni 
atte 
a 
proteggere 
le 
proprie 
roccaforti 
strategiche, evitando fenomeni 
di 
svalutazione 
economica, 
nell’ottica 
di 
prevenire 
ogni 
potenziale 
situazione 
di 
minaccia 
di grave pregiudizio per gli interessi pubblici. 


tale 
interesse 
alla 
sicurezza 
nazionale 
deve 
essere 
considerato 
come 
il 
fine 
ultimo dalla 
normativa 
in oggetto, attualmente 
ribadita, a 
fronte 
del 
perdurare 
della 
crisi 
epidemiologica 
in 
atto, 
con 
l’estensione 
mediante 
il 
decreto-
legge 
30 dicembre 
2021, n. 228 dell’applicazione 
della 
disciplina 
del 
golden 
power 
rafforzato fino al 31 dicembre 2022. 


Alla 
luce 
di 
ciò, a 
fronte 
di 
un asset 
di 
rilevanza 
strategica, la 
difesa 
della 
sovranità 
alimentare 
correlata 
alla 
stabilità 
economica 
nazionale, 
appare 
un 
interesse 
rilevante, desumibile 
anche 
dalla 
prassi 
della 
commissione 
e 
dalla 
giurisprudenza 
ue, stante 
il 
carattere 
“non esaustivo” 
degli 
eterogenei 
fattori 
in grado di 
incidere 
sulla 
sicurezza 
e 
ordine 
pubblico dello Stato, così 
come 
precisato nel regolamento ue 452/2019 (15). 

va 
da 
sé 
che 
l’estensione 
dello scopo ratione 
materiae 
concernente 
l’at-

risposta economica coordinata all’emergenza coviD-19. 
in 
particolare, 
con 
riferimento 
alle 
conseguenze 
socio 
economiche 
dello 
shock: 
“la 
pandemia 
da 
CoVid-19 costituisce 
uno shock 
di 
grande 
portata per 
l'economia europea e 
mondiale. già oggi 
se 
ne 
constata il 
notevole 
impatto economico negativo sull'europa, che 
è 
destinato a protrarsi 
per 
il 
primo 
semestre 
e 
forse 
anche 
più a lungo, se 
le 
misure 
di 
contenimento non si 
rivelassero efficaci. Poiché 
la 
crescita del 
Pil 
reale 
nel 
2020 potrebbe 
scendere 
ben al 
di 
sotto dello zero o addirittura essere 
chiaramente 
negativa a seguito del 
CoVid-19, una risposta economica coordinata delle 
istituzioni 
dell'ue 
e 
degli stati membri è fondamentale per attenuare le ripercussioni economiche. 
lo shock che colpisce l'economia è riconducibile a differenti fattori: 

•lo shock derivante dalla contrazione iniziale dell'economia cinese nel primo trimestre del 2020; 
• 
lo shock 
sul 
versante 
dell'offerta per 
l'economia europea e 
mondiale 
derivante 
dall'interruzione 
delle 
catene di approvvigionamento dovuta all'assenza dal luogo di lavoro; 
• 
lo 
shock 
sul 
versante 
della 
domanda 
per 
l'economia 
europea 
e 
mondiale 
derivante 
dalla 
riduzione 
della 
domanda 
da 
parte 
dei 
consumatori 
e 
dall'impatto 
negativo 
dell'incertezza 
sui 
piani 
di 
investimento; 
• e l'impatto dei problemi di liquidità per le imprese”. 
(15) Quanto alla 
valutazione 
circa 
la 
strategicità 
di 
un asset, il 
collegio al 
par. 18.4, osserva: 
“in 
altra angolazione 
argomentativa, la stessa valutazione 
di 
strategicità non costituisce 
un dato oggettivo 
e, 
per 
così 
dire, 
inconfutabile 
riveniente 
dalle 
caratteristiche 
dell’operazione 
in 
sé 
atomisticamente 
considerate, 
ma 
rappresenta 
la 
risultante 
di 
una 
ponderazione 
altamente 
discrezionale 
(se 
non 
apertamente 
politica), sì 
che 
ben può essere 
qualificata “strategica” 
e 
capace 
di 
determinare 
“una situazione 
eccezionale” 
non altrimenti 
fronteggiabile 
un’operazione 
che 
pure, di 
per 
sé, non presenti 
profili 
intrinseci 
macroscopicamente 
straordinari: altrimenti 
detto, una stessa operazione 
può essere 
strategica o meno 
in funzione 
anche 
(se 
non soprattutto) dei 
soggetti 
coinvolti, non solo dei 
caratteri 
dell’asset 
e 
della società 
target”. 

contenzioSo 
nAzionALe 


tivazione 
dei 
golden powers 
al 
fine 
di 
salvaguardare 
i 
settori 
strategici 
nazionali, 
incluso 
quello 
finanziario, 
nei 
confronti 
degli 
investitori 
extra-ue, 
appare 
pienamente legittima (16). 

Del 
resto, 
anche 
nel 
regolamento 
452/2019 
si 
prevede 
che 
Stato 
e 
commissione 
tengono 
conto 
“della 
possibilità 
che 
un 
investitore 
estero 
sia 
controllato 
direttamente 
o 
indirettamente 
[...] 
da 
parte 
del 
governo 
di 
un 
paese 
terzo”. 


ciò fa 
esplicito riferimento ai 
cc.dd. investitori 
sovrani, o meglio state 
owned enterprises 
e 
fondi 
sovrani, alcuni 
dei 
quali 
presentano uno stretto collegamento 
con 
i 
governi 
di 
Paesi 
terzi, 
in 
cui, 
come 
nel 
caso 
di 
cui 
trattasi, 
l’indefettibile 
principio della 
rule 
of 
law è 
interpretato con sfumature 
chiaramente 
differenti 
rispetto 
agli 
ordinamenti 
giuridici 
degli 
Stati 
membri 
del-
l’unione (17). 

4. osservazioni sulla procedura dell’esercizio dei poteri speciali. 
malgrado 
la 
tutela 
della 
sovranità 
alimentare 
quale 
rilevante 
interesse 
strategico 
nazionale 
risulti 
essere 
il 
leitmotiv 
della 
vicenda 
verisem, 
la 
sentenza 
in 
commento 
merita 
particolare 
attenzione 
con 
riferimento 
ad 
alcune 
questioni 
dirimenti di carattere squisitamente processuale in materia di 
golden power. 


un 
profilo 
di 
particolare 
interesse 
che 
affrontano 
i 
giudici 
di 
Palazzo 
Spada 
attiene 
al 
contrasto tra 
provvedimento ed istruttoria, dedotto dalla 
società 
appellante 
con 
riferimento 
al 
relativo 
iato 
tra 
gli 
esiti 
della 
fase 
istruttoria 
ed il successivo decisum 
dell’esecutivo. 


Secondo il 
consiglio di 
Stato, nell’ambito della 
procedura 
dell’esercizio 
dei 
poteri 
speciali, l’attività 
valutativa 
del 
sostrato fattuale 
acquisito agli 
atti 


(16) 
ed 
ancora, 
al 
par. 
18.1 
della 
sentenza, 
il 
consiglio 
di 
Stato 
puntualizza 
che: 
“tale 
delibazione 
non sconta il 
vizio della funzione 
ravvisato dall’appellante, posto che 
il 
Consiglio dei 
ministri 
ha ritenuto, 
nell’esplicazione 
dell’ampia discrezionalità di 
cui 
-quale 
massimo organo di 
indirizzo politico 
del 
Paese 
-dispone, di 
apprestare 
una tutela particolarmente 
incisiva al 
settore 
agroalimentare 
nazionale, 
da 
un 
lato 
proteggendo 
il 
patrimonio 
informativo, 
tecnologico, 
scientifico 
e 
contrattuale 
posseduto, 
nel 
settore 
sementiero, dalle 
target 
italiane 
(in particolare, dalla società suba seeds), dall’altro e 
specularmente 
impedendo che, grazie 
all’acquisizione, la società syngenta (e, per 
essa, il 
governo cinese) 
integrando la propria filiera, possa incrementare 
il 
proprio potenziale 
capacitativo in un’area dichiaratamente 
strategica anche 
per 
la repubblica Popolare 
(cfr. la relazione 
presentata dalle 
parti 
in data 
2 agosto 2021, pag. 8, ove 
si 
precisa che 
“il 
razionale 
strategico dell'operazione 
è 
rappresentato dalla 
rilevanza che il segmento di clientela a livello globale cui Verisem si rivolge riveste per syngenta”)”. 
(17) cfr. par. 18.5. “del 
resto, il 
controllo di 
un operatore 
economico nazionale 
da parte 
di 
uno 
stato 
terzo 
estraneo 
all’unione 
europea 
e 
con 
cui 
non 
intercorrono 
formali 
e 
cogenti 
legami 
di 
alleanza 
(si 
pensi, in primis, a quello riveniente 
dal 
trattato Nato) fa sì 
che 
l’operazione 
non sia ascrivibile 
al 
solo mercato ed alle 
connesse 
logiche 
di 
politica industriale, ma coinvolga ineludibilmente 
anche 
considerazioni 
di 
politica internazionale 
e 
di 
sicurezza, tese 
in ultima analisi 
a preservare 
non solo il 
funzionamento 
corretto 
del 
mercato 
nazionale, 
messo 
in 
pericolo 
dalla 
presenza 
di 
un 
operatore 
longa 
manus 
di 
uno stato straniero, ma la stessa effettività del 
principio costituzionale 
supremo di 
cui 
all’art. 
1, comma 2 (“la sovranità appartiene 
al 
popolo”), potenzialmente 
vulnerato da acquisizioni 
di 
asset 
fondamentali 
per 
la collettività nazionale 
da parte 
di 
stati 
stranieri 
che, ad avviso del 
governo, non 
diano sufficienti garanzie circa il relativo uso”. 

rASSeGnA 
AvvocAturA 
DeLLo 
StAto -n. 3/2022 


rappresenta 
giuridicamente 
lo 
specifico 
distinguo 
tra 
la 
fase 
istruttoria 
e 
la 
successiva 
fase decisoria (18). 

con ciò ad essere 
enfatizzata 
è 
la 
peculiare 
natura 
bifasica 
dell’iter procedimentale 
della 
golden power. 


A 
ben 
vedere, 
in 
ossequio 
a 
quanto 
previsto 
nella 
normativa 
di 
riferimento, 
siffatta 
procedura 
consta 
di 
una 
prima 
fase 
di 
carattere 
prettamente 
istruttorio, quale 
“attività propedeutica all’esercizio dei 
poteri 
speciali” 
(19), 
in cui 
è 
coinvolto un apposito Gruppo di 
coordinamento composto da 
personale 
di 
livello dirigenziale 
apicale 
della 
Presidenza 
del 
consiglio dei 
ministri 
e dei ministeri interessati (20). 

Difatti, in tale 
ambito è 
prevista 
la 
mera 
acquisizione 
dei 
dati 
di 
fatto rilevanti 
e 
utili 
alla 
ricostruzione 
ed inquadramento in chiave 
analitica 
e 
sistemica 
dell’operazione, 
al 
fine 
di 
pervenire 
ad 
un’attenta 
valutazione 
finale 
(21). 

Quest’ultima 
dunque, 
è 
oggetto 
di 
una 
successiva 
seconda 
fase 
e 
si 
presenta 
quale 
appannaggio 
esclusivo 
del 
consiglio 
dei 
ministri, 
che 
affronta 
e 
qualifica 
l’operazione 
tenendo 
in 
debita 
considerazione 
una 
più 
ampia 
postura 
politica 
dello 
Stato 
e 
adottando 
una 
prospettiva 
più 
strategica 
e 
a 
respiro 
internazionale. 


Sul 
punto 
dunque 
il 
consiglio 
di 
Stato 
scrupolosamente 
chiarisce 
che 
“il 
Consiglio 
dei 
ministri, 
in 
sostanza, 
non 
si 
limita 
ad 
una 
ricognizione 
atomistica, 
puntiforme 
e, 
per 
così 
dire, 
‘contabile’ed 
anodina 
delle 
caratteristiche 
specifiche 
dell’operazione, 
ma 
la 
traguarda 
nell’ambito 
e 
nel 
contesto 
dei 
fini 
generali 
della 
politica 
nazionale, 
ponderandone 
gli 
impatti 
sia 
sull’assetto 
economico-produttivo 
del 
settore 
socio-economico 
interessato, 
sia 
sulla 
più 
ampia 
struttura 
del


(18) Quanto alla 
vicenda 
in esame, il 
collegio al 
Par. 11.1 della 
sentenza, in una 
attenta 
ricostruzione 
fattuale 
dell’iter procedimentale, fa 
notare 
che 
“invero, nell’ambito dei 
lavori 
del 
gruppo di 
coordinamento 
il 
ministero 
dell’agricoltura 
individua 
l’operazione 
come 
“strategica” 
(si 
menziona 
espressamente, in particolare, la “strategicità degli 
asset 
coinvolti”) e 
qualifica come 
fondamentali 
gli 
impegni 
assunti 
pro futuro dall’acquirente, che, proprio in quanto strutturalmente 
“programmatici”, 
necessitano di 
essere 
puntualmente 
verificati. il 
ministero, dunque, pur 
proponendo il 
non esercizio dei 
poteri 
speciali, esprime 
la consapevolezza della delicatezza della questione, sia per 
l’oggetto dell’operazione, 
sia per 
il 
carattere 
qualificante 
che 
rivestono gli 
impegni 
assunti 
dall’acquirente 
in sede 
di 
notifica 
(poi vieppiù arricchiti nel corso dell’istruttoria)”. 
(19) d.P.r. n. 86 del 2014. 
(20) in particolare, al 
par. 11.8 della 
sentenza, il 
collegio osserva: 
“Questo significativo climax 
istruttorio 
registratosi 
nella 
specie 
da 
un 
lato 
testimonia 
l’esito 
tutt’altro 
che 
monolitico 
ed 
univoco 
dell’istruttoria stessa, dall’altro attesta vieppiù, per 
tabulas, la percepita delicatezza della questione 
già nel corso della fase istruttoria”. 
(21) 
cfr. 
sent. 
parr. 
14.2, 
14.3 
e 
15: 
“del 
resto, 
è 
lo 
stesso 
diritto 
unionale 
che 
facoltizza 
tale 
ampio spettro di 
valutazioni 
(le 
disposizioni 
del 
richiamato regolamento ue 
n. 452 del 
2019 del 
Parlamento 
europeo e 
del 
Consiglio del 
19 marzo 2019). in definitiva, dunque, nella specifica procedura 
in commento il 
vizio di 
contrasto con l’istruttoria si 
presenta strutturalmente 
marginale, in quanto è 
limitato 
ai 
casi 
macroscopici 
in 
cui 
il 
Consiglio 
affermi 
fatti 
smentiti 
dall’istruttoria 
o, 
al 
contrario, 
neghi 
fatti 
riscontrati 
nella fase 
istruttoria. ovviamente, ciò non veicola una sorta di 
arbitrio decisionale 
del 
Consiglio, che, di 
contro, deve 
poggiare 
su un iter 
argomentativo coerente, fondato sui 
criteri 
posti 
a 
monte dalla legge 
”. 

contenzioSo 
nAzionALe 


l’economia 
nazionale, 
sia, 
infine, 
sui 
rapporti 
internazionali 
e 
sul 
complessivo 
posizionamento 
politico-strategico 
del 
Paese 
nell’agone 
internazionale” 
(22). 


Diversamente 
opinando, 
si 
ammetterebbe 
una 
perfetta 
sovrapponibilità 
dell’ambito 
di 
valutazione 
attribuito 
al 
Gruppo 
di 
coordinamento 
e 
quello, 
invece, 
assegnato al consiglio dei ministri. 


ebbene, 
come 
argomentato 
nella 
sentenza 
in 
esame, 
ciò 
appare 
in 
toto 
smentito 
dalla 
corretta 
esegesi 
della 
normativa 
vigente 
e, 
in 
particolare, 
del 
decreto-legge 21/2012. 


in 
particolare, 
il 
Gruppo 
di 
coordinamento, 
pur 
giovandosi 
del 
contributo 
partecipativo delle 
amministrazioni 
coinvolte, che 
sono affiancate 
dal 
Dipartimento 
della 
pubblica 
sicurezza, e 
dall’apporto partecipativo dei 
soggetti 
interessati 
dall’operazione 
di 
acquisizione, si 
limita 
alla 
raccolta 
degli 
elementi 
di 
valutazione 
di 
indole 
tecnica, che 
poi 
dovranno essere 
apprezzati 
dal 
consiglio 
dei ministri in sede collegiale nella successiva fase. 


Peraltro, ciò induce 
a 
distinguere 
l’esercizio della 
golden power 
italiana 
da 
altri 
simili 
strumenti 
presenti 
in ordinamenti 
stranieri, come 
quello americano, 
nel 
quale 
il 
cFJuS 
definisce 
in 
modo 
diretto 
le 
mitigation 
measures 
con 
i 
soggetti 
intenzionati 
a 
concludere 
l’operazione 
di 
acquisizione, 
senza 
dunque 
alcun passaggio ulteriore volto alla loro formalizzazione. 

invece, 
nell’ordinamento 
giuridico 
italiano, 
il 
compito 
assegnato 
al 
Gruppo di coordinamento è di indole meramente tecnica ed istruttoria. 


Lo 
conferma 
proprio 
quanto 
avvenuto 
nel 
caso 
di 
cui 
trattasi, 
laddove 
alle 
considerazioni 
di 
carattere 
tecnico, il 
consiglio dei 
ministri 
ha 
aggiunto 
valutazioni 
di 
politica 
internazionale 
che 
sono del 
tutto estranee 
all’ambito di 
sindacato dell’organo tecnico della Presidenza. 


in 
particolare, 
nel 
caso 
in 
esame, 
il 
consiglio 
dei 
ministri, 
quale 
massimo 
organo 
politico, 
nella 
delibazione 
concernente 
la 
golden 
power 
non 
fa 
altro 
che 
esplicare 
l’ampia 
discrezionalità 
di 
cui 
dispone 
perseguendo 
il 
preminente 
fine 
di 
apprestare 
una 
tutela 
particolarmente 
incisiva 
al 
settore 
agroalimentare 
nazionale. 


Da 
ciò si 
evince 
la 
peculiare 
natura 
di 
siffatto strumento governativo che 
ben si configura quale provvedimento di alta amministrazione. 


A 
tal 
proposito, 
riconducendo 
il 
provvedimento 
in 
esame 
nell’alveo 
degli 
atti 
di 
alta 
amministrazione 
corre 
l’obbligo rimarcare 
l’indiscussa 
discrezionalità 
riconosciuta 
da 
un 
consolidato 
orientamento 
giurisprudenziale 
a 
siffatta 
categoria 
di 
atti 
ragion per cui 
“deve 
ritenersi 
che 
gli 
stessi 
siano sindacabili 
unicamente 
sotto 
i 
profili 
dell’incongruità 
e 
dell’irragionevolezza” 
(cfr. 
ex 
multis 
t.a.r. roma, (Lazio) sez. i, 5 aprile 2012 n. 3151). 


in aggiunta 
a 
ciò, si 
rammenti 
che 
la 
giurisprudenza 
di 
legittimità 
concorda 
nel 
ritenere 
che 
per gli 
atti 
di 
alta 
amministrazione, quale 
è 
l’adozione 


(22) vedi sent. par. 14.1. 

rASSeGnA 
AvvocAturA 
DeLLo 
StAto -n. 3/2022 


di 
un provvedimento per l’esercizio dei 
poteri 
speciali, in quanto espressione 
della 
potestà 
di 
indirizzo e 
di 
governo della 
Presidenza 
del 
consiglio dei 
ministri, 
pur 
non 
sottraendosi 
al 
generale 
obbligo 
di 
motivazione 
sancito 
dall’art. 
3, 
Legge 
n. 
241/1990 
in 
termini 
di 
doverosa 
esposizione 
delle 
ragioni 
che 
hanno condotto ad una 
determinata 
decisione, il 
provvedimento finale 
“non 
deve 
contenere 
una 
diffusa 
esternazione 
dell’iter 
valutativo 
compiuto 
dall’amministrazione” 
(t.a.r. catanzaro, sez. ii, 3 ottobre 2007, n. 1452). 


in tal 
senso, ciò che 
il 
collegio ha 
cura 
di 
far notare 
è 
il 
profilo altamente 
discrezionale 
dell’apprezzamento della 
strategicità 
di 
un’operazione 
in relazione 
all’interesse 
nazionale, 
rilevando 
in 
tal 
ambito 
un’ampia 
valutazione 
geopolitica 
proiettata 
a 
scenari 
futuri 
con il 
precipuo fine 
di 
non agire 
in favor 
di Stati 
competitor 
e ostili e di salvaguardare le istanze di imprese nazionali. 


A 
tal 
proposito, 
preme 
constatare 
che, 
nella 
sentenza 
in 
commento, 
il 
concetto 
di 
interesse 
nazionale 
non 
appare 
come 
“un 
prius, 
ossia 
un 
dato 
oggettivo 
preesistente 
in natura, bensì 
un posterius, ossia la risultante 
di 
valutazioni 
ed 
opzioni politiche”. 


nel 
caso verisem, poi, il 
supremo consesso si 
pronuncia 
sulle 
doglianze 
concernenti 
la 
violazione 
del 
principio 
di 
legalità 
e 
di 
proporzionalità 
nell’esercizio 
della 
golden power. 


A 
tal 
proposito, il 
decisum 
acquista 
particolare 
pregio nella 
parte 
in cui 
si 
osserva 
che 
lo scopo della 
normativa 
sia 
primaria 
che 
attuativa 
in tema 
di 
golden 
power 
è 
quello 
di 
“apprestare 
una 
disciplina 
a 
maglie 
volutamente 
larghe 
al 
fine 
di 
non imbrigliare 
-e, quindi, depotenziare 
-il 
presidio costituito dalla 
spendita del potere omonimo”. 


Sul 
punto, 
i 
giudici 
di 
Palazzo 
Spada 
precisano 
che 
“il 
potere 
di 
golden 
power, 
infatti, 
rappresenta 
il 
limes 
provvedimentale 
posto 
dalla 
legge 
a 
garanzia 
ultima 
dell’interesse 
nazionale 
nelle 
specifiche 
macro-aree 
economiche 
prese 
in 
considerazione; 
come 
tale, 
e 
proprio 
in 
quanto 
dettato 
a 
tutela 
di 
interessi 
fondamentali 
(“strategici”) 
della 
collettività 
nazionale 
come 
discrezionalmente 
apprezzati 
dal 
Consiglio 
dei 
ministri, 
esige 
un 
fondamento 
normativo 
altrettanto 
ampio, 
elastico, 
flessibile 
ed 
inclusivo, 
che 
consenta 
di 
apprestare 
la 
massima 
e 
più 
efficace 
tutela 
agli 
(assai 
rilevanti) 
interessi 
sottostanti: 
in 
tale 
specifica 
ottica, 
esula 
qualunque 
addebito 
di 
indeterminatezza 
e 
genericità”. 


Del 
resto, 
a 
tal 
riguardo, 
occorre 
anche 
far 
riferimento 
alla 
relazione 
Air 
del 
decreto 
legge 
21/2012 
che 
espressamente 
menziona 
tra 
gli 
obiettivi 
perseguiti 
con 
l’intervento 
di 
regolamentazione, 
“la 
necessità 
di 
adeguare, 
in 
via 
generale, 
la 
normativa 
nazionale 
alle 
regole 
ed 
ai 
principi 
del 
diritto 
europeo 
in 
materia 
di 
esercizio 
dei 
poteri 
speciali 
da 
parte 
del 
Governo 
a 
tutela 
dei 
propri 
asset 
strategici, 
in 
caso 
ricorra 
una 
situazione 
eccezionale 
di 
minaccia 
effettiva 
di 
grave 
pregiudizio 
per 
gli 
interessi 
pubblici” 
(p. 
2 
lettera 
b) 
della 
relazione 
Air). 


e 
perdipiù, 
lo 
stesso 
articolo 
4 
del 
su 
menzionato 
regolamento 
ue 
2019/452 
prevede 
espressamente 
che 
“nel 
determinare 
se 
un 
investimento 



contenzioSo 
nAzionALe 


estero 
diretto 
possa 
incidere 
sulla 
sicurezza 
o 
ordine 
pubblico, 
gli 
stati 
membri 


o Commissione, possono prendere 
in considerazione 
i 
suoi 
effetti 
potenziali 
a 
livello di: ... c) sicurezza dell’approvvigionamento di 
fattori 
produttivi 
critici, 
tra cui 
... e 
le 
materie 
prime”, senza 
meglio precisare 
quali 
attivi 
strategici 
vi 
possano essere ricondotti. 
Alla 
luce 
di 
ciò, 
tale 
generalismo 
redazionale 
deve 
essere 
interpretato 
nel 
senso di 
voler escludere 
una 
catalogazione 
ex 
ante 
di 
attivi 
strategici 
che, per 
loro definizione, sono soggetti 
al 
mutare 
delle 
condizioni 
e 
del 
contesto economico 
concomitante. 


Quanto al 
principio di 
proporzionalità, il 
collegio conferma 
la 
decisione 
del 
t.a.r. Lazio, affermando che 
il 
provvedimento del 
consiglio dei 
ministri 
indica 
ictu oculi 
(23) le 
principali 
ragioni 
che 
lasciano “stimare 
la costitutiva 
insufficienza 
dell’imposizione 
di 
prescrizioni, 
che 
non 
solo 
non 
osterebbero 
al 
perfezionamento dell’operazione, ma oltretutto produrrebbero “effetti 
pecuniari 
e/o 
obbligatori 
… 
di 
complessa 
realizzabilità 
in 
caso 
di 
inottemperanza 
del destinatario cinese”. 


nella 
vicenda 
in esame, è 
scrutinata 
anche 
la 
questione 
circa 
la 
mancata 
formulazione del preavviso di rigetto, ex art. 10 bis 
L. n. 241/1990. 


in tale 
ambito, aderendo alla 
motivazione 
già 
spesa 
dal 
t.a.r. sul 
tema, il 
collegio 
appunta 
l’attenzione 
sulla 
notifica 
dell’operazione 
mediante 
la 
quale, 
le 
parti 
interessate, 
lungi 
dal 
veicolare 
sic 
et 
simpliciter 
un’istanza, 
adempiono 
ad uno specifico dovere prescritto dalla normativa di riferimento (24). 

inoltre, con riferimento al 
d.P.r. del 
25 marzo 2014 n. 86, è 
ribadita 
la 
specificità 
della 
materia 
in 
esame 
e, 
di 
conseguenza, 
il 
carattere 
implicitamente 
completo ed autosufficiente della relativa disciplina. 


Perdipiù, il 
richiamo all’istituto del 
preavviso di 
rigetto in relazione 
all’esercizio 
della 
golden power 
risulta 
inconferente 
sotto diversi 
profili, ragion 
per cui sul punto appare opportuno muovere da alcune constatazioni. 


in primis, ciò che 
rileva 
è 
l’incompatibilità 
con la 
natura 
giuridico costituzionale 
dell’organo 
decisorio 
coinvolto, 
stante 
l’insussistenza 
di 
un 
contraddittorio 
tra le imprese interessate ed il consiglio dei ministri. 


Peraltro, pur volendo ammettere 
per ipotesi 
una 
minima 
dialettica 
carto


(23) 
cfr. 
par. 
22.2. 
una 
siffatta 
motivazione 
-innervata 
dalla 
primaria 
necessità 
di 
impedire 
il 
perfezionarsi 
dell’operazione 
-appare 
logica, posto che 
l’imposizione 
di 
prescrizioni, pur se 
stringenti, 
non 
solo 
consentirebbe 
la 
conclusione 
dell’acquisizione, 
ma, 
per 
di 
più, 
sarebbe 
oggettivamente 
difficile 
da 
implementare, considerata 
la 
natura 
sovrana 
del 
detentore 
sostanziale 
del 
controllo della 
società 
acquirente 
(ossia il Governo cinese). 
(24) 
cfr. 
sent. 
par 
23.1 
“sul 
punto, 
la 
motivazione 
spesa 
dal 
t.a.r. 
merita 
conferma, 
posto 
che 
con 
la notifica dell’operazione 
le 
parti 
interessate 
non veicolano un’istanza, ma adempiono ad un dovere 
prescritto dalla legge 
(cfr. lo stesso ricorso al 
t.a.r., pag. 11) 
”. e 
par. 23.2 “Peraltro, aggiunge 
il 
Collegio, 
la particolare 
specificità della materia lascia propendere 
per 
il 
carattere 
(implicitamente) completo 
ed autosufficiente 
della relativa disciplina, recata dall’apposito regolamento di 
cui 
al 
d.P.r. 25 
marzo 2014, n. 86, la cui oggettiva specialità lo rende insuscettibile di integrazioni ab externo”. 

rASSeGnA 
AvvocAturA 
DeLLo 
StAto -n. 3/2022 


lare, 
nel 
caso 
di 
specie, 
si 
individuano 
solo 
valutazioni 
tout 
court 
discrezionali, 
non 
rilevando 
alcun 
“motivo 
ostativo 
di 
diritto” 
potenzialmente 
suscettibile 
di contraddittorio endo-procedimentale. 


in particolare, merita 
una 
speciale 
attenzione 
il 
contenuto di 
siffatta 
notifica 
stante 
che, non rilevando alcuna 
esplicita 
richiesta, palesa 
un carattere 
meramente informativo nonché di ausilio all’esercizio dei poteri speciali. 


ciò 
in 
quanto 
consiste 
esclusivamente 
nella 
trasmissione 
all’autorità 
competente 
di 
determinate 
informazioni 
aziendali, societarie, industriali 
e 
finanziarie 
necessarie per il controllo governativo. 


ed ancora, repetita iuvant, “l’ampiezza, la 
delicatezza 
e 
la 
politicità 
sostanziale 
delle 
valutazioni 
di 
cui 
è 
investito il 
consiglio non si 
prestano alla 
discussione “pari a pari” con i soggetti interessati”. 

A 
tal 
riguardo, è 
d’uopo ribadire 
che 
nei 
procedimenti 
per l’esercizio dei 
poteri 
speciali 
di 
cui 
al 
decreto-legge 
15 marzo 2012, n. 21, la 
Presidenza 
del 
consiglio 
dei 
ministri 
svolge 
unicamente 
un 
vaglio 
di 
legittimità 
della 
sottesa 
operazione 
economica 
dei 
privati, 
mediante 
un 
opportuno 
bilanciamento 
degli 
interessi 
in gioco: 
da 
una 
parte 
gli 
obiettivi 
economici 
delle 
parti 
e 
dall’altra 
gli interessi di carattere nazionale legati alla sicurezza e all’ordine pubblico. 


Aderendo a 
tale 
logica, siffatto procedimento non può, ictu oculi, essere 
incluso nella 
categoria 
giuridica 
dei 
procedimenti 
ad istanza 
di 
parte, atteso 
che 
il 
privato, con la 
propria 
notifica, non vanta 
nei 
confronti 
della 
pubblica 
amministrazione 
alcuna 
pretesa 
all’ottenimento del 
bene 
della 
vita 
richiesto 
con la 
propria 
istanza, trattandosi 
-per converso -di 
un procedimento di 
controllo 
basato sul 
ragionevole 
bilanciamento tra 
i 
diversi 
interessi 
delle 
parti, 
escludendosi, 
perciò, 
categoricamente, 
l’esistenza 
di 
alcuna 
forma 
di 
interesse 
pretensivo vantato dal 
soggetto notificante 
tale 
da 
richiedere, come 
letteralmente 
previsto 
dalla 
norma, 
“l’accoglimento 
(o 
il 
non 
accoglimento) 
della 
domanda”. 


in altri 
termini, nella 
vicenda 
di 
cui 
trattasi 
“il 
bene 
della 
vita” 
cui 
aspira 
la società acquirente è unicamente la società target. 

A 
ben vedere, ciò fa 
parte 
di 
un rapporto privatistico incentrato sull’autonomia 
privata 
delle 
parti, rispetto al 
quale 
la 
pubblica 
amministrazione 
interviene 
soltanto 
nell’esercizio 
di 
una 
funzione 
di 
controllo, 
rimanendo 
comunque terza rispetto alla pattuizione privata. 

va 
da 
sé 
che, stante 
il 
peculiare 
contesto normativo in cui 
si 
inserisce, la 
già 
menzionata 
contrazione 
del 
contraddittorio 
non 
costituisce 
alcun 
vulnus 
circa 
il 
corretto 
modus 
operandi 
dell’Amministrazione 
né 
scalfisce 
il 
principio 
cardine di buona amministrazione. 

Alla 
luce 
di 
ciò, 
non 
si 
ravvisa 
alcun 
dubbio 
circa 
la 
differenza 
sussistente 
tra 
lo schema 
procedimentale 
del 
caso di 
specie 
e 
quello di 
carattere 
generale 
previsto ai sensi dell’art.10 bis 
della Legge n. 241/1990. 


in 
ogni 
caso, 
per 
quanto 
fin 
qui 
esposto, 
la 
sentenza 
in 
commento 
rap



contenzioSo 
nAzionALe 


presenta 
un importante 
tassello in materia 
di 
golden power 
e, adeguandosi 
al-
l’incessante 
evoluzione 
del 
quadro 
normativo 
e 
giurisprudenziale 
nazionale 
ed euro unitario, fornisce 
preziose 
coordinate 
su come 
districarsi 
in un groviglio 
precettistico solo apparentemente inestricabile. 


Consiglio di 
Stato, Sezione 
Quarta, sentenza 9 gennaio 2023 n. 289 -Pres. ff 
v. neri, est. 


L. Lamberti 
-Soc. Psp verisem 
Luxemburg Holding S.à 
r.l. (avv.ti 
F. Arossa, n. moravia 
e 
G.L. zampa) c. Presidenza 
del 
consiglio dei 
ministri 
(avv. gen. Stato); 
con l’intervento ad 
opponendum 
della soc. b.F. s.p.a. (avv.ti 
A. zoppini e G. vercillo). 
FAtto e Diritto 


1. 
La 
controversia 
attiene 
ad 
una 
fattispecie 
di 
esercizio 
del 
potere 
governativo 
di 
veto 
ad 
un’acquisizione societaria, ai sensi del d.l. n. 21 del 2012. 
1.1. 
Più 
in 
particolare, 
con 
decreto 
in 
data 
21 
ottobre 
2021, 
adottato 
su 
conforme 
deliberazione 
del 
consiglio dei 
ministri 
in data 
19 ottobre 
2021, il 
Presidente 
del 
consiglio dei 
ministri 
ha 
vietato l’acquisizione, da 
parte 
della 
società 
di 
diritto svizzero Syngenta 
crop Protection AG, 
dell’intero 
capitale 
sociale 
della 
società 
di 
diritto 
olandese 
verisem 
b.v. 
e 
delle 
sue 
controllate, 
ivi incluse quelle con sede in italia. 
1.2. La 
società 
Syngenta 
crop Protection AG 
è 
una 
delle 
quattro principali 
business 
unit 
di 
cui 
si 
compone 
il 
gruppo societario facente 
capo alla 
società 
di 
diritto svizzero Syngenta 
AG, 
a 
sua 
volta 
controllata 
dalla 
multinazionale 
cinese 
chemchina, costituente 
una 
Soe 
(stateowned 
enterprise) della 
repubblica 
Popolare 
cinese. il 
gruppo Syngenta 
è 
attivo nel 
campo 
agricolo, di cui è uno dei maggiori 
player 
mondiali, con interessi in oltre 100 Paesi. 
1.3. La 
società 
di 
diritto olandese 
verisem 
b.v. controlla 
direttamente 
o indirettamente, tra 
l’altro, cinque 
società 
con sede 
in italia, ossia 
le 
società 
Suba 
Seeds 
company s.p.a., royal 
Seeds 
s.r.l., 
HortuSì 
s.r.l., 
verisem 
Distribution 
s.r.l. 
e 
Franchi 
Sementi 
s.p.a., 
tutte 
a 
vario 
titolo 
attive 
nel 
settore 
sementiero: 
il 
capitale 
sociale 
della 
società 
verisem 
b.v. 
è 
interamente 
detenuto dalla 
società 
di 
diritto lussemburghese 
PSP 
verisem 
Luxemburg Holdings 
S.à 
r.l., a 
sua volta controllata da un fondo di 
private equity 
statunitense. 
1.4. oggetto dell’operazione, che 
vede 
come 
soggetto interessato all’acquisto la 
società 
Syngenta 
crop Protection AG 
e 
come 
soggetto interessato all’alienazione 
la 
società 
PSP 
verisem 
Luxemburg Holdings 
S.à 
r.l., è 
l’intero capitale 
sociale 
della 
società 
verisem 
b.v.: 
l’operazione 
è 
stata 
notificata 
congiuntamente 
dalle 
interessate 
alla 
Presidenza 
del 
consiglio 
dei 
ministri 
- Dipartimento per il coordinamento Amministrativo in data 5 luglio 2021. 
1.5. eseguita 
l’istruttoria, coordinata 
dal 
ministero delle 
Politiche 
agricole, alimentari 
e 
forestali, 
la 
pratica 
è 
giunta 
all’attenzione 
del 
consiglio dei 
ministri 
nella 
seduta 
del 
19 ottobre 
2021, che ha ritenuto di non autorizzare l’operazione. 
2. 
La 
società 
PSP 
verisem 
Luxemburg 
Holdings 
S.à 
r.l. 
(di 
seguito 
verisem) 
ha 
radicato 
ricorso 
avanti 
il 
t.a.r. per il 
Lazio, evocando in giudizio la 
Presidenza 
del 
consiglio dei 
ministri 
e 
la 
Presidenza della repubblica ed avanzando quattro ordini di censure, così sintetizzabili: 
a1) difetto di 
entrambe 
le 
condizioni 
alla 
cui 
contestuale 
sussistenza 
è 
ex 
lege 
subordinato il 
legittimo esercizio del 
potere 
di 
veto. in particolare, assenza 
del 
carattere 
strategico delle 
attività 
delle 
società 
italiane 
del 
gruppo verisem 
e, comunque, strutturale 
incapacità 
della 
relativa 
acquisizione 
(di 
carattere, 
peraltro, 
estero 
su 
estero) 
di 
determinare 
una 
“situazione 

rASSeGnA 
AvvocAturA 
DeLLo 
StAto -n. 3/2022 


eccezionale, non disciplinata dalla normativa nazionale 
ed europea di 
settore, di 
minaccia 
di 
grave 
pregiudizio per 
gli 
interessi 
pubblici 
relativi 
alla sicurezza e 
al 
funzionamento delle 
reti 
e 
degli 
impianti 
e 
alla continuità degli 
approvvigionamenti” 
(art. 2, comma 
3, d.l. n. 21 
del 
2012) nel 
campo agroalimentare, perché 
le 
società 
italiane 
del 
gruppo: 
i) detengono una 
quota 
del 
mercato professionale 
nazionale 
dei 
semi 
pari 
solo all’1%; 
ii) non svolgono alcuna 
attività 
di 
produzione 
di 
semi, né 
di 
sviluppo e 
ricerca, limitandosi 
alla 
commercializzazione 
all’ingrosso ed alla 
distribuzione 
dei 
semi 
prodotti 
da 
terzi; 
iii) non sono titolari 
di 
diritti 
di 
privativa 
industriale 
o di 
proprietà 
intellettuale; 
iv) non possiedono i 
terreni 
dove 
i 
semi 
vengono 
coltivati; 
v) lavorano prevalentemente 
nel 
mercato hobbistico, di 
cui, oltretutto, detengono 
non più del 20-25% a livello nazionale; 
a2) mancata 
formulazione 
di 
una 
motivazione 
rafforzata 
che 
giustifichi 
l’assunzione 
di 
una 
decisione 
distonica 
rispetto 
alle 
risultanze 
dell’istruttoria, 
giacché 
il 
gruppo 
di 
coordinamento 
si 
era 
dichiarato 
favorevole 
all’operazione 
con 
raccomandazioni 
e, 
nell’ambito 
dei 
relativi 
lavori, 
pure 
il 
Dipartimento delle 
informazioni 
per la 
Sicurezza 
-DiS 
si 
era 
espresso favorevolmente, 
sia 
pure 
chiedendo 
l’imposizione 
di 
più 
incisive 
prescrizioni; 
la 
proposta 
di 
decisione 
finale 
formalizzata 
dal 
ministero 
delle 
Politiche 
agricole, 
alimentari 
e 
forestali 
suggeriva 
l’assenso con raccomandazioni 
o con prescrizioni, ma 
non menzionava 
affatto l’esercizio 
del potere di veto; 
a3) illegittimità, a 
monte, dell’art. 11, lett. c), D.P.c.m. n. 179 del 
2020, in tesi 
generico, tautologico 
ed indeterminato, in violazione del principio di legalità; 


b) errato richiamo agli 
artt. 6 e 
9 D.P.c.m. n. 179 del 
2020, perché 
le 
società 
del 
gruppo non 
svolgono 
attività 
di 
raccolta 
dati 
critici, 
né 
si 
occupano 
di 
intelligenza 
artificiale 
o, 
comunque, 
di 
tecnologie 
critiche, 
quali 
la 
machine 
learning; 
a 
tutto 
concedere, 
tali 
rilievi 
non 
sono 
emersi 
in istruttoria; 
c) 
violazione 
del 
principio 
di 
proporzionalità 
rispetto 
a 
scelte 
meno 
impattanti 
sull’autonomia 
privata 
e 
sul 
libero operare 
delle 
dinamiche 
di 
mercato, anche 
in considerazione 
dei 
precisi 
impegni assunti dall’acquirente in sede di notifica dell’operazione; 
d) mancanza del preavviso di rigetto. 
3. costituitasi 
in resistenza 
la 
sola 
Presidenza 
del 
consiglio dei 
ministri, con la 
sentenza 
indicata 
in epigrafe il 
t.a.r., ha così deciso: 
-ha 
disposto “l’estromissione 
dal 
giudizio, per 
carenza di 
legittimazione 
passiva, della Presidenza 
della repubblica”, evocata in giudizio dalla ricorrente; 
-ha respinto nel merito il ricorso; 
-ha compensato le spese di lite. 
3.1. il 
t.a.r., in particolare, ha 
così 
motivato la 
reiezione 
del 
ricorso (si 
fa 
riferimento, di 
seguito, 
all’indicazione delle censure operata supra, sub § 2): 
d) non sarebbe 
applicabile 
in subiecta materia 
l’art. 10-bis 
l. n. 241 del 
1990, giacché 
“la notifica 
[dell’operazione] 
costituisce 
per 
l’impresa 
un 
vero 
e 
proprio 
obbligo, 
funzionale 
all’esercizio 
dei 
poteri 
di 
controllo spettanti 
allo stato, e 
non è 
volta ad ottenere 
un bene 
della 
vita. Per 
tale 
ragione, nella notifica non è 
presente 
alcuna <<richiesta>> 
da parte 
della società 
interessata”; il procedimento, del resto, sarebbe azionabile anche d’ufficio; 
a-b) 
il 
provvedimento 
sarebbe 
espressione 
di 
“amplissima 
discrezionalità, 
in 
ragione 
della 
natura degli 
interessi 
tutelati, attinenti 
alla sicurezza nazionale”; 
si 
tratterebbe, dunque, di 
atto di 
alta 
amministrazione, come 
tale 
“sindacabile 
dal 
giudice 
amministrativo nei 
ristretti 
limiti 
della sussistenza di 
una manifesta illogicità”, nella 
specie 
non riscontrabile, atteso che 
il 
provvedimento non sarebbe 
in contrasto con la 
propedeutica 
istruttoria 
e 
sarebbe 
articola

contenzioSo 
nAzionALe 


tamente 
motivato, 
posto 
che 
“risultano 
individuati 
gli 
asset 
strategici, 
rilevanti 
sotto 
il 
profilo 
dei 
fattori 
produttivi 
critici, delle 
tecnologie 
produttive 
e 
delle 
informazioni 
possedute”; 
peraltro, 
“nella fase 
istruttoria il 
compito del 
gruppo di 
coordinamento, che 
si 
avvale 
del 
contributo 
partecipativo 
delle 
amministrazioni 
coinvolte, 
affiancate 
dal 
dipartimento 
della 
pubblica sicurezza, oltre 
che 
dell’apporto partecipativo dei 
soggetti 
interessati 
dall’operazione 
di 
acquisizione, 
è 
quello 
di 
raccogliere 
gli 
elementi 
di 
valutazione 
tecnica 
da 
sottoporre 
al 
Consiglio dei 
ministri 
in sede 
collegiale, che 
non è 
pertanto vincolato o comunque 
tenuto 
ad 
adottare 
una 
motivazione 
rafforzata 
nel 
caso 
vengano 
formulate 
in 
fase 
istruttoria 
proposte 
differenti 
rispetto all’esercizio del 
potere 
di 
veto”; 
non sarebbe 
neppure 
illegittimo l’art. 11, 
lett. c), del 
D.P.c.m. che, a 
monte, individua 
i 
settori 
economici 
suscettibili 
di 
uso del 
potere 
di 
veto, 
giacché 
“la 
tecnica 
redazionale 
adoperata 
per 
individuare 
gli 
asset 
nel 
settore 
agroalimentare 
rappresenta un adeguato compromesso tra la tutela della libertà di 
impresa e 
la 
garanzia della sicurezza nazionale 
e 
tiene 
conto dell’impossibilità di 
una catalogazione 
puntuale 
e minuta degli attivi strategici”; 


c) non sarebbe 
leso il 
principio di 
proporzionalità, giacché 
“il 
decreto contiene 
una giustificazione 
del 
tutto 
logica 
in 
ordine 
all’inutilità 
di 
imporre 
misure 
meno 
gravose 
del 
divieto 
dell’operazione, quali 
eventuali 
prescrizioni, in ragioni 
della circostanza, non controversa, 
che 
l’effettivo proprietario della società acquirente 
è 
il 
governo cinese 
e 
della difficoltà di 
attuare 
misure 
di 
enforcement 
realmente 
efficaci 
in caso di 
inottemperanza alle 
prescrizioni 
imposte per il trasferimento dell’asset all’estero”. 
4. verisem appella e ripropone criticamente le censure di prime cure. 
4.1. La Presidenza del consiglio dei ministri si costituisce in resistenza. 
4.2. 
interviene 
ad 
opponendum 
la 
società 
di 
diritto 
italiano 
bF 
s.p.a., 
che 
rappresenta 
di 
avere 
interesse 
all’intervento in quanto, a 
suo tempo, ha 
effettuato una 
proposta 
di 
acquisto del 
capitale 
di 
verisem b.v. 
4.3. All’esito della 
camera 
di 
consiglio del 
28 luglio 2022 l’istanza 
cautelare 
svolta 
dall’appellante 
viene accolta ai soli fini della sollecita fissazione dell’udienza di merito. 
4.4. 
in 
data 
24 
novembre 
2022 
verisem 
deposita 
accordo 
con 
Syngenta 
del 
17 
novembre 
2022 
per il 
prolungamento sino al 
19 dicembre 
2022 dell’efficacia 
della 
cessione, al 
fine 
di 
dimostrare 
la persistenza dell’interesse all’acquisizione e, dunque, la procedibilità del giudizio. 
4.5. in vista della trattazione del ricorso le parti depositano memorie: 
-la 
Presidenza 
del 
consiglio 
dei 
ministri 
e 
la 
società 
bF 
ribadiscono 
l’eccezione 
di 
inammissibilità 
dell’appello, sia 
perché 
Syngenta 
non ha 
impugnato la 
sentenza 
del 
t.a.r. per il 
Lazio 
n. 4488 del 
13 aprile 
2022 che 
ne 
ha 
rigettato il 
parallelo ricorso avverso l’atto di 
veto (nel 
relativo giudizio, allibrato al 
n. 13655 del 
2021, verisem 
non era 
stata 
evocata 
né 
aveva 
preso 
parte 
quale 
interveniente), ciò che, in tesi, impedirebbe 
comunque 
la 
stipula 
dell’atto di 
vendita, 
bloccato dal 
veto oramai 
definitivo a 
carico dell’acquirente, sia 
perché 
“la PsP 
Verisem 
non ha provato che 
al 
momento della notifica dell’appello lo sPa 
[ossia 
il 
contratto preliminare 
di vendita fra Syngenta e 
verisem] 
fosse ancora efficace tra le parti”; 
-verisem, 
a 
sua 
volta, 
sostiene 
l’inammissibilità 
[dell’] 
intervento 
di 
bF 
perché, 
nella 
seconda 
fase 
della 
selezione 
privata 
curata 
dalla 
stessa 
verisem 
per reperire 
un compratore, bF 
non 
avrebbe presentato un’offerta. 
4.6. il ricorso è stato trattato alla pubblica udienza del 15 dicembre 2022. 
5. 
il 
collegio 
prende 
le 
mosse 
dalla 
questione 
pregiudiziale 
dell’ammissibilità 
dell’intervento 
svolto dalla società bF s.p.a. 
5.1. L’intervento è ammissibile. 

rASSeGnA 
AvvocAturA 
DeLLo 
StAto -n. 3/2022 


5.2. invero, la 
natura 
privata 
della 
procedura 
di 
selezione 
curata 
da 
verisem 
ne 
determina 
la 
potenziale 
ripetizione 
o, comunque, la 
possibile 
rimodulazione 
anche 
in itinere 
-specie 
all’esito 
di 
una 
pronuncia 
giurisdizionale 
che 
confermi 
il 
veto 
all’operazione 
di 
acquisto 
da 
parte 
di 
Syngenta 
-proprio perché 
retta 
dal 
diritto comune 
e 
non presidiata 
da 
rigide 
ed inderogabili 
disposizioni 
di 
diritto pubblico: 
ne 
consegue 
che 
bF 
ha 
un interesse 
sì 
indiretto e 
riflesso, 
ma pur sempre giuridicamente apprezzabile, all’esito del presente giudizio. 
5.3. 
Peraltro, 
per 
principio 
generale 
l’inammissibilità 
dell’intervento 
consegue 
all’evidente 
dimostrazione 
dell’assenza 
dei 
relativi 
presupposti, dovendosi 
altrimenti 
ammettere 
l’intervento 
stesso, quale espressione del diritto di difesa costituzionalmente protetto. 
5.4. non può non rilevarsi, infine, che 
a 
quanto consta 
bF 
(soggetto imprenditoriale 
attivo 
nel 
settore 
agroalimentare) era 
già 
intervenuta 
ad opponendum 
in prime 
cure 
nel 
giudizio gemello 
n. 13655 del 
2021 intentato avanti 
il 
t.a.r. da 
Syngenta, poi 
definito con sentenza 
di 
rigetto 
n. 4488 del 
13 aprile 
2022, in tal 
modo dimostrando di 
coltivare 
attivamente 
le 
proprie 
istanze. 
6. Le 
eccezioni 
di 
inammissibilità 
dell’appello formulate 
dalla 
Presidenza 
del 
consiglio dei 
ministri 
(di 
seguito Pcm) e 
da 
bF 
possono, invece, essere 
assorbite, considerata 
la 
complessiva 
infondatezza nel merito delle prospettazioni di 
verisem. 
7. 
Preliminarmente, 
il 
collegio 
dà 
atto 
che, 
a 
seguito 
della 
proposizione 
dell’appello, 
è 
riemerso 
l’intero 
thema 
decidendum 
del 
giudizio 
di 
primo 
grado 
-che 
perimetra 
necessariamente 
il 
processo 
di 
appello 
ex 
art. 
104 
c.p.a. 
-sicché, 
per 
ragioni 
di 
economia 
dei 
mezzi 
processuali 
e 
semplicità 
espositiva, 
secondo 
la 
logica 
affermata 
dalla 
decisione 
dell’Adunanza 
plenaria 
del 
consiglio 
di 
Stato 
n. 
5 
del 
2015, 
verranno 
presi 
direttamente 
in 
esame 
gli 
originari 
motivi 
posti 
a 
sostegno 
del 
ricorso 
introduttivo 
(cfr., 
ex 
plurimis, 
cons. 
Stato, 
sez. 
iv, 
n. 
1137 
del 
2020). 
8. ciò premesso, il 
collegio non può non premettere 
la 
ricognizione 
della 
normativa 
applicabile, 
pur se ciò inevitabilmente appesantisce la trattazione. 
8.1. 
Deve 
anzitutto 
menzionarsi 
il 
regolamento 
(ue) 
2019/452 
del 
Parlamento 
europeo 
e 
del 
consiglio 
del 
19 
marzo 
2019, 
volto 
a 
“istituire 
un 
quadro 
per 
il 
controllo 
degli 
investimenti 
esteri 
diretti 
nell’unione”, 
che 
costituisce 
il 
corpus 
normativo 
di 
riferimento 
a 
livello 
unionale. 
8.1.1. tale regolamento: 
-al 
considerando 
2, 
richiama 
“l’articolo 
3, 
paragrafo 
5, 
del 
trattato 
sull'unione 
europea 
(tue)”, 
ai 
sensi 
del 
quale 
“nelle 
relazioni 
con 
il 
resto 
del 
mondo, 
l'unione 
afferma 
e 
promuove 
i suoi valori e interessi”; 
-al 
considerando 3, stabilisce 
che, “conformemente 
agli 
impegni 
internazionali 
assunti 
nel-
l'ambito 
dell'organizzazione 
mondiale 
del 
commercio 
(omC), 
dell'organizzazione 
per 
la 
cooperazione 
e 
lo sviluppo economici 
e 
degli 
accordi 
commerciali 
e 
di 
investimento conclusi 
con paesi 
terzi, l'unione 
e 
gli 
stati 
membri 
possono adottare, per 
motivi 
di 
sicurezza o di 
ordine 
pubblico, misure 
restrittive 
nei 
confronti 
degli 
investimenti 
esteri 
diretti, purché 
siano 
rispettate alcune condizioni”; 
-al 
considerando 6, precisa 
che 
“gli 
investimenti 
esteri 
diretti 
rientrano nell'ambito della politica 
commerciale 
comune. a 
norma dell'articolo 3, paragrafo 1, lettera e), tFue, l'unione 
ha competenza esclusiva per quanto concerne la politica commerciale comune”; 
-al 
considerando 8, aggiunge 
che 
“il 
quadro per 
il 
controllo degli 
investimenti 
esteri 
diretti 
e 
per 
la cooperazione 
dovrebbe 
dotare 
gli 
stati 
membri 
e 
la Commissione 
degli 
strumenti 
per 
affrontare 
in modo globale 
i 
rischi 
per 
la sicurezza o per 
l'ordine 
pubblico e 
per 
adeguarsi 
al 
mutare 
delle 
circostanze, mantenendo nel 
contempo la necessaria flessibilità per 
consentire 
agli 
stati 
membri 
di 
controllare 
gli 
investimenti 
esteri 
diretti 
per 
motivi 
di 
sicurezza e 
ordine 

contenzioSo 
nAzionALe 


pubblico, 
tenendo 
conto 
delle 
rispettive 
situazioni 
individuali 
e 
delle 
specificità 
nazionali. 
spetta esclusivamente 
allo stato membro interessato decidere 
se 
istituire 
un meccanismo di 
controllo o se controllare un investimento estero diretto”; 
-al 
considerando 
11, 
stabilisce 
che 
“dovrebbe 
essere 
possibile 
per 
gli 
stati 
membri 
valutare 
i 
rischi 
per 
la 
sicurezza 
o 
per 
l'ordine 
pubblico 
derivanti 
da 
cambiamenti 
significativi 
dell'assetto 
proprietario 
o 
delle 
caratteristiche 
fondamentali 
di 
un 
investitore 
estero 
determinato”; 


-al 
considerando 12, precisa 
che 
“al 
fine 
di 
orientare 
gli 
stati 
membri 
e 
la Commissione 
nel-
l'applicazione 
del 
presente 
regolamento, 
è 
opportuno 
indicare 
un 
elenco 
di 
fattori 
che 
potrebbero 
essere 
presi 
in 
considerazione 
nel 
determinare 
se 
un 
investimento 
estero 
diretto 
possa 
incidere 
sulla 
sicurezza 
o 
sull'ordine 
pubblico 
... 
l'elenco 
di 
fattori 
che 
possono 
incidere 
sulla 
sicurezza o sull'ordine pubblico dovrebbe restare non esaustivo”; 
-al 
considerando 13, stabilisce 
che 
“Nel 
determinare 
se 
un investimento estero diretto possa 
incidere 
sulla 
sicurezza 
o 
sull'ordine 
pubblico, 
dovrebbe 
essere 
possibile 
per 
gli 
stati 
membri 
e 
la Commissione 
tenere 
conto di 
tutti 
i 
fattori 
pertinenti, compresi 
gli 
effetti 
sulle 
infrastrutture 
critiche, 
sulle 
tecnologie, 
comprese 
le 
tecnologie 
abilitanti 
fondamentali, 
e 
sui 
fattori 
produttivi 
che 
sono essenziali 
per 
la sicurezza o il 
mantenimento dell'ordine 
pubblico la cui 
perturbazione, 
disfunzione, 
perdita 
o 
distruzione 
avrebbe 
un 
impatto 
significativo 
in 
uno 
stato 
membro 
o 
nell'unione. 
a 
tale 
proposito, 
dovrebbe 
altresì 
essere 
possibile 
per 
gli 
stati 
membri 
e 
la 
Commissione 
tenere 
conto 
del 
contesto 
e 
delle 
circostanze 
dell'investimento 
estero 
diretto, 
in particolare 
della possibilità che 
un investitore 
estero sia controllato direttamente 
o indirettamente, 
ad 
esempio 
attraverso 
finanziamenti 
consistenti, 
comprese 
le 
sovvenzioni, 
da 
parte 
del governo di un paese terzo, o persegua progetti o programmi all'estero a guida statale”; 
-all’art. 2, definisce 
come 
“investimento estero diretto, un investimento di 
qualsiasi 
tipo da 
parte 
di 
un investitore 
estero inteso a stabilire 
o mantenere 
legami 
durevoli 
e 
diretti 
tra l'investitore 
estero e 
l'imprenditore 
o l'impresa cui 
è 
messo a disposizione 
il 
capitale 
al 
fine 
di 
esercitare 
un'attività economica in uno stato membro, compresi 
gli 
investimenti 
che 
consentono 
una 
partecipazione 
effettiva 
alla 
gestione 
o 
al 
controllo 
di 
una 
società 
che 
esercita 
un'attività 
economica”; 
-all’art. 3, stabilisce 
che 
“conformemente 
al 
presente 
regolamento, gli 
stati 
membri 
possono 
mantenere, 
modificare 
o 
adottare 
meccanismi 
per 
controllare 
gli 
investimenti 
esteri 
diretti 
nel 
loro 
territorio 
per 
motivi 
di 
sicurezza 
o 
di 
ordine 
pubblico” 
e, 
in 
tale 
ambito, 
“stabiliscono 
in particolare 
le 
circostanze 
che 
danno luogo al 
controllo, i 
motivi 
del 
controllo e 
le 
regole 
procedurali dettagliate applicabili”; 
-all’art. 4, rubricato “Fattori 
che 
possono essere 
presi 
in considerazione 
dagli 
stati 
membri 
e dalla Commissione”, stabilisce: 
i) al 
paragrafo 1, che 
“Nel 
determinare 
se 
un investimento estero diretto possa incidere 
sulla 
sicurezza 
o 
sull'ordine 
pubblico, gli 
stati 
membri 
e 
la 
Commissione 
possono 
prendere 
in 
considerazione 
i 
suoi 
effetti 
potenziali, tra l’altro, a livello di: c) sicurezza dell’approvvigionamento 
di 
fattori 
produttivi 
critici, 
tra 
cui 
l’energia 
e 
le 
materie 
prime, 
nonché 
la 
sicurezza 
alimentare”. 
ii) al 
successivo paragrafo 2, che 
“Nel 
determinare 
se 
un investimento estero diretto possa incidere 
sulla 
sicurezza 
o 
sull'ordine 
pubblico, 
gli 
stati 
membri 
e 
la 
Commissione 
tengono 
altresì 
conto, in particolare, se: a) l'investitore 
estero sia direttamente 
o indirettamente 
controllato 
dall'amministrazione 
pubblica, 
inclusi 
organismi 
statali 
o 
forze 
armate, 
di 
un 
paese 
terzo, 
anche attraverso l'assetto proprietario o finanziamenti consistenti”. 
8.2. 
nell’ordinamento 
nazionale, 
deve 
farsi 
riferimento 
al 
D.L. 
n. 
21 
del 
15 
marzo 
2012, 

rASSeGnA 
AvvocAturA 
DeLLo 
StAto -n. 3/2022 


convertito 
con 
modificazioni 
con 
l. 
n. 
56 
dell’11 
maggio 
2012 
e 
rubricato 
“Norme 
in 
materia 
di 
poteri 
speciali 
sugli 
assetti 
societari 
nei 
settori 
della 
difesa 
e 
della 
sicurezza 
nazionale, 
nonché 
per 
le 
attività 
di 
rilevanza 
strategica 
nei 
settori 
dell'energia, 
dei 
trasporti 
e 
delle 
comunicazioni 
”. 


8.2.1. 
All’art. 
2, 
comma 
1-ter, 
il 
D.L. 
stabilisce 
che 
“Con 
uno 
o 
più 
decreti 
del 
Presidente 
del 
Consiglio 
dei 
ministri, 
su 
proposta 
del 
ministro 
dell'economia 
e 
delle 
finanze, 
del 
ministro 
dello 
sviluppo 
economico 
e 
del 
ministro 
delle 
infrastrutture 
e 
dei 
trasporti, 
di 
concerto 
con 
il 
ministro 
dell'interno, 
con 
il 
ministro 
della 
difesa, 
con 
il 
ministro 
degli 
affari 
esteri 
e 
della 
cooperazione 
internazionale 
e 
con 
i 
ministri 
competenti 
per 
settore, 
adottati 
anche 
in 
deroga 
all'articolo 
17 
della 
legge 
23 
agosto 
1988, 
n. 
400, 
previo 
parere 
delle 
Commissioni 
parlamentari 
competenti, 
che 
è 
reso 
entro 
trenta 
giorni, 
decorsi 
i 
quali 
i 
decreti 
possono 
comunque 
essere 
adottati, 
sono 
individuati, 
ai 
fini 
della 
verifica 
in 
ordine 
alla 
sussistenza 
di 
un 
pericolo 
per 
la 
sicurezza 
e 
l'ordine 
pubblico, 
compreso 
il 
possibile 
pregiudizio 
alla 
sicurezza 
e 
al 
funzionamento 
delle 
reti 
e 
degli 
impianti 
e 
alla 
continuità 
degli 
approvvigionamenti, 
i 
beni 
e 
i 
rapporti 
di 
rilevanza 
strategica 
per 
l'interesse 
nazionale, 
anche 
se 
oggetto 
di 
concessioni, 
comunque 
affidate, 
ulteriori 
rispetto 
a 
quelli 
individuati 
nei 
decreti 
di 
cui 
all'articolo 
1, 
comma 
1, 
e 
al 
comma 
1 
del 
presente 
articolo, 
nei 
settori 
di 
cui 
all'articolo 
4, 
paragrafo 
1, 
del 
regolamento 
(ue) 
2019/452 
del 
Parlamento 
europeo 
e 
del 
Consiglio, 
del 
19 
marzo 
2019 
[ossia, 
tra 
l’altro, 
l’approvvigionamento 
di 
fattori 
produttivi 
critici, 
tra 
cui 
l’energia 
e 
le 
materie 
prime, 
nonché 
la 
sicurezza 
alimentare], 
nonché 
la 
tipologia 
di 
atti 
od 
operazioni 
all'interno 
di 
un 
medesimo 
gruppo 
ai 
quali 
non 
si 
applica 
la 
disciplina 
di 
cui 
al 
presente 
articolo. 
i 
decreti 
di 
cui 
al 
primo 
periodo 
sono 
adottati 
entro 
centoventi 
giorni 
dalla 
data 
di 
entrata 
in 
vigore 
della 
presente 
disposizione 
e 
sono 
aggiornati 
almeno 
ogni 
tre 
anni 
”. 
8.2.2. 
Al 
successivo 
comma 
2-bis, 
il 
D.L. 
precisa 
che 
“Qualsiasi 
delibera, 
atto 
od 
operazione, 
adottato 
da 
un'impresa 
che 
detiene 
uno 
o 
più 
degli 
attivi 
individuati 
ai 
sensi 
del 
comma 
1-ter, 
che 
abbia 
per 
effetto 
modifiche 
della 
titolarità, 
del 
controllo 
o 
della 
disponibilità 
degli 
attivi 
medesimi 
a 
favore 
di 
un 
soggetto 
esterno 
all'unione 
europea, 
di 
cui 
al 
comma 
5-bis, 
ovvero, 
nei 
settori 
individuati 
nel 
secondo 
periodo 
del 
comma 
5, 
anche 
a 
favore 
di 
un 
soggetto 
appartenente 
all'unione 
europea, 
ivi 
compresi 
quelli 
stabiliti 
o 
residenti 
in 
italia, 
comprese 
le 
delibere 
dell'assemblea 
o 
degli 
organi 
di 
amministrazione 
aventi 
ad 
oggetto 
la 
fusione 
o 
la 
scissione 
della 
società, 
il 
trasferimento 
dell'azienda 
o 
di 
rami 
di 
essa 
in 
cui 
siano 
compresi 
detti 
attivi 
o 
l'assegnazione 
degli 
stessi 
a 
titolo 
di 
garanzia, 
il 
trasferimento 
di 
società 
controllate 
che 
detengono 
i 
predetti 
attivi, 
ovvero 
che 
abbia 
per 
effetto 
il 
trasferimento 
della 
sede 
sociale 
in 
un 
Paese 
non 
appartenente 
all'unione 
europea, 
è 
notificato, 
salvo 
che 
l'operazione 
sia 
in 
corso 
di 
valutazione 
o 
sia 
già 
stata 
valutata 
ai 
sensi 
del 
comma 
5, 
entro 
dieci 
giorni 
e 
comunque 
prima 
che 
vi 
sia 
data 
attuazione, 
alla 
Presidenza 
del 
Consiglio 
dei 
ministri 
dalla 
stessa 
impresa. 
sono 
notificati 
altresì 
nei 
medesimi 
termini 
qualsiasi 
delibera, 
atto 
od 
operazione, 
adottato 
da 
un'impresa 
che 
detiene 
uno 
o 
più 
degli 
attivi 
individuati 
ai 
sensi 
del 
comma 
1-ter, 
che 
abbia 
per 
effetto 
il 
cambiamento 
della 
loro 
destinazione, 
nonché 
qualsiasi 
delibera 
che 
abbia 
ad 
oggetto 
la 
modifica 
dell'oggetto 
sociale, 
lo 
scioglimento 
della 
società 
o 
la 
modifica 
di 
clausole 
statutarie 
eventualmente 
adottate 
ai 
sensi 
dell'articolo 
2351, 
terzo 
comma, 
del 
codice 
civile 
ovvero 
introdotte 
ai 
sensi 
dell'articolo 
3, 
comma 
1, 
del 
decreto-legge 
31 
maggio 
1994, 
n. 
332, 
convertito, 
con 
modificazioni, 
dalla 
legge 
30 
luglio 
1994, 
n. 
474, 
come 
da 
ultimo 
modificato 
dall'articolo 
3 
del 
presente 
decreto 
”. 

contenzioSo 
nAzionALe 


8.2.3. 
Al 
successivo 
comma 
3, 
il 
D.L. 
stabilisce 
che 
“Con 
decreto 
del 
Presidente 
del 
Consiglio 
dei 
ministri 
adottato 
su 
conforme 
deliberazione 
del 
Consiglio 
dei 
ministri, 
da 
trasmettere 
tempestivamente 
e 
per 
estratto 
alle 
Commissioni 
parlamentari 
competenti, 
può 
essere 
espresso 
il 
veto alle 
delibere, atti 
e 
operazioni 
di 
cui 
ai 
commi 
2 e 
2-bis, che 
diano luogo a una situazione 
eccezionale, non disciplinata dalla normativa nazionale 
ed europea di 
settore, di 
minaccia 
di 
grave 
pregiudizio 
per 
gli 
interessi 
pubblici 
relativi 
alla 
sicurezza 
e 
al 
funzionamento 
delle reti e degli impianti e alla continuità degli approvvigionamenti”. 
8.2.4. 
Al 
comma 
6, 
il 
D.L. 
aggiunge 
che 
“Qualora 
l'acquisto 
di 
cui 
al 
comma 
5 
[ossia 
“l'acquisto 
a 
qualsiasi 
titolo 
da 
parte 
di 
un 
soggetto 
esterno 
all'unione 
europea 
di 
partecipazioni 
in 
società 
che 
detengono 
gli 
attivi 
individuati 
come 
strategici 
ai 
sensi 
del 
comma 
1 
nonché 
di 
quelli 
di 
cui 
al 
comma 
1-ter, 
di 
rilevanza 
tale 
da 
determinare 
l'insediamento 
stabile 
dell'acquirente 
in 
ragione 
dell'assunzione 
del 
controllo 
della 
società 
la 
cui 
partecipazione 
è 
oggetto 
dell'acquisto”] 
comporti 
una 
minaccia 
di 
grave 
pregiudizio 
agli 
interessi 
essenziali 
dello 
stato 
di 
cui 
al 
comma 
3 
ovvero 
un 
pericolo 
per 
la 
sicurezza 
o 
per 
l'ordine 
pubblico 
… 
con 
decreto 
del 
Presidente 
del 
Consiglio 
dei 
ministri, 
adottato 
su 
conforme 
deliberazione 
del 
Consiglio 
dei 
ministri, 
da 
trasmettere 
tempestivamente 
e 
per 
estratto 
alle 
Commissioni 
parlamentari 
competenti, 
l'efficacia 
dell'acquisto 
può 
essere 
condizionata 
all'assunzione, 
da 
parte 
dell'acquirente 
e 
della 
società 
le 
cui 
partecipazioni 
sono 
oggetto 
dell'acquisto, 
di 
impegni 
diretti 
a 
garantire 
la 
tutela 
dei 
predetti 
interessi 
… 
in 
casi 
eccezionali 
di 
rischio 
per 
la 
tutela 
dei 
predetti 
interessi, 
non 
eliminabili 
attraverso 
l'assunzione 
degli 
impegni 
di 
cui 
al 
primo 
periodo, 
il 
governo 
può 
opporsi, 
sulla 
base 
della 
stessa 
procedura, 
all'acquisto 
”. 
8.2.5. il 
comma 
prosegue, precisando che 
“Per 
determinare 
se 
un investimento estero possa 
incidere 
sulla sicurezza o sull'ordine 
pubblico è 
possibile 
prendere 
in considerazione 
le 
seguenti 
circostanze: 
a) che 
l'acquirente 
sia direttamente 
o indirettamente 
controllato dall'amministrazione 
pubblica, 
compresi 
organismi 
statali 
o forze 
armate, di 
un Paese 
non appartenente 
all'unione 
europea, anche attraverso l'assetto proprietario o finanziamenti consistenti”. 
8.2.6. 
infine, 
il 
comma 
7 
stabilisce 
che 
“i 
poteri 
speciali 
di 
cui 
ai 
commi 
precedenti 
sono 
esercitati 
esclusivamente 
sulla 
base 
di 
criteri 
oggettivi 
e 
non 
discriminatori. 
a 
tale 
fine 
il 
governo 
considera, 
avuto 
riguardo 
alla 
natura 
dell'operazione, 
i 
seguenti 
criteri: 
a) 
l'esistenza, 
tenuto 
conto 
anche 
delle 
posizioni 
ufficiali 
dell'unione 
europea, 
di 
motivi 
oggettivi 
che 
facciano 
ritenere 
possibile 
la 
sussistenza 
di 
legami 
fra 
l'acquirente 
e 
paesi 
terzi 
che 
non 
riconoscono 
i 
principi 
di 
democrazia 
o 
dello 
stato 
di 
diritto, 
che 
non 
rispettano 
le 
norme 
del 
diritto 
internazionale 
o 
che 
hanno 
assunto 
comportamenti 
a 
rischio 
nei 
confronti 
della 
comunità 
internazionale, 
desunti 
dalla 
natura 
delle 
loro 
alleanze, 
o 
hanno 
rapporti 
con 
organizzazioni 
criminali 
o 
terroristiche 
o 
con 
soggetti 
ad 
esse 
comunque 
collegati; 
b) 
l'idoneità 
dell'assetto 
risultante 
dall'atto 
giuridico 
o 
dall'operazione, 
tenuto 
conto 
anche 
delle 
modalità 
di 
finanziamento 
dell'acquisizione 
e 
della 
capacità 
economica, 
finanziaria, 
tecnica 
e 
organizzativa 
dell'acquirente, 
a 
garantire: 
1) 
la 
sicurezza 
e 
la 
continuità 
degli 
approvvigionamenti; 
2) 
il 
mantenimento, 
la 
sicurezza 
e 
l'operatività 
delle 
reti 
e 
degli 
impianti”. 
8.3. A 
livello di 
normazione 
secondaria, il 
D.P.c.m. n. 179 del 
18 dicembre 
2020, rubricato 
“regolamento per 
l'individuazione 
dei 
beni 
e 
dei 
rapporti 
di 
interesse 
nazionale 
nei 
settori 
di 
cui 
all'articolo 4, paragrafo 1, del 
regolamento (ue) 2019/452 del 
Parlamento europeo e 
del 
Consiglio, del 
19 marzo 2019, a norma dell'articolo 2, comma 1-ter, del 
decreto-legge 
15 

rASSeGnA 
AvvocAturA 
DeLLo 
StAto -n. 3/2022 


marzo 2012, n. 21, convertito, con modificazioni, dalla legge 
11 maggio 2012, n. 56” 
stabilisce, 
all’art. 11, a 
sua 
volta 
rubricato 
“Beni 
e 
rapporti 
in tema di 
approvvigionamento di 
fattori 
produttivi 
e 
nel 
settore 
agroalimentare”, 
che 
rientrano 
tra 
i 
beni 
e 
i 
rapporti 
di 
cui 
all'articolo 
1 
[ossia 
“beni 
e 
rapporti 
di 
rilevanza 
strategica 
per 
l'interesse 
nazionale, 
ulteriori 
rispetto a quelli 
individuati 
nei 
decreti 
di 
cui 
all'articolo 1, comma 1, e 
all'articolo 2, comma 
1, del 
medesimo decreto-legge 
n. 21 del 
2012, nei 
settori 
di 
cui 
all'articolo 4, paragrafo 1, 
del 
regolamento 
(ue) 
n. 
2019/452 
del 
Parlamento 
europeo 
e 
del 
Consiglio, 
del 
19 
marzo 
2019”], tra 
l’altro, “le 
attività economiche 
di 
rilevanza strategica e 
l'approvvigionamento di 
fattori produttivi critici della filiera agroalimentare”. 


8.4. 
Quanto 
all’aspetto 
procedurale, 
si 
richiama 
il 
D.P.r. 
25 
marzo 
2014, 
n. 
86, 
rubricato 
“regolamento 
per 
l'individuazione 
delle 
procedure 
per 
l'attivazione 
dei 
poteri 
speciali 
nei 
settori 
dell'energia, dei 
trasporti 
e 
delle 
comunicazioni, a norma dell'articolo 2, comma 9, del 
de-
creto-legge 
15 
marzo 
2012, 
n. 
21”, 
che, 
nel 
disciplinare 
il 
procedimento 
da 
seguire 
(poi 
ancor 
più 
dettagliatamente 
normato 
dal 
successivo 
D.P.c.m. 
6 
agosto 
2014), 
precisa, 
per 
quanto 
qui 
di interesse, che (art. 6): 
-“il 
ministero 
responsabile 
dell'istruttoria 
e 
della 
proposta 
ai 
sensi 
dell'articolo 
3, 
tenuto 
conto delle 
risultanze 
emerse 
nell'ambito del 
gruppo di 
coordinamento di 
cui 
all'articolo 2, 
comma 
2, 
lettera 
c), 
trasmette 
tempestivamente 
in 
via 
telematica 
alla 
Presidenza 
del 
Consiglio 
dei 
ministri, 
e 
al 
suddetto 
gruppo 
di 
coordinamento, 
la 
proposta 
di 
esercizio 
dei 
poteri 
speciali 
con il 
relativo schema di 
provvedimento, ovvero comunica le 
motivazioni 
per 
cui 
ritiene 
non 
necessario l'esercizio dei poteri speciali”; 
-“lo schema di 
provvedimento di 
esercizio dei 
poteri 
speciali 
indica dettagliatamente 
le 
minacce 
di 
grave 
pregiudizio 
per 
gli 
interessi 
pubblici 
relativi 
alla 
sicurezza 
e 
al 
funzionamento 
delle 
reti 
e 
degli 
impianti 
e 
alla 
continuità 
degli 
approvvigionamenti 
e 
può 
comportare 
rispettivamente 
il 
potere 
di 
veto alla delibera o il 
potere 
di 
opposizione 
all'acquisto nei 
casi 
in 
cui 
l'imposizione 
di 
specifiche 
prescrizioni, condizioni 
o impegni 
non siano sufficienti 
ad assicurare 
la tutela degli interessi pubblici”; 
-“Nel 
caso in cui 
i 
poteri 
speciali 
siano esercitati 
nella forma di 
assunzione 
da parte 
dell'acquirente 
di 
impegni 
diretti 
a garantire 
la tutela degli 
interessi 
essenziali 
dello stato, di 
cui 
all'articolo 
2, comma 3, del 
decreto-legge, ai 
sensi 
dell'articolo 2, comma 6, del 
decreto-legge, 
lo schema di provvedimento indica: 
a) le specifiche prescrizioni o condizioni richieste all'impresa; 
b) specifici criteri e modalità di monitoraggio; 
c) 
l'amministrazione 
competente 
a 
svolgere 
il 
monitoraggio 
delle 
prescrizioni 
o 
condizioni 
richieste, nonché l'organo da essa incaricato di curare le relative attività; 
d) le 
sanzioni 
previste 
dal 
decreto-legge 
in caso di 
inottemperanza, anche 
tenuto conto delle 
previsioni di cui all'articolo 8”. 
9. 
Attingendo 
a 
questo 
punto 
il 
merito, 
il 
collegio 
ricostruisce 
l’andamento 
del 
procedimento. 
10. Per quanto di 
interesse 
ai 
fini 
della 
presente 
decisione, la 
fase 
istruttoria 
si 
è 
svolta 
come 
segue. 
10.1. nella 
riunione 
finale 
del 
Gruppo di 
coordinamento del 
7 aprile 
2021, il 
ministero del-
l’Agricoltura, nella 
qualità 
di 
Amministrazione 
responsabile 
dell’istruttoria, propone 
“il 
non 
esercizio dei 
poteri 
speciali”, aggiungendo tuttavia 
che 
“in considerazione 
della strategicità 
degli 
asset 
coinvolti 
e 
del 
carattere 
programmatico di 
alcuni 
impegni 
assunti 
dalle 
società 
notificanti, 
sia 
necessario 
garantire 
il 
monitoraggio 
sugli 
stessi”: 
il 
ministero, 
pertanto, 
“propone 
di 
inserire 
nella delibera di 
non esercizio dei 
poteri 
speciali 
una raccomandazione, ri

contenzioSo 
nAzionALe 


volta alla società acquirente, affinché 
operi 
in modo conforme 
agli 
impegni 
assunti 
in sede 
di notifica e nel corso del procedimento”. 


10.2. 
il 
Dipartimento 
delle 
informazioni 
per 
la 
sicurezza 
“evidenzia 
le 
criticità 
ed 
i 
rischi 
legati 
alla natura dell’operazione”e“propone, in alternativa, di 
esercitare 
i 
poteri 
speciali, 
mediante 
l’imposizione 
di 
specifiche 
prescrizioni 
volte 
al 
mantenimento 
dei 
rapporti 
contrattuali 
ed alla preservazione dell’attività di suba seeds Company s.p.a. in italia”. 
10.3. Anche 
sulla 
scorta 
delle 
osservazioni 
del 
Segretario generale 
della 
Presidenza 
del 
consiglio 
dei 
ministri 
-secondo cui 
da 
un lato “le 
raccomandazioni 
proposte 
dal 
ministero responsabile 
sono simili 
a delle 
vere 
e 
proprie 
prescrizioni”, dall’altro comunque 
“il 
Consiglio 
dei 
ministri, in sede 
di 
esame 
del 
provvedimento, può decidere 
di 
mutare 
la natura delle 
raccomandazioni 
trasformandole 
in 
un 
esercizio 
dei 
poteri 
speciali 
con 
prescrizioni” 
-il 
Gruppo 
di 
coordinamento concorda 
con la 
proposta 
del 
ministero dell’Agricoltura 
di 
non esercizio 
dei 
poteri 
speciali, con la 
formulazione 
di 
apposite 
raccomandazioni 
alla 
società 
acquirente, 
soggette a monitoraggio. 
10.4. 
conseguentemente, 
il 
ministero 
dell’Agricoltura, 
nel 
trasmettere 
alla 
Pcm, 
con 
nota 
dell’11 ottobre 
2021, gli 
esiti 
della 
fase 
istruttoria, propone 
il 
“non esercizio dei 
poteri 
speciali”, 
sia 
pure 
prevedendo che 
“l’acquirente 
trasmetta al 
governo una relazione 
periodica 
di monitoraggio dell’operazione, al fine di consentire la verifica del rispetto degli stessi”. 
10.5. 
tuttavia, 
nell’appunto 
per 
il 
ministro 
in 
vista 
del 
consiglio 
dei 
ministri, 
si 
ventila 
altresì 
la 
proposta 
alternativa 
dell’esercizio 
dei 
poteri 
speciali, 
mediante 
la 
formulazione 
di 
“apposite 
prescrizioni”, dettagliatamente indicate. 
10.6. nel 
corso del 
consiglio dei 
ministri 
del 
19 ottobre 
2021, il 
ministro dell’Agricoltura 
propone 
senz’altro “l’esercizio dei 
poteri, manifestando disponibilità al 
confronto in merito 
all’opzione 
tra 
prescrizioni 
o 
veto”, 
opzione 
quest’ultima 
poi 
prescelta 
dal 
consiglio, 
all’esito 
della discussione. 
11. 
Da 
quanto 
precede 
si 
evince 
che 
non 
sussiste, 
in 
termini 
sostanziali, 
il 
contrasto 
lamentato 
dalla 
ricorrente 
fra 
il 
provvedimento e 
l’istruttoria, almeno nella 
misura 
macroscopica 
tale 
da 
determinare 
un inaccettabile 
iato fra 
gli 
esiti 
della 
stessa 
ed il 
successivo decisum, con conseguente 
vizio della funzione. 
11.1. 
invero, 
nell’ambito 
dei 
lavori 
del 
Gruppo 
di 
coordinamento 
il 
ministero 
dell’Agricoltura 
individua 
l’operazione 
come 
“strategica” 
(si 
menziona 
espressamente, 
in 
particolare, 
la 
“strategicità 
degli 
asset 
coinvolti”) e 
qualifica 
come 
fondamentali 
gli 
impegni 
assunti 
pro futuro 
dall’acquirente, 
che, 
proprio 
in 
quanto 
strutturalmente 
“programmatici”, 
necessitano 
di 
essere 
puntualmente verificati. 
11.2. 
il 
ministero, 
dunque, 
pur 
proponendo 
il 
non 
esercizio 
dei 
poteri 
speciali, 
esprime 
la 
consapevolezza 
della 
delicatezza 
della 
questione, sia 
per l’oggetto dell’operazione, sia 
per il 
carattere 
qualificante 
che 
rivestono gli 
impegni 
assunti 
dall’acquirente 
in sede 
di 
notifica 
(poi 
vieppiù arricchiti nel corso dell’istruttoria). 
11.3. il Gruppo di coordinamento concorda con l’impostazione ministeriale. 
11.4. nella 
conseguente 
proposta 
formale 
rivolta 
alla 
Pcm 
(cfr. nota 
dell’11 ottobre 
2021), il 
ministero 
dell’Agricoltura 
ritiene 
non 
sussistere 
i 
presupposti 
dell’esercizio 
dei 
poteri 
speciali, 
alla luce: 
-della 
“puntuale 
disciplina” 
normativa 
nazionale 
del 
settore 
sementiero (“che 
prevede 
un rigoroso 
sistema di vigilanza e controllo”); 
-del 
fatto 
che 
le 
“target 
italiane 
utilizzano” 
sementi 
“di 
pubblico 
dominio” 
(salvo 
solo 
63 
varietà 
ortive, 
di 
cui 
la 
società 
royal 
Seeds 
è 
costitutore), 
“non 
svolgono 
un’attività 
di 
ri

rASSeGnA 
AvvocAturA 
DeLLo 
StAto -n. 3/2022 


cerca 
e 
di 
significativa 
costituzione 
varietale”, 
operano 
“in 
un 
contesto 
piuttosto 
differenziato”, 
detengono 
“un 
ruolo 
marginale 
nel 
mercato 
professionale” 
nazionale, 
“non 
detengono 
materiale 
genetico 
specifico” 
ed 
hanno 
un 
“fatturato 
consolidato 
… 
di 
gran 
lunga 
inferiore 
alle 
soglie 
di 
rilevanza 
strategica 
individuate 
generalmente 
nei 
settori 
soggetti 
al 
golden 
power 
”; 


- degli impegni “stringenti e significativi” assunti dall’acquirente. 
11.5. il 
ministero, comunque, proprio in considerazione 
del 
fatto che 
“le 
dichiarazioni 
e 
gli 
impegni 
dell’acquirente 
in sede 
di 
notifica e 
nel 
corso del 
procedimento, come 
poc’anzi 
specificati, 
assumono rilevanza a fondamento di 
tale 
conclusione 
istruttoria … 
propone 
di 
prevedere 
che 
l’acquirente 
trasmetta 
al 
governo 
una 
relazione 
periodica 
di 
monitoraggio 
dell’operazione, al fine di consentire la verifica del rispetto degli stessi”. 
11.6. 
i 
dati 
oggettivi 
raccolti 
dal 
Gruppo 
in 
sede 
istruttoria 
identificano, 
dunque, 
un’operazione 
attinente 
ad una 
materia 
dichiaratamente 
“sensibile”, in ordine 
alla 
quale, nondimeno, viene 
esclusa 
la 
necessità 
di 
esercizio dei 
poteri 
speciali 
in considerazione 
dei 
vari 
profili 
specificamente 
enucleati. 
11.7. Peraltro, dapprima 
il 
ministero dell’Agricoltura 
rappresenta 
al 
ministro la 
possibile 
alternativa 
dell’imposizione 
non di 
semplici 
raccomandazioni, ma 
di 
ben più incisive 
prescrizioni; 
quindi, in sede 
di 
consiglio dei 
ministri, il 
ministro propone 
senz’altro l’esercizio dei 
poteri, nella forma più lieve dell’assenso con prescrizioni o in quella più dura del divieto. 
11.8. 
Questo 
significativo 
climax 
istruttorio 
registratosi 
nella 
specie 
da 
un 
lato 
testimonia 
l’esito 
tutt’altro 
che 
monolitico 
ed 
univoco 
dell’istruttoria 
stessa, 
dall’altro 
attesta 
vieppiù, 
per tabulas, la percepita delicatezza della questione già nel corso della fase istruttoria. 
12. Pur a 
voler prescindere 
da 
tali 
considerazioni, comunque, il 
collegio osserva 
in termini 
generali 
che, 
nella 
procedura 
dell’esercizio 
dei 
poteri 
speciali, 
ciò 
che 
giuridicamente 
distingue 
la 
fase 
decisoria 
dalla 
previa 
fase 
istruttoria 
è 
proprio l’attività 
valutativa 
del 
sostrato fattuale 
acquisito agli atti. 
13. il procedimento nazionale in tema di “golden power” è, invero, bifasico. 
13.1. esso prevede 
una 
prima 
fase 
di 
carattere 
prettamente 
istruttorio tesa 
all’acquisizione 
di 
tutti 
i 
dati 
di 
fatto 
rilevanti 
al 
fine 
di 
ricostruire 
ed 
inquadrare 
l’operazione 
in 
chiave 
tanto 
analitica, 
quanto 
sistemica, 
a 
beneficio 
della 
successiva 
valutazione 
finale: 
tale 
fase, 
che 
il 
D.P.r. n. 86 del 
2014 significativamente 
definisce 
come 
“attività propedeutica all’esercizio 
dei 
poteri 
speciali”, 
è 
curata 
da 
un 
apposito 
Gruppo 
di 
coordinamento, 
composto 
da 
personale 
di livello dirigenziale apicale della Pcm e dei vari ministeri interessati. 
13.2. 
La 
seconda 
fase, 
appunto 
decisoria, 
è 
viceversa 
appannaggio 
esclusivo 
del 
consiglio 
dei ministri. 
14. Questa 
seconda 
fase 
-affidata, non a 
caso, al 
massimo organo di 
direzione 
politica 
dello 
Stato e 
non a 
personale 
dirigenziale 
-assume 
un marcato ed assai 
lato profilo discrezionale: 
essa, invero, prende 
le 
mosse 
sì 
dai 
dati 
di 
fatto acquisiti 
in sede 
istruttoria, ma, nel 
contesto 
di 
una 
valutazione 
collegiale 
della 
questione 
in cui 
intervengono i 
vertici 
politici 
di 
tutte 
le 
Amministrazioni 
dello 
Stato, 
affronta, 
inquadra 
e 
qualifica 
l’operazione 
nell’ambito 
della 
più 
ampia 
postura 
politica 
dello Stato in ottica 
non solo economica 
e 
finanziaria, ma 
in senso più 
globale strategica. 
14.1. 
il 
consiglio 
dei 
ministri, 
in 
sostanza, 
non 
si 
limita 
ad 
una 
ricognizione 
atomistica, 
puntiforme 
e, 
per 
così 
dire, 
“contabile” 
ed 
anodina 
delle 
caratteristiche 
specifiche 
dell’operazione, 
ma 
la 
traguarda 
nell’ambito 
e 
nel 
contesto 
dei 
fini 
generali 
della 
politica 
nazionale, 
ponderandone 
gli 
impatti 
sia 
sull’assetto 
economico-produttivo 
del 
settore 
socio-economico 
interessato, 

contenzioSo 
nAzionALe 


sia 
sulla 
più 
ampia 
struttura 
dell’economia 
nazionale, 
sia, 
infine, 
sui 
rapporti 
internazionali 
e 
sul 
complessivo 
posizionamento 
politico-strategico 
del 
Paese 
nell’agone 
internazionale. 


14.2. 
Del 
resto, 
è 
lo 
stesso 
diritto 
unionale 
che 
facoltizza 
tale 
ampio 
spettro 
di 
valutazioni 
(cfr. 
le 
disposizioni 
richiamate 
supra 
del 
richiamato 
regolamento 
ue 
n. 
452 
del 
2019 
del 
Parlamento europeo e del consiglio del 19 marzo 2019). 
14.3. in definitiva, dunque, nella 
specifica 
procedura 
in commento il 
vizio di 
contrasto con 
l’istruttoria 
si 
presenta 
strutturalmente 
marginale, in quanto è 
limitato ai 
casi 
macroscopici 
in 
cui 
il 
consiglio 
affermi 
fatti 
smentiti 
dall’istruttoria 
o, 
al 
contrario, 
neghi 
fatti 
riscontrati 
nella 
fase istruttoria. 
15. 
ovviamente, 
ciò 
non 
veicola 
una 
sorta 
di 
arbitrio 
decisionale 
del 
consiglio, 
che, 
di 
contro, 
deve 
poggiare 
su 
un 
iter 
argomentativo 
coerente, 
fondato 
sui 
criteri 
posti 
a 
monte 
dalla 
legge. 
15.1. nella 
vicenda 
di 
specie, decisivo è 
il 
fatto che 
l’acquirente 
è 
indirettamente 
(ma 
univocamente) 
espressione 
del 
Governo 
della 
repubblica 
Popolare 
cinese, 
circostanza 
debitamente 
evidenziata 
dal 
consiglio e 
giuridicamente 
rilevante 
ai 
sensi 
tanto della 
normativa 
unionale 
(regolamento 
n. 
452 
del 
2019, 
considerando 
13 
ed 
art. 
4), 
quanto 
di 
quella 
nazionale 
(cfr. 
D.L. n. 21 del 2012, art. 2, comma 6). 
15.2. il consiglio, in particolare, ha rilevato che: 
-per la 
repubblica 
Popolare 
cinese, Stato ad economia 
pianificata, il 
settore 
alimentare 
costituisce 
dichiaratamente 
un obiettivo strategico (così 
il 
Xiv 
Piano quinquennale), nel 
quale 
quindi 
è 
ragionevole 
ritenere 
che 
siano autoritativamente 
convogliate, guidate 
ed indirizzate 
le (poderose) energie economiche, finanziarie e politico-diplomatiche del Paese; 
-le 
società 
del 
gruppo verisem 
sono attive 
in tale 
settore, sono tecnologicamente 
all’avanguardia 
(in particolare, dalla 
relazione 
delle 
parti 
interessate 
e 
dall’audizione 
di 
Assosementi 
risulta 
che 
le 
società 
italiane 
del 
Gruppo verisem 
sono altamente 
qualificate 
in punto di 
moltiplicazione 
del 
seme, 
attività 
ictu 
oculi 
oltremodo 
delicata, 
sensibile 
e 
“strategica”) 
e, 
benché 
non 
producano 
direttamente 
i 
semi 
ma 
stipulino, a 
tal 
fine, contratti 
con 
gli 
agricoltori 
italiani 
(cui, peraltro, cedono a 
titolo oneroso il 
“basic 
seed”, ossia 
il 
“portaseme”, e 
la 
cui 
attività 
di 
coltivazione 
è 
sistematicamente 
supervisionata 
da 
agronomi 
del 
Gruppo 
-cfr. 
ricorso 
al 
t.a.r., 
pag. 
18 
e 
relazione 
delle 
parti 
in 
data 
2 
agosto 
2021), 
è 
evidente 
che 
contrattualmente 
possano 
incidere 
sulla 
filiera 
agroalimentare 
nazionale, 
condizionandola 
in 
maniera 
apprezzabile 
in 
base 
alle 
loro mutevoli 
necessità, evidentemente 
dettate, in ultima 
analisi, dalla 
volontà 
(politica) 
del Governo di Pechino. 
15.3. in proposito, il collegio rileva che: 
-l’apprezzamento della 
strategicità 
di 
un’operazione 
in relazione 
all’interesse 
nazionale 
da 
parte 
del 
consiglio dei 
ministri 
ha 
tratti 
altamente 
discrezionali, posto che 
lo stesso concetto 
di 
interesse 
nazionale 
non è 
un prius, ossia 
un dato oggettivo preesistente 
in natura, bensì 
un 
posterius, ossia la risultante di valutazioni ed opzioni politiche; 
-tale 
apprezzamento, proprio in quanto attiene 
ad un profilo di 
massima 
quale 
quello strategico, 
viene 
svolto dal 
consiglio dei 
ministri 
nell’ambito di 
un’ampia 
valutazione 
geopolitica 
proiettata 
a 
scenari 
futuri 
e 
può legittimamente 
essere 
proteso non solo a 
proteggere 
istanze 
nazionali, ma 
anche 
a 
non favorire 
esigenze 
e 
scopi 
di 
Stati 
ritenuti 
(non solo ostili, ma 
anche 
semplicemente) 
competitor 
o 
con 
i 
quali, 
comunque, 
i 
rapporti 
possano 
prospetticamente 
presentare 
profili di problematicità; 
-più 
in 
generale, 
l’ascrizione 
di 
“rilevanza 
strategica 
per 
l’interesse 
nazionale” 
ai 
“beni 
e 
rapporti” 
coinvolti 
da 
un’operazione 
notificata, al 
fine 
della 
verifica 
circa 
la 
sussistenza 
di 
un “possibile 
pregiudizio alla sicurezza e 
… 
alla continuità degli 
approvvigionamenti” 
(cfr. 

rASSeGnA 
AvvocAturA 
DeLLo 
StAto -n. 3/2022 


D.L. n. 21 del 
2012, art. 2, comma 
1-ter), è 
stata 
già 
operata 
a 
monte 
con D.P.c.m. n. 179 del 
2020, che, per quanto qui di interesse, così dispone: 
i) qualifica 
“attività economiche 
di 
rilevanza strategica … 
le 
attività economiche 
essenziali 
per 
il 
mantenimento 
delle 
funzioni 
vitali 
della 
società 
”, 
quali 
certo 
sono 
quelle 
del 
settore 
agroalimentare, fondamentale per la stessa esistenza fisica dell’uomo; 
ii) con specifico riferimento al 
settore 
agroalimentare, qualifica 
come 
strategico “l’approvvigionamento 
di 
fattori 
produttivi 
critici 
della filiera alimentare”, quali 
certo sono le 
sementi, 
base imprescindibile di ogni coltivazione agricola. 
16. 
tale 
ultima 
locuzione 
non 
presenta 
l’intollerabile 
profilo 
di 
genericità 
ed 
indeterminatezza 
lamentato dall’appellante, ove 
si 
ponga 
mente 
allo scopo della 
normativa 
(primaria 
e 
secondaria) 
in 
tema 
di 
golden 
power, 
che 
è 
quello 
di 
apprestare 
una 
disciplina 
a 
maglie 
volutamente 
larghe 
al 
fine 
di 
non imbrigliare 
-e, quindi, depotenziare 
-il 
presidio costituito dalla 
spendita 
del potere omonimo. 
16.1. 
il 
potere 
di 
golden 
power, 
infatti, 
rappresenta 
il 
limes 
provvedimentale 
posto 
dalla 
legge 
a 
garanzia 
ultima 
dell’interesse 
nazionale 
nelle 
specifiche 
macro-aree 
economiche 
prese 
in 
considerazione; 
come 
tale, 
e 
proprio 
in 
quanto 
dettato 
a 
tutela 
di 
interessi 
fondamentali 
(“strategici”) 
della 
collettività 
nazionale 
come 
discrezionalmente 
apprezzati 
dal 
consiglio dei 
ministri, 
esige 
un fondamento normativo altrettanto ampio, elastico, flessibile 
ed inclusivo, che 
consenta 
di 
apprestare 
la 
massima 
e 
più 
efficace 
tutela 
agli 
(assai 
rilevanti) 
interessi 
sottostanti: 
in tale specifica ottica, esula qualunque addebito di indeterminatezza e genericità. 
16.2. Peraltro, aggiunge 
il 
collegio, siamo al 
di 
fuori 
della 
materia 
lato sensu 
penale 
(che 
impone, 
come 
noto, la 
necessità 
di 
una 
particolare 
tassatività 
nell’enucleazione 
della 
fattispecie 
normativa), esulando dalla 
normativa 
sul 
golden power 
qualsivoglia 
finalità 
afflittiva; 
parimenti, 
non ricorre 
l’imposizione 
di 
una 
prestazione 
patrimoniale 
ex art. 23 cost. (cfr. ricorso 
al 
t.a.r., 
pag. 
44), 
ma 
la 
mera 
previsione 
legislativa 
di 
un 
presidio 
di 
verifica 
della 
compatibilità 
dell’iniziativa 
economica 
privata 
con l’utilità 
sociale 
(art. 41 cost.), espressione 
ampia 
in cui 
certo 
rientra 
l’interesse 
nazionale 
in 
ordine 
a 
“beni 
e 
rapporti 
strategici” 
come 
individuati 
dalla legge. 
17. Di converso, è la stessa normativa primaria a stabilire che: 
-“per 
determinare 
se 
un investimento estero possa incidere 
sulla sicurezza o sull'ordine 
pubblico 
… 
è 
possibile 
prendere 
in considerazione” 
il 
fatto che 
“l'acquirente 
sia direttamente 
o 
indirettamente 
controllato dall'amministrazione 
pubblica, compresi 
organismi 
statali 
o forze 
armate, di 
un Paese 
non appartenente 
all'unione 
europea” 
(cfr. D.L. n. 21 del 
2012, art. 2, 
comma 6); 
-“il 
governo 
considera, 
avuto 
riguardo 
alla 
natura 
dell'operazione 
… 
l'esistenza, 
tenuto 
conto anche 
delle 
posizioni 
ufficiali 
dell'unione 
europea, di 
motivi 
oggettivi 
che 
facciano ritenere 
possibile 
la sussistenza di 
legami 
fra l'acquirente 
e 
paesi 
terzi 
che 
non riconoscono i 
principi 
di 
democrazia 
o 
dello 
stato 
di 
diritto”, 
nonché 
“l'idoneità 
dell'assetto 
risultante 
dal-
l'atto giuridico o dall'operazione 
… 
a garantire 
… 
la sicurezza e 
la continuità degli 
approvvigionamenti” 
(cfr. D.L. n. 21 del 2012, art. 2, comma 7). 
18. 
Alla 
luce 
di 
queste 
puntuali 
coordinate 
legislative, 
in 
considerazione 
degli 
impatti 
che 
l’operazione 
potrebbe 
avere 
su “fattori 
produttivi 
critici 
della filiera alimentare” 
(quali 
indubbiamente 
sono le 
sementi 
e 
la 
libertà 
contrattuale 
dei 
produttori 
agricoli 
nazionali) e 
della 
riconducibilità 
della 
società 
acquirente 
al 
Governo di 
un Paese 
estraneo all’unione 
europea 
e 
connotato 
da 
una 
forma 
di 
governo 
differente 
da 
quelle 
occidentali, 
il 
consiglio 
dei 
ministri 
ha 
riscontrato la 
sussistenza 
di 
una 
“situazione 
eccezionale, non disciplinata dalla normativa 

contenzioSo 
nAzionALe 


nazionale 
ed europea di 
settore, di 
minaccia di 
grave 
pregiudizio per 
gli 
interessi 
pubblici 
relativi 
alla sicurezza e 
alla continuità degli 
approvvigionamenti”, cui 
la 
normativa 
primaria 
(cfr. D.L. n. 21 del 
2012, art. 2, comma 
3) subordina 
l’esercizio dei 
poteri 
di 
golden power 
sub specie 
di veto all’operazione. 


18.1. tale 
delibazione 
non sconta 
il 
vizio della 
funzione 
ravvisato dall’appellante, posto che 
il 
consiglio 
dei 
ministri 
ha 
ritenuto, 
nell’esplicazione 
dell’ampia 
discrezionalità 
di 
cui 
-quale 
massimo organo di 
indirizzo politico del 
Paese 
-dispone, di 
apprestare 
una 
tutela 
particolarmente 
incisiva 
al 
settore 
agroalimentare 
nazionale, da 
un lato proteggendo il 
patrimonio informativo, 
tecnologico, 
scientifico 
e 
contrattuale 
posseduto, 
nel 
settore 
sementiero, 
dalle 
target 
italiane 
(in particolare, dalla 
società 
Suba 
Seeds), dall’altro e 
specularmente 
impedendo che, 
grazie 
all’acquisizione, la 
società 
Syngenta 
(e, per essa, il 
Governo cinese) integrando la 
propria 
filiera, possa 
incrementare 
il 
proprio potenziale 
capacitativo in un’area 
dichiaratamente 
strategica 
anche 
per la 
repubblica 
Popolare 
(cfr. la 
relazione 
presentata 
dalle 
parti 
in data 
2 
agosto 
2021, 
pag. 
8, 
ove 
si 
precisa 
che 
“il 
razionale 
strategico 
dell'operazione 
è 
rappresentato 
dalla rilevanza che 
il 
segmento di 
clientela a livello globale 
cui 
Verisem 
si 
rivolge 
riveste 
per 
syngenta 
”). 
18.2. il 
consiglio dei 
ministri, in particolare, ha 
inteso evitare 
che, grazie 
all’acquisizione, il 
Governo cinese 
possa 
volgere 
a 
vantaggio del 
proprio mercato domestico il 
potenziale 
produttivo 
delle 
target 
italiane 
(in particolare, di 
Suba 
Seeds), mediante, inter 
alia, la 
“rimodulazione 
delle 
priorità 
e 
delle 
tempistiche 
dell’agenda 
produttiva 
delle 
aziende 
agricole 
italiane”, 
la 
“delocalizzazione 
dei 
punti 
decisionali 
fuori 
dai 
confini 
nazionali”, 
il 
“mutamento 
del 
modello 
di 
business”, 
“l’accelerazione 
del 
processo 
di 
standardizzazione 
nella 
produzione 
di sementi”, tutte ipotesi che non possono certo escludersi in futuro. 
18.3. 
come 
già 
specificato 
supra, 
nell’ambito 
della 
procedura 
di 
cui 
al 
D.L. 
n. 
21 
del 
2012 
il 
consiglio 
dei 
ministri 
è 
organo 
decisionale 
deputato, 
sulla 
base 
delle 
risultanze 
fattuali 
del-
l’istruttoria 
(e 
non 
anche 
delle 
valutazioni 
e 
delle 
proposte 
operate 
dal 
Gruppo 
di 
coordinamento 
o 
dal 
ministero 
responsabile), 
ad 
operare 
un’ampia 
valutazione 
prospettica 
di 
scenario, 
tesa 
da 
un 
lato 
a 
preservare 
il 
Paese 
da 
possibili 
fattori 
di 
rischio 
prospetticamente 
rilevanti, 
dall’altro 
e 
contestualmente 
ad 
arginare 
iniziative 
di 
Paesi 
terzi 
potenzialmente 
pericolosi 
o 
per 
i 
quali, 
comunque, 
sia 
ritenuto 
opportuno 
un 
ingaggio 
geopolitico 
particolarmente 
prudente. 
18.4. in altra 
angolazione 
argomentativa, la 
stessa 
valutazione 
di 
strategicità 
non costituisce 
un 
dato 
oggettivo 
e, 
per 
così 
dire, 
inconfutabile 
riveniente 
dalle 
caratteristiche 
dell’operazione 
in 
sé 
atomisticamente 
considerate, 
ma 
rappresenta 
la 
risultante 
di 
una 
ponderazione 
altamente 
discrezionale 
(se 
non apertamente 
politica), sì 
che 
ben può essere 
qualificata 
“strategica”e 
capace 
di 
determinare 
“una situazione 
eccezionale” 
non altrimenti 
fronteggiabile 
un’operazione 
che 
pure, di 
per sé, non presenti 
profili 
intrinseci 
macroscopicamente 
straordinari: 
altrimenti 
detto, una 
stessa 
operazione 
può essere 
strategica 
o meno in funzione 
anche 
(se 
non 
soprattutto) dei soggetti coinvolti, non solo dei caratteri dell’asset e della società target. 
18.5. Del 
resto, il 
controllo di 
un operatore 
economico nazionale 
da 
parte 
di 
uno Stato terzo 
estraneo all’unione 
europea 
e 
con cui 
non intercorrono formali 
e 
cogenti 
legami 
di 
alleanza 
(si 
pensi, 
in 
primis, 
a 
quello 
riveniente 
dal 
trattato 
nAto) 
fa 
sì 
che 
l’operazione 
non 
sia 
ascrivibile 
al 
solo mercato ed alle 
connesse 
logiche 
di 
politica 
industriale, ma 
coinvolga 
ineludibilmente 
anche 
considerazioni 
di 
politica 
internazionale 
e 
di 
sicurezza, tese 
in ultima 
analisi 
a 
preservare 
non 
solo 
il 
funzionamento 
corretto 
del 
mercato 
nazionale, 
messo 
in 
pericolo 
dalla 
presenza 
di 
un operatore 
longa manus 
di 
uno Stato straniero, ma 
la 
stessa 
effettività 
del 
principio 
costituzionale 
supremo 
di 
cui 
all’art. 
1, 
comma 
2 
(“la 
sovranità 
appartiene 
al 
popolo”), 

rASSeGnA 
AvvocAturA 
DeLLo 
StAto -n. 3/2022 


potenzialmente 
vulnerato da 
acquisizioni 
di 
asset 
fondamentali 
per la 
collettività 
nazionale 
da 
parte 
di 
Stati 
stranieri 
che, ad avviso del 
Governo, non diano sufficienti 
garanzie 
circa 
il 
relativo uso. 


19. La 
piena 
idoneità 
delle 
ragioni 
afferenti 
alla 
tutela 
del 
settore 
agroalimentare 
a 
sorreggere 
ex 
se 
il 
provvedimento rende 
superfluo lo scrutinio delle 
censure 
mosse 
dall’appellante 
alle 
altre 
due 
ragioni 
enucleate 
nel 
provvedimento, inerenti 
ai 
profili 
della 
“raccolta dati” 
e 
alle 
“tecnologie di machine learning”. 
20. Per doverosa 
completezza 
motivazionale, il 
collegio precisa 
che 
la 
normativa 
nazionale 
di 
cui 
al 
D.L. 
n. 
21 
del 
2012 
è 
conforme 
al 
diritto 
unionale, 
che, 
come 
visto, 
lascia 
ampio 
spazio 
al 
legislatore 
nazionale 
(cfr. considerando 8 e 
12 del 
regolamento 2019/452) e 
qualifica 
come 
“fattore 
pertinente” 
ai 
fini 
dell’esercizio dei 
poteri 
di 
golden power 
il 
controllo dell’acquirente 
da 
parte 
del 
Governo di 
un Paese 
terzo estraneo all’unione 
europea 
(considerando 
13 ed articolo 4 del citato regolamento). 
21. tornando alla 
vicenda 
di 
specie, non può neanche 
rilevare 
che 
la 
multinazionale 
chemchina 
già 
controlli 
un’importante 
società 
italiana 
attiva 
nel 
settore 
automotive 
(cfr. ricorso al 
t.a.r., 
pag. 
17): 
l’esercizio 
dei 
poteri 
di 
golden 
power, 
infatti, 
consegue 
ad 
una 
considerazione 
attuale 
del 
quadro politico internazionale 
(strutturalmente 
in evoluzione) e 
si 
modula 
in base 
allo specifico settore economico interessato ed alla sua specifica “sensibilità” strategica. 
22. non si apprezza, poi, una violazione del principio di proporzionalità. 
22.1. 
il 
provvedimento, 
invero, 
indica 
chiaramente 
i 
motivi 
che 
lasciano 
stimare 
la 
costitutiva 
insufficienza 
dell’imposizione 
di 
prescrizioni, 
che 
non 
solo 
non 
osterebbero 
al 
perfezionamento 
dell’operazione, 
ma 
oltretutto 
produrrebbero 
“effetti 
pecuniari 
e/o 
obbligatori 
… 
di 
complessa realizzabilità in caso di inottemperanza del destinatario cinese”. 
22.2. 
una 
siffatta 
motivazione 
-innervata 
dalla 
primaria 
necessità 
di 
impedire 
il 
perfezionarsi 
dell’operazione 
-appare 
logica, 
posto 
che 
l’imposizione 
di 
prescrizioni, 
pur 
se 
stringenti, 
non 
solo consentirebbe 
la 
conclusione 
dell’acquisizione, ma, per di 
più, sarebbe 
oggettivamente 
difficile 
da 
implementare, 
considerata 
la 
natura 
sovrana 
del 
detentore 
sostanziale 
del 
controllo 
della società acquirente (ossia il Governo cinese). 
23. rimane, infine, da 
scrutinare 
la 
questione 
della 
mancata 
formulazione 
del 
preavviso di 
rigetto, 
ex art. 10-bis 
l. n. 241 del 1990. 
23.1. 
Sul 
punto, 
la 
motivazione 
spesa 
dal 
t.a.r. 
merita 
conferma, 
posto 
che 
con 
la 
notifica 
dell’operazione 
le 
parti 
interessate 
non 
veicolano 
un’istanza, 
ma 
adempiono 
ad 
un 
dovere 
prescritto dalla legge (cfr. lo stesso ricorso al 
t.a.r., pag. 11). 
23.2. Peraltro, aggiunge 
il 
collegio, la 
particolare 
specificità 
della 
materia 
lascia 
propendere 
per il 
carattere 
(implicitamente) completo ed autosufficiente 
della 
relativa 
disciplina, recata 
dall’apposito regolamento di 
cui 
al 
D.P.r. 25 marzo 2014, n. 86, la 
cui 
oggettiva 
specialità 
lo 
rende insuscettibile di integrazioni 
ab externo. 
23.3. infine, non può non rilevarsi che: 
-la 
disciplina 
del 
preavviso 
di 
rigetto 
non 
è 
compatibile 
con 
la 
natura 
giuridico-costituzionale 
dell’organo 
decisorio 
che 
interviene 
nella 
specie 
(non 
è, 
invero, 
ipotizzabile 
un 
contraddittorio, 
sia pur cartolare, fra le imprese interessate all’operazione ed il consiglio dei ministri); 
-l’ampiezza, 
la 
delicatezza 
e 
la 
politicità 
sostanziale 
delle 
valutazioni 
di 
cui 
è 
investito 
il 
consiglio 
non 
si 
prestano 
alla 
discussione 
“pari 
a 
pari” 
con 
i 
soggetti 
interessati 
(anche 
per 
i 
profili 
di riservatezza connessi alle ragioni sottese alla delibazione consiliare); 
-a 
tutto concedere, nella 
vicenda 
non ricorrono “motivi 
ostativi” 
di 
diritto, come 
tali 
potenzialmente 
suscettibili 
di 
contraddittorio 
endo-procedimentale, 
ma 
mere 
valutazioni 
latamente 

contenzioSo 
nAzionALe 


discrezionali 
(se 
non tout 
court 
politiche), strutturalmente 
riservate 
al 
massimo organo collegiale 
di guida dello Stato. 


24. Per le esposte ragioni, l’appello va rigettato. 
25. La 
novità 
della 
questione 
costituisce 
giustificato motivo per disporre 
l’integrale 
compensazione 
delle spese di lite tra tutte le parti. 
P.Q.m. 
il 
consiglio di 
Stato in sede 
giurisdizionale 
(Sezione 
Quarta), definitivamente 
pronunciando 
sull’appello, come in epigrafe proposto, lo rigetta. 
Spese compensate. 
ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. 
così deciso in roma nella camera di consiglio del giorno 15 dicembre 2022. 


rASSeGnA 
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DeLLo 
StAto -n. 3/2022 


Istituzioni 
AFAM e procedura dell’istituto 
del commissariamento. Brevi osservazioni a T.a.r. Lazio, 
Sez. III 
ter, sentenza 9 febbraio 2023 n. 2232 


Marco Cerase* 


È 
legittimo il 
commissariamento -con conseguente 
rimozione 
del 
direttore 
e 
del 
presidente 
-di 
un 
conservatorio 
di 
musica, 
ai 
sensi 
dell’art. 
64-bis, 
comma 
7, del 
decreto legge 
n. 77 del 
2021, allorquando l’ente 
sia stato previamente 
diffidato 
e 
siano 
emerse 
dalla 
pregressa 
istruttoria 
amministrativa 
gravi 
e 
persistenti violazioni di legge e carenze funzionali e amministrative. 


La 
pronunzia 
in 
rassegna 
si 
rivela 
di 
interesse, 
poiché 
inerisce 
-a 
quel 
che 
risulta 
-alla 
prima 
applicazione 
dell’art. 
64-bis, 
comma 
7, 
del 
decreto-legge 


n. 
77 
del 
2021, 
convertito 
con 
modificazioni 
nella 
legge 
n. 
108 
del 
2021 
(1). 
L’istituto 
della 
rimozione 
degli 
organi 
degli 
istituti 
di 
alta 
formazione 
artistica 
e 
musicale 
(d’ora 
innanzi 
AFAm) 
deve 
-infatti 
-proprio 
all’iter 
di 
conversione 
del 
decreto-legge 
il 
proprio 
ingresso 
tra 
le 
disposizioni 
espresse 
della 
sua 
disciplina. 


nel 
corso 
dell’esame 
presso 
la 
camera 
dei 
deputati, 
era 
stato 
presentato 
-all’art. 
64 
del 
decreto-legge 
-l’articolo 
aggiuntivo 
64.019, 
a 
firma 
nitti 
e 
altri, 
volto 
ad 
apportare 
modifiche 
di 
ampio 
respiro 
alla 
disciplina 
degli 
AFAm, 
anche 
in 
chiave 
di 
semplificazione 
finalizzata 
alla 
più 
celere 
attuazione 
degli 
investimenti 
del 
Pnrr. 
in 
questo 
ambito, 
la 
proposta 
emendativa 
descriveva 
con 
precisione 
la 
procedura 
dell’istituto 
del 
commissariamento. 


Quello 
degli 
enti 
pubblici, 
con 
la 
rimozione 
dei 
suoi 
organi, 
non 
è 
tuttavia 
una 
novità 
nel 
panorama 
del 
diritto 
amministrativo 
italiano. 
basterebbe 
citare 
-tra 
i 
molti 
casi 
-lo 
scioglimento 
degli 
enti 
locali 
per 


(*) consigliere della camera dei deputati. 


(1) Art. 64-bis. misure 
di 
semplificazione 
nonché 
prime 
misure 
attuative 
del 
Pnrr in materia 
di 
alta formazione artistica, musicale e coreutica. 
“7. 
gli 
organi 
delle 
istituzioni 
dell’alta 
formazione 
e 
specializzazione 
artistica 
e 
musicale 
previsti 
dall’articolo 
4 
del 
regolamento 
di 
cui 
al 
decreto 
del 
Presidente 
della 
repubblica 
28 
febbraio 
2003, 
n. 
132, 
possono 
essere 
rimossi, 
con 
decreto 
del 
ministro 
dell’università 
e 
della 
ricerca, 
previa 
diffida, 
nei 
seguenti 
casi: 
a) 
per 
gravi 
o 
persistenti 
violazioni 
di 
legge; 
b) 
quando 
non 
possa 
essere 
assicurato 
il 
normale 
funzionamento 
degli 
organi 
o 
dei 
servizi 
indispensabili 
dell’istituzione; 
c) 
in 
caso 
di 
dissesto 
finanziario, 
quando 
la 
situazione 
economica 
dell’istituzione 
non 
consenta 
il 
regolare 
svolgimento 
dei 
servizi 
indispensabili 
ovvero 
quando 
l’istituzione 
non 
possa 
fare 
fronte 
ai 
debiti 
liquidi 
ed 
esigibili 
nei 
confronti 
dei 
terzi. 
Con 
il 
decreto 
di 
cui 
al 
presente 
comma 
si 
provvede 
alla 
nomina 
di 
un 
commissario, 
che 
esercita 
le 
attribuzioni 
dell’organo 
o 
degli 
organi 
rimossi 
nonché 
gli 
ulteriori 
eventuali 
compiti 
finalizzati 
al 
ripristino 
dell’ordinata 
gestione 
dell’istituzione”. 

contenzioSo 
nAzionALe 


condizionamento 
mafioso, 
di 
cui 
all’art. 
143 
del 
decreto 
legislativo 
n. 
267 
del 
2000 
(2), 
per 
fugare 
ogni 
dubbio 
sulla 
cittadinanza 
dell’istituto 
nel 
nostro 
ordinamento. 


La 
dottrina 
più autorevole 
(3) ha 
individuato il 
commissariamento degli 
enti 
come 
una 
manifestazione 
del 
potere 
di 
controllo di 
conformazione, esercitando 
il 
quale 
l’autorità 
vigilante 
assicura 
che 
gli 
atti 
o l’attività 
soggetti 
a 
controllo rispondano a 
determinate 
regole 
di 
buon andamento e 
di 
sana 
e 
prudente 
gestione. 

La 
corte 
costituzionale, a 
sua 
volta, ha 
stabilito che 
“il 
potere 
di 
nomina 
del 
commissario 
straordinario 
costituisce 
attuazione 
del 
principio 
generale, 
applicabile 
a 
tutti 
gli 
enti 
pubblici, del 
superiore 
interesse 
pubblico al 
sopperimento, 
con tale 
rimedio, degli 
organi 
di 
ordinaria 
amministrazione, i 
cui 
titolari 
siano scaduti o mancanti” (4). 


Prima 
della 
conversione 
del 
decreto-legge 
n. 
77 
del 
2021, 
del 
resto, 
in 
molteplici 
occasioni 
enti 
vari 
sono stati 
commissariati 
dal 
vertice 
ministeriale 
competente 
(5), compresi 
gli 
AFAm 
(6). È 
verosimile 
pensare 
-allora 
-che 
la 
nuova disposizione non fosse strettamente necessaria. 

La 
sua 
genesi 
si 
coglie 
-in realtà 
-in relazione 
alla 
vicenda 
specifica 
del 
conservatorio 
“Santa 
cecilia” 
di 
roma, 
che 
era 
stata 
motivo 
di 
pluriennale 
attenzione 
da parte del Parlamento. 


Senza 
tediare 
il 
lettore 
con 
gli 
sviluppi 
della 
vicenda 
concreta 
(7), 
basterà 
rammentare 
che 
sia 
alla 
camera 
sia 
in Senato, già 
dalla 
fine 
della 
Xvii legislatura 
repubblicana, 
parlamentari 
avevano 
segnalato 
al 
Governo 
le 
disfunzioni 
gestionali 
dell’AFAm 
di 
roma 
(8). nella 
legislatura 
successiva 
(la 
Xviii) le 


(2) Su cui 
sia 
consentito il 
rinvio a 
m. cerASe, aggressione 
criminale 
e 
permeabilità amministrativa 
(anatomia dello scioglimento dei comuni per mafia) 
in Cassazione penale 
2019, pag. 1822. 
(3) 
così 
G. 
D’AuriA, 
i 
controlli 
in 
trattato 
di 
diritto 
amministrativo, 
a 
cura 
di 
S. 
cASSeSe, 
Giuffré, 
milano 2003, pag. 1384. 
(4) v. la sentenza n. 27 del 2004, punto 1 del 
Considerato in diritto. 
(5) v., per esempio, consiglio di 
Stato, sezione 
v, 10 marzo 2016, n. 852 e 
consiglio di 
Stato, sezione 
vi, 28 aprile 2016, n. 1599. 
(6) Solo a titolo di esempio, si ricordino: 
-il 
decreto di 
commissariamento del 
15 marzo 2012, a 
opera 
del 
ministro pro tempore 
Francesco Profumo 
del conservatorio “Antonio Scontrino” di 
trapani; 
-il 
decreto 
di 
commissariamento 
del 
16 
aprile 
2012, 
a 
firma 
del 
ministro 
pro 
tempore 
Francesco 
Profumo 
dell’Accademia 
Albertina di 
torino; 
-il 
decreto di 
commissariamento in data 
28 febbraio 2013, a 
firma 
del 
ministro pro tempore 
Francesco 
Profumo del conservatorio “Piccinni” di bari; 
-il 
decreto 
di 
commissariamento 
in 
data 
9 
giugno 
2016, 
a 
firma 
del 
ministro 
pro 
tempore 
Stefania 
Giannini 
dell’Accademia di belle arti di reggio calabria. 
(7) 
v., 
per 
elementi 
sulla 
vicenda, 
la 
repubblica 
(cronaca 
di 
roma), 
27 
aprile 
2022, 
pag. 
7, 
nonché 
Corriere della sera 
(cronaca di roma), 28 aprile 2022, pag. 5. 
(8) v., tra 
le 
altre, l’interrogazione 
della 
sen. Lucrezia 
ricchiuti 
(n. 4-8239 del 
12 ottobre 
2017) 
e 
l’interpellanza 
dell’on. eleonora 
cimbro (n. 2-1970 del 
9 ottobre 
2017), cui 
tuttavia 
il 
ministro pro 
tempore 
Fedeli non aveva dato risposta. 

rASSeGnA 
AvvocAturA 
DeLLo 
StAto -n. 3/2022 


vicissitudini 
dell’ente 
erano state 
nuovamente 
portate 
all’attenzione 
dell’esecutivo, 
anche questa volta in entrambe le camere (9). 


Solo 
in 
data 
18 
giugno 
2021, 
però, 
il 
Governo 
-per 
bocca 
del 
viceministro 
pro tempore 
alle 
infrastrutture 
e 
alla 
mobilità 
sostenibile 
(!), delegato per la 
seduta 
alla 
camera 
dei 
deputati 
-rispose 
all’interpellanza 
n. 
2-1248, 
affermando 
che 
nell’AFAm 
di 
roma 
erano 
“emerse 
significative 
criticità 
in 
merito 
a 
diversi 
ambiti 
relativi 
alla 
gestione”, nonché 
“la 
sussistenza 
di 
svariate 
disfunzioni 
gestionali 
che 
hanno determinato, inevitabilmente, una 
compromissione 
del buon andamento del conservatorio” (10). 


Per tali 
ragioni 
-sempre 
a 
dire 
del 
viceministro intervenuto a 
rispondere 
-il 
mur 
si 
era 
“riservato 
di 
adottare 
ogni 
provvedimento 
che 
sarà 
ritenuto 
opportuno 
per 
assicurare 
il 
corretto 
funzionamento 
dell’istituzione”. 
ma 
il 
medesimo 
esponente 
del 
Governo 
aveva 
aggiunto: 
“A 
fronte 
dei 
fatti, 
cui 
si 
è 
fatto rapidamente 
cenno, dai 
quali 
è 
emersa 
una 
situazione 
di 
disordine 
amministrativo 
presso 
l’istituzione, 
il 
ministero 
ha 
dovuto, 
altresì, 
valutare 
attentamente 
il 
quadro 
ordinamentale 
di 
riferimento, 
per 
individuare 
gli 
strumenti 
giuridici 
da 
poter utilizzare 
con pieno affidamento, senza 
correre 
il 
rischio 
che 
possibili 
impugnative 
degli 
stessi 
conducessero 
l’ente 
in 
una 
situazione 
di ancora più grave 
impasse 
amministrativa”. 


La 
risposta 
del 
Governo 
all’interpellanza 
-in 
qualche 
misura 
-aveva 
quindi 
messo 
in 
dubbio 
un 
compendio 
normativo 
consolidato, 
ai 
sensi 
del 
quale 
il 
commissariamento non solo era 
possibile 
ma 
forse 
anche 
doveroso in 
determinate 
circostanze. Di 
qui 
l’iniziativa 
emendativa 
cui 
si 
è 
appena 
fatto 
cenno, volta a colmare la pretesa lacuna normativa. 


entrata 
in vigore 
la 
legge 
di 
conversione, l’attenzione 
ministeriale 
sulla 
situazione 
compromessa 
dell’AFAm 
di 
roma 
era 
proseguita 
fino a 
giungere 
(nel 
dicembre 
2021) all’invio della 
diffida, prevista 
dalla 
nuova 
disposizione, 
quale prodromo per il commissariamento. 


Alla 
diffida, 
gli 
organi 
di 
vertice 
dell’ente 
avevano 
dato, 
nel 
gennaio 
2022, un corposissimo riscontro documentale, che 
aveva 
richiesto un’analisi 
approfondita, il 
cui 
esito era 
stato però del 
tutto infausto per l’ente 
medesimo, 
essendosi 
l’incartamento 
di 
risposta 
-in 
larga 
sostanza 
-rivelato 
come 
una 
manovra dilatoria e distrattiva dai precisi rilievi mossi nella diffida. 


ne 
era 
pertanto seguito il 
decreto del 
ministro 
pro tempore 
messa 
del 
22 
aprile 
2022, 
con 
cui 
venivano 
rimossi 
presidente 
e 
direttore 
del 
conservatorio, 
con la conseguente nomina di due commissari straordinari. 


Gli 
organi 
rimossi 
avevano 
fatto 
ricorso 
al 
t.a.r. 
Lazio 
per 
ottenere 
dapprima 


(9) v. tra 
le 
altre, l’interrogazione 
del 
sen. Giuseppe 
cucca 
(n. 3-1419 del 
27 febbraio 2020) e 
l’interpellanza dell’on. michele 
Anzaldi (n. 2-1130 dell’11 marzo 2021). 
(10) v. quanto riferito dal 
viceministro morelli 
nonché 
la 
replica 
dell’on. Fassina, nel 
resoconto 
stenografico della seduta dell’Assemblea, pag. 9. 

contenzioSo 
nAzionALe 


la 
misura 
cautelare 
(anche 
monocratica) 
e 
poi 
l’annullamento 
in 
sede 
di 
merito. 


il 
giudice 
amministrativo 
aveva 
respinto 
l’istanza 
cautelare 
e 
-con 
la 
sentenza 
riportata 
-respinge 
anche 
il 
ricorso. 
vale 
la 
pena 
allora 
svolgere 
una 
(sia 
pure sintetica) analisi dei motivi della decisione. 

Anzitutto, il 
ricorso avanzava 
-quale 
violazione 
di 
legge 
-la 
sussistenza 
di 
motivi 
del 
provvedimento 
di 
commissariamento 
non 
previamente 
contestati 
nella 
diffida. 
Secondo 
i 
ricorrenti, 
il 
provvedimento 
amministrativo 
si 
sarebbe 
basato su elementi di fatto sopraggiunti alla diffida inviata in precedenza. 

L’argomento 
aveva 
una 
sua 
certa 
capacità 
suggestiva 
ma 
era 
evidentemente 
privo di pregio. 

come 
la 
citata 
dottrina 
ha 
chiarito, 
il 
commissariamento 
è 
espressione 
del 
potere 
di 
controllo 
sugli 
organi 
e 
risponde 
alla 
logica 
del 
buon 
andamento 
e 
del-
l’imparzialità 
della 
pubblica 
Amministrazione, 
ai 
sensi 
dell’art. 
97 
della 
costituzione. 
non 
ha 
a 
che 
fare 
con 
la 
logica 
“accusa-difesa” 
di 
cui 
agli 
artt. 
24 
e 
111. 


La 
diffida 
cui 
si 
riferisce 
l’art. 64-bis, comma 
7, del 
decreto legge 
n. 77 
del 
2021 non equivale, quindi, alla 
contestazione 
degli 
addebiti 
disciplinari 
o 


-men che 
meno -a 
quella 
delle 
imputazioni 
in sede 
penale. essa 
equivale 
a 
una 
comunicazione 
dell’avvio del 
procedimento di 
cui 
all’art. 7 della 
legge 
n. 
241 del 
1990 (11) entro un rapporto che 
non è 
di 
contrapposizione 
bensì 
di 
direzione 
e 
di 
vigilanza 
(12) del 
ministro nei 
riguardi 
di 
un ente 
che 
non gode 
di 
peculiari 
prerogative 
di 
autonomia. 
Da 
quest’ultimo 
punto 
di 
vista, 
gli 
AFAm 
non 
possono 
essere 
paragonati 
in 
chiave 
ordinamentale 
alle 
università, 
le 
quali 
invece 
godono di 
speciale 
autonomia 
e 
i 
cui 
vertici 
sono solo eletti 
e 
non 
anche 
nominati, 
sia 
pure 
dopo 
procedure 
elettive 
(come 
invece 
il 
direttore 
e il presidente degli 
AFAm). 
il 
t.a.r. Lazio, inoltre, ritiene 
persuasivamente 
che 
la 
diffida 
abbia 
anche 
il 
senso di 
mettere 
in guardia 
l’ente 
diffidato da 
ulteriori 
violazioni 
di 
legge 
o 
di 
regolamento 
e 
comunque 
da 
condotte 
contrarie 
alla 
sana 
e 
prudente 
gestione. 
essa avrebbe sostanzialmente anche una funzione conservativa. 


in secondo luogo, i 
ricorrenti 
facevano valere 
l’eccesso di 
potere 
per di


(11) v. consiglio di 
Stato, sez. vi, 13 aprile 
1992, n. 256 e 
t.a.r. Puglia, sez. i, 15 dicembre 
1993, 
n. 1101. 
(12) nella 
sentenza 
del 
t.a.r. Lazio, sez. i, 11 gennaio 2012, n. 529, la 
violazione 
del 
diritto al 
contraddittorio era 
stata 
desunta 
non già 
dalla 
mancata 
contestazione 
formale 
di 
tutte 
le 
disfunzioni 
ritenute 
rilevanti 
ai 
fini 
del 
commissariamento, bensì 
in ragione 
dell’emanazione 
del 
provvedimento in 
difetto della 
comunicazione 
di 
avvio del 
procedimento di 
cui 
all’art. 7 della 
legge 
241 del 
1990, pur in 
assenza 
delle 
condizioni 
di 
urgenza 
che 
avrebbero 
legittimato 
tale 
omissione; 
non 
così, 
infatti, 
nella 
sentenza 
t.a.r. Lazio, sez. ii-ter, 6 maggio 2015, n. 9782, la 
quale 
si 
riferiva, in primo luogo, ai 
limiti 
sostanziali 
all’esercizio 
del 
potere 
di 
scioglimento 
degli 
enti 
da 
parte 
del 
ministro 
vigilante 
(oggi 
evidentemente 
superati) e, solo incidentalmente, al 
rispetto delle 
garanzie 
procedimentali. Peraltro, il 
medesimo t.a.r., nel 
dichiarare 
l’infondatezza 
del 
ricorso, aveva 
escluso la 
violazione 
del 
diritto al 
contraddittorio, 
la 
cui 
effettività 
era 
stata 
desunta 
dalla 
previa 
comunicazione 
di 
avvio del 
procedimento e 
dall’avvenuto esame della documentazione prodotta dagli interessati. 

rASSeGnA 
AvvocAturA 
DeLLo 
StAto -n. 3/2022 


fetto d’istruttoria 
e 
travisamento dei 
fatti, perché 
tra 
la 
risposta 
alla 
diffida 
e 
il 
decreto di 
commissariamento erano intervenute 
interlocuzioni 
tra 
il 
ministero 
e 
l’ente, tali 
per cui 
si 
doveva 
evincere 
che 
le 
carenze 
e 
disfunzioni 
gestionali 
erano in via di superamento. 

Anche 
in 
questo 
caso, 
la 
risposta 
del 
t.a.r. 
appare 
convincente: 
la 
sentenza 
afferma 
che, 
in 
punto 
di 
fatto, 
il 
ministero 
non 
è 
vincolato 
da 
comunicazioni 
interlocutorie 
e 
non 
decisive, 
le 
quali 
lascino 
sussistere 
la 
gran 
parte 
degli 
aspetti 
di 
patologia 
amministrativa 
già 
denunziati 
nella 
diffida. 
ma 
più 
al 
fondo, 
trattandosi 
di 
controllo 
sugli 
organi, 
il 
giudizio 
che 
il 
vertice 
ministeriale 
deve 
dare 
non 
è 
parcellizzato 
e 
caratterizzato 
da 
una 
visione 
atomistica 
di 
singoli 
profili 
dell’andamento 
gestionale, 
dovendo 
invece 
preferirsi 
uno 
sguardo 
d’insieme 
che 
colga 
il 
complessivo 
svolgimento 
delle 
funzioni 
pubbliche 
assegnate 
all’ente 
e 
l’eventuale 
suo 
fallimento 
(v. 
punto 
9.1.3. 
della 
motivazione). 


Da 
ultimo, i 
ricorrenti 
ventilavano che 
il 
mur si 
fosse 
lasciato indurre 
all’emanazione 
del 
provvedimento 
da 
un’interpellanza 
parlamentare, 
quasi 
che 
un simile 
atto tradisse 
una 
motivazione 
impropriamente 
politica 
della 
determinazione 
del 
ministro. La 
sentenza, in punto di 
fatto, esclude 
il 
rapporto 
causa-effetto tra 
l’atto di 
sindacato ispettivo parlamentare 
e 
il 
commissariamento, 
collocando il 
primo entro un più cospicuo pacchetto di 
atti 
di 
membri 
delle 
camere 
che 
contribuiva 
a 
descrivere 
meglio 
il 
quadro 
su 
cui 
l’azione 
amministrativa ha inciso. 

Più al 
fondo, deve 
essere 
osservato che 
il 
motivo addotto era 
destituito di 
ogni 
fondamento. il 
commissariamento ex 
art. 64-bis, comma 
7, del 
decreto 
legge 
n. 77 del 
2021 è 
un atto discrezionale 
del 
ministro. Depone 
in tal 
senso 
inequivocabilmente 
il 
verbo 
“possono” 
del 
medesimo 
comma 
7. 
ovviamente, 
la discrezionalità non è arbitrio e dev’essere esercitata in modo motivato. 

ma 
questo 
non 
preclude 
in 
modo 
alcuno 
che 
-specie 
in 
un 
regime 
parlamentare 
quale 
quello 
concepito 
negli 
artt. 
94 
e 
95 
della 
costituzione 
-un 
ministro 
possa 
contemplare 
anche 
sollecitazioni 
della 
compagine 
degli 
eletti 
nelle 
camere. 
nelle 
interrogazioni 
e 
nelle 
interpellanze 
si 
domanda 
al 
Governo 
che 
cosa 
sappia 
e 
come 
intenda 
regolarsi 
su 
fatti 
e 
su 
aspetti 
della 
propria 
politica. 


nella 
prassi 
parlamentare 
è 
-dunque 
-evidente 
che 
le 
interrogazioni 
contengano 
elementi 
informativi 
e 
ricostruzioni 
fattuali 
su 
cui 
il 
dicastero 
interessato 
è 
chiamato a 
svolgere 
verifiche 
e 
a 
dare 
atto della 
verità 
di 
circostanze 
esposte 
dai 
parlamentari 
(13). e 
infatti 
non era 
la 
prima 
volta 
che 
il 
ministro 


(13) 
v. 
anche 
la 
sentenza 
della 
corte 
costituzionale 
n. 
379 
del 
2003, 
punto 
3 
del 
Considerato 
in 
diritto). 
in 
dottrina 
v. 
LonGi, 
elementi 
di 
diritto 
e 
procedura 
parlamentare, 
Giuffré, 
milano 
1988, 
pag. 
173, 
il 
quale 
afferma 
efficacemente: 
“La 
funzione 
ispettiva 
o 
di 
controllo 
politico 
sul 
Governo 
e 
la 
pubblica 
amministrazione 
è, 
come 
sappiamo, 
di 
importanza 
fondamentale 
non 
soltanto 
come 
attività 
integrativa 
rispetto 
a 
quella 
legislativa 
delle 
camere 
ma 
anche 
come 
condizione 
per 
la 
stessa 
sussistenza 
del 
regime 
parlamentare, 
che 
ha 
la 
sua 
base 
nella 
collaborazione 
tra 
i 
poteri 
dello 
Stato 
e 
nel 
permanente 
rap

contenzioSo 
nAzionALe 


pro tempore 
competente 
sugli 
AFAm 
raccogliesse 
informazioni 
dal 
sindacato 
ispettivo parlamentare per commissariare un ente (14). 

ben 
vero 
è 
che 
il 
consiglio 
di 
Stato 
è 
orientato 
a 
ritenere 
illegittimi 
i 
commissariamenti 
nel 
campo 
della 
sanità 
pubblica 
dovuti 
a 
motivi 
esclusivamente 
politici 
(senza 
-quindi 
-il 
sostegno 
di 
motivazioni 
gestionali) 
(15) 
e 
che 
a 
una 
conclusione 
non 
dissimile 
è 
pervenuta 
di 
recente 
anche 
la 
corte 
costituzionale 
(16): 
ma 
con tutta 
evidenza 
non era 
questo il 
caso (e 
non solo per la 
diversità 
di 
settore). 
il 
decreto 
di 
commissariamento 
qui 
impugnato 
era 
ampiamente 
giustificato 
da 
elementi 
di 
fatto 
inoppugnabili 
(17), 
emersi 
da 
procedure 
ispettive 
ministeriali 
e 
segnalati 
(anche) 
da 
membri 
delle 
camere, 
in 
legislature 
diverse 
e sotto diversi governi. 

Tribunale 
amministrativo 
regionale 
per 
il 
Lazio, 
Sezione 
III 
ter, 
sentenza 
9 
febbraio 
2023 


n. 2232 -Pres. e. Stanizzi, est. P. Patatini 
-(omissis) (avv. ti 
A. zoppini, G. vercillo, A. turchetta) 
c. ministero dell’università e della ricerca (avv. gen. Stato); ed altri. 
FAtto 


1. 
con 
ricorso 
ritualmente 
proposto, 
iscritto 
al 
numero 
di 
ruolo 
rG. 
4881/2022, 
il 
prof. 
(omissis) 
ha 
impugnato il 
decreto del 
ministero dell’università 
e 
della 
ricerca 
(mur) n. 361 del 
22 aprile 
2022, adottato ai 
sensi 
dell’art. 64-bis, comma 
7 del 
d.l. n. 77/2021 convertito in 
legge 
n. 108/2021, con cui 
sono stati 
rimossi, dalle 
rispettive 
funzioni, il 
Presidente 
e 
il 
Direttore 
pro tempore 
del 
conservatorio Statale 
di 
musica 
“Santa 
cecilia”, nominando al 
loro 
posto due commissari con incarico fino al 30 aprile 2023, salvo proroga. 
2. espone 
in fatto il 
ricorrente 
di 
essere 
stato, fino all’adozione 
del 
decreto impugnato, il 
Direttore 
del 
conservatorio 
(incarico 
assunto 
per 
la 
prima 
volta 
a 
novembre 
2016 
e, 
alla 
scadenza 
del 
primo mandato triennale, nuovamente 
eletto per il 
triennio 2019-2022), istituto di 
studi 
porto 
fiduciario 
tra 
Parlamento 
e 
Governo”. 
in 
argomento, 
v. 
anche 
G. 
romAno, 
Note 
sul 
sindacato 
ispettivo 
in 
il 
Parlamento 
nella 
transizione, 
a 
cura 
di 
A. 
cASu 
e 
S. 
trAverSA, 
Giuffré, 
milano 
1998, 
pag. 
325; 
e 
L. 
GiAnniti 
e 
n. 
LuPo, 
Corso 
di 
diritto 
parlamentare, 
mulino, 
bologna 
2008, 
pag. 
192. 


(14) era già accaduto, per esempio: 
-nel 
2012, 
allorquando 
e 
come 
accennato, 
il 
ministro 
Profumo 
ha 
commissariato 
il 
conservatorio 
“Scontrino” 
di 
trapani 
anche 
sulla 
base 
delle 
informazioni 
contenute 
nell’interrogazione 
del 
deputato 
Antonino 
russo del 14 febbraio 2012, n. 4-14891; 
-nel 
2016, 
allorquando 
e 
come 
accennato, 
il 
ministro 
Giannini 
ha 
commissariato 
l’Accademia 
delle 
belle 
arti 
di 
reggio calabria 
anche 
sulla 
base 
delle 
informazioni 
contenute 
nell’interrogazione 
della 
deputata 
Federica Dieni dell’8 giugno 2016, n. 4-13421. 
(15) v. consiglio di Stato, sez. iii, 3 novembre 2016, n. 4615. 
(16) v. la sentenza n. 189 del 2022, punto 3.2. del 
Considerato in diritto. 
(17) tra 
le 
violazioni 
di 
legge, una 
aveva 
suscitato in particolare 
l’attenzione 
non solo del 
ministero 
ma 
anche 
della 
compagine 
parlamentare, vale 
a 
dire 
il 
trattamento illecito di 
dati 
personali 
degli 
studenti 
da 
parte 
dell’ente, sanzionato -su esposto di 
uno di 
essi 
-dal 
Garante 
per la 
protezione 
dei 
dati 
personali 
(v. il 
provvedimento 10 novembre 
2022, n. 367). Peraltro, un atto di 
sindacato ispettivo parlamentare 
è 
posto a 
base 
della 
motivazione 
anche 
dalla 
citata 
t.a.r. Lazio, sez. ii-ter, 6 maggio 2015, n. 
9782. 

rASSeGnA 
AvvocAturA 
DeLLo 
StAto -n. 3/2022 


musicali 
facente 
parte 
del 
sistema 
dell’Alta 
Formazione, di 
specializzazione 
e 
di 
ricerca 
artistiche 
e musicali (cd. AFAm). 


2.1. in data 
3 dicembre 
2021, il 
mur trasmetteva 
al 
ricorrente 
e 
al 
prof. (omissis) (all’epoca 
Presidente 
del 
conservatorio, anch’egli 
rimosso dal 
decreto impugnato) una 
diffida 
ai 
sensi 
dell’art. 64-bis, comma 
7, del 
d.l. n. 77/2021, segnalando l’esistenza 
di 
una 
serie 
di 
asserite 
criticità 
di 
carattere 
contabile 
(indicate 
ai 
punti 
n. 
1 
e 
2 
dell’allegato 
alla 
diffida) 
e 
di 
carattere 
amministrativo (di 
cui 
ai 
punti 
3-8) e 
assegnando un termine 
di 
30 giorni 
per provvedere, fornendo 
esaustiva 
documentazione, «alla 
rimozione 
delle 
violazioni 
gravi 
o persistenti 
e/o al-
l’adozione 
degli 
atti 
correttivi 
finalizzati 
al 
ripristino dell’ordinata 
gestione 
dell’istituzione», 
specificando che 
«in difetto si 
procederà 
d’urgenza 
alla 
predisposizione 
del 
conseguente 
decreto 
di commissariamento, ai sensi di legge». 
2.2. in data 
2 gennaio 2022, i 
destinatari 
della 
diffida 
trasmettevano al 
mur un’articolata 
risposta, 
cui il ministero dava riscontro con nota del 21 marzo 2022, prot. 3842. 
in tale 
nota, il 
ministero rappresentava 
in particolare 
che 
«le 
criticità 
relative 
all’ambito giuridico-
istituzionale 
risultano 
essere 
state 
affrontate 
dal 
conservatorio 
mediante 
l’adozione 
degli 
atti 
correttivi 
che 
si 
rendevano necessari. Le 
criticità 
di 
natura 
contabile 
risultano essere 
state 
affrontate 
dal 
conservatorio, ma 
non tutte 
sono state 
definitivamente 
superate. in particolare, 
con riferimento ad alcune 
di 
esse, al 
fine 
di 
verificare 
in maniera 
definitiva 
la 
correttezza 
o 
meno 
dell’operato 
di 
codesta 
istituzione 
occorre 
poter 
avere 
anche 
un 
approfondimento 
da 
parte 
dei 
revisori 
dei 
conti, ai 
quali 
affidare 
anche 
un esame 
dettagliato del 
bilancio consuntivo 
relativo all’esercizio 2021». Pertanto, si 
riteneva 
necessario “avere 
un riscontro oggettivo” 
all’esito 
degli 
approfondimenti 
dei 
revisori 
contabili 
sulle 
specifiche 
criticità 
individuate 
nella 
medesima 
nota, prima 
di 
assumere 
ogni 
determinazione 
anche 
in relazione 
al commissariamento dell’istituto. 
2.3. contestualmente, la 
gestione 
del 
conservatorio era 
anche 
oggetto di 
interpellanze 
parlamentari. 
nello specifico, nella 
seduta 
pubblica 
del 
25 marzo 2022, presso la 
camera 
dei 
Deputati, il 
mur, per il 
tramite 
dell’allora 
Sottosegretario di 
Stato per l’economia 
e 
le 
Finanze, rappresentava 
quanto già 
riconosciuto nella 
nota 
prot. 3842, circa 
il 
superamento delle 
criticità 
relative 
all’ambito 
giuridico 
e 
istituzionale 
e 
la 
necessità 
di 
attendere 
gli 
ulteriori 
riscontri 
oggettivi all’esito delle verifiche svolte dai revisori. 
2.4. il 
30 marzo 2022, i 
due 
revisori 
dei 
conti 
-uno in rappresentanza 
del 
meF, l’altro in 
rappresentanza 
del 
mur -si 
riunivano per esaminare 
il 
conto consuntivo 2021 e 
per dare 
riscontro 
alla 
nota 
mur prot. 3842 (giusta 
verbale 
3/2022, trasmesso dal 
Presidente 
del 
conservatorio 
al ministero in data 11 aprile 2022). 
2.5. 
in 
data 
23 
aprile 
2022, 
approssimandosi 
il 
termine 
del 
30 
aprile 
fissato 
dal 
mur 
per 
l’invio 
della 
nota 
dei 
revisori, non essendo ancora 
pervenuta 
la 
sottoscrizione 
da 
parte 
del 
revisore 
in rappresentanza 
del 
mur, l’altro provvedeva 
autonomamente 
a 
trasmettere 
via 
pec 
la 
nota 
condivisa 
nella 
riunione 
del 
30 marzo, contenente 
l’esito delle 
verifiche, specificando 
che 
in 
assenza 
dell’avviso 
non 
ancora 
manifestato 
dal 
secondo 
revisore, 
la 
dizione 
“i 
revisori” 
avrebbe dovuto intendersi riferita esclusivamente a quello scrivente in rappresentanza meF. 
2.6. 
il 
successivo 
26 
aprile 
2022, 
veniva 
formalmente 
comunicato 
al 
ricorrente, 
al 
Prof. 
(omissis) 
e ai commissari, il decreto di commissariamento adottato dal mur il 22 aprile 2022. 
3. ritenendo il 
predetto decreto illegittimo in ragione 
di 
vizi 
di 
ordine 
procedurale 
e 
sostanziale, 
il 
ricorrente 
ne 
ha 
quindi 
chiesto l’annullamento, previa 
adozione 
di 
misure 
cautelari 
monocratiche e collegiali, per i seguenti motivi di diritto: 

contenzioSo 
nAzionALe 


i. «vioLAzione 
DeLL’Art. 64-biS, commA 
7 DeL 
D.L. n. 77/2021. vioLAzione 
DeL 
Diritto 
AL 
contrADDittorio. 
ecceSSo 
Di 
Potere 
Per 
DiFetto 
Di 
iStruttoriA 
e 
trAviSAmento 
Dei 
FAtti. 
contrADDittorietÀ 
DeLL’Azione 
AmminiStrAtivA», 
in 
quanto il 
decreto è 
stato adottato sulla 
base 
di 
“sopraggiunte 
criticità”, riferite 
a 
fatti 
preesistenti 
alla 
diffida 
e 
in 
larga 
parte 
già 
noti 
al 
mur, 
che 
non 
sono 
state 
tuttavia 
preventivamente 
identificate 
nella 
diffida, così 
violando il 
diritto al 
contradditorio, senza 
che 
venisse 
motivata 
l’urgenza di provvedere. 
ii. «vioLAzione 
DeLL’Art. 64-biS, commA 
7 DeL 
D.L. n. 77/2021. ecceSSo 
Di Potere 
Per 
DiFetto 
Di 
iStruttoriA, 
trAviSAmento 
Dei 
FAtti 
e 
SviAmento 
Di 
Potere. 
in-
GiuStiziA 
mAniFeStA. DiSPAritÀ 
Di trAttAmento. DiFetto 
Di motivAzione. vio-
LAzione 
DeGLi 
Artt. 
1 
e 
SS. 
DeL 
D.P.r. 
n. 
132/2003, 
DeLLo 
StAtuto 
DeL 
conServAtorio 
e 
DeL 
reGoLAmento 
SuL 
FunzionAmento 
DeL 
conSiGLio 
Di AmminiStrAzione. 
vioLAzione 
DeGLi Artt. 1 D.LGS. n. 33/2013. vioLAzione 
DeL 
“re-
GoLAmento 
Di 
AmminiStrAzione, 
contAbiLitÀ 
e 
FinAnzA”», 
in 
quanto 
sul 
piano 
sostanziale 
non ricorrerebbero i 
presupposti 
giuridici 
e 
fattuali 
per il 
commissariamento, così 
incorrendo in particolare nel vizio di eccesso di potere e travisamento dei fatti. 
A) Le 
criticità 
rilevate 
nella 
diffida, come 
individuate 
nella 
“relazione”, costituente 
parte 
integrante 
del 
decreto di 
commissariamento, si 
porrebbero in netto contrasto con quanto affermato 
nella 
nota 
prot. 
3842 
del 
21 
marzo 
2022, 
nella 
quale 
si 
riconoscerebbe 
l’avvenuto 
superamento, mediante 
l’adozione 
di 
atti 
correttivi, delle 
asserite 
criticità 
relative 
all’ambito 
giuridico-istituzionale, 
come 
pure 
riconosciuto 
nel 
corso 
dell’interpellanza 
parlamentare. 
Quanto a 
quelle 
contabili, il 
mur, anziché 
attendere 
l’esito dell’audit 
dei 
revisori, avrebbe 
immotivatamente 
anticipato i 
tempi 
dichiarandole 
non risolte 
e 
disponendo il 
commissariamento. 
b1) L’asserita 
sopraggiunta 
criticità 
consistente 
nel 
non aver comunicato al 
ministero la 
deliberazione 
del 
consiglio di 
Amministrazione 
del 
28 dicembre 
2021 relativa 
al 
protrarsi 
del-
l’esercizio 
provvisorio 
fino 
all’8 
marzo 
2022, 
sarebbe 
insussistente 
alla 
luce 
tanto 
dell’avvenuta 
pubblicazione 
della 
delibera 
sul 
sito 
e 
della 
presenza 
di 
un 
rappresentate 
del 
ministero in seno all’organo collegiale, quanto dell’assenza 
di 
un obbligo legale 
di 
comunicazione 
al 
ministero e 
del 
pieno rispetto del 
regolamento di 
amministrazione, contabilità 
e 
finanza, dell’ente. 
b2) Quanto alla 
mancata 
pubblicazione 
nel 
sito istituzionale 
dei 
verbali 
del 
consiglio Accademico 
2021 e 
dei 
verbali 
delle 
votazioni 
per gli 
incarichi 
di 
capo Dipartimento, capo Area, 
Presidente 
di 
Scuola 
e 
Presidente 
di 
corso, oltre 
a 
riguardare 
circostanze 
di 
fatto risalenti 
a 
periodi 
antecedenti 
la 
diffida, che 
avrebbero dovuto essere 
quindi 
riportate 
in questa, il 
conservatorio 
aveva 
già 
dato riscontro al 
riguardo nel 
corso dell’attività 
di 
monitoraggio svolta 
nel 
2021 dal 
ministero, il 
quale 
aveva 
condiviso la 
risposta 
dell’ente. in ogni 
caso, non vi 
sarebbe 
obbligo di pubblicazione di tali atti interni. 
b3) circa 
la 
proroga 
degli 
incarichi 
di 
capo Dipartimento, capo Area, Presidente 
di 
Scuola 
e 
di 
corso, disposta 
in ragione 
del 
permanere 
dello stato di 
emergenza 
e 
del 
sensibile 
incremento 
dei 
contagi 
da 
covid-19, non vi 
sarebbe 
stato alcun pregiudizio del 
diritto di 
elettorato 
attivo e passivo dei docenti in quelle posizioni, attesa l’assenza di lamentele al riguardo. 
b4) circa 
gli 
atti 
di 
sindacato ispettivo parlamentare 
richiamati 
nella 
relazione, le 
risultanze 
contenute 
nelle 
interpellanze, che 
il 
ministero avrebbe 
indicato come 
ulteriori 
criticità, oltre 
a 
essere 
contraddittorie 
con quanto dichiarato da 
ultimo nel 
marzo 2022, rappresenterebbero 
ragioni 
politiche, che 
non potrebbero giustificare 
il 
potere 
di 
commissariamento, senza 
sna

rASSeGnA 
AvvocAturA 
DeLLo 
StAto -n. 3/2022 


turarne 
natura 
e 
funzione, trattandosi 
di 
un potere 
amministrativo, da 
esercitarsi 
al 
verificarsi 
di tipiche ipotesi di legge. 
b5) 
il 
comportamento 
del 
Presidente 
e 
del 
Direttore 
del 
conservatorio, 
contrariamente 
a 
quanto riportato nella 
relazione, sarebbe 
stato sempre 
improntato ai 
principi 
di 
leale 
collaborazione 
istituzionale. 
b6) 
in 
merito 
alla 
verifica 
amministrativa 
contabile 
avviata 
dal 
meF 
nel 
2018, 
oltre 
ad 
essere 
detta 
circostanza 
indicata 
per la 
prima 
volta 
nella 
relazione 
e 
non nella 
diffida, il 
conservatorio 
avrebbe 
costantemente 
fornito quanto richiesto dal 
meF 
e, con particolare 
riguardo alla 
nota 
dell’11 novembre 
2019, richiamata 
nella 
relazione 
e 
rimasta 
asseritamente 
inevasa 
dal 
conservatorio, la 
stessa 
non assegnava 
un termine 
per adempiere, devolvendo anzi 
al 
mur 
ulteriori 
verifiche; 
solo da 
ultimo, con la 
nota 
del 
17 marzo 2022 (prot. 41789), il 
meF 
indicava 
un nuovo termine 
di 
60 giorni 
per fornire 
ulteriori 
giustificazioni 
in merito ad alcuni 
rilievi, 
termine 
(16 
maggio 
2022) 
che 
al 
momento 
dell’adozione 
del 
provvedimento 
impugnato 
non era ancora scaduto. 


iii. «vioLAzione 
DeGLi Artt. 5, 6, 7, 8 e 
12 DeLLo 
StAtuto, noncHÉ 
DeGLi Artt. 5, 6, 
7, 8, 12 e 
13 DeL 
D.P.r. n. 132/2003. vioLAzione 
DeGLi Artt. 1 e 
SS. e 
L’ALLeGAto 
A 
DeL 
reGoLAmento 
DeLLA 
conSuLtA 
DeGLi StuDenti DeL 
conServAtorio 
Di muSicA 
S. ceciLiA. ecceSSo 
Di Potere 
Per SviAmento. iLLoGicitÀ 
e 
inGiuStiziA 
mAniFe-
StA. vioLAzione 
Art. 64-biS, co. 7 DeL 
D.L. n. 77/2021 e 
DeLL’Art. 97 coSt.», in quanto 
non ricorrerebbero i 
presupposti 
legali 
per disporre 
il 
commissariamento, atteso che: 
le 
contestazioni 
fatte 
dal 
mur sarebbero riferibili 
alle 
funzioni 
di 
altri 
organi 
che 
non sono stati 
invece 
rimossi; 
le 
competenze 
attribuite 
ai 
commissari 
si 
sovrapporrebbero 
a 
quelle 
degli 
altri 
organi 
del 
conservatorio non commissariati; 
la 
legge 
riconosce 
al 
ministro il 
potere 
di 
provvedere 
alla 
nomina 
di 
un 
solo 
commissario, 
anche 
nell’ipotesi 
di 
rimozione 
di 
più 
organi. 
4. con decreto cautelare n. 2884/2022, è stata respinta l’istanza di misure monocratiche. 
5. 
Per 
resistere 
al 
ricorso, 
si 
sono 
costituiti 
il 
mur, 
nonché 
i 
componenti 
della 
consulta 
degli 
Studenti 
quali 
interventori 
ad opponendum 
e, a 
pari 
titolo, diversi 
docenti 
presso il 
conservatorio, 
specificamente indicati in epigrafe. 
6. 
A 
sostegno 
del 
gravame, 
sono 
invece 
intervenuti 
ad 
adiuvandum 
i 
docenti 
in 
epigrafe 
indicati. 
7. All’esito della 
camera 
di 
consiglio dell’8 giugno 2022, la 
Sezione 
ha 
respinto la 
domanda 
cautelare e fissato la trattazione del merito (ord. n. 3688/2022). 
8. tutte 
le 
parti 
hanno poi 
prodotto memorie, insistendo nelle 
proprie 
argomentazioni, e 
successive 
repliche. con le 
proprie 
difese, il 
ministero ha 
altresì 
eccepito l’inammissibilità 
del 
ricorso per difetto di 
interesse 
e/o legittimazione 
ad agire, in quanto l’interesse 
sostanziale, 
potenzialmente 
inciso 
dal 
decreto 
di 
commissariamento, 
sarebbe 
quello 
dell’ente 
vigilato, 
mentre 
non vi 
sarebbe 
alcuna 
lesività 
della 
posizione 
del 
ricorrente 
che 
agisce 
come 
singolo 
in nome proprio. 
10. 
con 
ricorso 
ritualmente 
proposto, 
iscritto 
al 
numero 
di 
ruolo 
rG. 
4882/2022, 
il 
prof. 
(omissis) 
ha 
impugnato 
il 
decreto 
del 
ministero 
dell’università 
e 
della 
ricerca 
(mur) 
n. 
361 
del 
22 aprile 
2022, che 
lo ha 
rimosso dalla 
carica 
di 
Presidente 
del 
conservatorio Statale 
di 
musica 
“Santa 
cecilia” 
(con mandato in scadenza 
il 
17 dicembre 
2023), nominando contestualmente 
due commissari. 
11. 
Dopo 
aver 
ripercorso 
in 
fatto 
le 
vicende 
che 
hanno 
portato 
all’adozione 
del 
decreto 
di 
commissariamento impugnato, il 
ricorrente 
ha 
formulato tre 
articolati 
motivi 
di 
censura, lamentando 
in sintesi 
violazione 
di 
legge 
ed eccesso di 
potere 
sotto numerosi 
profili, in quanto 
il 
procedimento di 
commissariamento sarebbe 
avvenuto in violazione 
del 
diritto al 
contrad

contenzioSo 
nAzionALe 


dittorio, 
sulla 
base 
di 
asserite 
criticità 
insussistenti, 
ovvero 
superate, 
o 
già 
conosciute 
dal 
mur, o relative 
a 
organi 
diversi 
da 
quelli 
che 
sono stati 
poi 
commissariati, in spregio ai 
presupposti 
tipici legali previsti dall’art. 64-bis, comma 7, del d.l. n. 77/2021. 


12. con decreto cautelare, n. 2885/2022, è 
stata 
respinta 
la 
domanda 
di 
misure 
monocratiche, 
avanzata col ricorso. 
13. Si 
sono costituiti 
in resistenza 
il 
mur, il 
conservatorio di 
Santa 
cecilia 
e, quali 
interventori 
ad 
opponendum, 
i 
componenti 
della 
consulta 
degli 
Studenti 
nonché 
i 
docenti 
dell’istituto 
indicati in epigrafe. 
14. A 
sostegno del 
gravame, sono invece 
intervenuti 
ad adiuvandum 
i 
professori 
pure 
in epigrafe 
indicati. 
15. All’esito della 
camera 
di 
consiglio dell’8 giugno 2022, la 
Sezione 
ha 
respinto la 
domanda 
cautelare e fissato la trattazione del merito (ord. n. 3689/2022). 
16. tutte le parti hanno prodotto memorie e repliche. 
17. All’udienza 
pubblica 
del 
19 dicembre 
2022, i 
ricorsi 
sono stati 
chiamati 
congiuntamente 
e all’esito della discussione, entrambe le cause sono passate in decisione. 
Diritto 


1. il 
collegio ritiene 
preliminarmente 
di 
disporre 
la 
riunione 
dei 
giudizi 
ai 
sensi 
dell’art. 70 
c.p.a., attesa l’evidente connessione dei ricorsi e la specularità delle censure. 
2. va 
poi 
accolta 
l’istanza 
di 
autorizzazione 
al 
superamento dei 
limiti 
dimensionali 
ex art. 7 
del 
DPcS 
n. 
167/2016, 
contenuta 
nelle 
conclusioni 
degli 
atti 
introduttivi, 
in 
ragione 
della 
complessità del giudizio tanto sul piano fattuale, che su quello giuridico. 
2.1. 
Può 
inoltre 
autorizzarsi 
il 
deposito 
tardivo 
effettuato 
in 
data 
10 
novembre 
2022 
dagli 
interventori 
ad 
opponendum, 
(omissis) 
e 
altri, 
in 
ragione 
della 
mancata 
opposizione 
delle 
altre 
parti. 
3. ciò premesso, con i 
gravami 
in esame, i 
proff. (omissis) agiscono contro il 
decreto di 
commissariamento, 
unitamente 
alla 
relazione 
allegata, con cui 
sono stati 
entrambi 
rimossi 
dalle 
rispettive 
funzioni 
di 
Direttore 
e 
Presidente 
pro tempore 
del 
conservatorio di 
musica 
“Santa 
cecilia” e nominati, al loro posto, due commissari. 
4. i ricorsi devono in primo luogo ritenersi ammissibili. 
4.1. contrariamente 
a 
quanto eccepito dalla 
difesa 
erariale 
infatti, sussiste 
la 
legittimazione 
ad agire 
dei 
ricorrenti 
e 
il 
loro interesse 
concreto e 
attuale 
ad impugnare 
il 
decreto di 
commissariamento 
che 
li 
ha 
privati 
dell’esercizio 
dei 
propri 
incarichi 
e, 
corrispondentemente, 
della 
percezione 
delle 
rispettive 
indennità. i ricorrenti, in altri 
termini, sono immediatamente 
e 
direttamente 
incisi 
dal 
provvedimento 
impugnato, 
essendo 
evidentemente 
interessati 
a 
mantenere 
le proprie prerogative, e come tali legittimati a proporre ricorso. 
La 
circostanza, 
evidenziata 
dai 
resistenti, 
della 
scadenza 
del 
mandato 
del 
prof. 
(omissis) 
nella 
pendenza 
del 
giudizio, non incide 
comunque 
sulla 
sua 
procedibilità, in ragione 
dell’interesse 
alla decisione manifestato in udienza, anche ai fini di una successiva azione risarcitoria. 
5. 
va 
infine 
ritenuto 
ammissibile 
l’intervento 
dei 
sig.ri 
(omissis) 
quali 
membri 
eletti 
della 
consulta 
degli 
Studenti 
del 
conservatorio, 
avendo 
interesse, 
di 
mero 
fatto, 
a 
svolgere 
il 
proprio 
mandato nel 
nuovo assetto determinato dal 
provvedimento di 
commissariamento, disposto, 
tra 
l’altro, 
anche 
in 
ragione 
della 
riscontrata 
criticità 
del 
ritardo 
nel 
rinnovo 
dell’organo 
stesso. 
6. nel merito, i ricorsi non sono fondati. 
7. il 
potere 
di 
commissariamento delle 
istituzioni 
di 
Alta 
Formazione 
Artistica, musicale 
e 
coreutica 
(AFAm), 
nelle 
quali 
rientra 
il 
conservatorio 
di 
Santa 
cecilia, 
trova 
oggi 
una 
espressa 
previsione 
nel 
comma 
7 dell’art. 64-bis 
del 
d.l. n. 77/2021 (rubricato, Governance 

rASSeGnA 
AvvocAturA 
DeLLo 
StAto -n. 3/2022 


del 
Piano nazionale 
di 
ripresa 
e 
resilienza 
e 
prime 
misure 
di 
rafforzamento delle 
strutture 
amministrative 
e 
di 
accelerazione 
e 
snellimento delle 
procedure), convertito con modificazioni 
in legge 
n. 108/2021, ai 
sensi 
del 
quale 
«[g]li 
organi 
delle 
istituzioni 
dell’alta 
formazione 
e 
specializzazione 
artistica 
e 
musicale 
previsti 
dall’articolo 4 del 
regolamento di 
cui 
al 
decreto 
del 
Presidente 
della 
repubblica 
28 
febbraio 
2003, 
n. 
132, 
possono 
essere 
rimossi, 
con 
decreto 
del 
ministro 
dell’università 
e 
della 
ricerca, 
previa 
diffida, 
nei 
seguenti 
casi: 
a) 
per 
gravi 
o 
persistenti 
violazioni 
di 
legge; 
b) quando non possa 
essere 
assicurato il 
normale 
funzionamento 
degli 
organi 
o 
dei 
servizi 
indispensabili 
dell’istituzione; 
c) 
in 
caso 
di 
dissesto 
finanziario, 
quando 
la 
situazione 
economica 
dell’istituzione 
non 
consenta 
il 
regolare 
svolgimento 
dei 
servizi 
indispensabili 
ovvero quando l’istituzione 
non possa 
fare 
fronte 
ai 
debiti 
liquidi 
ed esigibili 
nei 
confronti 
dei 
terzi. con il 
decreto di 
cui 
al 
presente 
comma 
si 
provvede 
alla 
nomina 
di 
un commissario, che 
esercita 
le 
attribuzioni 
dell’organo o degli 
organi 
rimossi 
nonché 
gli 
ulteriori eventuali compiti finalizzati al ripristino dell’ordinata gestione dell’istituzione». 


7.1. Detto potere, che 
rappresenta 
l’espressione 
più ampia 
e 
penetrante 
della 
funzione 
di 
vigilanza 
ministeriale 
intesa 
ad 
assicurare 
tutte 
le 
finalità 
di 
legge 
e 
statutarie 
dell’ente 
(tar 
Lazio, Sezione 
Prima, sentenza 
n. 529/2012, e 
giur. ivi 
richiamata), deve 
comunque 
ritenersi 
eccezionale 
in quanto fortemente 
limitativo dell’autonomia 
di 
quest’ultimo, dovendo trarre 
la 
propria 
giustificazione 
da 
situazioni 
di 
fatto 
particolarissime, 
che 
per 
la 
loro 
gravità 
portino 
all’esercizio 
del 
commissariamento 
(in 
tali 
termini, 
tar 
Lazio, 
questa 
Sezione, 
sentenza 
n. 
1778/2003); 
situazioni 
che, come 
sopra 
visto, il 
legislatore 
ha 
da 
ultimo inteso tipizzare 
per 
le 
AFAm 
nelle 
«gravi 
o persistenti 
violazioni 
di 
legge; 
quando non possa 
essere 
assicurato il 
normale 
funzionamento 
degli 
organi 
o 
dei 
servizi 
indispensabili 
dell’istituzione; 
in 
caso 
di 
dissesto finanziario, quando la 
situazione 
economica 
dell’istituzione 
non consenta 
il 
regolare 
svolgimento 
dei 
servizi 
indispensabili 
ovvero 
quando 
l’istituzione 
non 
possa 
fare 
fronte 
ai 
debiti liquidi ed esigibili nei confronti dei terzi». 
7.2. 
nel 
caso 
in 
esame, 
il 
commissariamento 
è 
stato 
disposto, 
previa 
diffida, 
ai 
sensi 
delle 
lettere 
a) e 
b) del 
comma 
7 dell’art. 64bis 
cit., «ciò in quanto […] l’attività 
del 
conservatorio è 
caratterizzata, ormai, almeno a 
decorrere 
dal 
2019, da 
significative 
e 
reiterate 
criticità, consistenti 
in gravi 
e 
persistenti 
violazioni 
di 
legge, nonché 
in comportamenti 
e 
condotte 
tali 
da 
non assicurare 
il 
normale 
funzionamento degli 
organi 
o dei 
servizi 
indispensabili 
dell’istituzione, 
che 
non possono essere 
superate 
senza 
il 
ricorso al 
suddetto provvedimento di 
commissariamento, 
essendo 
risultato 
inefficace 
ogni 
altro 
strumento 
di 
“risanamento” 
dell’istituzione 
sino ad ora 
adottato dal 
ministero» (in tali 
termini, v. relazione 
allegata 
al 
decreto n. 361, punto 9. considerazioni conclusive). 
7.3. i ricorrenti 
contestano invece 
la 
sussistenza 
dei 
presupposti 
per l’adozione 
di 
tale 
atto, 
denunciando vizi tanto procedurali, quanto sostanziali. 
7.4. Al 
riguardo, preme 
precisare 
che 
dalla 
lettura 
della 
relazione 
allegata 
al 
decreto impugnato, 
emerge 
come 
il 
commissariamento abbia 
rappresentato una 
misura 
ineluttabile 
per il 
ministero a 
fronte 
di 
un quadro complessivo ormai 
compromesso in cui 
neanche 
gli 
atti 
correttivi 
adottati 
dal 
conservatorio e 
le 
altre 
attività 
intraprese 
dal 
ministero, come 
l’incarico 
conferito 
ai 
revisori 
contabili, 
avrebbero 
potuto 
assicurare 
il 
ripristino 
dell’ordinata 
e 
corretta 
gestione dell’istituto. 
Sicchè, 
contrariamente 
alla 
tesi 
ricorrente, 
il 
mur 
non 
ha 
adottato 
il 
decreto 
in 
questione 
“ritenendo 
determinanti… 
sopraggiunte 
criticità”, 
in 
quanto 
si 
è 
determinato 
in 
tal 
senso 
solo 
all’esito 
di 
un 
lungo 
iter 
fatto 
di 
ispezioni 
e 
verifiche 
periodiche, 
protrattosi 
per 
oltre 
due 
anni, 
in 
cui 
dette 
criticità 
-rappresentate, 
tra 
l’altro, 
dall’omessa 
comunicazione 
di 
delibere 
significative 
per 

contenzioSo 
nAzionALe 


la 
vita 
dell’ente, 
quali 
la 
proroga 
dell’esercizio 
provvisorio 
o 
quella 
degli 
incarichi 
di 
capo 
Dipartimento 
e 
capo 
Area 
-hanno 
costituito 
solo 
uno 
degli 
elementi 
a 
riprova 
dell’impossibilità 
di 
eliminare 
ogni 
causa 
che 
ostacolasse 
o 
impedisse 
il 
raggiungimento 
delle 
finalità 
istituzionali 
del 
conservatorio 
e 
di 
farlo 
ritornare 
autonomamente 
ad 
una 
sana 
e 
corretta 
attività. 


7.5. 
in 
tale 
quadro, 
le 
doglianze 
ricorrenti, 
pur 
suggestive, 
non 
possono 
tuttavia 
essere 
condivise. 
8. col 
primo motivo di 
ricorso, viene 
dedotta 
la 
violazione 
del 
diritto al 
contraddittorio, relativamente 
alle 
“sopraggiunte 
criticità”, e 
l’assenza, nella 
specie, dell’urgenza 
di 
provvedere 
al commissariamento. 
8.1. Sul 
punto, richiamando quanto già 
affermato in questo specifico ambito (tar Lazio, n. 
529/22 
cit., 
sul 
commissariamento 
dell’AGeA) 
per 
cui 
«la 
legittimità 
dell’azione 
amministrativa 
non 
può 
non 
transitare 
attraverso: 
-l’ostensione 
di 
un 
congruo 
apparato 
motivazionale 
che, 
sia 
pure 
nell’immanenza 
del 
potere 
di 
commissariamento 
all’interno 
delle 
prerogative 
lato sensu di 
vigilanza, non soltanto fornisca 
compiuta 
ed adeguata 
contezza 
di 
eventuali 
criticità 
e/o disfunzioni 
e/o inadeguatezze 
organizzativo-gestionali 
dell’ente, ma 
ulteriormente 
ponga 
in evidenza 
il 
rapporto di 
univoca 
correlazione 
causale 
che 
ricongiunge 
l’emersione 
di 
siffatte 
patologie 
al 
mancato soddisfacimento dell’esigenza 
pubblica 
primaria, insita 
nel 
conseguimento 
delle 
finalità 
al 
perseguimento 
delle 
quali 
l’ente 
è 
preposto; 
-il 
rispetto 
delle 
fondamentali 
coordinate 
di 
legittimità 
dello 
svolgimento 
procedimentale», 
il 
collegio 
ritiene 
che 
i principi sopra detti siano stati nel caso in esame pienamente osservati. 
8.2. La 
diffida 
prevista 
dall’art. 64bis 
cit. deve 
invero intendersi 
come 
atto volto a 
impedire 
il 
protrarsi 
delle 
condotte 
illegittime 
contestate 
e 
ad attivare 
una 
partecipazione 
fattiva 
con 
gli 
organi 
ritenuti 
responsabili 
al 
fine 
di 
ripristinare 
una 
corretta 
gestione 
dell’ente 
e 
dissuaderli 
dal compiere ulteriori atti pregiudizievoli. 
8.3. in quest’ottica, il 
rispetto di 
tale 
garanzia 
procedimentale 
deve 
ritenersi 
del 
tutto adempiuto, 
in quanto con la 
nota 
del 
3 dicembre 
2021, contenente 
le 
numerose 
criticità 
e 
l’intimazione 
a 
rimuoverle, il 
Presidente 
e 
il 
Direttore 
del 
conservatorio erano stati 
resi 
edotti 
della 
volontà 
del 
mur di 
porre 
in essere 
tutte 
le 
iniziative 
ritenute 
necessarie 
per ristabilire 
la 
corretta 
attività 
dell’istituto, 
così 
avviandosi 
una 
lunga 
e 
fitta 
interlocuzione 
tra 
le 
parti, 
nella 
quale 
spettava 
agli 
organi 
commissariati 
l’onere/obbligo di 
comunicare 
ogni 
elemento utile 
ai fini della valutazione e della rimozione delle criticità nell’interesse dell’ente. 
Le 
criticità 
“sopraggiunte”, in particolare, sono consistite 
nell’omessa 
comunicazione 
di 
circostanze 
rilevanti 
per la 
vita 
dell’istituto, che 
in questo particolare 
contesto avrebbero invece 
dovuto 
essere 
portate 
a 
conoscenza 
dell’Autorità 
vigilante, 
proprio 
nell’ottica 
di 
partecipazione 
collaborativa 
sopra 
richiamata. A 
fronte 
di 
tale 
significativa 
omissione, non avrebbe 
avuto rilievo 
un’ulteriore 
diffida, nel 
senso auspicato dalle 
parti, non trattandosi 
di 
procedimento disciplinare 
in cui 
vige 
un obbligo di 
puntuale 
contestazione 
dei 
singoli 
addebiti 
a 
garanzia 
del 
diritto di difesa del singolo. 
8.4. 
Parimenti, 
nella 
relazione, 
non 
solo 
si 
dà 
contezza 
delle 
criticità 
e 
disfunzioni 
non 
ancora 
sanate 
e/o 
chiarite, 
ma 
si 
evidenzia 
come 
il 
permanere, 
dopo 
ormai 
due 
anni, 
di 
un 
tale 
scenario 
irrisolto 
e 
gravemente 
compromesso 
richiedesse 
un 
intervento 
urgente 
ed 
eccezionale 
di 
commissariamento, 
in nome 
dell’interesse 
primario del 
conservatorio: 
«[s]i 
segnala, altresì, l’urgenza 
del 
provvedere 
in quanto le 
criticità 
rilevate, evidentemente 
suscettibili 
di 
riverberare 
ancor 
più 
sul 
funzionamento 
dell’istituzione, 
inevitabilmente 
rischiano 
di 
impattare 
anche 
sull’andamento 
didattico, 
scientifico 
e 
artistico 
del 
conservatorio 
e 
sul 
complessivo 
buon 
andamento 
dell’istituzione, 
e, 
quindi, 
di 
vulnerare 
e 
pregiudicare 
la 
qualità 
dell’offerta 
didattica 
del 
corrente 
anno accademico e 
della 
programmazione 
delle 
attività 
didattica 
per l’anno ac

rASSeGnA 
AvvocAturA 
DeLLo 
StAto -n. 3/2022 


cademico 2022/2023, anche 
per le 
evidenti 
connessioni 
sotto i 
profili 
di 
pianificazione 
di 
bilancio 
e 
di 
spesa, con prevedibile 
nocumento, ove 
non si 
intervenga, sul 
fondamentale 
diritto 
allo studio degli 
iscritti, oltre 
che 
sul 
generale 
buon andamento e 
prestigio della 
istituzione», 
aggiungendo inoltre 
che 
«anche 
l’ipotesi 
di 
affidarsi 
ai 
due 
revisori 
del 
conservatorio […] 
perde 
di 
fondamento e 
di 
motivazione 
a 
fronte 
dell’allargarsi 
incontrollato del 
quadro di 
criticità 
via via emergenti». 


8.5. La censura va quindi respinta. 
9. 
con 
il 
secondo 
motivo 
di 
ricorso, 
i 
ricorrenti 
contestano 
la 
sussistenza 
delle 
singole 
criticità 
evidenziate nella relazione. 
9.1. Sull’asserita 
illegittima 
rilevanza 
assegnata 
nel 
decreto e 
nella 
relazione 
alle 
criticità 
già 
contestate 
con la 
diffida, parti 
ricorrenti 
denunciano una 
contraddizione 
tra 
quanto riportato 
al 
par. 5 della 
relazione 
e 
quanto risultante 
dalla 
nota 
prot. n. 3842 del 
21 marzo 2022, in cui, 
con 
riferimento 
alle 
criticità 
relative 
all’ambito 
giuridico-istituzionale, 
le 
stesse 
risulterebbero 
“essere 
state 
affrontate 
dal 
conservatorio mediante 
l’adozione 
degli 
atti 
correttivi 
che 
si 
rendevano 
necessari”, 
come 
pure 
dichiarato 
in 
risposta 
all’interpellanza 
alla 
camera; 
mentre, 
con riferimento alle 
criticità 
di 
carattere 
contabile, si 
afferma 
che 
“risultano essere 
state 
affrontate” 
ma 
che 
per poter “verificare 
in maniera 
definitiva 
la 
corretta 
o meno dell’operato 
dell’istituzione 
occorre 
poter 
aver 
anche 
un 
approfondimento 
da 
parte 
dei 
revisori 
dei 
conti”, 
il 
cui 
esito però non sarebbe 
stato atteso dal 
ministero, il 
quale 
avrebbe 
dichiarato anticipatamente 
non risolte dette criticità. 
9.1.1. Posto che 
la 
censura 
fonda 
esclusivamente 
sull’asserito vizio di 
eccesso di 
potere 
per 
travisamento dei 
fatti 
e 
contraddittorietà, senza 
contestare 
nel 
merito i 
rilievi 
non ancora 
“risolti”, 
il 
collegio 
rileva 
come 
la 
nota 
prot. 
3842, 
se 
da 
un 
lato 
ha 
rappresentato 
che 
«le 
criticità 
relative 
all’ambito giuridico-istituzionale 
risultano essere 
state 
affrontate 
dal 
conservatorio 
mediante 
l’adozione 
degli 
atti 
correttivi 
che 
si 
rendevano 
necessari», 
dall’altro 
ha 
evidenziato, 
per quelle 
di 
natura 
contabile, che 
«non tutte 
sono state 
definitivamente 
superate». Di 
tal 
chè, 
non si 
ravvisa 
la 
denunciata 
contraddittorietà 
tra 
la 
nota 
più volte 
richiamata 
e 
la 
decisione, 
intervenuta 
un mese 
dopo, di 
commissionare 
l’ente, atteso che 
la 
situazione, che 
già 
presentava 
numerose 
criticità 
al 
momento 
dell’avvio 
dell’ispezione 
nel 
novembre 
2019, 
è 
andata 
aggravandosi 
anche 
dopo l’adozione 
degli 
atti 
correttivi 
invocati 
da 
parte 
ricorrente, quando 
pure si registravano alcune criticità contabili “non definitivamente superate”. 
né 
può 
addebitarsi 
al 
ministero 
di 
non 
aver 
atteso 
l’esito 
della 
verifica 
contabile, 
posto 
che, 
ferme 
restando 
le 
considerazioni 
sopra 
riportate 
sull’inevitabilità 
del 
commissariamento 
e 
la 
conseguente 
inutilità 
ad 
attendere 
la 
relazione 
contabile 
(cfr. 
relazione 
citata), 
la 
nota 
inviata 
da 
un 
solo 
revisore, 
in 
ogni 
caso, 
non 
può 
ritenersi 
del 
tutto 
positiva, 
esprimendosi 
anch’essa 
in 
termini 
severi 
(“i 
revisori 
hanno 
biasimato 
il 
mancato 
rispetto 
del 
vincolo 
di 
destinazione 
dei 
finanziamenti, 
raccomandando 
di 
prestarvi 
in 
futuro 
la 
massima 
attenzione”; 
“non 
si 
possono 
esimere 
dal 
raccomandare 
fortemente 
gli 
organi 
del 
conservatorio 
ad 
attenersi 
rigorosamente 
alle 
norme 
del 
rAFc 
evitando 
in 
futuro 
il 
ripetersi 
di 
procedure 
irrituali 
che 
sarebbero 
non 
più 
tollerabili”). 
9.1.2. Si 
aggiunga 
che, al 
di 
là 
dei 
rilievi 
contabili, permanevano comunque 
altri 
non meno 
significativi, 
evidenziati 
pure 
nella 
nota 
del 
21 
marzo 
-su 
cui 
i 
ricorrenti, 
tra 
l’altro 
non 
hanno 
fatto cenno -come 
le 
modifiche 
irrituali 
del 
regolamento di 
amministrazione, finanza 
e 
contabilità, 
che 
hanno 
comportato 
pagamenti 
sottoscritti 
da 
unità 
di 
personale 
diverse 
dai 
soggetti 
titolari, 
o 
l’utilizzo 
improprio 
di 
assegnazioni 
per 
interventi 
di 
edilizia 
e 
acquisto 
attrezzature, 
o la 
firma 
digitale 
del 
presidente 
reggente 
apposta 
senza 
l’autorizzazione 
del 
titolare, vicenda 
persino rimessa all’attenzione della Procura della repubblica. 

contenzioSo 
nAzionALe 


9.1.3. 
in 
ogni 
caso, 
la 
decisione 
di 
commissionare 
l’istituto 
non 
si 
basa 
sulla 
sommatoria 
delle 
singole 
criticità 
riscontrate, 
in 
modo 
che 
il 
superamento, 
anche 
solo 
di 
alcune, 
ne 
farebbe 
venir meno il 
presupposto fattuale, ma 
poggia 
piuttosto su una 
situazione 
complessiva 
dove 
le 
singole 
criticità 
non rilevano individualmente, ma, in una 
visione 
unitaria, sono indici 
sintomatici 
di 
un 
quadro 
irrimediabilmente 
compromesso 
da 
reiterate 
illegittimità 
e 
condotte 
tali 
da non poter assicurare il normale funzionamento degli organi. 
9.2. 
Sull’asserita 
illegittima 
rilevanza 
assegnata 
alle 
“criticità 
sopraggiunte”, 
non 
previamente 
contestate 
nella 
diffida, i 
ricorrenti 
hanno in sintesi 
dedotto l’inesistenza 
di 
un obbligo di 
comunicazione 
al 
ministero delle 
delibere 
del 
consiglio di 
Amministrazione 
e 
dei 
verbali 
del 
consiglio accademico, ragioni 
di 
opportunità 
legate 
all’emergenza 
covid-19 per prorogare 
incarichi 
scaduti, l’irrilevanza 
delle 
ispezioni 
parlamentari 
e 
il 
comportamento sempre 
collaborativo 
e leale da parte degli stessi. 
9.2.1. come 
sopra 
visto, la 
particolare 
situazione 
in cui 
versava 
il 
conservatorio, già 
attenzionato 
da 
novembre 
2019 (tralasciando per ora 
la 
verifica 
amministrativo-contabile 
già 
avviata 
dal 
meF 
un 
anno 
prima), 
avrebbe 
comportato 
un 
obbligo 
di 
comunicazione 
da 
parte 
dello stesso ente 
di 
tutte 
le 
circostanze 
e 
vieppiù delle 
decisioni 
rilevanti 
ai 
fini 
della 
corretta 
gestione e del risanamento dell’attività, all’Autorità vigilante. 
non coglie 
quindi 
nel 
segno l’osservazione 
dei 
ricorrenti 
circa 
l’assenza 
di 
una 
puntuale 
previsione 
legislativa 
o 
statutaria 
sulla 
comunicazione 
della 
delibera 
di 
proroga 
dell’esercizio 
provvisorio, considerata 
la 
situazione 
amministrativo-contabile 
irregolare, ovvero 
dei 
verbali 
delle 
votazioni 
degli 
organi 
collegiali, criticità 
non nuova, in quanto la 
pubblicità 
di 
tali 
atti 
era stata più volte richiesta a garanzia della trasparenza dell’istituzione. 
9.2.2. 
con 
riguardo 
alla 
proroga 
degli 
incarichi, 
la 
mancata 
convocazione 
del 
corpo 
elettorale 
non 
pare 
potersi 
giustificare 
con 
l’emergenza 
sanitaria 
e 
l’aumento 
dei 
contagi 
in 
ragione 
della 
prevista 
possibilità, a 
livello legislativo, di 
modalità 
di 
svolgimento telematiche 
(cfr. art. 3quater, 
d.l. n. 25/2021, come aggiunto dalla legge di conversione n. 58/2021). 
9.2.3. 
Quanto 
al 
sindacato 
ispettivo 
parlamentare, 
escluso 
che 
l’interpellanza 
ultima 
abbia 
assunto 
un ruolo determinante 
nella 
decisione 
ministeriale, esso rileva 
piuttosto come 
ulteriore 
indice 
della 
persistenza 
di 
irregolarità 
tali 
da 
determinare 
ben 
dieci 
interrogazioni 
parlamentari, 
tra camera e Sanato, negli anni 2020-2022. 
9.2.4. 
in 
merito 
allo 
spirito 
collaborativo 
e 
costruttivo 
dei 
ricorrenti, 
asseritamente 
emergente 
dalla 
loro 
nota 
di 
riscontro 
inviata 
il 
25 
marzo 
2022, 
prot. 
4058, 
pur 
non 
spettando 
al 
collegio 
soffermarsi 
sulle 
espressioni 
formulate 
nella 
lettera 
in 
questione, 
non 
è 
inverosimile 
ravvisare 
piuttosto, nella 
situazione 
complessivamente 
intesa, una 
condotta 
dilatoria 
degli 
stessi 
o comunque 
caratterizzata 
da 
ritardi 
nel 
dare 
effettivo riscontro ai 
diversi 
solleciti 
(v. il 
riscontro 
alla nota meF del 25 marzo 2022, prot. 4147). 
10. 
col 
terzo 
motivo 
di 
ricorso, 
i 
ricorrenti 
lamentano 
tre 
diversi 
profili 
di 
illegittimità 
del 
decreto, in quanto avrebbe 
rimosso il 
Presidente 
e 
il 
Direttore 
per addebiti 
riferiti 
a 
funzioni 
di 
altri 
organi 
invece 
non rimossi; 
avrebbe 
conferito ai 
commissari 
funzioni 
spettanti 
a 
organi 
non commissariati; avrebbe nominato due commissari anziché uno solo. 
10.1. nemmeno queste censure colgono nel segno. 
10.2. La 
relazione 
indica 
chiaramente 
le 
ragioni 
poste 
alla 
base 
dell’individuazione 
degli 
organi 
da 
rimuovere, 
ritenendo 
in 
particolare 
che 
«essi 
debbano 
essere 
individuati 
nel 
Presidente 
e 
nel 
Direttore 
in considerazione 
delle 
gravi, reiterate 
e 
persistenti 
criticità 
evidenziate 
nella 
presente 
relazione 
e 
delle 
significative 
disfunzioni 
a 
loro 
ascrivibili, 
rappresentando 
gli 
organi 
titolari, ai 
sensi 
del 
regolamento di 
cui 
al 
D.P.r. 28 febbraio 2003, n. 132 e 
al 
relativo dello 

rASSeGnA 
AvvocAturA 
DeLLo 
StAto -n. 3/2022 


Statuto 
del 
conservatorio, 
delle 
più 
rilevanti 
funzioni 
di 
rappresentanza 
e 
di 
responsabilità 
nell’istituzione. 
ed infatti il citato D.P.r. n. 132, del 2003: 


-all’art. 5 stabilisce 
che 
il 
Presidente 
è 
rappresentante 
legale 
dell’istituzione 
-salvo quanto 
previsto 
dall’art. 
6 
in 
ordine 
al 
Direttore 
-e 
convoca 
e 
presiede 
il 
consiglio 
di 
amministrazione 
e fissa l’ordine del giorno; 
-all’art. 6 dispone 
che 
il 
direttore 
è 
responsabile 
dell’andamento didattico, scientifico ed artistico 
dell’istituzione 
e 
ne 
ha 
la 
rappresentanza 
legale 
in ordine 
alle 
collaborazioni 
e 
alle 
attività 
per 
conto 
terzi 
che 
riguardano 
la 
didattica, 
la 
ricerca, 
le 
sperimentazioni 
e 
la 
produzione. 
convoca 
e 
presiede 
il 
consiglio accademico. È 
titolare 
dell’azione 
disciplinare 
nei 
confronti 
del personale docente e degli studenti». 
Gli 
organi 
non commissariati, quali 
il 
consiglio di 
Amministrazione 
e 
quello accademico, titolari 
secondo 
i 
ricorrenti 
delle 
funzioni 
cui 
sono 
stati 
mossi 
diversi 
addebiti, 
in 
ogni 
caso 
erano presieduti 
rispettivamente 
dal 
Presidente 
e 
dal 
Direttore, non potendo pertanto ritenersi 
questi ultimi, anche sotto questo profilo, del tutto estranei ai rilievi formulati. 
L’esigenza 
rappresentata 
dal 
ministero di 
nominare 
poi 
due 
commissari 
non pare 
irragionevole, 
considerata la diversità dei compiti e delle funzioni spettanti agli organi rimossi. 
in ogni 
caso, per tale 
profilo non si 
ravvisa 
alcun interesse, posto che 
l’eventuale 
fondatezza 
di 
tale 
censura 
non 
sarebbe 
in 
ogni 
caso 
in 
grado 
di 
soddisfare 
la 
pretesa 
azionata 
e 
determinare 
l’annullamento del commissariamento. 
11. in ragione di tutto quanto sopra esposto, i ricorsi, come riuniti, vanno respinti. 
12. Si 
ravvisano tuttavia 
giustificati 
motivi 
alla 
luce 
della 
particolarità 
e 
complessità 
della 
vicenda 
per disporre l’integrale compensazione delle spese di lite tra le parti. 
P.Q.m. 
il 
tribunale 
Amministrativo regionale 
per il 
Lazio (Sezione 
terza 
ter), definitivamente 
pronunciando 
sui ricorsi, come in epigrafe proposti 


-ne dispone la riunione, 
- li respinge. 
Spese compensate. 
ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa. 
così deciso in roma nella camera di consiglio del giorno 19 dicembre 2022. 

LEGISLAZIONEEDATTUALITÀ
Rapporto di lavoro con la P.A.: selezione dei pubblici 
dipendenti, perfomance, situazioni giuridiche soggettive 
inter partes e le varie responsabilità del lavoratore 


Michele Gerardo* 


Sommario: 1. aspetti 
generali 
-2. atti 
di 
organizzazione 
e 
gestione 
del 
rapporto di 
lavoro 
-3. 
Distinzione 
tra 
indirizzo 
politico-amministrativo 
e 
gestione 
-4. 
Tipologia 
Di 
pubblici 
DipenDenTi 
-4.1. 
Dirigenti 
-4.2. 
Funzionari 
e 
addetti 
-5. 
la 
Selezione 
Dei 
pubblici 
DipenDenTi 
-5.1. modalità con le 
quali 
l’amministrazione 
procede 
alla provvista delle 
risorse 
umane 



5.2. contenuto della preparazione 
richiesta ai 
candidati 
-5.3. piano triennale 
dei 
fabbisogni 
di 
personale 
e 
piano integrato di 
attività e 
organizzazione 
-5.4. presupposti 
delle 
assunzioni 
delle 
risorse 
umane 
(vincoli 
scaturenti 
dalla necessità della adozione 
di 
atti 
generali) -5.5. 
atti 
prodromici 
al 
procedimento 
concorsuale 
(scorrimento 
della 
graduatoria; 
mobilità) 
-5.6. 
procedimento 
concorsuale 
-5.7. 
procedure 
selettive 
non 
concorsuali 
-5.8. 
Tecniche 
ulteriori 
di 
selezione 
dei 
fabbisogni 
-5.9. 
considerazioni 
conclusive 
e 
de 
iure 
condendo 
-6. 
ciclo 
della performance. misurazione 
e 
la valutazione 
della performance. merito e 
premi 
-7. rapporTo 
Di 
lavoro 
inDiviDuale. aspetti 
generali 
-7.1. requisiti 
soggettivi 
del 
lavoratore 
-7.2. 
Tipologia di 
rapporto -7.3. 
modalità dello svolgimento della prestazione 
(anche 
agile, c.d. 
smart 
working) 
-7.4. 
Situazioni 
giuridiche 
soggettive 
inter 
partes 
-7.5. 
modificazioni 
del 
rapporto di 
lavoro -7.6. estinzione 
del 
rapporto di 
lavoro. Spoil 
system 
-7.7. riammissione 
in 
servizio 
-8. 
le 
reSponSabiliTà 
Del 
lavoraTore 
DipenDenTe 
pubblico. 
aspetti 
generali 
-8.1. 
la 
responsabilità 
penale 
-8.2. 
la 
responsabilità 
civile 
verso 
terzi 
-8.3. 
la 
responsabilità 
amministrativa (o per 
danno erariale) -8.4. la responsabilità contabile 
-8.5. 
la responsabilità 
disciplinare - 8.6. la responsabilità manageriale. 
1. aspetti generali. 
La 
P.A. per agire 
si 
avvale 
dell’operato di 
persone 
fisiche. L’amministrazione 
si 
avvale, ordinariamente, del 
c.d. corpo burocratico, che 
è 
costituito da 


(*) Avvocato dello Stato. 



rASSeGnA 
AvvoCAturA 
DeLLo 
StAto -n. 3/2022 


un insieme 
di 
lavoratori 
preposti 
(quali 
dirigenti) o addetti 
(quali 
funzionari 
o 
dipendenti 
con mansioni 
d’ordine) ad uffici, molto ampio ed eterogeneo, che 
include 
differenti 
categorie 
di 
lavoratori, distribuiti 
fortemente 
su tutto il 
territorio 
italiano (1). in aggiunta 
al 
corpo burocratico vi 
è 
l’avvalimento di 
risorse 
umane 
esterne, a 
mezzo di 
un contratto di 
appalto di 
servizi 
oppure 
di 
un contratto di lavoro autonomo e/o professionale. 


La 
funzione 
pubblica 
che 
connota 
la 
P.A. si 
riverbera 
anche 
con riguardo 
alla 
gestione 
delle 
risorse 
umane. 
Difatti 
il 
rapporto 
di 
lavoro 
presenta 
elementi 
di 
specialità 
rispetto 
al 
normale 
rapporto 
di 
lavoro 
privato. 
valga 
un 
solo 
esempio: 
la 
P.A., 
a 
differenza 
del 
privato, 
non 
può 
assumere 
chi 
vuole, 
prescindendo 
da requisiti e da meccanismi selettivi. 


La 
materia 
è 
disciplinata 
dal 
D.L.vo 
30 
marzo 
2001, 
n. 
165 
contenente 
le 
“norme 
generali 
sull'ordinamento 
del 
lavoro 
alle 
dipendenze 
delle 
amministrazioni 
pubbliche” 
(testo 
unico 
sul 
pubblico 
impiego, 
c.d. 
t.u.P.i.; 
di 
seguito 
gli 
articoli 
indicati 
senza 
ulteriore 
specificazione 
sono 
contenuti 
in 
questo 
testo) 
(2). 


Giusta l’art. 1, commi 2 e 3, 

-per 
amministrazioni 
pubbliche 
si 
intendono 
tutte 
le 
amministrazioni 
dello Stato, ivi 
compresi 
gli 
istituti 
e 
scuole 
di 
ogni 
ordine 
e 
grado e 
le 
istituzioni 
educative, 
le 
aziende 
ed 
amministrazioni 
dello 
Stato 
ad 
ordinamento 
autonomo, 
le 
regioni, 
le 
Province, 
i 
Comuni, 
le 
Comunità 
montane, 
e 
loro 
consorzi 
e 
associazioni, le 
istituzioni 
universitarie, gli 
istituti 
autonomi 
case 
popolari, le 
Camere 
di 
commercio, industria, artigianato e 
agricoltura 
e 
loro 
associazioni, 
tutti 
gli 
enti 
pubblici 
non 
economici 
nazionali, 
regionali 
e 
locali, 
le 
amministrazioni, 
le 
aziende 
e 
gli 
enti 
del 
Servizio 
sanitario 
nazionale, 
l'Agenzia 
per 
la 
rappresentanza 
negoziale 
delle 
pubbliche 
amministrazioni 
(ArAn) e 
le 
Agenzie 
di 
cui 
al 
D.L.vo 30 luglio 1999, n. 300. A 
questi 
fini, 
sono esclusi 
dalla 
nozione 
di 
amministrazione 
pubblica 
gli 
enti 
pubblici 
economici, 
quale 
ad 
es. 
l’Agenzia 
del 
Demanio 
(3). 
Al 
novero 
di 
amministrazioni 
dello 
Stato 
non 
sono 
riconducili 
gli 
organi 
costituzionali 
in 
quanto 
non 
facenti 
tecnicamente parte della Pubblica 
Amministrazione; 


-le 
disposizioni 
del 
t.u.P.i. costituiscono principi 
fondamentali 
ai 
sensi 
dell'art. 117 Cost. 
La 
disciplina 
dell’organizzazione 
delle 
risorse 
umane 
e 
del 
rapporto 
di 


(1) Su tali 
temi: 
M. CuCCinieLLo, G. FAttore, F. LonGo, e. riCCiuti, A. turrini, management 
pubblico, egea, 2018, pp. 63-66. 
(2) Sul 
rapporto di 
lavoro con le 
PP.AA. 
L. MAzzAroLLi, G. PeriCu, A. roMAno, F.A. roverSi 
MonACo, F.G. SCoCA 
(a 
cura 
di), Diritto amministrativo, vol. i, iv 
edizione, 2005, pp. 471-515; 
L. GA-
LAntino, Diritto del 
lavoro pubblico, viii edizione, Giappichelli, 2018; 
e.A. APiCeLLA, lineamenti 
del 
pubblico impiego “privatizzato”, Giuffré, 2012. 
(3) 
Di 
conseguenza 
l’art. 
11, 
comma 
1, 
dello 
Statuto 
della 
detta 
Agenzia 
così 
dispone: 
“il 
rapporto 
di 
lavoro 
del 
personale 
dipendente 
è 
disciplinato 
dalle 
norme 
che 
regolano 
il 
rapporto 
di 
lavoro 
privato 
e 
dal 
ccnl 
disciplinante 
il 
rapporto 
di 
lavoro 
del 
personale 
non 
dirigente 
dell’agenzia 
sottoscritto 
con le organizzazioni sindacali in data 27.09.2004”. 

LeGiSLAzione 
eD 
AttuALità 


lavoro, 
dall’unità 
d’italia 
ad 
oggi, 
è 
stata 
un 
pendolo 
tra 
il 
modello 
privatistico 
e quello pubblicistico. in sintesi 


-fino all’inizio degli 
anni 
’10 del 
secolo trascorso, la 
disciplina 
è 
stata 
privatistica 
(la 
stessa 
del 
rapporto di 
lavoro subordinato privato), con conseguente 
cognizione 
giurisdizionale 
dell’A.G.o. 
Lo 
Stato 
liberale 
non 
ritenne 
di creare uno status 
speciale per i dipendenti pubblici; 
-poi, 
per 
un 
ottantennio, 
fino 
all’inizio 
degli 
anni 
’90 
del 
secolo 
trascorso 
la 
disciplina 
è 
stata 
pubblicistica, diversa 
e 
distinta 
da 
quella 
relativa 
al 
rapporto 
di 
lavoro subordinato privato. La 
P.A. agiva 
a 
mezzo di 
atti 
autoritativi 
e 
la 
cognizione 
delle 
controversie 
spettava 
al 
G.A. il 
mutamento di 
disciplina 
deve 
ascriversi 
anche 
all’ideologia 
dell’epoca, 
quella 
dello 
Stato 
fascista, 
connotata 
di autoritarismo; 


-infine, 
a 
partire 
dall’inizio 
degli 
anni 
’90 
del 
secolo 
scorso 
la 
disciplina, 
tranne 
che 
per alcune 
determinate 
categorie, è 
ritornata 
quella 
del 
diritto privato 
(c.d. privatizzazione 
del 
pubblico impiego), con giurisdizione 
sulle 
controversie 
attribuita 
all’A.G.o. 
il 
ritorno 
all’antico 
ha 
diverse 
cause, 
tra 
cui: 
l’esigenza 
di 
efficienza 
-in funzione 
della 
quale 
si 
ricorre 
a 
modelli 
aziendalistici 
-a 
fronte 
delle 
scarse 
performance 
della 
macchina 
amministrativa; 
la 
forte sindacalizzazione dei dipendenti pubblici. 


Questo significa 
due 
cose: 
a) la 
disciplina 
normativa 
-in via 
di 
principio 
e 
salvo deroghe 
-è 
la 
stessa 
del 
lavoro nel 
privato e 
non un corpo speciale; 
b) 
il 
rapporto 
individuale 
trova 
fonte 
nel 
contratto 
(individuale 
e 
collettivo) 
e 
non 
nell’atto amministrativo. tanto è 
enunciato nell’art. 2, commi 
2 e 
3, secondo 
cui: 


-i 
rapporti 
di 
lavoro dei 
dipendenti 
delle 
PP.AA. sono disciplinati 
dalle 
disposizioni 
del 
capo 
i, 
titolo 
ii, 
del 
libro 
v 
del 
codice 
civile 
(artt. 
2082 
-2134 
c.c.) e 
dalle 
leggi 
sui 
rapporti 
di 
lavoro subordinato nell'impresa, fatte 
salve 
le 
diverse 
disposizioni 
contenute 
nel 
t.u.P.i. 
che 
costituiscono 
disposizioni 
a 
carattere 
imperativo; 
-i 
detti 
rapporti 
individuali 
di 
lavoro 
sono 
regolati 
contrattualmente, 
ossia 
da 
contratti 
individuali, integrati 
dai 
contratti 
collettivi. L'attribuzione 
di 
trattamenti 
economici 
può avvenire 
esclusivamente 
mediante 
contratti 
collettivi 
o, alle 
condizioni 
previste, mediante 
contratti 
individuali. il 
comma 
3 bis 
del-
l’art. 2 precisa 
che 
“nel 
caso di 
nullità delle 
disposizioni 
contrattuali 
per 
violazione 
di 
norme 
imperative 
o dei 
limiti 
fissati 
alla contrattazione 
collettiva, 
si applicano gli articoli 1339 e 1419, secondo comma, del codice civile”. 


Le 
categorie 
escluse 
dalla 
privatizzazione, 
con 
mantenimento 
della 
disciplina 
di 
diritto pubblico prevista 
dai 
rispettivi 
ordinamenti 
sono indicate 
nel-
l’art. 
3: 
i 
magistrati 
ordinari, 
amministrativi 
e 
contabili 
(4); 
gli 
avvocati 
e 


(4) 
non 
rientrano 
nella 
giurisdizione 
esclusiva 
i 
magistrati 
onorari, 
sia 
che 
esercitino 
funzioni 
giudicanti 
(Giudice 
di 
Pace 
e 
Giudice 
onorario 
di 
tribunale), 
sia 
che 
esercitino 
funzioni 
inquirenti 
(vice 

rASSeGnA 
AvvoCAturA 
DeLLo 
StAto -n. 3/2022 


procuratori 
dello 
Stato; 
il 
personale 
militare; 
il 
personale 
delle 
Forze 
di 
polizia 
di 
Stato (ossia: 
Polizia 
di 
Stato, Arma 
dei 
Carabinieri; 
Guardia 
di 
Finanza); 
il 
personale 
della 
carriera 
diplomatica 
e 
della 
carriera 
prefettizia; 
i 
dipendenti 
degli 
enti 
che 
svolgono 
la 
loro 
attività 
nelle 
materie 
contemplate 
dall'art. 
1 
D.L.vo del 
Capo provvisorio dello Stato 17 luglio 1947, n. 691 (ossia 
i 
dipendenti 
della 
Banca 
d’italia) e 
dalle 
leggi 
4 giugno 1985, n. 281 (ossia 
i 
dipendenti 
della 
Consob) 
e 
10 
ottobre 
1990, 
n. 
287 
(ossia 
i 
dipendenti 
dell’Antitrust); 
il 
personale, 
anche 
di 
livello 
dirigenziale, 
del 
Corpo 
nazionale 
dei 
vigili 
del 
fuoco; 
il 
personale 
della 
carriera 
dirigenziale 
penitenziale; 
i 
professori 
e 
i 
ricercatori 
universitari 
(nelle 
more 
della 
specifica 
disciplina 
che 
regoli 
in modo organico il relativo rapporto di impiego). 


Queste 
categorie 
-giusta 
l’art. 3, comma 
1, -in deroga 
all'art. 2, commi 
2 e 
3, rimangono disciplinate 
dai 
rispettivi 
ordinamenti. Gli 
ordinamenti 
del 
personale 
non 
privatizzato 
sono 
caratterizzati 
da 
istituti 
e 
principi 
di 
natura 
settoriale 
(principio 
di 
specialità) 
con 
conservazione 
di 
una 
disciplina 
integralmente 
pubblicistica. Ciò trova 
fondamento nella 
funzione 
pubblica 
esercitata 
e 
nella 
prevalenza 
del 
rapporto organico rispetto al 
rapporto di 
servizio. 
nel 
rapporto 
di 
lavoro 
de 
quo 
in 
luogo 
dell’atto 
gestorio 
di 
natura 
privatistica, 
si 
riscontra 
la 
permanenza 
di 
atti 
autoritativi 
nella 
disciplina 
del 
rapporto e 
la 
coesistenza degli stessi con gli atti paritetici. 

Gli 
atti 
amministrativi 
paritetici 
(5) 
-con 
requisiti 
puntualmente 
delineati 
dalla 
legge, espressione 
di 
un’attività 
interamente 
vincolata 
-sono sforniti 
di 
autoritarietà 
ed ove 
incidano su un diritto soggettivo consentono la 
tutela 
nel 
termine 
prescrizionale. Sono tali, ad esempio, gli 
atti 
con cui 
la 
P.A. rifiuti 
di 
corrispondere 
al 
dipendente 
la 
retribuzione 
dovuta 
(diritto 
soggettivo 
patrimoniale), 
l’atto 
della 
P.A. 
di 
decadenza 
dalla 
proroga 
dell’incarico 
di 
insegnamento 
universitario 
fino 
alla 
nomina 
di 
un 
nuovo 
incaricato 
della 
materia 
(diritto soggettivo non patrimoniale) (6). 


2. atti di organizzazione e gestione del rapporto di lavoro. 
Per la 
regola 
generale 
“l'imprenditore 
è 
il 
capo dell'impresa e 
da lui 
dipendono 
gerarchicamente 
i 
suoi 
collaboratori” 
(art. 
2086, 
comma 
1, 
c.c.) 
nella 
attività 
di 
gestione 
l’imprenditore 
adotta 
atti 
di 
diritto 
privato 
(contratti; 
negozi 
unilaterali; 
meri 
atti 
giuridici). tale 
regola, calata 
al 
lavoro pubblico, va 
adattata. 
essa 
vale 
per l’attività 
c.d. di 
microrganizzazione, ossia 
diretta 
alla 
gestione 
dello 
specifico 
rapporto 
di 
lavoro. 
invece 
nel 
caso 
in 
cui 
venga 
in 
rilievo 


procuratore 
onorario). 
venendo 
in 
rilievo 
un 
servizio 
onorario 
la 
giurisdizione 
sulle 
controversie 
avviene 
secondo i criteri generali di riparto. 


(5) La 
distinzione 
tra 
atti 
cd. autoritativi 
e 
paritetici 
venne 
operata 
con la 
decisione 
del 
Consiglio 
di Stato, 1 dicembre 1939, n. 795. 
(6) Su questa fattispecie: Consiglio di Stato, Ad. Plen., 15 febbraio 1994, n. 3. 

LeGiSLAzione 
eD 
AttuALità 


l’attività 
c.d. di 
macrorganizzazione, ossia 
organizzativa, il 
datore 
di 
lavoro 
pubblico 
adotta 
atti 
organizzativi 
(quali, 
ad 
esempio, 
l’approvazione 
della 
pianta 
organica, 
i 
decreti 
di 
natura 
non 
regolamentare 
di 
individuazione 
dei 
compiti 
di 
unità 
di 
livello dirigenziale 
generale), anche 
normativi 
(legge 
e 
regolamenti, 
quali 
quelli 
riguardanti 
l’organizzazione 
e 
la 
disciplina 
degli 
uffici 
ministeriali). 


Circa 
la 
macrorganizzazione, 
l’art. 
2, 
comma 
1, 
recita 
che 
le 
PP.AA. 
“definiscono, 
secondo 
principi 
generali 
fissati 
da 
disposizioni 
di 
legge 
e, 
sulla 
base 
dei 
medesimi, 
mediante 
atti 
organizzativi 
secondo 
i 
rispettivi 
ordinamenti, 
le 
linee 
fondamentali 
di 
organizzazione 
degli 
uffici; individuano gli 
uffici 
di 
maggiore 
rilevanza 
e 
i 
modi 
di 
conferimento 
della 
titolarità 
dei 
medesimi; 
determinano 
le 
dotazioni 
organiche 
complessive. […]”. trattasi 
di 
atti 
organizzativi 
di 
carattere 
generale, dal 
contenuto normativo in senso lato, mediante 
i 
quali 
gli 
organi 
di 
governo delle 
PP.AA. esercitano le 
proprie 
funzioni 
di 
indirizzo 
politico amministrativo e 
di 
individuazione 
degli 
obiettivi 
e 
dei 
programmi 
da 
attuare. 
Dal 
punto 
di 
vista 
amministrativo 
trattasi 
di 
atti 
il 
cui 
contenuto presenta 
-ordinariamente 
-determinazioni 
con rilevanza 
mediata, 
preparatoria 
rispetto a 
singoli 
atti 
di 
gestione 
del 
rapporto di 
lavoro, non incidenti 
in modo immediato, se 
non eccezionalmente, sulle 
posizioni 
giuridiche 
soggettive dei singoli addetti. tra l’altro, le PP.AA.: 


-al 
fine 
di 
assicurare 
la 
trasparenza, 
l’informazione 
all’utenza 
relativa 
agli 
atti 
e 
allo 
stato 
dei 
procedimenti 
ed 
i 
diritti 
di 
partecipazione 
procedimentali, 
individuano, nell'ambito della 
propria 
struttura, uffici 
per le 
relazioni 
con 
il pubblico (art. 11); 


-provvedono, 
nell'ambito 
dei 
rispettivi 
ordinamenti, 
ad 
organizzare 
la 
gestione 
del 
contenzioso 
del 
lavoro, 
anche 
creando 
appositi 
uffici, 
in 
modo 
da 
assicurare 
l'efficace 
svolgimento di 
tutte 
le 
attività 
stragiudiziali 
e 
giudiziali 
inerenti 
alle 
controversie. 
Più 
amministrazioni 
omogenee 
o 
affini 
possono 
istituire, 
mediante 
convenzione 
che 
ne 
regoli 
le 
modalità 
di 
costituzione 
e 
di 
funzionamento, 
un unico ufficio per la 
gestione 
di 
tutto o parte 
del 
contenzioso 
comune (art. 12). 


Circa 
la 
microrganizzazione, 
l’art. 
5, 
comma 
2, 
recita: 
“nell'ambito 
delle 
leggi 
e 
degli 
atti 
organizzativi 
di 
cui 
all'articolo 
2, 
comma 
1, 
le 
determinazioni 
per 
l'organizzazione 
degli 
uffici 
e 
le 
misure 
inerenti 
alla 
gestione 
dei 
rapporti 
di 
lavoro, 
nel 
rispetto 
del 
principio 
di 
pari 
opportunità, 
e 
in 
particolare 
la 
direzione 
e 
l'organizzazione 
del 
lavoro 
nell'ambito 
degli 
uffici 
sono 
assunte 
in 
via 
esclusiva 
dagli 
organi 
preposti 
alla 
gestione 
con 
la 
capacità 
e 
i 
poteri 
del 
privato 
datore 
di 
lavoro, 
fatte 
salve 
la 
sola 
informazione 
ai 
sindacati 
ovvero 
le 
ulteriori 
forme 
di 
partecipazione, 
ove 
previsti 
nei 
contratti 
di 
cui 
all'articolo 
9 
”. 
La 
natura 
privatistica 
della 
capacità 
e 
dei 
poteri 
è 
conseguenza 
della 
disciplina 
sostanziale 
del 
rapporto 
di 
lavoro 
dei 
dipendenti 
delle 
PP.AA. 
che 
è, 
per 
espressa 
previsione 
normativa, 
regolato 
in 
linea 
ge



rASSeGnA 
AvvoCAturA 
DeLLo 
StAto -n. 3/2022 


nerale 
dalle 
pertinenti 
disposizioni 
del 
Codice 
Civile 
e 
dalle 
leggi 
sui 
rapporti 
di 
lavoro 
subordinato 
nell’impresa. 
rispetto 
agli 
indicati 
poteri 
di 
gestione 
ed 
attività 
di 
natura 
privatistica 
non 
sono 
configurabili 
interessi 
legittimi 
dei 
singoli 
dipendenti 
in 
quanto 
il 
datore 
di 
lavoro 
pubblico 
“privatizzato” 
non 
opera 
più 
a 
mezzo 
di 
attività 
autoritativa. 
Le 
situazioni 
giuridiche 
soggettive 
dei 
dipendenti 
vanno 
ricondotte, 
pertanto, 
alla 
categoria 
dei 
diritti 
soggettivi, 
ad 
eccezione 
di 
quelle 
correlate 
agli 
atti 
di 
macrorganizzazione 
di 
cui 
all’art. 


2. 
Devono 
quindi 
qualificarsi 
come 
atti 
di 
natura 
privatistica 
gli 
atti 
di 
disposizione 
particolare 
e 
concreta 
con 
cui 
l’Amm.ne 
attua 
la 
gestione 
del 
rapporto 
di 
lavoro 
con 
il 
dipendente, 
il 
quale 
deve 
osservare 
le 
disposizioni 
per 
l’esecuzione 
e 
la 
disciplina 
del 
lavoro 
“impartite 
dall’imprenditore 
e 
dai 
collaboratori 
di 
questo 
dai 
quali 
gerarchicamente 
dipende” 
(ex 
art. 
2104, 
comma 
2, 
c.c.). 
La 
norma 
da 
ultimo 
citata 
riconosce 
al 
datore 
di 
lavoro 
tanto 
un 
potere 
di 
conformazione 
o 
di 
specificazione 
della 
prestazione 
di 
lavoro, 
quanto 
un 
potere 
di 
assicurare 
l’ordinato 
svolgimento 
dell’attività 
nei 
luoghi 
di 
lavoro. 
il 
potere 
di 
conformazione 
si 
sostanzia 
in 
un 
potere 
di 
emanare 
ordini 
di 
natura 
privatistica 
a 
forma 
libera, 
mentre 
il 
potere 
datoriale 
di 
assicurare 
l’ordinato 
svolgimento 
dell’attività 
ricomprende 
il 
potere 
di 
emanare 
circolari, 
ordini 
di 
servizio 
e 
regolamenti 
interni 
all’unità 
lavorativa, 
anch’essi 
di 
natura 
privatistica. 
La 
qualificazione 
privatistica 
dell’atto 
comporta 
che 
allo 
stesso 
non 
può 
applicarsi 
la 
disciplina 
normativa 
dell’atto 
amministrativo, 
quale 
i 
principi 
che 
regolano 
l’azione 
amministrativa 
ai 
sensi 
della 
L. 
7 
agosto 
1990, 
n. 
241 
(sulla 
motivazione 
dell’atto, 
sulla 
comunicazione 
dell’avvio 
del 
procedimento, 
sulla 
partecipazione 
allo 
stesso, 
sul 
silenzio-assenso 
(7), 
sull’annullamento 
e 
revoca 
in 
autotutela, 
ecc.). 
L’atto 
gestorio 
è 
privo 
del 
carattere 
dell’autoritarietà 
-tipico 
del 
provvedimento 
amministrativo 
-sicché 
andrà 
impugnato 
non 
nel 
termine 
di 
decadenza 
di 
sessanta 
giorni 
(tipico 
per 
i 
provvedimenti 
ex 
art. 
29 
c.p.a.), 
ma 
nel 
termine 
di 
prescrizione 
secondo 
la 
disciplina 
civilistica 
(8). 
Gli 
atti 
gestori 
-in 
quanto 
atti 
non 
amministrativi 
-non 
sono 
impugnabili 
con 
ricorsi 
amministrativi 
ex 
D.P.r. 
24 
novembre 
1971, 
n. 
(7) Conf. Cass., 14 settembre 
2021, n. 24698, secondo cui 
in tema 
di 
rapporto di 
lavoro privatizzato, 
gli 
atti 
e 
procedimenti 
posti 
in essere 
dall'Amministrazione 
ai 
fini 
della 
gestione 
dei 
rapporti 
di 
lavoro 
subordinato 
devono 
essere 
valutati 
secondo 
gli 
stessi 
parametri 
che 
si 
utilizzano 
per 
i 
privati 
datori 
di 
lavoro e, conseguentemente, nell'ambito dei 
rapporti 
pubblici 
privatizzati 
non è 
invocabile, in via 
generale, 
il 
silenzio-assenso 
perché 
la 
L. 
n. 
241/1990 
si 
applica 
agli 
atti 
amministrativi 
propriamente 
detti, 
non agli 
atti 
-ormai 
di 
natura 
privatistica 
-di 
gestione 
del 
rapporto di 
lavoro alle 
dipendenze 
d'una 
P.A. 
(8) ossia, tra 
l’altro: 
a) nel 
termine 
di 
prescrizione 
ordinario ex art. 2946 c.c. (ad es. l’azione 
per 
i 
danni 
derivanti 
dalla 
violazione 
degli 
obblighi 
ex art. 2087 c.c., il 
diritto al 
risarcimento del 
danno per 
il 
risarcimento 
illegittimo); 
b) 
nel 
termine 
di 
prescrizione 
quinquennale 
ex 
art. 
2948, 
n. 
4 
c.c. 
con 
riguardo 
a“tutto ciò che 
deve 
pagarsi 
periodicamente 
ad anno o in termini 
più brevi” 
(ad es. la 
retribuzione). 
Sulla 
materia: 
M. 
GerArDo, 
A. 
MutAreLLi, 
prescrizione 
e 
decadenza 
nel 
diritto 
civile, 
Giappichelli, 
2015, 
pp. 
262-266 
(con 
riguardo 
alla 
prescrizione 
ordinaria) 
e 
pp. 
305-306 
(con 
riguardo 
alla 
prescrizione 
quinquennale). 

LeGiSLAzione 
eD 
AttuALità 


1199, 
neanche 
con 
quello 
straordinario 
al 
Capo 
dello 
Stato 
(conf. 
art. 
7, 
comma 
8, 
c.p.a.) 
(9). 


nei 
confronti 
dell’atto gestorio non è 
ipotizzabile 
la 
fattispecie 
dell’eccesso 
di 
potere. Si 
applicano, tuttavia, i 
principi 
generali 
della 
correttezza 
e 
della 
buona 
fede 
(artt. 1175 e 
1375 c.c.) ed il 
principio generale 
del 
divieto di 
discriminazione. 

Ad 
es. 
nelle 
selezioni 
per 
progressioni 
orizzontali 
non 
vengono 
in 
evidenza 
atti 
amministrativi 
di 
ambito concorsuale, ma 
atti 
paritetici 
di 
gestione 
dei 
rapporti 
di 
lavoro, adottati 
con i 
poteri 
e 
le 
capacità 
del 
datore 
di 
lavoro 
privato; 
cionondimeno il 
datore 
di 
lavoro è 
pur sempre 
tenuto all’osservanza 
degli 
obblighi 
di 
buona 
fede 
e 
correttezza 
(10), in applicazione 
del 
principio 
di 
imparzialità 
di 
cui 
all’art. 
97 
Cost.; 
sicché, 
non 
è 
conforme 
ai 
canoni 
di 
correttezza 
e 
buona 
fede 
la 
condotta 
della 
P.A. 
che, 
senza 
motivazione 
plausibile, 
riconosca 
ad alcuni 
dipendenti 
il 
punteggio scaturente 
dalla 
frequentazione 
a 
dati 
corsi 
e 
neghi 
lo stesso punteggio per i 
medesimi 
corsi 
ad altri 
dipendenti, 
operando in tal 
guisa 
una 
palese 
disparità 
di 
trattamento tra 
partecipanti 
alla 
medesima 
procedura 
di 
progressione 
di 
carriera, violando così 
il 
principio costituzionale 
di 
imparzialità 
della 
P.A. 
La 
valutazione 
discrezionale 
dei 
titoli 
in 
ambito 
concorsuale 
deve 
essere 
correttamente 
esercitata, 
nel 
senso 
che 
laddove 
vi 
è 
un potere 
discrezionale 
della 
P.A. nel 
valutare 
i 
candidati 
(oppure 
i 
rispettivi 
titoli 
di 
partecipazione), 
il 
percorso 
motivazionale 
nella 
scelta 
dei 
vincitori 
deve 
essere 
idoneo 
a 
consentire 
di 
verificare 
le 
ragioni 
in 
base 
alle 
quali 
alcuni 
sono stati ammessi ed altri esclusi. 

3. Distinzione tra indirizzo politico-amministrativo e gestione. 
nella 
gestione 
delle 
risorse 
umane 
vige 
il 
principio della 
separazione 
tra 
attività 
di 
indirizzo e 
controllo politico-amministrativo e 
attività 
di 
attuazione 
e 
gestione: 
la 
prima 
spetta 
agli 
organi 
di 
vertice, di 
governo, la 
seconda 
spetta 
alla burocrazia. ossia, giusta l’art. 4: 


-gli 
organi 
di 
vertice, di 
governo (11) esercitano le 
funzioni 
di 
indirizzo 
politico-amministrativo, definendo gli 
obiettivi 
ed i 
programmi 
da 
attuare 
ed 
adottando 
gli 
altri 
atti 
rientranti 
nello 
svolgimento 
di 
tali 
funzioni, 
e 
verificano 
la 
rispondenza 
dei 
risultati 
dell'attività 
amministrativa 
e 
della 
gestione 
agli 
indirizzi 
impartiti (12); 
(9) Su tali 
aspetti: 
M. GerArDo, A. MutAreLLi, il 
processo nelle 
controversie 
di 
lavoro pubblico, 
Giuffré, 2012, pp. 20-25. 
(10) Conf. Cass. 2 settembre 2021, n. 23827. 
(11) tali 
organi 
possono essere 
di 
due 
tipi: 
espressione 
-diretta 
o indiretta 
-di 
rappresentanza 
politica 
(ciò è 
tipico per gli 
enti 
territoriali); 
selezione 
con procedimenti 
diversi 
dal 
meccanismo di 
rappresentanza 
politica. 
(12) 
Con 
riguardo 
alle 
amministrazioni 
statali 
il 
comma 
1 
dell’art. 
14 
precisa: 
“il 
ministro 
esercita 
le 
funzioni 
di 
cui 
all'articolo 4, comma 1. a 
tal 
fine 
periodicamente, e 
comunque 
ogni 
anno entro dieci 

rASSeGnA 
AvvoCAturA 
DeLLo 
StAto -n. 3/2022 


-ai 
dirigenti 
spetta 
l'adozione 
degli 
atti 
e 
provvedimenti 
amministrativi, 
compresi 
tutti 
gli 
atti 
che 
impegnano 
l'amministrazione 
verso 
l'esterno, 
nonché 
la 
gestione 
finanziaria, tecnica 
e 
amministrativa 
mediante 
autonomi 
poteri 
di 
spesa, di 
organizzazione 
delle 
risorse 
umane, strumentali 
e 
di 
controllo. essi 
sono responsabili 
in via 
esclusiva 
dell'attività 
amministrativa, della 
gestione 
e dei relativi risultati. 
4. Tipologia 
Di 
pubblici 
DipenDenTi. 
Pubblici 
dipendenti 
sono coloro che 
hanno un rapporto di 
lavoro subordinato 
con la 
P.A., sia 
a 
tempo determinato che 
a 
tempo indeterminato. Sono 
la 
stragrande 
maggioranza 
delle 
risorse 
umane 
di 
cui 
si 
serve 
la 
P.A. vi 
sono 
anche 
risorse 
umane 
diverse 
dai 
pubblici 
dipendenti: 
lavoratori 
autonomi, tra 
cui 
consulenti, 
professionisti 
intellettuali; 
personale 
onorario 
(presidenti 
e 
componenti 
di 
consigli 
di 
amministrazione 
di 
enti; 
rappresentanti 
politici, 
ecc.). 


i pubblici dipendenti sono distinguibili in dirigenti, funzionari, addetti. 


4.1. Dirigenti. 
i dirigenti 
sono il 
livello apicale 
dei 
dipendenti 
pubblici. Sono (dovrebbero 
essere) i 
direttori 
dell’orchestra, la 
cinghia 
di 
trasmissione 
tra 
l’organo 
di indirizzo politico e le risorse umane operative. 


La 
disciplina 
generale 
dei 
dirigenti 
delle 
amministrazioni 
dello 
Stato, 
anche 
ad 
ordinamento 
autonomo, 
è 
contenuta 
nel 
capo 
ii 
del 
titolo 
ii 
del 


t.u.P.i. (artt. 13-29). tale 
disciplina 
si 
estende 
-in virtù dell’art. 27, comma 
1 
(13), 
imponente 
un 
obbligo 
di 
adeguamento 
-agli 
altri 
enti 
pubblici 
non 
economici. 
in ogni 
amministrazione 
dello Stato, anche 
ad ordinamento autonomo, è 
istituito 
il 
ruolo 
dei 
dirigenti, 
che 
si 
articola 
in 
due 
fasce: 
la 
prima 
(riguardante 
i 
dirigenti 
preposti 
agli 
uffici 
dirigenziali 
generali) e 
la 
seconda 
(riguardante 
i 


giorni 
dalla pubblicazione 
della legge 
di 
bilancio, anche 
sulla base 
delle 
proposte 
dei 
dirigenti 
di 
cui 
all'articolo 16: a) definisce 
obiettivi, priorità, piani 
e 
programmi 
da attuare 
ed emana le 
conseguenti 
direttive 
generali 
per 
l'attività 
amministrativa 
e 
per 
la 
gestione; 
b) 
effettua, 
ai 
fini 
dell'adempimento 
dei 
compiti 
definiti 
ai 
sensi 
della 
lettera 
a), 
l'assegnazione 
ai 
dirigenti 
preposti 
ai 
centri 
di 
responsabilità 
delle 
rispettive 
amministrazioni 
delle 
risorse 
di 
cui 
all'articolo 4, comma 1, lettera c), del 
presente 
decreto, 
ivi 
comprese 
quelle 
di 
cui 
all'articolo 3 del 
decreto legislativo 7 agosto 1997, n. 279, e 
successive 
modificazioni 
ed 
integrazioni, 
[…]; 
provvede 
alle 
variazioni 
delle 
assegnazioni 
con 
le 
modalità 
previste 
dal 
medesimo decreto legislativo 7 agosto 1997, n. 279, tenendo altresì 
conto dei 
procedimenti 
e 
sub-
procedimenti attribuiti ed adotta gli altri provvedimenti ivi previsti”. 


(13) “le 
regioni 
a statuto ordinario, nell'esercizio della propria potestà statutaria, legislativa e 
regolamentare, e 
le 
altre 
pubbliche 
amministrazioni, nell'esercizio della propria potestà statutaria e 
regolamentare, 
adeguano 
ai 
principi 
dell'articolo 
4 
e 
del 
presente 
capo 
i 
propri 
ordinamenti, 
tenendo 
conto 
delle 
relative 
peculiarità. 
gli 
enti 
pubblici 
non 
economici 
nazionali 
si 
adeguano, 
anche 
in 
deroga 
alle 
speciali 
disposizioni 
di 
legge 
che 
li 
disciplinano, 
adottando 
appositi 
regolamenti 
di 
organizzazione”. 

LeGiSLAzione 
eD 
AttuALità 


dirigenti 
preposti 
ad uffici 
diversi 
da 
quelli 
dirigenziali 
generali), nel 
cui 
ambito 
sono 
definite 
apposite 
sezioni 
in 
modo 
da 
garantire 
la 
eventuale 
specificità 
tecnica (artt. 15 (14) e 23 (15)). 


vi 
è 
poi 
una 
terza 
tipologia 
di 
funzioni 
dirigenziali, la 
più importante 
tenuto 
conto della 
rilevanza 
degli 
uffici 
ai 
quali 
si 
è 
preposti, costituita 
dagli 
incarichi 
di 
segretario generale 
e 
di 
direzione 
di 
strutture 
articolate 
in più uffici 
dirigenziali 
generali 
(come 
il 
Capo Dipartimento di 
un Ministero); 
sono incarichi 
apicali, 
conferiti 
nelle 
Amm.ni 
statali 
con 
D.P.r., 
previa 
deliberazione 
del 
Consiglio dei 
Ministri, su proposta 
del 
Ministro competente, a 
personale 
con qualifica 
di 
dirigente 
o, entro certi 
limiti, a 
soggetti 
non appartenenti 
ai 
ruoli 
della 
dirigenza 
con 
determinati 
requisiti 
e 
qualità 
professionali. 
Ciò 
detto 
degli 
incarichi 
apicali, si 
tratterà 
dei 
dirigenti 
sia 
di 
prima 
e 
di 
seconda 
fascia. 


Le 
funzioni 
dei 
dirigenti 
di 
uffici 
dirigenziali 
generali 
sono indicate 
dal 
comma 
1 
dell’art. 
16: 
“a) 
formulano 
proposte 
ed 
esprimono 
pareri 
al 
ministro, 
nelle 
materie 
di 
sua competenza; a-bis) propongono le 
risorse 
e 
i 
profili 
professionali 
necessari 
allo 
svolgimento 
dei 
compiti 
dell'ufficio 
cui 
sono 
preposti 
anche 
al 
fine 
dell'elaborazione 
del 
documento di 
programmazione 
triennale 
del 
fabbisogno di 
personale 
di 
cui 
all'articolo 6, comma 4; b) curano l'attuazione 
dei 
piani, programmi 
e 
direttive 
generali 
definite 
dal 
ministro e 
attribuiscono 
ai 
dirigenti 
gli 
incarichi 
e 
la 
responsabilità 
di 
specifici 
progetti 
e 
gestioni; definiscono gli 
obiettivi 
che 
i 
dirigenti 
devono perseguire 
e 
attribuiscono 
le 
conseguenti 
risorse 
umane, finanziarie 
e 
materiali; c) adottano gli 
atti 
relativi 
all'organizzazione 
degli 
uffici 
di 
livello 
dirigenziale 
non 
generale; 


d) adottano gli 
atti 
e 
i 
provvedimenti 
amministrativi 
ed esercitano i 
poteri 
di 
spesa 
e 
quelli 
di 
acquisizione 
delle 
entrate 
rientranti 
nella 
competenza 
dei 
propri 
uffici, 
salvo 
quelli 
delegati 
ai 
dirigenti; 
d-bis) 
adottano 
i 
provvedimenti 
previsti 
dall'articolo 17, comma 2, del 
decreto legislativo 12 aprile 
2006, n. 
163, e 
successive 
modificazioni; e) dirigono, coordinano e 
controllano l'attività 
dei 
dirigenti 
e 
dei 
responsabili 
dei 
procedimenti 
amministrativi, 
anche 
con 
potere 
sostitutivo 
in 
caso 
di 
inerzia, 
e 
propongono 
l'adozione, 
nei 
confronti 
dei 
dirigenti, 
delle 
misure 
previste 
dall'articolo 
21; 
f) 
promuovono 
e 
resistono 
alle 
liti 
ed 
hanno 
il 
potere 
di 
conciliare 
e 
di 
transigere, 
fermo 
restando 
quanto 
disposto dall'articolo 12, comma 1, della legge 
3 aprile 
1979, n. 103; g) richiedono 
direttamente 
pareri 
agli 
organi 
consultivi 
dell'amministrazione 
e 
ri(
14) 
Che 
al 
comma 
5 
dispone: 
“per 
il 
consiglio 
di 
Stato 
e 
per 
i 
tribunali 
amministrativi 
regionali, 
per 
la 
corte 
dei 
conti, 
per 
il 
consiglio 
nazionale 
dell'economia 
e 
del 
lavoro 
e 
per 
l'avvocatura 
generale 
dello Stato, le 
attribuzioni 
che 
il 
presente 
decreto demanda agli 
organi 
di 
governo sono di 
competenza 
rispettivamente, del 
presidente 
del 
consiglio di 
Stato, del 
presidente 
della corte 
dei 
conti, del 
presidente 
del 
consiglio nazionale 
dell'economia e 
del 
lavoro e 
dell'avvocato generale 
dello Stato; le 
attribuzioni 
che 
il 
presente 
decreto demanda ai 
dirigenti 
preposti 
ad uffici 
dirigenziali 
di 
livello generale 
sono di competenza dei segretari generali dei predetti istituti”. 
(15) 
il 
cui 
comma 
2 
enuncia 
“È 
assicurata 
la 
mobilità 
dei 
dirigenti, 
nei 
limiti 
dei 
posti 
disponibili, 
in base all'articolo 30 del presente decreto”. 

rASSeGnA 
AvvoCAturA 
DeLLo 
StAto -n. 3/2022 


spondono ai 
rilievi 
degli 
organi 
di 
controllo sugli 
atti 
di 
competenza; h) svolgono 
le 
attività di 
organizzazione 
e 
gestione 
del 
personale 
e 
di 
gestione 
dei 
rapporti 
sindacali 
e 
di 
lavoro; 
i) 
decidono 
sui 
ricorsi 
gerarchici 
contro 
gli 
atti 
e 
i 
provvedimenti 
amministrativi 
non definitivi 
dei 
dirigenti; l) curano i 
rapporti 
con gli 
uffici 
dell'unione 
europea e 
degli 
organismi 
internazionali 
nelle 
materie 
di 
competenza 
secondo 
le 
specifiche 
direttive 
dell'organo 
di 
direzione 
politica, 
sempreché 
tali 
rapporti 
non 
siano 
espressamente 
affidati 
ad 
apposito 
ufficio o organo; l-bis) concorrono alla definizione 
di 
misure 
idonee 
a prevenire 
e 
contrastare 
i 
fenomeni 
di 
corruzione 
e 
a 
controllarne 
il 
rispetto 
da 
parte 
dei 
dipendenti 
dell'ufficio cui 
sono preposti; l-ter) forniscono le 
informazioni 
richieste 
dal 
soggetto 
competente 
per 
l'individuazione 
delle 
attività 
nell'ambito 
delle 
quali 
è 
più elevato il 
rischio corruzione 
e 
formulano specifiche 
proposte 
volte 
alla prevenzione 
del 
rischio medesimo; l-quater) provvedono al 
monitoraggio 
delle 
attività nell'ambito delle 
quali 
è 
più elevato il 
rischio corruzione 
svolte 
nell'ufficio a cui 
sono preposti, disponendo, con provvedimento motivato, 
la rotazione 
del 
personale 
nei 
casi 
di 
avvio di 
procedimenti 
penali 
o disciplinari 
per condotte di natura corruttiva” (16). 


Le 
funzioni 
dei 
dirigenti 
di 
uffici 
dirigenziali 
non 
generali 
sono 
indicate 
dal 
comma 
1 
dell’art. 
17: 
“a) 
formulano 
proposte 
ed 
esprimono 
pareri 
ai 
dirigenti 
degli 
uffici 
dirigenziali 
generali; 
b) 
curano 
l'attuazione 
dei 
progetti 
e 
delle 
gestioni 
ad 
essi 
assegnati 
dai 
dirigenti 
degli 
uffici 
dirigenziali 
generali, 
adottando 
i 
relativi 
atti 
e 
provvedimenti 
amministrativi 
ed 
esercitando 
i 
poteri 
di 
spesa 
e 
di 
acquisizione 
delle 
entrate; 
c) 
svolgono 
tutti 
gli 
altri 
compiti 
ad 
essi 
delegati 
dai 
dirigenti 
degli 
uffici 
dirigenziali 
generali; 
d) 
dirigono, 
coordinano 
e 
controllano 
l'attività 
degli 
uffici 
che 
da 
essi 
dipendono 
e 
dei 
responsabili 
dei 
procedimenti 
amministrativi, 
anche 
con 
poteri 
sostitutivi 
in 
caso 
di 
inerzia; 
d-bis) 
concorrono 
all'individuazione 
delle 
risorse 
e 
dei 
profili 
professionali 
necessari 
allo 
svolgimento 
dei 
compiti 
dell'ufficio 
cui 
sono 
preposti 
anche 
al 
fine 
dell'elaborazione 
del 
documento 
di 
programmazione 
triennale 
del 
fabbisogno 
di 
personale 
di 
cui 
all'articolo 
6, 
comma 
4; 
e) 
provvedono 
alla 
gestione 
del 
personale 
e 
delle 
risorse 
finanziarie 
e 
strumentali 
assegnate 
ai 
propri 
uffici, 
anche 
ai 
sensi 
di 
quanto 
previsto 
all'articolo 
16, 
comma 
1, 
lettera 
l-bis; 
e-bis) 
effettuano 
la 
valutazione 
del 
personale 
assegnato 
ai 
propri 
uffici, 
nel 
rispetto 
del 
principio 
del 
merito, 
ai 
fini 
della 
progressione 
economica 
e 
tra 
le 
aree, 
nonché 
della 
corresponsione 
di 
indennità 
e 
premi 
incentivanti” 
(17). 


(16) i commi 
4 e 
5 dell’art. 16 precisano: 
“4. gli 
atti 
e 
i 
provvedimenti 
adottati 
dai 
dirigenti 
preposti 
al 
vertice 
dell'amministrazione 
e 
dai 
dirigenti 
di 
uffici 
dirigenziali 
generali 
di 
cui 
al 
presente 
articolo 
non sono suscettibili 
di 
ricorso gerarchico. 5. gli 
ordinamenti 
delle 
amministrazioni 
pubbliche 
al 
cui 
vertice 
è 
preposto un segretario generale, capo dipartimento o altro dirigente 
comunque 
denominato, 
con funzione 
di 
coordinamento di 
uffici 
dirigenziali 
di 
livello generale, ne 
definiscono i 
compiti 
ed i poteri”. 

LeGiSLAzione 
eD 
AttuALità 


in date 
percentuali 
(sul 
20 % del 
numero dei 
dirigenti 
statali 
burocratici) 
possono 
essere 
investiti 
di 
funzioni 
dirigenziali 
anche 
persone 
estranee 
alla 
dirigenza 
burocratica 
della 
specifica 
amministrazione: 
l’organo di 
vertice, di 
governo 
può 
conferire 
l’incarico 
dirigenziale 
a 
persone 
reputate 
necessarie 
alla 
realizzazione 
degli 
obiettivi, in possesso comunque 
di 
requisiti 
di 
professionalità, 
anche 
esterni 
alla 
dirigenza 
burocratica 
dell’ente, come 
ad esempio 
funzionari 
o 
addetti 
dell’ente, 
funzionari, 
addetti 
o 
dirigenti 
di 
altri 
enti, 
anche 
privati; 
altre 
professionalità 
(la 
normativa 
di 
dettaglio è 
contenuta 
nei 
commi 
5 bis 
e 6 dell’art. 19). 


tendenzialmente 
il 
dirigente 
appartenente 
all’ente 
svolge 
le 
funzioni 
dirigenziali. 
Può accadere 
tuttavia 
che 
il 
dirigente 
non svolga 
funzioni 
dirigenziali 
(quando 
non 
gli 
viene 
conferito 
l’incarico), 
oppure 
che 
le 
funzioni 
dirigenziali 
siano 
svolte 
da 
colui 
che 
non 
sia 
un 
dirigente 
appartenente 
all’ente. 
Circa 
i 
dirigenti 
burocratici 
-nelle 
amministrazioni 
statali, anche 
ad ordinamento 
autonomo, e negli enti pubblici non economici - si osserva. 

Giusta 
l’art. 
28 
(18), 
i 
dirigenti 
della 
seconda 
fascia 
sono 
reclutati 
con 
due 
modalità: 
a) 
concorso 
indetto 
dalle 
singole 
amministrazioni; 
b) 
ovvero 
per 
corso-concorso 
selettivo 
di 
formazione 
bandito 
dalla 
Scuola 
superiore 
della 
pubblica amministrazione. 

i 
dirigenti 
della 
prima 
fascia 
sono 
reclutati, 
giusta 
gli 
artt. 
23 
e 
28 
bis 
t.u.P.i., con due 
modalità: 
a) per il 
cinquanta 
per cento dei 
posti, tramite 
concorso 
pubblico 
per 
titoli 
ed 
esami 
indetto 
dalle 
singole 
amministrazioni. 
Al 
concorso per titoli 
ed esami 
possono essere 
ammessi 
i 
dirigenti 
di 
ruolo delle 
pubbliche 
amministrazioni, che 
abbiano maturato almeno cinque 
anni 
di 
servizio 
nei 
ruoli 
dirigenziali 
e 
gli 
altri 
soggetti 
in possesso di 
titoli 
di 
studio e 
professionali 
individuati 
nei 
bandi 
di 
concorso, 
con 
riferimento 
alle 
specifiche 
esigenze 
dell'Amministrazione; 
b) 
per 
i 
residui 
posti 
disponibili, 
mediante 
transito 
dei 
dirigenti 
della 
seconda 
fascia 
nella 
prima 
qualora 
abbiano 
ricoperto 
incarichi 
di 
direzione 
di 
uffici 
dirigenziali 
generali 
o equivalenti 
secondo la 
disciplina del comma 1 del citato art. 23. 

regole 
peculiari 
sono 
dettate 
per 
la 
dirigenza 
del 
Servizio 
sanitario 
nazionale 
(art. 
26) 
e 
per 
la 
dirigenza 
delle 
istituzioni 
scolastiche 
(artt. 
25 
e 
29). 


L’esito positivo del 
reclutamento determina 
l’accesso alla 
qualifica 
di 
di


(17) il 
comma 
1 bis 
del 
citato art. 17 statuisce: 
“i dirigenti, per 
specifiche 
e 
comprovate 
ragioni 
di 
servizio, possono delegare 
per 
un periodo di 
tempo determinato, con atto scritto e 
motivato, alcune 
delle 
competenze 
comprese 
nelle 
funzioni 
di 
cui 
alle 
lettere 
b), d) ed e) del 
comma 1 a dipendenti 
che 
ricoprano le 
posizioni 
funzionali 
più elevate 
nell'ambito degli 
uffici 
ad essi 
affidati. non si 
applica in 
ogni caso l'articolo 2103 del codice civile”. 
(18) il 
quale 
al 
comma 
5, rinvia 
ad un regolamento emanato ai 
sensi 
dell'articolo 17, comma 
1, 
L. 23 agosto 1988, n. 400 per la 
disciplina 
in materia 
di 
accesso alla 
qualifica 
di 
dirigente, adottato poi 
con D.P.r. 24 settembre 2004, n. 272. 

rASSeGnA 
AvvoCAturA 
DeLLo 
StAto -n. 3/2022 


rigente 
-a 
seconda 
dei 
casi 
-della 
seconda 
fascia 
o della 
prima 
fascia 
e 
l’immissione 
nel ruolo. 


Con distinto atto, rispetto dalla 
immissione 
nel 
rispettivo ruolo, al 
dirigente 
viene 
conferito l’incarico dirigenziale, poi 
modalizzato in un contratto 
con durata 
temporanea, da 
tre 
a 
cinque 
anni. Finché 
non riceve 
l’incarico il 
dirigente 
non svolge 
le 
funzioni 
e 
beneficia 
di 
un trattamento base 
fondamentale 
(nell’ipotesi 
innanzi 
descritta 
del 
dirigente 
che 
non svolga 
funzioni 
dirigenziali). 


L’incarico viene 
conferito all’esito di 
un interpello tra 
coloro che 
si 
dichiarano 
disponibili 
alle 
funzioni. Al 
fine 
di 
assicurare 
la 
più ampia 
partecipazione 
ed 
in 
funzione 
della 
trasparenza 
l'amministrazione 
deve 
rendere 
conoscibili, anche 
mediante 
pubblicazione 
di 
apposito avviso sul 
sito istituzionale, 
il 
numero 
e 
la 
tipologia 
dei 
posti 
di 
funzione 
che 
si 
rendono 
disponibili 
nella 
dotazione 
organica 
ed i 
criteri 
di 
scelta 
(art. 19, comma 
1 bis). i commi 
4 e 5 dell’art. 19 individuano l’autorità competente a conferire gli incarichi: 


-gli 
incarichi 
di 
funzione 
dirigenziale 
di 
livello generale 
sono conferiti 
con 
decreto 
del 
Presidente 
del 
Consiglio 
dei 
ministri, 
su 
proposta 
del 
Ministro 
competente, a 
dirigenti 
della 
prima 
fascia 
dei 
ruoli 
o, in misura 
non superiore 
al 
70 per cento della 
relativa 
dotazione, agli 
altri 
dirigenti 
appartenenti 
ai 
medesimi 
ruoli 
ovvero, 
con 
contratto 
a 
tempo 
determinato, 
a 
persone 
in 
possesso 
delle specifiche qualità professionali richieste dal comma 6; 
-gli 
incarichi 
di 
direzione 
degli 
uffici 
di 
livello 
dirigenziale 
sono 
conferiti, 
dal 
dirigente 
dell'ufficio di 
livello dirigenziale 
generale, ai 
dirigenti 
assegnati 
al suo ufficio. 


L’interpello dà 
luogo ad una 
procedura 
selettiva 
non concorsuale, nella 
quale 
il 
decisore 
sceglie 
chi 
reputa 
idoneo 
alle 
funzioni, 
con 
valutazione 
e 
scelta 
ampiamente 
discrezionale. Ai 
fini 
del 
conferimento di 
ciascun incarico 
di 
funzione 
dirigenziale 
il 
comma 
1 dell’art. 19 impone 
di 
tenere 
conto, in relazione 
alla 
natura 
e 
alle 
caratteristiche 
degli 
obiettivi 
prefissati 
ed alla 
complessità 
della 
struttura 
interessata, 
delle 
attitudini 
e 
delle 
capacità 
professionali 
del 
singolo 
dirigente, 
dei 
risultati 
conseguiti 
in 
precedenza 
nell'amministrazione 
di 
appartenenza 
e 
della 
relativa 
valutazione, 
delle 
specifiche 
competenze 
organizzative 
possedute, nonché 
delle 
esperienze 
di 
direzione 
eventualmente 
maturate 
all'estero, 
presso 
il 
settore 
privato 
o 
presso 
altre 
amministrazioni 
pubbliche, 
purché 
attinenti 
al 
conferimento 
dell'incarico. 
Al 
conferimento 
degli 
incarichi e al passaggio ad incarichi diversi non si applica l'art. 2103 c.c. 


Con 
il 
provvedimento 
di 
conferimento 
dell'incarico 
sono 
individuati 
l'oggetto 
dell'incarico 
e 
gli 
obiettivi 
da 
conseguire, 
con 
riferimento 
alle 
priorità, 
ai 
piani 
e 
ai 
programmi 
definiti 
dall'organo 
di 
vertice 
nei 
propri 
atti 
di 
indirizzo 
e 
alle 
eventuali 
modifiche 
degli 
stessi 
che 
intervengano 
nel 
corso 
del 
rapporto, 
nonché 
la 
durata 
dell'incarico, 
che 
deve 
essere 
correlata 
agli 
obiettivi 
prefissati 
e 
che, 
comunque, 
non 
può 
essere 
inferiore 
a 
tre 
anni 
né 
eccedere 
il 
termine 
di 
cinque 



LeGiSLAzione 
eD 
AttuALità 


anni. 
La 
durata 
dell'incarico 
può 
essere 
inferiore 
a 
tre 
anni 
se 
coincide 
con 
il 
conseguimento 
del 
limite 
di 
età 
per 
il 
collocamento 
a 
riposo 
dell'interessato. 
Gli 
incarichi 
sono 
rinnovabili. 
Al 
provvedimento 
di 
conferimento 
dell'incarico 
accede 
un 
contratto 
individuale 
con 
cui 
è 
definito 
il 
corrispondente 
trattamento 
economico, 
nel 
rispetto 
dei 
principi 
definiti 
dall'articolo 
24. 
È 
sempre 
ammessa 
la 
risoluzione 
consensuale 
del 
rapporto. 
in 
caso 
di 
primo 
conferimento 
ad 
un 
dirigente 
della 
seconda 
fascia 
di 
incarichi 
di 
uffici 
dirigenziali 
generali 
o 
di 
funzioni 
equiparate, 
la 
durata 
dell'incarico 
è 
pari 
a 
tre 
anni 
(art. 
19, 
comma 
2). 


L’incarico cessa 
prima 
della 
durata 
convenuta 
nell’ipotesi 
di 
revoca 
o di 
recesso dal rapporto di lavoro. 


Alla 
scadenza 
dell’incarico, previo interpello, il 
dirigente 
viene 
confermato 
nell’incarico 
oppure 
resta 
senza 
incarico. 
in 
questa 
evenienza 
o 
resta 
inofficioso o gli 
si 
dà 
un incarico non operativo, nelle 
more 
che, sempre 
all’esito 
di 
interpello, 
gli 
venga 
conferito 
un 
normale 
incarico 
operativo 
o 
venga 
collocato 
in 
quiescenza. 
Circa 
i 
caratteri 
dell’incarico 
non 
operativo 
si 
osserva 
che 
l’art. 19, comma 
10, enuncia 
“i dirigenti 
ai 
quali 
non sia affidata la titolarità 
di 
uffici 
dirigenziali 
svolgono, su richiesta degli 
organi 
di 
vertice 
delle 
amministrazioni 
che 
ne 
abbiano 
interesse, 
funzioni 
ispettive, 
di 
consulenza, 
studio e 
ricerca o altri 
incarichi 
specifici 
previsti 
dall'ordinamento, ivi 
compresi 
quelli presso i collegi 
di revisione degli 
enti pubblici in rappresentanza 
di amministrazioni ministeriali”. 


il trattamento economico del dirigente è regolato dall’art. 24: 


-la 
retribuzione 
del 
personale 
con 
qualifica 
di 
dirigente 
è 
determinata 
dai 
contratti 
collettivi 
per le 
aree 
dirigenziali, i 
quali 
devono prevedere 
che 
il 
trattamento 
economico accessorio sia 
correlato alle 
funzioni 
attribuite, alle 
connesse 
responsabilità 
e 
ai 
risultati 
conseguiti. 
il 
trattamento 
accessorio 
collegato 
ai 
risultati 
deve 
costituire 
almeno il 
30 % della 
retribuzione 
complessiva 
del 
dirigente; 


-il 
trattamento 
economico 
come 
innanzi 
determinato 
remunera 
tutte 
le 
funzioni 
ed i 
compiti 
attribuiti 
ai 
dirigenti, nonché 
qualsiasi 
incarico ad essi 
conferito 
in 
ragione 
del 
loro 
ufficio 
o 
comunque 
conferito 
dall'amministrazione 
presso cui 
prestano servizio o su designazione 
della 
stessa; 
i 
compensi 
dovuti 
dai 
terzi 
sono corrisposti 
direttamente 
alla 
medesima 
amministrazione 
e 
confluiscono 
nelle 
risorse 
destinate 
al 
trattamento economico accessorio della 
dirigenza 
(principio di omnicomprensività). 


4.2. Funzionari e addetti. 
Le 
risorse 
umane 
operative 
possono essere 
distinte 
in funzionari 
ed addetti. 
i primi, diplomati 
o laureati, svolgono un lavoro prevalentemente 
intellettuale. 
i 
secondi, 
con 
titoli 
inferiori, 
svolgono 
un 
lavoro 
prevalentemente 
manuale (esempio: commessi ed autisti). 


tra 
i 
funzionari 
vi 
possono essere 
persone 
che 
svolgono un lavoro di 
co



rASSeGnA 
AvvoCAturA 
DeLLo 
StAto -n. 3/2022 


ordinamento e 
direzione 
di 
altre 
risorse 
umane. Ciò in virtù di 
deleghe 
dei 
dirigenti. 
oppure 
in 
virtù 
del 
conferimento 
delle 
c.d. 
posizioni 
organizzative, 
istituto 
della 
contrattazione 
collettiva 
in 
virtù 
del 
quale 
al 
personale 
dipendente 
delle 
PP.AA. sono attribuiti 
particolari 
incarichi 
per il 
cui 
assolvimento sono 
richieste 
peculiari 
competenze 
culturali 
e 
professionali 
(19). La 
posizione 
organizzativa 
viene 
attribuita 
con 
criteri 
fissati 
dalla 
contrattazione 
collettiva 
tra 
i 
dipendenti 
che 
si 
dichiarino disponibili 
all’esito di 
procedura 
di 
interpello. il 
dipendente 
titolare 
di 
P.o. ha 
diritto ad un compenso aggiuntivo. il 
dirigente 
non è 
libero nell'assegnazione 
della 
posizione 
organizzativa 
in presenza 
della 
selezione di diversi candidati (20). 


5. la 
Selezione 
Dei 
pubblici 
DipenDenTi. 
(21) 
il 
complesso 
dei 
pubblici 
dipendenti, 
delle 
risorse 
umane 
alle 
dipendenze 
delle 
amministrazioni 
pubbliche 
italiane 
ammonta 
ad oltre 
tre 
milioni 
di 
unità 
(22). A 
partire 
dalla 
crisi 
del 
2008 -allo scopo di 
contenere 
la 
spesa 
pubblica 


-si 
è 
assistito al 
cosiddetto blocco del 
turn over, ossia 
al 
blocco delle 
assunzioni 
(23), anche 
a 
fronte 
dei 
progressivi 
pensionamenti 
dei 
più anziani. tale 
blocco 
ha 
determinato, 
di 
conseguenza, 
anche 
un 
innalzamento 
dell’età 
media 
del 
personale 
in servizio, con ciò accentuando il 
dato che 
la 
pubblica 
amministrazione 
italiana 
è 
un’amministrazione 
vecchia. 
Si 
pensi 
che 
nel 
2007, 
l’età 
anagrafica 
media 
risultava 
di 
quasi 
47 anni 
(24), mentre 
nel 
2021 risulta 
di 
50 
anni. Solo a 
partire 
dal 
2018 il 
blocco è 
cessato, con una 
ripresa 
delle 
procedure 
assunzionali. 
il 
personale 
delle 
PP.AA. 
appare 
scarsamente 
qualificato 
(25), 
il 
basso 
li


(19) Ad es. l’art. 13 del 
CCnL 
del 
Comparto delle 
Funzioni 
locali 
del 
21 maggio 2018 istituisce 
l’Area 
delle 
posizioni 
organizzative, ossia 
posizioni 
di 
lavoro che 
richiedono, con assunzione 
diretta 
di 
elevata 
responsabilità 
di 
prodotto e 
di 
risultato: 
a) lo svolgimento di 
funzioni 
di 
direzione 
di 
unità 
organizzative 
di 
particolare 
complessità, caratterizzate 
da 
elevato grado di 
autonomia 
gestionale 
e 
organizzativa; 
b) lo svolgimento di 
attività 
con contenuti 
di 
alta 
professionalità 
comprese 
quelle 
comportanti 
anche 
l’iscrizione 
ad 
albi 
professionali, 
richiedenti 
elevata 
competenza 
specialistica 
acquisita 
attraverso 
titoli 
formali 
di 
livello universitario del 
sistema 
educativo e 
di 
istruzione 
oppure 
attraverso consolidate 
e 
rilevanti 
esperienze 
lavorative 
in posizioni 
ad elevata 
qualificazione 
professionale 
o di 
responsabilità, 
risultanti dal 
curriculum. 
(20) Così 
Cass., 12 giugno 2020 n. 11367, la 
quale 
precisa 
che 
in mancanza 
di 
adeguata 
motivazione 
del 
provvedimento 
di 
nomina, 
ben 
può 
il 
giudice 
adito 
dal 
candidato 
ritenuto 
estromesso 
giudicare 
irrazionale 
la 
scelta 
effettuata 
e 
condannare 
l'ente 
a 
rimborsare 
la 
perdita 
di 
chance 
nella 
misura 
pari 
al 
90% del 
valore 
della 
posizione 
organizzativa 
del 
candidato leso dal 
provvedimento immotivato del 
dirigente. 
(21) 
Sulla 
problematica: 
M. 
GerArDo, 
la 
selezione 
della 
burocrazia 
in 
italia 
nell’attuale 
momento 
storico 
in rass. avv. dello Stato 
2018, 4, pp. 259-283. 
(22) La Pubblica 
Amministrazione italiana al 1° gennaio 2021 conta 3.212.450 dipendenti. 
(23) 
totale 
o 
parziale 
-negli 
anni 
precedenti 
il 
2018 
del 
75%, 
ossia, 
per 
ogni 
quattro 
risorse 
umane 
cessate vi è la capacità di assumere una risorsa umana - nel corso degli anni. 
(24) Così: L. torChiA 
(a cura di), il sistema amministrativo italiano, il Mulino, 2009, p. 280. 
(25) “Sulla formazione 
dei 
dipendenti 
pubblici 
l’italia continua ad investire 
poco. nel 
2019, l’ul

LeGiSLAzione 
eD 
AttuALità 


vello 
della 
formazione 
incide 
inevitabilmente, 
rallentandoli, 
sui 
programmi 
di 
riforma 
e 
di 
ammodernamento 
delle 
organizzazioni 
pubbliche; 
fortemente 
carente 
è 
anche 
l’organizzazione 
delle 
attività 
di 
formazione 
iniziale 
e 
continua. 
La 
qualità, le 
capacità, le 
attitudini 
dei 
dipendenti 
sono eterogenee, variabili 
a 
seconda 
della 
distribuzione 
geografica, dell’età, delle 
discutibili 
politiche 
di 
acquisizione 
delle 
risorse 
umane 
(specie 
il 
precariato, conseguente 
a 
meccanismi 
di assunzione diversi dal concorso). 


Si 
presenta 
necessaria 
una 
riorganizzazione 
dell’assetto delle 
PP.AA. per 
far 
fronte 
ai 
cambiamenti 
dei 
processi 
lavorativi 
indotti 
dall’utilizzo 
delle 
nuove 
tecnologie 
e 
dalle 
innovazioni 
legislative, 
acquisendo 
le 
competenze 
necessarie 
a 
supportare 
processi 
di 
sviluppo 
sostenibile 
coerenti 
con 
gli 
obiettivi 
comunitari e nazionali. 


5.1. modalità con le 
quali 
l’amministrazione 
procede 
alla provvista delle 
risorse 
umane. 
in italia, come 
in altri 
paesi, il 
modello ordinario con il 
quale 
la 
P.A. procede 
alla 
provvista 
delle 
risorse 
umane 
è 
quello del 
concorso. tale 
modello è 
reputato 
funzionale 
alla 
selezione, 
in 
modo 
imparziale 
e 
senza 
favoritismi, 
dei 
migliori in relazione alle esigenze delle amministrazioni. 


nel 
nostro ordinamento vi 
è 
una 
espressa 
norma 
di 
rango costituzionale, 
ossia 
l’art. 97, comma 
4, che 
testualmente 
dispone: 
“agli 
impieghi 
nelle 
pubbliche 
amministrazioni 
si 
accede 
mediante 
concorso, 
salvo 
i 
casi 
stabiliti 
dalla 
legge”. La 
regola 
del 
concorso per l'accesso agli 
impieghi 
nella 
P.A. esclude 
la 
nomina 
politica, a 
favore 
di 
un sistema 
selettivo che 
assicuri 
una 
legittimazione 
tecnica 
dei 
pubblici 
dipendenti. in altri 
termini, il 
concorso pubblico è 
la 
forma 
generale 
ed 
ordinaria 
di 
reclutamento 
per 
il 
pubblico 
impiego, 
in 
quanto 
offre 
la 
migliore 
garanzia 
di 
selezione 
dei 
soggetti 
più 
capaci 
ed 
è 
quindi 
strumento di 
efficienza 
dell'azione 
amministrativa 
(26). Corollario di 
ciò è la regola dell’anonimato delle selezioni concorsuali (27). 


La 
Corte 
costituzionale 
è 
stata 
spesso 
chiamata 
ad 
intervenire 
per 
valutare 


timo anno fotografato dalla ragioneria dello Stato, l’investimento complessivo è 
stato di 
163,7 milioni 
di 
euro, 110 milioni 
in meno rispetto a 10 anni 
fa, che 
corrispondono a una media di 
1,2 giorni 
di 
formazione 
l’anno. i laureati 
nella pa 
sono il 
41,5%, cresciuti 
del 
21,5% negli 
ultimi 
10 anni, ma con un 
predominio 
di 
giuristi: 
3 
su 
dieci 
sono 
laureati 
in 
giurisprudenza, 
il 
17% 
in 
economia, 
il 
16% 
in 
scienze 
politiche 
o sociologia. Secondo i 
dati 
istat 
la formazione 
è 
soprattutto su competenze 
tecnico specialistiche 
(45,2% dei 
partecipanti) e 
giuridico-normativa (30,9%), mentre 
solo una minoranza ha svolto 
corsi 
per 
accrescere 
competenze 
digitali 
(5%) o di 
project 
management 
(2,3%)”: 
da 
“Forumpa 
2021, 
presentata la ricerca sul 
lavoro pubblico”, 21 giugno 2021, sul 
sito del 
Ministro per la 
Pubblica 
Amministrazione, 
dal quale sono stati ricavati gli ulteriori dati al 2021 riportati nel testo. 


(26) Sulla 
valenza 
costituzionale 
del 
principio in ordine 
a 
tali 
temi 
e 
a 
quelli 
di 
seguito riportati: 
r. CArAntA, nel 
commento sub 
art. 97 Cost., in A. CeLotto, M. oLivetti, r. BiFuLCo, commentario 
alla costituzione, vol. ii, utet, 2006. 
(27) Conf. Cons. Stato, Ad. Plen., 20 novembre 2013, n. 26. 

rASSeGnA 
AvvoCAturA 
DeLLo 
StAto -n. 3/2022 


la 
legittimità 
di 
disposizioni 
statali 
e 
regionali 
che 
escludevano la 
regola 
del 
concorso per l'assunzione 
agli 
impieghi 
presso le 
PP.AA. ovvero riservavano 
a personale già dipendente, spesso precario, la partecipazione ai concorsi per 
l'assunzione, anche 
a 
cariche 
dirigenziali, o per l'avanzamento in carriera. il 
giudice 
delle 
leggi 
ha 
dichiarato costituzionalmente 
illegittime 
per violazione 
dell'art. 97, comma 
4, Cost., le 
disposizioni 
legislative 
che 
riservano al 
personale 
già 
dipendente, 
anche 
sprovvisto 
di 
titolo 
di 
studio 
universitario, 
l'accesso 
alla 
dirigenza. ha 
osservato la 
Corte 
che 
il 
pubblico concorso è 
“meccanismo 
strumentale 
rispetto 
al 
canone 
di 
efficienza 
dell'amministrazione, 
il 
quale 
può 
dirsi 
pienamente 
rispettato 
qualora 
le 
selezioni 
non 
siano 
caratterizzate 
da 
arbitrarie 
forme 
di 
restrizione 
dei 
soggetti 
legittimati 
a parteciparvi; forme 
che 
possono considerarsi 
non irragionevoli 
solo in presenza di 
particolari 
situazioni, 
che 
possono giustificarle 
per 
una migliore 
garanzia del 
buon andamento 
dell'amministrazione” 
(28). 
riassumendo 
i 
risultati 
cui 
era 
già 
pervenuta 
la 
giurisprudenza 
costituzionale, 
in 
una 
successiva 
pronuncia 
la 
Corte 
costituzionale 
ha 
rilevato “che 
l'accesso dei 
dipendenti 
delle 
pubbliche 
amministrazioni 
a funzioni 
più elevate 
non sfugge, di 
norma, alla regola del 
pubblico concorso, cui 
è 
possibile 
apportare 
deroghe 
solo in particolari 
situazioni 
che 
ne 
dimostrino 
la 
ragionevolezza”, 
cosicché, 
“di 
regola, 
questo 
requisito non è 
configurabile 
[...] a proposito di 
norme 
che 
prevedano scivolamenti 
automatici 
verso 
posizioni 
superiori 
(senza 
concorso 
o 
comunque 
senza adeguate 
selezioni 
o verifiche 
attitudinali) o concorsi 
interni 
per 
la totalità 
dei posti vacanti” (29). 


La 
disposizione 
del 
comma 
4, art. 97 Cost., come 
visto, ammette 
eccezioni 
alla 
regola 
del 
concorso; 
la 
giurisprudenza 
costituzionale, 
premesso 
dunque 
che 
la 
regola 
del 
concorso 
pubblico 
non 
è 
assoluta, 
consentendosi 
deroghe 
legislativamente 
disposte 
per 
singoli 
casi 
e 
secondo 
criteri 
appartenenti 
alla 


(28) C. Cost., sentenza 
16 maggio 2002, n. 194 la 
quale, tra 
l’altro, precisa 
che 
è 
illegittimo un 
concorso "interno" 
riservato ai 
dipendenti 
dell'amministrazione 
(sub specie 
di 
procedura 
di 
riqualificazione), 
laddove 
è 
legittimo 
un 
concorso 
pubblico 
con 
riserva 
di 
posti; 
inoltre 
deroghe 
alla 
regola 
del 
concorso, da 
parte 
del 
legislatore, sono ammissibili 
soltanto nei 
limiti 
segnati 
all'esigenza 
di 
garantire 
il 
buon andamento dell'amministrazione 
o di 
attuare 
altri 
principi 
di 
rilievo costituzionale, in ragione 
delle peculiarità di particolari uffici. 
(29) C. Cost., sentenza 
24 luglio 2003, n. 274; 
la 
stessa 
decisione, peraltro, precisa 
che 
“la giurisprudenza 
di 
questa corte 
ritiene 
che 
alla regola del 
pubblico concorso […] sia possibile 
apportare 
deroghe 
(come 
del 
resto ammette 
il 
terzo comma dell'art. 97 cost.) qualora ricorrano particolari 
situazioni 
che 
le 
rendano 
non 
irragionevoli 
(da 
ultimo, 
ordinanza 
n. 
517 
del 
2002). 
ai 
fini 
di 
una 
valutazione 
di 
non irragionevolezza della disciplina in esame 
è 
rilevante 
considerare 
come 
essa riguardi 
l'inserimento 
in posti 
di 
ruolo di 
soggetti 
i 
quali 
si 
trovavano da tempo, nell'ambito dell'amministrazione 
regionale 
(o degli 
enti 
regionali), in una posizione 
di 
precarietà, perché 
assunti 
con contratto a termine 
o 
con 
la 
particolare 
qualificazione 
connessa 
alla 
figura 
degli 
addetti 
a 
lavori 
socialmente 
utili; 
e 
quindi 
verosimilmente 
avevano, nella precarietà, acquisito l'esperienza necessaria a far 
ritenere 
la stabilizzazione 
della 
loro 
posizione 
funzionale 
alle 
esigenze 
di 
buon 
andamento 
dell'amministrazione 
(art. 
97, 
comma 1, della costituzione)”. 

LeGiSLAzione 
eD 
AttuALità 


discrezionalità 
del 
legislatore, ritiene 
che 
essa 
non escluda 
forme 
diverse 
di 
reclutamento e 
di 
copertura 
dei 
posti, purché 
rispondano a 
criteri 
di 
ragionevolezza 
e 
siano comunque 
in armonia 
con le 
disposizioni 
costituzionali 
e 
tali 
da 
non contraddire 
i 
principi 
di 
buon andamento e 
di 
imparzialità 
dell'amministrazione, 
principi 
che 
costituiscono la 
base 
comune 
della 
previsione 
con-
corsuale-selettiva (30). 


La 
norma 
costituzionale, alla 
luce 
anche 
degli 
orientamenti 
della 
Corte 
Costituzionale, viene 
precisata 
nell’art. 35 secondo cui 
-fatte 
salve 
le 
ipotesi 
di 
avviamento 
obbligatorio 
degli 
iscritti 
nelle 
liste 
di 
collocamento 
e 
le 
assunzioni 
obbligatorie 
dei 
soggetti 
di 
cui 
alla 
L. 
12 
marzo 
1999, 
n. 
68 
-l'assunzione 
nelle 
amministrazioni 
pubbliche 
avviene 
con contratto individuale 
di 
lavoro, 
tramite 
procedure 
selettive, conformi 
ai 
principi 
del 
comma 
3, volte 
all'accertamento 
della 
professionalità 
richiesta, 
che 
garantiscano 
in 
misura 
adeguata 
l'accesso dall'esterno. L’articolo dispone altresì: 


“3. 
le 
procedure 
di 
reclutamento 
nelle 
pubbliche 
amministrazioni 
si 
conformano 
ai seguenti principi: 


a) adeguata pubblicità della selezione 
e 
modalità di 
svolgimento che 
garantiscano 
l’imparzialità 
e 
assicurino 
economicità 
e 
celerità 
di 
espletamento, 
ricorrendo, ove 
è 
opportuno, all'ausilio di 
sistemi 
automatizzati, diretti 
anche 
a realizzare forme di preselezione; 
b) adozione 
di 
meccanismi 
oggettivi 
e 
trasparenti, idonei 
a verificare 
il 
possesso 
dei 
requisiti 
attitudinali 
e 
professionali 
richiesti 
in 
relazione 
alla 
posizione 
da ricoprire; 
c) rispetto delle pari opportunità tra lavoratrici e lavoratori; 
d) decentramento delle procedure di reclutamento; 
e) 
composizione 
delle 
commissioni 
esclusivamente 
con 
esperti 
di 
provata 
competenza nelle 
materie 
di 
concorso, scelti 
tra funzionari 
delle 
amministrazioni, 
docenti 
ed estranei 
alle 
medesime, che 
non siano componenti 
dell'organo 
di 
direzione 
politica 
dell'amministrazione, 
che 
non 
ricoprano 
cariche 
politiche 
e 
che 
non siano rappresentanti 
sindacali 
o designati 
dalle 
confederazioni 
ed organizzazioni sindacali o dalle associazioni professionali; 
e-ter) possibilità di 
richiedere, tra i 
requisiti 
previsti 
per 
specifici 
profili 


o 
livelli 
di 
inquadramento 
di 
alta 
specializzazione, 
il 
possesso 
del 
titolo 
di 
dottore 
di 
ricerca o del 
master 
universitario di 
secondo livello o l'essere 
stati 
ti(
30) C. Cost., sentenza 
31 ottobre 
1995, n. 478, che 
precisa: 
la 
“regola del 
pubblico concorso, 
applicabile 
anche 
al 
passaggio a funzioni 
superiori 
(sent. n. 313 del 
1994; sent. n. 487 del 
1991 e 
sent. 
n. 
161 
del 
1990), 
non 
esclude 
forme 
diverse 
di 
reclutamento 
e 
di 
copertura 
dei 
posti, 
purché 
rispondano 
a criteri 
di 
ragionevolezza (presenza di 
peculiari 
situazioni 
giustificatrici 
senza automatismi: sent. n. 
314 del 1994; valutazione 
delle 
mansioni 
concretamente 
svolte 
in precedenza: sent. n. 134 del 1995) e 
siano 
comunque 
in 
armonia 
con 
le 
disposizioni 
costituzionali 
e 
tali 
da 
non 
contraddire 
i 
principi 
di 
buon andamento e 
di 
imparzialità dell'amministrazione. Tali 
ultimi 
due 
principi 
costituiscono la base 
comune della previsione concorsuale-selettiva”. 

rASSeGnA 
AvvoCAturA 
DeLLo 
StAto -n. 3/2022 


tolari 
per 
almeno due 
anni 
di 
contratti 
di 
ricerca di 
cui 
all'articolo 22 della 
legge 30 dicembre 2010, n. 240. […] 

3-bis. 
le 
amministrazioni 
pubbliche, 
nel 
rispetto 
della 
programmazione 
triennale 
del 
fabbisogno, 
nonché 
del 
limite 
massimo 
complessivo 
del 
50 
per 
cento 
delle 
risorse 
finanziarie 
disponibili 
ai 
sensi 
della 
normativa 
vigente 
in 
materia 
di 
assunzioni 
ovvero 
di 
contenimento 
della 
spesa 
di 
personale, 
secondo 
i 
rispettivi 
regimi 
limitativi 
fissati 
dai 
documenti 
di 
finanza 
pubblica 
e, 
per 
le 
amministrazioni 
interessate, 
previo 
espletamento 
della 
procedura 
di 
cui 
al 
comma 
4, 
possono 
avviare 
procedure 
di 
reclutamento 
mediante 
concorso 
pubblico: 
a) 
con 
riserva 
dei 
posti, 
nel 
limite 
massimo 
del 
40 
per 
cento 
di 
quelli 
banditi, 
a 
favore 
dei 
titolari 
di 
rapporto 
di 
lavoro 
subordinato 
a 
tempo 
determinato 
che, 
alla 
data 
di 
pubblicazione 
dei 
bandi, 
hanno 
maturato 
almeno 
tre 
anni 
di 
servizio 
alle 
dipendenze 
dell'amministrazione 
che 
emana 
il 
bando; 
b) 
per 
titoli 
ed 
esami, 
finalizzati 
a 
valorizzare, 
con 
apposito 
punteggio, 
l'esperienza 
professionale 
maturata 
dal 
personale 
di 
cui 
alla 
lettera 


a) 
e 
di 
coloro 
che, 
alla 
data 
di 
emanazione 
del 
bando, 
hanno 
maturato 
almeno 
tre 
anni 
di 
contratto 
di 
lavoro 
flessibile 
nell'amministrazione 
che 
emana 
il 
bando. 
[…] 
4. 
le 
determinazioni 
relative 
all'avvio 
di 
procedure 
di 
reclutamento 
sono 
adottate 
da 
ciascuna 
amministrazione 
o 
ente 
sulla 
base 
del 
piano 
triennale 
dei 
fabbisogni 
approvato ai 
sensi 
dell'articolo 6, comma 4. con decreto del 
presidente 
del 
consiglio 
dei 
ministri 
di 
concerto 
con 
il 
ministro 
dell'economia 
e 
delle 
finanze, sono autorizzati 
l'avvio delle 
procedure 
concorsuali 
e 
le 
relative 
assunzioni 
del 
personale 
delle 
amministrazioni 
dello Stato, anche 
ad ordinamento 
autonomo, delle 
agenzie 
e 
degli 
enti 
pubblici 
non economici. 
[…]. 
5. 
Fermo 
restando 
quanto 
previsto 
dall'articolo 
4, 
comma 
3-quinquies 
(31), del 
decreto-legge 
31 agosto 2013, n. 101, convertito, con modificazioni, 
(31) Per il 
quale 
il 
reclutamento dei 
dirigenti 
e 
delle 
figure 
professionali 
comuni 
a 
tutte 
le 
PP.AA. 
di 
cui 
all'articolo 35, comma 
4, t.u.P.i. si 
svolge 
mediante 
concorsi 
pubblici 
unici, nel 
rispetto dei 
principi 
di 
imparzialità, trasparenza 
e 
buon andamento. i concorsi 
unici 
sono organizzati 
dal 
Dipartimento 
della 
funzione 
pubblica 
della 
Presidenza 
del 
Consiglio dei 
Ministri, senza 
nuovi 
o maggiori 
oneri 
per la 
finanza 
pubblica, 
anche 
avvalendosi 
della 
Commissione 
riPAM, 
previa 
ricognizione 
del 
fabbisogno 
presso 
le 
amministrazioni 
interessate, 
nel 
rispetto 
dei 
vincoli 
finanziari 
in 
materia 
di 
assunzioni 
a 
tempo 
indeterminato. il 
Dipartimento della 
funzione 
pubblica, nella 
ricognizione 
del 
fabbisogno, verifica 
le 
vacanze 
riguardanti 
le 
sedi 
delle 
amministrazioni 
ricadenti 
nella 
medesima 
regione. ove 
tali 
vacanze 
risultino riferite 
ad una 
singola 
regione, il 
concorso unico si 
svolge 
in ambito regionale, ferme 
restando 
le 
norme 
generali 
di 
partecipazione 
ai 
concorsi 
pubblici. Le 
PP.AA. di 
cui 
all'articolo 35, comma 
4, del 
t.u.P.i., nel 
rispetto del 
regime 
delle 
assunzioni 
a 
tempo indeterminato, possono assumere 
personale 
solo 
attingendo 
alle 
nuove 
graduatorie 
di 
concorso 
predisposte 
presso 
il 
Dipartimento 
della 
funzione 
pubblica, fino al 
loro esaurimento, provvedendo a 
programmare 
le 
quote 
annuali 
di 
assunzioni. All’evidenza, 
questa 
previsione 
impone 
alle 
amministrazioni 
dello Stato, alle 
agenzie 
e 
agli 
enti 
pubblici 
economici, 
concorsi 
pubblici 
unici 
per il 
reclutamento dei 
dirigenti 
e 
delle 
figure 
professionali 
comuni. il 
trascritto art. 35, comma 
5 ha 
poi 
espressamente 
previsto, seppure 
in termini 
di 
facoltà, che 
anche 
tutte 
le 
restanti 
amministrazioni, 
diverse 
da 
quelle 
centrali, 
possano 
rivolgersi 
al 
Dipartimento 
della 
funzione 
pubblica per l'organizzazione di concorsi unici accentrati o aggregati per dirigenti o figure comuni. 

LeGiSLAzione 
eD 
AttuALità 


dalla legge 
30 ottobre 
2013, n. 125, per 
le 
amministrazioni 
di 
cui 
al 
comma 
4, 
le 
restanti 
amministrazioni 
pubbliche, 
per 
lo 
svolgimento 
delle 
proprie 
procedure 
selettive, possono rivolgersi 
al 
Dipartimento della funzione 
pubblica 
e 
avvalersi 
della 
commissione 
per 
l'attuazione 
del 
progetto 
di 
riqualificazione 
delle 
pubbliche 
amministrazioni 
(ripam). Tale 
commissione 
è 
nominata 
con 
decreto 
del 
ministro 
per 
la 
pubblica 
amministrazione 
[…]. 
la 
commissione: 
a) 
approva 
i 
bandi 
di 
concorso 
per 
il 
reclutamento 
di 
personale 
a 
tempo 
indeterminato; 
b) 
indìce 
i 
bandi 
di 
concorso 
e 
nomina 
le 
commissioni 
esaminatrici; 
c) 
valida 
le 
graduatorie 
finali 
di 
merito 
delle 
procedure 
concorsuali 
trasmesse 
dalle 
commissioni 
esaminatrici; 
d) 
assegna 
i 
vincitori 
e 
gli 
idonei 
delle 
procedure 
concorsuali 
alle 
amministrazioni 
pubbliche 
interessate; 


e) adotta ogni 
ulteriore 
eventuale 
atto connesso alle 
procedure 
concorsuali, 
fatte 
salve 
le 
competenze 
proprie 
delle 
commissioni 
esaminatrici. a 
tali 
fini, 
la commissione 
ripam si 
avvale 
di 
personale 
messo a disposizione 
dall'associazione 
Formez pa. […] 
5.2. 
il 
Dipartimento 
della 
funzione 
pubblica 
[…] 
elabora 
[…] 
linee 
guida 
di 
indirizzo amministrativo sullo svolgimento delle 
prove 
concorsuali 
e 
sulla 
valutazione 
dei 
titoli, ispirate 
alle 
migliori 
pratiche 
a livello nazionale 
e 
internazionale 
in materia di 
reclutamento del 
personale, nel 
rispetto della normativa, 
anche regolamentare, vigente in materia (32). […] 
5-bis. i vincitori 
dei 
concorsi 
devono permanere 
nella sede 
di 
prima destinazione 
per 
un periodo non inferiore 
a cinque 
anni, ad eccezione 
dei 
direttori 
dei 
servizi 
generali 
e 
amministrativi 
delle 
istituzioni 
scolastiche 
ed 
educative 
che 
permangono nella sede 
di 
prima destinazione 
per 
un periodo 
non inferiore 
a tre 
anni. la presente 
disposizione 
costituisce 
norma non derogabile 
dai contratti collettivi. 

5-ter. 
le 
graduatorie 
dei 
concorsi 
per 
il 
reclutamento 
del 
personale 
presso le 
amministrazioni 
pubbliche 
rimangono vigenti 
per 
un termine 
di 
due 
anni 
dalla data di 
approvazione. Sono fatti 
salvi 
i 
periodi 
di 
vigenza inferiori 
previsti 
da 
leggi 
regionali. 
il 
principio 
della 
parità 
di 
condizioni 
per 
l'accesso 
ai 
pubblici 
uffici 
è 
garantito, mediante 
specifiche 
disposizioni 
del 
bando, con 
riferimento 
al 
luogo 
di 
residenza 
dei 
concorrenti, 
quando 
tale 
requisito 
sia 
strumentale 
all'assolvimento di 
servizi 
altrimenti 
non attuabili 
o almeno non 
attuabili con identico risultato. […] 


7. il 
regolamento sull'ordinamento degli 
uffici 
e 
dei 
servizi 
degli 
enti 
locali 
disciplina 
le 
dotazioni 
organiche, 
le 
modalità 
di 
assunzione 
agli 
impieghi, 
i 
requisiti 
di 
accesso 
e 
le 
procedure 
concorsuali, 
nel 
rispetto 
dei 
principi 
fissati 
dai commi precedenti”. 
ulteriori 
norme 
generali 
di 
riferimento 
si 
rinvengono, 
oltre 
al 
citato 
art. 
35, 
nel 
D.P.r. 
9 
maggio 
1994, 
n. 
487 
(regolamento 
recante 
norme 
sull'accesso 
agli 


(32) Per le linee guida previste dal citato comma: Direttiva 24 aprile 2018, n. 3/2018. 

rASSeGnA 
AvvoCAturA 
DeLLo 
StAto -n. 3/2022 


impieghi 
nelle 
pubbliche 
amministrazioni 
e 
le 
modalità 
di 
svolgimento 
dei 
concorsi, 
dei 
concorsi 
unici 
e 
delle 
altre 
forme 
di 
assunzione 
nei 
pubblici 
impieghi, 
oggetto 
di 
rinvio 
formale 
dall’art. 
70, 
comma 
13 
attribuente 
al 
detto 
regolamento 
un 
rango 
legislativo) 
(33), 
nel 
D.P.r. 
24 
settembre 
2004, 
n. 
272 
(regolamento 
di 
disciplina 
in 
materia 
di 
accesso 
alla 
qualifica 
di 
dirigente) 
e 
nel 
D.P.r. 
16 
aprile 
2013, 
n. 
70 
(regolamento 
recante 
riordino 
del 
sistema 
di 
reclutamento 
e 
formazione 
dei 
dipendenti 
pubblici 
e 
delle 
Scuole 
pubbliche 
di 
formazione). 


5.2. contenuto della preparazione richiesta ai candidati. 
Circa 
il 
contenuto della 
preparazione 
richiesta 
in capo ai 
candidati 
ci 
si 
può riferire ai modelli francese ed inglese. 


nell’amministrazione 
pubblica 
francese, 
la 
componente 
giuridica 
è 
molto 
forte, i 
laureati 
in diritto sono favoriti 
nell’accesso alla 
pubblica 
amministrazione. 
nel 
regno unito vi 
è 
un ruolo limitato dell’elemento giuridico; 
scarso 
è 
il 
personale 
amministrativo di 
formazione 
giuridica. La 
burocrazia 
ha 
una 
formazione 
generalista 
(lettere 
classiche, filosofia, scienze 
politiche 
ecc.). Al 
ruolo 
secondario 
della 
formazione 
giuridica 
fa 
riscontro 
uno 
sviluppo 
limitato 
della stessa cultura giuridica amministrativa (34). 


L’ordinamento giuridico italiano è 
sempre 
stato caratterizzato dalla 
prevalenza, 
alla 
luce 
dei 
compiti 
da 
svolgere, dell’elemento giuridico. Ciò anche 
nell’attuale 
momento 
storico 
in 
cui 
si 
tende 
ad 
una 
gestione 
economicistica 
della 
P.A. vuol 
dirsi 
che 
vi 
è 
una 
accentuata 
formalizzazione 
dell’attività 
amministrativa. 
Quest’ultima 
deve 
svolgersi 
secondo 
schemi 
predeterminati 
e 
trasparenti, finalizzati 
a 
garantire 
la 
collettività 
contro il 
rischio di 
un uso distorto 
dei 
poteri 
sovraordinati 
e 
delle 
risorse 
pubbliche. 
La 
formalizzazione 
riguarda, tra 
l’altro, le 
modalità 
di 
svolgimento delle 
operazioni 
tecnico-economiche, 
la 
definizione 
dei 
tempi 
di 
svolgimento dell’attività, la 
concretizzazione 
delle 
decisioni 
a 
rilevanza 
esterna 
in un atto formale 
(ad esempio: 
una 
delibera 
del 
direttore 
generale), la 
definizione 
di 
alcuni 
elementi 
che 
devono 
essere 
necessariamente 
presenti 
nell’atto 
formale 
(ad 
esempio: 
la 
motivazione 
con i requisiti di cui all’art. 3 L. n. 241/1990) (35). 


A 
termini 
dell’art. 37 i 
bandi 
di 
concorso per l'accesso alle 
PP.AA. prevedono 
l'accertamento 
della 
conoscenza 
dell'uso 
delle 
apparecchiature 
e 
delle 
applicazioni 
informatiche 
più diffuse 
e 
della 
lingua 
inglese, nonché, ove 
op


(33) nella 
recente 
legislazione 
si 
tende 
a 
semplificare 
le 
procedure 
contenute 
nei 
testi 
standard. 
A 
tal 
fine 
si 
richiama 
l’art. 14, comma 
10 ter, D.L. 28 gennaio 2019, n. 4, conv. l. 28 marzo 2019, n. 26, 
in relazione 
ai 
concorsi 
pubblici 
ivi 
disciplinati 
per il 
reclutamento del 
personale 
degli 
uffici 
giudiziari, 
anche in deroga alla disciplina prevista dal regolamento di cui al D.P.r. n. 487/1994. 
(34) 
Su 
tali 
concetti: 
S. 
CASSeSe, 
il 
diritto 
amministrativo: 
storia 
e 
prospettive, 
Giuffré, 
2010, 
pp. 
59 e ss. e 84 e ss. 
(35) 
M. 
CuCCinieLLo, 
G. 
FAttore, 
F. 
LonGo, 
e. 
riCCiuti, 
A. 
turrini, 
management 
pubblico, 
cit., 
pp. 35-36. 

LeGiSLAzione 
eD 
AttuALità 


portuno 
in 
relazione 
al 
profilo 
professionale 
richiesto, 
di 
altre 
lingue 
straniere. 


in materia 
di 
formazione 
del 
personale 
-negli 
ultimi 
anni 
-si 
è 
ravvisata 
la 
necessità 
di 
rafforzare 
la 
capacità 
strategico-decisionale 
del 
management 
pubblico, in quanto risulta 
focale 
saper trovare 
soluzioni 
in modo rapido, mirato 
e 
al 
contempo trasparente, saper leggere 
la 
complessità 
ed agire 
in direzione 
di 
una 
maggiore 
integrazione 
tra 
ruolo e 
competenze, che 
sempre 
di 
più 
devono 
allinearsi 
in 
ragione 
di 
obiettivi 
da 
raggiungere, 
responsabilità, 
risorse 
disponibili ed impiegate. 


5.3. piano triennale 
dei 
fabbisogni 
di 
personale 
e 
piano integrato di 
attività 
e organizzazione. 
piano triennale dei fabbisogni di personale. 


Strumento 
programmatorio 
necessario 
-per 
ogni 
P.A. 
-al 
fine 
di 
selezionare 
le 
risorse 
umane 
è 
il 
piano 
triennale 
dei 
fabbisogni 
di 
personale 
(P.t.F.P.). 
Sul 
punto 
l’art. 
6, 
commi 
2 
e 
3, 
dispone: 
“2. 
allo 
scopo 
di 
ottimizzare 
l'impiego 
delle 
risorse 
pubbliche 
disponibili 
e 
perseguire 
obiettivi 
di 
performance 
organizzativa, 
efficienza, 
economicità 
e 
qualità 
dei 
servizi 
ai 
cittadini, 
le 
amministrazioni 
pubbliche 
adottano 
il 
piano 
triennale 
dei 
fabbisogni 
di 
personale, 
in 
coerenza 
con 
la 
pianificazione 
pluriennale 
delle 
attività 
e 
della 
performance, 
nonché 
con 
le 
linee 
di 
indirizzo 
emanate 
ai 
sensi 
dell'articolo 
6-ter. 
Qualora 
siano 
individuate 
eccedenze 
di 
personale, 
si 
applica 
l'articolo 
33. 
nell'ambito 
del 
piano, 
le 
amministrazioni 
pubbliche 
curano 
l'ottimale 
distribuzione 
delle 
risorse 
umane 
attraverso 
la 
coordinata 
attuazione 
dei 
processi 
di 
mobilità 
e 
di 
reclutamento 
del 
personale, 
anche 
con 
riferimento 
alle 
unità 
di 
cui 
all'articolo 
35, 
comma 
2. 
il 
piano 
triennale 
indica 
le 
risorse 
finanziarie 
destinate 
al-
l'attuazione 
del 
piano, 
nei 
limiti 
delle 
risorse 
quantificate 
sulla 
base 
della 
spesa 
per 
il 
personale 
in 
servizio 
e 
di 
quelle 
connesse 
alle 
facoltà 
assunzionali 
previste 
a 
legislazione 
vigente. 
3. 
in 
sede 
di 
definizione 
del 
piano 
di 
cui 
al 
comma 
2, 
ciascuna 
amministrazione 
indica 
la 
consistenza 
della 
dotazione 
organica 
e 
la 
sua 
eventuale 
rimodulazione 
in 
base 
ai 
fabbisogni 
programmati 
e 
secondo 
le 
linee 
di 
indirizzo 
di 
cui 
all'articolo 
6-ter, 
nell'ambito 
del 
potenziale 
limite 
finanziario 
massimo 
della 
medesima 
e 
di 
quanto 
previsto 
dall'articolo 
2, 
comma 
10-bis, 
del 
decreto-legge 
6 
luglio 
2012, 
n. 
95, 
convertito, 
con 
modificazioni, 
dalla 
legge 
7 
agosto 
2012, 
n. 
135, 
garantendo 
la 
neutralità 
finanziaria 
della 
rimodulazione. 
resta 
fermo 
che 
la 
copertura 
dei 
posti 
vacanti 
avviene 
nei 
limiti 
delle 
assunzioni 
consentite 
a 
legislazione 
vigente” 
(36). 


(36) 
Giusta 
il 
comma 
4 
dell’art. 
6: 
“nelle 
amministrazioni 
statali, 
il 
piano 
di 
cui 
al 
comma 
2, 
adottato annualmente 
dall'organo di 
vertice, è 
approvato, anche 
per 
le 
finalità di 
cui 
all'articolo 35, 
comma 4, con decreto del 
presidente 
del 
consiglio dei 
ministri 
o del 
ministro delegato, su proposta del 
ministro competente, di 
concerto con il 
ministro dell'economia e 
delle 
finanze. per 
le 
altre 
amministrazioni 
pubbliche 
il 
piano triennale 
dei 
fabbisogni, adottato annualmente 
nel 
rispetto delle 
previsioni 
di 
cui 
ai 
commi 
2 e 
3, è 
approvato secondo le 
modalità previste 
dalla disciplina dei 
propri 
ordinamenti. 

rASSeGnA 
AvvoCAturA 
DeLLo 
StAto -n. 3/2022 


La 
definizione 
del 
Piano dei 
fabbisogni, deve 
tener conto dei 
contenuti 
delle 
linee 
di 
indirizzo per la 
pianificazione 
dei 
fabbisogni 
di 
personale 
di 
cui 
all’art. 6 ter 
(37). 


La 
programmazione 
triennale 
del 
fabbisogno 
delle 
dotazioni 
organiche 
costituisce 
presupposto 
per 
effettuare 
nuove 
assunzioni 
di 
personale, 
giusta 
l’art. 6, comma 
6, a 
tenore 
del 
quale: 
“le 
amministrazioni 
pubbliche 
che 
non 
provvedono 
agli 
adempimenti 
di 
cui 
al 
presente 
articolo 
non 
possono 
assumere 
nuovo personale”. 


piano integrato di attività e organizzazione. 


Giusta 
l’art. 
6 
D.L. 
9 
giugno 
2021, 
n. 
80, 
conv. 
L. 
6 
agosto 
2021, 
n. 
113, 
le 
PP.AA. 
con 
più 
di 
cinquanta 
dipendenti 
-con 
esclusione 
delle 
scuole 
di 
ogni 
ordine 
e 
grado 
e 
delle 
istituzioni 
educative, 
di 
cui 
all’art. 
1, 
comma 
2, 


t.u.P.i. 
-entro 
il 
31 
gennaio 
di 
ogni 
anno 
adottano 
il 
Piano 
integrato 
di 
attività 
e 
organizzazione 
(PiAo), 
il 
quale 
assorbe, 
tra 
l’altro, 
i 
contenuti 
del 
Piano 
triennale 
dei 
fabbisogni 
di 
personale. 
Le 
PP.AA. 
con 
meno 
di 
cinquanta 
dipendenti 
-escluse 
sempre 
le 
scuole 
di 
ogni 
ordine 
e 
grado 
e 
le 
istituzioni 
educative 
-sono 
comunque 
tenute 
alla 
adozione 
di 
un 
PiAo 
con 
modalità 
semplificate 
(38). 
il 
Piano 
ha 
durata 
triennale, 
viene 
aggiornato 
annualmente 
e 
definisce: 


a) 
gli 
obiettivi 
programmatici 
e 
strategici 
della 
performance 
secondo 
i 
principi 
e 
criteri 
direttivi 
di 
cui 
all’art. 10 D. L.vo 27 ottobre 
2009, n. 150; 
b) 
la 
strategia 
di 
gestione 
del 
capitale 
umano e 
di 
sviluppo organizzativo, anche 
mediante 
il 
ricorso al 
lavoro agile, e 
gli 
obiettivi 
formativi 
annuali 
e 
pluriennali, 
finalizzati 
ai 
processi 
di 
pianificazione 
secondo le 
logiche 
del 
project 
management, 
al 
raggiungimento della 
completa 
alfabetizzazione 
digitale, allo sviluppo 
delle 
conoscenze 
tecniche 
e 
delle 
competenze 
trasversali 
e 
manageriali 
e 
all’accrescimento culturale 
e 
dei 
titoli 
di 
studio del 
personale, correlati 
all’ambito 
d’impiego e 
alla 
progressione 
di 
carriera 
del 
personale; 
c) gli 
strumenti 
e 
gli 
obiettivi 
del 
reclutamento di 
nuove 
risorse 
e 
della 
valorizzazione 
delle 
risorse 
interne, prevedendo, oltre 
alle 
forme 
di 
reclutamento ordinario, 
la 
percentuale 
di 
posizioni 
disponibili 
nei 
limiti 
stabiliti 
dalla 
legge 
destinata 
alle 
progressioni 
di 
carriera 
del 
personale, 
anche 
tra 
aree 
diverse, 
e 
le 
modalità 
di 
valorizzazione 
a 
tal 
fine 
dell’esperienza 
professionale 
maturata 
e 
dell’accrescimento 
culturale 
conseguito, assicurando adeguata 
informazione 
alle 
organizzazioni 
sindacali; 
d) 
gli 
strumenti 
e 
le 
fasi 
per 
giungere 
alla 
piena 
trasparenza 
dei 
risultati 
dell’attività 
e 
dell’organizzazione 
amministrativa 
non-
nell'adozione 
degli 
atti 
di 
cui 
al 
presente 
comma, è 
assicurata la preventiva informazione 
sindacale, 
ove prevista nei contratti collettivi nazionali”. 


(37) Le 
linee 
di 
indirizzo sono state 
emanate 
in data 
8 maggio 2018 dal 
Ministro per la 
semplificazione 
e la pubblica amministrazione. 
(38) Per una 
introduzione 
al 
tema: 
A.M. SAvAzzi, r. CArDAMone, 
il 
piano integrato di 
attività e 
organizzazione (piao), in azienditalia, 2022, 4, pp. 775 e ss. 

LeGiSLAzione 
eD 
AttuALità 


ché 
per 
raggiungere 
gli 
obiettivi 
in 
materia 
di 
contrasto 
alla 
corruzione, 
in 
conformità 
agli 
indirizzi 
adottati 
dall’Autorità 
nazionale 
anticorruzione 
(AnAC) 
con il 
Piano nazionale 
anticorruzione; 
e) 
l'elenco delle 
procedure 
da 
semplificare 
e 
reingegnerizzare 
ogni 
anno, anche 
mediante 
il 
ricorso alla 
tecnologia 
e 
sulla 
base 
della 
consultazione 
degli 
utenti, nonché 
la 
pianificazione 
delle 
attività 
inclusa 
la 
graduale 
misurazione 
dei 
tempi 
effettivi 
di 
completamento 
delle 
procedure 
effettuata 
attraverso 
strumenti 
automatizzati; 
f) 
le 
modalità 
e 
le 
azioni 
finalizzate 
a 
realizzare 
la 
piena 
accessibilità 
alle 
amministrazioni, 
fisica 
e 
digitale, da 
parte 
dei 
cittadini 
ultrasessantacinquenni 
e 
dei 
cittadini 
con disabilità; 
g) 
le 
modalità 
e 
le 
azioni 
finalizzate 
al 
pieno rispetto della 
parità 
di 
genere, 
anche 
con 
riguardo 
alla 
composizione 
delle 
commissioni 
esaminatrici 
dei concorsi. 


L’art. 6, comma 
6, D.L. n. 80/2021 dispone 
che 
con decreto del 
Ministro 
per la 
P.A., di 
concerto con il 
Ministro dell’economia 
e 
delle 
finanze, previa 
intesa 
in sede 
di 
Conferenza 
unificata, ai 
sensi 
dell’art. 9, comma 
2, D.L.vo 
28 agosto 1997, n. 281 è 
adottato un Piano tipo, quale 
strumento di 
supporto 
alle 
PP.AA. 
(39); 
dispone 
altresì 
che 
nel 
Piano 
tipo 
sono 
definite 
modalità 
semplificate 
per l’adozione 
del 
Piano da 
parte 
delle 
PP.AA. con meno di 
cinquanta 
dipendenti. 


il 
PiAo, 
in 
funzione 
della 
semplificazione, 
assorbe 
il 
contenuto 
di 
molteplici 
piani 
aventi 
ad 
oggetto 
vari 
aspetti 
dell’organizzazione 
delle 
risorse 
umane 
delle 
Amm.ni. 
tanto 
sulla 
base 
del 
disposto 
del 
comma 
5 
dell’art.6 


D.L. 
n. 
80/2021 
secondo 
cui 
con 
uno 
o 
più 
D.P.r., 
adottati 
ai 
sensi 
dell’art. 
17, 
comma 
2, 
L. 
23 
agosto 
1988, 
n. 
400, 
previa 
intesa 
in 
sede 
di 
Conferenza 
unificata, 
ai 
sensi 
dell’art.9, 
comma 
2, 
D.L.vo 
n. 
281/1997, 
sono 
individuati 
e 
abrogati 
gli 
adempimenti 
relativi 
ai 
piani 
assorbiti 
da 
quello 
di 
cui 
al 
presente 
articolo. 
in 
attuazione 
della 
disposizione 
in 
esame 
è 
stato 
adottato 
il 
D.P.r. 
24 
giugno 
2022, 
n. 
81 
(regolamento 
recante 
individuazione 
degli 
adempimenti 
relativi 
ai 
Piani 
assorbiti 
dal 
Piano 
integrato 
di 
attività 
e 
organizzazione). 
in 
specie, 
per 
le 
PP.AA. 
con 
più 
di 
cinquanta 
dipendenti, 
sono 
soppressi, 
in 
quanto 
assorbiti 
nelle 
apposite 
sezioni 
del 
PiAo, 
gli 
adempimenti 
inerenti 
ai 
piani 
di 
cui 
alle 
seguenti 
disposizioni: 
a) 
Piano 
triennale 
dei 
fabbisogni 
di 
personale 
ex 
art. 
6, 
commi 
1 
e 
4; 
b) 
Piano 
delle 
azioni 
concrete 
ex 
artt. 
60 
bis 
e 
60 
ter; 
c) 
Piano 
per 
razionalizzare 
l’utilizzo 
delle 
dotazioni 
strumentali, 
anche 
informatiche, 
che 
corredano 
le 
stazioni 
di 
lavoro 
nell’automazione 
d’ufficio 
ex 
art. 
2, 
comma 
594, 
lettera 
a), 
L. 
24 
dicembre 
2007, 
n. 
244; 
d) 
Piano 
della 
performance 
ex 
art.10, 
commi 
1, 
lettera 
a), 
e 
1 
ter, 
D.L.vo 
n. 
150/2009; 
e) 
Piano 
di 
prevenzione 
della 
corruzione 
ex 
art. 
1, 
commi 
5, 
lettera 
a) 
e 
60, 
lettera 
a), 
L. 
6 
novembre 
2012, 
n. 
190; 
f) 
Piano 
or(
39) 
in 
attuazione 
della 
disposizione 
in 
esame 
è 
stato 
adottato 
il 
D.M. 
30 
giugno 
2022, 
n. 
132 
(regolamento recante definizione del contenuto del Piano integrato di attività e organizzazione). 

rASSeGnA 
AvvoCAturA 
DeLLo 
StAto -n. 3/2022 


ganizzativo 
del 
lavoro 
agile 
ex 
art. 
14, 
comma 
1, 
della 
legge 
7 
agosto 
2015, 


n. 
124; 
g) 
Piani 
di 
azioni 
positive 
ex 
art. 
48, 
comma 
1, 
D.L.vo 
11 
aprile 
2006, 
n. 
198 
(40). 
Per le 
PP.AA. tenute 
alla 
redazione 
del 
PiAo, tutti 
i 
richiami 
ai 
piani 
innanzi 
individuati 
sono da 
intendersi 
come 
riferiti 
alla 
corrispondente 
sezione 
del PiAo. 

Le 
PP.AA. 
con 
non 
più 
di 
cinquanta 
dipendenti 
sono 
tenute 
al 
rispetto 
degli 
adempimenti 
stabiliti 
nel 
decreto del 
Ministro della 
P.A. di 
cui 
all’art. 6, 
comma 
6, 
D.L. 
n. 
80/2021. 
Dalla 
complessiva 
disciplina 
emerge 
che 
i 
Comuni 
con 
meno 
di 
50 
dipendenti 
sono 
obbligati 
a 
continuare 
ad 
adottare 
i 
singoli 
piani nonché il PiAo. 


il 
PiAo 
è 
adottato dagli 
organi 
di 
indirizzo politico e 
per le 
PP.AA. che 
ne 
sono sprovviste, dagli 
organi 
di 
vertice 
in relazione 
agli 
specifici 
ordinamenti; 
negli 
enti 
locali 
il 
piano è 
approvato dalla 
giunta 
(art. 11 D.M. 30 giugno 
2022, n. 132). Le 
regioni, per quanto riguarda 
le 
aziende 
e 
gli 
enti 
del 
Servizio sanitario nazionale, adeguano i 
rispettivi 
ordinamenti 
ai 
principi 
di 
cui 
all’art. 
6 
D.L. 
n. 
80/2021 
e 
ai 
contenuti 
del 
Piano 
tipo 
definiti 
con 
il 
decreto 
del Ministro della P.A. di cui all’art. 6, comma 6, D.L. n. 80/2021. 


Le 
PP.AA. pubblicano il 
PiAo 
e 
i 
relativi 
aggiornamenti 
entro il 
31 gennaio 
di 
ogni 
anno nel 
proprio sito internet 
istituzionale 
e 
li 
inviano al 
Dipartimento 
della 
funzione 
pubblica 
della 
Presidenza 
del 
Consiglio dei 
ministri 
per 
la pubblicazione sul relativo portale. 


in caso di 
mancata 
adozione 
del 
PiAo 
è 
fatto divieto di 
erogazione 
della 
retribuzione 
di 
risultato ai 
dirigenti 
che 
risultano avere 
concorso alla 
mancata 
adozione 
del 
Piano, 
per 
omissione 
o 
inerzia 
nell’adempimento 
dei 
propri 
compiti, 
e 
l’amministrazione 
non 
può 
procedere 
ad 
assunzioni 
di 
personale 
o 
al 
conferimento di 
incarichi 
di 
consulenza 
o di 
collaborazione 
comunque 
denominati. 
nei 
casi 
in cui 
la 
mancata 
adozione 
del 
Piano dipenda 
da 
omissione 
o 
inerzia 
dell’organo di 
indirizzo politico-amministrativo, l’erogazione 
dei 
trattamenti 
e 
delle 
premialità 
di 
cui 
al 
titolo iii del 
D.L.vo n.150/2009 è 
fonte 
di 


(40) 
Questo 
orientamento 
semplificatorio 
obbedisce 
ad 
ovvi 
principi 
di 
buon 
andamento 
della 
P.A. in dottrina 
-prima 
della 
novella 
del 
2021 introducente 
il 
PiAo 
-si 
era 
rilevato che 
“Sarebbe 
auspicabile 
la fusione 
(per 
incorporazione) del 
piano triennale 
dei 
fabbisogni 
del 
personale 
nel 
piano 
della performance. ambedue 
i 
piani 
hanno un orizzonte 
triennale. le 
risorse 
umane, in fondo, costituiscono 
un aspetto del 
piano della performance: i 
mezzi 
umani 
per 
realizzare 
gli 
obiettivi 
strategici 
ed 
operativi. l’unificazione 
dei 
piani 
comporterebbe 
altresì 
l’eliminazione 
della rincorsa reciproca tra i 
due 
piani. per 
vero, l’optimum 
a livello programmatorio è 
l’adozione 
di 
un unico piano che 
inglobi: piano 
della performance; -piano triennale 
dei 
fabbisogni 
del 
personale 
(strumentale, sotto il 
profilo 
delle 
risorse 
umane, 
alla 
realizzazione 
degli 
obiettivi 
declinati 
nel 
piano 
della 
performance); 
-bilancio 
(strumentale, 
sotto 
il 
profilo 
delle 
risorse 
finanziarie, 
alla 
realizzazione 
degli 
obiettivi 
declinati 
nel 
piano della performance); -piano triennale 
delle 
azioni 
positive 
e 
piano di 
prevenzione 
della corruzione 
e 
della trasparenza (contenenti 
obiettivi 
reputati 
connotativi 
dell’ente)” 
(così 
M. GerArDo, la 
selezione della burocrazia in italia nell’attuale momento storico, cit., pp. 280-281). 

LeGiSLAzione 
eD 
AttuALità 


responsabilità 
amministrativa 
del 
titolare 
dell’organo che 
ne 
ha 
dato disposizione 
e che ha concorso alla mancata adozione del Piano. 


5.4. 
presupposti 
delle 
assunzioni 
delle 
risorse 
umane 
(vincoli 
scaturenti 
dalla 
necessità della adozione di atti generali). 
nella 
recente 
legislazione 
si 
è 
condizionata 
la 
possibilità 
di 
assunzione 
delle 
risorse 
umane 
alla 
previa 
adozione 
di 
atti, di 
solito di 
carattere 
generale. 


L’assenza 
di 
tali 
atti 
rende 
illegittime 
le 
assunzioni. trattasi 
di 
un modo 
ruvido di 
“costringere” 
le 
amministrazione 
ad adottare 
atti 
reputati 
necessari 
e strategici per la vita dell’ente. 


All’uopo 
si 
richiamano, 
quali 
circostanze 
condizionanti 
le 
assunzioni 
oltre 
al 
sopracitato 
Piano 
triennale 
dei 
fabbisogni 
di 
personale 
-i 
seguenti 
atti: 


-gli 
adempimenti 
collegati 
alla 
approvazione 
dei 
bilanci 
di 
previsione, 
dei rendiconti e del bilancio consolidato (41); 
- l’approvazione del Piano della 
performance 
(42); 
- l’approvazione del Piano triennale delle 
Azioni Positive (43). 
5.5. atti 
prodromici 
al 
procedimento concorsuale 
(scorrimento della graduatoria; 
mobilità). 
Prima 
dell’espletamento 
delle 
procedure 
concorsuali, 
l’amministrazione 


(41) Art. 9, commi 
1-quinquies, 1-sexies, 1-septies 
D.l. 24 giugno 2016, n. 113, conv. l. 7 agosto 
2016, n. 160 secondo cui: 
“1-quinquies. in caso di 
mancato rispetto dei 
termini 
previsti 
per 
l'approvazione 
dei 
bilanci 
di 
previsione, 
dei 
rendiconti 
e 
del 
bilancio 
consolidato, 
nonché 
di 
mancato 
invio, 
entro 
trenta giorni 
dal 
termine 
previsto per 
l'approvazione, dei 
relativi 
dati 
alla banca dati 
delle 
amministrazioni 
pubbliche 
di 
cui 
all'articolo 13 della legge 
31 dicembre 
2009, n. 196, compresi 
i 
dati 
aggregati 
per 
voce 
del 
piano dei 
conti 
integrato, gli 
enti 
territoriali, ferma restando per 
gli 
enti 
locali 
che 
non rispettano 
i 
termini 
per 
l'approvazione 
dei 
bilanci 
di 
previsione 
e 
dei 
rendiconti 
la 
procedura 
prevista 
dall'articolo 141 del 
testo unico di 
cui 
al 
decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, non possono procedere 
ad 
assunzioni 
di 
personale 
a 
qualsiasi 
titolo, 
con 
qualsivoglia 
tipologia 
contrattuale, 
ivi 
compresi 
i 
rapporti 
di 
collaborazione 
coordinata e 
continuativa e 
di 
somministrazione, anche 
con riferimento ai 
processi 
di 
stabilizzazione 
in atto, fino a quando non abbiano adempiuto. È 
fatto altresì 
divieto di 
stipulare 
contratti 
di 
servizio con soggetti 
privati 
che 
si 
configurino come 
elusivi 
della disposizione 
del 
precedente 
periodo. 1-sexies. la misura di 
cui 
al 
comma 1-quinquies 
si 
applica alle 
regioni 
e 
alle 
province 
autonome 
di 
Trento e 
di 
bolzano in caso di 
ritardo oltre 
il 
30 aprile 
nell'approvazione 
preventiva 
del 
rendiconto da parte 
della giunta, per 
consentire 
la parifica da parte 
delle 
sezioni 
regionali 
di 
controllo 
della corte 
dei 
conti, ai 
sensi 
dell'articolo 18, comma 1, lettera b), del 
decreto legislativo 23 giugno 
2011, n. 118; essa non si 
applica in caso di 
ritardo nell'approvazione 
definitiva del 
rendiconto da 
parte 
del 
consiglio. 1-septies. per 
le 
regioni 
e 
le 
province 
autonome 
di 
Trento e 
di 
bolzano, la misura 
di 
cui 
al 
comma 1-quinquies 
si 
applica sia in caso di 
ritardo nella trasmissione 
dei 
dati 
relativi 
al 
rendiconto 
approvato 
dalla 
giunta 
per 
consentire 
la 
parifica 
delle 
sezioni 
regionali 
di 
controllo 
della 
corte 
dei 
conti, sia in caso di 
ritardo nella trasmissione 
dei 
dati 
relativi 
al 
rendiconto definitivamente 
approvato 
dal consiglio”. 
(42) Art. 10, comma 
5, D.L.vo 27 ottobre 
2009, n. 150: 
“in caso di 
mancata adozione 
del 
piano 
della performance 
[…] 
l'amministrazione 
non può procedere 
ad assunzioni 
di 
personale 
o al 
conferimento 
di incarichi di consulenza o di collaborazione comunque denominati”. 
(43) Art. 48 D.L.vo 11 aprile 2006, n. 198, richiamante l’art. 6, comma 6, t.u.P.i. 

rASSeGnA 
AvvoCAturA 
DeLLo 
StAto -n. 3/2022 


è 
tenuta 
a 
determinati 
adempimenti, 
funzionali 
alla 
razionale 
riallocazione 
del 
personale 
nell’ambito 
del 
settore 
pubblico 
globalmente 
inteso. 
in 
tale 
evenienza 
la 
procedura 
concorsuale 
è 
subordinata, 
ad 
esempio, 
alla 
previa 
obbligatoria 
attivazione 
della 
procedura 
di 
mobilità, 
in 
attuazione 
dei 
fondamentali 
principi 
di 
imparzialità 
e 
buon 
andamento, 
predicati 
dall'articolo 
97 
Cost. 
il 
detto 
obbligo 
è 
stato 
introdotto 
in 
coerenza 
con 
l’obiettivo 
di 
contenimento 
dei 
costi 
della 
spesa 
pubblica, 
in 
base 
al 
quale 
l’amministrazione 
è 
tenuta 
a 
curare 
“l’ottimale 
distribuzione 
delle 
risorse 
umane 
attraverso 
la 
coordinata 
attuazione 
dei 
processi 
di 
mobilità 
e 
di 
reclutamento 
del 
personale” 
(art. 
6, 
comma 
2). 


Scorrimento della graduatoria. 


Con la 
dizione 
“scorrimento della graduatoria” 
si 
fa 
riferimento alla 
fattispecie 
della 
vigenza 
di 
pregresse 
graduatorie 
in 
relazione 
alla 
categoria 
e 
profilo di 
cui 
necessita 
la 
P.A. giusta 
l’art. 35, comma 
5 
ter, “le 
graduatorie 
dei 
concorsi 
per 
il 
reclutamento 
del 
personale 
presso 
le 
amministrazioni 
pubbliche 
rimangono vigenti 
per 
un termine 
di 
due 
anni 
dalla data di 
pubblicazione”. 
in applicazione 
di 
tale 
regola, ove 
nel 
biennio si 
crea 
una 
vacanza 
in 
organico l’Amm.ne è tenuta ad attingere a graduatorie vigenti. 


mobilità. 


La 
mobilità, ossia 
il 
passaggio del 
dipendente 
da 
una 
P.A. ad altra 
P.A. consente 
di 
acquisire 
personale 
già 
formato e 
con esperienza 
nel 
ruolo, garantendo 
un evidente 
risparmio di 
tempi 
e 
di 
spesa. essendo rivolta 
a 
personale 
già 
ritenuto idoneo allo svolgimento delle 
mansioni 
proprie 
del 
profilo professionale 
richiesto, il 
dipendente 
non può essere 
nuovamente 
sottoposto ad 
una 
prova 
selettiva 
al 
fine 
di 
valutarne 
l’idoneità: 
tale 
valutazione 
potrebbe 
essere 
considerata 
un 
semplice 
pretesto 
per 
eludere 
il 
contenimento 
della 
spesa 
pubblica 
e 
ricorrere 
comunque 
alla 
successiva 
procedura 
concorsuale. vanno 
distinte due tipi di mobilità esterna: mobilità d’ufficio e mobilità volontaria. 


mobilità 
d’ufficio. 
L’art. 
34 
bis, 
comma 
1, 
prescrive 
che 
le 
PP.AA., 
ad 
eccezione 
delle 
categorie 
escluse 
ex art. 3 “prima di 
avviare 
le 
procedure 
di 
assunzione 
di 
personale, sono tenute 
a comunicare 
ai 
soggetti 
di 
cui 
all'articolo 
34, commi 
2 e 
3, l'area, il 
livello e 
la sede 
di 
destinazione 
per 
i 
quali 
si 
intende 
bandire 
il 
concorso nonché, se 
necessario, le 
funzioni 
e 
le 
eventuali 
specifiche idoneità richieste”. 


La 
gestione 
delle 
eccedenze 
ex artt. 33, 34 e 
34 bis 
va 
effettuata 
prima 
della 
mobilità 
volontaria, come 
risulta 
dalla 
sequenza 
degli 
adempimenti 
descritti 
nel 
comma 
2 dell’art. 6 ed altresì 
dal 
disposto di 
cui 
all’art. 4, comma 
3 bis, D.L. n. 101/2013 secondo cui 
al 
fine 
della 
copertura 
dei 
posti 
in organico, 
è 
comunque 
necessaria 
la 
previa 
attivazione 
della 
procedura 
prevista 
dal-
l'art. 33, in materia di trasferimento unilaterale del personale eccedentario. 


Le 
risorse 
umane 
interessate 
alla 
mobilità 
sono quelle 
c.d. eccedentarie, 
ossia 
risultanti 
esuberanti 
presso l’ente 
di 
appartenenza. in tale 
evenienza 
va 
osservata 
la 
disciplina 
contenuta 
nei 
citati 
artt. 33, 34 e 
34 bis, prevedente 
un 



LeGiSLAzione 
eD 
AttuALità 


forte 
coordinamento 
del 
Dipartimento 
della 
funzione 
pubblica. 
il 
procedimento 
è così riassumibile: 


-accertamento 
di 
situazioni 
di 
soprannumero 
o 
di 
eccedenze 
di 
personale, 
in 
relazione 
alle 
esigenze 
funzionali 
o 
alla 
situazione 
finanziaria, 
anche 
in 
sede 
di aggiornamento annuale del Piano triennale dei fabbisogni del personale; 


-in presenza 
di 
personale 
eccedentario, ove 
possibile, si 
applica 
l'art. 72, 
comma 
11, 
D.L. 
25 
giugno 
2008, 
n. 
112, 
conv. 
L. 
6 
agosto 
2008, 
n. 
133, 
ed 
in 
subordine, 
si 
verifica 
la 
ricollocazione 
totale 
o 
parziale 
del 
detto 
personale 
nell'ambito 
della 
stessa 
amministrazione, 
anche 
mediante 
il 
ricorso 
a 
forme 
flessibili 
di 
gestione 
del 
tempo 
di 
lavoro 
o 
a 
contratti 
di 
solidarietà, 
ovvero 
presso 
altre 
amministrazioni, 
previo 
accordo 
con 
le 
stesse. 
Andate 
a 
vuoto 
le 
attività 
ora 
descritte 
l'amministrazione 
colloca 
in 
disponibilità 
il 
personale. 
Dalla 
data 
di 
collocamento 
in 
disponibilità 
restano 
sospese 
tutte 
le 
obbligazioni 
inerenti 
al 
rapporto 
di 
lavoro 
e 
il 
lavoratore 
ha 
diritto 
ad 
un'indennità 
pari 
all'80 
% 
dello 
stipendio 
e 
dell'indennità 
integrativa 
speciale, 
con 
esclusione 
di 
qualsiasi 
altro 
emolumento 
retributivo 
comunque 
denominato, 
per 
la 
durata 
massima 
di 
ventiquattro 
mesi. 
il 
personale 
in 
disponibilità 
è 
iscritto 
in 
appositi 
elenchi 
secondo 
l'ordine 
cronologico 
di 
sospensione 
del 
relativo 
rapporto 
di 
lavoro; 
-ove 
nei 
ventiquattro 
mesi 
dal 
collocamento 
in 
disponibilità 
non 
riescano 
le 
procedure 
di 
mobilità, 
al 
fine 
del 
ricollocamento 
del 
dipendente, 
il 
rapporto 
di lavoro si intende definitivamente risolto. 


Le 
assunzioni 
effettuate 
in 
violazione 
delle 
regole 
sulla 
mobilità 
di 
ufficio 
sono nulle di diritto. 


mobilità 
volontaria. 
Dopo 
la 
mobilità 
d’ufficio 
va 
operata 
la 
mobilità 
volontaria 
ex art. 30. Giusta 
l’art. 30, comma 
2 bis:“le 
amministrazioni, prima 
di 
procedere 
all’espletamento 
di 
procedure 
concorsuali, 
finalizzate 
alla 
copertura 
di 
posti 
vacanti 
in organico, devono attivare 
le 
procedure 
di 
mobilità 
di 
cui 
al 
comma 
1, 
[…]. 
il 
trasferimento 
è 
disposto, 
nei 
limiti 
dei 
posti 
vacanti, 
con 
inquadramento 
nell’area 
funzionale 
e 
posizione 
economica 
corrispondente 
a quella posseduta presso le 
amministrazioni 
di 
provenienza; il 
trasferimento 
può essere 
disposto anche 
se 
la vacanza sia presente 
in area diversa 
da 
quella 
di 
inquadramento 
assicurando 
la 
necessaria 
neutralità 
finanziaria”. 
il 
citato 
primo 
comma 
così 
dispone: 
“1. 
le 
amministrazioni 
possono 
ricoprire 
posti 
vacanti 
in organico mediante 
passaggio diretto di 
dipendenti 
di 
cui 
all’articolo 
2, comma 2, appartenenti 
a una qualifica corrispondente 
e 
in servizio 
presso 
altre 
amministrazioni, 
che 
facciano 
domanda 
di 
trasferimento. 
[…]”. All’uopo, le 
amministrazioni, fissando preventivamente 
i 
requisiti 
e 
le 
competenze 
professionali 
richieste, pubblicano sul 
proprio sito istituzionale, 
per 
un 
periodo 
pari 
almeno 
a 
trenta 
giorni, 
un 
bando 
in 
cui 
sono 
indicati 
i 
posti 
che 
intendono ricoprire 
attraverso passaggio diretto di 
personale 
di 
altre 
amministrazioni, 
con indicazione dei requisiti da possedere (44). 



rASSeGnA 
AvvoCAturA 
DeLLo 
StAto -n. 3/2022 


La 
mobilità 
è 
volontaria 
perché 
è 
richiesta 
dal 
lavoratore 
interessato 
il 
quale 
transita 
nell’Amm.ne 
di 
destinazione 
necessitante 
di 
risorse 
umane. 
occorre, 
a 
date 
condizioni, 
l’assenso 
dell’Amm.ne 
di 
appartenenza 
(45); 
ove 
non 
sia 
necessario 
l’assenso 
dell’amministrazione 
di 
appartenenza, 
questa 
dispone 
il 
trasferimento entro due 
mesi 
dalla 
richiesta 
dell’amministrazione 
di 
destinazione 
(arg. ex art. 30, comma 1, in fine). 


vi 
è 
una 
cessione 
del 
contratto 
di 
lavoro 
che 
non 
richiede 
necessariamente 


-secondo la 
regola 
generale 
ex art. 1406 c.c. -il 
consenso dei 
tre 
attori 
(lavoratore 
ceduto, P.A. di 
appartenenza 
cedente, P.A. di 
destinazione 
cessionaria). 
L’obbligo per la 
P.A. di 
avviare 
le 
procedure 
di 
mobilità 
prima 
di 
procedere 
all’espletamento delle 
procedure 
concorsuali 
ben si 
coordina 
con le 
strategie 
volte 
a 
contemperare 
il 
prevalente 
interesse 
pubblico 
alla 
razionalità 
dell’organizzazione 
pubblica 
e 
alla 
funzionalità 
dei 
suoi 
uffici 
(rimediando, 
ad 
es. 
ad 
eccedenze 
di 
personale 
presso 
la 
P.A. 
di 
provenienza), 
con 
le 
esigenze 
di 
riduzione 
della 
spesa 
pubblica 
e 
le 
aspirazioni 
dei 
pubblici 
dipendenti 
di 
poter espletare 
la 
propria 
attività 
in uffici 
quanto più possibili 
vicino alle 
proprie 
abitazioni. 


in talune 
circostanze 
si 
reputa 
che 
la 
mobilità 
intralci 
i 
tempi 
delle 
assunzioni, 
sicché 
con 
puntuale 
disposizione 
legislativa 
si 
interviene 
a 
derogare 
alla 
descritta fase preconcorsuale (46). 


La 
mobilità 
volontaria 
può essere 
attivata 
su tutto il 
personale 
da 
assumere, 
come 
risultante 
dal 
Piano 
triennale 
dei 
Fabbisogni, 
o 
per 
una 
quota 
parte. 
Può condurre 
alla 
scelta 
di 
una 
mobilità 
per quota 
parte 
l’esigenza 
di 
una 
ossigenazione 
dell’amministrazione 
con 
un 
ricambio 
mediante 
forze 
nuove 
(cosa 
che 
riduce 
gli 
spazi 
della 
mobilità); 
il 
contemperamento 
tra 
mobilità 
volontaria 


(44) Si 
precisa 
in giurisprudenza 
che 
l’art. 30, comma 
2 
bis, è 
del 
tutto univoco nell’imporre 
alle 
amministrazioni 
di 
avviare 
le 
procedure 
di 
mobilità 
per 
ricoprire 
i 
posti 
vacanti 
in 
organico 
prima 
di 
espletare 
le 
procedure 
concorsuali. 
tale 
obbligo 
consente 
di 
dare 
concreta 
attuazione 
ai 
principi 
di 
buon 
andamento ed efficienza, senza 
comprimere 
l’autonomia 
delle 
singole 
amministrazioni 
a 
bandire 
procedure 
concorsuali (così: Cons. Stato, 18 agosto 2010, n. 5830). 
(45) “È 
richiesto il 
previo assenso dell’amministrazione 
di 
appartenenza nel 
caso in cui 
si 
tratti 
di 
posizioni 
dichiarate 
motivatamente 
infungibili 
dall’amministrazione 
cedente 
o di 
personale 
assunto 
da meno di 
tre 
anni 
o qualora la mobilità determini 
una carenza di 
organico superiore 
al 
20 per 
cento 
nella qualifica corrispondente 
a quella del 
richiedente. È 
fatta salva la possibilità di 
differire, per 
motivate 
esigenze 
organizzative, il 
passaggio diretto del 
dipendente 
fino ad un massimo di 
sessanta giorni 
dalla ricezione 
dell’istanza di 
passaggio diretto ad altra amministrazione. le 
disposizioni 
di 
cui 
ai 
periodi 
secondo e 
terzo non si 
applicano al 
personale 
delle 
aziende 
e 
degli 
enti 
del 
servizio sanitario nazionale 
e 
degli 
enti 
locali 
con un numero di 
dipendenti 
a tempo indeterminato non superiore 
a 100, per 
i 
quali 
è 
comunque 
richiesto 
il 
previo 
assenso 
dell’amministrazione 
di 
appartenenza. 
al 
personale 
della 
scuola continuano ad applicarsi le disposizioni vigenti in materia” (art. 30, comma 1). 
(46) Può citarsi 
quale 
esempio l’art. 3, comma 
8, L. 19 giugno 2019, n. 56 secondo cui: 
“al 
fine 
di 
ridurre 
i 
tempi 
di 
accesso al 
pubblico impiego, fino al 
31 dicembre 
2024, le 
procedure 
concorsuali 
bandite 
dalle 
pubbliche 
amministrazioni 
di 
cui 
all'articolo 
1, 
comma 
2, 
del 
decreto 
legislativo 
30 
marzo 
2001, 
n. 
165, 
e 
le 
conseguenti 
assunzioni 
possono 
essere 
effettuate 
senza 
il 
previo 
svolgimento 
delle 
procedure previste dall’articolo 30 del medesimo decreto legislativo n. 165 del 2001”. 

LeGiSLAzione 
eD 
AttuALità 


e 
procedure 
selettive 
è 
collegato al 
principio della 
razionale 
gestione 
delle 
risorse 
umane, 
principio 
riconosciuto 
dall’art. 
6, 
comma 
2, 
per 
il 
quale, 
tra 
l’altro 
“nell’ambito 
del 
piano, 
le 
amministrazioni 
pubbliche 
curano 
l’ottimale 
distribuzione 
delle 
risorse 
umane 
attraverso la coordinata attuazione 
dei 
processi 
di mobilità e di reclutamento del personale” (47). 


5.6. procedimento concorsuale. 
L’art. 
36, 
comma 
1, 
recita 
che 
“per 
le 
esigenze 
connesse 
con 
il 
proprio 
fabbisogno 
ordinario 
le 
pubbliche 
amministrazioni 
assumono 
esclusivamente 
con 
contratti 
di 
lavoro 
subordinato 
a 
tempo 
indeterminato 
seguendo 
le 
procedure 
di 
reclutamento 
previste 
dall'articolo 35”, 
ossia 
il 
procedimento 
concorsuale. 


La 
periodicità 
del 
procedimento 
concorsuale, 
in 
un’ottica 
di 
buona 
amministrazione, 
va 
agganciata 
alla 
periodicità 
del 
piano 
triennale 
dei 
fabbisogni 
di 
personale. 
Sicché 
i 
concorsi 
andrebbero 
banditi 
ogni 
triennio 
per 
la 
selezione 
di 
quei 
profili 
necessari 
alla 
luce 
di 
fabbisogni 
emergenti 
dal 


P.t.F.P. 
Ciò 
per 
creare 
un 
bacino 
pronto 
per 
le 
necessità 
di 
risorse 
umane 
programmate. 
personale non dirigenziale. 


il 
procedimento 
concorsuale 
per 
le 
assunzioni 
del 
personale, 
anche 
a 
tempo 
determinato 
(48) 
-sia 
esso 
per 
esami, 
per 
titoli 
(49), 
per 
titoli 
ed 
esami, 
per corso-concorso - si articola nelle seguenti fasi: 


1) emanazione 
del 
bando di 
concorso -con provvedimento del 
competente 
organo amministrativo dell'amministrazione 
interessata 
-che 
individua 
il 
contratto di 
lavoro che 
la 
pubblica 
amministrazione 
intende 
concludere 
(in 
(47) Con sentenza 
n. 178 del 
17 gennaio 2014 il 
Consiglio di 
Stato sostiene 
che 
“in tema di 
mobilità 
volontaria, non v’è 
dubbio che 
la regione 
non possa declinare 
l’invito a fare 
uso della mobilità 
volontaria, 
né 
possa 
disciplinarne 
autonomamente 
gli 
effetti. 
ciò 
nonostante 
[…] 
l’amministrazione 
regionale 
resta titolare 
di 
un potere 
di 
organizzazione 
che 
si 
estrinseca attraverso l’uso di 
un potere 
discrezionale 
nel 
determinare 
la quantità dei 
posti 
riservati 
alla mobilità volontaria rispetto a quelli 
riservati 
a 
pubblico 
concorso 
[…]. 
nell’ipotesi 
di 
mobilità 
volontaria 
in 
assenza 
di 
un 
fine 
superiore, 
quale 
quello del 
mantenimento dei 
contratti 
lavorativi 
in essere, deve 
riconoscersi 
all’amministrazione 
regionale 
il 
potere 
di 
determinare 
quanti 
posti 
coprire 
mediante 
mobilità volontaria. il 
suddetto potere 
discrezionale 
dovrà essere 
esercitato mercé 
un atto fornito di 
congrua motivazione, affinché 
si 
palesino 
chiaramente 
quali 
sono le 
ragioni 
per 
le 
quali 
si 
preferisce 
reperire 
sul 
mercato, piuttosto che 
tra i 
dipendenti 
già in servizio presso altre amministrazioni, le professionalità necessarie”. 
(48) A 
termini 
dell’art. 36, comma 
2, “le 
amministrazioni 
pubbliche 
possono stipulare 
contratti 
di 
lavoro subordinato a tempo determinato, contratti 
di 
formazione 
e 
lavoro e 
contratti 
di 
somministrazione 
di 
lavoro 
a 
tempo 
determinato, 
nonché 
avvalersi 
delle 
forme 
contrattuali 
flessibili 
previste 
dal 
codice 
civile 
e 
dalle 
altre 
leggi 
sui 
rapporti 
di 
lavoro nell'impresa, esclusivamente 
nei 
limiti 
e 
con le 
modalità in cui 
se 
ne 
preveda l'applicazione 
nelle 
amministrazioni 
pubbliche. le 
amministrazioni 
pubbliche 
possono 
stipulare 
i 
contratti 
di 
cui 
al 
primo 
periodo 
del 
presente 
comma 
soltanto 
per 
comprovate 
esigenze 
di 
carattere 
esclusivamente 
temporaneo 
o 
eccezionale 
e 
nel 
rispetto 
delle 
condizioni 
e 
modalità 
di reclutamento stabilite dall'articolo 35”. 
(49) Purché sussista una valutazione discrezionale dei titoli. 

rASSeGnA 
AvvoCAturA 
DeLLo 
StAto -n. 3/2022 


modo conforme 
alla 
delibera 
di 
indizione), nonché 
la 
durata 
del 
rapporto (a 
tempo 
determinato 
o 
a 
tempo 
indeterminato) 
e 
le 
modalità 
della 
procedura 
selettiva. 
Se 
il 
concorso è 
per esami, il 
bando di 
concorso indica 
le 
materie 
oggetto 
delle 
prove 
scritte 
e 
della 
prova 
orale 
e 
prevede 
l'accertamento 
della 
conoscenza 
dell'uso 
delle 
apparecchiature 
e 
delle 
applicazioni 
informatiche 
più 
diffuse 
e 
della 
lingua 
inglese, 
nonché, 
ove 
opportuno 
in 
relazione 
al 
profilo 
professionale richiesto, di altre lingue straniere. 


il bando di concorso ha una duplice natura giuridica (50): 


-provvedimento amministrativo generale, nella 
parte 
in cui 
concreta 
un 
atto del 
procedimento di 
evidenza 
pubblica 
di 
cui 
regola 
il 
successivo svolgimento. 
Si dice che costituisce la 
lex specialis 
della procedura concorsuale; 
-atto negoziale 
per gli 
aspetti 
sostanziali 
-in specie: 
offerta 
al 
pubblico, 
ai 
sensi 
dell'art. 1336 c.c. -in ragione 
della 
proposta 
di 
assunzione 
condizionata 
negli 
effetti 
all'espletamento della 
procedura 
concorsuale 
ed all'approvazione 
della 
graduatoria. 
L’espletamento 
della 
procedura 
concorsuale, 
con 
la 
compilazione 
della 
graduatoria 
finale 
e 
la 
sua 
approvazione, 
fa 
nascere 
nel 
candidato 
utilmente 
collocato 
il 
diritto 
soggettivo 
all'assunzione 
secondo 
le 
modalità fissate dal bando di concorso; 
2) 
domanda 
di 
partecipazione 
degli 
aspiranti, 
previa 
registrazione 
nel 
Portale 
unico del 
reclutamento secondo la 
disciplina 
contenuta 
nell’art. 35 
ter. in 
tal 
modo 
si 
ha 
la 
individuazione 
degli 
aspiranti 
forniti 
dei 
titoli 
di 
ammissione 
(ossia 
dei 
requisiti 
soggettivi 
generali 
e 
particolari 
richiesti 
per l'ammissione 
all'impiego). 
L'amministrazione 
interessata 
dispone 
in 
ogni 
momento, 
con 
atto 
motivato, la esclusione dal concorso per difetto dei requisiti prescritti; 
3) 
eventuale 
preselezione 
con 
test 
aventi 
ad 
oggetto 
l'accertamento 
delle 
conoscenze 
o 
il 
possesso 
delle 
competenze 
indicate 
nel 
bando, 
al 
fine 
di 
sfoltire 
la 
platea 
dei 
partecipanti 
da 
ammettere 
alle 
successive 
prove 
scritte. 
tanto 
nel 
caso 
in 
cui 
il 
numero 
dei 
candidati 
sia 
superiore 
a 
tre 
volte 
il 
numero 
dei 
posti 
messi 
a 
concorso 
(tale 
è 
di 
solito 
il 
rapporto 
previsto 
dalla 
normativa). 
il 
bando 
di 
concorso 
stabilisce 
i 
criteri 
di 
superamento 
della 
prova 
preselettiva. 
L'esito 
della 
prova 
preselettiva 
non 
concorre 
alla 
formazione 
del 
voto 
finale 
di 
merito; 
4) nomina 
della 
commissione 
esaminatrice 
del 
concorso con decreto del 
Presidente 
del 
Consiglio dei 
Ministri 
nei 
casi 
di 
concorsi 
unici 
o con provvedimento 
del 
competente 
organo 
amministrativo 
negli 
altri 
casi. 
Giusta 
l’art. 
35 
quater, 
comma 
3: 
la 
commissione 
esaminatrice 
può 
essere 
suddivisa 
in 
sottocommissioni, 
con l'integrazione 
di 
un numero di 
componenti 
pari 
a 
quello 
della 
commissione 
originaria 
e 
di 
un segretario aggiunto; 
per ciascuna 
sottocommissione 
è 
nominato un presidente; 
la 
commissione 
definisce 
in una 
seduta 
plenaria 
preparatoria 
procedure 
e 
criteri 
di 
valutazione 
omogenei 
e 
vincolanti per tutte le sottocommissioni. 
(50) Sulla quale 
ex plurimis: Cass., 4 novembre 2020, n. 24614. 

LeGiSLAzione 
eD 
AttuALità 


5) 
fase 
di 
svolgimento 
delle 
prove 
al 
fine 
di 
acclarare 
le 
capacità 
dei 
concorrenti. 
È 
previsto 
“l'espletamento 
di 
almeno 
una 
prova 
scritta, 
anche 
a 
contenuto 
teorico-pratico, 
e 
di 
una 
prova 
orale, 
comprendente 
l'accertamento 
della 
conoscenza 
di 
almeno 
una 
lingua 
straniera 
ai 
sensi 
dell'articolo 
37. 
le 
prove 
di 
esame 
sono 
finalizzate 
ad 
accertare 
il 
possesso 
delle 
competenze, 
intese 
come 
insieme 
delle 
conoscenze 
e 
delle 
capacità 
logico-tecniche, 
comportamentali 
nonché 
manageriali, 
per 
i 
profili 
che 
svolgono 
tali 
compiti, 
che 
devono 
essere 
specificate 
nel 
bando 
e 
definite 
in 
maniera 
coerente 
con 
la 
natura 
dell'impiego, 
ovvero 
delle 
abilità 
residue 
nel 
caso 
dei 
soggetti 
di 
cui 
all'articolo 
1, 
comma 
1, 
della 
legge 
12 
marzo 
1999, 
n. 
68. 
per 
profili 
iniziali 
e 
non 
specializzati, 
le 
prove 
di 
esame 
danno 
particolare 
rilievo 
all'accertamento 
delle 
capacità 
comportamentali, 
incluse 
quelle 
relazionali, 
e 
delle 
attitudini. 
il 
numero 
delle 
prove 
d'esame 
e 
le 
relative 
modalità 
di 
svolgimento 
e 
correzione 
devono 
contemperare 
l'ampiezza 
e 
la 
profondità 
della 
valutazione 
delle 
competenze 
definite 
nel 
bando 
con 
l'esigenza 
di 
assicurare 
tempi 
rapidi 
e 
certi 
di 
svolgimento 
del 
concorso” 
(art. 
35 
quater, 
comma 
1, 
lett. 
a); 
è 
previsto 
altresì 
che 
“i 
titoli 
e 
l'eventuale 
esperienza 
professionale, 
inclusi 
i 
titoli 
di 
servizio, 
possano 
concorrere, 
in 
misura 
non 
superiore 
a 
un 
terzo, 
alla 
formazione 
del 
punteggio 
finale” 
(art. 
35 
quater, 
comma 
1, 
lett. 
f) 
(51). 
L’iter 
è 
strutturato 
in 
modo 
da 
operare 
la 
selezione 
in 
modo 
obiettivo. 
tale 
fase 
è 
dominata 
da 
discrezionalità 
tecnica 
nella 
valutazione 
dei 
candidati 
da 
effettuarsi 
in 
modo 
comparativo, 
sicché 
il 
giudizio 
espresso 
dalla 
commissione 
(51) 
L’art. 
35 
quater, 
introdotto 
dall’art. 
3, 
comma 
1, 
D.L. 
30 
aprile 
2022, 
n. 
36, 
conv.L. 
29 
giugno 
2022, n. 79, ha 
abrogato, nella 
parte 
espressamente 
disciplinata, l’art. 7 D.P.r. n. 487/1994 il 
quale 
così 
dispone: 
“1. i concorsi 
per 
esami 
consistono: a) per 
i 
profili 
professionali 
della settima qualifica o categoria 
superiore: in almeno due 
prove 
scritte, una delle 
quali 
può essere 
a contenuto teorico-pratico 
ed 
in 
una 
prova 
orale, 
comprendente 
l'accertamento 
della 
conoscenza 
di 
una 
lingua 
straniera, 
tra 
quelle 
indicate 
nel 
bando. i voti 
sono espressi, di 
norma, in trentesimi. conseguono l'ammissione 
al 
colloquio 
i 
candidati 
che 
abbiano 
riportato 
in 
ciascuna 
prova 
scritta 
una 
votazione 
di 
almeno 
21/30 
o 
equivalente. 
il 
colloquio verte 
sulle 
materie 
oggetto delle 
prove 
scritte 
e 
sulle 
altre 
indicate 
nel 
bando di 
concorso e 
si 
intende 
superato con una votazione 
di 
almeno 21/30 o equivalente; b) per 
i 
profili 
professionali 
della 
quinta 
e 
sesta 
qualifica 
o 
categoria: 
in 
due 
prove 
scritte, 
di 
cui 
una 
pratica 
o 
a 
contenuto 
teorico-pratico, 
e 
in una prova orale. conseguono l'ammissione 
al 
colloquio i 
candidati 
che 
abbiano riportato in ciascuna 
prova 
scritta 
una 
votazione 
di 
almeno 
21/30 
o 
equivalente. 
il 
colloquio 
verte 
sulle 
materie 
oggetto 
delle 
prove 
scritte 
e 
sulle 
altre 
indicate 
nel 
bando e 
si 
intende 
superato con una votazione 
di 
almeno 
21/30 o equivalente. 2. i bandi 
di 
concorso possono stabilire 
che 
una delle 
prove 
scritte 
per 
l'accesso 
ai 
profili 
professionali 
della settima qualifica o categoria superiore 
consista in una serie 
di 
quesiti 
a risposta 
sintetica. per 
i 
profili 
professionali 
delle 
qualifiche 
o categorie 
di 
livelli 
inferiori 
al 
settimo, il 
bando di 
concorso relativo può stabilire 
che 
le 
prove 
consistano in appositi 
tests 
bilanciati 
da risolvere 
in un tempo predeterminato, ovvero in prove 
pratiche 
attitudinali 
tendenti 
ad accertare 
la maturità e 
la 
professionalità dei 
candidati 
con riferimento alle 
attività che 
i 
medesimi 
sono chiamati 
a svolgere. 2bis. 
le 
prove 
di 
esame 
possono essere 
precedute 
da forme 
di 
preselezione 
predisposte 
anche 
da aziende 
specializzate 
in 
selezione 
di 
personale. 
i 
contenuti 
di 
ciascuna 
prova 
sono 
disciplinati 
dalle 
singole 
amministrazioni 
le 
quali 
possono prevedere 
che 
le 
prove 
stesse 
siano predisposte 
anche 
sulla base 
di 
programmi 
elaborati 
da esperti 
in selezione. 3. il 
punteggio finale 
è 
dato dalla somma della media dei 
voti 
conseguiti 
nelle 
prove 
scritte 
o pratiche 
o teorico-pratiche 
e 
della votazione 
conseguita nel 
colloquio”. 

rASSeGnA 
AvvoCAturA 
DeLLo 
StAto -n. 3/2022 


non 
è 
sindacabile 
da 
parte 
del 
giudice 
amministrativo 
se 
non 
sotto 
i 
profili 
della 
macroscopica 
illogicità, 
irragionevolezza, 
travisamento 
dei 
fatti 
e 
disparità 
di 
trattamento. 


vi 
è 
la 
regola 
dell’anonimato in sede 
di 
correzione 
delle 
prove 
scritte, al 
fine 
di 
garantire 
l’imparzialità. 
nella 
valutazione 
delle 
prove 
scritte 
l’onere 
motivazione 
può essere 
adempiuto con l’attribuzione 
di 
un punteggio numerico 
-applicativo 
di 
uno 
specifico 
criterio 
di 
valutazione 
-costituendo 
esso 
l’espressione 
in 
forma 
sintetica 
della 
valutazione 
tecnica 
effettuata 
dalla 
commissione. 
ove 
sia 
prevista 
la 
valutazione 
dei 
titoli, questa 
deve 
avere 
luogo 
dopo le 
prove 
scritte 
ma 
prima 
di 
procedere 
alla 
correzione 
dei 
relativi 
elaborati: 
ciò 
per 
l’esigenza 
di 
coniugare 
l’economia 
procedimentale 
(sarebbe 
infatti 
inutile 
valutare 
i 
titoli 
di 
quei 
candidati 
che 
non 
portino 
a 
termine 
le 
prove 
scritte) 
con 
l’imparzialità 
(potendo 
infatti 
la 
valutazione 
dei 
titoli 
effettuata 
dopo 
la 
correzione 
degli 
elaborati 
essere 
influenzata 
dai 
relativi 
risultati). 
L’esigenza 
dell’imparzialità 
unita 
a 
quella 
della 
trasparenza 
impone 
il 
sorteggio 
delle domande e la pubblicità delle prove orali. 


La 
procedura 
concorsuale 
deve 
concludersi 
entro sei 
mesi 
dalla 
data 
di 
effettuazione 
delle 
prove 
scritte 
o, se 
trattasi 
di 
concorsi 
per titoli, dalla 
data 
della prima convocazione (52); 


6) 
formazione 
e 
approvazione 
di 
una 
graduatoria 
di 
merito. 
La 
graduatoria 
di 
merito 
dei 
candidati 
è 
formata 
dalla 
commissione 
esaminatrice 
secondo 
l'ordine 
dei 
punti 
della 
votazione 
complessiva 
riportata 
da 
ciascun 
candidato; 
sono 
dichiarati 
vincitori, 
nei 
limiti 
dei 
posti 
complessivamente 
messi 
a 
concorso, 
i 
candidati 
utilmente 
collocati 
nelle 
graduatorie 
di 
merito. 
Giusta 
l’art. 
15, 
comma 
4, 
D.P.r. 
n. 
487/1994, 
“la 
graduatoria 
di 
merito 
unitamente 
a 
quella 
dei 
vincitori 
del 
concorso, 
è 
approvata 
con 
decreto 
del 
ministro 
per 
la 
funzione 
pubblica 
o 
dall'autorità 
competente 
nel 
caso 
in 
cui 
il 
concorso 
sia 
bandito 
da 
altre 
pubbliche 
amministrazioni 
ed 
è 
immediatamente 
efficace”. 
L'atto di 
approvazione 
della 
graduatoria, come 
il 
bando di 
concorso, ha 
la 
duplice 
natura 
giuridica 
di 
provvedimento terminale 
del 
procedimento amministrativo 
concorsuale 
e 
di 
atto, 
negoziale, 
di 
individuazione 
del 
futuro 
contraente, 
da 
cui 
discende 
il 
diritto all'assunzione 
del 
partecipante 
collocato in 
posizione 
utile 
in graduatoria 
e 
il 
correlato obbligo dell'amministrazione, assoggettato 
al 
regime 
di 
cui 
all'art. 1218 c.c. (53). Difatti, con l'approvazione 
della 
graduatoria 
si 
esaurisce 
l'ambito riservato al 
procedimento amministrativo 
e 
all'attività 
autoritativa 
dell'amministrazione, 
subentrando 
una 
fase 
in 
cui 
i 
comportamenti 
dell'amministrazione 
vanno 
ricondotti 
all'ambito 
privatistico, 
espressione 
del 
potere 
negoziale 
della 
P.A. nella 
veste 
di 
datrice 
di 
lavoro, da 


(52) Così l’art. 11, comma 5, D.P.r. n. 487/1994. 
(53) Conf.: Cass. 14 giugno 2012, n. 9807. 

LeGiSLAzione 
eD 
AttuALità 


valutarsi 
alla 
stregua 
dei 
principi 
civilistici 
in ordine 
all'inadempimento delle 
obbligazioni 
(art. 
1218 
c.c.), 
anche 
secondo 
i 
parametri 
della 
correttezza 
e 
della 
buona 
fede; 
con 
il 
corollario 
che 
la 
controversia 
sulla 
domanda 
di 
un 
pubblico 
dipendente, 
il 
quale, 
dopo 
l'espletamento 
di 
procedura 
pubblica 
concorsuale, 
chieda 
l'accertamento 
del 
suo 
diritto 
all'assunzione 
e 
alla 
stipulazione 
del 
relativo contratto di 
lavoro, con la 
condanna 
dell'amministrazione 
al 
risarcimento 
del 
danno, esula 
dall'ambito di 
quelle 
inerenti 
la 
procedura 
del 
pubblico 
concorso 
e, 
perciò, 
ai 
sensi 
dell'art. 
63, 
comma 
1, 
la 
sua 
cognizione 
spetta 
alla 
giurisdizione 
del 
giudice 
ordinario 
(54). 
Analogamente, 
in 
caso 
di 
mancata 
assunzione, 
va 
riconosciuto 
il 
diritto 
al 
risarcimento 
dei 
danni, 
salvo 
che 
l'ente 
pubblico dimostri 
che 
l'inadempimento o il 
ritardo è 
stato determinato da 
impossibilità 
della 
prestazione 
derivante 
da 
causa 
ad 
esso 
non 
imputabile, 
dovendosi 
escludere 
che 
l'onere 
di 
tale 
dimostrazione 
possa 
ritenersi 
assolto con 
la mera deduzione di difficoltà finanziarie (55). 


in ordine 
alla 
efficacia 
della 
graduatoria 
nel 
tempo e 
il 
suo utilizzo si 
richiama 
la disposizione di cui all'art. 35, comma 5 ter, soprariportata; 


7) 
eventuali 
atti 
di 
autotutela 
(annullamento 
o 
revoca 
del 
bando 
o 
del 
provvedimento di approvazione della graduatoria). 
La 
revoca 
rientra 
nei 
poteri 
discrezionali 
della 
P.A. 
datrice 
di 
lavoro, 
che, 
fino a 
quando non sia 
intervenuta 
la 
nomina 
dei 
vincitori, può provvedere 
in 
tal 
senso quando, per sopravvenute 
nuove 
esigenze 
organizzative 
o per il 
mutamento 
della 
situazione 
di 
fatto 
o 
di 
diritto, 
e 
quindi 
per 
sopravvenute 
ragioni 
di 
interesse 
pubblico, 
non 
si 
rende 
più 
necessaria 
la 
copertura 
del 
posto 
messo 
a 
concorso. Difatti 
il 
diritto ad assumere 
l'inquadramento previsto dal 
bando 
di 
concorso, espletato dalla 
PA 
per il 
reclutamento dei 
propri 
dipendenti, è 
subordinato 
alla 
permanenza, 
al 
momento 
dell'adozione 
del 
provvedimento 
di 
nomina, dell'assetto organizzativo degli 
uffici 
in forza 
del 
quale 
il 
bando era 
stato emesso (56). 

(segue) peculiarità del corso-concorso. 


va 
evidenziato -giusta 
l’art. 4 del 
D.P.r. n. 70/2013 -che 
l'accesso alle 
aree 
funzionali 
per le 
quali 
è 
richiesto il 
possesso del 
diploma 
di 
laurea, nelle 
amministrazioni 
dello 
Stato, 
anche 
ad 
ordinamento 
autonomo, 
e 
negli 
enti 
pubblici 
non economici, nonché 
alla 
qualifica 
di 
funzionario di 
amministrazione 


(54) Conf.: 
Cass., S.u., 23 settembre 
2013, n. 21671. Cass. S.u., 16 aprile 
2007, n. 895 precisa 
che 
l'espletamento della 
procedura 
concorsuale, con la 
compilazione 
della 
graduatoria 
finale 
e 
la 
sua 
approvazione 
fa 
nascere 
nel 
candidato utilmente 
collocato il 
diritto soggettivo all'assunzione, a 
nulla 
rilevando 
l'apposizione 
al 
provvedimento di 
approvazione 
di 
una 
clausola 
con la 
quale 
l'amministrazione 
si 
riservi 
il 
potere 
di 
decidere 
se 
procedere 
o meno alle 
assunzioni, trattandosi 
di 
clausola 
nulla 
ai 
sensi 
dell'art. 1355 c.c. (condizione 
meramente 
potestativa) perché 
subordinante 
l'obbligo di 
assunzione 
alla 
mera volontà dell'amministrazione medesima. 
(55) Conf.: Cass. n. 9807/2012 cit. e Cass., 20 gennaio 2009, n. 1399. 
(56) Conf.: Cass. n. 24614/2020 cit. 

rASSeGnA 
AvvoCAturA 
DeLLo 
StAto -n. 3/2022 


negli 
enti 
pubblici 
di 
ricerca, 
avviene, 
in 
misura 
non 
superiore 
al 
cinquanta 
per cento dei 
posti, tramite 
corso-concorso selettivo bandito dalla 
Scuola 
nazionale 
dell'amministrazione 
(SnA) 
o 
dalle 
altre 
Scuole 
del 
Sistema 
unico 
del 
reclutamento e della formazione pubblica. 


i 
concorsi 
di 
ammissione 
ai 
corsi-concorso 
selettivi 
si 
definiscono 
con 
l’approvazione 
delle 
graduatorie 
dei 
vincitori. 
Dopo 
l’ammissione 
al 
corso-
concorso, 
vi 
è 
la 
fase 
formativa 
disciplinata 
dall’art. 
5 
D.P.r. 
n. 
70/2013, 
il 
quale 
così 
statuisce: 
“1. 
le 
modalità 
di 
svolgimento 
del 
semestre 
di 
formazione 
iniziale 
del 
corso-concorso, 
della 
valutazione 
continua, 
dell'esame 
conclusivo 
della 
fase 
di 
formazione 
iniziale 
e 
dell'esame 
finale 
sono 
stabilite 
con 
delibera 
del 
comitato 
per 
il 
coordinamento 
delle 
scuole 
pubbliche 
di 
formazione 
[…]. 
3. 
accedono 
all'esame 
conclusivo 
della 
fase 
di 
formazione 
iniziale 
gli 
allievi 
che 
conseguono 
nella 
valutazione 
continua 
una 
media 
delle 
votazioni 
pari 
almeno 
a 
ottanta 
su 
cento 
ed 
abbiano 
frequentato 
almeno 
l'ottanta 
percento 
del 
corso. 
Superano 
l'esame 
gli 
allievi 
che 
si 
collocano 
in 
graduatoria 
nel 
limite 
dei 
posti 
individuati 
con 
decreto 
del 
presidente 
del 
consiglio 
dei 
ministri 
[...]. 
4. 
gli 
allievi 
che 
superano 
l'esame 
di 
cui 
al 
comma 
3 
vengono 
assegnati 
alle 
amministrazioni 
di 
destinazione, 
scelte 
sulla 
base 
delle 
preferenze 
espresse 
secondo 
l'ordine 
della 
graduatoria 
di 
merito, 
per 
svolgere 
un 
periodo 
di 
formazione 
specialistica 
di 
tre 
mesi. 
le 
amministrazioni 
di 
destinazione 
determinano 
le 
modalità 
di 
svolgimento 
della 
formazione 
specialistica 
[…]. 
5. 
a 
conclusione 
del 
periodo 
di 
formazione 
specialistica 
gli 
allievi 
sostengono 
un 
esame 
finale, 
consistente 
in 
una 
prova 
scritta 
di 
carattere 
pratico 
e 
in 
una 
prova 
orale, 
basato 
sugli 
ambiti 
di 
competenza 
dell'amministrazione 
presso 
la 
quale 
sarà 
assegnato 
il 
candidato. 
Superano 
l'esame 
finale 
gli 
allievi 
che 
conseguono 
una 
votazione 
di 
almeno 
ottanta 
su 
cento. 
6. 
le 
graduatorie 
dei 
vincitori 
per 
ciascuna 
amministrazione 
di 
assegnazione 
degli 
allievi 
sono 
approvate 
con 
decreto 
del 
presidente 
del 
consiglio 
dei 
ministri 
e 
pubblicate 
sui 
siti 
istituzionali 
[…]. 
7. 
la 
presidenza 
del 
consiglio 
dei 
ministri 
-Dipartimento 
della 
funzione 
pubblica 
provvede 
all'assegnazione 
dei 
vincitori 
alle 
amministrazioni 
di 
destinazione”. 


personale dirigenziale. 


Per l'accesso alla 
qualifica 
di 
dirigente 
(della 
seconda 
fascia) nelle 
amministrazioni 
statali, 
anche 
ad 
ordinamento 
autonomo, 
e 
negli 
enti 
pubblici 
non economici, in attuazione 
dell'articolo 28 sono previste 
due 
strade, modalizzate 
dal D.P.r. 24 settembre 2004, n. 272 (57). 


(57) il 
t.u.P.i., con riguardo alla 
problematica 
della 
selezione 
della 
dirigenza, non impone 
agli 
enti 
territoriali 
-o diversi 
da 
quelli 
considerati 
nell’art. 1 D.P.r. n. 272/2004 -la 
disciplina 
statale, ma 
ne 
riconosce 
implicitamente 
l'autonomia 
statutaria 
e 
regolamentare, e 
ciò in sintonia 
con le 
disposizioni 
di 
cui 
all'art. 114 Cost., comma 
2 (così 
Cons. Stato, 18 gennaio 2007, n. 83, con riguardo agli 
enti 
locali). 

LeGiSLAzione 
eD 
AttuALità 


La 
prima 
strada 
è 
il 
concorso pubblico per titoli 
ed esami, il 
quale 
è 
indetto 
dalle 
singole 
amministrazioni, nella 
percentuale 
massima 
del 
cinquanta 
per cento dei 
posti 
da 
ricoprire 
(58). il 
concorso consiste 
nello svolgimento di 
due 
prove 
scritte 
e 
di 
una 
prova 
orale. nel 
caso di 
concorsi 
per l'accesso alla 
dirigenza 
tecnica 
l'amministrazione 
può prevedere 
una 
terza 
prova 
scritta 
obbligatoria, 
da 
indicare 
nel 
bando di 
concorso, volta 
alla 
verifica 
dell'attitudine 
all'esercizio degli 
specifici 
compiti 
connessi 
al 
posto da 
ricoprire 
(59). i vincitori 
del 
concorso sono assunti 
dall'amministrazione 
e, anteriormente 
al 
conferimento 
del 
primo incarico dirigenziale, sono tenuti 
a 
frequentare 
un ciclo 
di 
attività 
formative, 
organizzato 
dalla 
Scuola 
nazionale 
dell'Amministrazione 
(SnA) (60). 


La 
seconda 
strada 
è 
il 
corso-concorso 
selettivo 
di 
formazione 
bandito 
dalla 
SnA, 
per 
una 
percentuale 
non 
inferiore 
al 
cinquanta 
per 
cento 
dei 
posti 
da 
ricoprire 
(61). 
La 
SnA 
entro 
il 
31 
dicembre 
di 
ogni 
anno 
bandisce 
un 
concorso 
pubblico 
per 
esami 
per 
l'ammissione 
al 
corso-concorso 
selettivo 
di 
formazione 
dirigenziale 
per 
il 
reclutamento 
di 
dirigenti. 
il 
bando 
di 
concorso 
contiene, 
tra 
l'altro, 
il 
numero 
dei 
posti 
destinati 
al 
corso-concorso, 
i 
criteri 
di 
svolgimento 
della 
eventuale 
prova 
preselettiva 
e 
delle 
prove 
di 
esame 
(art. 
8 
D.P.r. 
n. 
272/2004). 
Gli 
esami 
per 
l'ammissione 
al 
corso-concorso 
di 
formazione 
dirigenziale 
consistono 
in 
tre 
prove 
scritte, 
di 
cui 
una 
sulla 
conoscenza 
della 
lingua 
straniera, 
ed 
in 
una 
prova 
orale. 
Ciascuna 


(58) Così 
l’art. 3 D.P.r. n. 272/2004 che 
precisa: 
“2. la percentuale 
dei 
posti 
da riservare 
al 
personale 
dipendente 
dell'amministrazione 
che 
indice 
il 
concorso è 
pari 
al 
trenta per 
cento dei 
posti 
messi 
a concorso. 2-bis. con decreto del 
presidente 
del 
consiglio dei 
ministri 
sono stabiliti 
i 
titoli 
valutabili 
nell'ambito del 
concorso di 
cui 
al 
comma 1 ed il 
valore 
massimo assegnabile 
ad ognuno di 
essi 
nell'ambito 
della 
procedura 
concorsuale. 
il 
valore 
complessivo 
dei 
titoli 
non 
può 
superare 
il 
quaranta 
per 
cento 
della votazione finale del candidato”. 
(59) Art. 5 D.P.r. n. 272/2004, il 
quale 
così 
dettaglia 
le 
modalità: 
La 
prima 
prova 
scritta, a 
contenuto 
teorico, verte 
sulle 
materie 
indicate 
nel 
bando di 
concorso, l'altra 
prova, a 
contenuto pratico, è 
diretta 
ad 
accertare 
l'attitudine 
dei 
candidati 
alla 
soluzione 
corretta, 
sotto 
il 
profilo 
della 
legittimità, 
della 
convenienza 
e 
della 
efficienza 
ed economicità 
organizzativa, di 
questioni 
connesse 
con l'attività 
istituzionale 
dell'amministrazione 
che 
ha 
indetto il 
concorso. La 
prova 
orale 
consiste 
in un colloquio sulle 
materie 
indicate 
nel 
bando di 
concorso e 
mira 
ad accertare 
la 
preparazione 
e 
la 
professionalità 
del 
candidato, 
nonché 
l'attitudine 
all'espletamento delle 
funzioni 
dirigenziali. nell'àmbito della 
prova 
orale, al 
fine 
di 
valutare 
la 
conoscenza, da 
parte 
del 
candidato, della 
lingua 
straniera 
ad un livello avanzato, è 
prevista 
la 
lettura, la 
traduzione 
di 
testi 
e 
la 
conversazione 
in una 
lingua 
straniera 
scelta 
dal 
candidato 
tra 
quelle 
indicate 
nel 
bando. nel 
corso della 
prova 
orale 
è 
accertata 
la 
conoscenza 
a 
livello avanzato 
dell'utilizzo del 
personal 
computer e 
dei 
software 
applicativi 
più diffusi 
da 
realizzarsi 
anche 
mediante 
una 
verifica 
pratica, 
nonché 
la 
conoscenza 
da 
parte 
del 
candidato 
delle 
problematiche 
e 
delle 
potenzialità 
connesse 
all'uso degli 
strumenti 
informatici 
in relazione 
ai 
processi 
comunicativi 
in rete, all'organizzazione 
e 
gestione 
delle 
risorse 
e 
al 
miglioramento 
dell'efficienza 
degli 
uffici 
e 
dei 
servizi. 
Ciascuna 
prova 
è 
valutata 
in centesimi 
e 
si 
intende 
superata 
con un punteggio non inferiore 
a 
settanta 
centesimi. il 
punteggio 
complessivo 
è 
determinato 
sommando 
i 
voti 
riportati 
in 
ciascuna 
prova 
scritta 
ed 
il 
voto 
riportato 
nella prova orale, nonché il punteggio conseguito all'esito della valutazione dei titoli. 
(60) il ciclo di attività formative è descritto nell’art. 6 D.P.r. n. 272/2004. 
(61) Così l’art. 7 D.P.r. n. 272/2004. 

rASSeGnA 
AvvoCAturA 
DeLLo 
StAto -n. 3/2022 


prova 
è 
valutata 
in 
centesimi 
e 
si 
intende 
superata 
con 
un 
punteggio 
non 
inferiore 
a 
settanta 
centesimi 
(art. 
9 
D.P.r. 
n. 
272/2004) 
(62). 
Le 
graduatorie 
dei 
vincitori 
sono 
approvate 
con 
decreto 
del 
Presidente 
del 
Consiglio 
dei 
Ministri, 
che 
provvede, 
poi, 
all'assegnazione 
dei 
vincitori 
alle 
amministrazioni 
di 
destinazione 
(art. 
15 
D.P.r. 
n. 
272/2004). 


5.7. procedure selettive non concorsuali. 
Dal 
meccanismo 
concorsuale 
vanno 
distinte 
le 
procedure 
selettive 
non 
concorsuali, 
ossia 
le 
assunzioni 
dirette 
ovvero 
procedure 
di 
mera 
verifica 
della 
idoneità 
dei 
soggetti 
da 
assumere 
in quanto titolari 
di 
riserva 
o iscritti 
in apposita 
lista 
o in possesso di 
determinati 
requisiti. in tali 
ipotesi 
infatti 
il 
possesso 
dei 
requisiti 
richiesti 
e 
l’idoneità 
si 
valutano in termini 
assoluti, senza 
dare vita ad una graduatoria di merito. 


Costituiscono 
procedure 
selettive 
non 
concorsuali: 
a) 
l’avviamento 
degli 
iscritti 
nelle 
liste 
di 
collocamento 
e 
assunzione 
obbligatoria 
di 
categorie 
protette 
(art. 
39); 
b) 
l’utilizzo 
delle 
graduatorie 
permanenti, 
poi 
trasformate 
in 
graduatorie 
ad 
esaurimento, 
del 
personale 
docente 
ed 
AtA 
(ex 
D.L.vo 
16 
aprile 
1994, 
n. 
297) 
(63); 
c) 
l’inserimento 
nella 
prima 
fascia 
degli 
elenchi 
aggiuntivi 
delle 
Graduatorie 
Provinciali 
per 
le 
Supplenze 
per 
i 
vari 
anni 
scolastici 
(64); 
d) 
l’assunzione 
dei 
lavoratori 
socialmente 
utili 
-L.S.u. 
presso 
comuni 
e province; e) la stabilizzazione del personale precario (65). 


in 
questi 
casi 
deve 
escludersi 
qualsiasi 
attività 
autoritativa 
sulla 
base 
di 
valutazioni 
discrezionali. 
L’assenza 
di 
un 
bando, 
di 
una 
procedura 
di 
valutazione 
e 
di 
approvazione 
finale 
di 
una 
graduatoria 
che 
individui 
i 
vincitori, 
preclude 
di 
configurare 
una 
procedura 
concorsuale 
attribuita, 
ai 
sensi 
dell’art. 
63, 
alla 
cognizione 
del 
giudice 
amministrativo. 
Sicché 
le 
controversie 
relative 
alle 
procedure 


(62) 
Al 
corso-concorso 
di 
formazione 
dirigenziale 
sono 
ammessi 
i 
candidati 
utilmente 
inseriti 
nella 
graduatoria 
del 
concorso 
di 
ammissione 
entro 
il 
limite 
del 
numero 
dei 
posti 
disponibili 
maggiorato 
del 
venti 
per 
cento. 
La 
graduatoria 
di 
merito 
del 
concorso 
di 
ammissione 
al 
corso-concorso 
è 
predisposta 
dalla 
commissione 
esaminatrice 
in base 
al 
punteggio finale 
conseguito da 
ciascun candidato, costituito 
dalla 
somma 
dei 
voti 
di 
ciascuna 
delle 
prove 
scritte 
e 
dal 
voto 
della 
prova 
orale 
(art. 
10 
D.P.r. 
n. 
272/2004). 
La 
fase 
di 
formazione 
generale 
del 
corso-concorso 
ha 
la 
durata 
di 
otto 
mesi, 
con 
valutazione 
continua, ed esame 
conclusivo della 
fase 
di 
formazione 
specialistica 
ed esame 
finale 
(art. 12 D.P.r. n. 
272/2004). 
Gli 
allievi 
che 
conseguono 
nella 
valutazione 
continua 
una 
media 
delle 
votazioni 
pari 
almeno 
a 
ottanta 
su cento accedono all'esame 
conclusivo della 
fase 
di 
formazione 
generale. Superano l'esame 
gli 
allievi 
che 
si 
collocano in graduatoria 
nel 
limite 
dei 
posti 
di 
dirigente 
in concorso (art. 13 D.P.r. n. 
272/2004). Gli 
allievi 
che 
superano l'esame 
conclusivo vengono assegnati 
alle 
amministrazioni 
di 
destinazione, 
scelte 
sulla 
base 
delle 
preferenze 
espresse 
secondo l'ordine 
della 
graduatoria 
di 
merito, per 
svolgere 
un 
periodo 
di 
formazione 
specialistica 
di 
quattro 
mesi. 
A 
conclusione 
del 
periodo 
di 
formazione 
specialistica gli allievi sostengono un esame finale. Superano l'esame finale gli allievi che conseguono 
una votazione di almeno ottanta su cento (art. 14 D.P.r. n. 272/2004). 
(63) Conf. Cass., S.u. 26 giugno 2019, n. 17123; Cass. S.u. 15 dicembre 2016, n. 25836. 
(64) Conf. tar Sicilia, Palermo, 16 settembre 2021, n. 2575. 
(65) Prevista 
in varie 
disposizioni, tra 
cui: 
art. 1, commi 
519 e 
520, l. 27 dicembre 
2006, n. 296 e 
art. 20 D.l.vo 25 maggio 2017, n. 75. 

LeGiSLAzione 
eD 
AttuALità 


selettive 
non 
concorsuali 
rientrano 
nella 
giurisdizione 
del 
giudice 
ordinario 
(66). 


5.8. Tecniche ulteriori di selezione dei fabbisogni. 
nell’individuazione 
delle 
risorse 
umane 
per lo svolgimento dei 
compiti 
delle 
PP.AA. 
occorre 
tenere 
conto 
di 
tecniche 
ulteriori 
rispetto 
a 
quelle 
descritte 
sopra. 


a) contratti di consulenza. 
una 
prima 
tecnica 
è 
quella 
della 
stipulazione 
di 
contratti 
di 
collaborazione. 
il 
t.u.P.i. 
(art. 
7) 
consente 
alle 
PP.AA. 
-per 
specifiche 
esigenze 
cui 
non possono far fronte 
con personale 
in servizio -di 
conferire 
incarichi 
individuali, 
con contratti 
di 
lavoro autonomo, ad esperti 
di 
particolare 
e 
comprovata 
specializzazione 
anche 
universitaria, 
in 
presenza 
dei 
determinati 
presupposti di legittimità (67). 


Al 
fine 
di 
evitare 
l’utilizzo dei 
contratti 
di 
consulenza 
per lo svolgimento 
di 
compiti 
ordinari 
ed al 
fine 
di 
evitare 
scelte 
opache 
l’art. 7 citato, statuisce 
che: 
a) è 
fatto divieto alle 
PP.AA. di 
stipulare 
contratti 
di 
collaborazione 
che 
si 
concretano in prestazioni 
di 
lavoro esclusivamente 
personali, continuative 
e 
le 
cui 
modalità 
di 
esecuzione 
siano organizzate 
dal 
committente 
anche 
con 
riferimento ai 
tempi 
e 
al 
luogo di 
lavoro; 
b) le 
PP.AA. disciplinano e 
rendono 
pubbliche, secondo i 
propri 
ordinamenti, procedure 
comparative 
per il 
conferimento 
degli incarichi di collaborazione. 


va 
precisato che 
il 
conferimento, da 
parte 
di 
un soggetto pubblico, del-
l’incarico in esame 
ad un professionista 
non inserito nella 
struttura 
organica 
del 
soggetto medesimo costituisce 
espressione 
non già 
di 
una 
potestà 
amministrativa, 
bensì 
di 
semplice 
autonomia 
privata, ed è 
funzionale 
all'instaurazione 
di 
un rapporto di 
c.d. “parasubordinazione”, da 
ricondurre 
pur sempre 
al 
lavoro autonomo e, quindi, all'ambito soggettivo ed oggettivo disciplinato 


(66) 
Su 
tali 
aspetti: 
M. 
GerArDo, 
A. 
MutAreLLi, 
il 
processo 
nelle 
controversie 
di 
lavoro 
pubblico, 
cit., pp. 92-94. 
(67) 
“a) 
l'oggetto 
della 
prestazione 
deve 
corrispondere 
alle 
competenze 
attribuite 
dall'ordinamento 
all'amministrazione 
conferente, 
ad 
obiettivi 
e 
progetti 
specifici 
e 
determinati 
e 
deve 
risultare 
coerente 
con le 
esigenze 
di 
funzionalità dell'amministrazione 
conferente; b) l'amministrazione 
deve 
avere 
preliminarmente 
accertato l'impossibilità oggettiva di 
utilizzare 
le 
risorse 
umane 
disponibili 
al 
suo interno; 
c) la prestazione 
deve 
essere 
di 
natura temporanea e 
altamente 
qualificata; non è 
ammesso il 
rinnovo; 
l'eventuale 
proroga 
dell'incarico 
originario 
è 
consentita, 
in 
via 
eccezionale, 
al 
solo 
fine 
di 
completare 
il 
progetto e 
per 
ritardi 
non imputabili 
al 
collaboratore, ferma restando la misura del 
compenso 
pattuito 
in 
sede 
di 
affidamento 
dell'incarico; 
d) 
devono 
essere 
preventivamente 
determinati 
durata, 
oggetto e 
compenso della collaborazione. Si 
prescinde 
dal 
requisito della comprovata specializzazione 
universitaria 
in 
caso 
di 
stipulazione 
di 
contratti 
di 
collaborazione 
per 
attività 
che 
debbano 
essere 
svolte 
da 
professionisti 
iscritti 
in 
ordini 
o 
albi 
o 
con 
soggetti 
che 
operino 
nel 
campo 
dell'arte, 
dello 
spettacolo, 
dei 
mestieri 
artigianali 
o dell'attività informatica nonché 
a supporto dell'attività didattica e 
di 
ricerca, 
per 
i 
servizi 
di 
orientamento, compreso il 
collocamento, e 
di 
certificazione 
dei 
contratti 
di 
lavoro di 
cui 
al 
decreto legislativo 10 settembre 
2003, n. 276, purché 
senza nuovi 
o maggiori 
oneri 
a carico della finanza 
pubblica, 
ferma 
restando 
la 
necessità 
di 
accertare 
la 
maturata 
esperienza 
nel 
settore” 
(art. 
7, 
comma 6). 

rASSeGnA 
AvvoCAturA 
DeLLo 
StAto -n. 3/2022 


dall'art. 409, n. 3, c.p.c. (68), con la 
conseguenza 
che 
le 
relative 
vicende 
soggiacciono 
alla giurisdizione del giudice ordinario (69). 

b) contratti di incarichi dirigenziali. 
Gli 
incarichi 
di 
funzione 
dirigenziale 
possono 
-nella 
misura 
dell’8% 
della 
dotazione 
organica 
per 
i 
dirigenti 
di 
seconda 
fascia 
e 
nella 
misura 
del 
10% 
della 
dotazione 
organica 
per 
i 
dirigenti 
di 
prima 
fascia 
-essere 
conferiti, 
da 
ciascuna 
amministrazione, 
fornendone 
esplicita 
motivazione, 
a 
persone 
di 
particolare 
e 
comprovata 
qualificazione 
professionale, 
non 
rinvenibile 
nei 
ruoli 
dell'Amministrazione, 
che 
abbiano 
svolto 
attività 
in 
organismi 
ed 
enti 
pubblici 
o 
privati 
ovvero 
aziende 
pubbliche 
o 
private 
con 
esperienza 
acquisita 
per 
almeno 
un 
quinquennio 
in 
funzioni 
dirigenziali, 
o 
che 
abbiano 
conseguito 
una 
particolare 
specializzazione 
professionale, 
culturale 
e 
scientifica 
desumibile 
dalla 
formazione 
universitaria 
e 
postuniversitaria, 
da 
pubblicazioni 
scientifiche 
e 
da 
concrete 
esperienze 
di 
lavoro 
maturate 
per 
almeno 
un 
quinquennio, 
anche 
presso 
amministrazioni 
statali, 
ivi 
comprese 
quelle 
che 
conferiscono 
gli 
incarichi, 
in 
posizioni 
funzionali 
previste 
per 
l'accesso 
alla 
dirigenza, 
o 
che 
provengano 
dai 
settori 
della 
ricerca, 
della 
docenza 
universitaria, 
delle 
magistrature 
e 
dei 
ruoli 
degli 
avvocati 
e 
procuratori 
dello 
Stato. 
La 
durata 
di 
tali 
incarichi, 
non 
può 
eccedere, 
a 
seconda 
dei 
casi 
il 
termine 
di 
tre 
anni 
o 
cinque 
anni. 
Per 
il 
periodo 
di 
durata 
dell'incarico, 
i 
dipendenti 
delle 
PP.AA. 
sono 
collocati 
in 
aspettativa 
senza 
assegni, 
con 
riconoscimento 
dell'anzianità 
di 
servizio 
(art. 
19, 
comma 
6). 


nella 
prassi 
i 
contratti 
in esame, sono, in sostanza, utilizzati 
per diversificate 
finalità: 
a) supplire 
a 
carenze 
di 
personale 
dirigenziale; 
b) avvalersi 
di 
persone 
di 
assoluta 
fiducia 
nello 
svolgimento 
di 
compiti 
politici, 
come 
nel 
caso 
dei 
preposti 
agli 
uffici 
di 
diretta 
collaborazione 
del 
vertice 
politico 
ex 
art. 
14, comma 2; c) come strumento clientelare. 


c) 
assistenza 
tecnica 
in 
virtù 
di 
contratti 
di 
servizio 
con 
operatori 
esterni 
o contratti di servizio con enti in house. 
Fenomeno diffuso nelle 
dinamiche 
delle 
PP.AA. è 
la 
stipula 
di 
un peculiare 
contratto 
di 
servizio 
il 
cui 
oggetto 
è 
costituito 
dalla 
fornitura 
di 
assistenza 
tecnica. Con tale 
contratto l’ente 
pubblico mira 
a 
conseguire, ad esempio, le 
attività 
di: 
affiancamento, 
supporto 
per 
il 
monitoraggio 
e 
supporto 
specialistico 
per 
particolari 
progetti; 
di 
assistenza 
di 
marketing 
territoriale; 
di 
assistenza 
tecnica 
di 
attuazione 
della 
strategia 
di 
comunicazione 
di 
policy; 
di 
assistenza 
tecnica 
in materia 
di 
programmazione 
economica; 
di 
progettazione 
e 
gestione 
di 
procedure 
informatiche 
ancillari 
ad 
una 
attività 
produttiva; 
di 
supporto 
nella 
certificazione 
della 
spesa 
di 
programmi 
comunitari; 
di 
assistenza 
tecnica 
alle 
attività 
di 
coordinamento, attuazione, monitoraggio, controllo di 
programmi 
comunitari; ecc. 


(68) Conf. Cass., S.u., 3 gennaio 2007, n. 4. 
(69) ex multis, tAr Campania, napoli, 8 febbraio 2021, n. 811. 

LeGiSLAzione 
eD 
AttuALità 


in 
conseguenza 
della 
stipula 
dei 
contratti 
di 
servizio 
sopradescritti 
determinate 
risorse 
umane, 
inglobate 
nel 
complessivo 
servizio 
erogato 
dal-
l’appaltatore, 
contribuiscono 
allo 
svolgimento 
dei 
compiti 
degli 
enti 
pubblici 
committenti. 
Con 
tali 
contratti 
lo 
Stato 
e 
gli 
enti 
territoriali, 
utilizzano 
-indirettamente 
-risorse 
esterne 
per 
lo 
svolgimento 
di 
attività 
che 
richiedono 
una 
elevata 
specializzazione, 
sopperendo 
ad 
un 
deficit 
interno di 
idonee 
risorse 
umane. Questo è 
quanto accade 
per il 
ciclo della 
gestione 
dei 
fondi comunitari. 


Di 
questo dato -in un discorso teso ad individuare 
l’efficacia 
dell’azione 
amministrativa - occorre necessariamente tenere conto. 


5.9. considerazioni conclusive e de iure condendo. 
il 
descritto 
quadro 
delinea 
il 
procedimento 
concorsuale 
come 
qualcosa 
di 
farraginoso, fin dagli 
adempimenti 
prodromici. È 
necessaria 
una 
profonda 
rivisitazione 
dei 
procedimenti 
al 
fine 
di 
pervenire, in modo consapevole, al 
reperimento 
sollecito 
delle 
idonee 
risorse 
umane 
per 
lo 
svolgimento 
dei 
compiti 
delle PP.AA. 


adempimenti prodromici. 

La 
procedura 
di 
mobilità 
-d’ufficio o volontaria 
-andrebbe 
ben modalizzata 
nel 
Piano 
triennale 
dei 
Fabbisogni 
del 
Personale 
(o 
nel 
PiAo), 
con 
una 
attivazione 
anche 
parallela 
ed autonoma 
dal 
concorso. vuol 
dirsi 
che 
ove 
l’ente 
decida 
motivatamente 
di 
ricorrere 
ad 
una 
mobilità 
parziale 
-ad 
esempio 
20% del 
fabbisogno da 
ricoprire 
con mobilità 
ed 80% mediante 
concorso -le 
due 
procedure 
ben 
possono 
partire 
in 
modo 
parallelo, 
senza 
che 
una 
condizioni 
l’altra. Beninteso con dei 
correttivi 
procedimentali 
nell’evenienza 
che 
la 
mobilità 
non vada 
a 
buon fine, ad esempio con la 
previsione 
ex 
ante 
della 
possibilità 
dell’aumento degli assunti mediante concorso. 


iter concorsuale. 


innanzitutto il 
quadro normativo dovrebbe 
essere 
unitario, onde 
evitare 
complicazioni. All’attualità 
intervengono a 
regolare 
le 
procedure, tra 
l’altro, 
gli 
artt. 
35 
e 
35 
quater 
t.u.P.i., 
il 
D.P.r. 
n. 
487/1994, 
le 
linee 
guida 
di 
indirizzo 
amministrativo 
ex 
art. 
35, 
comma 
5.2, 
t.u.P.i., 
disposizioni 
prevedenti 
la 
semplificazione 
delle 
procedure 
(ad es.: 
art. 14, commi 
10 
ter 
e 
10 novies, D.L. n. 
4/2019). 


È 
auspicabile, 
quindi, 
una 
riforma 
omogeneizzatrice 
delle 
fonti 
del 
diritto 
sulla 
materia. Ciò premesso, si 
rileva 
che 
l’iter procedimentale 
nei 
suoi 
momenti 
significati 
è 
ormai 
standardizzato: 
meccanismo della 
preselezione 
mediante 
test 
nel 
caso 
di 
numerosi 
partecipanti 
al 
concorso 
(triplo 
dei 
posti 
messi 
a concorso), prove scritte ed orali. 


tre sono le accortezze da tenere presente. 


1) il 
meccanismo concorsuale 
dovrebbe 
riguardare 
le 
esigenze 
assunzionali 
degli 
enti 
pubblici 
ricadenti 
in uno specifico -e 
gestibile 
-ambito territo

rASSeGnA 
AvvoCAturA 
DeLLo 
StAto -n. 3/2022 


riale. Difatti, per una 
parte, è 
antieconomica 
la 
procedura 
assunzionale 
espletata 
per ciascun ente 
che 
necessiti 
di 
personale; 
occorrerebbe 
creare 
una 
sorta 
di 
centrali 
di 
committenza 
per la 
provvista 
delle 
risorse 
umane; 
per altra 
parte 
è 
ingestibile 
una 
procedura 
assunzionale 
a 
livello nazionale. il 
giusto bacino 
potrebbe 
essere 
quello regionale 
(almeno per le 
regioni 
più grandi, come 
ad 
esempio la 
Lombardia) o sovraregionale 
(come 
ad esempio l’area 
comprendente 
le Marche e l’umbria). 

un 
possibile 
modello 
potrebbe 
essere 
il 
seguente: 
a) 
coordinamento 
operato 
dal 
Dipartimento 
della 
Funzione 
Pubblica, 
al 
fine 
di 
omogeneizzare 
le 
procedure, 
specie 
con 
riguardo 
alla 
tipologia 
delle 
prove 
ed 
ai 
profili 
professionali 
da 
selezionare; 
b) 
unica 
procedura 
concorsuale 
gestita 
da 
una 
regione 
(ciò 
per 
le 
regioni 
più 
grandi) 
o 
da 
più 
regioni 
in 
consorzio 
(ciò 
per 
le 
regioni 
più 
piccole) 
con 
la 
quale 
selezionare 
i 
fabbisogni 
di 
personale 
necessari 
agli 
uffici 
delle 
amministrazioni 
pubbliche 
ubicati 
nella 
regione 
o 
area 
sovraregionale 
(uffici 
periferici 
delle 
amministrazioni 
statali 
e 
degli 
enti 
nazionali; 
uffici 
degli 
enti 
territoriali; 
uffici 
degli 
enti 
infraregionali). 
L’ente 
gestore, 
regione 
o 
più 
regioni 
in 
consorzio, 
funziona, 
in 
un 
certo 
senso, 
come 
una 
centrale 
di 
committenza, 
come 
un 
ente 
“neutro”, 
al 
servizio 
delle 
necessità 
assunzionali 
degli 
enti 
pubblici. 
L’unica 
procedura 
concorsuale 
dovrà 
prevedere 
tanti 
bandi 
quanti 
sono 
i 
profili 
professionali 
da 
selezionare, 
come 
emergenti 
dal 
piano 
dei 
fabbisogni 
del 
personale. 
ovviamente 
i 
bandi 
attiveranno 
procedimenti 
concorsuali 
paralleli, 
ciascuno 
con 
la 
propria 
commissione 
esaminatrice. 
L’unica 
procedura 
concorsuale 
dovrebbe 
svolgersi 
con 
cadenza 
triennale 
e 
puntare 
alla 
selezione 
delle 
risorse 
umane 
necessarie 
nel 
successivo 
triennio 
aumentate 
della 
metà. 
Ad 
esempio: 
nel 
2022 
si 
svolge 
il 
concorso 
che 
punta 
alla 
selezione 
di 
X 
idonei; 
il 
concorso 
andrebbe 
concluso 
entro 
l’anno; 
il 
numero 
degli 
idonei 
deve 
corrispondere 
al 
numero 
delle 
risorse 
umane 
di 
cui 
si 
prevede 
il 
collocamento 
in 
quiescenza 
nel 
triennio 
2023-2024-2025, 
aumentato 
della 
metà 
per 
fare 
luogo 
alle 
sopravvenienze; 
in 
tal 
modo, 
a 
mano 
a 
mano 
che 
si 
verificano 
le 
vacanze 
in 
organico 
si 
attinge, 
senza 
soluzione 
di 
continuità, 
ad 
un 
bacino 
pronto 
alla 
bisogna. 
nel 
2025 
si 
svolge 
il 
concorso 
per 
la 
selezione 
del 
fabbisogno 
nel 
triennio 
2026-2027-2028 
e 
così 
via. 
La 
graduatoria 
dovrebbe 
avere 
una 
efficacia 
triennale, 
con 
la 
cessazione 
del 
suo 
vigore 
alla 
data 
della 
approvazione 
della 
successiva 
graduatoria 
(70). 


(70) in tal 
senso si 
sta 
orientando il 
legislatore. in virtù dell’art. 247 D.L. 19 maggio 2020, n. 34, 
conv. L. 17 luglio 2020, n. 77 le 
procedure 
concorsuali 
per reclutamento del 
personale 
non dirigenziale 
nell’ambito 
dei 
c.d. 
concorsi 
unici 
per 
l’assunzione 
dei 
profili 
professionali 
comuni 
nelle 
amministrazioni 
statali 
possono essere 
svolte, presso sedi 
decentrate 
anche 
attraverso l'utilizzo di 
tecnologia 
digitale. Su 
tale 
disposizione 
B. 
CiMino, 
procedimenti 
e 
organizzazione 
della 
pubblica 
amministrazione, 
in 
giornale 
Dir. amm., 2020, 5, pp. 560 e ss. 

LeGiSLAzione 
eD 
AttuALità 


2) nella 
selezione 
e 
formazione 
della 
risorsa 
umana 
imprescindibile 
è 
la 
preparazione 
giuridica, attesi 
i 
connotati 
organizzativi 
della 
P.A. italiana, che 
agisce 
per atti 
amministrativi 
necessitanti 
del 
requisito della 
motivazione, che 
deve 
rispettare 
piani 
e/o programmi 
-DeF, Piano della 
performance, Piano 
triennale 
dei 
fabbisogni 
del 
Personale, Piano triennale 
delle 
Azioni 
Positive, 
Piano di 
Prevenzione 
della 
corruzione 
e 
della 
trasparenza, Programmazione 
comunitaria - fortemente caratterizzati dall’elemento giuridico. 
va 
registrato che 
nella 
prassi 
attuale 
l’elemento giuridico, non è 
valorizzato. 
Ad 
es. 
nella 
preselezione 
del 
concorso 
2018 
per 
dirigenti 
gestito 
dalla 
SnA 
su sessanta 
quesiti 
ventiquattro erano di 
logica, cinque 
di 
inglese, quindici 
di 
carattere 
economico e 
sedici 
di 
carattere 
giuridico. All’evidenza 
l’elemento 
giuridico è squilibrato. 


3) 
tra 
le 
varie 
modalità 
concorsuali 
-per 
esami, 
per 
titoli, 
per 
titoli 
ed 
esami, 
per 
corso-concorso 
-andrebbe 
privilegiata 
la 
modalità 
del 
concorso 
per 
titoli ed esami. 
All’evidenza: 
a) 
il 
concorso 
per 
soli 
esami 
non 
valorizza 
l’esperienza 
pregressa; 
b) il 
concorso per soli 
titoli 
non valorizza 
le 
attitudini 
attuali 
dei 
candidati 
e 
le 
necessità 
contingenti 
dell’amministrazione; 
c) il 
corso-concorso, in 
teoria 
l’optimum, 
non 
si 
armonizza 
con 
le 
cadenze 
temporali 
della 
ragionevole 
tempistica 
di 
approvvigionamento 
delle 
risorse 
umane. 
La 
giusta 
esigenza 
della 
formazione 
mirata 
potrebbe 
essere 
soddisfatta 
con un periodo di 
prova 
in cui attuare la detta formazione. 


6. ciclo della performance. misurazione 
e 
la valutazione 
della performance. 
merito e premi. 
L’organizzazione 
amministrativa 
contempla 
una 
serie 
di 
strumenti 
con i 
quali 
agganciare 
una 
quota 
del 
trattamento 
economico 
spettante 
alle 
risorse 
umane 
di 
ogni 
P.A. 
allo 
specifico 
contributo 
da 
queste 
arrecato 
alla 
qualità 
(dei 
servizi 
offerti 
e 
soddisfacimento dell'interesse 
del 
destinatario) e 
quantità 
(risultati) delle 
prestazioni 
rese. La 
materia 
è 
regolata 
dal 
D.L.vo 27 ottobre 
2009, 
n. 
150, 
c.d. 
decreto 
Brunetta, 
dal 
nome 
del 
Ministro 
della 
Funzione 
Pubblica 
che ne ha stimolato l’adozione. 

Le 
amministrazioni 
dello Stato sono le 
dirette 
destinatarie 
delle 
disposizioni 
contenute 
nel 
D.L.vo 
citato. 
Per 
quanto 
riguarda 
le 
regioni, 
anche 
per 
quanto concerne 
i 
propri 
enti 
e 
le 
amministrazioni 
del 
Servizio sanitario nazionale, 
e 
gli 
enti 
locali 
vi 
è 
la 
clausola 
estensiva 
di 
cui 
all’art. 16 D.L.vo n. 
150/2009; 
è 
disposto che 
questi 
enti 
adeguano i 
propri 
ordinamenti 
ai 
principi 
contenuti 
negli 
articoli 
3 (principi 
generali), 4 (fasi 
del 
ciclo di 
gestione 
della 
performance), 
5, 
comma 
2 
(requisiti 
degli 
obiettivi, 
rectius: 
indicatori), 
7 
(SMivAP), 9 (ambiti 
di 
misurazione 
e 
valutazione 
della 
performance 
individuale) 
e 
15, comma 
1 (responsabilità 
dell'organo di 
indirizzo politico-amministrativo); 
per l'attuazione 
delle 
restanti 
disposizioni 
di 
cui 
al 
citato D.L.vo, 



rASSeGnA 
AvvoCAturA 
DeLLo 
StAto -n. 3/2022 


si 
procede 
tramite 
accordo 
da 
sottoscrivere 
ai 
sensi 
dell'art. 
4 
D.L.vo 
28 
agosto 


1997, n. 281 in sede di Conferenza unificata. 


Giusta l’art. 3 D.L.vo n. 150/2009 


-il 
rispetto 
delle 
disposizioni 
sulla 
misurazione 
e 
la 
valutazione 
della 
performance 
è 
condizione 
necessaria 
per l'erogazione 
di 
premi 
e 
componenti 
del 
trattamento retributivo legati 
alla 
performance 
e 
rileva 
ai 
fini 
del 
riconoscimento 
delle 
progressioni 
economiche, dell'attribuzione 
di 
incarichi 
di 
responsabilità 
al personale, nonché del conferimento degli incarichi dirigenziali; 


-la 
valutazione 
negativa 
rileva 
ai 
fini 
dell'accertamento della 
responsabilità 
dirigenziale 
e 
ai 
fini 
dell'irrogazione 
del 
licenziamento 
disciplinare 
ai 
sensi dell'articolo 55 quater, comma 1, lettera f quinquies), t.u.P.i. 
il 
ciclo di 
gestione 
della 
performance, come 
disposto dall’art. 4 D.L.vo 


n. 
150/2009, 
si 
articola 
nelle 
seguenti 
fasi: 
a) 
definizione 
e 
assegnazione 
degli 
obiettivi 
che 
si 
intendono 
raggiungere, 
dei 
valori 
attesi 
di 
risultato 
e 
dei 
rispettivi 
indicatori, 
tenendo 
conto 
anche 
dei 
risultati 
conseguiti 
nell'anno 
precedente, 
come 
documentati 
e 
validati 
nella 
relazione 
annuale 
sulla 
performance; 
b) collegamento tra 
gli 
obiettivi 
e 
l'allocazione 
delle 
risorse; 
c) monitoraggio 
in corso di 
esercizio e 
attivazione 
di 
eventuali 
interventi 
correttivi; 
d) misurazione 
e 
valutazione, annualmente, della 
performance, organizzativa 
e 
individuale; 
e) utilizzo dei 
sistemi 
premianti, secondo criteri 
di 
valorizzazione 
del 
merito; 
f) rendicontazione 
dei 
risultati 
agli 
organi 
di 
indirizzo politico-amministrativo, 
ai 
vertici 
delle 
amministrazioni, 
nonché 
ai 
competenti 
organi 
di 
controllo 
interni 
ed 
esterni, 
ai 
cittadini, 
ai 
soggetti 
interessati, 
agli 
utenti 
e 
ai 
destinatari dei servizi. 
obiettivi e indicatori (art. 5 D.l.vo n. 150/2009). 


Gli obiettivi si articolano in: 


a) 
obiettivi 
generali, 
che 
identificano, 
in 
coerenza 
con 
le 
priorità 
delle 
politiche 
pubbliche 
nazionali 
nel 
quadro 
del 
programma 
di 
Governo 
e 
con 
gli 
eventuali 
indirizzi 
adottati 
dal 
Presidente 
del 
Consiglio 
dei 
ministri 
ai 
sensi 
dell'art. 
8 
D.L.vo 
n. 
286/1999, 
le 
priorità 
strategiche 
delle 
PP.AA. 
in 
relazione 
alle 
attività 
e 
ai 
servizi 
erogati, 
in 
relazione 
anche 
al 
livello 
e 
alla 
qualità 
dei 
servizi 
da 
garantire 
ai 
cittadini. 
Gli 
obiettivi 
sono 
determinati 
con 
apposite 
linee 
guida 
adottate 
su 
base 
triennale 
con 
decreto 
del 
Presidente 
del 
Consiglio 
dei 
ministri. 
Per 
gli 
enti 
territoriali, 
il 
decreto 
è 
adottato 
previa 
intesa 
in 
sede 
di 
Conferenza 
unificata 
di 
cui 
all'art. 
8 
L. 
5 
giugno 
2003, 
n. 
131; 
b) 
obiettivi 
specifici 
di 
ogni 
P.A., 
individuati, 
in 
coerenza 
con 
la 
direttiva 
annuale 
adottata 
ai 
sensi 
dell’art. 
8 
D.L.vo 
n. 
286/1999, 
nel 
Piano 
della 
performance 
(o 
PiAo 
nella 
parte 
relativa 
alla 
materia 
de 
qua). 
Gli 
obiettivi 
sono 
programmati, 
in 
coerenza 
con 
gli 
obiettivi 
generali, 
su 
base 
triennale 
e 
definiti, 
prima 
dell'inizio 
del 
rispettivo 
esercizio, 
dagli 
organi 
di 
indirizzo 
politico-amministrativo, 
sentiti 
i 
vertici 
dell'amministrazione 
che 
a 
loro 
volta 

LeGiSLAzione 
eD 
AttuALità 


consultano 
i 
dirigenti 
o 
i 
responsabili 
delle 
unità 
organizzative. 
Gli 
obiettivi 
sono 
definiti 
in 
coerenza 
con 
gli 
obiettivi 
di 
bilancio 
indicati 
nei 
documenti 
programmatici 
di 
cui 
alla 
L. 
n. 
196/2009 
e 
di 
cui 
alla 
normativa 
economica 
e 
finanziaria 
applicabile 
alle 
regioni 
e 
agli 
enti 
locali 
e 
il 
loro 
conseguimento 
costituisce 
condizione 
per 
l'erogazione 
degli 
incentivi 
previsti 
dalla 
contrattazione 
integrativa. 


Gli 
obiettivi 
devono essere 
in grado di 
consentire 
la 
misurazione 
e 
la 
valutazione 
della 
performance, pertanto devono rispondere 
ai 
seguenti 
requisiti 
(indicatori): 
a) rilevanti 
e 
pertinenti 
rispetto ai 
bisogni 
della 
collettività, alla 
missione 
istituzionale, alle 
priorità 
politiche 
ed alle 
strategie 
dell'amministrazione; 
b) specifici 
e 
misurabili 
in termini 
concreti 
e 
chiari; 
c) tali 
da 
determinare 
un 
significativo 
miglioramento 
della 
qualità 
dei 
servizi 
erogati 
e 
degli 
interventi; 
d) riferibili 
ad un arco temporale 
determinato, di 
norma 
corrispondente 
ad 
un 
anno; 
e) 
commisurati 
ai 
valori 
di 
riferimento 
derivanti 
da 
standard 
definiti 
a 
livello nazionale 
e 
internazionale, nonché 
da 
comparazioni 
con amministrazioni 
omologhe; 
f) 
confrontabili 
con 
le 
tendenze 
della 
produttività 
del-
l'amministrazione 
con 
riferimento, 
ove 
possibile, 
almeno 
al 
triennio 
precedente; g) correlati alla quantità e alla qualità delle risorse disponibili. 


Sistema di 
misurazione 
e 
valutazione 
della performance, organizzativa e 
individuale - Smivap (artt. 7, 8 e 9 D.l.vo n. 150/2009). 


Le 
PP.AA. adottano e 
aggiornano annualmente, previo parere 
vincolante 
dell'oiv, il 
Sistema 
di 
misurazione 
e 
valutazione 
della 
performance, in coerenza 
con 
gli 
indirizzi 
impartiti 
dal 
Dipartimento 
della 
funzione 
pubblica. 
nello 
SMivAP 
sono 
previste, 
altresì, 
le 
procedure 
di 
conciliazione, 
a 
garanzia 
dei 
valutati, relative 
all'applicazione 
del 
sistema 
di 
misurazione 
e 
valutazione 
della 
performance 
e 
le 
modalità 
di 
raccordo e 
integrazione 
con i 
documenti 
di 
programmazione finanziaria e di bilancio. 

La 
funzione 
di 
misurazione 
e 
valutazione 
delle 
performance 
è 
svolta: 
a) 
dagli 
oiv 
della 
performance, cui 
compete 
la 
misurazione 
e 
valutazione 
della 
performance 
di 
ciascuna 
struttura 
amministrativa 
nel 
suo complesso, nonché 
la 
proposta 
di 
valutazione 
annuale 
dei 
dirigenti 
di 
vertice; 
b) dai 
dirigenti 
di 
ciascuna 
amministrazione; 
c) dai 
cittadini 
o dagli 
altri 
utenti 
finali 
in rapporto 
alla 
qualità 
dei 
servizi 
resi 
dall'amministrazione, 
partecipando 
alla 
valutazione 
della 
performance 
organizzativa dell'amministrazione. 


il 
Sistema 
di 
misurazione 
e 
valutazione 
della 
performance 
organizzativa 
concerne: 
l'attuazione 
di 
politiche 
e 
il 
conseguimento di 
obiettivi 
collegati 
ai 
bisogni 
e 
alle 
esigenze 
della 
collettività; 
l'attuazione 
di 
piani 
e 
programmi, 
ovvero 
la 
misurazione 
dell'effettivo 
grado 
di 
attuazione 
dei 
medesimi, 
nel 
rispetto 
delle 
fasi 
e 
dei 
tempi 
previsti, degli 
standard qualitativi 
e 
quantitativi 
definiti, 
del 
livello previsto di 
assorbimento delle 
risorse; 
la 
rilevazione 
del 
grado di 
soddisfazione 
dei 
destinatari 
delle 
attività 
e 
dei 
servizi 
anche 
attraverso modalità 
interattive; 
la 
modernizzazione 
e 
il 
miglioramento 
qualitativo 
dell'orga



rASSeGnA 
AvvoCAturA 
DeLLo 
StAto -n. 3/2022 


nizzazione 
e 
delle 
competenze 
professionali 
e 
la 
capacità 
di 
attuazione 
di 
piani 
e 
programmi; 
lo sviluppo qualitativo e 
quantitativo delle 
relazioni 
con i 
cittadini, 
i 
soggetti 
interessati, 
gli 
utenti 
e 
i 
destinatari 
dei 
servizi, 
anche 
attraverso 
lo sviluppo di 
forme 
di 
partecipazione 
e 
collaborazione; 
l'efficienza 
nell'impiego 
delle 
risorse, con particolare 
riferimento al 
contenimento ed alla 
riduzione 
dei 
costi, 
nonché 
all'ottimizzazione 
dei 
tempi 
dei 
procedimenti 
amministrativi; 
la 
qualità 
e 
la 
quantità 
delle 
prestazioni 
e 
dei 
servizi 
erogati; 
il raggiungimento degli obiettivi di promozione delle pari opportunità. 


il 
Sistema 
di 
misurazione 
e 
valutazione 
della 
performance 
individuale 
dei 
dirigenti 
e 
del 
personale 
responsabile 
di 
una 
unità 
organizzativa 
in posizione 
di 
autonomia 
e 
responsabilità, secondo le 
modalità 
indicate 
nello SMivAP, 
è 
collegata: 
agli 
indicatori 
di 
performance 
relativi 
all'ambito 
organizzativo di 
diretta 
responsabilità, ai 
quali 
è 
attribuito un peso prevalente 
nella 
valutazione 
complessiva; 
al 
raggiungimento di 
specifici 
obiettivi 
individuali; 
alla 
qualità 
del 
contributo 
assicurato 
alla 
performance 
generale 
della 
struttura, alle 
competenze 
professionali 
e 
manageriali 
dimostrate, nonché 
ai 
comportamenti 
organizzativi 
richiesti 
per 
il 
più 
efficace 
svolgimento 
delle 
funzioni 
assegnate; 
alla 
capacità 
di 
valutazione 
dei 
propri 
collaboratori, 
dimostrata 
tramite una significativa differenziazione dei giudizi. 


La 
misurazione 
e 
valutazione 
della 
performance 
individuale 
dei 
dirigenti 
titolari 
degli 
incarichi 
di 
funzione 
dirigenziale 
di 
livello 
generale 
e/o 
superiori 
è 
collegata 
altresì 
al 
raggiungimento degli 
obiettivi 
individuati 
nella 
direttiva 
generale 
per 
l'azione 
amministrativa 
e 
la 
gestione 
e 
nel 
Piano 
della 
performance, 
nonché di quelli specifici definiti nel contratto individuale. 

La 
misurazione 
e 
la 
valutazione 
svolte 
dai 
dirigenti 
sulla 
performance 
individuale 
del 
personale 
sono effettuate 
sulla 
base 
dello SMivAP 
e 
collegate: 
al 
raggiungimento 
di 
specifici 
obiettivi 
di 
gruppo 
o 
individuali; 
alla 
qualità 
del 
contributo assicurato alla 
performance 
dell'unità 
organizzativa 
di 
appartenenza, 
alle 
competenze 
dimostrate 
ed ai 
comportamenti 
professionali 
e 
organizzativi. 


nella 
valutazione 
di 
performance 
individuale 
non sono considerati 
i 
periodi 
di congedo di maternità, di paternità e parentale. 


piano 
della 
performance 
(o 
piao 
nella 
parte 
relativa 
alla 
materia 
de 
qua) e relazione sulla performance (art. 10 D.l.vo n. 150/2009). 


Le PP.AA. redigono - e pubblicano sul sito istituzionale - ogni anno: 


a) entro il 
31 gennaio, il 
Piano della 
performance 
(o PiAo 
nella 
parte 
relativa 
alla 
materia 
de 
qua), 
documento 
programmatico 
triennale, 
che 
è 
definito 
dall'organo 
di 
indirizzo 
politico-amministrativo 
in 
collaborazione 
con 
i 
vertici 
dell'amministrazione 
e 
secondo gli 
indirizzi 
impartiti 
dal 
Dipartimento della 
funzione 
pubblica. il 
Piano individua 
gli 
indirizzi 
e 
gli 
obiettivi 
strategici 
ed 
operativi 
e 
definisce, con riferimento agli 
obiettivi 
finali 
ed intermedi 
ed alle 
risorse, 
gli 
indicatori 
per 
la 
misurazione 
e 
la 
valutazione 
della 
performance 

LeGiSLAzione 
eD 
AttuALità 


dell'amministrazione, nonché 
gli 
obiettivi 
assegnati 
al 
personale 
dirigenziale 
ed i relativi indicatori (71). 


in 
caso 
di 
mancata 
adozione 
del 
Piano 
della 
performance 
è 
fatto 
divieto 
di 
erogazione 
della 
retribuzione 
di 
risultato 
ai 
dirigenti 
che 
risultano 
avere 
concorso 
alla 
mancata 
adozione 
del 
Piano, 
per 
omissione 
o 
inerzia 
nell'adempimento 
dei 
propri 
compiti, 
e 
l'amministrazione 
non 
può 
procedere 
ad 
assunzioni 
di 
personale 
o 
al 
conferimento 
di 
incarichi 
di 
consulenza 
o 
di 
collaborazione 
comunque 
denominati. 
nei 
casi 
in 
cui 
la 
mancata 
adozione 
del 
Piano 
o 
della 
relazione 
sulla 
performance 
dipenda 
da 
omissione 
o 
inerzia 
dell'organo 
di 
indirizzo 
politico-amministrativo 
dell’Amm.ne, 
l'erogazione 
dei 
trattamenti 
e 
delle 
premialità 
di 
cui 
al 
titolo 
iii 
del 
D.L.vo 
n. 
150/2009 
è 
fonte 
di 
responsabilità 
amministrativa 
del 
titolare 
dell'organo 
che 
ne 
ha 
dato 
disposizione 
e 
che 
ha 
concorso 
alla 
mancata 
adozione 
del 
Piano, 
ai 
sensi 
del 
periodo 
precedente; 


b) entro il 
30 giugno, la 
relazione 
annuale 
sulla 
performance, approvata 
dall'organo di 
indirizzo politico-amministrativo e 
validata 
dall'oiv, che 
evidenzia, 
a 
consuntivo, con riferimento all'anno precedente, i 
risultati 
organizzativi 
e 
individuali 
raggiunti 
rispetto ai 
singoli 
obiettivi 
programmati 
ed alle 
risorse, 
con 
rilevazione 
degli 
eventuali 
scostamenti, 
e 
il 
bilancio 
di 
genere 
realizzato. 
Per gli 
enti 
locali 
la 
relazione 
sulla 
performance 
può essere 
unificata 
al rendiconto della gestione di cui all'art. 227 D.L.vo 18 agosto 2000, n. 267. 
nella 
validazione 
della 
relazione 
l’oiv 
tiene 
conto 
anche 
delle 
risultanze 
delle 
valutazioni 
realizzate 
con 
il 
coinvolgimento 
dei 
cittadini 
o 
degli 
altri 
utenti 
finali 
per le 
attività 
e 
i 
servizi 
rivolti, nonché, ove 
presenti, dei 
risultati 
prodotti 
dalle 
indagini 
svolte 
dalle 
agenzie 
esterne 
di 
valutazione 
e 
dalle 
analisi 
condotte 
dai 
soggetti 
appartenenti 
alla 
rete 
nazionale 
per la 
valutazione 
delle 
amministrazioni 
pubbliche, 
di 
cui 
al 
decreto 
emanato 
in 
attuazione 
dell'art. 
19 


D.L. 24 giugno 2014, n. 90, conv. L. 11 agosto 2014, n. 114, e 
dei 
dati 
e 
delle 
elaborazioni 
forniti 
dall'amministrazione, secondo le 
modalità 
indicate 
nello 
SMivAP; 
la 
validazione 
della 
relazione 
sulla 
performance, è 
condizione 
inderogabile 
per l'accesso agli 
strumenti 
per premiare 
il 
merito di 
cui 
al 
titolo 
iii del D.L.vo n. 150/2009 (art. 14, commi 4 bis 
e 6, D.L.vo n. 150/20019). 
monitoraggio della performance (art. 6 D.l.vo n. 150/2009). 


Gli 
oiv, anche 
accedendo alle 
risultanze 
dei 
sistemi 
di 
controllo strategico 
e 
di 
gestione 
presenti 
nell'amministrazione, verificano l'andamento delle 
performance 
rispetto 
agli 
obiettivi 
programmati 
durante 
il 
periodo 
di 
riferimento 
e 
segnalano la 
necessità 
o l'opportunità 
di 
interventi 
correttivi 
in corso 
di 
esercizio 
all'organo 
di 
indirizzo 
politico-amministrativo, 
anche 
in 
relazione 
al 
verificarsi 
di 
eventi 
imprevedibili 
tali 
da 
alterare 
l'assetto 
dell'organizzazione 


(71) Per l’Amm.ne 
Statale 
il 
Piano è 
adottato in coerenza 
con le 
note 
integrative 
al 
bilancio di 
previsione 
di 
cui 
all'articolo 
21 
L. 
31 
dicembre 
2009, 
n. 
196, 
o 
con 
il 
piano 
degli 
indicatori 
e 
dei 
risultati 
attesi di bilancio, di cui all'articolo 19 D.L.vo 31 maggio 2011, n. 91. 

rASSeGnA 
AvvoCAturA 
DeLLo 
StAto -n. 3/2022 


e 
delle 
risorse 
a 
disposizione 
dell'amministrazione. Le 
variazioni, verificatesi 
durante 
l'esercizio, degli 
obiettivi 
e 
degli 
indicatori 
della 
performance 
organizzativa 
e 
individuale 
sono inserite 
nella 
relazione 
sulla 
performance 
e 
vengono 
valutate dall'oiv ai fini della validazione. 


merito e premi. 


È 
vietata 
la 
distribuzione 
in maniera 
indifferenziata 
o sulla 
base 
di 
automatismi 
di 
incentivi 
e 
premi 
collegati 
alla 
performance 
in assenza 
delle 
verifiche 
e 
attestazioni 
sui 
sistemi 
di 
misurazione 
e 
valutazione 
adottati 
ai 
sensi 
del D.L.vo n. 150/2009 (art. 18, comma 2, D.L.vo n. 150/2009). 


il 
contratto 
collettivo 
nazionale, 
nell'ambito 
delle 
risorse 
destinate 
al 
trattamento 
economico 
accessorio 
collegato 
alla 
performance 
ai 
sensi 
dell'art. 
40, 
comma 
3 bis, t.u.P.i., stabilisce 
la 
quota 
delle 
risorse 
destinate 
a 
remunerare, 
rispettivamente, la 
performance 
organizzativa 
e 
quella 
individuale 
e 
fissa 
criteri 
idonei 
a 
garantire 
che 
alla 
significativa 
differenziazione 
dei 
giudizi 
corrisponda 
un'effettiva 
diversificazione 
dei 
trattamenti 
economici 
correlati; 
per i 
dirigenti, 
il 
criterio 
di 
attribuzione 
dei 
premi 
di 
cui 
al 
comma 
1 
è 
applicato 
con 
riferimento alla retribuzione di risultato (art. 19 D.L.vo n. 150/2009). 


Giusta 
l’art. 20 D.L.vo n. 150/2009, gli 
strumenti 
per premiare 
il 
merito 
e 
le 
professionalità 
sono: 
a) 
il 
bonus 
annuale 
delle 
eccellenze, 
di 
cui 
all'art. 
21, al 
quale 
concorre 
il 
personale, dirigenziale 
e 
non, cui 
è 
attribuita 
una 
valutazione 
di 
eccellenza; 
b) il 
premio annuale 
per l'innovazione, di 
cui 
all'art. 


22. 
il 
premio 
viene 
assegnato 
al 
miglior 
progetto 
realizzato 
nell'anno, 
in 
grado 
di 
produrre 
un significativo cambiamento dei 
servizi 
offerti 
o dei 
processi 
interni 
di 
lavoro, con un elevato impatto sulla 
performance 
dell'organizzazione; 
c) 
le 
progressioni 
economiche, 
di 
cui 
all'art. 
23, 
attribuite 
-sulla 
base 
di 
quanto 
previsto dai 
contratti 
collettivi 
nazionali 
e 
integrativi 
di 
lavoro -in modo selettivo, 
ad 
una 
quota 
limitata 
di 
dipendenti, 
in 
relazione 
allo 
sviluppo 
delle 
competenze 
professionali 
ed ai 
risultati 
individuali 
e 
collettivi 
rilevati 
dal 
sistema 
di 
valutazione; 
d) le 
progressioni 
di 
carriera, di 
cui 
all'art. 24; 
e) l'attribuzione 
di 
incarichi 
e 
responsabilità, 
di 
cui 
all'art. 
25. 
La 
professionalità 
sviluppata 
e 
attestata 
dal 
sistema 
di 
misurazione 
e 
valutazione 
costituisce 
criterio 
per l'assegnazione 
di 
incarichi 
e 
responsabilità 
secondo criteri 
oggettivi 
e 
pubblici; 
f) 
l'accesso 
a 
percorsi 
di 
alta 
formazione 
e 
di 
crescita 
professionale, 
in ambito nazionale e internazionale, di cui all'art. 26. 
7. 
rapporTo 
Di 
lavoro 
inDiviDuale. aSpeTTi 
generali. 
La 
materia 
è 
regolata 
dal 
titolo 
iv 
del 
tuPi 
(artt. 
51-57). 
L’art. 
51 
dispone 
“1. 
il 
rapporto 
di 
lavoro 
dei 
dipendenti 
delle 
amministrazioni 
pubbliche 
è 
disciplinato 
secondo 
le 
disposizioni 
degli 
articoli 
2, 
commi 
2 
e 
3, 
e 
3, 
comma 
1. 
2. 
la 
legge 
20 
maggio 
1970, 
n. 
300, 
e 
successive 
modificazioni 
ed 
integrazioni, 
si 
applica 
alle 
pubbliche 
amministrazioni 
a 
prescindere 
dal 
numero 
dei 
dipendenti”. 


ossia: 
la 
fonte 
del 
rapporto è 
il 
contratto di 
lavoro individuale 
integrato, 



LeGiSLAzione 
eD 
AttuALità 


ex 
art. 
1374 
c.c.: 
a) 
dalla 
normazione 
civilistica 
(codice 
civile 
e 
leggi 
speciali) 
sui 
rapporti 
di 
lavoro subordinato nell'impresa; 
b) le 
disposizioni 
-diverse 
nel 
contenuto 
dalla 
sopraevidenziata 
normazione 
civilistica 
-contenute 
nel 
t.u.P.i., che 
costituiscono disposizioni 
a 
carattere 
imperativo; 
c) dai 
contratti 
collettivi, 
con 
portata 
sostituiva 
in 
melius 
ove 
il 
contratto 
individuale 
contenga 
una regolazione deteriore. 


7.1. requisiti soggettivi del lavoratore. 
Per la 
costituzione 
del 
rapporto di 
lavoro occorre, in capo al 
dipendente, 
il 
possesso di 
requisiti 
di 
ordine 
generale 
e 
di 
ordine 
speciale. i requisiti 
per 
l'accesso ai 
posti 
messi 
a 
concorso devono essere 
posseduti 
dai 
candidati 
al 
momento 
della 
scadenza 
del 
termine 
per 
la 
presentazione 
delle 
domande 
e 
per 
tutta 
la 
durata 
procedurale 
fino alla 
stipula 
del 
contratto individuale 
di 
lavoro. 


requisiti di ordine generale 
(72). 


a) 
cittadinanza 
italiana. 
idonea 
è 
altresì 
la 
cittadinanza 
degli 
Stati 
membri 
dell'unione 
europea 
(o essere 
loro familiari 
non aventi 
la 
cittadinanza 
di 
uno 
Stato 
membro), 
con 
la 
titolarità 
del 
diritto 
di 
soggiorno 
o 
del 
diritto 
di 
soggiorno 
permanente, sempre 
che 
non vengano in rilievo posti 
di 
lavoro che 
implicano 
esercizio diretto o indiretto di 
pubblici 
poteri, ovvero che 
attengono 
alla 
tutela 
dell'interesse 
nazionale 
(73); 
idonea 
è 
inoltre 
la 
cittadinanza 
di 
Paesi 
terzi, con la 
titolarità 
del 
permesso di 
soggiorno ue 
per soggiornanti 
di 
lungo 
periodo o dello status 
di 
rifugiato ovvero dello status 
di 
protezione 
sussidiaria 
(art. 38 t.u.P.i.); 
b) 
maggiore età (74); 
c) idoneità 
fisica 
allo svolgimento delle 
funzioni 
cui 
il 
concorso si 
riferisce. 
illo tempore, per un rapido controllo di 
tale 
requisito, vi 
era 
l’obbligo, in 
capo 
all’interessato, 
di 
produrre 
certificazione 
sanitaria 
di 
idoneità 
all’impiego; 
tale obbligo è stato abolito; 
d) 
godimento 
dei 
diritti 
civili 
e 
politici 
(tra 
cui: 
non 
essere 
stati 
esclusi 
dall’elettorato 
politico 
attivo). 
Giusta 
l’art. 
2 
del 
D.P.r. 
n. 
487/1994 
, 
“non 
(72) Art. 2 D.P.r. n. 487/1994 per l’accesso agli 
impieghi 
nelle 
pubbliche 
amministrazioni 
ed art. 
2 D.P.r. 10 gennaio 1957, n. 3. 
(73) 
Giusta 
il 
comma 
2 
dell’art. 
38 
t.u.P.i. 
“con 
decreto 
del 
presidente 
del 
consiglio 
dei 
ministri, 
ai 
sensi 
dell'articolo 17 della legge 
23 agosto 1988, n. 400, e 
successive 
modificazioni 
ed integrazioni, 
sono individuati 
i 
posti 
e 
le 
funzioni 
per 
i 
quali 
non può prescindersi 
dal 
possesso della cittadinanza 
italiana, nonché i requisiti indispensabili all'accesso dei cittadini di cui al comma 1”. 
(74) il 
n. 2 dell’art. 2 D.P.r. n. 3/1957 richiedeva: 
“età non inferiore 
agli 
anni 
18 e 
non superiore 
ai 
40. per 
i 
candidati 
appartenenti 
a categorie 
per 
le 
quali 
leggi 
speciali 
prevedono deroghe, il 
limite 
massimo non può superare, anche 
in caso di 
cumulo di 
benefici, i 
quarantacinque 
anni 
di 
età”. La 
partecipazione 
ai 
concorsi 
indetti 
da 
pubbliche 
amministrazioni 
non è 
più soggetta 
a 
limiti 
di 
età, salvo deroghe 
dettate 
dai 
regolamenti 
delle 
singole 
amministrazioni 
dovute 
alla 
natura 
del 
servizio 
o 
ad 
oggettive 
necessità 
dell'amministrazione 
in base 
a 
quanto disposto dall'art. 3, comma 
6, L. 15 maggio 1997, n. 
127. 
L’età, 
intuitivamente, 
non 
può 
essere 
superiore 
all'età 
prevista 
dalle 
norme 
vigenti 
in 
materia 
di 
collocamento a riposo. 

rASSeGnA 
AvvoCAturA 
DeLLo 
StAto -n. 3/2022 


possono 
accedere 
agli 
impieghi 
coloro 
che 
siano 
esclusi 
dall’elettorato 
politico 
attivo”, 
ossia: 
coloro 
che 
sono 
sottoposti, 
in 
forza 
di 
provvedimenti 
definitivi, 
alle 
misure 
di 
prevenzione 
di 
cui 
all'art. 
3 
della 
legge 
27 
dicembre 
1956, 
n. 
1423 
(abrogata 
e 
sostituita 
con 
D.L.vo 
6 
settembre 
2011, 
n. 
159), 
finché 
durano 
gli 
effetti 
dei 
provvedimenti 
stessi; 
coloro 
che 
sono 
sottoposti, 
in 
forza 
di 
provvedimenti 
definitivi, 
a 
misure 
di 
sicurezza 
detentive 
o 
alla 
libertà 
vigilata 
o 
al 
divieto 
di 
soggiorno 
in 
uno 
o 
più 
comuni 
o 
in 
una 
o 
più 
province, 
a 
norma 
dell'art. 
215 
c.p., 
finché 
durano 
gli 
effetti 
dei 
provvedimenti 
stessi; 
i 
condannati 
a 
pena 
che 
importa 
la 
interdizione 
perpetua 
dai 
pubblici 
uffici; 
coloro 
che 
sono 
sottoposti 
all'interdizione 
temporanea 
dai 
pubblici 
uffici, 
per 
tutto 
il 
tempo 
della 
sua 
durata 
(art. 
2 
D.P.r. 
20 
marzo 
1967, 
n. 
223); 


e) non essere 
stati 
destituiti 
o dispensati 
dall'impiego presso una 
P.A. per 
persistente 
insufficiente 
rendimento, 
ovvero 
non 
essere 
stati 
dichiarati 
decaduti 
da 
un impiego statale, ai 
sensi 
dell'articolo 127, comma 
1, lettera 
d), D.P.r. 
10 gennaio 1957, n. 3 e 
ai 
sensi 
delle 
corrispondenti 
disposizioni 
di 
legge 
e 
dei 
contratti 
collettivi 
nazionali 
di 
lavoro 
relativi 
al 
personale 
dei 
vari 
comparti. 
Costituiscono 
ipotesi 
ricorrenti, 
a 
quest’ultimo 
riguardo, 
il 
non 
essere 
stati 
destituiti 
dall'impiego presso una 
P.A. a 
seguito di 
procedimento disciplinare 
o 
dispensati 
dall'impiego 
per 
persistente 
insufficiente 
rendimento 
ovvero 
dichiarati 
decaduti dall'impiego o licenziati per le medesime cause. 
requisiti di ordine speciale. 


a) 
titolo di 
studio (laurea 
o diploma 
di 
laurea 
o titoli 
equiparati 
ed equipollenti 
secondo 
la 
normativa 
vigente 
oppure 
diploma 
di 
istruzione 
secondaria 
di secondo grado che consenta l’iscrizione ad una facoltà universitaria); 
b) Condotta 
e 
qualità 
morali. tale 
requisito è 
richiesto per le 
assunzioni 
nella 
magistratura, presso la 
Presidenza 
del 
Consiglio dei 
Ministri 
e 
le 
amministrazioni 
che 
esercitano competenze 
istituzionali 
in materia 
di 
difesa 
e 
sicurezza 
dello Stato, di polizia e di giustizia (75). 
(75) L’art. 35, comma 
6, t.u.P.i. dispone: 
“ai 
fini 
delle 
assunzioni 
di 
personale 
presso la presidenza 
del 
consiglio dei 
ministri, il 
ministero degli 
affari 
esteri 
e 
della cooperazione 
internazionale 
e 
le 
amministrazioni 
che 
esercitano competenze 
istituzionali 
in materia di 
difesa e 
sicurezza dello Stato, di 
polizia, di 
giustizia ordinaria, amministrativa, contabile 
e 
di 
difesa in giudizio dello Stato, si 
applica il 
disposto di 
cui 
all'articolo 26 della legge 
1 febbraio 1989, n. 53, e 
successive 
modificazioni 
ed integrazioni”, 
disposizione, 
quest’ultima, 
che 
dispone: 
“per 
l'accesso 
ai 
ruoli 
del 
personale 
della 
polizia 
di 
Stato 
e 
delle 
altre 
forze 
di 
polizia 
indicate 
dall'articolo 
16 
della 
legge 
1° 
aprile 
1981, 
n. 
121 
, 
è 
richiesto 
il 
possesso delle 
qualità morali 
e 
di 
condotta stabilite 
per 
l'ammissione 
ai 
concorsi 
della magistratura 
ordinaria”. Con sentenza 
31 marzo 1994, n. 108, la 
Corte 
costituzionale 
ha 
dichiarato, tra 
l'altro, l'illegittimità 
dell'art. 
26, 
nella 
parte 
in 
cui, 
rinviando 
per 
l'accesso 
ai 
ruoli 
del 
personale 
della 
polizia 
di 
Stato 
al 
possesso delle 
qualità 
morali 
e 
di 
condotta 
stabilite 
per l'ammissione 
ai 
concorsi 
della 
magistratura 
ordinaria, 
prevede 
che 
siano 
esclusi 
coloro 
che, 
per 
le 
informazioni 
raccolte, 
non 
risultano, 
secondo 
l'apprezzamento 
insindacabile 
del 
Ministro competente, appartenenti 
a 
famiglia 
di 
estimazione 
morale 
indiscussa. 
La 
stessa 
Corte, con sentenza 
28 luglio 2000, n. 391, ha 
dichiarato, tra 
l'altro, l'illegittimità 
del 
presente 
articolo, nella 
parte 
in cui, rinviando per l'accesso ai 
ruoli 
del 
personale 
del 
Corpo di 
polizia 

LeGiSLAzione 
eD 
AttuALità 


La 
stipula 
del 
contratto di 
lavoro in assenza 
dei 
detti 
requisiti 
determina 
la 
nullità 
dell’assunzione 
e 
produce 
un effetto estintivo sul 
rapporto di 
lavoro. 
il 
contratto di 
lavoro stipulato dalla 
P.A. in violazione 
delle 
norme 
che 
regolano 
le 
procedure 
di 
evidenza 
pubblica 
è 
affetto da 
nullità, per inosservanza 
dell’art. 
35 
t.u.P.i. 
e 
dell’art. 
3, 
comma 
6, 
D.P.r. 
n. 
3/1957 
(disposizione, 
quest’ultima, 
prevedente 
testualmente 
la 
nullità 
dell’assunzione), 
che 
riflettono 
l’art. 97, comma 4, della Costituzione ed è, dunque, inderogabile. 


Come 
già 
osservato, gli 
atti 
di 
gara 
sono caratterizzati 
da 
una 
natura 
duplice: 
il 
bando e 
la 
graduatoria 
finale, pur inserendosi 
nell'ambito del 
procedimento 
di 
evidenza 
pubblica, 
hanno 
anche 
la 
natura 
sostanziale, 
rispettivamente, di 
proposta 
al 
pubblico e 
di 
atto di 
individuazione 
del 
futuro 
contraente. 


Pertanto, 
la 
procedura 
concorsuale 
costituisce 
un 
presupposto 
di 
validità 
del 
contratto 
di 
lavoro 
individuale 
stipulato 
dall’amministrazione. 
non 
a 
caso, 
l'art. 
36 
t.u.P.i. 
ha 
sempre 
previsto, 
nelle 
diverse 
versioni 
succedutesi 
nel 
tempo, 
che 
“in 
ogni 
caso 
la 
violazione 
di 
disposizioni 
imperative 
riguardanti 
l'assunzione 
o 
l'impiego 
di 
lavoratori 
da 
parte 
delle 
pubbliche 
amministrazioni 
non 
può 
comportare 
la 
costituzione 
di 
rapporti 
di 
lavoro 
a 
tempo 
indeterminato 
con 
le 
medesime 
pubbliche 
amministrazioni” 
(comma 
5); 
la 
norma, 
per 
come 
formulata, 
ha 
una 
portata 
generale 
che 
va 
oltre 
il 
più 
ristretto 
ambito 
di 
applicazione 
indicato 
dalla 
rubrica 
dell'articolo 
(“personale 
a 
tempo 
determinato 
o 
assunto 
con 
forme 
di 
lavoro 
flessibile”) 
ed 
è 
idonea 
ad 
attrarre 
nella 
sfera 
della 
nullità 
-ex 
art. 
1418, 
comma 
1, 
c.c. 
per 
violazione 
delle 
norme 
imperative 
-anche 
il 
mancato 
rispetto 
delle 
procedure 
imposte 
per 
le 
assunzioni 
a 
tempo 
indeterminato 
dall'art. 
35 
del 
medesimo 
decreto 
legislativo 
(76). 
Peraltro, 
come 
già 
evidenziato, 
già 
l’art. 
3, 
comma 
6, 
D.P.r. 


penitenziaria 
al 
possesso delle 
qualità 
morali 
e 
di 
condotta 
stabilite 
per l'ammissione 
ai 
concorsi 
della 
magistratura 
ordinaria, prevede 
che 
siano esclusi 
coloro i 
cui 
parenti, in linea 
retta 
entro il 
primo grado 
ed in linea 
collaterale 
entro il 
secondo, hanno riportato condanne 
per taluno dei 
delitti 
di 
cui 
all'art. 407, 
comma 2, lettera a) c.p.p. 


(76) Per questo motivo, Cass. 7 maggio 2019, n. 11951, ha 
asserito che 
“la regola che 
impone 
l'individuazione 
del 
contraente 
sulla base 
di 
una graduatoria formulata all'esito della procedura concorsuale 
nel 
rispetto dei 
criteri 
imposti 
dalla legge 
e 
dal 
bando, seppure 
non direttamente 
attinente 
al 
contenuto delle 
obbligazioni 
contrattuali, si 
riflette 
necessariamente, per 
quanto sopra detto, sulla validità 
del 
negozio, 
perché 
individua 
un 
requisito 
che 
deve 
imprescindibilmente 
sussistere 
in 
capo 
al 
contraente, 
di 
tal 
ché, ove 
si 
consentisse 
lo svolgimento del 
rapporto con soggetto privo del 
requisito in 
parola, si 
finirebbe 
per 
porre 
nel 
nulla la norma inderogabile, posta a tutela di 
interessi 
pubblici 
alla 
cui 
realizzazione, secondo il 
costituente, deve 
essere 
costantemente 
orientata l'azione 
amministrativa 
dello Stato e 
degli 
enti 
pubblici”. Del 
resto, la 
stessa 
Cass. 27 dicembre 
2019, n. 34557, ha 
ribadito “il 
principio di 
diritto, ormai 
consolidato nella giurisprudenza di 
questa corte, secondo cui 
l'atto con il 
quale 
l'amministrazione 
revochi 
un'assunzione 
o 
un 
incarico 
a 
seguito 
dell'annullamento 
della 
procedura 
concorsuale 
o dell'inosservanza dell'ordine 
di 
graduatoria «equivale 
alla condotta del 
contraente 
che 
non osservi 
il 
contratto stipulato ritenendolo inefficace 
perché 
affetto da nullità, trattandosi 
di 
un comportamento 
con 
cui 
si 
fa 
valere 
l'assenza 
di 
un 
vincolo 
contrattuale»” 
(cass. 
nn. 
8328/2010, 
19626/2015, 
13800/2017, 7054/2018, 194/2019, 17002/2019 e 
cass. S.u. n. 2396/2014)”. Analogamente 
si 
enuncia 

rASSeGnA 
AvvoCAturA 
DeLLo 
StAto -n. 3/2022 


n. 
3/1957 
prevedeva 
che 
“l’'assunzione 
agli 
impieghi 
senza 
il 
concorso 
prescritto 
per 
le 
singole 
carriere 
è 
nulla 
di 
diritto 
e 
non 
produce 
alcun 
effetto 
a 
carico 
dell'amministrazione, 
ferma 
restando 
la 
responsabilità 
dell'impiegato 
che 
vi 
ha 
provveduto” 
(77). 
7.2. Tipologia di rapporto. 
il 
rapporto 
di 
lavoro 
può 
avere 
tipologie 
diverse. 
L’ipotesi 
ordinaria 
è 
quella 
del 
rapporto 
titolato 
volontario 
di 
lavoro 
subordinato 
professionale 
a 
tempo 
indeterminato, 
come 
confermato 
dall’art. 
36, 
comma 
1. 
esistono 
anche 
altre speciali ipotesi: 


a) 
rapporto di fatto. 
Si 
ha 
nel 
caso in cui 
manchi 
l’atto di 
investitura 
oppure 
(ove 
anche 
sussista 
l’atto di investitura) manchi un valido atto di assunzione in servizio. 
ove 
manchi 
l’atto di 
investitura 
ricorre 
la 
figura 
del 
funzionario di 
fatto. 
in questa 
ipotesi 
il 
sorgere 
di 
un rapporto organico di 
fatto porta 
come 
necessaria 
conseguenza 
il 
sorgere 
di 
un rapporto di 
servizio di 
fatto. il 
funzionario 
di 
fatto non ha 
diritto verso la 
P.A. alla 
retribuzione, ma 
unicamente 
a 
ripetere 
quanto eventualmente 
abbia 
utilmente 
speso nell’operare 
al 
servizio di 
essa, 
secondo i principi dell’actio de in rem verso (78). 


Manca 
un 
valido 
atto 
di 
assunzione 
in 
servizio 
nel 
caso 
di 
violazione 
delle 
disposizioni 
riguardanti 
l'assunzione 
o 
l'impiego 
di 
lavoratori 
da 
parte 
delle 
PP.AA. in questa ipotesi, giusta l’art. 36, commi 5 e 5 quater 


-non vi 
è 
la 
costituzione 
di 
rapporti 
di 
lavoro a 
tempo indeterminato con 
le 
medesime 
PP.AA., ferma 
restando ogni 
responsabilità 
e 
sanzione. il 
lavoratore 
interessato ha 
diritto al 
risarcimento del 
danno derivante 
dalla 
prestazione 
di 
lavoro in violazione 
di 
disposizioni 
imperative. Le 
amministrazioni 
hanno l'obbligo di 
recuperare 
le 
somme 
pagate 
a 
tale 
titolo nei 
confronti 
dei 
dirigenti 
responsabili, qualora 
la 
violazione 
sia 
dovuta 
a 
dolo o colpa 
grave. i 
dirigenti 
che 
operano 
in 
violazione 
delle 
disposizioni 
de 
quo 
sono 
responsabili, 
anche 
ai 
sensi 
dell'art. 21 sulla 
responsabilità 
dirigenziale. Di 
tali 
violazioni 
si 
tiene 
conto in sede 
di 
valutazione 
dell'operato del 
dirigente 
ai 
sensi 
dell'articolo 
5 D.L.vo n. 286/1999. Al 
dirigente 
responsabile 
di 
irregolarità 
nell'utilizzo 
del lavoro flessibile non può essere erogata la retribuzione di risultato; 
che 
l'annullamento in autotutela 
ai 
sensi 
dell'art. 21 novies, L. n. 241/1990 di 
un concorso pubblico, per 
vizi 
di 
legittimità 
riscontrati 
dalla 
P.A. rispetto agli 
atti 
della 
selezione, determina 
la 
nullità 
originaria, 
sebbene 
accertata 
successivamente, 
del 
contratto 
di 
lavoro 
stipulato 
in 
esito 
alla 
conclusione 
del 
concorso 
stesso e 
che 
nel 
giudizio instaurato dal 
lavoratore 
per la 
tutela 
del 
diritto soggettivo alla 
prosecuzione 
del 
rapporto di 
lavoro conseguente 
a 
tale 
contratto (dichiarato nullo dalla 
P.A.), il 
giudice 
ordinario ha 
il 
potere 
di 
disapplicare 
il 
provvedimento amministrativo di 
annullamento solo se 
e 
in quanto ravvisi 
in 
esso i vizi di legittimità propri degli atti amministrativi (così: Cass., 17 gennaio 2022, n. 1307). 


(77) Conf. Cass., 4 maggio 2021, n. 11633. 
(78) Così 
A.M. SAnDuLLi, manuale 
di 
diritto amministrativo, vol. i , Xv 
edizione, Jovene, 1989, 
p. 247. 

LeGiSLAzione 
eD 
AttuALità 


-i 
contratti 
di 
lavoro 
posti 
in 
essere 
in 
violazione 
dell’art. 
36 
t.u.P.i. 
sono 
nulli e determinano responsabilità erariale; 


b) rapporto obbligatorio. 
nel 
rapporto obbligatorio, coattivo, si 
prescinde 
dal 
consenso del 
lavoratore. 
tanto è 
possibile 
solo in base 
alla 
legge 
(art. 23 Cost.). una 
tale 
ipotesi 
si 
ha 
nella 
fattispecie 
di 
requisizione 
di 
servizi 
in 
caso 
di 
disastri 
pubblici 
onde 
sopperire 
alle 
esigenze 
della 
popolazione 
ed 
altresì 
con 
riguardo 
all’attività 
dei 
giudici 
popolari 
nelle 
Corti 
d’Assise, 
estratti 
a 
sorte 
per 
un 
periodo 
di 
tempo determinato. L’ipotesi 
più importante, il 
servizio militare 
obbligatorio, 
è 
venuta 
meno 
con 
la 
legge 
6 
marzo 
2001, 
n. 
64. 
Sicché 
ora 
il 
servizio 
militare 
è su base volontaria; 


c) 
rapporto 
di 
lavoro 
autonomo 
(ad 
esempio 
con 
professionisti 
intellettuali); 
d) rapporto di 
lavoro onorario, nel 
quale 
chi 
entra 
in rapporto di 
servizio 
con la 
P.A. non lo fa 
a 
titolo professionale 
(es. rapporto di 
servizio: 
dei 
commissari 
ad 
acta; 
dei 
componenti 
dei 
consigli 
comunali, 
provinciali 
e 
regionali; 
dei 
componenti 
della 
commissione 
aggiudicatrice 
di 
appalto; 
dei 
giudici 
onorari; 
degli 
organi 
politici 
e/o di 
indirizzo degli 
enti 
pubblici). vi 
è 
lo svolgimento 
di 
una 
pubblica 
funzione 
per effetto dell’atto di 
investitura 
alla 
carica 
e 
può essere 
prestato gratuitamente 
oppure 
con la 
corresponsione 
di 
un compenso 
(di 
natura 
indennitaria 
e 
di 
ristoro delle 
spese, generalmente 
commisurato 
al 
sacrificio, 
di 
tempo 
e 
di 
denaro, 
sopportato 
per 
lo 
svolgimento 
della 
funzione), 
senza 
tuttavia, 
in 
questo 
secondo 
caso 
che 
sia 
configurabile 
una 
relazione 
sinallagmatica 
tra 
funzioni 
e 
compenso per il 
loro esercizio. La 
posizione 
del 
funzionario onorario si 
configura 
ogni 
qualvolta 
esista 
un rapporto 
per lo svolgimento di 
funzioni 
pubbliche, ma 
manchino gli 
elementi 
caratterizzanti 
dell’impiego pubblico, quali 
la 
scelta 
del 
dipendente 
di 
carattere 
prettamente 
tecnico-amministrativo 
effettuata 
mediante 
procedure 
concorsuali 
(che 
si 
contrappone, nel 
caso del 
funzionario onorario, ad una 
scelta 
politico-
discrezionale), 
l’inserimento 
strutturale 
del 
dipendente 
nell’apparato 
organizzativo 
della 
P.A. 
(rispetto 
all’inserimento 
meramente 
funzionale 
del 
funzionario 
onorario), 
lo 
svolgimento 
del 
rapporto 
secondo 
un 
apposito 
statuto 
per 
il 
pubblico 
impiego 
(che 
si 
contrappone 
ad 
una 
disciplina 
del 
rapporto 
onorario 
derivante 
pressoché 
esclusivamente 
dall’atto 
di 
conferimento 
dell’incarico 
e 
dalla 
natura 
dello stesso), il 
carattere 
retributivo -perché 
inserito in 
un rapporto sinallagmatico -del 
compenso percepito dal 
pubblico dipendente 
(rispetto al 
carattere 
indennitario rivestito dal 
compenso percepito dal 
funzionario 
onorario), la 
durata 
tendenzialmente 
indeterminata 
del 
rapporto di 
pubblico 
impiego 
(a 
fronte 
della 
normale 
temporaneità 
dell’incarico 
onorario) 
(79). in assenza 
della 
espressa 
attribuzione 
normativa 
di 
una 
indennità 
il 
ser(
79) Sul 
servizio onorario: 
M. GerArDo, A. MutAreLLi, il 
processo nelle 
controversie 
di 
lavoro 
pubblico, cit., pp. 49-51. 

rASSeGnA 
AvvoCAturA 
DeLLo 
StAto -n. 3/2022 


vizio onorario è 
gratuito, salvo il 
rimborso delle 
spese 
che 
l’investito dell’ufficio 
sia obbligato a sostenere per l’esercizio dello stesso (80); 


e) rapporto di 
lavoro a tempo determinato o con forme 
di 
lavoro flessibile. 
Secondo la 
disciplina 
ex art. 36, commi 
2 e 
ss. (81), le 
PP.AA. possono 
stipulare 
contratti 
di 
lavoro subordinato a 
tempo determinato, contratti 
di 
formazione 
e 
lavoro e 
contratti 
di 
somministrazione 
di 
lavoro a 
tempo determinato, 
nonché 
avvalersi 
delle 
forme 
contrattuali 
flessibili 
previste 
dal 
codice 
civile 
e 
dalle 
altre 
leggi 
sui 
rapporti 
di 
lavoro 
nell'impresa, 
esclusivamente 
nei 
limiti 
e 
con le 
modalità 
in cui 
se 
ne 
preveda 
l'applicazione 
nelle 
amministrazioni 
pubbliche. Le 
amministrazioni 
pubbliche 
possono stipulare 
i 
detti 
contratti 
soltanto 
per 
comprovate 
esigenze 
di 
carattere 
esclusivamente 
temporaneo 


o eccezionale 
e 
nel 
rispetto delle 
condizioni 
e 
modalità 
di 
reclutamento stabilite 
dall'art. 35. i contratti 
di 
lavoro subordinato a 
tempo determinato possono 
essere 
stipulati 
nel 
rispetto degli 
artt. 19 e 
ss. D.L.vo 15 giugno 2015, n. 81 
(Disciplina 
organica 
dei 
contratti 
di 
lavoro), 
escluso 
il 
diritto 
di 
precedenza 
che 
si 
applica 
al 
solo personale 
reclutato secondo le 
procedure 
di 
cui 
all'articolo 
35, 
comma 
1, 
lettera 
b). 
i 
contratti 
di 
somministrazione 
di 
lavoro 
a 
tempo 
determinato sono disciplinati 
dagli 
artt. 30 e 
ss. D.L.vo n. 81/2015, fatta 
salva 
la 
disciplina 
ulteriore 
eventualmente 
prevista 
dai 
contratti 
collettivi 
nazionali 
di 
lavoro; 
non è 
possibile 
ricorrere 
alla 
somministrazione 
di 
lavoro per l'esercizio 
di 
funzioni 
direttive 
e 
dirigenziali. Per prevenire 
fenomeni 
di 
precariato, 
le 
amministrazioni 
pubbliche 
sottoscrivono 
contratti 
a 
tempo 
determinato 
con 
i 
vincitori 
e 
gli 
idonei 
delle 
proprie 
graduatorie 
vigenti 
per concorsi 
pubblici 
a tempo indeterminato. 
f) rapporto di lavoro a tempo parziale (c.d. part time). 
in 
questa 
evenienza 
la 
prestazione 
di 
lavoro 
può 
essere 
svolta 
a 
tempo 
parziale 
(c.d. part-time). viene 
in rilievo una 
forma 
di 
occupazione 
flessibile 
con un particolare 
regime 
dell’orario di 
lavoro, inferiore 
rispetto a 
quello ordinario 
a 
tempo pieno (c.d. full-time). La 
disciplina 
del 
contratto part-time 
è 
contenuta 
negli 
artt. 
4-12 
del 
D.L.vo 
15 
giugno 
2015, 
n. 
81 
e 
modalizzata 
dalla 
contrattazione 
collettiva. La 
riduzione 
dell’orario di 
lavoro può essere: 
a) 
di 
tipo orizzontale, quando il 
dipendente 
lavora 
tutti 
i 
giorni 
per un orario inferiore 
rispetto all’orario normale 
giornaliero; 
b) 
di 
tipo verticale, quando il 
dipendente 
lavora 
a 
tempo 
pieno, 
soltanto 
alcuni 
giorni 
della 
settimana, 
del 
mese 


(80) Così 
A.M. SAnDuLLi, manuale di diritto amministrativo, vol. i, cit., p. 250. 
(81) 
Le 
disposizioni 
non 
si 
applicano 
-salva 
quella 
del 
comma 
5 
sul 
divieto 
la 
costituzione 
di 
rapporti 
di 
lavoro a 
tempo indeterminato -al 
reclutamento del 
personale 
docente, educativo e 
amministrativo, 
tecnico e 
ausiliario (AtA), a 
tempo determinato presso le 
istituzioni 
scolastiche 
ed educative 
statali 
e 
degli 
enti 
locali, le 
istituzioni 
di 
alta 
formazione 
artistica, musicale 
e 
coreutica. Per gli 
enti 
di 
ricerca 
pubblici 
di 
cui 
agli 
articoli 
1, 
comma 
1, 
e 
19, 
comma 
4, 
del 
decreto 
legislativo 
25 
novembre 
2016, n. 218, rimane fermo quanto stabilito dal medesimo decreto. 

LeGiSLAzione 
eD 
AttuALità 


o 
dell’anno; 
c) 
di 
tipo 
misto 
che 
contempla 
una 
combinazione 
delle 
due 
forme 
precedenti. 
Giusta 
l’art. 
7 
D.L.vo 
n. 
81/2015 
“1. 
il 
lavoratore 
a 
tempo 
parziale 
non 
deve 
ricevere 
un 
trattamento 
meno 
favorevole 
rispetto 
al 
lavoratore 
a 
tempo 
pieno 
di 
pari 
inquadramento. 
2. 
il 
lavoratore 
a 
tempo 
parziale 
ha 
i 
medesimi 
diritti 
di 
un 
lavoratore 
a 
tempo 
pieno 
comparabile 
ed 
il 
suo 
trattamento 
economico e 
normativo è 
riproporzionato in ragione 
della ridotta entità della 
prestazione 
lavorativa. i contratti 
collettivi 
possono modulare 
la durata del 
periodo di 
prova, del 
periodo di 
preavviso in caso di 
licenziamento o dimissioni 
e 
quella del 
periodo di 
conservazione 
del 
posto di 
lavoro in caso di 
malattia 
ed infortunio in relazione all’articolazione dell’orario di lavoro”. 
7.3. 
modalità 
dello 
svolgimento 
della 
prestazione 
(anche 
agile, 
c.d. 
smart 
working). 
L’ipotesi 
ordinaria 
del 
rapporto volontario di 
lavoro subordinato professionale 
a 
tempo indeterminato è 
riconducibile 
al 
paradigma 
dell’art. 2094 c.c. 
a 
mente 
del 
quale 
il 
lavoratore 
si 
obbliga 
mediante 
retribuzione 
a 
collaborare 
nell'organizzazione 
amministrativa, prestando il 
proprio lavoro intellettuale 
o 
manuale alle dipendenze e sotto la direzione della P.A. 


in funzione 
dell’organizzazione 
del 
lavoro e 
dell'erogazione 
dei 
servizi 
ed 
altresì 
della 
conciliazione 
dei 
tempi 
di 
vita 
e 
di 
lavoro 
nelle 
PP.AA. 
l'orario 
di 
lavoro deve 
essere 
flessibile, con modalità 
di 
lavoro anche 
agile 
(c.d. smart 
working), ossia 
senza 
la 
necessità 
della 
presenza 
del 
dipendente 
nell’ufficio, 
con modulabilità 
spaziale 
e 
temporale 
della 
prestazione 
del 
lavoratore. Con la 
modalità 
agile 
la 
prestazione 
lavorativa 
viene 
eseguita, in tutto o in parte, all'esterno 
di 
locali 
aziendali 
senza 
una 
postazione 
fissa, entro i 
limiti 
di 
durata 
massima 
dell'orario di 
lavoro giornaliero e 
settimanale, derivanti 
dalla 
legge 
e 
dalla 
contrattazione 
collettiva. Ciò sulla 
base 
di 
accordo tra 
le 
parti, senza 
precisi 
vincoli 
di 
orario o di 
luogo di 
lavoro, con il 
possibile 
utilizzo di 
strumenti 
tecnologici 
per lo svolgimento dell'attività 
lavorativa. viene 
in rilievo 
una 
modalità 
di 
lavoro idonea 
ad incrementare 
la 
competitività 
e 
agevolare 
la 
conciliazione dei tempi di vita e di lavoro. 


Le 
modalità 
attuative 
del 
lavoro agile 
sono individuate 
nel 
Piano organizzativo 
del 
lavoro agile 
(PoLA) -costituente 
sezione 
del 
Piano della 
performance 
(o del 
PiAo 
nella 
parte 
relativa 
alla 
materia 
de 
qua) -da 
redigere 
con cadenza annuale (art. 14, comma 1, L. n. 124/2015). 


il 
lavoro 
agile, 
al 
quale 
la 
pandemia 
del 
2020 
per 
la 
diffusione 
del 
CoviD-19 ha 
dato una 
necessitata 
accelerazione, razionalmente 
organizzato, 
andrebbe 
messo a 
regime 
per i 
molteplici 
benefici 
allo stesso collegati 
ed altresì 
per evitare 
gli 
aspetti 
negativi 
di 
un improprio utilizzo, quali 
l’assenza 
di 
separazione 
tra 
il 
tempo del 
lavoro e 
quello privato e 
il 
rischio di 
assorbenza 
totalizzante 
del 
primo sul 
secondo. Circa 
i 
punti 
di 
forza 
del 
lavoro agile 
si 
rileva 
quanto segue. 


rASSeGnA 
AvvoCAturA 
DeLLo 
StAto -n. 3/2022 


Dal 
punto di 
vista 
del 
dipendente, il 
lavoro agile 
determina 
un miglioramento 
delle 
competenze 
digitali. 
tale 
modalità 
di 
lavoro 
è, 
intuitivamente, 
appetibile, 
atteso che 
elimina 
i 
tempi 
morti 
per raggiungere 
il 
posto di 
lavoro, 
con 
risparmio 
di 
tempo 
e 
denaro, 
potendo 
svolgersi 
l’attività 
lavorativa 
da 
qualsiasi 
luogo. 
il 
lavoratore 
vede 
migliorata 
la 
qualità 
della 
vita, 
con 
una 
maggiore 
conciliazione 
tra 
lavoro 
e 
vita 
privata. 
ove 
gestita 
in 
modo 
razionale, 
tale 
modalità 
di 
lavoro aumenta 
l’empatia 
tra 
dipendente 
e 
datore 
di 
lavoro, 
fidelizza 
il 
lavoratore 
con 
inevitabili 
ricadute 
sulla 
produttività 
e 
sulla 
efficienza 
degli uffici. 


Dal 
punto di 
vista 
del 
datore 
di 
lavoro, vi 
è 
una 
riduzione 
dei 
costi 
fissi 
dell’apparato 
organizzativo. 
riducendo, 
quale 
effetto 
complessivo 
dello 
svolgimento 
del 
lavoro in modalità 
agile, la 
presenza 
dei 
dipendenti 
negli 
uffici 
e 
turnando la 
loro presenza 
nelle 
postazioni 
di 
lavoro si 
riducono gli 
ambienti 
nei 
quali 
si 
svolge 
la 
prestazione, 
occorrono 
meno 
uffici, 
si 
riduce 
la 
logistica, 
si 
riducono i 
costi 
delle 
utenze 
del 
servizio elettrico, del 
servizio idrico, di 
gas 
naturale, degli appalti dei servizi di pulizia. 

Dal 
punto di 
vista 
della 
vivibilità 
delle 
città 
e 
della 
salvaguardia 
dell’ambiente, 
vi 
è 
un netto miglioramento di 
tutti 
gli 
standard collegati 
alla 
qualità 
dei 
servizi 
pubblici. La 
riduzione 
delle 
persone 
che 
si 
recano fisicamente 
nei 
posti 
di 
lavoro determina, per l’effetto, il 
decongestionamento dei 
servizi 
di 
trasporto pubblico locale, una 
maggiore 
fluidità 
della 
viabilità, un minore 
inquinamento 
atmosferico ed acustico. 


Dal 
punto 
di 
vista 
dell’urbanistica, 
il 
lavoro 
agile 
può 
determinare 
una 
riduzione 
della 
pressione 
antropica 
sulle 
città 
ed una 
redistribuzione 
della 
popolazione 
sul 
territorio, specie 
nelle 
periferie 
delle 
città, in paesi 
e 
borghi. il 
lavoratore, potendo svolgere 
il 
lavoro, in tutto o in parte, da 
qualsivoglia 
postazione, 
sarà 
incentivato 
a 
delocalizzare 
la 
propria 
abitazione 
in 
centri 
minori, 
dato il minor costo delle abitazioni e la migliore qualità della vita (82). 


7.4. Situazioni giuridiche soggettive inter partes. 
venendo in rilievo un contratto a 
prestazioni 
corrispettive 
all’obbligo di 
una parte corrisponde il diritto dell’altro e viceversa. 


Doveri del lavoratore. 


a) 
prestare 
l’attività 
lavorativa 
nell’orario 
di 
lavoro 
(art. 
2107 
c.c.). 
Le 
modalità 
dell’attività 
lavorativa 
sono fissate 
dalle 
opportune 
norme 
organizzatorie, 
specificate 
dalla 
dirigenza. 
il 
lavoratore 
deve 
prestare 
obbedienza 
agli 
ordini impartiti dai superiori, salvo che i detti ordini siano illegittimi; 
b) 
riconoscibilità 
al 
pubblico. 
i 
dipendenti 
che 
svolgono 
attività 
a 
contatto 
con il 
pubblico sono tenuti 
a 
rendere 
conoscibile 
il 
proprio nominativo me(
82) 
Su 
tali 
aspetti: 
M. 
GerArDo, 
un 
diritto 
per 
il 
“dopoguerra”. 
aspetti 
della 
legislazione 
emergenziale 
anti coviD-19 da rendere stabili ed ordinari, in rass. avv. Stato, 2021, 1, p. 208. 

LeGiSLAzione 
eD 
AttuALità 


diante 
l'uso di 
cartellini 
identificativi 
o di 
targhe 
da 
apporre 
presso la 
postazione 
di 
lavoro 
(art. 
55 
novies, 
il 
quale 
al 
comma 
2 
prevede 
altresì 
la 
possibilità 
di categorie escluse); 


c) 
obbedienza 
e 
diligenza. 
Giusta 
l’art. 
2104 
c.c., 
il 
lavoratore 
deve 
usare 
la 
diligenza 
richiesta 
dalla 
natura 
della 
prestazione 
dovuta 
e 
dall'interesse 
della 
P.A. 
datore 
di 
lavoro; 
deve 
inoltre 
osservare 
le 
disposizioni 
per 
l'esecuzione 
e 
per 
la 
disciplina 
del 
lavoro 
impartite 
dalla 
P.A. 
datore 
di 
lavoro 
a 
mezzo 
dei 
suoi 
organi, 
rispettando 
l’orario 
di 
ufficio 
e 
non 
assentandosi 
dal 
lavoro 
senza 
giustificazione; 
e) 
imparzialità 
e 
rispetto 
del 
principio 
di 
buon 
andamento 
(art. 
97, 
comma 
2, Cost.); 
f) 
tenere 
una 
condotta 
(in 
ufficio 
e 
nella 
vita 
privata) 
conforme 
alla 
dignità 
della 
posizione 
rivestita. Questo dovere 
è 
particolarmente 
rilevante 
per talune 
categorie 
di 
dipendenti, come 
i 
magistrati 
e 
le 
forze 
dell’ordine: 
una 
vita 
sregolata 
o la 
frequentazione 
di 
delinquenti 
potrebbero ragionevolmente 
far sorgere 
dubbi sulla loro stessa correttezza; 
g) 
lealtà 
o 
fedeltà. 
oltre 
al 
dovere 
generale 
di 
fedeltà 
alla 
repubblica 
(art. 
51 
Cost.), 
il 
lavoratore 
non 
deve 
trattare 
affari, 
per 
conto 
proprio 
o 
di 
terzi, 
con pregiudizio per la 
P.A. datore 
di 
lavoro, né 
divulgare 
notizie 
attinenti 
al-
l'organizzazione 
e 
ai 
metodi 
di 
produzione 
dell'organizzazione, o farne 
uso in 
modo da poter recare ad essa pregiudizio (art. 2105 c.c.). 
Funzionale 
a 
tale 
obbligo è 
la 
disciplina, contenuta 
negli 
artt. 54 e 
53, relativi 
-rispettivamente 
-al 
codice 
di 
comportamento 
e 
alle 
incompatibilità, 
cumulo di impieghi e incarichi. 


codice di comportamento. 

All’uopo vi 
è 
una 
disciplina 
trasversale 
-valevole 
per tutti 
i 
pubblici 
dipendenti 
-contenuta 
in un atto adottato dal 
Governo; 
vi 
è 
poi 
una 
disciplina 
di dettaglio contenuta in un atto adottato da ciascuna P.A. 


il 
codice 
di 
comportamento 
adottato 
dal 
Governo 
è 
un 
atto 
amministrativo 
generale 
(83) avente 
la 
finalità 
di 
assicurare 
la 
qualità 
dei 
servizi, la 
prevenzione 
dei 
fenomeni 
di 
corruzione, il 
rispetto dei 
doveri 
costituzionali 
di 
diligenza, 
lealtà, 
imparzialità 
e 
servizio 
esclusivo 
alla 
cura 
dell'interesse 
pubblico. 
il 
codice 
contiene 
una 
specifica 
sezione 
dedicata 
ai 
doveri 
dei 
dirigenti, articolati 
in relazione 
alle 
funzioni 
attribuite, e 
comunque 
prevede 
per tutti 
i 
dipendenti 
pubblici 
il 
divieto 
di 
chiedere 
o 
di 
accettare, 
a 
qualsiasi 
titolo, 
compensi, 
regali 
o 
altre 
utilità, 
in 
connessione 
con 
l'espletamento 
delle 
proprie 
funzioni 
o 
dei 
compiti 
affidati, 
fatti 
salvi 
i 
regali 
d'uso, 
purché 
di 
modico 
valore 


(83) Approvato con decreto del 
Presidente 
della 
repubblica, previa 
deliberazione 
del 
Consiglio 
dei 
Ministri, 
su 
proposta 
del 
Ministro 
per 
la 
pubblica 
amministrazione 
e 
la 
semplificazione, 
previa 
intesa 
in sede 
di 
Conferenza 
unificata, è 
pubblicato nella 
Gazzetta 
ufficiale 
e 
consegnato al 
dipendente, che 
lo sottoscrive 
all'atto dell'assunzione. L’attuale 
codice 
di 
comportamento è 
stato emanato con D.P.r. 16 
aprile 
2013, n. 62 e 
si 
applica 
al 
personale 
statale, a 
quello delle 
regioni, degli 
enti 
locali 
e 
degli 
enti 
autonomi. 

rASSeGnA 
AvvoCAturA 
DeLLo 
StAto -n. 3/2022 


e 
nei 
limiti 
delle 
normali 
relazioni 
di 
cortesia; 
contiene, altresì, una 
sezione 
dedicata 
al 
corretto utilizzo delle 
tecnologie 
informatiche 
e 
dei 
mezzi 
di 
informazione 
e 
social 
media 
da 
parte 
dei 
dipendenti 
pubblici, anche 
al 
fine 
di 
tutelare l’immagine della P.A. 


La 
violazione 
dei 
doveri 
contenuti 
nel 
codice 
di 
comportamento, compresi 
quelli 
relativi 
all'attuazione 
del 
Piano di 
prevenzione 
della 
corruzione, è 
fonte 
di 
responsabilità 
disciplinare. 
La 
violazione 
dei 
doveri 
è 
altresì 
rilevante 
ai 
fini 
della 
responsabilità 
civile, amministrativa 
e 
contabile 
ogniqualvolta 
le 
stesse 
responsabilità 
siano collegate 
alla 
violazione 
di 
doveri, obblighi, leggi 


o regolamenti. 
il 
codice 
di 
comportamento 
adottato 
da 
ciascuna 
pubblica 
amministrazione 
(84), 
integra 
e 
specifica 
il 
codice 
di 
comportamento 
adottato 
dal 
Governo. 
La 
violazione 
dei 
doveri 
di 
questo 
codice 
produce 
gli 
stessi 
effetti 
della 
violazione dei doveri del codice adottato dal Governo; 


incompatibilità, cumulo di impieghi e incarichi. 


A 
tal 
fine 
viene 
richiamata 
la 
disciplina 
sulle 
incompatibilità 
dettata 
specialmente 
dagli 
artt. 
60 
e 
ss. 
D.P.r. 
n. 
3/1957, 
secondo 
cui 
l'impiegato 
non 
può 
esercitare 
il 
commercio, 
l'industria, 
né 
alcuna 
professione 
o 
assumere 
impieghi 
alle 
dipendenze 
di 
privati 
o 
accettare 
cariche 
in 
società 
costituite 
a 
fine 
di 
lucro, 
tranne 
che 
si 
tratti 
di 
cariche 
in 
società 
o 
enti 
per 
le 
quali 
la 
nomina 
è 
riservata 
allo 
Stato 
e 
sia 
all'uopo 
intervenuta 
specifica 
autorizzazione. 


Le 
PP.AA 
non 
possono 
conferire 
ai 
dipendenti 
incarichi, 
non 
compresi 
nei 
compiti 
e 
doveri 
di 
ufficio, 
che 
non 
siano 
espressamente 
previsti 
o 
disciplinati 
da 
legge 
o 
altre 
fonti 
normative, 
o 
che 
non 
siano 
espressamente 
autorizzati. 
A 
tal 
fine, 
con 
appositi 
regolamenti 
sono 
individuati, 
secondo 
criteri 
differenziati 
in 
rapporto 
alle 
diverse 
qualifiche 
e 
ruoli 
professionali, 
gli 
incarichi 
vietati 
ai 
dipendenti 
delle 
PP.AA. 
il 
conferimento 
operato 
direttamente 
dall'amministrazione, 
nonché 
l'autorizzazione 
all'esercizio 
di 
incarichi 
che 
provengano 
da 
P.A. 
diversa 
da 
quella 
di 
appartenenza, 
ovvero 
da 
società 
o 
persone 
fisiche, 
che 
svolgano 
attività 
d'impresa 
o 
commerciale, 
sono 
disposti 
dai 
rispettivi 
organi 
competenti 
secondo 
criteri 
oggettivi 
e 
predeterminati, 
che 
tengano 
conto 
della 
specifica 
professionalità, 
tali 
da 
escludere 
casi 
di 
incompatibilità, 
sia 
di 
diritto 
che 
di 
fatto, 
nell'interesse 
del 
buon 
andamento 
della 
pubblica 
amministrazione 
o 
situazioni 
di 
conflitto, 
anche 
potenziale, 
di 
interessi, 
che 
pregiudichino 
l'esercizio 
imparziale 
delle 
funzioni 
attribuite 
al 
dipendente. 


i 
dipendenti 
pubblici 
non 
possono 
svolgere 
incarichi 
retribuiti 
-ossia 
incarichi, 
anche 
occasionali, 
non 
compresi 
nei 
compiti 
e 
doveri 
di 
ufficio, 
per 
i 
quali 


(84) Adottato con procedura 
aperta 
alla 
partecipazione 
e 
previo parere 
obbligatorio del 
proprio 
organismo indipendente di valutazione. 

LeGiSLAzione 
eD 
AttuALità 


è 
previsto, 
sotto 
qualsiasi 
forma, 
un 
compenso 
-che 
non 
siano 
stati 
conferiti 
o 
previamente 
autorizzati 
dall'amministrazione 
di 
appartenenza 
(85). 
in 
caso 
di 
inosservanza 
del 
divieto, 
salve 
le 
più 
gravi 
sanzioni 
e 
ferma 
restando 
la 
responsabilità 
disciplinare, 
il 
compenso 
dovuto 
per 
le 
prestazioni 
eventualmente 
svolte 
deve 
essere 
versato, 
a 
cura 
dell'erogante 
o, 
in 
difetto, 
del 
percettore, 
nel 
conto 
dell'entrata 
del 
bilancio 
dell'amministrazione 
di 
appartenenza 
del 
dipendente 
per 
essere 
destinato 
ad 
incremento 
del 
fondo 
di 
produttività 
o 
di 
fondi 
equivalenti. 


inoltre 
le 
PP.AA., 
gli 
enti 
pubblici 
economici 
e 
i 
soggetti 
privati 
non 
possono 
conferire 
incarichi 
retribuiti 
a 
dipendenti 
di 
altre 
amministrazioni 
pubbliche 
senza 
la 
previa 
autorizzazione 
dell'amministrazione 
di 
appartenenza 
dei 
dipendenti stessi, con la previsione di gravi sanzioni. 


L'autorizzazione 
allo svolgimento dell’incarico deve 
essere 
richiesta 
al-
l'amministrazione 
di 
appartenenza 
del 
dipendente 
dai 
soggetti 
pubblici 
o privati, 
che 
intendono 
conferire 
l'incarico; 
può, 
altresì, 
essere 
richiesta 
dal 
dipendente 
interessato. L'amministrazione 
di 
appartenenza 
deve 
pronunciarsi 
sulla 
richiesta 
di 
autorizzazione 
entro 
trenta 
giorni 
dalla 
ricezione 
della 
richiesta 
stessa. 
Decorso 
il 
termine 
per 
provvedere, 
l'autorizzazione, 
se 
richiesta 
per 
incarichi 
da 
conferirsi 
da 
amministrazioni 
pubbliche, si 
intende 
accordata; 
in 
ogni altro caso, si intende definitivamente negata (86). 


Diritti del lavoratore. 


va 
preliminarmente 
precisato 
che 
la 
fonte 
della 
disciplina 
del 
trattamento 
economico, oltrecché 
di 
quello giuridico, è 
unicamente 
la 
legge 
dello Stato o 
il 
CCnL, come 
confermato dagli 
artt. 2, comma 
3, e 
45, comma 
1, t.u.P.i. in 
materia 
non può intervenire 
una 
fonte 
secondaria 
oppure 
una 
fonte 
regionale 
ancorché 
primaria, atteso che 
viene 
in rilievo la 
materia 
dell’ordinamento civile 
spettante 
in via 
esclusiva 
ex art. 117, comma 
2, Cost. alla 
potestà 
legislativa 
statale (87). 


(85) Sono esclusi 
i 
compensi 
e 
le 
prestazioni 
derivanti: 
a) dalla 
collaborazione 
a 
giornali, riviste, 
enciclopedie 
e 
simili; 
b) dalla 
utilizzazione 
economica 
da 
parte 
dell'autore 
o inventore 
di 
opere 
dell'ingegno 
e 
di 
invenzioni 
industriali; 
c) 
dalla 
partecipazione 
a 
convegni 
e 
seminari; 
d) 
da 
incarichi 
per 
i 
quali 
è 
corrisposto 
solo 
il 
rimborso 
delle 
spese 
documentate; 
e) 
da 
incarichi 
per 
lo 
svolgimento 
dei 
quali 
il 
dipendente 
è 
posto in posizione 
di 
aspettativa, di 
comando o di 
fuori 
ruolo; 
f) da 
incarichi 
conferiti 
dalle 
organizzazioni 
sindacali 
a 
dipendenti 
presso le 
stesse 
distaccati 
o in aspettativa 
non retribuita; 
f 
bis) da attività di formazione diretta ai dipendenti della P.A. nonché di docenza e di ricerca scientifica. 
(86) 
È 
prescritto 
altresì 
che: 
entro 
quindici 
giorni 
dall'erogazione 
del 
compenso 
i 
soggetti 
pubblici 
o privati 
comunicano all'amministrazione 
di 
appartenenza 
l'ammontare 
dei 
compensi 
erogati 
ai 
dipendenti 
pubblici; 
le 
PP.AA. pubbliche 
che 
conferiscono o autorizzano incarichi, anche 
a 
titolo gratuito, ai 
propri 
dipendenti 
comunicano 
al 
Dipartimento 
della 
funzione 
pubblica 
gli 
incarichi 
conferiti 
o 
autorizzati 
ai 
dipendenti 
stessi, con l'indicazione 
dell'oggetto dell'incarico e 
del 
compenso lordo, ove 
previsto; 
le 
amministrazioni 
di 
appartenenza 
sono tenute 
a 
comunicare 
tempestivamente 
al 
Dipartimento della 
funzione 
pubblica, in via 
telematica, per ciascuno dei 
propri 
dipendenti 
e 
distintamente 
per ogni 
incarico 
conferito 
o 
autorizzato, 
i 
compensi 
da 
esse 
erogati 
o 
della 
cui 
erogazione 
abbiano 
avuto 
comunicazione. 
(87) 
il 
principio 
è 
assolutamente 
pacifico 
nella 
giurisprudenza 
costituzionale. 
Si 
richiama, 
ex 
plurimis, 
la 
sentenza 
n. 16 del 
13 febbraio 2020 della 
Corte 
Costituzionale, ove 
viene 
ribadito che 
la 
disci

rASSeGnA 
AvvoCAturA 
DeLLo 
StAto -n. 3/2022 


a) 
diritto 
alla 
parità 
di 
trattamento 
ed 
al 
divieto 
di 
discriminazioni, 
secondo 
la 
previsione 
costituzionale 
specificata 
dal 
primo 
comma 
dell’art. 
7 
precisante 
che 
“le 
pubbliche 
amministrazioni 
garantiscono 
parità 
e 
pari 
opportunità tra uomini 
e 
donne 
e 
l'assenza di 
ogni 
forma di 
discriminazione, 
diretta e 
indiretta, relativa al 
genere, all'età, all'orientamento sessuale, alla 
razza, all'origine 
etnica, alla disabilità, alla religione 
o alla lingua, nell'accesso 
al 
lavoro, nel 
trattamento e 
nelle 
condizioni 
di 
lavoro, nella formazione 
professionale, 
nelle 
promozioni 
e 
nella 
sicurezza 
sul 
lavoro. 
le 
pubbliche 
amministrazioni 
garantiscono 
altresì 
un 
ambiente 
di 
lavoro 
improntato 
al 
benessere 
organizzativo 
e 
si 
impegnano 
a 
rilevare, 
contrastare 
ed 
eliminare 
ogni 
forma di 
violenza morale 
o psichica al 
proprio interno”. Strumentale 
alla 
parità 
di 
trattamento tra 
uomini 
e 
donne 
è 
l’eguaglianza 
dei 
punti 
di 
partenza 
e, 
quindi, le 
pari 
opportunità. A 
tal 
fine, ex art. 57, comma 
1, le 
PP.AA., tra 
l’altro: 
a) riservano alle 
donne, salva 
motivata 
impossibilità, almeno un terzo dei 
posti 
di 
componente 
delle 
commissioni 
di 
concorso; 
b) 
adottano 
propri 
atti 
regolamentari 
per 
assicurare 
pari 
opportunità 
fra 
uomini 
e 
donne 
sul 
lavoro, 
conformemente 
alle 
direttive 
impartite 
dalla 
Presidenza 
del 
Consiglio 
dei 
ministri 
-Dipartimento 
della 
funzione 
pubblica; 
c) 
garantiscono 
la 
partecipazione 
delle 
proprie 
dipendenti 
ai 
corsi 
di 
formazione 
e 
di 
aggiornamento professionale 
in 
rapporto proporzionale 
alla 
loro presenza 
nelle 
amministrazioni 
interessate 
ai 
corsi 
medesimi, adottando modalità 
organizzative 
atte 
a 
favorirne 
la 
partecipazione, 
consentendo la conciliazione fra vita professionale e vita familiare. 
b) diritti patrimoniali. ossia: 
-retribuzione 
(art. 
2093 
c.c.), 
consistente 
nella 
prestazione 
mensile 
di 
danaro 
da 
parte 
della 
P.A. quale 
corrispettivo per l’opera 
prestata. tanto in attuazione 
dell’art. 
36, 
comma 
1, 
Cost.: 
“il 
lavoratore 
ha 
diritto 
ad 
una 
retribuzione 
proporzionata 
alla 
quantità 
e 
qualità 
del 
suo 
lavoro 
e 
in 
ogni 
caso sufficiente 
ad assicurare 
a sé 
e 
alla famiglia un'esistenza libera e 
dignitosa”. 
La 
misura 
dovuta 
è 
determinata 
in base 
alla 
categoria 
di 
appartenenza 
del 
dipendente 
e 
non può essere 
inferiore 
al 
quantum 
indicato nel 
C.C.n.L. 
del 
comparto 
(c.d. 
trattamento 
economico 
fondamentale). 
La 
retribuzione 
non 
è 
sequestrabile, 
non 
pignorabile 
e 
non 
cedibile 
nel 
minimo 
legale; 
il 
diritto 
allo stipendio si prescrive in cinque anni ex art. 2948 n. 5 c.c.; 


plina 
del 
rapporto 
di 
lavoro 
dei 
dipendenti 
pubblici 
-ivi 
inclusi 
i 
profili 
del 
trattamento 
economico 
(inteso nel 
suo complesso, senza 
alcuna 
limitazione 
a 
quello fondamentale) e 
della 
relativa 
classificazione 
(sentenza 
della 
Corte 
Costituzionale 
30 luglio 2012 n. 213) -rientra 
nella 
materia 
“ordinamento 
civile”, che 
spetta 
in via 
esclusiva 
al 
legislatore 
nazionale. nel 
caso di 
specie 
si 
statuisce 
che 
compete 
unicamente 
al 
legislatore 
statale 
anche 
la 
disciplina 
del 
trattamento giuridico ed economico dei 
dipendenti 
regionali 
(sentenze 
della 
Corte 
Costituzionale 
5 dicembre 
2016, n. 257, 11 luglio 2017, n. 160, 13 
luglio 2017, n. 175), ai 
sensi 
dell’art. 1, comma 
2, D.L.vo n.165/2001. La 
Corte 
ha, pertanto, dichiarata 
l’illegittimità 
costituzionale 
dell’art. 22, commi 
14, primo periodo, e 
15, della 
legge 
reg. Siciliana 
n. 8 
dell’8 maggio 2018, per violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost. 



LeGiSLAzione 
eD 
AttuALità 


-trattamenti 
economici 
accessori, 
individuati 
nel 
C.C.n.L., 
collegati 
a 
specifiche 
funzioni 
o modalità 
dell’attività 
lavorativa, quali 
l’indennità 
di 
lavoro 
straordinario, 
notturno, 
di 
trasferta, 
compenso 
incentivante 
per 
la 
produttività, 
ecc. (c.d. trattamento economico accessorio). 


il 
trattamento 
economico 
fondamentale, 
compensando 
la 
produttività 
media 
del 
lavoratore, 
risponde 
alla 
esigenza 
di 
assicurare 
al 
dipendente 
“un'esistenza 
libera e 
dignitosa”, mentre 
il 
trattamento accessorio è 
più strettamente 
connesso con la “quantità e qualità del suo lavoro” (88); 


-trattamento di 
quiescenza 
(pensione) se 
ha 
maturato i 
requisiti 
di 
età 
e 
contributivi 
ex lege 
richiesti; 
-trattamento di 
fine 
rapporto (buonuscita), al 
termine 
del 
rapporto di 
lavoro, 
consistente nell’erogazione di una somma di danaro una tantum; 
c) diritti 
non patrimoniali. ossia 
(oltre 
al 
diritto alla 
parità 
di 
trattamento 
innanzi esposto), diritto 
-all’ufficio (o al 
posto), consistente 
nella 
pretesa 
attribuita 
ai 
dipendenti 
a 
tempo 
indeterminato 
di 
mantenere 
il 
posto 
di 
lavoro 
corrispondente 
a 
quello 
per cui 
sono stati 
assunti. Questo diritto può essere 
limitato o escluso nei 
soli 
casi previsti dalla legge o dai C.C.n.L.; 
-alla 
funzione, consistente 
nella 
pretesa 
del 
dipendente 
ad esercitare 
le 
funzioni 
inerenti 
la 
propria 
qualifica, 
salvo 
lo 
ius 
variandi 
del 
datore 
di 
lavoro 
ex art. 2103 c.c.; 
-alla 
sede, salve 
esigenze 
di 
servizio. Solo particolari 
categorie 
di 
dipendenti 
(magistrati 
e 
professori 
universitari) godono di 
inamovibilità 
assoluta, 
onde assicurarne l’indipendenza, 
-al 
trasferimento ad altra 
sede 
di 
servizio, compatibilmente 
con le 
esigenze 
della P.A. 
Le 
quattro 
situazioni 
delineate 
hanno 
consistenza 
di 
diritto 
soggettivo. 
È 
vero 
che 
il 
datore 
di 
lavoro 
pubblico 
gode 
di 
margini 
di 
discrezionalità 
nel 
disporre, 
ad 
es. 
il 
trasferimento 
di 
sede, 
ma 
questa 
non 
è 
“vera” 
discrezionalità 
in 
quanto 
si 
è 
al 
di 
fuori 
dell’attività 
autoritativa, 
atteso 
che 
la 
P.A. 
agisce 
con 
i 
poteri 
dell’ordinario 
datore 
di 
lavoro 
di 
diritto 
privato. 
La 
P.A. 
deve 
agire 
con 
correttezza, 
buona 
fede 
e 
proporzionalità 
nell’applicare 
istituti 
a 
maglie 
elastiche, 
proprio 
come 
un 
ordinario 
datore 
di 
lavoro 
di 
diritto 
privato 
(89); 


-al 
riposo 
settimanale 
(di 
regola 
coincidente 
con 
la 
domenica) 
ed 
annuale 
(congedo ordinario, con le 
ferie 
retribuite): 
art. 2109 c.c. Per previsione 
costi


(88) Così 
L. MAzzAroLLi, G. PeriCu, A. roMAno, F.A. roverSi 
MonACo, F.G. SCoCA 
(a 
cura 
di), Diritto amministrativo, vol. i, cit., p. 496. 
(89) Diversamente 
L. MAzzAroLLi, G. PeriCu, A. roMAno, F.A. roverSi 
MonACo, F.G. SCoCA 
(a 
cura 
di), Diritto amministrativo, vol. i, cit., pp. 499-500 per i 
quali 
queste 
posizioni 
-come 
anche 
la 
pretesa 
alla 
progressione 
in carriera 
-non sono riconducibili 
al 
genus 
dei 
diritti 
soggettivi 
non patrimoniali, 
ma hanno consistenza di interessi legittimi. 

rASSeGnA 
AvvoCAturA 
DeLLo 
StAto -n. 3/2022 


tuzionale 
“il 
lavoratore 
ha diritto al 
riposo settimanale 
e 
a ferie 
annuali 
retribuite, 
e non può rinunziarvi” (art. 36, comma 3, Cost.); 


-al 
congedo 
per 
malattia, 
maternità, 
matrimonio, 
paternità 
e 
parentale, 
partecipazione a esami o concorsi pubblici (congedo straordinario); 


-a permessi retribuiti; 
-alla 
qualifica, 
al 
titolo 
conferito 
al 
momento 
dell’assunzione 
o 
al 
momento 
dell’ultima 
promozione, 
che 
può 
essere 
utilizzato 
anche 
nella 
vita 
privata; 


- ai diritti sindacali. 
7.5. modificazioni del rapporto di lavoro. 
Durante 
lo svolgimento il 
rapporto di 
lavoro può subire 
evoluzioni 
e 
modificazioni. 


i) 
Le 
modificazioni 
possono 
inerire 
al 
rapporto 
con 
la 
P.A. 
datore 
di 
lavoro. 
a) 
Sospensione 
del 
rapporto 
di 
lavoro 
nel 
caso 
di 
infortunio, 
malattia, 
gravidanza e puerperio 
(art. 2110 c.c.). 
Al 
ricorrere 
dei 
casi 
indicati 
il 
lavoratore 
ha 
diritto 
alla 
conservazione 
del 
posto 
e 
alla 
erogazione 
del 
trattamento 
economico 
previsto 
dalla 
contrattazione 
collettiva 
(ad 
es. 
nel 
caso 
di 
sospensione 
per 
malattia 
spetta 
il 
trattamento 
economico 
fondamentale 
per un primo periodo, poi 
vi 
è 
una 
riduzione 
progressiva). 
il rapporto di lavoro subisce una sospensione. 


b) Sospensione 
del 
rapporto di 
lavoro, con collocamento in aspettativa, 
per motivi familiari e personali o nei casi previsti da disposizioni di legge. 
La 
contrattazione 
collettiva 
prevede 
spesso 
che 
al 
dipendente 
con 
rapporto 
di 
lavoro 
a 
tempo 
indeterminato, 
che 
ne 
faccia 
formale 
e 
motivata 
richiesta 
possono essere 
concessi, compatibilmente 
con le 
esigenze 
organizzative 
o di 
servizio, periodi 
di 
aspettativa 
per esigenze 
personali 
o di 
famiglia, senza 
retribuzione 
e 
senza 
decorrenza 
dell’anzianità, per una 
data 
durata 
complessiva 
(ad es. di dodici mesi in un triennio). 


Anche 
in questa 
evenienza 
il 
lavoratore 
ha 
diritto alla 
conservazione 
del 
posto ed il rapporto di lavoro viene sospeso. 


c) ius variandi. 
L’impiegato, 
come 
qualsivoglia 
lavoratore, 
deve 
svolgere 
i 
compiti 
per 
i 
quali 
è 
stato 
assunto, 
riconoscendosi 
al 
datore 
di 
lavoro 
un 
potere 
di 
adattamento 
al 
caso 
concreto 
e 
alle 
sopravvenienze 
(90). 
La 
materia 
è 
regolata 
in 
via 
generale 
dall’art. 
2103 
c.c. 
nel 
lavoro 
pubblico 
la 
regolazione 
generale 
di 
diritto 
comune 
presenta 
significative 
deroghe 
-specie 
con 
riguardo 
al 
mancato 
riconoscimento 
del 
diritto 
all’inquadramento 
superiore 
nel 
caso 
di 
svolgimento 
di 
mansioni 
superiori 
decorso 
un 
determinato 
periodo 
ostandovi 
la 
regola 
del-
l’espletamento 
del 
concorso 
pubblico 
-contenute 
nell’art. 
52, 
a 
tenore 
del 
quale: 


(90) Sulla 
problematica: 
L. rAineri, mansioni 
nel 
pubblico impiego: assegnazione, svolgimento 
di mansioni di fatto superiori e demansionamento, in 
rass. avv. Stato, 2014, 4, pp. 211-245. 

LeGiSLAzione 
eD 
AttuALità 


-i 
dipendenti 
pubblici, con esclusione 
dei 
dirigenti 
e 
del 
personale 
docente 
della 
scuola, delle 
accademie, conservatori 
e 
istituti 
assimilati, sono inquadrati 
in 
almeno 
tre 
distinte 
aree 
funzionali. 
La 
contrattazione 
collettiva 
individua 
un'ulteriore 
area 
per l'inquadramento del 
personale 
di 
elevata 
qualificazione. 
Le 
progressioni 
all'interno della 
stessa 
area 
avvengono, con modalità 
stabilite 
dalla 
contrattazione 
collettiva, 
in 
funzione 
delle 
capacità 
culturali 
e 
professionali 
e 
dell'esperienza 
maturata 
e 
secondo principi 
di 
selettività, 
in funzione 
della 
qualità 
dell'attività 
svolta 
e 
dei 
risultati 
conseguiti, attraverso 
l'attribuzione 
di 
fasce 
di 
merito. Fatta 
salva 
una 
riserva 
di 
almeno il 
50 
per 
cento 
delle 
posizioni 
disponibili 
destinata 
all'accesso 
dall'esterno, 
le 
progressioni 
fra 
le 
aree 
e, negli 
enti 
locali, anche 
fra 
qualifiche 
diverse, avvengono 
tramite 
procedura 
comparativa 
basata 
sulla 
valutazione 
positiva 
conseguita 
dal 
dipendente 
negli 
ultimi 
tre 
anni 
in 
servizio, 
sull'assenza 
di 
provvedimenti 
disciplinari, sul 
possesso di 
titoli 
o competenze 
professionali 
ovvero 
di 
studio 
ulteriori 
rispetto 
a 
quelli 
previsti 
per 
l'accesso 
all'area 
dal-
l'esterno, nonché sul numero e sulla tipologia degli incarichi rivestiti; 
-il 
prestatore 
di 
lavoro deve 
essere 
adibito alle 
mansioni 
per le 
quali 
è 
stato 
assunto 
o 
alle 
mansioni 
equivalenti 
nell'ambito 
dell'area 
di 
inquadramento 
ovvero a 
quelle 
corrispondenti 
alla 
qualifica 
superiore 
che 
abbia 
successivamente 
acquisito per effetto di 
procedure 
selettive. L'esercizio di 
fatto 
di 
mansioni 
non corrispondenti 
alla 
qualifica 
di 
appartenenza 
non ha 
effetto 
ai 
fini 
dell'inquadramento 
del 
lavoratore 
o 
dell'assegnazione 
di 
incarichi 
di 
direzione; 
-per obiettive 
esigenze 
di 
servizio il 
prestatore 
di 
lavoro può essere 
adibito 
a 
mansioni 
proprie 
della 
qualifica 
immediatamente 
superiore: 
a) nel 
caso 
di 
vacanza 
di 
posto in organico, per non più di 
sei 
mesi, prorogabili 
fino a 
dodici 
qualora 
siano state 
avviate 
le 
procedure 
per la 
copertura 
dei 
posti 
vacanti; 
b) nel 
caso di 
sostituzione 
di 
altro dipendente 
assente 
con diritto alla 
conservazione 
del 
posto, con esclusione 
dell'assenza 
per ferie, per la 
durata 
dell'assenza. 
A 
questi 
fini 
si 
considera 
svolgimento 
di 
mansioni 
superiori 
soltanto 
l'attribuzione 
in 
modo 
prevalente, 
sotto 
il 
profilo 
qualitativo, 
quantitativo 
e 
temporale, 
dei 
compiti 
propri 
di 
dette 
mansioni. 
Per 
il 
periodo 
di 
effettiva 
prestazione, 
il 
lavoratore 
ha 
diritto al 
trattamento previsto per la 
qualifica 
superiore. 
Qualora 
l'utilizzazione 
del 
dipendente 
sia 
disposta 
per 
sopperire 
a 
vacanze 
dei 
posti 
in 
organico, 
immediatamente, 
e 
comunque 
nel 
termine 
massimo 
di 
novanta 
giorni 
dalla 
data 
in cui 
il 
dipendente 
è 
assegnato alle 
predette 
mansioni, 
devono 
essere 
avviate 
le 
procedure 
per 
la 
copertura 
dei 
posti 
vacanti. 
Al 
di 
fuori 
delle 
ipotesi 
a) e 
b) innanzi 
indicate 
è 
nulla 
l'assegnazione 
del 
lavoratore 
a 
mansioni 
proprie 
di 
una 
qualifica 
superiore, ma 
al 
lavoratore 
è 
corrisposta 
la 
differenza 
di 
trattamento 
economico 
con 
la 
qualifica 
superiore 
(91). 
(91) Conf. Cass. 2 febbraio 2021, n. 2276, secondo cui 
“il 
diritto al 
compenso per 
lo svolgimento 

rASSeGnA 
AvvoCAturA 
DeLLo 
StAto -n. 3/2022 


il 
dirigente 
che 
ha 
disposto 
l'assegnazione 
risponde 
personalmente 
del 
maggior 
onere conseguente, se ha agito con dolo o colpa grave; 


-i 
medesimi 
contratti 
collettivi 
possono regolare 
diversamente 
gli 
effetti 
innanzi descritti. 
nell’art. 52 non vi 
è 
la 
disciplina 
delle 
mansioni 
inferiori 
assegnate 
al 
dipendente. 
in questa 
evenienza 
deve 
ritenersi 
che 
si 
applicano le 
regole 
contenute 
nell’art. 2103 c.c. (92). 

d) Trasferimento dalla sede 
di 
lavoro, tra cui 
il 
trasferimento per 
incompatibilità 
ambientale. 
il 
trasferimento 
dalla 
sede 
di 
lavoro 
si 
ha 
quando 
vi 
è 
uno 
spostamento 
apprezzabile 
del 
luogo 
di 
prestazione 
del 
lavoro, 
senza 
mutamento 
della 
qualifica 
posseduta 
e 
con 
carattere 
di 
tendenziale 
stabilità. 
Sicché 
non 
sono 
veri 
e 
propri 
trasferimenti 
i 
meri 
spostamenti 
di 
ufficio 
nell’ambito 
della 
stessa 
sede 
(di 
stanza, 
di 
piano, 
di 
edificio) 
o 
quelli 
che 
non 
comportano 
un 
apprezzabile 
spostamento 
topografico 
del 
luogo 
di 
prestazione 
del 
lavoro, 
né 
quelli 
di 
natura 
meramente 
temporanea 
(distacchi, 
comandi, 
trasferte 
o 
missioni) 
(93). 


il 
trasferimento della 
sede 
di 
lavoro può essere 
volontario o d’ufficio. La 
materia 
viene 
regolata 
dalla 
legge 
ed altresì 
dalla 
contrattazione 
collettiva 
nazionale. 
nel 
caso di 
trasferimento volontario non vi 
è 
un diritto soggettivo assoluto 
al 
trasferimento da 
una 
unità 
organizzativa 
ad altra 
unità 
organizzativa 


di 
fatto di 
mansioni 
superiori, […], non è 
condizionato alla sussistenza dei 
presupposti 
di 
legittimità di 
assegnazione 
delle 
mansioni, 
posto 
che 
una 
diversa 
interpretazione 
sarebbe 
contraria 
all'intento 
del 
legislatore 
di 
assicurare 
comunque 
al 
lavoratore 
una 
retribuzione 
proporzionata 
alla 
qualità 
del 
lavoro 
prestato, in ossequio al 
principio di 
cui 
all'art. 36 cost.[…], sicchè 
il 
diritto va escluso solo qualora 
l'espletamento sia avvenuto all'insaputa o contro la volontà dell'ente, oppure 
quando sia il 
frutto di 
una 
fraudolenta collusione 
tra dipendente 
e 
dirigente, o in ogni 
ipotesi 
in cui 
si 
riscontri 
una situazione 
di 
illiceità per 
contrasto con norme 
fondamentali 
o generali 
o con principi 
basilari 
pubblicistici 
dell'ordinamento”. 


(92) ossia, commi 
2-6: 
“in caso di 
modifica degli 
assetti 
organizzativi 
aziendali 
che 
incide 
sulla 
posizione 
del 
lavoratore, lo stesso può essere 
assegnato a mansioni 
appartenenti 
al 
livello di 
inquadramento 
inferiore 
purché 
rientranti 
nella medesima categoria legale. il 
mutamento di 
mansioni 
è 
accompagnato, 
ove 
necessario, 
dall’assolvimento 
dell’obbligo 
formativo, 
il 
cui 
mancato 
adempimento 
non 
determina comunque 
la nullità dell’atto di 
assegnazione 
delle 
nuove 
mansioni. ulteriori 
ipotesi 
di 
assegnazione 
di 
mansioni 
appartenenti 
al 
livello di 
inquadramento inferiore, purché 
rientranti 
nella medesima 
categoria legale, possono essere 
previste 
dai 
contratti 
collettivi. nelle 
ipotesi 
di 
cui 
al 
secondo 
e 
al 
quarto 
comma, 
il 
mutamento 
di 
mansioni 
è 
comunicato 
per 
iscritto, 
a 
pena 
di 
nullità, 
e 
il 
lavoratore 
ha diritto alla conservazione 
del 
livello di 
inquadramento e 
del 
trattamento retributivo in godimento, 
fatta eccezione 
per 
gli 
elementi 
retributivi 
collegati 
a particolari 
modalità di 
svolgimento della precedente 
prestazione 
lavorativa. 
nelle 
sedi 
di 
cui 
all’articolo 
2113, 
quarto 
comma, 
o 
avanti 
alle 
commissioni 
di 
certificazione, 
possono 
essere 
stipulati 
accordi 
individuali 
di 
modifica 
delle 
mansioni, 
della 
categoria 
legale 
e 
del 
livello 
di 
inquadramento 
e 
della 
relativa 
retribuzione, 
nell’interesse 
del 
lavoratore 
alla 
conservazione 
dell’occupazione, all’acquisizione 
di 
una diversa professionalità o al 
miglioramento delle 
condizioni 
di 
vita. 
il 
lavoratore 
può 
farsi 
assistere 
da 
un 
rappresentante 
dell’associazione 
sindacale 
cui 
aderisce o conferisce mandato o da un avvocato o da un consulente del lavoro”. 
(93) Così, A. tALLAriDA, i trasferimenti 
individuali 
nel 
rapporto di 
lavoro pubblico e 
privato, in 
rass. avv. Stato, 2018, 4, p. 192. 

LeGiSLAzione 
eD 
AttuALità 


dello stesso ente, tranne 
che 
nei 
casi 
previsti 
dalla 
legge 
(ad esempio: 
coniuge 
di 
militari, secondo la 
disciplina 
di 
cui 
all’art. 17 L. 28 luglio 1999 n. 266; 
art. 
21, comma 
2, L. 5 febbraio 1992, n. 104; 
art. 42 bis 
D.L.vo 26 marzo 2001, n. 


151) 
(94) 
oppure 
in 
conseguenza 
di 
atto 
di 
autovincolo 
(l’Amm.ne 
prevede 
dei 
criteri 
per i 
trasferimenti 
volontari, che 
non potrà 
non rispettare). nel 
caso 
di 
trasferimento 
d’ufficio 
la 
regola 
generale 
è 
contenuta 
nel 
penultimo 
comma 
dell’art. 
2103 
c.c. 
secondo 
cui 
“il 
lavoratore 
non 
può 
essere 
trasferito 
da 
un’unità produttiva ad un’altra se 
non per 
comprovate 
ragioni 
tecniche, organizzative 
e 
produttive”, con la 
specificazione 
modificativa 
di 
cui 
all’art. 30, 
comma 
2, 
t.u.P.i. 
secondo 
cui 
i 
dipendenti 
possono 
essere 
trasferiti 
all'interno 
della 
stessa 
amministrazione 
o, previo accordo tra 
le 
amministrazioni 
interessate, 
in altra 
amministrazione, in sedi 
collocate 
nel 
territorio dello stesso comune 
ovvero a 
distanza 
non superiore 
a 
cinquanta 
chilometri 
dalla 
sede 
cui 
sono adibiti. 
una 
ipotesi 
di 
trasferimento 
d’ufficio 
è 
il 
trasferimento 
per 
incompatibilità 
ambientale, 
il 
quale 
trova 
la 
sua 
ragione 
nello 
stato 
di 
disorganizzazione 
e 
disfunzione 
dell’unità 
Amministrazione. 
Questa 
ipotesi 
va 
ricondotta 
alle 
esigenze 
tecniche, 
organizzative 
e 
produttive 
di 
cui 
all’art. 
2103 
c.c., 
piuttosto 
che 
a 
ragioni 
punitive 
e 
disciplinari, 
con 
la 
conseguenza 
che 
la 
legittimità 
del 
provvedimento 
datoriale 
di 
trasferimento 
prescinde 
dalla 
colpa 
(in 
senso 
lato) 
dei 
lavoratori 
trasferiti, 
come 
dall’osservanza 
di 
qualsiasi 
altra 
garanzia 
sostanziale 


o 
procedimentale 
che 
sia 
stabilita 
per 
le 
sanzioni 
disciplinari. 
il 
trasferimento, 
peraltro, 
è 
subordinato 
ad 
una 
valutazione 
discrezionale 
dei 
fatti 
che 
fanno 
ritenere 
nociva, 
per 
il 
prestigio 
ed 
il 
buon 
andamento 
dell’ufficio, 
l’ulteriore 
permanenza 
dell’impiegato 
in 
una 
determinata 
sede 
(95). 
Disposizioni 
legislative 
speciali 
tutelano 
particolari 
categorie 
di 
lavoratori 
in ragione 
della 
situazione 
in cui 
versano o delle 
funzioni 
che 
espletano, richiedendo 
il loro consenso o altre condizioni (96). 


(94) il 
quale 
prevede 
che 
il 
genitore 
di 
figli 
minori 
di 
3 anni, dipendente 
di 
amministrazione 
pubblica, 
può 
essere 
assegnato 
a 
richiesta, 
per 
un 
periodo, 
anche 
frazionato, 
complessivamente 
non 
superiore 
a 
3 anni 
ad una 
sede 
di 
servizio ubicata 
nella 
stessa 
provincia 
o regione 
nella 
quale 
l’altro genitore 
esercita 
la 
propria 
attività 
lavorativa, subordinatamente 
alla 
sussistenza 
di 
un posto vacante 
e 
disponibile, 
salvo motivato dissenso per casi o esigenze eccezionali, da esprimersi entro 30 giorni dalla domanda. 
(95) Cass., 24 ottobre 2019, n. 27345. 


(96) il 
dipendente 
che 
assiste 
con continuità 
il 
coniuge, la 
parte 
di 
un’unione 
civile, il 
convivente 
di 
fatto, un parente 
o affine 
entro il 
terzo grado con handicap grave, alle 
condizioni 
fissate 
nel 
comma 
3 
dell’art. 
3 
L. 
n. 
104/1992, 
“non 
può 
essere 
trasferito 
senza 
il 
suo 
consenso 
ad 
altra 
sede” 
(art. 
33, 
comma 
5, L. n. 104/1992), come 
pure 
il 
dipendente 
con handicap grave 
“non può essere 
trasferita in 
altra sede, senza il 
suo consenso” 
(art. 33, comma 
6); 
tuttavia 
“la l. n. 104 del 
1992, art. 33, comma 5, 
non 
configura 
in 
generale, 
in 
capo 
ai 
soggetti 
ivi 
individuati, 
un 
diritto 
assoluto 
e 
illimitato, 
poichè 
esso 
può 
essere 
fatto 
valere 
allorquando, 
alla 
stregua 
di 
un 
equo 
bilanciamento 
fra 
tutti 
gli 
implicati 
interessi 
costituzionalmente 
rilevanti, il 
suo esercizio non finisca per 
ledere 
in maniera consistente 
le 
esigenze 
economiche, 
produttive 
ed 
organizzative 
del 
datore 
di 
lavoro 
e 
per 
tradursi 
-soprattutto 
nei 
casi 
relativi 
a rapporti 
di 
lavoro pubblico -in un danno per 
l’interesse 
della collettività”: 
così 
Cass. S.u., 9 luglio 

rASSeGnA 
AvvoCAturA 
DeLLo 
StAto -n. 3/2022 


e) Trasferte o missioni. 
Come 
evidenziato, non rientrano nel 
concetto di 
trasferimento i 
distacchi 
e 
comandi 
(questi 
istituti 
involgono, 
invero, 
il 
passaggio 
del 
lavoratore 
presso 
altri 
datori 
di 
lavoro e 
saranno esaminati 
al 
successivo punto ii), trasferte 
o 
missioni. 
Si 
tratta 
di 
istituti 
caratterizzati 
dalla 
temporaneità 
dello 
spostamento 
del 
luogo della 
prestazione 
di 
lavoro e 
come 
tali 
non soggetti 
alla 
disciplina 
del 
trasferimento. essi 
non danno luogo alla 
modifica 
dello status 
del 
dipendente 
né 
ad una 
novazione 
soggettiva 
del 
rapporto di 
lavoro ma 
solo alla 
modifica 
temporanea di questo nella fase dell’esecuzione (97). 


La 
trasferta 
o 
missione 
consiste 
nell’invio 
del 
lavoratore 
a 
svolgere 
il 
proprio 
lavoro 
sempre 
alle 
dipendenze 
del 
suo 
datore 
di 
lavoro, 
per 
un 
breve 
lasso 
di 
tempo, in un luogo diverso da 
quello ordinario. tale 
istituto trova 
generalmente 
regolamentazione 
nella 
contrattazione 
collettiva, 
in 
particolare 
per 
quanto riguarda 
la 
indennità 
di 
trasferta 
o di 
missione 
(che 
può essere 
commisurata 
a 
km 
o 
calcolata 
a 
diaria 
giornaliera). 
La 
trasferta 
differisce 
dal 
comando 
per 
il 
fatto 
che 
si 
svolge 
“per 
un 
brevissimo 
arco 
di 
tempo” 
(98) 
e 
non 
necessita 
del consenso o disponibilità del dipendente (99). 

ii) Le 
modificazioni 
possono inerire 
poi 
al 
passaggio, temporaneo o definitivo, 
del 
lavoratore 
presso altri 
datori 
di 
lavoro oppure 
il 
passaggio da 
altri 
datori di lavoro presso una P.A. 
a) mobilità tra pubblico e privato 
(art. 23 bis). 
i 
dipendenti 
delle 
PP.AA. 
possono 
essere 
collocati, 
salvo 
motivato 
diniego 
dell'amministrazione 
di 
appartenenza 
in 
ordine 
alle 
proprie 
preminenti 
esigenze 
organizzative, 
in 
aspettativa 
senza 
assegni 
per 
lo 
svolgimento 
di 
attività 
presso 
soggetti 
e 
organismi, 
pubblici 
o 
privati, 
anche 
operanti 
in 
sede 
internazionale, 
i 
quali 
provvedono 
al 
relativo 
trattamento 
previdenziale. 
il 
periodo 
di 
aspettativa 
comporta 
il 
mantenimento 
della 
qualifica 
posseduta. 
nel 
caso 
di 
svolgimento 
di 
attività 
presso 
soggetti 
diversi 
dalle 
PP.AA. 
il 
periodo 
di 
collocamento 
in 
aspettativa 
non 
può 
superare 
i 
cinque 
anni, 
è 
rinnovabile 
per 
una 
sola 
volta 
e 
non 
è 
computabile 
ai 
fini 
del 
trattamento 
di 
quiescenza 
e 
previdenza; 


2009, 
n. 
16102. 
Anche 
l’art. 
30, 
comma 
2, 
t.u.P.i. 
subordina, 
in 
alcuni 
casi, 
il 
trasferimento 
al 
consenso 
del 
pubblico dipendente 
interessato disponendo che 
“le 
disposizioni 
di 
cui 
al 
presente 
comma si 
applicano 
ai 
dipendenti 
con figli 
di 
età inferiore 
a tre 
anni, che 
hanno diritto al 
congedo parentale, e 
ai 
soggetti 
di 
cui 
all’articolo 33, comma 3, della legge 
5 febbraio 1992, n. 104, e 
successive 
modificazioni, 
con il 
consenso degli 
stessi 
alla prestazione 
della propria attività lavorativa in un’altra sede”. L’art. 22 
dello Statuto dei 
Lavoratori 
(L. n. 300/1970) condiziona 
il 
trasferimento del 
dirigente 
di 
rSA 
al 
preventivo 
nulla 
osta 
del 
sindacato di 
appartenenza. Disposizione 
analoga, con specifiche 
deroghe, tutela 
i 
militari 
che 
ricoprono cariche 
elettive 
nelle 
associazioni 
professionali 
a 
carattere 
sindacale 
tra 
militari 
riconosciute rappresentative a livello nazionale (art. 14 L. 28 aprile 2022, n. 46). 


(97) Per tali 
aspetti, A. tALLAriDA, i trasferimenti 
individuali 
nel 
rapporto di 
lavoro pubblico e 
privato, cit., p. 197. 
(98) t.A.r. Campania Salerno, 31 gennaio 2008 n. 95. 
(99) Cass. 27 novembre 2002, n. 16812; Cass. 5 luglio 2002, n. 9744. 

LeGiSLAzione 
eD 
AttuALità 


b) comando o assegnazione temporanea. 
in questa 
evenienza, il 
dipendente 
-persistendo il 
rapporto presso la 
propria 
Amm.ne 
-per un dato tempo presta 
l’attività 
presso una 
Amm.ne 
diversa. 
il 
mutamento 
della 
sede 
di 
lavoro 
avviene 
nell’interesse 
dell’amministrazione 
di 
destinazione. il 
potere 
direttivo e 
quello disciplinare 
sono attribuiti 
al 
soggetto 
utilizzatore. È 
necessario il 
consenso espresso del 
lavoratore 
e 
la 
sua 
revoca 
ne 
determina 
la 
cessazione. 
L’art. 
56 
t.u. 
n. 
3/1957 
ne 
definisce 
le 
condizioni 
di 
legittimità 
(temporaneità, 
eccezionalità, 
assenso 
del 
dipendente, 
decreto formale, riconosciute 
esigenze 
di 
servizio o necessità 
di 
una 
specifica 
competenza). 
il 
comando 
può 
essere 
disposto 
presso 
altra 
amministrazione 
statale 
o 
presso 
enti 
pubblici; 
è 
vietato 
per 
i 
professori 
universitari 
di 
ruolo 
presso 
altra 
università 
o 
altro 
istituto 
di 
istruzione 
superiore 
(art. 
11 
L. 
18 
marzo 1958 n. 311). il 
trattamento economico resta 
a 
carico dell’amministrazione 
di 
provenienza 
se 
il 
comando 
è 
disposto 
verso 
altra 
amministrazione 
statale 
e 
va 
invece 
a 
carico 
dell’ente 
pubblico 
presso 
cui 
il 
dipendente 
va 
a 
prestare servizio (art. 57 t.u. cit.). 

oltre 
al 
t.u. n. 3/1957, vi 
è 
la 
disciplina 
contenuta 
nell’art. 30, comma 
2 
sexies, 
t.u.P.i. 
disponente 
che 
le 
PP.AA., 
per 
motivate 
esigenze 
organizzative, 
risultanti 
dai 
documenti 
di 
programmazione 
previsti 
all'art. 6, possono utilizzare 
in assegnazione 
temporanea, con le 
modalità 
previste 
dai 
rispettivi 
ordinamenti, 
personale 
di 
altre 
amministrazioni 
per 
un 
periodo 
non 
superiore 
a 
tre 
anni. 


c) Distacco. 
il 
mutamento della 
sede 
di 
lavoro avviene 
nell’interesse 
del 
datore 
di 
lavoro 
o dell’amministrazione 
di 
appartenenza. il 
potere 
direttivo e 
quello disciplinare 
sono 
attribuiti, 
come 
nel 
comando, 
al 
soggetto 
utilizzatore. 
una 
forma 
particolare 
di 
distacco è 
quella 
prevista 
dal 
t.u.e.L., nell’ambito delle 
convenzioni 
tra 
enti 
locali 
per lo svolgimento in modo coordinato di 
funzioni 
e 
servizi 
determinati 
(art. 30, comma 
4). Altra 
forma 
particolare 
è 
il 
distacco 
dei 
dipendenti 
presso 
le 
istituzioni 
internazionali, 
dell'unione 
europea 
e 
di 
altri 
Stati 
disciplinata 
dall’art. 
32 
t.u.P.i. 
È 
previsto 
che 
le 
PP.AA. 
favoriscono 
e 
incentivano 
le 
esperienze 
del 
proprio 
personale 
presso 
le 
istituzioni 
europee, 
le 
organizzazioni 
internazionali 
nonché 
gli 
Stati 
membri 
dell'unione 
europea, 
gli 
Stati 
candidati 
all'adesione 
all'unione 
e 
gli 
altri 
Stati 
con i 
quali 
l'italia 
intrattiene 
rapporti 
di 
collaborazione 
al 
fine 
di 
favorire 
lo 
scambio 
internazionale 
di 
esperienze 
amministrative 
e 
di 
rafforzare 
il 
collegamento 
tra 
le 
amministrazioni 
di 
provenienza 
e 
quelle 
di 
destinazione. 
A 
tal 
fine 
i 
dipendenti 
delle 
PP.AA. possono essere 
destinati 
a 
prestare 
temporaneamente 
servizio presso 
i 
soggetti 
innanzi 
detti. 
il 
trattamento 
economico 
degli 
esperti 
nazionali 
distaccati 
può essere 
a 
carico delle 
amministrazioni 
di 
provenienza, di 
quelle 
di 
destinazione 
o essere 
suddiviso tra 
esse, ovvero essere 
rimborsato in tutto o 
in parte 
allo Stato italiano dall'unione 
europea 
o da 
un'organizzazione 
o ente 



rASSeGnA 
AvvoCAturA 
DeLLo 
StAto -n. 3/2022 


internazionale. il 
personale 
che 
presta 
servizio temporaneo all’estero resta 
a 
tutti gli effetti dipendente dell’amministrazione di appartenenza. 


Per il 
personale 
non dirigenziale 
i 
comandi 
e 
i 
distacchi 
sono consentiti 
esclusivamente 
nel 
limite 
del 
25 % dei 
posti 
non coperti 
all’esito delle 
procedure 
di 
mobilità 
volontaria 
ex art. 30 t.u.P.i. La 
disposizione 
non si 
applica 
ai 
comandi 
o 
distacchi 
obbligatori, 
previsti 
da 
disposizioni 
di 
legge, 
ivi 
inclusi 
quelli 
relativi 
agli 
uffici 
di 
diretta 
collaborazione, nonché 
a 
quelli 
relativi 
alla 
partecipazione 
ad organi, comunque 
denominati, istituiti 
da 
disposizioni 
legislative 
o regolamentari 
che 
prevedono la 
partecipazione 
di 
personale 
di 
amministrazioni 
diverse, 
nonché 
ai 
comandi 
presso 
le 
sedi 
territoriali 
dei 
ministeri, o presso le 
unioni 
di 
comuni 
per i 
Comuni 
che 
ne 
fanno parte 
(art. 
30, comma 1 quinquies, t.u.P.i.). 

d) mobilità d’ufficio (art. 34 bis 
t.u.P.i.) e 
mobilità volontaria 
(art. 30 
t.u.P.i.), già esaminate innanzi. 
trattasi 
di 
continuazione 
del 
rapporto 
presso 
altra 
P.A., 
con 
cessazione 
definitiva 
del 
rapporto 
presso 
l’Amm.ne 
originaria. 
Al 
dipendente 
trasferito 
per mobilità 
si 
applica 
esclusivamente 
il 
trattamento giuridico ed economico, 
compreso quello accessorio, previsto nei 
contratti 
collettivi 
vigenti 
nel 
comparto 
della 
amministrazione 
di 
destinazione. 
Questa 
regola 
è 
prevista 
in 
via 
espressa 
per la 
mobilità 
volontaria 
(art. 30, comma 
2 quinquies), ma 
deve 
ritenersi 
applicabile anche a quella d’ufficio. 

una 
peculiare 
ipotesi 
di 
mobilità 
d’ufficio si 
ha 
nel 
caso di 
passaggio di 
dipendenti 
per 
effetto 
di 
trasferimento 
di 
attività 
regolato 
dall’art. 
31, 
secondo 
cui 
nel 
caso di 
trasferimento o conferimento di 
attività, svolte 
da 
PP.AA., enti 
pubblici 
o loro aziende 
o strutture, ad altri 
soggetti, pubblici 
o privati, al 
personale 
che 
passa 
alle 
dipendenze 
di 
tali 
soggetti 
si 
applicano l'art. 2112 c.c. e 
si 
osservano le 
procedure 
di 
informazione 
e 
di 
consultazione 
di 
cui 
all'art. 47, 
commi da 1 a 4, della legge 29 dicembre 1990, n. 428. 


7.6. estinzione del rapporto di lavoro. Spoil system. 
il rapporto di lavoro è per sua natura temporaneo. 


nel 
caso 
che 
inter 
partes 
vi 
sia 
un 
contratto 
a 
termine, 
il 
rapporto 
si 
estingue 
con la 
scadenza 
del 
termine. nel 
caso che 
inter 
partes 
vi 
sia 
un contratto 
a 
tempo indeterminato, il 
rapporto si 
estingue 
al 
raggiungimento dell’età 
pensionabile 
oppure alla maturazione di una data anzianità di servizio. 


Per tutti 
i 
rapporti 
di 
lavoro, poi, sia 
a 
tempo determinato che 
a 
tempo indeterminato, 
vi 
sono ulteriori 
evenienze 
estintive. ossia: 
a) morte 
del 
dipendente 
o 
estinzione 
dell’ente 
pubblico 
(salvi, 
in 
quest’ultima 
ipotesi 
i 
casi 
di 
ricollocamento ex 
lege); 
b) permanente 
inidoneità 
psicofisica 
del 
dipendente, 
secondo la 
disciplina 
di 
cui 
all’art. 55 octies; 
c) recesso, senza 
preavviso, per 
giusta 
causa, 
ossia 
per 
una 
causa 
che 
non 
consenta 
la 
prosecuzione, 
anche 
provvisoria, del 
rapporto (dimissioni 
adottate 
dal 
dipendente; 
licenziamento 



LeGiSLAzione 
eD 
AttuALità 


adottato dal 
datore 
di 
lavoro). La 
disciplina 
è 
contenuta 
nell’art. 2119 c.c.; 
d) 
recesso, con preavviso, per giustificato motivo soggettivo od oggettivo adottato 
dal 
datore 
di 
lavoro 
(100); 
e) 
licenziamento 
disciplinare 
adottato 
dal 
datore 
di 
lavoro; 
f) 
recesso 
ad 
nutum, 
con 
preavviso, 
adottato 
dal 
dipendente 
nel 
caso 
di rapporto di lavoro a tempo indeterminato (art. 2118 c.c.). 


infine 
va 
evidenziato 
che 
gli 
incarichi 
dirigenziali 
apicali, 
ossia 
quegli 
incarichi 
il 
cui 
titolare 
costituisce 
lo snodo tra 
l’organo di 
governo e 
l’amministrazione 
(101), 
cessano 
allorché 
venga 
meno 
il 
rapporto 
fiduciario 
con 
l’organo 
di 
governo (c.d. spoil 
system). Questa 
modalità 
di 
estinzione, alla 
luce 
dei 
principi 
della 
imparzialità 
della 
P.A. 
e 
della 
separazione 
tra 
la 
sfera 
politica 
e 
quella 
amministrativa, non può operare 
per tutti 
i 
restanti 
rapporti 
di 
lavoro, 
compresi 
quelli 
di 
direttore 
generale. Questi 
ultimi, infatti, ancorché 
si 
collochino 
al 
vertice 
dell’apparato 
amministrativo, 
restano 
però 
all’interno 
dello 
stesso, 
sicché 
possono 
essere 
rimossi 
prima 
della 
scadenza 
del 
termine 
del 
contratto solo per accertata responsabilità dirigenziale (102). 


(100) A 
termini 
dell’art. 3 L. 15 luglio 1966, n. 604 “il 
licenziamento per 
giustificato motivo con 
preavviso è 
determinato da un notevole 
inadempimento degli 
obblighi 
contrattuali 
del 
prestatore 
di 
lavoro 
ovvero da ragioni 
inerenti 
all'attività produttiva, all'organizzazione 
del 
lavoro e 
al 
regolare 
funzionamento 
di essa”. 
(101) nello Stato hanno tale 
carattere 
gli 
incarichi 
di 
Segretario Generale 
dei 
Ministeri, di 
Capo 
Dipartimento ed equiparati 
e 
degli 
addetti 
agli 
uffici 
di 
diretta 
collaborazione 
degli 
organi 
di 
governo 
(per questi 
ultimi 
l’art. 14, comma 
2, prevede 
che 
all'atto del 
giuramento del 
Ministro, tutte 
le 
assegnazioni 
di 
personale 
conferiti 
nell'ambito 
degli 
uffici 
di 
diretta 
collaborazione, 
decadono 
automaticamente 
ove non confermati entro trenta giorni dal giuramento del nuovo Ministro). 
negli 
enti, 
società 
e 
agenzie 
hanno 
tale 
carattere 
gli 
incarichi 
apicali 
conferiti 
dal 
Governo; 
viene 
all’uopo 
prescritto 
che 
“le 
nomine 
degli 
organi 
di 
vertice 
e 
dei 
componenti 
dei 
consigli 
di 
amministrazione 
o 
degli 
organi 
equiparati 
degli 
enti 
pubblici, 
delle 
società 
controllate 
o 
partecipate 
dallo 
Stato, 
delle 
agenzie 
o 
di 
altri 
organismi 
comunque 
denominati, 
conferite 
dal 
governo 
o 
dai 
ministri 
nei 
sei 
mesi 
antecedenti 
la 
scadenza 
naturale 
della 
legislatura, 
computata 
con 
decorrenza 
dalla 
data 
della 
prima 
riunione 
delle 
camere, 
o 
nel 
mese 
antecedente 
lo 
scioglimento 
anticipato 
di 
entrambe 
le 
camere, 
possono 
essere 
confermate, 
revocate, 
modificate 
o 
rinnovate 
entro 
sei 
mesi 
dal 
voto 
sulla 
fiducia 
al 
governo. 
Decorso 
tale 
termine 
gli 
incarichi 
per 
i 
quali 
non 
si 
sia 
provveduto 
si 
intendono 
confermati 
fino 
alla 
loro 
naturale 
scadenza. 
le 
stesse 
disposizioni 
si 
applicano 
ai 
rappresentanti 
del 
governo 
e 
dei 
ministri 
in 
ogni 
organismo 
e 
a 
qualsiasi 
livello, 
nonché 
ai 
componenti 
di 
comitati, 
commissioni 
e 
organismi 
ministeriali 
e 
interministeriali, 
nominati 
dal 
governo 
o 
dai 
ministri” 
(art. 
6, 
comma 
1, 
L. 
15 
luglio 
2002, 
n. 
145). 
negli 
enti 
locali 
hanno 
tale 
carattere 
gli 
incarichi 
di 
segretario 
comunale 
e 
provinciale, 
come 
confermato 
dall’art. 
99, 
comma 
2, 
t.u.e.L. 
per 
il 
quale 
la 
nomina 
del 
segretario 
“ha 
durata 
corrispondente 
a 
quella 
del 
mandato del 
sindaco o del 
presidente 
della provincia che 
lo ha nominato. il 
segretario cessa automaticamente 
dall'incarico con la cessazione 
del 
mandato del 
sindaco e 
del 
presidente 
della provincia, 
continuando ad esercitare le funzioni sino alla nomina del nuovo segretario”. 
(102) Conf. Corte 
cost., 23 marzo 2007, n. 103, precisante 
che 
la 
revoca 
delle 
funzioni 
legittimamente 
conferite 
ai 
dirigenti 
può essere 
conseguenza 
soltanto di 
un'accertata 
responsabilità, all'esito di 
un procedimento di 
garanzia 
puntualmente 
disciplinato ed è 
necessario che 
sia 
comunque 
garantita 
la 
presenza 
di 
un momento procedimentale 
di 
confronto dialettico tra 
le 
parti, nell'ambito del 
quale, da 
un 
lato, l'amministrazione 
esterni 
le 
ragioni 
per cui 
ritiene 
di 
non consentire 
la 
prosecuzione 
sino alla 
scadenza 
contrattualmente 
prevista 
e, 
dall'altro, 
sia 
assicurata 
al 
dirigente 
la 
possibilità 
di 
far 
valere 
il 
diritto 
di 
difesa, nel 
rispetto dei 
principi 
del 
giusto procedimento, finalizzati 
a 
garantire 
scelte 
trasparenti 
e 
verificabili, 
in ossequio al precetto dell'imparzialità dell'azione amministrativa. 

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7.7. riammissione in servizio. 
L’istituto della 
riammissione 
in servizio del 
dipendente 
pubblico già 
dimissionario 
(regolato 
dall’art. 
132 
D.P.r. 
n. 
3/1957, 
con 
una 
specificazione 
nell’art. 516 D.L.vo 16 aprile 
1994, n. 297), presuppone 
la 
decisione 
discrezionale 
dell’Amm.ne 
che 
dovrà 
verificare 
se 
corrisponde 
all’interesse 
pubblico 
la 
copertura 
del 
posto 
vacante 
mediante 
riammissione 
(piuttosto 
che 
con 
nuovo 
concorso). È 
pertanto esclusa 
la 
configurabilità 
di 
un diritto soggettivo all’accettazione 
della 
richiesta 
di 
riammissione. A 
seguito della 
privatizzazione 
del 
rapporto di 
lavoro l’istanza 
di 
riammissione 
è, infatti 
da 
qualificare 
in termini 
di 
proposta 
contrattuale; 
il 
potere 
dell’Amm.ne 
di 
disporre 
la 
riammissione 
in 
servizio del 
dipendente 
già 
dimissionario, si 
è, infatti, trasformato da 
potere 
amministrativo a 
potere 
privato, che 
si 
esercita 
mediante 
atti 
di 
natura 
negoziale, 
con conseguente 
devoluzione 
delle 
relative 
controversie 
al 
giudice 
ordinario. 


nel 
procedimentalizzato esercizio del 
potere 
di 
riammissione 
la 
P.A. ha, 
tuttavia, 
da 
un 
lato, 
l’obbligo 
di 
valutare 
l’interesse 
pubblico 
alla 
riammissione 
in servizio e, dall’altro, l’obbligo dell’esame 
tempestivo (secondo correttezza 
e 
buona 
fede) 
della 
domanda 
nonché 
di 
motivare 
la 
decisione 
di 
riammissione 
(ancorché 
negativa) (103). in dati 
casi 
la 
riammissione 
in servizio è 
un diritto 
soggettivo dell’interessato. È 
il 
caso della 
reimmissione 
in servizio a 
seguito 
di 
assoluzione 
in procedimenti 
giudiziari 
ex art. 3, comma 
57, L. 24 dicembre 
2003, n. 350 (104). 


8. le 
reSponSabiliTà 
Del 
lavoraTore 
DipenDenTe 
pubblico. aSpeTTi 
generali. 
L'inosservanza 
delle 
obbligazioni 
assunte 
con 
la 
stipulazione 
del 
contratto 
di 
lavoro comporta 
le 
conseguenze, rectius: 
le 
responsabilità 
normativamente 
stabilite. 


A 
seconda 
della 
natura 
degli 
interessi 
saranno configurabili 
varie 
specie 
di 
responsabilità: 
penale, civile, amministrativa, contabile, disciplinare 
(105), 
manageriale. 


(103) Cass., 14 agosto 2008, n. 21660. 


(104) Secondo cui 
il 
pubblico dipendente 
che 
sia 
stato sospeso dal 
servizio o dalla 
funzione 
e, 
comunque, dall'impiego o abbia 
chiesto di 
essere 
collocato anticipatamente 
in quiescenza 
a 
seguito di 
un 
procedimento 
penale 
conclusosi 
con 
sentenza 
definitiva 
di 
proscioglimento 
perché 
il 
fatto 
non 
sussiste 
o l'imputato non lo ha 
commesso o se 
il 
fatto non costituisce 
reato o non è 
previsto dalla 
legge 
come 
reato ovvero con decreto di 
archiviazione 
per infondatezza 
della 
notizia 
di 
reato, anche 
se 
pronunciati 
dopo la 
cessazione 
dal 
servizio, ha 
il 
diritto di 
ottenere, su propria 
richiesta, dall'amministrazione 
di 
appartenenza 
il 
prolungamento o il 
ripristino del 
rapporto di 
impiego, anche 
oltre 
i 
limiti 
di 
età 
previsti 
dalla 
legge, comprese 
eventuali 
proroghe, per un periodo pari 
a 
quello della 
durata 
complessiva 
della 
sospensione 
ingiustamente 
subita 
e 
del 
periodo di 
servizio non espletato per l'anticipato collocamento 
in 
quiescenza, 
cumulati 
tra 
loro, 
anche 
in 
deroga 
ad 
eventuali 
divieti 
di 
riassunzione 
previsti 
dal 
proprio 
ordinamento, 
con 
il 
medesimo 
trattamento 
giuridico 
ed 
economico 
a 
cui 
avrebbe 
avuto 
diritto 
in 
assenza 
della sospensione. 

LeGiSLAzione 
eD 
AttuALità 


8.1. la responsabilità penale. 
i dipendenti 
e 
i 
dirigenti 
delle 
pubbliche 
amministrazioni 
possono essere 
soggetti 
ad 
una 
speciale 
responsabilità 
penale. 
La 
trasgressione 
dei 
doveri 
inerenti 
ai 
compiti 
da 
svolgere 
potrà 
determinare 
l'incriminazione 
per delitti 
dei 
pubblici 
ufficiali 
(106) 
contro 
la 
pubblica 
amministrazione 
(artt. 
314 
-335 
c.p.), tra 
i 
quali 
il 
peculato (artt. 314 e 
316 c.p.), la 
concussione 
(artt. 317 e 
319 quater 
c.p.), la 
corruzione 
(artt. 318, 319, 319 
ter, 322 c.p.), l’abuso d'ufficio 
(art. 323 c.p.), il rifiuto di atti d'ufficio e l’omissione (art. 328 c.p.). 


nella 
legislazione 
speciale 
in 
materia 
penale 
di 
particolare 
rilevanza 
è 
la 
tutela 
della 
sicurezza 
e 
della 
salute 
sui 
luoghi 
di 
lavoro. 
in 
materia, 
il 
principale 
destinatario 
dei 
precetti 
penali, 
nell'ambito 
degli 
enti 
pubblici, 
è 
l’organo 
titolare 
dell’indirizzo 
politico, 
fatta 
salva 
la 
delega 
-nel 
rispetto 
dei 
requisiti 
in 
tema 
di 
delega 
di 
funzione 
-ai 
responsabili 
dei 
singoli 
servizi. 
Analogo 
discorso 
va 
fatto 
in 
ordine 
alla 
materia 
della 
gestione 
dei 
rifiuti. 
L’organo 
titolare 
dell’indirizzo 
politico 
-nella 
qualità 
di 
datore 
di 
lavoro, 
ai 
fini 
della 
sicurezza 
-formula 
direttive 
ai 
dirigenti, 
i 
quali 
sono 
tenuti 
ad 
organizzare 
l'attività 
lavorativa 
e 
vigilare 
su 
di 
essa 
(art. 
2, 
comma 
1, 
lettera 
d, 
D.L.vo 
9 
aprile 
2008, 
n. 
81). 
L'art. 
18 
D.L.vo 
n. 
81/2008 
contiene 
sia 
obblighi 
che 
gravano 
sul 
dirigente 
iure 
proprio, 
in 
maniera 
del 
tutto 
naturale 
sulla 
base 
delle 
funzioni 
esercitate, 
sia 
obblighi 
che 
sarebbero 
originari 
del 
datore 
di 
lavoro 
e 
che 
gravano 
su 
un 
dirigente 
nel 
momento 
in 
cui 
vengono 
in 
qualche 
modo 
trasferiti 
(107). 


L’organo titolare 
dell’indirizzo politico, essendo collocato al 
vertice 
amministrativo 
e 
gestionale 
dell'ente 
pubblico, 
è 
tenuto 
all'osservanza 
delle 
norme 
di 
prevenzione 
e 
di 
sicurezza 
che 
rientrano 
nella 
più 
ampia 
nozione 
di 
gestione 
dell'ente. 


Per “datore 
di 
lavoro” 
negli 
enti 
pubblici 
deve 
intendersi 
chi 
in concreto 
abbia 
il 
potere 
gestionale 
sui 
luoghi 
di 
lavoro. 
L'art. 
2, 
lett. 
b), 
D.L.vo 
n. 
81/2008, 
infatti, 
prevede 
espressamente 
che 
nelle 
P.A. 
di 
cui 
al 
t.u.P.i. 
per 
“datore 
di 
lavoro” 
si 
intende 
il 
dirigente 
al 
quale 
spettano i 
poteri 
di 
gestione 
e 
che 
in caso di 
omessa 
individuazione 
del 
dirigente, o di 
individuazione 
non 
conforme 
ai 
criteri 
sopra 
indicati, il 
datore 
di 
lavoro coincide 
con l'organo di 
vertice medesimo. 


(105) Quest’ultima 
non è 
applicabile 
ove 
non sussista 
un rapporto di 
pubblico impiego, di 
lavoro 
dipendente (ad esempio nei rapporti onorari). 
(106) Pubblico ufficiale, secondo la 
nozione 
di 
cui 
all'art. 357 c.p. è 
il 
soggetto che 
esercita 
una 
pubblica 
funzione 
amministrativa, 
“caratterizzata 
dalla 
formazione 
e 
dalla 
manifestazione 
delle 
volontà 
della pubblica amministrazione 
o dal 
suo svolgersi 
per 
mezzo di 
poteri 
autoritativi 
o certificativi” 
(Su 
tali 
aspetti: 
G. 
FiAnDACA 
-e. 
MuSCo, 
Diritto 
penale, 
Parte 
speciale, 
vol. 
1, 
zanichelli, 
iii 
edizione, 
2002, pp. 170 e ss.). 
(107) in difetto di 
delega 
i 
compiti, e 
le 
conseguenti 
responsabilità, restano in capo all’organo titolare 
dell’indirizzo politico. 

rASSeGnA 
AvvoCAturA 
DeLLo 
StAto -n. 3/2022 


Le 
funzioni, 
tranne 
le 
ipotesi 
espressamente 
escluse, 
sono 
delegabili 
da 
parte 
del 
datore 
di 
lavoro, 
fermo 
restando, 
tuttavia, 
l’obbligo 
di 
vigilanza 
sull’operato 
del 
delegato, 
nonché 
il 
rispetto 
dei 
seguenti 
limiti 
e 
condizioni: 


a) 
forma 
scritta 
e 
data 
certa 
della 
delega; 
b) 
possesso, 
da 
parte 
del 
delegato, 
di 
tutti 
i 
requisiti 
di 
professionalità 
e 
di 
esperienza 
richiesti 
dalla 
specifica 
natura 
delle 
funzioni 
delegate, 
c) 
attribuzione 
al 
delegato 
dell’autonomia 
di 
spesa 
necessaria 
allo 
svolgimento 
delle 
citate 
funzioni; 
d) 
accettazione 
per 
iscritto 
della 
delega 
ad 
opera 
del 
delegato; 
e) 
adeguata 
e 
tempestiva 
pubblicità 
della 
delega. 
8.2. la responsabilità civile verso terzi. 
in conformità 
ai 
principi 
generali 
il 
dipendente 
pubblico risponde 
ex art. 
2043 cc. dei 
danni 
ingiusti 
conseguenza 
di 
qualunque 
fatto doloso o colposo 
nell'esercizio 
delle 
incombenze 
connesse 
ai 
compiti 
svolti, 
arrecati 
a 
terzi, 
ossia 
a 
soggetti 
diversi 
dall’ente 
di 
appartenenza 
in relazione 
al 
quale 
vi 
è 
la 
speciale responsabilità amministrativa di seguito trattata. 


il 
danneggiato 
può 
agire, 
oltreché 
nei 
confronti 
del 
dipendente 
pubblico, 
anche 
nei 
confronti 
dell'ente 
di 
appartenenza 
alla 
luce 
della 
relazione 
di 
immedesimazione 
organica 
tra 
il 
primo 
ed 
il 
secondo 
(art. 
28 
Costituzione; 
art. 
2049 
cc.). 
Perché 
risponda 
l'ente 
di 
appartenenza 
è 
necessario 
che 
fra 
l'esercizio 
delle 
incombenze 
del 
dipendente 
pubblico 
ed 
il 
fatto 
dannoso 
sussista 
un 
nesso 
di 
occasionalità 
necessaria; 
nesso 
di 
occasionalità 
necessaria 
che 
viene 
spezzato 
ove 
il 
fatto 
dannoso 
integri 
la 
fattispecie 
del 
reato 
doloso. 


venendo 
in 
rilievo 
un 
rapporto 
di 
lavoro 
subordinato, 
alle 
dipendenze 
delle 
pubbliche 
amministrazioni, 
si 
applicano 
le 
disposizioni 
concernenti 
lo 
statuto 
degli 
impiegati 
civili 
dello 
Stato 
in 
materia 
di 
responsabilità 
verso 
i 
terzi 
di 
cui 
agli 
artt. 22-23 D.P.r. n. 3/1957, in forza 
delle 
quali 
“È 
danno ingiusto, 
agli 
effetti 
previsti 
dall'art. 22, quello derivante 
da ogni 
violazione 
dei 
diritti 
dei 
terzi 
che 
l'impiegato abbia commesso per 
dolo o per 
colpa grave; 
restano salve 
le 
responsabilità più gravi 
previste 
dalle 
leggi 
vigenti” 
(art. 23, 
comma 
1, 
D.P.r. 
n. 
3/1957). 
Di 
conseguenza 
il 
dipendente 
pubblico 
è 
responsabile 
civilmente 
verso 
terzi 
solo 
a 
titolo 
di 
dolo 
o 
colpa 
grave. 
La 
colpa 
grave 
consiste 
nella 
violazione 
della 
diligenza 
minima 
(mentre 
integra 
la 
colpa 
lieve 
la 
violazione 
della 
ordinaria 
diligenza) (108). La 
diligenza 
consiste 
nell’impiego 
normalmente 
adeguato di 
energie 
e 
dei 
mezzi 
utili 
al 
soddisfacimento 
dell’interesse 
del 
creditore 
(109). La 
colpa 
grave 
esclude 
la 
volontarietà, ma 
non si 
esaurisce 
solo -come 
la 
colpa 
c.d. lieve 
-nella 
negligenza, imprudenza 


o imperizia, dovendo le 
stesse 
esser elevate, macroscopiche. Si 
deve 
trattare, 
(108) C.M. BiAnCA, Diritto civile, vol. v, ii edizione, Giuffrè, 2012, p. 582. 
(109) C.M. BiAnCA, Diritto civile, vol. v, cit., p. 8. 

LeGiSLAzione 
eD 
AttuALità 


insomma, di 
violazioni 
grossolane 
del 
dovere 
di 
diligenza, di 
prudenza 
e 
perizia 
(non intelligere quod omnes intelligunt). 


La 
cognizione 
della 
lite 
in 
materia 
di 
responsabilità 
civile 
verso 
terzi 
spetta all'Autorità Giudiziaria ordinaria. 


8.3. la responsabilità amministrativa (o per danno erariale). 
nell'evenienza 
che 
il 
danno 
sia 
stato 
arrecato 
direttamente 
o 
indirettamente 
all'Amministrazione 
di 
appartenenza 
o 
ad 
altra 
Amministrazione, 
la 
responsabilità 
civile 
assume 
connotati 
particolari 
e 
speciali, 
ricorrendo 
la 
fattispecie 
della 
responsabilità 
amministrativa, 
attribuita 
alla 
giurisdizione 
della 
Corte 
dei 
Conti 
(110). 
trattasi 
-venendo 
in 
rilievo 
una 
responsabilità 
inerente 
ad uno specifico rapporto giuridico preesistente 
inter 
partes 
-di 
responsabilità 
contrattuale, seppure con significative deroghe. 


i 
funzionari, 
gli 
impiegati, 
gli 
agenti, 
anche 
militari, 
che 
nell'esercizio 
delle 
loro funzioni, per errore 
ed omissione 
imputabili 
anche 
solo a 
colpa 
o 
negligenza 
cagionino danno allo Stato e 
ad altra 
P.A. dalla 
quale 
dipendono 
sono, 
infatti, 
sottoposti 
alla 
giurisdizione 
della 
Corte 
dei 
Conti 
nei 
casi 
e 
modi 
previsti 
dalla 
legge 
sull'amministrazione 
del 
patrimonio 
e 
sulla 
contabilità 
generale 
dello Stato e 
da 
leggi 
speciali 
(in tal 
senso art. 52 r.D. 12 luglio 1934 


n. 1214). La 
Corte, valutate 
le 
singole 
responsabilità, può porre 
a 
carico del 
responsabile 
tutto 
o 
parte 
del 
danno 
arrecato 
o 
del 
valore 
perduto. 
regole 
analoghe 
sono sparse 
in varie 
disposizioni 
(es. art. 83 r.D. 18 novembre 
1923 n. 
2440; art. 18 D.P.r n. 3/1957; art. 61 L. 11 luglio 1980, n. 312) (111). 
Gli 
elementi 
costitutivi 
della 
responsabilità 
amministrativa 
possono così 
sinteticamente individuarsi: 


a) 
rapporto 
di 
servizio. 
il 
primo 
elemento 
che 
deve 
sussistere 
perché 
sia 
configurabile 
la 
responsabilità 
amministrativa 
è 
l’esistenza 
di 
un 
rapporto 
di 
servizio, 
che 
leghi 
a 
vario 
titolo 
il 
soggetto 
ritenuto 
responsabile 
alla 
pub(
110) Sulla 
responsabilità 
amministrativa: 
M. SCiASCiA, Diritto delle 
gestioni 
pubbliche, ii edizione, 
Giuffré, 2013, pp. 796-822; 
P. SAntoro, manuale 
di 
contabilità e 
finanza pubblica, v 
edizione, 
Maggioli, 
2012, 
pp. 
687-714; 
M. 
GerArDo, 
A. 
MutAreLLi, 
il 
processo 
nelle 
controversie 
di 
lavoro 
pubblico, 
cit. pp. 100-105; 
C.e. GALLo, M. GiuSti, G. LADu, M.v. LuPò 
AvAGLiAno, L. SAMBuCCi, M.L. 
SeGuiti, contabilità di 
Stato e 
degli 
enti 
pubblici, v 
edizione, Giappichelli, 2011, pp. 145-189; 
S. Bu-
SCeMA, A. BuSCeMA, contabilità di 
Stato e 
degli 
enti 
pubblici, iv 
edizione, Giuffré, 2005, pp. 294-309; 
C. AneLLi, F. izzo, C. tALiCe, contabilità pubblica, Milano, Giuffrè, 1996, ii edizione, pp. 955-1034; 
A. BennAti, manuale di contabilità di Stato, napoli, Jovene, 1990, Xii edizione, pp. 753-901. 
(111) “la responsabilità patrimoniale 
del 
personale 
direttivo, docente, educativo e 
non docente 
della 
scuola 
materna, 
elementare, 
secondaria 
ed 
artistica 
dello 
Stato 
e 
delle 
istituzioni 
educative 
statali 
per 
danni 
arrecati 
direttamente 
all'amministrazione 
in connessione 
a comportamenti 
degli 
alunni 
è 
limitata 
ai 
soli 
casi 
di 
dolo o colpa grave 
nell'esercizio della vigilanza sugli 
alunni 
stessi. la limitazione 
di 
cui 
al 
comma precedente 
si 
applica anche 
alla responsabilità del 
predetto personale 
verso l'amministrazione 
che 
risarcisca il 
terzo dei 
danni 
subiti 
per 
comportamenti 
degli 
alunni 
sottoposti 
alla vigilanza. 
Salvo 
rivalsa 
nei 
casi 
di 
dolo 
o 
colpa 
grave, 
l'amministrazione 
si 
surroga 
al 
personale 
medesimo 
nelle responsabilità civili derivanti da azioni giudiziarie promosse da terzi”. 

rASSeGnA 
AvvoCAturA 
DeLLo 
StAto -n. 3/2022 


blica 
amministrazione, 
costituendo 
in 
capo 
al 
primo 
l’esistenza 
di 
specifici 
doveri 
correlati 
allo 
svolgimento 
da 
parte 
dell’Amministrazione 
dei 
compiti 
ad 
essa 
attribuiti. 
Dalla 
ricognizione 
delle 
disposizioni 
in 
materia 
emerge 
un’ampia 
latitudine 
dell’ambito 
soggettivo, 
atteso 
che 
tale 
rapporto 
concerne 
sia 
i 
lavoratori 
dipendenti 
con 
rapporto 
di 
lavoro 
privatistico 
che 
quelli 
in 
regime 
di 
diritto 
pubblico 
(art. 
3), 
sia 
i 
dipendenti 
con 
rapporto 
di 
pubblico 
impiego 
volontario 
che 
quelli 
con 
rapporto 
coattivo 
(es. 
militari), 
sia 
i 
lavoratori 
professionali 
con 
rapporto 
a 
tempo 
determinato 
indeterminato 
che 
quelli 
onorari, 
sia 
infine, 
i 
lavoratori 
autonomi. 
vi 
è 
responsabilità 
anche 
quando 
il 
danno 
sia 
stato 
cagionato 
ad 
amministrazioni 
o 
enti 
pubblici 
diversi 
da 
quelli 
di 
appartenenza 
(art. 
1, 
comma 
4, 
L. 
14 
gennaio 
1994 
n. 
20); 
viene 
in 
rilievo 
il 
c.d. 
danno 
obliquo 
che 
può 
emergere 
nel 
caso 
di 
un 
dipendente 
distaccato 
o 
comandato 
presso 
un’altra 
P.A. 
oppure 
nel 
caso 
del 
componente 
di 
un 
consiglio 
di 
amministrazione 
di 
un 
ente 
pubblico 
nominato 
da 
un 
Ministero. 


Dal 
punto di 
vista 
del 
datore 
di 
lavoro, la 
responsabilità 
amministrativa 
viene 
in rilievo non solo allorché 
è 
esistente 
un rapporto di 
servizio con gli 
enti 
pubblici 
non economici, ma 
anche 
con gli 
enti 
pubblici 
economici 
(112) 
e 
finanche 
(giusta 
art. 12, comma 
1, D.L.vo 19 agosto 2016, n. 175) con le 
società 
in house. 


b) 
comportamento 
dannoso. 
il 
danno, 
per 
poter 
comportare 
responsabilità 
amministrativa 
deve 
essere 
conseguenza 
di 
un 
comportamento 
-azione 
(provvedimentale 
o 
materiale) 
od 
omissione 
-posto 
in 
essere 
nell’esercizio 
di 
un’attività 
non 
discrezionale, 
ferma 
restando 
l’insindacabilità 
nel 
merito 
delle 
scelte 
discrezionali, 
sempreché 
rispettose 
dei 
limiti 
posti 
dall’ordinamento 
(pertanto 
la 
discrezionalità 
è 
sindacabile 
sotto 
il 
profilo 
dell’eccesso 
di 
potere). 
tale 
comportamento 
deve 
essere 
imputabile 
all’agente, 
a 
titolo 
di 
responsabilità 
personale (art. 1, comma 1, L. n. 20/1994). 
va 
precisato che 
la 
responsabilità 
amministrativa 
scaturisce 
da 
condotte 
illecite 
di 
dipendenti 
e 
dirigenti 
pubblici 
e 
non necessariamente 
da 
atti 
illegittimi 
posti 
in essere 
dagli 
stessi. Ciò che 
assume 
rilevanza 
è 
la 
violazione 
dei 
doveri 
di 
ufficio e 
l’inadempimento di 
obblighi 
di 
gestione, da 
cui 
deriva 
un 
pregiudizio patrimoniale 
a 
carico della 
pubblica 
amministrazione. La 
mera 
illegittimità 
dell’atto, 
per 
i 
danni 
correlati 
ad 
attività 
provvedimentale, 
non 
rileva 
in quanto tale, ma 
è 
soltanto un sintomo della 
illiceità 
di 
un comportamento 
alla 
cui 
produzione 
concorrono 
i 
requisiti 
della 
dannosità 
della 
condotta 
e 
dell’atteggiamento 
gravemente 
colposo 
del 
suo 
autore. 
L’illegittimità 
dell’atto 
amministrativo, nel 
giudizio per danno erariale, può rappresentare, semplicemente, 
uno 
degli 
elementi 
della 
più 
complessa 
fattispecie 
di 
responsabilità 
contabile (113); 


(112) Cass., 22 dicembre 2003, n. 19667. 



LeGiSLAzione 
eD 
AttuALità 


c) 
elemento 
psicologico. 
La 
responsabilità 
è 
circoscritta 
ai 
fatti 
e 
alle 
omissioni commessi con dolo o colpa grave. 
il 
dolo, 
argomentando 
dall’art. 
43 
c.p. 
(114), 
consiste 
nella 
coscienza 
e 
volontà 
degli 
elementi 
costituitivi 
della 
fattispecie 
oggettiva. 
Giusta 
l’art. 
1, 
comma 
1, 
l. 
n. 
20/1994 
“la 
prova 
del 
dolo 
richiede 
la 
dimostrazione 
della 
volontà 
dell'evento 
dannoso”. 
il 
dolo, 
in 
ragione 
della 
diversa 
intensità, 
può 
assumere 
diverse 
qualificazioni. 
in 
specie: 
dolo 
intenzionale, 
allorché 
l’autore 
miri 
proprio 
alla 
realizzazione 
del 
fatto 
illecito, 
venendo 
così 
ad 
assumere 
un 
ruolo 
predominante 
il 
momento 
volitivo; 
dolo 
diretto, 
allorché 
l’autore 
si 
rappresenti 
con 
certezza 
gli 
elementi 
costitutivi 
della 
fattispecie 
dannosa 
e 
si 
renda 
conto 
perfettamente 
che 
la 
sua 
condotta 
sicuramente 
la 
realizzerà 
o 
almeno 
concorrerà 
a 
realizzarla; 
in 
tale 
figura 
un 
ruolo 
predominante 
viene 
giocato 
dal 
momento 
della 
coscienza; 
dolo 
eventuale, 
allorché 
l’autore 
almeno 
preveda 
la 
concreta 
possibilità 
del 
verificarsi 
di 
un 
evento 
dannoso 
che 
non 
vuole 
ed 
accetti 
il 
rischio 
del 
suo 
verificarsi. 
esso 
si 
differenzia 
dalla 
colpa 
cosciente, 
in 
cui 
l’autore 
confida 
con 
certezza 
nella 
circostanza 
che 
non 
si 
verifichi 
l’evento 
lesivo 
(115). 
La 
colpa 
grave 
implica 
una 
condotta 
che 
sia 
posta 
in 
essere 
senza 
l’osservanza 
di 
un 
livello 
di 
diligenza, 
prudenza 
e 
perizia 
in 
relazione 
al 
tipo 
di 
attività 
concretamente 
richiesta 
all’agente 
ed 
alla 
sua 
particolare 
preparazione 
professionale 
nel 
settore 
della 
attività 
amministrativa 
al 
quale 
è 
preposto. 
tale 
attività 
si 
caratterizza, 
quindi, 
per 
un 
atteggiamento 
di 
estremo 
disinteresse 
nell’espletamento 
delle 
proprie 
funzioni, 
di 
negligenza 
massima, 
di 
deviazione 
dal 
modello 
di 
condotta 
connesso 
ai 
propri 
compiti, 
senza 
il 
rispetto 
delle 
comuni 
regole 
di 
comportamento 
(116). 
in 
ogni 
caso 
è 
esclusa 
la 
gravità 
della 
colpa 
quando 
il 
fatto 
dannoso 
tragga 
origine 
dall’emanazione 
di 
un 
atto 
vistato 
e 
registrato 
in 
sede 
di 
controllo 
preventivo 
di 
legittimità, 
limitatamente 
ai 
profili 
presi 
in 
considerazione 
nell’esercizio 
del 
controllo 
(art. 
1, 
comma 
1, 
l. 
n. 
20/1994). 
La 
semplice 
violazione 
di 
norme 
legislative 
o 
di 
disposizioni 
di 
servizio 
non 
è 
sufficiente 
a 
configurare 
la 
colpa 
grave. 
Quest’ultima 
viene 
ad 
emersione 
in 
presenza 
di 
un’erronea 
interpretazione 
di 
dati 
normativi 
chiari 
ed 
inequivoci, 
che 
-attraverso 
un 
giudizio 
ex 
ante 
ed 
in 
concreto, 
che 
eviti 
fuorvianti 
apriorismi 
dogmatici, 
ma 
che, 
invece, 
abbia 
come 
riferimento 
la 
specifica 
fattispecie 
-permetta 
di 
affermare 
che 
il 
responsabile 


(113) Conf. Corte 
dei 
conti, Sez. giur. toscana, 29 marzo 2016, n. 89 e 
Corte 
dei 
conti, Sez. giur. 
Lazio, 4 ottobre 2018, n. 504. 
(114) 
Per 
il 
quale 
la 
fattispecie 
presenta 
l’elemento 
psicologico 
del 
dolo 
“quando 
l'evento 
dannoso 
o pericoloso, che 
è 
il 
risultato dell'azione 
od omissione 
e 
da cui 
la legge 
fa dipendere 
l'esistenza del 
delitto, 
è dall'agente preveduto e voluto come conseguenza della propria azione od omissione”. 
(115) Su tali 
categorie 
ex 
plurimis: 
M. SCiASCiA, Diritto delle 
gestioni 
pubbliche, cit., pp. 697698. 
(116) ex plurimis: Corte Conti, Sez. giur. Abruzzo, 27 marzo 2007, n. 372. 

rASSeGnA 
AvvoCAturA 
DeLLo 
StAto -n. 3/2022 


non 
ha 
inteso 
ciò 
che 
tutti 
(quelli 
con 
qualifica 
e 
professionalità 
simile) 
intendono. 
non 
sussiste, 
inoltre, 
colpa 
grave 
se 
la 
condotta 
dei 
dirigenti 
pubblici 
è 
giustificata 
da 
motivi 
di 
interesse 
pubblico 
ed 
è 
rispondente 
ai 
canoni 
di 
ragionevolezza 
e 
di 
buon 
andamento 
dell’azione 
amministrativa, 
come 
nel 
caso 
di 
un 
dipendente 
incaricato 
di 
svolgere 
mansioni 
superiori 
per 
fare 
fronte 
alla 
carenza 
di 
personale. 


L’illustrato 
regime 
normativo 
esonera 
da 
responsabilità 
il 
dipendente 
che 
versa 
in 
colpa 
lieve 
nell’evidente 
obiettivo 
di 
non 
gravare 
il 
dipendente 
di 
preoccupazioni 
eccessive 
in ordine 
alle 
conseguenze 
patrimoniali 
della 
propria 
condotta. 
Preoccupazioni 
che 
(in 
particolare 
in 
una 
fase 
storica 
legislativamente 
dinamica 
in cui 
la 
P.A. si 
trova 
a 
operare 
in una 
realtà 
normativa 
estremamente 
complessa 
e 
talvolta 
disarticolata) 
condurrebbero 
fatalmente 
all’inerzia e alla paralisi amministrativa. 


L’art. 21, comma 
2, del 
D.L.16 luglio 2020, n. 76, conv. l. 11 settembre 
2020, 
n. 
120 
ha 
previsto 
“limitatamente 
ai 
fatti 
commessi 
dalla 
data 
di 
entrata 
in vigore 
del 
presente 
decreto e 
fino al 
30 giugno 2023, la responsabilità dei 
soggetti 
sottoposti 
alla giurisdizione 
della corte 
dei 
conti 
in materia di 
contabilità 
pubblica 
per 
l'azione 
di 
responsabilità 
di 
cui 
all'articolo 
1 
della 
legge 
14 gennaio 1994, n. 20, è 
limitata ai 
casi 
in cui 
la produzione 
del 
danno conseguente 
alla condotta del 
soggetto agente 
è 
da lui 
dolosamente 
voluta. la limitazione 
di 
responsabilità 
prevista 
dal 
primo 
periodo 
non 
si 
applica 
per 
i 
danni cagionati da omissione o inerzia del soggetto agente” (117); 


d) 
nesso 
causale. 
È 
ovviamente 
richiesta 
la 
sussistenza 
di 
un 
rapporto 
di 
causalità 
tra 
comportamento osservato dal 
dipendente 
(e 
ritenuto fonte 
del 
danno) 
ed 
il 
danno 
lamentato 
dall’amministrazione. 
il 
nesso 
eziologico 
deve 
essere 
valutato 
secondo 
il 
criterio 
della 
causalità 
adeguata, 
verificando, 
cioè, 
con 
una 
valutazione 
ex 
ante, 
se 
il 
comportamento 
del 
dipendente 
sia 
stato 
idoneo 
a 
produrre 
l’evento. 
in 
tale 
valutazione 
non 
si 
dovrà 
tenere 
conto 
degli 
eventuali 
e 
imprevedibili 
effetti 
straordinari 
o 
atipici 
della 
condotta 
tenuta. 
nell’ipotesi 
di 
concorso 
di 
più 
persone 
nel 
comportamento 
causativo 
del 
danno, 
la 
Corte 
dei 
Conti, 
valutate 
le 
singole 
responsabilità, 
è 
tenuta 
a 
condannare 
ciascuno 
in 
relazione 
al 
proprio 
contributo 
causale. 
È 
altresì 
prevista 
la 
responsabilità 
solidale 
dei 
soli 
concorrenti 
che 
abbiano 
conseguito 
un 
illecito 
arricchimento 
o 
abbiano 
agito 
con 
dolo 
(art. 
1, 
commi 
quater 
e 
quinquies 
l. 
n. 
20/1994); 
e) 
danno. 
il 
danno 
-consistente 
nell’impoverimento 
del 
patrimonio 
ovvero 
della 
finanza 
dell’amministrazione 
pubblica 
o 
della 
comunità 
da 
essa 
tutelata 
deve 
essere 
suscettibile 
di 
valutazione 
economica 
in 
modo 
da 
consentire 
la 
com(
117) nella 
relazione 
illustrativa 
al 
D.L. Semplificazioni 
relativamente 
all’art. 21 si 
enuncia 
che 
“la 
responsabilità 
dei 
soggetti 
sottoposti 
alla 
giurisdizione 
della 
corte 
dei 
conti 
in 
materia 
di 
contabilità 
pubblica per 
l’azione 
di 
responsabilità viene 
limitata al 
solo profilo del 
dolo per 
le 
azioni 
e 
non anche 
per 
le 
omissioni, 
in 
modo 
che 
i 
pubblici 
dipendenti 
abbiano 
maggiori 
rischi 
di 
incorrere 
in 
responsabilità 
in caso di non fare (omissioni e inerzie) rispetto al fare, dove la responsabilità viene limitata al dolo”. 

LeGiSLAzione 
eD 
AttuALità 


misurazione 
del 
risarcimento 
(arg. 
ex 
artt. 
1218 
e 
1174 
c.c.), 
salvo 
il 
danno 
non 
patrimoniale 
che 
va 
valutato 
in 
via 
equitativa 
ex 
art. 
1226 
c.c. 
Deve 
essere 
effettivo 
ed 
attuale 
e 
il 
risarcimento 
deve 
coprire 
sia 
il 
danno 
emergente 
(diminuzione 
patrimoniale, 
come 
la 
perdita, 
distruzione, 
sottrazione 
di 
beni 
o 
valori 
della 
pubblica 
amministrazione), 
che 
il 
lucro 
cessante 
(mancato 
guadagno). 
il 
danno 
deve 
essere 
conseguenza 
diretta 
e 
immediata 
(art. 
1223 
c.c.) 
di 
una 
condotta 
dolosa 
o 
gravemente 
colposa 
posta 
in 
essere 
dal 
danneggiante. 


il 
danno 
erariale 
comprende, 
oltrecché 
la 
componente 
patrimoniale, 
anche 
il 
danno non patrimoniale 
(art. 2059 c.c.) (118) sub specie 
di 
pregiudizio al-
l’immagine 
della 
pubblica 
amministrazione. Danno non patrimoniale 
risarcibile, 
secondo le 
Sezioni 
unite 
(119), si 
ha 
non solo nei 
casi 
in cui 
vi 
sia 
una 
previsione 
specifica 
(come, 
ad 
esempio, 
l’art. 
185 
c.p.; 
artt. 
88 
e 
96 
c.p.c.), 
ma 
anche 
nei 
casi 
in cui 
vi 
è 
un pregiudizio ad un bene 
della 
vita 
essenziale 
protetto costituzionalmente, ossia 
ad un diritto inviolabile 
della 
persona 
direttamente 
tutelato dalla 
Costituzione; 
inoltre 
-sempre 
per le 
SS.uu. -l'interpretazione 
costituzionalmente 
orientata 
dell'art. 
2059 
c.c. 
consente 
di 
affermare 
che 
anche 
nella 
materia 
della 
responsabilità 
contrattuale 
è 
dato 
il 
risarcimento 
dei danni non patrimoniali. 


tra 
le 
ipotesi 
più rilevanti 
di 
fattispecie 
dannose 
vi 
è 
il 
danno all’immagine. 
La 
tutela 
del 
pregiudizio all’immagine 
della 
P.A., in coerenza 
con il 
diritto 
vivente 
innanzi 
descritto, consegue 
al 
fatto che 
gli 
enti 
pubblici 
hanno il 
dovere 
di 
organizzarsi 
e 
di 
agire 
in modo efficace, efficiente, imparziale 
e 
trasparente, 
ai 
sensi 
dell’art. 97 Cost. Quando l’azione 
di 
un pubblico amministratore 
o 
dipendente 
viola 
doveri 
di 
servizio, 
ciò 
si 
traduce 
anche 
in 
una 
deminutio 
della 
immagine 
della 
pubblica 
amministrazione, che 
rischia 
di 
apparire 
come 
organizzazione 
strutturata 
confusamente 
e 
gestita 
in maniera 
non 
efficiente. il 
danno all’immagine, di 
conseguenza, incide 
sul 
rapporto di 
fiducia 
e 
di 
affidamento 
che 
lega 
l’amministrazione 
e 
i 
cittadini, 
arrecando 
una 
lesione 
del 
decoro 
e 
del 
prestigio 
della 
pubblica 
amministrazione, 
determinando 
una 
perdita 
di 
credibilità 
e 
affidabilità 
della 
stessa 
e 
pregiudicando valori 
di 
rilievo costituzionale, quali 
la 
legalità 
dell'azione 
amministrativa, il 
buon andamento 
e l’imparzialità della amministrazione. 


L’azione 
per 
il 
risarcimento 
del 
danno 
all’immagine 
può 
essere 
esercitata 
solo nei 
casi 
di 
responsabilità 
collegate 
a 
delitti 
contro la 
pubblica 
amministrazione 
(artt. 314-335 
bis 
c.p.) ed altresì 
a 
reati 
previsti 
in fonti 
diverse 
dal 


(118) “il danno non patrimoniale deve essere risarcito solo nei casi determinati dalla legge”. 
(119) ossia 
a 
termini 
del 
diritto vivente 
-inaugurato dalle 
SS.uu. della 
Corte 
di 
Cassazione 
del 
2008 
(Cass., 
SS.uu., 
11 
novembre 
2008, 
nn. 
26972, 
26973, 
26974, 
26975) 
e 
reiteratamente 
confermato 
-secondo cui 
i 
casi 
determinati 
dalla 
legge 
nei 
quali 
risarcire 
il 
danno non patrimoniale 
riguardano non 
solo previsioni 
specifiche 
(come, ad esempio, l’art. 185 c.p.; 
artt. 88 e 
96 c.p.c.), ma 
i 
casi 
in cui 
vi 
è 
un 
pregiudizio ad un bene 
della 
vita 
essenziale 
protetto costituzionalmente, ossia 
ad un diritto inviolabile 
della persona direttamente tutelato dalla Costituzione (come la salute e l’ambiente). 

rASSeGnA 
AvvoCAturA 
DeLLo 
StAto -n. 3/2022 


Capo 
i 
del 
titolo 
ii 
del 
Libro 
ii 
del 
Codice 
penale, 
purché 
in 
pregiudizio 
della 
pubblica amministrazione (120). 


L’entità 
del 
danno 
all’immagine 
della 
pubblica 
amministrazione 
si 
presume, 
salvo 
prova 
contraria, 
pari 
al 
doppio 
della 
somma 
di 
danaro 
o 
del 
valore 
patrimoniale 
di 
altra 
utilità 
illecitamente 
percepita 
dal 
dipendente 
(art. 
1, 
comma 
1 
sexies, 
L. 
n. 
20/1994). 
in 
tali 
casi 
è 
concesso 
anche 
il 
sequestro 
conservativo, 
qualora 
vi 
sia 
il 
fondato 
timore 
di 
attenuazione 
della 
garanzia 
del 
credito 
(art. 
1, 
comma 
1 
septies, 
L. 
n. 
20/1994). 
La 
quantificazione 
del 
danno 
all’immagine 
-alla 
luce 
della 
prassi 
giurisprudenziale 
-deve 
tenere 
conto 
della 
natura 
della 
particolare 
posizione 
rivestita 
dai 
presunti 
responsabili 
all’interno 
dell’organizzazione 
dell’ente 
ed 
altresì 
della 
risonanza 
sociale 
e 
l’impatto 
nell’opinione 
pubblica 
che 
ha 
avuto 
la 
condotta 
illecita, 
il 
c.d. 
clamor 
fori, 
che 
rappresenta 
il 
modo 
attraverso 
il 
quale 
viene 
realizzato 
il 
nocumento 
alla 
reputazione 
dell'ente 
pubblico 
per 
effetto 
del 
comportamento 
del 
proprio 
dipendente 
(121). 


nell’ambito 
del 
danno 
erariale 
la 
giurisprudenza 
ha 
fatto 
rientrare 
anche 
il 
“danno 
da 
disservizio”, 
che 
si 
verifica 
qualora 
un 
pubblico 
servizio 
non 
venga 
erogato 
in 
maniera 
efficiente 
ed 
efficace. 
il 
danno 
è 
cagionato 
dalla 
mancata 
soddisfazione 
delle 
aspettative 
degli 
utenti 
e, 
al 
contempo, 
dallo 
spreco 
di 
risorse 
pubbliche. 
in 
particolare, 
per 
la 
sussistenza 
del 
danno 
da 
disservizio 
non 
è 
sufficiente 
l’addebito 
di 
semplici 
comportamenti 
illeciti, 
ma 
è 
anche 
necessaria 
la 
dimostrazione 
di 
un 
quid 
pluris, 
che 
consiste 
negli 
effetti 
patrimonialmente 
negativi 
in 
termini 
di 
inefficacia 
o 
inefficienza 
dell’attività 
dell’amministrazione 
che 
sono 
derivati 
dagli 
stessi 
(122). 
il 
danno 
da 
disservizio 
è 
da 
intendersi 
sia 
in 
termini 
di 
inadempimento 
contrattuale, 
quindi 
di 
lesione 
del 
rapporto 
sinallagmatico 
che 
lega 
il 
dipendente 
alla 
P.A., 
sia 
in 
termini 
di 
alterazione 
dell’organizzazione 
bu


(120) Difatti 
a 
termini 
dell’art. 17, comma 
30 ter, D.L. 1 luglio 2009, n. 78, conv. L. 3 agosto 
2009, n. 102, le 
Procure 
della 
Corte 
dei 
conti 
esercitano l’azione 
per il 
risarcimento del 
danno all’immagine 
nei 
soli 
casi 
e 
nei 
modi 
previsti 
dall’art. 7 della 
legge 
27 marzo 2001, n. 97 (recante 
norme 
sul 
rapporto tra 
procedimento penale 
e 
disciplinare 
ed effetti 
del 
giudicato penale 
nei 
confronti 
delle 
amministrazioni 
pubbliche), ossia 
nei 
casi 
-come 
evidenziato -di 
sentenza 
irrevocabile 
di 
condanna 
pronunciata 
nei 
confronti 
dei 
dipendenti 
per delitti 
contro la 
pubblica 
amministrazione. il 
Codice 
di 
giustizia 
contabile 
(D.L.vo 
26 
agosto 
2016, 
n. 
174), 
inoltre, 
con 
l'art. 
4, 
lett. 
g) 
delle 
norme 
transitorie, 
ha 
abrogato 
l'art. 7 della 
L. n. 97/2001 che, in combinato disposto con l'art. 17, comma 
30 ter 
del 
D.L. n. 78/2009 
limitava 
la 
configurabilità 
del 
danno 
all'immagine 
ai 
soli 
delitti 
del 
pubblico 
ufficiale 
contro 
la 
pubblica 
amministrazione, 
con 
la 
conseguenza 
della 
possibilità 
di 
perseguire 
il 
danno 
all'immagine 
anche 
per 
reati 
previsti 
in 
fonti 
diverse 
dal 
Capo 
i 
del 
titolo 
ii 
del 
Libro 
ii 
del 
Codice 
penale, 
purché 
in 
pregiudizio 
della pubblica amministrazione. 
il 
decorso del 
termine 
di 
prescrizione 
di 
cui 
al 
comma 
2 dell'articolo 1 della 
legge 
14 gennaio 1994, n. 
20, è 
sospeso fino alla 
conclusione 
del 
procedimento penale 
(così 
dispone 
sempre 
l’art. 17, comma 
30 
ter, cit.). 
(121) Così: Corte dei conti, Sez. giur. Lazio, 13 febbraio 2018, n. 81. 
(122) Così, Corte dei conti, Sez. i App., 27 maggio 2019, n. 113. 

LeGiSLAzione 
eD 
AttuALità 


rocratica 
al 
cui 
buon 
andamento 
il 
dipendente 
stesso 
deve 
concorrere 
con 
il 
suo 
apporto 
lavorativo, 
obiettivo 
che 
di 
certo 
non 
può 
dirsi 
validamente 
conseguito 
in 
presenza 
di 
comportamenti 
contrari 
agli 
obblighi 
di 
servizio 
e 
alla 
legge 
penale. 


La 
Corte 
dei 
Conti 
nel 
giudizio 
di 
responsabilità, 
fermo 
restando 
il 
potere 
di 
riduzione 
deve 
tenere 
conto dei 
vantaggi 
comunque 
conseguiti 
dall’amministrazione 
di 
appartenenza, 
da 
altra 
amministrazione 
o 
dalla 
comunità 
amministrata 
in relazione 
al 
comportamento degli 
amministratori 
o dei 
dipendenti 
pubblici 
soggetti 
al 
giudizio 
di 
responsabilità 
(art. 
1, 
comma 
1 
bis, 
l. 
n. 
20/1994). Ad esempio, nel 
caso di 
realizzazione 
di 
lavori 
non previsti 
in capitolato, 
ma 
comunque 
utili 
per 
la 
P.A., 
occorre 
tenere 
conto 
di 
questo 
beneficio. 
vi è una sorta di 
compensatio lucri cum damno. 


il 
giudizio 
di 
responsabilità 
viene 
instaurato 
da 
un 
attore 
pubblico 
(il 
Procuratore 
regionale 
presso la 
Sezione 
Giurisdizionale 
della 
Corte 
dei 
Conti) il 
quale 
agisce 
nell’interesse 
della 
comunità 
intera, assorbendo, perciò nella 
sua 
funzione anche la difesa della P.A. danneggiata. 


il 
diritto al 
risarcimento del 
danno si 
prescrive 
in ogni 
caso nel 
termine 
di 
cinque 
anni, 
decorrenti 
dalla 
data 
in 
cui 
si 
è 
verificato 
il 
fatto 
dannoso 
(comprensivo 
dell’effetto 
lesivo 
dell’eventus 
damni), 
ovvero, 
in 
caso 
di 
occultamento 
doloso del 
danno, dalla 
data 
della 
sua 
scoperta 
(art. 1, comma 
2, l. n. 
20/1994). 


L’art. 
3, 
comma 
59, 
L. 
24 
dicembre 
2007, 
n. 
244 
vieta, 
sotto 
comminatoria 
della 
nullità 
testuale, 
la 
stipulazione 
del 
contratto 
di 
assicurazione 
con 
il 
quale 
un 
ente 
pubblico 
assicuri 
propri 
amministratori 
per 
i 
rischi 
derivanti 
dall'espletamento 
dei 
compiti 
istituzionali 
connessi 
con 
la 
carica 
e 
riguardanti 
la 
responsabilità 
per 
danni 
cagionati 
allo 
Stato 
o 
ad 
enti 
pubblici 
e 
la 
responsabilità 
contabile; 
con 
la 
previsione 
altresì 
che 
in 
caso 
di 
violazione 
della 
disposizione, 
l'amministratore 
che 
pone 
in 
essere 
o 
che 
proroga 
il 
contratto 
di 
assicurazione 
e 
il 
beneficiario 
della 
copertura 
assicurativa 
sono 
tenuti 
al 
rimborso, 
a 
titolo 
di 
danno 
erariale, 
di 
una 
somma 
pari 
a 
dieci 
volte 
l'ammontare 
dei 
premi 
complessivamente 
stabiliti 
nel 
contratto 
medesimo. 


8.4. la responsabilità contabile. 
i dirigenti 
e 
i 
dipendenti 
pubblici 
che 
per contratto o per compiti 
di 
servizio 
sono 
addetti 
allo 
svolgimento 
e 
alla 
cura 
delle 
operazioni 
contabili 
di 
una 
pubblica 
amministrazione 
sono 
esposti 
anche 
alla 
responsabilità 
contabile. 
Affinché 
sussista 
tale 
responsabilità, occorre 
che 
il 
dirigente 
o il 
dipendente 
rivesta 
la 
qualifica 
di 
agente 
contabile. Sotto la 
denominazione 
di 
agenti 
contabili 
dell'amministrazione, giusta 
l’art. 178, r.D. 23 maggio 1924, n. 827, si 
comprendono: 
a) gli 
agenti 
che 
con qualsiasi 
titolo sono incaricati, a 
norma 
delle 
disposizioni 
organiche 
di 
ciascuna 
amministrazione 
di 
riscuotere 
le 
varie 



rASSeGnA 
AvvoCAturA 
DeLLo 
StAto -n. 3/2022 


entrate 
dello Stato e 
di 
versarne 
le 
somme 
nelle 
casse 
del 
tesoro; 
b) i 
tesorieri 
che 
ricevono nelle 
loro casse 
le 
somme 
dovute 
allo Stato, o le 
altre 
delle 
quali 
questo diventa 
debitore, eseguiscono i 
pagamenti 
delle 
spese 
per conto dello 
Stato, e 
disimpegnano tutti 
quegli 
altri 
servizi 
speciali 
che 
sono loro affidati 
dal 
ministro 
delle 
finanze 
o 
dal 
direttore 
generale 
del 
tesoro; 
c) 
tutti 
coloro 
che, individualmente 
ovvero collegialmente, come 
facenti 
parte 
di 
consigli 
di 
amministrazione 
per i 
servizi 
della 
guerra 
e 
della 
marina 
e 
simili, hanno maneggio 
qualsiasi 
di 
pubblico danaro, o sono consegnatari 
di 
generi, oggetti 
e 
materie 
appartenenti 
allo Stato; 
d) gli 
impiegati 
di 
qualsiasi 
amministrazione 
dello 
Stato 
cui 
sia 
dato 
speciale 
incarico 
di 
fare 
esazioni 
di 
entrate 
di 
qualunque 
natura 
e 
provenienza; 
e) tutti 
coloro che, anche 
senza 
legale 
autorizzazione, 
prendono ingerenza 
negli 
incarichi 
attribuiti 
agli 
agenti 
anzidetti 
e 
riscuotono 
somme di spettanza dello Stato. 


La 
responsabilità 
contabile, dunque, si 
fonda 
sulla 
gestione, di 
diritto o 
di 
fatto, del 
denaro o, in genere, dei 
valori 
degli 
enti 
pubblici, e 
si 
distingue 
dalla 
responsabilità 
amministrativa, che, al 
contrario, trova 
il 
proprio fondamento 
in 
un 
danno 
patrimoniale 
(doloso 
o 
colposo) 
cagionato 
alla 
P.A. 
Mentre 
la 
responsabilità 
amministrativa 
si 
basa 
sulla 
diligenza 
nell’adempimento dei 
doveri 
nascenti 
dal 
rapporto di 
servizio, la 
responsabilità 
contabile 
attiene 
all’obbligo 
di 
restituire 
cose 
già 
appartenenti 
alla 
P.A. infine, mentre 
la 
responsabilità 
amministrativa 
presuppone 
in 
ogni 
caso 
un 
rapporto 
di 
servizio, 
la 
responsabilità 
contabile 
grava 
anche 
sui 
contabili 
di 
fatto, 
derivando 
dall’obiettiva 
esistenza di una gestione. 


Ciò nonostante, al 
di 
là 
di 
tali 
differenze, la 
Corte 
dei 
conti 
ha 
stabilito 
che 
la 
responsabilità 
contabile 
costituisce 
una 
species 
rispetto 
al 
più 
ampio 
genus 
della 
responsabilità 
amministrativa, con la 
quale 
ha 
peraltro in comune 
tutti 
gli 
elementi 
costitutivi 
(condotta 
antigiuridica; 
danno; 
nesso eziologico; 
elemento soggettivo). È 
stato infatti 
chiarito che 
la 
responsabilità 
contabile 
si 
struttura 
sullo 
stesso 
paradigma 
di 
quella 
amministrativa, 
caratterizzandosi 
solo 
per 
la 
specificità 
delle 
obbligazioni 
su 
coloro 
che 
hanno 
maneggio 
di 
beni 
e 
valori 
di 
pubblica 
pertinenza 
(123). 
Peraltro, 
l’illecito 
amministrativo 
e 
contabile 
tendono 
a 
convergere 
verso 
una 
categoria 
unitaria, 
il 
cui 
fattore 
comune 
è 
rappresentato 
dalla 
realizzazione 
di 
un 
danno 
erariale 
da 
parte 
di 
un 
soggetto 
che 
abbia 
un rapporto di 
servizio con l’amministrazione; 
in ogni 
caso, ai 
fini 
dell’affermazione 
della 
responsabilità 
contabile, 
non 
è 
necessaria 
l'assunzione 
di 
una 
particolare 
qualifica 
nell’ambito 
della 
pubblica 
amministrazione, 
essendo 
sufficiente 
che 
l’agente 
abbia 
avuto un effettivo maneggio di 
denaro o 
beni pubblici (124). 


(123) Corte dei conti, Sez. i App., 20 novembre 2009, n. 646. 
(124) Corte dei conti, Sez. ii App., 8 luglio 2019, n. 243. 

LeGiSLAzione 
eD 
AttuALità 


8.5. la responsabilità disciplinare. 
L’art. 2106 c.c. -peraltro richiamato dall’art. 55, comma 
2, t.u.P.i. -dispone 
che 
“l'inosservanza delle 
disposizioni 
contenute 
nei 
due 
articoli 
precedenti 
[l’art. 
2014 
c.c. 
sulla 
diligenza 
del 
prestatore 
di 
lavoro 
e 
l’art. 
2105 


c.c. sull’obbligo di 
fedeltà] può dar 
luogo alla applicazione 
di 
sanzioni 
disciplinari, 
secondo la gravità dell'infrazione” (125). 
viene 
in 
rilievo 
una 
ipotesi 
di 
responsabilità 
contrattuale 
(ex 
art. 
1218 
c.c.), conseguente 
alla 
violazione 
del 
dovere 
di 
diligenza 
o dell’obbligo di 
fedeltà 
di 
cui 
agli 
artt. 2104 e 
2105 c.c., nella 
quale 
il 
dipendente 
risponde 
per 
il 
comportamento colpevole, ossia 
con dolo o colpa, con regole 
peculiari 
nel-
l’ipotesi 
di 
licenziamento per giusta 
causa 
o giustificato motivo, ove 
l'onere 
della 
prova 
della 
sussistenza 
delle 
indicate 
ragioni 
viene 
sopportato 
dal 
datore 
di lavoro (art. 5 L. n. 604/1966). 


Fonti della tipologia delle infrazioni e delle relative sanzioni. 


La 
fonte 
della 
tipologia 
delle 
infrazioni 
e 
delle 
relative 
sanzioni 
è 
costituita, 
giusta 
l’art. 55, comma 
2, dai 
contratti 
collettivi 
e 
dalle 
disposizioni 
di 
cui 
agli 
artt. 55-55 octies 
(126). Fonte 
di 
responsabilità 
disciplinare, inoltre, 
è 
rappresentata 
dalla 
violazione 
dei 
doveri 
contenuti 
nel 
codice 
di 
comportamento 
dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni di cui all’art. 54. 


La 
disciplina 
regolatrice 
della 
materia 
delle 
sanzioni 
e 
dell’iter procedurale 
applicabile 
è 
contenuta 
nello Statuto dei 
lavoratori 
(art. 7 L. n. 300/1970) 
e 
negli 
artt. 55 e 
ss. in ipotesi 
di 
contrasto tra 
le 
disposizioni 
dei 
predetti 
complessi 
normativi 
prevale 
la 
disciplina 
propria 
del 
pubblico 
impiego 
privatizzato 
in quanto speciale e successiva rispetto alla normativa statutaria. 


Se 
è 
vero che 
la 
tipologia 
delle 
infrazioni 
e 
delle 
relative 
sanzioni 
è 
definita 
dai 
contratti 
collettivi, tuttavia 
essa 
deve 
essere 
integrata 
in ragione 
della 
necessità 
di 
rispettare 
le 
norme 
contenute 
nel 
t.u. del 
pubblico impiego (artt. 
55 e 
ss.) che 
prevedono numerose 
ipotesi 
di 
illeciti 
e 
sanzioni. Disposizioni 
peraltro dichiarate, come 
evidenziato innanzi, norme 
imperative 
ai 
sensi 
e 
per 
gli 
effetti 
degli 
artt. 
1339 
e 
1419, 
comma 
2, 
c.c. 
Sono, 
ad 
es., 
tipizzate 
le 
ipotesi 
in cui 
irrogare 
la 
sanzione 
del 
licenziamento disciplinare 
(art. 55 quater), o, 
in presenza 
di 
condotte 
pregiudizievoli 
per l’amministrazione 
(art. 55 sexies) 
la 
sospensione 
dal 
servizio con privazione 
della 
retribuzione 
da 
un minimo di 
tre 
giorni 
fino 
a 
un 
massimo 
di 
tre 
mesi. 
tale 
disciplina 
costituisce 
deroga 
allo 
statuto dei 
lavoratori 
(art. 7, comma 
4, L. n. 300/1970) secondo cui 
“Fermo 


(125) Sulle 
sanzioni 
disciplinari: 
M. GerArDo, A. MutAreLLi, il 
processo nelle 
controversie 
di 
lavoro pubblico, cit., pp. 29-38. 
(126) il 
comma 
1 dell’art. 55 statuisce 
che 
le 
disposizioni 
dell’articolo e 
di 
quelli 
seguenti, fino 
all'articolo 
55 
octies, 
costituiscono 
norme 
imperative, 
ai 
sensi 
e 
per 
gli 
effetti 
degli 
articoli 
1339 
e 
1419, 
secondo comma, c.c. e 
che 
la 
violazione 
dolosa 
o colposa 
delle 
suddette 
disposizioni 
costituisce 
illecito 
disciplinare in capo ai dipendenti preposti alla loro applicazione. 

rASSeGnA 
AvvoCAturA 
DeLLo 
StAto -n. 3/2022 


restando quanto disposto dalla legge 
15 luglio 1966, n. 604, non possono essere 
disposte 
sanzioni 
disciplinari 
che 
comportano 
mutamenti 
definitivi 
del 
rapporto di 
lavoro; inoltre 
la multa non può essere 
disposta per 
un importo 
superiore 
a quattro ore 
della retribuzione 
base 
e 
la sospensione 
dal 
servizio 
e dalla retribuzione per più di dieci giorni”. 


Tipologia di sanzioni. 


È 
tradizionale 
nella 
contrattazione 
collettiva 
la 
articolazione 
delle 
sanzioni 
in ragione 
della 
loro gravità 
nel 
modo che 
segue: 
rimprovero verbale; 
rimprovero verbale 
(censura); 
multa 
di 
importo variabile 
fino a 
un massimo 
di 
quattro ore 
di 
retribuzione; 
sospensione 
dal 
servizio con privazione 
della 
retribuzione 
fino a 
un massimo di 
dieci 
giorni; 
sospensione 
dal 
servizio con 
privazione 
della 
retribuzione 
da 
undici 
giorni 
fino a 
un massimo di 
sei 
mesi; 
licenziamento con preavviso (recesso per giustificato motivo soggettivo); 
licenziamento 
senza preavviso (recesso per giusta causa). 


Alla 
materia 
de 
qua 
si 
applica 
il 
criterio di 
proporzionalità 
tra 
illecito e 
sanzione (art. 2106 c.c.). 


procedimento disciplinare. 


Le 
sanzioni 
disciplinari 
sono state 
suddivise 
dal 
t.u.P.i. in due 
categorie 
in ragione 
della 
loro gravità. il 
procedimento per l’irrogazione 
delle 
sanzioni 
disciplinari 
è 
diversificato, per competenza, modalità 
e 
tempi 
di 
chiusura 
del 
procedimento, a 
seconda 
se 
trattasi 
di 
sanzioni 
di 
minore 
(c.d. procedimento 
semplificato) o maggiore gravità (c.d. procedimento ordinario). 


La 
disciplina 
del 
procedimento 
scandisce 
i 
tempi 
e 
le 
modalità 
del 
contraddittorio 
(contestazione 
degli 
addebiti, 
giustificazioni, 
provvedimento 
definitorio 
del 
procedimento), 
con 
la 
previsione 
di 
termini 
il 
cui 
mancato 
rispetto 
comporta 
per 
l’amministrazione 
procedente 
la 
decadenza 
dall’azione 
disciplinare. 


È 
importante 
delineare 
quindi 
le 
forme 
e 
i 
termini 
del 
procedimento disciplinare. 


La 
disciplina 
statutaria 
(art. 
7, 
comma 
1, 
L. 
n. 
300/1970) 
prevede 
che 
le 
norme 
disciplinari 
relative 
alle 
sanzioni, 
alle 
infrazioni 
in 
relazione 
alle 
quali 
ciascuna 
di 
esse 
può 
essere 
applicata 
ed 
alle 
procedure 
di 
contestazione 
delle 
stesse, 
devono 
essere 
portate 
a 
conoscenza 
dei 
lavoratori 
mediante 
affissione 
in 
luogo 
accessibile 
a 
tutti. 
in 
sintonia 
con 
la 
obiettiva 
esigenza 
di 
conoscibilità 
delle 
sanzioni 
cui 
è 
informata 
la 
ricordata 
previsione 
statutaria 
l’ordinamento 
del 
lavoro 
alle 
dipendenze 
della 
PP.AA. 
prevede 
espressamente 
(art. 
55, 
comma 
2) 
che 
la 
pubblicazione 
sul 
sito 
istituzionale 
dell'amministrazione 
del 
codice 
disciplinare, 
recante 
l'indicazione 
delle 
predette 
infrazioni 
e 
relative 
sanzioni, 
equivale 
a 
tutti 
gli 
effetti 
alla 
sua 
affissione 
all'ingresso 
della 
sede 
di 
lavoro. 


Al riguardo l’art. 55 bis 
dispone quanto segue. 


a) Alle 
infrazioni 
per le 
quali 
è 
previsto il 
rimprovero verbale 
si 
applica 

LeGiSLAzione 
eD 
AttuALità 


la 
disciplina 
stabilita 
dal 
contratto 
collettivo, 
la 
quale 
solitamente 
prevede 
che 
la 
sanzione 
venga 
comminata 
dal 
responsabile 
della 
struttura 
presso 
cui 
presta 
servizio il 
dipendente 
entro il 
termine 
di 
venti 
giorni 
da 
quando è 
venuto a 
conoscenza 
del fatto, senza necessità di contestazione degli addebiti. 


b) Per le 
infrazioni 
per le 
quali 
è 
prevista 
l'irrogazione 
di 
sanzioni 
superiori 
al 
rimprovero verbale 
il 
procedimento disciplinare 
viene 
attivato dal 
responsabile 
con 
qualifica 
dirigenziale 
della 
struttura 
in 
cui 
il 
dipendente 
lavora 
(anche 
in posizione 
di 
comando o fuori 
luogo), il 
quale 
quando ha 
notizia 
di 
comportamenti 
punibili 
con sanzione 
disciplinare 
segnala 
immediatamente, e 
comunque 
entro dieci 
giorni, all'ufficio competente 
per i 
procedimenti 
disciplinari 
i 
fatti 
ritenuti 
di 
rilevanza 
disciplinare 
di 
cui 
abbia 
avuto conoscenza. 
L'ufficio competente 
per i 
procedimenti 
disciplinari, con immediatezza 
e 
comunque 
non oltre 
trenta 
giorni 
decorrenti 
dal 
ricevimento della 
predetta 
segnalazione, 
ovvero 
dal 
momento 
in 
cui 
abbia 
altrimenti 
avuto 
piena 
conoscenza 
dei 
fatti ritenuti di rilevanza 
disciplinare, provvede alla contestazione 
scritta 
dell'addebito e 
convoca 
l'interessato, con un preavviso di 
almeno 
venti 
giorni, per l'audizione 
in contraddittorio a 
sua 
difesa. il 
dipendente 
può 
farsi 
assistere 
da 
un 
procuratore 
ovvero 
da 
un 
rappresentante 
dell'associazione 
sindacale cui aderisce o conferisce mandato (127). 
La 
forma 
scritta 
della 
contestazione 
dell'addebito è 
richiesta 
ad substantiam 
anche 
in funzione 
del 
principio di 
immutabilità 
della 
contestazione. La 
contestazione 
degli 
addebiti 
ha 
natura 
recettizia 
e 
determina 
l’avvio 
della 
procedura 
disciplinare 
(128). il 
termine 
per la 
contestazione 
dell'addebito viene 
espressamente 
qualificato 
(al 
comma 
9 
ter) 
come 
perentorio, 
sicché 
il 
suo 
inutile 
decorso estingue la potestà sanzionatorio della P.A. 


La 
giurisprudenza 
ha 
escluso 
per 
il 
dipendente 
la 
facoltà 
di 
farsi 
assistere 
da 
un 
legale, 
non 
essendovi 
nella 
legge 
alcun 
riferimento 
all’assistenza 
cosiddetta 
tecnica, 
che 
è 
normalmente 
prevista 
nel 
nostro 
ordinamento 
solo 
in 
giudizio 
(art. 
24, 
comma 
2, 
Cost.) 
e 
che 
può 
essere 
riconosciuta 
o 
meno 
al 
di 
fuori 
di 
tale 
ipotesi 
in 
base 
a 
valutazione 
discrezionale 
del 
legislatore. 
Anche 
se 
di 
fatto 
non 
potrà 
negarsi 
al 
lavoratore 
di 
farsi 
assistere 
da 
un 
legale 
che 
parteciperà 
alla 
convocazione 
nella 
diversa 
veste 
di 
procuratore, 
deve 
riconoscersi 
alla 
predetta 
giurisprudenza 
il 
merito 
di 
aver 
posto 
l’accento 
sulla 
ontologica 
diversità 
che 
sussiste 
tra 
procedimento 
disciplinare 
e 
quello 
giurisdizionale 
(129). 


(127) Con tali 
previsioni 
viene 
assorbita, o modificata 
in senso migliorativo per il 
dipendente, la 
normativa 
contenuta 
nell’art. 
7, 
commi 
2, 
3 
e 
5 
dello 
Statuto 
dei 
lavoratori 
a 
tenore 
della 
quale 
“il 
datore 
di 
lavoro non può adottare 
alcun provvedimento disciplinare 
nei 
confronti 
del 
lavoratore 
senza avergli 
preventivamente 
contestato l'addebito e 
senza averlo sentito a sua difesa. il 
lavoratore 
potrà farsi 
assistere 
da 
un 
rappresentante 
dell'associazione 
sindacale 
cui 
aderisce 
o 
conferisce 
mandato. 
in 
ogni 
caso, 
i 
provvedimenti 
disciplinari 
più gravi 
del 
rimprovero verbale 
non possono essere 
applicati 
prima che 
siano trascorsi cinque giorni dalla contestazione per iscritto del fatto che vi ha dato causa”. 
(128) Conf. Cass. 21 luglio 2008, n. 20074. 
(129) Cass., 17 marzo 2008, n. 7153. 

rASSeGnA 
AvvoCAturA 
DeLLo 
StAto -n. 3/2022 


entro il 
termine 
fissato, il 
dipendente 
convocato, se 
non intende 
presentarsi, 
può 
inviare 
una 
memoria 
scritta 
nel 
rispetto 
del 
termine 
di 
convocazione 


(130) o, in caso di 
grave 
ed oggettivo impedimento può richiedere 
che 
l'audizione 
a 
sua 
difesa 
sia 
differita, per una 
sola 
volta, con proroga 
del 
termine 
per 
la conclusione del procedimento in misura corrispondente. 
Salvo 
quanto 
previsto 
dall'articolo 
54 
bis, 
comma 
4, 
con 
riguardo 
alla 
segnalazione 
di 
illeciti 
da 
parte 
del 
dipendente 
pubblico, 
il 
lavoratore 
destinatario 
della 
contestazione 
degli 
addebiti 
ha 
diritto di 
accesso agli 
atti 
istruttori 
del 
procedimento. 


nel 
corso dell'istruttoria, l'ufficio per i 
procedimenti 
disciplinari 
può acquisire 
da 
altre 
amministrazioni 
pubbliche 
informazioni 
o 
documenti 
rilevanti 
per la 
definizione 
del 
procedimento. La 
predetta 
attività 
istruttoria 
non determina 
la 
sospensione 
del 
procedimento, né 
il 
differimento dei 
relativi 
termini. 
Dopo 
l’espletamento 
dell’eventuale 
ulteriore 
attività 
istruttoria 
(131), 
l'ufficio 
competente 
per 
i 
procedimenti 
disciplinari 
conclude 
il 
procedimento, 
con 
l'atto 
di 
archiviazione 
o di 
irrogazione 
della 
sanzione, entro centoventi 
giorni 
dalla 
contestazione 
dell'addebito. il 
termine 
per la 
conclusione 
del 
procedimento come 
quello per la 
contestazione 
dell'addebito -viene 
espressamente 
qualificato 
(al 
comma 
9 ter) come 
perentorio, sicché 
il 
suo inutile 
decorso estingue 
la potestà sanzionatorio della P.A. 


L’adozione 
della 
sanzione, 
come 
anche 
l’atto 
di 
archiviazione, 
costituisce 
il 
momento 
conclusivo 
del 
procedimento 
con 
cui 
la 
parte 
datoriale 
esprime 
la 
propria 
definitiva 
valutazione 
ed 
esaurisce 
il 
proprio 
potere 
disciplinare, 
nel 
mentre 
la 
comunicazione 
all’interessato 
dell’atto 
sanzionatorio, 
per 
sua 
natura 
recettizio, 
inerisce 
all’efficacia 
dell’atto 
stesso 
(art. 
1334 
c.c.) 
e 
si 
colloca 
al 
di 
fuori 
del 
procedimento 
disciplinare 
ormai 
concluso. 
Bisogna, 
in 
sostanza, 
distinguere 
tra 
conclusione 
del 
procedimento 
(individuabile, 
come 
detto, 
nell’adozione 
della 
sanzione) 
e 
momento 
di 
acquisizione 
di 
efficacia 
della 
sanzione 
stessa, 
ricollegabile 
alla 
conoscenza 
della 
medesima 
da 
parte 
del 
destinatario 
(132). 
La 
ratio 
è 
individuabile 
nell’esigenza 
che 
la 
determinazione 
della 
sanzione 
da 
parte 
del 
datore 
di 
lavoro 
avvenga 
entro 
un 
circo


(130) Cass., 25 gennaio 2001, n. 1661. 


(131) 
“il 
dipendente 
o 
il 
dirigente, 
appartenente 
alla 
stessa 
o 
a 
una 
diversa 
amministrazione 
pubblica 
dell'incolpato, che, essendo a conoscenza per 
ragioni 
di 
ufficio o di 
servizio di 
informazioni 
rilevanti 
per 
un 
procedimento 
disciplinare 
in 
corso, 
rifiuta, 
senza 
giustificato 
motivo, 
la 
collaborazione 
richiesta dall'ufficio disciplinare 
procedente 
ovvero rende 
dichiarazioni 
false 
o reticenti, è 
soggetto al-
l'applicazione, 
da 
parte 
dell'amministrazione 
di 
appartenenza, 
della 
sanzione 
disciplinare 
della 
sospensione 
dal 
servizio con privazione 
della retribuzione, commisurata alla gravità dell'illecito contestato al 
dipendente, fino ad un massimo di quindici giorni” (art. 55 bis, comma 7). 
(132) va 
precisato che 
il 
licenziamento intimato all'esito del 
procedimento disciplinare 
di 
cui 
all'art. 
7 
L. 
n. 
300/1970, 
oppure 
all'esito 
del 
procedimento 
di 
cui 
all'art. 
7 
L. 
15 
luglio 
1966, 
n. 
604, 
produce 
effetto dal 
giorno della 
comunicazione 
con cui 
il 
procedimento medesimo è 
stato avviato (così 
art. 1, 
comma 41, L. 28 giugno 2012, n. 92). 

LeGiSLAzione 
eD 
AttuALità 


scritto 
ambito 
temporale, 
onde 
evitare 
che 
il 
lavoratore 
resti 
assoggettato 
all’iniziativa 
disciplinare 
oltre 
un 
periodo 
ritenuto 
congruo, 
cosicché 
risulta 
coerente 
con 
la 
suddetta 
ratio 
che, 
entro 
il 
termine 
prefissato, 
la 
parte 
datoriale 
esaurisca 
il 
proprio 
potere 
disciplinare 
attraverso 
l’adozione 
della 
sanzione, 
nel 
mentre 
la 
successiva 
comunicazione 
della 
determinazione 
datoriale 
è 
destinata 
unicamente 
a 
renderla 
produttiva 
di 
effetti 
nei 
confronti 
dell’interessato 
(133). 


La 
cessazione 
del 
rapporto 
di 
lavoro 
estingue 
il 
procedimento 
disciplinare 
salvo 
che 
per 
l'infrazione 
commessa 
sia 
prevista 
la 
sanzione 
del 
licenziamento 


o 
comunque 
sia 
stata 
disposta 
la 
sospensione 
cautelare 
dal 
servizio. 
in 
tal 
caso 
le 
determinazioni 
conclusive 
sono assunte 
ai 
fini 
degli 
effetti 
giuridici 
ed economici 
non preclusi dalla cessazione del rapporto di lavoro. 
viene 
comminata 
la 
nullità 
delle 
disposizioni 
di 
regolamento, delle 
clausole 
contrattuali 
o delle 
disposizioni 
interne, comunque 
qualificate, che 
prevedano 
per 
l'irrogazione 
di 
sanzioni 
disciplinari 
requisiti 
formali 
o 
procedurali 
ulteriori 
rispetto a 
quelli 
indicati 
nell’art. 55 bis 
o che 
comunque 
aggravino il 
procedimento disciplinare. 


La 
violazione 
dei 
termini 
e 
delle 
disposizioni 
sul 
procedimento disciplinare 
previste 
dagli 
articoli 
da 
55 a 
55 quater, fatta 
salva 
l'eventuale 
responsabilità 
del 
dipendente 
cui 
essa 
sia 
imputabile, 
non 
determina 
la 
decadenza 
dall'azione 
disciplinare 
né 
l'invalidità 
degli 
atti 
e 
della 
sanzione 
irrogata, purché 
non risulti 
irrimediabilmente 
compromesso il 
diritto di 
difesa 
del 
dipendente, 
e 
le 
modalità 
di 
esercizio 
dell'azione 
disciplinare, 
anche 
in 
ragione 
della 
natura 
degli 
accertamenti 
svolti 
nel 
caso concreto, risultino comunque 
compatibili 
con 
il 
principio 
di 
tempestività. 
tuttavia, 
come 
innanzi 
evidenziato, 
sono da 
considerarsi 
perentori 
il 
termine 
per la 
contestazione 
dell'addebito e 
il termine per la conclusione del procedimento. 


rapporti tra procedimento disciplinare e procedimento penale. 


i rapporti 
tra 
procedimento disciplinare 
e 
procedimento penale 
sono improntati 
alla 
massima 
autonomia. Si 
prevede, infatti 
(art. 55 ter) che 
il 
procedimento 
disciplinare, 
che 
abbia 
ad 
oggetto, 
in 
tutto 
o 
in 
parte, 
fatti 
in 
relazione 
ai 
quali 
procede 
l'autorità 
giudiziaria, è 
proseguito e 
concluso anche 
in pendenza 
del 
procedimento 
penale. 
Per 
le 
infrazioni 
di 
minore 
gravità 
(per 
le 
quali 
è 
applicabile 
una 
sanzione 
non 
superiore 
alla 
sospensione 
dal 
servizio 
con 
privazione 
della 
retribuzione 
fino 
a 
dieci 
giorni) 
la 
sospensione 
del 
procedimento 
disciplinare 
per 
la 
pendenza 
del 
procedimento 
penale 
non 
è 
ammissibile, 
mentre 
è 
facoltativa 
per i 
procedimenti 
disciplinari 
più gravi. ed infatti 
per le 
infrazioni 
per le 
quali 
è 
applicabile 
una 
sanzione 
superiore 
alla 
sospensione 
dal 
servizio con privazione 
della 
retribuzione 
fino a 
dieci 
giorni, l'ufficio compe


(133) Cass., 9 marzo 2009, n. 5637. in tal 
senso anche 
la 
giurisprudenza 
amministrativa: 
Cons. 
Stato, 10 agosto 2007, n. 4392. 

rASSeGnA 
AvvoCAturA 
DeLLo 
StAto -n. 3/2022 


tente 
per i 
procedimenti 
disciplinari, nei 
casi 
di 
particolare 
complessità 
del-
l'accertamento del 
fatto addebitato al 
dipendente 
e 
quando all'esito dell'istruttoria 
non 
dispone 
di 
elementi 
sufficienti 
a 
motivare 
l'irrogazione 
della 
sanzione, 
può 
sospendere 
il 
procedimento 
disciplinare 
fino 
al 
termine 
di 
quello 
penale 
(salva 
la 
possibilità 
di 
adottare 
la 
sospensione 
o 
altri 
provvedimenti 
cautelari 
nei 
confronti 
del 
dipendente); 
il 
procedimento disciplinare 
sospeso 
può 
essere 
riattivato 
qualora 
l'amministrazione 
giunga 
in 
possesso 
di 
elementi 
nuovi, 
sufficienti 
per 
concludere 
il 
procedimento, 
ivi 
incluso 
un 
provvedimento 
giurisdizionale non definitivo. 


Lo 
svolgimento 
autonomo 
del 
procedimento 
disciplinare 
e 
di 
quello 
penale 
potrebbe 
(evidentemente) 
condurre 
ad 
esiti 
contrastanti. 
in 
relazione 
a 
tale 
evenienza 
si 
prevede 
che 
se 
il 
procedimento 
disciplinare 
si 
conclude 
con 
l'irrogazione 
di 
una 
sanzione 
e, 
successivamente, 
il 
procedimento 
penale 
viene 
definito 
con 
una 
sentenza 
irrevocabile 
di 
assoluzione 
che 
riconosce 
che 
il 
fatto 
addebitato 
al 
dipendente 
non 
sussiste 
o 
non 
costituisce 
illecito 
penale 


o 
che 
il 
dipendente 
medesimo 
non 
lo 
ha 
commesso, 
l'ufficio 
competente 
per 
i 
procedimenti 
disciplinari, 
ad 
istanza 
di 
parte 
(da 
proporsi 
entro 
il 
termine 
di 
decadenza 
di 
sei 
mesi 
dall'irrevocabilità 
della 
pronuncia 
penale) 
riapre 
il 
procedimento 
disciplinare 
per 
modificarne 
o 
confermarne 
l'atto 
conclusivo 
in 
relazione 
all'esito 
del 
giudizio 
penale. 
Se 
il 
procedimento 
disciplinare 
si 
conclude, 
viceversa, 
con 
l'archiviazione 
ed 
il 
processo 
penale 
con 
una 
sentenza 
irrevocabile 
di 
condanna, 
l'ufficio 
competente 
riapre 
il 
procedimento 
disciplinare 
per 
adeguare 
le 
determinazioni 
conclusive 
all'esito 
del 
giudizio 
penale. 
il 
procedimento 
disciplinare 
è 
riaperto, 
altresì, 
se 
dalla 
sentenza 
irrevocabile 
di 
condanna 
risulta 
che 
il 
fatto 
addebitabile 
al 
dipendente 
in 
sede 
disciplinare 
comporta 
la 
sanzione 
del 
licenziamento, 
mentre 
ne 
è 
stata 
applicata 
una 
diversa. 
il 
procedimento 
disciplinare 
è 
ripreso 
(ove 
sospeso 
in 
attesa 
di 
quello 
penale) 
o riaperto (nel 
caso di 
procedimento disciplinare 
e 
penale 
con esito contrastanti) 
entro 
sessanta 
giorni 
dalla 
comunicazione 
della 
sentenza, 
da 
parte 
della 
cancelleria 
del 
giudice, all'amministrazione 
di 
appartenenza 
del 
dipendente 
(ovvero dal 
ricevimento dell'istanza 
di 
riapertura) ed è 
concluso entro 
centoventi 
giorni 
dalla 
ripresa 
o dalla 
riapertura. La 
ripresa 
(o la 
riapertura) 
avviene 
mediante 
il 
rinnovo 
della 
contestazione 
dell'addebito 
da 
parte 
dell’autorità 
disciplinare 
competente 
e 
il 
procedimento prosegue 
nel 
rispetto dell’ordinaria 
disciplina (art. 55 bis). 


Ai 
fini 
delle 
determinazioni 
conclusive, l'ufficio procedente, nel 
procedimento 
disciplinare 
ripreso 
(o 
riaperto) 
dovrà 
tenere 
conto 
(art. 
55 
ter, 
comma 
4, ultimo periodo) che 
“la sentenza penale 
irrevocabile 
di 
assoluzione 
ha efficacia 
di 
giudicato nel 
giudizio per 
responsabilità disciplinare 
davanti 
alle 
pubbliche 
autorità quanto all'accertamento che 
il 
fatto non sussiste 
o non costituisce 
illecito 
penale 
ovvero 
che 
l'imputato 
non 
lo 
ha 
commesso. 
la 
sentenza 



LeGiSLAzione 
eD 
AttuALità 


penale 
irrevocabile 
di 
condanna ha efficacia di 
giudicato nel 
giudizio per 
responsabilità 
disciplinare 
davanti 
alle 
pubbliche 
autorità quanto all'accertamento 
della sussistenza del 
fatto, della sua illiceità penale 
e 
all'affermazione 
che l'imputato lo ha commesso” (653, commi 1 e 1 bis, c.p.p.). 


Con tali 
previsioni 
è 
stata 
quindi 
radicalmente 
modificata 
(o meglio ribaltata) 
la 
disciplina 
originaria 
relativa 
al 
procedimento disciplinare 
nel 
pubblico 
impiego 
che 
prevedeva 
l’obbligatorietà 
della 
sospensione 
del 
procedimento disciplinare 
per pendenza 
di 
procedimento penale 
(134) e 
ciò 
in sintonia 
con un principio di 
coerenza 
dell’ordinamento giuridico; 
all’evidenza 
il sistema non è più informato al principio di pregiudizialità penale. 


Le 
statuizioni 
dell'art. 
55 
ter 
hanno 
un 
presupposto 
implicito: 
l'assenza 
di 
un precedente 
giudicato sul 
punto. vuol 
dirsi 
che 
ove 
irrogata, in via 
autonoma, 
la 
sanzione 
disciplinare 
e 
svoltosi 
un giudizio civile 
avverso la 
stessa 
(es.: 
impugnativa 
di 
un licenziamento) con giudicato di 
conferma 
o di 
annullamento 
della 
sanzione 
il 
successivo pronunciamento irrevocabile 
del 
giudice 
penale 
è 
ininfluente 
sulla 
vicenda. Quando vi 
è 
il 
giudicato questo è 
intangibile, 
salvo il 
caso limite 
dell'ipotesi 
dell'art. 395 n. 5 c.p.c. (ove 
applicabile, e 
salvi 
gli 
adattamenti, anche 
nel 
rapporto tra 
giudice 
civile 
e 
giudice 
penale) 
che 
-nel 
caso di 
specie 
-richiederebbe 
che 
l'Amm.ne 
sia 
stata 
parte 
del 
processo 
penale 
(come 
responsabile 
civile 
o parte 
civile); 
in questa 
eccezionale 
evenienza 
l'ultimo 
giudicato 
toglie 
di 
mezzo 
il 
precedente 
(sul 
modello 
del 
principio lex 
posterior 
derogat 
priori 
di 
cui 
all'art. 15 preleggi, o dell'art. 682 
c.c., ecc.). 


contestazioni 
delle 
sanzioni 
disciplinari 
dinanzi 
al 
collegio di 
conciliazione 
ed arbitrato. 


Per 
contestare 
la 
legittimità 
delle 
sanzioni 
disciplinari 
è 
possibile 
attivare 
un collegio arbitrale o, in via alternativa, agire in giudizio. 


Per la 
disciplina 
statutaria 
(art. 7, comma 
6, L. n. 300/1970) nel 
caso in 
cui 
sia 
stata 
applicata 
una 
sanzione 
disciplinare 
il 
lavoratore 
-“Salvo 
analoghe 
procedure 
previste 
dai 
contratti 
collettivi 
di 
lavoro 
e 
ferma 
restando 
la 
facoltà 
di 
adire 
l’autorità 
giudiziaria” 
-può 
promuovere 
la 
costituzione 
di 
un 
collegio 
di 
conciliazione 
ed 
arbitrato, 
con 
effetto 
sospensivo 
della 
sanzione 
disciplinare 
fino 
alla 
pronuncia 
da 
parte 
del 
collegio. 
Al 
lavoro 
pubblico 
privatizzato 
è 
inapplicabile 
la 
prima 
parte 
della 
ricordata 
disposizione 
nella 
parte 
in 
cui 
consente 
al 
lavoratore di poter attivare, in alternativa al collegio di conciliazione 
ed 
arbitrato 
ora 
descritto, 
l’impugnazione 
dei 
provvedimenti 
giudiziari, 
a 
mezzo di 
analoghe 
procedure 
previste 
dai 
contratti 
collettivi 
di 
lavoro. A 
ciò 
osta 
infatti 
la 
normativa 
speciale 
dell’ordinamento del 
pubblico impiego pri


(134) Come 
si 
ricorderà 
in proposito era 
previsto che 
“Qualora per 
il 
fatto addebitato all'impiegato 
sia 
stata 
iniziata 
azione 
penale 
il 
procedimento 
disciplinare 
non 
può 
essere 
promosso 
fino 
al 
termine 
di quello penale e, se già iniziato, deve essere sospeso” (art. 117, D.P.r. n. 3/1957). 

rASSeGnA 
AvvoCAturA 
DeLLo 
StAto -n. 3/2022 


vatizzato 
per 
la 
quale 
“la 
contrattazione 
collettiva 
non 
può 
istituire 
procedure 
di impugnazione dei provvedimenti disciplinari” (art. 55, comma 3). 

il 
lavoratore 
sanzionato 
-in 
virtù 
del 
rinvio 
operato 
dall’art. 
51, 
comma 
2 
alla 
L. 
n. 
300/1970 
-ha 
la 
possibilità 
di 
impugnare, 
alla 
luce 
della 
previsione 
statutaria 
(art. 
7 
L. 
n. 
300/1970), 
la 
sanzione 
disciplinare 
entro 
venti 
giorni 
dalla 
sua 
irrogazione 
dinanzi 
al 
collegio 
di 
conciliazione 
ed 
arbitrato 
(composto 
da 
un 
rappresentante 
di 
ciascuna 
delle 
parti 
e 
da 
un 
terzo 
membro 
scelto 
di 
comune 
accordo 
o, 
in 
difetto 
di 
accordo, 
nominato 
dal 
direttore 
dell'ufficio 
del 
lavoro) 
costituito 
tramite 
l'ufficio 
provinciale 
del 
lavoro 
e 
della 
massima 
occupazione. 
una 
volta 
attivato 
il 
collegio 
di 
conciliazione, 
viene 
previsto 
che 
la 
sanzione 
disciplinare 
resta 
sospesa 
fino 
alla 
pronuncia 
da 
parte 
del 
Collegio 
e 
qualora 
il 
datore 
di 
lavoro 
non 
provveda, 
entro 
dieci 
giorni 
dall'invito 
rivoltogli 
dall'ufficio 
del 
lavoro, 
a 
nominare 
il 
proprio 
rappresentante 
in 
seno 
al 
collegio 
di 
cui 
al 
comma 
precedente, 
la 
sanzione 
disciplinare 
non 
ha 
effetto. 
Se 
il 
datore 
di 
lavoro 
adisce 
l'autorità 
giudiziaria, 
la 
sanzione 
disciplinare 
resta 
sospesa 
fino 
alla 
definizione 
del 
giudizio 
(art. 
7, 
commi 
6 
e 
7). 
il 
collegio 
di 
conciliazione 
instaura 
un 
arbitrato 
irrituale 
speciale, 
con 
il 
conferimento 
agli 
arbitri 
del 
potere 
di 
decidere 
la 
controversia 
in 
via 
transattiva 
attraverso 
una 
manifestazione 
di 
volontà 
negoziale, 
con 
la 
possibilità 
non 
solo 
di 
annullare 
la 
sanzione, 
ma 
anche 
soltanto 
di 
ridurla. 
il 
lodo 
adottato 
all’esito 
del 
giudizio 
arbitrale 
è 
impugnabile 
dinanzi 
al 
tribunale 
-con 
censure 
riconducibili 
all’art. 
808 
ter 
c.p.c. 
-che 
ne 
conosce 
come 
giudice 
di 
primo 
grado 
secondo 
il 
rito 
del 
lavoro 
(135). 


contestazioni 
delle 
sanzioni 
disciplinari 
dinanzi 
all’autorità 
giudiziaria. 


in alternativa 
al 
collegio di 
conciliazione 
ed arbitrato è 
possibile 
reagire 
in 
via 
giudiziaria 
per 
qualsivoglia 
sanzione 
disciplinare. 
Avverso 
l’irrogazione 
di 
sanzioni 
disciplinari 
diverse 
dal 
licenziamento 
il 
lavoratore 
può 
agire 
senza 
limiti 
di 
tempo dinanzi 
all’autorità 
giudiziaria 
per chiederne 
l’annullamento 
(art. 7, comma 
6, L. n. 300/1970) (136). Per il 
licenziamento disciplinare, invece, 
sono imposti 
oneri 
di 
reazioni 
in capo al 
lavoratore, la 
cui 
mancata 
osservanza 
determina 
la 
decadenza 
dalla 
possibilità 
di 
contestazione 
dello 
stesso. 
La 
disciplina 
prevede 
in proposito che 
(ai 
sensi 
dell’art. 6, commi 
1 e 
2, L. 15 
luglio 1966, n. 604) il 
licenziamento deve 
essere 
impugnato a 
pena 
di 
decadenza 
entro sessanta 
giorni 
dalla 
ricezione 
della 
sua 
comunicazione 
in forma 
scritta, 
ovvero 
dalla 
comunicazione, 
anch'essa 
in 
forma 
scritta, 
dei 
motivi, 
ove 


(135) Su tali 
aspetti: 
M. GerArDo, A. MutAreLLi, il 
processo nelle 
controversie 
di 
lavoro pubblico, 
cit., p. 125. 
(136) Costituisce 
giurisprudenza 
consolidata 
quella 
secondo cui 
l'impugnazione 
di 
una 
sanzione 
disciplinare 
è 
consentita 
finché 
non si 
consuma 
il 
termine 
di 
prescrizione, in quanto la 
disciplina 
inderogabile 
dettata 
dall'art. 
7 
L. 
n. 
300/1970 
non 
contempla 
termini 
di 
decadenza 
per 
impugnare 
le 
sanzioni 
disciplinari, a 
meno che 
il 
lavoratore 
stesso non abbia 
posto in essere 
un comportamento positivo volto 
a dimostrare acquiescenza (Cass. 30 marzo 2006, n. 7546). 

LeGiSLAzione 
eD 
AttuALità 


non 
contestuale, 
con 
qualsiasi 
atto 
scritto, 
anche 
extragiudiziale, 
idoneo 
a 
rendere 
nota 
la 
volontà 
del 
lavoratore 
anche 
attraverso l'intervento dell'organizzazione 
sindacale 
diretto 
ad 
impugnare 
il 
licenziamento 
stesso. 
La 
norma 
citata 
dispone, 
altresì, 
che 
l’impugnazione 
è 
inefficace 
se 
non 
è 
seguita, 
entro 
il 
successivo 
termine 
di 
centottanta 
giorni, 
dal 
deposito 
del 
ricorso 
nella 
cancelleria 
del 
tribunale 
in 
funzione 
di 
giudice 
del 
lavoro 
o 
dalla 
comunicazione 
alla 
controparte 
della 
richiesta 
di 
tentativo 
di 
conciliazione 
o 
arbitrato, 
ferma 
restando 
la 
possibilità 
di 
produrre 
nuovi 
documenti 
formatisi 
dopo il 
deposito del 
ricorso. 
infine, nell’ipotesi 
che 
la 
conciliazione 
o l'arbitrato richiesti 
siano rifiutati 
o 
non 
sia 
raggiunto 
l'accordo 
necessario 
al 
relativo 
espletamento, 
il 
ricorso al 
giudice 
deve 
essere 
depositato a 
pena 
di 
decadenza 
entro sessanta 
giorni dal rifiuto o dal mancato accordo. 

8.6. la responsabilità manageriale. 
i dirigenti 
della 
P.A. in aggiunta 
alla 
responsabilità 
penale, civile, amministrativa, 
contabile 
e 
disciplinare 
rispondono anche 
a 
titolo di 
responsabilità 
dirigenziale. 


Quest’ultima 
-disciplinata 
nell’art. 
21 
(137) 
-è 
collegata 
al 
mancato 
raggiungimento 
degli 
obiettivi 
o 
all’inosservanza 
di 
direttive 
o 
alla 
violazione 
del 
dovere 
di 
vigilanza 
sul 
rispetto, da 
parte 
del 
personale 
assegnato ai 
propri 
uffici, 
degli standard quantitativi e qualitativi e non richiede la colpa. 


L’amministrazione, 
oltre 
alla 
osservanza 
di 
norme 
giuridiche, 
in 
ossequio 
al 
principio di 
legalità, ha 
anche 
l’obbligo di 
garantire 
che 
l’attività 
procedi-
mentale 
sia 
la 
più efficace 
ed efficiente 
possibile 
e 
tale 
da 
soddisfare 
in concreto 
i 
bisogni 
di 
cittadini 
e 
utenti. 
La 
responsabilità 
dirigenziale, 
dunque, 
può 
essere 
intesa 
come 
una 
responsabilità 
per risultati 
negativi 
nell’attività 
amministrativa 
e di gestione. 


(137) “1. il 
mancato raggiungimento degli 
obiettivi 
accertato attraverso le 
risultanze 
del 
sistema 
di 
valutazione 
di 
cui 
al 
Titolo ii del 
decreto legislativo di 
attuazione 
della legge 
4 marzo 2009, n. 15, in 
materia di 
ottimizzazione 
della produttività del 
lavoro pubblico e 
di 
efficienza e 
trasparenza delle 
pubbliche 
amministrazioni 
ovvero l'inosservanza delle 
direttive 
imputabili 
al 
dirigente 
comportano, previa 
contestazione 
e 
ferma restando l'eventuale 
responsabilità disciplinare 
secondo la disciplina contenuta 
nel 
contratto collettivo, l'impossibilità di 
rinnovo dello stesso incarico dirigenziale. in relazione 
alla 
gravità 
dei 
casi, 
l'amministrazione 
può 
inoltre, 
previa 
contestazione 
e 
nel 
rispetto 
del 
principio 
del 
contraddittorio, 
revocare 
l'incarico collocando il 
dirigente 
a disposizione 
dei 
ruoli 
di 
cui 
all'articolo 23 
ovvero 
recedere 
dal 
rapporto 
di 
lavoro 
secondo 
le 
disposizioni 
del 
contratto 
collettivo. 
1-bis. 
al 
di 
fuori 
dei 
casi 
di 
cui 
al 
comma 1, al 
dirigente 
nei 
confronti 
del 
quale 
sia stata accertata, previa contestazione 
e 
nel 
rispetto del 
principio del 
contraddittorio secondo le 
procedure 
previste 
dalla legge 
e 
dai 
contratti 
collettivi 
nazionali, la colpevole 
violazione 
del 
dovere 
di 
vigilanza sul 
rispetto, da parte 
del 
personale 
assegnato ai 
propri 
uffici, degli 
standard quantitativi 
e 
qualitativi 
fissati 
dall'amministrazione, conformemente 
agli 
indirizzi 
deliberati 
dalla commissione 
di 
cui 
all'articolo 13 del 
decreto legislativo di 
attuazione 
della 
legge 
4 
marzo 
2009, 
n. 
15, 
in 
materia 
di 
ottimizzazione 
della 
produttività 
del 
lavoro 
pubblico e 
di 
efficienza e 
trasparenza delle 
pubbliche 
amministrazioni, la retribuzione 
di 
risultato è 
decurtata, 
sentito il 
comitato dei 
garanti, in relazione 
alla gravità della violazione 
di 
una quota fino all'ottanta 
per cento. 
[…]”. 

rASSeGnA 
AvvoCAturA 
DeLLo 
StAto -n. 3/2022 


il 
primo comma 
del 
citato art. 21 stabilisce 
due 
fattispecie 
di 
responsabilità 
dirigenziale, 
distinguendo 
tra 
il 
“mancato 
raggiungimento 
degli 
obiettivi” 
e“l’inosservanza delle 
direttive 
imputabile 
al 
dirigente”. tali 
fattispecie 
possono 
comportare, a 
seconda 
della 
gravità 
della 
condotta 
del 
dirigente, il 
mancato 
rinnovo dell’incarico, la sua revoca o il recesso del rapporto di lavoro. 


La 
responsabilità 
dirigenziale 
per 
il 
mancato 
raggiungimento 
degli 
obiettivi 
è 
uno strumento di 
garanzia 
per un’amministrazione 
che 
deve 
rispondere 
ai 
canoni 
di 
efficienza 
ed efficacia 
e 
quindi 
tendere 
verso un’azione 
amministrativa 
di qualità. 

L’inosservanza 
delle 
direttive 
concerne 
la 
possibilità 
che 
il 
dirigente 
non 
rispetti 
l’indirizzo tracciato dall’organo politico o si 
discosti 
dagli 
obiettivi 
e 
dalle 
direttive 
da 
questo 
impartitegli. 
una 
volta 
assunto 
l’incarico 
dirigenziale, 
il 
dirigente 
è 
onerato dalle 
obbligazioni 
di 
mezzi 
e 
di 
risultato in esso contenute. 
il 
loro 
adempimento 
viene 
commisurato 
agli 
obiettivi, 
agli 
indirizzi 
e 
alle 
direttive 
degli 
organi 
di 
governo a 
cui 
i 
dirigenti 
sono tenuti 
a 
rispondere. 
il 
dirigente, infatti, pur essendo titolare 
di 
ampi 
poteri 
pubblici 
di 
gestione 
e 
pur potendo avvalersi 
di 
ampia 
discrezionalità 
organizzativa, deve 
comunque 
rispettare 
le 
direttive 
dettate 
dall’organo 
politico. 
in 
base 
all’art. 
4, 
infatti, 
spetta 
agli 
organi 
di 
governo definire 
gli 
obiettivi 
e 
i 
programmi 
da 
attuare 
e 
verificare 
la 
rispondenza 
dei 
risultati 
della 
gestione 
e 
dell’attività 
agli 
indirizzi 
impartiti. 
Ai 
dirigenti, 
invece, 
è 
attribuita 
la 
gestione 
finanziaria, 
tecnica 
e 
amministrativa 
mediante 
autonomi 
poteri 
di 
spesa 
di 
organizzazione 
delle 
risorse 
umane, strumentali 
e 
di 
controllo. Sempre 
ai 
dirigenti 
spetta 
l’adozione 
degli 
atti 
e 
provvedimenti 
amministrativi, 
compresi 
tutti 
gli 
atti 
che 
impegnano 
l’amministrazione 
verso 
l’esterno. 
Poiché 
all’organo 
di 
direzione 
politica 
sono 
sottratti 
i 
poteri 
tipici 
del 
rapporto 
di 
gerarchia, 
non 
potendo 
esso 
revocare, 
riformare, riservare 
o avocare 
a 
sé 
provvedimenti 
o atti 
di 
competenze 
dei 
dirigenti, 
questi 
ultimi 
diventano responsabili 
in via 
esclusiva 
dell’attività 
amministrativa, 
della gestione e dei relativi risultati (art. 4, comma 2). 


terza 
fattispecie 
di 
responsabilità 
dirigenziale 
è 
quella 
prevista 
nel 
comma 
1 bis 
dell’art. 21 nel 
caso in cui 
il 
dirigente 
violi 
il 
dovere 
di 
vigilanza 
sul 
rispetto, 
da 
parte 
del 
personale 
assegnato 
ai 
propri 
uffici, 
degli 
standard 
quantitativi 
e 
qualitativi 
fissati 
dall'amministrazione, conformemente 
agli 
indirizzi 
deliberati 
in 
materia 
di 
ottimizzazione 
della 
produttività 
del 
lavoro 
pubblico 
e 
di 
efficienza 
e 
trasparenza 
delle 
pubbliche 
amministrazioni. 
La 
sanzione 
consiste 
nella 
decurtazione 
della 
retribuzione 
di 
risultato in maniera 
proporzionale 
alla 
gravità 
della 
violazione, fino a 
una 
quota 
massima 
dell’ottanta 
per cento. 

Altre 
disposizioni 
stabiliscono ulteriori 
fattispecie 
di 
responsabilità 
dirigenziale 
in capo al dirigente pubblico. 

in 
particolare, 
l’art. 
2, 
L. 
n. 
241/1990, 
stabilisce 
che 
la 
mancata 
o 
tardiva 
emanazione 
del 
provvedimento 
costituisce 
elemento 
di 
valutazione 
della 



LeGiSLAzione 
eD 
AttuALità 


performance 
individuale 
e, 
nel 
caso 
in 
cui 
il 
dirigente 
sia 
inadempiente, 
questi 
è 
penalizzato 
nel 
trattamento 
economico 
accessorio 
in 
caso 
di 
gravi 
e 
ripetute 
violazioni. 
tale 
fattispecie 
ripropone 
lo 
schema 
della 
responsabilità 
definita 
nell’art. 
21, 
comma 
1 
bis, 
ma, 
in 
questo 
caso, 
si 
pone 
una 
responsabilità 
del 
dirigente 
al 
rispetto 
dei 
termini 
procedimentali 
e 
la 
violazione 
di 
tale 
obbligo 
comporta 
una 
diminuzione 
patrimoniale 
della 
retribuzione 
di 
risultato 
fissata 
nell'art. 
19, 
D.L.vo 
n. 
150/2009. 
La 
volontà 
del 
legislatore 
è 
quindi 
di 
stimolare 
ulteriormente 
il 
dirigente 
a 
svolgere 
il 
proprio 
ruolo 
in 
modo 
preciso 
e 
puntuale, 
favorendo 
in 
questo 
modo 
i 
cittadini, 
i 
quali 
si 
vedono 
riconosciuto 
un 
termine 
certo 
per 
la 
conclusione 
di 
una 
pratica 
con 
la 
pubblica 
amministrazione. 


L’art. 55 sexies, comma 
3 prospetta 
un’ulteriore 
ipotesi 
di 
responsabilità 
dirigenziale. tale 
disposizione 
disciplina 
in generale 
la 
materia 
della 
responsabilità 
disciplinare 
del 
dipendente 
pubblico. La 
norma, in particolare, specifica 
che 
il 
dirigente 
che 
non eserciti 
o lasci 
decadere 
l’azione 
disciplinare, per 
ingiustificati 
ritardi 
od omissioni 
ovvero per una 
errata 
e 
irragionevole 
valutazione 
di 
insussistenza 
della 
responsabilità 
disciplinare 
in 
capo 
al 
dipendente, 
può essere 
sospeso dal 
servizio e 
la 
condotta 
può essere 
valutata 
anche 
ai 
fini 
della 
responsabilità 
di 
cui 
all’art. 21. nel 
caso in cui 
il 
comportamento del 
dirigente 
nelle 
determinazioni 
concernenti 
lo svolgimento del 
procedimento disciplinare 
possa 
configurare 
anche 
una 
responsabilità 
civile, questa 
è 
limitata 
alle sole ipotesi di dolo e colpa grave. 


ulteriori 
profili 
di 
responsabilità 
dirigenziale 
riguardano 
la 
figura 
del 
responsabile 
della 
prevenzione 
e 
della 
corruzione. 
L’art. 
1, 
comma 
12, 
L. 
n. 
190/2012, 
prevede 
che 
il 
dirigente 
che 
abbia 
la 
qualifica 
di 
responsabile 
della 
prevenzione 
e 
della 
corruzione 
si 
espone 
a 
responsabilità 
dirigenziale, 
oltre 
che 
a 
responsabilità 
per 
danno 
erariale 
e 
all’immagine 
della 
pubblica 
amministrazione, 
nel 
caso 
in 
cui 
sia 
commesso 
un 
reato 
di 
corruzione 
nell’amministrazione 
di 
propria 
competenza, 
accertato 
con 
sentenza 
passata 
in 
giudicato. 
il 
dirigente, 
tuttavia, 
è 
esente 
da 
responsabilità 
se 
provi 
di 
avere 
predisposto 
il 
piano 
di 
prevenzione 
della 
corruzione, 
di 
avere 
osservato 
tutte 
le 
prescrizioni 
indicate 
dalla 
legge 
e 
di 
avere 
vigilato 
sul 
funzionamento 
e 
sull’osservanza 
del 
piano. 


La 
responsabilità 
dirigenziale 
è 
fattispecie 
diversa 
da 
quella 
disciplinare. 
Per i 
principi, vi 
può essere 
un concorso di 
fattispecie, ossia 
uno stesso comportamento 
del 
dirigente 
può integrare 
entrambe 
le 
ipotesi 
responsabilità, con 
la 
conseguenza 
che 
la 
medesima 
condotta 
può essere 
fonte 
di 
responsabilità 
disciplinare 
e 
di 
responsabilità 
dirigenziale. entrambe 
integrano ipotesi 
di 
responsabilità 
contrattuale 
(ex art. 1218 c.c.): 
l’una 
legata 
al 
mancato raggiungimento 
dei 
risultati 
e 
alla 
inosservanza 
delle 
direttive, 
l’altra 
connessa 
alla 
violazione 
del 
dovere 
di 
diligenza 
o 
dell’obbligo 
di 
fedeltà 
di 
cui 
agli 
artt. 
2104 e 2105 c.c. 


rASSeGnA 
AvvoCAturA 
DeLLo 
StAto -n. 3/2022 


il 
concorso di 
fattispecie 
viene 
integrato allorché 
al 
dirigente 
siano contestati 
fatti 
contemporaneamente 
sussumibili 
nell’una 
e 
nell’altra 
forma 
di 
responsabilità, 
il 
che 
si 
verifica 
quando vi 
sia 
una 
pluralità 
di 
addebiti 
relativi 
alla 
medesima 
condotta 
di 
cui 
alcuni 
riconducibili 
alla 
responsabilità 
disciplinare, 
altri a quella dirigenziale (138). 


(138) Cass., 20 febbraio 2007, n. 3929, che 
precisa: 
“circa la natura della responsabilità dirigenziale 
rispetto a quella disciplinare 
del 
dirigente, in dottrina sono state 
prospettate 
almeno tre 
tesi. 
Si 
è 
affermato 
che 
la 
responsabilità 
dirigenziale 
è 
cosa 
nettamente 
diversa 
e 
distinta 
dalla 
responsabilità 
disciplinare; si 
è 
al 
contrario sostenuto che 
la responsabilità dirigenziale 
è 
una sottospecie 
della responsabilità 
disciplinare; 
infine 
si 
è 
osservato 
che 
i 
due 
tipi 
di 
responsabilità 
possono 
in 
parte 
coincidere, 
in parte 
essere 
divergenti. Tale 
ultima tesi 
appare 
preferibile 
a questa corte 
di 
cassazione: infatti 
la 
responsabilità 
dirigenziale 
può 
prescindere 
da 
ogni 
rilevanza 
dell'elemento 
soggettivo 
(dolo 
o 
negligenza 
del 
lavoratore) 
per 
quanto 
riguarda 
il 
mancato 
raggiungimento 
degli 
obiettivi 
(ad 
esempio 
per 
difficoltà 
oggettive 
o 
economiche, 
per 
scarsa 
collaborazione 
del 
personale) 
talché 
può 
configurarsi 
piuttosto 
come 
una sorta di 
responsabilità oggettiva: in tal 
caso la responsabilità dirigenziale 
è 
cosa del 
tutto distinta 
da una responsabilità disciplinare 
o per 
mancanze, che 
presuppone 
sempre, quanto meno, la negligenza 
colpevole 
del 
lavoratore. ma quante 
volte 
il 
mancato raggiungimento degli 
obiettivi 
dipenda 
da 
negligenza 
o 
inerzia 
del 
dirigente, 
la 
responsabilità 
dirigenziale 
sarà 
tutt'uno 
con 
quella 
disciplinare 
o per 
mancanze. e 
se 
è 
vero che 
il 
dirigente 
sorpreso, ad esempio, a rubare 
nelle 
casse 
del 
comune 
o a 
ricevere 
una 
tangente 
può 
essere 
licenziato 
senza 
parere 
del 
comitato 
dei 
garanti 
(perché 
in 
questo 
caso 
l'infedeltà è 
cosa diversa dall'inosservanza di 
direttive), nondimeno se 
il 
dirigente 
assume 
posizioni 
in 
contrasto con le 
direttive 
dell'assessore 
o del 
sindaco, ovvero se 
conduce 
il 
servizio in modo da disorganizzarlo, 
la responsabilità dirigenziale sarà coincidente con quella disciplinare”. 

LeGiSLAzioNe 
eD 
AttUALità 


Il contesto europeo del Cybercrime e la l. n. 48/2008 
di ratifica alla Convenzione sul Cybercrime 


Paolo Giangrosso* 


il 
reato informatico, per definizione, ha 
la 
caratteristica 
di 
essere 
virtuale 
e, 
spesso, 
di 
non 
avere 
alcuna 
connotazione 
fisica 
collegabile 
ad 
uno 
Stato, 
pertanto, 
la 
sua 
repressione 
non 
può 
prescindere 
da 
una 
continua 
cooperazione 
internazionale (1). 

Nonostante 
la 
convenzione 
di 
budapest 
sul 
Cybercrime 
del 
2001 
rappresenti 
indubbiamente 
la 
fonte 
più completa 
in merito, una 
vera 
e 
propria 
rivoluzione 
nel 
panorama 
europeo 
in 
materia 
di 
reati 
informatici 
si 
verificò 
già 
molti 
anni 
prima, 
basti 
pensare 
che 
già 
nel 
1976 
si 
tenne 
a 
Strasburgo 
la 
prima 
conferenza 
del 
consiglio d’europa 
sugli 
aspetti 
criminologici 
dei 
reati 
economici, 
nel 
corso della 
quale 
vennero trattati 
anche 
gli 
illeciti 
compiuti 
attraverso 
dispositivi informatici, seppure in maniera generica (2). 

Successivamente, nel 
1986, furono emanate 
le 
Raccomandazioni 
ocSe 


(3) che 
al 
loro interno affrontavano la 
disciplina 
di 
reati 
ed abusi 
avvenuti 
tramite 
le 
tecnologie 
informatiche, presentando dei 
concetti 
che 
non erano mai 
stati 
trattati 
precedentemente, nello specifico cinque: 
la 
frode 
elettronica 
(the 
input, alteration, erasure 
and/or 
suppression of 
computer 
data and/or 
computer 
programs 
made 
willfully 
with the 
intent 
to commit 
an illegal 
transfer 
of 
founds 
or 
of 
another 
thing 
of 
value), 
il 
falso 
informatico 
(the 
input, 
alteration, 
erasure 
and/or 
suppression 
of 
computer 
data 
and/or 
computer 
programs 
made 
willfully 
with the 
intent 
to commit 
a forgery), il 
danneggiamento di 
software 
(the 
input, 
alteration, 
erasure 
and/or 
suppression 
of 
computer 
data 
and/or 
computer 
programs, 
or 
the 
interferenze 
with 
computer 
systems, 
made 
willfully 
with the 
intent 
to hinder 
the 
functioning of 
a computer 
and/or 
telecommunications 
system), la 
violazione 
dei 
diritti 
di 
esclusiva 
sui 
programmi 
e 
processori 
(the 
infringement 
of 
the 
exclusive 
right 
of 
the 
owner 
of 
a 
protected 
program 
with the 
intent 
to exploit 
commercially 
the 
program 
and put 
it 
on the 
market), e 
l’accesso senza 
diritto “o con scopi 
illeciti” 
in un sistema 
informatico 
(the 
access 
to 
or 
the 
interception 
of 
a 
computer 
and/or 
telecommunication 
system 
made 
knowingly 
and without 
the 
authorization of 
the 
person responsi(*) 
Dottore in Relazioni internazionali, assistente legale presso l’Avvocatura generale dello Stato. 
Un ringraziamento all’avv. Stato Andrea Fedeli per l’invio dell’articolo alla 
Rassegna. 

(1) 
G. 
D’AiUto, 
L. 
LevitA, 
I 
reati 
informatici. 
Disciplina 
sostanziale 
e 
questioni 
processuali, 
Milano, 
Giuffrè editore, 2012, p. 143. 
(2) S. SchjoLbeRG, The 
history 
of 
Global 
Harmonization on Cybercrime 
Legislation -The 
road 
to Geneva, 2008, p. 2, in http://www.cybercrimelaw.net/documents/cybercrime_history.pdf. 
(3) cfr. ocSe, Computer 
-related criminality: analysis of legal policy, Paris 1986. 

RASSeGNA 
AvvocAtURA 
DeLLo 
StAto -N. 3/2022 


ble 
for 
the 
system, either 
by 
infringement 
of 
security 
measures 
or 
for 
other 
dishonest 
of 
harmful 
intentions). 
Anche 
le 
Raccomandazioni 
del 
consiglio 
d’europa 
del 
1989 (4) hanno contribuito alla 
categorizzazione 
di 
nuove 
fattispecie 
di 
reati 
che 
prima 
non 
venivano 
tenuti 
in 
considerazione 
negli 
ordinamenti 
dei 
vari 
Stati; 
pur 
rimanendo 
norme 
generali 
e 
marginali 
si 
sono 
rivelati 
di 
estrema 
importanza 
allorquando il 
legislatore 
ha 
emanato la 
l. n. 547/1993 (5), poichè 
hanno fornito gli 
strumenti 
per creare 
una 
nuova 
mentalità 
attorno ai 
nuovi 
illeciti 
ma anche attorno alle nuove figure di criminali, gli hacker. 


Le 
Raccomandazioni 
tuttavia 
non 
si 
occuparono 
degli 
aspetti 
procedurali 
relativamente 
ai 
nuovi 
crimini; 
bisognerà 
attendere 
il 
1995, 
anno 
in 
cui 
furono 
emanate 
nuove 
Raccomandazioni 
del 
consiglio d’europa 
in materia 
di 
criminalità 
informatica, affinché 
si 
iniziasse 
ad analizzare 
il 
problema 
anche 
da 
un 
punto di 
vista 
procedurale 
stabilendo dei 
principi 
da 
osservare 
durante 
le 
indagini, 
in primis 
il 
principio di 
integrità 
e 
di 
cooperazione 
fra 
autorità 
giudiziarie 
e tecnici facenti parte delle forze di polizia. 


vi 
sono stati 
anche, prima 
dell'emanazione 
della 
convenzione 
di 
budapest, 
altre 
due 
Risoluzioni 
dell’Assemblea 
Generale 
delle 
Nazioni 
Unite, del 
2000 e 
del 
2001, che 
si 
sono occupate 
principalmente 
del 
punto di 
vista 
procedurale, 
facendo anch’esse 
perno sul 
principio di 
integrità 
e 
sulla 
necessità 
di 
una 
formazione 
adeguata 
per 
i 
tecnici 
che 
operano 
nel 
campo 
delle 
indagini 
informatiche. 


tutti 
questi 
atti, 
però, 
sono 
configurabili 
come 
fonti 
di 
soft 
law, 
in 
quanto 
non 
pongono 
in 
capo 
allo 
Stato 
aderente 
alcun 
vincolo 
giuridico 
in 
merito 
alla 
disciplina 
da 
adottare 
all'interno del 
proprio ordinamento sul 
tema 
dei 
crimini 
informatici, sia da un punto di vista sostanziale che procedurale. 


L’11 
marzo 
2007 
il 
Presidente 
del 
consiglio 
dei 
Ministri 
ha 
approvato 
lo 
schema 
di 
disegno 
di 
legge 
recante 
autorizzazione 
alla 
ratifica 
della 
convenzione 
del 
consiglio 
d’europa 
sulla 
criminalità 
informatica, 
sottoscritta 
a 
budapest 
il 
23 
novembre 
2001, 
e 
la 
sua 
esecuzione 
nonché 
le 
norme 
di 
adeguamento 
dell’ordinamento 
interno, 
primo 
atto 
che 
porterà 
alla 
ratifica 
da 
parte 
dell'italia 
della 
convenzione. 
il 
20 
febbraio 
2008, 
nonostante 
si 
fosse 
in 
regime 
di 
prorogatio, 
poco 
prima 
dello 
scioglimento 
delle 
camere, 
e 
nonostante 
la 
frettolosità 
con 
cui 
il 
disegno 
viene 
presentato 
alle 
camere, 
il 
testo 
viene 
approvato. 
Dopo 
il 
passaggio 
al 
Senato, 
avvenuto 
anch’esso 
rapidamente, 
il 
18 
marzo 
la 
legge 
n. 
48 
viene 
firmata 
dal 
Presidente 
della 
Repubblica. 


La 
legge 
attuativa, da 
un lato ha 
conformato gli 
obblighi 
pattizi 
sovrana


(4) cfr. coUNciL 
oF 
eURoPe 
coMMittee 
oF 
MiNiSteRS, Recommendation No. R 
(89) 
9 of the Committee of Ministers to Member States On Computer-Related Crime, settembre 1989. 
(5) 
P. 
GiANGRoSSo, 
I 
reati 
informatici 
o 
cybercrimes: 
la 
Legge 
n. 
547 
del 
1993 
in 
Rass. 
Avv. 
Stato, 
2022, vol. 2, pp. 183 ss. 

LeGiSLAzioNe 
eD 
AttUALità 


zionali 
della 
convenzione 
assunti 
dall'ordinamento 
italiano, 
dopo 
ben 
sette 
anni 
di 
attesa, 
ma 
dall'altro 
ha 
deluso 
le 
aspettative 
della 
dottrina, 
a 
causa 
della 
sopracitata 
“fretta” 
che 
la 
commissione 
ha 
dimostrato 
di 
avere 
nella 
decisione 
di 
approvazione, di 
ratificare 
la 
convenzione 
di 
budapest 
prima 
della 
caduta 
del Governo Prodi (6). 


La 
l. n. 48/2008 ha 
modificato una 
serie 
di 
articoli 
del 
codice 
penale 
che 
erano stati 
introdotti 
in precedenza 
dalla 
l. n. 547/1993, soprattutto in ambito 
sostanziale 
cioè 
in 
merito 
alla 
definizione 
delle 
varie 
fattispecie 
incriminatrici, 
ha 
aumentato la 
disciplina 
dei 
reati 
informatici 
soprattutto dal 
punto di 
vista 
processuale, ratificando una 
serie 
di 
norme 
della 
convenzione 
di 
budapest 
in 
merito alla 
raccolta 
di 
prove 
e 
indagini 
informatiche, tenendo conto delle 
esigenze 
di 
modificabilità 
degli 
elementi 
di 
prova 
che 
per loro natura 
rischiano 
continuamente di essere alterati o resi inutili. 


Specificatamente, riguardo alle 
ispezioni 
informatiche, con le 
modifiche 
aggiuntive 
all'art. 
244 
c.p.p., 
ha 
stabilito 
che 
l'autorità 
giudiziaria 
può 
disporre 
rilievi 
segnaletici, 
descrittivi 
e 
fotografici 
e 
ogni 
altra 
operazione 
tecnica, 
anche 
in 
relazione 
a 
sistemi 
informatici 
o 
telematici, 
e 
può 
adottare 
tutte 
quelle 
misure 
tecniche 
dirette 
ad assicurare 
la 
conservazione 
dei 
dati 
originali 
e 
ad 
impedirne 
l'alterazione. 
Sotto 
il 
profilo 
della 
perquisizione 
c.d. 
informatica 
(7), invece, la 
modifica 
ha 
interessato l'art. 247 c.p.p. al 
quale 
è 
stato aggiunto 
un nuovo comma 
1-bis, che 
stabilisce 
che 
nel 
caso in cui 
si 
abbia 
il 
sospetto 
che 
i 
dati, le 
informazioni, i 
programmi 
informatici 
o le 
tracce 
comunque 
pertinenti 
al 
reato 
si 
trovino 
in 
un 
sistema 
informatico 
o 
telematico, 
anche 
se 
protetto 
da 
misure 
di 
sicurezza, deve 
esserne 
disposta 
la 
perquisizione, mettendo 
in atto tutte 
quelle 
misure 
tecniche 
ritenute 
idonee 
ad assicurare 
la 
conservazione 
dei 
dati 
originali 
e 
ad 
impedirne 
l’alterazione. 
La 
disposizione 
“adottando 
misure 
tecniche 
dirette 
ad 
assicurare 
la 
conservazione 
dei 
dati 
originali 
e 
ad impedirne 
’alterazione’ 
” 
assume 
rilievo fondamentale, in quanto prima 
della 
l. 
n. 
48/2008 
non 
era 
in 
alcun 
modo 
specificato 
in 
quale 
modo 
o 
secondo 
quali criteri potessero essere effettuate le perquisizioni (8). 


Anche 
l’art. 254 c.p.p. in materia 
di 
sequestro di 
corrispondenza 
è 
stato 
modificato attraverso l’introduzione 
dell’art. 254-bis 
c.p.p. relativo alla 
possibilità 
di 
sequestrare 
dati 
informatici 
presso i 
fornitori 
di 
servizi 
informatici, 
telematici 
e 
di 
telecomunicazioni; 
è 
stata 
inserita 
inoltre 
una 
disposizione 
sul 
problema 
che 
riguarda 
la 
custodia 
delle 
cose 
sequestrate 
(art. 259 comma 
2 
c.p.p.) e 
alcune 
garanzie 
che 
vanno garantite 
circa 
il 
sequestro e 
la 
custodia 
di 
cose 
deperibili 
come 
appunto i 
dati 
informatici 
(modifica 
dell'art. 260 comma 


(6) S. AteRNo, G. coRASANiti, G. coRRiAS 
LUceNte, L'attuazione 
della convenzione 
europea sul 
cybercrime, commento alla legge 18 marzo 2008 n. 48, Padova, ceDAM, 2009, pp. 69 ss. 
(7) S. AteRNo, Digital 
Forensics 
(investigazioni 
informatiche), in Dig. Disc. Pen., 2014, pp. 217 
ss. 
(8) Ibidem. 

RASSeGNA 
AvvocAtURA 
DeLLo 
StAto -N. 3/2022 


2 c.p.p.) (9). È 
stato modificato anche 
l’art. 352 c.p.p. in tema 
di 
perquisizioni 
per i 
casi 
di 
urgenza 
e 
di 
flagranza 
di 
reato: 
è 
stato inserito al 
secondo comma 
la 
previsione 
secondo cui, gli 
ufficiali 
di 
polizia 
giudiziaria 
possono adottare 
misure 
tecniche 
dirette 
ad assicurare 
la 
conservazione 
dei 
dati 
originali 
e 
ad 
impedirne 
l’alterazione; 
costoro hanno anche 
la 
facoltà 
di 
perquisire 
il 
materiale 
nel 
momento in cui 
ritengono sussistente 
il 
fondato pericolo che 
le 
informazioni 
contenute nei dispositivi vengano cancellate o modificate (10). 


L'art. 9 comma 
3 l. n. 48 del 
2008 ha 
integrato il 
comma 
2 dell'art. 354 
c.p.p., e 
ha 
esteso il 
potere 
della 
polizia 
giudiziaria 
di 
compiere 
gli 
accertamenti 
urgenti, al 
fine 
di 
conservare 
le 
tracce 
e 
le 
cose 
riguardanti 
il 
reato al 
fine 
di 
evitare 
l'alterazione 
di 
luoghi 
e 
cose, di 
dati, di 
informazioni, di 
programmi 
informatici 
e 
di 
sistemi 
informatici 
o telematici. in virtù delle 
disposizioni 
contenute 
nella 
norma, 
gli 
ufficiali 
di 
polizia 
devono 
adottare 
delle 
misure 
tecniche 
in modo tale 
che 
i 
dati 
si 
mantengano integri 
all’interno del 
sistema, attraverso la 
duplicazione 
che 
assicuri 
l’aderenza 
perfetta 
all’originale. 


infine, l’art. 248 c.p.p. che 
riguarda 
la 
richiesta 
di 
consegna 
di 
dati, di 
informazioni 
e 
di 
programmi 
informatici, è 
stato modificato per evitare 
di 
risultare 
eccessivamente 
lesivo 
della 
privacy 
o 
invasivo 
nella 
sfera 
personale 
degli 
individui; 
in questo senso, l’Autorità 
Giudiziaria 
può richiedere 
al 
possessore 
del 
dispositivo 
di 
consegnare 
i 
dati 
o 
i 
file 
da 
analizzare, 
invece 
che 
procedere 
direttamente con la perquisizione. 


(9) Ibid. 
(10) 
Ibid. 

LeGiSLAzioNe 
eD 
AttUALità 


Accesso abusivo ad un sistema informatico 


Daniele Saccoccio* 


L’art. 615-ter 
del 
codice 
penale 
fa 
parte 
del 
titolo Xii “dei 
delitti 
contro 
la 
persona”, 
capo 
iii 
“dei 
delitti 
contro 
la 
libertà 
individuale”, 
Sezione 
iv 
“dei 
delitti 
contro 
la 
inviolabilità 
del 
domicilio”. 
il 
bene 
giuridico 
protetto 
dalla 
norma 
è 
il 
“domicilio 
informatico”, 
intendendosi 
con 
tale 
locuzione 
una 
estensione 
del 
domicilio fisico e 
spazio-virtuale 
che 
fa 
parte 
della 
sfera 
personale 
di 
un individuo che, come 
tale, deve 
essere 
tutelato. La 
differenza 
rispetto al 
domicilio fisico consiste 
nella 
caratteristica 
di 
spazio flessibile 
e 
aperto che 
il 
domicilio informatico possiede, che 
non può essere 
tutelato a 
priori 
ma 
può 
esserlo solo se 
il 
titolare 
ritiene 
di 
renderlo riservato. Affinché 
possa 
dirsi 
integrata 
la 
fattispecie 
prevista 
come 
reato, 
è 
necessaria 
la 
volontà 
dell’individuo 
di 
escludere 
terzi 
soggetti 
dall’accesso al 
sistema. tale 
affermazione 
si 
ricava 
dall’articolo medesimo allorquando afferma 
che 
un sistema, per poter subire 
un accesso abusivo, deve essere protetto da una qualsiasi forma di sicurezza. 


La 
cassazione 
Penale 
ha 
avuto modo di 
specificare 
che 
le 
forme 
di 
sicurezza 
possono consistere 
tanto in forme 
di 
protezione 
logica 
quanto in forme 
di 
protezione 
fisica; 
inoltre, affinché 
si 
configuri 
il 
reato assumono rilevanza 
non solo le 
protezioni 
interne 
al 
sistema 
ma 
anche 
quelle 
esterne. Si 
trattava 
di 
banche 
private 
che 
per definizione 
sono interdette 
a 
coloro che 
non fanno 
parte 
dell’impresa 
che 
le 
gestisce, 
pertanto 
in 
tali 
casi 
la 
violazione 
si 
configura 
allorquando vi 
è 
una 
manifestazione 
di 
una 
volontà 
contraria 
a 
quella 
di 
chi 
del sistema legittimamente dispone. 

Non si 
tratta 
di 
un illecito caratterizzato dalla 
violazione 
generica 
dei 
sistemi 
protettivi, perchè 
altrimenti 
non avrebbe 
rilevanza 
penale 
la 
condotta 
di 
coloro che 
pur essendo entrati 
per volontà 
del 
titolare 
vi 
rimangono contro la 
sua 
volontà. Si 
tratta 
quindi 
di 
un reato che 
si 
configura 
ogni 
qual 
volta 
si 
violino 
le 
disposizioni 
del 
titolare 
come 
avviene 
nel 
delitto di 
violazione 
di 
domicilio, 
tanto da 
indurre 
molti 
a 
identificare 
nella 
nuova 
fattispecie 
una 
tutela 
del domicilio informatico. 


ovviamente 
è 
indispensabile 
che 
l’accesso 
al 
sistema 
informatico 
non 
sia 
aperto 
a 
tutti, 
come 
può 
avvenire 
quando 
si 
tratta 
di 
sistemi 
telematici, 
ma 
deve 
comunque 
ritenersi 
integrata 
la 
fattispecie 
ogni 
volta 
che 
vi 
sia 
un meccanismo 
che 
selezioni 
i 
soggetti 
abilitati 
ad 
accedere 
al 
sistema 
o 
anche 
in 
presenza 
di 
strumenti 
esterni 
che 
regolano 
l’accesso 
ai 
locali 
in 
cui 
i 
sistemi 
vengono custoditi. D’altronde 
la 
forte 
analogia 
col 
reato di 
violazione 
di 
do


(*) Assistente legale presso l’Avvocatura generale dello Stato. 


Un 
ringraziamento 
al 
Proc. 
Stato 
Melvio 
Maugeri 
per 
l’invio 
del 
presente 
articolo 
e 
del 
seguente 
alla 


Rassegna. 



RASSeGNA 
AvvocAtURA 
DeLLo 
StAto -N. 3/2022 


micilio ha 
indotto a 
ritenere 
che 
integra 
il 
reato anche 
la 
condotta 
di 
chi 
viene 
autorizzato all’acceso al 
sistema 
informatico per una 
finalità 
e 
poi 
invece 
lo 
utilizzi 
per finalità 
diverse 
non rispettando le 
condizioni 
alle 
quali 
era 
subordinato 
l’accesso. 
infatti, 
se 
l’accesso 
richiede 
un’autorizzazione 
e 
questa 
è 
destinata 
a 
un 
determinato 
scopo, 
l’utilizzazione 
dell’autorizzazione 
per 
uno 
scopo diverso non può non considerarsi abusiva (1). 

La 
Suprema 
corte 
ha 
stabilito che: 
«Nella fattispecie 
di 
cui 
all’art. 615 


c.p. 
sono 
delineate 
due 
diverse 
condotte 
integratici 
del 
delitto; 
la 
prima 
(quella 
contestata agli 
indagati) consiste 
nel 
fatto di 
“chi 
abusivamente 
si 
introduce 
in 
un 
sistema 
informatico 
o 
telematico 
protetto 
da 
misura 
di 
sicurezza”, 
la 
seconda 
nel 
fatto di 
chi 
“vi 
si 
mantiene 
contro la volontà espressa o tacita di 
chi ha il diritto di escluderlo”. 
In 
dottrina 
e 
giurisprudenza 
(2) 
è 
stato 
giustamente 
criticata 
l’espressione 
“abusivamente 
si 
introduce” 
per 
la 
sua 
forte 
ambiguità 
e 
la 
conseguente 
possibilità 
d’imprevedibili 
e 
pericolose 
dilatazioni 
della 
fattispecie 
penale 
se 
non 
intesa 
in 
senso 
di 
“accesso 
non 
autorizzato”, 
secondo 
la 
più 
corretta 
espressione 
di 
cui 
alla 
cd. 
“lista 
minima” 
della 
Raccomandazione 
del 
Consiglio 
d’Europa 
(89) 
9, 
attuata 
in 
Italia 
con 
la 
L. 
n. 
547 
del 
1993, 
e 
di 
“accesso 
senza 
diritto” 
(access... 
without 
right) 
impiegata 
nell’art. 
2 
della 
Convenzione 
sul 
cyber 
crime 
(cui 
al 
quale 
con 
la 
L. 
n. 
48 
del 
2008 
non 
s’è 
ritenuto 
di 
dare 
ulteriore 
attuazione, 
trattandosi 
d’ipotesi 
già 
disciplinata 
dall’art. 
615 
ter 
cod. 
pen.). 


Il 
Collegio 
aderisce 
a 
tale 
rigorosa 
lettura 
dell’art. 
615 
ter 
cod. 
pen., 
anche 
in applicazione 
del 
principio secondo cui, in mancanza di 
riserva al-
l’apposizione 
della 
firma 
dei 
trattati, 
“per 
ogni 
norma 
che 
rappresenta 
la 
trasposizione 
o l’attuazione 
di 
disposizioni 
sovrannazionali, va privilegiata, tra 
più possibili 
letture, quella di 
senso più conforme 
alle 
disposizioni 
comuni”, 
opportunamente sottolineato da Cass. sez. 5^, n. 26797/08. 

La 
qualificazione 
di 
abusività 
va 
intesa 
in 
senso 
oggettivo, 
con 
riferimento 
al 
momento 
dell’accesso 
ed 
alle 
modalità 
utilizzate 
dall’autore 
per 
neutralizzare 
e 
superare 
le 
misure 
di 
sicurezza 
(chiavi 
fisiche 
o 
elettroniche, 
password, 
etc.) 
apprestate 
dal 
titolare 
del 
ius 
excludendi, 
al 
fine 
di 
selezionare 
gli 
ammessi 
al 
sistema ed impedire 
accessi 
indiscriminati. Il 
reato è 
integrato 
dall’accesso non autorizzato nel 
sistema informatico, ciò che 
di 
per 
sè 
mette 
a rischio la riservatezza del 
domicilio informatico, indipendentemente 
dallo 
scopo che si propone l’autore dell’accesso abusivo. 

La finalità dell’accesso, se 
illecita, integrerà eventualmente 
un diverso 
titolo di 
reato, come 
ha affermato questa Corte 
in due 
precedenti 
arresti, che 
presentano 
forti 
analogie 
con 
la 
vicenda 
in 
esame. 
In 
tal 
senso, 
Cass. 
n. 
2534/2007 con riferimento alla condotta di 
un ispettore 
della Polizia di 
Stato 


(1) cass. penale, sez. v, 7 novembre 2000, n. 12732. 
(2) cass., sez. v, n. 26797/2008. 

LeGiSLAzioNe 
eD 
AttUALità 


e 
di 
appartenente 
all’Arma dei 
Carabinieri, che 
si 
servivano dell’autorizzazione 
all’accesso alla banca dati 
degli 
organi 
di 
polizia per 
acquisire 
dati 
riservati 
che 
trasmettevano ad un’agenzia investigativa, e 
Cass. n. 26797/08, 
in relazione 
alla condotta di 
un cancelliere 
dell’ufficio del 
giudice 
delle 
indagini 
preliminari, autorizzato all’accesso ai 
registri 
informatizzati 
dell’amministrazione 
della 
giustizia, 
che 
aveva 
fornito 
notizie 
riservate 
ad 
un 
avvocato. 


In entrambi 
i 
casi 
è 
stato ritenuto che 
la trasmissione 
a terzi 
di 
notizie 
apprese 
dalla 
consultazione 
della 
banca 
dati 
non 
attiene 
alle 
modalità 
che 
regolano 
l’accesso al 
sistema e 
la consultazione 
dei 
dati 
in esso registrati, ma 
riguarda l’uso successivo che 
di 
tali 
dati 
s’è 
fatto, con eventuale 
integrazione 
di altre fattispecie illecite» (3). 

caso diverso da 
considerare 
è 
quello in cui 
l’accesso avviene 
legittimamente 
ma 
l’intrattenimento 
avvenga 
con 
finalità 
diverse 
da 
quelle 
autorizzate. 
Questo è 
il 
caso dei 
dipendenti 
o pubblici 
ufficiali 
che 
utilizzino la 
loro figura 
per scopi 
diversi 
da 
quelli 
consentiti. Sono sanzionabili, dunque, anche 
le 
intrusioni 
che 
si 
realizzino 
con 
una 
permanenza 
illecita 
successiva 
ad 
un 
ingresso 
legittimo. Leggermente 
diverso è 
il 
caso in cui 
un operatore 
acceda 
a 
sezioni 
del 
sistema 
a 
lui 
interdette. Se 
tali 
diverse 
sezioni 
non sono protette 
da 
misure 
di 
sicurezza 
il 
reato non sussiste, ma 
tornerebbe 
ad essere 
rilevante 
come 
illecito, 
se 
l’accesso avvenisse 
per finalità 
non consentite. Di 
particolare 
importanza 
è 
l’aggravante 
che 
riguarda 
la 
figura 
di 
operatore 
del 
sistema, in quanto 
tali 
soggetti, a 
causa 
delle 
funzioni 
che 
rivestono, si 
trovano in una 
posizione 
di 
vantaggio 
nell’utilizzo 
del 
sistema 
informatico, 
utilizzo 
che 
può 
essere 
anche 
improprio. L’aggravante 
di 
pena 
trova 
la 
sua 
giustificazione 
nella 
posizione 
di 
vantaggio rivestita 
dal 
soggetto che 
grazie 
alla 
sua 
qualifica 
di 
operatore 
di 
sistema, 
nel 
senso 
non 
solo 
di 
tecnico 
programmatore, 
analista 
o 
sistemista 
ma 
anche 
di 
semplice 
soggetto che 
è 
autorizzato ad intervenire 
sul 
sistema, può agevolmente operare in virtù delle mansioni affidategli. 


va 
specificato 
che 
l’art. 
615-ter 
non 
fa 
alcun 
riferimento 
ad 
eventuali 
danni 
causati 
dall’accesso non autorizzato al 
sistema 
ma 
si 
limita 
a 
reprimere 
la 
condotta 
di 
chi 
abusivamente 
accede 
al 
sistema 
stesso. Nel 
caso in cui, effettuato 
l’accesso 
abusivo, 
si 
verifichi 
l’eventualità 
di 
causare 
un 
danno, 
verrà 
integrato l’ulteriore 
reato, in concorso, del 
danneggiamento informatico. ciò 
si 
verifica 
quando 
il 
soggetto 
accede 
al 
sistema 
e, 
solo 
in 
un 
secondo 
momento, 
inizia 
a 
danneggiarlo. Se 
invece 
l’accesso viene 
realizzato contestualmente 
e 
al 
solo 
fine 
di 
condotta 
vandalica, 
si 
parla 
di 
una 
fattispecie 
di 
reato 
unica 
prevista 
all’art. 635-bis 
c.p. 


Anche 
le 
Sezioni 
Unite 
(4) sono intervenute 
in materia 
per chiarire 
«se 
integri 
la fattispecie 
criminosa di 
accesso abusivo ad un sistema informatico 


(3) cass. penale, sez. vi, 8 ottobre 2008, n. 39290. 
(4) cass. penale, Sez. Un., 27 ottobre 2011 (dep. 7 febbraio 2012) n. 4694. 

RASSeGNA 
AvvocAtURA 
DeLLo 
StAto -N. 3/2022 


o telematico (art. 615-ter 
c.p.) la condotta di 
accesso o mantenimento nel 
sistema 
posta in essere 
da soggetto abilitato, ma per 
scopi 
o finalità estranei 
a 
quelli 
per 
i 
quali 
la facoltà di 
accesso gli 
è 
stata attribuita» (punto n. 1 della 
motivazione). Le 
Sezioni 
Uniti 
risolvono il 
quesito positivamente 
stabilendo 
il 
seguente 
principio di 
diritto: 
«integra la fattispecie 
criminosa la condotta 
di 
accesso 
o 
di 
mantenimento 
nel 
sistema 
posta 
in 
essere 
da 
soggetto 
che, 
pure 
essendo abilitato, violi 
le 
condizioni 
ed i 
limiti 
risultanti 
dal 
complesso delle 
prescrizioni 
impartite 
dal 
titolare 
del 
sistema per 
delimitarne 
oggettivamente 
l’accesso. 
Non 
hanno 
rilievo, 
invece, 
per 
la 
configurazione 
del 
reato, 
gli 
scopi 
e 
le 
finalità 
che 
soggettivamente 
hanno 
motivato 
l’ingresso 
del 
sistema» 
(punto 
n. 5 della 
motivazione). Nel 
risolvere 
tale 
questione 
la 
corte 
pone 
un punto 
fermo 
totalmente 
condivisibile: 
«la 
questione 
di 
diritto 
controversa 
non 
debba 
[deve] 
essere 
riguardata sotto il 
profilo delle 
finalità perseguite 
da colui 
che 
accede 
o si 
mantiene 
nel 
sistema, in quanto la volontà del 
titolare 
del 
diritto 
di 
escluderlo 
si 
connette 
soltanto 
al 
dato 
oggettivo 
della 
permanenza 
(per 
così 
dire 
“fisica”) 
dell’agente 
in 
esso 
[…] 
Il 
giudizio 
circa 
l’esistenza 
del 
dissenso 
del 
dominus 
loci 
deve 
assumere 
come 
parametro 
la 
sussistenza 
o 
meno 
di 
un’obiettiva violazione, da parte 
dell’agente, delle 
prescrizioni 
impartite 
dal 
dominus 
stesso 
circa 
l’uso 
del 
sistema 
e 
non 
può 
essere 
formulato 
unicamente 
in 
base 
alla 
direzione 
finalistica 
della 
condotta 
soggettivamente 
intesa» 
(punto 
n. 4 della motivazione). 
come 
già 
chiarito, si 
tratta 
di 
un orientamento del 
tutto condivisibile, diretto 
a 
contrastare 
quello 
opposto 
che 
vuole 
l’accesso 
abusivo 
con 
mera 
finalità 
soggettiva, spesso illecita, dell’agente 
(5). tale 
orientamento, infatti, rischia 
di 
dilatare 
eccessivamente 
l’ambito 
applicativo 
della 
fattispecie, 
soprattutto 
quando la 
finalità 
soggettiva 
è 
volta 
a 
commettere 
un ulteriore 
reato (es. rivelazione 
dei 
dati 
coperti 
da 
segreto d’ufficio). inoltre, rende 
il 
legame 
tra 
l’autorizzazione 
e 
gli 
scopi 
del 
tutto evanescente, quando invece 
un radicamento 
alla 
dimensione 
oggettiva 
consente 
di 
valutare 
l’abusività 
dell’accesso 
del 
soggetto 
abilitato 
sulla 
base 
di 
precise 
condizioni 
predefinibili 
rispetto 
allo 
stesso 
momento dell’ingresso. 

(5) cfr. ad es. cass., sez. v, 8 luglio 2008 -1 ottobre 
2008, Sala, in ceD, n. 37322/2008, relativa 
a 
un accesso a 
un server e 
alla 
copiatura 
di 
dati 
concernenti 
alcuni 
clienti 
da 
parte 
di 
soci 
di 
studio professionale 
intenzionati ad aprire uno studio concorrente. 

LeGiSLAzioNe 
eD 
AttUALità 


La Frode Informatica. Il discrimine 
tra truffa e frode informatica 


Daniele Saccoccio 


La 
Legge 
23 dicembre 
1993 n. 547 ha 
introdotto l’articolo 640 ter 
c.p. e 
punisce 
la 
condotta 
criminosa 
di 
chi 
“alterando in qualsiasi 
modo il 
funzionamento 
di 
un sistema informatico o telematico o intervenendo senza diritto 
con qualsiasi 
modalità su dati, informazioni 
o programmi 
ad esso pertinenti, 
procura a sé 
o ad altri 
un ingiusto profitto con altrui 
danno”. il 
reato ha 
la 
stessa 
struttura 
del 
reato 
di 
truffa 
di 
cui 
all’art. 
640 
c.p. 
possedendo 
i 
medesimi 
elementi 
costitutivi 
ma 
contemporaneamente 
se 
ne 
differenzia 
perchè 
la 
condotta 
fraudolenta 
non 
investe 
una 
persona 
(eventualmente 
indotta 
in 
errore) 
bensì un sistema informatico o telematico in uso dalla stessa. 


in merito al 
bene 
giuridico tutelato vi 
sono due 
correnti 
di 
pensiero. La 
prima 
esclude 
la 
natura 
di 
reato plurioffensivo tipico del 
reato di 
truffa 
ex art. 
640 c.p. sul 
presupposto che 
mentre 
in quest’ultima 
figura 
criminosa 
si 
mina 
sia 
l’autodeterminazione 
del 
soggetto 
sia 
il 
patrimonio 
dello 
stesso 
(1), 
nel 
caso dell’art. 640 ter 
ciò non sarebbe 
possibile, dato che 
non può certo subire 
un 
pregiudizio 
personale 
la 
macchina 
oggetto 
della 
condotta 
di 
alterazione 
del 
sistema. 
La 
seconda 
linea 
interpretativa, 
invece, 
considera 
anche 
il 
reato 
di 
cui 
all’art. 
640 
ter 
come 
plurioffensivo 
poichè 
lede 
sia 
il 
corretto 
funzionamento 
del sistema sia il sistema stesso. 


Per 
meglio 
comprendere 
le 
differenze 
tra 
il 
reato 
di 
truffa 
e 
quello 
di 
frode 
informatica 
è 
utile 
soffermarsi 
sulla 
natura 
della 
condotta 
prevista 
e 
punita 
dall’art. 640. Gli 
elementi 
tipici 
di 
tale 
condotta 
si 
identificano negli 
artifizi 
e 
raggiri. 
tale 
condizione 
è 
indispensabile 
ma 
non 
sufficiente 
ad 
integrare 
il 
reato 
di 
truffa, 
essendo 
indispensabile 
che 
tale 
condotta 
induca 
in 
errore 
la 
vittima 
per 
far 
in 
modo 
che 
avvenga 
l’atto 
di 
disposizione 
patrimoniale 
che 
generi 
a 
sua 
volta 
un ingiusto profitto ed un altrui 
danno. con il 
termine 
“artificio” 
si 
intendono tutti 
quegli 
atti 
tesi 
a 
simulare 
o dissimulare 
la 
realtà 
esterna 
tale 


(1) La 
plurioffensività 
potrebbe 
anche 
essere 
ricavata 
in un’altra 
ottica, evidenziando non solo il 
pregiudizio 
inerente 
il 
singolo 
soggetto 
vittima 
degli 
artifici 
e 
raggiri 
ma, 
in 
aggiunta, 
la 
compromissione 
dei 
traffici 
commerciali 
e 
giuridici. A 
tale 
proposito la 
cass., sent. 6 maggio 2011, n. 17748: 
“Il 
bene 
giuridico tutelato dal 
delitto di 
frode 
informatica, non può, dunque, essere 
iscritto esclusivamente 
nel 
perimetro della salvaguardia del 
patrimonio del 
danneggiato, come 
pure 
la collocazione 
sistematica 
lascerebbe 
presupporre, venendo chiaramente 
in discorso anche 
l’esigenza di 
salvaguardare 
la regolarità 
di 
funzionamento dei 
sistemi 
informatici 
-sempre 
più capillarmente 
presenti 
in tutti 
i 
settori 
più 
importanti 
della 
vita 
economica, 
sociale, 
ed 
istituzionale 
del 
Paese 
-la 
tutela 
della 
riservatezza 
dei 
dati, spesso sensibili, ivi 
gestiti, e, infine, aspetto non trascurabile, la stessa certezza e 
speditezza del 
traffico 
giuridico 
fondata 
sui 
dati 
gestiti 
dai 
diversi 
sistemi 
informatici. 
Un 
articolato 
intessersi, 
dunque, 
di 
valori 
tutelati, tutti 
coinvolti 
nella struttura della norma, che 
indubbiamente 
ne 
qualifica, al 
di 
là del 
tratto di fattispecie plurioffensiva, [...]”. 

RASSeGNA 
AvvocAtURA 
DeLLo 
StAto -N. 3/2022 


da 
farla 
apparire 
diversa 
da 
come 
è, mentre 
per “raggiro” 
si 
intende 
quell’attività 
di 
simulazione 
attuata 
tramite 
le 
parole 
tese 
a 
far apparire 
ciò che 
realmente 
non 
è. 
va 
tenuto 
presente 
che 
nella 
truffa 
la 
vittima 
è 
sempre 
una 
persona 
fisica 
che 
agisce 
perchè 
indotta 
in 
errore, 
mentre 
tale 
schema 
non 
può 
essere 
applicato 
alla 
frode 
informatica 
poichè 
solo 
un 
essere 
umano 
può 
cadere 
in errore, non una 
macchina. La 
Legge 
n. 547 del 
1993 introduce 
un reato che 
presenta 
innovazioni 
legate 
proprio a 
tale 
evidente 
diversità, pur conservando 
la 
struttura 
di 
reato a 
forma 
vincolata, come 
la 
truffa. tra 
l’altro nel 
reato di 
truffa 
vi 
è 
la 
cooperazione 
della 
vittima 
quale 
passaggio 
fondamentale 
per 
l’integrazione 
della 
fattispecie 
penalmente 
rilevante 
(2). 
Pertanto 
se 
è 
agevole 
comprendere 
come 
una 
persona 
possa 
essere 
indotta 
in errore 
attraverso una 
rappresentazione 
distorta 
della 
realtà, altrettanto non può dirsi 
per una 
macchina, 
in quanto quest’ultima 
è 
stata 
progettata 
e 
programmata, ciò che 
può 
essere fatto è alterarne il funzionamento. 

Secondo la 
dottrina, è 
importante 
e 
illuminante 
affinare 
il 
tema 
dell’intervento 
“ingannatorio”, vuoi nella truffa, vuoi nella frode informatica. 

come 
è 
noto, 
nella 
condotta 
fraudolenta 
della 
truffa 
il 
momento 
di 
manipolazione, 
falsificazione 
del 
reale, 
è 
antecedente 
a 
quello 
che 
poi 
sarà 
l’atto 
di 
disposizione 
patrimoniale, 
anzi 
esso 
risulta 
essere 
causalmente 
efficiente 
a 
quest’ultimo. 
Se 
è 
vero 
che 
la 
vittima 
finisce 
per 
avere 
una 
visione 
distorta 
della 
realtà, 
non 
può 
negarsi 
che 
la 
dinamica 
decisionale 
che 
porterà 
all’atto 
di 
disposizione 
patrimoniale 
non 
presenta 
nessuna 
anomalia, 
ma 
segue 
i 
normali 
processi 
cognitivo-decisori. 
Di 
conseguenza 
è 
presente 
una 
falsa 
rappresentazione, 
ed 
è 
in 
virtù 
di 
essa 
che 
la 
vittima 
cade 
in 
errore, 
ma 
il 
momento 
decisorio 
che 
consegue 
alla 
visione 
distorta 
della 
realtà 
è 
esente 
da 
vizi 
del 
pensiero. 
Ad 
esempio, 
se 
un 
soggetto 
viene 
convinto, 
attraverso 
artifici 
e 
raggiri, 
della 
paternità 
di 
un’opera 
di 
un 
artista 
celebre, 
sarà 
disposto 
a 
offrire 
una 
somma 
ingente 
di 
denaro 
per 
acquistarlo, 
in 
quanto 
a 
fondamento 
del 
suo 
atto 
di 
disposizione 
risiede 
la 
convinzione 
dell’autenticità 
dell’opera 
d’arte 
in 
questione, 
ma 
il 
successivo 
atto 
d’acquisto 
sarà 
esente 
da 
vizi 
della 
volontà. 


Nell’ambito della 
frode 
informatica, invece, è 
necessario distinguere 
tra 
le 
condotte 
alternative 
dell’alterazione 
del 
funzionamento del 
sistema 
e 
del-
l’intervento senza 
diritto. L’alterazione 
viene 
a 
collocarsi, idealmente, all’interno 
del 
processo operativo del 
sistema 
che 
si 
trova 
a 
svolgere 
attività 
per le 
quali 
non è 
stato programmato. È, quindi, il 
funzionamento del 
sistema 
stesso 
ad 
essere 
pregiudicato. 
cosa 
ben 
diversa 
avviene 
con 
l’intervento 
senza 
diritto 
perché, 
in 
questo 
caso, 
la 
condotta 
fraudolenta 
può 
anche 
svolgersi 
prima 
della 


(2) M. GRotto, Reati 
informatici 
e 
Convenzione 
Cybercrime. Oltre 
la “Truffa” 
e 
la “Frode 
informatica”: 
la “Frode 
del 
certificatore” 
in Il 
Diritto dell’Informazione 
e 
dell’Informatica, 2009, pp. 
139-158. 

LeGiSLAzioNe 
eD 
AttUALità 


fase 
vera 
e 
propria 
di 
elaborazione 
da 
parte 
della 
macchina, anzi 
spesso presuppone 
che 
il 
sistema 
funzioni 
in maniera 
corretta. basti 
pensare 
ad un intervento 
sull’input 
sul 
quale 
poi 
svolgerà 
le 
consuete 
operazioni 
l’elaboratore. 
Avremo, nel 
primo caso, un atto diretto ad inficiare 
il 
modo in cui 
opera 
il 
sistema 
nel 
suo 
complesso, 
nel 
secondo, 
invece, 
il 
reo 
agisce 
sulla 
“materia 
prima”, che sarà poi oggetto dell’attività regolare della macchina. 


All’interno 
del 
reato 
di 
frode 
informatica, 
invece, 
manca 
l’atto 
dispositivo 
da 
parte 
della 
vittima 
poichè 
il 
reo si 
avvale 
unicamente 
della 
macchina 
essendo 
la 
vittima 
spesso 
ignara 
dell’attività 
criminosa. 
La 
Suprema 
corte 
ha 
infatti 
sottolineato 
come 
“il 
reato 
di 
frode 
informatica 
si 
distinguerebbe 
da 
quello di 
truffa, perché 
l’attività fraudolenta dell’agente 
investe 
non una persona, 
quale 
soggetto passivo della stessa, di 
cui 
difetta l’induzione 
in errore, 
ma il 
sistema informatico di 
pertinenza della medesima, attraverso la manipolazione 
di 
tale 
sistema […]”(3) e 
ancora 
“l’attività fraudolenta dell’agente 
investe 
non la persona (soggetto passivo), bensì 
il 
sistema informatico (significativa 
è 
la mancanza del 
requisito della “induzione 
in errore”) che 
gli 
per-
tiene è 
[…]” (4). 


La 
truffa 
è, 
inoltre, 
un 
reato 
di 
evento 
in 
quanto 
si 
consuma 
al 
verificarsi 
del 
duplice 
presupposto 
dell’ingiusto 
profitto 
e 
dell’altrui 
danno. 
il 
primo 
non 
pone 
particolari 
problemi 
interpretativi, 
dato 
che 
può 
constare 
in 
qualsiasi 
utilità, 
non 
necessariamente 
patrimoniale. 
Molto 
più 
problematico 
risulta 
essere 
la 
questione 
relativa 
al 
significato 
da 
attribuire 
all’altrui 
danno, 
dove 
è 
riscontrabile 
la 
presenza 
di 
due 
letture 
alternative: 
quella 
giuridica 
e 
quella 
economico-patrimoniale. 
La 
prima, 
partendo 
dall’assunto 
secondo 
cui 
il 
patrimonio 
è 
costituito 
dall’ 
“insieme 
di 
beni 
economicamente 
valutabili 
facenti 
capo 
ad 
un 
soggetto” 
(5), 
giunge 
a 
considerare 
danno 
solo 
la 
depauperazione 
patrimoniale 
effettiva, 
avendo 
come 
effetto 
quello 
di 
preservare 
nel 
reato 
di 
truffa 
la 
struttura 
originaria 
voluta 
dal 
legislatore: 
quella 
di 
un 
reato 
di 
danno. 
Nel 
caso 
della 
frode 
informatica, 
l’orientamento 
della 
giurisprudenza 
tende 
a 
divergere 
significativamente 
(6) 
da 
quello 
della 
dottrina 
identificando 
il 
danno 
come 
qualsiasi 
situazione 
di 
natura 
sfavorevole 
al-
l’insieme 
dei 
rapporti 
giuridici 
riferibili 
ad 
un 
soggetto, 
prescindendo 
da 
una 
deminutio 
patrimonii 
effettiva, 
ed 
in 
tal 
senso 
avvicinando 
la 
frode 
informatica 
all’area 
dei 
reati 
di 
pericolo. 


Per 
quanto 
concerne 
l’elemento 
soggettivo, 
esso 
assume 
la 
veste 
del 
dolo 
generico 
e, 
come 
tale, 
investe 
tutti 
gli 
elementi 
costitutivi 
della 
fatti


(3) cass. penale, sez. i, sent. 6 maggio 2011, n. 17748. 
(4) cass. penale, sez .vi, sent. 4 ottobre 1999, n. 3065. 
(5) M. GRotto, op. cit., p. 151. 
(6) cass. penale, sez. vi, 4 ottobre 
1999 -14 dicembre 
1999 n. 3065, in Cass. pen., 
2001, 481. 
infine, se 
si 
aderisce 
alla 
concezione 
giuridica 
di 
danno, sarà 
configurabile 
il 
tentativo nella 
frode 
informatica. 

RASSeGNA 
AvvocAtURA 
DeLLo 
StAto -N. 3/2022 


specie. 
È 
interessante 
notare 
come 
esso 
riguardi 
anche 
quelle 
conseguenze 
possibili 
prevedute 
dall’agente: 
di 
conseguenza 
potrà 
configurarsi 
anche 
il 
dolo 
eventuale 
allorquando 
l’agente 
pur 
non 
volendo 
direttamente 
provocare 
l’evento, 
l’abbia 
previsto 
quale 
conseguenza 
possibile 
della 
propria 
condotta. 



ContrIbutIdIdottrIna
Introduzione al giudizio di legittimità civile 


Carlo Maria Pisana* 


Sommario: 1. introduzione 
-2. il 
ricorso per 
cassazione 
-3. Legittimità e 
merito -4. 
Violazione 
o falsa applicazione 
di 
norme 
di 
diritto -5. Nullità della sentenza o del 
procedimento 
- 6. Vizi della motivazione - 7. Cenni sull’autosufficienza - 8. Conclusione. 


1. introduzione. 
Il 
presente 
scritto costituisce 
sostanzialmente 
la 
trascrizione 
delle 
lezioni 
che 
da 
anni 
tengo nell’ambito del 
corso teorico-pratico destinato ai 
praticanti 
dell’Avvocatura 
Generale 
dello Stato, a 
cui 
talvolta 
partecipano avveduti 
giovani 
procuratori 
e 
avvocati 
dello Stato, che 
si 
trovano ad essere 
investiti 
delle 
prime 
cause 
di 
legittimità. Questa 
avvertenza 
valga 
a 
farmi 
perdonare 
lo stile 
didascalico e 
la 
trattazione 
di 
argomenti 
talvolta 
banali, ma 
appunto ho inteso 
scrivere 
una 
“introduzione” 
alla 
affascinante 
materia 
del 
giudizio 
di 
legittimità 
civile 
e 
niente 
di 
più. Spesso si 
rinvengono riferimenti 
agli 
aspetti 
propri 
del 
giudizio per cassazione 
in materia 
tributaria 
e 
ciò per la 
duplice 
ragione 
che 
i 
giudizi 
in tale 
materia 
costituiscono gran parte 
dei 
giudizi 
decisi 
dalla 
Corte 
e 
che 
essi 
hanno assoluto rilievo numerico ed economico per l’Avvocatura 
Generale 
dello Stato, presso cui presto servizio. 


2. il ricorso per cassazione. 
Il 
R.D. 
30 
gennaio 
1941, 
n. 
12 
“Ordinamento 
giudiziario” 
all’art. 
65 
“Attribuzioni 
della corte suprema di cassazione” così si esprime: 


“La corte 
suprema di 
cassazione, quale 
organo supremo della giustizia, 
assicura l'esatta osservanza e 
l'uniforme 
interpretazione 
della legge, l'unità 


(*) Avvocato dello Stato. 



RASSeGnA 
AvvOCAtuRA 
DeLLO 
StAtO -n. 3/2022 


del 
diritto 
oggettivo 
nazionale, 
il 
rispetto 
dei 
limiti 
delle 
diverse 
giurisdizioni; 
regola i 
conflitti 
di 
competenza e 
di 
attribuzioni, ed adempie 
gli 
altri 
compiti 
ad essa conferiti dalla legge. 


La corte 
suprema di 
cassazione 
ha sede 
in roma ed ha giurisdizione 
su 
tutto il 
territorio del 
regno, dell'impero e 
su ogni 
altro territorio soggetto alla 
sovranità dello Stato”. 


Questa 
definizione, così 
precisa, definisce 
il 
ruolo della 
Suprema 
Corte 
e 
allo stesso tempo l’essenza 
di 
quel 
peculiare 
tipo di 
giudizio ad essa 
attribuita 
che, proprio per il 
fatto di 
vertere 
sulla 
“legge”, prende 
il 
nome 
di 
giudizio di 
legittimità, distinguendosi e contrapponendosi al c.d. giudizio di merito. 


Il 
significato di 
questa 
definizione 
e 
della 
predetta 
distinzione 
tra 
fase 
di 
merito e 
fase 
di 
legittimità 
non può essere 
compresa, se 
non facendo almeno 
un cenno alla 
ragione 
storica 
della 
esistenza 
della 
Corte 
di 
Cassazione, quale 
organo del 
potere 
legislativo nella 
Francia 
della 
Rivoluzione, volto a 
fornire 
la corretta interpretazione della legge, intesa quale volontà del popolo. 


Oggi 
la 
Corte 
di 
Cassazione 
è 
divenuta 
indubbiamente 
un organo del 
potere 
giurisdizionale 
e 
costituisce 
anzi, come 
ricorda 
la 
disposizione 
dell’ordinamento 
giudiziario, il 
supremo organo della 
giustizia. Le 
sue 
funzioni 
sono 
infatti 
esercitate 
su istanza 
della 
parte 
del 
giudizio di 
merito, mentre 
un retaggio 
della 
originaria 
funzione 
resta 
nell’istituto del 
ricorso nell’interesse 
della 
legge 
promosso dal 
Procuratore 
Generale 
(art. 363 c.p.c.), che 
non incide 
comunque 
sulle 
parti 
della 
causa 
originaria 
e 
mira 
solo a 
costituire 
un (autorevole) 
precedente giudiziario. 


Ma 
l’originaria 
funzione 
ermeneutica 
resta 
in sostanza 
intatta. La 
Corte 
di 
Cassazione 
non 
può 
infatti 
conoscere 
del 
merito 
della 
causa: 
la 
sua 
funzione 
resta 
circoscritta 
all’accertamento della 
violazione 
della 
norma 
di 
diritto (con 
le precisazioni che faremo). 


3. Legittimità e merito. 
Preliminare 
alla 
disamina 
dei 
singoli 
motivi 
di 
censura 
è 
la 
individuazione 
della 
radicale 
differenza 
che 
si 
pone 
tra 
il 
giudizio di 
legittimità 
e 
il 
giudizio 
di merito. 

Il Giudice di legittimità non può riesaminare il merito della decisione. 


Si 
osservino le 
seguenti 
massime 
di 
giurisprudenza 
e 
stralci 
di 
motivazioni 
di sentenze della Corte: 


“Le 
critiche 
articolate 
dalla 
difesa 
della 
ricorrente 
non 
hanno 
il 
tono 
proprio 
di una censura di legittimità. 

Esse, 
sotto 
l'apparente 
deduzione 
del 
vizio 
di 
violazione 
e 
falsa 
applicazione 
di 
legge, 
di 
mancanza 
assoluta 
di 
motivazione 
e 
di 
omesso 
esame 
circa 
un 
fatto 
decisivo 
per 
il 
giudizio, 
degradano 
in 
realtà 
verso 
l'inammissibile 
richiesta 
a 
questa 
Corte 
di 
una 
rivalutazione 
dei 
fatti 
storici 
da 
cui 
è 
originata 
l'azione 
e 
la 
condanna 
disciplinare 
(cfr. 
Cass., 
Sez. 
Un., 
17 
dicembre 
2019, 
n. 
33373). 



COntRIbutI 
DI 
DOttRInA 


in 
breve, 
la 
complessiva 
censura 
traligna 
dal 
modello 
legale 
di 
denuncia 
di 
un 
vizio 
riconducibile 
all'art. 
360 
c.p.c., 
perchè 
pone 
a 
suo 
presupposto 
una 
diversa 
ricostruzione 
del 
merito 
degli 
accadimenti, 
senza 
neppure 
confrontarsi 
con 
la 
ratio 
decidendi” 
(Cass. 
civ. 
Sez. 
unite 
Sent., 
27 
dicembre 
2019, 
n. 
34476); 


“in sede 
di 
legittimità, è 
inammissibile 
il 
motivo di 
gravame 
che, pur 
lamentando 
una 
violazione 
di 
legge, 
peraltro 
non 
meglio 
chiarita, 
finisce 
per 
contestare 
accertamenti 
e 
valutazioni 
di 
fatto 
compiuti 
dal 
giudice 
di 
appello, 
in contrasto col 
novellato dell'art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c.” 
(Cass. civ. Sez. 
lavoro Ord., 29 gennaio 2020, n. 2004). 

“Con 
la 
proposizione 
del 
ricorso 
per 
cassazione, 
il 
ricorrente 
non 
può 
rimettere 
in discussione, contrapponendone 
uno difforme, l'apprezzamento in 
fatto 
dei 
giudici 
del 
merito, 
tratto 
dall'analisi 
degli 
elementi 
di 
valutazione 
disponibili 
ed in sé 
coerente, atteso che 
l'apprezzamento dei 
fatti 
e 
delle 
prove 
è 
sottratto 
al 
sindacato 
di 
legittimità, 
dal 
momento 
che, 
nell'ambito 
di 
quest'ultimo, 
non 
è 
conferito 
il 
potere 
di 
riesaminare 
e 
valutare 
il 
merito 
della 
causa, 
ma 
solo 
quello 
di 
controllare, 
sotto 
il 
profilo 
logico 
formale 
e 
della 
correttezza giuridica, l'esame 
e 
la valutazione 
fatta dal 
giudice 
di 
merito, cui 
resta riservato di 
individuare 
le 
fonti 
del 
proprio convincimento e, all'uopo, 
di 
valutare 
le 
prove, controllarne 
attendibilità e 
concludenza e 
scegliere, tra 
le 
risultanze 
probatorie, quelle 
ritenute 
idonee 
a dimostrare 
i 
fatti 
in discussione” 
(Cass. civ. Sez. vI - 5 Ordinanza, 7 aprile 2017, n. 9097). 


In definitiva, emerge 
che 
l’esame 
del 
“merito” 
della 
causa, in Francese 
“le 
fond des 
affaires”, non può essere 
conosciuto dal 
giudice 
di 
legittimità. Il 
suo compito non è 
infatti 
quello di 
esercitare 
un terzo grado di 
giudizio, ma 
di 
assicurare 
il 
rispetto della 
legge 
sostanziale 
e 
processuale. Pertanto egli 
resta 
estraneo alla 
ricostruzione 
dei 
fatti 
compiuta 
dal 
giudice 
di 
merito, mediante 
la 
valutazione 
delle 
prove, 
purché 
rispettosa 
dell’onere 
di 
motivazione 
(imposto 
appunto dalla norma processuale). 


La 
richiesta 
di 
esame 
del 
merito, e 
la 
conseguente 
inammissibilità 
del 
ricorso, 
vengono desunte 
dalla 
Corte 
da 
alcuni 
fattori 
indicativi, che 
portano 
alla dichiarazione di inammissibilità. tra questi: 


-la 
richiesta 
della 
parte 
di 
una 
ricostruzione 
alternativa 
dei 
fatti 
(“l'Ufficio si 
è 
limitato a prospettare 
una diversa spiegazione 
dei 
fatti 
e 
delle 
risultanze 
istruttorie 
con 
una 
logica 
alternativa, 
che 
non 
appare 
tuttavia 
come 
l'unica 
possibile” 
Cass. 
civ. 
Sez. 
v, 
Sent., 
23 
novembre 
2016, 
n. 
23795; 
“nella 
sostanza 
parte 
ricorrente, 
lungi 
dal 
denunciare 
una 
effettiva 
violazione 
o 
falsa 
applicazione 
di 
norme 
di 
diritto, che 
presupporrebbe 
una ricostruzione 
della 
vicenda storica quale 
operata dalla sentenza impugnata, invece 
oppone 
una 
diversa ricostruzione 
della medesima vicenda storica, sulla base 
di 
una valutazione 
del 
materiale 
probatorio 
difforme 
da 
quella 
apprezzata 
dai 
giudici 
cui 
compete 
il 
dominio 
esclusivo 
del 
merito, 
così 
invocando 
un 
sindacato 
estraneo 



RASSeGnA 
AvvOCAtuRA 
DeLLO 
StAtO -n. 3/2022 


al 
giudizio di 
legittimità” 
Cass. civ. Sez. lavoro, Ord., 28 novembre 
2019, n. 
31144); 


-la 
mera 
contrapposizione 
della 
propria 
tesi 
difensiva 
rispetto 
a 
quella espressa in 
sentenza 
(“È 
inammissibile 
il 
ricorso per 
Cassazione 
con 
il 
quale 
l'istante 
si 
limita alla mera contrapposizione 
della propria tesi 
difensiva 
rispetto a quella espressa in sentenza, finendo per 
chiedere 
alla S.C. una 
nuova valutazione 
del 
merito della controversia e 
facendo riferimento ad un 
rapporto 
giuridico 
diverso 
da 
quello 
preso 
in 
considerazione 
dal 
giudice” 
Cass. civ. Sez. unite, 4 marzo 2016, n. 4254); 


-le 
censure 
rivolte 
direttamente 
alla 
condotta 
della 
controparte 
e 
non 
alla 
sentenza 
(invero più frequentemente 
compiute 
dalle 
parti 
private, dolendosi 
direttamente dell’operato degli uffici tributari). 


In conclusione, il 
più banale 
errore 
che 
può commettere 
il 
redattore 
del 
ricorso è 
quello di 
riproporre 
le 
proprie 
ragioni, così 
come 
esposte 
nei 
gradi 
di 
merito. egli 
dovrà 
invece 
formulare 
una 
ipotesi 
di 
violazione 
di 
norma 
di 
legge 
sostanziale 
o processuale 
e 
dunque 
“filtrare” 
le 
sue 
ragioni 
attraverso le 
maglie del giudizio di legittimità. 


4. Violazione o falsa applicazione di norme di diritto. 
L’espressione 
spesso 
usata 
come 
una 
inutile 
endiadi 
ha 
in 
realtà 
un 
senso. 
Giova 
pertanto 
puntualizzare 
che 
cosa 
si 
intende 
per 
violazione 
e 
che 
cosa 
per 
falsa applicazione: 


“la 
violazione 
di 
norme 
di 
diritto 
ricorre 
quando 
vi 
sia 
stata 
la 
negazione 


o il 
fraintendimento di 
una disposizione 
di 
legge 
esistente 
o l'affermazione 
di 
una norma inesistente, mentre 
la falsa applicazione 
ricorre 
allorquando una 
norma 
rettamente 
intesa 
sia 
applicata 
ad 
una 
fattispecie 
concreta 
che 
non 
corrisponde 
a quella astratta prevista dalla norma ovvero in modo da giungere 
a conseguenze 
giuridiche 
ad essa contrarie” 
(Cass. civ. Sez. III, 26 settembre 
2005, n. 18782). 
La 
violazione 
deve 
avere 
ad oggetto una 
norma 
del 
diritto obiettivo: 
non 
può trattarsi 
di 
una 
clausola 
contrattuale, salvo CCnL, non di 
una 
mera 
circolare 
della 
P.A. non è 
quindi 
configurabile, come 
talvolta 
fanno gli 
uffici, una 
censura 
per 
violazione 
di 
un 
documento 
di 
prassi 
(“Le 
circolari 
della 
P.a. 
sono 
atti 
interni 
destinati 
ad indirizzare 
e 
disciplinare 
in modo uniforme 
l'attività 
degli 
organi 
inferiori 
e, quindi, hanno natura non normativa, ma di 
atti 
amministrativi, 
sicché 
la 
loro 
violazione 
non 
è 
denunciabile 
in 
cassazione 
ai 
sensi 
dell'art. 360 c.p.c., n. 3” 
Cass. civ. Sez. vI -2 Ordinanza, 10 agosto 2015, n. 
16644; Cass. civ. Sez. v Sent., 19 giugno 2009, n. 14328). 


Come 
posto in evidenza 
nel 
paragrafo che 
precede, a 
pena 
di 
inammissibilità, 
la 
censura 
formulata 
non può attenere 
alla 
ricostruzione 
del 
fatto. essa 
deve 
criticare 
la 
ricostruzione 
della 
fattispecie 
astratta 
della 
norma, non la 
ricostruzione 
della 
fattispecie 
concreta. 
essa 
deve 
cioè 
porre 
un 
problema 
di 
in



COntRIbutI 
DI 
DOttRInA 


terpretazione 
(“2.1. 
al 
riguardo 
è 
appena 
il 
caso 
di 
ricordare 
che 
secondo 
l'insegnamento 
di 
questa Corte, il 
vizio di 
violazione 
di 
legge 
consiste 
nella deduzione 
di 
un'erronea ricognizione, da parte 
del 
provvedimento impugnato, 
della fattispecie 
astratta recata da una norma di 
legge 
e 
implica necessariamente 
un problema interpretativo della stessa; l'allegazione 
di 
un'erronea ricognizione 
della 
fattispecie 
concreta 
a 
mezzo 
delle 
risultanze 
di 
causa 
è, 
invece, 
esterna 
all'esatta 
interpretazione 
della 
norma 
e 
inerisce 
alla 
tipica 
valutazione 
del 
giudice 
di 
merito, 
la 
cui 
censura 
è 
possibile, 
in 
sede 
di 
legittimità, 
solo 
sotto 
l'aspetto 
del 
vizio 
di 
motivazione 
(Cass. 
n. 
195 
del 
2016; 
id. 
n. 
26110 
del 
2015), con la conseguenza che 
costituisce 
causa di 
inammissibilità del 
ricorso 
per 
cassazione 
l'erronea sussunzione 
del 
vizio” 
Cass. civ. Sez. v, 4 novembre 
2016, n. 22433). 


In 
sostanza, 
la 
ricostruzione 
del 
fatto 
compiuta 
espressamente, 
o 
presupposta 
meramente, 
dal 
Giudice 
di 
appello 
deve 
rimanere 
fuori 
dalla 
contestazione. 


È 
necessario individuare 
la 
particolare 
interpretazione 
della 
norma 
fatta 
propria 
dal 
Giudicante 
e 
sottoporla 
a 
critica. La 
ricerca 
della 
ratio decidendi 
è 
forse 
l’aspetto più difficile. Occorre 
porsi 
dal 
punto di 
vista 
del 
Giudicante, 
individuare 
l’elemento 
su 
cui 
ha 
basato 
il 
proprio 
ragionamento, 
e 
qualora 
questo consista 
in una 
norma 
di 
diritto, individuare 
il 
principio di 
diritto, che 
egli 
ha 
inteso applicare. Poi 
si 
sottoporrà 
a 
critica 
tale 
ratio decidendi. Certamente 
una 
propensione 
alla 
schizzofrenia 
aiuterà 
alla 
buona 
redazione 
di 
tale 
tipo di 
censure, ma, se 
si 
vuole 
restare 
lontano dagli 
psichiatri, ci 
si 
potrà 
accontentare 
di 
prestare 
la 
dovuta 
attenzione 
nell’evitare 
di 
porre 
questioni 
meramente 
attinenti 
alla 
prova 
o alla 
ricostruzione 
del 
fatto, le 
quali, come 
si 
è 
detto, non sono sindacabili dal giudice di legittimità. 


5. Nullità della sentenza o del procedimento. 
Si 
tratta 
di 
una 
categoria 
molto eterogenea, in cui 
sono riconducibili 
le 
violazioni 
di 
norme 
processuali. 
tali 
vizi 
sostanziano 
gli 
“errores 
in 
procedendo”: 
cioè ricadenti non sul giudizio, ma sul modo di pervenirvi. 


La 
cognizione 
del 
Giudice 
di 
legittimità 
riguardo 
a 
tali 
censure 
è 
più 
ampia, ricomprendendo anche 
la 
conoscenza 
del 
fatto, purché 
si 
tratti 
ovviamente 
di 
fatto processuale. A 
questa 
sono riconducibili, tra 
le 
altre, le 
censure 
di 
violazione 
dell’art. 
112 
c.p.c. 
per 
omessa 
pronuncia 
su 
un 
capo 
della 
domanda 
e 
di 
ultrapetizione, su cui 
si 
ritiene 
di 
spendere 
due 
parole 
poiché 
sono 
tra le ipotesi più ricorrenti nella prassi. 


omessa pronuncia su un capo della domanda. 

L’ 
omessa 
pronuncia 
su 
un 
capo 
della 
domanda 
si 
risolve 
in 
una 
doglianza 
di 
carenza 
di 
esercizio del 
potere 
giurisdizionale. È 
quindi 
necessario che 
il 
provvedimento invocato sia 
del 
tutto mancato, venendo meno il 
momento volitivo 
della decisione e non soltanto quello argomentativo. 


Alla 
luce 
di 
tale 
principio, si 
deve 
distinguere 
l’istituto dalla 
censura 
di 



RASSeGnA 
AvvOCAtuRA 
DeLLO 
StAtO -n. 3/2022 


omessa 
motivazione 
e 
dall’ipotesi 
in 
cui 
una 
decisione, 
seppure 
inespressa, 
sul punto vi sia comunque stata. 

In proposito: 
“è 
contraddittoria la denuncia, in un unico motivo, dei 
due 
distinti 
vizi 
di 
omessa 
pronuncia 
e 
di 
omessa 
motivazione 
su 
un 
punto 
decisivo 
della controversia. il 
primo, infatti, implica la completa omissione 
del 
provvedimento 
indispensabile 
per 
la 
soluzione 
del 
caso 
concreto 
e 
si 
traduce 
in 
una 
violazione 
dell’art. 
112 
cod. 
proc. 
Civ., 
che 
deve 
essere 
fatta 
valere 
esclusivamente 
a norma dell’art. 360 cod. proc. Civ., n. 4, e 
non con la denuncia 
della 
violazione 
di 
norme 
di 
diritto 
sostanziale, 
ovvero 
del 
vizio 
di 
motivazione 
ex 
art. 360, n. 5, cod. proc. Civ., mentre 
il 
secondo presuppone 
l’esame 
della 
questione 
oggetto di 
doglianza da parte 
del 
giudice 
di 
merito, seppure 
se 
ne 
lamenti 
la soluzione 
in modo giuridicamente 
non corretto ovvero senza adeguata 
giustificazione, e 
va denunciato ai 
sensi 
dell’art. 360, n. 5, cod. proc. 
Civ.” (Cass. Civ. Sez. lavoro, 18 giugno 2014, n. 13866). 


non 
ricorre 
l’omessa 
pronuncia, 
se 
vi 
è 
stata 
decisione 
implicita 
sulla 
domanda. 
In proposito: 
“2.3 Secondo il 
consolidato orientamento giurisprudenziale 
per 
integrare 
gli 
estremi 
del 
vizio di 
omessa pronuncia non è 
sufficiente 
la mancanza di 
un’espressa statuizione 
del 
giudice, ma è 
necessario che 
sia 
stato 
completamente 
omesso 
il 
provvedimento 
che 
si 
palesa 
indispensabile 
alla soluzione 
del 
caso concreto: tale 
ipotesi 
non si 
verifica quando la decisione 
adottata 
comporti 
la 
reiezione 
della 
pretesa 
fatta 
valere 
dalla 
parte, 
anche 
se 
manchi 
in proposito una specifica argomentazione, dovendo ravvisarsi 
una statuizione 
implicita di 
rigetto quando la pretesa avanzata col 
capo 
di 
domanda 
non 
espressamente 
esaminato 
risulti 
incompatibile 
con 
l’impostazione 
logico-giuridica 
della 
pronuncia” 
(Cass. 
Civ. 
Sez. 
v, 
Sent., 
29 
novembre 
2019, n. 31333). 


ultrapetizione. 


Da 
“ultra petita”, in Latino: 
al 
di 
là 
di 
ciò che 
è 
stato chiesto. La 
presente 
censura 
si 
radica 
nel 
fatto 
che 
il 
giudizio 
civile, 
nonché 
quello 
tributario 
-sebbene 
connotato da 
indubbi 
profili 
pubblicistici 
-sono giudizi 
“di 
parti”, ossia 
rimessi 
al 
principio 
della 
domanda 
di 
parte, 
che 
costituisce 
l’impulso 
e 
il 
limite 
della 
res in iudicio deducta. 

In sostanza, il 
giudice 
di 
merito, interferendo nel 
potere 
dispositivo delle 
parti, altera 
gli 
elementi 
obiettivi 
dell’azione, petitum 
e 
causa petendi, e, sostituendo 
i 
fatti 
costituitivi 
della 
pretesa, emette 
un provvedimento diverso da 
quello richiesto ovvero attribuisce 
o nega 
un bene 
della 
vita 
diverso da 
quello 
conteso. Spesso tale 
violazione 
si 
accompagna 
alla 
violazione 
dell’art. 57 del 
D.lgs. 546/1992 e 
dell’art. 345 c.p.c., allorché 
in appello la 
CtR (rectius 
la 
Corte 
di 
Giustizia 
tributaria 
di 
secondo 
grado) 
accolga 
un 
motivo 
non 
proposto 
in prime cure. 


In 
proposito, 
puntualizza 
la 
Corte: 
“ricorre 
allorché 
il 
Giudice 
di 
appello 
accoglie 
una 
domanda 
del 
tutto 
diversa 
da 
quella 
formulata 
in 
prime 
cure 
dai 



COntRIbutI 
DI 
DOttRInA 


contribuenti, 
la 
quale 
presuppone 
pertanto, 
l’accertamento 
di 
fatti 
rimasti 
fino 
a quel momento estranei al thema decidendum. 


La 
decisione 
contrasta 
pertanto 
con 
i 
principi 
in 
materia 
di 
ultrapetizione 
che 
impongono 
al 
giudicante 
di 
pronunciarsi 
nei 
limiti 
della 
domanda 
identificata 
dal 
petitum 
e 
dalla 
causa 
petendi. 
Siffatti 
limiti 
posti 
alla 
cognizione 
del 
giudice 
sono 
ancor 
più 
stringenti 
in 
un 
processo 
di 
impugnazione-merito 
quale 
quello 
tributario. 
La 
disciplina 
dettata 
dal 
dlgs. 
31 
dicembre 
1992 
n. 
546 
impernia 
infatti 
il 
meccanismo 
d’instaurazione 
del 
processo 
sull’impugnazione 
del 
provvedimento 
impositivo, 
volta 
ad 
ottenere 
il 
sindacato 
giurisdizionale 
sulla 
legittimità 
formale 
e 
sostanziale 
del 
medesimo. 
Ne 
deriva 
che 
l’indagine 
sul 
rapporto 
tributario 
è 
limitata 
ai 
motivi 
di 
contestazione 
dei 
presupposti 
di 
fatto 
e 
di 
diritto 
della 
pretesa 
dell’amministrazione, 
nonché 
degli 
elementi 
del 
fatto 
costitutivo 
che 
il 
contribuente 
deve 
specificatamente 
dedurre 
nel 
ricorso 
introduttivo 
di 
primo 
grado” 
(Cass. 
Civ. 
Sez. 
v, 
11 
marzo 
2016, 
n. 
4775). 


6. Vizi della motivazione. 
Oggi essi sono individuati dal novellato n. 5 dell’art. 360 c.p.c.: 


“5) per 
omesso esame 
circa un fatto decisivo per 
il 
giudizio che 
è 
stato 
oggetto di discussione tra le parti”. 


La 
modifica 
della 
formulazione 
dell’art. 
360 
n. 
5 
è 
stata 
apportata 
ad 
opera 
delle 
disposizioni 
modificative 
del 
codice 
di 
procedura 
civile 
contenute 
nel 
D.L. 22 giugno 2012, n. 83, c.d. Decreto crescita 
convertito con modificazioni, 
dalla L. 7 agosto 2012, n. 134. 

Sarebbe 
però 
errato 
ritenere 
che 
la 
sopra 
richiamata 
formulazione 
racchiuda 
ogni 
tipo di 
vizio incidente 
sulla 
motivazione 
suscettibile 
di 
determinare 
la nullità della sentenza impugnata. Infatti, la Corte insegna che: 


“15. 
Si 
può 
quindi 
affermare 
il 
seguente 
principio 
di 
diritto: 


La 
riformulazione 
dell'art. 
360 
c.p.c., 
n. 
5), 
disposta 
con 
il 
D.L. 
22 
giugno 
2012, 
n. 
83, 
art. 
54, 
convertito 
con 
modificazioni, 
dalla 
L. 
7 
agosto 
2012, 
n. 
134, 
secondo 
cui 
è 
deducibile 
esclusivamente 
l'"omesso 
esame 
circa 
un 
fatto 
decisivo 
per 
il 
giudizio 
che 
è 
stato 
oggetto 
di 
discussione 
tra 
le 
parti", 
deve 
essere 
interpretata, 
alla 
luce 
dei 
canoni 
ermeneutici 
dettati 
dall'art. 
12 
preleggi, 
come 
riduzione 
al 
minimo 
costituzionale 
del 
sindacato 
sulla 
motivazione 
in 
sede 
di 
giudizio 
di 
legittimità, 
per 
cui 
l'anomalia 
motivazionale 
denunciabile 
in 
sede 
di 
legittimità 
è 
solo 
quella 
che 
si 
tramuta 
in 
violazione 
di 
legge 
costituzionalmente 
rilevante 
e 
attiene 
all'esistenza 
della 
motivazione 
in 
sè, 
come 
risulta 
dal 
testo 
della 
sentenza 
e 
prescindendo 
dal 
confronto 
con 
le 
risultanze 
processuali, 
e 
si 
esaurisce, 
con 
esclusione 
di 
alcuna 
rilevanza 
del 
difetto 
di 
"sufficienza", 
nella 
"mancanza 
assoluta 
di 
motivi 
sotto 
l'aspetto 
materiale 
e 
grafico", 
nella 
"motivazione 
apparente", 
nel 
"contrasto 
irriducibile 
fra 
affermazioni 
inconciliabili", 
nella 
"motivazione 
perplessa 
ed 
obiettivamente 
incomprensibile"” 
(Cass. 
civ. 
Sez. 
unite, 
Sent., 
7 
aprile 
2014, 
n. 
8053). 



RASSeGnA 
AvvOCAtuRA 
DeLLO 
StAtO -n. 3/2022 


In 
sostanza, 
pur 
dopo 
la 
modifica 
in 
senso 
restrittivo 
del 
n. 
5 
dell’art. 
360 


c.p.c. 
permangono 
altre 
anomalie 
motivazionali 
denunziabili, 
che 
ricadono 
sotto altri motivi di ricorso previsti da altri numeri dell’art. 360 cpc. 


Figure di vizio motivazionale riconducibili a altri motivi. 


Al 
di 
fuori 
della 
stretta 
previsione 
del 
n. 
5 
dell’art. 
360 
c.p.c., 
il 
vizio 
mo


tivazionale 
continua 
a 
rilevare 
quando si 
traduca 
in una 
violazione 
di 
norma 
processuale 
denunziabile 
ex n. 4 dell’art. 360 c.p.c. La 
sentenza 
sopra 
commentata 
individua quattro figure di carenza motivazionale: 


- "mancanza assoluta di motivi sotto l'aspetto materiale e grafico", 
- "motivazione apparente", 
- "contrasto irriducibile fra affermazioni inconciliabili", 
- "motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile". 
tali 
fattispecie 
costituiscono una 
violazione 
dell’art. 132 n. 4 c.p.c., che 
prevede 
l’obbligo della 
motivazione 
come 
elemento della 
sentenza. Si 
rilevi 
che 
la 
censura 
deve 
riguardare 
la 
motivazione 
in 
sé, 
prescindendo 
dal 
confronto 
con le 
risultanze 
processuali 
(differisce 
in ciò dalla 
fattispecie 
prevista 
dal codice di procedura penale dell’art. 606 lett. e) c.p.p.). 


(Sui 
limiti 
di 
ammissibilità 
del 
vizio 
motivazionale 
anche: 
Cass. 
civ. 
Sez. 
III Ord., 23 aprile 
2020, n. 8108; 
Cass. civ. Sez. v, 28 maggio 2020, n. 10118; 
Cass. civ. Sez. unite, Sent., 4 aprile 2016, n. 13577). 


Le quattro figure. 


- "mancanza assoluta di motivi sotto l'aspetto materiale e grafico". 
Pur possibile 
e 
talvolta 
rinvenuta, è 
in realtà 
un’ipotesi 
meno frequente. 
La 
carenza 
assoluta 
potrà 
piuttosto 
ricorrere 
in 
relazione 
a 
una 
particolare 
questione 
di 
fatto, di 
cui 
sia 
data 
per scontata 
la 
risoluzione 
in senso sfavorevole. 
A 
tal 
fine 
è 
necessaria 
un’attenta 
analisi 
del 
testo 
della 
sentenza 
da 
impugnare. 


- "motivazione apparente". 
Ricorre 
ogni 
qualvolta 
la 
motivazione 
si 
risolva 
in un’affermazione 
tautologica 
e 
quindi 
esiste 
sul 
piano 
grafico, 
ma 
non 
su 
quello 
logico. 
In 
proposito 
la Corte così si esprime: 


“il 
contenuto di 
specie 
della dichiarazione 
motivazionale 
deve 
comprendere 
sia il 
racconto del 
processo dinamico di 
formazione 
dell'atteggiamento 
psicologico 
del 
dichiarante 
(il 
giudizio 
nel 
caso 
della 
sentenza), 
sia 
il 
racconto 
del 
risultato del 
passaggio logico dall'ignoranza -iniziale 
posizione 
statica alla 
conoscenza sotto la specie 
del 
giudizio -posizione 
statica finale 
-, che 
è 
l'approdo statico dell'attività di 
acquisizione 
della conoscenza intorno all'oggetto” 
(Cass. civ. Sez. v, 21 gennaio 2009, n. 1450). 


- "contrasto irriducibile fra affermazioni inconciliabili". 
Il 
contrasto può ricorrere 
tra 
motivazione 
e 
dispositivo o tra 
affermazioni 
contenute 
all’interno 
della 
motivazione. 
In 
questa 
sede, 
sia 
sufficiente 
evidenziare 
che 
deve 
trattarsi 
di 
contrasto insanabile, ossia 
non risolvibile 
in via 
interpretativa, 
e 
tale 
da 
rendere 
impossibile 
la 
comprensione 
del 
comando 
in 
cui 



COntRIbutI 
DI 
DOttRInA 


si 
deve 
sostanziare 
la 
decisione. 
La 
Corte 
in 
proposito 
insegna: 
"il 
vizio 
di 
contraddittoria 
motivazione 
presuppone 
che 
le 
ragioni 
poste 
a fondamento della 
decisione 
risultino 
sostanzialmente 
contrastanti 
in 
guisa 
da 
elidersi 
a 
vicenda 
e 
da non consentire 
l'individuazione 
della ratio decidendi” 
(Cass. civ. Sez. v, 
22 dicembre 2014, n. 27198). 


- "motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile". 
Figura 
poco riconducibile 
a 
un rigoroso quadro sistematico. Infatti, l’illogicità 
e 
la 
obiettiva 
incomprensibilità 
delle 
ragioni 
sottese 
alla 
sentenza 
sono 
il 
carattere 
che 
accomuna 
tutte 
le 
ipotesi 
di 
vizio motivazionale 
sopra 
esaminate. 
Se 
considerata 
autonomamente, 
essa 
si 
risolve 
in 
una 
estrema 
fattispecie 
di 
illogicità, 
la 
cui 
prospettazione 
resta 
comunque 
rischiosa 
perché 
può 
portare 
facilmente a non consentite censure di merito. 


omessa valutazione di un fatto controverso e decisivo 360 n. 5 c.p.c. 
La 
Corte 
stessa 
ha 
puntualizzato quali 
elementi 
devono trovare 
puntuale 
esposizione ai fini dell’ammissibilità della presente censura: 
“L' 
art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, riformulato dal 
D.L. 22 giugno 2012, 


n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, introduce 
nell'ordinamento 
un vizio specifico denunciabile 
per 
cassazione, relativo all'omesso esame 
di 
un 
fatto 
storico, 
principale 
o 
secondario, 
la 
cui 
esistenza 
risulti 
dal 
testo 
della 
sentenza o dagli 
atti 
processuali, che 
abbia costituito oggetto di 
discussione 
tra le 
parti 
e 
abbia carattere 
decisivo (vale 
a dire 
che, se 
esaminato, avrebbe 
determinato un esito diverso della controversia). Ne 
consegue 
che, nel 
rigoroso 
rispetto 
delle 
previsioni 
dell'art. 
366 
c.p.c., 
comma 
1, 
n. 
6, 
e 
art. 
369 
c.p.c., 
comma 
2, 
n. 
4, 
il 
ricorrente 
deve 
indicare 
il 
"fatto 
storico", 
il 
cui 
esame 
sia 
stato 
omesso, 
il 
"dato", 
testuale 
o 
extratestuale, 
da 
cui 
esso 
risulti 
esistente, 
il 
"come" 
e 
il 
"quando" 
tale 
fatto sia stato oggetto di 
discussione 
processuale 
tra le 
parti 
e 
la sua "decisività", fermo restando che 
l'omesso esame 
di 
elementi 
istruttori 
non integra, di 
per 
sè, il 
vizio di 
omesso esame 
di 
un fatto decisivo 
qualora il 
fatto storico, rilevante 
in causa, sia stato comunque 
preso in 
considerazione 
dal 
giudice, 
ancorchè 
la 
sentenza 
non 
abbia 
dato 
conto 
di 
tutte 
le risultanze probatorie”. 
È 
pertanto essenziale 
che 
il 
redattore 
del 
ricorso per cassazione, quando 
intenda 
valorizzare 
un vizio motivazionale 
ex n. 5, abbia 
cura 
di 
indicare 
distintamente: 


-il 
"fatto storico", il 
cui 
esame 
sia 
stato omesso: 
dovrà 
trattarsi 
quindi 
di 
un 
fatto 
e 
non 
di 
un 
giudizio 
(in 
sostanza 
non 
potrà 
indicarsi 
“l’inesistenza 
delle 
operazioni 
documentate 
in 
fattura”) 
e 
tale 
fatto 
dovrà 
essere 
puntualmente 
individuabile 
(quindi 
non 
potrebbe 
dedursi 
“la 
condotta 
fraudolenta 
della società”); 
-il 
"dato", testuale 
o extratestuale, da 
cui 
esso risulti 
esistente, cioè 
il 
documento 
da cui risulta il fatto non valutato; 
-“come" 
e 
il 
"quando" 
tale 
fatto sia 
stato oggetto di 
discussione 
proces

RASSeGnA 
AvvOCAtuRA 
DeLLO 
StAtO -n. 3/2022 


suale, 
si 
dovrà 
indicare 
cioè 
la 
sede 
processuale 
in 
cui 
è 
avvenuta 
la 
produzione 
del 
documento da 
cui 
emerge 
il 
fatto e 
le 
diverse 
posizioni 
assunte 
riguardo al 
fatto dalle parti; 


-la 
decisività: 
il 
fatto pretermesso deve 
essere 
sufficiente 
di 
per sé 
solo a 
imporre in modo univoco, se valutato, una decisione di segno opposto. 
doppia conforme. 


La 
trattazione 
delle 
censure 
motivazionali 
non 
può 
prescindere 
dalla 
preclusione 
alla 
impugnazione 
per omessa 
valutazione 
di 
fatto decisivo e 
controverso 
introdotta 
dall’art. 348-ter 
c.p.c. (introdotto dalla 
lett. a) del 
comma 
1 
dell'art. 54, D.L. 22 giugno 2012, n. 83), il quale così recita: 


“4. Quando l'inammissibilità è 
fondata sulle 
stesse 
ragioni, inerenti 
alle 
questioni 
di 
fatto, poste 
a base 
della decisione 
impugnata, il 
ricorso per 
cassazione 
di 
cui 
al 
comma precedente 
può essere 
proposto esclusivamente 
per 
i 
motivi di cui ai numeri 1), 2), 3) e 4) del primo comma dell'articolo 360. 

5. 
La 
disposizione 
di 
cui 
al 
quarto 
comma 
si 
applica, 
fuori 
dei 
casi 
di 
cui 
all'articolo 
348-bis, 
secondo 
comma, 
lettera 
a), 
anche 
al 
ricorso 
per 
cassazione 
avverso 
la 
sentenza 
d'appello 
che 
conferma 
la 
decisione 
di 
primo 
grado”. 
tralasciando 
il 
commento 
della 
disposizione 
per 
la 
parte 
riguardante 
il 
giudizio 
di 
appello, 
qui 
rileva 
osservare 
che 
il 
comma 
4 
preclude 
l’ulteriore 
impugnazione 
dell’ordinanza 
per 
il 
vizio 
di 
cui 
al 
n. 
5 
dell’art. 
360 
c.p.c. 
(omesso 
esame 
di 
fatto 
decisivo 
e 
controverso), 
allorché 
la 
decisione 
di 
appello 
sia 
fondata 
sulle 
medesime 
questioni 
di 
fatto 
poste 
a 
base 
della 
sentenza 
di 
prime 
cure. 
Ora, 
il 
comma 
n. 
5 
ha 
esteso 
tale 
preclusione 
anche 
all’ipotesi 
generale, 
e 
in 
definitiva 
estranea 
al 
particolare 
meccanismo 
di 
decisione 
dell’appello 
descritto 
dalla 
norma, 
in 
cui 
la 
decisione 
di 
secondo 
grado 
non 
sia 
una 
mera 
ordinanza 
di 
inammissibilità 
di 
cui 
all’art. 
348 
bis 
c.p.c., 
ma 
sia 
una 
vera 
e 
propria 
sentenza 
basata 
sulle 
medesime 
ragioni 
di 
fatto 
della 
sentenza 
di 
prime 
cure. 


Giova 
pertanto puntualizzare 
quali 
sono i 
presupposti 
per l’operare 
della 
preclusione processuale in esame. È necessario che la sentenza d'appello: 


a) 
confermi la decisione di primo grado; 
b) 
sia 
fondata 
sulle 
stesse 
ragioni, inerenti 
alle 
questioni 
di 
fatto, poste 
a 
base della decisione impugnata. 
un 
recente 
arresto 
della 
Corte 
ha 
inasprito 
tale 
rigore, 
dichiarando 
che 
l'ipotesi 
di 
«doppia 
conforme», ricorre 
“non solo quando la decisione 
di 
secondo 
grado 
è 
interamente 
corrispondente 
a 
quella 
di 
primo 
grado, 
ma 
anche 
quando le 
due 
statuizioni 
siano fondate 
sul 
medesimo iter 
logico-argomentativo 
in relazione 
ai 
fatti 
principali 
oggetto della causa, non ostandovi 
che 
il 
giudice 
di 
appello abbia aggiunto argomenti 
ulteriori 
per 
rafforzare 
o precisare 
la statuizione 
già assunta dal 
primo giudice” 
(Cass. civ. Sez. vI -2 Ord., 
9 marzo 2022, n. 7724). 


La 
presenza 
di 
decisioni 
sfavorevoli 
in primo e 
secondo grado non deve 
però aprioristicamente indurre a un atteggiamento rinunciatario. 


COntRIbutI 
DI 
DOttRInA 


Infatti, è 
ben possibile 
che, ad un attento esame 
risulti 
che 
una 
delle 
due 
sentenze 
abbia 
omesso di 
compiere 
una 
valutazione 
dei 
fatti, il 
che 
esclude 
la 
ricorrenza 
di 
una 
conferma 
di 
tale 
valutazione 
che 
in realtà 
non vi 
è 
stata. In 
proposito, la 
Corte 
precisa 
che: 
“La disposizione 
di 
cui 
all'art. 348 ter, ultimo 
comma, c.p.c., in base 
alla quale 
non sono impugnabili 
per 
omesso esame 
di 
fatti 
storici 
le 
sentenze 
di 
secondo grado in ipotesi 
di 
c.d. doppia conforme, 
presuppone 
che 
nei 
due 
gradi 
di 
merito le 
"questioni 
di 
fatto" 
siano state 
decise 
in base 
alle 
"stesse 
ragioni", sicché 
la preclusione 
non opera nel 
caso in 
cui 
l'istruzione 
probatoria sia del 
tutto mancata” 
(Cass. civ. Sez. II Ord., 12 
novembre 2019, n. 29222). 


7. Cenni sull’autosufficienza. 
Dopo qualche 
mese 
dal 
mio ingresso in una 
sezione 
dell’Avvocatura 
incaricata 
del 
contenzioso di 
legittimità 
in materia 
tributaria, scherzosamente 
il 
vice 
Avvocato Generale 
in carica 
ebbe 
a 
dirmi: 
“Qui 
sarai 
iniziato ai 
misteri 
dell’autosufficienza del ricorso per cassazione”. 


effettivamente 
si 
tratta 
di 
una 
materia 
oggetto 
di 
decisioni 
oscillanti. 
nell’ambito di 
quella 
che 
vuole 
essere 
soltanto una 
introduzione 
al 
giudizio 
di legittimità si può soltanto fare un fugace cenno a tale complesso tema. 


Sia 
la 
formulazione 
dei 
motivi 
attinenti 
alla 
motivazione, sia 
di 
quelli 
afferenti 
alla 
violazione 
di 
norme 
sostanziali 
o 
processuali 
deve 
attenersi 
al 
principio 
di principio di autosufficienza del ricorso per cassazione. 


esso 
comporta 
che 
il 
ricorso 
medesimo 
debba 
contenere 
tutti 
gli 
elementi 
necessari 
affinché 
il 
Giudice 
possa 
comprendere 
le 
ragioni 
per cui 
si 
chiede 
la 
cassazione 
della 
sentenza 
di 
merito 
e, 
altresì, 
a 
permettere 
la 
valutazione 
della 
fondatezza 
di 
tali 
ragioni, senza 
la 
necessità 
di 
far rinvio ed accedere 
a 
fonti 
esterne 
allo stesso ricorso e, quindi, ad elementi 
o atti 
attinenti 
al 
pregresso 
giudizio di 
merito. tale 
principio impone, quindi, di 
indicare 
specificamente, 
a pena di inammissibilità: 


a) gli atti processuali ed i documenti, su cui il ricorso si fonda; 
b) la sede e la fase processuale, in cui ne è avvenuta la produzione, 
“Sono inammissibili, per 
violazione 
dell'art. 366, comma 1, n. 6, c.p.c., 
le 
censure 
fondate 
su atti 
e 
documenti 
del 
giudizio di 
merito qualora il 
ricorrente 
si 
limiti 
a richiamare 
tali 
atti 
e 
documenti, senza riprodurli 
nel 
ricorso 
ovvero, laddove 
riprodotti, senza fornire 
puntuali 
indicazioni 
necessarie 
alla 
loro individuazione 
con riferimento alla sequenza dello svolgimento del 
processo 
inerente 
alla documentazione, come 
pervenuta presso la Corte 
di 
cassazione, 
al 
fine 
di 
renderne 
possibile 
l'esame, 
ovvero 
ancora 
senza 
precisarne 
la collocazione 
nel 
fascicolo di 
ufficio o in quello di 
parte 
e 
la loro acquisizione 
o 
produzione 
in 
sede 
di 
giudizio 
di 
legittimità” 
(Cass. 
civ. 
Sez. 
unite 
Sent., 27 dicembre 2019, n. 34469). 


L’individuazione 
di 
quali 
siano 
gli 
atti 
e 
documenti 
su 
cui 
il 
ricorso 
si 



RASSeGnA 
AvvOCAtuRA 
DeLLO 
StAtO -n. 3/2022 


fonda 
richiede 
un 
ragionamento 
analitico, 
non 
facile, 
in 
quanto 
nel 
mondo 
reale 
fatto 
e 
diritto, 
realtà 
e 
sua 
rappresentazione, 
prova 
ed 
evento 
provato 
convivono inestricabilmente. 


Alcuni esempi possono aiutare la comprensione della nozione. 


La consulenza tecnica. “in tema di 
ricorso per 
cassazione 
per 
vizio di 
motivazione, la parte 
che 
si 
duole 
di 
carenze 
o lacune 
nella decisione 
del 
giudice 
di 
merito che 
abbia basato il 
proprio convincimento disattendendo le 
risultanze 
degli 
accertamenti 
tecnici 
eseguiti, 
non 
può 
limitarsi 
a 
censure 
apodittiche 
di 
erroneità o di 
inadeguatezza della motivazione 
…, ma, per 
il 
principio di 
autosufficienza del 
ricorso per 
cassazione 
ed il 
carattere 
limitato 
di 
tale 
mezzo di 
impugnazione, è 
per 
contro tenuta ad indicare, riportandole 
per 
esteso, 
le 
pertinenti 
parti 
della 
consulenza 
ritenute 
erroneamente 
disattese, 
ed a svolgere 
concrete 
e 
puntuali 
critiche 
alla contestata valutazione, condizione 
di 
ammissibilità 
del 
motivo 
essendo 
che 
il 
medesimo 
consenta 
al 
giudice 
di 
legittimità... 
” 
(Cass. civ. Sez. I Ord., 3 dicembre 
2020, n. 27702 o Cass. 


civ. Sez. III, 18 luglio 2022, n. 22532 in tema 
di 
responsabilità 
del 
sanitario). 
La relata di 
notifica. 
“Qualora oggetto del 
motivo di 
ricorso per 
cassazione 
sia 
una 
relata 
di 
notifica, 
il 
principio 
di 
autosufficienza 
del 
ricorso 
esige 
la 
trascrizione 
integrale 
della 
relata 
stessa. 
L'omessa 
trascrizione 
della 
relata 
di 
notifica priva il 
ricorso di 
autosufficienza” 
(Cass. civ. Sez. v, 28 febbraio 
2017, n. 5185); 
“Nel 
caso di 
specie 
con un motivo di 
impugnazione 
-il 
quarto 


-si 
denuncia la violazione 
e 
falsa applicazione 
dell'art. 60 del 
D.P.r. n. 600 
del 
1973, 
art. 
139 
c.p.c., 
art. 
21 
del 
D.Lgs. 
n. 
546 
del 
1992, 
per 
aver 
il 
giudice 
d'appello ritenuto invalida la notifica della cartella avvenuta in domicilio diverso 
da 
quello 
anagrafico 
e 
tuttavia 
a 
mani 
di 
persona 
qualificatasi 
come 
madre 
convivente 
del 
destinatario. il 
motivo è 
stato dichiarato inammissibile 
per 
omessa trascrizione 
integrale 
della relata” 
(Cass. civ. Sez. v 
Ord., 11 luglio 
2022, n. 21791). 
La motivazione 
dell’avviso di 
accertamento. 
“Qualora si 
deduca l'assoluta 
carenza 
di 
motivazione 
dell'avviso 
di 
accertamento, 
…, 
il 
ricorso 
è 
inammissibile 
allorché 
non sia stato riportato il 
contenuto della motivazione 
dell'avviso 
di 
accertamento 
per 
violazione 
del 
principio 
di 
autosufficienza 
del 
ricorso medesimo” 
(Cass. civ. Sez. v, 5 ottobre 
2016, n. 19903, 
id. 
Cass. civ. 
Sez. v Ord., 24 giugno 2021, n. 18271). 


Siffatta 
riproduzione 
può aversi 
mediante 
riproduzione 
diretta 
o indiretta 
del 
documento. La 
prima 
consiste 
nel 
riprodurre 
l’immagine 
o il 
testo del 
documento 
nel 
corpo 
del 
ricorso 
per 
cassazione; 
la 
seconda 
nel 
riportarne 
il 
contenuto. 


In proposito: 
“il 
principio di 
autosufficienza del 
ricorso per 
cassazione, 
ex 
art. 366, comma 1, n. 6), c.p.c., è 
compatibile 
con il 
principio di 
cui 
all'art. 
6, 
par. 
1, 
della 
CEDU, 
qualora, 
in 
ossequio 
al 
criterio 
di 
proporzionalità, 
non 
trasmodi 
in un eccessivo formalismo, dovendosi, di 
conseguenza, ritenere 
ri



COntRIbutI 
DI 
DOttRInA 


spettato 
ogni 
qualvolta 
l'indicazione 
dei 
documenti 
o 
degli 
atti 
processuali 
sui 
quali 
il 
ricorso si 
fondi, avvenga, alternativamente, o riassumendone 
il 
contenuto, 
o 
trascrivendone 
i 
passaggi 
essenziali” 
(Cass. 
civ. 
Sez. 
I 
Sent., 
19 
aprile 
2022, n. 12481). nella 
specie, il 
motivo è 
stato ritenuto inammissibile 
per non essere 
stato trascritto neanche 
in estratto il 
contenuto del 
verbale 
di 
udienza, 
individuato 
con 
la 
sola 
indicazione 
della 
data. 
In 
proposito 
anche 
Corte europea diritti dell'uomo Sez. I, 28 ottobre 2021, n. 55064/11. 


Occorre 
però 
porre 
attenzione 
allo 
scopo 
cui 
assolve 
il 
principio 
in 
parola, 
che 
è 
quello di 
semplificare 
l’attività 
nomofilattica 
della 
Corte. tale 
scopo sarebbe 
contraddetto qualora 
nel 
corpo del 
ricorso per cassazione 
fossero riversati 
tutti 
o 
buona 
parte 
degli 
atti 
del 
giudizio 
di 
merito. 
In 
proposito: 
“i 
cd. 
ricorsi 
"assemblati" 
o "farciti" 
o "sandwich" 
implicano una pluralità di 
documenti 
integralmente 
riprodotti 
all'interno 
del 
ricorso, 
senza 
alcuna 
selezione 


o 
rielaborazione 
sintetica 
dei 
loro 
contenuti. 
Tale 
eccesso 
di 
documentazione..., 
viola il 
principio di 
sinteticità che 
deve 
informare 
l'intero processo e, 
soprattutto, 
comporta 
il 
"mascheramento" 
dei 
dati 
effettivamente 
rilevanti” 
(Cass. civ. Sez. v, Sent., 19 dicembre 2019, n. 33915). 
8. Conclusione. 
All’esito 
di 
questa 
introduzione, 
mi 
auguro 
di 
avere 
invogliato 
almeno 
uno 
dei 
miei 
lettori 
ad 
avvicinarsi 
a 
questo 
tema 
difficile 
e 
sensibile, 
o 
almeno 
contribuito a 
dissipare 
quella 
critica 
spesso ricorrente 
tra 
gli 
avvocati 
del 
foro 
di 
merito, riguardo al, mal 
compreso e 
talvolta 
poco studiato, giudizio di 
legittimità. 
Con 
i 
suoi 
limiti 
e 
le 
sue 
indubbie 
aree 
di 
migliorabilità, 
tale 
giudizio 
conserva 
la 
sua 
ormai 
secolare 
funzione 
di 
estremo rimedio avverso gli 
errori 
della 
decisione 
del 
giudice 
di 
merito, il 
cui 
sindacato sul 
fatto deve 
essere 
rispettato. 



RASSeGnA 
AvvOCAtuRA 
DeLLO 
StAtO -n. 3/2022 


La microrigenerazione urbana come esperienza 
di cittadinanza attiva e modello operativo 
della c.d. amministrazione condivisa 


Gaetana Natale* 


Il 
concetto 
di 
cittadino 
si 
sta 
evolvendo 
negli 
ultimi 
tempi 
verso 
una 
nuova 
dimensione 
policentrica 
di 
“cittadino 
protagonista 
e 
co-responsabile 
del 
funzionamento 
della 
res 
publica”. 
Il 
sintagma 
“city 
as 
a 
commons 
” 
(1) 
rende 
efficace 
l’idea 
di 
creare 
nuovi 
moduli 
operativi 
tesi 
ad 
una 
sinergia 
pubblico-
privata 
in cui 
lo Stato apparato e 
Stato comunità, ossia 
il 
Pubblico come 
soggetto e 
il 
Pubblico come 
comunità, stringono “patti” 
per il 
perseguimento 
di 
fini 
di 
interesse 
generali, accedendo a 
una 
visione 
pluralista 
e 
paritaria 
che 
consente 
ai 
cittadini 
di 
cooperare 
attivamente 
per la 
soluzione 
di 
problemi 
riguardanti 
le 
proprie 
comunità. È 
la 
c.d. “gestione 
policentrica urbana” 
volta 
a 
promuovere 
politiche 
concernenti 
i 
beni 
comuni. I riferimenti 
costituzionali 
sono 
facilmente 
individuabili 
negli 
artt. 
2 
e 
118, 
comma 
4 
Cost. 
(c.d. 
principio 
di 
sussidiarietà 
orizzontale), 
nell’art. 
1, 
comma 
2, 
che 
afferma 
il 
principio 
della 
“sovranità popolare”, nell’art. 3, comma 
2, che 
si 
riferisce 
a 
una 
“forma 
di 
partecipazione 
effettiva”, il 
dovere 
di 
“fedeltà”, che 
rievoca 
quello di 
“fiducia”, 
di “cooperazione e collaborazione”. 

una 
simile 
concezione 
del 
cittadino 
nella 
società 
è 
stata 
ben 
delineata 
nell’opera 
di 
F. benvenuti 
“il 
nuovo cittadino. Tra libertà garantita e 
libertà 
attiva” 
del 
1994: 
tale 
autore 
descrive 
l’evoluzione 
da 
una 
forma 
di 
libertà 
passiva, 
intesa 
come 
difesa 
dei 
privati 
al 
cospetto 
dell’autorità, 
a 
una 
forma 
attiva 
idonea 
a 
rendere 
il 
“nuovo” 
cittadino 
protagonista 
co-responsabile 
del 
funzionamento 
della 
res 
publica. 
In tale 
prospettiva 
le 
azioni 
del 
cittadino che 
par


(*) Avvocato dello Stato, Professore 
a 
contratto di 
Sistemi 
Giuridici 
Comparati, Consigliere 
giuridico 
del Garante per la Privacy. 

Il 
presente 
scritto 
è 
la 
relazione 
presentata 
dall’Autrice 
al 
Convegno 
-alla 
presenza 
dell’Avv. 
Gabriella 
Palmieri 
Sandulli, 
Avvocato 
Generale 
dello 
Stato 
e 
dell’illustre 
Prof. 
Paolo 
Stella 
Richter, 
Presidente 
dell’Associazione 
Italiana 
di 
Diritto 
Urbanistico 
-“Il 
governo 
del 
territorio 
nella 
prospettiva 
dello 
sviluppo sostenibile. Il consumo di suolo e la rigenerazione urbana”. 


Nel 
corso del 
Convegno è 
stato presentato il 
libro del 
Prof. Giuseppe 
Andrea Primerano, Il 
consumo 
di 
suolo e 
la rigenerazione 
urbana. La salvaguardia di 
una matrice 
ambientale 
mediante 
uno strumento 
di sviluppo sostenibile, Napoli, Editoriale Scientifica, 2022. 


Il 
Convegno 
si 
è 
tenuto 
presso 
l’Avvocatura 
Generale 
dello 
Stato, 
Sala 
Vanvitelli, 
Giovedì 
24 
novembre 
2022. 


(1) 
S.R. 
FOSteR, 
C. 
IAIOne 
“The 
city 
as 
a 
commons”, 
in 
Yale 
Law 
& 
Policy 
review, 
vol. 
34, 
n. 
2, 
2016, 
287: 
“urban 
reformers 
are 
looking 
beyond 
the 
state 
(and 
for 
that 
matter 
the 
city) 
to 
sublocal 
forms 
of 
resistance 
and 
cooperation, 
to 
make 
claims 
on 
urban 
resources 
and 
city 
space 
as 
a 
“commons”. 

COntRIbutI 
DI 
DOttRInA 


tecipa 
all’esercizio di 
funzioni 
tradizionalmente 
riconducibili 
ai 
pubblici 
poteri, 
superano la 
dimensione 
individuale 
degli 
interessi 
e 
proiettano la 
singolarità 
dell’agere 
in 
un 
contesto 
più 
ampio 
che 
unisce 
doveri 
di 
solidarietà 
e 
valore dell’esistenza individuale. 

In base 
a 
tali 
presupposti 
incentrati 
sul 
c.d. “principio di 
prossimità” 
si 
è 
teorizzata 
un’evoluzione 
della 
forma 
di 
Stato verso la 
“demarchia” 
e, quindi, 
il 
passaggio da 
una 
forma 
di 
democrazia 
rappresentativa 
a 
una 
forma 
di 
democrazia 
governante. tale 
forma 
di 
democrazia 
richiede 
una 
rimodulazione 
del 
concetto di 
“beni 
comuni”e 
di“governance 
urbana”. non a 
caso elinor 
Ostrom 
(la 
premio nobel 
per l’economia 
nel 
2009) nel 
suo famoso libro Governing 
the 
Commons 
del 
1990, divenuto ormai 
un classico contemporaneo 
degli 
studi 
economici, 
ha 
evidenziato 
come 
in 
riferimento 
ai 
beni 
comuni 
abbia 
preso 
corpo 
una 
gestione 
“dal 
basso” 
c.d. 
bottom 
up, 
democratica 
e 
partecipata, 
grazie 
ad 
insiemi 
di 
regole 
inserite 
in 
un 
contesto 
istituzionale 
policentrico. 
nel 
delineare 
un modello ulteriore 
rispetto a 
quello liberista 
e 
statalista, l’autrice 
enuclea 
una 
serie 
di 
principi 
indispensabili 
per la 
conservazione 
e 
l’ottimale 
gestione 
dei 
beni 
comuni 
e, più, in generale 
le 
condizioni 
necessarie 
per 
una 
buona 
e 
duratura 
gestione 
comunitaria 
delle 
risorse: 
a 
tal 
fine, secondo la 
studiosa, 
occorrono 
una 
chiara 
definizione 
dei 
soggetti 
fruitori 
(dunque, 
la 
circoscrizione 
della 
comunità 
titolare) 
e 
delle 
modalità 
d’uso; 
la 
rispondenza 
delle 
regole 
di 
appropriazione 
alle 
condizioni 
locali; 
una 
partecipazione 
ampia 
alla 
gestione 
ed 
alla 
determinazione 
delle 
regole; 
il 
controllo 
attento 
delle 
condizioni 
di 
utilizzo; 
la 
presenza 
di 
un sistema 
di 
sanzioni 
e 
di 
mezzi 
rapidi, efficienti 
ed economici, a 
livello locale, per la 
risoluzione 
delle 
controversie, la 
possibilità di auto-regolamentazione senza ingerenze esterne. 

Se 
applichiamo tali 
regole 
alla 
rigenerazione 
urbana, la 
partnership 
pubblico-
privato si 
sostanzia 
nella 
combinazione 
fra 
momenti 
di 
autorità 
amministrativa 
cristallizzati 
nell’emanazione 
di 
regolamenti 
(si 
pensi 
al 
prototipo 
di 
Regolamento 
sulla 
collaborazione 
tra 
cittadini 
e 
amministrazioni 
per 
la 
cura, 
la 
rigenerazione 
e 
la 
gestione 
condivisa 
dei 
beni 
comuni 
urbani 
elaborato da 
Labsus 
-Laboratorio per la 
sussidiarietà 
del 
20 ottobre 
2020) e 
nuove 
forme 
di 
consenso 
racchiuse 
in 
appositi 
strumenti 
denominati 
“patti 
di 
collaborazione” 
volti 
alla 
definizione 
puntuale 
degli 
interventi 
di 
microrigenerazione. 
In 
virtù 
di 
tali 
patti, 
muta 
il 
modo 
di 
intendere 
la 
“partecipazione”, 
declinabile 
in termini 
di 
“effettivo coinvolgimento”. I cittadini 
attivi 
non si 
limitano ad 
affermare 
le 
proprie 
pretese 
in sede 
procedimentale, ma 
contribuiscono fattivamente 
alla 
soluzione 
di 
problemi 
riguardanti 
beni 
e 
spazi 
urbani, 
cioè 
si 
impegnano 
in prima 
persona 
nella 
realizzazione 
dei 
patti, dopo aver avanzato o 
accolto 
proposte 
sulla 
base 
dell’esercizio 
di 
diritti 
costituzionalmente 
garantiti 
quali 
le 
libertà 
di 
associazione, riunione 
e 
opinione 
che 
portano ad un vero e 
proprio confronto con l’amministrazione locale. 

Le 
ragioni 
non sono necessariamente 
ascrivibili 
al 
fallimento degli 
stru



RASSeGnA 
AvvOCAtuRA 
DeLLO 
StAtO -n. 3/2022 


menti 
di 
pianificazione 
urbanistica 
né 
sono sovrapponibili 
alle 
tradizionali 
attività 
di 
volontariato ex artt. 55 e 
56 del 
d.lgs. n. 117/2017 (Codice 
del 
terzo 
settore) 
sotto 
forma 
di 
co-progettazione, 
co-programmazione, 
accreditamento 
e 
convenzioni. 
La 
rigenerazione 
dal 
basso 
rappresenta 
un 
corollario 
del 
“diritto 
alla 
città” 
fatto valere 
da 
soggetti 
interessati 
a 
costruire 
legami 
di 
comunità 
e, 
in ultima analisi, a migliorare la qualità della loro vita. 


Ma che natura giuridica hanno tali “patti di collaborazione”? 


Possono rientrare 
nella 
nozione 
di 
contratto ad oggetto pubblico ex art. 
11 della 
L. 241/90 o sono atti 
amministrativi 
di 
natura 
non autoritativa? 
Quali 
mezzi 
di 
tutela 
il 
privato può attivare? 
La 
loro natura 
muta 
a 
seconda 
dell’interposizione 
regolamentare o della norma primaria a monte? 


A 
tal 
riguardo occorre 
precisare 
che 
solo la 
Regione 
Lazio (leg. reg. 26 
giugno 2019 n. 10 “Promozione 
dell’amministrazione 
condivisa 
dei 
beni 
comuni”) 
e la Regione 
toscana (leg. reg. 24 luglio 2020 n. 71, “Governo collaborativo 
dei 
beni 
comuni 
e 
del 
territorio”) 
si 
sono 
dotate 
di 
una 
norma 
di 
rango 
primario 
specificamente 
volta 
a 
disciplinare 
la 
microrigenerazione. 
Ciò 
peraltro 
non significa 
che 
altre 
regioni 
non abbiano normato interventi 
lato sensu 
riconducibili 
alla 
stessa: 
si 
pensi 
alle 
previsioni 
regionali 
sul 
riuso 
temporaneo 
di 
immobili 
e 
spazi 
urbani 
abbandonati 
o dismessi 
che 
hanno preceduto l’introduzione 
ad 
opera 
del 
d.l. 
n. 
76/2020 
dell’art. 
23-quater 
del 
d.P.R. 
n. 
380/2021 (2). 

(2) Art. 23 quater 
testo unico edilizia: 
1. 
allo 
scopo 
di 
attivare 
processi 
di 
rigenerazione 
urbana, 
di 
riqualificazione 
di 
aree 
urbane 
degradate, 
di 
recupero e 
valorizzazione 
di 
immobili 
e 
spazi 
urbani 
dismessi 
o in via di 
dismissione 
e 
favorire, nel 
contempo, lo sviluppo di 
iniziative 
economiche, sociali, culturali 
o di 
recupero ambientale, il 
comune 
può consentire 
l'utilizzazione 
temporanea di 
edifici 
ed aree 
per 
usi 
diversi 
da quelli 
previsti 
dal 
vigente 
strumento urbanistico. 
2. L'uso temporaneo può riguardare 
immobili 
legittimamente 
esistenti 
ed aree 
sia di 
proprietà privata 
che 
di 
proprietà 
pubblica, 
purché 
si 
tratti 
di 
iniziative 
di 
rilevante 
interesse 
pubblico 
o 
generale 
correlate 
agli obiettivi urbanistici, socio-economici ed ambientali indicati al comma 1. 
3. L'uso temporaneo è disciplinato da un'apposita convenzione che regola: 
a) la durata dell'uso temporaneo e le eventuali modalità di proroga; 
b) le modalità di utilizzo temporaneo degli immobili e delle aree; 
c) le 
modalità, i 
costi, gli 
oneri 
e 
le 
tempistiche 
per 
il 
ripristino una volta giunti 
alla scadenza della 
convenzione; 
d) le garanzie e le penali per eventuali inadempimenti agli obblighi convenzionali. 
4. La stipula della convenzione 
costituisce 
titolo per 
l'uso temporaneo e 
per 
l'esecuzione 
di 
eventuali 
interventi 
di 
adeguamento che 
si 
rendano necessari 
per 
esigenze 
di 
accessibilità, di 
sicurezza negli 
ambienti 
di 
lavoro e 
di 
tutela della salute, da attuare 
comunque 
con modalità reversibili, secondo quanto 
stabilito dalla convenzione medesima. 
5. L'uso temporaneo non comporta il 
mutamento della destinazione 
d'uso dei 
suoli 
e 
delle 
unità immobiliari 
interessate. 
6. Laddove 
si 
tratti 
di 
immobili 
o aree 
di 
proprietà pubblica il 
soggetto gestore 
è 
individuato mediante 
procedure 
di 
evidenza pubblica; in tali 
casi 
la convenzione 
specifica le 
cause 
di 
decadenza dall'assegnazione 
per gravi motivi. 
7. il 
consiglio comunale 
individua i 
criteri 
e 
gli 
indirizzi 
per 
l'attuazione 
delle 
disposizioni 
del 
presente 

COntRIbutI 
DI 
DOttRInA 


La 
rigenerazione 
dal 
basso 
origina 
da 
iniziative 
spontanee 
e 
consente 
ai 
cittadini 
attivi 
di 
partecipare 
all’istituzione 
di 
nuove 
forme 
collaborative 
collegate 
all’avvertita 
esigenza 
di 
“riappropiarsi” 
di 
beni 
e 
spazi 
urbani 
strumentali 
al 
benessere 
individuale 
e 
collettivo. 
La 
ratio 
della 
microrigenerazione 
riporta 
alla 
genesi 
del 
droit 
à 
la 
ville 
(H. 
Lefebvre 
“Le 
droit 
à 
la 
ville”, 
Paris, 
1968), 
quale 
diritto 
collettivo 
sociale, 
non 
individuale 
(civile) 
che 
si 
traduce 
nell’esercizio 
di 
un 
potere 
collettivo 
sul 
processo 
di 
urbanizzazione. 
un 
diritto, 
quindi, 
che 
consente 
di 
rimeditare 
i 
contesti 
urbani 
come 
luoghi 
di 
ristrutturazione 
delle 
relazioni 
economiche 
e 
sociali 
attraverso 
la 
convergenza 
di 
una 
duplice 
prospettiva, 
strutturale 
(rispetto 
all’opera) 
e 
funzionale 
(rispetto 
alla 
fruizione 
di 
beni 
e 
spazi 
urbani) 
che 
rende 
i 
cittadini 
co-costruttori 
dei 
luoghi 
in 
cui 
vivono. 
In 
tale 
scenario, 
la 
città 
è 
configurabile 
come 
“proiezione 
della 
società 
sul 
territorio” 
e 
il 
diritto 
alla 
città 
si 
presenta 
come 
un 
appello, 
come 
esigenza 
alla 
vita 
urbana 
trasformata 
e 
rinnovata. 
L’esperienza 
dei 
regolamenti 
per 
l’amministrazione 
condivisa 
dei 
beni 
comuni 
urbani, 
finora 
approvati 
da 
quasi 
trecento 
comuni 
italiani, 
è 
senza 
dubbio 
una 
delle 
migliori 
testimonianze 
dell’attualità 
del 
droit 
à 
la 
ville 
che 
pone 
le 
città 
dinanzi 
a 
nuove 
sfide 
da 
affrontare 
in 
sede 
locale 
per 
proiettarsi 
a 
livello 
sovranazionale. 


In tale 
prospettiva, è 
significativo richiamare 
l’art. 1 -rubricato “diritto 
alla 
città” 
-della 
Carta 
europea 
dei 
diritti 
umani 
nella 
città 
adottata 
il 
18 maggio 
2000 
dalla 
Seconda 
Conferenza 
europea 
delle 
città 
per 
i 
diritti 
umani 
(c.d. 
Carta 
di 
Saint 
Denis) 
che, 
premessa 
la 
“definizione” 
di 
città 
come 
“spazio 
collettivo che 
appartiene 
a tutti 
gli 
abitanti, i 
quali 
hanno il 
diritto di 
trovarsi 
le 
condizioni 
necessarie 
per 
appagare 
le 
proprie 
aspirazioni 
dal 
punto 
di 
vista 
politico, sociale 
ed ambientale, assumendo nel 
contempo i 
loro doveri 
di 
solidarietà”, 
riconosce 
in 
capo 
alle 
autorità 
comunali 
il 
compito 
di 
agevolare 
con ogni 
mezzo “il 
rispetto della dignità di 
tutti 
e 
la qualità della vita dei 
loro 
abitanti”. nel 
2005 abbiamo assistito all’adozione 
della 
Carta 
mondiale 
per il 
diritto 
alla 
città, 
antesignane 
della 
più 
recente 
New 
Urban 
agenda 
(2016), 
strettamente 
connessa 
agli 
Obiettivi 
di 
Sviluppo del 
Millennio (MDGs) ed in 
particolare 
all’Obiettivo 11.3 (“potenziare 
un’urbanizzazione 
inclusiva e 
sostenibile 
e 
la capacità di 
pianificare 
e 
gestire 
in tutti 
i 
paesi 
un insediamento 
umano 
che 
sia 
partecipativo, 
integrato 
e 
sostenibile”) 
dell’Agenda 
Onu 
2030. 


La 
città 
si 
eleva 
a 
luogo di 
libero godimento e 
del 
valore 
d’uso: 
il 
diritto 


articolo 
da 
parte 
della 
giunta 
comunale. 
in 
assenza 
di 
tale 
atto 
consiliare 
lo 
schema 
di 
convenzione 
che 
regola l'uso temporaneo è approvato con deliberazione del consiglio comunale. 


8. Le 
leggi 
regionali 
possono dettare 
disposizioni 
di 
maggior 
dettaglio, anche 
in ragione 
di 
specificità 
territoriali o di esigenze contingenti a livello locale. 
F. DI 
LASCIO 
-F. GIGLIOnI 
(a 
cura 
di) “La rigenerazione 
di 
beni 
e 
spazi 
urbani. Contributo al 
diritto 
delle 
città”, Il 
Mulino, 2017; 
e. PICOzzA, “alcune 
riflessioni 
critiche 
sulle 
relazioni 
tra beni 
culturali 
e 
beni comuni” in Scritti per Franco Gaetano Scoca, vol. Iv, napoli, 2020. 

RASSeGnA 
AvvOCAtuRA 
DeLLO 
StAtO -n. 3/2022 


alla 
città 
si 
rimodula 
attraverso una 
nuova 
visione 
degli 
spazi 
pubblici 
urbani, 
infrastrutture, trasporti 
e 
servizi. In questo senso il 
principio di 
sussidiarietà 
orizzontale 
di 
cui 
all’art. 118 comma 
4, Cost., deve 
essere 
letto in combinato 
disposto con l’art. 117, comma 
6, Cost., sulla 
potestà 
regolamentare 
degli 
enti 
locali 
in ordine 
alla 
disciplina 
dell’organizzazione 
e 
dello svolgimento delle 
funzioni 
loro 
attribuite. 
Sono 
tali 
norme 
ad 
aver 
legittimato 
sulla 
base 
dell’idea 
di 
un’amministrazione 
condivisa 
i 
regolamenti 
comunali 
per la 
gestione 
dei 
beni 
comuni 
in cui 
è 
intrinsecamente 
radicata 
l’idea 
di 
poter cambiare 
e 
reiventare 
le 
città 
attraverso meccanismi 
democratici 
alternativi 
volti 
alla 
rivitalizzazione 
di 
beni 
e 
spazi 
urbani 
(si 
pensi 
al 
Regolamento 
tipo 
adottato 
dal 
Comune di bologna sui patti di rigenerazione urbana). 


Occorre, però, rilevare 
che 
i 
regolamenti 
non potrebbero, comunque, assegnare 
ai 
patti 
di 
collaborazione 
una 
funzione 
sostitutiva 
di 
attività 
amministrative. 
Intendere 
i 
cittadini 
come 
co-amministratori 
di 
beni 
e 
spazi 
urbani, 
ovvero 
attribuire 
agli 
stessi 
forme 
condivise 
di 
responsabilità, 
non 
deve 
in 
alcun modo favorire 
prassi 
elusive 
della 
responsabilità 
di 
evidenza 
pubblica 
o 
privare 
gli 
enti 
locali 
della 
titolarità 
dei 
loro 
compiti 
nei 
confronti 
dell’ambiente 
urbano, cioè 
il 
coinvolgimento dei 
cittadini 
attivi 
avviene 
sempre 
a 
titolo 
integrativo 
e 
mai 
sostitutivo, 
in 
ossequio 
alla 
logica 
sussidiaria 
propria 
della 
microrigenerazione. In tal 
senso la 
fonte 
regolamentare 
restituisce 
peso 
al 
decisore 
pubblico, rimettendo ai 
patti 
di 
collaborazione 
la 
regolazione 
del 
rapporto tra 
cittadini 
attivi 
e 
amministrazioni 
locali 
incentrato sulla 
cura 
e 
la 
rigenerazione 
di 
quelli 
che 
vengono abitualmente 
definiti 
“beni 
comuni” 
urbani, 
accezione 
che 
vale 
ad 
indicare 
i 
beni 
materiali, 
immateriali 
e 
digitali 
che 
esprimono “utilità funzionali” 
all’esercizio dei 
diritti 
fondamentali 
della 
persona, 
al 
benessere 
individuale 
e 
collettivo, 
alla 
coesione 
sociale 
e 
alla 
vita 
delle 
generazioni 
future, per i 
quali 
i 
cittadini 
si 
attivano per garantire 
e 
migliorarne 
la 
fruizione 
collettiva 
e 
condividere 
con 
l’amministrazione 
la 
responsabilità 
della loro cura, gestione condivisa o rigenerazione. 

Il 
passaggio concettuale 
del 
bene 
comune 
dalla 
“categoria 
dell’appartenenza 
a 
quella 
della 
funzione”, valorizzata 
dalla 
nota 
pronuncia 
delle 
Sezioni 
unite 
della 
Cassazione 
sulle 
“valli 
di 
pesca” 
(Cass. 
civ., 
sez. 
unite, 
n. 
3665/2011) 
fa 
riemergere 
la 
centralità 
dell’ente 
pubblico. 
esso 
deve 
dimostrarsi 
in grado di 
intercettare 
le 
istanze 
“comunitarie” 
dei 
soggetti 
che 
si 
propongono 
come 
co-amministratori, 
in 
virtù 
di 
un 
principio 
costituzionale 
di 
collaborazione 
civica, incentrato sulla 
natura 
relazionale, il 
valore 
sociale 
del 
bene 
“comune”, 
nonché 
sul 
principio 
di 
buona 
fede 
in 
linea 
con 
l’art. 
1, 
comma 
2 bis 
della 
L. 241/1990, introdotto ai 
sensi 
dell’art. 12, comma 
1, del 
d.l. n. 
76/2020. una 
simile 
configurazione 
del 
bene, strumentale 
al 
godimento di 
libertà 
fondamentali 
dell’individuo ascrivili 
al 
“diritto alla 
città”, non è 
idonea 
a 
mettere 
in 
crisi 
l’impostazione 
del 
codice 
civile 
sulla 
dicotomia 
proprietà 
privata 
-proprietà 
pubblica, 
pure 
in 
considerazione 
di 
una 
possibile 
rilettura 



COntRIbutI 
DI 
DOttRInA 


dell’art. 
838 
c.c., 
piuttosto 
ci 
induce 
a 
ripensare 
il 
ruolo 
delle 
autorità 
pubbliche 


nei contesti urbani e lo sviluppo di esperienze di amministrazione condivisa. 


Ma con quali strumenti giuridici? 


I 
regolamenti 
per 
l’amministrazione 
condivisa 
dei 
beni 
comuni 
urbani 
sono 
prodromici 
alla 
stipula 
dei 
patti 
di 
collaborazione, 
talvolta 
denominati 
“patti 
di 
sussidiarietà” 
o 
“patti 
di 
condivisione” 
tra 
cittadini 
attivi 
ed 
enti 
locali. 
nello specifico, mentre 
i 
primi 
consentono di 
inquadrare 
i 
processi 
di 
rigenerazione 
dal 
basso, 
garantendo 
dignità 
giuridica 
a 
tali 
tecniche 
innovative 
di 
governance 
urbana, 
in 
virtù 
dei 
secondi 
i 
protagonisti 
della 
microrigenerazione 
concordano l’ambito degli 
interventi, ossia 
mettono a 
punto “l’alleanza” 
finalizzata, 
alla 
soluzione 
di 
problemi 
di 
interesse 
generale. Il 
contenuto dei 
patti 
può 
variare 
a 
seconda 
del 
grado 
di 
complessità 
dell’intervento 
di 
cura, 
gestione 
condivisa 
e 
rigenerazione, nonché 
della 
durata 
della 
collaborazione. Soprattutto 
con riferimento alle 
azioni 
più complesse, vuoi 
per la 
dimensione 
del-
l’intervento, 
vuoi 
per 
la 
natura 
del 
bene 
in 
questione, 
la 
previsione, 
nella 
struttura 
organizzativa 
dell’ente, 
di 
un 
apposito 
“ufficio 
per 
l’amministrazione 
condivisa”, si 
rivela 
centrale, agevolando le 
valutazioni 
sulla 
fattibilità, prima 
della co-progettazione e il monitoraggio della loro esecuzione. 


Intorno alla 
natura 
dei 
patti 
di 
collaborazione 
si 
è 
sviluppato un vivace 
dibattito 
dottrinale 
suscettibile 
di 
essere 
illustrato 
alla 
stregua 
di 
diversi 
orientamenti. 
nel 
libro 
del 
Prof. 
Giuseppe 
Andrea 
Primerano 
dal 
titolo 
“il 
consumo 
di 
suolo 
e 
la 
rigenerazione 
urbana. 
La 
salvaguardia 
di 
una 
matrice 
ambientale 
mediante 
uno strumento di 
sviluppo sostenibile" 
nel 
Capitolo Iv, da 
pag. 313 
a 
pag. 
413, 
le 
tesi 
sulla 
natura 
giuridica 
dei 
patti 
di 
collaborazione 
vengono 
esposte 
con 
una 
particolare 
precisione 
descrittiva. 


<1) in base 
al 
primo, si 
sarebbe 
al 
cospetto di 
veri 
e 
propri 
contratti 
con 
“causa solidale”. il 
nomen patti 
evoca la figura contrattuale. L’alleanza tra 
amministrazione 
e 
cittadini 
attivi 
nella 
lotta 
contro 
la 
complessità 
dei 
problemi, 
la 
scarsità 
dei 
mezzi 
per 
la 
loro 
soluzione, 
l’aumento 
delle 
esigenze 
urbane 
sono 
tutti 
fattori 
che 
richiedono 
la 
condivisione 
di 
responsabilità 
e 
risorse, 
la 
quale 
non 
potrebbe 
che 
fondarsi 
su 
strumenti 
giuridici 
paritari. 
Dal 
punto 
di 
vista 
formale, 
l’equiparazione 
dei 
patti 
di 
collaborazione 
ai 
contratti 
di 
diritto privato si 
basa sul 
riconoscimento, in capo alle 
amministrazioni, 
della 
titolarità 
di 
capacità 
giuridica 
generale 
e 
sulle 
disposizioni 
dell’art. 1, comma 1 bis, della L. n. 241/1990. Dal 
punto di 
vista sostanziale, 
detta equiparazione 
è 
sembrata più coerente 
con il 
tentativo di 
affrancare 
la 
partecipazione 
dei 
cittadini 
alla cura e 
rigenerazione 
dei 
beni 
comuni 
urbani 
dalle 
logiche 
del 
diritto pubblico come 
modello tendenzialmente 
verticale. in 
tale 
prospettiva, 
i 
patti 
di 
collaborazione 
rivelerebbero 
la 
loro 
natura 
del 
tutto 
originale, sarebbero concepibili 
come 
contratti 
con causa solidale, in quanto 
destinati 
a 
realizzare 
un 
interesse 
generale 
che 
supera 
quello 
particolare 
proprio 
dell’autonomia negoziale 
delle 
parti. Da una simile 
configurazione 
dei 



RASSeGnA 
AvvOCAtuRA 
DeLLO 
StAtO -n. 3/2022 


patti 
discenderebbe 
una 
più 
lineare 
applicazione 
delle 
norme 
civilistiche 
in 
materia 
di 
obbligazioni 
e 
contratti 
e 
la 
giurisdizione 
del 
giudice 
ordinario 
sulle eventuali controversie. 


2) 
in 
base 
ad 
un’altra 
impostazione 
i 
patti 
di 
collaborazione 
disciplinati 
dai 
regolamenti 
comunali 
avrebbero 
un 
preciso 
aggancio 
normativo 
nel 
nuovo 
codice 
dei 
contratti 
pubblici, 
precisamente, 
nelle 
norme 
concernenti 
gli 
istituti 
di 
partenariato 
sociale, 
ossia 
gli 
artt. 
189 
e 
190 
del 
d.lgs. 
n. 
50/2016 
sugli 
interventi 
di 
sussidiarietà 
orizzontale 
e 
il 
baratto 
amministrativo. 
a 
tale 
stregua 
si 
è 
osservato 
che 
le 
azioni 
dei 
cittadini 
attivi 
possono 
avere 
come 
contropartita 
detrazioni 
fiscali 
in 
ordine 
alle 
spese 
effettuate 
per 
la 
realizzazione 
di 
interventi 
ovvero 
riduzioni 
o 
esenzioni 
di 
tributi 
corrispondenti 
al 
tipo 
di 
attività 
svolta. 
3) 
Una 
terza 
tesi 
giunge 
a 
riconoscere 
ai 
patti 
di 
collaborazione 
la 
natura 
dell’accordo, 
facendoli 
rientrare 
nell’alveo 
dell’art. 
11 
della 
L. 
n. 
241/1990. 
Le 
premesse 
di 
tale 
orientamento 
sono 
almeno 
due: 
la 
rilevanza 
pubblicistica 
del 
patto 
e 
la 
revisione 
critica 
della 
tesi 
che 
equipara 
i 
patti 
a 
fattispecie 
contrattuali. 
in 
primo 
luogo, 
è 
stato 
osservato 
che 
quand’anche 
si 
ritenesse 
la 
clausola 
di 
salvezza 
di 
cui 
all’art. 
1, 
comma 
1-bis, 
della 
L. 
n. 
241/1990 
-secondo 
cui 
< 
la 
pubblica 
amministrazione 
, 
nell’adozione 
di 
atti 
di 
natura 
non 
autoritativa, 
agisce 
secondo 
le 
norme 
di 
diritto 
privato 
salvo 
che 
la 
legge 
disponga 
diversamente> 
-riferibile 
a 
fonti 
normative 
diverse 
dalla 
legge 
statale, 
bisognerebbe 
rilevare 
che 
la 
materia 
contrattuale 
appartiene 
all’ordinamento 
civile, 
per 
cui 
l’articolo 
poc’anzi 
citato 
non 
potrebbe 
legittimare 
un 
regolamento 
a 
fondare 
l’esistenza 
di 
contratti 
di 
diritto 
speciale. 
in 
secondo 
luogo 
è 
stata 
evidenziata 
la 
discrasia 
tra 
finalità 
dei 
patti 
di 
collaborazione 
e 
contratti 
a 
titolo 
oneroso. 
Le 
azioni 
intraprese 
dalla 
cittadinanza 
attiva 
non 
devono 
essere 
rivolte 
a 
scopi 
lucrativi, 
il 
patto 
ha 
una 
causa 
in 
concreto 
diversa 
dal 
contratto 
di 
partenariato 
pubblico-privato 
oneroso. 
Ciò 
anche 
ove 
si 
consideri 
la 
visibilità 
ottenuta 
dai 
cittadini 
in 
questione 
da 
non 
confondere 
con 
l’utile 
immateriale, 
ad 
esempio 
derivante 
dall’esecuzione 
di 
un 
contratto 
di 
sponsorizzazione. 
in 
tali 
casi 
la 
natura 
speculativa 
dell’operazione 
è 
collegata 
a 
finalità 
di 
tipo 
pubblicitario. 
anche 
per 
questi 
ragioni 
è 
necessario 
che 
il 
potere 
locale 
accerti 
preventivamente 
la 
natura 
giuridica 
dell’operazione 
da 
realizzare. 
Pur 
essendoci 
altre 
tesi 
volte 
ad 
un’interpretazione 
estensiva 
dell’art. 
15 
della 
l. 
n. 
241/1990, 
l’attenzione 
si 
è 
in 
prevalenza 
concentrata 
sull’art. 
11 
della 
legge 
generale 
sul 
procedimento 
amministrativo. 
in 
particolare, 
è 
stata 
sottolineata 
la 
funzionalizzazione 
dei 
patti 
di 
collaborazione 
verso 
obiettivi 
di 
cura 
e 
rigenerazione 
dei 
beni 
comuni 
urbani 
destinati 
alla 
fruizione 
collettiva, 
nonché 
il 
vincolo 
dell’ente 
agli 
specifici 
obblighi 
legislativi 
riguardanti 
la 
pubblicità 
e 
la 
trasparenza 
connessi 
a 
una 
responsabilità 
di 
restituzione 
all’intera 
cittadinanza 
dei 
risultati 
della 
propria 
efficienza 
amministrativa. 

COntRIbutI 
DI 
DOttRInA 
251 


L’accordo, 
favorendo 
il 
dialogo 
tra 
soggetto 
pubblico 
e 
privati 
-nella 
loro diversa articolazione 
e 
organizzazione 
-per 
la definizione 
degli 
obiettivi 
e 
delle 
aree 
di 
intervento, 
assumerebbe 
i 
connotati 
di 
uno 
strumento 
operativo 
adattabile 
all’evoluzione 
della 
realtà 
di 
fatto 
e 
al 
sopraggiungere 
di 
nuove 
istanze 
di 
tutela. il 
patto, in sostanza, concluderebbe 
un procedimento disciplinato 
dai 
regolamenti 
comunali 
sull’amministrazione 
condivisa, rivelando 
la 
propria 
natura 
di 
accordo 
atipico 
rientrante 
nella 
categoria 
dell’urbanistica 
consensuale. La difficoltà di 
assimilare 
i 
patti 
di 
collaborazione 
agli 
accordi 
integrativi 
o 
sostitutivi 
di 
provvedimento 
non 
è 
valsa 
a 
impedire 
il 
ricorso 
allo 
schema 
dell’art. 
11 
della 
L. 
241/1990, 
tanto 
da 
essersi 
affermato 
che 
i 
suddetti 
regolamenti 
rappresenterebbero una sorta di 
attuazione 
della citata fonte 
di 
rango primario rilevante 
sotto il 
profilo del 
governo degli 
spazi 
urbani 
e 
del-
l’interazione 
tra 
enti 
locali 
e 
cittadinanza. 
in 
tale 
prospettiva, 
è 
stato 
osservato 
che 
i 
patti 
di 
collaborazione 
sarebbero accordi 
necessitati 
< 
il 
cui 
possibile 
esito 
non 
matura 
nel 
procedimento, 
ma 
prima 
del 
procedimento> 
(3). 
Si 
parla 
di 
accordi 
“necessitati”, 
poiché 
la 
conclusione 
del 
procedimento, 
in 
questi 
casi, non potrebbe 
che 
condurre 
alla stipula di 
un patto, senza l’alternativa 
del 
provvedimento; 
non 
perché 
all’amministrazione 
sia 
astrattamente 
precluso 
un diverso esito, ma in quanto <la collaborazione 
è 
intesa come 
fine 
istituzionale 
in sé>. 


4) 
Un 
altro 
orientamento, 
infine, 
propone 
la 
lettura 
dei 
patti 
di 
collaborazione 
come 
“esercizio 
consensuale 
di 
attività 
amministrativa 
non 
autoritativa” 
(4). 
Tale 
impostazione, 
che 
trova 
conferme 
notevoli 
soprattutto 
nell’originaria 
esperienza 
dei 
regolamenti 
comunali, 
da 
un 
lato 
evidenzia 
le 
criticità 
legate 
agli 
indirizzi 
sopra 
illustrati, 
dall’altro 
mira 
ad 
individuare 
una 
norma 
di 
legge 
in 
grado 
di 
far 
convivere 
due 
anime: 
quella 
autoritativa 
che 
si 
manifesta 
nell’adozione 
della 
fonte 
regolamentare 
e 
quella 
paritaria 
dei 
patti 
di 
collaborazione. 
Le 
principali 
obiezioni 
alla 
configurazione 
dei 
patti 
di 
collaborazione 
come 
atti 
amministrativi 
di 
natura 
non 
autoritativa 
attengono 
sostanzialmente, 
alle 
incertezze 
applicative 
dell’art. 
1, 
comma 
1bis, 
della 
L. 
n. 
241/1990 
e 
al 
significato 
controverso 
del 
concetto 
di 
“autoritatività”. 
Le 
prime 
legate 
al 
travagliato 
iter 
che 
ha 
condotto 
all’approvazione 
della 
L. 
n. 
15/2005 
cui 
si 
deve 
l’introduzione 
del 
suddetto 
comma 
1-bis, 
le 
seconde 
riconducibili 
al 
dibattito 
teorico 
sui 
caratteri 
del 
provvedimento 
amministrativo, 
con particolare 
riguardo alla possibilità di 
scindere 
le 
classiche 
nozioni 
di 
autoritatività 
e 
imperatività, 
l’una 
riferibile 
al 
potere 
amministrativo 
e 
l’altra 
al 
provvedimento>. 
(3) F. GIGLIOnI 
“Le 
città come 
ordinamento giuridico” 
in istituzioni 
del 
Federalismo, 2018, 1, 
29-74 
(4) 
A. 
GIuStI 
“i 
patti 
di 
collaborazione 
come 
esercizio 
consensuale 
di 
attività 
amministrativa 
non 
autoritativa” 
in Quaderni del Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università di Torino, 2020. 

RASSeGnA 
AvvOCAtuRA 
DeLLO 
StAtO -n. 3/2022 


Le 
amministrazioni 
possono perseguire 
i 
fini 
predeterminati 
dalla 
legge 
attraverso 
strumenti 
di 
diritto 
pubblico 
o 
privato, 
ma 
quando 
ricorrono 
agli 
strumenti 
privatistici 
non 
per 
questo 
dismettono 
la 
propria 
veste. 
L’attività 
amministrativa 
si 
traduce 
in 
funzione, 
cioè 
nella 
manifestazione 
dinamica 
del 
potere 
autoritativo. 
Anche 
nella 
fase 
dell’esecuzione 
dei 
contratti 
pubblici, 
ad 
esempio, la 
P.A. conserva 
poteri 
speciali 
in ordine 
alla 
risoluzione 
ex art. 106 
del 
contratto 
di 
appalto 
a 
causa 
di 
una 
modifica 
sostanziale 
che 
avrebbe 
richiesto 
una 
nuova 
procedura 
e 
al 
recesso ex artt. 108 e 
109 o anche 
in materia 
di 
revoca 
delle 
concessioni 
per motivi 
di 
interesse 
pubblico ex art. 176. Pur a 
seguito dell’aggiudicazione 
di 
un contratto di 
appalto o di 
concessione, con la 
conclusione 
della 
fase 
di 
evidenza 
pubblica 
e 
la 
conseguente 
applicazione 
delle 
regole 
di 
diritto 
comune 
sono 
individuabili 
previsioni 
speciali 
volte 
a 
integrare 


o 
sostituire 
quelle 
ordinarie. 
La 
tipizzazione 
della 
figura 
dell’organismo 
di 
diritto 
pubblico, la 
specialità 
delle 
regole 
sulle 
società 
in house 
nel 
panorama 
di 
quelle 
a 
partecipazione 
pubblica, la 
progressiva 
estensione 
del 
regime 
di 
responsabilità 
amministrativa 
nei 
confronti 
di 
soggetti 
legati 
all’ente 
da 
un rapporto 
di 
servizio, la 
garanzia 
dei 
principi 
generali 
fissai 
dall’art. 1 della 
L. n. 
241/1990 
cui 
sono 
tenuti 
i 
soggetti 
privati 
preposti 
all’esercizio 
di 
attività 
amministrative 
costituiscono 
altrettanto 
indici 
che 
depongono 
nel 
senso 
della 
configurabilità 
di “uno statuto giuridico dell’amministrazione” (5). 
Dalla 
qualificazione 
giuridica 
dei 
patti 
di 
collaborazione 
discende 
l’individuazione 
della 
giurisdizione. 
Se 
si 
aderisce 
alla 
tesi 
che 
vuole 
inquadrare 
tale 
tipi 
di 
patti 
nell’art. 11 della 
L. n. 241/1990, non si 
può che 
affermare 
la 
giurisdizione 
esclusiva 
del 
giudice 
amministrativo sulle 
controversie 
concernenti 
la 
sua 
formazione, 
conclusione 
ed 
esecuzione 
a 
norma 
dell’art. 
133, 
comma 
1, 
lett. 
a), 
n. 
2, 
c.p.a. 
e 
anche 
l’equiparazione 
dei 
patti 
di 
collaborazione 
alle 
fattispecie 
contrattuali 
di 
partenariato 
sociale 
amplierebbe 
il 
sindacato 
del 
giudice 
amministrativo, 
data 
l’estensione 
della 
giurisdizione 
esclusiva 
alla 
declaratoria 
di 
inefficacia 
del 
contratto a 
seguito di 
annullamento dell’aggiudicazione 
(art. 133, comma 1, lett. e, n. 1, c.p.a.). 

Se, invece, aderiamo alla 
qualificazione 
sostanziale 
dei 
patti 
di 
collaborazione 
come 
atti 
amministrativi 
di 
natura 
non 
autoritativa 
occorre 
considerare 
le 
azioni 
esperibili 
sotto due 
profili: 
il 
primo riguardante 
i 
cittadini 
che 
aspirano 
ad 
instaurare 
forme 
di 
collaborazione 
finalizzate 
alla 
microrigenerazione, 
il secondo riguardante soggetti terzi presunti danneggiati. 

Sotto il 
primo profilo possono venire 
in rilievo i 
casi 
di 
omessa 
adozione 
del 
regolamento dietro apposita 
richiesta 
di 
parte. Occorre 
considerare 
che 
la 
matrice 
solidaristica 
alla 
base 
degli 
interventi 
di 
microrigenerazione 
non 
fa 
emergere 
doveri 
giuridici 
assistiti 
dal 
carattere 
della 
coercibilità. Così 
come 
i 


(5) F.G. SCOCA 
“autorità e 
consenso” 
in atti 
del 
47° 
Convegno di 
Scienza dell'amministrazione, 
(varenna, villa Monastero 20-22 settembre 2001), Giuffrè, 2002. 

COntRIbutI 
DI 
DOttRInA 


cittadini 
non 
possono 
essere 
costretti 
ad 
attivarsi 
in 
riferimento 
ai 
beni 
comuni 
urbani, analogamente, gli 
enti 
locali 
non sono tenuti 
all’adozione 
dei 
regolamenti 
che 
mirano 
a 
stimolare 
interventi 
integrativi 
e 
non 
sostitutivi 
dei 
compiti 
amministrativi 
di 
cura 
dell’ambiente 
urbano. La 
valorizzazione 
del 
principio 
di 
sussidiarietà 
orizzontale 
non 
esonera 
gli 
enti 
pubblici 
dallo 
svolgimento 
delle 
rispettive 
attività 
istituzionali, nonostante 
queste 
ultime 
potranno essere 
più efficacemente 
modulate 
alla 
luce 
di 
un ausilio “esterno”. Il 
ruolo cooperativo 
dei 
cittadini 
attivi 
non 
viene 
così 
sminuito, 
ma 
ricondotto 
alla 
logica 
propriamente sussidiaria che permea gli interventi di microrigenerazione. 

un caso significativo è 
quello deciso dal 
tAR Lazio, Roma, sez. II, 28 
settembre 
2018 
n. 
9640. 
Due 
comitati 
di 
quartiere 
avevano 
impugnato 
una 
determina 
di 
approvazione 
del 
modulo 
per 
la 
richiesta 
di 
autorizzazione 
allo 
svolgimento 
di 
attività 
di 
volontariato 
per 
la 
manutenzione 
occasionale, 
spontanea 
e 
gratuita 
del 
verde 
cittadino, 
lamentando 
che 
la 
previsione 
dell’autorizzazione 
preventiva 
e 
di 
un’assicurazione 
obbligatoria 
sarebbe 
stata 
idonea 
a 
ledere 
i 
principi 
di 
solidarietà 
e 
sussidiarietà. In realtà, la 
valorizzazione 
della 
dimensione 
orizzontale 
di 
tale 
principio 
< 
non 
implica 
un’abdicazione 
totale 
da 
parte 
degli 
Enti 
rappresentativi 
dal 
compito 
di 
disciplinare 
tale 
attività, 
almeno 
per 
quanto riguarda gli 
aspetti 
entro i 
quali 
la loro attività va coordinata con le 
attività e 
i 
fini 
istituzionali 
degli 
Enti 
direttamente 
rappresentativi 
delle 
collettività, 
giacchè 
la spontaneità che 
anima simili 
azioni 
non può arrivare 
al 
punto da svuotare 
la funzione 
della pubblica amministrazione 
di 
regolamentare 
le 
attività che 
si 
svolgono sul 
proprio territorio per 
la pulizia, la manutenzione 
di 
beni 
e 
aree 
pubbliche 
e 
di 
porzioni 
di 
territorio che 
rimangono, 
comunque, di pertinenza dell’Ente pubblico>. 

vi 
è, 
poi, 
il 
problema 
della 
legittimazione 
attiva 
e 
dell’interesse 
al 
ricorso 
di 
comitati 
e 
associazioni 
spontanee 
di 
cittadini 
che, ai 
fini 
dell’ammissibilità 
del 
ricorso, 
richiede 
l’esistenza 
di 
una 
previsione 
statutaria 
qualificante 
l’obiettivo 
di 
protezione 
come 
compito istituzionale 
dell’organismo, la 
vicinitas 
rispetto 
all’interesse 
sostanziale 
asseritamente 
leso 
dall’amministrazione, 
che 
implica 
consistenza 
organizzativa, adeguata 
rappresentatività 
e 
collegamento 
stabile 
con il 
territorio di 
riferimento, la 
protezione 
temporale 
dell’attività 
da 
cui 
discende 
stabilità 
organizzativa 
(ex 
multis 
Cons. 
Stato, 
sez. 
III, 
1 
luglio 
2020 
n. 
4204). 
È 
poi, 
da 
escludere 
un’eventuale 
azione 
di 
adempimento. 
Il 
giudice 
amministrativo, 
infatti, 
può 
pronunciarsi 
sulla 
fondatezza 
della 
pretesa 
dedotta 
in 
giudizio 
nei 
soli 
casi 
di 
attività 
vincolata 
o 
di 
discrezionalità 
esaurita 
in 
concreto, 
ove 
non 
siano 
necessari 
adempimenti 
istruttori 
che 
debbano 
essere 
compiuti 
dall’amministrazione 
(art. 31, comma 
3, c.p.a.). tali 
presupposti 
appaiono 
inconciliabili 
con 
le 
dinamiche 
dell’amministrazione 
condivisa 
da 
non 
confondere 
con 
l’amministrazione 
consensuale. 
In 
questi 
casi, 
viene 
in 
rilievo 
un potere 
discrezionale 
sull’an 
del 
suo esercizio e, 
allora, 
non è 
ravvisabile 
alcun obbligo di 
provvedere 
da 
assumere 
come 
parametro ai 
fini 
del 
silenzio 



RASSeGnA 
AvvOCAtuRA 
DeLLO 
StAtO -n. 3/2022 


inadempimento, 
con 
la 
conseguente 
impraticabilità 
di 
rimedi 
ulteriori 
come 
l’azione 
di 
condanna 
pubblicistica 
ad un facere 
specifico. Occorre 
precisare 
a 
tal 
riguardo che, per giurisprudenza 
costante, il 
rimedio del 
rito del 
silenzio è 
applicabile 
in 
via 
esclusiva 
all’attività 
provvedimentale 
(ex 
multis, 
Cons. 
Stato, 
sez. III, 1 luglio 2020, n. 4204) e 
va 
escluso nei 
casi 
di 
pretese 
fondate 
sul-
l’esercizio di 
diritti 
soggettivi, ovvero per ottenere 
l’adempimento di 
obblighi 
convenzionali 
o 
la 
stipula 
di 
accordi 
contrattuali. 
I 
presupposti 
per 
l’attivazione 
di 
tale 
rito, dunque, riguardano l’esistenza 
di 
uno specifico obbligo di 
provvedere 
e, appunto, la 
natura 
provvedimentale 
dell’attività 
oggetto della 
sollecitazione 
idonea 
ad incidere, positivamente 
o negativamente, sulla 
posizione 
giuridica 
e 
differenziata 
del 
ricorrente. 
Premessa 
la 
distinzione 
tra 
“regolamenti 
volizioni-azioni” 
e 
“volizioni 
preliminari”, 
andrebbero 
ricondotti 
a 
questa 
seconda 
categoria 
i 
regolamenti 
sulla 
rigenerazione 
dei 
beni 
comuni 
urbani, 
quali 
atti 
normativi 
a 
contenuto astratto e 
programmatico, privi 
di 
autonoma 
efficacia 
lesiva. In presenza 
di 
regolamenti 
volizioni-preliminari, l’indirizzo 
giurisprudenziale 
dominante 
rimane 
fedele 
alla 
logica 
della 
doppia-impugnazione 
del 
regolamento 
e 
degli 
atti 
esecutivi 
(si 
veda 
ex 
multis 
tar 
Lazio, 
Roma, 
sez. III, 5 luglio 2021 n. 7901), nonostante 
pronunce 
inclini 
a 
ritenere 
ammissibile 
la 
disapplicazione 
della 
norma 
regolamentare 
contrastante 
con 
quella 
di 
rango primario in assenza della sua esplicita impugnazione. 

Pur 
riconoscendosi 
la 
natura 
prodromica 
dei 
regolamenti 
sull’amministrazione 
condivisa 
rispetto ai 
patti 
di 
collaborazione, questi 
ultimi 
non costituiscono 
atti 
meramente 
applicativi, 
trattandosi 
degli 
strumenti 
in 
cui 
si 
sostanzia 
la 
partecipazione 
dei 
cittadini 
attivi 
alla 
soluzione 
di 
problemi 
riguardanti 
i 
beni 
comuni 
urbani. L’assenza 
di 
autoritatività, in tali 
casi, rende, 
comunque, impraticabile 
il 
riferimento al 
regime 
della 
doppia 
impugnazione. 
Sempre 
sul 
versante 
della 
tutela 
giurisdizionale 
dei 
cittadini 
interessati 
all’attivazione 
di 
strumenti 
di 
amministrazione 
condivisa, sono ipotizzabili 
situazioni 
di 
omessa 
stipula 
del 
patto 
dovute 
all’inerzia 
dell’organo 
competente. 
La 
natura 
del 
patto 
come 
atto 
amministrativo 
di 
natura 
non 
autoritativa 
esclude 
l’esercizio dell’azione 
avverso il 
silenzio ex artt. 31 e 
117 c.p.a. Resterebbe, 
in 
astratto, 
percorribili 
la 
strada 
dell’esecuzione 
in 
forma 
specifica 
ex 
art. 
2932 


c.c. 
e 
si 
potrebbe 
eventualmente 
ipotizzare 
un’azione 
di 
responsabilità 
precontrattuale 
per lesione del principio di buona fede. 
La 
disciplina 
della 
responsabilità 
precontrattuale 
mira, 
come 
è 
noto, 
a 
tutelare 
l’interesse 
c.d. 
negativo 
a 
non 
venire 
coinvolti 
in 
trattative 
inutili. 
Le 
ipotesi 
possono essere 
le 
più varie. Si 
va 
dall’abbandono delle 
trattative 
senza 
giusta 
causa, ove 
le 
stesse 
siano giunte 
a 
un punto tale 
da 
ingenerare 
il 
coinvincimento 
circa 
la 
loro positiva 
conclusione, all’omessa 
comunicazione 
alla 
controparte 
delle 
cause 
di 
invalidità 
del 
contratto 
conosciute 
fino 
alla 
fattispecie 
di 
dolo incidente. È 
difficile, però, concepire 
come 
l’adozione 
di 
un regolamento 
sui 
beni 
comuni 
urbani 
rappresenti 
un 
evento 
idoneo 
a 
ingenerare 



COntRIbutI 
DI 
DOttRInA 


nell’interlocutore 
dell’ente 
locale 
il 
legittimo affidamento rispetto alla 
futura 
conclusione 
di 
un patto di 
collaborazione. non siamo in presenza 
di 
rapporti 
aventi 
carattere 
sinallagmatico. I patti 
di 
collaborazione 
nascono da 
iniziative 
spontanee 
e 
presuppongono comportamenti 
improntati 
alla 
correttezza. Questo, 
però, non equivale 
a 
riconoscere 
in capo alla 
“controparte” 
una 
pretesa 
in 
ordine alla necessaria stipula di un patto. 

nei 
casi 
di 
diniego espresso, ai 
fini 
della 
stipula 
del 
patto di 
collaborazione 
può essere 
decisivo il 
ruolo dei 
comitati 
di 
conciliazione 
composti 
da 
rappresentanti 
della 
cittadinanza 
attiva, 
del 
Comune 
e 
scelti 
di 
comune 
accordo, 
soprattutto quando vengano in rilievo dispute 
con soggetti 
terzi. In tal 
caso 
la 
tutela 
dei 
terzi 
asseritamente 
lesi 
nella 
propria 
sfera 
giuridico-patrimoniale 
dall’altrui 
collaborazione 
rientrerebbe 
nella 
giurisdizione 
esclusiva 
del 
giudice 
amministrativo sia 
qualora 
si 
optasse 
per l’attrazione 
dei 
patti 
nell’alveo 
dell’art. 11 della 
L. n. 241/1990 sia 
qualora 
si 
volesse 
accedere 
alla 
ricostruzione 
del 
patto 
di 
collaborazione 
come 
atto 
avente 
natura 
non 
autoritativa. 
Sarebbe 
contrario al 
principio di 
economia 
e 
concentrazione 
processuale 
ammettere 
l’impugnazione 
della 
delibera 
di 
approvazione 
del 
patto 
dinanzi 
al 
giudice 
amministrativo per poi 
chiederne 
l’annullamento al 
giudice 
ordinario 
in 
base 
ad 
una 
discutibile 
interpretazione 
estensiva 
dell’art. 
1441 
c.c., 
secondo 
cui 
< 
l’annullamento del 
contratto può essere 
domandato solo dalla parte 
nel 
cui 
interesse 
è 
stabilito dalla legge>. un’opzione 
diversa, fondata 
sull’orientamento 
giurisprudenziale 
che 
ha 
risolto 
il 
problema 
dell’esecuzione 
della 
sentenza 
di 
annullamento 
dell’aggiudicazione 
in 
presenza 
della 
stipulazione 
contrattuale 
(vedi 
Cons. Stato, Ad. plen., 30 luglio 2008 n. 9), sarebbe 
quella 
di 
valorizzare 
il 
nesso di 
presupposizione 
tra 
fonte 
regolamentare, delibera 
di 
approvazione 
e 
patto. A 
tale 
stregua, in sede 
di 
esecuzione 
della 
sentenza 
di 
annullamento 
della 
delibera 
in 
questione, 
l’amministrazione 
dovrebbe 
rilevare 
la 
sopravvenuta 
caducazione 
degli 
effetti 
del 
patto, come 
accade 
nelle 
ipotesi 
di 
annullamento di 
una 
graduatoria 
concorsuale, rispetto agli 
effetti 
del 
contratto 
di 
lavoro, o di 
una 
concessione 
di 
bene 
pubblico implicante 
la 
caducazione 
degli 
effetti 
dell’accordo 
accessivo. 
La 
terza 
via 
sarebbe 
quella 
di 
valorizzare 
le 
misure 
di 
controllo 
o 
di 
monitoraggio 
contemplate 
già 
dalla 
fonte 
regolamentare, ossia 
la 
parte 
potrebbe 
sollecitare 
le 
verifiche 
spettanti 
all’ente 
protagonista 
del 
patto e, in caso di 
inerzia, promuovere 
l’azione 
avverso 
il 
silenzio inadempimento, salva 
la 
possibilità 
di 
impugnare 
il 
provvedimento 
lesivo medio tempore 
adottato, espressione 
di 
attività 
autoritativa. Si 
tratterebbe, infatti, di 
una 
controversia 
riguardante 
l’esercizio di 
pubblico potere 
attratta 
nella 
giurisdizione 
del 
giudice 
amministrativo, a 
norma 
dell’art. 
7, commi 1 4, c.p.a. 

Ma 
come 
potrebbe 
strutturarsi 
la 
tutela 
in caso di 
ricorso al 
partenariato 
sociale 
ex artt. 189 e 
190 del 
d.lgs. n. 50/2016? 
È 
opportuno precisare 
che 
il 
partenariato 
sociale 
e 
il 
baratto 
amministrativo 
devono 
essere 
tenuti 
distinti 



RASSeGnA 
AvvOCAtuRA 
DeLLO 
StAtO -n. 3/2022 


sia 
dai 
contratti 
d’area 
sia 
dai 
patti 
territoriali 
promossi 
e 
redatti 
da 
una 
o più 
amministrazioni, finalizzati allo sviluppo integrato di determinati contesti. 

Il 
partenariato 
sociale 
è 
un 
concetto 
di 
sintesi 
che 
sta 
ad 
indicare 
forme 
di 
collaborazione 
fra 
enti 
territoriali 
e 
cittadini, 
incentivabili 
mediante 
benefici 
fiscali, 
riguardanti 
beni 
funzionali 
all’esercizio 
di 
diritti 
fondamentali 
della 
persona, 
al 
benessere 
individuale 
e 
collettivo, 
alla 
coesione 
sociale 
e, 
come 
tali 
definibili 
“comuni”. 
Gli 
interventi 
di 
sussidiarietà 
orizzontale 
possono, 
in 
primo 
luogo, 
svilupparsi 
sottoforma 
di 
attività 
manutentive 
del 
verde 
pubblico 
urbano 


o 
di 
immobili 
di 
origine 
rurale 
riservati 
ad 
attività 
collettive 
sociali 
e 
culturali 
di 
quartiere 
(con 
esclusione 
degli 
immobili 
ad 
uso 
scolastico 
e 
sportivo) 
ceduti 
all’ente 
locale 
nell’ambito 
delle 
convenzioni 
e 
delle 
norme 
previste 
negli 
strumenti 
urbanistici 
attuativi. 
nel 
rispetto 
dei 
principi 
di 
non 
discriminazione, 
trasparenza 
e 
parità 
di 
trattamento 
è 
riservato 
un 
diritto 
di 
prelazione 
ai 
cittadini 
residenti 
nei 
comprensori 
in 
cui 
insistono 
tali 
beni 
o 
aree, 
i 
quali 
sono 
chiamati 
a 
consorziarsi 
per 
almeno 
il 
66% 
della 
proprietà 
della 
lottizzazione. 
L’art. 189 del 
d.lgs. 50/2016 si 
occupa, in secondo luogo, della 
realizzazione 
di 
opere 
di 
interesse 
locale, allorchè 
gruppi 
di 
cittadini 
organizzati 
possono 
formulare 
all’ente 
competente 
proposte 
operative 
di 
pronta 
realizzabilità, 
con indicazione 
di 
costi 
e 
mezzi 
di 
finanziamento, senza 
oneri 
per l’ente 
medesimo 
che 
provvederà 
sulla 
proposta 
coinvolgendo, 
qualora 
necessario, 
eventuali 
soggetti, 
enti 
e 
uffici 
interessati. 
A 
tal 
fine 
gli 
enti 
locali 
possono 
predisporre 
appositi 
regolamenti 
per disciplinare 
gli 
interventi, analogamente 
a 
quanto 
previsto 
dall’art. 
23 
del 
d.l. 
29 
novembre 
2008 
n. 
185, 
convertito 
dalla 
L. 
28 
gennaio 
2009 
n. 
2, 
sui 
microprogetti 
di 
arredo 
urbano 
o 
di 
interesse 
locale <operati dalla società civile nello spirito della sussidiarietà>. 

Si 
pensi 
all’esperienza 
degli 
orti 
urbani 
o all’esperienza 
“boscoincittà”, 
promossa 
da 
Italia 
nostra 
nel 
Comune 
di 
Milano 
c.d. 
“urban 
forestry”. 
La 
misura 
sulla 
tutela 
e 
la 
valorizzazione 
del 
verde 
urbano 
ed 
extraurbano 
del 
PnRR 
(M2C4.3, Investimento 3.1), rivolte 
principalmente 
alle 
quattordici 
città 
metropolitane, 
include 
lo 
sviluppo 
di 
boschi 
urbani 
e 
periurbani, 
piantando 
almeno 
6.6 
milioni 
di 
alberi 
(per 
6.600 
ettari 
di 
foreste 
urbane), 
sempre 
che 
l’intervento privilegi 
aspetti 
di 
rifunzionalizzazione 
dell’esistente, senza 
ulteriore 
consumo di 
suolo. La 
fattispecie 
contemplata 
dal 
secondo comma 
del-
l’art. 
189 
risulta 
per 
certi 
versi 
accostabile 
ai 
procedimenti 
di 
co-progettazione 
concernenti 
gli 
interventi 
più complessi 
considerati 
dai 
regolamenti 
per l’amministrazione 
condivisa. L’onerosità 
caratterizzante 
gli 
interventi 
di 
sussidiarietà 
orizzontale 
e, più, nello specifico il 
peculiare 
vincolo di 
vicinitas 
di 
cui 
all’art. 
189, 
comma 
1, 
costituiscono 
elementi 
che 
denotano 
divergenze 
sostanziali 
fra 
tali 
strumenti, 
facilmente 
comprensibili 
ove 
si 
consideri 
il 
tenore 
delle 
previsioni 
correlate 
al 
pubblico 
potere: 
emblematiche 
quelle 
sul 
diniego 
espresso o tacito, decorsi 
due 
mesi 
dalla 
presentazione 
della 
proposta 
per la 
realizzazione 
dell’opera 
di 
interesse 
locale, 
impugnabile 
davanti 
al 
giudice 



COntRIbutI 
DI 
DOttRInA 


amministrativo con possibile 
esercizio di 
un’azione 
di 
condanna 
tanto più incisiva, 
sotto il 
profilo del 
sindacato sulla 
fondatezza 
della 
pretesa 
dedotta 
in 
giudizio, 
quanto 
più 
dettagliata 
si 
manifesti 
la 
disciplina 
recata 
dal 
regolamento 
in questione. 

Diversa 
è, 
invece, 
la 
figura 
del 
baratto 
amministrativo 
ex 
art. 
190 
del 
d.lgs. n. 50/2016. Questa 
norma 
a 
seguito del 
correttivo apportato al 
codice 
dal 
d.lgs. 19 aprile 
2017 n. 56 ha 
definitivamente 
sostituito la 
previgente 
disciplina 
posta 
dall’art. 24 del 
d.l. n. 133/2014, la 
quale 
ha 
originato un orientamento 
della 
giurisprudenza 
contabile 
alquanto 
restrittivo. 
Il 
sintagma 
“baratto amminisrativo” 
(6) identifica 
uno scambio in base 
al 
quale 
un ente 
territoriale 
riconosce 
qualcosa 
a 
fronte 
di 
un impegno altrui: 
si 
tratta 
di 
cittadini, 
singoli 
e 
associati, individuati, in relazione 
a 
un <preciso ambito territoriale> 
che, a 
fronte 
di 
una 
riduzione 
o esenzione 
tributaria 
corrispondente 
al 
tipo 
di 
attività 
svolta, 
garantiscono 
< 
la 
pulizia, 
la 
manutenzione, 
l’abbellimento 
di 
aree 
verdi, piazze 
o strade, ovvero la 
loro valorizzazione 
mediante 
iniziative 
culturali 
di 
vario 
genere, 
interventi 
di 
decoro 
urbano, 
recupero 
e 
riuso con finalità 
di 
interesse 
generale, di 
aree 
e 
beni 
immobili 
inutilizzati>. 
Si 
configura 
così 
una 
sorta 
di 
datio 
in 
solutum. 
Il 
valore 
sociale 
degli 
interventi 
sui 
beni 
“comuni” 
non pregiudica 
la 
natura 
onerosa 
del 
baratto e 
l’esistenza 
di 
uno 
scambio 
di 
utilità: 
in 
altri 
termini 
non 
è 
riscontrabile 
la 
gratuità 
che 
connota 
i 
patti 
di 
collaborazione. Ciò significa 
innanzi 
tutto che 
l’ente 
territoriale 
dovrà 
predeterminare 
in sede 
regolamentare 
o nei 
bilanci 
di 
previsione 
annuali, i 
limiti 
di 
importo entro cui 
intende 
accettare 
una 
simile 
riscossione 
tributaria, 
indicando 
le 
ragioni 
culturali, 
economiche 
e 
sociale, 
ma 
anche 
i 
vantaggi 
ambientali 
sottesi 
alla 
propria 
scelta. La 
copertura 
di 
una 
norma 
regolamentare 
costituisce 
una 
garanzia 
per i 
funzionari 
e 
dirigenti 
pubblici 
da 
forme 
di 
responsabilità 
amministrativa. Ciò è 
stato riconosciuto, ad esempio, 
in occasione 
dell’adozione 
di 
un provvedimento di 
concessione 
diretta 
di 
un 
bene 
demaniale 
nei 
confronti 
di 
un’associazione 
a 
un 
prezzo 
inferiore 
a 
quello 
di 
mercato per finalità 
di 
interesse 
culturale 
(cfr. C. conti, sez. giur. Lazio, 18 
aprile 
2017, n. 771). viene 
a 
tal 
proposito in rilievo l’art. 30, comma 
1, del 
d.lgs. 
n. 
50/2016 
secondo 
cui 
l’economicità 
può 
essere 
subordinata 
a 
< 
esigenze 
sociali, nonché 
alla tutela della salute, dell’ambiente, del 
patrimonio 
culturale 
e 
alla 
promozione 
dello 
sviluppo 
sostenibile, 
anche 
dal 
punto 
di 
vista 
energetico>, 
da 
leggere 
in 
combinato 
con 
l’art. 
4 
sui 
principi 
generali 
di 
< 
economicità, 
efficacia, imparzialità, parità di 
trattamento, trasparenza, proporzionalità, 
pubblicità, 
tutela 
dell’ambiente 
ed 
efficienza 
energetica> 
relativi 
all’affidamento dei contratti esclusi. 

(6) R. De 
nICtOLIS, “il 
baratto amministrativo (o partenariato sociale)” 
in La co-città. Diritto 
urbano e 
politiche 
pubbliche 
per 
i 
beni 
comuni 
e 
la rigenerazione 
urbana a 
cura 
di 
P. CHIRuLLI 
e 
C. IA-
IOne, napoli, 2018. 

RASSeGnA 
AvvOCAtuRA 
DeLLO 
StAtO -n. 3/2022 


Occorre, 
però, 
precisare 
che 
l’art. 
190 
del 
d.lgs. 
50/2016 
non 
è 
una 
norma 
volta 
a 
privilegiare 
il 
partenariato sociale, in cui, comunque, si 
sostanzia 
una 
forma 
di 
esternalizzazione 
di 
lavori 
o 
servizi, 
rispetto 
al 
mercato 
o 
all’in 
house 
providing. nella 
fase 
dell’Ermessen, ossia 
nella 
fase 
di 
valutazione 
comparativa 
degli 
interessi 
quello alla 
conservazione 
e 
alla 
corretta 
gestione 
del 
patrimonio 
pubblico 
va 
considerato 
prioritario. 
Il 
principio 
di 
sussidiarietà 
orizzontale 
e 
di 
solidarietà 
va 
applicato sotto il 
profilo della 
c.d. convenienza 
economica. Il 
che 
significa 
valutare, ad esempio se, trattandosi 
di 
bene 
con-
tendibile 
sul 
mercato, 
l’affidamento 
mediante 
procedura 
di 
gara 
sia 
preferibile 
anche 
sotto 
il 
profilo 
dei 
vincoli 
di 
finanza 
pubblica 
che 
gravano 
sugli 
enti 
territoriali, 
ovvero, 
mancando 
una 
simile 
contendibilità, 
se 
il 
baratto 
possa 
assurgere 
a 
formula 
organizzativa 
per lo svolgimento di 
servizi 
non economici 
di 
interesse 
generale, servizi 
che, ai 
sensi 
dell’art. 164, comma 
3, del 
d.lgs. n. 
50/2016 non rientrano nell’ambito di 
applicazione 
codicistica. Gli 
interventi 
di 
decoro urbano, recupero e 
riuso con finalità 
di 
interesse 
generale 
perseguibili 
attraverso 
il 
baratto 
amministrativo 
scontano 
oneri 
fiscali 
la 
cui 
riscossione 
potrebbe 
soddisfare 
altrimenti 
dette 
finalità. ne 
discende 
che 
i 
cittadini 
interessati 
potranno 
solo 
sollecitare 
il 
consiglio 
all’adozione 
della 
delibera, 
avente 
natura 
regolamentare, ai 
sensi 
dell’art. 42, comma 
2, lett. f) del 
tueL 
da 
leggere 
in combinato disposto con l’art. 52 del 
d.lgs. n. 446/1997, sui 
criteri 
e 
le 
condizioni per la realizzazione del contratto di partenariato sociale. 

Il 
riferimento 
ai 
cittadini, 
singoli 
o 
associati, 
contenuto 
nella 
norma 
in 
esame 
non è 
casuale, bensì 
mira 
a 
escludere 
il 
coinvolgimento di 
soggetti 
imprenditori 
che, probabilmente, determinerebbe 
il 
definitivo declino del 
contratto 
in questione 
e 
il 
rischio di 
trovarsi 
al 
cospetto di 
uno strumento idoneo 
a 
favorire 
prassi 
elusive 
delle 
regole 
di 
evidenza 
pubblica. Il 
baratto amministrativo 
è 
un istituto con finalità 
sociali 
in grado di 
incoraggiare 
esperienze 
di 
cittadinanza 
attiva, avuto riguardo ai 
beni 
oggetto degli 
interventi, come 
dimostrano 
gli 
avvisi 
pubblici 
emessi 
sulla 
base 
di 
regolamenti 
comunali 
atti 
a 
stimolare la più ampia partecipazione. 

È 
da 
escludere 
l’assimilazione 
del 
baratto amministrativo agli 
appalti 
e 
concessioni. negli 
artt. 189 e 
190 del 
d.lgs. n. 50/2016 è 
del 
tutto assente 
“la 
centralità del 
criterio di 
allocazione 
del 
rischio operativo di 
gestione” 
che 
è, 
invece, 
il 
punto 
fondante 
della 
nozione 
di 
PPP 
contrattuale. 
La 
nozione 
di 
“operatore 
economico” 
di 
matrice 
europea 
è 
del 
tutto estranea 
alla 
fattispecie 
de 
qua: 
i 
cittadini 
conseguono esenzioni 
o riduzioni 
dei 
propri 
obblighi 
tributari, 
ma 
non si 
tratta 
di 
uno scambio tra 
prestazioni 
equivalenti 
dal 
punto di 
vista 
economico. 
Sono 
forme 
indirette 
di 
finanziamento 
pubblico 
di 
attività 
di 
interesse 
generale 
che 
le 
amministrazioni 
locali 
possono utilizzare 
per implementare 
interventi 
di 
microrigenerazione 
consistenti 
nella 
conservazione 
e 
nella 
valorizzazione 
di 
beni 
comuni 
urbani. 
La 
Corte 
dei 
Conti 
ha, 
però 
fornito 
un’interpretazione 
restrittiva 
dell’art. 
190 
in 
ordine 
alle 
entrate 
extra-tributarie 



COntRIbutI 
DI 
DOttRInA 


e 
ai 
debiti 
fiscali 
pregressi. I principi 
di 
“inerenza” 
e 
“corrispondenza” 
contenuti 
nell’art. 24 del 
d.l. n. 133/2014 ha 
portato ad alcune 
prese 
di 
posizione 
quale 
quella 
della 
Corte 
dei 
conti 
sez. 
reg. 
contr. 
Lomabardia, 
n. 
357/20197QMIG 
del 
24 
settembre 
2019 
incentrate 
sull’indisponibilità 
del-
l’obbligazione 
tributaria 
ex art. 23 Cost. che 
escluderebbe 
la 
possibilità 
di 
ricondurre 
il 
baratto amministrativo nell’alveo dell’art. 1197 c.c. c.d. datio in 
solutum. È 
stato, infatti, evidenziato che 
la 
capacità 
generale 
della 
p.a. è 
conformata 
da 
norme 
peculiari 
che 
la 
limitano e 
la 
regolano: 
si 
pensi 
alle 
norme 
di 
contabilità 
pubblica 
contenute 
nel 
r.d. n. 2440/1923 e 
nel 
r.d. n. 827/1924 o 
all’art. 204 tueL. In tale 
ottica, in attuazione 
dei 
principi 
di 
legalità 
finanziaria, 
gli 
enti 
locali 
devono predeterminare 
fattispecie 
latamente 
compensative 
per 
l’adempimento 
dei 
debiti 
extra-tributari 
e 
sul 
piano 
contabile 
quantificare 
in termini 
monetari 
le 
prestazioni 
sostitutive 
secondo criteri 
oggettivi 
(durata 
della 
prestazione, previsione 
degli 
oneri 
riflessi 
anche 
di 
tipo 
assicurativo 
e 
antinfortunistico, 
etc). 
bisognerà 
svolgere 
controlli 
idonei 
ad 
assicurare 
la 
corretta 
esecuzione 
della 
prestazione 
prima 
di 
procedere 
alla 
contabilizzazione 
dell’utilitas. 

Il 
riuso 
del 
suolo 
e 
la 
limitazione 
dello 
sprawl 
urbano 
passa 
anche 
attraverso 
gli 
usi 
temporanei 
di 
immobili 
ex 
art. 
23 
quater 
del 
d.P.R. 
n. 
380/2021: 
la 
facoltà 
del 
comune 
di 
< 
consentire 
l’utilizzazione 
temporanea 
di 
edifici 
ed 
aree 
per 
usi 
diversi 
da 
quelli 
previsti 
dal 
vigente 
strumento 
urbanistico> 
non 
realizza 
una 
forma 
di 
deregolamentazione. 
L’uso 
temporaneo 
è 
disciplinato 
da 
un’apposita 
convenzione 
volta 
a 
regolare 
la 
durata 
e 
le 
modalità 
di 
utilizzo 
di 
immobili 
e 
aree, 
le 
tempistiche 
per 
l’eventuale 
ripristino 
dello 
status 
quo 
ante 
le 
garanzie 
e 
le 
penali 
in 
caso 
di 
inadempimento 
agli 
obblighi 
convenzionali. 
In 
secondo 
luogo, 
gli 
adeguamenti 
finalizzati 
a 
garantire 
migliore 
accessibilità, 
sicurezza 
negli 
ambienti 
di 
lavoro 
o 
tutela 
della 
salute 
andrebbero 
attuati 
in 
via 
reversibile, 
poichè 
l’uso 
temporaneo 
non 
può 
determinare 
mutamenti 
della 
destinazione 
d’uso 
dei 
suoli 
e 
delle 
unità 
immobiliari 
interessate. 
Si 
pensi 
a 
tutta 
la 
giurisprudenza 
in 
tema 
di 
<carico 
urbanistico>, 
all’art. 
23 
ter 
che 
definisce 
i 
mutamenti 
“urbanisticamente 
rilevanti”, 
in 
linea 
di 
principio 
sempre 
consentiti 
quelli 
all’interno 
della 
medesima 
categoria 
funzionale 
-residenziale, 
turistico-ricettiva, 
produttiva 
e 
direzionale, 
commerciale 
e 
rurale 
-previa 
presentazione 
di 
Scia 
(Cons. 
St., 
sez. 
vI, 
6 
aprile 
2017 
n. 
2295), 
mentre 
è 
richiesto 
il 
permesso 
di 
costruire 
per 
le 
modifiche 
di 
destinazione 
d’uso 
che 
comportino 
passaggi 
di 
categoria, 
ovvero, 
ai 
sensi 
dell’art. 
10, 
comma 
1, 
lett. 
c) 
del 
d.P.R. 
380/2001 
concernenti 
immobili 
situati 
all’interno 
di 
centri 
storici. 


Il 
baratto 
amministrativo 
presenta 
alcune 
assonanze 
con 
l’art. 
71 
del 
d.lgs. 


n. 
117/2017 
concernente 
la 
messa 
a 
disposizione 
tramite 
comodato 
di 
beni 
pubblici 
non utilizzati 
per scopi 
istituzionali 
a 
favore 
di 
tutti 
gli 
enti 
del 
terzo 
settore, ad eccezione 
delle 
imprese 
sociali, per il 
perseguimento senza 
scopo 

RASSeGnA 
AvvOCAtuRA 
DeLLO 
StAtO -n. 3/2022 


di 
lucro di 
finalità 
civiche, solidaristiche 
e 
di 
utilità 
sociale. tale 
contratto ha 
durata 
massima 
di 
30 anni 
nell’arco dei 
quali 
il 
concessionario ha 
l’onere 
di 
effettuare, a 
propria 
cura 
e 
specie, gli 
interventi 
di 
manutenzione 
e 
quelli 
ulteriori 
necessari 
a 
mantenere 
la 
funzionalità 
dell’immobile. 
un’altra 
ipotesi 
di 
collaborazione 
fra 
amministrazioni 
ed enti 
del 
terzo settore 
è 
prevista 
dal 
terzo 
comma 
dell’art. 
71 
e 
riguarda 
i 
beni 
culturali, 
immobili 
di 
proprietà 
degli 
enti 
pubblici, per l’uso dei 
quali 
non sia 
allo stato corrisposto alcun canone 
e 
bisognosi 
di 
restauro. 
Detti 
beni 
possono 
essere 
affidati 
in 
concessione 
all’esito 
di 
una 
procedura 
semplificata 
espletata 
ai 
sensi 
dell’art. 
151, 
comma 
3, 
del 
d.lgs. n. 50/2016 a 
enti 
del 
terzo settore 
che 
perseguono attività 
culturali 
con 
pagamento di 
un canone 
agevolato < ai 
fini 
della 
riqualificazione 
e 
riconversione 
dei 
medesimi 
beni 
tramite 
interventi 
di 
restauro, 
recupero, 
ristrutturazione 
a 
spese 
del 
concessionario, 
anche 
con 
l’introduzione 
di 
nuove 
destinazioni 
d’uso finalizzate 
allo svolgimento delle 
attività 
indicate> nel 
rispetto 
delle 
previsioni 
del 
d.lgs. n. 42/2004 e 
allo scopo di 
assicurare 
quella 
corretta 
conservazione, 
nonché 
l’apertura 
alla 
pubblica 
fruizione 
e 
la 
migliore 
valorizzazione. Il 
raggiungimento di 
finalità 
civiche 
e 
di 
utilità 
sociale 
può, 
quindi, realizzarsi 
attraverso interventi 
lato sensu 
configurabili 
come 
“riuso” 
di beni in un’effettiva ottica sussidiaria e di buona amministrazione. 

Le 
disposizioni 
sull’individuazione 
del 
“soggetto 
gestore” 
o 
“concessionario” 
tramite 
procedura 
di 
evidenza 
pubblica, 
ai 
sensi 
dell’art. 
23-quater, 
comma 
6 
del 
d.P.R. 
n. 
380/2001 
e 
71, 
comma 
3 
del 
d.lgs. 
n. 
117/2017, 
rivelano 
possibili 
interferenze 
tra 
concetti 
di 
riuso 
e 
mercato 
che 
richiedono 
delle 
precisazioni 
in 
merito 
ai 
patti 
di 
collaborazione 
in 
rapporto 
alla 
concorrenza. 
Giova 
precisare 
che 
il 
coinvolgimento 
di 
soggetti 
che 
agiscono 
senza 
finalità 
lucrative, 
come 
gli 
enti 
del 
terzo 
settore, 
non 
costituisce 
di 
per 
sé 
una 
circostanza 
sufficiente 
ad 
escludere 
l’applicazione 
delle 
regole 
di 
evidenza 
pubblica. 
Infatti, 
la 
nozione 
europea 
di 
“operatore 
economico” 
-come 
soggetto 
che 
offre 
beni 
e 
servizi 
sul 
mercato 
-non 
coincide 
con 
quella 
di 
“imprenditore”, 
ai 
sensi 
dell’art. 
2082 
c.c. 
È 
vero 
che 
la 
Corte 
di 
Giustizia 
ha 
ritenuto 
legittimo 
l’affidamento 
diretto 
di 
servizi 
sociali 
come 
quelli 
del 
trasporto 
sanitario 
di 
urgenza 
ed 
emergenza 
nei 
confronti 
di 
associazioni 
di 
volontari, 
ma 
si 
tratta 
di 
deroghe 
al 
principio 
di 
concorrenza 
circostanziate 
(vedi 
Corte 
di 
Giustizia, 
11 
dicembre 
2014, 
causa 
C-113/13). 
Previsioni 
come 
quelle 
di 
cui 
all’art. 
142 
del 
d.lgs. 
n. 
50/2016 
sulla 
pubblicazione 
degli 
avvisi 
e 
dei 
bandi 
per 
l’aggiudicazione 
di 
pubblici 
appalti 
aventi 
ad 
oggetto 
i 
servizi 
sociali, 
ferme 
restando 
le 
semplificazioni 
dovute 
alla 
natura 
del 
servizio, 
al 
pari 
di 
indicazioni 
come 
quelle 
sulla 
c.d. 
co-progettazione 
integrata 
ex 
art. 
55 
del 
d.lgs. 
n. 
117/2017 
provenienti 
dalla 
giurisprudenza 
amministrativa, 
giunta 
a 
riconoscerne 
la 
sottoposizione 
al 
rito 
appalti 
(vedi 
tar 
Lombardia, 
Milano, 
sez. 
Iv, 
28 
marzo 
2017 
n. 
727), 
denotano 
una 
chiara 
tensione 
ordinamentale 
verso 
le 
regole 
della 
concorrenza 
e 
del 
mercato, 
ma 
con 
alcune 



COntRIbutI 
DI 
DOttRInA 


eccezioni 
quando 
viene 
in 
rilievo 
il 
principio 
della 
solidarietà. 
Come 
nei 
casi 
di 
house 
providing, 
ai 
sensi 
dell’art. 
192, 
comma 
2, 
del 
d.lgs. 
n. 
50/2016, 
devono 
sussistere 
oggettive 
ragioni 
giustificatrici 
del 
mancato 
ricorso 
al 
mercato 
ed 
emergere 
benefici 
per 
la 
collettività 
derivanti 
dalla 
forma 
di 
gestione 
prescelta, 
anche 
con 
riferimento 
agli 
obiettivi 
di 
universalità 
e 
socialità, 
efficienza, 
economicità, 
qualità 
della 
prestazione 
resa 
e, 
dunque, 
di 
ottimale 
impiego 
delle 
risorse 
pubbliche. 
Le 
eventuali 
deroghe, 
in 
sostanza, 
devono 
apparire 
più 
favorevoli 
rispetto 
al 
ricorso 
al 
mercato, 
in 
linea 
con 
il 
parere 
del 
Cons. 
St., 
comm. 
spec., 
parere 
del 
14 
giugno 
2017 
n. 
1405 
reso 
sullo 
schema 
di 
codice 
del 
terzo 
settore 
sub 
art. 
56 
sulle 
convenzioni 
stipulate 
da 
amministrazioni 
e 
organizzazioni 
di 
volontariato 
(art. 
32) 
ovvero 
associazioni 
di 
promozione 
sociale 
(art. 
35) 
iscritte 
da 
almeno 
6 
mesi 
nel 
Registro 
unico 
nazionale, 
finalizzate 
allo 
svolgimento 
in 
favore 
di 
terzi 
di 
attività 
o 
servizi 
sociali 
di 
interessi 
generali. 


La 
natura 
non onerosa 
dei 
patti 
di 
collaborazione, la 
mancanza 
del 
requisito 
della 
selettività, supera 
la 
dimensione 
del 
contratto pubblico, e, quindi, i 
confini 
della 
normativa 
europea 
riguardante 
gli 
appalti 
e 
concessioni. 
Lo 
svolgimento 
di 
attività 
in assenza 
di 
corrispettivo non pone 
in radice 
problemi 
di 
distorsione 
della 
concorrenza 
nella 
misura 
in cui, a 
puro scopo di 
solidarietà 
sociale 
(vedi 
parere 
comm. 
spec. 
n. 
2052/2018 
del 
Cons. 
St. 
richiesto 
dal-
l’AnAC in merito alla 
normativa 
applicabile 
agli 
affidamenti 
dei 
servizi 
sociali) 
si 
risolve 
in un fenomeno scevro dalle 
logiche 
del 
mercato. Le 
forme 
di 
sostegno assicurate 
dagli 
enti 
locali 
possono al 
più ricadere 
nella 
sfera 
operativa 
dell’art. 12 della 
L. 241/1990 che, ponendo il 
principio generale 
di 
predeterminazione 
dei 
criteri 
e 
delle 
modalità 
cui 
le 
amministrazioni 
devono 
attenersi 
nell’erogazione 
di 
sovvenzioni, 
può 
trovare 
applicazione 
anche 
in 
relazione ad atti non autoritativi come i patti di collaborazione. 

Il 
diritto alla 
città 
passa 
oggi 
anche 
attraverso il 
processo di 
digitalizzazione, 
la 
smart 
city, block-chain 
con nodi 
attivi 
e 
non passivi 
ed intelligenza 
artificiale. 
La 
c.d. 
wiki-sussidiarietà, 
ossia 
la 
sussidiarietà 
concepita 
con 
le 
nuove 
tecnologie 
web 2.0, si 
basa 
sulla 
libertà 
solidale 
e 
responsabile 
di 
cittadini 
attivi 
che 
decidono di 
mettere 
a 
disposizione 
il 
proprio tempo e 
le 
proprie 
capacità 
per 
prendersi 
cura 
dell’interesse 
generale 
anche 
grazie 
all’attivazione 
di 
reti 
civiche 
che 
pongono in relazione 
le 
risorse 
necessarie 
in vista 
del 
perseguimento 
di 
obiettivi 
comuni. La 
cooperazione 
come 
archetipo della 
sussidiarietà 
porta 
il 
cittadino a 
condividere 
con i 
poteri 
pubblici 
la 
responsabilità 
di 
governare, 
cioè 
di 
dare 
risposte 
ai 
problemi 
della 
collettività 
con 
piccoli 
gesti 
quotidiani, 
così 
come 
con 
vere 
e 
proprie 
azioni 
sistematiche 
di 
cura 
civica 
dei beni comuni. 

L’Adunanza 
Plenaria 
n. 22 del 
2021 ha 
risolto, almeno in materia 
urbanistico-
edilizia, 
il 
contrasto 
giurisprudenziale 
tra 
vicinitas 
e 
condizioni 
del-
l’azione 
(legittimazione 
ad 
agire 
ed 
interesse 
al 
ricorso) 
giungendo 
ad 
una 



RASSeGnA 
AvvOCAtuRA 
DeLLO 
StAtO -n. 3/2022 


concezione 
della 
vicinitas 
che 
si 
evolve 
da 
contiguità 
fisica 
a 
prossimità 
assiologica 
al 
bene 
tutelato. Ma 
il 
concetto di 
cittadinanza 
attiva 
e 
di 
amministrazione 
condivisa 
va 
oltre: 
vede 
il 
cittadino, 
che 
non 
si 
isola 
nel 
suo 
“particulare” 
come 
sosteneva 
Guicciardini, 
ma 
diviene 
protagonista 
attivo, 
consapevole 
e 
responsabile 
nella 
gestione 
dei 
beni 
comuni. Il 
pensiero corre 
allora 
al 
concetto 
greco 
di 
“idios”, 
ossia 
di 
cittadino 
privato 
che 
non 
si 
occupa 
della 
cosa 
pubblica: 
l’evoluzione 
linguistica 
in termini 
negativi 
del 
suddetto 
termine, ci 
indica 
che 
il 
vero cittadino è 
colui 
che, muovendo da 
un grande 
senso 
civico 
e 
superando 
logiche 
individualistiche, 
mette 
a 
disposizioni 
le 
sue 
capacità operative, fisiche ed intellettuali per il bene comune. 



COntRIbutI 
DI 
DOttRInA 


La concessione: l’istituto generatore di sistemi complessi 


Gaetana Natale* 


tradizionalmente 
l’istituto 
della 
concessione 
viene 
inquadrato 
nella 
manualistica 
precisando 
la 
sua 
differenza 
concettuale 
dall’“autorizzazione” 
e 
ponendo 
in 
risalto 
il 
binomio 
“concessione 
traslativa 
e 
concessione 
costitutiva”. 
L’evoluzione 
di 
tale 
istituto 
è 
stata 
profonda 
(1): 
si 
è 
andato 
sempre 
più 
perdendo 
il 
profilo 
dell’esercizio 
delle 
funzioni 
amministrative 
in 
capo 
al 
concessionario, 
per 
approdare 
sotto 
l’influenza 
del 
diritto 
euro-unitario 
alla 
modulazione 
della 
concessione 
come 
“contratto” 
incentrato 
sul 
c.d. 
“rischio 
operativo 
o 
di 
gestione”, 
“di 
disponibilità” 
o 
come 
forma 
di 
partenariato 
pubblico-privato 
di 
tipo 
contrattuale 
(2). 
non 
è 
un 
caso 
che 
nel 
nuovo 
schema 
del 
Codice 
dei 
Contratti 
pubblici 
elaborato 
dal 
Consiglio 
di 
Stato 
la 
concessione 
sia 
stata 
inserita 
nel 
libro 
Iv 
intitolato 
“Del 
partenariato 
pubblico-
privato 
e 
delle 
concessioni”. 

La 
ricostruzione 
storica 
delle 
concessioni 
in 
Italia 
parte 
nella 
maggior 
parte 
degli 
studi 
dalle 
concessioni 
ferroviarie, dall’originaria 
configurazione 
di 
“contratto”, 
dall’applicazione 
del 
project 
financing 
per 
la 
realizzazione 
della 
rete 
autostradale 
laddove, però, la 
distinzione 
tra 
concessioni 
di 
beni 
pubblici 
e 
concessione 
di 
lavori 
e 
servizi 
dovrà 
oggi 
confrontarsi 
necessariamente 
con 


(*) Avvocato dello Stato, Professore di Sistemi Giuridici Comparati. 
un ringraziamento alla Dott.ssa 
Anna Pagano per la redazione delle note. 


Il presente scritto è la relazione presentata dall’Autrice al Convegno “Appalti pubblici, concessioni, 
servizi 
pubblici 
tra tradizione 
e 
innovazione” organizzato dalla Società Italiana degli 
Avvocati 
Amministrativisti. 
Roma, Avvocatura Generale dello Stato, Sala Vanvitelli, 19 dicembre 2022. 


(1) L’art. 3 del 
D.lgs. 50/2016 in attuazione 
della 
Direttiva 
2014/23/ue 
definisce 
la 
concessione 
come 
un contratto a 
titolo oneroso stipulato per iscritto tra 
una 
pubblica 
amministrazione 
e 
un’impresa 
per la 
progettazione 
o l’esecuzione 
di 
lavori 
pubblici 
(o entrambe), oppure 
l’erogazione 
di 
un servizio 
pubblico con assunzione 
in capo al 
concessionario del 
rischio operativo legato alla 
gestione 
dei 
servizi 
o 
la 
gestione 
delle 
opere. 
Per 
lungo 
tempo, 
tuttavia, 
si 
è 
discusso 
sulla 
natura 
giuridica 
delle 
concessioni, 
per una 
ricostruzione 
storica 
si 
rimanda: 
M. CeRutI, L'istituto euro-unitario della concessione 
e 
la fine 
della dicotomia fra autorizzazione 
e 
concessione 
(parte 
i) 
in Urbanistica e 
appalti, 2020, 6, pp. 745 e 
ss.; 
M. CeRutI, L'istituto euro-unitario della concessione 
e 
la fine 
della dicotomia fra autorizzazione 
e 
concessione 
(parte 
ii) 
in Urbanistica e 
appalti, 2021, 1, pp. 5 e 
ss.; 
M. D'ALbeRtI, Le 
concessioni 
amministrative. 
aspetti 
della contrattualità delle 
pubbliche 
amministrazioni, napoli, 1981; 
v. FeRRARO, 
La disciplina della concessione 
nel 
diritto europeo: i 
principi 
giurisprudenziali 
e 
la sistemazione 
realizzata 
con la direttiva 2014/23/UE 
in riv. italiana Dir. Pubblico Comunitario, Anno XXIv, Fasc. 3-4, 
2014; 
O. RAneLLettI, Teoria generale 
delle 
autorizzazioni 
e 
concessioni 
amministrative. Parte 
i: Concetto 
e 
natura delle 
autorizzazioni 
e 
concessioni 
amministrative, in Giur. it., XLvI, 1894, Iv, p. 25; 
La 
realizzazione 
e 
la gestione 
di 
infrastrutture: il 
regime 
giuridico delle 
concessioni, a 
cura 
di 
L. SALtARI 
-A. tOnettI, IRPA 
Working Paper - Policy Papers Series no. 2/2014. 
(2) 
J. 
vAvALLI, 
il 
partenariato 
quale 
espressione 
del 
diritto 
amministrativo 
paritario: 
proposte 
per un inquadramento giuridico dell'istituto 
in Diritto amministrativo, fasc. 1, 2022, p. 215. 

RASSeGnA 
AvvOCAtuRA 
DeLLO 
StAtO -n. 3/2022 


i 
principi 
generali 
del 
nuovo schema 
di 
Codice 
dei 
contratti 
pubblici, ossia 
il 
principio 
dell’“accesso 
al 
mercato”, 
il 
principio 
del 
“risultato” 
ed 
il 
principio 
della 
“fiducia” 
per 
la 
realizzazione 
di 
un 
sistema 
“trustworthy”. 
tale 
confronto 
sarà 
necessario, 
in 
quanto 
i 
principi, 
a 
differenza 
delle 
disposizioni, 
sono 
“metanorme 
con funzione 
normogenetica” 
che 
conformano necessariamente 
l’attività 
amministrativa e l’esercizio della funzione pubblica. 

In 
attesa 
dell’entrata 
in 
vigore 
del 
nuovo 
codice 
fissata 
per 
il 
1 
aprile 
2023 
per i 
nuovi 
appalti 
ed il 
1 luglio 2023 per i 
procedimenti 
in corso, occorre 
in 
tale 
fase 
transitoria 
fotografare 
concettualmente 
la 
situazione 
attuale. La 
dottrina 
(3) ha 
messo in evidenza 
che 
su tale 
istituto anche 
la 
giurisprudenza 
del 
Consiglio di 
Stato naviga 
a 
vista: 
la 
prova 
di 
tale 
incertezza 
è 
comprovata 
dai 
numerosi 
rinvii 
pregiudiziali 
operati 
dal 
Supremo Consesso Amministrativo 
nel 
corso di 
questi 
ultimi 
anni 
sia 
in tema 
di 
concessione 
sui 
beni 
pubblici 
sia 
in tema di concessioni di lavori o di servizi pubblici. 


In 
tema 
di 
concessioni 
demaniali 
marittime, 
dopo 
le 
note 
sentenze 
gemelle 
nn. 17 e 
18 del 
9 novembre 
2021 del 
Consiglio di 
Stato (4), di 
nuovo la 
questione 
è 
stata 
rimessa 
alla 
Corte 
di 
Giustizia 
dell’unione 
europea 
a 
seguito 
dell’ordinanza 
di 
rimessione 
del 
tar 
Puglia, 
sezione 
staccata 
di 
Lecce, 
11 
maggio 
2022 
n. 
743 
e 
innanzi 
alle 
sezioni 
unite 
della 
Corte 
di 
Cassazione 
a 
seguito 
dell’impugnazione 
delle 
due 
sentenze 
sopra 
citate 
per difetto di 
giurisdizione. 
Ancora 
una 
volta, inoltre, il 
Consiglio di 
Stato, sez. vII, con ordinanza 
del 
15 
settembre 
2022 n. 8070 Pres. Giovagnoli 
est. Fratamico ha 
sollevato un’ulteriore 
questione 
pregiudiziale 
riguardante 
l’art. 
49 
del 
Codice 
della 
navigazione 
nei seguenti termini: 


< 
Se 
gli 
artt. 
49 
e 
56 
TFUE 
e 
i 
principi 
della 
sentenza 
Laezza 
(C-375/14), 
ove 
ritenuti 
applicabili, 
ostino 
ad 
un’interpretazione 
di 
una 
disposizione 
nazionale, 
quali 
l’art. 
49 
cod. 
nav., 
nel 
senso 
di 
determinare 
la 
cessione 
a 
titolo 
non 
oneroso 
e 
senza 
indennizzi 
da 
parte 
del 
concessionario 
alla 
scadenza 
della 
concessione 
quando 
questa 
venga 
rinnovata 
senza 
soluzione 
di 
continuità, 
pure 
in 


(3) e. bOSCOLO, Stabilità e 
adattamento nei 
rapporti 
concessori 
tra revisione 
e 
autotutela 
in riv. 
Giuridica dell’Edilizia, 4, 2022, pp. 281 e 
ss.; 
G.F. CARteI, rischio e 
disciplina negoziale 
nei 
contratti 
di 
concessione 
e 
di 
partenariato 
pubblico-privato 
in 
riv. 
trim. 
dir. 
pubbl., 
2, 
2018, 
pp. 
599 
e 
ss.; 
C. 
DeO-
DAtO, L’attuazione 
normativa del 
Codice 
dei 
Contratti 
Pubblici: configurazione 
giuridica, struttura, e 
questioni 
applicative 
in 
Foro 
amministrativo, 
9, 
2018, 
pp. 
1559 
e 
ss.; 
G. 
FIDOne, 
Le 
concessioni 
di 
lavori 
e 
servizi 
alla vigilia del 
recepimento della Direttiva 2014/23/UE 
in riv. it. dir. pubbl. comunit., 
2015; 
G. GReCO, Concessioni 
di 
lavori 
e 
servizi. Dalla Direttiva 2014/23/UE 
alla parte 
terza del 
d.lgs. 
n. 
50/2016 
in 
riv. 
it. 
dir. 
pubbl. 
comunit., 
2018; 
La 
concessione 
di 
pubblico 
servizio, 
a 
cura 
di 
G. 
PeRICu, 
A. ROMAnO, v. SPAGnuOLO 
vIGORItA, Milano, 1995; 
e. PICOzzA, Le 
concessioni 
nel 
diritto dell'Unione 
Europea. Profili 
e 
prospettive 
in Negoziazioni 
pubbliche. Scritti 
su concessioni 
e 
partenariati 
pubblico-
privati, M. CAFAGnO 
-A. bOttO 
- G. FIDOne 
- G. bOttInO 
(a cura di), Milano, 2013. 
(4) Si 
veda 
sul 
punto: 
G. nAtALe, La vexata quaestio della proroga delle 
concessioni 
demaniali: 
prospettive future 
in rass. avv. Stato, 2021, 4, pp. 85 e ss. 

COntRIbutI 
DI 
DOttRInA 


forza 
di 
un 
nuovo 
provvedimento, 
delle 
opere 
edilizie 
realizzate 
sull’area 
demaniale 
facenti 
parte 
del 
complesso 
di 
beni 
organizzati 
per 
l’esercizio 
dell’impresa 
balneare, 
potendo 
configurare 
tale 
effetto 
di 
immediato 
incameramento 
una 
restrizione 
eccedente 
quanto 
necessario 
al 
conseguimento 
dell’obiettivo 
effettivamente 
perseguito 
dal 
legislatore 
nazionale 
e, 
dunque, 
sproporzionato 
allo 
scopo>. 


Il 
diritto 
europeo 
ha 
inciso 
sugli 
istituti 
giuridici 
di 
diritto 
interno. 
Si 
pensi 
a 
quanto si 
è 
verificato con riguardo alla 
c.d. concessione 
di 
committenza 
nel 
campo 
dei 
lavori 
pubblici, 
laddove 
si 
pensava 
che, 
essendo 
oggetto 
della 
stessa 
la 
traslazione 
di 
funzioni 
pubbliche, ossia 
di 
quelle 
inerenti 
il 
compito di 
stazione 
appaltante, la 
scelta 
del 
concessionario non dovesse 
rispettare 
l’obbligo 
dell’evidenza 
pubblica. Ad un certo punto l’impostazione 
pragmatica 
del 
diritto 
europeo 
ha 
portato 
al 
disconoscimento 
di 
una 
siffatta 
figura, 
equiparando, 
a 
fini 
di 
disciplina, l’appalto alla 
concessione 
e 
considerando come 
unico tipo 
di concessione quella di costruzione e gestione. 

Le 
definizioni 
della 
concessione 
contenute 
negli 
artt. 3 
uu) 
(concessioni 
di 
lavori), vv) (concessione 
di 
servizi) e 
nell’art. 164 del 
Codice 
dei 
contratti 
pubblici 
(5), non hanno risolto il 
problema 
centrale 
che 
è 
quello della 
“proroga”. 
Infatti, 
tutti 
i 
rinvii 
pregiudiziali 
che 
si 
sono 
avuti 
quest’anno 
nelle 
varie 
tipologie 
di 
concessioni 
hanno registrato come 
questione 
dibattuta 
quello del 
rinnovo o proroga 
tecnica 
e 
quello della 
modificazione 
soggettiva 
e 
oggettiva 
delle 
concessioni. Si 
pensi 
all’ordinanza 
del 
19 ottobre 
2022 n. 13434 del 
tar 
Lazio 
Pres. 
Politi 
est. 
Fanizza 
con 
cui 
sono 
state 
rimesse 
alla 
Corte 
di 
Giustizia 
le 
seguenti 
questioni 
pregiudiziali 
di 
interpretazione 
dell’art. 
43 
del 
d.l. 
n. 
201/11, 
convertito 
nella 
legge 
214 
del 
2011 
in 
rapporto 
alla 
disciplina 
prevista 
dagli artt. 38, 43 e 44 della direttiva 2014/23: 


1) 
Se 
sia 
o 
meno 
contrastante 
con 
il 
diritto 
comunitario 
l’interpretazione 
della normativa nazionale 
nel 
senso che 
l’amministrazione 
concedente 
possa 
istruire 
un 
procedimento 
di 
modificazione 
soggettiva 
ed 
oggettiva 
di 
una 
concessione 
autostradale 
in corso di 
validità o di 
sua rinegoziazione, senza valutare 
di 
esprimersi 
sull’obbligo 
di 
indire 
una 
procedura 
di 
evidenza 
pubblica; 
2) 
Se 
sia 
o 
meno 
contrastante 
con 
il 
diritto 
comunitario 
l’interpretazione 
della normativa nazionale 
nel 
senso che 
l’amministrazione 
possa istruire 
un 
procedimento 
di 
modificazione 
soggettiva 
ed 
oggettiva 
di 
una 
concessione 
autostradale 
in 
corso 
di 
validità 
o 
di 
una 
sua 
rinegoziazione, 
senza 
valutare 
l’affidabilità 
del 
concessionario 
che 
si 
sia 
reso 
autore 
di 
un 
grave 
inadempimento; 
(5) Il 
Codice 
dei 
Contratti 
pubblici 
è 
stato modificato applicando il 
gold plating 
e 
cercando di 
rimanere 
il 
più fedele 
possibile 
alle 
direttive 
del 
2014; 
è 
stato pubblicato, infatti, sul 
sito della 
Giustizia 
Amministrativa 
lo schema 
di 
decreto del 
nuovo Codice. https://www.giustizia-amministrativa.it/documents/
20142/17550825/1_CoDiCE+CoNTraTTi+arTiCoLi+%281%29.pdf/eb97a977-0185-851cff3c-
81ec31a7860d?t=1670928388208. 

RASSeGnA 
AvvOCAtuRA 
DeLLO 
StAtO -n. 3/2022 


3) 
Se 
in 
caso 
di 
rilevata 
violazione 
del 
principio 
di 
evidenza 
pubblica 
e/o 
di 
rilevata inaffidabilità del 
titolare 
di 
una concessione 
autostradale, la normativa 
comunitaria imponga l’obbligo della risoluzione del rapporto. 
La 
necessità 
di 
disporre 
la 
rimessione 
alla 
Corte 
di 
Giustizia 
ue 
deriva 
dalla 
circostanza 
che 
la 
direttiva 
2014/23 
del 
26 
febbraio 
2014, 
in 
tema 
di 
aggiudicazione 
dei 
contratti 
di 
concessione 
stabilisce 
il 
principio 
dell’evidenza 
pubblica, 
al 
fine 
di 
garantire 
la 
concorrenza 
in 
seno 
al 
mercato 
interno 
e 
il 
conseguimento 
dei 
principi 
di 
efficienza 
ed 
innovazione. 
L’art. 
43 
del 
d.l. 
n. 
201/11, 
convertito 
nella 
legge 
214/2011, 
nel 
regolare 
il 
procedimento 
riguardante 
gli 
aggiornamenti 
e/o 
le 
“revisioni” 
delle 
convenzioni 
autostradali, 
distingue 
secondo 
che 
le 
concessioni 
in 
questione 
comportino, 
o 
meno, 
“variazioni 
o 
modificazioni 
del 
piano 
degli 
investimenti, 
ovvero, 
ad 
aspetti 
di 
carattere 
regolatorio 
e 
tutela 
della 
finanza 
pubblica”. 
In 
caso 
di 
presentazione 
di 
una 
nuova 
proposta, 
comportante 
l’implementazione 
di 
investimenti 
finanziari, 
l’aumento 
degli 
standard 
di 
sicurezza 
e 
un 
totale 
riassetto 
societario, 
formulato 
da 
parte 
del 
concessionario 
autostradale 
nell’ambito 
di 
un 
procedimento 
di 
contestazione 
finalizzato 
all’eventuale 
risoluzione 
del 
rapporto 
concessorio 
in 
corso 
di 
validità, 
occorre, 
pertanto, 
verificare, 
ai 
fini 
della 
prosecuzione 
della 
gestione 
delle 
infrastrutture, 
le 
condizioni 
previste 
dalla 
direttiva 
2014/23 
e 
trasfuse 
nel 
Codice 
dei 
contratti 
pubblici 
di 
cui 
al 
D.lgs. 
n. 
50/2016 
(6). 


Il 
problema 
della 
giurisdizione 
è, invece, chiarito senza 
particolari 
difficoltà 
interpretative. 
Si 
ricorda 
da 
ultimo 
CGA 
sez. 
riunite, 
parere 
27 
luglio 
2022 
n. 
419 
Pres. 
Carlotti: 
la 
giurisdizione 
esclusiva 
in 
materia 
di 
concessione 
di 
pubblici 
servizi 
si 
estende 
(a 
differenza 
degli 
appalti) 
anche 
alle 
controversie 
in 
materia 
di 
esecuzione, 
ad 
esclusione 
delle 
controversie 
meramente 
patrimoniali. 
È 
devoluta 
al 
giudice 
ordinario la 
controversia 
riguardante 
il 
corretto 
esercizio della 
compensazione 
effettuata 
dal 
concessionario tra 
le 
spese 
straordinarie 
da 
lui 
anticipate 
ed 
il 
canone 
previsto 
dalla 
convenzione 
stante 
il 
suo 
contenuto meramente 
patrimoniale, non sussistendo alcun potere 
dell’Amministrazione 
comunale a tutela di interessi generali. 


Se 
guardiamo 
alla 
Francia 
il 
recepimento 
della 
direttiva 
23 
è 
avvenuto 
con 
l’ordonnance 
e 
il 
Décret, 
superando 
il 
regime 
duale 
della 
concessione 
di 
lavori 
e 
della 
délégation 
de 
service 
public, 
instaurata 
nel 
1993 
con 
la 
famosa 
loi 
Sapin: 
tutto 
ciò 
nella 
salvaguardia 
della 
totale 
libertà 
delle 
“personnes 
publiques” 
di 
scegliere 
autonomamente 
le 
modalità 
di 
gestione 
dei 
servizi 
pubblici, 
“de 
la 
commande 
publique”. 
Sebbene 
anche 
in 
Francia 
le 
concessioni 
abbiano 
una 
dimensione 
multiforme, 
non 
rinveniamo 
da 
parte 
del 
Conseil 
d’Ètat 
lo 
stesso 
numero 
di 
rinvii 
pregiudiziali 
posti 
in 
essere 
dal 
Consiglio 
di 
Stato 
in 
Italia. 


(6) G. nAtALe, Project 
financing: la parola di 
nuovo all'Europa 
in Scritti 
in onore 
di 
Eugenio Picozza, 
vol. III, 2020, pp. 2127 e ss. 

COntRIbutI 
DI 
DOttRInA 


Per citare 
il 
più recente 
si 
menziona 
quello operato con l’ordinanza 
del 
21 novembre 
2022 n. 10261 Pres. Contessa, est. Di 
Carlo riguardante 
la 
proroga 
tecnica, la 
rinegoziazione, il 
legittimo affidamento c.d. estoppel 
sul 
seguente 
quesito: 


1) 
Se 
la 
direttiva 
2014/23/UE 
sull’aggiudicazione 
dei 
contratti 
di 
concessione, 
nonché 
i 
principi 
desumibili 
dal 
Trattato 
e, 
segnatamente 
gli 
art. 
15, 
16, 
20 
e 
21 
della 
Carta 
dei 
diritti 
fondamentali 
dell’Unione 
Europea, 
l’art. 
3 
del 
Trattato, 
gli 
art. 
8, 
49, 
56, 
12, 
145 
e 
151 
del 
TFUE, 
debbano 
essere 
interpretati 
nel 
senso 
che 
essi 
trovano 
applicazione 
a 
fronte 
di 
concessioni 
di 
gestione 
del 
gioco 
del 
Bingo, 
le 
quali 
siano 
state 
affidate 
con 
procedura 
selettiva 
nell’anno 
2000, 
siano 
scadute 
e 
poi 
siano 
state 
reiteratamente 
prorogate 
nell’efficacia 
con 
disposizioni 
legislative 
entrate 
in 
vigore 
successivamente 
all’entrata 
in 
vigore 
della 
direttiva 
e 
alla 
scadenza 
del 
termine 
di 
recepimento 
della 
direttiva; 
2) 
in caso di 
risposta affermativa al 
primo quesito, in caso in cui 
si 
verifichino 
eventi 
non imputabili 
alle 
parti, imprevisti 
ed imprevedibili 
che 
incidono 
in 
modo 
significativo 
sulle 
condizioni 
normali 
di 
rischio 
operativo, 
si 
possa prospettare 
una rinegoziazione 
finchè 
perdurino tali 
condizioni 
e 
per 
il 
tempo 
necessario 
per 
eventualmente 
ripristinare 
le 
condizioni 
originarie 
di 
esercizio delle concessioni. 
un’ulteriore 
ordinanza 
sempre 
datata 
21 
novembre 
2022 
n. 
10264 
Pres. 
Contessa 
est. 
Fratamico 
ha 
riguardato 
il 
potere 
di 
modifica 
unilaterale 
delle 
concessioni 
di 
gioco 
in 
caso 
di 
proroga 
tecnica. 
Il 
quesito 
è 
stato 
così 
formulato: 
< 
se 
la 
Direttiva 
2014/23/UE, 
ove 
ritenuta 
applicabile 
e, 
in 
ogni 
caso, 
i 
principi 
generali 
desumibili 
dagli 
art. 
26, 
49, 
56 
e 
63 
del 
TFUE 
come 
interpretati 
e 
applicati 
dalla 
giurisprudenza 
della 
Corte 
di 
Giustizia 
con 
particolare 
riguardo 
al 
divieto 
di 
discriminazioni, 
al 
canone 
di 
proporzionalità 
e 
alla 
tutela 
della 
concorrenza 
e 
della 
libera 
circolazione 
dei 
servizi 
e 
dei 
capitali, 
ostino, 
all’applicazione 
di 
norme 
nazionali 
per 
cui 
il 
legislatore 
nazionale 
o 
l’amministrazione 
pubblica 
possano, 
durante 
la 
c.d. 
“proroga 
tecnica” 
più 
volte 
rinnovata 
nell’ultimo 
decennio 
nel 
settore 
delle 
concessioni 
di 
gioco, 
incidere 
unilateralmente 
sui 
rapporti 
in 
corso, 
introducendo 
l’obbligo 
di 
pagamento 
di 
canoni 
concessori, 
originariamente 
non 
dovuti, 
ed 
aumentando, 
successivamente 
a 
più 
riprese 
i 
medesimi 
canoni 
sempre 
determinati 
in 
misura 
fissa 
per 
tutti 
i 
concessionari 
a 
prescindere 
dal 
fatturato, 
apportando 
anche 
ulteriori 
vincoli 
all’attività 
del 
concessionario 
come 
il 
divieto 
di 
trasferimento 
dei 
locali 
e 
subordinando 
la 
partecipazione 
alla 
futura 
procedura 
per 
la 
riattribuzione 
delle 
concessioni 
all’adesione 
degli 
operatori 
alla 
proroga 
tecnica 
>. 


Se 
questi 
sono 
gli 
ultimi 
rinvii 
pregiudiziali, 
occorre 
verificare 
quali 
siano 
le 
direttrici 
della 
legge 
delega 
n. 
78 
del 
21 
giugno 
2022. 
Il 
mandato 
al 
Governo 
contenuto 
in 
tale 
legge 
riguarda 
“la 
disciplina 
dei 
contratti 
pubblici”, 
con 



RASSeGnA 
AvvOCAtuRA 
DeLLO 
StAtO -n. 3/2022 


l’obiettivo 
di 
adeguarla 
al 
diritto 
europeo 
e 
ai 
principi 
espressi 
dalla 
giurisprudenza 
della 
Corte 
costituzionale 
e 
delle 
giurisdizioni 
superiori 
interne 
e 
sovranazionali, 
razionalizzare, riordinare 
e 
semplificare 
la 
disciplina 
vigente 
in 
materia 
di 
contratti 
pubblici 
relativi 
a 
lavori, 
servizi 
e 
forniture; 
evitare 
l’avvio 
di 
procedure 
di 
infrazione 
da 
parte 
della 
Commissione 
europea 
e 
giungere 
alla risoluzione delle procedure avviate. 


tra 
i 
principi 
e 
criteri 
direttivi 
sono indicati 
< 
il 
divieto di 
proroga dei 
contratti 
di 
concessione 
> e< la razionalizzazione 
della disciplina concernente 
le 
modalità 
di 
affidamento 
dei 
contratti 
da 
parte 
dei 
concessionari 
> 
(art. 
2, 
comma 
1, 
lettere 
ff) 
e 
gg)). 
La 
riforma 
s’impone 
a 
valle 
di 
un 
tortuoso 
percorso 
normativo 
e 
giurisprudenziale 
che 
ha 
fatto 
emergere 
diversi 
livelli 
di 
criticità. In particolare, la pertinenza dell’affidamento delle 
concessioni 
alla materia della “concorrenza” ha manifestato la propria rilevanza: 


1) 
nei 
rapporti 
tra la legislazione 
nazionale 
e 
il 
diritto eurounitario, 
per 
il 
quale 
la libertà di 
concorrenza è 
elemento cardine; nel 
diritto interno 
che 
con 
l’art. 
117 
della 
Costituzione 
affida 
la 
tutela 
della 
concorrenza 
alla 
competenza 
esclusiva 
dello 
Stato 
e 
preclude 
alle 
regioni 
l’introduzione di proroghe o rinnovi automatici nel proprio territorio; 
2) 
nell’azione 
amministrativa 
chiamata 
all’applicazione 
di 
norme 
(nazionali 
o regionali) in 
tesi 
violative 
delle 
regole 
eurounitarie 
di 
tutela 
della concorrenza. 
L’art. 1, comma 2, lettera ff) prevede 
espressamente 
il 
divieto di 
proroga 
dei contratti di concessione. 

nella 
disciplina 
vigente, 
l’affidamento 
delle 
concessioni 
aventi 
ad 
oggetto 
l’acquisizione 
di 
servizi, 
forniture, 
lavori 
e 
opere 
è 
disciplinato 
dal 
decreto 
legislativo 
n. 50 del 
2016 (che 
si 
appresta 
ad essere 
modificato) e 
< si 
svolge 
nel 
rispetto dei 
principi 
di 
economicità, efficacia, tempestività e 
correttezza. 
Nell’affidamento 
degli 
appalti 
e 
delle 
concessioni, 
le 
stazioni 
appaltanti 
rispettano, 
altresì, 
i 
principi 
di 
libera 
concorrenza, 
non 
discriminazione, 
trasparenza, 
proporzionalità, nonché di pubblicità > (art. 30, comma 1). 

Con 
riferimento 
alle 
concessioni 
di 
beni 
pubblici, 
invece, 
non 
si 
può 
ritenere 
integralmente 
applicabile 
il 
codice 
dei 
contratti, 
trattandosi 
di 
concessioni 
abitualmente 
ricadenti 
nell’ambito 
dei 
contratti 
attivi 
(7), 
i 
quali, ai 
sensi 
dell’art. 4 del 
D.lgs. 50/2016, risultano esclusi 
dall’ambito di 
applicazione 
oggettiva 
di 
tale 
codice, rimanendo, però, soggetti 
ai 
principi 
di 
economicità, 
efficacia, 
imparzialità, 
parità 
di 
trattamento, 
trasparenza, 
proporzionalità, 
pubblicità, tutela dell’ambiente ed efficienza energetica (8). 

L’inerenza 
delle 
regole 
dell’evidenza 
pubblica 
a 
tutte 
le 
attività 
contrattuali 
della 
pubblica 
amministrazione 
si 
era 
già 
affermata 
nella 
giurisprudenza 
(9). 


(7) Dicitura introdotta dall’articolo 5, comma 1 del decreto legislativo n. 56 del 2017. 
(8) tar Sicilia, sede di Catania, sez. III, sent. n. 1027 del 2020. 

COntRIbutI 
DI 
DOttRInA 


Con riguardo al 
tema 
della 
proroga, la 
Corte 
costituzionale 
-chiamata 
a 
pronunciarsi 
in più occasioni 
in materia 
di 
concessioni 
demaniali 
marittime 
ha 
affermato 
che 
tutte 
le 
disposizioni 
che 
prevedono 
proroghe 
ex 
lege 
o 
rinnovi 
automatici 
dei 
rapporti 
concessori 
o 
comunque 
incidenti 
sulla 
durata 
degli 
stessi 
-in quanto comportano una 
restrizione 
al 
libero accesso nel 
mercato di 
altri 
operatori 
-rientrano nella 
materia 
“tutela della concorrenza”, di 
competenza 
esclusiva statale (10). 

Sul 
punto l’articolo 175, comma 
1, lettera 
a) del 
codice 
-che 
attua 
l’articolo 
43 
della 
direttiva 
n. 
2014/23/ue 
-prevede 
i 
casi 
in 
cui 
le 
concessioni 
possono essere 
modificate 
senza 
una 
nuova 
procedura 
di 
aggiudicazione 
durante 
il 
periodo di 
efficacia 
e 
tuttavia 
stabilisce 
il 
divieto “in 
ogni 
caso” di 
prevederne 
la proroga. Secondo il 
Consiglio di 
Stato, < si 
tratta 
di 
divieto di 
portata 
generale, 
non 
previsto, 
peraltro, 
dall’art. 
43 
della 
direttiva 
23 
ed 
espressamente 
introdotto dalla 
legge 
delega 
n. 11 del 
2016 con specifico riguardo 
alle 
sole 
concessioni 
autostradali 
(art. 
1, 
comma 
1, 
lettera 
III), 
anche 
se, 
invero, 
facendo riferimento, in quest’ultimo caso, “alla 
nuova 
disciplina 
generale 
dei 
contratti 
di 
concessione”. trattasi 
di 
disciplina 
di 
maggior rigore 
in funzione 
“proconcorrenziale” (11). 


Il 
tema 
della 
prorogabilità 
e 
del 
rinnovo 
automatico 
ha 
interessato 
in 
particolare 
l’ambito delle 
concessioni 
demaniali 
marittime. L’articolo 1, comma 
2, del 
decreto legge 
n. 400 del 
1993, convertito in legge 
n. 494 del 
1993, stabiliva, 
infatti, che 
le 
concessioni 
dei 
beni 
demaniali 
marittimi 
< hanno durata 
di 
sei 
anni> e 
< alla 
scadenza 
si 
rinnovano automaticamente 
per altri 
sei 
anni 
e 
così 
successivamente 
ad ogni 
scadenza 
>. L’art. 37 del 
codice 
della 
navigazione 
sanciva, inoltre, in caso di 
rinnovo di 
una 
concessione 
demaniale 
marittima, 
“la 
preferenza” 
in 
favore 
del 
concessionario 
uscente 
rispetto 
alle 
nuove 
istanze. 
tale 
c.d. “diritto di 
insistenza” 
è 
stato poi 
abrogato dall’articolo 
1, comma 
18, del 
decreto legge 
n. 194 del 
2009, convertito in legge 
n. 25 
del 
2010, il 
quale 
tuttavia 
-per la 
fase 
transitoria 
-ha 
introdotto una 
proroga 
automatica 
e 
generalizzata 
di 
alcune 
delle 
concessioni 
in 
essere, 
stabilendo 
che 
< nelle 
more 
del 
procedimento di 
revisione 
del 
quadro normativo in materia 
di 
rilascio 
delle 
concessioni 
di 
beni 
demaniali 
marittimi 
(lacuali 
e 
fluviali) 
(art. 
1, 
comma 
547, 
della 
legge 
n. 
228 
del 
2012) 
con 
finalità 
turistico-ricreative 
(e 
sportive, nonché 
quelle 
destinate 
a 
porti 
turistici, approdi 
e 
punti 
di 
ormeg


(9) Si 
vedano sul 
punto le 
seguenti 
sentenze: 
Consiglio di 
Stato, sez. vI, n. 2280 del 
2008; 
sent. 
n. 
168 
del 
2005; 
Corte 
di 
Giustizia 
delle 
Comunità 
europee, 
sez. 
vI, 
7 
dicembre 
2000, 
in 
causa 
C-324/98. 
(10) Corte 
Costituzionale, sent. n. 139 del 
2021; 
n. 40 del 
2017; 
n. 171 del 
2013; 
n. 213 del 
2011; 
n. 233 e n. 180 del 2010. 
(11) Parere 
del 
Consiglio di 
Stato n. 855 del 
1 aprile 
2016 sullo schema 
del 
decreto legislativo; 
sulla 
esclusione 
in ogni 
caso della 
proroga 
della 
concessione; 
cfr. tar Lazio, sez. II-ter, 
sent. n. 12970 
del 2019. 

RASSeGnA 
AvvOCAtuRA 
DeLLO 
StAtO -n. 3/2022 


gio dedicati 
alla 
nautica 
da 
diporto) (art. 1, comma 
547, della 
legge 
n. 228 del 
2012) 
da 
realizzarsi, 
quanto 
ai 
criteri 
e 
alle 
modalità 
di 
affidamento 
di 
tali 
concessioni, 
sulla 
base 
di 
intesa 
in sede 
di 
Conferenza 
Stato-regioni, ai 
sensi 
del-
l’articolo 8, comma 
5, della 
legge 
5 giugno 2003 n. 131, che 
è 
conclusa 
nel 
rispetto dei 
principi 
di 
concorrenza, di 
libertà 
di 
stabilimento, di 
garanzia 
del-
l’esercizio, dello sviluppo, della 
valorizzazione 
dell’attività 
imprenditoriale 
e 
di 
tutela 
degli 
investimenti, nonché 
in funzione 
del 
superamento del 
diritto di 
insistenza 
di 
cui 
all’art. 
37, 
secondo 
comma, 
secondo 
periodo, 
del 
codice 
della 
navigazione, 
il 
termine 
di 
durata 
delle 
concessioni 
in 
essere 
e 
in 
scadenza 
entro 
il 
31 dicembre 
2015 (poi 
entro il 
31 dicembre 
2018) (art. 1, comma 
670 della 


L. 
n. 
178 
del 
2020), 
è 
prorogato 
fino 
a 
tale 
data 
(poi 
fino 
al 
31 
dicembre 
2020) 
(art. 34-duodecies, comma 
1, del 
decreto-legge 
n. 179 del 
2012, convertito in 
legge 
n. 221 del 
2012), fatte 
salve 
le 
disposizioni 
di 
cui 
all’art. 3, comma 
4bis 
del 
decreto 
legge 
5 
ottobre 
1993 
n. 
400, 
convertito 
con 
modificazioni 
dalla 
legge 4 dicembre 1993 n. 494 >. 
La 
procedura 
di 
infrazione 
si 
è 
conclusa 
con 
decisione 
della 
Commissione 
del 
27 
febbraio 
2012, 
a 
seguito 
dell’emanazione 
dell’art. 
11 
della 
legge 
217 
del 
2011 
(Legge 
comunitaria 
del 
2010) 
che 
al 
comma 
1 
lettera 
a) 
ha 
abrogato 
il 
comma 
2 
dell’articolo 
1 
del 
decreto 
legge 
n. 
400 
del 
1993; 
< 
tale 
delega 
non 
è 
stata 
tuttavia 
esercitata 
poiché, 
dopo 
la 
chiusura 
della 
procedura 
di 
infrazione 
comunitaria, 
con 
l’art. 
34-duodecies 
del 
decreto 
legge 
18 
ottobre 
2012 
n. 
179 
(ulteriori 
misure 
urgenti 
per 
la 
crescita 
del 
Paese) 
convertito 
con 
modificazioni 
dall’art. 
1, 
comma 
1 
della 
legge 
17 
dicembre 
2012 
n. 
221, 
è 
stata 
disposta 
la 
proroga 
sino 
al 
31 
dicembre 
2020 
delle 
concessioni 
demaniali 
in 
essere 
alla 
data 
del 
30 
dicembre 
2009 
ed 
in 
scadenza 
entro 
il 
31 
dicembre 
2015 
> 
(12). 


La 
vicenda 
complessa 
del 
rinnovo 
delle 
concessioni 
demaniali 
marittime 
comprende, 
altresì, 
la 
nota 
sentenza 
del 
14 
luglio 
2016 
della 
Corte 
di 
Giustizia 
dell’unione 
europea 
nelle 
cause 
riunite 
C-458/14 
e 
C-67/15, 
l’articolo 
1 
della 
legge 
145 
del 
2018 
e 
le 
altre 
disposizioni 
introdotte 
in 
connessione 
con 
l’emergenza 
epidemiologica 
del 
Covid 
19 
(art. 
182, 
comma 
2 
del 
decreto 
legge 
n. 
34 
del 
2020 
convertito 
in 
legge 
n. 
77 
del 
2020 
che 
ha 
inibito 
i 
procedimenti 
amministrativi 
per 
la 
devoluzione 
delle 
opere 
non 
amovibili, 
di 
cui 
all’art. 
49 
del 
codice 
della 
navigazione 
per 
il 
rilascio 
o 
per 
l’assegnazione 
con 
procedure 
di 
evidenza 
pubblica, 
delle 
aree 
oggetto 
di 
concessione 
su 
beni 
del 
demanio 
marittimo, 
lacuale 
e 
fluviale 
verso 
pagamento 
del 
canone 
previsto 
dall’atto 
di 
concessione), 
l’art. 
216, 
comma 
2 
dello 
stesso 
decreto 
per 
la 
concessione 
di 
impianti 
sportivi 
pubblici 
(prorogabili 
nel 
limite 
di 
ulteriori 
3 
anni), 
l’art. 
100 
del 
decreto-legge 
n. 
104 
del 
2020, 
convertito 
in 
legge 
n. 
126 
del 
2020, 
che 
ha 
esteso 
le 
disposizioni 
di 
cui 
all’articolo 
1, 


(12) Corte costituzionale, sent. n. 40 del 2017, n. 171 del 2013, n. 118 del 2018, n. 1 del 2019. 

COntRIbutI 
DI 
DOttRInA 


commi 
682 
e 
683, 
della 
legge 
n. 
145 
del 
2018 
alle 
concessioni 
lacuali 
e 
fluviali, 
ivi 
comprese 
quelle 
gestite 
dalle 
società 
sportive 
iscritte 
al 
registro 
Coni, 
nonché 
alle 
concessioni 
per 
la 
realizzazione 
e 
la 
gestione 
di 
strutture 
dedicate 
alla 
nautica 
da 
diporto, 
ai 
rapporti 
aventi 
ad 
oggetto 
la 
gestione 
di 
strutture 
turistico-ricreative 
in 
aree 
ricadenti 
nel 
demanio 
marittimo 
per 
effetto 
di 
provvedimenti 
successivi 
all’inizio 
dell’utilizzazione 
e 
ha 
disposto 
altresì 
la 
proroga 
sino 
al 
31 
dicembre 
2025 
delle 
concessioni 
degli 
impianti 
sportivi 
ubicati 
su 
terreni 
demaniali 
o 
comunali 
rilasciate 
alle 
associazioni 
sportive 
dilettantistiche 
senza 
scopo 
di 
lucro 
in 
attesa 
di 
rinnovo 
o 
scadute 
ovvero 
in 
scadenza 
entro 
il 
31 
dicembre 
2021. 


Il 
Consiglio 
di 
Stato 
si 
è 
pronunciato 
chiaramente 
in 
ordine 
all’incompatibilità 
di 
tali 
proroghe 
generalizzate 
ex 
lege 
rispetto 
alle 
regole 
del-
l’unione 
europea 
sull’indizione 
delle 
gare 
e 
alla 
conseguente 
necessità 
che 
l’operatività 
di 
tali 
proroghe 
venga 
esclusa 
in 
ossequio 
alla 
pronuncia 
del 
2016 
del 
giudice 
eurounitario, 
CGue 
sez. 
v 
14 
luglio 
2016 
n. 
458 
sentenza 
Promoimpresa, 
comportante 
la 
disapplicazione 
dell’art. 
1, 
comma 
18, 
d.l. 


n. 
194/2009 
e 
dell’art. 
34-duodecies, 
d.l. 
179/2012, 
di 
talchè 
la 
proroga 
legale 
delle 
concessioni 
demaniali 
in 
assenza 
di 
gara 
non 
può 
avere 
cittadinanza 
nel 
nostro 
ordinamento 
(13). 
Da 
ultimo 
l’Adunanza 
Plenaria 
sentt. 
nn. 
17 
e 
18 
del 
2021 
-investita 
della 
questione 
della 
proroga 
automatica 
delle 
concessioni 
demaniali 
marittime 
per 
finalità 
turistico-ricreative 
sotto il 
profilo della 
disapplicabilità 
delle 
relative 
disposizioni 
da 
parte 
delle 
Amministrazioni 
pubbliche 
-ha 
enucleato gli 
approdi 
nazionali 
e 
comunitari 
nella 
materia 
delle 
concessioni 
demaniali 
con finalità 
turistico-ricreative 
che 
dovranno 
guidare 
il 
legislatore 
nella 
revisione 
della disciplina di settore: 


1) 
Pertinenza 
dell’“interesse 
transfrontaliero certo”, ai 
fini 
dell’applicabilità 
dell’art. 49 del 
tFue 
e 
del 
divieto di 
proroga 
automatica 
e 
generalizzata 
delle 
relative 
concessioni 
alle 
spiagge 
italiane 
e 
alle 
aree 
lacuali 
e 
fluviali 
per 
conformazione, 
ubicazione 
geografica 
e 
attrazione 
turistica, 
a 
maggior 
ragione 
in 
un 
contesto 
di 
mercato 
nel 
quale 
le 
dinamiche 
concorrenziali 
sono 
già 
particolarmente 
affievolite 
a 
causa 
della 
lunga 
durata 
delle 
concessioni 
attualmente 
in essere; 
2) 
“scarsità” 
ai 
fini 
dell’articolo 12 della 
direttiva 
2006/123/Ce 
delle 
risorse 
naturali 
a 
disposizione 
di 
nuovi 
potenziali 
operatori 
economici, essendo 
stato 
pressochè 
già 
raggiunto 
il 
tetto 
massimo 
di 
aree 
suscettibili 
di 
essere 
date 
in concessione; 
3) 
“tutelabilità 
dell’affidamento 
del 
concessionario”, 
non 
già 
attraverso 
la 
proroga 
automatica, bensì 
al 
momento di 
fissare 
le 
regole 
per la 
procedura 
di 
gara, nonché 
nei 
ristretti 
limiti 
in cui 
la 
Corte 
di 
Giustizia 
lo ha 
ritenuto le(
13) Consiglio di Stato, sez. vI, sent. n. 7874 del 2019. 

RASSeGnA 
AvvOCAtuRA 
DeLLO 
StAtO -n. 3/2022 


gittimo (14), mediante 
un indennizzo a 
tutela 
degli 
eventuali 
investimenti 
effettuati 
dai concessionari uscenti; 


4) 
Venir 
meno 
degli 
effetti 
della 
concessione 
così 
prorogata 
ex 
lege 
anche 
nei 
casi 
in cui 
siano stati 
adottati 
formali 
atti 
di 
proroga 
e 
nei 
casi 
in cui 
sia intervenuto un giudicato favorevole; 
5) 
necessità 
di 
evitare 
la 
previsione 
di 
regole 
di 
gara 
che, 
tenendo 
in 
considerazione 
gli 
investimenti 
effettuati 
senza 
considerare 
il 
parametro di 
efficienza 
quale 
presupposto 
di 
apprezzabilità 
dei 
medesimi, 
producano, 
comunque, un 
effetto di “preferenza” per il gestore uscente. 
6) 
necessità 
di 
valorizzare, 
nella 
definizione 
dei 
criteri 
di 
selezione 
la 
capacità 
tecnica, 
professionale, 
finanziaria 
ed 
economica 
degli 
operatori, 
l’esperienza 
professionale 
e 
il 
know-how 
acquisito, 
anche 
tenendo 
conto 
della 
capacità 
di 
interazione 
del 
progetto con il 
complessivo sistema 
turistico-ricettivo 
del 
territorio locale, gli 
standard qualitativi 
del 
servizio, la 
sostenibilità 
sociale e ambientale del piano degli investimenti (15). 
Quanto 
alle 
modalità 
di 
affidamento 
da 
parte 
dei 
concessionari, 
attualmente 
il 
Codice 
trova 
applicazione 
all’aggiudicazione 
dei 
contratti 
di 
< 
lavori 
pubblici 
affidati 
dai 
concessionari 
di 
lavori 
pubblici 
che 
non 
sono 
amministrazioni 
aggiudicatrici 
e 
di 
lavori 
pubblici 
affidati 
dai 
concessionari 
di 
servizi, 
quando 
essi 
sono 
strettamente 
strumentali 
alla 
gestione 
del 
servizio 
e 
le 
opere 
pubbliche 
diventano 
di 
proprietà 
dell’amministrazione 
aggiudicatrice 
> 
(articolo 
1, 
comma 
2). 
Per 
gli 
appalti 
di 
lavori 
affidati 
a 
terzi, 
i 
concessionari 
di 
lavori 
pubblici 
che 
non 
sono 
amministrazioni 
aggiudicatrici 
sono 
tenuti 
all’osservanza 
della 
parte 
III 
del 
codice, 
nonché 
delle 
disposizioni 
di 
cui 
alle 
parti 
I 
e 
II 
in 
materia 
di 
subappalto, 
progettazione, 
collaudo 
e 
piani 
di 
sicurezza, 
non 
espressamente 
derogate 
(art. 
164, 
comma 
5). 
ne 
deriva 
che 
l’osservanza 
delle 
regole 
dell’evidenza 
pubblica 
è 
prevista 
a 
carico 
dei 
concessionari 
di 
lavori 
pubblici 
che 
non 
sono 
amministrazioni 
aggiudicatrici 
per 
l’affidamento 
di 
lavori 
(art. 
164, 
comma 
5) 
e 
non 
per 
l’affidamento 
di 
servizi 
(16). 


Da 
ultimo si 
deve 
rilevare 
che 
la 
Corte 
Costituzionale 
con 
la sentenza 


n. 218 del 
2021 è 
intervenuta dichiarando l’illegittimità dell’art. 177 del 
Codice 
dei 
Contratti 
pubblici, il 
quale 
imponeva ai 
titolari 
delle 
concessioni 
già in 
essere 
non 
affidate 
con 
la formula della finanza di 
progetto o 
con 
procedure 
a 
evidenza 
pubblica 
di 
esternalizzare 
con 
procedura 
di 
evidenza 
pubblica 
l’80 
per 
cento 
dei 
contratti 
di 
lavori, 
servizi 
e 
forniture 
relative 
a concessioni 
di 
importo pari 
o superiori 
a 150.000 euro, potendo 
(14) Sentenza della Grande Sezione, 19 luglio 2016, causa C-526/14. 
(15) Consiglio di Stato, Ad. Pl., sentt. nn. 17 e 18 del 2021. 
(16) Cassazione civile, Sezioni unite, sent. n. 7005 del 2020. 

COntRIbutI 
DI 
DOttRInA 


la restante 
essere 
realizzata da società in 
house 
o società controllate 
o collegate 
ovvero 
operatori 
individuati 
mediate 
procedura 
a 
evidenza 
pubblica. 
tale 
obbligo, 
benché 
costituisca 
un 
rimedio 
ex 
post 
al 
vulnus 
conseguente 
a 
passati 
affidamenti 
diretti 
avvenuti 
al 
di 
fuori 
delle 
regole 
del 
mercato, volto dunque 
a 
favorire 
l’apertura 
alla 
concorrenza, attraverso la 
restituzione 
al 
mercato 
di 
segmenti 
di 
attività 
ad 
esso 
sottratti, 
in 
quanto 
oggetto 
di 
concessioni 
a 
suo tempo affidate 
senza 
gara 
alle 
imprese 
concessionarie, è 
stato ritenuto incostituzionale 
dalla 
Corte, in quanto sacrifica 
e 
comprime 
in 
misura 
irragionevole 
e 
sproporzionata, rispetto al 
pur legittimo fine 
di 
perseguire 
la 
libertà 
di 
iniziativa 
economica, a 
sua 
volta 
garantita 
dall’articolo 41 
della 
Costituzione, da 
leggere 
oggi 
anche 
alla 
luce 
del 
diritto dell’unione 
europea; 
irragionevole 
tenuto 
conto 
sia 
delle 
“dimensioni 
dell’oggetto” 
dell’obbligo 
censurato, 
sia 
della 
sua 
mancata 
differenziazione 
o 
graduazione 
in 
ragione 
di 
elementi 
rilevanti, 
nel 
ricordato 
bilanciamento, 
per 
l’apprezzamento 
dello stesso interesse 
della 
concorrenza, quali 
fra 
gli 
altri 
le 
dimensioni 
della 
concessione, le 
dimensioni 
e 
i 
caratteri 
del 
soggetto concessionario, l’epoca 
di 
assegnazione 
della 
concessione, la 
sua 
durata, il 
suo oggetto e 
il 
suo valore 
economico, sia 
dell’affidamento dei 
concessionari 
che 
riguarda 
anche 
al 
di 
là 
dell’impresa 
e 
delle 
sue 
sorti, la 
prestazione 
oggetto della 
concessione; 
sproporzionata, 
poiché 
con 
la 
misura 
prevista 
non 
si 
può 
certo 
dire 
che 
il 
legislatore 
abbia 
dato la 
preferenza 
al 
mezzo più mite 
fra 
quelli 
idonei 
a 
raggiungere 
lo 
scopo, scegliendo fra 
i 
vari 
strumenti 
a 
disposizione 
quello che 
determina 
il 
sacrificio minore (17). 


Il 
panorama 
normativo è 
cambiato per effetto della 
legge 
5 agosto 2022 


n. 118 
dal 
titolo “Legge 
annuale 
per 
il 
mercato e 
la concorrenza 2021” 
in vigore 
dal 
27 agosto 2022. Si 
prevede 
l’adozione 
di 
un decreto legislativo per 
la 
così 
detta 
mappatura, ossia 
“per 
la costituzione 
e 
il 
coordinamento di 
un sistema 
informativo di 
rilevazione 
delle 
concessioni 
di 
beni 
pubblici, al 
fine 
di 
promuovere 
la 
massima 
pubblicità 
e 
trasparenza, 
anche 
in 
forma 
sintetica, 
dei 
principali 
dati 
e 
delle 
informazioni 
relativi 
a tutti 
i 
rapporti 
concessori, 
tenendo conto delle esigenze di difesa e sicurezza” (art. 2). 
I punti essenziali di tale legge sono: 


1) 
Cessazione 
di 
efficacia 
delle 
concessioni 
in 
essere 
al 
31 
dicembre 
2023 
con 
possibilità 
di 
differimento 
non 
oltre 
il 
31 
dicembre 
2024 
con 
atto 
motivato 
dell’autorità 
competente 
e 
in pendenza 
di 
un contenzioso o di 
difficoltà 
oggettive 
legate all’espletamento delle gare (art. 3); 
2) 
espletamento delle gare per l’affidamento delle nuove concessioni; 
3) 
Rispetto dei 
principi 
del 
tFue 
a 
tutela 
della 
concorrenza, ai 
fini 
della 
scelta del concessionario; 
(17) Corte Costituzionale, sent. n. 202 del 2021, n. 119 del 2020 e 179 del 2019. 

RASSeGnA 
AvvOCAtuRA 
DeLLO 
StAtO -n. 3/2022 


4) 
Considerazione 
delle 
professionalità 
acquisite 
nel 
settore, degli 
investimenti 
effettuati 
e 
riconoscimento di 
un indennizzo a 
favore 
del 
concessionario 
uscente posto a carico del concessionario subentrante. 
tale 
legge 
ha 
risolto 
il 
problema? 
nuove 
difficoltà 
si 
profilano 
all’orizzonte: 
-la 
scadenza 
ravvicinata 
per 
l’adozione 
dei 
decreti 
legislativi 
di 
attuazione 
della L. n. 118 /22 (18); 
-lo 
spettro 
della 
riduzione 
dei 
fondi 
europei 
del 
PnRR 
stanziati 
per 
l’Italia 
in caso di mancata attuazione nei termini del d.lgs n. 118/22; 


-molte 
clausole 
in bianco (assenza 
dei 
criteri 
di 
determinazione 
dell’indennizzo); 
-i 
tempi 
ristretti 
per lo svolgimento delle 
gare 
e 
la 
loro conclusione 
entro 
il 31 dicembre 2023 o, in via eccezionale, il 31 dicembre 2024; 
-il 
contenzioso 
che 
si 
accompagna 
in 
maniera 
endemica 
a 
ogni 
procedura 
di evidenza pubblica; 
-la 
pretesa 
di 
nuove 
competenze 
nell’ambito 
dell’attuazione 
della 
delega 
da 
parte 
dell’AnAC 
che 
invoca 
il 
suo 
coinvolgimento 
in 
caso 
di 
contratti 
misti 
di 
concessioni, 
laddove 
al 
contratto 
di 
concessione 
di 
bene 
pubblico 
acceda 
anche 
una 
concessione 
di 
servizi 
o 
lavori 
pubblici, 
per 
la 
redazione 
di 
bandi 
tipo 
in 
funzione 
delle 
gare 
da 
svolgersi 
e 
in 
tema 
di 
vigilanza 
collaborativa 
sulla 
effettuazione 
delle 
stesse, 
sebbene 
alle 
concessioni 
demaniali 
marittime 
per 
finalità 
turistico-ricreative 
non 
si 
applica 
il 
codice 
dei 
contratti 
pubblici 
(19); 


-la 
pendenza 
alla 
CGue 
della 
questione 
sulla 
compatibilità 
europea 
dell’art. 49 del 
codice 
della 
navigazione, rimessa 
dalla 
sez. vII del 
Consiglio 
di Stato con l’ordinanza del 15 settembre 2022 n. 8010. 


Su questa vicenda la parola fine non può essere ancora pronunciata. 


Il 
7 
dicembre 
2022 
è 
stato 
trasmesso 
al 
Governo 
il 
nuovo 
schema 
dei 
contratti 
pubblici, elaborato dal 
Consiglio di 
Stato. Il 
Consiglio dei 
Ministri, venerdì 
16 
dicembre 
2022, 
ha 
approvato, 
in 
esame 
preliminare, 
il 
decreto 
legislativo di 
riforma 
del 
Codice 
dei 
contratti 
pubblici, in attuazione 
dell’articolo 
1 
della 
Legge 
21 
giugno 
2022, 
n. 
78, 
recante 
delega 
al 
Governo 
in 
materia 
di contratti pubblici, che entrerà in vigore il 1 aprile 2023. 


Per quanto qui 
ci 
riguarda, il 
libro Iv 
si 
occupa 
del 
partenariato pubblico 


- privato e delle concessioni. 
Come 
ha 
inciso 
il 
nuovo 
codice 
dei 
contratti 
pubblici 
sulle 
concessioni, 
da 
intendersi 
come 
composizione 
negoziale 
complessa? 
Da 
una 
prima 
let


(18) 
La 
scadenza 
è 
fissata 
in 
sei 
mesi 
dall’entrata 
in 
vigore 
della 
legge 
e 
quindi, 
entro 
il 
27 
febbraio 
2023 
con 
intervento 
anche 
della 
intesa 
in 
sede 
di 
Conferenza 
unificata 
nonché 
dei 
pareri 
del 
Cons. 
Stato 
e delle Commissioni parlamentari. 
(19) Atto di 
segnalazione 
Anac 
n. 4 del 
6 settembre 
2022 in materia 
di 
concessioni 
di 
beni 
demaniali, 
https://www.anticorruzione.it/-/atto-di-segnalazione-n.-4-del-6-settembre-2022. 

COntRIbutI 
DI 
DOttRInA 


tura 
emerge 
il 
suo 
inquadramento 
come 
sub-categoria 
del 
partenariato 
pubblico-
privato, 
la 
sua 
configurazione 
di 
“strumento 
contendibile” 
alla 
luce 
dei 
criteri 
degli 
“aiuti 
di 
stato” 
ex 
art. 
106 
tFue 
secondo 
il 
criterio 
del 
MeOP, 
pari 
passu 
e 
del 
direct 
and 
indirect 
evidence. 
Si 
coglie 
il 
significato 
ed 
il 
profilo 
di 
collaborazione 
tra 
pubblico 
e 
privato 
in 
una 
definizione 
implicita 
della 
concessione, 
quale 
sinonimo 
di 
servizio 
pubblico. 
Occorre 
ricordare 
che 
nella 
fase 
di 
prima 
armonizzazione 
la 
concessione, 
anche 
nella 
lingua 
inglese 
e 
francese, 
è 
concepita 
come 
alternativa 
all’appalto 
di 
servizi. 
ed 
allora 
il 
libro 
Iv 
del 
nuovo 
Codice 
cerca 
di 
definire 
“la 
specificità” 
della 
stessa 
rispetto 
all’appalto. 
In 
che 
modo? 
ebbene, 
prima 
di 
tutto 
sotto 
il 
profilo 
della 
“regolarità 
procedurale 
selettiva” 
c.d. 
legal 
due 
procedure: 
un 
conto 
è 
selezionare 
gli 
appaltatori, 
un 
conto 
è 
selezionare 
i 
concessionari. 
Il 
precedente 
codice 
D.lgs. 
50/2016 
richiamava 
il 
“principio 
di 
compatibilità”: 
alle 
concessioni 
si 
applicano 
le 
norme 
sugli 
appalti 
in 
quanto 
“compatibili”. 


Il nuovo Codice introduce: 


1) 
una programmazione specifica per il partenariato; 
2) 
una procedimentalizzazione 
ex ante 
per la localizzazione dei rischi; 
3) 
L’ausilio 
delle 
stazioni 
appaltanti, 
sottoposte 
alla 
tanta 
auspicata 
“qualificazione” 
attraverso anche 
la 
c.d. vigilanza 
collaborativa 
e 
procedure 
sperimentali 
ex art. 223; 
4) 
Definizione 
e 
tipizzazione 
del 
contenuto del 
contratto di 
concessione, 
nella 
cui 
consideration 
deve 
essere 
perimetrato 
il 
“rischio” 
da 
intendersi 
come 
esposizione 
concreta 
alla 
fluttuazione 
del 
mercato (si 
ricorda 
che 
nel 
codice 
attuale 
si 
prevede 
non solo un limite 
qualitativo, ma 
anche 
quantitativo della 
traslazione 
del 
rischio fissato al 
49%, tale 
parametro diventa 
elemento costitutivo 
di fattispecie per i servizi di interesse economico generale); 
5) 
nella 
fase 
di 
esecuzione 
è 
regolato 
il 
procedimento 
di 
subentro 
con 
l’istituto 
della 
revisione 
distinta 
e 
differenziata 
tra 
appalti 
e 
concessioni 
secondo 
la 
theorie 
de 
l’imprevision o doctrine 
of 
frustration, ispirata 
ai 
principi 
della buona fede e corretezza, good faith 
e 
treu und Glauben; 
6) 
Ridefinizione 
del 
project 
financing 
con articolo più breve 
per disciplinare 
l’iniziativa privata con criterio alternativo alla prelazione; 
7) 
La 
definizione 
del 
rapporto 
tra 
concessione 
ed 
autorizzazione, 
laddove 
quest’ultima 
è 
disciplinata 
dalla 
direttiva 
Bolkestein 
sotto il 
profilo del 
controllo 
e del contenuto; 
8) L’in house 
vede 
la 
scelta 
di 
due 
testi, il 
tu 
sui 
servizi 
pubblici 
con la 
delega 
nella 
legge 
sulla 
concorrenza 
e 
il 
codice 
dei 
contratti 
con 
delega 
diversa. 
L’in house, superata 
il 
dilemma 
della 
regola 
o dell’eccezione, vede 
una 
differenziazione 
tra 
i 
due 
testi 
legislativi 
in 
ordine 
alla 
motivazione 
rafforzata 
sotto 
il 
profilo della 
regola 
della 
sussidiarietà 
economica 
e 
del 
fallimento del 
mercato 
e un disallineamento tra servizi strumentali e servizi finali. 

RASSeGnA 
AvvOCAtuRA 
DeLLO 
StAtO -n. 3/2022 


Questa 
è 
una 
prima 
lettura: 
si 
coglie 
il 
notevole 
sforzo del 
Consiglio di 
Stato 
nel 
risistemare 
tale 
complessa 
materia 
in 
tempi 
strettissimi 
e 
nell’inserire 
“il 
principio del 
risultato” 
quale 
elemento integrante 
della 
fattispecie 
normativa 
in modo da essere coniugato senza frizioni con il 
principio di legalità. 

Spetterà 
ora 
a 
noi 
operatori 
del 
diritto prendere 
familiarità 
con le 
nuove 
norme, sperando che 
tale 
nuovo codice 
segni 
“il 
salto quantico”, per cosi 
dire 
evolutivo del 
nostro paese 
per il 
raggiungimento dei 
target, milestones, degli 
obiettivi 
del 
PnRR, concepito come 
“grant 
in aid”, aiuto dell’europa 
per la 
realizzazione di riforme fondamentali per l’Italia e l’europa. 



COntRIbutI 
DI 
DOttRInA 


Le prove e l’istruzione probatoria nel processo tributario 


Isabella Vitiello* 


Sommario: 1. introduzione 
-2. mezzi 
di 
prova nel 
processo tributario. Prove 
tipiche 



3. (segue) 
Prove 
atipiche 
-4. (segue) 
Prove 
escluse 
-5. (segue) 
Prove 
precostituite 
e 
prove 
costituende 
e 
modalità del 
loro ingresso nel 
processo -6. 
(segue) 
Prove 
storiche 
e 
prove 
critiche 
-7. Principio di 
acquisizione 
della prova -8. Provvedimenti 
sull’istruttoria -9. onere 
della prova ed onere 
del 
principio di 
prova -10. (segue) 
iudex 
debet 
iudicare 
secundum 
probata 
(principio 
dispositivo 
in 
materia 
di 
prova) 
ed 
onere 
di 
contestazione 
-11. 
Principio 
della 
libera valutazione 
delle 
prove 
-12. modalità e 
termini 
per 
lo svolgimento dell’attività istruttoria 
nel 
primo grado del 
giudizio -13. modalità e 
termini 
per 
lo svolgimento dell’attività 
istruttoria 
nel 
giudizio 
di 
appello 
-14. 
modalità 
e 
termini 
per 
lo 
svolgimento 
dell’attività 
istruttoria 
nel 
giudizio 
di 
cassazione 
e 
di 
rinvio 
-15. 
La 
contestazione 
dei 
documenti: 
querela 
di falso, disconoscimento e verificazione. 
1. introduzione. 
La 
cognizione 
delle 
controversie 
tributarie 
spetta, in via 
di 
giurisdizione 
esclusiva, 
alle 
corti 
di 
giustizia 
tributaria 
di 
primo 
grado 
e 
alle 
corti 
di 
giustizia 
tributaria 
di 
secondo grado di 
cui 
all' 
art. 1 del 
D.L.vo 31 dicembre 
1992, n. 
545 
(così 
statuisce 
l’art. 
1, 
comma 
1, 
D.L.vo 
31 
dicembre 
1992, 
n. 
546). 
L’ambito 
della 
giurisdizione 
è 
delineato 
nell’art. 
2 
del 
D.L.vo 
n. 
546/1992, 
testo 
contenente 
disposizioni 
sul 
processo tributario, il 
quale 
così 
statuisce: 
“1. 
appartengono 
alla 
giurisdizione 
tributaria 
tutte 
le 
controversie 
aventi 
ad 
oggetto 
i 
tributi 
di 
ogni 
genere 
e 
specie 
comunque 
denominati, 
compresi 
quelli 
regionali, 
provinciali 
e 
comunali 
e 
il 
contributo 
per 
il 
Servizio 
sanitario 
nazionale, 
le 
sovrimposte 
e 
le 
addizionali, 
le 
relative 
sanzioni 
nonché 
gli 
interessi 
e 
ogni 
altro 
accessorio. 
restano 
escluse 
dalla 
giurisdizione 
tributaria 
soltanto 
le 
controversie 
riguardanti 
gli 
atti 
della 
esecuzione 
forzata 
tributaria 
successivi 
alla 
notifica 
della 
cartella 
di 
pagamento 
e, 
ove 
previsto, 
dell'avviso 
di 
cui 
all'articolo 
50 
del 
decreto 
del 
Presidente 
della 
repubblica 
29 
settembre 
1973, 
n. 
602, 
per 
le 
quali 
continuano 
ad 
applicarsi 
le 
disposizioni 
del 
medesimo 
decreto 
del 
Presidente 
della 
repubblica. 
2. 
appartengono 
altresì 
alla 
giurisdizione 
tributaria 
le 
controversie 
promosse 
dai 
singoli 
possessori 
concernenti 
l'intestazione, 
la 
delimitazione, 
la 
figura, 
l'estensione, 
il 
classamento 
dei 
terreni 
e 
la 
ripartizione 
dell'estimo 
fra 
i 
compossessori 
a 
titolo 
di 
promiscuità 
di 
una 
stessa 
particella, 
nonché 
le 
controversie 
concernenti 
la 
consistenza, 
il 
classamento 
delle 
singole 
unità 
immobiliari 
urbane 
e 
l'attribuzione 
della 
rendita 
catastale. 
appartengono 
alla 
giurisdizione 
tributaria 
anche 
le 
controversie 
attinenti 
l'imposta 
o 
il 
canone 
comunale 
sulla 
pubblicità 
e 
il 
di


(*) Funzionario dell’Agenzia delle entrate. 



RASSeGnA 
AvvOCAtuRA 
DeLLO 
StAtO -n. 3/2022 


ritto 
sulle 
pubbliche 
affissioni. 
3. 
il 
giudice 
tributario 
risolve 
in 
via 
incidentale 
ogni 
questione 
da 
cui 
dipende 
la 
decisione 
delle 
controversie 
rientranti 
nella 
propria 
giurisdizione, 
fatta 
eccezione 
per 
le 
questioni 
in 
materia 
di 
querela 
di 
falso 
e 
sullo 
stato 
o 
la 
capacità 
delle 
persone, 
diversa 
dalla 
capacità 
di 
stare 
in 
giudizio”. 


Le 
corti 
di 
giustizia 
tributaria 
sono, 
nella 
sostanza, 
l’unico 
giudice 
sulle 
controversie 
tributarie 
il 
cui 
oggetto 
può 
essere 
costituito 
da 
atti 
amministrativi 
individuali 
(atti 
impositivi) 
oppure 
da 
un 
rapporto 
(diritto 
al 
rimborso). 


Gli 
organi 
della 
giurisdizione 
tributaria 
sono delineati 
nell’art. 1 D.L.vo 


n. 546/1992: 
la 
giurisdizione 
tributaria 
è 
esercitata 
a) delle 
corti 
di 
giustizia 
tributaria 
di 
primo grado, aventi 
sede 
nel 
capoluogo di 
ogni 
provincia, quale 
giudice 
di 
primo grado; 
b) dalle 
corti 
di 
giustizia 
tributaria 
di 
secondo grado, 
aventi 
sede 
nel 
capoluogo di 
ogni 
regione, quale 
giudice 
di 
appello; 
c) dalla 
Corte 
di 
Cassazione, quale 
giudice 
di 
legittimità 
nel 
giudizio avverso la 
sentenza 
della 
commissione 
tributaria 
regionale 
per i 
motivi 
di 
cui 
ai 
numeri 
da 
1 a 5 dell'art. 360, primo comma, c.p.c. (art. 62 D.L.vo n. 546/1992). 
nella 
lite 
vengono coinvolti 
interessi 
legittimi 
allorché 
venga 
impugnato 
un 
atto 
impositivo, 
costituente 
un 
ordinario 
provvedimento 
amministrativo 
espressione 
dell’esercizio del 
pubblico potere. nel 
caso che 
la 
lite 
tributaria 
abbia 
ad 
oggetto 
la 
richiesta 
di 
rimborso 
del 
contribuente, 
nella 
stessa, 
all’evidenza, 
si 
controverte 
di 
diritti 
soggettivi. In sintesi, quella 
delle 
corti 
di 
giustizia 
tributaria 
è 
una 
giurisdizione 
esclusiva 
perché 
può avere 
ad oggetto sia 
interessi legittimi che diritti soggettivi. 


va 
evidenziato, 
tuttavia, 
che 
una 
parte 
della 
dottrina 
reputa 
che 
quella 
tributaria 
è 
una 
giurisdizione 
sempre 
su diritti. Ciò quale 
corollario della 
natura 
attribuita 
all’atto impositivo: 
non provvedimento amministrativo, ma 
atto di 
mero accertamento in quanto si 
reputa 
che 
il 
rapporto tributario -e 
in specie 
l’obbligazione 
tributaria 
-tragga 
fonte 
e 
regolazione 
direttamente 
dalla 
legge, 
sicché alcuna forza autonoma vi sarebbe nell’atto di imposizione tributaria. 


Alle corti di giustizia tributaria si possono proporre 


-azioni 
costitutive. Con tali 
azioni 
si 
opera 
l’impugnazione 
del 
provvedimento 
impositivo al 
fine 
di 
conseguirne 
l’annullamento. L’art. 19 D.L.vo n. 
546/1992 delinea 
gli 
atti 
impugnabili 
e 
oggetto del 
ricorso (1). Il 
ricorso deve 
(1) 1. il ricorso può essere proposto avverso: 
a) l'avviso di 
accertamento del 
tributo; b) l'avviso di 
liquidazione 
del 
tributo; c) il 
provvedimento che 
irroga 
le 
sanzioni; 
d) 
il 
ruolo 
e 
la 
cartella 
di 
pagamento; 
e) 
l'avviso 
di 
mora; 
e-bis) 
l'iscrizione 
di 
ipoteca 
sugli 
immobili 
di 
cui 
all'articolo 77 del 
decreto del 
Presidente 
della repubblica 29 settembre 
1973, n. 
602, 
e 
successive 
modificazioni; 
e-ter) 
il 
fermo 
di 
beni 
mobili 
registrati 
di 
cui 
all'articolo 
86 
del 
decreto 
del 
Presidente 
della 
repubblica 
29 
settembre 
1973, 
n. 
602, 
e 
successive 
modificazioni; 
f) 
gli 
atti 
relativi 
alle 
operazioni 
catastali 
indicate 
nell'art. 2, comma 2; g) il 
rifiuto espresso o tacito della restituzione 
di 
tributi, sanzioni 
pecuniarie 
ed interessi 
o altri 
accessori 
non dovuti; h) il 
diniego o la revoca di 
agevolazioni 
o il 
rigetto di 
domande 
di 
definizione 
agevolata di 
rapporti 
tributari; h-bis) la decisione 
di 
rigetto 
dell'istanza 
di 
apertura 
di 
procedura 
amichevole 
presentata 
ai 
sensi 
della 
direttiva 
(UE) 
2017/1852 

COntRIbutI 
DI 
DOttRInA 


essere 
proposto a 
pena 
di 
inammissibilità 
entro sessanta 
giorni 
dalla 
data 
di 
notificazione dell'atto impugnato (art. 21, comma 1, D.L.vo n. 546/1992); 


-azioni 
di 
condanna. 
Sono 
esercitate 
dal 
contribuente 
al 
fine 
di 
conseguire 
il 
rimborso di 
un tributo pagato, ma 
non dovuto. Ciò sia 
in occasione 
di 
un rifiuto 
espresso o tacito della 
restituzione 
(da 
impugnare 
in uno alla 
domanda 
di 
rimborso) che 
a 
prescindere 
dal 
rifiuto (in casi 
di 
puro indebito). Il 
ricorso 
avverso il 
rifiuto tacito della 
restituzione 
di 
cui 
all' 
articolo 19, comma 
1, lettera 
g), può essere 
proposto dopo il 
novantesimo giorno dalla 
domanda 
di 
restituzione 
presentata 
entro 
i 
termini 
previsti 
da 
ciascuna 
legge 
d'imposta 
e 
fino 
a 
quando 
il 
diritto 
alla 
restituzione 
non 
è 
prescritto. 
La 
domanda 
di 
restituzione, 
in 
mancanza 
di 
disposizioni 
specifiche, 
non 
può 
essere 
presentata 
dopo 
due 
anni 
dal 
pagamento ovvero, se 
posteriore, dal 
giorno in cui 
si 
è 
verificato 
il presupposto per la restituzione (art. 21, comma 2, D.L.vo n. 546/1992); 


- azioni cautelari (artt. 47-47 bis 
D.L.vo n. 546/1992); 
- azioni di ottemperanza (art. 70 D.L.vo n. 546/1992). 
Il 
processo 
tributario, 
come 
quello 
civile 
ed 
amministrativo, 
è 
un 
processo 
soggettivo e 
non oggettivo. nello stesso si 
agitano delle 
pretese, delle 
situazioni 
giuridiche 
soggettive 
(pretesa 
dell’Amm.ne 
contrastata 
dal 
contribuente; 
pretesa 
del 
contribuente 
ad un rimborso o a 
una 
detrazione 
o deduzione 
contrastata 
dall’Amm.ne). 


Come 
in tutti 
i 
processi 
soggettivi 
vi 
è 
la 
rilevanza, nel 
giudizio di 
fatto, 
delle 
prove 
e 
si 
applica 
la 
regola 
dell’onere 
della 
prova 
e 
del 
libero convincimento 
del 
risultato 
probatorio. 
Rispetto 
al 
prototipo 
dei 
processi 
-ossia 
il 
processo 
civile 
-tuttavia 
vi 
sono deroghe 
e 
peculiarità 
che 
verranno di 
eseguito 
evidenziate (2). 


2. mezzi di prova nel processo tributario. Prove tipiche. 
Prova 
è 
qualsiasi 
mezzo 
che 
dà 
un 
contributo 
conoscitivo 
al 
fine 
della 
definizione 
del 
giudizio 
di 
fatto. 
Oggetto 
della 
prova 
sono 
i 
fatti. 
Dal 
sistema 
emerge, 
in 
sintesi, 
quanto 
segue: 
tutte 
le 
prove 
ammesse 
nel 
processo 
civile 


del 
Consiglio 
del 
10 
ottobre 
2017 
o 
ai 
sensi 
degli 
accordi 
e 
delle 
Convenzioni 
internazionali 
per 
evitare 
le 
doppie 
imposizioni 
di 
cui 
l'italia è 
parte 
ovvero ai 
sensi 
della Convenzione 
relativa all'eliminazione 
delle 
doppie 
imposizioni 
in caso di 
rettifica degli 
utili 
di 
imprese 
associate 
n. 90/436/CEE; i) ogni 
altro 
atto per il quale la legge ne preveda l'autonoma impugnabilità davanti alle commissioni tributarie. 


2. 
Gli 
atti 
espressi 
di 
cui 
al 
comma 
1 
devono 
contenere 
l'indicazione 
del 
termine 
entro 
il 
quale 
il 
ricorso 
deve 
essere 
proposto e 
della commissione 
tributaria competente, nonché 
delle 
relative 
forme 
da osservare 
ai sensi dell'art. 20. 
3. Gli 
atti 
diversi 
da quelli 
indicati 
non sono impugnabili 
autonomamente. ognuno degli 
atti 
autonomamente 
impugnabili 
può essere 
impugnato solo per 
vizi 
propri. La mancata notificazione 
di 
atti 
autonomamente 
impugnabili, 
adottati 
precedentemente 
all'atto 
notificato, 
ne 
consente 
l'impugnazione 
unitamente a quest' ultimo). 
(2) Per una 
introduzione 
alla 
materia: 
F. teSAuRO, istituzioni 
di 
diritto tributario, 1 -Parte 
generale, 
XI edizione, utet, 2013, pp. 367-378; 
L. QueRCIA, il 
processo tributario, Iv 
edizione, esselibri, 
2009, pp. 32-47, 133-134, 155-156, 298-301. 

RASSeGnA 
AvvOCAtuRA 
DeLLO 
StAtO -n. 3/2022 


sono 
ammesse 
altresì 
nel 
processo 
tributario, 
ad 
eccezione 
del 
giuramento. 


Le 
prove 
possono essere 
tipologicamente 
previste 
dalla 
legge 
(e 
quindi 
tipiche), oppure 
individuate 
in qualsiasi 
res 
-diversa 
dalle 
prove 
tipiche 
-che 
dia un contributo conoscitivo (prove atipiche). 


Le 
prove 
tipiche 
sono previste 
nel 
codice 
di 
procedura 
civile, iterate 
nel 
codice 
del 
processo 
tributario. 
Quest’ultimo, 
infatti, 
disciplina 
specificamente 
alcuni 
mezzi 
di 
prova 
(quali 
i 
documenti, relazioni 
di 
verificazione, C.t.u.), 
già 
regolati 
nel 
codice 
di 
rito civile 
e, per il 
resto opera 
la 
norma 
generale 
di 
richiamo ex art. 1, comma 
2, D.l.vo n. 546/1992 secondo cui 
“i giudici 
tributari 
applicano 
le 
norme 
del 
presente 
decreto 
e, 
per 
quanto 
da 
esse 
non 
disposto 
e 
con esse 
compatibili, le 
norme 
del 
codice 
di 
procedura civile” 
con il 
divieto 
di 
cui 
al 
comma 
4 dell’art. 7 del 
D.L.vo n. 546/1992 secondo cui 
“Non è 
ammesso 
il giuramento”. 


Prove 
tipiche, 
previste 
nel 
codice 
di 
procedura 
civile 
(artt. 
191-266 
c.p.c., 
integrato con il 
codice 
civile: 
artt. 2699-2739 c.c.) con alcune 
specificazioni 
nel processo tributario, sono le seguenti. 


a) Documento. Il 
documento è 
la 
rappresentazione 
materiale 
(scritta, cinematografica, 
elettromagnetica, ecc.) od informatica 
di 
fatti. Si 
distingue 
tra 
atto 
pubblico 
(artt. 
2699-2700 
c.c., 
redatto 
da 
un 
notaio 
o 
da 
altro 
pubblico 
ufficiale 
autorizzato ad attribuirgli 
pubblica 
fede 
e 
che 
fa 
piena 
prova 
fino a 
querela 
di 
falso 
con 
riguardo 
all’estrinseco) 
e 
scrittura 
privata 
(artt. 
2701-2704 
c.c.: 
proveniente 
da 
un privato e 
liberamente 
valutabile 
dal 
giudice, salvo che 
colui 
contro 
il 
quale 
la 
scrittura 
è 
prodotta 
ne 
riconosce 
la 
sottoscrizione 
anche 
tacitamente 
mediante 
non 
disconoscimento 
in 
giudizio, 
ovvero 
la 
sottoscrizione 
sia 
stata 
autenticata 
ovvero se 
questa 
è 
stata 
verificata 
giudizialmente; 
in 
queste 
ultime 
tre 
evenienze 
la 
scrittura 
privata 
fa 
piena 
prova, 
fino 
a 
querela 
di falso, della provenienza delle dichiarazioni da chi l'ha sottoscritta). 
L’atto pubblico è 
concetto distinto dal 
documento formato nell’esercizio 
di 
una 
attività 
pubblica, ossia 
proveniente 
da 
una 
pubblica 
autorità. Quest’ultimo 
può essere 
qualificato atto pubblico solo se 
formato nell’esercizio di 
una 
attività 
pubblica 
specificamente 
diretta 
alla 
documentazione, 
ossia 
il 
documentatore 
è 
autorizzato ad attribuirgli 
pubblica 
fede. Diversamente 
non ha 
la 
qualità 
di 
atto 
pubblico 
ed 
è 
liberamente 
valutabile 
dal 
giudice, 
non 
costituendo 
prova legale. 


Il 
documento 
è 
la 
prova 
principe 
e 
statisticamente 
più 
diffusa 
nel 
processo 
tributario (processo verbale, atto di 
accertamento con indicazione 
degli 
elementi 
probatori, ecc.). Prova 
particolarmente 
efficace, perché 
spesso costituisce 
prova 
legale, 
ossia 
fa 
piena 
prova 
fino 
a 
querela 
di 
falso 
con 
riguardo 
all’estrinseco: 
è 
il 
caso dei 
processi 
verbali. Difatti, i 
verbali 
delle 
verifiche, i 
verbali 
di 
accertamento dell'Amministrazione 
finanziaria 
costituiscono piena 
prova, fino a 
querela 
di 
falso, con riguardo ai 
fatti 
attestati 
dal 
pubblico ufficiale 
rogante 
come 
avvenuti 
in sua 
presenza 
e 
conosciuti 
senza 
alcun margine 



COntRIbutI 
DI 
DOttRInA 


di 
apprezzamento o da 
lui 
compiuti, nonché 
alla 
provenienza 
del 
documento 
dallo 
stesso 
pubblico 
ufficiale 
ed 
alle 
dichiarazioni 
rese 
dalle 
parti, 
mentre, 
per tutto il 
resto, sono liberamente 
valutabili 
(3). non è 
quindi 
necessaria, in 
applicazione 
della 
disciplina 
di 
cui 
agli 
artt. 2699 e 
2700 c.c., la 
proposizione 
della 
querela 
di 
falso, qualora 
la 
parte 
intenda 
limitarsi 
a 
contestare 
la 
verità 
sostanziale 
di 
tali 
dichiarazioni 
oppure 
la 
fondatezza 
di 
apprezzamenti 
o valutazioni 
del 
verbalizzante, 
cui 
non 
si 
estende 
la 
fede 
privilegiata 
del 
documento 
(4). Ad es. una 
presunzione 
formulata 
in un verbale 
della 
Guardia 
di 
Finanza non vincola il giudice. 


b) 
Prova 
testimoniale. 
nel 
processo 
tributario 
fino 
alla 
novella 
operata 
con 
la 
L. 
31 
agosto 
2022, 
n. 
130 
recante 
“Disposizioni 
in 
materia 
di 
giustizia 
e 
di 
processo 
tributari” 
non 
era 
ammessa 
la 
prova 
testimoniale. 
tanto 
in 
virtù 
del 
(previgente) 
comma 
4 
dell’art. 
7 
D.L.vo 
n. 
546/1992. 
Il 
divieto 
della 
testimonianza 
non 
aveva 
una 
ratio 
giustificativa, 
se 
non 
la 
ragione 
pratica 
di 
rendere 
celere 
il 
processo 
tributario 
a 
fronte 
di 
possibili 
lungaggini 
determinate 
dall’assunzione 
della 
prova 
testi. 
Ciò 
vieppiù 
che 
nel 
processo 
amministrativo 
-per 
tanti 
aspetti 
simile 
a 
quello 
tributario 
-la 
prova 
testimoniale 
è 
ammessa, 
giusta 
l’art. 
63, 
comma 
3, 
c.p.a. 
per 
il 
quale 
“Su 
istanza 
di 
parte 
il 
giudice 
può 
ammettere 
la 
prova 
testimoniale, 
che 
è 
sempre 
assunta 
in 
forma 
scritta 
ai 
sensi 
del 
codice 
di 
procedura 
civile”. 
Si 
rilevava 
in 
dottrina 
che 
non 
c’è 
ragione 
di 
ritenere 
inaffidabile, 
sol 
perché 
la 
controparte 
è 
il 
fisco, 
una 
prova 
testimoniale 
la 
cui 
credibilità 
deve 
comunque 
essere 
vagliata 
dal 
libero 
convincimento 
del 
giudice, 
senza 
vincoli 
di 
prova 
legale 
con 
la 
conclusione, 
critica, 
che 
“il 
divieto 
di 
prova 
testimoniale 
è 
quindi 
consono 
a 
un 
processo 
sbrigativo 
e 
sommario, 
in 
cui 
si 
mortificano 
quei 
principi 
dell’oralità, 
del 
contraddittorio 
e 
della 
formazione 
giudiziale 
della 
prova 
cui 
è 
stata 
data 
addirittura 
rilevanza 
costituzionale” 
(5). 
Prendendo atto della 
irragionevolezza 
della 
previsione 
vietante 
la 
prova 
testimoniale, il 
legislatore 
con l’ultima 
novella 
del 
processo tributario (L. n. 


(3) Conf. Cass., 10 febbraio 2006, n. 2949. 
(4) Conf. ex plurimis: Cass., 22 marzo 1995, n. 3316. 
(5) Così 
R. LuPI, S. COvInO, voce 
Processo tributario, in il 
Diritto, Enciclopedia Giuridica del 
Sole 
24 
ore, 
Corriere 
della 
Sera 
il 
Sole 
24 
ore, 
vol. 
12, 
2007, 
p. 
206. 
Analoghi 
rilievi 
critici 
in 
e. 
COvInO, 
R. LuPI, voce 
Prova (Dir. trib.), cit., pp. 422-424. A.e. LA 
SCALA, Prova testimoniale, diritto di 
difesa 
e 
giusto processo tributario, in rass. Tributaria, 2012, 1, pp. 90 e 
ss. -con ampia 
analisi 
anche 
dei 
principi 
CeDu 
-rilevava 
che 
“Pur 
condividendo l'opinione 
secondo la quale 
l'esperibilità della prova testimoniale, 
considerata la struttura essenzialmente 
documentale 
del 
processo tributario, nella maggior 
parte 
delle 
fattispecie 
concrete, non sia necessaria e 
che 
la realizzazione 
dei 
principi 
di 
piena difesa e 
del 
giusto processo prescindano dalla sua ammissibilità, siamo del 
parere 
che 
non sia opportuno né 
legittimo 
il 
mantenimento di 
un divieto assoluto. La caleidoscopica realtà sussumibile 
all'interno delle 
norme 
processuali 
tributarie, come 
già rilevato dalla giurisprudenza di 
legittimità precedentemente 
citata, 
può esigere 
la necessità della prova per 
testi”. egualmente 
critico P. RuSSO, Problemi 
della prova 
nel 
processo tributario, in rass. Tributaria, 2000, 2, pp. 375 e 
ss. il 
quale, con riguardo alla 
non ammissibilità 
nel 
processo tributario della 
prova 
testimoniale, rilevava 
i 
seri 
dubbi 
di 
illegittimità 
costituzionale 
della norma che la sancisce. 

RASSeGnA 
AvvOCAtuRA 
DeLLO 
StAtO -n. 3/2022 


130/2022), 
sostituendo 
il 
comma 
4 
dell’art. 
5 
D.L.vo 
n. 
546/1992, 
ha 
ammesso 
la 
testimonianza 
nel 
processo 
tributario. 
All’uopo 
si 
prevede: 
“La 
corte 
di 
giustizia 
tributaria, 
ove 
lo 
ritenga 
necessario 
ai 
fini 
della 
decisione 
e 
anche 
senza 
l'accordo 
delle 
parti, 
può 
ammettere 
la 
prova 
testimoniale, 
assunta 
con 
le 
forme 
di 
cui 
all'articolo 257-bis 
del 
codice 
di 
procedura civile. Nei 
casi 
in cui 
la pretesa tributaria sia fondata su verbali 
o altri 
atti 
facenti 
fede 
fino a querela 
di 
falso, la prova è 
ammessa soltanto su circostanze 
di 
fatto diverse 
da 
quelle attestate dal pubblico ufficiale”. 


Le 
ipotesi 
in cui 
la 
testimonianza 
scritta 
può svolgere 
un'utile 
funzione 
processuale 
sono, 
tra 
le 
altre, 
quelle 
che 
si 
fondano 
su 
presunzioni 
legali 
o 
semplici, poste 
a 
favore 
del 
Fisco. Si 
pensi, ad es., agli 
accertamenti 
da 
indagini 
finanziarie 
e 
alla 
possibilità 
per 
il 
contribuente 
di 
dimostrare 
la 
natura 
non 
reddituale dei versamenti attraverso le testimonianze di terzi. 


c) Confessione 
giudiziale 
e 
stragiudiziale. Giusta 
l’art. 2730, comma 
1, 
c.c. “La confessione 
è 
la dichiarazione 
che 
una parte 
fa della verità di 
fatti 
ad essa sfavorevoli 
e 
favorevoli 
all'altra parte”. essa 
presuppone 
la 
disponibilità 
delle 
situazioni 
giuridiche 
soggettive 
che 
ne 
costituiscono 
l’oggetto 
(art. 
2731 
c.c.) 
(6). 
Può 
essere 
resa 
dal 
contribuente 
ed 
anche 
dall’Amministrazione 
finanziaria, atteso che 
-una 
volta 
sorta 
la 
lite 
-la 
pretesa 
tributaria 
è 
ex 
lege 
disponibile, 
come 
comprovato 
dalla 
proposta 
di 
mediazione 
(art. 
17 
bis 
D.L.vo 
n. 546/1992), dalla 
possibilità 
della 
conciliazione 
fuori 
udienza 
e 
in udienza 
(artt. 
48 
e 
48 
bis 
D.L.vo 
n. 
546/1992) 
(7). 
La 
confessione 
costituisce 
una 
prova 
legale, atteso che 
“forma piena prova contro colui 
che 
l'ha fatta, purché 
non 
verta 
su 
fatti 
relativi 
a 
diritti 
non 
disponibili”, 
giusta 
l’art. 
2733, 
comma 
2, 
c.c., 
disposizione 
applicabile 
al 
processo 
tributario 
ex 
art. 
1, 
comma 
2, 
D.L.vo 
n. 546/1992. va 
rilevato, tuttavia, che 
parte 
della 
dottrina 
esclude 
la 
qualità 
di 
prova 
legale 
alla 
confessione 
intervenuta 
nel 
processo tributario (8). Si 
rileva 
(6) “La confessione 
non è 
efficace 
se 
non proviene 
da persona capace 
di 
disporre 
del 
diritto, a 
cui 
i 
fatti 
confessati 
si 
riferiscono. Qualora sia resa da un rappresentante, è 
efficace 
solo se 
fatta entro 
i limiti e nei modi in cui questi vincola il rappresentato”. 
(7) va 
rilevato, tuttavia, che 
parte 
della 
dottrina 
e 
della 
giurisprudenza 
reputano di 
natura 
non disponibile 
l'obbligazione tributaria. 
(8) Contra: 
v. FAttORI, CIRO 
SAntORIeLLO, Utilizzo in sede 
tributaria di 
prove 
e 
atti 
del 
processo 
penale, in Fisco, 2022, 3, pp. 257 e 
ss. “Non è, invece, disciplinata come 
prova del 
processo tributario 
la 
confessione, 
la 
quale 
-di 
conseguenza 
-dovrebbe 
potersi 
ritenere 
ammissibile, 
seppur 
sottoposta 
alla libera valutazione 
delle 
prove 
da parte 
del 
giudice 
ex 
art. 116 c.p.c. Ciò premesso, deve 
-in ogni 
caso 
-ritenersi 
esclusa 
la 
possibilità 
della 
confessione 
giudiziale 
c.d. 
provocata, 
stante 
l'inapplicabilità 
al 
processo tributario delle 
norme 
230 e 
ss. c.p.c. in tema di 
interrogatorio formale. Viceversa, sono 
ammesse 
la confessione 
giudiziale 
spontanea e 
la confessione 
stragiudiziale, ossia quella resa contra 
se 
dal 
contribuente 
all'amministrazione 
finanziaria oralmente 
nel 
corso dell'attività di 
verifica (a condizione, 
però, che 
sia riportata nel 
processo verbale 
di 
constatazione 
e 
che 
tale 
verbale 
sia sottoscritto) 
oppure 
per 
iscritto; in ogni 
caso, tali 
dichiarazioni 
non hanno efficacia di 
prova legale 
di 
tali 
dichiarazioni 
e 
rimangono pertanto soggette 
alla libera valutazione 
del 
giudice”. In senso analogo: 
G. Du-
RAnte, i poteri 
istruttori 
delle 
commissioni 
tributarie, in azienditalia -Fin. e 
Trib., 2015, 8-9, pp. 699 

COntRIbutI 
DI 
DOttRInA 


altresì 
in 
dottrina, 
nell’ambito 
della 
tesi 
diretta 
a 
sostenere 
l’ammissibilità 
dell’istituto 
nel 
processo 
tributario 
con 
gli 
stessi 
effetti 
sussistenti 
nel 
processo 
civile, 
che 
l'interrogatorio 
formale, 
ex 
art. 
230 
c.p.c., 
è 
da 
ritenersi 
ammissibile 
e 
deferibile 
solo 
alla 
parte 
contribuente, 
unica 
deputata 
a 
rendere 
la 
confessione 
e sostanzialmente convenuta in giudizio (9). 


valgono come 
prova 
le 
dichiarazioni 
che 
il 
contribuente 
faccia, nel 
processo 
o 
in 
atti 
extraprocessuali, 
di 
fatti 
a 
sé 
sfavorevoli. 
La 
stessa 
dichiarazione 
dei 
redditi 
e 
le 
altre 
dichiarazioni 
fiscali 
possono essere 
viste, nella 
dialettica 
del 
processo, 
come 
indicazioni 
di 
fatti 
sfavorevoli 
al 
dichiarante 
e, 
dunque, 
come 
confessioni 
stragiudiziali 
(10). 
valore 
di 
confessione 
stragiudiziale 
viene 
data 
anche 
alle 
dichiarazioni 
rese 
nei 
questionari, o documentate 
nei 
verbali 
redatti 
in seguito a 
convocazione 
del 
contribuente 
presso l’ufficio, in sede 
di 
accesso, 
se 
il 
verbale 
che 
le 
documenta 
è 
stato 
sottoscritto 
dal 
contribuente 
(11). Il 
giudice 
tributario può trarre 
la 
prova 
dei 
fatti 
anche 
dalla 
confessione 
resa in sede penale dal contribuente (12). 


d) 
Interrogatorio 
libero, 
non 
formale 
delle 
parti. 
L’istituto 
è 
previsto, 
in 
via 
generale, 
nel 
processo 
civile, 
nell’art. 
117 
c.p.c. 
per 
il 
quale 
“il 
giudice, 
in 
qualunque 
stato 
e 
grado 
del 
processo, 
ha 
facoltà 
di 
ordinare 
la 
comparizione 
personale 
delle 
parti 
in 
contraddittorio 
tra 
loro 
per 
interrogarle 
liberamente 
sui 
fatti 
della 
causa. 
Le 
parti 
possono 
farsi 
assistere 
dai 
difensori”. 
esso 
può 
essere 
disposto 
dal 
giudicante 
al 
fine 
di 
chiarirsi 
le 
idee 
sui 
fatti 
di 
causa. 
Le 
parti 
possono 
liberamente 
parlare 
e 
la 
loro 
dichiarazione 
non 
ha 
gli 
effetti 
della 
confessione, 
ma 
-al 
più 
-di 
argomento 
di 
prova. 
L'interrogatorio 
e 
ss. 
secondo 
cui 
“mentre 
nel 
processo 
civile, 
la 
confessione 
costituisce 
piena 
prova 
nei 
confronti 
di 
colui 
che 
l'ha resa, fino al 
punto da sottrarre 
ogni 
valore 
alle 
prove 
con essa contrastanti, nel 
processo 
tributario invece, essa […] [è] 
soggetta alla libera valutazione 
da parte 
del 
giudice 
tributario adito”; 


F. 
teSAuRO, 
istituzioni 
di 
diritto 
tributario, 
1 
-Parte 
generale, 
cit., 
p. 
375: 
“La 
confessione 
non 
è 
espressamente 
disciplinata come 
prova nel 
processo tributario, per 
cui 
si 
applica l’art. 116 cod. proc. civ. (libera 
valutazione delle prove da parte del giudice)”. 
(9) 
A. 
RuSSO, 
L'ammissibilità 
dell'interrogatorio, 
libero 
e 
formale, 
nel 
processo 
tributario, 
in 
Fisco, 2007, 18 -parte 
1, pp. 2659 e 
ss. con il 
rilievo altresì 
che 
“l'interrogatorio formale 
può ritenersi 
altresì 
ammissibile 
in quanto il 
divieto di 
confessione 
operante 
in presenza 
di 
diritti 
indisponibili, 
di 
cui 
all'art. 2733 del 
codice 
civile, non può esplicare 
effetti 
nel 
contenzioso tributario per 
la presenza 
dell'art. 48 del 
D.Lgs. n. 546/1992 ("Conciliazione 
giudiziale") che 
permette 
alle 
parti 
di 
transigere 
intorno 
all'oggetto della lite”. 
(10) F. teSAuRO, istituzioni di diritto tributario, 1 - Parte generale, cit., p. 375. 
(11) 
Conf. Cass., 11 gennaio 2006, n. 309: 
le 
dichiarazioni 
rese 
dal 
contribuente 
alla 
Guardia 
di 
finanza, 
in 
quanto 
rese 
alla 
controparte 
o 
ad 
un 
suo 
rappresentante, 
vanno 
valutate 
come 
una 
confessione 
stragiudiziale 
costituente 
prova 
diretta 
e 
non 
indiziaria 
dei 
fatti 
(nel 
caso 
di 
specie 
del 
maggior 
imponibile 
accertato nei 
confronti 
del 
contribuente) riconosciuti 
come 
veri, non abbisognevole, come 
tale, di 
ulteriori 
riscontri. 
(12) 
Conf. 
Cass., 
24 
ottobre 
2005, 
n. 
20601 
secondo 
cui 
è 
immune 
da 
vizio 
di 
motivazione 
la 
sentenza 
con 
la 
quale 
il 
giudice 
tributario, 
liberamente 
valutando 
le 
dichiarazioni 
rese 
dal 
contribuente 
nel 
corso 
di 
un 
procedimento 
penale 
ed 
attribuendo 
ad 
esse 
valore 
confessorio, 
conferma 
la 
legittimità 
della 
pretesa 
erariale 
accertandone 
l'idoneità 
a 
costituire 
prova 
esclusiva 
della 
fondatezza 
degli 
atti 
impositivi 
impugnati. 

RASSeGnA 
AvvOCAtuRA 
DeLLO 
StAtO -n. 3/2022 


libero, 
pur 
non 
essendo 
un 
vero 
e 
proprio 
mezzo 
di 
prova 
e 
pur 
non 
determinando 
dichiarazioni 
di 
natura 
confessoria, 
può 
concorrere 
-anche 
unicamente 
-a 
costituire 
il 
fondamento 
del 
convincimento 
del 
giudice. 
La 
disposizione 
dell’art. 
117 
c.p.c., 
tuttavia, 
non 
si 
applica 
direttamente 
al 
processo 
tributario, 
in 
quanto 
la 
norma 
del 
codice 
è 
assorbita 
dal 
potere 
del 
giudice 
di 
invitare 
il 
contribuente 
a 
comparire 
di 
persona 
per 
fornire 
informazioni 
e 
chiarimenti. 
vuol 
farsi 
riferimento 
alla 
"richiesta 
… 
di 
informazioni 
e 
chiarimenti 
…" 
di 
cui 
all'art. 
7, 
comma 
1, 
del 
D.L.vo 
n. 
546/1992, 
che 
ha 
le 
medesime 
finalità 
ed 
effetti 
dell'interrogatorio 
libero 
che, 
pertanto, 
trova 
ingresso 
nel 
processo 
tributario 
sotto 
la 
veste 
giuridica 
rappresentata 
dalla 
predetta 
norma, 
senza 
ricorso 
al 
combinato 
disposto 
degli 
artt. 
1, 
comma 
2, 
del 
D.L.vo 
n. 
546/1992 
e 
117 
c.p.c. 
(13). 


e) Ispezione, riproduzione meccanica, esperimento 
(14). 
f) 
Notorio. 
L’art. 
115, 
comma 
secondo, 
c.p.c. 
dispone: 
“il 
giudice 
può 
tuttavia, 
senza 
bisogno 
di 
prova, 
porre 
a 
fondamento 
della 
decisione 
le 
nozioni 
di 
fatto che 
rientrano nella comune 
esperienza”. Ad es. la 
resa 
delle 
materie 
prime, con riguardo agli 
accertamenti 
nei 
confronti 
dei 
piccoli 
artigiani 
produttori 
di beni (pasticcieri e baristi). 
g) 
Presunzioni 
(artt. 
2727-2729 
c.c.). 
Le 
presunzioni 
sono 
le 
conseguenze 
che 
la 
legge 
(presunzioni 
legali) 
o 
il 
giudice 
(presunzioni 
giudiziali 
o 
semplici) 
trae da un fatto noto per risalire a un fatto ignorato (art. 2727 c.c.). 
Le 
presunzioni 
legali 
dispensano 
da 
qualunque 
prova 
coloro 
a 
favore 
dei 
quali 
esse 
sono 
stabilite 
(art. 
2728 
c.c.) 
e 
possono 
essere 
assolute 
(se 
non 
ammettono 
la 
prova 
contraria) 
o 
relative 
(se 
la 
ammettono). 
In 
entrambi 
i 
casi, 
alla 
dimostrazione 
di 
un 
certo 
fatto 
consegue 
automaticamente 
quella 
di 
un 
diverso 
fatto 
con 
esso 
collegato 
secondo 
criteri 
di 
normalità: 
la 
legge 
rende 
in 
questi 
casi 
automatico 
un 
passaggio 
logico 
la 
cui 
attendibilità 
dovrebbe 
altrimenti 
essere 
vagliata 
caso 
per 
caso, 
secondo 
i 
consueti 
criteri 
empirici. 


Le 
presunzioni 
non 
stabilite 
dalla 
legge 
(presunzioni 
giudiziali 
o 
semplici) 
sono lasciate 
alla 
prudenza 
del 
giudice, il 
quale 
non deve 
ammettere 
che 
pre


(13) F. teSAuRO, istituzioni 
di 
diritto tributario, 1 -Parte 
generale, cit., p. 369; 
A. RuSSO, L'ammissibilità 
dell'interrogatorio, libero e 
formale, nel 
processo tributario, cit., pp. 2659 e 
ss. con il 
rilievo 
altresì 
che 
la 
disposizione 
di 
cui 
al 
citato comma 
1 dell'art. 7 “permette 
alle 
Commissioni 
tributarie, parimenti 
alle 
facoltà concesse 
dalla normativa tributaria -in via stragiudiziale 
-all'amministrazione, di 
invitare 
il 
contribuente 
a comparire 
di 
persona al 
fine 
di 
fornire 
dati, chiarimenti 
e 
notizie 
rilevanti 
per 
la decisione; la ratio della norma concede 
così 
al 
giudice 
un potere 
analogo a quello del 
Fisco, utile 
a 
determinare 
-come 
dianzi 
già 
si 
è 
accennato 
-un 
sostanziale 
riequilibrio 
tra 
le 
parti 
in 
contraddittorio; 
infatti, conferendo tale 
potere 
al 
giudice, l'art. 7 opera una vera e 
propria "compensazione" 
della posizione 
di 
privilegio 
sostanziale 
delle 
facoltà 
che 
il 
fattore 
temporale, 
necessariamente 
e 
preliminarmente, 
concede agli operatori dell'interesse pubblico erariale”. 
(14) In senso contrario all’ammissibilità 
di 
tali 
prove 
nel 
processo tributario: 
F. teSAuRO, istituzioni 
di diritto tributario, 1 - Parte generale, cit., p. 369. 

COntRIbutI 
DI 
DOttRInA 


sunzioni 
gravi, precise 
e 
concordanti 
(art. 2729, comma 
1, c.c.). Il 
requisito 
della 
“concordanza” 
non 
vuol 
dire 
che 
le 
presunzioni 
debbono 
essere 
più 
d’una, ma 
solo che 
non debbono smentirsi 
l’un l’altra; 
la 
giurisprudenza 
riferisce 
tale 
requisito 
all’ipotesi 
in 
cui 
sussistano 
più 
presunzioni, 
e 
non 
impedisce 
perciò 
che 
un 
certo 
fatto 
venga 
considerato 
esistente 
anche 
in 
base 
ad 
una 
sola 
presunzione (15). 


La 
presunzione 
costituisce 
la 
versione 
giuridica 
del 
generale 
modo 
di 
ragionare, 
ove 
un 
evento 
viene 
collegato 
con 
un 
altro 
evento 
attraverso 
nozioni 
di 
senso 
comune, 
con 
un 
nesso 
di 
corrispondenza 
secondo 
l’id 
quod 
plerumque 
accidit. 
Ad 
es. 
la 
mera 
titolarità 
di 
una 
somma 
di 
danaro 
non 
è 
stata 
ritenuta, 
da 
sola, 
prova 
della 
percezione 
di 
redditi; 
in 
assenza 
di 
prove 
circa 
un 
impiego 
produttivo, 
la 
pretesa 
fiscale 
non 
può 
fondarsi 
sic 
et 
simpliciter 
sul 
principio 
della 
naturale 
fecondità 
del 
danaro 
(16). 
Gli 
studi 
di 
settore 
sono 
atti 
amministrativi 
generali 
di 
organizzazione, 
di 
per 
sé 
inidonei 
a 
dare 
fondamento 
all’accertamento 
del 
reddito; 
solo 
dopo 
il 
contraddittorio 
con 
il 
contribuente 
gli 
studi 
di 
settore 
possono 
essere 
utilizzati 
come 
fonte 
di 
presunzione 
(17). 


Le 
presunzioni 
semplici 
non 
sono 
ammesse 
quando 
il 
legislatore, 
per 
certe 
imposte, pone 
un sistema 
“chiuso” 
di 
regole 
probatorie, imponendo determinati 
mezzi 
di 
prova 
e 
così 
escludendo implicitamente 
le 
presunzioni 
semplici. 
Ad es. gli 
artt. 38 e 
39 d.P.R. 29 settembre 
1973, n. 600 prevedono, in modo 
minuzioso 
e 
dettagliato, 
i 
presupposti 
probatori 
che 
legittimano 
la 
rettifica 
della 
dichiarazione. In certi 
casi 
è 
richiesta 
la 
prova 
“certa 
e 
diretta”, in altri 
è 
espressamente 
previsto il 
ricorso alle 
presunzioni, in altri 
ancora 
è 
ammesso 
l’uso di 
presunzioni 
prive 
dei 
requisiti 
di 
precisione, gravità 
e 
concordanza. 
Lo stesso discorso vale 
per le 
norme 
sull’accertamento dell’IvA. In conclusione, 
quindi, 
per 
tali 
imposte, 
sono 
predeterminati 
i 
casi 
in 
cui 
la 
presunzione 
semplice è ammessa e quelli in cui non è ammessa (18). 


La 
materia 
tributaria 
è 
molto ricca 
di 
presunzioni 
legali 
relative, con la 
previsione 
a 
favore 
dell'Amministrazione 
finanziaria 
di 
specifiche 
presunzioni 
juris 
tantum 
(con salvezza, quindi, della 
prova 
contraria 
del 
contribuente) da 
essa 
utilizzabili 
in sede 
accertativa 
e 
valevoli, poi, in sede 
giurisdizionale. All’uopo 
si richiamano le seguenti disposizioni circa: 


-la 
presunzione 
di 
cessione 
e 
di 
acquisto ex art. 53 (19) del 
d.P.R. 26 ottobre 
1972, n. 633 in materia di IvA; 
(15) 
Per 
questo 
rilievo 
e. 
COvInO, 
R. 
LuPI, 
voce 
Prova 
(Dir. 
trib.), 
in 
il 
Diritto, 
Enciclopedia 
Giuridica 
del Sole 24 ore, Corriere della Sera il Sole 24 ore, vol. 12, 2007, p. 427. 
(16) Cass., 16 novembre 2005, n. 23172. 
(17) Cass., 28 luglio 2006, n. 17229. 


(18) Per tali rilievi: F. teSAuRO, istituzioni di diritto tributario, 1 - Parte generale, cit., p. 373. 
(19) Il 
cui 
comma 
1 dispone: 
“Si 
presumono ceduti 
i 
beni 
acquistati, importati 
o prodotti 
che 
non 
si 
trovano nei 
luoghi 
in cui 
il 
contribuente 
esercita la sua attività, comprese 
le 
sedi 
secondarie, filiali, 

RASSeGnA 
AvvOCAtuRA 
DeLLO 
StAtO -n. 3/2022 


-la 
presunzione 
della 
natura 
di 
ricavi 
dei 
prelevamenti 
annotati 
nei 
conti 
bancari 
e 
non risultanti 
dalle 
scritture 
contabili 
ex art. 32, comma 
1, n. 2), del 
d.P.R. 29 settembre 
1973, n. 600 in materia 
di 
accertamento delle 
imposte 
sui 
redditi; 
-la 
presunzione 
di 
cessione 
di 
azienda 
ex 
art. 
15, 
comma 
1, 
lettera 
d), 
del 


d.P.R. 
26 
aprile 
1986, 
n. 
131 
e 
la 
presunzione 
di 
trasferimento 
delle 
accessioni 
nel 
caso di 
trasferimento immobiliare 
ex art. 24 del 
d.P.R. n. 131/1986 in materia 
di imposta di registro. 
In detti 
casi, posto che 
si 
tratta 
di 
presunzioni 
relative 
ex art. 2727 c.c., si 
viene 
a 
configurare 
un'inversione 
dell'onere 
probatorio a 
favore 
dell’Amministrazione 
fiscale, nel 
senso che 
quest'ultima 
può assolvere 
il 
proprio onere 
di 
prova 
tramite 
le 
presunzioni 
dette, mentre 
tocca 
al 
contribuente 
l'onere 
di 
controprova. 


Alla 
stessa 
ratio 
delle 
norme 
sulle 
presunzioni 
relative, 
rispondono 
le 
norme 
che 
consentono 
al 
Fisco 
l'utilizzo 
di 
metodi 
di 
accertamento 
a 
carattere 
presuntivo: 
si 
pensi 
all'accertamento 
sintetico 
ex 
art. 
38 
del 
d.P.R. 
n. 
600/1973 


o all'accertamento extracontabile 
ex artt. 39, comma 
2, del 
d.P.R. n. 600/1973 
e 55 del d.P.R. n. 633/1972. 
nel 
processo tributario sono consentite 
finanche 
le 
c.d. presunzioni 
semplicissime, 
che 
sono libere 
dai 
requisiti 
di 
gravità, precisione 
e 
concordanza 
previsti 
dall'art. 2729 c.c. e 
il 
cui 
utilizzo è 
possibile 
solo nelle 
ipotesi 
in cui 
la 
legge 
lo preveda 
espressamente. Il 
legislatore, ragionevolmente, autorizza 
l'Amministrazione 
finanziaria 
prima 
ed il 
giudice 
poi, a 
servirsi 
delle 
presunzioni 
semplicissime 
solo in casi 
di 
particolare 
gravità, come 
ad esempio nel-
l’accertamento induttivo delineato nell’art. 39, comma 
2, d.P.R. n. 600/1973 
(in tema 
di 
determinazione 
extracontabile 
del 
reddito d'impresa) e 
nell’art. 55 


d.P.R. 
n. 
633/1972 
(in 
tema 
di 
imponibile 
IvA). 
Di 
fronte 
alla 
prova 
presuntiva 
offerta 
dall’ufficio, 
incombe 
sul 
contribuente 
l’onere 
di 
dedurre 
e 
provare 
i 
fatti impeditivi, modificativi o estintivi della pretesa erariale (20). 
h) 
Relazione 
di 
verificazione 
e 
consulenza 
tecnica 
d’ufficio 
(art. 
7, 
comma 
2, D.L.vo n. 546/1992: 
“Le 
corti 
di 
giustizia tributaria di 
primo e 
secondo 
grado, 
quando 
occorre 
acquisire 
elementi 
conoscitivi 
di 
particolare 
complessità, possono richiedere 
apposite 
relazioni 
ad organi 
tecnici 
dell'amministrazione 
dello 
Stato 
o 
di 
altri 
enti 
pubblici 
compreso 
il 
Corpo 
della 
Guardia 
di finanza, ovvero disporre consulenza tecnica”). 
La 
relazione 
di 
verificazione 
e 
la 
consulenza 
tecnica 
d’ufficio 
costitui


succursali, 
dipendenze, 
stabilimenti, 
negozi 
o 
depositi 
dell'impresa, 
né 
presso 
suoi 
rappresentanti, 
salvo 
che 
sia dimostrato che 
i 
beni 
stessi: a) sono stati 
utilizzati 
per 
la produzione, perduti 
o distrutti; b) sono 
stati 
consegnati 
a terzi 
in lavorazione, deposito o comodato o in dipendenza di 
contratti 
estimatori 
o di 
contratti 
di 
opera, 
appalto, 
trasporto, 
mandato, 
commissione 
o 
altro 
titolo 
non 
traslativo 
della 
proprietà”. 


(20) Cass., 15 dicembre 2003, n. 19174. 



COntRIbutI 
DI 
DOttRInA 


scono mezzi 
-non di 
prova, ma 
-di 
valutazione 
della 
prova 
già 
acquisita 
al 
procedimento, 
ossia 
di 
valutazione 
di 
fatti 
già 
provati. 
non 
esonerano, 
pertanto, 
la 
parte 
dall’onere 
della 
prova. tali 
mezzi 
consentono al 
giudicante 
di 
acquisire 
nozioni 
della 
scienza 
e 
dell’arte 
delle 
quali 
sia 
sfornito 
o 
insufficientemente 
munito. 
La 
legge 
distingue 
tra 
relazione 
di 
verificazione 
e 
C.t.u. 
Deve 
ritenersi 
che 
queste 
si 
differenziano sotto il 
profilo oggettivo. La 
relazione 
di 
verificazione 
consiste 
in accertamento tecnico di 
fatti 
di 
natura 
non 
valutativa, diretto ad appurare 
la 
realtà 
oggettiva 
delle 
cose 
(opera 
sul 
piano 
conoscitivo), mentre 
la 
C.t.u. si 
estrinseca 
in una 
valutazione 
tecnica 
di 
fatti, 
con una 
valenza 
non meramente 
ricognitiva 
(opera 
sul 
piano valutativo) (21). 
La 
C.t.u. 
è 
uno 
strumento 
indispensabile 
per 
consentire 
al 
giudice 
-in 
fuzione 
del 
pieno accertamento del 
fatto -di 
sindacare 
la 
discrezionalità 
tecnica 
della 
P.A.; 
essa 
costituisce 
un 
ausilio 
al 
giudice 
al 
fine 
di 
esaminare 
i 
profili 
attinenti 
all’attualità 
del 
parametro tecnico applicato dall’Amm.ne 
ed alla 
correttezza 
del procedimento applicativo. 


3. (segue) 
Prove atipiche. 
Le 
prove 
atipiche 
sono quelle 
non previste 
nei 
codici 
di 
rito (es. dichiarazioni 
scritte 
provenienti 
da 
un terzo; 
atti 
-come 
C.t.u., prova 
o sentenza 
intervenuti 
in altro giudizio; 
ecc.) ed hanno il 
valore 
di 
indizio fonte 
di 
presunzione 
semplice 
ex 
artt. 
2727 
e 
2729 
c.c. 
(22) 
oppure 
di 
argomento 
di 
prova 
ex art. 116, comma 
2, c.p.c. (23), come 
confermato dall’art. 310, comma 
3, 


c.p.c. secondo cui 
le 
prove 
raccolte 
in un altro giudizio estinto sono valutate 
dal giudice come argomenti di prova. 
In 
ambedue 
i 
casi 
la 
decisione 
non 
può 
essere 
fondata 
soltanto 
sull’indizio 


o soltanto sull’argomento di 
prova, ma 
sono necessari 
anche 
altri 
elementi 
di 
prova. 
Sicché 
deve 
escludersi 
la 
loro 
valenza 
probatoria 
quando 
rappresentano 
l’unico elemento di prova. 
a) Documenti 
contenenti 
dichiarazioni 
rese 
da terzi. Le 
più importanti 
prove 
atipiche 
sono 
i 
documenti 
contenenti 
dichiarazioni 
rese 
da 
terzi. 
tali 
documenti 
non hanno efficacia 
di 
prova 
legale, ma 
solo il 
valore 
di 
elementi 
indiziari, che 
possono concorrere 
a 
formare 
il 
convincimento del 
giudice, ma 
non possono costituire 
da 
soli 
il 
fondamento della 
decisione 
(questo è 
il 
proprium 
degli 
argomenti 
di 
prova). Il 
valore 
probatorio è 
rimesso al 
libero apprezzamento 
del 
giudice, il 
quale, di 
volta 
in volta, potrà 
o non potrà 
tenerne 
(21) Così 
Cons. Stato, 14 gennaio 2020, n. 330; 
Cons. Stato, 22 gennaio 2013, n. 351, a 
proposito 
della distinzione tra verificazione e C.t.u. nel processo amministrativo. 
(22) Ossia 
di 
fatto noto dal 
quale 
risalire 
-insieme 
ad altri 
fatti 
noti, purché 
chiari 
precisi 
e 
concordanti 
- al fatto ignorato. 
(23) “il 
giudice 
può desumere 
argomenti 
di 
prova dalle 
risposte 
che 
le 
parti 
gli 
danno a norma 
dell'articolo seguente, dal 
loro rifiuto ingiustificato a consentire 
le 
ispezioni 
che 
egli 
ha ordinate 
e, in 
generale, dal contegno delle parti stesse nel processo”. 

RASSeGnA 
AvvOCAtuRA 
DeLLO 
StAtO -n. 3/2022 


conto, quali 
ulteriori 
elementi 
a 
sostegno degli 
altri, già 
comunque 
acquisiti. 
La 
giurisprudenza, 
in 
coerenza 
con 
quanto 
esposto, 
ha 
generalmente 
ammesso 
tali 
elementi, non a 
titolo di 
"fonti 
di 
prova" 
in senso proprio, ma 
piuttosto di 
un 
"ausilio" 
all'accertamento, 
che 
deve 
comunque 
essere 
sostenuto 
da 
ulteriori 
elementi (24). 


nel 
processo tributario è 
stato ritenuto ammissibile 
l'utilizzo tanto delle 
dichiarazioni 
rese 
da 
terzi 
all'Amministrazione 
finanziaria 
nella 
fase 
procedi-
mentale 
-amministrativa 
(in 
quanto 
queste 
vengono 
solitamente 
trasfuse 
in 
documenti 
redatti 
da 
pubblici 
ufficiali 
che 
rivestono quindi 
la 
forma 
dell'atto 
pubblico) 
(25), 
quanto 
delle 
dichiarazioni 
rese 
da 
terzi 
in 
favore 
del 
contribuente 
(26); 
queste 
ultime 
"testimonianze 
atipiche" 
possono 
assumere 
la 
veste 
di 
atto 
notorio 
(27), 
di 
dichiarazioni 
sostitutive 
di 
atto 
notorio 
(28), 
oppure 
certificati 
di 
notorietà 
(redatti 
dai 
cancellieri) in cui 
un privato attesta 
fatti 
che 


(24) Conf. ex 
plurimis, Cass., 22 aprile 
2015, n. 8196; 
Cass., 16 luglio 2014, n. 16223; 
Cass., 11 
giugno 2014, n. 13161, ove 
i 
Supremi 
Giudici 
hanno confermato che 
le 
dichiarazioni 
dei 
terzi 
hanno il 
valore 
indiziario di 
informazioni 
acquisite 
nell'ambito d'indagini 
amministrative 
e 
sono, pertanto, utilizzabili 
dal giudice quale elemento di convincimento. 
(25) 
Cass., 
5 
dicembre 
2012, 
n. 
21813: 
le 
dichiarazioni 
rilasciate 
agli 
organi 
verificatori 
da 
soggetti 
terzi 
hanno, come 
regola 
generale, il 
valore 
di 
mero indizio, e 
la 
loro assunzione 
può avvenire 
senza 
l'osservanza 
di 
particolari 
prescrizioni. nello specifico, non è 
necessario che 
la 
dichiarazione 
sia 
verbalizzata 
in contraddittorio con il 
contribuente, posto che 
il 
suo diritto di 
difesa 
non può ritenersi 
leso, alla 
luce 
del 
fatto che 
questi, in sede 
contenziosa, può produrre, a 
sua 
volta, scritti 
contenenti 
dichiarazioni 
di terzi a proprio favore. 
(26) Ex 
multis 
Cass. civ., Sez. v, 14 maggio 2010, n. 11785, Cass., 25 marzo 2002, n. 4269 precisante 
che 
nel 
processo tributario, come 
è 
ammessa 
la 
possibilità 
che 
le 
dichiarazioni 
rese 
da 
terzi 
agli 
organi 
dell'Amministrazione 
finanziaria 
trovino ingresso, a 
carico del 
contribuente, con il 
valore 
probatorio 
proprio 
degli 
elementi 
indiziari, 
i 
quali, 
mentre 
possono 
concorrere 
a 
formare 
il 
convincimento 
del 
giudice, non sono idonei 
a 
costituire, da 
soli, il 
fondamento della 
decisione, va 
del 
pari 
necessariamente 
riconosciuto 
anche 
al 
contribuente 
lo 
stesso 
potere 
di 
introdurre 
dichiarazioni 
rese 
da 
terzi 
in 
sede 
extraprocessuale 
-beninteso, 
con 
il 
medesimo 
valore 
probatorio 
-dando 
così 
concreta 
attuazione 
ai 
principi 
del 
giusto processo come 
riformulati 
nel 
nuovo testo dell'art. 111 cost., per garantire 
il 
principio 
della parità delle armi processuali nonchè l'effettività del diritto di difesa. 
(27) Conf. Cass., 6 aprile 
2001, n. 5154, secondo cui 
non può attribuirsi 
valore 
di 
prova 
all'atto 
notorio, precostituito al 
processo al 
di 
fuori 
di 
qualsiasi 
contraddittorio con l'avversario, né 
tale 
atto può 
implicare 
un'inversione 
dell'onere 
della 
prova, 
che 
deve 
essere 
espressamente 
prevista 
da 
una 
norma 
positiva 
e 
non può derivare 
esclusivamente 
dalla 
mera 
iniziativa 
di 
parte. In pratica, il 
pieno valore 
probatorio 
dell'atto 
notorio 
resta 
limitato 
al 
fatto 
che 
la 
dichiarazione 
sia 
stata 
resa 
in 
presenza 
di 
un 
pubblico 
ufficiale, ma non si estende alla rispondenza alla verità delle circostanze indicate nell'atto stesso. 
(28) Conf. Cass., 20 luglio 1998, n. 7107, secondo cui 
la 
dichiarazione 
sostitutiva 
dell'atto di 
notorietà 
quanto lo stesso atto notorio devono essere 
considerati 
documenti 
la 
cui 
libera 
valutazione 
da 
parte 
del 
giudice 
deve 
essere 
in concreto ammessa 
ogni 
volta 
che 
la 
dichiarazione 
venga 
resa, non già 
da 
una 
delle 
parti, ma 
da 
un soggetto estraneo al 
processo che 
attesta 
un fatto rilevante 
ai 
fini 
della 
decisione. 
La 
principale 
differenza 
fra 
atto notorio e 
dichiarazione 
sostitutiva 
del 
medesimo consiste 
nel 
fatto che 
il 
primo assolve 
alla 
funzione 
di 
far conoscere 
fatti, stati 
e 
qualità 
personali 
che 
sono a 
diretta 
conoscenza 
del 
dichiarante, 
e 
che 
non 
risultano 
in 
altro 
modo 
noti 
alla 
Pubblica 
amministrazione, 
mentre 
la 
seconda 
mira 
a 
portare 
a 
conoscenza 
della 
Pubblica 
amministrazione 
circostanze 
a 
questa 
già 
risultanti 
in propri 
atti. Su tale 
istituto M. FAnnI, Le 
"dichiarazioni 
sostitutive 
di 
atto notorio" 
nel 
processo tributario, 
in rass. Tributaria, 2009, 5, pp. 1361 e ss. 

COntRIbutI 
DI 
DOttRInA 


lo 
riguardano, 
oppure 
persone 
che 
si 
dichiarano 
a 
conoscenza 
dei 
fatti 
attestano 
la 
veridicità 
dei 
fatti 
stessi. I documenti 
contenenti 
dichiarazioni 
di 
terzi 
che 
non 
rivestono 
la 
forma 
dell'atto 
pubblico, 
non 
avendo 
efficacia 
di 
prova 
legale, 
non sono soggetti 
né 
alla 
disciplina 
sostanziale 
di 
cui 
agli 
artt. 2702 e 
ss. c.c., 
né 
a 
quella 
processuale 
prevista 
dagli 
artt. 214 e 
ss. c.p.c. in tema 
di 
disconoscimento 
e verificazione. 


b) 
Perizie 
giurate 
ed 
asseverate. 
nel 
processo 
tributario 
è 
inoltre 
frequente 
il 
deposito di 
"perizie 
giurate 
ed asseverate" 
redatte 
da 
professionisti 
di 
fiducia 
del 
privato che, ad esempio, attestano che 
un certo immobile 
è 
fatiscente 
e 
quindi 
di 
modesto valore, o indicano i 
termini 
di 
un corretto accatastamento 
o 
contengono 
una 
data 
valutazione 
degli 
immobili 
e/o 
dei 
terreni: 
anche tali perizie hanno comunque il valore di meri elementi indiziari (29). 
c) 
Prove 
raccolte 
in 
altri 
processi. 
utilizzabili 
dal 
giudice 
tributario, 
quali 
prova 
atipiche, 
sono 
le 
prove 
provenienti 
da 
altri 
processi, 
tra 
cui 
anche 
da 
quello 
penale 
-purché 
formatesi 
legittimamente, 
in 
base 
alle 
norme 
regolatrice 
del 
processo 
di 
provenienza 
-sottoposte, 
volta 
per 
volta, 
alla 
propria, 
autonoma, 
valutazione (30). 
d) 
Perizie 
o 
consulenze 
utilizzate 
in 
altri 
giudizi. 
Il 
giudice 
tributario, 
nell’ambito 
della 
possibilità 
di 
utilizzare 
prove 
raccolte 
in 
concomitanza 
di 
un 
giudizio 
diverso 
svoltosi 
tra 
le 
stesse 
parti 
in 
causa 
o 
anche 
tra 
parti 
in 
giudizio 
diverse, può utilizzare 
anche 
la 
perizia 
svolta 
in concomitanza 
di 
un procedimento 
penale o di una consulenza tecnica svolta in sede civile (31). 
e) Sentenza pronunciata in 
altro processo. Con riguardo alla 
sentenza 
penale 
non si 
fa 
riferimento al 
giudicato penale 
in sé 
e 
per sé, ma 
all'accertamento 
dei 
fatti 
contenuti 
in tale 
giudicato (32). La 
sentenza 
penale 
non può 
avere 
efficacia 
di 
giudicato 
nel 
processo 
tributario 
per 
l’insussistenza 
delle 
condizioni 
fissate 
dall’art. 654 c.p.p. (33), specie 
il 
requisito della 
assenza 
di 
(29) Conf. Cass. 11 febbraio 2002, n. 1902 secondo cui 
la 
perizia 
stragiudiziale, ancorché 
asseverata 
con giuramento dal 
suo autore, raccolto dal 
cancelliere, costituisce 
pur sempre 
una 
mera 
allegazione 
difensiva, 
onde 
il 
giudice 
del 
merito 
non 
è 
tenuto 
a 
motivare 
il 
proprio 
dissenso 
in 
ordine 
alle 
osservazioni 
in essa 
contenute 
quando ponga 
a 
base 
del 
proprio convincimento considerazioni 
incompatibili 
con le 
stesse. Cass., 19 maggio 1997, n. 4437 ha 
escluso la 
possibilità 
di 
attribuire 
efficacia 
di 
prova 
legale 
alla 
perizia 
giurata 
depositata 
in giudizio da 
una 
parte, neppure 
rispetto ai 
fatti 
che 
il 
perito 
assume 
di 
avere 
accertato nel 
caso specifico. La 
Corte 
ha 
affermato che, non essendo prevista 
dall'ordinamento 
la 
precostituzione 
fuori 
del 
giudizio di 
un siffatto mezzo di 
prova, ad essa 
può essere 
riconosciuto 
solo il 
valore 
di 
indizio, al 
pari 
di 
ogni 
documento proveniente 
da 
un terzo, il 
cui 
apprezzamento 
è 
affidato alla 
libera 
valutazione 
discrezionale 
del 
giudice 
di 
merito, ma 
della 
quale 
non è 
obbligato in 
nessun caso a tenere conto. 
(30) Conf. Cass., 22 settembre 2000, n. 12577. 
(31) Conf. Cass., 6 febbraio 2009, n. 2904. 
(32) Sulla 
problematica: 
n. MOnFReDA, F. SteLLA, Efficacia della sentenza penale 
nel 
processo 
tributario, in Fisco, 2013, 29 - parte 1, pp. 4494 e ss. 
(33) “Nei 
confronti 
dell'imputato, della parte 
civile 
e 
del 
responsabile 
civile 
che 
si 
sia costituito 
o che 
sia intervenuto nel 
processo penale, la sentenza penale 
irrevocabile 
di 
condanna o di 
assoluzione 

RASSeGnA 
AvvOCAtuRA 
DeLLO 
StAtO -n. 3/2022 


“limitazioni 
alla 
prova 
della 
posizione 
soggettiva 
controversa”, 
atteso 
che 
nel 
processo tributario è 
vietato il 
giuramento. La 
stessa, tuttavia, vale 
quale 
argomento 
di 
prova 
e/o indizio fonte 
di 
presunzione 
semplice. tanto trova 
conferma 
nel 
giudice 
di 
legittimità 
secondo 
cui 
"non 
può 
revocarsi 
in 
dubbio 
che, 
nel 
processo 
tributario, 
il 
giudice 
possa 
legittimamente 
fondare 
il 
proprio 
convincimento 
anche 
sulle 
prove 
acquisite 
nel 
processo penale, pure 
se 
questo è 
destinato a concludersi 
con una pronuncia non opponibile 
alle 
parti 
del 
giudizio 
civile, 
purché 
tali 
prove 
vengano 
dal 
giudice 
tributario 
sottoposte 
ad 
una 
propria e autonoma valutazione” (34). 


4. (segue) 
Prove escluse. 
a) Prove 
acquisite 
illegittimamente. Per il 
principio di 
legalità, non sono 
utilizzabili 
le 
prove 
acquisite 
illegittimamente. In particolare, non sono utilizzabili 
-pur 
in 
assenza 
di 
esplicita 
previsione 
normativa 
-i 
documenti 
acquisiti 
nel 
corso di 
un accesso che 
sia 
stato eseguito senza 
autorizzazione 
del 
Procuratore 
della 
Repubblica 
o 
dell'Autorità 
giudiziaria, 
o 
a 
seguito 
di 
autorizzazione 
illegittima, risultando in tali casi lesa la tutela del domicilio (35). 
b) Giuramento. Si 
è 
visto che 
nel 
processo tributario è 
vietato il 
giura-
pronunciata 
in 
seguito 
a 
dibattimento 
ha 
efficacia 
di 
giudicato 
nel 
giudizio 
civile 
o 
amministrativo, 
quando in questo si 
controverte 
intorno a un diritto o a un interesse 
legittimo il 
cui 
riconoscimento dipende 
dall'accertamento 
degli 
stessi 
fatti 
materiali 
che 
furono 
oggetto 
del 
giudizio 
penale, 
purché 
i 
fatti 
accertati 
siano stati 
ritenuti 
rilevanti 
ai 
fini 
della decisione 
penale 
e 
purché 
la legge 
civile 
non ponga 
limitazioni alla prova della posizione soggettiva controversa”. 


(34) 
Cass., 
20 
marzo 
2013, 
n. 
6918. 
Cass., 
21 
giugno 
2002, 
n. 
9109: 
l'art. 
654 
c.p.p., 
che 
stabilisce 
l'efficacia 
vincolante 
del 
giudicato penale 
nel 
giudizio civile 
ed amministrativo nei 
confronti 
di 
coloro 
che 
abbiano partecipato al 
processo penale 
-norma 
operante, in base 
all'art. 207 disp. att., anche 
per i 
reati 
previsti 
da 
leggi 
speciali 
-la 
sottopone 
alla 
duplice 
condizione 
che 
nel 
giudizio civile 
o amministrativo 
(e, quindi, anche 
in quello tributario) la 
soluzione 
dipenda 
dagli 
stessi 
fatti 
materiali 
che 
furono 
oggetto 
del 
giudicato 
penale 
e 
che 
la 
legge 
civile 
non 
ponga 
limitazione 
alla 
prova 
"della 
posizione 
soggettiva 
controversa". Atteso che 
nel 
processo tributario vigono i 
limiti 
in materia 
di 
prova 
posti 
dall'art. 
7, 
comma 
4, 
D.L.vo 
n. 
546/1992, 
e 
trovano 
ingresso, 
con 
rilievo 
probatorio, 
in 
materia 
di 
determinazione 
del 
reddito d'impresa, anche 
presunzioni 
semplici 
(art. 39, comma 
2, d.P.R. n. 600/1973) prive 
dei 
requisiti 
prescritti 
ai 
fini 
della 
formazione 
di 
siffatta 
prova 
tanto nel 
processo civile 
(art. 2729, comma 
1, 
c.c.), che 
nel 
processo penale 
(art. 192, comma 
2, c.p.p.), la 
conseguenza 
del 
mutato quadro normativo 
è 
che 
nessuna 
automatica 
autorità 
di 
cosa 
giudicata 
può più attribuirsi 
nel 
separato giudizio tributario 
alla 
sentenza 
penale 
irrevocabile, di 
condanna 
o di 
assoluzione, emessa 
in materia 
di 
reati 
tributari, ancorchè 
i 
fatti 
accertati 
in sede 
penale 
siano gli 
stessi 
per i 
quali 
l'Amministrazione 
finanziaria 
ha 
promosso 
l'accertamento nei 
confronti 
del 
contribuente. Pertanto, il 
giudice 
tributario non può limitarsi 
a 
rilevare 
l'esistenza 
di 
una 
sentenza 
definitiva 
in 
materia 
di 
reati 
tributari, 
estendendone 
automaticamente 
gli 
effetti 
con riguardo all'azione 
accertatrice 
del 
singolo ufficio tributario, ma, nell'esercizio dei 
propri 
autonomi 
poteri 
di 
valutazione 
della 
condotta 
delle 
parti 
e 
del 
materiale 
probatorio acquisito agli 
atti 
(art. 116 c.p.c.), deve, in ogni 
caso, verificarne 
la 
rilevanza 
nell'ambito specifico in cui 
esso è 
destinato 
ad operare. 
(35) Conf. Cass., 19 ottobre 
2005, n. 20253, secondo cui 
l'inutilizzabilità 
-a 
sostegno dell'accertamento 
-delle 
prove 
reperite 
nel 
corso di 
una 
perquisizione 
illegale 
non ha 
bisogno di 
espressa 
disposizione 
sanzionatoria, 
derivando 
dalla 
regola 
generale 
secondo 
cui 
l'assenza 
del 
presupposto 
di 
un 
procedimento amministrativo infirma tutti gli atti nei quali si articola. 

COntRIbutI 
DI 
DOttRInA 


mento 
(l’art. 
7, 
comma 
4, 
D.L.vo 
n. 
546/1992 
dispone: 
“Non 
è 
ammesso 
il 
giuramento”). Ciò non obbedisce a criteri di ragionevolezza. 


La 
ratio 
dell’esclusione 
del 
giuramento 
dovrebbe 
risiedere 
nella 
circostanza 
che 
nel 
processo 
tributario 
è 
coinvolta 
una 
pubblica 
funzione, 
e 
una 
correlativa 
situazione 
soggettiva, che 
è 
indisponibile. Circostanza 
che 
-per le 
regole 
generali 
-rende 
inammissibile 
il 
giuramento (art. 2737 c.c.) (36). tuttavia 
è 
da 
dubitarsi 
della 
indisponibilità 
della 
pretesa 
tributaria, una 
volta 
che 
è 
pendente 
una 
controversia. Analogo divieto specifico non vi 
è 
per la 
confessione 
per 
la 
quale 
-in 
presenza 
dell’indisponibilità 
della 
situazione 
soggettiva 
pure - opera la regola generale del divieto (art. 2731 c.c.) (37). 

c) 
Prove 
precostituite 
non 
fornite 
dal 
contribuente 
a 
fronte 
della 
richiesta 
della 
P.A. 
In 
materia 
di 
imposte 
sui 
redditi 
“Le 
notizie 
ed 
i 
dati 
non 
addotti 
e 
gli 
atti, 
i 
documenti, 
i 
libri 
ed 
i 
registri 
non 
esibiti 
o 
non 
trasmessi 
in 
risposta 
agli 
inviti 
dell'ufficio non possono essere 
presi 
in considerazione 
a favore 
del 
contribuente, ai 
fini 
dell'accertamento in sede 
amministrativa e 
contenziosa. 
Di 
ciò l'ufficio deve 
informare 
il 
contribuente 
contestualmente 
alla richiesta” 
(art. 
32, 
comma 
4, 
d.P.R. 
n. 
600/1973). 
Il 
contribuente 
può 
superare 
questa 
preclusione 
probatoria 
se 
deposita, in uno al 
ricorso giurisdizionale, notizie, i 
dati, i 
documenti, i 
libri 
e 
i 
registri, non esibiti 
in fase 
amministrativa, dichiarando 
di 
non aver potuto adempiere 
alle 
richieste 
degli 
uffici 
per causa 
a 
lui 
non imputabile (art. 32, comma 5, d.P.R. n.600/1973). 
Inoltre, 
“i 
libri, 
registri, 
scritture 
e 
documenti 
di 
cui 
è 
rifiutata 
l'esibizione 
non possono essere 
presi 
in considerazione 
a favore 
del 
contribuente 
ai 
fini 
dell'accertamento 
in 
sede 
amministrativa 
o 
contenziosa. 
Per 
rifiuto 
d'esibizione 
si 
intendono 
anche 
la 
dichiarazione 
di 
non 
possedere 
i 
libri, 
registri, 
documenti 
e 
scritture 
e 
la sottrazione 
di 
essi 
alla ispezione” 
(art. 52, comma 
5, 
d.P.R. 
n. 
633/1972 
in 
materia 
di 
IvA, 
applicabile 
anche 
alle 
imposte 
sui 
redditi 
in virtù del richiamo ex art. 33, comma 1, d.P.R. n. 600/1073). 


All’evidenza 
la 
preclusione 
probatoria 
opera 
soltanto in presenza 
di 
una 
richiesta 
specifica 
da 
parte 
della 
P.A. e 
di 
un conseguente 
rifiuto o di 
un occultamento 
da parte del contribuente. 


5. 
(segue) 
Prove 
precostituite 
e 
prove 
costituende 
e 
modalità 
del 
loro 
ingresso 
nel processo. 
Le 
prove 
si 
distinguono in precostituite, ossia 
formate 
al 
di 
fuori 
del 
processo 
e 
a 
prescindere 
dallo stesso e 
in costituende, ossia 
formate 
nel 
processo 
ed in occasione dello stesso. 


(36) 
“Per 
deferire 
o 
riferire 
il 
giuramento 
si 
richiedono 
le 
condizioni 
indicate 
dall'articolo 
2731”. 
(37) “La confessione 
non è 
efficace 
se 
non proviene 
da persona capace 
di 
disporre 
del 
diritto, a 
cui 
i 
fatti 
confessati 
si 
riferiscono. Qualora sia resa da un rappresentante, è 
efficace 
solo se 
fatta entro 
i limiti e nei modi in cui questi vincola il rappresentato”. 

RASSeGnA 
AvvOCAtuRA 
DeLLO 
StAtO -n. 3/2022 


Prova precostituita è 
il 
documento. tale 
prova 
ha 
ingresso nel 
giudizio 
in due modi diversi: 


a) 
prodotta 
dal 
soggetto 
che 
detiene 
il 
documento, 
all’atto 
della 
costituzione 
in 
giudizio 
o 
anche 
in 
seguito 
fino 
alla 
scadenza 
dei 
termini 
difensivi 
di 
cui 
all’art. 
32 
D.L.vo 
n. 
546/1992, 
ossia 
fino 
a 
venti 
giorni 
liberi 
prima 
dell'udienza; 
b) 
esibita 
dalla 
parte 
o 
da 
un 
terzo 
su 
ordine 
del 
giudice 
(artt. 
210-212 
c.p.c.) (38). 
L'ordine 
di 
esibizione 
documentale 
(art. 210 c.p.c.: 
"il 
giudice 
istruttore, 
su istanza di 
parte, può ordinare 
all'altra parte 
o ad un terzo di 
esibire 
in giudizio 
un 
documento 
o 
altra 
cosa 
di 
cui 
ritenga 
necessaria 
l'acquisizione 
al 
processo") 
consente 
-nel 
rispetto 
del 
principio 
dispositivo, 
atteso 
che 
l’ordine 
è 
dato non d’ufficio ma 
ad istanza 
di 
parte 
(39) -l’ingresso nel 
processo di 
un 
documento non producibile spontaneamente dall’interessato. 


Attraverso una 
lettura 
congiunta 
degli 
artt. 210 e 
118 c.p.c. e 
dell'art. 94 
disp. att. c.p.c. risulta 
che 
i 
presupposti 
per ritenere 
operante 
tale 
strumento 
processuale sono: 


-specifica 
predeterminazione, 
da 
parte 
dell'istante, 
dell'oggetto 
dell'eventuale 
ordine 
di 
esibizione, e 
con l'onere 
di 
allegare 
la 
certezza 
dell'esistenza 
del documento stesso e di indicare elementi idonei all'attuazione dell'ordine; 


-offerta, da 
parte 
dell'istante, della 
prova 
in ordine 
al 
possesso del 
documento 
in capo alla 
parte 
o al 
terzo. Al 
riguardo, l'art. 94 disp. att. c.p.c., stabilisce 
che 
l'istanza 
di 
esibizione 
di 
un documento in possesso di 
una 
parte 
o di 
un 
terzo 
debba 
contenere 
"la 
specifica 
indicazione 
del 
documento 
o 
della 
cosa 
e, 
quando 
è 
necessario, 
l'offerta 
della 
prova 
che 
la 
parte 
o 
il 
terzo 
li 
possiede". 
tale 
disposizione 
implica, principalmente, che 
sia 
certa 
l'esistenza 
del 
documento 
(40); 


- impossibilità, per la parte, di conseguire il documento aliunde. 
nel 
processo 
tributario 
è 
applicabile 
l’art. 
213 
c.p.c. 
e, 
quindi, 
il 
giudice 
può 
richiedere 
d'ufficio 
alla 
P.A. 
le 
informazioni 
scritte 
relative 
ad 
atti 


(38) 
Istituto 
applicabile 
al 
processo 
tributario, 
come 
confermato 
anche 
dalla 
Corte 
Costituzionale: 
“non soltanto il 
principio dell'applicabilità al 
processo tributario, in quanto compatibili, delle 
norme 
del 
codice 
di 
procedura civile 
(art. 1, comma 2), ma anche 
il 
carattere 
non esaustivo della disciplina 
dell'istruzione 
contenuta 
nell'art. 
7 
impongono 
di 
ritenere 
che 
la 
produzione 
di 
documenti, 
oltre 
che 
spontanea, possa essere 
ordinata a norma dell'art. 210 cod. proc. civ. (e, quindi, anche 
nei 
confronti 
di 
terzi): ed è 
ovvio che 
l'esigenza di 
un'istanza di 
parte 
affinché 
il 
giudice 
possa ordinare 
l'esibizione 
di 
documenti 
è 
coerente 
con 
il 
principio 
dispositivo 
che, 
anche 
relativamente 
alle 
prove, 
il 
legislatore 
vuole 
governi 
il 
processo tributario e 
vale 
ad escludere 
in radice 
per 
il 
giudice 
ogni 
ruolo di 
supplenza della 
parte inerte, sia essa l'amministrazione o il contribuente” (Corte cost., 29 marzo 2007, n. 109). 
(39) Il 
giudice 
non può supplire 
in alcun modo al 
mancato assolvimento dell'onere 
della 
prova 
a 
carico della 
parte. Affermare 
il 
contrario significherebbe, infatti, stravolgere 
la 
funzione 
dell'istruttoria 
giudiziale, 
trasformandola 
da 
integrativa 
a 
suppletiva, 
in 
contrasto 
con 
il 
principio 
secondo 
cui 
il 
giudice 
non ha alcuna iniziativa in merito alla delineazione del 
thema decidendum. 
(40) In tal 
senso, e. MAnOnI, ordine 
di 
esibizione 
documentale 
nel 
processo tributario, in Fisco, 
2016, 29, pp. 2844 e ss. 

COntRIbutI 
DI 
DOttRInA 


e 
documenti 
dell'amministrazione 
stessa, 
che 
è 
necessario 
acquisire 
al 
processo 
(41). 


Gli 
elementi 
probatori 
nel 
corso 
di 
indagini 
di 
Polizia 
giudiziaria 
possono 
essere 
utilizzati 
in 
sede 
tributaria, 
ma 
ciò 
è 
da 
conciliare 
con 
la 
segretezza 
delle 
indagini 
preliminari 
ex art. 329, comma 
1, c.p.p. per il 
quale 
“Gli 
atti 
di 
indagine 
compiuti 
dal 
pubblico 
ministero 
e 
dalla 
polizia 
giudiziaria, 
le 
richieste 
del 
pubblico ministero di 
autorizzazione 
al 
compimento di 
atti 
di 
indagine 
e 
gli 
atti 
del 
giudice 
che 
provvedono su tali 
richieste 
sono coperti 
dal 
segreto 
fino 
a 
quando 
l'imputato 
non 
ne 
possa 
avere 
conoscenza 
e, 
comunque, 
non 
oltre 
la chiusura delle 
indagini 
preliminari”. In linea 
di 
principio, tali 
prove 
e 
notizie 
non sono utilizzabili, perché 
coperte 
dal 
segreto previsto dall’art. 329 
c.p.p., ma 
il 
magistrato penale, se 
ritiene 
che 
non vi 
sia 
pregiudizio per le 
indagini, 
può 
autorizzarne 
l’utilizzazione 
fiscale. 
Difatti 
giusta 
l’art. 
33, 
comma 
3, 
d.P.R. 
n. 
633/1973 
la 
Guardia 
di 
Finanza 
“previa 
autorizzazione 
dell'autorità 
giudiziaria, che 
può essere 
concessa anche 
in deroga all'articolo 329 del 
codice 
di 
procedura 
penale 
utilizza 
e 
trasmette 
agli 
uffici 
delle 
imposte 
documenti, 
dati 
e 
notizie 
acquisiti, 
direttamente 
o 
riferiti 
ed 
ottenuti 
dalle 
altre 
Forze di polizia, nell'esercizio dei poteri di polizia giudiziaria” (42). 


La prova documentale è la prova principe nel processo tributario. 

Prova 
costituenda 
sono 
tutte 
le 
prove 
diverse 
dal 
documento. 
tale 
prova 
ha ingresso nel giudizio in due modi diversi: 


a) acquisita 
all’esito del 
procedimento istruttorio, articolantesi 
in tre 
fasi: 
richiesta 
di 
ammissione 
della 
prova 
ad opera 
di 
una 
delle 
parti; 
ammissione 
disposta 
con ordinanza 
-da 
parte 
del 
giudice 
ove 
la 
prova 
sia 
ammissibile 
e 
rilevante; escussione del mezzo di prova; 
b) 
esibita 
dalla 
parte 
o 
da 
un 
terzo 
su 
ordine 
del 
giudice, 
su 
istanza 
di 
parte o d’ufficio (artt. 210-213 c.p.c.). 
6. (segue) Prove storiche e prove critiche. 
La 
prova 
è 
storica 
quando essa 
dà 
conoscenza 
diretta 
ed immediata 
del 
fatto da provare. vi è la diretta percezione dei sensi del fatto da provare. 


La 
prova 
è 
critica 
quando essa 
dà 
conoscenza 
indiretta 
del 
fatto da 
provare. 
Si 
giunge 
alla 
cognizione 
del 
fatto non con la 
diretta 
percezione 
da 
parte 
dei 
sensi, 
ma 
mediante 
un 
procedimento 
logico 
che 
parte 
da 
una 
premessa 
(fatto 
noto) 
per 
giungere 
alla 
conseguenza 
(fatto 
oggetto 
della 
prova). 
L’unica 
prova critica è la presunzione giudiziale; tutte le altre sono storiche. 


(41) Conf. Corte 
cost. n. 109/2007 cit.: 
“ove 
necessario, il 
giudice 
ha il 
potere 
-nei 
confronti 
di 
pubbliche 
amministrazioni 
diverse 
da 
quella 
che 
è 
parte 
del 
giudizio 
davanti 
a 
lui 
pendente 
-di 
chiedere 
informazioni 
o documenti 
ai 
sensi 
dell'art. 213 cod. proc. civ., e 
cioè 
attivarsi 
in funzione 
di 
chiarificazione 
dei risultati probatori prodotti dai mezzi di prova dei quali si sono servite le parti”. 
(42) Su tali aspetti: F. teSAuRO, istituzioni di diritto tributario, 1 - Parte generale, cit., p. 376. 

RASSeGnA 
AvvOCAtuRA 
DeLLO 
StAtO -n. 3/2022 


7. Principio di acquisizione della prova. 
vige 
il 
principio di 
acquisizione 
della 
prova: 
la 
prova 
è 
valutata 
oggettivamente, 
per 
quello 
che 
vale, 
a 
prescindere 
dal 
soggetto 
che 
l’abbia 
introdotta 
in giudizio (prova 
precostituita) o che 
ne 
abbia 
richiesto l’ammissione 
(prova 
costituenda). 


8. Provvedimenti sull’istruttoria. 
La 
Commissione 
tributaria 
provvede 
in 
materia 
di 
prove 
-e 
in 
specie 
circa 
l’assunzione delle prove costituende - a mezzo di ordinanza (43). 


L’istruzione 
preventiva 
-prevista 
e 
regolata 
negli 
artt. 692-699 c.p.c.: 
testimonianza, 
accertamento tecnico e 
ispezione 
giudiziale; 
consulenza 
tecnica 
preventiva 
ai 
fini 
della 
composizione 
della 
lite 
-è 
un 
istituto 
applicabile 
anche 
nel 
processo tributario, giusta 
la 
norma 
di 
richiamo di 
cui 
all’art. 1, comma 
2, 
D.L.vo 
n. 
546/1992. 
Circa 
il 
procedimento 
probatorio 
avente 
ad 
oggetto 
l’istruzione 
preventiva 
-in 
assenza 
di 
disciplina 
espressa 
nel 
D.L.vo 
n. 
546/1992 -può applicarsi 
per analogia 
quanto stabilito nell’art. 47 D.L.vo n. 
546/1992 circa la “Sospensione dell' atto impugnato”. 


9. onere della prova ed onere del principio di prova. 
nel 
processo 
tributario 
opera 
la 
regola 
dell’onere 
della 
prova 
secondo 
cui 
“Chi 
vuol 
far 
valere 
un 
diritto 
[rectius: 
una 
situazione 
giuridica 
soggettiva 
protetta] 
in 
giudizio 
deve 
provare 
i 
fatti 
che 
ne 
costituiscono 
il 
fondamento. 
Chi 
eccepisce 
l'inefficacia 
di 
tali 
fatti 
ovvero 
eccepisce 
che 
il 
diritto 
si 
è 
modificato 


o 
estinto 
deve 
provare 
i 
fatti 
su 
cui 
l'eccezione 
si 
fonda” 
(art. 
2697 
c.c.). 
Con l'espressione 
onere 
della 
prova 
si 
intende, sotto il 
profilo oggettivo, 
la 
regola 
di 
giudizio che 
consente 
al 
giudice 
di 
emettere 
in ogni 
caso una 
pronuncia 
di 
accoglimento o di 
rigetto della 
domanda 
anche 
quando egli 
sia 
rimasto 
in dubbio sulla 
verità 
dei 
fatti 
(cosiddetto divieto di 
non liquet); 
sotto il 
profilo soggettivo, si 
intende 
invece 
il 
criterio di 
ripartizione 
degli 
oneri 
probatori 
tra 
le 
parti, nel 
senso che 
ogni 
parte 
deve 
provare 
in giudizio i 
fatti 
che 
costituiscono il fondamento della pretesa vantata (44). 

L’onere 
della 
prova 
nel 
processo tributario è 
modalizzato dal 
comma 
5 
bis 
dell’art.7 
D.L.vo 
n. 
546/1992 
(introdotto 
con 
la 
novella 
di 
cui 
alla 
L. 
n. 
130/2022, prendendo atto delle 
acquisizioni 
giurisprudenziali), il 
quale 
così 
dispone: 
“L'amministrazione 
prova 
in 
giudizio 
le 
violazioni 
contestate 
con 
l'atto 
impugnato. 
il 
giudice 
fonda 
la 
decisione 
sugli 
elementi 
di 
prova 
che 
emergono nel 
giudizio e 
annulla l'atto impositivo se 
la prova della sua fondatezza 
manca o è 
contraddittoria o se 
è 
comunque 
insufficiente 
a dimostrare, 


(43) Conf. F. teSAuRO, istituzioni di diritto tributario, 1 - Parte generale, cit., p. 367. 
(44) 
G.M. 
CIPOLLA, 
riflessioni 
sull'onere 
della 
prova 
nel 
processo 
tributario, 
in 
rass. 
Tributaria, 
1998, 3, pp. 671 e ss. 

COntRIbutI 
DI 
DOttRInA 


in modo circostanziato e 
puntuale, comunque 
in coerenza con la normativa 
tributaria sostanziale, le 
ragioni 
oggettive 
su cui 
si 
fondano la pretesa impositiva 
e 
l'irrogazione 
delle 
sanzioni. Spetta comunque 
al 
contribuente 
fornire 
le 
ragioni 
della richiesta di 
rimborso, quando non sia conseguente 
al 
pagamento 
di somme oggetto di accertamenti impugnati”. 


Onere 
della 
prova 
dei 
fatti 
costitutivi 
in 
capo 
all’ufficio 
fiscale. 
Ove 
l’oggetto 
del 
processo 
sia 
costituito 
dalla 
impugnazione 
di 
atti 
impositivi 
-con 
i 
quali 
viene 
avanzata 
una 
pretesa 
tributaria 
-l’onere 
della 
prova 
dei 
fatti 
costitutivi 
grava 
sull’ufficio 
fiscale, 
come 
precisa 
il 
comma 
5 
bis 
dell’art. 
7 
D.L.vo n. 546/1992. Ad esempio, l’ufficio -in un giudizio avente 
ad oggetto 
l'avviso di 
rettifica 
in materia 
di 
accertamento IvA 
che 
origina 
da 
un processo 
verbale 
di 
constatazione 
redatto dalla 
Guardia 
di 
Finanza 
-ha 
l’onere 
di 
produrre 
il 
processo 
verbale 
di 
constatazione 
costituente 
il 
fondamento 
probatorio 
della pretesa fiscale. 


Anche 
se 
è 
il 
contribuente 
a 
rivolgersi 
al 
giudice, come 
“attore 
in senso 
formale”, 
l’attore 
in 
senso 
sostanziale, 
e 
quindi 
il 
soggetto 
sul 
quale 
grava 
l’onere 
della 
prova, è 
l’ufficio fiscale. L’onere 
della 
prova 
dei 
fatti 
costitutivi 
del 
presupposto del 
tributo e 
della 
base 
imponibile, come 
dei 
maggiori 
imponibili 
spetta 
dunque 
all’Amministrazione 
finanziaria 
(45), mentre 
l'onere 
del 
contribuente 
di 
provare 
elementi 
in 
senso 
contrario 
scatta 
solo 
quando 
dall'ufficio 
siano stati 
forniti 
indizi 
sufficienti 
per affermare 
la 
sussistenza 
dell'obbligazione 
tributaria (46). 


L’avviso 
di 
accertamento 
in 
tema 
di 
sanzioni 
amministrative 
-per 
espressa 
previsione 
normativa: 
art. 16, comma 
2, D.L.vo 18 dicembre 
1997, 


n. 472 -deve 
contenere 
una 
indicazione 
degli 
elementi 
probatori. Manca 
una 
simile 
espressa 
previsione 
in 
materia 
di 
accertamenti 
di 
imposte. 
La 
giurisprudenza 
pressoché 
unanime, recependo l'orientamento espresso sul 
punto dalla 
dottrina 
maggioritaria, sostiene 
che 
nella 
motivazione 
degli 
avvisi 
di 
accertamento 
l'ufficio 
non 
debba 
necessariamente 
indicare 
le 
prove 
(della 
fondatezza) 
della 
sua 
pretesa. Ciò in quanto motivazione 
e 
prova 
hanno natura 
e 
funzione 
diversa. La 
prima 
consiste 
nella 
descrizione 
delle 
ragioni 
poste 
a 
fondamento 
(45) Ex 
plurimis: 
Cass., 14 febbraio 1997, n. 1412; 
Cass., 11 ottobre 
1997, n. 9894 secondo cui 
se 
è 
vero che, in tema 
di 
accertamento delle 
imposte 
sui 
redditi, spetta 
all'amministrazione 
finanziaria 
nel 
quadro dei 
generali 
principi 
che 
governano l'onere 
della 
prova 
-dimostrare 
l'esistenza 
dei 
fatti 
costitutivi 
della 
(maggiore) pretesa 
tributaria 
azionata, fornendo quindi 
la 
prova 
di 
elementi 
e 
circostanze 
a 
suo avviso rivelatori 
dell'esistenza 
di 
un maggiore 
imponibile, è 
altrettanto vero -però -che 
il 
contribuente, 
il 
quale 
intenda 
contestare 
la 
capacità 
dimostrativa 
di 
quei 
fatti, oppure 
sostenere 
l'esistenza 
di 
circostanze 
modificative 
o estintive 
dei 
medesimi, deve 
a 
sua 
volta 
dimostrare 
gli 
elementi 
sui 
quali 
le 
sue 
eccezioni 
si 
fondano (così, a 
proposito del 
reddito d'impresa, spetta 
all'ufficio finanziario provare 
le 
componenti 
attive 
del 
maggior imponibile 
determinato, ma 
spetta 
al 
contribuente 
-il 
quale 
intenda 
contestare 
tale 
determinazione 
sostenendo, ad esempio, l'esistenza 
di 
costi 
maggiori 
di 
quelli 
considerati 
documentare 
che essi esistono e sono inerenti all'esercizio cui l'accertamento si riferisce). 
(46) Conf. Cass., 18 gennaio 2006, n. 905. 

RASSeGnA 
AvvOCAtuRA 
DeLLO 
StAtO -n. 3/2022 


della 
pretesa 
erariale. La 
motivazione 
non deve, perciò, convincere 
il 
contribuente 
della 
fondatezza 
della 
pretesa 
erariale, ma 
deve 
mettere 
quest'ultimo 
in grado di 
ricostruire 
l'iter logico-giuridico seguito dall'ufficio nella 
determinazione 
della 
pretesa 
e 
di 
esercitare, per l'effetto, il 
proprio diritto di 
difesa. 
La 
prova 
consiste, invece, nella 
dimostrazione 
della 
fondatezza 
di 
quelle 
ragioni 
sulla 
base 
dei 
documenti 
o 
delle 
presunzioni 
utilizzate 
in 
sede 
accertativa 
dall'ufficio. essa può, quindi, essere fornita in giudizio dall'ufficio. 

Il 
settore 
dell'ordinamento 
nel 
quale 
principalmente 
viene 
posta 
dalla 
giurisprudenza, 
nei 
termini 
appena 
descritti, 
la 
distinzione 
tra 
motivazione 
e 
prova 
è 
quello dell'imposizione 
indiretta 
e, segnatamente, quello delle 
imposte 
sui 
trasferimenti 
di 
ricchezza 
(registro, successioni 
e 
donazioni). Per tale 
ragione 
la 
giurisprudenza 
ritiene 
assolto 
dall'ufficio 
l'obbligo 
motivazionale 
attraverso 
la 
mera 
indicazione 
nell'atto del 
criterio (astratto) applicato, a 
prescindere 
dal 
mezzo grafico adoperato (anche 
una 
motivazione 
prestampata 
può costituire, 
quindi, 
una 
valida 
motivazione). 
In 
tal 
caso 
però, 
l'ufficio 
ha 
l'onere 
di 
provare 
in giudizio la 
sussistenza 
dei 
concreti 
elementi 
di 
fatto che, nel 
quadro del 
parametro 
prescelto, 
giustificano 
la 
pretesa 
erariale; 
con 
la 
conseguenza 
che, 
ove 
l'ufficio non assolva 
in giudizio il 
proprio onere 
probatorio, l'atto impugnato 
dev'essere annullato dal giudice. 


La 
distinzione 
tra 
motivazione 
e 
prova, sostanzialmente 
negli 
stessi 
termini 
ora 
illustrati 
con riguardo agli 
avvisi 
di 
accertamento di 
maggior valore 
(motivazione 
e 
prova 
sono 
distinte, 
per 
cui 
l'ufficio 
ha 
l'obbligo 
di 
indicare 
nell'atto di 
accertamento esclusivamente 
le 
ragioni 
della 
propria 
pretesa, ma 
non anche 
le 
prove 
sulle 
quali 
detta 
pretesa 
si 
fonda 
potendo fornire 
la 
prova 
in 
giudizio), 
si 
ritrova 
anche 
nella 
giurisprudenza 
espressasi 
sugli 
avvisi 
di 
accertamento 
delle 
imposte 
dirette 
e 
dell'IvA 
il 
cui 
obbligo 
di 
motivazione 
è 
previsto, 
rispettivamente, dagli 
artt. 42, comma 
2, del 
d.P.R. n. 600/1973, n. 600 
e 56, commi 2 e 3, del d.P.R. n. 633/1972. 

Onere 
della prova dei 
fatti 
costitutivi 
in 
capo al 
contribuente. In alcune 
ipotesi l’onere della prova ricade invece sul contribuente. 

Si 
tratta 
delle 
circostanze 
che 
il 
contribuente 
adduce 
a 
proprio 
favore, 
come 
le 
spese 
deducibili 
o 
le 
detrazioni 
IvA, 
che 
devono 
essere 
comprovate 
con 
idonea 
documentazione 
(47). 
È 
pacifico 
in 
giurisprudenza 
che 
grava 
sul 
contribuente 
la 
prova 
di 
tutti 
quei 
fatti 
(sostenimento 
dei 
costi 
nell'esercizio 


(47) Conf. Cass., 22 agosto 1997, n. 7867: 
in tema 
di 
imposte 
sui 
redditi, ai 
fini 
della 
determinazione 
del 
reddito di 
impresa, è 
onere 
del 
contribuente 
e 
non dell'ufficio finanziario documentare 
l'esistenza 
dei 
costi 
deducibili, 
trattandosi 
di 
una 
componente 
negativa 
del 
reddito 
la 
cui 
effettività 
deve 
essere 
dimostrata 
dal 
contribuente 
tramite 
la 
contabilità 
di 
cui 
egli, e 
non l'ufficio, dispone; 
una 
volta 
dimostrata 
l'esistenza 
della 
voce 
addotta 
come 
costo (e 
discorso analogo vale 
per le 
rimanenze 
o giacenze), 
spetterà 
all'ufficio -che 
intenda 
rettificare 
il 
reddito provando la 
diversità 
dei 
corrispettivi 
reali 
da 
quelli 
dichiarati 
-spiegare 
le 
ragioni 
per 
le 
quali 
quella 
voce 
debba 
considerarsi 
indeducibile, 
perchè, 
ad esempio, non di competenza dell'esercizio o non inerente l'attività di impresa. 

COntRIbutI 
DI 
DOttRInA 


di 
un'attività 
di 
impresa 
o 
di 
lavoro 
autonomo; 
debiti; 
sostenimento 
delle 
spese 
che 
danno 
diritto 
a 
detrazioni 
oppure 
ad 
oneri 
deducibili; 
inerenza 
al-
l'attività 
di 
impresa 
delle 
operazioni 
che 
danno 
luogo 
ad 
una 
detrazione 
Iva 


o 
a 
costi 
fiscalmente 
deducibili) 
che 
comportano 
una 
riduzione 
o 
una 
elisione 
del 
carico 
fiscale. 
All’evidenza, 
con 
riguardo 
alla 
prova 
dei 
costi, 
il 
sostenimento 
di 
un 
costo 
costituisce 
il 
fatto 
costitutivo 
del 
diritto 
(alla 
sua 
deduzione) 
vantato 
dal 
contribuente 
nei 
confronti 
dell'Amministrazione 
finanziaria 
(48). 
Analogamente, 
grava 
sul 
contribuente 
ex 
art. 
2697 
c.c. 
la 
prova 
dei 
fatti 
che 
danno 
diritto 
ad 
oneri 
deducibili 
ex 
art. 
10 
del 
d.P.R. 
22 
dicembre 
1986, 
n. 
917. 
Anche 
quando 
si 
discute 
dell’applicazione 
di 
una 
esenzione 
o 
di 
una 
norma 
agevolativa, grava 
sul 
contribuente 
l’onere 
di 
provare 
i 
fatti, dai 
quali 
dipende 
l’applicazione 
della 
norma 
di 
favore, 
in 
quanto 
fatto 
impeditivo 
o 
estintivo della obbligazione tributaria (49). 


L’onere 
della 
prova 
ricade 
sul 
contribuente 
anche 
per quanto riguarda 
le 
azioni 
di 
rimborso -come 
testualmente 
previsto dal 
comma 
5 
bis 
dell’art. 7 
D.L.vo 
n. 
546/1992 
-dove 
il 
contribuente 
dovrà 
quanto 
meno 
dimostrare 
l’avvenuto 
pagamento e spiegare perché esso non era dovuto (50). 


va 
rilevato 
che 
in 
alcuni 
casi, 
normativamente 
previsti, 
il 
contribuente 
deve 
produrre 
in sede 
amministrativa 
i 
documenti 
di 
cui 
ha 
la 
disponibilità, a 
pena 
di 
inammissibilità 
della 
loro 
produzione 
nella 
successiva 
fase 
giudiziale. 
È 
questo, in particolare, il 
caso in cui, nel 
corso di 
un'ispezione 
fiscale, venga 
rifiutata 
l'esibizione 
di 
libri, registri, scritture 
e 
documenti, nel 
qual 
caso gli 
stessi 
non potranno essere 
presi 
in considerazione 
a 
favore 
del 
contribuente 
ai 
fini 
dell'accertamento 
IvA 
in 
sede 
amministrativa 
o 
contenziosa 
(art. 
52, 
comma 
5, d.P.R. n. 633/1972 con riguardo agli 
accessi, ispezioni 
e 
verifiche 
in materia 
di 
IvA 
(51) richiamato, ai 
fini 
dell'accertamento delle 
imposte 
dirette, 
dall'art. 33, comma 1, del d.P.R. n. 600/1973). 


Il 
richiamo 
alla 
regola 
dell’onere 
della 
prova 
non 
è 
meccanico, 
opera 
solo 
con 
riguardo 
agli 
elementi 
conoscitivi 
dei 
fatti 
che 
siano 
nella 
disponibilità 


(48) va 
rilevato che 
parte 
della 
dottrina 
-in ordine 
alla 
prova 
dei 
costi 
-ritiene 
che 
è 
l'Amministrazione 
finanziaria 
a 
dover fornire 
la 
prova 
di 
tutti 
i 
presupposti 
dell'imposizione, siano essi 
positivi 
(ad esempio, gli 
elementi 
integrativi 
del 
reddito imponibile) oppure 
di 
segno negativo (ad esempio, i 
costi, 
quali 
componenti 
passivi 
del 
reddito 
da 
accertare). 
L’indicata 
dottrina 
è 
riportata 
in 
G.M. 
CIPOLLA, 
riflessioni sull'onere della prova nel processo tributario, cit., 3, pp. 671 e ss. 
(49) Conf. Cass., 11 maggio 2004, n. 8901; Cass., 2 settembre 2002, n. 12749. 
(50) Sul 
riparto dell’onere 
della 
prova 
tra 
ufficio fiscale 
e 
contribuente: 
A. vIGnOLI, voce 
onere 
della prova (Dir. trib.), in il 
Diritto, Enciclopedia Giuridica del 
Sole 
24 ore, Corriere 
della Sera il 
Sole 
24 ore, vol. 10, 2007, pp. 312-318. Cass., 6 settembre 2006, n. 19187. 
(51) “i libri, registri, scritture 
e 
documenti 
di 
cui 
è 
rifiutata l'esibizione 
non possono essere 
presi 
in considerazione 
a favore 
del 
contribuente 
ai 
fini 
dell'accertamento in sede 
amministrativa o contenziosa. 
Per 
rifiuto d'esibizione 
si 
intendono anche 
la dichiarazione 
di 
non possedere 
i 
libri, registri, documenti 
e scritture e la sottrazione di essi alla ispezione”. 

RASSeGnA 
AvvOCAtuRA 
DeLLO 
StAtO -n. 3/2022 


dell’interessato. Il 
processo tributario -come 
quello amministrativo -prende 
atto 
che 
spesso 
i 
documenti 
rilevanti 
sono 
nella 
disponibilità 
dell’Amm.ne 
evocata 
in 
giudizio 
a 
causa 
della 
condotta, 
qualificata 
illegittima 
dal 
ricorrente. 
In tale 
situazione 
al 
ricorrente 
non è 
inibito procurarsi 
i 
documenti 
rilevanti: 
può essere 
attivato l’accesso ex artt. 22 e 
ss. L. n. 241/1990 oppure 
può essere 
chiesto 
al 
giudice 
ex 
art. 
210 
c.p.c. 
di 
emanare 
un 
ordine 
di 
esibizione. 
tuttavia 
tali 
modalità 
acquisitive 
determinano lungaggini 
con impedimento di 
una 
tutela 
piena 
ed effettiva 
delle 
situazioni 
protette. In questa 
situazione 
il 
legislatore, 
per 
rapidizzare 
l’acquisizione 
dei 
documenti 
nella 
disponibilità 
dell’Amm.ne, prevede 
penetranti 
poteri 
ufficiosi. Sicché, con riguardo ai 
documenti 
che 
sono nella 
disponibilità 
dell’Amm.ne, in capo al 
ricorrente 
non 
vi 
sarebbe 
l’onere 
della 
prova, ma 
l’onere 
del 
principio di 
prova. Ossia: 
il 
ricorrente 
è 
onerato a 
descrivere 
i 
fatti 
rilevanti 
la 
cui 
conoscenza 
va 
acquisita 
al processo; su tale descrizione potranno essere attivati i poteri ufficiosi. 


In 
conclusione: 
ove 
la 
prova 
sia 
nella 
disponibilità 
della 
parte 
opera 
in 
via 
integrale 
la 
regola 
dell’onere 
della 
prova 
ex 
art. 
2697 
c.c., 
sicché 
chi 
agisce 
in giudizio deve 
fornire 
la 
prova 
dei 
fatti 
costitutivi 
della 
domanda 
pena 
il 
rigetto 
di 
questa; 
ove 
la 
prova, 
invece, 
non 
sia 
nella 
disponibilità 
della 
parte 
opera la regola del principio di prova. 


Questa 
tecnica 
-che 
opera 
in tutta 
la 
sua 
potenzialità 
nel 
processo amministrativo 
-viene 
definita 
come 
attenuazione 
del 
principio 
dell’onere 
della 
prova 
e 
del 
principio 
della 
disponibilità 
delle 
prove 
oppure, 
ellitticamente, 
come 
principio dispositivo con metodo acquisitivo. espressione 
della 
tecnica 
descritta 
è 
l’art. 
7, 
comma 
1, 
D.L.vo 
n. 
546/1992 
secondo 
cui 
“Le 
corti 
di 
giustizia 
tributaria 
di 
primo 
e 
secondo 
grado, 
ai 
fini 
istruttori 
e 
nei 
limiti 
dei 
fatti 
dedotti 
dalle 
parti, esercitano tutte 
le 
facoltà di 
accesso, di 
richiesta di 
dati, 
di 
informazioni 
e 
chiarimenti 
conferite 
agli 
uffici 
tributari 
ed all'ente 
locale 
da 
ciascuna 
legge 
d'imposta”. 
I 
poteri 
istruttori 
del 
giudice 
tributario 
debbono 
essere 
esercitati 
nell’ambito della 
materia 
del 
contendere, definita 
dalla 
motivazione 
dell’avviso di 
accertamento e 
dai 
motivi 
di 
ricorso del 
contribuente 
e, quindi, per confermare 
o smentire 
circostanze 
rientranti 
nella 
materia 
del 
contendere 
come 
sopra 
definita 
e 
perciò 
quantomeno 
allegate 
da 
una 
delle 
parti (52). 


La 
norma 
attribuisce 
ai 
giudici 
tributari 
la 
possibilità 
di 
esercitare 
le 
facoltà 
di 
accesso e 
di 
richiesta 
di 
informazioni, dati 
e 
chiarimenti 
conferite 
all'ufficio 
dalle singole leggi d'imposta. 

Al 
fine 
di 
individuare 
il 
significato 
da 
attribuire 
alla 
facoltà 
di 
accesso 
occorre 
fare 
riferimento all'art. 52 del 
d.P.R. n. 633/1972, in materia 
di 
IvA, 
disposizione 
applicabile 
altresì 
alle 
imposte 
dirette, 
all'imposta 
di 
registro 
e 
all'imposta 
sulle 
successioni 
con riferimento all'accertamento del 
valore 
delle 


(52) Così R. LuPI, S. COvInO, voce 
Processo tributario, cit., p. 205. 

COntRIbutI 
DI 
DOttRInA 


aziende 
(tanto 
in 
virtù 
dei 
rinvii 
all'art. 
52 
citato 
rispettivamente 
operati 
dall'art. 
33 del 
d.P.R. n. 600/1973, dall'art. 51 del 
d.P.R. n.131/1986 e 
dall'art. 34 del 
D.L.vo 31 ottobre 1990, n. 346). 


Quanto all'esercizio delle 
facoltà 
di 
richiesta 
di 
informazioni, dati 
e 
chiarimenti, 
in tema 
di 
imposte 
dirette, si 
dovrà 
fare 
riferimento a 
quanto disposto 
dall'art. 32 del 
d.P.R. n. 600/1973. Al 
riguardo, si 
rileva 
che 
l'art. 32 prevede 
espressamente 
che 
gli 
uffici 
(e 
dunque 
anche 
i 
giudici 
in virtù del 
rinvio operato 
dall'art. 7 in commento) possono, tra l’altro: 


-invitare 
i 
contribuenti 
a 
comparire 
di 
persona 
o per mezzo di 
rappresentanti 
per fornire 
dati 
e 
notizie 
rilevanti 
ai 
fini 
dell'accertamento nei 
loro confronti; 
- invitare i contribuenti ad esibire o trasmettere atti e documenti; 
-inviare 
ai 
contribuenti 
questionari 
relativi 
a 
dati 
e 
notizie 
di 
carattere 
specifico; 
-richiedere 
informazioni, 
dati 
e 
notizie, 
copie 
o 
estratti 
di 
atti 
e 
documenti 
a 
soggetti 
terzi 
(organi 
e 
amministrazioni 
dello Stato, enti 
pubblici, eccetera, 
società 
ed 
enti 
che 
effettuano 
istituzionalmente 
riscossioni 
e 
pagamenti 
per 
conto di 
terzi, ovvero attività 
di 
gestione 
e 
intermediazione 
finanziaria, anche 
in forma 
fiduciaria, società 
ed enti 
di 
assicurazione, notai 
e 
in genere 
pubblici 
ufficiali); 


-richiedere 
alle 
aziende 
o istituti 
di 
credito per quanto riguarda 
i 
rapporti 
con i 
clienti 
e 
all'Amministrazione 
postale 
per quanto attiene 
ai 
dati 
relativi 
ai 
servizi 
dei 
conti 
correnti 
postali, ai 
libretti 
di 
deposito ed ai 
buoni 
postali 
fruttiferi, 
copia 
dei 
conti 
intrattenuti 
con il 
contribuente 
con la 
specificazione 
di 
tutti 
i 
rapporti 
inerenti 
o connessi 
a 
tali 
conti, comprese 
le 
garanzie 
prestate 
da terzi; 
-invitare 
ogni 
altro soggetto ad esibire 
o trasmettere 
atti 
o documenti 
fiscalmente 
rilevanti 
concernenti 
specifici 
rapporti 
intrattenuti 
con 
il 
contribuente 
e a fornire i chiarimenti relativi. 
una 
norma 
di 
analogo contenuto, l'art. 51 del 
d.P.R. n. 633/1972, disciplina 
simili poteri in materia di imposta sul valore aggiunto (53). 


In 
particolare, 
per 
quanto 
riguarda 
il 
potere 
d'accesso 
esso 
consiste 
nella 
possibilità 
di 
ispezione 
dei 
locali 
destinati 
all'esercizio 
di 
attività 
professionali, 
commerciali, 
agricole 
o 
artistiche 
al 
fine 
di 
effettuare 
rilevazioni 
e 
ispezioni 
di 
documenti 
senza 
alcuna 
previa 
autorizzazione, 
non 
richiesta 
nel 
caso 
in 
cui 
si 
tratta 
di 
acquisire 
e 
controllare 
registri, 
documenti 
e 
altre 
prove 
attestanti 
l'avvenuta 
violazione 
delle 
norme 
tributarie. 
L'accesso 
può 
essere 
disposto 
dal 
giudice 
tributario 
anche 
presso 
Pubbliche 
Amministrazioni, 
enti 
pubblici, 
società, 
enti 
di 
assicurazione 
e 
banche 
nei 
limiti 
in 
cui 
il 
segreto 


(53) Su tali 
aspetti 
L. MAGnAnI 
e 
L. MOnteCAMOzzO, il 
punto sui 
poteri 
delle 
commissioni 
tributarie 
ex art. 7 del d.lgs. n. 546/1992, in Fisco, 2005, 40 - parte 1, pp. 6280 e ss. 

RASSeGnA 
AvvOCAtuRA 
DeLLO 
StAtO -n. 3/2022 


bancario 
lo 
consente. 
È 
fatta 
salva 
la 
possibilità 
di 
sequestro 
dei 
documenti 
e 
delle 
scritture 
contabili 
nel 
caso 
in 
cui 
gli 
stessi 
non 
possono 
essere 
prodotti 
in 
giudizio 
(54). 


È 
discussa 
la 
possibilità 
della 
acquisizione 
d'ufficio del 
processo verbale 
di 
constatazione. 
La 
possibilità 
per 
il 
giudice 
tributario 
di 
acquisire 
o 
meno 
d'ufficio il 
processo verbale 
di 
constatazione, richiamato per 
relationem 
nella 
motivazione 
dell'atto impugnato, continua 
a 
costituire 
questione 
controversa 
che 
vede 
in campo due 
fronti 
contrapposti: 
da 
una 
parte 
chi 
nega 
tale 
possibilità 
sulla 
scorta 
principalmente 
della 
novella 
del 
2005, che 
ha 
abrogato l'art. 
7, comma 
3, del 
D.L.vo n. 546/1992, che 
consentiva 
ai 
giudici 
tributari 
di 
ordinare 
alle 
parti 
il 
deposito 
di 
documenti 
ritenuti 
necessari 
per 
la 
decisione 
della 
controversia; 
e 
dall'altra 
parte 
chi 
comunque 
per diversi 
motivi 
lo consente, 
in 
particolare 
nei 
casi 
in 
cui 
la 
situazione 
probatoria 
sia 
tale 
da 
impedire 
la pronuncia di una sentenza ragionevolmente motivata (55). 


10. 
(segue) 
iudex 
debet 
iudicare 
secundum 
probata (principio dispositivo in 
materia di prova) ed onere di contestazione. 
In assenza 
di 
una 
espressa 
disposizione 
in ordine 
all’ingresso delle 
prove 
nel 
giudizio, si 
applica 
la 
regola 
generale 
del 
processo civile, ossia 
l’art. 115 
c.p.c., secondo cui 
“Salvi 
i 
casi 
previsti 
dalla legge, il 
giudice 
deve 
porre 
a 
fondamento della decisione 
le 
prove 
proposte 
dalle 
parti 
o dal 
pubblico ministero 
nonché 
i 
fatti 
non 
specificatamente 
contestati 
dalla 
parte 
costituita”. 
viene 
in 
rilievo, 
all’evidenza, 
l’applicazione 
del 
principio 
dispositivo, 
con 
l’attenuazione 
dell’art. 
7, 
comma 
1, 
D.L.vo 
n. 
546/1992. 
Il 
che 
implica 
che 
il 
giudice 
non 
può 
acquisire 
prove 
d’ufficio 
ed 
è 
vietata 
la 
scienza 
privata 
del 
giudice, come precisato nell’art. 97 d.a.c.p.c. (56). 


La 
regola 
è 
che 
sono le 
parti 
a 
provare 
i 
fatti 
rilevanti 
nel 
processo, in ossequio 
alla regola dell’onere della prova. 

Opera 
altresì 
il 
principio 
di 
non 
contestazione. 
La 
dottrina 
non 
dubita 
dell’operatività 
dell’art. 
115 
c.p.c. 
nel 
processo 
tributario 
(57), 
in 
quanto 
regola 
di 
semplificazione 
probatoria; 
sulla 
problematica 
non interferisce 
la 
querelle 


(54) Su tali 
aspetti 
G. DuRAnte, i poteri 
istruttori 
delle 
commissioni 
tributarie, cit., pp. 699 e 
ss. 
(55) Sulla 
problematica: 
G. AntICO, M. GenOveSI, acquisizione 
d'ufficio del 
processo verbale 
di 
constatazione, in 
Fisco, 2020, 2, pp. 139 e ss. 
(56) “il 
giudice 
non può ricevere 
private 
informazioni 
sulle 
cause 
pendenti 
davanti 
a sé, né 
può 
ricevere memorie se non per mezzo della cancelleria”. 
(57) Ex 
plurimis: 
G. AntICO, M. GenOveSI, il 
principio di 
non contestazione 
nel 
processo tributario: 
ricorrente 
e 
resistente 
pari 
sono?, in Fisco, 2016, 3, pp. 241 e 
ss.; 
G. FRAnSOnI, Preclusioni 
processuali, 
rilevabilità d'ufficio e 
giusto processo, in rass. Tributaria, 2013, 2, p. 449; 
M. CAntILLO, il 
principio 
di 
non 
contestazione 
nel 
processo 
tributario, 
in 
rass. 
Tributaria, 
2012, 
4, 
pp. 
840 
e 
ss.; 
F. 
SORRentInO, il 
principio di 
non contestazione 
nel 
processo tributario, in Fisco, 2010, 32 -parte 
1, pp. 
5163 e 
ss.; 
A. COLLI 
vIGnAReLLI, il 
principio di 
"non contestazione" 
si 
applica anche 
nel 
processo tributario, 
in rass. Tributaria, 2007, 5, p. 1508. 

COntRIbutI 
DI 
DOttRInA 


sulla 
natura 
disponibile 
o meno della 
situazione 
soggettiva 
coinvolta 
nei 
fatti 
oggetto di 
non contestazione 
atteso che 
il 
contegno omissivo della 
parte 
onerata 
assume 
rilievo soltanto sul 
piano probatorio, trattandosi, di 
una 
mera 
tecnica 
processuale, 
diretta 
a 
soddisfare 
esigenze 
di 
semplificazione 
e 
di 
economia 
processuale, inidonea 
ad intaccare 
il 
piano sostanziale 
controverso 
(58). Anche 
in giurisprudenza, in modo piano, si 
afferma 
l’applicazione 
della 
disposizione nel processo tributario (59). 


Alla 
luce 
delle 
disposizioni 
indicate, 
in 
capo 
alle 
parti 
costituite 
vi 
è 
l’onere 
di 
specifica 
contestazione 
dei 
fatti 
dedotti 
dagli 
avversari, con il 
corollario 
che 
la 
parte 
è 
esonerata 
dall’onere 
di 
fornire 
la 
prova 
rispetto ai 
fatti 
da 
lei 
dedotti 
e 
non contestati 
dalla 
controparte. Ovviamente, se 
tali 
fatti 
sono 
smentiti 
da 
altre 
risultanze 
processuali, 
la 
non 
contestazione 
non 
comporta 
per 
il 
giudice 
-nell’ambito 
del 
principio 
della 
libera 
valutazione 
delle 
prove 
-l’obbligo 
di 
attenersi 
ad essi. Fatto non contestato non significa, quindi, prova 
legale, 
ma fatto provato liberamente valutabile. 

Circa 
il 
termine 
ultimo 
entro 
il 
quale 
operare 
la 
contestazione, 
occorre 
tenere 
conto della 
circostanza 
che, trattandosi 
di 
giudizio di 
impugnazione, è 
impossibile 
per il 
ricorrente 
addurre 
la 
contestazione 
di 
un fatto oltre 
la 
proposizione 
del 
ricorso, mentre 
per l'Amministrazione 
la 
contestazione 
va 
operata 
in sede 
di 
controdeduzioni 
(da 
depositare 
entro sessanta 
giorni 
dal 
giorno 
in cui 
il 
ricorso è 
stato notificato, consegnato o ricevuto a 
mezzo del 
servizio 
postale) atteso che 
con queste 
“la parte 
resistente 
espone 
le 
sue 
difese 
prendendo 
posizione 
sui 
motivi 
dedotti 
dal 
ricorrente” 
(art. 23, comma 
3, D.L.vo 


n. 
546/1992). 
L’indicato 
termine 
preclusivo 
per 
il 
resistente 
entro 
il 
quale 
operare 
la 
non 
contestazione, 
non 
è 
pacifico 
in 
dottrina. 
vi 
sono 
anche 
tesi, 
le 
quali 
-considerando mero comportamento processuale 
la 
non contestazione 
ritengono 
possibile 
la 
contestazione 
tardiva 
di 
fatti 
inizialmente 
non 
contestati, 
aprendo al 
giudice 
la 
strada 
della 
valutazione 
complessiva 
del 
contegno processuale 
della 
parte 
(60); 
sicché 
sarebbe 
legittima 
la 
contestazione 
tardiva 
rispetto 
al 
termine 
ex art. 23 del 
D.L.vo n. 546/1992, ma 
tempestiva 
rispetto a 
quello ex art. 32 del 
D.L.vo n. 546/1992, anche 
perché 
il 
dies 
ad quem 
coinciderebbe 
con la 
memoria 
che 
consente 
la 
replica 
finale 
alle 
contestazioni 
del 
ricorrente (61). 
(58) La 
ricostruzione 
del 
dibattito in materia 
in G. AntICO, M. GenOveSI, il 
principio di 
non contestazione 
nel processo tributario: ricorrente e resistente pari sono?, cit., pp. 241 e ss. 
(59) A 
partire 
da 
Cass., 24 gennaio 2007, n. 1540; 
nel 
senso della 
estensione 
anche 
ai 
diritti 
indisponibili 
Cass., 6 febbraio 2015, n. 2196. 
(60) Per R. LuPI, S. COvInO, voce 
Processo tributario, in il 
Diritto, Enciclopedia Giuridica del 
Sole 
24 ore, cit., p. 202 “non sono previsti 
divieti 
a far 
valere 
con successive 
memorie 
argomentazioni 
non indicate in sede di costituzione”. 
(61) M. CAntILLO, il 
principio di 
non contestazione 
nel 
processo tributario, cit., pp. 840 e 
ss. rileva: 
“le 
allegazioni 
del 
ricorrente 
vanno contestate 
dall'amministrazione 
con l'atto delle 
controdeduzioni, 
secondo quanto espressamente 
prevede 
la detta norma [art. 23 D.L.vo n. 546/1992], per 
cui, in 

RASSeGnA 
AvvOCAtuRA 
DeLLO 
StAtO -n. 3/2022 


All’evidenza, per chi 
è 
evocato in giudizio, nel 
difetto di 
idonee 
linee 
di 
difesa miglior partito è la contumacia rispetto alla costituzione in giudizio. 


vietata 
è, quindi, la 
regola 
della 
acquisizione 
di 
ufficio delle 
prove 
(c.d. 
principio 
inquisitorio, 
valevole 
per 
il 
processo 
penale). 
In 
via 
di 
eccezione, 
sulla 
base 
di 
specifici 
presupposti, 
è 
ammessa 
la 
prova 
d’ufficio, 
come 
innanzi 
evidenziato nell’esame dell’onere della prova. 


11. Principio della libera valutazione delle prove. 
In 
assenza 
di 
una 
espressa 
disposizione 
in 
ordine 
alla 
valutazione 
delle 
prove, 
si 
applica 
la 
regola 
generale 
del 
processo 
civile, 
ossia 
l’art. 
116 
c.p.c., 
secondo 
cui 
“il 
giudice 
deve 
valutare 
le 
prove 
secondo 
il 
suo 
pru


caso 
di 
costituzione 
tempestiva, 
non 
è 
dubbio 
che 
il 
principio 
in 
esame 
trovi 
applicazione 
con 
riferimento 
a tale 
attività e, quindi, alla mancata contestazione 
con le 
controdeduzioni. il 
problema si 
presenta con 
riguardo 
alla 
possibilità 
per 
il 
resistente 
di 
costituirsi 
anche 
dopo 
la 
scadenza 
del 
termine 
suddetto, 
che 
non 
è 
perentorio; 
e 
ciò 
conduce 
a 
ritenere 
che, 
in 
via 
di 
principio, 
il 
potere 
di 
contestazione 
possa 
essere 
esercitato fino a quando sia consentita la costituzione 
tardiva in giudizio. in proposito si 
registrano, 
però, opinioni 
diverse 
in dottrina e 
in giurisprudenza, perché 
all'indirizzo secondo cui 
quel 
momento 
andrebbe 
individuato nella scadenza di 
uno dei 
due 
termini 
previsti 
dall'art. 32, commi 
1 e 
2, d.lgs. n. 
546/1992 per 
il 
deposito di 
documenti 
e, rispettivamente, di 
memorie 
illustrative, si 
contrappone 
la tesi 
più liberale, che 
consente 
la costituzione 
tardiva fin nell'udienza di 
trattazione 
(quindi, se 
questa debba 
svolgersi 
in camera di 
consiglio, fino a cinque 
giorni 
prima dell'udienza medesima), per 
modo che 
i 
fatti 
allegati 
dal 
ricorrente 
potrebbero essere 
contestati 
anche 
in tale 
sede. opinione, codesta, che 
oltre 
a non trovare 
conforto in alcuna disposizione 
con riguardo allo specifico problema in esame, contraddice 
la 
ratio 
del 
principio 
di 
non 
contestazione, 
la 
cui 
utilità 
risiede 
principalmente 
nell'esigenza 
di 
contenere 
la durata del 
processo, finalità che 
verrebbe 
elusa, manifestamente, se 
la contestazione 
fosse 
ammissibile 
addirittura nell'udienza di 
trattazione. Tuttavia per 
risolvere 
la questione 
in esame 
non è 
necessario prendere 
posizione 
sulla tempistica relativa alla costituzione 
in giudizio ed occorre 
avere 
riguardo, invece, alle 
preclusioni 
relative 
all'esercizio dei 
poteri 
processuali 
ad essa inerenti, in particolare, 
appunto, 
quello 
relativo 
alla 
contestazione 
dei 
fatti 
allegati 
ex 
adverso. 
in 
pratica, 
come 
nel 
processo civile 
ordinario il 
contumace 
che 
si 
costituisce 
in giudizio è 
tenuto ad accettare 
il 
processo in 
statu 
et 
terminis, 
per 
cui 
subisce 
le 
preclusioni 
che 
sono 
maturate 
nei 
suoi 
confronti, 
così 
nel 
nostro 
processo 
la 
parte 
che 
si 
costituisca 
tardivamente 
non 
può 
compiere 
attività 
che, 
nel 
momento 
in 
cui 
entra 
nel 
processo, 
siano 
già 
precluse 
alle 
parti 
presenti 
in 
giudizio 
[…] 
in 
coerenza 
alla 
qualificazione 
della non contestazione 
in chiave 
squisitamente 
probatoria, il 
limite 
temporale 
della stessa va individuato 
nel 
momento di 
definitiva fissazione 
del 
thema probandum, ritenendo applicabile, quindi, la preclusione 
di 
cui 
all'art. 32, comma 1, d.lgs. n. 546/1992, che, sebbene 
testualmente 
si 
limiti 
a fissare 
in 
venti 
giorni 
prima dell'udienza il 
termine 
perentorio ultimo per 
il 
deposito di 
documenti, si 
riferisce 
in 
effetti 
a tutte 
le 
iniziative 
che 
attengono al 
thema probandum, perciò concernenti 
anche 
l'indicazione 
di 
prove 
costituende 
e, 
più 
in 
generale, 
qualsiasi 
attività 
difensiva 
che 
valga 
ad 
introdurre 
nuovi 
temi 
d'indagine. 
E 
ciò si 
conferma in base 
al 
secondo comma della disposizione, che 
nei 
dieci 
giorni 
precedenti 
l'udienza 
consente 
soltanto 
la 
presentazione 
di 
memorie 
illustrative, 
le 
quali, 
proprio 
perché 
tali, 
hanno 
l'unica 
funzione 
di 
ulteriormente 
precisare 
posizioni 
difensive 
già 
assunte. 
merita 
pertanto 
consenso 
l'indirizzo per 
cui 
la scadenza di 
detto termine 
preclude 
la contestazione 
dei 
fatti 
allegati 
dalla controparte 
e 
dà luogo, quindi, alla situazione 
di 
non contestazione 
che 
genera l'effetto previsto dalla disposizione 
in 
esame. 
Ciò 
comporta, 
ovviamente, 
che 
entro 
lo 
stesso 
termine 
la 
parte 
deve 
costituirsi 
in 
giudizio, 
con 
la 
conseguenziale 
facoltà 
di 
esercitare 
i 
diritti 
non 
ancora 
consumati 
e 
di 
assumere 
un 
comportamento rilevante 
anche 
sul 
piano probatorio. E 
si 
può conclusivamente 
affermare 
che 
i 
fatti 
allegati 
dal 
contribuente 
con il 
ricorso debbono ritenersi 
non contestati 
se 
l'ente 
impositore 
si 
costituisca 
dopo la scadenza del termine suddetto”. 



COntRIbutI 
DI 
DOttRInA 


dente 
apprezzamento, 
salvo 
che 
la 
legge 
disponga 
altrimenti. 
il 
giudice 
può 
desumere 
argomenti 
di 
prova 
dalle 
risposte 
che 
le 
parti 
gli 
danno 
a 
norma 
dell'articolo 
seguente, 
dal 
loro 
rifiuto 
ingiustificato 
a 
consentire 
le 
ispezioni 
che 
egli 
ha 
ordinate 
e, 
in 
generale, 
dal 
contegno 
delle 
parti 
stesse 
nel 
processo”. 


La 
regola 
è 
che 
il 
giudice 
non 
è 
vincolato 
dalla 
legge 
nel 
valutare 
la 
prova, 
come 
nella 
c.d. prova 
legale 
(nella 
prova 
legale 
il 
legislatore 
sostituisce 
d’autorità 
il 
proprio 
convincìmento 
a 
quello 
del 
giudice). 
egli 
può 
liberamente 
apprezzarla, 
ricorrendo 
a 
massime 
di 
esperienza 
e 
nel 
rispetto 
delle 
regole 
di 
logicità e di non contraddizione. 


In 
via 
di 
eccezione, 
anche 
nel 
processo 
tributario 
si 
hanno 
dei 
casi 
di 
prova 
legale. Sono casi 
meno frequenti 
rispetto al 
processo civile 
-anche 
perché 
nel 
processo 
tributario 
è 
inammissibile 
il 
giuramento, 
prova 
legale 
per 
antonomasia, 
sicché 
si 
riduce 
l’ambito 
delle 
prove 
legali 
-ma 
comunque 
si 
hanno: 
valga 
per 
tutti 
il 
caso 
il 
documento 
nella 
forma 
dell’atto 
pubblico, 
avente valore di prova legale ex art. 2700 c.c. con riguardo all’estrinseco. 


12. 
modalità 
e 
termini 
per 
lo 
svolgimento 
dell’attività 
istruttoria 
nel 
primo 
grado del giudizio. 
Circa 
il 
processo tributario di 
primo grado viene 
in rilievo la 
seguente 
disciplina. 


Il 
ricorrente, all’atto della 
costituzione 
in giudizio -da 
effettuarsi, a 
pena 
d'inammissibilità, 
entro 
trenta 
giorni 
dalla 
proposizione 
del 
ricorso 
-“deposita 
il 
proprio fascicolo, con l'originale 
o la fotocopia dell'atto impugnato, se 
notificato, 
ed 
i 
documenti 
che 
produce, 
in 
originale 
o 
fotocopia” 
(art. 
22, 
comma 
4, D.L.vo n. 546/1992). 


Il 
resistente, all’atto della 
costituzione 
in giudizio deposita 
presso la 
segreteria 
della 
commissione 
adita 
il 
proprio fascicolo contenente 
le 
controdeduzioni 
(nelle 
quali 
occorre, 
tra 
l’altro, 
indicare 
le 
prove 
di 
cui 
intende 
valersi) 
e 
i 
documenti 
offerti 
in comunicazione 
(art. 23 D. L.vo n. 546/1992). La 
costituzione 
del 
resistente 
va 
effettuata 
entro sessanta 
giorni 
dal 
giorno in cui 
il 
ricorso è 
stato notificato, consegnato o ricevuto a 
mezzo del 
servizio postale. 
Il 
termine 
per la 
costituzione 
del 
resistente 
non è 
comunque 
a 
pena 
di 
decadenza, 
atteso che 
può essere 
effettuata 
fino all’udienza 
pubblica 
o -nel 
caso 
della 
camera 
di 
consiglio 
-fino 
a 
dieci 
giorni 
liberi 
prima 
della 
trattazione, 
salve 
le 
decadenze 
maturate 
(ad es. i 
documenti 
possono essere 
prodotti 
fino 
a 
venti 
giorni 
liberi 
prima 
della 
data 
di 
trattazione). 
Inoltre 
non 
è 
causa 
di 
inammissibilità 
della 
costituzione 
in 
giudizio 
dell'Amministrazione 
finanziaria, 
a 
norma 
dell'art. 23 D.L.vo n. 546/1992, la 
genericità 
delle 
difese 
svolte 
e 
il 
mancato 
esercizio, 
nelle 
controdeduzioni, 
delle 
facoltà 
indicate 
nel 
terzo 
comma 
della 
citata 
disposizione 
(proposizione 
di 
eccezioni 
non 
rilevabili 
d'ufficio 
ed istanza 
per la 
chiamata 
di 
terzi 
in causa), producendo tale 
circostanza 



RASSeGnA 
AvvOCAtuRA 
DeLLO 
StAtO -n. 3/2022 


solo la 
decadenza 
della 
parte 
resistente 
dalla 
possibilità 
di 
esercitare 
successivamente 
le stesse facoltà (62). 


Circa 
la 
modalità 
di 
indicazione 
dei 
documenti 
depositati 
è 
previsto 
che 
“i 
documenti 
devono 
essere 
elencati 
negli 
atti 
di 
parte 
cui 
sono 
allegati 
ovvero, 
se 
prodotti 
separatamente, 
in 
apposita 
nota 
sottoscritta 
da 
depositare 
in 
originale 
ed 
in 
numero 
di 
copie 
in 
carta 
semplice 
pari 
a 
quello 
delle 
altre 
parti” 
(art. 
24, 
comma 
1, 
D.L.vo 
n. 
546/1992). 
La 
giurisprudenza 
è 
-condivisibilmente, 
attesa 
la 
necessità 
del 
rispetto 
del 
diritto 
al 
contraddittorio 
e 
del 
diritto 
di 
difesa 
della 
parte 
contro 
la 
quale 
la 
produzione 
documentale 
è 
avvenuta 
-molto 
rigorosa 
su 
queste 
modalità, 
enunciando 
che 
la 
mancata 
indicazione 
nell'indice 
del 
fascicolo 
di 
parte 
degli 
atti 
e 
dei 
documenti 
di 
fatto 
allegati 
al 
ricorso, 
introduttivo 
o 
di 
appello, 
costituisce 
una 
irregolarità 
non 
sanabile, 
da 
parte 
del 
giudice, 
attraverso 
la 
materiale 
ricognizione 
ed 
acquisizione 
dei 
documenti 
effettivamente 
allegati 
all'atto 
che 
li 
richiama, 
con 
conseguente 
preclusione 
di 
utilizzo 
ai 
fini 
della 
decisione; 
per 
il 
giudice 
di 
legittimità 
tuttavia, 
poiché 
l'obbligo 
di 
indicazione 
dei 
documenti 
allegati 
è 
previsto 
-come 
evidenziato 
-a 
tutela 
del 
diritto 
al 
contraddittorio 
e 
del 
diritto 
di 
difesa 
della 
parte 
contro 
la 
quale 
la 
produzione 
documentale 
è 
avvenuta, 
ove 
questa 
rinunci 
a 
far 
valere 
l'irregolarità 
o 
prenda 
posizione 
sull'efficacia 
probatoria 
dei 
documenti, 
dimostrando 
di 
averne 
avuto 
diretta 
e 
piena 
conoscenza, 
all'effettivo 
instaurarsi 
del 
contraddittorio 
tra 
le 
parti 
conseguirà 
il 
legittimo 
riconoscimento 
della 
produzione 
documentale 
e 
il 
conseguente 
utilizzo 
da 
parte 
del 
giudice 
(63). 


In 
vista 
della 
trattazione 
della 
controversia 
le 
parti 
possono 
porre 
in 
essere 
specifici 
atti 
processuali. 
In 
specie, 
le 
parti 
possono 
depositare 
documenti 
fino 
a 
venti 
giorni 
liberi 
prima 
della 
data 
di 
trattazione 
(in camera 
di 
consiglio o in 
pubblica 
udienza), memorie 
illustrative 
fino a 
dieci 
giorni 
liberi 
e 
-nel 
solo 
caso di 
trattazione 
della 
controversia 
in camera 
di 
consiglio -repliche 
scritte 
fino a 
cinque 
giorni 
liberi 
prima 
della 
data 
della 
camera 
di 
consiglio (art. 32 
D.L.vo 
n. 
546/1992); 
i 
termini 
indicati 
sono 
perentori, 
atteso 
che 
il 
loro 
rispetto 
è 
necessario per assicurare 
alla 
parte 
interessata 
la 
possibilità 
di 
prendere 
cognizione 
degli 
atti 
prodotti 
dalla 
controparte 
al 
fine 
di 
tutelare 
il 
proprio 
diritto 
di 
difesa. tale 
regola 
deriva 
dalla 
divisione 
del 
processo in fasi 
e 
l'art. 32 in 
esame 
è 
una 
disposizione 
dettata 
nell'interesse 
pubblico 
ai 
fini 
del 
corretto 
svolgimento del 
processo stesso, da 
intendere 
come 
una 
serie 
di 
momenti 
ordinati 
in una 
successione 
temporale 
in vista 
del 
risultato finale 
(64). tanto è 


(62) Conf. Cass., 13 maggio 2003, n. 7329. 
(63) Così Cass., 10 febbraio 2017, n. 3593. 
(64) Anche 
e. DI 
GIACOMO, Il 
termine 
per 
il 
deposito dei 
documenti 
è 
perentorio: nel 
giudizio 
tributario la presentazione 
dei 
documenti 
oltre 
il 
termine 
previsto per 
legge 
ne 
determina l'inammissibilità, 
in Fisco, 2005, 37 - parte 1, pp. 5842 e ss. 

COntRIbutI 
DI 
DOttRInA 


confermato 
-con 
riguardo 
alla 
produzione 
dei 
documenti 
-dalla 
giurisprudenza 
della 
Corte 
di 
cassazione, che 
a 
più riprese 
ha 
affermato che 
detto termine, 
garantito dall'art. 24 della 
Costituzione, deve 
ritenersi 
perentorio, pur 
in mancanza 
di 
un'esplicita 
sanzione 
di 
decadenza 
dall'esercizio del 
relativo 
diritto di 
difesa 
per la 
parte 
onerata, in quanto diretto a 
tutelare 
il 
diritto di 
difesa 
della 
controparte 
ed a 
realizzare 
il 
necessario contraddittorio tra 
le 
parti 
processuali e tra queste e il giudice (65). 

Ove 
maturi 
una 
decadenza, 
può 
operare 
la 
rimessione 
in 
termini 
per 
errore 
scusabile, 
in 
applicazione 
della 
regola 
generale 
contenuta 
nell’art. 
153, 
comma 
2, 
c.p.c. 
-operante 
sempre 
per 
il 
medio 
dell’art. 
1, 
comma 
2, 
D.L.vo 
n. 
546/1992 
-secondo 
cui 
“La 
parte 
che 
dimostra 
di 
essere 
incorsa 
in 
decadenze 
per 
causa 
ad 
essa 
non 
imputabile 
può 
chiedere 
al 
giudice 
di 
essere 
rimessa 
in 
termini. 
il 
giudice 
provvede 
a 
norma 
dell’articolo 
294, 
secondo 
e 
terzo 
comma” 
(66). 
L’iter 
potrebbe 
essere 
mutuato 
dall’art. 
54, 
comma 
1, 
c.p.a. 
per 
il 
quale 
“La 
presentazione 
tardiva 
di 
memorie 
o 
documenti 
può 
essere 
eccezionalmente 
autorizzata, 
su 
richiesta 
di 
parte, 
dal 
collegio, 
assicurando 
comunque 
il 
pieno 
rispetto 
del 
diritto 
delle 
controparti 
al 
contraddittorio 
su 
tali 
atti, 
qualora 
la 
produzione 
nel 
termine 
di 
legge 
sia 
risultata 
estremamente 
difficile”. 


(65) 
Ex 
plurimis: 
Cass. 
civ., 
9 
gennaio 
2004, 
n. 
138 
secondo 
cui 
in 
tema 
di 
contenzioso 
tributario, 
l'art. 32, comma 
1, D.L.vo n. 546/1992, riguardante 
la 
facoltà 
delle 
parti 
di 
depositare 
documenti 
"fino 
a venti 
giorni 
liberi 
prima della data di 
trattazione", applicabile 
anche 
al 
giudizio di 
appello, in virtù 
del 
rinvio -alle 
norme 
relative 
al 
giudizio di 
primo grado -operato dall'art. 61 dello stesso testo normativo, 
pur in mancanza 
di 
una 
esplicita 
sanzione 
per la 
parte 
che 
intende 
avvalersene, è 
sottoposta 
a 
un 
termine 
perentorio 
e 
quindi 
sanzionato 
a 
pena 
di 
decadenza, 
ai 
sensi 
dell'art. 
152, 
secondo 
comma, 
c.p.c., 
avuto riguardo allo scopo che 
il 
termine 
persegue 
ed alla 
funzione 
che 
lo stesso adempie, cosicché 
della 
documentazione 
prodotta 
fuori 
termine 
ed in violazione 
del 
diritto di 
difesa 
della 
controparte 
il 
giudice 
non può tenere 
conto ai 
fini 
della 
formazione 
del 
proprio convincimento. In senso analogo, Cass., 30 
gennaio 2004, n. 1771. 
(66) In senso analogo in dottrina: 
M. CAntILLO, La nuova rimessione 
in termini 
nel 
processo tributario, 
in rass. Tributaria, 2010, 4, pp. 919 e 
ss. ove 
si 
rileva 
che 
il 
processo tributario “non contiene 
alcuna specifica previsione 
al 
riguardo e 
perciò, in forza del 
rinvio di 
cui 
all'art. 1, comma 2, d.lgs. n. 
546/92, 
si 
applica 
integralmente 
la 
disciplina 
dei 
termini 
processuali, 
racchiusa 
negli 
artt. 
152-154 
c.p.c.; e 
non è 
dubbio, quindi, che 
il 
"nuovo" 
istituto della rimessione 
in termini 
sia operante 
in tale 
processo, non costituendo ostacolo la peculiare 
struttura impugnatoria dello stesso”. Analogamente 
e. 
MAnOnI, La rimessione 
in termini 
nel 
processo tributario, in Fisco, 2014, 27, pp. 2685 e 
ss. la 
quale 
rileva 
che 
l’istituto della 
remissione 
in termini 
ha 
un autonomo riconoscimento implicito riconoscimento 
con la 
disposizione 
del 
comma 
3 dell'art. 19 D.L.vo n. 546/1992: 
“all'elencazione 
degli 
atti 
autonomamente 
impugnabili, contenuta nel 
comma 1 dell'art. 19 del 
D.Lgs. citato, fa seguito (nel 
comma 3) la 
disposizione 
secondo la quale 
ognuno dei 
suddetti 
atti 
possa costituire 
oggetto di 
doglianza solo per 
vizi 
propri. Costituisce 
eccezione 
a quanto riportato il 
caso in cui 
l'atto prodromico a quello avverso il 
quale 
sia stato proposto ricorso non sia stato notificato alla parte. in questa ipotesi 
l'oggetto della lite, 
anziché 
essere 
circoscritto alla denunzia dei 
vizi 
propri 
dell'atto impugnato, può estendersi 
alla contestazione 
di 
quelli 
presenti 
nell'atto 
presupposto. 
Da 
una 
attenta 
lettura 
di 
tale 
comma, 
risulta 
subito 
evidente 
come 
la fattispecie 
di 
omessa o irrituale 
notifica integri 
il 
requisito soggettivo per 
poter 
avvalersi 
del 
rimedio in oggetto”. Ancora: 
e. MAnOnI, La rimessione 
in termini 
è 
rimedio per 
le 
decadenze 
extra ed endoprocessuali, in Fisco, 2018, 2, pp. 162 e ss. 

RASSeGnA 
AvvOCAtuRA 
DeLLO 
StAtO -n. 3/2022 


13. modalità e 
termini 
per 
lo svolgimento dell’attività istruttoria nel 
giudizio 
di appello. 
Quanto 
esposto, 
salva 
la 
speciale 
disciplina 
delle 
prove 
costituende, 
opera 
anche 
con 
riguardo 
al 
processo 
tributario 
di 
secondo 
grado. 
tanto 
in 
virtù 
della 
norma 
di 
richiamo 
contenuta 
nell’art. 
61 
D.L.vo 
n. 
546/1992 
secondo 
cui 
“Nel 
procedimento 
d'appello 
si 
osservano 
in 
quanto 
applicabili 
le 
norme 
dettate 
per 
il 
procedimento di 
primo grado, se 
non sono incompatibili 
con le 
disposizioni 
della 
presente 
sezione”. 
A 
tale 
stregua, 
ad 
esempio, 
l’art. 
32 
del 
D.L.vo 


n. 546 del 
1992 sul 
dies 
ad quem 
circa 
la 
produzione 
dei 
documenti 
trova 
applicazione 
anche al giudizio di appello. 
vi 
è 
poi 
la 
specifica 
disciplina 
delle 
nuove 
prove 
in 
appello 
contenuta 
nell’art. 58 del 
D.L.vo n. 546 del 
1992: 
“1. il 
giudice 
d'appello non può disporre 
nuove 
prove, 
salvo 
che 
non 
le 
ritenga 
necessarie 
ai 
fini 
della 
decisione 


o che 
la parte 
dimostri 
di 
non averle 
potute 
fornire 
nel 
precedente 
grado di 
giudizio 
per 
causa 
ad 
essa 
non 
imputabile. 
2. 
È 
fatta 
salva 
la 
facoltà 
delle 
parti di produrre nuovi documenti”. 
Il 
comma 
secondo 
della 
disposizione 
consente 
alle 
parti 
di 
produrre 
nuovi 
documenti 
in 
appello. 
Ogni 
altra 
prova 
(sia 
precostituita 
che 
costituenda) 
è 
bandita 
nel 
giudizio di 
impugnazione. Inoltre 
tale 
facoltà 
è 
concessa 
solo alle 
parti 
e 
non può disporsi 
la 
produzione 
d’ufficio di 
nuovi 
documenti 
in virtù 
dei 
poteri 
ex art. 7, comma 
1, D.L.vo n. 546/1992 (ad es. in sede 
di 
accesso 
ivi regolata). 


nuovi 
documenti 
sono quelli 
non prodotti 
ancora 
in giudizio. A 
questa 
stregua, sono nuovi 
documenti 
-ovviamente 
e 
sicuramente 
-quelli 
venuti 
in 
essere 
in un tempo successivo alla 
fase 
istruttoria 
del 
giudizio di 
primo grado. 
Ma 
nuovi 
documenti 
sono 
anche 
quelli 
che 
erano 
producibili 
nel 
corso 
del 
primo grado del 
giudizio, in quanto esistenti 
e 
non prodotti 
dall’interessato. 
tanto risulta 
da 
plurimi 
fattori: 
a) in primo luogo, il 
tenore 
complessivo del-
l’art. 58 sia 
nel 
primo che 
nel 
secondo comma: 
il 
secondo comma, che 
consente 
la 
produzione 
di 
nuovi 
documenti, 
è 
complementare 
alla 
regola 
del 
primo 
comma 
che 
comunque 
consente 
-a 
date 
condizioni 
-la 
produzione 
di 
documenti 
esistenti 
già 
nel 
primo 
grado 
di 
giudizio; 
b) 
limitare 
la 
produzione 
di 
nuovi 
documenti 
a 
quelli 
venuti 
in 
essere 
nel 
tempo 
successivo 
alla 
fase 
istruttoria 
del 
giudizio 
di 
primo 
grado 
condurrebbe 
ad 
una 
interpretazione 
abrogante 
del 
comma 
2 dell’art. 58: 
non si 
è 
mai 
dubitato nel 
sistema 
della 
possibilità 
di 
produrre 
-ove 
abbiano 
rilevanza 
per 
il 
giudizio 
-documenti 
sopravvenuti 
(arg. 
ex art. 395, n. 3 c.p.c. e 
lo stesso primo comma 
dell’art. 58); 
c) nel 
processo 
civile 
-una 
disposizione 
analoga 
(art. 345, comma 
2, c.p.c. nel 
testo antecedente 
alla 
novella 
operata 
dall’art. 
52, 
L. 
26 
novembre 
1990, 
n. 
353) 
(67) 



(67) “Le 
parti 
possono proporre 
nuove 
eccezioni, produrre 
nuovi 
documenti 
e 
chiedere 
l'ammis

COntRIbutI 
DI 
DOttRInA 


prevedeva 
espressamente 
che 
si 
potevano produrre 
documenti 
già 
producibili 
in primo grado. In quest’ultima 
evenienza 
il 
giudice, tuttavia, poteva 
indipendentemente 
dalla 
soccombenza, 
condannare 
la 
parte 
che 
aveva 
operato 
la 
produzione 
tardiva al rimborso delle spese. 


nel 
senso 
ricostruito 
è 
l’orientamento 
giurisprudenziale, 
a 
partire 
dalla 
Corte 
Costituzionale 
che 
ha 
ritenuto 
legittimo 
l’art. 
58 
citato 
nella 
parte 
in 
cui 
consente 
la 
produzione 
di 
documenti 
in 
appello 
che 
potevano 
essere 
prodotti 
anche 
nel 
primo 
grado 
del 
giudizio 
sul 
rilievo 
che 
“La 
previsione 
che 
un'attività 
probatoria, 
rimasta 
preclusa 
nel 
giudizio 
di 
primo 
grado, 
possa 
essere 
esperita 
in 
appello 
non 
è 
di 
per 
sé 
irragionevole, 
poiché 
"il 
regime 
delle 
preclusioni 
in 
tema 
di 
attività 
probatoria 
(come 
la 
produzione 
di 
un 
documento) 
mira 
a 
scongiurare 
che 
i 
tempi 
della 
sua 
effettuazione 
siano 
procrastinati 
per 
prolungare 
il 
giudizio, 
mentre 
la 
previsione 
della 
producibilità 
in 
secondo 
grado 
costituisce 
un 
temperamento 
disposto 
dal 
legislatore 
sulla 
base 
di 
una 
scelta 
discrezionale, 
come 
tale 
insindacabile" 
(ordinanza 
n. 
401 
del 
2000)” 
(68). 


La 
Corte 
di 
cassazione 
ha 
espresso 
un 
consolidato 
orientamento 
teso 
a 
ritenere 
legittima 
la 
produzione 
in 
appello 
dei 
documenti: 
a) 
nel 
caso 
in 
cui 
l'omessa 
produzione 
o 
la 
produzione 
oltre 
il 
termine 
di 
legge 
previsto 
in 
primo 
grado 
risultasse 
imputabile 
alla 
parte 
interessata 
(69); 
b) 
la 
produzione 
del 
documento 
fosse 
dichiarata 
inammissibile 
dal 
collegio di 
prime 
cure 
(70); 
c) nel 
grado di 
appello fossero prodotti 
documenti 
(prima) non versati 
in atti 
in violazione 
di un espresso ordine di esibizione da parte del giudice (71). 


nonostante 
il 
chiaro tenore 
della 
norma, la 
giurisprudenza 
di 
merito, ponendosi 
in 
contrasto 
con 
il 
consolidato 
orientamento 
della 
Corte 
di 
cassazione, 
ha 
ritenuto talvolta 
illegittima 
la 
produzione 
nel 
giudizio di 
appello di 
documenti 
in possesso della 
parte 
e 
non prodotti 
per inerzia, ad essa 
imputabile, 
nel 
giudizio di 
primo grado (ad es. omessa 
produzione 
davanti 
al 
giudice 
di 
prime 
cure 
della 
prova 
della 
notifica 
di 
cartelle 
di 
pagamento 
da 
parte 
del-
l'agente 
della 
riscossione), giungendo a 
conclusioni 
che, per quanto innanzi 
esposto, non sono condivisibili (72). 


sione 
di 
nuovi 
mezzi 
di 
prova, ma se 
la deduzione 
poteva essere 
fatta in primo grado si 
applicano per 
le 
spese 
del 
giudizio 
d'appello 
le 
disposizioni 
dell'articolo 
92, 
salvo 
che 
si 
tratti 
del 
deferimento 
del 
giuramento 
decisorio”. 


(68) Così Corte cost., 14 luglio 2017, n. 199. 
(69) Cass., 14 maggio 2014, n. 10489; 
Cass., 11 aprile 
2008, n. 9511; 
Cass., 21 luglio 2000, n. 
9604. 
(70) Cass., 30 novembre 
2016, n. 24398 precisante 
che 
in tema 
di 
contenzioso tributario, il 
documento 
irritualmente 
prodotto in primo grado può essere 
nuovamente 
prodotto in appello, nel 
rispetto 
delle modalità previste dall'art. 32 D.L.vo n. 546/1992. 
(71) Cass., 12 febbraio 2013, n. 3353; 
id., 20 dicembre 2012, n. 23604. 
(72) Su tale 
orientamento della 
giurisprudenza 
di 
merito: 
M. tORtOReLLI, Produzione 
tardiva di 
nuovi 
documenti 
in appello: facoltà ammissibile 
anche 
in caso di 
inerzia della parte, in Fisco, 2017, 9, 

RASSeGnA 
AvvOCAtuRA 
DeLLO 
StAtO -n. 3/2022 


La 
possibilità 
di 
produrre 
nuovi 
documenti 
in 
appello 
-ossia, 
in 
sostanza, 
di 
consentire 
una 
nuova 
istruttoria, 
tenuto 
conto 
che 
i 
documenti 
costituiscono 
la 
più importante 
ed utilizzata 
prova 
-ha 
notevoli 
ricadute 
in chiave 
sistematica. 
All’evidenza 
l’appello 
nel 
giudizio 
tributario 
non 
è 
una 
revisio 
prioris 
instantiae, 
come, 
tendenzialmente, 
è 
diventato 
l’appello 
nel 
giudizio 
civile 
(atteso il 
divieto di 
nuove 
domande, nuove 
eccezioni 
e 
nuove 
prove 
disposto 
dall’art. 345 c.p.c.). Ma 
non è 
neppure 
un novum 
iudicium, tenuto conto che 
vi 
è 
il 
divieto 
di 
nuove 
domande 
e 
di 
nuove 
eccezioni. 
L’appello 
tributario, 
quindi, è 
un istituto a 
mezza 
via 
tra 
revisio prioris 
instantiae 
e 
novum 
iudicium. 


14. modalità e 
termini 
per 
lo svolgimento dell’attività istruttoria nel 
giudizio 
di cassazione e di rinvio. 
nel 
giudizio di 
legittimità 
dinanzi 
alla 
Corte 
di 
cassazione, attesi 
i 
caratteri 
del 
giudizio, la 
regola 
è 
la 
inammissibilità 
di 
nuove 
prove, come 
canonizzato 
nell’art. 372 c.p.c. (73), applicabile 
per il 
medio dell’art. 62, comma 
2, 
D.L.vo n. 546/1992 (“al 
ricorso per 
cassazione 
ed al 
relativo procedimento 
si 
applicano le 
norme 
dettate 
dal 
codice 
di 
procedura civile 
in quanto compatibili 
con quelle del presente decreto”). 


nel 
giudizio di 
rinvio all’esito della 
cassazione 
con rinvio disposto dal 
giudice 
di 
legittimità 
“si 
osservano le 
norme 
stabilite 
per 
il 
procedimento davanti 
alla corte 
di 
giustizia tributaria di 
primo e 
secondo grado a cui 
il 
processo 
è stato rinviato” (art. 63, comma 3, D.L.vo n. 546/1992). 


15. La contestazione 
dei 
documenti: querela di 
falso, disconoscimento e 
verificazione. 
Per quanto riguarda 
le 
modalità 
di 
contestazione 
dei 
documenti 
prodotti 
in 
giudizio, 
si 
rileva 
che 
la 
proposizione 
della 
querela 
di 
falso 
è 
espressamente 
consentita 
dall'art. 39 del 
D.L.vo n. 546/1992, il 
quale 
la 
prevede 
come 
una 
delle cause di sospensione del processo tributario. 


nulla 
dispone, in via 
espressa, il 
suddetto decreto in merito al 
disconoscimento 
delle 
scritture 
private 
ed all'eventuale 
esperibilità 
della 
procedura 
di 
verificazione 
di 
cui 
agli 
artt. 214 e 
ss. c.p.c. Il 
disconoscimento della 
scrittura 
privata 
consiste 
nella 
formale 
negazione 
della 
propria 
sottoscrizione 
o della 
propria 
scrittura 
da 
parte 
di 
colui 
contro 
il 
quale 
la 
scrittura 
viene 
prodotta 


pp. 847 e 
ss. con argomentate 
critiche 
allo stesso; 
altresì 
F. MARROne, arresto giurisprudenziale 
sul 
deposito 
di 
nuovi 
documenti 
in appello, in Fisco, 2012, 42 -parte 
1, pp. 6761 e 
ss.; 
P. tuRIS, Produzione 
in appello di documenti non depositati in primo grado, in Fisco, 2012, 35 - parte 1, pp. 5672 e ss. 


(73) 
“Non 
è 
ammesso 
il 
deposito 
di 
atti 
e 
documenti 
non 
prodotti 
nei 
precedenti 
gradi 
del 
processo, 
tranne 
di 
quelli 
che 
riguardano la nullità della sentenza impugnata e 
l'ammissibilità del 
ricorso e 
del 
controricorso. il 
deposito dei 
documenti 
relativi 
all'ammissibilità può avvenire 
indipendentemente 
da 
quello del ricorso e del controricorso, ma deve essere notificato, mediante elenco, alle altre parti”. 

COntRIbutI 
DI 
DOttRInA 


(art. 
214 
c.p.c.). 
Ai 
sensi 
dell'art. 
216 
c.p.c., 
la 
parte 
che 
intenda 
comunque 
avvalersi 
della 
scrittura 
disconosciuta, 
deve 
chiederne 
la 
verificazione, 
proponendo 
i 
mezzi 
di 
prova 
che 
ritiene 
utili 
e 
producendo 
o 
indicando 
le 
scritture 
che 
possono servire 
di 
comparazione. Il 
procedimento di 
verificazione 
risulta 
pertanto avere 
natura 
sostanzialmente 
diversa 
dalla 
querela 
di 
falso, in quanto 
mira 
a 
conferire 
efficacia 
probatoria 
ad un documento che 
ne 
è 
sprovvisto, ed 
è 
limitato 
all'accertamento 
della 
provenienza 
della 
scrittura 
da 
chi 
ne 
è 
indicato 
come suo autore. 


nonostante 
l’assenza 
di 
una 
specifica 
previsione, gli 
istituti 
del 
disconoscimento 
delle 
scritture 
private 
e 
dell’eventuale 
esperibilità 
della 
procedura 
di 
verificazione 
di 
cui 
agli 
artt. 214 e 
ss. c.p.c. sono applicabili 
al 
processo tributario 
in virtù della 
norma 
di 
richiamo di 
cui 
all'art. 1, comma 
2, D.L.vo n. 
546/1992. 


Con 
riferimento 
alla 
verificazione 
giudiziale 
dei 
documenti 
disconosciuti, 
è 
discusso in giurisprudenza 
se 
la 
questione 
sulla 
verificazione 
della 
scrittura 
disconosciuta 
debba 
essere 
risolta 
dal 
giudice 
tributario in sede 
di 
cognizione 
incidentale 
ex art. 2, comma 
3, D.L.vo n. 546/1992 -secondo cui 
"il 
giudice 
tributario 
risolve 
in 
via 
incidentale 
ogni 
questione 
da 
cui 
dipende 
la 
decisione 
delle 
controversie 
rientranti 
nella propria giurisdizione, fatta eccezione 
per 
le 
questioni 
in materia di 
querela di 
falso e 
sullo stato o la capacità delle 
persone, 
diversa 
dalla 
capacità 
di 
stare 
in 
giudizio" 
-oppure 
dal 
giudice 
ordinario 
con pronuncia 
idonea 
a 
passare 
in giudicato, previa 
sospensione 
del 
processo 
tributario (74). 


(74) Su tali 
contrastanti 
orientamenti: 
M. CICALA, A. RICCIOnI, La produzione 
di 
documenti 
nel 
processo tributario, in Fisco, 2003, 15 -parte 
1, pp. 2240 e 
ss. ed altresì 
A. RuSSO, il 
procedimento di 
verificazione 
di 
scrittura privata e 
i 
dubbi 
sul 
giudice 
di 
riferimento, in Fisco, 2013, 2 -parte 
1, pp. 197 
e 
ss. ove 
si 
rileva 
che 
è 
ammesso nel 
processo tributario il 
procedimento di 
verificazione 
di 
scrittura 
privata, istituto processuale 
che 
una 
parte 
oppone 
a 
chi 
ha 
disconosciuto la 
paternità 
di 
un documento 
non autenticato, ma 
che 
tuttavia 
rimane 
controverso il 
tema 
sul 
giudice 
effettivamente 
preposto alla 
verificazione. 

RASSeGnA 
AvvOCAtuRA 
DeLLO 
StAtO -n. 3/2022 


anonimato e segni di riconoscimento nelle procedure 
concorsuali; il percorso della giurisprudenza amministrativa 


Andrea Ferri* 


Sommario: 1. i segni 
di 
riconoscimento nelle 
procedure 
concorsuali; definizione 
-1.1. 
il 
critrio di 
identificazione 
dei 
segni 
di 
riconoscimento su dati 
esclusivamente 
oggettivi 
-1.2. 
il 
criterio soggettivo di 
individuazione 
dei 
segni 
di 
riconoscimento -1.3. i segni 
di 
riconoscimento 
apposti dalle commissioni. 

1. i segni di riconoscimento nelle procedure concorsuali; definizione. 
I segni 
di 
riconoscimento, nel 
campo del 
diritto, sono costituiti 
da 
quel-
l’insieme 
di 
parole, 
caratteri 
di 
stampa, 
segni 
grafici, 
modalità 
di 
consegna 
degli 
elaborati 
che 
consentono 
-astrattamente 
-di 
conoscere 
l’identità 
del-
l’autore 
dell’elaborato laddove 
egli 
debba 
-per una 
specifica 
previsione 
del 
procedimento 
-restare 
anonimo 
sino 
ad 
un 
certo 
punto 
delle 
operazioni. 
L’ambito 
di 
emersione 
-a 
livello giurisprudenziale 
-della 
tematica 
dei 
segni 
di 
riconoscimento 
è 
rappresentato 
-in 
maniera 
assolutamente 
preponderante 
-dalle 
procedure 
concorsuali 
per l’accesso all’impiego e 
sporadicamente 
dalle 
procedure 
per l’acquisto di 
beni 
e 
servizi, poste 
in essere 
dall’amministrazione. 
Il 
principio dell’anonimato costituisce 
una 
diretta 
derivazione 
dai 
principi 
di 
imparzialità (1) e buon andamento dell’amministrazione (2). 


vi 
è 
assoluta 
concordia 
giurisprudenziale 
nel 
ritenere 
che 
ogni 
elemento 
è 
suscettibile 
di 
essere 
considerato un segno di 
riconoscimento, non essendo 
possibile 
escludere 
che 
esso 
sia 
riconosciuto 
come 
tale 
da 
uno 
dei 
componenti 
della 
commissione; 
portando 
alle 
estreme 
conseguenze 
tale 
considerazione 
ne 
deriverebbe 
l’impossibilità 
di 
espletare 
una 
qualsiasi 
procedura 
selettiva, per 


(*) 
Dirigente 
del 
Ministero 
dell’Istruzione 
e 
del 
Merito 
presso 
l’ufficio 
Scolastico 
Regionale 
per 
le 
Marche, Preposto all’ufficio legale e responsabile dell’u.P.D. regionale. 


(1) Corte 
Costituzionale 
453/1990 con nota 
di 
AzzARItI, 
Brevi 
note 
su tecnici, amministrazione 
e 
politica 
in 
Giurisprudenza 
costituzionale, 
1990, 
vol. 
35, 
fasc. 
1, 
p. 
2713, 
espressamente 
afferma 
che 
L’art. 
97, 
primo 
comma, 
Cost. 
individua 
nella 
“imparzialità” 
dell’amministrazione 
uno 
dei 
principi 
essenziali 
cui 
deve 
informarsi, 
in 
tutte 
le 
sue 
diverse 
articolazioni, 
l’organizzazione 
dei 
pubblici 
uffici. 
alla salvaguardia di 
tale 
principio si 
collegano anche 
le 
norme 
costituzionali 
che 
individuano nel 
concorso 
il 
mezzo ordinario per 
accedere 
agli 
impieghi 
pubblici 
(art. 97, terzo comma) e 
che 
pongono i 
pubblici 
impiegati 
al 
servizio 
esclusivo 
della 
Nazione 
(art. 
98). 
Sia 
l’una 
che 
l’altra 
di 
tali 
norme 
si 
pongono, infatti, come 
corollari 
naturali 
dell’imparzialità, in cui 
viene 
a esprimersi 
la distinzione 
più 
profonda tra politica e amministrazione. 
(2) 
Corte 
costituzionale 
293/2009 
in 
Giurisprudenza 
costituzionale, 
2009, 
vol. 
54, 
fasc. 
6, 
p. 
4478, 
con nota 
di 
bOttInO, 
La stabilizzazione 
in ruolo a tempo indeterminato dei 
dipendenti 
pubblici 
assunti 
con contratto di 
lavoro a termine; la regola del 
concorso pubblico (art. 97 comma 3) come 
principio 
nella fattispecie 
inderogabile, afferma 
che 
il 
reclutamento dei 
dipendenti 
in base 
al 
merito si 
riflette, 
migliorandolo, sul 
rendimento delle 
pubbliche 
amministrazioni 
e 
sulle 
prestazioni 
da queste 
rese 
ai 
cittadini. 

COntRIbutI 
DI 
DOttRInA 


il 
rischio immanente 
ed inevitabile 
che 
risulti 
violato l’anonimato dei 
concorrenti. 
Per una 
affermazione 
di 
tale 
principio si 
veda 
-ex 
plurimis 
-la 
sentenza 
del 
Consiglio 
di 
Stato 
numero 
102/2013 
(3) 
ove 
si 
afferma 
che 
nelle 
procedure 
concorsuali 
la regola dell’anonimato degli 
elaborati 
scritti, anche 
se 
essenziale, 
non può essere 
intesa in modo assoluto e 
tassativo tale 
da comportare 
l’invalidità delle 
prove 
ogni 
volta che 
sia solo ipotizzabile 
il 
riconoscimento 
dell’autore del compito. 


Se 
infatti 
tutte 
le 
prove 
dovessero 
in 
tal 
caso 
venire 
annullate, 
sarebbe 
materialmente 
impossibile 
svolgere 
concorsi 
con esami 
scritti, giacché 
non si 
potrebbe 
mai 
escludere 
a priori 
la possibilità che 
un commissario riconosca 
la 
scrittura 
di 
un 
candidato, 
benché 
il 
relativo 
elaborato 
sia 
formalmente 
anonimo. 
ne 
discende 
che 
per 
giungere 
all’identificazione 
di 
un 
qualsiasi 
elemento 
dell’elaborato 
come 
segno 
di 
riconoscimento 
occorre 
un 
quid 
pluris, 
ossia 
uno specifico elemento caratterizzante. Ciò è 
stato individuato in giurisprudenza 
allorchè 
la particolarità riscontrata assuma un carattere 
oggettivamente 
ed 
incontestabilmente 
anomalo 
rispetto 
alle 
ordinarie 
modalità 
di 
svolgimento della procedura, in tal 
caso a nulla rilevando che 
in concreto la 
Commissione 
o 
i 
singoli 
componenti 
di 
essa 
siano 
stati, 
o 
meno, 
in 
condizione 
di 
riconoscere 
effettivamente 
l’autore 
dell’elaborato 
scritto 
(Consiglio 
di 
Stato 
sentenza 5511/2006) (4). 

1.1. il 
criterio di 
identificazione 
dei 
segni 
di 
riconoscimento su dati 
esclusivamente 
oggettivi. 
Pertanto 
il 
segno 
distintivo, 
per 
essere 
rilevante 
come 
tale 
deve 
presentare 
un carattere 
anomalo, inusitato, stravagante, rispetto alla 
regola, ossia 
all’abituale 
comportamento 
dei 
candidati 
in 
situazioni 
analoghe 
(l’id 
quod 
plerumque 
accidit). tale 
criterio possiede 
una 
dimensione 
esclusivamente 
oggettiva, traducendosi 
la 
difformità 
del 
segno 
in 
questione 
dalla 
normalità 
statistica 
osservabile, 
in una 
presunzione 
assoluta, non suscettibile 
di 
essere 
smentita 
(juris 
et 
de 
jure), 
di 
un 
intento 
fraudolento 
del 
candidato 
di 
voler 
palesare 
la 
sua 
identità ai componenti della commissione. 


Ciò 
si 
riscontra 
univocamente 
nelle 
più 
remote 
sentenze 
del 
Consiglio 
di 
Stato 
che 
fanno 
ricorso 
al 
sopradescritto 
elemento 
oggettivo. 
Il 
Consiglio 
di 
Stato 
nella 
sentenza 
numero 
176/1983 
(5) 
affermava 
che 
in 
un 
concorso 
per 
l’assegnazione 
di 
farmacie, 
non 
è 
provvedimento 
in 
contraddizione 
sul 
piano 
razionale 
con 
i 
comuni 
criteri 
della 
logica 
l’esclusione 
di 
un 
candidato 
dalla 
prova 
orale 
perché 
fu 
considerato 
evidente 
segno 
di 
riconoscimento 
il 
fatto 
che 
la 
busta 
contenente 
l’elaborato 
relativo 
alla 
prova 
pratica 
recava 
la 
dicitura 


(3) http://giustizia.amministrativa.it. 
(4) http://giustizia.amministrativa.it. 
(5) vedi la massima in CeD cassazione. 

RASSeGnA 
AvvOCAtuRA 
DeLLO 
StAtO -n. 3/2022 


“farmacia” 
al 
di 
sopra 
dell’etichetta 
incollata 
sulla 
busta, 
anziché 
sull’etichetta 
come 
avrebbe 
dovuto 
essere 
e 
come 
avevano 
fatto 
gli 
altri 
candidati. 


Ancora 
Consiglio 
di 
Stato 
nella 
sentenza 
numero 
773/1983 
(6) 
affermava 
che 
sono illegittime 
le 
prove 
scritte 
di 
concorso, redatte 
a matita ovvero con 
la stenografia nelle 
minute, potendo configurarsi 
quali 
possibili 
segni 
di 
riconoscimento 
dei concorrenti, che ne hanno fatto uso. 


Di 
poco piu recente 
è 
Consiglio di 
Stato sentenza 
numero 762/1986 (7) 
in 
cui 
si 
legge 
che 
è 
legittima 
l’esclusione 
dalle 
prove 
orali 
di 
un 
concorso 
del 
candidato che, durante 
la prova scritta, usi 
una grafia così 
diversa nel-
l’elaborato finale, rispetto alla minuta da far 
sì 
che 
tale 
diversità si 
presti 
ad 
essere considerata come un vero e proprio segno di riconoscimento. 


Il 
Consiglio di 
Stato nella 
sentenza 
numero 1361/1992 (8) precisava 
che 
l’attribuzione, 
da 
parte 
di 
un 
candidato 
alla 
prova 
scritta 
di 
un 
concorso 
pubblico, 
del 
nome 
di 
Pinco 
Pallino 
ad 
un 
ipotetico 
sindaco 
sottoscrittore 
di 
un’ordinanza 
amministrativa, 
oggetto 
simulato 
del 
caso 
specifico 
trattato 
con 
la prova pratica, non costituisce 
segno di 
identificazione, né 
sottoscrizione 
o 
altro contrassegno, non essendo idoneo, in modo univoco ed obiettivo, a violare 
il 
principio dell’anonimato. Ne 
consegue 
che 
deve 
essere 
considerato illegittimo 
l’annullamento 
della 
prova 
scritta 
effettuato 
per 
tale 
motivo. 
La 
sentenza 
considera 
appropriatamente 
la 
realtà 
delle 
cose 
dal 
momento 
che 
Pinco 
Pallino, 
anche 
nel 
linguaggio 
comune 
designa 
-non 
diversamente 
da 
quanto avviene 
con i 
nomi 
usati 
nella 
giurisprudenza 
romana 
-il 
quisque 
de 
populo 
e 
pertanto 
ben 
poteva 
servire 
a 
dare 
una 
identità 
fittizia 
all’immaginario 
autore dell’atto. 

La 
sentenza 
5511/2006 (9) ritiene 
violato l’anonimato di 
una 
prova 
concorsuale 
dal 
comportamento di 
una 
candidata 
che 
non aveva 
chiuso -prima 
di 
consegnarla 
-la 
busta 
contenente 
le 
sue 
generalità. A 
confutare 
la 
difesa 
della 
candidata 
ricorrente 
contro l’esclusione 
che 
riteneva 
non provata 
l’intenzionalità 
della 
propria 
condotta 
il 
collegio rispondeva 
che 
il 
richiamo alla “necessaria” 
intenzionalità del 
comportamento che 
dovrebbe 
accompagnare 
la 
violazione 
del 
principio dell’anonimato non trova supporto nella normativa 
di 
cui 
nella 
specie 
si 
è 
fatta 
applicazione. 
ratio 
determinante 
della 
conclusione 
è 
stata 
la 
circostanza 
che 
la 
chiusura 
della 
busta 
contenente 
i 
dati 
anagrafici 
fosse 
specificamente 
richiesta 
dalla 
lex 
specialis 
(il 
regolamento delle 
prove 
per 
conseguire 
il 
titolo 
di 
procuratore 
legale) 
e 
come 
quindi 
non 
potesse 
esservi 
in capo alla candidata incertezza sul comportamento da tenere. 

(6) ibidem. 
(7) 
ibidem. 
(8) In Temi 
romana, 
1991, fasc. 1, pp. 212 e 
ss. con un commento a 
t.a.r. Lazio, II, n. 396/1991, 
RODOLFO 
MuRRA, 
Prove 
scritte 
nei 
pubblici 
concorsi 
e 
principio dell’anonimato. Pinco Pallino chi 
era 
costui? 
(9) http://giustizia.amministrativa.it. 

COntRIbutI 
DI 
DOttRInA 


nella 
sentenza 
877/2010 (10) il 
Consiglio esclude 
che 
l’uso da 
parte 
di 
una 
candidata 
del 
carattere 
stampatello maiuscolo integrasse 
la 
fattispecie 
del 
segno di 
riconoscimento in quanto l’uso della scrittura in stampatello maiuscolo, 
pur 
non essendo abituale 
da parte 
dei 
candidati, è 
comunque 
una modalità 
di 
uso, 
specialmente 
quando 
il 
candidato 
stesso, 
per 
timore 
di 
non 
essere 
ben 
compreso, 
intende 
chiaramente 
rappresentare 
da 
un 
punto 
di 
vista 
grafico 
le proprie argomentazioni. 


Il 
concorso da 
procuratore 
legale 
costituisce 
lo sfondo anche 
della 
sentenza 
4119/2010 (11) nella 
quale 
il 
Consiglio di 
Stato conferma 
l’esclusione 
di 
una 
candidata 
nelle 
cui 
buste 
erano stati 
rinvenuti 
alcuni 
fogli 
non vidimati 
dalla Commissione, ritenuti 
evidente 
segno di 
riconoscimento. Il 
Collegio ha 
affermato che 
il 
fatto che 
la candidata possa (come 
oggi 
sostiene) aver 
diviso 
in due 
parti 
i 
fogli 
vidimati 
dalla Commissione 
e 
poi 
stracciato o eliminato 
nella 
fretta 
le 
facciate 
sulle 
quali 
era 
stato 
apposto 
il 
timbro 
non 
ha 
rilevanza, 
in quanto ciò che 
conta è, come 
si 
è 
detto, la idoneità obbiettiva del 
segno a 
fungere 
da elemento di 
identificazione. 
A 
confermare 
una 
comune 
ratio 
con 
la 
sentenza 
877/2010 sta 
l’affermazione 
che 
era preciso onere 
dei 
candidati 
quello 
di 
controllare 
la 
regolarità 
formale 
degli 
elaborati 
consegnati 
alla 
Commissione; 
si 
deve 
concludere 
che 
laddove 
le 
prescrizioni 
del 
bando 
o 
altre 
fonti 
normative 
esigano dai 
concorrenti 
uno specifico comportamento volto a 
tutelare 
l’anonimato nonché 
la 
regolarità 
delle 
prove 
(il 
chiudere 
la 
busta 
coi 
dati 
anagrafici, l’usare 
i 
soli 
fogli 
vidimati 
dalla 
commissione) il 
comportamento 
inosservante 
è 
segno di 
riconoscimento dal 
momento che 
non vi 
è 
incertezza 
alcuna circa il comportamento da tenere. 


nella 
recente 
sentenza 
del 
Consiglio 
di 
Stato 
2172/2021 
(12) 
torna 
il 
medesimo 
iter 
argomentativo 
delle 
sentenze 
877/2010 
e 
4119/2010 
in 
quanto 
si 
riconosce 
l’illegittimità 
dell’esclusione 
di 
un 
candidato 
in 
quanto 
all’esito 
della 
prova 
pratica 
la 
cartella 
di 
lavoro 
non 
risulta 
rinominata 
dal 
candidato 
con 
inserimento 
del 
codice 
come 
richiesto 
dalle 
istruzioni. 
Dal 
momento 
che 
l’omissione 
imputata 
al 
candidato 
atteneva 
invece 
alla 
mancata 
esecuzione 
di 
una 
specifica 
operazione 
della 
prova 
pratica 
e 
conseguentemente 
in 
assenza 
di 
una 
specifica 
previsione 
nella 
lex 
specialis 
del 
concorso, 
la 
mancata 
esecuzione 
di 
tale 
operazione 
non 
poteva, 
tuttavia, 
ridondare 
nel 
vizio 
di 
nullità 
della 
prova 
in 
ragione 
dell’asserito 
rischio 
per 
l’anonimato, 
ma 
al 
più, 
costituendo 
profilo 
di 
valutazione 
delle 
capacità 
tecniche 
del 
candidato, 
poteva 
incidere 
sulla 
valutazione 
delle 
prove. 
La 
circostanza 
che 
si 
fosse 
individuato 
inadempimento 
del 
candidato 
la 
cui 
inosservanza 
ne 
aveva 
comportato 
l’esclusione 
al 
di 
là 
delle 
previsioni 
della 
lex 
specialis 
è 
stata 
ri


(10) http://giustizia.amministrativa.it. 
(11) http://giustizia.amministrativa.it. 
(12) http://giustizia.amministrativa.it. 

RASSeGnA 
AvvOCAtuRA 
DeLLO 
StAtO -n. 3/2022 


conosciuta 
di 
per 
sé 
stessa 
come 
illegittima, 
in 
quanto 
faceva 
gravare 
in 
capo 
a 
lui 
un 
onere 
improprio. 


nella 
sentenza 
1740/2012 
(13) 
in 
applicazione 
di 
tale 
criterio 
viene 
negato 
il 
valore 
di 
segno 
di 
riconoscimento 
e 
conseguentemente 
l’esclusione 
della 
candidata 
dal 
concorso 
ad una cancellatura atta ad oscurare 
(nella 
prospettazione 
dell’attore), 
in maniera che 
tuttavia rendeva visibile 
la scrittura sottostante, 
il 
nome 
ed 
il 
cognome 
della 
stessa. 
Il 
Collegio 
ha 
affermato 
che 
dall’esame 
dell’originale 
dell’elaborato acquisito in giudizio, emerge 
la presenza 
di 
una pluralità di 
cancellature 
a penna, tali 
da rendere 
invisibili 
le 
parole 
sottostanti. 
in 
particolare, 
al 
termine 
dell’elaborato, 
vi 
sono 
due 
cancellature, l’una sul 
lato sinistro, di 
piccola dimensione, tale 
da non poter 
neanche 
nascondere 
nome 
e 
cognome, 
ove 
fossero 
stati 
apposti 
per 
esteso, 
l’altra, sul 
lato destro, di 
dimensioni 
maggiori, che 
-quanto meno ad occhio 
nudo -oscura ed occulta totalmente 
la scrittura sottostante 
ed attraverso la 
quale 
non 
risulta 
visibile 
il 
supposto 
nome 
e 
cognome 
della 
candidata. 
escluso 
che 
la 
cancellatura 
nascondesse 
-ancora 
leggibile 
-il 
nome 
della 
candidata 
il 
collegio 
esclude 
anche 
che 
la 
presenza 
delle 
cancellature 
potesse 
costituire 
segno 
di 
riconoscimento 
ritenendo 
che 
l’apposizione 
di 
cancellature 
(peraltro 
non isolate, ma in un certo numero) a penna nell’elaborato è 
fatto riconducibile 
ad 
una 
incertezza 
usuale 
nei 
candidati, 
rilevabile 
nella 
maggior 
parte 
degli 
elaborati 
di 
una selezione 
concorsuale 
e 
non connotata da un carattere 
di 
anomalia 
tale 
da 
poter 
mettere 
la 
Commissione 
o 
un 
suo 
componente 
in 
condizione 
di 
riconoscerne 
l’autore. 
Per 
questo, 
essa 
non 
è 
configurabile 
come 
segno di 
riconoscimento. 
In punto di 
fatto la 
soluzione 
adottata 
dal 
Supremo 
Collegio 
non 
appare 
convincente 
dal 
momento 
che 
le 
due 
cancellature 
materia 
del 
contendere 
erano 
strategicamente 
collocate 
l’una 
in 
fondo 
all’elaborato 
sul 
margine 
sinistro 
e 
l’altra 
specularmente 
sul 
margine 
destro; 
i 
giudici 
si 
sono 
limitati 
ad 
accertare 
che 
le 
cancellature 
non 
consentissero 
di 
scorgere 
sotto 
di 
esse 
il 
nome 
della 
candidata, 
con 
ciò 
escludendo 
tout 
court 
la 
presenza 
di segni di riconoscimento. 


nella 
sentenza 
102/2013 
(14) 
il 
Consiglio 
di 
Stato 
è 
chiamato 
a 
valutare 
se 
concreti 
la 
fattispecie 
del 
segno 
di 
riconoscimento 
il 
comportamento 
di 
una 
candidata 
la 
quale 
nel 
redigere 
gli 
elaborati 
ha 
scritto 
la 
traccia 
sulla 
prima 
facciata 
dei 
fogli 
protocollo 
e, 
dopo 
aver 
lasciato 
completamente 
in 
bianco 
la 
successiva 
parte 
della 
stessa 
prima 
facciata, 
ha 
iniziato 
a 
svolgere 
il 
suo 
lavoro 
a 
partire 
dal 
secondo 
rigo 
della 
seconda 
facciata 
ed 
ha 
poi 
apposto 
sul 
margine 
alto 
di 
sinistra 
della 
prima 
facciata 
del 
foglio 
una 
cancellatura 
che, 
a 
parere 
dell’appellante, 
sembrerebbe 
nascondere 
il 
nome 
“maria”, 
ossia 
il 
primo 
dei 
suoi 
nomi 
di 
battesimo. 
Sebbene 
a 
detta 
del 
Consiglio 
tali 
dati 
siano 
stati 
rico


(13) http://giustizia.amministrativa.it. 
(14) http://giustizia.amministrativa.it. 

COntRIbutI 
DI 
DOttRInA 


nosciuti 
realmente 
esistenti 
all’esito 
della 
verifica 
delle 
prove 
esso 
ha 
affermato 
che 
la 
stesura 
dello 
scritto 
a 
partire 
dal 
secondo 
rigo 
della 
facciata 
non 
è 
una 
anomalia 
tale 
da 
poter 
mettere 
la 
Commissione 
o 
un 
suo 
componente 
in 
condizione 
di 
riconoscerne 
l’autore. 
Tale 
modalità, 
peraltro, 
è 
del 
tutto 
consueta 
e 
assai 
frequente 
e 
che 
seppur 
meno 
frequente, 
anche 
la 
scelta, 
da 
parte 
della 
candidata..., 
di 
lasciare 
in 
bianco 
la 
facciata 
su 
cui 
è 
stata 
scritta 
la 
traccia, 
per 
iniziare 
la 
stesura 
dell’elaborato 
dalla 
seconda 
facciata, 
non 
può 
essere 
considerata 
una 
anomalia 
sufficiente 
a 
comprovare 
in 
modo 
inequivoco 
l’intenzione 
della 
candidata 
di 
rendere 
conoscibile 
il 
proprio 
elaborato 
alla 
Commissione. 
Ciò 
che 
sconcerta 
nell’iter 
motivazionale 
della 
sentenza 
è 
il 
fatto 
che 
non 
si 
pronunci 
sull’aspetto 
più 
macroscopico, 
ovvero 
la 
presenza 
di 
cancellature 
sotto 
le 
quali 
si 
potevano 
scorgere 
il 
primo 
nome 
della 
candidata. 


un’ulteriore 
riprova 
dell’ostilità 
a 
ravvisare 
da 
parte 
dei 
giudici 
di 
palazzo 
Spada 
un 
segno 
di 
riconoscimento 
che 
porti 
all’esclusione 
del 
candidato 
è 
fornita 
dal 
parere 
187/2017 (15) in ordine 
al 
ricorso di 
alcuni 
candidati 
esclusi 
dal 
concorso a 
dirigente 
scolastico. I ricorrenti 
volevano fossero riconosciuti 
come 
illeciti 
segni 
di 
riconoscimento: 
cancellature 
e 
scarabocchi 
in un elaborato; 
scritti 
a 
colonna 
in 
due 
elaborati; 
elaborati 
in 
brutta 
copia 
con 
richiamo 
in 
bella 
copia; 
dicitura 
in 
un 
elaborato: 
“N.B. 
NoN 
ComPLETaTa 
CoPiaTUra 
iN 
BELLa. 
CoNTiNUa 
E 
riPrENDE 
Da 
PaGiNa 
6 
DELLa 
BrUTTa 
CoPia. 
mi 
SCUSo. 
BUoN 
LaVoro”; 
dicitura 
in 
altro 
elaborato: 
“Si 
riNGraZia 
PEr 
L’aT-
TENZioNE” 
... ... 
non mostrano invece 
-sia per 
le 
loro caratteristiche 
intrinseche, 
sia 
in 
rapporto 
all’alto 
numero 
dei 
candidati 
nella 
prova 
scritta 
caratteristiche 
tali 
da dimostrare 
vizio dell’intera procedura di 
concorso. 
Invero, 
se 
le 
cancellature 
ed 
i 
richiami 
alla 
brutta 
copia 
potevano 
rispettivamente 
ricondursi 
ad 
incertezze 
e 
ripensamenti 
dei 
candidati 
ed 
il 
richiamo 
alla 
brutta 
copia 
considerarsi 
rispondente 
all’esigenza 
di 
congiungere 
visibilmente 
le 
parti 
dell’elaborato in bella 
copia 
a 
quelle 
rimaste 
in brutta 
copia 
per una 
verosimilissima 
mancanza 
del 
tempo 
per 
ricopiare 
anch’esse, 
il 
rivolgersi 
alla 
commissione 
con 
le 
espressioni 
mi 
scuso 
buon 
lavoro 
e 
si 
ringrazia 
per 
l’attenzione 
rappresentano 
modalità 
assolutamente 
inusitate 
in 
un 
elaborato 
concorsuale; 
il 
collegio 
ne 
esclude 
il 
carattere 
viziante 
con 
la 
motivazione 
dell’alto numero dei 
candidati 
che 
però non è 
assolutamente 
idonea 
a 
giustificarne 
l’apposizione, ben potendo comunque 
sussistere 
la 
volontà 
di 
alcuni 
candidati 
di 
farsi 
riconoscere. tale 
intenzione 
non può però formare 
oggetto 
di 
un distinto accertamento sul 
piano soggettivo dal 
momento che 
non sono 
rinvenibili 
elementi 
ulteriori 
rispetto 
al 
carattere 
del 
tutto 
anomalo 
di 
tali 
esternazioni. 
L’unica 
possibilità 
-in 
concreto 
praticabile 
-sarebbe 
stata 
una 
verifica 
sul 
se 
i 
vari 
candidati 
autori 
degli 
elaborati 
contestati 
fossero 
o 
meno 
stati 
promossi 
in misura 
statisticamente 
più rilevante 
rispetto agli 
altri 
candidati 
e 
se 


(15) http://giustizia.amministrativa.it. 

RASSeGnA 
AvvOCAtuRA 
DeLLO 
StAtO -n. 3/2022 


avessero 
conseguito 
votazioni 
più 
alte; 
inibiva 
questa 
attività 
l’elevato 
numero 
dei 
candidati 
ed 
il 
ridotto 
numero 
di 
quelli 
attenzionati 
per 
avere 
apposto 
segni 
di 
riconoscimento, che 
non avrebbero potuto rappresentare 
un campione 
significativo. 


Ancora 
Consiglio 
di 
Stato 
2775/2019 
(16) 
risolve 
in 
termini 
schiettamente 
oggettivi 
la 
questione 
se 
l’utilizzo di 
penne 
con colori 
diversi, ovvero le 
cancellature 
sull’elaborato 
potessero 
costituire 
segni 
di 
riconoscimento 
tali 
da 
comportare 
come 
esito l’esclusione 
dei 
candidati 
escludendo tale 
evenienza 
con 
l’osservazione 
che 
tali 
comportamenti 
erano 
nella 
loro 
materialità 
rispondenti 
all’id quod plerumque 
accidit 
costituendo evenienze 
fisiologiche 
nello 
svolgimento 
delle 
prove 
concorsuali 
in 
quanto 
il 
cambio 
di 
colore 
della 
penna 
è 
accadimento 
che 
può 
capitare 
di 
frequente, 
e 
gli 
sbarramenti 
di 
parti 
del 
testo trasversali 
o ad andamento sinusoidale 
sono i 
modi 
con cui 
si 
procede 
alle cancellature. 


1.2. il criterio soggettivo di individuazione dei segni di riconoscimento. 
Successivamente 
emerge 
nella 
giurisprudenza 
-affiancando senza 
sostituire 
il 
precedente 
orientamento 
che 
fondava 
la 
qualificazione 
del 
segno 
come 
illegittimo 
segno 
di 
riconoscimento 
su 
soli 
elementi 
oggettivi 
-un 
orientamento 
diverso 
e 
maggiormente 
garantistico 
per 
il 
candidato. 
un’enunciazione 
limpida 
di 
tale 
indirizzo 
si 
rinviene 
nella 
sentenza 
del 
Consiglio 
di 
Stato 
202/2014 
(17) 
ove 
accanto 
al 
primo 
requisito 
ovvero 
l’astratta 
idoneità 
del 
segno a fungere 
da elemento di 
identificazione, che 
ricorre 
quando la particolarità 
riscontrata 
assuma 
un 
carattere 
oggettivamente 
e 
incontestabilmente 
anomalo rispetto alle 
ordinarie 
modalità di 
estrinsecazione 
del 
pensiero e 
di 
elaborazione 
dello 
stesso 
in 
forma 
scritta 
se 
ne 
richiede 
un 
secondo 
per 
il 
quale 
si 
esclude 
che 
possa operare 
un automatismo tra astratta possibilità di 
riconoscimento e 
violazione 
della regola dell’anonimato, dovendo emergere 
elementi 
atti 
a 
provare 
in 
modo 
inequivoco 
l’intenzionalità 
del 
concorrente 
di 
rendere riconoscibile il proprio elaborato. 


Seguendo questa 
linea 
interpretativa 
per ascrivere 
un elemento al 
genus 
dei 
segni 
di 
riconoscimento 
occorre 
la 
sussistenza 
di 
entrambi 
i 
requisiti, 
quello soggettivo ed oggettivo; 
la 
differenza 
con l’indirizzo oggettivistico sta 
nel 
fatto che 
dimostrata 
l’anomalia 
rispetto alla 
normalità 
delle 
cose, occorre 
ancora 
dimostrare 
il 
secondo requisito, quello dell’intenzionalità 
da 
parte 
del 
candidato. 
tale 
dimostrazione 
dell’insussistenza 
di 
una 
intenzionalità 
del 
candidato 
sembra 
configurare 
un requisito la 
cui 
esistenza 
-la 
prova 
della 
quale 
è 
in capo all’amministrazione 
-è 
difficilmente 
dimostrabile 
in quanto esso in 
sostanza 
coincide 
con la 
prova 
di 
una 
dolosa 
concertazione 
tra 
candidato ed 


(16) http://giustizia.amministrativa.it. 
(17) http://giustizia.amministrativa.it. 

COntRIbutI 
DI 
DOttRInA 


uno dei 
commissari 
o quantomeno una 
pregressa 
conoscenza 
tra 
il 
candidato 
ed un commissario, in mancanza 
della 
quale 
non avrebbe 
senso che 
il 
candidato 
rischiasse l’esclusione ricorrendo ad un segno di riconoscimento. 


un 
primo 
esempio 
di 
tale 
nuovo 
indirizzo 
è 
offerto 
dalla 
sentenza 
del 
Consiglio di 
Stato 5017/2004 (18) che 
si 
è 
occupata 
dell’avvenuta 
esclusione 
di 
numerosi 
candidati 
dal 
concorso per procuratori 
legali, motivata 
dalla 
circostanza 
che 
le 
buste 
contenenti 
i 
dati 
anagrafici 
presentavano 
uno 
scollamento. 
I 
giudici 
-constatato 
che 
sotto 
il 
profilo 
oggettivo 
sussistevano 
i 
requisiti 
del 
segno 
di 
riconoscimento 
-spostano 
la 
loro 
analisi 
alla 
sussistenza 
dell’intenzionalità 
della 
condotta 
dei 
candidati, escludendola 
e 
cosi 
annullandone 
l’avvenuta 
esclusione 
dalla 
prova. 
Per 
escludere 
la 
sussistenza 
di 
un 
segno 
di 
riconoscimento 
i 
giudici 
ritengono 
lo 
scollamento 
delle 
buste 
un 
fatto 
non direttamente 
ascrivibile 
ai 
candidati, prodottosi 
successivamente 
forse 
a 
causa 
della 
cattiva 
qualità 
dei 
materiali; 
dicono 
infatti 
che 
l’esclusione 
non 
può farsi 
dipendere 
dalla mera accidentalità o dal 
caso fortuito. La 
conclusione 
raggiunta 
è 
corroborata 
dal 
fatto 
che 
le 
buste 
scollate 
erano 
decine, 
il 
che 
rendeva 
difficile 
pensare 
che 
decine 
di 
candidati 
avessero usato il 
medesimo 
segno di riconoscimento. 


La 
sentenza 
del 
Consiglio di 
Stato 2025/2011 (19) -pur affermando in 
via 
di 
principio la 
necessità 
del 
successivo accertamento prima 
dell’elemento 
oggettivo e 
poi 
di 
quello soggettivo -faceva 
ricorso solo al 
primo dei 
due 
elementi 
per risolvere 
la 
controversia. i giudici 
ritenevano 
con ragione 
l’inesistenza 
di 
denunciati 
segni 
di 
riconoscimento, rilevando che 
non emerge 
alcun 
elemento 
che 
assuma 
un 
carattere 
oggettivamente 
ed 
incontestabilmente 
anomalo, 
laddove 
gli 
spazi 
bianchi 
lasciati 
nella prima pagina corrisponderebbero 
allo spazio occupato dal 
timbro e 
quelle 
lasciate 
nelle 
pagine 
successive 
corrisponderebbero 
alla 
spaziatura 
che 
segna 
l’intervallo 
tra 
le 
diverse 
risposte 
della prova scritta, articolata in quesiti 
a risposta sintetica, seguendo, 
quindi, un naturale principio di ordinata stesura dell’elaborato. 


Dello 
stesso 
tenore 
è 
la 
recentissima 
sentenza 
del 
Consiglio 
di 
Stato 
5658/2021 (20) nella 
quale 
si 
fa 
riferimento alla 
necessità 
di 
appurare 
la 
sussistenza 
dell’elemento soggettivo, da 
intendersi 
come 
intenzionalità 
nell’apposizione 
del 
segno 
di 
riconoscimento, 
pervenendosi 
all’esclusione 
di 
tale 
eventualità 
in 
base 
alla 
constatazione 
che 
l’indicazione 
di 
prezzi, 
numeri 
di 
protocollo, data, località, comune 
e 
provincia non riveste, nell’ambito della 
redazione 
della 
prova 
pratica, 
quel 
carattere 
di 
idoneità 
ed 
intenzionalità 
tale 
da 
ritenere 
inequivocabilmente 
infranta, 
in 
concreto, 
la 
regola 
dell’anonimato 
nella redazione 
della prova pratica; 
a 
dimostrazione 
della 
osmosi 
tra 
i 
due 
in


(18) http://giustizia.amministrativa.it. 
(19) http://giustizia.amministrativa.it. 
(20) http://giustizia.amministrativa.it. 

RASSeGnA 
AvvOCAtuRA 
DeLLO 
StAtO -n. 3/2022 


dirizzi 
interpretativi 
la 
conclusione 
sarebbe 
stata 
identica 
anche 
se 
si 
fosse 
aderito 
all’indirizzo 
oggettivistico 
facendo 
leva 
sul 
dato 
che 
dettagliare 
il 
contenuto 
di 
una 
prova 
pratica 
è 
una 
modalità 
usuale 
e 
fisiologica 
nell’ambito di 
una prova pratica che necessariamente si traduce in uno studio di caso. 

nel 
caso trattato dalla 
sentenza 
del 
Consiglio di 
Stato 202/2014 (21) si 
domandava 
fosse 
dichiarato segno di 
riconoscimento -in un concorso a 
posti 
per 
architetto 
-l’avere 
un 
candidato 
in 
calce 
all’elaborato 
d’esame 
-dove 
usualmente 
(al 
di 
fuori 
del 
campo concorsuale) compare 
la 
firma 
dell’autore 
-scritto 
il 
nome 
di 
Paolo 
Portoghesi 
(un 
noto 
architetto). 
Il 
collegio 
già 
sul 
piano del 
profilo oggettivo dell’accertamento della 
sussistenza 
di 
un segno di 
riconoscimento 
lo 
escludeva 
perché 
il 
nome 
di 
fantasia 
utilizzato, 
una 
sola 
volta, richiama quello di 
un celebre 
collega architetto, nell’ambito di 
una simulazione 
pratica di 
un atto tipico di 
quella professione. Sebbene 
vi 
fosse 
la 
riconosciuta 
insussistenza 
sul 
piano materiale 
di 
un segno di 
riconoscimento 
i 
giudici 
ad abundantiam 
esaminavano anche 
il 
profilo soggettivo per escludere 
l’esistenza 
di 
un segno di 
riconoscimento con la 
motivazione 
che 
nella 
prova 
di 
cui 
si 
discuteva 
l’odierno 
appellante 
ha 
riportato 
una 
valutazione 
identica a quella dell’originario ricorrente. Non può, quindi, contrariamente 
a 
quanto 
affermato 
dal 
primo 
Giudice, 
ritenersi 
che 
sia 
stata 
violata 
la 
regola 
dell’anonimato. 
L’argomentazione 
usata 
è 
interessante 
perché 
se 
l’intenzionalità 
del 
candidato è 
rivolta 
a 
rendere 
riconoscibile 
il 
proprio elaborato per 
uno o più dei 
commissari 
di 
esame, allo scopo di 
ottenerne 
un più favorevole 
trattamento, l’acclaramento ex 
post 
che 
tale 
più favorevole 
trattamento non vi 
sia 
stato, 
dimostra 
l’inesistenza 
di 
questa 
intenzionalità; 
si 
potrebbe 
invero 
sostenere 
-su di 
un piano strettamente 
logico -che 
il 
mancato conseguimento 
del 
vantaggio atteso sia 
dipeso da 
una 
differente 
valutazione 
dei 
commissari 
ai 
quali 
il 
ricorrente 
era 
estraneo ed ignoto, ma 
ciò sarebbe 
una 
pura 
illazione 
non dimostrabile 
a 
fronte 
del 
fatto incontrovertibile 
che 
quel 
risultato ambito 
non è stato raggiunto. 

Pure 
la 
sentenza 
5137/2015 
(22) 
del 
medesimo 
giudice 
-pur 
ritenendo 
che 
la 
sussistenza 
dei 
segni 
di 
riconoscimento dovesse 
essere 
assoggettata 
al 
duplice 
accertamento 
del 
carattere 
inusitato 
del 
segno 
e 
dell’intenzionalità 
del 
candidato 
di 
porlo 
in 
essere 
-risolve 
la 
questione 
sul 
solo 
piano 
oggettivo; 
essa 
correttamente 
esclude 
che 
possa 
attribuirsi 
valore 
di 
segno di 
riconoscimento 
laddove 
esso sia 
fatto pretesamente 
consistere 
non già 
in segni 
grafici, 
né 
nell’uso di 
peculiari 
termini 
o forme 
verbali, bensì 
nel 
grado di 
dettaglio 
asseritamente 
eccessivo 
con 
il 
quale, 
nella 
prova 
d’esame 
consistente 
nella 
predisposizione 
di 
una 
proposta 
organizzativa 
per 
l’ufficio 
da 
dirigere, 
alcuni 
controinteressati 
hanno 
sviluppato 
la 
propria 
proposta: 
ciò 
che, 
con 
ogni 
evi


(21) http://giustizia.amministrativa.it. 
(22) http://giustizia.amministrativa.it. 

COntRIbutI 
DI 
DOttRInA 


denza, sfugge 
ad ogni 
valutazione 
di 
carattere 
neutro e 
oggettivo, ed è 
quindi 
inidoneo a soddisfare 
le 
condizioni 
sopra richiamate 
per 
ravvisare 
la violazione 
dell’anonimato. 

Anche 
la 
sentenza 
652/2018 (23) afferma 
in via 
di 
principio la 
necessità 
di 
accertare 
dopo 
l’elemento 
oggettivo 
anche 
l’intenzione 
del 
concorrente, 
ma 
risolve 
la 
questione 
sul 
piano del 
solo elemento oggettivo, asserendo che 
nel 
caso 
di 
specie, 
invero, 
i 
segni 
contestati 
non 
solo 
non 
denotano 
l’intenzionalità 
del 
concorrente 
di 
rendersi 
riconoscibile 
e 
comunque 
si 
tratta 
di 
segni 
che 
rientrano nell’ambito di una plausibile normalità redazionale. 


Profili 
peculiari 
presenta 
la 
sentenza 
4331/2018 
(24) 
del 
Consiglio 
di 
Stato 
dal 
momento 
che 
essa 
è 
dedicata 
-non 
ad 
un 
concorso 
per 
il 
reclutamento 
di 
personale 
-ma 
ad un concorso di 
progettazione 
di 
un immobile 
nel 
quale 
la 
valutazione 
dei 
progetti 
doveva 
avvenire 
nell’anonimato, ossia 
senza 
sapere 
a 
quale 
azienda 
o raggruppamento di 
imprese 
fossero attribuibili 
i 
progetti. era 
accaduto che 
l’impresa 
risultata 
vincitrice 
non aveva 
esattamente 
composto il 
codice 
alfanumerico 
scelto 
dall’impresa 
-con 
i 
soli 
limiti 
del 
numero 
di 
lettere 
e 
numeri 
e 
delle 
loro rispettive 
posizioni 
-ma 
aveva 
aggiunto un numero in 
più sulla 
busta 
contenente 
l’offerta 
tecnica; 
perdipiù l’errore 
riguardava 
non 
tutta 
la 
documentazione 
prodotta 
ma 
un 
solo 
plico. 
Il 
Collegio 
ha 
ritenuto 
sussistere 
la 
prima 
condizione 
ossia 
l’astratta 
riconoscibilità 
del 
segno 
a 
causa 
della 
marcata 
sua 
difformità 
rispetto allo standard. È 
poi 
passato all’elemento 
soggettivo il 
cui 
acclaramento avrebbe 
determinato l’esclusione, finendo per 
escludere 
la 
sussistenza 
dell’elemento intenzionale 
con la 
considerazione 
che 
l’alterazione 
del 
codice 
rappresenta 
un 
mezzo 
del 
tutto 
ultroneo, 
essendo 
a 
ciò 
sufficiente 
la 
semplice 
comunicazione 
del 
codice 
scelto; 
di 
seguito 
si 
legge 
che 
in altri 
termini, l’idoneità della discrepanza a rivelare 
l’identità del 
presentatore 
del 
progetto non era di 
certo superiore 
a quella di 
una semplice, e 
ben 
difficilmente 
tracciabile 
preventiva 
comunicazione 
ai 
Commissari 
del 
codice 
alfanumerico liberamente 
scelto ed apposto alle 
buste 
dal 
concorrente: 
strumento 
più 
semplice 
e 
meno 
rischioso 
per 
conseguire 
il 
medesimo 
risultato, 
e 
quindi 
tale 
da assorbire 
la rilevanza di 
diversi, assai 
più incerti 
segni 
di 
riconoscimento. 
Semplificato 
all’essenziale, 
l’argomentare 
del 
Consiglio 
di 
Stato può ridursi 
all’affermazione 
che, in luogo di 
porre 
in essere 
un segno di 
riconoscimento che 
potesse 
essere 
identificato come 
tale 
da 
un commissario 
a 
lui 
vicino, il 
concorrente 
avrebbe 
più direttamente 
e 
semplicemente 
potuto 
comunicare 
in qualsiasi 
momento a 
tale 
commissario il 
codice 
alfanumerico 
conforme 
alle 
prescrizioni 
di 
gara. Questa 
riflessione 
tranchant 
spiega 
il 
perché 
il 
Consesso nella 
propria 
giurisprudenza 
recente 
abbia 
perlopiù escluso la 
sussistenza 
di 
un 
segno 
di 
riconoscimento 
che 
potesse 
comportare 
l’esclusione 


(23) http://giustizia.amministrativa.it. 
(24) http://giustizia.amministrativa.it. 

RASSeGnA 
AvvOCAtuRA 
DeLLO 
StAtO -n. 3/2022 


del 
partecipante 
alla 
procedura. 
tale 
atteggiamento 
è 
invero 
determinato 
dalla 
convinzione 
realistica 
e 
disincantata 
-evidente 
nella 
sentenza 
4331/2018 
-che 
colui 
che 
abbia 
una 
relazione 
preferenziale 
con un commissario non farebbe 
ricorso ai 
segni 
di 
identificazione 
come 
tipizzati 
dalla 
giurisprudenza 
col 
rischio 
di 
farsi 
scoprire 
ma 
comunicherebbe 
al 
commissario infedele 
altri 
segni 
identificativi 
non 
suscettibili 
di 
determinare 
l’annullamento 
della 
prova, 
ad 
esempio 
comunicandogli 
le 
prime 
parole 
dell’elaborato; 
il 
frequente 
negare 
che 
ci 
si 
trovi 
di 
fronte 
ad un segno di 
riconoscimento nasce 
anche 
dalla 
consapevolezza 
che 
per prevenire 
illegittimi 
sodalizi 
tra 
candidati 
e 
commissari 
la 
via 
maestra 
è 
un vaglio severo delle 
cause 
di 
incompatibilità 
tra 
candidati 
e 
commissari. 


esemplare 
dei 
limiti 
e 
delle 
condizioni 
restrittive 
che 
consentono di 
riconoscere 
il 
carattere 
invalidante 
a 
tali 
segni 
di 
riconoscimento è 
la 
sentenza 
del 


t.a.r. Calabria 
sez. staccata 
di 
Catanzaro 2009 n.138 (25). In essa 
che 
si 
occupava 
di 
un concorso per un posto di 
ricercatore 
universitario era 
accaduto che 
nella 
prova 
scritta 
uno dei 
soli 
due 
candidati 
ammessi 
alle 
prove 
scritte 
aveva 
citato nel 
corso dell’elaborato un articolo pubblicato in rivista 
indicandone 
i 
nomi 
dei 
coautori 
ovvero sé 
stessa 
ed il 
presidente 
della 
commissione 
esaminatrice; 
disattendendo le 
censure 
della 
controinteressata 
secondo la 
quale 
la 
citazione 
di 
opere 
a 
supporto delle 
proprie 
tesi 
rappresenta 
un aspetto ineludibile 
di 
un 
elaborato 
scientifico, 
il 
t.a.r. 
ha 
ribadito 
che 
sarebbe 
stato 
sufficiente 
citarne 
contenuti 
e 
risultati 
e 
dinnanzi 
all’obiezione 
che 
la 
citazione 
ben 
avrebbe 
potuto essere 
fatta 
anche 
dal 
candidato ricorrente 
prova troppo in un 
concorso che 
ha visto la partecipazione 
di 
un altro solo candidato. Sebbene 
il 
tribunale 
non 
dichiari 
espressamente 
di 
propendere 
per 
una 
delle 
due 
tesi 
quella 
oggettivistica 
che 
si 
contenta 
del 
solo 
carattere 
macroscopicamente 
inusuale 
del 
segno, ovvero quella 
che 
esige 
anche 
l’ulteriore 
dato soggettivo del-
l’intenzionalità 
del 
gesto del 
candidato, nei 
fatti 
propende 
per la 
seconda 
tesi; 
infatti 
il 
palesato segno di 
riconoscimento ben poteva 
essere 
intelligibile 
da 
parte 
di 
un 
commissario 
d’esame 
che 
ne 
era 
il 
coautore; 
qui 
dunque 
risulta 
per 
tabulas 
il 
fine 
perseguito 
dalla 
candidata 
attraverso 
la 
propria 
autocitazione 
ed il 
pressochè 
certo destinatario di 
essa. La 
Corte 
-con affermazione 
di 
principio 
-afferma 
che 
la 
severità 
nella 
valutazione 
del 
canone 
dell’anonimato è 
inversamente 
proporzionale 
alla 
dimensione 
della 
comunità 
di 
riferimento 
(testualmente 
dove 
i 
candidati 
operano 
nella 
medesima 
comunità 
scientifica, 
spesso con collaborazioni 
e 
pubblicazioni 
svolte 
insieme 
a componenti 
della 
commissione 
d’esame, e 
dove 
partecipano pochi 
candidati 
(qui 
solo due), la 
capacità di 
alcuni 
dati 
di 
rendere 
riconoscibile 
l’autore 
della prova diviene 
(25) rassegna avvocatura dello Stato, 
2009, fasc. 4, pp. 289-296 con nota 
di 
AntILLO, L’operatività 
del 
principio dell’anonimato nei 
concorsi 
pubblici 
(con particolare 
riferimento ai 
concorsi 
con 
due partecipanti). 

COntRIbutI 
DI 
DOttRInA 


senz’altro maggiore 
rispetto a qualunque 
altro concorso al 
quale 
partecipa 
un elevato numero di concorrenti). 


viceversa 
per un’ulteriore 
conferma 
dell’orientamento restrittivo vi 
è 
il 
parere 
869/2017 
(26) 
reso 
in 
occasione 
di 
un 
ricorso 
straordinario 
al 
capo 
dello 
Stato relativo al 
concorso per dirigenti 
tecnici 
presso il 
MIuR, la 
cui 
particolarità 
stava 
nel 
numero delle 
prove 
-due 
comuni 
a 
tutti 
ed una 
propria 
del 
sottosettore 
scientifico 
di 
riferimento. 
L’osservazione 
del 
candidato 
escluso 
consisteva 
per 
una 
parte 
nella 
presenza 
di 
pretesi 
segni 
di 
riconoscimento 
quali 
l’apposizione 
della 
scritta 
“brutta 
copia” 
o 
“bella 
copia”, 
con 
rinvio 
a 
quest’ultima 
ove 
la 
copiatura 
del 
testo 
non 
fosse 
avvenuto 
in 
maniera 
integrale 
che 
abbiamo visto essere 
considerata 
con ragione 
una 
evenienza 
fisiologica 
e 
comune. 


La 
recente 
sentenza 
dei 
giudici 
di 
Palazzo Spada 
6226/2019 (27) costituisce 
una 
conferma 
del 
criterio 
soggettivo 
temperato 
nella 
individuazione 
dei 
segni 
di 
riconoscimento; 
con riferimento all’esclusione 
di 
una 
candidata 
per 
la 
ragione 
che 
la bustina contenente 
le 
generalità del 
candidato si 
presenta 
aperta (non manomessa) e 
non risulta piegato il 
lembo di 
chiusura che 
reca 
ancora apposta la striscia bianca a copertura dell’adesivo di 
chiusura i 
giudici 
concludono 
che 
l’omessa 
chiusura 
della 
busta 
contenente 
il 
nome 
del 
candidato 
rappresenta 
una 
condotta 
oggettivamente 
abnorme 
e, 
come 
tale, 
idonea 
a rappresentare 
una modalità per 
la identificazione 
del 
candidato. I giudici 
escludono che 
l’omissione 
possa 
non essere 
ascrivibile 
al 
candidato dal 
momento 
che 
l’indagine 
condotta 
aveva 
evidenziato che 
non si 
era trattato di 
distacco 
accidentale 
o di 
evento non imputabile 
al 
candidato (ad esempio per 
scarsa 
qualità 
della 
colla) 
avendo 
verbalizzato 
che 
“non 
risulta 
piegato 
il 
lembo 
di 
chiusura 
che 
reca 
ancora 
apposta 
la 
striscia 
bianca 
a 
copertura 
dell’adesivo 
di 
chiusura”. 
Il 
verificarsi 
di 
una 
simile 
evenienza 
avrebbe 
escluso 
la 
negligenza 
del 
candidato 
facendo 
venire 
meno 
in 
radice 
la 
questione 
della 
riconoscibilità 
del 
segno. Il 
collegio procede 
osservando che 
v’è 
certamente 
spazio per 
la indagine 
sulla intenzionalità della condotta nei 
casi 
non 
univocamente 
sintomatici 
della volontà di 
farsi 
riconoscere 
(Cons. Stato, ad. 
plen., 
n. 
26/2013), 
ma 
non 
quando 
la 
condotta 
è 
oggettivamente 
abnorme 
come 
nel 
caso 
della 
violazione 
della 
regola 
fondamentale 
posta 
a 
presidio 
dell’anonimato 
con 
ciò 
teorizzando 
che 
l’accertamento 
della 
intenzionalità 
della 
condotta 
del 
candidato è 
una 
fase 
successiva 
eventuale 
da 
espletarsi 
nel 
caso 
in 
cui 
l’abnormità 
del 
comportamento 
non 
la 
renda 
evidentemente 
superflua. 
La 
prova 
dell’intenzione 
fraudolenta 
del 
candidato va desunta, per 
via 
indiretta o presuntiva, dalla natura in sé 
dell’elemento riconoscibile 
e 
dalla 
sua suscettività oggettiva di 
comportare 
la riferibilità dell’elaborato stesso a 


(26) http://giustizia.amministrativa.it. 
(27) http://giustizia.amministrativa.it. 

RASSeGnA 
AvvOCAtuRA 
DeLLO 
StAtO -n. 3/2022 


un determinato soggetto. ne 
discende 
che 
la 
prova 
dell’elemento soggettivo 
non 
può 
che 
essere 
ricavata 
dalle 
modalità 
oggettive 
di 
estrinsecazione 
del 
comportamento e 
quindi 
dall’inusualità 
del 
comportamento ovvero dalla 
dimostrazione 
che 
esso si 
è 
manifestato in maniera 
indipendente 
dalla 
volontà 
del 
suo 
autore 
(per 
esempio, 
nel 
caso 
di 
specie, 
si 
è 
potuto 
escludere 
che 
l’apertura 
della 
busta 
sia 
stata 
dovuta 
ad un successivo scollamento del 
lembo); 
la 
circostanza 
che 
l’elemento 
soggettivo 
del 
comportamento 
debba 
essere 
inferito 
dall’esame 
di 
un 
dato 
oggettivo 
rende 
estremamente 
fluida 
la 
differenziazione 
tra 
la 
teoria 
soggettiva 
e 
quella 
oggettiva 
potendo l’uso dell’una 
o dell’altra 
di 
esse condurre ad identiche conclusioni pratiche. 


1.3. i segni di riconoscimento apposti dalle commissioni. 
L’altro settore 
in cui 
emerge 
a 
livello giurisprudenziale 
la 
tematica 
dei 
segni 
di 
riconoscimento è 
quello dell’eventuale 
apposizione 
di 
essi 
da 
parte 
di 
componenti 
della 
commissione 
o 
comunque 
da 
soggetti 
riconducibili 
al-
l’Amministrazione. Pertanto la 
valutazione 
di 
un possibile 
vulnus 
al 
principio 
dell’anonimato ha 
ad oggetto un comportamento che 
parte 
dall’amministrazione. 
Occorre 
domandarsi 
se 
ogni 
mera 
difformità 
rispetto allo standard 
che 
si 
traduca 
nell’apposizione 
di 
un segno potenzialmente 
valutabile 
come 
di 
riconoscimento 
sia 
invalidante, 
ovvero 
se 
esista 
una 
soglia 
entro 
la 
quale 
tali 
dati 
non siano invalidanti; 
tale 
opinione 
è 
assimilabile 
al 
filone 
giurisprudenziale 
che 
fonda 
l’illegittimità 
del 
segno di 
riconoscimento sulla 
sola 
dimensione 
oggettiva. 
Analogamente 
a 
quanto 
avviene 
nell’ipotesi 
dei 
segni 
di 
riconoscimento 
apposti 
dai 
candidati, 
altra 
giurisprudenza 
richiede 
che 
dal-
l’inosservanza 
della 
disposizione 
-posta 
a 
tutela 
dell’anonimato -sia 
discesa 
la 
compromissione 
concreta 
delle 
operazioni 
concorsuali, quindi 
un 
quid pluris, 
collocato sempre 
sul 
piano oggettivo e 
fondato su di 
un giudizio prognostico 
a 
posteriori. 


Passando ad una 
concreta 
verifica 
delle 
sentenze 
del 
Consiglio di 
Stato, 
la 
481/2008 (28) -a 
fronte 
di 
una 
situazione 
nella 
quale 
per effetto della 
mancata 
indicazione 
da 
parte 
della 
commissione 
di 
criteri 
univoci 
in ordine 
alle 
modalità 
di 
svolgimento della 
prova 
era 
accaduto che 
quelle 
svolte 
dal 
ricorrente, 
sono 
state 
redatte 
per 
intero 
su 
fogli 
stampati 
da 
personal 
computer 
mentre 
gli 
altri 
concorrenti 
avevano 
scritto 
a 
mano 
su 
fogli 
bollati 
forniti 
dall’Università, il 
che 
avrebbe 
reso riconoscibili 
le 
prime 
-ritiene 
esistente 
in re 
ipsa 
una 
manifesta 
alterazione 
della 
par 
condicio 
insita 
nella 
gravità 
e 
diffusione delle violazioni dell’anonimato. 


Pure 
interessante 
è 
la 
sentenza 
del 
Consiglio di 
Stato 1928/2010 (29). La 
questione 
ad essa 
sottoposta 
concerneva 
un concorso universitario nel 
quale 


(28) http://giustizia.amministrativa.it. 
(29) http://giustizia.amministrativa.it. 

COntRIbutI 
DI 
DOttRInA 


era 
accaduto che 
sui 
lembi 
di 
chiusura delle 
buste 
contenenti 
gli 
elaborati 
dei 
candidati 
risultino 
le 
sigle 
dei 
membri 
della 
Commissione 
apposte 
in 
maniera 
macroscopicamente 
diversa da busta a busta ovvero che 
su alcune 
di 
esse 
sia 
stata marcata la data con la sola indicazione 
del 
giorno e 
del 
mese 
mentre 
su 
altre 
vi 
si 
legge 
il 
giorno, il 
mese 
e 
l’anno. I giudici 
concludevano che 
risulta 
un quadro di 
elementi 
indiziari 
sufficientemente 
univoco per 
ritenere 
che 
le 
regole 
dell’anonimato, 
nella 
procedura 
valutativa 
per 
cui 
è 
giudizio, 
siano 
state 
effettivamente 
violate. 
Significativo 
è 
che 
di 
fronte 
all’obiezione 
dei 
vincitori 
controinteressati 
secondo cui 
le 
pretese 
anomalie 
nelle 
sigle 
e 
nella indicazione 
della data riguarderebbero una indistinta pluralità di 
buste, con la 
conseguenza che 
non sarebbe 
agevole 
ricavare 
da tali 
asseriti 
segni 
di 
riconoscimento 
il 
percorso 
logico 
per 
giungere 
ad 
individuare 
gli 
elaborati 
dei 
soggetti 
poi 
risultati 
vincitori 
della selezione 
-il 
senso dell’eccezione 
stava 
nel 
dire 
che 
le 
plurime 
violazioni 
del 
principio di 
anonimato in quanto concernenti 
un numero non esiguo di 
soggetti 
non potevano consentire 
l’individuazione 
del 
candidato 
da 
favorirsi 
e 
quindi 
non 
potevano 
aver 
messo 
in 
pericolo la 
imparzialità 
della 
procedura 
-la 
replica 
del 
Consiglio di 
Stato persuasivamente 
rileva 
che 
constatata 
una 
rilevante 
violazione 
dell’anonimato la 


procedura è 
da annullarsi 
senza che 
sia necessario (per 
inferirne 
la illegittimità) 
ricostruire 
a 
posteriori 
il 
possibile 
percorso 
di 
riconoscimento 
degli 
elaborati 
da parte dei soggetti chiamati a valutarli. 


una 
più 
ponderata 
ed 
accurata 
esposizione 
dell’opinione 
giurisprudenziale 
per cui 
occorre 
un pericolo di 
compromissione 
della 
procedura 
a 
causa 
della 
violazione 
della 
regola 
dell’anonimato 
è 
nell’ordinanza 
di 
rimessione 
che 
ha 
originato 
la 
sentenza 
dell’Adunanza 
plenaria 
del 
Consiglio 
di 
Stato 
numero 
26/2013 (30). essa 
riguardava 
le 
prove 
di 
accesso per la 
facoltà 
di 
medicina 
(a 
numero 
chiuso). 
Con 
riferimento 
all’anomalia 
denunciata, 
ossia 
l’avere 
la 
commissione 
e 
gli 
addetti 
alla 
vigilanza 
raccolto i 
compiti 
in ordine 
alfabetico, apponendo su un foglio poi 
allegato al 
verbale 
il 
codice 
alfanumerico 
attribuito 
al 
candidato 
riponendo 
poi 
gli 
elaborati 
-consistenti 
in 
domande 
a 
risposta 
chiusa 
da 
correggere 
a 
mezzo di 
un lettore 
ottico -in ordine 
alfabetico 
dentro 
i 
faldoni, 
il 
Consiglio 
di 
giustizia 
amministrativa 
per 
la 
regione 
Sicilia 
escludeva 
una 
effettiva 
compromissione 
della 
regolarità 
delle 
procedure 
concorsuali. Il 
Consiglio di 
giustizia 
amministrativa 
per la 
regione 
Sicilia 
affermava 
-nel 
riassunto che 
delle 
sue 
argomentazioni 
fa 
l’Adunanza 
plenaria 
-che 
in 
particolare 
alcuni 
comportamenti 
materiali 
posti 
in 
essere 
dalla 
Commissione 
( 
distribuzione 
dei 
test 
ai 
candidati 
e 
ritiro 
degli 
stessi 
seguendo 
l’ordine 
alfabetico 
/ 
apposizione 
sull’elenco 
identificativo 
accanto 
al 
nome 
del 


(30) 
http://giustizia.amministrativa.it 
a 
commento 
di 
esse 
vedi 
SILvIO 
bOLOGnA, 
Concorsi 
pubblici 
e 
violazione 
non irrilevante 
dell’anonimato nelle 
tre 
sentenze 
gemelle 
del 
Consiglio di 
Stato 
in rivista 
italiana di diritto del lavoro, 2015, fasc. 1, pp. 134 e ss. 

RASSeGnA 
AvvOCAtuRA 
DeLLO 
StAtO -n. 3/2022 


candidato del 
codice 
alfanumerico contrassegnante 
il 
relativo foglio dei 
test) 
risultano 
compatibili 
con 
le 
regole 
dettate 
dal 
bando 
ed 
ispirati 
a 
condivisibili 
esigenze 
di 
trasparenza e 
legalità, essendo tali 
accorgimenti 
imposti 
da esigenze 
di 
ordinata 
organizzazione 
della 
complessa 
procedura 
nonchè 
finalizzati 
ad ovviare 
possibili 
scambi 
di 
elaborati 
tra i 
candidati. Rappresentando che 
peraltro, 
anche 
ammettendo 
che 
questi 
comportamenti 
materiali 
avessero 
reso 
in 
astratto 
possibile 
l’identificazione 
dell’autore 
di 
ciascun 
elaborato, 
in 
concreto 
le 
operazioni 
di 
distribuzione 
e 
raccolta 
dei 
test 
nonchè 
di 
sigillatura 
dei 
contenitori 
racchiudenti 
le 
relative 
buste 
si 
sono 
svolte 
costantemente 
alla 
presenza 
degli 
studenti: 
il 
che 
-specie 
tenendo 
presente 
la 
genericità 
delle 
doglianze 
mosse 
dai 
ricorrenti 
-porta 
ad 
escludere 
che 
in 
concreto 
l’ipotizzata 
violazione 
della 
regola 
dell’anonimato 
possa 
aver 
alterato 
la 
correttezza 
della 
procedura 
selettiva. 
veniva 
portato 
come 
argomento 
in 
favore 
della 
irrilevanza 
delle 
potenziali 
violazioni 
dell’anonimato 
anche 
la 
peculiarità 
delle 
operazioni 
di 
correzione 
che 
-operate 
a 
mezzo di 
un lettore 
ottico -erano prive 
di 
ogni 
discrezionalità valutativa. 

La 
reiezione 
di 
tale 
argomento da 
parte 
dei 
giudici 
di 
Palazzo Spada 
(31) 
avveniva 
affermando 
che 
l’anonimato 
è 
consustanziale 
alle 
prove 
selettive 
nelle 
quali 
la 
scrupolosa 
osservanza 
di 
esso 
assicura 
il 
principio 
di 
eguaglianza 
ed i 
conseguenti 
principi 
di 
imparzialità 
e 
buon andamento concludendo che 
allorché 
l’amministrazione 
si 
scosta in modo percepibile 
dall’osservanza di 
tali 
vincolanti 
regole 
comportamentali 
si 
determina 
quindi 
una 
illegittimità 
di 
per 
se 
rilevante 
e 
insanabile, venendo in rilievo una condotta già ex 
ante 
implicitamente 
considerata come 
offensiva in quanto appunto connotata dal-
l’attitudine 
a porre 
in pericolo o anche 
soltanto minacciare 
il 
bene 
protetto 
dalle 
regole 
stesse. in conclusione, mutuando la antica terminologia penalistica, 
può 
affermarsi 
che 
la 
violazione 
dell’anonimato 
da 
parte 
della 
Com


(31) In radicale 
opposizione 
con l’ordinanza 
1950/2005 del 
Consiglio di 
Stato che 
aveva 
escluso 
la 
rilevanza 
della 
violazione 
dell’anonimato in una 
prova 
per l’accesso a 
corsi 
di 
specializzazione 
non 
essendo 
da 
essa 
derivato 
alcun 
danno 
in 
capo 
ai 
candidati 
si 
veda 
DIAnA 
uRAnIA 
GALettA, 
La 
violazione 
del 
principio 
dell’anonimato 
nei 
pubblici 
concorsi 
come 
illegittimità 
procedimentale 
che 
non 
può 
essere 
sanzionata con l’annullamento: verso l’irrilevanza dello Stato di 
diritto? 
in Giustizia civile, 
2005, fasc. 
7-8, 
pp. 
1965-1968. 
nel 
prosieguo 
della 
vicenda 
il 
t.a.r. 
della 
Campania 
andò 
in 
contrario 
avviso 
rispetto 
all’ordinanza 
del 
Consiglio 
di 
Stato 
statuendo 
che 
in 
termini 
conclusivi, 
non 
viene 
in 
evidenza, 
ad 
avviso 
del 
Tribunale, la norma di 
cui 
all’art. 21 octies 
della L. 241/1990 (non rilevando il 
carattere 
vincolato 
del 
potere 
esercitabile 
dalla P.a.) ma la ben più radicale questione della violazione 
di garanzie 
procedimentali 
che, per 
il 
loro collegamento a valori 
fondanti 
dell’ordinamento giuridico (quale 
quelle 
inerenti 
alle 
garanzie 
del 
pubblico concorso: cfr., in generale, Corte 
Cost. 9 novembre 
2006 nr. 363), non 
possono essere 
in nessun caso obliterate 
pena l’illegittimità del 
procedimento amministrativo ed il 
cui 
interesse 
all’annullamento sorge 
nel 
momento in cui 
il 
candidato non risulta utilmente 
graduatosi. Sarebbe 
potuto restare 
all’interno delle 
coordinate 
dell’articolo 21 octies 
affermando che 
le 
norme 
atte 
a 
salvaguardare 
l’anonimato non sono interamente 
assimilabili 
a 
quelle 
sul 
procedimento dal 
momento 
che 
esse 
non 
sono 
dirette 
ad 
assicurare 
la 
partecipazione 
ovvero 
l’assunzione 
di 
determinati 
atti, 
ma 
ineriscono, 
predeterminandola 
alla 
fase 
decisoria 
e 
che 
la 
violazione 
di 
questi 
è 
suscettibile 
di 
alterare 
l’esito del procedimento. 

COntRIbutI 
DI 
DOttRInA 


missione 
nei 
pubblici 
concorsi 
comporta 
una 
illegittimità 
da 
pericolo 
c.d. 
astratto. 
A 
corroborare 
la 
decisione 
di 
principio 
sul 
carattere 
viziante 
della 
violazione 
dell’anonimato 
il 
Consiglio 
offre 
anche 
argomentazioni 
di 
carattere 
empirico, legate 
alla 
concreta 
vicenda 
processuale 
osservando che 
in buona 
sostanza dopo la conclusione 
della procedura la Commissione 
si 
è 
trovata in 
possesso 
di 
un 
elenco 
alfabetico 
in 
cui 
al 
codice 
(segreto) 
contrassegnante 
l’elaborato era inequivocabilmente associato al nome del candidato. 


Di 
poco 
precedente 
all’affermazione 
dell’Adunanza 
plenaria 
è 
la 
sentenza 


n. 3714/2013 (32) nella 
quale 
-in occasione 
del 
concorso per dirigenti 
scolastici 
indetto nell’anno 2011 -gli 
esclusi 
avevano individuato come 
veicolo di 
potenziale 
compromissione 
dell’anonimato 
la 
trasparenza 
delle 
buste 
nelle 
quali 
era 
conservato il 
cartoncino contenete 
i 
dati 
anagrafici 
del 
candidato. Il 
collegio 
ribadiva 
nei 
termini 
che 
saranno 
poi 
successivamente 
ripresi 
dal-
l’Adunanza 
plenaria 
la 
diretta 
derivazione 
del 
principio 
dell’anonimato 
dal 
principio 
di 
eguaglianza, 
e 
della 
sua 
ulteriore 
declinazione 
nei 
principi 
basilari 
dell’imparzialità 
e 
del 
buon 
andamento 
e 
nel 
carattere 
immediatamente 
viziante 
di 
ogni 
sua 
violazione. Afferma 
pure 
che 
gravare 
il 
privato ricorrente 
dell’onere 
della 
prova 
di 
dimostrare 
l’avvenuta 
compromissione 
del 
principio 
di 
eguaglianza 
sarebbe 
imporgli 
una 
probatio diabolica 
in quanto -a 
rigor di 
logica 
-la 
prova 
dovrebbe 
consistere 
nella 
dimostrazione 
del 
dolo dei 
commissari, 
consistente 
nella 
deliberata 
volontà 
di 
alterare 
gli 
esiti 
della 
procedura 
concorsuale. Pure, a 
tale 
affermazione 
di 
principio si 
fa 
seguire 
un esame 
empirico 
delle 
circostanze 
del 
caso concreto esaminando gli 
esiti 
della 
verificazione 
richiesta 
in fase 
istruttoria 
ad un perito il 
quale 
aveva 
concluso per la 
permeabilità 
allo 
sguardo 
delle 
buste 
facendo 
ricorso 
alla 
luce 
del 
sole 
riflessa 
dalle 
finestre 
ovvero 
attraverso 
l’esposizione 
di 
esse 
alla 
luce 
di 
una 
lampada; 
pertanto 
la 
facilità 
nel 
perpetrare 
la 
violazione 
costituisce 
un 
ulteriore 
elemento 
che connota di gravità la condotta dell’amministrazione. 
È 
opportuno 
verificare 
come 
nella 
sentenza 
5114/2008 
(33) 
ricorresse 
la 
circostanza 
che 
gli 
elaborati 
dei 
candidati 
e 
la 
scheda 
contenente 
le 
generalità 
degli 
stessi 
fossero 
connotati 
dal 
medesimo 
codice 
a 
barre 
e 
che 
quindi 
chi 
avesse 
maneggiato 
la 
prova 
cui 
era 
stato 
apposto 
il 
codice 
a 
barre 
sarebbe 
stato 
potenzialmente 
in 
grado 
di 
individuarne 
l’autore 
prima 
del 
riconoscimento 
ufficiale 
tramite 
l’abbinamento 
del 
codice 
apposto 
all’elaborato 
con 
quello 
contenuto 
nella 
busta 
chiusa, 
da 
effettuarsi 
al 
termine 
delle 
operazioni 
di 
nomina; 
tale 
possibilità 
è 
stata 
esclusa 
dal 
momento 
che 
i 
codici 
numerici 
erano 
muti 
rispetto 
all’identità 
del 
candidato 
che 
si 
sarebbe 
scoperta 
aprendo 
la 
busta 
con 
i 
suoi 
dati 
ed 
abbinando 
con 
il 
codice 
in 
essa 
contenuto 
le 
prove. 
La 
circostanza 
che 
il 
cartoncino 
contenente 
i 
dati 
del 
candidato 
con 
su 
apposto 
il 
codice 
non 


(32) http://giustizia amministrativa. 
(33) http://giustizia amministrativa. 

RASSeGnA 
AvvOCAtuRA 
DeLLO 
StAtO -n. 3/2022 


era 
nell’immediata 
disponibilità 
della 
commissione 
in 
quanto 
sigillato 
e 
conservato 
a 
parte, 
ha 
avuto 
un 
rilievo 
decisivo 
oltre 
alla 
circostanza 
che 
non 
sarebbe 
stato 
possibile 
per 
alcuno 
identificare 
all’atto 
della 
consegna 
delle 
prove 
un 
candidato 
dal 
momento 
che 
non 
è 
agevolmente 
riconoscibile 
il 
codice 
identificativo 
del 
singolo 
elaborato 
attraverso 
la 
lettura 
ad 
occhio 
nudo 
del 
codice 
a 
barre 
e 
del 
codice 
binario 
indicati 
sull’etichetta. 
Il 
Consiglio 
di 
Stato 
nella 
sentenza 
5114/2008 
(34) 
contiene 
un 
affermazione 
che 
va 
nel 
senso 
di 
una 
verifica 
della 
potenziale 
compromissione 
del 
principio 
dell’anonimato 
ad 
opera 
delle 
illegittimità 
riscontrate: 
va, 
peraltro, 
ribadito 
che 
l’eventuale, 
astratta 
riconoscibilità 
dei 
candidati 
non 
può 
costituire 
ex 
se 
causa 
di 
invalidazione 
di 
una 
procedura 
concorsuale, 
allorché, 
come 
nella 
specie, 
non 
risulti 
in 
alcun 
modo 
dimostrato 
che 
tale 
evenienza 
abbia 
dato 
luogo 
ad 
inconvenienti 
di 
sorta, 
incidendo 
negativamente 
sui 
risultati 
della 
selezione 
effettuata. 
e 
pur 
vero 
che 
nel 
contesto 
della 
decisione 
tale 
affermazione 
costituisce 
un 
obiter 
dictum 
dal 
momento 
che 
la 
Corte 
aveva 
escluso 
la 
stessa 
sussistenza 
della 
violazione 
del-
l’anonimato. 
Infatti 
ai 
candidati 
erano 
state 
consegnate 
tre 
distinte 
schede, 
di 
cui 
una 
anagrafica 
e 
le 
altre 
due 
da 
utilizzare 
per 
le 
risposte, 
unitamente 
ad 
altrettante 
etichette 
adesive, 
recanti 
un 
duplice 
codice 
a 
lettura 
ottica 
(codice 
a 
barre 
e 
codice 
binario), 
da 
apporre 
sulle 
schede. 
Il 
medesimo 
codice 
consentiva 
-sciolto 
l’anonimato 
-di 
ricollegare 
gli 
elaborati 
ai 
candidati; 
il 
rispetto 
del 
principio 
dell’anonimato 
è 
stato 
dal 
Consiglio 
ritenuto 
rispettato 
dal 
momento 
che 
il 
materiale 
delle 
schede-risposta 
relative 
a 
ciascuna 
prova 
è 
stato 
inserito 
in 
appositi 
plichi 
sigillati 
dai 
membri 
della 
Commissione, 
mentre 
in 
un 
distinto 
plico 
sigillato 
sono 
stati 
inclusi 
i 
cartoncini 
anagrafici 
dei 
candidati 
presenti. 
Deve, 
perciò, 
ritenersi 
che 
la 
regola 
dell’anonimato 
sia 
stata 
adeguatamente 
salvaguardata, 
in 
quanto 
le 
terne 
di 
etichette 
adesive, 
scelte 
a 
caso 
dai 
singoli 
candidati 
su 
un 
numero 
pari 
a 
dieci 
volte 
quello 
dei 
concorrenti 
ed 
apposte 
sui 
due 
fogli-risposta 
e 
sulla 
scheda 
anagrafica, 
erano 
congegnate 
in 
modo 
tale 
da 
garantire 
la 
segretezza 
degli 
elaborati, 
non 
essendo 
agevolmente 
riconoscibile 
il 
codice 
identificativo 
del 
singolo 
elaborato 
attraverso 
la 
lettura 
ad 
occhio 
nudo 
del 
codice 
a 
barre 
e 
del 
codice 
binario 
indicati 
sull’etichetta. 


una 
ulteriore 
ipotesi 
di 
potenziali 
segni 
di 
identificazioni 
originati 
dalla 
commissione 
ma 
ritenuti 
non vizianti 
è 
trattata 
nel 
già 
citato parere 
867/2017 
nel 
quale 
i 
candidati 
sostenevano 
due 
prove 
comuni 
ed 
una 
differenziata 
in 
base 
al 
settore 
disciplinare 
di 
appartenenza 
e 
le 
buste 
contenti 
gli 
elaborati 
erano 
raccolte 
in 
un’unica 
busta 
per 
candidato. 
La 
contestazione 
era 
fatta 
consistere 
dal 
concorrente 
escluso in una 
argomentazione 
che 
presupponeva una 
condotta 
dolosa 
della 
Commissione 
volta 
a 
conteggiare 
preventivamente 
il 
contenuto 
della 
busta 
per 
identificare 
i 
candidati 
sulla 
base 
della 
-conosciuta 
-scelta 
dei 
settori 
e/o 
sottosettori 
di 
partecipazione. 
Secondo 
il 
ricorrente, 


(34) http://giustizia amministrativa. 

COntRIbutI 
DI 
DOttRInA 


cioè, alcuni 
candidati, in base 
agli 
elenchi 
degli 
ammessi 
alle 
prove 
scritte, 
distinti 
per 
settori 
di 
partecipazione, erano individuabili 
per 
avere 
concorso 
per 
più 
sottosettori, 
con 
la 
conseguenza 
che 
la 
loro 
busta 
conteneva 
un 
numero 
ben 
determinato 
di 
elaborati. 
L’obiezione 
del 
Consiglio 
di 
Stato 
si 
fonda 
sulla 
circostanza 
che 
al 
termine 
delle 
operazioni 
relative 
alle 
prove 
scritte 
risultavano 
essere 
state 
consegnate 
947 
buste. 
L’elevatissimo 
numero 
degli 
elaborati 
presentati 
dai 
partecipanti 
al 
concorso non può non avere 
determinato una 
serie 
del 
tutto variegata e 
casuale 
dei 
raggruppamenti 
delle 
buste 
contenenti 
gli 
stessi, tale 
da non consentire 
l’individuazione 
dei 
concorrenti 
o anche 
di 
taluni 
di 
essi, 
sulla 
base 
dei 
settori 
e 
sottosettori 
di 
partecipazione. 
L’obiezione 
secondo 
la 
quale 
i 
raggruppamenti 
degli 
elaborati 
nelle 
buste 
sarebbe 
avvenuta 
in maniera 
casuale 
e 
disordinata 
senza 
che 
i 
compiti 
del 
medesimo autore 
fossero 
ordinatamente 
raggruppati 
non coglie 
nel 
segno perché 
l’intento era 
proprio 
quello 
di 
collocare 
nella 
stessa 
busta, 
successivamente 
anonimizzata, 
tutti 
gli 
elaborati 
del 
medesimo candidato, per consentirne 
la 
correzione 
unitaria. 
essa 
è 
invece 
fondata 
quando 
menziona 
l’elevato 
numero 
di 
buste 
consegnate 
dai 
candidati, poco meno di 
mille, per affermare 
l’estrema 
difficoltà 
di 
identificare 
un candidato attraverso le 
prove 
consegnate 
e 
raggruppate; 
la 
numerosità 
delle 
buste 
consente 
di 
affermare 
che 
la 
commissione 
avrebbe 
potuto 
riconoscere 
la 
provenienza 
dei 
candidati 
da 
un particolare 
sottogruppo disciplinare 
ma 
non avrebbe 
potuto determinare 
l’identità 
di 
un singolo candidato 
tra 
queste 
(a 
meno 
che 
la 
combinazione 
dei 
settori 
disciplinari 
cui 
il 
candidato 
aveva partecipato lo facesse identificare come unico candidato). 


tale 
evenienza 
-ossia 
un numero talmente 
esiguo di 
candidati 
che 
possa 
consentire 
la 
formulazioni 
di 
prognosi 
ex 
ante 
da 
parte 
dei 
commissari 
sul-
l’identità 
dei 
candidati 
prima 
di 
accedere 
agli 
elaborati 
-è 
stata 
riconosciuta 
legittima 
in 
un 
remoto 
precedente 
del 
Consiglio 
di 
Stato, 
la 
sentenza 
901/1988 


(35) 
in 
cui 
si 
legge 
che 
la 
regola 
dell’anonimato 
nei 
concorsi 
riguarda 
le 
scritture 
documentali 
ed impone 
che 
ogni 
documento utile 
ad identificare 
l’autore 
dell’elaborato 
resti 
sigillato 
sino 
alla 
conclusione 
delle 
operazioni; 
questa 
regola 
pertanto non è 
violata per 
il 
fatto che 
circostanze 
concrete 
ed inevitabili 
(ad esempio il 
numero ristrettissimo di 
candidati 
o il 
fatto che 
a ciascun candidato 
sia 
stata 
assegnata 
una 
prova 
diversa) 
rendano 
possibile 
ai 
commissari 
formulare 
ipotesi 
più 
o 
meno 
fondate 
(ma 
pur 
sempre 
sprovviste 
di 
un 
riscontro 
documentale) circa la paternità degli elaborati. 
La 
vicenda 
trattata 
nella 
recente 
sentenza 
86/2021 (36) del 
Consiglio di 
Stato riguardava 
una 
procedura 
concorsuale 
in cui 
la 
commissione 
esaminatrice 
aveva 
motu proprio 
reso disponibile 
ai 
candidati 
modulistica appositamente 
predisposta 
dalla 
Commissione, 
priva 
di 
vidimazione 
con 
timbro 
e 
firme 


(35) In il foro amministrativo Cds, 
1988, fasc. 11, p. 3207. 
(36) http://giustizia amministrativa. 

RASSeGnA 
AvvOCAtuRA 
DeLLO 
StAtO -n. 3/2022 


così 
contravvenendo 
all’indicazione 
dell’articolo 
13 
comma 
2 
del 
d.P.R. 
487/1994 
a 
mente 
del 
quale: 
gli 
elaborati 
debbono 
essere 
scritti 
esclusivamente, 
a pena di 
nullità, su carta portante 
il 
timbro d’ufficio e 
la firma di 
un 
componente 
della commissione 
esaminatrice. 
La 
circostanza 
che 
l’uso di 
tale 
modulistica 
fosse 
avvenuto per un vasto numero di 
candidati 
e 
che 
la 
diffusione 
di 
essa 
avrebbe 
reso alla 
commissione 
difficile 
riconoscere 
gli 
elaborati 
di 
singoli 
candidati 
è 
stata 
ritenuta 
irrilevante. 
Il 
collegio 
con 
riflessioni 
di 
principio chiarisce 
come 
la 
violazione 
delle 
regole 
sull’anonimato rilevi 
in re 
ipsa concretizzandosi 
in un vizio di 
legittimità 
irrimediabilmente 
sanzionato 
dall’ordinamento in via presuntiva, senza necessità di 
accertare 
l’effettiva lesione 
dell’imparzialità in sede 
di 
correzione, 
senza 
che 
possa 
essere 
presa 
in 
considerazione 
l’eventuale 
buona 
fede 
dei 
commissari; 
se 
fosse 
richiesto un 
tale, concreto accertamento, lo stesso -oltre 
ad essere 
di 
evidente 
disfunzionalità 
onerosa -si 
risolverebbe, con inversione 
dell’onere 
della prova, in una 
sorta di 
probatio diabolica che 
contrasterebbe 
con l’esigenza organizzativa e 
giuridica di 
assicurare 
senz’altro e 
per 
tutti 
il 
rispetto delle 
indicate 
regole, 
di 
rilevanza costituzionale 
sul 
pubblico concorso 
richiamando espressamente 
le 
conclusioni 
dell’Adunanza 
plenaria 
del 
2013 e 
confermando la 
linea 
rigorosamente 
oggettivistica da questa seguita. 


volendosi 
formulare 
delle 
conclusioni 
all’esito 
di 
tale 
excursus 
giurisprudenziale 
può dirsi 
che 
vi 
è 
un comune 
orientamento ad attribuire 
un grande 
rilievo 
alla 
violazione 
delle 
disposizioni 
sull’anonimato 
e 
che 
sono 
assolutamente 
isolate 
le 
tesi 
che 
tendono 
a 
sminuire 
tale 
violazione 
richiedendo 
un’alterazione in concreto della 
par condicio. 


La 
giurisprudenza, 
ove 
faccia 
seguire 
all’affermazione 
di 
principio 
del 
carattere 
viziante 
della 
violazione 
delle 
norme 
sull’anonimato 
una 
analisi 
delle 
modalità 
in cui 
tale 
violazione 
è 
avvenuta, lo fa 
al 
solo scopo di 
verificare 
se 
la 
condotta 
concretamente 
violativa 
dell’anonimato 
-ove 
si 
fosse 
voluto 
porla 
in 
essere 
-sarebbe 
stata 
agevolmente 
praticabile. 
e 
il 
caso 
della 
sentenza 
3714/2013 dove 
la 
semplicità 
dei 
mezzi 
tecnici 
utilizzabili 
per la 
sua 
violazione 
costituisce 
un 
argomento 
a 
fortiori 
per 
dichiarare 
l’illegittimità 
della 
procedura. 
a 
contrario 
ossia 
nel 
senso 
di 
escludere 
la 
compromissione 
del-
l’anonimato, 
invece 
opera 
tale 
accertamento 
nella 
sentenza 
5114/2018 
dal 
momento 
che 
la 
condotta 
violativa 
dell’anonimato avrebbe 
potuto essere 
messa 
in 
pratica 
solo 
attraverso 
una 
strumentazione 
sofisticatissima. 
nel 
parere 
867/2017 si 
esclude 
la 
violazione 
dell’anonimato per la 
difficile 
verificazione 
pratica 
della 
riconoscibilità 
dei 
candidati 
alla 
luce 
del 
numero elevato di 
essi 
e 
delle 
buste 
consegnate. 
La 
violazione 
è 
da 
escludersi 
anche 
alla 
luce 
del 
fatto 
che 
ove 
si 
fosse 
prospettata 
la 
possibilità 
di 
un 
riconoscimento 
ex 
ante 
dei 
candidati, 
malgrado l’osservanza 
di 
tutte 
le 
disposizioni 
a 
tutela 
dell’anonimato 
ciò sarebbe 
stato inevitabile; 
in tale 
ipotesi 
(che 
trova 
il 
suo caso limite 
nella 
presenza 
di 
un solo candidato), la 
tutela 
della 
regolarità 
della 
procedura 
con



COntRIbutI 
DI 
DOttRInA 


corsuale 
è 
rimessa 
ad una 
rigorosa 
valutazione 
delle 
incompatibilità 
dei 
commissari. 


una 
ulteriore 
ipotesi 
di 
inosservanza 
necessitata 
dell’anonimato 
si 
rinviene 
nella 
fattispecie 
oggetto 
della 
sentenza 
del 
Consiglio 
di 
Stato 
4284/2003 


(37) in cui 
una 
candidata 
si 
doleva 
dell’omessa 
osservanza 
dell’anonimato in 
una 
prova 
pratica 
di 
carattere 
grafico nella 
quale 
si 
sarebbe 
valutato il 
manufatto 
realizzato 
dal 
candidato 
nonchè 
sempre 
a 
posteriori 
la 
relazione 
del 
candidato 
relativa 
alle 
modalità 
di 
realizzazione 
dell’opera. 
nella 
valutazione 
dell’elaborato 
non 
in 
itinere 
e 
da 
esprimersi 
con 
un 
voto 
la 
ricorrente 
coglieva 
un’analogia 
con 
la 
prova 
scritta 
e 
consequenzialmente 
la 
necessità 
di 
assicurare 
l’anonimato 
a 
tale 
prova. 
Il 
Consiglio 
disattende 
tale 
censura 
attraverso 
un 
esame 
puntuale 
del 
concreto svolgimento della 
prova 
che 
consisteva 
di 
elaborazioni 
figurative 
realizzabili 
con tecniche 
diverse 
(da scegliersi 
per 
sorteggio), 
che 
comprendevano, 
tra 
l’altro, 
anche 
produzioni 
tridimensionali 
con 
uso 
dell’argilla. 
I 
giudici 
hanno 
osservato 
come 
a 
tali 
eventuali 
produzioni 
non 
sarebbe 
stato 
possibile 
applicare 
la 
procedura 
di 
anonimato, 
essendo 
ben 
difficile, 
anche 
sotto 
l’aspetto 
degli 
adempimenti 
meramente 
materiali, 
garantire 
la 
non 
riconoscibilità 
di 
un 
oggetto 
tridimensionale 
in 
argilla 
rispetto, 
ad esempio, ad altre 
produzioni 
bidimensionale 
e 
come 
la varietà delle 
tecniche 
utilizzabili 
avrebbe 
finito per 
palesare 
l’identità di 
quei 
candidati 
che 
si 
fossero 
rivolti 
a 
materiali 
specifici, 
cosicché 
la 
pretesa 
dell’appellante, 
ove 
recepita, si 
sarebbe 
risolta nella inaccettabile 
coesistenza di 
lavori 
anonimi 
con altri 
contraddistinti 
da inevitabile 
pubblicità, onde 
giustamente 
la Commissione, 
nell’impossibilità di 
conoscere 
a priori 
le 
modalità di 
realizzazione 
che 
sarebbero state 
prescelte 
dai 
singoli 
candidati, ha assoggettato al 
medesimo 
regime di pubblicità tutte le prove pratiche. 
In conclusione 
i 
segni 
di 
riconoscimento apposti 
dalla 
commissione 
rilevano 
nella 
loro oggettività, per l’astratta 
compromissione 
del 
valore 
di 
rilievo 
costituzionale 
dell’anonimato 
senza 
che 
assuma 
rilievo 
l’effettiva 
compromissione 
di 
tale 
valore 
e 
men che 
meno la 
dimostrazione 
di 
una 
intenzione 
fraudolenta; 
a 
far 
propendere 
per 
la 
non 
sussistenza 
di 
un 
vizio 
di 
legittimità 
stanno 
gli 
elementi 
della 
difficoltà 
tecnica 
che 
renderebbe 
difficile 
l’effettiva 
compromissione 
dell’anonimato, 
ovvero 
l’estrema 
difficoltà 
tecnica 
di 
assicurarlo, 
tenuto 
conto 
della 
peculiare 
natura 
delle 
prove 
sino 
all’impossibilità 
oggettiva 
nei concorsi con un solo candidato. 


(37) http://giustizia amministrativa.it. 

(*)

COMUNICATO 
DELL’AVVOCATO 
GENERALE 


Oggi 
lascia 
il 
servizio, 
dopo 
trentaquattro 
anni 
di 
significativa 
presenza, 
l’Avv. 
Massimo 
Lucci, dell’Avvocatura Distrettuale de L’Aquila. 


Al 
Collega 
e 
Amico 
che 
ha 
onorato 
l’Istituto 
con 
la 
Sua 
professionalità, 
la 
Sua 
dedizione 
alla 
cura 
degli 
interessi 
del 
Paese, vanno i 
saluti 
e 
gli 
auguri 
più affettuosi 
miei 
e 
di 
tutti 
gli 
Avvocati e Procuratori dello Stato e del Personale dell’Avvocatura. 


Gabriella Palmieri Sandulli 


(*) E-mail Segreteria Particolare, lunedì 27 marzo 2023. 



Finito di stampare nel mese di maggio 2023 
Stabilimenti 
Tipografici Carlo Colombo S.p.A. 
Vicolo della Guardiola n. 22 - 00186 Roma