ANNO LXXIV - N. 2 
APRILE - GIUGNO 2022 


RASSEGNA 
AV 
V 
O 
C 
AT 
U 
R 
A 
DELLO 
STATO 


PUBBLICAZIONE 
TRIMESTRALE DI SERVIZIO 



COMITATO 
SCIENTIfICO: 
Presidente: 
Michele 
Dipace. 
Componenti: 
Franco 
Coppi 
-Natalino 
Irti 
-Eugenio 
Picozza - Franco Gaetano Scoca. 


DIRETTORE 
RESPONSABILE: 
Giuseppe 
Fiengo 
-CONDIRETTORI: 
Maurizio 
Borgo, 
Danilo 
Del 
Gaizo 
e 
Stefano Varone. 


COMITATO 
DI 
REDAZIONE: 
Giacomo Aiello -Lorenzo 
D’Ascia 
-Gianni 
De 
Bellis 
-Wally 
Ferrante 
-Sergio 
Fiorentino 
-Paolo 
Gentili 
-Maria 
Vittoria 
Lumetti 
-Francesco 
Meloncelli 
-Marina 
Russo. 


CORRISPONDENTI 
DELLE 
AVVOCATURE 
DISTRETTUALI: 
Andrea 
Michele 
Caridi 
-Stefano 
Maria 
Cerillo 
Pierfrancesco 
La 
Spina 
-Marco 
Meloni 
-Maria 
Assunta 
Mercati 
-Alfonso 
Mezzotero 
-Riccardo 
Montagnoli 
-Domenico 
Mutino 
-Nicola 
Parri 
-Adele 
Quattrone 
-Piero 
Vitullo. 


HANNO 
COLLABORATO 
INOLTRE 
AL 
PRESENTE 
fASCICOLO: 
Federico 
Casu, 
Enrico 
De 
Giovanni, 
Michele 
Gerardo, 
Paolo 
Giangrosso, 
Alessandro 
Jacoangeli, 
Emanuele 
Manzo, 
Tommaso 
Marsh, 
Daniela 
Migali, 
Gaetana 
Natale, 
Giustina 
Noviello, 
Gabriella 
Palmieri 
Sandulli, 
Carmela 
Pluchino, 
Fabio 
Ratto 
Trabucco, 
Maria 
Elena 
Scaramucci, 
Francesca 
Subrani. 


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Giuseppe fiengo 
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42Q 
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348 
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causale 
di 
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spedizione, 
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di 
comunicare 
eventuali 
variazioni 
di 
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AVVOCATURA 
GENERALE 
DELLO 
STATO 
RASSEGNA 
-Via dei Portoghesi, 12, 00186 Roma 
E-mail: rassegna@avvocaturastato.it - Sito www.avvocaturastato.it 


Stampato in Italia - Printed in Italy 


Autorizzazione 
Tribunale di Roma - Decreto n. 11089 del 13 luglio 1966 



indice 
-sommario 


In ricordo del Presidente Franco Frattini 
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 

TEMI 
ISTITUZIONALI 


Cerimonia 
di 
commemorazione 
del 
Presidente 
del 
Consiglio 
di 
Stato 
Franco 
Frattini. 
Intervento 
dell’Avvocato 
Generale 
dello 
Stato, 
Gabriella 
Palmieri Sandulli, Consiglio di Stato, Sala di Pompeo, 12 gennaio 2023 


Carmela 
Pluchino, 
Relazione 
annuale 
dell’Avvocatura 
dello 
Stato 
sul 
contenzioso 
antimafia. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 

Enrico 
De 
Giovanni, 
Alessandro 
Jacoangeli, 
Rimborso 
ai 
dipendenti 
delle 
spese 
legali 
di 
difesa 
ai 
sensi 
dell’art. 
18 
D.L. 
n. 
67/1997, 
conv. 
in 
L. 
135/1997. In merito all’estensione ai professori universitari 
. . . . . . . . . 

Soppressione 
di 
Riscossione 
Sicilia 
s.p.a. 
e 
successione 
a 
titolo 
universale 
di 
Agenzia delle 
Entrate-Riscossione 
(ADER) a decorrere 
dal 
1° 
ottobre 
2021. 
Terzo 
Addendum 
al 
Protocollo 
d’intesa 
sottoscritto 
il 
30 
marzo 
2022 
tra 
l’Avvocatura 
dello 
Stato 
e 
ADER, 
Circolare 
A.G. 
del 
27 
dicembre 
2022, prot. 837654, n. 73 
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 

Modifiche 
al 
processo civile 
introdotte 
dal 
D.lgs. 10 ottobre 
2022, n. 149 
efficaci 
dal 
1° 
gennaio 2023. Le 
novità sul 
processo civile 
telematico e 
sul 
giudizio 
di 
cassazione. 
Prime 
indicazioni 
operative, 
Circolare 
A.G. 
del 30 dicembre 2022, prot. 845382, n. 74. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 

Modifiche 
al 
processo penale 
introdotte 
dagli 
artt. 4 e 
ss. del 
D.lgs. 10 
ottobre 
2022, n. 150. Prime 
indicazioni 
operative, Circolare 
A.G. del 
2 
gennaio 2023, prot. 2119, n. 1 
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 

CONTENZIOSO 
COMUNITARIO 
ED 
INTERNAZIONALE 


Wally 
ferrante, 
Condizione 
della 
doppia 
incriminazione 
e 
interpretazione 
della decisione 
quadro 2002/584 in tema di 
mandato di 
arresto europeo 


(C. giust. Ue, Sez. III, sent. 14 luglio 2022, C-168/21) 
. . . . . . . . . . . . . . 
CONTENZIOSO 
NAZIONALE 


federico Casu, Reati 
associativi 
e 
giudice 
naturale: brevi 
considerazioni 
su Cassazione penale, Sez. II, n. 45584 del 1 dicembre 2022 
. . . . . . . . . 

Daniela 
Migali, 
L’ampliamento 
della 
portata 
applicativa 
dell’istituto 
della 
“messa 
alla 
prova” 
in 
armonia 
con 
il 
diritto 
di 
difesa 
(C. 
Cost., 
sent. 14 giugno 2022 n. 146) 
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 

Danilo Del 
Gaizo, Determinazione 
dei 
canoni 
delle 
concessioni 
del 
demanio 
marittimo: questione 
di 
conformità dell’art. 49 cod. nav. al 
diritto 
eurounitario 
(Cons. St., Sez. VII, ord. 15 settembre 2022 n. 8010). . . . . 

Giustina 
Noviello, 
Project 
financing. 
Discrezionalità 
amministrativa 
e 
posizione 
del 
privato (aspirante) promotore 
(Cons. St., Sez. III, sent. 19 
settembre 2022 n. 8072). . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 

pag. 
1 
›› 
3 
›› 
39 
›› 
46 
›› 
47 
›› 
62 
›› 
87 
›› 
109 
›› 
119 
›› 
129 
›› 
135 



I PARERI 
DEL 
COMITATO 
CONSULTIVO 


francesca 
Subrani, 
Situazioni 
debitorie 
relative 
a 
beni 
non 
transitati 
nella 
gestione 
dell’Agenzia nazionale 
per 
l’amministrazione 
e 
la destinazione 
dei 
beni 
sequestrati 
e 
confiscati 
alla criminalità organizzata, succeduta 
ex lege all’Agenzia del demanio 
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 
141 


Maria 
Elena 
Scaramucci, 
Tommaso 
Marsh, 
Persone 
giuridiche 
riconosciute. 
Clausole 
statutarie 
che 
prevedono 
la 
nomina, 
da 
parte 
del 
Prefetto 
pro 
tempore, 
di 
compenenti 
degli 
organi 
di 
fondazioni 
e 
associazioni. 
Compatibilità delle disposizioni con la normativa vigente 
. . . . . . . . . . . ›› 
146 


Emanuele 
Manzo, Sanzioni 
amministrative 
irrogate 
dagli 
Uffici 
territoriali 
dell’Ispettorato nazionale 
del 
lavoro e 
conciliazione 
giudiziale 
prevista 
dagli artt. 185 e 420 c.p.c. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ›› 
153 


LEGISLAZIONE 
ED 
ATTUALITà 


Gaetana 
Natale, 
Transfer 
of 
personal 
data to third countries 
or 
international 
organisations: the solution of italian government 
. . . . . . . . . . . . . ›› 
155 


Wally 
ferrante, 
La 
nuova 
legislazione 
sulla 
sicurezza 
nelle 
discipline 
sportive invernali 
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ›› 
164 

fabio Ratto Trabucco, Il 
Remand questo sconosciuto nella tutela cautelare 
amministrativa: 
pregi 
e 
difetti 
di 
un 
istituto 
potenzialmente 
deflattivo 
del contenzioso 
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 

›› 
169 
Paolo Giangrosso, I reati 
informatici 
o cybercrimes: la Legge 
n. 547 del 
1993 
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ›› 
183 


CONTRIBUTI 
DI 
DOTTRINA 


Michele 
Gerardo, La riforma del 
processo civile 
e 
dei 
meccanismi 
preventivi 
ed alternativi 
del 
giudizio. Analisi 
e 
rilievi 
delle 
principali 
novità 
contenute nel D.L.vo 10 ottobre 2022 n. 149 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 

›› 
195 
Gaetana 
Natale, 
La rinegoziazione 
del 
contratto: principio “estrinseco” 


o “intrinseco” al nostro ordinamento? 
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 
›› 
237 
Gaetana 
Natale, Azione 
collettiva pubblica e 
la sua correlazione 
con gli 
strumenti 
di 
Alternative 
Dispute 
Resolutions: 
verso 
una 
cultura 
della 
conciliazione 
e della giustizia di prossimità 
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ›› 
250 


Comunicato 
dell’Avvocato 
Generale, 
Pensionamento 
Avv. 
Michele 
Damiani 
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 


In ricordo del Presidente Franco Frattini 
(*) 


Con 
immensa 
tristezza 
e 
profonda 
commozione 
comunico 
che, 
a 
seguito 
della 
prematura 
scomparsa 
del 
Presidente 
del 
Consiglio 
di 
Stato 
Franco 
Frattini, 
è 
allestita 
la 
camera 
ardente 
presso 
il 
Consiglio 
di 
Stato 
nella 
Sala 
di 
Pompeo 
che 
sarà 
aperta 
dalle 
ore 


11:00 
alle 
ore 
19:00. 
Il 
Presidente 
Frattini 
ha 
iniziato 
nel 
1981 
la 
Sua 
brillantissima 
e 
prestigiosissima 
carriera 
proprio 
nel 
nostro 
Istituto, 
all’Avvocatura 
Generale, 
dimostrando 
immediatamente 
di 
possedere 
le 
eccezionali 
doti 
di 
preparazione 
giuridica 
e 
l’altissima 
capacità 
professionale 
che 
hanno 
sempre 
accompagnato 
il 
Suo 
così 
rilevante 
percorso 
istituzionale 
nazionale 
e 
internazionale, 
nel 
corso 
del 
quale 
ha 
ricoperto 
importantissimi 
incarichi 
istituzionali 
e 
politici. 


Il 
Suo 
esempio 
concreto, 
declinato 
come 
impegno 
e 
dedizione 
costanti 
coniugati 
con 
saggezza, 
equilibrio 
e 
profondo 
senso 
dello 
Stato, 
è 
stato 
prezioso 
e 
ha 
ispirato 
generazioni 
di 
Avvocati 
e 
Procuratori 
dello 
Stato 
non 
solo 
dei 
concorsi 
prossimi 
al 
Suo. 


Ha 
sempre 
conservato 
la 
stima 
e 
la 
considerazione 
verso 
il 
nostro 
Istituto 
e 
le 
ha 
sempre 
dimostrate 
in 
ogni 
occasione. 


Il 
Presidente 
Frattini 
è 
stato 
un 
eccezionale 
Servitore 
dello 
Stato, 
dotato 
di 
un 
elevatissimo 
senso 
istituzionale 
al 
quale 
si 
sono 
unite 
altrettanto 
eccezionali 
doti 
umane 
e 
intellettuali, 
grande 
cultura 
giuridica 
e 
disponibilità 
ad 
ascoltare, 
doti 
sempre 
unite 
a 
una 
grande 
signorilità 
e 
al 
rispetto 
verso 
gli 
altri. 


La 
poliedricità 
di 
interessi 
che 
l’ha 
costantemente 
caratterizzato 
è 
dimostrata 
dalla 
passione 
che 
ha 
sempre 
nutrito 
per 
lo 
Sport, 
inteso 
nella 
sua 
più 
nobile 
accezione, 
ricoprendo 
l’incarico 
di 
Presidente 
della 
Commissione 
Nazionale 
Scuole 
e 
maestri 
di 
Sci 
presso 
la 
FISI 
e, 
soprattutto, 
quello 
di 
Presidente 
del 
Collegio 
di 
Garanzia 
dello 
Sport 
CONI, 
al 
quale, 
con 
infaticabile 
tenacia 
ed 
entusiastico 
impegno, 
ha 
dato 
lustro 
e 
prestigio 
istituzionale. 
Recentemente 
era 
stato 
insignito 
del 
Collare 
d’oro 
olimpico 
del 
Comitato 
Internazionale 
Olimpico. 


Ha 
sempre 
profuso 
le 
Sue 
energie 
senza 
risparmiarsi, 
da 
ultimo, 
riuscendo 
a 
far 
concludere 
in 
tempi 
rapidi 
e 
con 
risultati 
eccezionali 
il 
lavoro 
di 
revisione 
del 
Codice 
dei 
contratti 
pubblici, 
così 
che 
il 
Consiglio 
dei 
Ministri, 
nella 
seduta 
del 
16 
dicembre 
scorso, 
ha 
approvato, 
in 
esame 
preliminare, 
un 
decreto 
legislativo 
di 
riforma, 
riservandogli 
un 
espresso 
e 
pubblico 
ringraziamento 
“per 
il 
grande 
lavoro 
svolto 
che 
ha 
contribuito 
al 
raggiungimento 
di 
un 
importante 
risultato”. 


Una 
Figura 
indimenticabile 
che 
lascia 
un 
vuoto 
incolmabile 
nelle 
Istituzioni 
e 
nel 
Paese. 
Addio 
Presidente 
Frattini, 
addio 
Franco, 
che 
la 
Luce 
Ti 
illumini 
e 
che 
la 
terra 
Ti 
sia 
lieve. 


Gabriella 
Palmieri 
Sandulli 


(*) 
Da: Palmieri Gabriella <gabriella.palmieri@avvocaturastato.it> 
Inviato: lunedì 26 dicembre 2022 10:06 


A: 
Avvocati_tutti 
<Avvocati_tutti@avvocaturastato.it>; 
Amministrativi_tutti 
<Amministrativi_tutti@avvocaturastato.
it> 

In ricordo del Presidente Franco Frattini 
(*) 


L'Associazione 
Unitaria 
degli 
Avvocati 
e 
Procuratori 
dello 
Stato 
esprime 
profondo 
cordoglio 
per 
la prematura scomparsa del 
Presidente 
del 
Consiglio di 
Stato Franco Frattini, insigne 
giurista, Uomo delle 
Istituzioni 
ed ex 
Collega, che 
ha onorato il 
Paese 
in ogni 
incarico 
ricoperto, sia in Italia che all'estero, con competenza e dedizione straordinarie. 


Ne 
ricorda, in particolare, l'eccezionale 
autorevolezza e 
il 
tratto affabile 
e 
garbato nel-
l'amministrare 
la giustizia, al 
vertice 
della giustizia sportiva prima e 
amministrativa dopo, 
con la massima solerzia e 
sempre 
nel 
perseguimento del 
più equo contemperamento degli 
interessi 
in gioco. 

Wally Ferrante 
Presidente 
A.U.A.P.S . 


(*) 
Da: auaps <auaps@avvocaturastato.it> 
Inviato: lunedì 26 dicembre 2022 11:39 


A: 
Avvocati_tutti 
<Avvocati_tutti@avvocaturastato.it>; 
Amministrativi_tutti 
<Amministrativi_tutti@avvocaturastato.
it> 

temiistituzionali
Cerimonia 
di 
Commemorazione 
del 
Presidente 


del 
Consiglio 
di 
stato 
FranCo 
Frattini 


Intervento dell’Avvocato Generale dello Stato 
Avv. Gabriella Palmieri Sandulli 


Ringrazio 
molto 
il 
Presidente 
Maruotti 
per 
avermi 
consentito 
di 
prendere 
la 
parola 
per 
ricordare 
il 
Presidente 
Franco 
Frattini, 
prematuramente 
scomparso 
il 
24 
dicembre 
dell'anno 
scorso; 
nel 
segno 
di 
quella 
consolidata 
reciproca 
collaborazione 
istituzionale 
con 
l'Avvocatura, 
rinsaldata 
l'anno 
scorso, 
il 
22 
febbraio 2022, quando il 
Presidente 
Frattini, in occasione 
della 
Cerimonia 
del 
Suo 
insediamento, 
aveva 
espressamente 
voluto 
che 
prendessero 
la 
parola 
anche 
l'Avvocato Generale 
dello Stato e 
il 
Presidente 
del 
CNF; 
espressione 
di 
un 
dialogo 
costruttivo 
con 
gli 
Avvocati, 
unitariamente 
intesi, 
Foro 
libero 
e 
Avvocatura 
pubblica, come 
metodo per assicurare 
l'espletamento dell'esercizio 
della giurisdizione in chiave di efficienza ed efficacia. 


Con immensa 
tristezza 
e 
grande 
commozione 
ricordo la 
figura 
del 
Presidente 
Frattini, 
anche 
perché 
ha 
iniziato, 
nel 
febbraio 
del 
1981, 
con 
il 
Presidente 
Maruotti 
e 
con 
il 
Presidente 
Volpe, 
la 
Sua 
brillantissima 
e 
prestigiosissima 
carriera 
proprio 
all'Avvocatura 
Generale, 
mettendo 
immediatamente 
in 
luce 
le 
Sue 
eccezionali 
doti 
di 
preparazione 
giuridica 
e 
l'altissinia 
capacità 
professionale 
che 
hanno accompagnato sempre 
il 
Suo così 
rilevante 
percorso istituzionale 
nazionale e internazionale. 


Il 
Presidente 
Frattini 
è 
stato sempre 
un punto di 
riferimento significativo 
per 
la 
Sua 
grande 
cultura 
giuridica, 
per 
il 
Suo 
impegno 
costante, 
ogni 
incarico 
che 
è 
stato chiamato a 
ricoprire 
l'ha 
sempre 
espletato nel 
modo migliore, per 
la 
Sua 
eccezionale 
dedizione, uniti 
a 
saggezza, equilibrio, costante 
ricerca 
del 
dialogo, disponibilità 
ad ascoltare, grande 
signorilità 
e 
rispetto verso gli 
altri, 
sensibilità 
politica 
nella 
migliore 
accezione 
del 
termine 
e 
profondo senso istituzionale. 
Un eccezionale 
Servitore 
dello Stato che 
coniugava, in una 
felice 
e 



RASSEGNA 
AVVOCATURA 
DELLO 
STATO -N. 2/2022 


rara 
sintesi, altrettanto eccezionali 
doti 
umane 
e 
intellettuali; 
è 
stato, perciò, 
un 
Esempio 
da 
seguire 
e 
ha 
ispirato 
generazioni 
di 
Avvocati 
e 
Procuratori 
dello 
Stato. 


Con il 
nostro Istituto c'è 
stato sempre 
un rapporto biunivoco di 
stima 
e 
di 
considerazione. 


Da 
Ministro degli 
Affari 
Esteri, nel 
2009, con lungimirante 
visione 
sovranazionale 
e 
di 
insieme, 
ha 
individuato 
nella 
figura 
dell'Agente 
del 
Governo 
italiano innanzi 
alla 
Corte 
di 
giustizia 
e 
al 
Tribunale 
dell'Ue 
l'espressione 
di 
una 
difesa 
tecnica 
e 
istituzionale; 
scelta, poi, codificata 
nell'art. 42, comma 
3, 
della 
legge 
n. 
234/2012 
e 
divenuta 
modello 
ispiratore 
della 
difesa 
del 
Governo 
innanzi alla CEDU. 


La 
poliedricità 
di 
interessi, anche 
culturali, che 
l'ha 
costantemente 
caratterizzato 
è 
dimostrata 
dalla 
passione 
che 
ha 
sempre 
nutrito 
per 
lo 
Sport, 
inteso 
nella 
sua 
più nobile 
accezione, ricoprendo, in particolare, l’incarico di 
Presidente 
del 
Collegio di 
Garanzia 
dello Sport 
-CONI, al 
quale, con infaticabile 
tenacia 
ed entusiastico impegno, ha 
conferito prestigio e 
lustro istituzionale. 
Sono davvero onorata 
di 
ricoprire 
la 
carica 
di 
Presidente 
dopo un così 
autorevole 
Predecessore. 
Il 
Suo 
Esempio 
sarà 
sempre 
la 
mia 
guida 
e 
il 
modello 
a 
cui 
ispirarmi. 


Ha 
sempre 
profuso 
le 
Sue 
energie 
senza 
risparmiarsi, 
da 
ultimo, 
riuscendo 
a 
far 
concludere 
in 
tempi 
rapidi 
e 
con 
risultati 
eccezionali 
il 
lavoro 
di 
revisione 
del Codice dei contratti pubblici. 


Una 
Figura 
indimenticabile 
che 
lascia 
un vuoto incolmabile 
nelle 
Istituzioni 
e 
nel 
Paese 
e 
l'Avvocatura 
dello Stato si 
stringe 
commossa 
alla 
famiglia 
e 
alla 
Magistratura 
amministrativa 
nel 
grande 
dolore 
e 
nel 
rimpianto per una 
così grave perdita. 


Consiglio di Stato, 
Sala di Pompeo, 12 gennaio 2023 



TEMI 
ISTITUzIONALI 


avvoCatura 
dello 
stato 


relazione annuale sul contenzioso antimafia - 2021(*) 


SommARio: 1. orientamenti 
giurisprudenziali 
-2. Questioni 
rimesse 
alla Corte 
Costituzionale 
-3. Questioni 
di 
massima e 
modifiche 
normative 
-4. interventi 
e 
contenzioso del 
Comitato 
di 
Coordinamento 
per 
l’Alta 
Sorveglianza 
delle 
infrastrutture 
e 
degli 
insediamenti 
Prioritari 
(CCASiiP) e 
Struttura di 
missione 
Antimafia Sisma 2016 -5. Scioglimenti 
dei 
Comuni 
per 
mafia -6. La vigilanza collaborativa di 
ANAC -7. Dati 
relativi 
ai 
contenziosi 
in 
materia di antimafia 2021. 


1. orientamenti giurisprudenziali. 
Di 
seguito 
si 
segnalano 
alcune 
pronunce 
di 
interesse 
pubblicate 
nel 
2021, 
rese in giudizi riguardanti provvedimenti antimafia. 


L’adunanza Plenaria del 
Consiglio di 
stato, 6 agosto 2021, n. 14, affrontando 
gli 
effetti 
dell’interdittiva 
antimafia, in termini 
di 
incapacità 
giuridica 
dell’impresa, 
e 
l’eccezione 
del 
diritto 
al 
pagamento 
del 
valore 
delle 
prestazioni eseguite, ha affermato i seguenti principi di diritto: 


a) 
negli 
appalti 
pubblici 
di 
servizi 
aggiudicati 
a 
seguito 
di 
una 
procedura 
di 
evidenza pubblica, aventi 
ad oggetto prestazioni 
periodiche 
o continuative 
connotate 
da 
standardizzazione, 
omogeneità 
e 
ripetitività, 
il 
“valore 
delle 
prestazioni 
già eseguite”, da pagarsi 
all’esecutore 
nei 
limiti 
delle 
utilità conseguite 
dalla stazione 
appaltante, in 
caso di 
interdittiva antimafia, ai 
sensi 
e 
per 
gli 
effetti 
degli 
artt. 
92, 
co. 
3 
e 
94, 
co. 
2 
del 
d.lgs. 
n. 
159/2011, 
corrisponde 
al 
prezzo contrattuale 
pattuito dalle 
parti, salva la possibilità di 
prova contraria 
da parte della stazione appaltante che esercita il recesso; 
b) nella determinazione 
del 
valore-prezzo degli 
appalti 
di 
servizi 
da pagarsi 
per 
le 
prestazioni 
già eseguite, ai 
sensi 
e 
per 
gli 
effetti 
degli 
artt. 92, co. 
3 e 
94, co. 2 del 
d.lgs. n. 159/2011, deve 
intendersi 
compresa anche 
la somma 
risultante 
dall’applicazione 
del 
procedimento 
obbligatorio 
di 
revisione 
dei 
prezzi di cui all’art. 115 d.lgs. n. 163/2006”. 
Come 
noto, l’informazione 
interdittiva 
antimafia 
determina 
una 
particolare 
forma 
di 
incapacità 
ex 
lege 
parziale 
(in 
quanto 
limitata 
a 
specifici 
rapporti 
giuridici 
con 
la 
Pubblica 
Amministrazione) 
e 
tendenzialmente 
temporanea, 
con 
la 
conseguenza 
che 
al 
soggetto 
-persona 
fisica 
o 
giuridica 
-è 
precluso 
avere 
con la 
Pubblica 
Amministrazione 
rapporti 
riconducibili 
a 
quanto disposto 
dall'art. 67 co. 1 lett. g) d.lgs. n. 159/2011, nella 
parte 
in cui 
prevede 
il 
di


(*) 
RELAzIONE 
A 
CURA 
DELL’AVV. 
STATO 
CARMELA 
PLUCHINO, 
REFERENTE 
DELL’AVVOCATURA 
DELLO 
STATO 
PER 
LA 
MATERIA 
DELL’ANTIMAFIA. 


Relazione 
annuale 
dell’Avvocatura dello Stato sul 
contenzioso antimafia -2020, pubblicata in Rass., 
2021, Vol. 1, pp. 64 ss. 



RASSEGNA 
AVVOCATURA 
DELLO 
STATO -N. 2/2022 


vieto di 
ottenere 
"contributi, finanziamenti 
e 
mutui 
agevolati 
ed altre 
erogazioni 
dello 
stesso 
tipo, 
comunque 
denominate, 
concessi 
o 
erogati 
da 
parte 
dello 
Stato, di 
altri 
enti 
pubblici 
o delle 
Comunità 
Europee, per lo svolgimento di 
attività imprenditoriali”. 


La 
disposizione 
dell’art. 67, co. 1, lett. g) del 
codice 
antimafia 
va 
interpretata 
nel 
senso 
di 
riferirsi 
a 
qualunque 
tipo 
di 
esborso 
proveniente 
dalla 
P.A., 
quale 
che 
ne 
sia 
la 
fonte 
e 
la 
causa, per il 
tempo di 
durata 
degli 
effetti 
dell’interdittiva 
(Cons. St., sez. III, 4 giugno 2021, n. 4293). 


Eccezione 
al 
detto principio è 
contenuta 
nel 
disposto degli 
artt. 92, co. 3 
e 
94, co. 2 che 
prevedono testualmente 
che 
i 
soggetti 
di 
cui 
all’art. 83 “revocano 
le 
autorizzazioni 
o le 
concessioni 
o recedono dai 
contratti 
fatto salvo il 
pagamento del 
valore 
delle 
opere 
già eseguite 
e 
il 
rimborso delle 
spese 
sostenute 
per l’esecuzione del rimanente, nei limiti delle utilità conseguite”. 


Ai 
soggetti, 
sebbene 
già 
destinatari 
del 
provvedimento 
interdittivo, 
deve 
essere 
comunque 
corrisposto 
il 
“valore 
delle 
opere 
già 
eseguite 
e 
il 
rimborso 
delle 
spese 
sostenute 
per 
l’esecuzione 
del 
rimanente, 
nei 
limiti 
delle 
utilità 
conseguite”. 


Il 
quesito posto dall’ordinanza 
di 
rimessione 
chiede 
di 
verificare 
come 
debba 
essere 
interpretato 
il 
concetto 
di 
“valore 
delle 
opere 
già 
eseguite” 
e, 
con 
particolare 
riferimento 
agli 
appalti 
di 
servizi 
connotati 
da 
prestazioni 
periodiche, 
ripetitive 
e 
standardizzate, 
come 
debba 
essere 
inteso 
il 
“valore 
dei 
servizi 
già 
resi”, 
e 
cioè 
se 
debba 
tenersi 
conto 
solo 
del 
prezzo 
pattuito, 
come 
desumibile 
dal 
contratto 
stipulato 
tra 
le 
parti 
o 
dell’effettivo 
valore 
economico 
delle 
prestazioni, 
che 
deve 
essere 
quantificato 
dovendosi 
anche 
tenere 
conto 
della 
revisione 
dei 
prezzi 
che 
hanno 
interessato 
le 
opere 
già 
realizzate 
ed 
i 
servizi 
già 
erogati. 


Per 
rispondere 
al 
quesito 
pregiudiziale, 
sono 
stati 
anzitutto 
ribaditi 
i 
principi 
affermati 
nella 
sentenza 
dell’Adunanza 
plenaria 
6 aprile 
2018, n. 3, secondo 
cui 
il 
provvedimento 
di 
c.d. 
“interdittiva 
antimafia” 
determina 
una 
particolare 
forma 
di 
incapacità 
giuridica 
in ambito pubblico, e 
dunque 
la 
in-
suscettibilità 
del 
soggetto 
(persona 
fisica 
o 
giuridica) 
che 
di 
esso 
è 
destinatario 
ad essere 
titolare 
di 
quelle 
situazioni 
giuridiche 
soggettive 
(diritti 
soggettivi, 
interessi 
legittimi) che, sul 
loro c.d. “lato esterno”, determinino rapporti 
giuridici 
con la Pubblica 
Amministrazione. 


La 
successiva 
sentenza 
dell’Adunanza 
plenaria 
n. 23 del 
2020 ha 
precisato 
che: 


“a fronte 
dell’estremo rigore 
risultante 
dal 
complessivo sistema normativo 
disciplinante 
l’informazione 
antimafia e 
le 
sue 
conseguenze 
(posto, lo si 
ribadisce, a tutela di 
essenziali 
valori 
costituzionali) -costituiscono norme 
di 
eccezione, 
e 
come 
tali 
di 
stretta 
interpretazione 
(ex 
art. 
14 
disp. 
prel. 
cod. 
civ.: 


v. Cons. Stato, sez. iV, 28 ottobre 
2011 n. 5799), quelle 
che, pur 
in presenza di 
una 
riconosciuta 
situazione 
di 
incapacità, 
consentono 
la 
conservazione 
da 
parte 
di 
un soggetto destinatario di 
informazione 
interdittiva di 
attribuzioni 
patrimoniali 
medio tempore 
eventualmente 
acquisite 
ovvero la possibilità di 

TEMI 
ISTITUzIONALI 


procedere 
alla 
loro 
dazione 
da 
parte 
delle 
pubbliche 
amministrazioni. 
Pertanto, 
l’esame 
ermeneutico 
degli 
articoli 
92, 
co. 
3 
e 
94, 
co. 
2 
del 
d.lgs. 
n. 
159/2011, 
nella 
parte 
in 
cui 
questi 
consentono 
la 
salvezza 
del 
“pagamento 
del 
valore 
delle 
opere 
già eseguite 
e 
il 
rimborso delle 
spese 
sostenute 
per 
l’esecuzione 
del 
rimanente, 
nei 
limiti 
delle 
utilità 
conseguite” 
-da 
accertare 
se 
con riferimento ai 
contratti 
da cui 
si 
recede 
ovvero anche 
ai 
finanziamenti 
o 
simili 
medio tempore 
erogati 
-deve 
rispondere 
alla regola di 
stretta interpretazione 
propria delle norme di eccezione”. 


Ha 
precisato poi 
l’Adunanza 
plenaria 
che 
la 
norma 
ora 
citata 
si 
applica 
anche 
agli 
appalti 
di 
servizi: 
“occorre 
anzi 
precisare 
che, intanto è 
possibile 
l’applicazione 
della norma (co. 2, che 
parla di 
pagamento di 
“opere 
già eseguite”) 
anche 
ai 
contratti 
di 
servizi 
e 
forniture 
in quanto il 
successivo co. 3 
dell’art. 94 -nel 
riferirsi, al 
fine 
di 
escluderli, “alle 
revoche 
o ai 
recessi 
di 
cui 
al 
comma precedente”, accomuna gli 
appalti 
di 
lavori 
(“nel 
caso in cui 
l’opera sia in corso di 
ultimazione”) ai 
contratti 
di 
fornitura di 
beni 
e 
di 
servizi 
(laddove 
la 
loro 
prosecuzione 
sia 
“ritenuta 
essenziale 
per 
il 
perseguimento 
dell’interesse 
pubblico” 
e 
sempre 
che 
“il 
soggetto che 
la fornisce 
non sia sostituibile 
in tempi rapidi”)”. 


Nella 
sentenza 
n. 23 del 
2020 della 
Plenaria 
si 
è 
chiarito altresì 
che 
“la 
norma di 
eccezione 
riguarda la “salvezza” 
del 
pagamento delle 
“opere 
già 
eseguite” 
ovvero del 
“rimborso delle 
spese 
sostenute 
per 
l’esecuzione 
del 
rimanente”, 
mentre 
il 
riferimento “nei 
limiti 
delle 
utilità conseguite” 
riguarda 
il 
“quantum” 
dovuto, 
di 
modo 
che, 
intanto 
potrà 
procedersi 
alla 
verifica 
delle 
“utilità conseguite” 
(dall’amministrazione 
o, più in generale, dall’interesse 
pubblico), in quanto si ritenga ammissibile la predetta salvezza”. 


“Le 
eccezioni 
di 
cui 
agli 
articoli 
92, co. 3 e 
94, co. 2 rappresentano una 
precisa 
scelta 
del 
legislatore, 
che 
si 
giustifica 
in 
ragione 
di 
un 
“bilanciamento” 
delle 
conseguenze 
derivanti 
da una esecuzione 
del 
contratto disposta 
in assenza di informativa antimafia. 


Se 
è 
pur 
vero che 
la stipula del 
contratto e 
la sua esecuzione 
sono avvenute 
“sub 
condicione”, 
è 
altrettanto 
vero 
che 
appare 
confliggente 
con 
evidenti 
ragioni 
di 
equità, 
oltre 
che 
con 
i 
princìpi 
dell’attribuzione 
causale, 
addossare 
tutto il 
peso delle 
conseguenze 
di 
ciò in capo al 
privato contraente, consentendo 
all’amministrazione, 
che 
pure 
ha 
tenuto 
un 
comportamento 
non 
coerente 
con le 
disposizioni 
normative 
(il 
ritardo nell’informativa antimafia) di 
conseguire 
un indebito arricchimento”. 


La 
sentenza 
puntualizza 
che 
“Nel 
più specifico caso di 
cui 
agli 
articoli 
92, co. 3 e 
94, co. 2, la salvezza del 
pagamento del 
valore 
delle 
opere 
già eseguite 
e 
del 
rimborso delle 
spese 
già sostenute 
per 
l’esecuzione 
del 
rimanente, 
deve 
essere 
commisurata ‘all’utilità conseguita’”, 
intendendosi 
per tale 
l’arricchimento 
derivante al patrimonio dell’amministrazione. 


Sulla 
scorta 
della 
sentenza 
dell’Adunanza 
Plenaria 
sopra 
richiamata, con 



RASSEGNA 
AVVOCATURA 
DELLO 
STATO -N. 2/2022 


l’espressione 
“utilità 
conseguite” 
si 
intende 
riconoscere 
“al 
soggetto 
interdetto 
(…) 
il 
diritto 
a 
vedersi 
corrisposto 
un 
compenso 
limitato 
all’utilità 
conseguita 
dall’amministrazione, 
onde 
evitare 
che 
quest’ultima, 
dall’esecuzione 
del-
l’opera, 
possa 
trarre 
un 
ingiustificato 
arricchimento”. 
“Le 
utilità 
conseguite” 
non sono dunque 
necessariamente 
equivalenti 
al 
valore 
e 
nemmeno al 
prezzo 
delle opere e servizi eseguiti. 


Può, 
in 
conclusione, 
affermarsi 
che 
la 
determinazione 
delle 
utilità 
conseguite 
è 
compito 
della 
p.a. 
che 
provvede, 
ricorrendone 
le 
condizioni 
di 
fatto, 
alla 
quantificazione, 
alla 
stregua 
delle 
norme 
di 
legge. 
Con 
la 
quantificazione 
delle 
utilità 
conseguite 
non 
si 
riconoscono 
diritti 
soggettivi 
o 
interessi 
legittimi 
sorti 
in 
capo 
al 
destinatario 
dopo 
l’adozione 
dell’interdittiva 
antimafia 
ma 
si 
intende 
evitare 
che 
la 
pubblica 
amministrazione 
“dall’esecuzione 
dell’opera 
o 
dalla 
prestazione 
di 
servizi, 
possa 
trarre 
un 
ingiustificato 
arricchimento”, 
in 
applicazione 
dei 
principi 
generali 
in 
materia 
del 
nostro 
ordinamento 
(art. 
2041 
cod. 
civ.). 


D’altra 
parte, 
il 
richiamo 
alle 
interpretazioni 
della 
giurisprudenza 
sia 
amministrativa 
che 
civile 
consente 
di 
escludere 
che 
l’istituto della 
revisione 
dei 
prezzi 
abbia 
finalità 
risarcitorie; 
lo stesso viene 
concepito dal 
legislatore 
unicamente 
al 
fine 
di 
garantire 
l’equilibrio 
del 
sinallagma 
contrattuale 
originariamente 
pattuito, 
ed 
evitare 
che 
una 
parte 
possa 
avvantaggiarsi 
sine 
titulo 
(del 
valore) di un servizio da altri sostenuto nei costi. 


In questa 
prospettiva, non può revocarsi 
in dubbio che 
il 
compenso revisionale 
costituisca 
un 
fattore 
integrativo 
del 
corrispettivo 
contrattuale, 
anzi, 
per meglio dire, che 
il 
corrispettivo sia 
costituito dal 
prezzo come 
integrato. 
La 
revisione 
dei 
prezzi 
serve, difatti, precipuamente 
a 
ragguagliare 
con pienezza 
la 
remunerazione 
contrattuale 
dell’appaltatore 
al 
valore 
della 
prestazione 
resa 
dal 
medesimo 
all’amministrazione. 
Sicché, 
una 
volta 
riconosciuto 
dal-
l’amministrazione 
il 
ricorrere 
delle 
condizioni 
della 
revisione 
-che 
nella 
specie 
risulta 
accertato già 
in forza 
di 
giudicato -, le 
somme 
da 
corrispondere 
per i 
servizi 
resi 
non potranno che 
avere 
come 
base 
di 
riferimento il 
prezzo come 
revisionato. 


Proprio in considerazione 
della 
delineata 
ratio 
della 
revisione 
dei 
prezzi, 
è 
conseguenziale 
che 
essa 
svolga 
una 
funzione 
“integrativa” 
del 
prezzo contrattuale, 
nel 
senso 
che 
definisce 
l’esatto 
corrispettivo, 
rideterminando 
il 
prezzo dedotto nel 
contratto in retrospettiva, cioè 
con riferimento allo squilibrio 
che 
nel 
tempo si 
è 
venuto progressivamente 
a 
produrre 
rispetto alla 
prestazione 
oggetto del contratto. 


Ne 
deriva 
che 
la 
somma 
determinata 
a 
seguito della 
revisione 
dei 
prezzi 
altro non è 
che 
una 
parte 
del 
prezzo, e, quale 
parte 
del 
tutto, ne 
ha 
la 
stessa 
natura 
e 
conseguentemente 
deve 
averne 
la 
stessa 
disciplina 
giuridica. 
Pertanto, 
tutte 
le 
norme 
giuridiche 
che 
si 
riferiscono 
al 
“prezzo” 
contrattuale 
dovuto 
devono 
perciò ritenersi 
riferite 
al 
prezzo legalmente 
integrato con la 
somma 
dovuta 
a titolo di revisione. 



TEMI 
ISTITUzIONALI 


Pertanto, se 
si 
ritenesse 
che 
in caso di 
interdittiva 
antimafia 
il 
prezzo da 
pagare 
per le 
prestazioni 
eseguite 
sia 
solo quello originario senza 
la 
integrazione 
derivante 
dalla 
revisione, si 
affermerebbe 
che 
all’esecutore 
vada 
pagato 
un 
prezzo 
inferiore 
alle 
utilità 
conseguite 
dall’amministrazione, 
il 
che 
sarebbe 
contrario alla lettera e alla 
ratio legis. 


La 
soluzione 
negativa, quindi, renderebbe 
concreto quel 
pericolo paventato 
dalla 
sentenza 
n. 
23 
del 
2020 
dell’Adunanza 
e 
cioè 
il 
fatto 
che 
la 
pubblica 
amministrazione ne trarrebbe un “ingiustificato arricchimento”. 


Con 
la 
sentenza 
4 
febbraio 
2021, 
n. 
1049 
il 
Consiglio 
di 
Stato 
ha 
statuito 
in merito al 
rapporto tra interdittiva antimafia e 
giudicato penale, in un 
caso 
in 
cui 
l’impresa 
chiedeva 
alla 
Prefettura 
di 
revocare 
l’interdittiva 
antimafia, 
allegando, quale 
fatto legittimante, il 
provvedimento del 
giudice 
della 
prevenzione 
penale, con cui 
l’impresa 
non era 
stata 
ammessa 
al 
controllo giudiziario 
ex 
art. 
34 
bis 
del 
Codice 
antimafia, 
ritenendo 
non 
sussistenti 
i 
presupposti 
tentativi di infiltrazione mafiosa. 


Il 
Collegio si 
è 
pronunciato nel 
senso dell’autonomia 
delle 
valutazioni 
e 
dei 
giudizi, 
affermando 
quanto 
segue: 
“Nel 
sistema 
delle 
relazioni 
fra 
prevenzione 
amministrativa e 
prevenzione 
penale 
antimafia “vanno esclusi 
in capo 
al 
Tribunale 
di 
prevenzione, poteri 
di 
controllo dei 
presupposti 
della interdittiva 
antimafia, venendo altrimenti 
ad introdursi 
nel 
sistema una duplicazione 
del 
controllo sulla legittimità della misura interdittiva e 
segnatamente 
sulla 
sussistenza 
o 
meno 
dei 
presupposti 
(cfr. 
in 
tal 
senso 
Cass. 
Penale 
sentenza 
Sez. 6, del 9 maggio 2019, n. 26342)”. 


Anche 
questa 
Sezione 
ha 
avuto 
recentemente 
modo 
di 
chiarire, 
nella 
sentenza 
n. 338/2021, che 
la valutazione 
del 
giudice 
della prevenzione 
penale 
si 
fonda 
su 
parametri 
non 
sovrapponibili 
alla 
ricognizione 
probabilistica 
del 
rischio 
di 
infiltrazione, 
che 
costituisce 
invece 
presupposto 
del 
provvedimento 
prefettizio, e 
rispetto ad essa si 
colloca in un momento successivo. Non è 
pertanto 
casuale 
che 
nella sistematica normativa il 
controllo giudiziario (e 
le 
relative 
valutazioni: 
inclusa 
quella 
sull’ammissione) 
presupponga 
l’adozione 
dell’informativa: rispetto alla quale rappresenta un post factum. 


Pretendere 
di 
sindacare 
la legittimità del 
provvedimento prefettizio alla 
luce 
delle 
risultanze 
della 
(successiva) 
delibazione 
di 
ammissibilità 
al 
controllo 
giudiziario, 
finalizzato 
proprio 
ad 
un’amministrazione 
dell’impresa 
immune 
da 
(probabili) 
infiltrazioni 
criminali, 
appare 
dunque 
operazione 
doppiamente 
viziata: perché 
inevitabilmente 
diversi 
sono gli 
elementi 
(anche 
fattuali) considerati 
-anche 
sul 
piano diacronico -nelle 
due 
diverse 
sedi, ma 
soprattutto perché 
diversa è 
la prospettiva d’indagine, id est 
l’individuazione 
dei 
parametri 
di 
accertamento e 
di 
valutazione 
dei 
legami 
con la criminalità 
organizzata. 


Non può pertanto sostenersi, come 
fa l’appellante, che 
la pronuncia del 
giudice 
della 
prevenzione 
penale 
produca 
un 
accertamento 
vincolante, 
con 



RASSEGNA 
AVVOCATURA 
DELLO 
STATO -N. 2/2022 


efficacia di 
giudicato, sul 
rischio di 
infiltrazione 
dell’impresa da parte 
della 
criminalità organizzata. 


Nella 
stessa 
prospettazione 
dell’appellante, 
peraltro, 
si 
deduce 
che 
la 
Prefettura e 
il 
giudice 
della prevenzione 
penale 
avrebbero incentrato le 
relative 
valutazioni 
sulle 
medesime 
circostanze 
di 
fatto, giungendo a conclusioni 
difformi 
circa il 
pericolo di 
infiltrazione: il 
che 
-in disparte 
il 
rilievo che 
il 
giudicato riguarderebbe 
semmai 
i 
fatti 
e 
non le 
valutazioni, e 
fermo restando 
che 
(come 
si 
dirà 
al 
punto 
successivo) 
in 
concreto 
le 
prospettate 
difformità 
non 
sussistono 
-costituirebbe 
comunque 
una 
fisiologica 
conseguenza 
della 
sopra descritta relazione 
fra i 
due 
sistemi 
preventivi, come 
ricostruita dalla 
giurisprudenza richiamata. 


4. Vero è, piuttosto, che 
la Prefettura ha riesaminato la posizione 
della 
società appellante 
alla luce 
della pronuncia del 
giudice 
della prevenzione 
penale, 
confermando le originarie valutazioni… 
ora, in disparte 
il 
rilievo che 
il 
presente 
giudizio verte 
non già sulla legittimità 
dell’originario 
provvedimento 
interdittivo, 
ma 
su 
quello 
-impugnato 
con i 
motivi 
aggiunti 
in primo grado -che 
ha confermato in sede 
di 
riesame 
il 
pericolo di 
infiltrazione 
mafiosa, anche 
in questo caso nessuna contraddizione 
sussiste 
fra gli 
elementi 
segnalati, dal 
momento che 
la Prefettura ha valorizzato 
risultanze 
investigative 
conosciute 
dalle 
forze 
di 
polizia 
ma 
non 
giudicati penali. 


oltre 
al 
segnalato 
vizio 
d’impostazione 
su 
cui 
poggia 
il 
gravame 
(relativo 
all’allegazione 
di 
contrasti 
in realtà inesistenti), sfugge 
infatti 
alla prospettazione 
dell’appellante, in materia di 
rapporti 
fra valutazione 
del 
rischio d’infiltrazione 
e 
accertamento 
della 
responsabilità 
penale, 
che 
“Come 
ha 
chiarito 
la 
sentenza 
n. 
6105/2019, 
“Ciò 
che 
connota 
la 
regola 
probatoria 
del 
"più 
probabile 
che 
non" 
non è 
un diverso procedimento logico, (...), ma la (minore) 
forza dimostrativa dell'inferenza logica”. il 
princìpio è 
stato recentemente 
ribadito 
dalla 
Corte 
costituzionale, 
nella 
sentenza 
n. 
57 
del 
2020: 
“Deriva 
dalla 
natura 
stessa 
dell’informazione 
antimafia 
che 
essa 
risulti 
fondata 
su 
elementi 
fattuali 
più sfumati 
di 
quelli 
che 
si 
pretendono in sede 
giudiziaria, perché 
sintomatici 
e indiziari” (Consiglio di Stato, sez. iii, sentenza n. 338/2021)… 


Per 
quanto riguarda la parte 
della censura che 
fa leva sulle 
sopravvenienze 
rappresentate 
dagli 
esiti 
dei 
giudizi 
penali 
relativi 
a fatti 
considerati 
in 
relazione 
alle 
fasi 
investigative 
-dai 
provvedimenti 
prefettizi 
impugnati, è 
sufficiente 
in 
questa 
sede 
richiamare 
quanto 
già 
in 
precedenza 
osservato 
(anche 
mediante 
rinvio alla sentenza della Corte 
costituzionale 
n. 57/2020, e 
alla sentenza di 
questa Sezione 
n. 338/2021) in relazione 
alla diversità strutturale 
e 
funzionale 
della 
valutazione 
dei 
fatti 
compiuta 
in 
sede 
di 
accertamento 
della penale 
responsabilità dei 
soggetti, rispetto al 
valore 
inferenziale 
attribuito 
ai 
medesimi 
fatti 
nel 
giudizio prognostico concernente 
il 
pericolo d’infiltrazione 
criminosa. 



TEMI 
ISTITUzIONALI 


Per 
quanto 
riguarda, 
poi, 
il 
regime 
di 
tale 
giudizio, 
è 
necessario 
in 
via 
preliminare 
richiamare 
la 
giurisprudenza 
della 
Sezione 
relativa 
ai 
tratti 
del-
l’esercizio 
del 
potere 
de 
quo 
per 
come 
normativamente 
delineati, 
osservando 
in 
particolare 
che 
gli 
elementi 
di 
fatto 
valorizzati 
dal 
provvedimento 
prefettizio 
devono 
essere 
valutati 
non 
atomisticamente, 
ma 
in 
chiave 
unitaria, 
secondo 
il 
canone 
inferenziale 
-che 
è 
alla 
base 
della 
teoria 
della 
prova 
indiziaria 
-quae 
singula 
non 
prosunt, 
collecta 
iuvant, 
al 
fine 
di 
valutare 
l’esistenza 
o 
meno 
di 
un 
pericolo 
di 
una 
permeabilità 
della 
struttura 
imprenditoriale 
a 
possibili 
tentativi 
di 
infiltrazione 
da 
parte 
della 
criminalità 
organizzata, 
“secondo 
la 
valutazione 
di 
tipo 
induttivo 
che 
la 
norma 
attributiva 
rimette 
al 
potere 
cautelare 
dell’amministrazione, 
il 
cui 
esercizio 
va 
scrutinato 
alla 
stregua 
della 
pacifica 
giurisprudenza 
di 
questa 
Sezione 
(ex 
multis, 
Consiglio 
di 
Stato, 
sez. 
iii, 
sentenza 
n. 
759/2019)” 
(così 
da 
ultimo 
le 
sentenze 
n. 
4837/2020 
e 
n. 
4951/2020. 


La 
già 
richiamata 
sentenza 
della 
Corte 
costituzionale 
n. 
57/2020 
ha 
chiarito 
che 
a 
fronte 
della 
denuncia 
di 
un 
deficit 
di 
tassatività 
della 
fattispecie, 
specie 
nel 
caso di 
prognosi 
fondata su elementi 
non tipizzati 
ma “a condotta 
libera”, 
“lasciati 
al 
prudente 
e 
motivato 
apprezzamento 
discrezionale 
del-
l’autorità 
amministrativa”, 
un 
ausilio 
è 
stato 
fornito 
dall’opera 
di 
tipizzazione 
giurisprudenziale 
che, a partire 
dalla sentenza di 
questo Consiglio di 
Stato 3 
maggio 2016, n. 1743, ha individuato un “nucleo consolidato (…) 
di 
situazioni 
indiziarie, 
che 
sviluppano 
e 
completano 
le 
indicazioni 
legislative, 
costruendo 
un sistema di tassatività sostanziale”. 


Fra tali 
situazioni 
la Corte 
costituzionale 
ricorda “i 
contatti 
o i 
rapporti 
di frequentazione, conoscenza, colleganza, amicizia”… 


Si 
contesta poi 
il 
fatto che 
alcuni 
di 
tali 
elementi 
sarebbero risalenti 
nel 
tempo: ma tale 
obiezione 
trascura di 
considerare 
che 
la pluralità, l’univoca 
convergenza e 
la gravità di 
essi 
rendono irrilevante 
la circostanza che 
in alcuni 
casi essi si collocano in un arco temporale non recente. 


Quanto, 
infine, 
al 
fatto 
che 
alcuni 
contatti 
con 
soggetti 
controindicati 
sarebbero 
giustificati 
da causali 
lecite, tale 
argomentazione 
tralascia di 
considerare 
che 
è 
la 
frequentazione 
in 
sé 
(ancorché, 
in 
tesi, 
innescata 
da 
una 
causale 
fornita di 
una giustificazione 
alternativa a quella infiltrativa), specie 
quando -come 
nel 
caso di 
specie 
-tutt’altro che 
isolata, a denotare, unitamente 
agli 
altri 
-numerosi 
-fatti 
gravemente 
indizianti, il 
rischio che 
l’imprenditore 
sia 
collocato 
in 
un 
contesto 
relazionale 
complessivamente 
sintomatico di 
un pericolo di 
infiltrazione 
della criminalità organizzata nel-
l’impresa”. 


Con la 
sentenza 25 ottobre 
2021, n. 7165, il 
Consiglio di 
Stato ha 
respinto 
le 
censure 
concernenti 
una 
pretesa 
irragionevole 
limitazione 
degli 
strumenti 
di 
tutela 
giurisdizionale 
dell’impresa 
sottoposta 
ad 
interdittiva 
antimafia, 
in 
violazione 
delle 
norme 
costituzionali, 
euro 
unitarie 
e 
internazionali 
pattizie, chiarendo quanto segue. 



RASSEGNA 
AVVOCATURA 
DELLO 
STATO -N. 2/2022 


“i 
plurimi 
dubbi 
di 
illegittimità 
sollevati 
con 
riguardo 
ai 
predetti 
profili 
per 
violazione 
delle 
norme 
costituzionali, 
euro 
unitarie 
e 
internazionali 
pattizie 
più 
volte 
richiamate 
sono, 
a 
propria 
volta, 
manifestamente 
infondati, 
in 
quanto 
secondo 
la 
normativa 
nazionale 
di 
riferimento 
le 
predette 
misure 
si 
concretizzano, 
non 
nella 
dedotta 
incisione 
su 
di 
uno 
status 
generale 
di 
capacità 
giuridica 
bensì, 
nella 
previsione 
di 
limiti 
e 
divieti 
temporanei 
e 
specifici, 
di 
contrattazione 
con 
la 
pubblica 
amministrazione 
e 
di 
esercizio 
di 
attività 
economiche 
sottoposte 
a 
vaglio 
autorizzativo 
a 
tutela 
di 
interessi 
pubblici 
generali, 
quali 
la 
tutela 
della 
salute, 
dell’ambiente 
e 
degli 
utenti, 
ma 
anche 
a 
tutela 
della 
stessa 
possibilità 
di 
un 
loro 
libero 
esercizio 
da 
parte 
di 
tutti 
i 
competitori 
economici, 
nel 
rispetto 
dei 
principi 
di 
libertà 
d’iniziativa 
economica 
privata 
e 
di 
concorrenza 
sanciti 
dall’art. 
41 
della 
Costituzione 
e 
dal 
Trattato 
UE. 


L’Adunanza 
Plenaria 
di 
questo 
Consiglio, 
del 
resto, 
ha 
ricondotto 
ad 
una 
incapacità 
di 
agire 
temporanea 
l’effetto 
dell’interdittiva, 
essendovi 
-nello 
stesso 
c.d. 
“codice 
antimafia” 
-adeguate 
misure, 
compiutamente 
disciplinate, 
per 
ricostruire 
le 
condizioni 
di 
affidabile 
partecipazione 
della società al 
mercato, 
nella sua espressione libera e incondizionata da sospette infiltrazioni. 


E) D’altronde 
le 
medesime 
misure, ritenute 
estranee 
per 
comune 
ammissione 
e 
per 
costante 
giurisprudenza 
al 
sistema 
sanzionatorio 
penale 
in 
ragione 
del 
loro 
carattere 
cautelare 
ed 
anticipatorio, 
così 
come 
espressamente 
ammesso 
dalla medesima difesa di 
parte 
appellante 
sono sottoposte 
ai 
principi 
di 
legalità 
e 
del 
giusto 
procedimento 
amministrativo, 
secondo 
criteri 
di 
ragionevolezza, 
adeguatezza e proporzionalità. 
La Corte 
Costituzionale, con decisione 
richiamata dalla stessa difesa di 
parte 
appellante 
(n. -omiSSiS 
-) ha quindi 
respinto i 
dedotti 
dubbi 
di 
incostituzionalità, 
affermando che: “... 
queste 
complesse 
valutazioni 
che 
-come 
si 
è 
rilevato 
-sono, 
sì, 
discrezionali, 
ma 
dalla 
forte 
componente 
tecnica, 
sono 
soggette 
ad un vaglio giurisdizionale 
pieno ed effettivo. Di 
fatto è 
questa la portata 
delle 
numerose 
sentenze 
amministrative 
che 
si 
sono 
occupate 
dell’istituto. 


Esse 
non si 
limitano ad un controllo “estrinseco” 
e, pur 
dando il 
giusto 
rilievo 
alla 
motivazione, 
procedono 
ad 
un 
esame 
sostanziale 
degli 
elementi 
raccolti dal prefetto, verificandone la consistenza e la coerenza”. 


Ancora 
la 
parte 
appellante 
ammette 
che 
anche 
le 
Sezioni 
Unite 
della 
Corte 
di 
Cassazione 
(decisione 
n. 1103 del 
2014) hanno statuito, in ordine 
ai 
limiti 
della sindacabilità degli 
atti 
dell'amministrazione 
che 
contengono una 
componente 
tecnica, che 
non può esistere 
alcun limite 
alla sindacabilità, neanche 
laddove 
le 
questioni 
da valutare 
siano attinenti 
la sfera del 
merito amministrativo. 


Del 
tutto infondati, inoltre, sono i 
richiami 
a violazioni 
sindacate 
o sindacabili 
innanzi 
alla CEDU. in considerazione 
della natura non repressiva 
ma 
preventiva, 
e 
della 
varietà 
di 
comportamenti 
con 
cui 
le 
mafie 
ricercano 



TEMI 
ISTITUzIONALI 


attrattive 
occasioni 
di 
infiltrazione 
in 
società 
e 
relativi 
settori 
economici, 
questo 
Consiglio ha ripetutamente 
-con la conferma della Corte 
Costituzionale 
adita in sede 
incidentale 
-affermato che 
la “tipizzazione 
giurisprudenziale”, 
in 
costante 
evoluzione, 
effettuata 
dal 
Supremo 
organo 
di 
giustizia 
amministrativa 
costituisce 
parametro sufficientemente 
adeguato a evitare 
ogni 
pericolo 
di 
discrezionali 
se 
non arbitrarie 
azioni, nella vaghezza dei 
loro presupposti, 
da 
parte 
della 
autorità 
prefettizia 
nel 
definire 
i 
comportamenti 
sintomatici 
della infiltrazione mafiosa”. 


Nella 
sentenza 4 agosto 2021, n. 5735 
il 
Consiglio di 
Stato si 
è 
pronunciato 
in materia di 
accesso a documenti classificati “riservati”. 


Nel 
caso esaminato l’appellante, in relazione 
ad un procedimento per lo 
scioglimento di 
Consiglio Comunale 
per il 
pericolo di 
infiltrazioni 
della 
criminalità 
organizzata, ai 
sensi 
dell’art. 143 T.U.E.L., aveva 
chiesto l’accesso 
ad 
una 
serie 
di 
documenti, 
poi 
negato 
poichè 
“le 
“relazioni” 
redatte 
dalla 
Prefettura di 
Venezia “in quanto classificate 
Riservato sono sottratte 
all’accesso 
e, pertanto, non ostensibili”; citando, a sostegno, il 
disposto dell’art. 
3, comma 1, lett. m) del 
d.m. 10 maggio 1994, n. 415, il 
quale 
esclude 
dal-
l’accesso gli 
“atti, documenti 
e 
note 
informative 
utilizzate 
per 
l’istruttoria finalizzata 
all’adozione, tra l’altro, dei 
provvedimenti 
di 
cui 
al 
citato art. 143, 
in applicazione della normativa antimafia”. 


Il 
Collegio ha 
rigettato il 
gravame, ritenendo che 
“la sentenza gravata è 
immune 
da censure 
nella parte 
in cui 
ha respinto la richiesta di 
accesso dei 
surrichimati 
atti 
classificati 
come 
“riservati”, 
in 
quanto 
il 
provvedimento 
impugnato, 
in primo grado, pur 
limitando le 
allegate 
prerogative 
dell’odierno 
appellante, non è 
privo di 
motivazione 
attesa la vista classificazione 
di 
cui 
gli 
stessi atti di cui si chiede l’ostensione sono coperti. 


È, 
dunque, 
evidente 
che, 
in 
tale 
quadro, 
rispetto 
al 
quale 
il 
provvedimento 
gravato 
non 
è 
affatto 
restato 
silente, 
non 
incombeva 
certamente 
al 
ministero 
dell’interno 
-come 
diversamente 
adombrato 
dall’appellante 
con 
una 
esegesi 
della 
norma 
che 
condurrebbe, 
in 
realtà, 
a 
conseguenze 
assurde 
e 
contraddittorie 
-doppiare 
l’atto 
di 
classifica 
con 
un 
ulteriore 
provvedimento 
ad 
hoc 
che, 
nello 
specifico, 
avrebbe 
dovuto 
giustificare 
le 
ragioni 
dell’avvenuta 
classifica. 


Distinguere 
l’atto di 
volontà con cui 
si 
impone 
la classifica, con un separato 
atto 
che 
ne 
giustifichi 
le 
specifiche 
ragioni, 
finirebbe 
per 
disvelare 
quelle 
ragioni 
della segretezza poste 
a fondamento delle 
infra indicate 
disposizioni 
normative 
di 
riferimento; e 
questo non appare 
ragionevole 
e 
sicuramente 
contraddittorio dal punto vista logico giuridico. 


Con questo non si 
vuol 
certamente 
contravvenire 
al 
principio di 
trasparenza, 
ma solo rimarcare 
in simili 
casi 
la possibilità degli 
interessati 
di 
utilizzare 
gli 
strumenti 
che 
l’ordinamento 
appresta 
facendo 
richiesta 
al 
giudice 
che 
disponga, come 
sovente 
accade 
nei 
procedimenti 
di 
scioglimento dei 
comuni 
ai 
sensi 
del 
citato 
art. 
143, 
quando 
l’atto 
debba 
essere 
classificato 
ovvero 



RASSEGNA 
AVVOCATURA 
DELLO 
STATO -N. 2/2022 


quando 
sia 
possibile 
acquisirlo 
agli 
atti 
in 
plico 
sigillato, 
con 
divieto 
di 
estrazione 
copie e con le garanzie di preservazione del vincolo di classificazione. 


Spetta in definitiva, come 
condivisibilmente 
chiarito dal 
primo giudice, 
al 
soggetto che 
genera il 
documento la valutazione 
in ordine 
all’apposizione 
della 
classifica 
sulla 
base 
dei 
criteri 
di 
cui 
al 
quadro 
normativo 
di 
riferimento 
(art. 42 co. 2 e 
4 L. n. 124/2007; art. 4, co. 6 e 
8 del 
DPCm 12 giugno 2009, 


n. 7), senza che 
sia necessaria l’adozione 
di 
un provvedimento ad hoc 
che 
ne 
espliciti le motivazioni. 
Sotto 
diverso 
aspetto, 
la 
richiesta 
dell’appellante 
appare 
alquanto 
generica, 
in 
quanto 
l’interessato 
si 
limita 
ad 
affermare 
di 
voler 
esercitare 
il 
diritto 
di 
accesso 
al 
fine 
di 
difendersi 
in 
giudizio, 
senza 
spiegare 
per 
quale 
motivo 
gli 
atti 
oggetto 
della 
domanda 
di 
accesso 
siano 
necessari 
alla 
sua 
difesa, 
con 
la 
conseguenza 
che 
ciò 
finirebbe 
per 
impedire 
di 
cogliere… 
quel 
nesso 
di 
strumentalità 
a 
cui 
la 
giurisprudenza 
sovente 
fa 
richiamato 
(ad. 
plen., 
18 
marzo 
2021, 
n. 
4). 


il 
legislatore 
ha, infatti, ulteriormente 
circoscritto l'oggetto della situazione 
legittimante 
l'accesso 
difensivo 
rispetto 
all'accesso 
"ordinario", 
esigendo 
che 
la 
stessa, 
oltre 
a 
corrispondere 
al 
contenuto 
dell'astratto 
paradigma 
legale, sia anche 
collegata al 
documento al 
quale 
è 
chiesto l'accesso (art. 24, 
comma 7, della l. n. 241 del 
1990), in modo tale 
da evidenziare 
in maniera diretta 
ed inequivoca il 
nesso di 
strumentalità che 
avvince 
la situazione 
soggettiva 
finale 
al 
documento 
di 
cui 
viene 
richiesta 
l'ostensione, 
e 
per 
l'ottenimento 
del 
quale 
l'accesso difensivo, in quanto situazione 
strumentale, fa da tramite. 


La volontà del 
legislatore 
è 
di 
esigere 
che 
le 
finalità dell'accesso siano 
dedotte 
e 
rappresentate 
dalla parte 
in modo puntuale 
e 
specifico nell'istanza 
di 
ostensione, 
e 
suffragate 
con 
idonea 
documentazione, 
così 
da 
permettere 
al-
l'amministrazione 
detentrice 
del 
documento 
il 
vaglio 
del 
nesso 
di 
strumentalità 
necessaria tra la documentazione 
richiesta sub specie 
di 
astratta pertinenza 
con la situazione "finale" controversa”. 


Il 
Consiglio di 
stato (cfr. sentenza 18 novembre 
2021, n. 7712), con 
riferimento 
ad 
un 
caso 
di 
impugnazione 
proposta 
dall’Amministrazione 
avverso 
un 
sentenza 
di 
annullamento 
di 
un 
provvedimento 
interdittivo, 
dopo 
avere 
rilevato 
che 
la 
Prefettura 
aveva 
accolta 
l’istanza 
di 
aggiornamento 
ai 
sensi 
dell'art. 
91 
comma 
5 
del 
d.lgs. 
n. 
159/2011, 
ha 
concluso 
per 
la 
cessazione 
della 
materia 
del 
contendere, motivando nel 
senso che 
segue: 
“in particolare, 
avuto 
riguardo 
al 
chiaro 
valore 
semantico 
delle 
proposizioni 
letterali 
utilizzate 
dall’Autorità prefettizia, nonché 
degli 
elementi 
sopravvenuti 
che 
reggono le 
relative 
determinazioni 
della configurabilità della vista statuizione 
di 
accoglimento 
contenuta 
all’interno 
del 
provvedimento 
di 
liberatoria, 
deve 
ritenersi 
convincente 
la 
prospettazione 
della 
difesa 
erariale 
che 
del 
tutto 
correttamente 
configura come atto di revoca il visto provvedimento. 


Tale 
conclusione 
trova 
ulteriore 
conferma 
nella 
parte 
del 
provvedimento 



TEMI 
ISTITUzIONALI 


in 
cui 
l’Autorità 
prefettizia 
afferma 
che 
“il 
potere 
di 
aggiornamento 
non 
può 
e 
non 
deve 
esplicare 
gli 
effetti 
di 
un 
annullamento 
con 
valore 
retroattivo 
della 
precedente 
informativa, 
dal 
momento 
che 
l'attualità 
degli 
elementi 
individuati 
permane 
fino 
all'intervento 
di 
fatti 
nuovi, 
ulteriori 
rispetto 
ad 
una 
precedente 
valutazione 
che 
evidenziano 
il 
venir 
meno 
delle 
situazioni, 
in 
precedenza 
accertate, 
riconducibili 
a 
tentativi 
di 
infiltrazione 
mafiosa, 
quali, 
nel 
caso 
di 
specie”. 


3.2. 
Da 
quanto 
detto 
deve, 
quindi, 
ritenersi 
senz’altro 
corretta 
la 
qualificazione 
di 
revoca 
del 
provvedimento 
prefettizio 
e 
non 
già 
di 
annullamento 
come, 
invece, 
auspicato 
da 
-omiSSiS 
-, 
non 
potendosi 
disconoscere 
che 
l’interesse 
alla 
decisione 
indubbiamente 
preesisteva, 
ma 
allo 
stato 
è 
da 
ritenersi 
-detto 
interesse 
-superato 
proprio 
per 
la 
sopravvenienza 
di 
nuove 
circostanze 
che 
hanno 
fatto, 
per 
così 
dire 
evaporare, 
quei 
fatti 
controindicati 
riguardanti 
la 
-omiSSiS 
-. 
3.3. 
Ne 
consegue 
che 
sulla 
scorta 
del 
consolidato 
orientamento 
giurisprudenziale 
il 
potere 
di 
aggiornamento … 
non può e 
non deve 
esplicare 
gli 
effetti 
di 
un 
annullamento 
con 
valore 
retroattivo 
della 
precedente 
informativa, 
dal 
momento che 
l'attualità degli 
elementi 
individuati 
permane 
fino all'intervento 
di 
fatti 
nuovi, ulteriori 
rispetto ad una precedente 
valutazione 
…(Cons. 
St. sez. iii, sent. n. 4620/2018). 
3.4. Sul 
piano letterale, ancora, la clausola rebus 
sic 
stantibus 
prevista 
dall’art. 86, comma 2, del 
d.lgs. n. 159 del 
2011 comporta che 
in caso di 
sopravvenienza 
di 
fatti 
favorevoli 
all’imprenditore 
e 
verificati 
positivamente 
dal-
l’amministrazione, 
l’interesse 
alla 
pronuncia 
da 
parte 
della 
società 
in 
precedenza colpita dal 
provvedimento cautelare 
non può ritenersi, in realtà, 
ancora 
esistente. 
L’ulteriore 
diretto 
corollario 
dei 
suindicati 
rilievi 
induce, 
quindi, come 
già anticipato in premessa, a ritenere 
oramai 
venuto meno l’interesse 
ad 
ulteriormente 
coltivare 
il 
ricorso 
originario 
dal 
momento 
che 
l’eventuale 
annullamento dell’originaria interdittiva non recherebbe 
alcuna 
utilità all’appellante. 
4. Di 
qui 
la cessazione 
della materia del 
contendere, alla luce 
delle 
ragioni 
esposte, con compensazione delle spese del doppio grado di giudizio”. 
Il 
tar 
per 
la 
Calabria 
-Catanzaro, 
sentenza 
29 
gennaio 
2021, 
n. 
210, 
con 
riferimento 
agli 
effetti 
del 
controllo 
giudiziario, 
ha 
affermato 
quanto 
segue. 
“occorre 
ricordare 
che 
l’istituto 
del 
controllo 
giudiziario 
è 
stato 
ideato 
allo 
scopo 
di 
consentire 
agli 
operatori 
economici 
oggetto 
di 
occasionale 
infiltrazione 
mafiosa 
di 
continuare, 
in 
regime 
di 
controllo 
straordinario, 
a 
svolgere 
la 
propria 
attività 
imprenditoriale, 
per 
ragioni 
di 
libertà 
di 
iniziativa 
e 
di 
garanzia 
dei 
posti 
di 
lavoro 
(cfr. 
Cons. 
Stato, 
Sez. 
V, 
31 
maggio 
2018, 
n. 
3268). 


il 
fine 
ultimo della misura, però, è 
quello di 
incentivare 
l’interruzione, 
attraverso 
l’adozione 
di 
misure 
di 
self-cleaning, 
di 
ogni 
occasione 
di 
contatto 
con il 
mondo della criminalità organizzata, da cui 
può sorgere 
il 
pericolo di 
infiltrazione 
mafiosa, onde 
consentire 
la riammissione 
dell’operatore 
economico 
nel 
mercato, libero da condizionamenti 
criminali; si 
è 
infatti 
affermato 



RASSEGNA 
AVVOCATURA 
DELLO 
STATO -N. 2/2022 


che 
l’istituto “trova la sua ratio nell'obiettivo di 
promuovere 
il 
recupero delle 
imprese 
infiltrate 
dalle 
organizzazioni 
criminali, 
nell’ottica 
di 
bilanciare 
in 
maniera 
più 
equilibrata 
gli 
interessi 
che 
si 
contrappongono 
in 
questa 
materia” 
(Cass. Pen., Sez. V, 2 luglio 2018, n. 34526). 


Per 
tale 
ragione, 
allorché 
all’esito 
del 
controllo 
giudiziario 
venga 
richiesto 
l’aggiornamento 
della 
documentazione 
antimafia, 
o, 
come 
nel 
caso 
di 
specie, 
si 
faccia questione 
della permanenza dell’operatore 
economico nella c.d. 
white 
list, alla Prefettura è 
demandato il 
delicato compito di 
verificare 
se 
il 
periodo di 
applicazione 
dell’istituto ha portato a recidere 
i 
contatti 
con le 
organizzazioni 
criminali. 


Nel 
caso di 
specie, la Prefettura di 
Vibo Valentia si 
è 
sottratta al 
proprio 
compito, 
derivante 
dall’art. 
91, 
comma 
5 
d.lgs. 
n. 
159 
del 
2011, 
ricavando 
automaticamente 
dalla conclusione 
del 
periodo di 
controllo giudiziario la reviviscenza 
dell’interdizione 
antimafia del 
ricorrente, e 
così 
rischiando di 
vanificare 
l’intento perseguito dal legislatore. 


10.- in questi 
termini 
il 
ricorso n. 708 del 
2020 R.G. risulta fondato: il 
provvedimento 
cancellazione 
dalla 
c.d. 
white 
list 
è 
illegittimo 
perché 
difettoso 
di 
qualunque 
considerazione 
sulla 
persistenza 
del 
pericolo 
di 
infiltrazione 
mafiosa; 
il 
provvedimento 
di 
cancellazione 
dall’Albo 
dei 
Gestori 
Ambientali 
mutua in via derivativa i vizi dell’altro provvedimento. 


11.-L’accoglimento 
del 
ricorso 
comporta, 
evidentemente, 
non 
solo 
un 
effetto 
caducatorio dei 
provvedimenti, oggetto di 
annullamento; ma anche 
un 
effetto 
conformativo, 
per 
cui 
la 
Prefettura 
di 
Vibo 
Valentia 
rieserciterà 
il 
potere 
affidatogli 
dalla 
legge, 
verificando 
se 
all’attualità 
sussistano 
ancora 
quelle 
ragioni che avevano condotto all’adozione del provvedimento interdittivo”. 


Il 
tar 
per 
la Calabria -Catanzaro, con 
la sentenza 19 marzo 2021, 


n. 
607, 
affrontando 
la 
questione 
del 
riesame 
da 
parte 
della 
Prefettura, 
all’esito 
del controllo giudiziario, ha chiarito quanto segue. 
“il 
Tribunale 
deve 
ricordare 
ancora 
una 
volta 
i 
caratteri 
specifici 
del-
l’informazione 
interdittiva 
antimafia, 
per 
come 
delineati 
dalla 
giurisprudenza 
(cfr. per tutte Cons. Stato, Sez. iii, 3 maggio 2016, n. 1743). 


in 
particolare, 
la 
ratio 
dell’istituto 
è 
stata 
individuata 
nella 
salvaguardia 
dell’ordine 
pubblico economico, della libera concorrenza tra le 
imprese 
e 
del 
buon andamento della pubblica amministrazione: l’interdittiva antimafia, invero, 
comporta 
che 
il 
Prefetto 
escluda 
che 
un 
imprenditore 
-pur 
dotato 
di 
adeguati 
mezzi 
economici 
e 
di 
una 
adeguata 
organizzazione 
-meriti 
la 
fiducia 
delle 
istituzioni 
(vale 
a dire 
che 
risulti 
“affidabile”) e 
possa essere 
titolare 
di 
rapporti 
contrattuali 
con le 
pubbliche 
amministrazioni 
o degli 
altri 
titoli 
abilitativi, 
individuati dalla legge. 


Compito dell'autorità prefettizia è 
valutare 
il 
rischio che 
l'attività di 
impresa 
possa essere 
oggetto di 
infiltrazione 
mafiosa, in modo concreto ed attuale, 
sulla base 
dei 
seguenti 
elementi: provvedimenti 
sfavorevoli 
del 
giudice 



TEMI 
ISTITUzIONALI 


penale; 
sentenze 
di 
proscioglimento 
o 
di 
assoluzione; 
proposta 
o 
provvedimento 
di 
applicazione 
di 
taluna 
delle 
misure 
di 
prevenzione 
previste 
dal 
d.lgs. 
6 
settembre 
2011, 
n. 
159; 
rapporti 
di 
parentela; 
contatti 
o 
rapporti 
di 
frequentazione, 
conoscenza, 
colleganza, 
amicizia; 
vicende 
anomale 
nella 
formale 
struttura 
dell'impresa; 
vicende 
anomale 
nella 
concreta 
gestione 
dell'impresa; 
condivisione 
di 
un sistema di 
illegalità, volto ad ottenere 
i 
relativi 
benefici; 
inserimento 
in 
un 
contesto 
di 
illegalità 
o 
di 
abusivismo, 
in 
assenza 
di 
iniziative 
volte al ripristino della legalità. 


10.1.-È 
stato 
poi 
precisato 
(Cons. 
Stato, 
Sez. 
iii, 
30 
gennaio 
2019, 
n. 


758 
) 
che 
il 
pericolo 
dell’infiltrazione 
mafiosa, 
quale 
emerge 
dalla 
legislazione 
antimafia, non può tuttavia sostanziarsi 
in un sospetto della pubblica amministrazione 
o in una vaga intuizione 
del 
giudice, che 
consegnerebbero questo 
istituto, pietra angolare 
del 
sistema normativo antimafia, ad un diritto della 
paura, ma deve 
ancorarsi 
a condotte 
sintomatiche 
e 
fondarsi 
su una serie 
di 
elementi 
fattuali, taluni 
dei 
quali 
tipizzati 
dal 
legislatore 
(art. 84, comma 4, 
del 
d.lgs. 
n. 
159 
del 
2011: 
si 
pensi, 
per 
tutti, 
ai 
cc.dd. 
delitti 
spia), 
mentre 
altri, 
“a condotta libera”, sono lasciati 
al 
prudente 
e 
motivato apprezzamento discrezionale 
dell’autorità amministrativa, che 
«può» -si 
badi: può -desumere 
il 
tentativo di 
infiltrazione 
mafiosa, ai 
sensi 
dell’art. 91, comma 6, del 
d.lgs. 
n. 159 del 
2011, da provvedimenti 
di 
condanna non definitiva per 
reati 
strumentali 
all’attività delle 
organizzazioni 
criminali 
«unitamente 
a concreti 
elementi 
da cui 
risulti 
che 
l’attività di 
impresa possa, anche 
in modo indiretto, 
agevolare le attività criminose o esserne in qualche modo condizionata». 
L’autorità 
amministrativa, 
anzitutto 
in 
ossequio 
dei 
principî 
di 
imparzialità 
e 
buon andamento contemplati 
dall’art. 97 Cost., è 
chiamata, esternando 
compiutamente 
le 
ragioni 
della 
propria 
valutazione 
nel 
provvedimento 
amministrativo, 
a verificare 
che 
gli 
elementi 
fattuali, anche 
quando “tipizzati” 
dal 
legislatore, non vengano assunti 
acriticamente 
a sostegno del 
provvedimento 
interdittivo, 
ma 
siano 
dotati 
di 
individualità, 
concretezza 
ed 
attualità, 
per 
fondare 
la 
prognosi 
di 
permeabilità 
mafiosa, 
secondo 
una 
struttura 
bifasica 
(diagnosi 
dei 
fatti 
rilevanti 
e 
prognosi 
di 
permeabilità criminale) non dissimile, 
in 
fondo, 
da 
quella 
che 
il 
giudice 
penale 
compie 
per 
valutare 
gli 
elementi 
posti 
a 
fondamento 
delle 
misure 
di 
sicurezza 
personali, 
lungi 
da 
qualsiasi 
inammissibile 
automatismo presuntivo, come 
la Suprema Corte 
di 
recente 
ha chiarito 
(v., sul punto, Cass., Sez. Un., 4 gennaio 2018, n. 111). 


10.2.- Va quindi 
ricordato che 
uno degli 
indici 
del 
tentativo di 
infiltrazione 
mafiosa 
nell’attività 
d’impresa 
-di 
per 
sé 
sufficiente 
a 
giustificare 
l’emanazione 
di 
una interdittiva antimafia -è 
identificabile 
nella instaurazione 
di 
rapporti 
commerciali 
o associativi 
tra un’impresa e 
una società già ritenuta 
esposta 
al 
rischio 
di 
influenza 
criminale, 
in 
ragione 
della 
valenza 
sintomatica 
attribuibile 
a cointeressenze 
economiche 
particolarmente 
pregnanti; queste, 
infatti, giustificano il 
convincimento, seppur 
in termini 
prognostici 
e 
proba



RASSEGNA 
AVVOCATURA 
DELLO 
STATO -N. 2/2022 


bilistici, che 
l’impresa controindicata trasmetta alla seconda il 
suo corredo 
di 
controindicazioni 
antimafia, 
potendosi 
presumere 
che 
la 
prima 
scelga 
come 
partner 
un soggetto già colluso o, comunque, permeabile 
agli 
interessi 
criminali 
a cui 
essa resta assoggettata (o che, addirittura, interpreta e 
persegue); 
soltanto là dove 
l’esame 
dei 
contatti 
tra le 
società riveli 
il 
carattere 
del 
tutto 
episodico, 
inconsistente 
o 
remoto 
delle 
relazioni 
d’impresa 
deve 
escludersi 
l’automatico trasferimento delle 
controindicazioni 
antimafia (Cons. St., sez. 
iii, 21 gennaio 2019, n. 520). 


10.3.-in 
questo 
contesto 
normativo, 
il 
giudice 
amministrativo 
è 
chiamato 
a 
valutare 
la 
gravità 
del 
quadro 
indiziario, 
posto 
a 
base 
della 
valutazione 
prefettizia 
in ordine 
al 
pericolo di 
infiltrazione 
mafiosa, e 
il 
suo sindacato sul-
l’esercizio del 
potere 
prefettizio, con un pieno accesso ai 
fatti 
sintomatici 
del 
pericolo, consente 
non solo di 
sindacare 
l’esistenza o meno di 
questi 
fatti, ma 
di 
apprezzare 
la ragionevolezza e 
la proporzionalità della prognosi 
inferenziale 
che 
l’autorità amministrativa trae 
da quei 
fatti 
secondo un criterio che, 
necessariamente, è 
probabilistico per 
la natura preventiva, e 
non sanzionatoria, 
della misura in esame (Cons. Stato, Sez. iii, 30 gennaio 2019, n. 758 ). 


11.- Quanto al 
coordinamento tra gli 
esiti 
del 
controllo giudiziario e 
le 
valutazioni 
demandate 
alla Prefettura sulla persistenza del 
pericolo di 
infiltrazione 
mafiosa, già con ordinanza del 
9 luglio 2020, n. -omiSSiS 
-, questo 
Tribunale 
Amministrativo 
Regionale 
ha 
posto 
in 
evidenza 
che 
l’istituto 
del 
controllo 
giudiziario 
è 
stato 
ideato 
allo 
scopo 
di 
consentire 
agli 
operatori 
economici 
oggetto di 
occasionale 
infiltrazione 
mafiosa di 
continuare, in regime 
di 
controllo straordinario, a svolgere 
la propria attività imprenditoriale, per 
ragioni 
di 
libertà 
di 
iniziativa 
e 
di 
garanzia 
dei 
posti 
di 
lavoro 
(cfr. 
Cons. 
Stato, Sez. V, 31 maggio 2018, n. 3268). 


il 
fine 
ultimo della misura, però, è 
quello di 
incentivare 
l’interruzione, 
attraverso 
l’adozione 
di 
misure 
di 
self-cleaning, 
di 
ogni 
occasione 
di 
contatto 
con il 
mondo della criminalità organizzata, da cui 
può sorgere 
il 
pericolo di 
infiltrazione 
mafiosa, onde 
consentire 
la riammissione 
dell’operatore 
economico 
nel 
mercato, libero da condizionamenti 
criminali; si 
è 
infatti 
affermato 
che 
l’istituto “trova la sua ratio nell'obiettivo di 
promuovere 
il 
recupero delle 
imprese 
infiltrate 
dalle 
organizzazioni 
criminali, 
nell’ottica 
di 
bilanciare 
in 
maniera 
più 
equilibrata 
gli 
interessi 
che 
si 
contrappongono 
in 
questa 
materia” 
(Cass. Pen., Sez. V, 2 luglio 2018, n. 34526). 


Per 
tale 
ragione, 
allorché 
all’esito 
del 
controllo 
giudiziario 
venga 
richiesto 
l’aggiornamento 
della 
documentazione 
antimafia, 
alla 
Prefettura 
è 
demandato 
il 
delicato 
compito 
di 
verificare 
se 
il 
periodo 
di 
applicazione 
dell’istituto 
abbia 
portato 
a 
recidere 
i 
contatti 
con 
le 
organizzazioni 
criminali… 


Assodato che 
a conclusione 
del 
periodo di 
controllo giudiziario tornano 
a 
prodursi 
gli 
effetti 
inibitori 
dell’informazione 
interdittiva 
antimafia, 
è 
del 
tutto fisiologico che 
una società ammessa a tale 
strumento richieda l’aggior



TEMI 
ISTITUzIONALI 


namento dell’informazione 
antimafia prima della conclusione 
del 
periodo di 
controllo e, conseguentemente, prima che 
sia redatta la relazione 
conclusiva. 
Sotto 
altro 
aspetto, 
i 
poteri 
dell’amministratore 
giudiziario 
sono 
stati 
delineati 
dalla legge, sicché 
i 
limiti 
che 
li 
conformano non possono essere 
considerati 
elemento sfavorevole 
nel 
contesto della valutazione 
della sussistenza del 
pericolo 
di condizionamento mafioso. 


Allo stesso modo, non appare 
rilevante 
il 
tempo in cui 
sono stati 
adottati 
i 
modelli 
organizzativi 
di 
cui 
al 
d.lgs. n. 231 del 
2001; ciò che 
conta è 
la loro 
idoneità a prevenire il pericolo… 


…il 
controllo 
giudiziario 
è 
formidabile 
occasione, 
per 
chi 
sia 
destinatario 
di 
informazione 
interdittiva 
antimafia, 
di 
liberarsi 
dal 
pericolo 
di 
infiltrazione 
mafiosa, 
tanto 
che 
la 
rinnovata 
valutazione 
ad 
opera 
della 
Prefettura 
deve 
guardare 
all’attualità 
del 
pericolo, 
e 
non 
può 
limitarsi 
alla 
riproposizione 
delle 
più risalenti 
considerazioni. ma il 
mantenimento del 
focus 
della valutazione 
sull’attualità 
del 
pericolo, 
non 
esclude 
che 
esso 
debba 
essere 
stimato 
tenendo 
sì 
conto 
degli 
elementi 
valutativi 
più 
attuali, 
ma 
leggendoli 
anche 
alla 
luce anche di quanto in precedenza emerso. 


Ebbene, se 
quanto sin qui 
illustrato è 
corretto, allora le 
determinazioni 
da 
ultimo 
assunte 
dalla 
Prefettura 
di 
Catanzaro, 
nell’ampia 
discrezionalità 
che 
li 
caratterizza, 
sfuggono 
alle 
censure 
mosse, 
non 
essendo 
manifestamente 
illogico o irragionevole 
inferire 
il 
pericolo di 
infiltrazione 
mafiosa dagli 
elementi 
fattuali degni di considerazione”. 


Il 
tar 
per 
la Calabria -reggio Calabria 
(cfr. sentenza 6 aprile 
2021, 


n. 
251) 
ha 
respinto 
la 
richiesta 
di 
rinvio 
della 
causa 
basata 
sul 
presupposto 
che 
un eventuale 
accoglimento dell’istanza 
di 
controllo giudiziario presentata 
ex 
art. 
34 
bis 
d.lgs 
n. 
159/2011, 
accertativo 
dell’occasionalità 
dei 
rapporti 
del-
l’impresa 
del 
ricorrente 
con la 
criminalità 
organizzata, sia 
idonea 
a 
neutralizzare 
la 
significatività 
del 
quadro 
indiziario 
su 
cui 
fonda 
l’interdittiva 
impugnata, per le ragioni che di seguito si espongono. 
“i 
rapporti 
tra 
la 
misura 
di 
natura 
preventiva 
e 
cautelare 
dell’informazione 
interdittiva 
e 
quella 
del 
controllo 
giudiziario, 
ispirato 
a 
salvaguardare 
provvisoriamente 
la 
continuità 
aziendale 
e 
produttiva 
dell’impresa 
attraverso 
obblighi 
informativi 
di 
“compliance” 
imposti 
dall’Autorità 
Giudiziaria, 
sono 
stati 
recentemente 
chiariti 
dalla 
sentenza 
del 
Consiglio 
di 
Stato, 
Sezione 
Terza, 
n. 
319 
dell’11 
gennaio 
2021 
che 
-in 
un 
caso 
addirittura 
di 
provvedimenti 
favorevoli 
emanati 
a 
conclusione 
del 
periodo 
di 
controllo 
giudiziario 
-ha 
espresso 
il 
principio 
per 
cui 
“Dal 
provvedimento 
favorevole, 
emanato 
all’esito 
del 
periodo 
di 
controllo 
giudiziario, 
che 
afferma 
l’inesistenza, 
a 
quella 
data, 
di 
elementi 
che 
possano 
far 
desumere 
l’esistenza 
di 
un 
rischio 
infiltrativo 
attuale, 
non 
può 
desumersi 
l’illegittimità 
dell’informativa 
antimafia 
resa 
in 
precedenza”. 


Ha 
precisato 
la 
Sezione 
che 
“la 
valutazione 
del 
giudice 
della 
prevenzione 



RASSEGNA 
AVVOCATURA 
DELLO 
STATO -N. 2/2022 


penale 
circa l’assenza di 
elementi 
che 
lascino supporre 
una disponibilità attuale 
dell’impresa a condizionamenti 
illeciti 
attiene 
ad un profilo diverso ed 
ulteriore 
(l’accertamento della c.d. “messa a disposizione”) rispetto alla ricognizione 
probabilistica 
del 
rischio 
di 
infiltrazione, 
che 
costituisce 
invece 
presupposto 
del 
provvedimento 
prefettizio; 
ma 
soprattutto 
si 
colloca 
in 
un 
momento 
a questo successivo”. 


Poggiando i 
due 
istituti 
su natura e 
finalità diverse 
tra loro, non è 
predicabile 
alcun 
nesso 
di 
pregiudizialità 
del 
controllo 
giudiziario 
rispetto 
al 
provvedimento 
interdittivo che, anzi, ne funge da presupposto. 


Se, come 
continua la sentenza citata, “Non è 
peraltro casuale 
che 
nella 
sistematica normativa il 
controllo giudiziario presuppone 
l’adozione 
dell’informativa 
rispetto alla quale 
rappresenta un post 
factum”, ne 
deriva che, in 
conformità al 
recente 
indirizzo già espresso da questo Tribunale, è 
proprio la 
considerazione 
della 
natura 
“super 
cautelare” 
del 
controllo 
giudiziario, 
volto 
“a 
paralizzare 
interinalmente 
gli 
effetti 
pregiudizievoli 
dell’interdittiva 
medesima 
nel 
tempo 
occorrente 
alla 
definizione 
del 
processo 
amministrativo 
promosso 
per 
contestarne 
la legittimità, a suggerire 
al 
contrario l’esigenza della 
sua regolare 
prosecuzione, onde 
giungerne 
al 
suo epilogo definitivo. Questa 
lettura, 
che 
pur 
presenta 
l’inconveniente 
di 
inficiare 
le 
energie 
profuse 
per 
l’attivazione 
della procedura di 
controllo nell’evenienza di 
una decisione 
reiettiva 
del 
ricorso 
(ovviamente 
definitiva), 
appare 
nondimeno 
l’unica 
coerente 
con la fisionomia, appunto strumentale 
e 
‘servente’, impressa all’istituto del 
controllo giudiziario e 
resa evidente, d’altro canto, nell’evenienza opposta di 
accoglimento dell’impugnativa, dal 
venir 
meno dei 
presupposti 
della misura, 
con sua conseguente automatica cessazione. 


in altri 
termini, siffatta natura strumentale 
e 
‘servente’, riconosciuta sul 
piano sostanziale, deve 
trovare 
chiara corrispondenza sul 
piano processuale, 
con conseguente 
precedenza del 
vaglio di 
legittimità della misura interdittiva 
da parte 
del 
giudice 
amministrativo competente, a prescindere 
dai 
tempi, peraltro 
variabili, di 
durata del 
connesso controllo giudiziario” 
(T.A.R. Reggio 
Calabria, 18 settembre 2020, n. 560). 


Per 
le 
esposte 
ragioni 
l’istanza di 
rinvio della trattazione 
deve 
dunque 
essere 
respinta, 
dovendo 
solo 
soggiungersi 
come 
la 
circostanza 
della 
mancata 
decisione, al 
momento della trattazione 
del 
ricorso, sull’istanza della ricorrente 
ex 
art. 34-bis 
non può che 
condurre 
a fortiori 
ad analoga conclusione”. 


Ciò esclude 
la possibilità che 
una ricostruzione 
atomistica, quale 
quella 
proposta dal 
ricorrente, riesca a ridurre 
o eliminare 
le 
risultanze 
della valutazione 
prefettizia 
caratterizzata 
nel 
caso 
di 
specie 
da 
un’istruttoria 
adeguata 
e da una solida motivazione della decisione finale”. 


La 
Corte 
di 
Cassazione, sentenza 28 gennaio 2021, n. 9122, ha 
delineato 
i 
presupposti 
applicativi 
del 
controllo 
giudiziario 
ed 
i 
poteri 
cognitivi 
del Giudice ordinario, nel senso di seguito indicato. 



TEMI 
ISTITUzIONALI 


“Le 
Sezioni 
unite 
di 
questa Corte 
-stabilendo il 
principio secondo cui 
il 
provvedimento con cui 
il 
tribunale 
competente 
per 
le 
misure 
di 
prevenzione 
neghi 
l’applicazione 
del 
controllo giudiziario richiesto ex 
art. 34-bis, comma 
6, del 
d.lgs. 6 settembre 
2011, n. 159, è 
impugnabile 
con ricorso alla Corte 
d’appello, 
anche 
per 
il 
merito 
-hanno 
avuto 
modo 
di 
precisare 
in 
motivazione 
che 
l’assoggettamento 
dell’attività 
economica 
alle 
condizioni 
di 
intimidazione 
mafiosa 
costituisce 
un 
prerequisito. 
“La 
peculiarità 
dell’accertamento 
del 
giudice, 
sia 
con 
riferimento 
alla 
amministrazione 
giudiziaria 
che 
al 
controllo 
giudiziario, 
ed a maggior 
ragione 
in relazione 
al 
controllo volontario, sta però 
nel 
fatto che 
il 
fuoco della attenzione 
e 
quindi 
del 
risultato di 
analisi 
deve 
essere 
posto non solo su tale 
prerequisito, quanto piuttosto, valorizzando le 
caratteristiche 
strutturali 
del 
presupposto verificato, sulle 
concrete 
possibilità 
che 
la singola realtà aziendale 
ha o meno di 
compiere 
fruttuosamente 
il 
cammino 
verso il 
riallineamento con il 
contesto economico sano, anche 
avvalendosi 
dei 
controlli 
e 
delle 
sollecitazioni 
(nel 
caso 
della 
amministrazione, 
anche 
vere 
intromissioni) 
che 
il 
giudice 
delegato 
può 
rivolgere 
nel 
guidare 
la 
impresa 
infiltrata”; inoltre 
“la ratio di 
ciascuna delle 
descritte 
iniziative 
e 
l’interesse 
sotteso variano non di 
poco a seconda della identità del 
soggetto promovente 
(pubblico 
o 
privato)” 
(in 
termini, 
in 
motivazione 
Cass. 
Sez. 
un. 
Sent. 
N. 
46898 
del 26 settembre 2019 - dep. 19 novembre 2019 - Rv 277156). 


in 
altra 
occasione 
la 
Suprema 
Corte 
ha 
affermato 
testualmente 
che 
quello 
di 
cui 
al 
comma 6 dell’articolo 34-bis 
“si 
pone 
alla confluenza di 
due 
istituti 
diversi 
per 
natura 
e 
caratteri: 
da 
un 
lato 
il 
controllo 
giudiziario 
regolato 
dall’art. 34 bis 
(primo comma) del 
d.lgs. n. 159 del 
2011, dall’altro la informativa 
antimafia interdittiva di 
cui 
all’art. 84 d.lgs. n. 159 del 
2011” 
(Cass. 
Pen., sez. 5, sent. del 
2 luglio 2018 n. 34526, Rv 
273645), lasciando chiaramente 
intendere 
che 
la misura disciplinata dal 
sesto comma non può prescindere 
dal 
provvedimento 
prefettizio 
che 
condiziona 
la 
valutazione 
del 
tribunale, 
in 
ciò 
distinguendosi 
da 
quella 
di 
cui 
al 
primo 
comma 
dell’art. 
34 
bis. 
La 
confluenza 
implica la contaminazione 
dei 
suddetti 
(diversi) istituti 
per 
cui 
la misura 
in 
argomento 
non 
può 
esaurirsi 
nella 
speculare 
riproposizione 
dello 
schema previsto per 
il 
controllo giudiziario su iniziativa pubblica, azionabile 
dai 
tradizionali 
titolari 
del 
potere 
di 
proposta di 
prevenzione 
patrimoniale, ai 
sensi dell’art. 17 del codice antimafia. 


5. 
Tornando 
al 
dato 
normativo, 
il 
primo 
comma 
dell’art. 
34 
bis, 
composto 
da 
un 
unico 
periodo 
che 
forma 
una 
frase 
complessa, 
stabilisce 
che 
quando 
l’agevolazione 
prevista dal 
comma 1 dell’art. 34 risulta occasionale, il 
tribunale 
dispone, 
anche 
d’ufficio, 
il 
controllo 
giudiziario 
delle 
attività 
economiche 
e 
delle 
aziende 
di 
cui 
al 
medesimo comma 1, se 
sussistono circostanze 
di 
fatto 
da cui 
si 
possa desumere 
il 
pericolo concreto di 
infiltrazioni 
mafiose 
idonee 
a 
condizionarne l’attività. 
il 
sesto 
comma 
della 
norma, 
articolato 
in 
più 
periodi, 
ha 
una 
diversa 
pro



RASSEGNA 
AVVOCATURA 
DELLO 
STATO -N. 2/2022 


spettiva, 
incentrandosi 
sulle 
imprese 
destinatarie 
di 
informazione 
interdittiva 
ai 
sensi 
dell’art. 
84, 
comma 
4, 
che 
abbiano 
proposto 
l’impugnazione 
del 
relativo 
provvedimento 
del 
prefetto: 
tali 
enti 
economici 
possono 
richiedere 
al 
tribunale 
competente 
per 
le 
misure 
di 
prevenzione 
l’applicazione 
del 
controllo 
giudiziario. 
il 
tribunale, 
sentiti 
il 
procuratore 
distrettuale 
competente 
e 
gli 
altri 
soggetti 
interessati, 
accoglie 
la 
richiesta, 
ove 
ne 
ricorrano 
i 
presupposti. 


indubbiamente 
la 
misura 
-nel 
duplice 
riferimento 
normativo 
-è 
la 
stessa 
nel 
senso che 
si 
connota di 
una serie 
-modulabile 
a seconda dei 
casi 
-di 
prescrizioni 
e 
obblighi 
da 
imporre 
al 
soggetto 
economico, 
in 
un 
arco 
di 
tempo 
circoscritto, 
allo 
scopo 
di 
realizzare 
l’obiettivo 
di 
prevenzione 
che 
consiste 
nella finalità di 
bonificare 
l’impresa rimuovendo il 
rischio di 
infiltrazione 
o 
contaminazione 
mafiosa; in ogni 
caso -prescindendo da automatismi 
-il 
tribunale 
dovrà valutare 
il 
grado di 
tale 
pericolo, concedendo la misura solo se 
l’agevolazione 
prevista 
dal 
comma 
1 
dell’art. 
34 
sia 
ritenuta 
occasionale 
e 
negandola se 
tale 
requisito non sussista per 
essere 
l’impresa compromessa in 
maniera 
più 
incisiva 
dalla 
contaminazione 
mafiosa 
sì 
da 
non 
lasciar 
presagire 
possibilità di 
recupero. L’occasionalità è 
parametro che 
orienta la discrezionalità 
giudiziaria, in quanto indica il 
livello del 
rischio così 
come 
accertato 
all’attualità e 
consente 
al 
contempo una valutazione 
prognostica sulla base 
degli elementi che in concreto caratterizzano la fattispecie. 


6. L’ambito dell’indagine 
giudiziaria è 
tuttavia più circoscritto nel 
caso 
del 
sesto 
comma 
dell’art. 
34 
bis, 
proprio 
per 
la 
“confluenza” 
dell’istituto 
dell’interdittiva, 
essendo 
finalizzato 
a 
verificare 
se 
la 
misura 
del 
controllo 
giudiziario 
è in grado di perseguire l’obiettivo di “bonificare” l’impresa. 
Come 
autorevole 
dottrina 
ha 
affermato, 
il 
tribunale 
dovrà 
servirsi 
del 
materiale 
probatorio disponibile 
per 
decidere 
se 
l’azienda istante, grazie 
al-
l’applicazione 
della 
misura, 
possa 
attrezzarsi 
in 
modo 
adeguato 
al 
fine 
di 
scongiurare 
in 
futuro 
quegli 
“eventuali 
tentativi 
di 
infiltrazione 
mafiosa 
diretti 
a condizionare 
l’impresa” 
che 
-subiti 
in passato secondo le 
indagini 
prefettizie 
- hanno fatto scattare l’interdizione amministrativa. 


mentre 
nel 
caso del 
primo comma dell’art. 34 bis 
la valutazione 
del 
prerequisito 
del 
pericolo concreto di 
infiltrazioni 
mafiose, idonee 
a condizionare 
le 
attività 
economiche 
e 
le 
aziende, 
è 
riservata 
in 
via 
esclusiva 
al 
giudice 
della 
prevenzione 
-trattandosi 
di 
misura 
richiesta 
ad 
iniziativa 
pubblica 
in 
funzione 
di 
un controllo cd. prescrittivo -nel 
caso del 
sesto comma la valutazione 
deve 
tener 
conto del 
provvedimento preventivo di 
natura amministrativa, non può 
prescindere 
cioè 
dall’accertamento 
di 
quello 
stesso 
prerequisito 
effettuato 
dal-
l’organo amministrativo, substrato della decisione 
riservata alla cognizione 
del 
giudice 
ordinario, a garanzia del 
contemperamento fra diritti 
costituzionalmente 
garantiti 
(la 
tutela 
dell’ordine 
pubblico 
e 
la 
libertà 
d’iniziativa 
economica 
attraverso l’esercizio d’impresa). 


7. 
Fra 
i 
“presupposti” 
di 
cui 
alla 
seconda 
parte 
del 
sesto 
comma 
non 

TEMI 
ISTITUzIONALI 


può 
comprendersi 
dunque 
il 
prerequisito 
del 
pericolo 
di 
infiltrazione, 
nei 
termini 
più 
volte 
indicati, 
sì 
da 
negare 
addirittura 
la 
misura 
-come 
nel 
caso 
del 
provvedimento 
impugnato 
-qualora 
il 
tribunale 
ritenga 
inesistente, 
con 
gli 
standard 
probatori 
propri 
del 
giudizio 
penale 
di 
prevenzione, 
quello 
stesso 
pericolo 
che, 
invece, 
l’organo 
amministrativo 
ha 
affermato, 
sia 
pure 
con 
la 
regola 
del 
“più 
probabile 
che 
non”. 
E 
se 
il 
Consiglio 
di 
Stato 
ha 
affermato 
in 
più 
occasioni 
(di 
recente 
sent. 
n. 
758/2019) 
l’indifferenza 
del 
giudice 
amministrativo 
rispetto 
alle 
valutazioni 
più 
favorevoli 
del 
tribunale 
di 
prevenzione 
-proprio 
per 
la 
diversa 
rilevanza 
nei 
rispettivi 
giudizi 
del 
medesimo 
quadro 
probatorio 
-non 
può 
pervenirsi 
alla 
stessa 
conclusione 
per 
il 
tribunale, 
in 
presenza 
di 
un 
dato 
normativo 
che 
legittima 
le 
imprese 
destinatarie 
di 
informazione 
antimafia 
(per 
le 
quali 
il 
pericolo 
di 
infiltrazione 
è 
stato 
già 
affermato, 
con 
effetti 
immediati 
nell’ordinamento) 
a 
rivolgersi 
al 
giudice 
ordinario 
per 
un 
esame 
delle 
“esigenze 
prevenzionali” 
in 
dimensione 
prospettica, 
attraverso 
una 
lettura 
prognostica 
delle 
informazioni 
acquisite. 


8. 
La 
Corte 
di 
appello 
torinese 
pertanto 
non 
potrà 
limitarsi 
a 
prendere 
atto 
degli 
esiti 
del 
precedente 
giudizio 
di 
prevenzione 
(instaurato 
su 
istanza 
pubblica) 
per 
escludere 
il 
prerequisito 
della 
pericolosità 
e, 
di 
conseguenza, 
la 
sussistenza 
della 
ratio 
stessa 
della 
misura; 
dovrà, 
al 
contrario, 
valutare 
quegli 
stessi 
elementi 
probatori 
in 
chiave 
dinamica, 
proiettando 
nell’immediato 
futuro 
la 
realtà 
aziendale 
ritenuta 
(in 
altra 
sede) 
inquinata, 
ammettendo 
le 
imprese 
ricorrenti 
alla 
misura 
richiesta 
se 
l’intervento 
giudiziale 
di 
“bonifica” 
risulti 
possibile 
ed 
escludendo 
tale 
evenienza 
nel 
caso 
in 
cui 
il 
grado 
di 
compromissione 
sia 
talmente 
elevato 
da 
non 
interferire 
sugli 
effetti 
del-
l’interdittiva. 
i 
presupposti 
in 
tal 
caso 
saranno 
cioè: 
l’adozione 
di 
una 
interdittiva 
antimafia 
ex 
art. 
84 
comma 
4 
cod. 
antimafia; 
la 
pendenza 
di 
una 
impugnativa 
davanti 
al 
Giudice 
amministrativo; 
sul 
piano 
sostanziale, 
la 
“bonificabilità” 
dell’impresa, 
rispetto 
ad 
un 
dato 
patologico 
già 
acquisito, 
da 
analizzare 
-è 
opportuno 
ribadirlo 
-in 
termini 
prognostici, 
sbarrando 
l’accesso 
alla 
misura 
in 
caso 
di 
cronicità 
dell’infiltrazione 
e 
consentendolo, 
con 
strumenti 
duttili 
da 
adeguare 
alla 
realtà 
contingente, 
nella 
diversa 
ipotesi 
di 
effetti 
reversibili 
(ed 
in 
tal 
senso 
occasionali) 
dell’inquinamento 
mafioso, 
in 
base 
alla 
tipologia 
di 
commistione 
criminale 
rilevata 
e 
in 
forza 
del 
sostegno 
“controllante” 
e 
“prescrittivo” 
dell’autorità 
giudiziaria”. 


2. Questioni rimesse alla Corte Costituzionale. 
Con ordinanza dell’11 dicembre 
2020, n. 732 (in 
g.u. 3 giugno 2021, 


n. 22) il 
tar 
Calabria -reggio Calabria 
ha 
sollevato la 
questione 
di 
legittimità 
costituzionale 
dell’art. 92 del 
decreto legislativo 6 settembre 
2011, n. 
159 (di 
seguito Codice 
Antimafia) 12, comma 
6 della 
legge 
n. 40 del 
2004, 
degli 
artt. 
18 
del 
d.p.r. 
n. 
396/2000 
e 
64, 
comma 
1, 
lett. 
g) 
l. 
218/95, 
nella 
parte 

RASSEGNA 
AVVOCATURA 
DELLO 
STATO -N. 2/2022 


in cui 
non consente 
al 
Prefetto, deputato ad emanare 
il 
provvedimento interdittivo, 
di 
esercitare 
i 
poteri 
previsti 
nel 
caso di 
adozione 
delle 
misure 
di 
prevenzione 
dall’art. 
67, 
comma 
5, 
del 
Codice 
Antimafia, 
per 
contrasto 
con 
i 
principi 
di 
eguaglianza, 
proporzionalità 
e 
ragionevolezza 
di 
cui 
all’art. 
3, 
comma 
2 della 
Costituzione, con il 
diritto al 
lavoro di 
cui 
all’art. 4 della 
Costituzione 
e 
con il 
diritto di 
difesa 
di 
cui 
all’art. 24 della 
Costituzione. Ad opinione 
del 
Giudice 
remittente, 
non 
essendo 
la 
misura 
indicata 
prevista 
in 
materia 
di 
informazione 
antimafia, 
sarebbe 
preclusa 
al 
Prefetto, 
quale 
autorità 
che 
adotta 
l'atto, la 
possibilità 
di 
escludere 
le 
decadenze 
ed i 
divieti 
previsti, 
nel 
caso in cui 
per effetto degli 
stessi 
verrebbero a 
mancare 
i 
mezzi 
di 
sostentamento 
all'interessato ed alla 
sua 
famiglia, ciò in contrasto con gli 
articoli 
3, 
secondo comma, 4 e 24 della Costituzione. 


Con 
ordinanza 
29 
aprile 
2021, 
n. 
448 
il 
tar 
Piemonte 
ha 
sollevato 
questione 
di 
legittimità 
costituzionale 
dell’art. 67, comma 
8, d.lgs. n. 159 del 
2011, come 
richiamato dal 
comma 
2 dell’art. 84, nella 
parte 
in cui, rinviando 
all’art. 51, comma 
3 bis, c.p., prevede 
l’automatismo interdittivo della 
comunicazione 
antimafia 
anche 
per 
il 
reato 
di 
traffico 
illecito 
di 
rifiuti 
(art. 
452quaterdecies 
c.p.), 
anche 
in 
forma 
non 
associativa, 
in 
relazione 
agli 
artt. 
3, 
25, 
27, 38 e 41 Costituzione. 


La 
Corte 
Costituzionale, con 
la sentenza 30 luglio 2021, n. 178, si 
è 
pronunciata 
sulla 
questione 
di 
legittimità 
costituzionale 
promossa 
con ordinanza 
pubblicata 
il 
26 
maggio 
2020 
dal 
tar 
Friuli 
venezia 
giulia, 
Sezione 
1^, pubblicata 
sulla 
Gazzetta 
Ufficiale, Serie 
speciale 
-Corte 
costituzionale, 


n. 38 del 
16 settembre 
2020, dell’art. 67, comma 
8, del 
decreto legislativo 6 
settembre 
2011, 
n. 
159, 
introdotto 
dall’art. 
24, 
comma 
1, 
lettera 
d) 
del 
decreto-
legge 
4 ottobre 
2018, n. 113, convertito con modificazioni 
dalla 
legge 
1° 
dicembre 
2018 
n. 
132, 
in 
relazione 
agli 
artt. 
3, 
25, 
27, 
38 
e 
41 
della 
Costituzione, 
anche in relazione agli artt. 6 e 7 CEDU. 
La 
Consulta 
ha 
dichiarato 
l’illegittimità 
costituzionale 
dell’art. 
24, 
comma 
1, lett. d) del 
decreto-legge 
4 ottobre 
2018, n. 113, conv., con modificazioni, 
in legge 
1° 
dicembre 
2018, n. 132 che 
modifica 
l’art. 67, comma 
8, del 
d.lgs. 


n. 
159/2011, 
limitatamente 
alle 
parole 
“e 
all’articolo 
640 
bis 
del 
codice 
penale”, 
“nonché 
per i 
reati 
di 
cui 
all’articolo 640, secondo comma, n. 1, del 
codice 
penale, 
commesso 
a 
danno 
dello 
Stato 
o 
di 
altro 
ente 
pubblico”, 
dichiarando 
la 
manifesta 
inammissibilità 
della 
questione 
sollevata 
in 
riferimento 
all’art. 38 della Costituzione. 
La 
Corte 
ha 
ritenuto fondate 
le 
questioni 
di 
legittimità 
costituzionale 
sollevate 
in riferimento agli 
artt. 3 e 
41 Cost., motivando nel 
senso che 
segue: 
“4.1.-La 
disposizione 
oggetto 
d’esame 
interviene 
sulla 
disciplina 
della 
comunicazione 
antimafia interdittiva, provvedimento di 
natura cautelare 
e 
preventiva 
che, 
come 
sottolineato 
dalla 
giurisprudenza 
amministrativa, 
determina 
una 
particolare 
forma 
d’incapacità 
del 
destinatario, 
in 
riferimento 
ai 
rapporti 



TEMI 
ISTITUzIONALI 


giuridici 
con la pubblica amministrazione 
(tra tutte, si 
richiama Consiglio di 
Stato, adunanza plenaria, sentenza 6 aprile 2018, n. 3). 


4.1.1.-Va 
qui 
ricordato 
che, 
secondo 
la 
vigente 
legislazione, 
esistono 
due 
diversi 
documenti, 
la 
comunicazione 
antimafia 
e 
l’informazione 
antimafia. 
La 
comunicazione 
antimafia, ai 
sensi 
dell’art. 84, comma 2, cod. antimafia, consiste 
in una attestazione 
circa la sussistenza di 
una delle 
cause 
di 
decadenza, 
di 
sospensione 
o 
di 
divieto 
di 
cui 
al 
precedente 
art. 
67. 
Tale 
articolo 
stabilisce 
che 
le 
persone 
alle 
quali 
sia stata applicata in via definitiva una delle 
misure 
di 
prevenzione 
previste 
dal 
codice 
antimafia non possono essere 
destinatarie 
di 
un’ampia gamma di 
provvedimenti 
di 
natura autorizzatoria, concessoria o 
abilitativa (comma 1). Così, l’applicazione 
di 
una misura di 
prevenzione 
determina 
la 
decadenza 
di 
diritto 
dalle 
licenze, 
autorizzazioni, 
concessioni, 
iscrizioni, 
attestazioni, abilitazioni 
ed erogazioni, nonché 
il 
divieto di 
concludere 
contratti 
pubblici 
di 
lavori, servizi 
e 
forniture, di 
cottimo fiduciario e 
relativi 
subappalti 
e 
subcontratti 
(comma 
2). 
i 
divieti 
e 
le 
decadenze, 
inoltre, 
operano 
(per 
un periodo di 
cinque 
anni) anche 
nei 
confronti 
di 
chiunque 
conviva con 
la persona sottoposta alla misura di 
prevenzione, nonché 
nei 
confronti 
di 
imprese, 
associazioni, 
società 
e 
consorzi 
di 
cui 
la 
stessa 
persona 
sia 
amministratore 
o determini 
in qualsiasi 
modo scelte 
e 
indirizzi 
(comma 4). il 
rilascio 
della comunicazione 
antimafia liberatoria, invece, è 
immediatamente 
conseguente 
alla 
consultazione 
della 
banca 
dati 
nazionale 
unica, 
quando 
non 
emerge, 
a 
carico 
dei 
soggetti 
ivi 
censiti, 
la 
sussistenza 
delle 
citate 
cause 
di 
decadenza, sospensione 
o divieto (art. 88, comma 1, cod. antimafia). La comunicazione 
antimafia, 
in 
conclusione, 
è 
il 
frutto 
di 
un’attività 
amministrativa 
vincolata, volta al 
mero accertamento delle 
cause 
di 
decadenza o divieto di 
cui all’art. 67 cod. antimafia. 


4.1.2.- Diverso è 
l’altro documento antimafia, ossia l’informazione 
antimafia 
prevista dall’art. 84, comma 3, cod. antimafia, necessaria per 
le 
pubbliche 
amministrazioni 
prima di 
stipulare, approvare 
o autorizzare 
i 
contratti 
e 
subcontratti, 
ovvero 
prima 
di 
rilasciare 
o 
consentire 
i 
provvedimenti 
indicati 
nel 
citato art. 67, il 
cui 
valore 
superi 
talune 
soglie, individuate 
dal 
successivo 
art. 91, comma 1. Tale 
provvedimento, oltre 
a quanto già previsto dalla comunicazione 
antimafia, attesta la sussistenza di 
eventuali 
tentativi 
di 
infiltrazione 
mafiosa tendenti 
a condizionare 
le 
scelte 
e 
gli 
indirizzi 
delle 
società o 
delle 
imprese, 
desumibili 
da 
una 
serie 
di 
elementi 
indicati 
dall’art. 
84, 
comma 
4, 
cod. 
antimafia, 
i 
quali 
sono 
oggetto 
di 
verifica 
da 
parte 
del 
prefetto. 
Tra 
questi 
elementi 
vi 
sono 
anche 
taluni 
provvedimenti 
penali 
per 
determinati 
reati 
ritenuti 
strumentali 
all’attività delle 
organizzazioni 
criminali, comunemente 
denominati 
“reati 
spia”, come, tra l’altro, le 
misure 
cautelari, il 
rinvio a giudizio 
o le 
condanne, anche 
non definitive, proprio per 
il 
reato di 
cui 
all’art. 
640-bis cod. pen. 


4.2.- Ai 
sensi 
dell’art. 67, comma 8, cod. antimafia gli 
effetti 
interdittivi 



RASSEGNA 
AVVOCATURA 
DELLO 
STATO -N. 2/2022 


della comunicazione 
antimafia non conseguono solo all’applicazione 
di 
una 
misura 
di 
prevenzione, 
ma 
anche 
alle 
condanne 
definitive 
o 
non 
definitive, 
purché 
confermate 
in grado di 
appello, per 
i 
delitti 
di 
cui 
all’art. 51, comma 
3-bis, 
cod. 
proc. 
pen., 
nonché 
-in 
virtù 
della 
novella 
operata 
dall’art. 
24, 
comma 1, lettera d), del 
d.l. n. 113 del 
2018, come 
convertito -per 
quelli 
previsti 
dall’art. 
640, 
secondo 
comma, 
numero 
1), 
cod. 
pen. 
(truffa 
ai 
danni 
dello 
Stato 
o 
di 
un 
altro 
ente 
pubblico) 
e 
dall’art. 
640-bis 
cod. 
pen. 
(truffa 
aggravata 
per 
il 
conseguimento 
di 
erogazioni 
pubbliche), 
quest’ultima 
previsione 
oggetto 
di 
censura. Qui, dunque, l’interdittiva antimafia, sebbene 
derivi 
da una condanna, 
non necessariamente 
definitiva, prescinde 
da una valutazione 
di 
specifica 
pericolosità 
del 
soggetto 
(che 
è 
invece 
alla 
base 
dell’applicazione 
di 
una 
misura 
di 
prevenzione), 
ma, 
allo 
scopo 
di 
prevenire 
l’infiltrazione 
mafiosa, 
genera l’incapacità giuridica sopra ricordata. 

4.2.1.- Va rilevato che 
gli 
altri 
casi 
previsti 
dalla disposizione 
censurata, 
cioè 
quelli 
di 
cui 
all’art. 
51, 
comma 
3-bis, 
cod. 
proc. 
pen., 
hanno 
una 
specifica 
valenza 
nel 
contrasto 
alla 
mafia, 
tant’è 
che 
essi 
vengono 
qui 
elencati 
allo 
scopo di 
attribuire 
le 
funzioni 
di 
pubblico ministero ai 
magistrati 
addetti 
alla 
direzione 
distrettuale 
antimafia, su designazione 
del 
procuratore 
distrettuale 
(art. 
102 
cod. 
proc. 
pen.). 
Si 
tratta, 
nella 
specie: 
dei 
delitti 
di 
cui 
agli 
artt. 
452-quaterdecies, 600, 601, 602 e 
630 cod. pen.; del 
delitto di 
associazione 
per 
delinquere 
finalizzato al 
compimento di 
gravi 
reati 
contro la personalità 
individuale, elencati 
dall’art. 416, commi 
6 e 
7, cod. pen., nonché 
al 
compimento 
dei 
reati 
di 
cui 
agli 
artt. 473 e 
474 cod. pen.; dei 
delitti 
di 
associazione 
per 
delinquere 
di 
stampo mafioso (art. 416-bis 
cod. pen,), di 
scambio elettorale 
politico-mafioso 
(art. 
416-ter 
cod. 
pen.) 
e 
dei 
delitti 
commessi 
avvalendosi 
delle 
condizioni 
previste 
dall’art. 416-bis 
cod. pen. e 
al 
fine 
di 
agevolare 
l’attività 
di 
tali 
associazioni; 
dei 
delitti 
di 
associazione 
per 
delinquere 
finalizzata 
al 
traffico 
illecito 
di 
sostanze 
stupefacenti 
o 
psicotrope 
(art. 
74 
del 
decreto 
del 
Presidente 
della Repubblica 9 ottobre 
1990, n. 309, recante 
«Testo unico 
delle 
leggi 
in materia di 
disciplina degli 
stupefacenti 
e 
sostanze 
psicotrope, 
prevenzione, cura e 
riabilitazione 
dei 
relativi 
stati 
di 
tossicodipendenza») e 
di 
associazione 
per 
delinquere 
finalizzata 
al 
contrabbando 
di 
tabacchi 
lavorati 
esteri 
(art. 
291-quater 
del 
decreto 
del 
Presidente 
della 
Repubblica 
23 
gennaio 
1973, n. 43, recante 
«Approvazione 
del 
testo unico delle 
disposizioni 
legislative 
in materia doganale»). Tali 
fattispecie 
delittuose 
hanno in gran parte 
natura 
associativa 
oppure 
presentano 
una 
forma 
di 
organizzazione 
di 
base 
(come 
per 
il 
sequestro di 
persona ex 
art. 630 cod. pen.) o comunque 
richiedono condotte 
plurime 
(come 
per 
il 
traffico illecito di 
rifiuti 
di 
cui 
all’art. 452-quaterdecies 
cod. 
pen.), 
oltre 
a 
prevedere 
pene 
che 
possono 
essere 
anche 
molto 
alte. 
Ed è 
proprio in virtù di 
siffatta complessità che 
si 
radica la competenza della 
procura 
distrettuale 
antimafia, 
operante 
secondo 
linee 
di 
intervento 
dotate 
della necessaria coerenza, organicità, programmazione. 



TEMI 
ISTITUzIONALI 


4.2.2.-Per 
quanto 
concerne 
il 
reato 
di 
cui 
all’art. 
640-bis 
cod. 
pen., 
invece, 
ci 
si 
trova 
innanzi 
a 
una 
fattispecie 
che 
non 
ha 
natura 
associativa 
e 
non 
richiede 
neppure 
la 
presenza 
di 
un’organizzazione 
volta 
alla 
commissione 
del 
reato. 
Esso 
ha 
una 
dimensione 
individuale, 
può 
riguardare 
anche 
condotte 
di 
minore 
rilievo 
-quale 
risulta 
essere 
quella 
del 
giudizio 
a 
quo 
-ed 
è 
punito 
con 
pene 
più 
lievi 
(massimo 
edittale 
di 
sette 
anni), 
senza 
che 
vi 
siano 
tantomeno 
deroghe 
al 
regime 
processuale 
ordinario. 
Certamente 
si 
tratta 
di 
un 
reato 
che, 
come 
argomentato 
dall’Avvocatura 
generale 
dello 
Stato, 
può 
riscontrarsi 
anche 
nell’ambito 
delle 
attività 
della 
criminalità 
organizzata, 
allo 
stesso 
modo 
dei 
più 
gravi 
reati 
sopra 
esaminati. 
Ciò 
non 
toglie, 
però, 
che 
tale 
condotta 
delittuosa 
ha 
ben 
altra 
portata 
e 
non 
costituisce, 
di 
per 
sé, 
un 
indice 
di 
appartenenza 
a 
un’organizzazione 
criminale. 
Per 
tale 
ragione, 
farne 
dipendere 
con 
rigida 
consequenzialità 
la 
ricordata 
incapacità 
giuridica 
ad 
avere 
rapporti 
con 
le 
pubbliche 
amministrazioni 
appare 
non 
proporzionato 
ai 
caratteri 
del 
reato 
e 
allo 
scopo 
di 
contrastare 
le 
attività 
della 
criminalità 
organizzata 
(si 
vedano 
le 
sentenze 
di 
questa 
Corte 
n. 
172 
del 
2012 
e 
n. 
141 
del 
1996) 
e 
risulta, 
quindi, 
contrario 
al 
principio 
di 
ragionevolezza 
di 
cui 
all’art. 
3 
Cost. 
Altresì 
violato 
è 
l’art. 
41 
Cost., 
poiché 
l’estensione 
degli 
effetti 
interdittivi 
di 
cui 
all’art. 
67, 
comma 
8, 
cod. 
antimafia 
anche 
alle 
condanne 
per 
il 
delitto 
di 
truffa 
per 
il 
conseguimento 
di 
erogazioni 
pubbliche 
provoca 
danni 
irragionevolmente 
elevati 
alla 
libertà 
d’iniziativa 
economica, 
sia 
sul 
piano 
patrimoniale, 
sia 
della 
“reputazione” 
imprenditoriale, 
specie 
per 
chi 
svolge 
attività 
lavorative 
e 
professionali 
in 
rapporto 
con 
la 
pubblica 
amministrazione. 


4.2.3.- Si 
tenga presente 
che 
il 
reato di 
cui 
all’art. 640-bis 
cod. pen. già 
era 
ed 
è 
considerato 
quale 
“reato 
spia” 
al 
fine 
dell’applicazione 
nei 
confronti 
dell’indiziato di 
una misura di 
prevenzione 
ex 
art. 4, comma 1, lettera i-bis), 
cod. antimafia. inoltre, come 
già accennato, ai 
sensi 
del 
successivo art. 84, 
comma 
4, 
lettera 
a), 
l’essere 
destinatario 
dei 
provvedimenti 
che 
per 
tale 
delitto 
dispongono una misura cautelare 
o il 
giudizio, ovvero che 
recano una condanna 
anche 
non definitiva, costituisce 
un elemento da cui 
il 
prefetto può desumere 
un tentativo di 
infiltrazione 
mafiosa, idoneo a consentire 
l’adozione 
di 
una informazione 
antimafia interdittiva. infine, gli 
artt. 32-ter 
e 
32-quater 
cod. pen. consentono di 
aggiungere 
alla pena principale 
per 
il 
reato di 
truffa 
per 
il 
conseguimento 
di 
erogazioni 
pubbliche 
anche 
quella 
accessoria 
dell’incapacità 
a 
contrattare 
con 
la 
pubblica 
amministrazione; 
pena 
i 
cui 
effetti 
sono 
in parte 
sovrapponibili 
alle 
conseguenze 
interdittive 
di 
cui 
all’art. 67, commi 
1 e 
2, cod. antimafia. Ciò dimostra, da un lato, che 
la disposizione 
censurata 
s’inserisce 
in modo disarmonico in un contesto normativo nel 
quale, ai 
medesimi 
fini 
di 
contrasto 
alla 
penetrazione 
della 
criminalità 
organizzata 
nel 
tessuto socio-economico, già sono regolate, seppur 
in modo diverso, le 
medesime 
misure 
limitative 
della 
libertà 
economica 
di 
chi 
sia 
destinatario 
di 
provvedimenti 
relativi 
al 
reato di 
cui 
all’art. 640-bis 
cod. pen.; e, dall’altro 



RASSEGNA 
AVVOCATURA 
DELLO 
STATO -N. 2/2022 


lato, e 
per 
la stessa ragione, che 
l’illegittimità costituzionale 
della novella legislativa 
lascia intatto il 
rilievo che 
tale 
reato possiede 
come 
indice 
d’infiltrazione 
mafiosa ai sensi dell’art. 84, comma 4, cod. antimafia. 

5.- Restano assorbite 
le 
ulteriori 
censure 
di 
legittimità costituzionale 
indicate 
nell’ordinanza di rimessione. 


6.- Ai 
sensi 
dell’art. 27 della legge 
11 marzo 1953, n. 87 (Norme 
sulla 
costituzione 
e 
sul 
funzionamento 
della 
Corte 
costituzionale), 
l’illegittimità 
costituzionale 
dell’art. 24, comma 1, lettera d), del 
d.l. n. 113 del 
2018, come 
convertito, deve 
essere 
dichiarata anche 
per 
la parte 
in cui 
inserisce 
all’art. 
67, comma 8, cod. antimafia il 
reato previsto dall’art. 640, secondo comma, 
numero 1), cod. pen. 

6.1.-Tale 
disposizione 
disciplina 
il 
delitto 
di 
truffa 
commesso 
a 
danno 
dello 
Stato 
o 
di 
un 
altro 
ente 
pubblico 
(o 
dell’Unione 
europea) 
e 
lo 
punisce 
con 
la 
reclusione 
da 
uno 
a 
cinque 
anni; 
pena 
più 
severa 
di 
quella 
per 
la 
truffa 
semplice 
(da 
sei 
mesi 
a 
tre 
anni), 
ma 
inferiore 
alla 
forbice 
individuata 
dall’art. 
640-bis 
cod. 
pen. 
(da 
due 
a 
sette 
anni). 
L’affiancamento 
di 
tale 
reato 
a 
quelli 
di 
cui 
all’art. 
51, 
comma 
3-bis, 
cod. 
proc. 
pen. 
risulta, 
in 
tal 
modo, 
una 
scelta 
ancora 
più 
sproporzionata 
ed 
eccessiva 
di 
quella 
riguardante 
l’art. 
640-bis 
cod. 
pen. 


6.2.-Anche 
per 
la 
truffa 
ai 
danni 
dello 
Stato, 
d’altronde, 
l’esigenza 
di 
prevenire 
l’infiltrazione 
mafiosa nel 
tessuto socio-economico rimane 
coperta 
da altre 
previsioni 
legislative. Da un lato, infatti, sebbene 
la truffa stessa non 
rientri 
tra i 
“reati 
spia” 
di 
cui 
all’art. 84, comma 4, cod. antimafia, una condanna 
per 
tale 
fattispecie 
può sempre 
costituire 
un elemento da cui 
desumere 
che 
il 
condannato vive 
abitualmente, anche 
in parte, con i 
proventi 
di 
attività 
delittuose; elemento che, ai 
sensi 
degli 
artt. 1, comma 1, lettera b), e 
4 cod. 
antimafia, può portare 
all’adozione 
di 
una misura di 
prevenzione 
(con i 
conseguenti 
effetti 
interdittivi). Dall’altro lato, anche 
per 
tale 
delitto, i 
già ricordati 
artt. 
32-ter 
e 
32-quater 
cod. 
pen. 
consentono 
di 
aggiungere 
alla 
pena 
principale 
quella 
accessoria 
dell’incapacità 
a 
contrattare 
con 
la 
pubblica 
amministrazione; 
pena che, come 
sottolineato, ha effetti 
in parte 
sovrapponibili 
alle conseguenze interdittive di cui all’art. 67, commi 1 e 2, cod. antimafia”. 


3. Questioni di massima e modifiche normative. 
In sede 
di 
applicazione 
della 
disciplina 
dettata 
dal 
Codice 
antimafia 
e 
dei 
recenti 
orientamenti 
giurisprudenziali 
sono 
emerse 
alcune 
problematiche 
di 
interesse, cui di seguito si ritiene utile fare cenno. 


Accesso ai documenti “riservati”. 


In 
sede 
giudiziale 
è 
stato, 
in 
diversi 
casi, 
chiesto 
l’accesso 
o 
l’annullamento 
del 
provvedimento di 
diniego d’accesso o sono state 
avanzate 
istanze 
istruttorie 
nell’ambito 
di 
giudizi 
di 
impugnazione 
di 
provvedimenti 
di 
scioglimento 
di 
Comuni 
per mafia, con riferimento agli 
atti 
preordinati, connessi 



TEMI 
ISTITUzIONALI 


e 
conseguenziali, compreso il 
provvedimento con cui 
è 
stata 
attribuita 
la 
classifica 
di 
segretezza 
“Riservato” 
alla 
relazione 
prefettizia 
(nella 
versione 
integrale) 
e alla relazione della commissione di indagine. 


In proposito, si 
ritiene 
utile 
operare 
una 
breve 
ricognizione 
della 
normativa, 
sulla 
scorta 
del 
quadro riepilogativo fornito dal 
Consiglio di 
stato 
nel 
parere 
n. 545 del 
30 marzo 2021, che 
si 
è 
pronunciato sul 
tema 
dell’accesso 
agli atti istruttori delle procedure di scioglimento ex art. 143 T.U.O.E.L. 


L’art. 24 della 
legge 
241 del 
1990, per un verso, individua 
le 
fattispecie 
in cui 
il 
diritto di 
accesso è 
escluso, anche 
in funzione 
della 
fonte 
cui 
è 
demandata 
l’identificazione 
delle 
cause 
ostative 
(comma 
1, 
la 
lettera 
a): 
la 
legge, 
il 
regolamento governativo, le 
determinazioni 
delle 
singole 
pubbliche 
amministrazioni), 
per altro verso stabilisce 
che 
l’accesso debba 
in ogni 
caso essere 
garantito ove 
risulti 
necessario per la 
cura 
e 
la 
difesa 
degli 
interessi 
giuridici 
del richiedente (comma 7). 


In 
particolare, 
con 
specifico 
riferimento 
agli 
atti 
classificati 
“RISERVATO”, 
l’art. 42, commi 
1, 2 e 
3, della 
citata 
legge 
n. 124 del 
2007 dispone 
che: 
«Le 
classifiche 
di 
segretezza sono attribuite 
per 
circoscrivere 
la conoscenza di 
informazioni, 
documenti, atti, attività o cose 
ai 
soli 
soggetti 
che 
abbiano necessità 
di 
accedervi 
in ragione 
delle 
proprie 
funzioni 
istituzionali. La classifica 
di 
segretezza è 
apposta, e 
può essere 
elevata, dall'autorità che 
forma il 
documento, 
l'atto 
o 
acquisisce 
per 
prima 
la 
notizia, 
ovvero 
è 
responsabile 
della 
cosa, 
o 
acquisisce 
dall'estero 
documenti, 
atti, 
notizie 
o 
cose. 
Le 
classifiche 
attribuibili 
sono: segretissimo, segreto, riservatissimo, riservato». 


Infine, il 
comma 
8 individua 
uno speciale 
regime 
di 
esibizione 
degli 
atti 
“classificati”, 
stabilendo 
che 
“qualora 
l'autorità 
giudiziaria 
ordini 
l’esibizione 
di 
documenti 
classificati 
per 
i 
quali 
non sia opposto il 
segreto di 
Stato, gli 
atti 
sono consegnati 
all'autorità giudiziaria richiedente, che 
ne 
cura la conservazione 
con modalità che 
ne 
tutelino la riservatezza, garantendo il 
diritto delle 
parti nel procedimento a prenderne visione senza estrarne copia”. 


Alle 
preclusioni 
individuate 
dalla 
legge 
si 
aggiungono quelle 
di 
matrice 
governativa 
e 
quelle 
selezionabili 
dalle 
singole 
pubbliche 
amministrazioni, le 
quali, ai 
sensi 
dell’articolo 24, comma 
2, legge 
241/1990 “individuano le 
categorie 
di 
documenti 
da esse 
formati 
o comunque 
rientranti 
nella loro disponibilità 
sottratti 
all’accesso ai 
sensi 
del 
comma 1”, la 
cui 
divulgazione 
possa 
cagionare 
un pregiudizio concreto agli 
interessi 
previsti 
dallo stesso articolo 
24, 
ivi 
inclusi 
quelli 
connessi 
alla 
tutela 
dell’ordine 
pubblico 
e 
alla 
prevenzione 
e 
repressione 
dei 
fenomeni 
criminali 
(comma 
6, 
lettera 
c). 
Per 
quanto 
concerne 
l’Amministrazione 
dell’Interno 
tale 
previsione 
è 
stata 
attuata 
con 
il 
decreto 
ministeriale 10 maggio 1994, n. 415. 


Ebbene, 
come 
chiarito 
dal 
Supremo 
Consesso 
Amministrativo, 
dal 
descritto 
quadro 
complessivo 
delle 
preclusioni 
normative 
all’esercizio 
del 
diritto 
di 
accesso 
emergono 
le 
“profonde 
differenze 
intercorrenti 
tra 
i 
limiti 
all’osten



RASSEGNA 
AVVOCATURA 
DELLO 
STATO -N. 2/2022 


sione 
dei 
documenti 
coperti 
dal 
segreto 
di 
Stato 
o 
altrimenti 
vincolati 
dalle 
classifiche 
di 
segretezza 
e 
le 
esclusioni 
giustificate 
dalle 
esigenze 
di 
tutela 
del-
l’ordine 
pubblico”, 
sia 
in 
ordine 
agli 
interessi 
tutelati 
che 
al 
regime 
di 
accessibilità 
dei 
documenti 
in 
questione, 
con 
particolare 
riguardo 
alla 
fattispecie 
del 


c.d. 
“accesso 
difensivo” 
previsto 
dall’art. 
24, 
comma 
7, 
legge 
n. 
241 
del 
1990. 
In 
particolare, 
se 
l’istanza 
ha 
ad 
oggetto 
atti 
vincolati 
dalle 
cosiddette 
classifiche 
di 
segretezza 
«il 
diritto 
di 
accesso 
“difensivo” 
può 
essere 
esercitato 
esclusivamente 
nelle 
sole 
forme 
prescritte 
dall’articolo 
42, 
comma 
8, 
legge 
3 
agosto 
2007, 
n. 
124, 
il 
quale, 
circoscrivendo 
l’ambito 
di 
conoscibilità 
delle 
informazioni 
classificate, 
presuppone 
e 
integra 
(trattandosi 
peraltro 
di 
norma 
successiva) 
la 
disciplina 
del 
meccanismo 
ostensivo 
previsto 
dall’articolo 
24, 
comma 
7, 
legge 
7 
agosto 
1990, 
n. 
241. 
Valgono, 
al 
riguardo, 
i 
principi 
formulati 
da 
questa 
Sezione 
con 
il 
citato 
parere 
1 
luglio 
2014, 
n. 
2226, 
secondo 
cui, 
ai 
sensi 
dell’articolo 
42, 
comma 
8, 
cit., 
l’interesse 
difensivo 
alla 
conoscenza 
degli 
atti 
classificati 
deve 
essere 
fatto 
valere 
dinnanzi 
all’autorità 
giudiziaria, 
la 
quale 
è 
tenuta 
a 
valutare 
se, 
nel 
caso 
concreto, 
le 
esigenze 
di 
tutela 
del 
diritto 
di 
difesa 
possano 
giustificare 
l’esibizione 
processuale 
del 
documento 
vincolato». 


Diversamente, «ove 
vengano in rilievo atti 
sottratti 
all’accesso in forza 
di 
disposizioni 
regolamentari 
adottate 
dal 
Governo o dalle 
singole 
amministrazioni, 
il 
controlimite 
disciplinato 
dall’articolo 
24, 
comma 
7, 
legge 
7 
agosto 
1990, n. 241 torna ad esprimere 
la propria ordinaria intensità derogatoria, 
assicurando l’ostensione 
dei 
documenti 
la cui 
conoscenza sia necessaria per 
la 
difesa 
degli 
interessi 
giuridici 
del 
richiedente, 
secondo 
i 
principi 
richiamati 
dall’Adunanza Plenaria prima citata». 


Alla 
luce 
di 
quanto esposto, risulta 
evidente 
che 
la 
relazione 
del 
Prefetto, 
le 
conclusioni 
della 
Commissione 
di 
indagine 
e 
tutti 
gli 
altri 
atti 
classificati 
“RISERVATO” 
secondo 
i 
parametri 
di 
legge, 
ai 
sensi 
del 
citato 
art. 
42 
della 
legge 


n. 124 del 
2007, soggiacciono allo speciale 
regime 
di 
esibizione 
ivi 
stabilito e 
non 
sono, 
pertanto, 
ostensibili 
al 
di 
fuori 
dello 
stretto 
contesto 
processuale 
nell’ambito del 
quale 
è 
avanzata 
l’istanza 
conoscitiva, fatta 
salva 
la 
necessità 
del 
collegamento tra 
i 
documenti 
richiesti 
e 
la 
situazione 
giuridica 
che 
il 
richiedente 
intende tutelare giudizialmente. 
D’altra 
parte 
l’art. 
3, 
comma 
1, 
lett. 
m) 
del 
D.M. 
10 
maggio 
1994, 
n. 
415, 
dispone 
che, per motivi 
di 
ordine 
e 
sicurezza 
pubblica 
ovvero ai 
fini 
di 
prevenzione 
e 
repressione 
della 
criminalità, non è 
consentito l’accesso agli 
atti, 
documenti 
e 
note 
informative 
utilizzati 
per 
l’istruttoria 
finalizzata 
all’adozione, 
tra 
l’altro, 
dei 
provvedimenti 
di 
cui 
al 
citato 
art. 
143, 
in 
applicazione 
della 
normativa 
antimafia. 


Recentemente, 
il 
Consiglio 
di 
Stato 
si 
è 
pronunciato 
sul 
tema 
dell’accesso 
agli 
atti 
prodromici 
allo scioglimento di 
un Comune 
per infiltrazione 
mafiosa 
che 
involga 
la 
documentazione 
classificata 
con il 
succitato parere 
n. 545 del 
30 marzo 2021. 



TEMI 
ISTITUzIONALI 


Il 
Supremo Consesso amministrativo, con specifico riferimento agli 
atti 
vincolati 
dalle 
classifiche 
di 
segretezza, 
ha 
chiarito 
che, 
ferma 
restando 
l’esclusione 
dell’accesso partecipativo, “il 
diritto di 
accesso “difensivo” 
può essere 
esercitato esclusivamente 
nelle 
forme 
prescritte 
dall’art. 42, comma 8 delle 
legge 
n. 124/2007, il 
quale, circoscrivendo l’ambito di 
conoscibilità delle 
informazioni 
classificate, presuppone 
ed integra (trattandosi 
peraltro di 
norma 
successiva) 
la 
disciplina 
del 
meccanismo 
ostensivo 
previsto 
dall’art. 
24, 
comma 7, legge n. 241/90”. 


Per quanto attiene 
alla 
tutela 
degli 
interessi 
“difensivi” 
è 
stato precisato 
che 
«si 
deve 
escludere 
che 
sia sufficiente 
nell’istanza di 
accesso un generico 
riferimento a non meglio precisate 
esigenze 
probatorie 
e 
difensive, siano esse 
riferite 
a 
un 
processo 
già 
pendente 
oppure 
ancora 
instaurando, 
poiché 
l’ostensione 
del 
documento richiesto passa attraverso un rigoroso, motivato, vaglio 
sul 
nesso di 
strumentalità necessaria tra la documentazione 
richiesta e 
la situazione 
finale 
che 
l’istante 
intende 
curare 
o tutelare 
(Cons. St., Ad. Pl., 18 
marzo 2021, n. 4). 


Le 
riportate 
considerazioni 
valgono 
tanto 
con 
riferimento 
alla 
richiesta 
di 
accesso avanzata 
alla 
pubblica 
amministrazione 
detentrice 
del 
documento, 
quanto 
al 
giudizio 
sull’accesso 
innanzi 
al 
Giudice 
amministrativo 
adìto 
ai 
sensi 
dell’art. 116 c.p.a., le 
quali 
autorità, l’una 
amministrativa, l’altra 
giudiziaria, 
«non devono svolgere 
ex 
ante 
alcuna ultronea valutazione 
sull’ammissibilità, 
sull’influenza 
o 
sulla 
decisività 
del 
documento 
richiesto 
nell’eventuale 
giudizio 
instaurato, poiché 
un simile 
apprezzamento compete, se 
del 
caso, solo all’autorità 
giudiziaria investita della questione». 


Il 
TAR 
Lazio 
ha 
avallato 
tale 
posizione, 
con 
la 
sentenza 
9 
dicembre 
2021 


n. 
12682, 
con 
le 
seguenti 
motivazioni: 
“Visto 
il 
diniego 
di 
accesso, 
con 
il 
quale 
l’Amministrazione 
rifiuta 
l’ostensione 
della 
relazione 
prefettizia 
..., 
della 
relazione 
integrale 
della 
commissione 
di 
indagine, 
entrambe 
relative 
all’accesso 
ispettivo 
disposto 
nei 
confronti 
del 
-omiSSiS 
-ai 
sensi 
dell’art. 
143 
TUEL, 
tutti 
atti 
prodromici 
all’adozione 
del 
provvedimento 
di 
scioglimento 
del 
consiglio 
comunale 
del 
-omiSSiS 
-per 
infiltrazioni 
e 
condizionamenti 
della 
criminalità 
organizzata; 
Rilevato 
che 
gli 
atti 
di 
cui 
si 
chiede 
l’ostensione 
sono 
ricompresi 
tra 
quelli 
classificati 
come 
riservati 
ai 
sensi 
della 
legge 
3 
agosto 
241/90 
e 
pertanto 
esclusi 
dalla 
sfera 
oggettiva 
di 
applicabilità 
della 
disciplina 
sul 
diritto 
di 
accesso 
ai 
documenti 
amministrativi 
ed 
altresì 
sottratti 
all’accesso 
ai 
sensi 
dell’art. 
3, 
comma 
1, 
lett. 
m) 
del 
D.m. 
10 
maggio 
1994 
n. 
415; 
che 
benché 
gli 
atti 
richiesti 
non 
siano 
“formalmente” 
documenti 
investigativi, 
sono 
tali 
le 
fonti 
che 
determinano 
gli 
omissis 
nelle 
premesse 
degli 
atti 
pubblicati; 
Ritenuto che 
il 
Collegio 
non 
ravvisa 
ragioni 
per 
discostarsi 
da 
quanto 
statuito 
dal 
Consiglio 
di 
Stato, Sezione 
i, con il 
parere 
-omiSSiS -, in analoga controversia, laddove 
ha 
affermato 
che 
“il 
diritto 
di 
accesso 
“difensivo” 
può 
essere 
esercitato 
esclusivamente 
nelle 
forme 
prescritte 
dall’art. 
42, 
comma 
8 
delle 
legge 
n. 
124/2007, 

RASSEGNA 
AVVOCATURA 
DELLO 
STATO -N. 2/2022 


il 
quale, circoscrivendo l’ambito di 
conoscibilità delle 
informazioni 
classificate, 
presuppone 
ed integra (trattandosi 
peraltro di 
norma successiva) la disciplina 
del 
meccanismo 
ostensivo 
previsto 
dall’art. 
24, 
comma 
7, 
legge 
n. 
241/90”; che 
inoltre 
il 
decreto di 
scioglimento del 
Comune 
risulta corredato 
da un Allegato contenente 
la Relazione 
ministeriale, nel 
quale 
sono riportate 
le 
principali 
criticità emerse, e 
l’ancora più dettagliata relazione 
prefettizia 
pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale 
del 
3 settembre 
2021; che, inoltre, non è 
ravvisabile 
il 
nesso 
di 
strumentalità 
tra 
la 
documentazione 
di 
cui 
si 
chiede 
l’ostensione 
e 
gli 
interessi 
che 
la 
ricorrente 
intende 
difendere, 
la 
cui 
sussistenza, 
in caso di 
documentazione 
sottratta all’accesso, è 
oggetto di 
rigorosa 
verifica (cfr. Ad. Pl. 4/2021, ma vedi 
anche 
CdS iii 5735/2021); che, come 
ha 
affermato l’Adunanza Plenaria n. 4/2021, in materia di 
accesso difensivo ai 
sensi 
dell’art. 24, comma 7, della l. n. 241 del 
1990 si 
deve 
escludere 
che 
sia 
sufficiente 
nell’istanza di 
accesso un generico riferimento a non meglio precisate 
esigenze 
probatorie 
e 
difensive, 
siano 
esse 
riferite 
a 
un 
processo 
già 
pendente 
oppure 
ancora instaurando, poiché 
l’ostensione 
del 
documento richiesto 
passa attraverso un rigoroso, motivato, vaglio sul 
nesso di 
strumentalità 
necessaria 
tra 
la 
documentazione 
richiesta 
e 
la 
situazione 
finale 
che 
l’istante 
intende 
curare 
o tutelare; che, alla luce 
delle 
ragioni 
per 
le 
quali 
la 
ricorrente 
chiede 
l’ostensione 
degli 
atti 
riservati 
(conoscere 
i 
soggetti 
e 
i 
contesti 
temporali) e 
degli 
elementi 
contenuti 
nella Relazione 
prefettizia pubblicata 
sulla 
Gazzetta 
Ufficiale, 
il 
nesso 
tra 
l’esigenza 
di 
difendere 
i 
propri 
interessi, presumibilmente 
nella qualità di 
Sindaco del 
-omiSSiS 
-, ovvero di 
chiedere 
l’annullamento 
del 
decreto 
di 
scioglimento 
del 
Comune, 
e 
i 
documenti 
di 
cui 
chiede 
l’ostensione, non sembra emergere; che, infatti, le 
parti 
essenziali, ai 
fini 
della motivazione 
del 
decreto di 
scioglimento, degli 
atti 
di 
cui 
si 
chiede 
l’ostensione, risultano già integrate 
nella relazione 
prefettizia; 
che 
la 
decisione 
si 
fonda 
sulle 
circostanze 
riportate 
nella 
Relazione 
Prefettizia, 
circostanze 
che, ove 
fossero dal 
giudicante, in ipotesi, ritenute 
insufficienti 
a 
sostenere 
il 
provvedimento, non richiederebbero ulteriori 
documenti 
a sostegno 
delle 
istanze 
difensive; che 
in senso analogo si 
è 
pronunciato questo Tar 
(vedi 
Tar 
Lazio, i ord. n. 4266 -11 giugno 2020 e 
sent. n. 2537/2021) precisando 
trattarsi 
di 
documenti 
classificati 
come 
“Riservati” 
ai 
sensi 
dell’art. 
42, L. 124/2007 ha ricordato che 
la conservazione 
e 
l’ostensione 
degli 
stessi 
alle 
altre 
parti 
del 
giudizio sono sottoposti 
alle 
cautele 
di 
cui 
al 
comma 8 del-
l’art. 
42 
della 
citata 
legge 
ed 
ha 
rammentato 
alle 
parti 
che 
la 
conoscenza 
degli 
atti 
in parola, ai 
sensi 
dell’art. 262 c.p., è 
circoscritta allo stretto ambito processuale; 
che, peraltro, le 
vicende 
che 
costituiscono il 
presupposto dell’atto 
di 
scioglimento 
dei 
comuni 
per 
infiltrazioni 
mafiose 
devono 
essere 
considerate 
“nel 
loro 
insieme”, 
non 
atomisticamente, 
e 
devono 
risultare 
idonee 
a 
delineare, 
con 
una 
ragionevole 
ricostruzione, 
il 
quadro 
complessivo 
del 
condizionamento 
“mafioso” 
(v. ex 
multis 
Tar 
Lazio, i, 9381/2019), finendo per 
non 



TEMI 
ISTITUzIONALI 


offrire 
appiglio alcuno alla sussistenza di 
un nesso di 
strumentalità tra la posizione 
della ricorrente 
e 
i 
documenti 
oggetto della richiesta di 
accesso; che, 
nel 
contemperare 
l’esigenza della richiedente 
l’accesso con l’interesse 
pubblico 
alla riservatezza di 
tali 
atti, l’Amministrazione 
non irragionevolmente 
ha fatto prevalere 
la prima, non emergendo il 
nesso di 
strumentalità con il 
diritto 
alla difesa prospettato nel 
ricorso e 
nel 
perimetro dell’atto nei 
riguardi 
del 
quale 
detto diritto si 
intende 
far 
valere; che 
l’Amministrazione 
ha altresì 
indicato alla ricorrente 
la modalità attraverso la quale 
può ottenere 
la conoscenza 
degli 
atti 
di 
cui 
si 
tratta, ovvero nelle 
forme 
previste 
dall’art. 42 della 
legge 124/2007”. 


le 
misure 
amministrative 
di 
prevenzione 
collaborativa e 
le 
disposizioni 
introdotte 
dal 
decreto-legge 
6 
novembre 
2021, 
n. 
152, 
convertito 
con 
modificazioni dalla l. 29 dicembre 2021, n. 233. 


Il 
decreto-legge 
n.152 
del 
6 
novembre 
2021 
ha 
apportato 
significative 
innovazioni 
e 
modifiche 
al 
Codice 
antimafia, proponendo anche 
un nuovo modello 
“collaborativo”. 


Le 
nuove 
disposizioni 
hanno, innanzitutto, inciso sul 
procedimento (cfr. 
art. 92 del 
Codice 
antimafia), rafforzando l’istituto del 
“contraddittorio”, con 
l’effetto di 
consentire 
l’acquisizione 
di 
maggiori 
elementi 
conoscitivi, utili 
al 
Prefetto per la 
valutazione 
dell’effettivo spessore 
della 
permeabilità 
mafiosa. 


In linea 
con l’art.10-bis 
della 
L. n. 241/1990 è 
stato introdotto il 
“preavviso” 
della 
misura 
interdittiva 
o amministrativa 
di 
prevenzione 
collaborativa, 
con 
la 
conseguente 
possibilità 
di 
audizione, 
produzione 
di 
osservazioni 
scritte 
e documenti. 


Il 
legislatore 
ha 
comunque 
disposto, 
al 
comma 
2-bis 
dell’art. 
92, 
che 
“in 
ogni 
caso 
non 
possono 
formare 
oggetto 
della 
comunicazione 
di 
cui 
al 
presente 
comma 
elementi 
informativi 
il 
cui 
disvelamento 
sia 
idoneo 
a 
pregiudicare 
procedimenti 
amministrativi 
o 
attività 
processuali 
in 
corso, 
ovvero 
l’esito 
di 
altri 
accertamenti 
finalizzati 
alla 
prevenzione 
delle 
infiltrazioni 
mafiose”, 
facendo 
salvi 
i 
casi 
in 
cui 
ricorrono 
“particolari 
esigenze 
di 
celerità 
del 
procedimento”, 
rimessi 
alla 
valutazione 
discrezionale 
del 
Prefetto, 
che 
escludono 
il 
contraddittorio. 


Nei 
casi 
in 
cui, 
invece, 
venga 
svolto 
il 
contraddittorio, 
nell’arco 
temporale 
tra 
la 
ricezione 
della 
comunicazione 
di 
cui 
al 
comma 
2-bis 
succitato e 
la 
conclusione 
della 
procedura, 
i 
cambiamenti 
di 
sede, 
denominazione, 
oggetto, 
composizione 
degli 
organi 
sociali, 
della 
rappresentanza 
legale 
della 
società 
o 
comunque 
qualsiasi 
variazione 
sociale 
organizzativa, 
gestionale 
e 
patrimoniale 
delle 
società 
e 
imprese 
interessate 
da 
tentativi 
di 
infiltrazione 
mafiosa 
possono 
essere 
oggetto di 
attenta 
valutazione, ai 
fini 
dell’adozione 
dell’informazione 
interdittiva 
antimafia, anche 
in considerazione 
del 
fatto che 
potrebbero essere 
connotati da un intento elusivo o dissimulatorio. 



RASSEGNA 
AVVOCATURA 
DELLO 
STATO -N. 2/2022 


Il 
procedimento può concludersi 
con: 
a) il 
rilascio dell’informazione 
antimafia 
liberatoria; 
b) l’applicazione 
della 
misura 
amministrativa 
di 
“prevenzione 
collaborativa”, 
nel 
caso 
previsto 
dall’art. 
94-bis; 
c) 
l’adozione 
della 
informazione 
antimafia 
interdittiva, accompagnata 
dalla 
verifica, da 
parte 
del 
Prefetto, 
dei 
presupposti 
per 
l’applicazione 
delle 
misure 
di 
cui 
all’art. 
32, 
comma 
10, 
del 
D.L. 
n. 
90/2014, 
convertito 
in 
L. 
n. 
14/2014 
e 
dalla 
conseguente 
informativa al Presidente dell’ANAC, nel caso di valutazione positiva. 


Di 
nuovo conio è 
la 
misura 
di 
prevenzione 
collaborativa, la 
cui 
applicazione 
è 
subordinata 
all’accertamento 
che 
i 
tentativi 
di 
infiltrazione 
mafiosa 
siano “riconducibili 
a situazioni 
di 
agevolazione 
occasionale”, tali 
da 
legittimare 
la 
prescrizione 
all’impresa 
dell’osservanza, 
per 
un 
periodo 
non 
inferiore 
a 
sei 
mesi 
e 
non 
superiore 
a 
dodici 
mesi, 
di 
una 
serie 
di 
misure 
dettagliatamente 
enucleate nell’art. 94-bis. 


È 
anche 
previsto un raccordo di 
tale 
ultima 
misura 
con il 
diverso istituto 
del 
“controllo 
giudiziario” 
di 
cui 
all’art. 
34 
bis 
del 
Codice 
antimafia, 
nel 
senso 
della 
cessazione 
della 
misura 
di 
prevenzione 
collaborativa 
se 
il 
Tribunale 
dispone 
il 
controllo, ferma 
restando la 
possibilità 
di 
tenere 
conto del 
periodo di 
esecuzione 
della 
prima, ai 
fini 
della 
determinazione 
della 
durata 
del 
secondo. 


Inoltre, alla 
luce 
delle 
modifiche 
apportate 
all’art. 34 bis 
dal 
Decreto n. 
152/2021, il 
Tribunale 
competente 
per le 
misure 
di 
prevenzione, ove 
risultino 
applicate 
le 
misure 
previste 
dall’art. 94 bis, dovrà 
effettuare 
una 
valutazione 
sull’opportunità 
di 
adottare, in sostituzione 
della 
misura 
di 
prevenzione 
collaborativa, 
il 
provvedimento di 
nomina 
di 
un Giudice 
delegato e 
di 
un Amministratore 
giudiziario, ai sensi del comma 2, lett. b) dell’art. 34 
bis. 


La 
temporaneità 
della 
misura 
di 
prevenzione 
collaborativa 
comporta 
che, 
alla 
scadenza 
del 
termine 
di 
durata, il 
Prefetto, “ove 
accerti, sulla base 
delle 
analisi 
formulate 
dal 
gruppo interforze, il 
venir 
meno dell’agevolazione 
occasionale 
e 
l’assenza 
di 
altri 
tentativi 
di 
infiltrazione 
mafiosa, 
rilascia 
una 
informazione 
antimafia 
liberatoria”; 
in 
caso 
contrario, 
verrà 
adottata 
una 
informazione antimafia interdittiva. 


D’altra 
parte, 
con 
le 
ultime 
modifiche 
normative 
è 
stato 
rafforzato 
il 
ruolo 
del 
Prefetto ed il 
raccordo tra 
i 
diversi 
Organi, in quanto è 
previsto che 
il 
Tribunale, 
prima 
di 
decidere 
sulle 
richieste 
delle 
imprese 
destinatarie 
di 
informazioni 
antimafia 
interdittive, 
impugnate 
in 
giudizio, 
di 
essere 
ammesse 
al 
controllo giudiziario di 
cui 
alla 
lett. b) del 
comma 
2 dell’art. 34 
bis, ai 
sensi 
del 
comma 
6 della 
medesima 
norma, è 
tenuto a 
sentire 
anche 
il 
Prefetto che 
ha adottato l’informazione antimafia interdittiva. 


Inoltre, il 
provvedimento che 
dispone 
l’amministrazione 
giudiziaria 
o il 
controllo giudiziario è 
comunicato dalla 
cancelleria 
del 
Tribunale 
al 
Prefetto 
dove 
ha 
sede 
legale 
l’impresa, ai 
fini 
dell’aggiornamento della 
Banca 
dati, ed 
è 
valutato anche 
ai 
fini 
dell’applicazione 
delle 
misure 
di 
prevenzione 
collaborativa, 
nei successivi cinque anni. 



TEMI 
ISTITUzIONALI 


Tale 
provvedimento sospende 
il 
termine 
per il 
rilascio dell’informazione 
antimafia di cui all’art. 92, comma 2 e gli effetti di cui all’articolo 94. 


Con 
riferimento 
alla 
sospensione 
degli 
effetti 
di 
cui 
all’art. 
94 
e 
al 
giudizio 
amministrativo 
avente 
ad 
oggetto 
il 
provvedimento 
interdittivo, 
la 
giurisprudenza 
ha 
in 
più 
occasioni 
(cfr. 
ordinanza 
del 
Consiglio 
di 
Stato 
n. 
5667 
del 
15 
ottobre 
2021) 
chiarito 
che 
non 
è 
consentito 
subordinare 
l’efficacia 
sospensiva 
della 
misura 
cautelare 
all’ammissione 
dell’impresa 
al 
controllo 
giudiziario, 
in 
quanto 
è 
diverso 
l’oggetto 
del 
giudizio 
avanti 
al 
Giudice 
amministrativo, 
che 
deve 
verificare 
la 
sussistenza 
degli 
elementi 
posti 
a 
base 
del 
provvedimento 
prefettizio, 
e 
quello 
davanti 
al 
Giudice 
ordinario, 
che 
deve 
effettuare 
una 
prognosi 
circa 
il 
recupero 
dell’impresa 
al 
circuito 
legale 
per 
l’occasionalità 
del 
collegamento 
con 
le 
associazioni 
mafiose, 
e 
non 
si 
può 
dunque 
nemmeno 
vincolare 
temporaneamente 
l’esito, 
anche 
cautelare, 
del 
primo 
giudizio 
alle 
sorti 
del 
secondo 
(cfr. 
Consiglio 
di 
Stato, 
Sez. 
III, 
ordinanza 
29 
settembre 
2021, 
n. 
5371). 


Inoltre, 
il 
Supremo 
Consesso 
amministrativo 
(cfr. 
sentenza 
1049 
del 
4 
febbraio 
2021) 
ha 
statuito 
che, 
nel 
sistema 
delle 
relazioni 
fra 
prevenzione 
amministrativa 
e 
prevenzione 
penale 
antimafia, 
vanno 
esclusi 
in 
capo 
al 
Tribunale 
di 
prevenzione, 
poteri 
di 
controllo 
dei 
presupposti 
della 
interdittiva 
antimafia, 
venendo 
altrimenti 
ad 
introdursi 
nel 
sistema 
una 
duplicazione 
del 
controllo 
sulla 
legittimità 
della 
misura 
interdittiva 
e 
segnatamente 
sulla 
sussistenza 
o 
meno 
dei 
presupposti 
(cfr. 
in 
tal 
senso 
Cass. 
Penale 
sentenza 
Sez. 
6, 
del 
9 
maggio 
2019, n. 26342). 


“Come 
evidenziato 
nella 
sentenza 
n. 
338/2021, 
la 
valutazione 
del 
Giudice 
della prevenzione 
penale 
si 
fonda su parametri 
non sovrapponibili 
alla ricognizione 
probabilistica del 
rischio di 
infiltrazione, che 
costituisce 
invece 
presupposto 
del 
provvedimento 
prefettizio, 
e 
rispetto 
ad 
essa 
si 
colloca 
in 
un 
momento successivo. 


Non 
è 
pertanto 
casuale 
che 
nella 
sistematica 
normativa 
il 
controllo 
giudiziario 
(e 
le 
relative 
valutazioni: 
inclusa 
quella 
sull’ammissione) 
presupponga 
l’adozione 
dell’informativa: 
rispetto 
alla 
quale 
rappresenta 
un 
post 
factum. 


Pretendere 
di 
sindacare 
la 
legittimità 
del 
provvedimento 
prefettizio 
alla 
luce 
delle 
risultanze 
della 
(successiva) 
delibazione 
di 
ammissibilità 
al 
controllo 
giudiziario, 
finalizzato 
proprio 
ad 
un’amministrazione 
dell’impresa 
immune 
da 
(probabili) 
infiltrazioni 
criminali, 
appare 
dunque 
operazione 
doppiamente 
viziata: 
perché 
inevitabilmente 
diversi 
sono 
gli 
elementi 
(anche 
fattuali) 
considerati 
-anche 
sul 
piano 
diacronico 
-nelle 
due 
diverse 
sedi, 
ma 
soprattutto 
perché 
diversa 
è 
la 
prospettiva 
d’indagine, 
id 
est 
l’individuazione 
dei 
parametri 
di 
accertamento 
e 
di 
valutazione 
dei 
legami 
con 
la 
criminalità 
organizzata. 


Non può pertanto sostenersi, come 
fa l’appellante, che 
la pronuncia del 
giudice 
della 
prevenzione 
penale 
produca 
un 
accertamento 
vincolante, 
con 
efficacia di 
giudicato, sul 
rischio di 
infiltrazione 
dell’impresa da parte 
della 
criminalità organizzata”. 



RASSEGNA 
AVVOCATURA 
DELLO 
STATO -N. 2/2022 


Con riferimento al 
controllo giudiziario delle 
aziende, le 
modifiche 
normative 
non hanno espressamente 
disciplinato gli 
effetti 
della 
cessazione 
del 
controllo 
giudiziario 
e 
le 
conseguenti 
attività 
a 
carico 
delle 
Prefetture. 
Rimane 
dunque 
invariato 
quanto 
indicato 
nella 
Circolare 
del 
Ministero 
dell’Interno, 
nel 
senso di 
effettuare 
ulteriori 
verifiche 
antimafia, tenendo conto degli 
esiti 
della 
misura 
del 
controllo giudiziario e 
di 
eventuali 
nuovi 
elementi 
di 
valutazione, 
ai fini dell’adozione di un nuovo provvedimento. 


D’altra 
parte 
è 
emerso 
in 
sede 
contenziosa 
che, 
nei 
giudizi 
d’appello 
proposti 
dall’Avvocatura 
e 
sospesi 
per 
la 
durata 
del 
controllo 
giudiziario, 
una 
volta 
concluso 
quest’ultimo 
e 
fissata 
l’udienza 
di 
discussione 
del 
merito, 
il 
Consiglio di 
Stato, nel 
valutare 
la 
sussistenza 
dei 
presupposti 
per dichiarare 
cessata 
la 
materia 
del 
contendere 
o 
comunque 
decidere 
nel 
merito, 
esamina 
con 
particolare 
attenzione 
anche 
le 
motivazioni 
del 
nuovo 
provvedimento 
adottato, 
al 
fine 
di 
verificare 
se 
-al 
di 
là 
della 
espressa 
definizione 
nello 
stesso 
contenuta 
-si 
tratti 
di 
revoca 
(alla 
luce 
degli 
esiti 
del 
controllo giudiziario) o 
annullamento 
in 
autotutela, 
con 
le 
conseguenze 
che 
ne 
possono 
derivare 
anche 
in termini risarcitori. 


Pertanto, si 
rende 
opportuno prestare 
particolare 
attenzione 
nel 
motivare 
i 
provvedimenti 
adottati 
all’esito del 
controllo giudiziario, dando particolare 
evidenza 
a 
quanto 
emerso 
nel 
corso 
e 
all’esito 
di 
tale 
misura 
(in 
termini 
di 
nuovi 
elementi), 
laddove 
si 
ritenga 
sussistano 
i 
presupposti 
per 
emettere 
un 
provvedimento liberatorio. 


4. interventi 
e 
contenzioso del 
Comitato di 
Coordinamento per 
l’Alta Sorgeglianza 
delle 
infrastrutture 
e 
degli 
insediamenti 
Prioritari 
(CCASiiP) 
e 
Struttura 
di missione 
Antimafia Sisma 2016. 
Il 
Comitato 
di 
Coordinamento 
per 
l’Alta 
Sorveglianza 
delle 
Infrastrutture 
e 
degli 
Insediamenti 
Prioritari 
(CCASIIP) costituisce 
lo snodo centrale 
del 
sistema 
di 
monitoraggio antimafia 
nel 
settore 
delle 
infrastrutture 
e 
degli 
insediamenti 
prioritari, 
articolato 
in 
forma 
di 
“rete”, 
considerata 
la 
complessità 
dell’attività e l’estensione territoriale. 


Il 
contenzioso 
registrato 
in 
questi 
ultimi 
anni 
ha 
riguardato 
essenzialmente 
la 
Struttura 
di 
Missione 
Antimafia 
Sisma 
2016, istituita 
(cfr. art. 30 del 
D.L. 


n. 189 del 
17 ottobre 
2016, conv. dalla 
L. n. 229 del 
15 dicembre 
2016) per 
garantire 
la 
legalità 
delle 
attività 
di 
ricostruzione 
nei 
territori 
del 
Centro Italia 
colpiti 
dal 
sisma 
del 
2016, con il 
compito di 
verificare 
la 
documentazione 
antimafia 
degli operatori economici impegnati nei lavori. 
Al 
riguardo è 
richiesta 
alle 
imprese 
interessate 
l’iscrizione 
nell’apposita 
“Anagrafe 
antimafia 
degli 
esecutori”, 
un 
elenco 
gestito 
dalla 
Struttura 
di 
Missione 
in raccordo con le Prefetture delle Province interessate dal Sisma. 


La 
Struttura 
svolge 
attività 
di 
prevenzione 
e 
di 
contrasto alle 
infiltrazioni 
della 
criminalità 
organizzata 
nei 
lavori, nella 
gestione 
dei 
servizi 
e 
nel 
reperi



TEMI 
ISTITUzIONALI 


mento 
delle 
forniture 
necessarie 
alla 
ricostruzione 
dei 
Comuni 
del 
Centro 
Italia 
colpiti dagli eventi sismici del 2016. 


Nel 
2021 risultano essere 
stati 
instaurati 
n. 7 contenziosi, nell’ambito di 
uno dei 
quali 
è 
stata 
emessa 
l’ordinanza 
del 
TAR per la 
Toscana 
n. 253/2021, 
che 
ha 
dichiarato la 
propria 
incompetenza 
a 
favore 
del 
TAR Lazio, con le 
seguenti 
motivazioni 
che 
si 
segnalano: 
“Premesso che 
con il 
presente 
gravame 
è 
impugnato il 
provvedimento mediante 
il 
quale 
il 
ministero dell’interno ha 
emesso informazione 
antimafia nei 
confronti 
dell’impresa ricorrente 
e 
contestualmente 
revocato la sua iscrizione 
all’anagrafe 
antimafia degli 
esecutori 
degli 
operatori 
economici 
interessati 
agli 
interventi 
di 
ricostruzione 
nei 
comuni 
del 
centro 
italia 
colpiti 
dagli 
eventi 
sismici 
nell’anno 
2016; 
Considerato 
che: -in via preliminare 
deve 
scrutinarsi 
la sussistenza dei 
presupposti 
processuali 
e 
in particolare, per 
quanto interessa nella presente 
sede, la competenza 
territoriale 
del 
Tribunale 
adito; 
-l’art. 
13 
c.p.a. 
pone 
due 
criteri 
per 
individuare 
la competenza territoriale 
consistenti 
l’uno, nel 
luogo in cui 
ha 
sede 
l'autorità emanante 
l’atto impugnato e 
l’altro, nel 
luogo in cui 
questo è 
destinato a produrre 
effetti; -nel 
caso di 
specie 
l’applicazione 
di 
entrambi 
i 
criteri 
porta a ritenere 
l’incompetenza del 
Tribunale 
adito a favore 
del 
Tribunale 
Amministrativo Regionale 
per 
il 
Lazio, sede 
di 
Roma, poiché 
il 
provvedimento 
gravato 
è 
stato 
emanato 
da 
un’autorità 
centrale 
ed 
esplica 
effetti 
che 
non 
sono 
limitati 
alla 
sola 
regione 
Toscana 
comportando 
direttamente 
(anche) 
l’inibizione 
ad 
effettuare 
lavori 
nei 
Comuni 
del 
centro 
italia 
sopramenzionati; 
-come 
correttamente 
rilevato 
dalla 
difesa 
erariale, 
nel 
caso 
di 
contestuale 
impugnazione 
di 
una 
informativa 
interdittiva 
e 
dei 
conseguenti 
atti 
applicativi 
il 
giudice 
territorialmente 
competente 
è 
quello 
nella 
cui 
circoscrizione 
si 
trova 
l’ente 
che 
ha 
adottato 
l'informativa, 
rilevando 
l'interesse 
del 
ricorrente 
all'annullamento 
della stessa (C.d.S., A.P., 7 novembre 2014 n. 29)”. 


La 
Struttura 
nel 
2021 ha 
affrontato, tra 
le 
altre, le 
problematiche 
inerenti 
al 
“contraddittorio nel 
procedimento di 
rilascio dell’interdittiva 
antimafia” 
e 
al 
nuovo 
“modello 
collaborativo”, 
anche 
alla 
luce 
della 
Circolare 
del 
Ministero 
dell’Interno del 
16 novembre 
2021 succitata; 
ha 
valutato gli 
effetti 
della 
sentenza 
della 
Corte 
Costituzionale 
n. 178/2021 e 
approfondito le 
situazioni 
immediatamente 
ostative ex art. 67 d.lgs. n. 159/2011. 


5. Scioglimenti dei Comuni per mafia. 
Con riferimento ai 
contenziosi 
riguardanti 
scioglimenti 
dei 
Comuni 
per 
mafia, nell’anno 2021 ne risultano 21. 


Si 
segnala 
che, 
come 
in 
casi 
analoghi 
e 
in 
conformità 
al 
quadro 
normativo 
ed 
agli 
orientamenti 
giurisprudenziali 
sopra 
richiamati 
trattando 
l’accesso, 
con 
ordinanza 
n. 
3028 
dell’11 
marzo 
2021, 
il 
TAR 
ha 
disposto 
l’acquisizione 
degli 
atti 
del 
procedimento, 
ordinando 
alla 
parte 
resistente 
“la 
produzione 
in 
giudizio 
dei 
predetti 
atti, 
con 
l’avvertenza 
che, 
trattandosi 
di 
atti 
classificabili 
come 
“ri



RASSEGNA 
AVVOCATURA 
DELLO 
STATO -N. 2/2022 


servati” 
ai 
sensi 
dell’art. 
42 
l. 
n. 
124/2007, 
la 
conservazione 
e 
l’ostensione 
degli 
stessi 
a 
tutte 
le 
parti 
del 
giudizio 
sono 
sottoposte 
alle 
cautele 
di 
cui 
al 
comma 
8 
dell’art. 
42 
cit. 
e 
che 
potranno 
essere 
consultati 
senza 
estrazione 
di 
copia”. 


Poiché 
normalmente 
l’Amministrazione 
si 
avvale 
dell’Avvocatura 
anche 
per 
il 
deposito 
dei 
documenti 
riservati, 
in 
adempimento 
delle 
ordinanze 
istruttorie 
di 
tale 
tipologia, 
è 
opportuno 
che 
i 
documenti 
vengano 
consegnati 
in 
busta 
chiusa, 
con 
appositi 
timbri 
e 
la 
dicitura 
relativa 
alla 
natura 
dei 
documenti 
contenuti, 
con 
allegata, 
all’esterno, 
una 
nota 
indirizzata 
all’Avvocatura, 
al 
fine 
di consentirne la protocollazione e il deposito della busta integra. 


6. La vigilanza collaborativa di 
ANAC. 
Uno 
degli 
strumenti 
più 
efficaci 
di 
azione 
e 
di 
prevenzione 
da 
parte 
di 
ANAC 
è 
la 
“vigilanza 
collaborativa” 
che, 
a 
partire 
dalla 
seconda 
metà 
del 
2021, 
è 
stata 
estesa 
anche 
al 
supporto 
alle 
Amministrazioni 
sul 
fronte 
anticorruzione. 


L’istituto 
della 
vigilanza 
collaborativa 
si 
è 
dimostrato 
molto 
utile 
anche 
nei 
casi 
di 
Comuni 
sciolti 
per 
infiltrazioni 
mafiose. 
Gli 
Enti 
locali 
risultano 
le 
Amministrazioni 
più 
esposte 
ai 
rischi 
di 
contaminazione 
criminale 
e 
di 
infiltrazioni 
mafiose. 
Da 
qui 
l'importanza 
di 
un 
affiancamento, 
anche 
dopo 
la 
cessazione 
del 
commissariamento, 
nelle 
attività 
maggiormente 
esposte 
ai 
rischi 
di 
infiltrazione, 
come 
l’aggiudicazione 
di 
contratti 
pubblici 
di 
appalti 
e 
concessioni. 


A 
tali 
Comuni 
ANAC garantisce 
un presidio di 
legalità, anche 
nei 
casi 
di 
scioglimento delle 
Amministrazioni 
locali, disposto a 
seguito di 
fenomeni 
di 
infiltrazione 
e 
condizionamento criminale, focalizzando il 
proprio intervento 
sulle 
procedure 
di 
aggiudicazione 
che 
sono risultate 
più esposte 
a 
tale 
rischio. 


7. Dati relativi ai contenziosi in materia di antimafia 2021. 
Si 
allegano di 
seguito i 
dati 
relativi 
ai 
contenziosi 
antimafia, distinti 
per 
sedi dell’Avvocatura e riguardanti l’anno 2021. 



temiistituzionali 



Contenziosi 
Antimafia 
Anno 2021 
SCIOGLIMENTO DEI CONSIGLI COMUNALI 
PER INFILTRAZIONI MAFIOSE 
Distrettuale 
Nr. Affari 
Roma 
9 
Ancona 
0 
Bari 
1 
Bologna 
0 
Brescia 
0 
Cagliari 
0 
Caltanissetta 
1 
Catania 
0 
Catanzaro 
3 
Firenze 
0 
Genova 
0 
L’Aquila 
0 
Lecce 
2 
Messina 
0 
Milano 
0 
Napoli 
1 
Palermo 
1 
Perugia 
0 
Potenza 
0 
Torino 
0 
Trento 
0 
Trieste 
0 
Venezia 
1 
Salerno 
1 
Campobasso 
0 
Reggio Calabria 
1 
Totale 
21 



rassegnaavvocaturadellostato-
n.
2/
2022 


Contenziosi 
Antimafia 
Anno 2021 
CERTIFICAZIONE ANTIMAFIA 
Distrettuale 
Nr. Affari 
Roma 
399 
Ancona 
3 
Bari 
15 
Bologna 
30 
Brescia 
12 
Cagliari 
0 
Caltanissetta 
0 
Catania 
49 
Catanzaro 
67 
Firenze 
13 
Genova 
3 
L’Aquila 
0 
Lecce 
53 
Messina 
0 
Milano 
23 
Napoli 
124 
Palermo 
70 
Perugia 
5 
Potenza 
15 
Torino 
28 
Trento 
0 
Trieste 
0 
Venezia 
3 
Salerno 
5 
Campobasso 
2 
Reggio Calabria 
102 
Totale 
1021 



TEMI 
ISTITUZIONALI 


Rimborso ai dipendenti delle spese legali di difesa ai sensi 


dell’art. 18 D.L. n. 67/1997, conv. in L. 135/1997. 


In merito all’estensione ai professori universitari 


Parere 
del 
05/08/2022 
-512966, al 21273/2022, 

V.a.G. enrico 
de 
GioVanni, aVV. alessandro 
JacoanGeli 
Codesta 
Avvocatura 
pone 
un quesito in merito all'estensione 
delle 
previsioni 
di 
cui 
all'art. 
18, 
comma 
1, 
del 
d.l. 
n. 
67 
del 
1997 
in 
favore 
dei 
professori 
universitari, allegando nota 
22 febbraio 2022 con cui, richiamandosi 
alla 
sentenza 
della 
Corte 
di 
cassazione 
n. 41999/21, escludeva 
la 
rimborsabilità 
delle 
spese 
legali 
affrontate 
da 
un docente 
universitario in quanto non dipendente 
statale; al riguardo si osserva quanto segue. 


**** 


La 
questione 
è 
stata 
oggetto 
di 
diversi 
orientamenti 
in 
giurisprudenza, 
come emerge, fra le altre, dalle decisioni che di seguito si richiamano. 


Secondo T.A.R. Liguria, Sez. I, sent. 24 giugno 2002, n. 709, l'espressa 
limitazione 
della 
previsione 
normativa 
di 
cui 
all'art. 18 d.l. n. 67 del 
1997 ai 
dipendenti 
statali, 
da 
qualificare 
pertanto 
eccezionale, 
esclude 
la 
possibilità 
di 
estendere 
in 
via 
anche 
analogica 
il 
rimborso 
delle 
spese 
legali 
a 
soggetti 
legati 
da 
un rapporto professionale 
con un soggetto pubblico dotato ormai 
pacificamente 
di 
autonomia, quale 
va 
considerata 
l'Università 
alla 
stregua 
del 
vigente 
ordinamento. 


Sulla 
questione 
è 
di 
recente 
intervenuto, 
in 
senso 
contrario, 
il 
T.A.R. 
per 
la 
Basilicata, 
con 
la 
sentenza 
n. 
558/19, 
ove 
si 
afferma: 
“Questo 
Tribunale 
... 
ritiene 
di 
aderire 
all'altro 
orientamento 
giurisprudenziale 
(cfr. 
Tar 
Palermo 
sez. 
i 
sentenze 
n. 
3348 
del 
10 
dicembre 
2007 
e 
n. 
2141 
del 
30 
settembre 
2004, 
e 
più 
di 
recente 
c.d.s. 
sez. 
Vi 
sent. 
n. 
1154 
del 
13 
maggio 
2017), 
ai 
sensi 
del 
quale 
l'art. 
18 
d.l. 
n. 
67/1997 
conv. 
nella 
l. 
n. 
135/1997 
va 
applicato 
anche 
nei 
confronti 
dei 
Professori 
Universitari, 
attesochè 
tale 
norma 
non 
è 
affatto 
eccezionale, 
in 
quanto 
è 
stata 
recepita 
in 
tutti 
i 
comparti 
del 
pubblico 
impiego 
(cfr. 
per 
es. 
l'art. 
67 
dPr 
n. 
268/1987 
per 
i 
dipendenti 
degli 
enti 
locali), 
ed 
anche 
perché 
il 
rimborso 
delle 
spese 
legali, 
sostenute 
dai 
pubblici 
dipendenti 
per 
fatti 
inerenti 
al 
servizio, 
era 
stato 
riconosciuto 
dalla 
Giurisprudenza 
(sul 
punto 
cfr. 
c.d.s. 
sez. 
iV 
sent. 
n. 
1681 
dell'11 
aprile 
2007) 
anche 
prima 
dell'entrata 
in 
vigore 
della 
norma 
in 
esame, 
tenuto 
conto 
della 
finalità 
che 
nello 
svolgimento 
del 
servizio 
i 
pubblici 
dipendenti 
non 
debbano 
nutrire 
eccessivi 
timori 
di 
incorrere 
in 
contestazioni 
di 
responsabilità 
penale, 
civile 
ed 
amministrative 
che, 
seppure 
infondate, 
abbiano 
effetti 
negativi 
sulla 
loro 
sfera 
patrimoniale, 
e 
di 
evitare 
comportamenti 
inefficienti 
e/o 
inefficaci 
con 
la 
conseguente 
limitazione 
dei 
danni, 
derivanti 
dal 
comportamento 
inerte 
dei 
suoi 
funzionari 
nelle 
fatti



RASSEgNA 
AVVOCATURA 
dELLO 
STATO -N. 2/2022 


specie 
più 
complesse 
dell'azione 
amministrativa, 
per 
non 
incorrere 
in 
responsabilità 
patrimoniali”. 


In merito a 
siffatto precedente 
va 
precisato che 
il 
richiamo alla 
sentenza 


C.d.S. Sez. VI Sent. n. 1154 del 
13 maggio 2017 non appare 
rilevante, poiché 
la 
sentenza 
non affronta 
esplicitamente 
e 
funditus 
il 
tema 
della 
spettanza 
del 
rimborso ai 
professori 
universitari, limitandosi 
a 
respingere 
l'appello del 
docente 
per altri 
motivi; 
va 
inoltre 
segnalato che 
avverso la 
decisione 
del 
T.A.R. 
per la Basilicata è stato proposto appello, con udienza non ancora fissata. 
Nel 
gravame 
questa 
Avvocatura 
ha 
sostenuto 
che 
l'ambito 
di 
applicazione 
della 
norma 
deve 
ritenersi 
rigorosamente 
circoscritto a 
quanto emerge 
dal 
suo 
contenuto 
testuale, 
inferendone 
che, 
stante 
l'espressa 
limitazione 
recata 
da 
tale 
disposizione 
ai 
“dipendenti 
di 
amministrazioni 
statali” 
e 
adeguatamente 
valorizzata 
l'autonomia 
riconosciuta 
agli 
Atenei 
dal 
vigente 
ordinamento, 
il 
problema 
di 
applicabilità 
della 
richiamata 
disciplina 
va 
risolta 
attraverso 
l'identificazione 
di 
un eventuale 
richiamo normativo all'art. 18 all'interno del 
vigente 
Regolamento 
universitario; 
le 
Università, 
infatti, 
nell'ambito 
della 
propria 
autonomia, ben possono prevedere, con apposite 
disposizioni 
statutarie 
o 
regolamentari, il 
rimborso delle 
spese 
legali 
sostenute 
dai 
propri 
dipendenti. 
Siffatte 
tesi 
sono, 
peraltro, 
conformi 
al 
parere 
prot. 
18883 
del 
15 
gennaio 
2015 
reso dall'Avvocatura generale. 


Si 
segnala, infine, il 
seguente 
obiter 
dictum 
nella 
recentissima 
sentenza 


n. 
7031/22, 
del 
30 
maggio 
2022 
del 
T.A.R. 
Lazio, 
sez. 
I 
stralcio: 
“secondo 
costante 
orientamento giurisprudenziale 
(ex 
multis, cons. stato, sez. iii, 10 dicembre 
2013, 
n. 
5919; 
in 
senso 
analogo 
T.a.r. 
lazio, 
sez. 
ii, 
7 
febbraio 
2014, 
n. 1487) nel 
pubblico impiego la tutela legale 
dei 
dipendenti, sia in generale 
che 
nell'ipotesi 
specifica 
dell'art. 
18 
d.l. 
67/1997 
che 
si 
riferisce 
ai 
soli 
dipendenti 
di amministrazioni statali...” (enfasi aggiunta). 
**** 


Le 
citate 
decisioni 
pongono, 
dunque, 
la 
questione 
della 
natura 
della 
previsione 
di 
cui 
all'art. 
18 
in 
esame, 
se 
essa 
debba 
essere 
considerata 
come 
norma 
di 
stretta 
interpretazione, 
come 
tale 
riferibile 
solo 
ai 
“dipendenti 
delle 
amministrazioni 
statali”, 
o 
se 
invece 
debba 
essere 
letta 
come 
norma 
“non... 
eccezionale... 
recepita 
in 
tutti 
i 
comparti 
del 
pubblico 
impiego” 
(come 
ritiene 
il 
T.A.R. 
lucano). 


Nell'affrontare 
il 
problema 
occorre, innanzi 
tutto, segnalare 
che 
utili 
indicazioni 
sulla 
natura 
dell'art. 18 vanno tratte 
da 
una 
recente 
pronuncia 
della 
Corte 
costituzionale, 
che 
ha 
esaminato 
la 
questione 
relativa 
alla 
rimborsabilità 
delle 
spese 
legali 
in favore 
di 
soggetti 
non dipendenti 
dalla 
P.A., ma 
che 
svolgono, 
per essa, funzioni e attività amministrative. 


In esito alla 
questione 
di 
costituzionalità 
concernente 
l'art. 18 del 
d.l. n. 
67/97, 
in 
data 
9 
dicembre 
2020, 
è 
stata 
depositata 
la 
sentenza 
n. 
267/2020 
che, 
nel 
dichiarare 
la 
parziale 
incostituzionalità 
della 
citata 
norma, ha 
affermato, 
tra 
l'altro, che 
“nel 
prevedere 
il 
rimborso delle 
spese 
di 
patrocinio legale 
so



TEMI 
ISTITUZIONALI 


stenute 
nei 
giudizi 
promossi 
per 
fatti 
inerenti 
alla 
funzione 
e 
conclusisi 
con 
accertamento negativo di 
responsabilità, l'art. 18, comma 1, del 
d.l. n. 67 del 
1997, come 
convertito, testualmente 
individua i 
beneficiari 
del 
rimborso nei 
«dipendenti 
di 
amministrazioni 
statali» 
e 
le 
«amministrazioni 
di 
appartenenza
» quali 
obbligate, sicché 
è 
corretta la premessa da cui 
muove 
il 
rimettente, 
vale 
a dire 
l'impossibilità di 
estendere 
per 
via interpretativa il 
diritto 
al 
rimborso a soggetti 
che 
operano nell'interesse 
dell'amministrazione 
al 
di 
fuori 
da 
un 
rapporto 
di 
impiego” 
e 
“che 
tale 
disposizione, 
insieme 
all'art. 
18, comma 1, del 
d.l. n. 67 del 
1997, come 
convertito, e 
all'art. 31, comma 2, 
cod. 
giust. 
contabile, 
«si 
inserisce 
nel 
quadro 
di 
un 
complessivo 
apparato 
normativo 
volto 
a 
evitare 
che 
il 
pubblico 
dipendente 
possa 
subire 
condizionamenti 
in 
ragione 
delle 
conseguenze 
economiche 
di 
un 
procedimento 
giudiziario, 
anche 
laddove 
esso si 
concluda senza l'accertamento di 
responsabilità» (sentenza 
n. 189 del 
2020)” 
(enfasi 
aggiunta); 
siffatta 
esigenza, prosegue 
la 
sentenza 
riferendosi 
alla 
specifica 
fattispecie 
in esame, riguardante 
il 
giudice 
di 
pace, 
“sussiste 
per 
l'attività 
giurisdizionale 
nel 
suo 
complesso, 
quale 
funzione 
essenziale 
dell'ordinamento 
giuridico, 
con 
pari 
intensità 
per 
il 
giudice 
professionale 
e 
per 
il 
giudice 
onorario. in questo senso, come 
pure 
rilevato dalla 
medesima 
sentenza, 
il 
beneficio 
del 
rimborso 
delle 
spese 
di 
patrocinio 
«attiene 
non al 
rapporto di 
impiego [...] 
bensì 
al 
rapporto di 
servizio», trattandosi 
di 
un presidio della funzione, rispetto alla quale 
il 
profilo organico appare 
recessivo”. 
Pertanto, 
la 
Corte 
ritiene 
che 
“attesa 
l'identità 
della 
funzione 
del 
giudicare, e 
la sua primaria importanza nel 
quadro costituzionale, è 
irragionevole 
che 
il 
rimborso delle 
spese 
di 
patrocinio sia dalla legge 
riconosciuto 
al 
solo giudice 
"togato" 
e 
non anche 
al 
giudice 
di 
pace, mentre 
per 
entrambi 
ricorre, con eguale 
pregnanza, l'esigenza di 
garantire 
un'attività serena e 
imparziale, 
non condizionata dai 
rischi 
economici 
connessi 
ad eventuali 
e 
pur 
infondate 
azioni 
di 
responsabilità”. La 
Corte 
ha 
dichiarato, quindi, 
“con riferimento 
all'art. 3 cost., l'illegittimità costituzionale 
dell'art. 18, comma 1, del 


d.l. n. 67 del 
1997, come 
convertito, nella parte 
in cui 
non prevede 
che 
il 
Ministero 
della 
giustizia 
rimborsi 
le 
spese 
di 
patrocinio 
legale 
al 
giudice 
di 
pace 
nelle ipotesi e alle condizioni stabilite dalla norma stessa”. 
La 
sentenza, 
dunque, 
afferma 
espressamente 
“l'impossibilità 
di 
estendere 
per 
via interpretativa il 
diritto al 
rimborso a soggetti 
che 
operano nell'interesse 
dell'amministrazione 
al 
di 
fuori 
da un rapporto di 
impiego” 
e 
dichiara 
“l'illegittimità 
costituzionale 
dell'art. 
18, 
comma 
1, 
del 
d.l. 
n. 
67 
del 
1997, 
come 
convertito, 
nella 
parte 
in 
cui 
non 
prevede 
che 
il 
Ministero 
della 
giustizia 
rimborsi 
le 
spese 
di 
patrocinio 
legale 
al 
giudice 
di 
pace 
nelle 
ipotesi 
e 
alle 
condizioni stabilite dalla norma stessa”. 


Si 
tratta, pertanto, di 
una 
decisione 
che 
dispone 
esclusivamente 
in relazione 
ai 
giudici 
di 
pace 
e 
non 
sembra 
prestarsi 
ad 
essere 
interpretata 
e 
applicata 
al 
di 
là 
dei 
limiti 
del 
caso di 
specie, come 
postulante 
un principio di 
ordine 



RASSEgNA 
AVVOCATURA 
dELLO 
STATO -N. 2/2022 


generale 
immediatamente 
applicabile 
a 
tutti 
i 
soggetti 
(diversi 
dai 
giudici 
di 
pace) che, pur non essendo “dipendenti 
di 
amministrazione 
statali”, prestano 
in favore 
di 
esse 
una 
funzione 
finalizzata 
al 
perseguimento dei 
pubblici 
interessi 
nell'ambito di un rapporto di servizio. 


da 
siffatta 
lettura 
si 
può agevolmente 
inferire 
che 
secondo la 
Corte 
costituzionale 
l'art. 18 è 
disposizione 
eccezionale, di 
stretta 
interpretazione, che 
non si 
presta 
ad essere 
immediatamente 
applicata 
al 
di 
fuori 
dei 
limiti 
testualmente 
enunciati, cioè, a 
soggetti 
diversi 
dai 
“dipendenti 
di 
amministrazione 
statali”, né ad applicazioni analogiche. 


Ai 
sensi 
della 
sentenza 
in esame, in particolare, l'art. 18 del 
d.l. n. 67/97 
non 
può 
essere 
oggi 
immediatamente 
applicato 
anche 
al 
di 
fuori 
dell'esistenza 
di 
rapporto di 
impiego; 
ma 
-a 
giudizio della 
Scrivente 
-ne 
consegue 
che 
altrettanto 
è 
a 
dirsi 
per i 
dipendenti 
di 
amministrazioni 
pubbliche 
non riconducibili 
nel 
novero 
delle 
“amministrazioni 
statali”, 
conclusione, 
peraltro, 
che 
sembra 
confermata 
dalla 
circostanza 
che 
per 
altre 
categorie 
di 
dipendenti 
pubblici 
siano vigenti 
in subiecta materia 
altre 
normative 
statali 
o regionali, e 
per 
altre 
categorie 
vi 
siano 
apposite 
previsione 
nei 
contratti 
collettivi 
o 
talvolta 
individuali. 


Nel 
medesimo senso, peraltro, si 
è 
di 
recente 
espressa 
Cass. civ. Sez. lavoro, 
ord., 30 dicembre 
2021, n. 41999, rammentata 
nel 
quesito, ove 
testualmente 
si 
afferma: 
“Va 
ribadito 
l'orientamento, 
consolidato 
nella 
giurisprudenza di 
questa corte, secondo cui 
dalla normativa di 
settore 
(d.l. 


n. 67 del 
1997, art. 18 e, per 
gli 
enti 
locali, d.lgs. n. 267 del 
2000, art. 86 
come 
modificato 
dal 
d.l. 
n. 
78 
del 
2015) 
nonché 
dalla 
disciplina 
contrattuale 
dei 
diversi 
comparti 
dell'impiego pubblico contrattualizzato non si 
può ricavare 
un principio generale 
di 
rimborso delle 
spese 
legali 
a favore 
dei 
funzionari 
pubblici per i procedimenti relativi agli atti compiuti nell'esercizio delle 
funzioni, del 
servizio o dell'incarico e, pertanto, ove 
quelle 
disposizioni 
non 
siano direttamente 
applicabili, il 
diritto al 
rimborso non può essere 
riconosciuto 
ricorrendo 
all'interpretazione 
estensiva 
o 
analogica 
(si 
rimanda 
a 
cass. 
n. 6745/2019 ed alla giurisprudenza ivi richiamata)”. 
Sempre 
nel 
senso 
di 
ritenere 
l'art. 
18 
quale 
norma 
di 
stretta 
interpretazione 
si 
è 
pronunciato più volte 
il 
Consiglio di 
Stato: 
“il 
suo ambito d'applicazione 
è 
rigorosamente 
circoscritto a quanto emerge 
dal 
suo contenuto testuale, non 
essendo la norma stessa espressione 
di 
un principio generale, da essa derivando 
un onere 
a carico dell'amministrazione” 
(così 
Consiglio di 
Stato, Sez. 
IV, sentenza 
n. 3396 del 
6 giugno 2011); 
più di 
recente, per tutte 
C.d.S. sent. 
8079/19: “l'art. 18 è di stretta applicazione”. 


**** 


Tanto 
premesso 
occorre 
valutare 
se 
i 
docenti 
universitari 
possano 
o 
meno 
definirsi 
“dipendenti 
di 
amministrazioni 
statali”, 
valutando 
se 
le 
Università 
possano dirsi amministrazioni statali. 



TEMI 
ISTITUZIONALI 


A 
tal 
fine 
giova 
prendere 
le 
mosse 
dal 
principio 
sancito 
dall'art. 
33, 
comma 
6, 
della 
Costituzione, 
ai 
sensi 
del 
quale: 
“le 
istituzioni 
di 
alta 
cultura, 
università ed accademie, hanno il 
diritto di 
darsi 
ordinamenti 
autonomi 
nei 
limiti stabiliti dalle leggi dello stato”. 


Parimenti 
di 
interesse, è 
l'art. 6 della 
legge 
9 maggio 1989, n. 168 (rubricato 
“Autonomia 
delle 
università”) ai 
sensi 
del 
quale: 
“1. le 
università sono 
dotate 
di 
personalità giuridica e, in attuazione 
dell'articolo 33 della costituzione, 
hanno 
autonomia 
didattica, 
scientifica, 
organizzativa, 
finanziaria 
e 
contabile; 
esse 
si 
danno ordinamenti 
autonomi 
con propri 
statuti 
e 
regolamenti. 


2. nel 
rispetto dei 
principi 
di 
autonomia stabiliti 
dall'articolo 33 della costituzione 
e 
specificati 
dalla legge, le 
università sono disciplinate, oltre 
che 
dai 
rispettivi 
statuti 
e 
regolamenti, 
esclusivamente 
da 
norme 
legislative 
che 
vi 
operino 
espresso 
riferimento. 
È 
esclusa 
l'applicabilità 
di 
disposizioni 
emanate 
con circolare. 3. le 
università svolgono attività didattica e 
organizzano le 
relative 
strutture 
nel 
rispetto 
della 
libertà 
di 
insegnamento 
dei 
docenti 
e 
dei 
principi 
generali 
fissati 
nella 
disciplina 
relativa 
agli 
ordinamenti 
didattici 
universitari. nell'osservanza di 
questi 
principi 
gli 
statuti 
determinano i 
corsi 
di 
diploma, anche 
effettuati 
presso scuole 
dirette 
a fini 
speciali, di 
laurea e 
di 
specializzazione; 
definiscono 
e 
disciplinano 
i 
criteri 
per 
l'attivazione 
dei 
corsi 
di 
perfezionamento, di 
dottorato di 
ricerca e 
dei 
servizi 
didattici 
integrativi”. 
I citati 
riferimenti 
normativi, che 
hanno contribuito a 
delineare 
l'assetto 
ordinamentale 
delle 
Università 
pubbliche 
in termini 
di 
forte 
autonomia, sono 
stati 
interpretati 
dalla 
recente 
giurisprudenza 
di 
legittimità 
nel 
senso 
di 
ritenere 
che 
gli 
Atenei 
non siano propriamente 
configurabili 
quali 
organi 
dello Stato 
(come 
invece 
parte 
della 
giurisprudenza 
aveva 
ritenuto prima 
dell'entrata 
in 
vigore 
della 
citata 
L. n. 168/1989), dovendo piuttosto essere 
qualificate 
come 
enti pubblici autonomi. 


In proposito, nell'esaminare 
i 
principi 
espressi 
dal 
legislatore 
del 
1989, 
le 
Sezioni 
Unite 
della 
Corte 
di 
cassazione 
hanno 
avuto 
modo 
di 
affermare 
che: 
“si 
tratta 
[il 
riferimento è 
alla 
L. n. 168/1989] di 
una disciplina che, mentre 
conferma 
la 
soggettività 
giuridica 
delle 
Università 
statali, 
già 
riconosciuta 
dal 
r.d. n. 1592 del 
1933, art. 1, ne 
rafforza significativamente 
l'autonomia, 
con l'attribuzione, oltre 
a quella didattica e 
scientifica, già presente 
nel 
citato 
r.d., di 
quella organizzativa, finanziaria e 
contabile, e 
soprattutto della autonomia 
normativa statutaria e 
regolamentare. Potestà, quest'ultima, idonea 
a caratterizzare 
le 
Università come 
ente 
pubblico autonomo, e 
non più come 
organo dello stato” (Cass. SS.UU., sent. n. 10700 del 10 maggio 2006). 


Analoghe 
considerazioni 
sono state 
svolte 
più di 
recente 
dalla 
Corte 
di 
cassazione 
con la 
sentenza 
n. 8824 del 
10 giugno 2012, nella 
quale 
è 
stato osservato 
che: 
“alle 
Università non può essere 
riconosciuta la qualità di 
organi 


o 
amministrazioni 
dello 
stato, 
atteso 
che, 
per 
un 
verso, 
gli 
artt. 
6 
e 
7 
della 
legge 
9 
maggio 
1989, 
n. 
168, 
attribuiscono 
ad 
esse, 
oltre 
all'autonomia 
didat

RASSEgNA 
AVVOCATURA 
dELLO 
STATO -N. 2/2022 


tica 
e 
scientifica, 
anche 
l'autonomia 
organizzativa, 
finanziaria, 
contabile, 
statutaria 
e 
regolamentare, 
e, 
per 
altro 
verso, 
gli 
artt. 
6 
del 
d.lgs. 
3 
febbraio 
1993, n. 29, e 
5 della legge 
24 dicembre 
1993, n. 537, qualificano l'uno gli 
impiegati 
tecnici 
ed 
amministrativi 
e 
l'altro 
i 
docenti 
e 
ricercatori 
non 
più 
come dipendenti statali, ma come dipendenti dell'ente-università”. 


Tali 
coordinate 
ermeneutiche 
sembrano 
confermare 
l'assunto 
per 
cui 
la 
figura 
del 
docente 
universitario non sia 
riconducibile 
al 
genus 
dei 
dipendenti 
dello Stato in senso stretto, trattandosi 
piuttosto di 
categoria 
professionale 
il 
cui rapporto lavorativo è instaurato con il solo Ateneo di appartenenza. 


depone 
in questo senso, altresì, la 
previsione 
di 
cui 
all'art. 5, comma 
9, 
della 
L. n. 537/1993 ai 
sensi 
del 
quale: 
“le 
funzioni 
del 
Ministero dell'università 
e 
della 
ricerca 
scientifica 
e 
tecnologica 
relative 
allo 
stato 
giuridico 
ed 
economico dei 
Professori 
universitari 
e 
dei 
ricercatori, fatte 
salve 
le 
competenze 
e 
le 
norme 
vigenti 
in 
materia 
di 
concorsi, 
nonché 
le 
norme 
vigenti 
in 
materia 
di 
stato 
giuridico, 
sono 
attribuite 
alle 
università 
di 
appartenenza, 
che 
le 
esercitano 
nelle 
forme 
stabilite 
dallo 
statuto, 
provvedendo 
comunque 
direttamente 
agli adempimenti in materia di pubblicità”. 


Il 
descritto passaggio di 
competenze 
dal 
Ministero agli 
Atenei 
è 
stato invocato 
dalla 
giurisprudenza 
di 
legittimità 
(il 
riferimento 
è 
a 
Cass. 
civ., 
sentenza 


n. 8824 del 
1° 
giugno 2012) quale 
argomento a 
sostegno della 
tesi 
per cui 
il 
rapporto 
lavorativo 
del 
docente 
e 
del 
ricercatore 
sia 
instaurato 
direttamente 
con l'ente universitario, e non anche con l'amministrazione dello Stato. 
A 
conclusioni 
non 
dissimili 
sembra 
potersi 
giungere 
esaminando 
la 
disciplina 
contenuta 
negli 
artt. 18 e 
24 della 
L. n. 240/2010, che 
regola 
la 
chiamata 
dei 
professori 
di 
prima 
e 
seconda 
fascia, nonché 
l'iter 
per la 
stipula 
di 
contratti 
di 
lavoro subordinato in favore 
dei 
ricercatori 
universitari. Le 
citate 
norme, 
infatti, 
attribuiscono 
in 
modo 
univoco 
agli 
Atenei 
l'insieme 
delle 
competenze 
necessarie 
alla 
selezione 
del 
personale 
docente 
nei 
limiti 
delle 
disponibilità 
di 
bilancio, 
in 
coerenza 
con 
gli 
obbiettivi 
di 
programmazione 
finanziaria e tenendo conto dei fabbisogni propri di ciascun Istituto. 


In particolare, ai 
sensi 
del 
citato art. 18 “le 
università, con proprio regolamento 
adottato 
ai 
sensi 
della 
legge 
9 
maggio 
1989, 
n. 
168, 
disciplinano, 
nel 
rispetto del 
codice 
etico, la chiamata dei 
professori 
di 
prima e 
di 
seconda fascia 
nel 
rispetto dei 
principi 
enunciati 
dalla carta europea dei 
ricercatori, di 
cui 
alla raccomandazione 
della commissione 
delle 
comunità europee 
n. 251 
dell'11 
marzo 
2005 
[...]”. 
Il 
che 
sembra 
costituire 
espressione 
del 
significativo 
ambito di 
autonomia 
con il 
quale 
gli 
Atenei 
definiscono la 
propria 
organizzazione 
in coerenza con la previsione dell'art. 33 Cost. 


In definitiva, i 
citati 
riferimenti 
normativi, per come 
interpretati 
dalla 
citata 
giurisprudenza 
di 
legittimità, portano ulteriormente 
a 
ritenere 
che 
il 
personale 
di 
cui 
trattasi 
instauri 
il 
proprio 
rapporto 
lavorativo 
non 
con 
l'Amministrazione 
dello 
Stato, 
ma 
con 
il 
solo 
Ateneo 
di 
appartenenza 
che 



TEMI 
ISTITUZIONALI 


provvede 
alla 
selezione, nonché 
all'inquadramento professionale 
del 
proprio 
corpo docente. Appare, pertanto, difficilmente 
sostenibile 
la 
tesi 
per cui 
la 
figura 
del 
professore 
universitario 
sia 
annoverabile 
nella 
categoria 
dei 
dipendenti 
statali in senso stretto. 


Siffatte 
considerazioni 
(anche 
alla 
luce 
degli 
orientamenti 
espressi 
dalla 
giurisprudenza 
costituzionale 
testé 
citata) già 
escludono ex 
se 
l'applicabilità 
al 
caso 
di 
specie 
dell'art. 
18, 
comma 
1, 
del 
d.l. 
n. 
67 
del 
1997 
che, 
si 
ribadisce, 
riconosce 
la 
rimborsabilità 
delle 
spese 
di 
patrocinio in favore 
dei 
soli 
“dipendenti 
di 
amministrazioni 
statali”. E 
ciò, come 
detto, in ragione 
della 
necessità 
che 
il 
citato art. 18 sia 
applicato secondo un canone 
interpretativo rigoroso, 
non conciliabile con l'istituto dell'analogia, per le ragioni sopra esposte. 


Né, 
come 
correttamente 
osservato 
dall'Avvocatura 
distrettuale, 
il 
rimborso 
delle 
spese 
di 
patrocinio legale 
risulta 
poter essere 
invocato dal 
docente 
universitario in virtù delle 
previsioni 
della 
contrattazione 
collettiva 
riferita 
al 
personale 
amministrativo 
e 
dirigenziale 
delle 
università, 
posto 
che 
i 
professori 
come 
anche 
i 
ricercatori 
universitari 
svolgono la 
propria 
attività 
lavorativa 
in 
regime 
di 
diritto pubblico non contrattualizzato ai 
sensi 
dell'art. 3, comma 
2, 
del d.lgs. n. 165/2001. 


Peraltro, le 
clausole 
della 
contrattazione 
collettiva 
citate 
nella 
nota 
del-
l'Avvocatura 
distrettuale 
(art. 59 CCNL 
2006-2009 e 
art. 45 dirigenza 
Universitaria 
2002-2005) limitano il 
proprio ambito di 
applicazione 
soggettiva 
in 
favore 
del 
solo personale 
amministrativo e 
dirigenziale 
delle 
università, con 
esclusione 
del 
personale 
docente 
(si 
veda 
in proposito l'art. 12 CCNQ 
per la 
definizione dei comparti di contrattazione, sottoscritto l'11 giugno 2007). 


**** 
In 
definitiva 
dunque 
i 
docenti 
universitari, 
non 
essendo 
“dipendenti 
di 
amministrazioni 
statali”, alla 
luce 
della 
vigente 
legislazione 
non rientrano fra 
i 
soggetti 
che 
possono beneficiare 
di 
anticipazioni/rimborsi 
delle 
spese 
legali 
di 
difesa 
ai 
sensi 
dell'art. 18 del 
d.L. 67/97, ferma 
restando la 
possibilità 
per 
ogni 
singolo Ateneo, nell'ambito della 
propria 
autonomia 
e 
in considerazione 
delle 
generali 
ragioni 
che 
hanno 
portato 
alla 
previsione 
dell'art. 
18 
per 
i 
dipendenti 
statali, di 
introdurre 
all'interno delle 
proprie 
disposizioni 
statutarie 
o 
regolamentari una previsione di analogo tenore. 


Sul 
presente 
parere 
è 
stato 
sentito 
il 
Comitato 
Consultivo 
dell'Avvocatura 
dello Stato che si è espresso in conformità nella seduta dell'8 luglio 2022. 


L’Avvocato generale dello Stato 
gABRIELLA PALMIERI SANdULLI 



RASSEgNA 
AVVOCATURA 
dELLO 
STATO -N. 2/2022 


Avvocatura 
Generaledello 
Stato 


CirColare 
n. 73/2022 


Oggetto: 
Soppressione 
di 
riscossione 
Sicilia 
s.p.a. 
e 
successione 
a 
titolo 
universale 
di 
agenzia delle 
entrate-riscossione 
(aDer) a decorrere 
dal 
1° 
ottobre 
2021. 
Terzo 
addendum 
al 
Protocollo 
d’intesa 
sottoscritto 
il 
30 
marzo 
2022 tra l’avvocatura dello Stato e 
aDer. 


Con l'allegata 
Circolare 
n. 63/2021 è 
stato trasmesso l'Addendum 
al 
Protocollo d'intesa 
sottoscritto il 
1° 
ottobre 
2021 tra 
l'Avvocatura 
dello Stato e 
AdER con il 
quale, tenuto conto 
dell'impatto che 
la 
successione 
di 
AdER a 
Riscossione 
Sicilia 
s.p.a 
poteva 
avere 
sull'attività 
dell'Avvocatura 
dello Stato, si 
disponeva 
al 
punto 2.1, che 
“l'avvocatura dello stato fino al 
31 marzo 2022 non 
presterà il 
proprio patrocinio a favore 
dell'ente 
relativamente 
a tutte 
le 
cause, sia passive 
che 
attive, riferibili 
alle 
attività della disciolta riscossione 
sicilia s.p.a., 
e ciò indipendentemente dal grado di giudizio e dalla magistratura adita”. 


In 
data 
30 
marzo 
2022 
è 
stato 
sottoscritto 
un 
secondo 
Addendum, 
con 
il 
quale 
il 
termine 
del 31 marzo 2022 è stato posticipato al 31 dicembre 2022. 


In 
data 
23 
dicembre 
2022 
è 
stato 
sottoscritto 
un 
terzo 
Addendum, 
con 
il 
quale 
il 
termine 
del 31 dicembre 2022 è stato posticipato al 
31 marzo 2023. 


Fino 
a 
tale 
data, 
pertanto, 
continua 
ad 
applicarsi 
quanto 
previsto 
nella 
Circolare 
n. 
63/2021, con particolare 
riferimento al 
fatto che 
l'archivio non debba 
procedere 
all'impianto 
di 
nuovi 
affari 
per 
gli 
atti 
afferenti 
ai 
contenziosi 
suddetti 
eventualmente 
notificati 
presso 
l'Avvocatura. 


Allegati: 


1) Terzo Addendum 
del 
23 dicembre 
2022 (pubblicato sul 
sito Internet 
dell'Avvocatura 
dello Stato e dell'Agenzia delle Entrate-Riscossione); 
2) Circolare n. 63/2021. 
L'AVVOCATO gENERALE 
gabriella 
PALMIERI SANdULLI 


(omissis) 



TEMI 
ISTITUZIONALI 


Avvocatura 
Generaledello 
Stato 


CirColare 
n. 74/2022 


Oggetto: 
Modifiche 
al 
processo 
civile 
introdotte 
dal 
D.lgs. 
10 
ottobre 
2022, n. 149 efficaci 
dal 
1° 
gennaio 2023. le 
novità sul 
processo civile 
telematico 
e sul giudizio di cassazione. Prime indicazioni operative. 


Sulla 
g.U. 
n. 
243 
del 
17 
ottobre 
2022 
è 
stato 
pubblicato 
il 
testo 
del 
d.lgs. 
10 ottobre 
2022, n. 149 di 
“attuazione 
della legge 
26 novembre 
2021, n. 206, 
recante 
delega 
al 
Governo 
per 
l'efficienza 
del 
processo 
civile 
e 
per 
la 
revisione 
della disciplina degli 
strumenti 
di 
risoluzione 
alternativa delle 
controversie 
e 
misure 
urgenti 
di 
razionalizzazione 
dei 
procedimenti 
in 
materia 
di 
diritti 
delle 
persone e delle famiglie nonché in materia di esecuzione forzata”. 


In deroga 
alla 
previsione 
generale 
secondo cui 
le 
disposizioni 
contenute 
nel 
decreto trovano applicazione 
ai 
procedimenti 
instaurati 
successivamente 
al 
28 
febbraio 
2023 
(art. 
35, 
comma 
1, 
d.lgs. 
n. 
149/2022, 
nel 
testo 
modificato 
dall'art. 
1, 
comma 
380, 
della 
legge 
di 
bilancio 
2023, 
in 
corso 
di 
pubblicazione 
in g.U.) (1), numerose 
disposizioni, essenzialmente 
concernenti 
il 
processo 


(1) L'art. 35 (“disciplina transitoria”), come 
modificato dall'art. 1, comma 380, della legge 
di 
bilancio 2023, così 
dispone: 
“1. le 
disposizioni 
del 
presente 
decreto, salvo che 
non sia diversamente 
disposto, hanno effetto a decorrere 
dal 
28 febbraio 2023 e 
si 
applicano ai 
procedimenti 
instaurati 
successivamente 
a tale 
data. ai 
procedimenti 
pendenti 
alla data del 
28 febbraio 2023 si 
applicano le 
disposizioni 
anteriormente vigenti. 
2. salvo quanto previsto dal 
secondo periodo, le 
disposizioni 
degli 
articoli 
127, terzo comma, 127-bis, 
127-ter 
e 
193, secondo comma, del 
codice 
di 
procedura civile, quelle 
previste 
dal 
capo i del 
titolo V-ter 
delle 
disposizioni 
per 
l'attuazione 
del 
codice 
di 
procedura 
civile 
e 
disposizioni 
transitorie, 
di 
cui 
al 
regio 
decreto 
18 
dicembre 
1941, 
n. 
1368, 
nonché 
dell'articolo 
196-duodecies 
delle 
medesime 
disposizioni 
per 
l'attuazione 
del 
codice 
di 
procedura civile 
e 
disposizioni 
transitorie, introdotti 
dal 
presente 
decreto, si 
applicano a decorrere 
dal 
1° 
gennaio 2023 anche 
ai 
procedimenti 
civili 
pendenti 
davanti 
al 
tribunale, 
alla corte 
di 
appello e 
alla corte 
di 
cassazione. le 
disposizioni 
degli 
articoli 
196-quater 
e 
196-sexies 
delle 
disposizioni 
per 
l'attuazione 
del 
codice 
di 
procedura 
civile 
e 
disposizioni 
transitorie, 
introdotti 
dal 
presente 
decreto, si 
applicano ai 
dipendenti 
di 
cui 
si 
avvalgono le 
pubbliche 
amministrazioni 
per 
stare in giudizio personalmente dal 28 febbraio 2023. 
3. davanti 
al 
giudice 
di 
pace, al 
tribunale 
per 
i 
minorenni, al 
commissario per 
la liquidazione 
degli 
usi 
civici 
e 
al 
tribunale 
superiore 
delle 
acque 
pubbliche, le 
disposizioni 
degli 
articoli 
127, terzo comma, 
127-bis, 127-ter 
e 
193, secondo comma, del 
codice 
di 
procedura civile 
e 
quelle 
dell'articolo 196-duodecies 
delle 
disposizioni 
per 
l'attuazione 
del 
codice 
di 
procedura civile 
e 
disposizioni 
transitorie, di 
cui 
al 
regio decreto 18 dicembre 
1941, n. 1368, introdotti 
dal 
presente 
decreto, hanno effetto a decorrere 
dal 
1° 
gennaio 2023 anche 
per 
i 
procedimenti 
civili 
pendenti 
a tale 
data. davanti 
ai 
medesimi 
uffici, le 
disposizioni 
previste 
dal 
capo i del 
titolo V-ter 
delle 
citate 
disposizioni 
per 
l'attuazione 
del 
codice 
di 
procedura civile 
e 
disposizioni 
transitorie, introdotto dal 
presente 
decreto, si 
applicano a decorrere 
dal 
30 giugno 2023 anche 
ai 
procedimenti 
pendenti 
a tale 
data. con uno o più decreti 
non aventi 
natura regolamentare 
il 
Ministro della giustizia, accertata la funzionalità dei 
relativi 
servizi 
di 
comunicazione, 
può individuare 
gli 
uffici 
nei 
quali 
viene 
anticipato, anche 
limitatamente 
a specifiche 
categorie 
di 
procedimenti, 
il termine di cui al secondo periodo. 
4. le 
norme 
dei 
capi 
i e 
il 
del 
titolo iii del 
libro secondo e 
quelle 
degli 
articoli 
283, 434, 436-bis, 437 
e 
438 del 
codice 
di 
procedura civile, come 
modificati 
dal 
presente 
decreto, si 
applicano alle 
impugna

RASSEgNA 
AVVOCATURA 
dELLO 
STATO -N. 2/2022 


civile 
telematico e 
il 
giudizio di 
cassazione, sono destinate 
a 
trovare 
applicazione 
già dal 1° gennaio 2023. 


Tenuto conto del 
particolare 
impatto di 
tali 
previsioni 
anche 
sull'attività 
dell'Avvocatura 
dello 
Stato, 
si 
fornisce 
di 
seguito 
un 
quadro 
sintetico 
delle 
principali novità. 


*** 


1. 
LE 
NOVITÀ 
SUL 
PROCESSO 
CIVILE 
TELEMATICO 
IN 
VIGORE 
DAL 
1° 
GENNAIO 
2023. 
Come 
accennato, 
a 
norma 
dell'art. 
35, 
comma 
2, 
d.lgs. 
n. 
149/2022, 
gran 
parte 
delle 
nuove 
norme 
in tema 
di 
processo civile 
telematico troverà 
applicazione 
in tutti 
i 
procedimenti 
civili 
pendenti 
alla 
data 
del 
l° 
gennaio 2023 davanti 
al 
Tribunale, alla Corte di appello e alla Corte di cassazione (2). 


In estrema sintesi: 


-viene 
compiutamente 
disciplinato il 
regime 
dell'udienza 
a 
distanza 
mediante 
collegamenti 
audiovisivi 
e 
dell'udienza 
sostituita 
dal 
deposito di 
note 
scritte; 
zioni proposte successivamente al 28 febbraio 2023. 


5. salvo quanto disposto dal 
comma 6, le 
norme 
del 
capo iii del 
titolo iii del 
libro secondo del 
codice 
di 
procedura civile 
e 
del 
capo iV 
delle 
disposizioni 
per 
l'attuazione 
del 
codice 
di 
procedura civile 
e 
disposizioni 
transitorie, di 
cui 
al 
regio decreto 18 dicembre 
1941, n. 1368, come 
modificati 
dal 
presente 
decreto, hanno effetto a decorrere 
dal 
1° 
gennaio 2023 e 
si 
applicano ai 
giudizi 
introdotti 
con ricorso 
notificato a decorrere da tale data. 
6. Gli 
articoli 
372, 375, 376, 377, 378, 379, 380, 380-bis, 380-bis.1, 380-ter, 390 e 
391-bis 
del 
codice 
di 
procedura civile, come 
modificati 
dal 
presente 
decreto, si 
applicano anche 
ai 
giudizi 
introdotti 
con 
ricorso 
già 
notificato 
alla 
data 
del 
1° 
gennaio 
2023 
per 
i 
quali 
non 
è 
stata 
ancora 
fissata 
udienza 
o 
adunanza in camera di consiglio. 
7. le 
disposizioni 
dell'articolo 363-bis 
del 
codice 
di 
procedura civile, introdotto dal 
presente 
decreto, 
si applicano anche ai procedimenti di merito pendenti alla data del 1° gennaio 2023. 
8. 
le 
disposizioni 
di 
cui 
all'articolo 
3, 
comma 
34, 
lettere 
b), 
c), 
d) 
ed 
e), 
si 
applicano 
agli 
atti 
di 
precetto 
notificati successivamente al 28 febbraio 2023. 
9. 
le 
disposizioni 
di 
cui 
agli 
articoli 
4, 
comma 
1, 
e 
10, 
comma 
1, 
hanno 
effetto 
a 
decorrere 
dal 
30 
giugno 
2023. 
10. 
Fino 
all'adozione 
del 
decreto 
ministeriale 
previsto 
dall'articolo 
13, 
quarto 
comma, 
delle 
disposizioni 
per 
l'attuazione 
del 
codice 
di 
procedura civile 
e 
disposizioni 
transitorie, di 
cui 
al 
regio decreto 18 dicembre 
1941, 
n. 
1368, 
introdotto 
dal 
presente 
decreto, 
continuano 
ad 
applicarsi 
gli 
articoli 
15 
e 
16 
delle 
medesime 
disposizioni 
per 
l'attuazione 
del 
codice 
di 
procedura civile 
e 
disposizioni 
transitorie, 
nel testo vigente prima della data di entrata in vigore del presente decreto. 
11. Fino all'adozione 
dei 
provvedimenti 
previsti 
dall'articolo 196-duodecies, quinto comma, delle 
disposizioni 
per 
l'attuazione 
del 
codice 
di 
procedura 
civile 
e 
disposizioni 
transitorie, 
di 
cui 
al 
regio 
decreto 
18 
dicembre 
1941, 
n. 
1368, 
introdotto 
dal 
presente 
decreto, 
i 
collegamenti 
da 
remoto 
per 
lo 
svolgimento 
delle 
udienze 
civili 
continuano a essere 
regolati 
dal 
provvedimento del 
direttore 
generale 
per 
i 
sistemi 
informativi e automatizzati del Ministero della giustizia 2 novembre 2020 ”. 
(2) Avanti 
al 
Tribunale 
e 
alla 
Corte 
d'appello era 
già 
prevista 
l'obbligatorietà 
del 
deposito telematico 
di 
tutti 
gli 
atti 
processuali, 
anche 
di 
quelli 
introduttivi, 
ma 
solo 
in 
virtù 
della 
disciplina 
emergenziale 
introdotta 
dall’articolo 83, comma 
11, del 
d.L. 17 marzo 2020, n. 18 (convertito, con modificazioni, 
dalla 
legge 
24 aprile 
2020, n. 27), poi 
confermata 
dall'articolo 221 del 
d.L. 19 maggio 2000, n. 34, nonché, 
da 
ultimo, dall'articolo 16 del 
d.L. 30 dicembre 
2021, n. 228 (convertito, con modificazioni, dalla 
legge 22 febbraio 2022, n. 15). 

TEMI 
ISTITUZIONALI 


-diviene 
obbligatorio il 
deposito telematico degli 
atti 
processuali 
in tutti 
i 
procedimenti 
civili 
pendenti 
davanti 
al 
tribunale, alla 
Corte 
di 
appello e 
alla 
Corte di cassazione; 
-riguardo, 
invece, 
al 
deposito 
telematico 
davanti 
al 
giudice 
di 
pace, 
al 
Tribunale 
per i 
minorenni, al 
Commissario per la 
liquidazione 
degli 
usi 
civici 
e 
al 
Tribunale 
superiore 
delle 
acque 
pubbliche, 
l'art. 
35, 
comma 
3 
(3), 
del 
d.l.gs. n. 149/2022 ne posticipa l'applicazione al 30 giugno 2023. 


*** 


1.1. 
Udienza 
con 
collegamenti 
audiovisivi 
a 
distanza 
o 
sostituita 
dal 
deposito 
di note scritte. 
dal 
1° 
gennaio 2023 sono, dunque, destinate 
a 
trovare 
immediata 
applicazione 
le disposizioni di seguito indicate (4). 


Art. 127, comma 3, c.p.c.: 


“il 
giudice 
può disporre, nei 
casi 
e 
secondo le 
disposizioni 
di 
cui 
agli 
articoli 
127-bis 
e 
127-ter, che 
l'udienza si 
svolga mediante 
collegamenti 
audiovisivi 
a distanza o sia sostituita dal deposito di note scritte”. 


*** 


Art. 127-bis 
c.p.c. (Udienza mediante collegamenti audiovisivi): 


“lo 
svolgimento 
dell'udienza, 
anche 
pubblica, 
mediante 
collegamenti 
audiovisivi 
a distanza può essere 
disposto dal 
giudice 
quando non è 
richiesta la 
presenza di 
soggetti 
diversi 
dai 
difensori, dalle 
parti, dal 
pubblico ministero 
e dagli ausiliari del giudice. 


il provvedimento di cui al primo comma è comunicato alle parti almeno 
quindici 
giorni 
prima 
dell'udienza. 
ciascuna 
parte 
costituita, 
entro 
cinque 
giorni 
dalla comunicazione, può chiedere 
che 
l'udienza si 
svolga in presenza. 
il 
giudice, 
tenuto 
conto 
dell'utilità 
e 
dell'importanza 
della 
presenza 
delle 
parti 
in 
relazione 
agli 
adempimenti 
da 
svolgersi 
in 
udienza, 
provvede 
nei 
cinque 
giorni 
successivi 
con 
decreto 
non 
impugnabile, 
con 
il 
quale 
può 
anche 
disporre 
che 
l'udienza si 
svolga alla presenza delle 
parti 
che 
ne 
hanno fatto richiesta 
e 
con 
collegamento 
audiovisivo 
per 
le 
altre 
parti. 
in 
tal 
caso 
resta 
ferma la possibilità per queste ultime di partecipare in presenza. 


se 
ricorrono 
particolari 
ragioni 
di 
urgenza, 
delle 
quali 
il 
giudice 
dà 
atto 
nel 
provvedimento, 
i 
termini 
di 
cui 
al 
secondo 
comma 
possono 
essere 
abbreviati” 
(5). 


(3) L'ultimo periodo dell'art. 35, comma 
3, dispone: 
“davanti 
ai 
medesimi 
uffici, le 
disposizioni 
previste 
dal 
capo 
i 
del 
titolo 
V-ter 
delle 
citate 
disposizioni 
per 
l'attuazione 
del 
codice 
di 
procedura 
civile 
e 
disposizioni 
transitorie, introdotto dal 
presente 
decreto, si 
applicano a decorrere 
dal 
30 giugno 
2023 
anche 
ai 
procedimenti 
pendenti 
a 
tale 
data. 
con 
uno 
o 
più 
decreti 
non 
aventi 
natura 
regolamentare 
il 
Ministro 
della 
giustizia, 
accertata 
la 
funzionalità 
dei 
relativi 
servizi 
di 
comunicazione, 
può 
individuare 
gli 
uffici 
nei 
quali 
viene 
anticipato, 
anche 
limitatamente 
a 
specifiche 
categorie 
di 
procedimenti, 
il 
termine 
di cui al secondo periodo”. 
(4) Per effetto dell'art. 35, comma 
3, del 
d.lgs. n. 149/2022, tali 
disposizioni 
si 
applicano anche 
“davanti 
al 
giudice 
di 
pace, al 
Tribunale 
per 
i 
minorenni, al 
commissario per 
la liquidazione 
degli 
usi 
civici e al tribunale superiore delle acque pubbliche”. 

RASSEgNA 
AVVOCATURA 
dELLO 
STATO -N. 2/2022 


*** 
Art. 127-ter 
c.p.c. (deposito di note scritte in sostituzione dell'udienza): 
“l'udienza, 
anche 
se 
precedentemente 
fissata, 
può 
essere 
sostituita 
dal 
deposito 
di 
note 
scritte, 
contenenti 
le 
sole 
istanze 
e 
conclusioni, 
se 
non 
richiede 
la 
presenza 
di 
soggetti 
diversi 
dai 
difensori, 
dalle 
parti, 
dal 
pubblico 
ministero 
e 
dagli 
ausiliari 
del 
giudice. negli 
stessi 
casi, l'udienza è 
sostituita dal 
deposito 
di note scritte se ne fanno richiesta tutte le parti costituite. 
con il 
provvedimento con cui 
sostituisce 
l'udienza il 
giudice 
assegna un 
termine 
perentorio non inferiore 
a quindici 
giorni 
per 
il 
deposito delle 
note. 
ciascuna 
parte 
costituita 
può 
opporsi 
entro 
cinque 
giorni 
dalla 
comunicazione; 
il 
giudice 
provvede 
nei 
cinque 
giorni 
successivi 
con decreto non impugnabile 
e, 
in 
caso 
di 
istanza 
proposta 
congiuntamente 
da 
tutte 
le 
parti, 
dispone 
in conformità. se 
ricorrono particolari 
ragioni 
di 
urgenza, delle 
quali 
il 
giudice 
dà atto nel 
provvedimento, i 
termini 
di 
cui 
al 
primo e 
secondo periodo 
possono essere abbreviati. 
il 
giudice 
provvede 
entro trenta giorni 
dalla scadenza del 
termine 
per 
il 
deposito delle note. 
se 
nessuna delle 
parti 
deposita le 
note 
nel 
termine 
assegnato il 
giudice 
assegna un nuovo termine 
perentorio per 
il 
deposito delle 
note 
scritte 
o fissa 
udienza. se 
nessuna delle 
parti 
deposita le 
note 
nel 
nuovo termine 
o compare 
all'udienza, il 
giudice 
ordina che 
la causa sia cancellata dal 
ruolo e 
dichiara 
l'estinzione del processo. 
il 
giorno di 
scadenza del 
termine 
assegnato per 
il 
deposito delle 
note 
di 
cui al presente articolo è considerato data di udienza a tutti gli effetti”. 
*** 
Art. 193, comma 2, c.p.c. (Giuramento del consulente): 
“2. 
in 
luogo 
della 
fissazione 
dell'udienza 
di 
comparizione 
per 
il 
giuramento 
del 
consulente 
tecnico 
d'ufficio 
il 
giudice 
può 
assegnare 
un 
termine 
per 


(5) 
disposizioni 
di 
dettaglio 
sullo 
svolgimento 
dell'udienza 
con 
collegamenti 
audiovisivi 
a 
distanza 
sono 
contenute 
all'art. 
196-duodecies 
disp. 
att. 
c.p.c. 
(Udienza 
con 
collegamenti 
audiovisivi 
a 
distanza), 
pure applicabile dal 1° gennaio 2023, secondo cui: 
“l'udienza di 
cui 
all'articolo 127-bis 
del 
codice 
è 
tenuta con modalità idonee 
a salvaguardare 
il 
contraddittorio 
e 
ad assicurare 
l'effettiva partecipazione 
delle 
parti 
e, se 
l'udienza non è 
pubblica, la sua 
riservatezza. si applica l'articolo 84. 
nel 
verbale 
si 
dà atto della dichiarazione 
di 
identità dei 
presenti, i 
quali 
assicurano che 
non sono in 
atto 
collegamenti 
con 
soggetti 
non 
legittimati 
e 
che 
non 
sono 
presenti 
soggetti 
non 
legittimati 
nei 
luoghi 
da cui sono in collegamento. 
i presenti 
mantengono attiva la funzione 
video per 
tutta la durata dell'udienza. agli 
stessi 
è 
vietata la 
registrazione dell'udienza. 
il 
luogo dal 
quale 
il 
giudice 
si 
collega è 
considerato aula d'udienza a tutti 
gli 
effetti 
e 
l'udienza si 
considera 
tenuta nell'ufficio giudiziario davanti al quale è pendente il procedimento. 
con 
provvedimenti 
del 
direttore 
generale 
dei 
sistemi 
informativi 
e 
automatizzati 
del 
Ministero 
della 
giustizia 
sono individuati 
e 
regolati 
i 
collegamenti 
audiovisivi 
a distanza per 
lo svolgimento dell’udienza 
e le modalità attraverso le quali è garantita la pubblicità dell'udienza in cui si discute la causa”. 

TEMI 
ISTITUZIONALI 


il 
deposito 
di 
una 
dichiarazione 
sottoscritta 
dal 
consulente 
con 
firma 
digitale, 
recante 
il 
giuramento previsto dal 
primo comma. con il 
medesimo provvedimento 
il giudice fissa i termini previsti dall'articolo 195, terzo comma”. 


*** 


1.2. Deposito telematico obbligatorio. 
Immediatamente 
applicabile 
dal 
1° 
gennaio 2023 è 
il 
nuovo: 
«Titolo Vter 
disposizioni 
relative 
alla 
giustizia 
digitale» 
introdotto 
alle 
disposizioni 
per 
l'attuazione 
del 
codice 
di 
procedura 
civile 
e 
disposizioni 
transitorie, limitatamente 
alle 
disposizioni 
di 
cui 
al 
capo I e, quanto al 
capo II, all'articolo 196duodecies 
(6). 


Si tratta, in particolare, delle norme di seguito indicate. 


Art. 196-quater 
disp. att. c.p.c. (obbligatorietà del 
deposito telematico 
di atti e di provvedimenti): 


“nei 
procedimenti 
davanti 
al 
giudice 
di 
pace, al 
tribunale, alla corte 
di 
appello e 
alla corte 
di 
cassazione 
il 
deposito degli 
atti 
processuali 
e 
dei 
documenti, 
ivi 
compresa la nota di 
iscrizione 
a ruolo, da parte 
dei 
difensori 
e 
dei 
soggetti 
nominati 
o delegati 
dall'autorità giudiziaria ha luogo esclusivamente 
con 
modalità 
telematiche. 
con 
le 
stesse 
modalità 
le 
parti 
depositano 
gli 
atti 
e 
i 
documenti 
provenienti 
dai 
soggetti 
da esse 
nominati. il 
giudice 
può 
ordinare 
il 
deposito di 
copia cartacea di 
singoli 
atti 
e 
documenti 
per 
ragioni 
specifiche. 


nel 
procedimento di 
cui 
al 
libro iV, titolo i, capo i, del 
codice, escluso il 
giudizio 
di 
opposizione, 
il 
deposito 
dei 
provvedimenti 
del 
giudice 
ha 
luogo 
con modalità telematiche. 


il 
deposito con modalità telematiche 
è 
effettuato nel 
rispetto della normativa 
anche 
regolamentare 
concernente 
la sottoscrizione, la trasmissione 
e 
la ricezione dei documenti informatici. 


il 
capo 
dell'ufficio 
autorizza 
il 
deposito 
con 
modalità 
non 
telematiche 
quando i 
sistemi 
informatici 
del 
dominio giustizia non sono funzionanti 
e 
sussiste 
una 
situazione 
di 
urgenza, 
dandone 
comunicazione 
attraverso 
il 
sito 
istituzionale 
dell'ufficio. 
con 
la 
medesima 
forma 
di 
pubblicità 
provvede 
a 
comunicare l'avvenuta riattivazione del sistema”. 


Pertanto, anche 
nei 
giudizi 
dinnanzi 
alla 
Corte 
di 
cassazione, dal 
1° 
gennaio 
2023, 
sarà 
obbligatorio 
procedere 
al 
deposito 
degli 
atti 
processuali 
(ricorso, 
controricorso, memorie, istanze) e 
dei 
documenti 
esclusivamente 
con 
modalità telematiche. 

Si 
precisa 
che 
la 
suddetta 
disposizione 
in tema 
di 
obbligatorietà 
del 
deposito 
telematico si 
applicherà 
anche 
ai 
dipendenti 
di 
cui 
si 
avvalgono le 
pub


(6) gli 
altri 
articoli 
del 
capo II -dal 
196-octies 
al 
196-undecies 
-entrano, invece, in vigore 
il 
28 
febbraio 2023; 
fino a 
tale 
data 
restano applicabili 
le 
attuali 
disposizioni 
in materia 
di 
certificazione 
di 
conformità delle copie agli originali. 

RASSEgNA 
AVVOCATURA 
dELLO 
STATO -N. 2/2022 


bliche 
amministrazioni 
per 
stare 
in 
giudizio 
personalmente, 
ma 
soltanto 
dal 
28 febbraio 2023. 


*** 


Art. 196-quinquies 
disp. att. c.p.c. (dell'atto del 
processo redatto informato 
elettronico): 


“l'atto del 
processo redatto in formato elettronico dal 
magistrato o dal 
personale 
degli 
uffici 
giudiziari 
e 
degli 
uffici 
notificazioni, 
esecuzioni 
e 
protesti 
è depositato telematicamente nel fascicolo informatico. 


in 
caso 
di 
atto 
formato 
da 
organo 
collegiale 
l'originale 
del 
provvedimento 
è sottoscritto con firma digitale anche dal presidente. 


Quando l'atto è 
redatto dal 
cancelliere 
o dal 
segretario dell'ufficio giudiziario 
questi 
vi 
appone 
la propria firma digitale 
e 
ne 
effettua il 
deposito nel 
fascicolo informatico. 


se 
il 
provvedimento del 
magistrato è 
in formato cartaceo, il 
cancelliere 


o 
il 
segretario 
dell'ufficio 
giudiziario 
ne 
estrae 
copia 
informatica 
secondo 
quanto 
previsto 
dalla 
normativa 
anche 
regolamentare 
e 
provvede 
a 
depositarlo 
nel fascicolo informatico. 
se 
il 
provvedimento di 
correzione 
di 
cui 
all'articolo 288 del 
codice 
è 
redatto 
in formato elettronico, il 
cancelliere 
forma un documento informatico 
contenente 
la copia del 
provvedimento corretto e 
del 
provvedimento di 
correzione, 
lo sottoscrive digitalmente e lo inserisce nel fascicolo informatico”. 


*** 
Art. 196-sexies 
disp. att. c.p.c. (Perfezionamento del 
deposito con modalità 
telematiche): 
“il 
deposito con modalità telematiche 
si 
ha per 
avvenuto nel 
momento in 
cui 
è 
generata 
la 
conferma 
del 
completamento 
della 
trasmissione 
secondo 
quanto 
previsto 
dalla 
normativa 
anche 
regolamentare 
concernente 
la 
trasmissione 
e 
la ricezione 
dei 
documenti 
informatici 
ed è 
tempestivamente 
eseguito 
quando 
la 
conferma 
è 
generata 
entro 
la 
fine 
del 
giorno 
di 
scadenza 
(7). 
si 
applicano 
le 
disposizioni 
di 
cui 
all'articolo 155, quarto e 
quinto comma, del 
codice. 
se 
gli 
atti 
o 
i 
documenti 
da 
depositarsi 
eccedono 
la 
dimensione 
massima 
stabilita nelle 
specifiche 
tecniche 
del 
direttore 
generale 
per 
i 
sistemi 
informativi 
automatizzati 
del 
Ministero 
della 
giustizia, 
il 
deposito 
può 
essere 
eseguito 
mediante più trasmissioni” (8). 


(7) 
In 
base 
all'articolo 
16-bis, 
comma 
7, 
del 
d.L. 
179/2012 
(abrogato 
a 
decorrere 
dal 
1° 
gennaio 
2023), 
il 
deposito 
telematico 
si 
intendeva 
eseguito 
nel 
momento 
“in 
cui 
viene 
generata 
la 
ricevuta 
di 
avvenuta 
consegna 
da 
parte 
del 
gestore 
di 
posta 
elettronica 
certificata 
del 
Ministero 
della 
Giustizia”. 
In 
vista 
del 
possibile 
utilizzo 
di 
modalità 
di 
deposito 
diversa 
dalla 
trasmissione 
a 
mezzo 
PEC 
(ancora 
da 
attuare), 
l'art. 
196-sexies 
disp. 
att. 
c.p.c. 
prevede 
che 
il 
deposito 
si 
intende 
eseguito 
“nel 
momento 
in 
cui 
è 
generata 
la 
conferma 
del 
completamento 
della 
trasmissione”. 
Sino 
a 
che, 
peraltro, 
si 
ricorrerà 
alla 
trasmissione 
a 
mezzo 
PEC, 
deve 
ritenersi 
che 
la 
“conferma” 
coinciderà 
ancora 
con 
la 
generazione 
della 
ricevuta 
di 
avvenuta 
consegna, 
e 
non 
anche 
con 
i 
successivi 
controlli, 
automatici 
o 
da 
parte 
della 
cancelleria. 

TEMI 
ISTITUZIONALI 


*** 
Art. 
196-septies 
disp. 
att. 
c.p.c. 
(copia 
cartacea 
di 
atti 
depositati 
telematicamente): 
“con decreto del 
Ministro della giustizia sono stabilite 
misure 
organizzative 
per 
l'acquisizione 
di 
copia cartacea e 
per 
la riproduzione 
su supporto 
analogico 
degli 
atti 
depositati 
con 
modalità 
telematiche 
nonché 
per 
la 
gestione 
e la conservazione delle copie cartacee. 
con il 
decreto di 
cui 
al 
primo comma sono altresì 
stabilite 
le 
misure 
organizzative 
per 
la 
gestione 
e 
la 
conservazione 
degli 
atti 
depositati 
su 
supporto 
cartaceo 
a 
norma 
dell'articolo 
196-quater, 
primo 
comma, 
terzo 
periodo, 
e 
quarto comma”. 
*** 


2. IL NUOVO GIUDIZIO DI CASSAZIONE. 
I 
commi 
27 
e 
28 
dell'articolo 
3 
del 
d.lgs. 
n. 
149/2022 
hanno 
sensibilmente 
modificato il 
Libro II, Titolo III, Capo III, del 
codice 
di 
procedura 
civile, introducendo 
rilevanti 
novità 
nel 
giudizio in cassazione, destinate 
a 
trovare 
applicazione, 
con le precisazioni di cui si dirà 
infra, sin dal 1° gennaio 2023. 


In particolare, l'art. 35 del d.lgs. n. 149/2022 al comma 5 prevede che: 


“5. salvo quanto disposto dal 
comma 6 le 
norme 
di 
cui 
al 
capo iii del 
titolo 
iii del 
libro secondo del 
codice 
di 
procedura civile 
e 
del 
capo iV 
delle 
disposizioni 
per 
l'attuazione 
del 
codice 
di 
procedura 
civile 
e 
disposizioni 
transitorie, 
di 
cui 
al 
regio 
decreto 
18 
dicembre 
1941, 
n. 
1368, 
come 
modificati 
dal 
presente 
decreto, hanno effetto a decorrere 
dal 
1° 
gennaio 2023 e 
si 
applicano 
ai giudizi introdotti con ricorso notificato a decorrere da tale data”. 


Aggiunge, tuttavia, il successivo comma 6 che: 


“Gli 
articoli 
372, 375, 376, 377, 378, 379, 380, 380-bis, 380-bis.1, 380ter, 
390 e 
391-bis 
del 
codice 
di 
procedura civile, come 
modificati 
dal 
presente 
decreto, 
si 
applicano 
anche 
ai 
giudizi 
introdotti 
con 
ricorso 
già 
notificato 
alla 
data 
del 
1° 
gennaio 
2023 
per 
i 
quali 
non 
è 
stata 
ancora 
fissata 
udienza 
o 
adunanza 
in camera di consiglio”. 


In estrema sintesi la nuova normativa ha previsto: 


-la 
già 
ricordata 
obbligatorietà 
del 
deposito telematico degli 
atti 
e 
documenti 
anche per i procedimenti innanzi alla Corte di Cassazione; 
-l'abrogazione 
dell'incombente 
del 
deposito 
dell'istanza 
ex 
art. 
369, 
comma 3, c.p.c.; 
-l'eliminazione 
dell'adempimento 
della 
notificazione 
del 
controricorso 
(e 
dell'eventuale 
ricorso 
incidentale), 
dovendosi 
ora 
procedere 
esclusivamente 
al 
deposito 
telematico 
dell'atto 
(e 
dei 
relativi 
documenti) 
nel 
termine 
di 
40 
giorni dalla notificazione del ricorso; 


(8) Anche 
tale 
previsione 
si 
applicherà 
ai 
dipendenti 
di 
cui 
si 
avvalgono le 
pubbliche 
amministrazioni 
per stare in giudizio personalmente soltanto dal 28 febbraio 2023. 

RASSEgNA 
AVVOCATURA 
dELLO 
STATO -N. 2/2022 


-una 
complessiva 
riscrittura 
del 
procedimento in pubblica 
udienza 
e 
in 
camera 
di 
consiglio con l'uniformazione 
del 
termine 
per il 
deposito di 
memorie, 
pari ora sempre a dieci giorni prima dell'udienza o dell'adunanza; 
-l'eliminazione 
della 
Sezione 
Sesta 
(c.d. 
filtro) 
e 
l'introduzione 
di 
un 
nuovo 
procedimento 
per 
la 
decisione 
accelerata 
dei 
ricorsi 
inammissibili, 
improcedibili 
o manifestamente infondati; 


-l'introduzione 
del 
rimedio 
impugnatorio 
della 
c.d. 
“revocazione 
convenzionale” 
per contrarietà 
della 
pronuncia 
alla 
Convenzione 
europea 
dei 
diritti 
dell'uomo. 


2.1. 
Norme 
applicabili 
ai 
giudizi 
introdotti 
con 
ricorso 
notificato 
a 
decorrere dal 1° gennaio 2023. 
Le 
norme 
che 
verranno 
di 
seguito 
passate 
in 
rassegna 
sono 
destinate 
a 
trovare 
applicazione 
a 
tutti 
i 
giudizi 
di 
cassazione 
introdotti 
con ricorsi 
notificati 
a decorrere dal 1° gennaio 2023. 


2.1.1. il rinvio pregiudiziale ex art. 363-bis c.p.c. 
Il 
comma 
7 dell'art. 35 d.lgs. n. 149/2022 prevede 
che 
“le 
disposizioni 
di 
cui 
all'articolo 363-bis 
del 
codice 
di 
procedura civile, introdotto dal 
presente 
decreto, 
si 
applicano 
anche 
ai 
procedimenti 
di 
merito 
pendenti 
alla 
data 
del 1° gennaio 2023”. 


L'art. 
363-bis 
introduce 
il 
nuovo 
istituto 
del 
“rinvio 
pregiudiziale” 
alla 
Corte di Cassazione e così dispone: 


«il 
giudice 
di 
merito può disporre 
con ordinanza, sentite 
le 
parti 
costituite, 
il 
rinvio pregiudiziale 
degli 
atti 
alla corte 
di 
cassazione 
per 
la risoluzione 
di 
una 
questione 
esclusivamente 
di 
diritto, 
quando 
concorrono 
le 
seguenti condizioni: 


1) 
la questione 
è 
necessaria alla definizione 
anche 
parziale 
del 
giudizio 
e non è stata ancora risolta dalla corte di cassazione; 
2) 
la questione presenta gravi difficoltà interpretative; 
3) 
la questione è suscettibile di porsi in numerosi giudizi. 
l'ordinanza che 
dispone 
il 
rinvio pregiudiziale 
è 
motivata, e 
con riferimento 
alla condizione 
di 
cui 
al 
numero 2) del 
primo comma reca specifica indicazione 
delle 
diverse 
interpretazioni 
possibili. 
essa 
è 
immediatamente 
trasmessa 
alla 
corte 
di 
cassazione 
ed 
è 
comunicata 
alle 
parti. 
il 
procedimento 
è 
sospeso 
dal 
giorno 
in 
cui 
è 
depositata 
l'ordinanza, 
salvo 
il 
compimento 
degli 
atti 
urgenti 
e 
delle 
attività 
istruttorie 
non 
dipendenti 
dalla 
soluzione 
della 
questione 
oggetto del rinvio pregiudiziale. 


il 
primo 
presidente, 
ricevuta 
l'ordinanza 
di 
rinvio 
pregiudiziale, 
entro 
novanta 
giorni 
assegna la questione 
alle 
sezioni 
unite 
o alla sezione 
semplice 
per 
l'enunciazione 
del 
principio di 
diritto, o dichiara con decreto l'inammissibilità 
della questione 
per 
la mancanza di 
una o più delle 
condizioni 
di 
cui 
al 
primo comma. 


la corte, sia a sezioni 
unite 
che 
a sezione 
semplice, pronuncia in pub



TEMI 
ISTITUZIONALI 


blica udienza, con la requisitoria scritta del 
pubblico ministero e 
con facoltà 
per 
le 
parti 
costituite 
di 
depositare 
brevi 
memorie, nei 
termini 
di 
cui 
all'articolo 
378. 


con 
il 
provvedimento 
che 
definisce 
la 
questione 
è 
disposta 
la 
restituzione 
degli atti al giudice. 


il 
principio 
di 
diritto 
enunciato 
dalla 
corte 
è 
vincolante 
nel 
procedimento 
nell'ambito 
del 
quale 
è 
stata 
rimessa 
la 
questione 
e, 
se 
questo 
si 
estingue, 
anche 
nel 
nuovo 
processo 
in 
cui 
è 
proposta 
la 
medesima 
domanda 
tra 
le 
stesse 
parti». 


2.1.2. il ricorso per cassazione. 
Non 
presenta 
carattere 
sostanzialmente 
innovativo 
il 
nuovo 
quarto 
comma 
dell'art. 360 c.p.c., ove 
è 
aggiunto il 
seguente 
periodo: 
“Quando la pronuncia 
di 
appello 
conferma 
la 
decisione 
di 
primo 
grado 
per 
le 
stesse 
ragioni, 
inerenti 
ai 
medesimi 
fatti, poste 
a base 
della decisione 
impugnata, il 
ricorso per 
cassazione 
può 
essere 
proposto 
esclusivamente 
per 
i 
motivi 
di 
cui 
al 
primo 
comma, numeri 
1), 2), 3) e 
4). Tale 
disposizione 
non si 
applica relativamente 
alle cause di cui all'articolo 70, primo comma”. 


La 
norma 
si 
limita, 
infatti, 
a 
disciplinare 
in 
tale 
diversa 
sede 
la 
preclusione 
alla 
ricorribilità 
per 
cassazione 
nei 
casi 
di 
c.d. 
doppia 
conforme, 
già 
contenuta 
all'art. 348-ter 
c.p.c., norma 
quest'ultima 
che 
viene 
contestualmente 
abrogata 
dal comma 26, lett. e), dell'art. 3 del d.lgs. n. 149/2022. 


All'art. 362 c.p.c., tra 
gli 
altri 
casi 
di 
ricorso per cassazione, viene 
richiamato, 
al 
comma 
2, il 
nuovo istituto della 
“revocazione 
convenzionale”, compiutamente 
disciplinato dall'art. 391-quater 
c.p.c. (9), prevedendosi 
che 
“le 
decisioni 
dei 
giudici 
ordinari 
passate 
in giudicato possono altresì 
essere 
impugnate 
per 
revocazione 
ai 
sensi 
dell'articolo 391-quater 
quando il 
loro contenuto 
è 
stato dichiarato dalla corte 
europea dei 
diritti 
dell'uomo contrario 
alla convenzione ovvero ad uno dei suoi Protocolli”. 


Con riferimento al 
contenuto del 
ricorso per cassazione, sebbene 
sostanzialmente 
recettive 
dell'orientamento giurisprudenziale 
in tema 
di 
chiarezza, 


(9) Si 
riporta 
il 
testo del 
nuovo art. 391-quater 
(revocazione 
per 
contrarietà alla convenzione 
europea 
dei 
diritti 
dell'uomo): 
“le 
decisioni 
passate 
in 
giudicato 
il 
cui 
contenuto 
è 
stato 
dichiarato 
dalla 
corte 
europea 
dei 
diritti 
dell'uomo 
contrario 
alla 
convenzione 
per 
la 
salvaguardia 
dei 
diritti 
del-
l'Uomo e 
delle 
libertà fondamentali 
ovvero ad uno dei 
suoi 
Protocolli, possono essere 
impugnate 
per 
revocazione se concorrono le seguenti condizioni: 
1) la violazione accertata dalla corte europea ha pregiudicato un diritto di stato della persona; 
2) l'equa indennità eventualmente 
accordata dalla corte 
europea ai 
sensi 
dell'articolo 41 della convenzione 
non è idonea a compensare le conseguenze della violazione. 
il 
ricorso si 
propone 
nel 
termine 
di 
sessanta giorni 
dalla comunicazione 
o, in mancanza, dalla pubbicazione 
della sentenza della corte 
europea ai 
sensi 
del 
regolamento della corte 
stessa. si 
applica l'articolo 
391-ter, secondo comma. 
l'accoglimento 
della 
revocazione 
non 
pregiudica 
i 
diritti 
acquisiti 
dai 
terzi 
di 
buona 
fede 
che 
non 
hanno 
partecipato al giudizio svoltosi innanzi alla corte europea”. 

RASSEgNA 
AVVOCATURA 
dELLO 
STATO -N. 2/2022 


sinteticità, 
specificità 
e 
autosufficienza 
del 
ricorso, 
si 
segnalano 
le 
seguenti 
modifiche: 


-al 
numero 
3), 
il 
requisito 
dell’“esposizione 
sommaria 
dei 
fatti 
della 
causa” 
è 
sostituito 
dal 
seguente 
“la 
chiara 
esposizione 
dei 
fatti 
della 
causa 
essenziali alla illustrazione dei motivi di ricorso”; 


-al 
numero 4) il 
requisito dei 
“motivi 
per 
i 
quali 
si 
chiede 
la cassazione, 
con 
l'indicazione 
delle 
norme 
di 
diritto 
su 
cui 
si 
fondano, 
secondo 
quanto 
previsto 
dall'articolo 
366-bis” 
è 
sostituito 
dal 
seguente: 
“la 
chiara 
e 
sintetica 
esposizione 
dei 
motivi 
per 
i 
quali 
si 
chiede 
la 
cassazione, 
con 
l'indicazione 
delle norme di diritto su cui si fondano”; 
-al 
numero 6), il 
requisito della 
“specifica indicazione 
degli 
atti 
processuali, 
dei 
documenti 
e 
dei 
contratti 
o accordi 
collettivi 
sui 
quali 
il 
ricorso si-
fonda” 
è 
così 
integrato: 
“la 
specifica 
indicazione, 
per 
ciascuno 
dei 
motivi, 
degli 
atti 
processuali, 
dei 
documenti 
e 
dei 
contratti 
o 
accordi 
collettivi 
sui 
quali il motivo si fonda e l'illustrazione del contenuto rilevante degli stessi”. 
Come 
anticipato, il 
deposito dei 
ricorsi 
per cassazione 
notificati 
a 
partire 
dal 
1° 
gennaio 2023 deve 
essere 
obbligatoriamente 
eseguito con modalità 
telematiche 
(art. 196-quater 
disp. att. c.p.c.). 


A 
tal 
proposito 
si 
evidenzia 
che 
non 
è 
più 
richiesto 
il 
deposito 
dell'istanza 
ex 
art. 369, comma 
3, c.p.c., in quanto tale 
norma 
(secondo cui 
“il 
ricorrente 
deve 
chiedere 
alla cancelleria del 
giudice 
che 
ha pronunciato la sentenza impugnata 
o del 
quale 
si 
contesta la giurisdizione 
la trasmissione 
alla cancelleria 
della corte 
di 
cassazione 
del 
fascicolo d'ufficio; tale 
richiesta è 
restituita 
dalla cancelleria al 
richiedente 
munita di 
visto, e 
deve 
essere 
depositata insieme 
col 
ricorso”) è 
abrogata 
dall'art. 3, comma 
27, lett. e), n. 2, del 
d.lgs. 
n. 149/2022 (10). 


Con riferimento alla 
rinuncia 
del 
ricorso per cassazione 
(art. 390 c.p.c), 
si 
elimina 
l'onere 
della 
sua 
notificazione, essendo sufficiente 
il 
deposito (telematico) 
dell'atto di 
rinuncia, di 
cui 
è 
data 
comunicazione 
alle 
parti 
costituite 
a 
cura 
della 
cancelleria. Peraltro, ove 
l'esigenza 
di 
rinunciare 
al 
ricorso sorga 
prima 
del 
suo deposito, deve 
ritenersi 
che 
l'atto di 
rinuncia 
dovrà 
comunque 
essere 
notificato 
(al 
fine 
di 
evitare 
che 
il 
controricorrente 
possa 
iscrivere 
la 
causa a ruolo). 


2.1.3. Controricorso e ricorso incidentale. 
di 
particolare 
rilievo 
la 
modifica 
dell'art. 
370 
c.p.c., 
ove 
non 
è 
più 
previsto 
l'onere 
di 
previa 
notificazione 
del 
controricorso, in quanto tale 
atto dovrà 
essere 
ora 
esclusivamente 
depositato, 
con 
modalità 
telematiche, 
“entro 
quaranta 
giorni dalla notificazione del ricorso”. 


(10) Il 
novellato art. 137-bis 
disp. att. c.p.c. assegna 
ora 
alla 
cancelleria 
della 
Corte 
di 
cassazione 
il 
compito di 
acquisire, entro 60 giorni 
dal 
deposito del 
ricorso, il 
fascicolo d'ufficio dal 
giudice 
che 
ha 
emesso il provvedimento impugnato o che ha sollevato la questione. 

TEMI 
ISTITUZIONALI 


Pertanto, 
al 
fine 
di 
impedire 
la 
decadenza 
sarà 
necessario 
e 
sufficiente 
che, entro il predetto termine di 40 giorni, il controricorso venga depositato. 


Le 
stesse 
modalità 
(deposito 
entro 
40 
giorni 
dalla 
notificazione 
del 
ricorso) 
vanno osservate 
per la 
proposizione 
dell'eventuale 
ricorso incidentale. 


diverso 
è 
il 
caso 
del 
controricorso 
per 
resistere 
al 
ricorso 
incidentale 
(art. 
371 comma 
4 c.p.c.) il 
cui 
termine 
di 
40 giorni 
per il 
deposito deve 
ritenersi 
decorrere 
dalla 
scadenza 
del 
precedente 
termine 
di 
40 
giorni, 
a 
prescindere 
dalla data di effettivo deposito del ricorso incidentale (11). 


*** 


2.2. Norme 
applicabili 
anche 
ai 
giudizi 
introdotti 
con 
ricorso già notificato 
alla 
data 
del 
1° 
gennaio 
2023 
per 
i 
quali 
non 
sia 
stata 
ancora 
fissata 
udienza o adunanza in camera di consiglio. 
Le 
norme 
che 
vengono di 
seguito passate 
in rassegna 
interessano essenzialmente 
il 
procedimento in Cassazione 
e 
sono destinate 
a 
trovare 
applicazione 
non solo ai 
ricorsi 
notificati 
a 
decorrere 
dal 
1° 
gennaio 2023, ma 
anche 
a 
tutti 
i 
ricorsi 
notificati 
in data 
anteriore 
e 
per i 
quali 
non sia 
stata 
ancora 
fissata 
l'udienza o l'adunanza in camera di consiglio. 


Ne 
consegue 
che 
il 
vecchio 
rito 
continuerà 
a 
trovare 
applicazione 
solo 
per i 
ricorsi 
per i 
quali 
sia 
comunicata, entro il 
31 dicembre 
2022, la 
data 
del-
l'udienza o dell'adunanza in camera di consiglio. 


2.2.1. nuovi documenti. 
Con riferimento alla 
produzione 
di 
nuovi 
documenti 
nel 
giudizio di 
cassazione, 
nel 
rispetto dei 
limiti 
posti 
dall'art. 372 c.p.c. (che 
sul 
punto rimane 
immutato), è 
abrogato l'incombente 
della 
notifica 
dell'elenco degli 
stessi 
alle 
altre 
parti, essendo ora 
sufficiente 
il 
solo deposito di 
tali 
documenti 
(ovviamente 
con modalità 
telematiche) “fino a quindici 
giorni 
prima dell'udienza o 
dell'adunanza in camera di consiglio” (art. 372, comma 2, c.p.c.). 


2.2.2. il nuovo giudizio di cassazione. 
degna 
di 
nota 
è 
anzitutto l'eliminazione 
della 
Sezione 
Sesta, c.d. filtro, 
in quanto il 
novellato art. 376 c.p.c. prevede 
ora 
che 
“il 
primo presidente 
assegna 
i ricorsi alle sezioni unite o alla sezione semplice”. 


Il 
giudizio di 
cassazione 
potrà 
essenzialmente 
svolgersi 
secondo tre 
diversi 
riti: 


a) 
il procedimento in pubblica udienza; 
(11) Invero né 
dall'art. 371 c.p.c. né 
dalla 
relazione 
illustrativa 
al 
d.lgs. n. 149/2022 emerge 
con 
chiarezza 
quale 
sia 
il 
momento da 
cui 
decorre 
il 
termine 
di 
40 giorni 
per il 
controricorso al 
ricorso incidentale, 
se, cioè, dalla 
data 
di 
deposito effettivo di 
quest'ultimo, ovvero dalla 
scadenza 
del 
termine 
di 
40 giorni 
per tale 
adempimento. L'interpretazione 
più corretta 
da 
un punto di 
vista 
sistematico e 
logico 
è 
da 
ritenersi 
la 
seconda, in quanto, da 
un lato, coerente 
con il 
meccanismo di 
computo dei 
termini 
nel 
giudizio 
di 
merito 
(ancorato 
alla 
scadenza 
per 
l'adempimento 
precedente 
allorché 
sia 
previsto 
il 
deposito 
e 
non 
la 
notifica); 
dall'altro, 
in 
quanto 
la 
diversa 
tesi 
comporterebbe 
un 
onere 
di 
quotidiana 
verifica 
circa 
l'avvenuto deposito del 
ricorso incidentale 
al 
fine 
di 
individuare 
la 
decorrenza 
iniziale 
del 
termine 
per 
il controricorso ad incidentale. 

RASSEgNA 
AVVOCATURA 
dELLO 
STATO -N. 2/2022 


b) 
il procedimento in camera di consiglio; 
c) 
il 
procedimento per la 
decisione 
accelerata 
dei 
ricorsi 
inammissibili, 
improcedibili o manifestamente infondati. 
a) il procedimento in pubblica udienza. 
Il 
novellato art. 375 c.p.c., ora 
rubricato “Pronuncia in udienza pubblica 


o 
in 
camera 
di 
consiglio”, 
stabilisce 
anzitutto 
che 
“la 
corte, 
sia 
a 
sezioni 
unite 
che 
a sezione 
semplice, pronuncia in pubblica udienza quando la questione 
di 
diritto è 
di 
particolare 
rilevanza, nonché 
nei 
casi 
di 
cui 
all'articolo 
391-quater”. 
Viene 
perciò 
sostanzialmente 
confermata 
la 
previsione 
secondo 
cui 
il 
procedimento 
in pubblica 
udienza 
è 
riservato alle 
sole 
questioni 
di 
diritto di 
particolare 
rilevanza nonché alle revocazioni per contrarietà alla CEdU. 


Si 
prevede 
che 
“dell'udienza 
è 
data 
comunicazione 
dal 
cancelliere 
al 
pubblico ministero e 
agli 
avvocati 
delle 
parti 
almeno sessanta giorni 
prima” 
(art. 377 c.p.c.). 


Inoltre, 
ai 
sensi 
del 
novellato 
art. 
378 
c.p.c., 
mentre 
“il 
pubblico 
ministero 
può 
depositare 
una 
memoria 
non 
oltre 
venti 
giorni 
prima 
dell'udienza” 
(comma 
1), “le 
parti 
possono depositare 
sintetiche 
memorie 
illustrative 
non 
oltre dieci giorni prima dell'udienza” (comma 2). 


Pertanto, 
viene 
modificato 
in 
aumento 
(da 
cinque 
a 
dieci 
giorni) 
il 
termine 
a 
ritroso 
per 
il 
deposito 
(obbligatoriamente 
telematico) 
di 
memorie 
in 
vista 
dell'udienza. 


da rilevare, poi, che: 
-“l'udienza 
si 
svolge 
sempre 
in 
presenza” 
(12) 
(art. 
379, 
comma 
1, 
c.p.c.); 
-è 
semplificato 
il 
contenuto 
della 
relazione, 
in 
quanto 
ora 
“il 
relatore 
espone in sintesi le questioni della causa” (art. 379, comma 2, c.p.c.); 


-si 
introduce 
un termine 
per il 
deposito della 
sentenza 
di 
novanta 
giorni 
dalla discussione della causa e deliberazione della sentenza (art. 380 c.p.c.). 
b) il procedimento in camera di consiglio. 
Tra 
le 
ipotesi 
in cui 
la 
Corte 
pronuncia 
con ordinanza 
in camera 
di 
consiglio 
si 
introducono -oltre 
a 
quella 
contemplata 
dall'art. 380-bis 
c.p.c., che 
disciplina 
il 
nuovo procedimento per la 
decisione 
accelerata 
dei 
ricorsi 
inammissibili, 
improcedibili 
o manifestamente 
infondati, di 
cui 
si 
dirà 
infra 
-i 
casi 
in cui essa ritenga di dovere: 


-“1-bis) dichiarare l'improcedibilità del ricorso”; 
-“4-bis) pronunciare nei casi di correzione di errore materiale”; 
(12) L'attuale 
sistema 
-previsto dall'art. 23, comma 
8-bis 
del 
d.L. n. 137/2020 -che 
subordinala 
discussione 
della 
causa 
nelle 
udienze 
pubbliche 
ad 
una 
richiesta 
delle 
parti 
la 
formulata 
almeno 
25 
giorni 
prima 
dell'udienza 
cesserà 
di 
operare 
al 
31 
dicembre 
2022, 
come 
previsto 
dall'art. 
16, 
comma 
1, 
del 
d.L. n. 228/2021. 

TEMI 
ISTITUZIONALI 


-“4-ter) 
pronunciare 
sui 
ricorsi 
per 
revocazione 
e 
per 
opposizione 
di 
terzo, salva l'applicazione del primo comma”; 


-e, 
infine, 
con 
norma 
di 
chiusura, 
“4-quater) 
in 
ogni 
altro 
caso 
in 
cui 
non 
pronuncia in pubblica udienza”. 


Il 
nuovo-procedimento 
in 
camera 
di 
consiglio 
è 
disciplinato 
dall'art. 
380bis.
1 c.p.c., ove si prevede che: 


-la 
comunicazione 
dell'adunanza 
è 
data 
alle 
parti 
e 
al 
pubblico ministero 
almeno sessanta giorni prima dell'adunanza; 
-il 
pubblico ministero può depositare 
le 
sue 
conclusioni 
scritte 
non oltre 
venti giorni prima dell'adunanza; 
-le 
parti 
possono depositare 
“le 
loro sintetiche 
memorie 
illustrative 
non 
oltre dieci giorni prima dell'adunanza”; 
- la Corte giudica senza l'intervento del pubblico ministero e delle parti; 
-l'ordinanza, 
sinteticamente 
motivata, 
è 
depositata 
al 
termine 
della 
camera 
di 
consiglio, ma 
il 
collegio può riservarsi 
il 
deposito nei 
successivi 
sessanta 
giorni. 


È 
bene 
precisare 
che 
tale 
procedimento trova 
applicazione 
in tutti 
i 
casi 
in cui 
la 
Corte 
decide 
in camera 
di 
consiglio, ivi 
compreso quando si 
tratti 
di 
decidere 
sulle 
istanze 
di 
regolamento 
di 
giurisdizione 
e 
di 
competenza 
ai 
sensi 
dell'art. 380-ter 
c.p.c. ovvero sulle 
istanze 
di 
correzione 
degli 
errori 
materiali 
e 
revocazione 
delle 
sentenze 
della 
Corte 
di 
cassazione 
ai 
sensi 
dell'art. 391bis 
c.p.c. 


c) 
il 
procedimento 
per 
la 
decisione 
accelerata 
dei 
ricorsi 
inammissibili, 
improcedibili o manifestamente infondati. 
di 
particolare 
rilievo è 
la 
modificazione 
dell'art. 380-bis 
c.p.c. che 
introduce 
uno speciale 
procedimento per la 
decisione 
accelerata 
dei 
ricorsi 
inammissibili, 
improcedibili 
o 
manifestamente 
infondati 
(la 
norma, 
dunque, 
non 
trova 
applicazione 
per i 
ricorsi 
fondati, applicandosi 
ai 
soli 
casi 
in cui 
la 
proposta 
del relatore sia sfavorevole per il ricorrente). 


Si prevede che: 


“se 
non è 
stata ancora fissata la data della decisione, il 
presidente 
della 
sezione 
o un consigliere 
da questo delegato può formulare 
una sintetica proposta 
di 
definizione 
del 
giudizio, quando ravvisa la inammissibilità, improcedibilità 
o 
manifesta 
infondatezza 
del 
ricorso 
principale 
e 
di 
quello 
incidentale 
eventualmente proposto. la proposta è comunicata ai difensori delle parti. 


entro 
quaranta 
giorni 
dalla 
comunicazione 
la 
parte 
ricorrente, 
con 
istanza sottoscritta dal 
difensore 
munito di 
una nuova procura speciale, può 
chiedere 
la decisione. in mancanza, il 
ricorso si 
intende 
rinunciato e 
la corte 
provvede ai sensi dell'articolo 391. 


se 
entro 
il 
termine 
indicato 
al 
secondo 
comma 
la 
parte 
chiede 
la 
decisione, 
la 
corte 
procede 
ai 
sensi 
dell'articolo 
380-bis.1 
e 
quando 
definisce 
il 
giudizio 
in 
conformità 
alla 
proposta 
applica 
il 
terzo 
e 
il 
quarto 
comma 
dell'articolo 
96”. 



RASSEgNA 
AVVOCATURA 
dELLO 
STATO -N. 2/2022 


Pertanto, 
il 
nuovo 
procedimento 
per 
la 
decisione 
accelerata 
dei 
ricorsi 
inammissibili, improcedibili o manifestamente infondati è così articolato: 


-a 
fronte 
della 
comunicazione 
della 
proposta, se 
il 
ricorrente 
resta 
inerte 
il 
ricorso si 
intende 
rinunciato ed il 
procedimento è 
definito con decreto del 
Presidente 
ai 
sensi 
dell'art. 
391 
c.p.c., 
che 
andrà 
a 
regolare 
il 
regime 
delle 
spese 
alla 
luce 
di 
quest'ultima 
previsione 
(che 
resta 
immutata), 
con 
esonero 
della 
parte 
rinunciante 
dal 
pagamento 
di 
quanto 
previsto 
dall'art. 
13, 
comma 
1-quater, 
del 
testo 
unico 
di 
cui 
al 
d.P.R. 
n. 
115 
del 
2002 
(13) 
(ossia 
dell'ulteriore 
importo a titolo di contributo unificato); 
-la 
parte 
ricorrente, entro quaranta 
giorni 
dalla 
comunicazione 
della 
proposta, 
può in alternativa 
depositare 
apposita 
istanza 
con cui 
chiedere 
la 
decisione; 
non è 
previsto che 
tale 
istanza 
debba 
essere 
motivata, sicché 
in linea 
di 
principio non vi 
dovrebbe 
essere 
la 
necessità, almeno in questa 
fase, di 
articolare 
difese 
e 
osservazioni 
rispetto alla 
proposta 
(che 
potranno essere 
rinviate 
alle successive memorie in vista dell'adunanza in camera di consiglio); 
-se 
è 
domandata 
la 
decisione, trova 
applicazione 
il 
nuovo procedimento 
in 
camera 
di 
consiglio 
non 
partecipata 
di 
cui 
all'art. 
380-bis.1 
c.p.c., 
i 
cui 
tratti 
salienti sono stati sopra ricordati; 
-in tal 
caso, se 
la 
Corte 
definisce 
il 
giudizio in conformità 
alla 
proposta 
del 
Presidente 
(o del 
suo delegato) applica 
il 
terzo e 
il 
quarto comma 
dell'art. 
96 c.p.c., ossia le previsioni in tema di responsabilità processuale aggravata. 
In 
particolare, 
l'art. 
96, 
comma 
3, 
c.p.c. 
prevede 
che 
“in 
ogni 
caso, 
quando 
pronuncia sulle 
spese 
ai 
sensi 
dell'articolo 91, il 
giudice, anche 
d'ufficio, può 
altresì 
condannare 
la 
parte 
soccombente 
al 
pagamento, 
a 
favore 
della 
controparte, 
di 
una somma equitativamente 
determinata”. Il 
successivo comma 
4, aggiunto dall'art. 3, comma 
6, d.lgs. n. 149/2022, stabilisce 
che 
“nei 
casi 
previsti 
dal 
primo, 
secondo 
e 
terzo 
comma 
(ossia 
in 
tutte 
le 
ipotesi 
in 
cui 
il 
giudice, su istanza 
di 
parte 
o d'ufficio, dichiari 
la 
responsabilità 
processuale 
aggravata 
della 
parte, 
n.d.r.), 
il 
giudice 
condanna 
altresì 
la 
parte 
al 
pagamento, 
in favore 
della cassa delle 
ammende, di 
una somma di 
denaro non inferiore 
ad euro 500 e non superiore ad euro 5.000”. 


Si 
deve 
evidenziare 
che 
quest'ultima 
previsione 
(il 
comma 
4 dell'art. 96 
c.p.c.), a 
norma 
dell'art. 35, comma 
1, del 
citato d.lgs. n. 149/2022, ha 
effetto 


(13) Si 
segnala 
che 
legislatore 
delegato è 
intervenuto a 
modificare, per ragioni 
di 
coerenza 
sistematica, 
l'art. 
13 
del 
citato 
TU, 
che 
individua 
gli 
importi 
del 
contributo 
unificato 
e 
che 
prevede, 
al 
comma 
1-quater, 
che 
se 
l'impugnazione, 
anche 
incidentale, 
è 
respinta 
integralmente 
o 
è 
dichiarata 
inammissibile 
o improcedibile, la 
parte 
che 
l'ha 
proposta 
sia 
tenuta 
a 
versare 
un ulteriore 
importo a 
titolo di 
contributo 
unificato pari 
a 
quello dovuto per la 
stessa 
impugnazione, principale 
o incidentale. Si 
aggiunge 
infatti 
un 
ulteriore 
comma 
(1-quater.1) 
per 
escludere 
tale 
obbligo 
di 
pagamento 
quando 
il 
ricorso 
per 
cassazione 
viene 
dichiarato estinto ai 
sensi 
dell'art. 380-bis, comma 
3, c.p.c., a 
seguito della 
rinuncia 
della 
parte 
ad 
ottenere 
una 
pronuncia 
dalla 
Corte 
di 
cassazione 
a 
fronte 
della 
preliminare 
valutazione 
di 
inammissibilità, 
improcedibilità o manifesta infondatezza. 

TEMI 
ISTITUZIONALI 


a 
decorrere 
dal 
28 febbraio 2023 e 
si 
applica 
ai 
procedimenti 
instaurati 
successivamente 
a 
tale 
data. 
Tuttavia, 
considerato 
che 
alla 
stessa 
fa 
espresso 
rinvio 
il 
novellato art. 380-bis 
c.p.c., ossia 
una 
norma 
immediatamente 
applicabile 
ai 
giudizi 
di 
cassazione 
introdotti 
con ricorsi 
notificati 
dal 
1° 
gennaio 2023, 
ovvero già 
notificati 
alla 
data 
del 
1° 
gennaio 2023, ma 
per i 
quali 
non sia 
stata 
ancora 
fissata 
udienza 
o 
adunanza 
in 
camera 
di 
consiglio, 
non 
pare 
possa 
escludersi 
che 
la 
giurisprudenza 
si 
orienti 
nel 
senso dell'immediata 
applicabilità, ai 
fini dell'art. 380-bis 
c.p.c., del nuovo comma 4 dell'art. 96 c.p.c. 


*** 


rapporti 
con 
l'amministrazione 
difesa nei 
casi 
di 
proposta ex art. 380bis 
c.p.c. 


Qualora 
pervenga 
una 
comunicazione 
ex art. 380-bis 
c.p.c. con la 
quale 
il 
ricorso proposto dall'Avvocatura 
sia 
ritenuto inammissibile, improcedibile 


o 
manifestamente 
infondato 
si 
ritiene 
opportuno 
-in 
sede 
di 
prima 
applicazione 
della nuova disposizione - operare con le seguenti modalità: 
1) qualora 
la 
proposta 
sia 
ritenuta 
condivisibile 
dall'avvocato, ne 
dovrà 
essere 
data 
tempestiva 
notizia 
all'Amministrazione 
difesa, indicando i 
motivi 
per i 
quali 
si 
ritiene 
opportuno non depositare 
l'istanza 
per la 
decisione 
e 
provocare 
in tal 
modo la 
successiva 
emissione 
del 
decreto di 
estinzione 
del 
giudizio 
(con il passaggio in giudicato della decisione impugnata); 
2) 
qualora 
la 
proposta 
sia 
ritenuta 
non 
condivisibile 
dall'avvocato 
d'intesa 
con il 
Vice 
Avvocato generale, non sarà 
necessario di 
norma 
dare 
notizia 
al-
l'Amministrazione 
difesa 
della 
scelta 
di 
depositare 
l'istanza 
per la 
decisione 
diretta 
ad evitare 
la 
successiva 
emissione 
del 
decreto di 
estinzione 
del 
giudizio. 
*** 


Si 
allegano la 
Relazione 
illustrativa 
al 
d.lgs. n. 149/2022 e 
le 
Istruzioni 
operative 
concernenti 
le 
attestazioni 
di 
conformità 
per le 
sentenze 
da 
depositare 
in via telematica. 


L'AVVOCATO gENERALE 
gabriella 
PALMIERI SANdULLI 


(omissis) 



RASSEgNA 
AVVOCATURA 
dELLO 
STATO -N. 2/2022 


Avvocatura 
Generaledello 
Stato 


CirColare 
n. 1/2023 


Oggetto: 
Modifiche 
al 
processo penale 
introdotte 
dagli 
artt. 4 e 
ss. del 
D.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150. Prime indicazioni operative. 


Indice 
Premessa 
Formalità e 
termini 
di 
costituzione 
della parte 
civile 
-l'azione 
civile 
nei 
gradi 
di 
impugnazione 
e la sua prosecuzione in sede civile 
Processo penale telematico - la partecipazione a distanza - libro ii Titolo ii bis 
Processo penale telematico - le notificazioni 
Modalità di presentazione dell'impugnazione e svolgimento dei relativi giudizi 
altre norme di potenziale interesse 
norme sulla competenza territoriale 
rimedi per l'esecuzione delle decisioni della corte europea dei diritti dell'uomo 

*** 


Premessa 


Sulla 
g.U. n. 243 S.O. del 
17 ottobre 
2022 è 
stato pubblicato il 
testo del 
d.lgs. 10 ottobre 
2022 n. 150, “attuazione 
della legge 
27 settembre 
2021, n. 
134, recante 
delega al 
Governo per 
l'efficienza del 
processo penale, nonché 
in materia di 
giustizia riparativa e 
disposizioni 
per 
la celere 
definizione 
dei 
procedimenti 
giudiziari” 
(c.d. 
riforma 
cartabia), 
la 
cui 
entrata 
in 
vigore 
è 
stata 
differita 
al 
30 dicembre 
2022 dall'art. 6, comma 
1, del 
d.L. 31 ottobre 
2022 n. 
162, 
convertito 
con 
modificazioni 
con 
la 
Legge 
30 
dicembre 
2022, 
n. 
199, 
che 
ha aggiunto al testo del decreto legislativo un apposito art. 99-bis. 


dalla 
Relazione 
illustrativa 
al 
decreto legislativo (in g.U. n. 245 del 
19 
ottobre 
2022 Supplemento straordinario n. 5), si 
ricava 
che 
il 
filo conduttore 
degli 
interventi 
di 
riforma 
è 
rappresentato dall'efficienza 
del 
processo e 
della 
giustizia 
penale, 
in 
vista 
della 
piena 
attuazione 
dei 
principi 
costituzionali, 
convenzionali 
e 
dell'Ue, nonché 
del 
raggiungimento degli 
obiettivi 
del 
P.N.R.R., 
che 
prevedono, 
entro 
il 
2026, 
la 
riduzione 
del 
25% 
della 
durata 
media 
del 
processo 
penale 
nei 
tre 
gradi 
di 
giudizio. La 
riduzione 
dei 
tempi 
del 
processo penale, 
attraverso 
una 
riforma 
organica 
come 
quella 
oggetto 
del 
decreto 
legislativo 
è, 
altresi, 
funzionale 
a 
completare 
il 
percorso 
di 
riforma 
avviato 
con le 
disposizioni 
immediatamente 
precettive 
della 
Legge 
n. 134/2021 (art. 


2) e, in particolare, con quelle 
che 
hanno introdotto, con l'art. 344-bis 
c.p.p., 
l'istituto dell'improcedibilità 
dell'azione 
penale 
per 
superamento dei 
termini 
di durata massima del giudizio di impugnazione 
(v. pag. 182 Relazione). 
Come 
prima 
indicazione 
di 
carattere 
orientativo, si 
può osservare 
che 
la 
riforma interviene in tre ambiti principali: 


-riforma del sistema sanzionatorio penale 

TEMI 
ISTITUZIONALI 


-riforma del processo penale 


-introduzione di una disciplina organica della giustizia riparativa 
Lo 
scopo 
della 
presente 
circolare 
è 
fornire 
prime 
indicazioni 
operative 
sulla 
riforma 
del 
processo penale, evidenziando quali 
norme, tra 
le 
numerose 
del 
complessivo disegno (si 
tratta, invero, di 
una 
riforma 
ampia, organica 
e 
di 
sistema), 
assumano 
il 
maggiore 
e 
più 
immediato 
impatto 
per 
l'attività 
degli 
avvocati e dei procuratori dello Stato. 


Si 
è 
inteso, inoltre, limitare 
l'analisi 
alle 
sole 
disposizioni 
la 
cui 
entrata 
in vigore 
è 
fissata 
al 
30 dicembre, tralasciando di 
considerarne 
altre 
la 
cui 
efficacia 
è allo stato 


-differita 
in attesa 
della 
adozione 
di 
regolamenti 
attuativi 
(processo penale 
telematico e 
disciplina 
generale 
degli 
atti, malfunzionamento dei 
sistemi 
informatici, modalità telematiche di presentazione delle impugnazioni) (1); 
(1) 
Si 
tratta 
di 
norme 
destinate 
ad 
entrare 
in 
vigore 
-ai 
sensi 
dell'art. 
87, 
commi 
4, 
5, 
6, 
6-bis, 
6ter, 
6-quater, 
6-quinquies 
del 
d.lgs. 
n. 
150/2022, 
come 
modificato 
dall'art. 
5-quater 
(“Modifiche 
all'articolo 
87 
del 
decreto 
legislativo 
10 
ottobre 
2022, 
n. 
150, 
recante 
disposizioni 
transitorie 
e 
materia 
di 
processo 
penale 
telematico”) 
del 
d.L. 
n. 
162/2022 
e 
salva 
diversa 
previsione 
specifica 
-a 
partire 
dal 
quindicesimo 
giorno 
successivo 
alla 
pubblicazione 
in 
gazzetta 
Ufficiale 
dei 
regolamenti 
di 
cui 
ai 
commi 
1 
e 
3; 
regolamenti 
attuativi 
emanati 
dal 
Ministero 
della 
giustizia, 
sentiti 
il 
garante 
per 
la 
protezione 
dei 
dati 
personali, 
il 
CSM 
e 
il 
CNF, 
per 
la 
disciplina 
delle 
regole 
tecniche 
del 
processo 
telematico, 
da 
adottarsi 
entro 
il 
31 
dicembre 
2023. 
Per 
effetto 
delle 
disposizioni 
introdotte 
dal 
d.L. 
n. 
162/2022, 
sino 
al 
quindicesimo 
giorno 
successivo 
alla 
pubblicazione 
dei 
suddetti 
regolamenti 
attuativi 
o 
nel 
diverso 
termine 
ivi 
previsto, 
per 
le 
tipologie 
di 
atti 
specificamente 
indicati 
al 
comma 
6-bis 
dell'art. 
87 
(tra 
i 
quali, 
le 
memorie, 
i 
documenti, 
l'opposizione 
alla 
richiesta 
di 
archiviazione, 
la 
querela 
e 
la 
denunzia) 
da 
depositare 
presso 
gli 
uffici 
di 
segreteria 
della 
Procura 
della 
Repubblica 
“l'invio 
tramite 
posta 
elettronica 
certificata 
non 
è 
consentito 
e 
non 
produce 
alcun 
effetto 
di 
legge”; 
essi 
andranno 
pertanto 
depositati 
“esclusivamente 
mediante 
deposito 
nel 
portale 
del 
processo 
penale 
telematico 
individuato 
con 
provvedimento 
del 
direttore 
generale 
per 
i 
servizi 
informativi 
automatizzati 
del 
Ministero 
della 
Giustizia 
e 
con 
le 
modalità 
stabilite 
dal 
medesimo 
provvedimento”. 
Ai 
sensi 
dell'art. 
87-bis 
(“disposizioni 
transitorie 
in 
materia 
di 
semplificazione 
delle 
attività 
di 
deposito 
di 
atti, 
documenti 
e 
istanze”), 
come 
introdotto 
all'art. 
5-quinquies 
del 
d.L. 
n. 
162/2022, 
“per 
tutti 
gli 
atti, 
i 
documenti 
e 
le 
istanze 
diversi 
da 
quelli 
previsti 
dall'art. 
87, 
comma 
6-bis 
e 
da 
quelli 
individuati 
ai 
sensi 
del 
comma 
6-ter 
del 
medesimo 
articolo” 
con 
lo 
stesso 
regime 
intertemporale 
(cioè 
sino 
al 
quindicesimo 
giorno 
successivo 
alla 
pubblicazione 
dei 
decreti 
attuativi 
o 
nel 
diverso 
termine 
ivi 
previsto), 
“è 
consentito 
il 
deposito 
con 
valore 
legale 
mediante 
invio 
dall'indirizzo 
di 
posta 
elettronica 
certificata 
inserito 
nel 
registro 
Generale 
degli 
indirizzi 
elettronici 
di 
cui 
all'articolo 
7 
del 
regolamento 
di 
cui 
al 
decreto 
del 
Ministro 
della 
giustizia 
21 
febbraio 
2011, 
n. 
44 
[Reginde]. 
il 
deposito 
con 
le 
modalità 
di 
cui 
al 
periodo 
precedente 
deve 
essere 
effettuato 
presso 
gli 
indirizzi 
di 
posta 
elettronica 
certificata 
degli 
uffici 
giudiziari 
destinatari, 
indicati 
in 
apposito 
provvedimento 
del 
direttore 
generale 
per 
i 
servizi 
informativi 
automatizzati... 
con 
il 
medesimo 
provvedimento 
sono 
indicate 
le 
specifiche 
tecniche... 
quando 
il 
messaggio 
di 
posta 
elettronica 
certificata 
eccede 
la 
dimensione 
massima 
stabilita 
nel 
provvedimento... 
il 
deposito 
può 
essere 
seguito 
mediante 
l'invio 
di 
più 
messaggi 
di 
posta 
elettronica 
certificata. 
il 
deposito 
è 
tempestivo 
quando 
è 
eseguito 
entro 
le 
ore 
24 
del 
giorno 
di 
scadenza... 
3. 
Quando 
il 
deposito 
di 
cui 
al 
comma 
1 
ha 
ad 
oggetto 
un'impugnazione, 
l'atto 
in 
forma 
di 
documento 
informatico 
è 
sottoscritto 
digitalmente 
secondo 
le 
modalità 
indicate 
nel 
provvedimento 
del 
direttore 
generale... 
e 
contiene 
la 
specifica 
indicazione 
degli 
allegati 
che 
sono 
trasmessi 
in 
copia 
informatica 
per 
immagine, 
sottoscritta 
digitalmente 
dal 
difensore 
per 
conformità 
all'originale”. 
Si 
rimanda, 
per 
maggiori 
approfondimenti, 
alla lettura dei commi 4 e seguenti. 

RASSEgNA 
AVVOCATURA 
dELLO 
STATO -N. 2/2022 


-ovvero differita 
in attesa 
dei 
necessari 
adeguamenti 
tecnologici 
(videoriprese 
delle attività istruttorie) (2). 
*** 


Formalità e termini di costituzione della parte civile. 

l'azione 
civile 
nei 
gradi 
di 
impugnazione 
e 
la sua prosecuzione 
in 
sede 
civile. 

di 
particolare 
rilievo 
appaiono 
le 
norme 
relative 
alla 
formalità 
e 
ai 
termini 
per la 
costituzione 
di 
parte 
civile 
alle 
quali, in mancanza 
di 
un'apposita 
norma 
transitoria, si 
applica 
l'art. 99-bis 
del 
d.lgs. 150/2022 e 
dunque 
l'entrata 
in vigore 
è fissata per la data del 30 dicembre 2022. 


L'art. 
78 
(“Formalità 
della 
costituzione 
di 
parte 
civile”) 
contiene 
una 
modifica 
alla 
lett. 
d) 
ove 
è 
precisato 
che 
l'atto 
dovrà 
contenere 
l'esposizione 
delle 
ragioni 
che 
giustificano 
la 
domanda 
“agli 
effetti 
civili”. 
L'innovazione, 
che, 
ad 
una 
prima 
lettura 
potrebbe 
apparire 
pleonastica, 
nella 
Relazione 
illustrativa 
alla 
riforma 
(pag. 
331), 
viene 
giustificata 
dalla 
necessità 
di 
approntare 
sin 
dall'inizio 
una 
domanda 
risarcitoria 
idonea 
e 
completa, 
in 
termini 
di 
editio 
actionis 
e 
di 
petitum 
nonché 
di 
onere 
di 
allegazione 
assertiva 
e, 
preferibilmente, 
anche 
probatoria, 
laddove 
si 
presenti 
il 
caso 
dell'impugnazione 
della 
sentenza 
“per 
i 
soli 
interessi 
civili” 
e, 
in 
applicazione 
del 
nuovo 
comma 
1bis 
dell'art. 
573 
c.p.p., 
la 
Corte 
d'Appello 
o 
la 
Corte 
di 
cassazione, 
rinviino 
per 
la 
prosecuzione 
del 
giudizio 
al 
giudice 
civile 
competente 
che 
decide 
sulle 
questioni 
civili. 


Si 
riporta 
la 
norma 
di 
interesse: 
art. 573 (“impugnazione 
per 
i 
soli 
interessi 
civili”), comma 
1-bis:«1-bis. Quando la sentenza è 
impugnata per 
i 
soli 
interessi 
civili, 
il 
giudice 
d'appello 
e 
la 
corte 
di 
cassazione, 
se 
l'impugnazione 
non 
è 
inammissibile, 
rinviano 
per 
la 
prosecuzione, 
rispettivamente, 
al 
giudice 


o alla sezione 
civile 
competente, che 
decide 
sulle 
questioni 
civili 
utilizzando 
le 
prove 
acquisite 
nel 
processo 
penale 
e 
quelle 
eventualmente 
acquisite 
nel 
giudizio civile» (3). 
(2) 
Ai 
sensi 
dell'art. 
94, 
comma 
1, 
del 
d.lgs. 
n. 
150/2022, 
come 
modificato 
dall'articolo 
5-undecies 
(“Modifica all'articolo 94 del 
decreto legislativo 10 ottobre 
2022, n. 150, in materia di 
disciplina transitoria 
per 
le 
videoregistrazioni”) del 
d.L. n. 162/2022, “le 
disposizioni 
di 
cui 
all'articolo 30, comma 
1, lettera i,), [cioè, commi 
2-bis 
e 
3-bis 
dell'art. 510 c.p.p.] si 
applicano decorsi 
sei 
mesi 
dalla data di 
entrata 
in 
vigore 
del 
presente 
decreto”: 
dunque 
a 
partire 
dal 
1° 
luglio 
2023. 
Per 
effetto 
del 
richiamo 
operato all'art. 510 da 
parte 
dell'art. 441 (“Svolgimento del 
giudizio abbreviato”), comma 
6 ultimo periodo 
nella 
sua 
nuova 
formulazione 
-“le 
prove 
dichiarative 
sono 
documentate 
nelle 
forme 
previste 
dal-
l'articolo 
510” 
-anche 
per 
il 
giudizio 
abbreviato 
la 
norma 
sulla 
documentazione 
con 
strumenti 
di 
riproduzione 
audiovisiva 
dei 
mezzi 
di 
prova 
troverà 
applicazione 
decorsi 
sei 
mesi 
dall'entrata 
in vigore 
del decreto. 
(3) 
Si 
legge 
infatti 
nella 
Relazione 
che 
«l'art. 
573, 
comma 
1-bis, 
c.p.p. 
diventa 
applicabile, 
invero, 
soltanto dopo che 
il 
giudice 
penale 
dell'impugnazione 
abbia verificato l'assenza d'impugnazione 
anche 
agli 
effetti 
penali. Questa scelta del 
legislatore 
delegato determina un ulteriore 
risparmio di 
risorse, 
nell'ottica 
di 
implementare 
l'efficienza 
giudiziaria 
nella 
fase 
delle 
impugnazioni, 
e 
non 
si 
pone 
in 
conflitto 
con la giurisprudenza costituzionale, data la limitazione 
della cognizione 
del 
giudice 
civile 
alle 
"que

TEMI 
ISTITUZIONALI 


Analoga 
previsione 
ricorre 
all'art. 578 (“decisione 
sugli 
effetti 
civili 
nel 
caso di 
estinzione 
del 
reato per 
amnistia o per 
prescrizione 
e 
nel 
caso di 
improcedibilità 
per 
superamento dei 
termini 
di 
durata massima del 
giudizio di 
impugnazione”) 
-comma 
1-bis, 
laddove 
è 
previsto 
che 
«1-bis. 
Quando 
nei 
confronti 
dell'imputato 
è 
stata 
pronunciata 
condanna, 
anche 
generica, 
alle 
restituzioni 
o 
al 
risarcimento 
dei 
danni 
cagionati 
dal 
reato, 
a 
favore 
della 
parte 
civile, e 
in ogni 
caso di 
impugnazione 
della sentenza anche 
per 
gli 
interessi 
civili, 
il 
giudice 
di 
appello 
e 
la 
corte 
di 
cassazione, 
se 
l'impugnazione 
non è 
inammissibile, nel 
dichiarare 
improcedibile 
l'azione 
penale 
per 
il 
superamento 
dei 
termini 
di 
cui 
ai 
commi 
1 e 
2 dell'articolo 344-bis 
(4), rinviano 
per 
la 
prosecuzione 
al 
giudice 
o 
alla 
sezione 
civile 
competente 
nello 
stesso 
grado, 
che 
decidono 
sulle 
questioni 
civili 
utilizzando 
le 
prove 
acquisite 
nel 
processo penale e quelle eventualmente acquisite nel giudizio civile» (5). 


L'art. 578 va 
letto in correlazione 
con l'art. 175-bis 
delle 
disposizioni 
di 
attuazione 
(“decisione 
sulla improcedibilità ai 
sensi 
dell'articolo 344-bis 
del 
codice”), ove 
si 
prevede 
che 
«1. ai 
fini 
di 
cui 
agli 
articoli 
578, comma 1-bis, 
e 
578-ter, comma 2 del 
codice, la corte 
di 
cassazione 
e 
le 
corti 
di 
appello, nei 
procedimenti 
in cui 
sono costituite 
parti 
civili 
o vi 
sono beni 
in sequestro, si 
pronunciano 
sulla 
improcedibilità 
non 
oltre 
il 
sessantesimo 
giorno 
successivo 
al 
maturare 
dei 
termini 
di 
durata 
massima 
del 
giudizio 
di 
impugnazione 
di 
cui all'articolo 344-bis del codice». 


L'art. 
79 
(“Termine 
per 
la 
costituzione 
di 
parte 
civile”), 
dopo 
le 
modifiche 
recate 
dall'art. 5, lett. c), del 
d.lgs. n. 150/2022, recita: 
«1. la costituzione 
diparte 
civile 
può avvenire 
per 
l'udienza preliminare 
e 
successivamente, prima 
che 
siano 
ultimati 
gli 
accertamenti 
relativi 
alla 
costituzione 
delle 
parti, 
o, 
quando manca l'udienza preliminare, fino a che 
non siano compiuti 
gli 
adempimenti 
previsti dall'articolo 484 o dall'articolo 554-bis, comma 2. 


stioni 
civili 
". 
il 
giudice 
civile 
non 
potrebbe 
pertanto 
accertare 
incidentalmente 
il 
tema 
già 
definito 
della 
responsabilità penale, neppure 
nel 
caso di 
appello proposto dalla sola parte 
civile 
avverso la sentenza 
di 
assoluzione 
dell'imputato, 
con 
una 
soluzione 
normativa 
che 
evita 
i 
profili 
d'illegittimità 
ravvisati 
dalla sentenza della corte 
costituzionale 
n. 176 del 
2019, rispetto all'eventualità di 
un accertamento 
dell'illecito penale 
compiuto in sede 
civile. con il 
rinvio dell'appello o del 
ricorso al 
giudice 
civile 
l'oggetto 
di 
accertamento 
non 
cambierebbe, 
ma 
si 
restringerebbe, 
dal 
momento 
che 
la 
domanda 
risarcitoria 
da illecito civile 
è 
già implicita alla domanda risarcitoria da illecito penale 
(l'illecito penale 
implica 
l'illecito civile). non vi 
sarebbe 
pertanto una modificazione 
della domanda risarcitoria nel 
passaggio 
dal 
giudizio 
penale 
a 
quello 
civile. 
ragionevolmente, 
l'eventualità 
dovrà 
essere 
prevista 
dal 
danneggiato 
dal 
reato sin dal 
momento della costituzione 
di 
parte 
civile, atto che 
pertanto dovrà contenere 
l'esposizione 
delle 
ragioni 
che 
giustificano “la domanda agli 
effetti 
civili”, secondo l'innovata formulazione 
dell'art. 78, lett. d), cpp.». 


(4) 
Salvo 
proroghe 
motivate 
o 
per 
particolari 
titoli 
di 
reato, 
i 
termini 
di 
improcedibilità 
della 
azione 
penale sono di 2 anni per il grado di appello e di 1 anno per quello di cassazione. 
(5) Il 
successivo comma 
1-ter 
prevede 
poi: 
«1-ter. nei 
casi 
di 
cui 
al 
comma 1-bis, gli 
effetti 
del 
sequestro 
conservativo 
disposto 
a 
garanzia 
delle 
obbligazioni 
civili 
derivanti 
dal 
reato 
permangono 
fino a che la sentenza che decide sulle questioni civili non è più soggetta a impugnazione». 

RASSEgNA 
AVVOCATURA 
dELLO 
STATO -N. 2/2022 


2. i termini previsti dal comma 1 sono stabiliti a pena di decadenza. 
3. 
Quando 
la 
costituzione 
di 
parte 
civile 
è 
consentita 
fino 
a 
che 
non 
siano 
compiuti 
gli 
adempimenti 
previsti 
dall'articolo 484, se 
la stessa avviene 
dopo 
la 
scadenza 
del 
termine 
previsto 
dall'articolo 
468 
comma 
1, 
la 
parte 
civile 
non 
può 
avvalersi 
della 
facoltà 
di 
presentare 
le 
liste 
dei 
testimoni, 
periti 
o 
consulenti tecnici». 
Nella 
sua 
nuova 
stesura 
la 
norma 
limita 
la 
possibilità 
della 
costituzione 
di 
parte 
civile 
per 
l'udienza 
preliminare 
e 
successivamente, 
prima 
che 
siano 
ultimati 
gli 
accertamenti 
relativi 
alla 
costituzione 
delle 
parti 
(6), 
salvo 
che, 
in 
relazione 
al 
rito 
prescelto 
(giudizio 
immediato) 
o 
per 
altre 
evenienze 
(giudizio 
per 
direttissima), 
manchi 
l'udienza 
preliminare. 
In 
tale 
secondo 
caso, 
la 
costituzione 
si 
può 
effettuare 
a 
dibattimento 
fino 
a 
che 
non 
siano 
compiuti 
gli 
adempimenti 
previsti 
dall'articolo 
484. 
Infine, 
per 
i 
procedimenti 
a 
citazione 
diretta 
nei 
quali 
l'udienza 
preliminare 
manca 
strutturalmente, 
fino 
a 
che 
non 
siano 
compiuti 
gli 
accertamenti 
previsti 
dall'art. 
554-bis, 
comma 
2, 
c.p.p. 
che 
regola 
lo 
svolgimento 
della 
neoistituita 
udienza 
di 
comparizione 
predibattimentale. 


L'art. 
79 
può 
considerarsi 
norma 
di 
carattere 
processuale, 
con 
conseguente 
sua 
applicazione, secondo il 
principio generale 
tempus 
regit 
actum, anche 
ai 
procedimenti 
in corso alla data della sua entrata in vigore 
e 
relativamente 
a 
quelle 
fasi 
processuali 
non ancora esaurite 
alla 
data 
del 
30 dicembre 
2022. 
Ne 
deriva 
che, se 
alla 
data 
del 
30 dicembre 
2022 si 
fossero già 
conclusi 
gli 
accertamenti 
relativi 
alla 
costituzione 
delle 
parti 
di 
cui 
all'art. 
420 
co. 
2 
c.p.p., 
è 
garantita 
la 
possibilità, 
come 
prevista 
nella 
precedente 
versione 
della 
norma, 
di 
costituirsi 
parte 
civile 
anche 
per l'udienza 
dibattimentale, entro i 
termini 
di 
cui 
all'art. 484 c.p.p. La 
conferma 
di 
tale 
interpretazione 
emerge 
anche 
dalle 
modifiche 
introdotte 
in 
sede 
di 
conversione 
in 
legge 
del 
d.L. 
n. 
162/2022 
che, 
con l'art. 5-ter, ha 
aggiunto un apposito art. 85-bis 
-(“disposizioni 
transitorie 
in 
materia 
di 
termini 
per 
la 
costituzione 
di 
parte 
civile”) 
al 
d.lgs. 
n. 
150/2022, 
secondo cui: 
"1. nei 
procedimenti 
nei 
quali, alla data di 
entrata in vigore 
del 
presente 
decreto, sono già stati 
ultimati 
gli 
accertamenti 
relativi 
alla costituzione 
delle 
parti 
nell'udienza preliminare, non si 
applicano le 
disposizioni 
di 
cui 
all'articolo 5, comma 1, lettera c), del 
presente 
decreto e 
continuano ad 
applicarsi 
le 
disposizioni 
dell'articolo 
79 
e, 
limitatamente 
alla 
persona 
offesa, 
dell'articolo 429, comma 4, del 
codice 
di 
procedura penale, nel 
testo vigente 
prima della data di entrata in vigore del presente decreto”. 


L'interpolazione 
nel 
primo 
comma 
del 
riferimento 
all'art. 
554-bis, 
così 
come 
l'ulteriore 
modifica 
del 
comma 
3, 
rispondono 
a 
esigenze 
di 
coordina


(6) Vale 
a 
dire, in vista 
o nel 
corso dell'udienza 
preliminare, tenendo tuttavia 
presente 
che 
ove 
si 
proceda 
alla 
costituzione 
di 
parte 
civile 
prima 
dell'udienza 
occorrerà 
provvedere 
alla 
notifica, 
a 
cura 
della 
costituenda 
parte 
civile, alle 
altre 
parti 
e 
che 
essa 
produrrà 
effetto per ciascuna 
delle 
suddette 
parti 
dal giorno nel quale è eseguita la notificazione (art. 78, comma 2, c.p.p.). 

TEMI 
ISTITUZIONALI 


mento con la 
c.d. udienza-filtro 
prevista 
proprio dall'art. 554-bis 
nei 
giudizi 
in cui 
manchi 
l'udienza 
preliminare 
perché 
a 
citazione 
diretta 
(v. Relazione 
illustrativa, 
pag. 270). Nei 
giudizi 
nei 
quali, invece, l'udienza 
preliminare, normalmente 
prevista, 
manchi 
quale 
conseguenza 
della 
scelta 
del 
giudizio 
immediato, 
il 
termine 
di 
costituzione 
viene 
spostato 
al 
dibattimento, 
fino 
a 
che 
non siano stati 
compiuti 
gli 
adempimenti 
previsti 
dall'articolo 484. Tale 
previsione 
si 
applica 
sia 
al 
rito con udienza 
preliminare 
sia 
al 
rito a 
citazione 
diretta, 
posto che 
in questa 
seconda 
ipotesi 
nel 
caso di 
emissione 
del 
decreto di 
giudizio 
immediato 
non 
si 
procede 
all'udienza 
predibattimentale 
prevista 
dal-
l'articolo 554-bis 
(art. 558-bis 
comma 
2). Eguale 
soluzione 
ermeneutica 
deve 
ritenersi 
nel 
caso 
di 
giudizio 
per 
direttissima 
in 
cui 
l'eliminazione 
dell'udienza 
preliminare 
è 
l'effetto 
dell'arresto 
in 
flagranza 
di 
reato 
o 
della 
confessione 
resa 
dalla persona indagata nel corso dell'interrogatorio (artt. 449 e 558). 


L'art. 554-bis 
(“Udienza di 
comparizione 
predibattimentale 
a seguito di 
citazione 
diretta”), per la 
parte 
di 
maggiore 
interesse, recita: 
«1. l'udienza di 
comparizione 
predibattimentale 
si 
svolge 
in camera di 
consiglio con la partecipazione 
necessaria del pubblico ministero e del difensore dell'imputato. 


2. 
il 
giudice 
procede 
agli 
accertamenti 
relativi 
alla 
costituzione 
delle 
parti, ordinando la rinnovazione 
degli 
avvisi, delle 
citazioni, delle 
comunicazioni 
e 
della notificazione 
di 
cui 
dichiara la nullità. se 
l'imputato non è 
presente 
si 
applicano 
le 
disposizioni 
di 
cui 
agli 
articoli 
420, 
420-bis, 
420-ter, 
420-quater, 420-quinquies e 420-sexies. 
3. 
le 
questioni 
indicate 
nell'articolo 491, commi 
1 e 
2, o quelle 
che 
la 
legge 
prevede 
siano proposte 
entro i 
termini 
di 
cui 
all'articolo 491, comma 1, 
sono precluse 
se 
non sono proposte 
subito dopo compiuto per 
la prima volta 
l'accertamento della costituzione 
delle 
parti 
e 
sono decise 
immediatamente. 
esse 
non possono essere 
riproposte 
nell'udienza dibattimentale. si 
applicano 
i commi 3, 4 e 5 dell'articolo 491. [...] 
». 
L'articolo 554-bis, come 
anche 
gli 
artt. 554-ter, 554-quater 
e 
554-quinques 
c.p.p., per effetto dell'art. 89-bis 
(“disposizioni 
transitorie 
in materia di 
udienza 
predibattimentale”), 
introdotto 
dall'art. 
5-octies 
del 
d.L. 
n. 
162/2022, 
“... 
si 
applicano 
nei 
procedimenti 
penali 
nei 
quali 
il 
decreto 
di 
citazione 
a 
giudizio 
è 
emesso 
in 
data 
successiva 
a 
quella 
di 
entrata 
in 
vigore 
del 
presente 
decreto”. 


Le 
modifiche 
apportate 
all'art. 
79, 
finalizzate 
ad 
accelerare 
lo 
svolgimento 
del 
processo 
riducendo 
gli 
spazi 
di 
manovra 
della 
più 
frequente 
delle 
parti 
eventuali, attuando il 
criterio di 
cui 
all'art. 1, comma 
9, lett. 
o), della 
legge 
delega, 
appaiono 
di 
forte 
impatto 
e 
imporranno, 
a 
livello 
organizzativo, 
delle 
misure 
atte 
ad 
accelerare 
le 
comunicazioni 
con 
le 
Amministrazioni 
persone 
offese 
interessate 
alla 
costituzione 
di 
parte 
civile. 
In 
particolare, 
sarà 
necessario 
portare 
a 
termine 
nel 
più 
breve 
tempo 
possibile 
i 
procedimenti 
istruttori 
finalizzati 
alla 
determinazione 
se 
costituirsi 
o meno, ivi 
compresa 
l'acquisizione 
dell'au



RASSEgNA 
AVVOCATURA 
dELLO 
STATO -N. 2/2022 


torizzazione 
della 
Presidenza 
del 
Consiglio 
dei 
Ministri 
ai 
sensi 
dell'art. 
1, 
comma 4, della legge 3 gennaio 1991, n. 3. 


Processo penale 
telematico -la partecipazione 
a distanza -libro ii 
Titolo 
ii-bis 


Nel 
disegno 
di 
innovazione 
e 
trasformazione 
del 
processo, 
ruolo 
rilevante 
assumono anche 
le 
due 
disposizioni 
del 
nuovo Titolo II-bis 
del 
Libro II, Partecipazione 
a distanza, introdotto dall'art. 8 del d.lgs. n. 150/2022. 


Per esse 
non è 
previsto alcun regime 
transitorio, dal 
che 
deve 
desumersi 
che 
la 
loro entrata 
in vigore 
coincida 
con il 
termine 
generale 
di 
cui 
all'art. 99bis 
(30 dicembre 
2022). dovrebbe 
anche 
ritenersi, in mancanza 
di 
previsioni 
in senso contrario, una loro immediata applicabilità ai 
procedimenti 
in corso 
alla data del 30 dicembre 2022. 


La 
disposizione 
di 
apertura 
art. 
133-bis 
(“disposizione 
generale”) 
sancisce 
la 
possibilità 
che 
un 
atto 
sia 
compiuto 
a 
distanza 
o 
che 
una 
o 
più 
parti 
possano 
partecipare 
a 
distanza 
al 
compimento 
di 
un 
atto 
o 
alla 
celebrazione 
di 
un'udienza, 
rimandando, 
salvo 
che 
sia 
diversamente 
disposto, 
alla 
disciplina 
uniforme 
dell'art. 
113-ter:«1. 
salvo 
che 
sia 
diversamente 
previsto, 
quando 
l'autorità 
giudiziaria 
dispone 
che 
un 
atto 
sia 
compiuto 
a 
distanza 
o 
che 
una 
o 
più 
parti 
possano 
partecipare 
a 
distanza 
al 
compimento 
di 
un 
atto 


o 
alla 
celebrazione 
di 
un'udienza 
si 
osservano 
le 
disposizioni 
di 
cui 
all'articolo 
133-ter». 
L'art. 
113-ter, 
(“Modalità 
e 
garanzie 
della 
partecipazione 
a 
distanza”) 
prevede 
che: 
«1. l'autorità giudiziaria, quando dispone 
che 
un atto sia compiuto 
a distanza o che 
una o più parti 
partecipino a distanza al 
compimento 
di 
un atto o alla celebrazione 
di 
un'udienza, provvede 
con decreto motivato. 
Quando 
non 
è 
emesso 
in 
udienza, 
il 
decreto 
è 
notificato 
o 
comunicato 
alle 
parti 
unitamente 
al 
provvedimento 
che 
fissa 
la 
data 
per 
il 
compimento 
dell'atto 


o la celebrazione 
dell'udienza e, in ogni 
caso, almeno tre 
giorni 
prima della 
data suddetta. il decreto è comunicato anche alle autorità interessate. 
2. 
nei 
casi 
di 
cui 
al 
comma 1 è 
attivato un collegamento audiovisivo tra 
l'aula di 
udienza o l'ufficio giudiziario e 
il 
luogo in cui 
si 
trovano le 
persone 
che 
compiono l'atto o che 
partecipano all'udienza a distanza. il 
luogo in cui 
si 
trovano le 
persone 
che 
compiono l'atto o che 
partecipano all'udienza a distanza 
è equiparato all'aula di udienza. 
3. 
il 
collegamento audiovisivo è 
attuato, a pena di 
nullità, con modalità 
idonee 
a 
salvaguardare 
il 
contraddittorio 
e 
l'effettiva 
partecipazione 
delle 
parti 
all'atto o all'udienza e 
ad assicurare 
la contestuale, effettiva e 
reciproca 
visibilità 
delle 
persone 
presenti 
nei 
diversi 
luoghi 
e 
la 
possibilità 
per 
ciascuna 
di 
essa di 
udire 
quanto viene 
detto dalle 
altre. nei 
casi 
di 
udienza pubblica è 
assicurata un'adeguata pubblicità degli 
atti 
compiuti 
a distanza. dell'atto o 
dell'udienza è sempre disposta la registrazione audiovisiva. 
4. 
salvo 
quanto 
disposto 
dai 
commi 
5, 
6 
e 
7, 
le 
persone 
che 
compiono 

TEMI 
ISTITUZIONALI 


l'atto 
o 
che 
partecipano 
all'udienza 
a 
distanza 
si 
collegano 
da 
altro 
ufficio 
giudiziario o da un ufficio di 
polizia giudiziaria individuato dall'autorità giudiziaria, 
previa 
verifica 
della 
disponibilità 
di 
dotazioni 
tecniche 
e 
di 
condizioni 
logistiche idonee per il collegamento audiovisivo. 


5. 
le 
persone 
detenute, 
internate, 
sottoposte 
a 
custodia 
cautelare 
in 
carcere 
o 
ristrette 
in 
carcere 
a 
seguito 
di 
arresto 
o 
di 
fermo, 
quando 
compiono 
l'atto 
o 
partecipano 
all'udienza 
a 
distanza, 
si 
collegano 
dal 
luogo 
in 
cui 
si 
trovano. 
6. 
sentite 
le 
parti, l'autorità giudiziaria può autorizzare 
le 
persone 
che 
compiono l'atto o che 
partecipano all'udienza a distanza a collegarsi 
da un 
luogo diverso da quello indicato nel comma 4. 
7. 
i 
difensori 
si 
collegano 
dai 
rispettivi 
uffici 
o 
da 
altro 
luogo, 
purché 
idoneo. È 
comunque 
assicurato il 
diritto dei 
difensori 
o dei 
loro sostituti 
di 
essere 
presenti 
nel 
luogo dove 
si 
trova l'assistito. È 
parimenti 
sempre 
assicurato 
il 
diritto 
dei 
difensori 
o 
dei 
loro 
sostituti 
di 
consultarsi 
riservatamente 
tra loro e con l'assistito per mezzo di strumenti tecnici idonei. 
8. 
nei 
casi 
di 
cui 
ai 
commi 
4 
e 
5 
e, 
ove 
l'autorità 
giudiziaria 
non 
disponga 
diversamente, nel 
caso di 
cui 
al 
comma 6, un ausiliario del 
giudice 
o del 
pubblico 
ministero, individuato anche 
tra gli 
ausiliari 
in servizio presso l'ufficio 
giudiziario di 
cui 
al 
citato comma 4, o un ufficiale 
di 
polizia giudiziaria, designato 
tra 
coloro 
che 
non 
svolgono, 
né 
hanno 
svolto, 
attività 
di 
investigazione 
o 
di 
protezione 
nei 
confronti 
dell'imputato, 
è 
presente 
nel 
luogo 
ove 
si 
trovano 
le 
persone 
che 
compiono l'atto o che 
partecipano all'udienza a distanza, ne 
attesta 
l'identità 
e 
redige 
verbale 
delle 
operazioni 
svolte 
a 
norma 
dell'articolo 
136, 
in 
cui 
dà 
atto 
dell'osservanza 
delle 
disposizioni 
di 
cui 
al 
comma 
3, 
primo 
periodo, 
e 
al 
comma 
8, 
secondo 
e 
terzo 
periodo, 
delle 
cautele 
adottate 
per 
assicurare 
la regolarità dell'esame 
con riferimento al 
luogo in cui 
la persona si 
trova, 
nonché 
dell'assenza 
di 
impedimenti 
o 
limitazioni 
all'esercizio 
dei 
diritti 
e delle facoltà ad essa spettanti». 
Nel 
medesimo contesto si 
collocano diverse 
altre 
norme 
tese 
a 
promuovere 
l'utilizzo 
degli 
strumenti 
di 
comunicazione 
a 
distanza 
onde 
favorire 
la 
celebrazione 
delle 
udienze 
ovvero 
il 
compimento 
di 
atti 
del 
procedimento 
in 
modo più celere 
ma 
parimenti 
efficace. Così 
l'art. 146-bis 
delle 
disposizioni 
di 
attuazione 
(“Partecipazione 
al 
dibattimento a distanza”), che 
al 
comma 
4bis 
specifica: 
«in tutti 
iprocessi 
nei 
quali 
si 
procede 
con il 
collegamento audiovisivo 
ai 
sensi 
dei 
commi 
precedenti, il 
giudice, su istanza, può consentire 
alle 
altre 
parti 
private 
e 
ai 
loro 
difensori 
di 
intervenire 
a 
distanza 
assumendosi 
l'onere 
dei 
costi 
del 
collegamento». E 
ancora 
l'art. 496 (“ordine 
e 
modalità 
dell'assunzione 
delle 
prove”), 
che, 
al 
comma 
2-bis, 
prevede: 
«2-bis. 
salvo 
che 
una 
particolare 
disposizione 
di 
legge 
preveda 
diversamente, 
il 
giudice 
può 
disporre, 
con il 
consenso delle 
parti, che 
l'esame 
dei 
testimoni, dei 
periti, dei 
consulenti 
tecnici, 
delle 
persone 
indicate 
nell'articolo 
210 
e 
delle 
parti 
private 
si svolga a distanza». 



RASSEgNA 
AVVOCATURA 
dELLO 
STATO -N. 2/2022 


Per la 
fase 
procedimentale 
delle 
indagini, si 
evidenzia 
l'art. 360 (“accertamenti 
tecnici 
non 
ripetibili”), 
laddove, 
al 
comma 
3-bis, 
prevede 
che 
«il 
pubblico 
ministero 
può 
autorizzare 
la 
persona 
sottoposta 
alle 
indagini, 
la 
persona 
offesa dal 
reato, i 
difensori 
e 
i 
consulenti 
tecnici 
eventualmente 
nominati, che 
ne 
facciano richiesta, a partecipare 
a distanza al 
conferimento dell'incarico 


o agli accertamenti». 
Processo penale telematico - le notificazioni 


Sono state 
poi 
profondamente 
rivisitate 
le 
norme 
sulle 
notificazioni 
alla 
luce 
del 
progressivo 
sviluppo, 
anche 
in 
sede 
penale, 
dello 
strumento 
della 
posta 
elettronica certificata. 


Si 
tratta 
di 
un gruppo di 
disposizioni 
per le 
quali, in assenza 
di 
un regime 
transitorio ad hoc, l'entrata 
in vigore 
coincide 
con il 
termine 
generale 
del 
30 
dicembre 
2022. dovrebbe 
anche 
ritenersi, in mancanza di 
previsioni 
in senso 
contrario, 
una 
loro 
immediata 
applicabilità 
ai 
procedimenti 
in 
corso 
alla 
data 
del 30 dicembre 2022. 


L'art. 
148 
(“organi 
e 
forme 
delle 
notificazioni”), 
al 
comma 
1, 
generalizza, 
quale 
strumento 
tendenziale, 
l'uso 
dello 
strumento 
informatico 
per 
le 
notificazioni 
compiute 
dall'Ufficio: 
«1. 
in 
ogni 
stato 
e 
grado 
del 
processo, 
salvo 
che 
la 
legge 
disponga 
altrimenti, 
le 
notificazioni 
degli 
atti 
sono 
eseguite, 
a cura della segreteria o della cancelleria, con modalità telematiche 
che, nel 
rispetto della normativa anche 
regolamentare 
concernente 
la trasmissione 
e 
la ricezione 
dei 
documenti 
informatici, assicurano la identità del 
mittente 
e 
del 
destinatario, 
l'integrità 
del 
documento 
trasmesso, 
nonché 
la 
certezza, 
anche temporale, dell'avvenuta trasmissione e ricezione» (7). 


L'art. 149 (“notifiche 
urgenti 
a mezzo del 
telefono o del 
telegrafo”) per 
le 
persone 
diverse 
dall'imputato, al 
comma 
4, prevede 
la 
possibilità 
che 
la 
telefonata 
sia 
confermata 
al 
destinatario 
mediante 
telegramma 
«o, 
in 
alternativa, 
mediante 
comunicazione 
all'indirizzo 
di 
posta 
elettronica 
indicato 
dallo 
stesso». 
Si 
noti 
che 
la 
norma 
non 
richiama, 
ai 
fini 
della 
conferma 
della 
notifica 
urgente, la 
posta 
elettronica 
certificata 
ma 
quella 
semplice 
(c.d. peo) purché 
indicata dal destinatario. 


(7) Il 
secondo ed il 
terzo comma 
disciplinano: 
le 
forme 
di 
notifica 
alle 
persone 
presenti 
o rappresentate 
dal 
difensore 
in loro presenza 
mediante 
lettura dei 
provvedimenti 
e 
degli 
avvisi 
che 
sono dati 
dal 
giudice 
o 
dal 
pubblico 
ministero, 
purché 
ne 
sia 
fatta 
menzione 
nel 
verbale, 
nonché 
mediante 
consegna 
a mani 
di 
copia 
degli 
atti 
in formato analogico, tramite 
annotazione 
in calce 
all'originale 
dell'atto della 
consegna 
e 
della 
data 
in cui 
essa 
è 
avvenuta. I commi 
4 e 
5, prevedono a 
chiusura, che 
«4. in tutti 
i 
casi 
in cui, per 
espressa previsione 
di 
legge, per 
l'assenza o l'inidoneità di 
un domicilio digitale 
del 
destinatario 
o per 
la sussistenza di 
impedimenti 
tecnici, non è 
possibile 
procedere 
con le 
modalità indicate 
al 
comma 1, e 
non è 
stata effettuata la notificazione 
con le 
forme 
previste 
nei 
commi 
2 e 
3, la notificazione 
disposta dall'autorità giudiziaria è 
eseguita dagli 
organi 
e 
con le 
forme 
stabilite 
nei 
commi 
seguenti 
e 
negli articoli del presente titolo. 
5 le 
notificazioni 
degli 
atti, salvo che 
la legge 
disponga altrimenti, sono eseguite 
dall'ufficiale 
giudiziario 
o da chi ne esercita funzioni». 

TEMI 
ISTITUZIONALI 


L'art. 152 (“notificazioni 
richieste 
dalle 
parti 
private”) estende 
il 
potere 
dei 
difensori 
di 
procedere 
mediante 
l'invio 
del 
documento, 
oltre 
che 
per 
lettera 
raccomandata 
AR, anche 
tramite 
pec: 
«1. salvo che 
la legge 
disponga altrimenti, 
le 
notificazioni 
richieste 
dalle 
parti 
private 
possono 
essere 
sostituite 
dalla notificazione 
con modalità telematiche 
eseguita dal 
difensore 
a mezzo 
di 
posta elettronica certificata ovvero dall'invio di 
copia dell'atto in forma di 
documento analogico effettuata dal 
difensore 
mediante 
lettera raccomandata 
con avviso di ricevimento» (8). 


L'art. 
152 
va 
inoltre 
correlato 
con 
l'art. 
168 
(“relazione 
di 
notificazione”), 
comma 
1 
primo 
periodo, 
secondo 
cui 
«1. 
Per 
le 
notificazioni 
effettuate 
con 
modalità telematiche 
la ricevuta di 
avvenuta consegna, generata dal 
sistema, 
assume valore di relazione di notificazione». 


Nella 
apparente 
antinomia 
delle 
due 
disposizioni 
appena 
riportate 
(art. 
56-bis 
disp. att. in nota 
n. 8 e 
art. 168 c.p.p.) deve 
ritenersi 
che 
l'ordinamento 
oneri 
il 
difensore 
della parte 
privata di 
allegare 
comunque 
la relazione 
di 
notificazione 
alla pec 
che 
contiene 
l'atto da notificare, dovendosi 
leggere 
la 
formula 
di 
equivalenza 
contenuta 
nell'art. 
168 
come 
disposizione 
di 
carattere 
generale 
principalmente 
rivolta 
alle 
notifiche 
effettuate 
dagli 
Uffici 
(Cancellerie 
e 
Segreterie). Per il 
resto, ad una 
prima 
lettura, non si 
notano particolari 
difformità rispetto al modello di notifica in uso nel processo civile. 


L'art. 
154 
(“notificazioni 
alla 
persona 
offesa, 
alla 
parte 
civile, 
al 
responsabile 
civile 
e 
al 
civilmente 
obbligato per 
la pena pecuniaria”). La 
disposizione 
di 
interesse, 
recata 
al 
comma 
3, 
è 
rimasta 
immutata. 
La 
si 
riporta 
per 


(8) La 
norma 
va 
letta 
in correlazione 
con l'art. 56-bis 
delle 
disposizioni 
di 
attuazione 
(“notificazione 
con 
modalità 
telematiche 
effettuate 
dal 
difensore”), 
che 
precisa 
le 
modalità 
tecniche 
attraverso 
cui 
procedere: 
«1. la notificazione 
con modalità telematiche 
è 
eseguita dal 
difensore 
a mezzo di 
posta 
elettronica 
certificata 
all'indirizzo 
risultante 
da 
pubblici 
elenchi, 
nel 
rispetto 
della 
normativa, 
anche 
regolamentare, concernente 
la sottoscrizione, la trasmissione 
e 
la ricezione 
dei 
documenti 
informatici. 
la notificazione 
può essere 
eseguita esclusivamente 
utilizzando un indirizzo di 
posta elettronica certificata 
del notificante risultante da pubblici elenchi. 
2. l'avvocato redige 
la relazione 
di 
notificazione 
su documento informatico separato, sottoscritto con 
firma digitale ed allegato al messaggio di posta elettronica certificata. la relazione deve contenere: 
a) il nome e il cognome dell'avvocato notificante; 
b) il nome e il cognome della parte che lo ha nominato o nel cui interesse è stato nominato; 
c) il nome e cognome del destinatario; 
d) l'indirizzo di posta elettronica certificata a cui l'atto viene notificato; 
e) l'indicazione dell'elenco da cui il predetto indirizzo è stato estratto; 
f) l'ufficio giudiziario, l'eventuale sezione e il numero del procedimento. 
3. 
Quando 
l'atto 
da 
notificarsi 
è 
redatto 
in 
forma 
di 
documento 
analogico, 
l'avvocato 
provvede 
ad 
estrarne 
copia informatica, sulla quale 
appone 
attestazione 
di 
conformità nel 
rispetto delle 
modalità 
previste per i procedimenti civili. 
4. ai 
fini 
previsti 
dall'articolo 152 del 
codice, il 
difensore 
documenta l'avvenuta notificazione 
dell'atto 
con modalità telematiche 
depositando in cancelleria l'originale 
informatico o la copia informatica del-
l'atto 
inviato, 
di 
cui 
attesta 
la 
conformità 
all'originale, 
la 
relazione 
redatta 
con 
le 
modalità 
di 
cui 
al 
comma 2, nonché le ricevute di accettazione e di avvenuta consegna generate dal sistema». 

RASSEgNA 
AVVOCATURA 
dELLO 
STATO -N. 2/2022 


completezza: 
«3. se 
si 
tratta di 
pubbliche 
amministrazioni, di 
persone 
giuridiche 
o 
di 
enti 
privi 
di 
personalità 
giuridica, 
le 
notificazioni 
sono 
eseguite 
nelle 
forme 
stabilite 
per 
il 
processo civile». da 
ciò è 
possibile 
desumere 
che 
le 
notifiche 
a 
cura 
del 
giudice, del 
Pubblico Ministero e 
delle 
altre 
parti 
continueranno 
a 
dover 
essere 
effettuate 
ai 
sensi 
dell'art. 
144 
c.p.c. 
e 
dell'art. 
11 


R.d. 
n. 
1611/1933 
per 
le 
Amministrazioni 
dello 
Stato 
e 
per 
i 
soggetti 
che 
fruiscono 
del 
patrocinio 
organico 
ed 
esclusivo 
dell'Avvocatura 
dello 
Stato, 
mentre 
andranno effettuate 
presso la sede 
legale 
dell'ente 
per 
i 
soggetti 
a patrocinio 
facoltativo o autorizzato. 
L'art. 171 (“nullità delle 
notificazioni”) adegua 
le 
ipotesi 
di 
nullità 
alle 
specificità 
dei 
nuovi 
strumenti 
introdotti, prevedendo al 
comma 
1 lett. b-bis 
che 
«la 
notifica 
è 
nulla: 
[...] 
se, 
in 
caso 
di 
notificazione 
eseguita 
con 
modalità 
telematiche, 
non 
sono 
rispettati 
i 
requisiti 
di 
cui 
al 
comma 
1 
dell'articolo 
148». 


Nello 
stesso 
ambito 
sistematico, 
relativo 
alla 
notifica 
degli 
atti 
processuali 
con 
modalità 
informatiche, 
va 
considerato 
l'art. 
16 
(“Biglietti 
di 
cancelleria, 
comunicazioni 
e 
notificazioni 
per 
via 
telematica”) 
del 
d.L. 
n. 
179/2012, 
come 
modificato, 
nei 
commi 
4, 
6, 
7 
e 
8, 
dall'art. 
69 
del 
d.lgs. 
n. 
150/2022, 
di 
particolare 
interesse 
per 
la 
casistica 
ivi 
affrontata: 
“4. 
nei 
procedimenti 
civili 
e 
in 
quelli 
davanti 
al 
consiglio 
nazionale 
forense 
in 
sede 
giurisdizionale, 
le 
comunicazioni 
e 
le 
notificazioni 
a 
cura 
della 
cancelleria 
sono 
effettuate 
esclusivamente 
per 
via 
telematica 
all'indirizzo 
di 
posta 
elettronica 
certificata 
risultante 
da 
pubblici 
elenchi 
o 
comunque 
accessibili 
alle 
pubbliche 
amministrazioni, 
secondo 
la 
normativa, 
anche 
regolamentare, 
concernente 
la 
sottoscrizione, 
la 
trasmissione 
e 
la 
ricezione 
dei 
documenti 
informatici. 
allo 
stesso 
modo 
si 
procede 
per 
le 
notificazioni 
da 
eseguire 
a 
norma 
dell'articolo 
148, 
comma 
1, 
del 
codice 
di 
procedura 
penale. 
la 
relazione 
di 
notificazione 
è 
redatta 
in 
forma 
automatica 
dai 
sistemi 
informatici 
in 
dotazione 
alla 
cancelleria. 


5. 
la 
notificazione 
o 
comunicazione 
che 
contiene 
dati 
sensibili 
è 
effettuata 
solo per 
estratto con contestuale 
messa a disposizione, sul 
sito internet 
individuato 
dall'amministrazione, 
dell'atto 
integrale 
cui 
il 
destinatario 
accede 
mediante 
gli 
strumenti 
di 
cui 
all'articolo 64 del 
decreto legislativo 7 marzo 
2005, n. 82. 
6. 
le 
notificazioni 
e 
comunicazioni 
ai 
soggetti 
diversi 
dall'imputato per 
i 
quali 
la 
legge 
prevede 
l'obbligo 
di 
munirsi 
di 
un 
indirizzo 
di 
posta 
elettronica 
certificata, 
che 
non 
hanno 
provveduto 
ad 
istituire 
o 
comunicare 
il 
predetto 
indirizzo, 
sono 
eseguite 
esclusivamente 
mediante 
deposito 
in 
cancelleria. 
le 
stesse 
modalità si 
adottano nelle 
ipotesi 
di 
mancata consegna del 
messaggio 
di posta elettronica certificata per cause imputabili al destinatario. 
7. 
nei 
procedimenti 
civili 
nei 
quali 
sta 
in 
giudizio 
personalmente 
la 
parte 
il 
cui 
indirizzo di 
posta elettronica certificata non risulta da pubblici 
elenchi, 
la 
stessa 
può 
indicare 
l'indirizzo 
di 
posta 
elettronica 
certificata 
al 
quale 
vuole 
ricevere 
le 
comunicazioni 
e 
notificazioni 
relative 
al 
procedimento. 
in 
tale 
caso 

TEMI 
ISTITUZIONALI 


le 
comunicazioni 
e 
notifìcazioni 
a 
cura 
della 
cancelleria, 
si 
effettuano 
ai 
sensi 
del 
comma 4 e 
si 
applicano i 
commi 
6 e 
8. Tutte 
le 
comunicazioni 
e 
le 
notificazioni 
alle 
pubbliche 
amministrazioni 
che 
stanno in giudizio avvalendosi 
direttamente 
di 
propri 
dipendenti 
sono effettuate 
esclusivamente 
agli 
indirizzi 
di posta elettronica comunicati a norma del comma 12. 


7-bis. nei 
procedimenti 
penali 
quando l'imputato o le 
altre 
parti 
private 
dichiarano domicilio presso un indirizzo di 
posta elettronica certificata non 
risultante 
da 
pubblici 
elenchi, 
le 
comunicazioni 
e 
notificazioni 
a 
cura 
della 
cancelleria o della segreteria si 
effettuano ai 
sensi 
del 
comma 4. nelle 
ipotesi 
di 
mancata consegna dei 
messaggi 
di 
posta elettronica certificata per 
cause 
non imputabili 
al 
destinatario, si 
applicano per 
l'imputato le 
disposizioni 
di 
cui 
all'articolo 161, comma 4, del 
codice 
di 
procedura penale 
e 
per 
le 
altre 
parti private le disposizioni di cui al comma 6 del presente decreto. 


8. Quando non è 
possibile 
procedere 
ai 
sensi 
del 
comma 4 per 
causa non 
imputabile 
al 
destinatario, nei 
procedimenti 
civili 
si 
applicano l'articolo 136, 
terzo comma, e 
gli 
articoli 
137 e 
seguenti 
del 
codice 
di 
procedura civile 
e, nei 
procedimenti 
penali, le 
disposizioni 
dell'articolo 148, comma 4, del 
codice 
di 
procedura penale”. 
Modalità di 
presentazione 
dell'impugnazione 
e 
svolgimento dei 
relativi 
giudizi 


La 
riforma 
è 
intervenuta 
profondamente 
anche 
sullo 
svolgimento 
dei 
giudizi 
di 
impugnazione, estendendo ai 
gradi 
successivi 
le 
modalità 
telematiche 
e 
ampliando sensibilmente 
le 
ipotesi 
di 
trattazione 
in assenza 
delle 
parti 
e 
con 
modalità 
cartolare, secondo un disegno già 
sperimentato nel 
giudizio civile 
di 
cassazione sin dal 2016 (9). 


Si 
tratta 
di 
un complesso di 
norme 
parte 
delle 
quali 
(quella 
relativa 
alla 
trattazione 
delle 
impugnazioni 
in 
camera 
di 
consiglio) 
(10) 
è 
destinata 
ad 
operare, 
secondo 
quanto 
disposto 
dall'art. 
94, 
comma 
2, 
d.lgs. 
n. 
150/2022, 
come 
modificato 
dall'art. 
5-duodecies 
del 
d.L. 
n. 
162/2022, 
per 
le 
impugnazioni 
proposte 
a 
partire 
dal 
1° 
luglio 2023, continuandosi 
allo stato ad applicare 
la 
normativa 
di 
carattere 
emergenziale 
(11), 
mentre 
altra 
parte 
(quella 
relativa 


(9) Modifiche 
al 
processo civile 
di 
cassazione 
introdotte 
dall'art. 1-bis 
del 
d.L. 31 agosto 2016 n. 
168 convertito nella legge 25 ottobre 2016 n. 197. 
(10) Artt. 598-bis, 599, 599-bis, 601 (commi 2, 3 e 5), 602, 611 c.p.p. e art. 167-bis 
disp. att. 
(11) 
Art. 
5-duodecies 
d.L. 
n. 
162/2022: 
«1. 
all'articolo 
94 
del 
decreto 
legislativo 
10 
ottobre 
2022, 
n. 150, il 
comma 2 è 
sostituito dal 
seguente: “2. Per 
le 
impugnazioni 
proposte 
entro il 
30 giugno 2023 
continuano ad applicarsi 
le 
disposizioni 
di 
cui 
all'articolo 23, commi 
8, primo, secondo, terzo, quarto 
e 
quinto periodo, e 
9, nonché 
le 
disposizioni 
di 
cui 
all'articolo 23-bis, commi 
1, 2, 3, 4 e 
7, del 
decreto-
legge 
28 ottobre 
2020, n. 137, convertito, con modificazioni, dalla legge 
18 dicembre 
2020. n. 176. se 
sono proposte 
ulteriori 
impugnazioni 
avverso il 
medesimo provvedimento dopo il 
30 giugno 2023, si 
fa 
riferimento all'atto di 
impugnazione 
proposto per 
primo”». L'art. 23 
(“disposizioni 
per 
l'esercizio del-
l'attività giurisdizionale 
nella vigenza dell'emergenza epidemiologica da coVid- 19”) 
comma 
8, del 
d.L. n. 137/2020, nella 
parte 
di 
interesse, dispone: 
"8. Per 
la decisione 
sui 
ricorsi 
proposti 
per 
la trat

RASSEgNA 
AVVOCATURA 
dELLO 
STATO -N. 2/2022 


alle 
modalità 
telematiche 
di 
presentazione 
dell'impugnazione) 
decorsi 
15 
giorni 
dalla 
pubblicazione 
dei 
decreti 
Ministeriali 
di 
cui 
all'art. 87 d.lgs. n. 
150/2022 
(12); 
per 
il 
resto 
(13), 
mancando 
un 
regime 
intertemporale 
specifico, 
a decorrere dal 30 dicembre 2022 ex art. 99-bis 
del d.lgs. n. 150/2022. 


tazione 
a norma degli 
articoli 
127 e 
614 del 
codice 
di 
procedura penale 
la corte 
di 
cassazione 
procede 
in 
camera 
di 
consiglio 
senza 
l'intervento 
del 
procuratore 
generale 
e 
dei 
difensori 
delle 
delle 
parti, 
salvo 
che 
una delle 
parti 
private 
o il 
procuratore 
generale 
faccia richiesta di 
discussione 
orale. entro il 
quindicesimo 
giorno precedente 
l'udienza, il 
procuratore 
generale 
formula le 
sue 
richieste 
con atto spedito 
alla cancelleria della corte 
a mezzo di 
posta elettronica certificata. la cancelleria provvede 
immediatamente 
a inviare, con lo stesso mezzo, l'atto contenente 
le 
richieste 
ai 
difensori 
delle 
altre 
parti 
che, 
entro 
il 
quinto 
giorno 
antecedente 
l'udienza, 
possono 
presentare 
con 
atto 
scritto, 
inviato 
alla 
cancelleria 
della corte 
a mezzo di 
posta elettronica certificata, le 
conclusioni. alla deliberazione 
si 
procede 
con le 
modalità di 
cui 
al 
comma 9; non si 
applica l'articolo 615, comma 3, del 
codice 
di 
procedura penale 
e 
il 
dispositivo è 
comunicato alle 
parti. la richiesta di 
discussione 
orale 
è 
formulata per 
iscritto dal 
procuratore 
generale 
o dal 
difensore 
abilitato a norma dell'articolo 613 del 
codice 
di 
procedura penale 
entro 
il 
termine 
perentorio 
di 
venticinque 
giorni 
liberi 
prima 
dell'udienza 
e 
presentata, 
a 
mezzo 
di 
posta 
elettronica certificata, alla cancelleria” 
e, nel 
comma 
9, che 
“9. nei 
procedimenti 
civili 
e 
penali, le 
deliberazioni 
collegiali 
in camera di 
consiglio possono essere 
assunte 
mediante 
collegamenti 
da remoto 
individuati 
e 
regolati 
con provvvedimento del 
direttore 
generale 
dei 
sistemi 
informativi 
e 
automatizzati 
del 
Ministero 
della 
Giustizia. 
il 
luogo 
da 
cui 
si 
collegano 
i 
magistrati 
è 
considerato 
camera 
di 
consiglio 
a tutti 
gli 
effetti 
di 
legge. nei 
procedimenti 
penali, dopo la deliberazione, il 
presidente 
del 
collegio o il 
componente 
del 
collegio da lui 
delegato sottoscrive 
il 
dispositivo della sentenza o l'ordinanza e 
il 
provvedimento 
è 
depositato in cancelleria ai 
fini 
dell'inserimento nel 
fascicolo il 
prima possibile. nei 
procedimenti 
penali 
le 
disposizioni 
di 
cui 
al 
presente 
comma 
non 
si 
applicano 
alle 
deliberazioni 
conseguenti 
alle 
udienze 
di 
discussione 
finale, in pubblica udienza o in camera di 
consiglio, svolte 
senza il 
ricorso 
a collegamento da remoto”. 
L'art. 23-bis 
(“disposizioni 
per 
la decisione 
dei 
giudizi 
penali 
di 
appello nel 
periodo di 
emergenza epidemiologica 
da 
coVid-19”) 
prevede 
che: 
“1. 
a 
decorrere 
dal 
9 
novembre 
2020 
e 
fino 
al 
31 
luglio 
2021, 
fuori 
dai 
casi 
di 
rinnovazione 
dell'istruzione 
dibattimentale, 
per 
la 
decisione 
sugli 
appelli 
proposti 
contro 
le 
sentenze 
di 
primo 
grado 
la 
corte 
di 
appello 
procede 
in 
camera 
di 
consiglio 
senza 
l'intervento 
del 
pubblico 
ministero e 
dei 
difensori, salvo che 
una delle 
parti 
private 
o il 
pubblico ministero faccia richiesta 
di 
discussione 
orale 
o che 
l'imputato manifesti 
la volontà di 
comparire. 2. entro il 
decimo giorno precedente 
l'udienza, il 
pubblico ministero formula le 
sue 
conclusioni 
con atto trasmesso alla cancelleria 
della 
corte 
di 
appello 
per 
via 
telematica 
ai 
sensi 
dell'articolo 
16, 
comma 
4, 
del 
decreto-legge 
18 
ottobre 
2012, n. 179, convertito, con modificazioni, dalla legge 
17 dicembre 
2012, n. 221, o a mezzo dei 
sistemi 
che 
sono resi 
disponibili 
e 
individuati 
con provvedimento del 
direttore 
generale 
dei 
sistemi 
informativi 
e 
automatizzati. 
la 
cancelleria 
invia 
l'atto 
immediatamente, 
per 
via 
telematica, 
ai 
sensi 
dell'articolo 
16, comma 4, del 
decreto-legge 
18 ottobre 
2012, n. 179, convertito, con modificazioni, dalla legge 
17 
dicembre 
2012, n. 221, ai 
difensori 
delle 
altre 
parti 
che, entro il 
quinto giorno antecedente 
l'udienza, 
possono presentare 
le 
conclusioni 
con atto scritto, trasmesso alla cancelleria della corte 
di 
appello per 
via telematica, ai 
sensi 
dell'articolo 24 del 
presente 
decreto. 3. alla deliberazione 
la corte 
di 
appello 
procede 
con 
le 
modalità 
di 
cui 
all'articolo 
23, 
comma 
9. 
il 
dispositivo 
della 
decisione 
è 
comunicato 
alle 
parti. 4. la richiesta di 
discussione 
orale 
è 
formulta per 
iscritto dal 
pubblico ministero o dal 
difensore 
entro il 
termine 
perentorio di 
quindici 
giorni 
liberi 
prima dell'udienza ed è 
trasmessa alla cancelleria 
della 
corte 
di 
appello 
attraverso 
i 
canali 
di 
comunicazione, 
notificazione 
e 
deposito 
rispettivamente 
previsti 
dal 
comma 
2. 
entro 
lo 
stesso 
termine 
perentorio 
e 
con 
le 
medesime 
modalità 
l'imputato 
formula, 
a mezzo del 
difensore, la richiesta di 
partecipare 
all'udienza. [...] 
7. le 
disposizioni 
di 
cui 
al 
presente 
articolo 
si 
applicano, 
in 
quanto 
compatibili, 
anche 
nei 
procedimenti 
di 
cui 
agli 
articoli 
10 
e 
27 
del 
codice 
delle 
leggi 
antimafia 
e 
delle 
misure 
di 
prevenzione, 
di 
cui 
al 
decreto 
legislativo 
6 
settembre 
2011, 


n. 159, e 
agli 
articoli 
310 e 
322-bis 
del 
codice 
di 
procedura penale. in quest'ultimo caso, la richiesta di 
discussione 
orale 
di 
cui 
al 
comma 4 deve 
essere 
formulata entro il 
termine 
perentorio di 
cinque 
giorni 
liberi prima dell'udienza”. 

TEMI 
ISTITUZIONALI 


enTraTa in ViGore 30 DiCeMBre 2022 (arT. 99-BiS D.lGS. n. 150/2022) 


L'art. 581 (“Forma dell'impugnazione”), ai 
commi 
1-bis 
e 
1-ter, prevede 
che: 
“1-bis. l'appello è 
inammissibile 
per 
mancanza di 
specificità dei 
motivi 
quando, per 
ogni 
richiesta, non sono enunciati 
in forma puntuale 
ed esplicita 
i 
rilievi 
critici 
in relazione 
alle 
ragioni 
di 
fatto o di 
diritto espresse 
nel 
provvedimento 
impugnato, con riferimento ai 
capi 
e 
punti 
della decisione 
ai 
quali 
si riferisce l'impugnazione. 


1-ter. con l'atto d'impugnazione 
delle 
parti 
private 
e 
dei 
difensori 
è 
depositata, 
a pena d'inammissibilità, la dichiarazione 
o elezione 
di 
domicilio, 
ai fini della notificazione del decreto di citazione a giudizio”. 


La 
prima 
disposizione 
costituisce 
espressione, comune 
ad altre 
giurisdizioni, 
del 
principio per cui 
l'appello, pur non essendo un mezzo di 
impugnazione 
a 
critica 
vincolata, debba 
essere 
specificamente 
motivato e 
destinato ad 
incidere su parti ben indentificate della decisione gravata. 


Si 
richiama 
l'attenzione 
sulla 
previsione 
del 
comma 
1-ter, 
prevista 
a 
pena 
di 
inammissibilità 
dell'appello, 
e 
sulla 
necessità 
di 
evidenziare 
particolarmente, 
in seno all'atto da 
redigere, i 
caratteri 
(ove 
sussistenti) della 
domiciliazione 
obbligatoria 
presso l'Avvocatura. Negli 
altri 
casi, particolare 
attenzione 
andrà 
posta 
nella 
evidenziazione 
del 
domicilio dell'Ente 
a 
patrocinio facoltativo 
ovvero autorizzato. 


enTraTa 
in 
ViGore Per le iMPUGnaZioni 
ProPoSTe Dal 
1° 
lUGlio 


2023 
(arT. 
94, 
CoMMa 
2, 
D.lGS. 
n. 
150/2022 
CoMe 
MoDiFiCaTo 
Dall’arT. 
5DUoDeCieS 
Del D.l. n. 162/2022) 


L'art. 598-bis 
(“decisioni 
in camera di 
consiglio senza la partecipazione 
delle 
parti”) generalizza 
il 
rito camerale 
senza 
presenza 
delle 
parti 
ai 
giudizi 
di 
appello, prevedendo che: 
“1. salvo quanto previsto nei 
commi 
da 2 a 4 o 
da altre 
particolari 
disposizioni 
di 
legge, la corte 
provvede 
sull'appello in camera 
di 
consiglio, 
giudicando 
sui 
motivi, 
sulle 
richieste 
e 
sulle 
memorie 
senza 
la 
partecipazione 
delle 
parti. 
Fino 
a 
quindici 
giorni 
prima 
dell'udienza, 
il 
procuratore 
generale 
presenta le 
sue 
richieste 
e 
tutte 
le 
parti 
possono presentare 
motivi 
nuovi, 
memorie 
e, 
fino 
a 
cinque 
giorni 
prima, 
memorie 
di 
replica. 
il 
provvedimento emesso in seguito alla camera di 
consiglio è 
immediatamente 
depositato 
in 
cancelleria. 
il 
deposito 
della 
sentenza 
equivale 
alla 
lettura 
in 
udienza ai fini di cui all'articolo 545. 


2. 
l'appellante 
e, 
in 
ogni 
caso, 
l'imputato 
o 
il 
suo 
difensore 
possono 
chiedere 
di 
partecipare 
all'udienza. la richiesta è 
irrevocabile 
ed è 
presentata, a 
pena di 
decadenza, nel 
termine 
di 
quindici 
giorni 
dalla notifica del 
decreto di 
citazione 
di 
cui 
all'articolo 601 o dell'avviso della data fissata per 
il 
giudizio 
(12) Art. 87, commi 
4 e 
5, si 
tratta 
dell'art. 582, commi 
1 e 
1-bis, e 
dell'art. 585, comma 
4, c.p.p. 
nonché dell'art. 154, commi 2, 3 e 4, disp. att. 
(13) V. ad es. gli artt. 603 e 604 c.p.p. 

RASSEgNA 
AVVOCATURA 
dELLO 
STATO -N. 2/2022 


di 
appello. 
la 
parte 
privata 
può 
presentare 
la 
richiesta 
esclusivamente 
a 
mezzo del 
difensore. Quando la richiesta è 
ammissibile, la corte 
dispone 
che 
l'udienza si 
svolga con la partecipazione 
delle 
parti 
e 
indica se 
l'appello sarà 
deciso a seguito di 
udienza pubblica o in camera di 
consiglio, con le 
forme 
previste 
dall'articolo 127. il 
provvedimento è 
comunicato al 
procuratore 
generale 
e notificato ai difensori. 


3. 
la corte 
può disporre 
d'ufficio che 
l'udienza si 
svolga con la partecipazione 
delle 
parti 
per 
la rilevanza delle 
questioni 
sottoposte 
al 
suo esame, 
con provvedimento nel 
quale 
è 
indicato se 
l'appello sarà deciso a seguito di 
udienza pubblica o in camera di 
consiglio, con le 
forme 
previste 
dall'articolo 
127. 
il 
provvedimento 
è 
comunicato 
al 
procuratore 
generale 
e 
notificato 
ai 
difensori, salvo che 
ne 
sia stato dato avviso con il 
decreto di 
citazione 
di 
cui 
all'articolo 601. 
4. la corte, in ogni 
caso, dispone 
che 
l'udienza si 
svolga con la partecipazione 
delle 
parti 
quando 
ritiene 
necessario 
procedere 
alla 
rinnovazione 
del-
l'istruzione dibattimentale a norma dell'articolo 603, comma 5” (14). 
Il 
legislatore 
si 
è, dunque, mosso verso un modello di 
processo di 
impugnazione 
di 
merito (ma 
vedremo anche 
di 
legittimità) che, salvo le 
eccezioni 
seguenti, 
non 
contempla 
la 
presenza 
delle 
parti 
in 
udienza, 
valorizzando 
il 
contraddittorio 
scritto a scapito della oralità. 


L'art. 
599 
(“decisioni 
in 
camera 
di 
consiglio”) 
specifica 
in 
quali 
casi 
l'appello 
viene 
trattato 
in 
camera 
di 
consiglio 
con 
la 
presenza 
delle 
parti: 
“1. 
Quando dispone 
che 
l'udienza si 
svolga con la partecipazione 
delle 
parti, la 
corte 
provvede 
con le 
forme 
previste 
dall'articolo 127, oltre 
che 
nei 
casi 
particolarmente 
previsti 
dalla 
legge, 
quando 
l'appello 
ha 
ad 
oggetto 
una 
sentenza 
pronunciata 
a 
norma 
dell'articolo 
442 
o 
quando 
ha 
esclusivamente 
per 
oggetto 
la specie 
o la misura della pena, anche 
con riferimento al 
giudizio di 
comparazione 
fra circostanze, o l'applicabilità delle 
circostanze 
attenuanti 
generiche, 
di 
sanzioni 
sostitutive, 
della 
sospensione 
della 
pena 
o 
della 
non 
menzione 
della condanna nel certificato del casellario giudiziario. 
[...]”. 


L'art. 601 (“atti 
preliminari 
al 
giudizio”), al 
comma 
2, prevede 
che: 
“2. 
Quando 
la 
corte, 
anteriormente 
alla 
citazione, 
dispone 
che 
l'udienza 
si 
svolga 
con la partecipazione 
delle 
parti, ne 
è 
fatta menzione 
nel 
decreto di 
citazione. 
nello 
stesso 
decreto 
è 
altresì 
indicato 
se 
l'appello 
sarà 
deciso 
a 
seguito 
di 
udienza 
pubblica 
ovvero 
in 
camera 
di 
consiglio, 
con 
le 
forme 
previste 
dall'articolo 
127. 


3. 
il 
decreto 
di 
citazione 
per 
il 
giudizio 
di 
appello 
contiene 
i 
requisiti 
pre(
14) V. anche 
art. 167-bis 
(“disposizioni 
di 
attuazione 
-adempimenti 
connessi 
all'udienza di 
cui 
all'articolo 
598-bis 
del 
codice”): 
“1. 
avviso 
del 
deposito 
del 
provvedimento 
emesso 
dalla 
corte 
in 
seguito 
alla camera di 
consiglio di 
cui 
all'articolo 598-bis 
del 
codice, contenente 
l'indicazione 
del 
dispositivo, 
è comunicato a cura della cancelleria al procuratore generale e ai difensori delle altre parti”. 

TEMI 
ISTITUZIONALI 


visti 
dall'articolo 429 comma 1, lettere 
a), f), g) nonché 
l'indicazione 
del 
giudice 
competente 
e, fuori 
dal 
caso previsto dal 
comma 2, l'avviso che 
si 
procederà 
con udienza in camera di 
consiglio senza la partecipazione 
delle 
parti, 
salvo che 
l'appellante 
o, in ogni 
caso, l'imputato o il 
suo difensore 
chiedano 
di 
partecipare 
nel 
termine 
perentorio di 
quindici 
giorni 
dalla notifica del 
decreto. 
il 
decreto 
contiene 
altresì 
l'avviso 
che 
la 
richiesta 
di 
partecipazione 
può 
essere 
presentata dalla parte 
privata esclusivamente 
a mezzo del 
difensore. il 
termine per comparire non può essere inferiore a quaranta giorni. 


4. 
È 
ordinata in ogni 
caso la citazione 
del 
responsabile 
civile, della persona 
civilmente 
obbligata per 
la pena pecuniaria e 
della parte 
civile; questa 
è 
citata anche 
quando ha appellato il 
solo imputato contro una sentenza di 
proscioglimento. 
5. 
almeno quaranta giorni 
prima della data fissata per 
il 
giudizio di 
appello, 
è notificato avviso ai difensori 
[...]”. 
L'art. 602 (“dibattimento in appello”) prevede, infine, chiudendo il 
quadro 
delle 
ipotesi, che: 
“1. Fuori 
dei 
casi 
previsti 
dall'articolo 599, quando dispone 
che 
l'udienza 
si 
svolga 
con 
la 
partecipazione 
delle 
parti, 
la 
corte 
provvede in pubblica udienza. 


nell'udienza, il 
presidente 
o il 
consigliere 
da lui 
delegato fa la relazione 
della causa. [...]”. 


L'art. 
611 
(“Procedimento 
in 
camera 
di 
consiglio”), 
per 
il 
giudizio 
di 
cassazione, 
dispone 
analogamente 
all'appello 
che: 
“1. 
salvo 
quanto 
previsto 
nei 
commi 
2-ter 
e 
2-quater 
o 
da 
altre 
particolari 
disposizioni 
di 
legge, 
la 
corte 
provvede 
sui 
ricorsi 
in 
camera 
di 
consiglio, 
giudicando 
sui 
motivi, 
sulle 
richieste 
del 
procuratore 
generale 
e 
sulle 
memorie 
senza 
la 
partecipazione 
del 
procuratore 
generale 
e 
dei 
difensori. 
Fino 
a 
quindici 
giorni 
prima 
dell'udienza 
il 
procuratore 
generale 
presenta 
le 
sue 
richieste 
e 
tutte 
le 
parti 
possono 
presentare 
motivi 
nuovi, 
memorie 
e, 
fino 
a 
cinque 
giorni 
prima, 
memorie 
di 
replica. 


2. (abrogato...). 
2-bis. 
nei 
procedimenti 
per 
la 
decisione 
su 
ricorsi 
contro 
le 
sentenze 
pronunciate 
nel 
dibattimento o ai 
sensi 
dell'articolo 442 il 
procuratore 
generale 
e 
i 
difensori 
possono 
chiedere 
la 
trattazione 
in 
pubblica 
udienza. 
Gli 
stessi 
possono chiedere 
la trattazione 
in camera di 
consiglio con la loro partecipazione 
per la decisione: 


a) 
su ricorsi da trattare con le forme previste dall'articolo 127; 
b) 
su ricorsi 
avverso sentenze 
pronunciate 
all'esito di 
udienza in camera 
di 
consiglio 
senza 
la 
partecipazione 
delle 
parti, 
a 
norma 
dell'articolo 
598-bis, 
salvo che 
l'appello abbia avuto esclusivamente 
per 
oggetto la specie 
o la misura 
della pena, anche 
con riferimento al 
giudizio di 
comparazione 
fra circostanze, 
o 
l'applicabilità 
delle 
circostanze 
attenuanti 
generiche, 
di 
sanzioni 
sostitutive, 
della 
sospensione 
della 
pena 
o 
della 
non 
menzione 
della 
condanna 
nel certificato del casellario giudiziario. 

RASSEgNA 
AVVOCATURA 
dELLO 
STATO -N. 2/2022 


2-ter. le 
richieste 
di 
cui 
al 
comma 2-bis 
sono irrevocabili 
e 
sono presentate, 
a pena di 
decadenza, nel 
termine 
di 
dieci 
giorni 
dalla ricezione 
dell'avviso 
di 
fissazione 
dell'udienza. 
Quando 
ritiene 
ammissibile 
la 
richiesta 
proposta, la corte 
dispone 
che 
l'udienza si 
svolga con la partecipazione 
del 
procuratore 
generale 
e 
dei 
difensori. la cancelleria dà avviso del 
provvedimento 
al 
procuratore 
generale 
e 
ai 
difensori, 
indicando 
se 
il 
ricorso 
sarà 
trattato 
in 
udienza 
pubblica 
o 
in 
camera 
di 
consiglio, 
con 
le 
forme 
previste 
dall'articolo 127. 


2-quater. negli 
stessi 
casi 
di 
cui 
al 
comma 2-bis, la corte 
può disporre 
d'ufficio 
la 
trattazione 
del 
ricorso 
in 
udienza 
pubblica 
o 
in 
camera 
di 
consiglio 
con 
la 
partecipazione 
del 
procuratore 
generale 
e 
dei 
difensori 
per 
la 
rilevanza 
delle 
questioni 
sottoposte 
al 
suo 
esame, 
dandone 
comunicazione 
alle 
parti 
mediante 
l'avviso di fissazione dell'udienza. 


2-quinquies. nei 
procedimenti 
da trattare 
con le 
forme 
previste 
dall'articolo 
127, l'avviso difissazione 
dell'udienza è 
comunicato o notificato almeno 
venti 
giorni 
prima dell'udienza e 
i 
termini 
di 
cui 
ai 
commi 
1 e 
2 sono ridotti 
a 
cinque 
giorni 
per 
la richiesta di 
intervenire 
in udienza, a dieci 
giorni 
per 
le 
memorie e a tre giorni per le memorie di replica. 


2-sexies. se 
ritiene 
di 
dare 
al 
fatto una definizione 
giuridica diversa, la 
corte 
dispone 
con ordinanza il 
rinvio per 
la trattazione 
del 
ricorso in udienza 
pubblica 
o 
in 
camera 
di 
consiglio 
con 
la 
partecipazione 
delle 
parti, 
indicando 
la ragione 
del 
rinvio e 
dandone 
comunicazione 
alle 
parti 
con l'avviso di 
fissazione 
della nuova udienza”. 


altre norme di potenziale interesse 


In tale quadro eterogeneo si annotano: 


L'art. 335-bis 
(“limiti 
all'efficacia dell'iscrizione 
ai 
fini 
civili 
e 
amministrativi”), 
secondo cui: 
“1. la mera iscrizione 
nel 
registro di 
cui 
all'articolo 
335 
non 
può, 
da 
sola, 
determinare 
effetti 
pregiudizievoli 
di 
natura 
civile 
o 
amministrativa 
per 
la 
persona 
alla 
quale 
il 
reato 
è 
attribuito”. 
La 
norma, 
a 
chiaro 
contenuto garantistico, va 
letta 
in correlazione 
con l'art. 110-quater 
delle 
disposizioni 
di 
attuazione 
(“riferimenti 
alla persona iscritta nel 
registro delle 
notizie 
di 
reato contenuti 
nelle 
disposizioni 
civili 
e 
amministrative”), ove 
si 
prevede 
che: 
“1. Fermo quanto previsto dall'art. 335-bis 
del 
codice, le 
disposizioni 
da cui 
derivano effetti 
pregiudizievoli 
in sede 
civile 
o amministrativa 
per 
la persona sottoposta a indagini 
devono intendersi 
nel 
senso che 
esse 
si 
applicano 
comunque 
alla 
persona 
nei 
cui 
confronti 
è 
stata 
emessa 
una 
misura 
cautelare personale o è stata esercitata l'azione penale”. 


L'art. 
335-quater 
(“accertamento 
della 
tempestività 
dell'iscrizione 
nel 
registro 
delle 
notizie 
di 
reato”) -istituto che 
va 
correlato con la 
tematica 
della 
retrodatazione, utile 
all'indagato al 
fine 
di 
ottenere 
la 
inutilizzabilità 
degli 
atti 
di 
indagine 
compiuti 
oltre 
i 
termini 
di 
cui 
agli 
artt. 405-407 -prevede 
la 
possibilità 
del 
Pubblico 
Ministero 
e 
della 
parte 
civile, 
in 
caso 
di 
accoglimento 



TEMI 
ISTITUZIONALI 


della 
istanza 
di 
retrodatazione 
formulata 
dall'imputato, di 
chiedere 
a 
pena 
di 
decadenza 
che 
la 
questione 
sia 
nuovamente 
esaminata 
prima 
della 
conclusione 
dell'udienza 
preliminare 
o, se 
questa 
manca, entro il 
termine 
previsto dall'articolo 
491, comma 
1. Nel 
dibattimento preceduto da 
udienza 
preliminare, la 
domanda 
di 
nuovo 
esame 
della 
richiesta 
di 
retrodatazione 
può 
essere 
proposta 
solo se già avanzata nell'udienza preliminare (comma 9). 


L'art. 
445 
(“effetti 
dell'applicazione 
della 
pena 
su 
richiesta”), 
innovando 
la 
disciplina 
previgente, al 
comma 
1-bis 
adesso prevede 
che: 
“1-bis. la sentenza 
prevista dall'articolo 444, comma 2, anche 
quando è 
pronunciata dopo 
la 
chiusura 
del 
dibattimento, 
non 
ha 
efficacia 
e 
non 
può 
essere 
utilizzata 
a 
fini 
di 
prova 
nei 
giudizi 
civili, 
disciplinari, 
tributari 
o 
amministrativi, 
compreso 
il 
giudizio per 
l'accertamento della responsabilità contabile. se 
non sono applicate 
pene 
accessorie, non producono effetti 
le 
disposizioni 
di 
leggi 
diverse 
da 
quelle 
penali 
che 
equiparano 
la 
sentenza 
prevista 
dall'articolo 
444, 
comma 
2, alla sentenza di 
condanna. salvo quanto previsto dal 
primo e 
dal 
secondo 
periodo 
o 
da 
diverse 
disposizioni 
di 
legge, 
la 
sentenza 
è 
equiparata 
a 
una 
pronuncia 
di 
condanna”. La 
disposizione 
di 
cui 
al 
primo periodo del 
comma 
1bis, 
mossa 
presumibilmente 
dall'intento 
di 
favorire 
la 
scelta 
da 
parte 
dell'imputato del 
rito alternativo, sembra 
finalizzata a superare 
la giurisprudenza 
della suprema corte 
in tema di 
valenza probatoria indiretta della sentenza 
di 
patteggiamento 
nei 
giudizi 
civili 
risarcitori 
conseguenti 
alla 
fattispecie 
di 
reato 
(ex 
multis, 
Sez. 
L, 
12 
ottobre 
2022 
n. 
29769; 
Sez. 
1, 
20 
dicembre 
2021 


n. 
40796; 
Sez. 
L., 
29 
febbraio 
2016 
n. 
3980), 
ovvero 
nei 
giudizi 
tributari 
(Sez. 
V, 
19 
ottobre 
2022 
n. 
30807). 
Ne 
andrà 
pertanto 
vagliata 
la 
sua 
effettiva 
portata 
in sede di prima applicazione giurisprudenziale. 
L'art. 
477 
(“durata 
e 
organizzazione 
del 
dibattimento”): 
“1. 
Quando 
non 
è 
possibile 
esaurire 
il 
dibattimento 
in 
una 
sola 
udienza, 
il 
presidente, 
dopo 
la 
lettura 
dell'ordinanza 
con 
cui 
provvede 
sulle 
richieste 
di 
prova, 
sentite 
le 
parti, 
stabilisce 
il 
calendario 
delle 
udienze, 
assicurando 
celerità 
e 
concentrazione 
e 
indicando 
per 
ciascuna 
udienza 
le 
specifiche 
attività 
da 
svolgere”. 
Si 
prevede, 
dunque, 
l'obbligo 
(senza 
sanzione 
processuale) 
di 
calendarizzare 
i 
lavori. 


L'art. 493 (“richieste 
di 
prova”) al 
comma 
1 dispone 
che 
“1. il 
pubblico 
ministero, i 
difensori 
della parte 
civile, del 
responsabile 
civile, della persona 
civilmente 
obbligata per 
la pena pecuniaria e 
dell'imputato nell'ordine 
indicano 
i 
fatti 
che 
intendono provare 
e 
chiedono l'ammissione 
delle 
prove, illustrandone 
esclusivamente 
l'ammissibilità 
ai 
sensi 
degli 
articoli 
189 
e 
190, 
comma 1”. La 
precisazione 
finale 
appare 
funzionale 
a 
snellire 
la 
fase 
delle 
richieste 
istruttorie, esonerando le 
parti 
(ma 
non anche 
il 
giudice, stante 
l'immutato 
potere 
di 
cui 
al 
comma 
4 
dell'art. 
495) 
dalla 
esposizione 
della 
rilevanza 
e della conducenza della prova. 


L'art. 
495 
(“Provvedimenti 
del 
giudice 
in 
ordine 
alla 
prova”) 
che 
al 



RASSEgNA 
AVVOCATURA 
dELLO 
STATO -N. 2/2022 


comma 
4-ter, in tema 
di 
rinnovazione 
degli 
atti, prevede: 
“4-ter. se 
il 
giudice 
muta nel 
corso del 
dibattimento, la parte 
che 
vi 
ha interesse 
ha diritto di 
ottenere 
l'esame 
delle 
persone 
che 
hanno già reso dichiarazioni 
nel 
medesimo 
dibattimento nel 
contraddittorio con la persona nei 
cui 
confronti 
le 
dichiarazioni 
medesime 
saranno 
utilizzate, 
salvo 
che 
il 
precedente 
esame 
sia 
stato 
documentato 
integralmente 
mediante 
mezzi 
di 
riproduzione 
audiovisiva. in ogni 
caso, la rinnovazione 
dell'esame 
può essere 
disposta quando il 
giudice 
la ritenga 
necessario sulla base di specifiche esigenze”. 


L'art. 
555 
(“Udienza 
dibattimentale 
a 
seguito 
di 
citazione 
diretta”) 
al 
comma 
4 
ripropone 
per 
i 
procedimenti 
senza 
udienza 
preliminare 
la 
medesima 
disciplina 
in 
materia 
di 
richieste 
di 
prova 
illustrata 
con 
riferimento 
all'art. 
493: 
“le 
parti, dopo la dichiarazione 
di 
apertura del 
dibattimento, indicano i 
fatti 
che 
intendono 
provare 
e 
chiedono 
l'ammissione 
delle 
prove, 
illustrandone 
esclusivamente 
l'ammissibilità 
ai 
sensi 
degli 
articoli 
189 
e 
190, 
comma 
1; 
inoltre, le 
parti 
possono concordare 
l'acquisizione 
al 
fascicolo per 
il 
dibattimento 
di 
atti 
contenuti 
nel 
fascicolo del 
pubblico ministero, nonché 
della documentazione 
relativa all'attività di investigazione difensiva”. 


L'art. 501 (“esame 
dei 
periti 
e 
dei 
consulenti 
tecnici”), prevede 
che: 
“1. 
Per 
l'esame 
dei 
periti 
e 
dei 
consulenti 
tecnici 
si 
osservano le 
disposizioni 
sull'esame 
dei testimoni, in quanto applicabili. 


1.bis 
almeno sette 
giorni 
prima dell'udienza fissata per 
il 
suo esame, il 
perito 
autorizzato 
ai 
sensi 
dell'articolo 
227, 
comma 
5, 
deposita 
in 
cancelleria 
la propria relazione 
scritta. nello stesso termine 
la parte 
che 
ha nominato un 
consulente 
tecnico 
deposita 
in 
cancelleria 
l'eventuale 
relazione 
scritta 
del 
consulente. 


1-ter. 
Fuori 
dai 
casi 
previsti 
al 
comma 
1-bis, 
la 
parte 
che 
ha 
chiesto 
l'esame 
di 
un consulente 
tecnico deposita l'eventuale 
relazione 
almeno sette 
giorni prima l'udienza fissata per quell'esame. 


2. 
il 
perito 
e 
il 
consulente 
tecnico 
hanno 
in 
ogni 
caso 
facoltà 
di 
consultare 
documenti, 
note 
scritte 
e 
pubblicazioni, 
nonché 
le 
relazioni 
depositate 
ai 
sensi 
dei commi 1-bis e 1 ter, che possono essere acquisite anche di ufficio”. 
Per tutte 
le 
norme 
in rassegna 
nel 
presente 
paragrafo, mancando una 
disciplina 
transitoria, la 
loro entrata 
in vigore 
è 
fissata 
al 
30 dicembre 
2022 ex 
art. 
99-bis 
del 
d.lgs. 
n. 
150/2022 
e 
se 
ne 
deve 
ipotizzare 
un'applicazione 
anche 
ai procedimenti in corso alla data di entrata in vigore della riforma. 


Fa 
eccezione 
certamente 
l'art. 335-quater, per il 
quale 
l'art. 88-bis 
(“disposizioni 
transitorie 
e 
materia 
di 
indagini 
preliminari”) 
come 
introdotto 
dal-
l'art. 5-sexies 
del 
d.L. n. 162/2022, ne 
stabilisce 
la 
non applicabilità 
“1. ... 
nei 
procedimenti 
pendenti 
alla data di 
entrata in vigore 
del 
presente 
decreto in 
relazione 
alle 
notizie 
di 
reato delle 
quali 
il 
pubblico ministero ha già disposto 
l'iscrizione 
nel 
registro di 
cui 
all'articolo 335 del 
codice 
di 
procedura penale, 
nonché 
in relazione 
alle 
notizie 
di 
reato iscritte 
successivamente, quando ri



TEMI 
ISTITUZIONALI 


corrono le 
condizioni 
previste 
dall'articolo 12 del 
codice 
di 
procedura penale 
[procedimenti 
connessi] 
e, se 
si 
procede 
per 
taluno dei 
delitti 
indicati 
nell'articolo 
407, comma 2 (15), del 
codice 
di 
procedura penale, anche 
quando ricorrono 
le 
condizioni 
previste 
dall'articolo 371, comma 2, lettere 
b) e 
c), del 
medesimo codice 
[connessione 
teleologica 
o probatoria]. 
Tuttavia, le 
disposizioni 
dell'articolo 
335-quater 
del 
codice 
di 
procedura 
penale, 
come 
introdotte 
dal 
presente 
decreto, si 
applicano in ogni 
caso in relazione 
alle 
iscrizioni 
che 
hanno ad oggetto notizie 
di 
reati 
commessi 
dopo la data di 
entrata in vigore 
del presente decreto”. 


Il 
legislatore 
ha 
inteso evidentemente 
contemperare 
le 
esigenze 
di 
efficienza 
ed efficacia 
delle 
indagini 
in corso (onde 
evitare 
gli 
effetti 
preclusivi 
sopravvenuti 
che 
i 
nuovi 
istituti 
produrrebbero in tema 
di 
utilizzabilità 
degli 
atti) con i principi costituzionali di garanzia per l'indagato. 


Una 
specifica 
disposizione 
transitoria 
è 
stata 
introdotta 
anche 
per 
l'art. 
495, 
comma 
4-ter, 
c.p.p. 
dall'art. 
93-bis 
(“disposizioni 
transitorie 
in 
materia 
di 
mutamento 
del 
giudice 
nel 
corso 
del 
dibattimento”) 
del 
d.lgs. 
n. 
150/2022 
come 
introdotto 
dall'art. 
5-decies 
del 
d.L. 
n. 
162/2022, 
secondo 
cui 
la 
norma 
suddetta 
“... 
1. 
non 
si 
applica 
quando 
è 
chiesta 
la 
rinnovazione 
dell'esame 
di 
una 
persona 
che 
ha 
reso 
le 
precedenti 
dichiarazioni 
data 
anteriore 
al 
1° 
gennaio 
2023”. 


norme sulla competenza territoriale. 

Il 
neo introdotto art. 24-bis 
prevede 
la 
possibilità 
di 
un rinvio pregiudiziale 
alla 
corte 
di 
cassazione 
per 
la 
decisione 
sulla 
competenza 
per 
territorio: 
“1. 
Prima 
della 
conclusione 
dell'udienza 
preliminare 
o, 
se 
questa 
manchi, 
entro 
il 
termine 
previsto 
dall'articolo 
491, 
comma 
1, 
la 
questione 
concernente 
la competenza per 
territorio può essere 
rimessa, anche 
di 
ufficio, alla corte 
di 
cassazione. 
entro 
il 
termine 
previsto 
dall'articolo 
491, 
comma 
1, 
può 
essere 
altresì 
rimessa alla corte 
di 
cassazione 
la questione 
concernente 
la competenza 
per territorio riproposta ai sensi dell'articolo 21, comma 2. 


2. 
il 
giudice, 
nei 
casi 
di 
cui 
al 
comma 
1, 
pronuncia 
ordinanza 
con 
la 
quale 
rimette 
alla corte 
di 
cassazione 
gli 
atti 
necessari 
alla risoluzione 
della 
questione, con l'indicazione delle parti e dei difensori. 
3. 
la 
corte 
di 
cassazione 
decide 
in 
camera 
di 
consiglio 
secondo 
le 
forme 
previste 
dall'articolo 127 e, se 
dichiara l'incompetenza del 
giudice 
che 
procede, 
ordina la trasmissione 
degli 
atti 
al 
pubblico ministero presso il 
giudice 
competente. 
4. 
l'estratto 
della 
sentenza 
è 
immediatamente 
comunicato 
al 
giudice 
che 
ha rimesso la questione 
e, quando diverso, al 
giudice 
competente, nonché 
al 
pubblico 
ministero 
presso 
i 
medesimi 
giudici 
ed 
è 
notificato 
alle 
parti 
private. 
(15) Rientrano in questa 
categoria, a 
titolo esemplificativo, i 
delitti 
di 
eversione, strage, associazione 
per 
delinquere 
di 
stampo 
mafioso, 
omicidio, 
sequestro 
di 
persona 
a 
scopo 
di 
estorsione, 
estorsione 
e altre fattispecie di particolare gravità. 

RASSEgNA 
AVVOCATURA 
dELLO 
STATO -N. 2/2022 


5. 
il 
termine 
previsto dall'articolo 27 decorre 
dalla comunicazione 
effettuata 
a norma del comma 4. 
6. 
la 
parte 
che 
ha 
eccepito 
l'incompetenza 
per 
territorio, 
senza 
chiedere 
contestualmente 
la rimessione 
della decisione 
alla corte 
di 
cassazione, non 
può più riproporre l'eccezione nel corso del procedimento” (16). 
In assenza 
di 
disciplina 
transitoria, l'entrata 
in vigore 
della 
disposizione 
è 
fissata 
al 
30 dicembre 
2022 ex art. 99-bis 
del 
d.lgs. n. 150/2022 e 
la norma 
dovrebbe ritenersi applicabile anche ai procedimenti in corso. 


TiTolo iii-BiS 


Rimedi 
per 
l'esecuzione 
delle 
decisioni 
della 
Corte 
europea 
dei 
diritti 
dell'uomo 


enTraTa in ViGore 30 DiCeMBre 2022 (17) 
(arT. 99-BiS D.lGS. 150/2022) 

L'art. 628-bis 
(“richiesta per 
l'eliminazione 
degli 
effetti 
pregiudizievoli 
delle 
decisioni 
adottate 
in violazione 
della convenzione 
per 
la salvaguardia 
dei 
diritti 
dell'uomo 
e 
delle 
libertà 
fondamentali 
o 
dei 
Protocolli 
addizionali”), 
prevede 
che: 
“1. il 
condannato e 
la persona sottoposta a misura di 
sicurezza 
possono richiedere 
alla corte 
di 
cassazione 
di 
revocare 
la sentenza penale 
o 
il 
decreto 
penale 
di 
condanna 
pronunciati 
nei 
loro 
confronti, 
di 
disporre 
la 
riapertura del 
procedimento o, comunque, di 
adottare 
i 
provvedimenti 
neces


(16) 
Si 
legge 
nella 
Relazione 
illustrativa 
(pag. 
340): 
“il 
criterio 
di 
delega 
trova 
puntuale 
attuazione 
nel 
nuovo art. 24-bis 
c.p.p. la disciplina del 
rinvio pregiudiziale 
alla corte 
di 
cassazione, per 
la decisione 
sulla questione 
di 
competenza territoriale, è 
costruita sul 
modello della proposizione 
e 
della risoluzione 
dei 
conflitti 
di 
giurisdizione 
e 
competenza (artt. 30-32 c.p.p.), con i 
necessari 
adattamenti, 
propri 
della disciplina della incompetenza per 
territorio, in tema di 
termini 
per 
la proposizione 
della 
relativa eccezione 
e 
di 
provvedimenti 
conseguenti 
alla dichiarazione 
di 
incompetenza. a 
tale 
ultimo riguardo, 
lo scostamento dal 
dato testuale 
del 
criterio di 
delega («prevedere 
che 
la corte 
di 
cassazione, 
nel 
caso in cui 
dichiari 
l'incompetenza del 
giudice, ordini 
la trasmissione 
degli 
atti 
al 
giudice 
competente
»), con la previsione 
di 
una trasmissione 
degli 
atti 
al 
pubblico ministero presso il 
giudice 
competente, 
è 
reso necessario per 
rispettare 
il 
dettato delle 
pronunce 
della corte 
costituzionale 
intervenute 
sulla materia (la sentenza n. 76 del 
1993, con cui 
corte 
costituzionale 
ha dichiarato illegittimo, in riferimento 
agli 
artt. 3 e 
24 cost., l'art. 23, comma 1, c.p.p., nella parte 
in cui 
dispone 
che, quando il 
giudice 
del 
dibattimento 
dichiara 
con 
sentenza 
la 
propria 
incompetenza 
per 
materia, 
ordina 
la 
trasmissione 
degli 
atti 
al 
giudice 
competente 
anziché 
al 
pubblico ministero presso quest'ultimo, e 
successivamente 
la sentenza n. 70 del 
1996, con cui 
la corte 
ha esteso tale 
meccanismo di 
regressione 
processuale 
all'ipotesi 
di 
incompetenza 
per 
territorio, 
dichiarando 
la 
illegittimità 
costituzionale 
dell'art. 
23 
c.p.p. 
anche sotto tale profilo)”. 
(17) L'art. 91 prevede 
una 
specifica 
disciplina 
transitoria 
dell'art. 628-bis 
che 
entra 
in vigore 
il 
30 
dicembre 
2022, 
disponendo 
che: 
“1. 
Quando, 
in 
data 
anteriore 
all'entrata 
in 
vigore 
del 
presente 
decreto, 
è 
divenuta definitiva la decisione 
con cui 
la corte 
europea ha accertato una violazione 
dei 
diritti 
riconosciuti 
dalla convenzione 
per 
la salvaguardia dei 
diritti 
dell'uomo e 
delle 
libertà fondamentali 
o dai 
Protocolli 
addizionali 
alla convenzione, ovvero la corte 
europea ha disposto, ai 
sensi 
dell'articolo 37 
della 
convenzione, 
la 
cancellazione 
dal 
ruolo 
del 
ricorso 
a 
seguito 
del 
riconoscimento 
unilaterale 
della 
violazione 
da parte 
dello stato, il 
termine 
indicato nell'articolo 628-bis, comma 2, del 
codice 
di 
procedura 
penale decorre dal giorno successivo alla data di entrata in vigore del presente decreto. 
2. Per 
i 
reati 
commessi 
in data anteriore 
al 
1° 
gennaio 2020, la prescrizione 
riprende 
il 
suo corso in 
ogni 
caso in cui 
la corte 
di 
cassazione 
dispone 
la riapertura del 
processo ai 
sensi 
dell'articolo 628-bis, 
comma 5, del codice di procedura penale”. 

TEMI 
ISTITUZIONALI 


sari 
per 
eliminare 
gli 
effetti 
pregiudizievoli 
derivanti 
dalla violazione 
accertata 
dalla 
corte 
europea 
dei 
diritti 
dell'uomo, 
quando 
hanno 
proposto 
ricorso 
per 
l'accertamento 
di 
una 
violazione 
dei 
diritti 
riconosciuti 
dalla 
convenzione 
per 
la 
salvaguardia 
dei 
diritti 
dell'uomo 
e 
delle 
libertà 
fondamentali 
o 
dai 
Protocolli 
addizionali 
alla convenzione 
e 
la corte 
europea ha accolto il 
ricorso 
con decisione 
definitiva, oppure 
ha disposto la cancellazione 
dal 
ruolo 
del 
ricorso ai 
sensi 
dell'articolo 37 della convenzione 
a seguito del 
riconoscimento 
unilaterale della violazione da parte dello stato. 


2. 
la 
richiesta 
di 
cui 
al 
comma 
1 
contiene 
l'indicazione 
specifica 
delle 
ragioni 
che 
la 
giustificano 
ed 
è 
presentata 
personalmente 
dall'interessato 
o, 
in 
caso 
di 
morte, 
da 
un 
suo 
congiunto, 
a 
mezzo 
di 
difensore 
munito 
di 
procura 
speciale, 
con 
ricorso 
depositato 
presso 
la 
cancelleria 
del 
giudice 
che 
ha 
emesso 
la 
sentenza 
o 
il 
decreto 
penale 
di 
condanna 
nelle 
forme 
previste 
dal-
l'articolo 
582, 
entro 
novanta 
giorni 
dalla 
data 
in 
cui 
è 
divenuta 
definitiva 
la 
decisione 
della 
corte 
europea 
che 
ha 
accertato 
la 
violazione 
o 
dalla 
data 
in 
cui 
è 
stata 
emessa 
la 
decisione 
che 
ha 
disposto 
la 
cancellazione 
del 
ricorso 
dal 
ruolo. 
Unitamente 
alla 
richiesta 
sono 
depositati, 
con 
le 
medesime 
modalità, 
la 
sentenza 
o 
il 
decreto 
penale 
di 
condanna, 
la 
decisione 
emessa 
dalla 
corte 
europea 
e 
gli 
eventuali 
ulteriori 
atti 
e 
documenti 
che 
giustificano 
la 
richiesta. 
3. 
le 
disposizioni 
del 
comma 2, primo periodo, si 
osservano a pena di 
inammissibilità. 
4. 
sulla richiesta la corte 
di 
cassazione 
decide 
in camera di 
consiglio a 
norma dell'articolo 611. se 
ne 
ricorrono i 
presupposti, la corte 
dispone 
la sospensione 
dell'esecuzione 
della pena o della misura di 
sicurezza ai 
sensi 
del-
l'articolo 635. 
5. 
Fuori 
dei 
casi 
di 
inammissibilità, 
la 
corte 
accoglie 
la 
richiesta 
quando 
la violazione 
accertata dalla corte 
europea, per 
natura e 
gravità, ha avuto 
una incidenza effettiva sulla sentenza o sul 
decreto penale 
di 
condanna pronunciati 
nei 
confronti 
del 
richiedente. se 
non sono necessari 
ulteriori 
accertamenti 
di 
fatto 
o 
comunque 
risulta 
superfluo 
il 
rinvio, 
la 
corte 
assume 
i 
provvedimenti 
necessari 
a rimuovere 
gli 
effetti 
pregiudizievoli 
derivanti 
dalla 
violazione, anche 
disponendo la revoca della sentenza o del 
decreto penale 
di 
condanna, ove 
necessario. altrimenti, secondo i 
casi, trasmette 
gli 
atti 
al 
giudice 
dell'esecuzione 
o dispone 
la riapertura del 
processo nel 
grado e 
nella 
fase 
in cui 
si 
procedeva al 
momento in cui 
si 
è 
verificata la violazione 
e 
stabilisce 
se 
e 
in quale 
parte 
conservano efficacia gli 
atti 
compiuti 
nel 
processo 
in precedenza svoltosi. 
6. 
la prescrizione 
riprende 
il 
suo corso dalla pronuncia della corte 
di 
cassazione 
che 
dispone 
la 
riapertura 
del 
processo 
davanti 
al 
giudice 
di 
primo 
grado. 
7. 
Quando 
la 
riapertura 
del 
processo 
è 
disposta 
davanti 
alla 
corte 
di 
ap

RASSEgNA 
AVVOCATURA 
dELLO 
STATO -N. 2/2022 


pello, 
fermo 
restando 
quanto 
previsto 
dall'articolo 
624, 
si 
osservano 
le 
disposizioni 
di 
cui 
ai 
commi 
1, 
4, 
5, 
6 
e 
7 
dell'articolo 
344-bis 
e 
il 
termine 
di 
durata 
massima 
del 
processo 
decorre 
dal 
novantesimo 
giorno 
successivo 
alla 
scadenza 
del termine di cui all'articolo 128. 


8. 
le 
disposizioni 
del 
presente 
articolo 
si 
applicano 
anche 
quando 
la 
violazione 
accertata dalla corte 
europea riguarda il 
diritto dell'imputato di 
partecipare 
al processo” (18). 
*** 


(18) Ad illustrazione 
del 
nuovo istituto, si 
legge 
nella 
Relazione 
(pagg. 342-343): 
“l 
'indicazione 
contenuta nel 
criterio di 
delega di 
cui 
all'art. 1, comma 13, lett. o) va nel 
senso di 
superare 
l'assetto binario 
-da un lato, revisione 
europea e, dall'altro, incidente 
di 
esecuzione 
-fissato dalla corte 
costituzionale 
e 
dalla giurisprudenza delle 
sezioni 
Unite, a favore 
di 
un unico rimedio di 
nuovo conio, che 
affidi 
sempre 
alla corte 
di 
cassazione 
la valutazione 
del 
dictum 
europeo, con un vaglio preliminare 
sul 
vizio accertato dalla corte di strasburgo. 
l'istituto deve 
dare 
esecuzione 
al 
triplice 
obbligo di 
neutralizzazione 
e 
rivalutazione 
della sentenza e 
di 
riapertura del 
procedimento derivante 
dalla sentenza europea di 
condanna alla restitutio in integrum, 
conservando però un ragionevole margine di apprezzamento a tutela del giudicato nazionale. 
Per 
questo, trattandosi 
di 
rimedio diverso, richiede 
una disciplina autonoma e 
differente 
rispetto alla 
ordinaria 
revisione. 
sulla 
scorta 
di 
tale 
considerazione, 
si 
è 
ritenuto 
di 
collocare 
la 
disciplina 
in 
un 
nuovo 
titolo 
iii-bis, 
sotto 
la 
rubrica 
rimedi 
per 
l'esecuzione 
delle 
decisioni 
della 
corte 
europea 
dei 
diritti dell'uomo. 
le scelte caratterizzanti della nuova previsione possono essere sintetizzate come segue. 
la norma di 
cui 
al 
comma i indica i 
casi 
in cui 
è 
possibile 
attivare 
il 
rimedio in questione 
e 
i 
soggetti 
legittimati, individuati 
esclusivamente 
nel 
ricorrente 
in sede 
europea, con conseguente 
esclusione 
dei 
terzi 
non impugnanti 
che 
avrebbero potuto vantare 
la medesima violazione. sul 
punto, si 
è 
ritenuto che 
l'espresso 
riferimento 
contenuto 
nella 
delega 
al 
solo 
«soggetto 
che 
abbia 
presentato 
il 
ricorso» 
non 
consentisse 
un ampliamento in favore 
di 
soggetti 
diversi. Per 
quanto concerne 
le 
decisioni 
della corte 
edu che 
legittimano l'attivazione 
della revisione 
europea, si 
è 
fatto riferimento non solo alle 
sentenze 
che 
accertino una violazione 
della convenzione, ma anche 
alle 
ipotesi 
in cui 
sia disposta la cancellazione 
del 
ricorso dal 
ruolo ai 
sensi 
dell'art. 37 della convenzione 
in conseguenza del 
riconoscimento 
della violazione da parte dello stato. 
le norme di cui ai commi 2 e 3 disciplinano essenzialmente i profili procedurali della richiesta. [...] 
la norma di 
cui 
al 
comma 4 disciplina le 
modalità di 
trattazione 
della revisione 
europea, richiamando 
il 
giudizio camerale 
previsto dall’art. 61. È 
integralmente 
richiamata la disposizione 
dell'articolo 635 
c.p.p., in tema di sospensione della pena o della misura di sicurezza. 
come 
disposto al 
comma 5, superato il 
vaglio di 
ammissibilità, l'oggetto della valutazione 
rimessa alla 
cassazione 
riguarderà l'individuazione 
della «incidenza effettiva» che 
la violazione 
convenzionale 
ha 
prodotto 
sulla 
condanna, 
cui 
seguirà 
la 
scelta 
in 
ordine 
allo 
strumento 
più 
adatto 
per 
rimuovere 
gli 
effetti 
pregiudizievoli, ivi 
inclusa -se 
del 
caso -la revoca della sentenza o del 
decreto penale 
di 
condanna. 
solo qualora la corte 
di 
cassazione 
non sia in grado di 
provvedere 
direttamente, trasmetterà 
gli 
atti 
al 
giudice 
dell'esecuzione 
oppure, secondo le 
evenienze, disporrà la riapertura del 
processo nel 
grado e 
nella fase 
in cui 
si 
procedeva al 
momento in cui 
si 
è 
verificata la violazione, stabilendo se 
e 
in 
quale parte gli atti compiuti nel processo in precedenza svoltosi conservino efficacia. 
nei 
commi 
6 e 
7 vengono disciplinate 
talune 
delle 
conseguenze 
della riapertura del 
processo. in particolare, 
quanto alla prescrizione, la pronuncia di 
riapertura del 
processo viene 
sostanzialmente 
assimilata 
all'annullamento agli 
effetti 
di 
cui 
all'articolo 161-bis 
del 
codice 
penale, essendosi 
previsto che 
la 
prescrizione 
riprenda a decorrere 
-a far 
tempo dalla pronuncia della corte 
-quando la riapertura del 
processo 
venga 
disposta 
davanti 
al 
giudice 
di 
primo 
grado 
(comma 
6). 
ancor 
più 
evidente 
il 
meccanismo 
di 
assimilazione 
ai 
fini 
dell'improcedibilità. in tal 
caso, infatti, per 
l'ipotesi 
di 
riapertura del 
processo 
innanzi 
alla 
corte 
di 
appello, 
si 
è 
dettata 
una 
disposizione 
perfettamente 
corrispondente 
a 
quella 
prevista 

TEMI 
ISTITUZIONALI 


Si 
allega 
la 
Relazione 
illustrativa 
al 
d.lgs. n. 150/2022 e 
si 
riservano ulteriori 
istruzioni 
in occasione 
della 
entrata 
in vigore 
delle 
altre 
disposizioni 
in 
materia. 


L'AVVOCATO gENERALE 
gabriella 
PALMIERI SANdULLI 


(omissis) 


dall’art. 344-bis, comma 8, c.p.p., con la sola differenza che 
il 
termine 
di 
durata massima del 
processo 
decorre 
dal 
novantesimo 
giorno 
successivo 
alla 
scadenza 
del 
termine 
di 
cui 
all’articolo 
128 
c.p.p. 
(comma 7). 
al 
comma 8 si 
attua la previsione 
del 
criterio di 
delega, laddove 
si 
fa riferimento alla necessità di 
regolamentare 
i 
rapporti 
del 
rimedio in esame 
con la rescissione 
del 
giudicato. al 
riguardo, si 
è 
ritenuto 
maggiormente 
coerente 
con la ratio della delega stabilire 
che 
le 
disposizioni 
sin qui 
esaminate 
trovino 
applicazione 
anche 
quando 
la 
violazione 
accertata 
dalla 
corte 
europea 
riguardi 
il 
diritto 
dell’imputato 
di partecipare al processo”. 



ContenziosoComunitarioedinternazionale
Condizione della doppia incriminazione e 
interpretazione della decisione quadro 2002/584 
in tema di mandato di arresto europeo 


Corte 
di 
giustizia 
dell’unione 
europea, terza 
sezione, 
sentenza 
14 luglio 
2022, C-168/21 


La 
sentenza 
della 
Corte 
di 
Giustizia 
dell'Unione 
Europea 
del 
14 
luglio 
2022, 
causa 
C-168/21 
si 
è 
pronunciata 
sul 
mandato 
di 
arresto 
europeo 
chiesto 
dall'Italia 
alla 
Francia 
nei 
confronti 
di 
un 
soggetto 
condannato 
per 
i 
disordini 
occorsi 
durante 
il 
G8 
di 
Genova 
nel 
2001. 
La 
sentenza 
ha 
statuito, 
conformemente 
alle 
conclusioni 
rassegnate 
dal 
Governo 
italiano, 
in 
ordine 
alla 
condizione 
della 
doppia 
incriminazione 
e 
alla 
interpretazione 
dell’articolo 
2, 
paragrafo 
4 
e 
dell’articolo 
4, 
paragrafo 
1, 
della 
decisione 
quadro 
2002/584 
nel 
senso 
che 
lo 
Stato 
di 
esecuzione 
non 
può 
rifiutare 
di 
eseguire 
un 
mandato 
d'arresto 
europeo 
in 
una 
fattispecie 
come 
quella 
oggetto 
del 
procedimento 
principale. 


Di seguito, le osservazioni del Governo italiano. 


Wally Ferrante* 


CT 15772/21- Avv. Ferrante 


CORTE DI GIUSTIZIA DELL’UNIONE EUROPEA 


OSSERVAZIONI 
del 
GOVERNO 
DELLA 
REPUBBLICA 
ITALIANA, in persona 
dell’Agente 
designato per il 
presente 
giudizio, domiciliato presso l’Ambasciata d’Italia a Lussemburgo 


nella causa C-168/21 
promossa 
ai 
sensi 
dell’art. 
267 
TFUE 
con 
ordinanza 
del 
26 
gennaio 
2021, 
depositata 
il 
16 
marzo 
2021, dalla Cour de Cassation - Francia. 


** ** ** 


1. Con l’ordinanza 
in epigrafe, è 
stato chiesto alla 
Corte 
di 
Giustizia 
dell’Unione 
europea 
di 
pronunciarsi, ai sensi dell’art. 267 TFUE, sulle seguenti questioni pregiudiziali: 
(*) Avvocato dello Stato. 



RASSEGNA 
AVVOCATURA 
DELLO 
STATO -N. 2/2022 


1. se 
l’articolo 2, paragrafo 4, e 
l’articolo 4, paragrafo 1, della decisione 
quadro 2002/584 
debbano essere 
interpretati 
nel 
senso che 
la condizione 
della doppia incriminazione 
è 
soddisfatta 
in 
una 
situazione, 
come 
quella 
di 
cui 
trattasi 
nel 
procedimento 
principale, 
in 
cui 
la 
consegna 
è 
richiesta per 
atti 
che 
sono stati 
qualificati, nello stato emittente, come 
devastazione 
e 
saccheggio, consistenti 
in fatti 
di 
devastazione 
e 
saccheggio idonei 
a provocare 
una violazione 
dell’ordine 
pubblico, quando nello stato di 
esecuzione 
esistono le 
fattispecie 
di 
reato 
di 
furto con danneggiamento, distruzione 
e 
deterioramento che 
non richiedono tale 
elemento 
di violazione dell’ordine pubblico. 
2. 
in 
caso 
di 
risposta 
affermativa 
alla 
prima 
questione, 
se 
l’articolo 
2, 
paragrafo 
4, 
e 
l’articolo 
4, paragrafo 1, della decisione 
quadro 2002/584 debbano essere 
interpretati 
nel 
senso che 
l’organo giurisdizionale 
dello stato di 
esecuzione 
può rifiutare 
di 
eseguire 
un mandato d'arresto 
europeo emesso per 
l'esecuzione 
di 
una pena, qualora esso constati 
che 
l'interessato è 
stato condannato dalle 
autorità giudiziarie 
dello stato emittente 
a tale 
pena per 
la commissione 
di 
un reato unico, la cui 
prevenzione 
contemplava diverse 
azioni, e 
solo alcune 
di 
tali 
azioni 
costituiscono 
un 
reato 
per 
lo 
stato 
di 
esecuzione. 
se 
occorra 
distinguere 
a 
seconda 
che 
le 
autorità giurisdizionali 
dello stato emittente 
abbiano considerato tali 
diverse 
azioni 
come separabili o meno. 
3. 
se 
l'articolo 
49, 
paragrafo 
3, 
della 
Carta 
dei 
diritti 
fondamentali 
imponga 
all'autorità 
giudiziaria 
dello stato membro di 
esecuzione 
di 
rifiutare 
l'esecuzione 
di 
un mandato d'arresto 
europeo qualora, da un lato, esso sia stato emesso ai 
fini 
dell'esecuzione 
di 
una pena unica 
inflitta per 
reprimere 
un unico reato e, dall'altro, poiché 
alcuni 
dei 
fatti 
per 
i 
quali 
è 
stata 
pronunciata tale 
pena non costituiscono reato secondo il 
diritto dello stato membro di 
esecuzione, 
la consegna possa essere concessa solo per alcuni di tali fatti. 
esposizione dei fatti di causa 


2. La 
questione 
pregiudiziale 
sollevata 
dalla 
Corte 
di 
cassazione 
francese 
trae 
origine 
dal 
ricorso 
proposto dal 
Procuratore 
generale 
di 
Angers 
avverso la 
sentenza 
del 
4 novembre 
2020 
con 
la 
quale 
la 
Sezione 
istruttoria 
di 
Angers 
ha 
rifiutato 
di 
dare 
esecuzione 
al 
mandato 
d'arresto 
europeo emesso il 
6 giugno 2016 dall’autorità 
giudiziaria 
italiana 
nei 
confronti 
di 
KL, condannato 
in 
via 
definitiva, 
con 
sentenza 
confermata 
dalla 
Corte 
di 
cassazione 
italiana, 
per 
quattro 
reati commessi durante le manifestazioni contro il vertice del G8 di Genova nel 2001. 
3. 
Secondo 
quanto 
rappresentato 
dal 
giudice 
del 
rinvio, 
la 
pena 
detentiva 
più 
elevata 
(dieci 
anni) 
è 
stata 
inflitta 
per 
il 
reato 
di 
"devastazione 
e 
saccheggio" 
(articolo 
419 
del 
codice 
penale 
italiano) 
costituito 
da 
sette 
azioni 
esecutive 
di 
un 
medesimo 
disegno 
criminoso, 
vale 
a 
dire: 
1) 
danneggiamento 
di 
arredi 
urbani 
e 
proprietà 
pubbliche; 
2) 
danneggiamento 
e 
saccheggio 
di 
un 
cantiere; 
3) 
danneggiamento 
totale 
dei 
locali 
dell'istituto 
di 
credito 
«Credito 
Italiano»; 
4) 
danneggiamento 
ed 
incendio 
totale 
di 
un'autovettura 
Fiat 
Uno; 
5) 
danneggiamento 
totale 
da 
incendio 
ai 
locali 
dell'istituto 
di 
credito 
«Carige»; 
6) 
danneggiamento 
ed 
incendio 
totale 
di 
un'autovettura 
Fiat 
Brava; 
7) 
danneggiamento 
totale 
e 
saccheggio 
di 
un 
supermercato. 
4. 
La 
sezione 
istruttoria 
di 
Angers 
ha 
rifiutato 
di 
consegnare 
KL 
alle 
autorità 
italiane 
per 
l'esecuzione 
del 
mandato d'arresto europeo emesso per l'esecuzione 
della 
condanna 
a 
dieci 
anni 
di 
reclusione 
comminata 
per devastazione 
e 
saccheggio, osservando che 
due 
delle 
azioni 
alla 
base 
di 
tale 
reato 
non 
sarebbero 
suscettibili 
di 
integrare 
una 
fattispecie 
di 
reato 
in 
Francia, 
ovvero 
il 
danneggiamento dei 
locali 
del 
Credito Italiano (azione 
n. 3) e 
il 
danneggiamento da 
incendio dell'autovettura Fiat Brava (azione n. 6). 
5. Ciò in quanto, da 
un lato, KL 
si 
trovava 
semplicemente 
nelle 
vicinanze 
dell'istituto finan

CONTENZIOSO 
COmUNITARIO 
ED 
INTERNAZIONALE 


ziario mentre 
altre 
persone 
appartenenti 
allo stesso gruppo commettevano atti 
di 
distruzione 
e, dall'altro, per quanto riguarda 
la 
distruzione 
e 
l'incendio dell'autovettura, KL 
è 
stato solamente 
avvistato "vicino all'autovettura" con un bastone in mano. 


6. 
Sulla 
base 
di 
tale 
rilievo, 
la 
sezione 
istruttoria 
di 
Angers 
ha 
ritenuto 
che, 
per 
tali 
due 
fatti, 
non 
fosse 
rispettata 
la 
condizione 
della 
doppia 
incriminazione, 
in 
assenza 
di 
una 
personale 
partecipazione 
di 
KL 
ad 
un 
atto 
materiale 
qualificato 
come 
reato 
dalla 
legge 
francese. 
Pertanto, 
poiché 
il 
giudice 
italiano 
ha 
analizzato 
i 
sette 
fatti 
come 
facenti 
parte 
di 
un 
unico 
disegno 
criminoso, 
la 
condizione 
della 
doppia 
incriminazione 
comporterebbe 
l’esclusione 
di 
tutti 
i 
fatti 
indissolubili 
puniti 
a 
titolo 
di 
devastazione 
e 
saccheggio 
dall'articolo 
419 
del 
codice 
penale 
italiano. 
7. Nel 
ricorso presentato avverso detta 
sentenza, il 
Procuratore 
generale 
di 
Angers 
ha 
dedotto 
che, 
una 
volta 
accertato 
il 
difetto 
della 
doppia 
incriminazione 
per 
due 
delle 
condotte 
contestate 
(danneggiamento dei 
locali 
del 
Credito Italiano; 
distruzione 
e 
incendio della 
Fiat 
Brava) la 
sezione 
avrebbe 
dovuto 
solamente 
verificare 
che 
la 
pena 
pronunciata 
non 
superasse 
il 
massimo 
della pena prevista per i reati per i quali esiste la doppia incriminazione. 
8. 
Inoltre, 
l'Avvocato 
generale 
presso 
la 
Corte 
di 
cassazione 
ha 
rilevato: 
a. 
il 
fatto 
che 
almeno 
una 
delle 
sette 
azioni 
contestate 
a 
KL 
per 
il 
reato 
di 
devastazione 
e 
saccheggio 
non 
sia 
punibile 
secondo il 
diritto penale 
francese 
non permette 
di 
concludere 
che 
la 
condizione 
della 
doppia 
incriminazione 
non sia 
soddisfatta 
per tale 
reato; 
ciò in quanto il 
condannato «avrebbe 
potuto 
essere 
ritenuto 
penalmente 
responsabile 
in 
Francia 
per 
danno 
o 
furto 
in 
relazione 
alle 
altre 
cinque 
azioni 
identificate 
con il 
reato di 
devastazione 
e 
saccheggio, non essendo contestato 
che 
tali 
fatti 
siano sufficienti 
a 
costituire 
tale 
reato secondo il 
diritto italiano»; 
b. che 
nella 
sentenza 
impugnata, il 
giudice 
avrebbe 
esorbitato dai 
limiti 
propri 
del 
controllo sulla 
doppia 
incriminazione 
in merito alla 
fattispecie 
di 
devastazione 
e 
saccheggio, nel 
momento in cui 
ha 
valutato «a 
quali 
condizioni 
tale 
reato debba 
essere 
considerato costituito secondo il 
diritto 
italiano» per inferirne 
la 
«natura 
indissociabile» delle 
condotte 
per le 
quali 
KL 
ha 
riportato 
condanna; 
c. 
che 
il 
rifiuto 
opposto 
alla 
consegna 
«equivale 
a 
garantire 
all'interessato 
l'impunità 
per 
la totalità dei 
fatti 
così 
sanzionati, anche 
se, per 
la maggior 
parte 
di 
essi, non 
è 
contestato che 
la consegna sarebbe 
stata possibile 
e 
la sanzione 
giustificata»; 
in proposito, 
richiama 
la 
giurisprudenza 
della 
Corte 
di 
cassazione 
francese 
«secondo la 
quale 
la 
consegna 
di 
una 
persona 
ricercata 
in virtù di 
un mandato d'arresto europeo può essere 
concessa 
quando è 
stata 
pronunciata 
una 
condanna 
a 
una 
pena 
unica 
per almeno uno dei 
reati 
che 
soddisfano 
le 
condizioni 
di 
cui 
agli 
articoli 
695-12 
e 
695-23 
del 
Code 
de 
procédure 
pénale 
(codice 
di 
procedura 
penale) 
[…] 
ed 
essa 
non 
ecceda 
la 
pena 
massima 
prevista 
per 
i 
reati 
che 
possono 
dar luogo alla consegna». 
9. Tale 
orientamento risulta 
applicabile, secondo il 
giudice 
del 
rinvio, «anche 
nel 
caso di 
condanna 
per un unico reato caratterizzato da 
diverse 
azioni 
materiali, di 
cui 
alcune 
non possano 
dare luogo a consegna». 
normativa dell’unione 


10. L’art. 49 della 
Carta 
di 
Nizza 
recante 
“principi 
della legalità e 
della proporzionalità dei 
reati 
e 
delle 
pene” 
sancisce 
che: 
1. 
Nessuno 
può 
essere 
condannato 
per 
un'azione 
o 
un'omissione 
che, al 
momento in 
cui 
è 
stata commessa, non 
costituiva reato secondo il 
diritto interno 
o 
il 
diritto 
internazionale. 
parimenti, 
non 
può 
essere 
inflitta 
una 
pena 
più 
grave 
di 
quella 
applicabile 
al 
momento 
in 
cui 
il 
reato 
è 
stato 
commesso. 
se, 
successivamente 
alla 
commissione 
del 
reato, la legge 
prevede 
l'applicazione 
di 
una pena più lieve, occorre 
applicare 
quest'ultima. 2. il 
presente 
articolo non osta al 
giudizio e 
alla condanna di 
una persona colpevole 
di 
un'azione 
o di 
un'omissione 
che, al 
momento in cui 
è 
stata commessa, costituiva un 

RASSEGNA 
AVVOCATURA 
DELLO 
STATO -N. 2/2022 


crimine 
secondo i 
principi 
generali 
riconosciuti 
da tutte 
le 
nazioni. 3. Le 
pene 
inflitte 
non 
devono essere sproporzionate rispetto al reato” (enfasi aggiunta). 


11. La 
decisione 
del 
13 giugno 2002, n. 2002/584/GAI recante 
“decisione 
quadro del 
Consiglio 
relativa al 
mandato d'arresto europeo e 
alle 
procedure 
di 
consegna tra stati 
membri” 
prevede, ai 
considerando 5 e 
6: 
(5) l'obiettivo dell'unione 
di 
diventare 
uno spazio di 
libertà, 
sicurezza e 
giustizia comporta la soppressione 
dell'estradizione 
tra stati 
membri 
e 
la sua sostituzione 
con 
un 
sistema 
di 
consegna 
tra 
autorità 
giudiziarie. 
inoltre 
l'introduzione 
di 
un 
nuovo sistema semplificato 
di 
consegna delle 
persone 
condannate 
o sospettate, al 
fine 
del-
l'esecuzione 
delle 
sentenze 
di 
condanna in materia penale 
o per 
sottoporle 
all'azione 
penale, 
consente 
di 
eliminare 
la complessità e 
i 
potenziali 
ritardi 
inerenti 
alla disciplina attuale 
in 
materia 
di 
estradizione. 
le 
classiche 
relazioni 
di 
cooperazione 
finora 
esistenti 
tra 
stati 
membri 
dovrebbero 
essere 
sostituite 
da 
un 
sistema 
di 
libera 
circolazione 
delle 
decisioni 
giudiziarie 
in 
materia 
penale, 
sia 
intervenute 
in 
una 
fase 
anteriore 
alla 
sentenza, 
sia 
definitive, 
nello 
spazio 
di libertà, sicurezza e giustizia. 
12. (6) il 
mandato d'arresto europeo previsto nella presente 
decisione 
quadro costituisce 
la 
prima 
concretizzazione 
nel 
settore 
del 
diritto 
penale 
del 
principio 
di 
riconoscimento 
reciproco 
che il Consiglio europeo ha definito il fondamento della cooperazione giudiziaria”. 
13. Lo spirito della 
decisione 
che 
si 
trae 
da 
tali 
considerando è 
quindi 
quello della 
semplificazione 
e 
del 
mutuo riconoscimento dei 
provvedimenti 
giurisdizionali 
in materia 
penale 
che 
superi lo strumento dell’estradizione e ogni complessità o ritardo. 
14. In particolare, l’art. 2, paragrafo 4 recante 
“Campo d'applicazione 
del 
mandato d'arresto 
europeo” 
prevede 
che 
“4. 
per 
quanto 
riguarda 
i 
reati 
non 
contemplati 
dal 
paragrafo 
2, 
la 
consegna può essere 
subordinata alla condizione 
che 
i 
fatti 
per 
i 
quali 
è 
stato emesso il 
mandato 
d'arresto europeo costituiscano un reato ai 
sensi 
della legge 
dello stato membro di 
esecuzione 
indipendentemente dagli elementi costitutivi o dalla qualifica dello stesso”. 
15. 
Tale 
disposizione 
prevede 
che, 
per 
i 
reati 
diversi 
da 
quelli 
(più 
gravi) 
elencati 
al 
paragrafo 
2 (e 
per i 
quali 
il 
massimo della 
pena 
è 
pari 
o superiore 
a 
tre 
anni), la 
consegna 
possa 
essere 
subordinata 
alla 
condizione 
della 
c.d. doppia 
incriminazione 
ovvero che 
i 
fatti 
costituiscano 
reato 
non 
solo 
per 
lo 
Stato 
membro 
emittente 
del 
mandato 
di 
arresto 
europeo 
(nel 
caso 
di 
specie 
l’Italia) 
ma 
anche 
ai 
sensi 
della 
legge 
dello 
Stato 
membro 
di 
esecuzione 
(nel 
caso 
di 
specie 
la Francia) “indipendentemente dagli elementi costitutivi o dalla qualifica” del reato. 
16. L’art. 4, paragrafo 1 recante 
“Motivi 
di 
non esecuzione 
facoltativa del 
mandato di 
arresto 
europeo” 
dispone, per quanto qui 
interessa, che 
“l'autorità giudiziaria dell'esecuzione 
può 
rifiutare 
di 
eseguire 
il 
mandato d'arresto europeo: 1) se, in uno dei 
casi 
di 
cui 
all'articolo 2, 
paragrafo 4, il 
fatto che 
è 
alla base 
del 
mandato d'arresto europeo non 
costituisce 
reato ai 
sensi della legge dello Stato membro di esecuzione; 
…”. 
risposta al primo quesito 


17. 
Con 
il 
primo 
quesito, 
il 
giudice 
del 
rinvio 
chiede 
in 
sostanza 
alla 
Corte 
di 
giustizia 
di 
chiarire 
se 
la 
condizione 
della 
doppia 
incriminazione 
sia 
rispettata 
tenuto 
conto 
che 
il 
reato 
di 
“devastazione 
e 
saccheggio” 
presupporrebbe, 
secondo 
il 
diritto 
italiano 
(rectius 
la 
giurisprudenza 
italiana, 
non 
essendo 
tali 
requisiti 
espressamente 
previsti 
dall’art. 
419 
codice 
penale 
quali 
elementi 
costitutivi 
del 
reato) atti 
di 
distruzione 
e 
degrado multipli 
e 
massicci 
che 
causano non 
solo 
un 
pregiudizio 
ai 
proprietari 
dei 
beni 
in 
questione 
ma 
anche 
un 
pericolo 
per 
l’ordine 
pubblico 
mentre 
per il 
diritto penale 
francese 
la 
violazione 
dell’ordine 
pubblico non sarebbe 
un 
elemento 
essenziale 
del 
reato 
di 
“furto 
in 
concorso 
con 
danneggiamento” 
punito 
dall’art. 
3111 
del code pénal. 

CONTENZIOSO 
COmUNITARIO 
ED 
INTERNAZIONALE 


18. Il Governo italiano ritiene di dare risposta positiva al quesito. 
19. 
La 
Corte 
remittente 
rammenta 
che, 
in 
base 
alla 
giurisprudenza 
della 
Corte 
di 
giustizia, 
segnatamente 
alla 
sentenza 
dell’11 
gennaio 
2017, 
causa 
C-289/15, 
Grundza 
resa 
in 
riferimento 
all'analoga 
previsione 
di 
cui 
all'articolo 
9, 
par. 
1, 
lettera 
d), 
della 
decisione 
quadro 
2008/909/gai 
relativa 
all'applicazione 
del 
principio 
del 
reciproco 
riconoscimento 
alle 
sentenze 
penali 
che 
irrogano 
pene 
detentive 
o 
misure 
privative 
della 
libertà 
personale, 
ai 
fini 
della 
loro 
esecuzione 
nell'unione 
europea, 
nella 
valutazione 
della 
doppia 
incriminabilità, 
l'autorità 
competente 
dello 
Stato 
di 
esecuzione 
deve 
«verificare 
se 
gli 
elementi 
materiali 
alla 
base 
del 
reato, 
quali 
risultano 
dalla 
sentenza 
pronunciata 
dall'autorità 
competente 
dello 
Stato 
di 
emissione, 
sarebbero 
di 
per 
sé, 
nell'ipotesi 
in 
cui 
si 
fossero 
verificati 
nel 
territorio 
dello 
Stato 
di 
esecuzione, 
penalmente 
perseguibili 
anche 
nel 
territorio 
di 
quest'ultimo» 
(punto 
38 
della 
richiamata 
sentenza). 
20. Correttamente, il 
giudice 
del 
rinvio richiama 
l’affermazione 
della 
Corte 
di 
Giustizia 
secondo 
la 
quale 
la 
condizione 
della 
doppia 
incriminabilità 
«costituisce 
un'eccezione 
alla regola 
di 
principio 
del 
riconoscimento 
della 
sentenza 
e 
dell'esecuzione 
della 
pena» 
e 
«deve 
essere 
interpretata quindi 
in 
maniera restrittiva, per limitare 
i 
casi 
di 
non riconoscimento 
e di non esecuzione» (punto 46 sentenza Grundza); 
21. 
Inoltre, 
alla 
luce 
della 
formulazione 
dell’art. 
2, 
paragrafo 
4 
della 
Decisione 
2002/584/GAI, 
secondo la 
quale 
i 
fatti 
per i 
quali 
viene 
richiesto il 
mandato di 
arresto europeo debbono costituire 
un reato anche 
ai 
sensi 
della 
legge 
dello Stato membro di 
esecuzione 
“indipendentemente 
dagli 
elementi 
costitutivi 
o dalla 
qualifica 
dello stesso”, il 
giudice 
remittente 
invoca 
il 
principio già 
affermato dalla 
Corte 
di 
Giustizia 
nella 
richiamata 
sentenza 
Grundza 
secondo il 
quale 
«non 
è 
necessaria una corrispondenza esatta né 
tra le 
componenti 
del 
reato, quale 
definito dalle 
leggi, rispettivamente, dello Stato membro di 
emissione 
e 
di 
quello di 
esecuzione, 
né 
nella 
denominazione 
o nella 
classificazione 
dello stesso secondo le 
rispettive 
leggi 
nazionali» (punto 35). 
22. Alla 
luce 
di 
quanto sopra, emerge 
chiaramente 
che 
non 
occorre 
che 
i 
reati 
siano identici 
nei due stati membri interessati 
(punto 34 sentenza Grundza). 
23. 
Come 
ricordato 
nella 
citata 
sentenza 
in 
relazione 
all’analoga 
disposizione 
della 
Decisione 
2008/909/GAI sopra 
citata, “tale 
disposizione 
sancisce 
un 
approccio flessibile, da 
parte 
del-
l’autorità 
competente 
dello 
Stato 
di 
esecuzione, 
al 
momento 
della 
valutazione 
della 
condizione 
della 
doppia 
incriminabilità, per quanto riguarda 
sia 
gli 
elementi 
costitutivi 
del 
reato sia 
la 
denominazione di quest’ultimo” (punto 36). 
24. 
Del 
resto 
per 
i 
reati 
più 
gravi 
elencati 
all’articolo 
2, 
paragrafo 
2 
della 
Decisione 
2002/584/GAI (quali 
la 
partecipazione 
a 
un’organizzazione 
criminale, il 
terrorismo, la 
tratta 
di 
esseri 
umani, lo sfruttamento sessuale 
dei 
bambini 
e 
la 
pornografia 
infantile, il 
traffico illecito 
di 
stupefacenti 
e 
sostanze 
psicotrope, il 
traffico illecito di 
armi, munizioni 
ed esplosivi, 
l’incendio volontario 
ecc.) il 
mandato di 
arresto europeo prescinde 
dalla 
doppia 
incriminazione 
mentre 
per gli 
altri 
reati 
che 
non figurano in detto elenco, a 
norma 
del 
successivo paragrafo 
4, è 
prevista 
una mera facoltà 
per lo Stato di 
esecuzione 
di 
subordinare 
la 
consegna 
alla condizione della doppia incriminazione (cfr. punto 44 sentenza Grundze). 
25. 
Pertanto, 
la 
mancanza 
di 
una 
doppia 
incriminazione 
costituisce, 
nel 
sistema 
della 
decisione 
quadro, motivo facoltativo 
di 
rifiuto. Tale 
connotazione 
va 
riferita 
sia 
all'attività 
di 
recepimento 
della 
previsione 
da 
parte 
degli 
Stati 
membri, sia 
alla 
natura 
del 
potere 
decisionale 
che, 
in caso di 
recepimento, dev'essere 
riconosciuto all'Autorità 
giudiziaria 
incaricata 
dell'esecuzione 
del mandato di arresto europeo. 
26. 
Si 
veda 
in 
proposito 
Corte 
di 
giustizia, 
sentenza 
del 
5 
settembre 
2012, 
causa 
C-42/11, 

RASSEGNA 
AVVOCATURA 
DELLO 
STATO -N. 2/2022 


Lopes 
Da 
Silva 
Jorge, secondo la 
quale 
«il 
sistema 
di 
tale 
decisione 
quadro, come 
risulta 
segnatamente 
dall'articolo 4 della 
medesima, lascia 
agli 
Stati 
membri 
la 
facoltà 
di 
consentire, 
in situazioni 
specifiche, alle 
autorità 
giudiziarie 
competenti 
di 
decidere 
che 
una 
pena 
inflitta 
debba 
essere 
eseguita 
nel 
territorio 
dello 
Stato 
membro 
di 
esecuzione 
(sentenza 
del 
21 
ottobre 
2010, B., C-306/09, Racc. pag. 1-10341, punti 
50 e 
51)» (punto 30). V. anche 
sentenza 
del 
29 
giugno 2017, Poplawski, C-579: 
«dalla 
formulazione 
stessa 
dell'articolo 4, punto 6, della 
decisione 
quadro 
2002/584 
risulta 
che 
… 
qualora 
uno 
stato 
membro 
abbia 
scelto 
di 
recepire 
tale 
disposizione 
nel 
diritto interno, l'autorità giudiziaria di 
esecuzione 
tuttavia deve 
disporre 
di 
un 
potere 
discrezionale 
riguardo alla questione 
se 
si 
debba rifiutare 
o meno di 
dare esecuzione al mae») (punto 21). 


27. 
Ne 
consegue 
che 
la 
messa 
in 
pericolo 
dell’ordine 
pubblico 
-requisito 
peraltro 
non 
espressamente 
previsto 
dalla 
normativa 
italiana 
quale 
elemento 
costitutivo 
del 
reato 
di 
cui 
all’art. 
419 
codice 
penale 
benché 
ritenuto 
necessario 
dalla 
giurisprudenza 
-non 
può 
considerarsi 
indispensabile 
ai 
fini 
della 
doppia 
incriminazione, 
essendo 
del 
tutto 
irrilevante 
che 
tale 
elemento 
non 
sia 
previsto, 
nemmeno 
in 
via 
giurisprudenziale, 
dalla 
corrispondente 
fattispecie 
incriminatrice 
del 
diritto 
francese, 
che 
punisce 
solo 
«la 
distruzione, 
il 
danneggiamento 
e 
il 
furto 
con 
danneggiamento 
commessi, 
se 
del 
caso, 
in 
concorso, 
tali 
da 
causare 
un 
pregiudizio 
ai 
proprietari 
dei 
beni». 
28. 
Del 
resto, 
oltre 
alla 
giurisprudenza 
della 
Corte 
di 
Giustizia 
sopra 
richiamata, 
anche 
la 
giurisprudenza 
della 
Corte 
di 
cassazione 
italiana 
è 
consolidata 
nel 
senso che, in tema 
di 
doppia 
incriminazione, «non è 
necessario che 
lo schema 
astratto della 
norma 
incriminatrice 
dell'ordinamento 
straniero 
trovi 
il 
suo 
esatto 
corrispondente 
in 
una 
norma 
dell'ordinamento 
italiano, 
ma 
è 
sufficiente 
che 
la 
concreta 
fattispecie 
sia 
punibile 
come 
reato 
in 
entrambi 
gli 
ordinamenti, 
a 
nulla 
rilevando 
l'eventuale 
diversità, 
oltre 
che 
del 
trattamento 
sanzionatorio, 
anche 
del 
titolo e 
di 
tutti 
gli 
elementi 
richiesti 
per 
la configurazione 
del 
reato» (Cfr. Cass., sez. 
6, n. 27483 del 29 maggio 2017, dep. 1 giugno 2017, majkowska, rv. 270405 - 01). 


29. 
Gli 
unici 
limiti 
a 
tale 
generale 
affermazione 
di 
principio 
sono 
stati 
individuati: 
con 
riferimento 
al 
trattamento 
sanzionatorio, 
nei 
casi 
di 
«macroscopica 
esorbitanza 
rispetto 
a 
quello 
previsto 
nel-
l'ordinamento 
interno, 
tale 
da 
far 
venir 
meno 
la 
stessa 
pregiudiziale 
identità 
o 
assimilazione 
dei 
fatti 
di 
reato 
in 
comparazione 
(Cass., 
sez. 
6, 
n. 
41133 
del 
30 
settembre 
2014, 
dep. 
3 
ottobre 
2014, 
Vacarciuc, 
rv. 
260436 
-01); 
quanto 
alle 
circostanze 
del 
reato, 
«nelle 
ipotesi 
in 
cui 
la 
natura 
ed 
il 
contenuto 
dell'elemento 
circostanziale 
presentino 
caratteristiche 
tali 
da 
immutare 
il 
fatto 
nel 
nucleo 
essenziale 
della 
sua 
configurazione 
materiale» 
(Cfr. 
sez. 
6, 
n. 
3255 
del 
17 
gennaio 
2013, 
dep. 
22 
gennaio 
2013, 
Murariu, 
rv. 
254182 
-01), 
entrambi 
casi 
non 
ricorrenti 
nella 
fattispecie. 
risposta al secondo quesito 


30. Con il 
secondo quesito il 
giudice 
del 
rinvio chiede 
alla 
Corte 
di 
Giustizia 
di 
chiarire 
se, in 
caso 
di 
risposta 
positiva 
alla 
prima 
questione, 
l’articolo 
2, 
paragrafo 
4 
e 
l’articolo 
4, 
paragrafo 
1 della 
decisione 
2002/584/GAI debbano essere 
interpretati 
nel 
senso che 
l’organo giurisdizionale 
dello Stato di 
esecuzione 
possa 
rifiutare 
di 
eseguire 
un mandato di 
arresto europeo 
qualora 
due 
delle 
sette 
azioni 
per le 
quali 
il 
ricorrente 
è 
stato condannato, integranti 
un’unica 
fattispecie 
criminosa, non costituiscano un reato nel 
Paese 
competente 
per l’esecuzione 
(la 
Francia) in quanto il 
ricorrente 
non avrebbe 
partecipato con azioni 
materiali 
a 
due 
dei 
fatti 
contestati 
allo stesso gruppo di 
manifestanti 
del 
quale 
faceva 
parte, trovandosi 
solo nelle 
vicinanze 
con un bastone in mano. 
31. A tale quesito il Governo italiano ritiene di dare risposta negativa. 
32. Non a 
caso, l’art. 419 del 
codice 
penale 
parla 
di 
“fatti” 
al 
plurale 
e, secondo la 
giurisprudenza 
della 
Corte 
di 
Cassazione 
italiana, 
il 
reato 
di 
devastazione 
e 
saccheggio 
si 
distingue 
dal 

CONTENZIOSO 
COmUNITARIO 
ED 
INTERNAZIONALE 


singolo danneggiamento o dai 
singoli 
furti 
e 
rapine 
proprio perché, in un unico contesto, si 
commettono 
più 
fatti 
in 
modo 
rapido 
e 
indiscriminato, 
tanto 
da 
determinare 
non 
solo 
la 
lesione 
del bene patrimonio ma anche l’ordine pubblico e la pace sociale. 


33. 
Alla 
luce 
dell’ontologica 
unità 
dei 
vari 
fatti 
integranti 
il 
reato 
di 
devastazione 
e 
saccheggio, 
l’ipotesi di uno “spacchettamento” dei medesimi fatti non appare percorribile. 
34. Il 
giudice 
di 
Angers 
sostiene 
che 
mancherebbe 
il 
requisito della 
doppia 
incriminazione 
in 
relazione 
a 
due 
dei 
sette 
fatti 
di 
devastazione 
e 
saccheggio, che 
ai 
sensi 
del 
diritto francese 
non sarebbero punibili. 
35. Non lo sarebbe 
lo sventramento della 
filiale 
bancaria 
del 
Credito italiano; 
non lo sarebbe 
l’incendio 
della 
Fiat 
BRAVA. 
In 
entrambi 
i 
casi, 
il 
destinatario 
del 
mandato 
di 
arresto 
europeo 
si 
sarebbe 
meramente 
trovato 
nelle 
vicinanze 
della 
banca 
e 
della 
vettura, 
senza 
prendere 
parte 
materialmente 
alle 
condotte 
distruttive 
(salvo 
comunque 
impugnare 
un 
bastone, 
nel 
caso 
della 
macchina incendiata). 
36. In quei 
casi 
non vi 
sarebbe 
reato, in quanto quello che 
per l’ordinamento italiano costituisce 
“concorso di 
persone” 
ex articolo 110 codice 
penale, in base 
al 
quale 
è 
punito non solo 
l’autore 
materiale 
del 
fatto 
ma 
anche 
chi 
concorre 
con 
la 
propria 
condotta 
volontaria 
commissiva 
od omissiva 
alla 
perpetrazione 
del 
reato -concorso che 
è 
stato contestato al 
condannato, 
con 
l’aggravante 
delle 
cinque 
persone 
o 
più 
-secondo 
la 
Cassazione 
francese 
(sulla 
base 
degli 
artt. 121-1, 121-4, 121-6 e 
121-7 del 
code 
pénal) non sarebbe 
“complicité” 
(v. pag. 8 
della remissione in francese alla Corte di giustizia, n. 36). 
37. ma 
se 
così 
è, allora 
il 
giudice 
di 
Angers, in realtà, pone 
un problema 
di 
prova 
e 
non di 
doppia 
incriminazione. 
Egli 
sostiene 
che 
mancherebbe 
la 
prova 
che 
il 
destinatario 
del 
mandato 
di 
arresto europeo stesse 
effettivamente 
commettendo alcuni 
dei 
fatti 
che 
gli 
sono addebitati. 
38. Il 
quesito così 
formulato appare 
quindi 
parzialmente 
inammissibile. Il 
parametro da 
prendere 
come 
riferimento, 
infatti, 
avrebbe 
dovuto 
essere 
l’art. 
48 
della 
Carta 
di 
Nizza 
(in 
materia 
di 
legittima 
prova 
della 
colpevolezza) 
e 
non 
l’art. 
49 
della 
stessa 
Carta 
che 
sancisce 
il 
principio 
di 
legalità 
(al 
paragrafo 1) e 
di 
proporzionalità 
dei 
reati 
e 
delle 
pene 
(al 
paragrafo 3), come 
si 
dirà nella risposta al terzo quesito. 
39. 
Lo 
stesso 
Procuratore 
generale 
francese, 
nell’impugnare 
in 
cassazione 
la 
decisione 
della 
sezione 
istruttoria 
di 
Angers, 
aveva 
anche 
eccepito 
che 
-per 
l’episodio 
6) 
(incendio 
della 
Fiat 
BRAVA) 
-la 
doppia 
incriminazione 
non 
era 
necessaria, 
visto 
che 
il 
reato 
d’incendio 
rientra 
nell’elenco 
di 
cui 
all’art. 
2, 
paragrafo 
2 
della 
decisione 
2002/584/Gai 
e 
che 
non 
è 
quindi 
applicabile 
il 
paragrafo 
4 
della 
stessa 
disposizione 
che 
prevede 
la 
facoltà 
del 
diniego 
di 
consegna 
quando 
manca 
la 
doppia 
incriminazione 
(v. 
pag. 
5 
dell’ordinanza 
di 
remissione 
in 
francese). 
40. In proposito, la 
Corte 
di 
Cassazione 
ha 
precisato che, nella 
trasmissione 
del 
mandato di 
arresto europeo, le 
autorità 
italiane 
non avevano specificato se 
si 
stessero basando sul 
paragrafo 
2 o sul paragrafo 4 dell’art. 2 della decisione 2002/584/GAI. 
41. Invero, un simile 
approccio burocratico viola 
lo spirito della 
decisione 
2002/584/GAI informata 
a 
semplificazione, celerità 
e 
reciproca 
cooperazione 
giudiziaria 
ai 
sensi 
dei 
“considerando” 
5 e 6 sopra richiamati. 
42. 
Del 
resto, 
secondo 
la 
giurisprudenza 
italiana, 
il 
bene 
giuridico 
tutelato 
dall’art. 
419 
codice 
penale 
«fornisce 
lo 
strumento 
per 
selezionare, 
tra 
i 
più 
svariati 
comportamenti 
di 
violenza 
sulle 
cose 
e 
di 
ruberia, 
quelli 
che 
meritano 
una 
qualificazione 
di 
particolare 
gravità» 
e 
«porta 
a 
valorizzare 
la 
carica 
semantica 
dei 
termini 
devastazione 
e 
saccheggio: 
l'uno, 
che 
indica 
la 
rovina, 
il 
radere 
al 
suolo 
e 
quindi 
un 
danneggiamento 
che 
sia 
complessivo, 
indiscriminato, 
vasto 
e 
profondo, 
di 
una 
notevole 
quantità 
di 
cose 
mobili 
o 
immobili 
[...]; 
l'altro, 
che 
richiede 
un 
fatto 
commesso 

RASSEGNA 
AVVOCATURA 
DELLO 
STATO -N. 2/2022 


da 
una 
pluralità 
di 
persone 
che 
si 
impossessino 
indiscriminatamente 
di 
una 
rilevante 
quantità 
di 
oggetti, 
con 
spirito 
di 
assoluta 
prepotenza 
e 
noncuranza 
per 
l'ordine 
costituito 
[…]» 
(Cass., 
sez. 
1, 
n. 
42130 
del 
13 
luglio 
2012, 
dep. 
29 
ottobre 
2012, 
arculeo 
ed 
altri, 
Rv. 
253801 
-01). 


43. Alla 
stregua 
di 
tale 
definizione 
delle 
condotte 
in questione, è 
parimenti 
del 
tutto pacifico, 
tanto 
in 
dottrina 
quanto 
in 
giurisprudenza, 
che 
i 
singoli 
fatti 
di 
danneggiamento 
e 
furto 
rimangano 
in esse assorbiti. 
44. 
Sempre 
la 
giurisprudenza, 
ha 
chiarito 
che 
«in 
tema 
di 
reato 
di 
devastazione, 
ai 
fini 
della 
sussistenza 
della 
responsabilità 
a 
titolo 
di 
concorso 
non 
è 
necessario 
che 
l'agente 
compia 
materialmente 
un 
atto 
di 
danneggiamento, 
purché 
partecipi 
consapevolmente 
ai 
disordini 
diffusi» 
(Cass., 
sez. 
1, 
n. 
11912 
del 
18 
gennaio 
2019, 
dep. 
18 
marzo 
2019, 
Rv. 
275322 
-02). 
45. Alla 
luce 
di 
quanto sopra 
appare 
evidente 
che 
non occorre 
distinguere 
a 
seconda 
che 
le 
autorità 
giurisdizionali 
dello Stato emittente 
abbiano considerato tali 
diverse 
azioni 
come 
separabili 
o meno. 
risposta al terzo quesito 


46. Con il 
terzo quesito, la 
Corte 
di 
Cassazione 
francese 
chiede 
alla 
Corte 
di 
Giustizia 
se, nel 
caso 
in 
cui 
il 
principio 
della 
doppia 
incriminazione 
non 
precluda 
la 
consegna, 
il 
principio 
della 
proporzionalità 
della 
pena 
di 
cui 
all’art. 
49, 
paragrafo 
3 
della 
Carta 
di 
Nizza 
possa 
ostare 
all’esecuzione 
del 
mandato d’arresto europeo alla 
luce 
del 
fatto che 
lo stesso è 
stato emesso 
a 
fronte 
di 
una 
pena 
unica, inflitta 
per reprimere 
un unico reato attesa 
la 
natura 
indissolubile 
delle 
azioni 
ritenute 
costitutive 
del 
reato di 
devastazione 
e 
saccheggio e 
che 
due 
di 
tali 
azioni 
potrebbero non integrare una fattispecie di reato secondo il diritto francese. 
47. Anche a tale quesito il Governo italiano ritiene di dare risposta negativa. 
48. 
Il 
Giudice 
del 
rinvio 
ribadisce 
innanzitutto 
il 
principio 
secondo 
cui, 
nel 
sistema 
di 
consegna 
semplificata 
istituito dalla 
decisione 
quadro 2002/584/GAI, l'esecuzione 
di 
un mandato d'arresto 
europeo costituisce 
la 
regola 
(Corte 
di 
Giustizia, sentenza 
del 
6 ottobre 
2009, Wolzenburg, 
C-123/08, 
punto 
57) 
e, 
quindi, 
i 
motivi 
di 
rifiuto 
e 
le 
condizioni 
apponibili 
alla 
consegna 
integrano delle eccezioni. 
49. 
Ne 
consegue 
che 
un 
legislatore 
nazionale 
che, 
in 
base 
alle 
possibilità 
accordategli 
dall’art. 
4 di 
detta 
decisione 
quadro, opera 
la 
scelta 
di 
limitare 
le 
situazioni 
nelle 
quali 
la 
sua 
autorità 
giudiziaria 
di 
esecuzione 
può rifiutare 
di 
consegnare 
una 
persona 
ricercata 
non fa 
che 
rafforzare 
il 
sistema 
di 
consegna 
istituito 
da 
detta 
decisione 
quadro 
a 
favore 
di 
uno 
spazio 
di 
libertà, 
di sicurezza e di giustizia (punto 58 della sentenza 
Wolzenburg). 
50. Secondo la 
giurisprudenza 
costante 
della 
Corte 
di 
Giustizia 
(sentenza 
del 
16 luglio 2015, 
C-237/215 
PPU, 
punto 
36), 
il 
principio 
del 
riconoscimento 
reciproco, 
che 
costituisce 
la 
«pietra 
angolare» della 
cooperazione 
giudiziaria, implica, a 
norma 
dell’articolo 1, paragrafo 2, della 
decisione 
quadro, che 
gli 
Stati 
membri 
sono tenuti 
in linea 
di 
principio a 
dar corso a 
un mandato 
d’arresto 
europeo. 
Infatti, 
questi 
ultimi 
possono 
rifiutarsi 
di 
eseguire 
tale 
mandato 
soltanto 
nei 
casi 
di 
non esecuzione 
di 
cui 
agli 
articoli 
3, 4 e 
4 bis 
della 
decisione 
quadro e 
possono subordinare 
la 
sua 
esecuzione 
alle 
sole 
condizioni 
definite 
all’articolo 5 della 
medesima 
(v., in 
tal 
senso, 
sentenze 
West, 
C 
192/12 
PPU, 
EU:C:2012:404, 
punto 
55; 
melloni, 
C 
399/11, 
EU:C:2013:107, punto 38, e F., C 168/13 PPU, EU:C:2013:358, punto 36). 
51. Ciò premesso, la 
Corte 
di 
cassazione 
francese 
osserva 
che 
nella 
decisione 
quadro relativa 
al 
mandato 
d'arresto 
europeo 
non 
si 
rinviene 
«alcuna 
disposizione 
che 
consenta 
allo 
Stato 
membro di 
esecuzione 
di 
rifiutare 
la 
consegna 
dell'interessato a 
motivo del 
fatto che 
la 
pena 
inflitta 
dallo 
Stato 
emittente 
apparirebbe 
sproporzionata 
rispetto 
ai 
fatti 
per 
i 
quali 
la 
consegna 
è 
richiesta»; 
che, quindi, «anche 
se 
lo Stato membro di 
esecuzione 
ritiene 
che 
esistano serie 

CONTENZIOSO 
COmUNITARIO 
ED 
INTERNAZIONALE 


difficoltà 
in 
ordine 
alla 
proporzionalità 
del 
mandato 
d'arresto 
europeo, 
esso 
non 
può 
rifiutarsi, 
per tale 
motivo, di 
ordinare 
la 
consegna 
della 
persona 
ricercata 
in vista 
dell'esecuzione 
della 
pena 
pronunciata 
dallo Stato membro emittente»; 
che, in definitiva, la 
verifica 
di 
proporzionalità 
del 
mandato d'arresto europeo risulta 
rimessa 
in via 
esclusiva 
all'Autorità 
di 
emissione, 
il 
che 
-come 
non 
si 
manca 
di 
riconoscere 
-costituisce 
«circostanza 
idonea 
a 
rafforzare 
il 
principio 
del reciproco riconoscimento». 


52. Nel 
caso concreto, tuttavia, a 
giudizio della 
Corte 
remittente, l'applicazione 
dei 
princìpi 
citati «non consente di prevenire la violazione del principio di proporzionalità». 
53. 
Ciò 
in 
quanto 
ricorre 
un'ipotesi 
in 
cui, 
il 
mandato 
d'arresto 
è 
stato 
emesso 
per 
l'esecuzione 
di 
una 
pena 
inflitta 
in 
relazione 
ad 
un 
unico 
reato 
caratterizzato 
da 
più 
azioni, 
di 
cui 
solo 
alcune costituiscono un reato secondo il diritto dello Stato membro di esecuzione. 
54. Da 
ciò, in particolare, discenderebbe 
un duplice 
ordine 
di 
conseguenze 
incompatibili 
con 
il 
principio di 
proporzionalità, di 
cui 
all'articolo 49, paragrafo 3 della 
Carta 
dei 
diritti 
fondamentali 
dell'Unione europea. 
55. Ed infatti, da 
un lato, «in tal 
caso, la 
pena 
pronunciata 
dallo Stato emittente 
sarà 
eseguita 
nella 
sua 
totalità, 
sebbene 
la 
consegna 
per 
alcuni 
dei 
fatti 
sanzionati 
con 
tale 
pena 
sia 
esclusa», 
dall'altro, per quanto «il 
mandato potesse 
essere 
proporzionato al 
momento della 
sua 
emissione
», tuttavia «non si può escludere che non lo sia più al momento della sua esecuzione». 
56. Come 
si 
è 
accennato nel 
rispondere 
al 
secondo quesito, la 
questione 
appare 
mal 
posta 
e 
come tale inammissibile. 
57. 
Infatti, 
la 
Corte 
di 
Cassazione 
francese 
non 
ha 
dedotto 
la 
sproporzione 
tra 
la 
pena 
prevista 
dall’art. 
419 
del 
codice 
penale 
italiano 
e 
quella 
comminata 
dagli 
artt. 
311-1 
e 
ss. 
del 
code 
pénal francese. 
58. 
Ciò 
poiché 
costituisce 
principio 
consolidato 
che 
-salvi 
limiti 
ragionevoli 
-l’entità 
delle 
pene 
è 
materia 
rientrante 
nella 
discrezionalità 
legislativa 
nazionale 
(per 
la 
giurisprudenza 
CEDU, 
v., 
per 
esempio, 
Vinter 
c. 
Regno 
Unito 
del 
2013 
e 
Hutchinson 
c. 
Regno 
Unito 
del 
2017; 
per 
la 
giurisprudenza 
costituzionale 
italiana, 
tra 
le 
tante, 
le 
sentenze 
n. 
233 
del 
2018 
e 
n. 
95 
del 
2019). 
59. Il 
giudice 
del 
rinvio deduce 
la 
pretesa 
sproporzione 
solo perché 
due 
dei 
sette 
episodi 
contestati, 
ai 
sensi 
del 
diritto francese, non costituirebbero reati, sicché 
in mancanza 
della 
scomposizione 
del fatto, la pena diverrebbe sproporzionata. 
60. 
Si 
tratta, 
all’evidenza, 
di 
un 
argomento 
che 
rende 
il 
quesito, 
così 
formulato, 
inammissibile. 
61. Il 
principio che 
il 
giudice 
francese 
vorrebbe 
far valere 
con la 
questione 
pregiudiziale 
è 
la 
sproporzione 
di 
cui 
all’art. 49, paragrafo 3, della 
Carta 
di 
Nizza; 
ma 
la 
base 
motivazionale 
si 
fonda 
sulla 
circostanza 
che 
due 
fatti 
su 
sette 
non 
sarebbero 
previsti 
dalla 
legge 
francese 
come 
reato, con conseguente 
violazione 
del 
principio nullum 
crimen sine 
lege, che 
è 
invece 
sancito nel 
paragrafo 1 
dell’art. 49. 
62. Peraltro, più che 
fatti 
non previsti 
dalla 
legge 
francese 
come 
reati, sembrerebbe 
piuttosto 
che 
il 
giudice 
remittente 
faccia 
una 
questione 
di 
prova 
dei 
fatti 
contestati, 
che 
semmai 
avrebbe 
dovuto essere 
posta, come 
si 
è 
detto, invocando l’art. 48 della Carta di 
nizza 
in materia 
di 
legittima prova della colpevolezza e non l’art. 49 della stessa Carta. 
63. 
Al 
riguardo, 
va 
ribadito 
che 
la 
sentenza 
in 
vista 
della 
cui 
esecuzione 
è 
stato 
emesso 
il 
mandato 
di 
arresto europeo ha 
irrevocabilmente 
accertato la 
responsabilità 
del 
condannato in ordine 
al contestato delitto di devastazione e saccheggio. 
64. Per quanto si 
è 
sopra 
osservato a 
proposito della 
struttura 
di 
tale 
reato e 
del 
modo in cui 
si 
atteggiano i 
presupposti 
oggettivi 
e 
soggettivi 
della 
compartecipazione, ciò significa 
che 
il 
ricorrente 
è 
stato innanzitutto riconosciuto colpevole 
dei 
fatti 
di 
danneggiamento e 
dei 
furti 

RASSEGNA 
AVVOCATURA 
DELLO 
STATO -N. 2/2022 


ascrittigli, i 
quali 
-in ragione 
della 
loro diffusa 
e 
indiscriminata 
lesività 
-sono stati 
sussunti 
nella fattispecie di cui all'art. 419 codice penale. 


65. Ebbene, nel 
caso di 
specie, la 
sezione 
istruttoria 
di 
Anvers 
ha 
proceduto non alla 
verifica 
dell'eventuale 
sussumibilità 
nelle 
fattispecie 
di 
reato previste 
dall'ordinamento francese 
delle 
condotte 
per le 
quali 
il 
ricorrente 
ha 
riportato condanna 
in Italia, ma ad 
un 
apprezzamento 
di 
merito 
sulla 
consistenza 
probatoria 
degli 
elementi 
sulla 
cui 
base 
l'autorità 
giudiziaria 
italiana ha ritenuto dette condotte a lui riferibili. 
66. È 
dunque 
del 
tutto evidente 
che 
la 
Corte 
di 
cassazione 
francese 
non si 
è 
limitata 
a 
controllare 
se 
le 
condotte 
accertate 
dall'Autorità 
giudiziaria 
italiana, ove 
verificatesi 
in Francia, fossero 
colà 
«penalmente 
perseguibili» 
alla 
stregua 
delle 
previsioni 
incriminatrici 
nazionali 
(ovvero «la 
distruzione, il 
danneggiamento e 
il 
furto con danneggiamento commessi, se 
del 
caso, in concorso») ma 
ha 
ritenuto non sufficientemente 
provata 
l'attribuibilità 
delle 
condotte 
anzidette al condannato. 
67. In proposito, va 
altresì 
notato, che 
per azioni 
identiche 
a 
quelle 
sub n. 3 e 
n. 6, e 
in particolare 
per quelle 
sub n. 5 (danneggiamento totale 
da 
incendio ai 
locali 
dell'istituto di 
credito 
«Carige») e 
sub n. 4 (danneggiamento ed incendio totale 
di 
un'autovettura 
Fiat 
Uno), il 
test 
di verifica della doppia incriminazione ha dato esito positivo. 
68. 
Poiché 
tale 
requisito 
è 
quindi 
riscontrabile 
per 
tutte 
le 
condotte 
in 
relazione 
alle 
quali 
è 
intervenuta 
condanna 
in 
Italia, 
risultano 
di 
fatto 
irrilevanti, 
ovvero 
prive 
di 
effettiva 
natura 
pregiudiziale, 
le 
questioni 
formulate 
dalla 
Corte 
di 
cassazione 
francese 
sulla 
base 
del 
medesimo 
e 
non 
corretto 
presupposto 
interpretativo 
su 
cui 
si 
fonda 
la 
pronuncia 
reiettiva 
adottata 
dalla 
sezione 
istruttoria 
di 
Angers, 
con 
conseguente 
inammissibilità 
del 
quesito 
così 
come 
formulato. 
69. In ogni 
caso, è 
del 
tutto pacifico, come 
-del 
resto -la 
stessa 
Corte 
remittente 
riconosce, 
che 
nessun controllo di 
proporzionalità 
è 
consentito dalla 
decisione 
quadro alle 
autorità 
dello 
Stato membro di 
esecuzione. Ciò che, naturalmente, rende 
del 
tutto superflua 
qualsiasi 
ulteriore 
considerazione 
in merito alla 
palese 
e 
assoluta 
gravità 
dei 
fatti 
di 
cui 
KL 
è 
stato riconosciuto 
responsabile 
e 
alla 
conseguente 
piena 
adeguatezza 
della 
sanzione 
irrogata 
dalle 
autorità 
giudiziarie nazionali conformemente alle previsioni del codice penale. 
Conclusioni 


70. 
Il 
Governo 
italiano 
propone 
quindi 
alla 
Corte 
di 
rispondere 
positivamente 
al 
primo 
quesito, 
affermando che, l’articolo 2, paragrafo 4, e 
l’articolo 4, paragrafo 1, della 
decisione 
quadro 
2002/584 
debbano 
essere 
interpretati 
nel 
senso 
che 
la 
condizione 
della 
doppia 
incriminazione 
è 
soddisfatta 
in una 
situazione, come 
quella 
di 
cui 
trattasi 
nel 
procedimento principale, in cui 
la 
consegna 
è 
richiesta 
per atti 
che 
sono stati 
qualificati, nello Stato emittente, come 
devastazione 
e 
saccheggio, consistenti 
in fatti 
di 
devastazione 
e 
saccheggio idonei 
a 
provocare 
una 
violazione 
dell’ordine 
pubblico, 
anche 
quando 
nello 
Stato 
di 
esecuzione 
esistono 
le 
fattispecie 
di 
reato di 
furto con danneggiamento, distruzione 
e 
deterioramento che 
non richiedono tale 
elemento di violazione dell’ordine pubblico. 
71. 
Il 
Governo 
italiano 
propone 
inoltre 
alla 
Corte 
di 
rispondere 
negativamente 
al 
secondo 
quesito, 
ove 
non 
venga 
reputato 
inammissibile, 
affermando 
che 
l’articolo 
2, 
paragrafo 
4, 
e 
l’articolo 
4, 
paragrafo 
1, 
della 
decisione 
quadro 
2002/584 
debbano 
essere 
interpretati 
nel 
senso 
che 
l’organo 
giurisdizionale 
dello 
Stato 
di 
esecuzione 
non 
può 
rifiutare 
di 
eseguire 
un 
mandato 
d'arresto 
europeo 
emesso 
per 
l'esecuzione 
di 
una 
pena, 
qualora 
esso 
constati 
che 
l'interessato 
è 
stato 
condannato 
dalle 
autorità 
giudiziarie 
dello 
Stato 
emittente 
a 
tale 
pena 
per 
la 
commissione 
di 
un 
reato 
unico, 
la 
cui 
prevenzione 
contemplava 
diverse 
azioni, 
e 
solo 
alcune 
di 
tali 
azioni 
costituiscono 
un 
reato 
per 
lo 
Stato 
di 
esecuzione, 
apparendo 
irrilevante 
che 
le 
autorità 
giurisdi

CONTENZIOSO 
COmUNITARIO 
ED 
INTERNAZIONALE 


zionali 
dello 
Stato 
emittente 
abbiano 
considerato 
tali 
diverse 
azioni 
come 
separabili 
o 
meno. 


72. 
Il 
Governo 
italiano 
propone 
inoltre 
alla 
Corte 
di 
rispondere 
negativamente 
al 
terzo 
quesito, 
ove 
non venga 
reputato inammissibile, affermando che 
l'articolo 49, paragrafo 3, della 
Carta 
dei 
diritti 
fondamentali 
non impone 
all'autorità 
giudiziaria 
dello Stato membro di 
esecuzione 
di 
rifiutare 
l'esecuzione 
di 
un 
mandato 
d'arresto 
europeo 
qualora, 
da 
un 
lato, 
esso 
sia 
stato 
emesso ai 
fini 
dell'esecuzione 
di 
una 
pena 
unica 
inflitta 
per reprimere 
un unico reato e, dal-
l'altro, poiché 
alcuni 
dei 
fatti 
per i 
quali 
è 
stata 
pronunciata 
tale 
pena 
non costituiscono reato 
secondo il 
diritto dello Stato membro di 
esecuzione, la 
consegna 
possa 
essere 
concessa 
solo 
per alcuni di tali fatti. 
Roma, 27 luglio 2021 
Wally Ferrante 
Avvocato dello Stato 


Corte 
di 
giustizia dell’unione 
europea, sezione 
terza, sentenza 14 luglio 2022, C-168/21 


-pres., 
rel. 
K. 
Jürimäe 
-Domanda 
di 
pronuncia 
pregiudiziale 
proposta 
dalla 
Cour 
de 
cassation 
(Francia) il 16 marzo 2021 - Procureur général près la cour d’appel d’Angers / KL. 


«Rinvio 
pregiudiziale 
-Cooperazione 
giudiziaria 
in 
materia 
penale 
-Decisione 
quadro 
2002/584/GAI -Articolo 2, paragrafo 4 -Condizione 
della 
doppia 
incriminabilità 
del 
fatto Articolo 
4, punto 1 -motivo di 
non esecuzione 
facoltativa 
del 
mandato d’arresto europeo Controllo 
da 
parte 
dell’autorità 
giudiziaria 
dell’esecuzione 
-Fatti 
in 
parte 
costitutivi 
di 
un 
reato ai 
sensi 
della 
legge 
dello Stato membro di 
esecuzione 
-Articolo 49, paragrafo 3, della 
Carta 
dei 
diritti 
fondamentali 
dell’Unione 
europea 
-Principio di 
proporzionalità 
dei 
reati 
e 
delle pene» 


1 
La 
domanda 
di 
pronuncia 
pregiudiziale 
verte 
sull’interpretazione 
dell’articolo 
2, 
paragrafo 
4, e 
dell’articolo 4, punto 1, della 
decisione 
quadro 2002/584/GAI del 
Consiglio, del 
13 
giugno 2002, relativa 
al 
mandato d’arresto europeo e 
alle 
procedure 
di 
consegna 
tra 
Stati 
membri 
(GU 
2002, 
L 
190, 
pag. 
1), 
come 
modificata 
dalla 
decisione 
quadro 
2009/299/GAI 
del 
Consiglio, 
del 
26 
febbraio 
2009 
(GU 
2009, 
L 
81, 
pag. 
24) 
(in 
prosieguo: 
la 
«decisione 
quadro 
2002/584»), 
nonché 
dell’articolo 
49, 
paragrafo 
3, 
della 
Carta 
dei 
diritti 
fondamentali 
dell’Unione europea (in prosieguo: la «Carta»). 


2 Tale 
domanda 
è 
stata 
presentata 
nell’ambito dell’esecuzione, in Francia, di 
un mandato 
d’arresto 
europeo 
emesso 
dalle 
autorità 
giudiziarie 
italiane 
nei 
confronti 
di 
KL 
ai 
fini 
dell’esecuzione 
di 
una 
pena 
di 
dodici 
anni 
e 
sei 
mesi 
di 
reclusione 
per 
fatti 
qualificati 
come 
rapina 
in concorso, devastazione 
e 
saccheggio, porto abusivo di 
armi 
ed esplosione 
di ordigni commessi a Genova (Italia) nel 2001. 


Contesto normativo 


Diritto dell’Unione 


3 
I 
considerando 
6 
e 
12 
della 
decisione 
quadro 
2002/584 
sono 
formulati 
nei 
termini 
seguenti: 
«(6) Il 
mandato d’arresto europeo previsto nella 
presente 
decisione 
quadro costituisce 
la 
prima 
concretizzazione 
nel 
settore 
del 
diritto penale 
del 
principio di 
riconoscimento reciproco 
che 
il 
Consiglio europeo ha 
definito il 
fondamento della 
cooperazione 
giudiziaria. 



RASSEGNA 
AVVOCATURA 
DELLO 
STATO -N. 2/2022 


(...) 


(12) La 
presente 
decisione 
quadro rispetta 
i 
diritti 
fondamentali 
ed osserva 
i 
principi 
sanciti 
dall’articolo 6 [TUE] e contenuti nella [Carta] (...), segnatamente il capo VI. (...)». 
4 
L’articolo 
1 
di 
tale 
decisione 
quadro, 
intitolato 
«Definizione 
del 
mandato 
d’arresto 
europeo 
ed obbligo di darne esecuzione», così dispone: 


«1. 
Il 
mandato 
d’arresto 
europeo 
è 
una 
decisione 
giudiziaria 
emessa 
da 
uno 
Stato 
membro 
in vista 
dell’arresto e 
della 
consegna 
da 
parte 
di 
un altro Stato membro di 
una 
persona 
ricercata 
ai 
fini 
dell’esercizio di 
un’azione 
penale 
o dell’esecuzione 
di 
una 
pena 
o una 
misura 
di sicurezza privative della libertà. 
2. Gli 
Stati 
membri 
danno esecuzione 
ad ogni 
mandato d’arresto europeo in base 
al 
principio 
del 
riconoscimento reciproco e 
conformemente 
alle 
disposizioni 
della 
presente 
decisione 
quadro. 
3. L’obbligo di 
rispettare 
i 
diritti 
fondamentali 
e 
i 
fondamentali 
principi 
giuridici 
sanciti 
dall’articolo 
6 
[TUE] 
non 
può 
essere 
modificat[o] 
per 
effetto 
della 
presente 
decisione 
quadro». 
5 
L’articolo 
2 
di 
detta 
decisione 
quadro, 
intitolato 
«Campo 
d’applicazione 
del 
mandato 
d’arresto 
europeo», ai paragrafi 1, 2 e 4 prevede quanto segue: 


«1. Il 
mandato d’arresto europeo può essere 
emesso per dei 
fatti 
puniti 
dalle 
leggi 
dello 
Stato 
membro 
emittente 
con 
una 
pena 
privativa 
della 
libertà 
o 
con 
una 
misura 
di 
sicurezza 
privative 
della 
libertà 
della 
durata 
massima 
non inferiore 
a 
dodici 
mesi 
oppure, se 
è 
stata 
disposta 
la 
condanna 
a 
una 
pena 
o è 
stata 
inflitta 
una 
misura 
di 
sicurezza, per condanne 
pronunciate di durata non inferiore a quattro mesi. 
2. 
Danno 
luogo 
a 
consegna 
in 
base 
al 
mandato 
d’arresto 
europeo, 
alle 
condizioni 
stabilite 
dalla 
presente 
decisione 
quadro e 
indipendentemente 
dalla 
doppia 
incriminazione 
per il 
reato, i 
reati 
seguenti, quali 
definiti 
dalla 
legge 
dello Stato membro emittente, se 
in detto 
Stato 
membro 
il 
massimo 
della 
pena 
o 
della 
misura 
di 
sicurezza 
privative 
della 
libertà 
per tali reati è pari o superiore a tre anni: 
(...) 
4. Per quanto riguarda 
i 
reati 
non contemplati 
dal 
paragrafo 2, la 
consegna 
può essere 
subordinata 
alla 
condizione 
che 
i 
fatti 
per 
i 
quali 
è 
stato 
emesso 
il 
mandato 
d’arresto 
europeo 
costituiscano un reato ai 
sensi 
della 
legge 
dello Stato membro di 
esecuzione 
indipendentemente 
dagli elementi costitutivi o dalla qualifica dello stesso». 
6 Gli 
articoli 
3, 4 e 
4 bis 
della 
medesima 
decisione 
quadro elencano i 
motivi 
di 
non esecuzione 
obbligatoria 
e 
facoltativa 
del 
mandato d’arresto europeo. In particolare, l’articolo 
4 della 
decisione 
quadro 2002/584, intitolato «motivi 
di 
non esecuzione 
facoltativa 
del 
mandato di arresto europeo», al suo punto 1 così dispone: 
«L’autorità 
giudiziaria 
dell’esecuzione 
può rifiutare 
di 
eseguire 
il 
mandato d’arresto europeo: 


1) se, in uno dei 
casi 
di 
cui 
all’articolo 2, paragrafo 4, il 
fatto che 
è 
alla 
base 
del 
mandato 
d’arresto europeo non costituisce 
reato ai 
sensi 
della 
legge 
dello Stato membro di 
esecuzione; 
(...)». 
7 L’articolo 5 della 
decisione 
quadro 2002/584 prevede 
le 
garanzie 
che 
lo Stato emittente 
deve fornire in casi particolari. 


Diritto francese 


8 
L’articolo 
695-23 
del 
code 
de 
procédure 
pénale 
(codice 
di 
procedura 
penale) 
prevede 
quanto segue: 



CONTENZIOSO 
COmUNITARIO 
ED 
INTERNAZIONALE 


«L’esecuzione 
di 
un 
mandato 
d’arresto 
europeo 
è 
altresì 
rifiutata 
se 
il 
fatto 
oggetto 
di 
detto mandato d’arresto non costituisce reato ai sensi della legge francese. 
In deroga 
al 
primo comma, un mandato d’arresto europeo è 
eseguito senza 
il 
controllo 
della 
doppia 
incriminabilità 
dei 
fatti 
contestati 
qualora 
le 
condotte 
considerate 
siano punite, 
ai 
sensi 
della 
legge 
dello 
Stato 
membro 
emittente, 
con 
una 
pena 
privativa 
della 
libertà 
di 
durata 
pari 
o superiore 
a 
tre 
anni 
di 
reclusione 
o con una 
misura 
di 
sicurezza 
privativa 
della 
libertà 
di 
durata 
analoga 
e 
rientrino in una 
delle 
categorie 
di 
reati 
previste 
dall’articolo 
694-32. 
Qualora 
siano 
applicabili 
le 
disposizioni 
del 
comma 
precedente, 
la 
qualificazione 
giuridica 
dei 
fatti 
e 
la 
determinazione 
della 
pena 
inflitta 
dipendono 
esclusivamente 
dalla 
discrezionalità 
dell’autorità giudiziaria dello Stato membro emittente. (...)». 


Diritto italiano 


9 
L’articolo 
419 
del 
codice 
penale, 
nella 
versione 
applicabile 
ai 
fatti 
del 
procedimento 
principale, 
così dispone: 
«Chiunque, fuori 
dei 
casi 
preveduti 
dall’articolo 285, commette 
fatti 
di 
devastazione 
o di 
saccheggio è 
punito con la 
reclusione 
da 
otto a 
quindici 
anni. La 
pena 
è 
aumentata 
se 
il 
fatto è 
commesso su armi, munizioni 
o viveri 
esistenti 
in luogo di 
vendita 
o di 
deposito». 
Procedimento principale e questioni pregiudiziali 


10 
Il 
6 
giugno 
2016 
le 
autorità 
giudiziarie 
italiane 
hanno 
emesso 
nei 
confronti 
di 
KL 
un 
mandato 
d’arresto europeo ai 
fini 
dell’esecuzione 
di 
una 
pena 
di 
dodici 
anni 
e 
sei 
mesi 
di 
reclusione, 
pronunciata 
dalla 
Corte 
d’appello di 
Genova 
(Italia) con sentenza 
del 
9 ottobre 
2009, divenuta 
esecutiva 
il 
13 luglio 2012, dopo che 
la 
Corte 
suprema 
di 
cassazione 
(Italia) 
aveva respinto in tale data l’impugnazione proposta dall’interessato. 


11 Tale 
pena 
corrisponde 
al 
cumulo di 
quattro pene 
inflitte 
per quattro reati, ossia 
il 
primo, 
rapina 
in concorso, punito con la 
pena 
di 
un anno di 
reclusione, il 
secondo, devastazione 
e 
saccheggio, 
punito 
con 
la 
pena 
di 
dieci 
anni 
di 
reclusione, 
il 
terzo, 
porto 
abusivo 
di 
armi, punito con la 
pena 
di 
nove 
mesi 
di 
reclusione 
e 
il 
quarto, esplosione 
di 
ordigni, punito 
con la pena di nove mesi di reclusione. 


12 Per quanto riguarda 
specificamente 
il 
reato di 
«devastazione 
e 
saccheggio», il 
mandato 
d’arresto europeo descrive 
nella 
maniera 
seguente 
le 
circostanze 
in cui 
tale 
reato è 
stato 
commesso: 
«[I]n concorso con altre 
persone, in numero superiore 
a 
cinque, partecipando alla 
manifestazione 
contro il 
vertice 
G8, [KL] ha 
commesso fatti 
di 
devastazione 
e 
saccheggio, in 
un contesto spazio-temporale 
in cui 
si 
era 
verificato un oggettivo pericolo per l’ordine 
pubblico; 
vari 
casi 
di 
danneggiamento degli 
arredi 
urbani 
e 
delle 
proprietà 
pubbliche 
con 
conseguente 
danno non quantificabile 
con precisione, ma 
non inferiore 
a 
centinaia 
di 
milioni 
di 
lire; 
danneggiamento, 
saccheggio, 
distruzione 
a 
mezzo 
incendio 
anche 
di 
istitut[i] 
di 
credito, di 
autovetture 
e 
di 
altri 
esercizi 
commerciali, con la 
circostanza 
aggravante 
di 
avere cagionato alle persone offese un danno patrimoniale di rilevante gravità». 


13 
Secondo 
le 
indicazione 
fornite 
alla 
Corte, 
dalla 
sentenza 
della 
Corte 
d’appello 
di 
Genova 
del 
9 ottobre 
2009 risulta 
che, sotto la 
qualifica 
di 
«devastazione 
e 
saccheggio», prevista 
all’articolo 
419 
del 
codice 
penale, 
sono 
stati 
imputati 
a 
KL 
sette 
fatti, 
puniti 
in 
quanto 
rientranti 
in un medesimo disegno criminoso, ossia 
danneggiamento di 
arredi 
urbani 
e 
di 
proprietà 
pubbliche, danneggiamento e 
saccheggio di 
un cantiere 
edile, danneggiamento 
totale 
dei 
locali 
di 
Credito Italiano SpA, danneggiamento totale 
a 
mezzo incendio di 
un 
veicolo 
Fiat 
Uno, 
danneggiamento 
totale 
a 
mezzo 
incendio 
dei 
locali 
di 
Banca 
Carige 



RASSEGNA 
AVVOCATURA 
DELLO 
STATO -N. 2/2022 


SpA, danneggiamento totale 
a 
mezzo incendio di 
un veicolo Fiat 
Brava 
nonché 
danneggiamento 
totale e saccheggio di un supermercato. 


14 KL 
non ha 
acconsentito alla 
sua 
consegna 
in esecuzione 
del 
mandato d’arresto europeo 
menzionato al punto 10 della presente sentenza. 


15 
Con 
sentenza 
del 
23 
agosto 
2019, 
la 
sezione 
istruttoria 
della 
cour 
d’appel 
de 
Rennes 
(Corte 
d’appello di 
Rennes, Francia) ha 
disposto un’integrazione 
informativa, diretta, in 
particolare, alla 
produzione 
della 
sentenza 
della 
Corte 
d’appello di 
Genova 
del 
9 ottobre 
2009 e 
della 
sentenza 
della 
Corte 
suprema 
di 
cassazione 
del 
13 luglio 2012, menzionata 
al punto 10 della presente sentenza. 


16 Con sentenza 
del 
15 novembre 
2019, la 
sezione 
istruttoria 
della 
cour d’appel 
de 
Rennes 
(Corte 
d’appello di 
Rennes) ha 
rifiutato la 
consegna 
di 
KL 
per un motivo procedurale. 
Tale 
sentenza 
è 
stata 
cassata 
dalla 
Cour de 
cassation (Corte 
di 
cassazione, Francia) e 
la 
causa 
è 
stata 
rinviata 
dinanzi 
alla 
cour 
d’appel 
di 
Angers 
(Corte 
d’appello 
di 
Angers, 
Francia). 


17 
Con 
sentenza 
del 
4 
novembre 
2020, 
la 
sezione 
istruttoria 
della 
cour 
d’appel 
d’Angers 
(Corte 
d’appello 
di 
Angers), 
da 
un 
lato, 
ha 
rifiutato 
la 
consegna 
di 
KL 
alle 
autorità 
italiane 
in forza 
del 
mandato d’arresto europeo per la 
parte 
in cui 
quest’ultimo era 
stato emesso 
per l’esecuzione 
della 
pena 
di 
dieci 
anni 
di 
reclusione 
inflitta 
per i 
fatti 
qualificati 
come 
«devastazione 
e 
saccheggio» 
e, 
dall’altro, 
ha 
disposto 
un 
supplemento 
di 
informazioni 
diretto a 
chiedere 
all’autorità 
giudiziaria 
italiana 
se 
essa 
desiderasse 
che 
fosse 
eseguita 
in 
Francia 
la 
condanna 
a 
due 
anni 
e 
sei 
mesi 
di 
reclusione 
pronunciata 
a 
titolo delle 
altre 
tre 
pene contemplate da tale mandato. 


18 Il 
procureur général 
près 
la 
cour d’appel 
d’Angers 
(procuratore 
generale 
presso la 
Corte 
d’appello di 
Angers) e 
KL 
hanno proposto ricorso per cassazione 
avverso tale 
sentenza 
dinanzi alla Cour de cassation (Corte di cassazione), il giudice del rinvio. 


19 Quest’ultimo giudice 
ritiene 
che 
la 
causa 
dinanzi 
ad esso pendente 
sollevi 
questioni 
di 
interpretazione 
della 
condizione 
della 
doppia 
incriminabilità 
del 
fatto, 
prevista 
all’articolo 
2, paragrafo 4, e 
all’articolo 4, punto 1, della 
decisione 
quadro 2002/584 (in prosieguo: 
la «condizione della doppia incriminabilità del fatto»). 


20 A 
tal 
riguardo, il 
giudice 
del 
rinvio sottolinea 
che, per rifiutare 
la 
consegna 
di 
KL 
ai 
fini-
dell’esecuzione 
della 
pena 
di 
dieci 
anni 
di 
reclusione 
inflitta 
per i 
fatti 
qualificati 
come 
«devastazione 
e 
saccheggio», 
la 
sezione 
istruttoria 
della 
cour 
d’appel 
d’Angers 
(Corte 
d’appello di 
Angers) ha 
rilevato che 
due 
delle 
condotte 
sottese 
a 
tale 
reato non erano suscettibili 
di 
costituire 
reato in Francia, ossia, da 
un lato, il 
danneggiamento dei 
locali 
del 
Credito 
Italiano 
e, 
dall’altro, 
il 
danneggiamento 
a 
mezzo 
incendio 
del 
veicolo 
Fiat 
Brava. 
Tale 
sezione 
istruttoria 
ne 
ha 
dedotto che, poiché 
la 
Corte 
d’appello di 
Genova 
e 
la 
Corte 
suprema 
di 
cassazione 
avevano 
«espresso 
la 
volontà 
inequivoca» 
di 
analizzare 
i 
sette 
fatti 
perseguiti 
sotto la 
qualificazione 
di 
«devastazione 
e 
saccheggio» come 
costituenti 
un insieme 
inscindibile, 
la 
condizione 
della 
doppia 
incriminabilità 
del 
fatto 
imponeva 
di 
escludere 
l’insieme dei fatti inscindibili puniti sotto tale qualificazione. 


21 In 
tale 
contesto, 
il 
giudice 
del 
rinvio 
osserva 
che, 
alla 
luce 
della 
giurisprudenza 
della 
Corte 
risultante 
dalla 
sentenza 
dell’11 
gennaio 
2017, 
Grundza 
(C‑289/15, 
EU:C:2017:4), 
nel 
valutare 
la 
doppia 
incriminabilità 
del 
fatto, 
l’autorità 
giudiziaria 
dell’esecuzione 
deve 
verificare 
se 
i 
fatti 
alla 
base 
del 
reato 
di 
cui 
trattasi, 
come 
descritti 
nella 
sentenza 
pronunciata 
dall’autorità 
competente 
dello 
Stato 
membro 
di 
emissione, 
sarebbero 
anch’essi, 
di 
per 
sé, 
penalmente 
perseguibili 
nel 
territorio 
dello 
Stato 
membro 
dell’esecuzione, 
nell’ipotesi 
in 
cui 
tali 



CONTENZIOSO 
COmUNITARIO 
ED 
INTERNAZIONALE 
101 


fatti 
si 
fossero 
verificati 
in 
tale 
territorio. 
Non 
sarebbe 
necessaria 
una 
corrispondenza 
esatta 
né 
tra 
gli 
elementi 
costitutivi 
di 
tale 
reato, 
quale 
definito 
dalle 
leggi, 
rispettivamente, 
dello 
Stato 
membro 
di 
emissione 
e 
dello 
Stato 
membro 
di 
esecuzione, 
né 
nella 
denominazione 
o 
nella 
classificazione 
di 
detto 
reato, 
secondo 
le 
leggi 
nazionali 
interessate. 


22 Detto giudice 
afferma 
che, sebbene 
sia 
stata 
elaborata 
nell’ambito dell’interpretazione 
della 
decisione 
quadro 2008/909/GAI del 
Consiglio, del 
27 novembre 
2008, relativa 
al-
l’applicazione 
del 
principio 
del 
reciproco 
riconoscimento 
alle 
sentenze 
penali 
che 
irrogano 
pene 
detentive 
o 
misure 
restrittive 
della 
libertà 
personale, 
ai 
fini 
della 
loro 
esecuzione 
nell’Unione 
europea 
(GU 
2008, L 
327, pag. 27), tale 
giurisprudenza 
risulta 
trasponibile 
alle 
condizioni 
in presenza 
delle 
quali 
deve 
essere 
effettuato il 
controllo della 
doppia 
incriminabilità 
del 
fatto in materia 
di 
mandato d’arresto europeo a 
causa 
della 
similitudine, 
nelle due decisioni quadro, delle disposizioni relative alla doppia incriminabilità. 


23 Il 
medesimo giudice 
rileva 
che, secondo la 
legge 
italiana, il 
reato di 
«devastazione 
e 
saccheggio
» si 
riferisce 
ad atti 
di 
distruzione 
e 
danneggiamento molteplici 
e 
massicci, che 
causano non solo un pregiudizio ai 
proprietari 
dei 
beni, ma 
anche 
una 
violazione 
dell’ordine 
pubblico, mettendo in pericolo il 
normale 
svolgimento della 
vita 
civile. Secondo il 
diritto penale 
francese, il 
fatto di 
mettere 
in pericolo l’ordine 
pubblico attraverso la 
distruzione 
di 
massa 
di 
beni 
mobili 
o immobili 
non costituisce 
una 
fattispecie 
di 
reato specifica. 
Sarebbero da 
considerarsi 
tali 
solo la 
distruzione, il 
danneggiamento, il 
furto con 
danneggiamento commessi, se 
del 
caso, in concorso, idonei 
a 
causare 
un pregiudizio ai 
proprietari dei beni. 


24 Sebbene 
non sia 
richiesta 
una 
corrispondenza 
esatta 
tra 
gli 
elementi 
costitutivi 
del 
reato 
di 
cui 
trattasi 
nel 
diritto italiano e 
quelli 
del 
reato corrispondente 
nel 
diritto francese, il 
pregiudizio all’ordine 
pubblico risulterebbe 
tuttavia 
un elemento essenziale 
ai 
fini 
della 
qualificazione 
del 
reato di 
«devastazione 
e 
saccheggio», cosicché, secondo il 
giudice 
del 
rinvio, l’applicazione 
della 
condizione 
della 
doppia 
incriminabilità 
del 
fatto non sembra 
imporsi con un’evidenza tale da non lasciare spazio ad alcun ragionevole dubbio. 


25 Nell’ipotesi 
in cui 
la 
condizione 
della 
doppia 
incriminabilità 
del 
fatto non ostasse 
alla 
consegna 
di 
KL, tale 
giudice 
ritiene 
che 
si 
porrebbe 
allora 
la 
questione 
della 
proporzionalità 
della 
pena 
per la 
quale 
tale 
consegna 
è 
richiesta 
soltanto in relazione 
ai 
fatti 
per i 
quali tale condizione è soddisfatta. 


26 
A 
tale 
riguardo, 
in 
primo 
luogo, 
il 
giudice 
del 
rinvio 
osserva 
che 
la 
decisione 
quadro 
2002/584 
non 
contiene 
alcuna 
disposizione 
che 
consenta 
all’autorità 
giudiziaria 
dell’esecuzione 
di 
rifiutare 
la 
consegna 
dell’interessato per il 
motivo che 
la 
pena 
irrogata 
nello 
Stato 
membro 
emittente 
risulti 
sproporzionata 
rispetto 
ai 
fatti 
per 
i 
quali 
è 
prevista 
la 
consegna. 


27 In secondo luogo, sebbene, ai 
sensi 
dell’articolo 5 di 
tale 
decisione 
quadro, l’esecuzione 
del 
mandato d’arresto europeo possa 
essere 
subordinata 
dalla 
legge 
dello Stato membro 
di 
esecuzione 
alla 
condizione 
che 
l’ordinamento giuridico dello Stato membro emittente 
preveda 
disposizioni 
che 
consentano 
una 
revisione 
della 
pena 
inflitta, 
ciò 
vale 
unicamente 
nell’ipotesi 
in cui 
il 
reato in base 
al 
quale 
il 
mandato d’arresto europeo è 
stato emesso sia 
punito con una pena o una misura di sicurezza privative della libertà a vita. 


28 Pertanto, anche 
se 
l’autorità 
giudiziaria 
dell’esecuzione 
ritenesse 
che 
esistano serie 
difficoltà 
in ordine 
alla 
proporzionalità 
del 
mandato d’arresto europeo, essa 
non potrebbe 
rifiutarsi, per tale 
motivo, di 
ordinare 
la 
consegna 
della 
persona 
ricercata 
ai 
fini 
dell’esecuzione 
della 
pena 
irrogata 
nello Stato membro emittente. Inoltre, poiché 
spetta, in linea 



RASSEGNA 
AVVOCATURA 
DELLO 
STATO -N. 2/2022 


di 
principio, all’autorità 
giudiziaria 
emittente 
verificare 
la 
proporzionalità 
di 
un mandato 
d’arresto 
europeo 
prima 
della 
sua 
emissione, 
nell’ipotesi 
in 
cui 
tale 
mandato 
sia 
rilasciato 
per l’esecuzione 
di 
una 
pena 
che 
punisce 
un reato unico caratterizzato da 
più condotte, 
ma 
delle 
quali 
solo alcune 
costituiscono reato ai 
sensi 
della 
legge 
dello Stato membro di 
esecuzione, 
potrebbe 
accadere 
che 
tale 
mandato 
non 
sia 
più 
proporzionato 
nella 
fase 
della 
sua esecuzione mentre lo era nella fase della sua emissione. 


29 In tali 
circostanze, alla 
luce 
dei 
diritti 
e 
dei 
principi 
giuridici 
fondamentali 
che 
devono 
essere 
rispettati 
nell’ambito del 
mandato d’arresto europeo, conformemente 
all’articolo 
1, 
paragrafo 
3, 
della 
decisione 
quadro 
2002/584, 
il 
giudice 
del 
rinvio 
si 
chiede 
se 
l’articolo 
49, paragrafo 3, della 
Carta, che 
stabilisce 
il 
principio secondo il 
quale 
l’intensità 
delle 
pene 
non dev’essere 
sproporzionata 
rispetto al 
reato di 
cui 
trattasi, imponga 
all’autorità 
giudiziaria 
dell’esecuzione 
di 
rifiutare 
l’esecuzione 
di 
un 
mandato 
d’arresto 
europeo 
qualora, 
da 
un lato, quest’ultimo sia 
stato emesso ai 
fini 
dell’esecuzione 
di 
una 
pena 
unica 
che 
punisce 
un reato unico e, dall’altro, una 
parte 
dei 
fatti 
per i 
quali 
tale 
pena 
è 
stata 
inflitta 
non costituisce reato ai sensi della legge dello Stato membro di esecuzione. 


30 In tali 
circostanze, la 
Cour de 
cassation (Corte 
di 
cassazione) ha 
deciso di 
sospendere 
il 
procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali: 
«1) 
Se 
l’articolo 
2, 
paragrafo 
4, 
e 
l’articolo 
4, 
[punto] 
1, 
della 
decisione 
quadro 
2002/584 
debbano 
essere 
interpretati 
nel 
senso 
che 
la 
condizione 
della 
doppia 
incriminazione 
[del 
fatto] 
è 
soddisfatta 
in 
una 
situazione, 
come 
quella 
di 
cui 
trattasi 
nel 
procedimento 
principale, 
in 
cui 
la 
consegna 
è 
richiesta 
per 
atti 
che 
sono 
stati 
qualificati, 
nello 
Stato 
[membro] 
emittente, 
come 
“devastazione 
e 
saccheggio”, 
consistenti 
in 
fatti 
di 
devastazione 
e 
saccheggio 
idonei 
a 
provocare 
una 
violazione 
dell’ordine 
pubblico, 
quando 
nello 
Stato 
[membro] 
di 
esecuzione 
esistono 
le 
fattispecie 
di 
reato 
di 
furto 
con 
danneggiamento, 
distruzione 
e 
deterioramento 
che 
non 
richiedono 
tale 
elemento 
di 
violazione 
dell’ordine 
pubblico. 


2) 
In 
caso 
di 
risposta 
affermativa 
alla 
prima 
questione, 
se 
l’articolo 
2, 
paragrafo 
4, 
e 
l’articolo 
4, 
[punto] 
1, 
della 
decisione 
quadro 
2002/584 
debbano 
essere 
interpretati 
nel 
senso 
che 
l’organo 
giurisdizionale 
dello 
Stato 
[membro] 
di 
esecuzione 
può 
rifiutare 
di 
eseguire 
un 
mandato 
d’arresto 
europeo 
emesso 
per 
l’esecuzione 
di 
una 
pena, 
qualora 
esso 
constati 
che 
l’interessato 
è 
stato 
condannato 
dalle 
autorità 
giudiziarie 
dello 
Stato 
[membro] 
emittente 
a 
tale 
pena 
per 
la 
commissione 
di 
un 
reato 
unico, 
la 
cui 
prevenzione 
contemplava 
diverse 
azioni, 
e 
solo 
alcune 
di 
tali 
azioni 
costituiscono 
un 
reato 
per 
lo 
Stato 
[membro] 
di 
esecuzione. 
Se 
occorra 
distinguere 
a 
seconda 
che 
le 
autorità 
giurisdizionali 
dello 
Stato 
[membro] 
emittente 
abbiano 
considerato 
tali 
diverse 
azioni 
come 
separabili 
o 
meno. 
3) Se 
l’articolo 49, paragrafo 3, della 
[Carta] imponga 
all’autorità 
giudiziaria 
dello Stato 
membro di 
esecuzione 
di 
rifiutare 
l’esecuzione 
di 
un mandato d’arresto europeo qualora, 
da 
un lato, esso sia 
stato emesso ai 
fini 
dell’esecuzione 
di 
una 
pena 
unica 
inflitta 
per reprimere 
un unico reato e,dall’altro, poiché 
alcuni 
dei 
fatti 
per i 
quali 
è 
stata 
pronunciata 
tale 
pena 
non costituiscono reato secondo il 
diritto dello Stato membro di 
esecuzione, la 
consegna possa essere concessa solo per alcuni di tali fatti». 
sulle questioni pregiudiziali 


Sulla prima questione 


31 Con la 
sua 
prima 
questione, il 
giudice 
del 
rinvio chiede, in sostanza, se 
l’articolo 2, paragrafo 
4, e 
l’articolo 4, punto 1, della 
decisione 
quadro 2002/584 debbano essere 
inter



CONTENZIOSO 
COmUNITARIO 
ED 
INTERNAZIONALE 
103 


pretati 
nel 
senso che 
la 
condizione 
della 
doppia 
incriminabilità 
del 
fatto è 
soddisfatta 
nel 
caso in cui 
un mandato d’arresto europeo sia 
emesso ai 
fini 
dell’esecuzione 
di 
una 
pena 
privativa 
della 
libertà 
inflitta 
per 
fatti 
che 
integrano, 
nello 
Stato 
membro 
emittente, 
un 
reato 
che 
richiede 
che 
tali 
fatti 
ledano 
un 
interesse 
giuridico 
tutelato 
in 
tale 
Stato 
membro, 
quando tali 
fatti 
costituiscono reato anche 
ai 
sensi 
della 
legge 
dello Stato membro di 
esecuzione, 
reato del 
quale 
la 
lesione 
di 
tale 
interesse 
giuridico tutelato non è 
un elemento 
costitutivo. 


32 
Conformemente 
a 
una 
giurisprudenza 
costante 
della 
Corte, 
per 
determinare 
la 
portata 
della 
condizione 
della 
doppia 
incriminabilità 
del 
fatto, si 
deve 
tenere 
conto non soltanto 
della 
lettera 
dell’articolo 2, paragrafo 4, e 
dell’articolo 4, punto 1, della 
decisione 
quadro 
2002/584, ma 
anche 
del 
loro contesto e 
degli 
scopi 
perseguiti 
dalla 
normativa 
di 
cui 
tali 
disposizioni 
fanno parte 
[v., in tal 
senso, sentenza 
del 
28 gennaio 2021, Spetsializirana 
prokuratura 
(Comunicazione 
dei 
diritti), C‑649/19, EU:C:2021:75, punto 42 e 
giurisprudenza 
citata]. 


33 
In 
primo 
luogo, 
dalla 
lettera 
dell’articolo 
2, 
paragrafo 
4, 
della 
decisione 
quadro 
2002/584 
risulta 
che 
la 
valutazione 
della 
condizione 
della 
doppia 
incriminabilità 
del 
fatto impone 
di 
verificare 
se 
i 
fatti 
per 
i 
quali 
è 
stato 
emesso 
il 
mandato 
d’arresto 
europeo 
costituiscano 
reato ai 
sensi 
della 
legge 
dello Stato membro di 
esecuzione, e 
ciò «indipendentemente 
dagli 
elementi 
costitutivi 
o dalla 
qualifica 
dello stesso». Correlativamente, l’articolo 4 di 
tale 
decisione 
quadro, 
riguardante 
i 
motivi 
di 
non 
esecuzione 
facoltativa 
del 
mandato 
d’arresto europeo, precisa, al 
punto 1, che 
l’autorità 
giudiziaria 
dell’esecuzione 
può rifiutare 
di 
eseguire 
il 
mandato d’arresto europeo se, in uno dei 
casi 
di 
cui 
all’articolo 2, 
paragrafo 4, di 
detta 
decisione 
quadro, il 
fatto che 
è 
alla 
base 
del 
mandato d’arresto europeo 
non costituisce reato ai sensi della legge dello Stato membro di esecuzione. 


34 Pertanto, al 
fine 
di 
determinare 
se 
la 
condizione 
della 
doppia 
incriminabilità 
del 
fatto sia 
soddisfatta, è 
necessario e 
sufficiente 
che 
i 
fatti 
che 
hanno dato luogo all’emissione 
del 
mandato 
d’arresto 
europeo 
costituiscano 
reato 
anche 
ai 
sensi 
della 
legge 
dello 
Stato 
membro 
di 
esecuzione. 
Ne 
consegue 
che 
non 
è 
necessario 
che 
i 
reati 
siano 
identici 
nei 
due 
Stati 
membri 
interessati 
(v., per analogia, a 
proposito dell’applicazione 
del 
principio del 
riconoscimento 
reciproco 
alle 
sentenze 
in 
materia 
penale, 
sentenza 
dell’11 
gennaio 
2017, 
Grundza, C‑289/15, EU:C:2017:4, punto 34). 


35 Infatti, dai 
termini 
«indipendentemente 
dagli 
elementi 
costitutivi 
o dalla 
qualifica» del 
reato come 
previsto nello Stato membro di 
esecuzione 
risulta 
chiaramente 
che 
il 
legislatore 
dell’Unione 
non 
ha 
ritenuto 
necessaria 
una 
corrispondenza 
esatta 
tra 
gli 
elementi 
costitutivi 
del 
reato, 
quale 
definito 
dalle 
leggi, 
rispettivamente, 
dello 
Stato 
membro 
di 
emissione 
e 
dello Stato membro di 
esecuzione, né 
nella 
denominazione 
o nella 
classificazione 
di 
tale 
reato 
secondo 
tali 
leggi 
nazionali 
(v., 
per 
analogia, 
sentenza 
dell’11 
gennaio 
2017, Grundza, C‑289/15, EU:C:2017:4, punto 35). 


36 Ne 
consegue 
che, nel 
valutare 
la 
condizione 
della 
doppia 
incriminabilità 
del 
fatto, al 
fine 
di 
determinare 
se 
sussista 
un motivo di 
non esecuzione 
del 
mandato d’arresto europeo ai 
sensi 
dell’articolo 4, punto 1, della 
decisione 
quadro 2002/584, l’autorità 
giudiziaria 
del-
l’esecuzione 
è 
tenuta 
a 
verificare 
se 
gli 
elementi 
di 
fatto alla 
base 
del 
reato che 
ha 
dato 
luogo 
all’emissione 
di 
tale 
mandato 
d’arresto 
europeo 
sarebbero 
altresì, 
in 
quanto 
tali, 
costitutivi 
di 
un reato ai 
sensi 
della 
legge 
dello Stato membro di 
esecuzione 
nell’ipotesi 
in cui 
si 
fossero verificati 
nel 
territorio di 
quest’ultimo (v., per analogia, sentenza 
dell’11 
gennaio 2017, Grundza, C‑289/15, EU:C:2017:4, punto 38). 



RASSEGNA 
AVVOCATURA 
DELLO 
STATO -N. 2/2022 


37 
In 
secondo 
luogo, 
anche 
il 
contesto 
in 
cui 
si 
iscrivono 
l’articolo 
2, 
paragrafo 
4, 
e 
l’articolo 
4, punto 1, della 
decisione 
quadro 2002/584, nonché 
gli 
obiettivi 
di 
tale 
decisione 
quadro 
depongono a favore di tale interpretazione. 


38 
In 
proposito, 
occorre 
ricordare 
che 
detta 
decisione 
quadro 
è 
diretta, 
mediante 
l’istituzione 
di 
un sistema 
semplificato ed efficace 
di 
consegna 
delle 
persone 
condannate 
o sospettate 
di 
aver 
violato 
la 
legge 
penale, 
a 
facilitare 
e 
ad 
accelerare 
la 
cooperazione 
giudiziaria 
allo 
scopo 
di 
contribuire 
a 
realizzare 
l’obiettivo 
assegnato 
all’Unione 
europea 
di 
diventare 
uno spazio di 
libertà, di 
sicurezza 
e 
di 
giustizia 
fondandosi 
sull’elevato livello di 
fiducia 
che 
deve 
esistere 
tra 
gli 
Stati 
membri 
[sentenza 
del 
22 
febbraio 
2022, 
Openbaar 
ministerie 
(Corte 
istituita 
per 
legge 
nello 
Stato 
membro 
emittente), 
C‑562/21 
PPU 
e 
C‑563/21 
PPU, 
EU:C:2022:100, paragrafo 42 e giurisprudenza citata]. 


39 
Il 
principio 
del 
riconoscimento 
reciproco, 
che 
costituisce, 
secondo 
il 
considerando 
6 
della 
decisione 
quadro 
2002/584, 
il 
«fondamento» 
della 
cooperazione 
giudiziaria 
in 
materia 
penale, 
trova 
espressione 
all’articolo 
1, 
paragrafo 
2, 
della 
decisione 
quadro 
in 
parola, 
che 
sancisce 
la 
regola 
secondo 
cui 
gli 
Stati 
membri 
sono 
tenuti 
a 
dare 
esecuzione 
a 
ogni 
mandato 
d’arresto europeo in base 
a 
tale 
principio e 
conformemente 
alle 
disposizioni 
di 
detta 
decisione 
quadro 
[sentenza 
del 
22 
febbraio 
2022, 
Openbaar 
ministerie 
(Corte 
istituita 
per 
legge 
nello 
Stato 
membro 
emittente) 
C‑562/21 
PPU 
e 
C‑563/21 
PPU,EU:C:2022:100, 
punto 43 e giurisprudenza citata]. 


40 Ne 
consegue 
che 
le 
autorità 
giudiziarie 
dell’esecuzione 
possono, in via 
di 
principio, rifiutare 
di 
eseguire 
un mandato d’arresto europeo solo per i 
motivi 
di 
non esecuzione 
tassativamente 
elencati 
dalla 
decisione 
quadro 
2002/584 
e 
possono 
subordinare 
l’esecuzione 
del 
medesimo esclusivamente 
a 
una 
delle 
condizioni 
tassativamente 
previste 
all’articolo 
5 di 
tale 
decisione 
quadro. Di 
conseguenza, mentre 
l’esecuzione 
del 
mandato d’arresto 
europeo costituisce 
il 
principio, il 
rifiuto di 
esecuzione 
è 
concepito come 
un’eccezione 
che 
deve 
essere 
oggetto 
di 
interpretazione 
restrittiva 
[sentenza 
del 
22 
febbraio 
2022, 
Openbaar ministerie 
(Corte 
istituita 
per legge 
nello Stato membro emittente), C‑562/21 
PPU e C‑563/21 PPU, EU:C:2022:100, punto 44 e giurisprudenza citata]. 


41 
Il 
principio 
del 
riconoscimento 
reciproco, 
che 
è 
alla 
base 
del 
meccanismo 
di 
consegna 
istituito dalla 
decisione 
quadro 2002/584, ha 
condotto, in particolare, alla 
compilazione, 
all’articolo 2, paragrafo 2, di 
tale 
decisione 
quadro, di 
un elenco di 
reati 
che 
danno luogo 
alla 
consegna 
della 
persona 
interessata 
sulla 
base 
di 
un 
mandato 
europeo 
senza 
il 
controllo 
della doppia incriminabilità del fatto. 


42 Per i 
reati 
che 
non figurano in tale 
elenco, l’articolo 2, paragrafo 4, di 
detta 
decisione 
quadro prevede 
la 
facoltà 
per lo Stato membro di 
esecuzione 
di 
subordinare 
l’esecuzione 
del 
mandato 
d’arresto 
europeo 
alla 
circostanza 
che 
sia 
soddisfatta 
la 
condizione 
della 
doppia incriminabilità del fatto. 


43 
Tale 
condizione 
costituisce, 
ai 
sensi 
dell’articolo 
4, 
punto 
1, 
della 
medesima 
decisione 
quadro, un motivo di 
non esecuzione 
facoltativa 
del 
mandato d’arresto europeo e, pertanto, 
un’eccezione 
alla 
regola 
secondo 
la 
quale 
il 
mandato 
d’arresto 
europeo 
deve 
essere 
eseguito, 
cosicché 
l’ambito 
di 
applicazione 
di 
tale 
motivo 
di 
non 
esecuzione 
del 
mandato 
d’arresto europeo deve 
essere 
interpretato in maniera 
restrittiva 
al 
fine 
di 
limitare 
i 
casi 
di 
non esecuzione 
di 
tale 
mandato d’arresto (v., per analogia, sentenza 
dell’11 gennaio 
2017, Grundza, C‑289/15, EU:C:2017:4, punto 46). 


44 
Pertanto, 
sebbene 
l’articolo 
4, 
punto 
1, 
della 
decisione 
quadro 
2002/584 
conferisca 
al-
l’autorità 
giudiziaria 
dell’esecuzione 
il 
potere 
di 
rifiutare 
l’esecuzione 
del 
mandato d’ar



CONTENZIOSO 
COmUNITARIO 
ED 
INTERNAZIONALE 
105 


resto europeo qualora 
la 
condizione 
della 
doppia 
incriminabilità 
del 
fatto non sia 
soddisfatta, 
tale 
disposizione, in quanto sancisce 
una 
regola 
derogatoria 
rispetto al 
principio 
del 
riconoscimento reciproco enunciato all’articolo 1, paragrafo 2, di 
tale 
decisione 
quadro, 
non può essere 
interpretata 
in una 
maniera 
che 
induca 
a 
neutralizzare 
l’obiettivo ricordato 
ai 
punti 
da 
38 
a 
40 
della 
presente 
sentenza, 
consistente 
nel 
facilitare 
ed 
accelerare 
le 
consegne 
tra 
le 
autorità 
giudiziarie 
degli 
Stati 
membri 
tenuto conto della 
fiducia 
reciproca 
che 
deve 
esistere 
tra 
di 
essi 
[v., per analogia, sentenza 
del 
24 settembre 
2020, Generalbundesanwalt 
beim 
Bundesgerichtshof 
(Principio 
di 
specialità), 
C‑195/20 
PPU,EU:C:2020:749, punto 35 e giurisprudenza citata]. 


45 
Orbene, 
interpretare 
la 
condizione 
della 
doppia 
incriminabilità 
del 
fatto 
nel 
senso 
che 
tale 
condizione 
richiede 
l’esistenza 
di 
una 
corrispondenza 
esatta 
tra 
gli 
elementi 
costitutivi 
del 
reato 
come 
qualificato 
dalla 
legge 
dello 
Stato 
membro 
emittente 
e 
quelli 
del 
reato 
previsto 
dalla 
legge 
dello Stato membro di 
esecuzione, così 
come 
per quanto riguarda 
l’interesse 
giuridico 
tutelato 
dalle 
leggi 
di 
questi 
due 
Stati 
membri, 
pregiudicherebbe 
l’effettività della procedura di consegna. 


46 Infatti, alla 
luce 
dell’armonizzazione 
minima 
nell’ambito del 
diritto penale 
a 
livello del-
l’Unione, 
una 
siffatta 
corrispondenza 
esatta 
può 
non 
sussistere 
per 
un 
gran 
numero 
di 
reati. L’interpretazione 
prospettata 
al 
punto precedente 
limiterebbe 
di 
conseguenza 
considerevolmente 
i 
casi 
nei 
quali 
la 
condizione 
della 
doppia 
incriminabilità 
del 
fatto 
potrebbe 
essere 
soddisfatta, 
mettendo 
così 
a 
repentaglio 
l’obiettivo 
perseguito 
dalla 
decisione 
quadro 
2002/584. 


47 Inoltre, e 
di 
conseguenza, tale 
interpretazione 
disattenderebbe 
anche 
l’obiettivo consistente 
nel 
lottare 
contro l’impunità 
di 
una 
persona 
ricercata 
che 
si 
trovi 
in un territorio 
diverso da 
quello nel 
quale 
ha 
commesso il 
reato, obiettivo anch’esso previsto dalla 
decisione 
quadro 2002/584 [v., in tal 
senso, sentenza 
del 
17 dicembre 
2020, Openbaar ministerie 
(Indipendenza 
dell’autorità 
giudiziaria 
emittente), 
C‑354/20 
PPU 
e 
C‑412/20 
PPU, EU:C:2020:1033, punto 62 e giurisprudenza citata]. 


48 Infatti, interpretare 
la 
condizione 
della 
doppia 
incriminabilità 
del 
fatto nel 
senso che 
tale 
condizione 
richiede 
che 
l’interesse 
giuridico 
tutelato 
la 
cui 
violazione 
sia 
un 
elemento 
costitutivo del 
reato ai 
sensi 
della 
legge 
dello Stato membro emittente 
dev’essere 
un elemento 
costitutivo 
del 
reato 
ai 
sensi 
della 
legge 
dello 
Stato 
membro 
di 
esecuzione 
potrebbe 
portare 
al 
rifiuto 
della 
consegna 
della 
persona 
interessata 
in 
esecuzione 
del 
mandato 
d’arresto 
europeo, 
nonostante 
tale 
persona 
sia 
stata 
oggetto 
di 
una 
condanna 
nello 
Stato 
membro 
emittente 
e 
i 
fatti 
per 
i 
quali 
tale 
mandato 
d’arresto 
europeo 
è 
stato 
emesso 
costituiscano reato ai sensi della legge dello Stato membro di esecuzione. 


49 Pertanto, l’applicazione 
della 
condizione 
della 
doppia 
incriminabilità 
del 
fatto non può 
esigere 
che 
l’autorità 
giudiziaria 
dell’esecuzione 
verifichi 
che 
la 
lesione 
dell’interesse 
giuridico tutelato dalla 
legge 
dello Stato membro emittente 
sia 
anche 
un elemento costitutivo 
del reato ai sensi della legge dello Stato membro di esecuzione. 


50 Di 
conseguenza, è 
irrilevante 
che 
i 
fatti 
che 
hanno dato luogo all’emissione 
del 
mandato 
d’arresto europeo integrino, nello Stato membro emittente, un reato che 
richiede 
che 
tali 
fatti 
siano tali 
da 
ledere 
un interesse 
giuridico tutelato in forza 
della 
legge 
di 
tale 
Stato 
membro, 
come, 
nel 
caso 
di 
specie, 
la 
violazione 
dell’ordine 
pubblico, 
mentre 
tale 
elemento 
non è 
necessario ai 
sensi 
della 
legge 
dello Stato membro di 
esecuzione 
affinché 
i 
medesimi fatti possano costituire reato. 


51 
In 
considerazione 
di 
quanto 
precede, 
occorre 
rispondere 
alla 
prima 
questione 
dichiarando 



RASSEGNA 
AVVOCATURA 
DELLO 
STATO -N. 2/2022 


che 
l’articolo 2, paragrafo 4, e 
l’articolo 4, punto 1, della 
decisione 
quadro 2002/584 devono 
essere 
interpretati 
nel 
senso che 
la 
condizione 
della 
doppia 
incriminabilità 
del 
fatto 
è 
soddisfatta 
nel 
caso in cui 
un mandato d’arresto europeo sia 
emesso ai 
fini 
dell’esecuzione 
di 
una 
pena 
privativa 
della 
libertà 
inflitta 
per 
fatti 
che 
integrano, 
nello 
Stato 
membro 
emittente, un reato che 
richiede 
che 
tali 
fatti 
ledano un interesse 
giuridico tutelato in tale 
Stato membro, quando i 
suddetti 
fatti 
costituiscono reato anche 
ai 
sensi 
della 
legge 
dello 
Stato membro di 
esecuzione, reato del 
quale 
la 
lesione 
di 
tale 
interesse 
giuridico tutelato 
non è un elemento costitutivo. 


Sulle questioni seconda e terza 


52 Con le 
questioni 
seconda 
e 
terza, che 
occorre 
esaminare 
congiuntamente, il 
giudice 
del 
rinvio chiede, in sostanza, se 
l’articolo 2, paragrafo 4, e 
l’articolo 4, punto 1, della 
decisione 
quadro 2002/584, letti 
alla 
luce 
dell’articolo 49, paragrafo 3, della 
Carta, debbano 
essere 
interpretati 
nel 
senso 
che 
l’autorità 
giudiziaria 
dell’esecuzione 
può 
rifiutare 
di 
eseguire 
un mandato d’arresto europeo emesso ai 
fini 
dell’esecuzione 
di 
una 
pena 
privativa 
della 
libertà, 
qualora 
tale 
pena 
sia 
stata 
inflitta, 
nello 
Stato 
membro 
emittente, 
per 
la 
commissione, 
da 
parte 
della 
persona 
ricercata, di 
un reato unico composto da 
più fatti 
di 
cui 
solo una parte costituisce reato nello Stato membro dell’esecuzione. 


53 In via 
preliminare, occorre 
constatare 
che 
l’articolo 2, paragrafo 4, e 
l’articolo 4, punto 1, 
della 
decisione 
quadro 
2002/584 
non 
prevedono 
espressamente 
l’ipotesi 
secondo 
la 
quale 
l’esecuzione 
di 
un 
mandato 
d’arresto 
europeo 
possa 
essere 
rifiutata 
per 
il 
motivo 
che 
solo 
una 
parte 
dei 
fatti 
che 
hanno dato luogo al 
reato unico nello Stato membro emittente 
su 
cui 
si 
fonda 
tale 
mandato 
d’arresto 
europeo 
costituisce 
reato 
ai 
sensi 
della 
legge 
dello 
Stato membro di esecuzione. 


54 In tali 
circostanze, occorre 
tenere 
conto del 
contesto nel 
quale 
tali 
disposizioni 
si 
inseriscono 
nonché degli obiettivi perseguiti dalla decisione quadro 2002/584. 


55 
In 
primo 
luogo, 
dalla 
risposta 
alla 
prima 
questione 
risulta 
che 
non 
è 
rilevante, 
ai 
fini 
della 
valutazione 
della 
condizione 
della 
doppia 
incriminabilità 
del 
fatto, che 
i 
fatti 
per i 
quali 
è 
stato 
emesso 
il 
mandato 
d’arresto 
europeo 
siano 
stati 
qualificati 
come 
reato 
unico 
ai 
sensi della legge dello Stato membro emittente. 


56 Infatti, come 
risulta 
dal 
punto 51 della 
presente 
sentenza, tale 
valutazione 
si 
limita 
a 
stabilire 
se, nel 
caso in cui 
i 
fatti 
di 
cui 
trattasi 
si 
fossero verificati 
nel 
territorio dello Stato 
membro 
di 
esecuzione, 
tali 
fatti 
avrebbero 
costituito 
reato 
anche 
ai 
sensi 
della 
legge 
dello 
Stato membro di 
esecuzione, indipendentemente 
dagli 
elementi 
costitutivi 
di 
tale 
reato e 
dalla qualificazione presi in considerazione nello Stato membro emittente. 


57 
In 
secondo 
luogo, 
per 
quanto 
riguarda 
la 
questione 
se 
l’autorità 
giudiziaria 
dell’esecuzione 
possa 
rinvenire 
un motivo di 
non esecuzione 
del 
mandato d’arresto europeo nella 
circostanza 
che 
solo 
una 
parte 
di 
detti 
fatti 
costituisce 
reato 
ai 
sensi 
della 
legge 
dello 
Stato 
membro di 
esecuzione, occorre 
ricordare, come 
indicato al 
punto 43 della 
presente 
sentenza, 
che 
la 
condizione 
della 
doppia 
incriminabilità 
del 
fatto è 
annoverata 
tra 
i 
motivi 
di 
non esecuzione 
facoltativa 
del 
mandato d’arresto europeo, elencati 
all’articolo 4 di 
tale 
decisione 
quadro, i 
quali 
devono essere 
interpretati 
restrittivamente, al 
fine 
di 
limitare 
i 
casi di non esecuzione del mandato d’arresto europeo. 


58 Di 
conseguenza, come 
rilevato, in sostanza, dall’avvocato generale 
al 
paragrafo 55 delle 
sue 
conclusioni, salvo estendere 
il 
motivo di 
non esecuzione 
di 
cui 
all’articolo 4, punto 
1, della 
decisione 
quadro 2002/584 alla 
parte 
dei 
fatti 
che 
costituisce 
reato ai 
sensi 
della 
legge 
dello Stato membro di 
esecuzione 
e 
che 
non rientra 
quindi 
nell’ambito di 
applica



CONTENZIOSO 
COmUNITARIO 
ED 
INTERNAZIONALE 
107 


zione 
di 
tale 
motivo, la 
circostanza 
che 
solo una 
parte 
dei 
fatti 
che 
compongono un reato 
nello 
Stato 
membro 
emittente 
costituisce 
reato 
anche 
ai 
sensi 
della 
legge 
dello 
Stato 
membro 
di 
esecuzione 
non può consentire 
all’autorità 
giudiziaria 
dell’esecuzione 
di 
rifiutare 
di eseguire il mandato d’arresto europeo. 


59 Tale interpretazione è corroborata dall’impianto sistematico di tale decisione quadro. 


60 
Infatti, 
anche 
supponendo 
che, 
nella 
circostanza 
di 
cui 
al 
punto 
58 
della 
presente 
sentenza, 
la 
consegna 
sia 
subordinata 
alla 
condizione 
che 
la 
persona 
interessata 
non 
subisca 
la 
pena 
nello 
Stato 
membro 
emittente 
per 
la 
parte 
dei 
fatti 
che 
non 
costituisce 
reato 
nello 
Stato 
membro 
di 
esecuzione, 
occorre 
rilevare 
che 
una 
siffatta 
condizione 
non 
figura 
all’articolo 
5 
della 
decisione 
quadro 
2002/584. 
Orbene, 
la 
Corte 
ha 
ripetutamente 
dichiarato 
che 
l’esecuzione 
del 
mandato 
d’arresto 
europeo 
può 
essere 
subordinata 
soltanto 
ad 
una 
delle 
condizioni 
tassativamente 
previste 
dal 
suddetto 
articolo 
5 
[v., 
in 
tal 
senso, 
sentenza 
del 
3 
marzo 
2020, 
X 
(mandato 
d’arresto 
europeo 
-Doppia 
incriminazione), 
C‑717/18, 
EU:C:2020:142, 
punto 
41 
e 
giurisprudenza 
citata]. 


61 L’interpretazione 
dell’articolo 2, paragrafo 4, e 
dell’articolo 4, punto 1, della 
decisione 
quadro 
2002/584, 
esposta 
ai 
punti 
precedenti 
della 
presente 
sentenza, 
è 
inoltre 
corroborata 
dall’analisi 
degli 
obiettivi 
perseguiti 
dalla 
decisione 
quadro 
2002/584, 
rammentati 
ai 
punti 
da 
38 a 
40 e 
47 di 
tale 
sentenza, ossia, da 
un lato, l’obiettivo consistente 
nel 
facilitare 
e 
accelerare 
le 
consegne 
tra 
le 
autorità 
giudiziarie 
degli 
Stati 
membri 
in 
considerazione 
della 
fiducia 
reciproca 
che 
deve 
esistere 
tra 
di 
loro 
e, 
dall’altro, 
quello 
consistente 
nel 
lottare 
contro 
l’impunità 
di 
una 
persona 
ricercata 
che 
si 
trovi 
in 
un 
territorio 
diverso 
da 
quello nel quale essa ha asseritamente commesso un reato. 


62 Come 
sostiene, in sostanza, il 
governo francese 
nelle 
sue 
osservazioni 
scritte, l’interpretazione 
della 
condizione 
della 
doppia 
incriminabilità 
del 
fatto nel 
senso che 
l’esecuzione 
del 
mandato d’arresto europeo potrebbe 
essere 
rifiutata 
per il 
motivo che 
una 
parte 
dei 
fatti 
incriminati 
nello Stato membro emittente 
non costituisce 
reato nello Stato membro 
di 
esecuzione 
creerebbe 
ostacoli 
alla 
consegna 
effettiva 
della 
persona 
interessata 
e 
condurrebbe 
all’impunità 
di 
quest’ultima 
per 
l’insieme 
dei 
fatti 
di 
cui 
trattasi. 
Invero, 
tale 
interpretazione 
porterebbe 
a 
rifiutare 
la 
consegna 
anche 
qualora 
una 
parte 
di 
tali 
fatti 
soddisfi tale condizione. 


63 Pertanto, si 
deve 
ritenere 
che 
la 
condizione 
della 
doppia 
incriminabilità 
del 
fatto sia 
soddisfatta 
qualora 
il 
mandato 
d’arresto 
europeo 
sia 
emesso 
ai 
fini 
dell’esecuzione 
di 
una 
pena 
privativa 
della 
libertà, sebbene 
tale 
pena 
sia 
stata 
inflitta, nello Stato membro emittente, 
per la 
commissione 
da 
parte 
della 
persona 
ricercata 
di 
un reato unico composto da 
più fatti di cui solo una parte costituisce reato nello Stato membro di esecuzione. 


64 Una 
siffatta 
interpretazione 
è 
altresì 
conforme 
al 
principio di 
proporzionalità 
dei 
reati 
e 
delle 
pene, 
previsto 
all’articolo 
49, 
paragrafo 
3, 
della 
Carta, 
su 
cui 
vertono 
gli 
interrogativi 
del giudice del rinvio. 


65 
Infatti, 
da 
un 
lato, 
nel 
sistema 
istituito 
dalla 
decisione 
quadro 
2002/584, 
il 
rispetto 
del 
principio 
di 
proporzionalità 
dei 
reati 
e 
delle 
pene 
è 
garantito 
dalle 
autorità 
giudiziarie 
dello 
Stato 
membro 
emittente. 
La 
Corte 
ha 
dichiarato 
che 
la 
garanzia 
del 
rispetto 
dei 
diritti 
della 
persona 
di 
cui 
è 
stata 
chiesta 
la 
consegna 
rientra 
in primo luogo nella 
responsabilità 
dello 
Stato 
membro 
emittente 
[sentenze 
del 
23 
gennaio 
2018, 
Piotrowski, 
C‑367/16, 
EU:C:2018:27, 
punto 
50, 
e 
del 
6 
dicembre 
2018, 
IK 
(Esecuzione 
di 
una 
pena 
supplementare), 
C‑551/18 PPU, EU:C:2018:991, punto 66]. 


66 
Dall’altro 
lato, 
come 
rilevato 
dall’avvocato 
generale 
al 
paragrafo 
63 
delle 
sue 
conclusioni, 



RASSEGNA 
AVVOCATURA 
DELLO 
STATO -N. 2/2022 


il 
carattere 
eventualmente 
sproporzionato 
della 
pena 
inflitta 
nello 
Stato 
membro 
emittente 
non 
figura 
tra 
i 
motivi 
di 
non 
esecuzione 
obbligatoria 
e 
facoltativa 
di 
un 
mandato 
d’arresto 
europeo elencati agli articoli 3, 4 e 4 bis della decisione quadro 2002/584. 


67 Inoltre, dal 
punto 36 della 
presente 
sentenza 
risulta 
che 
la 
condizione 
della 
doppia 
incriminabilità 
del 
fatto implica 
unicamente 
di 
verificare 
se 
gli 
elementi 
di 
fatto del 
reato che 
ha 
dato 
luogo 
all’emissione 
di 
tale 
mandato 
d’arresto 
europeo 
sarebbero 
altresì, 
di 
per 
sé, 
costitutivi 
di 
un reato ai 
sensi 
della 
legge 
dello Stato membro di 
esecuzione 
nell’ipotesi 
in cui essi si fossero verificati nel territorio di quest’ultimo. 


68 
Non 
spetta 
pertanto 
all’autorità 
giudiziaria 
dell’esecuzione, 
nell’ambito 
della 
valutazione 
di 
tale 
condizione, 
valutare 
la 
pena 
inflitta 
nello 
Stato 
membro 
di 
emissione 
alla 
luce 
del-
l’articolo 49, paragrafo 3, della Carta. 


69 Tenuto conto di 
tutte 
le 
considerazioni 
che 
precedono, occorre 
rispondere 
alla 
seconda 
e 
alla 
terza 
questione 
dichiarando che 
l’articolo 2, paragrafo 4, e 
l’articolo 4, punto 1, della 
decisione 
quadro 
2002/584, 
letti 
alla 
luce 
dell’articolo 
49, 
paragrafo 
3, 
della 
Carta, 
devono 
essere 
interpretati 
nel 
senso che 
l’autorità 
giudiziaria 
dell’esecuzione 
non può rifiutare 
di 
eseguire 
un mandato d’arresto europeo emesso ai 
fini 
dell’esecuzione 
di 
una 
pena 
privativa 
della 
libertà, quando tale 
pena 
è 
stata 
inflitta, nello Stato membro emittente, per la 
commissione, da 
parte 
della 
persona 
ricercata, di 
un reato unico composto da 
più fatti 
di 
cui solo una parte costituisce reato nello Stato membro di esecuzione. 
sulle spese 


70 Nei 
confronti 
delle 
parti 
nel 
procedimento principale 
la 
presente 
causa 
costituisce 
un incidente 
sollevato dinanzi 
al 
giudice 
nazionale, cui 
spetta 
quindi 
statuire 
sulle 
spese. Le 
spese 
sostenute 
da 
altri 
soggetti 
per presentare 
osservazioni 
alla 
Corte 
non possono dar 
luogo a rifusione. 
Per questi motivi, la Corte (Terza Sezione) dichiara: 


1) 
l’articolo 
2, 
paragrafo 
4, 
e 
l’articolo 
4, 
punto 
1, 
della 
decisione 
quadro 
2002/584/Gai 
del 
Consiglio, del 
13 giugno 2002, relativa al 
mandato d’arresto europeo e 
alle 
procedure 
di 
consegna 
tra 
stati 
membri, 
come 
modificata 
dalla 
decisione 
quadro 
2009/299/Gai 
del 
Consiglio, 
del 
26 
febbraio 
2009, 
devono 
essere 
interpretati 
nel 
senso che 
la condizione 
della doppia incriminabilità del 
fatto, prevista da tali 
disposizioni, 
è 
soddisfatta nel 
caso in 
cui 
un 
mandato d’arresto europeo sia emesso ai 
fini 
dell’esecuzione 
di 
una 
pena 
privativa 
della 
libertà 
inflitta 
per 
fatti 
che 
integrano, 
nello 
stato 
membro 
emittente, 
un 
reato 
che 
richiede 
che 
tali 
fatti 
ledano 
un 
interesse 
giuridico tutelato in 
tale 
stato membro, quando i 
suddetti 
fatti 
costituiscono reato 
anche 
ai 
sensi 
della 
legge 
dello 
stato 
membro 
di 
esecuzione, 
reato 
del 
quale 
la 
lesione 
di tale interesse giuridico tutelato non è un elemento costitutivo. 
2) l’articolo 2, paragrafo 4, e 
l’articolo 4, punto 1, della decisione 
quadro 2002/584, 
come 
modificata dalla decisione 
quadro 2009/299, letti 
alla luce 
dell’articolo 49, paragrafo 
3, della Carta dei 
diritti 
fondamentali 
dell’unione 
europea, devono essere 
interpretati 
nel 
senso che 
l’autorità giudiziaria dell’esecuzione 
non 
può rifiutare 
di 
eseguire 
un 
mandato d’arresto europeo emesso ai 
fini 
dell’esecuzione 
di 
una pena 
privativa della libertà, quando tale 
pena è 
stata inflitta, nello stato membro emittente, 
per 
la commissione, da parte 
della persona ricercata, di 
un 
reato unico composto 
da 
più 
fatti 
di 
cui 
solo 
una 
parte 
costituisce 
reato 
nello 
stato 
membro 
di 
esecuzione. 

CONTENZIOSONAZIONALE
Reati associativi e giudice naturale: brevi considerazioni su 
Cassazione penale, Sez. II, n. 45584 del 1 dicembre 2022 


Federico Casu* 


Sommario: 
1. 
La 
pronuncia 
in 
sintesi 
-2. 
La 
competenza 
territoriale 
nei 
reati 
associativi 
nella 
giurisprudenza 
della 
Corte 
di 
Cassazione 
-3. 
La 
positività 
dell’ordinamento 
tra 
certezza 
del diritto e giustizia sostanziale. 


1. La pronuncia in sintesi. 
La 
Corte 
di 
Cassazione 
è 
recentemente 
tornata 
sul 
tema 
della 
competenza 
territoriale del giudice nei reati associativi. 


Il 
caso di 
specie 
origina 
da 
un’ordinanza, adottata 
in sede 
di 
riesame, con 
la 
quale 
il 
Tribunale 
di 
Roma 
confermava 
la 
legittimità 
di 
un provvedimento 
cautelare, in carcere, adottato dal 
giudice 
per le 
indagini 
preliminari 
nei 
confronti 
di 
un soggetto indagato per 416-bis 
c.p., in concorso con tutta 
un’altra 
serie 
di 
delitti 
fra 
i 
quali 
l’estorsione 
(art. 
629 
c.p.) 
e 
la 
detenzione 
di 
armi 
(legge n. 895 del 1967). 


In 
particolare, 
l’autorità 
giudiziaria 
contestava 
all’interessato 
il 
suo 
ruolo 
operativo all’interno di 
una 
locale 
di 
‘ndragheta 
costituita 
a 
Roma 
dietro autorizzazione 
di 
un sodalizio, gerarchicamente 
sovraordinato (la 
c.d. “provincia”), 
attivo in provincia di Reggio Calabria. 


Il 
ricorso 
in 
Cassazione 
fa 
perno 
su 
un’asserita 
violazione 
di 
legge 
per 
avere 
il 
Tribunale 
del 
riesame 
disatteso l’eccezione 
di 
incompetenza 
per territorio, 
essendo la 
“locale” 
romana 
una 
diretta 
promanazione 
della 
più importante 
organizzazione 
reggina, 
con 
conseguente 
attrazione 
della 
competenza 
territoriale in favore delle autorità giudiziarie calabresi. 


(*) Viceprefetto. 



RASSegnA 
AVVoCATURA 
deLLo 
STATo -n. 2/2022 


I 
giudici 
della 
seconda 
sezione, 
nel 
dichiarare 
il 
ricorso 
infondato, 
hanno, 
viceversa, 
riconosciuto 
la 
legittimità 
del 
provvedimento 
cautelare 
e, 
quindi, 
la 
piena 
competenza 
dei 
colleghi 
romani 
in ragione 
dell’autonomia 
organizzativa 
e 
funzionale 
della 
locale 
attiva 
nella 
Capitale, ove, peraltro, risultava 
commessa la maggior parte dei reati-fine del sodalizio in parola. 

2. La competenza territoriale 
nei 
reati 
associativi 
nella giurisprudenza della 
Corte di Cassazione. 
La 
pronuncia 
in 
commento 
si 
inserisce 
in 
un 
articolato 
contesto 
giurisprudenziale 
riguardante 
l’interpretazione 
degli 
articoli 
8 e 
9 del 
codice 
di 
procedura 
penale 
in 
merito 
alla 
definizione 
degli 
ambiti 
della 
competenza 
territoriale 
del giudice nei reati associativi. 


Al 
riguardo, 
si 
sono 
nel 
tempo 
delineati 
tre 
distinti 
orientamenti 
qui 
di 
seguito sintetizzati. 


Un primo indirizzo predilige 
il 
criterio secondo cui 
la 
competenza 
territoriale 
si 
radicherebbe 
nel 
luogo in cui 
l’associazione 
si 
è 
costituita: 
più precisamente, 
essendo 
il 
delitto 
associativo 
un 
reato 
di 
natura 
permanente, 
la 
consumazione, ai 
sensi 
dell’art. 8, primo comma, c.p.p., si 
avrebbe 
nel 
momento 
e nel luogo di costituzione del vincolo associativo (1). 


Un 
secondo 
indirizzo, 
viceversa, 
sostiene 
che 
la 
competenza 
per 
territorio 
sorga 
con 
riferimento 
al 
luogo 
in 
cui 
l’associazione 
ha 
iniziato 
concretamente 
ad 
agire, 
ovvero 
nel 
contesto 
in 
cui 
l’operatività 
del 
sodalizio 
divenga 
esternamente 
percepibile 
per 
la 
prima 
volta 
(2). 
A 
tal 
fine, 
risulterebbe 
rilevante, 
in 
chiave 
ermeneutica, 
il 
luogo 
di 
commissione 
dei 
singoli 
delitti 
realizzati 
in 
attuazione 
del 
programma 
criminoso 
solo 
nel 
caso 
in 
cui, 
per 
numero 
e 
consistenza, 
essi 
rivelino 
l’ambito 
territoriale 
in 
cui 
il 
sodalizio 
sia 
concretamente 
operativo. 


Un terzo indirizzo, infine, ritiene 
che 
la 
competenza 
si 
radichi 
nel 
luogo 
ove 
abbia 
sede 
la 
base 
ove 
si 
svolgono 
programmazione, 
ideazione 
e 
direzione 
della 
attività 
criminose 
facenti 
capo all’associazione. Sulla 
base 
del 
predetto 
filone 
giurisprudenziale, 
assumerebbe 
rilievo 
non 
tanto 
il 
dove 
di 
integrazione 
del 
pactum 
sceleris, quanto il 
luogo in cui 
si 
sia 
effettivamente 
manifestato e 
realizzato il 
momento programmatico e 
direzionale 
della 
struttura 
criminale, 
essendo irrilevante 
il 
luogo di 
commissione 
dei 
singoli 
reati 
riferibili 
all’associazione 
(3). 


In 
tale 
quadro, 
la 
sentenza 
in 
commento 
sembrerebbe 
aderire 
al 
secondo 
indirizzo, 
riaffermando 
il 
principio 
per 
il 
quale 
«...il 
luogo 
in 
cui 
sorge 
una 
struttura 
che 
sia 
in 
grado 
di 
assicurare 
un 
minimum 
di 
mantenimento 
della 
situazione 


(1) In tal senso Cass. Pen., Sez. I, n. 600 del 7 febbraio 1991. 
(2) Ex 
plurimis 
Cass. Pen., Sez. III, n. 24263 del 
10 maggio 2007 e, più recentemente, Sez. I, n. 
7926 del 22 gennaio 2013, Sez. I, n. 20908 del 28 aprile 2015, Sez. I, n. 22838 del 5 maggio 2022. 
(3) 
Ex 
plurimis 
Cass. 
Pen, 
Sez. 
II, 
n. 
26763 
del 
19 
giugno 
2013, 
Sez. 
VI, 
n. 
49995 
del 
15 
settembre 
2017. 

ConTenzIoSo 
nAzIonALe 


antigiuridica 
necessaria 
per 
la 
sussistenza 
del 
reato 
coincide 
con 
quello 
in 
cui 
sono 
programmate, 
ideate 
e 
dirette 
le 
attività 
dell’associazione, 
ovvero 
nel 
luogo 
in 
cui 
si 
esteriorizza 
l’associazione 
attraverso 
l’esecuzione 
dei 
delitti 
programmati, 
in 
tal 
modo 
manifestandosi 
e 
realizzandosi, 
secondo 
un 
criterio 
di 
effettività, 
l’operatività 
della 
struttura 
e 
quindi 
della 
societas 
sceleris». 
Aggiungono, 
poi, 
i 
giudici, 
nel 
dichiarare 
l’infondatezza 
del 
ricorso, 
quanto 
segue: 
«... 
in 
territorio 
romano 
risultano, 
pertanto, 
concretamente 
programmate, 
ideate 
e 
dirette 
le 
attività 
dell’associazione, 
nonché 
si 
è 
esteriorizzato 
il 
sodalizio 
attraverso 
l’esecuzione 
dei 
delitti 
programmati 
e 
l’esercizio 
della 
riserva 
di 
violenza 
di 
cui 
risulta 
portatore, 
così 
manifestatosi, 
secondo 
un 
criterio 
di 
effettività, 
l’operatività 
della 
struttura 
e, 
quindi, 
la 
messa 
in 
pericolo 
del 
bene 
protetto». 


3. 
La 
positività 
dell’ordinamento 
tra 
certezza 
del 
diritto 
e 
giustizia 
sostanziale. 
La 
questione 
della 
competenza 
territoriale 
del 
giudice 
riveste, 
come 
noto, 
una 
rilevante 
importanza, rappresentando la 
declinazione, in termini 
processuali, 
del 
principio, stabilito dal 
primo comma 
dell’articolo 25 della 
Costituzione, 
in 
base 
al 
quale 
nessuno 
può 
essere 
distolto 
dal 
giudice 
naturale 
precostituito per legge (4). 


È 
un principio di 
marca 
liberale-ottocentesca 
che 
già 
lo Statuto albertino 
contemplava 
all’articolo 
71, 
il 
quale 
prevedeva 
che 
nessuno 
potesse: 
«…essere 
distolto 
dai 
suoi 
Giudici 
naturali. 
Non 
potranno 
perciò 
essere 
creati 
Tribunali 


o Commissioni straordinarie». 
Il 
Costituente, memore 
dell’esperienza 
fascista, decise 
non solo di 
recuperarlo 
all’interno del 
nascente 
ordinamento repubblicano, ma 
di 
schermarlo 
a 
livello 
costituzionale 
attraverso 
il 
suo 
inserimento 
in 
una 
Carta 
(5) 
che, 
a 
differenza 
dello 
Statuto 
del 
1848, 
avrebbe 
assunto 
la 
natura 
di 
una 
Costituzione 
rigida 
e 
rafforzata 
(o, per usare 
una 
espressione 
corrente 
in dottrina, rigida in 
senso forte), essendo protetta 
da 
un procedimento aggravato di 
revisione 
ed 
essendo vigilata da una Corte costituzionale. 


Il 
c.d. 
principio 
del 
giudice 
naturale 
si 
caratterizza, 
dunque, 
in 
primo 
luogo, quale 
elemento volto ad evitare, soprattutto in ambito penale, che 
l’ordine 
o potere 
giudiziario, attraverso l’istituzione 
di 
giudici 
straordinari 
o speciali, 
divenga 
il 
cavallo di 
Troia 
attraverso cui 
tendenze 
antiliberali 
inficino la 
tenuta democratica di un sistema giuridico. 


(4) M. d’AMICo 
e 
g. ARConzo, Commento all’art. 25 Cost., in Commentario alla Costituzione, 
a 
cura 
di 
A. 
CeLoTTo, 
R. 
BIfULCo, 
M. 
oLIVeTTI, 
Torino, 
2006; 
M. 
noBILI, 
Commento 
all’art. 
25, 
comma 
1, in g. BRAnCA 
(a 
cura 
di), Commentario della Costituzione. rapporti 
civili 
(artt. 24-26), zanichelli, 
Bologna, 1981, pp. 135 ss.; 
R. RoMBoLI, Giudice 
naturale, voce 
dell’Enciclopedia giuridica, aggiornamento, 
giuffrè, Milano, 1998, vol. II, pp. 365-384. 
(5) 
Il 
primo 
comma 
dell’articolo 
25 
va 
considerato 
in 
combinato 
con 
la 
VI 
disposizione 
transitoria 
e finale della Carta. 

RASSegnA 
AVVoCATURA 
deLLo 
STATo -n. 2/2022 


esso, tuttavia, risulta, altresì, essenziale 
ai 
fini 
dell’effettività 
dell’ordinamento 
e della promozione della giustizia. 


A 
quest’ultimo riguardo soccorrono le 
parole 
della 
Corte 
costituzionale, 
secondo cui 
«... 
deve 
riconoscersi 
che 
il 
predicato della “naturalità” 
assume 
nel 
processo penale 
un carattere 
del 
tutto particolare, in ragione 
della “fisiologica” 
allocazione 
di 
quel 
processo 
nel 
locus 
commissi 
delicti. 
Qualsiasi 
istituto 
processuale, quindi, che 
producesse…l'effetto di 
“distrarre” 
il 
processo 
dalla sua sede, inciderebbe 
su un valore 
di 
elevato e 
specifico risalto per 
il 
processo penale; giacché 
la celebrazione 
di 
quel 
processo in “quel” 
luogo, 
risponde 
ad esigenze 
di 
indubbio rilievo, fra le 
quali, non ultima, va annoverata 
anche 
quella -più che 
tradizionale 
-per 
la quale 
il 
diritto e 
la giustizia 
devono riaffermarsi proprio nel luogo in cui sono stati violati... 
» (6). 


Recependo 
le 
argomentazioni 
dei 
giudici 
della 
Consulta, 
si 
potrebbe 
sostenere 
che 
le 
parole 
diritto 
e 
giustizia, 
più 
che 
indicare 
una 
medesima 
realtà 
concettuale, 
evidenzino 
distinti, 
anche 
se 
complementari, 
aspetti 
della 
giurisdizione, 
intesa 
quest’ultima 
quale 
tradizionale 
funzione 
(o 
potere 
in 
senso 
oggettivo) 
riconducibile 
all’ambito 
di 
attribuzioni 
di 
quello 
che 
la 
dottrina 
pubblicistica 
definisce 
Stato-apparato, 
per 
distinguerlo 
dal 
c.d. 
Stato-comunità. 


e 
si 
potrebbe 
anche 
sostenere 
che 
diritto 
e 
giustizia 
costituiscano un’endiadi 
strumentale 
ad assicurare 
l’effettività, oltreché 
l’efficacia, di 
un ordinamento 
che 
al 
diritto 
penale 
delega 
la 
difesa 
dei 
valori 
fondanti 
il 
vivere 
comunitario. 


In tale 
contesto, continua, peraltro, ad assumere 
un’indubbia 
valenza 
la 


c.d. teoria costituzionale 
del 
bene 
giuridico 
(7) e 
ciò nonostante 
la 
sua 
persistente 
utilità 
venga, da 
più parti, se 
non messa 
in discussione, quanto meno 
tendenzialmente ridimensionata (8). 
Al 
contrario di 
quanto si 
potrebbe 
pensare, invece, i 
beni 
giuridici, intesi 
quali 
declinazioni 
di 
valori 
costituzionali, 
continuano 
a 
rappresentare 
validi 
punti 
di 
ancoraggio per un processo di 
tipizzazione 
delle 
fattispecie 
incriminatrici 
orientato verso i 
principi 
di 
materialità 
e 
di 
offensività 
e, in definitiva, 
verso il principio di legalità formale e sostanziale. 


Principio che, come 
noto, è 
posto a 
presidio della 
libertà 
e 
della 
dignità 
della 
persona umana, la 
quale, a 
sua 
volta, è 
al 
centro del 
disegno costituzionale 
per il tramite degli articoli 2 e 3 della Costituzione. 


e 
quando 
si 
afferma 
che 
l’ordinamento 
penale 
di 
uno 
Stato 
democratico 
pone 
al 
centro 
la 
persona, 
ci 
si 
riferisce 
certo, 
in 
prima 
battuta, 
al 
soggetto 
indagato 
o 
imputato 
che, 
in 
quanto 
tale, 
ha 
diritto 
ad 
un 
processo 
giusto 
(articolo 
111 
Cost.). 


(6) Corte costituzionale, sentenza n. 168 del 2006, Pres. Marini, Red. flick. 
(7) Cfr. f. BRICoLA, Teoria generale 
del 
reato. Estratto dal 
Novissimo digesto italiano 
d.I., XIX, 
Torino, UTeT, 1973, pp. 7-93. 
(8) 
In 
proposito 
interessanti 
spunti 
di 
riflessione 
in 
o. 
dI 
gIoVIne, 
Dilemmi 
morali 
e 
diritto 
penale. 
istruzioni per un uso giuridico delle emozioni, il Mulino, Bologna, 2022. 

ConTenzIoSo 
nAzIonALe 


Ma 
ci 
si 
riferisce 
anche 
al 
soggetto che, offeso da 
un reato, è 
anch’egli 
titolare 
di 
un 
diritto 
sintetizzabile 
nella 
pretesa 
a 
vedersi 
tutelato 
attraverso 
l’individuazione 
del 
colpevole 
e 
la 
correlata 
irrogazione 
di 
una 
pena 
che 
è 
giusta 
-ed 
ecco 
riemergere 
il 
tema 
della 
giustizia 
-solo 
se 
commisurata 
anche 
tenendo 
conto del danno subito dalla vittima. 


di 
qui, 
l’importanza 
non 
solo 
delle 
regole 
generali 
a 
disposizione 
del-
l’autorità 
giudicante 
per la 
commisurazione 
della 
pena, ai 
sensi 
dell’articolo 
133 e 
seguenti 
del 
codice 
penale, ma 
anche 
del 
locus 
commissi 
delicti 
quale 
criterio principale 
per l’individuazione 
del 
giudice 
naturale 
competente 
a 
ius 
dicere 
ovvero, 
per 
tornare 
all’endiadi 
diritto-giustizia, 
ad 
erogare 
un 
diritto 
giusto (9). 


Quel 
giudice, infatti, potrà 
più di 
altri 
garantire 
all’indagato e/o all’imputato 
un processo quanto più giusto possibile, anche 
nell’ottica 
di 
una 
vicinanza 
geografica 
alle 
fonti 
di 
prova 
quale 
presupposto 
per 
l’esercizio 
del 
diritto 
di difesa. 


Al 
contempo, 
tuttavia, 
egli 
sarà 
nella 
condizione 
di 
assicurare 
la 
migliore 
risposta 
possibile 
dell’ordinamento alla 
richiesta 
di 
giustizia 
avanzata 
da 
chi 
abbia, 
in 
conseguenza 
della 
commissione 
del 
reato, 
patito 
un’ingiustificata 
sofferenza. 


ed ecco allora 
che 
il 
bene 
giuridico diviene 
la 
cartina 
di 
tornasole 
per verificare 
se 
la 
reazione 
dell’ordinamento sia stata una reazione 
giusta 
proprio 
in ragione della sua capacità di controbilanciare la gravità del reato. 


In altri 
termini, il 
bene 
giuridico può ancora 
essere 
utile 
per appurare 
se 
la 
sanzione 
penale 
sia 
stata 
erogata 
secondo 
canoni 
di 
giustizia, 
ovvero 
sia 
stata 
commisurata 
tenendo conto dell’entità 
del 
danno arrecato al 
bene 
giuridico 
correlato e ai portatori di interesse che al quel bene fanno riferimento. 


In tale 
quadro, con particolare 
riferimento ai 
delitti 
associativi, reati 
permanenti 
per eccellenza 
e 
in grado di 
prolungare 
nel 
tempo l’offesa 
ai 
relativi 
beni 
giuridici, sembrerebbe, quindi, di 
gran lunga 
più condivisibile 
e 
in armonia 
con i 
principi 
dell’ordinamento, per come 
sopra 
brevemente 
delineati, il 
secondo indirizzo giurisprudenziale 
indicato al 
paragrafo 2 -e 
al 
quale 
anche 
la 
sentenza 
in commento sembrerebbe 
essersi 
uniformata 
-che 
collega, come 
accennato, la 
competenza 
per territorio del 
giudice 
al 
luogo in cui 
l’associazione 
ha 
iniziato concretamente 
ad operare, ovvero al 
contesto in cui 
l’operatività 
del 
sodalizio sia 
divenuto per la 
prima 
volta 
esternamente 
percepibile, 
in termini di disvalore del fatto. 


Quell’indirizzo, 
infatti, 
considera 
rilevante, 
in 
chiave 
ermeneutica, 
il 
luogo di 
commissione 
dei 
singoli 
delitti 
realizzati 
dall’associazione 
in attuazione 
del 
proprio programma 
criminoso, specie 
nel 
caso in cui, per numero e 


(9) Sul 
punto, anche 
per le 
connessioni 
con la 
tematica 
costituzionale 
del 
giudice 
naturale, cfr. f. 
CoRdeRo, Procedura penale, giuffrè, Milano, p. 116. 

RASSegnA 
AVVoCATURA 
deLLo 
STATo -n. 2/2022 


consistenza, 
essi 
rivelino 
l’ambito 
territoriale 
in 
cui 
il 
sodalizio 
si 
sia 
reso 
concretamente 
operativo. 


I 
così 
detti 
delitti-fine, 
come 
noto, 
seguono 
sì 
un 
loro 
autonomo 
percorso, 
in 
termini 
di 
imputabilità 
e 
di 
esercizio 
dell’azione 
penale, 
ma 
rappresentano, 
allo 
stesso 
tempo, 
lo 
svolgimento 
del 
programma 
delittuoso 
dell’associazione; 
un 
programma 
che 
genera, 
il 
più 
delle 
volte, 
da 
parte 
di 
una 
comunità 
stanziata 
su 
un 
dato 
territorio 
e 
destinataria 
degli 
effetti 
negativi 
dell’azione 
del 
sodalizio 
criminale, 
una 
richiesta 
di 
giustizia 
che, 
non 
a 
caso, 
è 
tanto 
più 
forte 
quanto 
più 
geograficamente 
vicina 
al 
luogo 
in 
cui 
il 
sodalizio 
stesso 
nasce, 
vive 
e 
opera. 


Il 
discorso, per inciso, meriterebbe 
ben più ampia 
riflessione 
anche 
sul 
versante 
preventivo dell’ordine 
e 
della 
sicurezza 
pubblica 
perché 
quanto più 
incisiva 
risulta 
essere 
la 
risposta 
dell’ordinamento 
alla 
richiesta 
di 
giustizia 
che 
nasce 
sui 
territori 
e 
dai 
territori, molto spesso a 
marcata 
connotazione 
urbana, 
tanto minore sarà il senso sociale di insicurezza percepita. 


In 
conclusione, 
a 
voler 
sintetizzare 
il 
nucleo 
tematico 
delle 
questioni 
trattate 
nella 
sentenza 
in commento, si 
potrebbe 
evidenziare 
che 
un diritto vicino 
al fatto è un 
diritto più giusto. 


e 
si 
potrebbe 
anche 
sostenere, 
in 
linea 
con 
tale 
assunto, 
che 
la 
competenza 
territoriale, 
quale 
criterio 
principale 
per 
l’esercizio 
della 
giurisdizione 
(10), 
rappresenti 
un 
presupposto 
indispensabile 
perché, 
anche 
dal 
lato 
dei 
titolari 
dei 
beni 
giuridici 
offesi 
dal 
reato e 
non solamente 
dal 
lato dell’autore 
dell’illecito, 
le 
tre 
classiche 
funzioni 
della 
sanzione 
penale 
(retribuzione, 
prevenzione 
generale 
e 
prevenzione 
speciale) 
possano 
rinvenire 
un 
loro 
punto 
di 
equilibrio e di razionale contemperamento (11). 


Cassazione 
penale, Sezione 
II, sentenza 1 dicembre 
2022 n. 45584 
-Pres. g. diotallevi, 
rel. 
g. 
Ariolli. 
Ricorso 
proposto 
da 
C.d. 
(avv. 
g. 
Passalacqua) 
avverso 
l'ordinanza 
del 
24 
maggio 2022 del 
Trib. Libertà di Roma. 

RITenUTo In fATTo 


1. 
Con 
ordinanza 
del 
24 
maggio 
2022 
il 
Tribunale 
del 
riesame 
di 
Roma, 
decidendo 
sulla 
richiesta 
presentata 
nell'interesse 
di 
C.d., confermava 
il 
provvedimento con il 
quale 
il 
g.i.p. 
dello 
stesso 
Tribunale 
aveva 
applicato 
all'indagato 
la 
misura 
cautelare 
della 
custodia 
in 
carcere 
in ordine 
ai 
delitti 
di 
cui 
agli 
art. 416-bis, commi 
1 e 
4 (capo 1); 
artt. 110, 629 cpv., 416-bis.1 
(capo 21); 
artt. 56-110, 629 cpv., 416-bis.1 c.p. (capo 22); 
L. n. 895 del 
1967, artt. 2 e 
7, art. 
416-bis.1 c.p. (capi 
27 e 
32). In particolare, si 
contesta 
al 
ricorrente 
di 
essere 
organico alla 
'ndrangheta 
con una 
dote 
della 
società 
maggiore 
e 
di 
avere 
fornito un costante 
contributo per 
(10) 
In 
vero 
non 
solo 
penale: 
in 
proposito 
si 
segnala 
quanto 
il 
criterio 
territoriale, 
anche 
nell’ottica 
di 
assicurare 
l’effettività 
della 
tutela 
giurisdizionale, sia 
stata 
valorizzata 
nei 
codici 
del 
processo amministrativo 
e contabile. 
(11) Pur nel rigoroso rispetto dei principi di cui all’articolo 27 della Carta costituzionale. 

ConTenzIoSo 
nAzIonALe 


l'operatività 
della 
locale 
costituita 
in Roma, nonchè, in concorso, condotte 
di 
estorsione 
consumata 
e tentata (capi 21 e 22) e di detenzione illegale di armi (27 e 32). 

2. Ha 
proposto ricorso per cassazione 
C.d., a 
mezzo del 
difensore, chiedendo l'annullamento 
dell'ordinanza 
per violazione 
della 
legge 
processuale 
(art. 8 c.p.p., comma 
3, in relazione 
all'art. 
416-bis 
c.p., 
comma 
2) 
per 
avere 
il 
Tribunale 
disatteso 
l'eccezione 
di 
incompetenza per territorio formulata con la richiesta di riesame. 
Richiamata 
la 
giurisprudenza 
secondo la 
quale, nei 
reati 
permanenti, quale 
quello associativo 
in esame, l'inizio della 
consumazione 
coincide 
con "un'attività 
di 
prima 
ideazione 
e 
programmazione" 
del 
sodalizio 
criminoso, 
la 
difesa 
sostiene 
che 
la 
"locale" 
romana 
della 
'ndrangheta 
fu costituita 
a 
conclusione 
di 
un lungo ed elaborato processo fondativo, iniziato 
quando il 
coindagato C.A. fu scarcerato e 
sottoposto alla 
misura 
degli 
arresti 
domiciliari 
a 
omissis-, 
ove 
rimase 
oltre 
tre 
mesi 
prima 
di 
essere 
sottoposto al 
medesimo regime 
a 
Roma. 
Questi 
promosse 
l'organizzazione 
della 
nuova 
"locale" 
su 
incarico 
della 
"Provincia" 
e 
non 
solo dopo averne 
chiesto l'autorizzazione. dagli 
stessi 
atti 
d'indagine, dall'ordinanza 
genetica 
e 
anche 
da 
quella 
impugnata 
risulta 
che 
l'attività 
di 
prima 
ideazione 
e 
programmazione 
della 
nuova 
struttura 
si 
sia 
esteriorizzata 
in territorio calabrese, circostanza 
confermata 
dalla 
pendenza 
di 
altro procedimento avanti 
l'autorità 
giudiziaria 
reggina, nel 
quale 
a 
C.A. è 
riconosciuto 
un 
ruolo 
di 
spicco 
nell'ambito 
dell'associazione 
"matrice", 
pur 
non 
essendo 
stata 
promossa azione cautelare per il reato associativo. 

ConSIdeRATo In dIRITTo 


1. Il ricorso è infondato. 
1.1. Risulta 
consolidato il 
principio di 
diritto affermato da 
questa 
Corte 
secondo cui, in 
tema 
di 
reati 
associativi, la 
competenza 
per territorio si 
determina 
in relazione 
al 
luogo in cui 
ha 
sede 
la 
base 
ove 
si 
svolgono 
programmazione, 
ideazione 
e 
direzione 
delle 
attività 
criminose 
facenti 
capo 
al 
sodalizio 
(cfr., 
ad 
es., 
Sez. 
3, 
n. 
38009 
del 
10 
maggio 
2019, 
Assisi, 
Rv. 
278166; 
Sez. 2, n. 41012 del 
20 giugno 2018, Rv. 274083), con l'ulteriore 
precisazione 
che, a 
questo 
fine, "assume 
rilievo non tanto il 
luogo in cui 
si 
è 
radicato il 
pactum 
sceleris, quanto quello 
in cui 
si 
è 
effettivamente 
manifestata 
e 
realizzata 
l'operatività 
della 
struttura, posto che, in assenza 
di 
un riconoscibile 
profilo strutturale 
e 
di 
una 
sufficiente 
connotazione 
di 
stabilità, le 
aggregazioni 
criminali 
non 
esprimono 
quel 
disvalore, 
e 
quel 
connotato 
di 
pericolosità 
per 
l'ordine 
pubblico, 
che 
giustifica, 
in 
termini 
di 
offensività 
e 
tipicità, 
la 
punizione 
prevista 
dalla 
legge" 
(così 
Sez. 6, n. 4118 del 
10 gennaio 2018, Piccolo, Rv. 272185; 
in senso esattamente 
conforme 
cfr., ex 
plurimis, Sez. 6, n. 49995 del 
15 settembre 
2017, d'Amato, Rv. 271585; 
Sez. 2, n. 50338 del 
3 dicembre 
2015, Signoretta, Rv. 265282; 
Sez. 4, n. 48837 del 
22 settembre 
2015, 
Banev, 
Rv. 
265281; 
Sez. 
5, 
n. 
44369 
del 
24 
ottobre 
2014, 
Robusti, 
Rv. 
262920; 
Sez. 
2, 
n. 
26763 
del 
19 
giugno 
2013, 
Leuzzi, 
Rv. 
256650; 
Sez. 
1, 
Sentenza 
n. 
6933 
del 
10 
dicembre 
1997, 
dep. 
14 
febbraio 
1998, 
Rv. 
209608; 
da 
ultimo 
v. 
Sez. 
6, 
n. 
40044 
del 
29 
settembre 
2022, 
Bruno, non mass. nonchè Sez. 2, n. 25208 del 18 maggio 2022, Regina, non mass.). 
Si 
è 
anche 
osservato che 
"solo con la 
creazione 
di 
una 
struttura 
permanente 
volta 
alla 
commissione 
di 
una 
serie 
indeterminata 
di 
reati 
l'associazione 
diviene 
operativa 
e 
si 
realizza 
la 
situazione 
di 
pericolo per l'interesse 
tutelato dalla 
norma 
che 
giustifica 
l'incrimina 
zione, 
nascendo 
il 
pericolo 
di 
lesione 
dell'interesse 
penalmente 
tutelato. 
di 
regola, 
il 
luogo 
in 
cui 
sorge 
una 
struttura 
che 
sia 
in 
grado 
di 
assicurare 
un 
minimum 
di 
mantenimento 
della 
situazione 
antigiuridica 
necessaria 
per la 
sussistenza 
del 
reato coincide 
con quello in cui 
sono programmate, 
ideate 
e 
dirette 
le 
attività 
dell'associazione, ovvero nel 
luogo in cui 
si 
esteriorizza 
l'as



RASSegnA 
AVVoCATURA 
deLLo 
STATo -n. 2/2022 


sociazione 
attraverso l'esecuzione 
dei 
delitti 
programmati, in tal 
modo manifestandosi 
e 
realizzandosi, 
secondo 
un 
criterio 
di 
effettività, 
l'operatività 
della 
struttura 
e 
quindi 
della 
societas 
sceleris" 
(così 
Sez. 3, n. 35578 del 
21 aprile 
2016, Bilali, Rv. 267635; 
in senso conforme, da 
ultimo, v. Sez. 1, n. 22838 del 
5 maggio 2022, confl. compet., non mass. nonchè 
Sez. 3, n. 
16579 del 11 gennaio 2022, Bonifacio, non mass. sul punto). 

nel 
caso di 
specie, deve 
evidenziarsi 
che 
la 
contestazione 
localizza 
l'attività 
dell'associazione 
de 
qua 
in 
Roma 
ed 
il 
Tribunale 
del 
riesame 
fa 
riferimento 
a 
detto 
territorio 
come 
base 
dell'organizzazione, 
nonchè 
luogo 
ove 
si 
sono 
svolte 
le 
attività 
di 
programmazione 
e 
ideazione 
e 
dove 
è 
concentrata 
la 
direzione 
delle 
attività 
criminose 
facenti 
capo al 
sodalizio 
di 
riferimento. 
In 
particolare, 
i 
giudici 
di 
merito, 
pur 
ricordando 
il 
carattere 
unitario 
della 
'ndrangheta, così 
come 
venuto a 
delinearsi 
anche 
nell'evoluzione 
giurisprudenziale 
di 
questa 
Suprema 
Corte, 
evidenziano 
come 
C.A., 
dopo 
avere 
ricevuto 
l'autorizzazione 
dalla 
Provincia, 
avesse 
ideato e 
pianificato la 
locale 
a 
Roma, che 
dirigeva 
poi 
con A.V. (che 
ivi 
vi 
era 
già 
radicato), 
luogo in cui 
il 
sodalizio materialmente 
operava 
anche 
con riferimento alle 
azioni 
delittuose 
che 
commetteva 
(reati-fine) ed in cui 
poi 
avvenivano le 
riunioni 
ed i 
conferimenti 
di 
dote, 
mantenendosi 
contatti 
con 
le 
articolazioni 
radicate 
in 
Calabria 
tra 
cui, 
in 
particolare, 
quelle 
di 
-omissis-. nella 
ricostruzione 
operata 
dall'ordinanza 
impugnata 
la 
locale 
romana" 
totalmente 
"legittima" 
in quanto costituita 
previa 
autorizzazione 
della 
Provincia, aveva 
una 
sua 
piena 
autonomia 
operando 
nella 
Capitale 
dove 
venivano 
commessi 
i 
reati 
fine 
che 
ne 
erano 
la 
stessa 
ragione 
di 
sussistenza 
e 
dove 
veniva 
programmata 
e 
ideata 
l'associazione 
anche 
con 
riferimento 
al 
programma 
delittuoso 
principalmente 
volto 
all'inquinamento 
del 
tessuto 
economico-imprenditoriale. 
Si 
sono 
poi 
richiamati 
anche 
episodi, 
dettagliatamente 
ricostruiti, 
che 
dimostrano 
come 
il 
sodalizio 
si 
fosse 
costantemente 
manifestato 
nell'ambito 
locale 
romano 
anche 
con 
riferimento 
alla 
forza 
di 
intimidazione 
che 
gli 
derivava 
dall'essere 
una 
locale 
di 
'ndrangheta. 

In territorio romano risultano, pertanto, concretamente 
programmate, ideate 
e 
dirette 
le 
attività 
dell'associazione, 
nonchè 
si 
è 
esteriorizzato 
il 
sodalizio 
attraverso 
l'esecuzione 
dei 
delitti 
programmati 
e 
l'esercizio della 
riserva 
di 
violenza 
di 
cui 
risulta 
portatore, così 
manifestandosi, 
secondo un criterio di 
effettività, l'operatività 
della 
struttura 
e, quindi, la 
messa 
in 
pericolo del bene protetto. 

1.2. nè, al 
riguardo, assume 
rilievo, ai 
fini 
della 
proposta 
eccezione, per come 
correttamente 
evidenziato dal 
Tribunale, la 
pronuncia 
di 
questa 
Corte 
invocata 
dalla 
difesa 
(Sez. 2, 
n. 29189 del 
29 settembre 
2020, La 
Rosa, Rv. 279854), poichè 
relativa 
ad un caso del 
tutto 
"inverso" 
rispetto a 
quello attuale: 
mentre 
infatti 
allora 
le 
cellule 
lombarde, satelliti 
di 
quella 
calabrese, 
erano 
amministrate 
e 
coordinate 
dal 
capo 
che 
viveva 
stabilmente 
in 
Calabria 
(e 
che 
si 
recava 
solo occasionalmente 
fuori 
Regione), nel 
caso in esame 
la 
locale 
romana, pur rinvenendo 
la 
sua 
legittimazione 
"mafiosa" 
nell'autorizzazione 
della 
Provincia, risulta 
diretta, amministrata 
e 
gestita 
a 
Roma 
ove 
vivevano C.A. ed A.V., ritenuti 
rispettivamente 
il 
promotore 
ed il 
direttore 
del 
sodalizio, ed ove 
gli 
stessi 
e 
i 
coindagati 
commettevano le 
azioni 
delittuose 
programmate (pag. 15). 
1.3. A 
conferma 
della 
correttezza 
dell'opzione 
ermeneutica 
seguita, l'ordinanza 
impugnata 
ha 
fatto corretto riferimento ad una 
sentenza 
di 
questa 
Corte 
che, con riguardo al 
territorio 
laziale, ha 
riconosciuto l'esistenza 
e 
l'operatività 
della 
locale 
di 
nettuno, succursale 
del 
locale 
di 
guardavalle. nella 
decisione 
il 
Collegio, riconoscendo la 
sussistenza 
del 
delitto di 
cui 
all'art. 
416-bis 
c.p. 
in 
riferimento 
alla 
suddetta 
articolazione 
territoriale, 
ha 
osservato 
come 
i-omissis-avessero continuato ad operare 
nel 
loro paese 
in Calabria, ma 
avessero anche 
tra

ConTenzIoSo 
nAzIonALe 


sferito, per necessità, il 
loro sistema 
associativo nel 
centro laziale, circostanza 
che, per quel 
che 
ora 
rileva, 
evidentemente 
non 
impediva 
di 
ritenere 
che 
il 
processo 
fosse 
correttamente 
radicato 
quanto 
agli 
aspetti 
inerenti 
alla 
competenza 
per 
territorio 
(Sez. 
1, 
n. 
13227 
del 
25 
novembre 
2020, dep. 8 aprile 2021, non mass.). 

del 
resto, a 
seguire 
il 
ragionamento prospettato dalla 
difesa, si 
arriverebbe 
sostanzialmente 
a 
concludere 
che, fatta 
eccezione 
per il 
solo caso di 
cellule 
non regolari 
perchè 
non autorizzate 
dalla 
provincia 
e 
dette 
per tale 
motivo "bastarde", per tutte 
le 
altre 
locali 
"legittime" 
(in 
senso 
mafioso) 
i 
conseguenti 
procedimenti 
dovrebbero 
essere 
celebrati 
davanti 
all'autorità 
giudiziaria 
calabrese 
nell'ambito 
di 
una 
sorta 
di 
competenza 
funzionale 
per 
"automatismo 
mafioso". 
Una 
tale 
soluzione 
stride, all'evidenza, con le 
ragioni 
che 
sono sottese 
alle 
regole 
attributive 
della 
competenza, 
caratterizzate 
dalla 
necessaria 
esistenza 
di 
un 
nesso 
di 
interdipendenza 
causale 
con il 
luogo ove 
si 
è 
realizzato il 
fatto di 
reato, assumendo in primis 
rilievo il 
luogo in cui 
si 
è 
verificata 
la 
lesione 
o la 
messa 
in pericolo del 
bene 
protetto dalla 
norma incriminatrice. 

Si 
tratta 
di 
disposizioni, 
quelle 
sulla 
competenza, 
che 
assicurano 
il 
rispetto 
del 
principio 
del 
giudice 
naturale 
precostituito 
per 
legge 
stabilito 
dall'art. 
25 
Cost., 
che 
esige, 
salvo 
casi 
eccezionali 
espressamente 
tipizzati, un collegamento tra 
l'ufficio giudiziario ed i 
fatti 
penalmente 
rilevanti 
che 
incidono nell'ambito della 
comunità 
in cui 
lo stesso ufficio è 
istituito. Il 
predicato della 
"naturalità" 
assume, infatti, nel 
processo penale 
un carattere 
del 
tutto particolare, 
in 
ragione 
della 
"fisiologica" 
allocazione 
del 
processo 
nel 
locus 
commissi 
delicti. 
Per 
come 
affermato dalla 
Corte 
costituzionale, qualsiasi 
istituto processuale 
che 
producesse 
l'effetto 
di 
distrarre 
il 
processo dalla 
sua 
sede 
inciderebbe 
su un valore 
di 
elevato e 
specifico risalto 
per il 
processo giacchè 
la 
celebrazione 
di 
"quel" 
processo in "quel" 
luogo risponde 
ad 
esigenze 
di 
indubbio 
rilievo, 
fra 
le 
quali, 
non 
ultima, 
va 
annoverata 
anche 
quella 
-più 
che 
tradizionale 
-per la 
quale 
il 
diritto e 
la 
giustizia 
devono riaffermarsi 
proprio nel 
luogo in cui 
sono stati violati (C. Cost., 5 aprile 2006, n. 168). 

1.4. La 
difesa, a 
sostegno della 
eccezione 
di 
incompetenza, ha 
estrapolato alcuni 
brani 
di 
conversazioni 
intercettate 
o 
espressioni 
utilizzate 
nell'ordinanza 
genetica 
senza 
confrontarsi 
con 
una 
diffusissima 
motivazione, 
immune 
da 
ogni 
vizio, 
neppure 
denunciato 
nel 
ricorso, 
nella 
quale 
sono stati 
indicati 
plurimi 
elementi 
dimostrativi 
della 
circostanza 
che 
la 
ideazione 
e 
programmazione 
del 
"locale" 
romano avvenne 
nella 
Capitale, ove 
poi 
operò il 
sodalizio e 
furono commessi la maggior parte dei reati-fine. 
Questa 
conclusione 
discende 
da 
una 
insindacabile 
ricostruzione 
in fatto della 
vicenda; 
va 
in proposito ricordato che, in tema 
di 
impugnazione 
delle 
misure 
cautelari 
personali, il 
ricorso 
per cassazione 
è 
ammissibile 
soltanto se 
denuncia 
la 
violazione 
di 
specifiche 
norme 
di 
legge 
ovvero la 
manifesta 
illogicità 
della 
motivazione 
del 
provvedimento secondo i 
canoni 
della 
logica 
ed i 
principi 
di 
diritto, ma 
non anche 
quando propone 
censure 
che 
riguardino la 
ricostruzione 
dei 
fatti 
ovvero 
che 
si 
risolvano 
in 
una 
diversa 
valutazione 
delle 
circostanze 
esaminate 
dal 
giudice 
di 
merito (Sez. 2, n. 31553 del 
17 maggio 2017, Paviglianiti, Rv. 270628; 
Sez. 4, n. 18795 del 
2 marzo 2017, di 
Iasi, Rv. 269884; 
Sez. 3, n. 20575 del 
8 marzo 2016, 
Berlingeri, Rv. 266939; 
Sez. f, n. 47748 del 
11 agosto 2014, Contarini, Rv. 261400; 
Sez. 6, 


n. 11194 del 8 marzo 2012, Lupo, Rv. 252178). 
Il 
ricorrente, in sostanza, ha 
denunciato la 
violazione 
della 
norma 
di 
legge 
in tema 
di 
competenza 
territoriale 
sulla 
base 
di 
una 
diversa 
e 
inammissibile 
ricostruzione 
del 
fatto, ma 
soprattutto 
invocando 
un 
principio 
di 
diritto 
non 
condivisibile, 
là 
dove 
ha 
censurato 
l'ordinanza 
impugnata 
per non avere 
il 
Tribunale 
considerato che 
"l'attività 
di 
promozione 
può svolgersi 



RASSegnA 
AVVoCATURA 
deLLo 
STATo -n. 2/2022 


anche 
antecedentemente 
alla 
formazione 
del 
sodalizio di 
cui 
all'art. 416-bis 
c.p. anche 
se 
poi 
la 
punibilità 
come 
promotore 
sorge 
se 
e 
quando l'attività 
abbia 
contribuito effettivamente 
a 
far sorgere 
un'associazione 
mafiosa". La 
difesa, a 
supporto della 
propria 
tesi, ha 
anche 
citato 
un 
passo 
dell'ordinanza 
genetica 
("ed 
era 
in 
quel 
periodo 
(tra 
il 
-omissis-) 
che 
l'indagato, 
ormai 
residente 
a 
Roma 
dal 
maggio 2014, aveva 
ottenuto l'incarico di 
costituire 
il 
locale 
di 
Roma. 
Poi aveva impiegato circa un anno per organizzarsi e per attuare il mandato ricevuto"). 

2. Al 
rigetto del 
ricorso segue, ai 
sensi 
dell'art. 616 c.p.p., la 
condanna 
del 
ricorrente 
al 
pagamento delle spese del procedimento. 
3. Poichè 
dalla 
presente 
decisione 
non consegue 
la 
rimessione 
in libertà 
del 
ricorrente, 
deve 
disporsi, ai 
sensi 
dell'art. 94 disp. att. c.p.p., comma 
1 ter, che 
copia 
della 
stessa 
sia 
trasmessa 
al 
direttore 
dell'istituto 
penitenziario 
in 
cui 
l'indagato 
si 
trova 
ristretto, 
perchè 
provveda 
a quanto stabilito dal comma 1 bis 
del citato art. 94. 
P.Q.M. 
Rigetta 
il 
ricorso e 
condanna 
il 
ricorrente 
al 
pagamento delle 
spese 
processuali. Manda 
alla 
Cancelleria per gli adempimenti di cui all'art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter. 
Così deciso in Roma, il 24 novembre 2022. 


ConTenzIoSo 
nAzIonALe 


L’ampliamento della portata applicativa dell’istituto della 
“messa alla prova” in armonia con il diritto di difesa 


NoTa 
a 
CorTE 
CoSTiTuzioNaLE, SENTENza 
14 GiuGNo 
2022 N. 146 


«È 
costituzionalmente 
illegittimo, 
per 
violazione 
degli 
artt. 
3 
e 
24 
Cost, 
l’art. 
517 
c.p.p., 
nella 
parte 
in cui 
non prevede, in seguito alla 
contestazione 
di 
reati 
connessi 
a 
norma 
dell’art. 12, 
co. 
1 
lett. 
b), 
c.p.p., 
la 
facoltà 
dell’imputato 
di 
richiedere 
la 
sospensione 
del 
procedimento 
con messa alla prova, con riferimento a tutti i reati contestatigli». 


Sommario: 1. La genesi 
dell’istituto della messa alla prova e 
i 
dubbi 
di 
legittimità costituzionale 
- 2. il tortuoso percorso giurisprudenziale - 3. il caso. 


1. La genesi 
dell’istituto della messa alla prova e 
i 
dubbi 
di 
legittimità costituzionale. 
In risposta 
all’annoso problema 
del 
sovraffollamento carcerario evidenziato 
severamente 
dalla 
Corte 
edU 
(1), il 
legislatore 
nazionale 
con la 
legge 
67/2014 ha 
inserito l’istituto della 
“sospensione 
del 
processo con messa 
alla 
prova” nel codice di procedura penale, all’art. 464 
bis. 


L’intervento legislativo, oltre 
all’inserimento del 
titolo V 
bis 
nel 
libro VI 
del 
codice 
di 
procedura 
penale 
-la 
cui 
collocazione 
sistematica 
è 
tutt’altro 
che 
casuale 
-ha 
avuto un notevole 
impatto nel 
sistema 
normativo: 
nel 
Codice 
penale, 
sono stati 
introdotti 
gli 
artt. 168 bis, 168 ter 
e 
168 quater; 
nelle 
norme 
di 
attuazione, 
coordinamento 
e 
transitorie 
del 
codice 
di 
procedura 
penale, 
gli 
artt. 
141 bis 
e 
141 
ter; 
nonché, sono state 
apportate 
delle 
modifiche 
alle 
disposizioni 
legislative 
e 
regolamentari 
in materia 
di 
casellario giudiziale, d.P.R. 14 
novembre 2002, n. 313. 

La 
sospensione 
del 
procedimento 
con 
messa 
alla 
prova 
si 
sostanzia 
in 
una 
sorta 
di 
probation 
giudiziale, 
di 
spiccata 
vena 
innovativa 
nel 
settore 
degli 
adulti, 
dal 
momento 
che 
consente 
all’imputato 
la 
sospensione 
del 
procedimento 
penale 
nella 
fase 
decisoria 
di 
primo grado, qualora 
si 
proceda 
per reati 
di 
minore 
allarme 
sociale 
(sempre 
che 
il 
giudice 
non debba 
pronunciare 
una 
sentenza ai sensi dell’art. 129 c.p.p.). 


L’istituto, 
di 
ispirazione 
anglosassone, 
consente 
dunque 
al 
termine 
delle 
indagini 
preliminari, 
l’apertura 
“in 
sede 
di 
udienza 
preliminare 
o 
in 
limine, 
di 
uno 
scenario 
che 
tende, 
con 
un 
sol 
colpo, 
ad 
azzerare 
processo, 
responsabilità, 
pena 
e 
reato, 
attraverso 
una 
sorta 
di 
compensatio 
lucri 
cum 
damno” 
in 
cui 
l’imputato 
è 
sottoposto 
ad 
una 
prova 
“dai 
contenuti 
variegati, 
eterei 
e 
concet


(1) Casi 
Sulejmanovic, 16 luglio 2009, e 
Torreggiani, 8 gennaio 2013. Sul 
punto, PULITAnò, idee 
per 
un manifesto sulle 
politiche 
del 
diritto penale, in rivista italiana di 
diritto e 
procedura penale, fasc. 
1, 1° 
marzo 2019, 361; 
BeRnARdI, il 
costo “di 
sistema” 
delle 
opzioni 
europee 
sulle 
sanzioni 
punitive, 
in rivista italiana di diritto e procedura penale, fasc. 2, 1 giugno 2018, 557. 

RASSegnA 
AVVoCATURA 
deLLo 
STATo -n. 2/2022 


tualmente 
multiformi”, 
mentre 
l’autorità 
giudiziaria 
“lo 
premia 
purgandolo 
dal 
processo 
e 
dal 
reato 
attraverso 
una 
declaratoria 
di 
estinzione 
” 
(2). 


orbene, considerato che 
gli 
effetti 
della 
sospensione 
ricadono nella 
sfera 
giuridica 
dell’imputato, 
è 
indispensabile 
il 
consenso 
nonché 
la 
richiesta 
del 
medesimo (o di 
un suo procuratore 
speciale) alla 
quale 
è 
allegata, contestualmente, 
la 
presentazione 
di 
un 
programma 
di 
trattamento 
elaborato 
di 
intesa 
con 
l’ufficio 
di 
esecuzione 
penale 
esterna 
(UePe), 
oppure, 
ove 
ciò 
non 
sia 
stato 
possibile, 
la 
richiesta 
di 
trattamento 
concordato; 
nel 
qual 
caso 
sarà 
il 
giudice 
a 
compulsare 
l’UePe 
perché 
elabori 
detto 
trattamento. 
Costituiscono 
oggetto 
del 
programma 
anzidetto, 
mansioni 
inerenti 
alle 
attività 
sociali 
e 
sociosanitarie, 
di 
protezione 
civile, 
patrimonio 
ambientale 
e 
culturale, 
nonché 
immobili e servizi pubblici. 


Costituisce 
un 
tassello 
processuale 
rilevante, 
ma 
non 
vincolante 
ai 
fini 
dell’effettiva 
concessione, 
il 
parere 
del 
pubblico 
ministero, 
che 
pur 
ammettendo 
la 
possibilità 
di 
essere 
disatteso dal 
giudice 
in udienza, può costituire 
in 
seguito oggetto di ricorso per cassazione. 

da 
ultimo, 
la 
recente 
riforma 
Cartabia 
(L. 
134/2021) 
(3), 
rielabora 
il 
rapporto 
accusa-difesa, 
e 
-lasciando 
inalterata 
la 
facoltà 
dell’imputato 
di 
richiedere 
la 
concessione 
della 
messa 
alla 
prova 
-ha 
inserito 
all’art. 
168 
bis 
c.p. 
la 
possibilità 
per 
il 
pubblico 
ministero 
di 
proporre, 
qualora 
le 
circostanze 
lo 
consentano, 
all’imputato 
di 
optare 
per 
la 
messa 
alla 
prova, 
facendone 
opportuna 
richiesta. 


Il 
legislatore 
ha 
però previsto anche 
degli 
sbarramenti 
alla 
concessione 
del 
beneficio: 
difatti, vi 
sono circostanze 
ostative 
di 
natura 
oggettiva 
e 
soggettiva. 
Le 
prime, 
attengono 
alla 
possibilità 
di 
poter 
beneficiarne 
una 
sola 
volta 
ed 
in 
ragione 
della 
gravità 
del 
reato 
commesso, 
la 
quale 
è 
valutata 
tenuto 
conto 
della 
cornice 
edittale 
(4) 
o, 
mediante 
il 
richiamo 
all’elenco 
dei 
delitti 
contenuti 
nel 
co. 
II 
dell’art. 
550 
c.p.p.; 
le 
seconde, 
invece, 
ineriscono 
alla 
figura 
dei 
contravventori 
e delinquenti professionali, abituali o per tendenza. 


di 
fianco 
a 
queste 
preclusioni 
normativamente 
esplicite, 
la 
dottrina 
(5) 
ne 
ha 
ravvisato 
un’altra, 
ricavabile 
implicitamente 
dal 
tessuto 
logico-normativo: 
ovvero, 
la 
sussistenza 
di 
un 
previo 
ordine 
cautelare 
restrittivo 
a 
carico 
dell’imputato 
per 
il 
procedimento 
in 
corso. 
difatti, 
questa 
lettura 
ben 
si 
coniuga 
con 
la 
valutazione 
prognostica 
insita 
nella 
messa 
alla 
prova 
secondo 
la 
quale 
l’imputato 
non 
commetterà 
ulteriori 
reati, 
e 
con 
l’eventuale 
espletamento 
di 
attività 
lavorative, 
per 
quali 
si 
assume 
per 
certo 
uno 
stato 
di 
libertà 
del 
medesimo. 


(2) MACCHIA, Note 
minime 
su messa alla prova e 
giurisprudenza costituzionale, Incontro sulla 
giustizia riparativa presso la Camera penale di Roma del 9 giugno 2021. 
(3) entrata in vigore a partire dal 30 dicembre 2022. 
(4) Per i 
reati 
puniti 
con la 
reclusione 
fino a 
quattro anni, sola, congiunta 
o alternativa 
alla 
pena 
pecuniaria. 
(5) 
MARAndoLA, 
La 
messa 
alla 
prova 
dell'imputato 
adulto: 
ombre 
e 
luci 
di 
un 
nuovo 
rito 
speciale 
per una diversa politica criminale, in Dir. pen. proc., 2014, 680. 

ConTenzIoSo 
nAzIonALe 


L’accezione 
benefica 
per 
l’imputato 
si 
può 
cogliere 
nel 
fatto 
di 
aggirare 
la 
pena 
detentiva 
con 
un’attività 
lavorativa, 
ma 
ancor 
di 
più 
una 
volta 
ottenuto 
l’esito 
positivo 
della 
prova, 
dalla 
quale 
ne 
conseguirà 
l’estinzione 
del 
reato. 
Questo 
epilogo, 
infatti, 
incarna 
l’ideale 
di 
giustizia 
riparativa 
(restorative 
Justice): 
ovvero 
modello 
attraverso 
il 
quale 
la 
vittima, 
il 
reo 
e 
la 
comunità 
ricercano 
soluzioni 
ad 
un 
conflitto 
interindividuale 
e 
sociale, 
tramite 
la 
riparazione 
del 
danno, 
la 
riconciliazione 
tra 
le 
parti 
e 
il 
ristabilimento 
dell’ordine 
sociale 
(6). 


Contrariamente, in caso di 
esito negativo per grave 
e 
reiterata 
trasgressione 
del 
programma 
di 
trattamento o delle 
prescrizioni, il 
giudice 
revoca 
con 
ordinanza la sospensione e dispone la ripresa del procedimento. 


nonostante 
le 
lodevoli 
ma 
indubbie 
finalità 
deflattive, 
gli 
oscuri 
contorni 


(7) 
della 
disciplina 
legislativa 
relative 
alla 
messa 
alla 
prova 
hanno 
suscitato 
dubbi 
di 
legittimità 
costituzionale 
negli 
operatori 
del 
diritto, 
al 
punto 
tale 
da 
sollecitare 
la 
Consulta 
ad 
un 
intervento 
di 
armonizzazione 
con 
l’impianto 
costituzionale. 
2. il tortuoso percorso giurisprudenziale. 
Le 
continue 
problematiche 
rimesse 
all’attenzione 
della 
Corte 
hanno contribuito 
a 
conferire 
completezza 
al 
principio di 
difesa 
(8), costituzionalmente 
riconosciuto all’imputato nell’ambito del processo penale. 


La 
possibilità 
di 
accedere 
ai 
riti 
alternativi 
in relazione 
alle 
contestazioni 
effettuate 
in 
sede 
dibattimentale 
-quindi 
successivamente 
alla 
scadenza 
dei 
termini 
ordinari 
per la 
presentazione 
della 
relativa 
richiesta 
-era 
stata 
già 
sottoposta 
alla 
Corte 
costituzionale 
(9), la 
quale 
aveva 
tuttavia 
rimandato la 
questione 
al legislatore, esortandolo ad un intervento correttivo. 

(6) 
Sul 
punto, 
MUzzICA, 
La 
sospensione 
del 
processo 
con 
messa 
alla 
prova 
per 
gli 
adulti: 
un 
primo 
passo 
verso 
un 
modello 
di 
giustizia 
riparativa?, 
in 
Processo 
penale 
e 
giustizia, 
fasc. 
3, 
2015. 
L’autore 
ha 
messo 
in 
luce 
anche 
le 
ombre 
di 
questa 
tanto 
attesa 
giustizia 
riparativa: 
“da 
un 
lato, 
pur 
rappresentando 
un 
interessante 
modulo 
operativo 
di 
gestione 
del 
conflitto, 
è 
del 
tutto 
carente 
di 
funzione 
critica 
nei 
confronti 
dell’ordinamento 
esistente; 
dall’altro, 
l’accoglimento 
di 
un 
simile 
ideale 
di 
giustizia 
in 
un’ottica 
completamente 
sostitutiva 
del 
diritto 
penale 
neutralizzerebbe 
l’invasività 
della 
sanzione 
criminale, ma comporterebbe 
altresì 
il 
rischio di 
sanzioni 
informali, parimenti 
afflittive 
ma sprovviste 
delle garanzie tipiche dello strumento penale”. 
(7) Sul 
punto, donnARUMMA, La “messa alla prova” 
dell’imputato. Problematicità dell’istituto, 
in Giurisprudenza Penale 
Web, 2022, 9; 
nonché 
MACCHIA, che 
lo definisce 
“un istituto oscuro, concettualmente 
umbratile” 
aggiungendo “L'altare 
dei 
numeri 
merita delle 
vittime 
sacrificali: dipende 
solo 
da quali 
e 
quante”, così 
in Note 
minime 
su messa alla prova e 
giurisprudenza costituzionale, in Cass. 
Pen., fasc. 3, 1° marzo 2022, 953. 
(8) definita 
come 
precondizione 
della 
democrazia, SCALfATI, ricerca della prova e 
immunità difensive, 
edizione 
2001; 
BALdASSARRe, Diritti 
inviolabili, edizione 
1977; 
AMATo, art. 14 Cost. 
in Commentario 
alla Costituzione. i rapporti civili 
(a cura di) BRAnCA. 
(9) Corte 
cost. 1° 
aprile 
1993, n. 129: 
laddove 
non era 
prevista 
la 
possibilità 
di 
richiedere 
il 
rito 
abbreviato 
in 
relazione 
alle 
nuove 
contestazioni, 
o 
la 
preclusione 
di 
contestazioni 
suppletive, 
era 
opportuno 
realizzare 
un “appropriato congegno normativo che 
componga 
le 
interferenze 
tra 
giudizio abbreviato 
e 
giudizio dibattimentale, sempreché 
la 
disciplina 
non venga 
modificata 
nella 
sentenza 
n. 92 
del 
1992 
di 
questa 
Corte”. 
Lo 
stesso 
è 
avvenuto 
con 
riferimento 
al 
rito 
del 
patteggiamento 
con 
la 
sentenza 
n. 265 del 1994. 

RASSegnA 
AVVoCATURA 
deLLo 
STATo -n. 2/2022 


I 
giudici 
della 
Corte 
costituzionale 
del 
2003, 
con 
un 
attento 
e 
lucido 
sguardo alla 
ratio 
ispiratrice 
dei 
riti 
alternativi, avevano squarciato il 
velo del 
rigore 
normativo, ammettendo la 
possibilità, a 
fronte 
di 
contestazioni 
suppletive 
(c.d. tardive 
o patologiche), di 
optare 
per un rito alternativo, proprio in 
ragione 
dell’effetto di 
economia 
processuale. Tale 
epilogo, infatti, ha 
consentito 
di eludere quel passaggio dettato dal legislatore all’art. 519 c.p.p. 


difatti, con la 
sentenza 
9 luglio 2015, n. 139, la 
medesima 
Corte 
aveva 
dichiarato 
l’illegittimità 
dell’articolo 
517 
c.p.p., 
nella 
parte 
in 
cui, 
a 
fronte 
della 
contestazione 
di 
una 
circostanza 
aggravante 
già 
risultante 
da 
atti 
di 
indagine, 
non era 
riconosciuta 
la 
facoltà 
all’imputato di 
optare 
per il 
rito abbreviato, 
per 
il 
reato 
oggetto 
della 
nuova 
contestazione. 
Contestualmente, 
la 
Corte 
aveva 
rigettato la 
questione 
di 
illegittimità 
costituzionale 
in merito alla 
preclusa 
possibilità 
rimessa 
all’imputato stavolta 
con riferimento a 
reati 
diversi 
da quello oggetto della nuova contestazione (10). 

nel 
corso degli 
anni, la 
giurisprudenza, muovendosi 
nel 
solco della 
deflazione 
dei 
processi, 
ha 
consentito 
all’imputato 
di 
ricorrere 
ugualmente 
al 
rito 
della 
pena 
concordata 
di 
cui 
all’art. 444 c.p.p. a 
fronte 
della 
contestazione 
di 
una 
nuova 
fattispecie 
di 
reato, o di 
una 
circostanza 
aggravante, o di 
reati 
connessi 
ai 
sensi 
dell’art. 12 c.p.p. lasciando un consapevole 
vuoto in merito alla 
messa alla prova. 


In tale 
scenario, funge 
da 
apripista 
-fino alla 
decisione 
in commento -la 
sentenza 
n. 
14 
del 
2020, 
con 
la 
quale 
la 
Corte 
costituzionale, 
oltre 
a 
dichiarare 
l’illegittimità 
costituzionale 
dell’art. 
516 
c.p.p. 
(11), 
parifica 
la 
messa 
alla 
prova 
ai 
tradizionali 
riti 
alternativi, 
ovviando 
alle 
sollevate 
questioni 
di 
disparità 
trattamentali. 

(10) Sul 
punto, numerose 
sono le 
pronunce 
della 
Corte 
costituzionale: 
sent. 30 giugno 1994, n. 
265, 
per 
la 
mancata 
previsione 
della 
facoltà 
dell’imputato 
di 
richiedere 
l’applicazione 
della 
pena 
a 
norma 
dell’art. 
444 
c.p.p.; 
ancora, 
sentenza 
29 
dicembre 
1995, 
n. 
530, 
rilevava 
l’illegittimità 
costituzionale 
per 
la 
mancata 
previsione 
della 
facoltà 
dell’imputato di 
proporre 
domanda 
di 
oblazione, ai 
sensi 
degli 
artt. 
162 e 
162 bis 
c.p. relativamente 
al 
reato concorrente 
contestato in dibattimento. Le 
più recenti: 
sent. 26 
ottobre 2012, n. 237; sentenza 5 luglio 2018, n. 141; sentenza 11 aprile 2019, n. 82. 
(11) Con sent. n. 14 del 
15 gennaio 2020, in g.U. 12 febbraio 2020, n. 7, la 
Corte 
costituzionale 
ha 
dichiarato «l’illegittimità costituzionale 
dell’art. 516 del 
codice 
di 
procedura penale, nella parte 
in 
cui, 
in 
seguito 
alla 
modifica 
dell’originaria 
imputazione, 
non 
prevede 
la 
facoltà 
dell’imputato 
di 
richiedere 
al 
giudice 
del 
dibattimento la sospensione 
del 
procedimento con messa alla prova». ll 
principio 
della 
restituzione 
all’imputato, nell’evenienza 
di 
nuove 
contestazioni, della 
«possibilità di 
esercitare 
le 
proprie 
scelte 
difensive», compresa 
quella 
«di 
chiedere 
un rito alternativo» («indipendentemente» -notasi 
-dall’eventuale 
«negligenza 
del 
pubblico 
ministero 
nella 
formulazione 
dell’originaria 
imputazione»), 
deve 
trovare 
applicazione 
anche 
nell’ipotesi 
prevista 
dall’art. 516 c.p.p.: 
talché, pure 
in questa, «strutturalmente 
identica» a 
quella 
oggetto della 
sentenza 
n. 141 del 
2018, l’imputato deve 
essere 
messo in 
grado di 
accedere 
alla 
messa 
alla 
prova, che 
configura 
un «nuovo procedimento speciale, alternativo al 
giudizio» (sentenze nn. 68 del 2019, 91 del 2018 e 240 del 2015). 

ConTenzIoSo 
nAzIonALe 


3. il caso. 
La questione oggetto della pronuncia emessa dalla Corte costituzionale è 
di 
particolare 
interesse, 
anche 
alla 
luce 
della 
giurisprudenza 
precedentemente 
formatasi. 
difatti, 
la 
Corte 
costituzionale 
ha 
nuovamente 
rivolto 
la 
sua 
attenzione 
alla 
delicata 
fase 
dibattimentale, 
rispondendo 
ad 
un 
dubbio 
interpretativo 
afferente 
alla 
portata 
della 
fattispecie 
di 
cui 
all’art. 
517 
del 
codice 
di 
procedura 
penale, 
rubricato 
“Reato 
concorrente 
e 
circostanze 
aggravanti 
risultanti 
dal 
dibattimento”, 
e 
collocata 
in 
seno 
al 
libro 
settimo, 
capo 
IV. 


La 
norma 
disciplina 
l’ipotesi 
in 
cui, 
nel 
corso 
del 
dibattimento 
emerge 
un reato connesso o una 
circostanza 
aggravante 
e 
alla 
luce 
di 
ciò, il 
Pubblico 
Ministero è 
chiamato a 
contestarli 
nell’ambito di 
un contraddittorio all’imputato, 
salva 
la 
competenza 
dell’autorità 
giudiziaria; 
in caso contrario, trovano 
applicabilità 
le 
disposizioni 
di 
cui 
agli 
artt. 
516, 
co. 
I 
bis 
(12) 
e 
I 
ter 
(13) 
c.p.p. 
(modifica 
della 
imputazione). La 
ratio 
di 
tale 
previsione 
è 
proprio quella 
di 
garantire 
il 
diritto 
di 
difesa 
dell’imputato, 
costituzionalmente 
contemplato 
dall’art. 
24 
co. 
II, 
concedendogli 
in 
tal 
senso 
la 
possibilità 
di 
vagliare 
la 
propria 
strategia 
difensiva, segnatamente 
alla 
scelta 
di 
un rito alternativo, anche 
a 
seguito 
dell’originaria imputazione. 

Con riferimento all’istituto della 
messa 
alla 
prova, oggetto della 
presente 
questione, la 
Consulta 
ne 
aveva 
già 
concesso obiter 
dictum 
l’ammissibilità, a 
fronte 
della 
contestazione 
di 
un fatto diverso ex art. 516 c.p.p. (c. cost. 11 febbraio 
2020, n. 14) (14) e 
di 
una 
circostanza 
aggravante 
(c. cost. 5 luglio 2018, 


n. 141). Il 
dato evincibile, è 
che 
le 
citate 
risposte 
date 
dai 
giudici 
sono univocamente 
tese 
a 
salvaguardare 
la 
posizione 
dell’imputato 
chiamato 
a 
rispondere 
di 
più fatti 
costituenti 
reato. Con riferimento al 
momento della 
contestazione, 
la 
giurisprudenza 
è 
granitica 
nell’affermare 
che 
la 
formula 
“nel 
corso 
del-
l’istruzione 
dibattimentale” 
contenuta 
negli 
artt. 516, 517, 518 c.p.p., delinea 
il 
confine 
temporale 
entro 
il 
quale 
il 
Pubblico 
Ministero 
può 
procedere 
alle 
contestazioni. Ciò implica 
che 
è 
ammessa 
la 
possibilità 
di 
modificare 
l’imputazione 
alla 
luce 
di 
una 
mera 
rivalutazione 
degli 
elementi 
già 
in 
atti 
al 
momento 
dell’esercizio dell’azione 
penale 
da 
parte 
dell’autorità 
requirente 
(15). 
Con 
la 
pronuncia 
de 
qua, 
la 
Corte 
costituzionale 
ha 
ammesso 
la 
possibilità 


(12) Il 
quale 
prevede 
che 
“se 
a seguito della modifica il 
reato risulta attribuito alla cognizione 
del 
tribunale 
in composizione 
collegiale 
anziché 
monocratica, l’inosservanza delle 
disposizioni 
sulla 
composizione 
del 
giudice 
è 
rilevata o eccepita, a pena di 
decadenza, immediatamente 
dopo la nuova 
contestazione, ovvero, nei 
casi 
indicati 
dagli 
artt. 519 co. 2 e 
520 co. 2, prima del 
compimento di 
ogni 
altro atto nella nuova udienza fissata a norma dei medesimi articoli”. 
(13) “Se 
a seguito della modifica risulta un reato per 
il 
quale 
è 
prevista l’udienza preliminare, e 
questa non si 
è 
tenuta, l’inosservanza delle 
relative 
disposizioni 
è 
eccepita, a pena di 
decadenza, entro 
il termine indicato dal co. 1 bis”. 
(14) CAPITTA, modifica della imputazione e messa alla prova, in archivio penale, 2020. 
(15) Cass. Pen., sez. IV, 3 maggio 2007, n. 22512. 

RASSegnA 
AVVoCATURA 
deLLo 
STATo -n. 2/2022 


per l’imputato di 
avanzare 
la 
richiesta 
di 
sospensione 
del 
procedimento con 
messa 
alla 
prova 
anche 
quando la 
contestazione 
dibattimentale 
suppletiva 
riguarda 
un reato connesso. 


In 
tal 
senso, 
è 
pacificamente 
ravvisabile 
un 
distacco 
dal 
precedente 
arresto 
relativo 
alla 
richiesta 
di 
rito 
abbreviato: 
difatti, 
quest’ultimo 
può 
essere 
richiesto 
a 
fronte 
di 
una 
contestazione 
suppletiva 
di 
un fatto diverso, di 
una 
circostanza 
aggravante 
o di 
un reato connesso, solo per il 
reato come 
modificato o 
aggiunto, ciò non avviene 
con la 
sospensione 
del 
procedimento con la 
messa 
alla 
prova 
che 
può essere 
richiesta 
anche 
per il 
reato per il 
quale 
la 
contestazione 
suppletiva 
non 
ha 
avuto 
alcun 
impatto. 
A 
sostegno 
di 
tale 
discrimen, 
merita 
di 
essere 
valorizzata 
la 
natura 
sostanziale 
della 
messa 
alla 
prova 
che 
si 
manifesta 
allo scadere 
del 
periodo di 
prova: 
difatti, all’esito positivo ne 
consegue 
l’estinzione 
del 
reato. dunque, è 
proprio questa 
marcata 
accezione 
risocializzante 
dell’istituto 
in 
questione 
ad 
entrare 
in 
collisione 
con 
l’assunto 
di 
concedere il beneficio solo con riferimento ad alcuni reati. 

Daniela Migali* 


Corte 
Costituzionale, sentenza 14 giugno 2022 n. 146 
-Pres. g. Amato, red. 
f. Viganò giudizio 
di 
legittimità 
costituzionale 
dell’art. 517 del 
codice 
di 
procedura 
penale, promosso 
dal 
Tribunale 
ordinario di 
Palermo nel 
procedimento penale 
a 
carico di 
d.L.P. con ordinanza 
del 25 marzo 2021. 


ritenuto in fatto 


1.– Con ordinanza 
del 
25 marzo 2021, il 
Tribunale 
ordinario di 
Palermo ha 
sollevato, in riferimento 
agli 
artt. 3 e 
24 della 
Costituzione, questioni 
di 
legittimità 
costituzionale 
dell’art. 
517 del 
codice 
di 
procedura 
penale, nella 
parte 
in cui 
non prevede 
la 
facoltà 
dell’imputato di 
richiedere 
al 
giudice 
del 
dibattimento la 
sospensione 
del 
procedimento con messa 
alla 
prova, 
relativamente al reato concorrente oggetto di nuova contestazione. 


1.1.– Il 
giudizio a 
quo è 
stato instaurato mediante 
decreto di 
citazione 
diretta 
a 
giudizio 
nei 
confronti 
di 
d. L.P., chiamata 
a 
rispondere 
del 
reato di 
cui 
all’art. 44, comma 
1, lettera 
b), 
del 
d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 recante 
«Testo unico delle 
disposizioni 
legislative 
e 
regolamentari 
in materia edilizia (Testo A)». 


Successivamente 
all’apertura 
del 
dibattimento e 
a 
seguito dell’escussione 
di 
un testimone 
della 
lista 
del 
pubblico ministero, quest’ultimo ha 
proceduto, ai 
sensi 
dell’art. 517 cod. proc. 
pen., alla 
contestazione 
di 
ulteriori 
reati 
-connessi 
al 
primo ai 
sensi 
dell’art. 12, comma 
1, 
lettera 
b), 
cod. 
proc. 
pen. 
-di 
cui 
agli 
artt. 
71 
e 
95 
del 
d.P.R. 
n. 
380 
del 
2001, 
per 
la 
violazione, 
rispettivamente, degli 
artt. 64, 65 e 
93 del 
medesimo d.P.R., avvinti 
dal 
nesso della 
continuazione 
ex art. 81, secondo comma, del codice penale. 


A 
seguito 
della 
nuova 
contestazione, 
il 
difensore 
dell’imputata, 
munito 
di 
procura 
speciale, 


(*) dottoressa 
in giurisprudenza, ammessa 
alla 
pratica 
forense 
presso l’Avvocatura 
distrettuale 
dello 
Stato di Bologna. 



ConTenzIoSo 
nAzIonALe 


ha 
presentato 
istanza 
di 
sospensione 
del 
procedimento 
con 
messa 
alla 
prova, 
rispetto 
alla 
quale 
è 
stato 
acquisito 
un 
programma 
di 
trattamento 
da 
parte 
dell’ufficio 
di 
esecuzione 
penale 
esterna. 


1.2.– Chiamato a 
decidere 
su tale 
istanza, il 
rimettente 
osserva 
che 
l’art. 464-bis, comma 
2, cod. proc. pen. prevede 
che 
la 
richiesta 
di 
sospensione 
del 
procedimento con messa 
alla 
prova 
può 
essere 
formulata 
solo 
fino 
alla 
dichiarazione 
di 
apertura 
del 
dibattimento, 
così 
escludendo 
implicitamente 
che 
la 
relativa 
istanza 
possa 
essere 
avanzata 
a 
seguito 
di 
una 
nuova 
contestazione ai sensi dell’art. 517 cod. proc. pen. 


dal che la rilevanza della questione. 


1.3.– Quanto alla 
non manifesta 
infondatezza, il 
giudice 
a 
quo osserva 
anzitutto che 
i 
rapporti 
tra 
le 
nuove 
contestazioni 
dibattimentali 
e 
il 
recupero 
da 
parte 
dell’imputato 
della 
facoltà 
di 
chiedere 
l’applicazione 
di 
riti 
alternativi 
sono 
stati 
interessati 
da 
plurimi 
interventi 
di 
questa 
Corte, 
caratterizzati 
da 
una 
tendenziale 
e 
graduale 
apertura 
verso 
l’esercizio 
di 
prerogative 
che risulterebbero altrimenti precluse. 


I prospettati 
dubbi 
di 
legittimità 
costituzionale 
assumerebbero consistenza 
se 
vagliati 
alla 
luce 
del 
«progressivo percorso di 
riallineamento costituzionale» della 
disciplina 
codicistica, 
i 
cui 
snodi 
essenziali 
vengono analiticamente 
ripercorsi 
dal 
rimettente, che 
evidenzia 
in particolare 
il 
passaggio da 
un atteggiamento di 
iniziale 
chiusura 
(sono citate 
le 
sentenze 
n. 129 
del 
1993, n. 316 del 
1992, n. 277 e 
n. 593 del 
1990, nonché 
l’ordinanza 
n. 213 del 
1992), al 
riconoscimento 
della 
possibilità 
di 
un 
recupero 
dei 
riti 
alternativi 
nel 
caso 
di 
contestazioni 
dibattimentali 
cosiddette 
“patologiche” 
(sono 
citate 
le 
sentenze 
n. 
139 
del 
2015, 
n. 
184 
del 
2014, 


n. 333 del 
2009 e 
n. 265 del 
1994), e 
infine 
all’estensione 
di 
tale 
recupero anche 
nelle 
ipotesi 
di 
nuove 
contestazioni 
cosiddette 
“fisiologiche” 
(sono citate 
le 
sentenze 
n. 141 del 
2018, n. 
206 del 2017, n. 273 del 2014, n. 237 del 2012 e n. 530 del 1995). 
Ad avviso del 
rimettente, posto che 
la 
richiesta 
di 
accesso ai 
riti 
alternativi 
costituisce 
una 
delle 
modalità 
più 
qualificanti 
di 
esercizio 
del 
diritto 
di 
difesa 
(sono 
citate 
le 
sentenze 
di 
questa 
Corte 
n. 219 del 
2004, n. 70 del 
1996, n. 497 del 
1995 e 
n. 76 del 
1993), si 
creerebbe 
una 
ingiustificata 
disparità 
di 
trattamento 
se, 
al 
ricorrere 
di 
situazioni 
processuali 
analoghe, 
la 
facoltà 
di 
chiederli 
fosse 
diversamente 
disciplinata; 
né 
tantomeno si 
spiegherebbe 
la 
previsione 
del-
l’avviso 
rivolto 
all’imputato, 
nei 
vari 
atti 
con 
i 
quali 
si 
dispone 
il 
giudizio 
in 
mancanza 
di 
udienza 
preliminare, 
circa 
la 
facoltà 
di 
accedere 
ai 
riti 
alternativi, 
la 
cui 
omissione 
è 
sanzionata 
con la 
nullità. Tale 
previsione 
verrebbe 
«sostanzialmente 
elusa, nelle 
ipotesi 
in cui 
i 
contorni 
dell’accusa 
-oggetto 
e 
termine 
di 
riferimento 
delle 
“scelte” 
difensive 
dell’imputato 
-subiscano 
in dibattimento (“fisiologicamente” 
o meno) un significativo e 
qualificato mutamento contenutistico, 
senza 
offrire 
una 
possibilità 
di 
“rinnovare” 
quelle 
scelte 
in 
rapporto 
alla 
“novazione” 
della accusa». 


Assume, quindi, il 
rimettente 
che 
la 
facoltà 
di 
richiedere 
riti 
alternativi 
«si 
salda 
a 
doppio 
filo al 
diritto di 
difesa 
-in particolare, al 
diritto di 
scegliere 
il 
modello processuale 
più congeniale 
all’esercizio di 
quel 
diritto -» e 
che, di 
riflesso, risulterebbe 
di 
dubbia 
coerenza 
qualsiasi 
preclusione 
che 
ne 
limiti 
l’esercizio 
concreto, 
allorquando 
il 
sistema 
consenta 
una 
mutatio 
libelli in sede dibattimentale. 


Conclusivamente, 
il 
rimettente 
asserisce 
che 
le 
argomentazioni 
svolte 
da 
questa 
Corte 
nella 
sentenza 
n. 
141 
del 
2018 
risulterebbero 
perfettamente 
pertinenti 
e 
sovrapponibili 
alla 
fattispecie 
al 
suo esame, da 
cui 
origina 
l’odierna 
questione 
di 
legittimità 
costituzionale, della 
richiesta 
da 
parte 
dell’imputato 
di 
sospensione 
del 
procedimento 
con 
messa 
alla 
prova 
con 
riferimento ai reati concorrenti oggetto di nuova contestazione. 



RASSegnA 
AVVoCATURA 
deLLo 
STATo -n. 2/2022 


2.– Il 
Presidente 
del 
Consiglio dei 
ministri 
non è 
intervenuto in giudizio, né 
si 
è 
costituita 
l’imputata nel giudizio a quo. 


Considerato in diritto 


1.– Con l’ordinanza 
indicata 
in epigrafe, il 
Tribunale 
ordinario di 
Palermo ha 
sollevato, in 
riferimento agli 
artt. 3 e 
24 della 
Costituzione, questioni 
di 
legittimità 
costituzionale 
dell’art. 
517 del 
codice 
di 
procedura 
penale, nella 
parte 
in cui 
non prevede 
la 
facoltà 
dell’imputato di 
richiedere 
al 
giudice 
del 
dibattimento la 
sospensione 
del 
procedimento con messa 
alla 
prova, 
relativamente al reato concorrente oggetto di nuova contestazione. 


1.1.– La 
disposizione 
censurata 
consente 
al 
pubblico ministero di 
procedere, durante 
il 
dibattimento, 
a 
contestazioni 
suppletive 
che 
possono 
consistere 
nell’aggiunta 
di 
un’aggravante, 
ovvero -come 
nel 
caso verificatosi 
nel 
giudizio a 
quo -nell’addebito di 
uno o più reati 
connessi 
a 
quello 
originariamente 
indicato 
nell’imputazione 
ai 
sensi 
dell’art. 
12, 
comma 
1, 
lettera 
b), cod. proc. pen., e 
cioè 
commessi 
con la 
medesima 
azione 
od omissione, ovvero con condotte 
diverse, ma in esecuzione di un medesimo disegno criminoso. 


nel 
momento 
della 
nuova 
contestazione 
dibattimentale, 
il 
termine 
per 
avanzare 
la 
richiesta 
di 
sospensione 
del 
procedimento 
con 
messa 
alla 
prova 
di 
cui 
all’art. 
168-bis 
del 
codice 
penale 
è 
sempre 
già 
spirato. Tale 
istanza, infatti, deve 
essere 
di 
regola 
formulata 
prima 
dell’apertura 
del dibattimento di primo grado (art. 464-bis, comma 2, cod. proc. pen.). 


Secondo il 
rimettente, tuttavia, precludere 
l’accesso alla 
messa 
alla 
prova 
a 
seguito della 
contestazione suppletiva di reati connessi violerebbe: 


– l’art. 24 Cost., in quanto la 
richiesta 
di 
riti 
alternativi, tra 
cui 
va 
annoverata 
anche 
la 
sospensione 
del 
procedimento 
con 
messa 
alla 
prova, 
costituirebbe 
una 
tra 
le 
più 
qualificanti 
modalità 
con le quali si esplica l’esercizio del diritto di difesa; 
– e 
l’art. 3 Cost., perché 
l’imputato verrebbe 
irragionevolmente 
discriminato, ai 
fini 
del-
l’accesso ai 
procedimenti 
speciali, in conseguenza 
della 
maggiore 
o minore 
esattezza 
o completezza 
della 
discrezionale 
valutazione 
circa 
le 
risultanze 
delle 
indagini 
preliminari 
operata 
dal 
pubblico ministero, e 
perché 
sarebbe 
irragionevole 
non equiparare 
questa 
ipotesi 
a 
quelle 
nelle 
quali 
oggi 
risulta 
possibile 
-a 
seguito di 
numerose 
pronunce 
di 
questa 
Corte 
-accedere 
a 
riti 
alternativi, compresa 
la 
messa 
alla 
prova, a 
seguito di 
nuove 
contestazioni 
ai 
sensi 
degli 
artt. 516 e 517 cod. proc. pen. 
2.– Le questioni sono fondate. 


2.1.– Una 
fitta 
serie 
di 
pronunce 
di 
questa 
Corte 
ha 
adeguato il 
principio di 
fluidità 
del-
l’imputazione, che 
costituisce 
un dato caratterizzante 
del 
nostro sistema 
processuale 
anche 
in 
sede 
dibattimentale, 
al 
diritto 
di 
difesa 
presidiato 
dall’art. 
24 
Cost. 
quale 
«principio 
supremo» 
dell’ordinamento costituzionale» (sentenze 
n. 18 del 
2022, n. 238 del 
2014, n. 232 del 
1989 
e n. 18 del 1982). 


In particolare, tali 
pronunce 
hanno dichiarato l’illegittimità 
costituzionale 
degli 
artt. 516 e 
517 cod. proc. pen. nella 
parte 
in cui 
non consentono all’imputato l’accesso a 
riti 
alternativi 
nell’ipotesi 
di 
nuove 
contestazioni, progressivamente 
superando -come 
ben sottolinea 
il 
rimettente 
-l’originaria 
distinzione 
tra 
nuove 
contestazioni 
dibattimentali 
cosiddette 
“patologiche” 
e 
nuove 
contestazioni 
“fisiologiche” 
(sul 
punto, 
si 
veda 
in 
particolare 
la 
ricapitolazione 
svolta dalla sentenza n. 141 del 2018). 


Ciò in omaggio a 
una 
duplice 
esigenza: 
salvaguardare 
la 
pienezza 
del 
diritto di 
difesa 
del-
l’imputato, che 
comprende 
il 
diritto di 
optare 
per il 
rito alternativo alle 
condizioni 
stabilite 
dal 
legislatore, ed evitare 
l’irragionevole 
disparità 
di 
trattamento tra 
l’imputato che 
abbia 
po



ConTenzIoSo 
nAzIonALe 


tuto confrontarsi 
con una 
imputazione 
completa 
prima 
dell’inizio del 
dibattimento e 
quello 
rispetto 
al 
quale 
l’imputazione 
sia 
stata 
precisata 
o 
integrata 
soltanto 
nel 
corso 
del 
dibattimento, 
quando il 
termine 
per la 
scelta 
del 
rito alternativo è 
ormai 
scaduto. La 
scelta 
del 
rito 
deve, 
in 
effetti, 
poter 
essere 
effettuata 
dall’imputato 
-assistito 
dal 
proprio 
difensore 
-con 
piena 
consapevolezza 
delle 
possibili 
conseguenze 
sul 
piano sanzionatorio connesse 
all’uno o 
all’altro rito, in relazione 
ai 
reati 
contestati 
dal 
pubblico ministero; 
sicché, di 
fronte 
a 
un mutamento 
dell’imputazione, ragioni 
di 
tutela 
del 
suo diritto di 
difesa 
e 
del 
principio di 
eguaglianza 
impongono 
che 
sia 
sempre 
consentito 
all’imputato 
rivalutare 
la 
propria 
scelta 
alla 
luce 
delle nuove contestazioni. 


Così, il 
patteggiamento può oggi 
essere 
richiesto a 
fronte 
della 
nuova 
contestazione 
di 
un 
fatto diverso ex art. 516 cod. proc. pen. (sentenze 
n. 265 del 
1994 e 
n. 206 del 
2017), di 
una 
circostanza 
aggravante 
ex 
art. 
517 
cod. 
proc 
pen. 
(sentenza 
n. 
184 
del 
2014) 
o 
di 
reati 
connessi 
ex art. 517 cod. proc 
pen. (sentenze 
n. 265 del 
1994 e 
n. 82 del 
2019); 
e 
il 
giudizio abbreviato 
può 
essere 
richiesto 
a 
fronte 
della 
nuova 
contestazione 
di 
un 
fatto 
diverso 
ex 
art. 
516 
cod. 
proc. pen. (sentenze 
n. 333 del 
2009 e 
n. 273 del 
2014), di 
una 
circostanza 
aggravante 
ex art. 
517 cod. proc 
pen. (sentenza 
n. 139 del 
2015) o di 
reati 
connessi 
ex art. 517 cod. proc 
pen. 
(sentenza n. 333 del 2009). 


Quanto alla 
sospensione 
del 
procedimento con messa 
alla 
prova, che 
viene 
in considerazione 
nel 
giudizio a 
quo, essa 
può essere 
richiesta 
a 
fronte 
della 
nuova 
contestazione 
di 
un 
fatto diverso ex art. 516 cod. proc. pen. (sentenza 
n. 14 del 
2020) e 
di 
una 
circostanza 
aggravante 
ex art. 517 cod. proc pen. (sentenza n. 141 del 2018). 


nulla 
ha 
ancora 
la 
Corte 
deciso in relazione 
alla 
nuova 
contestazione 
in dibattimento di 
reati 
connessi 
ex art. 517 cod. proc 
pen.; 
e 
proprio di 
quest’ultima 
superstite 
preclusione 
si 
duole il rimettente. 


2.2.– I principi 
espressi 
nelle 
pronunce 
menzionate 
impongono che 
anche 
tale 
residua 
preclusione 
sia 
rimossa, 
con 
conseguente 
restituzione 
dell’imputato 
nel 
diritto 
di 
esercitare 
le 
proprie 
scelte 
difensive 
-ivi 
compresa 
la 
richiesta 
di 
messa 
alla 
prova 
-anche 
nell’ipotesi 
oggetto 
delle odierne censure. 


Invero, come 
ha 
osservato questa 
Corte 
nella 
sentenza 
n. 82 del 
2019, «[f]atto diverso e 
reato connesso, entrambi 
emersi 
per la 
prima 
volta 
in dibattimento, integrano […] evenienze 
processuali 
che, 
sul 
versante 
dell’accesso 
ai 
riti 
alternativi, 
non 
possono 
non 
rappresentare 
situazioni 
fra 
loro del 
tutto analoghe». Pertanto, anche 
rispetto all’ipotesi 
di 
nuove 
contestazioni 
di 
reati 
connessi 
ex art. 517 cod. proc. pen., dovrà 
riconoscersi 
all’imputato la 
facoltà 
di 
chiedere 
la 
messa 
alla 
prova, che 
la 
sentenza 
n. 14 del 
2020 ha 
già 
esteso all’ipotesi 
di 
contestazione 
di un fatto diverso. 


2.3.– non osta 
a 
tale 
conclusione 
la 
circostanza 
che 
la 
messa 
alla 
prova 
verrebbe 
in questo 
caso -a 
differenza 
delle 
ipotesi 
oggetto delle 
sentenze 
n. 141 del 
2018 e 
n. 14 del 
2020 -ad 
essere concessa non in relazione a un unico reato, bensì a più reati in concorso fra loro. 


La 
previsione 
di 
cui 
all’art. 168-bis, quarto comma, cod. pen. -secondo cui 
la 
sospensione 
del 
procedimento «non può essere 
concessa 
più di 
una 
volta» -non esclude 
infatti 
la 
concedibilità 
della 
messa 
alla 
prova 
ogniqualvolta 
venga 
contestato più di 
un reato, quando -come 
nella 
fattispecie 
del 
giudizio a 
quo -per ciascuno dei 
reati 
in concorso sia 
astrattamente 
applicabile 
l’istituto della 
messa 
alla 
prova 
(Corte 
di 
cassazione, sezione 
seconda 
penale, sentenza 
12 marzo 2015, n. 14112). 


2.4.– Le 
peculiarità 
della 
sospensione 
del 
procedimento con messa 
alla 
prova 
imporranno 
piuttosto all’imputato, in tal 
caso, di 
scegliere 
se 
chiedere 
di 
essere 
sottoposto alla 
messa 
alla 



RASSegnA 
AVVoCATURA 
deLLo 
STATo -n. 2/2022 


prova, ovvero se 
proseguire 
il 
processo nelle 
forme 
ordinarie, rispetto a 
tutti 
i 
reati 
contestati, 
compresi quelli oggetto dell’imputazione originaria. 


La 
ratio 
dell’istituto 
impone, 
in 
effetti, 
di 
distinguere 
la 
situazione 
all’esame 
da 
quella 
relativa 
al 
recupero 
del 
rito 
abbreviato, 
decisa 
dalla 
sentenza 
n. 
237 
del 
2012, 
in 
cui 
questa 
Corte 
aveva 
ritenuto 
che 
la 
richiesta 
del 
rito 
dovesse 
in 
tal 
caso 
riferirsi 
ai 
soli 
reati 
oggetto 
di 
nuove 
contestazioni 
dibattimentali, 
senza 
che 
«l’imputato 
possa 
recuperare, 
a 
dibattimento 
inoltrato, 
gli 
effetti 
premiali 
del 
rito 
alternativo 
anche 
in 
rapporto 
all’intera 
platea 
delle 
imputazioni 
originarie, 
rispetto 
alle 
quali 
ha 
consapevolmente 
lasciato 
spirare 
il 
termine 
utile 
per 
la 
richiesta». 


diversamente 
da 
quanto 
accade 
nel 
rito 
abbreviato, 
nella 
messa 
alla 
prova 
convivono 
un’anima 
processuale 
e 
una 
sostanziale. da 
un lato, l’istituto è 
uno strumento di 
definizione 
alternativa 
del 
procedimento, che 
si 
inquadra 
a 
buon diritto tra 
i 
riti 
alternativi 
(sentenze 
n. 
14 del 
2020, n. 91 del 
2018 e 
n. 240 del 
2015); 
al 
contempo, esso disegna 
un percorso rieducativo 
e 
riparativo, alternativo al 
processo e 
alla 
pena, ma 
con innegabili 
connotazioni 
sanzionatorie 
(sentenza 
n. 68 del 
2019), che 
conduce, in caso di 
esito positivo, all’estinzione 
del 
reato. 


Proprio 
tale 
accentuata 
vocazione 
risocializzante, 
come 
ha 
giustamente 
evidenziato 
la 
giurisprudenza 
di 
legittimità, si 
oppone 
alla 
possibilità 
di 
una 
messa 
alla 
prova 
“parziale”, ossia 
relativa 
ad alcuni 
soltanto dei 
reati 
contestati 
(Corte 
di 
cassazione, sezione 
sesta 
penale, sentenza 
12 aprile 2021, n. 24707; Corte di cassazione, sentenza n. 14112 del 2015). 


Piuttosto, l’imputato dovrà 
essere 
rimesso in condizione 
di 
optare 
per la 
messa 
alla 
prova 
anche 
con riferimento alle 
imputazioni 
originarie, intraprendendo così 
quel 
percorso al 
quale 
avrebbe 
potuto orientarsi 
sin dall’inizio, ove 
si 
fosse 
confrontato con la 
totalità 
dei 
fatti 
via 
via contestatigli dal pubblico ministero. 


Una 
tale 
scelta 
dell’imputato non esclude 
d’altronde 
che 
l’istituto conservi 
la 
propria 
fisiologica 
funzione 
deflattiva 
anche 
in questa 
ipotesi, determinando comunque 
l’interruzione 
del 
processo e 
l’estinzione 
del 
reato nel 
caso di 
esito positivo della 
messa 
alla 
prova. Il 
che 
consente 
sia 
di 
evitare 
lo 
svolgimento 
di 
ulteriore 
attività 
istruttoria, 
sia 
di 
eliminare 
ogni 
altro 
contenzioso legato all’impugnazione della sentenza di primo grado. 


2.5.– L’art. 517 cod. proc. pen. va 
dunque 
dichiarato costituzionalmente 
illegittimo nella 
parte 
in cui 
non prevede, in seguito alla 
contestazione 
di 
reati 
connessi 
a 
norma 
dell’art. 12, 
comma 
1, lettera 
b), cod. proc. pen., la 
facoltà 
dell’imputato di 
richiedere 
la 
sospensione 
del 
procedimento con messa alla prova, con riferimento a tutti i reati contestatigli. 


PeR 
QUeSTI 
MoTIVI 


LA CoRTe CoSTITUzIonALe 


dichiara 
l’illegittimità 
costituzionale 
dell’art. 
517 
del 
codice 
di 
procedura 
penale, 
nella 
parte 
in cui 
non prevede, in seguito alla 
contestazione 
di 
reati 
connessi 
a 
norma 
dell’art. 12, 
comma 
1, lettera 
b), cod. proc. pen., la 
facoltà 
dell’imputato di 
richiedere 
la 
sospensione 
del 
procedimento con messa alla prova, con riferimento a tutti i reati contestatigli. 


Così 
deciso in Roma, nella 
sede 
della 
Corte 
costituzionale, Palazzo della 
Consulta, il 
27 
aprile 2022. 



ConTenzIoSo 
nAzIonALe 


Determinazione dei canoni delle concessioni 


del demanio marittimo: questione di conformità 

dell’art. 49 cod. nav. al diritto eurounitario 


CoNSiGLio 
Di 
STaTo, SEzioNE 
SETTima, orDiNaNza 
15 SETTEmbrE 
2022 N. 8010 


Con ordinanza 
n. 8010/22 il 
Consiglio di 
Stato (sez. VII) ha 
rimesso alla 
Corte di giustizia Ue la seguente questione pregiudiziale: 


"Se 
gli 
artt. 49 e 
56 TFuE 
ed i 
principi 
desumibili 
dalla sentenza Laezza 
(C-375/14) ove 
ritenuti 
applicabili, ostino all’interpretazione 
di 
una disposizione 
nazionale 
quale 
l’art. 49 cod. nav. nel 
senso di 
determinare 
la cessione 
a titolo non oneroso e 
senza indennizzo da parte 
del 
concessionario alla scadenza 
della concessione 
quando questa venga rinnovata, senza soluzione 
di 
continuità, pure 
in forza di 
un nuovo provvedimento, delle 
opere 
edilizie 
realizzate 
sull’area 
demaniale 
facenti 
parte 
del 
complesso 
di 
beni 
organizzati 
per 
l’esercizio 
dell’impresa 
balneare, 
potendo 
configurare 
tale 
effetto 
di 
immediato 
incameramento una restrizione 
eccedente 
quanto necessario al 
conseguimento 
dell’obiettivo effettivamente 
perseguito dal 
legislatore 
nazionale 
e 
dunque sproporzionato allo scopo". 


Indipendentemente 
dai 
profili 
di 
ricevibilità 
della 
questione 
pregiudiziale, 
che, allo stato, appaiono dubbi, la 
pronuncia 
è 
rilevante 
perché 
introduce 
un 
nuovo tema 
controverso nella 
vicenda 
relativa 
ai 
criteri 
di 
determinazione 
dei 
canoni 
delle 
concessioni 
del 
demanio marittimo, che 
sembrava 
avere 
trovato 
un punto di 
equilibrio nella 
giurisprudenza 
del 
giudice 
amministrativo (Cons. 
Stato, VI, 3 dicembre 
2018, nn. 6850-6853; 
Cons. Stato, V, 27 febbraio 2019, 
n. 1368). 


Danilo Del Gaizo* 


Consiglio di 
Stato, Sezione 
Settima, ordinanza 15 settembre 
2022 n. 8010 
-Pres. R. giovagnoli, 
Est. o. fratamico -Società 
Italiana 
Imprese 
Balneari 
S.r.l. (avv. e. nesi) c. Comune 
Rosignano Marittimo (avv. R. grassi); 
Ministero dell’economia 
e 
delle 
finanze, Agenzia 
del 
demanio, direzione regionale 
Toscana e Umbria (avv. gen. Stato). 


L’oggetto del procedimento principale ed i fatti pertinenti. 
La 
Società 
Italiana 
Imprese 
Balneari 
s.r.l. (SIIB s.r.l.), titolare 
fin dal 
1928 dello stabilimento 
balneare 
“Bagni 
Ausonia” 
nel 
Comune 
di 
Rosignano 
Marittimo, 
località 
Castiglioncello, 
ubicato 
in gran parte 
su area 
appartenente 
al 
demanio marittimo, ha 
dedotto di 
aver legittimamente 
realizzato nel 
corso degli 
anni, in costanza 
dei 
titoli 
concessori 
ottenuti, susseguitisi 
nel 
tempo, a 
suo dire, senza 
soluzione 
di 
continuità, una 
serie 
di 
manufatti, parte 
dei 
quali 
ri


(*) Vice 
Avvocato generale dello Stato. 



RASSegnA 
AVVoCATURA 
deLLo 
STATo -n. 2/2022 


sultanti 
da 
un primo testimoniale 
di 
stato di 
incameramento del 
1958, ed altri 
edificati 
solo 
successivamente dal 1964 al 1995. 
Con determinazione 
n. 31787 del 
20 novembre 
2007 il 
Comune 
di 
Rosignano aveva 
provveduto 
a 
riqualificare 
altre 
opere 
incidenti 
sulla 
superficie 
demaniale, ritenute 
di 
difficile 
rimozione, 
come 
pertinenze 
demaniali, 
reputando 
che 
esse 
fossero 
state 
acquisite 
ex 
lege 
allo 
spirare 
della 
concessione 
n. 36 avente 
validità 
dal 
1 gennaio 1999 al 
31 dicembre 
2002, rinnovata 
con la concessione n. 27/2003. 
Successivamente, con nota 
n. 27774 del 
23 settembre 
2008, il 
medesimo Comune 
aveva 
comunicato 
alla 
SIIB s.r.l. l’avvio del 
procedimento per l’incameramento delle 
pertinenze 
demaniali 
non ancora 
acquisite, senza 
concludere, però, il 
relativo iter e 
rilasciando nelle 
more 
alla medesima società la concessione demaniale marittima n. 181/2009. 
In 
base 
a 
quanto 
disposto 
dall’art. 
1 
del 
dPgR 
24 
settembre 
2013 
n. 
52/R 
di 
modifica 
del 
dPRg 
n. 
18/2001/R 
(che 
aveva 
inserito 
nel 
dPgR 
18/R/2001 
l’art. 
44 
bis 
per 
cui 
“Sono 
classificate 
di 
facile 
rimozione 
e 
sgombero le 
costruzioni 
e 
le 
strutture 
utilizzate 
ai 
fini 
dell’esercizio 
di 
attività 
turistico-ricreative, 
realizzate 
sia 
sopra 
che 
sotto 
il 
suolo 
in 
aree 
demaniali 
marittime 
oggetto 
di 
concessione 
che, 
in 
relazione 
ai 
materiali 
utilizzati 
ed 
alle 
tecnologie 
costruttive, 
in 
coerenza 
con 
le 
disposizioni 
del 
piano 
d’indirizzo 
territoriale 
(PIT), 
possono 
essere 
completamente 
rimosse 
utilizzando 
le 
normali 
modalità 
offerte 
dalla 
tecnica, 
con 
conseguente 
restituzione 
in 
pristino 
dei 
luoghi 
nello 
stato 
originario, 
in 
non 
più 
di 
novanta 
giorni”), 
la 
SIIB 


s.r.l. 
aveva, 
quindi, 
presentato 
una 
dichiarazione 
in 
base 
alla 
quale 
tutte 
le 
opere 
incidenti 
sull’area 
demaniale, potendo essere 
rimosse 
in novanta 
giorni, erano da 
considerarsi, appunto, 
di 
facile 
rimozione, seguita 
dalla 
determinazione 
del 
Comune 
n. 5038 del 
3 febbraio 2014 di 
riconoscimento di tale qualità. 
Il 
suddetto 
riconoscimento 
era 
stato, 
però, 
successivamente 
dichiarato 
“nullo” 
dalla 
medesima 
Amministrazione 
comunale 
con 
nota 
del 
26 
novembre 
2014, 
sul 
presupposto 
che 
sull’area 
demaniale data in concessione incidessero beni già acquisiti dallo Stato ex art. 49 cod. nav. 
Tale 
provvedimento è 
stato impugnato dalla 
SIIB s.r.l. con ricorso straordinario al 
Capo dello 
Stato, poi trasposto dinanzi al 
TAR Toscana. 
nel 
corso 
del 
procedimento 
di 
proroga 
della 
concessione 
demaniale 
n. 
181/2009 
richiesta 
fino 
al 
31 dicembre 
2020, con il 
provvedimento n. 17432 del 
16 aprile 
2015 il 
Comune, riaffermando 
la 
qualificazione 
di 
pertinenze 
demaniali 
dei 
fabbricati 
edificati 
sull’area 
in concessione, 
ha 
rideterminato 
altresì 
i 
canoni 
dovuti 
dalla 
SIIB 
s.r.l. 
nel 
periodo 
2009-2015, 
provvedendo con altri atti a liquidare anche le somme dovute per gli anni successivi. 
Tali provvedimenti sono stati anch’essi impugnati dalla SIIB s.r.l. 
Il 
TAR Toscana 
ha 
riunito tutti 
i 
ricorsi, alcuni 
dei 
quali 
corredati 
di 
motivi 
aggiunti, e 
li 
ha 
respinti integralmente con la sentenza n. 380 del 10 marzo 2021. 
Contro tale 
decisione 
la 
SIIB s.r.l. ha 
proposto appello dinanzi 
al 
Consiglio di 
Stato, lamentando 
i 
seguenti 
motivi: 
1) 
violazione 
e 
falsa 
applicazione 
dell’art. 
21 
octies 
della 
l. 
n. 
241/1990 
e 
contraddittorietà 
della 
motivazione, 
in 
relazione 
all’annullamento 
della 
nota 
di 
riconoscimento 
della 
facile 
rimovibilità 
delle 
opere 
realizzate 
sull’area 
in 
concessione 
del 
3 
febbraio 2014, non preceduta 
da 
alcun avviso di 
avvio del 
procedimento, che 
le 
avrebbe 
permesso 
di 
rappresentare 
all’Amministrazione 
le 
sue 
ragioni 
anteriormente 
all’adozione 
del 
provvedimento lesivo, in modo da 
evitarne 
l’emissione; 
2) violazione 
degli 
artt. 2, 3,11, 24, 
42, 100, 103, 11 e 
107 della 
Costituzione, dell’art. 21 septies 
della 
l. n. 241/1990, degli 
artt. 
29, 
36 
e 
49 
del 
codice 
della 
navigazione 
e 
degli 
artt. 
934 
e 
936 
c.c., 
omessa 
pronuncia, 
poiché 
i 
giudici 
di 
prime 
cure 
non 
avrebbero 
adeguatamente 
considerato 
la 
parziale 
nullità 
della 
con

ConTenzIoSo 
nAzIonALe 


cessione 
demaniale 
n. 181/2009, nella 
parte 
in cui 
avrebbe 
attribuito allo Stato la 
proprietà 
di 
manufatti 
non ancora 
acquisiti 
al 
demanio ex art. 49 cod. nav.; 
3) violazione 
e 
falsa 
applicazione 
dell’art. 49 cod.nav, insufficienza 
della 
pronuncia 
su di 
un punto decisivo della 
controversia, 
in 
quanto 
successivamente 
al 
testimoniale 
di 
stato 
del 
1958, 
che 
dava 
atto 
dell’incameramento 
da 
parte 
dello 
Stato 
di 
alcuni 
fabbricati 
e 
strutture, 
nessun 
altro 
manufatto 
era 
stato 
acquisito 
al 
demanio, 
rimanendo, 
dunque, 
nella 
proprietà 
della 
SIIB 
s.r.l.; 
4) 
ulteriore 
violazione 
degli 
artt. 
29 
e 
49 
cod. 
nav, 
insufficienza 
della 
motivazione 
circa 
un 
punto 
decisivo 
della 
controversia, non essendosi, in realtà, mai 
concluso il 
procedimento di 
incameramento 
iniziato nel 
2008 ed avendo il 
TAR confuso i 
concetti 
di 
pertinenza 
edilizia 
e 
pertinenza 
demaniale; 
5) violazione 
degli 
artt. 63, 64, 66 e 
67 c.p.a., omessa 
pronuncia, poiché 
i 
giudici 
di 
prime 
cure 
non 
si 
sarebbero 
pronunciati 
sulla 
richiesta 
di 
CTU 
avanzata 
dall’appellante 
in 
primo grado proprio per individuare 
“la 
consistenza 
dei 
beni 
realizzati 
successivamente 
all’anno 
1958 dal 
concessionario in seno allo stabilimento Bagni 
Ausonia”; 
6) violazione 
degli 
artt. 2, 3, 41 e 
97 della 
Costituzione, degli 
artt. 49 e 
56 TfUe, degli 
artt. 42 e 
117 della 
Costituzione 
in relazione 
al 
I Protocollo addizionale 
alla 
CedU 
e 
degli 
artt. 934 e 
936 c.c. per 
la 
contrarietà 
dell’incameramento dei 
beni 
da 
parte 
dello Stato in corso del 
rapporto di 
concessione 
demaniale 
e 
senza 
indennizzo al 
diritto dell’Unione; 
7) violazione 
e 
falsa 
applicazione 
dell’art. 3 comma 
1 del 
d.L. n. 400 del 
5 ottobre 
1993, conv. in l. n. 494/1993, come 
sostituito dall’art. 1 comma 
251 della 
l. n. 296/2006, degli 
artt. 49 e 
56 TfUe 
e 
dei 
principi 
desumibili 
dal 
diritto 
dell’Unione 
in 
tema 
di 
legittimo 
affidamento 
e 
di 
certezza 
del 
diritto 
per il 
rilevantissimo aumento della 
misura 
del 
canone 
determinato dalla 
legge 
del 
2006 che 
avrebbe 
inaspettatamente 
e 
gravemente 
alterato il 
sinallagma 
contrattuale 
della 
concessione; 


8) 
ulteriore 
violazione 
degli 
artt. 
49 
e 
56 
TfUe 
e 
dei 
principi 
desumibili 
dal 
diritto 
dell’Unione 
in 
tema 
di 
legittimo 
affidamento 
e 
di 
certezza 
del 
diritto 
che 
non 
avrebbero 
consentito 
a 
provvedimenti 
normativi 
sopravvenuti 
di 
influire 
in maniera 
così 
incisiva 
sui 
rapporti 
concessori 
in 
corso, 
qualificabili 
come 
“rapporti 
pluriennali 
a 
durata 
infinita 
o 
indeterminata”; 
9) 
erroneità 
della 
sentenza 
circa 
l’obbligo 
di 
rideterminate 
i 
canoni 
demaniali 
per 
gli 
anni 
2007/2020, 
poiché 
dalla 
fondatezza 
dei 
ricorsi 
proposti 
in primo grado sarebbe 
derivato anche 
l’obbligo per 
l’Amministrazione di rideterminare al ribasso i canoni richiesti per il periodo 2007-2020. 
Si 
sono 
costituiti 
nel 
giudizio 
di 
appello 
il 
Ministero 
dell’economia 
e 
delle 
finanze, 
l’Agenzia 
del 
demanio 
ed 
il 
Comune 
di 
Rosignano 
Marittimo, 
chiedendo 
il 
rigetto 
del 
gravame, 
in 
quanto 
infondato. 
All’udienza pubblica del 28 giugno 2022 la causa è stata, infine, trattenuta in decisione. 
Il quadro normativo e la sentenza impugnata. 
La 
questione 
dirimente 
da 
affrontare 
nel 
caso di 
specie 
concerne 
l'applicazione 
ai 
manufatti 
presenti 
nell'area 
in concessione 
dell'art. 49 del 
Codice 
della 
navigazione, al 
fine 
di 
accertate 
l'avvenuta 
acquisizione 
degli 
stessi 
da 
parte 
del 
demanio, 
alla 
scadenza 
della 
concessione, 
ancorché 
rinnovata, 
con 
conseguente 
applicazione 
del 
canone 
maggiorato, 
di 
cui 
all'art. 
1, 
comma 
251, della 
legge 
27 dicembre 
2006, n. 296 alle 
opere 
edilizie 
interessate, in quanto da 
considerare quali pertinenze demaniali. 
Secondo l'art. 49 del 
Codice 
della 
navigazione 
"Salvo che 
sia 
diversamente 
stabilito nell’atto 
di 
concessione, 
quando 
venga 
a 
cessare 
la 
concessione, 
le 
opere 
non 
amovibili, 
costruite 
sulla 
zona 
demaniale, 
restano 
acquisite 
allo 
Stato, 
senza 
alcun 
compenso 
o 
rimborso, 
salva 
la 
facoltà 
dell'autorità 
concedente 
di 
ordinarne 
la 
demolizione, con restituzione 
del 
bene 
demaniale 
al 
pristino 
stato": 
tale 
disposizione 
-che 
richiama 
l'istituto 
dell'accessione, 
di 
cui 
all'art. 
934 
c.c.è 
stata 
interpretata 
dalla 
giurisprudenza 
amministrativa 
maggioritaria 
nel 
senso che 
l'acquisto 

RASSegnA 
AVVoCATURA 
deLLo 
STATo -n. 2/2022 


si 
verifica 
ipso iure, al 
termine 
del 
periodo di 
concessione 
e 
va 
applicata 
anche 
in caso di 
rinnovo 
della 
concessione 
stessa, implicando il 
rinnovo -a 
differenza 
della 
proroga 
-una 
nuova 
concessione 
in 
senso 
proprio, 
dopo 
l'estinzione 
della 
concessione 
precedente 
alla 
relativa 
scadenza, 
con automatica 
produzione 
degli 
effetti 
di 
cui 
al 
predetto art. 49 (cfr. Cons. Stato n. 
626/2013 e n. 6852/2018). 
Solo nel 
caso in cui 
il 
titolo concessorio sia 
stato oggetto di 
rinnovo automatico prima 
della 
data 
di 
naturale 
scadenza 
della 
concessione 
("tanto da 
configurare 
il 
rinnovo stesso, al 
di 
là 
del 
nomen iuris, una 
piena 
proroga 
dell'originario rapporto senza 
soluzione 
di 
continuità" 
cfr. 
Cons. Stato, Sez. VI, 10 giugno 2013 n. 3196; 
Sez. VI, 17 febbraio 2017 n. 729; 
Sez. IV, 13 
febbraio 2020 n. 1146) il 
richiamato principio dell'accessione 
gratuita 
di 
cui 
all'art. 49 Cod. 
nav. 
non 
troverebbe 
applicazione, 
“sicché 
le 
opere 
realizzate 
dai 
concessionari 
sulla 
superficie 
demaniale 
… 
(resterebbero 
in 
tal 
caso) 
ai 
sensi 
dell’art. 
952 
c.c., 
di 
esclusiva 
proprietà 
privata 


c.d. 
superficiaria 
fino 
al 
momento 
dell’effettiva 
scadenza 
o 
revoca 
anticipata 
della 
concessione 
(e) per essi 
non (sarebbe) … dovuto un canone 
ulteriore, essendo tenuto il 
concessionario a 
corrispondere 
un canone 
commisurato alla 
occupazione 
del 
suolo demaniale 
con impianti 
di 
facile/difficile 
rimozione, 
così 
come 
previsto 
dall'art. 
1, 
comma 
251, 
punto 
1, 
lett. 
b), 
l. 
n. 
296/2006” (Cons. St., Sez. VI, 13 gennaio 2022 n. 229). 
nella 
sentenza 
appellata 
i 
giudici 
di 
prime 
cure 
hanno rigettato i 
ricorsi 
e 
i 
motivi 
aggiunti 
proposti 
dalla 
SIIB s.r.l. evidenziando che 
“… sia 
il 
testimoniale 
del 
1958, sia 
la 
concessione 
del 
2009, hanno prodotto effetti 
che 
si 
sono consolidati 
nel 
tempo, in quanto la 
ricorrente 
mai 
li 
aveva 
contestati 
in parte 
qua 
prima 
della 
proposizione 
dei 
ricorsi 
in esame”. A 
tali 
considerazioni 
il 
TAR ha 
aggiunto la 
riflessione 
per la 
quale 
non avrebbe 
potuto neppure 
“invocarsi 
la 
nullità 
della 
concessione 
demaniale 
(sottoscritta 
dall’interessata 
e 
non 
impugnata 
nei 
termini 
in 
parte 
qua), 
in 
quanto 
non 
vi 
è 
una 
carenza 
assoluta 
di 
potere 
dell’amministrazione 
in 
ordine 
alla 
devoluzione 
al 
patrimonio pubblico delle 
opere 
di 
difficile 
rimozione, costituenti 
pertinenze 
demaniali”, richiamando proprio la 
citata 
giurisprudenza 
di 
questo Consiglio di 
Stato 
sul 
verificarsi 
della 
devoluzione 
al 
momento dello scadere 
della 
concessione, ancorché 
rinnovata 
(Cons. Stato, VI, 3 dicembre 
2018, n. 6850), e 
aggiungendo anche 
che 
“la 
qualificazione 
di 
opere 
di 
difficile 
rimozione 
e 
pertinenze 
demaniali 
marittime 
sancita 
alla 
pagina 
2 
della 
concessione 
demaniale 
e 
la 
statuizione 
(espressa 
nell’art. 3, pagina 
6) secondo cui 
esse 
restano 
acquisite 
allo 
Stato 
ai 
sensi 
dell’art. 
49 
del 
codice 
della 
navigazione 
non 
(era) 
… 
frutto 
di 
decisione 
unilaterale 
dell’amministrazione, ma 
di 
ricognizione 
concordata 
e 
recepita 
nel 
titolo concessorio sottoscritto da entrambe le parti…”. 
Tale 
argomentazione 
è 
stata 
ulteriormente 
sviluppata 
nella 
decisione 
appellata, nella 
quale 
è 
stato escluso il 
verificarsi, per effetto dell’applicazione 
dell’art. 49 del 
codice 
della 
navigazione, 
di 
una 
“surrettizia 
espropriazione 
senza 
indennizzo” 
proprio in quanto attraverso l’inciso 
“<<salvo 
che 
sia 
diversamente 
stabilito 
nell’atto>>…, 
la 
regola 
dell’acquisizione 
gratuita 
è 
condizionata 
dal 
consenso delle 
parti, le 
quali 
potrebbero prevedere 
un diverso regime 
giuridico 
delle 
pertinenze 
demaniali 
marittime 
nella 
formulazione 
dell’atto di 
concessione 
(ad 
esempio prevedere 
un corrispettivo economico a 
carico dell’ente 
pubblico)…” 
e 
in base 
alla 
constatazione 
per la 
quale 
“se 
il 
privato, prima 
dell’affidamento del 
bene, non ha 
espresso un 
contrario avviso all’effetto della 
devoluzione 
al 
patrimonio statale, significa 
che 
ha 
accettato 
la mancanza della diversa pattuizione ammessa dall’art. 49 del codice della navigazione”. 
Le argomentazioni delle parti. 
L’appellante 
ha 
censurato la 
sentenza 
impugnata, sostenendo la 
contrarietà 
dell’effetto di 
incameramento 
delle 
opere 
difficilmente 
amovibili 
realizzate 
su 
area 
demaniale 
in 
corso 
di 
con

ConTenzIoSo 
nAzIonALe 


cessione 
(nell’ipotesi 
di 
rinnovo del 
titolo) e 
senza 
indennizzo al 
diritto eurounitario ed, in 
particolare, al 
principio di 
proporzionalità 
delle 
restrizioni 
delle 
libertà 
fondamentali 
sancito 
dagli 
artt. 49 e 
56 TfUe 
rispetto alla 
realizzazione 
degli 
obiettivi 
di 
interesse 
generale 
perseguiti, 
enucleato dalla 
Corte 
di 
giustizia 
nella 
sentenza 
Laezza, seppure 
in materia 
di 
concessione 
di servizi (Corte di giustizia Sez. III, 28 gennaio 2016 in C-375/14). 
evidenziando 
che 
l’istituto 
dell’accessione 
ex 
art. 
49 
cod. 
nav. 
rispondeva 
all’esigenza 
di 
assicurare 
che 
le 
opere 
non 
amovibili 
destinate 
a 
restare 
sul 
territorio 
o 
ad 
essere 
rimosse 
con 
inevitabile 
distruzione 
finissero 
nella 
piena 
disponibilità 
dell’ente 
proprietario 
dell’area 
ai 
fini 
di 
una 
sua 
corretta 
gestione 
per 
prevalenti 
finalità 
di 
interesse 
pubblico, 
l’appellante 
ha 
sostenuto 
che 
tale 
esigenza 
non 
poteva 
essere 
ritenuta 
attuale 
quando 
il 
titolo 
concessorio, 
anziché 
andare 
a 
scadenza, 
fosse 
stato 
rinnovato 
senza 
soluzione 
di 
continuità 
come 
nel 
suo 
caso, 
nel 
quale 
l’operatività 
dell’accessione 
ex 
art. 
49 
cod. 
nav. 
si 
sarebbe, 
dunque, 
rivelata 
“abnorme, 
ingiusta 
ed 
ingiustificata”, 
producendo 
l’effetto 
di 
rendere 
meno 
allettante 
lo 
stabilimento 
di 
operatori 
economici 
degli 
altri 
Stati 
membri 
che 
fossero 
stati 
interessati 
al 
medesimo 
bene 
ed 
imponendo 
al 
concessionario 
un 
sacrificio 
sproporzionato 
dei 
suoi 
diritti, 
consistente 
nella 
cessione 
non 
onerosa 
di 
suoi 
beni 
in 
favore 
dello 
Stato 
in 
un 
momento 
nel 
quale, 
come 
detto, 
ancora 
non 
risultavano 
evidenti 
le 
necessità 
pubblicistiche 
tutelate 
dal 
medesimo 
art. 
49 
cod. 
nav. 
non decisiva, al 
fine 
di 
determinare 
il 
regime 
dominicale 
di 
beni 
insistenti 
sul 
demanio sarebbe, 
poi, stata 
la 
qualificazione 
di 
tali 
beni 
recata 
dalla 
concessione 
demaniale 
marittima 
n. 
181/2009, perché 
tale 
titolo non avrebbe 
potuto disporre 
utilmente 
di 
un bene 
privato così 
da 
determinarne il trasferimento autoritativo all’Amministrazione. 
né, 
ad 
escludere 
la 
contrarietà 
al 
diritto 
comunitario, 
si 
sarebbe 
potuta 
considerare 
l’originaria 
acquiescenza 
prestata 
dal 
concessionario al 
futuro incameramento ex art. 49 cod. nav. come 
erroneamente 
inteso dal 
TAR, che 
aveva 
valorizzato l’inciso della 
norma 
che 
faceva 
“salvo il 
patto contrario”, poiché 
quando la 
SIIB s.r.l. era 
divenuta 
affidataria 
della 
concessione 
essa 
poteva 
fare 
affidamento sul 
cd. diritto di 
insistenza 
di 
cui 
all’art. 37 cod. nav., solo successivamente 
eliminato. 
Il 
Comune 
di 
Rosignano 
Marittimo, 
da 
parte 
sua, 
ha 
sostenuto 
di 
aver 
rilasciato 
la 
concessione 


n. 181/2009 in sede 
di 
rinnovo della 
concessione 
n. 27/2003 scaduta 
il 
31 dicembre 
2008 non 
per effetto di 
un automatismo legislativo, ma 
a 
seguito di 
specifica 
istruttoria 
e 
al 
termine 
di 
apposito procedimento che 
aveva 
comportato la 
spendita 
di 
potere 
discrezionale. La 
decorrenza 
del 
nuovo titolo, che 
doveva 
considerarsi 
una 
concessione 
del 
tutto diversa 
da 
quella 
precedente, era 
stata 
stabilita 
alla 
data 
del 
1° 
gennaio 2009, ma 
la 
sua 
sottoscrizione 
era 
avvenuta 
solo il 12 maggio 2009. 
Sarebbero 
state, 
dunque, 
errate 
secondo 
l’Amministrazione 
le 
tesi 
dell’appellante 
circa 
la 
pretesa 
assenza 
di 
soluzione 
di 
continuità 
nel 
rapporto 
concessorio 
e 
in 
relazione 
alla 
asserita 
contrarietà 
al 
diritto eurounitario dell’incameramento delle 
opere 
difficilmente 
amovibili 
alla 
scadenza 
del 
titolo, 
pur 
rinnovato, 
perché 
la 
mancata 
apposizione 
sulla 
concessione 
di 
una 
previsione 
contraria 
stava 
a 
significare 
che 
il 
privato aveva 
valutato la 
perdita 
della 
proprietà 
delle 
opere 
realizzate 
“compatibile 
con 
il 
generale 
equilibrio 
economico 
della 
concessione 
che 
risultava, comunque 
fortemente 
remunerativa 
essendo ubicata, fra 
l’altro, in una 
località 
fra le più rinomate d’Italia…”. 
Le questioni pregiudiziali. 
Così 
esposte 
le 
principali 
problematiche 
poste 
dalla 
presente 
controversia 
e 
le 
posizioni 
assunte 
dalle 
parti, vertendosi 
in tema 
di 
interpretazione 
del 
diritto comunitario, si 
ritiene, per 

RASSegnA 
AVVoCATURA 
deLLo 
STATo -n. 2/2022 


la 
rilevanza 
degli 
interessi 
coinvolti 
e 
per 
la 
complessità 
dei 
valori 
in 
gioco, 
di 
dover 
sottoporre 
al giudice Comunitario il seguente quesito: 


-Se 
gli 
artt. 49 e 
56 TfUe 
ed i 
principi 
desumibili 
dalla 
sentenza 
Laezza 
(C-375/14) ove 
ritenuti 
applicabili, ostino all’interpretazione 
di 
una 
disposizione 
nazionale 
quale 
l’art. 49 cod. 
nav. nel 
senso di 
determinare 
la 
cessione 
a 
titolo non oneroso e 
senza 
indennizzo da 
parte 
del 
concessionario alla 
scadenza 
della 
concessione 
quando questa 
venga 
rinnovata, senza 
soluzione 
di 
continuità, pure 
in forza 
di 
un nuovo provvedimento, delle 
opere 
edilizie 
realizzate 
sull’area 
demaniale 
facenti 
parte 
del 
complesso 
di 
beni 
organizzati 
per 
l’esercizio 
dell’impresa 
balneare, potendo configurare 
tale 
effetto di 
immediato incameramento una 
restrizione 
eccedente 
quanto necessario al 
conseguimento dell’obiettivo effettivamente 
perseguito dal 
legislatore 
nazionale e dunque sproporzionato allo scopo. 
Ai 
sensi 
della 
nota 
informativa 
riguardante 
la 
proposizione 
di 
domande 
di 
pronuncia 
pregiudiziale 
da 
parte 
dei 
giudici 
nazionali 
2011/C 
160/01 
in 
g.U.C.e. 
28 
maggio 
2011 
e 
delle 
nuove 
Raccomandazioni 
all’attenzione 
dei 
giudici 
nazionali 
relative 
alla 
presentazione 
di 
domande 
di 
pronuncia 
pregiudiziale 
2019/C 
380/01 
in 
g.U.C.e. 
8 
novembre 
2019 
vanno 
trasmessi 
alla 
Cancelleria 
della 
Corte 
mediante 
plico 
raccomandato 
gli 
atti 
del 
giudizio 
in 
copia, 
comprensivi 
della presente ordinanza. 
P.Q.M. 
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Settima) 


1) 
rimette, 
ai 
sensi 
dell’art. 
267 
del 
TfUe, 
alla 
Corte 
di 
giustizia 
dell’Unione 
europea 
le 
questioni 
pregiudiziali indicate in motivazione; 
2) 
dispone 
che, 
a 
cura 
della 
Segreteria, 
siano 
trasmessi 
gli 
atti 
alla 
Corte 
di 
giustizia 
del-
l’Unione europea ai sensi dell’art. 267 del 
Trattato sul funzionamento dell’Unione europea; 
3) sospende 
il 
processo fino alla 
definizione 
del 
giudizio sulle 
questioni 
pregiudiziali 
e 
con 
riserva, all’esito, di ogni ulteriore statuizione in rito, in merito e in ordine alle spese. 
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 28 giugno 2022. 

ConTenzIoSo 
nAzIonALe 


Project financing. Discrezionalità amministrativa 
e posizione del privato (aspirante) promotore 


CoNSiGLio 
Di 
STaTo, SEzioNE 
TErza, SENTENza 
19 SETTEmbrE 
2022 N. 8072 


L’interessante 
pronuncia 
del 
Consiglio di 
Stato, sez. III, n. 8072/22 relativa 
ad un caso di 
revoca 
della 
dichiarazione 
di 
fattibilità 
e 
pubblico interesse 
di 
ospedale 
(opera 
proposta 
mediante 
“project 
financing”), ha 
seguito la 
tesi 
dell’Amministrazione, 
sia 
in 
punto 
di 
natura 
“pre-procedimentale” 
della 
prima 
fase 
(con conseguente 
natura 
di 
mera 
aspettativa 
della 
posizione 
del 
privato 
promotore 
ed inesistenza 
di 
un obbligo all’indizione 
della 
gara, ma 
ampia 
discrezionalità 
dell’Amministrazione), 
sia 
in 
punto 
di 
atto 
“non 
durevole, 
ma 
interinale” 
della 
dichiarazione 
di 
pubblico interesse 
del 
progetto del 
promotore, 
con inapplicabilità 
delle 
regole 
su revoca 
in autotutela 
ex 
art. 21-quinquies 
L. 241/90. 


Noviello Giustina* 


Consiglio di 
Stato, Sezione 
Terza, sentenza 19 settembre 
2022 n. 8072 -Pres. M. Corradino, 
Est. A.M. Marra 
-I.C.M. s.p.a., A.B.P. novicelli 
s.p.a. (avv.ti 
R. Colagrande, g. Mangialardi, 
A. Police) c. Regione 
Abruzzo (avv. gen. Stato); 
Azienda 
Sanitaria 
Locale 
Lanciano 
Vasto Chieti (avv. R. Pagani). 


fATTo e dIRITTo 


1. 
Con 
sentenza 
29 
novembre 
2021, 
n. 
530 
il 
Tribunale 
Amministrativo 
Regionale 
per 
l’Abruzzo, sede 
di 
L’Aquila, ha 
respinto il 
ricorso Rg 
245/2020, proposto da 
ICM 
s.p.a. e 
da 
ABP 
nocivelli 
(d’ora 
in avanti 
per brevità 
solo ICM 
e 
ABP) contro la 
Regione 
Abruzzo per 
l’annullamento della 
delibera 
n. 33 del 
2021, a 
mezzo della 
quale 
la 
giunta 
Regionale 
ha 
disposto 
in particolare: 
i. 
di 
revocare 
la 
d.g.R. n. 395 del 
23 maggio 2015 e 
le 
deliberazioni 
ad 
essa 
conseguenti, relative 
all'affidamento in regime 
di 
finanza 
di 
progetto della 
concessione 
relativa 
alla 
progettazione 
definitiva 
ed 
esecutiva 
dell'ospedale 
Clinicizzato 
“SS. 
Annunziata” 
di 
Chieti; 
ii. 
di 
stabilire 
che 
le 
persistenti 
e 
particolari 
condizioni 
di 
precarietà 
strutturale 
debbano 
trovare 
adeguata 
soluzione 
in seno alla 
vigente 
programmazione 
regionale 
(art. 20 della 
L. n. 67 del 1988 ss.ii.mm.). 
1.1. I fatti sono ricostruiti in sentenza come segue: 
“Le 
ricorrenti 
ICM 
e 
ABP 
hanno presentato, in data 
4 aprile 
2014, una 
proposta 
di 
project 
financing, 
ai 
sensi 
dell’art. 
153 
comma 
19 
d.lgs. 
n. 
163 
del 
2006, 
per 
la 
progettazione 
definitiva 
ed esecutiva, alla esecuzione 
dei 
lavori 
di 
nuova costruzione, demolizione 
e 
ristrutturazione 
dell’ospedale 
clinicizzato SS. annunziata di 
Chieti 
e 
alla gestione 
di 
alcuni 
servizi 
non sanitari 
e 
commerciali, con spese 
a 
carico dei 
proponenti, da 
recuperare 
nei 
successivi 
25 anni. In 
seguito la 
Regione: 
a) 
con d.g.R. n. 395 del 
23 maggio 2015, ha 
disposto di 
procedimenta(*) 
Avvocato dello Stato. 



RASSegnA 
AVVoCATURA 
deLLo 
STATo -n. 2/2022 


lizzare 
la 
proposta 
di 
project 
financing, 
sia 
in 
ragione 
della 
precarietà 
strutturale 
di 
taluni 
corpi 
di 
fabbrica 
del 
compendio ospedaliero teatino, sia 
per la 
sua 
correlazione 
con le 
esigenze 
didattiche 
della 
facoltà 
di 
medicina 
di 
Chieti; 
b) 
con d.g.R. n. 133 del 
4 marzo 2016, ha 
poi 
individuato, 
ai 
fini 
della dichiarazione 
di 
pubblico interesse, le 
azioni 
e 
le 
prescrizioni 
in capo 
alla aSL 
ed alla Giunta regionale; 
c) con d.g.R. n. 170 del 
13 aprile 
2017, preso atto della 
infruttuosità 
del 
procedimento di 
valutazione 
della 
proposta, ha 
diffidato la 
stessa 
ASL 
a 
concludere 
il 
procedimento di 
valutazione 
della 
proposta; 
d) con d.g.R. n. 118 del 
2 marzo 2018 
ha 
dato 
atto 
della 
coerenza 
della 
proposta 
con 
le 
finalità 
di 
interesse 
pubblico 
evidenziate 
nelle 
precedenti 
deliberazioni 
regionali 
e 
ha 
assegnato al 
RUP 
un termine 
di 
15 giorni 
per superare 
le 
criticità 
tecnico-funzionali 
ed economico-finanziarie 
riscontrate 
nello svolgimento 
dell’attività 
istruttoria 
della 
proposta; 
e) 
con 
d.g.R. 
n. 
325 
del 
18 
maggio 
2018 
ha 
confermato 
l’urgenza e 
la rilevanza strategica di 
intervento…; 
e) con d.g.R. n. 495 del 
9 luglio 2018, la 
Regione 
ha 
dichiarato la fattibilità della proposta; 
laddove, l’Azienda 
sanitaria, con delibera 


n. 
940 
del 
2018, 
ha 
disposto 
l’inserimento 
della 
proposta 
nella 
programmazione 
dei 
lavori 
pubblici 
-triennio 2018-2020. Con nota 
prot. RA/222266/20 del 
23 luglio 2020 il 
direttore 
del 
dipartimento Sanità 
della 
Regione, nel 
confermare 
la garanzia della copertura del 
contributo 
pubblico di 
cui 
all’art. 180 comma 
6 del 
d.lgs. n. 50/2016 e 
ss.mm.ii. con le 
risorse 
derivanti 
dall’art. 20 L. 67/1998, come 
stabilito dalla 
L. 145/2018, ha 
comunicato che… in 
riferimento alla progettualità, si 
resta in attesa di 
conoscere 
i 
fabbisogni 
assistenziali 
della 
rete CoViD e dell’approvazione della rete ospedaliera regionale. 
1.2. Lamentando l’effetto soprassessorio delle 
viste 
comunicazioni 
regionali, le 
ricorrenti 
in 
primo grado, con il 
gravame 
introduttivo, hanno chiesto al 
Tribunale 
di 
dichiarare 
l’illegittimità 
dell’inerzia 
della 
Regione 
e 
della 
ASL 
nella 
conclusione 
del 
procedimento finalizzato 
alla selezione del concessionario per la progettazione 
de qua. 
1.3. Con atto per motivi 
aggiunti 
ICM 
e 
ABP 
hanno, poi, impugnato la 
delibera 
della 
giunta 
Regionale 
n. 33 del 
2021, a 
mezzo della 
quale 
è 
stata 
revocata 
la 
d.g.R. n. 395 del 
23 maggio 
2015, relativa all’affidamento in regime di finanza di progetto della concessione in parola. 
2. Il 
Tribunale 
amministrativo regionale 
-esposti 
i 
motivi 
di 
ricorso e 
dato atto delle 
difese 
della 
Regione 
e 
dell’Azienda 
Sanitaria 
-ha 
dichiarato improcedibile 
il 
ricorso introduttivo, 
sul rilievo dell’intervenuta d.g.R. n. 33 del 2021 ed ha respinto i motivi aggiunti. 
3. Le 
società 
ICM 
e 
ABP 
hanno proposto il 
presente 
appello, sollevando tre 
articolati 
motivi 
che saranno di seguito esaminati, e ne hanno chiesto la riforma. 
4.1. Sia 
la 
Regione 
Abbruzzo che 
la 
Azienda 
Sanitaria 
si 
sono costituite 
in giudizio per resistere 
all’appello. 
4.3. 
La 
parte 
appellante 
ha 
depositato 
memoria 
conclusiva 
ex 
art. 
73 
Cod. 
proc. 
amm. 
e 
l’Azienda Sanitaria appellata memoria di replica. 
5. nell’udienza pubblica del 14 luglio 2022 la causa è passata in decisione. 
6. L'oggetto della 
controversia 
riguarda 
la 
revoca 
delle 
deliberazioni 
con le 
quali 
la 
Regione 
Abruzzo aveva 
dichiarato la 
fattibilità 
e 
il 
pubblico interesse 
del 
progetto di 
realizzazione 
del 
nuovo ospedale 
“SS. Annunziata” 
di 
Chieti 
e 
di 
gestione 
di 
alcuni 
servizi 
non sanitari 
e 
commerciali. 
oggetto del 
contendere 
è, in particolare, l'intervento tutorio operato dall’Amministrazione 
il 
cui 
atto 
di 
ritiro, 
a 
dire 
dell’appellante, 
nel 
disattendere 
le 
garanzie 
procedimentali, 
con conseguente 
violazione 
del 
diritto di 
difesa 
ne 
avrebbe, comunque, determinato la 
legittimazione 
ed anche il sottostante interesse del proponente. 
6.1. Secondo la 
prospettazione 
di 
ICM 
e 
ABP, infatti, là 
dove 
si 
accogliesse 
la 
eccezione 
del-
l’amministrazione 
che 
contesta 
la 
condizione 
dell’azione 
ed il 
visto interesse, l’atto di 
appro

ConTenzIoSo 
nAzIonALe 


vazione 
della 
Amministrazione, 
allegatamente 
idoneo 
a 
determinare 
il 
consolidamento, 
sarebbe 
del tutto vano. 


7. Preliminarmente 
il 
Collegio può prescindere 
dall’esame 
delle 
eccezioni 
pregiudiziali 
sollevate 
dalle amministrazioni resistenti, essendo l’appello infondato nel merito. 
8.1. 
Con 
il 
primo 
motivo, 
anzitutto, 
le 
odierne 
appellanti, 
ICM 
e 
ABP, 
lamentano 
che 
il 
primo 
giudice 
avrebbe 
erroneamente 
respinto 
la 
censura 
con 
cui 
le 
stesse 
società 
avevano 
dedotto 
la 
lesività 
dell’atto 
di 
revoca, 
senza 
esaminarne 
le 
specifiche 
ragioni 
poste 
a 
sostegno 
dell’atto 
tutorio. 
8.2. 
Secondo 
la 
prospettazione 
della 
parte 
appellante 
nell’ipotesi 
in 
cui 
l’Amministrazione 
decidesse, come 
nella 
specie, di 
ritirare 
in autotutela 
un atto della 
procedura, la 
relativa 
determinazione 
non 
potrebbe 
comunque 
elidere 
l’interesse 
della 
parte 
ricorrente 
da 
eventuali 
contestazioni. 
8.3. 
Il 
primo 
giudice 
ha 
respinto 
la 
doglianza 
-con 
motivazione 
che 
il 
collegio 
ritiene 
di 
poter 
condividere 
-perché, 
le 
delibere 
gravate, 
nel 
rivestire 
tutte 
natura 
preparatoria 
della 
successiva 
indizione 
della 
gara 
per l’affidamento in concessione 
dell’opera 
(art. 183, comma 
15, d.lgs. 
n. 50 del 
2016), non potrebbero far insorgere 
alcun obbligo per la 
p.a. di 
dare 
corso alla 
procedura 
di 
affidamento in projet 
financing, malgrado la 
intervenuta 
dichiarazione 
di 
p.i. 
della 
proposta presentata da un privato, trattandosi di atti come detto meramente preparatori. 
8.4. di 
qui 
l’inammissibilità 
stigmatizzata 
dal 
primo giudice, prima 
ancor che 
l’infondatezza 
della 
censura 
in esame, che 
indugia 
in una 
lettura 
eccessivamente 
civilistica 
della 
procedura 
de 
qua, tanto più che 
il 
predetto carattere 
pre-procedimentale 
degli 
atti 
gravati 
non sarebbe 
idoneo a determinare 
né 
vantaggi, né 
lesioni; 
insorgendo in capo al 
privato una 
mera aspettativa 
di fatto. 
8.5. e 
del 
resto, va 
qui 
aggiunto, che 
la 
giurisprudenza 
in materia 
di 
progetto di 
finanza 
(ad 
iniziativa 
privata), 
in 
base 
alla 
normativa 
di 
settore 
(art. 
183, 
co. 
15, 
d.lgs. 
n. 
50/2016), 
ritiene 
che 
la prima fase 
sia 
“pre-procedimentale”, funzionale 
alla 
fattibilità 
di 
una 
data 
opera 
ed incentrata 
sull’interesse 
pubblico in relazione 
a 
tale 
opera 
-fase 
dunque 
ad elevata 
discrezionalità 
-non 
sindacabile 
nel 
merito, 
a 
fronte 
della 
quale 
il 
privato 
promotore 
vanta 
mere 
aspettative di fatto, accollandosi il rischio che la proposta non vada a buon fine. 
8.6. È 
stato ancora 
affermato (da 
Cons. Stato, sez. V, 23 giugno 2020, n. 4015) che: 
…"quand'anche 
fosse 
stato 
non 
solo 
individuato 
il 
promotore 
ma 
anche, 
ritenuto 
di 
pubblico 
interesse, 
il 
progetto 
dallo 
stesso 
presentato, 
l'Amministrazione 
pubblica 
… 
non 
sarebbe 
comunque 
vincolata 
a dare 
corso alla procedura di 
gara, essendo libera 
di 
scegliere, attraverso valutazioni 
attinenti 
al 
merito 
e 
non sindacabili 
in sede 
giurisdizionale 
se, per la 
tutela 
dell'interesse 
pubblico, 
sia 
più opportuno affidare 
il 
progetto per la 
sua 
esecuzione 
ovvero rinviare 
la 
sua 
realizzazione, 
ovvero non procedere affatto" (cfr. Cons. Stato, V, 4 febbraio 2019, n. 820). 
8.7. Il 
ricorso all’atto tutorio da 
parte 
della 
Amministrazione 
pubblica 
è, dunque, conforme 
alle prescrizioni normative come interpretate dalla suestesa giurisprudenza amministrativa. 
8.8. ne 
consegue 
che 
alcun ragionevole 
affidamento può ritenersi 
ingenerato in capo ai 
proponenti, 
dovendosi 
ritenere 
che, 
dalla 
proposta 
formulata 
illo 
tempore, 
non 
possa 
che 
originare 
a 
favore 
del 
proponente 
un’unica 
mera aspettativa, inidonea 
a 
dar luogo, come 
adombrato da 
parte 
appellante, 
ad 
una 
responsabilità 
contrattuale, 
in 
assenza 
di 
un 
comportamento 
dell’amministrazione 
contrario ai 
principi 
di 
buona 
fede 
intesa 
in senso oggettivo. 
In tema 
di 
project 
financing, il 
Consiglio di 
Stato ha 
avuto modo di 
chiarire 
(sentenza 
13 marzo 2017, n. 1139), 
che: 
“la 
dichiarazione 
di 
pubblico interesse” 
della 
proposta… non obbliga affatto l'amministrazione 
né 
ad 
approvare 
il 
progetto 
né 
ad 
indire 
la 
gara 
per 
l'affidamento 
della 
relativa 

RASSegnA 
AVVoCATURA 
deLLo 
STATo -n. 2/2022 


concessione 
che, anche 
una volta dichiarata di 
pubblico interesse 
una proposta di 
realizzazione 
di 
lavori 
pubblici 
ed individuato il 
promotore 
privato, l'amministrazione 
non è 
tenuta 
a dare 
corso alla procedura di 
gara per 
l'affidamento della relativa concessione 
e 
la valutazione 
amministrativa 
della 
perdurante 
attualità 
dell'interesse 
pubblico 
alla 
realizzazione 
del-
l'opera continua ad essere immanente ed insindacabile nel merito. 


La censura deve essere perciò respinta. 


9. Con riguardo al 
secondo ed al 
terzo motivo che 
per ragioni 
di 
connessione 
possono essere 
esaminati 
congiuntamente, ancora, l’odierna 
parte 
appellante 
contesta, oltre 
alla 
violazione 
dell’art. 21 quinquies 
della 
legge 
n. 241 del 
1990, la 
violazione 
delle 
garanzie 
procedurali 
e 
partecipative, non essendo stata, suo dire, la 
revisione 
dell’assetto degli 
interessi, recato dal-
l’atto originario, preceduta 
da 
un confronto procedimentale 
con il 
destinatario, così 
da 
permettergli 
di 
presentare 
le 
proprie 
osservazioni 
in 
una 
fase 
tuttora 
preparatoria, 
nella 
quale, 
cioè, non potevano dirsi 
non potenzialmente 
aperte 
ulteriori 
possibili 
opzioni 
a 
fronte 
di 
un 
atto 
per 
definizione 
“non 
vincolato”; 
e, 
ciò, 
proprio 
al 
fine 
di 
evitare 
che 
l’intervento 
spiegato 
-che 
aveva 
affermato 
il 
pubblico 
interesse 
e 
la 
fattibilità 
-si 
ponga 
in 
contrasto 
con 
il 
modulo 
tipico 
previsto dall’art. 7 e segg. della vista legge n. 241. 
9.1. 
In 
tal 
senso, 
del 
resto, 
si 
sarebbe 
costantemente 
mossa 
la 
giurisprudenza 
del 
Consiglio 
di 
Stato 
che 
ha 
reiteratamente 
posto 
in 
evidenza 
la 
necessita 
che 
gli 
interessati 
siano 
in 
grado 
di 
contraddire 
all’interno 
del 
procedimento 
amministrativo, 
fermo 
l'obbligo 
della 
amministrazione 
pubblica 
di 
meditata 
valutazione 
di 
tutti 
i 
contributi 
a 
tal 
fine 
presentati 
tra 
cui 
la 
sopravvenuta 
esigenza 
di 
rimodulare 
l’interesse 
pubblico 
(cfr. 
Sez. 
VI 
29 
febbraio 
2002, 
n. 
2983; 
Ad. 
plen. 
15 
settembre 
1999, 
n. 
14), 
sull’eventuale 
istruttoria 
da 
espletare 
sia 
sull’individuazione 
degli 
interessi 
pubblici 
e 
privati 
coinvolti 
sia, 
infine, 
sulla 
loro 
finale 
graduazione 
da 
parte 
della 
procedente 
Autorità 
per 
il 
perseguimento 
del 
poziore 
interesse 
pubblico 
(Cons. 
Stato 
Sez. 
V 
5 
giugno 
1997). 
9.2. 
Tali 
argomentazioni, 
variamente 
articolate 
nell’atto 
di 
appello, 
non 
sono 
persuasive, 
specie 
con riguardo all’istituto di 
una 
revoca 
intesa, per vero, non in senso classico, in quanto concernente 
atti 
non rientranti 
ancora 
nell’iter 
procedimentale, e 
le 
statuizioni 
del 
primo giudice 
devono, quindi, essere confermate. 
9.3. Ricorda 
la 
Sezione 
che 
l'Amministrazione 
è 
titolare 
del 
potere, riconosciuto dall'art. 21quinquies 
della 
legge 
n. 241 del 
1990, di 
revocare, per sopravvenuti 
motivi 
di 
pubblico interesse 
ovvero 
nel 
caso 
di 
mutamento 
della 
situazione 
di 
fatto 
o 
di 
una 
nuova 
valutazione 
dell'interesse 
pubblico 
originario, 
un 
proprio 
precedente 
provvedimento 
amministrativo 
quando 
ciò 
avvenga 
prima 
del 
consolidarsi 
delle 
posizioni 
delle 
parti 
(cfr., 
proprio 
in 
relazione 
ad un project 
financing, Cons. Stato Sez. III, n. 4026, 30 luglio 2013; 
Sez. III, n. 2838 del 
24 
maggio 2013). 
9.4. 
In 
disparte 
ogni 
approfondimento 
in 
merito 
alla 
questione 
sulla 
assimilazione 
o 
meno 
dell’atto 
tutorio 
adottato 
nel 
caso 
concreto 
-in 
cui 
gli 
atti 
gravati 
hanno 
riguardato 
il 
solo 
primo 
segmento 
del 
complesso 
meccanismo 
della 
finanza 
di 
progetto, 
senza 
che 
gli 
stessi 
possano 
ritenersi, 
come 
accennato, 
incardinati 
in 
una 
sequenza 
procedimentale 
-alla 
revoca 
classica 
e, 
dunque, 
postulare 
l’osservanza 
delle 
garanzie 
procedimentali 
invocate, 
deve 
osservarsi 
che, a 
fronte 
di 
un primo stadio 
per vero prodromico di 
un modulo che, utilizzando una 
locuzione 
civilistica, potrebbe 
essere 
assimilato ad una 
fattispecie 
a formazione 
successiva o progressiva, 
nessun 
vincolo 
può 
dirsi 
insorto 
sull’Amministrazione 
appellata 
e, 
dunque, 
ravvisarsi 
in capo alla 
stessa 
alcuna 
violazione 
del 
dovere 
di 
correttezza 
o buona 
fede 
intesa 
in senso 
oggettivo, dovendosi 
invero escludere 
la 
contestata 
violazione 
di 
obblighi 
di 
lealtà 
in un seg

ConTenzIoSo 
nAzIonALe 


mento 
della 
complessa 
fattispecie 
de 
qua, 
così 
anticipato 
da 
non 
configurare 
alcun 
affidamento 
tutelabile. 


9.5. né 
tale 
affidamento può, poi, invocarsi 
sul 
consolidamento di 
una 
posizione 
precontrattuale 
riconducibile 
a 
quella 
tipica 
del 
promotore, avendo le 
ricorrenti 
presentato il 
progetto di 
cui 
si 
tratta 
assumendosi 
il 
rischio che 
esso non venisse 
giudicato conforme 
all'interesse 
pubblico 
e dovendosi considerare insito nella posizione del promotore (o, meglio, dell’aspirante 
a 
tale 
qualificazione) 
il 
rischio 
economico 
della 
redazione 
e 
mancata 
realizzazione 
del 
progetto 
presentato, nella 
misura 
in cui 
esso è 
assoggettato al 
potere 
di 
verifica di 
fattibilità dell'amministrazione, 
con 
conseguente, 
concreta, 
possibilità 
di 
abbandono 
di 
qualsiasi 
ipotesi 
di 
esecuzione 
dell'intervento. 
10. Per lo stesso ordine 
di 
ragioni 
deve 
essere 
respinta 
la 
censura 
riguardante 
l’invocata 
applicabilità, 
nella specie, delle regole inerenti alla revoca in autotutela ex art. 21 quinquies. 
10.1. Come 
ha 
ben messo in rilievo la 
sentenza 
impugnata, infatti, i 
principi 
di 
cui 
all’art. 21 
quinquies, 
invocati 
dalla 
parte 
appellante, 
sono 
applicabili, 
secondo 
quanto 
statuito 
dalla 
giurisprudenza 
prevalente, solo in caso di 
revoca 
di 
atti 
durevoli, stabilmente 
attributivi 
di 
vantaggi; 
laddove, 
devono 
essere 
esclusi, 
nelle 
ipotesi 
di 
atti, 
come 
nella 
specie, 
“ad 
effetti 
instabili ed interinali”. 
10.2 
ne 
consegue 
che 
essendo 
riconducibile 
la 
dichiarazione 
di 
pubblico 
interesse 
del 
progetto 
presentato dal 
promotore, nel 
novero di 
tale 
ultima 
categoria 
di 
atti, in quanto provvedimento 
che 
non attribuisce, invero, in maniera 
definitiva 
un vantaggio, ma meramente 
ed eventualmente 
prodromico alla successiva indizione 
della gara 
(sent. V, n. 7244/21), tali 
principi 
non 
risultano applicabili nella specie. 
10.3. Se 
così 
è, come 
bene 
ha 
inteso il 
primo giudice 
nella 
lettura 
complessiva 
e 
ragionevole 
delle 
disposizioni 
che 
governano 
il 
modulo 
in 
questione 
come 
interpretato 
dalla 
giurisprudenza 
prevalente, si 
spiega 
anche 
perché 
la 
censura 
veicolata 
afferente 
alla 
mancata, previa, interlocuzione 
procedimentale, non comporta 
alcuna 
lesione 
di 
natura 
sostanziale 
alle 
prerogative 
della 
parte 
appellante 
ricorrente 
riveniente 
dalla 
asserita 
omissione 
procedimentale 
“addebitata” 
alla 
Amministrazione. 
10.4. 
Invero, 
l’emergenza 
pandemica 
da 
SARSCoV-2 
ha 
reso 
chiara, 
come 
sottolinea 
la 
difesa 
regionale, la 
necessità 
di 
disporre 
una 
ridefinizione 
delle 
reti 
ospedaliere 
e 
territoriali, nella 
quale 
si 
tenesse 
conto non solo della 
specificità 
dei 
bisogni 
assistenziali 
di 
carattere 
ordinario 
della 
popolazione, 
ma 
che 
fosse 
altresì 
adeguata 
ad 
affrontare 
-in 
luoghi 
e 
con 
strumentazioni 
tecnologiche 
performanti 
-eventi 
pandemici 
o eccezionali; 
quindi, delle 
reti 
volte 
a 
garantire 
al 
meglio 
l’assistenza 
necessaria 
in 
sede 
emergenziale, 
pur 
continuando 
ad 
assicurare 
i 
servizi 
essenziali alla popolazione, con modalità sistemica. 
10.5. non è 
stato rappresentato nel 
gravame 
alcun plausibile 
argomento la 
cui 
“introduzione” 
nel procedimento sarebbe stata in grado di diversamente orientarne il risultato. 
10.6. di 
conseguenza, la 
rivalutazione 
dell’interesse 
pubblico è 
stata 
effettuata 
in un ambito 
sistemico ben determinato, come emerge chiaramente nella dgR n. 691 del 2020. 
non è, in altre 
parole, la 
valenza 
incidente 
della 
mancata 
interlocuzione 
procedimentale 
sul 
contenuto sostanziale 
dei 
fatti 
fondanti 
i 
gravati 
atti, rivestendo questi 
ultimi 
carattere 
essenzialmente 
prodromico al modulo avviato dalla parte appellante in qualità di proponente. 
10.7. ne 
discende 
la 
infondatezza 
della 
censura, ove 
si 
abbia 
riguardo al 
di 
per sé 
risolutivo 
rilievo che 
non risulta 
allegato un concreto pregiudizio al 
diritto di 
difesa 
e 
di 
partecipazione 
procedimentale, mancando parte 
ricorrente 
di 
indicare 
in qual 
modo e 
in che 
misura 
il 
lamentato 
vizio abbia 
in concreto precluso la 
introduzione 
di 
deduzioni 
in grado di 
sostanzialmente 

RASSegnA 
AVVoCATURA 
deLLo 
STATo -n. 2/2022 


incidere 
sulle 
determinazioni 
della 
Amministrazione 
regionale 
o 
sanitaria, 
ovvero 
abbia 
potuto 
in qualche 
modo ledere 
il 
diritto di 
essa 
parte 
appellante 
all’ottenimento di 
una 
decisione 
diversa, 
tenuto conto che 
l’interesse 
pubblico è 
stato valutato sotteso alla 
attività 
di 
edilizia 
sanitaria 
afferente 
il 
P.o. di 
Chieti, congiuntamente 
alla 
disamina 
dello strumento contrattuale 
da utilizzare. 


10.8. In ogni 
caso, le 
censure 
afferenti 
alla 
asserita 
violazione 
delle 
prerogative 
di 
partecipazione 
procedimentale 
sono prive 
di 
fondamento atteso che, siccome 
si 
è 
avuto modo di 
illustrare 
supra 
in 
sede 
di 
negativo 
scrutinio 
dei 
motivi 
“afferenti 
al 
merito”, 
il 
contenuto 
dispositivo dell’impugnato provvedimento non avrebbe potuto essere diverso. 
11. 
In 
conclusione 
l’appello 
non 
merita 
accoglimento 
e 
la 
sentenza 
impugnata 
va 
confermata. 
12. La 
spese 
del 
presente 
grado del 
giudizio, considerata, comunque, la 
complessità 
tecnica 
del 
giudizio 
che 
ha 
richiesto 
una 
circostanziata 
disamina 
delle 
censure 
anche 
nel 
presente 
giudizio 
di appello, possono essere interamente compensate tra le parti. 
25.1. Rimane 
definitivamente 
a 
carico di 
ICM 
e 
ABP 
per la 
soccombenza 
il 
contributo unificato 
richiesto per la proposizione dell’appello. 
P.Q.M. 
Il 
Consiglio di 
Stato in sede 
giurisdizionale 
(Sezione 
Terza), definitivamente 
pronunciando 
sull’appello, proposto da 
I.C.M. -s.p.a., A.B.P. nocivelli 
-s.p.a., lo respinge 
e 
per l’effetto 
conferma la sentenza impugnata. 
Compensa interamente tra le parti le spese del presente grado del giudizio. 
Pone 
definitivamente 
a 
carico di 
ICM 
e 
ABP 
il 
contributo unificato richiesto per la 
proposizione 
dell’appello. 
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 14 luglio 2022. 



PARERIDELCOMITATOCONSULTIVO
Situazioni debitorie relative a beni non transitati nella 
gestione dell’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la 
destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità 
organizzata, succeduta ex lege all’Agenzia del demanio 


Parere 
del 
20/11/2021-673044/673045, al 14901/2021, 
avv. Francesca 
subrani 


Quesito. 


L'Agenzia 
del 
demanio 
e 
l'Agenzia 
nazionale 
per 
l'amministrazione 
e 
la 
destinazione 
dei 
beni 
sequestrati 
e 
confiscati 
alla 
criminalità 
organizzata 
chiedevano 
-l'Agenzia 
nazionale 
con 
nota 
del 
2 
febbraio 
e 
l'Agenzia 
del 
demanio 
con 
nota 
del 
5 
marzo 
2018 
-un 
parere 
in 
merito 
alla 
competenza 
dell'Agenzia 
Nazionale 
(d'ora 
innanzi 
anche 
"ANBSC"), 
succeduta 
all'Agenzia 
del 
demanio 
nelle 
competenze 
relative 
all'amministrazione, 
destinazione, 
monitoraggio 
e 
gestione 
dei 
beni 
confiscati 
alla 
criminalità 
organizzata 
(1), 
a 
pagare 
i 
debiti 
oggetto 
di 
giudizi 
pendenti 
al 
tempo 
della 
sua 
istituzione, 
con 
particolare 
riguardo 
al 
caso 
di 
sentenze 
di 
condanna 
pronunciate 
nei 
confronti 
dell'Agenzia 
del 
demanio 
per 
non 
essere 
stata 
la 
successione 
dichiarata 
nel 
corso 
del 
processo. 


Lo scrivente 
G.U., con parere 
del 
1° 
febbraio 2019 (prot. n. 62557), sottoposto 
all'esame 
del 
Comitato 
Consultivo, 
confermando, 
nella 
sostanza, 
il 
proprio 
precedente 
parere 
del 
13 
aprile 
2010 
(prot. 
n. 
130714), 
reso 
con 
riguardo 
a 
una 
vicenda 
analoga 
(ma 
si 
trattava 
di 
una 
proposta 
transattiva 
e 
non 
dell'esecuzione 
di 
una 
sentenza 
di 
condanna), 
si 
pronunciava 
nel 
senso 
che 


(1) 
La 
successione 
in 
parola 
è 
avvenuta 
per 
effetto 
dell'entrata 
in 
vigore 
del 
d.l. 
n. 
4 
del 
4 
febbraio 
2010, istitutivo dell'ANBSC e 
convertito con modif. dalla 
L. 31 marzo 2010, n. 50, e 
delle 
modifiche 
da 
esso apportate 
alla 
L. 31 maggio 1965, n. 575 (si 
veda 
ora 
il 
D.lgs. n. 159 del 
2011, il 
c.d. Codice 
Antimafia). Quanto alle 
competenze 
del 
Commissario straordinario per la 
gestione 
e 
la 
destinazione 
dei 
beni 
confiscati 
ad organizzazioni 
criminali, l'art. 7 del 
d.l. citato ha 
previsto il 
trasferimento all'ANBSC 
delle funzioni e delle risorse strumentali e finanziarie già attribuite allo stesso. 

rASSeGNA 
AvvoCATUrA 
DeLLo 
STATo -N. 2/2022 


l'ANBSC, succeduta 
ex 
lege 
all'Agenzia 
del 
demanio in tutte 
le 
situazioni, attive 
e 
passive, relative 
all'amministrazione 
e 
gestione 
dei 
beni 
confiscati 
alla 
criminalità 
organizzata, 
deve 
ritenersi 
competente 
a 
pagare 
anche 
i 
debiti 
sorti 
prima 
di 
tale 
trasferimento 
di 
competenze 
e 
oggetto 
di 
giudizi 
pendenti 
al 
tempo 
della 
sua 
istituzione, 
e 
ciò 
anche 
nei 
casi 
in 
cui 
la 
successione 
non 
venga 
dichiarata 
nel 
corso del 
processo, in quanto le 
sentenze 
rese 
nei 
confronti 
del-
l'Agenzia 
del 
demanio deve 
ritenersi 
facciano stato nei 
suoi 
confronti 
per il 
disposto 
dell'art. 
111, 
comma 
4, 
c.p.c.; 
suggeriva, 
nel 
contempo, 
un 
più 
stretto 
coordinamento tra 
le 
due 
Agenzie 
ai 
fini 
della 
gestione 
delle 
liti 
tuttora 
pendenti 
e, più in generale, dei 
rapporti 
trasmessi 
in forza 
del 
D.L. n. 4 del 
2010. 
Con 
nota 
del 
12 
novembre 
2019, 
l'ANBSC 
sottoponeva 
allo 
scrivente 


G.U. 
una 
richiesta 
di 
integrazione 
del 
parere 
del 
1 
febbraio 
2019, 
al 
fine 
di 
specificare 
se 
le 
relative 
conclusioni 
valessero 
anche 
per 
le 
situazioni 
debitorie 
relative a beni non transitati nella sua gestione. 
Questo 
G.U., 
con 
nota 
del 
10 
febbraio 
2020, 
rispondeva 
al 
quesito 
in 
senso negativo, con il 
limite 
tuttavia 
che 
nella 
richiesta 
di 
parere 
non veniva 
specificato di quali beni si trattasse. 


Con nota 
del 
14 aprile 
2021 l'Agenzia 
del 
Demanio, all'esito di 
una 
chiamata 
in giudizio effettuata 
in causa 
pendente 
dinanzi 
al 
Tribunale 
di 
Palermo, 
nella 
quale 
era 
convenuta 
l'ANBSC 
per 
il 
pagamento 
dei 
compensi 
pretesi 
per 
l'attività 
svolta 
da 
un amministratore 
giudiziario di 
un bene 
confiscato, destinato 
prima 
dell'istituzione 
dell'ANBSC, 
riscontrata 
l'impossibilità 
di 
individuare 
soluzioni 
concordate 
ai 
fini 
della 
gestione 
delle 
liti 
pendenti, chiedeva 
a 
questa 
Avvocatura 
Generale 
di 
comporre, 
se 
possibile, 
il 
potenziale 
conflitto 
di 
interessi 
insorto, nonché 
di 
chiarire 
se 
sussistesse, nella 
suddetta 
vicenda 
processuale, un difetto di 
legittimazione 
passiva 
dell'ANSBC per non avere 
mai acquisito la procedura di confisca oggetto della richiesta creditoria. 


A 
tal 
fine 
questa 
Avvocatura, constatando la 
necessità 
di 
sottoporre 
nuovamente 
all'esame 
del 
Comitato consultivo la 
questione, con nota 
in data 
21 
aprile 
2021, ha 
chiesto ad entrambe 
le 
Agenzie 
di 
far pervenire 
le 
rispettive 
osservazioni 
sulla 
suddetta 
tematica, nonché 
sulle 
criticità 
connesse 
alla 
possibilità 
di individuare soluzioni concordate al riguardo. 


Con nota 
del 
6 maggio 2021 l'Agenzia 
del 
Demanio -rilevato che 
il 
suddetto 
parere 
del 
10 febbraio 2020 si 
presterebbe 
a 
dubbi 
interpretativi 
rispetto 
ai 
precedenti 
pareri 
del 
2010 
e 
del 
2019 
(le 
cui 
conclusioni, 
peraltro, 
sarebbero 
confermate 
dalla 
recente 
giurisprudenza 
di 
merito), tanto più che 
1'ANBSC 
lo 
avrebbe 
interpretato 
"ritenendo 
la 
propria 
incompetenza 
sul 
presupposto 
che 
il 
passaggio di 
titolarità dei 
rapporti 
pendenti 
tra l'agenzia del 
demanio 
e 
l’anbsc sia subordinata alla consegna della documentazione 
relativa alle 
procedure 
di 
confisca" 
-ha 
chiesto di 
chiarirne 
meglio la 
portata 
e 
comunque 
"di 
riesaminare 
la 
questione 
della 
competenza 
a 
pagare 
i 
debiti 
derivanti 
dalle 
procedure 
di 
confisca, 
al 
fine 
di 
adottare 
un 
comportamento 
uniforme 
a 
livello 



PArerI 
DeL 
ComITATo 
CoNSULTIvo 


nazionale", 
superando 
le 
criticità 
sorte 
ed 
evitando 
che, 
a 
causa 
di 
possibili 
conflitti 
di 
interesse, la 
stessa 
Agenzia 
sia 
costretta 
a 
dover ricorrere 
al 
patrocinio 
di legali esterni all'Avvocatura. 


A 
sua 
volta, con nota 
del 
7 maggio 2021, l'ANBSC -ribadita 
la 
propria 
estraneità 
"con riferimento al 
caso dei 
debiti 
dell'agenzia del 
demanio sorti 
prima 
dell'istituzione 
dello 
scrivente 
Organismo, 
in 
relazione 
a 
vicende 
sostanziali 
e 
processuali 
nelle 
quali 
la pretesa dei 
creditori 
non risulti 
direttamente 
riconducibile 
a beni 
che 
siano poi 
transitati 
nella sua gestione 
", sulla 
base 
dell'assimilazione 
tra 
tale 
situazione 
e 
le 
posizioni 
passive 
relative 
ai 
beni 
non 
inerenti 
all'esercizio 
dell'impresa, 
che 
la 
giurisprudenza 
esclude 
dal 
novero 
dei 
debiti 
trasferiti 
in 
caso 
di 
cessione 
di 
azienda, 
ex 
art. 
2560 
c.c. 
ha 
osservato 
che 
il 
pagamento 
di 
debiti 
non 
propri 
potrebbe 
integrare 
una 
"ipotesi 
di 
danno 
erariale 
a proprio carico, qualora detti 
pagamenti 
dovessero poi 
risultare 
essere 
stati, 
a 
qualsiasi 
titolo, 
oggettivo 
o 
soggettivo, 
indebitamente 
corrisposti", 
rilevando 
anch'essa 
l'impossibilità 
di 
prefigurare 
soluzioni 
autonomamente 
concordate tra le due 
Agenzie. 


Considerazioni. 


riesaminata 
la 
questione, 
ritiene 
la 
Scrivente 
di 
dover 
confermare, 
anche 
con 
riguardo 
ai 
beni 
già 
destinati 
al 
tempo 
dell'istituzione 
dell'ANBSC, 
le 
conclusioni 
del parere reso il 1° febbraio 2019. 


Infatti, con il 
trasferimento delle 
competenze 
in materia 
di 
amministrazione 
e 
destinazione 
dei 
beni 
confiscati 
dell'Agenzia 
del 
demanio 
all'ANBSC, 
si 
è 
verificata 
una 
successione 
(cfr. il 
parere 
del 
13 aprile 
2010, prot. 15131) 
per 
la 
quale, 
per 
le 
competenze 
trasferite, 
si 
è 
realizzato 
il 
passaggio 
da 
un 
soggetto 
all'altro 
di 
una 
pluralità 
di 
rapporti 
giuridici 
attivi 
e 
passivi, 
con 
effetto 
immediato. 


Il 
fenomeno 
verificatosi 
in 
forza 
del 
d.l. 
n. 
4/2010 
appare 
assimilabile, 
sul 
piano 
descrittivo, 
al 
trasferimento 
di 
un 
ramo 
di 
azienda, 
trattandosi 
di 
trasferimento 
inter vivos 
di una pluralità di rapporti. 


Da 
un tale 
accostamento, come 
detto meramente 
descrittivo, non sembra 
possa 
farsi 
discendere 
l'applicabilità 
della 
regola 
di 
cui 
all'art. 2560 c.c., per 
la 
quale 
l'alienante 
non è 
liberato dai 
debiti 
inerenti 
all'esercizio dell'azienda 
ceduta 
anteriori 
al 
trasferimento, sebbene 
analoghe 
esigenze 
di 
tutela 
dei 
terzi 
creditori 
parrebbero sussistere 
nelle 
due 
ipotesi. Nel 
caso di 
trasferimento di 
un ramo di 
azienda, infatti, la 
successione 
avviene 
in forza 
di 
un contratto tra 
cedente 
e 
cessionario di 
cui 
i 
creditori 
ben potrebbero restare 
all'oscuro, e 
in 
favore di un soggetto che potrebbe non rivelarsi solvibile. 


Nel 
caso in esame, si 
tratta 
invece 
di 
una 
successione 
nel 
munus 
fra 
enti 
pubblici 
(la 
fattispecie 
ha 
in comune 
con la 
successione 
nel 
ramo di 
azienda 
la 
cessione 
di 
un complesso di 
beni 
e 
rapporti 
senza 
estinzione 
del 
soggetto 
cedente) avvenuta 
ex 
lege 
e 
per la 
quale 
si 
ha, sul 
piano sostanziale, una 
auto



rASSeGNA 
AvvoCATUrA 
DeLLo 
STATo -N. 2/2022 


matica 
successione 
nei 
diritti 
e 
negli 
obblighi 
che 
sono sorti 
per il 
perseguimento 
dell'interesse 
pubblico 
oggetto 
del 
trasferimento. 
L'ente 
successore 
deve 
quindi 
ritenersi 
responsabile 
anche 
per 
i 
debiti 
che 
siano 
stati 
contratti 
dall'ente 
predecessore, sempre in vista della cura di quel 
munus 
pubblico. 


La 
soluzione 
appare 
da 
preferire 
anche 
alla 
luce 
del 
fatto che 
l'ente 
predecessore 
è 
ormai 
spogliato 
delle 
relative 
funzioni 
e 
competenze, 
e 
quindi 
delle risorse economiche necessarie. 


In questo quadro, non sembra 
sia 
possibile 
distinguere 
a 
seconda 
che 
la 
pretesa 
creditoria 
sia 
o meno direttamente 
riconducibile 
a 
beni 
poi 
transitati 
nella 
gestione 
dell'ente 
successore, 
anche 
se 
una 
prima 
lettura 
della 
norma 
istitutiva 
dell'Agenzia 
Nazionale, 
che 
ad 
essa 
attribuisce 
compiti 
di 
"amministrazione 
e 
destinazione" 
dei 
beni 
confiscati, 
una 
tale 
distinzione 
parrebbe 
suggerire (v. art. 1 del d.l. n. 4 del 2010). 


L'inerenza 
del 
debito 
che 
viene 
in 
rilievo 
è 
infatti 
quella 
relativa 
alla 
complessiva 
attività 
rispetto 
alla 
quale 
la 
successione 
si 
è 
verificata, 
più 
che 
quella 
relativa ai singoli beni oggetto di gestione e poi di destinazione. 


Come 
detto, 
tale 
successione 
ha 
per 
presupposto 
che 
si 
tratti 
di 
debiti 
sorti 
per il 
perseguimento dell'interesse 
pubblico oggetto del 
trasferimento, circostanza 
questa 
che 
pare 
ricorrere 
anche 
per i 
debiti 
sorti 
in relazione 
a 
gestioni 
di beni già destinati quando l'ente successore è stato istituito. 


Non 
può 
invero 
affermarsi 
con 
certezza 
che 
la 
destinazione 
dei 
beni 
comporti 
necessariamente 
il 
definitivo 
esaurimento 
della 
gestione, 
la 
quale 
ben 
potrebbe 
ritenersi 
includente 
il 
pagamento 
dei 
debiti 
relativi 
(la 
fattispecie 
che 
ha dato luogo alle richieste di parere). 


Si 
consideri 
poi 
che 
la 
destinazione 
è 
provvedimento 
revocabile, 
per 
espressa 
previsione 
di 
legge, 
in 
vari 
casi, 
ad 
esempio 
in 
caso 
di 
mancato 
o 
difforme 
utilizzo dei 
beni 
rispetto alle 
finalità 
indicate 
(v. art. 112, comma 
4, del 
Codice 
Antimafia, 
a 
mente 
del 
quale 
l'Agenzia 
Nazionale: 
"i) 
verifica 
l'utilizzo 
dei 
beni 
da 
parte 
dei 
privati 
e 
degli 
enti 
pubblici, conformemente 
ai 
provvedimenti 
di 
assegnazione 
e 
di 
destinazione; 
verifica 
in modo continuo e 
sistematico, 
avvalendosi 
delle 
prefetture-uffici 
territoriali 
del 
Governo 
e, 
ove 
necessario, delle 
Forze 
di 
polizia, la 
conformità 
dell'utilizzo dei 
beni, da 
parte 
dei 
privati 
e 
degli 
enti 
pubblici, ai 
provvedimenti 
di 
assegnazione 
e 
di 
destinazione. 
Il 
prefetto riferisce 
semestralmente 
all'Agenzia 
sugli 
esiti 
degli 
accertamenti 
effettuati; 
l) 
revoca 
il 
provvedimento 
di 
assegnazione 
e 
destinazione 
nel 
caso di 
mancato o difforme 
utilizzo del 
bene 
rispetto alle 
finalità 
indicate 
nonché negli altri casi stabiliti dalla legge"). 


All'Agenzia 
Nazionale 
la 
legge 
attribuisce, 
più 
in 
generale, 
anche 
compiti 
di 
accertamento della 
consistenza, della 
destinazione 
e 
dell'utilizzo dei 
beni 
confiscati 
(v. art. 1, lett. a, del 
d.l. n. 4 del 
2010): 
e 
tra 
questi 
ultimi, evidentemente, 
paiono 
doversi 
ricomprendere 
anche 
quelli 
già 
destinati 
prima 
della 
sua istituzione. 



PArerI 
DeL 
ComITATo 
CoNSULTIvo 


Deriva 
da 
quanto detto che 
un danno erariale 
non appare 
configurabile 
in relazione 
al 
pagamento, da 
parte 
dell'ANBSC, di 
debiti 
relativi 
all'attività 
di 
gestione 
di 
beni 
in 
cui 
non 
sia 
subentrata 
perché 
già 
destinati 
al 
tempo 
della 
sua 
istituzione. 
La 
responsabilità 
amministrativa 
presuppone 
infatti 
un 
danno, 
cagionato 
all'Amministrazione 
per 
effetto 
della 
violazione 
dei 
doveri 
derivanti 
dal rapporto di servizio. 


Tale 
danno non appare 
configurabile 
nel 
caso di 
specie, perché, per le 
ragioni 
anzidette, 
il 
pagamento 
dei 
debiti 
originariamente 
sorti 
in 
capo 
all'Agenzia 
del 
Demanio 
è 
da 
considerarsi 
un 
atto 
dovuto, 
di 
adempimento 
di 
una 
obbligazione traferita, in forza di legge, in capo all'ANBSC. 


Per il 
reperimento delle 
risorse 
necessarie, ove 
le 
spese 
non trovino copertura 
nelle 
risorse 
della 
gestione, 
varrà 
il 
disposto 
dell'art. 
44 
del 
Codice 
antimafia 
(d.lgs. 
n. 
159 
del 
2011), 
per 
il 
quale 
l'Agenzia 
potrà 
avvalersi 
di 
apposite 
aperture 
di 
credito 
disposte, 
a 
proprio 
favore, 
sui 
fondi 
dello 
specifico 
capitolo istituito nello stato di 
previsione 
della 
spesa 
del 
ministero dell'economia 
e delle finanze. 


Conclusioni. 


In 
conclusione, 
l'Agenzia 
nazionale 
per 
l'amministrazione 
e 
la 
destinazione 
dei 
beni 
sequestrati 
e 
confiscati 
alla 
criminalità 
organizzata, succeduta 
ex 
lege 
all'Agenzia 
del 
demanio in tutte 
le 
situazioni, attive 
e 
passive, relative 
all'amministrazione 
e 
gestione 
dei 
beni 
confiscati 
alla 
criminalità 
organizzata, 
deve 
ritenersi 
competente 
a 
pagare 
anche 
i 
debiti 
relativi 
a 
beni 
non transitati 
nella 
gestione 
dell'Agenzia 
nazionale 
per l'amministrazione 
e 
la 
destinazione 
dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata. 


Sulla 
questione 
è 
stato sentito il 
Comitato consultivo, che 
si 
è 
espresso in 
conformità nella seduta del 21 ottobre 2021. 



rASSeGNA 
AvvoCATUrA 
DeLLo 
STATo -N. 2/2022 


Persone giuridiche riconosciute. Clausole statutarie che 
prevedono la nomina, da parte del Prefetto pro tempore, di 
componenti degli organi di fondazioni e associazioni. 
Compatibilità delle disposizioni con la normativa vigente 


Parere 
del 
17/02/2022 
-105409, al 27167/2021, 
avv. Maria 
elena 
scaraMucci, PrOc. TOMMasO 
Marsh 


Codesta 
Avvocatura 
Distrettuale 
sottopone 
a 
questo G.U. la 
questione 
di 
massima 
concernente 
l'ammissibilità 
di 
quelle 
clausole 
contenute 
negli 
statuti 
delle 
fondazioni 
che 
prevedano la 
designazione 
di 
membri 
degli 
organi 
direttivi 
da 
parte 
del 
Prefetto, ovvero la 
nomina 
diretta 
di 
quest'ultimo quale 
membro 
di tali organi ovvero come presidente della fondazione medesima. 


La 
questione 
traeva 
impulso da 
una 
richiesta 
in tal 
senso della 
Prefettura 
di Bologna. 


La 
Prefettura 
reputava 
che 
tali 
clausole, 
pur 
non 
violando 
specifici 
precetti 
normativi, fossero distoniche 
rispetto al 
principio generale 
di 
trasparenza 
del-
l'attività 
amministrativa 
e 
con il 
suo corollario della 
non sovrapponibilità 
tra 
soggetto (pubblico) controllante 
e 
soggetto (nel 
caso di 
specie, privato) controllato, 
tenuto 
conto 
della 
funzione 
di 
vigilanza 
che 
il 
d.P.r. 
361/2000 
assegna 
al 
Prefetto 
con 
riferimento 
alle 
persone 
giuridiche 
iscritte 
nel 
registro 
delle 
persone giuridiche (associazioni e fondazioni). 


Più in particolare, l'Amministrazione 
osservava 
che, con riferimento alla 
prassi 
di 
demandare 
al 
Prefetto 
la 
nomina 
di 
un 
membro 
direttivo, 
la 
stessa 
sembrerebbe 
collidere 
con l'accresciuta 
sensibilità 
riguardo alla 
prevenzione 
di 
episodi 
corruttivi 
o comunque 
di 
mala 
amministrazione, sino a 
prospettare 
la possibile violazione del divieto del c.d. 
pantouflage. 


Chiedeva, dunque, di 
conoscere 
il 
parere 
dell'Avvocatura 
in merito alle 
questioni 
sopra 
prospettate, 
al 
fine 
di 
valutare 
la 
possibilità 
di 
promuovere 
una 
interlocuzione 
con 
le 
fondazioni 
interessate 
finalizzata 
ad 
avviare 
un 
processo 
di 
revisione 
di 
quelle 
disposizioni 
statutarie 
che 
prevedono 
i 
descritti 
meccanismi di nomina. 


*** 


Codesta 
Avvocatura 
Distrettuale 
ritiene 
che 
la 
carica 
di 
amministratore 
(ma 
anche 
quella 
di 
componente 
del 
collegio dei 
revisori 
o di 
Presidente) di 
una 
fondazione 
-quale 
espressione 
della 
volontà 
privata 
-non possa 
essere 
ricoperta 
da 
un soggetto nominato dal 
medesimo organo deputato al 
suo controllo 
ope legis. 


Al 
di 
fuori 
dei 
casi 
indicati 
dall'art. 
25 
c.c., 
letto 
in 
relazione 
all'art. 
8, 


d.P.r. 361/2000, infatti, l'intervento prefettizio si 
risolverebbe 
in un'inammissibile 
commistione 
continuativa 
e 
ordinaria 
tra 
autorità 
controllante 
e 
fondazione 
controllata. 

PArerI 
DeL 
ComITATo 
CoNSULTIvo 


In questa 
prospettiva, con riguardo alla 
possibilità 
di 
nomina 
di 
componenti 
degli 
organi 
direttivi 
da 
parte 
del 
Prefetto, osserva 
come 
la 
stessa 
si 
configurerebbe 
quale 
espressione 
di 
un pubblico potere 
operante 
all'interno della 
volontà privata. 


Tale 
situazione, 
si 
aggiunge, 
denoterebbe 
una 
condizione, 
ancorché 
astratta, 
di 
conflitto 
di 
interessi, 
che, 
anche 
alla 
luce 
dell'art. 
6-bis, 
l. 
241/1990, 
per ciò solo risulta ostativa alla commistione denunziata. 


*** 


Ciò posto, la Scrivente osserva quanto segue. 


Con il 
termine 
“Fondazioni” 
deve 
oggi 
intendersi 
una 
plurima 
realtà 
di 
enti 
che, 
partendo 
dall'originaria 
disciplina 
codicistica, 
hanno 
trovato 
ulteriore 
sviluppo 
e 
riconoscimento 
tanto 
in 
specifici 
interventi 
normativi, 
quanto 
in 
autonome codificazioni derivanti dalla prassi. 


Gli 
articoli 
14 e 
seguenti 
del 
Codice 
civile 
(Libro Primo, Titolo I delle 
Persone 
Giuridiche, 
Capo 
II 
delle 
Associazioni 
e 
Fondazioni) 
declinano 
la 
Fondazione 
come 
un 
ente 
dotato 
di 
personalità 
giuridica 
privata 
(caratterizzata 
da 
un riconoscimento formale), costituito da 
un fondatore 
per atto pubblico o 
disposizione 
testamentaria, 
il 
cui 
patrimonio 
sia 
destinato 
ad 
un 
fine 
possibile, 
lecito e 
di 
utilità 
sociale 
(caratterizzato cioè 
da 
“pubblica 
utilità”) e 
sia 
adeguato 
al suo raggiungimento. 


Il 
patrimonio 
della 
fondazione 
è, 
pertanto, 
destinato 
esclusivamente 
al 
raggiungimento dello scopo per la 
quale 
l'ente 
è 
stato costituito dal 
fondatore. 
esso è 
attribuibile, una 
volta 
che 
venga 
riconosciuta, esclusivamente 
alla 
fondazione 
stessa, non anche al fondatore. 


La 
fondazione, come 
del 
resto l'associazione, è 
caratterizzata 
dal 
perseguimento 
di 
uno 
scopo 
“altruistico/sociale/pubblico” 
e, 
comunque, 
dall'essenza 
di 
fini 
di 
lucro, per tale 
intendendosi 
l'assenza 
di 
ripartizioni 
di 
utili 
tra 
gli 
associati 
o tra 
i 
componenti 
dell'organismo (c.d. lucro soggettivo). In tal 
senso, è 
ormai 
pacifico come 
anche 
le 
fondazioni, così 
come 
le 
associazioni, 
possano svolgere 
attività 
economica, purché 
volta 
a 
conseguire 
le 
risorse 
necessarie 
al perseguimento dello scopo istituzionale. 


Quanto sopra 
premesso, non si 
può non ricordare 
come 
il 
panorama 
dei 


c.d. 
“enti 
no 
profit”, 
categoria 
generale 
nella 
quale 
si 
inscrivono 
le 
fondazioni 
disciplinate 
dal 
Libro I, Titolo II, Capo II del 
codice 
civile, è 
stato significativamente 
inciso dalla 
riforma 
del 
Terzo Settore, avvenuta 
mediante 
l'adozione 
del decreto legislativo 3 luglio 2017, n. 117 (Codice del 
Terzo settore). 
Gli 
enti 
in questione, la 
cui 
genesi 
è 
subordinata 
alla 
effettiva 
iscrizione 
al 
rUNTS, 
alla 
luce 
del 
disposto 
dell'art. 
7 
D.m. 
106/20, 
costituiscono 
indubbiamente 
una 
species 
della suddetta categoria generale. 


Invero, sul 
piano dell'attività, si 
tratta 
di 
enti 
che 
esercitano in via 
esclusiva 
o principale 
una 
o più attività 
di 
interesse 
generale 
(art. 5), potendo svolgere 
attività diverse solo se secondarie e strumentali a queste (art. 6). 



rASSeGNA 
AvvoCATUrA 
DeLLo 
STATo -N. 2/2022 


Sul 
piano dello scopo, tali 
enti 
agiscono per il 
perseguimento di 
“finalità 
civiche, solidaristiche e di utilità sociale” (art. 5). 


Si 
può ben cogliere 
come, pur ricorrendo alcuni 
profili 
di 
contiguità, le 
due 
nozioni 
-enti 
no profit 
e 
enti 
del 
terzo settore 
-prima 
ritenute 
sostanzialmente 
coincidenti, ora si divaricano profondamente. 


È, 
infatti, 
l'attività 
di 
questi 
ultimi 
a 
collocarsi 
nel 
contesto 
e 
in 
attuazione 
del principio di sussidiarietà orizzontale, scolpito nell'art. 118 Cost. 


Ciò 
implica 
che 
in 
presenza 
di 
enti 
del 
Terzo 
settore, 
così 
individuati, 
debbano applicarsi le norme specifiche contenute nel decreto in esame. 


Proprio 
in 
ragione 
dei 
profili 
di 
specificità 
che 
connotano 
siffatti 
enti, 
nonché 
del 
peculiare 
statuto giuridico che 
li 
connota, si 
ritiene 
che 
i 
principi 
e 
le 
regole 
dettati 
per le 
fondazioni 
di 
diritto comune 
-che 
conducono alle 
valutazioni 
che 
di 
seguito si 
espongono -si 
riferiscono solo alle 
Fondazioni 
che 
non abbiano richiesto e ottenuto l'iscrizione nel rUNTS. 


La 
Fondazione 
costituisce, dunque, una 
species 
delle 
organizzazioni 
collettive 
ed è regolata dalle norme del codice civile e dal d.P.r. 361/00. 


In 
particolare, 
l'art. 
16, 
primo 
comma, 
del 
cod. 
civ. 
prevede 
che: 
“l'atto 
costitutivo 
e 
lo 
statuto 
devono 
contenere 
la 
denominazione 
dell'ente, 
l'indicazione 
dello 
scopo, 
del 
patrimonio 
e 
della 
sede, 
nonché 
le 
norme 
sull'ordinamento 
e 
sull'amministrazione. 
devono 
anche 
determinare, 
quando 
trattasi 
di 
associazioni, 
i 
diritti 
e 
gli 
obblighi 
degli 
associati 
e 
le 
condizioni 
della 
loro 
ammissione; 
e, 
quando 
trattasi 
di 
fondazioni, 
i 
criteri 
e 
le 
modalità 
di 
erogazione 
delle 
rendite”. 


L'atto costitutivo e 
lo statuto possono inoltre 
contenere 
le 
norme 
relative 
alla 
estinzione 
dell'ente, alla 
devoluzione 
del 
patrimonio e, per le 
fondazioni, 
anche quelle relative alla loro trasformazione (art. 16, 2° co). 


L'art. 1 del 
d.P.r. 361/2000 (rubricato come 
Procedimento per l'acquisto 
della 
personalità 
giuridica) 
stabilisce 
che: 
“salvo 
quanto 
previsto 
dagli 
articoli 
7 e 
9, le 
associazioni, le 
fondazioni 
e 
le 
altre 
istituzioni 
di 
carattere 
privato 
acquistano la personalità giuridica mediante 
il 
riconoscimento determinato 
dall'iscrizione 
nel 
registro delle 
persone 
giuridiche, istituito presso le 
prefetture” 
(comma 1). 


Il 
comma 
2 dell'art. 1 dispone 
che: 
“ai 
fini 
del 
riconoscimento è 
necessario 
che 
siano state 
soddisfatte 
le 
condizioni 
previste 
da norme 
di 
legge 
o di 
regolamento per 
la costituzione 
dell'ente, che 
lo scopo sia possibile 
e 
lecito e 
che 
il 
patrimonio risulti 
adeguato alla realizzazione 
dello scopo” 
(comma 
3). 


Il 
comma 
6 
dello 
stesso 
articolo 
stabilisce 
che, 
qualora 
la 
Prefettura 
ravvisi 
ragioni 
ostative 
all'iscrizione, 
ovvero 
la 
necessità 
di 
integrare 
la 
documentazione 
presentata, 
ne 
debba 
dare 
immediata 
comunicazione 
ai 
richiedenti. 
L'Autorità 
governativa, 
infatti, 
è 
chiamata 
esclusivamente 
a 
procedere 
o 
meno 
all'iscrizione, 
ma 
non 
le 
è 
attribuita 
alcuna 
possibilità 
di 
modificazione 
dello 
statuto. 


Il 
controllo e 
la 
vigilanza 
da 
parte 
dell'autorità 
governativa 
(che 
devono 
considerarsi 
un elemento caratterizzante 
della 
disciplina 
delle 
fondazioni, la 



PArerI 
DeL 
ComITATo 
CoNSULTIvo 


cui 
attività 
e 
le 
cui 
vicende 
sono permeate, dal 
riconoscimento fino alla 
estinzione, 
dall'intervento pubblico) si 
articolano nelle 
modalità 
indicate 
dal 
citato 
art. 25 c.c., che 
stabilisce 
che: 
“l'autorità governativa esercita il 
controllo e 
la 
vigilanza 
sull'amministrazione 
delle 
fondazioni; 
provvede 
alla 
nomina 
e 
alla sostituzione 
degli 
amministratori 
o dei 
rappresentanti, quando le 
disposizioni 
contenute 
nell'atto 
di 
fondazione 
non 
possono 
attuarsi; 
annulla, 
sentiti 
gli 
amministratori, con provvedimento definitivo, le 
deliberazioni 
contrarie 
a 
norme 
imperative, 
all'atto 
di 
fondazione, 
all'ordine 
pubblico 
o 
al 
buon 
costume; 
può sciogliere 
l'amministrazione 
e 
nominare 
un commissario straordinario, 
qualora gli 
amministratori 
non agiscano in conformità dello statuto 


o 
dello 
scopo 
della 
fondazione 
o 
della 
legge” 
(co. 
1); 
“le 
azioni 
contro 
gli 
amministratori 
per 
i 
fatti 
riguardanti 
la loro responsabilità devono essere 
autorizzate 
dall'autorità 
governativa 
e 
sono 
esercitati 
dal 
commissario 
straordinario, dai liquidatori o dai nuovi amministratori” (co. 2). 
Per 
quanto 
attiene 
agli 
organi 
delle 
fondazioni, 
la 
disciplina 
codicistica 
(articolo 
18 
e 
ss. 
Codice 
civile) 
è 
senz'altro 
scarna. 
L'unica 
indicazione 
fornita 
dal 
legislatore 
è 
quella 
per 
cui 
alla 
gestione 
del 
patrimonio 
e 
all'attuazione 
dello 
scopo 
provvedono 
gli 
amministratori: 
essi 
sono 
chiamati 
a 
rispettare 
la 
volontà 
del 
fondatore 
ed 
a 
perseguire 
il 
fine 
per 
cui 
la 
fondazione 
è 
stata 
costituita. 


La 
loro figura, come 
sopra 
ricordato, è 
l'unica 
richiamata 
esplicitamente 
dal 
Codice 
civile: 
l'organo 
di 
amministrazione 
deve, 
pertanto, 
considerarsi 
come 
l'unico 
organo 
necessario 
per 
la 
fondazione. 
Gli 
amministratori 
non 
sono 
soggetti 
alle 
indicazioni 
di 
un organo deliberativo, né 
sottoposti 
al 
controllo 
di 
un 
organo 
interno 
di 
verifica, 
seppure 
spesso 
negli 
atti 
costitutivi 
e 
negli 
statuti 
delle 
fondazioni 
(vista 
anche 
le 
pluralità 
di 
tipologie 
ormai 
diffuse 
ed 
in 
funzione 
delle 
specifiche 
esigenze 
dell'ente) 
sono 
previsti 
anche 
altri 
organi, 
compresi quello assembleare e quello di controllo contabile. 


Il 
fondatore 
può 
nominare 
gli 
amministratori 
nell'atto 
costitutivo 
della 
fondazione, ovvero può indicare 
le 
modalità 
di 
loro nomina. La 
carica 
di 
amministratore 
può essere 
ricoperta 
da 
una 
sola 
persona, ovvero da 
più persone 
riunite 
in un Consiglio di 
amministrazione. In genere 
le 
fondazioni 
sono gestite, 
appunto, da 
un Consiglio di 
amministrazione, il 
cui 
Presidente 
ha 
anche 
la rappresentanza esterna dell'ente. 


La 
nomina 
degli 
amministratori 
può 
avere 
una 
durata 
determinata, 
oppure 
essere a vita, e deve, comunque, essere accettata. 
Gli 
amministratori 
sono 
responsabili 
nei 
confronti 
della 
fondazione 
in 
base alle regole del mandato. 


*** 


Quanto 
sopra 
premesso, 
la 
Scrivente 
concorda 
con 
l'osservazione 
della 
Prefettura 
di 
Bologna 
nel 
senso che, per le 
fondazioni 
di 
diritto privato non 
diversamente 
regolate 
dalla 
legge, 
le 
clausole 
statutarie 
di 
cui 
si 
discute, 
espressione 
dell'autonomia 
privata 
del 
fondatore 
finalizzata 
a 
maggior 
garanzia 



rASSeGNA 
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DeLLo 
STATo -N. 2/2022 


della 
legalità 
della 
futura 
azione 
dell'ente, non siano in contrasto con specifiche 
disposizioni 
normative 
e, 
pertanto, 
per 
il 
principio 
generale 
della 
tassatività 
delle nullità, le stesse non possono ritenersi né nulle né annullabili. 


Non potrebbe, quindi, trovare 
applicazione 
anche 
il 
principio per cui 
le 
cause 
di 
nullità 
e 
di 
annullabilità 
dell'atto di 
fondazione 
si 
traducono (se 
accertate 
in un momento successivo al 
riconoscimento dell'ente) in cause 
specifiche 
di estinzione della fondazione medesima. 


Si 
osserva, 
inoltre, 
che, 
mentre 
l'art. 
16 
del 
cod. 
civ. 
prevede 
che 
l'atto 
costitutivo e 
lo statuto, oltre 
alla 
denominazione 
dell'ente, l'indicazione 
dello 
scopo, del 
patrimonio e 
della 
sede, debbano contenere 
le 
norme 
sull'ordinamento 
e 
sull'amministrazione 
dell'ente 
medesimo (che, giova 
ricordare, non 
possono 
essere 
modificate 
dall'autorità 
governativa), 
tra 
le 
quali 
può 
essere 
presente 
anche 
quella 
che 
rimette 
ad 
un 
terzo 
la 
nomina 
del/degli 
amministratori 
o di 
componenti 
di 
altri 
organi 
direttivi, il 
d.P.r. 361/00 prevede 
la 
necessità, 
ai 
fini 
dell'iscrizione 
nel 
registro 
delle 
persone 
giuridiche, 
che 
siano 
indicati 
il 
nome 
e 
il 
codice 
fiscale 
degli 
amministratori, 
con 
menzione 
di 
quelli 
ai quali è attribuita la rappresentanza. 


Pertanto, il 
Prefetto, nell'ambito dei 
propri 
poteri 
generali 
di 
controllo e 
vigilanza, 
ai 
sensi 
dell'art. 
25 
c.c., 
potrebbe 
legittimamente 
provvedere 
alla 
loro nomina, non potendo diversamente 
le 
disposizioni 
contenute 
nell'atto di 
fondazione attuarsi. 


Per 
quanto 
riguarda 
il 
rispetto 
degli 
obblighi 
di 
trasparenza 
previsti 
dal 
d.lgs. 
33/2013, 
giova 
sottolineare 
come 
lo 
stesso 
non 
trovi 
applicazione 
per 
tutte 
le 
fondazioni 
di 
diritto 
privato, 
ma 
solo 
per 
le 
associazioni, 
le 
fondazioni 
e 
altri 
enti 
di 
diritto 
privato 
che 
presentino 
particolari 
requisiti 
dimensionali 
e 
finanziari, 
con 
riferimento 
sia 
all'organizzazione 
che 
all'attività 
di 
pubblico 
interesse 
svolta. 


I 
requisiti, 
che 
devono 
ricorrere 
contemporaneamente, 
sono 
tre: 
1) 
bilancio 
superiore 
a 
500.000 
euro; 
2) 
finanziamento 
maggioritario 
per 
almeno 
due 
esercizi 
consecutivi 
nell'ultimo 
triennio 
da 
pubbliche 
amministrazioni; 
3) 
designazione 
da 
parte 
delle 
pubbliche 
amministrazioni 
della 
totalità 
dei 
titolari 
o 
componenti 
dell'organo 
di 
amministrazione 
o 
di 
indirizzo 
(all'art. 
2-bis, 
co. 
2, 
lett. 
c). 


Le 
associazioni, 
le 
fondazioni 
e 
gli 
enti 
di 
diritto 
privato, 
privi 
dei 
requisiti 
fissati 
del 
d.lgs. 
33/2013, 
indipendentemente 
dalla 
ingerenza 
pubblica 
nella 
struttura 
organizzativa 
o 
nel 
capitale, 
sono 
assoggettati 
agli 
oneri 
di 
trasparenza 
stabiliti 
dal 
d.lgs. 
33/2013 
limitatamente 
ai 
dati 
e 
ai 
documenti 
inerenti 
l'attività 
di 
pubblico 
interesse 
svolta, 
laddove: 
1) 
abbiano 
un 
bilancio 
superiore 
a 


500.000 
euro; 
2) 
svolgano 
funzioni 
amministrative, 
o 
attività 
di 
produzione 
di 
beni 
o 
servizi 
a 
favore 
delle 
pubbliche 
amministrazioni, 
o 
di 
gestione 
di 
servizi 
pubblici. 
Si 
tratta 
pertanto 
di 
attività 
riconducibili 
alle 
finalità 
istituzionali 
delle 
amministrazioni 
affidanti, che 
vengono esternalizzate 
in virtù di 
scelte 
organizzativo-gestionali. 
Il 
regime 
di 
trasparenza 
applicabile 
a 
tali 
enti, in analogia 
a 
quanto pre



PArerI 
DeL 
ComITATo 
CoNSULTIvo 


visto per le 
società 
a 
partecipazione 
pubblica 
non di 
controllo, non riguarda 
dati e documenti relativi all'organizzazione. 


L'ANAC con la 
delibera 
n. 1134 del 
2017 ha 
confermato la 
distinzione 
tra 
enti 
di 
diritto privato in controllo pubblico, tenuti 
alla 
trasparenza 
tanto relativamente 
alla 
loro organizzazione 
quanto al 
complesso delle 
attività 
svolte, 
e 
altri 
enti 
di 
diritto privato non in controllo pubblico, tenuti 
alla 
trasparenza 
solo per le eventuali attività di pubblico interesse. 


Anche 
per 
quanto 
riguarda 
il 
divieto 
di 
pantouflage,o 
revolving 
doors 


(c.d. porte 
girevoli), finalizzato ad evitare 
che 
il 
“dipendente 
pubblico” 
possa 
sfruttare 
la 
conoscenza 
delle 
dinamiche 
organizzative 
che 
connotano 
gli 
uffici 
interni 
della 
pubblica 
amministrazione 
al 
fine 
di 
trarre 
vantaggi 
di 
natura 
patrimoniale 
o 
non 
patrimoniale, 
si 
osserva 
che 
lo 
stesso 
riguarda 
sia 
i 
dipendenti 
di 
pubbliche 
amministrazioni 
o di 
enti 
formalmente 
privati, ma 
partecipati 
o 
in controllo pubblico 
(1). 
La 
legittimità 
in 
linea 
di 
principio 
delle 
clausole 
di 
cui 
si 
discute 
non 
esclude, ovviamente, che 
la 
loro presenza 
nello statuto di 
una 
fondazione 
privata 
possa 
essere 
valutata 
sotto il 
profilo dell'opportunità, sia 
nell'ottica 
del-
l'evoluzione 
della 
figura 
della 
Fondazione, 
di 
cui 
sono 
state 
create 
nuove 
figure, ciascuna 
delle 
quali 
con proprie 
peculiarità 
e 
caratteristiche, sia, come 
evidenziato 
dalla 
Prefettura, 
alla 
luce 
di 
una 
nuova 
sensibilità, 
che 
richiede 
comunque, 
anche 
al 
di 
fuori 
delle 
normative 
sopra 
richiamate, 
la 
massima 
trasparenza 
nei sistemi di attribuzione degli incarichi. 


Naturalmente, eventuali 
modifiche 
di 
clausole 
di 
Statuti 
relativi 
a 
Fondazioni 
dotate 
di 
personalità 
giuridica 
ovvero 
non 
ancora 
riconosciute, 
non 
possono essere 
imposte, non essendo, come 
sopra 
ricordato, attribuita 
al 
Prefetto 
alcuna possibilità in tal senso. 


A 
questo riguardo, giova 
ricordare 
come 
il 
T.A.r. di 
Brescia, nella 
sentenza 
n. 
41 
del 
2016, 
abbia 
chiarito 
che 
l'introduzione, 
da 
parte 
del 
Legislatore, 
dell'art. 
2, 
comma 
3, 
del 
d.P.r. 
n. 
362/00, 
ha 
consentito 
di 
superare 
il 
problema 
interpretativo 
nascente 
dal 
testo 
dell'art. 
16 
del 
c.c. 
che 
pareva 
escludere 
la 
possibilità di modificare lo Statuto di una Fondazione. 


L'entrata 
in vigore 
della 
norma 
sopra 
ricordata 
ha 
fatto sì 
che 
il 
problema 
non sia 
più quello della 
modificabilità 
dello Statuto, quanto quello dei 
limiti 
entro i quali è ammessa la modificazione. 


Pertanto, ritengono i 
Giudici 
lombardi 
che, mentre 
non può esser mutato 
il 
fine 
consacrato 
nello 
Statuto, 
sono 
possibili 
modificazioni 
che 
attengono 


(1) L'art. 1, comma 
42, lett. l) della 
legge 
anticorruzione 
ha 
aggiunto all'articolo 53 del 
D.lgs. n. 
165/2001 
il 
comma 
16 
ter, 
il 
quale 
prevede 
che 
"i 
dipendenti 
che, 
negli 
ultimi 
tre 
anni 
di 
servizio, 
hanno 
esercitato 
poteri 
autoritativi 
o 
negoziali 
per 
conto 
delle 
pubbliche 
amministrazioni 
di 
cui 
all'art. 
1 
comma 
2 
non 
possono 
svolgere, 
nei 
tre 
anni 
successivi 
alla 
cessazione 
del 
rapporto 
di 
pubblico 
impiego, 
attività lavorativa o professionale 
presso i 
soggetti 
privati 
destinatari 
della pubblica amministrazione 
svolta attraverso i medesimi poteri". 

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DeLLo 
STATo -N. 2/2022 


alla 
struttura 
organizzativa 
dell'ente 
che 
non 
pregiudichino 
lo 
scopo 
programmato 
e 
che, dunque, siano coerenti 
con il 
migliore 
realizzarsi 
dello scopo, valorizzando 
così il nesso di strumentalità della modifica con i fini dell'ente. 

Ciò 
posto, 
si 
renderà, 
quindi, 
necessaria 
la 
valutazione 
delle 
singole 
clausole 
contenute 
nei 
vari 
statuti, valutando se 
il 
loro contenuto, alla 
luce 
dell'organizzazione 
complessiva 
di 
ogni 
specifico 
ente, 
suggerisca 
senz'altro 
l'opportunità 
di 
un'interlocuzione 
con il 
medesimo ai 
fini 
di 
suggerirne 
la 
modifica 
secondo la procedura prevista dall'art. 16 c.c. 


In particolare, si 
suggerisce 
come 
le 
clausole 
in parola 
dovrebbero essere 
formulate 
in modo da 
non “snaturare” 
l'autonomia 
gestionale, organizzativa 
e contabile della fondazione. 


In questa 
ottica, l'eventuale 
prevalenza 
nella 
composizione 
degli 
organi 
riservata 
alla 
nomina 
da 
parte 
dell'autorità 
di 
controllo sarebbe 
irragionevole, 
oltre 
che 
contraria 
al 
principio di 
democraticità, e 
potrebbe 
costituire 
un condizionamento 
della 
gestione 
dell'ente 
e 
quindi 
un ostacolo al 
raggiungimento 
dello scopo della 
stessa. Altrettanto potrebbe 
dirsi 
nel 
caso di 
nomina 
di 
un 
amministratore unico su designazione dell'autorità di controllo. 


Da 
escludere 
sicuramente 
è 
che 
il 
fondatore 
proceda 
alla 
nomina 
del 
Prefetto 
quale 
amministratore 
o presidente, tanto più, in quest'ultimo caso, con 
poteri di rappresentanza dell'ente. 


In 
tal 
caso, 
infatti, 
l'Autorità 
si 
troverebbe 
direttamente 
coinvolta 
nello 
svolgimento dell'attività 
dell'ente 
privato. Svolgerebbe, quindi, una 
funzione 
eterogenea 
rispetto a 
quella 
assegnata 
dalla 
legge 
e 
vietata 
secondo la 
lettura 
offerta dall'art. 25 c.c. 


Analogamente, 
considerato 
che 
si 
tratterebbe 
di 
incarichi 
che 
si 
svolgono 
nei 
confronti 
di 
soggetti 
verso cui 
la 
struttura 
di 
assegnazione 
del 
dipendente 
svolge 
funzioni 
di 
controllo o di 
vigilanza, deve 
escludersi 
la 
possibilità 
della 
nomina 
alle 
cariche 
in 
questione 
di 
dipendenti 
dell'Autorità 
governativa 
al 
cui 
controllo 
la 
Fondazione 
è 
sottoposta. 
Fermo 
restando, 
in 
ogni 
caso, 
quanto 
disposto 
dall'art. 53 del 
T.U.P.I. (D.lgs. n. 165/2001) in materia 
di 
incompatibilità, 
cumulo di impieghi e incarichi per i pubblici dipendenti. 


Analoghe 
considerazioni 
sfavorevoli 
potrebbero 
anche 
ipotizzarsi 
con 
riferimento 
all'attribuzione 
al 
Prefetto 
di 
un 
potere 
diretto 
di 
nomina, 
apparendo 
sicuramente 
più 
opportuno 
che 
la 
designazione 
in 
questione 
venga 
intesa 
come 
mera 
indicazione 
di 
un ventaglio di 
nominativi, tra 
i 
quali 
la 
scelta 
sarebbe 
rimessa 
al fondatore. 


In ogni 
caso, si 
tratta 
di 
valutazioni 
per le 
quali 
ci 
si 
rimette 
alla 
competenza 
della 
Prefettura 
e 
del 
ministero 
dell'Interno, 
al 
quale 
compete 
di 
dare 
direttive 
unitarie in materia. 


*** 


Sulla 
questione 
avente 
valenza 
di 
massima 
è 
stato 
sentito 
il 
Comitato 
Consultivo, che, nella 
seduta 
del 
9 febbraio 2022, si 
è 
espresso in conformità. 



PArerI 
DeL 
ComITATo 
CoNSULTIvo 


Sanzioni amministrative irrogate dagli Uffici territoriali 
dell’Ispettorato nazionale del lavoro e conciliazione 
giudiziale prevista dagli artt. 185 e 420 c.p.c. 


Parere 
del 
21/02/2022 
-111823, al 11149/2021, 
avv. eManuele 
ManzO 


Con la 
nota 
in epigrafe, codesto Ispettorato ha 
sottoposto alla 
Scrivente 
una 
richiesta 
di 
parere 
circa 
la 
possibilità 
di 
aderire 
a 
proposte 
conciliative 
formulate 
dal 
Giudice 
ai 
sensi 
e 
per gli 
effetti 
di 
cui 
all'art. 185 e/o 420 c.p.c. 
su importi 
aventi 
ad oggetto sanzioni 
amministrative 
inerenti 
a 
violazioni 
in 
materia 
di 
diritto del 
lavoro e 
legislazione 
sociale 
irrogate 
dagli 
Uffici 
territoriali 
dell'INL. 


In 
particolare, 
codesto 
Ispettorato 
chiede 
di 
conoscere 
se 
sia 
possibile 
pervenire 
ad 
una 
rideterminazione 
del 
quantum 
dell'ordinanza 
ingiunzione, 
nell'ambito 
della 
cornice 
edittale 
prevista 
dalla 
legge, 
ove 
tale 
rideterminazione 
sia 
sollecitata 
dal 
Giudice, 
evidenziando 
che 
la 
mancata 
adesione 
alle 
proposte 
conciliative 
sta 
determinando 
una 
sistematica 
condanna 
dell'Ispettorato 
alle 
spese 
di 
lite, e 
ciò pure 
laddove 
la 
sanzione 
sia 
confermata 
nell'an 
e 
solo diversamente 
quantificata in sentenza (in misura più favorevole all'ingiunto). 


Il 
dubbio interpretativo origina 
da 
un parere 
di 
questa 
Avvocatura 
del 
18 
maggio 2009 (Cs. 567/2009), ove 
si 
era 
esclusa 
la 
possibilità 
di 
stipulare 
atti 
transattivi 
in ordine 
al 
quantum 
di 
sanzioni 
amministrative, in ragione 
della 
indisponibilità 
del 
potere 
sanzionatorio 
e 
della 
possibilità 
di 
ricorrere 
all'oblazione, 
quale 
strumento 
agevolativo 
espressamente 
previsto 
dalla 
legge 
(art. 
16 
legge n. 689/1981). 


Tuttavia, 
come 
evidenziato 
pure 
da 
codesto 
Ispettorato, 
il 
precedente 
parere 
atteneva 
a 
fattispecie 
ben 
diverse, 
in 
cui 
la 
possibilità 
di 
transazione 
prescindeva 
dalla 
pendenza 
di 
un 
giudizio 
e 
dall'iniziativa 
di 
un 
Giudice, 
concernendo 
ipotesi 
di 
transazioni 
stragiudiziali 
ai 
sensi 
degli 
artt. 
1965 
ss. 
c.c. 


Pare, 
ad 
avviso 
di 
questa 
Avvocatura, 
che 
le 
ragioni 
ostative 
a 
suo 
tempo 
individuate 
non 
possano 
invece 
valere 
con 
riferimento 
alla 
conciliazione 
giudiziale. 


Invero, la 
conciliazione 
giudiziale 
prevista 
dagli 
artt. 185 e 
420 c.p.c. è 
una 
convenzione 
non assimilabile 
ad un negozio di 
diritto privato puro e 
semplice, 
concretizzandosi 
strutturalmente 
per 
il 
necessario 
intervento 
del 
giudice 
e 
funzionalmente, da 
un lato, per l'effetto processuale 
di 
chiusura 
del 
giudizio 
nel 
quale 
interviene, dall'altro, per gli 
effetti 
sostanziali 
derivanti 
dal 
negozio 
giuridico contestualmente 
stipulato tra 
le 
parti, che 
resta 
integralmente 
soggetto 
alla 
disciplina 
che 
gli 
è 
propria 
(Cass. 
sez. 
lav., 
n. 
25472/2017; 
Cass. 
sez. lav. n. 11677/1995). 


Tale 
negozio complesso si 
conclude 
con le 
formalità 
previste 
dall'art. 88 
disp. 
att. 
c.p.c. 
ovvero 
con 
la 
formazione 
e 
sottoscrizione 
del 
processo 
verbale 



rASSeGNA 
AvvoCATUrA 
DeLLo 
STATo -N. 2/2022 


di 
conciliazione; 
all'intervento dell'organo pubblico è 
collegata 
la 
previsione 
dell'efficacia 
di 
titolo esecutivo del 
verbale 
di 
conciliazione 
nonché 
la 
possibilità, 
nella 
specifica 
materia 
lavoristica, 
di 
definire 
anche 
controversie 
aventi 
ad oggetto diritti indisponibili del lavoratore (art. 2113 c.c., u.c.). 


ebbene, 
con 
riferimento 
al 
contenzioso 
su 
sanzioni 
amministrative, 
il 
carattere 
processuale 
dell'istituto 
della 
conciliazione, 
come 
configurato 
dalla 
legge, 
presuppone 
la 
formale 
contestazione 
della 
sanzione 
amministrativa 
e 
l'instaurazione 
del 
rapporto 
processuale 
con 
l'organo 
giudicante. 
Tenuto 
conto 
del 
contesto processuale 
(e 
perciò pubblicistico) in cui 
interviene 
la 
conciliazione 
e 
della 
portata 
generale 
della 
potestà 
conciliativa 
attribuita 
al 
Giudice 
(cfr. artt. 185 e 
420 c.p.c.), pare 
ragionevole 
ritenere 
che 
non sia 
preclusa 
la 
possibilità 
di 
aderire 
a 
proposte 
conciliative 
che 
contemplino 
la 
riduzione, 
pur 
sempre nel rispetto dei limiti edittali minimi, del 
quantum 
della sanzione. 


Del 
resto, 
la 
stessa 
adesione 
dell'Amministrazione 
alla 
proposta 
conciliativa 
giudiziale 
verrebbe 
a 
configurarsi 
come 
esercizio 
di 
una 
ordinaria 
potestà 
amministrativa 
di 
secondo 
grado, 
implicando 
siffatta 
adesione 
il 
necessario 
sia 
pure 
implicito 
-riesercizio 
in 
autotutela 
del 
potere 
sanzionatorio. 
Detto 
altrimenti, 
allorquando 
l'Amministrazione 
intenda 
aderire 
a 
proposte 
conciliative 
giudiziali 
che 
prevedano 
una 
riduzione 
del 
quantun 
sanzionatorio, 
nel 
rispetto 
dei 
limiti 
edittali 
minimi, 
essa 
(semprechè, 
ovviamente, 
ritenga 
sussistere 
i 
presupposti 
per 
una 
riduzione 
della 
sanzione) 
non 
fa 
altro 
che 
riesercitare 
il 
potere 
rideterminandosi, 
re 
melius 
perpensa, 
nel 
senso 
prospettato 
dal 
Giudice. 


Da 
ultimo, si 
noti 
che 
anche 
nell'ordinamento tributario, in cui 
pure 
vige 
il 
principio di 
indisponibilità 
dell'obbligazione 
tributaria, le 
definizioni 
convenzionali 
della 
lite 
sono 
valide 
nei 
casi 
espressamente 
previsti 
(cfr. 
art. 
48 
D.lgs. n. 546/1992), come 
è 
appunto nella 
conciliazione 
giudiziale 
"che 
rappresenta 
una deroga al predetto principio" (Cass. n. 12314/2001). 


Alla 
luce 
delle 
superiori 
considerazioni, questa 
Avvocatura 
è 
dell'avviso 
che 
nulla 
osti, sul 
piano tecnico-giuridico, e 
nei 
limiti 
sopra 
indicati, alla 
possibilità 
di 
aderire 
a 
proposte 
di 
conciliazione 
giudiziale 
aventi 
ad 
oggetto 
il 
quantum 
di sanzioni amministrative irrogate. 


La 
questione 
è 
stata 
sottoposta 
all'esame 
del 
Comitato 
Consultivo 
del-
l'Avvocatura 
dello Stato di 
cui 
all'art. 26 della 
legge 
3 aprile 
1979 n. 103, che 
si è espresso in conformità nella seduta del 9 febbraio 2022. 



LEGISLAZIONEEDATTUALITÀ
Transfer of personal data to third countries or international 
organisations: the solution of italian government 


Gaetana Natale* 


In 
this 
panel 
the 
topic 
is 
subject 
rights. 
It 
is 
important 
a 
practical 
approach 
to understand and analyse 
the 
solutions 
of the 
problems 
in the 
different 
cases, 
following best practices. 


The 
subiect 
rights 
are 
crucial 
in the 
transfers 
of data 
both on the 
basis 
of 
an 
adequancy 
decision 
where 
the 
Commission 
has 
decided 
that 
the 
third 
country 
or the 
international 
organization in question ensures 
an adequate 
level 
of 
protection and transfers 
subject 
to appropriate 
safeguards 
o binding corporate 
rule 
o, code 
of conduct 
and certification, general 
data 
protection clauses 
such 
a 
transfer shall 
not 
require 
any specific 
authorisation. The 
first 
level 
of protection 
is 
awaarness 
of subject 
right. It 
is 
important 
to individuate 
the 
centre 
of imputation of liability, strict liability in processing data. 


When 
assessing 
the 
adequancy 
of 
the 
level 
of 
protection, 
after 
Shield 
case 
and safe 
harbor, the 
Commission shall, in particular, take 
account 
of: 
rule 
of 
law, 
respect 
of 
human 
rights 
and 
fundamental 
freedom, 
relevant 
legislation 
both general 
and sectorial, data 
protection rules, security measures, case 
law 
as 
well 
as 
effective 
and enforceable 
data 
subjects 
rights 
and effective 
and administrative, 
judicial 
redress 
for 
the 
data 
subjects 
whose 
personal 
data 
are 
being 
transferred. 
International 
organisations 
are 
a 
trustworthy 
system 
for 
personal 
data processing. 


(*) Avvocato dello Stato, Professore di Sistemi Giuridici Comparati. 


Costituisce 
il 
presente 
scritto la relazione 
presentata il 
12 maggio u.s. dall’Autrice 
ad un 
convegno 
organizzato 
dall’Agenzia 
ONU 
World 
Food 
Programme 
(WFP) 
e 
da 
European 
Data 
Protection 
Board 
(EDPB) in tema di protezione dei dati ed organizzazioni internazionali. 



RASSEGNA 
AvvOCATURA 
DELLO 
STATO -N. 2/2022 


Important 
tool 
is 
enforcement: 
private 
and public 
enforcement 
by independent 
supervisory, for assisting and advising the 
data 
subjects 
in exercising 
their rights 
and for cooperation with the 
supervisory authorithies 
of the 
Member 
states 
in Europe 
and international 
organisations 
observing one 
stop shop 
with 
some 
mitigation. 
This 
protection 
is 
dynamic 
and 
not 
static 
with 
following 
review. The 
privacy is 
not 
formal 
compliance, but 
substantial 
protection, defence, 
safeguard of fundamental 
rights. Lastly it 
is 
clear that 
the 
system 
envisaged 
is 
based 
on 
the 
subsidiarity 
and 
proportionality. 
The 
principles 
of 
subsidiarity 
and 
proportionality 
should 
be 
fully 
respected 
as 
should 
fundamental 
rights. 


I will 
explain you some 
examples 
of accountability, proportionality, privacy 
by design and default. It 
is 
important 
the 
rule 
of Data 
Protection Office 
both 
his 
surveillance, 
supervision 
activity 
and 
advising 
activity 
for 
subiects 
right. 

. 


1. 
UNICEF 
-As 
reported on page 
79 in the 
2019 Annual 
Report: 
“The 
Ministry 
of 
the 
Interior 
consulted the 
Privacy 
Guarantor 
about 
a project 
initiated 
with Unicef 
in relation to the 
strengthening of 
the 
reception and protection 
system 
for 
unaccompanied 
foreign 
minors 
(MSNA) 
which 
provides 
for 
the 
promotion of 
foster 
care 
paths, as 
an alternative 
measure 
for 
reception and 
social 
inclusion, 
and 
the 
coordination 
of 
the 
institutions 
responsible 
for 
taking 
care 
of 
unaccompanied 
foreign 
minors. 
The 
agreement 
scheme 
prepared 
by 
the 
Ministry 
for 
project 
management 
contains 
specific 
references 
to 
compliance 
with 
the 
GDPR 
and 
the 
Privacy 
Code. 
Considering 
that 
Unicef 
cannot 
be 
the 
recipient 
of 
obligations 
deriving from 
regulations 
issued by 
sovereign 
states 
or 
the 
European Union -such as 
the 
GDPR 
and the 
Code 
-in consideration 
of 
the 
immunities 
and privileges 
recognized to international 
organizations, 
the 
Ministry 
of 
the 
Interior 
asked the 
Guarantor 
if 
the 
legislation on the 
protection of 
personal 
data applies 
to it. The 
Office 
highlighted that 
the 
Ministry 
must 
verify 
that 
the 
processing 
is 
carried 
out 
in 
compliance 
with 
the 
applicable 
principles 
(articles 
5, 6, 9 and 10 of 
the 
GDPR 
and 2-ter, 2-sexies, 
2-septies, 
2-octies 
of 
the 
Code) 
and 
identify 
on 
the 
basis 
of 
which 
assumptions, 
provided for 
by 
art. 44-50 of 
the 
RGPD, the 
flow of 
personal 
data to the 
international 
organization 
is 
carried 
out. 
In 
this 
context, 
it 
was 
recalled 
that 
based on the 
orientation expressed by 
the 
Cepd (guidelines 
2/2018 on the 
exceptions 
referred to Article 
49 of 
the 
GDPR, adopted on 25 May 
2018), data 
controllers 
who 
intend 
to 
transfer 
personal 
data 
towards 
third 
countries 
or 
international 
organizations, should first 
explore 
the 
possibility 
of 
using one 
of 
the 
guarantee 
mechanisms 
for 
the 
transfer 
as 
provided by 
Articles 
45 and 
46 
of 
the 
GDPR 
(adequacy 
decisions 
or 
adequate 
guarantees) 
and, 
only 
if 
this 
is 
not 
possible, 
make 
use 
of 
the 
the 
derogation 
hypotheses 
indicated 
in 
art. 
49, 
par. 
1, 
of 
the 
GDPR 
(1). 
These 
exceptions, 
in 
fact, 
“should 
be 
interpreted 
stric

LEGISLAzIONE 
ED 
ATTUALITà 


tly, so that 
the 
exception does 
not 
turn into the 
rule” 
(art. 49; see 
guidelines 
2/2018 cit.; see 
also WP114 Working document 
on a common interpretation 
of 
art. 26, par. 1 of 
directive 
95/46/EC”, adopted by 
the 
Art. 29 Group on 25 
November 
2005). 
In 
the 
specific 
case, 
in 
order 
to 
verify 
whether 
the 
hypothesis 
of 
derogation provided by 
art. 49, par. 1, lett. d), of 
the 
GDPR 
(“the 
transfer 
is 
necessary 
for 
important 
reasons 
of 
public 
interest”), 
the 
public 
interest 
pursued 
must 
be 
recognized by 
Union law or 
by 
the 
law of 
the 
Member 
State 
(Article 
49, paragraph 4). In this 
context, it 
was 
recalled that 
the 
existence 
of 
an 
international 
agreement 
or 
convention 
that 
establishes 
a 
specific 
objective, 
to 
be 
favored with international 
cooperation, “must 
be 
considered as 
an indica-
tor 
for 
the 
purpose 
of 
assessing the 
existence 
of 
a public 
interest 
pursuant 
to 
art. 
49, 
par. 
1, 
lett. 
d), 
provided 
that 
the 
European 
Union 
or 
the 
Member 
States 
have 
signed this 
agreement 
or 
convention”. It 
was 
also suggested to the 
Ministry 
to evaluate 
the 
existence 
of 
internal 
policies 
at 
Unicef 
or 
the 
adherence 
to standard agreements 
or 
internationally 
recognized principles 
which, pending 
the 
adoption of 
adequacy 
decisions, in any 
case 
offer 
the 
interested parties 
guarantees 
regarding compliance 
of 
fundamental 
rights 
and guarantees 
regarding the protection of personal data (note 15 July 2019)”. 

(1) Art. 44 GDPR: 
“1. Any transfer of personal 
data 
which are 
undergoing processing or are 
intended 
for processing after transfer to a 
third country or to an international 
organisation shall 
take 
place 
only if, subject 
to the 
other provisions 
of this 
Regulation, the 
conditions 
laid down in this 
Chapter are 
complied with by the 
controller and processor, including for onward transfers 
of personal 
data 
from 
the 
third country or an international 
organisation to another third country or to another international 
organisation. 
2. All 
provisions 
in this 
Chapter shall 
be 
applied in order to ensure 
that 
the 
level 
of protection of natural 
persons guaranteed by this Regulation is not undermined”. 
Art. 45 GDPR: 
“1. A 
transfer of personal 
data 
to a 
third country or an international 
organisation 
may take 
place 
where 
the 
Commission has 
decided that 
the 
third country, a 
territory or one 
or more 
specified 
sectors 
within that 
third country, or the 
international 
organisation in question ensures 
an adequate 
level of protection. Such a transfer shall not require any specific authorisation. 

2. When assessing the 
adequacy of the 
level 
of protection, the 
Commission shall, in particular, take 
account 
of the 
following elements: 
the 
rule 
of law, respect 
for human rights 
and fundamental 
freedoms, 
relevant 
legislation, both general 
and sectoral, including concerning public 
security, defence, national 
security and criminal 
law 
and the 
access 
of public 
authorities 
to personal 
data, as 
well 
as 
the 
implementation 
of 
such 
legislation, 
data 
protection 
rules, 
professional 
rules 
and 
security 
measures, 
including 
rules 
for the 
onward transfer of personal 
data 
to another third country or international 
organisation which are 
complied 
with 
in 
that 
country 
or 
international 
organisation, 
case-law, 
as 
well 
as 
effective 
and 
enforceable 
data 
subject 
rights 
and effective 
administrative 
and judicial 
redress 
for the 
data 
subjects 
whose 
personal 
data 
are 
being transferred; 
the 
existence 
and effective 
functioning of one 
or more 
independent 
supervisory 
authorities 
in the 
third country or to which an international 
organisation is 
subject, with responsibility 
for 
ensuring 
and 
enforcing 
compliance 
with 
the 
data 
protection 
rules, 
including 
adequate 
enforcement 
powers, for assisting and advising the 
data 
subjects 
in exercising their rights 
and for cooperation 
with the 
supervisory authorities 
of the 
Member States; 
and the 
international 
commitments 
the 
third country or international 
organisation concerned has 
entered into, or other obligations 
arising from 
legally binding conventions 
or instruments 
as 
well 
as 
from 
its 
participation in multilateral 
or regional 
systems, in particular in relation to the protection of personal data. 

RASSEGNA 
AvvOCATURA 
DELLO 
STATO -N. 2/2022 


2. 
In 
this 
year's 
annual 
report 
there 
was 
an 
interview 
with 
MAECI 
with 
reference 
to 
UNHCR 
( 
United 
Nations 
High 
Commissioner 
for 
Refugees): 
“Another 
case 
concerned 
a 
request 
came 
from 
the 
Ministry 
of 
the 
Interior 
regarding 
a 
clause 
regarding 
the 
protection 
of 
personal 
data 
included 
in 
the 
scheme 
of 
the 
Asylum, 
Migration 
and 
Integration 
Fund 
Grant 
Agreement 
(FAMI), 
to 
be 
signed 
with 
UNHCR, 
in 
relation 
to 
the 
transfers 
of 
personal 
data 
necessary 
for 
the 
management 
of 
a 
project 
proposal 
in 
the 
field 
of 
asylum 
and 
resettlement 
of 
thirdcountry 
nationals, 
to 
be 
co-financed 
with 
FAMI 
resources. 
On 
this 
occasion 
having 
recalled 
the 
aforementioned 
regulatory 
framework 
-the 
Ministry 
was 
also 
invited 
to 
evaluate 
the 
use 
of 
the 
hypothesis 
of 
derogation, 
and 
in 
particular 
that 
for 
important 
reasons 
of 
public 
interest 
(Article 
49, 
paragraph 
1, 
letter 
d), 
recalling 
that 
the 
existence 
of 
an 
international 
agreement 
or 
convention 
establishing 
a 
specific 
objective, 
to 
be 
encouraged 
through 
international 
cooperation, 
can 
be 
an 
indicator 
for 
the 
purpose 
of 
assessing 
the 
existence 
of 
a 
public 
interest, 
provided 
that 
the 
European 
Union 
or 
the 
Member 
States 
have 
signed 
this 
agreement 
or 
convention, 
referring 
for 
the 
assessment 
of 
these 
conditions 
to 
the 
guidelines 
of 
the 
Committee 
2/2018 
cited 
above 
(note 
July 
26, 
2021)”. 
3. The 
Commission, after assessing the 
adequacy of the 
level 
of protection, may decide, by means 
of 
implementing 
act, 
that 
a 
third 
country, 
a 
territory 
or 
one 
or 
more 
specified 
sectors 
within 
a 
third 
country, 
or 
an 
international 
organisation 
ensures 
an 
adequate 
level 
of 
protection 
within 
the 
meaning 
of 
paragraph 
2 
of 
this 
Article. 
The 
implementing 
act 
shall 
provide 
for 
a 
mechanism 
for 
a 
periodic 
review, 
at 
least 
every four years, which shall 
take 
into account 
all 
relevant 
developments 
in the 
third country or international 
organisation. 
The 
implementing 
act 
shall 
specify 
its 
territorial 
and 
sectoral 
application 
and, 
where 
applicable, identify the 
supervisory authority or authorities 
referred to in point 
(b) of paragraph 
2 of this 
Article. The 
implementing act 
shall 
be 
adopted in accordance 
with the 
examination procedure 
referred to in Article 93. 
4. 
The 
Commission 
shall, 
on 
an 
ongoing 
basis, 
monitor 
developments 
in 
third 
countries 
and 
international 
organisations 
that 
could 
affect 
the 
functioning 
of 
decisions 
adopted 
pursuant 
to 
paragraph 
3 
of 
this 
Article and decisions adopted on the basis of Article 25 of Directive 95/46/EC. 
5. 
The 
Commission 
shall, 
where 
available 
information 
reveals, 
in 
particular 
following 
the 
review 
referred 
to in paragraph 3 of this 
Article, that 
a 
third country, a 
territory or one 
or more 
specified sectors 
within 
a 
third 
country, 
or 
an 
international 
organisation 
no 
longer 
ensures 
an 
adequate 
level 
of 
protection 
within 
the 
meaning 
of 
paragraph 
2 
of 
this 
Article, 
to 
the 
extent 
necessary, 
repeal, 
amend 
or 
suspend 
the 
decision 
referred 
to 
in 
paragraph 
3 
of 
this 
Article 
by 
means 
of 
implementing 
acts 
without 
retro-active 
effect. 
Those 
implementing acts 
shall 
be 
adopted in accordance 
with the 
examination procedure 
referred to in 
Article 
93. On duly justified imperative 
grounds 
of urgency, the 
Commission shall 
adopt 
immediately 
applicable implementing acts in accordance with the procedure referred to in Article 93. 
6. 
The 
Commission 
shall 
enter 
into 
consultations 
with 
the 
third 
country 
or 
international 
organisation 
with a view to remedying the situation giving rise to the decision made pursuant to paragraph 5. 
7. A 
decision pursuant 
to paragraph 5 of this 
Article 
is 
without 
prejudice 
to transfers 
of personal 
data 
to 
the 
third 
country, 
a 
territory 
or 
one 
or 
more 
specified 
sectors 
within 
that 
third 
country, 
or 
the 
international 
organisation in question pursuant to Articles 46 to 49. 
8. The 
Commission shall 
publish in the 
Official 
Journal 
of the 
European Union and on its 
website 
a 
list 
of the 
third countries, territories 
and specified sectors 
within a 
third country and international 
organisations 
for which it has decided that an adequate level of protection is or is no longer ensured. 
9. Decisions 
adopted by the 
Commission on the 
basis 
of Article 
25 of Directive 
95/46/EC shall 
remain 
in force 
until 
amended, replaced or repealed by a 
Commission Decision adopted in accordance 
with paragraph 
3 or 5 of this 
Article”. 

LEGISLAzIONE 
ED 
ATTUALITà 


3. 
Regarding FATCA, data 
protection rules 
should play a 
significant 
role 
in 
taxpayers 
protection 
in 
FATCA. 
Thanks 
to 
the 
improvements 
that 
the 
GDPR 
has 
made 
in comparison to the 
Data 
Protection Directive, the 
protection that 
the 
EU 
provides 
for taxpayers 
via 
the 
principle 
of proportionality should be 
complied with the 
FATCA 
procedures, including data 
collection, data 
transfer 
and data retention. 
However, 
it 
is 
possible 
to 
find 
a 
legal 
basis 
for 
the 
transfer 
of 
data 
to 
a 
third 
countries 
in 
Article 
49 
of 
GDPR 
(“Derogations 
for 
specific 
situations”), 
if 
one 
of 
the 
conditions 
listed 
therein 
is 
met: 
that 
the 
interested 
party 
has 
explicitly 
given 
his 
specific 
and 
informed 
consent, 
that 
occasional 
transfer 
is 
necessary 
for 
the 
execution 
of 
a 
contract 
between 
the 
data 
subject 
and 
the 
data 
controller 
or 
between 
the 
latter 
and 
another 
natural 
or 
legal 
person, 
for 
important 
reasons 
of 
public 
interest, 
without 
looking 
at 
the 
nature 
of 
the 
organization, 


Art. 46 GDPR: 
“1. In the 
absence 
of a 
decision pursuant 
to Article 
45, a 
controller or processor 
may transfer personal 
data 
to a 
third country or an international 
organisation only if the 
controller or 
processor 
has 
provided 
appropriate 
safeguards, 
and 
on 
condition 
that 
enforceable 
data 
subject 
rights 
and 
effective legal remedies for data subjects are available. 


2. 
The 
appropriate 
safeguards 
referred 
to 
in 
paragraph 
1 
may 
be 
provided 
for, 
without 
requiring 
any 
specific 
authorisation 
from 
a 
supervisory 
authority, 
by: 
a 
legally 
binding 
and 
enforceable 
instrument 
between public 
authorities 
or bodies; 
binding corporate 
rules 
in accordance 
with Article 
47; 
standard 
data 
protection clauses 
adopted by the 
Commission in accordance 
with the 
examination procedure 
referred 
to 
in 
Article 
93; 
standard 
data 
protection 
clauses 
adopted 
by 
a 
supervisory 
authority 
and 
approved 
by the 
Commission pursuant 
to the 
examination procedure 
referred to in Article 
93; 
an approved code 
of conduct 
pursuant 
to Article 
40 together with binding and enforceable 
commitments 
of the 
controller 
or processor in the 
third country to apply the 
appropriate 
safeguards, including as 
regards 
data 
subjects 
rights; 
or an approved certification mechanism 
pursuant 
to Article 
42 together with binding and enforceable 
commitments 
of the 
controller or processor in the 
third country to apply the 
appropriate 
safeguards, 
including as regards data subjects’ rights. 
3. Subject 
to the 
authorisation from 
the 
competent 
supervisory authority, the 
appropriate 
safeguards 
referred 
to 
in 
paragraph 
1 
may 
also 
be 
provided 
for, 
in 
particular, 
by: 
contractual 
clauses 
between 
the 
controller 
or processor and the 
controller, processor or the 
recipient 
of the 
personal 
data 
in the 
third country 
or international 
organisation; 
or provisions 
to be 
inserted into administrative 
arrangements 
between public 
authorities or bodies which include enforceable and effective data subject rights. 
4. 
The 
supervisory 
authority 
shall 
apply 
the 
consistency 
mechanism 
referred 
to 
in 
Article 
63 
in 
the 
cases 
referred to in paragraph 3 of this 
Article. 
5. Authorisations 
by a 
Member State 
or supervisory authority on the 
basis 
of Article 
26(2) of Directive 
95/46/EC shall 
remain valid until 
amended, replaced or repealed, if necessary, by that 
supervisory authority. 
2Decisions 
adopted 
by 
the 
Commission 
on 
the 
basis 
of 
Article 
26(4) 
of 
Directive 
95/46/EC 
shall 
remain in force 
until 
amended, replaced or repealed, if necessary, by a 
Commission Decision adopted 
in accordance with paragraph 2 of this 
Article”. 
Art. 47 GDPR: 
“1. The 
competent 
supervisory authority shall 
approve 
binding corporate 
rules 
in accordance 
with the 
consistency mechanism 
set 
out 
in Article 
63, provided that 
they: 
are 
legally binding 
and apply to and are 
enforced by every member concerned of the 
group of undertakings, or group 
of enterprises 
engaged in a 
joint 
economic 
activity, including their employees; 
expressly confer enforceable 
rights 
on data 
subjects 
with regard to the 
processing of their personal 
data; 
and fulfil 
the 
requirements 
laid down in paragraph 2. 


2. The 
binding corporate 
rules 
referred to in paragraph 1 shall 
specify at 
least: 
the 
structure 
and contact 
details 
of the 
group of undertakings, or group of enterprises 
engaged in a 
joint 
economic 
activity and of 

RASSEGNA 
AvvOCATURA 
DELLO 
STATO -N. 2/2022 


if 
it 
is 
necessary 
to 
exercise 
a 
right 
in 
court 
or 
to 
protect 
the 
vital 
interests 
of 
the 
data 
subject 
who 
is 
physically 
or 
legally 
incapable 
of 
giving 
his 
consent. 


In 
conclusion, 
data 
transfer 
under 
FATCA 
to 
the 
U.S. 
requires 
an 
adequate 
level 
of protection through substantial 
provisions 
in IGAs, using the 
SCCs 
as 
said before and, more generally, through an adequacy assessment of US law. 


The 
EDPB, 
in 
his 
Statement 
on 
“International 
agreements 
including 
tran


each of its 
members; 
the 
data 
transfers 
or set 
of transfers, including the 
categories 
of personal 
data, the 
type 
of processing and its 
purposes, the 
type 
of data 
subjects 
affected and the 
identification of the 
third 
country or countries 
in question; 
their legally binding nature, both internally and externally; 
the 
application 
of the 
general 
data 
protection principles, in particular purpose 
limitation, data 
minimisation, limited 
storage 
periods, data 
quality, data 
protection by design and by default, legal 
basis 
for processing, 
processing 
of 
special 
categories 
of 
personal 
data, 
measures 
to 
ensure 
data 
security, 
and 
the 
requirements 
in respect 
of onward transfers 
to bodies 
not 
bound by the 
binding corporate 
rules; 
the 
rights 
of data 
subjects 
in regard to processing and the 
means 
to exercise 
those 
rights, including the 
right 
not 
to be 
subject 
to decisions 
based solely on automated processing, including profiling in accordance 
with Article 
22, 
the 
right 
to 
lodge 
a 
complaint 
with 
the 
competent 
supervisory 
authority 
and 
before 
the 
competent 
courts 
of the 
Member States 
in accordance 
with Article 
79, and to obtain redress 
and, where 
appropriate, compensation 
for a 
breach of the 
binding corporate 
rules; 
the 
acceptance 
by the 
controller or processor established 
on the 
territory of a 
Member State 
of liability for any breaches 
of the 
binding corporate 
rules 
by 
any 
member 
concerned 
not 
established 
in 
the 
Union; 
the 
controller 
or 
the 
processor 
shall 
be 
exempt 
from 
that 
liability, in whole 
or in part, only if it 
proves 
that 
that 
member is 
not 
responsible 
for the 
event 
giving rise 
to the 
damage; 
how 
the 
information on the 
binding corporate 
rules, in particular on the 
provisions 
referred to in points 
(d), (e) and (f) of this 
paragraph is 
provided to the 
data 
subjects 
in addition 
to Articles 
13 and 14; 
the 
tasks 
of any data 
protection officer designated in accordance 
with Article 
37 
or any other person or entity in charge 
of the 
monitoring compliance 
with the 
binding corporate 
rules 
within the 
group of undertakings, or group of enterprises 
engaged in a 
joint 
economic 
activity, as 
well 
as 
monitoring training and complaint-handling; 
the 
complaint 
procedures; 
the 
mechanisms 
within the 
group of undertakings, or group of enterprises 
engaged in a 
joint 
economic 
activity for ensuring the 
verification 
of 
compliance 
with 
the 
binding 
corporate 
rules. 
Such 
mechanisms 
shall 
include 
data 
protection 
audits 
and methods 
for ensuring corrective 
actions 
to protect 
the 
rights 
of the 
data 
subject. Results 
of 
such 
verification 
should 
be 
communicated 
to 
the 
person 
or 
entity 
referred 
to 
in 
point 
(h) 
and 
to 
the 
board 
of the 
controlling undertaking of a 
group of undertakings, or of the 
group of enterprises 
engaged in a 
joint 
economic 
activity, and should be 
available 
upon request 
to the 
competent 
supervisory authority; 
the 
mechanisms 
for reporting and recording changes 
to the 
rules 
and reporting those 
changes 
to the 
supervisory 
authority; 
the 
cooperation 
mechanism 
with 
the 
supervisory 
authority 
to 
ensure 
compliance 
by 
any member of the 
group of undertakings, or group of enterprises 
engaged in a 
joint 
economic 
activity, 
in 
particular 
by 
making 
available 
to 
the 
supervisory 
authority 
the 
results 
of 
verifications 
of 
the 
measures 
referred to in point 
(j); 
the 
mechanisms 
for reporting to the 
competent 
supervisory authority any legal 
requirements 
to 
which 
a 
member 
of 
the 
group 
of 
undertakings, 
or 
group 
of 
enterprises 
engaged 
in 
a 
joint 
economic 
activity is 
subject 
in a 
third country which are 
likely to have 
a 
substantial 
adverse 
effect 
on 
the 
guarantees 
provided by the 
binding corporate 
rules; 
and the 
appropriate 
data 
protection training to 
personnel having permanent or regular access to personal data. 


3. The 
Commission may specify the 
format 
and procedures 
for the 
exchange 
of information between 
controllers, 
processors 
and 
supervisory 
authorities 
for 
binding 
corporate 
rules 
within 
the 
meaning 
of 
this 
Article. 2Those 
implementing acts 
shall 
be 
adopted in accordance 
with the 
examination procedure 
set out in Article 93(2)”. 
Art. 48 GDPR: 
“Any judgment 
of a 
court 
or tribunal 
and any decision of an administrative 
authority 
of a 
third country requiring a 
controller or processor to transfer or disclose 
personal 
data 
may 
only 
be 
recognised 
or 
enforceable 
in 
any 
manner 
if 
based 
on 
an 
international 
agreement, 
such 
as 
a 
mutual 
legal 
assistance 
treaty, in force 
between the 
requesting third country and the 
Union or a 
Member State, 
without prejudice to other grounds for transfer pursuant to this Chapter”. 



LEGISLAzIONE 
ED 
ATTUALITà 


sfers”, dated 13 April 
2021, invites 
the 
Member States 
“to assess 
and, where 
necessary, 
review 
their 
international 
agreements 
that 
involve 
international 
transfers 
of 
personal 
data, such as 
those 
relating to taxation (e.g. to the 
automatic 
exchange 
of 
personal 
data 
for 
tax 
purposes), 
social 
security, 
mutual 
legal 
assistance, 
police 
cooperation, 
etc. 
which 
were 
concluded 
prior 
to 
24 
May 
2016 (for 
the 
agreements 
relevant 
to the 
GDPR) or 
6 May 
2016 (for 
the 
agreements relevant to the LED)”. 


The 
EDPB also recommends 
“that 
Member 
States 
take 
into account 
for 
this 
review 
[…], 
the 
relevant 
EDPB 
guidelines 
applicable 
to 
international 
transfers 
[…]”, in particular, the 
EDPB issued Guidelines 
2/2020 on articles 


Art. 49 GDPR: 
“1. In the 
absence 
of an adequacy decision pursuant 
to Article 
45(3), or of appropriate 
safeguards 
pursuant 
to 
Article 
46, 
including 
binding 
corporate 
rules, 
a 
transfer 
or 
a 
set 
of 
transfers 
of personal 
data 
to a 
third country or an international 
organisation shall 
take 
place 
only on one 
of the 
following 
conditions: 
the 
data 
subject 
has 
explicitly 
consented 
to 
the 
proposed 
transfer, 
after 
having 
been informed of the 
possible 
risks 
of such transfers 
for the 
data 
subject 
due 
to the 
absence 
of an adequacy 
decision and appropriate 
safeguards; 
the 
transfer is 
necessary for the 
performance 
of a 
contract 
between the 
data 
subject 
and the 
controller or the 
implementation of pre-contractual 
measures 
taken at 
the 
data 
subject’s 
request; 
the 
transfer is 
necessary for the 
conclusion or performance 
of a 
contract 
concluded 
in the 
interest 
of the 
data 
subject 
between the 
controller and another natural 
or legal 
person; 
the 
transfer is 
necessary for important 
reasons 
of public 
interest; 
the 
transfer is 
necessary for the 
establishment, 
exercise 
or 
defence 
of 
legal 
claims; 
the 
transfer 
is 
necessary 
in 
order 
to 
protect 
the 
vital 
interests 
of 
the 
data 
subject 
or 
of 
other 
persons, 
where 
the 
data 
subject 
is 
physically 
or 
legally 
incapable 
of 
giving 
consent; 
the 
transfer is 
made 
from 
a 
register which according to Union or Member State 
law 
is 
intended 
to provide 
information to the 
public 
and which is 
open to consultation either by the 
public 
in general 
or 
by any person who can demonstrate 
a 
legitimate 
interest, but 
only to the 
extent 
that 
the 
conditions 
laid 
down 
by 
Union 
or 
Member 
State 
law 
for 
consultation 
are 
fulfilled 
in 
the 
particular 
case. 
Where 
a 
transfer 
could 
not 
be 
based 
on 
a 
provision 
in 
Article 
45 
or 
46, 
including 
the 
provisions 
on 
binding 
corporate 
rules, and none 
of the 
derogations 
for a 
specific 
situation referred to in the 
first 
subparagraph of this 
paragraph 
is 
applicable, a 
transfer to a 
third country or an international 
organisation may take 
place 
only 
if the 
transfer is 
not 
repetitive, concerns 
only a 
limited number of data 
subjects, is 
necessary for the 
purposes 
of compelling legitimate 
interests 
pursued by the 
controller which are 
not 
overridden by the 
interests 
or rights 
and freedoms 
of the 
data 
subject, and the 
controller has 
assessed all 
the 
circumstances 
surrounding the 
data 
transfer and has 
on the 
basis 
of that 
assessment 
provided suitable 
safeguards 
with 
regard to the 
protection of personal 
data. The 
controller shall 
inform 
the 
supervisory authority of the 
transfer. The 
controller shall, in addition to providing the 
information referred to in Articles 
13 and 14, 
inform the data subject of the transfer and on the compelling legitimate interests pursued. 


2. A 
transfer pursuant 
to point 
(g) of the 
first 
subparagraph of paragraph 1 shall 
not 
involve 
the 
entirety 
of the 
personal 
data 
or entire 
categories 
of the 
personal 
data 
contained in the 
register. Where 
the 
register 
is 
intended for consultation by persons 
having a 
legitimate 
interest, the 
transfer shall 
be 
made 
only at 
the request of those persons or if they are to be the recipients. 
3. Points 
(a), (b) and (c) of the 
first 
subparagraph of paragraph 1 and the 
second subparagraph thereof 
shall not apply to activities carried out by public authorities in the exercise of their public powers. 
4. 
The 
public 
interest 
referred 
to 
in 
point 
(d) 
of 
the 
first 
subparagraph 
of 
paragraph 
1 
shall 
be 
recognised 
in Union law or in the law of the Member State to which the controller is subject. 
5. In the 
absence 
of an adequacy decision, Union or Member State 
law 
may, for important 
reasons 
of 
public 
interest, 
expressly 
set 
limits 
to 
the 
transfer 
of 
specific 
categories 
of 
personal 
data 
to 
a 
third 
country 
or an international organisation. Member States shall notify such provisions to the Commission. 
6. The 
controller or processor shall 
document 
the 
assessment 
as 
well 
as 
the 
suitable 
safeguards 
referred 
to in the second subparagraph of paragraph 1 of this 
Article in the records referred to in Article 30”. 

RASSEGNA 
AvvOCATURA 
DELLO 
STATO -N. 2/2022 


46 
(2) 
(a) 
and 
46 
(3) 
(b) 
of 
Regulation 
2016/679 
for 
“transfers 
of 
personal 
data between EEA 
and non-EEA 
public 
authorities 
and bodies”, adopted on 
15 December 2020, and Recommendations 
01/2020 on “measures 
that 
supplement 
transfer 
tools 
to ensure 
compliance 
with the 
EU 
level 
of 
protection of 
personal data”, adopted on 18 June 2021, as said before. 


Since 
2019, 
with 
his 
Statement 
on 
“the 
US 
Foreign 
Account 
Tax 
Compliance 
Act 
(FATCA)”, 
the 
EDPB 
has 
ensured 
to 
“review 
the 
existing 
data 
protection 
safeguards 
under 
the 
legislation authorising the 
transfer 
of 
personal 
data 
to 
the 
US 
IRS 
for 
the 
purposes 
of 
the 
US 
Foreign 
Account 
Tax 
Compliance 
Act”, 
thus 
working 
on 
the 
preparation 
of 
guidelines 
on 
some 
of 
the 
tools 
provided 
for 
by 
Article 
46 
of 
the 
GDPR. 
In 
December 
2021 
about 
subject 
rights 
Italian Supervisory issued advise 
about 
dtraft 
Economy that 
set 
up categories 
and puroposes 
of data’s 
treatments, in order to takle 
tax evasion. In 
this field subjects rights are limited according to budget law 2020. 


4. 
CONSOB 
National 
Commmission 
for 
corporation 
and 
market 
change. 
Italian 
Supervisory 
has 
approved 
administrative 
agreement 
to 
transfer 
personal 
data 
among 
financial 
authorities 
in 
European 
economic 
space 
and 
outside 
Europe. 
This 
agreement 
has 
been the 
result 
of long discussion between ESMA 
(European 
Securities 
and 
markets 
Authority) 
and 
IOSCO 
(International 
Organization 
of Securities Commissions). 
5. 
Another 
example 
before 
GDPR 
is 
WADA 
(World 
Antidoping 
Agency): 
the 
questions 
about 
data 
of doping has 
been a 
matter under attention of European 
Committee and there was a opinion by WP29. 
By this 
examples 
we 
can say that 
there 
are 
some 
important 
principles 
in 
agreement 
to 
transfer 
personal 
data: 
first 
risch 
approach, 
subiect’s 
intervention, 
the 
person concerned must 
be 
able 
to intervene 
at 
all 
stages 
of the 
procedure 
about 
personal 
data, techniques 
of anomization, obfuscation and encryption, 
hourly 
back-ups, 
hashing 
to 
guarantee 
an 
excellent 
security 
level, 
escape 
clause, 
time 
limit 
for 
data 
retention, 
accountability, 
privacy 
by 
design 
and 
default, 
human loop. This 
is 
the 
base, core 
of subiects 
rights 
to guardianiship of 
human rights. 


Art. 
50 
GDPR: 
“In 
relation 
to 
third 
countries 
and 
international 
organisations, 
the 
Commission 
and 
supervisory 
authorities 
shall 
take 
appropriate 
steps 
to: 
develop 
international 
cooperation 
mechanisms 
to 
facilitate 
the 
effective 
enforcement 
of 
legislation 
for 
the 
protection 
of 
personal 
data; 
provide 
international 
mutual 
assistance 
in 
the 
enforcement 
of 
legislation 
for 
the 
protection 
of 
personal 
data, 
including 
through 
notification, 
complaint 
referral, 
investigative 
assistance 
and 
information 
exchange, 
subject 
to 
appropriate 
safeguards 
for 
the 
protection 
of 
personal 
data 
and 
other 
fundamental 
rights 
and 
freedoms; 
engage 
relevant 
stakeholders 
in 
discussion 
and 
activities 
aimed 
at 
furthering 
international 
cooperation 
in 
the 
enforcement 
of 
legislation 
for 
the 
protection 
of 
personal 
data; 
promote 
the 
exchange 
and 
documentation 
of 
personal 
data 
protection 
legislation 
and 
practice, 
including 
on 
jurisdictional 
conflicts 
with 
third 
countries”. 



LEGISLAzIONE 
ED 
ATTUALITà 


Real 
challenge 
is 
Artificial 
Intelligence 
and alghoritms 
in personal 
data 
processing: 
no opacity and right 
to explanation digital 
due 
process 
are 
pivotal 
tools in order to create a trustworthy legal system. 



RASSEGNA 
AvvOCATURA 
DELLO 
STATO -N. 2/2022 


La nuova legislazione sulla sicurezza 
nelle discipline sportive invernali 


Wally Ferrante* 


1. Dopo un lungo e 
travagliato iter legislativo, la 
nuova 
disciplina 
in materia 
di 
sicurezza 
nelle 
discipline 
sportive 
invernali 
ha 
visto 
finalmente 
la 
luce 
con 
il 
d.lgs. 
28 
febbraio 
2021, 
n. 
40 
in 
attuazione 
della 
delega 
disposta 
dall’art. 
9 della 
legge 
8 agosto 2019, n. 86, in vigore, dopo varie 
proroghe 
ed anticipazioni, 
dal 1 gennaio 2022. 
La 
tecnica 
legislativa 
è 
stata 
quella 
della 
totale 
riscrittura 
della 
normativa 
in 
materia 
e 
contestuale 
abrogazione 
della 
legge 
24 
dicembre 
2003, 
n. 
363, 
primo 
testo 
di 
legge 
organico 
sul 
tema 
nel 
nostro 
ordinamento, 
fatta 
eccezione 
per tre 
articoli 
(5, 7 e 
23 contenenti 
i 
finanziamenti 
statali 
per le 
campagne 
informative 
volte 
alla 
prevenzione 
degli 
infortuni 
e 
gli 
stanziamenti 
a 
favore 
dei 
gestori 
per 
la 
messa 
in 
sicurezza 
delle 
aree 
sciabili 
e 
a 
sostegno 
dell’economia 
turistica degli sport della neve, con la relativa copertura finanziaria). 


I 
due 
precedenti 
disegni 
di 
legge, 
il 
primo 
di 
proposta 
governativa 
n. 
3251 
del 
2007 
presentato 
dal 
Ministro 
per 
le 
politiche 
giovanili 
e 
le 
attività 
sportive 
Melandri 
e 
dal 
Ministro 
per 
gli 
affari 
regionali 
e 
le 
autonomie 
locali, 
con 
delega 
per 
la 
montagna, 
Lanzillotta 
recante 
“Modifiche 
alla 
legge 
24 
dicembre 
2003, 


n. 
363, 
in 
materia 
di 
sicurezza 
nella 
pratica 
degli 
sport 
invernali 
da 
discesa 
e 
da 
fondo” 
(Atto 
Camera 
n. 
3251 
-Xv 
Legislatura 
presentato 
il 
14 
novembre 
2007 
-Governo 
Prodi) 
e 
il 
secondo 
di 
iniziativa 
parlamentare 
n. 
1367 
del 
2014 
presentato 
dalla 
Senatrice 
Lanzillotta 
recante 
“Modifiche 
alla 
legge 
24 
dicembre 
2003, 
n. 
363, 
in 
materia 
di 
sicurezza 
nella 
pratica 
degli 
sport 
invernali 
da 
discesa 
e 
da 
fondo” 
(Atto 
Senato 
n. 
1367 
-XvII 
Legislatura 
presentato 
l’11 
marzo 
2014 
-Governo 
Monti) 
sono 
sostanzialmente 
sovrapponibili 
e 
si 
proponevano 
di 
intervenire 
con 
la 
tecnica 
della 
modifica 
della 
legge 
vigente 
e 
non 
della 
sua 
totale 
riscrittura 
e 
contestuale 
abrogazione. 
Nessuno dei 
due 
però è 
stato poi 
approvato dal 
Parlamento e 
quindi 
l’approdo 
del 
d.lgs. n. 40 del 
2021 è 
da 
considerarsi 
un vero successo per la 
sicurezza 
degli 
sport 
invernali 
e 
per 
lo 
sviluppo 
delle 
attività 
economiche 
e 
turistiche connesse a tale pratica. 


In qualità 
di 
vice 
Capo del 
Settore 
Legislativo del 
Ministro Melandri, la 
sottoscritta 
ha 
partecipato alla 
stesura 
del 
primo disegno di 
legge, poi 
sostan


(*) Avvocato dello Stato, Componente del Collegio di Garanzia del Coni. 


Intervento 
dell’Autrice 
all’incontro 
tenutosi 
presso 
la 
Sala 
Giunta 
del 
CONI 
il 
13 
ottobre 
2022 
per 
illustrare 
gli 
aspetti 
della 
nuova 
normativa 
sulla 
sicurezza 
degli 
sport 
invernali 
(D.lgs. 
40/2021). 



LEGISLAzIONE 
ED 
ATTUALITà 


zialmente 
ripreso 
dal 
secondo, 
che 
contenevano 
già 
in 
nuce 
molte 
delle 
novità 
legislative recepite nel d.lgs. n. 40 del 2021. 


2. 
Il 
disegno 
di 
legge 
si 
proponeva 
di 
porre 
rimedio 
ad 
alcune 
lacune 
della 
normativa 
vigente 
con 
riguardo 
all'attività 
di 
prevenzione 
e 
vigilanza, 
da 
considerare 
basilare 
per 
garantire 
la 
sicurezza 
nella 
pratica 
degli 
sport 
invernali. 
Il 
criterio 
ispiratore 
del 
disegno 
di 
legge 
era 
quello 
di 
rafforzare 
le 
misure 
di 
prevenzione 
e 
l'attività 
di 
vigilanza 
al 
fine 
di 
offrire 
a 
tutti 
gli 
utenti 
degli 
sport 
invernali 
condizioni 
più sicure, nella 
convinzione 
che 
piste 
da 
sci 
più sicure 
possano 
costituire 
una 
ulteriore 
opportunità 
anche 
per 
lo 
sviluppo 
turistico 
del 
settore. Ciò senza 
tuttavia 
proporre 
misure 
che 
potessero essere 
avvertite 
come 
“penalizzanti” 
per 
gli 
operatori 
del 
settore. 
Tale 
necessità 
di 
bilanciamento 
tra 
esigenze 
di 
sicurezza 
e 
tutela 
dell’attività 
economica 
dell’indotto 
turistico, 
evitando 
l’introduzione 
di 
nuovi 
onerosi 
costi 
a 
carico 
degli 
operatori, 
è tuttora un aspetto molto attuale. 


3. 
Inoltre, 
il 
sistema 
sanzionatorio 
era 
rimasto 
incompleto 
e 
non 
uniforme 
a 
causa 
del 
differente 
stato 
di 
attuazione 
nelle 
regioni 
-atteso 
che, 
ad 
eccezione 
della 
sanzione 
per la 
violazione 
dell’obbligo del 
casco per gli 
infraquattordicenni, 
le 
altre 
sanzioni 
a 
carico degli 
utenti 
per le 
violazioni 
comportamentali 
erano rimesse 
dalla 
legge 
n. 363 del 
2003 alla 
normativa 
regionale 
-e 
tale 
difformità 
aveva 
determinato 
specifici 
problemi 
per 
le 
aree 
sciabili 
comprendenti 
il 
territorio di 
più regioni. Il 
d.lgs. n. 40 del 
2021 recepisce 
tale 
esigenza 
uniformando 
il 
regime 
sanzionatorio 
su 
tutto 
il 
territorio 
nazionale, 
colmando 
così 
il 
vuoto di 
sanzione 
dovuto all’inerzia 
legislativa 
di 
alcune 
regioni, pur 
facendo salvo il 
potere 
delle 
regioni 
e 
dei 
comuni 
di 
adottare 
ulteriori 
prescrizioni 
oltre a quelle previste dalla normativa statale (art. 33). 
4. Sotto altri 
profili, era 
emersa 
anche 
l'assenza 
di 
attenzione 
da 
parte 
del 
legislatore 
del 
2003 per l'elisoccorso, che 
costituisce 
la 
principale 
modalità 
di 
intervento per gli 
infortuni 
più gravi 
ed era 
stato previsto l’obbligo dei 
gestori 
di 
individuare 
apposite 
aree 
per 
l’atterraggio 
degli 
elicotteri, 
prescrizione 
oggi 
recepita dall’art. 14 del d.lgs. n. 40/21. 
5. Inoltre, con il 
disegno di 
legge 
si 
era 
inteso, da 
un lato, estendere 
l'individuazione 
di 
specifiche 
aree 
anche 
a 
beneficio di 
altre 
pratiche 
sportive 
invernali 
cosiddette 
«minori» e, dall'altro lato, precisare 
che 
alcune 
specifiche 
disposizioni 
riguardano le 
sole 
piste 
da 
discesa. L’estensione 
della 
normativa 
allo 
snowboard, 
al 
telemark 
e 
ad 
altre 
tecniche 
di 
discesa 
è 
ora 
prevista 
espressamente 
dal d.lgs. n. 40 del 2021 (art. 39). 
Inoltre, il 
compito di 
individuare 
le 
aree 
destinate 
alla 
pratica 
di 
evoluzioni 
acrobatiche 
con gli 
sci 
o con la 
tavola 
da 
neve 
(snowpark) era 
stato affidato 
ai 
gestori, 
che 
hanno 
la 
disponibilità 
dell'area 
sciabile 
e 
non 
più 
ai 
comuni 
come 
previsto dalla 
legge 
n. 363 del 
2003, novità 
recepita 
dal 
d.lgs. 


n. 40 del 
2021 (art. 4) che 
ha 
inoltre 
eliminato la 
possibilità 
per le 
piccole 
sta

RASSEGNA 
AvvOCATURA 
DELLO 
STATO -N. 2/2022 


zioni 
sciistiche 
(con 
più 
di 
tre 
piste 
e 
almeno 
tre 
impianti 
di 
risalita) 
di 
riservare 
tratti 
di 
pista 
agli 
allenamenti 
di 
sci 
e 
snowboard 
agonistico, possibilità 
mantenuta 
solo per le 
aree 
sciistiche 
aventi 
più di 
venti 
piste 
e 
almeno venti 
impianti 
di risalita. 

6. L'obbligo del 
casco veniva 
esteso anche 
alle 
competizioni, come 
già 
disposto 
in 
base 
ai 
regolamenti 
della 
Federazione 
italiana 
sport 
invernali 
(FISI). Ora 
tale 
obbligo sussiste 
per tutti 
coloro che 
frequentano snow park 
e 
aree 
riservate 
alle 
evoluzioni 
acrobatiche 
con 
lo 
sci, 
ivi 
compresi 
gli 
allenatori 
(che 
prima 
erano esclusi) mentre 
l’obbligo di 
indossare 
il 
casco per i 
minori 
degli 
anni 
quattordici 
è 
ora 
esteso ai 
minori 
degli 
anni 
diciotto (art. 17). Era 
stata 
poi 
corretta 
una 
carenza 
della 
legge 
allora 
vigente, 
che 
sanzionava 
il 
mancato 
utilizzo 
del 
casco 
solo 
in 
caso 
di 
minore 
degli 
anni 
quattordici 
e 
non 
anche 
nelle 
altre 
ipotesi 
in cui 
l'uso del 
casco è 
obbligatorio (snowpark, allenamenti 
agonistici 
e 
ora 
competizioni), cui 
invece 
veniva 
estesa 
la 
previsione 
sanzionatoria. 
Tale 
discrasia 
esiste 
ancora 
nel 
vigente 
testo di 
legge 
in quanto l’obbligo 
di 
indossare 
il 
casco protettivo negli 
snowpark 
previsto dall’art. 4 non è 
sanzionato 
in 
alcun 
modo, 
né 
in 
detta 
norma, 
né 
nell’articolo 
33 
che 
disciplina 
in 
generale 
il 
regime 
sanzionatorio. 
In 
sede 
di 
decreto 
correttivo 
sarà 
possibile 
porre rimedio a tale incongruenza. 
7. 
Era 
stata 
anche 
prevista 
l'individuazione 
di 
un 
responsabile 
tecnico 
degli 
snowpark, in modo da 
assicurare 
anche 
per tali 
aree 
destinate 
alle 
evoluzioni 
la 
massima 
sicurezza. 
Ora 
l’art. 
9 
prevede 
l’obbligo 
generale 
per 
il 
gestore 
di 
individuare 
un 
direttore 
delle 
piste 
con 
funzioni 
di 
vigilanza, 
di 
prevenzione, di segnalazione e di collaborazione con il servizio di soccorso. 
8. Era 
stato inoltre 
introdotto a 
carico dei 
gestori 
l'obbligo, già 
esistente 
in 
alcune 
regioni, 
di 
mettere 
a 
disposizione 
degli 
utenti 
al 
momento 
della 
vendita 
del 
titolo 
di 
transito 
l'acquisto 
(facoltativo) 
di 
una 
polizza 
assicurativa 
per 
la 
responsabilità 
civile 
per i 
danni 
provocati 
a 
persone 
o a 
cose 
nella 
pratica 
degli 
sport 
invernali 
di 
discesa, assicurando adeguata 
pubblicità 
a 
tale 
aspetto 
in 
modo 
da 
incentivare 
la 
stipula 
delle 
polizze. 
Oggi 
una 
delle 
innovazioni 
più 
qualificanti 
del 
d.lgs. 
n. 
40/21 
è 
l’introduzione 
dell’assicurazione 
obbligatoria 
per tutti 
gli 
sciatori 
(ad eccezione 
dello sci 
di 
fondo) per i 
danni 
o infortuni 
causati 
a 
terzi 
(art. 30). Al 
riguardo, nel 
mondo delle 
assicurazioni 
sono sorti 
dubbi 
interpretativi, 
ad 
esempio 
sulla 
necessità 
di 
prevedere 
dei 
massimali 
obbligatori. 
9. Era 
stata 
inoltre 
prevista 
per i 
gestori 
la 
possibilità 
di 
lasciare 
piste 
o 
tratti 
di 
esse 
non battuti, previa 
adeguata 
segnalazione, per sperimentare 
una 
pratica 
diffusa 
all'estero, 
che 
consente 
agli 
utenti 
di 
praticare 
in 
totale 
sicurezza 
lo sci su neve non battuta, con velocità necessariamente inferiori. 
Per lo sci 
fuori 
pista 
e 
lo sci 
alpinismo, era 
stata 
inoltre 
corretta 
una 
imperfezione 
dell’articolo 
17 
della 
legge 
n. 
363 
del 
2003, 
che 
prevedeva 
l'obbligo 
di 
munirsi 
di 
appositi 
sistemi 
elettronici 
per garantire 
un idoneo intervento di 



LEGISLAzIONE 
ED 
ATTUALITà 


soccorso (i 
cosiddetti 
ARvA: 
apparecchi 
di 
ricerca 
valanga) «laddove, per le 
condizioni 
climatiche 
e 
della 
neve, 
sussistano 
evidenti 
rischi 
di 
valanghe». 
Tale 
norma, oltre 
ad essere 
tecnicamente 
errata 
(in quanto nei 
casi 
in cui 
vi 
è 
un evidente 
rischio di 
valanga 
ci 
si 
deve 
astenere 
da 
tali 
pratiche 
o scegliere 
itinerari 
dove 
tale 
rischio non sussiste), comporta 
il 
rischio di 
produrre 
un effetto 
contrario rispetto allo scopo (potendo dedursi 
che 
laddove 
vi 
è 
un evidente 
rischio di 
valanghe, sia 
sufficiente 
munirsi 
dell'ARvA 
per sciare 
fuori 
pista 
in sicurezza, mentre 
così 
non è). L'obbligo di 
munirsi 
dell'ARvA 
veniva 
quindi 
previsto come 
regola, il 
cui 
mancato rispetto comportava 
il 
pagamento 
di 
una 
sanzione 
amministrativa. Tale 
modifica 
non è 
stata 
recepita 
nell’art. 26 
del 
d.lgs. 
n. 
40/21 
e 
dovrebbe 
essere 
uno 
dei 
principali 
interventi 
da 
introdurre 
in sede 
di 
decreto correttivo proprio nell’ottica 
della 
massima 
prevenzione 
e 
sicurezza della pratica sportiva anche escursionistica. 


10. Erano state 
inoltre 
apportate 
modifiche 
alla 
norma 
di 
comportamento 
relativa 
alla 
velocità, estendendola 
più in generale 
alla 
padronanza 
dello sciatore, 
recependo in tale 
modo una 
regola 
del 
decalogo dello sciatore, che 
impone 
l'obbligo 
di 
tenere 
una 
velocità 
moderata 
in 
relazione 
alle 
capacità 
tecniche 
dello sciatore. Tale 
principio è 
stato recepito nell’art. 18, ult. comma 
del d.lgs. n. 40/21. 
Era 
stato 
anche 
previsto, 
come 
regola 
di 
condotta, 
che 
chi 
non 
avesse 
una 
adeguata 
padronanza 
della 
tecnica 
sciistica 
non 
potesse 
accedere 
alle 
piste 
classificate 
come 
difficili: 
ciò 
al 
fine 
di 
disincentivare 
una 
condotta 
che 
potesse 
risultare 
pericolosa 
per 
sé 
e 
per 
gli 
altri, 
senza 
tuttavia 
irrigidire 
tale 
regola, 
il 
cui 
rispetto 
era 
lasciato 
alla 
valutazione 
dei 
soggetti 
competenti 
per 
il 
controllo, 
che 
potevano 
in 
questo 
essere 
aiutati 
dai 
maestri 
di 
sci. 
Oggi 
il 
divieto 
è 
stato 
mitigato 
nell’art. 
27 
con 
una 
autovalutazione 
dello 
stesso 
sciatore 
che 
per 
accedere 
alle 
piste 
nere 
“deve 
essere 
in 
possesso 
di 
elevate 
capacità 
fisiche 
e 
tecniche”. 


11. Aspetto fondamentale 
della 
disciplina 
era 
l'introduzione 
di 
una 
sanzione 
amministrativa 
di 
immediata 
efficacia, 
quale 
il 
ritiro 
del 
titolo 
di 
transito 
(skipass) 
in 
caso 
di 
particolare 
gravità 
della 
condotta 
o 
di 
reiterazione 
nelle 
violazioni. Per gli 
skipass 
plurigiornalieri 
era 
stata 
prevista 
la 
sospensione 
del 
titolo fino a 
tre 
giorni 
con divieto di 
acquisto di 
nuovo titolo e 
ulteriore 
sanzione 
del 
ritiro definitivo in caso di 
inottemperanza 
a 
tale 
divieto. Tale 
prescrizione, 
di 
particolare 
efficacia 
deterrente, è 
stata 
recepita 
nell’art. 33, ult. 
comma, d.lgs. 40/21. 
12. Solo due 
fondamentali 
innovazioni 
non erano già 
presenti 
nei 
due 
disegni 
di 
legge 
non approvati 
dal 
parlamento. La 
prima 
riguarda 
l’intero capo 
Iv 
della 
nuova 
legge, dedicato alla 
normativa 
a 
favore 
delle 
persone 
con disabilità 
che, 
in 
attuazione 
delle 
specifico 
criterio 
di 
delega, 
prevede 
la 
revisione 
delle 
norme 
in 
modo 
da 
favorire 
la 
più 
ampia 
partecipazione 
alle 
discipline 
sportive invernali, anche da parte delle persone con disabilità. 

RASSEGNA 
AvvOCATURA 
DELLO 
STATO -N. 2/2022 


13. La 
seconda 
riguarda 
l’introduzione 
dell’alcool 
test 
(art. 31) che 
ha 
già 
posto numerosi 
problemi 
applicativi. Lo spirito di 
evitare 
infortuni 
dovuti 
all’abuso 
di 
bevande 
alcoliche 
e 
di 
sostanze 
tossicologiche 
è 
senz’altro 
apprezzabile 
anche 
se 
la 
non 
chiara 
formulazione 
della 
norma 
per 
effetto 
dei 
molteplici 
rinvii 
ad altri 
testi 
normativi 
può comportare 
evidenti 
ricadute 
sull’economia 
connessa 
alla 
somministrazione 
di 
bevande 
alcoliche 
sulle 
piste, 
spesso favorita dalle basse temperature. 
L’articolo 
31 
stabilisce 
che 
è 
vietato 
sciare 
in 
stato 
di 
ebbrezza 
anche 
se 
non 
definisce 
il 
tasso 
alcolemico 
al 
di 
sopra 
del 
quale 
deve 
ritenersi 
integrata 
la 
violazione. 
L’ultimo 
comma 
di 
detta 
norma 
stabilisce 
che 
gli 
organi 
accertatori 
hanno 
facoltà 
di 
effettuare 
l’accertamento 
con 
gli 
strumenti 
e 
le 
procedure 
previste 
dall’art. 
379 
del 
regolamento 
di 
attuazione 
del 
codice 
della 
strada. 
Una 
possibile 
lettura 
della 
norma 
è 
che 
il 
rinvio 
sarebbe 
effettuato 
ai 
soli 
fini 
procedurali 
ma 
tale 
interpretazione 
porterebbe 
a 
conseguenze 
irrazionali 
in 
quanto, 
in 
assenza 
di 
una 
soglia 
minima, 
dovrebbe 
ritenersi 
vietata 
ogni 
tipo 
di 
assunzione 
di 
bevanda 
alcolica 
per 
chi 
intenda 
praticare 
sport 
invernali. 


L’Avvocatura 
dello Stato di 
Trento è 
stata 
recentemente 
investita 
di 
una 
richiesta 
di 
parere 
in merito al 
tasso alcolemico applicabile 
atteso che 
il 
citato 
articolo 
379, 
nello 
stabilire 
che 
lo 
stato 
di 
ebbrezza 
ai 
sensi 
dell’art. 
186, 
comma 
4 dello stesso regolamento è 
integrato quando la 
concentrazione 
alcolemica 
corrisponda 
o superi 
0,8 grammi 
per litro, rinvia 
appunto a 
sua 
volta 
all’art. 186 che, al 
comma 
2, lettera 
a) prevede 
una 
sanzione 
amministrativa 
quando 
il 
tasso 
alcolemico 
è 
superiore 
allo 
0,5 
e 
non 
superiore 
allo 
0,8 
grammi 
per litro, essendo in tale 
secondo caso prevista 
dalle 
successive 
lettere 
b) e 
c) 
una sanzione penale. 


A 
seguito di 
ricorso gerarchico per una 
sanzione 
applicata 
con tasso alcolemico 
dello 0,5, l’amministrazione 
ha 
ritenuto di 
annullare 
in autotutela 
il 
provvedimento, investendo contestualmente 
della 
richiesta 
di 
parere 
l’Avvocatura 
dello 
Stato 
anche 
tenuto 
conto 
del 
numero 
di 
turisti 
sciatori 
del 
Trentino 
Alto 
Adige 
e 
della 
frequenza 
con 
la 
quale 
analoghe 
contestazioni 
dovranno 
essere effettuate. 


Anche 
tale 
punto 
potrà 
efficacemente 
essere 
risolto 
in 
sede 
di 
decreto 
correttivo. 



LEGISLAzIONE 
ED 
ATTUALITà 


Il “remand” questo sconosciuto nella tutela cautelare 
amministrativa: pregi e difetti di un istituto 
potenzialmente deflattivo del contenzioso 


Fabio Ratto Trabucco* 


SOMMARIO: 
1. 
L’evoluzione 
inesorabile 
della 
tutela 
cautelare 
quale 
ventaglio 
di 
strumenti 
a protezione 
del 
ricorrente 
leso -2. Il 
remand quale 
potenziale 
strumento in funzione 
deflattiva del contenzioso. 


La 
tutela 
cautelare 
amministrativa 
è 
un 
autentico 
caleidoscopio 
d’istituti 
a 
favore 
del 
ricorrente 
leso. L’evoluzione 
dell’istituto a 
partire 
dalla 
legge 
T.A.R. del 
1971 è 
stata 
lenta 
ma 
inesorabile 
verso sempre 
maggiori 
forme 
di 
tutela 
interina 
grazie 
anche 
all’intervento della 
Corte 
di 
Giustizia 
UE 
che 
ha 
sanato il 
conflitto tra 
Giudici 
amministrativi 
e 
Corte 
costituzionale 
sul 
punto della 
tutela 
cautelare 
ante 
causam. 
Uno di 
questi 
strumenti 
di 
protezione 
del 
ricorrente 
è 
il 
noto remand. Il 
contributo ne 
analizza 
vizi 
e 
virtù assumendo che 
si 
tratta 
di 
un’arma 
a 
doppio taglio laddove 
i 
suoi 
esiti 
positivi 
dipendono soprattutto dalla 
disponibilità 
di un’autocritica da parte dell’amministrazione. 


1. 
L’evoluzione 
inesorabile 
della 
tutela 
cautelare 
quale 
ventaglio 
di 
strumenti 
a protezione del ricorrente leso. 
La 
tematica 
della 
tutela 
cautelare 
nel 
processo 
amministrativo 
italiano 
trova 
le 
sue 
radici 
negli 
anni 
Ottanta 
del 
secolo 
scorso 
con 
le 
prime 
esperienze 
in materia 
da 
parte 
dei 
giudici 
amministrativi 
dell’epoca. Si 
trattava 
all’epoca 
di 
una 
sorta 
di 
nuova 
frontiera, del 
tutto pionieristica, laddove 
cominciavano 
a 
essere 
affrontate 
le 
prime 
istanze 
di 
sospensione 
dell’efficacia 
dei 
provvedimenti 
impugnati. Ora, come 
noto, questa 
tutela 
cautelare 
è 
disciplinata 
dagli 
artt. 54 e 
ss. del 
Codice 
del 
processo amministrativo, i 
quali 
costituiscono la 
risultante 
di 
una 
lunga 
evoluzione 
giurisprudenziale 
che 
ha 
tenuto 
conto 
anche 
della 
giurisprudenza 
della 
Corte 
costituzionale, della 
CEDU 
e 
della 
Corte 
di 
giustizia 
UE 
(1). Del 
resto il 
Codice 
si 
fonda 
appieno sui 
principi 
del 
diritto 


(*) Professore a contratto in Istituzioni di diritto pubblico nell’Università di Padova. 


Articolo pubblicato in «La responsabilità amministrativa delle società e degli enti», 2022, 4, 91-102. 


(1) Sull’evoluzione 
della 
giustizia 
cautelare 
amministrativa 
nel 
tempo si 
vedano, senza 
pretesa 
d’esaustività: 
A. TRAvI, Tutela cautelare 
e 
impugnabilità dei 
decreti 
cautelari 
presidenziali, in «Il 
Foro 
italiano», 
2020, 
11, 
568-568; 
C. 
CUDIA, 
In 
tema 
di 
tutela 
cautelare 
e 
giustizia 
amministrativa, 
in 
«Il 
Foro 
italiano», 
2019, 
3, 
154-157; 
E.M. 
MARENGHI, 
Unità, 
dommatica 
e 
pluralità 
delle 
forme 
nella 
tutela 
cautelare 
amministrativa fra sistema e 
non sistema, in AA.vv., Studi 
in onore 
di 
Modestino Acone, I, 
Jovene, Napoli, 2010, 463-479; 
B. IAMORTA, La tutela cautelare 
nell'evoluzione 
giurisprudenziale, in 
«Nuova 
rassegna 
di 
legislazione, 
dottrina 
e 
giurisprudenza», 
2009, 
17, 
1840-1856; 
M.A. 
SANDULLI, 
Sulla 
giustizia 
amministrativa. 
La 
tutela 
cautelare 
nel 
processo 
amministrativo, 
in 
«Il 
Foro 
amministrativo 
T.A.R.», 
2009, 
9, 
55-76; 
G. 
D’ALLURA, 
La 
tutela 
cautelare 
amministrativa 
e 
ordinaria, 
in 
«Il 
Diritto 

RASSEGNA 
AvvOCATURA 
DELLO 
STATO -N. 2/2022 


europeo; 
l’art. 1 richiama 
il 
principio di 
effettività 
per la 
tutela 
e 
quindi 
anche 
le 
regole 
affermate 
dalla 
Corte 
di 
Strasburgo negli 
artt. 6 e 
13 della 
Convenzione 
EDU del 1950. 

Tuttavia, come 
omettere 
di 
segnalare 
che 
negli 
anni 
Ottanta 
vi 
erano alcune 
preclusioni 
di 
carattere 
teorico 
in 
ordine 
alla 
tutela 
cautelare 
nel 
processo 
amministrativo. 
Questa 
impostazione 
tradizionale 
risaliva 
addirittura 
alla 
fine 
dell’Ottocento, quando le 
leggi 
amministrative 
processuali 
disponevano che 
il 
giudice 
amministrativo 
potesse 
soltanto 
disporre 
la 
sospensione 
degli 
effetti 
dell’atto 
impugnato. 
Naturalmente, 
in 
molte 
occasioni 
la 
sospensione 
dell’atto 
non poteva 
dare 
una 
tutela 
cautelare 
all’interessato, basti 
pensare 
ai 
provvedimenti 
negativi ed a quelli già eseguiti. 


Non 
mancavano 
all’epoca 
magistrati 
amministrativi 
che 
teorizzavano 
una 
preclusione 
assoluta 
della 
tutela 
cautelare, ad esempio in materia 
di 
dinieghi. 
vi 
era, 
ad 
esempio, 
l’opinione 
dell’autorevolissimo 
Presidente 
di 
Palazzo 
Spada 
Paleologo, il 
quale 
dubitava 
dell’utilità 
di 
sospendere 
gli 
effetti 
di 
un 
diniego, 
costringendo 
l’amministrazione 
ad 
emanare 
un 
provvedimento 
nuovo 
nel 
corso del 
giudizio che, da 
un lato, implica 
l’onere 
dell’interessato di 
proporre 
un altro ricorso contro questo provvedimento, che 
probabilmente 
sarà 
sfavorevole 
(2). Questo comunque 
non definisce 
il 
giudizio perché 
una 
volta 
che 
l’amministrazione, al 
contrario, accoglie 
l’istanza 
in sede 
di 
riesame, risulta 
necessaria 
la 
sentenza 
sul 
ricorso 
originario 
in 
quanto 
ormai 
il 
ricorso 
sarà 
respinto, malgrado l’accoglimento della 
domanda 
cautelare. L’ordinanza 
cautelare, quindi, si 
caduca 
e 
per conseguenza 
vengono meno anche 
gli 
effetti 
dell’atto emanato nel 
corso del 
processo. E 
questa 
è 
per l’appunto la 
tesi 
che 
fino alla fine dell’Ottocento era del tutto predominante. 

Lo stesso valeva 
in materia 
di 
atti 
già 
eseguiti. Si 
pensi 
ai 
decreti 
di 
requisizione 
ed alle 
ordinanze 
d’occupazione 
d’urgenza 
nel 
corso del 
procedimento 
espropriativo. 
Orbene, 
si 
riteneva 
che 
questi 
atti 
non 
fossero 
sospendibili 
una 
volta 
eseguiti, perché 
non v’era 
una 
tutela 
cautelare 
che 
po-

del 
lavoro», 2003, 4, 407-412; 
E. FOLLIERI, 
Effettività della giustizia amministrativa nella tutela cautelare, 
in «Il 
Foro amministrativo T.A.R.», 2003, 3, 1117-1123; 
E.F. RICCI, Profili 
della nuova tutela cautelare 
amministrativa 
del 
privato 
nei 
confronti 
della 
p.a., 
in 
«Il 
Diritto 
processuale 
amministrativo», 
2002, 2, 276-313; 
L. CENTRO, Brevi 
note 
di 
commento sulla nuova disciplina della tutela cautelare 
amministrativa, 
in 
«L’Amministrazione 
italiana», 
2001, 
1, 
27-33; 
A. 
DALFINO, 
Restyling 
della 
giustizia 
amministrativa: 
la 
tutela 
cautelare 
atipica 
e 
“ottemperanza” 
delle 
sentenze 
non 
sospese, 
in 
«Nuova 
rassegna 
di 
legislazione, dottrina 
e 
giurisprudenza», 2001, 3, 269-283; 
S. FARO, L’effettività della tutela 
cautelare 
amministrativa: 
questioni 
ancora 
aperte, 
in 
«Rivista 
italiana 
di 
diritto 
pubblico 
comunitario», 
1998, 6, 1409-1416; 
A. PULEO, Nuovi 
orientamenti 
della giustizia amministrativa in tema di 
tutela cautelare, 
in «Il 
Foro amministrativo», 1997, 7-8, 2144-2156; 
G. MONETA, L’evoluzione 
involutiva della 
tutela cautelare 
amministrativa, in «Il 
Diritto processuale 
amministrativo», 1994, 2, 382-418; 
v. BONGIOANNI, 
Verso 
una 
tutela 
cautelare 
nell’ambito 
della 
giurisdizione 
amministrativa 
di 
merito?, 
in 
«Il 
Consiglio di Stato», 1986, 2, 285-294. 


(2) 
Cfr. 
G. 
PALEOLOGO, 
La 
tutela 
cautelare 
nel 
processo 
amministrativo, 
in 
«Il 
Consiglio 
di 
Stato», 
1991, 1, 199-230. 

LEGISLAzIONE 
ED 
ATTUALITà 


tesse 
ordinare 
la 
restituzione 
del 
bene 
già 
acquistato con la 
detenzione 
ovvero 
il 
possesso da 
parte 
della 
pubblica 
amministrazione. Quindi, sussistevano alcune 
fasce 
di 
interessi 
legittimi 
sia 
pretensivi, in presenza 
di 
dinieghi, sia 
difensivi, 
quando 
si 
parlava 
di 
atti 
ablatori, 
in 
cui 
la 
tutela 
cautelare 
non 
era 
proponibile. 

Tuttavia, 
proprio 
nel 
corso 
degli 
anni 
Ottanta 
del 
secolo 
scorso, 
tutti 
questi 
dogmi 
vennero messi 
in discussione 
e 
questo nonostante 
il 
fatto che 
in alcuni 
casi 
le 
ordinanze 
cautelari 
possano generare 
molti 
“danni” 
nel 
corso del 
giudizio, 
anche alle parti, ivi compresa quella che otterrà l’ordinanza cautelare. 

Anzitutto, in materia 
di 
dinieghi, vi 
fu la 
prima 
giurisprudenza 
della 
Iv 
sezione 
di 
Palazzo Spada 
sui 
dinieghi 
di 
dispensa 
dal 
servizio militare. Si 
riteneva 
che 
se 
tale 
diniego non era 
sospendibile 
e 
il 
coscritto partiva 
per effettuare 
il 
servizio militare 
durante 
l’anno, e 
per la 
Marina 
Militare 
un biennio, 
di 
conseguenza 
la 
sentenza 
non avrebbe 
avuto alcun senso. Ecco, quindi, che 
la 
ridetta 
sezione 
del 
Consiglio di 
Stato ha 
iniziato a 
sospendere 
gli 
effetti 
del 
diniego di 
dispensa, ravvisando quegli 
effetti 
positivi, cioè 
il 
conseguente 
ordine 
di 
chiamata 
alle 
armi. 
Oltre 
a 
questi 
dinieghi, 
poi 
ve 
ne 
furono 
anche 
altri, 
come 
il 
diniego 
di 
ammissione 
dello 
studente 
all’esame 
di 
maturità. 
Si 
ricorda 
una 
famosa 
ordinanza 
dell’Adunanza 
Plenaria 
del 
1984, 
che, 
appunto, 
ammise 
la 
tutela 
a 
fronte 
di 
questo tipo di 
diniego, dal 
momento che 
esso comportava 
eventualmente 
la 
perdita 
dell’anno scolastico dello studente, il 
quale 
non poteva 
né partecipare all’esame di maturità né iscriversi all’università (3). 


Si 
trattava 
dunque 
di 
dinieghi 
di 
questo tipo, non di 
concessione 
edilizia, 
come 
al 
tempo 
era 
denominata, 
né 
diniego 
di 
autorizzazione 
paesaggistica. 
Questi 
particolari 
dinieghi 
avrebbero comportato la 
vanificazione 
della 
tutela 
dell’interessato o perché 
l’anno scolastico, in caso di 
mancata 
ammissione 
al-
l’esame 
di 
maturità, si 
sarebbe 
dovuto ripetere, o perché, nel 
caso del 
servizio 
militare, dopo la 
partenza 
del 
chiamato alle 
Armi 
la 
causa 
non avrebbe 
avuto 
alcun senso, anche 
perché 
all’epoca 
non sussisteva 
la 
tutela 
risarcitoria 
della 
lesione arrecata all’interesse legittimo. 

La 
stessa 
vicenda 
riguardò, poi, anche 
gli 
atti 
già 
eseguiti 
con la 
richiesta 
di 
misura 
cautelare, anche 
se 
l’ordinanza 
d’occupazione 
d’urgenza 
nel 
corso 
del 
procedimento espropriativo era 
già 
stata 
eseguita. La 
questione 
andò al-
l’esame 
dell’Adunanza 
Plenaria 
perché 
bisognava 
superare 
l’ostracismo 
secolare 
della 
negazione 
della 
tutela 
cautelare 
in presenza 
d’atto già 
eseguito, 
in quanto si 
sarebbe 
trattato di 
una 
restituzione 
di 
una 
misura 
possessoria, id 
est 
un 
ordine 
di 
facere. 
L’Adunanza 
Plenaria, 
effettivamente, 
con 
un’ordinanza 
del 
1983 ammise 
che 
si 
potevano sospendere 
gli 
effetti 
dell’atto già 
eseguito, 


(3) Cons. Stato, ad. plen., 5 settembre 
1984, n. 17. Cfr. E. FOLLIERI, Strumentalità ed efficacia 
“ex 
tunc” 
dell’ordinanza 
di 
sospensione, 
in 
«Giurisprudenza 
italiana», 
1985, 
5, 
196-206 
e 
G. 
SAPORITO, 
Provvedimenti cautelari: limiti di esigibilità, in «Il Foro italiano», 1985, 2, 52-55. 

RASSEGNA 
AvvOCATURA 
DELLO 
STATO -N. 2/2022 


dal 
momento 
che, 
nel 
caso 
di 
mancato 
adeguamento 
dello 
stato 
di 
fatto 
a 
quello 
di 
diritto da 
parte 
dell’amministrazione, l’interessato avrebbe 
potuto chiedere 
allo 
stesso 
giudice 
cautelare 
che 
aveva 
emanato 
l’ordinanza 
le 
misure 
più 
idonee 
per eseguire 
l’ordinanza 
di 
accoglimento (4). Tale 
giurisprudenza 
del 
Supremo 
Consesso 
fu 
determinante 
anche 
per 
costruire 
quel 
giudizio 
d’esecuzione 
dell’ordinanza 
cautelare 
che 
poi 
è 
stato, codificato nel 
2010 con 
il 
Codice 
del 
processo 
amministrativo. 
In 
altri 
termini, 
sotto 
questo 
profilo, 
nulla di nuovo nel Codice medesimo. 


Appare 
quindi 
evidente 
come 
tale 
giurisprudenza 
ha 
ampiamente 
superato 
i 
dogmi 
che 
ritenevano preclusa 
la 
tutela 
cautelare 
in presenza 
di 
determinati 
interessi 
legittimi. 
La 
regola 
è 
invece 
che 
l’interesse 
legittimo 
deve 
avere 
sempre 
una 
tutela 
cautelare. Poi, ad un tempo, v’è 
stata 
l’evoluzione 
coerente 
con 
la 
giurisprudenza 
della 
Corte 
di 
giustizia 
di 
Lussemburgo. 
Infatti, 
a 
partire 
dalla 
direttiva 
sui 
ricorsi 
del 
1989 i 
giudici 
amministrativi 
hanno dovuto verificare 
come anche la tutela cautelare debba essere assicurata (5). 

Al 
riguardo, come 
già 
si 
diceva, è 
stata 
decisiva 
anche 
la 
giurisprudenza 
di 
alcuni 
T.A.R., per quanto non sempre 
condivisa 
in dottrina 
e 
dalle 
varie 
sezioni 
del 
Consiglio di 
Stato, perché 
le 
misure 
ante 
causam 
ovvero anche 
i 
decreti 
monocratici 
inaudita 
altera 
parte, 
erano 
talvolta 
considerati 
nulli 
dal 
Consiglio di Stato. 

Infatti, occorre 
rammentare 
come 
la 
tutela 
cautelare, all’inizio degli 
anni 
Ottanta, era 
estremamente 
ridotta. La 
disciplina 
del 
processo amministrativo 
relativa 
alla 
fase 
cautelare 
fino 
sostanzialmente 
agli 
anni 
Duemila, 
trascurando 
le 
norme 
del 
Consiglio di 
Stato con il 
regolamento del 
1907 ed il 
Testo unico 
del 
1924, si 
limitava 
a 
dire 
nell’ultimo comma 
dell’art. 21 della 
l. n. 1034 del 
1971 che: 
«Se 
il 
ricorrente, allegando danni 
gravi 
e 
irreparabili, derivanti 
dal-
l’esecuzione 
dell’atto, ne 
chiede 
la 
sospensione, sull’istanza 
il 
Tribunale 
Amministrativo 
Regionale 
pronuncia 
con ordinanza 
motivata, emessa 
in Camera 
di 
Consiglio». Questa 
era 
la 
scarna 
disciplina 
che 
esisteva 
sulla 
materia 
cautelare 
e 
ciò 
ha 
favorito 
sicuramente 
forti 
sviluppi 
della 
giurisprudenza, 
per 
quanto molto discontinui, tra 
stop and go. 

Inizialmente 
c’erano forti 
perplessità 
da 
parte 
dei 
collegi 
nel 
concedere 
la 
sospensione 
su un atto negativo o comunque 
in riferimento ad interessi 
di 
natura 
pretensiva 
oppure 
ancora 
su provvedimenti 
che 
avevano esaurito completamente 
i 
loro 
effetti. 
La 
tendenza 
iniziale 
era 
di 
non 
riconoscere 
alcuna 
sospensione, poi 
è 
comparsa 
una 
pressione 
esterna, una 
esigenza 
di 
tutela 
che 
è 
via 
via 
maturata 
nel 
tempo. Essa 
comparve 
a 
partire 
dai 
primi 
anni 
Ottanta 


(4) Cons. Stato, ad. plen., ord. 1° 
giugno 1983, n. 14. Cfr. A. SCOLA, Brevi 
note 
in tema di 
tutela 
cautelare nel giudizio amministrativo, in «Il foro amministrativo», 1984, 11, 2034-2037. 
(5) Direttiva 
n. 89/665/CEE 
che 
coordina 
le 
disposizioni 
legislative, regolamentari 
e 
amministrative 
relative 
all’applicazione 
delle 
procedure 
di 
ricorso 
in 
materia 
di 
aggiudicazione 
degli 
appalti 
pubblici 
di forniture e di lavori. 

LEGISLAzIONE 
ED 
ATTUALITà 


del 
secolo scorso e 
crebbe 
sempre 
di 
più. Gradatamente, il 
giudice 
amministrativo 
di 
secondo grado, più che 
quello di 
primo grado, ha 
cominciato a 
riconoscere 
formalmente 
delle 
tutele, stimolato sicuramente 
sia 
dal 
giudice 
di 
primo 
grado 
che 
dal 
profondo 
mutamento 
della 
situazione 
interna. 
Il 
ricorrente 
non doveva 
quindi 
più necessariamente 
rassegnarsi 
al 
provvedimento sfavorevole 
in attesa 
della 
sentenza 
nel 
merito. Così, i 
classici 
casi 
dello studente 
non 
ammesso 
all’esame 
di 
maturità, 
del 
giovane 
in 
partenza 
per 
la 
coscrizione 
obbligatoria 
e 
così 
via 
dovevano avere 
una 
tutela, perché 
s’avvertiva 
che 
la 
mancanza 
di 
protezione 
significava 
una 
povertà 
della 
funzione 
giurisdizionale 
non più tollerabile. Quindi 
il 
giudice 
di 
primo grado con i 
suoi 
stimoli 
da 
una 
parte, il 
giudice 
d’appello dall’altra, accettandola 
gradatamente, sono arrivati 
a far crescere la tutela cautelare. 

Il 
T.A.R. 
meneghino 
è 
stato 
certamente 
uno 
dei 
primi 
collegi 
di 
primo 
grado 
che 
ha 
maggiormente 
favorito 
in 
questi 
anni 
questo 
tipo 
di 
stimolo. 
Prima 
in 
termini 
di 
cautela 
collegiale, 
poi 
monocratica. 
Il 
suo 
ruolo 
importante 
è 
stato 
d’essere 
artefice 
del 
procedimento 
cautelare 
monocratico, 
da 
lui 
inventato 
a 
cavallo tra 
gli 
anni 
Ottanta 
e 
Novanta 
del 
secolo scorso con il 
famoso 
precedente 
dell’apertura 
di 
un magazzino Standa 
a 
viterbo. Fu un precedente 
estremamente 
discusso 
perché 
all’epoca 
la 
citata 
strutturazione 
molto 
primitiva 
dell’art. 
21 
della 
l. 
n. 
1034 
del 
1971 
aveva 
costruito 
all’interno 
del 
rito 
innanzi 
al 
T.A.R. 
un 
procedimento 
troppo 
semplice 
e, 
soprattutto, 
non 
munito 
di 
quelle 
determinate 
guarentigie 
in 
ordine 
al 
giudice 
naturale, 
perché 
la 
cautela 
era 
adottata 
anche 
da 
parte 
del 
giudice, che 
magari 
poi 
si 
riconosceva 
territorialmente 
incompetente, 
trasmetteva 
gli 
atti 
al 
giudice 
competente, 
ma 
con 
la 
cautela 
già 
concessa. Questo, evidentemente, dava 
adito a 
vere 
e 
proprie 
forme 
di 
malcostume 
giudiziario e 
di 
scelta 
preordinata 
al 
fine 
di 
avere 
la 
cautela, 
che 
magari 
durava 
nel 
tempo perché 
lunga 
era 
la 
definizione 
del 
merito del 
processo. Infatti, si 
“sceglieva” 
il 
giudice 
che 
si 
sapeva 
avrebbe 
potuto riconoscere 
la 
sospensiva 
perché 
si 
era 
formata 
una 
giurisprudenza 
cautelare 
assolutamente 
favorevole. 
Così, 
in 
questo 
contesto 
alquanto 
malfermo, 
il 
T.A.R. 
lombardo presieduto dal 
Presidente 
Mariuzzo accordò la 
tutela 
per l’apertura 
di 
un grande 
magazzino della 
Standa 
a 
viterbo, in forza 
di 
un ricorso presentato 
a 
Milano (6). Nacquero, appunto, delle 
polemiche 
e 
financo un procedimento 
disciplinare 
attivato 
dal 
Consiglio 
di 
Presidenza 
della 
Giustizia 
Amministrativa, poi 
abortito: 
in pratica 
si 
trattava 
di 
una 
sorta 
di 
ricorso ex 
art. 
700 
c.p.c. 
monocratico 
innestato 
a 
forza 
nel 
corpus 
della 
legge 
T.A.R. 
(7). 
Il 
provvedimento fu dichiarato assolutamente 
anomalo ma 
in questo contesto 


(6) Cfr. F. MARIUzzO, Saluto agli avvocati, in «LexItalia.it», 2015, 5. 
(7) 
Cfr. 
P. 
zAMPARESE, 
Prospettive 
di 
tutela 
cautelare 
innominata 
ex 
art. 
700 
c.p.c. 
ad 
opera 
della 
giustizia 
amministrativa 
e 
contabile, 
in 
«Amministrazione 
e 
contabilità 
dello 
Stato 
e 
degli 
Enti 
Pubblici», 
1999, 1-2, 131-135. 

RASSEGNA 
AvvOCATURA 
DELLO 
STATO -N. 2/2022 


di 
forte 
polemica 
e 
anche 
di 
legislazione 
magmatica, 
il 
collegio 
milanese 
ebbe 
il 
merito 
d’avviare 
il 
salutare 
presupposto 
per 
poter 
arrivare 
all’evoluzione 
dell’istituto 
che 
ben 
conosciamo 
nel 
contesto 
dell’attuale 
Codice 
del 
processo 
amministrativo, peraltro neppure questo privo di polemiche. 


Tali 
richiami, anche 
sulla 
storia 
del 
processo amministrativo italiano, appaiono 
imprescindibili 
per comprendere 
che 
certamente 
si 
dovrà 
arrivare 
ad 
una 
normazione 
dell’istituto, 
perché 
le 
devianze 
della 
sua 
utilizzazione 
in 
primo grado possono essere 
ben palpabili. Dunque, la 
tutela 
cautelare 
come 
una 
sanzione 
di 
nullità 
che 
si 
classifica 
come 
grave, anche 
per la 
certezza 
dei 
rapporti 
di 
diritto 
pubblico. 
In 
effetti, 
sino 
a 
quando 
la 
legge 
non 
è 
mutata, 
anche 
sotto impulso della 
Corte 
costituzionale, c’è 
stata 
una 
forte 
divergenza 
d’opinione 
tra 
giudice 
di 
primo grado e 
Consiglio di 
Stato, per fortuna 
poi 
superata 
con l’adeguamento ai 
principi 
costituzionali 
della 
CEDU 
e 
della 
Corte 
di 
giustizia, secondo cui 
in tutto il 
giudizio si 
può proporre 
la 
domanda 
cautelare. 
Anzi, 
da 
prima 
ancora 
che 
il 
giudizio 
si 
proponga, 
perché 
anche 
ante 
causam 
si 
può 
proporre 
la 
domanda 
cautelare, 
addirittura 
dopo 
la 
sentenza 
del 
Consiglio di 
Stato, quando pende 
il 
ricorso in Cassazione, e 
quindi 
allo stesso 
Consiglio di Stato. 

Ecco che, quindi, abbiamo una 
affermazione 
dei 
principi 
della 
Corte 
di 
Strasburgo 
anche 
in 
materia 
cautelare. 
Infatti, 
è 
ben 
noto 
che 
sono 
tre 
le 
regole 
auree 
della 
giurisprudenza 
della 
Corte 
di 
Strasburgo, 
precetti 
che 
purtroppo 
in Italia 
non sempre 
sono applicati 
e 
qui 
si 
pone 
il 
nodo dell’eventuale 
prevalenza 
del 
diritto della 
Convenzione 
EDU 
rispetto alle 
leggi 
italiane. Se 
il 
giudizio 
di 
cognizione 
deve 
dare 
tutto 
ciò 
che 
spetta 
al 
ricorrente 
sul 
piano 
sostanziale, la 
tutela 
cautelare 
spetta 
in ogni 
istante 
del 
giudizio e 
deve 
poter 
evitare 
la 
formazione 
di 
un pregiudizio irreparabile. Al 
riguardo basti 
richiamare 
Chiovenda 
per 
cui 
«Melius 
est 
ante 
tempus 
succurrere 
quam 
post 
causam 
vulneratam querere»! 

vi 
è 
poi 
il 
principio 
per 
cui 
dev’esservi 
l’esecuzione 
delle 
pronunce 
di 
giustizia, anche 
cautelari, perché 
le 
decisioni 
di 
giustizia 
non devono essere 
meri 
manifesti. La 
giustizia 
dev’essere 
effettiva, non platonica. Sotto questo 
profilo vale 
la 
pena 
sottolineare 
che 
la 
stessa 
giurisprudenza 
della 
Corte 
costituzionale 
ha 
richiamato 
il 
principio 
per 
cui 
la 
giustizia 
cautelare 
non 
può 
essere 
platonica. Si 
ricorda 
la 
sentenza 
della 
Corte 
costituzionale 
n. 419 del 
1995 relativa 
ad un conflitto tra 
il 
T.A.R. del 
Lazio ed il 
C.S.M. perché 
una 
pronuncia 
cautelare 
del 
Tribunale 
amministrativo non era 
stata 
eseguita 
dal-
l’organo d’autogoverno della 
magistratura 
ordinaria 
e 
la 
Corte 
costituzionale 
affermò 
che 
anche 
lo 
stesso 
C.S.M. 
deve 
eseguire 
le 
pronunce 
cautelari 
del 
giudice 
amministrativo 
in 
quanto 
Pubblica 
Amministrazione 
tenuta 
al 
rispetto 
delle regole dello Stato di diritto (8). 

(8) Corte 
cost.le, 8 settembre 
1995, n. 419. Cfr. S. CASTELLANI, C.S.M., giudice 
amministrativo e 

LEGISLAzIONE 
ED 
ATTUALITà 


Dunque, è 
evidente 
che 
l’armamentario nelle 
mani 
del 
giudice 
amministrativo 
è 
molto ampio e 
s’estende 
sino alla 
possibilità 
d’emanare 
misure 
cautelari 
atipiche 
(9). Basti 
pensare 
a 
quelle 
misure 
cautelari 
che 
hanno previsto 
la 
presentazione 
di 
una 
cauzione 
ovvero di 
una 
fideiussione, tutte 
regole 
codificate 
nel 
Codice 
del 
processo amministrativo. La 
commissione 
sul 
Codice 
ha 
voluto 
quindi 
esplicitare 
quegli 
stessi 
principi 
che 
si 
desumevano 
dalla 
giurisprudenza 
dell’adunanza 
plenaria 
della 
Corte 
di 
giustizia 
e 
della 
Corte 
di 
Strasburgo. 

2. 
Il 
remand 
quale 
potenziale 
strumento 
in 
funzione 
deflattiva 
del 
contenzioso. 
Circa 
l’istituto 
del 
remand 
occorre 
anzitutto 
rammentare 
come 
dal 
punto 
di 
vista 
etimologico 
anglofono, 
“remand” 
vuol 
dire 
rimando, 
rinvio. 
Ma 
significa 
anche 
reclusione 
cautelare, 
ovvero 
rendere 
qualcuno 
prigioniero 
di 
qualcosa. 
In 
questo 
senso 
traslato, 
effettivamente, 
le 
critiche 
sono 
fondate 
nella 
misura 
in 
cui 
per 
remand 
intendiamo 
non 
il 
rinvio 
della 
questione 
all’amministrazione, 
ma 
una 
clausura: 
è 
lo 
stesso 
impianto 
dell’ordinato 
svolgersi 
del 
processo 
a 
soffrirne 
con 
una 
dilatazione 
dei 
tempi 
(10). 
Il 
tempo 
è 
estremamente 
importante 
per 
lo 
smaltimento 
degli 
arretrati 
e 
per 
far 
sì 
che 
i 
ruoli 
delle 
camere 
di 
consiglio 
e 
delle 
udienze 
pubbliche 
possano 
essere 
alimentati 
da 
cause 
che 
effettivamente 
siano 
pronte 
e 
mature 
per 
essere 
decise 
e 
che 
conservano 
un 
interesse 
alla 
loro 
definizione 
con 
una 
turnazione 
che 
deve 
considerare 
le 
urgenze. 


Di 
fatto il 
remand 
appare 
muoversi 
in una 
direzione 
opposta 
rispetto alla 
generale 
tendenza 
legislativa 
verso l’accelerazione 
del 
processo amministrativo 
laddove 
costituisce 
una 
possibilità 
cautelare 
per un riesame 
del 
potere 
discrezionale 
esercitato (11). A 
ben vedere, nell’essenza 
del 
remand 
si 
coglie 
al 
pari 
del 
soccorso istruttorio, procedimentale 
e 
processuale 
-un’incessante 
interrelazione 
tra 
procedimento 
e 
processo 
e 
gli 
effetti 
della 
suddetta 
tendenza 
evolutiva sono particolarmente evidenti e densi di criticità (12). 


In 
determinate 
situazioni 
ambientali 
e 
per 
strutturazione 
di 
contenzioso 
in 
cui 
vi 
sia 
soprattutto 
una 
contraddittorietà 
complessiva 
dell’azione 
amministra-

giudizio di 
ottemperanza, in «Giurisprudenza 
italiana», 1996, 2, 1, 49-52; 
G. MONTEDORO, L’indipendenza 
del 
giudice 
fra amministrazione 
e 
giurisdizione. Brevi 
riflessioni 
in margine 
ad un conflitto di 
attribuzioni 
fra Consiglio superiore 
della magistratura e 
giudice 
amministrativo in tema di 
ottemperanza 
ad ordinanze cautelari, in «Il Foro amministrativo», 1996, 1, 22-31. 


(9) 
Cfr. 
F. 
SAITTA, 
L’atipicità 
delle 
misure 
cautelari 
nel 
processo 
amministrativo, 
tra 
mito 
e 
realtà, 
in «Giurisdizione 
Amministrativa», 2006, 7-8, 215-229. 
(10) Cfr. G. PESCATORE, L’esaurimento della discrezionalità nel 
giudizio amministrativo: considerazioni 
e 
spunti 
ricostruttivi 
alla 
luce 
del 
principio 
di 
effettività 
della 
tutela, 
in 
«Il 
Nuovo 
Diritto 
delle 
Società», 2018, 8, 1257-1280. 
(11) Cfr. G. SORICELLI, Brevi 
considerazioni 
in tema di 
ampliamento dei 
poteri 
del 
giudice 
amministrativo 
in sede 
cautelare, in «Rivista 
amministrativa 
della 
Repubblica 
italiana», 1997, 5-6, 495-504. 
(12) Cfr. M.A. SANDULLI, Riflessioni 
sull’istruttoria tra procedimento e 
processo, in «Diritto e 
società», 2020, 2, 195-221. 

RASSEGNA 
AvvOCATURA 
DELLO 
STATO -N. 2/2022 


tiva 
che 
deve 
essere 
emendata 
anche 
alla 
luce 
di 
risultanze 
documentali 
che 
fanno 
ingresso 
nelle 
memorie 
e 
produzioni 
documentali 
difensionali, 
possono 
sussistere 
anche 
dei 
sospetti 
relativi 
a 
veri 
e 
propri 
reati 
di 
falso, 
per 
cui 
è 
inevitabile 
la 
rimessione 
degli 
atti 
alla 
competente 
Procura 
della 
Repubblica 
per 
i 
relativi 
accertamenti. 
Da 
questo 
punto 
di 
vista, 
ecco 
che 
la 
tecnica 
del 
remand 
in 
questi 
casi 
è 
importante. 
Un 
remand 
non 
si 
farà 
per 
certo 
nei 
riti 
speciali, 
né 
soprattutto 
in 
materia 
d’appalti, 
dove 
il 
Codice 
scandisce 
il 
termine 
canonico 
dei 
45 
giorni, 
che 
già 
di 
per 
sé 
viene 
bypassato 
dalla 
tirannia 
dei 
tempi 
per 
i 
motivi 
aggiunti, 
né 
per 
i 
ricorsi 
incidentali, 
per 
gli 
accessi 
incidentali 
alla 
documentazione 
amministrativa, 
puntando 
quindi 
verso 
la 
sentenza 
nel 
merito. 


Se 
è 
sempre 
opportuno “correre” 
verso la 
sentenza 
per smaltire 
i 
ruoli, 
tuttavia, 
in 
casi 
abbastanza 
di 
specie, 
la 
tecnica 
d’inserire 
il 
procedimento 
giurisdizionale 
come 
momento anche 
di 
riflessione 
al 
fine 
di 
un’eventuale 
riattivazione 
dell’azione 
amministrativa 
-soprattutto quando questa 
ha 
una 
certa 
prognostica 
di 
essere 
risolta 
in 
termini 
sufficientemente 
brevi 
e 
compatibili 
con il 
ripristino della 
trattazione 
della 
causa 
in sede 
di 
ruolo di 
udienza 
pubblica 
- si può ben ritenere un rimedio abbastanza salutare. 

Tuttavia, 
in 
tema 
di 
remand, 
occorre 
essere 
estremamente 
prudenti 
in 
quanto ordinare 
all’amministrazione 
di 
fare 
qualcosa 
è 
sempre 
molto problematico. 
Il 
rischio è 
quello di 
realizzare 
risultati 
irreversibili 
al 
merito ovvero 
di fare ottenere al ricorrente una tutela più ampia di quella di merito. 

Un 
tema 
in 
cui 
gli 
organi 
della 
giustizia 
amministrativa 
hanno 
utilizzato 
il 
remand 
con 
risultati 
buoni 
è 
la 
materia 
dell’immigrazione 
che 
come 
sappiamo 
ha 
grande 
rilevanza 
al 
Nord 
e 
nei 
grossi 
centri 
con 
i 
numeri 
importanti 
delle 
controversie. 
Il 
contenzioso 
tipico 
è 
quello 
del 
cittadino 
straniero 
che 
intende 
ottenere 
il 
rinnovo 
del 
titolo 
di 
soggiorno 
e 
non 
lo 
ottiene, 
spesso 
per 
una 
presunta, 
asserita 
insufficienza 
documentale. 
In 
questo 
caso 
molti 
Tribunali 
amministrativi 
hanno 
visto 
nel 
remand 
uno 
strumento 
per 
riavviare 
una 
sorta 
di 
dialogo 
procedimentale 
tra 
l’amministrazione, 
id 
est 
la 
Questura, 
che 
è 
oberata 
nella 
gestione 
di 
simili 
pratiche 
e 
cittadini 
stranieri 
che, 
per 
una 
serie 
di 
motivi, 
spesso 
sono 
poco 
chiari 
nelle 
loro 
domande. 
In 
questo 
senso, 
però, 
il 
remand 
deve 
essere 
sempre 
inteso 
non 
come 
un 
generico 
dire 
all’amministrazione 
«rifai 
tutto», 
cioè 
non 
come 
un 
modo 
per 
buttare 
la 
palla 
in 
tribuna, 
bensì 
occorrono 
ordinanze 
di 
remand 
il 
più 
possibile 
conformative, 
cioè 
invitare 
l’amministrazione 
a 
rideterminarsi 
sulla 
base 
di 
elementi, 
desunti 
dalla 
domanda 
e 
dai 
documenti 
di 
causa. 
Essenziale 
dunque 
l’indicazione, 
nei 
limiti 
delle 
nostre 
possibilità, 
del 
materiale 
probatorio 
sulla 
base 
del 
quale 
le 
amministrazioni 
devono 
rivedere 
il 
procedimento 
e 
riavviare 
una 
sorta 
di 
dialogo. 


Inoltre, 
il 
remand 
non 
deve 
essere 
uno 
strumento 
per 
perdere 
il 
controllo 
della 
causa 
o 
la 
bussola 
del 
processo. 
Infatti, 
usualmente 
nell’ordinanza 
di 
remand 
é 
sempre 
prevista 
la 
nuova 
fissazione 
di 
un’udienza 
ancora 
cautelare 



LEGISLAzIONE 
ED 
ATTUALITà 


e 
solo 
raramente 
al 
remand 
è 
corrisposta 
la 
fissazione 
di 
un’udienza 
pubblica. 


Il 
remand 
deve 
quindi 
avere 
una 
valenza 
quasi 
istruttoria, 
per 
cui 
è 
fissata 
in 
termini 
brevi, 
nell’arco 
di 
pochi 
mesi, 
un’ulteriore 
udienza 
cautelare 
per 
verificare 
se 
questo 
dialogo 
riavviato 
tra 
amministrazione 
e 
cittadino 
straniero, 
magari 
sulla 
base 
di 
documenti 
nuovi, 
ha 
portato 
a 
un 
risultato 
proficuo. 
I 
risultati 
appaiono 
nel 
complesso 
positivi. 
Anzitutto, 
il 
cittadino 
straniero 
risulta 
essersi 
attivato 
più 
e 
meglio 
e 
ha 
portato 
all’attenzione 
del-
l’amministrazione 
documenti 
nuovi 
e 
rilevanti, 
l’amministrazione 
li 
ha 
esaminati 
con 
maggiore 
tempo, 
senza 
essere 
soggetta 
a 
termini 
iugulatori. 
In 
molti 
casi, 
l’amministrazione, 
a 
fronte 
di 
atti 
negativi, 
è 
tornata 
sui 
suoi 
passi 
attraverso 
l’esercizio 
dell’autotutela, 
spesso 
nella 
forma 
della 
revoca, 
per 
cui 
abbiamo 
avuto 
una 
stagione 
in 
cui 
il 
remand 
nella 
materia 
dell’immigrazione, 
così 
com’è 
impostato, 
ha 
avuto 
risultati 
positivi. 
Il 
tutto 
ovviamente 
cercando 
di 
essere 
il 
più 
possibile 
chiari 
nei 
confronti 
dell’amministrazione 
e 
tenendo 
sotto 
controllo 
la 
causa. 
Non 
mancano 
tuttavia 
risultati 
negativi 
all’esito 
del 
remand 
laddove 
talora 
l’amministrazione 
ha 
confermato 
il 
provvedimento 
negativo, 
magari 
arricchendolo 
di 
ulteriori 
argomenti 
e 
quindi 
ciò 
ha 
dilatato 
il 
contenzioso 
(13). 


Su 
altre 
materie 
ci 
vuole 
forse 
una 
maggiore 
prudenza 
nel 
ricorso 
alla 
tecnica 
del 
remand. 
Basti 
pensare 
alla 
possibilità 
di 
realizzare 
opere 
edili 
in 
base 
ad 
un 
remand 
(14). 
A 
fronte 
di 
dinieghi 
ad 
edificare 
da 
parte 
dell’amministrazione, 
o 
perché 
respinta 
la 
domanda 
di 
permesso 
di 
costruire 
o 
perché 
inibita 
una 
SCIA 
che 
non 
conceda 
il 
permesso, 
di 
solito 
l’orientamento, 
se 
non 
si 
riesce 
ad 
arrivare 
a 
una 
sentenza 
di 
forma 
semplificata, 
è 
quello 
di 
fissare 
l’udienza 
di 
merito 
a 
breve, 
ma 
nelle 
more 
di 
impedire 
anche 
la 
realizzazione 
dei 
lavori 
perché 
l’effetto 
in 
tal 
caso 
sarebbe 
del 
tutto 
irreversibile. 
Sono 
infatti 
ben 
note 
le 
difficoltà 
che 
ci 
sono 
in 
tutta 
Italia 
nel 
reprimere 
l’abusivismo 
edilizio. 


Un’altra 
concreta 
tematica 
in cui 
si 
registra 
il 
ricorso al 
remand 
è 
quella 
relativa 
all’installazione 
delle 
antenne 
per 
la 
telefonia 
cellulare. 
A 
fronte 
di 
nuovi 
operatori 
che 
entrano nel 
mercato e 
che 
non si 
accontentano delle 
antenne 
già 
installate, 
sussiste 
la 
richiesta 
di 
aprire 
nuovi 
impianti. 
Oppure 
ci 
sono 
operatori 
che 
vogliono 
passare 
dal 
3G 
al 
famigerato 
5G 
e 
quindi 
chiedono 
di 
potenziare 
l’impianto esistente. In materia 
si 
confrontano due 
spinte: 
le 
imprese 
di 
telefonia 
che 
metterebbero antenne 
quasi 
ovunque 
ed i 
Comuni 
che 


(13) Cfr. T. COCCHI, Sugli 
effetti 
del 
provvedimento dell’amministrazione 
sopravvenuto nel 
corso 
del 
giudizio, anche 
in seguito a decisione 
cautelare 
di 
remand e 
sulla distinzione 
tra cessazione 
della 
materia del 
contendere 
e 
improcedibilità per 
sopravvenuta carenza di 
interesse, in «Il 
Foro Amministrativo
», 2020, 9, 1648-1650. 
(14) T.A.R. Puglia, Lecce, sez. II, 7 gennaio 2009, n. 10. Cfr. M. ANDREIS, Tutela cautelare, diniego 
di provvedimento e remand, in «Urbanistica e appalti», 2009, 5, 630-641. 

RASSEGNA 
AvvOCATURA 
DELLO 
STATO -N. 2/2022 


tendono 
invece 
a 
osservare 
orientamenti 
più 
restrittivi, 
per 
quanto 
la 
giurisprudenza 
di 
solito non è 
molto benevola 
con loro. Sulla 
localizzazione 
delle 
antenne 
si 
registra 
la 
volontà 
dei 
Tribunali 
amministrativi 
attraverso 
il 
remand 
di 
orientare 
le 
documentazioni 
in atto e 
l’amministrazione 
all’impresa, al 
fine 
dell’individuazione di aree suscettibili di essere idonee all’installazione. 

Infine, 
pure 
l’abilitazione 
scientifica 
nazionale 
per 
l’accesso 
ai 
ruoli 
di 
professore 
universitario, che 
ha 
acceso un ampio contenzioso che 
impegna 
significativamente 
il 
T.A.R. del 
Lazio ed il 
Consiglio di 
Stato, ha 
visto i 
giudici 
di 
prime 
cure 
operare 
sovente 
mediante 
remand, ordinando al 
Ministero del-
l’Università 
e 
della 
Ricerca 
di 
rivedere 
la 
valutazione 
negativa 
attraverso una 
commissione 
diversamente 
composta. Al 
contrario, il 
Consiglio di 
Stato sembra 
avere preferito un’altra soluzione (15). 

Non 
occorre 
poi 
obliterare 
il 
nodo 
dei 
ricorrenti 
che 
ottengono 
una 
misura 
cautelare. 
Supponiamo 
che 
vi 
sia 
un 
diniego 
di 
permesso 
di 
costruire: 
a 
fronte 
dell’accoglimento 
della 
sospensione 
degli 
effetti, 
l’amministrazione, 
che 
aveva 
una 
sola 
ragione 
per 
negare 
il 
permesso 
edificatorio, 
non 
avendola 
più, 
rilascerà 
il 
permesso 
di 
costruire. 
Nel 
frattempo, 
però, 
quello 
stesso 
ricorso 
andrà 
a 
sentenza, 
potrà 
essere 
respinto 
perché 
veramente 
sussiste 
una 
ragione 
per 
respingere 
quella 
domanda. 
Ecco 
dunque 
che 
a 
quel 
punto 
l’immobile 
diventa 
abusivo 
a 
fronte 
dell’escamotage 
dei 
ricorrenti 
che 
hanno 
ottenuto, 
prima, 
una 
misura 
cautelare 
e, 
poi, 
un 
provvedimento 
esecutivo, 
dell’amministrazione. 
Il 
tentativo 
sotto 
traccia 
è 
che 
il 
ricorso 
vada 
in 
perenzione 
in 
ricorso 
ovvero 
che 
sia 
dichiarato 
improcedibile, 
sperando 
che 
il 
provvedimento 
che 
si 
reggeva 
sulle 
sabbie 
mobili, 
cioè 
l’ordinanza 
cautelare, 
diventi 
stabile. 
Proprio 
in 
questo 
modo 
sono 
stati 
realizzati 
molti 
edifici 
abusivi 
perché 
i 
locali 
Tribunali 
amministrativi 
rilasciavano 
le 
misure 
cautelari 
propulsive, 
i 
Comuni 
emettevano 
i 
permessi 
per 
le 
autorizzazioni 
paesaggistiche, 
dopo 
di 
che 
quel 
ricorso 
era 
respinto 
perché 
magari 
l’aerea 
era 
inedificabile. 
Ecco 
dunque 
che, 
in 
svariate 
regioni 
d’Italia 
vi 
sono 
centinaia 
d’immobili 
illeciti 
a 
fronte 
proprio 
dell’abuso 
della 
figura 
del 
remand, 
cioè 
della 
figura 
dell’ordinanza 
propulsiva. 
Del 
resto 
se 
il 
collegio 
ritiene 
che 
la 
domanda 
cautelare 
sia 
fondata 
può 
procedere 
con 
la 
redazione 
della 
sentenza 
immediata. 
Perché 
emanare 
le 
ordinanze 
propulsive 
a 
fronte 
della 
convinzione 
che 
il 
ricorrente 
abbia 
ragione? 
Con 
la 
sentenza 
immediata 
si 
possono 
infatti 
evitare 
quegli 
inconvenienti 
che 
in 
un 
quarantennio 
si 
sono 
posti 
con 
le 
citate 
ordinanze 
propulsive. 


La 
tecnica 
del 
remand, 
come 
anticipato, 
deve 
portare 
ad 
una 
nuova 
udienza 
cautelare, una 
sorta 
di 
remand 
“con il 
paracadute” 
senza 
che 
sia 
abbandonato 
al 
suo destino. Se 
l’amministrazione 
si 
pronuncia 
favorevolmente, 


(15) Cfr. P. LAzzARA, La tutela mediante 
“remand” 
in materia di 
abilitazione 
scientifica nazionale, 
in «Il Foro Amministrativo», 2014, 4, 1323-1337. 

LEGISLAzIONE 
ED 
ATTUALITà 


appare 
logico 
che 
il 
ricorso 
sia 
dichiarato 
improcedibile 
per 
sovvenuta 
carenza 
d’interesse. 
La 
materia 
in 
cui 
il 
remand 
viene 
principalmente 
utilizzato 
è 
quella 
in 
cui 
non 
ci 
sono, 
o 
ci 
sono 
pochi 
controinteressati, 
e 
dove, 
soprattutto, 
si 
tratta 
di 
prendere 
in considerazione 
dei 
vizi 
formali: 
la 
materia 
degli 
extracomunitari, 
dei 
porti 
d’armi, dei 
provvedimenti 
di 
polizia 
amministrativa, i 
dinieghi 
ecc., 
in 
cui 
spesso 
l’amministrazione 
dimentica 
la 
fase 
procedimentale, 
cavandosela 
con una 
formuletta 
discutibile, per cui: 
«Non abbiamo dato l’avviso 
di 
avvio del 
procedimento perché 
tanto sappiamo che 
daremo loro torto, 
quindi non ci importa di sapere che cosa ci potrebbero dire». 

La 
frase 
appare 
inconsistente 
laddove 
si 
tratta 
di 
una 
doglianza 
relativa 
ad 
un 
vizio 
di 
tipo 
procedimentale, 
tanto 
più 
se 
il 
ricorrente 
porta 
in 
causa 
una 
serie 
di 
elementi 
che 
possono essere 
idonei 
o inidonei 
a 
far giungere 
l’amministrazione 
ad una 
conclusione 
diversa, ma 
comunque 
utili 
quantomeno a 
imporre 
all’amministrazione 
di 
riflettere. 
Attraverso 
il 
remand, 
non 
di 
rado, 
i 
Tribunali 
amministrativi 
ottengono 
un 
riesame 
approfondito 
a 
fronte 
di 
un’amministrazione 
leale 
che 
con 
attenzione 
riesamina 
la 
fattispecie 
e 
giunge 
a 
conclusioni 
diverse da quelle iniziali. 

Sicuramente 
l’aspetto d’avere 
avanti 
a 
sé 
amministrazioni 
leali, disponibili 
a 
riesaminare 
le 
situazioni 
e 
rispettose 
delle 
nostre 
decisioni, 
risulta 
un 
elemento di 
rilievo. Quindi, appare 
utile 
che 
i 
collegi 
continuino ad utilizzare 
il 
remand, proprio perché 
complessivamente, seppur con prudenza, facendo 
l’ammissione con riserva, si deve poi fare la sentenza in pochi mesi. 

In effetti, è 
proprio la 
consapevolezza 
del 
valore 
del 
tempo nell’ambito 
del 
processo amministrativo che 
ha 
spinto la 
giurisprudenza 
prima, il 
legislatore 
poi, a 
passare 
dalle 
previsioni 
assai 
scarne 
del 
testo unico del 
Consiglio 
di 
Stato e 
della 
legge 
T.A.R. per arrivare 
alla 
l. n. 205 del 
2000 e, infine, all’approdo 
del 
Codice 
del 
2010. 
Quindi, 
siamo 
passati 
da 
previsioni 
tipiche 
che 
sottolineavano la 
strumentalità 
per arrivare 
alla 
previsione 
di 
una 
tutela 
cautelare 
atipica (16) in cui la strumentalità va ad allentarsi (17). 

Particolarmente, 
la 
nuova 
disciplina 
del 
processo 
cautelare 
introdotta 
dall’art. 3 della 
l. n. 205 del 
2000 abbandona 
il 
meccanismo consistente 
nella 
sospensione 
degli 
effetti 
dell’atto, 
in 
favore 
di 
una 
misura 
di 
contenuto 
atipico, 
modellata 
sul 
caso concreto, caratterizzata 
unicamente 
dalla 
idoneità 
ad assicurare 
interinalmente 
gli 
effetti 
della 
futura 
decisione 
sul 
ricorso. A 
fronte 
di 
ciò la 
misura 
cautelare 
si 
mantiene 
strumento con funzione 
conservativa, restando 
precluso 
al 
giudice 
di 
emanare 
personalmente 
il 
provvedimento 
ampliativo 
richiesto, o di 
ordinare 
all’amministrazione 
di 
adottarlo. L’adozione 


(16) 
Cfr. 
A. 
TOGNINI, 
Tutela 
cautelare 
“atipica” 
nella 
giustizia 
amministrativa, 
in 
«Il 
Foro 
toscano 
-Toscana giurisprudenza», 2000, 3, 292-293. 
(17) Cfr. G.C. DI 
SAN 
LUCA, Brevi 
note 
sulla tutela cautelare 
nel 
processo amministrativo dopo 
la entrata in vigore del Codice del 2010, in «Diritto e processo amministrativo», 2015, 4, 1025-1069. 

RASSEGNA 
AvvOCATURA 
DELLO 
STATO -N. 2/2022 


e 
l’esecuzione 
delle 
ordinanze 
c.d. propulsivo-sostitutive 
pone 
vari 
profili 
riguardanti 
i limiti e l’ammissibilità (18). 


Tuttavia 
con il 
remand 
la 
strumentalità 
assume 
degli 
aspetti 
che 
sono un 
po’ 
in contraddizione 
con le 
figure 
tradizionali. Siamo in un momento storico 
in cui 
la 
tutela 
cautelare 
è 
utilizzata 
-di 
fatto -per ottenere 
un merito “breve”. 
Quello a 
cui 
siamo approdati 
è 
infatti 
un momento storico in cui 
tutela 
cautelare 
e 
merito tendono a 
saldarsi 
fra 
loro. L’opera 
dei 
T.A.R. lombardi 
appare 
essere 
stata 
svolta 
nella 
piena 
consapevolezza 
della 
necessità 
di 
conseguire 
il 
principio 
dell’effettività 
della 
tutela 
sulla 
base 
di 
disposizioni 
normative 
estremamente 
scarne, mantenendo un occhio attento al 
Codice 
di 
procedura 
civile. 
In fondo, è 
come 
se 
avesse 
applicato l’art. 39 del 
Codice 
del 
processo amministrativo, 
che 
all’epoca 
non 
sussisteva, 
tuttavia 
i 
suoi 
costanti 
riferimenti 
agli 
istituti 
del 
processo civile 
e, naturalmente, un occhio attento alle 
vicende 
europee 
hanno fatto sì 
che 
si 
approdasse 
a 
quella 
giurisprudenza 
coraggiosa 
e 
pioneristica, 
che, 
non 
sempre 
è 
stata 
apprezzata, 
ma 
che 
però, 
poi, 
e 
lo 
vediamo 
con l’ante causam, è diventata sistema (19). 

È 
stato 
merito 
del 
T.A.R. 
Lombardia, 
sede 
di 
Brescia, 
a 
sollevare 
la 
questione 
pregiudiziale, 
che 
ha 
portato 
poi 
la 
Corte 
di 
giustizia 
UE 
a 
ritenere 
che 
nello 
strumentario 
del 
processo 
amministrativo 
italiano 
dovesse 
essere 
presente 
anche 
una 
tutela 
ante 
causam 
(20). 
La 
Corte 
di 
Lussemburgo 
l’ha 
fatto 
con 
la 
sentenza 
del 
2004 
che 
ha 
sancito 
l’indefettibilità 
della 
tutela 
cautelare 
ante 
causam 
nel 
processo 
amministrativo 
(21). 
La 
Corte 
di 
Giustizia 
UE 
riafferma 
la 
regola 
di 
diritto 
in 
base 
alla 
quale 
l’art. 
2, 
n. 
1, 
lett. 
a), 
della 
direttiva 
n. 
89/665/CEE 
deve 
essere 
interpretato 
nel 
senso 
che 
gli 
Stati 
membri 
sono 
tenuti 
a 
conferire 
ai 
loro 
organi 
contenziosi 
la 
facoltà 
di 
adottare, 
indipendentemente 
dalla 
previa 
proposizione 
di 
un 
ricorso 
di 
merito, 
qualsiasi 
provvedimento 
provvisorio 
compresi 
i 
provvedimenti 
intesi 
a 
sospendere 
o 
a 
far 
sospendere 
la 
procedura 
di 
aggiudicazione 
pubblica 
dell'appalto 
in 
esame 
(22). 
Per 
l’effetto 
smentendo 
così 
la 
Consulta 
che 
riteneva 
irrilevante 
la 
questione 
dell'indefettibilità 
della 
tutela 
cautelare 
ante 
causam 
ai 


(18) Cfr. G.M. DI 
LIETO, 
Limiti 
e 
ammissibilità del 
remand. Tutela cautelare 
degli 
interessi 
pretensivi 
e 
poteri 
del 
giudice, in «I Tribunali 
amministrativi 
regionali», 2002, 3, 205-207 e 
R. GAROFOLI, 
La 
tutela 
cautelare 
degli 
interessi 
negativi. 
Le 
tecniche 
del 
remand 
e 
dell’ordinanza 
a 
contenuto 
positivo 
alla luce 
del 
rinnovato quadro normativo, in «Il 
Diritto processuale 
amministrativo», 2002, 4, 857-905. 
(19) Cfr. A. MEzzOTERO, La tutela cautelare 
ante 
causam 
nel 
processo amministrativo. In attesa 
dell'attuazione 
della 
direttiva 
ricorsi 
n. 
2007/66 
e 
del 
nuovo 
Codice 
del 
processo 
amministrativo, 
in 
«Rassegna 
Avvocatura dello Stato», 2010, 1, 289-409. 
(20) 
Cfr. 
L. 
QUERzOLA, 
La 
parola 
alla 
Corte 
di 
giustizia 
sulla 
tutela 
cautelare 
amministrativa 
ante causam, in «Rivista trimestrale di diritto e procedura civile», 2003, 2, 701-716. 
(21) CGUE, sez. Iv, 29 aprile 
2004, C-202/03. Cfr. P. LAzzARA, (In tema di) provvedimenti 
cautelari 
adottati 
ante 
causam, in «Il 
Foro Amministrativo C.d.S.», 2004, 4, 1003-1005 e 
A. BARONE, Appalti 
pubblici comunitari e tutela cautelare “ante causam”, in «Il Foro italiano», 2004, 11, 541-544. 
(22) Cfr. S. TARULLO, La Corte 
di 
giustizia e 
la tutela cautelare 
ante 
causam 
nel 
processo amministrativo: 
un nodo da sciogliere, in «Giustizia amministrativa», 2004, 3, 562-567. 

LEGISLAzIONE 
ED 
ATTUALITà 


sensi 
della 
Direttiva 
ricorsi 
(23). 
La 
querelle 
della 
tutela 
ante 
causam 
era 
del 
resto 
già 
stata 
posta 
all’esame 
della 
Corte 
di 
Lussemburgo 
con 
la 
pronuncia 
che 
aveva 
evidenziato 
il 
contrasto 
della 
normativa 
greca 
e 
spagnola 
sul 
punto 
nei 
ricorsi 
in 
materia 
di 
procedure 
di 
appalti 
pubblici 
di 
forniture, 
lavori 
e 
servizi 
(24). 


Infatti, 
il 
dibattito 
italiano 
in 
materia 
di 
tutela 
cautelare 
ante 
causam 
è 
stato 
oggetto 
di 
una 
maggiore 
attenzione 
alla 
luce 
della 
riforma 
della 
tutela 
cautelare 
ad 
opera 
della 
l. 
n. 
205 
del 
2000 
che 
ha 
segnato, 
tra 
l’altro, 
l’apertura 
della 
tutela 
cautelare 
a 
misure 
atipiche 
(25), seguendo il 
modello processuale 
civilistico, e 
ha 
recepito gli 
impulsi 
provenienti 
sia 
dall’ordinamento comunitario 
che 
dalla 
giurisprudenza 
interna 
e 
dalla 
dottrina. 
Di 
fatto, 
la 
legge 
sul 
processo amministrativo ha 
lasciato immutato il 
tema 
della 
tutela 
preventiva, 
destinandolo 
al 
dibattito 
giurisprudenziale 
in 
cui 
il 
Consiglio 
di 
Stato 
e 
la 
Corte 
Costituzionale 
da 
una 
parte 
e 
la 
Corte 
di 
Giustizia 
e 
soprattutto il 
TAR Lombardia, 
Sezione 
di 
Milano prima 
e 
Brescia 
poi, dall’altra, hanno ampiamente 
argomentato pur partendo da principi e presupposti diversi (26). 


Infatti, la 
sopra 
richiamata 
sentenza 
europea 
era 
stata 
stimolata 
dall’ordinanza 
del 
TAR Lombardia, sede 
di 
Brescia, n. 76/2003, a 
sua 
volta 
preceduta 
dal 
decreto presidenziale 
n. 189/2003 (27). Questi 
decreti 
sono estremamente 
interessanti 
a 
livello 
di 
tecnica 
redazionale 
della 
motivazione 
posto 
che, 
spesso, nella 
fase 
cautelare 
si 
gioca 
tutto. Nella 
fattispecie, il 
ricorrente 
aveva 
utilizzato 
la 
sospensione 
ante 
causam 
del 
Giudice 
amministrativo 
per 
bloccare 
l'aggiudicazione 
definitiva 
di 
un 
servizio, 
onde 
poter, 
eventualmente, 
ottenere 
la 
reintegrazione 
in forma 
specifica, ma, principalmente, per aver tempo per 
depositare 
il 
gravame, volendo esaminare, mediante 
l’accesso la 
documentazione 
di 
gara: 
l’esigenza 
immediata 
e 
concreta, che 
è 
stata 
strumentalmente 
tutelata 
è, 
quindi, 
quella 
di 
consentire 
l’approntamento 
del 
gravame 
ordinario. 
Tuttavia, nel 
caso in esame 
per rafforzare 
la 
posizione 
della 
ditta 
ricorrente, 
che 
doveva 
procedere 
all’accesso 
degli 
atti, 
non 
si 
può 
omettere 
di 
sottolineare 
come 
lo stesso giudicante 
ha 
finito col 
paralizzare 
l’azione 
della 
P.A., dando 
una 
valenza 
totale 
al 
sospetto di 
irregolarità, prospettato dal 
concorrente 
non 
vincitore. 
Questo 
non 
è 
però 
nella 
logica 
del 
giudizio 
cautelare, 
per 
l’evidente 


(23) 
Cfr. 
D. 
CAMINITI, 
La 
tutela 
preventiva 
nel 
pensiero 
della 
Corte 
di 
giustizia 
e 
nell’ordinamento 
interno: prospettive a confronto, in «Rivista giuridica dell’edilizia», 2004, 5, 1504-1523. 
(24) CGUE, sez. vI, 15 maggio 2003, C-214/00 e 
19 settembre 
1996, sez. v, C-236/95. Cfr. R. 
CARANTA, La tutela cautelare 
ante 
causam 
contro gli 
atti 
adottati 
dalle 
amministrazioni 
aggiudicatrici, 
in «Urbanistica e 
Appalti», 2003, 885-891. 
(25) Cfr. v. PALMISANO, La tutela cautelare 
nel 
“nuovo” 
processo amministrativo, in «Studium 
iuris», 2001, 6, 664-668. 
(26) Cfr. R. LEONARDI, La Corte 
di 
Giustizia interviene 
nel 
controverso dibattito italiano in materia 
di tutela cautelare ante causam, in «Il Foro amministrativo T.A.R.», 2004, 5, 1226-1256. 
(27) 
TAR 
Lombardia, 
Brescia, 
26 
aprile 
2003, 
n. 
76. 
Cfr. 
D. 
DE 
CAROLIS, 
Ancora 
sulla 
tutela 
cautelare 
«ante causam» nel processo amministrativo, in «Urbanistica e appalti», 2002, 7, 1223-1229. 

RASSEGNA 
AvvOCATURA 
DELLO 
STATO -N. 2/2022 


strumentalità 
del 
rimedio 
ante 
causam 
in 
danno 
dell’interesse 
pubblico, 
pur 
sempre immanente al giudizio (28). 

Tuttavia, in quel 
particolare 
momento storico il 
rinvio pregiudiziale 
alla 
Corte 
di 
Giustizia 
UE 
era 
una 
posizione 
non 
facile 
da 
assumere 
perché 
la 
Corte 
costituzionale 
con 
l’ordinanza 
del 
10 
maggio 
2002, 
n. 
179, 
aveva 
chiaramente 
detto che 
non v’era 
alcun bisogno dell’ante 
causam 
laddove 
il 
sistema 
processual-
civilistico giá 
lo prevedeva 
e 
ciascuna 
giurisdizione 
aveva 
la 
sua 
“valigetta 
degli 
attrezzi”, 
commisurata 
al 
tipo 
di 
posizione 
giuridica 
soggettiva 
da 
tutelare 
(29). 
Nell’ambito 
del 
processo 
amministrativo, 
quando 
si 
dovevano 
tutelare 
interessi 
legittimi, era 
più che 
sufficiente 
utilizzare 
gli 
strumenti 
che 
già 
erano in dotazione 
al 
giudice 
(30). Si 
trattava 
dunque 
di 
posizioni 
molto 
coraggiose 
e 
che 
avevano visto financo un conflitto tra 
Corte 
di 
giustizia 
europea 
e Corte costituzionale. 

L’ante 
causam 
appare 
dunque 
uno 
strumento 
importante, 
anche 
se 
di 
fatto 
non viene 
molto utilizzato e 
non si 
farebbero forse 
più battaglie 
per lo stesso. 
Tuttavia, 
l’ante 
causam 
è 
uno 
strumento 
che 
ha 
permesso 
d’incarnare 
un 
certo 
modello di 
magistrato, con riferimento al 
periodo di 
fine 
anni 
Settanta-inizio 
anni 
Ottanta 
del 
secolo scorso. Oggi 
risulta 
abbastanza 
scontato, ma 
in quegli 
anni 
ciò 
ha 
permesso 
di 
configurare 
il 
ruolo 
del 
magistrato 
come 
anello 
di 
congiunzione 
tra 
l’ordinamento interno e 
quello europeo. Il 
tutto senza 
obliterare 
che 
alcuni 
ordinamenti 
già 
conoscevano l’ante 
causam 
molto prima 
di 
quello 
italiano, basti pensare all’ordinamento spagnolo. 

(28) Cfr. D. NAzzARO, La tutela cautelare 
“ante 
causam” 
da parte 
del 
giudice 
amministrativo: 
un eccesso di immediatezza?, in «Il Nuovo diritto», 2005, 1, 55-60. 
(29) 
Cfr. 
v. 
vANACORE, 
Corte 
Costituzionale, 
diritto 
comunitario 
e 
Convenzione 
europea 
dei 
diritti 
dell’uomo: 
una 
difficile 
convivenza 
in 
materia 
di 
norme 
processuali, 
in 
«Giurisprudenza 
italiana», 
2003, 
1, 17-19 e 
D. DE 
CAROLIS, Tutela cautelare 
ante 
causam 
nel 
processo amministrativo: la Corte 
Costituzionale 
mette fine al dibattito?, in «Urbanistica e appalti», 2002, 7, 794-803. 
(30) 
Cfr. 
L. 
QUERzOLA, 
L’atteso 
responso 
della 
Consulta: 
lascino 
ogni 
speranza 
i 
sostenitori 
della 
tutela 
cautelare 
amministrativa 
ante 
causam?, 
in 
«Rivista 
trimestrale 
di 
diritto 
e 
procedura 
civile», 
2002, 4, 1431-1444. 

LEGISLAzIONE 
ED 
ATTUALITà 


I reati informatici o cybercrimes: 
la Legge n. 547 del 1993 


Paolo Giangrosso* 


Prima 
dell'approvazione 
della 
legge 
n. 547 del 
1993 si 
era 
posto il 
problema 
della 
definizione 
delle 
nuove 
figure 
criminose 
e 
delle 
loro riconducibilità 
a 
quelle 
tradizionali. 
La 
questione 
non 
riguardava 
ovviamente 
la 
parte 
fisica 
del 
sistema 
informatico che 
poteva 
essere 
facilmente 
ricondotto alle 
tipiche 
figure 
del 
danneggiamento, 
del 
furto, 
ecc., 
quanto 
piuttosto, 
ed 
in 
primo 
luogo, per le 
attività 
illecite 
commesse 
attraverso l'utilizzo del 
sistema 
informatico 
nonché 
per la 
tutelabilità 
del 
software 
e 
del 
complesso di 
dati 
ed informazioni 
contenute nel sistema informatico stesso. 


Già 
agli 
inizi 
degli 
anni 
ottanta 
si 
erano manifestate 
le 
truffe 
commesse 
per mezzo del 
computer soprattutto a 
danno dei 
sistemi 
bancari, all'epoca 
costituenti 
i 
più 
diffusi 
centri 
di 
elaborazione 
dati. 
Le 
condotte 
tipiche 
penalmente 
rilevanti 
consistevano nell'alterare 
il 
sistema 
di 
trasferimento dei 
fondi 
con cui 
i 
rei 
si 
accreditavano ingenti 
somme 
di 
denaro. Ovviamente 
tali 
fatti 
venivano percepiti 
come 
fatti 
illeciti 
anche 
di 
una 
certa 
gravità 
penalmente 
rilevanti, 
che 
avrebbero potuto integrare 
la 
fattispecie 
della 
truffa 
ma 
ciò non 
era 
possibile 
per mancanza 
degli 
elementi 
essenziali 
quali 
gli 
"artifizi 
e 
i 
raggiri" 
per indurre 
in errore 
una 
persona. Nella 
realtà 
nel 
caso pratico non si 
era 
in presenza 
di 
un'alterazione 
della 
realtà, mancando del 
tutto la 
volontà 
del-
l'uomo, ma 
della 
manomissione 
del 
corretto funzionamento di 
un elaboratore. 


Nonostante 
ciò la 
giurisprudenza 
di 
merito ha 
ritenuto integrante 
il 
reato 
di 
truffa 
di 
cui 
all'art. 640 c.p. nel 
caso riguardante 
l'immissione 
di 
dati 
falsi 
sull'elaboratore 
I.N.P.S. relativi 
a 
contributi 
in realtà 
non versati 
(Trib. Roma, 
20 giugno 1984, Testa 
ed altri), ritenendo, peraltro, che 
in tale 
ipotesi 
il 
soggetto 
tratto 
in 
inganno 
fossero 
i 
dipendenti 
preposti 
al 
controllo 
del 
versamento 
dei contributi e all'esazione degli stessi, e non il computer. 

Ancora 
una 
volta, nel 
caso di 
un dipendente 
di 
Banca 
che 
aveva 
alterato 
l'immissione 
dei 
dati 
facendo 
apparire 
come 
versamenti 
in 
contanti 
versamenti 
che 
in 
realtà 
erano 
avvenuti 
tramite 
assegni, 
per 
occultare 
il 
rischio 
di 
copertura 
che 
da 
tali 
operazioni 
dipende, è 
stato ravvisato il 
reato di 
truffa 
ex art. 640 
c.p., ritenendo soggetti 
tratti 
in inganno coloro che 
erano preposti 
al 
controllo 
della 
banca 
e 
non il 
sistema 
di 
elaborazione 
(Trib. Roma, 14 dicembre 
1985, 
Manenti ed altri) 
(1). 


(*) Dottore in Relazioni internazionali, assistente legale presso l’Avvocatura generale dello Stato. 
Un ringraziamento all’avv. Stato Andrea Fedeli per l’invio dell’articolo alla 
Rassegna. 


(1) Cfr. Relazione 
ministeriale 
del 
Disegno di 
legge 
n. 2773: 
“Modificazioni 
ed integrazioni 
alle 

RASSEGNA 
AvvOCATURA 
DELLO 
STATO -N. 2/2022 


In 
merito 
ai 
reati 
tradizionali 
di 
cui 
agli 
artt. 
635, 
danneggiamento, 
e 
624, 
furto, del 
c.p., si 
era 
posto il 
problema 
della 
materialità 
(2) del 
software, dei 
dati 
e 
di 
tutte 
le 
informazioni 
contenute 
negli 
elaboratori, e 
della 
possibilità 
di 
farli 
ricomprendere 
all'interno della 
categoria 
dei 
beni 
materiali 
oggetto di 
tutela 
da 
parte 
della 
norma 
penale 
incriminatrice 
del 
reato di 
danneggiamento, 


o tra 
le 
"cose 
mobili" 
previste 
dal 
reato di 
furto in quanto l'attività 
tipica 
prevista 
dalla 
norma 
viene 
integrata 
tramite 
duplicazione 
e 
senza 
che 
avvenga 
lo 
"spossessamento" fisico del bene. 
Anche 
in questo caso, però, mentre 
alcuni 
orientamenti 
giurisprudenziali 
e 
dottrinari 
(3) si 
erano espressi 
per l'inapplicabilità 
delle 
norme 
già 
esistenti, 
non potendo ravvisarsi 
nel 
software 
o nei 
dati 
le 
caratteristiche 
di 
materialità 
tipiche 
dei 
beni 
oggetto di 
tutela 
da 
parte 
di 
tali 
disposizioni 
normative, una 
giurisprudenza 
minoritaria 
e 
piuttosto 
isolata, 
e 
parte 
della 
dottrina 
(4) 
avevano 
ritenuto 
applicabili, 
di 
volta 
in 
volta, 
l'art. 
635 
c.p. 
(5), 
l'art. 
392 
c.p. 
(6) 
o 
anche l'art. 420 c.p. (7) attraverso un procedimento analogico. 


norme 
del 
codice 
penale 
e 
del 
codice 
di 
procedura 
penale 
in tema 
di 
criminalità 
informatica” 
(XI legislatura, 
divenuto Legge 23 dicembre 1993, n. 547). 
In proposito, può ancora 
essere 
ricordata 
la 
più recente 
sentenza 
del 
tribunale 
di 
Como, 21 settembre 
1995, in Informaz. prev., 1995, n. 12, 1545, che 
ha 
ritenuto applicabili 
le 
norme 
relative 
(al 
falso in atto 
pubblico -art. 476 c.p. -ed) alla 
tentata 
truffa 
(art. 640 c.p.) ad alterazioni 
dell'archivio informatico del-
l'I.N.P.S commesse prima dell'emanazione della legge in esame. 


(2) Senza 
nulla 
togliere 
all'utilità 
dell'intervento del 
legislatore, mi 
sembra 
doveroso un chiarimento. 
I cosiddetti 
beni 
informatici, ovvero dati, informazioni 
e 
programmi, sono spesso qualificati 
sia 
in dottrina 
che 
in giurisprudenza, come 
"beni 
immateriali". Giuridicamente 
assumono questa 
denominazione 
tutte 
le 
cose 
incorporali 
"che 
sono creazioni 
della 
nostra 
mente, concepibili 
solo astrattamente" 
(A. TORRENTE, Manuale 
di 
diritto privato, Giuffrè, Milano, 1974, pag. 115), e 
la 
cui 
tipica 
espressione 
è 
rappresentata 
dai 
diritti 
sulle 
opere 
dell'ingegno. I dati 
informatici, d'altro canto, non sono affatto "immateriali", 
cioè 
privi 
di 
fisicità, ma 
anzi 
rappresentano delle 
tipiche 
espressioni 
di 
leggi 
fisiche, proprio 
grazie 
alle 
quali 
è 
possibile 
fissarli 
sui 
supporti 
magnetici 
o ottici 
che 
li 
contengono; 
ed anche 
quando 
sono in fase 
di 
elaborazione 
da 
parte 
della 
macchina, sono costituiti 
da 
impulsi 
elettrici 
che 
esprimono 
combinazioni 
di 
simboli 
numerici, quali 
rappresentazioni 
di 
concetti 
(cfr. G. PICA, Diritto penale 
delle 
tecnologie 
informatiche. Computer’s 
crimes 
e 
reati 
telematici, UTET, Torino, 1999, pag. 27). "I dati 
registrabili 
nelle 
memorie 
di 
un computer costituiscono, al 
tempo stesso, sia 
una 
forma 
di 
scrittura 
che 
cose 
materiali 
mobili 
distinte 
dal 
supporto 
che 
li 
contiene. 
Ciò 
spiega 
perché 
essi 
possono 
essere 
oggetto 
sia 
di 
danneggiamento 
(ancorché 
non 
venga 
affatto 
danneggiato 
tale 
supporto), 
sia 
di 
falsificazione, 
come 
può 
avvenire 
per 
qualsiasi 
documento 
scritto" 
(R. 
BORRUSO, 
G. 
BUONOMO, 
G. 
CORASANITI, 
G. 
D’AIETTI, Profili penali dell’informatica, Giuffrè, Milano, 1994, pag. 9). 
(3) In senso critico circa 
l'applicabilità 
dell'art. 420 c.p. al 
caso di 
chi 
tramite 
la 
cancellazione 
o 
l'alterazione 
dei 
programmi 
memorizzati 
in un sistema 
informatico ne 
paralizzi 
il 
funzionamento, L. PICOTTI, 
Commento alla sentenza del 
tribunale 
di 
Firenze, 27 gennaio 1986 
in Diritto dell'informazione 
e dell'informatica, 1986, pag. 962. 
(4) G. CORRIAS 
LUCENTE, Informatica e 
diritto penale: elementi 
per 
una comparazione 
con il 
diritto 
statunitense 
in Diritto dell'informazione 
e 
dell'informatica, 1987, pag. 531; 
G. MARINI, Condotte 
in alterazione 
del 
reale 
aventi 
ad oggetto nastri 
ed altri 
supporti 
magnetici 
e 
diritto penale 
in Riv. it. 
dir. proc. pen., 1986, pag. 381. 
(5) Pret. Torino 23 ottobre 
1989 (in Foro it., 1990, II, 462): 
"Sono configurabili 
gli 
estremi 
del 
delitto 
di 
danneggiamento 
nel 
fatto 
di 
chi, 
mediante 
una 
serie 
di 
istruzioni 
indirizzate 
al 
calcolatore 
elettronico, 
cancelli 
o 
alteri 
alcuni 
programmi 
applicativi 
contenuti 
in 
supporti 
magnetici", 
in 
quanto 
"la 

LEGISLAzIONE 
ED 
ATTUALITà 


Da 
altro 
canto, 
per 
tutti 
quei 
fatti 
che 
ledevano 
il 
software, 
seppur 
con 
oscillazioni, 
si 
sono 
registrate 
diverse 
pronunce 
giurisprudenziali 
(8) 
che 
hanno affermato l'applicabilità 
delle 
disposizioni 
penali 
contenute 
nella 
legge 


n. 633 del 
1941 sul 
diritto d'autore, in particolare 
dell'art. 171, benché 
(prima 
dell'entrata 
in 
vigore 
del 
decreto 
legislativo 
n. 
518 
del 
1992) 
sussistevano 
forti 
dubbi sull'assimilabilità del 
software 
alle opere dell'ingegno. 
va 
da 
ultimo segnalato che 
vi 
sono stati 
anche 
altri 
tentativi 
di 
far ricomprendere 
condotte 
informatiche 
ritenute 
illecite 
all'interno 
delle 
fattispecie 
penali 
già 
esistenti: 
così, 
ad 
esempio, 
si 
è 
ritenuto 
che 
la 
condotta 
illecita 
di 
accesso abusivo ad un sistema 
informatico o telematico potesse 
essere 
ricompreso 
all'interno della 
figura 
del 
reato di 
violazione 
di 
domicilio previsto dal-
l'art. 
614 
c.p., 
mentre 
per 
l'intercettazione 
di 
comunicazioni 
informatiche 
o 
telematiche, si 
è 
sostenuta 
l'applicabilità 
della 
disciplina 
degli 
artt. 617 e 
seguenti. 
va 
tuttavia 
tenuto 
presente 
che 
tali 
applicazioni 
analogiche 
hanno 
fatto 
sorgere 
alcuni 
problemi 
in 
quanto 
l'oggetto 
di 
tutela 
delle 
norme 
incriminatrici 
applicate 
non 
corrispondono 
ai 
beni 
che 
si 
vogliono 
tutelare 
nei 
confronti 
delle 
condotte illecite informatiche. 


Le 
caratteristiche 
tipiche 
della 
materia 
oggetto dei 
reati 
informatici 
necessitavano 
di 
un intervento legislativo e 
la 
prassi 
giurisprudenziale, che 
ha 
tentato di 
estendere 
le 
figure 
tradizionali 
ai 
nuovi 
reati, non ha 
fatto altro che 
confermare 
la 
necessità 
e 
l'urgenza 
di 
tale 
intervento. Il 
rischio era 
quello di 
violare il principio della tassatività della norma penale incriminatrice (9). 

cancellazione 
dei 
nastri 
di 
backup 
e 
l'introduzione 
di 
istruzioni 
nel 
programma 
idonee 
a 
disabilitare 
il 
sistema 
informatico ad una 
data 
prestabilita, rendono inservibile 
il 
sistema 
stesso, comportandone 
l'alterazione 
strutturale 
e 
funzionale"; 
sentenza 
confermata 
in appello, App. Torino 29 novembre 
1990 (in 
Foro it., 1991, II, 228). A 
tale 
conclusione 
si 
era 
pervenuti 
considerando oggetto materiale 
del 
reato 
non 
i 
programmi 
cancellati 
o 
alterati, 
bensì 
il 
sistema 
informatico 
nel 
suo 
complesso, 
definito 
quale 
"connubio indivisibile 
tra 
le 
apparecchiature 
fisiche 
(hardware) e 
i 
programmi 
che 
le 
utilizzano e 
specializzano, 
nonché le basi dati che gli stessi rendono accessibili". 


(6) 
Trib. 
Torino, 
12 
dicembre 
1983 
(in 
Giur. 
it., 
1984, 
II, 
352): 
"Il 
reato 
di 
esercizio 
arbitrario 
delle 
proprie 
ragioni 
specificamente 
si 
concretizza 
ricorrendo, tra 
gli 
altri, il 
requisito di 
violenza 
sulle 
cose: 
il 
danneggiamento di 
un programma 
per elaboratore 
-precisamente 
di 
un bene 
immateriale, nella 
specie di opera dell'ingegno - realizza il suddetto requisito di violenza sulle cose". 
(7) Trib. Firenze, 27 gennaio 1986 (in Foro it., 1986, II, 359): 
"Costituiscono atti 
genericamente 
qualificabili 
di 
'sabotaggio' 
di 
un 
impianto 
di 
elaborazione 
di 
dati, 
quelle 
alterazioni 
magnetiche 
che 
rendono impossibile 
l'accesso e 
l'utilizzo delle 
informazioni 
memorizzate 
in dischi, così 
da 
risultare 
in 
pratica 
distrutte, anche 
se 
il 
danno arrecato ai 
supporti 
debba 
considerarsi 
riparabile 
(nella 
specie, pur 
essendosi 
accertata 
la 
volontaria 
causazione, mediante 
l'uso di 
magneti, di 
numerose 
alterazioni 
e 
manomissioni 
di 
dischi 
in uso presso l'elaboratore 
dati 
del 
centro di 
calcolo di 
un'università, l'imputato è 
stato prosciolto dall'imputazione 
di 
cui 
all'art. 420 c.p., per mancanza 
di 
prove 
circa 
la 
commissione 
del 
fatto da parte sua)". 
(8) Corte di Cassazione, Sez. III, 24 novembre 1986, Pompa. 
(9) Il 
principio di 
tassatività 
(o determinatezza) presiede 
alla 
tecnica 
di 
formulazione 
della 
legge 
penale. Esso sta 
ad indicare 
il 
dovere, per il 
legislatore, di 
procedere, al 
momento della 
creazione 
della 
norma, ad una 
precisa 
determinazione 
della 
fattispecie 
legale, affinché 
risulti 
tassativamente 
stabilito 
ciò che 
è 
penalmente 
lecito e 
ciò che 
è 
penalmente 
illecito; 
e 
conseguentemente, per il 
giudice, di 
non 

RASSEGNA 
AvvOCATURA 
DELLO 
STATO -N. 2/2022 


Pertanto con l'emanazione 
della 
legge 
n. 547 si 
è 
riaffermato 
in primis 
il 
principio 
del 
"nullum 
crimen, 
nulla 
poena 
sine 
lege". 
Non 
di 
meno 
l'intervento 
del 
legislatore 
si 
è 
reso necessario per "adeguare 
la legislazione 
italiana alle 
direttive 
impartite 
da 
organismi 
sopranazionali 
cui 
l'Italia 
aderiva" 
(10). 
Tale 
volontà 
va 
intesa 
non solo quale 
obbligo di 
dover dare 
seguito agli 
impegni 
assunti 
in campo internazionale, ma 
anche 
e 
soprattutto in virtù della 
considerazione 
che 
senza 
un 
coordinamento 
a 
livello 
internazionale 
non 
è 
possibile 
far fronte 
in modo adeguato ad un fenomeno, quale 
quello dei 
cybercrimes, 
che 
è 
tipicamente 
sovranazionale 
(11). Del 
resto, lo stesso legislatore 
del 
'93 
prendeva 
esplicitamente 
atto che 
nell'individuare 
le 
nuove 
fattispecie 
penalmente 
rilevanti 
bisognava 
tener conto non solo di 
tutte 
quelle 
condotte 
dotate 
di 
rilevanza 
penale 
(12), 
ma 
anche 
di 
tutte 
quelle 
ipotesi 
integranti 
fatti 
illeciti 
gravi a livello internazionale. 


"È 
noto infatti 
che, sia ai 
fini 
della estradizione 
che 
di 
altre 
forme 
di 
collaborazione 
giudiziaria penale, è 
di 
regola richiesta la previsione 
bilaterale 
del 
fatto (cosiddetta doppia incriminazione) onde, in mancanza di 
una apposita 
norma incriminatrice, lo Stato italiano dovrebbe 
negare 
la propria cooperazione 
agli 
Stati 
richiedenti 
che 
abbiano già previsto i 
reati 
informatici, 
assenti nella nostra normativa". 


Ai 
fini 
dell'intervento normativo italiano in materia, ha 
assunto, in particolare, 
un ruolo determinante 
la 
Raccomandazione 
"sur 
la criminalité 
en relation 
avec 
l'ordinateur" 
adottata 
dal 
Comitato 
dei 
Ministri 
del 
Consiglio 
d'Europa 
il 
13 settembre 
1989 (13). La 
Raccomandazione 
ha 
posto all'attenzione 
dei 
paesi 
membri 
il 
fenomeno della 
criminalità 
informatica, attraverso 
una 
ricognizione 
completa 
delle 
sue 
diverse 
manifestazioni 
e 
dividendo le 
diverse 
forme 
di 
abuso dell'informatica 
in due 
gruppi, relativi, rispettivamente, 


applicare 
la 
stessa 
a 
casi 
da 
essa 
non espressamente 
previsti. "Il 
principio di 
tassatività 
assicura 
innanzitutto 
la 
certezza 
della 
legge 
per evitare 
l'arbitrio del 
giudice, precludendogli 
la 
possibilità 
di 
punire 
i 
casi 
non 
espressamente 
previsti 
dalla 
legge: 
tanto 
maggiore 
è 
la 
certezza, 
tanto 
minore 
è 
il 
soggettivismo, 
ideologico o caratteriale, del 
giudice" 
(cfr. 
F. MANTOvANI, Diritto penale. Parte 
generale, CEDAM, Padova 
1992, pag. 98). 


(10) Dalla relazione ministeriale citata. 
(11) A 
questo proposito, il 
Consiglio dell'Unione 
Europea 
ha 
recentemente 
ribadito come: 
"Le 
legislazioni 
penali 
nel 
settore 
degli 
attacchi 
ai 
sistemi 
di 
informazione 
devono essere 
ravvicinate 
al 
fine 
di 
garantire 
la 
cooperazione 
giudiziaria 
e 
di 
polizia 
più ampia 
possibile 
nel 
settore 
dei 
reati 
attinenti 
ad 
attacchi 
a 
sistemi 
di 
informazione, e 
di 
contribuire 
alla 
lotta 
contro la 
criminalità 
organizzata 
ed il 
terrorismo". 
Decisione-Quadro 
(approvata 
dal) 
Consiglio 
dell'UE 
presentata 
dalla 
Commissione 
COM 
(2002)173 relativa agli attacchi contro i sistemi di informazione, Bruxelles, 19 aprile 2002. 
(12) La 
relazione 
ministeriale 
non trascura, tra 
l'altro, di 
ricordare 
come, nell'ambito di 
tale 
operazione, 
abbia 
seguito le 
indicazioni 
contenute 
nella 
circolare 
della 
Presidenza 
del 
Consiglio del 
19 dicembre 
1983, ispirate 
ai 
principi 
di 
proporzione 
e 
di 
sussidiarietà, e 
rapportate 
al 
rango dell'interesse 
da 
tutelare 
ed al 
grado dell'interesse 
da 
tutelare 
ed al 
grado dell'offesa 
(principio di 
proporzione) nonché 
alla inevitabilità della sanzione penale, quale ultima 
ratio 
(principio di sussidiarietà). 
(13) Council 
of Europe 
-Recommandation Nº 
R (89) 9, in Riv. Trim. dir. pen. econ., 1992, pag. 
378. 

LEGISLAzIONE 
ED 
ATTUALITà 


alla 
condotte 
che 
gli 
Stati 
erano invitati 
a 
reprimere 
senz'altro con sanzione 
penale 
("lista 
minima") 
(14), 
ovvero 
alle 
condotte 
la 
cui 
repressione 
penale 
era 
lasciata 
alla 
valutazione 
discrezionale 
dei 
singoli 
Stati, non essendosi 
ancora 
registrato un consenso unanime 
sul 
tipo di 
tecnica 
sanzionatoria 
più adeguato 
("lista 
facoltativa") (15). La 
Raccomandazione 
del 
Consiglio d'Europa 
ha 
precinto 
dall'esistenza 
o 
meno 
all'interno 
dei 
Paesi 
membri 
di 
una 
normativa 
ad hoc 
riferita 
ai 
crimini 
informatici, e 
ciò anche 
al 
fine 
di 
evitare 
di 
creare 
i 
cosiddetti 
"paradisi 
informatici", ma 
soprattutto per la 
necessità 
di 
una 
stretta 
collaborazione 
tra 
i 
vari 
ordinamenti 
giuridici 
volti 
a 
reprimere 
un fenomeno 
criminale, a carattere "transnazionale". 


Secondo 
Claudia 
Pecorella 
(16), 
pur 
senza 
riscontro 
alcuno 
all'interno 
della 
relazione 
ministeriale 
al 
disegno 
di 
legge 
n. 
2773, 
il 
nostro 
legislatore 
avrebbe 
ulteriormente 
tenuto 
conto 
delle 
indicazioni 
emerse 
nei 
primi 
anni 
novanta 
nel 
corso 
dei 
colloqui 
preparatori 
del 
Xv 
Congresso 
dell'AIDP 
(Association 
Internationale 
de 
Droit 
Pénal). 
La 
Risoluzione 
finale 
del 
Congresso 
(settembre 
1994) 
confermava, 
in 
sostanza, 
la 
Raccomandazione 
dell'89 
e 
riteneva 
necessario 
estendere 
la 
sanzione 
penale 
anche 
alle 
condotte 
della 
lista 
facoltativa. 
In 
particolare, 
considerando 
i 
gravi 
danni 
che 
i 
programmi 
virus 
sono 
in 
grado 
di 
arrecare 
ai 
sistemi 
informatici 
con 
i 
quali 
vengono 
in 
contatto 
(e 
quindi 
anche 
ai 
dati 
e 
ai 
programmi 
in 
essi 
contenuti), 
veniva 
suggerito 
agli 
Stati 
membri 
di 
valutare 
attentamente 
l'opportunità 
di 
ricorrere 
al 
diritto 
penale 
per 
i 
fatti 
colposi 
in 
un'ottica 
preventiva 
(recklessness 
or 
the 
creation 
of 
dangerous 
risks): 
fatti 
rimasti 
estranei 
alla 
previsione 
del 
Consiglio 
d'Europa, 
incentrata 
sulla 
repressione 
delle 
sole 
condotte 
dolose. 
In 
effetti 
gli 
illeciti 
introdotti 
dalla 
nuova 
normativa 
riguardano 
sia 
le 
ipotesi 
previste 
nella 
lista 
minima 
che 
in 
quella 
facoltativa 
mentre 
è 
rimasto 
estraneo 
all'intervento 
legislativo 
qualsiasi 
riferimento 
ai 
fatti 
colposi 
richiedendo 
il 
legislatore, 
al 
fine 
dell'integrazione 
della 
fattispecie 
costituenti 
reato, 
almeno 
il 
dolo 
generico. 


Il 
legislatore 
tramite 
la 
legge 
n. 547/1993 è 
intervenuto su due 
fronti, sia 
predisponendo 
nuove 
figure 
di 
reato 
all'interno 
del 
codice 
penale 
(entro 
i 
titoli 
XII (17) e 
XIII (18)), sia 
modificando ed adeguando quelle 
esistenti 
affinché 
fossero 
superate 
le 
incertezze 
interpretative 
ed 
applicative 
del 
passato. 
Alcune 


(14) Fatti 
contemplati 
nella 
lista 
minima: 
frode 
informatica, falso informatico, danneggiamento 
dei 
dati 
o programmi 
informatici, sabotaggio informatico, accesso non autorizzato, intercettazione 
non 
autorizzata, riproduzione 
non autorizzata 
di 
un programma 
informatico protetto, riproduzione 
non autorizzata 
di una topografia. 
(15) Fatti 
previsti 
dalla 
lista 
facoltativa: 
alterazione 
dei 
dati 
o dei 
programmi 
informatici, spionaggio 
informatico, utilizzazione 
non autorizzata 
di 
un elaboratore, utilizzazione 
non autorizzata 
di 
un 
programma informatico protetto. 
(16) C. PECORELLA, Il diritto penale dell'informatica, CEDAM, Padova 2000. 
(17) "Delitti contro la persona". 
(18) "Delitti contro il patrimonio". 

RASSEGNA 
AvvOCATURA 
DELLO 
STATO -N. 2/2022 


ipotesi 
sono state, infatti, disciplinate 
da 
norme 
ad hoc 
e 
collocate 
nel 
tessuto 
normativo esistente 
(si 
pensi 
all'articolo 615 ter 
c.p., relativo all'accesso abusivo 
ad un sistema 
informatico o telematico; 
al 
danneggiamento di 
sistemi 
informatici 
o 
telematici, 
previsto 
dall'art. 
635 
bis 
c.p.; 
o, 
ancora, 
alla 
frode 
informatica 
di 
cui 
all'art. 640 
ter 
c.p.); 
in altri 
casi, invece, ci 
si 
è 
limitati 
ad 
una 
mera 
estensione 
di 
fattispecie 
già 
contemplate, 
attraverso 
disposizioni 
che 
dettano definizioni ed introducono concetti nuovi. 

L'estensione 
normativa 
del 
significato di 
nozioni 
già 
presenti 
nel 
codice 
penale 
ha 
di 
fatto 
sollevato 
l'interprete 
dal 
difficile 
compito 
di 
dover 
verificare 
se 
le 
nozioni 
esistenti 
potessero essere 
applicate 
per interpretazione 
estensiva 
alla 
fattispecie 
concreta, di 
fatto violando il 
principio del 
divieto di 
interpretazioni 
analogiche 
vietate 
dal 
diritto 
penale: 
è 
stato 
allora 
definito 
il 
"documento 
informatico" 
(art. 3) ai 
fini 
dell'applicazione 
delle 
norme 
sulla 
falsità 
in atti, il 
"documento" 
ai 
sensi 
della 
disposizione 
dell'art. 621 c.p. (19) (art. 
7), la 
"corrispondenza", ricomprendendovi, accanto a 
quella 
epistolare, telegrafica 
e 
telefonica, 
quella 
"informatica 
o 
telematica 
ovvero 
effettuata 
con 
ogni 
altra 
forma 
di 
comunicazione 
a 
distanza" 
(art. 
5), 
o 
la 
"violenza 
sulle 
cose", quale 
condotta 
che 
può ricadere 
anche 
su un programma 
informatico o 
sul funzionamento di un sistema informatico o telematico (art. 1). 

Occorre 
comunque 
tenere 
presente 
che, 
anche 
se 
da 
una 
parte 
il 
legislatore 
ha 
disciplinato 
esaustivamente 
la 
materia 
introducendo 
nuove 
figure 
criminose 


o 
aggiornando 
ed 
adeguando 
quelle 
esistenti, 
ha 
del 
tutto 
omesso 
di 
fornire 
definizioni 
giuridiche 
e 
tecniche, lasciando alla 
giurisprudenza 
e 
alla 
dottrina 
il 
compito di 
definire 
i 
confini 
dei 
concetti 
quelli, ad esempio, "sistema 
informatico 
o 
telematico", 
"dati", 
"informazioni", 
"programma", 
o 
"operatore 
di 
sistema" 
(20). 
(19) "Rivelazione del contenuto di documenti segreti". 
(20) 
Tecnicamente, 
premesso 
che 
il 
concetto 
di 
"dato" 
ricomprende 
sia 
quello 
di 
informazione 
che 
di 
programma, con questo (o più comunemente 
con "dati", per la 
pluralità 
ontologica 
degli 
stessi) 
si 
intende 
"una 
rappresentazione 
originaria, 
cioè 
non 
interpretata 
(che 
invece 
costituisce 
l''informazione') 
di 
un 
fatto, 
fenomeno 
o 
evento, 
effettuata 
attraverso 
simboli 
(numeri, 
lettere, 
ecc.) 
... 
il 
concetto 
di 
'dato' 
esprime 
una 
registrazione 
elementare 
nella 
memoria 
di 
un 
computer. 
L''informazione', 
intesa 
come 
contenuto 
del 
sistema 
informatico, è 
costituita 
invece 
da 
un insieme 
più o meno vasto di 
dati 
organizzati 
secondo una 
logica 
che 
consenta 
di 
attribuire 
loro un particolare 
significato per l'utente 
della 
macchina. 
Il 
'programma' 
(o 
software), 
infine, 
è 
costituito 
da 
una 
sequenza 
di 
istruzioni 
(costituite 
quindi 
da 
insiemi 
di 
'dati'), espresse 
in linguaggio comprensibile 
dalla 
macchina 
elaboratrice, e 
progettate 
ed assemblate 
insieme 
per 
ottenere 
dalla 
macchina 
il 
compimento 
di 
operazioni 
prestabilite, 
semplici 
o 
complesse" 
(G. PICA, Diritto penale 
delle 
tecnologie 
informatiche. Computer’s 
crimes 
e 
reati 
telematici, cit., pag. 
25). Per una 
definizione 
di 
"sistema 
informatico" 
si 
può ricorrere 
alla 
formulazione 
della 
Corte 
di 
Cassazione: 
"l'espressione 
'sistema 
informatico' 
contiene 
in 
sé 
il 
concetto 
di 
una 
pluralità 
di 
apparecchiature 
destinate 
a 
compiere 
una 
qualsiasi 
funzione 
utile 
all'uomo, attraverso l'utilizzazione 
(anche 
in parte) di 
tecnologie 
informatiche. Queste 
ultime, come 
si 
è 
rilevato in dottrina, sono caratterizzate 
dalla 
registrazione 
(o 'memorizzazione'), per mezzo di 
impulsi 
elettronici, su supporti 
adeguati, di 
'dati', di 
rappresentazioni 
elementari 
di 
un fatto, effettuata 
attraverso simboli 
(bit) numerici 
('codice'), in combinazioni 
diverse; 
tali 
'dati', elaborati 
automaticamente 
dalla 
macchina, generano le 
'informazioni' 
costituite 
'da 

LEGISLAzIONE 
ED 
ATTUALITà 


Le 
motivazioni 
di 
tale 
scelta 
sono 
espressamente 
dichiarate 
nella 
relazione 
al 
disegno di 
legge 
n. 2773, ove 
si 
specifica 
che: 
"si 
è 
preferito modificare 
il 
codice 
piuttosto che 
creare 
una legge 
speciale 
nell'ambito del 
più ampio disegno 
di 
politica 
penale 
volto 
ad 
arginare 
la 
sempre 
più 
marcata 
tendenza 
alla decodificazione; inoltre, si 
è 
scelto di 
non creare 
un nuovo titolo del 
codice 
nella convinzione 
che 
la particolarità della materia non costituisse 
una 
ragione 
sufficiente 
in tal 
senso, dal 
momento che 
le 
figure 
da introdurre 
sono 
apparse 
subito soltanto quali 
nuove 
forme 
di 
aggressione, caratterizzate 
dal 
mezzo o dall'oggetto materiale 
(21), a beni 
giuridici 
(patrimonio, fede 
pubblica, 
eccetera) già oggetto di 
tutela nelle 
diverse 
parti 
del 
corpo del 
codice" 
(22). 
Parte 
della 
dottrina 
(23) 
si 
è 
schierata 
a 
favore 
di 
tale 
scelta 
del 
legislatore 
che 
ha 
rinunciato 
a 
creare 
l'ennesima 
legge 
speciale 
vagante 
nell'ordinamento. 
Secondo 
tale 
filone 
dottrinale, 
infatti, 
l'espandersi 
della 
normativa 
penale 
speciale 
non fa 
altro che 
creare 
confusione 
ed instabilità 
all'interno del 
sistema, 
sotto la spinta di centri di interesse settoriali (24). 


Dall'altro 
canto 
secondo 
altri 
autori 
(25) 
la 
materia 
sarebbe 
dovuta 
essere 


un insieme 
più o meno vasto di 
dati 
organizzati 
secondo una 
logica 
che 
consenta 
loro di 
attribuire 
un 
particolare 
significato per l'utente'" 
(Corte 
di 
Cassazione, Sez. vI Pen., Sent. 4 ott. -14 dic. 1999, n. 
3067, in Riv. Cassazione 
penale, pag. 2990.) Inoltre, il 
sistema 
informatico assume 
la 
denominazione 
di 
"sistema 
telematico" 
allorché 
l'elaboratore 
sia 
collegato a 
distanza 
con altri 
elaboratori, attraverso le 
vie 
di 
telecomunicazione. 
Nonostante 
il 
legislatore 
abbia 
voluto 
eliminare 
ogni 
dubbio 
al 
riguardo, 
menzionando 
espressamente 
anche 
i 
sistemi 
telematici, 
è 
pacifico 
che 
questi 
ultimi 
siano 
già 
ricompresi 
nella 
categoria 
generale 
dei 
"sistemi 
informatici"; 
in tal 
senso, R. BORRUSO, G. BUONOMO, G. CORASANITI, 
G. D’AIETTI, op. cit., pag. 8. Infine, per "operatore 
di 
sistema", concetto che 
verrà 
approfondito in 
sede 
di 
analisi 
del 
reato di 
accesso abusivo (art. 615 ter 
c.p.), deve 
intendersi 
qualsiasi 
soggetto che, 
operando sul 
sistema, abbia 
potuto realizzare 
la 
condotta 
incriminata, in virtù di 
quelle 
conoscenze 
specifiche 
maturate nell'ambito delle mansioni cui era preposto. 


(21) 
L'oggetto 
materiale 
del 
reato, 
o 
meglio, 
della 
condotta 
consiste 
nell'entità 
fisica 
(es. 
cadavere, 
ex art. 410 c.p.) o non fisica 
(es. segreto, ex art. 622 c.p.) su cui 
cade 
la 
condotta 
tipica 
(cfr. F. MANTOvANI, 
Diritto penale. Parte generale, cit., pag. 170). 
(22) Diversa, invece, la 
soluzione, ad esempio, apprestata 
dall'ordinamento francese: 
la 
legge 
5 
gennaio 1988 n. 88-19 aveva 
inserito nel 
testo previgente 
del 
codice 
penale 
un nuovo capo III nel 
titolo 
II del 
Libro terzo, ma 
il 
principio dell'autonomia 
delle 
disposizioni 
in tema 
di 
criminalità 
informatica 
è 
stato rispettato anche 
dal 
codice 
penale 
francese 
attualmente 
in vigore, nel 
cui 
libro terzo, in corrispondenza 
del 
titolo II, è 
inserito il 
capo III sulle 
lesioni 
del 
sistema 
di 
elaborazione 
automatizzato di 
dati 
(artt. 323.1 -323.7), mentre 
il 
capo vI del 
titolo II del 
libro II concerne 
le 
lesioni 
dei 
diritti 
della 
personalità 
risultanti 
dalle 
schede 
o 
dalle 
elaborazioni 
informatiche 
(artt. 
226.16 
-226.24); 
il 
falso 
informatico, 
invece, 
è 
stato 
ricondotto 
in 
via 
interpretativa 
al 
generico 
reato 
di 
falso 
documentale, 
definito 
come 
"ogni 
alterazione 
fraudolenta 
della 
verità, 
tale 
da 
cagionare 
un 
danno 
e 
realizzata 
tramite 
qualsiasi 
mezzo, 
in uno scritto o in un altro supporto dell'espressione 
del 
pensiero che 
abbia 
per oggetto o che 
sia 
idoneo 
a fondare un diritto o un fatto avente conseguenze giuridiche" (art. 441.1). 
(23) F. BERGHELLA, R. BLAIOTTA, Diritto penale 
dell'informatica e 
dei 
beni 
giuridici 
in Riv. Cassazione 
Penale, 
1995, 
pag. 
2330; 
G. 
PICA, 
Diritto 
penale 
delle 
tecnologie 
informatiche. 
Computer’s 
crimes 
e reati telematici, cit. 
(24) In tal senso F.C. PALAzzO. 
(25) Tra 
gli 
altri, G. PICA, Computer 
crimes 
e 
uso fraudolento delle 
nuove 
tecnologie, Seminario 
di 
studi, Roma 
15 dicembre 
2000; 
v. MILITELLO, Nuove 
esigenze 
di 
tutela penale 
e 
trattamento elettronico 
delle 
informazioni, in Riv. trim. dir. pen. econ., 1992, pag. 364 e 
ss.; 
D. FONDAROLI, Osservazioni 

RASSEGNA 
AvvOCATURA 
DELLO 
STATO -N. 2/2022 


trattata 
separatamente 
sia 
per poter riconoscere 
il 
valore 
dei 
nuovi 
beni 
giuridici 
tutelati 
sia 
per evitare 
che 
tali 
nuovi 
valori 
giuridici 
vengano fossilizzati 
all'interno di 
categorie 
concettuali 
proprie 
di 
altre 
realtà 
giuridiche 
e 
ormai, a 
volte, superate. 

I 
nuovi 
reati 
di 
criminalità 
informatica 
sono 
stati 
interpretati 
in 
chiave 
tradizionale, 
respingendo 
la 
tutela 
penale 
delle 
informazioni, 
teoria 
che 
si 
basa 
sul 
diritto delle 
informazioni 
e 
dell'informatica, quale 
grandezza 
a 
sè 
che 
rappresenta 
oltre 
che 
un 
bene 
giuridico 
meritevole 
di 
tutela 
anche 
una 
nuova 
fonte 
di 
pericoli. Sempre 
secondo tale 
teoria, gran parte 
dei 
reati 
afferenti 
alla 
sfera 
dei 
cosiddetti 
computer 
crimes 
consisterebbe 
nella 
violazione 
di 
detto diritto. 
Tale 
teoria 
permette 
di 
superare 
la 
distinzione 
tra 
beni 
materiali 
e 
immateriali 
ma 
crea 
ulteriori 
problemi 
allorquando 
si 
tratta 
di 
tutelare 
il 
proprietario 
o 
possessore 
dell'informazione 
e 
dei 
diritti 
della 
personalità 
dei 
soggetti 
cui 
l'informazione 
si riferisce (26). 


Secondo autorevole 
dottrina 
il 
problema 
reale 
di 
tutta 
la 
materia 
rimane 
quello 
di 
stabilire 
lo 
status 
giuridico 
da 
attribuire 
all'informazione 
che 
andrebbe 
elevata 
a 
bene 
giuridico di 
rango costituzionale 
e, su questa 
premessa, 
garantita da un'autonoma tutela penale (27). 


Inoltre 
è 
stata 
mossa 
un'ulteriore 
critica 
alla 
scelta 
del 
legislatore 
in 
quanto 
la 
materia 
è 
stata 
inserita 
sistematicamente 
in un codice 
penale 
che 
non è 
al 
passo coi 
tempi, pertanto inappropriato ad accogliere 
una 
materia 
tanto innovativa 
che 
poggia 
su 
categorie 
concettuali 
preesistenti 
e 
vetuste. 
Basti 
pensare 
che 
tutto l'impianto codicistico relativo alla 
proprietà 
si 
basa 
su un concetto 
di 
diritto di 
proprietà 
tipico dell'Ottocento che 
ha 
subito nel 
corso degli 
anni 
svariate 
novelle 
per 
adeguarsi 
all'evoluzione 
dei 
nuovi 
reati 
patrimoniali. 
Inoltre 
la 
particolarità 
della 
materia 
dei 
reati 
informatici 
presume 
non 
solo 
categorie 
giuridiche 
nuove 
ma 
anche 
e 
soprattutto 
nuovi 
modi 
di 
commissione 
dei 
reati 
che 
trascendono 
le 
condotte 
tipiche 
previste 
all'interno 
del 
codice 
penale. 


Tutte 
queste 
problematiche 
si 
palesano allorquando ci 
si 
riferisce 
alla 
distinzione 
tra 
falso ideologico e 
falso materiale 
che 
in campo informatico non 
ha senso di esistere. 


Al 
contrario 
il 
supporto 
informatico 
-che 
contiene 
i 
documenti 
elettronici 


-può, invece, essere 
separato in qualsiasi 
momento dal 
contenuto, e 
cioè 
dal 
intorno ad alcune 
delle 
norme 
contenute 
nella recente 
normativa italiana sui 
computer 
crimes 
in La 
nuova 
normativa 
in 
tema 
di 
criminalità 
informatica: 
alcune 
riflessioni 
(L. 
SOLA, 
D. 
FONDAROLI), 
Clueb, 
Bologna, 1995, pag. 20. 


(26) Sulla 
necessità 
di 
una 
generale 
rielaborazione 
della 
teoria 
giuridica, che 
riconosca 
il 
centrale 
rilievo oggi 
assunto dal 
bene 
"informazione" 
e 
dalle 
relative 
tecniche 
di 
trattamento e 
circolazione, cfr., 
nell'ambito della 
dottrina 
penalistica, U. SIEBER, La tutela penale 
dell'informazione. 
Relazione 
generale 
sul 
tema 
"Criminalità 
dei 
computer" 
tenuta 
al 
XIII Congresso internazionale 
di 
diritto comparato, Montreal 
1990, in Riv. trim. dir. pen. econ., 1991, pagg. 485-499; 
nonché 
L. PICOTTI, Studi 
di 
diritto penale 
dell'informatica, stampato a cura dell'autore, verona 1992, pagg. 3 ss. 
(27) A. MONTI, Computer crimes, un'occasione perduta 
in ICT LEX, maggio 1995. 

LEGISLAzIONE 
ED 
ATTUALITà 


documento 
che 
contiene, 
ed 
è 
in 
grado 
di 
ricevere 
migliaia 
o 
addirittura 
milioni 
di 
documenti 
contemporaneamente. Purtroppo il 
legislatore 
del 
1993 non si 
è 
preoccupato di 
sanare 
tali 
incongruenze 
spinto dall'unico obiettivo di 
riuscire 
a 
collocare 
i 
nuovi 
reati 
all'interno 
della 
sistematica 
del 
codice, 
creando 
un 
nuovo 
concetto 
di 
"documento 
informatico" 
(quale 
"supporto 
informatico 
contenente 
dati 
o informazioni 
aventi 
efficacia 
probatoria": 
art. 491-bis 
c.p.) non 
solo inutile, ma 
anzi 
pericoloso per l'applicazione 
della 
normativa 
penale 
già 
esistente 
agli 
eventuali 
reati 
di 
falso 
informatico 
(polarizzando 
il 
fatto 
di 
reato 
su un’ipotesi 
concreta 
in realtà 
insussistente), e 
poi 
smentito dalla 
normativa 
successiva. 


Di 
tale 
importante 
diversità 
strutturale 
tra 
documento 
cartaceo 
e 
documento 
informatico si 
è 
occupato il 
legislatore 
del 
1997 che 
tramite 
il 
regolamento 
approvato con d.P.R. il 
10 novembre 
1997 n. 513 (28) ha 
finalmente 
identificato il 
"documento informatico" 
non nel 
"supporto", bensì 
nella 
"rappresentazione 
informatica di 
atti, fatti 
o dati 
giuridicamente 
rilevanti" 
(art. 1, 
lettera 
a), 
e 
cioè, 
in 
altri 
termini, 
nei 
"dati" 
(29). 
Se 
il 
legislatore 
del 
1993 
avesse 
omesso di 
fornire 
una 
definizione 
di 
documento informatico, e 
si 
fosse 
limitato 
ad 
affermare 
che 
era 
applicabile 
la 
normativa 
vigente 
in 
materia 
avrebbe 
creato meno confusione 
e 
si 
avrebbe 
avuto un'applicazione 
della 
materia 
più conforme alla realtà (30). 


Anche 
la 
semplice 
estensione 
degli 
oggetti 
di 
tutela 
senza 
accompagnare 
la 
modifica 
delle 
modalità 
di 
commissione 
ha 
di 
fatto reso per certi 
versi 
vano 
l'intenzione 
del 
legislatore 
creando non pochi 
problemi 
applicativi. Così 
operando, 
infatti, 
sembra 
che 
il 
legislatore 
non 
si 
sia 
accorto 
"di 
un 
duplice 
rischio: 
aver, 
da 
un 
lato, 
trascurato 
gli 
effetti 
erosivi, 
per 
la 
determinatezza 
dei 
concetti 
tradizionali, della loro estensione 
ad ipotesi 
del 
tutto eterogenee, che 
hanno 
in comune 
solo un'analoga funzione, mentre 
del 
tutto distinti 
restano gli 
specifici 
elementi 
costitutivi, alla cui 
stregua si 
decide 
della tipicità dei 
'nuovi' 
fatti 
incriminati; 
e, 
dall'altro, 
aver 
sottovalutato 
il 
profondo 
condizionamento, 
che 
tale 
diversità 
contenutistica 
degli 
'oggetti 
materiali' 
delle 
condotte 
esercita 
sulla stessa struttura o modalità esecutiva di 
queste, fino al 
punto da porne 
in 


(28) Regolamento attuativo della legge n. 59/97, legge Bassanini. 
(29) 
Tale 
nozione 
è 
stata 
confermata 
dal 
più 
recente 
d.P.R. 
n. 
445/2000 
che 
ha, 
tra 
l'altro, 
abrogato 
il decreto citato. 
(30) Cfr. 
G. 
PICA, 
Computer 
crimes 
e 
uso 
fraudolento 
delle 
nuove 
tecnologie, 
cit. 
Secondo 
Picotti, 
"Il 
nuovo art. 491 bis 
si 
configura 
come 
mera 
norma 
di 
rinvio sia 
per quanto concerne 
le 
pene, sia 
per 
quanto 
concerne 
la 
tipizzazione 
dei 
diversi 
fatti 
punibili: 
con 
il 
risultato 
che 
vengono 
indiscriminatamente 
duplicate 
oltre 
una 
ventina 
di 
figure 
delittuose 
-molte 
delle 
quali 
già 
risultanti 
da 
norme 
a 
loro volta 
'estensive', quali 
gli 
artt. 489 (uso di 
atto falso) e 
490 (soppressione 
di 
atti 
veri) c.p. -di 
cui 
si 
era 
da 
tempo 
criticata 
l'esasperazione 
analitica 
ed 
auspicata, 
perciò, 
una 
complessiva 
riforma, 
che 
semplificasse 
e 
riducesse 
il 
troppo frastagliato quadro normativo, se 
non altro per limitare 
le 
frequenti 
occasioni 
d'incertezza 
e 
dubbio emerse 
in sede 
applicativa" 
(cfr. L. PICOTTI, Commento all'art. 3 della legge 
n. 547 
del 1993 
in Legislazione penale, 
1996, pag. 71). 



RASSEGNA 
AvvOCATURA 
DELLO 
STATO -N. 2/2022 


discussione, in molti 
casi, la concreta compatibilità o configurabilità logico-
giuridica" (31). 


Quando agli 
inizi 
degli 
anni 
Novanta 
si 
era 
intensificato il 
dibattito sull'esigenza 
di 
dare 
una 
regolamentazione 
giuridica 
alla 
materia 
per definire 
gli 
ambiti 
di 
leicità 
e 
non liceità, tra 
gli 
addetti 
ai 
lavori 
si 
era 
diffusa 
l'idea 
che 
era 
impossibile 
emanare 
una 
normativa 
che 
fosse 
in grado di 
regolare 
la 
materia 
perchè 
troppo 
in 
continua 
evoluzione 
con 
il 
rischio 
di 
trovarsi 
al 
momento 
dell'emanazione 
già 
indietro coi 
tempi. Tale 
scetticismo, inoltre, era 
accompagnato 
dall'idea 
che 
senza 
la 
previsione 
di 
un 
adeguamento 
continuo 
della 
normativa 
si 
sarebbe 
potuto limitare 
e 
danneggiare 
lo sviluppo della 
materia 
e, pertanto, si 
era 
pensato di 
non formare 
la 
materia 
riguardante 
internet 
ma 
di 
lasciarla all'autoregolamentazione spontanea. 


Ovviamente 
tali 
posizioni 
non 
erano 
condivisibili 
sia 
perchè 
è 
dovere 
del 
legislatore 
regolare 
quei 
fatti 
che 
incidono su beni 
giuridici 
primari 
della 
collettività 
sia 
perchè 
lasciare 
alla 
prassi 
il 
compito di 
regolare 
i 
rapporti 
tra 
i 
cittadini 
significa lasciare che sia il più forte a prevalere. 


Infatti 
i 
problemi 
avanzati 
dai 
tecnici 
del 
settore 
hanno posto in evidenza 
l'aspetto più critico che 
la 
riforma 
legislativa 
si 
è 
trovata 
ad affrontare 
nel 
riuscire 
a 
cristallizzare 
in 
norme 
giuridiche 
concetti 
e 
tecnologie 
in 
continuo 
mutamento, 
riuscire 
cioè 
a 
creare 
una 
normativa 
che 
benché 
prevedesse 
in 
astratto 
comportamenti 
tipici 
tali 
da 
integrare 
la 
fattispecie 
penalmente 
rilevante 
fosse 
in grado comunque di adeguarsi tempestivamente all'evoluzione in materia. 


In 
pratica 
il 
legislatore 
avrebbe 
dovuto 
approfondire 
le 
conoscenze 
in 
campo 
tecnologico 
al 
fine 
di 
riuscire 
a 
formare 
in 
modo 
efficace, 
cosa 
che 
evidentemente 
non 
è 
avvenuta 
visto 
lo 
scarso 
risultato 
avuto 
dalla 
legge 
emanata 
(32). 


(31) L. PICOTTI, Commento all'art. 5 della legge 
n. 547 del 
1993, in Legislazione 
penale 
1996, 
pag. 109. 
(32) 
Tra 
le 
diverse 
opinioni 
espresse 
sulla 
legge 
547 
si 
possono 
citare 
le 
seguenti: 
"È 
una 
legge 
che 
utilizza 
la 
tecnica 
del 
'taglia 
e 
incolla', 
cioè 
aggiunge 
gli 
aggettivi 
'informatica 
e 
telematica' 
a 
fattispecie 
tipiche 
del 
codice 
penale, 
senza 
però 
addentrarsi 
in 
una 
specifica 
analisi 
di 
beni 
giuridici 
tutelati 
e 
di 
comportamenti 
criminosi 
reali. 
Sembra 
davvero 
essere 
stata 
concepita 
da 
persone 
all'oscuro 
della 
realtà 
pratica 
dell'informatica. 
Di 
fronte 
alle 
tematiche 
di 
Internet 
tale 
legge 
è 
assolutamente 
inadeguata. 
È 
stato 
adeguato 
il 
codice 
penale 
incollando 
qua 
e 
là 
la 
dizione 
'informatica 
e 
telematica', 
riprendendo 
i 
reati 
di 
attentato, 
esercizio 
abusivo 
delle 
proprie 
ragioni, 
accesso 
illecito, 
intercettazione 
illecita, 
frode 
informatica. 
Le 
pene 
sono 
spropositatamente 
alte 
per 
comportamenti 
magari 
innocui 
sul 
piano 
pratico, 
ed 
estremamente 
basse 
quando, 
come 
nel 
caso 
di 
frodi 
internazionali 
o 
di 
danneggiamenti 
ai 
sistemi, 
i 
danni 
sono 
enormi. 
Infine, 
la 
legge 
non 
si 
pone 
per 
nulla 
problemi 
pratici 
di 
enorme 
rilevanza, 
come 
ad 
esempio 
chi 
debba 
essere 
il 
giudice 
competente. 
Sul 
problema 
delle 
intercettazioni, 
anche 
qui 
il 
legislatore 
ha 
usato 
il 
'cut 
and 
paste' 
mutuando 
la 
norma 
sulle 
intercettazioni 
telefoniche, 
ma 
il 
vero 
problema 
è 
l'accesso 
ai 
dati 
del 
server, 
ai 
dati 
identificativi 
delle 
comunicazioni 
usate 
in 
concreto. 
Il 
tutto 
con 
molteplici 
problemi 
aggiunti, 
come 
la 
conservazione 
dei 
dati 
oltre 
un 
certo 
periodo 
o, 
in 
caso 
di 
accertato 
illecito, 
di 
cooperazione 
internazionale 
per 
identificare 
gli 
autori 
delle 
frodi" 
(G. 
CORASANITI, 
La 
tutela 
penale 
dei 
sistemi 
informatici 
e 
telematici, 
Relazione 
presentata 
al 
Convegno 
Nazionale 
su 
“Informatica 
e 
riservatezza” 
del 
CNUCE 
Pisa 
26/27 
settembre 
1998 
in 
Privacy.it). 
"Per 
la 
tecnica 
verbosa 
e 
approssimativa 
le 
due 
suddette 
leggi, 

LEGISLAzIONE 
ED 
ATTUALITà 


Ulteriori 
critiche 
possono 
essere 
mosse 
sul 
piano 
della 
scelta 
dei 
beni 
giuridici 
tutelati, basti 
pensare 
che 
l'accesso abusivo ad un sistema 
informatico è 
stato ricondotto ad un'ipotesi 
di 
violazione 
di 
domicilio, oppure 
il 
reato di 
diffusione 
di 
programmi 
diretti 
a 
danneggiare 
o interrompere 
un sistema 
informatico 
che 
è 
stato 
inserito 
tra 
i 
reati 
contro 
l'inviolabilità 
del 
domicilio 
quando, 
invece, 
sarebbe 
stato 
più 
coerente 
inserirlo 
tre 
i 
delitti 
contro 
il 
patrimoni, 
trattandosi 
di 
una 
fattispecie 
preventiva 
del 
delitto di 
danneggiamento. E 
ancora 
criticabile 
appare 
la 
scelta 
lessicale 
dove 
l'attaccamento rituale 
a 
formule 
tradizionali 
non ha 
permesso di 
mettere 
a 
fuoco i 
tratti 
originali 
della 
nuova 
fenomenologia 
allorquando per esempio negli 
art. 615 ter 
c.p. e 
635 bis 
c.p. si 
utilizzano termini 
che 
si 
riferiscono alla 
modificazione 
della 
realtà 
delle 
cose 
poco appropriate in riferimento al mondo dell'informatica. 


lastricate 
di 
buone 
intenzioni, 
costituiscono 
uno 
dei 
ricorrenti 
esempi 
di 
come 
non 
si 
dovrebbe 
legiferare" 
(riferito 
agli 
artt. 
615 
ter 
e 
615 
quater) 
(F. 
MANTOvANI, 
Diritto 
penale. 
Parte 
speciale, 
I, 
Delitti 
contro 
la 
persona, 
CEDAM, 
Padova 
1995, 
pag. 
415). 
"È 
spesso 
contraddittoria 
e, 
in 
qualche 
caso, 
di 
fatto 
inapplicabile 
... 
sembra 
potersi 
affermare 
che 
forse 
qualche 
buona 
occasione 
per 
fare 
una 
legge 
migliore 
è 
stata 
persa 
... 
Il 
sonno 
della 
ragione 
genera 
mostri" 
(S. 
CHICCARELLI, 
A. 
MONTI, 
Spaghetti 
hacker, 
1997, 
pag. 
225). 



ContributiDiDottrinA
La riforma del processo civile e dei meccanismi preventivi 
ed alternativi del giudizio. Analisi e rilievi delle principali 
novità contenute nel D.L.vo 10 ottobre 2022 n. 149 


Michele Gerardo* 


Sommario: 
1. 
introduzione 
-2. 
aspetti 
generali 
dei 
contenuti 
della 
riforma 
-3. 
aumento 
della 
competenza 
per 
valore 
del 
giudice 
di 
pace 
relativamente 
al 
diritto 
transitorio 
(e 
sostituzione 
del 
rito 
dinanzi 
al 
giudice 
di 
pace: 
procedimento 
semplificato 
di 
cognizione 
in 
luogo 
del 
procedimento 
ordinario 
di 
cognizione) 
-4. 
modifica 
della 
disciplina 
circa 
il 
rilievo 
del 
difetto 
di 
giurisdizione 
-5. 
ampliamento 
delle 
cause 
rimesse 
alla 
cognizione 
del 
tribunale 
in 
composizione 
monocratica, 
con 
sottrazione 
alla 
cognizione 
del 
tribunale 
in 
composizione 
collegiale 
-6. 
modalizzazione 
della 
disciplina 
del 
principio 
del 
contraddittorio 
-7. 
Previsione 
espressa 
che 
gli 
atti 
del 
processo 
devono 
essere 
redatti 
in 
modo 
chiaro 
e 
sintetico, 
con 
previsione 
anche 
di 
limiti 
massimi 
dimensionali. 
Conseguenze 
della 
violazione 
delle 
regole 
sulla 
redazione 
-8. 
Udienza 
mediante 
collegamenti 
audiovisivi 
a 
distanza 
(udienza 
c.d. 
telematica) 
ed 
udienza 
sostituita 
dal 
deposito 
di 
note 
scritte 
(udienza 
c.d. 
cartolare) 
-9. 
Disposizioni 
contenenti 
misure 
manutentive 
della 
disciplina 
della 
notificazione 
-10. 
modificazione 
del 
contenuto-forma 
dell’atto 
di 
citazione 
e 
aumento 
del 
termine 
per 
comparire 
e 
del 
termine 
per 
la 
costituzione 
tempestiva 
del 
convenuto 
-11. 
Verifiche 
preliminari 
funzionali 
alla 
corretta 
instaurazione 
del 
contraddittorio 
e 
definizione 
dell’oggetto 
del 
giudizio 
(con 
la 
fissazione 
definitiva 
delle 
domande 
e 
delle 
eccezioni 
processuali 
e 
di 
merito 
che 
non 
siano 
rilevabili 
di 
ufficio) 
e 
delle 
richieste 
istruttorie 
-12. 
Snellimento 
della 
udienza 
per 
la 
prima 
comparizione 
delle 
parti 
e 
trattazione 
della 
causa 
-13. 
Definizione 
semplificata 
del 
giudizio 
a 
mezzo 
di 
ordinanza 
-14. 
Semplificazione 
(apparente) 
della 
rimessione 
della 
causa 
per 
la 
decisione 
-15. 
inserimento 
-quale 
giusta 
sedes 
materiae 
-del 
processo 
sommario 
di 
cognizione 
(ridenominato 
“procedimento 
semplificato 
di 
cognizione”) 
nel 
secondo 
libro 
del 
codice 
di 
rito 
e 
sua 
scelta 
quale 
atto 
introduttivo 
nei 
procedimenti 
dinanzi 
al 
Giudice 
di 
Pace 
-16. 
modificazione 
dei 
presupposti 
e 
delle 
modalità 


(*) Avvocato dello Stato. 



RASSEGnA 
AvvoCAtuRA 
DELLo 
StAto -n. 2/2022 


della 
sospensione 
dell’efficacia 
esecutiva 
o 
dell'esecuzione 
della 
sentenza 
impugnata 
-17. 
restyling 
del 
contenuto-forma 
dell’atto 
di 
appello 
-18. 
Eliminazione 
della 
pronuncia 
di 
inammissibilità 
dell’appello 
quando 
l’impugnazione 
non 
ha 
una 
ragionevole 
probabilità 
di 
essere 
accolta 
-19. 
adeguamento 
dell’iter 
alla 
complessità/semplicità 
delle 
problematiche 
agitate, 
previsione 
dell’adozione 
degli 
atti 
difensionali 
finali 
prima 
(e 
non 
dopo) 
l’udienza 
nella 
quale 
la 
causa 
è 
rimessa 
in 
decisione, 
riduzione 
dei 
casi 
di 
rimessione 
in 
primo 
grado 
-20. 
inserimento 
nell’art. 
360 
c.p.c. 
(rubricato: 
sentenze 
impugnabili 
e 
motivi 
di 
ricorso) 
-quale 
giusta 
sedes 
materiae 
-del 
principio 
della 
“doppia 
conforme” 
quale 
circostanza 
limitativa 
dei 
motivi 
di 
ricorso 
per 
cassazione 
-21. 
rinvio 
pregiudiziale 
alla 
Corte 
di 
cassazione 
-22. 
restyling 
del 
contenuto-forma 
del 
ricorso 
per 
cassazione 
-23. 
revocazione 
straordinaria 
per 
contrasto 
accertato 
dei 
giudicati 
dell’a.G.o. 
con 
la 
CEDU. 
-24. 
rivitalizzazione 
dello 
strumento 
codice 
-25. 
Procedimento 
in 
materia 
di 
persone, 
minorenni 
e 
famiglie 
-26. 
modifiche 
al 
terzo 
libro 
del 
Codice 
di 
procedura 
civile 
(soppressione 
della 
spedizione 
in 
forma 
esecutiva; 
vendita 
diretta 
nella 
espropriazione 
immobiliare) 
-27. 
modifiche 
al 
quarto 
libro 
del 
Codice 
di 
procedura 
civile 
(innovazioni 
nel 
giudizio 
arbitrale) 
-28. 
modifiche 
in 
materia 
di 
mediazione 
e 
di 
negoziazione 
assistita 
-29. 
Disciplina 
transitoria 
-30. 
Conclusioni. 


1. introduzione. 
Da 
un 
cinquantennio, 
la 
giustizia 
in 
Italia 
versa 
in 
uno 
stato 
di 
grave 
crisi 
a 
causa 
dell’eccessiva 
ed 
intollerabile 
durata 
dei 
processi. 
Ancora 
nel 
2000 
si 
registrava 
-dalla 
Banca 
d’Italia, 
nella 
Relazione 
economica 
per 
l’anno 
2000 
che 
“L’italia 
è 
il 
Paese 
dell’Unione 
Europea 
in 
cui 
i 
procedimenti 
civili, 
considerando 
i 
tre 
gradi 
di 
giudizio, 
hanno 
maggiore 
durata 
(in 
media 
116 
mesi, 
il 
68% 
in 
più 
rispetto 
alla 
media 
UE)”. 
Secondo 
un 
recente 
rapporto 
della 
Commissione 
europea 
per 
l'efficacia 
della 
giustizia 
(CEPEJ), 
nel 
biennio 
2017-18 
il 
numero 
dei 
procedimenti 
civili 
pendenti 
si 
è 
ridotto 
e 
la 
durata 
media 
è 
scesa; 
tuttavia, 
la 
giustizia 
civile 
italiana 
resta 
tra 
le 
più 
lente 
d’Europa: 
siamo 
ancora 
gli 
ultimi 
in 
terzo 
grado 
di 
giudizio 
e 
siamo 
diventati 
penultimi 
sia 
in 
primo 
sia 
in 
secondo 
grado, 
rispettivamente 
davanti 
a 
Malta 
e 
alla 
Grecia. 


La 
crisi 
del 
processo genera 
ulteriore 
contenzioso gravante 
sulle 
Corti 
di 
Appello con significativo aggravio degli 
oneri 
per il 
bilancio statale, che 
deve 
far fronte 
a 
crescenti 
costi 
per il 
pagamento dell’indennizzo per la 
riparazione 
della 
ingiusta 
durata 
del 
processo attualmente 
disciplinata 
dalla 
L. 24 marzo 
2001 
n. 
89 
(c.d. 
legge 
Pinto, 
sulla 
previsione 
di 
equa 
riparazione 
in 
caso 
di 
violazione del termine ragionevole di durata del processo). 


L’inefficienza 
del 
nostro sistema 
giudiziario scoraggia 
gli 
investimenti, 
aumenta 
il 
costo del 
credito, genera 
sfiducia 
nelle 
funzioni 
dello Stato e 
stimola 
sistemi criminali alternativi di composizione delle liti. 


La 
preoccupazione 
di 
ogni 
governo, 
nelle 
ultime 
legislature, 
è 
stata 
quella 
di 
proporre 
“novelle” 
processuali 
mirate 
a 
modificare 
singoli 
aspetti 
-di 
volta 
in 
volta 
individuati 
come 
critici 
-del 
processo 
civile. 
Anche 
il 
governo 
Draghi 
(2021-2022) 
si 
è 
posto 
l’obiettivo 
di 
semplificare 
il 
processo 



ContRIButI 
DI 
DottRInA 


civile 
e, 
con 
decreto 
del 
Ministro 
della 
giustizia 
del 
marzo 
del 
2021, 
è 
stata 
costituita 
una 
Commissione, 
presieduta 
dal 
prof. 
Francesco 
Paolo 
Luiso, 
con 
il 
compito 
di 
redigere 
un 
articolato 
per 
la 
riforma 
della 
giustizia 
civile; 
l’obiettivo 
concreto 
è 
triplice: 
ridurre 
i 
tempi 
dei 
processi, 
rafforzare 
il 
principio 
della 
ragionevole 
durata, 
migliorare 
l’efficienza 
dell’apparato 
amministrativo. 
La 
Commissione 
nel 
giugno 
del 
2021 
ha 
presentato 
le 
sue 
proposte, 
confluite 
nella 
L. 
26 
novembre 
2021, 
n. 
206, 
recante 
delega 
al 
Governo 
per 
l'efficienza 
del 
processo 
civile 
e 
per 
la 
revisione 
della 
disciplina 
degli 
strumenti 
di 
risoluzione 
alternativa 
delle 
controversie 
e 
misure 
urgenti 
di 
razionalizzazione 
dei 
procedimenti 
in 
materia 
di 
diritti 
delle 
persone 
e 
delle 
famiglie 
nonché 
in 
materia 
di 
esecuzione 
forzata. 
La 
delega 
è 
stata 
attuata 
con 
l’emanazione 
del 
D.L.vo 
10 
ottobre 
2022, 
n. 
149. 


Con la 
novella 
di 
cui 
al 
D.L.vo n. 149/2022 -ultima 
in ordine 
di 
tempo viene 
operata 
una 
ampia 
modifica 
del 
codice 
di 
procedura 
civile 
-contenuto 
nel 
R.D. 28 ottobre 
1940 n. 1443, in vigore 
dal 
21 aprile 
1942 -oltre 
che 
delle 
leggi complementari. 

nel 
processo 
di 
cognizione, 
come 
concepito 
dal 
legislatore 
del 
1942, 
dinanzi 
al 
tribunale 
si 
prevedono 
le 
figure 
del 
giudice 
istruttore 
-che 
istruisce 
la 
causa 
al 
fine 
di 
renderla 
matura 
per 
la 
decisione 
-e 
del 
Collegio, 
che 
in 
una 
fase 
successiva 
decide 
la 
causa. 
Il 
giudice 
istruttore 
era 
dotato 
di 
notevoli 
poteri, 
quali 
quello 
di 
fissare 
la 
prima 
udienza 
e 
di 
consentire 
alle 
parti 
di 
sollevare 
nuove 
eccezioni 
e 
chiedere 
nuovi 
mezzi 
di 
prova 
dopo 
la 
prima 
udienza. 
Furono 
previsti 
moltissimi 
termini 
perentori, 
la 
cui 
inosservanza 
comportava 
preclusioni 
processuali. 
L’appello 
era 
una 
mera 
revisio 
prioris 
istantiae. 
Il 
descritto 
originario 
assetto 
processuale 
ha 
subito, 
nel 
corso 
degli 
anni, 
ampie 
modifiche, 
delle 
quali 
la 
novella 
del 
processo 
civile 
operata 
con 
il 
D.L.vo 
n. 
149/2022 
è, 
come 
detto 
innanzi, 
l’ultima 
in 
ordine 
di 
tempo. 
tra 
le 
novelle 
citiamo: 


-L. 
14 
luglio 
1950 
n. 
581 
che 
ripristinò 
la 
citazione 
a 
udienza 
fissa 
e 
abrogò 
la 
disciplina 
delle 
preclusioni, 
in 
specie 
si 
ebbe 
la 
totale 
abolizione 
della 
preclusione 
delle 
allegazioni 
e 
prove 
durante 
tutto 
il 
corso 
del 
primo 
grado; 


-L. 
11 
agosto 
1973 
n. 
533 
di 
riforma 
del 
processo 
del 
lavoro, 
con 
la 
quale 
si 
assegnarono le 
cause 
di 
lavoro alla 
competenza 
per materia 
del 
pretore, con 
la 
previsione 
di 
rigide 
preclusioni 
in capo alle 
parti, si 
vietarono le 
udienze 
di 
mero 
rinvio, 
si 
dispose 
che 
il 
giudice 
dovesse 
leggere 
in 
udienza 
il 
dispositivo, 
che 
la 
sentenza 
di 
primo grado dovesse 
essere 
esecutiva 
e 
che 
l’appello fosse 
una mera 
revisio; 


-L. 9 febbraio 1983, n. 28, recante 
modificazioni 
alla 
disciplina 
dell'arbitrato; 
-L. 26 novembre 
1990 n. 353 di 
riforma 
del 
processo civile, reintroducente 
-tra 
l’altro 
-varie 
preclusioni, 
l’esecutività 
della 
sentenza 
di 
primo 
grado, l’appello quale 
revisio e il c.d. procedimento cautelare uniforme; 
- L. 21 novembre 1991 n. 374 sull’istituzione del giudice di pace; 

RASSEGnA 
AvvoCAtuRA 
DELLo 
StAto -n. 2/2022 


-L. 20 dicembre 
1995 n. 534 di 
conversione 
del 
D.L. 18 ottobre 
1995 n. 
432, che ha diluito le preclusioni introdotte con la L. n. 353/1990; 
-D.L.vo 19 febbraio 1998 n. 51 introduttiva 
del 
giudice 
unico togato di 
primo grado; 
-D.L. 14 marzo 2005 n. 35 conv. in L. 14 maggio 2005 n. 80, L. 28 dicembre 
2005 n. 263, L. 8 febbraio 2006 n. 54 e 
D.L.vo 2 febbraio 2006 n. 40 
modificativi 
del 
regime 
della 
fase 
iniziale 
del 
processo di 
cognizione, del 
giudizio 
in Cassazione 
(con l’introduzione 
del 
quesito di 
diritto ex art. 366 bis 
c.p.c.), del processo esecutivo e dell’arbitrato; 
-D.L. 
25 
giugno 
2008 
n. 
112, 
conv. 
L. 
6 
agosto 
2008 
n. 
133, 
modificativo 
degli artt. 181 c.p.c., 421 c.p.c. e 429 c.p.c.; 


-L. 18 giugno 2009 n. 69 che, tra 
l’altro, ha 
disposto: 
accorciamento di 
vari 
termini 
procedimentali 
e 
dimezzamento del 
c.d. termine 
lungo per l’impugnazione 
delle 
sentenze 
ex 
art. 
327 
c.p.c., 
snellimento 
della 
c.d. 
forma-contenuto 
della 
sentenza, abrogazione 
del 
quesito di 
diritto ex art. 366 bis 
c.p.c. 
e 
riforma 
dell’iter 
per 
la 
dichiarazione 
della 
inammissibilità 
del 
ricorso 
per 
cassazione, 
introduzione 
dell’art. 
614 
bis 
prevedente 
le 
c.d. 
astraintes 
nel 
caso 
della 
inosservanza 
degli 
obblighi 
di 
fare 
infungibili 
o 
di 
non 
fare, 
introduzione 
degli 
artt. 702 bis 
-702 quater 
c.p.c. disciplinanti 
il 
procedimento sommario 
di 
cognizione, delega 
al 
governo per la 
riduzione 
e 
semplificazione 
dei 
procedimenti 
(attuata 
con il 
D.L.vo 1 settembre 
2011, n. 150), delega 
al 
governo in 
materia 
di 
mediazione 
e 
di 
conciliazione 
delle 
controversie 
civili 
e 
commerciali 
(attuata con D.L.vo n. 28 del 4 marzo 2010); 
-art. 54 D.L. 22 giugno 2012, n. 83, conv. L. 7 agosto 2012, n. 134, intervenuto 
sulla 
disciplina 
dell’appello 
(modifica 
dei 
requisiti 
della 
motivazione 
dell’atto di 
appello, introduzione 
del 
c.d. filtro ex artt. 348 bis 
e 
348 ter 
c.p.c. 
e del giudizio di cassazione); 
-D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, recante 
il 
testo unico delle 
disposizioni 
legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia. 
L’attuale 
testo del 
codice 
di 
procedura 
civile, come 
la 
Luna 
all’esito del 
continuo bombardamento di 
meteoriti 
ed asteroidi, è 
il 
frutto delle 
profonde 
trasformazioni 
operate, con numerose 
ed ampie 
novelle, sul 
testo che 
entrò in 
vigore nel natale di Roma del 1942. 


2. aspetti generali dei contenuti della riforma. 
La 
riforma 
non contiene 
stravolgimenti 
nella 
disciplina 
del 
processo. È 
un 
intervento 
manutentivo, 
anche 
di 
adeguamento 
allo 
sviluppo 
telematico, 
del 
codice 
di 
rito, con correttivi 
grammaticali 
e 
-nel 
tentativo di 
confermare 
la 
centralità 
dello 
strumento 
“codice” 
-con 
aggiustamenti 
topografici 
della 
sedes 
materiae 
della 
disciplina 
di 
istituti. Il 
restayling 
coinvolge 
anche 
i 
meccanismi 
deflattivi del contenzioso. 

Recepisce, 
virtuosamente, 
anche 
innovazioni 
procedimentali 
e 
misure 
or



ContRIButI 
DI 
DottRInA 


ganizzative 
sorte 
per contrastare 
l'emergenza 
epidemiologica 
da 
CovID-19 
nel 
biennio 2020-2021 e 
contenerne 
gli 
effetti 
negativi 
sullo svolgimento del-
l'attività 
giudiziaria 
(misure 
necessarie 
per consentire 
il 
rispetto delle 
indicazioni 
igienico-sanitarie, 
al 
fine 
di 
evitare 
assembramenti 
all'interno 
dell'ufficio 
giudiziario e contatti ravvicinati tra le persone). 


L’art. 3 del 
D.L.vo n. 149/2022 è 
dedicato specificamente 
alla 
modifica 
del 
Codice 
di 
procedura 
civile: 
i 
primi 
undici 
commi 
contengono modifiche 
al 
primo libro del 
Codice 
di 
procedura 
civile; 
i 
commi 
dal 
dodici 
al 
trentatre 
contengono modifiche 
al 
secondo libro; 
i 
commi 
dal 
trentaquattro al 
quarantaquattro 
contengono modifiche 
al 
terzo libro ed, infine, i 
commi 
dal 
quarantacinque 
al 
cinquantasei 
contengono modifiche 
al 
quarto libro del 
Codice 
di 
procedura civile. 

Di seguito si esporranno le disposizioni più significative della novella. 


3. aumento della competenza per 
valore 
del 
giudice 
di 
pace 
con criticità relativamente 
al 
diritto transitorio (e 
sostituzione 
del 
rito dinanzi 
al 
giudice 
di 
pace: procedimento semplificato di 
cognizione 
in luogo del 
procedimento ordinario 
di cognizione). 
Il 
nuovo testo dell’art. 7, commi 
1 e 
2 c.p.c. -all’esito della 
modifica 
di 
cui al comma 1 dell’art. 3 D.L.vo n. 149/2022 - così dispone: 


-il 
giudice 
di 
pace 
è 
competente 
per le 
cause 
relative 
a 
beni 
mobili 
di 
valore 
non 
superiore 
a 
diecimila 
euro 
-in 
luogo 
del 
vecchio 
limite 
di 
cinquemila 
euro 
-quando 
dalla 
legge 
non 
sono 
attribuite 
alla 
competenza 
di 
altro 
giudice; 
-il 
giudice 
di 
pace 
è 
altresì 
competente 
per le 
cause 
di 
risarcimento del 
danno prodotto dalla 
circolazione 
di 
veicoli 
e 
di 
natanti, purché 
il 
valore 
della 
controversia 
non superi 
venticinquemila 
euro (in luogo del 
vecchio limite 
di 
ventimila euro). 
Giusta 
il 
primo comma 
dell’art. 35 D.L.vo n. 149/2022, le 
disposizioni 
ora 
esaminate 
hanno effetto a 
decorrere 
dal 
30 giugno 2023 e 
si 
applicano ai 
procedimenti instaurati successivamente a tale data. 


va 
rammentato 
che 
con 
il 
D.L.vo 
13 
luglio 
2017, 
n. 
116, 
nell’ambito 
della 
“riforma 
organica 
della 
magistratura 
onoraria 
e 
altre 
disposizioni 
sui 
giudici 
di 
pace, nonché 
disciplina transitoria relativa ai 
magistrati 
onorari 
in servizio”, 
l’art. 27, comma 
1, lett. a), numero 1, opera 
un ampliamento della 
competenza 
per valore 
del 
giudice 
di 
pace, novellando l’art. 7 c.p.c. nel 
modo che 
segue: 
“a) 
al 
primo 
comma, 
la 
parola: 
«cinquemila» 
è 
sostituita 
dalla 
seguente: 
«trentamila»; 
b) 
al 
secondo 
comma, 
la 
parola: 
«ventimila» 
è 
sostituita 
dalla 
seguente: 
«cinquantamila»”. 
Il 
nuovo 
testo 
dell’art. 
7, 
commi 
1 
e 
2 
c.p.c. 


- all’esito della modifica operata con il citato art. 27 - così dispone: 
-il 
giudice 
di 
pace 
è 
competente 
per le 
cause 
relative 
a 
beni 
mobili 
di 
valore 
non superiore 
a 
trentamila 
euro, quando dalla 
legge 
non sono attribuite 
alla competenza di altro giudice; 

RASSEGnA 
AvvoCAtuRA 
DELLo 
StAto -n. 2/2022 


-il 
giudice 
di 
pace 
è 
altresì 
competente 
per le 
cause 
di 
risarcimento del 
danno prodotto dalla 
circolazione 
di 
veicoli 
e 
di 
natanti, purché 
il 
valore 
della 
controversia non superi cinquantamila euro. 
Giusta 
l’art. 32, comma 
3, D.L.vo n. 116/2017 “Le 
disposizioni 
dell'articolo 
27 entrano in vigore il 31 ottobre 2025”. 


Ad una 
analisi 
epidermica 
della 
vicenda 
potrebbe 
ritenersi 
che 
la 
novella 
sulla 
competenza 
per 
valore 
del 
giudice 
di 
pace 
operata 
dal 
D.L.vo 
n. 
149/2022 
viga 
nel 
periodo dal 
30 giugno 2023 al 
30 ottobre 
2025, mentre 
poi 
a 
partire 
dal 
31 
ottobre 
2025 
sarà 
vigente 
la 
novella 
sulla 
competenza 
per 
valore 
del 
giudice 
di 
pace 
operata 
dal 
D.L.vo n. 116/2017. tuttavia, la 
circostanza 
che 
il 
D.L.vo 
n. 
149/2022 
non 
abbia 
fatto 
salve 
le 
disposizioni 
contenute 
nel 
D.L.vo 


n. 116/2017 (ad esempio con la 
previsione 
di 
un termine 
finale 
in ordine 
alla 
novella 
operata 
dallo 
stesso 
all’art. 
7 
c.p.c.) 
comporta 
che 
le 
disposizioni 
contenute 
nel 
D.L.vo n. 116/2017 -nella 
parte 
in cui 
regolano la 
competenza 
per 
valore 
del 
giudice 
di 
pace 
-sono state 
abrogate 
in via 
tacita 
dalle 
corrispondenti 
disposizioni 
contenute 
nel 
D.L.vo 
n. 
149/2022. 
tanto 
ex 
art. 
15 
delle 
preleggi, in applicazione 
del 
criterio cronologico per la 
risoluzione 
delle 
antinomie 
(lex posterior derogat legi priori). 
Con 
il 
criterio 
cronologico, 
nel 
caso 
di 
incompatibilità 
tra 
norme 
sulla 
stessa 
materia, si 
applica 
la 
norma 
più recente. tale 
criterio consente 
di 
risolvere 
le 
antinomie 
tra 
fonti 
dello stesso tipo, di 
eguale 
livello nella 
scala 
gerarchica 
e 
con la 
medesima 
competenza, adottate 
in tempi 
diversi: 
le 
antinomie 
vengono risolte 
nel 
senso che 
si 
applica 
la 
norma 
adottata 
per ultima 
la 
quale 
abroga la precedente, che cessa di avere vigore. 

non può dirsi 
che 
la 
disciplina 
sulla 
competenza 
per valore 
del 
giudice 
di 
pace 
contenuta 
nel 
D.L.vo n. 116/2017 resta 
in vigore 
in virtù del 
principio 
di 
specialità. 
Con 
il 
criterio 
della 
specialità, 
nel 
caso 
di 
incompatibilità 
tra 
norme 
-alcune 
generali 
ed 
altre 
speciali 
-sulla 
stessa 
materia, 
si 
applica 
la 
norma 
speciale. La 
specialità 
sussiste 
allorché 
una 
norma 
contenga 
in sé 
tutti 
gli 
elementi 
costitutivi 
di 
un’altra 
norma, con l'aggiunta 
tuttavia 
di 
uno o più 
elementi 
specializzanti. La 
norma 
speciale, di 
solito, è 
rivolta 
ad un gruppo 
indeterminato, 
ma 
ristretto 
di 
individui, 
non 
corrispondente 
alla 
generalità 
dei 
consociati. All’evidenza 
tra 
l’art. 3, comma 
1 (in uno al 
comma 
1 dell’art. 35) 
del 
D.L.vo n. 149/2022 e 
l’art. 27, comma 
1 (in uno al 
comma 
3 dell’art. 32) 
del 
D.L.vo n. 116/2017 non opera 
un rapporto genere/specie 
idoneo ad essere 
risolto nel 
senso di 
lasciare 
in vigore 
la 
pregressa 
norma 
speciale. tanto in disparte, 
peraltro, 
alla 
operatività 
del 
principio 
della 
specialità 
nel 
caso 
di 
specie. 
Abitualmente 
in 
dottrina 
si 
ritiene 
che 
il 
criterio 
della 
specialità 
prevale 
su 
quello cronologico (lex 
posterior 
generalis 
non derogat 
legi 
priori 
speciali). 
Questa 
opinione 
-al 
di 
fuori 
del 
diritto penale 
(art. 15 c.p.) e 
dell’illecito amministrativo 
(art. 9, comma 
1, L. 24 novembre 
1981, n. 689) -non ha 
addentellati 
normativi; 
sicché 
il 
criterio 
della 
specialità 
non 
può 
operare 
con 



ContRIButI 
DI 
DottRInA 


prevalenza 
sul 
criterio 
cronologico. 
Il 
criterio 
della 
specialità, 
quindi, 
non 
consente 
di 
risolvere 
le 
antinomie 
tra 
norme 
-alcune 
generali 
ed altre 
speciali 
sulla 
stessa 
materia 
adottate 
in tempi 
diversi. Consente, invece, di 
risolvere 
le 
antinomie 
tra 
fonti 
omogenee, 
di 
eguale 
livello 
nella 
scala 
gerarchica, 
adottate 
nello 
stesso 
momento 
(ad 
esempio 
i 
contrasti 
all’interno 
di 
uno 
specifico 
testo 
normativo, 
quale 
un 
codice). 
Le 
antinomie 
vengono 
risolte 
nel 
senso 
che 
si 
applica la legge speciale. 


va 
rilevato poi 
che, in uno all’aumento della 
competenza 
per valore, il 
comma 
24 dell’art. 3 ha 
stabilito che 
il 
processo sommario di 
cognizione 
introdotto 
con ricorso -ridenominato procedimento semplificato di 
cognizione 


-costituisce 
il 
rito applicabile 
dinanzi 
al 
Giudice 
di 
Pace, in luogo del 
procedimento 
ordinario di cognizione introdotto dall’atto di citazione. 
4. modifica della disciplina circa il rilievo del difetto di giurisdizione. 
Il 
testo in vigore 
dell’art. 37 c.p.c., prima 
della 
sostituzione 
disposta 
dal 
D.L.vo n. 149/2022, è 
il 
seguente: 
“il 
difetto di 
giurisdizione 
del 
giudice 
ordinario 
nei 
confronti 
della pubblica amministrazione 
o dei 
giudici 
speciali 
è 
rilevato, 
anche 
d'ufficio, 
in 
qualunque 
stato 
e 
grado 
del 
processo”. 
nella 
prassi, 
tuttavia, 
il 
diritto 
vivente 
è 
andato 
di 
contrario 
avviso 
rispetto 
alla 
lettera 
della 
norma. 
L’orientamento 
consolidato 
del 
giudice 
di 
legittimità 
-contra 
legem 
-è 
nel 
senso che 
il 
difetto di 
giurisdizione 
del 
giudice 
ordinario è 
rilevato, 
anche 
d'ufficio, in qualunque 
stato del 
processo solo nel 
corso del 
giudizio 
di 
primo 
grado, 
mentre 
nei 
giudizi 
di 
impugnazione 
è 
rilevato 
se 
dedotto 
con specifico motivo avverso il 
capo della 
pronuncia 
impugnata 
che, in modo 
implicito o esplicito, ha 
statuito sulla 
giurisdizione. tale 
orientamento è 
stato 
recepito, 
formalmente, 
nell’art. 
9 
del 
codice 
del 
processo 
amministrativo 
(D.L.vo 2 luglio 2010 n. 104). 


La 
novella 
operata 
all’art. 
37 
c.p.c. 
dal 
D.L.vo 
n. 
149/2022 
conduce 
all’attuale 
testo: 
“il 
difetto 
di 
giurisdizione 
del 
giudice 
ordinario 
nei 
confronti 
della 
pubblica 
amministrazione 
è 
rilevato, 
anche 
d'ufficio, 
in 
qualunque 
stato 
e 
grado 
del 
processo. 
il 
difetto 
di 
giurisdizione 
del 
giudice 
ordinario 
nei 
confronti 
del 
giudice 
amministrativo 
o 
dei 
giudici 
speciali 
è 
rilevato 
anche 
d'ufficio 
nel 
giudizio 
di 
primo 
grado. 
Nei 
giudizi 
di 
impugnazione 
può 
essere 
rilevato 
solo 
se 
oggetto 
di 
specifico 
motivo, 
ma 
l'attore 
non 
può 
impugnare 
la 
sentenza 
per 
denunciare 
il 
difetto 
di 
giurisdizione 
del 
giudice 
da 
lui 
adito”. 


La 
novella 
adotta 
una 
soluzione 
ibrida: 
mantenimento 
del 
tradizionale 
regime 
del 
rilievo 
(anche 
d'ufficio, 
in 
qualunque 
stato 
e 
grado 
del 
processo) 
nella 
evenienza 
del 
difetto di 
giurisdizione 
dell’A.G.o. nei 
confronti 
della 
P.A.; 
recepimento 
dell’orientamento giurisprudenziale 
in ordine 
al 
rilievo del 
difetto 
di 
giurisdizione 
dell’A.G.o. 
nei 
confronti 
dei 
giudici 
speciali 
(compreso 
quello 
amministrativo) nei 
giudizi 
di 
impugnazione, che 
deve 
costituire 
l’oggetto di 



RASSEGnA 
AvvoCAtuRA 
DELLo 
StAto -n. 2/2022 


specifico motivo; 
previsione 
di 
inammissibilità 
dell’impugnazione 
sulla 
questione 
di 
giurisdizione 
da 
parte 
dell’originario 
attore, 
in 
applicazione 
del 
principio 
di 
cui 
al 
comma 
3 
dell’art. 
157 
c.p.c. 
per 
il 
quale 
la 
nullità 
non 
può 
essere 
opposta dalla parte che vi ha dato causa. 


non 
è 
stata 
mutata, 
invece, 
la 
disciplina 
del 
rilievo 
della 
giurisdizione 
nei 
confronti 
dello 
straniero, 
nelle 
materie 
con 
elementi 
di 
estraneità. 
vale, 
quindi, 
la 
regola 
contenuta 
nell’art. 11 L. 31 maggio 1995, n. 218 per la 
quale 
“il 
difetto 
di 
giurisdizione 
può essere 
rilevato, in qualunque 
stato e 
grado del 
processo, 
soltanto 
dal 
convenuto 
costituito 
che 
non 
abbia 
espressamente 
o 
tacitamente 
accettato 
la 
giurisdizione 
italiana. 
È 
rilevato 
dal 
giudice 
d'ufficio, 
sempre 
in qualunque 
stato e 
grado del 
processo, se 
il 
convenuto è 
contumace, 
se 
ricorre 
l'ipotesi 
di 
cui 
all'art. 
5, 
ovvero 
se 
la 
giurisdizione 
italiana 
è 
esclusa 
per effetto di una norma internazionale”. 


5. ampliamento delle 
cause 
rimesse 
alla cognizione 
del 
tribunale 
in composizione 
monocratica, con sottrazione 
alla cognizione 
del 
tribunale 
in composizione 
collegiale. 
La 
novella 
de 
qua 
è 
l’effetto dell’abrogazione 
dei 
nn. 5 (“nelle 
cause 
di 
impugnazione 
delle 
deliberazioni 
dell'assemblea 
e 
del 
consiglio 
di 
amministrazione, 
nonché 
nelle 
cause 
di 
responsabilità da chiunque 
promosse 
contro 
gli 
organi 
amministrativi 
e 
di 
controllo, 
i 
direttori 
generali, 
i 
dirigenti 
preposti 
alla redazione 
dei 
documenti 
contabili 
societari 
e 
i 
liquidatori 
delle 
società, 
delle 
mutue 
assicuratrici 
e 
società cooperative, delle 
associazioni 
in partecipazione 
e 
dei 
consorzi”) e 
6 (“nelle 
cause 
di 
impugnazione 
dei 
testamenti 
e 
di 
riduzione 
per 
lesione 
di 
legittima”) 
dell’art. 
50 
bis 
c.p.c. 
regolante 
le 
cause 
nelle 
quali 
il 
tribunale 
giudica 
in 
composizione 
collegiale, 
con 
conseguente 
espansione 
della 
sfera 
di 
operatività 
dell’art. 
50 
ter 
c.p.c. 
prevedente 
che 
“Fuori 
dei 
casi 
previsti 
dall'articolo 50-bis, il 
tribunale 
giudica in composizione 
monocratica”. 

Al 
medesimo 
effetto 
conduce 
la 
novella 
dell’art. 
225 
c.p.c., 
operata 
dal 
comma 
16 
dell’art. 
3 
D.L.vo 
n. 
149/2022, 
in 
virtù 
della 
quale, 
ora 
sulla 
querela 
di 
falso 
pronuncia 
il 
tribunale 
in 
composizione 
monocratica 
e 
non 
più 
il 
collegio. 


6. modalizzazione della disciplina del principio del contraddittorio. 
Al 
secondo comma 
dell’art. 101 c.p.c. -rubricato principio del 
contraddittorio 
-vengono anteposte 
le 
seguenti 
parole: 
“il 
giudice 
assicura il 
rispetto 
del 
contraddittorio e, quando accerta che 
dalla sua violazione 
è 
derivata una 
lesione 
del 
diritto di 
difesa, adotta i 
provvedimenti 
opportuni”. La 
novella 
ha 
un evidente 
sapore 
didascalico e 
vago valore 
pedagogico, atteso che 
nessuno 
dubita 
che 
il 
giudice 
debba 
assicurare 
il 
rispetto 
del 
contraddittorio, 
con 
la 
adozione 
dei 
provvedimenti 
conseguenziali 
(già 
con strumenti 
previsti 
nel 
sistema 
vigente: art. 162 c.p.c.; 164, commi 1-3, c.p.c., ecc.). 



ContRIButI 
DI 
DottRInA 


7. Previsione 
espressa che 
gli 
atti 
del 
processo devono essere 
redatti 
in modo 
chiaro e 
sintetico, con previsione 
anche 
di 
limiti 
massimi 
dimensionali. Conseguenze 
della violazione delle regole sulla redazione. 
All’art. 
121 
c.p.c. 
sono 
apportate 
le 
seguenti 
modificazioni: 
a) 
alla 
rubrica, 
dopo 
le 
parole 
“Libertà 
di 
forme” 
sono 
aggiunte 
le 
seguenti: 
“Chiarezza 
e 
sinteticità 
degli 
atti”; 
b) 
al 
primo 
comma, 
è 
aggiunto, 
in 
fine, 
il 
seguente 
periodo: 
“Tutti 
gli 
atti 
del 
processo sono redatti 
in modo chiaro e 
sintetico”. Sicché 
il 
nuovo 
testo 
dell’art. 
121 
è 
il 
seguente: 
“Gli 
atti 
del 
processo, 
per 
i 
quali 
la 
legge 
non richiede 
forme 
determinate, possono essere 
compiuti 
nella forma 
più idonea al 
raggiungimento del 
loro scopo. Tutti 
gli 
atti 
del 
processo sono 
redatti 
in 
modo 
chiaro 
e 
sintetico”. 
Strumentale 
a 
ciò 
è 
il 
nuovo 
testo 
dei 
primi 
tre 
commi 
dell’art. 46 disp. att. c.p.c., come 
risultante 
dalla 
novella 
del 
citato 
art. 46 operata 
dall’art. 4, comma 
3, lett. b), D.L.vo n. 149/2022: 
“i processi 
verbali 
e 
gli 
altri 
atti 
giudiziari 
debbono 
essere 
scritti 
in 
carattere 
chiaro 
e 
facilmente 
leggibile. 
Quando 
sono 
redatti 
in 
forma 
di 
documento 
informatico, 
rispettano la normativa, anche 
regolamentare, concernente 
la redazione, la 
sottoscrizione, la trasmissione 
e 
la ricezione 
dei 
documenti 
informatici. Negli 
altri 
casi 
debbono 
essere 
scritti 
in 
continuazione, 
senza 
spazi 
in 
bianco 
e 
senza 
alterazioni 
o abrasioni. Le 
aggiunte, soppressioni 
o modificazioni 
eventuali 
debbono essere 
fatte 
in calce 
all'atto, con nota di 
richiamo senza cancellare 
la parte soppressa o modificata”. 


I requisiti 
della 
chiarezza 
e 
della 
sinteticità 
sono poi 
riaffermati 
-invero 
in modo ridondante 
e 
pletorico, attesa 
la 
previsione 
generale 
nella 
sede 
materiae 
di 
cui 
all’art. 121 c.p.c. -in sede 
di 
novella 
della 
disciplina 
dei 
requisiti 
di 
specifici 
atti 
processuali. Ad es.: 
art. 163 n. 4 c.p.c. con riguardo all’atto di 
citazione, 
in 
ordine 
ai 
requisiti 
descrittivi 
della 
causa 
petendi 
nel 
rito 
ordinario 
di 
cognizione; 
art. 281 undecies, comma 
1, c.p.c. con riguardo al 
ricorso, in 
ordine 
ai 
requisiti 
descrittivi 
della 
causa petendi 
nel 
rito semplificato di 
cognizione; 
art. 473 bis.12, lett. e), c.p.c. con riguardo al 
ricorso, in ordine 
ai 
requisiti 
descrittivi 
della 
causa petendi 
nel 
rito speciale 
in materia 
di 
persone, 
minorenni 
e 
famiglie; 
art. 
167 
c.p.c. 
con 
riguardo 
alla 
comparsa 
di 
costituzione 
e 
risposta, in ordine 
alla 
esposizione 
delle 
difese 
nel 
rito ordinario di 
cognizione; 
art. 
282 
undecies, 
comma 
3, 
c.p.c. 
con 
riguardo 
alla 
comparsa 
di 
risposta 
in ordine 
alla 
esposizione 
delle 
difese 
nel 
rito semplificato di 
cognizione; 
gli 
artt. 342, comma 
1, e 
434, comma 
1, c.p.c. con riguardo all’atto di 
appello rispettivamente 
nel 
rito ordinario e 
nel 
rito lavoro -in ordine 
ai 
requisiti 
descrittivi 
dei 
motivi 
in appello; 
l’art. 366 c.p.c. con riguardo al 
ricorso per cassazione 
in 
ordine 
alla 
esposizione 
dei 
motivi 
per 
i 
quali 
si 
chiede 
la 
cassazione. 


Qualsivoglia 
atto processuale, sia 
di 
parte 
sia 
del 
giudice 
deve 
avere 
i 
requisiti 
estrinseci della chiarezza e della sinteticità. 

La 
chiarezza 
implica, 
in 
base 
al 
significato 
corrente, 
lucidità, 
ordine, 
evidenza, 
comprensibilità, 
intelligibilità. 
La 
chiarezza 
-prima 
che 
un 
requisito 



RASSEGnA 
AvvoCAtuRA 
DELLo 
StAto -n. 2/2022 


formale 
estrinseco dell’atto -è 
un requisito ontologico e 
funzionale 
degli 
atti 
processuali. La 
chiarezza 
dell’atto -nell’ordinamento giuridico italiano -implica 
altresì 
l’utilizzo 
normale 
della 
lingua 
italiana, 
potendosi 
ricorrere 
ad 
espressioni 
in lingua 
straniera 
solo se 
di 
uso comune 
(arg. 
ex art. 7, comma 
2, 


D.P.R. 
28 
dicembre 
2000, 
n. 
445, 
recante 
il 
testo 
unico 
in 
materia 
di 
documentazione 
amministrativa). 
Come 
tale, 
la 
chiarezza 
è 
contrapposta 
alla 
confusione, 
all’ambiguità, alla tortuosità. 
La 
sinteticità 
equivale, 
sempre 
alla 
stregua 
del 
significato 
comune, 
a 
concisione, 
stringatezza, essenzialità 
sulle 
questioni 
rilevanti. La 
sinteticità 
non 
implica 
necessariamente 
brevità 
dell’atto; 
può 
venire 
in 
rilievo 
un 
atto 
-ad 
esempio 
un 
atto 
di 
appello 
in 
un 
giudizio 
con 
numerose 
parti, 
con 
svariate 
questioni 
pregiudiziali 
e/o 
preliminari 
e 
complessità 
nel 
merito 
con 
cumulo 
di 
domande 
-nel 
quale 
necessariamente 
il 
contenuto 
è 
“lungo” 
e 
non 
“breve”. 
Inoltre 
la 
sinteticità 
trova 
il 
suo 
limite 
nella 
inintelligibilità: 
se 
la 
sinteticità 
conduce 
ad un atto “oscuro”, non chiaro sulle 
questioni 
rilevanti, occorre 
integrare 
i 
dati 
rappresentativi 
affinché 
l’atto 
sia 
reso 
intelligibile 
al 
destinatario. 
Eraclito, 
campione 
della 
concisione, 
non 
a 
caso 
era 
definito 
“l’oscuro”. 
Anche 
la 
sinteticità, come 
la 
chiarezza, è 
un requisito ontologico e 
funzionale 
degli 
atti 
processuali. 
Per 
gli 
atti 
di 
parte, 
Calamandrei 
ammoniva: 
“La 
brevità 
delle 
difese 
scritte 
ed orali 
(noi 
avvocati 
non riusciamo mai 
ad impararlo!) è 
forse 
il 
mezzo 
più 
sicuro 
per 
vincere 
le 
cause”; 
il 
grande 
giurista 
consigliava 
altresì: 
“ricordati 
che 
la brevità e 
la chiarezza sono le 
due 
doti 
che 
il 
giudice 
ama nel 
discorso dell’avvocato”. 


Al 
fine 
di 
stimolare 
la 
redazione 
di 
atti 
sintetici, si 
è 
introdotta 
la 
previsione 
di 
limiti 
massimi 
dimensionali 
degli 
atti 
processuali, 
a 
mezzo 
del 
novellato 
comma 
4 dell’art. 46 disp. att. c.p.c. che 
così 
enuncia: 
“il 
ministro della 
giustizia, sentiti 
il 
Consiglio superiore 
della magistratura e 
il 
Consiglio nazionale 
forense, definisce 
con decreto gli 
schemi 
informatici 
degli 
atti 
giudiziari 
con 
la 
strutturazione 
dei 
campi 
necessari 
per 
l'inserimento 
delle 
informazioni 
nei 
registri 
del 
processo. Con il 
medesimo decreto sono stabiliti 
i 
limiti 
degli 
atti 
processuali, tenendo conto della tipologia, del 
valore, della 
complessità della controversia, del 
numero delle 
parti 
e 
della natura degli 
interessi 
coinvolti. Nella determinazione 
dei 
limiti 
non si 
tiene 
conto dell'intestazione 
e 
delle 
altre 
indicazioni 
formali 
dell'atto, 
fra 
le 
quali 
si 
intendono 
compresi 
un 
indice 
e 
una 
breve 
sintesi 
del 
contenuto 
dell'atto 
stesso. 
il 
decreto 
è 
aggiornato con cadenza almeno biennale”. tanto sul 
modello già 
operante 
per il 
processo amministrativo, costituito dall’art. 13 ter 
delle 
norme 
di 
attuazione 
al 
codice 
del 
processo 
amministrativo 
(c.p.a.), 
il 
cui 
primo 
comma 
enuncia: 
“al 
fine 
di 
consentire 
lo spedito svolgimento del 
giudizio in coerenza con 
i 
princìpi 
di 
sinteticità e 
chiarezza di 
cui 
all'articolo 3, comma 2, del 
codice, 
le 
parti 
redigono il 
ricorso e 
gli 
altri 
atti 
difensivi 
secondo i 
criteri 
e 
nei 
limiti 
dimensionali 
stabiliti 
con decreto del 
presidente 
del 
Consiglio di 
Stato 
[…]”. 



ContRIButI 
DI 
DottRInA 


All’evidenza, 
viene 
introdotta 
-in 
modo 
formale 
-nel 
codice 
di 
procedura 
civile 
la 
previsione 
espressa 
di 
un 
requisito 
estrinseco 
degli 
atti. 
Previsione 
espressa 
già 
esistente 
nel 
processo 
amministrativo, 
con 
l’art. 
3, 
comma 
2, 
c.p.a. 
secondo 
cui 
“il 
giudice 
e 
le 
parti 
redigono 
gli 
atti 
in 
maniera 
chiara 
e 
sintetica, 
secondo quanto disposto dalle 
norme 
di 
attuazione”. norma 
analoga 
vi 
è 
nel 
processo 
contabile: 
“il 
giudice, 
il 
pubblico 
ministero 
e 
le 
parti 
redigono 
gli 
atti 
in maniera chiara e 
sintetica” 
(art. 5 D.L.vo 26 agosto 2016, n. 174, recante 
il codice di giustizia contabile). 


Pervero, il 
requisito della 
sinteticità 
già 
era 
stato introdotto nel 
sistema, 
con 
la 
prescrizione 
di 
cui 
all’art. 
16 
bis, 
comma 
9 
octies, 
D.L. 
18 
ottobre 
2012, 


n. 179, conv. L. 17 dicembre 
2012, n. 221 secondo cui: 
“Gli 
atti 
di 
parte 
e 
i 
provvedimenti 
del 
giudice 
depositati 
con modalità telematiche 
sono redatti 
in 
maniera sintetica” 
(articolo poi 
abrogato dall’art. 11 D.L.vo n. 149/2022, all’esito 
della 
rivisitazione 
delle 
disposizioni 
in materia 
di 
processo civile 
telematico 
come si illustrerà di seguito). 
Il 
mancato 
rispetto 
dei 
requisiti 
della 
chiarezza 
e 
sinteticità 
determina 
varie conseguenze pregiudizievoli. 
Perché 
un atto realizzi 
la 
sua 
funzione 
il 
suo contenuto deve 
essere, intuitivamente, 
chiaro. 
ove 
l’atto 
non 
sia 
chiaro 
le 
conseguenze 
possono 
essere: 


a) 
la 
inammissibilità 
se 
l’atto 
sia 
inintelligibile; 
ciò 
in 
quanto 
si 
determina 
una 
assoluta 
incertezza 
dei 
requisiti 
intrinseci 
del 
ricorso; 
b) 
la 
riduzione 
della 
sua 
efficacia giuridica, se l’atto sia parzialmente inintelligibile. 
La 
sinteticità 
attiene 
al 
modo 
di 
esporre. 
L’atto 
non 
conciso, 
quindi 
ridondante, 
inevitabilmente 
vede 
ridotta 
la 
propria 
capacità 
persuasiva 
e 
argomentativa. 
La 
mancanza 
di 
sinteticità 
non 
determina, 
di 
per 
sé 
sola, 
la 
inammissibilità 
o 
altra 
invalidità, 
a 
meno 
che 
non 
renda 
incomprensibile 
il 
contenuto dell’atto nei 
punti 
essenziali, ossia 
in ordine 
alle 
personae, al 
petitum 
e 
alla 
causa petendi; 
in tale 
evenienza, la 
conseguenza 
è 
sempre 
la 
inammissibilità 
dell’atto. 


A 
fronte 
dell’atto non chiaro e/o non sintetico, non determinante 
conseguenze 
invalidanti, vi 
può essere 
comunque 
la 
conseguenza 
spiacevole 
della 
condanna 
alle 
spese 
in capo alla 
parte 
che 
ha 
redatto un atto che 
supera 
la 
ragionevole 
dimensione 
o 
che 
sia 
non 
chiaro. 
tanto 
è 
previsto 
espressamente 
nel 
processo amministrativo, con l’art. 26, comma 
1, c.p.a. La 
condanna 
alle 
spese 
per 
tale 
ragione 
è 
operante 
anche 
nel 
processo 
civile, 
con 
l’applicazione 
degli 
artt. 
88, 
comma 
1, 
e 
92, 
comma 
1, 
c.p.c. 
L’art. 
92, 
comma 
1, 
c.p.c. 
recita: 
“il 
giudice, nel 
pronunciare 
la condanna di 
cui 
all'articolo precedente 
[condanna 
alle 
spese 
in applicazione 
della 
regola 
della 
soccombenza], […] può, 
indipendentemente 
dalla 
soccombenza, 
condannare 
una 
parte 
al 
rimborso 
delle 
spese, 
anche 
non 
ripetibili, 
che, 
per 
trasgressione 
al 
dovere 
di 
cui 
all'articolo 
88, essa ha causato all'altra parte”. L’art. 88, comma 
1, c.p.c. dispone: 
“Le 
parti 
e 
i 
loro difensori 
hanno il 
dovere 
di 
comportarsi 
in giudizio 



RASSEGnA 
AvvoCAtuRA 
DELLo 
StAto -n. 2/2022 


con lealtà e 
probità”. All’evidenza, la 
redazione 
di 
atti 
non chiari 
e 
non sintetici 
integra 
una 
condotta 
violativa 
del 
principio 
di 
lealtà 
processuale, 
atteso 
che 
la 
chiarezza 
e 
la 
concisione 
attengono alla 
piena 
attuazione 
del 
contraddittorio 
e 
alla 
piena 
funzionalità 
del 
diritto di 
difesa. Quanto ricostruito è 
confermato 
dal 
novellato comma 
5 dell’art. 46 disp. att. c.p.c. enunciante 
che 
“il 
mancato rispetto delle 
specifiche 
tecniche 
sulla forma e 
sullo schema informatico 
e 
dei 
criteri 
e 
limiti 
di 
redazione 
dell'atto non comporta invalidità, ma 
può 
essere 
valutato 
dal 
giudice 
ai 
fini 
della 
decisione 
sulle 
spese 
del 
processo”. 
Ben più radicale 
è 
la 
disciplina, sul 
punto, nel 
processo amministrativo, ove 
il 
comma 
5 
dell’art. 
13 
ter 
delle 
norme 
di 
attuazione 
al 
c.p.a., 
statuisce 
“il 
giudice 
è 
tenuto a esaminare 
tutte 
le 
questioni 
trattate 
nelle 
pagine 
rientranti 
nei 
suddetti 
limiti. L'omesso esame 
delle 
questioni 
contenute 
nelle 
pagine 
successive 
al limite massimo non è motivo di impugnazione”. 


8. 
Udienza 
mediante 
collegamenti 
audiovisivi 
a 
distanza 
(udienza 
c.d. 
telematica) 
ed 
udienza 
sostituita 
dal 
deposito 
di 
note 
scritte 
(udienza 
c.d. 
cartolare). 
La 
novella, come 
anticipato innanzi 
sui 
contenuti 
generali 
della 
riforma, 
recepisce, innovazioni 
procedimentali 
e 
misure 
organizzative 
sorte 
per contrastare 
l'emergenza 
epidemiologica 
da 
CovID-19 
nel 
biennio 
2020-2021. 
tanto 
a 
partire 
dall’art. 
83 
D.L. 
17 
marzo 
2020, 
n. 
18, 
conv. 
L. 
24 
aprile 
2020, 


n. 27 -con un percorso proseguito con l’art. 221 D.L. 19 maggio 2020, n. 34, 
conv. 
L. 
17 
luglio 
2020, 
n. 
77 
e 
con 
l’art. 
23 
D.L. 
28 
ottobre 
2020, 
n. 
137, 
conv. L. 18 dicembre 2020, n. 176 - con 
a) la 
previsione 
dello svolgimento delle 
udienze 
civili 
mediante 
collegamenti 
da 
remoto, ove 
non sia 
richiesta 
la 
presenza 
di 
soggetti 
diversi 
dai 
difensori, 
dalle parti e dagli ausiliari del giudice 
b) 
e 
la 
sostituzione 
dello 
svolgimento 
delle 
udienze 
civili 
mediante 
lo 
scambio e 
il 
deposito in telematico di 
note 
scritte 
contenenti 
le 
sole 
istanze 
e 
conclusioni, 
e 
la 
successiva 
adozione 
fuori 
udienza 
del 
provvedimento 
del 
giudice, 
sempre 
ove 
non sia 
richiesta 
la 
presenza 
di 
soggetti 
diversi 
dai 
difensori 
delle parti. 
Le 
descritte 
misure 
hanno 
suscitato, 
specie 
nella 
fase 
iniziale, 
censure, 
sotto l’aspetto del 
vulnus 
al 
diritto di 
difesa. Ad esempio, la 
previsione 
del-
l’udienza 
da 
remoto ha 
sollevato le 
critiche 
di 
parte 
dell’Avvocatura: 
l’unione 
nazionale 
delle 
Camere 
Civili 
ha 
avuto modo di 
affermare 
che 
“l'udienza civile 
è 
un 
momento 
di 
discussione 
e 
confronto, 
smaterializzarla 
è 
un 
rischio 
serio e grave per i diritti dei cittadini”. 


La novella è contenuta negli artt. 127 bis 
e 127 ter 
c.p.c. 
L’art. 
127 
bis, 
rubricato 
“udienza 
mediante 
collegamenti 
audiovisivi”, 
così dispone: 
“Lo 
svolgimento 
dell'udienza, 
anche 
pubblica, 
mediante 
collegamenti 
audiovisivi 
a distanza può essere 
disposto dal 
giudice 
quando non è 
richiesta la 



ContRIButI 
DI 
DottRInA 


presenza di 
soggetti 
diversi 
dai 
difensori, dalle 
parti, dal 
pubblico ministero 
e dagli ausiliari del giudice. 

il provvedimento di cui al primo comma è comunicato alle parti almeno 
quindici 
giorni 
prima 
dell'udienza. 
Ciascuna 
parte 
costituita, 
entro 
cinque 
giorni 
dalla comunicazione, può chiedere 
che 
l'udienza si 
svolga in presenza. 
il 
giudice, 
tenuto 
conto 
dell'utilità 
e 
dell'importanza 
della 
presenza 
delle 
parti 
in 
relazione 
agli 
adempimenti 
da 
svolgersi 
in 
udienza, 
provvede 
nei 
cinque 
giorni 
successivi 
con 
decreto 
non 
impugnabile, 
con 
il 
quale 
può 
anche 
disporre 
che 
l'udienza si 
svolga alla presenza delle 
parti 
che 
ne 
hanno fatto richiesta 
e 
con 
collegamento 
audiovisivo 
per 
le 
altre 
parti. 
in 
tal 
caso 
resta 
ferma la possibilità per queste ultime di partecipare in presenza. 

Se 
ricorrono particolari 
ragioni 
di 
urgenza, delle 
quali 
il 
giudice 
dà atto 
nel 
provvedimento, i 
termini 
di 
cui 
al 
secondo comma possono essere 
abbreviati”. 


L’art. 
127 
ter, 
rubricato 
“Deposito 
di 
note 
scritte 
in 
sostituzione 
del-
l'udienza”, così dispone: 


“L'udienza, 
anche 
se 
precedentemente 
fissata, 
può 
essere 
sostituita 
dal 
deposito 
di 
note 
scritte, 
contenenti 
le 
sole 
istanze 
e 
conclusioni, 
se 
non 
richiede 
la 
presenza 
di 
soggetti 
diversi 
dai 
difensori, 
dalle 
parti, 
dal 
pubblico 
ministero 
e 
dagli 
ausiliari 
del 
giudice. Negli 
stessi 
casi, l'udienza è 
sostituita dal 
deposito 
di note scritte se ne fanno richiesta tutte le parti costituite. 

Con il 
provvedimento con cui 
sostituisce 
l'udienza il 
giudice 
assegna un 
termine 
perentorio non inferiore 
a quindici 
giorni 
per 
il 
deposito delle 
note. 
Ciascuna 
parte 
costituita 
può 
opporsi 
entro 
cinque 
giorni 
dalla 
comunicazione; 
il 
giudice 
provvede 
nei 
cinque 
giorni 
successivi 
con decreto non impugnabile 
e, 
in 
caso 
di 
istanza 
proposta 
congiuntamente 
da 
tutte 
le 
parti, 
dispone 
in conformità. Se 
ricorrono particolari 
ragioni 
di 
urgenza, delle 
quali 
il 
giudice 
dà atto nel 
provvedimento, i 
termini 
di 
cui 
al 
primo e 
secondo periodo 
possono essere abbreviati. 

il 
giudice 
provvede 
entro trenta giorni 
dalla scadenza del 
termine 
per 
il 
deposito delle note. 

Se 
nessuna delle 
parti 
deposita le 
note 
nel 
termine 
assegnato il 
giudice 
assegna un nuovo termine 
perentorio per 
il 
deposito delle 
note 
scritte 
o fissa 
udienza. Se 
nessuna delle 
parti 
deposita le 
note 
nel 
nuovo termine 
o compare 
all'udienza, il 
giudice 
ordina che 
la causa sia cancellata dal 
ruolo e 
dichiara 
l'estinzione del processo. 

il 
giorno di 
scadenza del 
termine 
assegnato per 
il 
deposito delle 
note 
di 
cui al presente articolo è considerato data di udienza a tutti gli effetti”. 


Le 
novità 
introdotte 
con 
gli 
artt. 
127 
bis 
e 
127 
ter 
c.p.c., 
all’evidenza, 
sono funzionali 
all’efficienza, efficacia 
ed economicità 
del 
processo e 
rispettose 
del 
diritto di 
difesa. Queste 
disposizioni 
hanno effetto a 
decorrere 
dal 
1° 
gennaio 2023 e 
si 
applicano ai 
procedimenti 
giurisdizionali 
instaurati 
succes



RASSEGnA 
AvvoCAtuRA 
DELLo 
StAto -n. 2/2022 


sivamente 
a 
tale 
data 
(diversamente 
dalle 
restanti 
disposizioni 
che 
hanno effetto 
a decorrere dal 30 giugno 2023). 


Il 
successivo comma 
14 dell’art. 3 D.L.vo n. 149/2022, nell’ambito del 
giudizio di 
cognizione, consente 
che 
a 
mezzo del 
deposito di 
note 
sia 
raccolto 
il 
giuramento 
del 
C.t.u. 
Difatti 
all’art. 
193 
c.p.c., 
dopo 
il 
primo 
comma 
viene 
aggiunto un nuovo comma 
per il 
quale 
in luogo della 
fissazione 
dell'udienza 
di 
comparizione 
per il 
giuramento del 
consulente 
tecnico d'ufficio il 
giudice 
può assegnare 
un termine 
per il 
deposito di 
una 
dichiarazione 
sottoscritta 
dal 
consulente 
con firma 
digitale, recante 
il 
giuramento; 
con il 
medesimo provvedimento 
il giudice fissa i termini previsti dall’art. 195, comma 3, c.p.c. 


9. Disposizioni 
contenenti 
misure 
manutentive 
della disciplina della notificazione. 
tali 
disposizioni 
sono contenute 
nel 
comma 
11 dell’art. 3 del 
D.L.vo n. 
149/2022, con la 
finalità 
di 
rendere 
mezzo ordinario di 
notificazione 
la 
posta 
elettronica 
certificata 
o 
il 
servizio 
elettronico 
di 
recapito 
certificato 
qualificato. 
Inoltre 
con disposizione 
chiarificatrice 
rispetto a 
quella 
contenuta 
nell’art. 16 
septies 
D.L. n. 179/2012, conv. L. n. 221/2012 (articolo poi 
abrogato dall’art. 
11 
D.L.vo 
n. 
149/2022, 
all’esito 
della 
rivisitazione 
delle 
disposizioni 
in 
materia 
di 
processo civile 
telematico), all’art. 147 c.p.c. -relativo al 
tempo delle 
notificazioni, 
che 
così 
statuisce: 
“Le 
notificazioni 
non 
possono 
farsi 
prima 
delle 
ore 
7 
e 
dopo 
le 
ore 
21” 
-aggiunge 
gli 
ulteriori 
due 
commi 
secondo 
cui: 
“Le 
notificazioni 
a 
mezzo 
posta 
elettronica 
certificata 
o 
servizio 
elettronico 
di 
recapito 
certificato 
qualificato 
possono 
essere 
eseguite 
senza 
limiti 
orari. 
Le 
notificazioni 
eseguite 
ai 
sensi 
del 
secondo 
comma 
si 
intendono 
perfezionate, 
per 
il 
notificante, 
nel 
momento 
in 
cui 
è 
generata 
la 
ricevuta 
di 
accettazione 
e, 
per 
il 
destinatario, 
nel 
momento 
in 
cui 
è 
generata 
la 
ricevuta 
di 
avvenuta 
consegna. 
Se 
quest'ultima 
è 
generata 
tra 
le 
ore 
21 
e 
le 
ore 
7 
del 
mattino 
del 
giorno 
successivo, 
la 
notificazione 
si 
intende 
perfezionata 
per 
il 
destinatario 
alle 
ore 
7”. 


10. 
modificazione 
del 
contenuto-forma 
dell’atto 
di 
citazione 
e 
aumento 
del 
termine 
per 
comparire 
e 
del 
termine 
per 
la 
costituzione 
tempestiva 
del 
convenuto. 
Il comma 3 dell’art. 163 c.p.c. viene così modificato: 


-dopo 
il 
numero 
3) 
viene 
inserito 
il 
n. 
3 
bis) 
per 
il 
quale 
l’atto 
di 
citazione 
deve 
contenere 
altresì 
l'indicazione, 
nei 
casi 
in 
cui 
la 
domanda 
è 
soggetta 
a 
condizione 
di 
procedibilità, 
dell'assolvimento 
degli 
oneri 
previsti 
per 
il 
suo 
superamento; 


-al 
numero 4), la 
descrizione 
della 
causa petendi, ossia 
dei 
fatti 
e 
degli 
elementi 
di 
diritto 
costituenti 
le 
ragioni 
della 
domanda, 
con 
le 
relative 
conclusioni, 
deve essere effettuata “in modo chiaro e specifico”; 
-il 
numero 7), relativo alla 
vocatio in ius, è 
così 
sostituito: 
“l'indicazione 
del 
giorno 
dell'udienza 
di 
comparizione; 
l'invito 
al 
convenuto 
a 
costituirsi 
nel 

ContRIButI 
DI 
DottRInA 


termine 
di 
settanta 
giorni 
prima 
dell'udienza 
indicata 
[in 
luogo 
del 
precedente 
termine 
di 
venti 
giorni 
prima] ai 
sensi 
e 
nelle 
forme 
stabilite 
dall'articolo 166 
e 
a 
comparire, 
nell'udienza 
indicata, 
dinanzi 
al 
giudice 
designato 
ai 
sensi 
del-
l'articolo 
168-bis, 
con 
l'avvertimento 
che 
la 
costituzione 
oltre 
i 
suddetti 
termini 
implica le 
decadenze 
di 
cui 
agli 
articoli 
38 e 
167, che 
la difesa tecnica mediante 
avvocato è 
obbligatoria in tutti 
i 
giudizi 
davanti 
al 
tribunale, fatta eccezione 
per 
i 
casi 
previsti 
dall'articolo 86 o da leggi 
speciali, e 
che 
la parte, 
sussistendone 
i 
presupposti 
di 
legge, può presentare 
istanza per 
l'ammissione 
al patrocinio a spese dello Stato”. 


novellando 
inoltre 
l’art. 
163 
bis 
c.p.c., 
il 
termine 
a 
comparire 
è 
stato 
portato 
da 
novanta 
a 
centoventi; 
novellando poi 
l’art. 166 c.p.c. il 
termine 
per la 
costituzione 
tempestiva 
del 
convenuto è 
passato a 
settanta 
giorni 
prima 
del-
l'udienza 
di 
comparizione 
fissata 
nell'atto di 
citazione, rispetto a 
quello previgente 
di venti giorni. 

All’evidenza, per semplificare 
ed accelerare 
la 
durata 
dei 
processi 
il 
legislatore 
aumenta 
di 
almeno trenta 
giorni 
la 
durata 
del 
processo rispetto al 
regime 
previgente 
(in corrispondenza 
dell’aumento del 
termine 
per comparire). 
La 
doppia 
novella 
-aumento 
del 
termine 
per 
comparire 
ed 
aumento 
del 
termine 
per 
la 
costituzione 
tempestiva 
del 
convenuto 
-dovrebbe 
essere 
funzionale 
allo 
svolgimento delle 
verifiche 
preliminari 
da 
parte 
del 
giudice, ma 
di 
ciò è 
lecito 
dubitare per quanto si dirà di seguito. 


11. 
Verifiche 
preliminari 
funzionali 
alla 
corretta 
instaurazione 
del 
contraddittorio 
e 
definizione 
dell’oggetto 
del 
giudizio 
(con 
la 
fissazione 
definitiva 
delle 
domande 
e 
delle 
eccezioni 
processuali 
e 
di 
merito che 
non siano rilevabili 
di ufficio) e delle richieste istruttorie. 
Le 
verifiche 
preliminari 
del 
giudice 
trovano disciplina 
negli 
artt. 171 bis 
e 
171 
ter 
c.p.c. 
introdotti 
nel 
codice, 
mediante 
una 
operazione 
di 
trapianto 
delle 
disposizioni 
già 
contenute 
nell’art. 183 c.p.c. -inerente 
alla 
prima 
comparizione 
delle 
parti 
e 
trattazione 
della 
causa 
-nel 
contenitore 
costituito dai 
nuovi artt. 171 bis 
e 171 
ter 
c.p.c. 


Con questa 
novella 
le 
verifiche 
funzionali 
alla 
corretta 
instaurazione 
del 
contraddittorio e 
alla 
fissazione 
definitiva 
delle 
domande, delle 
eccezioni 
in 
senso stretto e 
delle 
richieste 
istruttorie 
-che 
nel 
regime 
preesistente 
erano effettuate 
(o, con riguardo alla 
fissazione 
definitiva, potevano essere 
effettuate 
fino) alla 
udienza 
di 
prima 
comparizione 
e 
trattazione 
della 
causa 
-vengono 
anticipate nel periodo antecedente la prima udienza. 


Giusta l’art. 171 bis 
(rubricato “verifiche preliminari”): 


“Scaduto 
il 
termine 
di 
cui 
all'articolo 
166, 
[ossia 
al 
69° 
giorno 
prima 
dell’udienza 
di 
comparizione] 
il 
giudice 
istruttore, entro i 
successivi 
quindici 
giorni, 
[ossia 
nel 
periodo compreso tra 
il 
69° 
e 
il 
54° 
prima 
dell’udienza 
di 
comparizione] 
verificata 
d'ufficio 
la 
regolarità 
del 
contraddittorio, 
pronuncia, 



RASSEGnA 
AvvoCAtuRA 
DELLo 
StAto -n. 2/2022 


quando occorre, i 
provvedimenti 
previsti 
dagli 
articoli 
102, secondo comma, 
107, 164, secondo, terzo, quinto e 
sesto comma, 167, secondo e 
terzo comma, 
171, terzo comma, 182, 269, secondo comma, 291 e 
292, e 
indica alle 
parti 
le 
questioni 
rilevabili 
d'ufficio di 
cui 
ritiene 
opportuna la trattazione, anche 
con 
riguardo alle 
condizioni 
di 
procedibilità della domanda e 
alla sussistenza dei 
presupposti 
per 
procedere 
con rito semplificato. Tali 
questioni 
sono trattate 
dalle 
parti 
nelle 
memorie 
integrative 
di 
cui 
all'articolo 171-ter 
[vi 
è 
la 
trasposizione, 
nella 
sostanza, del 
vecchio comma 
1 e 
di 
parte 
del 
vecchio comma 
4 
dell’art. 183 c.p.c.]. 


Quando pronuncia i 
provvedimenti 
di 
cui 
al 
primo comma, il 
giudice, se 
necessario, 
fissa 
la 
nuova 
udienza 
per 
la 
comparizione 
delle 
parti, 
rispetto 
alla quale 
decorrono i 
termini 
indicati 
dall'articolo 171-ter 
[vi 
è 
la 
trasposizione, 
nella sostanza, del vecchio comma 2 dell’art. 183 c.p.c.]. 


Se 
non provvede 
ai 
sensi 
del 
secondo comma, conferma o differisce, fino 
ad 
un 
massimo 
di 
quarantacinque 
giorni, 
la 
data 
della 
prima 
udienza 
rispetto 
alla quale decorrono i termini indicati dall'articolo 171-ter. 

il decreto è comunicato alle parti costituite a cura della cancelleria”. 


Giusta l’art. 171 ter 
(rubricato “Memorie integrative”): 


“Le parti, a pena di decadenza, con memorie integrative possono: 

1) 
almeno 
quaranta 
giorni 
prima 
dell'udienza 
di 
cui 
all'articolo 
183, 
proporre 
le 
domande 
e 
le 
eccezioni 
che 
sono conseguenza della domanda riconvenzionale 
o 
delle 
eccezioni 
proposte 
dal 
convenuto 
o 
dal 
terzo, 
nonché 
precisare 
o modificare 
le 
domande, eccezioni 
e 
conclusioni 
già proposte. Con 
la 
stessa 
memoria 
l'attore 
può 
chiedere 
di 
essere 
autorizzato 
a 
chiamare 
in 
causa 
un 
terzo, 
se 
l'esigenza 
è 
sorta 
a 
seguito 
delle 
difese 
svolte 
dal 
convenuto 
nella comparsa di 
risposta; 
[vi 
è 
la 
trasposizione 
-cum 
grano salis 
-del 
vecchio 
comma 5 e del vecchio comma 6, n. 1 dell’art. 183 c.p.c.] 
2) almeno venti 
giorni 
prima dell'udienza, replicare 
alle 
domande 
e 
alle 
eccezioni 
nuove 
o modificate 
dalle 
altre 
parti, proporre 
le 
eccezioni 
che 
sono 
conseguenza delle 
domande 
nuove 
da queste 
formulate 
nella memoria di 
cui 
al 
numero 1), nonché 
indicare 
i 
mezzi 
di 
prova ed effettuare 
le 
produzioni 
documentali; 
[vi 
è 
la 
trasposizione 
-cum 
grano salis 
-del 
vecchio comma 
6, n. 
2 dell’art. 183 c.p.c.] 
3) almeno dieci 
giorni 
prima dell'udienza, replicare 
alle 
eccezioni 
nuove 
e 
indicare 
la prova contraria” 
[vi 
è 
la 
trasposizione 
-cum 
grano salis 
-del 
vecchio comma 
6, n. 3 dell’art. 183 c.p.c. e 
la 
previsione 
delle 
repliche 
alle 
eccezioni nuove]. 
L’istituto 
delle 
verifiche 
e 
della 
definizione 
dell’oggetto 
del 
giudizio 
e 
delle 
richieste 
istruttorie 
in 
una 
fase 
precedente 
alla 
prima 
udienza 
è 
senz’altro 
una misura di razionalizzazione. 

Criticabile 
della 
novella 
sul 
punto è 
l’irragionevole 
aumento del 
termine 
a 
comparire 
in 
uno 
all’irragionevole 
aumento 
del 
termine 
di 
costituzione 
tem



ContRIButI 
DI 
DottRInA 


pestiva 
del 
convenuto per consentire 
al 
giudice 
lo svolgimento delle 
verifiche 
ex 
art. 
171 
bis 
c.p.c. 
verifiche 
che 
nel 
regime 
precedente 
erano 
eseguite 
in 
udienza, mentre 
con la 
novella 
sono concessi 
quindici 
giorni: 
per fare 
tali 
verifiche 
basta 
poco, potevano essere 
-ragionevolmente 
-previsti 
tre 
giorni 
per 
il loro svolgimento. 


All’evidenza 
-rispetto al 
regime 
precedente 
-sono dilatati 
i 
termini 
ordinatori 
del 
giudice 
e 
ridotti 
i 
termini 
perentori 
per le 
parti 
(espressamente 
qualificati 
come 
tali 
nell’incipit 
dell’art. 171 ter 
c.p.c.). Il 
giudice 
deve 
rispettare 
il 
termine 
di 
quindici 
giorni 
ex art. 171 bis 
c.p.c. per le 
verifiche 
preliminari, 
atteso che 
diversamente 
viene 
messa 
in crisi 
la 
sequenza 
dei 
termini 
40/20/10 
ex 
art. 
171 
ter. 
Ma 
se 
-in 
ipotesi 
-non 
rispetta 
il 
detto 
termine 
di 
quindici 
giorni, i 
termini 
40/20/10 comunque 
devono essere 
concessi 
alle 
parti 
con un 
nuovo dies 
a quo 
e 
quindi 
con lungaggini 
del 
procedimento. In disparte 
poi 
alla 
irragionevolezza 
della 
previsione 
ex 
art. 
171 
bis, 
comma 
3, 
c.p.c. 
secondo 
cui 
se 
non provvede 
ai 
sensi 
del 
secondo comma, conferma 
o differisce, fino 
ad un massimo di 
quarantacinque 
giorni, la 
data 
della 
prima 
udienza 
rispetto 
alla 
quale 
decorrono i 
termini 
indicati 
dall'articolo 171 
ter. 
All’evidenza, non 
vi 
è 
alcuna 
ragione 
per 
la 
quale 
al 
giudice 
è 
data 
la 
facoltà 
di 
differire 
udienza. 
ossia tale differimento non è funzionale a nulla. 


Le 
parti 
-con 
il 
vecchio 
art. 
183, 
commi 
5 
e 
6, 
c.p.c. 
-avevano 
ottanta 
giorni 
dalla 
prima 
udienza 
per 
svolgere 
le 
attività 
integrative 
che 
nel 
nuovo 
regime 
di 
cui 
all’art. 
171 
ter 
c.p.c. 
devono 
svolgere 
in 
termini 
compressi. 


Si 
conferma, all’evidenza, il 
dato rilevato da 
Cipriani 
secondo cui 
il 
processo 
viene 
costruito dai 
conditores 
dal 
punto di 
vista 
del 
giudice 
e 
non dal 
punto di 
vista 
delle 
parti. Il 
che 
non va: 
è 
come 
se 
l’ospedale 
fosse 
gestito in 
base alle esigenze dei medici, anziché in base alle necessità del paziente. 


12. Snellimento della udienza per 
la prima comparizione 
delle 
parti 
e 
trattazione 
della causa. 
Il 
nuovo 
testo 
dell’art. 
183 
c.p.c. 
-prosciugato, 
rispetto 
al 
testo 
precedente, 
delle 
attività 
preliminari 
da 
svolgere 
nel 
periodo antecedente 
la 
prima 
udienza 
secondo la 
disciplina 
degli 
artt. 171 
bis 
e 
171 ter 
c.p.c. -connota 
con 
caratteri 
di 
snellezza 
la 
comparizione 
delle 
parti 
e 
trattazione 
della 
causa. 
Questa 
la disciplina: 


“all'udienza fissata per 
la prima comparizione 
e 
la trattazione 
le 
parti 
devono 
comparire 
personalmente. 
La 
mancata 
comparizione 
delle 
parti 
senza 
giustificato 
motivo 
costituisce 
comportamento 
valutabile 
ai 
sensi 
dell'articolo 
116, 
secondo 
comma 
[si 
traspone 
quanto 
previsto 
nell’art. 
420, 
comma 
1, 
c.p.c. 
per il rito del lavoro]. 


Salva l'applicazione 
dell'articolo 187, il 
giudice, se 
autorizza l'attore 
a 
chiamare 
in 
causa 
un 
terzo, 
fissa 
una 
nuova 
udienza 
a 
norma 
dell'articolo 
269, terzo comma. 


RASSEGnA 
AvvoCAtuRA 
DELLo 
StAto -n. 2/2022 


il 
giudice 
interroga 
liberamente 
le 
parti, 
richiedendo, 
sulla 
base 
dei 
fatti 
allegati, 
i 
chiarimenti 
necessari 
e 
tenta 
la 
conciliazione 
a 
norma 
dell'articolo 
185. 


Se 
non 
provvede 
ai 
sensi 
del 
secondo 
comma 
il 
giudice 
provvede 
sulle 
richieste 
istruttorie 
e, 
tenuto 
conto 
della 
natura, 
dell'urgenza 
e 
della 
complessità 
della 
causa, 
predispone, 
con 
ordinanza, 
il 
calendario 
delle 
udienze 
successive 
sino 
a 
quella 
di 
rimessione 
della 
causa 
in 
decisione, 
indicando 
gli 
incombenti 
che 
verranno 
espletati 
in 
ciascuna 
di 
esse. 
L'udienza 
per 
l'assunzione 
dei 
mezzi 
di 
prova 
ammessi 
è 
fissata 
entro 
novanta 
giorni. 
Se 
l'ordinanza 
di 
cui 
al 
primo 
periodo 
è 
emanata 
fuori 
udienza, 
deve 
essere 
pronunciata 
entro 
trenta 
giorni. 


Se 
con 
l'ordinanza 
di 
cui 
al 
quarto 
comma 
vengono 
disposti 
d'ufficio 
mezzi 
di 
prova, ciascuna parte 
può dedurre, entro un termine 
perentorio assegnato 
dal 
giudice 
con la medesima ordinanza, i 
mezzi 
di 
prova che 
si 
rendono 
necessari 
in relazione 
ai 
primi, nonché 
depositare 
memoria di 
replica 
nell'ulteriore 
termine 
perentorio 
parimenti 
assegnato 
dal 
giudice, 
che 
si 
riserva 
di provvedere a norma del quarto comma ultimo periodo”. 


All’evidenza, svolte 
le 
attività 
preliminari 
di 
cui 
agli 
artt. 171 bis 
e 
171 
ter 
c.p.c., l’udienza 
per la 
prima 
comparizione 
delle 
parti 
e 
trattazione 
della 
causa 
diviene 
una 
udienza 
con 
scambio 
di 
cioccolattini: 
chiariti 
i 
dubbi 
residui, 
se 
non occorre 
attività 
istruttoria 
la 
lite 
è 
pronta 
per essere 
avviata 
sui 
binari 
della 
decisione, diversamente 
viene 
fissato il 
calendario del 
processo cadenzando 
- nei limiti del prevedibile - la futura attività istruttoria. 


13. Definizione semplificata del giudizio a mezzo di ordinanza. 
nel 
tentativo 
di 
accelerare 
i 
tempi 
del 
giudizio 
la 
novella 
prevede 
che 
allorché 
non 
sia 
necessaria 
attività 
istruttoria 
(essendo 
sufficiente 
quanto 
già 
raccolto) 
e 
le 
ragioni 
sul 
merito 
del 
contendere 
siano 
chiare 
(manifestamente 
fondate 
o 
manifestamente 
infondate), 
il 
giudizio 
può 
definirsi 
con 
ordinanza. 
tanto 
ha 
condotto 
alla 
previsione 
dei 
nuovi 
artt. 
183 
ter 
e 
183 
quater 
c.p.c. 


Giusta 
l’art. 
183 
ter 
(rubricato 
“ordinanza 
di 
accoglimento 
della 
domanda”): 


“Nelle 
controversie 
di 
competenza 
del 
tribunale 
aventi 
ad 
oggetto 
diritti 
disponibili 
il 
giudice, 
su 
istanza 
di 
parte, 
nel 
corso 
del 
giudizio 
di 
primo 
grado 
può 
pronunciare 
ordinanza 
di 
accoglimento 
della 
domanda 
quando 
i 
fatti 
costitutivi 
sono 
provati 
e 
le 
difese 
della 
controparte 
appaiono 
manifestamente 
infondate. 


in caso di 
pluralità di 
domande 
l'ordinanza può essere 
pronunciata solo 
se tali presupposti ricorrono per tutte. 

L'ordinanza 
di 
accoglimento 
è 
provvisoriamente 
esecutiva, 
è 
reclamabile 
ai 
sensi 
dell'articolo 
669-terdecies 
e 
non 
acquista 
efficacia 
di 
giudicato 
ai 
sensi 
dell'articolo 
2909 
del 
codice 
civile, 
né 
la 
sua 
autorità 
può 
essere 
invocata 
in 
altri 
processi. 
Con 
la 
stessa 
ordinanza 
il 
giudice 
liquida 
le 
spese 
di 
lite. 



ContRIButI 
DI 
DottRInA 


L'ordinanza di 
cui 
al 
secondo comma, se 
non è 
reclamata o se 
il 
reclamo 
è respinto, definisce il giudizio e non è ulteriormente impugnabile. 

in caso di 
accoglimento del 
reclamo, il 
giudizio prosegue 
innanzi 
a un 
magistrato diverso da quello che ha emesso l'ordinanza reclamata”. 


Giusta 
l’art. 
183 
quater 
(rubricato 
“ordinanza 
di 
rigetto 
della 
domanda”): 


“Nelle 
controversie 
di 
competenza 
del 
tribunale 
che 
hanno 
ad 
oggetto 
diritti 
disponibili, il 
giudice, su istanza di 
parte, nel 
corso del 
giudizio di 
primo 
grado, 
all'esito 
dell'udienza 
di 
cui 
all'articolo 
183, 
può 
pronunciare 
ordinanza 
di 
rigetto della domanda quando questa è 
manifestamente 
infondata, ovvero 
se 
è 
omesso o risulta assolutamente 
incerto il 
requisito di 
cui 
all'articolo 163, 
terzo comma, n. 3), e 
la nullità non è 
stata sanata o se, emesso l'ordine 
di 
rinnovazione 
della citazione 
o di 
integrazione 
della domanda, persiste 
la mancanza 
dell'esposizione 
dei 
fatti 
di 
cui 
al 
numero 4), terzo comma del 
predetto 
articolo 163. in caso di 
pluralità di 
domande 
l'ordinanza può essere 
pronunciata 
solo se tali presupposti ricorrano per tutte. 

L'ordinanza 
che 
accoglie 
l'istanza 
di 
cui 
al 
primo 
comma 
è 
reclamabile 
ai 
sensi 
dell'articolo 
669-terdecies 
e 
non 
acquista 
efficacia 
di 
giudicato 
ai 
sensi 
dell'articolo 
2909 
del 
codice 
civile, 
né 
la 
sua 
autorità 
può 
essere 
invocata 
in 
altri 
processi. 
Con 
la 
stessa 
ordinanza 
il 
giudice 
liquida 
le 
spese 
di 
lite. 


L'ordinanza di 
cui 
al 
secondo comma, se 
non è 
reclamata o se 
il 
reclamo 
è respinto, definisce il giudizio e non è ulteriormente impugnabile. 

in caso di 
accoglimento del 
reclamo, il 
giudizio prosegue 
davanti 
a un 
magistrato diverso da quello che ha emesso l'ordinanza reclamata”. 


Atteso il 
tenore 
delle 
disposizioni, le 
ordinanze 
in esame 
possono essere 
adottate 
solo in un giudizio, avente 
ad oggetto diritti 
disponibili, tra 
parti 
costituite. 
Sicché 
-specie 
con riguardo alle 
ordinanze 
di 
accoglimento -si 
mantiene 
il valore neutro della contumacia. 


Queste 
ordinanze 
-attesa 
la 
loro 
funzione 
acceleratoria 
dei 
tempi 
del 
processo 
-hanno quale 
sfondo la 
circostanza 
della 
non necessità 
di 
attività 
istruttoria 
(ossia 
un processo, al 
più, documentale, ove 
non occorre 
l’acquisizione 
di 
prove 
costituende). 
Dal 
tenore 
letterale 
delle 
disposizioni, 
però, 
le 
ordinanze 
di 
accoglimento possono essere 
adottate 
nel 
corso di 
tutto il 
giudizio di 
primo 
grado, sicché 
il 
requisito che 
i 
fatti 
costitutivi 
siano provati 
può essere 
conseguito 
anche 
al 
termine 
della 
istruttoria, al 
termine 
dell’acquisizione 
della 
testimonianza 
o 
di 
altre 
prove 
costituende. 
Invece, 
le 
ordinanze 
di 
accoglimento 
obbediscono alla 
ratio 
della 
decisione 
immediata 
e 
sollecita, perché 
possono 
essere 
adottate 
nel 
corso del 
giudizio di 
primo grado all'esito dell'udienza 
di 
cui all'art. 183 c.p.c., senza alcun ulteriore prosieguo per l’istruttoria. 


Le 
ordinanze 
in esame 
-di 
accoglimento e 
di 
rigetto della 
domanda 
-si 
aggiungono 
a 
quelle 
già 
previste 
negli 
artt. 
186 
bis 
(ordinanza 
per 
il 
pagamento 
di 
somme 
non 
contestate) 
e 
186 
quater 
(ordinanza 
successiva 
alla 
chiusura 
dell'istruzione) c.p.c. e 
la 
loro adozione 
presuppone, in via 
espressa, l’istanza 



RASSEGnA 
AvvoCAtuRA 
DELLo 
StAto -n. 2/2022 


della 
parte 
interessata. 
Con 
le 
stesse 
viene 
definito 
il 
merito 
del 
giudizio 
di 
primo 
grado 
con 
un 
provvedimento 
inidoneo 
a 
passare 
in 
giudicato 
ex 
art. 
2909 
c.c., 
sicché 
le 
domande 
potrebbero 
essere 
nuovamente 
proposte 
in 
un 
futuro e 
distinto giudizio. Difatti, per i 
caratteri 
delineati 
dalla 
novella, l’ordinanza 
di 
accoglimento della 
domanda 
ha 
il 
regime 
delle 
ordinanze 
cautelari 
di 
accoglimento (artt. 669 octies, commi 
7 e 
9, e 
669 terdecies 
c.p.c.), mentre 
l’ordinanza 
di 
rigetto della 
domanda 
ha 
il 
regime 
delle 
ordinanze 
cautelari 
di 
rigetto (artt. 669 septies 
e 669 terdecies 
c.p.c.). 


Qual è l’utilità delle ordinanze in esame? 


unicamente 
quella 
di 
definire 
il 
giudizio 
con 
ordinanza 
in 
luogo 
della 
sentenza. 
Quindi, 
snellire 
il 
lavoro 
del 
giudicante 
nella 
confezione 
dell’atto 
definitorio 
del 
giudizio, 
atteso 
il 
più 
rigoroso 
contenuto 
della 
sentenza 
(art. 
132 
c.p.c.) 
rispetto 
all’ordinanza 
(art. 
134 
c.p.c. 
che 
è 
“succintamente 
motivata”). 


non può dirsi 
che 
-con riguardo alle 
ordinanze 
di 
accoglimento, adottabili, 
oltre 
che 
sul 
presupposto che 
i 
fatti 
costitutivi 
siano provati, sul 
presupposto 
che 
“le 
difese 
della controparte 
appaiono manifestamente 
infondate”che 
la 
definizione 
a 
mezzo di 
ordinanza 
consentirebbe 
una 
istruzione 
sommaria, 
del 
tipo cautelare. Il 
testo secondo cui 
“le 
difese 
della controparte 
appaiono 
manifestamente 
infondate” 
implica 
-all’evidenza 
-che 
nello 
specifico 
stadio in cui 
si 
esamina 
il 
materiale 
deduttivo e 
istruttorio questo conduce 
ad 
un giudizio di 
infondatezza 
delle 
pretese 
della 
controparte, anche 
alla 
stregua 
delle regole sull’onere della prova ex art. 2697 c.c. 

Avranno successo queste ordinanze? 


non abbiamo capacità 
predittiva, ma 
può prevedersi 
che 
le 
ordinanze 
in 
esame 
non verranno richieste 
dalle 
parti, le 
quali 
-di 
solito -desiderano munirsi 
di 
un 
titolo 
che 
metta 
la 
parola 
fine 
sulla 
vicenda. 
È 
difficile 
che 
una 
parte 


-arrivata 
la 
lite 
ad un punto nel 
quale 
comunque 
essa 
lite 
deve 
essere 
decisa 
-chieda 
l’adozione 
di 
una 
ordinanza 
in luogo della 
normale 
sentenza 
(ordinanza 
che 
una 
volta 
pronunciata 
consentirebbe 
alla 
controparte 
la 
riproposizione 
delle 
sue 
ragioni). 
In 
condizioni 
omologhe, 
nel 
processo 
amministrativo, 
il 
giudizio 
è 
definito 
con 
sentenza, 
semplificata 
sì, 
ma 
comunque 
sentenza. 
vuol 
farsi 
riferimento all’art. 74 c.p.a. secondo cui 
“Nel 
caso in cui 
ravvisi 
la 
manifesta fondatezza ovvero la manifesta irricevibilità, inammissibilità, improcedibilità 
o 
infondatezza 
del 
ricorso, 
il 
giudice 
decide 
con 
sentenza 
in 
forma semplificata. La motivazione 
della sentenza può consistere 
in un sintetico 
riferimento al 
punto di 
fatto o di 
diritto ritenuto risolutivo ovvero, se 
del 
caso, ad un precedente conforme”. 
Le 
disposizioni 
in esame 
sono spia 
della 
circostanza 
che 
il 
legislatore 
in 
nome 
della 
celerità 
del 
processo 
-consente 
l’adozione 
di 
atti 
non 
funzionali 
alla 
chiusura 
definitiva 
della 
res 
litigiosa. 
Arrivati 
a 
questo 
punto 
-ci 
si 
chiede 
-perché 
non 
prevedere 
allora 
provvedimenti 
definitori 
con 
la 
motivazione 
solo 
se 
richiesta 
(la 
rinuncia 
alla 
motivazione 
è 
consentita 
invero nel 
processo te



ContRIButI 
DI 
DottRInA 


desco, con il 
§ 313a 
Zivilprozessordnung), oppure 
provvedimenti 
adottati 
dal 
computer mediante 
algoritmi 
nell’ambito della 
giustizia 
predittiva 
o finanche 


-passando dal 
serio al 
faceto -a 
mezzo di 
sorteggio come 
nel 
Bridoye 
di 
Rabelais 
che decideva le cause tirando a sorte con i dadi. 
14. 
Semplificazione 
(apparente) 
della 
rimessione 
della 
causa 
per 
la 
decisione. 
L’art. 189 c.p.c. è stato così novellato: 


-il 
giudice 
istruttore, allorché 
la 
causa 
sia 
matura 
per la 
decisione, senza 
necessità 
di 
istruttoria 
o esaurita 
l'istruzione, fissa 
davanti 
a 
sé 
l'udienza 
per la 
rimessione della causa al collegio per la decisione; 
-in vista 
di 
questa 
udienza 
le 
parti 
possono depositare 
atti, entro una 
triplice 
cadenza, 
con 
i 
quali 
-rispettivamente 
-precisare 
le 
conclusioni, 
redigere 
comparse 
conclusionali, redigere 
memorie 
di 
replica. In dettaglio si 
prevede 
che 
il 
giudice 
istruttore, allorché 
fissa 
davanti 
a 
sé 
l'udienza 
per la 
rimessione 
della 
causa 
al 
collegio per la 
decisione 
“assegna alle 
parti, salvo che 
queste 
vi 
rinuncino, i 
seguenti 
termini 
perentori: 1) un termine 
non superiore 
a sessanta 
giorni 
prima 
dell'udienza 
per 
il 
deposito 
di 
note 
scritte 
contenenti 
la 
sola precisazione 
delle 
conclusioni 
che 
le 
parti 
intendono sottoporre 
al 
collegio, 
nei 
limiti 
di 
quelle 
formulate 
negli 
atti 
introduttivi 
o 
a 
norma 
dell'articolo 
171-ter. 
Le 
conclusioni 
di 
merito 
debbono 
essere 
interamente 
formulate 
anche 
nei 
casi 
previsti 
dell'articolo 187, secondo e 
terzo comma; 2) un termine 
non 
superiore 
a 
trenta 
giorni 
prima 
dell'udienza 
per 
il 
deposito 
delle 
comparse 
conclusionali; 
3) 
un 
termine 
non 
superiore 
a 
quindici 
giorni 
prima 
del-
l'udienza per il deposito delle memorie di replica”. 
-all'udienza 
fissata 
davanti 
a 
sé 
la 
causa 
è 
rimessa 
al 
collegio per la 
decisione. 
Rispetto alla 
disciplina 
precedente 
è 
eliminata 
la 
udienza 
dedicata 
specificamente 
alla 
precisazione 
delle 
conclusioni 
e 
gli 
atti 
illustrativi 
(comparse 
conclusionali 
e 
memorie 
di 
replica) vanno depositati 
prima 
e 
non dopo che 
la 
causa è rimessa in decisione. 


La 
novella, all’evidenza, è 
del 
tutto innocua. viene, difatti 
mantenuta 
del 
tutto inutilmente 
rispetto alla 
funzionalità 
del 
processo -una 
udienza 
ad 
hoc 
quale 
filtro 
per 
la 
decisione 
nella 
quale, 
in 
sostanza, 
non 
si 
fa 
niente: 
come 
dire, un’udienza per i saluti finali. 


Altra 
doveva 
essere 
la 
disposizione 
per garantire 
la 
funzionalità 
del 
processo. 
occorreva: 


- eliminare la previsione di questa udienza filtro per la decisione; 
-prevedere 
che 
il 
triplice 
termine 
di 
cui 
all’art. 
189 
c.p.c. 
decorre 
allorché 
la 
causa 
è 
matura 
per 
la 
decisione. 
ossia, 
già 
(potenzialmente) 
alla 
prima 
udienza 
ove 
non sia 
necessaria 
attività 
istruttoria 
oppure 
esaurita 
l'istruzione 
(soddisfatto 
il 
calendario 
del 
processo). 
Avere 
mantenuto 
una 
udienza 
filtro 
tradisce 
la 
cattiva 
coscienza 
dei 
conditores: 
consentire 
al 
giudice 
-in base 
al 



RASSEGnA 
AvvoCAtuRA 
DELLo 
StAto -n. 2/2022 


suo personale 
scadenziere 
-di 
graduare 
la 
rimessione 
delle 
cause 
in decisione 
e 
decidere 
secondo i 
suoi 
tempi 
la 
causa. Continueremo quindi 
a 
vedere 
cause 
nelle 
quali 
l’udienza 
ultima 
(vecchia 
udienza 
di 
precisazione 
delle 
conclusioni) 
è fissata ad anni dalla precedente. 


15. inserimento -quale 
giusta sedes 
materiae 
-del 
processo sommario di 
cognizione 
(ridenominato 
“procedimento 
semplificato 
di 
cognizione”) 
nel 
secondo 
libro 
del 
codice 
di 
rito 
e 
sua 
scelta 
quale 
atto 
introduttivo 
nei 
procedimenti dinanzi al Giudice di Pace. 
Con 
la 
novella 
del 
2009, 
il 
legislatore 
ha 
previsto, 
in 
alternativa 
al 
rito 
ordinario di 
cognizione 
dinanzi 
al 
tribunale 
in composizione 
monocratica, la 
fruizione del procedimento sommario di cognizione. 

L’obiettivo 
perseguito 
era 
quello 
di 
rendere 
più 
agile 
l’ordinario 
“percorso” 
processuale 
nell’implicito presupposto che 
si 
è 
in presenza 
di 
una 
controversia 
di 
natura 
“semplice”. 
Il 
rito 
sommario 
consente 
infatti 
già 
all’udienza 
di 
comparizione 
di 
decidere 
controversie 
ad istruttoria 
assente 
o semplificata 
come 
quelle: 
a) 
di 
mero 
diritto; 
b) 
che 
non 
presentano 
fatti 
controversi 
in 
quanto 
pacifici 
o 
non 
contestati 
o 
nelle 
ipotesi 
di 
riconoscimento 
della 
domanda; 
c) che 
presentano fatti 
dimostrabili 
solo con prove 
precostituite 
(documenti, 
presunzioni, 
etc.); 
d) 
che 
pur 
presentando 
fatti 
controversi 
richiedano 
prove 
costituende 
non complesse 
con il 
loro esaurimento in un tempo ragionevolmente 
breve; 
e) 
che 
costituiscano 
merito 
di 
un 
precedente 
provvedimento 
cautelare, anticipatorio o conservativo, in quanto le 
parti 
già 
conoscono le 
rispettive 
posizioni processuali. 


Con 
il 
procedimento 
sommario 
di 
cognizione 
viene 
conferito 
al 
giudice 
il 
potere 
discrezionale 
di 
dettare 
-attesi 
i 
connotati 
della 
specifica 
controversia 
-i 
tempi 
del 
procedimento, 
individuando 
le 
forme 
più 
adatte 
alla 
causa. 
Ciò 
in 
armonia 
con 
l’esigenza 
che 
il 
principio 
della 
“trattazione 
con 
giustizia” 
implichi 
che 
le 
controversie 
siano 
definite 
in 
modo 
proporzionato 
all’ammontare 
del 
valore 
in 
contesa, 
all’importanza 
del 
caso, 
alla 
complessità 
delle 
questioni 
coinvolte 
ed 
alla 
posizione 
finanziaria 
di 
ciascuna 
delle 
parti, 
ed 
implichi 
così 
che 
a 
ciascuna 
lite 
venga 
destinata 
una 
parte 
adeguata 
delle 
risorse 
del 
“sistema 
giudiziario”, 
tenendo 
presente 
la 
necessità 
di 
riservare 
una 
altrettanto 
adeguata 
porzione 
di 
risorse 
a 
tutte 
le 
altre 
controversie 
che 
richiedano 
l’intervento 
giudiziale. 


Modelli 
in tal 
senso hanno trovato attuazione 
in sistemi 
processuali 
stranieri. 
Le 
CPR inglesi 
consentono al 
giudice 
di 
scegliere 
tra 
diversi 
tracks, con 
un livello crescente 
di 
articolazione 
delle 
forme 
procedimentali 
(small 
claim 
tracks 
e 
multi 
tracks) 
in 
funzione 
del 
valore 
della 
controversia 
e 
della 
sua 
complessità. 
Analoghi 
sono i 
poteri 
che 
l’ordinamento francese 
attribuisce 
al 
Presidente 
del 
tribunale 
che, 
in 
relazione 
alla 
complessità 
della 
causa, 
può 
scegliere 
se 
la 
causa 
deve 
essere 
trattata 
secondo 
il 
circuit 
cort 
(applicabile 



ContRIButI 
DI 
DottRInA 


alle 
cause 
che 
sembrano pronte 
per essere 
decise), il 
circuit 
moyen 
(rito intermedio 
senza 
la 
nomina 
di 
un giudice 
istruttore), o il 
circuit 
long 
(che 
prevede 
la nomina del 
juge de al mise en ètat, affinchè provveda all’istruttoria). 


L’allocazione 
del 
procedimento sommario di 
cognizione 
-nel 
2009 -si 
è 
avuta, con l’inserimento del 
capo III 
bis 
(artt. 702 
bis, 702 
ter 
e 
702 quater 
c.p.c.) nel 
titolo I del 
quarto libro del 
codice 
di 
rito, dedicato ai 
procedimenti 
sommari. 
Allocazione 
infelice, 
atteso 
che 
il 
procedimento 
sommario 
di 
cognizione 
è 
una 
modalità 
del 
rito ordinario adattata 
alla 
qualità 
(non complessa) 
della controversia. 

Dopo oltre 
dieci 
anni, il 
legislatore 
della 
attuale 
novella 
corregge 
l’infortunio 
e 
provvede 
ad allocare 
nella 
giusta 
sede 
il 
rito in esame, ossia 
nel 
libro 
secondo, 
con 
l’introduzione 
del 
Capo 
III 
quater 
nell’ambito 
del 
titolo 
I 
relativo 
al 
“procedimento davanti 
al 
tribunale”, abrogando -a 
mezzo del 
comma 
48 
dell’art. 3 D.L.vo n. 149/2022 -il 
capo III 
bis 
del 
titolo I, Libro Iv 
del 
codice 
di procedura civile. 


Il 
Capo III quater 
-strutturato negli 
artt. 281 decies, 281 undecies, 281 
duodecies, e 
281 terdecies 
c.p.c. -è 
la 
trasposizione, riveduto e 
corretto, del 
procedimento sommario di 
cognizione 
previsto negli 
originari 
artt. 702 bis 
702 
quater 
c.p.c. i quali vengono, di conseguenza, abrogati. 


L’art. 
281 
decies 
-nel 
delineare 
l’ambito 
di 
applicazione 
del 
procedimento 
semplificato di 
cognizione 
-enuncia: 
“Quando i 
fatti 
di 
causa non sono controversi, 
oppure 
quando la domanda è 
fondata su prova documentale, o è 
di 
pronta soluzione 
o richiede 
un'istruzione 
non complessa, il 
giudizio è 
introdotto 
nelle 
forme 
del 
procedimento 
semplificato. 
Nelle 
cause 
in 
cui 
il 
tribunale 
giudica 
in 
composizione 
monocratica 
la 
domanda 
può 
sempre 
essere 
proposta 
nelle 
forme 
del 
procedimento semplificato”. Rispetto alla 
vecchia 
disciplina 
numerosi sono i miglioramenti: 


-in primo luogo vi 
è 
l’enunciazione 
espressa 
dei 
casi 
in cui 
è 
fruibile 
il 
procedimento in esame, ossia: 
a) quando i 
fatti 
di 
causa 
non sono controversi; 
b) oppure 
quando la 
domanda 
è 
fondata 
su prova 
documentale 
o è 
di 
pronta 
soluzione; 
c) 
o 
quando 
la 
domanda 
richiede 
un'istruzione 
non 
complessa. 
Questo 
non era 
enunciato con il 
vecchio procedimento sommario di 
cognizione. 
Come 
visto 
sopra, 
tuttavia 
ciò 
era 
implicito 
nel 
sistema. 
L’enunciazione 
espressa però giova alla chiarezza; 
-inoltre, 
l’alternativa 
al 
rito 
ordinario 
di 
cognizione 
è 
totale: 
il 
rito 
in 
esame 
è 
fruibile 
non solo per le 
controversie 
trattate 
dal 
tribunale 
in composizione 
monocratica 
(come 
previsto 
dall’art. 
702 
bis 
c.p.c.), 
ma 
anche 
per 
quelle 
trattate 
dal 
tribunale 
in composizione 
collegiale, come 
confermato dal 
novello art. 281 
terdecies 
c.p.c. 


L’art. 
281 
undecies 
regola 
la 
forma 
della 
domanda 
e 
costituzione 
delle 
parti, 
mantenendo 
-nella 
sostanza 
-l’impianto 
del 
preesistente 
art. 
702 
bis 
c.p.c. 
L’art. 
281 
duodecies 
regola 
il 
procedimento, 
migliorando 
in 
parte 
-ma 



RASSEGnA 
AvvoCAtuRA 
DELLo 
StAto -n. 2/2022 


appesantendone 
l’impianto informale 
e 
snello -quanto prescritto nel 
preesistente 
art. 702 ter 
c.p.c. Questa la disciplina: 


“alla prima udienza il 
giudice 
se 
rileva che 
per 
la domanda principale 
o 
per 
la domanda riconvenzionale 
non ricorrono i 
presupposti 
di 
cui 
al 
primo 
comma 
dell'articolo 
281-decies, 
dispone 
con 
ordinanza 
non 
impugnabile 
la 
prosecuzione 
del 
processo nelle 
forme 
del 
rito ordinario fissando l'udienza di 
cui 
all'articolo 183, rispetto alla quale 
decorrono i 
termini 
previsti 
dall'articolo 
171-ter. 
Nello 
stesso 
modo 
procede 
quando, 
valutata 
la 
complessità 
della 
lite 
e 
dell'istruzione 
probatoria, 
ritiene 
che 
la 
causa 
debba 
essere 
trattata 
con 
il rito ordinario. 


Entro 
la 
stessa 
udienza 
l'attore 
può 
chiedere 
di 
essere 
autorizzato 
a 
chiamare 
in 
causa 
un 
terzo, 
se 
l'esigenza 
è 
sorta 
dalle 
difese 
del 
convenuto. 
il 
giudice, 
se 
lo 
autorizza, 
fissa 
la 
data 
della 
nuova 
udienza 
assegnando 
un 
termine 
perentorio per 
la citazione 
del 
terzo. Se 
procede 
ai 
sensi 
del 
primo comma il 
giudice 
provvede 
altresì 
sulla autorizzazione 
alla chiamata del 
terzo. La costituzione 
del 
terzo in giudizio avviene 
a norma del 
terzo comma dell'articolo 
281-undecies. 


alla 
stessa 
udienza, 
a 
pena 
di 
decadenza, 
le 
parti 
possono 
proporre 
le 
eccezioni 
che 
sono conseguenza della domanda riconvenzionale 
e 
delle 
eccezioni 
proposte dalle altre parti. 


Se 
richiesto e 
sussiste 
giustificato motivo, il 
giudice 
può concedere 
alle 
parti 
un termine 
perentorio non superiore 
a venti 
giorni 
per 
precisare 
e 
modificare 
le 
domande, 
le 
eccezioni 
e 
le 
conclusioni, 
per 
indicare 
i 
mezzi 
di 
prova 
e 
produrre 
documenti, e 
un ulteriore 
termine 
non superiore 
a dieci 
giorni 
per 
replicare e dedurre prova contraria. 


Se 
non provvede 
ai 
sensi 
del 
secondo e 
del 
quarto comma e 
non ritiene 
la causa matura per 
la decisione 
il 
giudice 
ammette 
i 
mezzi 
di 
prova rilevanti 
per la decisione e procede alla loro assunzione”. 


L’art. 
281 
terdecies 
regola 
la 
decisione 
del 
procedimento: 
“il 
giudice 
quando 
rimette 
la 
causa 
in 
decisione 
procede 
a 
norma 
dell'articolo 
281-sexies. 
Nelle 
cause 
in cui 
il 
tribunale 
giudica in composizione 
collegiale, procede 
a 
norma dell'articolo 275-bis. La sentenza è 
impugnabile 
nei 
modi 
ordinari”. 
La 
disposizione 
reca 
innovazioni 
sostanziali 
e 
migliorative 
rispetto alla 
disciplina 
(artt. 702 ter, commi 
5, 6 e 
7 e 
702 quater 
c.p.c.) del 
vecchio procedimento 
sommario di 
cognizione, atteso che 
in luogo della 
ordinanza 
decisoria 
impugnabile 
in 
termini 
accelerati 
la 
definizione 
del 
giudizio 
si 
ha 
con 
sentenza 
“impugnabile nei modi ordinari”. 


ulteriore 
novità 
sistematica 
in 
ordine 
al 
procedimento 
semplificato 
di 
cognizione 
è 
che 
questo è 
stato scelto -in alternativa 
al 
procedimento ordinario 
di 
cognizione 
introdotto dall’atto di 
citazione 
-quale 
rito dinanzi 
al 
giudice 
di 
pace 
(beninteso con elementi 
di 
specialità, funzionali 
alla 
semplificazione 
tenuto 
conto della non rilevanza delle controversie). 



ContRIButI 
DI 
DottRInA 


Il 
comma 
24 dell’art. 3 D.L.vo n. 149/2022 -novellando l’art. 316 c.p.c. 


-stabilisce 
che 
davanti 
al 
giudice 
di 
pace 
la 
domanda 
si 
propone 
nelle 
forme 
del 
procedimento 
semplificato 
di 
cognizione, 
in 
quanto 
compatibili 
sostituendo 
il 
vecchio 
sistema 
della 
citazione 
a 
comparire 
a 
udienza 
fissa. 
Di 
conseguenza, 
il 
nuovo testo dell’art. 318, comma 
1, c.p.c. -regolante 
il 
contenuto della 
domanda 
-stabilisce 
che 
“La 
domanda 
si 
propone 
con 
ricorso, 
sottoscritto 
a 
norma dell'articolo 125, che 
deve 
contenere, oltre 
all'indicazione 
del 
giudice 
e delle parti, l'esposizione dei fatti e l'indicazione del suo oggetto”. 
16. modificazione 
dei 
presupposti 
e 
delle 
modalità della sospensione 
dell’efficacia 
esecutiva o dell'esecuzione della sentenza impugnata. 
novellando 
i 
primi 
due 
commi 
dell’art. 
283 
c.p.c. 
si 
è 
statuito 
quanto 
segue: 


“il 
giudice 
d'appello, 
su 
istanza 
di 
parte 
proposta 
con 
l'impugnazione 
principale 
o 
con 
quella 
incidentale, 
sospende 
in 
tutto 
o 
in 
parte 
l'efficacia 
esecutiva 
o l'esecuzione 
della sentenza impugnata, con o senza cauzione, se 
l'impugnazione 
appare 
manifestamente 
fondata 
o 
se 
dall'esecuzione 
della 
sentenza 
può derivare 
un pregiudizio grave 
e 
irreparabile, pur 
quando la condanna ha 
ad 
oggetto 
il 
pagamento 
di 
una 
somma 
di 
denaro, 
anche 
in 
relazione 
alla 
possibilità 
di insolvenza di una delle parti. 

L'istanza 
di 
cui 
al 
primo 
comma 
può 
essere 
proposta 
o 
riproposta 
nel 
corso del 
giudizio di 
appello se 
si 
verificano mutamenti 
nelle 
circostanze, che 
devono essere 
specificamente 
indicati 
nel 
ricorso, a pena di 
inammissibilità”. 


All’evidenza 
la 
sospensione 
ex 
art. 
283 
c.p.c. 
perde, 
con 
la 
novella, 
il 
carattere 
spiccatamente 
cautelare 
del 
regime 
precedente 
nel 
quale 
il 
presupposto 
della 
sospensione 
era 
costituito 
dalla 
sussistenza 
di 
“gravi 
e 
fondati 
motivi, 
anche 
in 
relazione 
alla 
possibilità 
di 
insolvenza 
di 
una 
delle 
parti”, 
ossia: 
sussistenza 
sia 
del 
periculum 
in 
mora 
che 
del 
fumus 
boni 
iuris. 
Con 
la 
novella 
è 
consentita 
la 
sospensione 
sussistendo 
-alternativamente 
-l’uno 


o 
l’altro 
presupposto. 
Questa 
è 
una 
buona 
novella. 
L’ideale 
è 
che 
la 
sentenza 
non 
sia 
esecutiva 
fino 
alla 
sua 
definitività. 
tuttavia 
-tenuto 
conto 
della 
lungaggine 
dei 
processi 
e 
per 
non 
pregiudicare 
il 
vincitore 
temporaneo 
a 
fronte 
dell’atteggiamento 
dilatorio 
del 
soccombente 
che 
impugna 
per 
prendere 
tempo 
-nel 
1990 
si 
è 
stabilito, 
novellando 
l’art. 
282 
c.p.c., 
che 
“La 
sentenza 
di 
primo 
grado 
è 
provvisoriamente 
esecutiva 
tra 
le 
parti”. 
Con 
giusto 
equilibrio, 
con 
la 
novella 
del 
2022, 
si 
consente 
una 
revisione 
della 
esecutività 
a 
maglie 
larghe: 
sia 
quando 
il 
giudice 
di 
primo 
grado 
erra 
manifestamente, 
sia 
quando 
dal-
l'esecuzione 
della 
sentenza 
può 
derivare 
un 
pregiudizio 
grave 
e 
irreparabile 
al 
soccombente. 


Altro 
aspetto 
positivo 
è 
che 
la 
richiesta 
di 
sospensione 
può 
essere 
proposta 
non solo con l’atto di impugnazione, ma anche nel corso del giudizio. 



RASSEGnA 
AvvoCAtuRA 
DELLo 
StAto -n. 2/2022 


17. restyling del contenuto-forma dell’atto di appello. 
L’art. 342 c.p.c. viene sostituito con il seguente testo: 


“L'appello 
si 
propone 
con 
citazione 
contenente 
le 
indicazioni 
prescritte 
nell'articolo 
163. 
L'appello 
deve 
essere 
motivato, 
e 
per 
ciascuno 
dei 
motivi 
deve 
indicare 
a 
pena 
di 
inammissibilità, 
in 
modo 
chiaro, 
sintetico 
e 
specifico: 
1) 
il 
capo 
della 
decisione 
di 
primo 
grado 
che 
viene 
impugnato; 
2) 
le 
censure 
proposte 
alla 
ricostruzione 
dei 
fatti 
compiuta 
dal 
giudice 
di 
primo 
grado; 
3) 
le 
violazioni 
di 
legge 
denunciate 
e 
la 
loro 
rilevanza 
ai 
fini 
della 
decisione 
impugnata. 


Tra il 
giorno della citazione 
e 
quello della prima udienza di 
trattazione 
devono 
intercorrere 
termini 
liberi 
non 
minori 
di 
novanta 
giorni 
se 
il 
luogo 
della notificazione 
si 
trova in italia e 
di 
centocinquanta giorni 
se 
si 
trova all'estero”. 


All’evidenza, rispetto al 
vecchio testo, tre 
sono le 
novità: 
a) previsione 
espressa 
che 
i 
motivi 
di 
appello 
devono 
essere, 
a 
pena 
di 
inammissibilità, 
oltre 
che 
specifici, anche 
chiari 
sintetici; 
b) precisazioni 
in ordine 
alle 
tecniche 
di 
redazione 
dei 
motivi; 
c) 
termine 
a 
comparire 
sganciato 
dalle 
previsioni 
del 
primo grado, atteso che 
non vi 
è 
alcuna 
attività 
preliminare 
come 
quella 
prevista, 
nel primo grado, agli artt. 171 bis 
e 171 
ter 
c.p.c. 


18. 
Eliminazione 
della 
pronuncia 
di 
inammissibilità 
dell’appello 
quando 
l’impugnazione 
non ha una ragionevole probabilità di essere accolta. 
Con la 
novella 
del 
2012 vennero introdotti 
nel 
codice 
gli 
artt. 348 bis 
e 
348 ter 
c.p.c., ad imitazione 
di 
istituti 
previsti 
nella 
procedura 
tedesca. venne 
statuito che, fuori 
dei 
casi 
in cui 
deve 
essere 
dichiarata 
con sentenza 
l'inammissibilità 
o l'improcedibilità 
dell'appello, l'impugnazione 
è 
dichiarata 
inammissibile 
dal 
giudice 
competente 
quando non ha 
una 
ragionevole 
probabilità 
di 
essere 
accolta; 
tanto 
con 
ordinanza 
succintamente 
motivata, 
anche 
mediante 
il 
rinvio 
agli 
elementi 
di 
fatto 
riportati 
in 
uno 
o 
più 
atti 
di 
causa 
e 
il 
riferimento 
a 
precedenti 
conformi. 
In 
questa 
evenienza, 
pronunciata 
l'inammissibilità, 
contro 
il 
provvedimento 
di 
primo 
grado 
può 
essere 
proposto, 
a 
norma 
dell'art. 
360 
c.p.c., ricorso per cassazione 
(così 
l’art. 348 ter, comma 
3, c.p.c.). Il 
quarto e 
quinto comma 
dell’art. 348 ter 
c.p.c., statuivano infine: 
“Quando l'inammissibilità 
è 
fondata sulle 
stesse 
ragioni, inerenti 
alle 
questioni 
di 
fatto, poste 
a 
base 
della 
decisione 
impugnata, 
il 
ricorso 
per 
cassazione 
di 
cui 
al 
comma 
precedente 
può essere 
proposto esclusivamente 
per 
i 
motivi 
di 
cui 
ai 
numeri 
1), 2), 3) e 
4) del 
primo comma dell'articolo 360 
[comma 
4]. La disposizione 
di 
cui 
al 
quarto comma si 
applica, fuori 
dei 
casi 
di 
cui 
all'articolo 348-bis, 
secondo comma, lettera a), anche 
al 
ricorso per 
cassazione 
avverso la sentenza 
d'appello che conferma la decisione di primo grado [comma 5]”. 


La 
sunteggiata 
disciplina 
ha 
suscitato vari 
contrasti 
in dottrina 
-con notevoli 
riflessi 
in giurisprudenza, che 
ne 
ha 
minimizzato l’uso, rispetto ai 
casi 
potenziali 
ai 
quali 
la 
detta 
disciplina 
poteva 
essere 
applicata 
-perché 
consente 



ContRIButI 
DI 
DottRInA 


di 
dichiarare 
inammissibile 
l'impugnazione 
quando questa 
non ha 
una 
ragionevole 
probabilità 
di 
essere 
accolta. La 
formulazione 
espone 
ad una 
latissima 
discrezionalità 
del 
giudicante. 
Che 
significa 
“ragionevole 
probabilità 
di 
essere 
accolta”? 
Perché 
introdurre 
un modello di 
decisione 
tipico del 
giudizio cautelare, 
quando si è in presenza di un normale giudizio di cognizione? 


All’evidenza 
la 
novella 
del 
2012, introducente 
gli 
artt. 348 bis 
e 
348 ter 
c.p.c., è 
l’ennesima 
tecnica 
per deflazionare 
a 
colpi 
di 
sciabola 
il 
contenzioso, 
il cui conto, però, viene addebitato unicamente alle parti. 


Per 
rimediare 
a 
questa 
situazione, 
il 
legislatore 
della 
riforma 
-saggiamente 
-ha 
rivisto il 
tutto eliminando la 
dichiarazione 
di 
inammissibilità 
del-
l'impugnazione 
quando 
questa 
non 
ha 
una 
ragionevole 
probabilità 
di 
essere 
accolta, semplificando l’iter nel 
caso della 
possibilità 
di 
decidere, anche 
sul 
merito, la 
causa 
in limine 
litis, canalizzando la 
lite 
nella 
pronuncia 
comunque 
di 
una 
sentenza 
impugnabile 
nei 
modi 
ordinari. tanto è 
l’effetto dell’abrogazione 
dell’art. 348 ter 
c.p.c. e 
della 
sostituzione 
dell’art. 348 bis 
c.p.c. con la 
seguente disposizione: 


“Quando ravvisa che 
l'impugnazione 
è 
inammissibile 
o manifestamente 
infondata, il 
giudice 
dispone 
la discussione 
orale 
della causa secondo quanto 
previsto dall'articolo 350-bis. 


Se 
è 
proposta impugnazione 
incidentale, si 
provvede 
ai 
sensi 
del 
primo 
comma 
solo 
quando 
i 
presupposti 
ivi 
indicati 
ricorrono 
sia 
per 
l'impugnazione 
principale 
che 
per 
quella 
incidentale. 
in 
mancanza, 
il 
giudice 
procede 
alla 
trattazione di tutte le impugnazioni comunque proposte contro la sentenza”. 


19. 
adeguamento 
dell’iter 
alla 
complessità/semplicità 
delle 
problematiche 
agitate, 
previsione 
dell’adozione 
degli 
atti 
difensionali 
finali 
prima 
(e 
non 
dopo) 
l’udienza 
nella 
quale 
la 
causa 
è 
rimessa 
in 
decisione, 
riduzione 
dei 
casi 
di rimessione in primo grado. 
Con un ritorno all’antico -ossia 
alla 
previsione 
codicistica 
ante 
novella 
del 
1950 
-si 
prevede 
nuovamente 
la 
nomina 
dell’istruttore 
giusta 
la 
previsione 
dell’art. 349 bis, comma 
1, c.p.c.: 
“Quando l'appello è 
proposto davanti 
alla 
corte 
di 
appello, 
il 
presidente, 
se 
non 
ritiene 
di 
nominare 
il 
relatore 
e 
disporre 
la comparizione 
delle 
parti 
davanti 
al 
collegio per 
la discussione 
orale, designa 
un componente di questo per la trattazione e l'istruzione della causa”. 


nella 
prima 
udienza, 
in 
sede 
di 
trattazione 
-come 
disciplinata 
nell’art. 
350 c.p.c. pur’esso novellato -dopo le 
verifiche 
preliminari 
(sulla 
regolarità 
del 
contraddittorio, riunione 
dei 
giudizi, ecc.), due 
sono i 
possibili 
binari 
evolutivi: 


-discussione 
orale 
della 
causa 
secondo la 
disciplina 
contenuta 
nell’art. 
350 bis 
c.p.c. per i 
casi, in un certo senso semplici, ossia 
a) quando il 
giudice 
ravvisa 
che 
l'impugnazione 
è 
inammissibile 
o manifestamente 
infondata 
(art. 
348 
bis 
c.p.c.); 
b) quando il 
giudice 
ravvisa 
che 
l'impugnazione 
è 
manifesta

RASSEGnA 
AvvoCAtuRA 
DELLo 
StAto -n. 2/2022 


mente 
fondata, o comunque 
quando il 
giudice 
lo ritenga 
opportuno in ragione 
della 
ridotta 
complessità 
o 
dell'urgenza 
della 
causa 
(art. 
350, 
comma 
3, 
c.p.c.). 
La 
sentenza 
è 
motivata 
in 
forma 
sintetica, 
anche 
mediante 
esclusivo 
riferimento 
al 
punto di 
fatto o alla 
questione 
di 
diritto ritenuti 
risolutivi 
o mediante 
rinvio a precedenti conformi; 


-prosieguo, 
con 
svolgimento 
necessario 
del 
tentativo 
di 
conciliazione 
ordinando, 
quando 
occorre, 
la 
comparizione 
personale 
delle 
parti, 
eventuale 
istruttoria 
(artt. 350 e 
352 c.p.c. novellati), e 
avvio alla 
decisione 
o mediante 
la 
discussione 
orale 
della 
causa 
secondo la 
disciplina 
contenuta 
nell’art. 350 
bis 
c.p.c. o con fissazione 
davanti 
al 
giudice 
istruttore 
dell'udienza 
di 
rimessione 
della 
causa 
in 
decisione 
con 
assegnazione 
alle 
parti, 
salvo 
che 
queste 
non vi 
rinuncino, dei 
seguenti 
termini 
perentori: 
1) un termine 
non superiore 
a 
sessanta 
giorni 
prima 
dell'udienza 
per il 
deposito di 
note 
scritte 
contenenti 
la 
sola 
precisazione 
delle 
conclusioni; 
2) 
un 
termine 
non 
superiore 
a 
trenta 
giorni 
prima 
dell'udienza 
per il 
deposito delle 
comparse 
conclusionali; 
3) un 
termine 
non superiore 
a 
quindici 
giorni 
prima 
per il 
deposito delle 
note 
di 
replica. 
All'udienza 
la 
causa 
è 
trattenuta 
in decisione. Davanti 
alla 
corte 
di 
appello, 
l'istruttore 
riserva 
la 
decisione 
al 
collegio. 
La 
sentenza 
è 
depositata 
entro 
sessanta giorni. 


Con l’abrogazione 
dell’art. 353 c.p.c. è 
stata 
eliminata 
-nel 
caso in cui 
il 
giudice 
di 
appello riforma 
la 
sentenza 
di 
primo grado dichiarando che 
il 
giudice 
ordinario ha 
sulla 
causa 
la 
giurisdizione 
negata 
dal 
primo giudice 
-la 
rimessione 
al 
primo 
giudice 
nel 
caso 
in 
cui 
questi 
abbia 
declinato 
la 
giurisdizione. In questa 
evenienza 
-come 
per gli 
altri 
casi 
in cui 
dichiara 
la 
nullità 
di 
atti 
compiuti 
in primo grado diversi 
da 
quelli 
per i 
quali 
l’art. 354 


c.p.c. prevede 
la 
rimessione 
al 
primo giudice 
-il 
giudice 
d'appello ammette 
le 
parti 
a 
compiere 
le 
attività 
che 
sarebbero 
precluse 
e 
ordina, 
in 
quanto 
possibile, 
la rinnovazione degli atti a norma dell'art. 356 c.p.c. 
20. inserimento nell’art. 360 c.p.c. (rubricato: sentenze 
impugnabili 
e 
motivi 
di 
ricorso) -quale 
giusta sedes 
materiae 
-del 
principio della “doppia conforme” 
quale circostanza limitativa dei motivi di ricorso per cassazione. 
Con 
giusto 
trapianto 
(dal 
vecchio 
art. 
348 
ter, 
ultimo 
comma 
c.p.c. 
al 
nuovo quarto comma 
dell’art. 360 c.p.c.) si 
enuncia: 
“Quando la pronuncia 
di 
appello 
conferma 
la 
decisione 
di 
primo 
grado 
per 
le 
stesse 
ragioni, 
inerenti 
ai 
medesimi 
fatti, poste 
a base 
della decisione 
impugnata, il 
ricorso per 
cassazione 
può 
essere 
proposto 
esclusivamente 
per 
i 
motivi 
di 
cui 
al 
primo 
comma, numeri 
1), 2), 3) e 
4). Tale 
disposizione 
non si 
applica relativamente 
alle 
cause 
di 
cui 
all'articolo 70, primo comma 
[ossia 
alle 
cause 
nelle 
quali 
è 
obbligatorio 
l’intervento 
del 
P.M.]”. 
Si 
conferma, 
quindi, 
che 
il 
ricorso 
per 
cassazione 
non è 
possibile 
per il 
motivo relativo all’“omesso esame 
circa un 
fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”. 



ContRIButI 
DI 
DottRInA 


21. rinvio pregiudiziale alla Corte di cassazione. 
Sulla 
suggestione 
di 
meccanismi 
presenti 
nel 
sistema 
giurisdizionale 
dell’unione 
Europea 
(rinvio pregiudiziale 
alla 
Corte 
di 
Giustizia 
ex art. 267 
t.F.u.E.) 
e 
nel 
sistema 
interno 
in 
materia 
di 
contenzioso 
sul 
pubblico 
impiego 
(art. 64 D.L.vo 30 marzo 2001, n. 165, ma 
a 
date 
condizioni 
e 
sullo stimolo di 
impugnativa 
di 
sentenza 
recante 
quale 
unico 
oggetto 
la 
questione 
pregiudiziale) 
viene 
introdotto nel 
processo civile, a 
mezzo dell’art. 363 bis 
c.p.c., il 
rinvio pregiudiziale alla Corte di cassazione. 

All’uopo si 
prevede 
che 
il 
giudice 
di 
merito può disporre 
con ordinanza, 
sentite 
le 
parti 
costituite, il 
rinvio pregiudiziale 
degli 
atti 
alla 
Corte 
di 
cassazione 
per la 
risoluzione 
di 
una 
questione 
esclusivamente 
di 
diritto, “quando 
concorrono 
le 
seguenti 
condizioni: 
1) 
la 
questione 
è 
necessaria 
alla 
definizione 
anche 
parziale 
del 
giudizio e 
non è 
stata ancora risolta dalla Corte 
di 
cassazione; 2) la questione 
presenta gravi 
difficoltà interpretative; 3) la questione 
è 
suscettibile 
di 
porsi 
in numerosi 
giudizi”. L'ordinanza 
è 
immediatamente 
trasmessa 
alla 
Corte 
di 
cassazione 
ed 
è 
comunicata 
alle 
parti. 
Il 
procedimento 
è 
sospeso 
dal 
giorno 
in 
cui 
è 
depositata 
l'ordinanza, 
salvo 
il 
compimento 
degli 
atti 
urgenti 
e 
delle 
attività 
istruttorie 
non dipendenti 
dalla 
soluzione 
della 
questione 
oggetto 
del 
rinvio 
pregiudiziale. 
Il 
primo 
presidente 
assegna 
la 
questione 
alle 
sezioni 
unite 
o alla 
sezione 
semplice 
per l'enunciazione 
del 
principio 
di 
diritto, 
o 
dichiara 
con 
decreto 
l'inammissibilità 
della 
questione 
per 
la 
mancanza 
di 
una 
o 
più 
delle 
condizioni 
di 
cui 
al 
primo 
comma. 
Il 
principio 
di 
diritto 
enunciato 
dalla 
Corte 
è 
vincolante 
nel 
procedimento 
nel-
l'ambito del 
quale 
è 
stata 
rimessa 
la 
questione 
e, se 
questo si 
estingue, anche 
nel 
nuovo processo in cui 
è 
proposta 
la 
medesima 
domanda 
tra 
le 
stesse 
parti. 


Il 
meccanismo ha 
l’evidente 
obiettivo nomofilattico del 
contenzioso, al 
fine 
di 
far pronunciare 
su una 
questione 
rilevante 
-da 
subito -la 
Corte 
di 
cassazione. 


nel 
nostro ordinamento, a 
differenza 
dell’ordinamento dell’unione 
Europea 
e 
degli 
ordinamenti 
di 
common 
law, 
non 
vale 
la 
forza 
vincolante 
del 
precedente 
giurisdizionale, 
anche 
dei 
giudici 
di 
ultimo 
grado. 
La 
Corte 
di 
cassazione 
“quale 
organo supremo della giustizia, assicura l'esatta osservanza e 
l'uniforme 
interpretazione 
della 
legge, 
l'unità, 
del 
diritto 
oggettivo 
nazionale” 
(art. 65, comma 
1, R.D. 30 gennaio 1941, n. 12 recante 
norme 
sull’“ordinamento 
giudiziario”). 
La 
Corte, 
all’evidenza, 
orienta 
il 
contenzioso 
in 
virtù 
della 
autorevolezza 
delle 
proprie 
enunciazioni 
ed 
altresì 
per 
la 
circostanza 
che, 
essendo giudice 
di 
ultimo grado, tutte 
le 
liti 
potranno passare 
al 
suo vaglio, 
sicché 
il 
suo 
pensiero 
-di 
fatto 
-pesa. 
negli 
ultimi 
anni, 
tuttavia 
-mantenendo 
invariato il 
principio della 
forza 
non vincolante 
del 
precedente 
della 
Suprema 
Corte 
-sono 
stati 
introdotti 
meccanismi 
per 
consolidare, 
di 
fatto, 
il 
precedente 
del 
giudice 
di 
legittimità. 
vuol 
farsi 
riferimento, 
innanzitutto 
al 
filtro 
di 
cui 
all’art. 
360 
bis, 
n. 
1, 
c.p.c. 
secondo 
cui 
il 
ricorso 
in 
cassazione 
è 
inammissibile: 



RASSEGnA 
AvvoCAtuRA 
DELLo 
StAto -n. 2/2022 


“1) 
quando 
il 
provvedimento 
impugnato 
ha 
deciso 
le 
questioni 
di 
diritto 
in 
modo 
conforme 
alla 
giurisprudenza 
della 
Corte 
e 
l’esame 
dei 
motivi 
non 
offre 
elementi 
per 
confermare 
o mutare 
l’orientamento della stessa”. vuol 
farsi 
riferimento, 
altresì 
all’istituto 
del 
“Principio 
di 
diritto 
nell’interesse 
della 
legge” 
ex art. 363 c.p.c. Il 
nuovo strumento di 
cui 
all’art. 363 
bis 
c.p.c. si 
incanala 
nei 
binari 
ora 
segnalati 
sul 
rafforzamento underground 
della 
forza 
vincolante 
del precedente della Cassazione. 


22. restyling del contenuto-forma del ricorso per cassazione. 
vengono 
modificati 
i 
nn. 
3, 
4 
e 
6 
dell’art. 
366 
c.p.c., 
sicché 
l’attuale 
testo 
del 
comma 
1 dell’articolo è 
il 
seguente: 
“il 
ricorso deve 
contenere, a pena di 
inammissibilità: 1) l'indicazione 
delle 
parti; 2) l'indicazione 
della sentenza o 
decisione 
impugnata; 3) la chiara esposizione 
dei 
fatti 
della causa essenziali 
alla 
illustrazione 
dei 
motivi 
di 
ricorso 
[in 
precedenza: 
l'esposizione 
sommaria 
dei 
fatti 
della 
causa]; 
4) la chiara e 
sintetica esposizione 
dei 
motivi 
per 
i 
quali 
si 
chiede 
la cassazione, con l'indicazione 
delle 
norme 
di 
diritto su cui 
si 
fondano 
[in precedenza: 
i 
motivi 
per i 
quali 
si 
chiede 
la 
cassazione, con l'indicazione 
delle 
norme 
di 
diritto su cui 
si 
fondano]; 
5) l'indicazione 
della procura, 
se 
conferita 
con 
atto 
separato 
e, 
nel 
caso 
di 
ammissione 
al 
gratuito 
patrocinio, 
del 
relativo 
decreto; 
6) 
la 
specifica 
indicazione, 
per 
ciascuno 
dei 
motivi, 
degli 
atti 
processuali, dei 
documenti 
e 
dei 
contratti 
o accordi 
collettivi 
sui 
quali 
il 
motivo si 
fonda e 
l'illustrazione 
del 
contenuto rilevante 
degli 
stessi 
[in precedenza: 
la 
specifica 
indicazione 
degli 
atti 
processuali, 
dei 
documenti 
e 
dei 
contratti 
o accordi collettivi sui quali il ricorso si fonda]”. 


23. 
revocazione 
straordinaria 
per 
contrasto 
accertato 
dei 
giudicati 
dell’a.G.o. con la CEDU. 
Il 
nuovo terzo comma 
dell’art. 362 c.p.c. anticipa 
che 
“Le 
decisioni 
dei 
giudici 
ordinari 
passate 
in giudicato possono altresì 
essere 
impugnate 
per 
revocazione 
ai 
sensi 
dell'articolo 391-quater 
quando il 
loro contenuto è 
stato 
dichiarato dalla Corte 
europea dei 
diritti 
dell'uomo contrario alla Convenzione 
ovvero ad uno dei 
suoi 
Protocolli”. Il 
dettaglio è 
poi 
contenuto nella 
novella 
di cui all’art. 391 quater 
c.p.c. il quale così enuncia: 


“Le 
decisioni 
passate 
in 
giudicato 
il 
cui 
contenuto 
è 
stato 
dichiarato 
dalla 
Corte 
europea dei 
diritti 
dell'uomo contrario alla Convenzione 
per 
la salvaguardia 
dei 
Diritti 
dell'Uomo e 
delle 
Libertà fondamentali 
ovvero ad uno dei 
suoi 
Protocolli, possono essere 
impugnate 
per 
revocazione 
se 
concorrono le 
seguenti 
condizioni: 
1) 
la 
violazione 
accertata 
dalla 
Corte 
europea 
ha 
pregiudicato 
un diritto di 
stato della persona; 2) l'equa indennità eventualmente 
accordata 
dalla 
Corte 
europea 
ai 
sensi 
dell'articolo 
41 
della 
Convenzione 
non 
è idonea a compensare le conseguenze della violazione. 

il 
ricorso si 
propone 
nel 
termine 
di 
sessanta giorni 
dalla comunicazione 



ContRIButI 
DI 
DottRInA 


o, 
in 
mancanza, 
dalla 
pubblicazione 
della 
sentenza 
della 
Corte 
europea 
ai 
sensi 
del 
regolamento 
della 
Corte 
stessa. 
Si 
applica 
l'articolo 
391-ter, 
secondo 
comma. 

L'accoglimento 
della 
revocazione 
non 
pregiudica 
i 
diritti 
acquisiti 
dai 
terzi 
di 
buona 
fede 
che 
non 
hanno 
partecipato 
al 
giudizio 
svoltosi 
innanzi 
alla 
Corte europea”. 


La 
novella 
prevede 
che 
nel 
caso 
in 
cui 
la 
Corte 
europea 
dei 
diritti 
del-
l’uomo 
accerti 
il 
contrasto 
tra 
un 
giudicato 
dei 
giudici 
ordinari 
-compresi, 
ovviamente, 
i 
giudici 
specializzati 
-e 
la 
CEDu 
(Convenzione 
europea 
dei 
diritti 
dell'uomo 
del 
4 
novembre 
1950, 
ratificata 
in 
Italia 
con 
L. 
4 
agosto 
1955 
n. 


848) 
è 
possibile 
conseguire 
la 
revocazione 
del 
giudicato. 
Il 
giudizio 
-indipendentemente 
dalla 
tipologia 
del 
giudice 
ordinario che 
ha 
emanato la 
decisione 
passata 
in giudicato -è 
centralizzato presso la 
Corte 
di 
Cassazione, in deroga 
alla 
regola 
generale 
per la 
quale 
la 
revocazione 
si 
propone 
davanti 
allo stesso 
giudice 
che 
ha 
pronunciato la 
sentenza 
impugnata 
(art. 398, comma 
1, c.p.c., 
art. 391 bis 
c.p.c.; 
art. 391 ter 
c.p.c.). tanto, deve 
ritenersi, per il 
concorso di 
varie 
ragioni: 
complessità 
degli 
accertamenti, unità 
degli 
orientamenti, doveroso 
ossequio verso la Corte EDu. 
Giusta 
il 
richiamo al 
comma 
2 dell’art. 391 ter 
c.p.c., quando pronuncia 
la 
revocazione, 
la 
Corte 
decide 
la 
causa 
nel 
merito 
qualora 
non 
siano 
necessari 
ulteriori 
accertamenti 
di 
fatto; 
altrimenti, pronunciata 
la 
revocazione, rinvia 
la 
causa 
al 
giudice 
che 
ha 
pronunciato la 
sentenza 
cassata. L’effetto di 
questa 
disciplina 
è 
peculiare: 
nel 
caso del 
giudicato con sentenza 
di 
primo grado, in 
un 
procedimento 
che 
prevede 
il 
doppio 
grado 
di 
giurisdizione, 
l’accoglimento 
della 
revocazione 
e 
la 
conseguente 
decisione 
della 
causa 
nel 
merito -qualora 
non 
siano 
necessari 
ulteriori 
accertamenti 
di 
fatto 
da 
parte 
della 
corte 
della 
corte 
di 
Cassazione 
-comporta 
per le 
parti 
la 
perdita 
di 
un grado di 
giurisdizione. 
Parti 
che 
alcuna 
causalità 
hanno 
avuto 
nella 
violazione 
delle 
norme 
CEDu. Come dire: per aggiustare un principio se ne rompe un altro. 


24. rivitalizzazione dello strumento codice. 
Al 
fine 
di 
recuperare 
la 
centralità 
dello strumento “codice” 
viene 
inserito 
nel 
codice 
di 
procedura 
civile 
-con 
il 
comma 
32 
dell’art. 
3 
del 
D.L.vo 
n. 
149/2022 
-un 
rito 
in 
precedenza 
contenuto 
in 
una 
legge 
speciale. 
È 
il 
caso 
delle 
controversie 
relative 
ai 
licenziamenti, 
la 
cui 
disciplina 
è 
stata 
allocata 
nel 
titolo Iv 
-recante: 
“Norme 
per 
le 
controversie 
in materia di 
lavoro” 
-del 
libro secondo, con il 
Capo I bis 
(artt. 441 
bis 
-441quater). Di 
conseguenza 
è 
stato abrogato -dall’art. 37 D.L.vo n. 149/2022 -l’art. 1, commi 
da 
47 a 
69, 


L. 28 giugno 2012, n. 92 (prevedente 
il 
c.d. rito Fornero in materia 
di 
licenziamenti). 
Al 
medesimo fine, con la 
disciplina 
unitaria 
del 
procedimento in materia 
di 
persone, minorenni 
e 
famiglie 
allocato nel 
codice 
di 
procedura 
civile, si 
è 



RASSEGnA 
AvvoCAtuRA 
DELLo 
StAto -n. 2/2022 


operata 
-come 
si 
evidenzierà 
nel 
successivo paragrafo -l’abrogazione 
della 
precedente 
disciplina 
sul 
punto contenuta 
nel 
codice 
civile 
(abrogazione 
operata 
dall’art. 1 del 
D.L.vo n. 149/2022) o in leggi 
speciali 
(quali 
quella 
sul 
divorzio, 
ove 
l’abrogazione 
è 
stata 
operata 
dall’art. 27 del 
D.L.vo n. 149/2022). 

Sempre 
al 
fine 
della 
rivitalizzazione 
del 
modello codice 
si 
è 
avuto l’inserimento 
nel 
codice 
delle 
disposizioni 
in materia 
di 
processo civile 
telematico. 
tanto 
a 
mezzo 
del 
comma 
12 
dell’art. 
4 
D.L.vo 
n.149/2022 
che 
ha 
inserito 
nelle 
disposizioni 
per 
l'attuazione 
del 
codice 
di 
procedura 
civile 
e 
disposizioni 
transitorie, 
il 
titolo 
v 
ter 
recante 
“Disposizioni 
relative 
alla 
giustizia 
digitale”, 
le seguenti norme: 


-art. 196 quater 
(obbligatorietà 
del 
deposito telematico di 
atti 
e 
di 
provvedimenti); 


-art. 
196 
quinquies 
(Dell'atto 
del 
processo 
redatto 
in 
formato 
elettronico); 


-art. 
196 
sexies 
(Perfezionamento 
del 
deposito 
con 
modalità 
telemati


che); 


- art. 196 septies 
(Copia cartacea di atti depositati telematicamente); 
-art. 196 octies 
(Potere 
di 
certificazione 
di 
conformità 
delle 
copie 
degli 
atti 
e 
dei 
provvedimenti 
contenuti 
nel 
fascicolo informatico o allegati 
alle 
comunicazioni 
e notificazioni di cancelleria); 
-art. 196 novies 
(Potere 
di 
certificazione 
di 
conformità 
di 
copie 
di 
atti 
e 
di provvedimenti); 
-art. 196 decies 
(Potere 
di 
certificazione 
di 
conformità 
delle 
copie 
trasmesse 
con modalità telematiche all'ufficiale giudiziario); 
- art. 196 undecies 
(Modalità dell'attestazione di conformità); 
- art. 196 duodecies 
(udienza con collegamenti audiovisivi a distanza). 
Corrispondentemente 
-per la 
parte 
oggetto della 
novella 
-gli 
artt. 16 
bis, 
16 septies, 16 decies 
e 
16 undecies 
del 
D.L. 18 ottobre 
2012, n. 179, conv. L. 
17 dicembre 2012, n. 221 sono stati abrogati dall’art.11 D.L.vo n. 149/2022. 


25. Procedimento in materia di persone, minorenni e famiglie. 
tra 
le 
novità 
più significative 
della 
novella 
vi 
è 
la 
sistematizzazione 
del 
procedimento in materia 
di 
persone, minorenni 
e 
famiglie. viene 
in rilievo un 
procedimento 
di 
cognizione 
con 
rito 
speciale 
ora 
allocato 
nel 
secondo 
libro 
del codice di procedura civile, con l’aggiunta di un titolo (il Iv 
bis). 


In 
precedenza 
varie 
controversie 
in 
materia 
di 
famiglia 
e 
di 
stato 
delle 
persone 
di 
seguito dettagliate 
-ora 
coinvolte 
nel 
nuovo procedimento in materia 
di 
persone, minorenni 
e 
famiglie 
-erano trattate 
in camera 
di 
consiglio 
in sede 
di 
volontaria 
giurisdizione. Queste 
controversie, per effetto della 
novella, 
vedono mutare 
-ufficialmente 
e 
formalmente 
-la 
propria 
natura. Costituiscono, 
ora, 
procedimenti 
di 
cognizione 
ancorché 
con 
rito 
speciale, 
abbandonando 
la 
precedente 
natura 
di 
volontaria 
giurisdizione. 
Di 
conseguenza 
anche 
l’allocazione 
topografica 
della 
disciplina 
è 
mutata: 
dal 
libro 



ContRIButI 
DI 
DottRInA 


quarto (relativo ai 
procedimenti 
speciali, 
sub specie 
di 
procedimenti 
trattati 
in 
camera 
di 
consiglio in sede 
di 
volontaria 
giurisdizione) al 
libro secondo (relativo 
al 
processo 
di 
cognizione). 
Il 
comma 
33 
dell’art. 
3 
del 
D.L.vo 
n. 
149/2022, infatti, ha 
allocato nel 
libro secondo il 
novello titolo Iv 
bis 
(artt. 
473 bis 
-473 ter 
c.p.c.) regolante 
il 
procedimento in materia 
di 
persone, minorenni 
e 
famiglie. Conseguentemente, il 
comma 
49 dell’art. 3 in esame 
ha 
abrogato i 
Capi 
I (Della 
separazione 
personale 
dei 
coniugi), II (Dell’interdizione, 
dell’inabilitazione 
e 
dell’amministrazione 
di 
sostegno), 
III 
(Disposizioni 
relative 
all’assenza 
e 
alla 
dichiarazione 
di 
morte 
presunta), Iv 
(Disposizioni 
relative 
ai 
minori, 
agli 
interdetti 
e 
agli 
inabilitati), 
v 
(Dei 
rapporti 
patrimoniali 
tra 
i 
coniugi) e 
v 
bis 
(Degli 
ordini 
di 
protezione 
contro gli 
abusi 
familiari) del 
titolo II del libro quarto del codice di procedura civile. 


Si 
è 
avuta 
altresì 
l’abrogazione 
della 
precedente 
disciplina 
sulla 
materia, 
ora 
regolata 
nel 
citato titolo Iv 
bis 
del 
libro secondo del 
codice 
di 
rito civile, 
contenuta 
nel 
codice 
civile 
agli 
artt. 
156 
commi 
4-5-6, 
158, 
336 
bis, 
337 
octies 
(abrogazione 
operata 
dall’art. 1 del 
D.L.vo n. 149/2022) o in leggi 
speciali, 
come 
quella 
sul 
divorzio, 
L. 
1 
dicembre 
1970, 
n. 
898 
(con 
abrogazione 
dei 
punti 
rilevanti 
-ossia: 
artt. 
4, 
5 
comma 
9, 
8, 
9 
comma 
1, 
10 
comma 
1 
-operata 
dall’art. 27 del 
D.L.vo n. 149/2022). tanto è 
funzionale 
altresì 
alla 
rivitalizzazione 
del 
modello 
codice 
secondo 
quanto 
esposto 
innanzi 
nel 
precedente 
paragrafo. 


va 
precisato 
che 
già 
con 
la 
pregressa 
disciplina 
i 
procedimenti 
relativi 
alle 
controversie 
in 
materia 
di 
famiglia 
e 
di 
stato 
regolati 
dai 
Capi 
I, 
II, 
III, 
Iv, 
v 
e 
v 
bis 
del 
titolo 
II 
del 
libro 
quarto 
del 
codice 
di 
procedura 
civile 
non 
avevano 
tutti 
i 
connotati 
caratterizzanti 
i 
procedimenti 
di 
giurisdizione 
volontaria. 
Ciò 
in 
quanto 
nella 
lite 
sono 
spesso 
coinvolti 
status, 
diritti 
indisponibili. 


Come 
è 
noto 
i 
caratteri 
dei 
procedimenti 
di 
giurisdizione 
volontaria 
-secondo 
i 
connotati 
fissati 
in 
special 
modo 
negli 
artt. 
737-742 
c.p.c. 
-sono, 
in 
essenza, 
i 
seguenti: 
ricorso 
come 
atto 
introduttivo, 
anche 
da 
parte 
del 
diretto 
interessato 
atteso 
che, 
di 
regola, 
non 
sussiste 
l’onere 
del 
patrocinio 
di 
un 
difensore 
(art. 
737 
c.p.c.); 
giudice 
competente 
è, 
di 
norma, 
il 
tribunale, 
in 
composizione 
collegiale 
(art. 
50 
bis, 
comma 
2, 
c.p.c.); 
celerità 
ed 
ufficiosità 
del 
procedimento 
(art. 
738 
c.p.c.); 
decisione 
a 
mezzo 
di 
decreto 
motivato 
(art. 
737 
c.p.c.); 
impugnativa 
a 
mezzo 
di 
reclamo 
(artt. 
739-740 
c.p.c.), 
atteso 
che 
è 
operante 
il 
principio 
del 
doppio 
grado; 
inidoneità 
al 
giudicato, 
atteso 
che 
il 
decreto 
può 
essere 
in 
ogni 
tempo 
modificato 
o 
revocato 
(art. 
742 
c.p.c.). 
non 
vi 
è, 
tecnicamente, 
un 
processo 
di 
cognizione. 
Si 
parla 
di 
amministrazione 
pubblica 
del 
diritto 
privato: 
dovendosi 
costituire, 
modificare, 
estinguere 
rapporti 
giuridici 
nei 
quali 
sono 
coinvolti 
interessi 
particolari 
(diritti 
indisponibili, 
status, 
interessi 
legittimi, 
interessi 
semplici, 
ecc.), 
interviene 
-in 
funzione 
di 
garanzia 
per 
la 
sua 
strutturale 
terzietà 
-il 
giudice 
ordinario, 
il 
quale 
opera 



RASSEGnA 
AvvoCAtuRA 
DELLo 
StAto -n. 2/2022 


non 
esercitando 
la 
funzione 
giurisdizionale, 
ma 
una 
funzione 
latamente 
amministrativa. 


Come 
innanzi 
precisato, i 
procedimenti 
relativi 
alle 
controversie 
in materia 
di 
famiglia 
e 
di 
stato regolati 
dai 
Capi 
I, II, III, Iv, v 
e 
v 
bis 
del 
titolo II 
del 
libro quarto del 
codice 
di 
procedura 
civile 
avevano vistose 
peculiarità, rispetto 
all’ordinario regime 
dei 
procedimenti 
di 
giurisdizione 
volontaria. All’uopo 
se 
ne 
menziona 
una 
fra 
tutte: 
sentenza 
quale 
atto 
definitorio 
del 
giudizio, con stabilità 
formale. negli 
ultimi 
tre 
decenni, inoltre 
vari 
procedimenti 
formalmente 
trattati 
in camera 
di 
consiglio -principalmente 
quelli 
relativi 
ai 
rapporti 
tra 
i 
coniugi 
ed 
ai 
rapporti 
con 
i 
figli 
-sono 
stati 
giurisdizionalizzati, 
sicché 
nominativamente 
erano 
procedimenti 
di 
volontaria 
giurisdizione, ma 
in sostanza 
integravano giudizi 
di 
cognizione 
trattati 
però 
in camera 
di 
consiglio (senza 
udienza 
pubblica) -almeno nella 
prima 
fase 
c.d. 
presidenziale 
-con 
notevoli 
aspetti 
di 
ufficiosità. 
Portando 
a 
compimento, 
quindi 
il 
descritto fenomeno, anche 
in via 
formale, si 
è 
sancito il 
carattere 
di 
processo di cognizione dei procedimenti in esame. 


La 
disciplina 
de 
qua contiene 
un micro-codice 
che 
si 
dipana 
per settantatre 
articoli. Il 
titolo Iv 
bis 
è composto da quattro capi: 


a) Capo I (artt. 473 bis 
- 473 bis.10), recante “Disposizioni generali”. 
Il 
procedimento in esame 
si 
applica 
alle 
controversie 
relative 
allo stato 
delle 
persone, ai 
minorenni 
e 
alle 
famiglie 
attribuiti 
alla 
competenza 
del 
tribunale 
ordinario, 
del 
giudice 
tutelare 
e 
del 
tribunale 
per 
i 
minorenni, 
salvo 
che 
la 
legge 
disponga 
diversamente 
e 
con esclusione 
dei 
procedimenti 
volti 
alla 
dichiarazione 
di 
adottabilità, dei 
procedimenti 
di 
adozione 
di 
minori 
di 
età 
e 
dei 
procedimenti 
attribuiti 
alla 
competenza 
delle 
sezioni 
specializzate 
in materia 
di 
immigrazione, protezione 
internazionale 
e 
libera 
circolazione 
dei 
cittadini 
dell'unione europea (così l’art. 473 bis 
c.p.c.). 


Il 
tribunale 
giudica 
in composizione 
collegiale 
(art. 473 
bis.1 c.p.c.), con 
notevoli 
poteri 
ufficiosi 
attesi 
gli 
interessi 
indisponibili 
coinvolti 
nella 
vicenda 
(art. 473 bis.2 c.p.c.). 


b) Capo II (artt. 473 bis.11 -473 bis.39 c.p.c.), rubricato “Del 
procedimento”. 
La 
domanda 
si 
propone 
con ricorso depositato al 
giudice 
competente, sia 
in primo grado (art. 473 bis.12 c.p.c.), sia 
in sede 
di 
impugnazione 
(art. 473 
bis.30 c.p.c.). L’art. 473 bis.18 enuncia 
il 
dovere 
di 
leale 
collaborazione: 
“il 
comportamento della parte 
che 
in ordine 
alle 
proprie 
condizioni 
economiche 
rende 
informazioni 
o effettua produzioni 
documentali 
inesatte 
o incomplete 
è 
valutabile 
ai 
sensi 
del 
secondo comma dell'articolo 116, nonché 
ai 
sensi 
del 
primo comma dell'articolo 92 e dell'articolo 96”. 


vi 
è 
poi 
una 
specifica 
disciplina 
in 
ordine 
all’attuazione 
dei 
provvedimenti 
e 
in specie 
sulle 
garanzie 
a 
tutela 
del 
credito (art. 473 bis.36 c.p.c.), sul 
pagamento diretto del 
terzo (art. 473 bis.37 c.p.c.), sull’attuazione 
dei 
prov



ContRIButI 
DI 
DottRInA 


vedimenti 
sull'affidamento del 
minore 
e 
per la 
soluzione 
delle 
controversie 
in 
ordine 
all'esercizio della 
responsabilità 
genitoriale 
(art. 473 bis.38 c.p.c.), sui 
provvedimenti in caso di inadempienze o violazioni (art. 473 bis.39 c.p.c.). 


c) 
Capo 
III 
(artt. 
473 
bis.40 
-473 
bis.71 
c.p.c.), 
recante 
“Disposizioni 
speciali”. 
vi 
è 
la 
specialità 
della 
specialità. 
ossia 
per 
peculiari 
vicende 
-sempre 
relative 
allo stato delle 
persone, ai 
minorenni 
e 
alle 
famiglie 
-il 
procedimento 
delineato 
nel 
precedente 
capo 
II 
subisce 
modifiche 
per 
le 
peculiarità 
della 
materia, 
come 
ad esempio l’abbreviazione 
dei 
termini, il 
potere 
del 
giudice 
di 
disporre 
mezzi 
di 
prova 
anche 
al 
di 
fuori 
dei 
limiti 
di 
ammissibilità 
previsti 
dal 
codice civile. 


vengono in rilievo: 
-procedimenti 
inerenti 
alla 
violenza 
domestica 
o 
di 
genere 
(Sezione 
I: 
artt. 473 bis.40 - 473 bis.46); 


-procedimenti 
di 
separazione, di 
scioglimento o cessazione 
degli 
effetti 
civili 
del 
matrimonio, 
di 
scioglimento 
dell'unione 
civile 
e 
di 
regolamentazione 
dell'esercizio 
della 
responsabilità 
genitoriale, 
nonché 
di 
modifica 
delle 
relative 
condizioni 
(Sezione 
II: 
artt. 473 bis.47 -473 bis.51). Questa 
sezione 
assorbe 
-tra 
l’altro 
-quanto 
previsto 
nel 
capo 
I 
del 
titolo 
II 
del 
libro 
quarto 
del 
codice 
di 
procedura 
civile 
(artt. 706-711; 
del 
relativo procedimento non si 
dubitava 
la 
natura 
giurisdizionale, 
essenzialmente 
l’attitudine 
a 
dar 
luogo 
al 
giudicato); 
-procedimenti 
di 
interdizione, di 
inabilitazione 
e 
di 
nomina 
di 
amministratore 
di 
sostegno (Sezione 
III: 
artt. 473 bis.52 -473 bis.58). Questa 
sezione 
assorbe 
quanto previsto nel 
capo II del 
titolo II del 
libro quarto del 
codice 
di 
procedura 
civile 
(artt. 712-720 bis; 
anche 
in questo caso, non si 
dubitava 
che 
il 
procedimento in esame 
avesse 
le 
caratteristiche 
proprie 
della 
giurisdizione 
di cognizione, da inquadrare nella c.d. giurisdizione a contenuto obiettivo); 
-procedimenti 
inerenti 
alla 
assenza 
e 
morte 
presunta 
(Sezione 
Iv: 
artt. 
473 bis.59 -473 bis.63). Questa 
sezione 
assorbe 
quanto previsto nel 
capo III 
del 
titolo 
II 
del 
libro 
quarto 
del 
codice 
di 
procedura 
civile 
(artt. 
721-731; 
anche 
in questa 
evenienza, non si 
dubitava 
che 
il 
procedimento in esame 
avesse 
le 
caratteristiche proprie della giurisdizione di cognizione); 


-provvedimenti 
relativi 
a 
minori 
interdetti 
e 
inabilitati 
(Sezione 
v: 
artt. 
473 bis.64 -473 bis.66). Questa 
sezione 
assorbe 
quanto previsto nel 
capo Iv 
del 
titolo II del libro quarto del codice di procedura civile (artt. 732-734); 
-procedimenti 
inerenti 
i 
rapporti 
patrimoniali 
tra 
coniugi 
(Sezione 
vI: 
artt. 473 bis.67 -473 bis.68). Questa 
sezione 
assorbe 
quanto previsto nel 
capo 
v del 
titolo II del libro quarto del codice di procedura civile (artt. 735-736); 


-procedimenti 
inerenti 
agli 
ordini 
di 
protezione 
contro 
gli 
abusi 
familiari. 
(Sezione 
vII: 
artt. 473 bis.69 -473 bis.71). Questa 
sezione 
assorbe 
ed implementa 
quanto previsto nel 
capo v 
bis 
del 
titolo II del 
libro quarto del 
codice 
di procedura civile (art. 736 bis). 



RASSEGnA 
AvvoCAtuRA 
DELLo 
StAto -n. 2/2022 


26. 
modifiche 
al 
terzo 
libro 
del 
Codice 
di 
procedura 
civile 
(soppressione 
della 
spedizione 
in forma esecutiva; vendita diretta nella espropriazione 
immobiliare). 
Il 
contenuto delle 
modifiche 
al 
terzo libro del 
codice 
è 
prevalentemente 
manutentivo. 


Si 
è 
avuta 
la 
soppressione 
della 
spedizione 
in forma 
esecutiva 
dell’atto 
da 
mettere 
in 
esecuzione 
-denunciata 
dalla 
dottrina 
come 
un 
vuoto 
formalismo 


-sicché 
l’art. 475 c.p.c. è 
stato sostituito dal 
seguente: 
“Le 
sentenze, i 
provvedimenti 
e 
gli 
altri 
atti 
dell'autorità giudiziaria, nonché 
gli 
atti 
ricevuti 
da notaio 
o 
da 
altro 
pubblico 
ufficiale, 
per 
valere 
come 
titolo 
per 
l'esecuzione 
forzata, ai 
sensi 
dell'articolo 474, per 
la parte 
a favore 
della quale 
fu pronunciato 
il 
provvedimento o stipulata l'obbligazione, o per 
i 
suoi 
successori, devono 
essere 
rilasciati 
in copia attestata conforme 
all'originale, salvo che 
la 
legge disponga altrimenti”. 
viene, 
tra 
l’altro, 
interamente 
riscritto 
ed 
implementato 
il 
contenuto 
degli 
artt. 492 bis 
(Ricerca 
con modalità 
telematiche 
dei 
beni 
da 
pignorare), 591 bis 
(Delega 
delle 
operazioni 
di 
vendita 
dei 
beni 
immobili 
pignorati), 
596 
(Formazione 
del 
progetto 
di 
distribuzione 
della 
somma 
ricavata 
dalla 
vendita 
dei 
beni 
immobili pignorati) e 614 bis 
(Misure di coercizione indiretta) c.p.c. 


Si 
è 
introdotto -nell’ambito della 
espropriazione 
immobiliare 
-l’istituto 
della 
vendita 
diretta 
a 
mezzo dei 
nuovi 
artt. 568 bis 
(vendita 
diretta) e 
569 bis 


c.p.c. (Modalità 
della 
vendita 
diretta). trattasi 
di 
misura 
diretta 
a 
semplificare 
l’iter della 
alienazione 
del 
bene 
pignorato, assicurando comunque 
un minimo 
garantito al 
ceto creditorio. In sintesi: 
si 
prevede 
che 
il 
debitore 
-prima 
che 
vengano adottati 
provvedimenti 
autorizzativi 
della 
vendita 
-può chiedere 
al 
giudice 
dell'esecuzione 
di 
disporre 
la 
vendita 
diretta 
dell'immobile 
pignorato 
o 
di 
uno 
degli 
immobili 
pignorati 
per 
un 
prezzo 
non 
inferiore 
al 
valore 
indicato 
nella 
relazione 
di 
stima 
di 
cui 
all'art. 173 bis, comma 
3, d.a.c.p.c. A 
pena 
di 
inammissibilità, 
unitamente 
all'istanza 
deve 
essere 
depositata 
in 
cancelleria 
l'offerta 
di 
acquisto (di 
un terzo offerente, intuitivamente 
stimolato dal 
debitore), 
nonché 
una 
cauzione 
non 
inferiore 
al 
decimo 
del 
prezzo 
offerto. 
L'istanza 
e 
l'offerta 
sono 
notificate 
a 
cura 
dell'offerente 
o 
del 
debitore 
almeno 
cinque 
giorni 
prima 
dell'udienza 
ex art. 569 c.p.c. fissata 
per l’adozione 
dei 
provvedimenti 
autorizzativi 
della 
vendita 
al 
creditore 
procedente, ai 
creditori 
ex art. 
498 c.p.c. e 
a 
quelli 
intervenuti 
prima 
del 
deposito dell'offerta 
medesima. In 
assenza 
di 
opposizione 
dei 
creditori, 
il 
giudice 
dell’esecuzione 
aggiudica 
l'immobile 
all'offerente. 
27. modifiche 
al 
quarto libro del 
Codice 
di 
procedura civile 
(innovazioni 
nel 
giudizio arbitrale). 
Le 
modifiche 
al 
quarto libro del 
Codice 
di 
procedura 
civile, consistono essenzialmente 
-in importanti 
innovazioni 
al 
giudizio arbitrale 
nel 
solco del



ContRIButI 
DI 
DottRInA 


l’orientamento legislativo dell’ultimo quarantennio -a 
partire 
dalla 
L. 9 febbraio 
1983, n. 28 -mirante 
ad assimilare 
per quanto più possibile 
il 
giudizio 
arbitrale a quello giurisdizionale. Si richiamano, in particolare, tre aspetti: 


-“La domanda di 
arbitrato produce 
gli 
effetti 
sostanziali 
della domanda 
giudiziale” (art. 816 bis.1 c.p.c.); 
-possibilità 
della 
adozione 
di 
provvedimenti 
cautelari: 
“Le 
parti, anche 
mediante 
rinvio a regolamenti 
arbitrali, possono attribuire 
agli 
arbitri 
il 
potere 
di 
concedere 
misure 
cautelari 
con la convenzione 
di 
arbitrato o con atto 
scritto anteriore 
all'instaurazione 
del 
giudizio arbitrale. La competenza cautelare 
attribuita agli 
arbitri 
è 
esclusiva” 
(art. 818 comma 
1). In questa 
evenienza 
“Contro il 
provvedimento degli 
arbitri 
che 
concede 
o nega una misura 
cautelare 
è 
ammesso 
reclamo 
a 
norma 
dell'articolo 
669-terdecies 
davanti 
alla 
corte 
di 
appello, nel 
cui 
distretto è 
la sede 
dell'arbitrato, per 
i 
motivi 
di 
cui 
all'articolo 
829, 
primo 
comma, 
in 
quanto 
compatibili, 
e 
per 
contrarietà 
al-
l'ordine 
pubblico” 
(art. 818 bis 
c.p.c.). L’art. 818 
ter 
c.p.c. regola 
l’attuazione 
della 
misura 
cautelare: 
“L'attuazione 
delle 
misure 
cautelari 
concesse 
dagli 
arbitri 
è 
disciplinata 
dall'articolo 
669-duodecies 
e 
si 
svolge 
sotto 
il 
controllo 
del 
tribunale 
nel 
cui 
circondario è 
la sede 
dell'arbitrato o, se 
la sede 
dell'arbitrato 
non è 
in italia, il 
tribunale 
del 
luogo in cui 
la misura cautelare 
deve 
essere 
attuata. resta salvo il 
disposto degli 
articoli 
677 e 
seguenti 
in ordine 
all'esecuzione 
dei 
sequestri 
concessi 
dagli 
arbitri. Competente 
è 
il 
tribunale 
previsto dal primo comma”; 
-translatio 
iudicii 
tra 
giudizio 
arbitrale 
e 
giudizio 
ordinario, 
disciplinato 
dall’art. 
819 
quater 
c.p.c.: 
“il 
processo 
instaurato 
davanti 
al 
giudice 
continua 
davanti 
agli 
arbitri 
se 
una 
delle 
parti 
procede 
a 
norma 
dell'articolo 
810 
entro 
tre 
mesi 
dal 
passaggio 
in 
giudicato 
della 
sentenza 
con 
cui 
è 
negata 
la 
competenza 
in 
ragione 
di 
una 
convenzione 
di 
arbitrato 
o 
dell'ordinanza 
di 
regolamento. 


il 
processo 
instaurato 
davanti 
agli 
arbitri 
continua 
davanti 
al 
giudice 
competente 
se 
la 
riassunzione 
della 
causa 
ai 
sensi 
dell'articolo 
125 
delle 
disposizioni 
di 
attuazione 
del 
presente 
codice 
avviene 
entro 
tre 
mesi 
dal 
passaggio 
in 
giudicato 
del 
lodo 
che 
declina 
la 
competenza 
arbitrale 
sulla 
lite 
o 
dalla 
pubblicazione 
della 
sentenza 
o 
dell'ordinanza 
che 
definisce 
la 
sua 
impugnazione. 


Le 
prove 
raccolte 
nel 
processo davanti 
al 
giudice 
o all'arbitro dichiarati 
non 
competenti 
possono 
essere 
valutate 
come 
argomenti 
di 
prova 
nel 
processo 
riassunto ai sensi del presente articolo. 

L'inosservanza 
dei 
termini 
fissati 
per 
la 
riassunzione 
ai 
sensi 
del 
presente 
articolo 
comporta 
l'estinzione 
del 
processo. 
Si 
applicano 
gli 
articoli 
307, 
quarto comma, e 310”. 


28. modifiche in materia di mediazione e di negoziazione assistita. 
Il 
decreto legislativo interviene 
estendendo, a 
mezzo dell’art. 7, l’ambito 
operato dai meccanismi preventivi, in funzione deflattiva del contenzioso. 



RASSEGnA 
AvvoCAtuRA 
DELLo 
StAto -n. 2/2022 


modifiche al decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28 sulla mediazione. 


Il 
D.L.vo 4 marzo 2010, n. 28 sulla 
mediazione 
viene 
ampiamente 
modificato, 
per lo più allo scopo manutentivo e 
di 
restyling. tra 
le 
novità 
rilevanti, 
invece, va 
evidenziato che 
aumentano le 
materie 
in cui 
la 
mediazione 
è 
obbligatoria, 
rectius: 
costituisce 
una 
condizione 
di 
procedibilità 
dell’azione. 
novellando 
l’art. 5 del 
decreto -oltre 
alle 
controversie 
in materia 
di 
condominio, 
diritti 
reali, divisione, successioni 
ereditarie, patti 
di 
famiglia, locazione, comodato, 
affitto di 
aziende, risarcimento del 
danno derivante 
da 
responsabilità 
medica 
e 
sanitaria 
e 
da 
diffamazione 
con 
il 
mezzo 
della 
stampa 
o 
con 
altro 
mezzo di 
pubblicità, contratti 
assicurativi, bancari 
e 
finanziari 
-ora 
la 
mediazione 
obbligatoria 
è 
prevista 
altresì 
per le 
controversie 
in materia 
di 
“associazione 
in 
partecipazione, 
consorzio, 
franchising, 
opera, 
rete, 
somministrazione, 
società di persone e subfornitura”. 


In 
ordine 
alla 
durata 
del 
procedimento 
di 
mediazione 
era 
originariamente 
previsto il 
termine 
di 
tre 
mesi. novellando l’art. 6 del 
decreto si 
ammette 
che 
il 
termine 
è 
“prorogabile 
di 
ulteriori 
tre 
mesi 
dopo 
la 
sua 
instaurazione 
e 
prima della sua scadenza con accordo scritto delle parti”. 


Si 
ammette 
la 
mediazione 
in modalità 
telematica, secondo la 
disciplina 
del nuovo art. 8 bis. 


Al 
fine 
di 
incentivare 
la 
mediazione 
-invero 
in 
modo 
dolcemente 
coartato 


- il legislatore usa il bastone e la carota. 
Il 
bastone 
è 
costituito 
dalle 
conseguenze 
spiacevoli 
nel 
caso 
di 
mancata 
partecipazione 
al 
procedimento 
di 
mediazione. 
Il 
nuovo 
art. 
12 
bis 
fissa 
il 
catalogo 
delle 
conseguenze 
processuali 
della 
mancata 
partecipazione 
al 
procedimento 
di 
mediazione, 
così 
enunciando: 
“1. 
Dalla 
mancata 
partecipazione 
senza 
giustificato 
motivo 
al 
primo 
incontro 
del 
procedimento 
di 
mediazione, 
il 
giudice 
può 
desumere 
argomenti 
di 
prova 
nel 
successivo 
giudizio 
ai 
sensi 
dell'articolo 
116, 
secondo 
comma, 
del 
codice 
di 
procedura 
civile. 
2. 
Quando 
la 
mediazione 
costituisce 
condizione 
di 
procedibilità, 
il 
giudice 
condanna 
la 
parte 
costituita 
che 
non 
ha 
partecipato 
al 
primo 
incontro 
senza 
giustificato 
motivo 
al 
versamento 
all'entrata 
del 
bilancio 
dello 
Stato 
di 
una 
somma 
di 
importo 
corrispondente 
al 
doppio 
del 
contributo 
unificato 
dovuto 
per 
il 
giudizio. 
3. 
Nei 
casi 
di 
cui 
al 
comma 
2, 
con 
il 
provvedimento 
che 
definisce 
il 
giudizio, 
il 
giudice, 
se 
richiesto, 
può 
altresì 
condannare 
la 
parte 
soccombente 
che 
non 
ha 
partecipato 
alla 
mediazione 
al 
pagamento 
in 
favore 
della 
controparte 
di 
una 
somma 
equitativamente 
determinata 
in 
misura 
non 
superiore 
nel 
massimo 
alle 
spese 
del 
giudizio 
maturate 
dopo 
la 
conclusione 
del 
procedimento 
di 
mediazione. 
4. 
Quando 
provvede 
ai 
sensi 
del 
comma 
2, 
il 
giudice 
trasmette 
copia 
del 
provvedimento 
adottato 
nei 
confronti 
di 
una 
delle 
amministrazioni 
pubbliche 
di 
cui 
all'articolo 
1, 
comma 
2, 
del 
decreto 
legislativo 
30 
marzo 
2001, 
n. 
165, 
al 
pubblico 
ministero 
presso 
la 
sezione 
giurisdizionale 
della 
Corte 
dei 
conti, 
e 



ContRIButI 
DI 
DottRInA 


copia 
del 
provvedimento 
adottato 
nei 
confronti 
di 
uno 
dei 
soggetti 
vigilati 
all'autorità 
di 
vigilanza 
competente”. 

La 
carota 
è 
costituita 
dai 
benefici 
descritti 
negli 
artt. 
17 
(esenzioni 
tributarie) 
e 
20 
(credito 
d’imposta) 
del 
D.L.vo 
n. 
28/2010, 
novellati 
con 
il 
D.L.vo 
n. 
149/2022. 
Con 
la 
novella 
si 
ampliano 
i 
benefici. 
oltre 
a 
confermare 
che 
“Tutti 
gli 
atti, 
documenti 
e 
provvedimenti 
relativi 
al 
procedimento 
di 
mediazione 
sono 
esenti 
dall'imposta 
di 
bollo 
e 
da 
ogni 
spesa, 
tassa 
o 
diritto 
di 
qualsiasi 
specie 
e 
natura” 
(art. 
17, 
comma 
1), 
si 
prevede 
che 
“il 
verbale 
contenente 
l'accordo 
di 
conciliazione 
è 
esente 
dall'imposta 
di 
registro 
entro 
il 
limite 
di 
valore 
di 
centomila 
euro, 
altrimenti 
l'imposta 
è 
dovuta 
per 
la 
parte 
eccedente” 
(art. 
17, 
comma 
2), 
aumentando 
l’esenzione 
rispetto 
alla 
vecchia 
soglia 
di 
50.000 
euro. 
Inoltre 
si 
aumenta 
il 
credito 
d’imposta 
disciplinato 
nel 
citato 
art. 
20. 


modifiche 
al 
D.L. 12 settembre 
2014, n. 132, conv. L. 10 novembre 
2014, 


n. 162 sulla negoziazione assistita. 
Le 
modifiche 
vengono 
operate 
con 
l’art. 
9 
del 
D.L.vo 
n. 
149/2022. 
Al 
fine 
di 
incentivare 
la 
diffusione 
dell’istituto 
si 
elimina 
il 
divieto, 
tra 
le 
materie 
che 
non 
possono 
costituire 
oggetto 
di 
negoziazione 
assistita, 
delle 
controversie 
in 
materia 
di 
lavoro 
(senza 
che 
ciò 
costituisca 
condizione 
di 
procedibilità 
della 
domanda 
giudiziale) e 
si 
prevede 
la 
possibilità 
dello svolgimento della 
negoziazione 
assistita 
in modalità 
telematica. Come 
è 
noto la 
mediazione 
assistita 
può essere 
facoltativa 
ed obbligatoria. È 
obbligatoria 
per importanti 
controversie: 
“Chi 
intende 
esercitare 
in giudizio un'azione 
relativa a una controversia 
in materia di 
risarcimento del 
danno da circolazione 
di 
veicoli 
e 
natanti 
deve, 
tramite 
il 
suo 
avvocato, 
invitare 
l'altra 
parte 
a 
stipulare 
una 
convenzione 
di 
negoziazione 
assistita. allo stesso modo deve 
procedere, fuori 
dei 
casi 
previsti 
dal 
periodo precedente 
e 
dall'articolo 5, comma 1-bis, del 
decreto legislativo 
4 marzo 2010 n. 28, chi 
intende 
proporre 
in giudizio una domanda di 
pagamento 
a 
qualsiasi 
titolo 
di 
somme 
non 
eccedenti 
cinquantamila 
euro. 
L'esperimento 
del 
procedimento 
di 
negoziazione 
assistita 
è 
condizione 
di 
procedibilità 
della domanda giudiziale” (art. 3, comma 1, D.L. n. 132/2014). 


29. Disciplina transitoria. 
La 
disciplina 
transitoria 
-con riguardo ai 
procedimenti 
giurisdizionali 
ed 
ai 
procedimenti 
arbitrali 
-è 
espressamente 
regolata 
nell’art. 35 del 
decreto. In 
sintesi: 


-le 
disposizioni 
del 
D.L.vo n. 149/2022, salvo che 
non sia 
diversamente 
disposto, hanno effetto a 
decorrere 
dal 
30 giugno 2023 e 
si 
applicano ai 
procedimenti 
giurisdizionali 
ed 
ai 
procedimenti 
arbitrali, 
instaurati 
successivamente 
a 
tale 
data. Ai 
procedimenti 
pendenti 
alla 
data 
del 
30 giugno 2023 si 
applicano le disposizioni anteriormente vigenti; 

RASSEGnA 
AvvoCAtuRA 
DELLo 
StAto -n. 2/2022 


-le 
disposizioni 
di 
cui 
agli 
artt. 127 bis 
(udienza 
mediante 
collegamenti 
audiovisivi) 
e 
127 
ter 
(Deposito 
di 
note 
scritte 
in 
sostituzione 
dell'udienza) 
c.p.c., 
quelle 
previste 
dal 
Capo 
I 
del 
titolo 
v 
ter 
disp. 
att. 
c.p.c. 
(artt. 
196 
quater 
-196 
septies, relativi 
alla 
disciplina 
degli 
atti 
e 
dei 
provvedimenti 
con riguardo 
alla 
giustizia 
digitale), 
nonché 
l'art. 
196 
duodecies 
(udienza 
con 
collegamenti 
audiovisivi 
a 
distanza) disp. att. c.p.c. hanno effetto a 
decorrere 
dal 
1° 
gennaio 2023 e 
da 
tale 
data 
si 
applicano ai 
procedimenti 
civili 
pendenti 
davanti 
al 
tribunale, alla 
corte 
di 
appello e 
alla 
Corte 
di 
cassazione. Davanti 
al 
giudice 
di 
pace 
e 
al 
tribunale 
superiore 
delle 
acque 
pubbliche 
queste 
disposizioni 
si 
applicano a 
decorrere 
dal 
30 giugno 2023, anche 
ai 
procedimenti 
pendenti 
a 
tale 
data, fatte 
salve 
le 
disposizioni 
di 
cui 
agli 
artt. 127 bis 
e 
127 ter 
che 
hanno effetto a 
decorrere 
dal 
1° 
gennaio 2023 anche 
per i 
procedimenti 
civili pendenti a tale data; 
-le 
norme 
di 
cui 
ai 
capi 
I (Delle 
impugnazioni 
in generale: 
artt. 323-338) 
e 
II (Dell’appello: 
artt. 339-359) del 
titolo III del 
libro secondo del 
codice 
di 
procedura 
civile, come 
modificate 
dal 
D.L.vo n. 149/2022, si 
applicano alle 
impugnazioni 
proposte 
avverso le 
sentenze 
depositate 
successivamente 
al 
30 
giugno 2023; 
-le 
norme 
di 
cui 
al 
capo III del 
titolo III del 
libro secondo del 
codice 
di 
procedura 
civile 
(Procedimento 
dinanzi 
alla 
Corte 
di 
cassazione: 
artt. 
360394) 
e 
di 
cui 
al 
capo Iv 
disp. att. c.p.c. (artt. 133-144 bis) si 
applicano ai 
giudizi 
introdotti con ricorso notificato a decorrere dal 1° gennaio 2023. 
Le 
disposizioni 
in materia 
di 
mediazione 
e 
negoziazione 
assistita 
si 
applicano 
a decorrere dal 30 giugno 2023 (art. 41 D.L.vo n. 149/2022). 


30. Conclusioni. 
Quali 
le 
conclusioni 
sulla 
bontà 
della 
riforma 
al 
termine 
della 
sommaria 
analisi effettuata? 


Globalmente, 
è 
una 
onesta 
e 
buona 
novella. 
La 
riforma 
non 
contiene 
stravolgimenti 
nella 
disciplina 
del 
processo, 
operando 
interventi 
di 
manutenzione 
ordinaria e, a tratti, di manutenzione straordinaria. 


Il 
limite 
vero -tuttavia 
-è 
che 
essa 
è 
in continuità 
con la 
politica 
di 
deflazione 
del 
contenzioso nell’ultimo ventennio, al 
fine 
di 
conseguire 
una 
ragionevole 
durata del processo. 


Il 
legislatore 
nazionale 
dell’ultimo ventennio -a 
prescindere 
dal 
variare 
del 
clima 
politico -punta 
a 
conseguire 
la 
riduzione 
del 
contenzioso creando 
reticolati 
e 
barriere 
protettive 
rispetto alla 
cittadella 
giudiziaria: 
condizioni 
di 
procedibilità ed elevati costi del processo. 


Condizioni 
di 
procedibilità 
quali 
la 
mediazione 
obbligatoria 
(abbraccianti 
le 
cause 
più rilevanti) e 
la 
negoziazione 
assistita 
obbligatoria 
(abbracciante, 
residualmente 
rispetto alle 
maglie 
della 
mediazione 
obbligatoria, tutte 
le 
controversie 
di 
valore 
piccolo e 
medio). Questi 
strumenti 
in misura 
inadeguata 




ContRIButI 
DI 
DottRInA 


come 
registrato delle 
periodiche 
Relazioni 
del 
Primo Presidente 
della 
Corte 
di 
Cassazione 
all’inaugurazione 
dell’anno giudiziario e 
risultante 
dalle 
varie 
statistiche 
pubblicate 
-contribuiscono 
a 
deflazionare 
il 
contenzioso 
con 
la 
definizione 
bonaria 
della 
vicenda. In termini 
di 
efficienza/economicità 
lo strumento 
è 
virtuoso 
se 
conduce 
in 
prevalenza 
a 
definizioni 
bonarie 
(ossia: 
quando 
almeno 
il 
51 
% 
dei 
procedimenti 
preventivi 
conduce 
alla 
definizione 
bonaria). 
Circostanza 
che 
non ricorre 
nella 
prassi, sicchè 
il 
meccanismo in esame 
viene 
visto come un paletto per ostacolare la vista del giudice. 


Il 
costo del 
processo è 
notevole, tenuto conto della 
disciplina 
del 
contributo 
unificato delle 
spese 
di 
lite, e 
in periodico aumento. Ciò emerge 
da 
una 
rapida 
scorsa 
dell’art. 13 D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 (testo unico delle 
disposizioni 
legislative 
e 
regolamentari 
in 
materia 
di 
spese 
di 
giustizia), 
indicante 
gli importi del detto contributo. 


L’effetto convergente 
dei 
due 
fattori, in uno ai 
costi 
dell’avvocato difensore, 
è 
che 
i 
soggetti 
vengono controstimolati 
ad agire 
dinanzi 
al 
giudice 
a 
tutela 
dei 
propri 
diritti 
in 
misura 
inversamente 
proporzionata 
al 
valore 
della 
lite. 
Più il 
valore 
della 
lite 
è 
bassa 
e 
meno si 
è 
stimolati 
ad agire 
in giudizio, attese 
le 
barriere 
della 
mediazione 
obbligatoria 
e/o negoziazione 
assistita 
obbligatoria, 
attesi 
i 
costi 
del 
processo, 
atteso 
il 
compenso 
da 
pagare 
al 
proprio 
avvocato 
(il 
tutto 
corroborato 
da 
misure 
del 
tipo 
ex 
art. 
91, 
ultimo 
comma 
c.p.c. 
secondo 
cui 
“Nelle 
cause 
previste 
dall'articolo 82, primo comma, 
[cause 
il 
cui 
valore 
non eccede 
euro 1.100] le 
spese, competenze 
ed onorari 
liquidati 
dal 
giudice 
non possono superare il valore della domanda”). 


Si 
assiste 
ad un paradosso nell’epoca 
contemporanea: 
il 
catalogo dei 
diritti, 
in via 
formale, è 
in continuo aumento -vi 
è 
anche 
chi 
provocatoriamente 
parla 
di 
“troppi 
diritti” 
-per effetto dell’evoluzione 
normativa 
(interna, del-
l’unione 
Europea, 
internazionale), 
delle 
statuizioni 
della 
Corte 
Costituzionale 
e 
della 
Corte 
di 
cassazione 
(es. la 
categoria 
del 
danno parentale), del 
benessere. 


tuttavia, 
poi 
gli 
strumenti 
per 
azionarli 
-la 
possibilità 
di 
agire 
in 
giudizio 


-sono, di 
fatto, limitati 
in modo inversamente 
proporzionato allo status 
economico 
del 
soggetto di 
diritto ed al 
valore 
della 
lite. Per chi 
non ha 
adeguate 
disponibilità 
economiche 
è 
stretta, 
di 
fatto, 
la 
via 
di 
accesso 
alla 
giustizia. 
tanto non si 
verifica 
per chi 
ha 
adeguate 
disponibilità 
economiche. All’evidenza 
il 
grande 
imprenditore 
che 
deve 
attivare 
un contenzioso con il 
committente 
per 
un 
appalto 
di 
notevole 
entità, 
ad 
esempio 
di 
milioni 
di 
euro, 
marginale 
è 
l’ostacolo 
di 
filtri 
o 
costi 
del 
contributo 
unificato 
o 
spese 
legali. 
Anzi, 
l’esemplificato 
grande 
imprenditore 
spesso, 
pagando, 
attiva 
procedimenti 
alternativi 
di giustizia (quali gli arbitrati). 
I meccanismi 
preventivi 
ed i 
costi 
del 
processo non sono stati 
toccati 
dal 
decreto 
delegato, 
anzi 
si 
è 
avuto 
un 
aumento 
di 
tali 
tecniche 
(si 
è 
visto 
innanzi 
che sono aumentate le materie nelle quali opera la mediazione obbligatoria). 



RASSEGnA 
AvvoCAtuRA 
DELLo 
StAto -n. 2/2022 


De 
iure 
condendo 
occorrerebbe 
ridurre 
i 
detti 
ostacoli 
o -almeno con riguardo 
alle 
condizioni 
di 
procedibilità 
-metterli 
in condizione 
di 
funzionare 
in modo efficiente. 



ContRIButI 
DI 
DottRInA 


La rinegoziazione del contratto: principio “estrinseco” 

o “intrinseco” al nostro ordinamento giuridico? 
Natale Gaetana* 


Esiste 
un diritto alla 
rinegoziazione 
del 
contratto nel 
nostro ordinamento 


o prevale il principio della “immutabilità della volontà delle parti”? 
È 
un principio c.d. “eccentrico”, “estrinseco” 
o “intrinseco” 
al 
nostro sistema 
giuridico? 
Le 
c.d. 
“hardship 
clauses” 
proprie 
del 
commercio 
internazionale 
possono 
diventare la regola nei contratti pubblici? 
L’aumento del 
costo dei 
carburanti 
e 
dell’energia 
dovuto all’attuale 
scenario 
internazionale 
sta 
ponendo nella 
fase 
esecutiva 
di 
molti 
contratti 
di 
appalti 
il 
problema 
della 
c.d. 
“rinegoziazione” 
delle 
condizioni 
contrattuali, 
nello specifico il 
problema 
della 
revisione 
dei 
prezzi, qualora 
le 
parti 
non abbiamo 
previsto 
nel 
contratto, 
apposite 
clausole 
contrattuali 
relative 
alle 
sopravvenienze, 
intese 
come 
eventi 
imprevedibili 
ed 
eccezionali 
capaci 
di 
incidere 
sul 
sinallagma 
dei 
contratti 
ad esecuzione 
periodica 
e 
continuata, alterando 
in 
modo 
significativo 
il 
c.d. 
“equilibrio 
o 
simmetria” 
delle 
prestazioni. 
L’aumento del 
costo dell’energia 
sta 
mettendo in luce 
il 
limite 
del 
ttF 
(Title 
Transfer 
facility), il 
mercato virtuale 
per lo scambio di 
gas 
naturale 
con sede 
in 
olanda. 
occorre 
chiedersi 
se 
l’Energy 
Release 
messo 
in 
campo 
dal-
l’ARERA 
con 
il 
c.d. 
decoupling, 
ossia 
lo 
scorporo 
del 
prezzo 
del 
gas 
da 
quello 
dell’elettricità 
e 
delle 
fonti 
energetiche 
rinnovabili 
e 
il 
tanto auspicato price 
cap, 
potranno 
bilanciare 
i 
costi 
della 
produzione 
riportando 
i 
consumi 
sulla 


c.d. “curva di indifferenza”. 
Il 
diritto 
con 
le 
sue 
categorie 
concettuali 
può 
in 
situazioni 
di 
emergenza 
introdurre 
dei 
meccanismi 
correttivi 
per 
fronteggiare 
la 
grave 
crisi 
economica 
che 
stiamo 
vivendo? 
In 
attesa 
di 
future 
politiche 
legislative 
sia 
nazionali 
che 
euro-unitarie 
(la 
c.d. 
“Common 
response” 
la 
comune 
risposta 
europea 
per 
sottrarsi 
alla 
dipendenza 
dalla 
Russia) 
volte 
a 
contrastare 
in 
maniera 
efficace 
il 
fenomeno 
della 
speculazione 
in 
corso, 
è 
opportuno 
analizzare 
l’istituto 
della 
revisione 
dei 
prezzi 
sul 
piano 
strettamente 
tecnico-giuridico 
per 
poter 
individuare 
le 
c.d. 
“regole 
operazionali”, 
ossia 
le 
c.d. 
“regole 
concrete” 
per 
gli 
operatori 
del 
diritto 
che 
si 
trovano 
ad 
operare 
in 
una 
situazione 
di 
totale 
emergenza. 


L’istituto 
della 
revisione 
dei 
prezzi 
è 
un 
meccanismo 
che 
consente 
la 
definizione 
di 
un 
“nuovo” 
corrispettivo 
per 
le 
prestazioni 
oggetto 
del 
con


(*) Avvocato dello Stato, Professore di Sistemi Giuridici Comparati. 

un ringraziamento alla Dott.ssa 
Anna Pagano per la redazione delle note. 



RASSEGnA 
AvvoCAtuRA 
DELLo 
StAto -n. 2/2022 


tratto, 
conseguente 
alla 
dinamica 
dei 
prezzi 
registrata 
in 
un 
dato 
arco 
temporale 
(1); 
in 
particolare, 
ha 
la 
finalità 
di 
salvaguardare 
l'interesse 
pubblico 
a 
che 
le 
prestazioni 
di 
beni 
e 
servizi 
alle 
pubbliche 
amministrazioni 
non 
siano 
esposte 
col 
tempo 
al 
rischio 
di 
una 
diminuzione 
qualitativa; 
al 
contempo, 
è 
posta 
a 
tutela 
dell'interesse 
dell'impresa 
a 
non 
subire 
l'alterazione 
dell'equilibrio 
contrattuale 
conseguente 
alle 
modifiche 
dei 
costi 
sopraggiunte 
durante 
l'arco 
del 
rapporto 
(2). 


La 
disciplina 
dell’istituto della 
revisione 
dei 
prezzi 
è 
oggi 
contenuta 
nel-
l’art. 106 del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50 (3). 

In 
precedenza, 
la 
materia 
era 
regolata 
dall’art. 
115 
del 
decreto 
legislativo 
12 
aprile 
2006, 
n. 
163 
il 
quale 
prevedeva 
che: 
“tutti 
i 
contratti 
ad 
esecuzione 
periodica 
o 
continuativa 
relativi 
a 
servizi 
o 
forniture 
devono 
recare 
una 
clausola 
di 
revisione 
periodica 
del 
prezzo. 
La 
revisione 
viene 
operata 
sulla 
base 
di 
una 
istruttoria 
condotta 
dai 
dirigenti 
responsabili 
dell’acquisizione 
di 
beni 
e 
servizi 
sulla 
base 
dei 
dati 
di 
cui 
all’articolo 
7, 
comma 
4, 
lettera 
c) 
e 
comma 
5”. 


Pertanto, la 
clausola 
di 
adeguamento dei 
prezzi 
costituiva 
un obbligo per 
le 
stazioni 
appaltanti 
le 
quali 
dovevano, 
in 
tali 
casi, 
procedere 
agli 
adempimenti 
istruttori normativamente previsti (4). 

Con 
l’introduzione 
del 
nuovo 
codice 
degli 
appalti, 
invece, 
la 
revisione 
dei 
prezzi 
è 
divenuta 
facoltativa 
(5); 
opera, quindi, solo se 
prevista 
nei 
documenti 
di gara. 

L’art. 
106 
disciplina 
al 
comma 
1, 
lettere 
a), 
b), 
c) 
ed 
e), 
nonché 
al 
successivo 
comma 
2, 
le 
modifiche 
concernenti 
l’oggetto 
del 
contratto 
mentre, 
le 
modificazioni 
di 
ordine 
soggettivo 
sono 
quelle 
previste 
dal 
comma 
1, 
lettera 
d). 


tali 
disposizioni 
individuano 
i 
casi 
-eccezionali 
e 
tassativi 
-in 
cui 
i 
contratti 
di 
appalto, 
nei 
settori 
ordinari 
e 
speciali, 
possono 
essere 
modificati 
senza 
fare ricorso ad una nuova procedura di gara. 


Le 
modifiche 
di 
ordine 
oggettivo sono ammesse 
senza 
necessità 
di 
una 
nuova gara nei cinque casi di seguito indicati. 


Il 
primo è 
quello delle 
varianti 
previste 
nelle 
clausole 
contenute 
nei 
documenti 
iniziali di 
gara. tali clausole, che 
possono prevedere 
anche 
la revisione 
dei 
prezzi, devono essere 
“chiare, precise 
e 
inequivocabili”, al 
fine 
di 
definire 
con esattezza 
la 
portata 
e 
la 
natura 
di 
eventuali 
modifiche, nonché 
le 
condizioni 
alle 
quali 
esse 
possono essere 
impiegate, facendo riferimento alle 


(1) M. FRAtInI, “manuale sistematico di diritto amministrativo”, 2021, accademia del Diritto. 
(2) Consiglio di 
Stato, sez. Iv, 7 luglio 2022, n. 5667; 
Consiglio di 
Stato, sez. v, 16 giugno 2020, 
n. 3874. 
(3) 
https://www.codicecontrattipubblici.com/parte-ii/art-106-modifica-di-contratti-durante-ilperiodo 
di-validita/. 

(4) 
R. 
BERLoCo, 
“La 
revisione 
dei 
prezzi 
negli 
appalti 
pubblici: 
focus 
sui 
lavori” 
in 
Legal-team.it. 
(5) 
È 
stato, 
altresì, 
previsto 
che 
la 
disciplina 
di 
revisione 
dei 
prezzi 
si 
applichi 
anche 
ai 
settori 
speciali, in precedenza esclusi. 

ContRIButI 
DI 
DottRInA 


variazioni 
dei 
prezzi 
e 
dei 
costi 
standard. Esse 
incontrano tuttavia 
un limite 
di 
ordine 
generale: 
non 
posso 
prevedere 
modifiche 
negoziali 
che 
abbiano 
l’effetto 
di alterare la natura generale del contratto (articolo 106, comma 1, lett. a). 


Il 
secondo caso è 
quello delle 
varianti 
per lavori, servizi 
o forniture 
supplementari 
che 
non erano incluse 
nell’appalto iniziale. In questo caso, è 
consentito 
affidare 
la 
loro 
esecuzione 
al 
contraente 
originario, 
quando 
il 
mutamento del 
medesimo non risulti 
possibile 
per motivi 
economici 
o tecnici 
oppure 
comporti 
per 
l’Amministrazione 
“notevoli 
disguidi”o“una 
consistente 
duplicazione dei costi” (articolo 106, comma 1, lettera b). 


Il 
terzo caso riguarda 
le 
varianti 
in 
corso d’opera, che 
racchiudono le 
fattispecie 
in cui 
la 
necessità 
di 
modifica 
del 
contratto derivi 
da 
“circostanze 
impreviste 
e 
imprevedibili 
per 
l’amministrazione 
aggiudicatrice 
o per 
l’ente 
aggiudicatore”. 
tali 
modifiche 
non 
possono 
alterare 
la 
natura 
generale 
del 
contratto e, a 
norma 
del 
comma 
7, sono consentite 
soltanto se 
contenute 
entro 
determinati limiti di natura economica (articolo 106, comma 1, lettera c). 


Il 
quarto 
caso 
è 
quello 
delle 
varianti 
c.d. 
“non 
sostanziali”(articolo 
106, 
comma 
1, 
lettera 
e). 
La 
definizione 
di 
varianti 
non 
sostanziali 
si 
ricava 
a 
contrario 
da quella di varianti “sostanziali” di cui al successivo comma 4. 

Le 
varianti 
-sotto il 
profilo relativo all’oggetto del 
contratto -sono considerate 
“sostanziali”, laddove: 


a) la 
modifica 
introduca 
condizioni 
che, se 
fossero state 
contenute 
nella 
procedura 
d’appalto iniziale, avrebbero consentito l’ammissione 
di 
candidati 
diversi 
da 
quelli 
inizialmente 
selezionati, l’accettazione 
di 
una 
offerta 
differente 
oppure avrebbero attirato ulteriori partecipanti alla procedura di gara; 
b) la 
modifica 
alteri 
l’equilibrio economico del 
contratto o dell’accordo 
quadro 
a 
favore 
dell’aggiudicatario 
in 
modo 
non 
previsto 
nel 
contratto 
iniziale; 
o ancora, 
c) 
la 
modifica 
estenda 
notevolmente 
l’ambito 
di 
applicazione 
del 
contratto. 
Il 
quinto 
caso, 
infine, 
individua 
soglie 
di 
carattere 
quantitativo 
al 
di 
sotto delle 
quali 
le 
varianti 
sono comunque 
consentite 
senza 
una 
nuova 
procedura 
di 
gara. Il 
loro valore 
deve 
essere 
inferiore 
alle 
soglie 
di 
rilevanza 
comunitaria 
e 
-in 
ogni 
caso 
-al 
10% 
del 
valore 
iniziale 
del 
contratto 
per 
gli 
appalti 
di 
servizi 
e 
di 
forniture 
ovvero del 
15% per quelli 
di 
lavori 
(articolo 
106, comma 2). 


La 
modifica 
sotto il 
profilo soggettivo, invece, è 
consentita 
solo nel 
caso 
in cui 
un contraente 
sostituisce 
quello a 
cui 
la 
stazione 
appaltante 
aveva 
inizialmente 
aggiudicato l’appalto a causa di una delle seguenti circostanze: 


1) 
una 
clausola 
di 
revisione 
inequivocabile 
in 
conformità 
alle 
disposizioni 
di cui alla lettera a); 
2) all’aggiudicatario iniziale 
succede, per causa 
di 
morte 
o (…) a 
seguito 
di 
ristrutturazioni 
societarie, comprese 
rilevazioni, fusioni, scissioni, acquisizione 
o insolvenza, un altro operatore 
economico che 
soddisfi 
i 
criteri 
di 
se

RASSEGnA 
AvvoCAtuRA 
DELLo 
StAto -n. 2/2022 


lezione 
qualitativa 
stabiliti 
inizialmente, purché 
ciò non implichi 
altre 
modifiche 
sostanziali 
al 
contratto 
e 
non 
sia 
finalizzato 
ad 
eludere 
l’applicazione 
del 
presente codice; 


3) 
nel 
caso 
in 
cui 
l’amministrazione 
aggiudicatrice 
o 
l’ente 
aggiudicatore 
si 
assuma 
gli 
obblighi 
del 
contraente 
principale 
nei 
confronti 
dei 
suoi 
subappaltatori. 
Dalla 
disciplina 
appena 
esaminata, si 
evince 
che 
-nei 
contratti 
di 
appalto 
pubblico -la 
revisione 
dei 
prezzi 
è 
consentita 
esclusivamente 
alle 
condizioni 
previste dall’articolo 106, comma 1, lettera a), vale a dire: 


1) se essa è prevista nei 
documenti di gara iniziali; 
2) se 
la 
relativa 
clausola 
è 
formulata 
in modo “chiaro, preciso e 
inequivocabile”; 
e 
3) 
se 
la 
modifica 
non 
altera 
la 
natura 
generale 
del 
contratto 
o 
dell’accordo 
quadro. 
Al 
di 
fuori 
di 
tali 
ipotesi, 
l’impresa 
aggiudicataria 
non 
può 
aspirare 
ad 
una 
revisione 
dei 
prezzi 
pattuiti: 
infatti, il 
menzionato articolo 106, diversamente 
dal 
previgente 
articolo 
115 
del 
decreto 
legislativo 
12 
aprile 
2006, 
n. 
163, rimette 
alla 
discrezionalità 
della 
stazione 
appaltante 
la 
scelta 
di 
inserire 


o meno nei 
bandi 
di 
gara 
una 
clausola 
di 
revisione 
periodica 
del 
prezzo, vincolando 
ulteriormente 
l’esercizio di 
tale 
scelta 
discrezionale 
alla 
sussistenza 
delle 
condizioni 
sopra indicate. 
tale 
disciplina 
è 
stata 
ritenuta 
compatibile 
con 
il 
diritto 
comunitario 
dalla 
Corte 
di 
giustizia, che 
-nella 
sentenza 
del 
19 aprile 
2018, pronunciata 
nella 
causa 
C-152/17 (6) -ha 
evidenziato come 
le 
direttive 
dell’unione 
europea 
in 
materia 
di 
appalti 
pubblici 
non ostino a 
norme 
di 
diritto nazionale, che 
escludano 
la revisione dei prezzi dopo l’aggiudicazione del contratto. 


In questo settore, peraltro, il 
legislatore 
italiano è 
recentemente 
intervenuto 
al 
fine 
di 
incentivare 
gli 
investimenti 
pubblici 
e 
fronteggiare 
le 
ricadute 
economiche 
negative 
conseguenti 
alle 
misure 
di 
contenimento 
adottate 
contro 
il virus SARS-Cov-2. 


In particolare, l’articolo 29, comma 1, lettera a), del 
decreto-legge 
27 
gennaio 
2022 
(7), 
n. 
4, 
convertito, 
con 
modificazioni, 
dalla 
legge 
28 
marzo 


(6) 
Sentenza 
della 
Corte 
(nona 
Sezione) 
19 
aprile 
2018, 
Causa 
C-152/17 
consultabile 
al 
seguente 
link 
https://curia.europa.eu/juris/document/document.jsf;jsessionid=4CD63F4F007C6708E37D6B4517 
5E3166?text=&docid=201263&pageindex=0&doclang=iT&mode=lst&dir=&occ=first&part=1&cid 
=887092. 
(7) 
Decreto-Legge 
convertito 
con 
modificazioni 
dalla 
L. 
28 
marzo 
2022, 
n. 
25 
in 
https://www.normattiva.
it/uri-res/N2Ls?urn:nir:stato:2022;4~art29!vig. Sul 
punto si 
leggano: 
P. FRAnCESChInI, “articolo 
29 
del 
D.L. 
4/2022 
"Sostegni-ter" 
-obbligo 
di 
inserire 
le 
clausole 
di 
revisione 
dei 
prezzi 
nei 
documenti 
di 
gara” 
su 
https://www.appaltiamo.eu/news/dl-42022-obbligo-di-inserire-in-capitolatoclausole-
di-revisione-dei-prezzi; 
R. BERLoCo, P. FALCICChIo 
“Caro materiali: convertito in legge 
il 
decreto 
“Sostegni 
ter”. 
Novità 
e 
conferme 
su 
revisione 
prezzi, 
compensazioni, 
accordi 
quadro” 
in 
https://legal-team.it/caro-materiali-sostegni-ter-revisione-prezzi-compensazioni-accordi-quadro/. 

ContRIButI 
DI 
DottRInA 


2022, 
n. 
25, 
ha 
introdotto 
una 
deroga 
“temporanea” 
alla 
disciplina 
prevista 
dal 
codice 
degli 
appalti 
pubblici, introducendo l’obbligo -per le 
gare 
indette 
dopo 
la 
sua 
entrata 
in vigore 
e 
fino al 
31 dicembre 
2023 
-di 
inserire 
le 
clausole 
di revisione dei prezzi nei 
documenti di gara iniziali. 


tale 
disposizione 
se 
-da 
un 
lato 
-introduce 
l’obbligatorietà, 
nei 
documenti 
di 
gara, delle 
clausole 
di 
revisione 
dei 
prezzi, dall’altro, conferma 
che, 
per le 
fattispecie 
non rientranti 
nel 
proprio ambito di 
applicazione 
temporale, 
gli 
operatori 
economici 
non 
possono 
aspirare 
ad 
una 
modificazione 
dei 
prezzi 
originariamente 
pattuiti 
con 
la 
stazione 
appaltante, 
qualora 
tale 
possibilità 
non 
fosse già prevista negli atti di gara. 


tale 
soluzione 
è 
confortata 
dagli 
orientamenti 
giurisprudenziali 
formatisi 
in 
materia, 
i 
quali 
hanno 
affermato 
che 
“da 
nessuna 
disposizione 
della 
direttiva 
(2004/17/uE 
n.d.r.) 
emerge 
che 
quest'ultima 
debba 
essere 
interpretata 
nel 
senso 
che 
essa 
osta 
a 
norme 
di 
diritto 
nazionale, 
... 
che 
non 
prevedono 
la 
revisione 
periodica 
dei 
prezzi 
dopo 
l'aggiudicazione 
di 
appalti 
rientranti 
nei 
settori 
considerati 
dalla 
medesima 
direttiva, 
dal 
momento 
che 
quest'ultima 
non 
impone 
agli 
Stati 
membri 
alcun 
obbligo 
specifico 
di 
prevedere 
disposizioni 
che 
impongano 
all'ente 
aggiudicatore 
di 
concedere 
alla 
propria 
controparte 
contrattuale 
una 
revisione 
al 
rialzo 
del 
prezzo 
dopo 
l'aggiudicazione 
di 
un 
appalto” 
(8). 


Secondo la 
giurisprudenza 
amministrativa, infatti, la 
disciplina 
della 
revisione 
dei 
prezzi 
si 
esaurisce 
nelle 
disposizioni 
previste 
dall’articolo 
106, 
comma 
1, lettera 
a), del 
decreto legislativo n. 50 del 
2016, con l’ulteriore 
precisazione 
che 
-in assenza 
delle 
condizioni 
previste 
dalla 
lettera 
a) -gli 
operatori 
economici 
non possono richiamare 
a 
fondamento dell’istanza 
la 
diversa 
disciplina prevista dalla successiva lettera c). 

Difatti, la 
disposizione 
da 
ultimo citata 
disciplina 
i 
casi 
in cui, nel 
corso 
di 
svolgimento del 
rapporto contrattuale, si 
renda 
necessario, per circostanze 
impreviste 
e 
imprevedibili, 
modificare 
“l’oggetto 
del 
contratto” 
attraverso 
“varianti 
in corso d’opera”, ossia 
“modifiche 
del 
progetto dal 
punto di 
vista 
tipologico, 
strutturale 
e 
funzionale” 
(cfr. 
Consiglio 
di 
Stato, 
sez. 
v, 
15 
novembre 
2021, n. 7602); 
sicché, essa 
non può trovare 
applicazione 
nei 
diversi 
casi 
in cui 
“la domanda formulata 
[…] all’amministrazione 
[…] concern[a] unicamente 
l’adeguamento del 
prezzo dell’appalto ad asseriti 
aumenti 
dei 
costi 
del servizio” (cfr. t.A.R. Lombardia, Brescia, sez. I, 10 marzo 2022, n. 239). 


Peraltro, “tale 
norma prevede 
la possibilità di 
modificare 
il 
contratto per 
‘circostanze 
impreviste 
e 
imprevedibili 
per 
l’amministrazione 
aggiudicatrice’, 
ossia 
per 
situazioni 
che 
determinino 
per 
l’amministrazione 
la 
‘necessità 
di 
modifica’ 
considerata dalla legge, e 
non, invece, per 
circostanze 
impreviste 
e 
imprevedibili 
per 
l’appaltatore” 
(cfr. 
t.A.R. 
Lombardia, 
Milano, 
sez. 
Iv, 
sent., 
(ud. 7 ottobre 2021) 26 gennaio 2022, n. 178). 


(8) Consiglio di Stato, sez. Iv, 4 aprile 2022, n. 2446. 

RASSEGnA 
AvvoCAtuRA 
DELLo 
StAto -n. 2/2022 


tali 
conclusioni 
non sono contraddette 
dalla 
delibera 
dell’AnAC n. 227 
del 
11 
maggio 
2022 
(9), 
con 
cui 
l’Anac 
ha 
raccomandato 
di 
“valutare 
l’opportunità 
di 
integrare 
i 
contratti 
in corso di 
validità 
con clausole 
ad hoc 
per la 
disciplina di situazioni di forza maggiore”. 


A 
tal 
fine 
è 
pur sempre 
necessario che 
la 
fattispecie 
rientri 
nell’ambito di 
applicazione 
oggettiva 
della 
disposizione 
appena 
citata, la 
quale 
fa 
espressamente 
riferimento: 


1) 
a 
“circostanze 
impreviste 
e 
imprevedibili 
per 
l’amministrazione 
aggiudicatrice 
o per l’ente aggiudicatore”; 
2) tra 
le 
quali 
possono “rientrare 
anche 
la sopravvenienza di 
nuove 
disposizioni 
legislative 
o 
regolamentari 
o 
provvedimenti 
di 
autorità 
od 
enti 
preposti 
alla tutela di interessi rilevanti”. 
va 
da 
sé 
che 
nel 
caso 
in 
cui 
non 
vengano 
in 
rilevo 
modifiche 
della 
prestazione 
contrattuale 
per 
garantire 
l’osservanza 
di 
misure 
disposte 
ex 
auctoritate, 
ma 
semplicemente 
istanze 
di 
revisione 
dei 
prezzi 
formulate 
dai 
contraenti 
privati, 
al 
fine 
di 
ristabilire 
l’equilibrio 
contrattuale 
alterato 
dal-
l’attuale 
situazione 
economica 
globale, 
si 
è 
in 
presenza 
di 
un’ipotesi 
che 
esula 
dall’ambito 
di 
applicazione 
dell’articolo 
106, 
comma 
1, 
lettera 
c), 
del 
codice 
dei 
contratti 
pubblici 
per 
rientrare 
nella 
diversa 
fattispecie 
disciplinata 
dalla 
precedente 
lettera 
a). 


Pertanto, in assenza 
di 
previsioni 
“chiare, precise 
e 
inequivocabili” 
nei 
documenti 
iniziali 
di 
gara, il 
codice 
dei 
contratti 
pubblici 
non 
consente 
l’accoglimento 
di istanze di revisione dei prezzi. 

nell’ipotesi 
in cui 
la 
lex 
specialis 
non preveda 
la 
revisione 
prezzi, si 
può 
ricorrere 
all’art. 
1664, 
comma 
1 
del 
Codice 
civile, 
giacché 
la 
sua 
applicazione 
non è 
espressamente 
esclusa 
dall’art. 106, comma 
1, lett. a) come 
accadeva 
nella 
previgente 
disciplina 
prevista 
dall’art. 
133, 
comma 
2, 
del 
D.Lgs. 
163/2006 nonché dall’art. 26, comma 3, della L. 109/1994. 


tale 
disposizione 
normativa, in via 
generale, consente 
di 
ottenere 
la 
revisione 
dei 
prezzi 
qualora, “per 
effetto di 
circostanze 
imprevedibili” 
si 
siano 
verificati 
aumenti 
o diminuzioni 
del 
costo dei 
materiali 
o della 
mano d’opera, 
che 
hanno 
determinato 
un 
aumento 
o 
una 
diminuzione 
superiore 
al 
decimo 
del 
prezzo complessivo convenuto. La 
revisione 
può essere 
richiesta 
limitatemene 
alla differenza che eccede il decimo (10). 

(9) 
Consultabile 
al 
seguente 
link: 
https://www.anticorruzione.it/-/delibera-numero-227-del-11maggio-
2022. 
(10) “materie 
prime 
e 
appalti 
pubblici, 
i 
nuovi 
meccanismi 
di 
revisione 
dei 
prezzi 
tramite 
compensazioni 
e 
il 
fondo 
statale 
da 
€ 
100 
milioni 
introdotti 
dal 
decreto 
"sostegni 
bis". 
Gli 
aspetti 
contrattualistici 
da 
approfondire” 
https://www.klgates.com/it-iT/materie-prime-e-appalti-pubblici-i-nuovi-meccanismi-direvisione-
dei-prezzi-tramite-compensazioni-e-il-fondo-statale-da-100-milioni-introdotti-dal-decretoSostegni-
Bis-Gli-aspetti-contrattualistici-da-approfondire-11-5-2021;“La 
revisione 
dei 
prezzi 
negli 
appalti 
privati 
per 
lavori 
edilizi” 
https://legal-team.it/la-revisione-dei-prezzi-negli-appalti-privati-per-lavoriedilizi/. 

ContRIButI 
DI 
DottRInA 


A 
differenza 
dell’art. 
1467 
c.c, 
è 
sufficiente 
in 
tal 
caso 
che 
gli 
eventi 
siano 
solo imprevedibili e non anche straordinari. 

A 
fronte 
di 
un 
eventuale 
diniego 
alla 
revisione 
del 
prezzo, 
i 
contraenti 
privati 
hanno ancora 
la 
possibilità 
di 
esperire 
il 
rimedio della 
risoluzione 
del 
contratto per 
eccessiva onerosità sopravvenuta, disciplinato dagli 
articoli 
1467 e seguenti cod. civ. 

nei 
contratti 
ad esecuzione 
continuata, periodica 
o differita, tale 
istituto 
giuridico consente 
alla 
parte, la 
cui 
prestazione 
sia 
divenuta 
eccessivamente 
onerosa 
per il 
verificarsi 
di 
avvenimenti 
straordinari 
e 
imprevedibili, di 
sciogliersi 
dal vincolo contrattuale (art. 1467, comma 1, cod. civ.). 


tuttavia, la risoluzione del contratto non 
può essere richiesta: 


1) 
se 
la 
sopravvenuta 
onerosità 
rientra 
nell’alea 
normale 
del 
contratto 
(art. 
1467, comma 2, cod. civ.); 
2) se 
la 
parte 
contro la 
quale 
è 
domandata 
offre 
di 
modificare 
equamente 
le condizioni contrattuali (art. 1467, comma 3, cod. civ.); 
3) se 
il 
contratto stipulato è 
aleatorio per sua 
natura 
o per volontà 
delle 
parti (art. 1469 cod. civ.). 
Con riguardo all’ipotesi 
da 
ultimo citata, l’articolo 1469 cod. civ. pone 
sullo stesso piano, ai 
fini 
dell’esclusione 
dei 
rimedi 
civilistici 
contro l’eccessiva 
onerosità 
sopravvenuta, 
i 
contratti 
aleatori 
per 
loro 
natura 
e 
quelli 
aleatori 
per volontà delle parti. 

nei 
primi 
l’alea 
è 
elemento 
coessenziale 
al 
tipo 
negoziale 
e 
alla 
correlativa 
operazione 
economica. 
nei 
secondi, 
invece, 
essa 
diviene 
elemento 
essenziale 
della 
fattispecie 
per 
volontà 
delle 
parti 
mediante 
l’inserimento 
in 
uno 
schema 
contrattuale 
di 
per 
sé 
non 
aleatorio 
di 
una 
clausola 
che 
introduce 
un 
rischio 
estraneo 
al 
tipo, 
rendendo 
-per 
tale 
motivo 
-il 
contratto 
aleatorio. 


Difatti, “nell’esplicazione 
della loro autonomia privata, ben possono le 
parti 
di 
un 
contratto 
convenire 
l’unilaterale 
o 
reciproca 
assunzione 
di 
un 
prefigurato 
possibile 
rischio 
futuro, 
estraneo 
al 
tipo 
contrattuale 
prescelto, 
a 
tale 
stregua modificandolo e 
rendendolo per 
tale 
aspetto aleatorio, con l’effetto 
di 
escludere, nel 
caso che 
tale 
rischio si 
verifichi, l’applicabilità dei 
meccanismi 
di 
riequilibrio previsti 
nell’ordinaria disciplina del 
contratto” 
(cfr., ex 
plurimis, Cass. n. 16568 del 2002). 


Pertanto, i 
contraenti 
privati 
che 
abbiano stipulato per loro volontà 
contratti 
aleatori 
non 
possono 
avvalersi 
dei 
meccanismi 
di 
riequilibrio 
previsti 
nell’ordinaria 
disciplina 
del 
contratto; 
e 
quindi, 
in 
caso 
di 
inadempimento, 
non 
potranno richiamare 
l’attuale 
situazione 
economica 
globale 
per sottrarsi 
alle 
conseguenze 
giuridiche 
della 
“responsabilità del 
debitore”, disciplinata 
dagli 
articoli 1218 e seguenti cod. civ. 


È 
bene 
ricordare, 
inoltre, 
come 
affermato 
anche 
da 
costante 
orientamento 
dell’Altissimo Consesso della 
Giustizia 
Amministrativa 
che, la 
disposizione 



RASSEGnA 
AvvoCAtuRA 
DELLo 
StAto -n. 2/2022 


di 
cui 
all’art. 
1467 
c.c. 
limitata 
ai 
contratti 
a 
esecuzione 
continuata 
o 
periodica 


o a 
esecuzione 
differita, non assegna 
al 
contraente 
il 
diritto potestativo di 
determinare 
la 
risoluzione 
del 
contratto 
mediante 
atto 
unilaterale 
(il 
recesso), 
ma 
subordina 
un 
effetto 
di 
tal 
fatta 
a 
una 
pronuncia 
dell’autorità 
giudiziaria 
di 
natura 
costitutiva (11). 
La 
pandemia 
da 
Covid-19 
ha 
imposto 
al 
legislatore 
di 
intervenire 
più 
volte 
al 
fine 
di 
regolare 
la 
materia 
degli 
appalti 
e 
della 
revisione 
dei 
prezzi. 
Sono stati, infatti, introdotti 
il 
D.L. n. 73 del 
2022 “Decreto Sostegni 
bis”, il 


D.L. 4 del 
2022 “Decreto Sostegni 
ter” 
ed il 
Decreto Aiuti, D.L. 50 del 
2022. 
tutti 
gli 
interventi 
legislativi 
si 
sono 
concentrati 
soprattutto 
nell'ambito 
dei 
lavori 
pubblici, lasciando i 
contratti 
di 
beni 
e 
servizi 
quasi 
del 
tutto privi 
di 
copertura 
emergenziale. 
In particolar modo, il 
Decreto Sostegni 
ter, convertito in legge 
n. 25 il 
28 
marzo 2022 ha 
introdotto misure 
urgenti 
in materia 
di 
sostegno alle 
imprese 
connesse 
all'emergenza 
CovID-19, nonché 
misure 
per il 
contenimento degli 
effetti degli aumenti dei prezzi. 


In 
particolare, 
con 
riferimento 
alla 
disposizione 
di 
cui 
all'articolo 
29, 
1° 
comma 
della 
citata 
legge, 
viene 
previsto 
che 
fino 
al 
31 
dicembre 
2023 
tanto 
nel 
caso 
in 
cui 
ci 
siano 
procedure 
di 
affidamento 
dei 
contratti 
pubblici, 
i 
cui 
bandi 
o 
avvisi 
per 
la 
procedura 
di 
scelta 
del 
contraente 
siano 
pubblicati 
successivamente 
alla 
data 
di 
entrata 
in 
vigore 
del 
testo 
normativo, 
nonché, 
in 
caso 
di 
contratti 
pubblici 
senza 
pubblicazione 
di 
bandi 
e 
avvisi, 
nell'invito 
a 
presentare 
le 
offerte 
è 
obbligatorio 
l'inserimento 
delle 
clausole 
di 
revisione 
dei 
prezzi. 


Appare 
tuttavia 
auspicabile, 
che 
si 
valuti 
l’opportunità 
di 
un 
urgente 
e 
specifico intervento normativo, che 
integri 
le 
previsioni 
recentemente 
introdotte 
dall’articolo 
29, 
comma 
1, 
lettera 
a), 
del 
citato 
decreto-legge 
n. 
4 
del 
2022, consentendo l’introduzione 
-sia 
pure 
entro determinati 
limiti 
di 
natura 
economica 
-di 
una 
clausola 
di 
revisione 
dei 
prezzi 
anche 
per 
i 
contratti 
in 
corso di esecuzione. 

Si 
precisa 
che 
nella 
recente 
legge 
15 luglio 2022 n. 91 di 
conversione 
del 
Decreto Aiuti, l’art. 26 introduce 
la 
possibilità 
di 
una 
revisione 
dei 
prezzi 
solo 
per gli 
appalti 
di 
lavori 
e 
non per gli 
appalti 
di 
servizi, lasciando aperto il 
problema 
(12). 

Sul 
piano dell’elaborazione 
scientifica 
la 
Suprema 
Corte 
di 
Cassazione 
ha 
redatto la 
relazione 
n. 56/2020 (13), in cui 
si 
è 
prospettata 
la 
“rinegozia


(11) Consiglio di Stato, sez. Iv, 7 luglio 2022, n. 5667. 
(12) 
Decreto 
MIMS: 
“fondo 
adeguamento 
prezzi 
materiali 
da 
costruzione 
-modalità 
accesso” 
https://www.sentenzeappalti.it/2022/08/03/decreto-mims-fondo-adeguamento-prezzi-materiali-dacostruzione-
modalita-di-accesso/; 
DE 
MARInIS, “revisione 
prezzi 
nei 
contratti 
pubblici: ulteriori 
assestamenti 
normativi 
e 
giurisprudenziali 
in 
attesa 
della 
futura 
attuazione 
della 
legge 
delega”, 
https://www.mediappalti.it/revisione-prezzi-nei-contratti-pubblici-ulteriori-assestamenti-normativi-egiurisprudenziali-
in-attesa-della-futura-attuazione-della-legge-delega/ 



ContRIButI 
DI 
DottRInA 


zione” 
come 
rimodulazione 
del 
rapporto 
contrattuale 
sulla 
base 
di 
principi 
generali 
di 
buona 
fede 
secondo 
la 
c.d. 
théorie 
de 
l’imprévision 
francese 
o 
la 
doctrine 
of 
frustration 
inglese. In altri 
termini 
la 
Suprema 
Corte 
di 
Cassazione 
ha 
sostenuto che 
l’appaltatore 
e 
il 
committente 
devono cooperare 
per il 
riequilibrio 
del 
rapporto 
compromesso. 
Il 
rimedio 
della 
rinegoziazione 
è 
insito 
nel 
sistema 
giuridico 
ed 
opera 
attraverso 
la 
clausola 
generale 
di 
buona 
fede 
e 
il 
principio costituzionale 
di 
solidarietà 
tenendo presente 
la 
causa 
concreta 
economica 
del 
contratto. 
tale 
relazione 
però, 
rappresenta 
un 
documento 
di 
studio 
e 
di 
elaborazione 
scientifica 
che 
non può incidere 
in assenza 
di 
un’espressa 
previsione normativa. 


Se 
guardiamo agli 
altri 
ordinamenti 
europei, ad esempio quello francese, 
in base 
all’avant-project 
Catala 
le 
parti 
ben possono negoziare 
clausole 
con 
cui 
si 
regolano in vario modo le 
conseguenze 
delle 
sopravvenienze. La 
giurisprudenza 
ha 
riconosciuto 
sia 
pure 
con 
i 
correttivi 
della 
buona 
fede 
tesi 
ad 
evitare 
eventuali comportamenti abusivi, la legittimità di : 


1) 
Clausole 
di 
adattamento automatico 
(c.d. clauses 
d’adaptation automatique); 
2) 
Clausole di rinegoziazione 
(clauses de renégociation); 
3) 
Clausole di revisione unilaterale 
(clauses de révision unilatérale). 
In 
mancanza 
di 
previsioni 
pattizie, 
ci 
si 
è 
chiesti 
se, 
in 
accoglimento 
della 
c.d. 
“Théorie 
de 
l’imprévision”, 
il 
giudice 
sia 
o 
meno 
legittimato 
ad 
intervenire 
a 
salvaguardia 
dell’equilibrio 
originario 
previsto 
dalle 
parti. 
In 
proposito, 
a 
partire 
dall’affaire 
du 
Canal 
de 
Craponne 
che 
ha 
esercitato 
sino 
ad 
oggi 
grande 
autorità 
e 
continua 
a 
fissare 
un 
principio 
di 
diritto 
ampiamente 
condiviso 
dalla 
giurisprudenza 
civile 
anche 
recente, 
ha 
negato 
che 
il 
giudice 
possa 
essere 
autorizzato 
alla 
revisione 
del 
prezzo 
(nel 
caso 
richiamato 
rigettò 
la 
richiesta 
di 
rivalutazione 
del 
prezzo 
dovuto 
per 
la 
manutenzione 
di 
un 
canale 
di 
irrigazione 
costruito 
nel 
XvI 
secolo). 
Il 
Consiglio 
di 
Stato 
francese, 
a 
differenza 
della 
Cassazione, 
sin 
dall’affaire 
Gaz 
de 
Bordeaux, 
onde 
assicurare 
una 
piena 
tutela 
dell’interesse 
generale 
alla 
continuità 
del 
servizio 
pubblico, 
ha, 
invece, 
dato 
ingresso 
alla 
théorie 
de 
l’imprévision, 
facendo 
leva 
sul 
consueto 
principio 
di 
specialità 
del 
diritto 
amministrativo 
che 
consente 
la 
praticabilità 
di 
soluzioni 
derogatorie 
del 
diritto 
comune. 
La 
giurisprudenza 
amministrativa 
francese, 
quindi, 
salvaguardando 
le 
esigenze 
dell’interesse 
pubblico, 
assegna 
uno 
specifico 
rilievo 
alle 
sopravvenienze 
non 
previste 
che 
superano 
l’alea 
ordinaria 
ed 
ostacolano 
la 
corretta 
esecuzione 
di 
un 
contratto 
di 
servizio 
pubblico, 
onde 
salvaguardare 
l’utenza. 
La 
dottrina, 
da 
parte 
sua, 
propone 
l’adozione 
di 
un 
principio 
che 
imponga 
la 
rinegoziazione 
del 
contratto 
per 
“imprévision”, 
prospettando 
una 
soluzione 
intermedia 
di 
compro(
13) 
Consultabile 
al 
seguente 
link: 
https://www.cortedicassazione.it/cassazione-resources/resources/
cms/documents/relazione_Tematica_Civile_056-2020.pdf. 

RASSEGnA 
AvvoCAtuRA 
DELLo 
StAto -n. 2/2022 


messo 
tra 
la 
“revisione 
convenzionale” 
( 
“mode 
autogestionnaire”) 
e 
quella 
“giudiziale” 
( 
“mode 
dirigiste”), 
fondata 
sul 
principio 
di 
buona 
fede 
nell’esecuzione 
del 
contratto. 
L’avant 
-project 
Catala 
consacra 
questa 
soluzione 
intermedia, 
introducendo 
una 
revisione 
convenzionale 
spontanea 
o 
indotta 
dal 
giudice 
su 
domanda 
di 
una 
delle 
parti. 


nel 
diritto 
tedesco 
è 
centrale 
la 
buona 
fede 
contrattuale 
§ 
242 
BGB 
(Treu 
und 
Glauben) 
e 
ad 
essa 
si 
ispira 
il 
contratto 
di 
risoluzione 
(aufhebungsvertrag) 
che 
ha 
un suo riferimento normativo nel 
§ 311 BGB. nel 
contratto di 
risoluzione 
le 
parti 
dispongono 
della 
più 
ampia 
libertà 
di 
decidere 
se 
estinguere 
singole 
prestazioni 
ovvero 
di 
modulare 
gli 
effetti 
risolutivi, 
scegliendo 
tra 
una 
terminazione retroattiva 
ex tunc 
ed una 
ex nunc. 


nel 
diritto 
inglese 
manca 
una 
definizione 
legale 
di 
contratti, 
come 
quella 
contenuta 
nell’art. 
1321 
c.c. 
e 
l’art. 
1101 
del 
Code 
civil. 
nella 
Common 
Law, 
conformemente 
alla 
tradizione 
romanistica 
e 
medioevale, 
si 
nega 
ogni 
valore 
giuridico 
vincolante 
al 
nudum 
pactum, 
ossia 
al 
mero 
accordo 
quale 
pura 
volontà 
di 
obbligarsi. 
Pertanto, 
nel 
sistema 
di 
Common 
Law 
la 
vincolatività 
giuridica 
del 
contratto 
presuppone 
che 
l’accordo 
(agreement) 
sia 
accompagnato 
da 
una 
controprestazione 
(consideration) 
che 
conferisce 
al 
contract 
la 
particolare 
natura 
di 
rapporto 
di 
scambio. 
nei 
contratti 
in 
cui 
manchi 
la 
consideration 
(contratti 
a 
titolo 
gratuito) 
l’effetto 
vincolante 
del-
l’impegno 
assunto 
dalle 
parti 
è, 
invece, 
garantito 
mediante 
l’adozione 
di 
uno 
schema 
formale 
tipico 
(act 
under 
seal). 
La 
consideration 
si 
configura, 
quindi, 
quale 
scambio 
di 
prestazioni 
tra 
le 
parti 
contraenti: 
può 
essere 
executory 
o 
executed. 
Si 
parla 
di 
executory 
consideration 
nei 
bilaterl 
contracts, 
ossia 
i 
contratti 
con 
i 
quali 
le 
parti 
si 
impegnano 
ad 
adempiere 
alle 
proprie 
reciproche 
prestazioni. 
La 
consideration 
deve, 
inoltre, 
costituire 
“something 
of 
value 
in 
the 
eye 
of 
the 
law”, 
ossia 
una 
prestazione 
suscettibile 
di 
valutazione 
economica 
ai 
sensi 
della 
legge. 
Le 
Corti 
inglesi 
non 
sono 
tuttavia 
tenute 
ad 
accertare 
l’“adequacy” 
dell’affare 
concluso 
dalle 
parti, 
ossia 
che 
il 
valore 
della 
prestazione 
promessa 
da 
una 
parte 
sia 
proporzionata 
a 
quello 
della 
prestazione 
promessa 
o 
eseguita 
dall’altra. 
Ciò 
nonostante 
non 
possono 
restare 
insensibili 
a 
quei 
contratti 
contraddistinti 
da 
una 
sperequazione 
delle 
prestazioni. 
Pertanto, 
il 
fatto 
che 
una 
parte 
paghi 
troppo 
o 
troppo 
poco 
se 
da 
un 
lato 
non 
inciderà 
sulla 
validità 
del 
contratto, 
dall’altro 
verrà 
valutato 
dai 
tribunali 
in 
sede 
di 
risarcimento 
del 
danno. 


Riportando 
l’analisi 
sul 
nostro 
ordinamento 
nazionale 
si 
rinvengono 
varie 
ipotesi 
di 
sopravvenienze 
che 
impongono 
la 
rideterminazione 
degli 
aspetti 
del 
rapporto 
contrattuale 
alterati 
dall’imprevisto. 
In 
questi 
casi, 
peraltro, 
circoscritti, 
non 
si 
rinviene 
una 
“regola 
di 
contenuto”, 
ma 
una 
“regola 
di 
mera 
condotta”. 
Le 
fattispecie 
legali 
sono varie 
e 
si 
rinvengono sia 
all’interno di 
leggi 
speciali 
che 
nel 
codice 
civile. Si 
pensi 
alla 
copiosa 
legislazione 
sulla 
rinegoziazione 
dei 
mutui. L’art. 2, comma 
450 della 
legge 
24 dicembre 
2007 n. 244 



ContRIButI 
DI 
DottRInA 


introduce 
nel 
sistema 
dei 
mutui 
ipotecari 
il 
meccanismo 
della 
surrogazione 
per volontà 
del 
debitore 
ex 
art. 1202 c.c. atecnicamente 
definita 
“portabilità 
dei 
mutui 
ipotecari”. Il 
codice 
civile 
contiene 
norme 
che 
prevedono la 
rinegoziazione 
all’interno 
di 
vari 
tipi 
contrattuali. 
In 
tema 
di 
affitto, 
l’art. 
1623 


c.c. disciplina 
l’eventualità 
di 
un “factum 
principis”, disposizione 
di 
legge 
o 
provvedimento dell’autorità 
che 
produce 
una 
notevole 
modifica 
del 
rapporto 
contrattuale, prevedendo in tali 
ipotesi 
la 
richiesta 
di 
un aumento o diminuzione 
del 
prezzo. Si 
pensi 
ancora 
agli 
artt. 1492 c.c., 1578 c.c., all’art. 1450 in 
tema 
di 
rescissione, all’art. 1664 c.c., casi 
in cui 
i 
contraenti 
possono chiedere 
di 
rinegoziare 
il 
prezzo. 
Gli 
artt. 
1560 
e 
1561 
c.c. 
in 
tema 
di 
somministrazione 
prevedono 
un 
meccanismo 
legale 
di 
determinazione 
del 
contenuto 
contrattuale, 
sottraendo 
alla 
volontà 
delle 
parti 
la 
fissazione 
dei 
nuovi 
termini 
del-
l’accordo (c.d. eterodeterminazione). Ma 
si 
pensi 
anche 
agli 
artt. 1537 e 
1540 
c.c., 
articoli 
che 
autorizzano 
il 
compratore 
ad 
ottenere 
una 
riduzione 
del 
prezzo 
nel 
caso in cui 
la 
misura 
dell’immobile 
compravenduto sia 
inferiore 
a 
quella 
indicata 
nel 
contratto. 
Lo 
stesso 
art. 
1710 
c.c. 
prevede 
espressamente 
una 
modificazione 
del mandato per circostanze sopravvenute. 
tutte 
le 
citate 
disposizioni 
di 
legge 
hanno una 
caratteristica 
comune 
che 
è 
quella 
di 
garantire 
che 
le 
posizioni 
contrattuali, inizialmente 
assunte 
dalle 
parti, non siano del 
tutto o in gran parte, modificate 
dagli 
effetti 
di 
cambiamenti 
che 
superano 
il 
confine 
della 
normale 
alea 
del 
contratto. 
In 
base 
a 
questa 
osservazione 
ed all’esame 
dell’art. 1467 c.c. (che 
disciplina 
i 
casi 
in cui 
nei 
contratti 
ad esecuzione 
continuata 
o periodica 
ovvero differita 
sia 
intervenuta 
una 
circostanza 
causata 
da 
“eventi 
straordinari 
ed 
imprevedibili” 
che 
abbia 
reso 
eccessivamente 
onerosa 
una 
delle 
prestazioni), 
parte 
della 
dottrina 
ha 
visto 
la 
possibilità 
che 
“il 
rimedio 
revisionale 
abbandoni 
il 
ruolo 
proprio 
dell’eccezione 
per 
assumere 
dignità 
di 
regola 
generale”. 
Questa 
posizione 
dottrinaria 
attribuisce 
all’art. 1467 c.c. un ruolo centrale 
sul 
piano della 
generalizzabilità 
dell’istituto, pur considerando che 
solo la 
parte 
convenuta 
in giudizio 
che 
ha 
tratto 
vantaggio 
dalla 
sopravvenienza 
è 
legittimata 
alla 
formulazione 
di 
un’offerta 
di 
riconduzione 
ad 
equità 
del 
rapporto 
contrattuale, 
mentre 
la 
parte 
sfavorita 
può chiedere 
solo la 
risoluzione 
del 
contratto. Altra 
dottrina, al 
contrario, partendo dal 
presupposto che 
le 
disposizioni 
sopra 
indicate 
non prevedono un intervento legislativo diretto alla 
modifica 
del 
contenuto 
di 
determinati 
rapporti 
contrattuali, 
ne 
traggono 
la 
conseguenza 
che 
dette 
disposizioni, da 
sole, non possono individuare 
un meccanismo operativo idoneo 
a 
costituire 
un 
nuovo 
istituto 
che 
disciplini 
senza 
limiti 
il 
diritto 
e 
il 
rispetto 
dell’obbligo alla 
rinegoziazione. La 
proposta 
di 
adeguamento è 
una 
facoltà 
e 
non un obbligo ed espandere 
i 
meccanismi 
giudiziali 
di 
adeguamento non è 
giustificato né 
in nome 
di 
una 
più ampia 
“giustizia 
contrattuale” 
né 
in nome 
di 
un 
concetto 
economico 
di 
efficienza. 
La 
rinegoziazione 
riguarda 
solo 
le 
circostanze 
eccezionali: 
al 
di 
là 
di 
queste, il 
rischio delle 
sopravvevienze 
costi



RASSEGnA 
AvvoCAtuRA 
DELLo 
StAto -n. 2/2022 


tuisce 
una 
conseguenza 
dell’accordo, essendo rimesso alla 
volontà 
delle 
parti 
regolare 
con 
il 
contratto, 
la 
ripartizione 
del 
rischio 
stesso, 
c.d. 
risk 
assessment. 
In questo senso si 
è 
affermato che 
non esiste 
tra 
le 
regole 
contrattuali 
un principio 
di 
necessaria 
equivalenza 
economica 
tra 
le 
prestazioni 
al 
di 
fuori 
dei 
casi 
espressamente 
menzionati 
dalla 
legge. In quest’ottica 
il 
contratto non ancora 
eseguito è 
costituito dall’elemento dello scambio che 
si 
realizza 
con il 
reciproco 
adempimento (performance 
secondo i 
giudici 
anglosassoni). L’allocazione 
del 
rischio 
delle 
sopravvenienze 
è 
decisa 
al 
momento 
della 
determinazione 
dei 
reciproci 
impegni: 
il 
diritto interviene 
solo quando sulle 
scelte 
delle 
parti 
incidono 
eventi 
eccezionali 
ed 
imprevedibili. 
Ecco 
che 
allora 
in 
materia 
di 
contratti 
pubblici 
la 
legge 
delega 
21 
giugno 
2022 
n. 
78 
all’art. 
1, 
comma 
2, 
lettera 
g 
introduce 
un 
regime 
obbligatorio 
di 
revisione 
dei 
prezzi. 
tale 
articolo 
prevede 
l’obbligo 
per 
le 
stazioni 
appaltanti 
di 
inserire 
nei 
bandi 
di 
gara, negli 
avvisi 
e 
inviti, in 
relazione 
alle 
diverse 
tipologie 
di 
contratti 
pubblici, un 
regime 
obbligatorio di 
revisione 
dei 
prezzi 
al 
verificarsi 
di 
particolari 
condizioni 
di 
natura 
oggettiva 
e 
non 
prevedibili 
al 
momento 
della 
formulazione 
dell’offerta, 
stabilendo 
che 
gli 
eventuali 
oneri 
derivanti 
dal 
suddetto 
meccanismo 
di 
revisione 
dei 
prezzi 
siano 
a 
valere 
sulle 
risorse 
disponibili 
del 
quadro economico degli 
interventi 
e 
su 
eventuali altre risorse disponibili per la stazione appaltante. 


In 
sede 
referente 
è 
stato 
introdotto 
un 
ulteriore 
obbligo 
di 
inserimento 
nei 
bandi 
delle 
stazioni 
appaltanti 
riguardante 
il 
costo da 
rinnovo dei 
CCnL 
sottoscritti 
dalle 
associazioni 
dei 
datori 
e 
dei 
prestatori 
di 
lavoro 
comparativamente 
più 
rappresentative 
sul 
piano 
nazionale, 
applicabili 
in 
relazione 
all’oggetto dell’appalto e 
delle 
prestazioni 
da 
eseguire 
anche 
in materia 
prevalente. 


La 
problematica 
della 
revisione 
dei 
prezzi 
dei 
contratti 
pubblici 
investe 
un triplice profilo: 


1) 
Il 
contenimento 
della 
spesa 
pubblica 
o 
comunque 
la 
certezza 
degli 
oneri a carico dell’Amministrazione; 
2) 
Il 
mantenimento di 
un equilibrio economico tra 
costi 
e 
ricavi 
dell’appaltatore, 
anche a garanzia delle qualità delle prestazioni da questo eseguite; 
3) 
il 
principio 
di 
concorrenza, 
che 
vieta 
di 
apportare, 
ai 
contratti 
in 
corso di 
esecuzione, modifiche 
“sostanziali”, ossia 
condizioni 
che 
se 
fossero 
state 
previste 
fin 
dall’origine, 
avrebbero 
potuto 
portare 
a 
un 
esito 
diverso 
della 
gara 
(in 
questo 
senso 
le 
sentenze 
della 
Corte 
di 
Giustizia 
dell’unione 
Europea 
7 settembre 
2016, C-549/14, Finn Frogne 
a/S 
e 
19 giugno 2008, C-454/06, 
pressetext Nachrichtenagentur). 
La 
previsione 
della 
legge 
delega 
soprarichiamata 
prevede, 
senza 
alcun 
limite 
quantitativo, 
che 
i 
presupposti 
da 
cui 
far 
discendere 
la 
revisione 
dei 
prezzi 
non siano predeterminati 
né 
predeterminabili 
a 
priori, ma 
debbano essere 
valutati 
caso 
per 
caso 
dall’Amministrazione, 
con 
apprezzamento 
sindacabile 
di



ContRIButI 
DI 
DottRInA 


nanzi 
al 
giudice 
amministrativo, 
secondo 
l’orientamento 
della 
Suprema 
Corte 
di 
cassazione 
sezioni 
unite 
(vedi 
sentenza 
n. 35952/2021) per cui 
sono attribuite 
a 
quest’ultimo 
le 
controversie 
sulla 
spettanza 
della 
revisione, 
quando 
l’Amministrazione 
gode 
di 
una 
sfera 
di 
discrezionalità 
ampia, 
mentre 
rientrano 
nella 
giurisdizione 
del 
giudice 
ordinario quelle 
in cui 
siano individuati 
puntualmente 
i presupposti dell’obbligo. 


Secondo 
uno 
schema 
analogo 
a 
quello 
previsto 
dall’articolo 
1467 
c.c. 
per 
l’eccessiva 
onerosità 
sopravvenuta 
che 
giustifica 
la 
domanda 
di 
risoluzione 
del 
contratto (o la 
sua 
riduzione 
ad equità 
su richiesta 
della 
parte 
avvantaggiata), 
si 
dovrebbe 
dare 
rilievo solo a 
“condizioni 
particolari”, dunque 
eccedenti 
la 
normale 
alea 
del 
contratto; 
di 
“natura 
oggettiva”, 
dunque 
valutate 
obiettivamente 
in 
rapporto 
ad 
un’impresa 
media, 
alla 
natura 
del 
negozio 
e 
alle 
condizioni 
del 
mercato; 
“non prevedibili”, secondo un requisito che 
ha 
fondamento 
soggettivo, 
facendo 
riferimento 
alla 
c.d. 
“fenomenologia 
della 
conoscenza” 
(si veda sentenza della Corte di 
Appello di Roma n. 2565/2020). 


Interpretare 
la 
nuova 
norma 
in armonia 
con l’art. 1467 c.c. appare 
giustificato 
non 
solo 
dalla 
similarità 
dei 
testi 
delle 
due 
disposizioni, 
ma 
anche 
perché 
questa 
ben 
può 
considerarsi 
una 
speciale 
applicazione 
di 
quella 
lettura 
dell’art. 
1664 
c.c. 
per 
gli 
appalti 
di 
diritto 
comune, 
che 
a 
sua 
volta 
rappresenta 
una 
normativa 
speciale 
della 
fattispecie 
di 
eccessiva 
onerosità 
sopravvenuta, volta 
a 
conservare il contratto. 


Il 
“fair 
balance 
test” 
della 
norma 
contenuta 
nella 
legge 
delega 
è 
volto, 
dunque, ad evitare 
il 
c.d. breach of 
contract. Gli 
inglesi 
distinguono tra 
termination 
e 
rescission, 
ma 
l’adempimento, 
performance, 
deve 
essere 
completo 
ed 
esatto, 
complete 
and 
exact 
per 
avere 
piena 
efficacia 
solutoria. 
vedremo 
come 
verrà 
attuato tale 
punto della 
legge 
delega, ma 
possiamo affermare 
che 
in questo delicato periodo di 
crisi 
economica 
sembra 
affermarsi 
un modello 
neoKeynesiano dello Stato che 
interviene 
con una 
logica 
redistributiva 
a 
sostenere 
gli 
assett 
economici 
del 
Paese 
per fronteggiare 
la 
crescente 
inflazione 
che 
sta 
colpendo 
tutti 
i 
paesi 
occidentali. 
Il 
diritto 
sta 
facendo 
la 
sua 
parte: 
offre 
strumenti 
e 
categorie 
concettuali 
ad 
un 
sistema 
economico 
che 
è 
in 
grande difficoltà, predisponendo delle regole e delle soluzioni alternative. 



RASSEGnA 
AvvoCAtuRA 
DELLo 
StAto -n. 2/2022 


Azione collettiva pubblica e la sua correlazione con gli 


strumenti di 
Alternative Dispute Resolutions: verso una 


cultura della conciliazione e della giustizia di prossimità 


Gaetana Natale* 


La 
nozione 
di 
azione 
collettiva 
pubblica 
va 
definita 
nel 
nostro 
ordinamento 
tenendo ben presente 
la 
sua 
derivazione 
culturale 
dalla 
class 
action del 
sistema 
nord-americano. La 
rapresentative 
action 
è, infatti, da 
definirsi 
come 
azione 
di 
categoria 
o 
gruppo, 
caratteristica 
del 
sistema 
processuale 
federale 
nord-americano, che 
non trova 
corrispondenza 
né 
nella 
civil 
law, né, se 
non 
in parte, nell’ordinamento inglese. Quanto a 
quest’ultimo, va 
osservato che, 
nell’ambito 
degli 
analogues, 
la 
prima 
non 
va 
confusa 
con 
la 
relator 
action 
soggetta all’intervento del 
General 
attorney. 


nell’ambito dello studio sistematico degli 
strumenti 
ADR è 
importante 
delineare una ricostruzione sistematica anche dell’azione collettiva pubblica, 
in quanto tale 
azione, come 
nei 
sistemi 
di 
Common Law 
è 
finalizzata 
essenzialmente 
al 
“c.d. 
settlement”, 
ossia 
ad 
un 
accordo 
conciliativo 
e 
può 
senz’altro 
favorire 
il 
c.d. “accesso differenziato alla giustizia”, multi 
door 
court 
house, 
secondo la nota teoria di Sander. 


La 
class 
action 
consiste 
nel 
fatto 
che 
un 
membro 
di 
un 
gruppo 
o 
categoria, 
come 
ad esempio, l’azionista 
di 
una 
società, i 
parenti 
di 
una 
vittima 
di 
un incidente, 
cioè 
di 
una 
persona 
avente 
uno status 
analogo a 
quello di 
una 
certa 
categoria, intenta 
un’azione 
in giudizio da 
solo per conto di 
tutti 
gli 
altri 
e 
con 
effetti 
su tutti 
gli 
altri 
(1). Questa 
azione, prevista 
dalla 
Rule 
23 della 
Federal 
rules 
of 
Civil 
Procedure, 
emendata 
nel 
1966, 
ha 
per 
effetto 
di 
estendere 
il 
giudicato 
ultra partes, ossia 
al 
di 
là 
dei 
limiti 
soggettivi 
delle 
parti 
in causa. Ineguagliabile 
strumento 
di 
tutela 
degli 
interessi 
diffusi, 
esso 
trova 
una 
vastissima 
applicazione 
di 
cui 
gli 
esempi 
più significativi 
sono rintracciabili 
in materia 
di 
diritti 
civili, 
di 
controversie 
del 
lavoro, 
di 
tutela 
del 
consumatore 
e 
dell’ambiente 
(Environment). 

La 
class 
action 
trova 
parziale 
corrispondenza 
inglese 
nella 
representative 


(*) Avvocato dello Stato, Professore di Sistemi Giuridici Comparati. 

Redazione 
delle 
note 
a 
cura 
della 
Dott.ssa 
Anna 
Pagano, ammessa 
alla 
pratica 
forense 
presso l’Avvocatura 
Generale dello Stato. 


L’articolo 
costituisce 
la 
relazione 
presentata 
dall’Autrice 
nel 
corso 
dell’evento 
la 
Prima 
Officina 
della 
Conciliazione 
2022 
sul 
tema 
“La 
tutela 
degli 
utenti 
nei 
servizi 
pubblici”. 
Roma, 
Istituto 
Jemolo, 
martedì 
5 luglio 2022. 


(1) Sul 
tema 
si 
sono susseguiti 
molteplici 
interventi 
tra 
i 
quali: 
u. CoREA, M.L. GuARnIERI, “La 
nuova Class 
action al 
debutto: uno sguardo d’insieme” 
in Judicium.it; 
E. SILvEStRI, “Nuovi 
orizzonti 
per l’azione di classe?” in giustiziainsieme.it. 

ContRIButI 
DI 
DottRInA 


action, 
alla 
quale 
si 
fa 
ricorso, 
peraltro, 
assai 
di 
rado: 
quest’ultima 
è 
intesa 
nel 
senso 
che 
i 
membri 
di 
una 
categoria 
debbano 
avere 
un 
common 
interest 
e 
un 
common 
grievance 
e 
il 
rimedio 
richiesto 
dovrebbe 
beneficiare 
tutti; 
le 
parti 
represented 
devono 
essere 
indicate 
con 
maggiore 
precisione 
che 
nella 
class 
action 
americana. 
Inoltre, 
la 
representative 
action 
non 
è 
ammessa 
se 
è 
diretta 
ad 
accertare 
il 
diritto 
di 
numerose 
persone 
ad 
ottenere 
il 
risarcimento 
dei 
propri 
danni. 


La 
class 
action 
si 
distingue 
dalla 
public 
interest 
action: 
come 
è 
stato osservato, 
mentre 
lo sviluppo della 
class 
action 
deriva 
da 
un approccio liberale 
verso il 
concetto di 
representation, quello delle 
public 
interest 
actions 
deriva 
da 
un allargamento senza 
precedenti 
del 
concetto di 
locus 
standi, o standing, 
termine 
processuale 
che 
combina 
i 
concetti 
di 
legitimatio ad causam 
e 
causa 
petendi 
(2). 

Come 
la 
class 
action 
nei 
confronti 
della 
Pubblica 
Amministrazione 
è 
stata 
trasposta nel nostro ordinamento? 


Si 
ricorderà 
che 
la 
legge 
n. 
15/2009 
ha 
introdotto 
l’istituto 
dell’azione 
collettiva 
contro le 
inefficienze 
delle 
amministrazioni 
e 
dei 
concessionari 
di 
servizi 
pubblici. 
Con 
tale 
azione 
l’ordinamento 
determina 
una 
visione 
della 
pubblica 
amministrazione 
come 
amministrazione 
di 
risultato, nel 
quadro di 
una 
concezione 
sostanziale 
del 
principio 
del 
buon 
andamento 
di 
cui 
all’art. 
97 
della Costituzione. 

La 
giurisdizione 
è 
attribuita 
al 
giudice 
amministrativo 
in 
sede 
di 
giurisdizione 
esclusiva, 
in 
quanto 
direttamente 
riconducibile 
alle 
materie 
che 
intercettano 
i 
servizi 
pubblici 
attribuiti 
alla 
giurisdizione 
esclusiva 
del 
giudice 
amministrativo come 
previsto dall’art. 133, comma 
1 lett. c) c.p.a, caratterizzate 
dalla compresenza di interessi legittimi e diritti soggettivi. 

Per quanto concerne 
la 
compatibilità 
con quanto stabilito dalle 
sentenze 


n. 
204/2004 
e 
n. 
191/2006 
della 
Consulta, 
è 
da 
evidenziare, 
in 
senso 
conforme, 
che 
le 
pubbliche 
amministrazioni 
in sede 
di 
erogazione 
dei 
servizi 
pubblici, 
non 
pongono 
in 
essere 
comportamenti 
meri 
di 
stampo 
privatistico 
e 
materiale, 
ma 
comportamenti amministrativi connessi alla loro veste autoritativa. 
Invero, si 
tratta 
di 
veri 
e 
propri 
comportamenti 
amministrativi, tenuti 
in 
settori 
regolati 
da 
leggi 
di 
diritto 
pubblico, 
tali 
da 
giustificare, 
l’attrazione 
delle 
relative 
controversie 
in capo alla 
giurisdizione 
esclusiva 
del 
giudice 
amministrativo. 


va 
precisato che 
il 
decreto delegato (3), diversamente 
dalla 
legge 
delega, 
non 
richiama 
la 
natura 
anche 
di 
merito, 
oltre 
che 
esclusiva, 
della 
giurisdizione 
del giudice amministrativo. 


Recente 
dottrina 
ha 
osservato che 
il 
provvedimento è 
sicuramente 
innovativo 
sotto 
molteplici 
aspetti, 
dal 
momento 
che 
prevede 
un’ampia 
estensione 


(2) vedi M. CAPPELLEttI, in M. CAPPELLEttI 
e J.A. JoLowICz, Giuffrè, 1975. 
(3) D.lgs 20 dicembre 2009 n. 198. 

RASSEGnA 
AvvoCAtuRA 
DELLo 
StAto -n. 2/2022 


dei 
poteri 
del 
giudice 
amministrativo sull’operato della 
pubblica 
amministrazione, 
conferendo 
allo 
stesso 
la 
facoltà 
di 
valutare 
le 
scelte 
di 
allocazione 
delle 
risorse 
disponibili, 
sindacando 
non 
più 
solo 
nella 
sua 
legittimità, 
ma 
anche 
nella conformità della stessa agli standard qualitativi ed economici. 


Le 
nozioni 
di 
interesse 
al 
ricorso 
e 
legittimazione 
ad 
agire 
hanno 
avuto 
di 
recente 
nel 
giudizio 
amministrativo 
un’elaborazione 
dalla 
sentenza 
n. 
22/21 
dell’Adunanza 
Plenaria 
del 
Consiglio 
di 
Stato 
sul 
concetto 
di 
vicinitas, 


o 
anche 
in 
tema 
di 
ricorso 
incidentale 
paralizzante 
(si 
pensi 
al 
caso 
Fastweb, 
Puligienica, 
randstadt), 
in 
tema 
di 
azione 
popolare, 
in 
tema 
di 
legittimazione 
dei 
soci 
ad 
impugnare 
l’interdittiva 
della 
società, 
con 
tutte 
le 
relative 
elaborazioni 
in 
tema 
di 
giurisdizione 
oggettiva. 
In 
tema 
di 
diritto 
eurounitario 
assume 
un 
grande 
significato 
la 
recente 
sentenza 
C-319/19 
del 
28 
aprile 
2022 
emessa 
su 
una 
pregiudiziale 
tedesca 
della 
Corte 
Federale 
di 
Giustizia 
Bundesgerichtshof 
in 
cui 
si 
è 
riconosciuta 
l’ 
“azione 
rappresentativa 
collettiva” 
in 
materia 
di 
tutela 
del 
consumatore 
fondata 
sul 
divieto 
delle 
pratiche 
commerciali 
sleali 
e 
sul 
divieto 
di 
utilizzo 
di 
condizioni 
generali 
di 
contratto 
nulle, 
intentata 
da 
un’associazione 
senza 
scopo 
di 
lucro 
in 
assenza 
di 
un 
mandato 
specifico 
ed 
indipendentemente 
dalla 
violazione 
di 
specifici 
diritti 
dell’interessato. 
Con 
la 
pubblicazione 
nella 
Gazzetta 
ufficiale 
n. 
86 
del 
12 
aprile 
2022 
del 
D.M. Giustizia 17 febbraio 2022 n. 27 
(intitolato “Regolamento in materia 
di 
disciplina 
dell’elenco pubblico delle 
organizzazioni 
e 
associazioni 
di 
cui 
agli 
artt. 
840-bis 
del 
codice 
di 
procedura 
civile 
e 
196-ter 
delle 
disposizioni 
per l’attuazione 
del 
codice 
di 
procedura 
civile, come 
introdotti 
dalla 
legge 
12 
aprile 
2019 n. 31, recante 
disposizioni 
in materia 
di 
azioni 
di 
classe”), è 
stato 
completato il 
nuovo quadro normativo delle 
“azioni 
collettive”, entrato in vigore, 
in forza di vari rinvii, il 
19 maggio 2021. 


Come 
ben noto, la 
riforma 
del 
2019, oltre 
a 
dettare 
nuove 
più dettagliate 
disposizioni 
processuali, ha 
esteso l’ambito applicativo delle 
azioni 
di 
classe 
e 
inibitoria: 
queste, infatti, anteriormente 
alla 
legge 
di 
riforma 
n. 31 del 
2019, 
ai 
sensi 
degli 
articoli 
37 e 
140-bis 
del 
Codice 
del 
consumo (D.lgs 
6 settembre 
2005 
n. 
206), 
potevano 
essere 
esperite 
soltanto 
per 
la 
tutela 
di 
diritti 
e 
interessi 
di 
consumatori 
e 
utenti, 
in 
relazione 
essenzialmente 
a 
rapporti 
di 
consumo; 
attualmente, 
invece, 
queste 
azioni, 
indicate 
congiuntamente 
come 
“azioni 
collettive”, 
in forza 
degli 
articoli 
da 
840-bis 
a 
840-sexiesdecies 
del 
c.p.c., sono 
esperibili 
per 
la 
tutela 
di 
tutti 
i 
diritti 
individuali 
“omogenei” 
e 
di 
qualsiasi 
“interesse 
alla pronuncia di 
una inibitoria di 
atti 
e 
comportamenti 
posti 
in 
essere 
in 
pregiudizio di 
una pluralità di 
individui 
o enti”, ancorchè 
la 
legittimazione 
passiva 
sia 
circoscritta 
dagli 
artt. 840-bis 
e 
840-sexiesdecies, 
comma 
2, “nei 
confronti 
di 
imprese 
ovvero nei 
confronti 
di 
enti 
gestori 
di 
servizi 
pubblici 
o 
di 
pubblica 
utilità”. 
Con 
tali 
articoli 
si 
è 
realizzata 
la 


c.d. 
deconsumerizzazione 
dell’azione 
di 
classe 
(4), 
non 
più 
limitata 
cioè 
alla 

ContRIButI 
DI 
DottRInA 


sola tutela dei 
consumatori, ma a tutti 
gli 
interessi 
che 
presentino il 
carattere 
dell’omogeneità di sintesi (Sassani). 


Correlativamente, la 
legittimazione 
attiva 
all’esercizio delle 
azioni 
sia 
di 
classe, sia 
inibitorie 
collettive, è 
riconosciuta 
non 
soltanto a ciascun 
componente 
della 
classe 
e 
a 
chiunque 
abbia 
interesse 
alla 
pronuncia 
di 
una 
inibitoria 
di 
atti 
e 
di 
comportamenti, 
ma 
anche 
a 
un’organizzazione 
o 
un’associazione 
senza 
scopo 
di 
lucro 
i 
cui 
obiettivi 
statutari 
comprendano 
la tutela sia dei 
predetti 
diritti 
sia degli 
interessi 
pregiudicati 
dalla condotta 
di cui si chiede l’inibitoria. 


In 
particolare, 
l’art. 
840-bis, 
comma 
2 
(richiamato 
espressamente 
dall’art. 
840-sexiesdecies), 
prevede 
che 
“ferma 
la 
legittimazione 
di 
ciascun 
componente 
della 
classe, possono proporre 
l’azione 
di 
cui 
al 
presente 
articolo esclusivamente 
le 
organizzazioni 
e 
le 
associazioni 
iscritte 
in 
un 
elenco pubblico 
istituito presso il 
Ministero della Giustizia”. Ancor 
più 
nel 
dettaglio l’articolo 
196 ter 
delle 
disposizioni 
d’attuazione 
del 
c.p.c., rubricato “Elenco 
delle 
organizzazioni 
e 
associazioni 
legittimate 
all’azione 
di 
classe”, 
inserito 
dalla 
legge 
n. 
31 
del 
2019, 
stabilisce 
le 
regole 
per 
l’adozione 
del 
Regolamento 
e 
le 
materie 
che 
da 
questo devono essere 
disciplinate, cioè, analiticamente: 
i 
requisiti 
per l’iscrizione 
nell’elenco, i 
criteri 
per la 
sospensione 
e 
la 
cancellazione 
delle 
organizzazioni 
e 
associazioni 
iscritte, 
contributi 
da 
versare 
per 
l’iscrizione, modalità di aggiornamento dell’elenco. 

rapporti del nuovo regolamento con il regolamento n. 260 del 2012. 


Come 
osservato dal 
parere 
n. 1458 del 
20 settembre 
2021, espresso dalla 
sezione 
consultiva 
per gli 
atti 
normativi 
del 
Consiglio di 
Stato, il 
nuovo regolamento 
è 
stato redatto sulla 
base 
di 
quello di 
cui 
al 
D.M. 21 dicembre 
2012 


n. 260, recante 
“norme 
per 
l’iscrizione 
nell’elenco delle 
associazioni 
dei 
consumatori 
e 
degli 
utenti 
rappresentative 
a livello nazionale, ai 
sensi 
dell’art. 
137, 
comma 
2, 
del 
Codice 
del 
Consumo”. 
Questo 
elenco, 
già 
esistente 
e 
tenuto 
dal 
MISE 
rimane 
attivo 
per 
gli 
ulteriori 
e 
diversi 
fini 
di 
cui 
al 
Codice 
del 
Consumo, 
non venendo sostituito dal nuovo. 
nel 
contempo, peraltro, le 
venti 
associazioni 
di 
consumatori 
e 
utenti 
che 
risultano attualmente 
iscritte 
per l’anno 2021 nell’elenco del 
MISE, ai 
sensi 
dell’articolo 
2 
comma 
4, 
del 
nuovo 
regolamento, 
sono 
“incluse” 
nel 
nuovo 
elenco tenuto dal 
Ministero della 
Giustizia, ai 
fini 
del 
primo popolamento di 
questo. 
In 
particolare, 
considerato 
che 
nel 
parere 
del 
Consiglio 
di 
Stato 
era 
stato suggerito di 
specificare 
le 
modalità 
di 
iscrizione 
di 
questi 
soggetti, deve 
ritenersi 
che 
la 
“inclusione” 
operi 
d’ufficio 
ex 
lege, 
senza 
la 
necessità 
non 
sol


(4) 
A. 
CARRAttA, 
“L’abilitazione 
all’esercizio 
dell’azione 
collettiva”, 
Relazione 
al 
Convegno 
“La 
conciliazione 
collettiva” 
(università 
degli 
Studi 
di 
Milano, 
26 
settembre 
2008); 
A. 
CARRAttA, 
“La 
class 
action riformata -i nuovi 
procedimenti 
collettivi: considerazioni 
a prima lettura”, in Giur. it., 2019, 
10, pp. 2297 ss. 

RASSEGnA 
AvvoCAtuRA 
DELLo 
StAto -n. 2/2022 


tanto 
che 
presentino 
una 
domanda 
di 
iscrizione, 
ma 
neanche 
che 
versino 
il 
contributo di 200 euro per l’iscrizione. 


La 
scelta 
di 
prevedere 
che 
questo 
“primo 
popolamento” 
avvenga 
in 
modo 
automatico 
è 
condivisibile, 
perché 
consente 
che, 
senza 
soluzione 
di 
continuità, 
le 
azioni 
collettive 
possano 
essere 
proposte 
non 
soltanto 
da 
singoli 
componenti 
delle 
classi, 
ma 
anche 
da 
enti 
esponenziali, 
dotati 
di 
un’organizzazione 
e 
delle 
risorse 
necessarie 
per curare 
adeguatamente 
lo svolgimento di 
un processo di 
classe. 

In particolare, in forza 
della 
lettera 
c) del 
comma 
2 dell’articolo 1, possono 
chiedere 
l’iscrizione 
all’elenco 
“gli 
enti 
individuati 
dall’art. 
4 
del 
Codice 
del 
Terzo Settore 
D.lgs 
3 luglio 2017 n. 117” 
e, cioè: 
organizzazioni 
di 
volontariato, 
associazioni 
di 
promozione 
sociale, enti 
filantropici, reti 
associative, 
società 
di 
mutuo 
soccorso, 
associazioni 
riconosciute 
o 
non 
riconosciute, 
le 
fondazioni 
e 
gli 
altri 
enti 
di 
carattere 
privato diversi 
dalle 
società 
costituiti 
per 
il 
perseguimento, senza 
scopo di 
lucro, di 
finalità 
civiche, solidaristiche 
e 
di 
utilità 
sociale 
mediante 
lo svolgimento in via 
esclusiva 
o principale, di 
una 
o 
più attività 
di 
interesse 
generale 
in forma 
di 
azione 
volontaria 
o di 
erogazione 
gratuita 
di 
denaro, beni 
o servizi, o di 
mutualità 
o di 
produzione 
o scambio di 
beni o servizi ed iscritti nel Registro unico nazionale del 
terzo Settore. 


Secondo quanto previsto dall’articolo 4, comma 
3, del 
Codice 
del 
terzo 
Settore, sembra 
doversi 
ammettere 
che 
possano essere 
iscritti 
nell’elenco in 
esame 
anche 
gli 
“enti 
religiosi 
civilmente 
riconosciuti” 
e 
le 
“fabbricerie” 
ex art. 72 L. 20 maggio 1985 n. 222, “a condizione 
che 
adottino un regolamento 
in forma di 
atto pubblico o scrittura privata autenticata che, ove 
non 
diversamente 
previsto ed in ogni 
caso nel 
rispetto della struttura e 
delle 
finalità 
di 
tali 
enti, recepisca le 
norme 
del 
presente 
Codice 
e 
sia depositato nel 
registro unico nazionale 
del 
Terzo settore 
e 
che 
per 
lo svolgimento di 
queste 
attività sia costituito un patrimonio destinato e 
siano tenute 
separatamente 
le 
scritture contabili”. 

Sul 
terzo 
Settore 
è 
stato 
osservato 
che 
si 
è 
in 
presenza 
di 
un 
nuovo 
esempio 
di 
polimorfismo della soggettività giuridica 
(5): 
ci 
si 
è 
chiesti 
se 
alla 
positivizzazione 
nominalistica 
corrisponda 
una 
giuridicizzazione 
contenutistica. 
Dalla 
teoria 
della 
finzione 
di 
Savigny sino alla 
c.d. neutralità dello schema 
societario 
(6) si 
può senz’altro affermare 
che 
i 
due 
indici 
principali 
dell’Ente 
del 
terzo Settore 
sono: 
l’autonomia 
dalle 
amministrazioni 
pubbliche 
e 
il 
divieto 
di 
distribuzione 
sia 
diretta 
che 
indiretta 
degli 
utili 
(non distribution constraint). 
Si 
è 
precisato 
che 
l’espressione 
non 
profit 
dovrebbe 
essere 
letta 
come 


(5) G. nAtALE, “il 
Terzo Settore: un nuovo esempio di 
polimorfismo della soggettività giuridica” 
in rass. avv. Stato, 2019, vol. 4, pp. 324 ss. 
(6) 
Si 
pensi 
a 
P. 
RESCIGno 
“Le 
formazioni 
sociali 
intermedie” 
in 
riv. 
Dir. 
Civ., 
1988, 
vol. 
44, 
fasc. 
3, pp. 301-313. 

ContRIButI 
DI 
DottRInA 


non for 
profit, legato al 
concetto di 
scopo di 
lucro soggettivo e 
oggettivo, mutualità 
interna 
o esterna 
legata 
all’esperienza 
nord-americana 
delle 
charitable 
corporation. 


Gli 
enti 
esclusi: 
le 
imprese 
sociali, incluse 
le 
cooperative 
sociali 
e 
le 
amministrazioni 
pubbliche. Quest’ultima 
esclusione 
è 
sicuramente 
apprezzabile, 
posto 
che 
queste, 
in 
forza 
dell’art. 
97 
della 
Costituzione, 
devono 
assicurare 
“il 
buon 
andamento 
e 
l’imparzialità 
dell’amministrazione”, 
sicché 
non 
pare 
opportuno che 
queste 
possano rendersi 
promotrici 
di 
azioni 
collettive, che 
per 
definizione - sono “di parte”. 

È 
bene 
precisare 
che 
ovviamente 
la 
disposizione 
regolamentare 
non può 
incidere: 


1) 
né 
sulla 
legittimazione 
prevista 
da 
speciali 
disposizioni 
di 
legge 
a 
tutela 
di 
beni 
collettivi, 
come 
ad 
esempio 
l’articolo 
311 
del 
Codice 
dell’Ambiente 
D.lgs 
3 aprile 
2006 n. 152, ai 
sensi 
del 
quale 
il 
Ministero dell’ambiente 
e 
della 
tutela 
del 
territorio 
agisce, 
anche 
esercitando 
l’azione 
civile 
in 
sede 
penale, 
per il 
risarcimento del 
danno ambientale 
in forma 
specifica 
e, se 
necessario, 
per equivalente patrimoniale. 
2) 
né 
sulla 
legittimazione 
a 
promuovere 
diritti 
o interessi 
di 
cui 
i 
singoli 
enti 
pubblici 
(specialmente 
territoriali) siano direttamente 
titolari: 
si 
pensi, ad 
esempio, 
all’azione 
inibitoria 
nei 
confronti 
di 
un’impresa 
che 
pregiudichi 
beni 
a qualsiasi titolo di proprietà di uno o più Comuni o di una o più Regioni. 
Per quanto riguarda 
la 
tematica 
ambientale, è 
da 
osservare 
che 
le 
norme 
del 
c.p.c. in tema 
di 
azioni 
collettive 
sembrano destinate, dopo 16 anni 
dal-
l’abrogazione 
operata 
dall’art. 318, comma 
2, del 
Codice 
dell’Ambiente 
del 
2006, a 
“ripristinare” 
in via 
di 
fatto la 
previsione 
di 
cui 
all’art. 9, comma 
3, 
del 
tuel 
(D.lgs 
18 agosto 2000 n. 267) che 
prevedeva 
che 
“Le 
associazioni 
di 
protezione 
ambientale 
di 
cui 
all’art. 13 della 
legge 
8 luglio 1986 n. 349, possono 
proporre 
le 
azioni 
risarcitorie 
di 
competenza 
del 
giudice 
ordinario che 
spettino al 
comune 
e 
alla 
provincia, conseguenti 
a 
danno ambientale”: 
tra 
gli 
enti 
che 
potranno 
chiedere 
l’iscrizione 
all’elenco 
di 
cui 
al 
nuovo 
Regolamento, 
infatti, sembrano doversi 
sicuramente 
ammettere 
le 
associazioni 
che 
abbiano 
ad oggetto la tutela dell’ambiente. 

oltre 
agli 
enti 
pubblici, 
sempre 
in 
forza 
dell’articolo 
4 
del 
Codice 
del 
terzo 
settore, 
sono 
esclusi: 
le 
formazioni 
e 
le 
associazioni 
politiche, 
i 
sindacati, 
le 
associazioni 
professionali 
e 
di 
rappresentanza 
di 
categorie 
economiche, le 
associazioni 
di 
datori 
di 
lavoro, 
gli 
enti 
sottoposti 
a 
direzione 
e 
coordinamento 


o controllati 
dai 
suddetti 
enti, ad esclusione 
dei 
soggetti 
operanti 
nel 
settore 
della protezione civile. 
L’esclusione 
di 
tali 
enti 
si 
giustifica, 
perché 
il 
legislatore 
ha 
voluto 
evitare 
che 
le 
azioni 
collettive 
possano 
essere 
utilizzate 
come 
strumenti 
di 
promozione 
dell’immagine 
e 
della 
notorietà. 
Ma 
non 
è 
da 
escludere 
che 
se 
qualcuno 
di 
tali 
enti 
chiedesse 
l’iscrizione 
nell’elenco, 
a 
fronte 
del 
provvedimento 
negativo 



RASSEGnA 
AvvoCAtuRA 
DELLo 
StAto -n. 2/2022 


del 
Ministero della 
Giustizia, potrebbe 
chiedere 
tutela 
al 
giudice 
amministrativo, 
chiedendo che dichiari l’illegittimità 
in parte qua 
del regolamento. 


Ulteriori requisiti. 


L’essere 
enti 
del 
terzo 
settore 
è 
condizione 
necessaria, 
ma 
non 
sufficiente 
per l’iscrizione nell’elenco previsto dal nuovo D.M. 


L’art. 3 di 
questo decreto, infatti, impone 
altre 
condizioni 
alle 
“organizzazioni 
e associazioni” richiedenti ed analiticamente: 


1) 
Essere 
state 
costituite 
almeno due 
anni 
prima della presentazione 
della domanda di 
iscrizione 
all’elenco: 
la 
previsione 
della 
necessità 
che 
sia 
trascorso 
almeno 
un 
biennio 
dalla 
costituzione 
dell’ente, 
impedisce 
che 
questo 
sia istituito ad hoc 
al solo fine di promuovere un’azione collettiva; 
2) 
Avere 
sede 
nella repubblica italiana o in 
uno degli 
Stati 
membri 
dell’unione 
Europea: 
l’esclusione 
delle 
organizzazioni 
che 
abbiano sede 
al 
di 
fuori 
dell’unione 
europea 
non sembra 
né 
condivisibile 
né 
legittima, ove 
si 
consideri 
che 
si 
pone 
in contrasto con la 
generale 
garanzia 
di 
agire 
in giudizio 
assicurata 
dall’articolo 
24, 
comma 
1, 
della 
Costituzione: 
è 
ben 
vero 
che 
le 
azioni 
collettive 
sono 
“alternative” 
e 
“facoltative” 
rispetto 
alle 
forme 
ordinarie 
di 
tutela 
giurisdizionale, 
ma 
la 
disposizione 
costituzionale 
non 
sembra 
tollerare 
alcuna limitazione all’accesso alla giustizia; 
3) 
Avere 
come 
obiettivo statutario, anche 
non 
esclusivo, la tutela di 
diritti 
individuali 
omogenei, 
senza 
scopo 
di 
lucro. 
La 
previsione 
dell’assenza 
dello scopo di 
lucro è 
in realtà 
superflua, posto che 
la 
stessa 
è 
già 
stabilita 
dall’art. 
4 
del 
Codice 
del 
terzo 
settore, 
che 
rappresenta 
il 
presupposto 
essenziale 
della 
disciplina. 
L’assenza 
di 
scopo 
di 
lucro 
deve 
ritenersi 
necessaria 
anche per l’esercizio delle azioni inibitorie collettive. 
4) 
Avere 
un 
ordinamento a base 
democratica con 
convocazione 
degli 
iscritti 
con 
cadenza almeno annuale. La 
prima 
parte 
di 
questa 
previsione 
è 
sostanzialmente 
superflua, 
atteso 
che 
già 
imposta 
dal 
Codice 
del 
terzo 
Settore 
(in particolare 
l’articolo 25 che 
impone 
“il 
rispetto dei 
principi 
di 
democraticità, 
pari 
opportunità 
ed eguaglianza 
di 
tutti 
gli 
associati 
e 
di 
elettività 
delle 
cariche 
sociali”). 
A 
margine 
di 
questa 
previsione 
pare 
opportuno 
precisare, 
specie 
avendo 
riguardo 
a 
fondazioni 
ed 
agli 
enti 
religiosi 
che 
l’investitura 
“democratica” 
deve 
riguardare 
soltanto 
gli 
organi 
di 
indirizzo 
e 
di 
vigilanza 
e 
non 
anche 
i 
soggetti 
investiti 
della 
rappresentanza 
legale 
dell’ente. ha, invece, carattere 
autenticamente 
originale 
e 
precettivo 
la 
seconda 
parte 
della 
disposizione 
che 
richiede 
che 
gli 
iscritti 
siano 
convocati 
almeno 
annualmente: 
la 
previsione 
è 
chiaramente 
rivolta 
ad 
assicurare 
un’attiva 
e 
costante 
partecipazione. 
A 
questa 
medesima 
finalità 
è 
funzionale 
la 
definizione 
di 
cui 
alla 
lettera 
g) dell’articolo 
1, secondo cui 
gli 
“iscritti 
sono i 
soggetti 
che 
hanno espressamente 
manifestato 
la 
volontà 
di 
aderire 
all’organizzazione 
o 
associazione 
mediante 
versamento 
di 
una 
quota 
associativa 
di 
importo 
non 
meramente 
simbolico, in 
forma tracciabile 
ed 
almeno una volta nel 
biennio anteriore 

ContRIButI 
DI 
DottRInA 


alla 
relativa 
dichiarazione”. 
tale 
previsione 
vuole 
stabilire 
una 
partecipazione 
reale e non solo formale degli iscritti. 


5) 
Svolgere 
in 
modo continuativo, adeguato e 
stabile 
le 
attività statutarie 
attraverso articolazioni 
territoriali, disponibilità di 
un 
sito internet 
aggiornato 
caratterizzato 
da 
contenuti 
informativi 
e 
dall’assenza 
di 
qualsiasi 
forma di 
pubblicità anche 
indiretta, attività costante 
di 
assistenza e 
consulenza 
per 
gli 
iscritti 
e 
per 
soggetti 
terzi, 
l’adozione 
di 
iniziative 
pubbliche. 
tale 
disposizione 
stabilisce 
i 
quattro tratti 
essenziali 
dell’attività 
che 
devono 
essere 
tutti 
cumulativamente 
svolti 
da 
ciascun 
ente 
che 
richieda 
l’iscrizione 
nell’elenco. Diversamente 
da 
quelli 
anteriormente 
considerati, che 
possono 
essere 
verificati 
attraverso un semplice 
controllo di 
ordine 
documentale, 
il 
requisito stabilito dalla 
lettera 
e) richiede 
delle 
indagini 
di 
ordine 
fattuale 
e 
storico. 
In 
particolare, 
si 
badi 
che 
il 
requisito 
del 
possesso 
di 
“articolazioni 
territoriali” 
non 
stabilisce 
alcuna 
estensione 
(a 
livello 
nazionale, 
interregionale…), 
sicché 
deve 
ritenersi 
sufficiente 
che 
l’organizzazione 
abbia 
un radicamento 
locale, anche circoscritto territorialmente. 
6) 
operare 
la 
raccolta 
delle 
fonti 
di 
finanziamento 
con 
le 
modalità 
stabilite 
dal 
decreto 
legislativo 
3 
luglio 
2017 
n. 
117: 
in 
forza 
di 
questa 
previsione 
le 
organizzazioni 
ed 
associazioni 
che 
chiedono di 
essere 
iscritti 
all’elenco 
devono 
dimostrare 
non 
solo 
di 
avere 
i 
requisiti 
formali 
propri 
degli 
enti 
del 
terzo settore, ma è 
necessario che 
siano tali 
sotto il 
profilo 
del 
loro sostentamento economico. L’art. 7 del 
D.lgs 
117/17 chiarisce 
che 
“1. 
Per 
raccolta 
fondi 
si 
intende 
il 
complesso 
delle 
attività 
ed 
iniziative 
poste 
in 
essere 
da 
un 
ente 
del 
terzo 
settore, 
al 
fine 
di 
finanziare 
le 
proprie 
attività 
di 
interesse 
generale, 
anche 
attraverso 
la 
richiesta 
a 
terzi 
di 
lasciti, 
donazioni 
e 
contributi 
di 
natura non 
corrispettiva” e 
che 
“2. Gli 
enti 
del 
terzo 
settore, 
possono 
realizzare 
attività 
di 
raccolta 
fondi 
anche 
in 
forma 
organizzata 
e 
continuativa, 
anche 
mediante 
sollecitazione 
al 
pubblico 
o 
attraverso la cessione 
o erogazione 
di 
beni 
o servizi 
di 
modico valore, impiegando 
risorse 
proprie 
e 
di 
terzi, inclusi 
volontari 
e 
dipendenti, nel 
rispetto 
dei 
principi 
di 
verità, trasparenza e 
correttezza nei 
rapporti 
con 
i 
sostenitori 
e 
il 
pubblico, in 
conformità alle 
Linee 
Guide 
adottate 
con 
decreto 
del 
Ministro del 
lavoro e 
delle 
Politiche 
Sociali, sentita la Cabina di 
regia di cui all’art. 97 e il Consiglio nazionale del 
terzo Settore”. 
7) 
Prevedere 
requisiti 
di 
onorabilità 
degli 
associati, 
amministratori 
o rappresentanti 
conformi 
a quelli 
fissati 
dall’art. 13 del 
decreto legislativo 
24 febbraio 1998 n. 58, cioè 
quelli 
previsti 
dal 
tuf per “i 
soggetti 
che 
svolgono funzioni 
di 
amministrazione, direzione 
e 
controllo presso SIM, società 
di gestione del risparmio, Sicav e Sicaf”. 
8) 
Prevedere 
a 
livello 
statutario 
la 
trasparenza 
amministrativa 
e 
contabile 
anche 
mediante 
la 
pubblicazione 
annuale 
del 
bilancio 
e 
la 
revisione 
del 
medesimo 
ad 
opera 
di 
soggetti 
terzi. 
In 
proposito 
va 
ricordato 
che 
tali 
ob

RASSEGnA 
AvvoCAtuRA 
DELLo 
StAto -n. 2/2022 


blighi 
sono 
imposti 
in 
generale 
per 
tutti 
gli 
enti 
del 
terzo 
settore 
dagli 
artt. 
12 
e 
13, 
“Scritture 
contabili 
e 
bilancio” 
e 
“Bilancio 
sociale” 
(7), 
nonché 
30 
e 
31, 
“organo 
di 
controllo” 
e 
“Revisione 
legale 
dei 
conti”, 
del 
Codice 
del 
terzo 
Settore. 


L’attuale 
Decreto 
del 
ministero 
della 
giustizia 
disciplina, 
altresì, 
le 
regole 
di 
ordine 
procedimentale 
che 
i 
richiedenti 
ed il 
Ministero della 
Giustizia 
devono 
seguire, rispettivamente: 


1) 
nella presentazione della domanda (articolo 4). 
2) 
nell’istruttoria 
da 
svolgere 
per 
l’iscrizione 
nel 
registro 
(articolo 
6), 
per 
l’aggiornamento annuale 
dell’elenco (articoli 
7 e 
89), nonché 
per l’adozione 
degli 
eventuali 
provvedimenti 
di 
sospensione 
e 
cancellazione 
dall’elenco (articoli 
9 e 11). 
È 
importante 
precisare 
che 
gli 
eventuali 
provvedimenti 
di 
sospensione 
o 
cancellazione 
degli 
enti 
dall’elenco 
non 
paiono 
in 
grado 
di 
incidere 
sullo 
svolgimento 
degli 
eventuali 
processi 
collettivi 
già 
instaurati 
e 
pendenti: 
non 
vengono 
meno 
né 
la 
legittimazione 
processuale 
dell’ente 
promotore, 
né 
di 
conseguenza, 
le 
sue 
prerogative, 
i 
suoi 
obblighi 
ed 
i 
suoi 
oneri 
nei 
confronti 
degli 
aderenti 
all’azione 
di 
classe 
previsti 
dagli 
artt. 
840-bis 
e 
seguenti 
del 
c.p.c. 


tale 
azione 
assume 
un 
rilievo 
decisivo 
nel 
settore 
dei 
servizi 
pubblici 
di 
interesse 
economico, 
oggetto 
di 
riforma 
sia 
nel 
nuovo 
DDL 
concorrenza 
(8) 
sia 
nella 
legge 
delega 
n. 
78 
sui 
contratti 
pubblici 
approvata 
lo 
scorso 
giugno. 
I 
servizi 
pubblici 
sono 
centrali 
anche 
nel 
PnRR, 
in 
quanto 
vedono 
protagonisti 
gli 
enti 
locali 
in 
applicazione 
del 
principio 
di 
sussidiarietà. 
Le 
c.d. 
Carte 
dei 
servizi 
e 
il 
criterio 
della 
c.d. 
“customer 
satisfaction” 
rappresentano 
l’indice 
rivelatore 
della 
qualità 
dei 
servizi 
e 
di 
conseguenza 
della 
qualità 
della 
vita 
dei 
cittadini. 
non 
è 
un 
caso 
che 
in 
tali 
giorni 
il 
Codacons 
stia 
valutando 
una 
class 
action 
contro 
AMA 
e 
il 
Comune 
di 
Roma 
per 
la 
grave 
situazione 
dei 
rifiuti 
nella 
capitale 
(9). 


(7) Per la 
cui 
redazione 
si 
veda 
in particolare 
il 
D.M. Lavoro 4 luglio 2019, pubblicato nella 
G.U. 
n. 186 del 9 agosto 2019. 
(8) https://www.governo.it/sites/governo.it/files/77938-10029.pdf . 


(9) un’altra 
class 
action 
portata 
avanti 
dal 
Codacons 
contro il 
Comune 
di 
Roma 
ha 
riguardato le 
buche 
presenti 
sulle 
strade 
ma 
il 
tribunale 
di 
Roma 
ne 
ha 
dichiarato l’inammissibilità: 
trib. Roma, sez. 
II, 
n. 
3685/2019. 
Il 
tema 
delle 
class 
action 
è 
stato 
oggetto 
di 
molti 
interventi 
giurisdizionali, 
si 
riportano: 
Cons. Stato, sez. III, 21/03/2022 n. 2044; 
Cons. Stato, sez. Consultiva 
Atti 
normativi, n. 01458/2021; 
Cass. civ., sez. I, 15/05/2019, n. 12997; 
t.A.R. toscana, sez. I, 22/05/2018, n. 712; 
Cass. civ., sez. III, 
23/10/2018, n. 26725; 
trib. venezia, sez. III, 25/05/2017; 
trib. Roma, sez. II, 26/05/2017, n. 10686; 
t.A.R. Lazio, sez. III, 05/05/2016, n. 5190; 
trib. Roma, sent. n. 9381/2016. vari 
sono poi 
stati 
le 
note 
a 
sentenze 
da 
parte 
della 
dottrina. Senza 
scopo di 
esaustività 
se 
ne 
citano alcune: 
“Class 
action, risarcibilità 
del 
danno 
non 
patrimoniale 
da 
inadempimento 
e 
disservizi 
nel 
trasporto 
ferroviario” 
nota 
a 
Cass. civ., sez. III, 31 maggio 2019, n. 14886 in responsabilità Civile 
e 
Previdenza, fasc. 1, 2020; 
A. 
GIuSSAnI, 
A. 
PEPE 
“Class 
actions 
e 
finanziamento 
delle 
liti” 
in 
rivista 
Trimestrale 
di 
Diritto 
e 
Procedura 
Civile, fasc. 2, 1 giugno 2022, p. 303; 
E. StRACQuALuRSI, “azione 
di 
classe: analisi 
della prospettiva 
della Corte 
di 
Cassazione 
in tema di 
omogeneità” 
nota 
a 
Cass. civ., sez. III, 31/05/2019, n. 14886 in 
GiustiziaCivile.com, 23 gennaio 2020; 
A. SCARPA, “inammissibilità dell'azione 
di 
classe 
e 
ricorso per 
cassazione” nota a Cass. civ., sez. un., 01/02/2017, n. 2610 in ilProcessoCivile, 6 marzo 2017. 

ContRIButI 
DI 
DottRInA 


un apposito gruppo di 
lavoro istituito presso il 
Segretariato della 
Presidenza 
del 
Consiglio dei 
Ministri 
coordinato dal 
Prof. Caia 
sta 
elaborando un 
apposito 
studio 
sul 
tema 
dei 
servizi 
pubblici 
al 
fine 
di 
una 
sua 
armonizzazione 
in un testo unico, attraverso un metodo comparatistico che 
va 
dal 
Contratto 
delle 
collettività 
territoriali 
francesi 
basate 
sul 
débat 
public 
al 
Local 
Government 
act 
inglese, fino a valutare le realtà dei Lander tedeschi. 


occorre, 
però, 
chiedersi 
se 
chi 
agisce 
con 
lo 
strumento 
della 
class 
action, 
anche 
nelle 
fasi 
processuali 
delle 
c.d. adesioni 
o post 
sententiam 
debba 
considerarsi 
“parte” 
del 
giudizio in senso tecnico, se 
possa 
configurarsi 
la 
sua 
legittimazione 
attiva 
come 
semplice 
cittadino 
o 
come 
fruitore 
del 
servizio 
o 
utente, considerato che 
alcune 
pronunce 
hanno ritenuto inammissibili 
azioni 
proposte 
contro 
le 
amministrazioni 
pubbliche, 
ritenendo 
legittimati 
passivi 
solo le 
c.d. imprese o concessionari di servizi pubblici. 

In 
tale 
prospettiva 
un 
ruolo 
certamente 
importante 
viene 
svolto 
dagli 
uffici 
conciliativi 
delle 
Autorità 
Amministrative 
Indipendenti. 
Senza 
pretesa 
di 
esaustività 
si 
può fare 
riferimento al 
ruolo dell’ARERA, laddove 
il 
Consiglio di 
Stato (10) con rinvio pregiudiziale 
alla 
Corte 
di 
Giustizia 
dello scorso 31 dicembre 
2021 ha 
posto il 
problema 
dei 
limiti 
entro cui 
un’Authority in materia 
di 
servizi 
pubblici 
possa 
entrare 
nei 
rapporti 
interprivatistici, al 
di 
là 
della 
sua 
funzione 
regolatoria, disponendo addirittura 
la 
restituzione 
di 
somme 
indebitamente 
pagate dall’utente del servizio. 


Superando 
le 
teorie 
soggettive 
ed 
oggettive 
dei 
servizi 
pubblici 
ex 
art. 
114 
tuEL, 
l’elaborazione 
scientifica 
sta 
concentrando 
la 
sua 
analisi 
sui 
tre 
profili essenziali di: 


1) 
Regolazione 
2) 
organizzazione 
3) 
Gestione. 
I 
dibattiti 
si 
stanno 
concentrando 
sulla 
figura 
delle 
società 
in 
house 
in 
merito 
al 
c.d. “controllo analogo” 
(vedi 
D.L. 77/21), sulle 
procedure 
di 
affidamento, 
società 
miste 
con 
“socio 
privato 
operativo 
e 
non 
solo 
finanziatore” 
come 
forma 
di 
partenariato 
pubblico-privato, 
sulla 
definizione 
dell’ 
“intermodalità” 
dei 
servizi 
di 
trasporto 
pubblico, 
sulla 
definizione 
di 
“gestore 
unico 
d’ambito”, 
sul 
concetto 
di 
“servizio 
di 
rete”, 
economie 
di 
scala, 
c.d. 
Benchmarking 
e 
monitoraggio dei 
flussi 
formativi 
attraverso il 
processo in atto di 
digitalizzazione. 
tutti 
profili 
rilevanti, ma 
occorre 
analizzare 
il 
tema 
dal 
punto di 
vista 
dell’utente, 
inteso 
come 
persona 
e 
come 
cittadino. 
I 
servizi 
pubblici 
rappresentano 
un fattore 
importante 
di 
coesione 
sociale 
e 
territoriale 
nel 
rispetto 
del principio di uguaglianza ex artt. 2 e 3 Cost. 


La 
class 
action, 
al 
di 
là 
delle 
questioni 
processuali 
rappresenta 
uno 
schema 
concettuale 
attraverso 
cui 
si 
può 
operare 
la 
“c.d. 
istituzionalizzazione 


(10) Cons. Stato, sez. vI, ordinanza 31 dicembre 2021, n. 8737. 

RASSEGnA 
AvvoCAtuRA 
DELLo 
StAto -n. 2/2022 


dell’utenza”, 
nel 
senso 
di 
dare 
centralità 
ai 
cittadini 
che 
hanno 
diritto 
ai 
servizi 
essenziali, servizi 
dotati 
di 
universalità, accessibili 
a 
tutti, con un livello di 
efficienza 
che 
è 
l’ 
indice 
rivelatore 
del 
livello 
di 
civiltà 
di 
un 
Paese 
democratico. 
In 
tale 
ottica 
i 
“contratti 
di 
servizio” 
e 
le 
“Carte 
di 
servizio” 
rappresentano 
l’elemento 
di 
raccordo 
tra 
l’ente 
affidatario 
e 
il 
gestore, 
idonei 
a 
definire 
la 
base giuridica di un’ottimizzazione dei servizi resi alla collettività. 



(*)

COMUNICATO 
DELL’AVVOCATO 
GENERALE 


Oggi 
lascia 
il 
servizio, dopo trentacinque 
anni 
di 
prestigiosa 
presenza, l’Avv. Michele 
Damiani, Avvocato Distrettuale di Bologna. 


Al 
Collega 
e 
Amico che 
ha 
onorato l’Istituto con la 
Sua 
alta 
professionalità, la 
Sua 
dedizione 
alla 
cura 
degli 
interessi 
del 
paese, il 
Suo costante 
impegno nello svolgimento -con 
saggezza 
ed equilibrio -dei 
compiti 
di 
Avvocato Distrettuale, vanno i 
saluti 
e 
gli 
auguri 
più 
affettuosi 
miei 
e 
di 
tutti 
gli 
Avvocati 
e 
Procuratori 
dello Stato e 
del 
Personale 
dell’Avvocatura. 


Gabriella Palmieri Sandulli 


(*) Email Segreteria Particolare, lunedì 7 novembre 2022. 



Finito di stampare nel mese di febbraio 2023 
Stabilimenti 
Tipografici Carlo Colombo S.p.A. 
Vicolo della Guardiola n. 22 - 00186 Roma