ANNO LXXIII - N. 1 
GENNAIO - MARZO 2021 


RASSEGNA 
AV V O C AT U R A 
DELLO STATO 

PUBBLICAZIONE 
TRIMESTRALE DI SERVIZIO 



COMITATO 
SCIENTIfICO: 
Presidente: Michele 
Dipace. Componenti: Franco Coppi 
-Giuseppe 
Guarino Natalino 
Irti - Eugenio Picozza - Franco Gaetano Scoca. 


DIRETTORE 
RESPONSABILE: 
Giuseppe 
Fiengo 
-CONDIRETTORI: 
Maurizio 
Borgo, 
Danilo 
Del 
Gaizo 
e 
Stefano Varone. 


COMITATO 
DI 
REDAZIONE: 
Giacomo Aiello -Lorenzo 
D’Ascia 
-Gianni 
De 
Bellis 
-Wally 
Ferrante 
-Sergio 
Fiorentino 
-Paolo 
Gentili 
-Maria 
Vittoria 
Lumetti 
-Francesco 
Meloncelli 
-Marina 
Russo. 


CORRISPONDENTI 
DELLE 
AVVOCATURE 
DISTRETTUALI: 
Andrea 
Michele 
Caridi 
-Stefano 
Maria 
Cerillo 
Pierfrancesco 
La 
Spina 
-Marco 
Meloni 
-Maria 
Assunta 
Mercati 
-Alfonso 
Mezzotero 
-Riccardo 
Montagnoli 
-Domenico 
Mutino 
-Nicola 
Parri 
-Adele 
Quattrone 
-Piero 
Vitullo. 


HANNO 
COLLABORATO 
INOLTRE 
AL 
PRESENTE 
fASCICOLO: 
Giuseppe 
Albenzio, 
Fausto 
Capelli, 
Carla 
Colelli, 
Lucrezia 
Fiandaca, 
Gabriele 
Finelli, 
Michele 
Gerardo, 
Gaetana 
Natale, 
Gabriella 
Palmieri 
Sandulli, 
Alessandra 
Parente, 
Carmela 
Pluchino, 
Carlo 
Russo, 
Luca 
Ventrella. 


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giuseppe.fiengo@avvocaturastato.it 
maurizio.borgo@avvocaturastato.it 
danilodelgaizo@avvocaturastato.it 
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42Q 
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03245 
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05, 
causale 
di 
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ove 
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la 
spedizione, 
codice 
fiscale 
del 
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I 
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della 
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sono 
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di 
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eventuali 
variazioni 
di 
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AVVOCATURA 
GENERALE 
DELLO 
STATO 
RASSEGNA 
-Via dei Portoghesi, 12, 00186 Roma 
E-mail: rassegna@avvocaturastato.it - Sito www.avvocaturastato.it 


Stampato in Italia - Printed in Italy 


Autorizzazione 
Tribunale di Roma - Decreto n. 11089 del 13 luglio 1966 



indice 
-sommario 


Comunicato dell’Avvocato Generale, PRoF. GIuSEPPE 
TESAuRo. . . . . . . . 
TEMI 
ISTITUZIONALI 
Giuseppe 
Albenzio, 
Il 
mandato 
dell’Avvocatura 
dello 
Stato 
nei 
giudizi 
civili, 
amministrativi ed internazionali 
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 
1 
Luca 
Ventrella, La tutela dello Stato nel 
sistema giudiziario italiano nei 
procedimenti contro le frodi che incidono sul bilancio dell’uE 
. . . . . . . ›› 
54 
Carmela 
Pluchino, 
Relazione 
annuale 
dell’Avvocatura 
dello 
Stato 
sul 
contenzioso 
antimafia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ›› 
64 
D.P.C.M. 
26 
marzo 
2021 
recante 
“Autorizzazione 
all’Avvocatura 
dello 
Stato 
ad 
assumere 
la 
rappresentanza 
e 
la 
difesa 
dell’ERSu 
di 
Sassari 
nei 
giudizi 
attivi 
e 
passivi 
avanti 
le 
autorità giudiziarie, i 
collegi 
arbitrali, le 
giurisdizioni 
amministrative 
e 
speciali, Circolare 
A.G. 9 giugno 2021 n. 
34 
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ›› 
121 
CONTENZIOSO 
COMUNITARIO 
ED 
INTERNAZIONALE 
Carla 
Colelli, 
Lucrezia 
fiandaca, 
La 
decisione 
della 
Corte 
di 
giustizia 
ue: la normativa sull’assunzione 
e 
sulla proroga dei 
ricercatori 
universitari 
è 
conforme 
alla clausola 5 dell’accordo quadro sul 
lavoro a tempo 
determinato (C. giust. Ue, Sez. VII, sent. 3 giugno 2021, C-326/19) 
. . . ›› 
123 
Gaetana 
Natale, 
La 
Grande 
Sezione 
della 
Corte 
di 
giustizia 
ue 
si 
pronuncia 
sui 
poteri 
delle 
Autorità 
nazionali 
nell’ambito 
del 
RGPD 
a 
fronte 
della 
gestione 
dei 
dati 
da parte 
dei 
colossi 
del 
web 
(C. giust. Ue, Grande 
Sezione, 
sent. 15 giugno 2021, C-645/19) 
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ›› 
139 
Gaetana Natale, una Strategia Europea per la tutela dei minori 
. . . . . . ›› 
166 
CONTENZIOSO 
NAZIONALE 
Gabriele 
finelli, 
La 
costituzione 
di 
parte 
civile 
della 
Presidenza 
del 
Consiglio 
dei 
Ministri 
nel 
processo 
“Eternit-bis” 
(C. 
Ass. 
Novara, 
ord. 5 luglio 2021, R.G. C.Ass. n. 1/20). . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ›› 
183 
Wally 
ferrante, 
Immobili 
confiscati 
alla 
criminalità 
organizzata: 
irrilevanza 
del 
giudizio 
pendente 
innanzi 
alla 
Corte 
di 
Strasburgo 
(Cons. 
St., Sez. III, sent. 7 giugno 2021 n. 4297) 
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ›› 
186 
LEGISLAZIONE 
ED 
ATTUALITà 
Michele 
Gerardo, un diritto per 
il 
“dopoguerra”. Aspetti 
della legislazione 
emergenziale anti CoVID-19 da rendere stabili. . . . . . . . . . . . . . . ›› 
195 



Alessandra 
Parente, Le 
Graduatorie 
Provinciali 
di 
supplenza: verso un 
primo bilancio 
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 
216 


Gaetana Natale, Accountability 
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ›› 
230 


CONTRIBUTI 
DI 
DOTTRINA 


Gaetana Natale, 
La nozione complessa della parità di genere. . . . . . . . . 

›› 
239 
Carlo Russo, Annotazione 
a margine 
dell’art. 23 quater 
D.L. 137/2020 
alla luce delle rilevanza generale e sistematica dell’elenco Istat 
. . . . . . ›› 
251 


RECENSIONI 


fausto Capelli, 
Evoluzione 
splendori 
e 
decadenza delle 
direttive 
comunitarie. 
Impatto della direttiva Ce 
n. 2006/123 in materia di 
servizi: il 
caso 
delle concessioni balneari, Editoriale Scientifica, 2021 
. . . . . . . . . . . . . ›› 
263 


un saluto affettuoso, Gesualdo d’Elia 
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 


(*)

COMUNICATO 
DELL’AVVOCATO 
GENERALE 


Con profonda tristezza e 
viva commozione 
comunico 
che 
nella 
giornata 
di 
ieri 
è 
deceduto 
il 
Professore 
Giuseppe 
Tesauro. 


Nell’esprimere 
le 
più 
sentite 
condoglianze 
alla 
cara 
Luciana e 
alla Famiglia, anche 
a nome 
dei 
Colleghi 
e 
di 
tutto 
il 
Personale 
dell’Avvocatura, 
desidero 
ricordare 
la 
Sua 
altissima 
figura 
di 
Accademico, 
di 
Presidente 
dell’Autorità 
Garante 
della Concorrenza e 
del 
Mercato, di 
Avvocato 
generale 
presso 
la 
Corte 
di 
giustizia, 
di 
Presidente 
della Corte 
costituzionale 
e 
di 
Uomo dotato di 
eccezionali 
qualità 
che, 
nel 
corso 
della 
Sua 
lunga 
carriera, 
ha 
dato 
sempre 
lustro al 
Paese 
anche 
innanzi 
alle 
Istituzioni 
del-
l’Unione 
europea, dove 
ne 
sono ancora vivi 
il 
ricordo, la 
grandissima stima e l’elevatissima considerazione. 


Gabriella Palmieri Sandulli 


(*) 
E-mail, Segreteria Particolare, mercoledì 7 luglio 2021. 



TemIISTITuzIonAlI
Il mandato dell’Avvocatura dello Stato 
nei giudizi civili, amministrativi ed internazionali 


Cari Colleghi, carissimi 
Amici, 
è 
arrivato 
il 
momento 
di 
chiudere 
una 
stagione 
e 
di 
avviarmi 
verso una nuova, come i 
Pastori 
di D’Annunzio. 
Dopo 
oltre 
quarantasei 
anni 
di 
servizio 
ho 
rinnovato 
la 
mia 
verga 
d’avellano 
e 
mi 
avvio 
verso 
quel 
mare 
che 
verde 
è 
come 
i 
pascoli 
dei 
monti, con la 
certezza 
di 
aver svolto il 
mio lavoro con tutto 
l’impegno 
e 
la 
professionalità 
della 
quale 
ero 
capace 
e 
con 
la 
soddisfazione 
di 
aver difeso gli 
interessi 
dello Stato dinanzi 
a 
tutte 
le giurisdizioni, nazionali ed europee. 
Ho 
bevuto 
profondamente 
di 
quest’acqua 
e 
non 
ho 
bisogno 
di 
altro a 
conforto 
del mio cammino che già 
il sole imbionda. 
Mi 
piace 
terminare 
questa 
mia 
esperienza 
dedicandovi 
l’ultima 
mia 
opera 
che 
riguarda 
proprio 
il 
nostro 
Istituto 
e 
il 
nostro 
lavoro. 


Giuseppe 
Albenzio* 


SommaRIo: 1. Il 
mandato nel 
giudizio civile 
ed amministrativo. Cenni 
-2. Il 
mandato 
dell’avvocatura dello Stato. aspetti 
particolari 
-2.1 origine 
-2.2 attestazione 
-2.3 Poteri 



2.4 Intuitus 
personae 
-2.5 Delega di 
funzioni 
-2.6 autorità giudiziarie 
-3. mandato obbligatorio, 
facoltativo e 
autorizzato -4. Patrocinio dei 
pubblici 
funzionari 
-5. Patrocinio parziale 
-6. 
La 
particolare 
posizione 
nei 
giudizi 
di 
costituzionalità 
ed 
internazionali 
-6.1 
Giudizi 
di 
costituzionalità -6.2 Giudizi 
dinanzi 
alle 
Corti 
internazionali 
-7. Un amicus 
curiae 
per 
il 
giudizio amministrativo? -8. Controllo dell’autorità Giudiziaria sulla legittimità del 
patrocinio 
dell’avvocatura. 
(*) Già 
Vice 
Avvocato Generale dello Stato. 


Il 
presente 
scritto 
è 
edito 
nel 
volume 
“Il 
processo 
civile 
oggi 
-in 
omaggio 
a 
Giorgio 
Costantino” 
a 
cura 
di R. Fuzio, Cacucci editore, Bari, 2021. 



rASSeGnA 
AVVoCAturA 
DeLLo 
StAto -n. 1/2021 


1. Il mandato nel giudizio civile e amministrativo. Cenni. 
Gli 
articoli 
da 
82 
a 
87 
del 
codice 
di 
procedura 
civile 
regolano 
il 
patrocinio 
nei 
giudizi 
civili, così 
come 
gli 
articoli 
da 
22 a 
24 del 
codice 
del 
processo amministrativo 
lo regolano nei giudizi amministrativi. 


Il 
rapporto giuridico che 
si 
instaura 
tra 
il 
professionista-avvocato del 
libero 
foro 
ed 
il 
proprio 
assistito 
è 
inquadrabile 
nella 
disciplina 
generale 
del 
mandato con rappresentanza, di cui agli artt. 1703 ss. c.c. 

Infatti, 
nel 
quadro 
della 
categoria 
della 
rappresentanza 
tecnica-volontaria, 
l’Avvocato agisce 
giuridicamente 
in nome 
e 
per conto del 
suo cliente 
(artt. 83 
e 
84 c.p.c., art. 22 c.p.a.). L’oggetto del 
mandato può consistere 
nel 
mero potere 
di 
rappresentare 
la 
parte 
in giudizio ovvero nel 
più ampio potere 
di 
assumerne 
il 
patrocinio nei 
molteplici 
profili 
connessi 
alla 
vicenda 
contenziosa 
e 
con più ampie 
capacità 
dispositive 
del 
diritto azionato (1); 
nel 
primo caso si 
parla 
di 
procura 
ad litem 
conferibile 
con atto unilaterale, nel 
secondo caso di 
mandato 
di 
patrocinio 
contenuto 
in 
un 
contratto 
bilaterale 
(2); 
secondo 
costante 
giurisprudenza, c’è 
completa 
autonomia 
fra 
i 
due 
negozi, nel 
senso che 
ai 
fini 
della 
conclusione 
del 
contratto di 
patrocinio, non è 
indispensabile 
il 
rilascio 
di 
una 
procura 
ad litem 
in forma 
scritta 
(3), mentre 
il 
mandato professionale 
può essere 
conferito anche 
in forma 
verbale 
e 
la 
procura 
alle 
liti 
è 
solo un indice 
presuntivo della 
sussistenza 
tra 
le 
parti 
dell'autonomo rapporto di 
patro


(1) Cass. civ., sez. III, 8 ottobre 
2019, n. 25045: 
“Il 
difensore 
della parte 
costituita in giudizio, 
senza essere 
munito di 
procura speciale 
ai 
sensi 
dell'art. 306 c.p.c., 2° 
comma, può modificare 
la domanda 
in 
sede 
di 
precisazione 
delle 
conclusioni 
ma 
non 
può 
rinunciare 
validamente 
agli 
atti 
del 
giudizio; 
qualora il 
difensore, non munito di 
procura speciale, rinunzi 
alla domanda o ad un capo di 
essa, la rinunzia 
non è 
validamente 
effettuata ed il 
vizio che 
si 
determina qualora il 
giudice 
rigetti 
la domanda, 
o 
il 
detto 
capo, 
può 
essere 
rilevato, 
ove 
sia 
adeguatamente 
prospettato 
e 
riproposto, 
nei 
successivi 
gradi 
del 
giudizio”; 
Cons. Stato, sez. VI, 23 aprile 
2009, n. 2501: 
“La rinuncia può provenire 
o dalla parte 
personalmente 
o dal 
difensore 
munito di 
mandato speciale 
che 
includa la facoltà di 
rinuncia; essa deve 
essere notificata a controparte o essere formulata in udienza”. 
(2) Cass. civ. [ord.], sez. III, 8 giugno 2017, n. 14276: 
“In tema di 
attività professionale 
svolta da 
avvocati, mentre 
la procura ad litem 
è 
un negozio unilaterale 
con il 
quale 
il 
difensore 
viene 
investito 
del 
potere 
di 
rappresentare 
la parte 
in giudizio, il 
mandato sostanziale 
costituisce 
un negozio bilaterale 
(c.d. contratto di 
patrocinio) con il 
quale 
il 
legale 
viene 
incaricato, secondo lo schema negoziale 
che 
è 
proprio del 
mandato, di 
svolgere 
la sua opera professionale 
in favore 
della parte; conseguentemente, 
ai 
fini 
della conclusione 
del 
contratto di 
patrocinio, non è 
indispensabile 
il 
rilascio di 
una procura ad 
litem, essendo questa richiesta solo per 
lo svolgimento dell'attività processuale, né 
rileva il 
versamento 
di 
un fondo spese 
o di 
un anticipo sul 
compenso, atteso che 
il 
mandato può essere 
anche 
gratuito e 
che, 
in ipotesi 
di 
mandato oneroso, il 
compenso ed il 
rimborso delle 
spese 
possono essere 
richiesti 
dal 
professionista 
durante lo svolgimento del rapporto o al termine dello stesso”. 
(3) Per gli 
enti 
pubblici 
non difesi 
dall’Avvocatura 
dello Stato, la 
necessità 
della 
forma 
scritta 
del 
contratto 
è 
delineata 
dalla 
giurisprudenza 
nei 
seguenti 
termini: 
“In 
tema 
di 
forma 
scritta 
ad 
substantiam 
dei 
contratti 
della p.a., il 
requisito è 
soddisfatto, nel 
contratto di 
patrocinio, con il 
rilascio al 
difensore 
della procura ai 
sensi 
dell'art. 83 c.p.c., atteso che 
l'esercizio della rappresentanza giudiziale 
tramite 
la 
redazione 
e 
la 
sottoscrizione 
dell'atto 
difensivo 
perfeziona, 
mediante 
l'incontro 
di 
volontà 
fra 
le 
parti, 
l'accordo 
contrattuale 
in 
forma 
scritta, 
rendendo 
così 
possibile 
l'identificazione 
del 
contenuto 
negoziale 
e 
lo svolgimento dei 
controlli 
da parte 
dell'autorità tutoria” 
(Cass. civ. [ord.], sez. II, 6 agosto 2019, n. 
21007). 

teMI 
IStItuzIonALI 


cinio (4); 
inoltre, la 
procura 
alle 
liti 
può sopravvivere 
anche 
ad un contratto di 
mandato 
invalido 
(5); 
infatti, 
la 
procura 
alle 
liti 
è 
comunque 
indipendente 
dalle 
vicende 
del 
mandato 
(6) 
e 
sopravvive 
anche 
alla 
revoca 
di 
quest’ultimo, 
in 
quanto trae la sua regolamentazione dall’art. 85 c.p.c. (7). 


La 
procura 
alle 
liti 
può 
essere 
generale 
o 
speciale, 
a 
seconda 
che 
sia 
riferita 
ad 
una 
specifica 
fase 
del 
giudizio 
o 
a 
tutto 
il 
suo 
possibile 
svolgimento 


o 
a 
tutta 
una 
serie 
di 
procedimenti 
(8); 
deve 
essere 
rilasciata 
prima 
della 
pro(
4) Cass. civ., sez. I, 13 ottobre 
2020, n. 22048: 
“mentre 
la procura ad litem 
è 
un negozio unilaterale 
con 
il 
quale 
il 
difensore 
viene 
investito 
del 
potere 
di 
rappresentare 
la 
parte 
in 
giudizio, 
il 
mandato 
sostanziale 
costituisce 
un negozio bilaterale 
(il 
contratto di 
patrocinio) con il 
quale 
il 
legale 
viene 
incaricato, 
secondo 
lo 
schema 
negoziale 
che 
è 
proprio 
del 
mandato, 
di 
svolgere 
la 
sua 
opera 
professionale 
in favore 
della parte; conseguentemente, ai 
fini 
della conclusione 
del 
contratto di 
patrocinio, non è 
indispensabile 
il 
rilascio di 
una procura ad litem, essendo questa richiesta solo per 
lo svolgimento del-
l'attività processuale; il 
mandato professionale 
può essere 
conferito anche 
in forma verbale, e 
la prova 
di 
esso 
può 
quindi 
darsi 
anche 
per 
testimoni, 
oltre 
che 
in 
via 
presuntiva, 
attraverso 
idonei 
indizi 
plurimi, 
precisi 
e 
concordanti; la procura alle 
liti, poi, può certamente 
essere 
rivelatrice 
del 
conferimento del 
mandato professionale 
ma è 
solo un indice 
presuntivo della sussistenza tra le 
parti 
dell'autonomo rapporto 
di 
patrocinio 
(nella 
specie 
la 
suprema 
corte 
afferma 
che, 
il 
ritenuto 
mancato 
rilascio 
della 
procura 
ad 
litem 
in 
favore 
dell'odierno 
ricorrente 
non 
poteva 
perciò 
esaurire 
l'accertamento 
circa 
l'esistenza 
del 
contratto di 
patrocinio; il 
tribunale 
avrebbe 
dovuto indagare 
se 
tale 
contratto potesse 
desumersi 
da 
altri elementi)”. 
(5) Cass. civ., sez. III, 19 settembre 
2019, n. 23335: 
“La distinzione 
tra contratto di 
patrocinio e 
procura 
alle 
liti 
fa 
sì 
che 
l'invalidità 
del 
primo 
non 
si 
riverberi 
necessariamente 
sulla 
seconda 
e, 
dunque, 
non privi 
il 
difensore 
dello ius 
postulandi 
per 
la parte 
che 
si 
difende 
in un giudizio; la procura alle 
liti, 
come 
atto interamente 
disciplinato dalla legge 
processuale, è 
infatti 
insensibile 
alla sorte 
del 
contratto 
di 
patrocinio, soggetto alla disciplina sostanziale 
relativa al 
mandato; la nullità del 
contratto di 
patrocinio, 
pertanto, non toglie al difensore lo ius postulandi attribuito con la procura”. 
(6) Cass. civ. [ord.], sez. II, 11 marzo 2019, n. 6905: 
“Posto che 
ai 
fini 
della conclusione 
del 
contratto 
di 
patrocinio, non è 
indispensabile 
il 
rilascio di 
una procura ad litem, essendo quest'ultima richiesta 
solo 
per 
lo 
svolgimento 
dell'attività 
processuale, 
non 
sussiste 
una 
corrispondenza 
diretta 
dal 
punto di 
vista soggettivo fra la procura alle 
liti 
ed il 
contratto di 
patrocinio, tale 
per 
cui 
dal 
mandato 
processuale 
rilasciato da un soggetto a favore 
di 
un legale 
debba necessariamente 
evincersi 
l'esistenza 
di 
un 
contratto 
di 
patrocinio 
fra 
le 
medesime 
parti, 
per 
cui 
il 
primo 
è 
il 
cliente 
del 
secondo, 
ben 
potendo 
verificarsi 
che 
l'incarico sia affidato da un soggetto nell'interesse 
di 
un terzo che 
solo ai 
fini 
dell'eventuale 
attività giudiziale 
rilascia la procura ad litem; allo stesso modo si 
deve 
ritenere 
che 
al 
rilascio 
della 
procura 
ad 
litem 
non 
corrisponda 
un 
contratto 
di 
patrocinio 
fra 
le 
stesse 
parti, 
potendosi 
verificare 
che il rilascio della procura avvenga in ragione di un mandato sostanziale da altri rilasciato”. 
(7) Cass. civ. [ord.], sez. VI, 15 marzo 2017, n. 6648: 
“Le 
vicende 
della procura alle 
liti 
sono disciplinate, 
dall'art. 85 c.p.c., in modo diverso dalla disciplina della procura al 
compimento di 
atti 
di 
diritto 
sostanziale, perchè, mentre 
nella disciplina sostanziale 
è 
previsto che 
chi 
ha conferito i 
poteri 
può 
revocarli 
(o chi 
li 
ha ricevuti, dismetterli) con efficacia immediata, invece 
nè 
la revoca nè 
la rinuncia 
privano 
-di 
per 
sè 
-il 
difensore 
della 
capacità 
di 
compiere 
o 
di 
ricevere 
atti, 
atteso 
che 
i 
poteri 
attribuiti 
dalla 
legge 
processuale 
al 
procuratore 
non 
sono 
quelli 
che 
liberamente 
determina 
chi 
conferisce 
la 
procura, 
ma sono attribuiti 
dalla legge 
al 
procuratore 
che 
la parte 
si 
limita a designare; ne 
consegue 
che, 
in 
base 
all'art. 
85 
c.p.c., 
ciò 
che 
priva 
il 
procuratore 
della 
capacità 
di 
compiere 
o 
ricevere 
atti, 
non 
sono dunque 
la revoca o la rinuncia di 
per 
sè 
soli, bensì 
il 
fatto che 
alla revoca o alla rinuncia si 
accompagni 
la sostituzione del difensore”. 
(8) 
Cass. 
civ. 
[ord.], 
sez. 
trib., 
13 
dicembre 
2019, 
n. 
32880: 
“La 
procura 
generale 
ad 
litem, 
espressamente 
prevista dall'art. 83, 2° 
comma, c.p.c., se 
proveniente 
dall'organo della società abilitato a conferirla, 
resta valida ed imputabile 
all'ente 
finché 
non venga revocata, indipendentemente 
dalle 
vicende 

rASSeGnA 
AVVoCAturA 
DeLLo 
StAto -n. 1/2021 


posizione 
del 
giudizio 
(se 
in 
veste 
di 
parte 
attrice) 
o 
della 
costituzione 
nello 
stesso 
(se 
in 
veste 
di 
parte 
convenuta) 
(9), 
con 
un 
contenuto 
perfettamente 
congruente 
con 
l’attività 
che 
si 
va 
a 
compiere, 
ai 
fini 
della 
valida 
costituzione 
del 
rapporto 
processuale, 
senza 
possibilità 
di 
ratifica 
successiva 
per 
vizi 
originari 
dell’atto 
(10). 


La 
sottoscrizione 
della 
procura 
alle 
liti 
è 
eseguita, 
con 
atto 
di 
rilevanza 
pubblicistica 
(11), 
dall’avvocato 
abilitato 
nella 
qualità 
di 
procuratore 
costituito 
(12). 


modificative 
dell'organo che 
l'ha rilasciata, trattandosi 
di 
atto dell'ente 
e 
non della persona fisica che 
lo rappresentava”; 
Cons. giust. amm. sic., sez. giurisdiz., 7 febbraio 2011, n. 122: 
“Il 
mandato apposto 
a margine 
del 
ricorso è 
per 
sua natura mandato speciale 
e 
non occorre 
per 
la sua validità alcuno specifico 
riferimento al 
giudizio in corso ed alla sentenza contro la quale 
si 
ricorre, poiché 
in tal 
caso la 
specialità del 
mandato è 
deducibile 
dal 
fatto che 
la procura al 
difensore 
forma materialmente 
corpo 
con il ricorso al quale essa si riferisce”. 


(9) 
Cass. 
civ., 
sez. 
II, 
29 
marzo 
2019, 
n. 
8933: 
“Il 
principio 
secondo 
il 
quale 
gli 
atti 
posti 
in 
essere 
da 
soggetto 
privo, 
anche 
parzialmente, 
del 
potere 
di 
rappresentanza 
possono 
essere 
ratificati 
con 
efficacia 
retroattiva 
(salvi 
i 
diritti 
dei 
terzi) 
non 
opera 
nel 
campo 
processuale, 
ove 
la 
procura 
alle 
liti 
costituisce 
il 
presupposto 
della 
valida 
instaurazione 
del 
rapporto 
processuale 
e 
può 
essere 
conferita 
con 
effetti 
retroattivi 
solo 
nei 
limiti 
stabiliti 
dall'art. 
125 
c.p.c., 
il 
quale 
dispone 
che 
la 
procura 
al 
difensore 
può 
essere 
rilasciata 
in 
data 
posteriore 
alla 
notificazione 
dell'atto, 
purché 
anteriormente 
alla 
costituzione 
della 
parte 
rappresentata, 
e 
sempre 
che 
per 
l'atto 
di 
cui 
trattasi 
non 
sia 
richiesta 
dalla 
legge 
la 
procura 
speciale, 
restando 
conseguentemente 
esclusa, 
in 
questa 
ipotesi, 
la 
possibilità 
di 
sanatoria 
e 
ratifica”. 
(10) Cass. civ., sez. I, 16 giugno 2004, n. 11326: 
“La procura è 
atto geneticamente 
sostanziale 
con rilevanza processuale 
(quale 
presupposto per 
la valida costituzione 
del 
rapporto processuale, da 
valutarsi 
con 
esclusivo 
riferimento 
all'atto 
introduttivo 
del 
giudizio, 
non 
potendo 
l'eventuale 
relativo 
iniziale 
difetto essere 
sanato mediante 
successiva ratifica), che 
va interpretato -secondo i 
criteri 
ermeneutici 
stabiliti 
per 
gli 
atti 
di 
parte 
dal 
combinato disposto di 
cui 
agli 
art. 1367 c.c. e 
159 c.p.c. nel 
rispetto 
in particolare 
del 
principio di 
relativa conservazione 
-in relazione 
al 
contesto dell'atto cui 
essa 
accede, rimanendo sotto tale 
profilo censurabile 
in ordine 
alle 
eventuali 
omissioni 
ed incongruità argomentative, 
e 
non anche 
mediante 
la mera denunzia dell'ingiustificatezza del 
risultato interpretativo 
raggiunto, 
prospettante 
invero 
un 
sindacato 
di 
merito 
inammissibile 
in 
sede 
di 
legittimità”; 
Cons. 
Stato, 
sez. V, 22 settembre 
2015, n. 4424: 
“Il 
principio secondo cui 
gli 
atti 
posti 
in essere 
da soggetto privo, 
anche 
parzialmente, 
del 
potere 
di 
rappresentanza 
possono 
essere 
ratificati 
con 
efficacia 
retroattiva, 
salvi 
i 
diritti 
dei 
terzi, 
non 
opera 
nel 
campo 
processuale, 
ove 
la 
procura 
alle 
liti 
costituisce 
il 
presupposto 
della 
valida 
instaurazione 
del 
rapporto 
processuale 
e 
può 
essere 
conferita 
con 
effetti 
retroattivi 
solo 
nei 
limiti 
stabiliti 
dell'art. 125 c.p.c., il 
quale 
dispone 
che 
la procura al 
difensore 
può essere 
rilasciata 
in data posteriore 
alla notificazione 
dell'atto, purché 
anteriormente 
alla costituzione 
della parte 
rappresentata, 
e 
sempre 
che 
per 
l'atto 
di 
cui 
trattasi 
non 
sia 
richiesta 
dalla 
legge 
la 
procura 
speciale, 
come 
nel 
caso del 
ricorso per 
cassazione, restando conseguentemente 
esclusa, in tale 
ipotesi, la possibilità 
di 
sanatoria e 
ratifica”; 
Cons. Stato, sez. VI, 7 agosto 2013, n. 4166: 
“È 
insanabilmente 
nullo il 
ricorso 
sottoscritto da soggetto sfornito del 
ius 
postulandi, non potendosi 
applicare, ratione 
temporis, la sanatoria 
di cui all'art. 182, 2º comma, c.p.c., introdotto dalla l. 18 giugno 2009 n. 69”. 
(11) 
Cass. 
civ. 
[ord.], 
sez. 
VI, 
2 
settembre 
2015, 
n. 
17473: 
“La 
funzione 
del 
difensore 
di 
certificare 
l'autografia della sottoscrizione 
della parte, ai 
sensi 
degli 
art. 83 e 
125 c.p.c., pur 
trovando la sua base 
in un negozio giuridico di 
diritto privato (mandato), ha natura essenzialmente 
pubblicistica, atteso che 
la dichiarazione 
della parte, con la quale 
questa assume 
su di 
sé 
gli 
effetti 
degli 
atti 
processuali 
che 
il 
difensore 
è 
legittimato a compiere, è 
destinata a dispiegare 
i 
suoi 
effetti 
nell'ambito del 
processo; ne 
consegue 
che 
il 
difensore, con la sottoscrizione 
dell'atto processuale 
e 
con l'autentica della procura riferita 
allo stesso, compie 
un negozio di 
diritto pubblico e 
riveste 
la qualità di 
pubblico ufficiale, la cui 
certificazione può essere contestata soltanto con la querela di falso”. 

teMI 
IStItuzIonALI 


Pur 
rilevante, 
l’intuitus 
personae 
non 
è 
essenziale 
nell’ambito 
dello 
svolgimento 
del 
mandato, nel 
senso che, pur trattandosi 
di 
incarico fiduciario basato 
sulle 
competenze 
professionali 
dell’incaricato, 
le 
attività 
esecutive 
possono ben essere 
affidate 
ad un sostituto appositamente 
autorizzato (ab origine 
o caso per caso) (13). 


In 
ogni 
caso, 
il 
professionista 
destinatario 
della 
procura 
ad 
litem 
o 
del 
mandato di 
patrocinio è 
tenuto all’obbligo di 
diligenza 
professionale 
secondo 
il 
combinato disposto degli 
articoli 
1176, comma 
2, e 
2236 cod. civ. (14) ed 
al 
fine 
di 
conseguire 
il 
risultato 
utile 
voluto 
dal 
mandante 
(15); 
i 
poteri 
del 


(12) 
Cons. 
Stato, 
sez. 
V, 
22 
settembre 
2015, 
n. 
4424: 
“Il 
principio 
secondo 
cui 
gli 
atti 
posti 
in 
essere 
da 
soggetto 
privo, 
anche 
parzialmente, 
del 
potere 
di 
rappresentanza 
possono 
essere 
ratificati 
con 
efficacia 
retroattiva, 
salvi 
i 
diritti 
dei 
terzi, 
non 
opera 
nel 
campo 
processuale, 
ove 
la 
procura 
alle 
liti 
costituisce 
il 
presupposto 
della 
valida 
instaurazione 
del 
rapporto 
processuale 
e 
può 
essere 
conferita 
con 
effetti 
retroattivi 
solo 
nei 
limiti 
stabiliti 
dell'art. 
125 
c.p.c., 
il 
quale 
dispone 
che 
la 
procura 
al 
difensore 
può 
essere 
rilasciata 
in 
data 
posteriore 
alla 
notificazione 
dell'atto, 
purché 
anteriormente 
alla 
costituzione 
della 
parte 
rappresentata, 
e 
sempre 
che 
per 
l'atto 
di 
cui 
trattasi 
non 
sia 
richiesta 
dalla 
legge 
la 
procura 
speciale, 
come 
nel 
caso 
del 
ricorso 
per 
cassazione, 
restando 
conseguentemente 
esclusa, 
in 
tale 
ipotesi, 
la 
possibilità 
di 
sanatoria 
e 
ratifica”; 
Cons. 
Stato 
[ord.], 
sez. 
V, 
10 
febbraio 
2010, 
n. 
707: 
“ai 
sensi 
dell'art. 
85 
c.p.c., 
l'autenticazione 
della 
firma 
del 
mandato 
rilasciato 
a 
margine 
del 
ricorso 
in 
appello 
deve 
essere 
effettuata 
a 
pena 
di 
inammissibilità 
dallo 
stesso 
avvocato 
che 
ha 
ricevuto 
il 
mandato 
ma 
a 
condizione 
che 
sia 
abilitato 
al 
patrocinio 
innanzi 
alle 
giurisdizioni 
superiori, 
e 
non 
da 
legale 
non 
abilitato”; 
C. 
Stato, 
sez. 
V, 
6 
febbraio 
2008, 
n. 
370: 
“La 
certificazione 
del 
difensore 
nel 
mandato 
alle 
liti 
in 
calce 
o 
a 
margine 
di 
atto 
processuale 
riguarda 
solo 
l'autografia 
della 
sottoscrizione 
della 
persona 
che, 
conferendo 
la 
procura, 
si 
fa 
attrice 
o 
della 
persona 
che 
nell'atto 
si 
dichiara 
rappresentante 
della 
persona 
fisica 
o 
giuridica 
che 
agisce 
in 
giudizio, 
e 
non 
altro, 
con 
la 
conseguenza 
che 
deve 
considerarsi 
essenziale, 
ai 
fini 
della 
validità 
della 
procura 
stessa, 
che 
in 
essa, 
o 
nell'atto 
processuale 
al 
quale 
accede, 
risulti 
indicato 
il 
nominativo 
di 
colui 
che 
ha 
rilasciato 
la 
procura, 
facendosi 
attore 
nel 
nome 
proprio 
o 
altrui, 
in 
modo 
da 
rendere 
possibile 
alle 
altre 
parti 
e 
al 
giudice 
l'accertamento 
della 
sua 
legittimazione 
e 
dello 
ius 
postulandi 
del 
difensore; 
in 
difetto 
di 
queste 
indicazioni, 
la 
procura, 
ove 
la 
firma 
apposta 
sia 
illeggibile, 
deve 
considerarsi 
priva 
di 
effetti 
tutte 
le 
volte 
che 
il 
vizio 
formale 
abbia 
determinato 
l'impossibilità 
di 
individuazione 
della 
sua 
provenienza 
e, 
perciò, 
di 
controllo 
dell'effettiva 
titolarità 
dei 
poteri 
spesi”. 
(13) 
Cass. 
civ., 
sez. 
II, 
22 
luglio 
1999, 
n. 
7888: 
“Il 
mandato, 
pur 
caratterizzato 
dall'elemento 
della 
fiducia, non è 
tuttavia necessariamente 
basato sull'intuitus 
personae, onde 
il 
mandatario può avvalersi 
dell'opera 
di 
un 
sostituto, 
salvo 
che 
il 
divieto 
sia 
espressamente 
stabilito, 
ovvero 
si 
tratti 
di 
attività 
rientranti 
nei limiti di un incarico affidato intuitus personae”. 
(14) Cass. civ., sez. II, 30 luglio 2004, n. 14597: 
“Nell'adempimento dell'incarico professionale 
conferitogli, l'obbligo di 
diligenza da osservare 
ai 
sensi 
del 
combinato disposto di 
cui 
agli 
art. 1176, 2º 
comma, e 
2236 c.c. impone 
all'avvocato di 
assolvere, sia all'atto del 
conferimento del 
mandato che 
nel 
corso dello svolgimento del 
rapporto, (anche) ai 
doveri 
di 
sollecitazione, dissuasione 
ed informazione 
del 
cliente, 
essendo 
tenuto 
a 
rappresentare 
a 
quest'ultimo 
tutte 
le 
questioni 
di 
fatto 
e 
di 
diritto, 
comunque 
insorgenti, 
ostative 
al 
raggiungimento 
del 
risultato, 
o 
comunque 
produttive 
del 
rischio 
di 
effetti 
dannosi, 
a richiedergli 
gli 
elementi 
necessari 
o utili 
in suo possesso, a sconsigliarlo dall'intraprendere 
o proseguire 
un giudizio dall'esito probabilmente 
sfavorevole; a tal 
fine 
incombe 
su di 
lui 
l'onere 
di 
fornire 
la 
prova 
della 
condotta 
mantenuta, 
insufficiente 
al 
riguardo 
peraltro 
essendo 
il 
rilascio 
da 
parte 
del 
cliente 
delle 
procure 
necessarie 
all'esercizio 
dello 
ius 
postulandi, 
stante 
la 
relativa 
inidoneità 
ad 
obiettivamente 
ed univocamente 
deporre 
per 
la compiuta informazione 
in ordine 
a tutte 
le 
circostanze 
indispensabili 
per 
l'assunzione 
da parte 
del 
cliente 
di 
una decisione 
pienamente 
consapevole 
sull'opportunità o meno 
d'iniziare un processo o intervenire in giudizio”. 
(15) Cass. civ. [ord.], sez. VI, 28 ottobre 
2020, n. 23753: 
“La procura rilasciata al 
difensore 
per 
il 
giudizio di 
cognizione 
deve 
essere 
intesa non solo come 
volta al 
conseguimento del 
provvedimento 

rASSeGnA 
AVVoCAturA 
DeLLo 
StAto -n. 1/2021 


mandatario sono più ampi 
di 
quelli 
del 
procuratore 
ad litem 
in relazione 
agli 
atti dispositivi del diritto controverso, delegabili solo al primo (16). 


Per poter patrocinare 
dinanzi 
alle 
giurisdizioni 
superiori 
-quali 
la 
Corte 
di 
cassazione, il 
Consiglio di 
Stato, la 
Corte 
dei 
conti 
in sede 
giurisdizionale, 
il 
tribunale 
supremo 
miliare, 
il 
tribunale 
superiore 
delle 
acque 
pubbliche 
gli 
avvocati 
debbono 
iscriversi 
nell’albo 
speciale 
previsto 
dall’art. 
33 
del 
r.D. 


n. 1578 del 
1933 relativo all’ordinamento della 
professione 
di 
avvocato (17). 
Il 
patrocinio processuale 
è 
obbligatorio, salvo i 
casi 
eccezionali 
previsti 
per legge, sia 
per il 
processo civile 
che 
per quello amministrativo, nell’interesse 
della 
stessa 
parte 
rappresentata, 
così 
che 
questo 
obbligo 
non 
può 
ritenersi 
confliggente 
con il 
diritto di 
difesa 
sancito dalla 
Costituzione 
(art. 24), dalla 
Carta 
di 
nizza 
(art. 
47) 
e 
dalla 
Convenzione 
europea 
dei 
diritti 
dell’uomo 
(art. 


6) (18), atteso che 
questo diritto va 
inteso essenzialmente 
come 
possibilità 
di 
tutela processuale mediante difesa tecnica (19). 
giurisdizionale 
favorevole, 
attributivo 
alla 
parte 
vittoriosa 
dal 
bene 
oggetto 
della 
controversia, 
ma 
anche 
all'attuazione 
concreta del 
comando giudiziale, cioè 
al 
conseguimento di 
quel 
bene 
attraverso 
l'esecuzione 
forzata, quando manchi 
la spontanea ottemperanza della controparte”; 
Cons. Stato, sez. 
IV, 24 dicembre 
2019, n. 8745: 
“La procura, quando sia specificato che 
i 
poteri 
del 
difensore 
si 
estendono 
ad 
ogni 
stato 
e 
grado 
del 
procedimento, 
attribuisce 
lo 
ius 
postulandi 
anche 
in 
relazione 
al 
processo 
di 
esecuzione 
ed il 
giudizio di 
ottemperanza ha natura di 
processo di 
esecuzione 
quando si 
tratti 
della 
domanda di 
esecuzione 
di 
una condanna al 
pagamento di 
un predeterminato importo monetario”; 
t.a.r. 
umbria, 
5 
agosto 
2013, 
n. 
425: 
“La 
proposizione 
dei 
c.d. 
motivi 
aggiunti 
non 
richiede 
un 
nuovo 
mandato 
alle 
liti”; 
Cons. Stato, sez. V, 31 marzo 2011, n. 1965: 
“La procura alle 
liti 
conferita al 
difensore 
deve 
intendersi 
comprensiva di 
ogni 
potere, compreso quello di 
chiedere 
la trasposizione 
in sede 
giurisdizionale 
del ricorso straordinario al presidente della repubblica proposto dal ricorrente”. 


(16) 
Cass. 
civ., 
sez. 
II, 
19 
febbraio 
2019, 
n. 
4837: 
“La 
rinuncia 
all'azione, 
ovvero 
all'intera 
pretesa 
azionata 
dall'attore 
nei 
confronti 
del 
convenuto, 
costituisce 
un 
atto 
di 
disposizione 
del 
diritto 
in 
contesa 
e 
richiede, in capo al 
difensore, un mandato ad hoc, senza che 
sia a tal 
fine 
sufficiente 
quello ad litem, 
in ciò differenziandosi 
dalla rinuncia ad una parte 
dell'originaria domanda, che 
rientra fra i 
poteri 
del 
difensore 
quale 
espressione 
della facoltà di 
modificare 
le 
domande 
e 
le 
conclusioni 
precedentemente 
formulate”. 
(17) un avvocato del 
libero foro, ai 
sensi 
dell’art. 22 della 
L. n. 247 del 
2012 sulla 
disciplina 
del-
l’ordinamento della 
professione 
forense, potrà 
essere 
autorizzato al 
patrocinio dinanzi 
alle 
giurisdizioni 
superiori, alternativamente, o a 
seguito del 
superamento di 
un apposito esame 
che 
potrà 
essere 
svolto 
esclusivamente 
da 
un avvocato iscritto da 
almeno 5 anni 
all’albo dopo aver svolto un periodo di 
pratica 
presso un avvocato che 
esercita 
dinanzi 
alle 
giurisdizioni 
superiori, oppure, per coloro che 
sono iscritti 
da 
almeno 8 anni 
all’albo forense, dopo aver frequentato la 
Scuola 
Superiore 
dell’avvocatura 
presso il 
CnF con il superamento del relativo esame finale. 
(18) 
Principio 
pacifico; 
ex 
plurimis 
v. 
t.a.r. 
Lombardia, 
sez. 
III, 
27 
febbraio 
2013, 
n. 
542: 
“Secondo 
l'espressa 
disposizione 
dettata 
dall'art. 
22 
cod.proc.amm., 
i 
ricorsi 
al 
giudice 
amministrativo, 
salvo 
casi 
specifici 
(ad es. giudizi 
nelle 
materie 
previste 
dall'art. 23 cod.proc.amm.), richiedono il 
patrocinio obbligatorio 
di 
un 
avvocato 
iscritto 
all'albo 
professionale, 
non 
potendo 
obiettarsi 
che 
il 
diritto 
della 
parte 
di 
stare 
in giudizio personalmente 
in ogni 
caso possa trovare 
fondamento sull'art. 24 cost. e 
sull'art. 6 
n. 3 lett. c) della convenzione 
europea per 
la salvaguardia dei 
diritti 
dell'uomo e 
delle 
libertà fondamentali”; 
Cass. 
civ., 
sez. 
II, 
27 
dicembre 
2012, 
n. 
23925: 
“È 
inammissibile 
il 
ricorso 
per 
cassazione 
sottoscritto personalmente 
dalla parte 
interessata, e 
non da un avvocato iscritto nell'apposito albo munito 
di 
procura speciale, a norma degli 
art. 82, 3º 
comma, e 
365 c.p.c., i 
quali 
non possono ritenersi 
abrogati 
o modificati 
dagli 
art. 14, 3º 
comma, lett. d), del 
patto internazionale 
sui 
diritti 
civili 
e 
politici, 

teMI 
IStItuzIonALI 


Questi 
sono 
i 
caratteri 
generali 
della 
procura 
che 
autorizza 
i 
professionisti 
ad agire 
nell’interesse 
dei 
propri 
clienti 
nelle 
controversie 
per le 
quali 
ne 
assumono 
il 
patrocinio o la 
semplice 
rappresentanza 
processuale; 
gli 
stessi 
ricorrono 
anche 
nel 
mandato dell’Avvocato dello Stato ma 
in termini 
del 
tutto 
peculiari. 


2. Il mandato dell’avvocatura dello Stato. aspetti particolari. 
Il 
rapporto giuridico che 
viene 
a 
crearsi 
tra 
l’Avvocatura 
dello Stato e 
le 
Amministrazioni 
patrocinate 
è 
disciplinato dal 
t.u. delle 
leggi 
e 
delle 
norme 
giuridiche 
sulla rappresentanza e 
difesa in giudizio dello Stato e 
sull'ordinamento 
dell'avvocatura dello Stato 
(r.D. 30 ottobre 
1933, n. 1611)(20), con le 
modalità 
previste 
dal 
relativo regolamento approvato con r.D. n. 1612/1933, 
nonché dalla legge di riforma 3 aprile 1979 n. 103 (21). 


Il 
patrocinio 
dell’Avvocatura 
dello 
Stato 
è 
caratterizzato 
dalle 
seguenti 
peculiarità: 


2.1 origine. 
La 
fonte 
del 
mandato è 
la 
legge, in particolare 
l’art. 1 del 
testo unico di 
cui 
al 
r.d. 1611/1933: 
“La rappresentanza, il 
patrocinio e 
l'assistenza in giudizio 
delle 
amministrazioni 
dello Stato, anche 
se 
organizzate 
ad ordinamento 
autonomo, 
spettano 
alla 
avvocatura 
dello 
Stato. 
Gli 
avvocati 
dello 
Stato 
esercitano 
le 
loro funzioni 
innanzi 
a tutte 
le 
giurisdizioni 
ed in qualunque 
sede 
e 
non hanno bisogno di 
mandato, neppure 
nei 
casi 
nei 
quali 
le 
norme 
ordinarie 
richiedono il mandato speciale, bastando che consti della loro qualità”. 


ratificato con l. 25 ottobre 
1977 n. 881, e 
6, 3º 
comma, lett. c) della convenzione 
europea per 
la salvaguardia 
dei 
diritti 
dell'uomo, ratificata con l. 4 agosto 1955 n. 848, riferendosi 
tali 
disposizioni 
al 
processo 
penale, senza alcuna incidenza sul 
patrocinio nel 
processo civile”; 
Cons. Stato, sez. IV 
[ord.], 30 
agosto 
1994, 
n. 
1009: 
“Neppure 
in 
forza 
dell'art. 
6, 
lett. 
c), 
della 
convenzione 
europea 
per 
la 
salvaguardia 
dei 
diritti 
dell'uomo può ritenersi 
ammissibile 
un ricorso al 
consiglio di 
stato (nella specie, contro 
un'ordinanza 
di 
rigetto 
della 
domanda 
di 
tutela 
cautelare), 
che 
non 
sia 
stato 
sottoscritto 
da 
un 
avvocato 
ammesso al patrocinio davanti alla corte di cassazione”. 


(19) Cons. Stato, sez. III, 2 maggio 2019, n. 2853: 
“Va escluso che 
l'impossibilità di 
difendersi 
personalmente 
nel 
giudizio di 
appello violi 
il 
diritto di 
difesa costituzionalmente 
garantito, atteso che 
ai 
sensi 
dell'art. 24, comma 2, Cost., l'inviolabilità del 
diritto di 
difesa si 
caratterizza in primo luogo 
come 
diritto 
alla 
difesa 
tecnica, 
che 
si 
realizza 
mediante 
la 
presenza 
di 
un 
difensore 
dotato 
dei 
necessari 
requisiti 
di 
preparazione 
tecnico-giuridica, in grado di 
interloquire 
con le 
controparti 
e 
con il 
giudice, 
di 
modo che 
le 
ipotesi 
di 
difesa "personale" 
devono essere 
considerate, nel 
nostro ordinamento, eccezioni, 
proprio in considerazione 
della natura inviolabile 
del 
diritto di 
difesa e 
del 
principio di 
eguaglianza 
dei cittadini davanti alla legge”. 
(20) Sono state 
trasfuse 
nel 
testo unico le 
disposizioni 
di 
cui 
al 
precedente 
t.u. approvato con 
r.D. 24 novembre 
1913, n. 1303; 
D.Lgs. Lgt. 21 aprile 
1919, n. 560; 
r.D. 30 dicembre 
1923, n. 2828 
e r.D.L. 5 aprile 1925, n. 397. 
(21) Per uno studio approfondito sul 
patrocinio dell’Avvocatura 
dello Stato v. A. BrunI 
-G. PA-
LAtIeLLo, 
La 
difesa 
dello 
Stato 
in 
giudizio, 
utet, 
2011; 
P. 
PAVone, 
Lo 
Stato 
in 
giudizio, 
editoriale 
Scientifica, 2002. 

rASSeGnA 
AVVoCAturA 
DeLLo 
StAto -n. 1/2021 


Il 
mandato è 
ex 
lege 
non solo per il 
patrocinio obbligatorio 
ma 
anche 
per 
quello 
facoltativo/autorizzato 
(su 
queste 
categorie 
si 
vedano 
anche 
i 
successivi 
paragrafi), ai 
sensi 
dell’articolo 43 t.u. cit., così 
come 
modificato dagli 
artt. 
10 e 
11 della 
Legge 
n. 103/1979; 
infatti, se 
pure 
alla 
base 
di 
questi 
ultimi 
tipi 
di 
patrocinio sussiste 
una 
manifestazione 
di 
volontà 
degli 
organi 
decisionali 
dell’ente/organismo 
per 
l’avvalimento 
del 
patrocinio 
dell’Avvocatura 
dello 
Stato, l’origine 
della facoltà è pur sempre nella legge istitutiva. 


Da 
questa 
prima 
acquisizione 
derivano uniformi 
conseguenze 
sulla 
gestione 
e 
sulle 
caratteristiche 
del 
mandato, 
come 
sarà 
evidenziato 
qui 
di 
seguito. 


2.2 attestazione. 
essendo ex 
lege, questo mandato non deve 
essere 
esibito in giudizio né 
in altro modo connesso materialmente agli atti defensionali. 
Secondo 
uniforme 
giurisprudenza, 
nell'esercizio 
dell’attività 
di 
rappresentanza 
ed assistenza 
in giudizio, a 
differenza 
degli 
avvocati 
del 
libero foro, 
gli 
Avvocati 
dello Stato non hanno bisogno di 
alcun mandato, essendo sufficiente 
che, 
se 
richiesti, 
facciano 
constare 
la 
propria 
qualità 
(22); 
come 
già 
detto, tale 
prerogativa 
opera 
sia 
nella 
difesa 
delle 
amministrazioni 
statali 
che 
in quella 
delle 
amministrazioni 
locali 
e 
delle 
altre 
ammesse 
al 
patrocinio del-
l’Avvocatura 
(23); 
alcune 
particolarità 
emergono nel 
patrocinio del 
Governo 
dinanzi alla Corte Costituzionale (24), come diremo meglio in prosieguo. 


(22) Cass., sez. V, 7 ottobre 
1999, n. 11441: 
“Gli 
avvocati 
dello Stato, per 
compiere 
gli 
atti 
del 
loro 
ministero, 
non 
hanno 
bisogno 
di 
una 
procura 
dell'amministrazione 
che 
essi 
rappresentano, 
essendo 
sufficiente 
che 
"consti 
della 
loro 
qualità". 
Invero, 
il 
mandato 
che 
è 
loro 
conferito 
dalla 
legge 
è 
sufficiente 
ad attribuire 
il 
potere 
di 
costituirsi 
in giudizio per 
le 
amministrazioni 
pubbliche 
e 
di 
compiere 
tutti 
gli 
atti 
per 
i 
quali 
la legge 
richiede 
un mandato speciale; e 
ciò, tanto nel 
giudizio civile, quanto in quello 
penale, allorché le pretese civili della pubblica amministrazione siano esercitate in tale sede”. 
(23) Cons. Stato, sez. IV, 13 ottobre 
2003, n. 6189: 
“Quando, una regione 
a statuto ordinario decide 
di 
avvalersi 
del 
patrocinio facoltativo dell'avvocatura dello Stato, ai 
sensi 
dell'art. 107 comma 3, 
D.P.R. 
24 
luglio 
1977 
n. 
616, 
affidando 
a 
quest'ultima 
la 
propria 
difesa 
in 
un 
singolo 
giudizio, 
si 
rendono 
automaticamente 
applicabili 
le 
norme 
che 
regolano lo ius 
postulandi 
dell'avvocatura dello Stato di 
cui 
al 
R.D. 30 ottobre 
1933 n. 1611, ad eccezione 
di 
quelle 
riferibili 
esclusivamente 
alla difesa delle 
amministrazioni 
statali 
(come 
ad esempio l'art. 6 sul 
c.d. foro erariale) e 
salve 
le 
espresse 
eccezioni 
di 
legge 
(com'è 
il 
caso degli 
artt. 24 e 
144 c.p.c., applicabili 
anche 
alle 
regioni 
a statuto ordinario che 
abbiano 
affidato la propria difesa giudiziale 
in modo esclusivo e 
sistematico all'avvocatura dello Stato, ai 
sensi 
dell'art. 10, L. 3 aprile 
1979 n. 103). Ne 
deriva l'applicabilità dell'art. 1 comma 2, R.D. n. 1611, cit., ai 
sensi 
del 
quale 
"gli 
avvocati 
dello Stato, non hanno bisogno di 
mandato, neppure 
nei 
casi 
nei 
quali 
le 
norme ordinarie richiedono il mandato speciale, bastando che consti della loro qualità". 
(24) 
Corte 
cost., 
6 
febbraio 
1969, 
n. 
6: 
“In 
base 
all'art. 
25, 
ultimo 
comma, 
della 
legge 
11 
marzo 
1953 
n. 
87, 
l'iniziativa 
dell'intervento 
del 
Governo 
nei 
giudizi 
innanzi 
alla 
Corte 
Costituzionale 
spetta 
al 
Presidente 
del 
Consiglio, 
che 
ne 
assume 
la 
responsabilità 
politica, 
e 
non 
all'avvocatura 
dello 
Stato. 
La 
volontà 
del 
Presidente 
del 
Consiglio 
di 
costituirsi 
o 
meno 
in 
giudizio 
non 
deve 
però 
manifestarsi 
in 
uno 
specifico 
atto. 
Poiché 
l'avvocatura 
dello 
Stato 
è 
organicamente 
posta 
(dall'art. 
17 
del 
testo 
unico 
30 
ottobre 
1933 
n. 
1611) 
alle 
dirette 
dipendenze 
del 
Presidente 
del 
Consiglio, 
essa 
esercita 
davanti 
alla 
Corte 
Costituzionale 
lo 
"ius 
postulandi", 
in 
rappresentanza 
e 
difesa 
del 
Presidente 
del 
Consiglio 
(art. 
20 
della 
legge 
n. 
87 
del 
1953) 
senza 
che 
occorra 
l'esibizione 
di 
un 
mandato 
(art. 
1 
del 
T.U. 
n. 
1611 
del 
1933)”. 

teMI 
IStItuzIonALI 


2.3 Poteri. 
Il 
mandato dell’Avvocato dello Stato ha 
contenuti 
più ampi 
del 
semplice 
jus 
postulandi, ed è 
assimilabile 
al 
mandato speciale, pur con ulteriori 
potestà. 


tanto si 
deduce 
sia 
dal 
testo dell’art. 1 t.u. 1611/1933, laddove 
descrive 
i 
contenuti 
del 
patrocinio [“La rappresentanza, il 
patrocinio e 
l'assistenza in 
giudizio delle 
amministrazioni 
dello Stato 
…”] e 
le 
caratteristiche 
formali 
del 
mandato 
[“gli 
avvocati 
dello 
Stato 
… 
non 
hanno 
bisogno 
di 
mandato, 
neppure 
nei 
casi 
nei 
quali 
le 
norme 
ordinarie 
richiedono 
il 
mandato 
speciale”], 
sia 
dalla 
funzione 
stessa 
dell’Avvocatura 
dello 
Stato 
che 
è 
una 
pubblica 
Istituzione, 
parallela 
per 
modalità 
di 
accesso, 
carriera, 
trattamento 
giuridico 
ed 
economico 
a quella delle magistrature. 


È 
un organo con funzioni 
latamente 
giustiziali 
(25) e 
di 
rilevanza 
costituzionale 
(26), in quanto menzionato nella 
legge 
11 marzo 1953 n. 87 sul 
funzionamento 
della 
Corte 
Costituzionale, art. 20, comma 
3, il 
quale 
così 
recita: 
“Il 
Governo, anche 
quando intervenga nella persona del 
Presidente 
del 
Consiglio 
dei 
ministri 
o 
di 
un 
ministro 
a 
ciò 
delegato, 
è 
rappresentato 
e 
difeso 
dall'avvocato generale dello Stato o da un suo sostituto” (27). 


(25) t.a.r. Piemonte, 16 giugno 1982, n. 402: 
“Il 
principio costituzionale, desumibile 
dal 
complesso 
della 
normativa 
costituzionale 
(art. 
101-113 
e 
135 
cost.) 
ed 
ordinaria 
(art. 
4 
e 
33 
r.d. 
27 
novembre 
1933, n. 1578), dell'assoluta parità di 
trattamento economico dei 
magistrati 
a parità di 
funzione, può 
essere 
correttamente 
riferito anche 
agli 
avvocati 
dello stato; tale 
categoria, infatti, pur 
non esplicando 
funzioni 
giurisdizionali, assolve 
pur 
sempre 
ad una funzione 
di 
istituto a carattere 
giustiziale, quale 
è 
appunto la tutela legale 
dei 
diritti 
e 
degli 
interessi 
dello stato e 
di 
altre 
p.a., ed è 
garantita da una notevole 
autonomia 
professionale 
ed 
indipendenza 
dal 
potere 
esecutivo, 
rafforzata 
con 
la 
recente 
l. 
3 
aprile 
1979, n. 103; inoltre, la tradizione 
storico legislativa in tema di 
equiparazione 
del 
trattamento economico 
fra 
gli 
appartenenti 
alle 
diverse 
magistrature, 
ha 
sempre 
riguardato 
direttamente 
anche 
gli 
avvocati 
dello stato, nel 
senso che 
è 
rimasto sempre 
immutato il 
principio della equiparazione 
del 
sostituto avvocato 
generale 
dello stato (attualmente 
avvocato dello stato alla terza classe 
di 
stipendio) con il 
consigliere 
di cassazione”. 
(26) nelle 
costituzioni 
di 
alcuni 
Paesi 
esteri 
(in particolare, del 
Sudamerica) istituti 
similari 
all’Avvocatura 
dello 
Stato 
sono 
annoverati 
fra 
gli 
organi 
costituzionali, 
al 
livello 
dei 
ministeri; 
così 
la 
Costituzione 
dell’unione 
del 
Brasile 
5 
ottobre 
1988, 
art. 
131: 
“L'avvocatura-Generale 
dell’Unione 
è 
l'istituzione 
che, direttamente 
o tramite 
un organo vincolato, rappresenta l'Unione, in via giudiziaria 
ed extragiudiziale, e 
alla quale 
compete, ai 
sensi 
di 
una legge 
complementare 
che 
ne 
prevederà l’organizzazione 
e 
il 
funzionamento, 
esercitare 
la 
funzione 
di 
consulenza 
e 
di 
patrocinio 
legale 
del 
Potere 
Esecutivo”; 
in termini 
simili, le 
Costituzioni 
del 
Guatemala 
(art. 252, Procurador 
General 
de 
la Nación), 
ecuador (art. 235, Sección cuarta -Procuraduría General 
del 
Estado), uruguay (art. 314, Capitulo III, 
Procurador 
del 
Estado en lo Contencioso -administrativo), Paraguay (art. 244, De 
La Procuraduría 
General De La República). 
(27) Corte 
cost., 27 luglio 1972, n. 147: 
“Nei 
giudizi 
di 
legittimità costituzionale 
proposti 
in via 
principale 
valgono riguardo alla rappresentanza e 
difesa del 
Governo le 
norme 
dettate 
per 
l'intervento 
nei 
giudizi 
incidentali, 
e 
sono 
applicabili 
i 
principi 
riconosciuti 
validi 
dalla 
Corte 
riguardo 
alla 
non 
necessarietà 
di 
un 
mandato 
o 
di 
uno 
specifico 
atto, 
rivestito 
di 
forma 
particolare, 
da 
cui 
risulti 
la 
volontà 
del 
Presidente 
del 
Consiglio dei 
ministri, occorrendo solo che 
questa si 
esprima attraverso i 
canali 
necessari 
e 
sufficienti 
in relazione 
al 
contenuto dell'atto stesso. (Nella specie, il 
ricorso proposto dal 
Presidente 
del 
Consiglio 
dei 
ministri, 
con 
cui 
era 
promossa 
la 
questione 
di 
legittimità 
costituzionale 
di 
una 

rASSeGnA 
AVVoCAturA 
DeLLo 
StAto -n. 1/2021 


La 
funzione 
di 
patrocinio dell’avvocato dello Stato risente 
ed è 
permeata 
della 
vocazione 
all’interesse 
pubblico dell’attività 
della 
pubblica 
amministrazione; 
nella 
misura 
in cui 
non è 
l’avvocato di 
una 
parte 
privata 
(della 
quale 
deve 
curare 
l’interesse) 
ma 
è 
l’avvocato 
della 
pubblica 
amministrazione 
e 
deve 
curare 
anch’esso l’interesse 
pubblico e 
può farlo con una 
significativa 
sfera 
di autonomia (28). 


La 
chiave 
di 
lettura 
della 
funzione 
del 
patrocinio 
pubblico 
e 
dei 
poteri 
spettanti 
agli 
avvocati 
dello 
Stato 
è 
nelle 
disposizioni 
dell’art. 
13 
r.d. 
1611/1933 [“L'avvocatura dello Stato provvede 
alla tutela legale 
dei 
diritti 
e 
degli 
interessi 
dello 
Stato; 
alle 
consultazioni 
legali 
richieste 
dalle 
amministrazioni 
ed inoltre 
a consigliarle 
e 
dirigerle 
quando si 
tratti 
di 
promuovere, 
contestare 
o abbandonare 
giudizi: esamina progetti di legge, di regolamenti, 
di 
capitolati 
redatti 
dalle 
amministrazioni, 
qualora 
ne 
sia 
richiesta; 
predispone 
transazioni 
d'accordo 
con 
le 
amministrazioni 
interessate 
o 
esprime 
parere 
sugli 
atti 
di 
transazione 
redatti 
dalle 
amministrazioni: prepara contratti 


o suggerisce 
provvedimenti 
intorno a reclami 
o questioni 
mossi 
amministrativamente 
che 
possano dar 
materia di 
litigio”] e 
dell’art. 12 l. 103/1979 [“Le 
divergenze 
che 
insorgono 
tra 
il 
competente 
ufficio 
dell'avvocatura 
dello 
Stato 
e 
le 
amministrazioni 
interessate, circa la instaurazione 
di 
un giudizio o la resistenza 
nel 
medesimo, sono risolte 
dal 
ministro competente 
con determinazione 
non delegabile. 
Le 
divergenze 
di 
cui 
al 
primo 
comma 
che 
insorgano 
tra 
l'avvocatura 
dello 
Stato 
e 
le 
amministrazioni 
regionali, 
ovvero 
le 
altre 
amministrazioni 
pubbliche 
non 
statali 
o 
gli 
enti 
pubblici, 
sono 
definite 
con 
la 
determinazione 
degli 
organi 
delle 
regioni 
o 
delle 
predette 
amministrazioni 
ed 
enti, 
competenti 
a 
norma 
dei 
rispettivi statuti”]. 


La 
costante 
giurisprudenza 
ha 
interpretato 
queste 
disposizioni 
come 
aventi 
rilevanza 
interna, 
nei 
rapporti 
fra 
amministrazione 
e 
avvocatura, 
senza 
alcuna 
rilevanza 
esterna 
sul 
processo 
che 
procede 
ed 
è 
condotto 
secondo 
le 
determinazioni 
assunte 
dall’Avvocatura 
dello 
Stato 
e 
manifestate 
in 
giudizio 
(29). 


legge 
della 
Regione 
Lombardia, 
risultava 
sottoscritto 
solo 
da 
un 
avvocato 
dello 
Stato 
e 
da 
esso 
non 
emergeva se vi fosse stata una formale deliberazione o determinazione del Presidente)”. 


(28) 
Secondo 
G. 
BeLLI, 
avvocatura 
dello 
Stato, 
in 
Enc. 
Dir., 
IV, 
Milano, 
1959, 
670 
ss., 
l’Avvocato 
dello 
Stato 
si 
trova 
“in 
una 
particolare 
situazione 
di 
collaborazione 
ai 
fini 
dell’attuazione 
della 
giustizia, 
che 
è 
tra gli 
scopi 
dello Stato di 
diritto” 
e 
le 
sue 
funzioni 
“si 
avvicinano di 
più a quelle 
del 
magistrato 
che a quelle del libero professionista”. 
(29) Cass. civ., sez. II, 22 aprile 
2008, n. 10374: 
“L'iniziativa giudiziaria dell'avvocatura dello 
Stato, 
e 
quindi 
anche 
l'esercizio 
del 
diritto 
d'impugnazione, 
richiedono 
il 
consenso 
dell'amministrazione 
rappresentata "ex" 
art. 12 della legge 
3 aprile 
1979 n. 103, ma l'esistenza di 
tale 
consenso rileva esclusivamente 
nel 
rapporto 
interno, 
mentre 
non 
condiziona 
la 
validità 
dell'atto 
processuale, 
dato 
che 
lo 
"ius 
postulandi" 
dell'avvocatura 
medesima 
non 
abbisogna 
di 
conferimento 
di 
procura”; 
in 
termini, 
fra 
le 
tante, 
con 
riferimento 
al 
patrocinio 
facoltativo 
in 
favore 
di 
enti 
locali, 
Cass. 
civ. 
[ord.], 
sez. 
II, 
3 
settembre 

teMI 
IStItuzIonALI 


Consideriamo, 
ancora, 
il 
principio 
generale 
dell’agere 
pubblico, 
la 
separazione 
fra 
attività 
di 
gestione 
e 
attività 
politica, 
come 
sancito 
dall’art. 
4 
d.lgs. 
165/2001 
(30) 
e 
regolato 
nel 
dettaglio 
dagli 
articoli 
14-16 
dello 
stesso 
decreto 
legislativo; 
per 
vero, 
la 
separazione 
tra 
funzioni 
di 
indirizzo 
politico-
amministrativo 
e 
funzioni 
di 
gestione 
amministrativa 
costituisce 
un 
principio 
di 
carattere 
generale 
che 
trova 
il 
suo 
fondamento 
nell'articolo 
97 
della 
Costituzione 
(31). 


In conclusione, se 
il 
potere 
dell’avvocato dello Stato di 
gestione 
del 
contenzioso 
è 
sottratto 
a 
qualunque 
sindacato 
di 
merito 
da 
parte 
dell’Autorità 
Giudiziaria 
(ordinaria 
come 
amministrativa) e 
-peraltro solo nei 
rapporti 
interni 
fra 
amministrazione 
e 
istituto 
legale 
-è 
soggetto 
esclusivamente 
alla 
decisione 
dell’Autorità 
di 
vertice 
politico del 
soggetto pubblico patrocinato, ciò evidenzia 
che 
quel 
potere 
costituisce 
esercizio 
delle 
massime 
funzioni 
di 
gestione 


2018, n. 21557; 
qualche 
limitazione, del 
tutto ingiustificata 
se 
non sotto il 
profilo della 
conservazione 
della 
competenza 
del 
collegio 
nella 
vertenza, 
si 
rinviene 
nella 
giurisprudenza 
dei 
Collegi 
arbitrali, 
come 
si 
evince 
da 
alcune 
pronunzie 
secondo le 
quali: 
“La facoltà di 
deroga alla competenza arbitrale 
spetta 
alla p.a. appaltante 
e 
non all'avvocatura dello stato, in quanto l'art. 13, t.u. 30 ottobre 
1933, n. 1611, 
attribuisce 
a quest'ultima, fuori 
del 
processo e 
con riguardo alle 
controversie 
che 
ne 
saranno oggetto, 
solamente 
la funzione 
di 
<consigliare 
e 
dirigere> 
le 
amministrazioni 
dello stato <quando si 
tratti 
di 
promuovere, 
contestare 
o 
abbandonare 
giudizi>, 
nonché 
di 
suggerire 
<provvedimenti 
intorno 
a 
reclami 


o 
questioni 
mossi 
amministrativamente, 
che 
possano 
dare 
materia 
a 
litigio>” 
(Collegio 
arbitrale, 
20 
marzo 1989, Soc. impr. Sacic c. anas, in arch. Giur. oo.pp., 1990, 189). 
(30) t.a.r. Lazio, sez. I, 13 settembre 
2018, n. 9328: 
“Le 
funzioni 
di 
indirizzo politico -amministrativo 
esercitate 
dagli 
organi 
di 
governo 
attengono 
alla 
individuazione 
delle 
scelte 
di 
fondo 
dell'azione 
amministrativa attuate 
attraverso l'adozione 
dei 
relativi 
atti 
gestori”; 
Cons. Stato, sez. V, 20 febbraio 
2014, n. 830: 
“Nel 
sistema di 
cui 
al 
D.Lgs. n. 267/2000, esiste 
una netta separazione 
di 
ruoli 
tra organi 
di 
governo locale 
e 
dirigenza, dove 
ai 
primi 
spettano i 
compiti 
di 
indirizzo (la fissazione 
delle 
linee 
generali 
cui 
attenersi 
e 
degli 
scopi 
da 
perseguire) 
e 
alla 
seconda 
quelli 
di 
gestione. 
ai 
dirigenti 
è 
attribuita 
tutta la gestione, amministrativa, finanziaria e 
tecnica, comprensiva dell'adozione 
di 
tutti 
i 
provvedimenti, 
anche 
discrezionali, incluse 
le 
autorizzazioni 
e 
concessioni 
(e 
quindi 
anche 
i 
loro simmetrici 
atti 
negativi), e 
sugli 
stessi 
dirigenti 
incombe 
la diretta ed esclusiva responsabilità della correttezza amministrativa 
della medesima gestione” 
(in termini, ex 
plurimis, Cons. Stato, sez. VI, 28 marzo 2007, n. 
1430; 
Cons. Stato, sez. VI, 24 gennaio 2005, n. 127; 
ecc.); 
Corte 
cost., ord., 30 gennaio 2002, n. 11: 
“L'estensione 
della 
privatizzazione 
anche 
i 
dirigenti 
generali 
rientra 
nella 
discrezionalità 
del 
legislatore 
in materia, il 
cui 
ambito consente 
di 
escludere 
che 
dalla non irragionevolezza di 
una disciplina originariamente 
differenziata 
automaticamente 
discenda 
l'ingiustificatezza 
dell'eventuale 
successiva 
assimilazione; 
i 
dirigenti 
generali 
sono quindi 
posti 
in condizione 
di 
svolgere 
le 
loro funzioni 
nel 
rispetto 
del 
principio di 
imparzialità e 
di 
buon andamento della pubblica amministrazione, tanto più che 
il 
legislatore 
delegato -nel 
riformulare 
gli 
artt. 3 e 
14 del 
d.lgs. n. 29/1993, con gli 
artt. 3 e 
9 del 
d.lgs. n. 
80/1998, 
trasfusi 
ora 
negli 
artt. 
4 
e 
14 
del 
d.lgs. 
n. 
165/2001 
-ha 
accentuato 
il 
principio 
della 
distinzione 
tra funzione 
di 
indirizzo politico-amministrativo degli 
organi 
di 
governo e 
funzione 
di 
gestione 
e 
attuazione 
amministrativa dei 
dirigenti, escludendo, tra l'altro, che 
il 
ministro possa revocare, riformare, riservare 
o avocare a sé o altrimenti adottare provvedimenti o atti di competenza dei dirigenti”. 
(31) “L'individuazione 
dell'esatta linea di 
demarcazione 
tra gli 
atti 
da ricondurre 
alle 
funzioni 
dell'organo politico e 
quelli 
di 
competenza della dirigenza amministrativa spetta al 
legislatore. a 
sua 
volta, tale 
potere 
incontra un limite 
nello stesso articolo 97 della Costituzione: nell'identificare 
gli 
atti 
di 
indirizzo 
politico 
amministrativo 
e 
quelli 
a 
carattere 
gestionale, 
il 
legislatore 
non 
può 
compiere 
scelte 
che, 
contrastando 
in 
modo 
irragionevole 
con 
il 
principio 
di 
separazione 
tra 
politica 
e 
amministrazione, 
ledano l'imparzialità della pubblica amministrazione” (Corte cost. 3 maggio 2013, n. 81). 

rASSeGnA 
AVVoCAturA 
DeLLo 
StAto -n. 1/2021 


amministrativa, con capacità 
di 
prevalere 
anche 
sulle 
determinazioni 
dei 
dirigenti 
generali apicali (32). 


ovviamente, 
si 
tratta 
di 
un 
potere 
decisionale 
connesso 
e 
conseguente 
alla 
fattispecie 
contenziosa 
in 
atto 
ma, 
per 
quel 
che 
qui 
interessa, 
di 
una 
estensione 
più 
ampia 
e 
profonda 
rispetto 
a 
quello 
degli 
altri 
patrocinatori 
legali, 
ancorché 
muniti di mandato speciale (33). 


Si 
tratta 
di 
un potere 
che 
comporta 
una 
funzione 
di 
ausilio e 
consulenza 
sin 
dalle 
fasi 
pre-contenziose 
e, 
addirittura, 
extra-contenziose 
dell’attività 
amministrativa; 
infatti, l’Avvocato generale, fra 
i 
suoi 
compiti: 
“riferisce 
periodicamente 
al 
Presidente 
del 
Consiglio 
dei 
ministri 
sull'attività 
svolta 
dall'avvocatura dello Stato, presentando apposite 
relazioni, e 
segnala anche 
prontamente 
le 
eventuali 
carenze 
legislative 
ed i 
problemi 
interpretativi 
che 
emergono nel 
corso dell'attività di 
istituto” 
[art. 15 r.d. 1611/1933, come 
modificato 
dalla 
l. 103/1979], gli 
avvocati 
e 
procuratori 
dello Stato, oltre 
a 
poter 
partecipare 
direttamente 
all’attività 
di 
indirizzo 
politico 
con 
specifici 
incarichi 


(32) Cass. civ., Sez. unite, 6 luglio 2006, n. 15342: 
“L'art. 16, lett. f), del 
d.lgs. 30 marzo 2001, 
n. 
165, 
nel 
disporre 
che 
i 
dirigenti 
di 
uffici 
dirigenziali 
generali 
(o 
strutture 
sovraordinate) 
"promuovono 
e 
resistono alle 
liti 
ed hanno il 
potere 
di 
conciliare 
e 
di 
transigere, fermo restando quanto disposto dal-
l'articolo 
12, 
comma 
primo, 
della 
legge 
3 
aprile 
1979, 
n. 
103", 
precisa 
il 
riparto 
di 
competenze 
tra 
organi 
di 
gestione 
e 
organi 
di 
governo, ma non modifica certamente 
il 
criterio di 
individuazione 
del-
l'organo che 
rappresenta legalmente 
l'amministrazione, rientrando nell'ambito delle 
competenze 
dirigenziali 
i 
soli 
poteri 
sostanziali 
di 
gestione 
delle 
liti. Lo Stato, infatti, agisce 
ed è 
chiamato in giudizio 
in 
persona 
del 
ministro 
competente 
o 
in 
persona 
del 
Presidente 
del 
Consiglio, 
mentre 
le 
strutture 
interne 
ai 
ministeri 
non sono dotate 
di 
soggettività sul 
piano dei 
rapporti 
esterni, come 
del 
resto è 
comprovato 
dall'espresso disposto dell'art. 11, comma primo, del 
r.d. 30 ottobre 
1933, n. 1611 (nel 
testo novellato 
dall'art. 
1 
della 
legge 
25 
marzo 
1958, 
n. 
260), 
il 
quale 
prescrive 
che 
la 
notifica 
degli 
atti 
giudiziari 
presso gli 
uffici 
dell'avvocatura dello Stato debba essere 
effettuata nella persona del 
ministro competente”. 
(33) Cons. Stato, sez. IV, 18 febbraio 2010, n. 936: 
“Nei 
giudizi 
nei 
quali 
è 
parte 
un'amministrazione 
statale 
e 
che 
sono stati 
interrotti 
per 
il 
decesso del 
ricorrente, l'istanza di 
fissazione 
dell'udienza 
può 
essere 
legittimamente 
proposta 
dall'avvocatura 
dello 
stato, 
trattandosi 
dell'organo 
che 
espleta 
istituzionalmente 
l'attività 
di 
patrocinio 
dello 
stato 
senza 
necessità 
di 
procura 
né 
di 
determinazione 
di 
stare 
in giudizio, il 
che 
rende 
non necessario che 
la riassunzione 
del 
giudizio interrotto sia richiesta dal 
rappresentante 
legale 
della amministrazione 
statale 
coinvolta nel 
giudizio, atteso che 
una diversa conclusione 
comporterebbe 
solo 
un 
inutile 
aggravio 
procedimentale, 
in 
assenza 
di 
finalità 
di 
carattere 
sostanziale”; 
Cass., sez. VI, 7 aprile 
1987, n. 4298: 
“È 
valida l'impugnazione 
per 
gli 
interessi 
civili 
proposta 
con 
la 
sola 
dichiarazione 
sottoscritta 
dall'avvocato 
dello 
Stato 
in 
quanto, 
a 
norma 
dell'art. 
1 
T.U. 
30 ottobre 
1933 n. 1611 delle 
leggi 
sulla rappresentanza e 
difesa in giudizio dello stato, gli 
avvocati 
dello Stato non hanno bisogno di 
mandato, neppure 
nei 
casi 
nei 
quali 
le 
norme 
ordinarie 
richiedono il 
mandato 
speciale, 
essendo 
sufficiente 
la 
dimostrazione 
delle 
loro 
qualità”; 
Cass., 
sez. 
IV, 
7 
marzo 
1988, 
n. 3109: 
“Il 
difensore 
del 
responsabile 
civile 
non è, in linea di 
principio, legittimato a proporre 
impugnazione. 
ove, 
però, 
responsabile 
civile 
sia 
un'amministrazione 
Statale 
il 
procuratore 
è 
abilitato 
a 
fare 
la dichiarazione 
di 
ricorso per 
cassazione 
a norma del 
combinato disposto degli 
artt. 1, 43, 45 del 
T.U. 
30 ottobre 
1933 n. 1611 sull'avvocatura dello Stato, cui 
spetta, senza bisogno di 
mandato, la rappresentanza 
processuale 
delle 
amministrazioni 
dello Stato. Il 
Procuratore 
dello Stato è, invece, abilitato 
alla presentazione 
ed alla sottoscrizione 
dei 
motivi 
di 
ricorso non essendovi 
espressamente 
abilitato da 
leggi 
speciali, in deroga alle 
tassative 
norme 
dettate 
dall'art. 529 cod. proc. pen. e 
dall'ordinamento 
delle professioni di avvocato e procuratore”. 

teMI 
IStItuzIonALI 


(34), 
prestano 
abitualmente 
attività 
consultiva 
ad 
ampio 
raggio 
su 
tutta 
l’azione 
delle 
pubbliche 
amministrazioni, 
assicurando 
la 
tutela 
legale 
dei 
diritti 
e 
degli 
interessi 
dello 
Stato 
e 
provvedendo 
a 
consigliarle 
e 
dirigerle 
(art. 
13 
r.d. 
1611/1933 sopra riportato). 


In 
chiare 
parole, 
mentre 
l’avvocato 
privato 
fa 
gli 
interessi 
del 
suo 
cliente, 
nei 
limiti 
del 
mandato 
che 
il 
cliente 
ritiene 
di 
conferirgli 
e 
nell’arco 
temporale 
di 
validità 
dello stesso, l’avvocato dello Stato persegue 
la 
realizzazione 
degli 
interessi 
pubblici, 
senza 
limiti 
di 
mandato 
e 
poteri 
(nei 
termini 
sopra 
precisati) 
e senza coercizioni temporali. 

2.4 Intuitus personae. 
Anche 
questo profilo è 
risolto dalla 
legge: 
all’Avvocatura 
dello Stato si 
accede 
mediante 
concorso 
pubblico 
(artt. 
2-5 
l. 
103/1979), 
alla 
stregua 
di 
quello che 
accade 
per le 
magistrature 
e, in generale, per l’accesso al 
pubblico 
impiego (35); 
questo concorso è 
strutturato su due 
livelli, quello per il 
primo 
ingresso 
da 
procuratore 
dello 
Stato 
e 
quello 
per 
il 
superiore 
livello 
di 
avvocato 
dello Stato (aperto anche 
a 
candidati 
esterni 
al 
ruolo di 
procuratore); 
nei 
ruoli 
dell’Avvocatura 
non 
è 
prevista 
la 
nomina 
governativa 
extra 
concorsuale, 
come 
è per il Consiglio di Stato e la Corte dei Conti. 


Si 
può, 
quindi, 
concludere 
che 
la 
“scelta” 
del 
patrocinatore 
pubblico 
è 
operata 
a 
monte, in via 
del 
tutto formale, sulla 
base 
delle 
competenze 
del 
candidato 
ed a prescindere dalla sua persona. 


Quanto alla 
distribuzione 
degli 
affari 
all’interno dell’Istituto, gli 
articoli 
15 e 
18 della 
l. 103/1979 prevedono che 
essa 
avvenga 
da 
parte 
dell’Avvocato 
generale 
(per l’ufficio dell’Avvocatura 
generale) e 
degli 
Avvocati 
distrettuali 
(per 
gli 
uffici 
delle 
Avvocature 
distrettuali), 
secondo 
criteri 
stabiliti 
dal 
Comitato 
consultivo (art. 25 l. 103/1979); 
a 
garanzia 
dell’indipendenza 
professionale 
degli 
avvocati 
e 
procuratori 
dello 
Stato, 
l’art. 
19 
della 
l. 
103/1979 
prevede 


-da 
un lato -che: 
“… 
in caso di 
divergenza di 
opinioni 
nella trattazione 
di 
detti 
affari 
con l'avvocato generale, con i 
vice 
avvocati 
generali 
o con l'avvocato 
distrettuale, 
possono 
chiedere, 
presentando 
relazione 
scritta, 
la 
pronuncia 
(34) L’art. 20 l. 103/1979, così 
recita: 
“L'ultimo comma dell'art. 1 del 
decreto luogotenenziale 
8 
marzo 
1945, 
n. 
102, 
è 
sostituito 
dai 
seguenti: 
«Gli 
avvocati 
dello 
Stato 
chiamati 
a 
far 
parte 
dei 
gabinetti 
o 
degli 
uffici 
legislativi 
dipendenti 
da 
un 
ministro 
della 
Repubblica 
o 
cui 
sia 
conferito 
uno 
degli 
incarichi 
previsti 
dai 
decreti 
del 
Presidente 
della Repubblica 30 aprile 
1958, n. 571 e 
21 aprile 
1972, n. 472, o 
che 
siano 
nominati 
commissari 
del 
Governo 
nelle 
regioni 
a 
statuto 
ordinario 
sono 
collocati 
fuori 
ruolo. 
Gli 
avvocati 
dello Stato, la cui 
collaborazione 
sia richiesta per 
compiti 
di 
natura giuridica in via continuativa 
e 
per 
una durata superiore 
ad un anno da altra amministrazione 
dello Stato anche 
ad ordinamento 
autonomo, possono essere 
collocati 
fuori 
ruolo …»". Si 
veda 
anche 
l’art. 14, comma 
2, del 
d.lgs. 
165/2001. 
(35) 
Il 
personale 
togato 
dell’Avvocatura 
dello 
Stato 
è 
sottratto 
alla 
privatizzazione 
ed 
è 
sottoposto 
al 
giudizio 
del 
Giudice 
amministrativo, 
come 
il 
personale 
delle 
magistrature, 
ai 
sensi 
dell’art. 
3, 
comma 
1, d.lgs. 165/2001. 

rASSeGnA 
AVVoCAturA 
DeLLo 
StAto -n. 1/2021 


del 
comitato consultivo e, se 
questa è 
contraria al 
loro avviso, di 
essere 
sostituiti 
nella trattazione 
dell'affare 
per 
cui 
è 
sorta la divergenza di 
opinioni;”e 


-dall’altro lato -che: 
“possono essere 
sostituiti 
nella trattazione 
degli 
affari 
loro affidati 
in caso di 
assenza, impedimento o giustificata ragione; quando 
ricorrano 
gravi 
motivi 
possono 
essere 
sostituiti, 
con 
provvedimento 
motivato, 
dall'avvocato generale 
o dall'avvocato distrettuale 
dello Stato. avverso tale 
provvedimento 
può 
essere 
proposto 
ricorso 
entro 
trenta 
giorni 
al 
consiglio 
degli avvocati e procuratori dello Stato”. 
Queste 
sono 
le 
garanzie 
di 
indipendenza 
professionale 
dal 
lato 
interno 
dell’ufficio 
e 
rispetto 
ai 
suoi 
capi; 
dal 
lato 
esterno, 
cioè 
nei 
confronti 
delle 
amministrazioni 
patrocinate, 
soccorre 
la 
regola 
generale 
di 
cui 
all’art. 
12 
l. 
103/1979 della 
quale 
dianzi 
abbiamo parlato; 
nei 
rapporti 
inter-istituzionali, 
vengono in evidenza 
due 
principi 
connessi 
alla 
posizione 
dell’Avvocato generale 
come 
posizione 
di 
ruolo, sia 
pure 
al 
vertice 
dell’Istituto (art. 1 l. 103): 
in primo luogo, la 
permanenza 
della 
funzione 
per tutta 
la 
durata 
del 
servizio 
(fino a 
collocamento a 
riposo o dimissioni) e 
non in relazione 
alla 
durata 
in 
carica 
delle 
Autorità 
che 
lo hanno nominato (Presidente 
della 
repubblica, su 
proposta 
del 
Governo, 
ai 
sensi 
dell’art. 
30 
r.d. 
1611); 
in 
secondo 
luogo, 
la 
provenienza 
dai 
ruoli 
della 
stessa 
Avvocatura, con esclusione 
della 
possibilità 
di 
scelta 
all’esterno 
(secondo 
prassi 
consolidata, 
nonché 
in 
coerenza 
con 
la 
mancanza 
di 
disposizioni 
che 
consentano 
la 
nomina 
governativa 
nei 
ruoli 
dell’Avvocatura 
al di là delle procedure concorsuali). 


Gli 
avvocati 
e 
procuratori 
dello 
Stato 
sono 
fra 
loro 
fungibili, 
nel 
senso 
che 
le 
attività 
processuali 
e 
la 
firma 
degli 
atti 
defensionali 
può essere 
validamente 
apposta 
anche 
da 
un collega 
dell’avvocato affidatario della 
pratica, atteso 
che 
il 
mandato 
ope 
legis 
spetta 
all’Avvocatura 
quale 
Istituto, 
rappresentato 
dall’Avvocato generale (36). 


Secondo la 
legge 
istitutiva, gli 
appartenenti 
al 
ruolo dei 
procuratori 
assicurano 
anche 
il 
servizio di 
udienza, ai 
sensi 
dell’art. 19 l. 103 (37), secondo le 


(36) 
Cass. 
civ., 
sez. 
I, 
3 
giugno 
1988, 
n. 
3788: 
“Il 
ricorso 
per 
cassazione, 
proposto 
dall'avvocatura 
generale 
in nome 
e 
per 
conto di 
un'amministrazione 
dello stato, è 
validamente 
sottoscritto da un avvocato 
dello 
stato 
diverso 
da 
quello 
che 
lo 
abbia 
predisposto, 
considerato 
che 
detti 
avvocati, 
nell'esercizio 
delle 
loro funzioni 
di 
rappresentanza processuale, non abbisognano di 
mandato e 
sono fungibili 
e 
sostituibili 
in caso d'impedimento (art. 1 e 
19, l. 3 aprile 
1979, n. 103)”; 
Cass., sez. II, 4 novembre 
1991, 
n. 10954: 
“È 
ammissibile 
il 
ricorso per 
Cassazione 
della parte 
civile, i 
cui 
motivi 
siano stati 
redatti 
e 
presentati 
da un addetto all'avvocatura distrettuale 
dello Stato anziché' 
dall'avvocatura Generale. Ed 
invero la ripartizione 
delle 
attribuzioni, prevista dagli 
artt. 1 -2 del 
Regolamento di 
cui 
al 
R.D. 30 ottobre 
1933 n. 1611 e 
9 legge 
3 aprile 
1979 n. 103, -secondo cui 
la rappresentanza e 
difesa delle 
amministrazioni 
avanti 
alle 
Corti 
Superiori 
sono 
affidate 
all'avvocatura 
Generale 
dello 
Stato 
mentre 
quelle 
nei 
giudizi 
che 
si 
svolgono nelle 
rispettive 
circoscrizioni 
sono affidate 
alle 
avvocature 
distrettuali 
-può 
avere 
effetti 
sull'abilitazione 
di 
queste 
ultime 
allo svolgimento delle 
funzioni 
di 
difesa nei 
procedimenti 
davanti 
alla Corte 
di 
Cassazione, ma non incide 
in alcun modo sulla loro legittimazione 
a produrre 
i 
motivi del ricorso”. 
(37) 
“I 
procuratori 
dello 
Stato 
provvedono 
anche 
al 
servizio 
di 
procura 
per 
la 
cause 
trattate 
dagli 

teMI 
IStItuzIonALI 


disposizioni 
organizzative 
del 
capo dell’ufficio; 
trattasi 
di 
un servizio aggiuntivo 
a 
quello di 
ordinaria 
trattazione 
delle 
pratiche 
affidate 
e 
che 
non interferisce 
in 
alcun 
modo 
con 
l’autonomia 
della 
gestione 
dell’affare 
contenzioso 
che 
spetta 
a 
ciascun avvocato o procuratore 
assegnatario; 
il 
ruolo di 
procuratore 
continua 
ad 
esistere 
ed 
operare 
anche 
dopo 
l’eliminazione 
della 
figura 
nella 
struttura 
nella 
libera 
professione 
forense, con rilevanza 
non solo interna 
all’Istituto ed alle 
relative 
carriere 
per ruoli 
distinti, ma 
anche 
esterna 
per la 
capacità di comparire dinanzi alle giurisdizioni superiori. 


Su quest’ultimo punto non v’è 
chiarezza. Infatti, in assenza 
di 
un riferimento 
normativo puntuale, la 
giurisprudenza 
ha 
inteso interpretare 
in via 
restrittiva 
il 
dettato 
dell’art. 
8 
della 
l. 
n. 
103 
del 
1979 
ove 
si 
stabilisce 
che 
«I 
procuratori 
dello Stato possono assumere 
la rappresentanza in giudizio delle 
amministrazioni 
nei 
modi 
di 
cui 
al 
secondo comma dell'art. 1 del 
testo unico 
approvato con regio decreto 30 ottobre 
1933, n. 1611», nel 
senso che 
il 
riferimento 
al 
secondo comma 
dell’art. 1 menzionato riguarderebbe 
le 
sole 
modalità 
di 
assunzione 
della 
rappresentanza 
in 
giudizio, 
ovverosia 
la 
non 
necessarietà 
del 
conferimento di 
un mandato, e 
non l’estensione 
analogica 
ai 
procuratori 
dello Stato della 
disposizione 
nella 
parte 
in cui 
enuncia 
che 
«gli 
avvocati 
dello Stato esercitano le 
loro funzioni 
innanzi 
a tutte 
le 
giurisdizioni 
e in qualunque sede». 


In tal 
senso -ma 
in obiter 
dictum 
-si 
vedano alcune 
pronunzie 
della 
Cassazione 
ove, in sede 
di 
pronunzia 
sulla 
correttezza 
della 
notifica 
effettuata 
da 
un procuratore 
dello Stato, è 
stato argomentato che 
“il 
particolare 
requisito 
dell'iscrizione 
nell'albo speciale 
riguarda l'attività difensiva e 
non già quella 
puramente 
procuratoria, 
le 
quali 
possono 
non 
coesistere 
nello 
stesso 
soggetto, 
e 
la 
notificazione 
è 
atto 
dell'ufficiale 
giudiziario 
eseguibile 
ad 
istanza 
del 
procuratore” 
(38), con ciò lasciando intendere 
che 
il 
procuratore 
dello Stato non 
sarebbe titolare di patrocinio dinanzi alle giurisdizioni superiori. 


Segni 
contrari 
si 
colgono, 
invece, 
nella 
motivazione 
di 
una 
sentenza 
della 
Corte 
Costituzionale 
(29 novembre 
2017 n. 245) ove, sempre 
a 
proposito di 
notifica 
effettuata 
da 
un procuratore 
dello Stato, si 
afferma 
che 
“i 
procuratori 
dello Stato -a differenza di 
quanto mostra di 
ritenere 
la Regione 
resistente 
sono 
legittimati, al 
pari 
degli 
avvocati 
dello Stato, ad esercitare 
il 
patrocinio 
innanzi 
alle 
magistrature 
superiori. 
Infatti, 
il 
tenore 
testuale 
dell’art. 
1, 
secondo 
comma, del 
regio decreto 30 ottobre 
1933, n. 1611 (approvazione 
del 
testo unico delle 
leggi 
e 
delle 
norme 
giuridiche 
sulla rappresentanza e 
difesa 
in giudizio dello Stato e 
sull’ordinamento dell’avvocatura dello Stato) e 
del-

avvocati 
e 
dagli 
altri 
procuratori 
dello Stato, secondo le 
disposizioni 
dei 
dirigenti 
degli 
uffici, cui 
sono 
addetti”. 


(38) Cassazione 
civile, sez. trib., 24 ottobre 
2019, n. 27269; 
sez. VI, 27 aprile 
2017, n. 10403; 
ecc. 

rASSeGnA 
AVVoCAturA 
DeLLo 
StAto -n. 1/2021 


l’art. 8, terzo comma, della legge 
3 aprile 
1979, n. 103 (modifiche 
dell’ordinamento 
dell’avvocatura dello Stato) chiarisce 
come 
nessuna limitazione 
sia 
prevista 
per 
i 
procuratori 
dello 
Stato, 
i 
quali, 
pertanto, 
possono 
esercitare, 
allo 
stesso 
modo 
degli 
avvocati 
dello 
Stato, 
le 
funzioni 
anche 
innanzi 
alle 
magistrature 
superiori 
(ciò è 
confermato dalla stessa giurisprudenza del 
Consiglio 
di Stato, sezione sesta, sentenza 11 febbraio 2013, n. 769)” (39). 

nella 
prassi 
attuata 
in Avvocatura 
in via 
prudenziale, gli 
atti 
dinanzi 
alle 
giurisdizioni 
superiori, 
ancorché 
in 
affari 
affidati 
ad 
un 
procuratore 
dello 
Stato, 
sono controfirmati anche da un avvocato dello Stato. 


tuttavia, 
sulla 
base 
delle 
disposizioni 
normative 
dianzi 
richiamate, 
si 
dovrebbe, 
quanto meno, riconoscere 
la 
legittimazione 
al 
patrocinio dinanzi 
alle 
giurisdizioni 
superiori 
ai 
procuratori 
dello Stato con cinque 
anni 
di 
servizio, 
in applicazione 
analogica 
della 
disciplina 
di 
cui 
all’art. 22 della 
l. n. 247 del 
2012 e 
in considerazione 
dell’avvenuto superamento di 
un concorso pubblico 
nazionale per l’accesso alla funzione. 


2.5 Delega di funzioni. 
L’avvocato 
o 
procuratore 
dello 
Stato 
esercita 
il 
proprio 
mandato 
in 
via 
esclusiva e non delegabile, salvo alcune eccezioni. 


In primo luogo, l’avvocato o procuratore 
dello Stato non può essere 
affiancato 
nel 
patrocinio da 
altro Legale 
esterno, privato libero professionista 
o 
appartenente 
all’ufficio legale 
interno dell’ente 
patrocinato, in ragione 
delle 
caratteristiche 
del 
patrocinio 
quali 
delineate 
dal 
r.d. 
1611/1933 
e 
dalla 
l. 
103/1979 (in prosieguo esamineremo in dettaglio le 
caratteristiche 
del 
patrocinio 
obbligatorio 
e 
facoltativo 
o autorizzato), salvo che 
per i 
giudizi 
dinanzi 
ad alcuni organi giudiziari internazionali. 


In secondo luogo, l’Avvocatura 
dello Stato non può essere 
sostituita 
nel 
patrocinio da 
altro patrocinatore 
legale 
se 
non in casi 
eccezionali 
secondo la 
previsione 
dell’art. 5 r.d. 1611 [“Nessuna amministrazione 
dello Stato può richiedere 
la assistenza di 
avvocati 
del 
libero foro se 
non per 
ragioni 
assolutamente 
eccezionali, 
inteso 
il 
parere 
dell'avvocato 
generale 
dello 
Stato 
e 


(39) 
nella 
menzionata 
sentenza 
del 
Consiglio 
di 
Stato, 
sez. 
VI, 
11 
febbraio 
2013, 
n. 
769, 
si 
afferma 
che: 
“L'art. 1, comma 2, del 
regio decreto 30 ottobre 
1933, n. 1611 (approvazione 
del 
testo unico delle 
leggi 
e 
delle 
norme 
giuridiche 
sulla rappresentanza e 
difesa in giudizio dello Stato e 
sull'ordinamento 
dell'avvocatura dello Stato) stabilisce: «Gli 
avvocati 
dello Stato, esercitano le 
loro funzioni 
innanzi 
a 
tutte 
le 
giurisdizioni 
ed in qualunque 
sede 
e 
non hanno bisogno di 
mandato, neppure 
nei 
casi 
nei 
quali 
le 
norme 
ordinarie 
richiedono 
il 
mandato 
speciale, 
bastando 
che 
consti 
della 
loro 
qualità». 
L'art. 
8, 
comma 
3, 
della 
3 
aprile 
1979, 
n. 
103 
(modifiche 
dell'ordinamento 
dell'avvocatura 
dello 
Stato) 
dispone: 
«I 
procuratori 
dello 
Stato 
possono 
assumere 
la 
rappresentanza 
in 
giudizio 
delle 
amministrazioni 
nei 
modi 
di 
cui 
al 
secondo comma dell'art. 1 del 
testo unico approvato con regio decreto 30 ottobre 
1933, 
n. 1611». Dalla lettura combinata di 
queste 
disposizioni 
risulta come 
nessuna limitazione 
il 
sistema vigente 
preveda al 
riguardo per 
i 
procuratori 
dello Stato i 
quali, pertanto, possono esercitare, allo stesso 
modo degli avvocati dello Stato, le funzioni anche innanzi alle magistrature superiori”. 

teMI 
IStItuzIonALI 


secondo 
norme 
che 
saranno 
stabilite 
dal 
Consiglio 
dei 
ministri. 
L'incarico 
nei 
singoli 
casi 
dovrà essere 
conferito con decreto del 
Capo del 
Governo di 
concerto 
col 
ministro dal 
quale 
dipende 
l'amministrazione 
interessata e 
col 
ministro 
delle 
finanze”] e 
dell’art. 10, comma 
5, l. 103 [“Le 
regioni 
che 
abbiano 
adottato la deliberazione 
di 
cui 
al 
primo comma, possono tuttavia, in particolari 
casi 
e 
con 
provvedimento 
motivato, 
avvalersi 
di 
avvocati 
del 
libero 
Foro”]. 


tale 
regola 
vale 
anche 
per 
il 
patrocinio 
facoltativo 
regolato 
dagli 
artt. 
4345 
r.d. 1611 (40), secondo quanto esamineremo in dettaglio nei 
successivi 
paragrafi. 


L’esercizio 
delle 
funzioni 
può 
essere 
delegato 
al 
personale 
della 
stessa 
amministrazione 
patrocinata 
o ad avvocati 
privati, nei 
casi 
e 
con i 
limiti 
previsti 
dalle 
leggi 
istitutive 
o da 
leggi 
speciali 
(per determinate 
materie 
o amministrazioni), 
cioè 
-in via 
ordinaria 
-per le 
cause 
che 
si 
svolgono fuori 
della 
sede 
dell’Avvocatura 
(per prassi 
la 
scelta 
fra 
la 
delega 
ad un funzionario del-
l’amministrazione 
o 
a 
un 
avvocato 
privato 
è 
rimessa 
all’avvocato 
o 
procuratore 
dello 
Stato 
titolare 
della 
pratica) 
ovvero 
-in 
via 
eccezionale 
-anche 
per 
le 
cause 
in sede 
ma 
solo se 
espressamente 
concesso dalla 
legge 
(quale, ad esempio, 
l'art. 1, L. 10 maggio 1982, n. 271, in modifica 
dell’art. 2 r.d. 1611, per 
gli 
enti 
soppressi) (41), sempre 
limitatamente 
alle 
funzioni 
procuratorie 
(42); 
i 
funzionari 
delle 
amministrazioni 
interessate 
sono autorizzati 
a 
rappresentare 
la 
propria 
amministrazione, senza 
necessità 
di 
delega 
da 
parte 
dell’avvocato 
dello 
Stato, 
nelle 
cause 
dinanzi 
ai 
Giudici 
di 
pace 
ed 
ai 
tribunali 
nei 
limiti 
della 
competenza 
di 
valore 
delle 
soppresse 
Preture 
(43), in quelle 
dinanzi 
ai 


(40) Vedi 
art. 43, comma 
4, r.d. 1611/1933: 
“Salve 
le 
ipotesi 
di 
conflitto, ove 
tali 
amministrazioni 
ed enti 
intendano in casi 
speciali 
non avvalersi 
dell'avvocatura dello Stato, debbono adottare 
apposita 
motivata delibera da sottoporre agli organi di vigilanza”. 
(41) Art. 2, comma 
1, r.d. 1611/1933: 
“Per 
la rappresentanza delle 
amministrazioni 
dello Stato 
nei 
giudizi 
che 
si 
svolgono fuori 
della sede 
degli 
uffici 
dell'avvocatura dello Stato, questa ha facoltà di 
delegare 
funzionari 
dell'amministrazione 
interessata, esclusi 
i 
magistrati 
dell'ordine 
giudiziario, ed in 
casi 
eccezionali 
anche 
procuratori 
legali, esercenti 
nel 
circondario dove 
si 
svolge 
il 
giudizio”; 
ai 
sensi 
del 
comma 
2 dello stesso articolo, come 
modificato dalla 
l. 271/1982: 
“L'avvocatura dello Stato ha facoltà 
di conferire - in relazione a particolari, accertate esigenze - la delega di cui al primo comma del 
presente 
articolo a procuratori 
legali 
per 
quanto concerne 
lo svolgimento di 
incombenze 
di 
rappresentanza 
nei 
giudizi, civili 
e 
amministrativi 
che 
si 
svolgono nelle 
sedi 
degli 
uffici 
dell'avvocatura generale 
dello Stato o delle avvocature distrettuali, relativi a materie riguardanti enti soppressi”. 
(42) trib. Pisa, 21 marzo 2002: 
“L'art. 2 t.u. n. 1611 del 
1933 secondo il 
quale, nei 
giudizi 
che 
si 
svolgono fuori 
del 
luogo in cui 
ha sede 
l'avvocatura, questa ha facoltà di 
delegare 
funzionari 
dell'amministrazione 
interessata, attribuisce 
una delega valida solo per 
le 
attività procuratorie, inerenti 
alla 
rappresentanza 
in 
lite 
e 
non 
già 
per 
quelle 
defensionali 
che 
tecnicamente 
sono 
riservate 
all'avvocatura, 
ovvero ad un legale 
del 
libero foro, nei 
casi 
di 
cui 
allo stesso art. 2 t.u. n. 1611 del 
1933” 
(in Giur. di 
merito, 2002, f. 6). 
(43) 
Art. 
3 
r.d. 
1611: 
“Innanzi 
alle 
Preture 
ed 
agli 
Uffici 
di 
conciliazione 
le 
amministrazioni 
dello 
Stato possono, intesa l'avvocatura dello Stato, essere 
rappresentate 
dai 
propri 
funzionari 
che 
siano per 
tali riconosciuti”. 

rASSeGnA 
AVVoCAturA 
DeLLo 
StAto -n. 1/2021 


tribunali 
per 
le 
procedure 
fallimentari 
di 
insinuazione 
dei 
crediti 
e 
per 
le 
cause 
possessorie, nelle 
controversie 
dinanzi 
alla 
Corte 
dei 
Conti 
per le 
cause 
pensionistiche 
(44); 
inoltre, nel 
primo grado di 
giudizio per le 
cause 
di 
lavoro, ai 
sensi 
dell’art. 
417-bis 
c.p.c. 
(45), 
e 
nei 
procedimenti 
per 
opposizione 
a 
sanzioni 
amministrative 
di 
cui 
all’art. 23 l. 689/1981 (46), nonché 
per alcune 
fasi 
dei 
procedimenti 
in materia 
di 
immigrazione 
(d.lgs. 1 settembre 
2011, n. 150, art. 
18, per le 
controversie 
in materia 
di 
espulsione 
dei 
cittadini 
di 
Stati 
che 
non 


(44) Art. 13 l. 103: 
“Nei 
procedimenti 
di 
cui 
all'articolo 101 del 
regio decreto 16 marzo 1942, n. 
267, le 
amministrazioni 
dello Stato, le 
regioni 
e 
gli 
enti 
difesi 
a norma dell'articolo 43 del 
testo unico 
approvato con regio decreto 30 ottobre 
1933, n. 1611, sono rappresentati 
dinanzi 
ai 
giudici 
allegati 
da 
propri 
funzionari, che 
siano per 
tali 
riconosciuti, salvo che 
non debba procedersi 
alla istruzione 
della 
causa. 
Nei 
procedimenti 
di 
cui 
agli 
articoli 
2016 e 
seguenti 
del 
codice 
civile, le 
amministrazioni 
indicate 
nel 
comma 
precedente 
sono 
rappresentate 
da 
propri 
funzionari 
che 
siano 
per 
tali 
riconosciuti, 
salvo 
il 
caso 
di opposizione da parte del detentore. 
Nei 
giudizi 
in 
materia 
di 
pensioni 
le 
amministrazioni 
statali, 
comprese 
quelle 
ad 
ordinamento 
autonomo, 
nei 
casi 
in cui 
non ritengano di 
avvalersi 
del 
patrocinio dell'avvocatura dello Stato, possono delegare 
un proprio funzionario a sostenere, anche oralmente, nel corso del giudizio, la loro posizione”. 
(45) 
Cass. 
civ., 
sez. 
lavoro, 
5 
settembre 
2016, 
n. 
17596: 
“La 
previsione 
di 
cui 
all'art. 
417 
bis 
c.p.c., 
secondo cui 
le 
P.a., nelle 
controversie 
relative 
ai 
rapporti 
di 
lavoro, possono stare 
in giudizio, in primo 
grado, mediante 
loro dipendenti, si 
differenzia da quella di 
cui 
all'art. 2 del 
r.d. n. 1611 del 
1933, che 
consente 
all'avvocatura dello Stato di 
delegare 
per 
la rappresentanza dell'amministrazione 
un funzionario 
o procuratore, in quanto in un caso l'amministrazione 
assume 
direttamente 
la difesa, nell'altro la 
delega concerne 
la sola rappresentanza in giudizio, restando l'attività defensionale 
affidata all'ufficio 
dell'avvocatura competente 
per 
territorio. Ne 
consegue 
che 
nel 
primo caso la notifica della sentenza di 
primo grado, ai 
fini 
del 
decorso del 
termine 
breve 
per 
l'impugnazione, va effettuata allo stesso dipendente, 
mentre 
nel 
secondo la notifica della sentenza al 
delegato è 
radicalmente 
nulla, dovendosi 
effettuare 
presso gli 
uffici 
dell'avvocatura dello Stato, ex 
art. 11 del 
r.d. n. 1611 del 
1933”; 
Corte 
d'Appello 
Genova, 10 dicembre 
2001: 
“Quando l'amministrazione 
dello Stato sta in causa direttamente 
a mezzo 
di 
propri 
dipendenti, 
ai 
sensi 
del 
comma 
1 
dell'art. 
417 
bis 
c.p.c., 
è 
ravvisabile 
una 
ipotesi 
di 
sostituzione 
processuale 
della 
parte 
secondo 
le 
previsioni 
generali 
del 
codice 
di 
rito 
e 
pertanto 
la 
notificazione 
della 
sentenza di 
primo grado, al 
fine 
della decorrenza del 
termine 
breve 
per 
l'impugnazione 
in appello, deve 
avvenire 
in confronto dell'amministrazione 
stessa ed è 
irrilevante, a quel 
fine, la notificazione 
eseguita 
presso l'avvocatura dello Stato”. 
(46) Cass. civ., sez. I, 21 settembre 
2006, n. 20441: 
“Nelle 
cause 
di 
opposizione 
a sanzioni 
amministrative, 
l'art. 23, comma 4, della legge 
n. 689 del 
1981 abilita a stare 
in giudizio direttamente 
l'organo 
che 
ha 
emesso 
il 
provvedimento 
impugnato, 
in 
persona 
del 
soggetto 
che 
è 
investito 
della 
sua 
titolarità, ovvero di 
suoi 
delegati, secondo gli 
atti 
amministrativi 
di 
investitura, i 
quali, anche 
se 
hanno 
forma scritta, non sono equiparabili 
alla procura di 
cui 
all'art. 83 cod.proc.civ. Ne 
consegue 
che 
ad 
essi 
non 
sono 
applicabili 
la 
disciplina 
della 
procura 
al 
difensore 
e 
i 
relativi 
principi, 
dovendosi 
ritenere 
sufficiente, 
ai 
fini 
della 
regolarità 
della 
costituzione 
in 
giudizio 
del 
delegato 
del 
Prefetto, 
la 
sottoscrizione 
(non contestata nel 
caso di 
specie) della comparsa di 
risposta e 
la sua espressa dichiarazione 
di 
stare 
in giudizio in tale 
sua qualità”; 
Cass. civ., sez. lavoro, 6 luglio 1991, n. 7506: 
“In tema di 
sanzione 
amministrativa, 
l'art. 23, 4° 
comma, l. 24 novembre 
1981 n. 689 consente 
all'autorità che 
ha emesso l'ordinanza-
ingiunzione 
di 
stare 
in 
giudizio 
personalmente 
e 
di 
avvalersi 
anche 
di 
un 
funzionario 
appositamente 
delegato, per 
cui 
nel 
giudizio di 
opposizione 
all'ingiunzione, qualora si 
tratti 
di 
un'amministrazione 
dello 
stato 
che 
si 
sia 
avvalsa 
di 
questa 
facoltà, 
si 
determina 
una 
deroga 
al 
disposto 
dell'art. 
11 
r.d. 
30 
ottobre 
1933 
n. 
1611, 
sulla 
notifica 
degli 
atti 
presso 
l'avvocatura 
dello 
stato, 
divenendo 
il 
funzionario 
delegato l'unico legittimato a ricevere, per 
conto della parte 
rappresentata, le 
comunicazioni 
e 
le 
notificazioni 
degli 
atti 
concernenti 
il 
processo, ivi 
compreso il 
ricorso per 
cassazione 
avverso la 
sentenza del pretore secondo le ordinarie norme processuali”. 

teMI 
IStItuzIonALI 


sono membri 
dell'unione 
europea 
(47); 
d.lgs. 28 gennaio 2008, n. 25: 
art. 3 
per le 
controversie 
in materia 
di 
riconoscimento e 
revoca 
dello status 
di 
rifugiato 
(48); 
art. 35-bis, per le 
controversie 
in materia 
di 
riconoscimento della 
protezione internazionale (49)). 


nei 
casi 
in cui 
la 
legge 
conferisce 
direttamente 
ai 
funzionari 
dell’amministrazione 
la 
potestà 
di 
stare 
in giudizio non è 
richiesta 
espressa 
delega 
del-
l’Avvocatura 
dello 
Stato 
ma 
quest’ultima 
è 
pur 
sempre 
autorizzata 
a 
comparire 
in giudizio qualora la stessa amministrazione lo richieda. 


In tutti 
i 
casi 
nei 
quali 
lo jus 
postulandi 
è 
delegato (al 
funzionario o all’avvocato 
privato) dall’avvocato dello Stato, l’Avvocatura 
conserva 
la 
rappresentanza 
in 
giudizio 
dell’Amministrazione 
con 
il 
connesso 
potere 
di 
sottoscrivere 
gli 
atti, di 
partecipare 
direttamente 
alle 
udienze, di 
affiancare 
il 
procuratore 
delegato, 
di 
sostituirsi 
a 
lui 
e 
di 
sostituirlo 
o 
di 
revocarlo. 
tale 
rappresentanza 
è 
rigorosamente 
limitata 
alle 
funzioni 
procuratorie 
da 
esplicarsi 
nella 
sede 
dove 
si 
svolge 
il 
giudizio, nonché 
subordinata 
alla 
pendenza 
dello 
stesso 
giudizio 
o 
della 
sua 
fase 
che 
si 
svolge 
nella 
stessa 
sede; 
la 
delega 
in 
questione, inoltre, non è 
efficace 
in relazione 
alle 
attività 
processuali 
successive 
alle pronunce delle sentenze inerenti allo stesso giudizio. 

Diversamente, vera 
e 
propria 
portata 
derogatoria 
della 
difesa 
dell’Avvocatura 
dello 
Stato 
è 
quella 
contemplata, 
con 
previsione 
di 
portata 
generale 
dall’art. 3, r.d. 1611/1933, che 
contiene 
una 
disposizione 
di 
carattere 
di 
massima, 
applicabile 
ai 
giudizi 
innanzi 
al 
tribunale 
e 
al 
giudice 
di 
pace 
quale 
che 
sia 
il 
tipo di 
causa 
[“innanzi 
ai 
tribunali 
ordinari 
ed ai 
giudici 
di 
pace 
le 
amministrazioni 
dello 
Stato 
possono, 
intesa 
l’avvocatura 
dello 
Stato, 
essere 
rappresentate 
dai 
propri 
funzionari 
che 
siano 
per 
tali 
riconosciuti”]. 
Per 
l’attivazione 
del 
meccanismo 
previsto 
da 
tale 
disposizione 
occorre, 
in 
ogni 
caso, un preventivo “accordo” 
(“intesa l’avvocatura dello Stato”, afferma 
testualmente 
il 
citato 
art. 
3), 
in 
mancanza 
del 
quale 
non 
può 
esservi 
delega 
delle 
funzioni di rappresentanza a funzionario dell’amministrazione (50). 


(47) Art. 18: 
“1. Le 
controversie 
aventi 
ad oggetto l'impugnazione 
del 
decreto di 
espulsione 
pronunciato 
dal 
prefetto ai 
sensi 
del 
decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, sono regolate 
dal 
rito sommario 
di 
cognizione, 
ove 
non 
diversamente 
disposto 
dal 
presente 
articolo. 
… 
6. 
L'autorità 
che 
ha 
emesso 
il 
provvedimento 
impugnato 
può 
costituirsi 
fino 
alla 
prima 
udienza 
e 
può 
stare 
in 
giudizio 
personalmente 
o avvalersi di funzionari appositamente delegati”. 
(48) Art. 3: 
“3-quinquies. Il 
ricorso è 
notificato all’autorità che 
ha adottato il 
provvedimento a 
cura della cancelleria. L’autorità può stare 
in giudizio avvalendosi 
direttamente 
di 
propri 
dipendenti 
e 
può depositare, entro quindici 
giorni 
dalla notificazione 
del 
ricorso, una nota difensiva. Entro lo stesso 
termine 
l’autorità deve 
depositare 
i 
documenti 
da cui 
risultino gli 
elementi 
di 
prova e 
le 
circostanze 
indiziarie 
posti a fondamento della decisione di trasferimento”. 
(49) Art. 35-bis:“7. Il 
ministero dell'interno, limitatamente 
al 
giudizio di 
primo grado, può stare 
in 
giudizio 
avvalendosi 
direttamente 
di 
propri 
dipendenti 
o 
di 
un 
rappresentante 
designato 
dal 
presidente 
della Commissione 
che 
ha adottato l'atto impugnato. Si 
applica, in quanto compatibile, l'articolo 417bis, 
secondo 
comma, 
del 
codice 
di 
procedura 
civile. 
Il 
ministero 
dell'interno 
può 
depositare, 
entro 
venti 
giorni dalla notificazione del ricorso, una nota difensiva”. 

rASSeGnA 
AVVoCAturA 
DeLLo 
StAto -n. 1/2021 


nelle cause tributarie vige un regime particolare, regolato dalla legge: 


-nel 
processo tributario disciplinato dal 
d.lgs. 546/1992, articoli 
11 e 
12, 
è 
disposto che: 
“2. L'ufficio dell'agenzia delle 
entrate 
e 
dell'agenzia delle 
dogane 
e 
dei 
monopoli 
di 
cui 
al 
decreto 
legislativo 
30 
luglio 
1999, 
n. 
300 
nonché 
dell'agente 
della 
riscossione, 
nei 
cui 
confronti 
è 
proposto 
il 
ricorso, 
sta 
in 
giudizio 
direttamente 
o mediante 
la struttura territoriale 
sovraordinata. Stanno 
altresì 
in 
giudizio 
direttamente 
le 
cancellerie 
o 
segreterie 
degli 
uffici 
giudiziari 
per 
il 
contenzioso in materia di 
contributo unificato” 
(art. 11); 
“1. Le 
parti, 
diverse 
dagli 
enti 
impositori, 
dagli 
agenti 
della 
riscossione 
e 
dai 
soggetti 
iscritti 
nell'albo 
di 
cui 
all'articolo 
53 
del 
decreto 
legislativo 
15 
dicembre 
1997, 
n. 446, devono essere 
assistite 
in giudizio da un difensore 
abilitato. … 
8. Le 
agenzie 
delle 
entrate, 
delle 
dogane 
e 
dei 
monopoli 
di 
cui 
al 
decreto 
legislativo 
30 luglio 1999, n. 300, possono essere 
assistite 
dall'avvocatura dello Stato” 
(art. 12). 
Pertanto, 
le 
agenzie 
fiscali 
normalmente 
si 
difendono 
per 
i 
primi 
due 
gradi 
del 
giudizio, 
dinanzi 
alle 
Commissioni 
tributarie, 
con 
propri 
funzionari 
(esiste, 
infatti, al 
loro interno un ufficio contenzioso che 
cura 
il 
servizio) e, sempre 
per i 
primi 
due 
gradi 
di 
giudizio (51), possono chiedere 
il 
patrocinio dell’Avvocatura 
dello 
Stato 
(52) 
ovvero 
-secondo 
la 
giurisprudenza 
intervenuta 
dopo 


(50) Cass. civ. [ord.], sez. VI, 16 settembre 
2011, n. 19027: 
“In materia di 
difesa della P.a., qualora 
l'autorità amministrativa sia rappresentata in giudizio da un funzionario delegato, non sono applicabili 
la disciplina della procura al 
difensore 
e 
i 
relativi 
principi, dovendosi 
ritenere 
sufficiente, ai 
fini 
della regolarità della costituzione 
del 
delegato, la sottoscrizione 
del 
ricorso e 
la sua espressa dichiarazione 
di 
stare 
in giudizio in tale 
sua qualità. Ciò in conformità del 
principio secondo cui 
la investitura 
dei 
pubblici 
funzionari 
nei 
poteri 
che 
dichiarano di 
esercitare 
nel 
compimento degli 
atti 
inerenti 
il 
loro 
uffici 
si 
presume, 
costituendo 
un 
aspetto 
della 
presunzione 
di 
legittimità 
degli 
atti 
amministrativi. 
(Principio affermato ai sensi dell'art. 360 bis, comma 1, cod. proc. civ.)”. 
(51) Comm. trib. prov. Milano Sez. XXIII, 21 giugno 1999, Enel 
c. Uff. tecnico erariale 
milano 
(in Boll. Trib., 1999, 1143): 
“Nel 
processo tributario la posizione 
degli 
uffici 
finanziari 
non differisce 
da quella in cui 
si 
trovano le 
amministrazioni 
statali 
che, sulla base 
di 
specifiche 
disposizioni 
di 
legge, 
stanno in giudizio direttamente, e 
tuttavia, all'occorrenza, possono essere 
rappresentate 
e 
difese 
dal-
l'avvocatura dello Stato. In contrario non può valere 
il 
richiamo all'art. 12 comma 4 d.lg. n. 546 del 
1992, dal 
quale 
si 
vorrebbe 
desumere 
"a contrariis" 
l'impossibilità del 
ricorso all'assistenza tecnica, in 
quanto, 
così 
opinando 
si 
porrebbero 
gli 
uffici 
del 
ministero 
delle 
finanze, 
in 
posizione 
deteriore 
rispetto 
a quella degli 
enti 
locali, e 
si 
precluderebbe 
quell'attività di 
coordinamento per 
la difesa dell'amministrazione 
che, 
ai 
sensi 
dell'art. 
37 
d.lg. 
n. 
545 
del 
1992, 
è 
realizzata 
anche 
in 
concorso 
con 
l'avvocatura 
dello Stato. In sostanza nei 
giudizi 
tributari 
di 
I grado l'amministrazione 
finanziaria resta in giudizio 
direttamente 
e 
l'avvocatura dello Stato può soltanto discrezionalmente 
decidere 
di 
assumere 
di 
volta in 
volta il 
patrocinio, mentre 
nei 
giudizi 
di 
II grado la valutazione 
dell'opportunità di 
ricorrere 
all'assistenza 
ed 
alla 
difesa 
dell'avvocatura 
è 
rimessa 
direttamente 
ed 
esclusivamente 
all'amministrazione, 
senza che l'avvocatura stessa possa esimersi dal prestare il proprio patrocinio”. 
(52) Secondo Cass. [ord.], sez. VI-5, 29 marzo 2021, n. 8671: 
“In tema di 
contenzioso tributario, 
la disposizione 
di 
cui 
all'art. 12, comma 8 del 
D.Lgs. 31 dicembre 
1992, n. 546, che 
prevede 
la facoltà 
per 
i 
soli 
uffici 
finanziari 
(agenzia delle 
Entrate, delle 
Dogane 
e 
dei 
monopoli) di 
farsi 
assistere 
anche 
dall'avvocatura delio Stato, non sta ad indicare 
una facoltà "residuale" 
quanto, piuttosto, una facoltà 
"aggiuntiva" 
per 
detti 
uffici 
finanziari, fermo restando che 
nessuna norma impedisce 
che 
questi 
o gli 
agenti 
della 
riscossione 
o 
gli 
enti 
locali 
possano 
farsi 
assistere 
da 
difensori 
abilitati 
anche 
privati, 
posto 

teMI 
IStItuzIonALI 


la 
riforma 
di 
cui 
al 
d.l. 193/2016 e 
il 
Protocollo d’intesa 
sottoscritto fra 
Agenzia 
e 
Avvocatura 
dello Stato -di 
avvocati 
del 
libero foro (53); 
per il 
giudizio 
in Cassazione 
(ed eventuali 
giudizi 
dinanzi 
alla 
Corte 
di 
Giustizia 
ue 
e 
alla 
Corte 
europea 
dei 
diritti 
dell’uomo) scatta 
il 
patrocinio obbligatorio ed esclusivo 
dell’Avvocatura dello Stato (54); 


che 
una 
simile 
limitazione 
mal 
si 
concilierebbe 
con 
l'art. 
24, 
comma 
2, 
Cost.”; 
in 
precedenza, 
prima 
della 
riforma 
di 
cui 
al 
d.l. 193/2016, l’orientamento era 
contrario, come 
espresso da 
Cass. civ., sez. V, 6 
settembre 
2004, n. 17936: 
“In tema di 
contenzioso tributario, né 
il 
primo comma dell'art. 12 del 
D.Lgs. 
31 dicembre 
1992, n. 546 -che 
stabilisce, per 
le 
parti 
diverse 
dall'ufficio del 
ministero delle 
finanze 
o 
dall'ente 
locale, l'obbligo dell'assistenza tecnica -, né 
il 
successivo comma 4 della norma stessa -che 
prevede 
la facoltà, per 
i 
soli 
uffici 
finanziari, di 
farsi 
assistere, nei 
giudizi 
di 
appello, dall'avvocatura 
dello Stato -, impediscono che 
gli 
uffici 
finanziari 
o gli 
enti 
locali 
possano farsi 
assistere 
in giudizio da 
difensori 
abilitati, 
anche 
privati, 
ponendo, 
peraltro, 
una 
diversa 
interpretazione 
dubbi 
di 
legittimità 
costituzionale 
in riferimento all'art. 24, secondo comma, Cost.” 


(53) 
nella 
sentenza 
Cass. 
8671/2021 
citata 
nella 
precedente 
nota, 
si 
legge 
in 
motivazione: 
“4. 
Ciò 
precisato osserva il 
Collegio che 
il 
motivo in esame 
è 
fondato alla stregua delle 
disposizioni 
introdotte 
dalla riforma del 
settore 
di 
cui 
al 
D.L. 22 ottobre 
2016, n. 193, convertito con modificazioni 
dalla L. 1 
dicembre 
2016, 
n. 
225 
(vigente 
all'epoca 
di 
notifica 
del 
ricorso 
d'appello, 
effettuata 
in 
data 
07/11/2017, 
come 
risulta dalla stessa sentenza impugnata), cui 
ha fatto seguito la stipula del 
Protocollo d'intesa tra 
avvocatura 
dello 
Stato 
e 
agenzia 
delle 
Entrate-Riscossione 
n. 
36437 
del 
5 
luglio 
2017, 
nonché 
alla 
luce 
della 
sentenza 
delle 
Sezioni 
unite 
di 
questa 
Corte 
n. 
30008 
del 
2019, 
che 
pronunciando 
al 
riguardo, 
hanno affermato (par. 24) il 
seguente 
principio di 
diritto: «impregiudicata la generale 
facoltà di 
avvalersi 
anche 
di 
propri 
dipendenti 
delegati 
davanti 
al 
tribunale 
ed al 
giudice 
di 
pace, si 
avvale: a) del-
l'avvocatura dello Stato nei 
casi 
previsti 
come 
riservati 
ad essa dalla Convenzione 
intervenuta (fatte 
salve 
le 
ipotesi 
di 
conflitto e, ai 
sensi 
del 
R.D. n. 1611 del 
1933, art. 43, comma 4, di 
apposita motivata 
delibera da adottare 
in casi 
speciali 
e 
da sottoporre 
all'organo di 
vigilanza), oppure 
ove 
vengano in rilievo 
questioni 
di 
massima o aventi 
notevoli 
riflessi 
economici; b) di 
avvocati 
del 
libero foro, senza bisogno 
di 
formalità, né 
della delibera prevista dal 
citato R.D., art. 43, comma 4 -nel 
rispetto del 
D.Lgs. 
n. 50 del 
2016, artt. 4 e 
17, e 
dei 
criteri 
di 
cui 
agli 
atti 
di 
carattere 
generale 
adottati 
ai 
sensi 
del 
D.L. 
193 del 
2016, art. 1, comma 5, conv. in L. n. 225 del 
2016 -in tutti 
gli 
altri 
casi 
ed in quelli 
in cui, pure 
riservati 
convenzionalmente 
all'avvocatura erariale, questa non sia disponibile 
ad assumere 
il 
patrocinio. 
Quando la scelta tra il 
patrocinio dell'avvocatura erariale 
e 
quello di 
un avvocato del 
libero foro 
discende 
dalla 
riconduzione 
della 
fattispecie 
alle 
ipotesi 
previste 
dalla 
Convenzione 
tra 
l'agenzia 
e 
l'avvocatura 
dello 
Stato 
o 
di 
indisponibilità 
di 
questa 
ad 
assumere 
il 
patrocinio, 
la 
costituzione 
dell'agenzia 
a mezzo dell'una o dell'altro postula necessariamente 
ed implicitamente 
la sussistenza del 
relativo presupposto 
di 
legge, senza bisogno di 
allegazione 
e 
di 
prova al 
riguardo, nemmeno nel 
giudizio di 
legittimità. 
(Principio enunciato ai 
sensi 
dell'art. 363 c.p.c.)». 5. Il 
Protocollo d'intesa tra avvocatura dello 
Stato e 
agenzia delle 
Entrate 
-Riscossione, n. 36437 del 
5 luglio 2017, ha poi 
previsto espressamente, 
al 
punto 3.4.2, in tema di 
"Contenzioso afferente 
l'attività di 
Riscossione", che 
«L'Ente 
sta in giudizio 
avvalendosi 
direttamente 
di 
propri 
dipendenti 
o di 
avvocati 
del 
libero foro, iscritti 
nel 
proprio Elenco 
avvocati, 
nelle 
controversie 
relative 
a: 
(...) 
liti 
innanzi 
alle 
Commissioni 
Tributarie». 
6. 
Successivamente, 
Cass. 
n. 
31241 
del 
2019, 
esaminando 
analoga 
questione, 
muovendo 
dalla 
citata 
pronuncia 
delle 
Sezioni 
unite, ha espressamente 
affermato (a pag. 7) che 
«anche 
alla luce 
dello ius 
superveniens, l'a.d.E.R. in 
appello ben poteva costituirsi con avvocato del libero foro»". 
(54) Cass. civ., sez. I, 21 gennaio 2000, n. 657: 
“Gli 
uffici 
periferici 
dell'amministrazione 
finanziaria 
sono legittimati 
a stare 
in giudizio soltanto di 
fronte 
alle 
commissioni 
tributarie 
provinciali 
e 
regionali; 
pertanto, 
il 
ricorso 
per 
cassazione 
deve 
essere 
proposto 
nei 
confronti 
del 
ministero 
delle 
finanze, 
e 
deve 
essere 
notificato presso l'avvocatura generale 
dello Stato, onde 
è 
inammissibile 
il 
ricorso proposto 
nei 
confronti 
di 
un 
ufficio 
periferico, 
e 
notificato 
presso 
il 
medesimo”; 
Cass. 
civ., 
sez. 
I, 
17 
giugno 
1998, n. 6034: 
“La facoltà attribuita, dall'art. 41, ultimo comma, D.P.R. n. 287/1992 e 
dall'art. 12 del 
D.Lgs. n. 546/1992, ai 
singoli 
Uffici 
finanziari, di 
curare, relativamente 
ai 
tributi 
di 
rispettiva 
compe

rASSeGnA 
AVVoCAturA 
DeLLo 
StAto -n. 1/2021 


-nel 
processo 
di 
riscossione, 
già 
curato 
da 
equitalia 
spa 
e 
ora 
dalla 
nuova 
Agenzia 
delle 
entrate 
e 
riscossione-ADer, 
ai 
sensi 
della 
riforma 
di 
cui 
al 
d.l. 
22 
ottobre 
2016, 
n. 
193 
(convertito, 
con 
modificazioni, 
dalla 
legge 
1° 
dicembre 
2016, 
n. 
225), 
il 
cui 
art. 
1, 
comma 
8, 
recita: 
“8. 
L'ente 
è 
autorizzato 
ad 
avvalersi 
del 
patrocinio 
dell'avvocatura 
dello 
Stato 
ai 
sensi 
del-
l'articolo 
43 
del 
testo 
unico 
delle 
leggi 
e 
delle 
norme 
giuridiche 
sulla 
rappresentanza 
e 
difesa 
in 
giudizio 
dello 
Stato 
e 
sull'ordinamento 
dell'avvocatura 
dello 
Stato, 
di 
cui 
al 
regio 
decreto 
30 
ottobre 
1933, 
n. 
1611, 
fatte 
salve 
le 
ipotesi 
di 
conflitto 
e 
comunque 
su 
base 
convenzionale. 
Lo 
stesso 
ente 
può 
altresì 
avvalersi, 
sulla 
base 
di 
specifici 
criteri 
definiti 
negli 
atti 
di 
carattere 
generale 
deliberati 
ai 
sensi 
del 
comma 
5 
del 
presente 
articolo, 
di 
avvocati 
del 
libero 
foro, 
nel 
rispetto 
delle 
previsioni 
di 
cui 
agli 
articoli 
4 
e 
17 
del 
decreto 
legislativo 
18 
aprile 
2016, 
n. 
50, 
ovvero 
può 
avvalersi 
ed 
essere 
rappresentato, 
davanti 
al 
tribunale 
e 
al 
giudice 
di 
pace, 
da 
propri 
dipendenti 
delegati, 
che 
possono 
stare 
in 
giudizio 
personalmente; 
in 
ogni 
caso, 
ove 
vengano 
in 
rilievo 
questioni 
di 
massima 
o 
aventi 
notevoli 
riflessi 
economici, 
l'avvocatura 
dello 
Stato, 
sentito 
l'ente, 
può 
assumere 
direttamente 
la 
trattazione 
della 
causa. 
Per 
il 
patrocinio 
davanti 
alle 
commissioni 
tributarie 
continua 
ad 
applicarsi 
l'articolo 
11, 
comma 
2, 
del 
decreto 
legislativo 
31 
dicembre 
1992, 
n. 
546…”; 
la 
detta 
norma 
è 
stata 
interpretata 
autenticamente 
dall’art. 
4-novies 
del 
d.l. 
30 
aprile 
2019, 
n. 
34 
(inserito 
dalla 
legge 
di 
conversione 
28 
giugno 
2019, 
n. 
58) 
nei 
seguenti 
termini: 
“1. 
Il 
comma 
8 
del-
l'articolo 
1 
del 
decreto-legge 
22 
ottobre 
2016, 
n. 
193, 
convertito, 
con 
modificazioni, 
dalla 
legge 
1° 
dicembre 
2016, 
n. 
225, 
si 
interpreta 
nel 
senso 
che 
la 
disposizione 
dell'articolo 
43, 
quarto 
comma, 
del 
testo 
unico 
di 
cui 
al 
regio 
decreto 
30 
ottobre 
1933, 
n. 
1611, 
si 
applica 
esclusivamente 
nei 
casi 
in 
cui 
l'agenzia 
delle 
entrate-Riscossione, 
per 
la 
propria 
rappresentanza 
e 
difesa 
in 
giudizio, 
intende 
non 
avvalersi 
dell'avvocatura 
dello 
Stato 
nei 
giudizi 
a 
quest'ultima 
riservati 
su 
base 
convenzionale; 
la 
medesima 
disposizione 
non 
si 
applica 
nei 
casi 
di 
indisponibilità 
della 
stessa 
avvocatura 
dello 
Stato 
ad 
assumere 
il 
patrocinio” 
(55). 


tenza, la rappresentanza e 
la difesa dell'amministrazione 
avanti 
alle 
Commissioni 
tributarie 
e 
di 
farsi 
rappresentare 
in giudizio dai 
propri 
funzionari, si 
esaurisce 
con la decisione 
di 
secondo grado, non essendo 
prevista alcuna ulteriore 
deroga al 
principio generale 
di 
cui 
al 
R.D. 30 ottobre 
1933, n. 1611, riguardante 
la rappresentanza e 
la difesa in giudizio dello Stato tramite 
l'avvocatura dello Stato. Ciò ha 
rilievo 
anche 
ai 
fini 
della 
notifica 
della 
decisione 
di 
secondo 
grado, 
la 
quale 
va 
effettuata 
all'avvocatura 
generale 
dello Stato, affinché 
decorra il 
termine 
breve 
(sessanta giorni 
per 
proporre 
ricorso in Cassazione)”. 


(55) Vedi 
Cass. civ., Sez. unite, 19 novembre 
2019, n. 30008, il 
cui 
principio di 
diritto è 
stato riportato 
testualmente da Cass. 8671/2021 richiamata nelle precedenti note. 

teMI 
IStItuzIonALI 


2.6 autorità giudiziarie. 
Gli 
avvocati 
dello Stato esercitano le 
proprie 
funzioni 
dinanzi 
a 
tutte 
le 
giurisdizioni, nazionali 
ed internazionali, secondo le 
prerogative 
fissate 
dalle 
leggi 
istitutive, come 
previsto dall’art. 1, comma 
2, r.d. 1611 [“Gli 
avvocati 
dello 
Stato, 
esercitano 
le 
loro 
funzioni 
innanzi 
a 
tutte 
le 
giurisdizioni 
ed 
in 
qualunque 
sede”] 
e 
dall’art. 
9, 
comma 
1, 
l. 
103 
[“L'avvocatura 
generale 
dello 
Stato provvede 
alla rappresentanza e 
difesa delle 
amministrazioni 
nei 
giudizi 
davanti 
alla Corte 
costituzionale, alla Corte 
di 
cassazione, al 
Tribunale 
superiore 
delle 
acque 
pubbliche, alle 
altre 
supreme 
giurisdizioni, anche 
amministrative, 
ed ai 
collegi 
arbitrali 
con sede 
in Roma, nonché 
nei 
procedimenti 
innanzi a collegi internazionali o comunitari”]. 


In tutti 
i 
casi 
si 
tratta 
di 
mandato ex 
lege 
che 
non abbisogna 
di 
specifica 
attribuzione né prova documentale, come fin qui chiarito. 


Per 
la 
Corte 
Costituzionale 
la 
fonte 
normativa 
è 
quella 
dell’art. 
20, 
comma 
3, legge costituzionale 11 marzo 1953 n. 87. 


Per 
le 
Corti 
europee, 
la 
fonte 
normativa 
è 
data 
dal 
combinato 
disposto 
delle 
norme 
dei 
regolamenti 
processuali 
di 
ciascuna 
Corte 
-che 
prevedono la 
rappresentanza 
in 
giudizio 
in 
capo 
ad 
un 
Agente 
-con 
le 
leggi 
dei 
singoli 
Stati 
che 
regolano il 
conferimento dell’incarico di 
Agente 
del 
Governo ed il 
patrocinio 
della pubblica amministrazione. 


Sul punto torneremo nel dettaglio in prosieguo. 


3. mandato obbligatorio, facoltativo e autorizzato. 
La 
ratio 
dell’estensione 
del 
patrocinio erariale 
ad enti 
diversi 
dallo Stato 
si 
rinviene 
nello stretto collegamento e 
interdipendenza 
tra 
i 
fini 
dello Stato e 
quelli 
degli 
enti 
a 
patrocinio autorizzato, nonché 
in esigenze 
di 
contenimento 
della 
spesa 
pubblica 
che 
l’assunzione 
della 
difesa 
da 
parte 
dell’Avvocatura 
dello Stato garantisce rispetto al patrocinio degli avvocati del libero foro. 

L’evoluzione 
legislativa, 
dal 
1875 
ad 
oggi, 
che 
ha 
portato 
ad 
attribuire 
funzioni 
“esterne” 
all’Avvocatura 
dello Stato, come 
il 
patrocinio innanzi 
alla 
Corte 
costituzionale 
o al 
di 
fuori 
dello stesso ordinamento statale, in sede 
comunitaria 
ed 
internazionale, 
fornisce 
riprova 
di 
quanto 
detto 
dalla 
Corte 
di 
Cassazione: 
“l’avvocatura dello Stato difende 
gli 
interessi 
unitari 
della collettività 
nazionale” (Cass. civ., sez. I, 21 gennaio 1999, n. 550). 


Il 
principio di 
esclusività 
del 
patrocinio dell’Avvocatura 
dello Stato a 
favore 
di 
tutte 
le 
Amministrazioni 
pubbliche 
da 
essa 
difese 
ha 
costantemente 
garantito, 
conformemente 
alla 
funzione 
giustiziale 
propria 
della 
difesa 
erariale, 
sia 
il 
rispetto del 
principio di 
economicità 
dell’azione 
amministrativa 
sia, soprattutto, 
la 
certezza 
del 
diritto 
processuale 
per 
coloro 
che 
agiscono 
in 
giudizio 
contro gli 
enti 
pubblici 
sia, ancora, l’uniformità 
di 
indirizzo interpretativo per 
tutte 
le 
amministrazioni 
difese, con conseguente 
garanzia 
per i 
diritti 
dei 
cittadini 
(c.d. funzione nomofilattica dell’Avvocatura dello Stato). 



rASSeGnA 
AVVoCAturA 
DeLLo 
StAto -n. 1/2021 


Le 
leggi 
regolatrici 
dell’Avvocatura 
distinguono fra 
patrocinio obbligatorio 
o facoltativo, riservando il 
primo all'attività 
di 
rappresentanza 
e 
difesa 
in giudizio resa 
dall'Avvocatura 
dello Stato in favore 
delle 
"amministrazioni 
dello Stato, anche 
se 
organizzate 
ad ordinamento autonomo" 
(art. 1 t.u. r.d. 
1611), per le 
quali 
il 
patrocinio è, appunto, obbligatorio ed esclusivo, con applicazione 
delle 
regole 
del 
c.d. 
foro 
dello 
Stato 
di 
cui 
all'art. 
6 
del 
t.u. 
n. 
1611/1933, nonché 
quelle 
del 
domicilio ex 
lege 
e 
della 
notifica 
degli 
atti 
giurisdizionali 
presso l'Avvocatura 
ex 
art. 11 del 
t.u. n. 1611/1933, in persona 
dell’organo fornito del 
potere 
di 
rappresentanza 
processuale 
secondo i 
rispettivi 
statuti 
e 
leggi 
regolatrici 
e 
che, per le 
amministrazioni 
statali 
centrali, è 
costituito dal 
Ministro preposto al 
dicastero interessato (56) (ai 
sensi 
della 
l. 


n. 260/1958 che ha introdotto modifiche importanti al r.d. 1611/1933). 
L'esclusività 
e 
l'obbligatorietà 
del 
patrocinio 
dell'Avvocatura 
valgono 
per 
tutte 
le 
controversie 
in cui 
sia 
parte, davanti 
a 
qualsiasi 
giudice 
-ordinario od 
amministrativo -un’amministrazione 
statale, che 
non potrebbe 
chiedere 
l'assistenza 
di 
avvocati 
del 
libero 
foro, 
se 
non 
in 
casi 
"assolutamente 
eccezionali" 
(art. 5 del 
t.u. n. 1611/1933). 


Il 
patrocinio si 
estende 
a 
tutti 
i 
poteri 
dello Stato, con riguardo all’esercizio 
di 
attività 
di 
natura 
amministrativa, come 
la 
Camera 
dei 
deputati 
ed il 
Senato 
(57). 


un eventuale 
affidamento del 
patrocinio ad avvocati 
privati 
da 
parte 
di 
amministrazioni 
patrocinate 
in 
via 
obbligatoria 
dell’Avvocatura 
dello 
Stato 
sarebbe 
radicalmente 
nullo 
per 
contrarietà 
a 
norme 
di 
legge 
imperative 
(il 
t.u. 
1611/1933 e 
le 
leggi 
di 
contabilità 
di 
Stato) e 
tale 
da 
non giustificare 
neppure 
un legittimo affidamento nell’avvocato affidatario (58). 


(56) Cons. Stato, sez. IV, 2 febbraio 2010, n. 469: 
“Quando parte 
in giudizio sia un'amministrazione 
dello Stato, vale 
sempre 
il 
principio della esclusiva legittimazione 
del 
ministero in persona del 
ministro pro tempore”; 
Cass. civ. [ord.], sez. lavoro, 20 ottobre 
2020, n. 22802: 
“In base 
all'art. 4 della 
legge 
n. 
260 
del 
1958 
la 
carenza 
di 
legittimazione 
passiva 
dell'organo 
dello 
Stato 
convenuto 
nel 
giudizio 
di 
responsabilità costituisce 
una mera irregolarità sanabile, che 
deve 
essere 
eccepita dall'avvocatura 
dello Stato nella prima udienza utile, con la contestuale 
indicazione 
dell'organo effettivamente 
legittimato, 
sicché, in difetto di 
tempestiva eccezione, resta preclusa la possibilità di 
far 
valere 
l'irrituale 
costituzione 
del 
rapporto 
giuridico 
processuale 
ed 
è 
anche 
impedito 
al 
giudice 
di 
rilevare 
d'ufficio 
l'erronea 
individuazione 
del 
soggetto 
da 
evocare 
in 
giudizio”; 
Cass. 
civ. 
[ord.], 
Sez. 
VI 
-2, 
6 
marzo 
2018, 
n. 
5314: 
“L'art. 4 della legge 
25 marzo 1958 n. 260, che 
consente 
alla difesa erariale 
di 
eccepire 
solo entro la 
prima udienza l'errata indicazione 
della persona cui 
l'atto introduttivo doveva essere 
notificato, deve 
ritenersi 
applicabile 
anche 
quando l'errore 
d'identificazione 
riguardi 
distinte 
ed autonome 
soggettività 
di 
diritto pubblico ammesse 
al 
patrocinio dell'avvocatura dello Stato … 
ma, in forza del 
principio del-
l'effettività del 
contraddittorio, la sua operatività è 
circoscritta al 
profilo della rimessione 
in termini, 
con esclusione, dunque, di 
ogni 
possibilità di 
"stabilizzazione" 
nei 
confronti 
del 
reale 
destinatario, in 
funzione 
della comune 
difesa, degli 
effetti 
di 
atto giudiziario notificato ad altro soggetto e 
del 
conseguente 
giudizio”. 
(57) 
Cass. 
civ., 
23 
marzo 
1981, 
n. 
1667 
e 
1668: 
“Nelle 
controversie 
instaurate 
con 
soggetti 
privati 
o pubblici, purché 
non statali, legittimamente 
l'avvocatura dello stato rappresenta e 
difende 
in giudizio 
la camera dei deputati, come ogni altro organo costituzionale, senza necessità di specifico mandato”. 

teMI 
IStItuzIonALI 


Per 
amministrazioni 
dello 
Stato 
ad 
ordinamento 
autonomo 
(secondo 
l’art. 
1 
r.d. 
1611) 
devono 
intendersi 
tutte 
quelle 
facenti 
parte 
della 
struttura 
organica 
dell’ente-Stato, 
riconducibili, 
per 
creazione, 
struttura 
e 
finalità, 
al 
vertice 
della 
struttura 
amministrativa 
statale, quindi 
alle 
sue 
istituzioni 
centrali 
e, in primo 
luogo, al 
Governo, ancorché 
dotate 
di 
autonoma 
personalità 
giuridica 
o costituite 
per un arco di 
tempo definito o per specifiche 
necessità 
transitorie 
(59), 
quali 
le 
agenzie 
e 
autorità 
variamente 
denominate 
(60), gli 
istituti 
tecnici 
scolastici 
(61), 
gli 
enti 
di 
riforma 
fondiaria 
(ora 
enti 
di 
sviluppo) 
(62) 
e 
le 
strutture 
commissariali di nomina governativa (63). 


(58) Cons. Stato, sez. VI, 3 febbraio 2011, n. 780, che 
in un caso clamoroso di 
illegittimo affidamento 
del 
patrocinio 
da 
parte 
di 
un 
Ministero 
ad 
avvocati 
privati, 
ha 
statuito, 
non 
solo, 
che 
“il 
Testo 
Unico n. 1611 del 
1933 consente 
alle 
amministrazioni 
statali 
di 
designare 
un professionista del 
libero 
foro solo nei 
casi 
previsti 
dalla legge 
e 
preclude 
radicalmente 
che 
la medesima attività -in luogo del-
l'avvocatura dello Stato -sia svolta da liberi 
professionisti 
con oneri 
a carico dello Stato” 
ma, inoltre, 
che 
“la violazione 
di 
norme 
imperative, ben note 
ai 
professionisti 
che 
hanno partecipato ad un bando, 
legittima la revoca del 
bando e 
non dà luogo ad un alcun risarcimento in mancanza di 
un ragionevole 
affidamento giuridicamente tutelato”. 
(59) 
Quale 
l’ufficio 
Speciale 
per 
la 
ricostruzione 
dell'Aquila; 
v. 
Cons. 
Stato, 
sez. 
IV, 
18 
settembre 
2019, n. 6231: 
“L'articolo 67 ter 
comma 3^ 
del 
D.L. n. 83 del 
2012, per 
effetto della modifica apportata 
dall'art. 4 comma 8 octies 
del 
D.L. n. 133 del 
2014, prevede 
espressamente 
che 
gli 
Uffici 
speciali 
si 
avvalgano 
del 
patrocinio dell'avvocatura dello Stato ai 
sensi 
dell'articolo 1 del 
R.D. n. 1611 del 
1933: si 
tratta pertanto di 
patrocinio obbligatorio e 
non facoltativo con conseguente 
inderogabile 
necessità di 
eseguire 
la notifica presso gli 
uffici 
dell'avvocatura dello Stato ai 
sensi 
dell'art. 11 del 
R.D. n. 1611 del 
1933, a pena di nullità”. 
(60) Quale 
l’Agenzia 
naz. beni 
sequestrati 
e 
confiscati 
alla 
criminalità 
organizzata 
(Cass. pen., 
sez. I, 19 settembre 
2014, n. 21); 
l’Agenzia 
per la 
promozione 
dello sviluppo del 
mezzogiorno (Corte 
conti, 
sez. 
giur. 
reg. 
Lazio, 
10 
gennaio 
1996, 
n. 
4); 
l’Autorità 
per 
la 
vigilanza 
sui 
contratti 
pubblici 
(t.a.r. 
Calabria, sez. II, 13 febbraio 2007, n. 53). 
(61) Cass. civ., sez. lavoro, 1 dicembre 
2020, n. 27424: 
“Nella controversia in cui 
sia parte 
un 
ente 
pubblico che, pur 
svolgendo funzioni 
strumentali 
al 
perseguimento degli 
interessi 
generali 
e 
pur 
inserito nell'organizzazione 
statale, sia dotato di 
autonoma personalità giuridica, la notifica della sentenza 
nei 
confronti 
di 
tale 
ente 
deve 
essere 
effettuata 
presso 
l'ufficio 
dell'avvocatura 
erariale 
individuato 
ex 
art. 11, comma 2, della l. n. 1611 del 
1933, restando irrilevante 
che 
l'ente 
sia rimasto contumace 
nel 
giudizio, atteso che 
la domiciliazione 
è 
prevista per 
legge 
e 
spiega efficacia indipendentemente 
dalla 
scelta discrezionale di costituirsi o meno”. 
(62) 
Cass. 
civ., 
Sez. 
unite, 
16 
ottobre 
1989, 
n. 
4145: 
“La 
rappresentanza 
e 
difesa 
in 
giudizio 
degli 
enti 
di 
riforma fondiaria, poi 
trasformati 
in enti 
di 
sviluppo (nella specie, ente 
di 
sviluppo in Puglia e 
Lucania), come 
in genere 
degli 
enti 
statali 
e 
regionali 
per 
i 
quali 
siano intervenuti 
i 
provvedimenti 
generali 
attuativi 
della facoltà di 
avvalersi 
del 
patrocinio e 
della assistenza dell'avvocatura dello stato, 
spetta ex 
lege 
alla avvocatura medesima, senza che 
si 
richieda una specifica deliberazione, né 
il 
conferimento 
di 
procura, necessaria solo al 
fine 
del 
ricorso a liberi 
professionisti 
(art. 43 segg. r.d. 30 ottobre 
1933 
n. 
1611, 
come 
modificati 
dalla 
l. 
3 
aprile 
1979 
n. 
103, 
resi 
applicabili 
dall'art. 
3 
ultimo 
comma l. 9 luglio 1957 n. 600)”. 
(63) tribunale 
Catanzaro, sez. II, 1 febbraio 2008: 
“Il 
commissario delegato per 
l'emergenza ambientale, 
quale 
organo straordinario dell'amministrazione 
centrale 
dello Stato, è 
soggetto alla difesa 
necessaria dell'avvocatura erariale, di 
talché 
eventuali 
contratti 
di 
patrocinio stipulati 
con avvocati 
di 
libero foro sono radicalmente 
nulli, per 
contrasto con norma imperativa, ed ai 
professionisti, ai 
sensi 
dell'art. 
2231 
c.c., 
non 
è 
data 
alcuna 
azione 
per 
il 
pagamento 
delle 
prestazioni 
rese”; 
t.a.r. 
Calabria 
Catanzaro, sez. I, 1 marzo 2006, n. 236: 
“Il 
Commissario Delegato per 
l'emergenza ambientale 
nel 
territorio 
della 
Regione 
Calabria, 
benché 
costituito 
presso 
l'Ufficio 
di 
Presidenza 
della 
Regione 
Calabria, 

rASSeGnA 
AVVoCAturA 
DeLLo 
StAto -n. 1/2021 


un 
discorso 
a 
parte 
va 
sviluppato 
per 
il 
Sindaco 
quale 
ufficiale 
di 
Governo: 
infatti, se 
è 
vero che 
in quelle 
ipotesi 
il 
sindaco agisce 
con poteri 
dello 
Stato a 
lui 
delegati 
ex 
lege, resta 
ferma 
la 
sua 
autonomia 
istituzionale 
e 
strutturale, 
così 
che 
-da 
un lato -deve 
ritenersi 
autorizzato ad avvalersi 
del 
patrocinio 
obbligatorio 
dell’Avvocatura 
dello 
Stato 
(altrimenti 
non 
utilizzabile 
perché 
le 
amministrazioni 
locali 
e 
gli 
enti 
da 
queste 
controllate 
sono escluse 
da 
quella 
possibilità, 
riservata 
dalla 
l. 
103/1979 
solo 
alle 
regioni 
ed 
ai 
suoi 
enti, salvo che 
per i 
comuni 
della 
regione 
autonoma 
trentino-Alto Adige, in 
forza 
di 
espressa 
disposizione 
delle 
disposizioni 
statutarie 
(64)) 
ma 
-dall’altro 
lato 
-facoltizzato 
anche 
a 
difendersi 
direttamente, 
a 
mezzo 
del 
proprio 
ufficio 
legale 
o di 
avvocati 
privati, previa 
intesa 
con l’Avvocatura 
ed adozione 
di 
apposita 
deliberazione: 
in proposito, l’orientamento della 
giurisprudenza 
non è 
univoco (65) e 
la 
soluzione 
prospettata 
deriva 
da 
una 
prassi 
comportamentale 


ha veste 
di 
organo straordinario della Presidenza del 
Consiglio dei 
ministri 
(Dipartimento della Protezione 
Civile) di 
cui 
si 
avvale 
il 
competente 
apparato statale 
per 
lo svolgimento dei 
compiti 
attribuiti 
dalla 
legge 
n. 
225 
del 
1992 
in 
materia 
di 
protezione 
civile. 
Ne 
consegue 
che 
trovano 
piena 
applicazione 
le 
norme 
del 
R.D. 
30 
ottobre 
1933, 
n. 
1611, 
nonché 
delle 
altre 
leggi 
in 
materia 
di 
rappresentanza 
e 
difesa in giudizio dello Stato, riguardanti 
il 
patrocinio dello Stato e 
la notificazione 
degli 
atti 
alle 
amministrazioni 
statali”. 


(64) D.p.r. 1 febbraio 1973, n. 49 (Norme 
di 
attuazione 
dello statuto speciale 
per 
il 
Trentino-alto 
adige), art. 41, come 
sostituito dal 
d.lgs. 106/2004: 
«La regione, le 
province, i 
comuni 
e 
gli 
altri 
enti 
locali 
possono avvalersi del patrocinio legale dell'avvocatura dello Stato». 
(65) Cass. civ. [ord.], sez. I, 13 febbraio 2020, n. 3660: 
“Il 
ricorso contro il 
provvedimento del 
sindaco 
che 
dispone 
il 
trattamento 
sanitario 
obbligatorio 
dev'essere 
promosso 
nei 
confronti 
del 
sindaco 
quale 
ufficiale 
di 
governo, cioè 
organo diretto dello stato, e 
non quale 
rappresentante 
del 
comune, ente 
estraneo alla procedura, sicché 
la sua evocazione 
in giudizio in quest'ultima veste 
determina un vizio 
relativo non solo alla notificazione 
del 
ricorso, ma all'editio actionis, cioè 
al 
contenuto dell'atto introduttivo, 
che 
è 
causa 
della 
nullità 
ex 
art. 
164, 
4° 
comma, 
c.p.c., 
sanabile 
ai 
sensi 
del 
successivo 
5° 
comma 
mediante 
la 
rinnovazione 
dell'atto 
da 
notificarsi 
presso 
l'avvocatura 
generale 
dello 
Stato”; 
Cons. 
Stato, 
sez. VI, 28 giugno 2010, n. 4135: 
“L'atto emesso dal 
sindaco quale 
ufficiale 
di 
governo rappresenta 
una fattispecie 
di 
imputazione 
giuridica allo stato degli 
effetti 
di 
provvedimenti 
adottati 
da un organo 
del 
comune, 
pur 
restando 
detto 
organo 
incardinato 
nel 
complesso 
organizzativo 
dell'ente 
locale; 
in 
caso 
di 
impugnativa 
dei 
provvedimenti 
in 
questione, 
pertanto, 
la 
notifica 
del 
ricorso 
è 
correttamente 
effettuata 
presso la casa comunale, e 
non presso l'avvocatura dello stato, le 
cui 
funzioni 
di 
rappresentanza, ex 
art. 1 t.u. 30 ottobre 
1933 n. 1611 si 
riferiscono alle 
amministrazioni 
dello stato in senso proprio e 
non 
all'esercizio di 
funzioni 
statali 
da parte 
di 
organi 
di 
altri 
enti”; 
t.a.r. Abruzzo, 8 settembre 
2011, n. 443: 
“anche 
se 
l'ordinanza contingibile 
ed urgente 
viene 
emessa dal 
sindaco quale 
ufficiale 
del 
governo si 
tratta 
pur 
sempre 
di 
atto 
imputabile 
al 
comune, 
del 
quale 
l'autorità 
emanante 
è 
organo; 
per 
tale 
ragione 
la legittimazione 
a resistere 
spetta al 
comune 
ed il 
ricorso giurisdizionale 
deve 
essere 
notificato presso 
la 
sede 
del 
comune 
e 
non 
presso 
l'avvocatura 
dello 
Stato”; 
t.a.r. 
Lazio 
roma, 
sez. 
II 
ter, 
11 
luglio 
2005, 
n. 
5607: 
“La 
notificazione 
dell'impugnazione 
di 
atti 
adottati 
dall'amministrazione 
comunale 
deve 
essere 
effettuata 
al 
sindaco 
presso 
la 
sede 
del 
comune, 
anziché 
presso 
l'avvocatura 
dello 
Stato, 
poiché 
nemmeno 
l'esercizio da parte 
del 
sindaco, organo di 
vertice 
di 
un ente 
locale 
territoriale, di 
funzioni 
di 
ufficiale 
di 
governo è 
sufficiente 
perché 
risultino applicabili 
le 
norme 
di 
cui 
al 
R.D. n. 1611/1933 (sulla rappresentanza 
in 
giudizio 
dello 
Stato) 
e 
successive 
modificazioni, 
che 
attribuiscono 
all'avvocatura 
dello 
Stato 
(ai 
sensi 
dell'art. 11, del 
citato R.D., anche 
domiciliataria ex 
lege) la rappresentanza in giudizio delle 
amministrazioni 
statali 
e 
di 
quelle 
ulteriori 
specificamente 
indicate 
da disposizioni 
di 
legge 
(artt. 43 e 
44 del 
citato R.D.); tra queste 
non rientra, infatti, la figura del 
sindaco nemmeno quale 
ufficiale 
di 
governo”; 
t.a.r. emilia-romagna 
Bologna, sez. II, 25 novembre 
2003, n. 2512: 
“La notificazione 
eseguita 

teMI 
IStItuzIonALI 


prevalsa 
nella 
gestione 
pratica 
del 
contenzioso, 
di 
solito 
con 
la 
contestuale 
costituzione 
anche 
per il 
Ministero cui 
fanno capo quei 
poteri 
e 
che 
vigila 
sul 
loro 
corretto 
esercizio 
(ad 
esempio, 
Ministero 
dell’Interno 
per 
i 
provvedimenti 
in materia di ordine pubblico o per i servizi di anagrafe) (66). 


Alle 
università, dopo la 
riforma 
della 
l. 9 maggio 1989, n. 168 sull'autonomia 
universitaria, 
non 
compete 
più 
la 
qualità 
di 
organi 
dello 
Stato, 
bensì 
quella 
di 
enti 
pubblici 
autonomi 
(67), quindi 
il 
patrocinio dell’Avvocatura 
è 


al 
sindaco presso la sede 
del 
Comune, in luogo dell'avvocatura distrettuale 
dello Stato, è 
considerata 
rituale, in quanto il 
sindaco, nonostante 
rappresenti 
un organo di 
vertice 
di 
un ente 
territoriale 
locale 
ed eserciti 
funzioni 
di 
ufficiale 
di 
Governo, non è 
soggetto all'applicabilità delle 
norme 
relative 
al 
R.D. 


n. 1611 del 
30 ottobre 
1933 -rappresentanza in giudizio dello Stato -e 
successive 
modifiche, che 
conferiscono 
all'avvocatura dello Stato, secondo l'art. 11 R.D. cit., anche 
domiciliataria ex 
lege, il 
potere 
di 
rappresentare 
in giudizio le 
amministrazioni 
statali 
e 
di 
quelle 
ulteriori 
indicate 
puntualmente 
da disposizioni 
di 
legge 
, artt. 43 e 
44 R.D. cit., tra le 
quali 
non è 
contemplata la figura del 
sindaco ufficiale 
di Governo; nel caso di specie, un avvocato di libero foro assisteva in giudizio il sindaco di Forlì”. 
(66) Costituisce, infatti, principio unanimemente 
condiviso che: 
«Nel 
nostro ordinamento l’esercizio 
di 
alcune 
funzioni 
di 
competenza 
statale 
è 
stato 
affidato 
al 
Sindaco, 
che 
le 
esercita 
non 
come 
vertice 
dell’ente 
locale, ma nella diversa qualità di 
ufficiale 
di 
governo» (Cons. St., n. 4899/2015); 
che 
«sussiste 
tra 
il 
Sindaco 
ed 
il 
ministero 
dell'Interno 
una 
"relazione 
interorganica" 
di 
subordinazione 
che 
assoggetta 
il 
primo 
ai 
poteri 
di 
direttiva 
e 
vigilanza 
del 
secondo, 
per 
l'uniformità 
di 
indirizzo 
nella 
tenuta 
dei 
registri 
dello 
stato 
civile 
su 
tutto 
il 
territorio 
nazionale» 
(Cons. 
St., 
n. 
5047/2016); 
che 
i 
giudizi 
in materia 
di 
tenuta 
dei 
registri 
anagrafici 
devono «assicurare 
anche 
l'interesse 
dell'organizzazione 
pubblica alla uniforme 
tenuta dei 
registri 
dello Stato civile 
delle 
persone 
sicché 
al 
suo soddisfacimento 
non 
basta 
la 
legittimazione 
del 
Sindaco 
concretamente 
responsabile 
nel 
Comune 
ove 
la 
richiesta 
di 
annotazione 
abbia luogo essendo ravvisabile 
anche 
uno specifico interesse 
del 
ministro dell'Interno, 
atteso che 
quest'ultimo, per 
ovvie 
ragioni 
(ossia per 
la indubbia polverizzazione 
della figura sindacale 
nell'ambito del 
territorio nazionale), ha interesse 
a dare 
direttive 
e 
a conformare 
l'altrimenti 
spontanea 
iniziativa ed orientamento (variegato) di 
coloro che 
rivestono la carica» (Cass. civ. ord. 22 febbraio 
2018, n. 4382). 
(67) Cons. Stato, sez. VI, 22 aprile 
2020, n. 2556: 
“alle 
Università statali, dopo la riforma della 
L. 
9 
maggio 
1989, 
n. 
168 
sull'autonomia 
universitaria, 
non 
compete 
più 
la 
qualità 
di 
organi 
dello 
Stato, 
bensì 
quella di 
enti 
pubblici 
autonomi; ne 
consegue 
che, ai 
fini 
della rappresentanza e 
difesa da parte 
dell'avvocatura 
dello 
Stato, 
non 
opera 
il 
patrocinio 
obbligatorio 
degli 
artt. 
da 
1 
a 
11 
del 
R.D. 
30 
ottobre 
1933, n. 1611, bensì, in virtù dell'art. 56 del 
R.D. 31 agosto 1933, n. 1592, il 
patrocinio c.d. autorizzato 
(o facoltativo) degli 
art. 43 (come 
modificato dall'art. 11 della L. 3 aprile 
1979, n. 103) e 
45 del 
R.D. 
n. 
1611 
del 
1933, 
con 
i 
limitati 
effetti 
di 
una 
tale 
forma 
di 
assistenza 
legale, 
e 
segnatamente: 
i) 
esclusione 
della necessità del 
mandato e 
facoltà, salvo i 
casi 
di 
conflitto, di 
non avvalersi 
dell'avvocatura dello 
Stato con apposita e 
motivata delibera; ii) inapplicabilità del 
foro dello Stato (art. 25 cod. proc. civ.) e 
della domiciliazione 
presso l'avvocatura dello Stato ai 
fini 
della notificazione 
di 
atti 
e 
provvedimenti 
giudiziali 
(art. 144 cod. proc. civ.), previsti 
per 
le 
sole 
amministrazioni 
dello Stato”; 
t.a.r. Lazio roma, 
sez. 
III, 
1 
marzo 
2021, 
n. 
2470: 
“È 
inammissibile 
per 
inesistenza 
della 
notifica 
un 
ricorso 
all'Università 
in quanto effettuata presso l'avvocatura Generale 
dello Stato. Dopo la riforma introdotta dalla legge 
n. 168/1989, le 
Università, non possono essere 
qualificate 
come 
organi 
dello Stato, dovendo essere 
inquadrate 
nella categoria degli 
enti 
pubblici 
autonomi, con la conseguenza che 
non opera il 
patrocinio 
obbligatorio dell'avvocatura dello Stato, disciplinato dagli 
artt. da 1 a 11 del 
R.D. n. 1611/1933, bensì, 
in virtù dell'art. 56 del 
R.D. n. 1592/1933, il 
patrocinio facoltativo o autorizzato regolato dagli 
artt. 43 
e 
45 
del 
R.D. 
n. 
1611/1933, 
con 
i 
limitati 
effetti 
previsti 
per 
tale 
forma 
di 
rappresentanza, 
ovvero: 
esclusione 
della necessità del 
mandato e 
facoltà, salvo i 
casi 
di 
conflitto, di 
non avvalersi 
dell'avvocatura 
dello Stato con apposita e 
motivata delibera; inapplicabilità delle 
disposizioni 
sul 
foro erariale 
e 
sulla 
domiciliazione presso l'avvocatura ai fini della notificazione di atti e provvedimenti giudiziali”. 

rASSeGnA 
AVVoCAturA 
DeLLo 
StAto -n. 1/2021 


del 
tipo facoltativo 
(68) e 
non si 
applicano le 
disposizioni 
di 
cui 
all’art. 11 r.d. 
1611 (69); 
è 
soggetto al 
regime 
autorizzato 
una 
volta 
esercitata 
la 
facoltà, con 
conseguente 
assunzione 
in 
via 
organica 
ed 
esclusiva 
del 
patrocinio 
ai 
sensi 
dell’art. 43, anche 
qualora 
l’università 
sia 
dotata 
di 
un ufficio legale 
interno 
(circostanza, questa, che 
non autorizza 
alcuna 
deroga 
alla 
detta 
disciplina, secondo 
recente giurisprudenza della Cassazione (70)). 


Lo 
stesso 
dicasi 
per 
il 
Consiglio 
Superiore 
della 
Magistratura 
(71), 
per 
l’AnAS 
(72) e 
per le 
Agenzie 
fiscali, autorizzate 
ad avvalersi 
del 
patrocinio 
dell’Avvocatura dalla legge istitutiva (73). 


(68) Secondo Cass., 5 ottobre 
2018, n. 24545. Lo stesso regime 
opera 
per le 
Aziende 
ospedaliere 
universitarie. 
(69) 
Cons. 
Stato, 
sez. 
VI, 
22 
aprile 
2020, 
n. 
2556: 
“Nell'ambito 
di 
controversie 
contro 
le 
Università 
Statali, se 
il 
ricorso risulta erroneamente 
notificato presso l'avvocatura Generale 
dello Stato che, tuttavia, 
non ne 
ha la rappresentanza legale, non sussistono i 
presupposti 
per 
accordare 
il 
beneficio della 
rimessione 
in 
termini, 
in 
quanto 
l'art. 
37 
del 
D.Lgs. 
n. 
104/2010, 
risolvendosi 
in 
una 
deroga 
al 
principio 
fondamentale 
di 
perentorietà dei 
termini 
processuali, va considerato norma di 
stretta interpretazione”. 
(70) Così 
Cass. civ., sez. lavoro, 12 maggio 2021, n. 12642: 
“6.1 I richiamati 
principi 
non subiscono 
deroghe 
qualora, 
come 
nella 
fattispecie, 
l'Università, 
esercitando 
il 
potere 
di 
autonomia 
statutaria 
previsto dall'art. 33 Cost. e 
dalla legge 
n. 168/1989, si 
doti 
di 
un'avvocatura interna, perché 
anche 
in 
tal 
caso 
non 
vengono 
meno 
gli 
interessi 
pubblici 
che 
il 
legislatore 
ha 
apprezzato 
nel 
dettare 
la 
disciplina 
del 
patrocinio autorizzato. Infatti, le 
ragioni 
per 
le 
quali 
enti 
diversi 
dallo Stato sono tendenzialmente 
obbligati 
ad 
avvalersi 
dell'avvocatura 
non 
si 
esauriscono 
nella 
sola 
necessità 
di 
evitare 
inutile 
dispendio 
di 
denaro pubblico, giacché 
la difesa unitaria persegue 
anche 
l'obiettivo di 
tutelare, ove 
non emerga 
un 
evidente 
conflitto, 
l'interesse 
del 
singolo 
ente 
in 
modo 
armonico 
rispetto 
alle 
esigenze 
pubbliche 
perseguite 
dallo Stato e 
dalla P.a. nel 
suo complesso. Va, quindi, escluso che 
l'Università, seppure 
in condizione 
di 
avvalersi 
di 
dipendenti 
autorizzati 
all'esercizio della professione 
legale, debba esplicitare 
le 
ragioni 
per 
le 
quali 
ritenga opportuno affidare 
la difesa all'avvocatura, perché 
il 
potere 
di 
rappresentanza 
è 
conferito 
a 
quest'ultima 
dalla 
legge 
e 
la 
delibera 
motivata 
è 
richiesta 
solo 
qualora 
l'ente 
ritenga 
di dovere derogare al regime, per così dire, ordinario”. 
(71) Cass. civ., Sez. unite, 19 dicembre 
2012, n. 23464: 
“Il 
Consiglio Superiore 
della magistratura 
non è 
un'amministrazione 
dello Stato in senso stretto, trattandosi 
dell'organo di 
autogoverno di 
un 
ordine 
autonomo 
e 
indipendente, 
nonché 
del 
potere 
dello 
Stato 
investito 
delle 
funzioni 
di 
cui 
all'art. 
105 
Cost., 
sicché 
esso 
può 
ricorrere, 
per 
il 
patrocinio 
difensivo, 
al 
libero 
foro, 
non 
essendo 
ciò 
incompatibile 
con l'ordinario sistema della difesa in giudizio della P.a., affidata all'avvocatura dello Stato dall'art. 5 
del 
r.d. 
n. 
1611 
del 
1933. 
La 
facoltà 
del 
Consiglio 
Superiore 
della 
magistratura 
di 
ricorrere 
al 
foro 
libero senza attivare 
la complessa procedura di 
deroga prevista dall'art. 5 citato consente, inoltre, di 
evitare 
che, nei 
giudizi 
in cui 
sia parte 
anche 
il 
ministro della Giustizia (come 
quello di 
specie), l'avvocatura 
dello Stato debba rappresentare entrambe le parti”. 
(72) Cass. civ., sez. lavoro, 6 novembre 
2018, n. 28255: 
“Le 
particolari 
disposizioni 
in materia 
di 
foro erariale 
(art. 25 c.p.c. e 
artt. 6 e 
10 del 
r.d. n. 1611 del 
1933) e 
di 
notifica degli 
atti 
introduttivi 
del 
giudizio presso gli 
uffici 
periferici 
dell'avvocatura dello Stato (art. 11 del 
cit. r.d.) si 
applicano alle 
sole 
controversie 
nelle 
quali 
sia parte 
un'amministrazione 
dello Stato; dette 
disposizioni 
non sono pertanto 
estensibili 
alle 
controversie 
nelle 
quali 
siano parte 
altri 
enti 
che, pur 
rappresentati 
e 
difesi 
in giudizio 
dell'avvocatura, 
abbiano 
soggettività 
giuridica 
formalmente 
distinta 
dallo 
Stato. 
(Fattispecie 
relativa all'aNaS che, trasformata con d.lgs. n. 143 del 
1994 in Ente 
nazionale 
per 
le 
strade, ente 
pubblico 
economico, 
con 
d.l. 
n. 
138 
del 
2002, 
conv. 
con 
modif. 
in 
l. 
n. 
178 
del 
2002, 
ha 
perso 
la 
connotazione 
di amministrazione statale)”. 
(73) 
Art. 
72 
d.lgs. 
30 
luglio 
1999, 
n. 
300: 
“Le 
agenzie 
fiscali 
possono 
avvalersi 
del 
patrocinio 
dell'avvocatura dello Stato, ai 
sensi 
dell'articolo 43 del 
testo unico approvato con regio decreto 30 ottobre 
1933, n. 1611, e 
successive 
modificazioni”; 
in ossequio a 
questa 
disposizione, tutte 
le 
Agenzie 
fi

teMI 
IStItuzIonALI 


Il 
patrocinio 
facoltativo, 
ai 
sensi 
dell’art. 
43 
r.d. 
1611/1933, 
è 
esteso 
anche 
agli 
organismi 
di 
altre 
nazioni 
e 
a 
quelli 
internazionali, 
secondo 
il 
d.p.r. 
173/1981 (74), nonché alle regioni. 


Per 
queste 
ultime 
vige 
un 
regime 
particolare, 
inteso 
a 
salvaguardare 
la 
loro 
autonomia 
costituzionale, 
basato 
sul 
combinato 
disposto 
dell'art. 
107 
d.p.r. 
24 
luglio 
1977, 
n. 
616, 
e 
dell’art. 
10 
l. 
103/1979, 
in 
forza 
dei 
quali 
il 
patrocinio 
facoltativo dell'avvocatura 
dello Stato in favore 
delle 
regioni 
si 
inquadra 
nel-
l'ambito 
del 
regime 
delle 
amministrazioni 
statali 
(cioè 
patrocinio 
obbligatorio, 
senza 
necessità 
di 
mandato) ma 
sempre 
con la 
necessità 
di 
assumere 
una 
deliberazione 
generale 
di 
attribuzione 
o revoca 
di 
tale 
attribuzione 
(75); 
stesso 
regime vale anche per le regioni a statuto speciale (76). 


scali 
-entrate 
e 
riscossione, Dogane 
e 
monopoli, Demanio -hanno deliberato l’affidamento del 
patrocinio 
all’Avvocatura 
dello Stato e 
stipulato con la 
stessa 
specifici 
Protocolli 
d’intesa, come 
specificato 
nel testo. 


(74) 
D.p.r. 
17 
febbraio 
1981, 
n. 
173 
(Conferimento 
all'avvocatura 
dello 
Stato 
della 
rappresentanza 
e 
della difesa in giudizio degli 
organismi 
comunitari): 
“L'avvocatura dello Stato è 
autorizzata ad assumere 
la rappresentanza e 
la difesa nei 
giudizi 
attivi 
e 
passivi 
davanti 
alle 
autorità giudiziarie, i 
collegi 
arbitrali, le 
giurisdizioni 
amministrative 
e 
speciali 
della Comunità europea del 
carbone 
e 
dell'acciaio, 
della Comunità economica europea, della Comunità europea per 
l'energia atomica e 
della Banca europea 
per 
gli 
investimenti”; 
Cass. civ. [ord.], Sez. unite, 2 dicembre 
2013, n. 26935: 
“La Comunità europea 
che 
sia parte 
in una lite 
può giovarsi 
dell'assistenza e 
difesa di 
un avvocato del 
libero foro, non 
avendo l'obbligo, in quanto ente 
sovranazionale, di 
avvalersi 
dell'avvocatura dello Stato, significativamente 
rivolgendosi 
il 
tenore 
letterale 
del 
d.P.R. 
17 
febbraio 
1981, 
n. 
173, 
non 
alla 
Comunità 
o 
alla 
Commissione, 
bensì 
all'avvocatura 
stessa, 
la 
quale 
può 
assumere 
il 
patrocinio 
legale 
di 
un 
ente 
soltanto 
in presenza di un'espressa disposizione legislativa al riguardo”. 
(75) Cons. Stato, sez. VI, 4 dicembre 
1984, n. 685: 
“L'art. 107, d.p.r. 24 luglio 1977, n. 616, per 
il 
quale 
il 
patrocinio 
facoltativo 
dell'avvocatura 
dello 
stato 
in 
favore 
delle 
regioni 
si 
inquadra 
nell'ambito 
del 
regime 
delle 
amministrazioni 
non 
statali, 
deve 
ritenersi 
integrato 
dalla 
l. 
3 
aprile 
1979, 
n. 
103 
(contenente 
modifiche 
all'ordinamento dell'avvocatura dello stato), la quale 
ha assunto tale 
patrocinio nel-
l'ambito del 
regime 
delle 
amministrazioni 
statali; pertanto, il 
jus 
postulandi 
dell'avvocatura dello stato 
in favore 
delle 
regioni 
deriva direttamente 
dalla legge, sicché 
il 
suo esercizio non richiede 
che 
l'affidamento 
del 
patrocinio si 
esteriorizzi 
con il 
conferimento di 
procura formale”; 
Cons. Stato, sez. IV, 8 ottobre 
1985, n. 414: 
“Pur 
dopo la l. 3 aprile 
1979, n. 103, in forza dell'art. 107, d. p. r. 24 luglio 1977, 
n. 616, che 
include 
le 
regioni 
a statuto ordinario fra gli 
enti 
dei 
quali 
l'avvocatura dello stato può assumere 
la rappresentanza e 
la difesa secondo il 
regime 
di 
cui 
agli 
art. 43, 45 e 
47, t. u. 30 ottobre 
1933, 
n. 1611, va escluso che 
l'avvocatura dello stato abbia bisogno di 
uno specifico mandato per 
la proposizione 
dell'appello in difesa di 
una regione 
a statuto ordinario”; 
Cons. Stato, sez. V, 20 ottobre 
2008, 
n. 5122: 
“Si 
deve 
ritenere 
che 
qualora la Regione 
scelga di 
avvalersi, per 
la difesa in giudizio, non del 
proprio servizio legale 
ma dell'avvocatura dello Stato, trovi 
applicazione 
la normativa statale 
sul 
patrocinio 
obbligatorio, quindi 
l'art. 1, comma 2 del 
R.D. n. 1611/1933 (secondo cui 
non è 
richiesto per 
lo "ius 
postulandi" 
dell'avvocato dello Stato, il 
rilascio del 
mandato), e 
l'art. 12 della L. n. 103/1979 
(secondo cui 
l'avvocato dello Stato non è 
onerato della produzione 
del 
provvedimento del 
competente 
organo regionale di autorizzazione del legale rappresentante ad agire o resistere in giudizio)”. 
(76) 
t.a.r. 
Sicilia 
Palermo, 
sez. 
III, 
18 
aprile 
2006, 
n. 
802: 
“Le 
funzioni 
dell'avvocatura 
dello 
Stato 
nei 
riguardi 
delle 
amministrazioni 
statali 
sono estese 
all'amministrazione 
regionale 
siciliana, con conseguente 
prevista applicazione 
del 
Testo unico e 
del 
regolamento sulla rappresentanza e 
difesa in giudizio 
dello 
Stato, 
approvati 
con 
il 
R.D. 
30 
ottobre 
1933, 
n. 
1611 
e 
il 
R.D. 
30 
ottobre 
1933, 
n. 
1612, 
nonché 
degli 
artt. 25, 144 c.p.c. (cfr., Corte 
Cost. 27 luglio 1989, n. 455; Cons. Giust. amm. Sic., 13 
aprile 
1990, n. 73; T.a.R. Sicilia, Palermo, sez. III, 18 novembre 
2005, n. 5210)”; 
t.a.r. Friuli-V. Giulia 

rASSeGnA 
AVVoCAturA 
DeLLo 
StAto -n. 1/2021 


Per le 
regioni, quindi, si 
può affermare 
che 
coesistano due 
concorrenti 
sistemi di difesa. 


Il 
primo 
prevede 
la 
possibilità 
per 
esse 
di 
avvalersi 
in 
via 
organica 
ed 
esclusiva 
del 
patrocinio 
dell'Avvocatura, 
previa 
adozione 
di 
una 
deliberazione 
del 
Consiglio regionale 
(art. 10 della 
legge 
103/79). Il 
secondo consente 
alle 
regioni 
di 
chiedere 
la 
rappresentanza 
e 
la 
difesa 
in 
giudizio 
all'Avvocatura 
solo 
saltuariamente, 
in 
relazione 
a 
singoli 
casi, 
senza 
necessità 
di 
una 
delibera 
di 
carattere 
generale, ai 
sensi 
dell'art. 107 d.p.r. 616/77, che 
prevede 
la 
facoltà 
per le 
regioni 
di 
avvalersi 
degli 
"organi 
tecnici 
dello Stato". Per le 
regioni 
a 
statuto speciale 
sono intervenute 
nel 
tempo modifiche 
alle 
disposizioni 
statutarie 
che 
prevedevano 
l’obbligatorietà 
del 
patrocinio 
dell’Avvocatura 
dello 
Stato, con l’introduzione 
di 
un regime 
di 
patrocinio facoltativo 
che 
oggi 
è 
la 
regola, salvo che 
per la 
regione 
Siciliana 
che 
ha 
conservato il 
patrocinio obbligatorio 
dell’Avvocatura (77). 


Il 
patrocinio dell’Avvocatura 
può essere 
autorizzato per legge 
o altra 
disposizione 
normativa, 
anche 
secondaria, 
ovvero 
può 
essere 
chiesto 
dal 
soggetto 
giuridico 
che 
si 
trovi 
nelle 
condizioni 
previste 
dall’art. 
43 
r.d. 
1611 
(come 
modificato 
dalla 
l. 
103), 
alla 
Presidenza 
del 
Consiglio 
che 
lo 
autorizza 
con 
apposito 
d.p.c.m. 


un 
esempio 
della 
prima 
modalità 
di 
autorizzazione 
è 
nel 
d.lgs. 
n. 
367/1996 
di 
riforma 
degli 
enti 
lirici, 
trasformati 
in 
fondazioni 
di 
diritto 
privato, 
ai 
sensi 
dell’art. 
17, 
in 
combinato 
disposto 
con 
l’art. 
1, 
comma 
3, 
d.l. 
345/2000, 
conv. in l. 6/2001 (78); 
o nell’art. 10, comma 
7-bis, d.l. 210/2015, conv. in l. 
21/2016 
(79); 
o 
nell’art. 
7-vicies 
quater, 
comma 
4, 
d.l. 
7/2005, 
conv. 
in 
l. 
43/2005 (80); 
o nell’art. 1, comma 
8-bis, d.l. 193/2016, conv. in l. 225/2016 


trieste, sez. I, 3 febbraio 2020, n. 65: 
“La notificazione 
dei 
ricorsi 
introduttivi, nei 
confronti 
della Regione 
autonoma Friuli 
Venezia Giulia, va necessariamente 
eseguita presso la competente 
sede 
dell'avvocatura 
distrettuale 
dello Stato, domiciliataria ex 
lege 
anche 
dell'ente 
Regione, e 
non presso la sede 
della stessa Regione o presso uffici della medesima, come l'Ufficio legale”. 


(77) 
Cass. 
civ., 
sez. 
I, 
5 
giugno 
2006, 
n. 
13197: 
“Nelle 
ipotesi 
di 
patrocinio 
ex 
lege 
dell'avvocatura 
dello stato, inclusa quella di 
patrocinio in favore 
dell'amministrazione 
regionale 
siciliana ai 
sensi 
del-
l'art. 
1 
d.leg. 
2 
marzo 
1948 
n. 
142, 
il 
destinatario 
della 
notifica 
va 
individuato 
nella 
predetta 
avvocatura, 
ai 
sensi 
dell'art. 11 r.d. 30 ottobre 
1933 n. 1611, senza che 
possa opporsi 
una distinzione 
tra i 
vari 
atti 
e senza che rilevi l'eventuale contumacia in giudizio dell'amministrazione”. 
(78) Art. 17, comma 
3, d.lgs. 367/1996: 
“Le 
fondazioni 
conservano i 
diritti, le 
attribuzioni 
e 
le 
situazioni 
giuridiche 
dei 
quali 
gli 
enti 
originari 
erano titolari”; 
art. 1, comma 
3, l. 6/2001: 
“…Essa può 
continuare ad avvalersi del patrocinio dell'avvocatura dello Stato”. 
(79) “La rappresentanza, il 
patrocinio e 
l'assistenza in giudizio dell'Ente 
strumentale 
alla Croce 
Rossa 
italiana, 
di 
cui 
all'articolo 
2 
del 
decreto 
legislativo 
28 
settembre 
2012, 
n. 
178, 
continuano 
a 
essere 
assicurati 
dall'avvocatura dello Stato ai 
sensi 
dell'articolo 43 del 
testo unico di 
cui 
al 
regio decreto 30 
ottobre 1933, n. 1611”. 
(80) 
“L'Istituto poligrafico e 
Zecca dello Stato Spa può continuare 
ad avvalersi 
del 
patrocinio 
dell'avvocatura dello Stato, ai 
sensi 
del 
titolo I del 
testo unico di 
cui 
al 
regio decreto 30 ottobre 
1933, 
n. 1611, e 
con applicazione 
dell'articolo 417-bis, commi 
primo e 
secondo, del 
codice 
di 
procedura civile”. 

teMI 
IStItuzIonALI 


(81); 
un esempio della 
seconda 
modalità 
è 
-fra 
i 
tanti 
-nei 
d.p.c.m. 4 gennaio 
2019 
per 
l’autorizzazione 
all’Avvocatura 
dello 
Stato 
ad 
assumere 
il 
patrocinio 
della 
Banca 
centrale 
europea-BCe 
e 
del 
15 ottobre 
2018 per il 
patrocinio di 
Formez P.A. (82). 


In tutti 
i 
casi 
di 
patrocinio facoltativo, una 
volta 
esercitata 
la 
facoltà 
di 
scelta 
a 
favore 
dell’Avvocatura 
dello 
Stato, 
scattano 
tutte 
le 
caratteristiche 
del 
patrocinio obbligatorio, sia 
per l’esclusività 
della 
prestazione 
(salvo che 
per i 
casi 
di 
conflitto di 
interessi) (83) sia 
per la 
notifica 
degli 
atti 
(che 
va 
effettuata 
presso 
gli 
uffici 
dell’Avvocatura 
dello 
Stato 
territorialmente 
competente) 
(84), 


(81) “Gli 
enti 
vigilati 
dal 
ministero della salute 
sono autorizzati 
ad avvalersi 
del 
patrocinio del-
l'avvocatura dello Stato ai 
sensi 
dell'articolo 43 del 
testo unico di 
cui 
al 
regio decreto 30 ottobre 
1933, 
n. 1611”. 
(82) 
un 
elenco 
delle 
amministrazioni 
difese 
dall’Avvocatura 
si 
trova 
nell’intranet 
del 
sito 
ufficiale 
(www.avvocaturastato.it), voce 
Documentazione 
-Patrocinio. Anche 
la 
nuova 
società 
che 
assumerà 
il 
servizio della 
compagnia 
aerea 
di 
bandiera 
Alitalia 
è 
stata 
autorizzata 
ad avvalersi 
del 
patrocinio del-
l’Avvocatura 
dello Stato dall’art. 79, comma 
5-bis, d.l. 18/2020, come 
inserito dal 
d.l. 34/2020 (“5-bis. 
La società di 
cui 
al 
comma 3 può avvalersi 
del 
patrocinio dell'avvocatura dello Stato, ai 
sensi 
dell'articolo 
43 del 
testo unico delle 
leggi 
e 
delle 
norme 
giuridiche 
sulla rappresentanza e 
difesa in giudizio 
dello Stato e 
sull'ordinamento dell'avvocatura dello Stato, di 
cui 
al 
regio decreto 30 ottobre 
1933, n. 
1611, e 
successive 
modificazioni”), sempre 
che 
la 
Commissione 
europea 
non vi 
ravvisi 
un aiuto di 
Stato 
non 
consentito 
(giusta 
la 
precisazione 
introdotta 
per 
l’intera 
operazione 
nel 
precedente 
comma 
3: 
“L'esercizio 
dell'attività è subordinato alle valutazioni della Commissione europea”). 
(83) Cass. civ. [ord.], sez. II, 3 settembre 
2018, n. 21557: 
“In tema di 
rappresentanza e 
difesa facoltativa 
degli 
enti 
pubblici 
da parte 
dell'avvocatura dello Stato, non è 
necessario che, in ordine 
ai 
singoli 
giudizi, 
l'ente 
rilasci 
uno 
specifico 
mandato 
all'avvocatura 
medesima, 
né 
che 
questa 
produca 
il 
provvedimento del 
competente 
organo dell'ente 
recante 
l'autorizzazione 
del 
legale 
rappresentante 
ad 
agire 
od a resistere 
in causa, escludendo gli 
artt. 1 e 
45 r.d. n. 1611 del 
1933 che 
l'avvocatura necessiti 
di 
alcuna 
forma 
di 
mandato 
ed 
essendo 
eventuali 
divergenze 
tra 
organi 
sulla 
opportunità 
di 
promuovere 
la 
lite 
o 
di 
resistere 
a 
lite 
da 
altri 
proposta, 
impedite 
o 
composte 
"intra 
moenia" 
dalla 
previsione 
dell'art. 
12 l. n. 103 del 
1979. Ne 
consegue 
che 
la stessa assunzione 
di 
iniziativa giudiziaria, pure 
nella forma 
dell'impugnazione, ad opera dell'avvocatura dello Stato con riguardo a tali 
organi 
od enti, comporta 
la presunzione 
"iuris 
ed de 
iure" 
di 
esistenza di 
un valido consenso e 
di 
piena validità dell'atto processuale 
compiuto 
e 
lascia 
nell'ambito 
del 
rapporto 
interno 
le 
questioni 
attinenti 
alla 
inosservanza 
di 
regole 
di 
formazione 
del 
consenso 
medesimo”; 
Cass. 
civ., 
Sez. 
unite, 
16 
ottobre 
1989, 
n. 
4145: 
“a 
seguito 
delle 
modifiche 
apportate 
con l. 3 aprile 
1979, n. 103 all'art. 43, r. d. 30 ottobre 
1933, n. 1611, deve 
in via 
generale 
ritenersi 
che 
per 
le 
amministrazioni 
pubbliche 
non statali 
e 
per 
gli 
enti 
pubblici 
statali 
e 
regionali 
autorizzati 
ad 
avvalersi 
del 
patrocinio 
dell'avvocatura 
dello 
stato, 
questa 
esercita 
la 
rappresentanza 
in 
giudizio 
in 
via 
organica 
ed 
esclusiva, 
salvo 
il 
caso 
di 
conflitto 
di 
interessi 
con 
lo 
Stato; 
ne 
deriva che, una volta intervenuti 
i 
provvedimenti 
autorizzativi 
di 
carattere 
generale, l'assunzione 
della 
rappresentanza 
e 
difesa 
di 
tali 
enti 
da 
parte 
dell'avvocatura 
non 
richiede 
specifiche 
investiture 
per 
i 
singoli 
giudizi, essendo invece 
necessari 
particolari 
provvedimenti 
per 
l'esclusione 
di 
una tale 
rappresentanza 
e 
l'affidamento della stessa a privati 
professionisti”; 
Cons. Stato, sez. VI, 17 luglio 1986, n. 
534: 
“ai 
sensi 
della l. 3 aprile 
1979, n. 103, che 
ha recato integrazioni 
e 
modifiche 
al 
t. u. 30 ottobre 
1933, n. 1611, l'intero sistema del 
patrocinio facoltativo dell'avvocatura dello stato, per 
gli 
enti 
e 
le 
p. 
a. non statali 
ed enti 
sovvenzionati, sottoposti 
a tutela od anche 
alla sola vigilanza dello stato ed autorizzati 
da disposizioni 
di 
legge 
o di 
regolamento ad avvalersi 
del 
patrocinio dell'avvocatura, ha subito 
una 
trasformazione 
profonda, 
divenendo 
patrocinio 
normale, 
per 
derogare 
al 
quale 
occorre 
l'assunzione 
di una deliberazione motivata dell'ente interessato”. 
(84) Cons. Stato, sez. III, 25 marzo 2019, n. 1967: 
“In base 
al 
combinato disposto degli 
artt. 144, 
comma 
1, 
c.p.c. 
e 
11, 
comma 
3, 
R.D. 
30 
ottobre 
1933, 
n. 
1611 
(nel 
testo 
introdotto 
dall'art. 
1, 
L. 
25 

rASSeGnA 
AVVoCAturA 
DeLLo 
StAto -n. 1/2021 


così 
che 
il 
patrocinio diventa 
organico ed esclusivo 
e 
si 
identifica 
anche 
con 
il 
termine 
autorizzato 
(85) per evitare 
equivoci 
derivanti 
dall’uso del 
termine 
facoltativo 
che 
caratterizza 
solo la 
fase 
iniziale 
della 
scelta 
(86); 
la 
esclusività 
del 
patrocinio comporta 
anche 
l’impossibilità 
di 
affiancare 
all’avvocato dello 
Stato altro avvocato privato per una difesa congiunta dell’ente (87). 


marzo 1958, n. 260, espressamente 
richiamato per 
i 
giudizi 
amministrativi 
dall'art. 10 comma 3, L. 3 
aprile 
1979, n. 103), tutti 
gli 
atti 
costitutivi 
di 
una fase 
processuale, proposta nei 
confronti 
di 
amministrazioni 
statali 
e 
di 
enti 
pubblici 
patrocinati 
dall'avvocatura 
dello 
Stato, 
vanno 
notificati, 
a 
pena 
di 
nullità, presso l'avvocatura stessa; in particolare 
la notifica va fatta presso l'ufficio dell'avvocatura nel 
cui 
distretto ha sede 
l'autorità giudiziaria adita ovvero, per 
quanto riguarda il 
giudizio da instaurare 
innanzi 
al 
Consiglio di 
Stato, presso l'avvocatura generale 
dello Stato, con sede 
a Roma”; 
Cons. Stato, 
sez. VI, 9 luglio 2019, n. 4815: 
“Nell'ipotesi 
in cui 
la Regione 
abbia deciso di 
avvalersi 
del 
patrocinio 
legale 
dell'avvocatura dello Stato, il 
ricorso avverso gli 
atti 
dalla stessa adottati, in attuazione 
dell'art. 
10 della Legge 
n. 103/1979, va notificato al 
presidente 
della Giunta regionale 
presso l'avvocatura distrettuale 
dello Stato”. 


(85) Cass. civ., 24 settembre 
1982, n. 4934: 
“Nel 
sistema risultante 
a seguito delle 
modificazioni 
apportate 
dalla l. 3 aprile 
1979, n. 103, al 
r.d. 30 ottobre 
1933, n. 1611 (t. u. sull'ordinamento dell'avvocatura 
dello stato), per 
gli 
enti 
pubblici 
che 
per 
legge 
(o in base 
ad apposito documento) sono autorizzati 
ad 
usufruire 
dell'assistenza 
erariale, 
il 
potere 
di 
rappresentanza 
e 
difesa 
in 
giudizio 
compete 
all'avvocatura 
senza 
che 
si 
richieda 
né 
una 
deliberazione 
dell'ente, 
necessaria, 
invece, 
solo 
per 
escludere 
tale 
potere, né 
il 
conferimento di 
una formale 
procura per 
il 
concreto esercizio dello ius 
postulandi; e 
ciò comporta che 
il 
sindacato del 
giudice 
della causa rimane 
circoscritto alla verifica dei 
presupposti 
normativi 
e 
di 
fatto 
legittimanti 
la 
difesa 
erariale”; 
v. 
anche 
A. 
Mezzotero 
-M.V. 
LuMettI, 
Il 
patrocinio 
erariale autorizzato, in 
Rass. avv. Stato, 2009, II, 7. 
(86) Degno di 
menzione 
è 
il 
protocollo di 
intesa 
stipulato tra 
l’Avvocatura 
dello Stato e 
l’AnAC 
in data 
9 novembre 
2018, con il 
quale 
sono state 
disciplinate 
le 
eventuali 
ipotesi 
di 
conflitto tra 
Amministrazioni 
ed 
enti 
che 
si 
avvalgono 
del 
patrocinio 
erariale 
in 
sede 
di 
applicazione 
dell’art. 
211 
del 
Codice 
dei 
Contratti 
pubblici, disposizione 
che 
attribuisce 
all’AnAC la 
legittimazione 
ad impugnare 
i 
bandi, gli 
altri 
atti 
generali 
e 
i 
provvedimenti 
relativi 
a 
contratti 
di 
rilevante 
impatto, emessi 
da 
qualsiasi 
stazione 
appaltante, qualora 
ritenga 
che 
essi 
violino le 
norme 
in materia 
di 
contratti 
pubblici; 
sul 
punto 
si 
veda 
t.a.r. Lombardia 
Milano, sez. II, 3 febbraio 2020, n. 240: 
“Le 
previsioni 
normative 
contenute 
nell'alveo 
del 
disposto 
legale 
ex 
art. 
211, 
c 
1-bis 
e 
1-ter, 
del 
D.Lgs. 
n. 
50/2016 
conferiscono 
all'a.N.a.C. 
una legittimazione 
straordinaria ed eccezionale 
in ragione 
della funzione 
(vigilanza e 
controllo sugli 
appalti 
pubblici) che 
le 
è 
assegnata dalla legge. La previsione 
di 
cui 
all'art. 211, c. 1-quater, del 
D.Lgs. 
n. 
50/2016 
onera 
la 
stessa 
a.N.a.C. 
di 
individuare 
con 
proprio 
regolamento 
"i 
casi 
o 
le 
tipologie 
di 
provvedimenti 
in relazione 
ai 
quali 
esercita i 
poteri 
di 
cui 
ai 
commi 
1-bis 
e 
1-ter". ogni 
qualvolta l'autorità, 
nel 
rispetto 
delle 
previsioni 
di 
legge 
e 
di 
regolamento, 
eserciterà 
in 
concreto 
quei 
poteri 
di 
azione 
eccezionalmente 
attribuiti 
dovrà 
concretamente 
motivare 
la 
relativa 
decisione. 
Pertanto, 
la 
motivazione 
espressa 
dal 
Consiglio 
dell'a.N.a.C. 
costituisce 
un 
requisito 
necessario 
dell'autorizzazione 
all'esercizio 
del 
potere. Nella prospettiva del 
Consiglio di 
Stato, la delibera autorizzativa risulta necessaria al 
fine 
di 
comprendere 
compiutamente 
la ragioni 
a sostegno dell'atto espressivo della legittimazione 
straordinaria 
ed eccezionale 
conferita all'autorità. Simile 
delibera assume, quindi, precipua rilevanza processuale 
e, 
per 
tali 
ragioni, 
non 
è 
assimilabile 
alla 
deliberazione 
dell'organo 
statale 
competente 
a 
promuovere 
la lite 
che 
attiene, invece, al 
rapporto interno tra l'amministrazione 
e 
l'avvocatura dello 
Stato”. 
(87) 
Cons. 
Stato, 
sez. 
VI, 
9 
febbraio 
2010, 
n. 
647: 
“Il 
mandato 
conferito 
da 
una 
p.a. 
anche 
ad 
un 
avvocato 
del 
libero 
foro, 
senza 
una 
previa, 
motivata 
rinuncia 
alla 
difesa, 
assicurata 
dall'avvocatura 
dello 
stato 
ai 
sensi 
dell'art. 
43 
r.d. 
30 
ottobre 
1933 
n. 
1611 
e 
del 
d.p.c.m. 
25 
giugno 
2004, 
è 
affetto 
da 
nullità 
che 
conseguentemente 
priva 
il 
difensore 
del 
libero 
foro 
dello 
ius 
postulandi; 
tuttavia, 
la 
rilevata 
nullità 
del 
mandato 
e 
del 
conseguente 
esercizio 
dell'attività 
difensiva 
non 
incide 
sulla 
regolare 
costituzione 
del-
l'autorità 
portuale, 
ove 
ritualmente 
avvenuta 
a 
mezzo 
dell'avvocatura 
dello 
stato”. 
t.a.r. 
Calabria 
reggio 

teMI 
IStItuzIonALI 


L’estensione 
al 
patrocinio autorizzato 
delle 
regole 
del 
patrocinio obbligatorio 
non vale, però, né 
per il 
domicilio ex 
lege 
presso gli 
uffici 
dell’Avvocatura 
(con conseguente 
obbligo di 
notifica 
degli 
atti 
presso quel 
domicilio, 
anziché 
presso la 
sede 
dell’ente 
patrocinato) né 
per il 
foro dello Stato, trattandosi 
di 
disposizioni 
speciali 
del 
codice 
di 
procedura 
riservate 
espressamente 
ai 
casi 
di 
chiamata 
in giudizio delle 
amministrazioni 
statali 
e 
non suscettibili 
di applicazione analogica, stante la loro natura di norme eccezionali (88). 


tanto è 
reso evidente 
dall’art. 6 r.d. 1611 e 
dall’art. 25 c.p.c., nella 
loro 
lettera, 
nella 
loro 
ratio 
e 
nell’applicazione 
unanime 
della 
giurisprudenza, 
sulla 
scorta 
delle 
pronunzie 
di 
costituzionalità 
intervenute 
(89); 
sono 
fatti 
salvi 
i 


Calabria, 
sez. 
I, 
25 
marzo 
2009, 
n. 
190: 
“In 
conclusione, 
tornando 
ai 
fatti 
di 
causa, 
il 
mandato 
conferito 
dall'autorità 
Portuale 
di 
Gioia 
Tauro, 
senza 
una 
previa, 
motivata 
rinuncia 
alla 
difesa, 
assicurata 
dal-
l'avvocatura 
dello 
Stato 
ai 
sensi 
dell'art. 
43 
del 
RD 
30 
ottobre 
1933 
n.1611 
e 
del 
dPCm 
del 
25 
giugno 
2004, 
è 
affetto 
da 
nullità 
che 
conseguentemente 
priva 
il 
difensore 
del 
libero 
Foro 
dello 
ius 
postulandi. 
Ciò 
chiarito 
in 
ordine 
all'eccezione 
posta 
dall'avvocatura, 
occorre 
in 
ogni 
caso 
dare 
atto 
che 
la 
rilevata 
nullità 
del 
mandato 
e 
del 
conseguente 
esercizio 
dell'attività 
difensiva 
non 
incide 
sulla 
regolare 
costituzione 
dell'autorità 
Portuale, 
ritualmente 
avvenuta 
a 
mezzo 
dell'avvocatura 
dello 
Stato”. 


(88) Cass. civ. [ord.], sez. VI -3, 2 settembre 
2015, n. 17475: 
“In tema di 
competenza per 
territorio, 
è 
inapplicabile 
il 
foro erariale 
alle 
controversie 
nelle 
quali 
sia parte 
un'agenzia del 
Territorio, in 
ragione 
del 
carattere 
facoltativo 
del 
patrocinio 
dell'avvocatura 
dello 
Stato 
ad 
essa 
riconosciuto.”; 
Cass. 
civ., sez. I, 29 dicembre 
2011, n. 30035: 
“Le 
particolari 
disposizioni 
in materia di 
foro erariale 
(artt. 25 
cod. 
proc. 
civ. 
e 
6, 
10 
r.d. 
30 
ottobre 
1933, 
n. 
1611) 
e 
di 
notifica 
degli 
atti 
introduttivi 
del 
giudizio 
presso 
gli 
uffici 
periferici 
dell'avvocatura dello Stato (art. 11 del 
citato regio decreto) si 
applicano alle 
sole 
controversie 
nelle 
quali 
sia parte 
un'amministrazione 
dello Stato; dette 
disposizioni 
non sono pertanto 
estensibili 
alle 
controversie 
nelle 
quali 
siano parte 
altri 
enti 
che, pur 
rappresentati 
e 
difesi 
in giudizio 
dell'avvocatura, abbiano soggettività giuridica formalmente 
distinta dallo Stato. (Fattispecie 
relativa 
alla Cassa per 
il 
mezzogiorno)”; 
Cass. civ., sez. I, 26 ottobre 
2006, n. 23005: 
“L'agenzia del 
demanio, 
come 
le 
altre 
agenzie 
fiscali 
istituite 
dal 
D.Lgs. 30 luglio 1999, n. 300 (capo secondo del 
titolo quinto) 
e 
divenute 
operative 
a partire 
dal 
1° 
gennaio 2001 (art. 1 D.m. 28 dicembre 
2000), è 
un ente 
dotato di 
personalità giuridica di 
diritto pubblico (art. 61 D. Lgs. cit.) distinto dallo Stato; né 
può essere 
configurata 
quale 
organo 
dello 
Stato 
dotato 
di 
personalità 
giuridica, 
presupponendo 
tale 
configurazione 
che 
l'attività 
dell'ente 
sia 
direttamente 
imputata 
allo 
Stato 
medesimo 
in 
base 
a 
sicure 
indicazioni 
normative, 
qui, invece, del 
tutto mancanti. Pertanto, il 
suo patrocinio da parte 
dell'avvocatura erariale 
ha, coerentemente, 
carattere 
facoltativo 
(art. 
72 
D. 
Lgs. 
n. 
300 
del 
1999) 
e, 
quindi, 
non 
comporta 
alcuna 
deroga 
alle 
ordinarie 
regole 
di 
determinazione 
della 
competenza 
territoriale, 
non 
essendo 
richiamato, 
nella 
disciplina del 
patrocino facoltativo contenuta negli 
artt. 43, 44 e 
45 r.d. n. 1611 del 
1933, l'art. 6 del 
medesimo 
r.d.”; 
Cass. 
civ., 
sez. 
III, 
9 
febbraio 
1994, 
n. 
1329: 
“Le 
disposizioni 
dell'art. 
25 
c.p.c., 
relative 
al 
foro 
erariale, 
si 
riferiscono 
solo 
alle 
controversie 
nelle 
quali 
sia 
parte 
un'amministrazione 
dello 
Stato 
e, salvo diversa e 
specifica previsione 
normativa, non possono essere 
applicate, quindi, alle 
cause 
con 
enti 
pubblici 
non economici 
dotati 
di 
autonoma personalità giuridica, neppure 
se 
amministrativi 
da un 
commissario governativo”. 
(89) Corte 
cost., 22 dicembre 
1964, n. 118: 
“L'art. 25 cod. proc. civ. e 
gli 
artt. 6, 7, 8 e 
10 del 
D.P.R. 30 ottobre 
1933, n. 1611 (T.U.), sulla rappresentanza e 
difesa in giudizio dello Stato e 
sull'ordinamento 
dell'avvocatura dello Stato, non contrastano col 
diritto di 
azione 
e 
di 
difesa garantito dall'art. 
24 Cost., né 
in modo diretto, né 
indirettamente. Infatti, in primo luogo, il 
maggior 
costo del 
giudizio 
non 
può 
esser 
considerato 
tale 
da 
sconsigliare 
chi 
in 
mancanza 
della 
regola 
del 
foro 
dello 
Stato 
la 
avrebbe 
esercitata, la difesa in giudizio delle 
proprie 
posizioni 
soggettive; in secondo luogo, esso ha 
un'adeguata 
giustificazione 
in 
ragioni 
di 
interesse 
generale” 
(si 
vedano 
anche 
le 
sentenze 
n. 
87 
del 
1962, n. 81 del 1963, n. 77 del 1964). 

rASSeGnA 
AVVoCAturA 
DeLLo 
StAto -n. 1/2021 


casi 
per i 
quali 
una 
norma 
di 
legge 
prevede 
diverse 
regole 
processuali 
che 
derogano 
a 
quelle 
del 
foro 
speciale 
(90), 
ma 
deve 
trattarsi 
di 
disposizione 
espressa, dovendosi derogare ad una disciplina di carattere generale (91). 


ovviamente, 
una 
volta 
instaurato 
il 
giudizio, 
le 
regole 
sulla 
notifica 
degli 
atti 
di 
cui 
all’art. 11 r.d. 1611/1933 (e 
art. 144 c.p.c.) trovano piena 
applicazione 
anche per gli enti a patrocinio autorizzato 
(92). 


Dopo 
l’entrata 
in 
vigore 
della 
riforma 
del 
codice 
di 
procedura 
che 
ha 
abolito 
il 
pretore 
(d.lgs. 51/1998), il 
foro dello Stato si 
applica 
alle 
cause 
che 
già 
nella 
competenza 
per 
valore 
dell’ex 
pretore 
sono 
ora 
riservate 
alla 
competenza 
del 
tribunale 
in 
funzione 
monocratica 
(93), 
ferma 
restando 
l’applicazione 
del


(90) 
Cass. 
civ. 
[ord.], 
sez. 
VI 
-1, 
12 
gennaio 
2021, 
n. 
296: 
“In 
materia 
di 
condotte 
discriminatorie, 
l'art. 28, comma 2, del 
d.lgs. n. 150 del 
2011 attribuisce 
la competenza a conoscere 
le 
relative 
controversie 
al 
tribunale 
del 
luogo 
in 
cui 
ha 
domicilio 
il 
ricorrente, 
prevedendo 
un 
foro 
funzionale 
ed 
esclusivo, 
che 
deve 
essere 
preferito agli 
altri 
fori, anche 
inderogabili, compreso quello erariale, trattandosi 
di 
disciplina 
speciale, posta a tutela di 
un interesse 
primario del 
nostro ordinamento, volto a contrastare 
gli 
atti 
e 
i 
comportamenti 
che 
impediscono il 
pieno dispiegarsi 
della persona umana, prevalente 
rispetto 
alle 
esigenze 
di 
carattere 
organizzativo 
poste 
a 
fondamento 
dell'accentramento 
della 
competenza 
presso 
un 
unico 
ufficio 
giudiziario, 
ai 
sensi 
dell'art. 
6 
del 
r.d. 
n. 
1611 
del 
1933. 
(Nella 
specie, 
la 
S.C. 
ha 
ritenuto 
competente 
il 
tribunale 
del 
luogo in cui 
aveva il 
domicilio un minore 
disabile, i 
cui 
genitori, in rappresentanza 
del 
figlio, avevano agito per 
ottenere 
il 
risarcimento del 
danno conseguente 
alle 
asserite 
condotte 
discriminatorie dell'amministrazione scolastica)”. 
(91) Cass. civ., sez. I, 11 novembre 
2020, n. 25440: 
“Nei 
giudizi 
aventi 
ad oggetto il 
riconoscimento 
della condizione 
di 
apolidia, la competenza va determinata in base 
al 
criterio del 
foro del 
luogo 
dove 
ha sede 
l'ufficio dell'avvocatura dello Stato, nel 
cui 
distretto si 
trova il 
giudice 
che 
sarebbe 
competente 
secondo le 
norme 
ordinarie, senza che 
assuma rilievo il 
contenuto degli 
interessi 
in gioco o la 
necessità di 
porre 
le 
parti 
in una situazione 
di 
parità, in quanto così 
facendo si 
affiderebbe 
al 
giudice 
una 
valutazione, 
riservata 
invece 
al 
legislatore, 
circa 
la 
sussistenza 
o 
meno 
di 
una 
ragione 
per 
agevolare 
la difesa dello Stato. (Nella specie, la S.C. ha cassato la decisione 
della corte 
d'appello che, reputando 
ingiustificata la facilitazione 
della difesa statuale 
rispetto ai 
diritti 
in gioco nel 
caso concreto, aveva 
disapplicato il criterio del foro erariale)”. 
(92) 
Cons. 
Stato, 
sez. 
IV, 
21 
gennaio 
2021, 
n. 
651: 
“Tutti 
gli 
atti 
costitutivi 
di 
una 
fase 
processuale, 
proposta 
nei 
confronti 
di 
amministrazioni 
statali 
e 
di 
Enti 
pubblici 
patrocinati 
dall'avvocatura 
dello 
Stato, vanno notificati 
a dette 
amministrazioni 
ed enti 
presso l'ufficio dell'avvocatura nel 
cui 
distretto 
abbia sede 
l'autorità giudiziaria adita (ovvero, per 
quanto riguarda il 
giudizio da instaurare 
innanzi 
al 
Consiglio di Stato, presso l'avvocatura Generale, con sede a Roma)”. 
(93) Cass. civ. [ord.], Sez. unite, 2 luglio 2008, n. 18036, che 
ha 
risolto un contrasto delineatosi 
in giurisprudenza: 
“Le 
controversie 
che, prima dell'entrata in vigore 
del 
d.lgs. n. 51 del 
1998, erano attribuite 
alla competenza del 
pretore 
per 
limiti 
di 
valore 
e 
che 
sono, in base 
al 
vigente 
art. 9 cod. proc. 
civ. ed all'art. 244 del 
d.lgs. n. 51 del 
1998, di 
competenza del 
tribunale 
in composizione 
monocratica, 
sono soggette 
alle 
regole 
processuali 
del 
c.d. foro erariale 
di 
cui 
agli 
artt. 25 cod. proc. civ. e 
6 del 
r.d. 
n. 1611 del 
1933, dovendosi 
ritenere 
implicitamente 
abrogato "in parte 
qua" 
l'art. 7 del 
r.d. n. 1611 del 
1933 
-che 
stabiliva 
l'inapplicabilità 
della 
regola 
del 
foro 
erariale 
nelle 
cause 
di 
competenza 
del 
pretore 
-per 
incompatibilità, non potendosi 
considerare 
perdurante 
la distinzione 
di 
competenza tra pretore 
e 
tribunale, 
ormai 
venuta 
meno; 
ciò 
non 
esclude 
che 
la 
disciplina 
del 
foro 
erariale 
sia 
derogata, 
per 
effetto di 
specifiche 
disposizioni 
del 
legislatore 
(controversie 
previdenziali, di 
opposizione 
a sanzioni 
amministrative, di 
disciplina dell'impugnazione, di 
convalida di 
sfratto), ogni 
volta che 
sia manifesto 
l'intento di 
determinare 
la competenza per 
territorio sulla base 
di 
elementi 
diversi 
ed incompatibili 
rispetto 
a quelli 
risultanti 
dalla regola del 
foro erariale 
e, perciò, destinati 
a prevalere 
su questa”; 
in precedenza, 
per 
la 
posizione 
contraria, 
v. 
Cass. 
civ., 
sez. 
I, 
28 
marzo 
2006, 
n. 
6992: 
“Il 
richiamo 
posto 

teMI 
IStItuzIonALI 


l’istituto 
processuale 
alle 
cause 
in 
appello 
avverso 
sentenze 
del 
giudice 
di 
pace, 
ai sensi dell’art. 7 r.d. 1611/1933, interpretato evolutivamente 
(94). 


Le 
disposizioni 
speciali 
sul 
domicilio ex 
lege 
presso l’Avvocatura 
dello 
Stato 
e 
sulla 
notifica 
presso 
la 
stessa 
degli 
atti 
non 
operano 
per 
i 
giudizi 
dinanzi 
alla 
Corte 
Costituzionale 
(95) né 
per i 
giudizi 
nei 
quali 
è 
chiamata 
in causa 
un’amministrazione 
non 
statale, 
in 
virtù 
dell'espresso 
richiamo, 
nell’art. 
45 


r.d. 1611, all’art. 1, comma 
2 (esclusione 
della 
necessità 
del 
mandato), e 
non 
agli 
artt. 6 ed 11, con conseguente 
inapplicabilità 
del 
foro dello Stato (art. 25 
c.p.c.) e 
della 
domiciliazione 
presso l'Avvocatura 
ai 
fini 
della 
notificazione 
di 
atti 
e 
provvedimenti 
giudiziali 
(art. 
144 
c.p.c.), 
previsti 
per 
le 
sole 
amministrazioni 
dello Stato. 
4. Patrocinio dei pubblici funzionari. 
una 
questione 
particolare, 
poi, 
è 
quella 
che 
concerne 
rappresentanza 
e 
difesa 
dei 
pubblici 
impiegati 
da 
parte 
dell’Avvocatura 
dello Stato, difesa 
ammessa 
dall’art. 44 r.D. n. 1611/1933, nei 
giudizi 
civili 
e 
penali 
che 
li 
interessano 
per 
fatti 
e 
cause 
di 
servizio, 
qualora 
le 
amministrazioni 
o 
gli 
enti 
ne 


dall'art. 
7 
r.d. 
n. 
1611 
del 
1933 
(sulla 
rappresentanza 
e 
difesa 
in 
giudizio 
dello 
Stato) 
ai 
"giudizi 
innanzi 
ai 
pretori", in ordine 
ai 
quali 
le 
norme 
ordinarie 
di 
competenza rimangono ferme, anche 
quando sia in 
causa un'amministrazione 
dello Stato, deve 
intendersi 
riferito, a seguito dell'entrata in vigore 
del 
d.lgs. 


n. 
51 
del 
1998 
(istitutivo 
del 
giudice 
unico 
di 
primo 
grado) 
ed 
in 
applicazione 
della 
norma 
di 
cui 
all'art. 
244 dello stesso decreto, ai 
"giudizi 
innanzi 
ai 
tribunali 
in composizione 
monocratica già attribuiti 
alla 
competenza dei 
pretori", atteso che, in forza di 
tale 
disposizione, quando leggi 
o decreti 
fanno riferimento 
ad uffici 
od organi 
giudiziari 
soppressi 
da detto d.lgs., il 
riferimento si 
intende 
fatto agli 
uffici 
od 
agli organi giudiziari a cui siano state trasferite le relative competenze”. 
(94) Cass. civ. [ord.], sez. II, 9 agosto 2007, n. 17579: 
“Sussiste 
la competenza del 
foro erariale, 
ai 
sensi 
dell'art. 7, secondo comma, r.d. 30 ottobre 
1933 n. 1611, per 
le 
cause 
di 
appello avverso le 
sentenze 
emesse 
dal 
giudice 
di 
pace, pur 
essendo rimasta immutata la originaria formulazione 
letterale 
di 
detta 
norma 
di 
legge 
a 
seguito 
delle 
riforme 
ordinamentali 
e 
processuali 
comportanti 
l'introduzione 
dell'ufficio 
del 
giudice 
di 
pace. 
Tale 
conclusione 
è 
giustificata 
dall'interpretazione 
evolutiva 
della 
norma, 
coerente 
alla sua "ratio legis", consistente 
nel 
recupero, in grado di 
appello, per 
evidenti 
esigenze 
organizzative 
di 
concentrazione 
delle 
attività dell'avvocatura dello Stato, della speciale 
competenza del 
foro erariale 
di 
cui 
all'articolo 6 del 
predetto regio decreto”; 
per una 
dettagliata 
ed accurata 
disamina 
delle 
problematiche 
del 
foro dello Stato e 
del 
domicilio ex 
lege, si 
veda 
BrunI 
-PALAtIeLLo, op. cit., 
pag. 113 ss. 
(95) Corte 
cost., 16 maggio 1997, n. 135: 
“È 
inammissibile 
il 
ricorso per 
conflitto di 
attribuzione 
nei 
confronti 
dello Stato, proposto dalla Regione 
Emilia-Romagna in riferimento al 
D.m. (Trasporti) 
19 gennaio 1996 e 
notificato soltanto all'avvocatura generale 
dello Stato, in quanto ai 
giudizi 
costituzionali 
non sono applicabili 
le 
norme 
sulla rappresentanza in giudizio dello Stato prevista dall'art. 1 
della legge 
n. 260 del 
1958 e 
dalla legge 
n. 103 del 
1979, con la conseguenza che 
è 
irrituale 
la notificazione 
del 
ricorso per 
conflitto di 
attribuzione 
effettuata soltanto all'avvocatura dello Stato e 
che 
tale 
irritualità non è 
sanata dalla costituzione 
in giudizio della Presidenza del 
Consiglio per 
mezzo dell'avvocatura 
dello Stato, quando la costituzione 
stessa sia avvenuta proprio per 
eccepire 
l'inammissibilità 
del 
ricorso”; 
Corte 
cost., 1 luglio 1993, n. 295: 
“Le 
norme 
sulla rappresentanza in giudizio dello stato, 
contenute 
nell'art. 1 l. 25 marzo 1958 n. 260 e 
nella l. 3 aprile 
1979 n. 103, non si 
applicano ai 
giudizi 
avanti 
alla corte 
costituzionale; pertanto, è 
inammissibile 
il 
ricorso alla corte 
costituzionale 
notificato 
presso l'avvocatura generale dello stato, anziché direttamente al destinatario”. 

rASSeGnA 
AVVoCAturA 
DeLLo 
StAto -n. 1/2021 


facciano richiesta, e 
l'Avvocato generale 
dello Stato ne 
riconosca 
la 
opportunità 
(96). Anche 
per questo particolare 
tipo di 
patrocinio, la 
giurisprudenza 
è 
pacificamente 
orientata 
nel 
senso 
di 
non 
ritenere 
necessario 
alcun 
mandato 
(97), tuttavia 
è 
necessario il 
nulla 
osta 
dell’amministrazione 
di 
appartenenza 
del 
pubblico 
impiegato 
che 
attesti 
l’assenza 
di 
conflitto 
di 
interessi, 
l’attinenza 
funzionale 
dell’oggetto della 
questione 
controversa 
all’attività 
riconducibile 
all’impiegato 
e 
l’interesse 
dell’amministrazione 
alla 
difesa, 
nonché 
il 
provvedimento 
finale dell’Avvocato Generale che conceda il patrocinio (98). 


(96) Cons. Stato, sez. VI, 16 gennaio 2006, n. 72: 
“L'art. 44 R.D. n. 1611/1933, costituisce 
una 
disposizione 
ampliativa 
della 
porzione 
di 
"status" 
dei 
pubblici 
dipendenti 
interessati, 
rendendoli 
indenni, 
in presenza dei 
presupposti 
ivi 
indicati, dalle 
conseguenze 
economiche 
derivanti 
dal 
coinvolgimento in 
procedimenti 
di 
responsabilità civile 
o penale 
per 
fatti 
connessi 
allo svolgimento dei 
compiti 
d'ufficio; 
si 
tratta, dunque, di 
disposizione 
che 
nel 
caso di 
responsabilità diretta per 
fatti 
di 
servizio, aumenta le 
garanzie 
del 
diritto 
di 
difesa, 
che 
è 
assunta 
dall'amministrazione 
avvalendosi 
dell'avvocatura 
dello 
Stato, 
ma 
che 
in 
nessun 
modo 
si 
sostituisce 
alla 
disciplina 
sulla 
nomina 
del 
difensore 
nel 
processo 
civile 
e 
penale 
quale 
atto personale 
ed esclusivo della parte 
ed espressione 
di 
una scelta fiduciaria e 
selettiva 
in relazione 
alla mutevoli 
esigenze 
di 
difesa in ciascun giudizio. Ne 
consegue 
che 
non può dirsi 
sussistente 
il 
contrasto tra l'art. 44 del 
R.D. n. 1611/1933 e 
l'art. 24, secondo comma, della Costituzione, 
che 
riconosce 
l'inviolabilità 
del 
diritto 
di 
difesa 
in 
ogni 
grado 
e 
stato 
del 
giudizio”; 
Corte 
cost., 
17 
luglio 
1974, 
n. 
233: 
“Non 
è 
in 
contrasto 
con 
l'art. 
24, 
secondo 
comma, 
Cost., 
l'art. 
44 
del 
R.D. 
30 
ottobre 
1933, n. 1611, che 
accorda la difesa dello Stato ai 
dipendenti 
pubblici 
nei 
giudizi 
civili 
e 
penali 
relativi 
a fatti 
e 
cause 
di 
servizio, in quanto la posizione 
dello Stato come 
tutore 
dell'ordinamento non esclude 
che 
un suo organo tecnico possa intervenire 
a difesa del 
dipendente 
quando l'azione 
incriminata è 
da 
lui 
compiuta nell'ambito dei 
suoi 
poteri 
e 
per 
i 
fini 
della Pubblica amministrazione. Ne 
deriva che, in 
astratto, 
non 
è 
ipotizzabile 
alcun 
conflitto 
di 
interessi 
tra 
le 
posizioni 
dello 
Stato 
e 
quelle 
del 
dipendente 
pubblico; tuttavia, poiché 
non si 
può escludere 
che 
in concreto possa verificarsi 
un contrasto, deve 
ritenersi 
che 
esso potrà essere 
eliminato in sede 
processuale 
con l'intervento del 
giudice 
ai 
sensi 
dell'art. 
133, primo comma, c.p.p.”. 
(97) Cass. civ., sez. lavoro, 24 giugno 1995, n. 7179: 
“I provvedimenti 
di 
richiesta dell'amministrazione 
e 
di 
valutazione 
dell'avvocato 
generale 
dello 
Stato 
circa 
l'opportunità 
dell'assunzione 
da 
parte 
dell'avvocatura 
dello 
Stato 
della 
rappresentanza 
e 
difesa 
degli 
impiegati 
ed 
agenti 
delle 
amministrazioni 
dello Stato nei 
giudizi 
civili 
e 
penali 
che 
li 
interessano per 
cause 
di 
servizio, adottati 
ai 
sensi 
dell'art. 
44 
del 
r.d. 
30 
ottobre 
1933 
n. 
1611, 
non 
formano 
(neppure 
in 
controversia 
disciplinata 
dal 
rito 
del 
lavoro) 
oggetto di 
alcun onere 
di 
tempestiva indicazione 
da parte 
dell'avvocatura dello Stato al 
momento della 
costituzione 
in giudizio nè 
di 
dimostrazione 
della sussistenza dei 
presupposti 
di 
legittimità ai 
fini 
del-
l'assunzione 
della rappresentanza e 
difesa del 
pubblico impiegato, sia perché 
un siffatto onere 
non è 
stabilito dal 
citato art. 44, sia perché 
la richiesta dell'amministrazione 
e 
l'apprezzamento da parte 
del-
l'avvocatura dello Stato hanno carattere 
di 
meri 
atti 
interni, restando inoltre 
escluso che 
il 
suddetto apprezzamento 
rientrante 
nella 
piena 
discrezionalità 
dell'avvocatura, 
richieda 
specifica 
motivazione 
e 
sia 
in alcun modo sindacabile 
dal 
giudice 
investito della controversia”; 
tribunale 
reggio emilia, sez. II, 1 
aprile 
2014: 
“Lo 
jus 
postulandi 
degli 
avvocati 
dello 
Stato 
deriva 
direttamente 
dalla 
legge 
e 
non 
richiede 
il 
conferimento di 
un mandato ad litem, non soltanto nel 
caso di 
rappresentanza delle 
amministrazioni 
dello 
Stato, 
delle 
amministrazioni 
pubbliche 
non 
statali 
e 
degli 
enti 
pubblici 
soggetti 
a 
vigilanza 
o 
tutela 
dello 
Stato, 
ma 
anche 
nel 
caso 
di 
rappresentanza 
e 
difesa 
degli 
impiegati 
ed 
agenti 
delle 
amministrazioni 
dello Stato”. 
(98) t.a.r. Veneto, sez. II, 25 maggio 1999, n. 725: 
“ai 
sensi 
dell'art. 44 t.u. 30 ottobre 
1933 n. 
1611, 
presupposto 
perché 
l'avvocatura 
dello 
Stato 
assuma 
la 
rappresentanza 
e 
la 
difesa 
di 
un 
dipendente 
di 
un'amministrazione 
dello Stato in un giudizio penale 
che 
lo interessa per 
fatti 
e 
cause 
di 
servizio, è 
la piena coincidenza fra la posizione 
del 
dipendente 
e 
quella dell'amministrazione; pertanto, in difetto 
della verifica del 
preliminare 
requisito rappresentato dall'assenza di 
qualsivoglia conflitto d'interesse 

teMI 
IStItuzIonALI 


Gli 
avvocati 
dello Stato esercitano le 
proprie 
prerogative 
come 
per ogni 
altra 
difesa 
assunta 
dall’Istituto, 
senza 
limitazioni 
o 
condizioni; 
tuttavia, 
qualche 
difformità 
può sorgere 
con riguardo alla 
formulazione 
di 
eccezioni 
di 
incostituzionalità 
o di contrarietà ai principi eurounitari. 


Per vero, quanto all’eccezione 
di 
incostituzionalità, se 
appare 
pacifica 
e 
giustificata 
la 
preclusione 
per 
l’Avvocatura 
dello 
Stato 
della 
proposizione 
della 
eccezione 
dal 
momento che 
l’Avvocato generale 
(o un suo sostituto) è 
chiamato 
per legge 
(citata 
legge 
n. 87/1953) a 
difendere 
la 
costituzionalità 
delle 
leggi 
se 
officiato 
dalla 
Presidenza 
del 
Consiglio, 
non 
altrettanto 
pacifica 
e 
giustificata 
sembra 
tale 
preclusione 
nel 
caso l’avvocato dello Stato sia 
officiato 
della 
difesa 
di 
un pubblico impiegato in un processo penale, atteso che 
-da 
un 
lato 
-il 
diritto 
di 
difesa 
dell’imputato 
costituisce 
diritto 
inviolabile 
garantito 
dalla 
Costituzione, tale 
da 
non dover subire 
limitazioni 
di 
sorta, e 
-dall’altro 
lato -l’attribuzione 
della 
difesa 
dell’Avvocatura 
è 
fatta 
pur sempre 
nell’interesse 
primario dell’imputato e 
non dell’amministrazione 
di 
appartenenza 
(legittimata 
solo 
ad 
esprimere 
una 
valutazione 
di 
assenza 
di 
conflitto 
in 
interessi), 
così 
che 
si 
deve 
ritenere 
che, nel 
caso di 
difesa 
di 
imputato, l’avvocato dello 
Stato goda 
di 
tutti 
i 
diritti 
e 
doveri 
di 
ogni 
altro patrocinatore 
a 
tutela 
della 
posizione 
dell’assistito (anche, per esempio, con l’accettazione 
dell’estinzione 
del reato per prescrizione) (99). 


Quanto 
alla 
questione 
di 
compatibilità 
comunitaria, 
il 
problema 
sembra 
porsi 
astrattamente 
negli 
stessi 
termini, 
attesa 
la 
funzione 
istituzionale 
del-
l’Avvocatura 
dello 
Stato 
dinanzi 
alla 
Corte 
di 
Giustizia; 
tuttavia, 
la 
prevalenza 
della 
normativa 
europea 
sulla 
legislazione 
nazionale, 
fino 
all’obbligo 
della 
sua 
disapplicazione 
gravante 
su 
tutti 
i 
magistrati 
ed 
i 
pubblici 
funzionari, 
oltre 
che 
le 
funzioni 
nomofilattiche 
della 
Corte 
di 
Lussemburgo 
(che 
si 
esprimono 
anche 
in 
forma 
di 
interpretazione 
delle 
leggi 
nazionali 
in 
conformità 
dei 
principi 
europei), 
potrebbero 
autorizzare 
l’avvocato 
dello 
Stato 
a 
formulare 
direttamente 
la 
richiesta 
di 
rimessione 
alla 
CGue 
di 
una 
questione 
controversa. 


nei 
processi 
penali, l’Avvocatura 
dello Stato partecipa 
a 
difesa 
dell’amministrazione 
chiamata 
quale 
responsabile 
civile 
ovvero in veste 
di 
parte 
civile; 
l'art. 1, comma 
4, l. n. 3/1991 prescrive 
che 
la 
costituzione 
di 
parte 
civile 
di 
una 
amministrazione 
statale 
nei 
procedimenti 
penali 
debba 
essere 
previamente 
autorizzata 
da 
parte 
del 
Presidente 
del 
Consiglio dei 
Ministri; 
tale 
autorizzazione 
non 
riguarda 
gli 
altri 
enti 
pubblici 
difesi 
dall’Avvocatura 
per 
i 
quali 
le 
relative 
determine 
sono assunte 
dagli 
organi 
cui 
spetta 
la 
potestà 
de-

fra dipendente 
e 
amministrazione 
non sono ipotizzabili 
né 
l'obbligo di 
assunzione 
della difesa del 
dipendente 
nè, a maggior ragione, un onere di rimborso delle spese legali sostenute da quest'ultimo”. 


(99) nella 
prassi, il 
problema 
viene 
risolto sollecitando il 
giudice 
perché 
proponga 
d’ufficio la 
questione di costituzionalità. 

rASSeGnA 
AVVoCAturA 
DeLLo 
StAto -n. 1/2021 


cisionale; 
le 
prerogative 
e 
le 
potestà 
degli 
avvocati 
dello Stato sono le 
stesse 
sopra esaminate (100). 


5. Patrocinio parziale. 
Vi 
sono anche 
casi 
di 
attribuzione 
parziale 
del 
patrocinio all’Avvocatura 
per determinate materie di spettanza dell’ente autorizzato. 


oltre 
alle 
disposizioni 
sul 
patrocinio dell’ADer dianzi 
esaminate, ricordiamo 
fra 
le 
ipotesi 
più 
rilevanti, 
l’art. 
1, 
comma 
771, 
della 
legge 
30 
dicembre 
2018, n. 145, il 
quale 
prevede 
che 
la 
Consip spa 
si 
avvale 
del 
patrocinio del-
l’Avvocatura 
dello Stato per le 
attività 
svolte 
nell’ambito del 
Programma 
di 
razionalizzazione 
degli 
acquisti 
della 
P.A.; 
l’art. 5, comma 
15, del 
d.l. 30 settembre 
2003, n. 269, conv. in l. 326/2003, il 
quale 
dispone 
che 
la 
Cassa 
Depositi 
e 
Prestiti-CDP 
spa 
si 
avvale 
dell’Avvocatura 
dello Stato per la 
gestione 
separata di cui al precedente comma 8 (101). 


La 
espressa 
previsione 
di 
legge 
non pone 
problemi 
rispetto al 
regime 
generale 
dell’esclusività 
ed 
organicità 
del 
patrocinio 
dell’Avvocatura 
dettato 
dal 


r.d. 1611 e dalla l. 103, derogabile da leggi successive di pari rango. 
Problemi, 
invece, 
si 
pongono 
allorché 
la 
limitazione 
delle 
materie 
affidate 
al 
patrocinio dell’Avvocatura 
dall’ente 
autorizzato deriva 
da 
protocolli 
di 
intesa 
stipulati 
fra 
l’ente 
stesso e 
l’Istituto per disciplinare 
l’esercizio del 
patrocinio. 


tali 
protocolli 
(stipulati, ad esempio, con l’AnAS 
e 
con alcune 
Fondazioni 
lirico-sinfoniche) 
consentono 
all’ente 
patrocinato 
di 
gestire 
direttamente 
(con il 
proprio ufficio legale 
o con avvocati 
privati) alcune 
materie 
di 
scarso 
rilievo 
generale 
e, 
nel 
contempo, 
all’Avvocatura 
di 
dedicare 
le 
limitate 
risorse 
disponibili 
alle 
questioni 
più importanti 
(per i 
contenuti 
e 
per i 
riflessi 
sull’assetto 
organizzativo-gestionale); 
questo 
sistema 
convenzionale 
evita 
un 
eccesso 
di 
formalità 
(la 
necessità 
di 
assumere 
volta 
a 
volta 
specifiche 
deliberazioni) e 
salvaguarda, 
nel 
contempo, 
l’esigenza 
di 
unicità 
e 
coerenza 
di 
indirizzi 
che 
potrebbe 
venir 
compromessa 
dall’eventualità 
o 
di 
approntare, 
di 
volta 
in 
volta, 


(100) Cass. pen., sez. V, 27 marzo 1999, n. 11441: 
“Gli 
avvocati 
dello Stato, per 
compiere 
gli 
atti 
del 
loro ministero, non hanno bisogno di 
una procura dell'amministrazione 
che 
essi 
rappresentano, essendo 
sufficiente 
che 
"consti 
della loro qualità". Invero, il 
mandato che 
è 
loro conferito dalla legge 
è 
sufficiente 
ad 
attribuire 
il 
potere 
di 
costituirsi 
in 
giudizio 
per 
le 
amministrazioni 
pubbliche 
e 
di 
compiere 
tutti 
gli 
atti 
per 
i 
quali 
la legge 
richiede 
un mandato speciale; e 
ciò, tanto nel 
giudizio civile, quanto in 
quello penale, allorché le pretese civili della p.a. siano esercitate in tale sede”. 
(101) “8. La CDP 
S.p.a. assume 
partecipazioni 
e 
svolge 
le 
attività, strumentali, connesse 
e 
accessorie; 
per 
l'attuazione 
di 
quanto previsto al 
comma 7, lettera a), la CDP 
S.p.a. istituisce 
un sistema 
separato ai 
soli 
fini 
contabili 
ed organizzativi, la cui 
gestione 
è 
uniformata a criteri 
di 
trasparenza e 
di 
salvaguardia 
dell'equilibrio 
economico. 
Sono 
assegnate 
alla 
gestione 
separata 
le 
partecipazioni 
e 
le 
attività ad essa strumentali, connesse 
e 
accessorie, e 
le 
attività di 
assistenza e 
di 
consulenza in favore 
dei 
soggetti 
di 
cui 
al 
comma 7, lettera a). Il 
decreto ministeriale 
di 
cui 
al 
comma 3 può prevedere 
forme 
di 
razionalizzazione 
e 
concentrazione 
delle 
partecipazioni 
detenute 
dalla Cassa depositi 
e 
prestiti 
alla 
data di trasformazione in società per azioni”. 

teMI 
IStItuzIonALI 


per 
svolgere 
scelte 
di 
gestione 
processuale, 
specifiche 
direttive 
ovvero 
di 
svolgere 
difese 
non coerenti 
con gli 
indirizzi 
generali 
di 
istituto, conformi 
alla 
tutela 
generale 
dei 
pubblici 
interessi, 
necessariamente 
informata 
a 
criteri 
di 
uniformità interpretativa ed applicativa della legalità. 


La 
legittimità 
di 
questa 
prassi 
non 
risulta 
sia 
stata 
formalmente 
censurata, 
ma 
nei 
rari 
casi 
in cui 
si 
è 
posto il 
problema 
della 
legittimità 
dell’affidamento 
del 
patrocinio 
ad 
avvocati 
privati 
in 
deroga 
a 
quello 
dell’Avvocatura 
dello 
Stato la 
giurisprudenza 
si 
è 
espressa 
ricorrendo ad una 
interpretazione 
basata 
sulla 
lettera 
della 
legge 
e 
sulla 
tradizionale 
interpretazione 
della 
caratteristica 
di 
esclusività 
del patrocinio dell’Avvocatura. 


Il 
problema 
si 
è 
posto per la 
nuova 
Agenzia 
delle 
entrate 
e 
riscossione, 
come 
già 
riferito in precedenza, e 
per le 
Fondazioni 
lirico-sinfoniche 
che 
in 
gran numero hanno sottoscritto con l’Avvocatura 
dello Stato specifici 
protocolli 
d’intesa. 


Per 
la 
Fondazione 
teatro 
Carlo 
Felice 
di 
Genova, 
con 
sentenza 
21 
novembre 
2018, n. 30118, la 
Corte 
di 
Cassazione 
ha 
dichiarato nulla 
la 
costituzione 
in 
giudizio 
della 
Fondazione 
a 
mezzo 
di 
avvocati 
privati 
anziché 
dell’Avvocatura 
dello Stato (102), rilevando la 
mancanza 
della 
delibera 
formale 
di 
affidamento dell’incarico professionale, in deroga 
al 
patrocinio autorizzato 
dell’Avvocatura 
dello Stato concesso con la 
richiamata 
normativa 
di 
trasformazione 
degli 
enti 
lirici 
in 
fondazioni 
di 
diritto 
privato 
(d.lgs. 
n. 
134 
del 
1998, art. 1; 
d.l. n. 345 del 
2000, art. 1, comma 
3, convertito in l. n. 21 del 
2001); 
nel 
dettaglio, la 
Corte 
ha 
ritenuto insufficiente 
una 
delibera 
presa 
ad 
hoc 
dal 
Sovrintendente 
in forza 
dei 
suoi 
poteri 
di 
gestione 
del 
contenzioso, ritenendo 
necessaria 
una 
deliberazione 
degli 
organi 
decisionali 
con 
specifica 
indicazione delle ragioni della decisione. 


In vero, a 
differenza 
dell’ADer (103), non vi 
è 
un supporto normativo 


(102) 
Con 
le 
argomentazioni 
che 
si 
ritiene 
opportuno 
qui 
riportare 
testualmente: 
«In 
sostanza, 
come 
evidenziato dalla sentenza impugnata, il 
D.L. n. 345 del 
2000, art. 1, comma 3, (conv. con modificazioni 
in L. n. 62 del 
2001), inerente 
la trasformazione 
in fondazioni 
di 
diritto privato degli 
enti 
lirici 
ed istituzioni 
concertistiche, prevedendo espressamente 
che 
"la fondazione 
può continuare 
ad avvalersi 
del 
patrocinio 
dell'avvocatura 
dello 
Stato", 
configura 
una 
ipotesi 
di 
patrocinio 
autorizzato 
R.D. 
n. 
1611 
del 
1943, ex 
art. 43, con la conseguenza che 
(art. 43 cit., comma 2) "ove 
tali 
amministrazioni 
ed enti 
intendano 
in 
casi 
speciali 
non 
avvalersi 
dell'avvocatura 
dello 
Stato, 
debbono 
adottare 
apposita 
motivata 
delibera da sottoporre 
agli 
organi 
di 
vigilanza". a 
tal 
riguardo, come 
parimenti 
notato dalla sentenza 
impugnata, 
non 
può 
ritenersi 
idonea 
allo 
scopo 
la 
delibera 
14.3.11 
con 
cui 
si 
attribuiva 
al 
sovrintendente 
P. il 
potere 
di 
istituire 
procedimenti 
giudiziari 
contro soggetti 
terzi 
e 
di 
nominare 
avvocati 
per 
attività 
difensive 
giudiziarie, 
trattandosi 
di 
facoltà 
attribuita 
in 
via 
generale 
al 
sovrintendente 
e 
certamente 
non 
di 
specifica 
ed 
"apposita" 
delibera 
inerente 
il 
conferimento 
di 
un 
mandato 
alle 
liti 
ad 
avvocato 
del 
libero 
foro per 
la presente 
controversia. Trattasi 
peraltro di 
apprezzamento di 
fatto logico e 
giuridicamente 
corretto, sicché sfugge al presente vaglio di legittimità». 
(103) Si 
veda 
il 
già 
richiamato art. 4-novies, comma 
1, d.l. 30 aprile 
2019, n. 34, convertito, con 
modificazioni, 
dalla 
l. 
28 
giugno 
2019, 
n. 
58: 
“…la 
disposizione 
dell'articolo 
43, 
quarto 
comma, 
del 
testo unico di 
cui 
al 
regio decreto 30 ottobre 
1933, n. 1611, si 
applica esclusivamente 
nei 
casi 
in cui 

rASSeGnA 
AVVoCAturA 
DeLLo 
StAto -n. 1/2021 


specifico che 
autorizzi 
l’ente 
a 
rivolgersi 
anche 
ad avvocati 
privati 
per il 
patrocinio 
giudiziale; 
tuttavia, 
la 
disposizione 
generale 
di 
cui 
all’art. 
43 
r.d. 
1611/1933 prevede 
pur sempre 
la 
possibilità 
di 
deroga 
sia 
per casi 
di 
conflitto 
di 
interesse 
con 
le 
amministrazioni 
statali 
a 
patrocinio 
obbligatorio 
(104) 
(comma 
3: 
“eccettuati 
i 
casi 
di 
conflitto di 
interessi 
con lo Stato o con le 
regioni”) 
sia 
per altri 
casi 
speciali, cioè 
per oggettive 
e 
inderogabili 
esigenze 
e 
con adeguata 
motivazione 
(comma 
4: 
“ove 
tali 
amministrazioni 
ed enti 
intendano 
in 
casi 
speciali 
non 
avvalersi 
della 
avvocatura 
dello 
Stato, 
debbono 
adottare apposita motivata delibera da sottoporre agli organi di vigilanza”). 


In forza 
di 
tale 
disposizione 
generale, pertanto, l’ente 
ammesso al 
patrocinio 
facoltativo-autorizzato 
dell’Avvocatura 
dello 
Stato 
potrà 
derogarvi 
anche 
per una 
serie 
di 
casi 
e 
materie, oltre 
che 
per casi 
singoli, qualora 
si 
verifichino 
esigenze 
particolari 
che 
siano 
individuate 
di 
comune 
accordo 
con 
l’Avvocatura 
(in 
sede 
di 
Protocollo 
d’intesa 
sottoscritto 
per 
la 
regolazione 
dell’esercizio 
del 
patrocinio (105)) e 
giustifichino l’affidamento del 
patrocinio ad avvocati 
privati: 
in tal 
caso, la 
deliberazione 
formalmente 
assunta 
dagli 
organi 
dell’ente 
in approvazione 
del 
Protocollo d’intesa 
può valere 
ad integrare 
le 
condizioni 
richieste 
dall’art. 
43, 
con 
motivazione 
che 
andrà 
riferita 
al 
detto 
protocollo 
sottoscritto, 
senza 
la 
necessità 
dell’assunzione 
di 
apposita 
delibera 
per 
ogni 
singolo 
caso 
di 
affidamento 
ad 
avvocato 
privato 
(al 
quale 
il 
Sovrintendente 
potrà 
affidare 
direttamente 
l’incarico 
se 
rientrante 
nei 
limiti 
di 
quanto 
consentito 
dal Protocollo) (106). 


l'agenzia delle 
entrate-Riscossione, per 
la propria rappresentanza e 
difesa in giudizio, intende 
non avvalersi 
dell'avvocatura dello Stato nei 
giudizi 
a quest'ultima riservati 
su base 
convenzionale; la medesima 
disposizione 
non 
si 
applica 
nei 
casi 
di 
indisponibilità 
della 
stessa 
avvocatura 
dello 
Stato 
ad 
assumere il patrocinio”. 


(104) Si 
veda 
il 
contenzioso deciso dal 
Consiglio di 
Stato, sez. VI, con sentenza 
del 
31 ottobre 
2017, n. 5026, ove 
alla 
Fondazione 
teatro San Carlo di 
napoli 
era 
contrapposta 
l’IStAt, amministrazione 
statale a patrocinio obbligatorio dell’Avvocatura. 
(105) tale 
Protocollo d’intesa 
non era 
stato ancora 
sottoscritto all’epoca 
della 
vertenza 
conclusa 
con la sentenza della Cassazione n. 30118/2018 che sopra abbiamo menzionato. 
(106) Il 
Comitato consultivo dell’Avvocatura 
Generale 
dello Stato si 
è 
di 
espresso in argomento 
in data 
20 ottobre 
2011, affermando che 
lo strumento della 
delibera 
di 
“carattere 
generale” 
può essere 
attivato 
laddove, 
in 
considerazione 
dell’Autorità 
giudiziaria 
dinanzi 
alla 
quale 
i 
giudizi 
pendono 
(natura 
del 
Giudice; 
sua 
ubicazione), 
dell’oggetto 
delle 
cause 
(non 
particolare 
rilevanza 
economica 
e/o 
giuridica; 
ripetitività), 
dei 
tempi 
del 
giudizio, 
il 
ricorso 
a 
patrocinatore 
privato 
assicuri 
in 
determinati 
casi 
e 
in 
presenza 
di 
peculiari 
circostanze 
di 
fatto (a 
titolo meramente 
esemplificativo, la 
contiguità 
con l’Amministrazione 
e 
con 
il 
Foro, 
tali 
da 
rendere 
più 
celere 
e 
agevole 
l’istruttoria 
e 
più 
facile 
la 
presenza 
in 
udienza) 
una 
più pratica 
difesa 
della 
parte 
pubblica 
e 
si 
risolva, in ultima 
analisi, in una 
soluzione 
pienamente 
conforme 
all’interesse 
pubblico. Come 
in quella 
sede 
è 
stato anche 
sottolineato, una 
simile 
scelta 
-da 
intendersi 
sempre 
eccezionale, come 
l’art. 43 prescrive 
-non potrebbe 
che 
essere 
concordata 
con l’Avvocatura 
dello Stato (ed eventualmente 
sottoposta, ove 
previsto, all’organo di 
vigilanza) a 
seguito di 
un attento e 
scrupoloso esame, ferma 
restando in singoli 
casi 
la 
possibilità 
di 
eccezione 
a contrario 
per 
particolari 
ragioni 
che 
rendano invece 
preferibile 
il 
ricorso all’Avvocatura 
(ad esempio, per le 
implicazioni 
del contenzioso sull’assetto organizzativo o finanziario dell’ente). 

teMI 
IStItuzIonALI 


6. La particolare posizione nei giudizi di costituzionalità ed internazionali. 
A 
differenza 
dei 
sistemi 
adottati 
in 
altri 
ordinamenti, 
come 
abbiamo 
già 
visto, 
l’Avvocatura 
dello 
Stato 
provvede, 
nell'esercizio 
del 
suo 
patrocinio, 
non 
tanto 
e 
non 
solo 
alla 
tutela 
diretta 
degli 
interessi 
delle 
singole 
amministrazioni 
od 
enti 
patrocinati, 
quanto 
al 
perseguimento 
degli 
interessi 
generali 
ed 
esclusivi 
dello 
Stato 
nella 
sua 
unità, 
i 
quali 
possono 
anche 
trascendere 
quelli 
peculiari 
costituiti 
dalla 
soccombenza 
o 
dalla 
vittoria 
nelle 
singole 
cause. 


essa 
acquista 
e 
potenzia, 
poi, 
una 
dimensione 
diversa 
e 
più 
squisitamente 
pubblicistica 
in 
particolare 
nei 
giudizi 
di 
costituzionalità 
(in 
cui 
opera 
più 
come 
amicus 
curiae 
che 
come 
avvocato) 
e 
nei 
giudizi 
dinanzi 
alle 
corti 
internazionali 
e 
sovranazionali 
in 
cui 
rappresenta 
non 
già 
lo 
Stato‐amministrazione 
ma, 
piuttosto, 
lo Stato come 
personificazione 
anche 
esterna 
di 
tutta 
la 
Comunità 
nazionale. 


6.1 Giudizi di costituzionalità. 
Previa 
deliberazione 
del 
Consiglio 
dei 
ministri 
(art. 
23, 
lett. 
g, 
della 
legge 
23 aprile 
1988, n. 400), l'Avvocatura 
Generale 
dello Stato partecipa, in rappresentanza 
del 
Presidente 
del 
Consiglio dei 
Ministri 
o di 
un Ministro a 
ciò 
delegato, ai 
giudizi 
dinanzi 
alla 
Corte 
Costituzionale 
aventi 
per oggetto la 
risoluzione 
di 
conflitti 
di 
attribuzione 
tra 
poteri 
dello 
Stato 
o 
tra 
Stato 
e 
regioni, 
dove 
pure 
l’Avvocatura 
sostiene 
le 
ragioni 
“di 
parte” 
del 
Governo ma 
sempre 
in funzione 
dell’interesse 
unitario dello Stato‐ordinamento a 
una 
corretta 
dialettica 
fra soggetti istituzionali e fra poteri. 


L'Avvocatura 
dello Stato non è, invece, presente 
dinanzi 
alla 
Corte 
costituzionale 
nei 
giudizi 
di 
accusa 
promossi 
nei 
confronti 
del 
Presidente 
della 
repubblica, 
nei 
quali 
non è 
prevista 
la 
possibilità 
per lo Stato di 
costituirsi 
parte 
civile. 


nei 
giudizi 
di 
legittimità 
dinanzi 
alla 
Corte 
Costituzionale 
l’avvocato 
dello 
Stato 
riveste 
una 
posizione 
diversa 
rispetto 
a 
quella 
normalmente 
assunta 
nei giudizi ordinari. 


Questa 
posizione 
peculiare 
è 
resa 
evidente 
dalle 
circostanze 
che 
caratterizzano 
l’affidamento e 
l’esercizio del 
patrocinio nel 
processo costituzionale. 


In primo luogo, è 
necessaria 
una 
volontà 
politica 
del 
Presidente 
del 
Consiglio 
(assunta 
previa 
determinazione 
del 
Consiglio dei 
Ministri) di 
difendere 
la 
legittimità 
della 
legge 
statale 
oggetto della 
questione 
di 
costituzionalità 
o 
di 
impugnare 
la 
legge 
regionale 
oggetto della 
valutazione 
di 
censura, nel 
superiore 
fine 
della 
conservazione 
della 
integrità 
dell’ordinamento 
giuridico 
nell’ambito 
dei 
principi 
della 
Costituzione; 
in 
secondo 
luogo, 
il 
patrocinio 
dell’Avvocatura 
è 
strettamente 
delimitato dalle 
ragioni 
poste 
dalla 
Presidenza 
a base della determinazione adottata. 


La 
scelta 
governativa 
di 
non intervenire 
in un giudizio di 
costituzionalità 



rASSeGnA 
AVVoCAturA 
DeLLo 
StAto -n. 1/2021 


è, essa 
stessa, una 
scelta 
politica, quella 
di 
non difenderne 
la 
legittimità 
costituzionale 
(107); così pure la scelta di non impugnare una legge regionale. 


Per 
questo 
motivo, 
la 
difesa 
dell’Avvocatura 
deve 
esprimersi 
entro 
i 
confini 
indicati 
nella 
relazione 
di 
accompagnamento 
alla 
determinazione 
della 
Presidenza 
del 
Consiglio, 
a 
pena 
di 
inammissibilità, 
come 
delineato 
da 
una 
giurisprudenza 
costante 
della 
Corte 
(108), 
salvo 
che 
non 
si 
tratti 
di 
indicazioni 
più 
puntuali, 
nel-
l’ambito 
della 
migliore 
esplicazione 
della 
dialettica 
difensiva, 
dei 
parametri 
di 
costituzionalità 
evocati 
nella 
determina 
della 
Presidenza 
del 
Consiglio 
(109). 


Peraltro, 
non 
mancano 
casi 
nei 
quali 
l’Avvocatura 
dello 
Stato 
sia 
stata 
investita 
dalla 
Presidenza 
del 
Consiglio del 
compito di 
concludere, nel 
giudizio 


(107) 
Per 
una 
indicazione 
dei 
rari 
casi 
nei 
quali 
questa 
scelta 
è 
stata 
effettuata, 
per 
lo 
più 
per 
leggi 
adottate 
in passato secondo principi 
contrari 
a 
quelli 
della 
nostra 
Costituzione, mi 
sia 
consentito di 
rinviare 
a 
G. ALBenzIo, Corte 
e 
avvocatura dello Stato, in Foro it., 2006, V, 328; 
a 
quei 
casi 
possiamo aggiungere, 
di 
recente, la 
questione 
di 
legittimità 
dell’articolo 22, comma 
8, del 
decreto-legge 
n. 50 del 
2017, rimessa 
alla 
Corte 
Costituzionale 
dall’ordinanza 
del 
Consiglio di 
Stato, sez. IV, n. 8191 del 
2020, 
in causa 
Nuovo Sistina s.r.l. e al./ mef, mIBaCT, Eliseo s.r.l. et al. 
(108) Corte 
cost., 3 marzo 2021, n. 29: 
“…la pretesa violazione 
del 
principio di 
leale 
collaborazione, 
evocata soltanto nella memoria depositata a ridosso dell'udienza pubblica e 
non nel 
ricorso introduttivo 
del 
giudizio, 
è 
estranea 
al 
thema 
decidendum 
e 
la 
tardività 
della 
deduzione 
ne 
comporta 
l'inammissibilità, 
in 
quanto 
-secondo 
il 
costante 
orientamento 
di 
questa 
Corte 
-«nei 
giudizi 
in 
via 
principale 
il 
thema decidendum 
è 
fissato dal 
ricorso introduttivo, in conformità alla delibera dell'organo 
politico, e 
non può essere 
esteso ad ulteriori 
profili, né 
con le 
memorie 
presentate 
in prossimità del-
l'udienza, 
né 
tanto 
meno 
nel 
corso 
dell'udienza» 
(sentenza 
n. 
74 
del 
2012; 
in 
senso 
analogo, 
fra 
le 
molte, 
anche sentenza n. 272 del 2016)”. 
(109) Corte 
cost., 21 dicembre 
2020, n. 272: 
“L’eccezione 
è 
fondata, perché 
questa Corte 
ha costantemente 
affermato 
che 
la 
questione 
proposta 
in 
via 
principale, 
rispetto 
alla 
quale 
difetti 
la 
necessaria 
piena 
corrispondenza 
tra 
il 
ricorso 
e 
la 
delibera 
del 
Consiglio 
dei 
ministri 
che 
l’ha 
autorizzato, 
è 
inammissibile 
(ex 
plurimis, sentenze 
n. 199 del 
2020, n. 83 del 
2018, n. 152 del 
2017, n. 265 e 
n. 239 del 
2016). La delibera di 
autorizzazione 
alla proposizione 
del 
ricorso rinvia, infatti, alla relazione 
del 
ministro 
per 
gli 
affari 
regionali, 
ove 
si 
osserva 
che 
«[l]a 
disposizione 
regionale 
in 
esame, 
surrettiziamente, 
ripropone 
dunque 
il 
medesimo divieto generalizzato già censurato» con la sentenza n. 142 del 
2019. 
Benché 
l’art. 136 Cost. non sia espressamente 
menzionato, è 
evidente 
la volontà dell’organo politico, 
titolare 
del 
potere 
di 
impugnativa, di 
porre 
a questa Corte, a mezzo della intermediazione 
tecnica del-
l’avvocatura generale, la questione 
di 
costituzionalità concernente 
la violazione 
del 
giudicato costituzionale. 
In presenza di 
tale 
volontà, questa Corte 
ha già affermato che 
«spetta alla parte 
ricorrente 
“la 
più 
puntuale 
indicazione 
dei 
parametri 
del 
giudizio”, 
giacché 
la 
discrezionalità 
della 
difesa 
tecnica 
ben 
può 
integrare 
una 
solo 
parziale 
individuazione 
dei 
motivi 
di 
censura 
[…]» 
(sentenza 
n. 
128 
del 
2018)”; 
Corte 
cost., 13 giugno 2018, n. 128: 
“Secondo il 
costante 
orientamento di 
questa Corte, nei 
giudizi 
in 
via 
principale 
deve 
sussistere 
«una 
piena 
e 
necessaria 
corrispondenza 
tra 
la 
deliberazione 
con 
cui 
l’organo 
legittimato 
si 
determina 
all’impugnazione 
ed 
il 
contenuto 
del 
ricorso, 
attesa 
la 
natura 
politica 
dell’atto d’impugnazione» (sentenze 
n. 154 del 
2017 e 
n. 110 del 
2016; nello stesso senso sentenze 
n. 
46 
del 
2015, 
n. 
198 
del 
2012), 
poiché 
«l’omissione 
di 
qualsiasi 
accenno 
ad 
un 
parametro 
costituzionale 
nella delibera di 
autorizzazione 
all’impugnazione 
dell’organo politico, comporta l’esclusione 
della volontà 
del 
ricorrente 
di 
promuovere 
la 
questione 
al 
riguardo, 
con 
conseguente 
inammissibilità 
della 
questione 
che, sul 
medesimo parametro, sia stata proposta dalla difesa nel 
ricorso» (sentenza n. 239 del 
2016). In proposito questa Corte, seppur 
con riferimento alla difesa svolta dall’avvocatura generale 
dello 
Stato, 
ha 
affermato 
che 
spetta 
alla 
parte 
ricorrente 
«la 
più 
puntuale 
indicazione 
dei 
parametri 
del 
giudizio, giacché 
la discrezionalità della difesa tecnica ben può integrare 
una solo parziale 
individuazione 
dei 
motivi 
di 
censura (sentenze 
n. 365 e 
n. 98 del 
2007, e 
n. 533 del 
2002)» (sentenza n. 290 del 
2009; nello stesso senso sentenze n. 270 e n. 228 del 2017)”. 

teMI 
IStItuzIonALI 


di 
costituzionalità 
ove 
è 
stato dispiegato l’intervento, per la 
declaratoria 
di 
incostituzionalità 
della 
legge 
censurata 
(110) 
ovvero 
per 
una 
sua 
interpretazione 
costituzionalmente orientata (111). 


6.2 Giudizi dinanzi alle Corti internazionali. 
Per le 
Corti 
europee, come 
già 
detto, la 
fonte 
normativa 
è 
data 
dal 
combinato 
disposto delle 
norme 
dei 
regolamenti 
processuali 
di 
ciascuna 
Corte 
che 
prevedono la 
rappresentanza 
in giudizio in capo ad un Agente 
(112) -con 
le 
leggi 
dei 
singoli 
Stati 
che 
regolano il 
conferimento dell’incarico di 
Agente 
del Governo ed il patrocinio della pubblica amministrazione. 


Gli 
statuti 
e 
le 
regole 
procedurali 
delle 
Corti 
europee, infatti, regolano la 
rappresentanza 
«sostanziale» nei 
giudizi, prevedendo -come 
già 
detto -che 
ogni 
Stato deve 
essere 
rappresentato da 
un «agente» (scelto secondo disposizioni 
interne 
agli 
Stati 
sulle 
quali 
l’istituzione 
europea 
non interferisce); 
gli 
Stati 
sono liberi 
di 
organizzare 
la 
rappresentanza 
«processuale», attribuendo 
lo jus 
postulandi 
allo stesso agente 
o ad avvocati 
liberi 
o all’avvocatura 
dello 
Stato (quando esistente); 
questa 
distinzione 
è 
evidenziata 
nel 
parere 
del 
Consiglio 
di 
Stato 
(sez. 
I, 
30 
aprile 
1982 
n. 
332/82) 
che 
si 
è 
occupato 
del 
problema 
e 
che 
ci 
sembra 
opportuno riportare 
perché 
inquadra 
con assoluta 
chiarezza 
i 
rapporti 
fra 
le 
disposizioni 
europee 
e 
quelle 
nazionali: 
“L'art. 9 1° 
comma l. 3 
aprile 
1979, n. 103, che 
ha riconosciuto all'avvocatura generale 
dello Stato 
il 
potere 
di 
disporre 
direttamente, in modo procuratorio, degli 
interessi 
del-
l'amministrazione 
dello stato dinanzi 
a tutte 
le 
giurisdizioni, senza bisogno di 
apposito 
conferimento 
di 
incarico, 
va 
coordinato, 
in 
caso 
di 
intervento 
in 
sedi 


(110) Si 
veda 
il 
giudizio concluso con la 
sentenza 
Corte 
cost. 8 luglio 1967 n. 101, avente 
ad oggetto 
leggi 
costituenti 
l’ordinamento araldico; 
quello concluso con la 
sentenza 
28 febbraio 1996 n. 60, 
sul 
caso 
Priebke, 
sull’art. 
270 
del 
codice 
penale 
militare 
di 
pace. 
Per 
una 
disamina 
più 
completa 
si 
rinvia 
alle già citate opere di BrunI 
- PALAtIeLLo 
e 
ALBenzIo. 
(111) Si veda, fra i tanti, il giudizio concluso con sent. Corte cost. 13 aprile 2021, n. 63. 
(112) L’articolo 19 dello Statuto della 
Corte 
di 
Giustizia 
dell’unione 
europea 
così 
recita: 
“Tanto 
gli 
Stati 
membri 
quanto le 
istituzioni 
dell’Unione 
sono rappresentati 
davanti 
alla Corte 
di 
giustizia da 
un 
agente 
nominato 
per 
ciascuna 
causa; 
l’agente 
può 
essere 
assistito 
da 
un 
consulente 
o 
da 
un 
avvocato. 
allo stesso modo sono rappresentati 
gli 
Stati 
parti 
contraenti 
dell’accordo sullo Spazio economico europeo 
diversi 
dagli 
Stati 
membri 
e 
l’autorità di 
vigilanza aELS (EFTa) prevista da detto accordo. Le 
altre 
parti 
devono 
essere 
rappresentate 
da 
un 
avvocato. 
Solo 
un 
avvocato 
abilitato 
al 
patrocinio 
dinanzi 
ad 
un 
organo 
giurisdizionale 
di 
uno 
Stato 
membro 
o 
di 
un 
altro 
Stato 
parte 
contraente 
dell’accordo 
sullo Spazio economico europeo può rappresentare 
o assistere 
una parte 
dinanzi 
alla Corte. Gli 
agenti, 
i 
consulenti 
e 
gli 
avvocati 
che 
compaiano davanti 
alla Corte 
godono dei 
diritti 
e 
delle 
garanzie 
necessarie 
per 
l’esercizio indipendente 
delle 
loro funzioni, alle 
condizioni 
che 
saranno determinate 
dal 
regolamento 
di 
procedura. La Corte 
gode, nei 
confronti 
dei 
consulenti 
e 
degli 
avvocati 
che 
si 
presentano 
davanti 
ad essa, dei 
poteri 
normalmente 
riconosciuti 
in materia alle 
corti 
e 
ai 
tribunali, alle 
condizioni 
che 
saranno determinate 
dallo stesso regolamento. I professori 
cittadini 
degli 
Stati 
membri 
la cui 
legislazione 
riconosce 
loro il 
diritto di 
patrocinare 
godono davanti 
alla Corte 
dei 
diritti 
riconosciuti 
agli 
avvocati 
dal 
presente 
articolo”. 
L’articolo 
35 
del 
regolamento 
CeDu, 
rubricato 
“Rappresentanza 
delle 
Parti 
contraenti”, così 
recita: 
“Le 
Parti 
contraenti 
sono rappresentate 
da agenti, che 
possono farsi 
assistere 
da avvocati o consulenti”. 

rASSeGnA 
AVVoCAturA 
DeLLo 
StAto -n. 1/2021 


arbitrali, 
internazionali 
e 
comunitarie, 
con 
le 
norme 
dei 
trattati 
istitutivi 
di 
organi 
di 
giustizia operanti 
a livello internazionale 
o comunitario; pertanto, 
quando i 
trattati 
internazionali 
(come 
i 
trattati 
comunitari 
e 
la convenzione 
europea per 
la salvaguardia dei 
diritti 
dell'uomo) prevedono che 
la rappresentanza 
sostanziale 
e 
processuale 
nei 
giudizi 
internazionali 
competa ad un 
agente 
nominato dallo stato interessato, non è 
possibile 
applicare 
alla figura 
di 
diritto internazionale 
dell'agente 
la disciplina interna relativa alla rappresentanza 
in giudizio dell'avvocatura dello Stato”; 
continua 
il 
Collegio, in riferimento 
alla 
disposizione 
dell’art. 9 l. 103 che 
dianzi 
abbiamo esaminato: 
“L'affidamento all'avvocatura dello stato della rappresentanza e 
difesa delle 
amministrazioni 
statali 
nei 
«procedimenti 
innanzi 
ai 
collegi 
internazionali 
o 
comunitari» previsto dall'art. 9, 1° 
comma, l. 3 aprile 
1979, n. 103, non implica 
la soppressione 
della figura dell'agente, quale 
organo impersonante 
lo 
stato 
in 
detti 
procedimenti, 
prevista 
da 
norme 
internazionali 
convenzionali, 
cui 
l'Italia 
si 
è 
adeguata, 
come 
l'art. 
42 
dello 
statuto 
della 
corte 
internazionale 
di 
giustizia (reso esecutivo con l. 17 agosto 1957, n. 848), l'art. 17 del 
protocollo 
sullo statuto della corte 
di 
giustizia della Cee 
(reso esecutivo con l. 13 
marzo 1958, n. 204) ed altre simili». 


Per 
vero, 
dinanzi 
ad 
ambedue 
le 
Corti 
europee 
le 
funzioni 
di 
Agente 
dello 
Stato italiano sono assunte dall’Avvocatura dello Stato: 


-legge 
24 dicembre 
2012 n. 234, art. 42: 
“3. Il 
Presidente 
del 
Consiglio 
dei 
ministri 
o il 
ministro per 
gli 
affari 
europei 
e 
il 
ministro degli 
affari 
esteri 
nominano, quale 
agente 
del 
Governo italiano previsto dall'articolo 19 dello 
Statuto della Corte 
di 
giustizia dell'Unione 
europea, un avvocato dello Stato, 
sentito l'avvocato generale dello Stato”. 
-d.l. 4 ottobre 
2018 n. 113, conv. in legge 
1 dicembre 
2018 n. 132, art. 
15: 
“01. 
Le 
funzioni 
di 
agente 
del 
Governo 
a 
difesa 
dello 
Stato 
italiano 
dinanzi 
alla 
Corte 
europea 
dei 
diritti 
dell'uomo 
[ai 
sensi 
dell’art. 
35 
regolamento 
della 
Corte 
14 
novembre 
2016] 
sono 
svolte 
dall'avvocato 
generale 
dello 
Stato, 
che può delegare un avvocato dello Stato” (113). 
La 
differenza 
fra 
i 
due 
sistemi 
è 
che, l’Agente 
dinanzi 
alla 
Corte 
di 
Giustizia 
ue 
è 
nominato 
dal 
Governo, 
sia 
pure 
vincolato 
alla 
scelta 
fra 
gli 
avvocati 
dello Stato, mentre 
l’Agente 
dinanzi 
alla 
CeDu 
è 
indicato dalla 
legge, nella 


(113) L’art. 1, comma 
172, legge 
n. 160 del 
2019 prevede: 
“al 
fine 
di 
supportare 
l'agente 
del 
Governo 
a difesa dello Stato italiano dinanzi 
alla Corte 
europea dei 
diritti 
dell'uomo, possono essere 
nominati 
esperti, 
nel 
numero 
massimo 
di 
otto, 
individuati 
tra 
magistrati 
ordinari, 
amministrativi 
e 
contabili, 
professori 
universitari, ricercatori 
a tempo determinato, assegnisti 
di 
ricerca, dottori 
di 
ricerca e 
dirigenti 
dell'amministrazione 
dello 
Stato. 
Gli 
esperti 
sono 
nominati 
dall'avvocato 
generale 
dello 
Stato 
per 
un periodo non superiore 
a un triennio, rinnovabile, e 
sono collocati 
in posizione 
di 
comando o fuori 
ruolo, salvo che 
l'incarico sia a tempo parziale 
e 
consenta il 
normale 
espletamento delle 
funzioni 
del-
l'ufficio di 
appartenenza. Per 
l'espletamento degli 
incarichi 
di 
cui 
al 
presente 
comma spetta, secondo i 
rispettivi 
ordinamenti, 
un 
compenso 
da 
determinare 
all'atto 
del 
conferimento 
dell'incarico, 
commisurato 
alla 
prestazione 
e 
proporzionato 
al 
tipo 
di 
attività, 
comunque 
non 
superiore 
ad 
euro 
40.000 
lordi 
annui”. 

teMI 
IStItuzIonALI 


figura 
dell’Avvocato generale 
che 
può a 
sua 
discrezione 
indicare 
un sostituto. 


Questa 
distinzione 
fra 
potere 
di 
rappresentanza 
sostanziale 
e 
processuale 
ha 
comportato, per quel 
che 
interessa 
il 
nostro Stato, come 
già 
accennato, che 
le 
leggi 
in materia 
si 
sono preoccupate 
di 
dettare 
criteri 
di 
massima 
per la 
designazione 
dell’agente, lasciando alle 
disposizioni 
interne 
in vigore 
la 
determinazione 
di 
affidamento 
dello 
jus 
postulandi. 
Queste 
disposizioni 
interne 
sono individuabili 
nelle 
leggi 
sull’Avvocatura 
dello Stato che 
abbiamo sopra 
riportato, in forza 
delle 
quali 
spetta 
agli 
avvocati 
dello Stato la 
potestà 
esclusiva 
di 
rappresentare 
le 
amministrazioni 
statali 
dinanzi 
a 
tutte 
le 
Corti, nazionali 
e internazionali. 


La 
distinzione 
di 
figure 
e 
funzioni 
della 
quale 
stiamo parlando è 
chiarissima 
nell’art. 42 della 
l. 234/2012, ove 
il 
terzo comma 
è 
destinato alla 
designazione 
dell’agente 
del 
Governo 
dinanzi 
alla 
Corte 
di 
Giustizia, 
mentre 
il 
primo e 
secondo comma 
regolano l’assunzione 
delle 
decisioni 
sostanziali 
in 
merito alla 
posizione 
da 
assumere 
in giudizio per la 
tutela 
degli 
interessi 
dello 
Stato che 
sono coinvolti 
(114). Lo stesso non avviene 
per la 
partecipazione 
ai 
giudizi 
dinanzi 
alla 
CeDu, per i 
quali 
il 
Legislatore 
si 
è 
occupato solo della 
designazione 
dell’agente 
ma, 
certamente, 
non 
si 
può 
dubitare 
che, 
in 
forza 
dei 
principi 
generali, l’assunzione 
delle 
decisioni 
sostanziali 
spetta 
al 
Presidente 
del Consiglio ed al Consiglio dei ministri. 


Il 
patrocinio 
dinnanzi 
alle 
giurisdizioni 
nazionali 
e 
sovranazionali 
permette 
all’Avvocatura 
dello Stato di 
essere 
«testimone 
privilegiato di 
quel 
dialogo 
tra 
le 
alte 
Corti 
che 
costituisce 
strumento 
fondamentale 
affinché 
l’integrazione 
tra 
l’ordinamento 
interno 
e 
quelli 
sovranazionali 
avvenga 
senza 
pregiudizio per 
le 
nostre 
tradizioni 
costituzionali 
e 
per 
i 
principi 
supremi 
che 
ne 
sono 
alla 
base»; 
è 
un 
dialogo 
al 
quale 
l’Avvocatura 
dello 
Stato 
contribuisce 
con il 
peculiare 
obiettivo di 
tutelare 
l’interesse 
pubblico generale 
e 
non solo 
quello della 
parte 
difesa 
coinvolta 
nel 
giudizio: 
solamente 
per mezzo dell’attività 
svolta 
dall’Avvocatura 
dello 
Stato 
-che 
garantisce 
una 
complessiva 
coerenza 
delle 
posizioni 
sostenute 
nelle 
diverse 
materie 
affrontate 
-è 
possibile 
perseguire 
e 
raggiungere 
una 
«visione 
d’insieme 
delle 
questioni 
giuridiche 
che 
caratterizzano 
un 
determinano 
momento 
storico», 
e 
ciò 
grazie 
sia 
alla 
costante 
presenza 
davanti 
al 
giudice 
ordinario, contabile 
e 
amministrativo, che 
davanti 
alla Corte costituzionale e alle Corti sovranazionali (115). 

(114) “1. Le 
decisioni 
riguardanti 
i 
ricorsi 
alla Corte 
di 
giustizia dell'Unione 
europea o gli 
interventi 
in procedimenti 
in corso davanti 
alla stessa Corte, a tutela di 
situazioni 
di 
rilevante 
interesse 
nazionale, 
sono adottate 
dal 
Presidente 
del 
Consiglio dei 
ministri 
o dal 
ministro per 
gli 
affari 
europei, in 
raccordo con il 
ministro degli 
affari 
esteri 
e 
d'intesa con i 
ministri 
interessati. ove 
necessario, il 
Presidente 
del 
Consiglio 
dei 
ministri 
o 
il 
ministro 
per 
gli 
affari 
europei 
ne 
riferisce 
preventivamente 
al 
Consiglio dei 
ministri. 2. ai 
fini 
del 
comma 1, le 
richieste 
di 
ricorso o di 
intervento davanti 
alla Corte 
di 
giustizia dell'Unione 
europea sono trasmesse 
dalle 
amministrazioni 
proponenti 
alla Presidenza del 
Consiglio dei ministri - Dipartimento per le politiche europee e al ministero degli affari esteri”. 

rASSeGnA 
AVVoCAturA 
DeLLo 
StAto -n. 1/2021 


nei 
giudizi 
dinanzi 
alla 
Corte 
Internazionale 
di 
Giustizia, istituita 
presso 
le 
nazioni 
unite 
(v. art. 92 (116) dello Statuto delle 
Nazioni 
Unite, firmato a 
San Francisco il 
26 giugno 1945, reso esecutivo con la 
legge 
17 agosto 1957, 


n. 
848), 
l’art. 
42 
dello 
Statuto 
(allegato 
a 
quello 
delle 
nazioni 
unite 
e 
reso 
esecutivo 
unitamente 
allo 
stesso) 
dispone 
che: 
“1. 
Les 
parties 
sont 
représentées 
par 
des 
agents. 
2. 
Elles 
peuvent 
se 
faire 
assister 
devant 
la 
Cour 
par 
des 
conseil 
ou des 
avocats. 3. Les 
agents, conseils 
et 
avocats 
des 
parties 
devant 
la Cour 
jouiront 
des 
privilèges 
et 
immunités 
nécéssaires 
à l'exercice 
indépendant 
de 
leurs 
fonctions”; 
pertanto, si 
deve 
considerare 
vigente 
il 
regime 
processuale 
descritto per i 
giudizi 
dinanzi 
alle 
Corti 
europee, anche 
se, nella 
prassi 
si 
riscontrano 
casi 
nei 
quali 
lo 
Stato 
italiano 
ha 
affiancato 
all’avvocato 
dello 
Stato 
alcuni esperti nella materia trattata. 
Lo 
stesso 
può 
dirsi 
per 
gli 
altri 
tribunali 
internazionali, 
costituiti 
in 
via 
stabile 
(come 
il 
tribunale 
Internazionale 
del 
diritto del 
mare-ItLoS 
(117); 
il 
tribunale 
unificato dei 
brevetti 
(118); 
ecc.) oppure 
ad hoc 
per la 
cognizione 
di 
specifici 
casi: 
lo Stato italiano è 
rappresentato -per la 
difesa 
dei 
suoi 
interessi, 
qualora 
coinvolti 
nella 
controversia 
-da 
un agente 
o funzionario incaricato 
ad 
hoc, 
con 
l’eventuale 
assistenza 
di 
un 
avvocato 
dello 
Stato 
o 
di 
un 
esperto della materia, di solito in collegio fra di loro. 


7. Un amicus curiae per il giudizio amministrativo? 
un 
amicus 
curiae 
per 
il 
processo 
amministrativo? 
Può 
sembrare 
una 
provocazione 
o una 
mera 
fantasia 
ma, in realtà, potrebbe 
essere 
un’idea 
per migliorare 
l’efficienza 
e 
l’efficacia 
del 
processo 
dinanzi 
al 
Giudice 
amministrativo e 
delle 
sue 
decisioni, nel 
rispetto dei 
principi 
dell’art. 97 della 
Costituzione. 


Come 
è 
noto, con l’espressione 
amicus 
curiae 
si 
è 
soliti 
far riferimento a 
quel 
soggetto che, per espressa 
richiesta 
della 
corte 
o per propria 
iniziativa, 
collabora 
-fornendo il 
proprio sapere 
in qualità, per l’appunto, di 
«amico» con 
l’autorità 
giudiziaria, 
con 
il 
preciso 
fine 
di 
garantire 
la 
miglior 
risoluzione 


(115) 
Sul 
punto, 
si 
veda 
il 
Discorso 
di 
insediamento 
dell’Avvocato 
Generale 
dello 
Stato 
Gabriella 
Palmieri Sandulli, in data 22 novembre 2019, pubblicato nel sito ufficiale dell’Avvocatura. 
(116) «92. La Cour 
internationale 
de 
justice 
constitue 
l'organe 
judiciaire 
principal 
des 
Nations 
Unies. Elle 
fonctionne 
conformément 
à un Statut 
établi 
sur 
la base 
du Statut 
de 
la Cour 
permanente 
de 
justice internationale et annexé à la présente Charte dont il fait partie intégrante». 
(117) 
Accordo 
sui 
privilegi 
e 
le 
immunità 
del 
tribunale 
internazionale 
del 
diritto 
del 
mare, 
adottato 
a 
new 
York il 
23 maggio 1997, art. 16: 
“agenti, consulenti 
legali 
e 
avvocati. 1. Gli 
agenti, i 
consulenti 
legali 
e 
gli 
avvocati 
presso il 
Tribunale 
godono, durante 
la durata della loro missione, ivi 
compreso in 
occasione 
di 
viaggi 
effettuati 
nell'àmbito di 
missioni, dei 
privilegi, immunità ed agevolazioni 
richieste 
dell'esercizio indipendente delle loro funzioni …”. 
(118) 
Acc. 
Int. 
19 
febbraio 
2013 
-accordo 
su 
un 
tribunale 
unificato 
dei 
brevetti, 
art. 
48 
dello 
Statuto, 
“Rappresentanza. 1. Le 
parti 
sono rappresentate 
da avvocati 
abilitati 
al 
patrocinio dinanzi 
ad un 
organo giurisdizionale di uno Stato membro contraente”. 

teMI 
IStItuzIonALI 


di 
una 
determinata 
controversia, 
rimanendo, 
però, 
terzo 
ed 
imparziale 
rispetto 
agli 
specifici 
interessi 
delle 
parti 
in 
causa; 
sovente, 
attraverso 
tale 
figura, 
vengono 
introdotti 
nel 
giudizio 
interessi 
di 
carattere 
pubblico, 
generale, 
di 
cui 
l’amicus 
curiae 
si 
fa 
garante, 
svolgendo 
così 
una 
funzione 
lato 
sensu 
giuspubblicistica 
(119). 


La 
sopra 
descritta 
funzione 
dell’Avvocatura 
dello 
Stato 
nei 
giudizi 
dinanzi 
alla 
Corte 
Costituzionale, di 
difensore 
della 
integrità 
dell’ordinamento giuridico 
generale, potrebbe 
essere 
utilmente 
riproposta 
anche 
nei 
giudizi 
amministrativi 
a difesa dell’integrità dell’ordinamento amministrativo. 


Infatti, 
capita 
spesso 
che 
sia 
impugnato 
dinanzi 
al 
Giudice 
amministrativo 
un provvedimento generale 
di 
regolazione 
di 
un particolare 
settore 
o plesso 
amministrativo, del 
quale 
si 
chiede 
l’annullamento solo per una 
parte 
ma 
che 
verrebbe 
inevitabilmente 
travolto da 
un annullamento parziale; 
del 
resto -da 
un lato -il 
Giudice 
non ha 
il 
potere 
di 
modificare 
utilmente 
la 
disposizione 
censurata 
qualora 
ne 
riscontri 
l’illegittimità, al 
fine 
di 
consentire 
l’operatività 
dell’intero provvedimento nel 
quale 
è 
inserita, e 
-dall’altro lato -l’amministrazione 
non ha 
la 
elasticità 
o la 
disponibilità 
a 
rivedere 
l’atto prima 
e 
in assenza 
di una pronunzia giudiziale che la obblighi ad intervenire. 


Il 
fermo 
dell’attività 
amministrativa 
che 
consegue 
ad 
una 
pronunzia 
di 
annullamento dell’atto generale 
(eventualmente 
anticipata 
in sede 
di 
sospensiva 
cautelare) è 
certamente 
contrario al 
principio costituzionale 
di 
efficienza 
della pubblica amministrazione di cui all’art. 97 Cost. 


ecco perché 
potrebbe 
essere 
utile 
prevedere 
nei 
giudizi 
amministrativi, 
aventi 
ad 
oggetto 
un 
atto 
o 
provvedimento 
emesso 
da 
una 
amministrazione 
statale, la 
possibilità 
di 
intervento della 
Presidenza 
del 
Consiglio, patrocinata 
dall’Avvocatura dello Stato, in funzione 
super partes 
e di 
amicus curiae. 


Questa 
figura 
che 
qui 
ipotizziamo costituirebbe 
-da 
un lato -una 
proiezione 
nel 
giudizio 
amministrativo 
della 
figura 
e 
della 
funzione 
dell’intervento 
del 
Presidente 
nel 
Consiglio 
nei 
giudizi 
di 
legittimità 
costituzionale, 
con 
il 
patrocinio 
dell’Avvocato 
generale 
dello 
Stato, 
e 
-dall’altro 
lato 
-completerebbe 
il 
paradigma 
tradizionale 
del 
contraddittorio nel 
processo con una 
parte 
che 
sarebbe 
più vicina 
a 
quella 
dell’Avvocato generale 
dinanzi 
alla 
Corte 
di 
Giustizia 
ue 
e 
a 
quella 
del 
Commissario per i 
diritti 
umani 
dinanzi 
alla 
CeDu 
(120), 
piuttosto 
che 
a 
quella 
individuata 
nella 
recente 
riforma 
del 
processo 
co


(119) 
Già 
nella 
tradizione 
giuridica 
dell’antica 
roma 
l’istituto 
dell’amicus 
curiae 
trovava 
una 
sua 
collocazione 
attraverso il 
ruolo del 
consulente 
indipendente 
del 
tribunale, da 
quest’ultimo nominato al 
fine 
di 
fornire 
assistenza 
e 
supporto all’autorità 
giudiziaria 
(C. DeLLA 
GIuStInA, amicus 
curiae: dalle 
origini 
alle 
modifiche 
delle 
“Norme 
integrative 
per 
i 
giudizi 
davanti 
alla Corte 
costituzionale”, in osservatorio 
Costituzionale, Fasc. 3/2020, 2 giugno 2020). 
(120) L’ultimo paragrafo dell’art. 36 del 
regolamento della 
Corte 
riconosce 
il 
diritto al 
deposito 
di 
atti 
scritti 
e 
alla 
partecipazione 
al 
contraddittorio 
al 
Commissario 
per 
i 
diritti 
dell’uomo 
del 
Consiglio 
d’europa, il 
cui 
intervento, dunque, è 
sempre 
ammesso, con la 
disciplina 
dettata 
dal 
successivo art. 44. 

rASSeGnA 
AVVoCAturA 
DeLLo 
StAto -n. 1/2021 


stituzionale 
delle 
norme 
innovative 
approvate 
con delibera 
dell’otto gennaio 
2020 (121). 


Per vero, questo nuovo amicus 
curiae 
si 
presenta 
come 
portatore 
di 
voci 
esterne, 
seppur 
contigue, 
alla 
questione 
di 
costituzionalità 
in 
discussione 
(122) 
ma 
senza 
alcuna 
forza 
propositiva 
o influenza 
diretta 
sulla 
decisione 
da 
assumere 
e addirittura senza poter partecipare all’udienza di discussione (123). 


Anche 
l’Avvocato generale 
dinanzi 
alla 
CGue 
non ha 
forza 
propositiva 
diretta 
sulla 
questione 
all’esame 
della 
Corte 
ma 
ha 
certamente 
una 
notevole 
influenza 
sulla 
emananda 
decisione, nel 
superiore 
interesse 
della 
corretta 
applicazione 
dei 
principi 
europei, come 
è 
attestato dalla 
prassi 
che 
viene 
in evidenza 
nella motivazione. 


La 
nuova 
ipotizzata 
figura 
del 
processo amministrativo avrebbe 
proprio 
questa 
capacità 
di 
influenza 
sull’esito del 
giudizio perché 
sarebbe 
finalizzata 
a 
proporre 
una 
soluzione 
della 
questione 
controversa 
che 
si 
ponga 
come 
un 
superamento delle 
posizioni 
controverse 
fra 
le 
parti 
in causa 
e 
sia 
ispirata 
alla 
ricerca 
di 
una 
soluzione 
che 
persegua 
la 
piena 
attuazione 
dei 
principi 
costituzionali. 


Questo 
intervento 
non 
verrebbe 
a 
sovrapporsi 
alla 
costituzione 
in 
giudizio 
dell’amministrazione 
statale 
convenuta 
perché 
la 
posizione 
della 
stessa 
sarebbe 
assorbita 
da 
quella 
della 
Presidenza 
interveniente, al 
superiore 
fine 
di 
salvaguardare 
l’integrità 
dell’organizzazione 
amministrativa 
e 
non 
solo 
(e 
non 
tanto) la legittimità della singola disposizione impugnata. 


L’interveniente 
avrebbe 
la 
potestà 
di 
suggerire 
una 
modifica 
della 
parte 
dell’atto generale 
suscettibile 
di 
annullamento in modo da 
riportare 
a 
legalità 
l’intero e 
consentire 
al 
Giudice 
di 
pronunziarsi 
nel 
merito dell’esercizio del-
l’attività amministrativa con potestà che, altrimenti, gli sarebbe preclusa. 


non è 
questa 
la 
sede 
per scendere 
nei 
dettagli 
dell’ipotesi 
di 
riforma 
ma 
potrebbe essere utile aver lanciato la proposta. 


(121) Il 
nuovo art. 4-ter, stabilisce 
che 
le 
opinioni 
amicus 
curiae 
possono essere 
presentate 
da 
«formazioni 
sociali 
senza scopo di 
lucro» e 
da «soggetti 
istituzionali» «portatori 
di 
interessi 
collettivi 
o 
diffusi»«attinenti 
alla 
questione 
di 
costituzionalità» 
(1° 
comma), 
che 
la 
rappresentatività 
dell'ente 
dovrà 
essere 
apprezzata 
in 
specifica 
aderenza 
alla 
questione 
di 
legittimità 
costituzionale 
e 
che 
l'opinione 
scritta 
sarà 
ammessa 
purché 
offra 
«elementi 
utili 
alla conoscenza e 
alla valutazione 
del 
caso, anche 
in 
ragione della complessità del medesimo» (3° comma). 
(122) G. BAttAGLIA, Il 
nuovo istituto dell'amicus 
curiae, in Foro it., 2020, V, 388; 
G.P. DoLSo, 
Recenti interventi sul processo costituzionale, in Diritto pubblico, fasc. 2, 2020. 
(123) La 
prima 
pronuncia 
della 
Corte 
costituzionale 
italiana 
che 
ha 
dato luogo all’applicazione 
delle 
nuove 
disposizioni 
di 
legge 
è 
stata 
l’ordinanza 
n. 
37/2020, 
con 
la 
quale 
la 
Consulta 
ha 
ritenuto 
ammissibile 
la 
richiesta 
di 
intervento del 
Consiglio nazionale 
dell’ordine 
dei 
giornalisti 
nel 
giudizio in 
via 
incidentale 
sulla 
legittimità 
costituzionale 
del 
reato di 
diffamazione 
a 
mezzo stampa, per via 
della 
sussistenza 
di 
un nesso con lo specifico rapporto giuridico dedotto in giudizio in relazione 
alla 
competenza 
disciplinare attribuita al CnoG dalla legge 3 febbraio 1963, n. 69. 

teMI 
IStItuzIonALI 


8. Controllo dell’autorità Giudiziaria sulla legittimità del 
patrocinio dell’avvocatura. 
occorre, 
anzitutto, 
rilevare 
che, 
pacificamente, 
il 
potere 
di 
verificare 
e 
rilevare 
d’ufficio l’eventuale 
sussistenza 
di 
conflitti 
d’interesse, ai 
fini 
dell’assunzione 
del 
patrocinio, 
spetta 
sempre 
al 
giudice 
quando 
si 
tratta 
di 
parti 
private, ai sensi dell’art. 182 c.p.c. (124). 


Abbandonato 
il 
ricorso 
all'applicazione 
analogica 
della 
disciplina 
processualpenalistica 
(art. 133 c.p.p. previgente; 
art. 106 c.p.p. vigente) in passato 
sostenuta 
(Cass. 
n. 
2493/1983, 
e 
già, 
in 
epoca 
remota, 
Corte 
cost. 
n. 
59/1959), 
la 
fonte 
del 
menzionato 
principio, 
ora 
codificato 
nell’art. 
182 
c.p.c. 
(introdotto 
dalla 
l. 18 giugno 2009, n. 69), la 
cui 
violazione 
può dar luogo ad illecito disciplinare 
e 
perfino 
penale 
(Cass. 
S.u., 
n. 
14619/2002), 
è 
oggi 
fatta 
discendere 
dagli 
artt. 
24 
e 
111 
Cost. 
in 
cui 
sono 
consacrati 
il 
diritto 
di 
difesa 
ed 
il 
principio 
del 
contraddittorio, 
donde 
la 
rilevabilità 
d’ufficio 
del 
vizio 
della 
procura 
anche 
in appello (125). 

non 
sempre 
agevole, 
in 
dipendenza 
delle 
implicazioni 
del 
caso 
concreto, 
è 
l'individuazione 
della 
linea 
di 
demarcazione 
tra 
il 
conflitto di 
interessi 
non 
soltanto attuale, ma 
anche 
potenziale, giuridicamente 
rilevante, ed il 
conflitto 
di 
interessi 
meramente 
eventuale, irrilevante. Così, si 
trova 
affermato che 
nel 
rapporto fideiussorio, non sussiste 
conflitto d'interessi 
tra 
debitore 
principale 
e 
fideiussore, assistiti 
dal 
medesimo difensore, quando in concreto emerga 
il 
comune 
interesse 
a 
contestare 
l'esistenza 
della 
pretesa 
del 
creditore, non essendo 
sufficiente 
la 
mera 
eventualità 
di 
una 
contrapposizione 
processuale 
dovuta 
alla 
contestazione 
dell'esistenza 
del 
rapporto di 
garanzia 
ma 
dovendosi 
ritenere 
necessaria 
l'esistenza 
di 
un 
conflitto 
attuale 
o 
quanto 
meno 
virtuale 
(Cass. n. 23056/2007). 

Al 
contrario, nel 
caso di 
controversia 
di 
lavoro instaurata 
contro un ente 


(124) 
Così 
la 
giurisprudenza 
sul 
punto: 
Cass. 
civ., 
Sez. 
unite, 
12 
marzo 
2021, 
n. 
7030: 
“Il 
conflitto 
di 
interessi 
tra 
avvocato 
e 
cliente 
non 
sussiste 
solo 
nel 
caso 
in 
cui 
l'avvocato 
si 
ponga 
in 
contrapposizione 
processuale 
con il 
suo assistito in assenza di 
un consenso da parte 
di 
quest'ultimo, poiché 
il 
conflitto si 
evidenzia 
in 
tutti 
i 
casi 
in 
cui, 
per 
qualsiasi 
ragione, 
ci 
si 
ponga 
processualmente 
in 
antitesi 
con 
il 
proprio 
assistito; 
sussiste 
conflitto 
quando 
in 
una 
procedura 
esecutiva 
si 
chiede 
l'attribuzione 
di 
somme 
del 
proprio assistito senza sostanzialmente 
cessare 
la difesa di 
quest'ultimo, potendo essere 
il 
conflitto 
anche 
solo potenziale”; 
Cass. civ., sez. VI, 20 gennaio 2020, n. 1143: 
“Va ribadito il 
principio di 
diritto 
per 
cui 
nel 
caso in cui 
tra due 
o più parti 
sussista un conflitto di 
interessi, è 
inammissibile 
la difesa in 
giudizio 
a 
mezzo 
dello 
stesso 
procuratore, 
e 
la 
violazione 
di 
tale 
limite, 
investendo 
i 
valori 
costituzionali 
del 
diritto 
di 
difesa 
e 
del 
principio 
del 
contraddittorio, 
è 
rilevabile 
d’ufficio 
(Cass., 
25/09/2018, 
n. 
22772)”. 
(125) Conseguenza 
del 
conflitto di 
interessi 
è, secondo l'opinione 
prevalente, la 
nullità 
della 
procura 
rilasciata 
per seconda; 
così, nel 
caso di 
conferimento al 
medesimo procuratore 
della 
procura 
alle 
liti 
da 
parte 
di 
madre 
e 
figlio 
nel 
giudizio 
di 
disconoscimento 
della 
paternità, 
la 
parte 
che 
abbia 
conferito 
per seconda 
la 
procura 
al 
procuratore 
nominato dall'altra 
deve 
ritenersi 
non costituita 
in giudizio (Cass. 
n. 14634/2015; 
Cass. n. 1860/1984); 
talora, tuttavia, si 
ipotizza 
anche 
la 
nullità 
di 
tutte 
le 
procure 
conferite 
(Cass. n. 2779/1968). 

rASSeGnA 
AVVoCAturA 
DeLLo 
StAto -n. 1/2021 


pubblico, di 
cui 
sia 
rappresentante 
legale 
una 
persona 
avente 
con l'attore 
un 
rapporto di 
stretta 
parentela 
(nella 
specie, il 
fratello), la 
S.C. ha 
ritenuto sussistente 
una 
situazione 
di 
conflitto di 
interessi 
che, comportando l'invalidità 
della 
rappresentanza 
processuale 
dell'ente, 
è 
ostativa 
alla 
costituzione 
di 
un 
valido rapporto processuale 
tra 
lo stesso ente 
ed il 
lavoratore 
che 
lo ha 
convenuto 
in 
giudizio: 
tale 
situazione, 
ancorché 
solo 
potenziale, 
va 
rimossa, 
secondo 
la 
S.C., 
in 
via 
preventiva, 
indipendentemente 
dalla 
sussistenza 
o 
no 
di 
sintomi 
indicativi dell'effettività del conflitto stesso (Cass. n. 618/1990). 


Problematica 
è 
la 
piena 
applicazione 
dell’art. 182 c.p.c. nei 
confronti 
di 
una 
pubblica 
amministrazione, sotto 
il 
profilo della 
potestà 
dell’Autorità 
Giudiziaria 
di 
delibarne 
le 
scelte 
e 
di 
adottare 
provvedimenti 
autoritativi, in prospettiva 
del 
rispetto 
della 
separazione 
dei 
poteri 
che 
informa 
il 
nostro 
ordinamento. 


In effetti, il 
provvedimento adottato dall’Autorità 
Giudiziaria 
che 
rilevi 
d’ufficio 
il 
conflitto 
d’interessi 
con 
riguardo 
al 
patrocinio 
obbligatorio 
del-
l’Avvocatura 
dello 
Stato 
nei 
confronti 
delle 
Pubbliche 
Amministrazioni 
statali, 
potrebbe 
essere 
censurato sia 
sotto il 
profilo dell’eccesso di 
potere 
giurisdizionale 
sia 
sotto quello dell’abnormità, in quanto potenzialmente 
in contrasto 
con il 
principio dell’autonomia 
del 
potere 
esecutivo-amministrativo rispetto a 
quello giudiziario. 


La 
criticità 
del 
sistema 
non si 
manifesta 
tanto nel 
caso del 
controllo sulla 
validità 
del 
singolo mandato concesso al 
patrocinatore 
legale, in applicazione 
del 
disposto dell’art. 43 r.d. 1611/1933 (126), trattandosi 
in definitiva 
di 
verifica 
della 
corretta 
applicazione 
di 
una 
norma 
di 
legge 
(che 
prevede 
espressamente 
il 
conflitto di 
interesse) da 
parte 
dell’ente 
autorizzato ad avvalersi 
del 
patrocinio 
dell’Avvocatura 
ma 
pur 
sempre 
in 
posizione 
subordinata 
rispetto 
al 
patrocinio obbligatorio 
per le 
amministrazioni 
statali 
ex 
art. 1 stesso regio 


(126) Cass. civ., Sez. unite, 20 ottobre 
2017, n. 24876: 
“ai 
sensi 
dell'art. 43 del 
R.D. n. 1611 del 
1933 -come 
modificato dall'art. 11 della l. 3 aprile 
1979 n. 103 -la facoltà per 
le 
Università statali 
di 
derogare, "in casi 
speciali" 
al 
"patrocinio autorizzato" 
spettante 
per 
legge 
all'avvocatura dello Stato, 
per 
avvalersi 
dell'opera di 
liberi 
professionisti, è 
subordinata all'adozione 
di 
una specifica e 
motivata 
deliberazione 
dell'ente 
(ossia del 
rettore) da sottoporre 
agli 
organi 
di 
vigilanza (consiglio di 
amministrazione) 
per 
un controllo di 
legittimità. In via generale, la mancanza di 
tale 
controllo determina la 
nullità del 
mandato alle 
liti, non rilevando che 
esso sia stato conferito con le 
modalità prescritte 
dal 
regolamento 
o dallo statuto dell'Università, fonti 
di 
rango secondario insuscettibili 
di 
derogare 
alla legislazione 
primaria. Tuttavia, nei 
casi 
in cui 
ricorra una vera e 
propria urgenza, ai 
sensi 
dell'art. 12 del 
R.D. n. 1592 del 
1933, il 
rettore, quale 
presidente 
del 
consiglio d'amministrazione, può provvedere 
direttamente 
al 
conferimento dell'incarico all'avvocato del 
libero foro, purché 
curi 
di 
far 
approvare 
sollecitamente 
la relativa delibera dal 
consiglio, così 
sanando l'originaria irregolarità. Inoltre, in base 
al 
citato art. 43, è 
valido il 
mandato conferito ad avvocati 
del 
libero foro con il 
solo provvedimento del 
rettore, 
non 
seguito 
dal 
vaglio 
del 
consiglio, 
nel 
caso 
in 
cui 
si 
verifichi 
in 
concreto 
un 
conflitto 
di 
interessi 
sostanziali 
tra più enti 
pubblici 
parti 
nel 
medesimo giudizio, rendendo un simile 
conflitto di 
interessi 
che 
deve 
essere 
reale, 
non 
meramente 
ipotetico 
e 
documentato 
-rende 
non 
ipotizzabile 
il 
patrocinio 
del-
l'avvocatura dello Stato in favore 
dell'Università, sicché 
non vi 
è 
alcuna ragione 
di 
richiedere 
la suindicata 
preventiva autorizzazione”. 

teMI 
IStItuzIonALI 


decreto; 
la 
criticità 
si 
presenta 
allorché 
si 
tratti 
di 
verificare 
il 
corretto 
esercizio 
della 
potestà 
discrezionale 
spettante 
ad una 
pubblica 
amministrazione 
statale, 
munita 
del 
patrocinio obbligatorio 
dell’Avvocatura, declinabile 
solo ai 
sensi 
dell’art. 5. 


Allorché 
siano costituite 
nel 
processo due 
amministrazioni 
statali, la 
valutazione 
sul 
potenziale 
conflitto di 
interessi 
e 
sulla 
ricorrenza 
delle 
ragioni 
assolutamente 
speciali 
per l’adozione 
della 
deliberazione 
di 
cui 
all’art. 5 r.d. 
1611 spetta 
alla 
stessa 
pubblica 
amministrazione, con l’osservanza 
della 
procedura 
ivi 
regolata, e 
non può essere 
imposta 
dal 
Giudice 
che, per principio 
universale, non può ordinare un facere 
a un altro potere pubblico. 


Si 
tratterebbe 
di 
un 
eccesso 
di 
potere 
giurisdizionale, 
denunziabile 
ai 
sensi 
dell'art. 111, comma 
3, della 
Costituzione 
perché 
il 
Giudice 
si 
sostituisce 
alla 
pubblica 
amministrazione 
procedendo alla 
diretta 
e 
concreta 
valutazione 
del-
l'opportunità 
e 
convenienza 
dell'atto, assumendo la 
decisione 
finale 
in espressione 
di 
una 
volontà 
dell'organo 
giudicante 
che 
si 
sostituisce 
a 
quella 
dell'amministrazione 
e 
che, 
procedendo 
ad 
un 
sindacato 
di 
merito, 
si 
estrinseca 
in una 
pronunzia 
autoesecutiva 
(intendendosi 
per tale 
quella 
che 
abbia 
il 
contenuto 
sostanziale 
e 
l'esecutorietà 
stessa 
del 
provvedimento sostituito) senza 
salvezza 
degli 
ulteriori 
provvedimenti 
dell'autorità 
amministrativa 
(Cass. 
S.u. 


n. 
9443 
del 
28 
aprile 
2011; 
n. 
16165 
del 
25 
luglio 
2011; 
n. 
2312 
del 
17 
febbraio 
2012). 
Si 
è 
presentato nella 
pratica 
il 
caso di 
un giudizio promosso congiuntamente 
dal 
Ministero dell’economia 
e 
delle 
Finanze 
e 
dall’Agenzia 
nazionale 
per 
l’Amministrazione 
e 
la 
Destinazione 
dei 
Beni 
Sequestrati 
e 
Confiscati 
alla 
Criminalità 
organizzata 
(127), 
sulla 
base 
di 
legittimazione 
surrogatoria 
ex 
artt. 
2476, 
co. 
3, 
e 
2407, 
co. 
2, 
c.c., 
contro 
gli 
amministratori 
ed 
i 
sindaci 
di 
società 
confiscata; 
alla 
domanda 
di 
manleva 
di 
questi 
ultimi, che 
chiamavano in giudizio 
come 
responsabili 
gli 
stessi 
soggetti 
pubblici 
attori, le 
due 
amministrazioni 
statali 
che 
avevano promosso il 
giudizio si 
sono dovute 
ri-costituire 
per 
resistere 
alle 
dette 
domande 
di 
manleva, ribadendo la 
posizione 
assunta 
nel-
l’atto introduttivo del giudizio. 


tuttavia, il 
Giudice 
unico del 
tribunale 
di 
Palermo con ordinanza 
28-29 
gennaio 2020, ritenuto che 
“la condizione 
di 
conflitto tra l’interesse 
della società 
e 
quello dei 
convenuti 
in regresso -questi 
ultimi 
interessati 
a dare 
una 
rappresentazione 
dei 
fatti 
che 
escluda la loro responsabilità rispetto ai 
danni 
che 
si 
assume 
aver 
sofferto 
la 
società 
-determin[erebbe] 
una 
situazione 
di 
in


(127) A 
norma 
dell’art. 69, ult. co., del 
r.d. 18 novembre 
1923 n. 2440 (t.u. 
sulla contabilità generale 
dello Stato), aggiunto dal 
comma 
5-decies 
dell’art. 3, d.l. 9 settembre 
2005, n. 182, “tra le 
amministrazioni 
dello 
Stato 
devono 
intendersi 
le 
agenzie 
da 
esso 
istituite, 
anche 
quando 
dotate 
di 
personalità giuridica”. tant’è 
che, ai 
sensi 
dell’art. 114, co. 2, del 
d.lgs. n. 159/2011 e 
s.m.i. (codice 
antimafia), 
“all’agenzia si 
applica l’articolo 1 del 
testo unico delle 
leggi 
e 
delle 
norme 
giuridiche 
sulla 
rappresentanza e difesa dello Stato (…)”. 

rASSeGnA 
AVVoCAturA 
DeLLo 
StAto -n. 1/2021 


compatibilità dell’avvocatura dello Stato a difendere 
l’aNaBC e 
mEF 
quali 
parti 
formali 
da 
un 
lato 
e 
quali 
parti 
sostanziali 
dall’altro”, 
assegnava 
termine 
per rimuovere 
tale 
asserita 
situazione 
di 
incompatibilità 
“attraverso l’assunzione 
della 
difesa 
dei 
convenuti 
aNaBC 
e 
mEF, 
relativamente 
alle 
pretese 
contro di 
loro svolte 
in regresso dai 
sindaci 
e 
amministratori, da parte 
di 
difensore 
proveniente 
dal 
libero foro (con applicazione 
analogica dell’art. 43, 
co. 3 [rectius, co. 4] 
del 
Regio Decreto 30 ottobre 
1933, n. 1611) o attraverso 
la costituzione 
della società affinché 
la stessa coltivi 
le 
pretese 
svolte 
nel 
suo 
interesse 
dagli 
attori”; 
l’ordinanza 
era 
confermata 
in 
sede 
di 
reclamo 
e, 
quindi, 
impugnata 
in 
Cassazione 
ex 
art. 
111 
Cost. 
(ove 
il 
processo 
è 
ancora 
pendente). 


L’impossibilità 
per 
l’Autorità 
Giudiziaria 
di 
intervenire 
nel 
procedimento 
amministrativo di 
affidamento del 
patrocinio all’Avvocatura 
dello Stato regolato 
ex 
lege 
dal 
r.d. 1611/1933 e 
dalla 
l. 103/1979 non comporta, peraltro, che 
un potenziale 
conflitto di 
interessi 
o di 
posizioni 
sostanziali 
fra 
amministrazioni 
statali 
sia 
insuscettibile 
di 
essere 
composto; 
anzi, la 
necessità 
di 
assicurare 
l’unità 
dell’ordinamento e 
l’armonia 
della 
sua 
azione 
impone 
la 
ricerca 
di 
una 
posizione 
comune 
ma 
questa 
attività 
resta 
nell’ambito dell’alta 
amministrazione 
e non può essere demandata ad altro potere dello Stato. 


A 
parte 
specifiche 
normative 
che 
prevedono norme 
di 
composizione 
dei 
conflitti 
fra 
le 
pubbliche 
amministrazioni 
in particolari 
settori 
(ambiente, territorio, 
ecc.), presso la 
Presidenza 
del 
Consiglio è 
istituito il 
Dipartimento del 
Coordinamento Amministrativo che 
ha 
fra 
le 
sue 
funzioni 
quella 
della 
composizione 
delle 
divergenze 
che 
sorgono fra 
amministrazioni 
statali 
e 
che, appunto, 
sono 
risolte 
al 
più 
alto 
livello 
amministrativo 
centrale, 
sotto 
l’egida 
della Presidenza del Consiglio. 


Anche 
sotto questo profilo, quindi, l’Autorità 
Giudiziaria 
non può sindacare 
l’affidamento del 
patrocinio ex 
lege 
all’Avvocatura 
dello Stato da 
parte 
di un’amministrazione statale, neppure ai sensi dell’art. 182 c.p.c. 


A 
chiusura 
dell’argomento, 
può 
ricordarsi 
un 
episodio 
peculiare 
accaduto 
nell’ambito 
della 
problematica 
qui 
esaminata, 
ove 
il 
conflitto 
di 
interessi, 
presente 
sin 
dall’inizio 
dell’azione 
promossa 
con 
il 
patrocinio 
dell’Avvocatura 
dello Stato, è stato risolto d’intesa fra le parti. 


trattasi 
della 
contrapposizione 
tra 
il 
Presidente 
della 
repubblica 
e 
il 
Ministro 
della 
Giustizia, 
in 
relazione 
alla 
titolarità 
del 
potere 
di 
grazia, 
che 
ha 
dato origine ad un conflitto di attribuzione tra questi due poteri dello Stato. 

Il 
ricorso 
introduttivo 
del 
conflitto 
è 
stato 
predisposto, 
con 
atto 
di 
pro-
movimento n. 6/2005, dall’Avvocatura 
Generale 
dello Stato su incarico e 
per 
conto del 
Presidente 
della 
repubblica; 
l’antagonista 
Ministero della 
Giustizia 


-che 
pure 
avrebbe 
avuto il 
diritto di 
essere 
difeso dall’Avvocatura, in quanto 
trattasi 
di 
organo del 
potere 
esecutivo che 
per definizione 
rientra 
nel 
concetto 
di 
Amministrazione 
dello Stato -ha 
affidato la 
difesa 
ad avvocato privato, valendosi 
della 
facoltà 
di 
deroga 
per 
casi 
assolutamente 
eccezionali 
prevista 

teMI 
IStItuzIonALI 


dall’art. 
5 
r.d. 
1611/1933, 
con 
provvedimento 
assunto 
in 
autonomia 
e 
senza 
seguire 
la 
procedura 
ivi 
prevista 
(un decreto del 
Presidente 
del 
Consiglio previo 
parere 
dell’Avvocato generale), stante 
la 
posizione 
di 
vertice 
del 
Ministro 
nell’ambito del 
potere 
esecutivo e 
la 
non soggezione 
ad altro potere 
o organo 
consultivo (128). 

(128) Sul 
punto, si 
veda 
Presidente 
della Repubblica, conflitto di 
attribuzioni 
e 
patrocinio del-
l’avvocatura dello Stato: spunti e problemi 
di 
A. De 
VItA, in www.forumcostituzionale.it 

rASSeGnA 
AVVoCAturA 
DeLLo 
StAto -n. 1/2021 


la tutela dello Stato nel sistema giudiziario 
italiano nei procedimenti contro le frodi 
che incidono sul bilancio dell’ue 


Luca Ventrella* 


Signor Presidente, 


innanzitutto 
i 
miei 
più 
sentiti 
ringraziamenti 
alla 
Corte 
dei 
Conti, 
alla 
Procura 
Generale 
e 
in particolare 
al 
Procuratore 
Generale, per questo prestigioso 
invito davanti 
ad un uditorio così 
autorevole 
e 
su un tema 
di 
così 
grande 
interesse 
e di scottante attualità. 


non 
posso 
non 
cominciare 
il 
mio 
intervento 
-anche 
per 
raccordarmi 
a 
ciò 
che 
è 
stato 
detto 
nella 
interessantissima 
tavola 
rotonda 
che 
mi 
ha 
preceduto 


-con un cenno al 
principio del 
ne 
bis 
in idem, alla 
luce 
degli 
approdi 
giurisprudenziali 
sovranazionali: 
mi 
riferisco 
in 
particolare 
alla 
sentenza 
CeDu 
“a 
and B 
c/ 
Norvegia” 
del 
15 novembre 
2016 (poi 
ripresa 
anche 
dalla 
Corte 
di 
Giustizia, 
proprio 
a 
proposito 
dell'ordinamento 
italiano 
in 
materia 
di 
repressione 
delle 
frodi 
IVA, realizzandosi 
così 
una 
convergenza), laddove 
il 
divieto 
di 
ne 
bis 
in idem 
sostanziale 
a 
livello sovranazionale 
è 
concepito soltanto in 
caso 
di 
perfetta 
coincidenza 
materiale 
tra 
i 
fatti 
contestati 
(cd. 
“idem 
factum”), 
e 
non impedisce 
invece 
la 
punibilità 
del 
soggetto in forza 
di 
titoli 
diversi 
e 
di 
autonome 
procedure 
di 
controllo, 
che 
siano 
penali, 
amministrative, 
civili, 
contabili 
e simili. 
ebbene, 
in 
quasi 
tutti 
questi 
procedimenti 
paralleli, 
in 
questi 
“doppi 
o 
tripli 
binari”, l'Avvocatura 
dello Stato gioca 
un ruolo, una 
parte 
importante; 
in 
questo sì l'Avvocatura certamente è un osservatorio privilegiato. 


Quindi 
-dicevamo -a 
livello di 
diritto europeo, in una 
situazione 
dell'ordinamento 
norvegese 
analoga 
a 
quella 
prevista 
nell'ordinamento 
italiano 
in 
tema 
di 
violazioni 
di 
norme 
fiscali 
sull’IVA, 
non 
osta 
alla 
previsione 
di 
un 
“doppio binario sanzionatorio” 
in materia 
di 
evasione 
fiscale 
e 
alla 
possibilità 
che 
sanzioni 
penali 
e 
tributarie 
trovino applicazione 
in procedimenti 
separati 
e/o 
“paralleli”; 
chiaramente 
al 
ricorrere 
di 
determinati 
requisiti, 
ad 
esempio 
purché 
risultino sufficientemente 
connessi 
per oggetto e 
sul 
piano temporale, 


(*) Avvocato dello Stato. 


Costituisce 
il 
presente 
scritto 
l’intervento 
dell’Autore 
al 
Convegno 
internazionale 
“Progetto 
Catone” 
(Progetto 
“Cooperation 
Agreements 
and 
Training 
on 
Objectives 
and 
New 
Experiences” 



C.A.T.O.N.E) per il contrasto alle frodi a danno degli interessi finanziari dell’Unione Europea. 
Convegno organizzato dalla Procura Generale 
della Corte 
dei 
Conti 
con 
la collaborazione 
del 
Comitato 
per 
la 
lotta 
contro 
le 
frodi 
nei 
confronti 
dell’UE 
della 
Presidenza 
del 
Consiglio 
dei 
Ministri 
(Colaf); 25-28 maggio 2021, modalità on line. 

teMI 
IStItuzIonALI 


nonchè 
vi 
sia 
a 
monte 
la 
prevedibilità 
da 
parte 
del 
privato 
della 
duplice 
risposta 
sanzionatoria e il carattere proporzionato delle sanzioni in concreto inflitte. 


Questi 
procedimenti 
“paralleli” 
dovrebbero 
inoltre 
perseguire 
finalità 
complementari 
e 
mirare 
anche 
in 
concreto 
a 
stigmatizzare 
aspetti 
diversi 
della 
condotta 
illecita 
del 
privato; 
possibilmente 
devono essere 
tali 
da 
evitare, nei 
limiti 
del 
possibile, ogni 
duplicazione 
di 
attività 
istruttoria, mediante 
un’adeguata 
interazione 
tra 
le 
autorità 
competenti, tale 
da 
rendere 
i 
fatti 
accertati 
in 
uno 
dei 
procedimenti 
utilizzabili 
pure 
nell'altro, 
evitando 
anche 
che 
la 
sanzione 
complessivamente 
intesa 
risulti 
sproporzionata, così 
da 
prevenire 
-si 
dice 
a 
livello 
di 
giurisprudenza 
sovranazionale 
-un 
accanimento 
persecutorio 
nei 
confronti del privato. 


In ogni 
caso sappiamo -sempre 
alla 
luce 
della 
giurisprudenza 
costituzionale 
e 
sovranazionale 
-che 
il 
principio del 
ne 
bis 
in idem 
riemerge, potremmo 
dire 
carsicamente, 
in 
executivis, 
onde 
evitare 
che 
il 
privato 
paghi 
due 
volte 
per la 
stessa 
sanzione; 
si 
pensi 
ad esempio al 
caso (peraltro tratto dall'esperienza 
pratica 
dell'Avvocatura) 
di 
condanna 
dell'imputato 
alle 
statuizioni 
civili 
in 
un 
processo 
penale 
in 
caso 
di 
costituzione 
di 
parte 
civile 
nell’interesse 
della 
P.A., e 
d'altra 
parte 
di 
condanna 
del 
medesimo soggetto nel 
giudizio dinanzi 
alla 
Corte 
dei 
Conti 
(dove 
pure 
l'Avvocatura 
dello Stato può spiegare 
un intervento 
adesivo), o ancora 
nel 
giudizio tributario davanti 
alla 
Corte 
di 
Cassazione. 


Si 
avverte 
quindi 
la 
necessità, in tema 
di 
grandi 
frodi 
fiscali 
-perché 
appunto 
non osti 
il 
principio del 
ne 
bis 
in idem 
-da 
un lato, di 
un coordinamento 
“interno” 
all’Avvocatura 
dello Stato, perché 
(svolgendo la 
stessa, come 
detto, 
diverse 
“parti 
in commedia” 
nei 
vari 
procedimenti) è 
bene 
che 
tante 
volte 
coordini 
le 
proprie 
difese, ad esempio dinanzi 
al 
giudice 
penale 
così 
come 
davanti 
alla 
Cassazione 
tributaria; 
e, 
d'altra 
parte, di 
un 
coordinamento 
anche 
“esterno” 
con 
le 
difese 
nei 
gradi 
di 
merito 
svolti 
dall'Agenzia 
delle 
entrate 
(sappiamo che 
davanti 
alle 
Commissioni 
tributarie 
provinciali 
e 
regionali 
si 
difende 
direttamente 
l'Amministrazione 
finanziaria 
con 
i 
propri 
funzionari, 
mentre 
all'Avvocatura 
spetta 
il 
compito di 
difenderla 
nei 
giudizi 
davanti 
alla 
Corte di Cassazione tributaria). 


ebbene, in tali 
casi, acquisire 
le 
difese 
dei 
gradi 
di 
merito dall'Agenzia 
delle 
entrate, 
nonchè 
i 
documenti 
-vere 
e 
proprie 
“tabelle 
di 
danno” 
-ed 
anche 
le 
prove 
documentali 
richiamate 
nei 
processi 
verbali 
di 
contestazione 
della 
Guardia 
di 
Finanza, e 
produrli 
magari 
con un indice 
ragionato in maniera 
selezionata 
nel 
giudizio penale, consente 
tante 
volte 
di 
ricostruire 
ed illustrare 
in modo schematico ed efficace 
anche 
complessi 
aspetti 
tecnici 
(cui 
il 
giudice 
penale 
non 
sempre 
è 
avvezzo) 
in 
ordine 
al 
significato 
tributario 
delle 
condotte. 


Può accadere 
a 
volte, in taluni 
casi, che 
il 
processo penale 
possa 
concludersi 
con 
un 
insuccesso, 
o 
per 
la 
detta 
difficoltà 
delle 
questioni 
tecniche, 
o 
per 
lo spirare 
dei 
termini 
prescrizionali, proprio per le 
garanzie 
costituzionali 
del 



rASSeGnA 
AVVoCAturA 
DeLLo 
StAto -n. 1/2021 


nostro ordinamento in materia 
penale 
(ora 
riconosciute 
anche 
a 
livello sovranazionale 
dall'ultima pronuncia 
Taricco 
della Corte di Giustizia). 


non è 
il 
caso ora, in questa 
sede, di 
ripercorrere 
la 
saga 
delle 
varie 
sentenze 
Taricco, però ciò che 
rileva 
segnalare 
è 
che 
io stesso ho discusso personalmente 
la 
prima 
causa 
Taricco, 
quella 
che 
vide 
l'Italia 
soccombente, 
ma 
vide 
soprattutto, possiamo dire, i 
principi 
costituzionali 
di 
garanzia 
fondamentali 
di 
ogni 
civile 
convivenza 
democratica 
avanzata 
un po' 
compressi 
in nome 
di 
un’asserita 
preminenza 
della 
tutela 
degli 
interessi 
finanziari, del 
bilancio europeo; 
ebbene, noi 
abbiamo cercato già 
nella 
prima 
discussione 
di 
sostenere 
come 
anche 
un sistema 
di 
prescrizione 
dei 
reati 
(che 
in Italia 
non è 
poi 
così 
ristretta, 
perché 
alla 
fine 
sono sette 
anni 
e 
mezzo) fosse 
compatibile 
con il 
perseguimento 
degli 
illeciti, sia 
dal 
punto di 
vista 
penale 
ma 
anche 
tributario, e 
delle 
grandi 
frodi 
che 
vanno 
ad 
incidere 
pesantemente 
sul 
bilancio 
europeo 
(mi 
riferisco segnatamente 
a 
quelle 
in materia 
di 
IVA), proprio perché 
ci 
sono 
gli 
altri 
cd. 
“binari 
paralleli”, 
quali 
la 
leva 
tributaria, 
il 
procedimento 
tributario 
e 
il 
processo davanti 
alla 
Corte 
dei 
Conti, che 
consentono in ogni 
caso un’efficace 
tutela degli interessi finanziari europei (e non solo). 


Come 
sappiamo, la 
Corte 
costituzionale 
ha 
in seguito fatto valere 
in maniera 
ferma 
e 
decisa 
e 
riaffermato fondamentali 
principi 
costituzionali 
di 
garanzia 
in 
materia 
penale 
(quali 
ad 
es. 
riserva 
di 
legge, 
determinatezza, 
prevedibilità, peraltro accolti 
a 
livello costituzionale 
in molti 
altri 
Stati 
membri), 
esercitando 
quindi 
i 
cd. 
“controlimiti 
nazionali 
al 
diritto 
europeo”, 
che 
alla 
fine 
sono stati 
accettati 
dalla 
stessa 
Corte 
di 
Giustizia 
con l’ultima 
pronuncia 
Taricco. 


Ma 
appunto, come 
dicevamo, può darsi 
che 
il 
processo penale 
-o per la 
difficoltà 
e 
complessità 
delle 
questioni 
tecniche 
(cui 
magari 
il 
giudice 
penale 
non sempre 
è 
avvezzo) o per lo spirare 
dei 
termini 
prescrizionali, o anche 
per 
il 
rigoroso 
regime 
di 
prova 
che 
giustamente, 
per 
le 
garanzie 
tipiche 
di 
tale 
procedimento, 
caratterizza 
il 
processo penale 
-possa 
concludersi 
anche 
con un 
insuccesso; 
ma 
l'esperienza 
maturata 
lì 
dall’Avvocatura 
dello 
Stato 
come 
parte 
civile 
tante 
volte 
ha 
poi 
portato ad un successo nell'esito dei 
giudizi 
dinanzi 
alla 
Corte 
di 
Cassazione 
tributaria, 
agevolato 
anche 
dalla 
comprensione 
dei 
meccanismi 
evasivi 
posti 
in essere, acquisita 
nella 
trattazione 
del 
giudizio penale, 
che 
ha 
consentito poi 
di 
rappresentare 
adeguatamente 
l'antigiuridicità 
di 
tali 
meccanismi 
evasivi 
dinanzi 
alla 
Cassazione 
tributaria, laddove 
le 
ragioni 
dell'Amministrazione 
finanziaria 
sono 
state 
infine 
pienamente 
accolte, 
e 
quindi, indirettamente, anche le ragioni del bilancio europeo. 


Si 
verifica 
quindi 
in 
molti 
casi, 
per 
così 
dire, 
una 
sorta 
di 
“osmosi 
virtuosa” 
(o 
almeno 
dovrebbe 
verificarsi 
come 
obiettivo 
auspicabile, 
ma 
comunque, 
ripeto, 
tante 
volte 
accade), 
tratta 
proprio 
dall'esperienza 
pratica 
tra 
i 
procedimenti 
del 
cosiddetto “doppio binario” 
o dei 
“binari 
paralleli”, anche 
grazie 
a 
questo “coordinamento interno ed esterno” 
di 
cui 
ho parlato, speri



teMI 
IStItuzIonALI 


mentato 
e 
collaudato 
come 
metodo 
di 
lavoro 
proprio 
dall'Avvocatura 
dello 
Stato. 


Com' 
è 
noto, l'Avvocatura 
dello Stato ha 
anche 
il 
compito di 
intervenire 
quale 
“amicus 
curiae” 
nei 
giudizi 
dinanzi 
alla 
Corte 
costituzionale 
a 
difesa 
della 
costituzionalità 
delle 
leggi, e 
ciò è 
avvenuto di 
recente, ad esempio, in 
materia 
di 
soglie 
di 
punibilità, 
previste 
in 
particolare 
dall'articolo 
3 
del 
decreto 
legislativo 
n. 
74/2000, 
che 
ha 
introdotto 
un 
primo 
corpo 
di 
norme 
(“Nuova 
disciplina 
dei reati in materia di IVa”). 

Il 
citato 
articolo 
3 
punisce 
chi, 
al 
fine 
di 
evadere 
l'IVA, 
utilizza 
delle 
“dichiarazioni 
fraudolente 
mediante 
altri 
artifizi” 
(diversi 
dall'uso 
di 
fatture 
per 
operazioni 
inesistenti, 
previsto 
dalla 
fattispecie 
per 
così 
dire 
principale 
dell'art. 
2 
dello 
stesso 
decreto 
legislativo 
74/2000) 
soltanto 
se 
l'imposta 
evasa 
è 
superiore 
a 
30.000 
euro 
(soglia 
di 
punibilità 
non 
prevista 
invece 
dal 
testè 
citato 
art. 
2). 


Veniamo 
qui 
ad 
una 
costante 
che 
connota 
le 
diverse 
branche 
della 
repressione 
penale 
delle 
grandi 
frodi, appunto le 
cd. “soglie 
di 
punibilità”: 
cioè, al 
di 
sotto 
di 
una 
determinata 
soglia 
si 
preferisce 
-anzi 
si 
impone 
-che 
si 
applichi 
soltanto la sanzione amministrativa. 


Il 
Legislatore 
inserisce 
quindi 
un 
principio 
di 
equilibrio 
nel 
sistema 
penale 
di 
repressione 
delle 
grandi 
frodi: 
in 
questo 
caso 
la 
soglia 
di 
punibilità 
è 
di 


30.000 euro, che 
invece 
-come 
detto -non è 
prevista 
dall'articolo 2, che 
sanziona 
penalmente 
chi, 
al 
fine 
di 
evadere 
l’IVA, 
utilizza 
fatture 
o 
altri 
documenti 
equipollenti per prestazioni inesistenti. 
ebbene, in questo caso, di 
recente 
la 
Corte 
costituzionale, con sentenza 


n. 95/2019, ha 
recepito e 
seguito le 
indicazioni 
contenute 
nell'intervento del-
l'Avvocatura 
dello Stato, riconoscendo non fondata 
la 
questione 
della 
sospettata 
incostituzionalità 
per 
asserita 
irragionevole 
disparità 
di 
trattamento 
ai 
sensi 
dell’articolo 3 della 
Costituzione 
tra 
le 
due 
fattispecie 
criminose, in ragione 
proprio 
del 
particolare 
valore 
probatorio 
della 
fattura, 
che 
assume 
un 
ruolo 
fondamentale 
nel 
sistema 
di 
applicazione 
dell'IVA 
(che, 
come 
noto, 
è 
un 
tributo 
armonizzato a 
livello di 
diritto dell'unione 
europea 
che 
incide 
in misura 
notevole 
sul 
bilancio dell'unione 
stessa), in quanto la 
fattura 
medesima 
costituisce 
titolo per il contribuente ai fini del diritto alla detrazione dell'IVA. 
È 
stato 
affermato 
più 
volte 
dalla 
Corte 
di 
Giustizia 
che 
tale 
diritto 
non 
può essere di regola limitato, purché però il tributo venga pagato! 

ebbene, di 
fronte 
ad un sistema 
fraudolento in cui 
si 
utilizzino delle 
fatture 
per 
prestazioni 
inesistenti, 
in 
concreto 
nel 
giudizio 
viene 
imposto 
all'Amministrazione 
finanziaria 
difesa 
dall'Avvocatura 
(o 
nei 
primi 
gradi 
del 
giudizio 
di 
merito dall'Amministrazione 
stessa) un rigoroso e 
particolarmente 
gravoso 
onere 
probatorio 
qualora 
si 
abbia 
ragione 
di 
ritenere 
che 
le 
fatture 
concernano 
operazioni 
inesistenti, 
sia 
dal 
punto 
di 
vista 
oggettivo 
che 
soggettivo; 
e 
questo 
rappresenta 
un 
meccanismo 
particolarmente 
frequente 
ed 
insidioso 
che 
si 
presta 
ad essere strumentalizzato per frodare il fisco. 



rASSeGnA 
AVVoCAturA 
DeLLo 
StAto -n. 1/2021 


In altri 
termini, la 
falsità 
commessa 
mediante 
fatture 
per prestazioni 
inesistenti 
è 
caratterizzata 
da 
una 
particolare 
insidiosità 
e 
da 
una 
maggiore 
capacità 
decettiva, 
proprio 
per 
il 
particolare 
valore 
probatorio 
e 
la 
peculiare 
affidabilità 
che 
ha 
appunto 
la 
fattura 
rispetto 
ad 
altri 
artifici 
che 
riguardano 
operazioni 
simulate 
che 
non 
impongono 
un 
onere 
probatorio 
così 
gravoso; 
ragion 
per 
cui, 
a 
parità 
di 
sanzione 
penale 
(quindi, 
stessa 
dosimetria 
della 
pena), 
nell'un caso è 
però prevista 
una 
soglia 
di 
punibilità 
(30.000 euro) al 
di 
sotto 
della quale si ha soltanto la sanzione amministrativa. 


e 
la 
Corte 
costituzionale, con la 
citata 
sentenza 
n. 95/2019, ha 
affermato 
che 
ciò 
è 
assolutamente 
ragionevole 
e 
non 
può 
concretare 
un’irragionevole 
disparità di trattamento. 


non 
è 
infrequente 
imbattersi 
in 
concreto 
nel 
meccanismo 
delle 
cosiddette 
“frodi 
carosello”, 
realizzate 
mediante 
la 
creazione 
di 
crediti 
IVA 
fittizi 
che 
vengono 
trasferiti 
a 
varie 
società 
del 
gruppo, 
che 
figurano 
“cartolarmente” 
come 
fornitrici 
di 
beni 
o di 
servizi 
alle 
altre 
società, ma 
in realtà 
sono soltanto 
meri 
intermediari 
fittizi 
al 
solo 
scopo 
di 
procurare 
indebiti 
vantaggi 
fiscali, 
mentre l'IVA non viene in realtà mai versata. 


e 
ciò contrasta 
con i 
principi 
anche 
comunitari 
cui 
accennavo prima, per 
cui 
la 
detrazione 
dell'IVA 
deve 
essere 
consentita 
e 
non può essere 
di 
regola 
limitata 
(principio 
fondamentale 
ripetutamente 
affermato 
dalla 
Corte 
di 
Lussemburgo), 
ma 
solo purchè 
si 
sia 
provveduto al 
pagamento dell'imposta 
(che, 
come 
sappiamo, incide 
in misura 
rilevante 
sul 
bilancio dell'unione 
europea), 
eliminando così il pericolo di perdita di entrate fiscali. 


tra 
le 
tante 
sentenze 
che 
vedono 
l'Avvocatura 
dello 
Stato 
difendere 
l'Amministrazione 
finanziaria 
in materia 
di 
evasione 
di 
IVA, cito, per tutte, la 
recente 
Cassazione 
civile 
sezione 
tributaria 
n. 31639/2019, che 
illustra 
bene, in 
un caso di specie, questo meccanismo delle cd. “frodi carosello”. 


Ma 
le 
frodi 
che 
incidono 
sul 
bilancio 
dell'unione 
europea 
non 
si 
limitano 
certamente 
alle 
sole 
entrate, 
derivanti 
o 
non 
derivanti 
da 
IVA 
(di 
queste 
ultime 
si 
occupa 
appunto 
il 
decreto 
legislativo 
n. 
74/2000 
di 
cui 
abbiamo 
parlato 
prima), ma 
riguardano anche 
le 
spese, che 
siano relative 
o non ad appalti; 
in 
particolare, 
questa 
“tetrapartizione” 
è 
stata 
di 
recente 
compiuta 
dalla 
cosiddetta 
direttiva 
PIF 
n. 1371 del 
2017, che 
in realtà 
come 
perimetro di 
tutela 
non si 
discosta 
grandemente 
dallo 
strumento 
convenzionale 
della 
Convenzione 
di 
Bruxelles 
del 
1995, anch'essa 
conosciuta 
come 
Convenzione 
PIF 
sulla 
tutela 
degli interessi finanziari delle Comunità europee. 


ebbene, in particolare, il 
fenomeno delle 
cosiddette 
frodi 
nelle 
sovvenzioni 
pubbliche 
è 
oggi 
disciplinato in Italia 
dagli 
articoli 
640 bis 
e 
316 bis 
(introdotti 
a 
distanza 
di 
pochi 
mesi 
nel 
1990) 
e 
dal 
nuovo 
articolo 
316 
ter, 
introdotto 
dall'articolo 
4 
della 
legge 
n. 
300/2000 
di 
ratifica 
ed 
esecuzione 
proprio 
della 
Convenzione 
di 
Bruxelles 
del 
1995 che 
citavo prima, la 
cosiddetta 
Convenzione PIF. 



teMI 
IStItuzIonALI 


tale 
ultimo 
articolo 
è 
stato 
poi, 
proprio 
di 
recente, 
modificato 
dal 
decreto 
legislativo 
n. 
75/2020, 
che 
ha 
inserito 
un 
comma 
che 
prevede 
l'aggravio 
di 
pena 
da 
6 mesi 
a 
4 anni 
se 
il 
fatto offende 
gli 
interessi 
finanziari 
dell'unione 
europea. 


Quindi, si 
va 
sempre 
più a 
colmare 
questa 
lacuna 
ed a 
perseguire 
espressamente 
la 
tutela 
degli 
interessi 
finanziari 
dell'unione 
europea 
anche 
all'interno 
del 
sistema 
italiano; 
mentre 
prima 
ci 
si 
arrivava 
in 
maniera 
implicita, 
interpretando 
l’espressione 
“altri 
enti 
pubblici” 
come 
organismi 
anche 
sovranazionali, 
adesso invece, con progressive 
modifiche, tale 
tutela 
viene 
esplicitata 
(e, 
per 
così 
dire, 
“rafforzata”): 
dunque, 
se 
il 
fatto 
offende 
gli 
interessi 
finanziari 
dell'unione 
europea 
e 
il 
danno e 
il 
profitto sono superiori 
a 
100.000 euro, si 
prevede 
appunto un'aggravante 
introdotta 
di 
recente 
dal 
decreto legislativo n. 
75/2020. 


Anche 
qui 
ritroviamo il 
meccanismo di 
cui 
ho parlato prima 
delle 
soglie 
di 
punibilità, 
già 
incontrato 
nell'articolo 
3 
del 
citato 
decreto 
legislativo 
n. 
74/2000 
a 
proposito 
delle 
frodi 
che 
riguardano 
l'IVA 
attuate 
non 
mediante 
fatture 
per prestazioni inesistenti. 


Come 
accennavo, il 
perimetro di 
tutela 
disegnato dalla 
cd. direttiva 
PIF 
non si 
discosta 
più di 
tanto dallo strumento convenzionale 
del 
1995 (Convenzione 
PIF), attribuendo agli 
interessi 
economici 
eurounitari 
il 
rango di 
bene 
giuridico meritevole di presidio penalistico ad opera degli Stati membri. 


Per 
l’IVA 
diciamo 
questo: 
la 
direttiva 
PIF 
è 
applicabile 
unicamente 
ai 
“reati 
gravi 
contro il 
sistema comune 
dell’IVa”, con pregiudizio erariale 
non 
inferiore ai 10 milioni di euro. 


In 
particolare, 
venendo 
al 
sistema 
italiano 
che 
ha 
recepito 
questi 
strumenti 
convenzionali 
(ovvero 
la 
direttiva 
PIF 
in 
materia 
di 
tutela 
degli 
interessi 
finanziari 
dell'unione), 
ne 
è 
testimonianza 
proprio 
la 
cennata 
introduzione 
dell'articolo 
316 
ter, 
che 
ha 
la 
chiara 
funzione 
di 
completamento 
del 
quadro 
sanzionatorio, 
volta 
a 
reprimere 
tutte 
le 
possibili 
frodi 
relative 
alla 
sovvenzioni 
pubbliche 
o 
comunitarie 
nella 
prospettiva 
dell'indebito 
conseguimento 
di 
fondi, 
segnatamente 
per 
colpire 
le 
frodi 
commesse 
nella 
fase 
propedeutica 
alla 
concessione 
delle 
erogazioni 
pubbliche, 
nel 
momento 
che 
precede 
l’erogazione 
vera 
e 
propria, 
anche 
in 
assenza 
di 
induzione 
in 
errore 
dell'ente 
erogatore. 


Quest’ultimo 
aspetto 
è 
importante 
e 
va 
a 
colmare 
una 
lacuna, 
perché 
chiaramente 
sappiamo 
bene 
che 
nella 
truffa 
-anche 
nella 
fattispecie 
aggravata 
dell’art. 640 bis 
di 
cui 
poi 
parlerò -tipico elemento costitutivo caratterizzante 
sono 
gli 
“artifici 
e 
raggiri” 
che 
comportano 
l'induzione 
in 
errore, 
mentre 
invece 
tante 
volte 
(come 
meglio vedremo in seguito) nell'erogazione 
di 
fondi 
comunitari 
(ad es. finanziamenti, sovvenzioni, contributi 
all'agricoltura, ecc.) non 
c'è 
una 
verifica 
dei 
presupposti 
da 
parte 
dell'ente 
erogatore, e 
pertanto non c'è 
neanche un induzione in errore dell’ente medesimo. 



rASSeGnA 
AVVoCAturA 
DeLLo 
StAto -n. 1/2021 


Si 
è 
posto 
il 
problema 
dei 
rapporti 
con 
l'articolo 
640 
bis 
del 
codice 
penale 
in 
forza 
della 
clausola 
di 
riserva 
(o 
di 
sussidiarietà 
espressa) 
contenuta 
nell'incipit 
dell’art. 
316 
ter, 
che 
rende 
quest'ultima 
disposizione 
applicabile 
solo 
se 
la 
fattispecie 
concreta 
non 
ricade 
già 
sotto 
la 
previsione 
normativa 
del 
640 
bis 
c.p. 


Va 
detto 
che 
l’art. 
640 
bis 
è 
stato 
introdotto 
dalla 
legge 
n. 
55 
del 
1990 
con 
un 
duplice 
obiettivo: 
da 
un 
lato 
l'inasprimento 
della 
pena 
rispetto 
all'ipotesi 
base, truffa 
classica 
ordinaria 
(portando il 
massimo a 
sei 
anni), e 
dall' 
altro ciò 
che 
più rileva 
ai 
nostri 
fini 
-la 
possibilità 
di 
estendere 
la 
fattispecie 
della 
truffa 
prevista 
dall’art. 
640 
anche 
ad 
organismi 
sovranazionali 
che 
non 
sempre 
sono stati 
fatti 
rientrare 
in precedenza 
nel 
concetto di 
“altri 
enti 
pubblici” 
ai 
sensi dell'articolo 640, comma secondo, numero 1, del codice penale. 


ebbene, la 
truffa 
aggravata 
ex 
art. 640 bis 
è 
considerata 
dalla 
giurisprudenza 
ormai 
dominante 
una 
circostanza 
aggravante 
della 
truffa, e 
non invece 
un'ipotesi 
autonoma 
di 
reato 
(come 
sosteneva 
parte 
della 
dottrina), 
presentando 
tutti 
gli 
elementi 
del 
reato-base 
con 
la 
sola 
introduzione 
di 
un 
oggetto 
materiale 
specifico, 
riguardando 
la 
condotta 
truffaldina 
“contributi, 
finanziamenti 
ovvero 
altre 
erogazioni 
dello stesso tipo”; 
si 
dice 
cioè 
che 
le 
due 
fattispecie 
(quella 
base 
e 
quella 
aggravata) siano legate 
da 
un “rapporto di 
specialità 
unilaterale 
per aggiunta”, appunto l'aggiunta di questo oggetto materiale specifico. 


Come 
dicevo, si 
discute 
invece 
del 
rapporto tra 
il 
640 bis 
ed il 
316 ter 
del 
codice penale. 


Parte 
della 
dottrina 
sostiene 
che, 
attesa 
l'asserita 
coincidenza 
dei 
comportamenti 
puniti, riguardanti 
in entrambi 
i 
casi 
erogazioni 
pubbliche, l’art. 316 
ter 
finirebbe 
per 
essere 
una 
“obiettiva 
duplicazione 
del 
640 
bis”, 
e 
per 
rimanere 
sostanzialmente 
inapplicato per mancanza 
di 
spazio normativo. In realtà 
così 
non è, e lo vedremo subito. 


V'è 
poi 
chi 
ritiene 
(in 
particolare 
alcune 
pronunce 
di 
giurisprudenza 
di 
merito) che, almeno per quanto concerne 
le 
condotte 
commissive, le 
due 
fattispecie 
criminose 
sarebbero legate 
da 
un “rapporto di 
specialità 
per specificazione”, 
distinguendosi 
tra 
loro solo per il 
maggior tasso di 
specificità 
con 
cui il 316 ter 
descrive le condotte commissive di frode. 


In realtà, è 
prevalsa 
poi 
alla 
fine 
la 
tesi 
della 
“sussidiarietà” 
che 
è 
stata 
accolta 
dalle 
Sezioni 
unite 
della 
Cassazione 
che 
hanno risolto questo contrasto: 
segnatamente, da 
Sezioni 
unite 
n. 16568 del 
2007, successivamente 
ribadita 
da 
Sez. un. n. 7537 del 
2011, secondo le 
quali 
l’articolo 316 ter 
è 
stato 
inserito 
nel 
nostro 
ordinamento 
proprio 
per 
poter 
estendere 
la 
punibilità 
a 
quelle 
condotte 
decettive 
o 
truffaldine 
non 
incluse 
nella 
fattispecie 
della 
truffa, 
quale, ad esempio, quella del mero silenzio antidoveroso. 


Infatti, 
la 
truffa 
tipicamente 
non 
si 
realizza 
mediante 
omissione: 
è 
difficile 
immaginare 
un raggiro posto in essere 
mediante 
omissione; 
mentre 
invece 
attraverso 
il 
316 
ter 
si 
punisce 
anche 
il 
mero 
silenzio 
antidoveroso, 
quindi 
l'omissione di dire delle cose, di informare quando si è obbligati a farlo. 



teMI 
IStItuzIonALI 


Ancora, il 
316 ter 
estende 
la 
punibilità 
anche 
a 
quelle 
condotte 
che 
non 
inducono 
effettivamente 
in 
errore 
l'autore 
della 
disposizione 
patrimoniale 
o 
l'ente erogatore. 


In effetti 
-come 
accennavo prima 
-in molti 
casi 
il 
procedimento di 
erogazione 
delle 
pubbliche 
sovvenzioni 
non presuppone 
l'effettivo accertamento 
da 
parte 
dell'ente 
erogatore 
dei 
presupposti 
del 
singolo contributo, salvo poi 
riservare eventualmente ad una fase successiva le opportune verifiche. 


Si 
pensi 
ad esempio al 
meccanismo di 
erogazione 
degli 
aiuti 
all'agricoltura 
mediante 
i 
cd. 
fondi 
FeoGA 
ed 
alle 
successive 
procedure 
di 
ispezione 
(anche 
mediante 
aerofotogrammetrie), puntuali 
o a 
campione, poste 
in essere 
dalla 
Commissione, che 
possono portare 
a 
delle 
falcidie 
anche 
pesanti 
dei 
finanziamenti 
stessi 
nella 
misura 
del 
2, del 
5 o del 
10% nei 
casi 
più gravi 
di 
verificata 
assenza totale di controlli nella destinazione effettiva dei fondi. 


In questi 
casi 
non c'è 
un accertamento a 
monte 
dei 
presupposti; 
si 
fanno 
dei 
controlli 
successivi, delle 
ispezioni, e 
se 
i 
fondi 
non sono andati 
a 
buon 
fine 
si 
opera 
questa 
falcidia. 
Questi 
provvedimenti 
della 
Commissione 
possono 
poi 
essere 
impugnati 
dallo Stato italiano (cosi 
come 
dagli 
altri 
Stati 
membri) 
dinanzi 
al 
tribunale 
di 
primo 
grado 
di 
Lussemburgo 
(e 
anche 
questo 
è 
uno 
dei 
compiti 
dell'Avvocatura), qualora 
si 
sostenga 
che 
invece 
i 
controlli 
sono stati 
fatti a dovere. 


Si 
pensi 
anche, 
in 
materia 
di 
contributi 
o 
fondi 
europei 
all’agricoltura, 
alle 
cd. 
“truffe 
AGeA”, 
frequenti 
soprattutto 
nel 
Mezzogiorno 
d’Italia, 
laddove 
(facendo 
sempre 
riferimento 
all'esperienza 
concreta 
dell'Avvocatura 
dello 
Stato) 
i 
colleghi 
delle 
Avvocature 
distrettuali 
meridionali 
si 
costituiscono 
parte 
civile 
nei 
relativi 
processi 
penali, che 
poi 
vengono a 
roma 
all'attenzione 
del-
l'Avvocatura Generale soltanto nella fase di Cassazione. 


Dice 
ancora 
la 
Cassazione 
che 
l'accertamento in concreto dell'esistenza 
di 
un'induzione 
in errore 
(elemento costitutivo della 
truffa) ovvero della 
sua 
mancanza 
(con 
conseguente 
configurazione 
dell'ipotesi 
delittuosa 
residuale 
prevista dall’art. 316 ter) è questione di fatto riservata al giudice di merito. 


Del 
resto, 
va 
ricordato 
che 
anche 
la 
Corte 
costituzionale, 
con 
ordinanza 
n. 
95/2004, 
ha 
rilevato 
che 
“il 
carattere 
sussidiario 
e 
residuale 
dell'articolo 
316 
ter 
rispetto 
al 
640 
bis 
costituisce 
dato 
normativo 
assolutamente 
inequivoco”. 


Invero il 
Legislatore, con l'introduzione 
con legge 
n. 300/2000 dell’art. 
316 ter 
c.p., si 
è 
soltanto premurato di 
non lasciare, rispetto alla 
specifica 
definizione 
del 
concetto di 
“frode” 
contenuta 
nella 
Convenzione 
PIF 
del 
’95, alcuna 
area di possibile assenza di sanzione penale. 


La 
ratio 
e 
l'obiettivo 
perseguiti 
dal 
Legislatore 
sono 
pertanto 
identificabili 
nella 
necessità 
di 
reprimere 
fatti 
non 
contemplati 
dalla 
normativa 
vigente, 
così 
da 
garantire 
che 
nessuna 
condotta 
(benché 
residuale 
e/o 
marginale, 
come 
il 
mendacio 
o 
il 
mero 
silenzio 
antidoveroso 
non 
rientranti 
tra 
gli 
artifici 
e 
raggiri 
e 
perciò previsti 
dal 
316 ter), comunque 
mirante 
ad ottenere 
indebite 
perce



rASSeGnA 
AVVoCAturA 
DeLLo 
StAto -n. 1/2021 


zioni 
di 
erogazioni 
pubbliche, possa 
sfuggire 
alla 
sfera 
di 
illiceità 
penale, che 
risulta dunque per questa via ampliata. 


Va 
però 
detto 
che 
anche 
in 
tal 
caso 
opera 
comunque 
la 
soglia 
di 
punibilità 
di 
4.000 euro, al 
di 
sotto della 
quale 
si 
applica 
soltanto la 
sanzione 
amministrativa 
del 
pagamento di 
una 
somma 
di 
denaro che 
non può comunque 
superare 
il 
triplo 
del 
beneficio 
indebitamente 
conseguito; 
ciò 
a 
denotare, 
ancora 
una 
volta, 
il 
particolare 
equilibrio 
del 
nostro 
sistema 
sanzionatorio, 
per 
quanto 
complesso. 


Mi avvio alla conclusione, Presidente. 


Sia 
l'articolo 
316 
ter 
che 
il 
640 
bis 
fanno 
riferimento, 
dopo 
avere 
elencato 
diversi 
tipi 
di 
contributi 
pubblici, 
ad 
una 
formula 
finale 
di 
chiusura: 
“altre 
erogazioni 
dello stesso tipo comunque denominate”. 


Anche 
qui 
le 
Sezioni 
unite 
-sempre 
con la 
già 
citata 
sentenza 
n. 16568 
del 
2007 -hanno risolto il 
contrasto giurisprudenziale 
tra 
l'orientamento che 
escludeva 
le 
erogazioni 
di 
natura 
assistenziale 
(non 
aventi 
finalità 
economico-
produttive) dall'ambito di 
operatività 
della 
norma, e 
quello che 
invece 
le 
includeva, 
anche 
facendo 
leva 
sulla 
previsione 
della 
detta 
“soglia 
minima 
di 
punibilità” 
di 
4.000 euro, che 
non sarebbe 
razionalmente 
giustificabile 
se 
la 
fattispecie 
dovesse 
riferirsi 
alle 
sole 
erogazioni 
di 
sostegno alle 
attività 
economiche 
e produttive. 


ebbene, 
le 
Sezioni 
unite 
n. 
16568/2007 
hanno 
affermato 
che 
i 
delitti 
previsti 
dagli 
articoli 
316 
ter 
e 
640 
bis 
devono 
ritenersi 
configurabili 
anche 
in 
caso 
di 
erogazione 
di 
contributi 
di 
natura 
assistenziale, 
e 
ciò 
sia 
sulla 
base 
del-
l'analisi 
letterale 
delle 
due 
norme 
incriminatrici, 
sia 
in 
considerazione 
del 
fatto 
che 
solo nell'articolo 316 
bis 
(cui 
accennerò tra 
breve 
in conclusione) i 
contributi 
sono connotati 
da 
un vincolo di 
destinazione, e 
non v’è 
quindi 
ragione 


-in assenza 
di 
esplicito richiamo -per estendere 
tale 
requisito anche 
nelle 
fattispecie 
del 
316 
ter 
e 
del 
640 
bis, 
entrambe 
destinate 
a 
reprimere 
la 
percezione 
di 
per sé 
indebita 
dei 
contributi, indipendentemente 
dalla 
loro successiva 
destinazione 
funzionale (come appunto i contributi assistenziali). 
Quanto poi 
infine 
ai 
rapporti 
tra 
il 
316 bis 
(malversazione 
a 
danno dello 
Stato o delle 
Comunità 
europee) e 
il 
640 bis, di 
recente 
le 
Sezioni 
unite 
con 
sentenza 
n. 20664 del 
2017 -ragionando anche 
alla 
luce 
degli 
approdi 
della 
giurisprudenza 
convenzionale 
della 
CeDu 
e 
comunitaria 
della 
Corte 
di 
Giustizia 
in tema 
di 
ne 
bis 
in idem 
sostanziale, cui 
accennavo all'inizio del 
mio 
intervento -hanno affermato il 
principio assai 
importante 
per cui 
nell'ipotesi 
in cui 
il 
soggetto, dopo aver fraudolentemente 
captato il 
finanziamento pubblico, 
lo distragga 
dalla 
finalità 
collettiva 
cui 
era 
vincolato, si 
è 
in presenza 
di 
un 
concorso 
materiale 
di 
reati 
e 
non 
già 
di 
un 
concorso 
solo 
apparente 
di 
norme. 


Le 
Sezioni 
unite 
si 
sono 
dunque 
poste 
il 
problema 
se 
ciò 
non 
configurasse 
un 
ne 
bis 
in 
idem 
(sulla 
base 
appunto 
del 
concetto 
di 
“idem 
factum” 
che 
citavo 



teMI 
IStItuzIonALI 


all’inizio: 
esattamente 
lo stesso fatto nella 
sua 
oggettività), giungendo però a 
conclusione 
opposta; 
proprio perché 
si 
tratta 
di 
fattispecie 
strutturalmente 
autonome, 
fisiologicamente 
destinate 
a 
perfezionarsi 
in tempi 
diversi 
e 
che 
richiedono 
una 
pianificazione 
separata, 
non 
legate 
da 
alcun 
rapporto 
di 
continenza 
strutturale 
da 
leggersi 
al 
lume 
del 
principio 
di 
specialità, 
che 
è 
l'unico 
canone 
ermeneutico 
(a 
parte 
ovviamente 
le 
clausole 
espresse 
di 
riserva, 
“fuori 
dai 
casi 
di” 
e 
simili) 
sulla 
scorta 
del 
quale 
è 
possibile 
individuare 
il 
concorso solo apparente di norme. 


Le 
Sezioni 
unite 
hanno pertanto affermato nella 
citata 
pronuncia 
che 
in 
questi 
casi, 
quando 
un 
soggetto, 
dopo 
aver 
fraudolentemente 
captato 
(sia 
nella 
fase 
propedeutica 
sia 
successivamente) 
il 
finanziamento 
pubblico, 
lo 
distoglie 
poi 
dalle 
finalità 
collettive, 
siamo 
in 
presenza 
di 
un 
concorso 
materiale 
di 
reati 
e non di un concorso solo apparente di norme. 


In 
conclusione, 
posso 
dire 
che 
sarebbe 
forse 
auspicabile 
ed 
opportuno, 
visto l'ampio ed articolato ventaglio di 
campi 
in cui 
l'Avvocatura 
dello Stato 
si 
trova 
in concreto ad operare 
a 
tutela 
dello Stato -ma 
anche, come 
illustrato, 
fattivamente 
e 
in misura 
rilevante, a 
tutela 
del 
bilancio dell'unione 
europea 
sarebbe 
forse 
auspicabile, dicevo, una 
formalizzazione 
del 
metodo di 
lavoro 
sperimentato 
e 
collaudato 
dall'Avvocatura, 
con 
quel 
sinergico 
ed 
efficace 
“coordinamento 
interno ed esterno” di cui parlavo prima. 


Avvocatura 
dello 
Stato 
che 
istituzionalmente 
rappresenta 
il 
naturale 
punto 
di 
contatto tra 
il 
potere 
giudiziario e 
quello amministrativo per assicurare 
la 
coerenza 
dell'azione 
delle 
istituzioni 
nazionali 
a 
fronte 
delle 
grandi 
frodi, 
mentre 
sul 
piano 
europeo 
è 
sempre 
più 
viva 
l'esigenza 
di 
coordinamento 
operativo 
nel 
contrasto alle 
grandi 
frodi, peraltro attribuito di 
recente 
alla 
competenza 
della neocostituita PeD. 

Vi ringrazio. 



rASSeGnA 
AVVoCAturA 
DeLLo 
StAto -n. 1/2021 


AvvocATurA 
dello 
STATo 


relazione annuale sul contenzioso antimafia - 2020 


a cura di Carmela Pluchino* 


SommaRIo: 1. modalità di 
gestione 
e 
coordinamento del 
contenzioso antimafia -2. Tipologie 
di 
contenzioso 
(interdittive, 
white 
list, 
annotazioni 
nel 
Casellario 
informatico 
del-
l’aNaC, 
misure 
straordinarie 
di 
gestione, 
sostegno 
e 
monitoraggio 
di 
imprese 
nell’ambito 
della prevenzione 
della corruzione 
ex 
art. 32 D.l. n. 90/2014 conv. con L. n. 114/2014, scioglimenti 
dei 
Comuni 
per 
mafia) 
-3. 
Comitato 
di 
Coordinamento 
per 
l’alta 
Sorveglianza 
delle 
Infrastrutture 
e 
degli 
Insediamenti 
Prioritari 
(CCaSIIP) 
e 
Struttura 
di 
missione 
antimafia 
Sisma 2016 -4. Interventi 
dell’aNaC -5. orientamenti 
giurisprudenziali 
-6. Questioni 
rimesse 
alla Corte 
di 
Giustizia e 
alla Corte 
Costituzionale 
-7. Pareri 
di 
massima e 
proposte 
normative 
de 
iure 
condendo 
-8. 
Dati 
relativi 
ai 
contenziosi 
in 
materia 
di 
antimafia 
20162020. 


1. modalità di gestione e coordinamento del contenzioso antimafia. 
Con 
la 
Circolare 
n. 
2/2020 
l’Avvocato 
Generale 
ha 
adottato 
“Disposizioni 
organizzative 
urgenti 
relative 
al 
contenzioso in materia 
di 
interdittive 
antimafia”, 
integrando la precedente Circolare n. 8/2019 in materia. 

Allo scopo di 
garantire 
una 
proficua 
gestione 
del 
contenzioso antimafia 
si 
è 
stabilito, 
innanzitutto, 
un 
raccordo 
con 
le 
Avvocature 
Distrettuali, 
che 
prevede 
l’invio tempestivo di 
ogni 
atto introduttivo del 
giudizio di 
primo grado 
all’Avvocatura 
Generale, che 
provvede 
all’impianto di 
un affare 
d’ordine 
ed 
alla relativa assegnazione agli 
Avvocati affidatari del suddetto contenzioso. 


nell’ambito della 
Sezione 
IV 
è 
stato costituito un gruppo di 
sei 
Avvocati 
(Wally 
Ferrante, 
Ilia 
Massarelli, 
Lorenzo 
D’Ascia, 
Bruno 
Dettori, 
Carmela 
Pluchino, Isabella 
Piracci) specializzato nella 
trattazione 
del 
contenzioso antimafia. 


In particolare, la 
Circolare 
da 
ultimo adottata 
ha 
previsto che 
le 
comunicazioni 
relative 
ad affari 
non ancora 
impiantati 
vengano inviate 
all’indirizzo 
di 
posta 
elettronica 
del 
Vice 
Avvocato Generale 
della 
Sezione 
IV 
(Avv. Giuseppe 
Albenzio), del 
Coordinatore 
della 
Sezione 
(Avv. Ilia 
Massarelli) e 
del 
referente 
della 
Sezione 
per 
la 
materia 
dell’antimafia, 
Avv. 
Carmela 
Pluchino, 
oltre che all’indirizzo pec della Sezione IV. 


L’Avvocato della 
Sede 
distrettuale 
incaricato della 
trattazione 
dell’affare 
trasmette, 
successivamente, 
al 
Collega 
dell’Avvocatura 
Generale 
assegnatario 


(*) Avvocato dello Stato. 


La 
relazione 
è 
stata 
presentata 
nel 
corso 
del 
Convegno 
webinar 
“Misure 
interdittive 
antimafia 
e 
Recovery 
Plan. 
Garanzie 
di 
legalità 
nella 
gestione 
degli 
appalti”, 
Avvocatura 
dello 
Stato, 
25 
maggio 
2021. 



teMI 
IStItuzIonALI 


del 
medesimo contenzioso (anche 
con una 
comunicazione 
via 
mail, oltre 
che 
a 
mezzo pec) ogni 
provvedimento ed ogni 
utile 
comunicazione 
per gli 
eventuali 
successivi gradi di giudizio. 

tale 
modalità 
consente 
una 
più rapida 
conoscenza 
degli 
affari 
pendenti 
ed un monitoraggio degli 
stessi, nonché 
un più efficiente 
raccordo ai 
fini 
difensivi. 


In alcuni 
casi 
si 
è 
rilevato che 
le 
Prefetture 
interessate 
trasmettono anche 
all’Avvocatura 
Generale, 
per 
conoscenza, 
le 
relazioni 
con 
i 
documenti 
allegati 
inviati 
all’Avvocatura 
Distrettuale 
competente 
per la 
difesa 
innanzi 
al 
tAr: 
in 
tal 
modo 
viene 
immediatamente 
integrato 
il 
fascicolo 
telematico, 
agevolando 
l’espletamento dell’attività 
difensiva 
innanzi 
al 
Consiglio di 
Stato, nel 
caso di impugnazione delle relative ordinanze cautelari o sentenze. 


occorre 
considerare 
che 
normalmente 
la 
fissazione 
delle 
udienze 
per la 
discussione 
delle 
istanze 
cautelari 
e 
per la 
definizione 
del 
merito è 
molto rapida, 
essendo riservata 
particolare 
attenzione 
a 
tale 
tipologia 
di 
contenzioso, 
per 
la 
delicatezza 
dello 
stesso 
e 
la 
rilevanza 
dell’interesse 
pubblico 
al 
contrasto 
della criminalità organizzata. 


Sono stati 
individuati, con l’ausilio del 
Gabinetto del 
Ministero dell’Interno, 
i 
referenti 
della 
materia 
antimafia 
per ogni 
Prefettura 
(il 
cui 
elenco è 
stato diramato), creando un canale 
di 
comunicazione 
con gli 
stessi, al 
fine 
di 
assicurare 
una 
migliore 
collaborazione 
tra 
le 
Prefetture 
e 
le 
Avvocature 
interessate 
e 
di 
garantire 
una 
proficua 
e 
uniforme 
gestione 
del 
contenzioso in oggetto, 
nonché 
di 
segnalare 
le 
pronunce 
di 
particolare 
rilevanza 
e 
le 
questioni 
di massima. 


2. 
Tipologie 
di 
contenzoso 
(interdittive, 
white 
list, 
annotazioni 
nel 
Casellario 
informatico 
dell’aNaC, 
misure 
straordinarie 
di 
gestione, 
sostegno 
e 
monitoraggio 
di 
imprese 
nell’ambito 
della 
prevenzione 
della 
corruzione 
ex 
art. 
32 
D.l. 
n. 
90/2014 
conv. 
con 
L. 
n. 
114/2014, 
scioglimenti 
dei 
Comuni 
per 
mafia). 
Il 
contenzioso in materia 
di 
antimafia 
concerne 
in misura 
preponderante 
i 
provvedimenti 
interdittivi 
ei 
dinieghi 
di 
iscrizione 
(o rinnovo) nella cd. 
“white list”. 


Il 
sistema 
della 
documentazione 
antimafia, 
previsto 
dal 
Codice 
antimafia 
(d.lgs. 
n. 
159/2011) 
si 
fonda 
sulla 
distinzione 
tra 
le 
“comunicazioni 
antimafia” 
e 
le 
“informazioni 
antimafia” 
(art. 84), che 
costituiscono le 
fondamentali 
misure 
di prevenzione. 


Come 
noto, 
le 
“comunicazioni 
antimafia” 
si 
caratterizzano 
per 
il 
loro 
contenuto 
vincolato, 
poiché 
il 
loro 
presupposto 
consiste 
nell’attestazione 
che 
a 
carico di 
determinati 
soggetti, individuati 
dall’art. 85, non siano state 
emesse 
misure di prevenzione personali definitive. 


Le 
“informazioni 
antimafia”, invece, si 
distinguono per una 
spiccata 
au



rASSeGnA 
AVVoCAturA 
DeLLo 
StAto -n. 1/2021 


tonomia 
da 
parte 
del 
Prefetto, nel 
valutare 
il 
rischio di 
permeabilità 
mafiosa 
dell’impresa, 
con 
una 
maggiore 
discrezionalità, 
potendo 
prescindere 
dagli 
esiti 
di indagini preliminari o di giudizi penali. 

Il 
sistema 
rappresenta 
una 
forma 
di 
tutela 
avanzata 
contro 
il 
fenomeno 
della 
penetrazione 
della 
mafia 
nell’economia 
legale 
e 
comporta 
l’esclusione 
di 
un operatore 
economico dalla 
titolarità 
di 
rapporti 
contrattuali 
con le 
pubbliche 
Amministrazioni, determinando a 
suo carico una 
particolare 
forma 
di 
incapacità 
giuridica 
ex 
lege, che 
consegue 
ad un provvedimento adottato all’esito 
di un procedimento normativamente tipizzato. 


nel 
quadro delle 
misure 
volte 
a 
contrastare 
la 
presenza 
delle 
organizzazioni 
criminali 
nelle 
attività 
economiche, 
per 
garantire 
una 
maggiore 
efficienza 
del 
sistema 
di 
verifica 
preventiva 
rispetto 
alle 
prescrizioni 
dei 
Protocolli 
di 
legalità 
sottoscritti 
da 
molte 
Amministrazioni, la 
legge 
n. 190 del 
2012 (art. 1, 
commi 
52 e 
ss.) ha 
istituito presso ogni 
Prefettura 
l’elenco dei 
fornitori, prestatori 
di 
servizi 
ed esecutori 
di 
lavori 
non soggetti 
a 
tentativi 
di 
infiltrazione 
mafiosa 
(cd. “white 
list”) al 
fine 
di 
rendere 
più efficaci 
i 
controlli 
antimafia 
nei 
comparti 
maggiormente 
a 
rischio (sul 
carattere 
tassativo di 
tale 
elenco cfr. 
tAr Milano, sentenza n. 170/2017). 


In attuazione 
dell’art. 1 co. 56 della 
legge 
n. 190/2012 è 
stato adottato il 
DPCM 
del 
18 
aprile 
2013, 
che 
disciplina 
le 
modalità 
relative 
all’istituzione 
ed all’aggiornamento presso ogni 
Prefettura 
dell’apposito elenco e 
le 
attività 
da svolgersi per l’accertamento dei requisiti per l’iscrizione. 


La 
logica 
che 
ispira 
tale 
misura 
(come 
anche 
quella 
dell’interdittiva 
antimafia) 
è 
preventiva, non punitiva 
di 
un condotta 
penalmente 
rilevante. Proprio 
la 
natura 
cautelare 
e 
la 
funzione 
di 
massima 
anticipazione 
della 
soglia 
di 
prevenzione, 
secondo 
l’orientamento 
giurisprudenziale 
consolidato, 
giustifica 
l’assenza 
di 
una 
preventiva 
instaurazione 
di 
un 
contraddittorio 
pieno 
con 
il 
soggetto 
destinatario 
(al 
riguardo, 
come 
si 
indicherà 
nel 
prosieguo, 
è 
stata 
sollevata 
questione 
pregiudiziale 
sull’omessa 
comunicazione 
di 
avvio del 
procedimento 
-che 
sarebbe 
in 
contrasto 
con 
il 
carattere 
riservato 
ed 
urgente 
dell’attività 
di 
verifica 
dei 
tentativi 
di 
infiltrazione 
mafiosa 
-decisa 
con ordinanza 
della Corte di Giustizia del 28 maggio 2020). 


In proposito, è 
utile 
evidenziare 
che, con riferimento alla 
normativa 
italiana 
in 
materia 
di 
antimafia, 
la 
Corte 
di 
Giustizia, 
seppure 
ad 
altri 
fini 
(la 
compatibilità 
della 
disciplina 
italiana 
del 
subappalto 
con 
il 
diritto 
eurounitario), 
ha 
ribadito che 
«il 
contrasto al 
fenomeno dell’infiltrazione 
della criminalità 
organizzata 
nel 
settore 
degli 
appalti 
pubblici 
costituisce 
un 
obiettivo 
legittimo 
che 
può giustificare 
una restrizione 
alle 
regole 
fondamentali 
e 
ai 
principi 
generali 
del 
TFUE 
che 
si 
applicano nell’ambito delle 
procedure 
di 
aggiudicazione 
degli 
appalti 
pubblici» 
(Corte 
di 
Giustizia 
ue, 
26 
settembre 
2019, 
in 
C-63/18, § 37). 


L’iscrizione 
nella 
“white 
list” 
equivale 
a 
certificazione 
dell’insussistenza 



teMI 
IStItuzIonALI 


delle 
cause 
ostative 
alla 
partecipazione 
alle 
procedure 
di 
affidamento 
di 
appalti 
pubblici ed alla stipula dei relativi contratti. 


Le 
imprese 
sono tenute 
a 
comunicare 
tutte 
le 
variazioni 
dell’assetto proprietario 
e 
dei 
propri 
organi 
sociali, 
ai 
fini 
delle 
conseguenti 
attività 
di 
verifica 
da parte della Prefettura (cfr. sentenza del Consiglio di Stato n. 492/2018). 


Il 
legislatore, con l’art. 29, comma 
1, del 
D.L. n. 90/2014 conv. con L. n. 
114/2014, 
è 
intervenuto 
sul 
sistema 
delle 
“white 
list”, 
il 
cui 
provvedimento 
negativo si 
fonda 
sugli 
stessi 
elementi 
che 
devono essere 
posti 
a 
base 
dell’informazione 
antimafia, 
in 
quanto 
la 
Prefettura 
“effettua 
verifiche 
periodiche 
circa 
la 
perdurante 
insussistenza 
dei 
tentativi 
di 
infiltrazione 
mafiosa 
e, 
in 
caso 
di esito negativo, dispone la cancellazione dell’impresa dall’elenco”. 


In particolare, è 
stata 
prevista 
l’obbligatoria 
iscrizione 
delle 
imprese 
che 
operano 
nei 
settori 
a 
rischio 
di 
infiltrazioni 
mafiose 
(individuati 
dall’art. 
1, 
co. 
53, della 
L. n. 190/2012) negli 
elenchi 
delle 
imprese 
tenuti 
dalle 
Prefetture 
e 
periodicamente 
verificati 
per 
confermare 
il 
mantenimento 
del 
possesso 
dei 
requisiti 
originari. 


Per le 
imprese 
che 
operano nei 
settori 
a 
rischio di 
infiltrazioni 
mafiose 
l’iscrizione 
assorbe 
dunque 
i 
contenuti 
della 
comunicazione 
e 
dell’informazione 
antimafia, consentendo alle 
imprese 
di non dovere richiedere 
e farsi rilasciare 
dalla 
Prefettura 
la 
certificazione 
antimafia: 
a) 
per 
l’esercizio 
delle 
attività 
per cui 
ha 
conseguito l’autorizzazione; 
b) ai 
fini 
della 
stipula 
dei 
contratti 
o subcontratti relativi ad attività diverse. 


Alla 
luce 
di 
tali 
modifiche 
è 
stato 
emanato 
il 
DPCM 
del 
24 
novembre 
2016 
con 
lo 
scopo 
di 
aggiornare 
le 
modalità 
per 
l’istituzione 
e 
l’aggiornamento 
dell’elenco contenute nel precedente DPCM del 18 aprile 2013. 


Il 
potenziamento delle 
“white 
list” 
e 
l’“accreditamento” 
antimafia 
degli 
operatori 
economici 
in appositi 
elenchi 
tenuti 
dalle 
Prefetture 
marginalizza 
la 
problematica 
dei 
Protocolli 
di 
legalità 
e 
del 
sistema 
pattizio delle 
misure 
antimafia, 
che 
comunque 
mantiene 
una 
sua 
attualità, 
in 
quanto 
contribuisce 
a 
scongiurare, a priori, il rischio di infiltrazioni mafiose. 


Successivamente, sono state 
introdotte 
disposizioni 
sull’Anagrafe 
delle 
imprese 
che 
operano 
nei 
territori 
colpiti 
dagli 
eventi 
sismici 
del 
2016 
(cfr. 
Legge n. 229/2016). 


L’iscrizione 
nella 
“white 
list”, oltre 
a 
rendere 
più efficaci 
i 
controlli 
antimafia 
nei 
confronti 
degli 
operatori 
economici, 
presenta 
anche 
il 
vantaggio 
per 
questi 
ultimi 
di 
velocizzare 
il 
rilascio di 
provvedimenti 
ad es. nel 
settore 
degli 
appalti 
pubblici. In particolare, le 
stazioni 
appaltanti 
non dovranno chiedere 
la documentazione antimafia per le imprese iscritte nelle 
white list. 


I requisiti necessari per l’iscrizione negli elenchi sono: 


a) 
attività lavorativa nei settori a rischio; 
b) 
sede 
legale, 
secondaria 
con 
rappresentanza 
stabile 
in 
Italia 
o 
essere 
imprese 
straniere prive di sede secondaria; 

rASSeGnA 
AVVoCAturA 
DeLLo 
StAto -n. 1/2021 


c) 
assenza 
di 
una 
delle 
cause 
di 
decadenza, di 
sospensione 
o di 
divieto, 
di cui all’art. 67 del Codice antimafia; 
d) 
assenza 
di 
eventuali 
tentativi 
di 
infiltrazione 
mafiosa 
tendenti 
a 
condizionare 
le 
scelte 
e 
gli 
indirizzi 
dell’impresa, di 
cui 
all’art. 84, comma 
3, del 
Codice antimafia. 
La 
Prefettura, 
esperite 
con 
esito 
favorevole 
le 
verifiche 
volte 
ad 
accertare 
l’insussistenza 
delle 
condizioni 
ostative, 
dispone 
l’iscrizione 
dell’impresa 
nell’elenco 
pubblicato 
sul 
sito, 
dandone 
contestuale 
comunicazione 
all’interessato. 


nel 
caso in cui 
l’impresa 
risulti 
censita 
nella 
Banca 
dati 
nazionale 
unica 
è 
possibile 
rilasciare 
immediatamente 
l’informazione 
antimafia 
liberatoria 
e 
la 
Prefettura 
comunica 
il 
provvedimento di 
iscrizione, per via 
telematica, ed 
aggiorna l’elenco pubblicato sul proprio sito istituzionale. 


nel 
caso 
in 
cui, 
a 
seguito 
delle 
verifiche 
disposte, 
emergano 
condizioni 
ostative, 
il 
Prefetto 
rigetta 
l’istanza 
di 
iscrizione, 
dandone 
notizia 
all’interessato. 


Inoltre, 
l’impresa 
è 
tenuta 
a 
comunicare 
alla 
Prefettura 
competente 
le 
modifiche 
dei 
propri 
assetti 
proprietari 
e 
degli 
organi 
sociali, intervenuti 
successivamente 
all’iscrizione, 
entro 
30 
giorni 
dalla 
data 
della 
modifica 
(anche 
le 
società 
di 
capitali 
quotate 
in mercati 
regolamentati 
sono tenute 
a 
comunicare 
le 
variazioni 
rilevanti). L’inosservanza 
di 
tale 
adempimento determina 
la 
cancellazione 
dell’impresa 
dall’elenco prefettizio, previo preavviso ai 
sensi 
del-
l’art. 10 bis 
della L. n. 241/1990. 


L’iscrizione 
è 
valida 
per 
12 
mesi 
dalla 
data 
in 
cui 
è 
disposta, 
salvi 
gli 
esiti 
delle verifiche periodiche. 


Al 
fine 
di 
mantenere 
la 
validità 
dell’iscrizione 
nella 
“white 
list”, 
l’operatore 
economico 
ha 
l’obbligo 
di 
inoltrare, 
almeno 
30 
giorni 
prima 
della 
data 
di 
scadenza, 
un’apposita 
comunicazione 
alla 
Prefettura 
competente. 
L’impresa 
può 
richiedere 
di 
permanere 
nell’elenco 
anche 
per 
settori 
di 
attività 
ulteriori 
o 
diversi. 


L’equivalenza 
dei 
presupposti 
legittimanti 
il 
diniego 
della 
iscrizione 
nella 
“white 
list” 
con 
quelli 
riguardanti 
l’interdittiva 
antimafia 
comporta 
una 
sostanziale 
equiparazione, con la 
differenza 
che 
il 
primo consegue 
ad un procedimento 
su iniziativa 
del 
privato interessato, la 
seconda 
ad un procedimento 
avviato d’ufficio. 


Con 
la 
sentenza 
n. 
2211 
del 
3 
aprile 
2019 
il 
Consiglio 
di 
Stato 
ha 
chiarito 
che, 
ai 
fini 
dell’adozione 
dell’interdittiva 
antimafia, 
non 
occorre 
provare 
l’intervenuta 
infiltrazione 
mafiosa, 
bensì 
soltanto 
la 
sussistenza 
di 
elementi 
sintomatici-
presuntivi 
dai 
quali 
-secondo 
un 
giudizio 
prognostico 
latamente 
discrezionale 
-sia 
deducibile 
il 
pericolo 
di 
ingerenza 
da 
parte 
della 
criminalità 
organizzata; 
detti 
elementi 
vanno 
considerati 
in 
modo 
unitario, 
e 
non 
atomistico, 
cosicchè 
ciascuno 
di 
essi 
acquisti 
valenza 
nella 
sua 
connessione 
con 
altri. 


ne 
consegue 
che, 
in 
relazione 
al 
diniego 
di 
iscrizione 
nella 
cd. 
“white 
list” 
-iscrizione 
che 
presuppone 
la 
stessa 
accertata 
impermeabilità 
alla 
crimi



teMI 
IStItuzIonALI 


nalità 
organizzata 
-è 
sufficiente 
il 
pericolo 
di 
infiltrazione 
mafiosa 
fondato 
su 
un 
numero 
di 
indizi 
tale 
da 
rendere 
logicamente 
attendibile 
la 
presunzione 
dell’esistenza 
di 
un 
condizionamento 
da 
parte 
della 
criminalità 
organizzata 
(Fattispecie 
in cui 
l’Amministrazione 
ha 
rigettato l’istanza 
di 
iscrizione 
nella 
“white 
list” 
nei 
confronti 
di 
un soggetto che 
si 
accompagnava 
a 
persone 
orbitanti 
o riconducibili ad un’associazione di tipo mafioso). 


Il 
Consiglio di 
Stato ha, preliminarmente, statuito che 
il 
diniego di 
iscrizione 
nella 
white 
list 
è 
disciplinato dagli 
stessi 
principi 
che 
regolano l’interdittiva 
antimafia, 
in 
quanto 
si 
tratta 
in 
entrambi 
i 
casi 
di 
misure 
volte 
alla 
salvaguardia 
dell’ordine 
pubblico economico, della 
libera 
concorrenza 
tra 
le 
imprese e del buon andamento della P.A. 


Alla 
luce 
dell’impostazione 
del 
Supremo 
Consesso 
amministrativo 
l’unicità 
del 
sistema 
normativo antimafia 
impedisce 
una 
lettura 
atomistica, frammentaria 
dei due sottosistemi. 


D’altra 
parte, si 
pone 
la 
questione 
se 
il 
diniego di 
iscrizione 
in una 
delle 
“white 
list” 
presupponga 
sempre 
l’emissione 
di 
un’informazione 
interdittiva 
ovvero 
possa 
essere 
adottato 
anche 
in 
assenza 
di 
tale 
informazione. 
Il 
problema 
si pone perché non sempre vi è coincidenza della Prefettura competente. 

Può accadere 
che 
la 
Prefettura 
competente 
al 
rilascio della 
certificazione 
antimafia 
sia 
diversa 
da 
quella 
a 
cui 
viene 
presentata 
la 
domanda 
di 
iscrizione 
nella “white list”. 


Il 
DPCM 
del 
18 
ottobre 
2011, 
alla 
cui 
disciplina 
rinvia 
l’art. 
5-bis 
del 


D.L. 
n. 
74/2012 
dispone 
che 
le 
verifiche 
circa 
la 
sussistenza 
di 
situazioni 
ostative 
ai 
sensi 
della 
normativa 
antimafia 
vengono condotte 
dalla 
Prefettura 
ove 
ha 
sede 
l’impresa 
interessata 
all’iscrizione 
nelle 
“white 
list” 
(art. 
3, 
comma 
2) 
e 
che, se 
l’impresa 
ha 
sede 
in un’altra 
provincia, occorre 
attivare 
il 
Prefetto 
competente 
(art. 
4, 
comma 
2) 
ad 
eseguire 
le 
predette 
verifiche 
antimafia. 
Inoltre, 
nel 
caso in cui 
emergano situazioni 
di 
controindicazione, il 
Prefetto che 
ha 
ricevuto 
la 
domanda 
di 
iscrizione 
ne 
dispone 
il 
rigetto, 
dandone 
“contestualmente” 
comunicazione al Prefetto competente (art. 4 co. 4). 
Il 
sistema 
prevede, 
quindi, 
un 
tempestivo 
collegamento 
tra 
le 
due 
Autorità 
prefettizie, anche 
al 
fine 
di 
assicurare 
un esito coerente 
dei 
due 
distinti 
procedimenti. 


Inoltre, 
si 
rende 
necessario 
un 
coordinamento 
delle 
attività 
istruttorie 
anche 
nel 
caso 
di 
presentazione 
di 
una 
pluralità 
di 
domande 
d’iscrizione 
presso 
diverse 
Prefetture, 
considerato 
che 
il 
DPCM 
non 
prevede 
forme 
di 
unificazione 
dei vari procedimenti, che permangono distinti. 


L’attività 
di 
verifica 
è 
affidata 
alle 
Prefetture, individuate 
come 
l’organismo 
più idoneo a 
svolgere 
un’istruttoria 
così 
complessa, avvalendosi 
del 
supporto 
della 
Direzione 
Investigativa 
Antimafia. 
Le 
Amministrazioni 
hanno 
l’obbligo di 
adeguarsi 
alle 
risultanze 
delle 
interdittive, senza 
potere 
svolgere 
alcuna autonoma attività discrezionale. 



rASSeGnA 
AVVoCAturA 
DeLLo 
StAto -n. 1/2021 


un 
ruolo 
essenziale 
ai 
fini 
delle 
attività 
delle 
Prefetture 
è 
svolto 
dalla 
Banca 
dati 
nazionale 
unica 
della 
documentazione 
amministrativa 
(art. 96 ss. 
del 
D.Lgs. n. 159/2011), che 
consente 
all’autorità 
prefettizia 
di 
avere 
una 
cognizione 
ad 
ampio 
raggio 
della 
posizione 
antimafia 
di 
un’impresa 
(cfr. 
sentenza 
n. 565/2017 del 
Consiglio di 
Stato) e 
costituisce 
senz’altro il 
punto più 
incisivo della riforma in materia di antimafia. 


Anche 
la 
Corte 
Costituzionale 
(cfr. 
sentenza 
n. 
4/2018), 
con 
riferimento 
all’art. 
3 
Cost., 
ha 
valorizzato 
il 
fondamentale 
rilievo 
informativo 
della 
Banca 
dati. 


L’esperienza 
concreta 
di 
applicazione 
della 
disciplina 
sulla 
certificazione 
antimafia 
e 
sulla 
“white 
list” 
si 
è 
rilevata 
utile 
a 
contrastare 
le 
infiltrazioni 
mafiose 
nell’economia, 
nel 
caso 
dell’eXPo 
2015, 
che 
ha 
visto 
la 
collaborazione 
tra 
la 
DIA, 
le 
Prefetture, 
l’AnAC 
(con 
l’unità 
operativa 
Speciale), 
il 
Commissario 
per 
l’eXPo 
e 
le 
Forze 
di 
polizia, 
nel 
verificare 
in 
tempi 
stretti 
gli 
appalti. 
L’esperienza 
acquisita 
e 
il 
sistema 
sperimentato 
sono 
stati 
impiegati 
anche 
con 
riferimento 
alla 
ricostruzione 
nelle 
zone 
terremotate 
del 
Centro 
Italia. 


un 
problema 
emerso 
riguarda 
la 
limitata 
pubblicità 
delle 
informazioni 
contenute 
nelle 
Banche 
dati 
riguardanti 
le 
imprese 
colpite 
da 
interdittiva 
antimafia, 
essendo 
attualmente 
accessibili 
solo 
gli 
elenchi 
di 
cui 
alle 
“white 
list”. 
Si 
pone 
un 
problema 
di 
tutela 
della 
privacy 
che 
vale 
anche 
per 
i 
provvedimenti 
adottati 
in sede 
giudiziale 
per i 
quali, in attuazione 
del 
D.Lgs. n. 196/2003, si 
procede 
all’oscuramento delle 
generalità 
nonché 
di 
ogni 
altro dato idoneo ad 
identificare le parti interessate. 


Altra 
tipologia 
di 
contenzioso 
a 
latere 
dei 
provvedimenti 
antimafia 
riguarda 
le relative 
annotazioni dell’AnAc nel casellario informatico. 


normalmente 
tali 
annotazioni 
vengono 
impugnate 
contestualmente 
ai 
provvedimenti 
prefettizi; 
nei 
casi 
di 
impugnazione 
con ricorso autonomo innanzi 
al 
tAr 
Lazio, 
l’Avvocatura 
eccepisce 
l’incompetenza 
territoriale 
del 
tAr adito nelle 
fattispecie 
in cui 
il 
provvedimento interdittivo sia 
stato adottato 
dal Prefetto di altra sede. 


ed invero, l’annotazione 
che 
l’Autorità 
inserisce 
nel 
Casellario informatico 
degli 
operatori 
economici, oltre 
a 
caratterizzarsi 
per la 
sua 
natura 
di 
atto 
dovuto 
e 
obbligatorio, 
assume, 
senza 
dubbio, 
carattere 
conseguenziale 
rispetto 
al provvedimento principale prefettizio. 

In tal 
senso, appare 
utile 
richiamare 
l’Adunanza 
Plenaria 
del 
Consiglio 
di 
Stato che, con sentenza 
n. 17 del 
31 luglio 2014, ha 
chiarito che: 
“ 
l’impugnativa 
degli 
atti 
consequenziali 
all’informativa antimafia (negli 
effetti 
analoga 
al 
diniego 
di 
iscrizione 
nelle 
white 
list, 
come 
si 
vedrà 
nel 
prosieguo 
della 
motivazione 
della 
presente 
sentenza) 
deve 
avvenire 
con 
motivi 
aggiunti 
avanti 
al 
T.a.R., già adito, competente 
territorialmente 
a giudicare 
dell’informativa 
(e, cioè, quello del 
luogo in cui 
ha sede 
la Prefettura che 
ha emesso il 
prov



teMI 
IStItuzIonALI 


vedimento 
interdittivo), 
senza 
moltiplicare 
avanti 
a 
diversi 
TT.aa.RR. 
i 
giudizi 
relativi 
agli 
atti 
applicativi 
adottati 
dalle 
diverse 
stazioni 
appaltanti 
sul 
territorio 
nazionale, per 
le 
esigenze 
di 
concentrazione 
dei 
procedimenti 
e 
di 
realizzazione 
del 
simultaneus 
processus, 
anche 
al 
fine 
di 
garantire 
l’effettività 
della tutela giurisdizionale 
secondo i 
principi 
di 
cui 
all’art. 24 e 
111 Cost. ed 
i 
principi 
comunitari 
ed evitare, in questa materia, il 
ben noto fenomeno del 


c.d. forum shopping”. 
Il 
tar 
Campania 
ha 
inoltre 
espressamente 
chiarito 
che: 
“Considerando 
che 
il 
provvedimento di 
rigetto della richiesta di 
iscrizione 
nella white 
list 
è 
stato 
emesso 
dalla 
Prefettura 
di 
Caserta, 
i 
provvedimenti 
conseguenziali 
a 
quest’ultimo, come 
il 
provvedimento emesso dal 
ministero dell’Interno Struttura 
missione 
Prevenzione 
e 
Contrasto 
antimafia 
Sisma, 
nonché 
le 
note 
emesse 
dall’anac, 
vanno 
attribuite 
alla 
competenza 
territoriale 
di 
questo 
Tar” 
(Sentenza 
tar Campania n. 4235/2019). 


In ogni 
caso, in sede 
difensiva, nel 
merito si 
rileva 
che 
l’inserzione 
nel 
Casellario informatico dell’informativa 
antimafia 
interdittiva 
costituisce, per 
AnAC, 
un 
atto 
dovuto 
ex 
art. 
213 
comma 
10 
d.lgs. 
50/2016 
(Consiglio 
di 
Stato, 
sez. 
III, 
13 
aprile 
2018, 
n. 
2234; 
t.A.r. 
Sicilia, 
Catania, 
sez. 
I, 
30 
agosto 
2019, 
n. 
2102; 
t.A.r. 
Catanzaro, 
Calabria, 
sez. 
I, 
1 
agosto 
2018, 
n. 
1472; 


t.A.r. Bari, Puglia, sez. I, 21 settembre 2017, n. 979). 
Il 
comma 
10 dell’articolo 213 del 
d.lgs. 50 del 
2016 prevede 
che: 
“L'Autorità 
gestisce 
il 
Casellario Informatico dei 
contratti 
pubblici 
di 
lavori, servizi 
e 
forniture, istituito presso l'osservatorio, contenente 
tutte 
le 
notizie, le 
informazioni 
e 
i 
dati 
relativi 
agli 
operatori 
economici 
con 
riferimento 
alle 
iscrizioni 
previste 
dall'articolo 80. Garantisce 
altresì, il 
collegamento con la 
banca 
dati 
di cui all'articolo 81”. 

La 
doverosità 
di 
tale 
comportamento, 
inoltre, 
è 
espressamente 
prevista 
dall’art. 
91, 
co. 
7 
bis, 
del 
d.lgs. 
6 
settembre 
2011, 
n. 
159, 
che 
dispone: 
«Ai 
fini 
dell'adozione 
degli 
ulteriori 
provvedimenti 
di 
competenza 
di 
altre 
amministrazioni, 
l'informazione 
antimafia 
interdittiva, 
anche 
emessa 
in 
esito 
all'esercizio 
dei 
poteri 
di 
accesso, è 
tempestivamente 
comunicata 
anche 
in via 
telematica: 
[…] f) all'osservatorio dei 
contratti 
pubblici 
relativi 
ai 
lavori, servizi 
e 
forniture 
istituito 
presso 
l'Autorità 
per 
la 
vigilanza 
sui 
contratti 
pubblici, 
ai 
fini 
dell'inserimento nel 
casellario informatico di 
cui 
all'articolo 7, comma 
10, del 
decreto legislativo 12 aprile 
2006, n. 163, e 
nella 
Banca 
dati 
nazionale 
dei 
contratti 
pubblici 
di 
cui 
all'articolo 62-bis 
del 
decreto legislativo 7 marzo 
2005, n. 82». 


Al 
riguardo, 
si 
osserva 
che 
la 
valutazione 
della 
sussistenza 
dei 
presupposti 
per 
l’emanazione 
dell’informazione 
interdittiva 
appartiene 
alla 
competenza 
esclusiva della Prefettura interessata, che l’Autorità non può che rispettare. 

È 
fatta 
salva, ovviamente, la 
facoltà 
per l’operatore 
economico coinvolto 
di impugnare l’informativa presso i competenti organi giurisdizionali. 


rASSeGnA 
AVVoCAturA 
DeLLo 
StAto -n. 1/2021 


A 
tale 
riguardo, 
il 
tAr 
Lazio 
ha 
chiarito 
quanto 
segue: 
“La 
non 
annotazione, 
in 
altri 
termini, 
ove 
lasciata 
alla 
discrezionalità 
dell’autorità, 
oltre 
ad 
essere 
in 
concreto 
difficilmente 
motivabile 
o 
giustificabile 
(se 
non 
in 
casi 
limite, 
per 
esempio 
ove 
si 
ravvisi 
un 
“error 
in 
persona” 
o 
altro 
travisamento 
di 
fatto 
presente 
“ictu 
oculi” 
nell’informativa) 
si 
porrebbe 
in 
contrasto 
con 
la 
stessa 
funzione 
di 
pubblicità 
notiziale 
fondamentalmente 
svolta 
dal 
casellario 
informatico 
ex 
art. 
8 
D.P.R. 
n. 
207 
del 
2010, 
privando 
l’universo 
delle 
stazioni 
appaltanti 
di 
informazioni 
certamente 
rilevanti 
in 
funzione 
della 
stipula 
e 
della 
conservazione 
di 
contratti 
pubblici” 
(t.A.r. 
Lazio, 
sez. 
III, 
sentenza 
11 
marzo 
2015, 
n. 
4949; 
e, 
in 
termini, 
t.A.r. 
Calabria, 
sez. 
I, 
ordinanza 
20 
febbraio 
2015, 
n. 
81; 
Consiglio 
di 
Stato, 
sez. 
VI, 
ordinanza 
7 
maggio 
2015, 
n. 
1993). 


L’AnAC, stante 
la 
precisa 
indicazione 
del 
legislatore 
e 
l’indubbia 
rilevanza 
per 
il 
mercato 
dell’informazione 
prefettizia 
interdittiva, 
è 
tenuta, 
in 
conclusione, 
ad inserire 
tempestivamente 
la 
notizia 
nel 
Casellario informatico di 
cui 
all’articolo 213 del 
Codice 
ponendosi, tale 
inserimento, come 
atto necessario 
e 
dovuto rispetto al 
quale 
nessun tipo di 
discrezionalità 
sussiste 
da 
parte 
dell’Autorità. 


L’iscrizione 
nel 
Casellario informatico delle 
informazioni 
ricevute, salvi 
i 
casi 
di 
manifesta 
infondatezza 
o 
palese 
inconferenza 
della 
notizia, 
costituisce, 
peraltro, 
l’unico 
rimedio 
previsto 
dal 
legislatore 
per 
consentire 
alle 
stazioni 
appaltanti 
di 
conoscere 
in modo esauriente 
gli 
elementi 
necessari 
alle 
valutazioni 
da effettuare in sede di gara. 

La 
legittimità 
dell’annotazione 
è, 
dunque, 
incontestabile, 
provvedendo 
con 
essa 
l’Autorità 
ad 
un 
proprio 
dovere 
istituzionale 
(Consiglio 
di 
Stato, 
sez. 
VI, n. 5331/2017). 


Altra 
tipologia 
di 
contenziosi 
che 
vede 
come 
parti 
convenute 
il 
Ministero 
dell’Interno/Prefetture 
e 
l’AnAC 
riguarda 
le 
misure 
straordinarie 
di 
gestione, 
sostegno e 
monitoraggio di 
imprese 
nell’ambito della prevenzione 
della 
corruzione 
ex 
art. 
32 
d.l. 
n. 
90/2014 
conv. 
con 
l. 
n. 
114/2014, 
a 
mente 
del quale: 


“1. 
nell'ipotesi 
in 
cui 
l'autorità 
giudiziaria 
proceda 
per 
i 
delitti 
di 
cui 
agli 
articoli 
317 c.p., 318 c.p., 319 c.p., 319-bis 
c.p., 319-ter 
c.p., 319-quater 
c.p., 
320 c.p., 322 c.p., 322-bis 
c.p., 346-bis 
c.p., 353 c.p. e 
353-bis 
c.p., ovvero, in 
presenza 
di 
rilevate 
situazioni 
anomale 
e 
comunque 
sintomatiche 
di 
condotte 
illecite 
o 
eventi 
criminali 
attribuibili 
ad 
un'impresa 
aggiudicataria 
di 
un 
appalto 
per la 
realizzazione 
di 
opere 
pubbliche, servizi 
o forniture, nonché 
ad una 
impresa 
che 
esercita 
attività 
sanitaria 
per conto del 
Servizio sanitario nazionale 
in base 
agli 
accordi 
contrattuali 
di 
cui 
all’articolo 8-quinquies 
del 
decreto legislativo 
30 
dicembre 
1992, 
n. 
502, 
ovvero 
ad 
un 
concessionario 
di 
lavori 
pubblici 
o 
ad 
un 
contraente 
generale, 
il 
Presidente 
dell'AnAC 
ne 
informa 
il 
procuratore 
della 
repubblica 
e, in presenza 
di 
fatti 
gravi 
e 
accertati 
anche 
ai 



teMI 
IStItuzIonALI 


sensi 
dell'articolo 19, comma 
5, lett. a) del 
presente 
decreto, propone 
al 
Prefetto 
competente 
in relazione 
al 
luogo in cui 
ha 
sede 
la 
stazione 
appaltante, 
alternativamente: 


a) 
di 
ordinare 
la 
rinnovazione 
degli 
organi 
sociali 
mediante 
la 
sostituzione 
del 
soggetto coinvolto e, ove 
l'impresa 
non si 
adegui 
nei 
termini 
stabiliti, di 
provvedere 
alla 
straordinaria 
e 
temporanea 
gestione 
dell'impresa 
limitatamente 
alla 
completa 
esecuzione 
del 
contratto d'appalto ovvero dell'accordo contrattuale 
o della concessione; 
b) 
di 
provvedere 
direttamente 
alla 
straordinaria 
e 
temporanea 
gestione 
dell'impresa 
limitatamente 
alla 
completa 
esecuzione 
del 
contratto di 
appalto 
ovvero dell'accordo contrattuale o della concessione. 
2. Il 
Prefetto, previo accertamento dei 
presupposti 
indicati 
al 
comma 
1 e 
valutata 
la 
particolare 
gravità 
dei 
fatti 
oggetto 
dell'indagine, 
intima 
all'impresa 
di 
provvedere 
al 
rinnovo degli 
organi 
sociali 
sostituendo il 
soggetto coinvolto 
e 
ove 
l'impresa 
non si 
adegui 
nel 
termine 
di 
trenta 
giorni 
ovvero nei 
casi 
più 
gravi, provvede 
nei 
dieci 
giorni 
successivi 
con decreto alla 
nomina 
di 
uno o 
più amministratori, in numero comunque 
non superiore 
a 
tre, in possesso dei 
requisiti 
di 
professionalità 
e 
onorabilità 
di 
cui 
al 
regolamento 
adottato 
ai 
sensi 
dell'articolo 39, comma 
1, del 
decreto legislativo 8 luglio 1999, n. 270. Il 
predetto 
decreto stabilisce 
la 
durata 
della 
misura 
in ragione 
delle 
esigenze 
funzionali 
alla 
realizzazione 
dell'opera 
pubblica, 
al 
servizio 
o 
alla 
fornitura 
oggetto del 
contratto ovvero dell'accordo contrattuale 
e 
comunque 
non oltre 
il collaudo. 
2-bis. nell'ipotesi 
di 
impresa 
che 
esercita 
attività 
sanitaria 
per conto del 
Servizio sanitario nazionale 
in base 
agli 
accordi 
contrattuali 
di 
cui 
all'articolo 
8-quinquies 
del 
decreto 
legislativo 
30 
dicembre 
1992, 
n. 
502, 
il 
decreto 
del 
Prefetto di 
cui 
al 
comma 
2 è 
adottato d'intesa 
con il 
Ministro della 
salute 
e 
la 
nomina 
è 
conferita 
a 
soggetti 
in possesso di 
curricula 
che 
evidenzino qualificate 
e comprovate professionalità ed esperienza di gestione sanitaria. 

3. 
Per 
la 
durata 
della 
straordinaria 
e 
temporanea 
gestione 
dell'impresa, 
sono 
attribuiti 
agli 
amministratori 
tutti 
i 
poteri 
e 
le 
funzioni 
degli 
organi 
di 
amministrazione 
dell'impresa 
ed 
è 
sospeso 
l'esercizio 
dei 
poteri 
di 
disposizione 
e 
gestione 
dei 
titolari 
dell'impresa. 
nel 
caso 
di 
impresa 
costituita 
in 
forma 
societaria, 
i 
poteri 
dell'assemblea 
sono 
sospesi 
per 
l'intera 
durata 
della 
misura. 
4. L'attività 
di 
temporanea 
e 
straordinaria 
gestione 
dell'impresa 
è 
considerata 
di 
pubblica 
utilità 
ad ogni 
effetto e 
gli 
amministratori 
rispondono delle 
eventuali diseconomie dei risultati solo nei casi di dolo o colpa grave. 
5. 
Le 
misure 
di 
cui 
al 
comma 
2 
sono 
revocate 
e 
cessano 
comunque 
di 
produrre 
effetti 
in caso di 
provvedimento che 
dispone 
la 
confisca, il 
sequestro o 
l'amministrazione 
giudiziaria 
dell'impresa 
nell'ambito di 
procedimenti 
penali 
o per l'applicazione 
di 
misure 
di 
prevenzione 
ovvero dispone 
l'archiviazione 

rASSeGnA 
AVVoCAturA 
DeLLo 
StAto -n. 1/2021 


del 
procedimento. L'autorità 
giudiziaria 
conferma, ove 
possibile, gli 
amministratori 
nominati dal Prefetto. 

6. 
Agli 
amministratori 
di 
cui 
al 
comma 
2 
spetta 
un 
compenso 
quantificato 
con il 
decreto di 
nomina 
sulla 
base 
delle 
tabelle 
allegate 
al 
decreto di 
cui 
all'articolo 
8 del 
decreto legislativo 4 febbraio 2010 n. 14. Gli 
oneri 
relativi 
al 
pagamento di tale compenso sono a carico dell'impresa. 
7. nel 
periodo di 
applicazione 
della 
misura 
di 
straordinaria 
e 
temporanea 
gestione 
di 
cui 
al 
comma 
2, i 
pagamenti 
all'impresa 
sono corrisposti 
al 
netto 
del 
compenso 
riconosciuto 
agli 
amministratori 
di 
cui 
al 
comma 
2 
e 
l'utile 
d'impresa 
derivante 
dalla 
conclusione 
dei 
contratti 
d'appalto 
di 
cui 
al 
comma 
1, 
determinato 
anche 
in 
via 
presuntiva 
dagli 
amministratori, 
è 
accantonato 
in 
apposito 
fondo e 
non può essere 
distribuito né 
essere 
soggetto a 
pignoramento, 
sino all'esito dei 
giudizi 
in sede 
penale 
ovvero, nei 
casi 
di 
cui 
al 
comma 
10, 
dei 
giudizi 
di 
impugnazione 
o cautelari 
riguardanti 
l'informazione 
antimafia 
interdittiva. 
8. nel 
caso in cui 
le 
indagini 
di 
cui 
al 
comma 
1 riguardino componenti 
di 
organi 
societari 
diversi 
da 
quelli 
di 
cui 
al 
medesimo comma 
è 
disposta 
la 
misura 
di 
sostegno 
e 
monitoraggio 
dell'impresa. 
Il 
Prefetto 
provvede, 
con 
decreto, 
adottato 
secondo 
le 
modalità 
di 
cui 
al 
comma 
2, 
alla 
nomina 
di 
uno 
o 
più 
esperti, in numero comunque 
non superiore 
a 
tre, in possesso dei 
requisiti 
di 
professionalità 
e 
onorabilità 
di 
cui 
al 
regolamento 
adottato 
ai 
sensi 
dell'articolo 
39, comma 
1, del 
decreto legislativo 8 luglio 1999, n. 270, con il 
compito di 
svolgere 
funzioni 
di 
sostegno 
e 
monitoraggio 
dell'impresa. 
A 
tal 
fine, 
gli 
esperti 
forniscono all'impresa 
prescrizioni 
operative, elaborate 
secondo riconosciuti 
indicatori 
e 
modelli 
di 
trasparenza, 
riferite 
agli 
ambiti 
organizzativi, 
al 
sistema 
di controllo interno e agli organi amministrativi e di controllo. 
9. Agli 
esperti 
di 
cui 
al 
comma 
8 spetta 
un compenso, quantificato con il 
decreto di 
nomina, non superiore 
al 
cinquanta 
per cento di 
quello liquidabile 
sulla 
base 
delle 
tabelle 
allegate 
al 
decreto di 
cui 
all'articolo 8 del 
decreto legislativo 
4 
febbraio 
2010 
n. 
14. 
Gli 
oneri 
relativi 
al 
pagamento 
di 
tale 
compenso 
sono a carico dell'impresa. 
10. Le 
disposizioni 
di 
cui 
al 
presente 
articolo si 
applicano anche 
nei 
casi 
in 
cui 
sia 
stata 
emessa 
dal 
Prefetto 
un'informazione 
antimafia 
interdittiva 
e 
sussista 
l'urgente 
necessità 
di 
assicurare 
il 
completamento dell'esecuzione 
del 
contratto ovvero dell'accordo contrattuale, ovvero la 
sua 
prosecuzione 
al 
fine 
di 
garantire 
la 
continuità 
di 
funzioni 
e 
servizi 
indifferibili 
per 
la 
tutela 
di 
diritti 
fondamentali, nonché 
per la 
salvaguardia 
dei 
livelli 
occupazionali 
o dell'integrità 
dei 
bilanci 
pubblici, ancorché 
ricorrano i 
presupposti 
di 
cui 
all'articolo 
94, comma 
3, del 
decreto legislativo 6 settembre 
2011, n. 159. In tal 
caso, le 
misure 
sono disposte 
di 
propria 
iniziativa 
dal 
Prefetto che 
ne 
informa 
il 
Presidente 
dell'AnAC. nei 
casi 
di 
cui 
al 
comma 
2-bis, le 
misure 
sono disposte 
con 
decreto 
del 
Prefetto, 
di 
intesa 
con 
il 
Ministro 
della 
salute. 
Le 
stesse 
misure 

teMI 
IStItuzIonALI 


sono revocate 
e 
cessano comunque 
di 
produrre 
effetti 
in caso di 
passaggio in 
giudicato 
di 
sentenza 
di 
annullamento 
dell'informazione 
antimafia 
interdittiva, 
di 
ordinanza 
che 
dispone, 
in 
via 
definitiva, 
l'accoglimento 
dell'istanza 
cautelare 
eventualmente 
proposta 
ovvero di 
aggiornamento dell'esito della 
predetta 
informazione 
ai 
sensi 
dell'articolo 
91, 
comma 
5, 
del 
decreto 
legislativo 
6 
settembre 
2011, 
n. 
159, 
e 
successive 
modificazioni, 
anche 
a 
seguito 
dell'adeguamento dell'impresa alle indicazioni degli esperti. 

10-bis. Le 
misure 
di 
cui 
al 
presente 
articolo, nel 
caso di 
accordi 
contrattuali 
con il 
Servizio sanitario nazionale 
di 
cui 
all'articolo 8-quinquies 
del 
decreto 
legislativo 
30 
dicembre 
1992, 
n. 
502, 
si 
applicano 
ad 
ogni 
soggetto 
privato titolare 
dell'accordo, anche 
nei 
casi 
di 
soggetto diverso dall'impresa, e 
con riferimento a 
condotte 
illecite 
o eventi 
criminosi 
posti 
in essere 
ai 
danni 
del Servizio sanitario nazionale”. 


In particolare, nel 
contenzioso in oggetto viene 
in rilievo il 
caso previsto 
dal 
comma 
10, che 
ha 
come 
presupposto l’adozione 
di 
un provvedimento interdittivo. 
In sede 
difensiva 
si 
eccepisce 
la 
carenza 
di 
legittimazione 
passiva 
dell’AnAC -ove 
convenuta 
-alla 
quale 
dall’art. 32 è 
attribuito un potere 
di 
proposta, considerato che 
la 
stessa 
è 
destinataria 
di 
una 
informativa 
da 
parte 
del Prefetto competente all’adozione della misura. 


Infine, un contenzioso particolarmente 
delicato (per cui 
è 
previsto anche 
il 
rito abbreviato: 
cfr. art. 119 c.p.a.) è 
quello riguardante 
gli 
scioglimenti 
dei 
comuni 
per 
mafia, 
che 
vede 
coinvolti 
la 
Presidenza 
del 
Consiglio 
dei 
Ministri 
(che 
adotta 
la 
delibera 
di 
scioglimento), 
il 
Ministero 
dell’Interno 
e 
le 
Prefetture 
competenti (per quanto concerne le relative relazioni). 


nei 
casi 
in 
cui 
il 
ricorso 
viene 
proposto 
e 
notificato 
anche 
nei 
confronti 
della 
Presidenza 
della 
repubblica, 
si 
eccepisce 
il 
difetto 
di 
legittimazione 
passiva. 


Infatti, il 
decreto presidenziale 
viene 
assunto nell’esercizio di 
poteri 
non 
riconducibili 
a 
quelli 
amministrativi 
e 
“politici” 
non 
liberi 
nei 
fini 
e, 
per 
l’esattezza, 
nell’esercizio di 
un potere 
neutrale 
di 
garanzia 
e 
controllo di 
rilievo costituzionale 
(sul 
punto si 
è 
soffermato, con motivazione 
diffusa, il 
tAr Lazio 
nella 
sentenza 
n. 10455/2016); 
potere 
di 
garanzia 
e 
di 
controllo avente 
ad oggetto 
la 
delibera 
del 
Consiglio dei 
Ministri 
di 
accoglimento della 
proposta 
del 
Ministro 
dell’Interno, 
cosicchè 
è 
solo 
ed 
esclusivamente 
quest’ultima 
ad 
essere 
giustiziabile 
(unitamente 
agli 
atti 
e 
provvedimenti 
che 
ne 
costituiscono presupposto) 
e 
la 
legittimazione 
passiva 
rispetto alla 
domanda 
di 
annullamento 
dell’una 
e 
degli 
altri 
non 
può 
che 
spettare 
alla 
Presidenza 
del 
Consiglio 
dei 
Ministri 
ed al 
Ministero dell’Interno (cfr. sentenza 
16 febbraio 2017 n. 2485 
del 
tAr 
Lazio, 
pronunciata 
con 
riferimento 
all’impugnativa 
dello 
scioglimento 
ex 
art. 143 del 
D.Lgs. n. 267/2020 di 
un Comune 
situato in provincia 
di 
Vibo Valentia). 


In 
relazione 
al 
contenzioso 
riguardante 
gli 
scioglimenti 
per 
mafia, 
merita 
evidenziare 
che, 
alla 
stregua 
del 
costante 
orientamento 
giurisprudenziale, 
per 



rASSeGnA 
AVVoCAturA 
DeLLo 
StAto -n. 1/2021 


l’apparato 
probatorio 
preordinato 
a 
confermare 
la 
ricorrenza 
di 
condizionamenti 
criminali 
«è 
sufficiente 
la 
presenza 
di 
elementi 
“indizianti”, 
che 
consentano 
d’individuare 
la 
sussistenza 
di 
un 
rapporto 
inquinante 
tra 
l’organizzazione 
mafiosa 
e 
gli 
amministratori 
dell’ente 
considerato 
“infiltrato”» 
(cfr. 
t.A.r. 
per 
il 
Lazio 
-roma, 
Sezione 
I, 
sentenza 
18 
giugno 
2019, 
n. 
7862). 


È 
stato anche 
precisato che 
le 
valutazioni 
concernenti 
la 
legittimità 
del 
provvedimento 
dissolutorio 
si 
devono 
«fondare 
sulla 
regola 
del 
“più 
probabile 
che 
non”, la quale 
ha una portata generale 
… 
per 
l’intero diritto della prevenzione, 
compresa, 
dunque, 
anche 
la 
fattispecie 
… 
dell’art. 
143 
T.U.E.L. 
che 
… 
ha finalità preventiva e 
non punitiva» (ex 
multis, Consiglio di 
Stato, sentenza 
18 luglio 2019, n. 5077). 


Il 
predetto 
provvedimento 
si 
connota, 
infatti, 
quale 
misura 
di 
carattere 
straordinario e 
sottende 
una 
finalità 
di 
prevenzione 
e 
salvaguardia 
della 
funzionalità 
dell’ente 
locale 
e 
della 
rispondenza 
a 
fondamentali 
canoni 
di 
legalità 
del suo apparato. 


e 
invero, la 
misura 
dissolutoria 
in argomento deve 
ritenersi 
espressione 
di 
una 
logica 
di 
anticipazione 
della 
soglia 
di 
difesa 
sociale, 
ai 
fini 
di 
una 
tutela 
avanzata 
nel 
campo del 
contrasto alla 
criminalità 
organizzata. In quanto tale, 
la 
stessa 
prescinde 
dalle 
rilevanze 
probatorie 
proprie 
di 
un 
eventuale 
processo 
penale, essendo sufficiente, per la 
sua 
emissione, un quadro indiziario che 
sia 
reale 
ed effettivo (ex 
multis, t.A.r. Lazio, sentenza 
16 luglio 2019, n. 9381). 


La 
misura 
di 
rigore 
interviene, infatti, ancor prima 
che 
si 
determinino i 
presupposti 
per 
il 
procedimento 
penale 
o 
anche 
per 
il 
solo 
procedimento 
di 
prevenzione. 


La 
costante 
giurisprudenza 
in 
materia, 
confermata 
dagli 
orientamenti 
più 
recenti, valorizza 
«il 
differente 
grado di 
sufficienza del 
valore 
indiziario dei 
dati 
nel 
procedimento 
di 
cui 
qui 
si 
tratta 
rispetto 
a 
quello 
richiesto 
in 
sede 
penale
» (cfr. t.A.r. Lazio, sentenza 18 giugno 2019, n. 7937). 

ed 
invero, 
il 
Consiglio 
di 
Stato 
ha 
precisato 
che 
«I 
motivi 
che 
danno 
luogo 
allo scioglimento dei 
consigli 
comunali 
e 
provinciali 
sono indicati 
al 
comma 
1 
dell’art. 
141 
del 
D.Lgs. 
n. 
267/2000. 
Tali 
motivi, 
ai 
sensi 
del 
comma 
VII 
dello stesso articolo, costituiscono il 
presupposto, una volta iniziata la procedura 
di 
scioglimento 
ed 
in 
presenza 
di 
“motivi 
di 
grave 
e 
urgente 
necessità” 
per 
consentire 
al 
prefetto 
anche 
la 
“sospensione” 
dei 
consigli 
comunali 
e 
provinciali 
e 
la 
nomina 
di 
un 
commissario 
per 
la 
provvisoria 
amministrazione 
dell’ente. (omissis) La valutazione 
dei 
motivi 
di 
“grave 
e 
urgente 
necessità” 
posti 
a fondamento del 
decreto del 
prefetto assume 
rilievo, pertanto, con riferimento 
a 
situazioni 
di 
fatto 
in 
ordine 
alle 
quali 
l’ordinamento 
ha 
già 
espresso 
un 
giudizio 
di 
disvalore, 
prevedendo 
la 
procedura 
di 
scioglimento 
con 
decreto 
del 
Capo dello Stato. Tali 
due 
procedure 
(quella di 
scioglimento e 
quella di 
sospensione) hanno, pertanto, un comune 
presupposto, consistente 
nel 
verificarsi 
di 
una delle 
fattispecie 
di 
cui 
al 
comma 1 dell’art. 141, ma la seconda 



teMI 
IStItuzIonALI 


procedura 
ha 
lo 
scopo 
specifico 
di 
garantire 
la 
salvaguardia 
dell’interesse 
pubblico 
nelle 
more 
dell’emanazione 
del 
decreto 
di 
scioglimento 
del 
consiglio 
comunale 
o provinciale. I motivi 
che 
giustificano la sospensione 
(e 
che 
già, 
in 
parte, 
trovano 
giustificazione 
nei 
motivi 
di 
scioglimento 
stabiliti 
dalla 
norma 
stessa), 
non 
necessitano, 
di 
conseguenza, 
di 
una 
estesa 
e 
penetrante 
motivazione, avendo un contenuto di 
ampia discrezionalità, sindacabile 
soltanto 
per 
palese 
illogicità» (cfr. Consiglio di 
Stato, sentenza 
28 luglio 2005, 


n. 4062; 
Id., sentenza 
12 agosto 2009, n. 4936; 
Id., sentenza 
27 aprile 
2012, 
n. 2444). 
D’altro canto, il 
giudizio prognostico di 
verosimiglianza 
fondato attendibilmente 
sulla 
logica 
del 
“più probabile 
che 
non” 
è 
applicabile 
anche 
allo 
scioglimento 
del 
consiglio 
comunale, 
che 
ha 
funzione 
anticipatoria 
e 
non 
sanzionatoria 
(cfr. Consiglio di 
Stato, sentenza 
11 settembre 
2017, n. 4285; 
Id., 
sentenza 20 gennaio 2016, n. 196; Id. sentenza 20 gennaio 2016, n. 197). 

È 
stato 
anche 
precisato 
che, 
per 
fare 
luogo 
allo 
scioglimento 
del 
consiglio 
comunale 
per 
infiltrazioni 
mafiose, 
sono 
sufficienti 
semplici 
“elementi” 
(e, 
quindi, 
circostanze 
di 
fatto 
anche 
non 
assurgenti 
a 
prova 
piena) 
di 
un 
collegamento 
e/o 
influenza 
tra 
l’Amministrazione 
ed 
i 
sodalizi 
criminali 
ovvero 
è 
sufficiente 
che 
gli 
elementi 
raccolti 
e 
valutati 
siano 
“indicativi” 
di 
un 
condizionamento 
dell’attività 
degli 
organi 
amministrativi 
e 
che 
tale 
condizionamento 
sia 
riconducibile 
all’influenza 
ed 
all’ascendente 
esercitati 
da 
gruppi 
di 
criminalità 
organizzata 
(cfr. 
Consiglio 
di 
Stato, 
sentenza 
6 
marzo 
2012, 
n. 
1266). 


La 
misura 
in argomento deve 
infatti 
ritenersi 
espressione 
di 
una 
logica 
di 
anticipazione 
della 
soglia 
di 
difesa 
sociale, ai 
fini 
di 
una 
tutela 
avanzata 
nel 
campo del 
contrasto alla 
criminalità 
organizzata. In quanto tale, la 
stessa 
prescinde 
dalle 
rilevanze 
probatorie 
proprie 
di 
un eventuale 
processo penale, essendo 
sufficiente, per la 
sua 
emissione, un quadro indiziario che 
sia 
reale 
ed 
effettivo (cfr. Consiglio di Stato, sentenza 24 aprile 2015, n. 2054). 


La 
costante 
giurisprudenza 
in 
materia, 
confermata 
dagli 
orientamenti 
più 
recenti, 
valorizza 
«il 
differente 
grado 
di 
sufficienza 
del 
valore 
indiziario 
dei 
dati 
nel 
procedimento 
di 
cui 
qui 
si 
tratta 
rispetto 
a 
quello 
richiesto 
in 
sede 
penale»(ex 
multis, 
Consiglio 
di 
Stato, 
sentenza 
9 
luglio 
2012, 
n. 
3998; 
tAr 
Lazio 
sentenza 
16 
ottobre 
2017, 
n. 
10361; 
Id., 
sentenza 
20 
luglio 
2015, 
n. 
9873). 


È 
noto infatti 
come 
la 
qualificazione 
della 
concretezza, univocità 
e 
rilevanza 
delle 
circostanze 
poste 
a 
fondamento 
del 
provvedimento 
dissolutorio 
vada 
riferita 
non 
atomisticamente 
e 
partitamente 
a 
ogni 
singolo 
elemento 
o 
accadimento preso in esame 
dalla 
Commissione 
di 
indagine, ma 
a 
una 
valutazione 
complessiva del coacervo di elementi acquisiti. 

elementi 
che 
ove, nel 
loro complesso, siano riferibili 
a 
fatti 
di 
cui 
non è 
in discussione 
l’accadimento storico (requisito della 
concretezza) e, in base 
al 



rASSeGnA 
AVVoCAturA 
DeLLo 
StAto -n. 1/2021 


prudente 
apprezzamento 
dell’Amministrazione, 
esprimano, 
con 
adeguato 
grado 
di 
certezza, 
le 
situazioni 
di 
condizionamento 
e 
di 
ingerenza 
nella 
gestione 
dell’ente 
che 
la 
norma 
ha 
inteso 
prevenire 
(requisito 
dell’univocità), 
non possono non ritenersi 
rilevanti, sul 
piano causale, agli 
effetti 
predetti 
(cfr. 
Consiglio di 
Stato, sentenza 
24 aprile 
2015, n. 2054; 
tAr Lazio, sentenza 
21 
marzo 2016, n. 3419; Id., sentenza 8 gennaio 2015, n. 165). 

In definitiva, gli 
elementi 
concreti 
si 
sostanziano nella 
presenza 
di 
puntuali 
riscontri 
fattuali; 
la 
caratteristica 
della 
univocità 
è 
data 
dalla 
coerenza 
di 
insieme 
di 
tutti 
i 
dati 
raccolti, che 
non devono prestarsi 
ad ambivalenti 
interpretazioni; 
la 
rilevanza 
consegue 
al 
processo elaborativo e 
valutativo dei 
fatti 
accertati 
e 
degli 
elementi 
riscontrati, i 
quali 
possono ritenersi 
rilevanti 
se 
e 
in 
quanto 
significativi 
di 
forme 
di 
condizionamento 
o 
interferenza 
(ex 
multis, 
Consiglio di 
Stato, sentenza 
15 marzo 2016, n. 1038; 
tAr Lazio, sentenza 
20 
luglio 2015, n. 9874; Id., 18 giugno 2012, n. 5606). 


Al 
riguardo, 
si 
sottolinea 
che 
gli 
organi 
di 
vertice 
politico-amministrativo 
hanno 
compiti 
pregnanti 
di 
pianificazione, 
di 
direttiva, 
di 
impulso, 
di 
vigilanza 
e 
di 
verifica, 
che 
impongono 
l’esigenza 
di 
intervenire 
ed 
apprestare 
tutte 
le 
misure 
e 
le 
risorse 
necessarie 
per una 
effettiva 
e 
sostanziale 
cura 
e 
difesa 
del-
l’interesse 
pubblico 
dalla 
compromissione 
derivante 
da 
ingerenze 
estranee 
(cfr. 
Consiglio 
di 
Stato, 
parere 
12 
ottobre 
2010, 
n. 
4554; 
tAr 
Campania 
-napoli, 
sentenza 11 gennaio 2007, n. 246). 

Inoltre, 
l’Amministrazione 
procedente, 
come 
ormai 
pacificamente 
ammesso, 
gode 
di 
ampi 
margini 
di 
discrezionalità 
nella 
valutazione 
degli 
elementi 
su 
collegamenti 
diretti 
o 
indiretti, 
non 
traducibili 
in 
singoli 
addebiti 
personali, 
ma 
tali 
da 
rendere 
plausibile, 
nella 
concreta 
realtà 
contingente 
e 
in 
base 
ai 
dati 
dell’esperienza, 
l’ipotesi 
di 
una 
soggezione 
degli 
amministratori 
e/o 
dipendenti 
alla 
criminalità 
organizzata 
(vincoli 
di 
parentela 
o 
di 
affinità, 
rapporti 
di 
amicizia 
o 
di 
affari, 
frequentazioni, 
ecc.), 
e 
ciò, 
pur 
quando 
il 
valore 
indiziario 
degli 
elementi 
raccolti 
non 
sia 
sufficiente 
per 
l’avvio 
dell’azione 
penale 
o 
per 
l’adozione 
di 
misure 
individuali 
di 
prevenzione 
(ex 
multis, 
Consiglio 
di 
Stato, 
sentenza 
28 
giugno 
2017, 
n. 
33164; 
tAr 
Lazio, 
sentenza 
22 
marzo 
2017, 
n. 
3749). 


Sebbene 
in 
linea 
generale 
i 
ricorrenti, 
in 
sede 
giudiziale, 
tendono 
ad 
“atomizzare” 
gli 
elementi 
emersi, 
tuttavia, 
è 
noto 
come 
la 
qualificazione 
della 
concretezza, 
univocità 
e 
rilevanza 
delle 
circostanze 
poste 
a 
fondamento 
del 
provvedimento dissolutorio vada 
riferita 
non atomisticamente 
e 
partitamente 
ad ogni 
singolo elemento o accadimento preso in esame 
dalla 
Commissione 
di 
indagine, ma 
a 
una 
valutazione 
complessiva 
del 
coacervo di 
elementi 
acquisiti. 
e 
invero, «lo scioglimento del 
Consiglio comunale 
“per 
infiltrazioni 
mafiose” 
costituisce 
una misura straordinaria di 
prevenzione 
… 
che 
l’ordinamento 
ha apprestato per 
rimediare 
a situazioni 
patologiche 
di 
compromissione 
del 
naturale 
funzionamento dell’autogoverno locale 
… 
Le 
vicende 
che 



teMI 
IStItuzIonALI 


costituiscono il 
presupposto sulla base 
del 
quale 
può essere 
disposto il 
provvedimento 
di 
scioglimento ex 
art. 143 TUEL 
devono essere, pertanto, considerate 
“nel 
loro insieme”, non atomisticamente, e 
devono risultare 
idonee 
a 
delineare, con una ragionevole 
ricostruzione, il 
quadro complessivo del 
condizionamento 
“mafioso”» (ex 
multis, tAr Lazio, sentenza 
11 giugno 2019, 


n. 7575; Id., sentenza 14 ottobre 2019, n. 11810). 
In definitiva, gli 
elementi 
concreti 
si 
sostanziano nella 
presenza 
di 
puntuali 
riscontri 
fattuali; 
la 
caratteristica 
della 
univocità 
è 
data 
dalla 
coerenza 
di 
insieme 
di 
tutti 
i 
dati 
raccolti 
che 
non devono prestarsi 
ad ambivalenti 
interpretazioni; 
la 
rilevanza 
consegue 
al 
processo elaborativo e 
valutativo dei 
fatti 
accertati 
e 
degli 
elementi 
riscontrati, i 
quali 
possono ritenersi 
rilevanti 
se 
e 
in 
quanto 
significativi 
di 
forme 
di 
condizionamento 
o 
interferenza 
(cfr. 
tAr 
Lazio, sentenza 28 maggio 2019, n. 6647). 


3. Comitato di 
Coordinamento per 
l’alta Sorveglianza delle 
Infrastrutture 
e 
degli 
Insediamenti 
Prioritari 
(CCaSIIP) 
e 
Struttura 
di 
missione 
antimafia 
Sisma 2016. 
Il 
Comitato 
di 
Coordinamento 
per 
l’Alta 
Sorveglianza 
delle 
Infrastrutture 
e 
degli 
Insediamenti 
Prioritari 
(CCASIIP) costituisce 
lo snodo centrale 
del 
sistema 
di 
monitoraggio antimafia 
nel 
settore 
delle 
infrastrutture 
e 
degli 
insediamenti 
prioritari, 
articolato 
in 
forma 
di 
“rete”, 
considerata 
la 
complessità 
dell’attività e l’estensione territoriale. 


Ha 
composizione 
multidisciplinare 
e 
si 
articola 
a 
livello centrale 
e 
periferico. 


A 
livello 
centrale 
è 
composto 
dai 
rappresentanti 
delle 
Amministrazioni 
interessate, dell’Avvocatura 
dello Stato, della 
Direzione 
nazionale 
Antimafia 
(DnA), della Direzione Investigativa 
Antimafia (DIA), dell’AnAC. 

A 
livello periferico coinvolge 
Prefetture 
-uffici 
territoriali 
del 
Governo 
e 
gruppi 
interforze 
(composti 
da 
rappresentanti 
territoriali 
delle 
Forze 
di 
polizia 
e 
dei 
centri 
operativi 
della 
DIA, 
nonché 
da 
rappresentanti 
degli 
Ispettorati 
del 
lavoro e 
delle 
strutture 
periferiche 
del 
Ministero del 
Lavoro e 
dell’Inps, 
per quanto concerne 
il 
contrasto al 
lavoro nero e 
la 
vigilanza 
sulla 
sicurezza 
nei luoghi di lavoro). 


Il 
CCASIIP 
ha 
una 
funzione 
di 
contrasto 
e 
prevenzione 
dei 
tentativi 
di 
infiltrazione 
della 
criminalità 
organizzata 
nell’economia 
legale, 
che 
il 
legislatore 
ha 
previsto 
sin 
dal 
2000 
e, 
da 
ultimo, 
recepito 
con 
Decreto 
ministeriale 
21 
marzo 
2017, 
ai 
sensi 
dell’art. 
203 
del 
D.lgs. 
n. 
50/2016 
(Codice 
dei 
contratti 
pubblici). 


Il 
quadro delle 
competenze 
antimafia, a 
partire 
dai 
primi 
anni 
del 
2000, 
si 
è 
ampliato a 
seguito di 
successivi 
interventi 
normativi 
(inizialmente 
il 
Comitato 
era 
denominato CCASGo), con competenze 
estese 
in favore 
delle 
popolazioni 
colpite 
dagli 
eventi 
sismici, 
quali 
quelli 
dell’Abruzzo 
nel 
2009, 
delle 



rASSeGnA 
AVVoCAturA 
DeLLo 
StAto -n. 1/2021 


Province 
di 
Bologna, 
Modena, 
Ferrara, 
reggio 
emilia, 
Mantova 
e 
rovigo 
nel 
2012, 
dell’isola 
di 
Ischia 
nel 
2016, 
dei 
Comuni 
etnei 
nel 
2018 
e 
della 
Provincia 
di Campobasso nello stesso anno. 


A 
ciò aggiungasi 
la 
bonifica 
della 
terra 
dei 
fuochi 
(cfr. D.L. 10 dicembre 
2013, 
n. 
136, 
conv. 
dalla 
L. 
n. 
6 
febbraio 
2014, 
n. 
6) 
e 
le 
infrastrutture 
di 
rilievo 
internazionale, 
tra 
cui 
le 
opere 
connesse 
a 
eXPo 
2015 
Milano, 
la 
realizzazione 
del 
piano Carceri 
(cfr. art. 16 del 
D.L. n. 39/2019, conv. dalla 
L. n. 77/2009), 
le 
universiadi 
(cfr. 
D.L. 
16 
ottobre 
2017, 
n. 
148, 
conv. 
dalla 
L. 
4 
dicembre 
2017, n. 172), la 
realizzazione 
di 
nuovi 
padiglioni 
all’interno del 
piano Infrastrutture 
Penitenziarie; 
la 
partecipazione 
al 
monitoraggio 
finanziario 
del 
“Grande Progetto Pompei”. 


L’attività 
del 
CCASIIP 
si 
è 
sostanziata 
anche 
nell’emanazione 
di 
apposite 
Linee 
guida 
riguardanti 
i 
settori 
di 
riferimento, oltre 
che 
in plurime 
delibere 
anche riguardanti i Protocolli di legalità. 

In 
particolare, 
i 
nuovi 
schemi 
dei 
Protocolli 
di 
legalità 
sono 
stati 
approvati 
dal 
CIPe, con delibera 
n. 62/2020, pubblicata 
nella 
G.u., Serie 
generale, n. 
23 
del 
29 
gennaio 
2021, 
su 
proposta 
del 
Comitato 
e 
costituiscono 
un 
strumento 
di 
lavoro rilevante 
anche 
per l’attuazione 
del 
progetto “Monitoraggio ai 
fini 
antimafia 
nel 
settore 
delle 
infrastrutture 
e 
degli 
insediamenti 
prioritari” 
(MASIIP), 
che coinvolge lo stesso Comitato di coordinamento. 

Il 
contenzioso 
registrato 
in 
questi 
ultimi 
anni 
ha 
riguardato 
essenzialmente 
la 
Struttura 
di 
Missione 
Antimafia 
Sisma 
2016, istituita 
(cfr. art. 30 del 
D.L. 


n. 189 del 
17 ottobre 
2016, conv. dalla 
L. n. 229 del 
15 dicembre 
2016) per 
garantire 
la 
legalità 
delle 
attività 
di 
ricostruzione 
nei 
territori 
del 
Centro Italia 
colpiti 
dal 
sisma 
del 
2016, con il 
compito di 
verificare 
la 
documentazione 
antimafia 
degli operatori economici impegnati nei lavori. 
Al 
riguardo è 
richiesta 
alle 
imprese 
interessate 
l’iscrizione 
nell’apposita 
“Anagrafe 
antimafia 
degli 
esecutori”, 
un 
elenco 
gestito 
dalla 
Struttura 
di 
Missione 
in raccordo con le Prefetture delle Province interessate dal Sisma. 


La 
Struttura 
svolge 
attività 
di 
prevenzione 
e 
di 
contrasto alle 
infiltrazioni 
della 
criminalità 
organizzata 
nei 
lavori, nella 
gestione 
dei 
servizi 
e 
nel 
reperimento 
delle 
forniture 
necessarie 
alla 
ricostruzione 
dei 
Comuni 
del 
Centro 
Italia 
colpiti dagli eventi sismici del 2016. 


4. Interventi dell’aNaC. 
La 
“rassegna 
ragionata 
degli 
atti 
dell’Autorità 
in 
tema 
di 
riflessi 
dell’interdittiva 
antimafia 
sulla 
partecipazione 
alle 
gare 
e 
sull’esecuzione 
dei 
contratti 
pubblici 
2015-2019”, 
pubblicata 
a 
gennaio 
2020 
sul 
sito 
www.anticorruzione.it, 
inquadra 
gli 
obblighi 
dichiarativi 
di 
cui 
all’art. 
80, 
comma 
2, 
D.Lgs. 
n. 
50/2016, 
l’“affidamento, 
esecuzione 
dei 
contratti 
pubblici 
e 
interdittiva 
antimafia”, 
l’annotazione 
dell’interdittiva 
nel 
Casellario 
informatico, 
affrontando 
le 
questioni 
emerse 
in 
concreto 
e 
su 
cui 
l’AnAC 
si 
è 
espressa. 



teMI 
IStItuzIonALI 


Sono 
state 
adottate, 
negli 
ultimi 
anni, 
anche 
apposite 
“Linee 
guida 
per 
l’avvio di 
un circuito collaborativo tra 
AnAC -Prefetture-utG 
ed enti 
locali 
per 
la 
prevenzione 
dei 
fenomeni 
di 
corruzione 
e 
l’attuazione 
della 
trasparenza 
amministrativa”. 


Per quanto concerne 
nello specifico le 
“white 
list”, l’AnAC ha 
evidenziato 
che 
la 
disposizione 
dell’art. 1, comma 
52 della 
L. n. 190/2012 non prevedeva 
alcun obbligo di 
utilizzare 
gli 
elenchi 
ai 
fini 
delle 
verifiche 
antimafia, 
riconoscendo quindi 
carattere 
“volontario” 
all’iscrizione. Solo a 
seguito della 
modifica 
apportata 
dall’art. 29 del 
D.L. n. 90/2014 si 
è 
disposto che, per le 
attività 
imprenditoriali 
di 
cui 
al 
successivo comma 
53, la 
comunicazione 
e 
l’informazione 
antimafia 
liberatoria 
è 
obbligatoriamente 
acquisita 
attraverso 
la 
consultazione, anche 
in via 
telematica, di 
apposito elenco di 
fornitori, prestatori 
di 
servizi 
ed 
esecutori 
di 
lavori 
non 
soggetti 
a 
tentativi 
di 
infiltrazione 
mafiosa 
operanti nei medesimi settori. 


L’iscrizione 
nell’elenco tiene 
luogo, dunque, della 
comunicazione 
e 
del-
l’informazione 
antimafia 
liberatoria 
anche 
ai 
fini 
della 
stipula, approvazione 


o 
autorizzazione 
di 
contratti 
o 
subcontratti 
relativi 
ad 
attività 
diverse 
da 
quelle 
per le quali essa è stata disposta. 
Con apposito “Atto di 
segnalazione 
del 
21 gennaio 2015 n. 1”, l’AnAC, 
tenuto 
conto 
della 
modifica 
normativa, 
ha 
evidenziato 
che 
è 
esplicitamente 
sancito 
l’obbligo 
per 
le 
stazioni 
appaltanti 
di 
consultare 
gli 
elenchi 
in 
questione, 
ma 
non quello degli 
operatori 
economici, che 
svolgono attività 
maggiormente 
esposta 
a 
rischio 
di 
infiltrazione 
mafiosa, 
di 
iscriversi 
negli 
elenchi. 
tale 
obbligo, tuttavia, è 
ricavabile 
in via 
interpretativa 
dal 
comma 
2, dell’art. 
29 del D.L. n. 90/2014. 


L’Autorità 
ha 
quindi 
segnalato 
che, 
tenuto 
conto 
della 
“ratio 
legis” 
e 
della 
necessità 
di 
rendere 
il 
sistema 
delle 
verifiche 
antimafia 
coerente, 
sarebbe 
stato 
opportuno 
modificare 
il 
DPCM 
del 
18 
aprile 
2013, 
nel 
senso 
di 
prevedere 
espressamente l’obbligatorietà dell’iscrizione negli elenchi. 


Coerentemente 
con tale 
indirizzo interpretativo, nella 
“nota 
illustrativa” 
che 
accompagna 
il 
“Bando-tipo” 
n. 
1, 
approvato 
con 
la 
delibera 
n. 
1228/2017, 
l’Autorità 
ha 
chiarito che, nell’ipotesi 
di 
servizi 
o forniture 
rientranti 
in una 
delle 
attività 
a 
maggior rischio di 
infiltrazione 
mafiosa, è 
stata 
prevista 
la 
necessità 
di 
richiedere, a 
pena 
di 
esclusione 
dalla 
gara, l’iscrizione 
del 
concorrente 
nell’elenco 
istituito 
presso 
la 
Prefettura 
della 
provincia 
in 
cui 
l’operatore 
economico 
ha 
la 
propria 
sede, 
oppure 
l’intervenuta 
presentazione 
della 
domanda 
di 
iscrizione, secondo le 
indicazioni 
fornite 
dalla 
Circolare 
del 
Ministero 
dell’Interno del 23 marzo 2016. 


L’AnAC è 
poi 
tornata 
sul 
punto, nel 
parere 
di 
precontenzioso (cfr. delibera 
n. 1297/2017) con cui 
si 
è 
pronunciata 
sull’illegittimità 
dell’esclusione 
di 
un concorrente 
che, pur avendo dichiarato di 
aver presentato regolare 
domanda 
di 
iscrizione 
nella 
“white 
list” 
della 
Prefettura 
di 
appartenenza, 
era 
stato 



rASSeGnA 
AVVoCAturA 
DeLLo 
StAto -n. 1/2021 


escluso 
dalla 
gara 
in 
quanto 
quest’ultima 
era 
ancora 
in 
istruttoria 
e, 
quindi, 
l’operatore 
economico 
non 
risultava 
iscritto 
nella 
“white 
list”, 
come 
invece 
richiesto dal 
disciplinare 
di 
gara 
(in tal 
senso cfr. anche 
delibere 
n. 1071 e 
n. 
1072 del 2018). 


Con 
la 
successiva 
delibera 
n. 
48/2019, 
l’Autorità 
ha 
rimarcato 
che 
l’iscrizione 
rientra 
tra 
i 
requisiti 
soggettivi 
e 
la 
sua 
carenza 
determina 
l’incapacità 
di contrattare con la pubblica 
Amministrazione. 


Con la 
delibera 
n. 356/2020 l’AnAC ha 
affrontato le 
tematiche 
dei 
rapporti 
tra 
controllo giudiziario, interdittiva 
antimafia 
e 
iscrizione 
nella 
“white 
list”. 


5. orientamenti giurisprudenziali. 
Di 
seguito 
si 
segnalano 
alcune 
pronunce 
di 
interesse 
pubblicate 
nel 
2020, 
rese in giudizi riguardanti provvedimenti antimafia. 


Con la 
sentenza n. 452 del 
20 gennaio 2020 
il 
Consiglio di 
Stato ha 
statuito 
che 
“Nei 
rapporti 
tra 
privati 
non 
sussiste 
alcuna 
limitazione 
contrattuale 
per 
l’impresa soggetta ad interdittiva antimafia poiché, in caso contrario, si 
finirebbe 
per 
estendere 
ad un soggetto terzo, estraneo a tale 
rapporto, effetti 
inibitori, che 
la legge 
ha espressamente 
voluto applicare 
ai 
soli 
casi 
in cui 
il 
privato in odore di mafia contragga con una parte pubblica” 
(massima). 


In 
particolare, 
ha 
motivato 
nel 
senso 
che 
segue: 
“Una 
corretta 
lettura 
del-
l’art. 
83, 
d.lgs. 
6 
settembre 
2011, 
n. 
159 
porta 
infatti 
a 
concludere 
nel 
senso 
prospettato 
dall’appellante. 
Il 
comma 
1, 
infatti, 
ha 
individuato 
i 
soggetti 
che 
devono 
acquisire 
la 
documentazione 
antimafia 
di 
cui 
all'art. 
84 
prima 
di 
stipulare, 
approvare 
o 
autorizzare 
i 
contratti 
e 
subcontratti 
relativi 
a 
lavori, 
servizi 
e 
forniture 
pubblici, 
ovvero 
prima 
di 
rilasciare 
o 
consentire 
i 
provvedimenti 
indicati 
nel 
precedente 
art. 
67. 
Si 
tratta 
delle 
Pubbliche 
amministrazioni 
e 
gli 
enti 
pubblici, 
anche 
costituiti 
in 
stazioni 
uniche 
appaltanti, 
gli 
enti 
e 
le 
aziende 
vigilati 
dallo 
Stato 
o 
da 
altro 
ente 
pubblico 
e 
le 
società 
o 
imprese 
comunque 
controllate 
dallo 
Stato 
o 
da 
altro 
ente 
pubblico 
nonchè 
i 
concessionari 
di 
lavori 
o 
di 
servizi 
pubblici. 
a 
tali 
soggetti 
si 
aggiungono, 
in 
virtù 
del 
successivo 
comma 
2, 
i 
contraenti 
generali 
previsti 
dal 
Codice 
dei 
contratti 
pubblici. 


Si 
tratta 
dunque 
di 
soggetti 
pubblici. 
Nel 
caso 
all’esame 
del 
Collegio, 
invece, 
la richiesta alla Prefettura di 
comunicazione 
antimafia è 
stata avanzata 
da Confindustria Venezia, quindi da un soggetto di indubbia natura privata. 


aggiungasi, 
ed 
il 
rilievo 
è 
assorbente 
di 
qualsiasi 
altra 
considerazione, 
che 
tale 
documentazione 
può 
essere 
utilizzata 
solo 
nei 
rapporti 
tra 
una 
Pubblica 
amministrazione 
ed 
il 
privato 
e 
non, 
come 
nella 
specie, 
nei 
rapporti 
tra 
privati. 


È 
ben 
vero 
che 
la 
Sezione 
(2 
settembre 
2019, 
n. 
6057; 
2017, 
n. 
565 
e 
2017, n. 1109 del 
2017) ha affermato che 
le 
informazioni 
antimafia si 
applicano 
anche 
ai 
provvedimenti 
autorizzatori 
e 
alle 
attività 
soggette 
a 
s.c.i.a. 



teMI 
IStItuzIonALI 


L’art. 89, comma 2, d.lgs. n. 159 del 
2011 prevede 
espressamente, alla lett. 
a), 
che 
l’autocertificazione, 
da 
parte 
dell’interessato, 
che 
nei 
propri 
confronti 
non 
sussistono 
le 
cause 
di 
divieto, 
di 
decadenza 
o 
di 
sospensione, 
di 
cui 
all’art. 
67, riguarda anche 
“attività private, sottoposte 
a regime 
autorizzatorio, che 
possono 
essere 
intraprese 
su 
segnalazione 
certificata 
di 
inizio 
attività 
da 
parte 
del 
privato 
alla 
Pubblica 
amministrazione”. 
La 
Sezione 
ha 
quindi 
ritenuto 
che, 
per 
lo 
stesso 
tenore 
letterale 
del 
dettato 
normativo 
e 
per 
espressa 
volontà 
del 
legislatore 
antimafia, 
le 
attività 
soggette 
a 
s.c.i.a. 
non 
sono 
esenti 
dai 
controlli 
antimafia, e 
che 
il 
Comune 
ben possa, e 
anzi 
debba, verificare 
che 
l’autocertificazione 
dell’interessato 
sia 
veridica 
e 
richiedere 
al 
Prefetto 
di 
emettere 
una comunicazione 
antimafia liberatoria o revocare 
la s.c.i.a. in presenza di 
una 
informazione 
antimafia 
comunque 
comunicatagli 
o 
acquisita 
dal 
Prefetto. 
Si 
tratta 
però, 
pur 
sempre, 
di 
un 
potere 
di 
controllo 
o 
di 
un 
legame, 
prefigurato 
dalla legge, tra la Pubblica amministrazione e il privato. 

Nel 
motivare 
le 
conclusioni 
alle 
quali 
è 
pervenuta, la Sezione 
ha affermato 
che 
una visione 
moderna, dinamica e 
non formalistica del 
diritto amministrativo, 
quale 
effettivamente 
vive 
e 
si 
svolge 
nel 
tessuto 
economico 
e 
nell’evoluzione 
dell’ordinamento, individua un rapporto tra amministrato e 
amministrazione 
in ogni 
ipotesi 
in cui 
l’attività economica sia sottoposta ad 
attività provvedimentale, che 
essa sia di 
tipo concessorio o autorizzatorio o, 
addirittura soggetta a s.c.i.a., come 
questo Consiglio, in sede 
consultiva, ha 
chiarito nei 
numerosi 
pareri 
emessi 
in ordine 
all’attuazione 
della l. n. 124 del 
1015 (v., in particolare 
e 
tra gli 
altri, il 
parere 
n. 839 del 
30 marzo 2016 del 
Consiglio di Stato sulla riforma della disciplina della s.c.i.a.). 


Il 
Legislatore 
ha 
quindi 
previsto 
il 
potere 
del 
Perfetto 
che 
interviene 
quando 
il 
privato 
entra 
in 
rapporto 
con 
l’amministrazione. 
Ed 
è 
la 
legge 
a 
conferire 
un 
siffatto 
potere 
di 
verifica 
al 
Prefetto. 
Diverso 
è 
invece 
il 
caso 
di 
rapporti 
tra 
privati, 
in 
relazione 
ai 
quali 
la 
normativa 
antimafia 
nulla 
prevede. 


Tale 
vuoto normativo non può certo essere 
colmato dal 
Protocollo della 
legalità e 
dal 
suo atto aggiuntivo, entrambi 
stipulati 
tra il 
ministero dell’interno 
e 
Confindustria. Si 
tratta, infatti, di 
un atto stipulato tra due 
soggetti, 
che 
finirebbe 
per 
estendere 
ad un soggetto terzo, estraneo a tale 
rapporto, effetti 
inibitori 
(o, 
secondo 
l'adunanza 
plenaria, 
addirittura 
"incapacitanti"), 
che 
la legge 
ha espressamente 
voluto applicare 
ai 
soli 
casi 
in cui 
il 
privato in 
odore di mafia contragga con una parte pubblica. 


Prova 
di 
tale 
voluntas 
legis 
è 
proprio 
nella 
modifica 
del 
comma 
1 
dell’art. 
87, 
d.lgs. 
n. 
159 
del 
2011 
che, 
prima 
della 
novella 
introdotta 
dall’art. 
4, 
d.lgs. 
15 novembre 
2012, n. 218, prevedeva espressamente 
la possibilità che 
a chiedere 
la comunicazione antimafia fosse un soggetto privato. 


Della 
debolezza 
di 
una 
diversa 
conclusione, 
nell’attuale 
sistema 
normativo, 
sembra 
essere 
convinta 
la 
stessa 
amministrazione 
che 
si 
è 
costituita 
nel 
presente 
giudizio 
con 
mero 
atto 
di 
stile, 
senza 
depositare 
alcuno 
scritto 
difensivo. 



rASSeGnA 
AVVoCAturA 
DeLLo 
StAto -n. 1/2021 


4. 
Preme 
peraltro 
al 
Collegio 
sottolineare 
che 
la 
conclusione 
qui 
indicata 
discende 
dalla 
doverosa 
applicazione 
di 
una 
disciplina 
normativa 
che 
non 
offre 
diversa 
lettura, 
pena 
la 
violazione 
-allo 
stato 
della 
legislazione 
vigente 
-del 
diritto 
alla 
attività 
economica 
tra 
privati, 
costituzionalmente 
garantita 
dall’art. 
41, 
che 
definisce 
l’iniziativa 
economica 
privata 
come, 
appunto, 
“libera”. 
Ciò 
però 
non 
esime 
il 
Collegio 
dal 
riflettere, 
alla 
luce 
dell’esperienza 
maturata 
dal 
Consiglio 
di 
Stato 
nella 
materia 
delle 
interdittive 
antimafia, 
sulle 
possibili 
conseguenze 
della 
novella 
del 
2012 
che 
-come 
doverosamente 
va 
applicata 
e 
interpretata 
-lascia 
alle 
imprese 
“più 
probabilmente 
che 
non” 
colluse 
o in contatto con le 
mafie 
la possibilità di 
operare 
nel 
settore 
privato, 
nel 
quale 
probabilmente 
è 
ancora 
più 
forte 
la 
capacità 
“persuasiva” 
delle 
minacce 
e 
della violenza fisica o psicologica, tipica della mafia, cosicché 
il 
potere 
fondato sulla forza economica tende a consolidarsi. 

Sembra, in altri 
termini, che 
il 
d.lgs. n. 218 del 
2012 abbia aperto una 
breccia 
nella 
trama 
intessuta 
dal 
Codice 
delle 
leggi 
antimafia, 
il 
cui 
complesso 
di 
norme 
mira ad isolare 
le 
imprese 
vicine 
agli 
ambienti 
della criminalità organizzata, 
togliendo loro la linfa data dai 
guadagni, con l’esclusione 
dal 
settore 
economico 
pubblico, 
in 
particolare 
nella 
contrattualistica, 
e 
dai 
finanziamenti pubblici. 

occorre 
dunque 
interrogarsi 
-e 
nulla 
più 
che 
un 
interrogativo 
“aperto” 
può 
provenire 
da 
questo 
Giudice 
-se 
per 
rafforzare 
il 
disegno 
del 
Legislatore, 
con 
una 
sapiente 
disciplina 
antimafia 
che 
sta 
portando 
in 
modo 
tangibile 
i 
suoi 
risultati 
-non 
possano, 
le 
Istituzioni 
a 
ciò 
preposte, 
valutare 
il 
ritorno 
alla 
originaria 
formulazione 
del 
Codice 
antimafia, 
nel 
senso 
che 
l’informazione 
antimafia 
possa 
essere 
richiesta 
anche 
da 
un 
soggetto 
privato 
ed 
anche 
per 
rapporti 
esclusivamente 
tra 
privati. 
Soltanto 
un 
tale 
intervento 
potrebbe, 
in 
vicende 
come 
quella 
oggi 
in 
esame, 
permettere 
l’applicabilità 
generalizzata 
della 
documentazione 
antimafia, 
che 
non 
a 
caso 
questo 
Consiglio 
ritiene 
pietra 
angolare 
del 
sistema 
normativo 
antimafia 
(Cons. 
St., 
sez. 
III, 
5 
settembre 
2019, 
n. 
6105), 
in 
presenza 
di 
una 
serie 
di 
elementi 
sintomatici 
dai 
quali 
evincere 
l’influenza, 
anche 
indiretta 
(art. 
91, 
comma 
6, 
d.lgs. 
n. 
159 
del 
2011), 
delle 
organizzazioni 
mafiose 
sull’attività 
di 
impresa, 
nella 
duplice 
veste 
della 
c.d. 
contiguità 
soggiacente 
o 
della 
c.d. 
contiguità 
compiacente. 
In 
tal 
modo 
si 
riuscirebbe 
-chiudendo 
gli 
spazi 
che 
oggi 
esistono 
-da 
un 
lato 
ad 
emarginare 
completamente 
tali 
soggetti 
rendendoli 
vulnerabili 
nel 
loro 
effettivo 
punto 
di 
forza 
e, 
dall’altro, 
lasciare 
il 
mercato 
economico 
agli 
operatori 
che 
svolgono 
l’attività 
affidandosi 
esclusivamente 
al 
proprio 
lavoro 
nel 
rispetto 
delle 
regole. 


L’interrogativo che 
la Sezione 
sta ponendo si 
fonda sulla considerazione 
che 
le 
condotte 
infiltrative 
mafiose 
nel 
tessuto economico non solo sono un 
pericolo per 
la sicurezza pubblica e 
per 
l’economia legale, ma anzitutto e 
soprattutto 
un 
attentato 
al 
valore 
personalistico 
(art. 
2 
Cost.) 
e, 
cioè, 
quel 
“fon



teMI 
IStItuzIonALI 


damentale 
principio 
che 
pone 
al 
vertice 
dell’ordinamento 
la 
dignità 
e 
il 
valore 
della persona” 
(v., per 
tutte, Corte 
cost. 7 dicembre 
2017, n. 258), anche 
in 
ambito economico, e 
rinnegato in radice 
dalla mafia, che 
ne 
fa invece 
un valore 
negoziabile 
nel 
“patto di 
affari” 
stipulato con l’impresa, nel 
nome 
di 
un 
comune o convergente interesse economico, a danno dello Stato. 

E, su questo terreno, non vi 
è 
dubbio che 
il 
devastante 
impatto della infiltrazione 
mafiosa si 
manifesta nei 
rapporti 
tra privati 
come 
in quelli 
tra privati 
e 
P.a. 
Sempre, 
infatti, 
chi 
contratta 
e 
collabora 
con 
la 
mafia, 
per 
convenienza o connivenza, non è 
soggetto, ma solo oggetto di 
contrattazione 
(Cons. St., sez. III, 30 gennaio 2019, n. 758). 

Se 
un vero e 
più profondo fondamento, allora, si 
vuole 
generalmente 
rinvenire 
nella legislazione 
antimafia e, particolarmente, nell’istituto dell’informazione 
antimafia, esso davvero riposa, come 
accennato, nella dignità della 
persona, principio supremo del 
nostro ordinamento, il 
quale 
-e 
non a caso opera 
come 
limite 
alla stessa attività di 
impresa, ai 
sensi 
dell’art. 41, comma 
2, Cost., laddove 
la disposizione 
costituzionale 
prevede 
che 
l’iniziativa economica 
privata, libera, “non può svolgersi 
in contrasto con l’utilità sociale 
o 


-secondo un clima assiologico di 
tipo ascendente 
-in modo da recare 
danno 
alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana”. 
L’equilibrata 
ponderazione 
dei 
contrapposti 
valori 
costituzionali 
in 
gioco, 
la 
libertà 
di 
impresa, 
da 
un 
lato, 
e, 
dall’altro, 
la 
tutela 
dei 
fondamentali 
beni 
che 
presidiano 
il 
principio 
di 
legalità 
sostanziale, 
secondo 
la 
logica 
della 
prevenzione, potrebbe 
allora essere 
valutata dal 
Legislatore 
allo scopo di 
restituire 
compiutezza piena ad un aspetto del 
Codice 
su cui 
certo non può intervenire 
il Giudice in via interpretativa. 


Secondo la legge 
vigente, come 
già rilevato, l’impossibilità per 
un soggetto 
privato -quale 
è 
Confindustria -di 
chiedere 
al 
Prefetto la documentazione 
antimafia 
assume 
carattere 
assorbente 
di 
ogni 
altra 
considerazione, 
dovendosi condividere il primo motivo dell’appello…”. 


Con 
la 
sentenza 
n. 
820 
del 
31 
gennaio 
2020 
il 
Consiglio 
di 
Stato 
ha 
delineato 
il 
rapporto 
tra 
informativa 
antimafia 
e 
contraddittorio 
procedimentale, 
chiarendo 
che 
“La 
discovery 
anticipata, 
già 
in 
sede 
procedimentale, 
di 
elementi 
o 
notizie 
contenuti 
in 
atti 
di 
indagine 
coperti 
da 
segreto 
investigativo 
o 
in 
informative 
riservate 
delle 
forze 
di 
polizia, 
spesso 
connessi 
ad 
inchieste 
della 
magistratura 
inquirente 
contro 
la 
criminalità 
organizzata 
di 
stampo 
mafioso 
e 
agli 
atti 
delle 
indagini 
preliminari, 
potrebbe 
frustrare 
la 
finalità 
preventiva 
perseguita 
dalla 
legislazione 
antimafia, 
che 
ha 
l’obiettivo 
di 
prevenire 
il 
tentativo 
di 
infiltrazione 
da 
parte 
delle 
organizzazioni 
criminali, 
la 
cui 
capacità 
di 
penetrazione 
nell’economia 
legale 
ha 
assunto 
forme 
e 
“travestimenti” 
sempre 
più 
insidiosi. 
Questa 
Sezione 
ha 
perciò 
già 
chiarito 
che 
la 
delicatezza 
della 
ponderazione 
intesa 
a 
contrastare 
in 
via 
preventiva 
la 
minaccia 
insidiosa 
ed 
esiziale 
delle 
organizzazioni 
mafiose, 
richiesta 
al



rASSeGnA 
AVVoCAturA 
DeLLo 
StAto -n. 1/2021 


l’autorità 
amministrativa, 
può 
comportare 
anche 
un’attenuazione, 
se 
non 
una 
eliminazione, 
del 
contraddittorio 
procedimentale, 
che 
del 
resto 
non 
è 
un 
valore 
assoluto, 
come 
ha 
pure 
chiarito 
la 
Corte 
di 
Giustizia 
UE 
nella 
sua 
giurisprudenza 
(ma 
v. 
pure 
Corte 
cost.: 
sent. 
n. 
309 
del 
1990 
e 
sent. 
n. 
71 
del 
2015), 
o 
slegato 
dal 
doveroso 
contemperamento 
di 
esso 
con 
interessi 
di 
pari 
se 
non 
superiore 
rango 
costituzionale, 
né 
un 
bene 
in 
sé, 
o 
un 
fine 
supremo 
e 
ad 
ogni 
costo 
irrinunciabile, 
ma 
è 
un 
principio 
strumentale 
al 
buon 
andamento 
della 
pubblica 
amministrazione 
(art. 
97 
Cost.) 
e, 
in 
ultima 
analisi, 
al 
principio 
di 
legalità 
sostanziale 
(art. 
3, 
comma 
secondo, 
Cost.), 
vero 
e 
più 
profondo 
fondamento 
del 
moderno 
diritto 
amministrativo” 
(Cons. 
St., 
sez. 
III, 
9 
febbraio 
2017, 
n. 
565)”. 


Con 
la 
successiva 
sentenza 
n. 
4979 
del 
10 
agosto 
2020 
in 
argomento, 
ha 
statuito quanto segue: 
“Sul 
piano generale 
non sfugge 
a questo Collegio, 
peraltro, che 
la Corte 
di 
Giustizia UE, nel 
§ 28 della propria ordinanza del 
26 maggio 2020 in C-17/20, ha affermato, con un significativo obiter 
dictum, 
che 
il 
rispetto 
dei 
diritti 
di 
difesa, 
quale 
principio 
generale 
del 
diritto 
del-
l’Unione, trova applicazione 
quando l’amministrazione 
intende 
adottare 
nei 
confronti 
di 
una persona un atto che 
le 
arrechi 
pregiudizio e 
che, in forza di 
tale 
principio, 
i 
destinatari 
di 
decisioni 
che 
incidono 
sensibilmente 
sui 
loro 
interessi 
devono 
essere 
messi 
in 
condizione 
di 
manifestare 
utilmente 
il 
loro 
punto di 
vista in merito agli 
elementi 
sui 
quali 
l’amministrazione 
intende 
fondare 
la sua decisione. 


33.1. 
Questo 
Consiglio 
di 
Stato, 
nelle 
sentenze 
n. 
820 
del 
31 
gennaio 
2020 
e 
n. 
2854 
del 
26 
maggio 
2020, 
ha 
già 
chiarito 
che, 
ferma 
rimanendo 
ogni 
competenza 
della 
Corte 
di 
Giustizia 
UE 
sulla 
compatibilità 
della 
normativa 
italiana 
con 
il 
diritto 
eurounitario 
al 
cospetto 
di 
una 
questione 
che 
abbia 
rilevanza 
transfrontaliera, 
rilevanza 
nel 
caso 
di 
specie 
-come 
detto 
assente 
e 
nemmeno 
dedotta 
dagli 
appellanti, 
il 
procedimento 
finalizzato 
al-
l’emissione 
dell’informazione 
antimafia 
non 
sconta 
una 
totale 
assenza 
di 
contraddittorio, 
nel 
nostro 
ordinamento, 
ma 
conosce 
una 
interlocuzione 
solo 
eventuale, 
prevista 
dall’art. 
93, 
comma 
7, 
del 
d.lgs. 
n. 
159 
del 
2011, 
secondo 
cui 
il 
Prefetto 
competente 
al 
rilascio 
dell’informazione, 
ove 
lo 
ritenga 
utile, 
sulla 
base 
della 
documentazione 
e 
delle 
informazioni 
acquisite, 
invita 
in 
sede 
di 
audizione 
personale 
i 
soggetti 
interessati 
a 
produrre, 
anche 
allegando 
elementi 
documentali, 
ogni 
informazione 
utile. 
33.2. 
L’audizione 
del 
soggetto 
interessato 
e 
l’invito 
a 
fornire 
informazioni 
o documenti 
presuppongono una valutazione 
discrezionale 
dell’autorità preposta 
alla 
tutela 
della 
sicurezza 
pubblica 
in 
ordine 
all’utilità 
di 
detto 
contraddittorio 
procedimentale 
in seno ad un procedimento informato da speditezza, 
riservatezza 
ed 
urgenza, 
per 
evidenti 
ragioni 
di 
ordine 
pubblico, 
e 
finalizzato, 
per 
espressa 
previsione 
legislativa 
(art. 
84, 
comma 
3, 
del 
d.lgs. 
n. 
159 
del 
2011), a prevenire 
eventuali 
tentativi 
di 
infiltrazione 
mafiosa tendenti 
a con

teMI 
IStItuzIonALI 


dizionare 
le 
scelte 
e 
gli 
indirizzi 
delle 
società o delle 
imprese 
(Cons. St., sez. 
III, 30 gennaio 2019, n. 758, Cons. St., sez. III, 5 settembre 
2019, n. 6105 e, 
ora, Corte cost., 26 marzo 2020, n. 57). 

33.3. 
La 
sentenza 
n. 
820 
del 
31 
gennaio 
2020 
di 
questo 
Consiglio 
di 
Stato 
ha 
osservato 
che 
la 
discovery 
anticipata, 
già 
in 
sede 
procedimentale, 
di 
elementi 
o 
notizie 
contenuti 
in 
atti 
di 
indagine 
coperti 
da 
segreto 
investigativo 
o 
in 
informative 
riservate 
delle 
forze 
di 
polizia, 
spesso 
connessi 
ad 
inchieste 
della 
magistratura 
inquirente 
contro 
la 
criminalità 
organizzata 
e 
agli 
atti 
delle 
indagini 
preliminari, 
potrebbe 
frustrare 
la 
finalità 
preventiva 
perseguita 
dalla 
legislazione 
antimafia, 
che 
ha 
l’obiettivo 
di 
prevenire 
il 
tentativo 
di 
infiltrazione 
da 
parte 
delle 
organizzazioni 
criminali, 
la 
cui 
capacità 
di 
penetrazione 
nell’economia 
legale 
ha 
assunto 
forme 
e 
“travestimenti” 
sempre 
più 
insidiosi. 
33.4. Soprattutto nei 
casi 
di 
maggiore 
gravità, dove 
più radicato, ed evidente, 
è 
l’inquinamento delinquenziale 
nel 
contesto di 
talune 
realtà imprenditoriali, 
non 
di 
rado 
a 
base 
familiare, 
fortemente 
contigue 
o 
compromesse 
con 
logiche 
e 
interessi 
mafiosi, 
la 
conoscenza 
dell’imminente 
o 
probabile 
adozione 
di 
un 
provvedimento 
antimafia, 
acquisita 
in 
sede 
procedimentale, 
potrebbe 
vulnerare 
l’interesse 
pubblico sotteso all’adozione 
del 
provvedimento 
antimafia, in quanto le 
associazioni 
mafiose 
sono ben capaci 
di 
ricorrere 
a 
tecniche 
elusive 
delle 
norme 
in materia che, non a caso, prevedono come 
indicative 
di 
infiltrazioni 
mafiose 
anche, 
ad 
esempio, 
le 
sostituzioni 
degli 
organi 
sociali, nella rappresentanza legale 
della società nonché 
nella titolarità delle 
imprese 
individuali 
ovvero 
delle 
quote 
societarie, 
«con 
modalità 
che, 
per 
i 
tempi 
in 
cui 
vengono 
realizzati, 
il 
valore 
economico 
delle 
transazioni, 
il 
reddito 
dei 
soggetti 
coinvolti 
nonché 
le 
qualità 
professionali 
dei 
subentranti, 
denotino 
l’intento 
di 
eludere 
la 
normativa 
sulla 
documentazione 
antimafia» 
(art. 
84, 
comma 4, lett. f), del d.lgs. n. 159 del 2011). 
33.5. Si 
tratta di 
tecniche 
frequenti 
nella prassi 
e 
ben note 
all’esperienza 
giurisprudenziale 
dello 
stesso 
Consiglio 
di 
Stato, 
il 
quale 
riscontra 
forme 
sempre 
nuove 
con 
le 
quali 
le 
associazioni 
a 
delinquere 
di 
stampo 
mafioso, 
di 
fronte 
al 
“pericolo” 
dell’imminente 
informazione 
antimafia 
di 
cui 
abbiano 
avuto 
notizia, 
reagiscono mutando assetti 
societari, intestazioni 
di 
quote 
e 
di 
azioni, 
cariche 
sociali, soggetti 
prestanome, ma cercando di 
controllare 
comunque 
i 
soggetti 
economici 
che 
fungono da schermo, anche 
grazie 
alla distinta e 
rinnovata 
personalità giuridica, nei rapporti con le pubbliche amministrazioni. 
33.6. 
Per 
questo 
nell’attuale 
legislazione 
il 
codice 
antimafia, 
senza 
escludere 
a priori 
e 
del 
tutto la partecipazione 
procedimentale 
(del 
resto ammessa 
per 
gli 
analoghi 
provvedimenti 
di 
iscrizione 
nella 
c.d. 
white 
list, 
emessi, 
però, 
su richiesta di 
parte 
ai 
sensi 
dell’art. 1, comma 52, della l. n. 190 del 
2012: 
v., sul 
punto, Cons. St., sez. III, 20 settembre 
2016, n. 3913), ne 
rimette, con 
l’art. 
93, 
comma 
7, 
del 
d.lgs. 
n. 
159 
del 
2011, 
la 
prudente 
ammissione 
alla 

rASSeGnA 
AVVoCAturA 
DeLLo 
StAto -n. 1/2021 


valutazione 
dell’autorità 
preposta 
all'emissione 
del 
provvedimento 
interdittivo 
in termini di utilità rispetto al fine pubblico perseguito. 

33.7. Il 
principio del 
giusto procedimento, del 
resto, non ha una valenza 
assoluta, 
ma 
ammette 
deroghe 
limitate 
ad 
ipotesi 
eccezionali 
dovute 
alla 
tutela 
di 
interessi 
superiori 
afferenti 
alla tutela dell’ordine 
pubblico, come 
quella in 
esame, 
e 
proporzionate 
alla 
necessità 
del 
caso 
che, 
come 
si 
è 
detto, 
è 
qui 
assai 
grave 
per 
l’altissimo 
pericoloso 
infiltrativo 
che 
connota 
la 
società 
appellante. 
34. Si 
obietta tuttavia che 
la partecipazione 
procedimentale, prima ancora 
che 
doverosa in base 
al 
principio del 
giusto procedimento, sarebbe 
utile 
per 
l’autorità prefettizia, nei 
termini 
di 
una più efficiente 
azione 
amministrativa 
rispondente 
al 
principio 
di 
buon 
andamento 
della 
p.a. 
(art. 
97 
Cost.), 
perché 
le 
consentirebbe 
di 
acquisire, 
in 
un 
quadro 
istruttorio 
più 
ampio 
e 
complesso, 
notizie 
ed 
elementi 
utili 
ad 
evitare 
l’emissione 
di 
un 
provvedimento 
tanto 
incisivo 
sulla 
libertà 
d’impresa, 
ma 
si 
trascura 
di 
considerare 
che, 
di 
fronte 
ai 
penetranti 
poteri 
di 
accesso e 
accertamento riconosciuti 
al 
Prefetto 
anche 
avvalendosi 
dei 
gruppi 
interforze, 
l’apporto 
procedimentale 
dell’impresa 
e 
le 
eventuali 
strategie 
dilatorie 
di 
questa in sede 
procedimentale 
potrebbero, 
per 
altro 
verso 
e 
nei 
casi 
che 
richiedono 
un’azione 
di 
contrasto 
immediata 
ed 
efficace, 
rallentare 
l’incisività 
e 
la 
rapidità 
di 
un 
provvedimento 
che 
deve 
colpire 
gli 
interessi 
economici 
della mafia prima che 
essi 
raggiungano 
il loro obiettivo, l’infiltrazione nel tessuto economico-sociale. 
35. 
Il 
legislatore 
ha 
così 
dovuto 
operare, 
nel 
vigente 
codice 
antimafia, 
una 
scelta 
tra 
i 
due 
valori 
in 
gioco, 
la 
tutela 
dell’ordine 
pubblico 
e 
quello 
della libertà d’impresa, e 
lo ha fatto nei 
termini, sopra visti, di 
un contraddittorio 
eventuale 
ai 
sensi 
dell’art. 91, comma 7, del 
d.lgs. n. 159 del 
2011, riconoscendo 
una prevalenza al primo che non sacrifica del tutto il secondo. 
36. 
L’eventuale 
sacrificio 
di 
queste 
garanzie 
procedimentali 
e 
dei 
diritti 
di 
difesa, 
che 
deve 
essere 
necessario 
e 
proporzionato 
rispetto 
al 
fine 
perseguito, 
è 
compensato 
dal 
successivo 
sindacato 
giurisdizionale 
sull’atto 
adottato 
dal 
Prefetto 
che, 
contrariamente 
a 
quanto 
assume 
parte 
della 
dottrina, 
è 
pieno 
ed 
effettivo, 
in 
termini 
di 
full 
jurisdiction, 
anche 
secondo 
il 
diritto 
convenzionale, 
come 
ha 
riconosciuto 
la 
stessa 
Corte 
costituzionale 
nella 
sentenza 
n. 
57 
del 
26 
marzo 
2020, 
perché 
non 
solo 
investe, 
sul 
piano 
della 
c.d. 
tassatività 
sostanziale, 
l’esistenza 
di 
fatti 
indicatori 
di 
eventuale 
infiltrazione 
mafiosa, 
posti 
dall’autorità 
prefettizia 
a 
base 
del 
provvedimento 
interdittivo, 
ma 
sindaca 
anche, 
sul 
piano 
della 
c.d. 
tassatività 
processuale, 
la 
prognosi 
inferenziale 
circa 
la 
permeabilità 
mafiosa 
dell’impresa, 
nell’accezione, 
nuova 
e 
moderna, 
di 
una 
discrezionalità 
amministrativa 
declinata 
in 
questa 
delicata 
materia 
sotto 
l’aspetto 
del 
ragionamento 
probabilistico 
compiuto 
dall’amministrazione 
(Cons. 
St., 
sez. 
III, 
30 
gennaio 
2019, 
n. 
758 
e 
Cons. 
St., 
sez. 
III, 
5 
settembre 
2019, 
n. 
6105). 
37. 
Se 
queste 
sono 
le 
coordinate 
dell’attuale 
diritto 
positivo, 
non 
può 
tut

teMI 
IStItuzIonALI 


tavia questo Collegio esimersi 
dal 
rilevare 
che 
un quantomeno parziale 
recupero 
delle 
garanzie 
procedimentali, nel 
rispetto dei 
diritti 
di 
difesa spettanti 
al 
soggetto destinatario del 
provvedimento, sarebbe 
auspicabile, de 
iure 
condendo, 
in tutte 
quelle 
ipotesi 
in cui 
la permeabilità mafiosa appaia alquanto 
dubbia, incerta, e 
presenti, per 
così 
dire, delle 
zone 
grigie 
o interstiziali, rispetto 
alle 
quali 
l’apporto procedimentale 
del 
soggetto potrebbe 
fornire 
utili 
elementi 
a chiarire 
alla stessa autorità procedente 
la natura dei 
rapporti 
tra 
il soggetto e le dinamiche, spesso ambigue e fluide, del mondo criminale. 


37.1. In tutte 
queste 
ipotesi 
dunque, laddove 
la partecipazione 
procedi-
mentale 
non frustri 
l’urgenza del 
provvedere 
e 
le 
particolari 
esigenze 
di 
celerità 
del 
procedimento -art. 7 della l. n. 241 del 
1990 -per 
bloccare 
un grave, 
incontrollabile 
o imminente 
pericolo di 
infiltrazione 
mafiosa e, dunque, non 
ostacoli 
la ratio stessa dell’informazione 
antimafia quale 
strumento di 
massima 
tutela preventiva nella lotta contro la mafia, la partecipazione 
procedi-
mentale, 
prima 
di 
adottare 
un 
provvedimento 
interdittivo, 
potrebbe 
e 
dovrebbe 
essere ammessa in via generale perché: 
a) 
consentirebbe 
all’impresa 
di 
esercitare 
in 
sede 
procedimentale 
i 
propri 
diritti 
di 
difesa 
e 
di 
spiegare 
le 
ragioni 
alternative 
di 
determinati 
atti 
o 
condotte, 
ritenuti 
dalla 
Prefettura 
sintomatici 
di 
infiltrazione 
mafiosa, 
nonché 
di 
adottare, 
eventualmente 
su 
proposta 
e 
sotto 
la 
supervisione 
della 
stessa 
Prefettura, 
misure 
di 
self 
cleaning, 
che 
lo 
stesso 
legislatore 
potrebbe 
introdurre 
già 
in 
sede 
procedimentale 
con 
un’apposita 
rivisitazione 
delle 
misure 
straordinarie, 
ad 
esempio, 
dall’art. 
32, 
comma 
10, 
del 
d.l. 
n. 
90 
del 
2014, 
conv. 
con 
mod. 
in 
l. 
n. 
114 
del 
2014, 
da 
ammettersi, 
ove 
la 
situazione 
lo 
consenta, 
prima 
e 
al 
fine 
di 
evitare 
che 
si 
adotti 
la 
misura 
più 
incisiva 
dell’informazione 
antimafia; 
b) consentirebbe 
allo stesso Prefetto di 
intervenire 
con il 
provvedimento 
interdittivo quale 
extrema ratio solo a fronte 
di 
situazioni 
gravi, chiare, inequivocabili, 
non altrimenti 
giustificabili 
e 
giustificate 
dall’impresa, secondo 
la logica della probabilità cruciale, di 
infiltrazione 
mafiosa, all’esito di 
una 
istruttoria 
più 
completa, 
approfondita, 
meditata, 
che 
si 
rifletta 
in 
un 
apparato 
motivazionale 
del 
provvedimento 
amministrativo, 
fondamento 
e 
presidio 
della 
legalità 
sostanziale 
in 
un 
ordinamento 
democratico, 
che 
sia 
il 
più 
possibile 
esaustivo ed argomentato; 
c) consentirebbe 
infine 
al 
giudice 
amministrativo di 
esercitare 
con maggiore 
pienezza il 
proprio sindacato giurisdizionale 
sugli 
elementi 
già valutati 
dalla 
Prefettura 
in 
sede 
procedimentale, 
anche 
previo 
approfondimento 
istruttorio 
nel 
contraddittorio con l’impresa, nonché 
sul 
conseguente 
corredo motivazionale 
del 
provvedimento 
prefettizio, 
e 
di 
affinare 
così 
ulteriormente, 
nell’ottica 
della 
full 
jurisdiction, 
i 
propri 
poteri 
cognitori 
e 
istruttori 
in 
questa 
delicata materia, crocevia di 
fondamentali 
valori 
costituzionali, eurounitari 
e convenzionali in gioco. 

rASSeGnA 
AVVoCAturA 
DeLLo 
StAto -n. 1/2021 


37.2. Tutto ciò, si 
aggiunga da ultimo ma non per 
ultimo, potrebbe 
far 
ritenere 
la stessa questione 
della determinatezza delle 
situazioni 
indicative 
di 
infiltrazione 
mafiosa, nell’ottica della c.d. tassatività sostanziale, meno assillante 
o 
persino 
superata 
perché, 
per 
rammentare 
le 
parole 
della 
Corte 
di 
Giustizia 
UE 
nell’ordinanza 
sopra 
citata 
del 
26 
maggio 
2020 
in 
C-17/20, 
il 
soggetto 
destinatario 
dell’informazione, 
già 
in 
sede 
procedimentale, 
potrebbe 
acquisire 
conoscenza 
e 
manifestare 
utilmente 
il 
proprio 
punto 
di 
vista 
«in 
merito 
agli 
elementi 
sui 
quali 
l’amministrazione 
intende 
fondare 
la 
sua 
decisione
», 
anche 
quelli 
che, 
per 
la 
natura 
preventiva 
della 
misura, 
hanno 
un 
naturale, ineliminabile, margine 
di 
elasticità, e 
correggere 
così 
con le 
opportune 
misure, ove 
possibile, comportamenti 
o prassi 
che 
possono avvalorare 
il 
rischio di infiltrazione mafiosa. 
37.3. L’incisività delle 
misure 
interdittive, come 
mostra anche 
l’aumento 
dei 
provvedimenti 
prefettizi 
negli 
ultimi 
anni, richiede 
che 
la lotta della mafia 
avvenga 
senza 
un 
sacrificio 
sproporzionato 
dei 
diritti 
di 
difesa, 
anzitutto, 
e 
della 
libertà 
di 
impresa, 
perché 
solo 
la 
proporzione 
è 
condizione 
di 
civiltà 
dell’azione 
amministrativa ed evita che 
la normativa di 
contrasto all’infiltrazione 
mafiosa purtroppo endemica nel 
nostro ordinamento, come 
ogni 
altro 
tipo 
di 
legislazione 
emergenziale, 
si 
trasformi 
in 
un 
diritto 
della 
paura, 
secondo 
quanto 
questa 
Sezione 
ha 
già 
affermato 
nella 
sentenza 
n. 
6105 
del 
2019. 
37.4. Spetterà alla saggezza del 
legislatore, anche 
nell’ottica di 
un delicato 
bilanciamento tra i 
valori 
in gioco che 
hanno una rilevanza, ormai, non 
solo nazionale, valutare 
simili 
o altri 
percorsi 
normativi, che 
evitino un sacrificio 
del 
diritto 
di 
difesa 
sproporzionato, 
in 
talune 
ipotesi 
che 
non 
siano 
contrassegnate 
dall’urgenza e 
dalle 
«particolari 
esigenze 
di 
celerità del 
procedimento
» (le 
quali, come 
noto, possono comportare 
l’omissione 
delle 
garanzie 
partecipative, secondo quanto prevede 
in generale 
l’art. 7 della l. n. 
241 
del 
1990), 
rispetto 
alla 
pure 
irrinunciabile, 
fondamentale, 
finalità 
del 
contrasto 
preventivo alla mafia. 
37.5. 
Come 
questo 
Consiglio 
di 
Stato 
ha 
già 
chiarito 
nella 
sentenza 
n. 
820 del 
31 gennaio 2020, la stessa Corte 
di 
Giustizia UE 
ha infatti 
affermato 
che 
il 
diritto al 
contraddittorio procedimentale 
e 
al 
rispetto dei 
diritti 
della 
difesa 
non 
è 
una 
prerogativa 
assoluta, 
ma 
può 
soggiacere 
a 
restrizioni, 
a 
condizione 
che 
«queste 
rispondano 
effettivamente 
a 
obiettivi 
di 
interesse 
generale 
perseguiti 
dalla misura di 
cui 
trattasi 
e 
non costituiscano, rispetto allo scopo 
perseguito, un intervento sproporzionato e 
inaccettabile, tale 
da ledere 
la sostanza 
stessa dei 
diritti 
così 
garantiti» (sentenza della Corte 
di 
Giustizia UE, 
9 
novembre 
2017, 
in 
C-298/16, 
35 
e 
giurisprudenza 
ivi 
citata) 
e, 
in 
riferimento 
alla normativa italiana in materia antimafia, la stessa Corte 
di 
Giustizia UE, 
seppure 
ad altri 
fini 
(la compatibilità della disciplina italiana del 
subappalto 
con il 
diritto eurounitario), ha di 
recente 
ribadito che 
«il 
contrasto al 
fenomeno 
dell’infiltrazione 
della criminalità organizzata nel 
settore 
degli 
appalti 

teMI 
IStItuzIonALI 


pubblici 
costituisce 
un obiettivo legittimo che 
può giustificare 
una restrizione 
alle 
regole 
fondamentali 
e 
ai 
principi 
generali 
del 
TFUE 
che 
si 
applicano 
nell’ambito delle 
procedure 
di 
aggiudicazione 
degli 
appalti 
pubblici» (Corte 
di Giustizia UE, 26 settembre 2019, in C-63/18, 37). 


37.6. Competerà al 
legislatore 
individuare 
quanto prima un proporzionato 
punto 
di 
equilibrio, 
senza 
che 
la 
normativa 
italiana 
venga 
a 
collidere 
con il diritto eurounitario”. 
nella 
sentenza n. 3641 dell’8 giugno 2020 
il 
Supremo Consesso Amministrativo 
ha 
definito la 
funzione 
di 
“frontiera 
avanzata” 
dell’interdittiva 
antimafia, 
chiarendo 
quanto 
segue: 
“Il 
rischio 
di 
inquinamento 
mafioso 
deve 
essere, infatti, valutato in base 
al 
criterio del 
più “probabile 
che 
non”, alla 
luce 
di 
una regola di 
giudizio, cioè, che 
ben può essere 
integrata da dati 
di 
comune 
esperienza, 
evincibili 
dall’osservazione 
dei 
fenomeni 
sociali, 
quale 
è, anzitutto, anche 
quello mafioso (Cons. St., sez. III, 13 novembre 
2017, n. 
5214; 9 maggio 2016, n. 1743). 


Come 
chiarito 
dalla 
Sezione 
(30 
gennaio 
2019, 
n. 
759), 
l’art. 
84, 
comma 
3, 
d.lgs. 
6 
settembre 
2011, 
n. 
159 
riconosce 
quale 
elemento 
fondante 
l’informazione 
antimafia 
la 
sussistenza 
di 
“eventuali 
tentativi” 
di 
infiltrazione 
mafiosa 
“tendenti 
a 
condizionare 
le 
scelte 
e 
gli 
indirizzi 
delle 
società 


o 
imprese 
interessate”. 
Eventuali 
tentativi 
di 
infiltrazione 
mafiosa 
e 
tendenza 
di 
questi 
ad 
influenzare 
la 
gestione 
dell’impresa 
sono 
all’evidenza 
tutte 
nozioni 
che 
delineano 
una 
fattispecie 
di 
pericolo, 
propria 
del 
diritto 
della 
prevenzione, 
finalizzate, 
appunto, 
a 
prevenire 
un 
evento 
che, 
per 
la 
stessa 
scelta 
del 
legislatore, 
non 
necessariamente 
è 
attuale, 
o 
inveratosi, 
potendo 
essere 
anche 
solo 
potenziale, 
purché 
desumibile 
da 
elementi 
non 
meramente 
immaginari 
o 
aleatori. 
Il 
pericolo -anche 
quello di 
infiltrazione 
mafiosa -è 
per 
definizione 
la 
probabilità 
di 
un 
evento. 
L’introduzione 
delle 
misure 
di 
prevenzione, 
come 
quella qui 
in esame, è 
stata dunque 
la risposta cardine 
dell’ordinamento per 
attuare 
un contrasto all’inquinamento dell’economia sana da parte 
delle 
imprese 
che 
sono strumentalizzate 
o condizionate 
dalla criminalità organizzata. 

Una risposta forte 
per 
salvaguardare 
i 
valori 
fondanti 
della democrazia. 


La sopra richiamata funzione 
di 
“frontiera avanzata” 
dell’informazione 
antimafia 
nel 
continuo 
confronto 
tra 
Stato 
e 
anti-Stato 
impone, 
a 
servizio 
delle 
Prefetture, 
un 
uso 
di 
strumenti, 
accertamenti, 
collegamenti, 
risultanze, 
necessariamente 
anche 
atipici 
come 
atipica, del 
resto, è 
la capacità, da parte 
delle 
mafie, di 
perseguire 
i 
propri 
fini. E 
solo di 
fronte 
ad un fatto inesistente 
od 
obiettivamente 
non sintomatico il 
campo valutativo del 
potere 
prefettizio, in 
questa materia, deve arrestarsi (Cons. St., sez. III, 30 gennaio 2019, n. 758). 


4. a 
supportare 
l’interdittiva, proprio in ragione 
della ratio ad essa sottesa, 
possono essere 
anche 
fatti 
non penalmente 
rilevanti 
o che 
non costituiscono 
oggetto 
di 
procedimenti 
o 
di 
processi 
penali 
o, 
addirittura 
e 
per 

rASSeGnA 
AVVoCAturA 
DeLLo 
StAto -n. 1/2021 


converso, 
possono 
essere 
già 
stati 
oggetto 
del 
giudizio 
penale, 
con 
esito 
di 
proscioglimento 
o 
di 
assoluzione 
(Cons. 
St., 
sez. 
III, 
27 
novembre 
2018, 
n. 
6707). 
In 
questo 
senso 
diventa 
dunque 
irrilevante 
la 
circostanza, 
affermata 
in 
appello (pag. 7), che 
a carico del 
signor 
-omISSIS-“non sussistono …. fattispecie 
di 
reato, né 
risulta alcunché 
dal 
certificato del 
Casellario giudiziale”. 


5. 
Contrariamente 
a 
quanto 
afferma 
l’appellante 
società, 
pertinente 
è 
stato, da parte 
del 
giudice 
di 
primo grado, il 
richiamo ai 
legami 
familiari 
che 
hanno 
caratterizzato 
la 
gestione 
della 
società 
-omISSIS-e 
dunque 
della 
società 
-omISSIS-. 
Le 
decisioni 
del 
responsabile 
di 
una 
società 
e 
la 
sua 
attività 
possano 
essere 
influenzate, 
anche 
indirettamente, 
dalla 
mafia 
attraverso 
la 
famiglia, 


o 
da 
un 
affiliato 
alla 
mafia 
mediante 
il 
contatto 
con 
il 
proprio 
congiunto. 
Nei 
contesti 
sociali, 
in 
cui 
attecchisce 
il 
fenomeno 
mafioso, 
all’interno 
della 
famiglia 
si 
può 
verificare 
una 
“influenza 
reciproca” 
di 
comportamenti 
e 
possono 
sorgere 
legami 
di 
cointeressenza, 
di 
solidarietà, 
di 
copertura 
o 
quanto 
meno 
di 
soggezione 
o 
di 
tolleranza; 
una 
tale 
influenza 
può 
essere 
desunta 
non 
dalla 
considerazione 
(che 
sarebbe 
in 
sé 
errata 
e 
in 
contrasto 
con 
i 
principi 
costituzionali) 
che 
il 
parente 
di 
un 
mafioso 
sia 
anch’egli 
mafioso, 
ma 
per 
la 
doverosa 
considerazione, 
per 
converso, 
che 
la 
complessa 
organizzazione 
della 
mafia 
ha 
una 
struttura 
clanica, 
si 
fonda 
e 
si 
articola, 
a 
livello 
particellare, 
sul 
nucleo 
fondante 
della 
‘famiglia’, 
sicché 
in 
una 
‘famiglia’mafiosa 
anche 
il 
soggetto, 
che 
non 
sia 
attinto 
da 
pregiudizio 
mafioso, 
può 
subire, 
nolente, 
l’influenza 
del 
‘capofamiglia’ 
e 
dell’associazione. 
Hanno 
dunque 
rilevanza 
circostanze 
obiettive 
(a 
titolo 
meramente 
esemplificativo, 
ad 
es., 
la 
convivenza, 
la 
cointeressenza 
di 
interessi 
economici, 
il 
coinvolgimento 
nei 
medesimi 
fatti, 
che 
pur 
non 
abbiano 
dato 
luogo 
a 
condanne 
in 
sede 
penale) 
e 
rilevano 
le 
peculiari 
realtà 
locali, 
ben 
potendo 
l’amministrazione 
evidenziare 
come 
sia 
stata 
accertata 
l’esistenza 
-su 
un’area 
più 
o 
meno 
estesa 
-del 
controllo 
di 
una 
‘famiglia’ 
e 
del 
sostanziale 
coinvolgimento 
dei 
suoi 
componenti 
(Cons. 
St., 
sez. 
III, 
24 
aprile 
2020, 
n. 
2651)… 
. 
Le 
società 
vicine 
ai 
sodalizi 
criminali, 
infatti, 
precostituiscono 
una 
congerie 
di 
dati 
fattuali 
che 
potrebbero 
essere 
ex 
post 
utilizzati 
per 
dimostrare 
la 
cesura 
con 
il 
passato. 
Sempre 
più 
spesso 
le 
associazioni 
a 
delinquere 
di 
stampo 
mafioso 
fanno 
ricorso 
a 
tecniche 
volte 
a 
paralizzare 
il 
potere 
prefettizio 
di 
adottare 
misure 
cautelari 
(Cons 
St., 
sez. 
III, 
6 
maggio 
2020, 
n. 
2854). 
Di 
fronte 
al 
“pericolo” 
dell’imminente 
informazione 
antimafia 
di 
cui 
abbiano 
avuto 
in 
quale 
modo 
notizia 
o 
sentore, 
reagiscono 
mutando 
sede 
legale, 
assetti 
societari, 
intestazioni 
di 
quote 
e 
di 
azioni, 
cariche 
sociali, 
soggetti 
prestanome, 
cercando 
comunque 
di 
controllare 
i 
soggetti 
economici 
che 
fungono 
da 
schermo, 
anche 
grazie 
alla 
distinta 
e 
rinnovata 
personalità 
giuridica, 
nei 
rapporti 
con 
le 
pubbliche 
amministrazioni 
(Cons. 
St., 
sez. 
III, 
13 
maggio 
2020, 
n. 
3030). 

teMI 
IStItuzIonALI 


... 
8. 
In 
conclusione, 
correttamente 
il 
coacervo 
di 
elementi 
è 
stato 
ritenuto 
dal 
Prefetto di 
Reggio Calabria sufficiente 
ad evidenziare 
la persistenza del 
pericolo 
di 
contiguità 
con 
la 
mafia, 
con 
un 
giudizio 
peraltro 
connotato 
da 
ampia 
discrezionalità 
di 
apprezzamento, 
con 
conseguente 
sindacabilità 
in 
sede 
giurisdizionale 
delle 
conclusioni 
alle 
quali 
l’autorità perviene 
solo in caso di 
manifesta illogicità, irragionevolezza e 
travisamento dei 
fatti, mentre 
al 
sindacato 
del 
giudice 
amministrativo sulla legittimità dell'informativa antimafia 
rimane 
estraneo l'accertamento dei 
fatti, anche 
di 
rilievo penale, posti 
a base 
del 
provvedimento (Cons. St. n. 4724 del 
2001). Tale 
valutazione 
costituisce 
espressione 
di 
ampia 
discrezionalità 
che, 
per 
giurisprudenza 
costante, 
può 
essere 
assoggettata al 
sindacato del 
giudice 
amministrativo solo sotto il 
profilo 
della sua logicità in relazione 
alla rilevanza dei 
fatti 
accertati 
(Cons. St. n. 
7260 del 2010)”. 


nella 
sentenza n. 4091 del 
20 giugno 2020 
il 
Consiglio di 
Stato, nel 
decidere 
una 
causa 
risarcitoria, ha 
chiarito che 
“La già evidenziata necessità logica 
prima ancora che 
giuridica -di 
segnare 
un discrimen tra mera illegittimità 
del 
provvedimento 
interdittivo 
e 
concorso 
dello 
stesso 
nella 
integrazione 
di 
una fattispecie 
illecita suscettibile 
di 
produrre 
riflessi 
risarcitori 
a carico 
dell’amministrazione 
impone 
di 
individuare 
un criterio al 
quale 
ancorare 
la 
relativa (distinta) valutazione. 


Tale 
criterio 
non 
può 
quindi 
essere 
individuato 
nella 
(mera) 
mancata 
rigorosa 
osservanza 
da 
parte 
dell’amministrazione 
prefettizia 
dei 
principi 
giurisprudenziali 
che 
hanno 
contribuito 
ad 
attribuire 
concretezza 
alla 
fattispecie, 
indubbiamente 
connotata 
da 
una 
certa 
dose 
di 
elasticità, 
degli 
“elementi 
relativi 
a 
tentativi 
di 
infiltrazione 
mafiosa 
nelle 
società 
o 
imprese 
interessate” 
di 
cui 
agli 
artt. 
10, 
comma 
2, 
d.P.R. 
n. 
252/1998 
e 
3, 
comma 
2, 


d.P.R. 
n 
150/2010, 
vigenti 
ratione 
temporis: 
criteri 
di 
cui 
quindi 
sarebbe 
ridondante 
illustrare 
in 
questa 
sede 
il 
contenuto, 
anche 
al 
fine 
di 
porre 
in 
evidenza 
eventuali 
profili 
di 
distonia 
evolutiva 
tra 
l’applicazione 
fattane 
nella 
fattispecie 
in 
esame 
dai 
giudici 
amministrativi 
che 
hanno 
esaminato 
(in 
senso 
favorevole 
alla 
società 
appellante) 
la 
domanda 
di 
annullamento 
dei 
provvedimenti 
interdittivi 
emessi 
nei 
suoi 
confronti 
e 
quella 
derivante 
dalle 
più 
recenti 
indicazioni 
giurisprudenziali. 
maggiormente 
pertinente 
risulta 
invece 
la 
considerazione 
secondo 
la 
quale 
può 
ritenersi 
integrato 
l’elemento 
soggettivo 
dell’illecito 
aquiliano 
qualora 
la 
condotta 
dell’amministrazione 
palesi 
una 
attività 
istruttoria 
gravemente 
carente, 
tale 
da 
escludere 
in 
radice 
che 
la 
valutazione 
interdittiva 
si 
fondi 
su un quadro fattuale 
dotato dei 
requisiti 
minimi 
di 
attendibilità probatoria, 
ovvero laddove 
il 
quadro indiziario da cui 
l’amministrazione 
abbia inteso 
ricavare 
la 
prognosi 
di 
permeabilità 
mafiosa 
dell’attività 
imprenditoriale 
sia 
inficiato 
da 
elementi 
di 
incertezza, 
evidente 
incoerenza 
o 
contraddittorietà, 
patente inverosimiglianza. 



rASSeGnA 
AVVoCAturA 
DeLLo 
StAto -n. 1/2021 


La 
necessità 
di 
circoscrivere 
nei 
termini 
innanzi 
indicati 
gli 
spazi 
di 
espressione 
del 
sindacato 
risarcitorio 
si 
collega, 
oltre 
che 
alla 
già 
evidenziata 
distinzione 
sistematica tra giudizio di 
legittimità e 
giudizio risarcitorio, alla 
peculiarità del 
potere 
rimesso alla Prefettura, connotato da spiccata discrezionalità 
tecnica, ed all’esigenza di 
non frapporre 
ostacoli 
eccessivi 
all’esercizio 
di 
una funzione 
essenziale 
per 
il 
corretto funzionamento del 
mercato dei 
pubblici 
appalti, e 
delle 
relazioni 
economiche 
in generale, quali 
non potrebbero 
non 
derivare 
da 
una 
proliferazione 
delle 
cause 
risarcitorie 
innescate 
dall’adozione 
di 
provvedimenti 
interdittivi 
non 
perfettamente 
conformi 
alle 
regole elaborate in sede giurisprudenziale”. 


Con 
la 
sentenza 
n. 
5416 
del 
9 
settembre 
2020 
il 
Supremo 
Consesso 
amministrativo, 
con 
riferimento 
al 
provvedimento 
interdittivo 
e 
al 
potere 
discrezionale 
del 
Prefetto, 
ha 
statuito 
che 
“Giova 
infatti 
ricordare 
che, 
ai 
sensi 
di 
una 
granitica 
giurisprudenza 
di 
questa 
Sezione, 
ai 
fini 
dell’adozione 
del 
provvedimento 
interdittivo, 
da 
un 
lato, 
occorre 
non 
già 
provare 
l'intervenuta 
infiltrazione 
mafiosa, 
bensì 
soltanto 
la 
sussistenza 
di 
elementi 
sintomatico-presuntivi 
dai 
quali 
-secondo 
un 
giudizio 
prognostico 
latamente 
discrezionale 
-sia 
deducibile 
il 
pericolo 
di 
ingerenza 
da 
parte 
della 
criminalità 
organizzata; 
d’altro 
lato, 
detti 
elementi 
vanno 
considerati 
in 
modo 
unitario, 
e 
non 
atomistico, 
cosicché 
ciascuno 
di 
essi 
acquisti 
valenza 
nella 
sua 
connessione 
con 
gli 
altri 
(Cons. 
St., 
sez. 
III, 
18 
aprile 
2018, 
n. 
2343). 


Ciò che 
connota la regola probatoria del 
“più probabile 
che 
non” 
non è 
un diverso procedimento logico, ma la (minore) forza dimostrativa dell’inferenza 
logica, 
sicché, 
in 
definitiva, 
l’interprete 
è 
sempre 
vincolato 
a 
sviluppare 
un’argomentazione 
rigorosa 
sul 
piano 
metodologico, 
«ancorché 
sia 
sufficiente 
accertare 
che 
l’ipotesi 
intorno a quel 
fatto sia più probabile 
di 
tutte 
le 
altre 
messe 
insieme, ossia rappresenti 
il 
50% + 
1 di 
possibilità, ovvero, con formulazione 
più 
appropriata, 
la 
c.d. 
probabilità 
cruciale» 
(Cons. 
St., 
sez. 
III, 
26 settembre 2017, n. 4483). 


L’informativa antimafia implica una valutazione 
discrezionale 
da parte 
dell’autorità prefettizia in ordine 
al 
pericolo di 
infiltrazione 
mafiosa, capace 
di 
condizionare 
le 
scelte 
e 
gli 
indirizzi 
dell’impresa. Tale 
pericolo deve 
essere 
valutato secondo un ragionamento induttivo, di 
tipo probabilistico, che 
non 
richiede 
di 
attingere 
un 
livello 
di 
certezza 
oltre 
ogni 
ragionevole 
dubbio, 
tipico 
dell’accertamento finalizzato ad affermare 
la responsabilità penale, e 
quindi 
fondato su prove, ma implica una prognosi 
assistita da un attendibile 
grado 
di 
verosimiglianza, sulla base 
di 
indizi 
gravi, precisi 
e 
concordanti, sì 
da far 
ritenere “più probabile che non” il pericolo di infiltrazione mafiosa. 


Ha aggiunto la Sezione 
(n. 758 del 
2019) che 
lo stesso legislatore 
-art. 
84, 
comma 
3, 
d.lgs. 
n. 
159 
del 
2011 
-ha 
riconosciuto 
quale 
elemento 
fondante 
l’informazione 
antimafia 
la 
sussistenza 
di 
“eventuali 
tentativi” 
di 
infiltrazione 
mafiosa 
“tendenti 
a 
condizionare 
le 
scelte 
e 
gli 
indirizzi 
delle 
società 
o 
imprese 



teMI 
IStItuzIonALI 


interessate”. Eventuali 
tentativi 
di 
infiltrazione 
mafiosa e 
tendenza di 
questi 
ad influenzare 
la gestione 
dell’impresa sono nozioni 
che 
delineano una fattispecie 
di 
pericolo, propria del 
diritto della prevenzione, finalizzato, appunto, 
a prevenire 
un evento che, per 
la stessa scelta del 
legislatore, non necessariamente 
è 
attuale, o inveratosi, ma anche 
solo potenziale, purché 
desumibile 
da 
elementi non meramente immaginari o aleatori. 


La 
funzione 
di 
“frontiera 
avanzata” 
dell’informazione 
antimafia 
nel 
continuo 
confronto tra Stato e 
anti-Stato impone, a servizio delle 
Prefetture, un 
uso 
di 
strumenti, 
accertamenti, 
collegamenti, 
risultanze, 
necessariamente 
anche 
atipici 
come 
atipica, del 
resto, è 
la capacità, da parte 
delle 
mafie, di 
perseguire 
i 
propri 
fini. E 
solo di 
fronte 
ad un fatto inesistente 
od obiettivamente 
non 
sintomatico 
il 
campo 
valutativo 
del 
potere 
prefettizio, 
in 
questa 
materia, 
deve arrestarsi (Cons. St., sez. III, 30 gennaio 2019, n. 758). 


Ciò che 
si 
chiede 
alle 
autorità amministrative 
non è 
di 
colpire 
pratiche 
e 
comportamenti 
direttamente 
lesivi 
degli 
interessi 
e 
dei 
valori 
prima ricordati, 
compito naturale 
dell’autorità giudiziaria, bensì 
di 
prevenire 
tali 
evenienze, 
con 
un 
costante 
monitoraggio 
del 
fenomeno, 
la 
conoscenza 
delle 
sue 
specifiche 
manifestazioni, 
la 
individuazione 
e 
valutazione 
dei 
relativi 
sintomi, 
la 
rapidità 
di intervento (Corte cost. n. 57 del 26 marzo 2020). 

È 
in 
questa 
prospettiva 
anticipatoria 
della 
difesa 
della 
legalità 
che 
si 
colloca 
il 
provvedimento 
di 
informativa 
antimafia 
al 
quale, 
infatti, 
è 
riconosciuta 
dalla 
giurisprudenza 
natura 
“cautelare 
e 
preventiva” 
(Cons. 
St., 
a.P., 
6 
aprile 
2018, n. 3), comportando un giudizio prognostico circa probabili 
sbocchi 
illegali 
della infiltrazione mafiosa. 

Negare 
però 
in 
radice 
che 
il 
Prefetto 
possa 
valutare 
elementi 
“atipici”, 
dai 
quali 
trarre 
il 
pericolo 
di 
infiltrazione 
mafiosa, 
vuol 
dire 
annullare 
qualsivoglia 
efficacia 
alla 
legislazione 
antimafia 
e 
neutralizzare, 
in 
nome 
di 
una 
astratta 
e 
aprioristica 
concezione 
di 
legalità 
formale, 
proprio 
la 
sua 
decisiva 
finalità 
preventiva 
di 
contrasto 
alla 
mafia, 
finalità 
che, 
per 
usare 
le 
parole 
della 
Corte 
europea 
dei 
diritti 
dell’uomo 
nella 
sentenza 
23 
febbraio 
2017, 
ric. 
n. 
43395/09, 
De 
Tommaso 
c. 
Italia, 
consiste 
anzitutto 
nel 
«tenere 
il 
passo 
con 
il 
mutare 
delle 
circostanze» 
secondo 
una 
nozione 
di 
legittimità 
sostanziale. 


Il 
giudice 
amministrativo è, a sua volta, chiamato a valutare 
la gravità 
del 
quadro indiziario, posto a base 
della valutazione 
prefettizia in ordine 
al 
pericolo di 
infiltrazione 
mafiosa, e 
il 
suo sindacato sull’esercizio del 
potere 
prefettizio, con un pieno accesso ai 
fatti 
rivelatori 
del 
pericolo, consente 
non 
solo di 
sindacare 
l’esistenza o meno di 
questi 
fatti, che 
devono essere 
gravi, 
precisi 
e 
concordanti, 
ma 
di 
apprezzare 
la 
ragionevolezza 
e 
la 
proporzionalità 
della 
prognosi 
inferenziale 
che 
l’autorità 
amministrativa 
trae 
da 
quei 
fatti 
secondo 
un 
criterio 
che, 
necessariamente, 
è 
probabilistico 
per 
la 
natura 
preventiva, 
e non sanzionatoria, della misura in esame”. 



rASSeGnA 
AVVoCAturA 
DeLLo 
StAto -n. 1/2021 


La 
corte 
di 
cassazione, Prima Sezione 
penale, nella 
sentenza n. 8084 
del 
30 
gennaio 
2020, 
ha 
dichiarato 
inammissibile, 
per 
difetto 
di 
legittimazione, 
il 
ricorso proposto nell’interesse 
della 
Prefettura 
di 
Lecce 
avverso ordinanza 
di 
ammissione 
al 
controllo 
giudiziario 
disposta 
dal 
tribunale 
di 
Lecce, 
statuendo 
che, 
stante 
la 
vigenza 
del 
principio 
di 
tassatività 
delle 
impugnazioni 
con 
riferimento 
alle 
sole 
parti 
processuali 
del 
procedimento 
di 
prevenzione 
ex 
art. 568, comma 
3 c.p.p., “[G]li 
interessi 
pubblici 
sono espressamente 
e 
unicamente 
affidati 
dal 
legislatore 
alla cura del 
Procuratore 
distrettuale 
competente 
e 
l'eventuale 
ammissione 
al 
controllo su domanda non si 
risolve 
certo 
in 
un 
esame 
dei 
contenuti 
del 
provvedimento 
amministrativo, 
posto 
che 
ciò 
dipende 
da 
una 
complessiva 
disamina 
-da 
parte 
del 
Tribunale 
-della 
tipologia 
e 
della graduazione 
del 
condizionamento portato verso l'impresa dai 
soggetti 
individuati 
come 
portatori 
di 
pericolosità (su tali 
aspetti 
v. Sez. 1, n. 29487 
del 
7 
maggio 
2019, 
Rv. 
276303) 
al 
fine 
di 
realizzare, 
con 
l'ammissione 
al 
controllo, 
per 
stare 
alle 
parole 
utilizzate 
dalle 
Sezioni 
unite 
di 
questa 
Corte, 
lì 
dove 
possibile 
«un recupero della realtà aziendale 
alla libera concorrenza, a 
seguito di un percorso emendativo»”. 


neppure, ha 
chiarito la 
Corte, gli 
effetti 
discendenti 
sulla 
sorte 
del 
provvedimento 
prefettizio sono idonei 
a 
determinare 
il 
sorgere 
di 
“ragionevole 
interesse 
della amministrazione 
alla critica del 
provvedimento di 
ammissione”, 
atteso che 
tali 
effetti 
sospensivi 
derivano direttamente 
dalla 
voluntas 
legis 
di 
cui 
al 
comma 
7 dell’art. 34 bis 
in commento e 
sono, comunque, condizionati 
dal 
riconoscimento in campo al 
tribunale 
competente 
di 
‘penetranti 
poteri 
di 
controllo’ . 


6. Questioni rimesse alla Corte di giustizia e alla Corte costituzionale. 
La 
Corte 
di 
Giustizia 
europea, chiamata 
a 
pronunciarsi, a 
seguito di 
ordinanza 
di 
rimessione 
del 
tAr per la 
Puglia 
-Bari 
n. 28 del 
13 gennaio 2020, 
sulla 
compatibilità 
con il 
diritto comunitario del 
Codice 
antimafia, nella 
parte 
in 
cui 
non 
prevede 
un 
contraddittorio 
preventivo 
alla 
emissione 
della 
informativa 
antimafia, con l’ordinanza del 
28 maggio 2020, ha 
dichiarato la 
domanda 
pregiudiziale 
manifestamente 
irricevibile, 
non 
essendo 
stata 
dimostrata 
dal 
Giudice 
di 
rinvio 
l’esistenza 
di 
un 
criterio 
di 
collegamento 
tra 
il 
diritto 
dell’unione e l’informativa adottata dalla Prefettura nel caso di specie. 


Sulla 
questione 
si 
segnala 
anche 
la 
recente 
sentenza 
del 
consiglio 
di 
Stato n. 2854 del 
6 maggio 2020 
secondo cui 
“la conoscenza dell’imminente 


o probabile 
adozione 
di 
un provvedimento antimafia, acquisita in sede 
procedimentale, 
potrebbe 
frustrare 
l’interesse 
pubblico 
sotteso 
all’adozione 
del 
provvedimento antimafia... La discovery 
anticipata, già in sede 
procedimentale, 
di 
elementi 
o notizie 
contenuti 
in atti 
di 
indagine 
coperti 
da segreto investigativo 
o 
in 
informative 
riservate 
delle 
forze 
di 
polizia, 
spesso 
connessi 
ad inchieste 
della magistratura inquirente 
contro la criminalità organizzata e 

teMI 
IStItuzIonALI 


agli 
atti 
delle 
indagini 
preliminari, 
potrebbe 
frustrare 
la 
finalità 
preventiva 
perseguita dalla legislazione 
antimafia, che 
ha l’obiettivo di 
prevenire 
il 
tentativo 
di 
infiltrazione 
da parte 
delle 
organizzazioni 
criminali, la cui 
capacità 
di 
penetrazione 
nell’economia 
legale 
ha 
assunto 
forme 
e 
“travestimenti” 
sempre 
più insidiosi…. ll 
principio del 
giusto procedimento, del 
resto, non ha una 
valenza assoluta, ma ammette 
deroghe 
limitate 
ad ipotesi 
eccezionali 
dovute 
alla 
tutela 
di 
interessi 
superiori 
afferenti 
alla 
tutela 
dell’ordine 
pubblico, 
come 
quella in esame, e 
proporzionate 
alla necessità del 
caso che 
è 
qui 
assai 
grave 
per l’altissimo pericoloso infiltrativo…”. 

Inoltre 
-come 
sopra 
evidenziato 
-il 
Supremo 
Consesso, 
già 
con 
la 
sentenza 
n. 
820 
del 
31 
gennaio 
2020, 
aveva 
affermato 
che 
l’informazione 
antimafia 
non 
richiede 
la 
necessaria 
osservanza 
del 
contraddittorio 
procedimentale, 
essendo 
quest’ultimo 
un 
momento 
meramente 
eventuale, 
come 
si 
evince 
dal 
tenore 
letterale 
dall’art. 
93, 
comma 
7, 
d.lgs. 
159 
del 
2011. 


In 
sede 
difensiva, 
in 
merito 
alla 
ricorrente 
eccezione 
avversaria, 
la 
Difesa 
erariale 
rileva 
che 
il 
diritto al 
contraddittorio procedimentale 
e 
al 
rispetto dei 
diritti 
della 
difesa 
non 
può 
essere 
considerato 
una 
prerogativa 
assoluta, 
ma 
ben può soggiacere 
a 
restrizioni 
che, comunque, non costituiscono un vulnus 
al principio di buona amministrazione. 

Precisa 
però 
la 
giurisprudenza 
europea 
che 
queste 
restrizioni 
devono 
rispondere 
“effettivamente 
a 
obiettivi 
di 
interesse 
generale 
perseguiti 
dalla 
misura 
di 
cui 
trattasi 
e 
non 
costituiscano, 
rispetto 
allo 
scopo 
perseguito, 
un 
intervento 
sproporzionato 
e 
inaccettabile, 
tale 
da 
ledere 
la 
sostanza 
stessa 
dei 
diritti 
così 
garantiti” 
(Corte 
di 
Giustizia 
ue, 
sentenza 
del 
9 
novembre 
2017, 
in 
C-298/16, 
§ 
35) 
e, 
difatti, 
la 
stessa 
Corte 
ue 
ha 
di 
recente 
ribadito 
che 
“il 
contrasto 
al 
fenomeno 
dell’infiltrazione 
della 
criminalità 
organizzata 
nel 
settore 
degli 
appalti 
pubblici 
costituisce 
un 
obiettivo 
legittimo 
che 
può 
giustificare 
una 
restrizione 
alle 
regole 
fondamentali 
e 
ai 
principi 
generali 
del 
TFUE 
che 
si 
applicano 
nell’ambito 
delle 
procedure 
di 
aggiudicazione 
degli 
appalti 
pubblici” 
(Corte 
di 
Giustizia 
ue, 
sentenza 
del 
26 
settembre 
2019, 
in 
C-63/18, 
§ 
37). 


e 
ciò, 
anche 
in 
ragione 
del 
fatto 
che 
la 
discovery 
in 
sede 
procedimentale 
di 
elementi 
contenuti 
in 
atti 
connessi 
ad 
inchieste 
della 
Magistratura 
inquirente 
contro 
la 
criminalità 
organizzata 
“potrebbe 
frustrare 
la 
finalità 
preventiva 
perseguita 
della 
legislazione 
antimafia, 
che 
ha 
l’obiettivo 
di 
prevenire 
il 
tentativo 
di 
infiltrazione 
da 
parte 
delle 
organizzazioni 
criminali, 
la 
cui 
capacità 
di 
penetrazione 
nell’economia 
legale 
ha 
assunto 
forme 
e 
‘travestimenti’ 
sempre 
più 
insidiosi”. 


Si 
fa 
altresì 
presente 
che, 
anche 
qualora 
dovessero 
ritenersi 
applicabili 
le 
garanzie 
partecipative 
per 
il 
procedimento 
di 
adozione 
o 
riesame 
dell’informazione 
antimafia, 
il 
provvedimento 
de 
quo 
non 
sarebbe 
comunque 
annullabile, 
in 
considerazione 
del 
disposto 
di 
cui 
all’art. 
21 
octies, 
comma 
2, 
secondo 
capoverso, 
Legge 
n. 
241/1990, 
secondo 
cui 
“il 
provvedimento 
am



rASSeGnA 
AVVoCAturA 
DeLLo 
StAto -n. 1/2021 


ministrativo 
non 
è 
comunque 
annullabile 
per 
mancata 
comunicazione 
del-
l’avvio 
del 
procedimento 
qualora 
l’amministrazione 
dimostri 
in 
giudizio 
che 
il 
contenuto 
del 
provvedimento 
non 
avrebbe 
potuto 
essere 
diverso 
da 
quello 
in 
concreto 
adottato”. 


La 
violazione 
del 
principio del 
contraddittorio non potrebbe 
discendere 
neppure 
dalla 
mancata 
applicazione 
dell’art. 
93, 
commi 
4 
e 
7, 
d.lgs. 
n. 
159/2011. 
nello 
specifico, 
infatti, 
la 
norma 
in 
questione 
disciplina 
il 
peculiare 
caso degli 
accessi 
e 
degli 
accertamenti 
nei 
cantieri 
delle 
imprese 
interessate 
dall’esecuzione 
di 
lavori 
pubblici, 
disposti 
dal 
prefetto 
avvalendosi 
dei 
gruppi 
interforze. 

Pertanto, 
l’eventuale 
audizione 
cui 
fa 
riferimento 
la 
disposizione 
in 
commento 
riguarda 
esclusivamente 
i 
soggetti 
interessati 
dagli 
accessi 
e 
non 
si 
estende, in via 
assoluta, all’intero procedimento di 
adozione 
dell’interdittiva, 
rimanendo, in ogni 
caso, un momento meramente 
discrezionale 
dell’iter 
procedimentale. 


Per 
quanto 
concerne 
le 
questioni 
rimesse 
alla 
Corte 
Costituzionale 
in 
materia, 
si 
segnala 
che 
è 
stato promosso giudizio di 
legittimità costituzionale, 
con 
ordinanza pubblicata il 
26 maggio 2020 dal 
TAr 
per 
il 
Friuli 
venezia 
Giulia, 
Sezione 
1^, 
pubblicata 
sulla 
Gazzetta 
ufficiale, 
Serie 
speciale 
-Corte 
costituzionale, n. 38 del 
16 settembre 
2020, pronunciata 
nella 
causa 
iscritta 
al 


n. 238/2019 del 
registro generale 
dei 
ricorsi 
dell’ufficio giudiziario a quo, in 
punto di 
legittimità, in 
relazione 
agli 
artt. 3, 25, 27, 38 e 
41 della costituzione, 
anche 
in 
relazione 
agli 
artt. 6 e 
7 cedu, dell’art. 67, comma 8, del 
decreto 
legislativo 
6 
settembre 
2011, 
n. 
159, 
introdotto 
dall’art. 
24, 
comma 
1, lettera d) del 
decreto-legge 
4 ottobre 
2018, n. 113, convertito con 
modificazioni 
dalla legge 1° dicembre 2018 n. 132. 
Il 
Giudice 
rimettente 
ha 
illustrato le 
ragioni 
per le 
quali 
ha 
ritenuto sussistenti 
i 
presupposti 
per sollevare 
d’ufficio la 
questione 
di 
legittimità 
costituzionale 
dell’art. 67, comma 8, del D.lgs. n. 159 del 2011, in relazione: 


-ai 
principi 
di 
proporzionalità 
e 
ragionevolezza 
di 
cui 
all’articolo 3 Costituzione, 
condividendo 
il 
Giudice 
rimettente 
le 
valutazioni 
espresse 
dal 
Consiglio 
di 
Stato, nell’ordinanza 
n. 5281/2019, nel 
senso che 
occorre 
verificare, 
di 
volta 
in volta, se 
la 
previsione 
di 
un effetto interdittivo automatico, conseguente 
a 
determinate 
condanne 
penali, 
persegua 
la 
finalità 
di 
completare 
il 
trattamento 
sanzionatorio 
correlato 
al 
reato 
o 
si 
colleghi 
all’interesse 
pubblico 
primario 
del 
contrasto 
alle 
organizzazioni 
mafiose, 
nell’ambito 
dell’ampia 
discrezionalità 
valutativa 
riconosciuta 
al 
legislatore 
nelle 
scelte 
delle 
misure 
ritenute 
idonee allo scopo. 
In tale 
prospettiva, il 
Giudice 
a quo 
ha 
ritenuto dubbia 
la 
ragionevolezza 
della 
norma 
nella 
misura 
in 
cui 
parifica 
-ai 
fini 
della 
determinazione 
degli 
automatici 
effetti 
interdittivi 
-, 
alla 
situazione 
della 
definitiva 
adozione 
di 
una 
misura 
di 
prevenzione 
tipica 
e 
alla 
situazione 
della 
condanna 
di 
gravissimi 



teMI 
IStItuzIonALI 


reati 
a 
struttura 
associativa, la 
diversa 
ipotesi 
di 
condanna 
per il 
reato di 
cui 
all’art. 640-bis 
c.p., che 
non presenta 
struttura 
associativa, risulta 
punito con 
sanzioni 
molto 
inferiori 
e 
non 
è 
necessariamente 
correlato 
ad 
attività 
della 
criminalità 
organizzata. 


Inoltre, 
il 
dubbio 
sulla 
ragionevolezza 
di 
tale 
previsione 
deriverebbe 
“dalla 
circostanza 
che 
la 
condanna 
per 
il 
reato 
di 
cui 
all’art. 
640-bis 
(insieme 
alle 
ipotesi 
di 
condanna per 
altri 
titoli 
di 
reato, previsti 
353, 353-bis, 603-bis, 
603-bis, 629, 644, 648-bis, 648-ter 
del 
codice 
penale, dei 
delitti 
di 
cui 
all’articolo 
51, comma 3-bis, del 
codice 
di 
procedura penale 
e 
di 
cui 
all’articolo 
12-quinquies 
del 
decreto-legge 
8 giugno 1992, n. 306 convertito, con modificazioni, 
dalla legge 
7 agosto 1992, n. 356) nello stesso codice 
antimafia, all’art. 
84, comma 4, lettera a), è 
opportunamente 
considerato come 
elemento 
da 
cui 
è 
possibile 
inferire 
(senza, 
però, 
alcun 
automatismo 
probatorio) 
la 
sussistenza 
di 
un rischio concreto di 
infiltrazione 
mafiosa o della criminalità organizzata, 
ai 
fini 
dell’adozione 
di 
un’informativa 
interdittiva; 
in 
tal 
senso, 
nel 
contesto dell’art. 84, risulta perfettamente 
coerente 
la collocazione 
dell’art. 
640-bis 
tra i 
<delitti-spia> 
significativamente 
indicativi 
della capacità di 
penetrazione 
nell’economia legale da parte della criminalità organizzata”. 


Ad avviso del 
Giudice 
rimettente 
il 
predetto effetto interdittivo automatico 
della 
condanna 
per il 
reato di 
cui 
all’art. 640-bis 
c.p. “potrebbe 
risultare, 
allo stato, irragionevolmente 
sproporzionato rispetto alla finalità preventiva 
perseguita dal 
legislatore, il 
che 
alimenta anche 
l’ulteriore 
dubbio sulla legittimità 
della sua applicabilità retroattiva, potendosi 
ipotizzare 
che 
la sua finalità 
sia 
sostanzialmente 
punitiva 
e 
non 
preventiva, 
con 
la 
conseguente 
applicazione 
dei 
principi 
costituzionali 
e 
convenzionali 
in materia id irretroattività 
delle norme penali”. 


D’altra 
parte, nessun utile 
elemento, che 
possa 
giustificare 
l’inserimento 
del 
reato in questione 
tra 
quelli 
aventi 
immediata 
e 
automatica 
valenza 
ostativa, 
è 
evincibile 
dagli 
atti 
preparatori 
della 
legge 
(relazione 
di 
accompagnamento 
del D.l. n. 113 del 2018 - Atto Senato n. 840, p. 21). 

-ai 
principi 
di 
cui 
agli 
articoli 
25 
e 
27 
Costituzione, 
poiché 
l’irragionevole 
equiparazione, 
nel 
contesto 
della 
norma, 
del 
reato 
di 
cui 
all’art. 
640-bis 
c.p. 
a 
quelli 
più 
gravi 
di 
cui 
all’art. 
51, 
c. 
3-bis, 
c.p.p., 
si 
tradurrebbe 
“in 
un 
inasprimento, 
peraltro 
in 
assenza 
di 
una 
previa 
ed 
equa 
valutazione 
giudiziale 
e 
del 
legittimo 
e 
compiuto 
esercizio 
di 
tutte 
le 
prerogative 
difensive, 
del 
regime 
sanzionatorio 
previsto 
per 
il 
reato 
che 
assume 
rilievo, 
che 
si 
scontra 
inevitabilmente 
con 
i 
“principi 
di 
cui 
agli 
artt. 
25 
e 
27 
Cost., 
anche 
in 
relazione 
agli 
artt. 
6 
e 
7 
CEDU, 
in 
particolare 
laddove, 
come 
nel 
caso 
di 
specie, 
siffatti 
effetti 
pregiudizievoli 
vengono 
fatti 
derivare 
anche 
da 
sentenze 
pronunciate 
antecedentemente 
all’entrata 
in 
vigore 
dell’art. 
24, 
c. 
1, 
lettera 
d), 
del 
d.l. 
4 
ottobre 
2018, 
n. 
113, 
convertito 
con 
modificazioni 
dalla 
l. 
1 
dicembre 
2018, 
n. 
132, 
che 
ha 
inserito 
l’art. 
640-bis 
c.p.p. 
all’interno 
dell’art. 
67, 
c. 
8, 
d.lgs. 
159/2011”. 



rASSeGnA 
AVVoCAturA 
DeLLo 
StAto -n. 1/2021 


-ai 
principi 
di 
cui 
agli 
articoli 
38 e 
41 Costituzione, in quanto ritiene 
il 
Giudice 
a quo 
che 
“l’automatismo previsto nel 
caso specifico non sia direttamente 
e 
immediatamente 
correlato all’interesse 
pubblico generale 
a preservare 
l’integrità del 
tessuto economico sociale 
di 
mercato libero e 
competitivo 
e 
che 
piuttosto 
elida, 
in 
spregio 
ai 
principi 
di 
proporzionalità 
e 
ragionevolezza 
di 
cui 
all’art. 
3 
Cost., 
la 
libertà 
di 
iniziativa 
economica 
privata 
assicurata 
dall’art. 41 Cost. e 
la possibilità di 
svolgere 
qualsivoglia attività lavorativa, 
professionale 
ed 
economica 
soggetta 
a 
“iscrizioni 
o 
provvedimenti 
a 
contenuto 
autorizzatorio, concessorio, o abilitativo”. 
Nel 
caso di 
specie 
-pur 
non essendovi 
(o, comunque, non essendo stata 
data alcuna evidenza) della sussistenza di 
effettive 
correlazioni 
alla “mafia” 
della condotta posta in essere 
dal 
ricorrente 
e 
sanzionata con la condanna da 
cui 
in 
sede 
amministrativa 
sono 
state 
fatte 
derivare 
nei 
confronti 
del 
ricorrente 
conseguenze 
così 
gravemente 
pregiudizievoli 
in forza della norma di 
legge 
di 
cui 
viene 
messa 
in 
dubbio 
la 
costituzionalità 
-il 
provvedimento 
impugnato 
incide, 
invero, 
compromettendola, 
sull’intera 
attività 
imprenditoriale 
del 
medesimo, 
soggetta 
a 
regime 
autorizzatorio, 
quali 
l’iscrizione 
alla 
camera 
di 
commercio e all’albo professionale degli ingegneri”. 


È 
stato espletato “Atto di 
intervento” 
per il 
Presidente 
del 
Consiglio dei 
Ministri in tale giudizio, attualmente pendente. 


Per 
quanto 
concerne 
le 
pronunce 
della 
corte 
costituzionale 
intervenute 
nell’anno 
2020 
in 
materia 
di 
antimafia, 
si 
ritiene 
utile 
richiamare 
la 
sentenza 
n. 
57/2020, 
pubblicata 
il 
26 
marzo 
2020, 
che, 
sia 
pure 
resa 
all’esito 
del 
giudizio 
di 
legittimità 
costituzionale 
degli 
artt. 
89-bis 
e 
92, 
commi 
3 
e 
4, 
del 
d.lgs. 
n. 
159/2011 
-in 
cui 
il 
Giudice 
rimettente 
ha 
affermato 
che 
è 
irragionevole 
ricomprendere 
nella 
sfera 
d’incidenza 
dell’inibitoria, 
ma 
soprattutto 
nella 
sfera 
della 
decadenza, 
tutti 
i 
provvedimenti 
previsti 
dall’art. 
67 
del 
d.lgs. 
n. 
159/2011, 
senza 
escludere 
quelli 
che 
sono 
il 
presupposto 
dell’esercizio 
dell’attività 
imprenditoriale 
privata 
che 
non 
comporti 
alcun 
rapporto 
con 
la 
pubblica 
Amministrazione 
e 
alcun 
impatto 
su 
beni 
e 
interessi 
pubblici 
-ha 
statuito 
che 
“Il 
dato 
normativo 
arricchito 
dall’articolato 
quadro 
giurisprudenziale, 
esclude, 
dunque, 
la 
fondatezza 
dei 
dubbi 
di 
costituzionalità 
avanzati 
dal 
rimettente 
in 
ordine 
alla 
ammissibilità, 
in 
sé, 
del 
ricorso 
allo 
strumento 
amministrativo, 
e 
quindi 
alla 
legittimità 
della 
pur 
grave 
limitazione 
della 
libertà 
d’impresa 
che 
ne 
deriva. 
In 
particolare, 
quanto 
al 
profilo 
della 
ragionevolezza, 
la 
risposta 
amministrativa, 
non 
si 
può 
ritenere 
sproporzionata 
rispetto 
ai 
valori 
in 
gioco, 
la 
cui 
tutela 
impone 
di 
colpire 
in 
anticipo 
quel 
fenomeno 
mafioso, 
sulla 
cui 
gravità 
e 
persistenza 
-malgrado 
il 
costante 
e 
talvolta 
eroico 
impegno 
delle 
Forze 
dell’ordine 
e 
della 
magistratura 
penale 
-non 
è 
necessario 
soffermarsi 
ulteriormente”. 



teMI 
IStItuzIonALI 


7. Pareri di massima e proposte normative de iure condendo. 
In sede 
consultiva 
sono state 
affrontate 
alcune 
problematiche 
emerse 
in 
sede 
di 
applicazione 
della 
disciplina 
dettata 
dal 
Codice 
antimafia 
e 
dei 
recenti 
orientamenti giurisprudenziali. 


1. 
A 
seguito della 
sentenza 
del 
Consiglio di 
Stato n. 452/2020, che 
ha 
annullato 
un’informazione 
interdittiva 
antimafia, adottata 
sulla 
base 
del 
Protocollo 
nazionale 
quadro 
di 
legalità 
sottoscritto 
tra 
il 
Ministero 
dell’Interno 
e 
Confindustria, è 
stato posto il 
quesito sugli 
effetti 
di 
tale 
pronuncia, evidenziandosi 
anche 
la 
portata 
generale 
della 
questione, ove 
si 
considerino i 
numerosi 
documenti 
pattizi 
che 
le 
Prefetture 
stipulano 
con 
soggetti 
che 
hanno 
natura 
pubblicistica. 
Il 
Consiglio 
di 
Stato, 
in 
particolare, 
ha 
ritenuto 
che 
il 
provvedimento 
interdittivo 
-nella 
fattispecie 
sottoposta 
al 
suo 
vaglio 
-non 
avrebbe 
potuto 
essere 
adottato, 
“e 
ciò 
perché 
il 
soggetto 
che 
ha 
chiesto 
la 
verifica 
alla 
Prefettura 
non 
è 
incluso 
tra 
gli 
enti 
indicati 
dall’art. 
83, 
d.lgs. 
n. 
159 
del 
2011. 
Nella 
specie 
la 
richiesta 
di 
rilasciare 
una 
comunicazione 
antimafia, 
rivolta 
il 
15 
dicembre 
2016 
alla 
Prefettura 
di 
Brescia, 
è 
stata 
effettuata 
da 
Confindustria 
Venezia, 
associazione 
privata, 
per 
la 
conclusione 
di 
contratti 
di 
rilevanza 
solo 
privatistica, 
in 
alcun 
modo 
connessi 
all’uso 
di 
poteri, 
procedimenti 
o 
risorse 
pubbliche”. 


Il 
Supremo 
Consesso 
amministrativo 
ha 
rilevato 
che 
“Il 
comma 
1, 
infatti, 
ha individuato i 
soggetti 
che 
devono acquisire 
la documentazione 
antimafia 
di 
cui 
all’art. 84 prima di 
stipulare, approvare 
o autorizzare 
i 
contratti 
e 
sub-
contratti 
relativi 
a 
lavori, 
servizi 
e 
forniture 
pubblici, 
ovvero 
prima 
di 
rilasciare 
o consentire 
i 
provvedimenti 
indicati 
nel 
precedente 
art. 67. Si 
tratta 
delle 
Pubbliche 
amministrazioni 
e 
gli 
enti 
pubblici, 
anche 
costituiti 
in 
stazioni 
uniche 
appaltanti, gli 
enti 
e 
le 
aziende 
vigilati 
dallo Stato o da altro ente 
pubblico 
e 
le 
società o imprese 
comunque 
controllate 
dallo Stato o da altro ente 
pubblico nonché 
i 
concessionari 
di 
lavori 
o di 
servizi 
pubblici. a 
tali 
soggetti 
si 
aggiungono, in virtù del 
successivo comma 2, i 
contraenti 
generali 
previsti 
dal 
Codice 
dei 
contratti 
pubblici. 
Si 
tratta 
dunque 
di 
soggetti 
pubblici. 
Nel 
caso all’esame 
del 
Collegio, invece, la richiesta della Prefettura di 
comunicazione 
antimafia 
è 
stata 
avanzata 
da 
Confindustria 
Venezia, 
quindi 
da 
un 
soggetto di indubbia natura privata. 


aggiungasi, 
ed 
il 
rilievo 
è 
assorbente 
di 
qualsiasi 
altra 
considerazione, 
che 
tale 
documentazione 
può 
essere 
utilizzata 
solo 
nei 
rapporti 
tra 
una 
Pubblica 
amministrazione 
ed 
il 
privato 
e 
non, 
come 
nella 
specie, 
nei 
rapporti 
tra 
privati”. 


Ha 
quindi 
argomentato, 
con 
riferimento 
ai 
rapporti 
tra 
privati, 
in 
relazione 
ai 
quali 
la 
normativa 
antimafia 
nulla 
prevede, nel 
senso che 
“Tale 
vuoto 
normativo 
non 
può 
certo 
essere 
colmato 
dal 
Protocollo 
della 
legalità 
e 
dal 
suo 
atto 
aggiuntivo, 
entrambi 
stipulati 
tra 
il 
ministero 
dell’Interno 
e 
Confindustria. 
Si 
tratta, 
infatti, 
di 
un 
atto 
stipulato 
tra 
due 
soggetti, 
che 
finirebbe 



rASSeGnA 
AVVoCAturA 
DeLLo 
StAto -n. 1/2021 


per 
estendere 
ad 
un 
soggetto 
terzo, 
estraneo 
a 
tale 
rapporto, 
effetti 
inibitori 
(o, 
secondo 
l’adunanza 
plenaria, 
addirittura 
“incapacitanti”), 
che 
la 
legge 
ha 
espressamente 
voluto 
applicare 
ai 
soli 
casi 
in 
cui 
il 
privato 
in 
odore 
di 
mafia 
contragga 
con 
una 
parte 
pubblica. 
Prova 
di 
tale 
voluntas 
legis 
è 
proprio 
nella 
modifica 
del 
comma 
1 
dell’art. 
87, 
d.lgs. 
n. 
159 
del 
2011 
che, 
prima 
della 
novella 
introdotta 
dall’art. 
4, 
d.lgs. 
15 
novembre 
2012, 
n. 
218, 
prevedeva 
espressamente 
la 
possibilità 
che 
a 
chiedere 
la 
comunicazione 
antimafia 
fosse 
un 
soggetto 
privato”. 


Concludendo nel 
senso che 
“occorre 
dunque 
interrogarsi 
-e 
nulla più 
che 
un interrogativo “aperto” 
può provenire 
da questo Giudice 
-se 
per 
rafforzare 
il 
disegno del 
Legislatore, con una sapiente 
disciplina antimafia che 
sta portando in modo tangibile 
i 
suoi 
risultati 
-non possano, le 
Istituzioni 
a 
ciò preposte, valutare 
il 
ritorno alla originaria formulazione 
del 
Codice 
antimafia, 
nel 
senso 
che 
l’informazione 
antimafia 
possa 
essere 
richiesta 
anche 
da 
un 
soggetto 
privato 
ed 
anche 
per 
rapporti 
esclusivamente 
tra 
privati. 
Soltanto 
un tale 
intervento potrebbe, in vicende 
come 
quella oggi 
in esame, permettere 
l’applicabilità generalizzata della documentazione 
antimafia, che 
non a caso 
questo 
Consiglio 
ritiene 
pietra 
angolare 
del 
sistema 
normativo 
antimafia 
(Cons. St., sez. III, 5 settembre 
2019, n. 6105), in presenza di 
una serie 
di 
elementi 
sintomatici 
dai 
quali 
evincere 
l’influenza, 
anche 
indiretta 
(art. 
91, 
comma 6, d.lgs. n. 159 del 
2019), delle 
organizzazioni 
mafiose 
sull’attività di 
impresa, nella duplice 
veste 
della c.d. contiguità soggiacente 
o della c.d. contiguità 
compiacente”. 


tanto 
considerato, 
l’Avvocatura 
ha 
innanzitutto 
condiviso 
l’interrogativo 
posto e 
l’auspicio manifestato dal 
Consiglio di 
Stato, nel 
senso del 
ripristino 
della 
originaria 
formulazione 
normativa 
del 
Codice 
antimafia, anche 
al 
fine 
di evitare l’insorgenza di contenzioso in materia. 


La 
questione 
risulta 
attualmente 
chiarita, in quanto il 
quadro normativo 
è 
di 
recente 
mutato per effetto dell’introduzione 
dell’art. 83-bis 
(Protocolli 
di 
legalità) nel 
D.Lgs. 6 settembre 
2011, n. 159, ad opera 
dell'art. 3, comma 
7, 
D.L. 16 luglio 2020, n. 76. 

La 
norma 
dispone 
: 
“1. 
Il 
Ministero 
dell'Interno 
può 
sottoscrivere 
protocolli, 
o 
altre 
intese 
comunque 
denominate, 
per 
la 
prevenzione 
e 
il 
contrasto 
dei 
fenomeni 
di 
criminalità 
organizzata, 
anche 
allo 
scopo 
di 
estendere 
convenzionalmente 
il 
ricorso 
alla 
documentazione 
antimafia 
di 
cui 
all'articolo 
84. 
I 
protocolli 
di 
cui 
al 
presente 
articolo 
possono 
essere 
sottoscritti 
anche 
con 
imprese 
di 
rilevanza 
strategica 
per 
l'economia 
nazionale 
nonché 
con 
associazioni 
maggiormente 
rappresentative 
a 
livello 
nazionale 
di 
categorie 
produttive, 
economiche 
o 
imprenditoriali, 
e 
possono 
prevedere 
modalità 
per 
il 
rilascio 
della 
documentazione 
antimafia 
anche 
su 
richiesta 
di 
soggetti 
privati, 
nonché 
determinare 
le 
soglie 
di 
valore 
al 
di 
sopra 
delle 
quali 
è 
prevista 
l'attivazione 
degli 
obblighi 
previsti 
dai 
protocolli 
medesimi. 
I 
protocolli 
possono 
prevedere 
l'ap



teMI 
IStItuzIonALI 


plicabilità 
delle 
previsioni 
del 
presente 
decreto 
anche 
nei 
rapporti 
tra 
contraenti, 
pubblici 
o 
privati, 
e 
terzi, 
nonché 
tra 
aderenti 
alle 
associazioni 
contraenti 
e 
terzi. 


2. L'iscrizione 
nell'elenco dei 
fornitori, prestatori 
di 
servizi 
ed esecutori 
di 
lavori 
di 
cui 
all'articolo 
1, 
commi 
52 
e 
seguenti, 
della 
legge 
6 
novembre 
2012, 
n. 
190, 
nonché 
l'iscrizione 
nell'anagrafe 
antimafia 
degli 
esecutori 
istituita 
dall'articolo 30 del 
decreto-legge 
17 ottobre 
2016, n. 189, convertito, con modificazioni, 
dalla 
legge 
15 dicembre 
2016, n. 229, equivale 
al 
rilascio dell'informazione 
antimafia. 
3. Le 
stazioni 
appaltanti 
prevedono negli 
avvisi, bandi 
di 
gara 
o lettere 
di 
invito 
che 
il 
mancato 
rispetto 
dei 
protocolli 
di 
legalità 
costituisce 
causa 
di 
esclusione dalla gara o di risoluzione del contratto”. 
Sempre 
in sede 
consultiva, con successivo parere, si 
è 
chiarito che, se 
il 
soggetto 
giuridico 
interessato 
è 
riconducibile 
nel 
perimetro 
tracciato 
dal 
comma 
1 dell’art. 83 del 
d.lgs. n. 159/2011, con conseguente 
legittimazione 
a 
richiedere 
la 
documentazione 
antimafia, 
una 
volta 
rilasciata 
una 
informazione 
interdittiva 
nei 
confronti 
di 
una 
determinata 
società, non sembrano sussistere, 
per ciò solo, in astratto ostacoli 
giuridici 
all’applicabilità 
dell’art. 32, comma 
10, del d.l. n. 90/2014. 


In concreto occorrerà, ai 
fini 
del 
ricorso alla 
misura 
straordinaria, verificare 
la 
ricorrenza 
di 
tutti 
i 
presupposti 
tassativamente 
previsti 
dalla 
norma, 
che 
dispone 
nel 
senso 
che 
segue: 
“10. 
Le 
disposizioni 
di 
cui 
al 
presente 
articolo 
si 
applicano 
anche 
nei 
casi 
in 
cui 
sia 
stata 
emessa 
dal 
Prefetto 
un’informazione 
antimafia 
interdittiva 
e 
sussista 
l’urgente 
necessità 
di 
assicurare 
completamento 
dell’esecuzione 
del 
contratto ovvero dell’accordo contrattuale, ovvero 
la 
sua 
prosecuzione 
al 
fine 
di 
garantire 
la 
continuità 
di 
funzioni 
e 
servizi 
indifferibili 
per la 
tutela 
di 
diritti 
fondamentali, nonché 
per la 
salvaguardia 
dei 
livelli 
occupazionali 
o dell’integrità 
dei 
bilanci 
pubblici. Ancorchè 
ricorrano 
i 
presupposti 
di 
cui 
all’articolo 94, comma 
3, del 
decreto legislativo 6 settembre 
2011, n. 159….”. 


2. 
È 
stato reso parere 
anche 
in materia 
di 
straordinaria e 
temporanea 
gestione 
ai 
sensi 
dell’art. 32, comma 1 lett. b) e 
comma 10, d.l. n. 90/2014. 
In particolare, la 
Prefettura 
di 
roma 
ha 
chiesto parere 
all’Avvocatura 
in 
merito all’istanza 
di 
restituzione 
degli 
importi 
presenti 
sui 
conti 
correnti 
vincolati, 
avanzata 
da 
una 
società 
con 
riferimento 
ai 
contratti 
oggetto 
della 
misura 
di 
straordinaria 
e 
temporanea 
gestione 
disposta, ai 
sensi 
dell’art. 32, comma 
10, 
del 
D.L. 
n. 
190/2014, 
(e 
successivamente 
prorogata) 
dalla 
Prefettura 
di 
napoli, a 
seguito di 
informazione 
interdittiva 
antimafia 
oggetto di 
impugnativa, 
conclusasi 
con la 
sfavorevole 
sentenza 
del 
Consiglio di 
Stato n. 3030/20 
del 
13 
maggio 
2020, 
che 
ha 
ravvisato 
l’incompetenza 
della 
Prefettura 
di 
napoli 
a favore della Prefettura di roma. 


È 
stato rappresentato che, con successivo decreto, è 
stata 
adottata 
dalla 
Prefettura 
di 
roma 
informazione 
interdittiva 
antimafia 
nei 
confronti 
della 
me



rASSeGnA 
AVVoCAturA 
DeLLo 
StAto -n. 1/2021 


desima 
società 
e, successivamente, è 
stata 
disposta 
la 
straordinaria 
e 
temporanea 
gestione (poi prorogata) con esclusivo riferimento ad un contratto. 


La 
società 
coinvolta 
ha 
avanzato 
alle 
Prefetture 
di 
roma 
e 
di 
napoli 
istanza 
di 
restituzione 
delle 
somme 
presenti 
sui 
conti 
correnti 
vincolati 
ai 
contratti 
non più oggetto di misura straordinaria e temporanea. 


La 
Prefettura 
di 
roma, 
nel 
richiedere 
l’avviso 
dell’organo 
erariale, 
ha 
posto dei 
dubbi, preliminarmente, sulla 
competenza 
della 
stessa 
in ordine 
alla 
eventuale 
restituzione 
delle 
predette 
somme 
e 
sulla 
sussistenza, 
nel 
merito, 
dei 
presupposti 
per 
riscontrare 
positivamente 
la 
richiesta 
avanzata 
dalla 
società, 
considerato 
che 
la 
stessa 
attualmente 
risulta 
interdetta, 
a 
seguito 
del 
provvedimento adottato in sostanziale 
continuità 
rispetto a 
quello della 
Prefettura 
di napoli, annullato per vizio di incompetenza. 


tanto considerato, in ordine 
alle 
questioni 
prospettate, l’Avvocatura 
si 
è 
espressa nel senso che segue. 


Per quanto concerne 
la 
questione 
della competenza, giova 
al 
riguardo 
richiamare 
le 
“Quinte 
Linee 
Guida 
per la 
gestione 
degli 
utili 
derivanti 
dalla 
esecuzione 
dei 
contratti 
d’appalto o di 
concessione 
sottoposti 
alla 
misura 
di 
straordinaria 
gestione 
ai 
sensi 
dell’art. 
32 
del 
decreto 
legge 
90/2014” 
sottoscritte 
dall’AnAC e 
dal 
Ministero dell’Interno in data 
16 ottobre 
2018, che 
al 
punto 
2.2.-Termine 
della 
straordinaria 
gestione 
e 
adempimenti 
conclusivi 
prevedono 
quanto segue: 
“al 
termine 
della misura, gli 
amministratori 
straordinari 
dovranno 
presentare 
alla 
Prefettura 
di 
riferimento 
un 
rendiconto 
analitico 
della loro gestione, evidenziando, per 
ciascuna commessa, i 
relativi 
flussi 
finanziari 
e 
contabili 
nonché 
l’importo accantonato a titolo di 
utile…. Il 
Prefetto, 
preso atto della rendicontazione, adotterà i 
provvedimenti 
conseguenti 
e 
necessari 
alla 
chiusura 
definitiva 
della 
gestione 
commissariale, 
dandone 
comunicazione all’operatore economico…”. 


Considerato che 
i 
contratti 
a 
cui 
si 
riferisce 
la 
richiesta 
restitutoria 
della 
società 
in 
argomento 
hanno 
costituito 
oggetto 
esclusivamente 
della 
misura 
della 
straordinaria 
e 
temporanea 
gestione 
disposta 
dalla 
Prefettura 
di 
napoli 
con appositi 
decreti, anche 
di 
proroga 
della 
durata, si 
è 
ritenuto che 
quest’ultima 
-ferme 
restando le 
valutazioni 
di 
merito -fosse 
competente 
per l’adozione 
dei 
“provvedimenti 
conseguenti 
e 
necessari 
alla 
chiusura 
definitiva 
della 
gestione 
commissariale”, 
con 
riferimento 
ai 
suddetti 
contratti, 
la 
cui 
esecuzione 
risultava 
espletata 
nella 
vigenza 
della 
precedente 
interdittiva 
e 
considerato 
che 
le 
somme 
in 
questione 
“sono 
state 
accantonate 
a 
titolo 
di 
utile 
in 
appositi 
conti 
correnti 
aperti 
per 
la gestione 
separata dei 
contratti 
commissariati 
dalla Prefettura di 
Napoli” 
; 
mentre 
spettava 
alla 
Prefettura 
di 
roma 
la 
competenza 
in relazione 
all’unico contratto oggetto del 
decreto dalla 
stessa 
adottato 
(e 
del 
successivo 
decreto 
di 
proroga), 
ferma 
restando 
l’opportunità 
di 
ogni utile coordinamento e raccordo tra le Prefetture coinvolte. 


Per 
quanto 
concerne 
il 
merito 
della 
richiesta 
di 
restituzione 
delle 
somme 



teMI 
IStItuzIonALI 


accantonate, 
a 
titolo 
di 
utile, 
negli 
appositi 
conti 
correnti 
aperti 
per 
la 
gestione 
separata 
dei 
contratti 
commissariati 
in discussione, si 
sono esposte 
le 
seguenti osservazioni. 


La 
Prefettura 
di 
roma 
ha 
premesso che 
il 
nuovo provvedimento interdittivo 
si 
pone 
in 
sostanziale 
continuità 
rispetto 
a 
quello 
a 
suo 
tempo 
adottato 
dal 
Prefetto 
di 
napoli, 
richiamando 
le 
motivazioni 
della 
succitata 
sentenza 
del 
Consiglio 
di 
Stato 
che, 
nell’acclarare 
l’incompetenza 
territoriale, 
ha 
comunque 
ritenuto “evidenti 
gli 
indizi 
che 
supportavano la misura interdittiva adottata 
a tutela di 
diritti 
aventi 
rango costituzionale, come 
quello della libera iniziativa 
imprenditoriale 
(art. 41 Cost.), nel 
necessario, ovvio bilanciamento con 
l’altrettanto irrinunciabile, vitale 
interesse 
dello Stato a contrastare 
l’insidia 
delle 
mafie”, confermando la 
corretta 
ricostruzione 
delle 
cointeressenze 
criminali 
e della permeabilità della società ad interferenze illecite. 


Sulla 
possibilità 
o 
meno 
di 
provvedere 
all’immediato 
svincolo 
delle 
somme 
accantonate 
a 
titolo 
di 
utile 
con 
riferimento 
ai 
contratti 
già 
conclusi, 
disponendo 
la 
restituzione 
alla 
società 
tuttora 
interdetta, 
si 
è 
richiamata 
l’Adunanza 
Plenaria 
del 
Consiglio 
di 
Stato 
(cfr. 
sentenza 
n. 
3/2018) 
che, 
nel 
valutare 
la 
questione 
sottoposta 
al 
suo 
vaglio, 
ha 
espresso 
la 
definizione 
in 
termini 
di 
“incapacità 
ex 
lege” 
dell’effetto 
derivante 
dalla 
interdittiva 
antimafia 
sulla 
persona 
(fisica 
o 
giuridica) 
da 
essa 
considerata, 
richiamando 
la 
ratio 
della 
disciplina 
delle 
interdittive 
antimafia 
e 
le 
finalità 
di 
tali 
misure, 
come 
enucleate 
dalla 
giurisprudenza 
in 
materia, 
per 
concludere 
nel 
senso 
che 
“il 
provvedimento 
di 
cd. 
“interdittiva 
antimafia” 
determina 
una 
particolare 
forma 
di 
incapacità 
giuridica, 
e 
dunque 
la 
insuscettività 
del 
soggetto 
(persona 
fisica 
o 
giuridica) 
che 
di 
esso 
è 
destinatario 
ad 
essere 
titolare 
di 
quelle 
situazioni 
giuridiche 
soggettive 
(diritti 
soggettivi, 
interessi 
legittimi) 
che 
determinino 
(sul 
proprio 
cd. 
lato 
esterno) 
rapporti 
giuridici 
con 
la 
pubblica 
amministrazione 
(Cons. 
Stato, 
sez. 
IV, 
20 
luglio 
2016 
n. 
3247)”. 


L’Adunanza 
Plenaria 
ha 
statuito, 
nello 
specifico, 
che 
la 
formulazione 
della 
norma 
di 
cui 
all’art. 67, comma 
1, lett. g) (del 
seguente 
tenore: 
“Le 
persone 
alle 
quali 
sia stata applicata con provvedimento definitivo una delle 
misure 
di 
prevenzione 
previste 
dal 
libro 
I, 
titolo 
I, 
capo 
II 
non 
possono 
ottenere:… 
g) contributi, finanziamenti 
o mutui 
agevolati 
ed altre 
erogazioni 
dello 
stesso 
tipo, 
comunque 
denominate, 
concessi 
o 
erogati 
da 
parte 
dello 
Stato, di 
altri 
enti 
pubblici 
o delle 
Comunità europee, per 
lo svolgimento di 
attività 
imprenditoriali”) 
debba 
interpretarsi 
nel 
senso 
dell’impossibilità 
di 
percepire 
anche 
somme 
dovute 
a 
titolo 
di 
risarcimento 
del 
danno, 
richiamando 
la 
precedente 
Adunanza 
Plenaria 
n. 9/2012 e 
sottolineando che, se 
è 
pur vero 
che 
“si 
riferisce 
specificatamente 
ad erogazioni 
di 
matrice 
“indennitaria” 
e 
non “risarcitoria”… 
è 
altrettanto vero che 
si 
è 
ivi 
affermato (e 
si 
intende 
ribadire 
nella 
presente 
sede) 
come 
la 
finalità 
del 
legislatore 
è, 
in 
generale, 
quella di 
evitare 
ogni 
“esborso di 
matrice 
pubblicistica” 
in favore 
di 
imprese 



rASSeGnA 
AVVoCAturA 
DeLLo 
StAto -n. 1/2021 


soggette 
ad 
infiltrazioni 
criminali. 
In 
sostanza 
-ed 
è 
questa 
la 
ratio 
della 
norma 
-il 
legislatore 
intende 
impedire 
ogni 
attribuzione 
patrimoniale 
da 
parte 
della Pubblica amministrazione 
in favore 
di 
tali 
soggetti, di 
modo che 
l’art. 
67, comma 1, lett. g) del 
Codice 
delle 
leggi 
antimafia non può che 
essere 
interpretato 
se 
non 
nel 
senso 
di 
riferirsi 
a 
qualunque 
tipo 
di 
esborso 
proveniente 
dalla P.a…. Gli 
istituti 
espressamente 
contemplati 
dal 
legislatore 
(contributi, 
finanziamenti, 
mutui 
agevolati) 
rientrano 
tutti 
nella 
più 
ampia 
categoria 
delle 
obbligazioni 
pecuniarie 
pubbliche, 
di 
modo 
che 
lo 
“stesso 
tipo” 
entro 
il 
quale 
rientrano 
le 
“altre 
erogazioni” 
interdette, 
ben 
può 
essere 
inteso 
come 
il 
genus 
delle 
obbligazioni 
pecuniarie 
poste 
a carico della Pubblica amministrazione, 
quale che ne sia la fonte e la causa”. 


Dall’inquadramento 
dell’effetto 
prodotto 
dall’interdittiva 
antimafia 
in 
termini 
di 
“incapacità” 
discende 
l’impossibilità 
di 
effettuare 
qualsivoglia 
erogazione 
nei 
confronti 
della 
società 
attualmente 
interdetta, essendo irrilevante 
ai 
fini 
della 
richiesta 
restitutoria, 
anche 
ammesso 
che 
ne 
ricorrano 
i 
presupposti 
oggettivi 
-che 
il 
precedente 
provvedimento interdittivo sia 
stato travolto (peraltro 
solo 
per 
profili 
di 
incompetenza) 
dalla 
pronuncia 
del 
Consiglio 
di 
Stato, 
e 
ciò 
perché, 
come 
statuito 
dal 
Supremo 
Consesso, 
l’interdittiva 
antimafia 
non 
incide 
sull’obbligazione 
dell’Amministrazione, 
bensì 
sulla 
“idoneità” 
dell’imprenditore 
ed essere 
titolare 
(ovvero a 
persistere 
nella 
titolarità) dei 
diritto di 
credito. L’inidoneità 
ad essere 
(temporaneamente) titolare 
del 
diritto non può 
che 
comportare 
anche 
l’impossibilità 
di 
farlo 
valere 
nei 
confronti 
del 
debitore, 
in particolare postulando la tutela del credito in sede giurisdizionale. 


Alla 
luce 
dell’attuale 
orientamento giurisprudenziale 
e 
della 
ratio 
della 
normativa 
in 
questione 
va 
anche 
interpretato 
il 
disposto 
dell’art. 
94 
del 
Codice 
delle 
Leggi 
antimafia 
che 
prescrive 
che 
“1. Quando emerge 
la sussistenza di 
cause 
di 
decadenza, di 
sospensione 
o di 
divieto di 
cui 
all’art. 67 o di 
un tentativo 
di 
infiltrazione 
mafiosa, di 
cui 
all’articolo 84, comma 4 ed all’articolo 
91, comma 6, nelle 
società o imprese 
interessate, i 
soggetti 
di 
cui 
all’articolo 
83, commi 
1 e 
2 cui 
sono fornite 
le 
informazioni 
antimafia, non possono stipulare 
o autorizzare 
i 
contratti 
o subcontratti, né 
autorizzare, rilasciare 
o comunque 
consentire le concessioni e le erogazioni. 


2. 
Qualora 
il 
prefetto 
non 
rilasci 
l’informazione 
interdittiva 
entro 
i 
termini 
previsti, ovvero nel 
caso di 
lavori 
o forniture 
di 
somma urgenza di 
cui 
all’articolo 
92, 
comma 
3 
qualora 
la 
sussistenza 
di 
una 
causa 
di 
divieto 
indicata 
nell’articolo 
67 
o 
gli 
elementi 
relativi 
a 
tentativi 
di 
infiltrazione 
mafiosa 
di 
cui 
all’articolo 
84, 
comma 
4, 
ed 
all’articolo 
91, 
comma 
6, 
siano 
accertati 
successivamente 
alla 
stipula 
del 
contratto, 
i 
soggetti 
di 
cui 
all’articolo 
83, 
commi 
1 e 
2, salvo quanto previsto al 
comma 3, revocano le 
autorizzazioni 
e 
le 
concessioni 
o 
recedono 
dal 
contratto 
fatto 
salvo 
il 
pagamento 
del 
valore 
delle 
opere 
già eseguite 
e 
il 
rimborso delle 
spese 
sostenute 
per 
l’esecuzione 
del 
rimanente, 
nei limiti delle utilità conseguite”. 

teMI 
IStItuzIonALI 


Infine, 
si 
è 
richiamata 
la 
recente 
sentenza 
n. 
23/2020 
dell’Adunanza 
Plenaria del 
consiglio di 
Stato 
che, nel 
delimitare 
la 
portata 
del 
comma 
2 
dell’art. 
94 
(nel 
senso 
che 
la 
clausola 
di 
salvezza 
del 
pagamento 
del 
valore 
delle 
opere 
eseguite 
e 
il 
rimborso delle 
spese 
per l’esecuzione 
del 
rimanente 
si 
applica 
solo con riferimento ai 
contratti 
di 
appalto di 
lavori, servizi 
e 
forniture), 
ha 
ribadito 
i 
principi 
espressi 
dalla 
precedente 
n. 
3/2018, 
nel 
senso 
della 
incapacità 
giuridica 
derivante 
dall’informazione 
interdittiva, 
che 
“non 
può 
essere 
nemmeno esclusa nel 
caso di 
rapporti 
intrattenuti 
con la pubblica amministrazione 
che 
avrebbero dovuto essere 
esauriti 
da tempo e 
che 
non lo sono 
stati 
per 
ragioni 
imputabili 
alla 
stessa 
amministrazione…. 
(al 
fine) 
di 
non 
pregiudicare 
l’interesse 
pubblico 
e 
valori 
costituzionalmente 
tutelati 
e 
riconosciuti 
procedendo 
o 
continuando 
ad 
attribuire 
o 
consentendo 
di 
ritenere 
benefici 
economici 
ad un soggetto che 
si 
è 
accertato essere 
suscettibile 
di 
infiltrazioni 
mafiose”. 


Pertanto, si 
è 
concluso nel 
senso che 
la 
richiesta 
della 
società 
di 
restituzione 
delle 
somme 
accantonate 
non possa 
trovare 
accoglimento, anche 
considerato 
che 
la 
disciplina 
di 
cui 
all’art. 32, commi 
7 e 
10 del 
D.L. n. 90/2014 ed 
alle 
Quinte 
Linee 
Guida 
(in particolare, cfr. punto 2.2 pag. 16) implica 
che, a 
seguito dell’annullamento in sede 
giurisdizionale 
del 
provvedimento interdittivo 
-presupposto dalla 
misura 
straordinaria 
e 
temporanea 
-, il 
soggetto interessato 
sia 
tornato “in bonis”, diversamente 
dal 
caso di 
specie 
in cui 
la 
società 
è 
stata 
attinta 
da 
un ulteriore 
provvedimento interdittivo adottato dalla 
Prefettura 
ritenuta competente dal Consiglio di Stato. 

Il 
parere 
dell’Avvocatura 
ha 
trovato 
conferma 
anche 
in 
sede 
giudiziale. 
Il 
TAr 
lazio, 
con 
ordinanza 
n. 
448/21 
del 
25 
gennaio 
2021 
ha 
infatti 
statuito 
nel 
senso 
che 
segue: 
“Rilevato 
che 
le 
somme 
di 
cui 
si 
tratta 
e 
di 
cui 
si 
chiede 
la 
restituzione 
sono 
maturate 
sotto 
la 
vigenza 
della 
misura 
straordinaria 
disposta 
dalla 
Prefettura 
di 
Napoli, 
a 
nulla 
rileva 
l’incompetenza 
della 
suddetta 
Prefettura 
per 
l’adozione 
della 
informativa 
a 
seguito 
del 
trasferimento 
della 
sede 
legale 
della 
società 
ricorrente, 
come 
statuito 
nella 
sentenza 
del 
Consiglio 
di 
Stato, 
Sezione 
Terza, 
n. 
3030/2020; 
che 
la 
suddetta 
sentenza 
si 
limita 
ad 
auspicare 
la 
trasmissione 
degli 
elementi 
istruttori 
raccolti 
dalla 
Prefettura 
di 
Napoli 
alla 
Prefettura 
di 
Roma, 
nulla 
statuendo 
in 
ordine 
alla 
gestione 
delle 
somme 
trattenute 
in 
forza 
della 
misura 
di 
straordinaria 
gestione 
disposta 
dal 
Prefetto 
di 
Napoli 
ai 
sensi 
del-
l’art. 
32 
d.l. 
90/2014; 
che 
la 
normativa 
invocata 
dal 
ricorrente 
non 
appare, 
ad 
una 
sommaria 
delibazione, 
propria 
di 
questa 
fase 
del 
giudizio, 
applicarsi 
al 
caso 
di 
specie, 
nel 
quale 
l’annullamento 
giurisdizionale 
della 
informativa 
è 
limitata 
al 
profilo 
della 
competenza 
del 
Prefetto 
di 
Napoli, 
restando 
fermo 
“e 
doveroso 
-il 
potere 
della 
Prefettura 
di 
Roma, 
di 
verificare 
l’esistenza 
dei 
presupposti 
per 
adottare 
la 
nuova 
interdittiva 
antimafia 
alla 
luce 
degli 
elementi 
raccolti 
dalla 
Prefettura 
di 
Napoli” 
(così 
CdS 
III 



rASSeGnA 
AVVoCAturA 
DeLLo 
StAto -n. 1/2021 


3030/2020); 
che 
non 
risultano 
impugnati 
e/o 
revocati 
i 
provvedimenti 
con 
cui 
il 
Prefetto 
di 
Napoli 
ha 
disposto 
la 
misura 
di 
cui 
all’art. 
32, 
comma 
10, 


d.l. 
90/2014 
e 
le 
successive 
proroghe; 
che 
con 
l’informativa 
del 
22 
maggio 
2020 
il 
Prefetto 
di 
Roma 
informa 
che 
procederà 
alla 
verifica 
dei 
presupposti 
per 
l’adozione 
delle 
misure 
straordinarie 
senza 
fare 
riferimento 
alcuno 
dalle 
misure 
già 
adottate 
in 
tal 
senso 
dalla 
Prefettura 
di 
Napoli; 
che 
ai 
sensi 
del 
punto 
2.2 
delle 
“Quinte 
Linee 
Guida 
per 
la 
gestione 
degli 
utili 
derivanti 
dalla 
esecuzione 
dei 
contratti 
d’appalto 
o 
di 
concessione 
sottoposti 
alla 
misura 
di 
straordinaria 
gestione 
ai 
sensi 
dell’art. 
32 
del 
decreto 
legge 
90/2014”, 
sottoscritte 
dall’aNaC 
e 
dal 
ministero 
dell’interno, 
è 
il 
Prefetto 
di 
riferimento 
degli 
amministratori 
straordinari 
ovvero, 
nella 
specie, 
il 
Prefetto 
di 
Napoli, 
che 
acquisisce 
la 
rendicontazione 
predisposta 
da 
questi 
ultimi 
e 
adotta 
i 
provvedimenti 
conseguenti; 
che, 
per 
quanto 
osservato, 
anche 
l’istanza 
istruttoria 
va 
respinta 
in 
quanto 
appare 
irrilevante 
ai 
fini 
della 
trattazione 
dell’odierno 
ricorso, 
non 
essendo 
la 
Prefettura 
di 
Roma, 
allo 
stato 
degli 
atti, 
competente 
per 
le 
richieste 
restituzioni 
ai 
sensi 
della 
normativa 
sopra 
richiamata”. 
3. È 
stato, inoltre, chiesto un parere 
in ordine 
all’Autorità 
giudiziaria 
da 
adire 
per eventuali 
diseconomie 
dei 
risultati 
della 
gestione 
tali 
da 
ingenerare 
la 
responsabilità 
degli 
amministratori 
straordinari 
nominati 
dal 
Prefetto 
ai 
sensi 
dell’art. 
32, 
decreto 
legge 
n. 
90/2014, 
su 
cui 
l’Avvocatura 
si 
è 
espressa 
nel 
senso che segue. 
Come 
osservato 
anche 
dall’AnAC, 
l’interdittiva 
antimafia, 
seguita 
dalla 
misura 
straordinaria 
del 
commissariamento 
dei 
contratti 
di 
appalto 
e 
di 
concessione, 
determina 
una 
incapacità 
giuridica 
ad 
contractum 
dell’impresa 
interdetta 
e 
pone 
in 
capo 
agli 
amministratori 
di 
nomina 
prefettizia 
un 
munus 
per 
pubblica 
utilità, 
nella 
specie 
costituita 
dalla 
finalità 
di 
assicurare 
la 
prosecuzione 
dei 
contratti 
di 
appalto 
e 
la 
piena 
esecuzione 
di 
prestazioni 
di 
interesse 
pubblico. 


L’esecuzione 
del 
contratto 
è 
assicurata 
attraverso 
un 
regime 
di 
legalità 
controllata, volto a 
scongiurare 
che 
l’impresa 
interdetta 
percepisca 
un utile 
in 
danno 
della 
pubblica 
amministrazione 
e 
che 
si 
concretizzi 
il 
rischio 
di 
indebito 
arricchimento per la 
criminalità 
organizzata 
per effetto della 
infiltrazione 
mafiosa 
(cfr. Cons. Stato, sez. III, 27 novembre 
2017, n. 5565; 
Cons. Stato, sez. 
III, 28 aprile 2016, n. 1630; Cons. Stato, sez. III, 24 luglio 2015, n. 3653). 


Il 
commissariamento 
riguarda 
solo 
il 
contratto 
di 
appalto 
o 
la 
concessione, 
non anche 
la 
governance 
dell’impresa 
(Consiglio di 
Stato, Commissione 
speciale, 
parere 
n. 
706/2018). 
Gli 
ordinari 
organi 
amministrativi 
e 
gestori 
del-
l’impresa 
non 
vengono 
autoritativamente 
esautorati 
dalla 
residua 
attività 
della 
stessa, 
ma 
affiancati 
da 
una 
“gestione 
separata 
di 
quella 
parte 
dell’azienda 
che 
dovrà eseguire 
l’appalto pubblico” 
(Seconde 
linee 
guida 
AnAC -Ministero 
dell’Interno, 27 gennaio 2015). 



teMI 
IStItuzIonALI 


Quanto 
alla 
destinazione 
dell’utile 
d’impresa, 
l’art. 
32, 
comma 
7, 
decreto 
legge 
n. 90/2014 si 
limita 
a 
disporre 
quanto segue: 
“Nel 
periodo di 
applicazione 
della misura di 
straordinaria e 
temporanea gestione 
di 
cui 
al 
comma 2, 
i 
pagamenti 
sono corrisposti 
al 
netto del 
compenso riconosciuto agli 
amministratori 
di 
cui 
al 
comma 
2 
e 
l'utile 
d'impresa 
derivante 
dalla 
conclusione 
dei 
contratti 
d'appalto 
di 
cui 
al 
comma 
1, 
determinato 
anche 
in 
via 
presuntiva 
dagli 
amministratori, 
è 
accantonato 
in 
apposito 
fondo 
e 
non 
può 
essere 
distribuito 
né 
essere 
soggetto a pignoramento, sino all'esito dei 
giudizi 
in sede 
penale 
ovvero, 
nei 
casi 
di 
cui 
al 
comma 
10, 
dei 
giudizi 
di 
impugnazione 
o 
cautelari 
riguardanti l'informazione antimafia interdittiva”. 


Il 
legislatore 
non precisa 
come 
debba 
essere 
distribuito l’utile 
di 
impresa 
accantonato nell’apposito fondo, una 
volta 
definiti 
gli 
eventuali 
giudizi 
impugnatori 
riguardanti l’informazione antimafia interdittiva. 

nella 
circolare 
23 
novembre 
2018 
del 
Ministero 
dell’Interno 
(“Quinte 
linee 
guida 
per 
la 
gestione 
degli 
utili 
derivanti 
dalla 
esecuzione 
dei 
contratti 
d'appalto 
o 
di 
concessione 
sottoposti 
alla 
misura 
di 
straordinaria 
gestione 
ai 
sensi 
dell'art. 
32 
del 
decreto 
legge 
n. 
90/2014”) 
si 
affronta 
il 
tema 
della 
destinazione 
del 
pagamento 
del 
compenso 
previsto 
dal 
contratto 
di 
appalto 
o 
dalla 
concessione. 


Partendo 
dalla 
ratio 
sottesa 
alla 
previsione 
legislativa 
di 
detta 
misura 
straordinaria, 
con 
effetto 
autoritativo 
sul 
rapporto 
contrattuale, 
la 
circolare 
rileva 
che 
la 
stessa 
misura 
straordinaria 
si 
traduce 
nel 
“dovere 
di 
completamento 
delle 
prestazioni 
negoziali 
in 
capo 
all'impresa 
gestita 
dagli 
amministratori 
straordinari 
di 
nomina 
prefettizia” 
e 
nel 
diritto 
dell’impresa 
a 
percepire 
esclusivamente 
il 
“rimborso 
dei 
costi 
e 
delle 
spese 
sostenute 
per 
l'attività 
prestata, 
con 
conseguente 
sottrazione 
definitiva 
del 
profitto 
d'impresa, 
strumentalmente 
accantonato”. 


Il 
meccanismo così 
costituito comporta, in definitiva, un’alternativa 
all’effetto 
risolutivo automatico del 
contratto (normalmente 
derivante 
dalla 
misura 
interdittiva 
antimafia) e 
la 
configurazione 
di 
una 
prestazione 
“imposta” 
di 
pubblica 
utilità 
(ex 
art. 
23, 
Cost.) 
prevista 
dal 
legislatore 
nell’interesse 
della 
stazione 
appaltante 
e 
non dell’impresa 
appaltatrice, rispetto alla 
quale 
si 
impone, 
in una 
logica 
puramente 
compensativa 
e 
non retributiva, il 
(solo) rimborso 
delle 
spese 
sostenute 
e 
dei 
costi 
sopportati 
(v. 
Consiglio 
di 
Stato, 
Commissione speciale, parere n. 706/2018). 

In caso di 
consolidamento del 
provvedimento antimafia 
interdittivo, gli 
utili 
accantonati 
nell’apposito fondo andranno devoluti 
alla 
Amministrazione 
appaltante 
o, qualora 
vi 
sia 
un finanziamento esterno da 
parte 
di 
un soggetto 
diverso, a quest’ultimo. 


Il 
commissariamento del 
contratto di 
appalto o della 
concessione 
determina, 
quindi, un risparmio di 
spesa 
(nella 
misura 
dell’utile 
d’impresa) per il 
soggetto beneficiario (stazione appaltante/soggetto finanziatore). 



rASSeGnA 
AVVoCAturA 
DeLLo 
StAto -n. 1/2021 


rispetto 
a 
questo 
utile, 
eventuali 
diseconomie 
derivanti 
da 
comportamenti 
degli 
amministratori 
straordinari 
possono 
determinare 
un 
danno 
erariale, 
come 
tale 
rimesso alla 
competenza 
della 
Corte 
dei 
Conti. una 
cattiva 
gestione 
del 
contratto 
può 
comportare 
infatti 
maggiori 
costi 
e 
spese 
per 
la 
realizzazione 
della 
prestazione, 
da 
cui 
consegue 
un 
minor 
utile 
da 
accantonare 
nel 
fondo 
appositamente 
costituito e, poi, da destinare al soggetto beneficiario. 


L’azione 
di 
responsabilità 
nei 
confronti 
degli 
amministratori 
straordinari 
(ove 
si 
configuri 
dolo 
o 
colpa 
grave, 
come 
previsto 
dall’art. 
32, 
comma 
4, 
cit.) 
dinanzi 
alla 
Corte 
dei 
Conti 
pare 
esercitabile 
solo dal 
momento in cui 
il 
provvedimento 
interdittivo 
si 
sia 
consolidato 
definitivamente. 
ove 
il 
giudizio 
di 
impugnazione 
della 
misura 
interdittiva 
sia 
ancora 
pendente, non è 
infatti 
ancora 
configurabile 
con 
certezza 
la 
destinazione 
dell’utile 
accantonato, 
e 
quindi 
la 
natura 
erariale 
del 
danno cagionato dall’operato degli 
amministratori 
straordinari. 


8. Dati relativi ai contenziosi in materia di antimafia 2016-2020. 
Si 
allegano di 
seguito i 
dati 
relativi 
ai 
contenziosi 
antimafia, distinti 
per 
sedi dell’Avvocatura e riguardanti l’arco temporale 2016-2020. 



temiistituzionali 



Contenziosi 
Antimafia 
Anno 2016 
CERTIFICAZIONE ANTIMAFIA 
Distrettuale 
Nr. Affari 
Roma 
100 
Ancona 
0 
Bari 
6 
Bologna 
11 
Brescia 
0 
Cagliari 
0 
Caltanissetta 
0 
Catania 
2 
Catanzaro 
45 
Firenze 
5 
Genova 
7 
L’Aquila 
3 
Lecce 
1 
Messina 
0 
Milano 
15 
Napoli 
60 
Palermo 
68 
Perugia 
2 
Potenza 
0 
Torino 
4 
Trento 
0 
Trieste 
2 
Venezia 
1 
Salerno 
2 
Campobasso 
1 
Reggio Calabria 
54 
Totale 
389 



rassegnaavvocaturadellostato-
n.
1/
2021 


Contenziosi 
Antimafia 
Anno 2017 
CERTIFICAZIONE ANTIMAFIA 
Distrettuale 
Nr. Affari 
Roma 
75 
Ancona 
5 
Bari 
12 
Bologna 
21 
Brescia 
1 
Cagliari 
0 
Caltanissetta 
0 
Catania 
31 
Catanzaro 
72 
Firenze 
4 
Genova 
2 
L’Aquila 
2 
Lecce 
8 
Messina 
1 
Milano 
21 
Napoli 
82 
Palermo 
89 
Perugia 
1 
Potenza 
4 
Torino 
9 
Trento 
0 
Trieste 
0 
Venezia 
9 
Salerno 
1 
Campobasso 
2 
Reggio Calabria 
72 
Totale 
524 



temiistituzionali 



Contenziosi 
Antimafia 
Anno 2018 
CERTIFICAZIONE ANTIMAFIA 
Distrettuale 
Nr. Affari 
Roma 
143 
Ancona 
3 
Bari 
18 
Bologna 
25 
Brescia 
8 
Cagliari 
1 
Caltanissetta 
1 
Catania 
14 
Catanzaro 
73 
Firenze 
4 
Genova 
3 
L’Aquila 
0 
Lecce 
2 
Messina 
0 
Milano 
21 
Napoli 
85 
Palermo 
72 
Perugia 
0 
Potenza 
4 
Torino 
7 
Trento 
0 
Trieste 
2 
Venezia 
3 
Salerno 
10 
Campobasso 
1 
Reggio Calabria 
52 
Totale 
552 



rassegnaavvocaturadellostato-
n.
1/
2021 


Contenziosi 
Antimafia 
Anno 2019 
CERTIFICAZIONE ANTIMAFIA 
Distrettuale 
Nr. Affari 
Roma 
221 
Ancona 
0 
Bari 
19 
Bologna 
17 
Brescia 
6 
Cagliari 
0 
Caltanissetta 
0 
Catania 
38 
Catanzaro 
52 
Firenze 
5 
Genova 
8 
L’Aquila 
2 
Lecce 
9 
Messina 
0 
Milano 
25 
Napoli 
60 
Palermo 
96 
Perugia 
2 
Potenza 
15 
Torino 
10 
Trento 
0 
Trieste 
0 
Venezia 
2 
Salerno 
0 
Campobasso 
3 
Reggio Calabria 
63 
Totale 
653 



temiistituzionali 



Contenziosi 
Antimafia 
Anno 2020 
CERTIFICAZIONE ANTIMAFIA 
Distrettuale 
Nr. Affari 
Roma 
365 
Ancona 
0 
Bari 
34 
Bologna 
29 
Brescia 
7 
Cagliari 
1 
Caltanissetta 
0 
Catania 
39 
Catanzaro 
68 
Firenze 
9 
Genova 
2 
L’Aquila 
4 
Lecce 
23 
Messina 
1 
Milano 
35 
Napoli 
101 
Palermo 
53 
Perugia 
7 
Potenza 
16 
Torino 
18 
Trento 
0 
Trieste 
2 
Venezia 
4 
Salerno 
8 
Campobasso 
2 
Reggio Calabria 
78 
Totale 
906 



rassegnaavvocaturadellostato-
n.
1/
2021 


Contenziosi 
Antimafia 
Anno 2016 
SCIOGLIMENTO DEI CONSIGLI COMUNALI 
PER INFILTRAZIONI MAFIOSE 
Distrettuale 
Nr. Affari 
Roma 
4 
Ancona 
0 
Bari 
0 
Bologna 
0 
Brescia 
0 
Cagliari 
0 
Caltanissetta 
0 
Catania 
0 
Catanzaro 
1 
Firenze 
0 
Genova 
0 
L’Aquila 
0 
Lecce 
0 
Messina 
0 
Milano 
0 
Napoli 
0 
Palermo 
0 
Perugia 
0 
Potenza 
0 
Torino 
0 
Trento 
0 
Trieste 
0 
Venezia 
1 
Salerno 
0 
Campobasso 
0 
Reggio Calabria 
0 
Totale 
6 



temiistituzionali 



Contenziosi 
Antimafia 
Anno 2017 
SCIOGLIMENTO DEI CONSIGLI COMUNALI 
PER INFILTRAZIONI MAFIOSE 
Distrettuale 
Nr. Affari 
Roma 
13 
Ancona 
0 
Bari 
0 
Bologna 
0 
Brescia 
0 
Cagliari 
0 
Caltanissetta 
0 
Catania 
0 
Catanzaro 
1 
Firenze 
0 
Genova 
1 
L’Aquila 
0 
Lecce 
2 
Messina 
0 
Milano 
0 
Napoli 
0 
Palermo 
2 
Perugia 
0 
Potenza 
0 
Torino 
0 
Trento 
0 
Trieste 
0 
Venezia 
0 
Salerno 
0 
Campobasso 
0 
Reggio Calabria 
0 
Totale 
19 



rassegnaavvocaturadellostato-
n.
1/
2021 


Contenziosi 
Antimafia 
Anno 2018 
SCIOGLIMENTO DEI CONSIGLI COMUNALI 
PER INFILTRAZIONI MAFIOSE 
Distrettuale 
Nr. Affari 
Roma 
17 
Ancona 
0 
Bari 
0 
Bologna 
0 
Brescia 
0 
Cagliari 
0 
Caltanissetta 
1 
Catania 
0 
Catanzaro 
1 
Firenze 
0 
Genova 
0 
L’Aquila 
0 
Lecce 
1 
Messina 
0 
Milano 
0 
Napoli 
0 
Palermo 
1 
Perugia 
0 
Potenza 
0 
Torino 
0 
Trento 
0 
Trieste 
0 
Venezia 
0 
Salerno 
0 
Campobasso 
0 
Reggio Calabria 
2 
Totale 
23 



temiistituzionali 



Contenziosi 
Antimafia 
Anno 2019 
SCIOGLIMENTO DEI CONSIGLI COMUNALI 
PER INFILTRAZIONI MAFIOSE 
Distrettuale 
Nr. Affari 
Roma 
9 
Ancona 
0 
Bari 
3 
Bologna 
0 
Brescia 
0 
Cagliari 
0 
Caltanissetta 
1 
Catania 
0 
Catanzaro 
1 
Firenze 
0 
Genova 
0 
L’Aquila 
0 
Lecce 
0 
Messina 
0 
Milano 
0 
Napoli 
1 
Palermo 
2 
Perugia 
0 
Potenza 
0 
Torino 
0 
Trento 
0 
Trieste 
0 
Venezia 
0 
Salerno 
0 
Campobasso 
0 
Reggio Calabria 
0 
Totale 
17 



rassegnaavvocaturadellostato-
n.
1/
2021 


Contenziosi 
Antimafia 
Anno 2020 
SCIOGLIMENTO DEI CONSIGLI COMUNALI 
PER INFILTRAZIONI MAFIOSE 
Distrettuale 
Nr. Affari 
Roma 
14 
Ancona 
0 
Bari 
0 
Bologna 
1 
Brescia 
0 
Cagliari 
0 
Caltanissetta 
0 
Catania 
0 
Catanzaro 
3 
Firenze 
0 
Genova 
0 
L’Aquila 
0 
Lecce 
0 
Messina 
0 
Milano 
0 
Napoli 
2 
Palermo 
1 
Perugia 
0 
Potenza 
0 
Torino 
0 
Trento 
0 
Trieste 
0 
Venezia 
0 
Salerno 
0 
Campobasso 
0 
Reggio Calabria 
0 
Totale 
21 



TEMI 
ISTITUZIONALI 


Avvocatura 
Generaledello 
Stato 


CirColare 
n. 34/2021 


oggetto: D.P.C.M. 26 marzo 2021 recante 
"autorizzazione 
all'avvocatura 
dello 
Stato 
ad 
assumere 
la 
rappresentanza 
e 
la 
difesa 
dell'erSU 
di 
Sassari 
nei 
giudizi 
attivi 
e 
passivi 
avanti 
le 
autorità 
giudiziarie, 
i 
collegi 
arbitrali, 
le giurisdizioni amministrative e speciali".. 


Si 
comunica 
che 
con D:P.C.M. del 
26 marzo u.s., in fase 
di 
pubblicazione 
in Gazzetta 
Ufficiale, 
l'Avvocatura 
dello 
Stato 
è 
stata 
autorizzata 
ad 
assumere 
la 
rappresentanza 
e 
la 
difesa 
dell'ERSU 
di 
Sassari 
nei 
giudizi 
attivi 
e 
passivi 
avanti 
le 
autorità 
giudiziarie, 
i 
collegi 
arbitrali, 
le giurisdizioni amministrative e speciali. 


L'AVVOCATO GENERALE 
Avv. Gabriella Palmieri Sandulli 



ContenziosoComUnitarioedinternazionaLe
La decisione della Corte di giustizia Ue: 
la normativa sull’assunzione e sulla proroga 
dei ricercatori universitari è conforme alla clausola 5 
dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato 


Corte 
di 
giustizia 
dell’unione 
europea, sezione 
settima, 
sentenza 
3 giugno 
2021, Causa 
C-326/19 


La 
Corte 
di 
Giustizia 
si 
è 
pronunciata 
sulla 
questione 
pregiudiziale 
concernente 
la 
clausola 
5 
dell’accordo 
quadro 
sul 
lavoro 
a 
tempo 
determinato, 
concluso il 
18 marzo 1999 (in prosieguo: 
l’«accordo quadro»), che 
figura 
in 
allegato alla 
direttiva 
1999/70/CE 
del 
Consiglio, del 
28 giugno 1999, relativa 
all’accordo quadro CES, UNICE 
e 
CEEP 
sul 
lavoro a 
tempo determinato, in 
relazione 
alla 
normativa 
sull’assunzione 
e 
sulla 
proroga 
dei 
ricercatori 
universitari 
di cui all’art. 24, lett. a), della legge del 30 dicembre 2010, n. 240. 


Trattasi 
di 
un contenzioso divenuto seriale 
e 
anche 
di 
un certo impatto, 
per la 
rilevanza 
della 
materia, per la 
recente 
sentenza 
n. 165/2020 della 
Corte 
costituzionale 
e 
per la 
contestuale 
pendenza 
di 
ulteriori 
due 
questioni 
pregiudiziali 
riunite (C-40/20 e C-173/20). 


La sentenza è totalmente favorevole. La Corte afferma che 


“la 
clausola 
5 
dell’accordo 
quadro 
sul 
lavoro 
a 
tempo 
determinato, 
concluso 
il 
18 
marzo 
1999, 
che 
figura 
in 
allegato 
alla 
direttiva 
1999/70/Ce 
del 
Consiglio, 
del 
28 
giugno 
1999, 
relativa 
all’accordo 
quadro 
Ces, 
uniCe 
e 
Ceep 
sul 
lavoro 
a 
tempo 
determinato, 
deve 
essere 
interpretata 
nel 
senso 
che 
essa 
non 
osta 
a 
una 
normativa 
nazionale 
in 
forza 
della 
quale 
è 
prevista, 
per 
quanto 
riguarda 
l’assunzione 
dei 
ricercatori 
universitari, 
la 
stipulazione 
di 
un 
contratto 
a 
tempo 
determinato 
per 
un 
periodo 
di 
tre 
anni, 
con 
una 
sola 
possibilità 
di 
proroga 
per 
un 
periodo 
massimo 
di 
due 
anni, 
subordinando, 
da 
un 
lato, 
la 
stipulazione 
di 
tali 
contratti 
alla 
condizione 
che 
siano 
disponibili 
risorse 
«per 
la 
programmazione, 
al 
fine 
di 
svolgere 



RASSEGNA 
AvvoCATURA 
DELLo 
STATo -N. 1/2021 


attività 
di 
ricerca, 
di 
didattica, 
di 
didattica 
integrativa 
e 
di 
servizio 
agli 
studenti», 
e, 
dall’altro, 
la 
proroga 
di 
tali 
contratti 
alla 
«positiva 
valutazione 
delle 
attività 
didattiche 
e 
di 
ricerca 
svolte», 
senza 
che 
sia 
necessario 
che 
tale 
normativa 
stabilisca 
i 
criteri 
oggettivi 
e 
trasparenti 
che 
consentano 
di 
verificare 
se 
la 
stipulazione 
e 
il 
rinnovo 
di 
tali 
contratti 
rispondano 
effettivamente 
a 
un’esigenza 
reale, 
se 
essi 
siano 
idonei 
a 
conseguire 
l’obiettivo 
perseguito 
e 
siano 
necessari 
a 
tal 
fine”. 


Sembrano interessanti anche questi due passaggi della motivazione: 


1. 
la 
clausola 
5 
si 
applica 
solo 
in 
caso 
di 
successione 
di 
contratti 
o 
rapporti 
di 
lavoro 
a 
tempo 
determinato 
di 
modo 
che 
un 
contratto 
che 
è 
il 
primo 
o 
l’unico contratto di 
lavoro a 
tempo determinato non rientra 
nell’ambito di 
applicazione 
della clausola 5, punto 1, dell’accordo quadro (punto 53); 
2. 
essa 
si 
applica 
in 
caso 
di 
rinnovo. 
Tuttavia 
l’articolo 
24, 
comma 
3, 
della 
legge 
n. 
240/2010 
contiene 
due 
delle 
misure 
indicate 
alla 
clausola 
5, 
punto 1, dell’accordo quadro, ossia 
limiti 
riguardanti 
la 
durata 
massima 
totale 
dei contratti a tempo determinato e il numero di possibili rinnovi (punto 60). 
La 
Corte 
ha 
così 
colto il 
nucleo essenziale 
delle 
difese 
svolte 
nell’interesse 
del Governo italiano. 


Carla Colelli e Lucrezia Fiandaca* 


Corte 
di 
giustizia 
dell’Unione 
europea, 
settima 
sezione, 
sentenza 
del 
3 
giugno 
2021, 
causa C-326/19 -pres. sez., rel. A. Kumin -Domanda 
di 
pronuncia 
pregiudiziale 
proposta 
dal 
Tribunale 
Amministrativo Regionale 
per il 
Lazio (Italia), EB / 
Presidenza 
del 
Consiglio 
dei 
Ministri, 
Ministero 
dell’Istruzione, 
dell’Università 
e 
della 
Ricerca 
-MIUR, 
Università 
degli Studi Roma 
Tre. 


«Rinvio 
pregiudiziale 
-Politica 
sociale 
-Direttiva 
1999/70/CE 
-Accordo 
quadro 
CES, 
UNICE 
e 
CEEP 
sul 
lavoro a 
tempo determinato -Clausola 
5 -Successione 
di 
contratti 
o di 
rapporti 
di 
lavoro 
a 
tempo 
determinato 
-Utilizzo 
abusivo 
-Misure 
di 
prevenzione 
-Contratti 
di 
lavoro 
a tempo determinato nel settore pubblico - Ricercatori universitari» 


1 La 
domanda 
di 
pronuncia 
pregiudiziale 
verte 
sull’interpretazione 
della 
clausola 
5 
del-
l’accordo 
quadro 
sul 
lavoro 
a 
tempo 
determinato, 
concluso 
il 
18 
marzo 
1999 
(in 
prosieguo: 
l’«accordo 
quadro»), 
che 
figura 
in 
allegato 
alla 
direttiva 
1999/70/CE 
del 
Consiglio, 
del 
28 
giugno 
1999, 
relativa 
all’accordo 
quadro 
CES, 
UNICE 
e 
CEEP 
sul 
lavoro 
a 
tempo 
determinato 
(GU 
1999, 
L 
175, 
pag. 
43). 


2 Tale 
domanda 
è 
stata 
presentata 
nell’ambito di 
una 
controversia 
che 
oppone 
EB, ricercatore 
universitario, 
alla 
Presidenza 
del 
Consiglio 
dei 
Ministri 
(Italia), 
al 
Ministero 
del-
l’Istruzione, 
dell’Università 
e 
della 
Ricerca 
(Italia) 
e 
all’Università 
degli 
Studi 
«Roma 
Tre» (in prosieguo: 
l’«Università»), in merito al 
rifiuto di 
prorogare 
il 
suo contratto di 
lavoro 
a 
tempo 
determinato 
oltre 
il 
periodo 
previsto 
dalla 
legge, 
trasformandolo, 
in 
tal 


(*) Avvocate dello Stato affidatarie della causa. 



CoNTENzIoSo 
CoMUNITARIo 
ED 
INTERNAzIoNALE 
125 


modo, in contratto a 
tempo indeterminato, o di 
ammetterlo alla 
valutazione 
ai 
fini 
della 
sua chiamata nel ruolo dei professori associati. 


Contesto normativo 


Diritto dell’Unione 


3 Il considerando 14 della direttiva 1999/70 è del seguente tenore: 
«le 
parti 
contraenti 
hanno voluto concludere 
un accordo quadro sul 
lavoro a 
tempo determinato 
che 
stabilisce 
i 
principi 
generali 
e 
i 
requisiti 
minimi 
per i 
contratti 
e 
i 
rapporti 
di 
lavoro 
a 
tempo 
determinato; 
hanno 
espresso 
l’intenzione 
di 
migliorare 
la 
qualità 
del 
lavoro 
a 
tempo 
determinato 
garantendo 
l’applicazione 
del 
principio 
di 
non 
discriminazione, 
nonché 
di 
creare 
un quadro per la 
prevenzione 
degli 
abusi 
derivanti 
dall’utilizzo di 
una 
successione 
di contratti o di rapporti di lavoro a tempo determinato». 


4 
Il 
secondo 
comma 
del 
preambolo 
dell’accordo 
quadro 
stabilisce 
che 
le 
parti 
di 
tale 
accordo 
«riconoscono 
che 
i 
contratti 
a 
tempo 
indeterminato 
sono 
e 
continueranno 
ad 
essere 
la 
forma 
comune 
dei 
rapporti 
di 
lavoro fra 
i 
datori 
di 
lavoro e 
i 
lavoratori 
[e] che 
i 
contratti 
a 
tempo determinato rispondono, in alcune 
circostanze, sia 
alle 
esigenze 
dei 
datori 
di 
lavoro 
sia a quelle dei lavoratori». 


5 Ai sensi della clausola 1 dell’accordo quadro: 
«[Il suo] obiettivo è: 


a) 
migliorare 
la 
qualità 
del 
lavoro 
a 
tempo 
determinato 
garantendo 
il 
rispetto 
del 
principio 
di non discriminazione; 
b) 
creare 
un 
quadro 
normativo 
per 
la 
prevenzione 
degli 
abusi 
derivanti 
dall’utilizzo 
di 
una successione di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato». 
6 La clausola 3 di tale accordo quadro, intitolata «Definizioni», prevede quanto segue: 


«1. Ai 
fini 
del 
presente 
accordo, il 
termine 
“lavoratore 
a 
tempo determinato” 
indica 
una 
persona 
con 
un 
contratto 
o 
un 
rapporto 
di 
lavoro 
definiti 
direttamente 
fra 
il 
datore 
di 
lavoro e 
il 
lavoratore 
e 
il 
cui 
termine 
è 
determinato da 
condizioni 
oggettive, quali 
il 
raggiungimento 
di 
una 
certa 
data, il 
completamento di 
un compito specifico o il 
verificarsi 
di un evento specifico. 
(...)». 
7 
La 
clausola 
4 
dell’accordo 
quadro, 
intitolata 
«Principio 
di 
non 
discriminazione», 
al 
punto 
1 così dispone: 
«Per quanto riguarda 
le 
condizioni 
di 
impiego, i 
lavoratori 
a 
tempo determinato non possono 
essere 
trattati 
in modo meno favorevole 
dei 
lavoratori 
a 
tempo indeterminato comparabili 
per il 
solo fatto di 
avere 
un contratto o rapporto di 
lavoro a 
tempo determinato, 
a meno che non sussistano ragioni oggettive». 


8 La 
clausola 
5 di 
detto accordo quadro, intitolata 
«Misure 
di 
prevenzione 
degli 
abusi», 
così recita: 


«1. 
Per 
prevenire 
gli 
abusi 
derivanti 
dall’utilizzo 
di 
una 
successione 
di 
contratti 
o 
rapporti 
di 
lavoro a 
tempo determinato, gli 
Stati 
membri, previa 
consultazione 
delle 
parti 
sociali 
a 
norma 
delle 
leggi, 
dei 
contratti 
collettivi 
e 
della 
prassi 
nazionali, 
e/o 
le 
parti 
sociali 
stesse, 
dovranno 
introdurre, 
in 
assenza 
di 
norme 
equivalenti 
per 
la 
prevenzione 
degli 
abusi 
e 
in 
un 
modo 
che 
tenga 
conto 
delle 
esigenze 
di 
settori 
e/o 
categorie 
specifici 
di 
lavoratori, 
una o più misure relative a: 
a) ragioni obiettive per la giustificazione del rinnovo dei suddetti contratti o rapporti; 
b) la 
durata 
massima 
totale 
dei 
contratti 
o rapporti 
di 
lavoro a 
tempo determinato successivi; 

RASSEGNA 
AvvoCATURA 
DELLo 
STATo -N. 1/2021 


c) il numero dei rinnovi dei suddetti contratti o rapporti. 
2. Gli 
Stati 
membri, previa 
consultazione 
delle 
parti 
sociali, e/o le 
parti 
sociali 
stesse 
dovranno, 
se 
del 
caso, stabilire 
a 
quali 
condizioni 
i 
contratti 
e 
i 
rapporti 
di 
lavoro a 
tempo 
determinato: 
a) devono essere considerati “successivi”; 
b) devono essere ritenuti contratti o rapporti a tempo indeterminato». 
9 La 
clausola 
8 del 
medesimo accordo quadro, intitolata 
«Disposizioni 
di 
attuazione», è 
del seguente tenore: 


«1. Gli 
Stati 
membri 
e/o le 
parti 
sociali 
possono mantenere 
o introdurre 
disposizioni 
più 
favorevoli per i lavoratori di quelle stabilite nel presente [accordo quadro]. 
(...)». 
Diritto italiano 


10 L’articolo 24 della 
legge 
del 
30 dicembre 
2010, n. 240 -Norme 
in materia 
di 
organizzazione 
delle 
università, 
di 
personale 
accademico 
e 
reclutamento, 
nonché 
delega 
al 
Governo 
per incentivare 
la 
qualità 
e 
l’efficienza 
del 
sistema 
universitario (supplemento ordinario 
alla 
GURI n. 10, del 
14 gennaio 2011; 
in prosieguo: 
la 
«legge 
n. 240/2010»), rubricato 
«Ricercatori a tempo determinato», prevede quanto segue: 


«1. 
Nell’ambito 
delle 
risorse 
disponibili 
per 
la 
programmazione, 
al 
fine 
di 
svolgere 
attività 
di 
ricerca, 
di 
didattica, 
di 
didattica 
integrativa 
e 
di 
servizio 
agli 
studenti, 
le 
università 
possono 
stipulare 
contratti 
di 
lavoro 
subordinato 
a 
tempo 
determinato. 
Il 
contratto 
stabilisce, 
sulla 
base 
dei 
regolamenti 
di 
ateneo, 
le 
modalità 
di 
svolgimento 
delle 
attività 
di 
didattica, 
di didattica integrativa e di servizio agli studenti nonché delle attività di ricerca. 
2. I destinatari 
sono scelti 
mediante 
procedure 
pubbliche 
di 
selezione 
disciplinate 
dalle 
università 
con regolamento ai 
sensi 
della 
legge 
9 maggio 1989, n. 168, nel 
rispetto dei 
principi 
enunciati 
dalla 
Carta 
europea 
dei 
ricercatori, di 
cui 
alla 
raccomandazione 
della 
Commissione delle Comunità europee n. 251 dell’11 marzo 2005 (...) 
3. I contratti hanno le seguenti tipologie: 
a) contratti 
di 
durata 
triennale 
prorogabili 
per soli 
due 
anni, per una 
sola 
volta, previa 
positiva 
valutazione 
delle 
attività 
didattiche 
e 
di 
ricerca 
svolte, effettuata 
sulla 
base 
di 
modalità, 
criteri 
e 
parametri 
definiti 
con 
decreto 
del 
Ministro; 
i 
predetti 
contratti 
possono 
essere stipulati con il medesimo soggetto anche in sedi diverse; 
b) contratti 
triennali, riservati 
a 
candidati 
che 
hanno usufruito dei 
contratti 
di 
cui 
alla 
lettera 
a), ovvero che 
hanno conseguito l’abilitazione 
scientifica 
nazionale 
alle 
funzioni 
di 
professore 
di 
prima 
o di 
seconda 
fascia 
di 
cui 
all’articolo 16 della 
presente 
legge, ovvero 
che 
sono 
in 
possesso 
del 
titolo 
di 
specializzazione 
medica, 
ovvero 
che, 
per 
almeno 
tre 
anni 
anche 
non 
consecutivi, 
hanno 
usufruito 
di 
assegni 
di 
ricerca 
ai 
sensi 
dell’articolo 
51, 
comma 
6, della 
legge 
27 dicembre 
1997, n. 449, o di 
assegni 
di 
ricerca 
di 
cui 
all’articolo 
22 della 
presente 
legge, o di 
borse 
post‑dottorato ai 
sensi 
dell’articolo 4 della 
legge 
30 
novembre 1989, n. 398, ovvero di analoghi contratti, assegni o borse in atenei stranieri. 
(...) 
5. 
Nell’ambito 
delle 
risorse 
disponibili 
per 
la 
programmazione, 
nel 
terzo 
anno 
di 
contratto 
di 
cui 
al 
comma 
3, lettera 
b), l’università 
valuta 
il 
titolare 
del 
contratto stesso, che 
abbia 
conseguito l’abilitazione 
scientifica 
di 
cui 
all’articolo 16, ai 
fini 
della 
chiamata 
nel 
ruolo 
di 
professore 
associato, ai 
sensi 
dell’articolo 18, comma 
1, lettera 
e). In caso di 
esito positivo 
della 
valutazione, il 
titolare 
del 
contratto, alla 
scadenza 
dello stesso, è 
inquadrato 
nel 
ruolo 
dei 
professori 
associati. 
La 
valutazione 
si 
svolge 
in 
conformità 
agli 
standard 

CoNTENzIoSo 
CoMUNITARIo 
ED 
INTERNAzIoNALE 
127 


qualitativi 
riconosciuti 
a 
livello internazionale 
individuati 
con apposito regolamento di 
ateneo nell’ambito dei 
criteri 
fissati 
con decreto del 
Ministro. La 
programmazione 
di 
cui 
all’articolo 18, comma 
2, assicura 
la 
disponibilità 
delle 
risorse 
necessarie 
in caso di 
esito 
positivo della 
procedura 
di 
valutazione. Alla 
procedura 
è 
data 
pubblicità 
sul 
sito dell’ateneo. 
(...)». 


11 
L’articolo 
20 
del 
decreto 
legislativo 
del 
25 
maggio 
2017, 
n. 
75 
-Modifiche 
e 
integrazioni 
al 
decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, ai 
sensi 
degli 
articoli 
16, commi 
1, lettera 
a), e 
2, lettere 
b), c), d) ed e) e 
17, comma 
1, lettere 
a), c), e), f), g), h), l) m), n), o), q), 
r), s) e 
z), della 
legge 
7 agosto 2015, n. 124, in materia 
di 
riorganizzazione 
delle 
amministrazioni 
pubbliche 
(GURI 
n. 
130, 
del 
7 
giugno 
2017), 
rubricato 
«Superamento 
del 
precariato 
nelle 
pubbliche 
amministrazioni» 
(in 
prosieguo: 
il 
«decreto 
legislativo 
n. 
75/2015»), così dispone: 


«1. Le 
amministrazioni, al 
fine 
di 
superare 
il 
precariato, ridurre 
il 
ricorso ai 
contratti 
a 
termine 
e 
valorizzare 
la 
professionalità 
acquisita 
dal 
personale 
con rapporto di 
lavoro a 
tempo determinato, possono, nel 
triennio 2018‑2020, in coerenza 
con il 
piano triennale 
dei 
fabbisogni 
di 
cui 
all’articolo 6, comma 
2, e 
con l’indicazione 
della 
relativa 
copertura 
finanziaria, 
assumere 
a 
tempo 
indeterminato 
personale 
non 
dirigenziale 
che 
possegga 
tutti 
i seguenti requisiti: 
a) risulti 
in servizio successivamente 
alla 
data 
di 
entrata 
in vigore 
della 
legge 
n. 124 del 
2015 con contratti 
a 
tempo determinato presso l’amministrazione 
che 
procede 
all’assunzione 
o, in caso di 
amministrazioni 
comunali 
che 
esercitino funzioni 
in forma 
associata, 
anche presso le amministrazioni con servizi associati; 
b) sia 
stato reclutato a 
tempo determinato, in relazione 
alle 
medesime 
attività 
svolte, con 
procedure 
concorsuali 
anche 
espletate 
presso 
amministrazioni 
pubbliche 
diverse 
da 
quella 
che procede all’assunzione; 
c) abbia 
maturato, al 
31 dicembre 
2017, alle 
dipendenze 
dell’amministrazione 
di 
cui 
alla 
lettera 
a) che 
procede 
all’assunzione, almeno tre 
anni 
di 
servizio, anche 
non continuativi, 
negli ultimi otto anni. 
2. 
Nello 
stesso 
triennio 
2018‑2020, 
le 
amministrazioni 
possono 
bandire, 
in 
coerenza 
con 
il 
piano 
triennale 
dei 
fabbisogni 
di 
cui 
all’articolo 
6, 
comma 
2, 
e 
ferma 
restando 
la 
garanzia 
dell’adeguato 
accesso 
dall’esterno, 
previa 
indicazione 
della 
relativa 
copertura 
finanziaria, 
procedure 
concorsuali 
riservate, 
in 
misura 
non 
superiore 
al 
cinquanta 
per 
cento 
dei 
posti 
disponibili, 
al 
personale 
non 
dirigenziale 
che 
possegga 
tutti 
i 
seguenti 
requisiti: 
a) 
risulti 
titolare, 
successivamente 
alla 
data 
di 
entrata 
in 
vigore 
della 
legge 
n. 
124 
del 
2015, 
di 
un 
contratto 
di 
lavoro 
flessibile 
presso 
l’amministrazione 
che 
bandisce 
il 
concorso; 
b) 
abbia 
maturato, 
alla 
data 
del 
31 
dicembre 
2017, 
almeno 
tre 
anni 
di 
contratto, 
anche 
non 
continuativi, 
negli 
ultimi 
otto 
anni, 
presso 
l’amministrazione 
che 
bandisce 
il 
concorso. 
(...) 
8. 
Le 
amministrazioni 
possono 
prorogare 
i 
corrispondenti 
rapporti 
di 
lavoro 
flessibile 
con 
i 
soggetti 
che 
partecipano 
alle 
procedure 
di 
cui 
ai 
commi 
1 
e 
2, 
fino 
alla 
loro 
conclusione, 
nei 
limiti 
delle 
risorse 
disponibili 
ai 
sensi 
dell’articolo 9, comma 
28, del 
decreto‑legge 
31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla 
legge 
30 luglio 2010, n. 122. 
9. Il 
presente 
articolo non si 
applica 
al 
reclutamento del 
personale 
docente, educativo e 
amministrativo, tecnico e 
ausiliario (ATA) presso le 
istituzioni 
scolastiche 
ed educative 

RASSEGNA 
AvvoCATURA 
DELLo 
STATo -N. 1/2021 


statali. (...) Il 
presente 
articolo non si 
applica 
altresì 
ai 
contratti 
di 
somministrazione 
di 
lavoro presso le pubbliche amministrazioni». 


12 
L’articolo 
5, 
comma 
4 
bis, 
del 
decreto 
legislativo 
del 
6 
settembre 
2001, 
n. 
368 
-Attuazione 
della 
direttiva 
1999/70/CE 
relativa 
all’accordo 
quadro 
sul 
lavoro 
a 
tempo 
determinato 
concluso dall’UNICE, dal 
CEEP 
e 
dal 
CES 
(GURI n. 235, del 
9 ottobre 
2001; 
in prosieguo: 
il 
«decreto legislativo n. 368/2001»), che 
ha 
trasposto la 
direttiva 
1999/70 nell’ordinamento 
giuridico italiano, così recitava: 
«Ferma 
restando la 
disciplina 
della 
successione 
di 
contratti 
di 
cui 
ai 
commi 
precedenti, 
qualora 
per effetto di 
successione 
di 
contratti 
a 
termine 
per lo svolgimento di 
mansioni 
equivalenti 
il 
rapporto di 
lavoro fra 
lo stesso datore 
di 
lavoro e 
lo stesso lavoratore 
abbia 
complessivamente 
superato i 
trentasei 
mesi 
comprensivi 
di 
proroghe 
e 
rinnovi, indipendentemente 
dai 
periodi 
di 
interruzione 
che 
intercorrono tra 
un contratto e 
l’altro, il 
rapporto 
di lavoro si considera a tempo indeterminato ai sensi del comma 2. (...)». 


13 La 
disposizione 
citata 
è 
stata 
riprodotta, in sostanza, e 
mantenuta 
in vigore 
dall’articolo 
19 del 
decreto legislativo del 
15 giugno 2015, n. 81 -Disciplina 
organica 
dei 
contratti 
di 
lavoro e 
revisione 
della 
normativa 
in tema 
di 
mansioni, a 
norma 
dell’articolo 1, comma 
7, della 
legge 
10 dicembre 
2014, n. 183 (supplemento ordinario alla 
GURI n. 144, del 
24 
giugno 2015; 
in prosieguo: 
il 
«decreto legislativo n. 81/2015»), rubricato «Apposizione 
del 
termine 
e 
durata 
massima», 
in 
vigore 
dal 
25 
giugno 
2015. 
In 
forza 
di 
tale 
disposizione, 
qualora 
il 
limite 
dei 
36 mesi 
sia 
superato, per effetto di 
un unico contratto o di 
una 
successione 
di 
contratti 
conclusi 
per lo svolgimento di 
mansioni 
di 
pari 
livello e 
categoria 
legale, «il 
contratto si 
trasforma 
in contratto a 
tempo indeterminato dalla 
data 
di 
tale 
superamento
». 


14 
Tuttavia, 
conformemente 
all’articolo 
10, 
comma 
4 
bis, 
del 
decreto 
legislativo 
n. 
368/2001, 
l’articolo 5, comma 
4 bis, del 
medesimo decreto legislativo non si 
applica 
in taluni 
casi. 
Il 
contratto di 
cui 
trattasi 
nel 
procedimento principale 
rientra 
in tali 
casi, in forza 
dell’articolo 
29, 
comma 
2, 
lettera 
d), 
del 
decreto 
legislativo 
n. 
81/2015, 
disposizione 
che 
prevede 
espressamente, tra 
le 
esclusioni 
dall’ambito di 
applicazione 
dell’articolo 5, comma 
4 bis, 
del 
decreto legislativo n. 368/2001, i 
contratti 
a 
tempo determinato stipulati 
ai 
sensi 
della 
legge n. 240/2010. 


15 
Inoltre, 
l’articolo 
29, 
comma 
4, 
del 
decreto 
legislativo 
n. 
81/2015 
dispone 
che 
resta 
fermo 
quanto 
disposto 
dall’articolo 
36 
del 
decreto 
legislativo 
del 
30 
marzo 
2001, 
n. 
165 
-Norme 
generali 
sull’ordinamento 
del 
lavoro 
alle 
dipendenze 
delle 
amministrazioni 
pubbliche 
(supplemento ordinario alla 
GURI n. 106, del 
9 maggio 2001; 
in prosieguo: 
il 
«decreto 
legislativo n. 165/2001»). 


16 L’articolo 36 del 
decreto legislativo n. 165/2001, come 
modificato dal 
decreto legislativo 


n. 
75/2017, 
rubricato 
«Personale 
a 
tempo 
determinato 
o 
assunto 
con 
forme 
di 
lavoro 
flessibile
», prevede quanto segue: 
«1. Per le 
esigenze 
connesse 
con il 
proprio fabbisogno ordinario le 
pubbliche 
amministrazioni 
assumono esclusivamente 
con contratti 
di 
lavoro subordinato a 
tempo indeterminato 
(...) 
(...) 
5. In ogni 
caso, la 
violazione 
di 
disposizioni 
imperative 
riguardanti 
l’assunzione 
o l’impiego 
di 
lavoratori, da 
parte 
delle 
pubbliche 
amministrazioni, non può comportare 
la 
costituzione 
di 
rapporti 
di 
lavoro 
a 
tempo 
indeterminato 
con 
le 
medesime 
pubbliche 
amministrazioni, ferma 
restando ogni 
responsabilità 
e 
sanzione. Il 
lavoratore 
interessato 

CoNTENzIoSo 
CoMUNITARIo 
ED 
INTERNAzIoNALE 
129 


ha 
diritto al 
risarcimento del 
danno derivante 
dalla 
prestazione 
di 
lavoro in violazione 
di 
disposizioni imperative. (...)». 
(...) 
5‑quater 
I 
contratti 
di 
lavoro 
posti 
in 
essere 
in 
violazione 
del 
presente 
articolo 
sono 
nulli 
e 
determinano responsabilità 
erariale. I dirigenti 
che 
operano in violazione 
delle 
disposizioni 
del 
presente 
articolo 
sono, 
altresì, 
responsabili 
ai 
sensi 
dell’articolo 
21. 
Al 
dirigente 
responsabile 
di 
irregolarità 
nell’utilizzo 
del 
lavoro 
flessibile 
non 
può 
essere 
erogata 
la 
retribuzione 
di risultato». 


Procedimento principale e questioni pregiudiziali 


17 Il 
1o 
dicembre 
2012, EB è 
stato assunto dall’Università 
in qualità 
di 
ricercatore, per una 
durata 
di 
tre 
anni, sulla 
base 
di 
un contratto concluso ai 
sensi 
dell’articolo 24, comma 
3, 
lettera 
a), 
della 
legge 
n. 
240/2010 
(in 
prosieguo: 
il 
«contratto 
di 
tipo 
A»). 
Un 
tale 
contratto 
può essere prorogato una sola volta per un massimo di due anni. 


18 Nell’ottobre 
2014, EB ha 
conseguito l’abilitazione 
scientifica 
nazionale 
alle 
funzioni 
di 
professore 
universitario di 
seconda 
fascia, ai 
sensi 
dell’articolo 16 della 
legge 
citata, abilitazione 
che 
attesta 
che 
il 
suo titolare 
dispone 
delle 
qualifiche 
scientifiche 
necessarie 
per 
partecipare a determinati concorsi universitari. 


19 
È 
pacifico 
che, 
quando 
EB 
era 
ancora 
in 
servizio, 
l’Università, 
conformemente 
all’articolo 
24, comma 
6, della 
legge 
n. 240/2010 -che 
consente, per un periodo di 
otto anni 
a 
decorrere 
dall’entrata 
in vigore 
di 
tale 
legge, la 
chiamata 
nel 
ruolo dei 
professori 
di 
seconda 
fascia 
di 
ricercatori 
assunti 
sulla 
base 
di 
un contratto a 
tempo indeterminato, in servizio 
presso 
l’università 
e 
che 
abbiano 
conseguito 
l’abilitazione 
scientifica 
nazionale 
-, 
ha 
bandito 
una 
tale 
procedura 
di 
chiamata 
in ruolo di 
cui 
hanno beneficiato due 
ricercatori 
nello 
stesso settore 
di 
EB assunti 
in forza 
di 
un siffatto contratto. Tuttavia, EB non ha 
avuto il 
diritto 
di 
partecipare 
a 
tale 
procedura 
per 
il 
motivo 
che 
era 
assunto 
in 
forza 
di 
un 
contratto 
a tempo determinato, benché disponesse dell’abilitazione scientifica. 


20 Sei 
mesi 
prima 
della 
relativa 
scadenza, prevista 
per il 
1o 
dicembre 
2015, EB ha 
chiesto la 
proroga 
del 
suo contratto, il 
quale 
è 
stato prorogato, il 
24 novembre 
2015, con effetto dal 
1o dicembre 2015 per un periodo di due anni. 


21 L’8 novembre 
2017, prima 
della 
scadenza 
del 
suo contratto prorogato, EB ha 
chiesto la 
proroga 
del 
suo 
contratto 
ai 
sensi 
dell’articolo 
20, 
comma 
8, 
del 
decreto 
legislativo 
n. 
75/2017 al 
fine 
di 
ottenere 
la 
trasformazione 
del 
suo rapporto di 
lavoro a 
tempo determinato 
in contratto di 
lavoro a 
tempo indeterminato. Egli 
ha 
sostenuto, al 
riguardo, che 
tale 
disposizione 
si 
applica 
anche 
al 
personale 
docente 
delle 
università. 
Inoltre, 
EB 
ha 
chiesto 
l’attivazione, 
dal 
2018, 
della 
procedura 
di 
stabilizzazione 
dell’impiego 
prevista 
all’articolo 
20, comma 1, dello stesso decreto legislativo. 


22 Con 
nota 
del 
21 
novembre 
2017, 
l’Università 
ha 
respinto 
le 
istanze 
di 
EB 
adducendo, 
da 
un 
lato, 
che 
l’articolo 
20, 
comma 
8, 
del 
decreto 
legislativo 
n. 
75/2017 
non 
si 
applicava 
ai 
ricercatori 
universitari 
assunti 
in 
forza 
di 
un 
contratto 
a 
tempo 
determinato 
e, 
dall’altro, 
che 
l’articolo 
29 
del 
decreto 
legislativo 
n. 
81/2015 
non 
consentiva 
di 
far 
ricorso 
a 
una 
procedura 
prevista 
per 
l’assunzione 
di 
ricercatori 
assunti 
con 
un 
contratto 
a 
tempo 
indeterminato. 


23 
EB 
ha 
proposto 
dinanzi 
al 
giudice 
del 
rinvio 
un 
ricorso 
diretto 
all’annullamento 
non 
solo 
di 
tale 
decisione, ma 
anche 
della 
circolare 
n. 3/2017, adottata 
dal 
Ministro per la 
Semplificazione 
e 
la 
Pubblica 
Amministrazione, 
secondo 
la 
quale 
il 
decreto 
legislativo 
n. 
75/2017 
non si 
applicava 
ai 
ricercatori 
assunti 
in forza 
di 
un contratto di 
lavoro a 
tempo determinato. 
Inoltre, egli 
ha 
chiesto l’accertamento del 
suo diritto di 
essere 
assunto a 
tempo in



RASSEGNA 
AvvoCATURA 
DELLo 
STATo -N. 1/2021 


determinato o di 
essere 
ammesso alla 
procedura 
di 
valutazione 
per essere 
assunto come 
professore associato ai sensi dell’articolo 24, comma 5, della legge n. 240/2010. 


24 A 
sostegno del 
ricorso, EB deduce, in particolare, che 
l’articolo 20 del 
decreto legislativo 


n. 75/2017 dovrebbe 
essere 
interpretato nel 
senso che 
esso si 
applica 
anche 
ai 
rapporti 
di 
lavoro in regime 
di 
diritto pubblico e, pertanto, al 
rapporto di 
lavoro di 
ricercatore 
di 
tipo 
A, considerato che 
l’accordo quadro osta 
a 
un’interpretazione 
diversa, come 
quella 
propugnata 
dalla circolare n. 3/2017. 
25 EB sostiene, inoltre, che 
l’esclusione 
del 
suo contratto dalla 
norma 
che 
prevede 
la 
conversione 
automatica 
di 
un 
contratto 
a 
tempo 
determinato 
prorogato 
oltre 
i 
36 
mesi 
in 
contratto 
a 
tempo 
indeterminato 
-esclusione 
sancita 
dall’articolo 
29, 
comma 
2, 
lettera 
d), 
del 
decreto 
legislativo 
n. 
81/2015 
-sarebbe 
incompatibile 
con 
l’accordo 
quadro, 
in 
quanto 
non 
esisterebbero 
ragioni 
oggettive 
per 
cui 
il 
ricercatore 
universitario 
debba 
essere 
assunto 
a 
tempo determinato, specie 
ove 
tale 
rapporto di 
lavoro superi, come 
è 
avvenuto nel 
caso 
del ricorrente nel procedimento principale, il termine di tre anni. 


26 EB afferma 
altresì 
che, non consentendo a 
ricercatori 
assunti 
in forza 
di 
un contratto a 
tempo determinato -i 
quali, come 
lui 
stesso, hanno conseguito le 
qualifiche 
universitarie 
richieste 
per 
poter 
essere 
nominati 
in 
qualità 
di 
«professori 
associati» 
-di 
essere 
sottoposti 
a 
una 
valutazione 
ai 
fini 
della 
loro nomina 
a 
un posto di 
professore 
associato, l’articolo 
24, comma 
3, della 
legge 
n. 240/2010 contrasterebbe 
con il 
principio di 
non discriminazione 
enunciato alla clausola 4 dell’accordo quadro. 


27 
Infine, 
EB 
invoca 
il 
principio 
di 
equivalenza, 
in 
forza 
del 
quale, 
in 
assenza 
di 
una 
norma 
nazionale 
più 
favorevole 
alla 
categoria 
di 
ricercatori 
cui 
egli 
appartiene, 
si 
dovrebbero 
applicare 
le 
disposizioni 
relative 
al 
settore 
privato 
-come 
quelle 
che 
prevedono 
la 
conversione 
automatica 
del 
contratto 
di 
lavoro 
a 
tempo 
determinato 
prorogato 
oltre 
i 
36 
mesi 
in 
contratto 
a 
tempo 
indeterminato 
-nonché 
le 
disposizioni 
applicabili 
a 
categorie 
di 
lavoratori 
a 
tempo 
determinato 
del 
settore 
pubblico 
che, 
come 
gli 
insegnanti 
delle 
scuole, 
possono 
beneficiare 
di 
una 
certa 
forma 
di 
stabilizzazione 
del 
loro 
rapporto 
di 
lavoro 
grazie 
a 
procedure 
adeguate, 
conformemente 
all’articolo 
20 
del 
decreto 
legislativo 
n. 
75/2017. 


28 L’Università, dal 
canto suo, sottolinea 
che 
l’articolo 20 del 
decreto legislativo n. 75/2017 
non 
si 
applicherebbe 
ai 
ricercatori 
universitari, 
in 
forza 
del 
disposto 
dell’articolo 
3, 
comma 
2, 
del 
decreto 
legislativo 
n. 
165/2001. 
Essa 
sostiene, 
al 
riguardo, 
che 
tale 
disposizione 
non darebbe 
luogo a 
una 
discriminazione 
rispetto agli 
altri 
ricercatori 
che 
non rientrano 
nella categoria del personale in regime di diritto pubblico. 


29 L’Università 
ricorda, inoltre, che 
la 
differenza 
di 
trattamento tra 
le 
categorie 
di 
cui 
all’articolo 
24, comma 
3, lettere 
a) e 
b), della 
legge 
n. 240/2010 sarebbe 
giustificata, tenuto 
conto del 
fatto che 
i 
ricercatori 
cui 
si 
riferisce 
tale 
disposizione 
alla 
lettera 
b) possiedono 
una maggiore esperienza. 


30 Il 
giudice 
del 
rinvio ritiene 
che, per quanto riguarda 
i 
ricercatori 
assunti 
in forza 
di 
un 
contratto di 
tipo A 
di 
cui 
all’articolo 24, commi 
1 e 
3, lettera 
a), della 
legge 
n. 240/2010, 
il 
ricorso a 
simili 
contratti 
a 
tempo determinato possa 
essere 
abusivo e 
si 
interroga 
sulla 
compatibilità 
con la 
clausola 
5 dell’accordo quadro dell’esclusione 
-derivante 
dall’articolo 
29, comma 
2, lettera 
d), del 
decreto legislativo n. 81/2015 -della 
possibilità 
di 
convertire 
un 
contratto 
come 
quello 
concluso 
tra 
EB 
e 
l’Università 
in 
contratto 
a 
tempo 
indeterminato. 
Esso 
richiama, 
a 
tale 
proposito, 
in 
particolare, 
la 
sentenza 
del 
14 
settembre 
2016, 
Martínez 
Andrés 
e 
Castrejana 
López 
(C‑184/15 
e 
C‑197/15, 
EU:C:2016:680), 
nella 



CoNTENzIoSo 
CoMUNITARIo 
ED 
INTERNAzIoNALE 
131 


quale 
la 
Corte 
ha 
stabilito che 
il 
divieto di 
trasformare 
un contratto di 
lavoro a 
tempo determinato 
in 
contratto 
a 
tempo 
indeterminato 
è 
conforme 
all’accordo 
quadro 
solo 
se 
è 
possibile 
ricorrere 
a 
un’altra 
misura 
effettiva 
per 
sanzionare 
adeguatamente 
l’utilizzo 
abusivo 
di una successione di contratti a tempo determinato. 


31 Secondo il 
giudice 
del 
rinvio, non esiste 
una 
simile 
misura 
alternativa, giacché 
il 
risarcimento 
del 
danno che 
il 
ricorrente 
nel 
procedimento principale 
potrebbe 
ottenere 
si 
limita 
al 
pagamento di 
una 
somma 
forfettaria 
che 
non è 
proporzionata 
all’entità 
reale 
del 
danno 
subìto. 
Stanti 
tali 
circostanze, 
EB 
si 
troverebbe 
in 
una 
situazione 
in 
cui 
l’ordinamento 
giuridico interno non prevede 
alcuna 
forma 
di 
sanzione 
per il 
ricorso abusivo a 
contratti 
a 
tempo determinato, come 
avveniva 
nella 
causa 
che 
ha 
dato origine 
alla 
sentenza 
del 
25 
ottobre 2018, Sciotto (C‑331/17, EU:C:2018:859). 


32 Inoltre, il 
giudice 
del 
rinvio si 
interroga 
sulla 
compatibilità 
dell’articolo 24, commi 
1 e 
3, 
lettera 
a), 
della 
legge 
n. 
240/2010 
con 
l’accordo 
quadro, 
nella 
parte 
in 
cui 
tale 
disposizione 
limita 
la 
durata 
dei 
contratti 
dei 
ricercatori 
a 
tre 
anni, con eventuale 
proroga 
di 
due 
anni, 
consentendo così 
di 
ricorrere 
in maniera 
indiscriminata 
al 
contratto a 
tempo determinato, 
quando invece 
il 
rinnovo di 
un simile 
contratto dovrebbe 
essere 
giustificato da 
ragioni 
oggettive. 


33 Alla 
luce 
di 
quanto precede, il 
Tribunale 
amministrativo regionale 
per il 
Lazio (Italia) ha 
deciso di 
sospendere 
il 
procedimento e 
di 
sottoporre 
alla 
Corte 
le 
seguenti 
questioni 
pregiudiziali: 
«1) Se, pur non sussistendo un obbligo generale 
degli 
Stati 
membri 
di 
prevedere 
la 
trasformazione 
dei 
contratti 
di 
lavoro a 
tempo determinato in un contratto a 
tempo indeterminato, 
la 
clausola 
5 
dell’accordo 
quadro 
(...), 
intitolata 
“Misure 
di 
prevenzione 
degli 
abusi”, anche 
alla 
luce 
del 
principio di 
equivalenza, osti 
a 
che 
una 
normativa 
nazionale, 
quale 
quella 
di 
cui 
agli 
articoli 
29, 
comma 
2, 
lettera 
d), 
e 
comma 
4, 
del 
decreto 
legislativo 


[n. 81/2015] e 
36, comma 
2 e 
comma 
5, del 
decreto legislativo [n. 165/2001], precluda 
per 
i 
ricercatori 
universitari 
assunti 
con 
contratto 
a 
tempo 
determinato 
di 
durata 
triennale, 
prorogabile 
per 
due 
anni, 
ai 
sensi 
dell’articolo 
24, 
comma 
3, 
lettera 
a), 
della 
legge 
[n. 
240/2010], la successiva instaurazione di un rapporto a tempo indeterminato. 
2) 
Se, 
pur 
non 
sussistendo 
un 
obbligo 
generale 
degli 
Stati 
membri 
di 
prevedere 
la 
trasformazione 
dei 
contratti 
di 
lavoro 
a 
tempo 
determinato 
in 
un 
contratto 
a 
tempo 
indeterminato, 
la 
clausola 
5 
dell’accordo 
quadro 
(...), 
intitolata 
“Misure 
di 
prevenzione 
degli 
abusi”, 
anche 
alla 
luce 
del 
principio di 
equivalenza, osti 
a 
che 
una 
normativa 
nazionale, quale 
quella 
di 
cui 
agli 
articoli 
29, comma 
2, lettera 
d), e 
comma 
4, del 
decreto legislativo [n. 
81/2015] e 
36, comma 
2 e 
comma 
5, del 
decreto legislativo [n. 165/2001], sia 
applicata 
dai 
giudici 
nazionali 
dello Stato membro interessato in modo che 
il 
diritto alla 
conservazione 
del 
rapporto di 
lavoro è 
accordato alle 
persone 
assunte 
dall’amministrazione 
pubblica 
mediante 
un contratto di 
lavoro flessibile 
soggetto a 
normativa 
del 
lavoro di 
natura 
privatistica, 
ma 
non 
è 
riconosciuto, 
in 
generale, 
al 
personale 
assunto 
a 
tempo 
determinato 
da 
tale 
amministrazione 
in regime 
di 
diritto pubblico, non sussistendo (per effetto delle 
su citate 
disposizioni 
nazionali) un’altra 
misura 
efficace 
nell’ordinamento giuridico nazionale 
per sanzionare tali abusi nei confronti dei lavoratori. 
3) 
Se, 
pur 
non 
sussistendo 
un 
obbligo 
generale 
degli 
Stati 
membri 
di 
prevedere 
la 
trasformazione 
dei 
contratti 
di 
lavoro 
a 
tempo 
determinato 
in 
un 
contratto 
a 
tempo 
indeterminato, 
la 
clausola 
5 
dell’accordo 
quadro 
(...), 
intitolata 
“Misure 
di 
prevenzione 
degli 
abusi”, 
anche 
alla 
luce 
del 
principio 
di 
equivalenza, 
osti 
a 
(…) 
una 
normativa 
nazionale, 
quale 
quella 
di 

RASSEGNA 
AvvoCATURA 
DELLo 
STATo -N. 1/2021 


cui 
all’articolo 
24, 
commi 
1 
e 
3, 
della 
legge 
[n. 
240/2010], 
che 
prevede 
la 
stipulazione 
e 
la 
proroga, 
per 
complessivi 
cinque 
anni 
(tre 
anni 
con 
eventuale 
proroga 
per 
due 
anni), 
di 
contratti 
a 
tempo 
determinato 
fra 
ricercatori 
ed 
Università, 
subordinando 
la 
stipulazione 
a 
che 
essa 
avvenga 
“Nell’ambito 
delle 
risorse 
disponibili 
per 
la 
programmazione, 
al 
fine 
di 
svolgere 
attività 
di 
ricerca, 
di 
didattica, 
di 
didattica 
integrativa 
e 
di 
servizio 
agli 
studenti”, 
ed 
altresì 
subordinando 
la 
proroga 
alla 
“positiva 
valutazione 
delle 
attività 
didattiche 
e 
di 
ricerca 
svolte”, 
senza 
stabilire 
criteri 
oggettivi 
e 
trasparenti 
al 
fine 
di 
verificare 
se 
la 
stipulazione 
e 
il 
rinnovo 
di 
siffatti 
contratti 
rispondano 
effettivamente 
ad 
un’esigenza 
reale, 
se 
essi 
siano 
idonei 
a 
conseguire 
l’obiettivo 
perseguito 
e 
siano 
necessari 
a 
tal 
fine, 
e 
comporta 
quindi 
un 
rischio 
concreto 
di 
determinare 
un 
ricorso 
abusivo 
a 
tale 
tipo 
di 
contratti, 
non 
risultando 
così 
compatibile 
con 
lo 
scopo 
e 
l’effetto 
utile 
dell’accordo 
quadro». 


sulle questioni pregiudiziali 


Sulla ricevibilità 


34 
L’Università 
sostiene 
che 
le 
questioni 
pregiudiziali 
sarebbero 
manifestamente 
irricevibili. 
Da 
un lato, esse 
sarebbero puramente 
ipotetiche 
e 
manifestamente 
irrilevanti 
ai 
fini 
della 
soluzione 
della 
controversia 
principale, poiché 
dall’ordinanza 
di 
rinvio risulterebbe 
che 
il 
giudice 
del 
rinvio non nutre 
alcun dubbio sull’interpretazione 
da 
dare 
alla 
normativa 
nazionale 
di 
cui 
al 
procedimento 
principale. 
Dall’altro 
lato, 
tale 
giudice 
non 
avrebbe 
esposto 
le 
ragioni 
che 
l’hanno 
indotto 
a 
interrogarsi 
sull’interpretazione 
del 
diritto 
dell’Unione, 
il 
che 
contrasterebbe 
non 
solo 
con 
l’articolo 
94 
del 
regolamento 
di 
procedura 
della 
Corte, 
cosicché 
tali 
questioni 
dovrebbero essere 
considerate, anche 
a 
tale 
titolo, irricevibili, ma 
violerebbe altresì i diritti della difesa dell’Università. 


35 A 
tale 
proposito, occorre 
rammentare 
che, nell’ambito della 
cooperazione 
tra 
la 
Corte 
e 
i 
giudici 
nazionali 
istituita 
all’articolo 267 TFUE, spetta 
esclusivamente 
al 
giudice 
nazionale, 
cui 
è 
sottoposta 
la 
controversia 
e 
che 
deve 
assumersi 
la 
responsabilità 
dell’emananda 
decisione 
giurisdizionale, valutare, alla 
luce 
delle 
particolari 
circostanze 
del 
caso, sia 
la 
necessità 
di 
una 
decisione 
pregiudiziale 
per essere 
in grado di 
emettere 
la 
propria 
pronuncia, 
sia 
la 
rilevanza 
delle 
questioni 
che 
esso 
sottopone 
alla 
Corte. 
Di 
conseguenza, 
ove 
le 
questioni 
poste 
riguardino l’interpretazione 
del 
diritto dell’Unione, la 
Corte 
è, in 
linea 
di 
principio, tenuta 
a 
statuire 
(sentenza 
del 
25 novembre 
2020, Sociálna 
poisťovňa, 
C‑799/19, EU:C:2020:960, punto 43 e giurisprudenza ivi citata). 


36 Tali 
questioni 
poste 
dal 
giudice 
nazionale 
nel 
contesto di 
diritto e 
di 
fatto che 
esso definisce 
sotto 
la 
propria 
responsabilità, 
e 
del 
quale 
non 
spetta 
alla 
Corte 
verificare 
l’esattezza, 
sono assistite 
da 
una 
presunzione 
di 
rilevanza. Il 
rifiuto della 
Corte 
di 
statuire 
su una 
domanda 
proposta 
da 
un giudice 
nazionale 
è 
possibile 
soltanto qualora 
risulti 
in modo manifesto 
che 
la 
richiesta 
interpretazione 
del 
diritto dell’Unione 
o l’esame 
della 
validità 
di 
quest’ultimo 
non 
ha 
alcun 
rapporto 
con 
la 
realtà 
effettiva 
o 
con 
l’oggetto 
del 
procedimento 
principale, 
o 
anche 
quando 
il 
problema 
sia 
di 
natura 
ipotetica, 
oppure 
la 
Corte 
non 
disponga 
degli 
elementi 
di 
fatto 
e 
di 
diritto 
necessari 
per 
rispondere 
utilmente 
alle 
questioni 
che 
le 
sono 
sottoposte, 
nonché 
per 
comprendere 
le 
ragioni 
per 
le 
quali 
il 
giudice 
nazionale 
ritiene 
di 
aver bisogno delle 
risposte 
a 
tali 
questioni 
per dirimere 
la 
controversia 
dinanzi 
ad esso pendente 
(sentenza 
del 
2 febbraio 2021, Consob, C‑481/19, UE:C:2021:84, paragrafo 
29 e giurisprudenza ivi citata). 


37 
Nel 
caso 
di 
specie, 
occorre 
rilevare, 
da 
un 
lato, 
che 
la 
domanda 
di 
pronuncia 
pregiudiziale 
soddisfa 
i 
criteri 
prescritti 
all’articolo 
94 
del 
regolamento 
di 
procedura. 
Tale 
domanda 
fornisce 
infatti 
le 
precisazioni 
necessarie 
per quanto riguarda 
i 
fatti 
rilevanti 
e 
l’oggetto 



CoNTENzIoSo 
CoMUNITARIo 
ED 
INTERNAzIoNALE 
133 


della 
controversia 
principale. Essa 
fa 
altresì 
riferimento al 
tenore 
delle 
disposizioni 
di 
diritto 
nazionale 
che, 
secondo 
il 
giudice 
del 
rinvio, 
possono 
applicarsi 
alla 
controversia 
principale. 
Il 
giudice 
del 
rinvio 
indica 
parimenti, 
da 
un 
lato, 
le 
ragioni 
che 
l’hanno 
indotto 
a 
interrogarsi 
sull’interpretazione 
di 
talune 
disposizioni 
del 
diritto dell’Unione 
e, dall’altro, 
il 
collegamento 
che 
esso 
stabilisce 
tra 
questa 
e 
la 
legislazione 
nazionale 
eventualmente 
applicabile 
alla 
controversia 
principale. Tali 
informazioni 
hanno inoltre 
dato al 
governo 
italiano e 
agli 
altri 
interessati 
la 
possibilità 
di 
presentare 
osservazioni 
conformemente 
all’articolo 
23 dello Statuto della 
Corte, come 
dimostrano, in particolare, le 
osservazioni 
presentate dall’Università. 


38 Dall’altro lato, da 
tali 
informazioni 
risulta 
che 
il 
giudice 
del 
rinvio ha 
dimostrato il 
rapporto 
esistente 
tra 
la 
richiesta 
interpretazione 
dell’accordo quadro e 
la 
realtà 
e 
l’oggetto 
della 
controversia 
principale. Inoltre, alla 
luce 
di 
dette 
informazioni, si 
deve 
ritenere 
che 
le 
questioni 
pregiudiziali 
poste 
alla 
Corte 
non rivestano carattere 
ipotetico e 
che 
la 
Corte 
disponga 
di 
tutti 
gli 
elementi 
di 
fatto e 
di 
diritto necessari 
per fornire 
una 
soluzione 
utile 
alle stesse questioni. 


39 Alla luce di tutto ciò, le questioni pregiudiziali poste sono ricevibili. 


Nel merito 


40 
In 
via 
preliminare, 
occorre 
rilevare 
che, 
con 
le 
prime 
due 
questioni 
pregiudiziali, 
il 
giudice 
del 
rinvio chiede 
se 
l’assenza 
di 
misure 
dirette 
a 
sanzionare 
il 
ricorso abusivo a 
contratti 
a 
tempo determinato come 
quello di 
cui 
trattasi 
nel 
procedimento principale 
sia 
compatibile 
con 
la 
clausola 
5 
dell’accordo 
quadro. 
Con 
la 
terza 
questione 
pregiudiziale, 
esso 
chiede, invece, se 
tale 
disposizione 
osti 
al 
ricorso a 
simili 
contratti 
a 
tempo determinato 
per il motivo che esso sarebbe abusivo. 


41 
Poiché 
l’esame 
della 
necessità 
di 
misure 
volte 
a 
sanzionare 
un 
ricorso 
abusivo 
ai 
contratti 
a 
tempo 
determinato 
presuppone 
l’esistenza 
di 
un 
simile 
abuso, 
occorre 
esaminare 
la 
terza 
questione pregiudiziale per prima. 
sulla terza questione 


42 Con la 
terza 
questione, il 
giudice 
del 
rinvio chiede, in sostanza, se 
la 
clausola 
5 dell’accordo 
quadro debba 
essere 
interpretata 
nel 
senso che 
essa 
osta 
a 
una 
normativa 
nazionale 
in 
forza 
della 
quale 
è 
prevista, 
per 
quanto 
riguarda 
l’assunzione 
dei 
ricercatori 
universitari, 
la 
stipulazione 
di 
contratti 
a 
tempo determinato per un periodo di 
tre 
anni, con una 
sola 
possibilità 
di 
proroga 
per un periodo massimo di 
due 
anni, subordinando, da 
un lato, la 
stipulazione 
di 
tali 
contratti 
alla 
condizione 
che 
siano 
disponibili 
risorse 
«per 
la 
programmazione, 
al 
fine 
di 
svolgere 
attività 
di 
ricerca, di 
didattica, di 
didattica 
integrativa 
e 
di 
servizio agli 
studenti», e, dall’altro, la 
proroga 
di 
tali 
contratti 
alla 
«positiva 
valutazione 
delle 
attività 
didattiche 
e 
di 
ricerca 
svolte», 
senza 
tuttavia 
stabilire 
i 
criteri 
oggettivi 
e 
trasparenti 
che 
consentano 
di 
verificare 
se 
la 
stipulazione 
e 
il 
rinnovo 
di 
tali 
contratti 
rispondano 
effettivamente 
a 
un’esigenza 
reale, 
se 
essi 
siano 
idonei 
a 
conseguire 
l’obiettivo 
perseguito e siano necessari a tal fine. 


43 
Questa 
terza 
questione 
verte 
quindi 
su 
due 
aspetti: 
uno 
riguardante 
la 
stipulazione 
del 
contratto di cui al procedimento principale e l’altro la proroga di tale contratto. 


44 A 
tale 
riguardo, occorre 
ricordare 
che 
l’articolo 24, comma 
3, della 
legge 
n. 240/2010 
prevede 
due 
tipi 
di 
contratti 
per i 
ricercatori 
universitari 
-sostituendo in tal 
modo la 
normativa 
precedente 
che 
aveva 
accordato a 
tali 
soggetti 
un posto permanente 
dopo il 
superamento 
di 
un periodo iniziale 
di 
prova 
di 
tre 
anni 
-ossia, da 
un lato, i 
contratti 
di 
tipo A 
e, dall’altro, i 
contratti 
di 
cui 
all’articolo 24, comma 
3, lettera 
b), della 
legge 
n. 240/2010 



RASSEGNA 
AvvoCATURA 
DELLo 
STATo -N. 1/2021 


(in 
prosieguo: 
il 
«contratto 
di 
tipo 
B»). 
Anche 
questi 
ultimi 
contratti 
sono 
stipulati 
per 
una durata di tre anni. 


45 Se 
è 
vero che 
la 
procedura 
di 
selezione 
conduce, per entrambe 
le 
categorie 
di 
ricercatori 
universitari, alla 
stipulazione 
di 
un contratto a 
tempo determinato, ossia 
della 
durata 
di 
tre 
anni, 
dalla 
domanda 
di 
pronuncia 
pregiudiziale 
risulta 
che 
sussistono, 
nondimeno, 
differenze 
tra questi tipi di contratti. 


46 
La 
stipulazione 
di 
un 
contratto 
di 
tipo 
A 
dipende 
infatti 
dall’esistenza 
di 
risorse 
disponibili 
per svolgere 
attività 
di 
ricerca, di 
didattica, di 
didattica 
integrativa 
e 
di 
servizio agli 
studenti. 
Un contratto di 
tal 
genere 
può essere 
prorogato una 
sola 
volta 
per un periodo di 
due 
anni, 
previa 
valutazione 
positiva 
dell’attività 
scientifica 
effettuata 
dall’interessato. 
Un contratto di 
tipo B, invece, non può essere 
prorogato, ma 
il 
ricercatore 
interessato ha 
la 
possibilità, al 
termine 
di 
tale 
periodo e 
a 
seconda 
del 
risultato di 
un’adeguata 
valutazione, 
di 
conseguire 
un 
posto 
di 
professore 
associato, 
cui 
è 
collegato 
un 
contratto 
a 
tempo 
indeterminato. 


47 Le 
condizioni 
di 
accesso al 
contratto di 
ricercatore 
universitario sono anch’esse 
diverse. 
Per i 
contratti 
di 
tipo A, è 
sufficiente 
essere 
in possesso del 
titolo di 
dottore 
di 
ricerca, di 
un 
titolo 
universitario 
equivalente 
o 
del 
diploma 
di 
specializzazione 
medica. 
Per 
i 
contratti 
di 
tipo 
B, 
è 
necessario 
aver 
lavorato 
come 
ricercatore 
conformemente 
all’articolo 
24, 
comma 
3, lettera 
a), della 
legge 
n. 240/2010, aver conseguito l’abilitazione 
come 
professore 
di 
prima 
o di 
seconda 
fascia, aver completato un periodo di 
formazione 
medica 
o, 
ancora, aver trascorso almeno tre 
anni 
in diverse 
università 
usufruendo di 
assegni 
di 
ricerca 
o di borse di studio. 


48 Pertanto, il 
fatto di 
aver stipulato un contratto di 
tipo A 
consente 
di 
avere 
accesso a 
un 
contratto di 
tipo B. Un ricercatore 
universitario può quindi 
proseguire 
la 
sua 
carriera 
accademica, 
passando da 
un contratto di 
tipo A 
a 
un contratto di 
tipo B, il 
che 
gli 
darà 
poi 
la 
possibilità 
di 
essere 
nominato professore 
associato. Una 
simile 
nomina 
dipende, tuttavia, 
dal risultato di un’adeguata valutazione e non è quindi automatica. 


49 Ne 
consegue 
che 
la 
differenza 
essenziale 
tra 
le 
due 
categorie 
di 
ricercatori 
universitari 
attualmente 
previste 
risiede 
nel 
fatto che 
i 
ricercatori 
di 
cui 
all’articolo 24, comma 
3, lettera 
a), della 
legge 
n. 240/2010 non hanno direttamente 
accesso, nell’ambito della 
loro 
carriera, al 
posto di 
professore 
associato, mentre 
quelli 
di 
cui 
alla 
lettera 
b) della 
stessa 
disposizione vi hanno direttamente accesso. 


50 Nel 
caso di 
specie, EB è 
stato assunto in quanto vincitore 
di 
una 
procedura 
di 
selezione 
organizzata 
ai 
sensi 
dell’articolo 24 della 
legge 
n. 240/2010 e, quindi, in seguito a 
una 
valutazione 
positiva 
che 
tiene 
conto delle 
«risorse 
disponibili 
per la 
programmazione, al 
fine 
di 
svolgere 
attività 
di 
ricerca, di 
didattica, di 
didattica 
integrativa 
e 
di 
servizio agli 
studenti», come richiesto dal comma 3, lettera a), del medesimo articolo. 


51 Si 
deve 
ricordare 
che, secondo la 
clausola 
1 dell’accordo quadro, l’obiettivo di 
quest’ultimo 
è, da 
un lato, migliorare 
la 
qualità 
del 
lavoro a 
tempo determinato garantendo il 
rispetto 
del 
principio di 
non discriminazione 
e, dall’altro, creare 
un quadro normativo per 
la 
prevenzione 
degli 
abusi 
derivanti 
dall’utilizzo 
di 
una 
successione 
di 
contratti 
o 
rapporti 
di lavoro a tempo determinato. 


52 
Tuttavia, 
dal 
tenore 
letterale 
della 
clausola 
5 
dell’accordo 
quadro 
nonché 
da 
una 
giurisprudenza 
costante 
risulta 
che 
tale 
clausola 
si 
applica 
solo in caso di 
successione 
di 
contratti 
o rapporti 
di 
lavoro a 
tempo determinato (sentenze 
del 
22 gennaio 2020, Baldonedo 
Martín, 
C‑177/18, 
EU:C:2020:26, 
punto 
70, 
e 
del 
19 
marzo 
2020, 
Sánchez 
Ruiz 
e 
a., 



CoNTENzIoSo 
CoMUNITARIo 
ED 
INTERNAzIoNALE 
135 


C‑103/18 
e 
C‑429/18, 
EU:C:2020:219, 
punto 
56 
e 
giurisprudenza 
ivi 
citata), 
di 
modo 
che 
un contratto che 
è 
il 
primo o l’unico contratto di 
lavoro a 
tempo determinato non rientra 
nell’ambito 
di 
applicazione 
della 
clausola 
5, 
punto 
1, 
dell’accordo 
quadro 
[sentenza 
dell’11 febbraio 2021, M.v. e 
a. (Successione 
di 
contratti 
di 
lavoro a 
tempo determinato 
nel 
settore 
pubblico), C‑760/18, EU:C:2021:113, punto 38 e 
giurisprudenza 
ivi 
citata]. A 
tale 
proposito, la 
Corte 
ha 
altresì 
sottolineato che 
l’accordo quadro non impone 
agli 
Stati 
membri 
di 
adottare 
una 
misura 
che 
imponga 
di 
giustificare 
ogni 
primo o unico contratto 
di 
lavoro 
a 
tempo 
determinato 
con 
una 
ragione 
oggettiva 
(sentenza 
del 
3 
luglio 
2014, 
Fiamingo 
e a., C‑362/13, C‑363/13 e C‑407/13, EU:C:2014:2044, punto 57). 


53 Pertanto, la 
stipulazione 
di 
un contratto a 
tempo determinato, quale 
il 
contratto di 
tipo A, 
non 
è 
disciplinata, 
in 
quanto 
tale, 
dalla 
clausola 
5, 
punto 
1, 
dell’accordo 
quadro 
e 
non 
rientra quindi nell’ambito di applicazione di tale disposizione. 


54 
La 
disposizione 
in 
parola 
è 
invece 
applicabile 
qualora 
un 
contratto 
di 
tipo 
A 
sia 
prorogato 
per un periodo massimo di 
due 
anni, come 
previsto all’articolo 24, comma 
3, lettera 
a), 
della 
legge 
n. 240/2010, giacché 
si 
tratta, in tal 
caso, di 
una 
successione 
di 
due 
contratti 
a tempo determinato. 


55 A 
tale 
riguardo, occorre 
ricordare 
che 
il 
punto 1 della 
suddetta 
clausola 
ha 
lo scopo di 
attuare 
uno degli 
obiettivi 
perseguiti 
da 
tale 
accordo quadro, vale 
a 
dire 
limitare 
il 
ripetuto 
ricorso ai 
contratti 
o ai 
rapporti 
di 
lavoro a 
tempo determinato, considerato come 
potenziale 
fonte 
di 
abuso a 
danno dei 
lavoratori, prevedendo un certo numero di 
disposizioni 
di 
tutela 
minima 
volte 
a 
evitare 
la 
precarizzazione 
della 
situazione 
dei 
lavoratori 
dipendenti 
[sentenza 
dell’11 
febbraio 
2021, 
M.v. 
e 
a. 
(Successione 
di 
contratti 
di 
lavoro 
a 
tempo 
determinato nel 
settore 
pubblico), C‑760/18, EU:C:2021:113, punto 36 e 
giurisprudenza 
ivi citata]. 


56 Pertanto, la 
clausola 
5, punto 1, dell’accordo quadro impone 
agli 
Stati 
membri, al 
fine 
di 
prevenire 
l’utilizzo abusivo di 
una 
successione 
di 
contratti 
o rapporti 
di 
lavoro a 
tempo 
determinato, 
l’adozione 
effettiva 
e 
vincolante 
di 
almeno 
una 
delle 
misure 
da 
essa 
elencate, 
qualora 
il 
loro diritto interno non contenga 
norme 
equivalenti. Le 
misure 
così 
elencate 
al 
punto 
1, 
lettere 
da 
a) 
a 
c), 
di 
detta 
clausola, 
in 
numero 
di 
tre, 
sono 
relative, 
rispettivamente, 
a 
ragioni 
obiettive 
che 
giustifichino il 
rinnovo di 
tali 
contratti 
o rapporti 
di 
lavoro, alla 
durata 
massima 
totale 
di 
tali 
contratti 
o 
rapporti 
di 
lavoro 
successivi 
e 
al 
numero 
di 
rinnovi 
di 
questi 
[sentenza 
dell’11 febbraio 2021, M.v. e 
a. (Successione 
di 
contratti 
di 
lavoro a 
tempo 
determinato 
nel 
settore 
pubblico), 
C‑760/18, 
EU:C:2021:113, 
punto 
54 
e 
giurisprudenza 
ivi citata]. 


57 Gli 
Stati 
membri 
dispongono al 
riguardo di 
discrezionalità, dal 
momento che 
possono 
scegliere 
di 
far ricorso a 
una 
o più delle 
misure 
elencate 
nella 
clausola 
5, punto 1, lettere 
da 
a) a 
c), dell’accordo quadro oppure 
a 
norme 
esistenti 
equivalenti, e 
ciò tenendo conto, 
al 
contempo, 
delle 
esigenze 
di 
settori 
specifici 
e/o 
di 
categorie 
di 
lavoratori 
[sentenza 
dell’11 febbraio 2021, M.v. e 
a. (Successione 
di 
contratti 
di 
lavoro a 
tempo determinato 
nel settore pubblico), C‑760/18, EU:C:2021:113, punto 55 e giurisprudenza ivi citata]. 


58 
In 
tal 
modo, 
la 
clausola 
5, 
punto 
1, 
dell’accordo 
quadro 
assegna 
agli 
Stati 
membri 
un 
obiettivo 
generale, 
consistente 
nella 
prevenzione 
di 
tali 
abusi, 
lasciando 
loro 
nel 
contempo 
la 
scelta 
dei 
mezzi 
per conseguirlo, purché 
essi 
non rimettano in discussione 
lo scopo o 
l’effetto 
utile 
dell’accordo 
quadro 
[sentenza 
dell’11 
febbraio 
2021, 
M.v. 
e 
a. 
(Successione 
di 
contratti 
di 
lavoro 
a 
tempo 
determinato 
nel 
settore 
pubblico), 
C‑760/18, 
EU:C:2021:113, punto 56 e giurisprudenza ivi citata]. 



RASSEGNA 
AvvoCATURA 
DELLo 
STATo -N. 1/2021 


59 Nel 
caso di 
specie, occorre 
constatare 
che 
l’articolo 24, comma 
3, lettera 
a), della 
legge 


n. 240/2010 stabilisce 
non solo un limite 
per quanto riguarda 
la 
durata 
massima 
del 
contratto 
a 
tempo determinato dei 
ricercatori 
universitari 
rientranti 
nella 
categoria 
cui 
appartiene 
EB, ma 
anche 
per quanto riguarda 
il 
numero possibile 
di 
rinnovi 
di 
tale 
contratto. 
Più precisamente, relativamente 
al 
contratto di 
tipo A, tale 
legge 
fissa 
la 
durata 
massima 
del contratto a tre anni e autorizza una sola proroga limitata a una durata di due anni. 
60 Pertanto, l’articolo 24, comma 
3, della 
legge 
n. 240/2010 contiene 
due 
delle 
misure 
indicate 
alla 
clausola 
5, punto 1, dell’accordo quadro, ossia 
limiti 
riguardanti 
la 
durata 
massima 
totale 
dei 
contratti 
a 
tempo determinato e 
il 
numero di 
possibili 
rinnovi. Il 
giudice 
del 
rinvio 
non 
ha 
menzionato 
elementi 
che 
potrebbero 
suggerire 
che 
tali 
misure 
non 
siano 
sufficienti 
per prevenire 
efficacemente 
il 
ricorso abusivo a 
contratti 
a 
tempo determinato 
nel caso dei contratti di tipo A. 


61 È 
vero che 
il 
giudice 
del 
rinvio riferisce, basandosi 
sulle 
sentenze 
del 
14 settembre 
2016, 
Martínez 
Andrés 
e 
Castrejana 
López 
(C‑184/15 e 
C‑197/15, EU:C:2016:680), e 
del 
25 
ottobre 
2018, 
Sciotto 
(C‑331/17, 
EU:C:2018:859), 
che 
la 
normativa 
nazionale 
di 
cui 
trattasi 
nel 
procedimento 
principale 
non 
contiene 
criteri 
obiettivi 
e 
trasparenti 
che 
consentano 
di 
stabilire, 
da 
un 
lato, 
se 
la 
stipulazione 
e 
la 
proroga 
di 
contratti 
di 
tipo 
A 
siano 
giustificate 
da 
esigenze 
reali 
di 
carattere 
provvisorio e, dall’altro, se 
essi 
siano idonei 
a 
soddisfare 
tali esigenze, e se siano attuati in maniera proporzionata. 


62 A 
tale 
riguardo, occorre 
tuttavia 
constatare, in primo luogo, che, contrariamente 
alle 
circostanze 
di 
cui 
alle 
cause 
che 
hanno 
dato 
origine 
alle 
sentenze 
del 
14 
settembre 
2016, 
Martínez 
Andrés 
e 
Castrejana 
López 
(C‑184/15 e 
C‑197/15, EU:C:2016:680), e 
del 
25 
ottobre 
2018, 
Sciotto 
(C‑331/17, 
EU:C:2018:859), 
la 
normativa 
nazionale 
applicabile 
alla 
controversia 
principale 
contiene 
misure 
che 
corrispondono a 
quelle 
previste 
alla 
clausola 
5, punto 1, lettere b) e c), dell’accordo quadro. 


63 Infatti, nelle 
sentenze 
citate, il 
problema 
consistente 
nello stabilire 
se 
il 
rinnovo dei 
contratti 
a 
tempo determinato oggetto di 
tali 
cause 
fosse 
giustificato da 
ragioni 
obiettive 
ai 
sensi 
della 
clausola 
5, punto 1, lettera 
a), dell’accordo quadro -tra 
cui 
la 
necessità 
di 
soddisfare 
esigenze 
reali 
e 
provvisorie 
-si 
è 
posto 
unicamente 
a 
causa 
dell’assenza 
di 
misure 
rientranti 
nelle 
due 
categorie 
di 
misure 
citate 
al 
punto 59 della 
presente 
sentenza, le 
quali 
sono 
invece 
previste 
all’articolo 
24, 
comma 
3, 
lettera 
a), 
della 
legge 
n. 
240/2010. 
Pertanto, 
il 
fatto che 
la 
legislazione 
nazionale 
di 
cui 
al 
procedimento principale 
non contenga 
precisazioni 
quanto al 
carattere 
reale 
e 
provvisorio delle 
esigenze 
da 
soddisfare 
mediante 
il 
ricorso a contratti a tempo determinato, invocato dal giudice del rinvio, è irrilevante. 


64 In secondo luogo, occorre 
tener presente 
che, nelle 
sentenze 
citate, i 
lavoratori 
interessati 
si 
trovavano in una 
situazione 
di 
assoluta 
incertezza 
quanto alla 
durata 
del 
loro rapporto 
di 
lavoro. Nel 
caso di 
specie, invece, i 
soggetti 
che 
stipulano un contratto di 
tipo A, come 
quello stipulato tra 
EB e 
l’Università, sono informati, ancor prima 
di 
sottoscrivere 
il 
contratto, 
che il rapporto di lavoro non potrà durare più di cinque anni. 


65 
Per 
quanto 
riguarda 
il 
beneficio, 
per 
un 
lavoratore, 
della 
stabilità 
dell’impiego, 
esso, 
come 
risulta 
dal 
secondo comma 
del 
preambolo dell’accordo quadro, è 
senz’altro inteso come 
un elemento portante 
della 
tutela 
dei 
lavoratori, laddove 
soltanto in alcune 
circostanze 
i 
contratti 
di 
lavoro a 
tempo determinato sono atti 
a 
rispondere 
alle 
esigenze 
sia 
dei 
datori 
di 
lavoro 
sia 
dei 
lavoratori 
[sentenza 
dell’11 
febbraio 
2021, 
M.v. 
e 
a. 
(Successione 
di 
contratti 
di 
lavoro a 
tempo determinato nel 
settore 
pubblico), C‑760/18, EU:C:2021:113, 
punto 48 e giurisprudenza ivi citata]. 



CoNTENzIoSo 
CoMUNITARIo 
ED 
INTERNAzIoNALE 


66 orbene, 
la 
cessazione 
degli 
effetti 
di 
un 
contratto 
di 
ricercatore 
a 
tempo 
determinato, 
come 
quello 
di 
EB, 
assunto 
in 
forza 
di 
un 
contratto 
di 
lavoro 
di 
tipo 
A, 
non 
comporta 
necessariamente 
un’instabilità 
dell’impiego, 
in 
quanto 
essa 
consente 
al 
lavoratore 
interessato 
di 
acquisire 
le 
qualifiche 
necessarie 
per 
conseguire 
un 
contratto 
di 
tipo 
B, 
il 
quale 
può, 
a 
sua 
volta, 
portare 
a 
un 
rapporto 
di 
lavoro 
a 
tempo 
indeterminato 
in 
qualità 
di 
professore 
associato. 


67 In terzo luogo, occorre 
constatare 
che 
il 
fatto che 
le 
università 
abbiano un’esigenza 
permanente 
di 
assumere 
ricercatori 
universitari, come 
sembra 
emergere 
dalla 
normativa 
nazionale 
di 
cui 
trattasi, 
non 
significa 
che 
tale 
esigenza 
non 
possa 
essere 
soddisfatta 
facendo 
ricorso a contratti di lavoro a tempo determinato. 


68 Il 
posto di 
ricercatore 
sembra 
infatti 
concepito come 
la 
prima 
tappa 
nella 
carriera 
di 
un 
accademico, 
essendo 
tale 
ricercatore 
destinato, 
in 
ogni 
caso, 
a 
evolvere 
verso 
un 
altro 
posto, 
vale 
a 
dire 
un 
posto 
di 
docente, 
in 
qualità 
di 
professore 
associato 
in 
un 
primo 
tempo 
e in qualità di professore ordinario in un secondo tempo. 


69 Inoltre, quanto al 
fatto che 
la 
proroga 
di 
due 
anni 
dei 
contratti 
di 
tipo A 
è 
subordinata 
alla 
positiva 
valutazione 
delle 
attività 
didattiche 
e 
di 
ricerca 
effettuate, 
le 
«esigenze 
particolari» 
del 
settore 
interessato possono ragionevolmente 
consistere, per quanto riguarda 
il 
settore 
della 
ricerca 
scientifica, 
nella 
necessità 
di 
garantire 
l’evoluzione 
della 
carriera 
dei 
diversi 
ricercatori 
in funzione 
dei 
loro rispettivi 
meriti, i 
quali 
devono di 
conseguenza 
essere 
valutati. 
Pertanto, 
una 
disposizione 
che 
obblighi 
un’università 
a 
stipulare 
un 
contratto 
a 
tempo 
indeterminato 
con 
un 
ricercatore, 
indipendentemente 
dalla 
valutazione 
dei 
risultati 
delle sue attività scientifiche, non soddisfarebbe i requisiti summenzionati. 


70 
Infine, 
relativamente 
al 
principio 
di 
equivalenza, 
più 
volte 
invocato 
dal 
giudice 
del 
rinvio 
nella 
sua 
ordinanza 
nonché 
da 
EB stesso, esso fa 
riferimento alla 
necessità 
di 
garantire 
una 
tutela 
giurisdizionale 
dei 
diritti 
conferiti 
dall’ordinamento giuridico dell’Unione 
che 
non sia 
meno favorevole 
di 
quella 
prevista 
per i 
diritti 
analoghi 
che 
traggono origine 
unicamente 
dal 
diritto 
nazionale. 
Pertanto, 
tale 
principio 
non 
è 
applicabile 
nel 
caso 
di 
specie, 
poiché 
tale 
necessità 
riguarda 
solo le 
disposizioni 
che 
hanno ad oggetto diritti 
conferiti 
dall’ordinamento giuridico dell’Unione 
(v., in tal 
senso, sentenza 
del 
7 marzo 2018, Santoro, 
C‑494/16, EU:C:2018:166, punti 39 e 40). 


71 Alla 
luce 
dell’insieme 
delle 
considerazioni 
che 
precedono, occorre 
rispondere 
alla 
terza 
questione 
pregiudiziale 
dichiarando 
che 
la 
clausola 
5 
dell’accordo 
quadro 
deve 
essere 
interpretata 
nel 
senso che 
essa 
non osta 
a 
una 
normativa 
nazionale 
in forza 
della 
quale 
è 
prevista, per quanto riguarda 
l’assunzione 
dei 
ricercatori 
universitari, la 
stipulazione 
di 
un contratto a 
tempo determinato per un periodo di 
tre 
anni, con una 
sola 
possibilità 
di 
proroga 
per un periodo massimo di 
due 
anni, subordinando, da 
un lato, la 
stipulazione 
di 
tali 
contratti 
alla 
condizione 
che 
siano 
disponibili 
risorse 
«per 
la 
programmazione, 
al 
fine 
di 
svolgere 
attività 
di 
ricerca, di 
didattica, di 
didattica 
integrativa 
e 
di 
servizio agli 
studenti
», e, dall’altro, la 
proroga 
di 
tali 
contratti 
alla 
«positiva 
valutazione 
delle 
attività 
didattiche 
e 
di 
ricerca 
svolte», 
senza 
che 
sia 
necessario 
che 
tale 
normativa 
stabilisca 
i 
criteri 
oggettivi 
e 
trasparenti 
che 
consentano di 
verificare 
se 
la 
stipulazione 
e 
il 
rinnovo di 
tali 
contratti 
rispondano effettivamente 
a 
un’esigenza 
reale, se 
essi 
siano idonei 
a 
conseguire 
l’obiettivo perseguito e siano necessari a tal fine. 
sulle questioni prima e seconda 


72 Come 
menzionato al 
punto 40 della 
presente 
sentenza, le 
questioni 
pregiudiziali 
prima 
e 
seconda 
si 
riferiscono 
alle 
misure 
dirette 
a 
sanzionare 
il 
ricorso 
abusivo 
ai 
contratti 
a 
tempo determinato. 



RASSEGNA 
AvvoCATURA 
DELLo 
STATo -N. 1/2021 


73 Come 
risulta 
dalla 
risposta 
fornita 
alla 
terza 
questione 
pregiudiziale, poiché 
la 
clausola 
5 
dell’accordo quadro non osta 
alla 
normativa 
nazionale 
di 
cui 
al 
procedimento principale 
e 
questa 
non comporta 
pertanto un rischio di 
ricorso abusivo a 
contratti 
a 
tempo determinato, 
non è necessario rispondere alle questioni pregiudiziali prima e seconda. 
sulle spese 


74 Nei 
confronti 
delle 
parti 
nel 
procedimento principale 
la 
presente 
causa 
costituisce 
un incidente 
sollevato dinanzi 
al 
giudice 
del 
rinvio, cui 
spetta 
quindi 
statuire 
sulle 
spese. Le 
spese 
sostenute 
da 
altri 
soggetti 
per presentare 
osservazioni 
alla 
Corte 
non possono dar 
luogo a rifusione. 
Per questi motivi, la Corte (Settima Sezione) dichiara: 
La 
clausola 
5 
dell’accordo 
quadro 
sul 
lavoro 
a 
tempo 
determinato, 
concluso 
il 
18 
marzo 
1999, 
che 
figura 
in 
allegato 
alla 
direttiva 
1999/70/Ce 
del 
Consiglio, 
del 
28 
giugno 1999, relativa all’accordo quadro Ces, UniCe e 
CeeP 
sul 
lavoro a tempo 
determinato, deve 
essere 
interpretata nel 
senso che 
essa non 
osta a una normativa 
nazionale 
in 
forza 
della 
quale 
è 
prevista, 
per 
quanto 
riguarda 
l’assunzione 
dei 
ricercatori 
universitari, la stipulazione 
di 
un 
contratto a tempo determinato per 
un 
periodo di 
tre 
anni, con 
una sola possibilità di 
proroga per 
un 
periodo massimo di 
due 
anni, subordinando, da un 
lato, la stipulazione 
di 
tali 
contratti 
alla condizione 
che 
siano disponibili 
risorse 
«per 
la programmazione, al 
fine 
di 
svolgere 
attività di 
ricerca, di 
didattica, di 
didattica integrativa e 
di 
servizio agli 
studenti», e, dall’altro, 
la proroga di 
tali 
contratti 
alla «positiva valutazione 
delle 
attività didattiche 
e 
di 
ricerca 
svolte», 
senza 
che 
sia 
necessario 
che 
tale 
normativa 
stabilisca 
i 
criteri 
oggettivi 
e 
trasparenti 
che 
consentano di 
verificare 
se 
la stipulazione 
e 
il 
rinnovo di 
tali 
contratti 
rispondano 
effettivamente 
a 
un’esigenza 
reale, 
se 
essi 
siano 
idonei 
a 
conseguire 
l’obiettivo perseguito e siano necessari a tal fine. 



CoNTENzIoSo 
CoMUNITARIo 
ED 
INTERNAzIoNALE 
139 


La Grande sezione della Corte di giustizia Ue si pronuncia 
sui poteri delle 
autorità nazionali nell’ambito del rGPd 
a fronte della gestione dei dati da parte dei colossi del web 


Corte 
di 
giustizia 
ue, grande 
sezione, sentenza 
15 giugno 
2021, Causa 
C-645/19 


La 
Corte 
di 
Giustizia 
dell’Unione 
Europea 
in 
una 
causa 
pregiudiziale 
Belga 
(Facebook Ireland Limited, Facebook INC, Facebook Belgium 
BvBA 
/ 
Gegevensbeschermingsautoriteit) 
in 
cui 
l’Italia 
è 
intervenuta 
con 
osservazioni 
scritte, 
ammette 
per 
la 
prima 
volta 
che 
si 
possa 
derogare 
al 
principio 
“one 
stop 
shop” 
e 
al 
meccanismo 
di 
cooperation 
and 
consistency, 
consentendo 
non 
solo 
all’Autorità 
capofila, 
ma 
anche 
all’Autorità 
nazionale 
di 
poter 
agire 
contro 
il 
colosso di 
Facebook in materia 
di 
Privacy. La 
tutela 
dei 
diritti 
fondamentali 
sembra 
prevalere 
sulle 
rigorose 
forme 
procedurali, lasciando spazio agli 
Stati 
membri 
di 
poter svolgere 
attività 
di 
controllo sul 
trattamento dei 
Big Data 
da 
parte delle piattaforrme. 


gaetana natale* 


Corte 
di 
Giustizia 
dell’Unione 
europea, 
Grande 
sezione, 
sentenza 
15 
giugno 
2021 
in 
causa C-645/19 
-pres. K. Lenaerts, rel. L.S. Rossi 
-Domanda 
di 
pronuncia 
pregiudiziale 
proposta 
dallo Hof van beroep te 
Brussel 
(Belgio) il 
30 agosto 2019 -Facebook Ireland Limited, 
Facebook INC, Facebook Belgium BvBA / Gegevensbeschermingsautoriteit. 


«Rinvio pregiudiziale 
-Tutela 
delle 
persone 
fisiche 
con riguardo al 
trattamento dei 
dati 
personali 
-Carta 
dei 
diritti 
fondamentali 
dell’Unione 
europea 
-Articoli 
7, 8 e 
47 -Regolamento 
(UE) 2016/679 -Trattamento transfrontaliero di 
dati 
personali 
-Meccanismo dello “sportello 
unico” 
-Cooperazione 
leale 
ed efficace 
tra 
le 
autorità 
di 
controllo -Competenze 
e 
poteri 
Potere 
di agire in sede giudiziale» 


1 La 
domanda 
di 
pronuncia 
pregiudiziale 
verte 
sull’interpretazione 
dell’articolo 55, paragrafo 
1, degli 
articoli 
da 
56 a 
58 e 
da 
60 a 
66 del 
regolamento (UE) 2016/679 del 
Parlamento 
europeo e 
del 
Consiglio, del 
27 aprile 
2016, relativo alla 
protezione 
delle 
persone 
fisiche 
con riguardo al 
trattamento dei 
dati 
personali, nonché 
alla 
libera 
circolazione 
di 
tali 
dati 
e 
che 
abroga 
la 
direttiva 
95/46/CE 
(regolamento 
generale 
sulla 
protezione 
dei 
dati) (GU 
2016, L 
119, pag. 1 e 
rettifiche 
in GU 
2016, L 
314, pag. 72, GU 
2018, L 
127, 
pag. 2 e 
GU 
2021, L 
74, pag. 35) in combinato disposto con gli 
articoli 
7, 8 e 
47 della 
Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (in prosieguo: la «Carta»). 


2 Tale 
domanda 
è 
stata 
presentata 
nell’ambito 
di 
una 
controversia 
tra 
Facebook 
Ireland 
Ltd, 
Facebook 
Inc. 
e 
Facebook 
Belgium 
BvBA, 
da 
un 
lato, 
e 
la 
Gegevensbeschermingsautoriteit 
(autorità 
per 
la 
protezione 
dei 
dati, 
Belgio) 
(in 
prosieguo: 
l’«APD»), 
succeduta 


(*) Avvocato dello Stato, Professore 
a 
contratto presso l’Università 
degli 
Studi 
di 
Salerno, Consigliere 
giuridico del Garante per la Privacy. 



RASSEGNA 
AvvoCATURA 
DELLo 
STATo -N. 1/2021 


alla 
Commissie 
ter 
bescherming 
van 
de 
persoonlijke 
levenssfeer 
(Commissione 
per 
la 
tutela 
della 
vita 
privata, 
Belgio) 
(in 
prosieguo: 
la 
«CPvP»), 
dall’altro, 
in 
merito 
ad 
un’azione 
inibitoria 
intentata 
dal 
presidente 
di 
quest’ultima 
e 
diretta 
a 
far cessare 
il 
trattamento 
di 
dati 
personali 
degli 
internauti 
nel 
territorio 
belga, 
effettuato 
dal 
social 
network 
Facebook, per mezzo di cookie, social plugin e pixel. 


Contesto normativo 


Diritto dell’Unione 


I considerando 1, 4, 10, 11, 13, 22, 123, 141 e 
145 del 
regolamento 2016/679 così 
recitano: 
«(1) La 
protezione 
delle 
persone 
fisiche 
con riguardo al 
trattamento dei 
dati 
di 
carattere 
personale 
è 
un diritto fondamentale. L’articolo 8, paragrafo 1, della 
[Carta] e 
l’articolo 
16, paragrafo 1, [TFUE] stabiliscono che 
ogni 
persona 
ha 
diritto alla 
protezione 
dei 
dati 
di carattere personale che la riguardano. 
(...) 


(4) Il 
trattamento dei 
dati 
personali 
dovrebbe 
essere 
al 
servizio dell’uomo. Il 
diritto alla 
protezione 
dei 
dati 
di 
carattere 
personale 
non è 
una 
prerogativa 
assoluta, ma 
va 
considerato 
alla 
luce 
della 
sua 
funzione 
sociale 
e 
va 
contemperato con altri 
diritti 
fondamentali, 
in ossequio al 
principio di 
proporzionalità. Il 
presente 
regolamento rispetta 
tutti 
i 
diritti 
fondamentali 
e 
osserva 
le 
libertà 
e 
i 
principi 
riconosciuti 
dalla 
Carta, sanciti 
dai 
trattati, 
in 
particolare 
il 
rispetto 
della 
vita 
privata 
e 
familiare, 
del 
domicilio 
e 
delle 
comunicazioni, 
la 
protezione 
dei 
dati 
personali, 
la 
libertà 
di 
pensiero, 
di 
coscienza 
e 
di 
religione, 
la 
libertà 
di 
espressione 
e 
d’informazione, la 
libertà 
d’impresa, il 
diritto a 
un ricorso effettivo e 
a 
un giudice imparziale, nonché la diversità culturale, religiosa e linguistica. 
(...) 
(10) 
Al 
fine 
di 
assicurare 
un 
livello 
coerente 
ed 
elevato 
di 
protezione 
delle 
persone 
fisiche 
e 
rimuovere 
gli 
ostacoli 
alla 
circolazione 
dei 
dati 
personali 
all’interno dell’Unione 
[europea], 
il 
livello di 
protezione 
dei 
diritti 
e 
delle 
libertà 
delle 
persone 
fisiche 
con riguardo 
al 
trattamento 
di 
tali 
dati 
dovrebbe 
essere 
equivalente 
in 
tutti 
gli 
Stati 
membri. 
È 
opportuno 
assicurare 
un’applicazione 
coerente 
e 
omogenea 
delle 
norme 
a 
protezione 
dei 
diritti 
e 
delle 
libertà 
fondamentali 
delle 
persone 
fisiche 
con riguardo al 
trattamento dei 
dati 
personali 
in tutta l’Unione. (...) 
(11) 
Un’efficace 
protezione 
dei 
dati 
personali 
in 
tutta 
l’Unione 
presuppone 
il 
rafforzamento 
e 
la 
disciplina 
dettagliata 
dei 
diritti 
degli 
interessati 
e 
degli 
obblighi 
di 
coloro che 
effettuano e 
determinano il 
trattamento dei 
dati 
personali, nonché 
poteri 
equivalenti 
per 
controllare 
e 
assicurare 
il 
rispetto delle 
norme 
di 
protezione 
dei 
dati 
personali 
e 
sanzioni 
equivalenti per le violazioni negli Stati membri. 
(...) 
(13) 
Per 
assicurare 
un 
livello 
coerente 
di 
protezione 
delle 
persone 
fisiche 
in 
tutta 
l’Unione 
e 
prevenire 
disparità 
che 
possono 
ostacolare 
la 
libera 
circolazione 
dei 
dati 
personali 
nel 
mercato 
interno, 
è 
necessario 
un 
regolamento 
che 
garantisca 
certezza 
del 
diritto 
e 
trasparenza 
agli 
operatori 
economici, 
comprese 
le 
micro, 
piccole 
e 
medie 
imprese, 
offra 
alle 
persone 
fisiche 
in 
tutti 
gli 
Stati 
membri 
il 
medesimo 
livello 
di 
diritti 
azionabili 
e 
di 
obblighi 
e 
responsabilità 
dei 
titolari 
del 
trattamento 
e 
dei 
responsabili 
del 
trattamento 
e 
assicuri 
un 
controllo 
coerente 
del 
trattamento 
dei 
dati 
personali, 
sanzioni 
equivalenti 
in 
tutti 
gli 
Stati 
membri 
e 
una 
cooperazione 
efficace 
tra 
le 
autorità 
di 
controllo 
dei 
diversi 
Stati 
membri. 
(…) 
(...) 

CoNTENzIoSo 
CoMUNITARIo 
ED 
INTERNAzIoNALE 
141 


(22) 
Qualsiasi 
trattamento 
di 
dati 
personali 
effettuato 
nell’ambito 
delle 
attività 
di 
uno 
stabilimento 
di 
un titolare 
del 
trattamento o responsabile 
del 
trattamento nel 
territorio del-
l’Unione 
dovrebbe 
essere 
conforme 
al 
presente 
regolamento, 
indipendentemente 
dal 
fatto 
che 
il 
trattamento avvenga 
all’interno dell’Unione. Lo stabilimento implica 
l’effettivo e 
reale 
svolgimento 
di 
attività 
nel 
quadro 
di 
un’organizzazione 
stabile. 
A 
tale 
riguardo, 
non 
è 
determinante 
la 
forma 
giuridica 
assunta, sia 
essa 
una 
succursale 
o una 
filiale 
dotata 
di 
personalità giuridica. 
(...) 
(123) 
Le 
autorità 
di 
controllo 
dovrebbero 
controllare 
l’applicazione 
delle 
disposizioni 
del 
presente 
regolamento e 
contribuire 
alla 
sua 
coerente 
applicazione 
in tutta 
l’Unione, così 
da 
tutelare 
le 
persone 
fisiche 
in relazione 
al 
trattamento dei 
loro dati 
personali 
e 
facilitare 
la 
libera 
circolazione 
di 
tali 
dati 
nel 
mercato interno. A 
tal 
fine, le 
autorità 
di 
controllo 
dovrebbero 
cooperare 
tra 
loro 
e 
con 
la 
Commissione 
[europea], 
senza 
che 
siano 
necessari 
accordi tra gli Stati membri sulla mutua assistenza o su tale tipo di cooperazione. 
(...) 
(141) 
Ciascun 
interessato 
dovrebbe 
avere 
il 
diritto 
di 
proporre 
reclamo 
a 
un’unica 
autorità 
di 
controllo, in particolare 
nello Stato membro in cui 
risiede 
abitualmente, e 
il 
diritto a 
un ricorso giurisdizionale 
effettivo a 
norma 
dell’articolo 47 della 
Carta 
qualora 
ritenga 
che 
siano stati 
violati 
i 
diritti 
di 
cui 
gode 
a 
norma 
del 
presente 
regolamento o se 
l’autorità 
di 
controllo non dà 
seguito a 
un reclamo, lo respinge 
in tutto o in parte 
o lo archivia 
o 
non agisce quando è necessario intervenire per proteggere i diritti dell’interessato. (...) 
(...) 
(145) Nelle 
azioni 
contro un titolare 
del 
trattamento o responsabile 
del 
trattamento, il 
ricorrente 
dovrebbe 
poter 
avviare 
un’azione 
legale 
dinanzi 
all’autorità 
giurisdizionale 
dello 
Stato membro in cui 
il 
titolare 
del 
trattamento o il 
responsabile 
del 
trattamento ha 
uno 
stabilimento o in cui 
risiede 
l’interessato, salvo che 
il 
titolare 
del 
trattamento sia 
un’autorità 
pubblica di uno Stato membro che agisce nell’esercizio dei suoi poteri pubblici». 
4 L’articolo 3 di 
tale 
regolamento, intitolato «Ambito di 
applicazione 
territoriale», al 
suo 
paragrafo 1, prevede quanto segue: 
«Il 
presente 
regolamento 
si 
applica 
al 
trattamento 
dei 
dati 
personali 
effettuato 
nell’ambito 
delle 
attività 
di 
uno 
stabilimento 
da 
parte 
di 
un 
titolare 
del 
trattamento 
o 
di 
un 
responsabile 
del 
trattamento nell’Unione, indipendentemente 
dal 
fatto che 
il 
trattamento sia 
effettuato 


o meno nell’Unione». 
5 L’articolo 4 di 
detto regolamento definisce, al 
suo punto 16, la 
nozione 
di 
«stabilimento 
principale» e, al 
suo punto 23, quella 
di 
«trattamento transfrontaliero» nei 
seguenti 
termini: 
«16) “stabilimento principale”, 


a) 
per 
quanto 
riguarda 
un 
titolare 
del 
trattamento 
con 
stabilimenti 
in 
più 
di 
uno 
Stato 
membro, il 
luogo della 
sua 
amministrazione 
centrale 
nell’Unione, salvo che 
le 
decisioni 
sulle 
finalità 
e 
i 
mezzi 
del 
trattamento di 
dati 
personali 
siano adottate 
in un altro stabilimento 
del 
titolare 
del 
trattamento nell’Unione 
e 
che 
quest’ultimo stabilimento abbia 
facoltà 
di 
ordinare 
l’esecuzione 
di 
tali 
decisioni, 
nel 
qual 
caso 
lo 
stabilimento 
che 
ha 
adottato 
siffatte decisioni è considerato essere lo stabilimento principale; 
b) con riferimento a 
un responsabile 
del 
trattamento con stabilimenti 
in più di 
uno Stato 
membro, il 
luogo in cui 
ha 
sede 
la 
sua 
amministrazione 
centrale 
nell’Unione 
o, se 
il 
responsabile 
del 
trattamento 
non 
ha 
un’amministrazione 
centrale 
nell’Unione, 
lo 
stabili

RASSEGNA 
AvvoCATURA 
DELLo 
STATo -N. 1/2021 


mento del 
responsabile 
del 
trattamento nell’Unione 
in cui 
sono condotte 
le 
principali 
attività 
di 
trattamento 
nel 
contesto 
delle 
attività 
di 
uno 
stabilimento 
del 
responsabile 
del 
trattamento nella 
misura 
in cui 
tale 
responsabile 
è 
soggetto a 
obblighi 
specifici 
ai 
sensi 
del presente regolamento; 
(...) 


23) “trattamento transfrontaliero”, 
a) trattamento di 
dati 
personali 
che 
ha 
luogo nell’ambito delle 
attività 
di 
stabilimenti 
in 
più 
di 
uno 
Stato 
membro 
di 
un 
titolare 
del 
trattamento 
o 
responsabile 
del 
trattamento 
nell’Unione 
ove 
il 
titolare 
del 
trattamento o il 
responsabile 
del 
trattamento siano stabiliti 
in più di uno Stato membro; oppure 
b) 
trattamento 
di 
dati 
personali 
che 
ha 
luogo 
nell’ambito 
delle 
attività 
di 
un 
unico 
stabilimento 
di 
un 
titolare 
del 
trattamento 
o 
responsabile 
del 
trattamento 
nell’Unione, 
ma 
che 
incide 
o 
probabilmente 
incide 
in 
modo 
sostanziale 
su 
interessati 
in 
più 
di 
uno 
Stato 
membro». 
6 
L’articolo 
51 
del 
medesimo 
regolamento, 
intitolato 
«Autorità 
di 
controllo», 
prevede 
quanto 
segue: 


«1. ogni 
Stato membro dispone 
che 
una 
o più autorità 
pubbliche 
indipendenti 
siano incaricate 
di 
sorvegliare 
l’applicazione 
del 
presente 
regolamento al 
fine 
di 
tutelare 
i 
diritti 
e 
le 
libertà 
fondamentali 
delle 
persone 
fisiche 
con riguardo al 
trattamento e 
di 
agevolare 
la libera circolazione dei dati personali all’interno dell’Unione (…). 
2. ogni 
autorità 
di 
controllo contribuisce 
alla 
coerente 
applicazione 
del 
presente 
regolamento 
in tutta 
l’Unione. A 
tale 
scopo, le 
autorità 
di 
controllo cooperano tra 
loro e 
con la 
Commissione, conformemente al capo vII. 
(...)». 
7 L’articolo 55 del 
regolamento 2016/679, intitolato «Competenza», che 
fa 
parte 
del 
capo 
vI 
di 
tale 
regolamento, 
a 
sua 
volta 
intitolato 
«Autorità 
di 
controllo 
indipendenti», 
prevede 
quanto segue: 


«1. ogni 
autorità 
di 
controllo è 
competente 
a 
eseguire 
i 
compiti 
assegnati 
e 
a 
esercitare 
i 
poteri 
a 
essa 
conferiti 
a 
norma 
del 
presente 
regolamento nel 
territorio del 
rispettivo Stato 
membro. 
2. Se 
il 
trattamento è 
effettuato da 
autorità 
pubbliche 
o organismi 
privati 
che 
agiscono 
sulla 
base 
dell’articolo 6, paragrafo 1, lettera 
c) o e), è 
competente 
l’autorità 
di 
controllo 
dello Stato membro interessato. In tal caso, non si applica l’articolo 56». 
8 L’articolo 56 del 
regolamento di 
cui 
trattasi, intitolato «Competenza 
dell’autorità 
di 
controllo 
capofila», è del seguente tenore: 


«1. Fatto salvo l’articolo 55, l’autorità 
di 
controllo dello stabilimento principale 
o dello 
stabilimento 
unico 
del 
titolare 
del 
trattamento 
o 
responsabile 
del 
trattamento 
è 
competente 
ad agire 
in qualità 
di 
autorità 
di 
controllo capofila 
per i 
trattamenti 
transfrontalieri 
effettuati 
dal 
suddetto titolare 
del 
trattamento o responsabile 
del 
trattamento, secondo la 
procedura 
di cui all’articolo 60. 
2. In deroga 
al 
paragrafo 1, ogni 
autorità 
di 
controllo è 
competente 
per la 
gestione 
dei 
reclami 
a 
essa 
proposti 
o di 
eventuali 
violazioni 
del 
presente 
regolamento se 
l’oggetto riguarda 
unicamente 
uno stabilimento nel 
suo Stato membro o incide 
in modo sostanziale 
sugli interessati unicamente nel suo Stato membro. 
3. 
Nei 
casi 
indicati 
al 
paragrafo 
2 
del 
presente 
articolo, 
l’autorità 
di 
controllo 
informa 
senza 
ritardo l’autorità 
di 
controllo capofila 
in merito alla 
questione. Entro un termine 
di 
tre 
settimane 
da 
quando 
è 
stata 
informata, 
l’autorità 
di 
controllo 
capofila 
decide 
se 
intende 

CoNTENzIoSo 
CoMUNITARIo 
ED 
INTERNAzIoNALE 
143 


o 
meno 
trattare 
il 
caso 
secondo 
la 
procedura 
di 
cui 
all’articolo 
60, 
tenendo 
conto 
dell’esistenza 
o meno di 
uno stabilimento del 
titolare 
del 
trattamento o responsabile 
del 
trattamento 
nello Stato membro dell’autorità di controllo che l’ha informata. 
4. 
Qualora 
l’autorità 
di 
controllo 
capofila 
decida 
di 
trattare 
il 
caso, 
si 
applica 
la 
procedura 
di 
cui 
all’articolo 60. L’autorità 
di 
controllo che 
ha 
informato l’autorità 
di 
controllo capofila 
può presentare 
a 
quest’ultima 
un progetto di 
decisione. L’autorità 
di 
controllo capofila 
tiene 
nella 
massima 
considerazione 
tale 
progetto 
nella 
predisposizione 
del 
progetto 
di decisione di cui all’articolo 60, paragrafo 3. 
5. Nel 
caso in cui 
l’autorità 
di 
controllo capofila 
decida 
di 
non trattarlo, l’autorità 
di 
controllo 
che 
ha 
informato l’autorità 
di 
controllo capofila 
tratta 
il 
caso conformemente 
agli 
articoli 61 e 62. 
6. L’autorità 
di 
controllo capofila 
è 
l’unico interlocutore 
del 
titolare 
del 
trattamento o del 
responsabile 
del 
trattamento in merito al 
trattamento transfrontaliero effettuato da 
tale 
titolare 
del trattamento o responsabile del trattamento». 
9 L’articolo 57 del 
regolamento 2016/679, intitolato «Compiti», al 
suo paragrafo 1, è 
così 
formulato: 


«1. 
Fatti 
salvi 
gli 
altri 
compiti 
indicati 
nel 
presente 
regolamento, 
sul 
proprio 
territorio 
ogni autorità di controllo: 
a) sorveglia e assicura l’applicazione del presente regolamento; 
(...) 
g) 
collabora, 
anche 
tramite 
scambi 
di 
informazioni, 
con 
le 
altre 
autorità 
di 
controllo 
e 
presta 
assistenza 
reciproca 
al 
fine 
di 
garantire 
l’applicazione 
e 
l’attuazione 
coerente 
del 
presente 
regolamento; 
(...)». 
10 L’articolo 58 dello stesso regolamento, intitolato «Poteri», ai 
suoi 
paragrafi 
1, 4 e 
5, prevede 
quanto segue: 


«1. ogni autorità di controllo ha tutti i poteri di indagine seguenti: 
a) ingiungere 
al 
titolare 
del 
trattamento e 
al 
responsabile 
del 
trattamento e, ove 
applicabile, 
al 
rappresentante 
del 
titolare 
del 
trattamento o del 
responsabile 
del 
trattamento, di 
fornirle ogni informazione di cui necessiti per l’esecuzione dei suoi compiti; 
(...) 
d) notificare 
al 
titolare 
del 
trattamento o al 
responsabile 
del 
trattamento le 
presunte 
violazioni 
del presente regolamento; 
(...) 
4. 
L’esercizio 
da 
parte 
di 
un’autorità 
di 
controllo 
dei 
poteri 
attribuitile 
dal 
presente 
articolo 
è 
soggetto a 
garanzie 
adeguate, inclusi 
il 
ricorso giurisdizionale 
effettivo e 
il 
giusto processo, 
previste dal diritto dell’Unione e degli Stati membri conformemente alla Carta. 
5. ogni 
Stato membro dispone 
per legge 
che 
la 
sua 
autorità 
di 
controllo abbia 
il 
potere 
di 
intentare 
un’azione 
o di 
agire 
in sede 
giudiziale 
o, ove 
del 
caso, stragiudiziale 
in caso di 
violazione del presente regolamento per far rispettare le disposizioni dello stesso». 
11 
Nel 
capo 
vII 
del 
regolamento 
2016/679, 
intitolato 
«Cooperazione 
e 
coerenza», 
la 
sezione 
I, 
intitolata 
«Cooperazione», 
comprende 
gli 
articoli 
da 
60 
a 
62 
del 
regolamento 
in 
esame. 
Il 
suddetto articolo 60, intitolato «Cooperazione 
tra 
l’autorità 
di 
controllo capofila 
e 
le 
altre autorità di controllo interessate», così dispone: 


«1. L’autorità 
di 
controllo capofila 
coopera 
con le 
altre 
autorità 
di 
controllo interessate 
conformemente 
al 
presente 
articolo nell’adoperarsi 
per raggiungere 
un consenso. L’au

RASSEGNA 
AvvoCATURA 
DELLo 
STATo -N. 1/2021 


torità 
di 
controllo capofila 
e 
le 
autorità 
di 
controllo interessate 
si 
scambiano tutte 
le 
informazioni 
utili. 


2. L’autorità 
di 
controllo capofila 
può chiedere 
in qualunque 
momento alle 
altre 
autorità 
di 
controllo 
interessate 
di 
fornire 
assistenza 
reciproca 
a 
norma 
dell’articolo 
61 
e 
può 
condurre 
operazioni 
congiunte 
a 
norma 
dell’articolo 62, in particolare 
per lo svolgimento di 
indagini 
o 
il 
controllo 
dell’attuazione 
di 
una 
misura 
riguardante 
un 
titolare 
del 
trattamento 
o responsabile del trattamento stabilito in un altro Stato membro. 
3. L’autorità 
di 
controllo capofila 
comunica 
senza 
ritardo le 
informazioni 
utili 
sulla 
questione 
alle 
altre 
autorità 
di 
controllo 
interessate. 
Trasmette 
senza 
indugio 
alle 
altre 
autorità 
di 
controllo interessate 
un progetto di 
decisione 
per ottenere 
il 
loro parere 
e 
tiene 
debitamente 
conto delle loro opinioni. 
4. 
Se 
una 
delle 
altre 
autorità 
di 
controllo 
interessate 
solleva 
un’obiezione 
pertinente 
e 
motivata 
al 
progetto 
di 
decisione 
entro 
un 
termine 
di 
quattro 
settimane 
dopo 
essere 
stata 
consultata 
conformemente 
al 
paragrafo 
3 
del 
presente 
articolo, 
l’autorità 
di 
controllo 
capofila, 
ove 
non dia 
seguito all’obiezione 
pertinente 
e 
motivata 
o ritenga 
l’obiezione 
non pertinente 
o 
non 
motivata, 
sottopone 
la 
questione 
al 
meccanismo 
di 
coerenza 
di 
cui 
all’articolo 
63. 
5. L’autorità 
di 
controllo capofila, qualora 
intenda 
dare 
seguito all’obiezione 
pertinente 
e 
motivata 
sollevata, trasmette 
un progetto di 
decisione 
riveduto alle 
altre 
autorità 
di 
controllo 
interessate 
per 
ottenere 
il 
loro 
parere. 
Tale 
progetto 
di 
decisione 
riveduto 
è 
soggetto 
alla procedura di cui al paragrafo 4 entro un termine di due settimane. 
6. 
Se 
nessuna 
delle 
altre 
autorità 
di 
controllo 
interessate 
ha 
sollevato 
obiezioni 
al 
progetto 
di 
decisione 
trasmesso 
dall’autorità 
di 
controllo 
capofila 
entro 
il 
termine 
di 
cui 
ai 
paragrafi 
4 e 
5, si 
deve 
considerare 
che 
l’autorità 
di 
controllo capofila 
e 
le 
autorità 
di 
controllo interessate 
concordano su tale progetto di decisione e sono da esso vincolate. 
7. 
L’autorità 
di 
controllo 
capofila 
adotta 
la 
decisione 
e 
la 
notifica 
allo 
stabilimento 
principale 
o 
allo 
stabilimento 
unico 
del 
titolare 
del 
trattamento 
o 
responsabile 
del 
trattamento, 
a 
seconda 
dei 
casi, 
e 
informa 
le 
altre 
autorità 
di 
controllo 
interessate 
e 
il 
comitato 
[del]la 
decisione 
in 
questione, 
compresa 
una 
sintesi 
dei 
fatti 
e 
delle 
motivazioni 
pertinenti. 
L’autorità 
di 
controllo 
cui 
è 
stato 
proposto 
un 
reclamo 
informa 
il 
reclamante 
riguardo 
alla 
decisione. 
8. In deroga 
al 
paragrafo 7, in caso di 
archiviazione 
o di 
rigetto di 
un reclamo, l’autorità 
di 
controllo cui 
è 
stato proposto il 
reclamo adotta 
la 
decisione 
e 
la 
notifica 
al 
reclamante 
e ne informa il titolare del trattamento. 
9. Se 
l’autorità 
di 
controllo capofila 
e 
le 
autorità 
di 
controllo interessate 
convengono di 
archiviare 
o rigettare 
parti 
di 
un reclamo e 
di 
intervenire 
su altre 
parti 
di 
tale 
reclamo, è 
adottata una decisione separata per ciascuna di tali parti della questione. (...) 
10. 
Dopo 
aver 
ricevuto 
la 
notifica 
della 
decisione 
dell’autorità 
di 
controllo 
capofila 
a 
norma 
dei 
paragrafi 
7 
e 
9, 
il 
titolare 
del 
trattamento 
o 
responsabile 
del 
trattamento 
adotta 
le 
misure 
necessarie 
per 
garantire 
la 
conformità 
alla 
decisione 
per 
quanto 
riguarda 
le 
attività 
di 
trattamento 
nel 
contesto 
di 
tutti 
i 
suoi 
stabilimenti 
nell’Unione. 
Il 
titolare 
del 
trattamento 
o 
responsabile 
del 
trattamento notifica 
le 
misure 
adottate 
per conformarsi 
alla 
decisione 
all’autorità 
di 
controllo 
capofila, 
che 
ne 
informa 
le 
altre 
autorità 
di 
controllo 
interessate. 
11. Qualora, in circostanze 
eccezionali, un’autorità 
di 
controllo interessata 
abbia 
motivo 
di 
ritenere 
che 
urga 
intervenire 
per 
tutelare 
gli 
interessi 
degli 
interessati, 
si 
applica 
la 
procedura 
d’urgenza di cui all’articolo 66. 
(...)». 

CoNTENzIoSo 
CoMUNITARIo 
ED 
INTERNAzIoNALE 
145 


12 L’articolo 61 di 
detto regolamento, intitolato «Assistenza 
reciproca», al 
suo paragrafo 1, 
così recita: 
«Le 
autorità 
di 
controllo 
si 
scambiano 
le 
informazioni 
utili 
e 
si 
prestano 
assistenza 
reciproca 
al 
fine 
di 
attuare 
e 
applicare 
il 
presente 
regolamento 
in 
maniera 
coerente, 
e 
mettono 
in 
atto 
misure 
per 
cooperare 
efficacemente 
tra 
loro. 
L’assistenza 
reciproca 
comprende, 
in 
particolare, 
le 
richieste 
di 
informazioni 
e 
le 
misure 
di 
controllo, 
quali 
le 
richieste 
di 
autorizzazioni 
e 
consultazioni 
preventive 
e 
le 
richieste 
di 
effettuare 
ispezioni 
e 
indagini». 


13 L’articolo 62 del 
medesimo regolamento, intitolato «operazioni 
congiunte 
delle 
autorità 
di controllo», è del seguente tenore: 


«1. Se 
del 
caso, le 
autorità 
di 
controllo conducono operazioni 
congiunte, incluse 
indagini 
congiunte 
e 
misure 
di 
contrasto 
congiunte, 
cui 
partecipano 
membri 
o 
personale 
di 
autorità 
di controllo di altri Stati membri. 
2. Qualora 
il 
titolare 
del 
trattamento o responsabile 
del 
trattamento abbia 
stabilimenti 
in 
vari 
Stati 
membri 
o qualora 
esista 
la 
probabilità 
che 
il 
trattamento abbia 
su un numero significativo 
di 
interessati 
in 
più 
di 
uno 
Stato 
membro 
un 
impatto 
negativo 
sostanziale, 
un’autorità 
di 
controllo di 
ogni 
Stato membro in questione 
ha 
il 
diritto di 
partecipare 
alle 
operazioni congiunte. (...) 
(…)». 
14 La 
sezione 
2 del 
capo vII del 
regolamento 2016/679, intitolata 
«Coerenza», comprende 
gli 
articoli 
da 
63 a 
67 del 
regolamento medesimo. L’articolo 63, intitolato «Meccanismo 
di coerenza», è formulato come segue: 
«Al 
fine 
di 
contribuire 
all’applicazione 
coerente 
del 
presente 
regolamento 
in 
tutta 
l’Unione, le 
autorità 
di 
controllo cooperano tra 
loro e, se 
del 
caso, con la 
Commissione 
mediante il meccanismo di coerenza stabilito nella presente sezione». 


15 Ai sensi dell’articolo 64, paragrafo 2, del suddetto regolamento: 
«Qualsiasi 
autorità 
di 
controllo, il 
presidente 
del 
comitato [europeo per la 
protezione 
dei 
dati] 
o 
la 
Commissione 
può 
richiedere 
che 
le 
questioni 
di 
applicazione 
generale 
o 
che 
producono effetti 
in più di 
uno Stato membro siano esaminate 
dal 
comitato [europeo per 
la 
protezione 
dei 
dati] 
al 
fine 
di 
ottenere 
un 
parere, 
in 
particolare 
se 
un’autorità 
di 
controllo 
competente 
non 
si 
conforma 
agli 
obblighi 
relativi 
all’assistenza 
reciproca 
ai 
sensi 
del-
l’articolo 61 o alle operazioni congiunte ai sensi dell’articolo 62». 


16 
L’articolo 
65 
dello 
stesso 
regolamento, 
intitolato 
«Composizione 
delle 
controversie 
da 
parte del comitato», al suo paragrafo 1, così dispone: 
«Al 
fine 
di 
assicurare 
l’applicazione 
corretta 
e 
coerente 
del 
presente 
regolamento 
nei 
singoli 
casi, il 
comitato [europeo per la 
protezione 
dei 
dati] adotta 
una 
decisione 
vincolante 
nei seguenti casi: 


a) se, in un caso di 
cui 
all’articolo 60, paragrafo 4, un’autorità 
di 
controllo interessata 
ha 
sollevato un’obiezione 
pertinente 
e 
motivata 
a 
un progetto di 
decisione 
dell’autorità 
capofila 
e 
l’autorità 
capofila 
di 
controllo non abbia 
dato seguito all’obiezione 
o l’autorità 
capofila 
abbia 
rigettato tale 
obiezione 
in quanto non pertinente 
o non motivata. La 
decisione 
vincolante 
riguarda 
tutte 
le 
questioni 
oggetto dell’obiezione 
pertinente 
e 
motivata, 
in particolare se sussista una violazione del presente regolamento; 
b) se 
vi 
sono opinioni 
contrastanti 
in merito alla 
competenza 
delle 
autorità 
di 
controllo 
interessate per lo stabilimento principale; 
(...)». 

RASSEGNA 
AvvoCATURA 
DELLo 
STATo -N. 1/2021 


17 L’articolo 66 del 
regolamento 2016/679, intitolato «Procedura 
d’urgenza», ai 
suoi 
paragrafi 
1 e 2, stabilisce quanto segue: 


«1. 
In 
circostanze 
eccezionali, 
qualora 
ritenga 
che 
urga 
intervenire 
per 
proteggere 
i 
diritti 
e 
le 
libertà 
degli 
interessati, 
un’autorità 
di 
controllo 
interessata 
può, 
in 
deroga 
al 
meccanismo 
di 
coerenza 
di 
cui 
agli 
articoli 
63, 
64 
e 
65, 
o 
alla 
procedura 
di 
cui 
all’articolo 
60, 
adottare 
immediatamente 
misure 
provvisorie 
intese 
a 
produrre 
effetti 
giuridici 
nel 
proprio 
territorio, 
con 
un 
periodo 
di 
validità 
determinato 
che 
non 
supera 
i 
tre 
mesi. 
L’autorità 
di 
controllo 
comunica 
senza 
ritardo 
tali 
misure 
e 
la 
motivazione 
della 
loro 
adozione 
alle 
altre 
autorità 
di 
controllo 
interessate, 
al 
comitato 
[europeo 
per 
la 
protezione 
dei 
dati] 
e 
alla 
Commissione. 
2. Qualora 
abbia 
adottato una 
misura 
ai 
sensi 
del 
paragrafo 1 e 
ritenga 
che 
urga 
adottare 
misure 
definitive, 
l’autorità 
di 
controllo 
può 
chiedere 
un 
parere 
d’urgenza 
o 
una 
decisione 
vincolante 
d’urgenza 
del 
comitato 
[europeo 
per 
la 
protezione 
dei 
dati], 
motivando 
tale 
richiesta
». 
18 
L’articolo 
77 
del 
predetto 
regolamento, 
intitolato 
«Diritto 
di 
proporre 
reclamo 
all’autorità 
di controllo», è del seguente tenore: 


«1. 
Fatto 
salvo 
ogni 
altro 
ricorso 
amministrativo 
o 
giurisdizionale, 
l’interessato 
che 
ritenga 
che 
il 
trattamento che 
lo riguarda 
violi 
il 
presente 
regolamento ha 
il 
diritto di 
proporre 
reclamo a 
un’autorità 
di 
controllo, segnatamente 
nello Stato membro in cui 
risiede 
abitualmente, 
lavora oppure del luogo ove si è verificata la presunta violazione. 
2. 
L’autorità 
di 
controllo 
a 
cui 
è 
stato 
proposto 
il 
reclamo 
informa 
il 
reclamante 
dello 
stato 
o dell’esito del 
reclamo, compresa 
la 
possibilità 
di 
un ricorso giurisdizionale 
ai 
sensi 
del-
l’articolo 78». 
19 L’articolo 78 di 
tale 
regolamento, intitolato «Diritto a 
un ricorso giurisdizionale 
effettivo 
nei confronti dell’autorità di controllo», così dispone: 


«1. Fatto salvo ogni 
altro ricorso amministrativo o extragiudiziale, ogni 
persona 
fisica 
o 
giuridica 
ha 
il 
diritto 
di 
proporre 
un 
ricorso 
giurisdizionale 
effettivo 
avverso 
una 
decisione 
giuridicamente vincolante dell’autorità di controllo che la riguarda. 
2. Fatto salvo ogni 
altro ricorso amministrativo o extragiudiziale, ciascun interessato ha 
il 
diritto 
di 
proporre 
un 
ricorso 
giurisdizionale 
effettivo 
qualora 
l’autorità 
di 
controllo 
che 
sia 
competente 
ai 
sensi 
degli 
articoli 
55 e 
56 non tratti 
un reclamo o non lo informi 
entro 
tre mesi dello stato o dell’esito del reclamo proposto ai sensi dell’articolo 77. 
3. Le 
azioni 
nei 
confronti 
dell’autorità 
di 
controllo sono promosse 
dinanzi 
alle 
autorità 
giurisdizionali dello Stato membro in cui l’autorità di controllo è stabilita. 
4. Qualora 
siano promosse 
azioni 
avverso una 
decisione 
di 
un’autorità 
di 
controllo che 
era 
stata 
preceduta 
da 
un 
parere 
o 
da 
una 
decisione 
del 
comitato 
[europeo 
per 
la 
protezione 
dei 
dati] 
nell’ambito 
del 
meccanismo 
di 
coerenza, 
l’autorità 
di 
controllo 
trasmette 
tale 
parere o decisione all’autorità giurisdizionale». 
20 L’articolo 79 dello stesso regolamento, intitolato «Diritto a 
un ricorso giurisdizionale 
effettivo 
nei 
confronti 
del 
titolare 
del 
trattamento o del 
responsabile 
del 
trattamento», così 
recita: 


«1. Fatto salvo ogni 
altro ricorso amministrativo o extragiudiziale 
disponibile, compreso 
il 
diritto di 
proporre 
reclamo a 
un’autorità 
di 
controllo ai 
sensi 
dell’articolo 77, ogni 
interessato 
ha 
il 
diritto di 
proporre 
un ricorso giurisdizionale 
effettivo qualora 
ritenga 
che 
i 
diritti 
di 
cui 
gode 
a 
norma 
del 
presente 
regolamento siano stati 
violati 
a 
seguito di 
un 
trattamento. 
2. Le 
azioni 
nei 
confronti 
del 
titolare 
del 
trattamento o del 
responsabile 
del 
trattamento 

CoNTENzIoSo 
CoMUNITARIo 
ED 
INTERNAzIoNALE 
147 


sono promosse 
dinanzi 
alle 
autorità 
giurisdizionali 
dello Stato membro in cui 
il 
titolare 
del 
trattamento o il 
responsabile 
del 
trattamento ha 
uno stabilimento. In alternativa, tali 
azioni 
possono essere 
promosse 
dinanzi 
alle 
autorità 
giurisdizionali 
dello Stato membro 
in cui 
l’interessato risiede 
abitualmente, salvo che 
il 
titolare 
del 
trattamento o il 
responsabile 
del 
trattamento 
sia 
un’autorità 
pubblica 
di 
uno 
Stato 
membro 
nell’esercizio 
dei 
pubblici poteri». 


Diritto belga 


21 La 
wet 
tot 
bescherming van de 
persoonlijke 
levenssfeer ten opzichte 
van de 
verwerking 
van persoonsgegevens 
(legge 
relativa 
alla 
tutela 
della 
vita 
privata 
con riguardo ai 
trattamenti 
di 
dati 
personali), dell’8 dicembre 
1992 (Belgisch staatsblad, 18 marzo 1993, pag. 
5801), come 
modificata 
dalla 
legge 
dell’11 dicembre 
1998 (Belgisch staatsblad, 3 febbraio 
1999, pag. 3049) (in prosieguo: 
la 
«legge 
dell’8 dicembre 
1992»), ha 
recepito nel 
diritto belga 
la 
direttiva 
95/46/CE 
del 
Parlamento europeo e 
del 
Consiglio, del 
24 ottobre 
1995, relativa 
alla 
tutela 
delle 
persone 
fisiche 
con riguardo al 
trattamento dei 
dati 
personali, 
nonché alla libera circolazione di tali dati (GU 1995, L 281, pag. 31). 


22 
La 
legge 
dell’8 
dicembre 
1992 
ha 
istituito 
la 
CPvP, 
un 
organismo 
indipendente 
incaricato 
di 
garantire 
che 
i 
dati 
personali 
siano trattati 
nel 
rispetto di 
tale 
legge, in modo da 
salvaguardare 
la vita privata dei cittadini. 


23 L’articolo 32, paragrafo 3, della legge dell’8 dicembre 1992 così disponeva: 
«Fatta 
salva 
la 
competenza 
dei 
giudici 
ordinari 
per l’applicazione 
dei 
principi 
generali 
in 
materia 
di 
tutela 
della 
vita 
privata, il 
presidente 
della 
[CPvP] può sottoporre 
al 
giudice 
di 
primo 
grado 
qualsiasi 
controversia 
relativa 
all’applicazione 
della 
presente 
legge 
e 
delle 
sue misure di esecuzione». 


24 La 
wet 
tot 
oprichting van de 
Gegevensbeschermingsautoriteit 
(legge 
che 
istituisce 
l’autorità 
per la 
protezione 
dei 
dati), del 
3 dicembre 
2017 (Belgisch staatsblad, 10 gennaio 
2018, 
pag. 
989; 
in 
prosieguo: 
la 
«legge 
del 
3 
dicembre 
2017»), 
entrata 
in 
vigore 
il 
25 
maggio 
2018, 
ha 
istituito 
l’APD 
quale 
autorità 
di 
controllo, 
ai 
sensi 
del 
regolamento 
2016/679. 


25 L’articolo 3 della legge del 3 dicembre 2017 prevede quanto segue: 
«Presso la 
Camera 
dei 
rappresentanti 
è 
istituita 
un’“Autorità 
per la 
protezione 
dei 
dati”. 
Essa succede alla [CPvP]». 


26 L’articolo 6 della legge del 3 dicembre 2017 così dispone: 
«L’[APD] è 
competente 
a 
intentare 
un’azione 
dinanzi 
alle 
autorità 
giudiziarie 
in caso di 
violazioni 
dei 
principi 
fondamentali 
della 
protezione 
dei 
dati 
personali, nel 
quadro della 
presente 
legge 
e 
delle 
leggi 
recanti 
disposizioni 
sulla 
tutela 
del 
trattamento dei 
dati 
personali 
e, se 
del 
caso, ad agire 
in sede 
giudiziale 
per far rispettare 
detti 
principi 
fondamentali
». 


27 Nessuna 
disposizione 
specifica 
è 
prevista 
per i 
procedimenti 
giurisdizionali 
già 
avviati 
dal 
presidente 
della 
CPvP 
alla 
data 
del 
25 maggio 2018 sulla 
base 
dell’articolo 32, paragrafo 
3, della 
legge 
dell’8 dicembre 
1992. Per quanto riguarda 
unicamente 
le 
denunce 
o 
le 
domande 
presentate 
all’APD 
stessa, 
l’articolo 
112 
della 
legge 
del 
3 
dicembre 
2017 
così 
recita: 
«Il 
capo vI non si 
applica 
alle 
denunce 
o alle 
domande 
ancora 
pendenti 
presso l’[APD] 
al 
momento dell’entrata 
in vigore 
della 
presente 
legge. Le 
denunce 
o le 
domande 
di 
cui 
al 
comma 
1 
sono 
trattate 
dall’[APD], 
in 
qualità 
di 
successore 
legale 
della 
[CPvP], 
secondo 
la procedura applicabile prima dell’entrata in vigore della presente legge». 



RASSEGNA 
AvvoCATURA 
DELLo 
STATo -N. 1/2021 


28 La 
legge 
dell’8 dicembre 
1992 è 
stata 
abrogata 
dalla 
wet 
betreffende 
de 
bescherming van 
natuurlijke 
personen met 
betrekking tot 
de 
verwerking van persoonsgegevens 
(legge 
relativa 
alla 
tutela 
delle 
persone 
fisiche 
con riguardo al 
trattamento di 
dati 
personali), del 
30 
luglio 
2018 
(Belgisch 
Staatsblad, 
5 
settembre 
2018, 
pag. 
68616; 
in 
prosieguo: 
la 
«legge 
del 
30 luglio 2018»). Quest’ultima 
legge 
mira 
ad attuare 
nel 
diritto belga 
le 
disposizioni 
del 
regolamento 
2016/679 
che 
impongono 
o 
consentono 
agli 
Stati 
membri 
di 
adottare 
norme più dettagliate, ad integrazione di tale regolamento. 
Procedimento principale e questioni pregiudiziali 


29 L’11 settembre 
2015, il 
presidente 
della 
CPvP 
ha 
intentato un’azione 
inibitoria 
nei 
confronti 
delle 
società 
Facebook Ireland, Facebook Inc. e 
Facebook Belgium 
dinanzi 
al 
Nederlandstalige 
rechtbank 
van 
eerste 
aanleg 
Brussel 
(Tribunale 
di 
primo 
grado 
di 
Bruxelles 
di 
lingua 
neerlandese, Belgio). Poiché 
la 
CPvP 
non era 
dotata 
di 
personalità 
giuridica, 
spettava 
al 
suo presidente 
proporre 
ricorsi 
al 
fine 
di 
garantire 
il 
rispetto della 
normativa 
in 
materia 
di 
protezione 
dei 
dati 
personali. 
Tuttavia, 
la 
CPvP 
stessa 
ha 
chiesto 
l’intervento 
volontario nel procedimento avviato dal suo presidente. 


30 Tale 
azione 
inibitoria 
mirava 
a 
porre 
fine 
a 
quanto descritto dalla 
CPvP, segnatamente, 
come 
una 
«violazione 
grave 
e 
su 
larga 
scala, 
da 
parte 
di 
Facebook, 
della 
normativa 
in 
materia 
di 
tutela 
della 
vita 
privata» consistente 
nella 
raccolta, da 
parte 
di 
tale 
social 
network, 
di 
informazioni 
sul 
comportamento 
di 
navigazione 
sia 
dei 
titolari 
di 
un 
account 
Facebook 
sia 
dei 
non 
utenti 
dei 
servizi 
Facebook 
mediante 
diverse 
tecnologie, 
quali 
i 
cookie, 
i 
social 
plugin (ad esempio, i 
pulsanti 
«Mi 
piace» o «Condividi») o anche 
i 
pixel. Tali 
elementi 
consentono 
a 
detto 
social 
network 
di 
ottenere 
taluni 
dati 
di 
un 
internauta 
che 
consulti 
una 
pagina 
di 
un 
sito 
Internet 
che 
li 
contiene, 
come 
l’indirizzo 
di 
tale 
pagina, 
l’«indirizzo IP» del 
visitatore 
di 
detta 
pagina 
nonché 
la 
data 
e 
l’ora 
della 
consultazione 
di cui trattasi. 


31 
Con 
sentenza 
del 
16 
febbraio 
2018, 
il 
Nederlandstalige 
rechtbank 
van 
eerste 
aanleg 
Brussel 
(Tribunale 
di 
primo grado di 
Bruxelles 
di 
lingua 
neerlandese) si 
è 
dichiarato competente 
a 
statuire 
su detta 
azione 
inibitoria, nella 
parte 
in cui 
riguardava 
Facebook Ireland, 
Facebook Inc. e 
Facebook Belgium, e 
ha 
dichiarato irricevibile 
la 
domanda 
di 
intervento 
volontario presentata dalla CPvP. 


32 Nel 
merito, tale 
giudice 
ha 
dichiarato che 
il 
social 
network in questione 
non informava 
sufficientemente 
gli 
internauti 
belgi 
relativamente 
alla 
raccolta 
delle 
informazioni 
di 
cui 
trattasi 
e 
all’uso di 
tali 
informazioni. Peraltro, non è 
stato ritenuto valido il 
consenso prestato 
dagli 
internauti 
alla 
raccolta 
e 
al 
trattamento di 
dette 
informazioni. Di 
conseguenza, 
è 
stato 
ingiunto 
a 
Facebook 
Ireland, 
a 
Facebook 
Inc. 
e 
a 
Facebook 
Belgium, 
in 
primo 
luogo, di 
cessare, nei 
confronti 
di 
qualsiasi 
internauta 
stabilito nel 
territorio belga, di 
inserire, 
senza 
il 
consenso dell’utente, cookie 
che 
rimangono attivi 
per due 
anni 
sul 
dispositivo 
da 
esso 
utilizzato 
quando 
naviga 
su 
una 
pagina 
Internet 
del 
nome 
di 
dominio 
Facebook.com 
o quando giunge 
sul 
sito di 
un terzo, nonché 
di 
inserire 
cookie 
e 
di 
raccogliere 
dati 
mediante 
social 
plugin, pixel 
o mezzi 
tecnologici 
analoghi 
sui 
siti 
Internet 
di 
terzi, in misura 
eccessiva 
rispetto agli 
obiettivi 
in tal 
modo perseguiti 
dal 
social 
network 
Facebook; 
in secondo luogo, di 
fornire 
informazioni 
che 
potrebbero ragionevolmente 
indurre 
in errore 
le 
persone 
considerate 
quanto alla 
portata 
reale 
dei 
meccanismi 
messi 
a 
disposizione 
da 
tale 
social 
network 
per 
l’utilizzo 
di 
cookie 
e, 
in 
terzo 
luogo, 
di 
distruggere 
tutti i dati personali ottenuti per mezzo di cookie e social plugin. 


33 Il 
2 
marzo 
2018, 
Facebook 
Ireland, 
Facebook 
Inc. 
e 
Facebook 
Belgium 
hanno 
interposto 



CoNTENzIoSo 
CoMUNITARIo 
ED 
INTERNAzIoNALE 
149 


appello 
avverso 
tale 
sentenza 
dinanzi 
allo 
hof 
van 
beroep 
te 
Brussel 
(Corte 
di 
appello 
di 
Bruxelles, 
Belgio). 
Dinanzi 
a 
tale 
giudice, 
l’APD 
agisce 
in 
qualità 
di 
successore 
legale 
sia 
del 
presidente 
della 
CPvP, 
che 
aveva 
promosso 
l’azione 
inibitoria, 
sia 
della 
stessa 
CPvP. 
34 Il 
giudice 
del 
rinvio si 
è 
dichiarato competente 
a 
statuire 
sull’appello interposto unicamente 
nella 
parte 
riguardante 
Facebook Belgium. Per contro, esso si 
è 
dichiarato incompetente 
a 
conoscere 
di 
tale 
appello 
per 
quanto 
riguarda 
Facebook 
Ireland 
e 
Facebook 
Inc. 


35 Prima 
di 
pronunciarsi 
sul 
merito della 
controversia 
di 
cui 
al 
procedimento principale, il 
giudice 
del 
rinvio si 
pone 
la 
questione 
se 
l’APD 
disponga 
della 
legittimazione 
e 
dell’interesse 
ad 
agire 
richiesti. 
Secondo 
Facebook 
Belgium, 
l’azione 
inibitoria 
proposta 
sarebbe 
irricevibile 
per quanto riguarda 
i 
fatti 
anteriori 
al 
25 maggio 2018, in quanto, a 
seguito 
dell’entrata 
in vigore 
della 
legge 
del 
3 dicembre 
2017 e 
del 
regolamento 2016/679, sarebbe 
stato abrogato l’articolo 32, paragrafo 3, della 
legge 
dell’8 dicembre 
1992, che 
costituisce 
la 
base 
giuridica 
che 
consente 
di 
intentare 
un’azione 
siffatta. 
Per 
quanto 
riguarda 
i 
fatti 
successivi 
al 
25 maggio 2018, Facebook Belgium 
fa 
valere 
che 
l’APD 
non avrebbe 
competenza 
e 
non disporrebbe 
del 
diritto di 
intentare 
tale 
azione 
tenuto conto del 
meccanismo 
dello «sportello unico» ora 
previsto in applicazione 
delle 
disposizioni 
del 
regolamento 
2016/679. 
Sulla 
base 
di 
tali 
disposizioni, 
infatti, 
solo 
il 
Data 
Protection 
Commissioner (Commissario per la 
protezione 
dei 
dati, Irlanda) sarebbe 
competente 
ad 
intentare 
un’azione 
inibitoria 
nei 
confronti 
della 
Facebook Ireland, essendo quest’ultima 
l’unica 
titolare 
del 
trattamento dei 
dati 
personali 
degli 
utenti 
del 
social 
network in questione 
nell’Unione. 


36 Il 
giudice 
del 
rinvio ha 
dichiarato che 
l’APD 
non aveva 
dimostrato di 
avere 
l’interesse 
ad 
agire 
richiesto per intentare 
tale 
azione 
inibitoria 
nei 
limiti 
in cui 
quest’ultima 
verteva 
su 
fatti 
anteriori 
al 
25 maggio 2018. Per quanto riguarda 
i 
fatti 
successivi 
a 
tale 
data, il 
giudice 
del 
rinvio nutre 
nondimeno dubbi 
in merito all’incidenza 
dell’entrata 
in vigore 
del 
regolamento 2016/679, in particolare 
dell’applicazione 
del 
meccanismo dello «sportello 
unico» che 
tale 
regolamento prevede, sulle 
competenze 
dell’APD 
nonché 
sul 
potere 
di 
quest’ultima di intentare una siffatta azione inibitoria. 


37 In 
particolare, 
secondo 
il 
giudice 
del 
rinvio, 
la 
questione 
che 
si 
pone 
ora 
è 
se, 
per 
i 
fatti 
successivi 
al 
25 
maggio 
2018, 
l’APD 
possa 
agire 
nei 
confronti 
della 
società 
Facebook 
Belgium, 
dal 
momento 
che 
Facebook 
Ireland 
è 
stata 
individuata 
come 
titolare 
del 
trattamento 
dei 
dati 
in 
questione. 
Dopo 
tale 
data 
e 
in 
forza 
del 
principio 
dello 
«sportello 
unico», 
sembrerebbe 
che, 
ai 
sensi 
dell’articolo 
56 
del 
regolamento 
2016/679, 
sia 
competente 
unicamente 
il 
Commissario 
per 
la 
protezione 
dei 
dati, 
sotto 
il 
controllo 
dei 
soli 
giudici 
irlandesi. 


38 Il 
giudice 
del 
rinvio ricorda 
che, nella 
sentenza 
del 
5 giugno 2018, Wirtschaftsakademie 
Schleswig-Holstein 
(C‑210/16, 
EU:C:2018:388), 
la 
Corte 
ha 
dichiarato 
che 
l’«autorità 
di 
controllo 
tedesca» 
era 
competente 
a 
pronunciarsi 
su 
una 
controversia 
in 
materia 
di 
protezione 
dei 
dati 
personali, sebbene 
il 
titolare 
del 
trattamento dei 
dati 
in questione 
avesse 
sede 
in 
Irlanda 
e 
la 
sua 
controllata 
con 
sede 
in 
Germania, 
ossia 
la 
Facebook 
Germany 
GmbH, si 
occupasse 
soltanto della 
vendita 
di 
spazi 
pubblicitari 
e 
di 
altre 
attività 
di 
marketing 
nel territorio tedesco. 


39 Tuttavia, nella 
causa 
che 
ha 
dato luogo a 
tale 
sentenza, la 
Corte 
era 
investita 
di 
una 
domanda 
di 
pronuncia 
pregiudiziale 
vertente 
sull’interpretazione 
delle 
disposizioni 
della 
direttiva 
95/46, 
che 
è 
stata 
abrogata 
dal 
regolamento 
2016/679. 
Il 
giudice 
del 
rinvio 
si 
chiede 
in quale 
misura 
l’interpretazione 
che 
la 
Corte 
ha 
fornito in detta 
sentenza 
sia 
ancora 
pertinente 
per quanto riguarda l’applicazione del regolamento 2016/679. 



RASSEGNA 
AvvoCATURA 
DELLo 
STATo -N. 1/2021 


40 II giudice 
del 
rinvio richiama 
anche 
una 
decisione 
del 
«Bundeskartellamt» (Autorità 
federale 
garante 
della 
concorrenza, Germania) del 
6 febbraio 2019 (la 
cosiddetta 
decisione 
«Facebook») in cui 
tale 
autorità 
garante 
della 
concorrenza 
ha 
dichiarato, in sostanza, che 
l’impresa 
interessata 
abusava 
della 
propria 
posizione 
concentrando 
dati 
provenienti 
da 
fonti 
diverse, 
il 
che, 
in 
futuro 
avrebbe 
potuto 
aver 
luogo 
soltanto 
con 
il 
consenso 
esplicito 
degli 
utenti, fermo restando che 
l’utente 
che 
non vi 
acconsente 
non può essere 
escluso 
dai 
servizi 
Facebook. Il 
giudice 
del 
rinvio rileva 
che, manifestamente, detta 
autorità 
garante 
della 
concorrenza 
si 
è 
ritenuta 
competente, nonostante 
il 
meccanismo dello «sportello 
unico». 


41 Inoltre, il 
giudice 
del 
rinvio ritiene 
che 
l’articolo 6 della 
legge 
del 
3 dicembre 
2017, che 
consente, in linea 
di 
principio, all’APD, se 
del 
caso, di 
agire 
in sede 
giudiziale, non implichi 
che 
la 
sua 
azione 
possa, 
in 
ogni 
caso, 
essere 
intentata 
dinanzi 
ai 
giudici 
belgi, 
poiché 
il 
meccanismo dello «sportello unico» sembrerebbe 
imporre 
che 
una 
siffatta 
azione 
sia 
intentata dinanzi al giudice del luogo in cui viene effettuato il trattamento dei dati. 


42 Ciò premesso, lo hof van beroep te 
Brussel 
(Corte 
di 
appello di 
Bruxelles) ha 
deciso di 
sospendere 
il 
procedimento e 
di 
sottoporre 
alla 
Corte 
le 
seguenti 
questioni 
pregiudiziali: 
«1) 
Se 
gli 
articoli 
[55, 
paragrafo 
1], 
da 
56 
a 
58 
e 
da 
60 
a 
66 
del 
[regolamento 
2016/679], 
in 
combinato 
disposto 
con 
gli 
articoli 
7, 
8 
e 
47, 
della 
[Carta], 
debbano 
essere 
interpretati 
nel 
senso 
che 
un’autorità 
di 
controllo, 
che, 
in 
forza 
della 
normativa 
nazionale 
adottata 
in 
esecuzione 
dell’articolo 
[58, 
paragrafo 
5], 
di 
tale 
regolamento, 
abbia 
il 
potere 
di 
agire 
in 
sede 
giudiziale 
dinanzi 
a 
un 
giudice 
del 
suo 
Stato 
membro 
contro 
le 
violazioni 
di 
detto 
regolamento, 
non 
può 
esercitare 
tale 
potere 
con 
riguardo 
a 
un 
trattamento 
transfrontaliero 
se 
essa 
non 
è 
l’autorità 
di 
controllo 
capofila 
per 
il 
trattamento 
transfrontaliero 
di 
cui 
trattasi. 


2) Se, a 
tal 
riguardo, assuma 
rilevanza 
la 
circostanza 
che 
il 
titolare 
di 
detto trattamento 
transfrontaliero 
non 
abbia 
in 
tale 
Stato 
membro 
lo 
stabilimento 
principale, 
ma 
solo 
un 
altro stabilimento. 
3) Se, a 
tal 
riguardo, assuma 
rilevanza 
la 
circostanza 
che 
l’autorità 
nazionale 
di 
controllo 
intenti 
l’azione 
nei 
confronti 
dello stabilimento principale 
del 
titolare 
del 
trattamento o 
nei confronti dello stabilimento nel proprio Stato membro. 
4) 
Se, 
a 
tal 
riguardo, 
assuma 
rilevanza 
la 
circostanza 
che 
l’autorità 
nazionale 
di 
controllo 
abbia 
già 
intentato l’azione 
prima 
della 
data 
di 
entrata 
in vigore 
(il 
25 maggio 2018) del 
regolamento [2016/679]. 
5) 
In 
caso 
di 
risposta 
affermativa 
alla 
prima 
questione, 
se 
l’articolo 
[58, 
paragrafo 
5], 
del 
regolamento 
2016/679 
abbia 
effetto 
diretto, 
cosicché 
un’autorità 
nazionale 
di 
controllo 
può 
invocare 
detto 
articolo 
per 
intentare 
o 
proseguire 
un’azione 
nei 
confronti 
di 
privati, 
anche 
se 
l’articolo 
[58, 
paragrafo 
5], 
del 
regolamento 
2016/679 
non 
sia 
stato 
specificamente 
trasposto 
nella 
normativa 
degli 
Stati 
membri, 
pur 
essendo 
la 
trasposizione 
obbligatoria. 
6) In caso di 
risposta 
affermativa 
alle 
questioni 
che 
precedono, se 
l’esito di 
siffatti 
procedimenti 
possa 
ostare 
ad 
una 
conclusione 
opposta 
dell’autorità 
di 
controllo 
capofila 
nel 
caso in cui 
tale 
autorità 
capofila 
esamini 
le 
medesime 
attività 
di 
trattamento transfrontaliero 
o attività 
analoghe, conformemente 
al 
meccanismo previsto agli 
articoli 
56 e 
60 del 
regolamento 2016/679». 
Sulla prima questione 


43 Con la 
sua 
prima 
questione, il 
giudice 
del 
rinvio chiede, in sostanza, se 
l’articolo 55, paragrafo 
1 e 
gli 
articoli 
da 
56 a 
58 nonché 
da 
60 a 
66 del 
regolamento 2016/679, in combinato 
disposto con gli 
articoli 
7, 8 e 
47 della 
Carta, debbano essere 
interpretati 
nel 
senso 



CoNTENzIoSo 
CoMUNITARIo 
ED 
INTERNAzIoNALE 
151 


che 
un’autorità 
di 
controllo 
di 
uno 
Stato 
membro 
– 
che, 
in 
forza 
della 
normativa 
nazionale 
adottata 
in esecuzione 
dell’articolo 58, paragrafo 5, di 
tale 
regolamento, abbia 
il 
potere 
di 
intentare 
un’azione 
dinanzi 
a 
un giudice 
di 
tale 
Stato membro e, se 
del 
caso, di 
agire 
in 
sede 
giudiziale 
in 
caso 
di 
presunta 
violazione 
di 
detto 
regolamento 
– 
può 
esercitare 
tale 
potere 
per 
quanto 
riguarda 
un 
trattamento 
di 
dati 
transfrontaliero, 
sebbene 
non 
sia 
l’«autorità 
di 
controllo 
capofila», 
a 
norma 
dell’articolo 
56, 
paragrafo 
1, 
del 
medesimo 
regolamento, 
per quanto riguarda un siffatto trattamento di dati. 


44 A 
tal 
riguardo, 
occorre 
ricordare, 
in 
via 
preliminare, 
che, 
da 
un 
lato, 
a 
differenza 
della 
direttiva 
95/46, 
che 
era 
stata 
adottata 
sul 
fondamento 
dell’articolo 
100 
A 
del 
Trattato 
CE, 
relativo 
all’armonizzazione 
del 
mercato 
comune, 
la 
base 
giuridica 
del 
regolamento 
2016/679 
è 
l’articolo 
16 
TFUE, 
il 
quale 
sancisce 
il 
diritto 
di 
ogni 
persona 
alla 
tutela 
dei 
dati 
personali 
e 
autorizza 
il 
Parlamento 
europeo 
e 
il 
Consiglio 
dell’Unione 
europea 
a 
fissare 
norme 
relative 
alla 
protezione 
delle 
persone 
fisiche 
con 
riguardo 
al 
trattamento 
di 
tali 
dati 
da 
parte 
delle 
istituzioni, 
degli 
organi 
e 
degli 
organismi 
dell’Unione, 
nonché 
da 
parte 
degli 
Stati 
membri, 
nell’esercizio 
di 
attività 
che 
rientrano 
nell’ambito 
di 
applicazione 
del 
diritto 
del-
l’Unione, 
e 
norme 
relative 
alla 
libera 
circolazione 
di 
detti 
dati. 
D’altro 
lato, 
il 
considerando 
1 
di 
tale 
regolamento 
afferma 
che 
«[l]a 
protezione 
delle 
persone 
fisiche 
con 
riguardo 
al 
trattamento 
dei 
dati 
di 
carattere 
personale 
è 
un 
diritto 
fondamentale» 
e 
ricorda 
che 
l’articolo 
8, 
paragrafo 
1, 
della 
Carta 
nonché 
l’articolo 
16, 
paragrafo 
1, 
TFUE 
stabiliscono 
che 
ogni 
persona 
ha 
diritto 
alla 
protezione 
dei 
dati 
di 
carattere 
personale 
che 
la 
riguardano. 


45 Di 
conseguenza, come 
risulta 
dall’articolo 1, paragrafo 2, del 
regolamento 2016/679, in 
combinato 
disposto 
con 
i 
considerando 
10, 
11 
e 
13 
di 
tale 
regolamento, 
quest’ultimo 
affida 
alle 
istituzioni, agli 
organi 
e 
agli 
organismi 
dell’Unione, nonché 
alle 
autorità 
competenti 
degli 
Stati 
membri, il 
compito di 
assicurare 
un livello elevato di 
tutela 
dei 
diritti 
garantiti dall’articolo 16 TFUE e dall’articolo 8 della Carta. 


46 Inoltre, come 
enunciato dal 
considerando 4 del 
regolamento in parola, quest’ultimo rispetta 
tutti i diritti fondamentali e osserva le libertà e i principi riconosciuti nella Carta. 


47 È 
in questo contesto che 
l’articolo 55, paragrafo 1, del 
regolamento 2016/679 stabilisce 
la 
competenza 
di 
principio 
di 
ogni 
autorità 
di 
controllo 
ad 
eseguire 
i 
compiti 
ed 
esercitare 
i 
poteri 
a 
essa 
conferiti, 
a 
norma 
di 
tale 
regolamento, 
nel 
territorio 
del 
rispettivo 
Stato 
membro 
(v., 
in 
tal 
senso, 
sentenza 
del 
16 
luglio 
2020, 
Facebook 
Ireland 
e 
Schrems, 
C‑311/18, EU:C:2020:559, punto 147). 


48 
Tra 
i 
compiti 
conferiti 
a 
tali 
autorità 
di 
controllo 
figurano, 
in 
particolare, 
il 
compito 
di 
sorvegliare 
l’applicazione 
del 
regolamento 
2016/679 
e 
di 
vigilare 
sul 
rispetto 
di 
quest’ultimo, 
previsto all’articolo 57, paragrafo 1, lettera 
a), di 
tale 
regolamento, nonché 
il 
compito 
di 
collaborare, 
anche 
tramite 
scambi 
di 
informazioni, 
con 
le 
altre 
autorità 
di 
controllo 
e 
prestare 
assistenza 
reciproca 
al 
fine 
di 
garantire 
l’applicazione 
coerente 
di 
detto regolamento 
e 
delle 
misure 
adottate 
per 
garantirne 
il 
rispetto, 
previsto 
all’articolo 
57, 
paragrafo 
1, lettera 
g), del 
medesimo regolamento. Tra 
i 
poteri 
conferiti 
a 
tali 
autorità 
di 
controllo 
al 
fine 
di 
assolvere 
detti 
compiti 
figurano diversi 
poteri 
di 
indagine, previsti 
all’articolo 
58, 
paragrafo 
1, 
del 
regolamento 
2016/679, 
nonché 
il 
potere 
di 
intentare 
un’azione 
dinanzi 
alle 
autorità 
giudiziarie 
e, se 
del 
caso, di 
agire 
in sede 
giudiziale 
in caso di 
violazione 
di 
tale 
regolamento 
per 
far 
rispettare 
le 
disposizioni 
dello 
stesso, 
previsto 
all’articolo 
58, 
paragrafo 5, di detto regolamento. 


49 L’esercizio di 
tali 
compiti 
e 
poteri 
presuppone 
tuttavia 
che 
un’autorità 
di 
controllo disponga 
della competenza per quanto riguarda un determinato trattamento di dati. 



RASSEGNA 
AvvoCATURA 
DELLo 
STATo -N. 1/2021 


50 A 
tal 
riguardo, fatta 
salva 
la 
norma 
sulla 
competenza 
di 
cui 
all’articolo 55, paragrafo 1, 
del 
regolamento 2016/679, l’articolo 56, paragrafo 1, di 
tale 
regolamento prevede, per i 
«trattamenti 
transfrontalieri» ai 
sensi 
del 
suo articolo 4, punto 23, il 
meccanismo dello 
«sportello 
unico», 
basato 
su 
una 
ripartizione 
delle 
competenze 
tra 
un’«autorità 
di 
controllo 
capofila» e 
le 
altre 
autorità 
di 
controllo interessate. In forza 
di 
siffatto meccanismo, l’autorità 
di 
controllo dello stabilimento principale 
o dello stabilimento unico del 
titolare 
del 
trattamento o del 
responsabile 
del 
trattamento è 
competente 
ad agire 
in qualità 
di 
autorità 
di 
controllo capofila 
per quanto attiene 
al 
trattamento transfrontaliero effettuato da 
detto 
titolare 
del 
trattamento o responsabile 
del 
trattamento, secondo la 
procedura 
di 
cui 
all’articolo 
60 del regolamento in parola. 


51 
Quest’ultimo 
articolo 
stabilisce 
la 
procedura 
di 
cooperazione 
tra 
l’autorità 
di 
controllo 
capofila 
e 
le 
altre 
autorità 
di 
controllo 
interessate. 
Nell’ambito 
di 
tale 
procedura, 
l’autorità 
di 
controllo capofila 
è 
tenuta, in particolare, a 
cercare 
di 
raggiungere 
un consenso. A 
tal 
fine, 
conformemente 
all’articolo 
60, 
paragrafo 
3, 
del 
regolamento 
2016/679, 
essa 
trasmette 
senza 
indugio un progetto di 
decisione 
alle 
altre 
autorità 
di 
controllo interessate 
per ottenere il loro parere e tiene debitamente conto delle loro opinioni. 


52 In particolare, dagli 
articoli 
56 e 
60 del 
regolamento 2016/679 risulta 
che, per i 
«trattamenti 
transfrontalieri», 
ai 
sensi 
dell’articolo 
4, 
punto 
23, 
di 
tale 
regolamento, 
e 
fatto 
salvo 
l’articolo 56, paragrafo 2, di 
quest’ultimo, le 
varie 
autorità 
di 
controllo nazionali 
interessate 
devono cooperare, secondo la 
procedura 
prevista 
da 
tali 
disposizioni, al 
fine 
di 
raggiungere 
un consenso e 
una 
decisione 
unica 
che 
vincoli 
tutte 
le 
suddette 
autorità, il 
cui 
rispetto deve 
essere 
garantito dal 
titolare 
del 
trattamento per quanto riguarda 
le 
attività 
di 
trattamento 
effettuate 
nell’ambito 
di 
tutti 
i 
suoi 
stabilimenti 
nell’Unione. 
Inoltre, 
l’articolo 
61, paragrafo 1, di 
detto regolamento obbliga 
le 
autorità 
di 
controllo, in particolare, a 
comunicarsi 
le 
informazioni 
utili 
nonché 
a 
prestarsi 
reciproca 
assistenza 
al 
fine 
di 
attuare 
e 
applicare 
il 
medesimo regolamento in modo coerente 
in tutta 
l’Unione. L’articolo 63 del 
regolamento 
2016/679 
precisa 
che 
è 
a 
tal 
fine 
previsto 
il 
meccanismo 
di 
coerenza, 
stabilito 
agli 
articoli 
64 
e 
65 
di 
quest’ultimo 
[sentenza 
del 
24 
settembre 
2019, 
Google 
(Portata 
territoriale 
della deindicizzazione), C‑507/17, EU:C:2019:772, punto 68]. 


53 L’applicazione 
del 
meccanismo dello «sportello unico» richiede 
pertanto, come 
confermato 
dal 
considerando 13 del 
regolamento 2016/679, una 
leale 
ed efficace 
cooperazione 
tra 
l’autorità 
di 
controllo 
capofila 
e 
le 
altre 
autorità 
di 
controllo 
interessate. 
Di 
conseguenza, 
come 
rilevato 
dall’avvocato 
generale 
al 
paragrafo 
111 
delle 
sue 
conclusioni, 
l’autorità 
di 
controllo capofila 
non può ignorare 
le 
opinioni 
delle 
altre 
autorità 
di 
controllo 
interessate 
e 
qualsiasi 
obiezione 
pertinente 
e 
motivata 
formulata 
da 
una 
di 
queste 
ultime 
autorità 
ha 
l’effetto di 
bloccare, almeno temporaneamente, l’adozione 
del 
progetto di 
decisione 
dell’autorità di controllo capofila. 


54 
Pertanto, 
conformemente 
all’articolo 
60, 
paragrafo 
4, 
del 
regolamento 
2016/679, 
qualora 
una 
delle 
altre 
autorità 
di 
controllo interessate 
formuli, entro un termine 
di 
quattro settimane 
dopo essere 
stata 
consultata, una 
siffatta 
obiezione 
pertinente 
e 
motivata 
in merito 
al 
progetto 
di 
decisione, 
l’autorità 
di 
controllo 
capofila, 
qualora 
non 
segua 
l’obiezione 
pertinente 
e 
motivata 
o 
ritenga 
che 
tale 
obiezione 
non 
sia 
pertinente 
o 
motivata, 
sottopone 
la 
questione 
al 
meccanismo di 
coerenza 
di 
cui 
all’articolo 63 di 
tale 
regolamento, al 
fine 
di 
ottenere 
dal 
comitato 
europeo 
per 
la 
protezione 
dei 
dati 
una 
decisione 
vincolante, 
adottata 
in base all’articolo 65, paragrafo 1, lettera a), di detto regolamento. 


55 Ai 
sensi 
dell’articolo 
60, 
paragrafo 
5, 
del 
regolamento 
2016/679, 
quando 
l’autorità 
di 
con



CoNTENzIoSo 
CoMUNITARIo 
ED 
INTERNAzIoNALE 
153 


trollo 
capofila 
intende 
invece 
seguire 
l’obiezione 
pertinente 
e 
motivata 
formulata, 
essa 
sottopone 
alle 
altre 
autorità 
di 
controllo 
interessate 
un 
progetto 
di 
decisione 
riveduto 
al 
fine 
di 
ottenere 
il 
loro 
parere. 
Tale 
progetto 
di 
decisione 
riveduto 
è 
soggetto 
alla 
procedura 
di 
cui 
all’articolo 
60, 
paragrafo 
4, 
del 
medesimo 
regolamento 
entro 
un 
termine 
di 
due 
settimane. 


56 Conformemente 
all’articolo 60, paragrafo 7, di 
detto regolamento, in linea 
di 
principio, 
spetta 
all’autorità 
di 
controllo 
capofila 
adottare 
una 
decisione 
riguardo 
al 
trattamento 
transfrontaliero 
di 
cui 
trattasi, 
notificarla 
allo 
stabilimento 
principale 
o 
allo 
stabilimento 
unico 
del 
titolare 
del 
trattamento o del 
responsabile 
del 
trattamento, a 
seconda 
dei 
casi, e 
informare 
le 
altre 
autorità 
di 
controllo interessate 
e 
il 
comitato europeo per la 
protezione 
dei 
dati 
della 
decisione 
in 
questione, 
comunicando 
anche 
una 
sintesi 
dei 
fatti 
e 
dei 
motivi 
pertinenti. 


57 Ciò 
premesso, 
occorre 
sottolineare 
che 
il 
regolamento 
2016/679 
prevede 
eccezioni 
al 
principio 
della 
competenza 
decisionale 
dell’autorità 
di 
controllo 
capofila 
nell’ambito 
del 
meccanismo 
dello 
«sportello 
unico» 
previsto 
all’articolo 
56, 
paragrafo 
1, 
di 
detto 
regolamento. 


58 
Tra 
tali 
eccezioni 
figura, 
in 
primo 
luogo, 
l’articolo 
56, 
paragrafo 
2, 
del 
regolamento 
2016/679, il 
quale 
prevede 
che 
un’autorità 
di 
controllo che 
non è 
l’autorità 
di 
controllo 
capofila 
sia 
competente 
per la 
gestione 
dei 
reclami 
a 
essa 
proposti 
e 
riguardanti 
un trattamento 
transfrontaliero di 
dati 
personali 
o un’eventuale 
violazione 
di 
tale 
regolamento, 
se 
l’oggetto 
riguarda 
unicamente 
uno 
stabilimento 
nel 
suo 
Stato 
membro 
o 
incide 
in 
modo 
sostanziale sugli interessati unicamente in tale Stato membro. 


59 In secondo luogo, l’articolo 66 del 
regolamento 2016/679 prevede, in deroga 
ai 
meccanismi 
di 
coerenza 
di 
cui 
agli 
articoli 
60 e 
da 
63 a 
65 di 
tale 
regolamento, una 
procedura 
d’urgenza. Tale 
procedura 
d’urgenza 
consente, in circostanze 
eccezionali, qualora 
l’autorità 
di 
controllo 
interessata 
ritenga 
che 
urga 
intervenire 
per 
proteggere 
i 
diritti 
e 
le 
libertà 
degli 
interessati, di 
adottare 
immediatamente 
misure 
provvisorie 
intese 
a 
produrre 
effetti 
giuridici 
nel 
proprio territorio, con un periodo di 
validità 
determinato che 
non superi 
i 
tre 
mesi, in quanto l’articolo 66, paragrafo 2, del 
regolamento 2016/679 prevede 
inoltre 
che, 
qualora 
un’autorità 
di 
controllo 
abbia 
adottato 
una 
misura 
in 
forza 
del 
paragrafo 
1 
e 
ritenga 
che 
debbano essere 
adottate 
misure 
definitive, essa 
può chiedere 
un parere 
d’urgenza 
o 
una 
decisione 
vincolante 
d’urgenza 
del 
comitato europeo per la 
protezione 
dei 
dati, motivando 
tale richiesta. 


60 Tuttavia, 
tale 
competenza 
delle 
autorità 
di 
controllo 
deve 
essere 
esercitata 
nel 
rispetto 
di 
una 
leale 
ed 
efficace 
cooperazione 
con 
l’autorità 
di 
controllo 
capofila, 
conformemente 
alla 
procedura 
di 
cui 
all’articolo 
56, 
paragrafi 
da 
3 
a 
5, 
del 
regolamento 
2016/679. 
Infatti, 
in 
tale 
ipotesi, 
in 
applicazione 
dell’articolo 
56, 
paragrafo 
3, 
di 
detto 
regolamento, 
l’autorità 
di 
controllo 
interessata 
deve 
informare 
senza 
ritardo 
l’autorità 
di 
controllo 
capofila, 
la 
quale, 
entro 
tre 
settimane 
dal 
momento 
in 
cui 
è 
stata 
informata, 
decide 
se 
tratterà 
o 
meno 
il 
caso. 


61 orbene, in forza 
dell’articolo 56, paragrafo 4, del 
regolamento 2016/679, se 
l’autorità 
di 
controllo 
capofila 
decide 
di 
trattare 
il 
caso, 
si 
applica 
la 
procedura 
di 
cooperazione 
prevista 
all’articolo 60 del 
regolamento in parola. In tale 
contesto, l’autorità 
di 
controllo che 
ha 
informato l’autorità 
di 
controllo capofila 
può sottoporle 
un progetto di 
decisione 
e 
quest’ultima 
deve 
tenere 
nella 
massima 
considerazione 
tale 
progetto quando elabora 
il 
progetto 
di decisione di cui all’articolo 60, paragrafo 3, di detto regolamento. 


62 Per contro, in applicazione 
dell’articolo 56, paragrafo 5, del 
regolamento 2016/679, se 
l’autorità 
di 
controllo 
capofila 
decide 
di 
non 
trattare 
il 
caso, 
l’autorità 
di 
controllo 
che 



RASSEGNA 
AvvoCATURA 
DELLo 
STATo -N. 1/2021 


l’ha 
informata 
lo tratta 
conformemente 
agli 
articoli 
61 e 
62 di 
tale 
regolamento, i 
quali 
richiedono 
alle 
autorità 
di 
controllo 
il 
rispetto 
delle 
regole 
di 
reciproca 
assistenza 
e 
di 
cooperazione 
nell’ambito di 
operazioni 
congiunte, al 
fine 
di 
garantire 
una 
cooperazione 
efficace tra le autorità interessate. 


63 Da 
quanto precede 
deriva 
che, da 
un lato, in materia 
di 
trattamento transfrontaliero di 
dati 
personali, la 
competenza 
dell’autorità 
di 
controllo capofila 
ad adottare 
una 
decisione 
che 
constati 
che 
un siffatto trattamento viola 
le 
norme 
relative 
alla 
tutela 
dei 
diritti 
delle 
persone 
fisiche 
con riguardo al 
trattamento di 
dati 
personali 
contenute 
nel 
regolamento 
2016/679 costituisce 
la 
regola, mentre 
la 
competenza 
delle 
altre 
autorità 
di 
controllo interessate 
ad adottare 
una 
tale 
decisione, anche 
in via 
provvisoria, costituisce 
l’eccezione. 
D’altro lato, pur se 
la 
competenza 
di 
principio dell’autorità 
di 
controllo capofila 
è 
confermata 
all’articolo 
56, 
paragrafo 
6, 
del 
regolamento 
2016/679, 
ai 
sensi 
del 
quale 
l’autorità 
di 
controllo capofila 
è 
l’«unico interlocutore» del 
titolare 
del 
trattamento o del 
responsabile 
per il 
trattamento transfrontaliero effettuato da 
tale 
titolare 
del 
trattamento o responsabile 
del 
trattamento, 
tale 
autorità 
deve 
esercitare 
siffatta 
competenza 
nell’ambito 
di 
una 
stretta 
cooperazione 
con le 
altre 
autorità 
di 
controllo interessate. In particolare, l’autorità 
di 
controllo 
capofila 
non 
può 
sottrarsi, 
nell’esercizio 
delle 
sue 
competenze, 
come 
rilevato 
al 
punto 53 della 
presente 
sentenza, a 
un dialogo indispensabile 
nonché 
a 
una 
cooperazione 
leale ed efficace con le altre autorità di controllo interessate. 


64 A 
tal 
riguardo, dal 
considerando 10 del 
regolamento 2016/679 risulta 
che 
quest’ultimo 
mira, 
in 
particolare, 
a 
garantire 
un’applicazione 
coerente 
ed 
omogenea 
delle 
norme 
in 
materia 
di 
protezione 
delle 
libertà 
e 
dei 
diritti 
fondamentali 
delle 
persone 
fisiche 
con riguardo 
al 
trattamento 
dei 
dati 
personali 
in 
tutta 
l’Unione 
e 
a 
rimuovere 
gli 
ostacoli 
ai 
flussi di dati personali all’interno di quest’ultima. 


65 orbene, siffatto obiettivo e 
l’effetto utile 
del 
meccanismo dello «sportello unico», potrebbero 
essere 
compromessi 
se 
un’autorità 
di 
controllo, che, riguardo a 
un trattamento 
di 
dati 
transfrontaliero, non è 
l’autorità 
di 
controllo capofila, potesse 
esercitare 
il 
potere 
previsto all’articolo 58, paragrafo 5, del 
regolamento 2016/679 al 
di 
fuori 
dei 
casi 
in cui 
essa 
è 
competente 
ad 
adottare 
una 
decisione 
come 
quella 
di 
cui 
al 
punto 
63 
della 
presente 
sentenza. Infatti, l’esercizio di 
un potere 
siffatto mira 
a 
giungere 
ad una 
decisione 
giurisdizionale 
vincolante, la 
quale 
è 
altrettanto idonea 
a 
pregiudicare 
detto obiettivo nonché 
detto 
meccanismo 
quanto 
una 
decisione 
adottata 
da 
un’autorità 
di 
controllo 
che 
non 
è 
l’autorità di controllo capofila. 


66 Contrariamente 
a 
quanto sostiene 
l’APD, la 
circostanza 
che 
un’autorità 
di 
controllo di 
uno 
Stato 
membro 
che 
non 
è 
l’autorità 
di 
controllo 
capofila 
possa 
esercitare 
il 
potere 
previsto 
all’articolo 58, paragrafo 5, del 
regolamento 2016/679 solo nel 
rispetto delle 
norme 
sulla 
ripartizione 
delle 
competenze 
decisionali 
previste, in particolare, dagli 
articoli 
55 e 
56 di 
tale 
regolamento, in combinato disposto con l’articolo 60 di 
quest’ultimo, è 
conforme 
agli articoli 7, 8 e 47 della Carta. 


67 Da 
un lato, per quanto riguarda 
l’argomento vertente 
su una 
presunta 
violazione 
degli 
articoli 
7 e 
8 della 
Carta, occorre 
ricordare 
che 
detto articolo 7 garantisce 
a 
ogni 
persona 
il 
diritto 
al 
rispetto 
della 
propria 
vita 
privata 
e 
familiare, 
del 
proprio 
domicilio 
e 
delle 
proprie 
comunicazioni, mentre 
l’articolo 8, paragrafo 1, della 
Carta, così 
come 
l’articolo 16, paragrafo 
1, 
TFUE, 
riconosce 
espressamente 
a 
ogni 
persona 
il 
diritto 
alla 
protezione 
dei 
dati 
personali 
che 
la 
riguardano. 
orbene, 
discende 
in 
particolare 
dall’articolo 
51, 
paragrafo 
1, 
del 
regolamento 
2016/679 
che 
le 
autorità 
di 
controllo 
sono 
incaricate 
di 
sorvegliare 



CoNTENzIoSo 
CoMUNITARIo 
ED 
INTERNAzIoNALE 
155 


l’applicazione 
di 
tale 
regolamento, in particolare, al 
fine 
di 
tutelare 
i 
diritti 
fondamentali 
delle 
persone 
fisiche 
con 
riguardo 
al 
trattamento 
dei 
loro 
dati 
personali. 
Ne 
consegue 
che, 
conformemente 
a 
quanto esposto al 
punto 45 della 
presente 
sentenza, le 
norme 
sulla 
ripartizione 
delle 
competenze 
decisionali 
tra 
l’autorità 
di 
controllo 
capofila 
e 
le 
altre 
autorità 
di 
controllo, previste 
in detto regolamento, lasciano impregiudicata 
la 
responsabilità 
gravante 
su ciascuna 
di 
tali 
autorità 
di 
contribuire 
ad un livello elevato di 
protezione 
di 
detti 
diritti, nel 
rispetto di 
tali 
norme 
nonché 
dei 
requisiti 
di 
cooperazione 
e 
di 
assistenza 
reciproca 
ricordati al punto 52 della presente sentenza. 


68 Ciò significa, in particolare, che 
il 
meccanismo dello «sportello unico» non può in alcun 
caso comportare 
che 
un’autorità 
nazionale 
di 
controllo, in particolare 
l’autorità 
di 
controllo 
capofila, 
non 
assuma 
la 
responsabilità, 
che 
le 
incombe 
in 
forza 
del 
regolamento 
2016/679, di 
contribuire 
ad un’efficace 
tutela 
delle 
persone 
fisiche 
contro violazioni 
dei 
loro diritti 
fondamentali 
ricordati 
al 
punto precedente 
della 
presente 
sentenza, pena 
l’incoraggiare 
una 
pratica 
di 
forum 
shopping, 
in 
particolare 
da 
parte 
dei 
titolari 
del 
trattamento, 
al 
fine 
di 
eludere 
tali 
diritti 
fondamentali 
e 
l’applicazione 
effettiva 
delle 
disposizioni di detto regolamento che vi danno attuazione. 


69 D’altro lato, per quanto riguarda 
l’argomento vertente 
su una 
presunta 
violazione 
del 
diritto 
a 
un ricorso effettivo, garantito dall’articolo 47 della 
Carta, neppure 
esso può essere 
accolto. Infatti, la 
delimitazione, esposta 
ai 
punti 
64 e 
65 della 
presente 
sentenza, della 
possibilità 
per un’autorità 
di 
controllo diversa 
dall’autorità 
di 
controllo capofila 
di 
esercitare 
il 
potere 
previsto 
all’articolo 
58, 
paragrafo 
5, 
del 
regolamento 
2016/679, 
per 
quanto 
riguarda 
un trattamento transfrontaliero di 
dati 
personali, lascia 
impregiudicato il 
diritto 
riconosciuto ad ogni 
persona, all’articolo 78, paragrafi 
1 e 
2, di 
tale 
regolamento, di 
proporre 
un ricorso giurisdizionale 
effettivo, in particolare, avverso una 
decisione 
giuridicamente 
vincolante 
di 
un’autorità 
di 
controllo 
che 
lo 
riguarda 
o 
contro 
il 
mancato 
trattamento 
di 
un 
reclamo 
da 
parte 
dell’autorità 
di 
controllo 
che 
dispone 
della 
competenza 
decisionale 
in forza 
degli 
articoli 
55 e 
56 di 
detto regolamento, letti 
congiuntamente 
con 
l’articolo 60 di quest’ultimo. 


70 
Ciò 
avviene, 
in 
particolare, 
nell’ipotesi 
di 
cui 
all’articolo 
56, 
paragrafo 
5, 
del 
regolamento 
2016/679, secondo la 
quale, come 
rilevato al 
punto 62 della 
presente 
sentenza, l’autorità 
di 
controllo che 
ha 
fornito l’informazione 
sulla 
base 
dell’articolo 56, paragrafo 3, di 
tale 
regolamento, può trattare 
il 
caso conformemente 
agli 
articoli 
61 e 
62 di 
quest’ultimo, se 
l’autorità 
di 
controllo capofila 
decide, dopo esserne 
stata 
informata, che 
non lo tratterà 
essa 
stessa. Nell’ambito di 
un siffatto trattamento, non si 
può peraltro escludere 
che 
l’autorità 
di 
controllo 
considerata 
possa, 
se 
del 
caso, 
decidere 
di 
esercitare 
il 
potere 
conferitole 
dall’articolo 58, paragrafo 5, del regolamento 2016/679. 


71 Ciò precisato, occorre 
sottolineare 
che 
non può essere 
escluso l’esercizio del 
potere 
di 
un’autorità 
di 
controllo 
di 
uno 
Stato 
membro 
di 
rivolgersi 
ai 
giudici 
del 
suo 
Stato 
qualora, 
dopo 
aver 
richiesto 
la 
reciproca 
assistenza 
dell’autorità 
di 
controllo 
capofila, 
in 
forza 
dell’articolo 61 del 
regolamento 2016/679, quest’ultima 
non le 
fornisca 
le 
informazioni 
richieste. In tale 
ipotesi, in forza 
dell’articolo 61, paragrafo 8, del 
regolamento in esame, 
l’autorità 
di 
controllo interessata 
può adottare 
una 
misura 
provvisoria 
nel 
territorio del 
suo 
Stato 
membro 
e, 
se 
ritiene 
che 
sia 
urgente 
adottare 
misure 
definitive, 
tale 
autorità 
può, conformemente 
all’articolo 66, paragrafo 2, di 
detto regolamento, chiedere 
al 
comitato 
europeo 
per 
la 
protezione 
dei 
dati 
un 
parere 
d’urgenza 
o 
una 
decisione 
vincolante 
d’urgenza. 
Inoltre, 
ai 
sensi 
dell’articolo 
64, 
paragrafo 
2, 
del 
medesimo 
regolamento, 



RASSEGNA 
AvvoCATURA 
DELLo 
STATo -N. 1/2021 


un’autorità 
di 
controllo può chiedere 
che 
qualsiasi 
questione 
di 
applicazione 
generale 
o 
produttiva 
di 
effetti 
in più Stati 
membri 
sia 
esaminata 
dal 
comitato europeo per la 
protezione 
dei 
dati 
al 
fine 
di 
ottenere 
un parere, in particolare 
qualora 
un’autorità 
di 
controllo 
competente 
non 
si 
conformi 
agli 
obblighi 
relativi 
all’assistenza 
reciproca 
posti 
a 
suo 
carico 
dall’articolo 61 di 
quest’ultimo. orbene, a 
seguito dell’adozione 
di 
un siffatto parere 
o di 
una 
siffatta 
decisione, e 
purché 
il 
comitato europeo per la 
protezione 
dei 
dati 
vi 
sia 
favorevole 
dopo aver preso in considerazione 
tutte 
le 
circostanze 
pertinenti, l’autorità 
di 
controllo 
considerata 
deve 
poter adottare 
le 
misure 
necessarie 
al 
fine 
di 
garantire 
il 
rispetto 
delle 
norme 
relative 
alla 
tutela 
dei 
diritti 
delle 
persone 
fisiche 
con 
riguardo 
al 
trattamento 
di 
dati 
personali 
contenute 
nel 
regolamento 2016/679 e, a 
tale 
titolo, esercitare 
il 
potere 
conferitole dall’articolo 58, paragrafo 5, del predetto regolamento. 


72 La 
ripartizione 
delle 
competenze 
e 
delle 
responsabilità 
tra 
le 
autorità 
di 
controllo, infatti, 
si 
basa 
necessariamente 
sulla 
premessa 
di 
una 
cooperazione 
leale 
ed efficace 
tra 
tali 
autorità 
nonché 
con la 
Commissione, al 
fine 
di 
garantire 
l’applicazione 
corretta 
e 
coerente 
del 
suddetto 
regolamento, 
come 
confermato 
dall’articolo 
51, 
paragrafo 
2, 
di 
quest’ultimo. 


73 Nel 
caso di 
specie, spetterà 
al 
giudice 
del 
rinvio stabilire 
se 
le 
norme 
sulla 
ripartizione 
delle 
competenze 
nonché 
le 
procedure 
e 
i 
meccanismi 
pertinenti 
previsti 
dal 
regolamento 
2016/679 siano stati 
correttamente 
applicati 
nell’ambito del 
procedimento principale. In 
particolare, sarà 
suo compito verificare 
se, benché 
l’APD 
non sia 
l’autorità 
di 
controllo 
capofila 
in tale 
causa, il 
trattamento in questione, nella 
misura 
in cui 
riguarda 
comportamenti 
del 
social 
network Facebook successivi 
al 
25 maggio 2018, rientri 
segnatamente 
nella situazione descritta al punto 71 della presente sentenza. 


74 A 
tal 
riguardo, 
la 
Corte 
osserva 
che, 
nel 
suo 
parere 
5/2019 
del 
12 
marzo 
2019, 
sull’interazione 
tra 
la 
direttiva 
relativa 
alla 
vita 
privata 
e 
alle 
comunicazioni 
elettroniche 
e 
il 
regolamento 
generale 
sulla 
protezione 
dei 
dati, 
in 
particolare 
per 
quanto 
concerne 
competenze, 
compiti 
e 
poteri 
delle 
autorità 
per 
la 
protezione 
dei 
dati, 
il 
comitato 
europeo 
per 
la 
protezione 
dei 
dati 
ha 
dichiarato 
che 
la 
memorizzazione 
e 
la 
lettura 
di 
dati 
personali 
mediante 
cookie 
rientravano 
nell’ambito 
di 
applicazione 
della 
direttiva 
2002/58/CE 
del 
Parlamento 
europeo 
e 
del 
Consiglio, 
del 
12 
luglio 
2002, 
relativa 
al 
trattamento 
dei 
dati 
personali 
e 
alla 
tutela 
della 
vita 
privata 
nel 
settore 
delle 
comunicazioni 
elettroniche 
(direttiva 
relativa 
alla 
vita 
privata 
e 
alle 
comunicazioni 
elettroniche) 
(GU 
2002, 
L 
201, 
pag. 
37) 
e 
non 
nel 
meccanismo 
dello 
«sportello 
unico». 
Per 
contro, 
tutte 
le 
operazioni 
precedenti 
e 
le 
successive 
attività 
di 
trattamento 
di 
tali 
dati 
personali 
mediante 
altre 
tecnologie 
rientrano 
effettivamente 
nell’ambito 
di 
applicazione 
del 
regolamento 
2016/679 
e, 
di 
conseguenza, 
nel 
meccanismo 
dello 
«sportello 
unico». 
Dato 
che 
la 
sua 
domanda 
di 
assistenza 
reciproca 
riguardava 
tali 
successive 
operazioni 
di 
trattamento 
dei 
dati 
personali, 
nel 
mese 
di 
aprile 
2019 
l’APD 
ha 
chiesto 
al 
Commissario 
per 
la 
protezione 
dei 
dati 
di 
dar 
seguito 
alla 
sua 
domanda 
il 
più 
rapidamente 
possibile, 
richiesta 
che 
sarebbe 
rimasta 
senza 
riscontro. 


75 
Alla 
luce 
di 
tutte 
le 
considerazioni 
che 
precedono, 
occorre 
rispondere 
alla 
prima 
questione 
posta 
dichiarando che 
l’articolo 55, paragrafo 1 e 
gli 
articoli 
da 
56 a 
58 nonché 
da 
60 a 
66 
del 
regolamento 
2016/679, in 
combinato 
disposto 
con 
gli 
articoli 
7, 8 
e 
47 
della 
Carta, 
devono essere 
interpretati 
nel 
senso che 
un’autorità 
di 
controllo di 
uno Stato membro, la 
quale, 
in 
forza 
della 
normativa 
nazionale 
adottata 
in 
esecuzione 
dell’articolo 
58, 
paragrafo 
5, di 
tale 
regolamento, abbia 
il 
potere 
di 
intentare 
un’azione 
dinanzi 
a 
un giudice 
di 
tale 
Stato membro e, se 
del 
caso, di 
agire 
in sede 
giudiziale 
in caso di 
presunta 
violazione 
di 
detto regolamento, può esercitare 
tale 
potere 
con riguardo al 
trattamento transfrontaliero 



CoNTENzIoSo 
CoMUNITARIo 
ED 
INTERNAzIoNALE 
157 


di 
dati, pur non essendo l’«autorità 
di 
controllo capofila» ai 
sensi 
dell’articolo 56, paragrafo 
1, dello stesso regolamento con riguardo a 
siffatto trattamento di 
dati, purché 
ciò 
avvenga 
in una 
delle 
situazioni 
in cui 
il 
regolamento 2016/679 conferisce 
a 
tale 
autorità 
di 
controllo 
la 
competenza 
ad 
adottare 
una 
decisione 
che 
accerti 
che 
il 
trattamento 
in 
questione 
viola 
le 
norme 
in esso contenute, nonché 
nel 
rispetto delle 
procedure 
di 
cooperazione 
e di coerenza previste da tale regolamento. 


Sulla seconda questione 


76 Con la 
sua 
seconda 
questione, il 
giudice 
del 
rinvio chiede, in sostanza, se 
l’articolo 58, 
paragrafo 5, del 
regolamento 2016/679 debba 
essere 
interpretato nel 
senso che, in caso 
di 
trattamento transfrontaliero di 
dati, l’esercizio del 
potere 
di 
un’autorità 
di 
controllo di 
uno Stato membro, diversa 
dall’autorità 
di 
controllo capofila, di 
agire 
in sede 
giudiziale, 
ai 
sensi 
di 
tale 
disposizione, 
richieda 
che 
il 
titolare 
del 
trattamento 
transfrontaliero 
di 
dati 
personali, nei 
cui 
confronti 
tale 
azione 
è 
intentata, disponga 
di 
uno «stabilimento principale
», a 
norma 
dell’articolo 4, punto 16, del 
regolamento 2016/679, nel 
territorio di 
tale 
Stato membro oppure di un altro stabilimento in tale territorio. 


77 
A 
tal 
riguardo, 
occorre 
ricordare 
che, 
ai 
sensi 
dell’articolo 
55, 
paragrafo 
1, 
del 
regolamento 
2016/679, 
ciascuna 
autorità 
di 
controllo 
è 
competente 
ad 
eseguire 
i 
compiti 
e 
ad 
esercitare 
i 
poteri 
ad essa 
conferiti 
a 
norma 
di 
tale 
regolamento nel 
territorio dello Stato membro di 
appartenenza. 


78 
L’articolo 
58, 
paragrafo 
5, 
del 
regolamento 
2016/679 
prevede, 
inoltre, 
il 
potere 
di 
ciascuna 
autorità 
di 
controllo di 
intentare 
un’azione 
dinanzi 
a 
un giudice 
dello Stato membro di 
appartenenza 
e, se 
del 
caso, di 
agire 
in sede 
giudiziale 
in caso di 
presunta 
violazione 
di 
tale regolamento per far rispettare le disposizioni dello stesso. 


79 orbene, occorre 
rilevare 
che 
l’articolo 58, paragrafo 5, del 
regolamento 2016/679 è 
formulato 
in termini 
generali 
e 
che 
il 
legislatore 
dell’Unione 
non ha 
subordinato l’esercizio 
di 
tale 
potere 
da 
parte 
di 
un’autorità 
di 
controllo 
di 
uno 
Stato 
membro 
alla 
condizione 
che 
l’azione 
di 
quest’ultima 
sia 
intentata 
nei 
confronti 
di 
un titolare 
del 
trattamento che 
disponga 
di 
uno «stabilimento principale», ai 
sensi 
dell’articolo 4, punto 16, di 
tale 
regolamento, 
o di un altro stabilimento nel territorio di tale Stato membro. 


80 
Tuttavia, 
un’autorità 
di 
controllo 
di 
uno 
Stato 
membro 
può 
esercitare 
il 
potere 
conferitole 
dall’articolo 58, paragrafo 5, del 
regolamento 2016/679 solo se 
è 
dimostrato che 
tale 
potere 
rientra nell’ambito di applicazione territoriale di tale regolamento. 


81 L’articolo 
3 
del 
regolamento 
2016/679, 
che 
disciplina 
l’ambito 
di 
applicazione 
territoriale 
del 
predetto 
regolamento, 
al 
suo 
paragrafo 
1, 
prevede 
al 
riguardo 
che 
quest’ultimo 
si 
applichi 
al 
trattamento 
dei 
dati 
personali 
effettuato 
nell’ambito 
delle 
attività 
di 
uno 
stabilimento 
di 
un 
titolare 
del 
trattamento 
o 
di 
un 
responsabile 
del 
trattamento 
nel 
territorio 
dell’Unione, 
indipendentemente 
dal 
fatto 
che 
il 
trattamento 
abbia 
luogo 
o 
meno 
nell’Unione. 


82 
A 
tale 
titolo, 
il 
considerando 
22 
del 
regolamento 
2016/679 
precisa 
che 
detto 
stabilimento 
implica 
l’effettivo e 
reale 
svolgimento di 
un’attività 
nel 
quadro di 
un’organizzazione 
stabile 
e 
che 
la 
forma 
giuridica 
adottata 
per 
tale 
organizzazione, 
che 
si 
tratti 
di 
una 
succursale 


o di una filiale dotata di personalità giuridica, non è determinante al riguardo. 
83 Ne 
consegue 
che, conformemente 
all’articolo 3, paragrafo 1, del 
regolamento 2016/679, 
l’ambito 
di 
applicazione 
territoriale 
di 
tale 
regolamento 
è 
determinato, 
fatte 
salve 
le 
ipotesi 
di 
cui 
ai 
paragrafi 
2 e 
3 di 
tale 
articolo, dalla 
condizione 
che 
il 
titolare 
del 
trattamento o 
il 
responsabile 
del 
trattamento 
transfrontaliero 
disponga 
di 
uno 
stabilimento 
nel 
territorio 
dell’Unione. 



RASSEGNA 
AvvoCATURA 
DELLo 
STATo -N. 1/2021 


84 occorre 
pertanto rispondere 
alla 
seconda 
questione 
posta 
dichiarando che 
l’articolo 58, 
paragrafo 5, del 
regolamento 2016/679 deve 
essere 
interpretato nel 
senso che, in caso di 
trattamento 
transfrontaliero 
di 
dati, 
l’esercizio 
del 
potere 
di 
un’autorità 
di 
controllo 
di 
uno Stato membro, diversa 
dall’autorità 
di 
controllo capofila, di 
intentare 
un’azione 
giudiziaria, 
ai 
sensi 
di 
tale 
disposizione, non esige 
che 
il 
titolare 
del 
trattamento o il 
responsabile 
per 
il 
trattamento 
transfrontaliero 
di 
dati 
personali, 
nei 
cui 
confronti 
tale 
azione 
viene 
intentata, disponga 
di 
uno stabilimento principale 
o di 
un altro stabilimento nel 
territorio 
di detto Stato membro. 
Sulla terza questione 


85 
Con 
la 
sua 
terza 
questione, 
il 
giudice 
del 
rinvio 
chiede, 
in 
sostanza, 
se 
l’articolo 
58, 
paragrafo 
5, 
del 
regolamento 
2016/679 
debba 
essere 
interpretato 
nel 
senso 
che, 
in 
caso 
di 
trattamento 
transfrontaliero 
di 
dati, 
l’esercizio 
del 
potere 
di 
un’autorità 
di 
controllo 
di 
uno 
Stato 
membro, 
diversa 
dall’autorità 
di 
controllo 
capofila, 
di 
intentare 
un’azione 
dinanzi 
a 
un 
giudice 
di 
tale 
Stato 
membro 
e, 
se 
del 
caso, 
di 
agire 
in 
sede 
giudiziale 
in 
caso 
di 
presunta 
violazione 
del 
predetto 
regolamento 
ai 
sensi 
di 
tale 
disposizione, 
esige 
che 
l’autorità 
di 
controllo 
interessata 
diriga 
la 
propria 
azione 
giudiziaria 
contro 
lo 
stabilimento 
principale 
del 
titolare 
del 
trattamento 
oppure 
contro 
lo 
stabilimento 
che 
si 
trova 
nel 
proprio 
Stato 
membro. 


86 Dalla 
decisione 
di 
rinvio risulta 
che 
tale 
questione 
è 
sollevata 
nell’ambito di 
una 
discussione 
tra 
le 
parti 
sulla 
questione 
se 
il 
giudice 
del 
rinvio 
sia 
competente 
ad 
esaminare 
l’azione 
inibitoria 
nei 
limiti 
in 
cui 
essa 
è 
intentata 
contro 
Facebook 
Belgium, 
tenuto 
conto 
del 
fatto che, da 
una 
parte, all’interno dell’Unione, la 
sede 
sociale 
del 
gruppo Facebook 
è 
situata 
in Irlanda 
e 
che 
Facebook Ireland è 
l’unica 
responsabile 
della 
raccolta 
e 
del 
trattamento 
dei 
dati 
personali 
per 
tutto 
il 
territorio 
dell’Unione 
e, 
dall’altra, 
che, 
secondo 
una 
ripartizione 
interna 
a 
tale 
gruppo, lo stabilimento situato in Belgio sarebbe 
stato creato, 
in 
via 
principale, 
per 
consentire 
a 
tale 
gruppo 
di 
mantenere 
relazioni 
con 
le 
istituzioni 
dell’Unione 
e, in via 
accessoria, per promuovere 
le 
attività 
pubblicitarie 
e 
di 
marketing 
dello stesso gruppo destinate a persone residenti in Belgio. 


87 Come 
rilevato al 
punto 47 della 
presente 
sentenza, l’articolo 55, paragrafo 1, del 
regolamento 
2016/679 stabilisce 
la 
competenza 
di 
principio di 
ciascuna 
autorità 
di 
controllo ad 
eseguire 
i 
compiti 
e 
ad esercitare 
i 
poteri 
ad essa 
conferiti, conformemente 
a 
tale 
regolamento, 
nel territorio del rispettivo Stato membro. 


88 Per quanto riguarda 
il 
potere 
di 
un’autorità 
di 
controllo di 
uno Stato membro di 
intentare 
un’azione 
giudiziaria, ai 
sensi 
dell’articolo 58, paragrafo 5, del 
regolamento 2016/679, 
occorre 
ricordare, come 
rilevato dall’avvocato generale 
al 
paragrafo 150 delle 
sue 
conclusioni, 
che 
tale 
disposizione 
è 
formulata 
in termini 
generali 
e 
non precisa 
gli 
enti 
nei 
confronti 
dei 
quali 
le 
autorità 
di 
controllo 
debbano 
o 
possano 
agire 
in 
giudizio 
in 
relazione 
a qualsiasi violazione di tale regolamento. 


89 Di 
conseguenza, 
detta 
disposizione 
non 
limita 
l’esercizio 
del 
potere 
di 
agire 
in 
sede 
giudiziale 
nel 
senso 
che 
un’azione 
siffatta 
possa 
essere 
intentata 
unicamente 
nei 
confronti 
di 
uno 
«stabilimento 
principale» 
oppure 
nei 
confronti 
di 
un 
altro 
«stabilimento» 
del 
titolare 
del 
trattamento. 
Al 
contrario, 
in 
forza 
della 
medesima 
disposizione, 
qualora 
l’autorità 
di 
controllo 
di 
uno 
Stato 
membro 
disponga 
della 
competenza 
necessaria 
a 
tal 
fine, 
in 
applicazione 
degli 
articoli 
55 
e 
56 
del 
regolamento 
2016/679, 
essa 
può 
esercitare 
i 
poteri 
conferitile 
da 
tale 
regolamento 
nel 
suo 
territorio 
nazionale, 
indipendentemente 
dallo 
Stato 
membro 
in 
cui 
è 
stabilito 
il 
titolare 
del 
trattamento 
o 
il 
responsabile 
del 
trattamento. 



CoNTENzIoSo 
CoMUNITARIo 
ED 
INTERNAzIoNALE 
159 


90 Tuttavia, l’esercizio del 
potere 
conferito a 
ciascuna 
autorità 
di 
controllo dall’articolo 58, 
paragrafo 5, del 
regolamento 2016/679 presuppone 
che 
tale 
regolamento sia 
applicabile. 
A 
tal 
riguardo, e 
come 
sottolineato al 
punto 81 della 
presente 
sentenza, l’articolo 3, paragrafo 
1, di 
detto regolamento prevede 
che 
quest’ultimo si 
applichi 
al 
trattamento dei 
dati 
personali 
effettuato «nell’ambito delle 
attività 
di 
uno stabilimento da 
parte 
di 
un titolare 
del 
trattamento o di 
un responsabile 
del 
trattamento nell’Unione, indipendentemente 
dal 
fatto che il trattamento sia effettuato o meno nell’Unione». 


91 Alla 
luce 
dell’obiettivo perseguito dal 
regolamento 2016/679, consistente 
nel 
garantire 
una 
tutela 
efficace 
delle 
libertà 
e 
dei 
diritti 
fondamentali 
delle 
persone 
fisiche, segnatamente 
del 
diritto alla 
tutela 
della 
vita 
privata 
e 
alla 
protezione 
dei 
dati 
personali, la 
condizione 
secondo cui 
il 
trattamento di 
dati 
personali 
deve 
essere 
effettuato «nell’ambito 
delle 
attività» dello stabilimento considerato non può ricevere 
un’interpretazione 
restrittiva 
(v., per analogia, sentenza 
del 
5 giugno 2018, Wirtschaftsakademie 
Schleswig-Holstein, 
C‑210/16, EU:C:2018:388, punto 56 e giurisprudenza ivi citata). 


92 Nel 
caso di 
specie, dalla 
decisione 
di 
rinvio e 
dalle 
osservazioni 
scritte 
presentate 
da 
Facebook 
Belgium 
risulta 
che 
quest’ultima 
è 
incaricata, in via 
principale, di 
intrattenere 
relazioni 
con 
le 
istituzioni 
dell’Unione 
e, 
in 
via 
accessoria, 
di 
promuovere 
le 
attività 
pubblicitarie e di marketing del suo gruppo destinate alle persone residenti in Belgio. 


93 
Il 
trattamento 
di 
dati 
personali 
di 
cui 
trattasi 
nel 
procedimento 
principale, 
che 
nel 
territorio 
dell’Unione 
è 
effettuato 
esclusivamente 
da 
Facebook 
Ireland 
e 
che 
consiste 
nella 
raccolta 
di 
informazioni 
sul 
comportamento di 
navigazione 
tanto dei 
titolari 
di 
un account 
Facebook 
quanto dei 
non utenti 
dei 
servizi 
Facebook mediante 
tecnologie 
diverse, quali, in 
particolare, i 
social 
plugin e 
i 
pixel, ha 
proprio lo scopo di 
consentire 
al 
social 
network di 
cui 
trattasi 
di 
rendere 
più efficiente 
il 
proprio sistema 
pubblicitario, diffondendo le 
comunicazioni 
in modo mirato. 


94 
orbene, 
occorre 
rilevare 
che, 
da 
un 
lato, 
un 
social 
network 
come 
Facebook 
genera 
una 
parte 
sostanziale 
dei 
suoi 
redditi 
grazie, 
in 
particolare, 
alla 
pubblicità 
ivi 
diffusa 
e 
che 
l’attività 
svolta 
dallo 
stabilimento 
situato 
in 
Belgio 
è 
diretta 
a 
garantire, 
in 
tale 
Stato 
membro, 
anche 
se 
solo 
in 
via 
accessoria, 
la 
promozione 
e 
la 
vendita 
di 
spazi 
pubblicitari 
che 
servono 
a 
rendere 
redditizi 
i 
servizi 
Facebook. 
D’altro 
lato, 
l’attività 
svolta 
in 
via 
principale 
da 
Facebook 
Belgium, 
consistente 
nell’intrattenere 
relazioni 
con 
le 
istituzioni 
dell’Unione 
e 
nel 
costituire 
un 
punto 
di 
contatto 
con 
queste 
ultime, 
mira, 
in 
particolare, 
a 
determinare 
la 
politica 
di 
trattamento 
dei 
dati 
personali 
da 
parte 
di 
Facebook 
Ireland. 


95 Ciò posto, le 
attività 
dello stabilimento del 
gruppo Facebook situato in Belgio devono 
essere 
considerate 
inscindibilmente 
connesse 
al 
trattamento dei 
dati 
personali 
di 
cui 
trattasi 
nel 
procedimento 
principale, 
per 
il 
quale 
il 
titolare 
del 
trattamento 
è 
Facebook 
Ireland 
per quanto riguarda 
il 
territorio dell’Unione. Pertanto, un trattamento siffatto deve 
essere 
considerato 
effettuato 
«nell’ambito 
delle 
attività 
di 
uno 
stabilimento 
da 
parte 
di 
un 
titolare 
del trattamento», ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 1, del regolamento 2016/679. 


96 
Alla 
luce 
di 
tutte 
le 
considerazioni 
che 
precedono, 
occorre 
rispondere 
alla 
terza 
questione 
posta 
dichiarando che 
l’articolo 58, paragrafo 5, del 
regolamento 2016/679 deve 
essere 
interpretato 
nel 
senso 
che 
il 
potere 
di 
un’autorità 
di 
controllo 
di 
uno 
Stato 
membro, 
diversa 
dall’autorità 
di 
controllo 
capofila, 
di 
intentare 
un’azione 
dinanzi 
ad 
un 
giudice 
di 
tale 
Stato membro e, se 
del 
caso, di 
agire 
in sede 
giudiziale, ai 
sensi 
di 
tale 
disposizione, in 
caso di 
presunta 
violazione 
di 
detto regolamento può essere 
esercitato tanto nei 
confronti 



RASSEGNA 
AvvoCATURA 
DELLo 
STATo -N. 1/2021 


dello stabilimento principale 
del 
titolare 
del 
trattamento che 
si 
trovi 
nello Stato membro 
di 
appartenenza 
di 
tale 
autorità 
quanto 
nei 
confronti 
di 
un 
altro 
stabilimento 
di 
tale 
titolare, 
purché 
l’azione 
giudiziaria 
riguardi 
un trattamento di 
dati 
effettuato nell’ambito delle 
attività 
di 
detto stabilimento e 
l’autorità 
di 
cui 
trattasi 
sia 
competente 
ad esercitare 
siffatto 
potere, conformemente a quanto esposto in risposta alla prima questione posta. 


sulla quarta questione 


97 Con la 
sua 
quarta 
questione, il 
giudice 
del 
rinvio chiede, in sostanza, se 
l’articolo 58, paragrafo 
5, del 
regolamento 2016/679 debba 
essere 
interpretato nel 
senso che, nel 
caso in 
cui 
un’autorità 
di 
controllo di 
uno Stato membro che 
non è 
l’«autorità 
di 
controllo capofila
», ai 
sensi 
dell’articolo 56, paragrafo 1, di 
tale 
regolamento, abbia 
intentato un’azione 
giudiziaria 
relativa 
a 
un 
trattamento 
transfrontaliero 
di 
dati 
personali 
prima 
del 
25 
maggio 
2018, ossia 
prima 
della 
data 
in cui 
detto regolamento è 
divenuto applicabile, tale 
circostanza 
è 
idonea 
ad influire 
sulle 
condizioni 
in cui 
detta 
autorità 
di 
controllo di 
uno Stato 
membro 
può 
esercitare 
il 
potere 
di 
agire 
in 
sede 
giudiziale 
conferitole 
dal 
suddetto 
articolo 
58, paragrafo 5. 


98 Dinanzi 
a 
tale 
giudice, le 
società 
Facebook Ireland, Facebook Inc. e 
Facebook Belgium 
sostengono infatti 
che 
l’applicazione 
del 
regolamento 2016/679 a 
partire 
dal 
25 maggio 
2018 
avrebbe 
come 
conseguenza 
che 
il 
mantenimento 
di 
un’azione 
intentata 
prima 
di 
tale 
data è irricevibile o addirittura infondato. 


99 
occorre 
rilevare, 
in 
via 
preliminare, 
che 
l’articolo 
99, 
paragrafo 
1, 
del 
regolamento 
2016/679 
prevede 
che 
quest’ultimo 
entri 
in 
vigore 
il 
ventesimo 
giorno 
successivo 
alla 
sua 
pubblicazione 
nella 
gazzetta ufficiale 
dell’unione 
europea. Poiché 
tale 
regolamento 
è 
stato 
pubblicato 
nella 
suddetta 
Gazzetta 
ufficiale 
il 
4 
maggio 
2016, 
esso 
è 
quindi 
entrato 
in 
vigore 
il 
25 
maggio 
successivo. 
Inoltre, 
l’articolo 
99, 
paragrafo 
2, 
di 
detto 
regolamento 
prevede che quest’ultimo si applichi a decorrere dal 25 maggio 2018. 


100 
A 
tal 
riguardo, 
va 
ricordato 
che 
una 
nuova 
norma 
giuridica 
si 
applica 
a 
decorrere 
dall’entrata 
in 
vigore 
dell’atto 
che 
la 
istituisce 
e 
che, 
sebbene 
non 
si 
applichi 
alle 
situazioni 
giuridiche 
sorte 
e 
definitivamente 
acquisite 
in 
vigenza 
della 
precedente 
norma, 
essa 
si 
applica 
agli 
effetti 
futuri 
delle 
medesime, 
nonché 
alle 
situazioni 
giuridiche 
nuove, 
a 
meno 
che 
la 
nuova 
norma, 
fatto 
salvo 
il 
principio 
di 
irretroattività 
degli 
atti 
giuridici, 
sia 
accompagnata 
da 
disposizioni 
particolari 
che 
determinano 
specificamente 
le 
sue 
condizioni 
di 
applicazione 
nel 
tempo. 
In 
particolare, 
le 
norme 
procedurali 
si 
considerano 
generalmente 
applicabili 
alla 
data 
in 
cui 
esse 
entrano 
in 
vigore, 
a 
differenza 
delle 
norme 
sostanziali, 
che, 
secondo 
la 
comune 
interpretazione, 
riguardano 
situazioni 
consolidatesi 
anteriormente 
alla 
loro 
entrata 
in 
vigore 
solo 
se 
dalla 
loro 
formulazione, 
dalla 
loro 
finalità 
o 
dal 
loro 
impianto 
sistematico 
risulti 
chiaramente 
che 
va 
loro 
attribuito 
tale 
effetto 
[sentenza 
del 
25 
febbraio 
2021, 
Caisse 
pour 
l’avenir 
des 
enfants 
(Impiego 
alla 
nascita), 
C‑129/20, 
EU:C:2021:140, 
punto 31 e giurisprudenza ivi citata]. 


101 
Il 
regolamento 
2016/679 
non 
contiene 
alcuna 
norma 
transitoria 
né 
alcuna 
altra 
norma 
che 
disciplini 
lo status 
dei 
procedimenti 
giurisdizionali 
avviati 
prima 
che 
esso fosse 
applicabile 
e 
che 
erano 
ancora 
in 
corso 
alla 
data 
in 
cui 
è 
divenuto 
applicabile. 
In 
particolare, 
nessuna 
disposizione 
di 
tale 
regolamento 
prevede 
che 
esso 
abbia 
l’effetto 
di 
porre 
fine 
a 
tutti 
i 
procedimenti 
giurisdizionali 
pendenti 
alla 
data 
del 
25 maggio 2018 che 
riguardano presunte 
violazioni 
di 
norme 
che 
disciplinano il 
trattamento di 
dati 
personali 
previste 
dalla 
direttiva 
95/46, e 
ciò anche 
se 
i 
comportamenti 
costitutivi 
di 
tali 
presunte 
violazioni 
perdurano 
oltre tale data. 



CoNTENzIoSo 
CoMUNITARIo 
ED 
INTERNAzIoNALE 


102 
Nel 
caso di 
specie, l’articolo 58, paragrafo 5, del 
regolamento 2016/679 prevede 
norme 
che 
disciplinano il 
potere 
di 
un’autorità 
di 
controllo di 
intentare 
un’azione 
o di 
agire 
in 
sede 
giudiziale 
o, ove 
del 
caso, stragiudiziale 
in caso di 
violazione 
di 
tale 
regolamento 
per far rispettare le disposizioni dello stesso. 


103 
Ciò 
posto, 
occorre 
distinguere 
tra 
le 
azioni 
intentate 
da 
un’autorità 
di 
controllo 
di 
uno 
Stato 
membro 
per 
violazioni 
delle 
norme 
sulla 
protezione 
dei 
dati 
personali 
commesse 
da 
titolari 
del 
trattamento 
o 
dai 
responsabili 
prima 
della 
data 
in 
cui 
il 
regolamento 
2016/679 
è 
divenuto 
applicabile 
e 
quelle 
intentate 
per 
violazioni 
commesse 
dopo 
tale 
data. 


104 
Nella 
prima 
ipotesi, 
dal 
punto 
di 
vista 
del 
diritto 
dell’Unione, 
un’azione 
giudiziaria, 
come 
quella 
di 
cui 
trattasi 
nel 
procedimento principale, può essere 
mantenuta 
sulla 
base 
delle 
disposizioni 
della 
direttiva 
95/46, la 
quale 
rimane 
applicabile 
per quanto riguarda 
le 
violazioni 
commesse 
fino alla 
data 
della 
sua 
abrogazione, ossia 
il 
25 maggio 2018. Nella 
seconda 
ipotesi, un’azione 
siffatta 
può essere 
intentata, in forza 
dell’articolo 58, paragrafo 
5, 
del 
regolamento 
2016/679, 
unicamente 
a 
condizione 
che, 
come 
è 
stato 
sottolineato 
nell’ambito della 
risposta 
alla 
prima 
questione 
posta, tale 
azione 
rientri 
in una 
situazione 
in cui, a 
titolo di 
eccezione, tale 
regolamento conferisce 
a 
un’autorità 
di 
controllo di 
uno 
Stato membro, che 
non sia 
l’«autorità 
di 
controllo capofila», una 
competenza 
ad adottare 
una 
decisione 
che 
accerti 
che 
il 
trattamento di 
dati 
di 
cui 
trattasi 
viola 
le 
norme 
contenute 
in detto regolamento per quanto riguarda 
la 
tutela 
dei 
diritti 
delle 
persone 
fisiche 
con riguardo 
al 
trattamento dei 
dati 
personali 
e 
nel 
rispetto delle 
procedure 
previste 
dal 
medesimo 
regolamento. 


105 
Alla 
luce 
di 
tutte 
le 
considerazioni 
che 
precedono, 
occorre 
rispondere 
alla 
quarta 
questione 
posta 
dichiarando che 
l’articolo 58, paragrafo 5, del 
regolamento 2016/679 deve 
essere 
interpretato nel 
senso che, qualora 
un’autorità 
di 
controllo di 
uno Stato membro, che 
non 
sia 
l’«autorità 
di 
controllo capofila» ai 
sensi 
dell’articolo 56, paragrafo 1, di 
tale 
regolamento, 
abbia 
intentato un’azione 
giudiziaria 
riguardante 
un trattamento transfrontaliero 
di 
dati 
personali 
prima 
del 
25 
maggio 
2018, 
ossia 
prima 
della 
data 
in 
cui 
detto 
regolamento 
è 
divenuto applicabile, detta 
azione 
può, dal 
punto di 
vista 
del 
diritto dell’Unione, essere 
mantenuta 
in base 
alle 
disposizioni 
della 
direttiva 
95/46, la 
quale 
rimane 
applicabile 
per 
quanto riguarda 
le 
violazioni 
delle 
norme 
in essa 
contenute 
commesse 
fino alla 
data 
di 
abrogazione 
di 
detta 
direttiva. Tale 
azione 
può, inoltre, essere 
intentata 
da 
detta 
autorità 
per violazioni 
commesse 
dopo tale 
data 
sulla 
base 
dell’articolo 58, paragrafo 5, del 
regolamento 
2016/679, 
purché 
ciò 
avvenga 
in 
una 
delle 
situazioni 
in 
cui, 
a 
titolo 
di 
eccezione, 
tale 
regolamento conferisce 
a 
un’autorità 
di 
controllo di 
uno Stato membro, che 
non sia 
l’«autorità 
di 
controllo capofila», una 
competenza 
ad adottare 
una 
decisione 
che 
accerti 
che 
il 
trattamento di 
dati 
di 
cui 
trattasi 
viola 
le 
norme 
contenute 
in detto regolamento per 
quanto 
riguarda 
la 
tutela 
dei 
diritti 
delle 
persone 
fisiche 
con 
riguardo 
al 
trattamento 
di 
dati 
personali 
e 
nel 
rispetto 
delle 
procedure 
di 
cooperazione 
e 
di 
coerenza 
previste 
dal 
medesimo regolamento, circostanza che spetta al giudice del rinvio verificare. 
sulla quinta questione 


106 
Con la 
sua 
quinta 
questione, il 
giudice 
del 
rinvio chiede, in sostanza, in caso di 
risposta 
affermativa 
alla 
prima 
questione 
posta, 
se 
l’articolo 
58, 
paragrafo 
5, 
del 
regolamento 
2016/679 debba 
essere 
interpretato nel 
senso che 
tale 
disposizione 
ha 
effetto diretto, cosicché 
un’autorità 
nazionale 
di 
controllo può invocare 
detta 
disposizione 
per intentare 
o 
proseguire 
un’azione 
nei 
confronti 
di 
privati, anche 
se 
la 
medesima 
disposizione 
non sia 
stata specificamente attuata nella legislazione dello Stato membro interessato. 



RASSEGNA 
AvvoCATURA 
DELLo 
STATo -N. 1/2021 


107 
A 
norma 
dell’articolo 58, paragrafo 5, del 
regolamento 2016/679 ogni 
Stato membro dispone 
per legge 
che 
la 
sua 
autorità 
di 
controllo abbia 
il 
potere 
di 
intentare 
un’azione 
o di 
agire 
in sede 
giudiziale 
o, ove 
del 
caso, stragiudiziale 
in caso di 
violazione 
di 
tale 
regolamento 
per far rispettare le disposizioni dello stesso. 


108 
In via 
preliminare, occorre 
rilevare 
che, come 
sostiene 
il 
governo belga, l’articolo 58, 
paragrafo 5, del 
regolamento 2016/679 è 
stato attuato nell’ordinamento giuridico belga 
dall’articolo 6 della 
legge 
del 
3 dicembre 
2017. Infatti, ai 
sensi 
di 
tale 
articolo 6, che 
presenta 
una 
formulazione 
sostanzialmente 
identica 
a 
quella 
dell’articolo 
58, 
paragrafo 
5, 
del 
regolamento 2016/679, l’APD 
ha 
il 
potere 
di 
intentare 
un’azione 
dinanzi 
alle 
autorità 
giudiziarie, in caso di 
violazioni 
dei 
principi 
fondamentali 
della 
protezione 
dei 
dati 
personali, 
nel 
quadro della 
suddetta 
legge 
e 
delle 
leggi 
recanti 
disposizioni 
sulla 
protezione 
del 
trattamento 
dei 
dati 
personali 
e, 
se 
del 
caso, 
ad 
agire 
in 
sede 
giudiziale 
per 
far 
rispettare 
detti 
principi 
fondamentali. Di 
conseguenza, si 
deve 
ritenere 
che 
l’APD 
possa 
fondarsi 
su 
una 
disposizione 
del 
diritto 
nazionale, 
come 
l’articolo 
6 
della 
legge 
del 
3 
dicembre 
2017, 
che 
attua 
l’articolo 
58, 
paragrafo 
5, 
del 
regolamento 
2016/679 
nel 
diritto 
belga, 
per 
agire in sede giudiziale al fine di far rispettare tale regolamento. 


109 
Inoltre, e 
a 
fini 
di 
completezza, occorre 
rilevare 
che, ai 
sensi 
dell’articolo 288, secondo 
comma, TFUE, un regolamento è 
obbligatorio in tutti 
i 
suoi 
elementi 
ed è 
direttamente 
applicabile 
in ciascuno degli 
Stati 
membri, cosicché 
le 
sue 
disposizioni 
non necessitano, 
in linea di principio, di alcuna misura di applicazione degli Stati membri. 


110 
In proposito, si 
deve 
ricordare 
che, secondo consolidata 
giurisprudenza 
della 
Corte, in 
forza 
dell’articolo 288 TFUE 
e 
per la 
natura 
stessa 
dei 
regolamenti 
e 
della 
loro funzione 
nel 
sistema 
delle 
fonti 
del 
diritto 
dell’Unione, 
le 
disposizioni 
dei 
regolamenti 
producono, 
in via 
generale, effetti 
immediati 
negli 
ordinamenti 
giuridici 
nazionali, senza 
che 
le 
autorità 
nazionali 
debbano adottare 
misure 
di 
applicazione. Tuttavia, talune 
di 
tali 
disposizioni 
possono richiedere, per la 
loro attuazione, l’adozione 
di 
misure 
di 
applicazione 
da 
parte 
degli 
Stati 
membri 
(sentenza 
del 
15 
marzo 
2017, 
Al 
Chodor, 
C‑528/15, 
EU:C:2017:213, punto 27 e giurisprudenza ivi citata). 


111 
orbene, 
come 
rilevato, 
in 
sostanza, 
dall’avvocato 
generale 
al 
paragrafo 
167 
delle 
sue 
conclusioni, 
l’articolo 58, paragrafo 5, del 
regolamento 2016/679 prevede 
una 
norma 
specifica 
e 
direttamente 
applicabile 
in forza 
della 
quale 
le 
autorità 
di 
controllo devono avere 
la 
legittimazione 
ad agire 
dinanzi 
ai 
giudici 
nazionali 
e 
la 
capacità 
di 
stare 
in giudizio in 
forza del diritto nazionale. 


112 
Dall’articolo 58, paragrafo 5, del 
regolamento 2016/679 non risulta 
che 
gli 
Stati 
membri 
debbano 
stabilire 
con 
un’esplicita 
disposizione 
quali 
siano 
le 
circostanze 
in 
cui 
le 
autorità 
di 
controllo 
nazionali 
possono 
agire 
in 
sede 
giudiziale 
ai 
sensi 
della 
disposizione 
in 
esame. 
È 
sufficiente 
che 
l’autorità 
di 
controllo 
abbia 
la 
possibilità, 
conformemente 
alla 
normativa 
nazionale, di 
intentare 
un’azione 
dinanzi 
alle 
autorità 
giudiziarie 
e, se 
del 
caso, di 
agire 
in sede 
giudiziale 
o di 
avviare, in altro modo, un procedimento diretto a 
far rispettare 
le 
disposizioni di detto regolamento. 


113 
Alla 
luce 
di 
tutte 
le 
considerazioni 
che 
precedono, 
occorre 
rispondere 
alla 
quinta 
questione 
posta 
dichiarando che 
l’articolo 58, paragrafo 5, del 
regolamento 2016/679 deve 
essere 
interpretato 
nel 
senso 
che 
tale 
disposizione 
ha 
effetto 
diretto, 
cosicché 
un’autorità 
di 
controllo 
nazionale 
può 
invocarla 
per 
intentare 
o 
proseguire 
un’azione 
nei 
confronti 
di 
privati, 
anche 
qualora 
detta 
disposizione 
non 
sia 
stata 
specificamente 
attuata 
nella 
normativa 
dello 
Stato membro interessato. 



CoNTENzIoSo 
CoMUNITARIo 
ED 
INTERNAzIoNALE 


sulla sesta questione 


114 
Con la 
sesta 
questione, il 
giudice 
del 
rinvio chiede, in sostanza, in caso di 
risposta 
affermativa 
alle 
questioni 
dalla 
prima 
alla 
quinta, se 
l’esito di 
un procedimento giudiziario, 
avviato da 
un’autorità 
di 
controllo di 
uno Stato membro, vertente 
su un trattamento transfrontaliero 
di 
dati 
personali 
possa 
ostare 
a 
che 
l’autorità 
di 
controllo capofila 
adotti 
una 
decisione 
in 
cui 
giunge 
ad 
un 
accertamento 
in 
senso 
contrario, 
nel 
caso 
in 
cui 
essa 
indaghi 
sulle 
stesse 
attività 
di 
trattamento transfrontaliero o su attività 
analoghe, conformemente 
al meccanismo previsto agli articoli 56 e 60 del regolamento 2016/679. 


115 
A 
tal 
riguardo, occorre 
ricordare 
che, secondo una 
giurisprudenza 
costante, le 
questioni 
relative 
al 
diritto 
dell’Unione 
godono 
di 
una 
presunzione 
di 
rilevanza. 
Il 
rifiuto 
della 
Corte 
di 
statuire 
su una 
questione 
pregiudiziale 
posta 
da 
un giudice 
nazionale 
è 
possibile 
solo 
quando appaia 
in modo manifesto che 
l’interpretazione 
del 
diritto dell’Unione 
richiesta 
non ha 
alcuna 
relazione 
con la 
realtà 
effettiva 
o con l’oggetto della 
controversia 
nel 
procedimento 
principale, 
qualora 
il 
problema 
sia 
di 
natura 
ipotetica 
o 
anche 
laddove 
la 
Corte 
non disponga 
degli 
elementi 
di 
fatto o di 
diritto necessari 
per fornire 
una 
risposta 
utile 
alle 
questioni 
che 
le 
vengono sottoposte 
(sentenze 
del 
16 giugno 2015, Gauweiler e 
a., 
C‑62/14, EU:C:2015:400, punto 25, e 
del 
7 febbraio 2018, American Express, C‑304/16, 
EU:C:2018:66, punto 32). 


116 
Inoltre, conformemente 
a 
una 
giurisprudenza 
parimenti 
costante, la 
ratio del 
rinvio pregiudiziale 
non consiste 
nell’esprimere 
pareri 
a 
carattere 
consultivo su questioni 
generali 


o ipotetiche, bensì 
nella 
necessità 
di 
dirimere 
concretamente 
una 
controversia 
(sentenza 
del 
10 dicembre 
2018, Wightman e 
a., C‑621/18, EU:C:2018:999, punto 28 e 
giurisprudenza 
ivi citata). 
117 
Nel 
caso di 
specie, occorre 
sottolineare 
che, come 
osservato dal 
governo belga, la 
sesta 
questione 
posta 
si 
basa 
su 
circostanze 
le 
quali 
non 
è 
stato 
affatto 
dimostrato 
siano 
presenti 
nell’ambito 
del 
procedimento 
principale, 
vale 
a 
dire 
che, 
per 
il 
trattamento 
transfrontaliero 
oggetto di 
tale 
controversia, vi 
sia 
un’autorità 
di 
controllo capofila 
che 
non solo indaghi 
sulle 
stesse 
attività 
di 
trattamento transfrontaliero di 
dati 
personali 
che 
sono oggetto del 
procedimento 
giudiziario 
avviato 
dall’autorità 
di 
controllo 
dello 
Stato 
membro 
interessato, 


o su attività 
analoghe, ma 
intenda 
altresì 
adottare 
una 
decisione 
che 
giunga 
ad un accertamento 
in senso contrario. 
118 
Ciò premesso, occorre 
rilevare 
che 
la 
sesta 
questione 
posta 
non ha 
alcuna 
relazione 
con 
la 
realtà 
effettiva 
o con l’oggetto della 
causa 
principale 
e 
riguarda 
un problema 
ipotetico. 
Di conseguenza, tale questione deve essere dichiarata irricevibile. 
sulle spese 


119 
Nei 
confronti 
delle 
parti 
nel 
procedimento principale 
la 
presente 
causa 
costituisce 
un incidente 
sollevato dinanzi 
al 
giudice 
nazionale, cui 
spetta 
quindi 
statuire 
sulle 
spese. Le 
spese 
sostenute 
da 
altri 
soggetti 
per presentare 
osservazioni 
alla 
Corte 
non possono dar 
luogo a rifusione. 
Per questi motivi, la Corte (Grande Sezione) dichiara: 


1) L’articolo 55, paragrafo 1, e 
gli 
articoli 
da 56 a 58 nonché 
da 60 a 66 del 
regolamento 
(Ue) 
2016/679 
del 
Parlamento 
europeo 
e 
del 
Consiglio, 
del 
27 
aprile 
2016, 
relativo 
alla 
protezione 
delle 
persone 
fisiche 
con 
riguardo 
al 
trattamento 
dei 
dati 
personali, 
nonché 
alla 
libera 
circolazione 
di 
tali 
dati 
e 
che 
abroga 
la 
direttiva 
95/46/Ce 
(regolamento 
generale 
sulla 
protezione 
dei 
dati), 
in 
combinato 
disposto 
con 
gli 
articoli 
7, 
8 
e 
47 
della 
Carta 
dei 
diritti 
fondamentali 
dell’Unione 
europea, 
de

RASSEGNA 
AvvoCATURA 
DELLo 
STATo -N. 1/2021 


vono essere 
interpretati 
nel 
senso che 
un’autorità di 
controllo di 
uno stato membro, 
la quale, in 
forza della normativa nazionale 
adottata in 
esecuzione 
dell’articolo 58, 
paragrafo 5, di 
tale 
regolamento, abbia il 
potere 
di 
intentare 
un’azione 
dinanzi 
ad 
un 
giudice 
di 
tale 
stato membro e, se 
del 
caso, di 
agire 
in 
sede 
giudiziale 
in 
caso di 
presunta violazione 
di 
detto regolamento, può esercitare 
tale 
potere 
con 
riguardo al 
trattamento transfrontaliero di 
dati, pur 
non 
essendo l’«autorità di 
controllo capofila
» ai 
sensi 
dell’articolo 56, paragrafo 1, dello stesso regolamento con 
riguardo a 
siffatto trattamento di 
dati, purché 
ciò avvenga in 
una delle 
situazioni 
in 
cui 
il 
regolamento 
2016/679 conferisce 
a tale 
autorità di 
controllo la competenza ad 
adottare 
una decisione 
che 
accerti 
che 
il 
trattamento in 
questione 
viola le 
norme 
in 
esso contenute, 
nonché 
nel 
rispetto delle 
procedure 
di 
cooperazione 
e 
di 
coerenza previste 
da tale regolamento. 


2) L’articolo 58, paragrafo 5, del 
regolamento 2016/679 deve 
essere 
interpretato nel 
senso 
che, 
in 
caso 
di 
trattamento 
transfrontaliero 
di 
dati, 
l’esercizio 
del 
potere 
di 
un’autorità di 
controllo di 
uno stato membro, diversa dall’autorità di 
controllo capofila, 
di 
intentare 
un’azione 
giudiziaria, ai 
sensi 
di 
tale 
disposizione, non 
esige 
che 
il 
titolare 
del 
trattamento 
o 
il 
responsabile 
per 
il 
trattamento 
transfrontaliero 
di 
dati 
personali, 
nei 
cui 
confronti 
tale 
azione 
viene 
intentata, 
disponga 
di 
uno 
stabilimento 
principale o di un altro stabilimento nel territorio di detto stato membro. 
3) L’articolo 58, paragrafo 5, del 
regolamento 2016/679 deve 
essere 
interpretato nel 
senso che 
il 
potere 
di 
un’autorità di 
controllo di 
uno stato membro, diversa dall’autorità 
di 
controllo 
capofila, 
di 
intentare 
un’azione 
dinanzi 
ad 
un 
giudice 
di 
tale 
stato 
membro 
e, 
se 
del 
caso, 
di 
agire 
in 
sede 
giudiziale, 
ai 
sensi 
di 
tale 
disposizione, 
in 
caso 
di 
presunta 
violazione 
di 
detto 
regolamento 
può 
essere 
esercitato 
tanto 
nei 
confronti 
dello 
stabilimento 
principale 
del 
titolare 
del 
trattamento 
che 
si 
trovi 
nello 
stato 
membro 
di 
appartenenza di 
tale 
autorità quanto nei 
confronti 
di 
un 
altro stabilimento di 
tale 
titolare, purché 
l’azione 
giudiziaria riguardi 
un 
trattamento di 
dati 
effettuato 
nell’ambito delle 
attività di 
detto stabilimento e 
l’autorità di 
cui 
trattasi 
sia competente 
ad 
esercitare 
siffatto potere, conformemente 
a quanto esposto in 
risposta alla 
prima questione pregiudiziale posta. 
4) L’articolo 58, paragrafo 5, del 
regolamento 2016/679 deve 
essere 
interpretato nel 
senso che, qualora un’autorità di 
controllo di 
uno stato membro, che 
non 
sia l’«autorità 
di 
controllo 
capofila» 
ai 
sensi 
dell’articolo 
56, 
paragrafo 
1, 
di 
tale 
regolamento, 
abbia intentato un’azione 
giudiziaria riguardante 
un 
trattamento transfrontaliero 
di 
dati 
personali 
prima del 
25 maggio 2018, ossia prima della data in 
cui 
detto regolamento 
è 
divenuto applicabile, detta azione 
può, dal 
punto di 
vista del 
diritto del-
l’Unione, 
essere 
mantenuta 
in 
base 
alle 
disposizioni 
della 
direttiva 
95/46/Ce 
del 
Parlamento 
europeo 
e 
del 
Consiglio, 
del 
24 
ottobre 
1995, 
relativa 
alla 
tutela 
delle 
persone 
fisiche 
con 
riguardo 
al 
trattamento 
dei 
dati 
personali, 
nonché 
alla 
libera 
circolazione 
di 
tali 
dati, 
la 
quale 
rimane 
applicabile 
per 
quanto 
riguarda 
le 
violazioni 
delle 
norme 
in 
essa contenute 
commesse 
fino alla data di 
abrogazione 
di 
detta direttiva. 
tale 
azione 
può, inoltre, essere 
intentata da detta autorità per 
violazioni 
commesse 
dopo 
tale 
data 
sulla 
base 
dell’articolo 
58, 
paragrafo 
5, 
del 
regolamento 
2016/679, purché 
ciò avvenga in 
una delle 
situazioni 
in 
cui, a titolo di 
eccezione, tale 
regolamento conferisce 
a un’autorità di 
controllo di 
uno stato membro, che 
non 
sia 
l’«autorità 
di 
controllo 
capofila», 
una 
competenza 
ad 
adottare 
una 
decisione 
che 
ac

CoNTENzIoSo 
CoMUNITARIo 
ED 
INTERNAzIoNALE 


certi 
che 
il 
trattamento di 
dati 
di 
cui 
trattasi 
viola le 
norme 
contenute 
in 
detto regolamento 
per 
quanto riguarda la tutela dei 
diritti 
delle 
persone 
fisiche 
con 
riguardo 
al 
trattamento di 
dati 
personali 
e 
nel 
rispetto delle 
procedure 
di 
cooperazione 
e 
di 
coerenza previste 
dal 
medesimo regolamento, circostanza che 
spetta al 
giudice 
del 
rinvio verificare. 


5) L’articolo 58, paragrafo 5, del 
regolamento 2016/679 deve 
essere 
interpretato nel 
senso che 
tale 
disposizione 
ha effetto diretto, cosicché 
un’autorità di 
controllo nazionale 
può invocarla per 
intentare 
o proseguire 
un’azione 
nei 
confronti 
di 
privati, 
anche 
qualora detta disposizione 
non 
sia stata specificamente 
attuata nella normativa 
dello stato membro interessato. 

RASSEGNA 
AvvoCATURA 
DELLo 
STATo -N. 1/2021 


Una strategia europea per la tutela dei minori 


La 
Commissione 
Europea 
ed 
il 
Parlamento 
Europeo 
propongono 
una 
Strategia Europea per la tutela dei minori. 

Il 
paidocentrismo entra 
nell’azione 
congiunta 
europea 
con la 
visione 
di 
un Patto Educativo Globale 
che 
pone 
il 
minore 
come 
agente 
attivo di 
cambiamento 
della 
vita 
democratica, 
il 
minore 
come 
soggetto 
di 
diritto 
nel 
mondo 
da 
tutelare e da preservare da abusi, violenze e dalla povertà educativa. 

Le 
sei 
aree 
tematiche 
indicate 
da 
tale 
strategia 
realizzano una 
tutela 
integrata 
del 
minore 
anche 
in relazione 
all’ecosistema 
digitale, in relazione 
alla 
sua 
capacità 
di 
autodeterminazione 
e 
discernimento 
con 
la 
consapevolezza 
che 
l’evoluzione 
qualitativa 
dello Stato di 
diritto passa 
attraverso l’esatta 
individuazione 
ed effettiva 
realizzazione 
del 
Best 
interest 
of 
Child, cosi 
come 
invocato dalle Convenzioni internazionali. 


In allegato: 


a) 
Comunicato 
stampa 
della 
Commissione 
europea 
“La 
Commissione 
propone 
iniziative 
per tutelare 
i 
diritti 
dei 
minori 
e 
proteggere 
i 
minori 
in stato di 
necessità”, Bruxelles, 24 
marzo 2021; 
b) “Risoluzione 
del 
Parlamento europeo dell’11 marzo 2021 sui 
diritti 
dei 
minori 
alla 
luce della strategia dell’Unione europea sui diritti dei minori”. 
gaetana natale* 


(*) Avvocato dello Stato, Professore 
a 
contratto presso l’Università 
degli 
Studi 
di 
Salerno, Consigliere 
giuridico del Garante per la Privacy. 



CoNTENzIoSo 
CoMUNITARIo 
ED 
INTERNAzIoNALE 


Commissione europea - Comunicato stampa 


La 
Commissione 
propone 
iniziative 
per 
tutelare 
i 
diritti 
dei 
minori 
e 
proteggere 
i 
minori 
in stato di necessità 


Bruxelles, 24 marzo 2021 


La 
Commissione 
ha 
adottato oggi 
la 
prima 
strategia 
generale 
dell'UE 
sui 
diritti 
dei 
minori, 
nonché 
una 
proposta 
di 
raccomandazione 
del 
Consiglio che 
istituisce 
una 
garanzia 
europea 
per 
l'infanzia, 
al 
fine 
di 
promuovere 
pari 
opportunità 
per 
i 
minori 
a 
rischio 
di 
povertà 
o 
di 
esclusione 
sociale. Per preparare 
entrambe 
le 
iniziative 
la 
Commissione, in associazione 
con 
le 
principali 
organizzazioni 
globali 
per i 
diritti 
dei 
minori, ha 
raccolto il 
parere 
di 
oltre 
10 000 
minori. 


strategia dell'Ue: le sei aree tematiche e l'azione proposta 


1. 
i 
minori 
come 
agenti 
di 
cambiamento 
nella 
vita 
democratica: 
la 
Commissione 
propone 
una 
serie 
di 
azioni, dalla 
produzione 
di 
testi 
giuridici 
adatti 
ai 
minori 
all'organizzazione 
di 
consultazioni 
con i 
minori 
nel 
contesto della 
conferenza 
sul 
futuro dell'Europa 
e 
del-
l'attuazione 
del 
patto per il 
clima 
e 
del 
Green Deal. Gli 
Stati 
membri 
dovrebbero da 
parte 
loro consentire la partecipazione dei minori alla vita civica e democratica. 
2. 
il 
diritto 
dei 
minori 
di 
realizzare 
pienamente 
il 
loro 
potenziale 
indipendentemente 
dal 
loro 
contesto 
sociale: 
la 
Commissione 
intende 
istituire 
una 
garanzia 
europea 
per 
l'infanzia 
per 
combattere 
la 
povertà 
e 
l'esclusione 
sociale 
dei 
minori. 
Si 
occuperà, 
ad 
esempio, 
anche 
della 
salute 
mentale 
dei 
minori 
e 
aiuterà 
a 
sostenere 
un'alimentazione 
sana 
e 
sostenibile 
nelle 
scuole 
dell'UE. 
Si 
impegnerà 
inoltre 
per 
migliorare 
le 
norme 
sull'educazione 
e 
la 
cura 
della 
prima 
infanzia 
in 
tutta 
l'UE 
e 
per 
assicurare 
un'istruzione 
inclusiva 
di 
qualità. 
3. 
il 
diritto dei 
minori 
di 
essere 
liberi 
dalla violenza: 
la 
Commissione 
proporrà 
testi 
legislativi 
volti 
a 
combattere 
la 
violenza 
di 
genere 
e 
la 
violenza 
domestica 
e 
formulerà 
raccomandazioni 
per 
prevenire 
le 
pratiche 
dannose 
nei 
confronti 
delle 
donne 
e 
delle 
ragazze. 
Gli 
Stati 
membri 
sono 
invitati 
a 
creare 
sistemi 
integrati 
di 
protezione 
dei 
minori 
e 
migliorarne 
il 
funzionamento, rafforzare 
la 
risposta 
nazionale 
alla 
violenza 
nelle 
scuole 
e 
adottare 
atti 
legislativi 
nazionali 
per porre 
fine 
alle 
punizioni 
corporali 
in tutti 
i 
contesti. 
4. 
il 
diritto dei 
minori 
a una giustizia a misura di 
minore 
in quanto vittime, testimoni, 
indagati 
o imputati 
per la 
commissione 
di 
un reato, o parti 
in qualsiasi 
procedimento giudiziario. 
La 
Commissione 
contribuirà, 
ad 
esempio, 
alla 
formazione 
giuridica 
specializzata 
e 
collaborerà 
con 
il 
Consiglio 
d'Europa 
per 
attuare 
le 
linee 
guida 
del 
2010 
per 
una 
giustizia 
a 
misura 
di 
minore; 
gli 
Stati 
membri 
sono invitati 
a 
sostenere, fra 
l'altro, la 
formazione, 
e 
a 
sviluppare 
solide 
alternative 
all'azione 
giudiziaria, quali 
le 
alternative 
alla 
detenzione 
o la mediazione nei casi civili. 
5. il 
diritto dei 
minori 
di 
navigare 
in 
sicurezza nell'ambiente 
digitale 
e 
di 
sfruttarne 
le 
opportunità: 
la 
Commissione 
aggiornerà 
la 
strategia 
europea 
per 
un 
internet 
migliore 
per i 
ragazzi; 
la 
proposta 
di 
legge 
sui 
servizi 
digitali 
mira 
a 
rendere 
sicura 
l'esperienza 
online. La 
Commissione 
invita 
gli 
Stati 
membri 
ad attuare 
efficacemente 
le 
norme 
sulla 
protezione 
dei 
minori 
contenute 
nella 
direttiva 
riveduta 
sui 
servizi 
di 
media 
audiovisivi 
e 
a 
favorire 
lo 
sviluppo 
delle 
competenze 
digitali 
di 
base 
dei 
minori. 
La 
Commissione 
esorta 
inoltre 
le 
imprese 
del 
settore 
delle 
TIC a 
lottare 
contro i 
comportamenti 
nocivi 
online 
e 
a 
rimuovere i contenuti illegali. 
6. i 
diritti 
dei 
minori 
nel 
mondo: 
i 
diritti 
dei 
minori 
sono universali 
e 
l'UE 
ribadisce 
il 
suo 

RASSEGNA 
AvvoCATURA 
DELLo 
STATo -N. 1/2021 


impegno a 
proteggerli, promuoverli 
e 
rispettarli 
in tutto il 
mondo e 
nei 
contesti 
multilaterali. 
Ad 
esempio, 
assegnerà 
il 
10 
% 
dei 
finanziamenti 
per 
gli 
aiuti 
umanitari 
all'istruzione 
nelle 
situazioni 
di 
emergenza 
e 
nelle 
crisi 
prolungate. La 
Commissione 
intende 
elaborare 
un 
piano 
d'azione 
per 
i 
giovani 
entro 
il 
2022 
per 
promuovere 
la 
partecipazione 
dei 
giovani 
e 
dei 
bambini 
a 
livello mondiale, e 
rafforzare 
le 
capacità 
di 
protezione 
dei 
minori 
nelle 
delegazioni 
dell'UE. La 
Commissione 
applica 
inoltre 
una 
politica 
di 
tolleranza 
zero nei 
confronti del lavoro minorile. 


La nuova garanzia europea per l'infanzia 


Nel 
2019 quasi 
18 milioni 
di 
minori 
nell'UE 
(il 
22,2 % dei 
minori) vivevano in famiglie 
a 
rischio 
di 
povertà 
o di 
esclusione 
sociale. Questa 
situazione 
genera 
un ciclo intergenerazionale 
di 
svantaggio, con effetti 
profondi 
e 
a 
lungo termine 
sui 
minori. La 
garanzia 
europea 
per l'infanzia 
mira 
a 
spezzare 
questo circolo vizioso e 
a 
promuovere 
le 
pari 
opportunità 
garantendo 
l'accesso a 
una 
serie 
di 
servizi 
fondamentali 
per i 
minori 
in stato di 
necessità 
(persone 
di 
età 
inferiore a 18 anni a rischio di povertà o di esclusione sociale). 
Nell'ambito della 
garanzia 
europea 
per l'infanzia, si 
raccomanda 
agli 
Stati 
membri 
di 
permettere 
ai minori bisognosi di 
accedere gratuitamente ed efficacemente 
a: 


⦁ 
educazione 
e 
cura 
della 
prima 
infanzia, 
ad 
esempio 
evitando 
la 
segregazione 
scolastica; 
⦁ 
istruzione 
e 
attività scolastiche, ad esempio fornendo attrezzature 
adeguate 
per l'inse


gnamento a distanza e organizzando gite scolastiche; 
⦁ 
almeno un pasto sano per ogni giornata scolastica; e 
⦁ 
assistenza sanitaria, ad esempio agevolando l'accesso a 
esami 
medici 
e 
programmi 
di 


screening sanitario. 
Tali 
servizi 
dovrebbero essere 
gratuiti 
e 
facilmente 
accessibili 
ai 
minori 
in stato di 
necessità. 
La 
Commissione 
raccomanda 
inoltre 
che 
gli 
Stati 
membri 
forniscano ai 
minori 
bisognosi 
un 
accesso effettivo 
a 
un'alimentazione 
sana 
e 
a 
un alloggio adeguato: 
ad esempio, i 
minori 
dovrebbero ricevere 
pasti 
sani 
anche 
al 
di 
fuori 
della 
scuola 
e 
i 
minori 
senza 
fissa 
dimora 
e 
le 
loro famiglie dovrebbero avere accesso a un alloggio adeguato. 
Nell'individuare 
i 
minori 
in 
stato 
di 
necessità 
e 
nel 
formulare 
le 
misure 
nazionali, 
gli 
Stati 
membri 
dovrebbero 
tenere 
conto 
delle 
esigenze 
specifiche 
dei 
minori 
che 
provengono 
da 
contesti 
svantaggiati, come 
quelli 
senza 
fissa 
dimora, con disabilità, con situazioni 
familiari 
precarie, 
provenienti 
da 
contesti 
migratori, appartenenti 
a 
una 
minoranza 
etnica 
o che 
ricevono 
assistenza alternativa. 
L'UE 
mette 
a 
disposizione 
finanziamenti 
a 
sostegno 
di 
tali 
azioni 
nell'ambito 
del 
Fondo 
sociale 
europeo 
Plus 
(FSE+), 
che 
finanzia 
progetti 
destinati 
a 
promuovere 
l'inclusione 
sociale, 
lottare 
contro la 
povertà 
e 
investire 
nelle 
persone, nonché 
del 
Fondo europeo di 
sviluppo regionale, 
di InvestEU e del dispositivo per la ripresa e la resilienza. 
Dichiarazioni di alcuni membri del Collegio 
dubravka Šuica, vicepresidente 
per la 
Democrazia 
e 
la 
demografia, ha 
dichiarato: 
"Questa 
nuova 
strategia 
generale 
dell’ue 
sui 
diritti 
dei 
minori 
è 
una 
tappa 
fondamentale 
ne/la 
nostra 
attività per 
e 
con i 
minori. ringraziamo tutti 
i 
minori 
per 
i 
contributi 
offerti 
a questa importante 
iniziativa, 
che 
rappresenta 
un 
messaggio 
di 
speranza 
e 
un 
invito 
all'azione 
in 
tutta 
l'unione 
e 
nel 
resto 
del 
mondo. 
Con 
questa 
strategia 
rinnoviamo 
il 
nostro 
impegno 
a 
costruire 
società più sane, resilienti 
ed eque 
per 
tutti, nelle 
quali 
ogni 
minore 
si 
senta incluso, protetto 
e 
autonomo. le 
politiche 
di 
oggi 
e 
di 
domani 
sono formulate 
per 
i 
nostri 
ragazzi 
e 
insieme 
a 
loro. e così che possiamo rafforzare le nostre democrazie". 



CoNTENzIoSo 
CoMUNITARIo 
ED 
INTERNAzIoNALE 


Nicolas 
schmit, 
Commissario 
per 
il 
Lavoro 
e 
i 
diritti 
sociali, 
ha 
dichiarato: 
"ancor 
prima 
della pandemia, il 
22 % dei 
minori 
nell’ue 
era a rischio di 
povertà o di 
esclusione 
sociale: 
una 
situazione 
che 
dovrebbe 
essere 
inconcepibile 
in 
europa. 
nel 
corso 
dell'ultimo 
anno 
le 
disuguaglianze 
già esistenti 
sono diventate 
ancora più profonde. dobbiamo rompere 
questo 
circolo vizioso e 
fare 
in modo che 
i 
minori 
che 
ne 
hanno bisogno abbiano accesso a un pasto 
sano, all'istruzione, a un'assistenza sanitaria e 
a un alloggio adeguato, indipendentemente 
dal 
loro contesto. la Commissione 
è 
pronta a sostenere 
gli 
stati 
membri 
con tutti 
i 
mezzi 
a 
sua disposizione per cambiare realmente le vite dei minori". 
Didier 
reynders, 
Commissario 
per 
la 
Giustizia, 
ha 
dichiarato: 
"ogni 
minore 
nell'ue 
ha 
diritto 
alla stessa protezione 
e 
allo stesso accesso ai 
servizi 
fondamentali, da qualunque 
contesto 
provenga. eppure, un minore 
su tre 
nell'ue 
ha subito qualche 
forma di 
trattamento differenziato. 
dalla disparità di 
accesso alla tecnologia digitale 
o al 
sostegno socioeconomico, alla 
mancanza di 
protezione 
dagli 
abusi 
in ambiente 
domestico, troppi 
minori 
hanno bisogno di 
ulteriore 
aiuto. la nuova strategia che 
presentiamo oggi 
è 
un piano per 
offrire 
loro questo 
aiuto". 


Prossime tappe 


L'attuazione 
della 
strategia 
dell'UE 
sarà 
monitorata 
a 
livello 
nazionale 
e 
dell'Unione, 
e 
la 
Commissione 
riferirà 
sui 
progressi 
compiuti 
in occasione 
della 
riunione 
annuale 
del 
Forum 
europeo per i 
diritti 
dei 
minori. Alla 
fine 
del 
2024 sarà 
svolta 
una 
valutazione 
della 
strategia, 
con la partecipazione di minori. 
La 
Commissione 
invita 
gli 
Stati 
membri 
ad adottare 
rapidamente 
la 
proposta 
di 
raccomandazione 
del 
Consiglio 
che 
istituisce 
una 
garanzia 
europea 
per 
l'infanzia. 
Entro 
sei 
mesi 
dalla 
sua 
adozione, i 
governi 
sono invitati 
a 
presentare 
alla 
Commissione 
piani 
d'azione 
nazionali 
sulle 
modalità 
di 
attuazione. 
La 
Commissione 
monitorerà 
i 
progressi 
compiuti 
attraverso 
il 
semestre 
europeo e pubblicherà, ove necessario, raccomandazioni specifiche per paese. 

Contesto 


Come 
indicano 
oltre 
10 
000 
minori 
nel 
loro 
contributo 
alla 
preparazione 
del 
pacchetto 
odierno, 
sia 
nell'UE 
che 
fuori 
dall'UE 
i 
minori 
continuano a 
essere 
vittime 
di 
esclusione 
socioeconomica 
e 
discriminazione 
a 
causa 
della 
loro origine, del 
loro status, del 
genere 
o dell'orientamento 
sessuale, o di 
quelli 
dei 
loro genitori. Non sempre 
le 
voci 
dei 
minori 
sono ascoltate 
e 
non sempre 
le 
loro opinioni 
sono prese 
in considerazione 
nelle 
questioni 
che 
li 
riguardano. 
Queste 
difficoltà 
sono 
state 
aggravate 
dalla 
pandemia 
di 
CovID-19. 
La 
Commissione 
risponde 
con una 
strategia 
generale 
per i 
prossimi 
quattro anni 
che 
mira 
a 
sviluppare 
tutte 
le 
azioni 
dell'UE 
volte 
a 
tutelare 
e 
promuovere 
i 
diritti 
dei 
minori, con chiare 
iniziative 
di 
miglioramento. 
Dovrebbe 
inoltre 
aiutare 
gli 
Stati 
membri 
a 
utilizzare 
al 
meglio i 
fondi 
dell'UE. 
La 
presidente 
von 
der 
Leyen 
ha 
annunciato la 
garanzia 
europea 
per l'infanzia 
nei 
suoi 
orientamenti 
politici 
per il 
periodo 2019-2024. La 
garanzia 
europea 
per l'infanzia 
completa 
il 
secondo 
pilastro della 
strategia 
sui 
diritti 
dei 
minori. E 
inoltre 
uno dei 
principali 
obiettivi 
del 
piano d'azione 
sul 
pilastro europeo dei 
diritti 
sociali 
adottato il 
4 marzo 2021, e 
si 
ispira 
direttamente 
al 
suo undicesimo principio: 
assistenza 
all'infanzia 
e 
sostegno ai 
minori. Il 
piano 
d'azione 
propone 
l'obiettivo 
di 
ridurre 
di 
almeno 
15 
milioni, 
di 
cui 
almeno 
5 
milioni 
di 
minori, 
il numero di persone a rischio di povertà o di esclusione sociale nell'UE entro il 2030. 
(...) 



RASSEGNA 
AvvoCATURA 
DELLo 
STATo -N. 1/2021 


Parlamento europeo 


2019-2024 


testi 
aPProVati 


P9_ta(2021)0090 
diritti dei minori 
risoluzione 
del 
Parlamento europeo dell'11 marzo 2021 sui 
diritti 
dei 
minori 
alla luce 
della strategia dell'Unione europea sui diritti dei minori (2021/2523(rsP)) 


il parlamento europeo, 
-vista la Convenzione internazionale sui diritti del fanciullo, del 20 novembre 1989, 
-viste 
le 
osservazioni 
generali 
del 
Comitato 
delle 
Nazioni 
Unite 
sui 
diritti 
dell'infanzia 
(1): 
-visti gli orientamenti delle Nazioni Unite sull'assistenza alternativa ai minori (2), 
-visto lo studio globale 
delle 
Nazioni 
Unite 
sui 
minori 
privati 
della 
libertà 
del 
luglio 2019, 
-visti 
il 
documento strategico delle 
Nazioni 
Unite 
del 
15 aprile 
2020 dal 
titolo "The 
impact 


of CovID-l9 on children" 
(L'impatto della 
CovID-19 sui 
minori) e 
la 
risposta 
positiva 
condotta 
congiuntamente 
dall'UE 
e 
dal 
gruppo dei 
paesi 
dell'America 
latina 
e 
dei 
Caraibi 
(GRULAC) e firmata da 173 paesi, 


-vista 
la 
risposta 
strategica 
dell'organizzazione 
per 
la 
cooperazione 
e 
lo 
sviluppo 
economico 
(oCSE) 
in 
data 
19 
ottobre 
2020 
dal 
titolo 
"What 
is 
the 
impact 
of 
the 
CovID-19 
pandemic 
on immigrants 
and their children?" 
(Qual 
è 
l'impatto della 
pandemia 
di 
CovID-19 sugli 
immigrati e i loro figli?), 


-vista 
la 
dichiarazione 
del 
comitato 
dei 
ministri 
del 
Consiglio 
d'Europa 
del 
1° 
febbraio 
2012 
sulla 
recrudescenza 
dell'antiziganismo e 
della 
violenza 
razzista 
nei 
confronti 
dei 
rom 
in 
Europa, 


-visto l'articolo 3, paragrafi 3 e 5, del trattato sull'Unione europea, 
-vista la Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea (la "Carta"), 
-vista 
la 
direttiva 
n. 2011/93/UE 
del 
Parlamento europeo e 
del 
Consiglio, del 
13 dicembre 


2011, 
relativa 
alla 
lotta 
contro 
l'abuso 
e 
lo 
sfruttamento 
sessuale 
dei 
minori 
e 
la 
pornografia 
minorile (3) ("direttiva sulla lotta contro l'abuso sessuale dei minori"), 
-visti gli orientamenti dell'UE in materia di diritti procedurali (4), 


(1) In particolare, l'osservazione 
generale 
n. 5 sulle 
misure 
generali 
di 
attuazione 
della 
Convenzione 
sui 
diritti 
del 
fanciullo; 
n. 
6 
sul 
trattamento 
dei 
minori 
non 
accompagnati 
e 
separati 
dalle 
famiglie 
al 
di 
fuori 
del 
loro paese 
di 
origine; 
n. 10 sui 
diritti 
dell'infanzia 
e 
dell'adolescenza 
in materia 
di 
giustizia 
minorile; 
n. 12 sul 
diritto del 
minore 
a 
essere 
ascoltato; 
n. 13 sul 
diritto del 
minore 
alla 
libertà 
da 
ogni 
forma 
di 
violenza; 
n. 14 sul 
diritto del 
minore 
a 
che 
il 
suo interesse 
superiore 
sia 
considerato preminente; 
n. 15 
sul 
diritto del 
minore 
al 
miglior stato di 
salute 
possibile 
e 
n. 16 sugli 
obblighi 
dello Stato per quanto riguarda 
l'impatto del settore imprenditoriale sui diritti dei minori. 
(2) 
Come 
sancito 
nella 
risoluzione 
dell'Assemblea 
generale 
dell'oNU 
A/RES/64/142 
del 
24 
febbraio 
2010. 
(3) GU L 335 del 17.12.2011, pag. 1. 
(4) 
In 
particolare 
la 
direttiva 
(UE) 
2016/800 
del 
Parlamento 
europeo 
e 
del 
Consiglio, 
dell'11 
maggio 
2016, 
sulle 
garanzie 
procedurali 
per 
i 
minori 
indagati 
o 
imputati 
nei 
procedimenti 
penali 
(GU 
L 
132 
del 
21.5.2016, 
pag. 
1), 
la 
direttiva 
n. 
2010/64/UE 
del 
Parlamento 
europeo 
e 
del 
Consiglio, 
del 
20 
ottobre 
2010, 
sul 
diritto 
all'interpretazione 
e 
alla 
traduzione 
nei 
procedimenti 
penali 
(GU 
L 
280 
del 
26.10.2010, 
pag. 
1) 
e 
la 
direttiva 
n. 
2012/13/UE 
del 
Parlamento 
europeo 
e 
del 
Consiglio, 
del 
22 
maggio 
2012, 
sul 
diritto 
all'informazione 
nei 
procedimenti 
penali 
(GU 
L 
142 
del 
1.6.2012, 
pag. 
1). 

CoNTENzIoSo 
CoMUNITARIo 
ED 
INTERNAzIoNALE 


-vista 
la 
raccomandazione 
della 
Commissione, del 
20 febbraio 2013, intitolata 
"Investirenell'infanzia 
per spezzare il circolo vizioso dello svantaggio sociale " (1), 


-visti 
l'Anno internazionale 
dell'eliminazione 
del 
lavoro minorile 
2021 e 
l'approccio di 
tolleranza 
zero nei confronti del lavoro minorile adottato dalla Commissione, 


-vista 
la 
comunicazione 
della 
Commissione 
del 
12 aprile 
2017 sulla 
protezione 
dei 
minori 
migranti (2), 


-viste 
le 
conclusioni 
del 
Consiglio 
dell'8 
giugno 
2017 
sulla 
protezione 
dei 
minori 
migranti, 
-viste 
le 
comunicazioni 
della 
Commissione 
adottate 
allo 
scopo 
di 
creare 
un'Unione 
per 
l'uguaglianza, in linea 
con gli 
orientamenti 
politici 
per la 
prossima 
Commissione 
europea 
2019-2024 (3), 


-vista 
la 
comunicazione 
della 
Commissione, del 
24 giugno 2020, dal 
titolo "Strategia 
del-
l'UE sui diritti delle vittime (2020-2025)" (4), 


-vista 
la 
sua 
risoluzione 
del 
26 novembre 
2019 sui 
diritti 
del 
bambino in occasione 
del 
30° 
anniversario della Convenzione sui diritti del fanciullo (5), 


-vista la sua risoluzione del 3 maggio 2018 sulla protezione dei minori migranti (6), 


-vista 
la 
sua 
risoluzione 
del 
12 febbraio 2019 sulla 
necessità 
di 
rafforzare 
il 
quadro strategico 
dell'UE 
per il 
periodo successivo al 
2020 per le 
strategie 
nazionali 
di 
integrazione 
dei Rom e intensificare la lotta contro l'antiziganismo (7), 


-vista 
la 
sua 
risoluzione 
del 
17 settembre 
2020 sull'attuazione 
delle 
strategie 
nazionali 
di 
integrazione 
dei 
rom: 
combattere 
gli 
atteggiamenti 
negativi 
nei 
confronti 
delle 
persone 
di 
origine romanì in Europa (8), 


-vista 
l'interrogazione 
alla 
Commissione 
sui 
diritti 
dei 
minori 
alla 
luce 
della 
strategia 
del-
l'unione europea sui diritti dei minori (o-000007/2021 - B9-0007/2021), 


-visti l'articolo 136, paragrafo 5, e l'articolo 132, paragrafo 2, del suo regolamento, 


-vista 
la 
proposta 
di 
risoluzione 
della 
commissione 
per le 
libertà 
civili, la 
giustizia 
e 
gli 
af


fari interni, 


A. 
considerando 
che 
un 
minore 
è 
innanzitutto 
tale, 
indipendentemente 
dalla 
sua 
origine 
etnica, 
dal 
suo 
genere, 
dalla 
sua 
nazionalità 
o 
dal 
suo 
contesto 
sociale 
ed 
economico, 
dalla 
sua 
abilità, 
dal 
suo 
status 
in 
termini 
di 
cittadinanza 
o 
residenza, 
necessita 
di 
una 
protezione 
speciale 
e 
gli 
spettano 
tutti 
i 
diritti 
sanciti 
nella 
convenzione 
delle 
Nazioni 
Unite 
dei 
diritti 
del 
fanciullo; 
B. considerando 
che 
l'interesse 
superiore 
del 
minore 
deve 
sempre 
essere 
considerato 
preminente 
in 
tutte 
le 
misure 
e 
decisioni 
che 
lo 
riguardano 
come 
pure 
il 
suo 
benessere 
psicofisico; 
(1) GU L 59 del 2.3.2013, pag. 5. 
(2) CoM(2017)021l. 
(3) In particolare 
le 
comunicazioni 
del 
24 novembre 
2020 dal 
titolo "Piano d'azione 
per l'integrazione 
e 
l'inclusione 
2021-2027" 
(CoM(2020)0758), 
del 
18 
settembre 
2020 
dal 
titolo 
"Un'Unione 
dell'uguaglianza: 
il 
piano d'azione 
dell'UE 
contro il 
razzismo 2020- 2025" 
(CoM(2020)0565), del 
5 marzo 2020 
dal 
titolo "Un'Unione 
dell'uguaglianza: 
la 
strategia 
per la 
parità 
di 
genere 
2020-2025" 
(CoM(2020)0 
152) e 
del 
12 novembre 
2020 dal 
titolo "Unione 
dell'uguaglianza: 
strategia 
per l'uguaglianza 
LGBTIQ 
2020-2025" (CoM(2020)0698). 
(4) CoM(2020)0258. 
(5) Testi approvati, P9_TA(2019)0066. 
(6) GU C 41 del 6.2.2020, pag. 41. 
(7) GU C 449 del 23.12.2020, pag. 2. 
(8) Testi approvati, P9_TA(2020)0229. 

RASSEGNA 
AvvoCATURA 
DELLo 
STATo -N. 1/2021 


C. 
considerando che 
i 
bambini 
hanno diritto a 
un'istruzione 
della 
prima 
infanzia 
inclusiva 
e 
a 
prezzi 
accessibili, a 
un'assistenza 
di 
buona 
qualità 
e 
al 
tempo libero; 
che 
i 
minori, in 
particolare 
quelli 
provenienti 
da 
contesti 
svantaggiati, hanno diritto alla 
protezione 
dalla 
povertà 
e 
a 
misure 
specifiche 
per migliorare 
la 
parità 
di 
opportunità 
e 
combattere 
la 
discriminazione 
e 
la 
segregazione 
nell'istruzione; 
che 
gli 
investimenti 
nello sviluppo della 
prima infanzia generano rendimenti elevati da un punto di vista economico e sociale; 
D. 
considerando che, prima 
della 
pandemia 
di 
CovID-19, i 
minori 
avevano il 
doppio delle 
probabilità, rispetto agli 
adulti, di 
vivere 
in condizioni 
di 
estrema 
povertà 
(1); 
che, come 
conseguenza 
della 
pandemia, 
si 
stima 
che 
il 
numero 
di 
bambini 
che 
vivono 
al 
di 
sotto 
delle 
rispettive 
soglie 
di 
povertà 
nazionale 
potrebbe 
crescere 
di 
ben 117 milioni, mentre 
il 
numero 
di 
bambini 
che 
vivono 
in 
condizioni 
di 
povertà 
multidimensionalc 
è 
aumentato 
di 
circa 
150 
milioni 
(2); 
che 
l'attuale 
pandemia 
ha 
acuito 
ulteriormente 
le 
disuguaglianze, 
e 
ha 
aumentato il 
rischio per i 
minori 
di 
ritrovarsi 
in una 
condizione 
di 
povertà 
estrema 
rispetto al 
periodo precedente 
alla 
pandemia 
di 
CovID-19, quando in Europa 
già 
un minore 
su quattro era a rischio di povertà; 
E. 
considerando 
che, 
in 
tutto 
il 
mondo, 
fino 
a 
1,6 
miliardi 
di 
minori 
sono 
stati 
interessati 
dalla 
chiusura 
delle 
scuole 
a 
causa 
dell'attuale 
pandemia 
di 
CovID-19 e 
che 
si 
stima 
che 
i 
conseguenti 
abbandoni 
scolastici 
potrebbero essere 
almeno 24 milioni 
(3); 
che 
370 milioni 
di 
bambini 
nel 
mondo, molti 
dei 
quali 
dipendono dall'alimentazione 
scolastica 
quale 
principale 
fonte 
nutritiva 
della 
giornata, 
hanno 
perso 
in 
media 
il 
40 
% 
dei 
pasti 
scolastici 
da 
quando 
le 
restrizioni 
legate 
alla 
CovID-19 
hanno 
causato 
la 
chiusura 
delle 
scuole 
(4); 
che 
i 
bambini, in particolare 
le 
ragazze 
e 
i 
bambini 
con disabilità, provenienti 
da 
contesti 
svantaggiati 
dal 
punto di 
vista 
socioeconomico sono particolarmente 
colpiti 
dall'impatto 
delle 
chiusure 
scolastiche 
e 
delle 
misure 
che 
hanno 
limitato 
l'accesso 
all'istruzione, 
sia 
nelle scuole che con l'apprendimento a distanza; 
F. 
considerando 
che 
il 
diritto 
all'istruzione 
ha 
risentito 
fortemente 
a 
causa 
della 
pandemia 
di 
CovID-19; 
che, 
sebbene 
la 
politica 
dell'istruzione 
rimanga 
competenza 
degli 
Stati 
membri, 
la 
pandemia 
di 
CovID-19 
e 
le 
disparità 
nell'istruzione 
che 
essa 
ha 
causato 
rappresentano 
una 
sfida 
comune 
che 
richiede 
un 
approccio, 
politiche 
e 
strumenti 
comuni 
a 
livello 
dell'Unione; 
G. 
considerando che, secondo le 
ricerche 
di 
Eurostat 
(5), nel 
2018 l'88,3 % dei 
bambini 
nel-
l'UE 
di 
età 
compresa 
tra 
i 
tre 
anni 
e 
l'età 
minima 
dell'obbligo scolastico ha 
usufruito di 
servizi 
formali 
di 
assistenza 
all'infanzia, il 
che 
dimostra 
la 
crescente 
necessità 
di 
creare 
più 
strutture 
di 
assistenza 
diurna 
per 
i 
bambini 
quale 
importante 
strumento 
per 
lo 
sviluppo 
cognitivo e sociale dei bambini fin dalla più tenera età; 
H. 
considerando 
che 
la 
didattica 
a 
distanza 
non 
è 
ancora 
un'opzione 
per 
più 
di 
due 
terzi 
dei 
(1) Eurostat 
news, "EU 
children at 
risk of poverty or social 
exclusion" 
(I minori 
dell'UE 
a 
rischio di 
povertà 
o esclusione sociale), 5 marzo 2020. 
(2) 
opuscolo 
dell'Unicef, 
"Impact 
of 
CovID-l9 
on 
multidimensional 
child 
poverty" 
(Impatto 
della 
CovID-19 
sulla 
povertà 
multidimensionale 
infantile), 
settembre 
2020; 
https://data.unicef.org/resources/
impact-of-covid-19-on-multidimensional-child-povertv/ 
(3) https://data.unicef.org/topic/education/covid-19/ 
(4) Documento di 
lavoro dell'Unicef office 
of Research -Innocenti 
e 
del 
Programma 
alimentare 
mondiale 
dal 
titolo: 
"CovID-19: 
Missing More 
than a 
Classroom. The 
impact 
of school 
closures 
on children's 
nutrition" 
(CovID-19: 
perdere 
più 
di 
una 
lezione. 
L'impatto 
della 
chiusura 
delle 
scuole 
sull'alimentazione infantile), gennaio 2021. 
(5) Eurostat, "Living conditions in Europe" (Condizioni di vita in Europa), 2018. 

CoNTENzIoSo 
CoMUNITARIo 
ED 
INTERNAzIoNALE 


bambini 
in 
tutto 
il 
mondo 
a 
causa 
della 
mancanza 
di 
accesso 
a 
Internet; 
che 
la 
didattica 
a 
distanza 
ha 
evidenziato 
il 
divario 
educativo 
e 
digitale 
esistente 
in 
molti 
Stati 
membri 
dell'unione 
europea 
così 
come 
a 
livello 
mondiale, 
che 
si 
ripercuote 
sulle 
opportunità 
di 
vita 
dei 
minori 
e 
sulla 
loro 
salute 
fisica 
e 
mentale, 
e 
che 
le 
ragazze 
e 
i 
giovani 
in 
situazioni 
vulnerabili 
e 
appartenenti 
a 
gruppi 
razziali 
sono 
particolarmente 
interessati 
dal 
divario 
digitale; 


I. 
considerando 
che, 
a 
livello 
mondiale, 
una 
ragazza 
su 
quattro 
di 
età 
compresa 
tra 
i 
15 
e 
i 
19 
anni 
non 
lavora 
e 
non 
partecipa 
ad 
alcun 
ciclo 
di 
istruzione 
o 
formazione, 
mentre 
solo 
un 
ragazzo 
su 
10 
si 
trova 
in 
tale 
situazione; 
che 
la 
promozione 
dell'uguaglianza 
di 
genere 
e 
dell'emancipazione 
delle 
ragazze 
è 
fondamentale 
per 
conseguire 
gli 
obiettivi 
di 
sviluppo 
sostenibile 
(1); 
J. 
considerando 
che 
i 
bambini 
sembra 
siano 
stati 
risparmiati 
dagli 
effetti 
più 
gravi 
sulla 
salute 
dell'attuale 
pandemia 
mondiale; 
che 
la 
crisi 
della 
CovID-19, 
tuttavia, 
sta 
avendo 
un 
costo 
enorme 
per i 
minori 
e 
rappresenta 
una 
minaccia 
crescente 
e 
diretta 
per il 
loro benessere 
e 
il 
loro 
sviluppo, 
anche 
per 
quanto 
riguarda 
la 
loro 
salute 
mentale; 
che 
sono 
particolarmente 
colpiti 
i 
minori 
provenienti 
da 
contesti 
svantaggiati, i 
minori 
non accompagnati 
e 
i 
minori 
appartenenti 
a 
minoranze 
come 
i 
bambini 
rom; 
che 
ad 
oggi 
si 
stima 
che 
1,2 
milioni 
di 
bambini 
e 
56 700 madri 
potrebbero morire 
entro 6 mesi 
a 
causa 
dell'interruzione 
di 
prestazioni 
di 
base 
come 
la 
copertura 
dei 
servizi 
sanitari 
di 
routine; 
che 
un accesso insufficiente 
ai servizi sanitari può avere ripercussioni in tutti gli ambiti della vita (2); 
K. 
considerando 
che 
in 
molti 
Stati 
membri 
dell'Unione 
europea 
si 
è 
registrato 
un 
aumento 
del 
tasso di 
suicidi; 
che 
quasi 
uno su cinque 
dei 
partecipanti 
a 
un recente 
sondaggio tra 
i 
giovani 
di 
tutta 
l'unione 
ha 
indicato di 
soffrire 
di 
problemi 
di 
salute 
mentale 
o di 
sintomi 
quali 
depressione 
o ansia 
(3); 
che 
le 
Nazioni 
Unite 
hanno lanciato l'allarme 
paventando 
una 
crisi 
globale 
per la 
salute 
mentale 
e 
indicando che 
la 
mancanza 
di 
misure 
potrebbe 
avere 
un costo sociale 
ed economico a 
lungo termine 
devastante 
per la 
società, con i 
bambini 
e gli adolescenti tra le categorie più a rischio (4); 
L. 
considerando che 
le 
carenze 
nei 
sistemi 
nazionali 
di 
protezione 
dei 
minori 
e 
la 
mancanza 
di 
meccanismi 
di 
cooperazione 
transnazionale 
tra 
gli 
Stati 
membri 
possono 
contribuire 
ulteriormente 
all'esclusione 
sociale 
e 
allo 
sfruttamento 
dei 
minori, 
in 
particolare 
dei 
minori 
in 
transito; 
che 
sono 
state 
segnalate 
alcune 
discriminazioni 
a 
seguito 
delle 
procedure 
e 
delle 
pratiche 
adottate 
dalle 
autorità 
nelle 
controversie 
familiari 
transfrontaliere 
che 
coinvolgono 
minori 
(5); 
che 
le 
linee 
telefoniche 
di 
pronto intervento segnalano inoltre 
un aumento 
del 
numero 
di 
chiamate 
relative 
a 
casi 
di 
sottrazione 
di 
minori, 
soprattutto 
negli 
ultimi mesi, a causa dell'aggravarsi dei conflitti familiari internazionali esistenti; 
M. 
considerando che, secondo l'ultima 
relazione 
della 
Commissione 
sui 
progressi 
compiuti 
nella 
lotta 
contro la 
tratta 
di 
esseri 
umani 
(6), i 
minori 
rappresentano quasi 
un quarto di 
tutte le vittime registrate in tutti gli Stati membri; 
(1) 
Unicef, 
"Global 
annual 
results 
report 
2019: 
Gender 
equality" 
(Relazione 
annuale 
sui 
risultati 
a 
livello 
mondiale 2019: uguaglianza di genere). 
(2) FAo, IFAD, UNICEF, PAM 
e 
oMS, "The 
State 
of Food Security and Nutrition in the 
World 2020" 
(Lo stato della sicurezza alimentare e della nutrizione nel mondo), 2020. 
(3) 
ChildFund 
Alliance, 
Eurochild, 
Save 
the 
Children, 
UNICEF 
e 
World 
vision, 
"our 
Europe. 
our 
Rights. our Future (La nostra Europa. I nostri diritti. Il nostro futuro), gennaio 2021. 
(4) https://news.un.org/en/storv/2020/05/1063882 
(5) 
Risoluzione 
del 
Parlamento 
europeo 
del 
29 
novembre 
2018 
sul 
ruolo 
dell'ente 
tedesco 
per 
la 
tutela 
dei 
minori 
(Jugendamt) 
nelle 
controversie 
familiari 
transfrontaliere 
(GU 
C 
363 
del 
28.10.2020, 
pag. 
107). 
(6) CoM(2020)0661. 

RASSEGNA 
AvvoCATURA 
DELLo 
STATo -N. 1/2021 


N. 
considerando 
che 
il 
fenomeno 
del 
lavoro 
minorile 
interessa, 
a 
livello 
mondiale, 
152 
milioni 
di 
minori 
e 
che 
circa 
73 milioni 
di 
tali 
minori 
sono soggetti 
a 
una 
delle 
forme 
peggiori 
di 
lavoro minorile: 
schiavitù, lavoro coatto, lavoro pericoloso o sfruttamento sessuale 
(1); 
che 
la 
Commissione 
ha 
dichiarato una 
"tolleranza 
zero nei 
confronti 
del 
lavoro minorile" 
una priorità politica che deve essere rispettata; 
o. 
considerando che 
una 
ragazza 
su tre 
è 
vittima 
di 
mutilazioni 
genitali 
femminili 
e 
una 
su 
cinque 
si 
sposa 
ancora 
bambina; 
che 
la 
mutilazione 
genitale 
femminile 
è 
riconosciuta 
a 
livello internazionale 
come 
una 
violazione 
dei 
diritti 
umani; 
che 
il 
matrimonio infantile 
è 
ancora 
un problema 
in alcuni 
Stati 
membri 
e 
ha 
un impatto devastante 
sui 
diritti 
e 
sulla 
salute 
delle 
ragazze 
e 
delle 
donne, 
tra 
cui 
un 
grave 
rischio 
di 
complicazioni 
durante 
la 
gravidanza, 
nonché 
l'esposizione 
delle 
ragazze 
ad abusi 
sessuali, violenze 
domestiche 
e 
persino 
delitti d'onore; 
P. 
considerando 
che 
a 
seguito 
delle 
misure 
di 
confinamento 
la 
violenza 
domestica 
e 
di 
genere 
e, 
secondo 
l'ultima 
relazione 
dell'Europol 
(2), 
gli 
abusi 
sessuali 
e 
lo 
sfruttamento 
dei 
minori 
online 
sia 
sul 
web visibile 
che 
sul 
dark web sono aumentati 
nell'Unione 
europea; 
che 
una 
percentuale 
compresa 
tra 
il 
70 % e 
l'85 % dei 
minori 
vittime 
di 
abusi 
conosce 
il 
proprio 
aggressore 
e 
la 
stragrande 
maggioranza 
è 
vittima 
di 
persone 
di 
cui 
ha 
fiducia 
(3); 
che 
anche 
altri 
rischi 
legati 
all'aumento del 
tempo trascorso online, come 
il 
cyberbullismo, sono aumentati 
a causa di tali misure; 
Q. 
considerando 
che 
i 
minori 
con 
disabilità 
sono 
vulnerabili 
e 
possono 
essere 
vittime 
di 
esclusione 
sociale, emarginazione, discriminazione 
e 
accesso ridotto ai 
servizi; 
che 
è 
più probabile 
che 
siano trascurati, sfruttati 
o vittime 
di 
abusi 
sessuali; 
che 
i 
minori 
con disabilità 
hanno maggiori 
necessità 
di 
assistenza 
sanitaria 
e 
una 
maggiore 
dipendenza 
dai 
servizi 
di 
prossimità (4); 
R. 
considerando 
che 
nel 
2019 
il 
30 
% 
dei 
richiedenti 
asilo 
era 
costituito 
da 
minori, 
il 
che 
corrispondeva 
a 
207 215 minori 
nell'UE; 
che 
il 
7,1 % di 
tali 
minori 
erano non accompagnati 
(5); 
che 
molti 
minori 
sono 
esposti 
a 
situazioni 
umanitarie 
inaccettabili 
alle 
frontiere 
esterne 
dell'UE 
o 
al 
di 
fuori 
dell'UE; 
che 
i 
minori 
non 
accompagnati 
rappresentano 
un 
gruppo 
estremamente 
vulnerabile 
e 
vanno incontro a 
vari 
rischi, tra 
cui 
il 
rischio di 
essere 
vittime 
di 
reti 
criminali, violenza, abuso e 
sfruttamento, lungo le 
rotte 
migratorie 
verso l'UE 
e 
al 
suo 
interno 
(6); 
che 
ai 
minori 
migranti 
è 
spesso 
negato 
l'accesso 
alle 
misure 
di 
integrazione 
e 
inclusione, alla 
protezione 
e 
alla 
sicurezza 
sociale; 
che 
i 
minori 
non accompagnati 
richiedenti 
asilo che 
compiono 18 anni 
si 
trovano ad affrontare 
sfide 
particolari, dal 
momento 
che 
spesso devono lasciare 
il 
loro alloggio specifico per minori; 
che 
i 
minori 
che 
presentano domanda 
di 
protezione 
internazionale 
potrebbero subire 
ritardi 
nell'adozione 
della decisione finale; 
(1) oIL, Global 
estimates 
of child labour: 
Results 
and trend, 2012-2016. (Stime 
globali 
del 
lavoro minorile: 
risultati e tendenze, 2012-2016), 2017. 
(2) 
https://www.europol.europa.eu/publications-documents/exploiting-isolation-offenders‑and-victims-ofonline-
child-sexual-abuse-during-covid-19-pandemic 
(3) https://www.coe.int/en/web/human-rights-channel/stop-child-sexual-abuse-in-sport 
(4) 
https://data.unicef.org/resources/children-with-disabilities-ensuring-inclusion-in-covid-19-response/ 
(5) 
https://ec.europa.eu/eurostat/statistics-explained/index.php/asylum_statistics# 
number_of_asylumapplicants:_
increase_in_2019 
(6) Quarta relazione annuale di attività del Centro europeo sul traffico di migranti. 

CoNTENzIoSo 
CoMUNITARIo 
ED 
INTERNAzIoNALE 


S. 
considerando 
che 
vi 
sono 
notevoli 
lacune 
e 
carenze 
nell'attuazione 
delle 
garanzie 
speciali 
e 
delle 
garanzie 
procedurali 
per 
i 
minori 
stabilite 
nel 
sistema 
europeo 
comune 
di 
asilo, 
con 
differenze 
tra 
gli 
Stati 
membri, 
ad 
esempio 
per 
quanto 
riguarda 
la 
possibilità 
per 
i 
minori 
di 
rimanere 
con 
i 
loro 
familiari 
e/o 
tutori 
in 
un 
contesto 
non 
detentivo, 
e 
in 
particolare 
nel 
ricongiungimento 
familiare 
in 
linea 
con 
la 
direttiva 
2003/86/CE 
del 
Consiglio 
(1), 
le 
condizioni 
di 
accoglienza, 
la 
nomina 
di 
rappresentanti 
legali 
e 
tutori 
e 
l'accesso 
a informazioni a misura di minore, servizi sanitari e sociali e istruzione; 
T. 
considerando 
che 
vi 
sono 
ancora 
bambini 
apolidi 
alla 
nascita, 
anche 
all'interno 
dell'UE, 
i 
quali 
continuano 
ad 
essere 
esclusi 
dall'accesso 
ai 
diritti 
di 
base; 
che, 
secondo 
le 
stime, 
200 
milioni 
di 
bambini 
nel 
mondo 
non 
dispongono 
di 
un 
certificato 
di 
nascita, 
il 
che 
aumenta 
il 
rischio 
di 
apolidia 
e 
li 
mette 
in 
grave 
svantaggio 
nell'accesso 
ai 
diritti 
e 
ai 
servizi; 
che 
il 
diritto 
del 
minore 
di 
acquisire 
una 
cittadinanza 
e 
di 
essere 
registrato 
immediatamente 
dopo 
la 
nascita 
è 
sancito 
dall'articolo 
7 
della 
Convenzione 
delle 
Nazioni 
Unite 
sui 
diritti 
del 
fanciullo; 
U. 
considerando 
che 
i 
bambini 
sono 
tra 
i 
più 
vulnerabili 
agli 
effetti 
dei 
cambiamenti 
climatici, 
che 
incidono sulla 
loro speranza 
di 
vita, sulla 
loro salute, sul 
loro diritto all'istruzione 
e 
sul 
diritto di 
essere 
protetti, e 
stanno causando spostamenti 
nelle 
regioni 
soggette 
a 
catastrofi 
naturali; che una su quattro morti infantili è da ricondurre ai rischi ambientali (2); 
v. 
considerando 
che 
la 
partecipazione 
dei 
minori 
all'elaborazione 
delle 
politiche 
interne 
ed 
esterne 
dell'UE 
è 
ancora 
scarsa; 
che 
dovrebbero 
essere 
attuate 
modalità 
sistemiche 
per 
integrare 
la 
partecipazione 
dei 
minori 
basata 
sui 
diritti 
nell'elaborazione 
delle 
politiche 
a 
livello 
unionale, 
nazionale 
e 
locale; 
che 
i 
minori 
hanno 
il 
diritto 
di 
partecipare 
alla 
vita 
democratica 
e 
alle 
decisioni 
che 
li 
riguardano 
direttamente 
o 
indirettamente; 
che 
i 
gruppi 
più 
emarginati 
ed 
esclusi 
hanno 
ancora 
meno 
opportunità 
di 
partecipare 
ai 
processi 
politici 
e 
decisionali; 
W. 
considerando che 
un numero significativo di 
minori 
è 
ancora 
detenuto nell'UE; 
che 
il 
comitato 
delle 
Nazioni 
Unite 
sui 
diritti 
dell'infanzia 
ha 
chiarito che 
i 
minori 
non dovrebbero 
mai 
essere 
detenuti 
per motivi 
di 
immigrazione 
e 
che 
la 
detenzione 
non può mai 
essere 
giustificata 
in quanto nell'interesse 
superiore 
del 
minore, in linea 
con la 
dichiarazione 
di 
New 
York per i 
rifugiati 
e 
i 
migranti 
del 
19 settembre 
2016; 
che 
gli 
Stati 
membri 
devono 
fornire 
alternative 
adeguate, 
umane 
e 
non 
privative 
della 
libertà 
alla 
detenzione, 
anche 
garantendo 
che 
le 
misure 
relative 
alla 
Covid- 19 non conducano mai 
alla 
detenzione 
dei 
minori; 
che 
gli 
Stati 
membri 
dovrebbero 
raccogliere 
sistematicamente 
dati 
disaggregati 
sulla 
detenzione 
di 
minori 
nel 
contesto della 
migrazione, mentre 
la 
Commissione 
dovrebbe 
incoraggiare 
la comparabilità di tali dati tramite Eurostat; 
X. 
considerando che 
i 
bambini 
collocati 
in strutture 
chiuse 
sono stati 
particolarmente 
colpiti 
dalla 
pandemia; 
che 
le 
misure 
di 
confinamento aggravano la 
vulnerabilità 
dei 
minori 
che 
vivono in istituti 
psichiatrici 
e 
sociali, orfanotrofi, campi 
profughi, centri 
di 
detenzione 
e 
altre 
strutture 
chiuse; 
che 
è 
probabile 
che 
i 
casi 
di 
violenza 
contro i 
minori 
confinati 
in 
tali 
luoghi 
non 
vengano 
scoperti 
e 
che 
i 
servizi 
sociali 
di 
assistenza 
ai 
minori 
e 
alle 
famiglie 
siano sovraccarichi e le loro attività siano perturbate; 
Y. 
considerando che 
il 
regolamento generale 
sulla 
protezione 
dei 
dati 
(3) riconosce 
che 
i 
mi(
1) Direttiva 
2003/86/CE 
del 
Consiglio, del 
22 settembre 
2003, relativa 
al 
diritto al 
ricongiungimento 
familiare (GU L 251 del 3.10.2003, pag. 12). 
(2) 
UNICEF, 
"Reimagining 
our 
Future: 
Building 
Back 
Better 
from 
CovID-19" 
(Rimmaginare 
il 
nostro 
futuro: ricostruire in modo migliore dopo la CovID-19), giugno 2020. 
(3) Regolamento (UE) 2016/679 del 
Parlamento europeo e 
del 
Consiglio, del 
27 aprile 
2016, relativo 

RASSEGNA 
AvvoCATURA 
DELLo 
STATo -N. 1/2021 


nori 
meritano una 
protezione 
specifica 
per quanto riguarda 
i 
loro dati 
personali 
e 
che 
richiedono 
che 
le 
informazioni 
sui 
loro dati 
siano loro presentate 
in un linguaggio a 
misura 
di 
minore; 
che 
l'accesso dei 
minori 
alle 
piattaforme 
dei 
social 
media 
deve 
andare 
di 
pari 
passo 
con 
una 
migliore 
comprensione 
delle 
tecnologie 
digitali; 
che 
la 
promozione 
del-
l'istruzione, dell'alfabetizzazione 
e 
delle 
competenze 
digitali 
è 
fondamentale 
per contrastare 
la 
scorretta 
utilizzazione 
dei 
social 
media, in particolare 
nel 
caso di 
utenti 
minorenni 
che 
accedano a 
piattaforme 
che 
non richiedono una 
verifica 
dell'età, al 
fine 
di 
proteggere 
i gruppi vulnerabili, in particolare i minori; 


1. 
accoglie 
con 
favore 
l'iniziativa 
della 
Commissione 
di 
elaborare 
una 
nuova 
strategia 
globale 
sui 
diritti 
dei 
minori, dieci 
anni 
dopo il 
programma 
UE 
per i 
diritti 
dei 
minori, del 
2011; 
chiede 
adeguate 
proposte 
legislative 
e 
non 
legislative 
e 
strumenti 
dell'UE 
vincolanti 
e 
non 
vincolanti per affrontare le sfide che i minori devono affrontare; 
2. 
sottolinea 
che 
un minore 
è 
innanzitutto tale, indipendentemente 
dalla 
sua 
origine 
etnica, 
dal 
suo genere, dalla 
sua 
nazionalità 
o dal 
suo contesto sociale 
ed economico, dalle 
sue 
attitudini, dal 
suo status 
in termini 
di 
migrazione 
o residenza, e 
che 
tutte 
le 
politiche, le 
procedure 
e 
le 
azioni 
dell'UE 
relative 
ai 
minori 
devono essere 
improntate 
all'interesse 
superiore 
del minore; 
3. 
invita 
nuovamente 
la 
Commissione 
a 
includere 
nella 
strategia 
dell'UE 
sui 
diritti 
dei 
minori 
tutte 
le 
disposizioni 
contemplate 
nella 
risoluzione 
del 
Parlamento 
europeo 
del 
26 
novembre 
2019 
sui 
diritti 
del 
bambino 
in 
occasione 
del 
30° 
anniversario 
della 
Convenzione 
sui 
diritti 
del fanciullo; 
4. 
sottolinea 
che 
la 
strategia 
dell'UE 
deve 
adottare 
un approccio equilibrato sotto il 
profilo 
del 
genere, che 
integri 
una 
prospettiva 
di 
genere 
in tutti 
i 
settori 
di 
programmazione, miri 
al 
benessere 
e 
all'emancipazione 
delle 
ragazze, affronti 
le 
loro esigenze 
specifiche 
e 
riconosca 
i loro diritti; 
5. 
sottolinea 
che 
la 
strategia 
dovrebbe 
invitare 
gli 
Stati 
membri 
a 
stanziare 
tutte 
le 
risorse 
necessarie 
per l'efficace 
attuazione 
della 
Convenzione 
delle 
Nazioni 
Unite 
sui 
diritti 
del 
fanciullo; 
invita, inoltre, gli 
Stati 
membri 
ad affrontare 
le 
disuguaglianze 
strutturali 
e 
a 
dare 
la 
priorità 
agli 
investimenti 
pubblici 
nell'istruzione, 
nell'assistenza 
sanitaria, 
negli 
alloggi, 
nel 
sostegno 
alle 
famiglie 
e 
nell'assistenza 
all'infanzia, 
nonché 
ad 
investire 
in 
servizi 
universali 
di 
alta 
qualità 
che 
raggiungano tutti 
i 
bambini; 
invita 
gli 
Stati 
membri 
a 
rafforzare 
le 
capacità 
della 
forza 
lavoro dei 
servizi 
sociali 
al 
fine 
di 
sostenere 
i 
bambini 
e 
le 
famiglie 
che 
affrontano 
sfide 
particolari 
e 
sostenere 
gli 
operatori 
in 
prima 
linea 
nei 
servizi 
di protezione dei minori; 
6. 
invita 
gli 
Stati 
membri 
a 
garantire 
a 
ogni 
minore 
il 
diritto 
all'istruzione 
e 
ad 
istituire 
misure 
volte 
a 
contrastare 
e 
a 
prevenire 
l'abbandono scolastico precoce 
e 
a 
garantire 
un accesso 
equo in termini 
di 
genere 
a 
un'istruzione 
di 
qualità 
e 
inclusiva, dalla 
prima 
infanzia 
all'adolescenza, 
anche 
per 
i 
bambini 
rom, 
i 
minori 
con 
disabilità, 
i 
minori 
apolidi 
e 
migranti 
e quelli che vivono in aree colpite da emergenze umanitarie; 
7. 
sottolinea 
che 
l'istruzione 
digitale 
non dovrebbe 
mai 
sostituire 
in modo permanente 
l'apprendimento 
in presenza, in particolare 
quando l'accesso alle 
tecnologie 
è 
limitato, e 
do-
alla 
protezione 
delle 
persone 
fisiche 
con riguardo al 
trattamento dei 
dati 
personali, nonché 
alla 
libera 
circolazione 
di 
tali 
dati 
e 
che 
abroga 
la 
direttiva 
95/46/CE 
(regolamento generale 
sulla 
protezione 
dei 
dati) (GU L 119 del 4.5.2016, pag. 1). 



CoNTENzIoSo 
CoMUNITARIo 
ED 
INTERNAzIoNALE 


vrebbe 
essere 
utilizzata 
solo in periodi 
di 
grande 
difficoltà 
come 
le 
pandemie 
o in modo 
complementare 
all'apprendimento in presenza; 
invita 
la 
Commissione 
ad effettuare 
una 
valutazione 
approfondita 
del 
modo 
in 
cui 
la 
crisi 
ha 
colpito 
il 
diritto 
all'istruzione 
e 
a 
proporre 
raccomandazioni agli Stati membri sulla base dei risultati di tale analisi; 


8. 
invita 
gli 
Stati 
membri 
ad avviare 
operazioni 
ad hoc 
"scuole 
sicure" 
comprendenti 
la 
fornitura 
di 
dispositivi 
igienici 
e 
la 
diffusione 
di 
informazioni 
a 
misura 
di 
bambino sul 
lavaggio 
delle mani e sulle altre misure igieniche durante la pandemia di CovID-19; 
9. 
invita 
gli 
Stati 
membri 
a 
garantire 
il 
diritto 
a 
un'istruzione 
inclusiva 
e 
a 
garantire 
l'accesso 
a 
informazioni 
complete 
e 
adeguate 
all'età 
in 
merito 
al 
sesso 
e 
alla 
sessualità, 
nonché 
l'accesso 
all'assistenza 
sanitaria 
sessuale 
e 
riproduttiva 
e 
all'educazione 
affettiva; 
ricorda 
che 
l'istruzione 
in 
questo 
settore 
è 
necessaria 
per 
garantire 
la 
piena 
istruzione 
e 
protezione 
dei minori, conformemente all'ultima relazione della Commissione; 
10. 
ribadisce 
il 
suo invito all'UE 
a 
intensificare 
la 
sua 
azione 
per porre 
fine 
a 
tutte 
le 
forme 
di 
violenza 
e 
discriminazione 
nei 
confronti 
dei 
minori, comprese 
la 
violenza 
fisica, sessuale, 
economica 
e 
psicologica, 
le 
lesioni, 
gli 
abusi, 
l'abbandono, 
i 
maltrattamenti 
e 
lo 
sfruttamento perpetrati 
online 
e 
offline, i 
matrimoni 
forzati, la 
tratta, l'abuso e 
lo sfruttamento 
dei 
minori 
migranti, la 
tortura, i 
delitti 
d'onore, le 
mutilazioni 
genitali 
femminili, 
l'incesto, l'abbandono scolastico forzato e 
l'uso di 
bambini 
come 
soldati; 
sottolinea 
che, 
a 
fini 
di 
coerenza 
per quanto riguarda 
la 
protezione 
dei 
minori 
dalla 
violenza, dalla 
tratta 
e 
dallo sfruttamento, è 
necessario che 
tutte 
le 
iniziative 
legislative 
e 
non legislative 
concernenti 
i 
diritti 
dei 
minori 
tengano conto della 
strategia 
dell'UE 
sui 
diritti 
dei 
minori; 
invita 
la 
Commissione 
a 
pubblicare 
un calendario relativo a 
tali 
proposte, garantendo nel 
contempo l'attuazione 
delle 
sue 
raccomandazioni 
attraverso un meccanismo di 
monitoraggio 
adeguato ed efficiente; 
11. 
invita 
la 
Commissione 
e 
gli 
Stati 
membri 
a 
porre 
fine, 
nel 
diritto 
e 
nei 
fatti, 
a 
tutto 
il 
lavoro minorile 
e 
a 
tutte 
le 
altre 
forme 
di 
lavoro che 
possano nuocere 
alla 
salute 
e 
alla 
sicurezza 
dei 
bambini; 
sottolinea 
l'urgente 
necessità 
di 
affrontare 
tale 
questione, considerando 
l'impatto 
della 
crisi 
della 
Covid-19 
sulle 
persone 
più 
vulnerabili 
che 
sono 
state 
colpite 
da 
shock 
di 
reddito 
e 
dalla 
mancanza 
di 
accesso 
alla 
protezione 
sociale, 
con 
la 
conseguenza 
che 
un maggior numero di 
minori 
è 
costretto a 
lavorare; 
invita 
pertanto la 
Commissione 
a 
integrare 
i 
diritti 
dei 
minori 
nel 
prossimo 
quadro 
di 
governance 
sostenibile 
dell'UE, compresi 
i 
requisiti 
obbligatori 
dell'UE 
in materia 
di 
dovere 
di 
diligenza, e 
a 
sostenere 
i 
paesi 
terzi 
nell'eliminazione 
del 
lavoro minorile 
attraverso programmi 
di 
cooperazione; 
raccomanda 
di 
adottare 
un dovere 
di 
diligenza 
intersettoriale 
obbligatorio e 
di 
garantire 
che 
tutte 
le 
politiche 
dell'UE 
siano 
a 
misura 
di 
minore, 
impegnandosi 
a 
effettuare 
controlli ex ante ed ex post in materia di diritti umani; 
12. 
invita 
la 
Commissione 
e 
il 
vicepresidente 
della 
Commissione/alto 
rappresentante 
del-
l'Unione 
per gli 
affari 
esteri 
e 
la 
politica 
di 
sicurezza 
(vP/AR) ad intensificare 
gli 
sforzi 
per prevenire 
e 
far cessare 
le 
gravi 
violazioni 
a 
danno dei 
minori 
coinvolti 
in conflitti 
armati; 
è 
profondamente 
preoccupato per il 
fatto che 
l'associazione 
di 
minori 
con gruppi 
armati 
e 
il 
loro reclutamento negli 
stessi 
avvengano spesso quando i 
bambini 
non hanno 
altre 
opzioni; 
sottolinea 
l'importanza 
di 
portare 
avanti 
l'agenda 
dei 
bambini 
nei 
conflitti 
armati 
(CAAC) 
nell'azione 
esterna 
dell'UE 
e 
nelle 
politiche 
antiterrorismo 
e 
di 
sicurezza, 
in linea 
con il 
piano d'azione 
dell'UE 
sui 
diritti 
umani 
e 
la 
democrazia, integrandola 
nei 
dialoghi 
politici, 
nelle 
missioni 
e 
operazioni 
della 
politica 
di 
sicurezza 
e 
di 
difesa 
comune 
(PSDC), nelle 
riforme 
del 
settore 
della 
sicurezza 
e 
nella 
mediazione; 
invita 
la 
Commis

RASSEGNA 
AvvoCATURA 
DELLo 
STATo -N. 1/2021 


sione 
e 
il 
vP/AR a 
prevedere 
nelle 
delegazioni 
dell'UE 
funzionari 
e 
unità 
specializzati 
nella 
protezione 
dell'infanzia; 
invita 
gli 
Stati 
membri 
a 
proteggere 
i 
cittadini 
minori 
che 
possono essere 
detenuti 
per reati 
in materia 
di 
sicurezza 
o per associazione 
a 
gruppi 
armati, 
e 
a 
facilitarne 
il 
ritorno nel 
paese 
di 
origine 
per la 
riabilitazione, il 
reinserimento 
e/o il perseguimento, se del caso, nel pieno rispetto del diritto internazionale; 


13. 
sottolinea 
che 
la 
protezione 
dei 
minori 
dallo sfruttamento e 
dagli 
abusi 
sessuali 
è 
essenziale; 
deplora 
il 
fatto che 
la 
direttiva 
sulla 
lotta 
contro l'abuso sessuale 
dei 
minori 
non sia 
ancora 
stata 
attuata 
da 
23 
Stati 
membri, 
prende 
atto 
dell'accento 
posto 
dal 
Consiglio 
d'Europa 
sulla 
cooperazione 
multilaterale 
quale 
base 
per la 
risposta 
all'abuso sessuale 
su minori 
online, che 
comprende 
le 
autorità 
di 
contrasto, le 
autorità 
nazionali, i 
meccanismi 
di 
segnalazione 
e 
i 
fornitori/industria 
dei 
servizi; 
accoglie 
con 
favore 
l'intenzione 
della 
Commissione 
di 
proporre 
un quadro legislativo più duraturo per combattere 
l'abuso sessuale 
sui 
minori 
nel 
primo semestre 
del 
2021; 
ribadisce 
il 
proprio sostegno alla 
creazione 
di 
un 
centro 
europeo 
per 
la 
prevenzione 
e 
il 
contrasto 
degli 
abusi 
sessuali 
sui 
minori, 
possibilità 
attualmente 
in fase 
di 
valutazione 
da 
parte 
della 
Commissione; 
accoglie 
con favore 
il 
lavoro 
di 
prevenzione 
svolto 
da 
Europol, 
in 
particolare 
le 
sue 
campagne 
di 
sensibilizzazione 
volte a prevenire lo sfruttamento sessuale dei minori online (1) (2); 
14. 
sottolinea 
che 
la 
violenza 
e 
gli 
abusi 
contro i 
minori 
sono aumentati 
in misura 
preoccupante, 
mentre 
i 
servizi 
sociali 
e 
le 
istituzioni 
di 
protezione 
sono diventati 
estremamente 
inaccessibili 
durante 
la 
pandemia 
di 
Covid-19; 
sottolinea 
l'importanza 
di 
sviluppare 
politiche 
preventive 
per contrastare 
la 
violenza 
contro i 
minori 
a 
livello di 
UE; 
sottolinea 
il 
ruolo 
delle 
agenzie 
e 
degli 
organismi 
dell'UE 
nell'attuazione 
del 
quadro 
legislativo 
dell'UE 
in 
materia 
di 
diritti 
dei 
minori; 
invita 
la 
Commissione 
a 
integrare, 
nella 
strategia, 
un 
piano 
d'azione 
dell'UE 
contenente 
norme 
e 
parametri 
di 
riferimento 
per 
i 
fornitori 
di 
servizi 
online 
e 
le 
imprese 
tecnologiche 
al 
fine 
di 
garantire 
la 
sicurezza 
dei 
minori 
online, oltre 
a 
proteggerli 
dall'essere 
oggetto 
di 
contenuti 
illegali 
e 
a 
tutelarli 
dai 
contenuti 
nocivi; 
invita 
pertanto gli 
Stati 
membri 
che 
non lo abbiano ancora 
fatto a 
criminalizzare 
l'adescamento 
online e lo stalking online; 
15. 
invita 
la 
Commissione 
a 
garantire 
che 
la 
strategia 
dell'UE 
sia 
coerente 
con le 
priorità 
e 
le 
proposte 
legislative 
enunciate 
nella 
recente 
strategia 
dell'UE 
per 
una 
lotta 
più 
efficace 
contro gli 
abusi 
sessuali 
sui 
minori, il 
quadro strategico dell'UE 
per l'uguaglianza, l'inclusione 
e 
la 
partecipazione 
dei 
Rom, la 
strategia 
dell'UE 
per la 
parità 
di 
genere 
e 
la 
strategia 
dell'UE per l'uguaglianza LGBTIQ 2020-2025; 
16. 
ritiene 
fondamentale 
integrare 
nella 
strategia 
dell'UE 
misure 
concrete 
per 
investire 
nei 
bambini, al 
fine 
di 
eradicare 
la 
povertà 
infantile, anche 
mediante 
l'istituzione 
di 
una 
garanzia 
europea 
per 
l'infanzia 
dotata 
di 
risorse 
adeguate; 
invita 
la 
Commissione 
a 
presentare 
la 
sua 
proposta 
per l'istituzione 
di 
una 
garanzia 
europea 
per l'infanzia 
nel 
primo trimestre 
del 
2021, 
in 
linea 
con 
il 
suo 
impegno, 
e 
invita 
gli 
Stati 
membri 
ad 
accelerarne 
l'attuazione 
e 
ad investire 
tutte 
le 
risorse 
possibili, compresi 
i 
fondi 
dell'UE, quali 
il 
Fondo sociale 
europeo Plus 
(FSE 
+), l'assistenza 
alla 
ripresa 
per la 
coesione 
e 
i 
territori 
d'Europa 
(ReactEU), 
il 
dispositivo 
per 
la 
ripresa 
e 
la 
resilienza, 
il 
Fondo 
europeo 
di 
sviluppo 
regionale 
(1) 
https://www.europol.europa.eu/activities-services/public-awareness-and-prevention-guides/onlinesexual-
coercion-and-extortion-crime 
(2) https://www.europol.europa.eu/stopchildabuse 

CoNTENzIoSo 
CoMUNITARIo 
ED 
INTERNAzIoNALE 


(FESR), InvestEU, Erasmus 
+ e 
il 
Fondo Asilo e 
migrazione 
(AMF) nella 
lotta 
contro la 
povertà 
minorile 
e 
l'esclusione 
sociale; 
sottolinea 
che 
gli 
Stati 
membri 
dovrebbero 
stabilire 
sia 
strategie 
nazionali 
pluriennali 
per affrontare 
la 
povertà 
e 
l'esclusione 
sociale 
infantile 
che piani d'azione nazionali relativi alla garanzia per l'infanzia; 


17. 
è 
preoccupato per il 
fatto che, nel 
contesto della 
ripresa 
dalla 
crisi 
Covid-19, aumenterà 
la 
necessità 
di 
affrontare 
la 
povertà 
minorile 
e 
che 
la 
povertà 
avrà 
un 
impatto 
sempre 
maggiore 
sui 
minori 
in quanto gruppo più vulnerabile 
tra 
i 
più svantaggiati; 
chiede 
che 
la 
strategia 
dell'UE 
sia 
integrata 
da 
una 
strategia 
globale 
anti-povertà 
comprendente 
misure 
che 
garantiscano alloggi 
dignitosi 
e 
a 
prezzi 
accessibili 
e 
che 
affrontino il 
problema 
dei 
senzatetto; 
ricorda 
che 
qualsiasi 
strategia 
per eliminare 
la 
povertà 
infantile 
deve 
tener 
conto 
della 
realtà 
dei 
genitori 
soli 
e 
delle 
famiglie 
con 
numerosi 
figli, 
dato 
che 
le 
famiglie 
monoparentali e quelle con numerosi figli rientrano tra i gruppi vulnerabili; 
18. 
sottolinea 
l'importanza 
che 
la 
strategia 
dell'UE 
introduca 
misure 
per 
garantire 
un 
buon 
accesso 
all'assistenza 
sanitaria 
per 
i 
minori 
e 
le 
famiglie, 
in 
linea 
con 
il 
programma 
EU4Health, 
tenendo 
conto 
delle 
difficoltà 
che 
i 
minori 
hanno 
nell'accedere 
a 
questo 
diritto; 
19. 
sottolinea 
che 
è 
importante 
che 
la 
strategia 
dell'UE 
introduca 
misure 
per aggiornare 
l'attuale 
quadro d'azione 
dell'UE 
in materia 
di 
salute 
e 
benessere 
mentale, che 
dovrebbe 
essere 
pienamente 
inclusivo, al 
fine 
di 
soddisfare 
anche 
le 
esigenze 
dei 
minori 
in situazioni 
vulnerabili 
e 
provenienti 
da 
gruppi 
emarginati 
e 
razzializzati; 
invita 
la 
Commissione 
e 
gli 
Stati 
membri 
ad aumentare 
gli 
investimenti 
nella 
salute 
mentale 
e 
nei 
servizi 
psicosociali 
per 
i 
minori 
e 
le 
famiglie, 
in 
particolare 
nei 
paesi 
a 
basso 
e 
medio 
reddito 
e 
in 
contesti 
umanitari 
fragili; 
invita 
gli 
Stati 
membri 
a 
mettere 
in 
atto 
meccanismi 
per 
l'individuazione 
precoce 
dei 
problemi 
di 
salute 
mentale; 
chiede 
la 
piena 
integrazione 
del 
sostegno psicosociale 
e 
per la 
salute 
mentale 
nei 
sistemi 
nazionali 
e 
transnazionali 
di 
protezione 
dell'infanzia, 
nonché la formazione dei professionisti sui bisogni specifici dei minori; 
20. 
ribadisce 
la 
sua 
richiesta 
di 
garantire 
un sistema 
giudiziario a 
misura 
di 
minore 
con procedimenti 
adeguati 
e 
inclusivi 
che 
tengano 
conto 
delle 
esigenze 
di 
tutti 
i 
minori; 
sottolinea 
l'importanza 
di 
garantire 
il 
diritto dei 
minori 
di 
essere 
ascoltati 
e 
pienamente 
informati 
in 
modo consono alla 
loro età 
in tutte 
le 
fasi 
dei 
procedimenti 
in ambito giudiziario, conformemente 
agli 
articoli 
4 e 
16 della 
direttiva 
(UE) 2016/800 e 
agli 
articoli 
22 e 
24 della 
direttiva 
2012/29/UE 
(1), anche 
per i 
minori 
migranti, con particolare 
attenzione 
ai 
minori 
non 
accompagnati; 
invita 
gli 
Stati 
membri 
a 
recepire 
e 
applicare 
rapidamente 
le 
direttive; 
invita 
gli 
Stati 
membri 
a 
garantire 
che 
i 
tribunali 
per l'infanzia 
e 
la 
famiglia 
funzionino 
come 
un servizio essenziale, continuando a 
tenere 
udienze 
di 
emergenza 
e 
a 
eseguire 
le 
ordinanze 
del 
tribunale 
per 
la 
cura 
e 
la 
protezione 
dei 
minori 
che 
sono 
a 
rischio 
immediato 
di 
trascuratezza 
o abuso; 
ricorda 
che 
dovrebbero essere 
messe 
in atto garanzie 
specifiche 
per i 
minori 
che 
entrano in contatto con qualsiasi 
procedimento giudiziario o connesso e 
sottolinea la necessità di formare personale specializzato; 
21. 
osserva 
con rammarico che 
11 Stati 
membri 
su 27 non hanno fornito l'accesso a 
informazioni 
mirate 
online 
per i 
minori 
in merito al 
sistema 
giudiziario, come 
l'educazione 
interattiva 
sui 
diritti 
legali, 
e 
invita 
tutti 
gli 
Stati 
membri 
a 
garantire 
che 
i 
minori 
siano 
in 
(1) Direttiva 
2012/29/UE 
del 
Parlamento europeo e 
del 
Consiglio, del 
25 ottobre 
2012, che 
istituisce 
norme 
minime 
in materia 
di 
diritti, assistenza 
e 
protezione 
delle 
vittime 
di 
reato e 
che 
sostituisce 
la 
decisione 
quadro 2001/220/GAI (GU L 315 del 14.11.2012, pag. 57). 

RASSEGNA 
AvvoCATURA 
DELLo 
STATo -N. 1/2021 


grado di 
accedere 
a 
tali 
informazioni 
in un modo consono alla 
loro età, tenendo conto di 
eventuali disabilità che potrebbero impedire l'accesso (1); 


22. 
sottolinea 
l'importanza 
dell'interesse 
superiore 
del 
minore 
nelle 
controversie 
familiari 
transfrontaliere; 
invita 
gli 
Stati 
membri 
a 
garantire 
l'adempimento degli 
obblighi 
previsti 
dal 
regolamento 
Bruxelles 
II 
bis 
(2) 
e 
invita 
le 
autorità 
nazionali 
a 
riconoscere 
ed 
eseguire 
le 
sentenze 
emesse 
in un altro Stato membro nei 
casi 
relativi 
ai 
minori, come 
le 
sentenze 
di 
custodia, i 
diritti 
di 
visita 
e 
le 
obbligazioni 
alimentari; 
sottolinea 
l'importanza 
di 
una 
stretta 
cooperazione 
e 
di 
una 
comunicazione 
efficace 
tra 
le 
diverse 
autorità 
nazionali 
e 
locali 
coinvolte 
nei 
procedimenti 
relativi 
ai 
minori; 
invita 
gli 
Stati 
membri 
a 
rispettare 
il 
diritto dei 
minori 
a 
vedere 
i 
loro genitori 
nonostante 
le 
misure 
restrittive 
legate 
alla 
pandemia, 
purché ciò non metta in pericolo la loro sicurezza e la loro salute; 
23. 
invita 
l'UE, le 
sue 
agenzie 
e 
gli 
Stati 
membri 
a 
porre 
fine 
all'apolidia 
infantile 
sia 
all'interno 
che 
all'esterno dell'UE, anche 
migliorando la 
capacità 
dei 
funzionari 
in prima 
linea 
di 
identificare, registrare 
e 
rispondere 
adeguatamente 
all'apolidia 
nel 
contesto della 
migrazione 
e 
dell'asilo, promuovendo e 
garantendo l'accesso universale 
alla 
registrazione 
e 
alla 
certificazione 
delle 
nascite 
indipendentemente 
dallo status 
dei 
genitori, anche 
per le 
famiglie 
LGBTQI+, introducendo, migliorando e 
attuando garanzie 
giuridiche 
per prevenire 
l'apolidia 
infantile 
e 
introducendo e 
migliorando le 
procedure 
di 
determinazione 
dell'apolidia 
basate 
sui 
diritti 
dei 
minori 
al 
fine 
di 
soddisfare 
gli 
obblighi 
internazionali 
nei 
confronti 
delle 
persone 
apolidi 
in un contesto migratorio, in linea 
con l'interesse 
superiore 
del minore e il suo diritto ad acquisire la cittadinanza; 
24. 
sottolinea 
che 
nella 
strategia 
dell'UE 
devono essere 
incluse 
misure 
per migliorare 
la 
situazione 
dei 
minori 
migranti 
e 
per 
proteggere 
i 
loro 
interessi 
sia 
all'interno 
che 
all'esterno 
dell'UE 
e 
in ogni 
fase 
delle 
procedure 
di 
asilo; 
invita 
la 
Commissione 
e 
gli 
Stati 
membri 
a 
garantire 
l'attuazione 
delle 
garanzie 
e 
dei 
diritti 
procedurali 
per i 
minori 
nel 
sistema 
europeo 
comune 
di 
asilo, prestando particolare 
attenzione 
a 
processi 
rapidi 
di 
ricongiungimento 
familiare 
in 
linea 
con 
la 
direttiva 
2003/86/CE, 
all'accesso 
a 
condizioni 
di 
accoglienza 
adeguate, all'assistenza 
sociale 
e 
medica, alla 
nomina 
tempestiva 
di 
rappresentanti 
legali 
e 
tutori 
qualificati 
per i 
minori 
non accompagnati 
e 
all'accesso a 
informazioni 
a misura di minore; 
25. 
sottolinea 
l'importanza 
dell'integrazione 
e 
dell'inclusione 
dei 
minori 
migranti 
e 
rifugiati; 
ribadisce 
l'importanza 
di 
rimuovere 
tutte 
le 
barriere 
all'accesso ai 
servizi 
di 
base 
e 
alle 
misure 
di 
integrazione 
e 
inclusione, 
compreso 
il 
sostegno 
psicosociale 
e 
per 
la 
salute 
mentale, 
e 
di 
fornire 
ai 
minori 
opportunità 
per aumentare 
l'inclusione 
sociale; 
invita 
la 
Commissione 
a 
intraprendere 
azioni 
urgenti 
per aumentare 
la 
consapevolezza 
dell'importanza 
di cambiare le narrazioni sulla migrazione e di combattere gli stereotipi negativi; 
26. 
ritiene 
che 
la 
strategia 
dovrebbe 
stabilire 
come 
priorità 
i 
diritti 
dei 
minori 
per quanto riguarda 
la 
privazione 
della 
libertà, in linea 
con quelli 
delineati 
nello studio globale 
delle 
Nazioni 
Unite 
sui 
minori 
privati 
della 
libertà; 
esorta 
l'UE 
e 
gli 
Stati 
membri 
a 
intensificare 
le 
azioni 
per porre 
fine 
al 
trattenimento dei 
bambini, in particolare 
nel 
contesto della 
mi(
1) https://ec.europa.eu/info/sites/info/files/justice_scoreboard_2019_en.pdf 


(2) Regolamento (CE) n. 2201/2003 del 
Consiglio, del 
27 novembre 
2003, relativo alla 
competenza, al 
riconoscimento e 
all'esecuzione 
delle 
decisioni 
in materia 
matrimoniale 
e 
in materia 
di 
responsabilità 
genitoriale, che abroga il regolamento (CE) n. 1347/2000 (GU L 338 del 23.12.2003, pag. 1). 

CoNTENzIoSo 
CoMUNITARIo 
ED 
INTERNAzIoNALE 


grazione, e 
a 
elaborare 
alternative 
al 
trattenimento adeguate 
e 
incentrate 
sulle 
comunità 
che 
rispondano all'interesse 
superiore 
del 
minore 
e 
consentano ai 
minori 
di 
rimanere 
con 
i 
loro 
familiari 
e/o 
tutori 
in 
un 
contesto 
non 
detentivo 
mentre 
il 
loro 
status 
migratorio 
viene risolto; 


27. 
ritiene 
che 
la 
strategia 
dell'UE 
dovrebbe 
integrare 
e 
promuovere 
i 
diritti 
dei 
minori 
vulnerabili 
in tutti 
i 
settori 
politici 
e 
adottare 
un approccio intersezionale 
che 
prenda 
in considerazione 
le 
molteplici 
forme 
di 
discriminazione 
subite, tra 
gli 
altri, da 
minori 
che 
sono 
appartenenti 
a 
gruppi 
razzializzati, 
portatori 
di 
disabilità, 
privi 
di 
cure 
parentali 
o 
a 
rischio 
di 
perderle, affidati 
ad istituti, LGBTIQ, appartenenti 
a 
minoranze 
etniche, migranti 
e 
rifugiati, 
apolidi 
e 
senza 
documenti, vittime 
di 
violenza 
e 
abusi 
sessuali, coinvolti 
direttamente 
o 
indirettamente 
nei 
sistemi 
giudiziari, 
con 
problemi 
di 
salute 
mentale, 
senza 
casa, 
figlie 
e 
figli 
di 
genitori 
incarcerati; 
ricorda 
che 
i 
servizi 
sociali 
e 
il 
sostegno alle 
famiglie 
sono essenziali per evitare la separazione familiare e l'esclusione sociale; 
28. 
sottolinea 
che 
i 
minori 
rom, in particolare 
le 
ragazze 
rom, in tutta 
Europa 
devono affrontare 
il 
peso 
aggiuntivo 
del 
razzismo 
e 
della 
discriminazione 
di 
genere, 
che 
li 
spinge 
ai 
margini 
delle 
loro società; 
sottolinea 
che 
i 
bassi 
livelli 
di 
istruzione, gli 
alti 
tassi 
di 
frequenza 
irregolare 
e 
di 
abbandono 
scolastico, 
i 
sistemi 
scolastici 
non 
inclusivi, 
gli 
alti 
tassi 
di 
disoccupazione 
e 
le 
scarse 
opportunità 
di 
lavoro privano i 
ragazzi 
e 
le 
ragazze 
rom 
di 
possibilità 
realistiche 
di 
integrazione 
e 
di 
piena 
partecipazione 
alla 
società; 
ricorda 
che, 
a 
causa 
della 
mancanza 
di 
documenti 
di 
identità, molte 
ragazze 
hanno difficoltà 
ad accedere 
all'istruzione, all'assistenza 
sanitaria 
e 
ad altri 
servizi 
correlati, e 
ricorda 
inoltre 
che 
l'aumento 
del 
razzismo 
e 
dell'antiziganismo 
incide 
sulla 
sicurezza 
delle 
ragazze 
rom, 
rendendole 
sempre 
più vulnerabili 
all'esclusione 
sociale, allo sfruttamento, alla 
tratta 
e 
alla 
violenza (1); 
29. 
ritiene 
che 
la 
strategia 
dell'UE 
debba 
proporre 
un 
approccio 
inclusivo 
per 
proteggere 
i 
minori 
più 
vulnerabili, 
in 
linea 
con 
la 
Carta, 
la 
Convenzione 
delle 
Nazioni 
Unite 
sui 
diritti 
del 
fanciullo e 
i 
commenti 
generali 
del 
Comitato delle 
Nazioni 
Unite 
sui 
diritti 
dell'infanzia, 
nonché 
gli 
obiettivi 
di 
sviluppo 
sostenibile 
e 
i 
relativi 
traguardi 
riguardanti 
i 
minori, 
senza 
lasciare 
indietro nessuno; 
ribadisce 
l'importanza 
di 
creare 
un ambiente 
sicuro per i 
minori 
vulnerabili 
e 
le 
loro 
famiglie 
attraverso 
investimenti 
sociali 
e 
riconosce 
che 
le 
condizioni 
abitative 
dei 
minori 
e 
delle 
famiglie 
dovrebbero 
essere 
riconosciute 
e 
integrate 
nella 
definizione 
di 
vulnerabilità; 
sottolinea 
l'importanza 
di 
sviluppare 
e 
rafforzare 
sistemi 
integrati 
nazionali 
e 
transnazionali 
di 
protezione 
dell'infanzia 
corredati 
di 
risorse 
e 
di 
meccanismi 
di attuazione e monitoraggio; 
30. 
sottolinea 
che 
è 
importante 
che 
l'UE 
affronti 
nelle 
sue 
politiche 
interne 
ed esterne 
le 
barriere 
fisiche 
(infrastrutture 
carenti 
e 
geografia), tecnologiche 
(dispositivi 
a 
bassa 
funzionalità), 
culturali 
(norme 
sociali 
e 
di 
genere, 
pratiche 
culturali 
e 
disabilità 
o 
status 
di 
minoranza) e socioeconomiche che si frappongono alle tecnologie digitali; 
31. 
sottolinea 
l'importanza 
per 
l'UE 
di 
investire 
nell'alfabetizzazione 
digitale 
al 
fine 
di 
garantire 
il 
libero accesso all'alfabetizzazione 
e 
all'istruzione 
digitali 
per tutti 
i 
minori, in 
particolare 
quelli 
provenienti 
da 
comunità 
poco 
servite 
o 
emarginate, 
concentrandosi 
sulla 
costruzione 
della 
loro resilienza 
e 
offrendo sostegno psicosociale; 
osserva 
che 
questi 
investimenti 
potrebbero essere 
effettuati 
come 
parte 
della 
nuova 
agenda 
delle 
competenze 
(1) https://rm.coe.int/l6800c0a86 



RASSEGNA 
AvvoCATURA 
DELLo 
STATo -N. 1/2021 


per 
l'Europa 
dello 
spazio 
europeo 
dell'istruzione 
e 
potrebbero 
beneficiare 
dei 
fondi 
di 
sviluppo 
e 
umanitari 
dell'UE; 
sottolinea 
che 
gli 
investimenti 
per garantire 
che 
i 
sistemi 
educativi 
possano fornire 
istruzione, alfabetizzazione 
e 
competenze 
digitali 
a 
tutti 
i 
minori 
sono 
fondamentali 
per 
promuovere 
la 
loro 
comprensione 
delle 
tecnologie 
digitali, 
superare 
le 
disuguaglianze, 
migliorare 
l'inclusione 
digitale, 
responsabilizzare 
e 
proteggere 
i 
minori 
e 
tutelare 
i 
loro diritti 
online 
e 
offline; 
ricorda 
che 
lo sviluppo dell'istruzione, dell'alfabetizzazione 
e 
delle 
competenze 
digitali 
dovrebbe 
fornire 
ai 
minori 
gli 
strumenti 
per combattere 
i 
pericoli 
dello 
spazio 
digitale 
e 
per 
gestire 
le 
loro 
responsabilità 
quando 
interagiscono al suo interno; 


32. 
invita 
la 
Commissione 
a 
includere 
le 
opinioni 
dei 
minori 
stabilendo 
meccanismi 
formali 
di 
dialogo 
e 
consultazione 
e 
garantendo 
la 
loro 
piena 
e 
significativa 
partecipazione 
al 
processo 
decisionale, 
prestando 
particolare 
attenzione 
alle 
opinioni 
dei 
più 
vulnerabili, 
come 
le 
ragazze, 
i 
minori 
che 
vivono 
in 
povertà, 
i 
minori 
sfollati 
e 
migranti 
e 
quelli 
con 
disabilità; 
33. 
invita 
la 
Commissione 
e 
gli 
Stati 
membri 
a 
porre 
in essere 
meccanismi 
specifici 
per valutare 
l'impatto 
della 
CovID-l9 
su 
tutti 
i 
minori, 
al 
fine 
di 
raccogliere 
dati 
che 
permettano 
di 
migliorare 
la 
concezione 
dei 
piani 
d'azione 
nazionali 
per affrontare 
le 
problematiche 
che 
riguardano i 
minori 
sulla 
base 
delle 
loro opinioni; 
invita 
gli 
Stati 
membri 
ad adottare 
un approccio ai 
diritti 
dei 
minori 
nella 
definizione 
dei 
loro piani 
nazionali 
per la 
ripresa; 
34. 
invita 
il 
Consiglio 
ad 
adottare 
conclusioni 
sulla 
strategia 
dell'UE 
che 
stabiliscano 
un 
nuovo 
quadro vincolante 
per le 
istituzioni 
e 
gli 
Stati 
membri 
dell'Unione, sul 
modello del 
consenso 
europeo in materia 
di 
sviluppo, e 
che 
garantiscano l'attuazione 
di 
sistemi 
nazionali 
e 
transnazionali 
integrati 
di 
protezione 
dei 
minori 
ben 
concepiti, 
completi 
e 
adeguatamente 
finanziati; 
35. 
invita 
la 
Commissione 
e 
gli 
Stati 
membri 
a 
garantire 
che 
i 
diritti 
dei 
minori 
siano 
prioritari 
e 
integrati 
in 
tutte 
le 
politiche, 
azioni 
e 
programmi 
interni 
ed 
esterni 
dell'UE 
che 
riguardano 
direttamente 
o 
indirettamente 
i 
minori, 
e 
ad 
assicurare 
la 
coerenza 
tra 
tutti 
i 
diversi 
strumenti; 
36. 
invita 
la 
Commissione 
a 
mettere 
a 
punto un indicatore 
relativo all'infanzia 
nell'assegnazione 
delle 
sue 
dotazioni 
che 
consenta 
alle 
istituzioni 
e 
ai 
partner dell'Unione 
di 
misurare 
e 
monitorare 
gli 
investimenti 
dell'Unione 
a 
favore 
dei 
minori 
attraverso 
la 
raccolta 
di 
dati 
disaggregati 
e 
specifici, in modo da 
identificare 
gli 
scollamenti 
tra 
politica 
e 
impegni 
finanziari, 
fornendo così una stima dell'entità del sostegno dell'UE ai diritti dei minori; 
37. 
invita 
gli 
Stati 
membri 
a 
elaborare 
un 
piano 
d'azione 
annuale 
per 
attuare 
quanto 
enunciato 
nella 
strategia 
dell'Unione 
europea 
sui 
diritti 
dei 
minori 
e 
integrare 
i 
loro piani 
d'azione 
nazionali nel piano dell'UE per la ripresa e la resilienza; 
38. 
invita 
la 
Commissione 
e 
gli 
Stati 
membri 
a 
garantire 
che 
la 
strategia 
dell'UE 
sui 
diritti 
dei 
minori 
sia 
adeguatamente 
finanziata, assicurando che 
gli 
strumenti 
di 
finanziamento 
interni 
ed 
esterni 
dell'UE, 
così 
come 
i 
bilanci 
nazionali, 
sostengano 
l'attuazione 
delle 
priorità 
stabilite nella strategia; 
39. 
invita 
la 
Commissione 
a 
garantire 
un 
adeguato 
monitoraggio 
dell'attuazione 
della 
strategia 
dell'UE 
da 
parte 
degli 
Stati 
membri; 
ricorda 
la 
necessità 
di 
garantire 
una 
partecipazione 
significativa 
e 
inclusiva 
dei 
minori 
basata 
sui 
diritti 
durante 
l'intero 
processo 
di 
creazione 
e 
attuazione 
della 
strategia 
e 
di 
utilizzare 
parametri 
di 
riferimento e 
indicatori 
per monitorare 
meglio i progressi; 
40. 
incarica 
il 
suo Presidente 
di 
trasmettere 
la 
presente 
risoluzione 
al 
Consiglio e 
alla 
Commissione 
nonché ai governi e ai parlamenti degli Stati membri. 

ContEnziosonazionaLE
La costituzione di parte civile della Presidenza 
del Consiglio dei Ministri nel processo “Eternit-bis” 


annotazione 
a 
Corte 
d’assiste 
di 
novara, ordinanza 
5 luglio 
2021, proC. n. 1/20 r.g. 
C.ass. 


Con l’ordinanza 
in epigrafe 
la 
Corte 
d’Assise 
di 
Novara 
ha 
ammesso la 
costituzione 
come 
parte 
civile 
della 
Presidenza 
del 
Consiglio 
nel 
noto 
processo 
“Eternit-bis”. 


Si 
ritiene 
l’ordinanza 
particolarmente 
significativa, 
in 
quanto 
ben 
motivata 
nel 
rigettare 
le 
eccezioni 
sollevate 
dalla 
difesa 
dell’imputato, 
una 
per 
tutte 
quella 
relativa 
all’asserita 
nullità 
della 
costituzione 
per 
violazione 
dell’art. 
78 


c.p.p. 
per 
mancata 
indicazione 
dei 
dati 
anagrafici 
del 
Presidente 
del 
Consiglio. 
La 
Corte, 
anziché 
rifugiarsi 
-come 
fatto 
da 
altri 
Uffici 
Giudiziari 
-nella 
facile 
soluzione 
del 
“fatto 
notorio”, 
ha, 
si 
reputa, 
correttamente 
motivato 
la 
propria 
decisione, 
rilevando, 
fra 
l’altro, 
come 
“per 
gli 
enti 
pubblici 
il 
rapporto 
organico 
tra 
l’ufficio 
e 
la 
persona 
fisica 
ad 
esso 
preposta 
non 
integra 
l’istituto 
della 
rappresentanza 
in 
senso 
civilistico, 
per 
cui 
il 
rapporto 
di 
immedesimazione 
organica 
è 
chiaramente 
desumibile 
dall’indicazione 
generica 
e 
non 
nominativa”. 


Quanto 
all’eccezione 
sollevata 
in 
ordine 
alla 
mancata 
indicazione 
dei 
fatti 
costitutivi 
la 
pretesa 
risarcitoria, con conseguente 
difetto di 
legittimazione 
e 
interesse, 
la 
stessa 
Corte 
ha 
precisato 
che 
“la 
legittimazione 
dello 
stato 
va 
senz’altro 
ravvisata allorché 
risulti 
frust(r)ata la funzione 
di 
tutela della collettività, 
degli 
interessi 
all’equilibrio 
ecologico, 
biologico 
e 
sociologico 
del 
territorio che 
ad essi 
fanno capo, ed altresì 
quando i 
danni 
non patrimoniali 
lamentati 
sono 
rappresentati 
da 
turbamenti 
morali, 
angoscia 
e 
sofferenza 
della 
collettività”. 


Gabriele Finelli* 


(*) Procuratore dello Stato, Avvocatura distrettuale dello Stato di 
Torino. 



RASSEGNA 
AvvoCATURA 
DELLo 
STATo -N. 1/2021 


Corte 
diassise 
di 
novara, 
ordinanza 
5 
luglio 
2021, 
proc. 
n. 
1/20 
R.G.C.ass. 
-pres. 
Gianfranco 
Pezone. 


(...) 


sulla richiesta di esclusione della PREsiDEnza DEL ConsiGLio DEi MinistRi. 


Preliminarmente 
la 
difesa 
ha 
eccepito l'omessa 
indicazione 
ex art. 78 co. 1 lett. a) c.p.p. nel-
l'atto di 
costituzione 
delle 
generalità 
del 
legale 
rappresentante, non essendo sufficiente 
l'indicazione 
espressa 
"in persona 
del 
Presidente 
pro tempore", posto che 
tale 
elemento, richiesto 
a 
pena 
di 
inammissibilità, 
non 
prevede 
alcuna 
distinzione 
tra 
enti 
pubblici 
e 
privati 
che 
devono 
essere egualmente rappresentati. 
Né 
potrebbe 
obiettarsi 
che 
il 
Presidente 
del 
C.d.M. è 
soggetto di 
pubblica 
fama, dal 
momento 
che 
le 
generalità 
non possono essere 
limitate 
al 
nome 
e 
cognome 
della 
persona 
interessata, 
fermo 
restando 
che, 
essendo 
straniero 
l'imputato, 
potrebbe 
non 
conoscere 
il 
Presidente 
del 
Consiglio della Repubblica Italiana. 
Inoltre, 
in 
violazione 
dell'art. 
78 
co. 
1 
lett. 
d) 
c.p.p. 
manca 
nell'atto 
di 
costituzione 
l'esposizione 
delle ragioni che giustificano la domanda. 
L'Avvocatura 
dello 
Stato 
ha 
replicato 
rilevando 
che 
nell'atto 
di 
costituzione 
risulta 
inserita 
l'autorizazzione 
del 
Sottosegretario 
delegato 
con 
richiamo 
al 
DPCM 
pubblicato 
nella 
Gazzetta 
Ufficiale 
degli 
atti 
di 
delega, mentre 
l'estrema 
gravità 
dei 
reati 
contestati 
giustificano la 
costituzione 
di parte civile dello Stato Italiano. 
In ordine 
all'eccepito vizio formale 
della 
omessa 
indicazione 
nell'atto costitutivo delle 
generalità 
complete 
del 
legale 
rappresentate 
della 
Presidenza 
del 
Consiglio dei 
Ministri, indicato 
come 
Presidente 
del 
Consiglio p.t., anzi 
tutto deve 
premettersi 
che, secondo la 
disciplina 
di 
cui 
all'art. 1, co. 4, della 
L. 3 gennaio 1991, n. 3, la 
costituzione 
di 
parte 
civile 
delle 
amministrazioni 
dello Stato nei 
procedimenti 
penali 
è 
subordinata 
alla 
autorizzazione 
del 
Presidente 
del 
Consiglio dei 
Ministri 
(o del 
Sottosegretario di 
Stato delegato) che, previo parere 
della 
competente 
Avvocatura 
dello 
Stato, 
autorizza 
la 
costituzione 
allorché 
sussistano 
interessi 
pubblici, 
patrimoniali 
e 
non 
patrimoniali, 
di 
rilevanza 
tale 
da 
rendere 
opportuno 
che 
l'Avvocatura 
dello Stato affianchi l'azione del Pubblico Ministero. 
Ai 
fini 
dell'azione 
civile 
non può ravvisarsi 
il 
difetto di 
legittimazione 
da 
parte 
del 
Presidente 
del 
Consiglio dei 
Ministri 
(o anche 
solo di 
un Ministro) per mancanza 
della 
indicazione 
nominativa 
della 
persona 
rappresentante 
l'autorità 
che 
agisce 
giudizialmente, in quanto, per gli 
enti 
pubblici 
il 
rapporto organico tra 
l'ufficio e 
la 
persona 
fisica 
ad esso preposta 
non integra 
l'istituto della 
rappresentanza 
in senso civilistico, per cui 
il 
rapporto di 
immedesimazione 
organica 
è chiaramente desumibile dalla indicazione generica e non nominativa. 
Il 
riferimento 
alla 
denominazione 
della 
carica 
in 
cui 
si 
estrinseca 
la 
soggettività 
giuridica 
del-
l'ente, in modo che 
non possa 
sorgere 
alcun equivoco sulla 
sua 
identità, rende 
non necessaria 
l'indicazione 
del 
nominativo 
della 
persona 
fisica 
titolare 
dell'organo 
o 
dell'ufficio 
investito 
della 
rappresentanza 
dell'ente, 
stante 
il 
rapporto 
d'immedesimazione 
dell'organo 
o 
ufficio 
con 
l'ente, la 
cui 
personalità 
giuridica 
permane 
nonostante 
il 
mutamento della 
persona 
fisica 
del 
titolare, il quale, pertanto, può ben essere indicato con la generica dizione "pro tempore". 
Sicché, nel 
caso di 
specie, la 
provenienza 
dell'atto di 
costituzione 
dalla 
Presidenza 
del 
Consiglio 
dei 
Ministri, al 
cui 
"Presidente 
del 
Consiglio pro tempore" 
va 
ascritta 
-senza 
necessità 
di 
indicazione 
nominativa 
-la 
rappresentanza 
organica 
quale 
organo 
esponenziale 
dello 
Stato, 
si 
desume 
agevolmente 
dalla 
stessa 
costituzione 
della 
Avvocatura 
dello Stato (cfr., Cass. civ., 
5 giugno 2006, n. 13207). 



CoNTENzIoSo 
NAzIoNALE 


In ogni 
caso, l'atto di 
rinnovazione 
della 
costituzione 
di 
parte 
civile 
depositata 
all'udienza 
dibattimentale 
contiene 
-analogamente 
a 
quello 
depositato 
in 
precedenza 
davanti 
al 
GUP 
l'espresso 
riferimento all'autorizzazione 
sottoscritta 
in data 
8 aprile 
2020 dal 
competente 
Sottosegretario 
di 
Stato on. Riccardo Fraccaro in forza 
di 
delega 
conferitagli 
con DPCM 
19 settembre 
2019, pubblicato in G.U. n. 244 del 
17 ottobre 
2019, dal 
Presidente 
del 
Consiglio dei 
Ministri Conte. 
Pertanto si 
deve 
ritenere 
che 
siano state 
indicate 
le 
generalità 
del 
Presidente 
del 
Consiglio, 
anche 
con riferimento agli 
atti 
allegati 
e/o conoscibili 
per come 
menzionati 
e 
richiamati 
nel-
l'atto di 
costituzione, tale 
da 
consentire 
in modo adeguato e 
concreto di 
individuare 
le 
generalità 
(ovvero la persona fisica) del legale rappresentante dell'ente costituito. 
Rimane 
poi 
irrilevante 
l'omessa 
indicazione, della 
data 
e 
del 
luogo di 
nascita, trattandosi 
di 
carica 
istituzionale 
di 
assoluta 
notorietà 
anche 
internazionale, rispetto alla 
quale 
perde 
ogni 
concreto significato individualizzante l'indicazione dei restanti dati anagrafici. 
Risulta 
altresì 
adeguatamente 
allegata 
nell'atto di 
costituzione 
dell'Avvocatura 
dello Stato la 
causa petendi, ovvero la 
ragione 
della 
domanda 
spiegata 
in giudizio, individuata 
nella 
sofferenza 
causata 
alla 
popolazione 
per i 
fatti 
di 
omicidio contestati, commessi 
con condotte 
che, 
in un ampio arco temporale, hanno causato dapprima 
la 
malattia 
e 
poi 
la 
morte 
di 
un numero 
assai elevato di persone. 
-. 
La 
legittimazione 
dello 
Stato 
va 
senz'altro 
ravvisata 
allorché 
risulti 
frustata 
la 
funzione 
di 
tutela 
della 
collettività, 
degli 
interessi 
all'equilibrio 
ecologico, 
biologico 
e 
sociologico 
del 
territorio 
che 
ad essi 
fanno capo, ed altresì 
quando i 
danni 
non patrimoniali 
lamentati 
sono rappresentati 
da turbamenti morali, angoscia e sofferenza della collettività. 
Dunque deve essere rigettata la richiesta dì esclusione di parte civile formulata dalla difesa. 
(...) 



RASSEGNA 
AvvoCATURA 
DELLo 
STATo -N. 1/2021 


immobili confiscati alla criminalità organizzata: irrilevanza 
del giudizio pendente innanzi alla Corte di strasburgo 


annotazione 
a 
Consiglio 
di 
stato, sezione 
terza, sentenza 
7 giugno 
2021 n. 4297 


La 
favorevole 
sentenza 
del 
Consiglio 
di 
Stato 
del 
7 
giugno 
2021, 
n. 
4297, 
con 
ampia 
motivazione 
che 
ricostruisce 
la 
giurisprudenza 
in 
materia, 
ha 
respinto 
l’appello 
avversario 
ritenendo 
irrilevante 
l’omessa 
notifica 
dell’ordinanza 
di 
sgombero 
dell’Agenzia 
Nazionale 
per 
l’amministrazione 
e 
la 
destinazione 
dei 
beni 
sequestrati 
e 
confiscati 
alla 
criminalità 
organizzata 
alla 
effettiva 
proprietaria 
dell’immobile, costituendo l’intestazione 
nominale 
alla 
stessa 
una 
mera 
interposizione 
fittizia, 
come 
accertato 
in 
via 
definitiva 
dal 
provvedimento di 
confisca, a 
seguito del 
quale 
il 
cespite 
è 
stato acquisito alla 
proprietà dello Stato. 


Il 
Consiglio di 
Stato ha 
ritenuto inoltre 
non ostativa 
all’esecuzione 
del-
l’ordinanza 
di 
sgombero 
dell’immobile 
la 
pendenza 
del 
ricorso 
alla 
Cedu 
a 
seguito dell’esaurimento dei 
rimedi 
interni 
atteso che 
“il 
giudice 
delle 
leggi 
ha 
statuito 
che 
pur 
in 
presenza 
di 
una 
favorevole 
sentenza 
della 
Cedu 
nelle 
materie 
diverse 
da 
quella 
penale, 
dalla 
giurisprudenza 
convenzionale 
non 
emerge, 
allo 
stato, 
l’esistenza 
di 
un 
cogente 
obbligo 
generale 
di 
adottare 
la 
misura 
ripristinatoria 
della 
riapertura 
del 
processo, e 
che 
la 
decisione 
di 
prevederla 
è 
rimessa 
agli 
Stati 
contraenti, 
i 
quali 
peraltro 
sono 
incoraggiati 
a 
provvedere 
in 
tal 
senso, 
pur 
con 
la 
dovuta 
attenzione 
per 
i 
vari 
e 
confliggenti 
interessi 
in gioco. In siffatte 
evenienze, nel 
nostro ordinamento la 
riapertura 
del 
processo 
non 
penale, 
con 
il 
conseguente 
travolgimento 
del 
giudicato, 
esige, 
dunque, una 
delicata 
ponderazione, alla 
luce 
dell'art. 24 Cost., fra 
il 
diritto di 
azione 
degli 
interessati 
e 
il 
diritto 
di 
difesa 
dei 
terzi, 
e 
tale 
ponderazione 
spetta 
in via 
prioritaria 
al 
legislatore 
(cfr. Corte 
Cost. n. 123 del 
26 maggio 2017 e 
n. 93 del 21 marzo 2018)”. 


Wally Ferrante* 


Consiglio di 
stato, sezione 
terza, sentenza 7 giugno 2021 n. 4297 
-pres. G. veltri, est. U. 
Maiello -omissis 
(avv. D. Andreoli) c. Min. Interno (n.c.), Agenzia 
Nazionale 
per l’amministrazione 
e 
la 
destinazione 
dei 
beni 
sequestrati 
e 
confiscati 
alla 
criminalità 
organizzata 
(Avv. 
gen. Stato). 


FATTo e DIRITTo 


1. 
All’esito 
di 
un 
giudizio 
di 
prevenzione 
promosso 
ai 
sensi 
del 
d.lgs. 
n. 
159/2011, 
il 
Tribunale 
di 
Cagliari, con decreto del 
-oMISSIS-, ha 
disposto la 
confisca 
di 
alcuni 
beni 
immobili 
tra 
cui 
il 
fabbricato 
sito 
in 
-oMISSIS-, 
adibito 
a 
domicilio 
della 
famiglia 
degli 
appellanti 
e 
già 
intestato 
a -oMISSIS-, al tempo dell’acquisto ancora minorenne. 
(*) Avvocato dello Stato. 



CoNTENzIoSo 
NAzIoNALE 


1.1. Avverso il 
predetto provvedimento di 
confisca, i 
signori 
-oMISSIS-, in proprio e 
nella 
loro 
qualità 
di 
genitori 
esercenti 
la 
potestà 
sulle 
figlie 
minori, hanno esperito i 
rimedi 
impugnatori 
previsti 
dall’ordinamento 
(ricorso 
alla 
Corte 
d’Appello 
e 
ricorso 
per 
Cassazione) 
che, 
tuttavia, 
sono 
stati 
respinti. 
In 
data 
-oMISSIS-, 
la 
signora 
-oMISSIS-ha, 
altresì, 
proposto 
ricorso 
alla 
Corte di Strasburgo ed il relativo giudizio è tuttora pendente. 
1.2. 
Muovendo 
dagli 
esiti 
del 
procedimento 
di 
prevenzione, 
con 
ordinanza 
del 
-oMISSIS-, 
l’Agenzia 
nazionale 
per l’amministrazione 
dei 
beni 
confiscati 
alla 
criminalità 
organizzata 
ha, 
dunque, disposto, ai 
sensi 
dell’art. 47 del 
d.lgs. n. 159/2011, lo sgombero dell’immobile 
sito 
in -oMISSIS-. 
2. Il 
suddetto provvedimento veniva 
gravato dinanzi 
al 
TAR per il 
Lazio che, con la 
sentenza 
n. -oMISSIS-, resa 
in forma 
semplificata 
ex art. 60 c.p.a., e 
qui 
appellata, respingeva 
il 
ricorso. 
3. Avverso il 
suindicato decisum 
gli 
appellanti 
hanno articolato i 
seguenti 
motivi 
di 
censura: 
I) 
violazione 
e 
falsa 
applicazione 
dell’art. 
60 
c.p.a. 
violazione 
del 
diritto 
di 
difesa 
(art. 
24 
Cost.). Erroneità, contraddittorietà 
ed illogicità 
della 
sentenza 
nella 
parte 
in cui 
omette 
di 
rilevare 
la 
mancata 
e, comunque, erronea 
ottemperanza 
da 
parte 
dell’Agenzia 
dell’ordinanza 
del 
TAR in merito al 
“se 
e 
come 
l’agenzia abbia valutato l’istanza del 
-oMissis-, presentata 
da parte 
del 
ricorrente 
alla agenzia ai 
sensi 
dell’art. 45 bis 
del 
d.l.vo 159/2011 (doc. 16 di 
parte 
ricorrente)”; 
II) violazione 
e 
falsa 
applicazione 
dell’art. 60 c.p.a. violazione 
del 
diritto 
di 
difesa 
(art. 24 Cost.). Erroneità, contraddittorietà 
ed illogicità 
manifesta 
della 
sentenza 
del 
TAR nella 
parte 
in cui 
asserisce 
il 
contrario della 
precedente 
ordinanza 
(n. -oMISSIS-) resa 
nel 
giudizio di 
cui 
è 
causa, per cui 
il 
mancato riscontro da 
parte 
dell’Agenzia 
alla 
istanza 
di 
differimento 
dello sgombero non avrebbe 
alcuna 
valenza; 
III) violazione 
e 
falsa 
applicazione 
dell’art. 60 c.p.a. violazione 
del 
diritto di 
difesa 
(art. 24 Cost.). Erroneità, contraddittorietà 
e 
illogicità 
manifesta 
della 
sentenza 
del 
TAR 
nella 
parte 
in 
cui 
ritiene 
insussistente, 
nella 
specie, 
il 
dedotto 
difetto 
di 
notificazione 
dell’ordinanza 
di 
sgombero 
alla 
proprietaria 
-oMISSIS-unica 
ed effettiva 
proprietaria 
del 
bene 
oggetto di 
sgombero; 
Iv) violazione 
e 
falsa 
applicazione 
dell’art. 60 c.p.a. violazione 
del 
diritto di 
difesa 
(art. 24 Cost.). Erroneità, contraddittorietà 
e 
illogicità 
manifesta 
della 
sentenza 
del 
TAR 
nella 
parte 
in 
cui 
ritiene 
insussistente, 
nella 
specie, 
il 
dedotto difetto di 
istruttoria 
e 
di 
motivazione, nonché 
la 
palese 
carenza 
dei 
presupposti, di 
fatto e 
di 
diritto, per la 
legittima 
adozione 
del 
provvedimento di 
sgombero; 
v) violazione 
e 
falsa 
applicazione 
dell’art. 60 c.p.a. violazione 
del 
diritto di 
difesa 
(art. 24 Cost.). Erroneità, 
contraddittorietà 
e 
illogicità 
manifesta 
della 
sentenza 
del 
TAR 
nella 
parte 
in 
cui 
omette 
di 
considerare 
le 
ragioni 
di 
convenienza 
per 
l’interesse 
pubblico 
derivanti 
dalla 
sospensione 
e/o 
differimento 
del 
provvedimento 
di 
sgombero; 
vI) 
violazione 
e 
falsa 
applicazione 
dell’art. 
60 
c.p.a. violazione 
del 
diritto di 
difesa 
(art. 24 Cost.). Erroneità, contraddittorietà 
e 
illogicità 
manifesta 
della 
sentenza 
del 
TAR nella 
parte 
in cui 
ritiene 
che 
la 
mancata 
adozione 
del 
provvedimento 
di 
destinazione 
del 
bene 
non 
violi 
le 
prescrizioni 
di 
cui 
all’art. 
47 
e 
art. 
48 
del 
d.lgs. n. 159/2011. 
3.1. Si 
è 
costituita 
in giudizio l’Agenzia 
nazionale 
per l’amministrazione 
dei 
beni 
confiscati 
alla criminalità organizzata, che ha concluso per il rigetto del ricorso siccome infondato. 
3.2. 
Con 
l’ordinanza 
cautelare 
n. 
-oMISSIS-questa 
Sezione, 
all’esito 
dell’udienza 
del 
13 
giugno 
2019, ha respinto l’istanza di sospensione della sentenza di primo grado. 
3.3. All’udienza 
del 
27 maggio 2021, svolta 
in modalità 
da 
remoto, la 
causa 
è 
stata 
trattenuta 
in decisione. 
4. L’appello è infondato e, pertanto, va respinto. 
5. Gli 
appellanti 
lamentano l’erroneità 
della 
sentenza 
gravata 
indugiando sul 
fatto che 
il 
TAR 

RASSEGNA 
AvvoCATURA 
DELLo 
STATo -N. 1/2021 


avrebbe 
omesso 
di 
rimarcare 
l’elusione, 
da 
parte 
dell’Agenzia 
intimata, 
dell’ordine 
istruttorio 
impartito 
dallo 
stesso 
TAR 
ed 
avente 
ad 
oggetto 
l’istanza 
di 
differimento 
del 
21 
dicembre 
2017 presentata 
dalla 
signora 
-oMISSIS-ai 
sensi 
dell’art. 45-bis 
del 
d.lgs. n. 159/2011. Non 
corrisponderebbe 
al 
vero quanto affermato dall’Amministrazione 
nella 
parte 
in cui 
ha 
affermato 
che 
“agli 
atti 
dell’agenzia non risulta alcuna istanza del 
19/ 
-oMissis-presentata dalla 
sig.ra 
-oMissis-” 
poiché 
tale 
domanda 
sarebbe 
stata 
consegnata 
a 
mano 
dalla 
ricorrente 
al 
coadiutore 
-oMISSIS-e, 
per 
il 
tramite 
di 
quest’ultimo, 
all’Agenzia. 
Ciò 
sarebbe 
facilmente 
riscontrabile 
sia 
dalla 
corrispondenza 
versata 
in 
atti, 
sia 
dalla 
mail 
del 
dott. 
-oMISSIS-in 
cui 
quest’ultimo 
afferma 
che 
“per 
quanto 
concerne 
la 
richiesta 
di 
utilizzo 
dell’immobile 
da 
parte 
della signora -oMissis-è 
stata inviata alla dr.ssa -oMissis-, funzionario competente 
in precedenza, 
in 
data 
-oMissis-”. 
Secondo 
gli 
appellanti, 
lo 
sgombero 
disposto 
con 
il 
provvedimento 
impugnato non rappresenterebbe 
l’unica 
misura 
praticabile 
poiché 
l’Agenzia 
avrebbe 
potuto 
differirlo 
fino 
alla 
disposizione 
di 
una 
nuova 
soluzione 
abitativa 
e, 
comunque, 
fino 
alla 
pronuncia 
della 
Corte 
EDU 
sulla 
causa 
-oMISSIS-c. 
Italia. 
Risulterebbe, 
dunque, 
violato 
l’obbligo 
di 
provvedere 
di 
cui 
all’art. 
2 
della 
legge 
n. 
241/1990 
con 
conseguente 
lesione 
del 
diritto 
inviolabile 
all’abitazione 
della 
famiglia 
appellante 
(art. 47 Cost.). Anche 
a 
voler ritenere 
che 
il 
riscontro all’istanza 
suddetta 
sia 
stato fornito dall’Agenzia 
“per 
fatti 
concludenti” 
resterebbero, 
comunque, disattesi 
l’obbligo di 
motivazione 
di 
cui 
all’art. 3 della 
legge 
n. 241/1990, 
nonché 
i 
principi 
di 
trasparenza, imparzialità 
e 
buon andamento (art. 97 Cost.). Per le 
ragioni 
suddette, non sussistevano i 
presupposti 
per l’adozione 
di 
una 
sentenza 
in forma 
semplificata 
ex art. 60 c.p.a. e ciò ha compromesso il diritto di difesa di cui all’art. 24 Cost. 


5.1. 
Soggiungono 
gli 
appellanti 
che 
la 
sentenza 
gravata 
sarebbe, 
altresì, 
contraddittoria 
rispetto 
alla 
menzionata 
ordinanza 
cautelare 
con 
cui 
lo 
stesso 
giudice 
di 
prime 
cure 
ordinava 
all’Agenzia 
documentati 
chiarimenti 
al 
fine 
di 
“chiarire, in particolare, se 
e 
come 
l’agenzia abbia valutato 
l’istanza del 
-oMissis-, presentata da parte 
ricorrente 
alla agenzia ai 
sensi 
dell’art. 45 
bis 
del 
d.l.vo 159/2011”. Non sarebbe, pertanto, corretta 
la 
statuizione 
del 
TAR secondo cui 
“la pretesa dei 
ricorrenti 
di 
ottenere 
un differimento dello sgombero non aveva quindi 
fondamento 
normativo, e 
correlativamente 
l’agenzia non era onerata di 
evadere 
la richiesta con 
un 
provvedimento 
esplicito”, 
poiché, 
ai 
sensi 
dell’art. 
45-bis 
del 
d.lgs. 
n. 
159/2011, 
l’Agenzia 
può concedere 
il 
differimento dello sgombero anche 
qualora 
lo ritenga 
opportuno in vista 
dei 
provvedimenti 
da 
adottare 
e, dunque, a 
prescindere 
dal 
tipo di 
soggetto occupante 
il 
bene 
immobile. 
Ciò anche 
in considerazione 
del 
fatto che 
il 
provvedimento di 
destinazione 
del 
bene 
deve 
essere 
ancora 
adottato e 
si 
tratta 
dell’unica 
dimora 
a 
disposizione 
della 
famiglia 
-oMIS-
SIS-; in definitiva, l’Agenzia ben avrebbe potuto differire il provvedimento di sgombero. 
5.2. Le 
osservazioni 
censoree, sopra 
richiamate 
in via 
di 
sintesi, possono essere 
qui 
trattate 
congiuntamente in quanto riferite al medesimo tema di discussione. 
Com’è 
noto, 
ai 
sensi 
dell’art. 
45-bis 
del 
d.lgs. 
159/2011, 
“l’agenzia, 
ricevuta 
comunicazione 
del 
provvedimento 
definitivo 
di 
confisca, 
qualora 
l’immobile 
risulti 
ancora 
occupato, 
con 
provvedimento revocabile 
in ogni 
momento, può differire 
l’esecuzione 
dello sgombero o del-
l’allontanamento nel 
caso previsto dall’articolo 40, comma 3-ter, ovvero qualora lo ritenga 
opportuno in vista di 
provvedimenti 
di 
destinazione 
da adottare”. Correttamente 
il 
Giudice 
di 
prime 
cure 
ha 
rilevato 
che 
la 
pretesa 
dei 
ricorrenti 
di 
ottenere 
il 
differimento 
dello 
sgombero 
non 
aveva 
alcun 
fondamento 
normativo 
poiché 
il 
differimento 
può 
essere 
disposto 
dall’Agenzia 
solo 
nei 
confronti 
di 
categorie 
di 
soggetti 
ben 
definite 
(cfr. 
combinato 
disposto 
di 
cui 
all’art. 
40 
comma 
3 
ter 
e 
48 
comma 
3 
lettera 
c) 
a 
favore 
dei 
quali 
l’amministratore 
giudiziario 
abbia 
in 
precedenza 
concesso 
il 
godimento 
del 
bene 
con 
contratto 
di 
comodato 
oppure 
qualora 

CoNTENzIoSo 
NAzIoNALE 


si 
ravvisi 
una 
ragione 
di 
opportunità 
in 
vista 
di 
provvedimenti 
di 
destinazione 
da 
adottare. 
Diversamente, come 
si 
ricava 
dall’art. 40, commi 
3-bis 
e 
ss., del 
d.lgs. n. 159/2011, i 
beni, al 
momento in cui 
la 
confisca 
diviene 
definitiva, devono essere 
sgomberati, come 
peraltro fatto 
palese 
dal 
principio generale 
di 
cui 
all’articolo 45 comma 
1, primo periodo, secondo cui 
“a 
seguito 
della 
confisca 
definitiva 
di 
prevenzione 
i 
beni 
sono 
acquisiti 
al 
patrimonio 
dello 
stato 
liberi 
da oneri 
e 
pesi”. La 
possibilità 
di 
differimento dello sgombero, prevista 
dall'art. 45-bis 
del 
d.lgs. 159/2011 deve, dunque, intendersi 
volta 
al 
perseguimento delle 
finalità 
pubblicistiche 
di 
destinazione 
del 
bene 
e 
dunque 
non 
radica 
alcun 
obbligo 
(onere) 
di 
comparazione 
degli 
interessi 
atteso che, diversamente 
opinando, si 
vanificherebbe 
la 
ratio delle 
previsioni 
sulla 
destinazione 
finale 
dei 
beni 
di 
cui 
all'art. 48. va 
rilevato, in definitiva, che, alla 
stregua 
della 
richiamata 
disciplina 
di 
settore, l’immediato sgombero dell’immobile 
oggetto di 
confisca 
definitiva 
costituisce 
la 
regola. 
Tale 
principio 
patisce 
eccezione 
solo 
a 
favore 
di 
determinati 
soggetti 
ovvero per ragioni 
di 
convenienza 
per l’interesse 
pubblico che 
chiaramente 
non devono 
coincidere 
con le 
esigenze 
degli 
occupanti 
dell’immobile 
e 
che, come 
si 
dirà, non derivano 
neppure dalla pendenza della causa -oMISSIS- c. Italia dinanzi alla Corte di Strasburgo. 
La 
mancanza 
di 
un provvedimento esplicito in risposta 
all’istanza 
presentata 
dalla 
signora 
oMISSIS-, 
quindi, 
non 
determina 
alcuna 
illegittimità 
poiché, 
non 
risultando 
ragioni 
di 
pubblico 
interesse 
e 
non rientrando gli 
appellanti 
tra 
i 
soggetti 
di 
cui 
all’art. 40, comma 
3-ter, del 
d.lgs. 


n. 159/2011, l’Agenzia 
non aveva 
l’onere 
di 
valutare 
l’opportunità 
di 
lasciare 
il 
ricorrente 
nel 
godimento 
dell’immobile 
né 
di 
fornire 
una 
risposta 
esplicita 
ad 
un’istanza 
priva 
di 
fondamento 
normativo. 
Né 
può 
essere 
obliato 
che, 
in 
data 
18 
dicembre 
2017, 
gli 
Amministratori 
giudiziari 
del 
procedimento si 
sono recati 
presso l’immobile 
in questione 
per comunicare 
alla 
signora 
oMISSIS- 
la definitività della confisca e la conseguente necessità di rilasciare l’abitazione. 
E 
tale 
approdo è 
coerente 
con i 
principi 
predicabili 
in subiecta materia 
(cfr. Cons. St., sez. 
III, 10 aprile 2019, n. 2364; 27 novembre 2018, n. 6706), secondo cui: 
-l'adozione 
dell'ordinanza 
di 
sgombero costituisce 
per l'Agenzia 
Nazionale 
per l'amministrazione 
e 
destinazione 
dei 
beni 
sequestrati 
e 
confiscati 
alla 
criminalità 
organizzata, atto dovuto, 
ai 
sensi 
dell'art. 47, comma 
2, d.lgs. 6 settembre 
2011, n. 159, dovendo l'Agenzia 
comunque 
assicurare 
al 
patrimonio indisponibile 
dello Stato i 
beni 
stessi 
per la 
successiva 
destinazione 
a 
finalità 
istituzionali 
e 
sociali, 
sottraendoli 
ai 
soggetti 
nei 
confronti 
dei 
quali 
è 
stata 
applicata, 
in via 
definitiva, la 
misura 
patrimoniale 
e 
che 
pertanto il 
provvedimento non necessita 
di 
ulteriore 
motivazione; 
-l'Agenzia 
ha 
il 
potere-dovere 
di 
ordinare 
di 
lasciare 
libero il 
bene, avendo quest’ultimo acquisito, 
per effetto della 
confisca, un'impronta 
rigidamente 
pubblicistica, che 
non consentirebbe 
di 
distoglierlo, 
anche 
solo 
temporaneamente, 
dal 
vincolo 
di 
destinazione 
e 
dalle 
finalità 
pubbliche, che 
determinano l'assimilabilità 
del 
regime 
giuridico del 
bene 
confiscato a 
quello 
dei beni facenti parte del patrimonio indisponibile; 
-il 
dovere 
dell'Agenzia 
Nazionale 
per l'amministrazione 
e 
destinazione 
dei 
beni 
sequestrati 
e 
confiscati 
alla 
criminalità 
organizzata 
di 
ordinare 
di 
lasciare 
libero il 
bene 
confiscato non è 
condizionato dalla previa adozione del provvedimento di destinazione dello stesso; 
-non 
occorre 
inviare 
l'avviso 
di 
avvio 
del 
procedimento 
previsto 
dall'art. 
7 
della 
legge 
n. 
241/1990. 
Pertanto, non vi 
è 
necessità 
di 
comparare 
l'interesse 
pubblico alla 
acquisizione 
della 
disponibilità 
materiale 
del 
bene 
con quello privato alla 
conservazione 
di 
un immobile, non essendo 
in capo agli 
occupanti 
configurabile 
una 
posizione 
giuridica 
meritevole 
di 
tutela, con riferimento 
non solo all'an 
ma 
anche 
al 
quando 
della 
consegna 
(cfr. Cons. Stato, III, n. 6706/2018, 

RASSEGNA 
AvvoCATURA 
DELLo 
STATo -N. 1/2021 


n. 6193/2018 e 
n. 5669/2018 -con riferimento, rispettivamente, alla 
posizione 
dell'erede 
del 
soggetto 
prevenuto, 
del 
locatario 
e 
del 
sublocatario), 
neanche 
avuto 
riguardo 
ad 
esigenze, 
pur 
comprensibili 
dal 
punto di 
vista 
umano, come 
quelle 
che 
fanno riferimento alle 
esigenze 
familiari. 
6. 
Sotto 
distinto 
profilo, 
gli 
appellanti 
lamentano 
l’erroneità 
della 
sentenza 
gravata 
nella 
parte 
in cui 
ritiene 
insussistente 
il 
dedotto difetto di 
notificazione 
dell’ordinanza 
di 
sgombero a 
oMISSIS-, 
unica 
ed 
effettiva 
proprietaria 
del 
bene 
oggetto 
di 
sgombero 
in 
forza 
dell’atto 
di 
compravendita del 19 giugno 2003. 
6.1. 
Sul 
punto, 
si 
rivela 
dirimente 
la 
circostanza 
che 
l’avversato 
titolo 
ingiuntivo 
trae 
alimento 
delle 
risultanze 
consacrate 
nel 
decreto di 
confisca, oramai 
definitivo, e 
del 
quale 
costituisce 
mero sviluppo esecutivo. orbene, nel 
costrutto recepito nel 
divisato provvedimento giurisdizionale, 
il 
cespite 
in argomento risultava 
riconducibile 
al 
-oMISSIS-siccome 
ricadente 
nella 
sua 
effettiva 
disponibilità, costituendo la 
sua 
intestazione 
nominale 
alla 
-oMISSIS-una 
mera 
forma di interposizione fittizia. 
Conseguentemente, non si 
rileva 
alcuna 
lesione 
del 
diritto all’abitazione 
e 
del 
diritto alla 
proprietà 
di 
-oMISSIS-, 
poiché 
quest’ultima 
non 
era 
in 
possesso 
di 
un 
valido 
titolo 
di 
disponibilità 
del 
bene 
immobile 
che, per effetto della 
confisca 
definitiva, è 
stato acquisito alla 
proprietà 
dello Stato (Cfr. Cons. St., Sez. III, 10 dicembre 
2020, n. 7867) e, come 
previsto all’articolo 
45 comma 1, primo periodo, libero da oneri e pesi. 
6.2. 
Deve, 
pertanto, 
ritenersi 
del 
tutto 
coerente 
con 
le 
suddette 
premesse 
l’opzione 
esercitata 
dalla 
qui 
intimata 
Agenzia 
di 
orientare 
l’esercizio 
della 
pretesa 
di 
rilascio 
nei 
confronti 
del 
-oMISSIS-, 
siccome 
già 
effettivo 
dominus 
dell’immobile 
e, 
comunque, 
colui 
che 
ne 
poteva 
concretamente 
disporre. Tanto vieppiù è 
a 
dirsi 
alla 
data 
di 
adozione 
dell’atto di 
sgombero, 
considerata 
l’oramai 
maturata 
ablazione 
del 
diritto proprietario di 
cui 
la 
sig.ra 
-oMISSIS-era 
(formalmente) 
titolare, 
risultando 
reciso 
qualsivoglia 
legame, 
anche 
formale, 
con 
il 
precedente 
assetto proprietario ed in considerazione 
della 
riconducibilità 
del 
possesso del 
cespite 
ai 
genitori 
della sig.ra -oMISSIS-, all’epoca ancora minorenne. 
7. Parimenti 
non hanno pregio le 
doglianze 
con cui 
gli 
appellanti 
lamentano l’erroneità 
della 
sentenza 
gravata 
nella 
parte 
in cui 
ritiene 
insussistenti 
il 
difetto di 
istruttoria 
e 
di 
motivazione 
nonché 
la 
dedotta 
carenza 
dei 
presupposti 
per la 
legittima 
adozione 
dell’ordinanza 
di 
sgombero. 
Ad 
avviso 
degli 
appellanti 
il 
decreto 
che 
ha 
disposto 
la 
confisca 
dei 
beni 
sequestrati 
non 
potrebbe 
essere 
eseguito 
in 
quanto 
non 
ancora 
definitivo, 
essendo 
la 
questione 
tuttora 
pendente 
innanzi 
alla 
Corte 
di 
Strasburgo. 
Ritengono 
gli 
appellanti 
che 
vi 
sarebbe 
la 
concreta 
“….. 
possibilità 
di 
ottenere 
un giudizio favorevole 
da parte 
della Corte 
edu 
e, quindi, la conseguente 
probabilità 
che 
il 
provvedimento 
che 
ha 
disposto 
la 
confisca 
dei 
beni 
sequestrati 
-tra 
cui 
l’immobile 
sito 
in 
-oMissis--e 
la 
relativa 
pronuncia 
della 
Corte 
di 
Cassazione 
vengano 
messi 
in discussione”. Tanto discenderebbe, nel 
costrutto giuridico attoreo, anche 
dalla 
pronuncia 
della 
Corte 
costituzionale, n. 113/2011, con la 
quale 
il 
giudice 
delle 
leggi, al 
fine 
di 
sopperire 
all’inerzia 
del 
legislatore 
nel 
confezionare 
appropriati 
strumenti 
per assicurare 
la 
conformazione 
dell’ordinamento nazionale 
alle 
decisioni 
della 
Corte 
di 
Strasburgo (vincolanti 
ai 
sensi 
dell’art. 
46 
CEDU), 
ha 
dichiarato 
la 
“illegittimità 
costituzionale 
dell’art. 
630 
c.p.p., 
nella 
parte 
in cui 
non prevede 
un diverso caso di 
revisione 
della sentenza o del 
decreto penale 
di 
condanna 
al 
fine 
di 
conseguire 
la 
riapertura 
del 
processo, 
quando 
ciò 
sia 
necessario, 
ai 
sensi 
dell’art. 46, paragrafo 1, della Convenzione 
per 
la salvaguardia dei 
diritti 
dell’uomo e 
delle 
libertà fondamentali, per 
conformarsi 
ad una sentenza definitiva della Corte 
europea dei 
diritti 
dell’uomo”. 

CoNTENzIoSo 
NAzIoNALE 


7.1. La 
pur suggestiva 
prospettazione 
degli 
appellanti 
non può essere 
condivisa, dovendo qui 
ribadirsi 
che 
il 
provvedimento di 
confisca 
è 
divenuto definitivo a 
seguito e 
per effetto della 
pronuncia 
della 
Corte 
di 
Cassazione 
del 
16 febbraio 2017 che 
ha 
dichiarato inammissibili 
i 
ricorsi 
presentati 
da 
-oMISSIS-ed altri 
avverso il 
decreto della 
Corte 
d’Appello n. 13/2016 del 
17 giugno 2015. Né 
la 
definitività 
del 
provvedimento di 
confisca 
può essere 
posta 
in discussione 
a cagione della pendenza del ricorso presentato dinanzi alla Corte EDU. 
L’opzione 
alternativa 
suggerita 
contrasta, invero, con il 
principio di 
tipicità 
e 
tassatività 
delle 
impugnazioni. 
D’altro 
canto, 
come 
ammesso 
dagli 
stessi 
appellanti, 
“l’avvenuto 
esaurimento 
dei 
rimedi 
interni 
rappresenta, 
infatti, 
condizione 
imprescindibile 
di 
legittimazione 
per 
il 
ricorso 
alla 
Corte 
di 
strasburgo 
(art. 
35, 
paragrafo 
1, 
della 
Cedu): 
con 
la 
conseguenza 
che 
quest’ultima 
si 
pronuncia, 
in 
via 
di 
principio, 
su 
vicende 
già 
definite 
a 
livello 
interno 
con 
decisione 
irrevocabile”. 
È 
pur 
vero 
che, 
in 
termini 
generali, 
la 
specifica 
giurisprudenza 
della 
Cedu, 
anche 
relativamente 
ai 
processi 
civili 
e 
amministrativi, ha 
progressivamente 
individuato nella 
riapertura 
del 
processo 
o nel 
riesame 
del 
caso la 
soluzione 
maggiormente 
idonea 
a 
garantire, in uno con la 
effettività 
del 
sistema 
convenzionale, 
la 
restitutio 
in 
integrum 
in 
favore 
delle 
vittime 
delle 
violazioni processuali non altrimenti rimediabili. 
Ciò nondimeno, nella 
declinazione 
applicativa 
del 
suddetto principio il 
giudice 
delle 
leggi 
ha 
statuito che, pur in presenza 
di 
una 
favorevole 
sentenza 
della 
Cedu, nelle 
materie 
diverse 
da 
quella 
penale, 
dalla 
giurisprudenza 
convenzionale 
non 
emerge, 
allo 
stato, 
l'esistenza 
di 
un 
cogente 
obbligo 
generale 
di 
adottare 
la 
misura 
ripristinatoria 
della 
riapertura 
del 
processo, 
e 
che 
la 
decisione 
di 
prevederla 
è 
rimessa 
agli 
Stati 
contraenti, i 
quali, peraltro, sono incoraggiati 
a 
provvedere 
in 
tal 
senso, 
pur 
con 
la 
dovuta 
attenzione 
per 
i 
vari 
e 
confliggenti 
interessi 
in 
gioco. 
In 
siffatte 
evenienze, 
nel 
nostro 
ordinamento 
la 
riapertura 
del 
processo 
non 
penale, 
con 
il 
conseguente 
travolgimento 
del 
giudicato, 
esige, 
dunque, 
una 
delicata 
ponderazione, 
alla 
luce 
del-
l'art. 
24 
Cost., 
fra 
il 
diritto 
di 
azione 
degli 
interessati 
e 
il 
diritto 
di 
difesa 
dei 
terzi, 
e 
tale 
ponderazione 
spetta 
in via 
prioritaria 
al 
legislatore 
(cfr. Corte 
Costituzionale, n. 123 del 
26 
maggio 2017, n. 93 del 21 marzo 2018). 
Il 
portato 
di 
tale 
approdo 
giurisprudenziale 
è, 
dunque, 
che, 
ad 
oggi, 
non 
vi 
è 
obbligo 
di 
riaprire 
i 
processi 
(civili 
ed amministrativi) pur in presenza 
di 
un giudicato Cedu e, di 
conseguenza, 
la 
mancata 
previsione 
non può dirsi 
in contrasto con l’art. 117 Cost. per violazione 
del 
parametro 
interposto dato dall’art. 46, paragrafo 1, della CEDU. 
vale, per completezza, soggiungere 
che 
la 
Consulta, richiamando con il 
suindicato decisum 
un proprio precedente 
(sentenza 
n. 210 del 
2013), ha, altresì, precisato, rispetto ai 
casi 
non 
sottoposti 
alla 
Corte 
Edu, che 
il 
suddetto rimedio (id est 
obbligo di 
riapertura 
del 
processo), 
posto 
dall'art. 
46 
della 
CEDU, 
«nel 
significato 
attribuitole 
dalla 
Corte 
di 
Strasburgo, 
non 
concerne 
i 
casi, diversi 
da 
quello oggetto della 
pronuncia, nei 
quali 
per l'ordinamento interno si 
è formato il giudicato» . 
Ancora 
di 
recente 
le 
Sezioni 
Unite 
della 
Corte 
di 
Cassazione 
(cfr. 
Cass. 
Civ. 
sez. 
un., 
11 
aprile 
2018, n. 8984) hanno evidenziato quanto segue 
“nè, con riguardo al 
sistema delle 
impugnazioni, 
la Costituzione 
impone 
al 
legislatore 
ordinario altri 
vincoli 
oltre 
a quelli, previsti 
dal-
l'art. 111 Cost., della ricorribilità in cassazione 
per 
violazione 
di 
legge 
di 
tutte 
le 
sentenze 
ed 
i 
provvedimenti 
sulla 
libertà 
personale 
pronunciati 
dagli 
organi 
giurisdizionali 
ordinari 
e 
speciali. sicchè 
non appare 
irrazionale 
la scelta del 
legislatore 
di 
riconoscere 
ai 
motivi 
di 
revocazione 
una propria specifica funzione, escludendone 
gli 
errori 
giuridici 
e 
quelli 
di 
giudizio 
o valutazione, proponibili 
solo contro le 
decisioni 
di 
merito nei 
limiti 
dell'appello e 
del 

RASSEGNA 
AvvoCATURA 
DELLo 
STATo -N. 1/2021 


ricorso 
per 
cassazione 
(conf. 
Cass., 
sez. 
u., 
n. 
30994/2017, 
cit.). 
inoltre, 
quanto 
all'effettività 
della 
tutela 
giudiziaria, 
anche 
la 
giurisprudenza 
europea 
e 
quella 
costituzionale 
riconoscono 
la necessità che 
le 
decisioni, una volta divenute 
definitive, non possano essere 
messe 
in discussione, 
onde 
assicurare 
la stabilità del 
diritto e 
dei 
rapporti 
giuridici, nonchè 
l'ordinata 
amministrazione 
della giustizia (Corte 
giust., 03/09/2009, olimpiclub; 30/09/2003, Kobler; 
16/03/2006, Kapferer; conf. Corte 
edu, 28/07/1998, omar 
c. Francia; 27/03/2014, erfaravef 
c. 
grecia; 
03/07/2012, 
radeva 
c. 
Bulgaria); 
il 
che 
convalida 
il 
contenimento 
del 
rimedio 
revocatorio per 
le 
decisioni 
di 
legittimità ai 
soli 
casi 
di 
"sviste" 
o di 
"puri 
equivoci" 
senza 
che 
rilevino a pretesi 
errori 
di 
valutazione 
(Corte 
cost. n. 17/1986, n. 36/1991, n. 207/2009; 
conf. Cass., sez. u., n. 30994/2017, cit.)”. 
D’altro canto, il 
dato qui 
dirimente 
è 
legato alla 
definitività 
del 
provvedimento di 
confisca. 
La 
prospettata 
“revisione 
europea”, 
ad 
oggi 
non 
attuale, 
dovrebbe 
semmai 
accreditarsi, 
de 
iure 
condendo, come 
un rimedio straordinario e, dunque, implicherebbe 
comunque 
l’irrevocabilità 
della decisione su cui intervenire. 
In 
tal 
senso 
è 
di 
conforto 
l’orientamento 
già 
espresso 
da 
questa 
Sezione 
(cfr. 
Cons. 
St., 
Sez. 
III, 
10 
dicembre 
2020, 
n. 
7866), 
i 
cui 
principi, 
tuttora 
condivisi, 
devono 
intendersi 
qui 
richiamati. 


8. 
Gli 
appellanti 
impugnano 
la 
sentenza 
gravata 
anche 
nella 
parte 
in 
cui 
omette 
di 
considerare 
le 
ragioni 
di 
convenienza 
per 
l’interesse 
pubblico 
derivanti 
dal 
differimento 
del 
provvedimento 
di 
sgombero. Nella 
prospettazione 
attorea, qualora 
la 
Corte 
EDU 
dovesse 
ritenere 
fondato il 
ricorso 
proposto 
dalla 
signora 
-oMISSIS-, 
le 
misure 
che 
lo 
Stato 
dovrebbe 
adottare 
per 
risarcire 
la 
famiglia 
-oMISSIS-sarebbero più gravose 
per le 
casse 
pubbliche 
rispetto ad un immediato 
differimento del 
provvedimento di 
sgombero. Sotto distinto profilo, risulta 
attratta 
nel 
fuoco 
della 
contestazione 
attorea 
l’affermazione 
del 
TAR secondo cui 
non sarebbe 
“ravvisabile 
illegittimità 
alcuna della ordinanza di 
sgombero per 
il 
fatto che 
il 
decreto di 
confisca sarebbe 
stato comunicato alla agenzia mediante 
una nota informativa dei 
Carabinieri, anziché 
dalla 
cancelleria 
del 
giudice 
che 
l’ha 
disposta”, 
in 
violazione 
degli 
artt. 
45, 
comma 
2, 
e 
47, 
comma 
2, 
del 
d.lgs. 
n. 
159/2011. 
Inoltre, 
sarebbe 
erroneo 
l’assunto 
dell’Amministrazione 
secondo 
cui 
l’immobile 
risulta 
“abusivamente 
occupato sine 
titulo” 
poiché 
la 
signora 
-oMISSIS-e 
le 
sue 
figlie, 
non 
disponendo 
di 
una 
soluzione 
abitativa 
alternativa, 
sono 
state 
autorizzate 
a 
continuare 
ad 
utilizzare 
l’unità 
immobiliare 
dall’ordinanza 
del 
Gip 
presso 
il 
Tribunale 
di 
Cagliari 
del 6 maggio 2013. 
8.1. Sul 
primo punto va 
qui 
ribadita 
l’insussistenza 
dei 
presupposti 
per il 
differimento del-
l’ordinanza 
di 
sgombero, siccome 
atto dovuto, e 
l’irrilevanza 
della 
pendenza 
del 
ricorso dinanzi 
alla 
Corte 
di 
Strasburgo. D’altro canto, la 
disciplina 
di 
settore 
è 
permeata 
dall’interesse 
pubblico primario di 
contrastare 
la 
criminalità 
organizzata 
attraverso l’eliminazione 
dal 
mercato, 
ottenuta 
con il 
provvedimento ablatorio finale, di 
un bene 
di 
provenienza 
illecita 
(Cfr., 
Cons. St., Sez. III, 5 febbraio 2020, n. 926). 
8.2. 
Pienamente 
condivisibile 
si 
rivela, 
altresì, 
la 
statuizione 
del 
TAR 
secondo 
cui 
non 
è 
“ravvisabile 
illegittimità 
alcuna 
della 
ordinanza 
di 
sgombero 
per 
il 
fatto 
che 
il 
decreto 
di 
confisca 
sarebbe 
stato comunicato alla agenzia mediante 
una nota informativa dei 
Carabinieri, anziché 
dalla cancelleria del 
giudice 
che 
l’ha disposta”. È, infatti, di 
tutta 
evidenza 
il 
rilievo assorbente 
che 
assumono, ai 
fini 
qui 
in rilievo, l’esistenza, la 
definitività 
e 
la 
piena 
efficacia 
del 
provvedimento di confisca. 
va, inoltre, soggiunto che 
la 
doglianza 
è 
infondata 
anche 
in punto di 
fatto dal 
momento che 
fin 
dal 
23 
febbraio 
2017 
risultava 
acquisita 
dall’Agenzia 
la 
rituale 
comunicazione 
della 
Corte 
Suprema di Cassazione, Sezione II Penale, della definitiva confisca qui in rilievo. 

CoNTENzIoSo 
NAzIoNALE 


8.3. Né 
peraltro può ritenersi 
erronea 
l’affermazione 
dell’Amministrazione 
secondo la 
quale 
l’immobile 
risultava 
occupato 
“sine 
titulo”. 
Come 
già 
rilevato, 
alla 
confisca 
definitiva 
del 
bene 
consegue 
un istantaneo trasferimento a 
titolo originario in favore 
del 
patrimonio dello 
Stato del 
bene, a 
nulla 
rilevando, dunque, neppure 
la 
precedente 
ordinanza 
del 
2013 con cui 
il 
Gip presso il 
Tribunale 
di 
Cagliari 
aveva 
autorizzato la 
signora 
-oMISSIS-e 
le 
sue 
figlie 
a 
continuare 
ad utilizzare 
l’immobile 
ai 
fini 
abitativi. Tanto più che 
lo stesso GIP, con decreto 
del 
15 giugno 2017, ha 
dichiarato cessata, a 
seguito della 
definitività 
della 
confisca, l’amministrazione 
giudiziaria. 
9. Anche 
le 
residue 
doglianze 
non hanno fondamento. Ai 
sensi 
dell’art. 47 comma 
secondo 
ultimo periodo del 
d.lgs. 159/2011 “anche 
prima dell’adozione 
del 
provvedimento di 
destinazione, 
per 
la tutela dei 
beni 
confiscati 
si 
applica il 
secondo comma dell'articolo 823 del 
codice 
civile”. L’art. 48, comma 
3, lett. a), b), c), c-bis) e 
d) poi, elenca 
le 
destinazioni 
che 
l’Agenzia può imprimere ai beni immobili confiscati. 
Tali 
disposizioni 
non 
risultano 
in 
alcun 
modo 
violate 
dall’Agenzia 
poiché, 
come 
correttamente 
rilevato dal 
TAR, le 
stesse 
non subordinano la 
possibilità 
di 
effettuare 
lo sgombero del 
bene 
confiscato alla 
individuazione 
della 
sua 
destinazione 
finale. A 
seguito della 
confisca, l’Amministrazione 
ha 
il 
potere-dovere 
di 
ordinare 
di 
lasciare 
libero il 
bene 
e 
“tale 
potere 
dovere 
non è 
in alcun modo condizionato dalla previa adozione 
del 
provvedimento di 
destinazione 
dello stesso (Cons. st., sez. iii, 23 giugno 2014, n. 3169); infatti 
il 
potere/dovere 
di 
tutelare 
il 
demanio dello stato di 
cui 
si 
tratta (art. 2-nonies, comma 1, primo periodo, l. 31 maggio 
1965, n. 575) in via di 
autotutela (c.d. autotutela esecutiva) prescinde 
del 
tutto dal 
provvedimento 
di 
destinazione 
(art. 2-decies, commi 
2 e 
3, l. n. 575 del 
1965), il 
quale 
consegue 
ad un 
diverso procedimento, da attivare 
successivamente 
alla definitività della confisca, con riferimento 
ad un bene, che 
deve 
risultare 
libero da precedenti 
usi 
e 
destinazioni” 
(Cfr. CdS, Sez. 
III, 10 dicembre 
2020, n. 7866, 22 ottobre 
2020, n. 6387). In conclusione, per i 
suesposti 
motivi, 
l'appello va respinto. 
Le 
spese, in ragioni 
della 
peculiarità 
della 
vicenda 
qui 
in rilievo, possono essere 
compensate. 
P.Q.M. 
Il 
Consiglio di 
Stato in sede 
giurisdizionale 
(Sezione 
Terza), definitivamente 
pronunciando 
sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge. 
Spese compensate. 
Ritenuto 
che 
sussistano 
i 
presupposti 
di 
cui 
all'articolo 
52, 
commi 
1 
e 
2, 
del 
decreto 
legislativo 
30 giugno 2003, n. 196, e 
dell’articolo 9, paragrafo 1, del 
Regolamento (UE) 2016/679 del 
Parlamento europeo e 
del 
Consiglio del 
27 aprile 
2016, a 
tutela 
dei 
diritti 
o della 
dignità 
della 
parte 
interessata, manda 
alla 
Segreteria 
di 
procedere 
all'oscuramento delle 
generalità 
nonché 
di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare gli appellanti e le altre persone menzionate. 
Così 
deciso 
nella 
camera 
di 
consiglio 
del 
giorno 
27 
maggio 
2021, 
svolta 
in 
modalità 
da 
remoto. 



LegIsLAzIOneeDAttUALItà
Un diritto per il “dopoguerra”. Aspetti della legislazione 
emergenziale anti COVID-19 da rendere stabili ed ordinari 


Michele Gerardo* 


SommArio: 
1. 
introduzione 
-2. 
Normativa 
per 
fronteggiare 
l’emergenza 
CoViD. 
Aspetti 
formali 
-3. 
Normativa 
per 
fronteggiare 
l’emergenza 
CoViD. 
Aspetti 
sostanziali 
-4. 
Snellimento 
delle 
modalità 
di 
svolgimento 
dei 
procedimenti 
giurisdizionali 
-5. 
(segue) 
Snellimento 
delle 
modalità 
di 
svolgimento 
dei 
procedimenti 
giurisdizionali. 
Stabilizzare 
a 
regime 
alcune 
novità 
delle 
misure 
emergenziali 
-6. 
Lavoro 
agile 
(smart 
working) 
-7. 
(segue) 
Lavoro 
agile 
(smart 
working). 
rendere 
il 
lavoro 
agile 
la 
modalità 
ordinaria 
per 
lo 
svolgimento 
del 
rapporto 
di 
lavoro 
-8. 
interconnessione 
delle 
attività 
-9. 
Semplificazione 
normativa 
in 
materia 
di 
contratti 
pubblici. 


1. introduzione. 
In 
Italia, 
durante 
la 
prima 
guerra 
mondiale, 
si 
ebbe 
una 
legislazione 
d’emergenza 
tesa, da 
una 
parte, a 
veicolare 
dirigisticamente 
la 
macchina 
produttiva 
al 
massimo sforzo per sostenere 
l’impegno bellico e, dall’altra, a 
tutelare 
i 
bisogni 
e 
le 
necessità 
economiche 
dei 
ceti 
popolari 
(provvidenze 
per gli 
impiegati, i 
combattenti 
ed i 
reduci; 
prezzi 
amministrati 
dei 
beni 
di 
largo consumo; 
disciplina imperativa di locazioni e fitti, ecc.). 


L’effetto della 
legislazione 
speciale 
bellica 
fu una 
notevole 
limitazione 
dell’autonomia 
privata 
e 
venne 
scosso 
il 
tradizionale 
primato 
del 
diritto 
privato. 


I 
civilisti 
-tra 
cui 
Filippo 
Vassalli 
e 
Francesco 
Ferrara, 
con 
scritti 
del 
1918 


-avvertirono che 
le 
leggi 
speciali 
introducevano nuovi 
e 
fecondi 
principi 
di 
disciplina. Il 
Ferrara 
classificò le 
varie 
norme 
di 
guerra 
in quattro categorie: 
1) disposizioni 
eccezionali 
di 
guerra; 
2) principi 
di 
diritto comune 
sorti 
in oc(*) 
Avvocato dello Stato. 


Le opinioni espresse nel presente scritto impegnano esclusivamente l’Autore. 



rASSegNA 
AVVoCAturA 
deLLo 
StAto -N. 1/2021 


casione 
della 
guerra; 
3) germi 
di 
nuovo diritto; 
4) principi 
speciali 
destinati 
a 
reggere 
i 
rapporti 
del 
dopoguerra 
o, più esattamente, a 
regolare 
in futuro le 
situazioni 
ereditate dal conflitto bellico. 


Con la 
fine 
della 
guerra, parte 
della 
legislazione 
speciale 
venne 
stabilizzata, 
contribuendo alla 
evoluzione 
del 
diritto, specie 
privato, ed alla 
innovazione 
della vita giuridica del paese (1). 


dopo 
cento 
anni, 
da 
marzo 
2020, 
il 
nostro 
Paese 
sta 
combattendo 
un’altra 
guerra 
-senza 
scontri 
bellici, 
ma 
non 
meno 
cruenta, 
sotto 
il 
profilo 
del 
numero 
dei 
morti 
(2) e 
delle 
patologie 
fisiche 
e 
morali 
-contro un nemico insidioso: 
il CoVId-19. 

Anche 
durante 
questa 
guerra 
si 
è 
avuta 
una 
legislazione 
d’emergenza 
per 
contenere 
il 
contagio 
da 
CoVId-19 
e 
rimediare 
alle 
conseguenze 
pregiudizievoli 
arrecate 
all’economia, al 
tessuto sociale 
ed alla 
macchina 
amministrativa 
del Paese. 


La 
legislazione 
per fronteggiare 
l’emergenza 
epidemiologica 
da 
CoVId 
-a 
comprova 
che 
di 
fronte 
ad 
analoghe 
problematiche 
vi 
sono 
analoghe 
risposte 
-presenta 
caratteri 
e 
spunti 
richiamanti 
quella 
intervenuta 
nel 
corso 
del 
primo conflitto mondiale. 


2. Normativa per fronteggiare l’emergenza CoViD. Aspetti formali. 
La 
normativa 
per 
fronteggiare 
l’emergenza 
epidemiologica 
da 
CoVId 
intervenuta 
dal 
marzo del 
2020, da 
un punto di 
vista 
formale, si 
è 
manifestata 
in due tipologie di fonti: 


a) 
legislazione 
primaria, 
quasi 
esclusivamente 
consistente 
nella 
adozione 
di 
decreti 
legge. Ne 
sono stati 
adottati 
numerosissimi 
dal 
marzo 2020 ad oggi, 
dal 
contenuto vario. Il 
testo del 
decreto legge 
a 
volte 
si 
dipana 
in alcune 
centinaia 
di 
articoli. In alcuni 
casi 
il 
decreto legge 
non è 
stato convertito, oppure 
è stato espressamente abrogato. 
La 
legislazione 
per 
fronteggiare 
l’emergenza 
epidemiologica 
da 
CoVId, 
da 
un punto di 
vista 
stilistico, non è 
rispettosa 
dei 
principi 
di 
chiarezza 
e 
sinteticità 
(3). Il 
contenuto delle 
disposizioni 
è 
verboso, in linea 
con la 
tecnica 
della 
provvedimentalizzazione 
del 
contenuto 
della 
legge, 
di 
frequente 
utilizzo 
negli 
ultimi 
quarant’anni, e 
segno del 
degrado della 
qualità 
della 
normazione. 


trattasi 
di 
normativa 
altresì 
frenetica, con testi 
normativi 
che 
rincorrono 
altri 
testi 
normativi, per integrare, correggere, abrogare 
disposizioni. Vi 
sono 
state 
disposizioni 
modificate 
od abrogate 
il 
giorno successivo alla 
pubblica


(1) Su tali 
aspetti: 
S. PugLIAttI, La proprietà nel 
nuovo diritto, giuffré, 1954, p. VI; 
C. ghISALbertI, 
La codificazione 
del 
diritto in italia 1865-1942, Laterza, 1985, pp. 198-205; 
N. IrtI, Scuole 
e 
figure 
del diritto civile, II edizione, giuffré, 2002, pp. 59-60. 
(2) Circa 127.000 deceduti a metà giugno 2021. 
(3) 
Sui 
quali: 
M. 
gerArdo, 
Chiarezza 
e 
concisione 
degli 
atti 
giuridici, 
in 
rass. 
Avvocatura 
Stato, 
2019, 1, pp. 223-252. 

LegISLAzIoNe 
ed 
AttuALItà 


zione 
sulla 
gazzetta 
ufficiale 
(4), con l’effetto di 
constatare 
che 
uno yogurt 
ha un durata maggiore della legge; 


b) 
adozione 
di 
Decreti 
del 
Presidente 
del 
Consiglio 
dei 
Ministri 
(D.P.C.M.), 
sulla 
base 
di 
una 
previsione 
contenuta 
nella 
legislazione 
primaria 
(5). In specie, con il 
d.L. 25 marzo 2020, n. 19, conv. L. 22 maggio 2020, n. 
35 
si 
è 
disposto 
testualmente: 
“Per 
contenere 
e 
contrastare 
i 
rischi 
sanitari 
derivanti 
dalla 
diffusione 
del 
virus 
CoViD-19, 
su 
specifiche 
parti 
del 
territorio 
nazionale 
ovvero, occorrendo, sulla totalità di 
esso, possono essere 
adottate, 
secondo quanto previsto dal 
presente 
decreto, una o più misure 
tra quelle 
di 
cui 
al 
comma 2, per 
periodi 
predeterminati, ciascuno di 
durata non superiore 
a 
trenta 
giorni, 
reiterabili 
e 
modificabili 
anche 
più 
volte 
fino 
al 
31 
luglio 
2021, 
termine 
dello 
stato 
di 
emergenza, 
e 
con 
possibilità 
di 
modularne 
l'applicazione 
in 
aumento 
ovvero 
in 
diminuzione 
secondo 
l'andamento 
epidemiologico 
del 
predetto virus” 
(art. 1, comma 
1) (6); 
“Per 
la durata dell'emergenza di 
cui 
al 
(4) L’art. 1, comma 
8, della 
legge 
30 dicembre 
2020, n. 178 è 
stato modificato con l’art. 1 d.L. 
31 dicembre 
2020, n. 182. Quest’ultimo, ossia 
il 
d.L. n. 182/2020, a 
sua 
volta, è 
stato abrogato dall'art. 
1, comma 3, L. 26 febbraio 2021, n. 21. 
(5) 
Per 
uno 
sguardo 
d’insieme 
sulla 
problematica: 
S. 
PIzzorNo, 
Covid-19 
e 
ordinanze 
del 
Governo. 
in particolare, i 
decreti 
del 
Presidente 
del 
Consiglio quali 
strumento necessario per 
far 
fronte 
alla pandemia, in rass. Avvocatura Stato, 2020, 1, pp. 257-267. 
(6) Il 
comma 
2 prevede: 
“Ai 
sensi 
e 
per 
le 
finalità di 
cui 
al 
comma 1, possono essere 
adottate, secondo 
principi 
di 
adeguatezza e 
proporzionalità al 
rischio effettivamente 
presente 
su specifiche 
parti 
del 
territorio 
nazionale 
ovvero 
sulla 
totalità 
di 
esso, 
una 
o 
più 
tra 
le 
seguenti 
misure: 
[segue 
un 
corposo 
elenco tra 
cui] a) limitazione 
della circolazione 
delle 
persone, anche 
prevedendo limitazioni 
alla possibilità 
di 
allontanarsi 
dalla propria residenza, domicilio o dimora se 
non per 
spostamenti 
individuali 
limitati 
nel 
tempo e 
nello spazio o motivati 
da esigenze 
lavorative, da situazioni 
di 
necessità o urgenza, 
da motivi 
di 
salute 
o da altre 
specifiche 
ragioni. Ai 
soggetti 
con disabilità motorie 
o con disturbi 
dello 
spettro autistico, con disabilità intellettiva o sensoriale 
o con problematiche 
psichiatriche 
e 
comportamentali 
con necessità di 
supporto, certificate 
ai 
sensi 
della legge 
5 febbraio 1992, n. 104, è 
consentito 
uscire 
dall'ambiente 
domestico con un accompagnatore 
qualora ciò sia necessario al 
benessere 
psicofisico 
della 
persona 
e 
purché 
siano 
pienamente 
rispettate 
le 
condizioni 
di 
sicurezza 
sanitaria; 
b) 
chiusura 
al 
pubblico di 
strade 
urbane, parchi, aree 
da gioco, ville 
e 
giardini 
pubblici 
o altri 
spazi 
pubblici; c) limitazioni 
o 
divieto 
di 
allontanamento 
e 
di 
ingresso 
in 
territori 
comunali, 
provinciali 
o 
regionali, 
nonché 
rispetto 
al 
territorio 
nazionale;[…] 
e) 
divieto 
assoluto 
di 
allontanarsi 
dalla 
propria 
abitazione 
o 
dimora 
per 
le 
persone 
sottoposte 
alla misura della quarantena, applicata dal 
sindaco quale 
autorità sanitaria 
locale, perché 
risultate 
positive 
al 
virus;[…] 
g) limitazione 
o sospensione 
di 
manifestazioni 
o iniziative 
di 
qualsiasi 
natura, di 
eventi 
e 
di 
ogni 
altra forma di 
riunione 
o di 
assembramento in luogo pubblico o 
privato, anche 
di 
carattere 
culturale, ludico, sportivo, ricreativo e 
religioso; h) sospensione 
delle 
cerimonie 
civili 
e 
religiose, 
limitazione 
dell'ingresso 
nei 
luoghi 
destinati 
al 
culto; 
[…] 
i) 
chiusura 
di 
cinema, 
teatri, sale 
da concerto, sale 
da ballo, discoteche, sale 
giochi, sale 
scommesse 
e 
sale 
bingo, centri 
culturali, 
centri 
sociali 
e 
centri 
ricreativi 
o altri 
analoghi 
luoghi 
di 
aggregazione; […] o) possibilità di 
disporre 
o 
di 
demandare 
alle 
competenti 
autorità 
statali 
e 
regionali 
la 
limitazione, 
la 
riduzione 
o 
la 
sospensione 
di 
servizi 
di 
trasporto di 
persone 
e 
di 
merci, automobilistico, ferroviario, aereo, marittimo, 
nelle 
acque 
interne, anche 
non di 
linea, nonché 
di 
trasporto pubblico locale; in ogni 
caso, la prosecuzione 
del 
servizio di 
trasporto delle 
persone 
è 
consentita solo se 
il 
gestore 
predispone 
le 
condizioni 
per 
garantire 
il 
rispetto di 
una distanza di 
sicurezza interpersonale 
predeterminata e 
adeguata a prevenire 
o ridurre 
il 
rischio di 
contagio; p) sospensione 
dei 
servizi 
educativi 
per 
l'infanzia di 
cui 
all'articolo 2 
del 
decreto 
legislativo 
13 
aprile 
2017, 
n. 
65, 
e 
delle 
attività 
didattiche 
delle 
scuole 
di 
ogni 
ordine 
e 

rASSegNA 
AVVoCAturA 
deLLo 
StAto -N. 1/2021 


comma 1, può essere 
imposto lo svolgimento delle 
attività non oggetto di 
sospensione 
in conseguenza dell'applicazione 
di 
misure 
di 
cui 
al 
presente 
articolo, 
ove 
ciò 
sia 
assolutamente 
necessario 
per 
assicurarne 
l'effettività 
e 
la 
pubblica utilità, con provvedimento del 
prefetto, assunto dopo avere 
sentito, 
senza formalità, le 
parti 
sociali 
interessate” 
(art. 1, comma 
3); 
“Le 
misure 
di 
cui 
all'articolo 1 sono adottate 
con uno o più decreti 
del 
Presidente 
del 
Consiglio 
dei 
ministri, 
[…]” 
(art. 
2, 
comma 
1); 
“i 
provvedimenti 
emanati 
in 
attuazione 
del 
presente 
articolo sono pubblicati 
nella Gazzetta Ufficiale 
della 
repubblica italiana e 
comunicati 
alle 
Camere 
entro il 
giorno successivo alla 
loro pubblicazione. il 
Presidente 
del 
Consiglio dei 
ministri 
o un ministro da 
lui 
delegato riferisce 
ogni 
quindici 
giorni 
alle 
Camere 
sulle 
misure 
adottate 
ai sensi del presente decreto” (art. 2, comma 5). 

Il 
d.P.C.M., fonte 
secondaria, ha 
la 
qualità 
di 
ordinanza 
di 
necessità 
e 
di 
urgenza, 
atteso 
che 
per 
previsione 
legislativa 
può 
-a 
date 
condizioni 
-derogare 
alla 
disciplina 
contenuta 
in 
norme 
scaturenti 
da 
fonti 
primarie 
ed 
altresì, 
a 
fortiori, 
in fonti 
subordinate 
alle 
primarie. Le 
ordinanze 
di 
necessità 
e 
di 
urgenza 
(cd. extra ordinem) sono atti 
di 
autorità 
amministrative 
adottabili, sul 
presupposto 
della 
necessità 
e 
dell’urgenza 
del 
provvedere, per far fronte 
ad un pericolo 
di 
danno 
grave 
ed 
imminente 
per 
la 
generalità 
dei 
cittadini, 
con 
contenuto 
discrezionalmente 
determinabile 
e 
non prestabilito dalla 
legge. Si 
ritiene 
che 
loro 
attributo 
sia 
anche 
quello 
di 
incidere 
derogatoriamente 
e 
sospensivamente 
sulla 
legislazione 
in vigore. Circa 
la 
compressione 
di 
disposizione 
legislative, 
l’assestato quadro dottrinale 
e 
giurisprudenziale 
è 
nel 
senso che 
le 
dette 
ordinanze 
non possono essere 
emanate 
in contrasto con le 
norme 
del 
diritto del-
l’unione 
europea, con i 
principi 
generali 
dell’ordinamento giuridico e 
con i 
principi 
fondamentali 
della 
Costituzione, 
debbono 
avere 
una 
efficacia 
limitata 
nel 
tempo 
(il 
principio 
di 
proporzionalità 
esige 
che 
il 
contenuto 
delle 
ordinanze 
sia 
rigidamente 
calibrato 
in 
funzione 
dell’emergenza 
specifica 
che 
deve 
essere 
in 
concreto 
fronteggiata), 
debbono 
essere 
motivate 
adeguatamente, 
non 
si 
possono 
adottare 
in luogo di 
poteri 
tipici 
previsti 
dalle 
norme 
vigenti 
idonei 
a 
far 
fronte a quel tipo di situazione (7). 


grado, nonché 
delle 
istituzioni 
di 
formazione 
superiore, comprese 
le 
università e 
le 
istituzioni 
di 
alta 
formazione 
artistica, musicale 
e 
coreutica, di 
corsi 
professionali, master, corsi 
per 
le 
professioni 
sanitarie 
e 
università 
per 
anziani, 
nonché 
dei 
corsi 
professionali 
e 
delle 
attività 
formative 
svolti 
da 
altri 
enti 
pubblici, anche 
territoriali 
e 
locali, e 
da soggetti 
privati, o di 
altri 
analoghi 
corsi, attività formative 
o 
prove 
di 
esame, ferma la possibilità del 
loro svolgimento di 
attività in modalità a distanza; 
[…] 
s) limitazione 
della 
presenza 
fisica 
dei 
dipendenti 
negli 
uffici 
delle 
amministrazioni 
pubbliche, 
fatte 
comunque 
salve 
le 
attività indifferibili 
e 
l'erogazione 
dei 
servizi 
essenziali 
prioritariamente 
mediante 
il 
ricorso a 
modalità di lavoro agile; 
[…]”. 


(7) Ex 
plurimis: 
M. CLArICh, manuale 
di 
diritto amministrativo, III edizione, Il 
Mulino, 2017, 
pp. 85-87. 

LegISLAzIoNe 
ed 
AttuALItà 


3. Normativa per fronteggiare l’emergenza CoViD. Aspetti sostanziali. 
Il contenuto della normativa in esame è sunteggiabile come segue: 


a) 
disciplina 
-di 
adattamento 
alla 
situazione 
creatasi 
in 
conseguenza 
della 
diffusione 
ed 
evoluzione 
del 
CoVId 
-delle 
attività 
lavorative 
e 
personali, 
della profilassi e della mobilità delle persone; 
b) sospensione 
o differimento di 
termini 
per adempimenti 
collegati 
a 
servizi 
pubblici (ad esempio pagamento delle utenze); 
c) 
sospensione 
o 
differimento 
di 
termini 
per 
adempimenti 
collegati 
a 
procedimenti 
amministrativi (8), tra cui quelli tributari; 
d) 
sospensione 
o 
differimento 
di 
termini 
dei 
procedimenti 
giurisdizionali 
(9); 
e) proroga di termini in materia di lavoro e di 
terzo settore; 
f) 
sovvenzioni, 
contributi, 
bonus 
in 
favore 
di 
famiglie, 
lavoratori, 
imprese, 
studenti 
per 
dare 
sostegno 
economico 
a 
fronte 
dei 
disagi 
arrecati 
dalla 
pandemia; 
g) misure 
di 
potenziamento del 
servizio sanitario nazionale 
(incentivi 
a 
favore 
del 
personale 
dipendente, 
reperimento 
in 
via 
straordinaria 
e 
temporanea 
di nuove risorse umane; acquisto di dispositivi di protezione individuali); 
h) 
snellimento 
delle 
modalità 
di 
svolgimento 
di 
pubbliche 
funzioni 
(es. 
procedure 
per 
i 
concorsi 
pubblici 
e 
per 
i 
corsi 
di 
formazione) 
e 
pubblici 
servizi; 
i) 
limitazione 
delle 
responsabilità 
penali 
(ad 
esempio: 
da 
somministrazione 
del 
vaccino anti 
SArS-CoV-2; 
per morte 
o lesioni 
personali 
in ambito 
sanitario 
durante 
lo 
stato 
di 
emergenza 
epidemiologica 
da 
CoVId-19) 
ed 
amministrative 
degli operatori pubblici. 
buona 
parte 
della 
normativa 
emergenziale 
-atteso il 
suo carattere 
contingente 
-verrà 
meno una 
volta 
cessata 
la 
pandemia. trattasi 
di 
norme 
tecnicamente 
ad efficacia temporanea. 


Altra 
parte, 
invece, 
ha 
un 
contenuto 
virtuoso 
-utilizzando 
le 
parole 
di 


(8) L’art.103, comma 
1, d.L. 17 marzo 2020, n. 18, conv. L. 24 aprile 
2020, n. 27 dispone: 
“Ai 
fini 
del 
computo 
dei 
termini 
ordinatori 
o 
perentori, 
propedeutici, 
endoprocedimentali, 
finali 
ed 
esecutivi, 
relativi 
allo 
svolgimento 
di 
procedimenti 
amministrativi 
su 
istanza 
di 
parte 
o 
d'ufficio, 
pendenti 
alla 
data 
del 
23 
febbraio 
2020 
o 
iniziati 
successivamente 
a 
tale 
data, 
non 
si 
tiene 
conto 
del 
periodo 
compreso 
tra la medesima data e 
quella del 
15 aprile 
2020”. Con l’art. 37 d.L. 8 aprile 
2020, n. 23, conv. L. 5 
giugno 
2020, n. 40 si è disposta la proroga di tali termini al 15 maggio 2020. 
(9) Art. 83, comma 
2, d.L. n. 18/2020: 
“Dal 
9 marzo 2020 al 
15 aprile 
2020 è 
sospeso il 
decorso 
dei 
termini 
per 
il 
compimento di 
qualsiasi 
atto dei 
procedimenti 
civili 
e 
penali”; 
poi 
in virtù dell’art. 36, 
comma 
1, 
d.L. 
8 
aprile 
2020, 
n. 
23, 
conv. 
L. 
5 
giugno 
2020, 
n. 
40 
“il 
termine 
del 
15 
aprile 
2020 
previsto 
dall'articolo 83, commi 
1 e 
2, del 
decreto-legge 
17 marzo 2020, n. 18 è 
prorogato all'11 maggio 2020”. 
Art. 84, comma 
1, d.L. n. 18/2020: 
“Fatto salvo quanto previsto dal 
comma 2, dall'8 marzo 2020 e 
fino 
al 
15 aprile 
2020 inclusi 
si 
applicano le 
disposizioni 
del 
presente 
comma. Tutti 
i 
termini 
relativi 
al 
processo 
amministrativo sono sospesi”; 
poi 
in virtù dell’art. 36, comma 
3, d.L. n. 23/2020 “Nei 
giudizi 
disciplinati 
dal 
codice 
del 
processo 
amministrativo, 
di 
cui 
all'allegato 
1 
al 
decreto 
legislativo 
2 
luglio 
2010, 
n. 
104, 
sono 
ulteriormente 
sospesi, 
dal 
16 
aprile 
al 
3 
maggio 
2020 
inclusi, 
esclusivamente 
i 
termini 
per 
la notificazione 
dei 
ricorsi, fermo restando quanto previsto dall'articolo 54, comma 3, dello stesso 
codice”. 

rASSegNA 
AVVoCAturA 
deLLo 
StAto -N. 1/2021 


Ferrara 
potrebbe 
parlarsi 
di 
principi 
di 
diritto comune 
sorti 
in occasione 
della 
pandemia 
e 
germi 
di 
nuovo diritto -che 
andrebbe 
sistematizzato e 
reso ordinario 
in 
funzione 
della 
semplificazione 
dei 
comportamenti, 
del 
buon 
andamento 
della 
pubblica 
amministrazione 
e 
di 
un 
rapporto 
equilibrato 
e 
ragionevole tra il pubblico potere ed il cittadino. 


Quattro sono gli aspetti sui quali si focalizzerà l’attenzione: 


-snellimento 
delle 
modalità 
di 
svolgimento 
dei 
procedimenti 
giurisdizionali; 


- lavoro agile (smart working); 
- interconnessione delle attività; 
- semplificazione normativa in materia di contratti pubblici. 
4. 
Snellimento 
delle 
modalità 
di 
svolgimento 
dei 
procedimenti 
giurisdizionali. 
Per contrastare 
l'emergenza 
epidemiologica 
da 
CoVId-19 e 
contenerne 
gli 
effetti 
negativi 
sullo 
svolgimento 
dell'attività 
giudiziaria, 
per 
il 
periodo 
emergenziale 
sono 
state 
adottate 
misure 
organizzative, 
anche 
relative 
alla 
trattazione 
degli 
affari 
giudiziari, necessarie 
per consentire 
il 
rispetto delle 
indicazioni 
igienico-sanitarie, 
al 
fine 
di 
evitare 
assembramenti 
all'interno 
dell'ufficio giudiziario e contatti ravvicinati tra le persone (10). 


tanto è 
stato previsto con l’art. 83 d.L. n. 18/2020, conv. L. n. 27/2020 
per la 
giustizia 
civile, penale, tributaria, militare, per le 
ulteriori 
giurisdizioni 
speciali e per agli arbitrati rituali. 

tra l’altro, vi è la previsione dello svolgimento delle udienze civili 


-mediante 
collegamenti 
da 
remoto (udienza 
telematica). Ciò ove 
non sia 
richiesta 
la 
presenza 
di 
soggetti 
diversi 
dai 
difensori, 
dalle 
parti 
e 
dagli 
ausiliari 
del giudice (art. 83, comma 7, lett. f, d.L. n. 18/2020) (11); 
(10) Sulla 
problematica, con osservazioni 
critiche: 
A.tALLArIdA, Processo telematico e 
processo 
da remoto: come 
cambia il 
processo, in rass. Avvocatura Stato, 2019, 4, pp. 181-193. Altresì: 
I. PAgNI, 
Le 
misure 
urgenti 
in materia di 
giustizia per 
contrastare 
l’emergenza epidemiologica: un dibattito mai 
sopito 
su 
oralità 
e 
pubblicità 
dell’udienza, 
in 
Judicium 
(15 
dicembre 
2020); 
A. 
Storto, 
Novità 
legislative 
per 
il 
processo civile, in Judicium 
(3 dicembre 
2020); 
b. SASSANI, b. CAPPoNI, A. PANzAroLA, M. FArINA, 
il 
Decreto 
ristori 
e 
la 
giustizia 
civile. 
Una 
prima 
lettura, 
in 
Judicium 
(3 
novembre 
2020); 
g. 
SCArSeLLI, Contro le 
udienze 
a remoto e 
la smaterializzazione 
della giustizia, in Judicium 
(13 maggio 
2020); F. VALerINI, in difesa dell’udienza da remoto, in Judicium 
(29 aprile 2020). 
(11) In seguito, con l’art. 221, comma 
7, d.L. 19 maggio 2020, n. 34, conv. L. 17 luglio 2020, n. 
77 si 
è 
disposto: 
“il 
giudice, con il 
consenso preventivo delle 
parti, può disporre 
che 
l'udienza civile 
che 
non richieda la presenza di 
soggetti 
diversi 
dai 
difensori, dalle 
parti 
e 
dagli 
ausiliari 
del 
giudice, 
anche 
se 
finalizzata all'assunzione 
di 
informazioni 
presso la pubblica amministrazione, si 
svolga mediante 
collegamenti 
audiovisivi 
a distanza individuati 
e 
regolati 
con provvedimento del 
Direttore 
generale 
dei 
sistemi 
informativi 
e 
automatizzati 
del 
ministero 
della 
giustizia. 
L'udienza 
è 
tenuta 
con 
la 
presenza del 
giudice 
nell'ufficio giudiziario e 
con modalità idonee 
a salvaguardare 
il 
contraddittorio e 
l'effettiva partecipazione 
delle 
parti. Prima dell'udienza il 
giudice 
dispone 
la comunicazione 
ai 
procuratori 
delle 
parti 
e 
al 
pubblico 
ministero, 
se 
è 
prevista 
la 
sua 
partecipazione, 
del 
giorno, 
dell'ora 
e 
delle 
modalità del 
collegamento. All'udienza il 
giudice 
dà atto delle 
modalità con cui 
accerta l'identità dei 
soggetti 
partecipanti 
e, ove 
si 
tratta delle 
parti, la loro libera volontà. Di 
questa e 
di 
tutte 
le 
ulteriori 
operazioni è dato atto nel processo verbale”. 

LegISLAzIoNe 
ed 
AttuALItà 


-mediante 
lo 
scambio 
e 
il 
deposito 
in 
telematico 
di 
note 
scritte 
contenenti 
le 
sole 
istanze 
e 
conclusioni, e 
la 
successiva 
adozione 
fuori 
udienza 
del 
provvedimento 
del 
giudice 
(udienza 
cartolare). tanto ove 
non sia 
richiesta 
la 
presenza 
di 
soggetti 
diversi 
dai 
difensori 
delle 
parti 
(art. 
83, 
comma 
7, 
lett. 
h, 
d.L. n. 18/2020) (12). 


Sempre 
con 
la 
normazione 
emergenziale 
(art. 
221, 
comma 
6, 
d.L. 
n. 
34/2020, conv. L. n. 77/2020) si 
è 
previsto che 
la 
partecipazione 
alle 
udienze 
civili 
di 
una 
o più parti 
o di 
uno o più difensori 
può avvenire, su istanza 
del-
l'interessato, 
mediante 
collegamenti 
audiovisivi 
a 
distanza, 
individuati 
e 
regolati 
con 
provvedimento 
del 
direttore 
generale 
dei 
sistemi 
informativi 
e 
automatizzati 
del 
Ministero della 
giustizia. Lo svolgimento dell'udienza 
deve 
in ogni 
caso avvenire 
con modalità 
idonee 
a 
salvaguardare 
il 
contraddittorio e 
l'effettiva partecipazione. 

tali 
modalità 
sono state 
dettagliate 
con l’art. 23 d.L. 28 ottobre 
2020, n. 
137, 
conv. 
L. 
18 
dicembre 
2020, 
n. 
176, 
con 
previsione 
(comma 
1) 
che 
le 
stesse si applicano fino al 31 luglio 2021 (13). 


Il 
comma 
1 
dell’art. 
23 
bis 
del 
d.L. 
n. 
137/2020 
statuisce 
altresì 
che 
a 
decorrere 
dal 
9 novembre 
2020 e 
fino al 
31 luglio 2021, fuori 
dai 
casi 
di 
rinnovazione 
dell'istruzione 
dibattimentale, per la 
decisione 
sugli 
appelli 
proposti 
contro 
le 
sentenze 
di 
primo 
grado 
la 
corte 
di 
appello 
procede 
in 
camera 
di 
consiglio 
senza 
l'intervento del 
pubblico ministero e 
dei 
difensori, salvo che 
una 
delle 
parti 
private 
o il 
pubblico ministero faccia 
richiesta 
di 
discussione 
orale 


o che l'imputato manifesti la volontà di comparire. 
Misure 
analoghe 
sono 
previste 
per 
la 
giustizia 
amministrativa 
(art. 
84 
d.L. n. 18/2020). tra 
l’altro il 
comma 
5 dell’art. 84 dispone 
che 
“Successivamente 
al 
15 aprile 
2020 e 
fino al 
31 luglio 2020, in deroga alle 
previsioni 
del 
codice 
del 
processo amministrativo, tutte 
le 
controversie 
fissate 
per 
la trattazione, 
sia in udienza camerale 
sia in udienza pubblica, passano in decisione, 
senza 
discussione 
orale, 
sulla 
base 
degli 
atti 
depositati, 
ferma 
restando 
la 
possibilità 
di 
definizione 
del 
giudizio ai 
sensi 
dell'articolo 60 del 
codice 
del 
processo 
amministrativo, 
omesso 
ogni 
avviso. 
Le 
parti 
hanno 
facoltà 
di 
presentare 
brevi 
note 
sino a due 
giorni 
liberi 
prima della data fissata per 
la trattazione”. 
(12) In seguito, con l’art. 221, comma 
4, d.L. n. 34/2020, conv. L. n. 77/2020 si 
è 
disposto: 
“il 
giudice 
può 
disporre 
che 
le 
udienze 
civili 
che 
non 
richiedono 
la 
presenza 
di 
soggetti 
diversi 
dai 
difensori 
delle 
parti 
siano 
sostituite 
dal 
deposito 
telematico 
di 
note 
scritte 
contenenti 
le 
sole 
istanze 
e 
conclusioni. 
il 
giudice 
comunica alle 
parti 
almeno trenta giorni 
prima della data fissata per 
l'udienza che 
la stessa 
è 
sostituita 
dallo 
scambio 
di 
note 
scritte 
e 
assegna 
alle 
parti 
un 
termine 
fino 
a 
cinque 
giorni 
prima 
della 
predetta 
data 
per 
il 
deposito 
delle 
note 
scritte. 
Ciascuna 
delle 
parti 
può 
presentare 
istanza 
di 
trattazione 
orale 
entro 
cinque 
giorni 
dalla 
comunicazione 
del 
provvedimento. 
il 
giudice 
provvede 
entro 
i 
successivi 
cinque 
giorni. Se 
nessuna delle 
parti 
effettua il 
deposito telematico di 
note 
scritte, il 
giudice 
provvede 
ai sensi del primo comma dell'articolo 181 del codice di procedura civile”. 
(13) g. FICherA, e. eSCrIVA, Le 
quattro fasi 
del 
processo civile 
al 
tempo della pandemia, in Judicium 
(2 febbraio 2021). 

rASSegNA 
AVVoCAturA 
deLLo 
StAto -N. 1/2021 


L’art. 4, comma 
1, d.L. 30 aprile 
2020, n. 28, conv. L. 25 giugno 2020, n. 70 
ha 
così 
integrato la 
disposizione 
innanzi 
riportata: 
a 
decorrere 
dal 
30 maggio 
e 
fino al 
31 luglio 2020 può essere 
chiesta 
discussione 
orale 
con istanza 
depositata 
entro il 
termine 
per il 
deposito delle 
memorie 
di 
replica 
ovvero, per gli 
affari 
cautelari, 
fino 
a 
cinque 
giorni 
liberi 
prima 
dell'udienza 
in 
qualunque 
rito, 
mediante 
collegamento 
da 
remoto 
con 
modalità 
idonee 
a 
salvaguardare 
il 
contraddittorio 
e 
l'effettiva 
partecipazione 
dei 
difensori 
all'udienza, assicurando 
in ogni 
caso la 
sicurezza 
e 
la 
funzionalità 
del 
sistema 
informatico della 
giustizia 
amministrativa 
e 
dei 
relativi 
apparati. 
L'istanza 
è 
accolta 
dal 
presidente 
del 
collegio 
se 
presentata 
congiuntamente 
da 
tutte 
le 
parti 
costituite. 
Negli 
altri 
casi, 
il 
presidente 
del 
collegio 
valuta 
l'istanza, 
anche 
sulla 
base 
delle 
eventuali 
opposizioni 
espresse 
dalle 
altre 
parti 
alla 
discussione 
da 
remoto. Se 
il 
presidente 
ritiene 
necessaria, 
anche 
in 
assenza 
di 
istanza 
di 
parte, 
la 
discussione 
della 
causa 
con modalità 
da 
remoto, la 
dispone 
con decreto. In tutti 
i 
casi 
in 
cui 
sia 
disposta 
la 
discussione 
da 
remoto, la 
segreteria 
comunica, almeno tre 
giorni 
prima 
della 
trattazione, 
l'avviso 
dell'ora 
e 
delle 
modalità 
di 
collegamento. 
In 
alternativa 
alla 
discussione 
possono 
essere 
depositate 
note 
di 
udienza 
fino alle 
ore 
12 del 
giorno antecedente 
a 
quello dell'udienza 
stessa 
o richiesta 
di 
passaggio in decisione 
e 
il 
difensore 
che 
deposita 
tali 
note 
o tale 
richiesta 
è 
considerato presente a ogni effetto in udienza. 

tali 
modalità 
sono state 
dettagliate 
con l’art. 25 d.L. n. 137/2020, conv. 


L. n. 176/2020, con previsione 
(comma 
1) che 
le 
stesse 
si 
applicano fino al 
31 
luglio 2021. 
Misure 
analoghe 
sono previste 
altresì, dall’art. 85 d.L. n. 18/2020, per la 
giustizia 
contabile. tra 
l’altro, vi 
è 
-a 
decorrere 
dall'8 marzo 2020 e 
fino al 
31 luglio 2021 - la previsione 


-dello svolgimento delle 
udienze 
e 
delle 
camere 
di 
consiglio che 
non richiedono 
la 
presenza 
di 
soggetti 
diversi 
dai 
difensori 
delle 
parti, ovvero delle 
adunanze 
e 
delle 
camere 
di 
consiglio che 
non richiedono la 
presenza 
di 
soggetti 
diversi 
dai 
rappresentanti 
delle 
amministrazioni, mediante 
collegamenti 
da 
remoto, con modalità 
idonee 
a 
salvaguardare 
il 
contraddittorio e 
l'effettiva 
partecipazione 
all'udienza 
ovvero 
all'adunanza 
ovvero 
alla 
Camera 
di 
consiglio 
(art. 85, comma 3, lett. e, d.L. n. 18/2020); 
-in 
deroga 
alle 
previsioni 
del 
codice 
di 
giustizia 
contabile, 
di 
cui 
al 
decreto 
legislativo 
26 
agosto 
2016, 
n. 
174, 
che 
tutte 
le 
controversie 
pensionistiche 
fissate 
per 
la 
trattazione 
innanzi 
al 
giudice 
contabile 
in 
sede 
monocratica, 
sia 
in 
udienza 
camerale 
sia 
in 
udienza 
pubblica, 
passano 
in 
decisione 
senza 
discussione 
orale, 
sulla 
base 
degli 
atti 
depositati, 
salva 
espressa 
richiesta 
di 
una 
delle 
parti 
di 
discussione 
orale, 
da 
notificare, 
a 
cura 
del 
richiedente, 
a 
tutte 
le 
parti 
costituite 
e 
da 
depositare 
almeno 
dieci 
giorni 
prima 
della 
data 
di 
udienza. 
Le 
parti 
hanno 
facoltà 
di 
presentare 
brevi 
note 
e 
documenti 
sino 
a 
cinque 
giorni 
liberi 
prima 
della 
data 
fissata 
per 
la 
trattazione 
(art. 
85, 
comma 
5, 
d.L. 
n. 
18/2020). 



LegISLAzIoNe 
ed 
AttuALItà 


tali 
modalità 
sono state 
dettagliate 
con l’art. 26 d.L. n. 137/2020, conv. 


L. n. 176/2020, con previsione 
(comma 
1) che 
le 
stesse 
si 
applicano fino al 
31 
luglio 2021. 
Aggiornamenti 
sulle 
misure 
urgenti 
per il 
contenimento dell'epidemia 
da 
CoVId-19, 
in 
materia 
di 
giustizia 
sono 
contenute 
nell’art. 
6 
d.L. 
1 
aprile 
2021, n. 44, conv. L. 28 maggio 2021, n. 76. 


Le 
descritte 
misure 
hanno 
suscitato, 
specie 
nella 
fase 
iniziale, 
censure, 
sotto l’aspetto del 
vulnus 
al 
diritto di 
difesa. Ad esempio, la 
previsione 
del-
l’udienza da remoto ha sollevato le critiche di parte dell’avvocatura (14). 


5. (segue) Snellimento delle 
modalità di 
svolgimento dei 
procedimenti 
giurisdizionali. 
Stabilizzare a regime alcune novità delle misure emergenziali. 
da 
un cinquantennio, la 
giustizia 
in Italia 
versa 
in uno stato di 
grave 
crisi 
a 
causa 
dell’eccessiva 
ed intollerabile 
durata 
dei 
processi. già 
nel 
2000 si 
registrava 
che 
“L’italia è 
il 
Paese 
dell’Unione 
Europea in cui 
i 
procedimenti 
civili, 
considerando 
i 
tre 
gradi 
di 
giudizio, 
hanno 
maggiore 
durata 
(in 
media 
116 mesi, il 
68% in più rispetto alla media UE)” 
(15). Secondo l’ultimo rapporto 
della 
Commissione 
europea 
per l'efficacia 
della 
giustizia 
(CePeJ), nel 
biennio 
2017-18 
il 
numero 
dei 
procedimenti 
civili 
pendenti 
si 
è 
ridotto 
e 
la 
durata 
media 
è 
scesa; 
tuttavia, la 
giustizia 
civile 
italiana 
resta 
tra 
le 
più lente 
d’europa: 
siamo ancora 
gli 
ultimi 
in terzo grado di 
giudizio e 
siamo diventati 
penultimi 
sia 
in primo sia 
in secondo grado, rispettivamente 
davanti 
a 
Malta 
e alla grecia (16). 


La 
crisi 
del 
processo genera 
ulteriore 
contenzioso gravante 
sulle 
Corti 
di 
Appello con significativo aggravio degli 
oneri 
per il 
bilancio statale, che 
deve 
far fronte 
a 
crescenti 
costi 
per il 
pagamento dell’indennizzo per la 
riparazione 
della 
ingiusta 
durata 
del 
processo attualmente 
disciplinata 
dalla 
L. 24 marzo 
2001 
n. 
89 
(c.d. 
legge 
Pinto 
sulla 
previsione 
di 
equa 
riparazione 
in 
caso 
di 
violazione 
del termine ragionevole di durata del processo) (17). 


L’inefficienza 
del 
nostro sistema 
giudiziario scoraggia 
gli 
investimenti, 
aumenta 
il 
costo del 
credito, genera 
sfiducia 
nelle 
funzioni 
dello Stato e 
stimola 
sistemi criminali alternativi di composizione delle liti. 


La 
preoccupazione 
di 
ogni 
governo in queste 
ultime 
legislature 
è 
stata 


(14) 
F. 
VALerINI, 
in 
difesa 
dell’udienza 
da 
remoto, 
cit., 
rileva 
che 
l’unione 
Nazionale 
delle 
Camere 
Civili 
ha 
avuto modo di 
affermare 
che 
“l'udienza civile 
è 
un momento di 
discussione 
e 
confronto, smaterializzarla 
è un rischio serio e grave per i diritti dei cittadini”. 
(15) 
bANCA 
d’ItALIA, 
relazione 
economica 
per 
l’anno 
2000, 
2001, 
roma, 
110 
(citata 
in 
Foro 
it., 2002, V, c. 252). 
(16) M. CASAMoNtI, La giustizia civile 
italiana resta la più lenta d’Europa, ma c’è 
qualche 
miglioramento, 
in osservatorio sui Conti Pubblici italiani 
(28 novembre 2020). 
(17) Su tali 
aspetti: 
M. gerArdo, A. MutAreLLI, irragionevole 
durata del 
processo e 
possibili 
“ragionevoli” linee di intervento, in rass. Avvocatura Stato, 2010, 3, pp. 185-267. 

rASSegNA 
AVVoCAturA 
deLLo 
StAto -N. 1/2021 


quella 
di 
proporre 
“novelle” 
processuali 
mirate 
a 
modificare 
singoli 
aspetti 
di 
volta 
in volta 
individuati 
come 
critici 
-del 
processo civile. Anche 
l’attuale 
governo si 
è 
posto l’obiettivo di 
semplificare 
il 
processo civile 
e 
con decreto 
del 
Ministro 
della 
giustizia 
del 
marzo 
di 
quest’anno 
è 
stata 
costituita 
una 
Commissione, 
presieduta 
dal 
prof. Francesco Paolo Luiso, con il 
compito di 
redigere 
un articolato per la 
riforma 
della 
giustizia 
civile; 
l’obiettivo concreto è 
triplice: 
ridurre 
i 
tempi 
dei 
processi, rafforzare 
il 
principio della 
ragionevole 
durata, 
migliorare 
l’efficienza 
dell’apparato 
amministrativo. 
La 
Commissione 
nel giugno di quest’anno ha presentato le sue proposte. 


In attesa 
di 
una 
riforma 
di 
sistema, le 
novità 
della 
legislazione 
emergenziale 
in tema 
di 
giustizia 
potrebbero essere 
strutturate 
a 
regime, contribuendo 


-a costo zero - ad una giustizia più efficiente (18). 
da 
quanto innanzi 
riportato, le 
novità 
in tema 
di 
modalità 
di 
svolgimento 
dei procedimenti giurisdizionali sono così riassumibili: 


-udienza 
in presenza, con facoltà 
di 
partecipazione 
delle 
parti 
con modalità 
telematiche; 
- udienza telematica, ossia mediante collegamenti da remoto; 
-udienza 
cartolare, 
mediante 
lo 
scambio 
e 
il 
deposito 
in 
telematico 
di 
note 
scritte 
contenenti 
le 
sole 
istanze 
e 
conclusioni, e 
la 
successiva 
adozione 
fuori udienza del provvedimento del giudice; 


- udienza a richiesta (il modello è l’appello penale). 
Le 
descritte 
modalità 
di 
svolgimento 
dei 
procedimenti 
giurisdizionali 
potrebbero 
essere 
stabilizzate, contribuendo ad un efficiente 
svolgimento della 
funzione giurisdizionale. 


A 
tal 
fine, allargando un po' 
il 
campo, in tutti 
i 
giudizi 
di 
primo grado ad 
eccezione 
dei 
giudizi 
penali 
e 
dei 
giudizi 
di 
responsabilità 
contabile 
-ed in 
tutti i giudizi di impugnazione, potrebbe prevedersi quanto segue: 


a) l’atto introduttivo del 
giudizio, sul 
modello della 
citazione 
ex 
art. 163 
c.p.c., 
deve 
essere 
completo 
anche 
dal 
punto 
di 
vista 
delle 
richieste 
istruttorie. 
ossia: 
vanno 
prodotti 
i 
documenti, 
le 
prove 
precostituite; 
vanno 
fatte 
le 
richieste 
per 
l’ammissione 
delle 
prove 
costituende. 
Il 
requisito 
della 
completezza 
(18) I. PAgNI, Le 
misure 
urgenti 
in materia di 
giustizia per 
contrastare 
l’emergenza epidemiologica: 
un dibattito mai 
sopito su oralità e 
pubblicità dell’udienza, cit. rileva: 
“in questo contesto anche 
le 
previsioni 
relative 
alle 
due 
nuove 
modalità 
di 
udienza 
potrebbero 
entrare 
a 
far 
parte 
di 
strumenti 
processuali 
pensati 
in 
chiave 
di 
efficienza, 
e 
contribuire 
ad 
un 
alleggerimento 
dei 
“costi” 
della 
giustizia 
(sui 
quali 
incide 
anche 
il 
tempo speso dai 
difensori 
per 
gli 
spostamenti 
e 
l’impiego dei 
domiciliatari, il 
cui 
utilizzo, al 
momento, è 
ridotto solo grazie 
al 
domicilio digitale 
per 
le 
comunicazioni 
di 
cancelleria, 
ma 
non 
per 
la 
trattazione 
delle 
udienze) 
senza 
rinuncia 
alle 
garanzie 
del 
processo 
giusto. 
Due 
modalità 
di 
udienza che 
il 
legislatore, nel 
passaggio dall’art. 83 all’art. 221, ha rimesso alla volontà delle 
parti 
nell’alternativa rigida rispetto alla trattazione 
in presenza, e 
che 
in una logica di 
maggiore 
flessibilità 
potrebbero invece 
diventare 
un trittico di 
opzioni, eleggibili 
tutte 
l’una in luogo dell’altra a seconda 
delle 
circostanze, della natura della controversia, del 
tipo di 
udienza, della qualità e 
del 
numero delle 
parti”. 

LegISLAzIoNe 
ed 
AttuALItà 


vale 
anche 
per l’atto difensivo -sul 
modello della 
comparsa 
di 
costituzione 
e 
risposta 
ex 
art.167 c.p.c. - dei convenuti in giudizio; 


b) la 
prima 
udienza 
si 
tiene 
con modalità 
cartolare. Le 
parti 
possono produrre 
memorie 
fino a 
trenta 
giorni 
liberi 
prima 
dell’udienza 
e 
presentare 
repliche, 
alle 
nuove 
memorie 
depositate 
in vista 
dell'udienza, fino a 
venti 
giorni 
liberi 
prima 
dell’udienza. 
Fino 
a 
cinque 
giorni 
prima 
dell’udienza 
le 
parti 
possono 
produrre note scritte contenenti le sole istanze e conclusioni; 
c) ciascuna 
parte, con la 
memoria 
da 
produrre 
fino a 
trenta 
giorni 
liberi 
prima 
dell’udienza 
può 
chiedere 
-ove 
vengano 
in 
rilievo 
questioni 
di 
massima 
o aventi 
notevoli 
riflessi 
economici 
-che 
l’udienza 
si 
tenga 
con modalità 
telematica 
o in presenza. Il 
giudice 
provvede 
entro dieci 
giorni. ove 
il 
giudice 
accolga 
la 
richiesta 
l’udienza 
si 
tiene 
con modalità 
telematica 
o in presenza; 
in 
questa 
evenienza 
le 
parti 
non 
possono 
produrre 
note 
scritte 
contenenti 
le 
sole istanze e conclusioni fino a cinque giorni prima dell’udienza; 
d) 
nella 
prima 
udienza 
il 
giudice 
decide 
sulla 
ammissione 
delle 
prove 
costituende, 
ove richieste; 
e) ove 
nessuna 
delle 
parti 
richieda 
l’ammissione 
delle 
prove 
costituende 
o le 
prove 
richieste 
non vengano ammesse, la 
controversia 
viene 
decisa 
alla 
prima udienza; 
f) le 
udienze 
per raccogliere 
le 
prove 
costituende 
si 
tengono in presenza; 
g) terminata 
l’istruttoria, il 
giudice 
decide 
la 
causa. Ciascuna 
parte 
può 
chiedere 
che 
la 
causa 
non sia 
decisa 
e 
che 
sia 
fissata 
l’udienza 
di 
discussione, 
da tenersi con le modalità innanzi descritte alle lettere b) e c); 
h) nella 
fase 
di 
impugnazione, scaduto il 
termine 
per l’atto difensivo del-
l’impugnato, 
il 
giudice 
decide 
la 
causa. 
Ciascuna 
parte 
può 
chiedere 
che 
la 
causa 
non sia 
decisa 
e 
che 
sia 
fissata 
l’udienza 
di 
discussione, da 
tenersi 
con 
le modalità innanzi descritte alle lettere b) e c). 
Questo è 
il 
cuore 
della 
proposta, alla 
quale 
-cum 
grano salis 
-operare 
gli 
adattamenti 
per le 
chiamate 
in causa, integrazioni 
del 
contraddittorio, rinnovazioni, 
ecc. 


Quanto illustrato e 
proposto parte 
dal 
dato fattuale 
che 
non tutte 
le 
cause 
richiedono lo stesso impegno. Vi 
sono cause 
“facili” 
e 
cause 
“difficili”, cause 
semplici 
e 
cause 
complesse, cause 
che 
coinvolgono solo questioni 
giuridiche 
e 
cause 
che 
richiedono anche 
un’attività 
istruttoria. In virtù del 
principio dispositivo 
ex 
art. 24 Cost. si 
rimette 
alle 
parti 
il 
potere 
di 
stabilire 
i 
tempi 
e 
le 
cadenze del processo. 


5. Lavoro agile (smart working). 
Il 
lavoro 
agile 
(c.d. 
smart 
working) 
è 
una 
modalità 
di 
svolgimento 
del 
rapporto 
di 
lavoro, 
prevista 
nei 
contratti 
collettivi 
e 
nella 
legislazione 
(da 
ultimo: 
art. 
18 
L. 
22 
maggio 
2017, 
n. 
81). 
Con 
tale 
modalità 
la 
prestazione 
lavorativa 
viene 
eseguita, 
in 
tutto 
o 
in 
parte, 
all'esterno 
di 
locali 
aziendali 
senza 
una 
po



rASSegNA 
AVVoCAturA 
deLLo 
StAto -N. 1/2021 


stazione 
fissa, 
entro 
i 
limiti 
di 
durata 
massima 
dell'orario 
di 
lavoro 
giornaliero 
e 
settimanale, 
derivanti 
dalla 
legge 
e 
dalla 
contrattazione 
collettiva. 
Ciò 
sulla 
base 
di 
accordo 
tra 
le 
parti, 
senza 
precisi 
vincoli 
di 
orario 
o 
di 
luogo 
di 
lavoro, 
con 
il 
possibile 
utilizzo 
di 
strumenti 
tecnologici 
per 
lo 
svolgimento 
dell'attività 
lavorativa. 
Viene 
in 
rilievo 
una 
modalità 
di 
lavoro 
idonea 
ad 
incrementare 
la 
competitività 
e 
agevolare 
la 
conciliazione 
dei 
tempi 
di 
vita 
e 
di 
lavoro. 


Questa 
modalità 
di 
lavoro 
ha 
avuto 
-fino 
alla 
recente 
pandemia 
-un 
certo 
successo nel 
lavoro privato, specie 
per le 
prestazioni 
lavorative 
di 
alta 
professionalità 
nel 
campo 
tecnologico 
ed 
informatico, 
e 
scarso 
successo 
nei 
rapporti 
di lavoro pubblico. 


Al 
fine 
di 
limitare 
la 
presenza 
del 
personale 
nei 
luoghi 
di 
lavoro, 
il 
lavoro 
agile 
ha 
avuto con la 
legislazione 
dell’emergenza 
una 
accelerata 
nelle 
applicazioni 
-nel 
lavoro pubblico -prescindendo da 
lacci 
e 
lacciuoli 
previsti 
dalla 
normativa preesistente (19). 


Con l’art. 87, seconda 
parte 
del 
comma 
1, del 
d.L. n. 18/2020, conv. L. 


n. 27/2020 è 
stato previsto che 
fino alla 
cessazione 
dello stato di 
emergenza 
epidemiologica 
da 
CoVId-2019, 
ovvero 
fino 
ad 
una 
data 
antecedente 
stabilita 
con 
d.P.C.M., 
il 
lavoro 
agile 
è 
una 
delle 
modalità 
ordinarie 
di 
svolgimento 
della 
prestazione 
lavorativa 
nelle 
PP.AA. di 
cui 
all'art. 1, comma 
2, d.L.vo 30 
marzo 2001, n. 165, prescindendo (così 
la 
lettera 
b del 
primo comma) dagli 
accordi 
individuali 
e 
dagli 
obblighi 
informativi 
previsti 
dagli 
articoli 
da 
18 a 
23 L. n. 81/2017. Conseguentemente, le 
PP.AA. limitano la 
presenza 
del 
personale 
nei 
luoghi 
di 
lavoro per assicurare 
esclusivamente 
le 
attività 
che 
ritengono 
indifferibili 
e 
che 
richiedono 
necessariamente 
tale 
presenza, 
anche 
in 
ragione della gestione dell'emergenza. 
La 
disciplina 
è 
stata 
integrata 
con l’art. 263 del 
d.L. n. 34/2020, conv. L. 


n. 
77/2020. 
All’uopo, 
nell’ambito 
del 
comma 
1, 
si 
prevede 
che 
le 
PP.AA. 
fino 
alla 
definizione 
della 
disciplina 
del 
lavoro agile 
da 
parte 
dei 
contratti 
collettivi, 
ove 
previsti, 
e, 
comunque, 
non 
oltre 
il 
31 
dicembre 
2021 
-organizzano 
il 
lavoro 
dei 
propri 
dipendenti 
e 
l'erogazione 
dei 
servizi 
attraverso 
la 
flessibilità 
dell'orario di 
lavoro, rivedendone 
l'articolazione 
giornaliera 
e 
settimanale, introducendo 
modalità 
di 
interlocuzione 
programmata, 
anche 
attraverso 
soluzioni 
digitali 
e 
non in presenza 
con l'utenza, applicando il 
lavoro agile, con le 
misure 
semplificate 
di 
cui 
al 
comma 
1, lettera 
b), dell’art. 87 d.L. n. 18/2020, 
e 
comunque 
a 
condizione 
che 
l'erogazione 
dei 
servizi 
rivolti 
a 
cittadini 
ed imprese 
avvenga 
con regolarità, continuità 
ed efficienza, nonché 
nel 
rigoroso rispetto 
dei tempi previsti dalla normativa vigente. 
Al 
fine 
di 
istituzionalizzare 
il 
lavoro agile, il 
comma 
4 bis 
del 
citato art. 
263 prevede 
che 
entro il 
31 gennaio di 
ciascun anno le 
amministrazioni 
pub


(19) S. SPArACo, La PA 
sotto la lente 
dello “Smart 
Working” 
in pandemia: evidenze 
e 
lezioni 
apprese, 
in Azienditalia, 2021, 6, pp. 1130-1136. 

LegISLAzIoNe 
ed 
AttuALItà 


bliche 
redigono, sentite 
le 
organizzazioni 
sindacali, il 
Piano organizzativo del 
lavoro agile 
(PoLA), quale 
sezione 
del 
Piano della 
performance 
di 
cui 
all'art. 
10, comma 
1, lettera 
a), d.L.vo 27 ottobre 
2009, n. 150. Il 
PoLA 
individua 
le 
modalità 
attuative 
del 
lavoro agile 
prevedendo, per le 
attività 
che 
possono essere 
svolte 
in modalità 
agile, che 
almeno il 
60 per cento dei 
dipendenti 
possa 
avvalersene, garantendo che 
gli 
stessi 
non subiscano penalizzazioni 
ai 
fini 
del 
riconoscimento 
di 
professionalità 
e 
della 
progressione 
di 
carriera 
e 
definendo, 
altresì, le 
misure 
organizzative, i 
requisiti 
tecnologici, i 
percorsi 
formativi 
del 
personale, anche 
dirigenziale, e 
gli 
strumenti 
di 
rilevazione 
e 
di 
verifica 
periodica 
dei 
risultati 
conseguiti, 
anche 
in 
termini 
di 
miglioramento 
dell'efficacia 
e 
dell'efficienza 
dell'azione 
amministrativa, 
della 
digitalizzazione 
dei 
processi, 
nonché 
della 
qualità 
dei 
servizi 
erogati, anche 
coinvolgendo i 
cittadini, sia 
individualmente, 
sia 
nelle 
loro forme 
associative. In caso di 
mancata 
adozione 
del 
PoLA, 
il 
lavoro 
agile 
si 
applica 
almeno 
al 
30 
per 
cento 
dei 
dipendenti, 
ove 
lo 
richiedano. 
Il 
raggiungimento 
delle 
predette 
percentuali 
è 
realizzato 
nell'ambito delle 
risorse 
disponibili 
a 
legislazione 
vigente. Le 
economie 
derivanti 
dall'applicazione 
del 
PoLA 
restano 
acquisite 
al 
bilancio 
di 
ciascuna 
amministrazione 
pubblica. 


L’art. 90 del 
d.L. n. 34/2020, conv. L. n. 77/2020 detta 
misure 
per ampliare 
la sfera applicativa nel rapporto di lavoro privato, con due tecniche: 


-fino 
alla 
cessazione 
dello 
stato 
di 
emergenza 
epidemiologica 
da 
CoVId19, 
i 
genitori 
lavoratori 
dipendenti 
del 
settore 
privato 
che 
hanno 
almeno 
un 
figlio 
minore 
di 
anni 
14, a 
condizione 
che 
nel 
nucleo familiare 
non vi 
sia 
altro 
genitore 
beneficiario 
di 
strumenti 
di 
sostegno 
al 
reddito 
in 
caso 
di 
sospensione 


o cessazione 
dell'attività 
lavorativa 
o che 
non vi 
sia 
genitore 
non lavoratore, 
hanno diritto a 
svolgere 
la 
prestazione 
di 
lavoro in modalità 
agile 
anche 
in assenza 
degli 
accordi 
individuali, 
a 
condizione 
che 
tale 
modalità 
sia 
compatibile 
con le 
caratteristiche 
della 
prestazione. Analogo diritto è 
riconosciuto ai 
lavoratori 
“fragili” (20); 
-limitatamente 
al 
periodo di 
tempo dello stato di 
emergenza 
epidemiologica 
da 
CoVId-19 e 
comunque 
non oltre 
il 
31 luglio 2021, la 
modalità 
di 
lavoro agile, può essere 
applicata 
dai 
datori 
di 
lavoro privati 
a 
ogni 
rapporto 
di 
lavoro subordinato, nel 
rispetto dei 
principi 
dettati 
dalle 
menzionate 
disposizioni, 
anche in assenza degli accordi individuali ivi previsti. 
ulteriori 
disposizioni 
urgenti 
in 
materia 
di 
lavoro 
agile 
sono 
contenute 
nell’art. 1 d.L. 30 aprile 2021, n. 56. 


(20) 
“lavoratori 
maggiormente 
esposti 
a 
rischio 
di 
contagio 
da 
virus 
SArS-CoV-2, 
in 
ragione 
dell'età 
o 
della 
condizione 
di 
rischio 
derivante 
da 
immunodepressione, 
da 
esiti 
di 
patologie 
oncologiche 
o dallo svolgimento di 
terapie 
salvavita o, comunque, da comorbilità che 
possono caratterizzare 
una 
situazione 
di 
maggiore 
rischiosità accertata dal 
medico competente, nell'ambito della sorveglianza sanitaria 
di cui all'articolo 83 del presente decreto” (art. 90, comma, 1, d.L. n. 34/2020). 

rASSegNA 
AVVoCAturA 
deLLo 
StAto -N. 1/2021 


7. (segue) Lavoro agile 
(smart 
working). rendere 
il 
lavoro agile 
la modalità 
ordinaria per lo svolgimento del rapporto di lavoro. 
Il 
lavoro 
agile, 
al 
quale 
la 
pandemia 
ha 
dato 
una 
necessitata 
accelerazione 
(21), 
razionalmente 
organizzato, 
andrebbe 
messo 
a 
regime 
per 
i 
molteplici 
benefici 
allo stesso collegati 
ed altresì 
per evitare 
gli 
aspetti 
negativi 
di 
un improprio 
utilizzo, 
quali 
l’assenza 
di 
separazione 
tra 
il 
tempo 
del 
lavoro 
e 
quello 
privato e il rischio di assorbenza totalizzante del primo sul secondo. 


Circa i punti di forza del lavoro agile si rileva quanto segue. 


a) 
dal 
punto 
di 
vista 
del 
dipendente, 
il 
lavoro 
agile 
determina 
un 
miglioramento 
delle 
competenze 
digitali. 
tale 
modalità 
di 
lavoro 
è, 
intuitivamente, 
appetibile, 
atteso 
che 
elimina 
i 
tempi 
morti 
per 
raggiungere 
il 
posto 
di 
lavoro, 
con 
risparmio 
di 
tempo 
e 
denaro, 
potendo 
svolgersi 
l’attività 
lavorativa 
da 
qualsiasi 
luogo. 
Il 
lavoratore 
vede 
migliorata 
la 
qualità 
della 
vita, 
con 
una 
maggiore 
conciliazione 
tra 
lavoro 
e 
vita 
privata. 
ove 
gestita 
in 
modo 
razionale, 
tale 
modalità 
di 
lavoro 
aumenta 
l’empatia 
tra 
dipendente 
e 
datore 
di 
lavoro, 
fidelizza 
il 
lavoratore 
con 
inevitabili 
ricadute 
sulla 
produttività 
e 
sulla 
efficienza 
degli 
uffici. 
b) 
dal 
punto 
di 
vista 
del 
datore 
di 
lavoro, 
vi 
è 
una 
riduzione 
dei 
costi 
fissi 
dell’apparato 
organizzativo. 
riducendo, 
quale 
effetto 
complessivo 
dello 
svolgimento 
del 
lavoro in modalità 
agile, la 
presenza 
dei 
dipendenti 
negli 
uffici 
e 
turnando la 
loro presenza 
nelle 
postazioni 
di 
lavoro si 
riducono gli 
ambienti 
nei 
quali 
si 
svolge 
la 
prestazione. 
occorrono 
meno 
uffici, 
si 
riduce 
la 
logistica, 
si 
riducono i 
costi 
delle 
utenze 
del 
servizio elettrico, del 
servizio idrico, di 
gas 
naturale, degli appalti dei servizi di pulizia. 
c) dal 
punto di 
vista 
della 
vivibilità 
delle 
città 
e 
della 
salvaguardia 
del-
l’ambiente, vi 
è 
un netto miglioramento di 
tutti 
gli 
standard collegati 
alla 
qualità 
dei 
servizi 
pubblici. La 
riduzione 
delle 
persone 
che 
si 
recano fisicamente 
nei 
posti 
di 
lavoro determina, per l’effetto, il 
decongestionamento dei 
servizi 
di 
trasporto pubblico locale, una 
maggiore 
fluidità 
della 
viabilità, un minore 
inquinamento atmosferico ed acustico. 
d) dal 
punto di 
vista 
dell’urbanistica, il 
lavoro agile 
può determinare 
una 
riduzione 
della 
pressione 
antropica 
sulle 
città 
ed una 
redistribuzione 
della 
popolazione 
sul 
territorio, specie 
nelle 
periferie 
delle 
città, in paesi 
e 
borghi. Il 
lavoratore, potendo svolgere 
il 
lavoro, in tutto o in parte, da 
qualsivoglia 
postazione, 
sarà 
incentivato 
a 
delocalizzare 
la 
propria 
abitazione 
in 
centri 
minori, 
dato il minor costo delle abitazioni e la migliore qualità della vita. 
In conclusione, occorre 
in modo vigoroso incentivare 
il 
lavoro agile. La 


(21) S. SPArACo, La PA 
sotto la lente 
dello “Smart 
Working” 
in pandemia: evidenze 
e 
lezioni 
apprese, 
cit., p. 1131 rileva 
che 
“Durante 
la fase 
più acuta dell’emergenza lo Smart 
Working ha coinvolto 
il 
97% delle 
grandi 
imprese, il 
94% delle 
Pubbliche 
Amministrazioni 
italiane 
e 
il 
58% delle 
Pmi, per 
un totale 
di 
6,58 milioni 
di 
lavoratori 
agili, circa un terzo dei 
lavoratori 
dipendenti 
italiani, oltre 
dieci 
volte più dei 570 mila censiti nel 2019”. 

LegISLAzIoNe 
ed 
AttuALItà 


riuscita 
di 
tale 
tecnica 
comporterà 
una 
rivoluzione 
pacifica, quella 
di 
superare 
vincoli 
di 
tempo e 
spazio, consentendo una 
maggiore 
autonomia 
e 
flessibilità 
nella 
gestione 
dell’attività 
lavorativa, e 
orientandola 
al 
risultato, valorizzando 
il senso di responsabilità, in un contesto di fiducia organizzativa. 


A 
tal 
fine 
è 
necessaria 
una 
regia 
complessiva 
nazionale 
ed il 
tutto dovrà 
poi 
essere 
recepito a 
livello statale 
con legge 
quadro, al 
fine 
di 
dare 
una 
disciplina 
omogenea 
sul 
territorio nazionale. All’uopo è 
necessaria 
una 
normativa 
che 


-disegni 
un modello organizzativo che 
renda 
fungibile 
il 
lavoro in presenza 
rispetto 
a 
quello 
da 
remoto, 
atteso 
che 
il 
lavoro 
agile 
costituisce 
una 
mera 
modalità 
di 
svolgimento della 
prestazione 
di 
lavoro. e 
quindi: 
scrivania 
elettronica, 
riunione 
telematica, 
gestione 
del 
back 
office, 
accesso 
a 
fonti 
di 
dati 
e 
archivi 
di 
documenti, comunicazioni 
digitali 
tra 
gli 
uffici 
e 
i 
dipendenti 
che 
vi lavorano. Modello che va solo gestito dalla dirigenza; 
-distingua 
tra 
tipologia 
di 
attività 
nelle 
quali 
è 
indispensabile 
la 
presenza 
nei 
luoghi 
di 
lavoro (es. autista, vigilanza, ecc.) e 
tipologia 
di 
attività 
dove 
è 
possibile svolgere, in tutto o in parte, il lavoro anche da remoto; 


-preveda 
-per 
le 
attività 
che 
si 
possono 
svolgere 
nella 
totalità 
da 
remoto 
che 
il 
lavoro 
agile 
costituisca 
la 
modalità 
ordinaria 
di 
svolgimento 
del 
lavoro; 


-disciplini 
le 
modalità 
operative 
delle 
attività 
che 
si 
possono svolgere 
in 
parte 
da 
remoto 
e 
in 
parte 
in 
presenza. 
ove 
possibile, 
occorre 
regolare 
il 
lavoro 
in presenza 
di 
alcuni 
dipendenti 
in alternativa 
al 
lavoro di 
altri 
dipendenti 
da 
remoto. 
diversamente, 
ove 
il 
singolo 
dipendente 
debba 
in 
parte 
essere 
presente, 
occorre 
articolare 
le 
attività 
con un misto di 
presenza/assenza 
in ufficio 
(es. lavoro in presenza due giorni su cinque a settimana). 
La 
grande 
partita 
si 
gioca 
sulla 
esatta 
configurazione 
del 
modello organizzativo, 
sulla 
progettazione 
sistemica 
a 
livello 
logistico, 
su 
una 
adeguata 
dirigenza. 
Alla 
configurazione 
di 
tale 
modello 
devono 
contribuire 
tutti 
gli 
operatori: 
le 
associazioni 
datoriali, le 
organizzazioni 
sindacali, esperti 
di 
organizzazione 
del lavoro, esperti informatici. 


È 
importante 
delineare 
esattamente 
i 
carichi 
di 
lavoro, 
la 
durata 
della 
prestazione, 
ripensando il 
rapporto tra 
retribuzione 
a 
tempo e 
retribuzione 
a 
cottimo. 
tanto 
al 
fine 
di 
evitare 
che 
il 
lavoro 
agile 
sia 
una 
trappola 
per 
il 
lavoratore, 
una 
nuova 
schiavitù, 
e 
che 
comporti 
un 
peggioramento 
della 
qualità 
della vita (22). 


(22) S. SPArACo, La PA 
sotto la lente 
dello “Smart 
Working” 
in pandemia: evidenze 
e 
lezioni 
apprese, 
cit., p. 1131 evidenzia 
che, dalle 
risultanze 
degli 
effetti 
del 
lavoro agile 
svolto con modalità 
necessitate 
ed accelerate 
nella 
fase 
più acuta 
dell’emergenza 
CoVId,“il 
29% dei 
lavoratori 
ha incontrato 
difficoltà a separare 
il 
tempo del 
lavoro e 
quello privato (29%) e 
a mantenere 
un equilibrio fra i 
due 
aspetti 
(28%), oltre 
a sperimentare 
una sensazione 
di 
isolamento nei 
confronti 
dell’organizzazione 
nel 
suo 
insieme 
(29%). 
il 
difficile 
work-life 
balance 
è 
stato 
anche 
la 
prima 
barriera 
da 
superare 
per 
le 
grandi 
imprese 
(58%), 
seguita 
dalla 
disparità 
del 
carico 
di 
lavoro 
fra 
alcuni 
lavoratori 
meno 
impegnati 

rASSegNA 
AVVoCAturA 
deLLo 
StAto -N. 1/2021 


8. interconnessione delle attività. 
una 
misura 
adottata 
al 
fine 
di 
contrastare 
e 
contenere 
la 
diffusione 
del 
virus 
CoVId-19, 
fino 
alla 
data 
di 
cessazione 
dello 
stato 
di 
emergenza, 
è 
quella 
dello 
svolgimento 
di 
attività 
collegiali, 
di 
gruppo 
mediante 
connessione 
da 
remoto, 
con 
sistemi 
di 
comunicazione 
in 
videoconferenza, 
che 
garantiscano 
la 
contestualità, 
la 
sicurezza 
delle 
comunicazioni, 
nel 
rispetto 
di 
criteri 
di 
trasparenza 
e 
tracciabilità, 
con 
sistemi 
che 
consentano 
di 
identificare 
con 
certezza 
i 
partecipanti, 
nonché 
adeguata 
pubblicità 
delle 
sedute, 
ove 
previsto, 
secondo 
le 
modalità 
individuate 
da 
ciascun 
ente. 
L’obiettivo, 
intuitivamente, 
è 
quello 
di 
eliminare 
o 
ridurre 
i 
contatti 
umani 
al 
fine 
di 
impedire 
la 
diffusione 
del 
virus. 


tale misura è prevista in modo asistematico in varie disposizioni. 


a) riunioni di organi collegiali. In specie: 
-riunioni 
dei 
consigli 
dei 
comuni, delle 
province 
e 
delle 
città 
metropolitane 
e delle giunte comunali; 
-riunioni 
degli 
organi 
collegiali 
degli 
enti 
pubblici 
nazionali, anche 
articolati 
su base 
territoriale, nonché 
degli 
enti 
e 
degli 
organismi 
del 
sistema 
camerale; 
-sedute 
degli 
organi 
collegiali 
delle 
istituzioni 
scolastiche 
ed educative 
di ogni ordine e grado; 
-sedute 
delle 
associazioni 
private 
anche 
non riconosciute 
e 
delle 
fondazioni, 
nonché delle società, comprese società cooperative e consorzi. 
In questi 
casi 
lo svolgimento delle 
sedute 
in videoconferenza 
è 
prevista 
come possibilità (“possono”). 
La 
disciplina 
illustrata, di 
durata 
temporanea 
(si 
applica 
fino alla 
data 
di 
cessazione 
dello stato di 
emergenza 
deliberato dal 
Consiglio dei 
ministri 
il 
31 
gennaio 
2020), 
è 
stata 
introdotta 
dall’art. 
73 
d.L. 
n. 
18/2020, 
conv. 
L. 
n. 
27/2020: 
quel 
che 
non ha 
potuto la 
legge 
in quindici 
anni 
di 
norme 
sulla 
P.A. 
digitale, sull'onda del Coronavirus si è realizzato in pochi giorni. 


b) 
rinnovo, mediante 
elezione, degli 
organi 
collegiali 
degli 
ordini 
e 
dei 
collegi 
professionali, nazionali 
e 
territoriali. Il 
detto rinnovo può avvenire, in 
tutto o in parte, secondo modalità 
telematiche, nel 
rispetto dei 
princìpi 
di 
segretezza 
e 
libertà 
nella 
partecipazione 
al 
voto (art. 31 bis 
d.L. n. 137/2020, 
conv. L. n. 176/2020; 
l’art. 31 dello stesso d.L. prevede 
l’identica 
disciplina 
per 
le 
elezioni 
degli 
organi 
territoriali 
e 
nazionali 
degli 
ordini 
professionali 
vigilati 
dal Ministero della giustizia). 
disposizioni 
strane 
queste 
in esame, in quanto l’applicazione 
non è 
col


e 
altri 
sovraccaricati 
(40%), dall’impreparazione 
dei 
manager 
a gestire 
il 
lavoro da remoto (33%) e 
limitate 
competenze 
digitali 
del 
personale 
(31%). 
Nelle 
PA, 
invece, 
le 
difficoltà 
maggiori 
hanno 
riguardato 
l’inadeguatezza 
delle 
tecnologie 
a 
disposizione 
(46%) 
e 
la 
disparità 
nel 
carico 
di 
lavoro 
(39%), 
poi 
l’equilibrio fra vita privata e professionale (33%) e le scarse competenze digitali (31%)”. 


LegISLAzIoNe 
ed 
AttuALItà 


legata 
allo stato di 
emergenza, ma 
si 
ha 
in via 
ordinaria, sicché 
la 
pandemia 
è 
stata solo l’occasione per adottare tale disciplina. 


c) Svolgimento delle assemblee di società ed associazioni e fondazioni. 
L’art. 106, commi 
2 e 
8 bis, d.L. n. 18/2020, conv. L. n. 27/2020 prevede 
che 
le 
assemblee 
ordinarie 
o 
straordinarie 
delle 
associazioni 
e 
fondazioni, 
delle 
società 
per azioni, delle 
società 
in accomandita 
per azioni, delle 
società 
a 
responsabilità 
limitata, 
delle 
società 
cooperative 
e 
delle 
mutue 
assicuratrici 
possano 
svolgersi, anche 
esclusivamente, mediante 
mezzi 
di 
telecomunicazione 
che 
garantiscano 
l'identificazione 
dei 
partecipanti, 
la 
loro 
partecipazione 
e 
l'esercizio 
del 
diritto 
di 
voto. 
Le 
disposizioni 
dell’art. 
106 
si 
applicano 
alle 
assemblee 
tenute entro il 31 luglio 2021. 


d) 
Svolgimento 
della 
didattica 
a 
distanza 
nelle 
istituzioni 
scolastiche 
statali 
e 
nelle 
istituzioni 
scolastiche 
paritarie 
(l’art. 
120 
d.L. 
n. 
18/2020, 
conv. 
L. 
n. 
27/2020 
si 
preoccupa 
dell’approvvigionamento 
delle 
piattaforme 
per 
la 
didattica 
a 
distanza; 
analoga 
disposizione 
si 
ha 
con 
l’art. 
231 
del 
d.L. 
n. 
34/2020, 
conv, 
L. 
n. 
77/2020 
e 
con 
l’art. 
21 
d.L. 
n. 
137/2020, 
conv. 
n. 
176/2020). 
e) 
Attività 
di 
formazione 
a 
distanza. 
L’art. 
91, 
comma 
1, 
d.L. 
n. 
34/2020, 
conv. 
L. 
n. 
77/2020 
dispone 
che 
“A 
beneficio 
degli 
studenti 
ai 
quali 
non 
è 
consentita, 
per 
le 
esigenze 
connesse 
all'emergenza 
epidemiologica 
da 
CoViD 
19, 
la partecipazione 
alle 
attività didattiche 
dei 
sistemi 
regionali 
di 
istruzione 
e 
formazione 
professionale 
(i. e 
F.P.), dei 
sistemi 
regionali 
che 
realizzano i 
percorsi 
di 
istruzione 
e 
formazione 
tecnica superiore 
(i.F.T.S.), tali 
attività sono 
svolte 
con modalità a distanza, individuate 
dai 
medesimi 
istituti 
di 
istruzione, 
avuto anche riguardo alle specifiche esigenze degli studenti con disabilità”. 
f) 
Svolgimento 
in 
modalità 
telematica 
di 
fasi 
delle 
procedure 
concorsuali 
della 
Commissione 
rIPAM 
(art. 247 d.L. n. 34/2020, conv. L. n. 77/2020). 
Viene previsto che 
-la 
commissione 
esaminatrice 
e 
le 
sottocommissioni 
possono svolgere 
i 
propri 
lavori 
in modalità 
telematica, garantendo comunque 
la 
sicurezza 
e 
la 
tracciabilità delle comunicazioni; 
-la 
prova 
orale 
può 
essere 
svolta 
in 
videoconferenza, attraverso 
l'utilizzo 
di 
strumenti 
informatici 
e 
digitali, garantendo comunque 
l'adozione 
di 
soluzioni 
tecniche 
che 
assicurino 
la 
pubblicità 
della 
stessa, 
l'identificazione 
dei 
partecipanti, nonché la sicurezza delle comunicazioni e la loro tracciabilità. 


L’applicazione 
delle 
disposizioni 
di 
cui 
al 
citato art. 247 non è 
collegata 
allo stato di 
emergenza, ma 
si 
ha 
in via 
ordinaria, sicché 
la 
pandemia 
è 
stata 
solo l’occasione della adozione di tali disposizioni. 


g) 
Svolgimento 
di 
specifiche 
fasi 
(correzione 
degli 
elaborati 
scritti; 
esami 
orali) 
del 
concorso 
notarile 
e 
dell’esame 
di 
abilitazione 
all'esercizio 
della 
professione 
forense 
-attualmente 
in 
corso 
-con 
modalità 
telematiche 
(art. 
254 
d.L. n. 34/2020, conv. L. n. 77/2020). 
h) 
Svolgimento delle 
prove 
(di 
tutte 
le 
prove) con modalità 
telematiche 

rASSegNA 
AVVoCAturA 
deLLo 
StAto -N. 1/2021 


di 
videoconferenza, con riguardo ai 
concorsi 
indetti 
o da 
indirsi 
per l'accesso 
ai 
ruoli 
e 
alle 
qualifiche 
delle 
Forze 
armate, delle 
Forze 
di 
polizia, del 
Corpo 
nazionale 
dei 
vigili 
del 
fuoco, 
del 
personale 
dell'amministrazione 
penitenziaria 
e 
dell'esecuzione 
penale 
minorile 
ed esterna, per la 
durata 
dello stato di 
emergenza 
epidemiologica 
e 
fino al 
permanere 
di 
misure 
restrittive 
e/o di 
contenimento 
dello stesso, e 
comunque 
non oltre 
il 
31 dicembre 
2021 (art. 259 d.L. 


n. 34/2020, conv. L. n. 77/2020). 
Le 
membra 
sparse 
della 
legislazione 
emergenziale 
andrebbero sistematizzate 
per disciplinare 
ed incentivare 
-in modo stabile 
ed ordinario -l’interconnessione 
delle attività. 


L’attività 
collegiale, 
la 
partecipazione 
alle 
decisioni 
di 
enti 
andrebbe 
svolta 
-nei 
limiti 
dell’esigibile 
e 
del 
ragionevole 
-in 
modalità 
telematica. 
L’interconnessione 
dovrebbe costituire la modalità ordinaria del lavoro. 


Prendiamo due casi: 


a) riunione 
del 
Ministro dell’Istruzione 
con i 
direttori 
generali 
degli 
uffici 
Scolastici 
regionali. È 
fin troppo evidente 
la 
ragionevolezza 
di 
una 
riunione 
da 
remoto -in termini 
di 
costi 
e 
di 
tempo per gli 
spostamenti 
di 
venti 
figure apicali - rispetto alla riunione in presenza; 
b) 
votazione 
alle 
elezioni 
per 
il 
rinnovo 
delle 
camere 
del 
Parlamento 
nazionale. 
La 
ragionevolezza 
del 
voto 
da 
remoto 
anche 
in 
questo 
caso 
è 
intuitiva: 
-consente 
di 
risparmiare 
sul 
costo delle 
elezioni. La 
spesa 
per ciascuna 
tornata 
elettorale 
per 
il 
rinnovo 
delle 
Camere 
del 
Parlamento 
nazionale 
tenutasi 
negli ultimi anni è di circa 300 milioni di euro; 
-evita 
i 
sacrifici 
organizzativi 
per le 
strutture 
(es. scuole) utilizzate 
per 
l’allestimento dei seggi elettorali; 
-favorisce 
la 
partecipazione 
democratica, 
mediante 
il 
prevedibile 
aumento 
del 
numero 
dei 
votanti 
(anziani, 
persone 
non 
allocate 
nel 
comune 
di 
residenza, 
ecc.). 


ovviamente 
-e 
valga 
l’esempio emblematico dell’esercizio del 
diritto di 
voto, 
tessera 
importante 
del 
sistema 
democratico, 
il 
quale 
deve 
essere, 
tra 
l’altro, 
segreto -il 
tutto deve 
essere 
organizzato e 
svolto con sistemi 
di 
comunicazione 
che 
offrano 
garanzie 
non 
inferiori 
a 
quelle 
collegate 
con 
lo 
svolgimento delle 
attività 
in presenza, in termini 
di 
sicurezza, di 
trasparenza 
e di tracciabilità. 


9. Semplificazione normativa in materia di contratti pubblici. 
Sotto questo aspetto la 
legislazione 
dell’emergenza 
offre 
spunti, linee 
di 
tendenza che andrebbero implementati e sistematizzati. 


È 
ben nota 
la 
complessità 
dei 
procedimenti 
amministrativi 
diretti 
alla 
acquisizione 
di 
opere, 
servizi 
e 
forniture 
delineati 
nel 
Codice 
dei 
contratti 
(d.L.vo 12 aprile 2016, n. 50). 


Primo 
fattore 
di 
complicatezza 
-preclusivo 
di 
procedimenti 
rapidi, 
attesa 



LegISLAzIoNe 
ed 
AttuALItà 


la 
funzione 
orientativa 
della 
norma 
giuridica 
regolatrice 
della 
materia 
-è 
la 
nebulosità 
ed incertezza 
del 
quadro normativo, la 
difficoltà 
del 
quadro conoscitivo. 


Il 
Codice 
dei 
contratti 
si 
compone 
di 
220 
articoli 
e 
26 
allegati. 
gli 
articoli 
non 
contengono 
disposizioni 
essenziali, 
chiare, 
sintetiche. 
Solo 
per 
rendere 
l’idea: 
l’art. 
3 
del 
Codice 
dei 
contratti 
si 
compone 
di 
oltre 
5.000 
parole, 
il 
successivo 
art. 80 si 
compone 
di 
circa 
2.400 parole. Patente 
è 
l’incapacità 
di 
sintesi. 
Il 
Codice 
dei 
Contratti 
raggiunge 
le 
dimensioni 
dell’intero 
Codice 
Civile. 


dal 
2016 ad oggi, ossia 
in cinque 
anni, il 
Codice 
dei 
contratti 
è 
stato modificato 
sei 
volte 
(d.L.vo 
19 
aprile 
2017, 
n. 
56; 
d.L. 
14 
dicembre 
2018, 
n. 
135, conv. L. 11 febbraio 2019, n. 12; 
d.L.vo 12 gennaio 2019, n. 14; 
d.L. 18 
aprile 
2019, n. 32, conv. L. 14 giugno 2019, n. 55; 
d.L. 16 luglio 2020, n. 76, 
conv. 
L. 
11 
settembre 
2020, 
n. 
120; 
d.L. 
31 
maggio 
2021, 
n. 
77), 
con 
oltre 


1.200 
modifiche. 
L’instabilità 
del 
quadro 
normativo, 
all’evidenza, 
non 
consente 
la sedimentazione di orientamenti. 
A 
ciò 
aggiungasi 
che 
il 
Codice 
dei 
contratti 
deve 
essere 
integrato 
da 
circa 
cinquanta 
atti 
della 
Presidenza 
del 
Consiglio dei 
Ministri, del 
Ministero delle 
Infrastrutture, dell’ANAC, aventi 
la 
più disparata 
natura 
e 
da 
adottare 
entro 
determinati 
termini. L’operatore 
che 
vuole 
conoscere 
la 
disciplina 
di 
una 
materia 
deve 
disporre 
-in luogo di 
un unico testo -di 
una 
congerie 
di 
fonti, da 
controllare 
nella 
loro 
vigenza. 
Con 
l’aggravante 
che, 
laddove 
non 
vengano 
adottati 
i 
provvedimenti 
normativi 
entro 
i 
termini 
prefissati 
(termini 
giustamente 
definibili, con redenti, “canzonatori”), la 
disciplina 
è 
quanto mai 
problematica. 
ed è 
quanto avvenuto proprio con il 
Codice 
degli 
Appalti. Valga 
il 
caso 
della 
qualificazione 
delle 
stazioni 
appaltanti, 
ex 
art. 
38, 
comma 
2, 
del 
detto 
Codice: 
il 
d.P.C.M. 
definitorio 
dei 
requisiti 
tecnico 
organizzativi 
per 
l’iscrizione 
doveva 
essere 
adottato entro novanta 
giorni 
dalla 
data 
di 
entrata 
in vigore 
del 
Codice. Il 
decreto in esame, a 
cinque 
anni 
della 
entrata 
in vigore 
del 
Codice 
degli 
Appalti, 
non 
ha 
ancora 
visto 
la 
luce. 
L’operatore, 
all’evidenza, 
non dispone 
di 
un unico testo per orientare 
la 
propria 
condotta, ma 
deve 
cercare 
i provvedimenti completivi (se ci sono) ed i successivi aggiornamenti. 


Secondo 
fattore 
di 
complicatezza 
è 
l’estrema 
difficoltà 
di 
delineare 
la 
progettazione 
a 
base 
di 
gara 
ed altresì 
la 
complessità 
delle 
procedure 
di 
scelta 
del 
contraente, 
che 
rende 
non 
facile 
il 
raccordo 
tra 
regimi 
ordinari, 
regimi 
speciali 
ed eccezioni ai due regimi. 


La 
sommatoria 
dei 
detti 
fattori 
sono i 
notevoli 
costi 
preliminari 
e 
le 
lungaggini 
delle procedure. 
Come 
innanzi 
evidenziato, 
la 
legislazione 
dell’emergenza 
offre 
spunti, 
linee di tendenza in materia. 
In specie 
con il 
Capo I del 
titolo I (artt. 1-9) del 
d.L. 16 luglio 2020, n. 
76, conv. L. 11 settembre 
2020, n. 120, modificato con d.L. 31 maggio 2021, 


n. 77, vengono dettate 
disposizioni 
per la 
semplificazione 
in materia 
di 
con

rASSegNA 
AVVoCAturA 
deLLo 
StAto -N. 1/2021 


tratti 
pubblici. La 
tecnica 
è 
quella 
della 
deroga 
ad tempus 
(fino al 
30 giugno 
2023) a 
disposizioni 
del 
Codice 
dei 
Contratti 
pubblici 
relative 
a 
determinate 
materie, 
al 
fine 
di 
accelerare 
i 
procedimenti. 
All’uopo 
determinate 
fasi 
del 
procedimento 
di 
evidenza 
pubblica 
vengono o eliminate 
o accantonate 
o ridotte 
nella 
durata. 
tra 
le 
materie 
interessate, 
si 
richiamano: 
l’aggiudicazione 
dei 
contratti 
pubblici 
sotto soglia 
e 
sopra 
soglia 
(artt. 1 e 
2); 
verifiche 
antimafia 
(art. 
3); 
stipulazione 
dei 
contratti 
pubblici 
e 
ricorsi 
giurisdizionali 
(art. 
4) 
(23). 


ulteriori 
disposizioni 
miranti 
alla 
accelerazione 
e 
snellimento delle 
procedure 
sono contenute 
nel 
d.L. 31 maggio 2021, n. 77 (es.: 
art. 49: 
modifiche 
alla disciplina del subappalto). 


Quanto 
evidenziato 
della 
legislazione 
emergenziale, 
è 
una 
spia 
che 
il 
Codice 
dei 
Contratti, 
così 
com’è, 
costituisce 
un 
fattore 
di 
intralcio 
e 
rallentamento 
nelle 
procedure 
relative 
agli 
acquisiti 
della 
P.A. Si 
interviene 
-qua 
e 
là 
ed a 
termine, con riguardo ad alcuni 
procedimenti 
e 
solo con riferimento a 
specifiche 
fasi 
-sui 
punti 
considerati 
più critici 
al 
fine 
di 
superare 
le 
conseguenze 
prodotte 
dalla 
pandemia. 
Quest’ennesimo 
intervento 
legislativo 
certifica 
le 
criticità 
del 
Codice 
dei 
Contratti. Va 
poi 
considerato che 
il 
detto intervento, 
occasionale 
e 
privo di 
una 
visione 
sistematica, attesa 
la 
deroga 
ad tempus 
e 
su 
specifici aspetti, può contribuire ad aggravare il quadro critico. 


occorre 
prendere 
atto 
dei 
limiti 
del 
Codice 
vigente, 
il 
quale 
così 
com’è 
costituisce 
un 
fattore 
di 
freno 
all’attività 
della 
burocrazia 
e 
degli 
operatori 
economici. 


È 
auspicabile 
dunque 
-portando 
a 
conseguenza 
sistematica 
i 
timidi 
spunti 
offerti 
dalla 
legislazione 
emergenziale 
-una 
semplificazione 
generalizzata 
di 
tutte 
le 
procedure 
negoziali. un modello di 
pronta 
fruizione 
è 
il 
c.d. modello 
inglese, 
ossia 
l’attuazione 
immediata 
delle 
direttive 
u.e. 
in 
materia 
negoziale. 
gli 
inglesi 
-ma 
questa 
è 
storia 
perché 
sono usciti 
dall’u.e. -con il 
loro taglio 


(23) 
Su 
tale 
novella 
d. 
gALLI, 
i 
contratti 
pubblici, 
in 
Giornale 
dir. 
Amm., 
2020, 
6, 
pp. 
737746, 
il 
quale 
così 
riassume 
il 
coacervo 
delle 
introdotte 
misure: 
“Alcune 
incidono 
su 
organizzazione 
e 
funzionamento 
delle 
amministrazioni; 
altre 
ridisegnano 
il 
perimetro 
della 
responsabilità 
per 
danno 
erariale 
(circoscritta 
al 
solo 
caso 
di 
dolo) 
e 
del 
reato 
per 
abuso 
di 
ufficio. 
Alcune 
rispondono 
a 
spinte 
dell’Unione 
europea; 
altre, 
al 
contrario, 
sembrano 
porsi 
in 
termini 
difficilmente 
conciliabili, 
proprio, 
con 
questa 
ultima 
normativa. 
Alcune 
trovano 
applicazione 
alle 
nuove 
procedure, 
altre 
a 
procedure 
e 
contratti 
in 
corso, 
altre 
ancora 
agli 
uni 
e 
agli 
altri. 
Alcune 
hanno 
una 
portata 
transitoria; 
altre 
hanno 
carattere 
di 
stabilità. 
Alcune 
hanno 
una 
valenza 
generale 
quanto 
all’ambito 
oggettivo 
e 
soggettivo 
di 
applicazione; 
altre, 
invece, 
più 
ridotto; 
altre 
ancora 
hanno 
una 
valenza 
ipersettoriale. 
Alcune 
hanno 
il 
carattere 
della 
novità; 
altre 
appaiono 
sostanzialmente 
inutili 
e 
riproduttive 
di 
disposizioni 
già 
presenti 
nell’ordinamento; 
altre, 
ancora, 
sono 
pressoché 
incomprensibili. 
Alcune 
disposizioni 
hanno 
l’ambizione 
di 
ridisegnare 
seppure 
in 
via 
transitoria 
la 
disciplina, 
altre 
costituiscono 
minime 
modifiche 
non 
direttamente 
riconducibili 
alle 
finalità 
del 
decreto. 
Nel 
complesso, 
le 
nuove 
norme 
prendono 
in 
considerazione, 
in 
modo 
trasversale, 
il 
processo 
di 
affidamento 
dei 
contratti 
pubblici, 
la 
fase 
esecutiva, 
quella 
di 
risoluzione 
delle 
controversie 
ed, 
in 
qualche 
misura, 
anche 
l’assetto 
organizzativo 
della 
pubblica 
amministrazione 
e 
il 
profilo 
delle 
responsabilità 
dei 
dipendenti” 
(pp. 
737-738). 

LegISLAzIoNe 
ed 
AttuALItà 


pratico, preso atto che 
le 
direttive 
in materia 
sono dettagliate, si 
sono limitati 
a tradurle in inglese 
tout court 
senza adottare norme di recezione. 


All’uopo potrebbe 
essere 
adottata 
una 
legge 
con un articolo unico del 
seguente 
tenore: 


“Articolo unico 


1. 
il 
D.L.vo 
12 
aprile 
2016, 
n. 
50 
è 
abrogato; 
le 
relative 
disposizioni 
continuano 
ad applicarsi alle procedure pendenti. 
2. 
L’aggiudicazione 
dei 
contratti 
di 
concessione 
è 
regolata 
dalla 
direttiva 
2014/23/UE 
del 
Parlamento europeo e 
del 
Consiglio, del 
26 febbraio 2014; 
l’aggiudicazione 
dei 
contratti 
di 
appalto pubblico è 
regolata dalla direttiva 
2014/24/UE 
del 
Parlamento europeo e 
del 
Consiglio, del 
26 febbraio 2014; 
l’aggiudicazione 
dei 
contratti 
di 
appalto degli 
enti 
erogatori 
nei 
settori 
del-
l'acqua, 
dell'energia, 
dei 
trasporti 
e 
dei 
servizi 
postali 
è 
regolata 
dalla 
direttiva 
2014/25/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 febbraio 2014. 
Per 
tutto 
quanto 
non 
previsto 
dalle 
direttive 
innanzi 
indicate 
si 
applicano 
il Codice Civile ed i principi generali di correttezza e buona fede. 


3. La presente 
legge 
entra in vigore 
il 
giorno successivo alla pubblicazione 
sulla Gazzetta ufficiale” (24). 
(24) 
tale 
proposta 
non 
è 
isolata 
nella 
comunità 
giuridica. 
Si 
rileva 
che 
“recentemente 
il 
Presidente 
del 
Consiglio di 
Stato Filippo Patroni 
Griffi, ha espresso in modo chiaro che 
la materia dei 
contratti 
pubblici 
potrebbe 
essere 
in poco tempo semplificata ritornando alle 
direttive 
UE 
e 
abbattendo il 
cosiddetto 
goldplating, 
l’“indoramento”, 
l’aggravamento 
anomalo 
attuato 
di 
solito 
dallo 
Stato 
italiano 
nelle 
leggi 
(spesso decreti 
delegati) di 
recepimento delle 
direttive” 
S. de 
FeLICe, Alcune 
idee 
per 
una PA 
migliore 
per 
il 
Paese. 
Non 
solo 
per 
il 
recovery, 
in 
Sito 
Giustizia 
amministrativa, 
Approfondimenti 
Dottrina, 
pubblicato 
il 
20 
febbraio 
2021, 
p. 
1, 
ove 
si 
rileva 
altresì 
“Certo, 
c’è 
la 
esigenza 
di 
disciplinare 
gli 
aspetti 
interni, ma in una materia caratterizzata da tante 
fonti 
del 
diritto quali 
regolamenti 
e 
direttive 
europee, 
normativa 
statale 
primaria 
e 
secondaria 
(allo 
stato, 
non 
l’auspicato 
regolamento 
unico, 
ma 
varie 
decine 
di 
regolamenti, linee 
guida Anac 
e 
anche 
leggi 
regionali 
su materie 
secondarie, quali 
la composizione 
delle 
commissioni), bandi 
(il 
bando è 
definito la lex 
specialis 
della gara), capitolati, contratti, si 
può e 
si deve provare a espungere il troppo e il vano, e guarire dal “morbo” del troppo diritto”. 

rASSegNA 
AVVoCAturA 
deLLo 
StAto -N. 1/2021 


Le graduatorie Provinciali di supplenza: 
verso un primo parziale bilancio 


Alessandra Parente* 


SommArio: 
1. 
introduzione 
-2. 
il 
quadro 
normativo 
di 
riferimento 
tra 
innovazioni 
e 
criticità 
-3. Uno sguardo particolare 
alle 
classi 
di 
concorso musicali 
e 
coreutiche 
-4. Considerazioni 
conclusive. 


1. introduzione. 
Il 
mondo dell’istruzione 
e 
della 
formazione 
è 
per sua 
natura 
particolarmente 
dinamico, in grado più e 
meglio di 
altri 
di 
intercettare 
le 
spinte 
verso il 
cambiamento e di risentire dei momenti di crisi della società in cui si svolge. 

Fino 
ad 
un 
anno 
fa 
una 
considerazione 
di 
questo 
tipo 
poteva 
apparire 
retorica 
agli 
occhi 
di 
molti, 
questi 
mesi 
di 
pandemia 
hanno 
insegnato 
che 
non 
è 
così. 


di 
crisi 
della 
scuola 
e 
dei 
suoi 
protagonisti, di 
tramonto obbligato della 
didattica 
tradizionale 
e 
di 
apertura 
al 
digitale 
tra 
luci 
e 
ombre, così 
come 
di 
procedure 
concorsuali 
in bilico o di 
cattedre 
vuote, in questo anno di 
Covid si 
è parlato a lungo. 

Minore 
è 
stata 
l’attenzione 
mediatica 
verso altre 
tematiche, forse 
perché 
percepite per addetti ai lavori. 

È 
il 
caso 
delle 
graduatorie 
Provinciali 
di 
supplenza, 
c.d. 
gPS, 
le 
quali 
hanno movimentato in uno sforzo epocale 
non solo la 
macchina 
amministrativa 
-in particolare 
le 
articolazioni periferiche del Ministero dell’Istruzione ma 
hanno 
catturato 
l’interesse 
di 
centinaia 
di 
migliaia 
di 
italiani, 
basti 
pensare 
che 
le 
domande 
totali, 
presentate 
nel 
giro 
di 
poche 
settimane, 
sono 
state 


753.750 
e 
gli 
accessi 
complessivi 
alla 
piattaforma 
digitale 
utile 
per 
l’iscrizione 
sono stati 8.659.102 (1). 
I 
numeri 
dicono 
molto, 
lasciando 
intendere 
come 
-in 
questo 
anno 
di 
quasi 
totale 
immobilismo 
sotto 
il 
profilo 
del 
reclutamento, 
della 
valutazione 
e 
del 
collocamento 
nel 
mondo 
del 
lavoro 
(escluso 
l’ambito 
sanitario) 
-questa 
procedura 
abbia 
segnato 
un 
punto 
di 
svolta 
e 
forse 
di 
non 
ritorno 
rispetto 
al 
passato. 


L’istituzione, nell’estate 
del 
2020, di 
tali 
graduatorie 
per il 
reclutamento 
di 
centinaia 
di 
migliaia 
di 
supplenti 
per 
le 
scuole 
di 
ogni 
ordine 
e 
grado 
è 
stata 


(*) 
Abilitata 
all’esercizio 
della 
professione 
forense, 
già 
praticante 
presso 
l’Avvocatura 
distrettuale 
dello 
Stato 
di 
Napoli 
(avv. 
Stato 
giuseppe 
Arpaia); 
Funzionario 
presso 
il 
Ministero 
dell’Istruzione 
-uSr 
Lazio. 


(1) dati 
ufficiali 
sui 
numeri 
complessivi 
della 
procedura 
in oggetto sono stati 
pubblicati 
dal 
MI 
sul 
proprio sito istituzionale 
l’8 agosto 2020. Le 
domande 
totali 
presentate 
sono 753.750, le 
regioni 
con 
più istanze 
sono la 
Lombardia 
con 104.781 domande, il 
Lazio con 86.976 e 
la 
Campania 
con 84.857. Il 
totale degli accessi sull’apposito portale Istanze 
online 
è stato pari a 8.659.102. 

LegISLAzIoNe 
ed 
AttuALItà 


una 
delle 
poche 
procedure 
compiute 
ed 
immediatamente 
attuate, 
permettendo 
così 
alla 
scuola 
italiana 
di 
ripartire, in un anno in cui 
l’emergenza 
Covid va 
di 
pari passo con l’emergenza educativa. 


Lungi 
da 
una 
trattazione 
omnicomprensiva, lo scopo di 
questo scritto è 
offrire 
qualche 
spunto di 
riflessione 
sui 
profili 
più innovativi 
e 
talvolta 
critici 
che caratterizzano le gPS e la disciplina vigente sul punto. 


2. il quadro normativo di riferimento tra innovazione e criticità. 
Le 
graduatorie 
Provinciali 
di 
supplenza 
hanno 
trovato 
puntuale 
istituzione 
nell’ordinanza 
del 
Ministero 
dell’istruzione 
n. 
60 
del 
10 
luglio 
2020 
(2), la 
quale 
ha 
dato esecuzione 
a 
quanto prescritto nella 
legge 
di 
conversione 


n. 41 del 
6 giugno 2020, che 
alla 
luce 
dell’emergenza 
epidemiologica 
disponeva 
che 
le 
procedure 
di 
istituzione 
delle 
graduatorie 
e 
le 
procedure 
per 
il 
conferimento 
delle 
supplenze 
fossero disciplinate, per gli 
anni 
scolastici 
2020/21 
e 2021/22, proprio con ordinanza ministeriale. 
Si 
è 
trattato 
di 
procedure 
interamente 
digitalizzate, 
dalla 
presentazione 
delle 
domande, alle 
valutazioni, alla 
successiva 
gestione 
dei 
punteggi 
e 
delle 
posizioni 
degli 
aspiranti 
docenti, che 
hanno permesso la 
formazione 
di 
nuove 
graduatorie, stavolta 
divise 
in primis 
per province, alla 
quali 
attingere 
per le 
supplenze. 

Questo 
canale, 
per 
il 
tramite 
delle 
gPS, 
è 
volto 
all’assegnazione 
delle 
supplenze 
annuali 
(al 
31 agosto, c.d. in organico di 
diritto) e 
sino al 
termine 
delle attività didattiche (al 30 giugno, c.d. in organico di fatto) (3). 


tra 
le 
prime 
novità 
introdotte 
dall’o.M. n. 60 vi 
è 
certamente 
l’aver trasformato 
tali 
graduatorie 
in provinciali, interrompendo l’impianto precedentemente 
vigente 
che 
disponeva 
le 
“graduatorie 
d’istituto” 
a 
cui 
attingere 
per 
tutti 
gli 
incarichi 
di 
docenza 
a 
tempo determinato, vale 
a 
dire 
con i 
candidati 
che 
sceglievano 
all’interno 
di 
un’unica 
provincia 
un 
massimo 
di 
20 
scuole 
presso 
le 
quali 
presentare 
la 
propria 
domanda, 
con 
la 
possibilità 
di 
essere 
chiamati 
in via esclusiva da parte di quegli istituti. 


La 
trasformazione 
in provinciali 
ha 
avuto un duplice 
risvolto: 
in termini 
giuridici 
ed amministrativi 
ha 
spostato la 
competenza 
in capo agli 
uffici 
Scolastici 
Provinciali, sia 
sotto il 
profilo della 
formazione, valutazione 
e 
gestione 
delle 
graduatorie, sia 
sotto il 
profilo dell’attribuzione 
delle 
supplenze 
annuali 
ed al 
termine 
delle 
attività 
didattiche, sgravando le 
Istituzioni 
scolastiche 
da 
tutta 
una 
serie 
di 
adempimenti 
conseguenti; 
in 
termini 
pratici 
ha 
ampliato 
l’offerta 
per gli 
aspiranti 
docenti, non più costretti 
a 
scegliere 
tra 
un numero ri


(2) 
L’o.M. 
60/2020 
del 
Ministero 
dell’Istruzione 
reca 
“Procedure 
di 
istituzione 
delle 
graduatorie 
provinciali 
e 
di 
istituto di 
cui 
all’articolo 4, commi 
6-bis 
e 
6-ter, della legge 
3 maggio 1999, n. 124 e 
di 
conferimento delle relative supplenze per il personale docente ed educativo”. 
(3) Ad individuare 
la 
disponibilità 
di 
posti 
e 
la 
tipologia 
di 
supplenze 
è 
l’art. 2, comma 
4, lett. a) 
e b), dell’o.M. citata. 

rASSegNA 
AVVoCAturA 
deLLo 
StAto -N. 1/2021 


stretto di 
scuole 
ma 
liberi 
di 
concorrere 
-in base 
alla 
classe 
di 
concorso -per 
supplenze relative a tutte le scuole della provincia prescelta. 


Le 
graduatorie 
Provinciali 
per le 
supplenze 
risultano suddivise 
in prima 
e 
seconda 
fascia 
in 
base 
a 
criteri 
specifici 
(4) 
variabili 
in 
base 
al 
grado 
(infanzia 
e 
primaria 
(5), scuola 
secondaria 
di 
I e 
II grado (6)), al 
tipo di 
posto (comune, 
di 
sostegno 
(7), 
personale 
educativo 
e 
supplenze 
presso 
percorsi 
a 
differenziazione 
didattica 
Montessori, Agazzi 
e 
Pizzigoni 
(8)) ed in taluni 
casi 
anche 
in 
base 
alle 
classi 
di 
concorso 
coinvolte, 
come 
nel 
caso 
della 
c.d. 
tabella 
b 
che 
raggruppa 
gli 
insegnamenti 
tecnico-pratici 
(9) 
o 
le 
norme 
specifiche 
per 
alcuni 
classi di concorso afferenti al settore musicale (10). 


La 
seconda 
novità 
su cui 
soffermarsi 
è 
data 
dall’aver collegato alla 
procedura 
di 
formazione 
delle 
gPS 
anche 
quella 
di 
istituzione 
delle 
graduatorie 
d’istituto -g.I., dando la 
possibilità 
agli 
aspiranti, all’atto della 
compilazione 
dell’istanza 
per le 
gPS, di 
scegliere 
fino a 
20 istituzioni 
scolastiche 
nelle 
cui 
graduatorie 
d’istituto volersi 
inserire, al 
fine 
di 
essere 
chiamati 
per ricoprire 
le 
supplenze 
temporanee, 
c.d. 
brevi, 
la 
cui 
gestione 
rimane 
in 
capo 
al 
dirigente 
scolastico, 
nonché 
di 
tutte 
quelle 
tipologie 
di 
supplenze 
che 
non 
possono 
essere 
attribuite ricorrendo alle gPS (11). 

Si 
è 
creato, così, un doppio canale 
di 
reclutamento, a 
seconda 
della 
tipologia 
di 
supplenza 
da 
assegnare, 
se 
annuale 
o 
al 
termine 
delle 
attività 
didattiche 
si 
da 
prevalenza 
alle 
gPS, partendo dalla 
prima 
fascia 
per poi 
passare 
alla 
seconda, 
se la supplenza è temporanea il canale prescelto è quello della g.I. 


uno dei 
profili 
più interessanti 
della 
disciplina 
introdotta 
dall’o.M. n. 60 


(4) 
Criteri 
indicati 
puntualmente 
nell’art. 
3 
dell’o.M., 
sintetizzabili 
per 
i 
posti 
comuni 
in 
due 
principi: 
la 
prima 
fascia 
raccoglie 
i 
soggetti 
in 
possesso 
dello 
specifico 
titolo 
di 
abilitazione 
all’insegnamento, 
la 
seconda 
fascia 
raccoglie 
i 
soggetti 
sprovvisti 
dell’abilitazione 
ma 
muniti 
oltre 
al 
titolo di 
studio d’accesso, 
di tutta una serie di titoli ulteriori. 
(5) gli 
aspiranti 
presenti 
in seconda 
fascia, in base 
all’art. 3, comma 
5, lett. b) sono gli 
studenti 
che 
nell’a.a. 
2019/20 
risultano 
iscritti 
al 
3°, 
4° 
o 
5° 
anno 
del 
corso 
di 
laurea 
in 
Scienza 
della 
Formazione 
primaria, avendo assolto rispettivamente 
almeno 150, 200 e 
250 CFu 
entro il 
termine 
di 
presentazione 
dell’istanza. 
(6) gli 
aspiranti 
presenti 
in seconda 
fascia, in base 
all’art. 3, comma 
6, lett. b) punto i), devono 
possedere 
il 
titolo di 
studio previsto dalla 
normativa 
vigente 
per la 
specifica 
classe 
di 
concorso, nonché 
possedere 
almeno 
uno 
dei 
seguenti 
requisiti: 
il 
possesso 
dei 
c.d. 
24 
CFu 
nei 
settori 
antropo-psicopedagogici 
e 
nelle 
metodologie 
didattiche; 
l’abilitazione 
specifica 
su 
altra 
classe 
di 
concorso 
o 
altro 
grado; il precedente inserimento nella III fascia delle graduatorie d’istituto per la specifica c.d.c. 
(7) Nelle 
gPS 
per i 
posti 
di 
sostegno, ai 
sensi 
dell’art. 3, comma 
7, rientrano in prima 
fascia 
i 
docenti 
con titolo di 
specializzazione 
sul 
sostegno nel 
relativo grado, in seconda 
fascia 
i 
soggetti 
che 
entro 
l’a.s. 2019/20 abbiano maturato 3 annualità 
d’insegnamento sul 
sostegno nello specifico grado e 
siano 
in 
possesso 
del 
titolo 
di 
abilitazione 
o 
del 
titolo 
di 
accesso 
alle 
gPS 
di 
seconda 
fascia 
del 
relativo 
grado. 
(8) In base ai criteri stabiliti dall’art. 3, commi 8 e 9. 
(9) Cfr. art. 3, comma 6, lett. a) e lett. b) punto ii) dell’o.M. 60. 
(10) 
Le 
peculiarità 
caratterizzanti 
tali 
classi 
di 
concorso 
sono 
oggetto 
di 
apposito 
paragrafo 
di 
tale 
trattazione. 
(11) Ai sensi dell’art. 2, comma 6. 

LegISLAzIoNe 
ed 
AttuALItà 


è 
dato 
dalle 
modalità 
di 
accertamento 
dei 
requisiti 
dichiarati 
in 
domanda 
dagli 
aspiranti, facendo emergere profili di responsabilità articolati su più livelli. 


La 
fase 
preliminare 
vede 
come 
protagonista 
il 
candidato che 
compila 
la 
sua 
domanda 
di 
partecipazione, 
con 
riferimento 
sia 
ai 
requisiti 
generali 
di 
ammissione 
(12) che al complesso dei titoli valutabili (13). 

una 
compilazione 
che, 
seppur 
apparentemente 
spersonalizzata 
dal 
suo 
svolgersi 
interamente 
a 
distanza 
in 
modalità 
telematica, 
impegna 
giuridicamente 
il 
suo 
autore 
(14) 
e 
lo 
espone 
a 
responsabilità 
di 
carattere 
amministrativo 
e talvolta anche penale (15), in ordine ai dati dichiarati in domanda. 


Ciò 
nonostante 
non 
sono 
del 
tutto 
marginali 
le 
dichiarazioni 
rese 
con 
“disinvoltura” 
da 
parte 
di 
taluni 
aspiranti 
nell’inserire 
titoli 
di 
accesso 
di 
cui 
sono 
sprovvisti 
o nell’omettere 
l’assenza 
dei 
requisiti 
generali 
di 
ammissione 
(16), 
integrando in vari 
casi 
le 
ipotesi 
di 
dichiarazioni 
mendaci 
(17) perseguibili 
ex 
lege. 


Le 
dichiarazioni 
non 
corrispondenti 
a 
verità 
-in 
una 
procedura 
come 
quella 
di 
formazione 
delle 
gPS 
-alterano con una 
sorta 
di 
effetto domino una 
pluralità 
ulteriore 
di 
determinazioni 
amministrative, in quanto determinano la 
formazione 
di 
graduatorie 
potenzialmente 
affette 
da 
vizi 
che 
saranno la 
base, 
per periodi 
più o meno brevi 
(18), per nomine, contratti 
ed esborsi 
erariali 
altrettanto 
viziati e dunque a rischio di illegittimità. 

un effetto domino non facilitato dalle 
tempistiche 
profondamente 
strin


(12) Individuati 
ai 
sensi 
dell’art. 6, commi 
1 e 
2. Il 
successivo comma 
4 chiarisce 
che: 
“gli 
aspiranti 
sono 
ammessi 
nelle 
graduatorie 
con 
riserva 
di 
accertamento 
del 
possesso 
dei 
requisiti 
d’ammissione. 
L’Amministrazione 
può disporre, con provvedimento motivato, l’esclusione 
dei 
candidati 
non in possesso 
di 
uno dei 
citati 
requisiti 
d’ammissione, in qualsiasi 
momento durante 
la 
vigenza 
delle 
graduatorie”. 
(13) I titoli 
d’accesso sono indicati 
negli 
articoli 
3, 4 e 
5 dell’o.M. Al 
contrario gli 
altri 
titoli 
valutabili 
sono 
contenuti 
nei 
vari 
Allegati 
all’ordinanza 
ministeriale, 
suddivisi 
per 
fasce, 
tipologia 
di 
posto 
e grado d’istruzione. 
(14) L’art. 7 “Istanza 
di 
partecipazione” 
al 
comma 
10 chiarisce 
che: 
“Le 
dichiarazioni 
dell’aspirante 
inserite 
attraverso le 
procedure 
informatizzate 
sono rese 
ai 
sensi 
degli 
articoli 
46 e 
47 del 
decreto 
del 
Presidente 
della 
repubblica 
28 dicembre 
2000, n. 445. Vigono al 
riguardo le 
disposizioni 
di 
cui 
agli 
articoli 75 e 76 della richiamata disposizione normativa”. 
(15) già 
la 
disciplina 
dell’istanza 
di 
partecipazione, all’art. 7, comma 
9, pone 
l’accento sulle 
responsabilità 
del 
dichiarante, laddove 
indica: 
“Fatte 
salve 
le 
responsabilità 
di 
carattere 
penale, è 
escluso 
dalle 
graduatorie, per tutto il 
periodo della 
loro vigenza, l’aspirante 
di 
cui 
siano state 
accertate, nella 
compilazione dei moduli di domanda, dichiarazioni non corrispondenti a verità”. 
(16) dati 
anche 
solo parziali 
da 
parte 
del 
MI circa 
la 
percentuale 
di 
candidati 
esclusi 
non sono 
stati 
ancora 
forniti, ma 
basta 
visitare 
i 
siti 
web degli 
uffici 
Scolastici 
Provinciali 
per rendersi 
conto dei 
numerosi decreti di esclusione pubblicati quotidianamente da agosto 2020 ad oggi. 
(17) Lungi 
dal 
dilungarsi 
sulla 
fattispecie 
“dichiarazione 
mendace” 
alias 
dichiarazione 
non corrispondente 
a 
verità 
compiuta 
nei 
confronti 
della 
P.A. (che 
meriterebbe 
un’apposita 
trattazione) è 
interessante 
osservare 
i 
risvolti 
interpretativi 
di 
tale 
ipotesi 
di 
reato 
nella 
procedura 
di 
formazione 
delle 
gPS. 
(18) Periodi 
necessari 
per lo svolgersi 
dei 
controlli 
su più livelli, previsti 
dalla 
disciplina 
in oggetto. 

rASSegNA 
AVVoCAturA 
deLLo 
StAto -N. 1/2021 


gate 
che 
accompagnano queste 
procedure 
e 
dai 
numeri 
spesso esorbitanti 
di 
candidature 
pervenute, 
con 
l’anno 
scolastico 
che 
incombe 
reclamando, 
giustamente, 
che 
i 
posti 
in 
cattedra 
trovino 
copertura 
e 
soprattutto 
che 
agli 
studenti 
venga 
assicurato 
in 
concreto 
il 
diritto 
costituzionalmente 
garantito 
all’istruzione 
ed anche, per quanto possibile, alla continuità didattica. 


un altro profilo di 
criticità 
è 
dato dal 
fatto che 
se 
è 
indiscusso che 
integri 
l’ipotesi 
di 
dichiarazione 
mendace 
inserire 
in 
domanda 
un 
titolo 
di 
studio 
d’accesso 
che 
in realtà 
non si 
possiede, un titolo di 
servizio che 
non si 
è 
svolto o 
un precedente 
inserimento nelle 
graduatorie 
d’istituto in realtà 
mai 
avvenuto, 
vi 
sono numerosi 
altri 
dati, pur dichiarabili, la 
cui 
“non corrispondenza 
a 
verità” 
ricade in una sorta di zona grigia (19). 


Lungi 
dal 
sembrare 
una 
mera 
disquisizione 
tra 
giuristi, il 
confine 
tra 
dichiarazioni 
non 
corrispondenti 
a 
verità 
e 
dichiarazioni 
incomplete, 
parzialmente 
inesatte 
o 
riferite 
a 
titoli 
posseduti 
ma 
non 
valutabili, 
è 
dirimente 
poiché 
la 
conseguenza 
nel 
primo caso è 
l’esclusione 
dalla 
graduatoria, nel 
secondo 
caso è tendenzialmente la rettifica del punteggio attribuito (20). 


Il 
primo step 
relativo ai 
controlli 
ha 
visto come 
protagonisti, nella 
fase 
antecedente 
alla 
formazione 
e 
pubblicazione 
delle 
graduatorie 
da 
parte 
dei 
singoli 
uffici 
scolastici 
provinciali, proprio tali 
articolazioni 
periferiche 
del 
MI, 
spesso coadiuvate 
-come 
prescritto nell’o.M. che 
riconosce 
tale 
possibilità 
da 
scuole polo (21). 

tale 
opzione 
è 
stata 
scelta 
soprattutto 
dagli 
uffici 
territoriali 
destinatari 
per 
le 
diverse 
classi 
di 
concorso 
di 
numeri 
sostenuti 
di 
domande, 
il 
tutto 
al 
fine 
di 
permettere 
-in 
armonia 
con 
tempistiche 
scandite 
a 
livello 
nazionale 
-la 
pubblicazione 
delle 
gPS 
all’inizio 
di 
settembre 
del 
2020 
(22) 
e 
l’avvio 
delle 
procedure 
di 
assegnazione 
delle 
supplenze 
a 
partire 
dal 
successivo 
14 
settembre. 


(19) In tale 
zona 
grigia 
ricade 
una 
congerie 
di 
dichiarazioni: 
l’inserimento di 
titoli 
che 
si 
posseggono 
ma 
che 
non sono in alcun modo valutabili 
in base 
all’o.M. 60/2020 ed ai 
suoi 
Allegati, l’inserimento 
di 
informazioni 
parziali 
o 
parzialmente 
vere 
che 
altrettanto 
rischiano 
di 
alterare 
il 
regime 
dei 
punteggi, solo per citare le ipotesi più comuni. 
(20) L’art. 8, comma 
6, dell’o.M. dispone: 
“in caso di 
difformità tra i 
titoli 
dichiarati 
e 
i 
titoli 
effettivamente 
posseduti, i 
dirigenti 
degli 
uffici 
scolastici 
provinciali 
procedono alla relativa rettifica del 
punteggio o all’esclusione dalla graduatoria”. 
(21) Al 
comma 
5, l’art. 8 chiarisce: 
“Gli 
Uffici 
scolastici 
provinciali 
procedono alla valutazione 
dei 
titoli 
dichiarati 
per 
le 
GPS di 
competenza, anche 
attraverso la delega a scuole 
polo su specifiche 
classi di concorso, al fine di evitare difformità nelle valutazioni”. 
(22) Come 
si 
legge 
nella 
nota 
del 
MI -dipartimento per il 
sistema 
educativo di 
istruzione 
e 
formazione 
prot. 1588 del 
11 settembre 
2020: 
“L’om 60/2020 ha previsto, al 
fine 
di 
validare 
definitivamente 
le 
Graduatorie 
provinciali 
per 
supplenze 
e 
creare 
una 
banca 
dati 
stabile 
e 
veridica 
connessa 
all’anagrafe 
docente, un sistema di 
controlli 
multilivello: il 
primo, affidato al 
sistema informativo, ha 
introdotto alcuni 
blocchi 
che 
già hanno portato, ad esempio, all’esclusione 
di 
oltre 
80.000 titoli 
dichiarati 
doppi; 
il 
secondo, 
agli 
ambiti 
territoriali 
ovvero 
alle 
istituzioni 
scolastiche 
delegate, 
che 
hanno 
svolto 
la 
valutazione; 
il 
terzo 
livello 
è 
affidato 
alle 
istituzioni 
scolastiche 
ove 
l’aspirante 
stipula 
il 
primo 
contratto di 
lavoro, chiamate 
a una verifica definitiva, da avviare 
immediatamente 
per 
la conseguente 
trasmissione agli uffici degli ambiti territoriali”. 

LegISLAzIoNe 
ed 
AttuALItà 


Il 
secondo step 
di 
controlli, protrattosi 
per mesi, è 
espressione 
di 
uno dei 
profili più innovativi della disciplina caratterizzante l’o.M. 60. 

Si 
tratta 
dei 
controlli 
relativi 
alla 
correttezza 
dei 
punteggi 
attribuiti 
agli 
aspiranti 
presenti 
in 
gPS, 
ad 
opera 
dell’Istituzione 
scolastica 
ove 
l’aspirante 
stipula 
il 
primo 
contratto 
di 
lavoro 
nel 
periodo 
di 
vigenza 
delle 
graduatorie 
(23). 


tali 
controlli 
si 
esplicano tenendo conto “esclusivamente 
di 
quanto effettivamente 
dichiarato dall’aspirante 
nell’istanza di 
partecipazione 
e 
oggetto 
delle 
rigorose 
verifiche 
previste” 
(24), traducendosi 
in una 
verifica 
puntuale 
(25)(26) di 
corrispondenza 
tra 
quanto dichiarato in domanda 
dal 
docente 
ed il 
complesso 
della 
documentazione 
esibita, 
ai 
sensi 
di 
legge, 
alla 
scuola 
di 
prima 
supplenza, a 
prova 
della 
veridicità 
dei 
dati 
inseriti 
in punto di 
compilazione 
dell’istanza per le gPS. 


Le 
attività 
di 
controllo svolte 
dalle 
Istituzioni 
scolastiche 
non sono prive 
di 
risvolti 
immediati 
e 
cogenti. Innanzitutto in quanto il 
servizio prestato dal-
l’aspirante 
presente 
in gPS 
in forza 
di 
dichiarazioni 
mendaci 
comporta 
la 
risoluzione 
immediata 
(27) 
del 
contratto 
già 
sottoscritto 
e 
comporta, 
altresì, 
che 
l’eventuale 
servizio 
già 
prestato 
sia 
dichiarato 
prestato 
di 
fatto 
e 
non 
di 
diritto, 
con apposito provvedimento del dirigente scolastico (28). 

(23) 
Il 
comma 
7 
dell’art. 
8 
dell’o.M. 
dispone 
che 
: 
“L’istituzione 
scolastica 
ove 
l’aspirante 
stipula 
il 
primo 
contratto 
di 
lavoro 
nel 
periodo 
di 
vigenza 
delle 
graduatorie 
effettua, 
tempestivamente, 
i 
controlli 
delle dichiarazioni presentate”. 
(24) Lo chiarisce 
ulteriormente 
la 
nota 
del 
M.I. -dipartimento per il 
sistema 
educativo di 
istruzione 
e formazione prot. 1550 del 4 settembre 2020. 
(25) 
tale 
verifica 
presenta 
importanti 
profili 
di 
complessità, 
soprattutto 
con 
riferimento 
ad 
alcune 
classi 
di 
concorso, storicamente 
più articolate 
anche 
sotto il 
profilo normativo, con particolare 
riguardo 
ai 
titoli 
di 
studio d’accesso ed al 
regime 
delle 
abilitazioni 
o dei 
titoli 
di 
specializzazione 
richiesti, ad 
esempio, per il sostegno. 
(26) L’attività 
di 
controllo riguarda 
per macro aree: 
i 
titoli 
d’accesso, i 
punteggi 
per i 
titoli 
accademici, 
professionali 
e 
culturali 
ulteriori 
rispetto 
al 
titolo 
d’accesso, 
i 
titoli 
di 
servizio 
e 
per 
alcune 
classi 
di 
concorso afferenti 
al 
settore 
musicale 
e 
delle 
danza 
anche 
i 
c.d. “titoli 
artistici 
e 
professionali” 
specificamente 
valutabili 
(di 
cui 
si 
dirà 
meglio in seguito). In concreto si 
traduce 
in controlli 
relativi 
ai 
più 
disparati 
titoli 
di 
studio acquisiti 
nel 
corso di 
decenni 
dai 
docenti, con curricula 
spesso di 
primo ordine, 
tra 
diplomi, lauree, dottorati 
di 
ricerca, master, diplomi 
di 
perfezionamento, certificazioni 
linguistiche 
ed informatiche, nonché i titoli di servizio anch’essi non privi di specificità da valutare. 
(27) 
In 
particolare 
nell’a.s. 
2020/21 
l’assegnazione 
delle 
supplenze 
annuali 
ed 
al 
termine 
delle 
attività 
didattiche 
si 
è 
protratta 
per 
mesi, 
soprattutto 
nelle 
grandi 
aree 
metropolitane, 
ben 
oltre 
il 
canonico 
mese 
di 
settembre, influenzata 
probabilmente 
dalla 
paura 
del 
Covid 19, che 
ha 
rappresentato un disincentivo 
allo storico pendolarismo tra 
province 
e 
tra 
regioni 
dei 
supplenti 
(tra 
convocazioni 
talvolta 
andate 
deserte 
e 
rinunce). Ciò ha 
determinato un inevitabile 
e 
fisiologico spostamento in avanti 
anche 
di 
molte delle attività di controllo anzidette. 
(28) Il 
comma 
10 dell’art. 8 dell’o.M. recita: 
“(…) l’eventuale 
servizio prestato dall’aspirante 
sulla base 
di 
dichiarazioni 
mendaci 
è, con apposito provvedimento emesso dal 
dirigente 
scolastico, dichiarato 
come 
prestato 
di 
fatto 
e 
non 
di 
diritto, 
con 
la 
conseguenza 
che 
lo 
stesso 
non 
è 
menzionato 
negli 
attestati 
di 
servizio richiesti 
dall’interessato e 
non è 
attribuito alcun punteggio, né 
è 
utile 
ai 
fini 
del 
riconoscimento 
dell’anzianità di 
servizio e 
della progressione 
di 
carriera, salvo ogni 
eventuale 
sanzione 
di altra natura”. 

rASSegNA 
AVVoCAturA 
deLLo 
StAto -N. 1/2021 


In seconda 
battuta 
in quanto i 
titoli 
dichiarati 
in domanda, una 
volta 
controllati, 
si 
intendono definitivamente 
validati 
e 
sono utili, per i 
titolari, sia 
per 
la 
presentazione 
di 
nuove 
istanze, sia 
per la 
costruzione 
dell’anagrafe 
nazionale 
del personale docente, ai sensi dell’art. 2 del d.l. 22/2020 (29). 


gli 
adempimenti 
procedurali 
richiesti 
si 
traducono, 
all’esito 
delle 
attività 


c.d. 
di 
verifica 
da 
parte 
delle 
scuole, 
in 
un 
provvedimento 
a 
firma 
del 
dirigente 
scolastico, 
il 
quale 
viene 
caricato 
sull’apposita 
piattaforma 
informatica 
nella 
posizione 
del 
docente 
e 
comunicato 
all’interessato 
(anche 
per 
l’eventuale 
reclamo 
avverso 
le 
determinazioni 
assunte), 
nonché 
trasmesso 
all’ufficio 
scolastico 
provinciale 
competente 
per 
la 
successiva 
convalida, 
con 
proprio 
decreto. 
In 
caso 
di 
esito 
negativo 
della 
verifica, 
il 
provvedimento 
del 
dirigente 
scolastico, 
contenente 
la 
ratio 
delle 
decisioni 
assunte, 
con 
la 
conseguente 
proposta 
di 
esclusione 
dalle 
gPS 
o 
di 
rettifica 
del 
punteggio 
originario, 
viene 
trasmesso 
per le determinazioni finali (30) all’uSP competente. 


Anche 
in questo caso le 
determinazioni 
assunte 
operano su un doppio binario, 
poiché 
se 
le 
valutazioni 
contenute 
nel 
provvedimento 
di 
verifica 
da 
parte 
del 
dS 
riguardanti 
la 
posizione 
dell’aspirante 
nelle 
gPS 
devono passare 
per 
un’attività 
di 
successiva 
convalida 
da 
parte 
dell’uSP 
responsabile 
della 
graduatoria 
provinciale, le 
decisioni 
corrispondenti 
che 
si 
riflettono anche 
sulla 
posizione 
all’interno delle 
graduatorie 
d’istituto competono in via 
definitiva 
ai dirigenti scolastici. 


L’attività 
di 
convalida 
da 
parte 
degli 
uSP 
(31), 
all’esito 
delle 
verifiche 
compiute 
dalle 
Istituzioni 
scolastiche, 
si 
inserisce 
in 
un 
quadro 
articolato 
e 
multilivello e 
si 
aggiunge 
agli 
accertamenti 
iniziali 
compiuti 
da 
tali 
articolazioni 
ministeriali 
prima 
della 
pubblicazione 
delle 
gPS 
ed a 
quelli 
successivi 
svolti 
in autotutela 
-frutto di 
accertamenti 
d’ufficio resisi 
necessari 
in corso 
d’anno, viste 
le 
varie 
note 
ministeriali 
esplicative 
della 
disciplina 
dell’oM 
60 
intercorse - nonché all’esito di reclami e ricorsi giurisdizionali. 

(29) È 
quanto dispone 
l’art. 8, comma 
8, dell’oM. Successivamente 
la 
nota 
MI -dPIt 
già 
citata 
prot. 1550/2020 ha 
chiarato come 
“i 
titoli 
presentati, una volta convalidati 
dalle 
singole 
istituzioni 
scolastiche, 
entreranno in anagrafe 
docente, consentendo il 
loro utilizzo per 
la successiva presentazione 
di 
istanze 
senza 
la 
necessità 
di 
ulteriori 
controlli 
e 
adempimenti 
da 
parte 
dei 
docenti 
e 
dell’amministrazione”. 
(30) Si 
legge 
sul 
punto al 
successivo comma 
9 : 
“in caso di 
esito negativo della verifica, il 
dirigente 
scolastico 
che 
ha 
effettuato 
i 
controlli 
comunica 
all’Ufficio 
competente 
la 
circostanza, 
ai 
fini 
delle 
esclusioni 
di 
cui 
all’articolo 7, commi 
8 e 
9, ovvero ai 
fini 
della rideterminazione 
dei 
punteggi 
e 
delle 
posizioni 
assegnati 
all’aspirante; 
comunicazione 
delle 
determinazioni 
assunte 
è 
fatta 
anche 
all’interessato. 
restano in capo al 
dirigente 
scolastico che 
ha effettuato i 
controlli 
la valutazione 
e 
le 
conseguenti 
determinazioni 
ai 
fini 
dell’eventuale 
responsabilità 
penale 
di 
cui 
all’articolo 
76 
del 
citato 
DPr 
445/2000”. 
(31) 
gli 
uSP 
sono 
stati 
i 
primi 
recettori 
di 
questa 
disciplina 
innovativa 
che 
ha 
determinato 
un 
cambio epocale, sono punto di 
riferimento per le 
Istituzioni 
scolastiche 
nel 
recepire 
un corpus 
di 
norme 
totalmente 
nuovo e 
sono i 
principali 
destinatari, con particolare 
riferimento a 
questa 
procedura, delle 
istanze delle centinaia di utenti coinvolti. 

LegISLAzIoNe 
ed 
AttuALItà 


3. Uno sguardo particolare alle classi di concorso musicali e coreutiche. 
I tratti 
più innovativi 
del 
corpus 
di 
norme 
contenute 
nell’o.M. 60/2020 
sono certamente 
rinvenibili 
nella 
disciplina 
delle 
classi 
di 
concorso afferenti 
al settore musicale e coreutico (32). 


Le 
particolarità 
riguardano 
sia 
i 
titoli 
d’accesso 
richiesti 
per 
l’inserimento 
in gPS, con riferimento in questo caso ad alcune 
classi 
di 
concorso (33) dei 
Licei 
musicali, sia 
la 
possibilità 
di 
far valere, per l’ottenimento del 
punteggio 
complessivo, una 
serie 
di 
titoli 
specifici 
c.d. artistici 
e 
professionali 
(34), non 
richiesti per nessun’altra classe di concorso. 


Il 
regime 
peculiare 
in ordine 
ai 
titoli 
d’accesso per le 
classi 
di 
concorso 
A053, 
A055, 
A063, 
A064 
affonda 
le 
sue 
radici 
nella 
disciplina 
antecedente 
(35), 
istitutiva 
di 
tali 
insegnamenti 
autonomi 
presso 
i 
Licei 
musicali 
(36), 
mettendo 
pian 
piano 
la 
parola 
fine 
ad 
anni 
di 
sperimentazione 
in 
cui 
venivano 


(32) 
I 
Licei 
musicali 
e 
coreutici 
sono 
stati 
istituiti 
con 
il 
dPr 
n. 
89 
del 
15 
marzo 
2010, 
con 
annessi 
Allegati, con l’obiettivo di 
ampliare 
l’offerta 
formativa 
del 
sistema 
nazionale 
d’istruzione, dedicandosi 
all’apprendimento tecnico pratico della 
musica 
e 
della 
danza 
e 
allo studio del 
loro ruolo nella 
storia 
e 
nella 
cultura. 
gli 
insegnamenti 
offerti 
non 
solo 
permettono 
di 
garantire 
una 
certa 
continuità 
con 
i 
percorsi 
di 
studio intrapresi 
nelle 
scuole 
sec. di 
I grado ad indirizzo musicale 
ma 
permettono, altresì, di 
approcciare 
ad una 
formazione 
più capillare 
ed universale 
che 
non sempre 
può essere 
raggiunta 
per il 
tramite 
di 
Conservatori 
ed 
Accademia 
di 
danza. 
I 
piani 
di 
studi 
dei 
predetti 
Licei 
affiancano 
a 
18 
ore 
settimanali 
di 
lezioni 
“obbligatorie” 
nelle 
materie 
condivise 
con 
gli 
altri 
percorsi 
liceali, 
14 
ore 
settimanali 
di 
lezioni 
collegate 
allo specifico indirizzo prescelto. Nelle 
sezioni 
musicali 
gli 
studenti 
si 
confrontano con gli 
insegnamenti 
di 
esecuzione 
ed Interpretazione 
(ogni 
studente 
si 
confronta 
con la 
formazione 
musicale 
in 
almeno due 
strumenti), teoria, analisi 
e 
composizione, Storia 
della 
musica, Laboratorio di 
musica 
d’insieme 
e 
tecnologie 
musicali. Nelle 
sezione 
coreutiche 
gli 
studenti 
si 
confrontano oltre 
che 
con Storia 
della 
danza 
e 
Storia 
della 
musica, 
con 
insegnamenti 
più 
squisitamente 
pratici 
quali 
tecniche 
della 
danza, 
Laboratorio 
coreutico, 
Laboratorio 
coreografico, 
nonché 
teoria 
e 
pratica 
musicale 
per 
la 
danza. 
un 
dato 
dirimente 
che 
fa 
di 
questi 
licei 
un unicum 
è 
certamente 
rappresentato, almeno per alcuni 
insegnamenti 
caratterizzanti 
il 
percorso di 
studio, da 
un rapporto docente 
-allievo che 
si 
attesta 
quasi 
sull’1 a 
1, a 
testimonianza 
del 
potenziale 
esprimibile 
da 
questi 
percorsi 
formativi. 
Questo 
dato 
è 
confermato 
dalle 
procedure 
per l’accesso ai 
Licei 
musicali 
e 
coreutici, subordinato al 
preventivo superamento di 
un esame 
da 
parte 
degli 
studenti 
che 
si 
candidano alla 
loro frequenza; 
esame 
in cui 
testare 
non soltanto la 
loro 
preparazione quanto piuttosto le loro attitudini e motivazioni verso una formazione così particolare. 
(33) Le 
classi 
di 
concorso interessate 
da 
questa 
disciplina 
peculiare 
in ordine 
ai 
titoli 
d’accesso 
sono: 
Storia 
della 
musica 
(A053), 
Strumento 
musicale 
negli 
ist. 
di 
istruz. 
sec. 
di 
II 
grado, 
c.d. 
esecuzione 
ed interpretazione (A055), tecnologie musicali (A063), teoria, analisi e composizione (A064). 
(34) Le 
classi 
di 
concorso per le 
quali 
è 
possibile 
far valere 
anche 
tali 
titoli 
ulteriori 
sono: 
Strumento 
musicale 
negli 
ist. di 
istruz. sec. di 
I e 
II grado (rispettivamente 
A056 ed A055), tecnica 
di 
accompagnamento 
alla 
danza, teoria 
e 
pratica 
musicale 
per la 
danza 
(A059), tecnologie 
musicali 
(A063), 
nonché 
per 
il 
settore 
coreutico 
tecnica 
della 
danza 
classica 
(A057) 
e 
tecnica 
della 
danza 
contemporanea 
(A058). 
(35) Il 
riferimento è 
al 
dPr n. 19/2016 che 
ha 
disciplinato la 
razionalizzazione 
e 
l’accorpamento 
delle 
vecchie 
classi 
di 
concorso, così 
come 
modificato dal 
dM 
259/2017 ed in particolare 
dal 
suo Allegato 
A 
contenente 
“Nuove 
classi 
di 
concorso: denominazione, titoli 
d’accesso, insegnamenti 
relativi” 
che 
ha 
istituito 
le 
classi 
di 
concorso 
A053, 
A055, 
A063, 
A064. 
Il 
riferimento 
è 
altresì 
anche 
al 
successivo 
Allegato e al dM 259/2017 contenente importanti specificazioni su tali insegnamenti. 
(36) entrati 
a 
pieno regime 
nell’a.s. 2014/15 ma 
già 
oggetto di 
alcune 
sperimentazioni 
a 
cavallo 
tra il primo ed il secondo decennio del 2000. 

rASSegNA 
AVVoCAturA 
deLLo 
StAto -N. 1/2021 


"utilizzati 
” 
(37) presso questi 
percorsi 
liceali 
principalmente 
i 
docenti 
delle 
scuole sec. di I grado (38). 

dirimente 
per 
inquadrare 
i 
titoli 
d’accesso 
necessari 
è 
l’Allegato 
e 
al 
d.M. 
259/2017, 
il 
quale 
innanzitutto 
ribadisce 
che, 
fin 
quando 
non 
saranno 
attivati 
specifici 
percorsi 
abilitanti 
per 
le 
classi 
di 
concorso 
sopraindicate, 
si 
considerano 
abilitati 
i 
docenti 
che 
oltre 
ad 
avere 
il 
titolo 
di 
studio 
richiesto, 
siano 
abilitati 
all’insegnamento 
di 
educazione 
musicale 
nelle 
sc. 
sec. 
di 
I 
o 
II 
grado 
o 
siano 
abilitati 
all’insegnamento 
di 
strum. 
music. 
nella 
sc. 
sec. 
di 
I 
grado 
(39). 


In armonia 
con le 
specificità 
caratterizzanti 
tali 
classi 
di 
concorso, l’art. 
4 dell’o.M. 60 ha 
individuato criteri 
peculiari 
per l’accesso alle 
gPS 
di 
prima 
e seconda fascia per questi insegnamenti. 

L’art. 4, comma 
1, dell’o.M. 60, in coerenza 
con la 
linea 
normativa 
già 
assunta 
con il 
d.P.r n. 19/2016 ed il 
d.M. n. 259/2017 (40) 
(41), ha 
riconosciuto 
la 
possibilità 
di 
iscrizione 
in I fascia 
gPS 
-per le 
c.d.c. A053, A055, 
A063, A064 -ai 
docenti 
abilitati 
all’insegnamento in educ. musicale 
nella 
sc. 
sec. 
di 
I 
e 
II 
grado 
(rispettivamente 
A030 
ed 
A029) 
o 
nello 
strum. 
music. 
nella 
sc. sec. di 
I grado (A056) che, in ogni 
caso, presentino tutti 
gli 
altri 
requisiti 
già 
indicati - previsti per le singole c.d.c. dall’Allegato e. 


La 
possibilità 
di 
iscrizione 
in II fascia 
gPS, ai 
sensi 
dell’art. 4, comma 
2, 
è 
subordinata, oltre 
che 
al 
possesso dei 
titoli 
di 
studio e 
di 
servizio, alla 
precedente 
iscrizione 
nelle 
graduatorie 
d’Istituto per il 
triennio 2017/2019 o al


(37) L’utilizzazione 
è 
il 
termine 
tecnico con il 
quale 
si 
definiva 
l’attività 
di 
docenza 
sulle 
classi 
di 
concorso musicali 
svolta 
nei 
Licei 
musicali 
da 
parte 
di 
insegnanti 
di 
educazione 
musicale 
o di 
strumento 
musicale, 
titolari 
presso 
le 
scuole 
sec. 
di 
I 
grado, 
nelle 
more 
dell’istituzione 
delle 
specifiche 
classi 
di 
concorso e 
nelle 
more 
dell’istituzione 
di 
un corpo docente 
titolare 
su tali 
materie 
nei 
predetti 
Licei. 
Il 
regime 
delle 
utilizzazioni 
anzidette 
non è 
più in vigore 
dall’a.s. 2020/21, come 
disposto dall’art. 6 bis 
del CCNI utilizzazioni e 
Assegnazioni provvisorie triennio 2019/20 - 2020/21 - 2021/22. 
(38) Più comunemente conosciute con la vecchia dicitura “scuole medie”. 
(39) L’Allegato definisce, per la 
fase 
transitoria 
di 
fatto ancora 
vigente, i 
titoli 
d’accesso per l’insegnamento 
nelle 
c.d.c. sopraindicate. Per la 
c.d.c. esecuzione 
ed interpretazione 
(A055) oltre 
alle 
abilitazioni 
già 
elencate 
è 
necessario 
che 
il 
candidato 
sia 
in 
possesso, 
congiuntamente, 
del 
diploma 
di 
conservatorio sullo specifico strumento e 
del 
requisito dell’aver già 
prestato servizio nei 
corsi 
di 
Liceo 
musicale. Per la 
c.d.c. tecnologie 
musicali 
(A063) oltre 
alle 
abilitazioni 
già 
elencate 
è 
necessario possedere 
il 
diploma 
di 
conservatorio vecchio ordinamento in musica 
elettronica 
o diplomi 
accademici 
di 
II livello speculari 
in musica 
elettronica 
e 
tecnologie 
del 
suono; 
altresì 
qualsiasi 
diploma 
accademico di 
II livello con un piano di 
studio comprensivo di 
almeno 36 crediti 
nel 
settore 
delle 
nuove 
tecnologie 
audiodigitali 
e/o 
della 
musica 
elettronica. 
Per 
la 
c.d.c. 
teoria, 
analisi 
e 
composizione 
(A064) 
oltre 
alle 
abilitazioni 
già 
elencate 
è 
necessario possedere 
il 
diploma 
di 
conservatorio V.o. o accademico di 
II livello 
in composizione, direzione 
d’orchestra, organo e 
composizione 
organistica, musica 
corale 
e 
direzione 
del 
coro, strumentazione 
per banda. In ultimo, per la 
c.d.c. Storia 
della 
musica 
(A053) oltre 
alle 
abilitazioni 
già 
elencate 
è 
necessario possedere 
la 
laurea 
in musicologia 
e 
beni 
musicali 
(o titoli 
equiparati) 
congiuntamente al diploma di conservatorio. 
(40) Contenente il già citato Allegato e, faro nella disciplina effettiva delle classi in oggetto. 
(41) Il 
d.P.r. n. 19/2016 ed il 
d.M. 259/2017 contengono una 
disciplina 
transitoria 
per queste 
classi 
di 
concorso 
nelle 
more 
dell’espletamento 
della 
procedura 
di 
abilitazione 
speciale 
e 
dell’istituzione 
di specifici percorsi di abilitazione. 

LegISLAzIoNe 
ed 
AttuALItà 


l’aver acquisito i 
c.d. 24 CFu 
in discipline 
antro-psicopedagogiche 
ed in metodologie 
e tecnologie didattiche. 


Il 
rapporto 
tra 
Licei 
coreutici 
e 
modalità 
di 
reclutamento 
dei 
docenti, 
anche per il tramite delle gPS, risente di ulteriori specificità. 

Le 
classi 
di 
concorso tecnica 
della 
danza 
classica 
(A057), tecnica 
della 
danza 
contemporanea 
(A058), 
tecniche 
di 
accompagnamento 
alla 
danza 
e 
teoria 
e 
pratica 
musicale 
per la 
danza 
(A059), espressione 
delle 
discipline 
coreutiche, 
sono state oggetto di un percorso normativo a tratti accidentato (42). 


Le 
criticità 
riguardano 
il 
fatto 
che 
ad 
oggi 
non 
vi 
sono 
insegnanti 
a 
tempo 
indeterminato 
per 
tali 
classi 
di 
concorso, 
in 
quanto 
la 
prima 
procedura 
concorsuale 
che 
di 
fatto 
ha 
coinvolto 
le 
tre 
classi 
citate, 
volta 
all’assunzione 
di 
titolari 
sulle 
materie, 
è 
il 
concorso 
straordinario 
docenti 
ex 
ddg. 
510/2020 
(43). 


Il 
mese 
di 
luglio 
2021 
potrebbe 
essere 
quello 
di 
pubblicazione 
delle 
prime 
graduatorie 
concorsuali 
per gli 
insegnamenti 
coreutici, in quanto le 
attività 
di 
valutazione 
da 
parte 
delle 
commissioni 
di 
concorso, con annessi 
e 
connessi, 
sono in fase di attuale svolgimento. 


L’assenza 
di 
un corpo docente 
titolare 
ben evidenzia 
come 
per gli 
insegnamenti 
coreutici 
siano state 
finora 
centrali, in quanto unico canale 
di 
reclutamento, 
le 
procedure 
per 
l’assegnazione 
di 
incarichi 
a 
tempo 
determinato, 
vale a dire le supplenze, attualmente da gPS e da g.I. 


Senza 
tali 
tipologie 
di 
assegnazioni 
i 
Licei 
coreutici 
non 
avrebbero 
potuto 
di 
fatto 
garantire 
l’erogazione 
della 
loro 
offerta 
formativa, 
con 
nocumento 
per 
gli 
allievi 
e 
i 
docenti 
interessati 
e 
in 
netto 
contrasto 
con 
una 
volontà 
normativa 
di 
rango primario che 
ha 
istituito gli 
insegnamenti 
coreutici, mostrando, però, 
un non trascurabile ritardo nel dare puntuale attuazione a tali principi. 


Per 
provare 
a 
completare 
il 
quadro 
delle 
specificità 
degli 
insegnamenti 
musicali 
e 
coreutici 
non 
si 
può 
prescindere 
dal 
compiere 
alcune 
considerazioni 
sui 
c.d. 
titoli 
artistici, 
richiamati 
già 
all’inizio 
del 
presente 
paragrafo, 
come 
un 
vero e proprio unicum. 


L’unicità 
è 
da 
rinvenirsi 
nel 
fatto che 
alla 
formazione 
del 
punteggio van


(42) Si 
tratta 
di 
classi 
di 
concorso di 
nuova 
istituzione, ai 
sensi 
del 
dPr n. 19/2016 ed in particolare 
del 
suo 
Allegato 
A. 
Il 
titolo 
di 
accesso 
per 
l’insegnamento 
della 
classe 
di 
concorso 
A057 
è 
il 
diploma 
Accademico di 
II livello in danza 
classica 
o in composizione 
ad indirizzo Coreografia 
(con almeno 48 
cfu 
in 
tecnica 
della 
danza 
classica), 
quello 
per 
l’insegnamento 
della 
classe 
di 
concorso 
A058 
è 
il 
diploma 
Accademico di 
II livello in danza 
contemporanea 
o in composizione 
ad indirizzo Coreografia 
(con almeno 
48 
cfu 
in 
tecnica 
della 
danza 
contemporanea). 
da 
ultimo 
il 
titolo 
d’accesso 
per 
la 
classe 
di 
concorso 
A059 è 
il 
diploma 
Accademico in Maestro collaboratore 
per la 
danza, in alternativa 
il 
diploma 
di 
Conservatorio 
in pianoforte o il diploma di II livello in pianoforte. 
(43) Senza 
voler dilungarsi 
sul 
concorso straordinario ed i 
requisiti 
di 
partecipazione 
richiesti 
dal 
bando, è 
opportuno puntualizzare 
che 
tale 
procedura 
ha 
interessato unicamente 
i 
docenti 
che 
oltre 
al 
titolo 
di 
studio richiesto ex 
lege 
per l’insegnamento nella 
specifica 
c.d.c. vantassero anche 
3 annualità 
di 
servizio, di cui almeno una di c.d. servizio specifico, vale a dire sulla materia per la quale si concorre. 

rASSegNA 
AVVoCAturA 
deLLo 
StAto -N. 1/2021 


tato 
dai 
singoli 
docenti 
nelle 
gPS 
per 
alcune 
classi 
di 
concorso 
del 
settore 
musicale 
e 
della 
danza 
(44) concorrono anche 
delle 
voci 
di 
punteggio che 
sono 
la 
summa 
di specifiche esperienze artistiche codificate. 

Sotto 
questo 
profilo 
la 
portata 
innovativa 
dell’oM 
60/2020, 
istitutiva 
delle 
gPS, 
è 
stata 
a 
tratti 
dirompente, 
segnando 
un 
punto 
di 
non 
ritorno 
rispetto 
alla disciplina precedente (45). 


I 
titoli 
artistici 
suscettibili 
di 
valutazione 
sono 
indicati 
rispettivamente 
negli 
allegati 
A/3 ed A/4 (46) all’o.M. 60. Si 
tratta, per le 
classi 
di 
concorso 
afferenti 
al 
settore 
musicale 
già 
indicate, di 
punti 
ulteriori 
riconosciuti: 
per il 
diploma 
di 
perfezionamento 
conseguito 
presso 
l’Accademia 
Nazionale 
di 
Santa 
Cecilia; 
per 
premi 
in 
concorsi 
nazionali 
o 
internazionali 
relativi 
allo 
specifico 
strumento; 
per idoneità 
in concorsi 
per orchestre 
sinfoniche 
di 
Fondazioni 
Lirico Sinfoniche (47). 


Si 
tratta, 
altresì, 
del 
riconoscimento 
di 
punti 
ulteriori 
per 
l’attività 
professionale, 
compresa 
quella 
di 
direzione, svolta 
nelle 
predette 
orchestre 
o in analoghe 
istituzioni 
estere 
e 
dell’attività 
concertistica 
solista 
o in formazioni 
di 
musica 
da 
camera, in Italia 
purché 
all’interno di 
attività 
finanziate 
dal 
Fondo 
unico per lo spettacolo, o all’estero, per ciascun titolo e 
sino ad un massimo 
di punti 30 (48)(49). 


Punteggi 
analoghi 
sono 
riconosciuti 
per 
premi 
ed 
attività 
in 
qualità 
di 


(44) Le 
classi 
di 
concorso nelle 
quali 
spendere, ai 
fini 
del 
punteggio totale 
vantato in graduatoria 
dal 
docente, 
i 
c.d. 
titoli 
artistici 
sono: 
A055, 
A056, 
A059, 
A063, 
nonché 
squisitamente 
per 
la 
danza 
A057 
e 
A058. 
(45) di cui si dirà a breve nella presente trattazione. 
(46) Sotto questo profilo il 
contenuto degli 
Allegati 
A/3 “Tabella dei 
titoli 
valutabili 
per 
le 
graduatorie 
provinciali 
di 
i fascia per 
le 
supplenze 
del 
personale 
docente 
nella scuola secondaria di 
primo 
e 
secondo grado” 
ed A/4 “Tabella dei 
titoli 
valutabili 
per 
le 
graduatorie 
provinciali 
di 
ii fascia per 
le 
supplenze 
del 
personale 
docente 
nella scuola secondaria di 
primo e 
secondo grado” 
è 
sostanzialmente 
sovrapponibile. 
La 
sezione 
dedicata 
all’indicazione 
dei 
titoli 
artistici 
valutabili 
e 
dei 
punteggi 
corrispondenti 
è denominata “bA”. 
(47) Altrettanto vale 
per le 
orchestre 
riconosciute 
ai 
sensi 
dell’articolo 28 della 
legge 
14 agosto 
1967 n. 800 o in analoghe 
istituzioni 
estere, per ciascuna 
stagione. Nella 
prassi 
la 
valutazione 
di 
cosa 
si 
intende 
per 
stagione 
orchestrale 
ha 
generato 
qualche 
dubbio 
interpretativo, 
in 
ordine 
alla 
effettiva 
durata 
della medesima. 
(48) Il 
riconoscimento di 
punti 
unicamente 
per l’attività 
concertistica 
finanziata 
dal 
c.d. FuS 
è 
stata 
oggetto di 
critiche 
e 
contestazioni 
da 
parte 
di 
una 
folta 
rappresentanza 
di 
docenti 
del 
settore 
e 
delle 
associazioni 
di 
categoria, i 
quali 
hanno sottolineato la 
difficoltà 
sostanziale, in questi 
anni, di 
veder effettivamente 
erogati 
tali 
fondi, disconoscendo il 
valore 
-in termini 
di 
punteggio -ad attività 
concertistiche 
di pregio ed in ogni caso documentabili, pur se non finanziate dal FuS. 
(49) Il 
Fondo unico per lo spettacolo -FuS, istituito con legge 
n. 163/1985, sostiene 
le 
attività 
di 
produzione 
e 
programmazione 
nell’ambito della 
musica, del 
teatro, della 
danza, del 
circo e 
dello spettacolo 
viaggiante. 
I 
contributi 
sono 
concessi 
per 
progetti 
triennali, 
su 
programmi 
annuali, 
tranne 
nel 
caso di 
tournée 
all’estero, finanziate 
annualmente. Criteri 
e 
modalità 
di 
concessione 
dei 
contributi 
sono 
disciplinati 
dal 
d.M. 
332/2017; 
requisito 
indispensabile 
per 
l’erogazione 
-previa 
approvazione 
del 
progetto 
-è 
il 
comprovato svolgimento dell’attività, congiunto -per la 
musica 
e 
per la 
danza 
-al 
requisito 
del non avere scopo di lucro. 

LegISLAzIoNe 
ed 
AttuALItà 


danzatore 
e/o 
coreografo 
per 
le 
classi 
di 
concorso 
tecnica 
della 
danza 
classica 
e 
tecnica della danza contemporanea. 


I 
punteggi 
per 
i 
titoli 
artistici, 
in 
questo 
ricalcando 
la 
disciplina 
previgente, 
non possono superare 
i 
66 punti, individuati 
quale 
soglia 
massima 
raggiungibile 
per le attività ed i premi conseguiti. 


L’o.M. 60, per il 
tramite 
dei 
suoi 
Allegati, ha 
ridimensionato fortemente 
il 
complesso dei 
titoli 
artistici 
e 
reso il 
sistema 
di 
valutazione 
dei 
medesimi 
molto 
più 
oggettivo 
rispetto 
al 
passato, 
incasellando 
le 
esperienze 
artistico 
professionali rilevanti nel caso di specie in un numero ridotto di ipotesi. 

La 
rivoluzione 
concretizzatasi 
con la 
disciplina 
appena 
descritta 
appare 
in tutta 
la 
sua 
evidenza 
se 
messa 
a 
confronto con il 
corpo di 
norme 
che 
disciplinavano 
le precedenti g.I. nel triennio 2017/20 (50). 


Il 
d.M. 374/2017, in particolare 
i 
suoi 
Allegati 
A 
e 
b, riconoscevano una 
rosa 
molto più ampia 
di 
attività 
afferenti 
al 
settore 
musicale 
e 
coreutico valutabili: 
basti 
pensare, ancor prima 
di 
addentrarsi 
nei 
titoli 
artistici, al 
riconoscimento 
tra 
i 
titoli 
di 
servizio 
validamente 
prestati 
delle 
attività 
di 
insegnamento 
svolte 
presso 
Conservatori 
ed 
Istituti 
musicali 
pareggiati, 
presso 
l’Accademia 
Nazionale 
di 
danza, 
i 
corsi 
presso 
amministrazioni 
statali 
e 
quelli 
presso enti pubblici o dagli stessi autorizzati e controllati (51). 


Ancor più evidente 
è 
la 
distanza 
rispetto alla 
disciplina 
attuale 
se 
si 
passano 
in 
rassegna 
i 
titoli 
artistici 
che 
erano 
riconoscibili 
in 
base 
al 
dM 
374/2017, vale 
a 
dire: 
attività 
concertistica 
(52); 
attività 
professionale 
svolta 
in orchestre 
lirico sinfoniche 
in ciascun anno solare 
(53); 
premi 
in concorsi 
nazionali 
o internazionali 
(54); 
idoneità 
in concorsi 
per orchestre 
sinfoniche; 
composizioni, 
pubblicazioni, 
incisioni 
discografiche, 
studi 
e 
ricerche 
di 
carattere 
musicale, metodologico o relative 
alla 
didattica 
strumentale 
(55); 
corsi 
di 
perfezionamento 
in 
qualità 
di 
allievi 
effettivi 
per 
lo 
strumento 
della 
graduatoria 


o altro (56); in ultimo altre attività musicali documentate (57). 
Il 
modello 
dei 
titoli 
artistici 
offerto 
dal 
d.M. 
374/2017 
era 
sicuramente 
pregevole 
per 
l’intenzione 
di 
dar 
spazio 
ad 
esperienze 
professionali 
e 
di 
formazione 


(50) Il 
d.M. 374/2017 ha 
istituito le 
graduatorie 
d’istituto per il 
triennio 2017/20, disciplinando, 
altresì, il meccanismo delle supplenze. 
(51) I titoli 
di 
servizio elencati 
non trovano identico riscontro e 
riconoscimento nella 
disciplina 
attuale dell’o.M. 60/2020, che non prevede tali ipotesi. 
(52) riconoscibile senza il vincolo del finanziamento da parte del FuS. 
(53) Senza limiti di punteggio massimo rispetto alla disciplina attuale, che lo fissa a punti 30. 
(54) 
Senza 
il 
vincolo 
del 
riferirsi 
allo 
strumento 
specifico 
della 
graduatoria 
e 
senza 
soglie 
massime 
da non superare, mentre attualmente il punteggio max per premi è pari a 6. 
(55) Voce 
presente 
tra 
i 
titoli 
artistici 
valutabili 
ai 
sensi 
del 
d.M. 374/2017, totalmente 
espunta 
dall’o.M. 60/2020. 
(56) Anche tale voce è stata espunta dalla citata o.M. 
(57) Questa 
tipologia 
di 
attività, vista 
la 
genericità 
della 
dicitura, era 
divenuta 
una 
sorta 
di 
mare 
magnum 
in 
cui 
far 
confluire 
le 
più 
disparate 
attività 
musicali 
svolte 
dagli 
aspiranti 
supplenti 
di 
strumento 
musicale. 

rASSegNA 
AVVoCAturA 
deLLo 
StAto -N. 1/2021 


che 
plasmano 
i 
docenti 
e 
concorrono 
a 
formarne 
i 
curricula, 
da 
un 
altro 
punto 
di 
vista, 
tuttavia, 
l’esperienza 
ha 
mostrato 
come 
in 
alcuni 
casi 
marginali 
questa 
concentrazione 
verso 
la 
propria 
carriera 
professionale/concertistica 
(con 
il 
meccanismo 
dell’accumulo 
di 
titoli 
e 
punteggio 
da 
far 
valere 
nelle 
graduatorie 
successive) 
si 
rivelava 
penalizzante 
per 
la 
docenza 
nel 
senso 
puro 
del 
termine. 


Sotto 
un 
profilo 
squisitamente 
giuridico 
ed 
amministrativo, 
altresì, 
non 
si 
può 
non 
segnalare 
come 
la 
macchina 
della 
valutazione 
di 
tali 
titoli 
artistici, 
secondo 
il 
modello 
offerto 
dal 
d.M. 
374/2017, 
non 
fosse 
del 
tutto 
immune 
da 
criticità 
(58). 


Il 
modello 
di 
valutazione 
affidato 
a 
Commissioni 
di 
esperti, 
come 
proposto 
dal 
citato 
d.M. 
con 
i 
criteri 
esposti 
negli 
Allegati 
A 
e 
b, 
ha 
rivelato 
alcuni 
limiti, 
atti 
a 
riflettersi 
sulle 
graduatorie 
e 
pertanto 
sugli 
incarichi 
di 
supplenza 
conferiti. 


Le 
Commissioni 
erano spesso oberate 
da 
un lavoro di 
valutazione 
esorbitante 
per 
i 
numeri 
di 
aspiranti 
che 
queste 
procedure 
coinvolgono, 
con 
attività 
che 
andavano avanti 
per mesi 
e 
mesi, spesso rallentate 
da 
reclami 
avverso le 
valutazioni 
ricevute 
dai 
docenti 
ai 
loro 
titoli 
artistici, 
che 
determinavano 
la 
necessità di riprendere in mano valutazioni che si ritenevano concluse. 

I 
reclami 
dei 
docenti, 
che 
lamentavano 
talvolta 
un’eccessiva 
discrezionalità 
vista 
l’ampia 
rosa 
di 
titoli 
valutabili, potevano sfociare 
nella 
rivalutazione 
dei 
punteggi 
attribuiti, all’esito delle 
attività 
di 
riesame 
da 
parte 
delle 
Commissioni. 

Ciò generava 
graduatorie 
particolarmente 
precarie, con tutti 
gli 
inconvenienti 
e i rischi del caso. 


In conclusione, con riferimento ai 
settori 
musicale 
e 
coreutico, il 
breve 
excursus 
offerto fa 
emergere 
in maniera 
evidente 
la 
diversità 
di 
impianto normativo 
che caratterizza l’o.M. 60/2020 rispetto alla disciplina previgente. 

4. Considerazioni conclusive. 
Alle 
battute 
finali 
della 
presente 
trattazione, richiamandone 
il 
titolo prescelto, 
è 
forse 
possibile 
fare 
un primo parziale 
bilancio in merito alle 
graduatorie 
provinciali di supplenza. 


La 
procedura 
interamente 
digitalizzata 
è 
certamente 
un punto di 
non ritorno, 
così 
come 
la 
ratio 
di 
creare 
una 
banca 
dati 
definitiva 
che 
contenga 
titoli 
e punteggi ormai convalidati dei docenti, utili per le future graduatorie. 

(58) deputate 
alla 
valutazione 
delle 
centinaia 
di 
titoli 
che 
i 
docenti 
presentavano erano -ai 
sensi 
del 
d.M. 374 -delle 
apposite 
Commissioni 
costituite 
presso gli 
uSP 
ai 
sensi 
dell’art. 5, comma 
4, del 
d.M. 131/2007 (per strumento musicale 
e 
tecnologie 
musicali) e 
da 
apposite 
Commissioni 
costituite 
ai 
sensi 
dell’art. 4 bis 
del 
medesimo decreto, per le 
discipline 
coreutiche. tali 
Commissioni 
composte 
da 
maestri 
del 
Conservatorio 
o 
dell’Accademia 
di 
danza, 
a 
seconda 
delle 
discipline, 
e 
da 
docenti 
nelle 
materie 
oggetto di 
valutazione 
avevano l’incarico -all’esito della 
valutazione 
dei 
titoli 
artistici 
presentati 
da 
ogni 
singolo aspirante 
in graduatoria 
-di 
attribuire 
un determinato punteggio per i 
titoli 
artistici, che 
sommato al 
punteggio per i 
titoli 
d’accesso ecc., nonché 
quello per i 
titoli 
di 
servizio, dava 
il 
punteggio 
totale. 

LegISLAzIoNe 
ed 
AttuALItà 


Per altri 
aspetti 
caratterizzanti 
la 
disciplina 
ed ivi 
richiamati, a 
parere 
di 
chi 
scrive, 
saranno 
possibili 
e 
probabili 
innovazioni 
ulteriori, 
sollecitate 
da 
un 
bilancio 
empirico 
che 
si 
concluderà 
nel 
2022, 
alla 
scadenza 
delle 
gPS 
vigenti. 


A 
testimonianza 
del 
dinamismo 
del 
settore 
e 
di 
procedure 
come 
quella 
appena 
descritta, vi 
è 
l’attuale 
discussione 
alle 
Camere 
del 
c.d. “decreto sostegni 
bis”, 
in 
via 
di 
approvazione 
entro 
la 
fine 
di 
luglio 
2021, 
il 
quale 
potrebbe 
disporre 
l’assunzione 
dei 
docenti 
proprio dalle 
gPS 
di 
I fascia, permettendo 
dopo un primo anno di 
formazione 
con contratto a 
termine, la 
successiva 
stabilizzazione. 


In conclusione, la 
volontà 
di 
dar voce 
a 
queste 
tematiche 
trova 
la 
sua 
ragion 
d’essere 
nella 
loro attitudine 
a 
coinvolgere 
un bacino immenso di 
interessati 
e, 
pertanto, 
a 
coinvolgere 
in 
maniera 
altrettanto 
intensa 
la 
macchina 
amministrativa in tutte le sue articolazioni. 


È 
ben 
noto 
a 
chi 
legge 
quanto 
il 
mondo 
della 
scuola, 
con 
tutte 
le 
procedure 
che 
lo caratterizzano, sia 
foriero di 
contenziosi, coinvolgendo a 
360 gradi 
-a 
seconda 
delle 
materie 
trattate 
-sia 
il 
giudice 
amministrativo, 
sia 
il 
giudice 
ordinario. 

Pertanto, 
con 
un 
corpus 
normativo 
che 
si 
rinnova 
di 
continuo, 
emerge 
l’urgenza 
di 
monitorare 
il 
più possibile 
il 
“diritto scolastico” 
in senso ampio, 
in un’ottica di deflazione del contenzioso. 



rASSegNA 
AVVoCAturA 
deLLo 
StAto -N. 1/2021 


Accountability 


Gaetana Natale* 


“The 
concept 
of 
privacy 
is 
elusive 
and 
ill 
defined” 
as 
richard 
Posner 
wrote 
in his 
famous 
essay entitled “The 
right 
of 
Privacy” 
(1977). In leading 
case 
melvin v 
reid Samuel 
d.Warren and Luis 
d.brandeis 
defined “the 
right 
to be let alone” 
without digital data, analytics or algorithms. 


With 
Artificial 
Intelligence 
how 
will 
the 
concept 
of 
accountability 
change? 
Must 
the 
accountability go over the 
territoriality of the 
States 
in europe 
and, after the case Schrems II (Privacy Shield), in uSA? 


So, reading the articles of gdPr, we can make some reflections. 

Article 24 - EU GDPR 
"Responsibility of the controller" 


1. Taking into account 
the 
nature, scope, context 
and purposes 
of 
processing as 
well 
as 
the 
risks 
of 
varying likelihood and severity 
for 
the 
rights 
and freedoms 
of 
natural 
persons, the 
controller 
shall 
implement 
appropriate 
technical 
and organisational 
measures 
to ensure 
and 
to be 
able 
to demonstrate 
that 
processing is 
performed in accordance 
with this 
regulation. 
Those measures shall be reviewed and updated where necessary. 
2. Where 
proportionate 
in relation to processing activities, the 
measures 
referred to in paragraph 
1 shall 
include 
the 
implementation of 
appropriate 
data protection policies 
by 
the 
controller. 
3. Adherence 
to approved codes 
of 
conduct 
as 
referred to in Article 
40 or 
approved certification 
mechanisms 
as 
referred to in Article 
42 may 
be 
used as 
an element 
by 
which to demonstrate 
compliance with the obligations of the controller. 
Suitable recitals 


Recital 74 
Responsibility and liability of the controller 


The 
responsibility 
and 
liability 
of 
the 
controller 
for 
any 
processing 
of 
personal 
data 
carried 
out 
by 
the 
controller 
or 
on the 
controller’s 
behalf 
should be 
established. in particular, 
the 
controller 
should 
be 
obliged 
to 
implement 
appropriate 
and 
effective 
measures 
and 
be 
able 
to demonstrate 
the 
compliance 
of 
processing activities 
with this 
regulation, including the 
effectiveness 
of 
the 
measures. Those 
measures 
should take 
into account 
the 
nature, scope, context 
and 
purposes 
of 
the 
processing 
and 
the 
risk 
to 
the 
rights 
and 
freedoms 
of 
natural 
persons. 


(*) Avvocato dello Stato, Professore 
a 
contratto presso l’università 
degli 
Studi 
di 
Salerno, Consigliere 
giuridico del garante per la Privacy. 


Costituisce 
il 
presente 
scritto la relazione 
presentata dall’Autrice, in 
qualità di 
consigliere 
giuridico 
del 
Garante 
per 
la Privacy, ad un 
meeting internazionale 
con 
l’Autorità della Privacy 
albanese 
-2 
marzo 2021. 



LegISLAzIoNe 
ed 
AttuALItà 


Recital 75 
Risks to the rights and freedoms of natural persons 


The 
risk 
to 
the 
rights 
and 
freedoms 
of 
natural 
persons, 
of 
varying 
likelihood 
and 
severity, 
may 
result 
from 
personal 
data processing which could lead to physical, material 
or 
non-material 
damage, in particular: where 
the 
processing may 
give 
rise 
to discrimination, identity 
theft 
or 
fraud, financial 
loss, damage 
to the 
reputation, loss 
of 
confidentiality 
of 
personal 
data protected 
by 
professional 
secrecy, unauthorised reversal 
of 
pseudonymisation, or 
any 
other 
significant 
economic 
or 
social 
disadvantage; where 
data subjects 
might 
be 
deprived of 
their 
rights 
and 
freedoms 
or 
prevented 
from 
exercising 
control 
over 
their 
personal 
data; 
where 
personal 
data are 
processed which reveal 
racial 
or 
ethnic 
origin, political 
opinions, religion or 
philosophical 
beliefs, trade 
union membership, and the 
processing of 
genetic 
data, data concerning 
health or 
data concerning sex 
life 
or 
criminal 
convictions 
and offences 
or 
related security 
measures; where 
personal 
aspects 
are 
evaluated, in particular 
analysing or 
predicting 
aspects 
concerning 
performance 
at 
work, 
economic 
situation, 
health, 
personal 
preferences 
or 
interests, 
reliability 
or 
behaviour, 
location 
or 
movements, 
in 
order 
to 
create 
or 
use 
personal 
profiles; 
where 
personal 
data 
of 
vulnerable 
natural 
persons, 
in 
particular 
of 
children, 
are 
processed; or 
where 
processing involves 
a large 
amount 
of 
personal 
data and affects 
a large 
number of data subjects. 


Recital 76 
Risk assessment 


The 
likelihood and severity 
of 
the 
risk 
to the 
rights 
and freedoms 
of 
the 
data subject 
should 
be 
determined by 
reference 
to the 
nature, scope, context 
and purposes 
of 
the 
processing. risk 
should 
be 
evaluated 
on 
the 
basis 
of 
an 
objective 
assessment, 
by 
which 
it 
is 
established 
whether 
data processing operations involve a risk or a high risk. 


Recital 77 
Risk assessment guidelines 


Guidance 
on 
the 
implementation 
of 
appropriate 
measures 
and 
on 
the 
demonstration 
of 
compliance 
by 
the 
controller 
or 
the 
processor, 
especially 
as 
regards 
the 
identification 
of 
the 
risk 
related 
to 
the 
processing, 
their 
assessment 
in 
terms 
of 
origin, 
nature, 
likelihood 
and 
severity, 
and 
the 
identification 
of 
best 
practices 
to 
mitigate 
the 
risk, 
could 
be 
provided 
in 
particular 
by 
means 
of 
approved 
codes 
of 
conduct, 
approved 
certifications, 
guidelines 
provided 
by 
the 
Board 
or 
indications 
provided 
by 
a 
data 
protection 
officer. 
The 
Board 
may 
also 
issue 
guidelines 
on 
processing 
operations 
that 
are 
considered 
to 
be 
unlikely 
to 
result 
in 
a 
high 
risk 
to 
the 
rights 
and 
freedoms 
of 
natural 
persons 
and 
indicate 
what 
measures 
may 
be 
sufficient 
in 
such 
cases 
to 
address 
such 
risk. 


Article 25 - EU GDPR 
“Data protection by design and by default” 


1. 
Taking 
into 
account 
the 
state 
of 
the 
art, 
the 
cost 
of 
implementation 
and 
the 
nature, 
scope, 
context 
and 
purposes 
of 
processing 
as 
well 
as 
the 
risks 
of 
varying 
likelihood 
and 
severity 
for 
rights 
and 
freedoms 
of 
natural 
persons 
posed 
by 
the 
processing, 
the 
controller 
shall, 
both 
at 
the 
time 
of 
the 
determination 
of 
the 
means 
for 
processing 
and 
at 
the 
time 
of 
the 
processing 
itself, 
implement 
appropriate 
technical 
and 
organisational 
measures, 
such 
as 
pseudonymisation, 
which 
are 
designed 
to 
implement 
data-protection 
principles, 
such 
as 

rASSegNA 
AVVoCAturA 
deLLo 
StAto -N. 1/2021 


data 
minimisation, 
in 
an 
effective 
manner 
and 
to 
integrate 
the 
necessary 
safeguards 
into 
the 
processing 
in 
order 
to 
meet 
the 
requirements 
of 
this 
regulation 
and 
protect 
the 
rights 
of 
data 
subjects. 


2. The 
controller 
shall 
implement 
appropriate 
technical 
and organisational 
measures 
for 
ensuring 
that, by 
default, only 
personal 
data which are 
necessary 
for 
each specific 
purpose 
of 
the 
processing 
are 
processed. 
That 
obligation 
applies 
to 
the 
amount 
of 
personal 
data 
collected, 
the 
extent 
of 
their 
processing, the 
period of 
their 
storage 
and their 
accessibility. in particular, 
such measures 
shall 
ensure 
that 
by 
default 
personal 
data are 
not 
made 
accessible 
without 
the 
individual's intervention to an indefinite number of natural persons. 
3. An approved certification mechanism 
pursuant 
to Article 
42 may 
be 
used as 
an element 
to 
demonstrate compliance with the requirements set out in paragraphs 1 and 2 of this 
Article. 
Suitable recitals 


Recital 78 
Appropriate technical and organisational measures 


The 
protection 
of 
the 
rights 
and 
freedoms 
of 
natural 
persons 
with 
regard 
to 
the 
processing 
of 
personal 
data 
require 
that 
appropriate 
technical 
and 
organisational 
measures 
be 
taken 
to 
ensure 
that 
the 
requirements 
of 
this 
regulation 
are 
met. 
in 
order 
to 
be 
able 
to 
demonstrate 
compliance 
with 
this 
regulation, 
the 
controller 
should 
adopt 
internal 
policies 
and 
implement 
measures 
which 
meet 
in 
particular 
the 
principles 
of 
data 
protection 
by 
design 
and 
data 
protection 
by 
default. 
Such 
measures 
could 
consist, 
inter 
alia, 
of 
minimising 
the 
processing 
of 
personal 
data, 
pseudonymising 
personal 
data 
as 
soon 
as 
possible, 
transparency 
with 
regard 
to 
the 
functions 
and 
processing 
of 
personal 
data, 
enabling 
the 
data 
subject 
to 
monitor 
the 
data 
processing, 
enabling 
the 
controller 
to 
create 
and 
improve 
security 
features. 
When 
developing, 
designing, 
selecting 
and 
using 
applications, 
services 
and 
products 
that 
are 
based 
on 
the 
processing 
of 
personal 
data 
or 
process 
personal 
data 
to 
fulfil 
their 
task, 
producers 
of 
the 
products, 
services 
and 
applications 
should 
be 
encouraged 
to 
take 
into 
account 
the 
right 
to 
data 
protection 
when 
developing 
and 
designing 
such 
products, 
services 
and 
applications 
and, 
with 
due 
regard 
to 
the 
state 
of 
the 
art, 
to 
make 
sure 
that 
controllers 
and 
processors 
are 
able 
to 
fulfil 
their 
data 
protection 
obligations. 
The 
principles 
of 
data 
protection 
by 
design 
and 
by 
default 
should 
also 
be 
taken 
into 
consideration 
in 
the 
context 
of 
public 
tenders. 


Controller 
and processor, but 
today we 
have 
the 
figure 
of prossimer 
and 
the 
algorithm 
is 
not 
mere 
tool, but 
with the 
scheme 
if 
this 
than that 
it 
becames 
an essential 
element 
of “automatic 
decision”.the 
privacy is 
not 
a 
static, but 
dynamic concept. 


1. Accountability. 
Accountability is 
a 
common principle 
for organisations 
across 
many disciplines; 
the 
principle 
embodies 
that 
organisations 
live 
up 
to 
expectations 
for 
instance 
in 
the 
delivery 
of 
their 
products 
and 
their 
behaviour 
towards 
those 
they 
interact 
with. 
the 
general 
data 
Protection 
regulation 
(gdPr) 
integrates 
accountability 
as 
a 
principle 
which 
requires 
that 
organisations 
put 
in 
place 
ap



LegISLAzIoNe 
ed 
AttuALItà 


propriate 
technical 
and 
organisational 
measures 
and 
be 
able 
to 
demonstrate 
what they did and its effectiveness when requested. 


organisations, 
and 
not 
data 
Protection 
Authorities, 
must 
demonstrate 
that 
they are 
compliant 
with the 
law. Such measures 
include: 
adequate 
documentation 
on what 
personal 
data 
are 
processed, how, to what 
purpose, how 
long; 
documented 
processes 
and 
procedures 
aiming 
at 
tackling 
data 
protection 
issues 
at 
an early state 
when building information systems 
or responding to a 
data 
breach; 
the 
presence 
of a 
data 
Protection officer that 
be 
integrated in the 
organisation 
planning and operations etc. 


In 2015, in anticipation of the 
gdPr, the 
edPS 
initiated a 
project 
to develop 
a 
framework for greater accountability in data 
processing to be 
applied 
to 
our 
own 
organisation, 
as 
an 
institution, 
a 
manager 
of 
financial 
resources 
and people - and a controller. 


In 
addition, 
we 
have 
started 
to 
promote 
the 
accountability 
principle 
through visits 
to small, medium 
and large 
eu 
bodies 
to explain the 
new 
obligations 
resulting 
from 
the 
revised 
legal 
framework 
and 
the 
implications 
for 
eu institutions and the edPS' work as their supervisory authority. 


Accountability is 
one 
of the 
data 
protection principles 
-it 
makes 
you responsible 
for complying with the 
gdPr and says 
that 
you must 
be 
able 
to demonstrate 
your compliance. 


You need to put 
in place 
appropriate 
technical 
and organisational 
measures 
to meet the requirements of accountability. 


there 
are 
a 
number of measures 
that 
you can, and in some 
cases 
must, 
take including: 


- adopting and implementing data protection policies; 
- taking a ‘data protection by design and default’ approach; 
-putting written contracts 
in place 
with organisations 
that 
process 
personal 
data on your behalf; 
- maintaining documentation of your processing activities; 
- implementing appropriate security measures; 
- recording and, where necessary, reporting personal data breaches; 
-carrying 
out 
data 
protection 
impact 
assessments 
for 
uses 
of 
personal 
data that are likely to result in high risk to individuals’ interests; 


- appointing a data protection officer; and 
-adhering 
to 
relevant 
codes 
of 
conduct 
and 
signing 
up 
to 
certification 
schemes. 
Accountability obligations 
are 
ongoing. You must 
review 
and, where 
necessary, 
update the measures you put in place. 


If 
you 
implement 
a 
privacy 
management 
framework 
this 
can 
help 
you 
embed 
your 
accountability 
measures 
and 
create 
a 
culture 
of 
privacy 
across 
your organisation. 


being accountable 
can help you to build trust 
with individuals 
and may 
help you mitigate enforcement action. 



rASSegNA 
AVVoCAturA 
deLLo 
StAto -N. 1/2021 


there 
are 
two key elements. First, the 
accountability principle 
makes 
it 
clear 
that 
you 
are 
responsible 
for 
complying 
with 
the 
gdPr. 
Second, 
you 
must be able to demonstrate your compliance. 


taking 
responsibility 
for 
what 
you 
do 
with 
personal 
data, 
and 
demonstrating 
the 
steps 
you 
have 
taken 
to 
protect 
people’s 
rights 
not 
only 
results 
in 
better 
legal 
compliance, 
it 
also 
offers 
you 
a 
competitive 
edge. 
Accountability 
is 
a 
real 
opportunity 
for 
you 
to 
show, 
and 
prove, 
how 
you 
respect 
people’s 
privacy. 
this can help you to develop and sustain people’s trust. 

Furthermore, if something does 
go wrong, then being able 
to show 
that 
you 
actively 
considered 
the 
risks 
and 
put 
in 
place 
measures 
and 
safeguards 
can help you provide 
mitigation against 
any potential 
enforcement 
action. on 
the 
other hand, if you can’t 
show 
good data 
protection practices, it 
may leave 
you open to fines and reputational damage. 


Accountability is 
not 
a 
box-ticking exercise. being responsible 
for compliance 
with 
the 
gdPr 
means 
that 
you 
need 
to 
be 
proactive 
and 
organised 
about 
your 
approach 
to 
data 
protection, 
while 
demonstrating 
your 
compliance 
means that you must be able to evidence the steps you take to comply. 


to achieve 
this, if you are 
a 
larger organisation you may choose 
to put 
in 
place 
a 
privacy management 
framework. this 
can help you create 
a 
culture 
of 
commitment 
to data 
protection, by embedding systematic 
and demonstrable 
compliance 
across 
your organisation. Amongst 
other things, your framework 
should include: 


- robust program controls informed by the requirements of the gdPr; 
- appropriate reporting structures; and 
- assessment and evaluation procedures. 
If 
you 
are 
a 
smaller 
organisation 
you 
will 
most 
likely 
benefit 
from 
a 
smaller 
scale approach to accountability. Amongst other things you should: 


-ensure 
a 
good level 
of understanding and awareness 
of data 
protection 
amongst your staff; 
-implement 
comprehensive 
but 
proportionate 
policies 
and 
procedures 
for 
handling personal data; and 


- keep records of what you do and why. 
Article 24(1) of the gdPr says that: 
-you must 
implement 
technical 
and organisational 
measures 
to ensure, 
and demonstrate, compliance with the gdPr; 
- the measures should be risk-based and proportionate; and 
- you need to review and update the measures as necessary. 
While 
the 
gdPr does 
not 
specify an exhaustive 
list 
of things 
you need 
to 
do 
to 
be 
accountable, 
it 
does 
set 
out 
several 
different 
measures 
you 
can 
take 
that 
will 
help you get 
there. these 
are 
summarised under the 
headings 
below, 
with links 
to the 
relevant 
parts 
of the 
guide. Some 
measures 
you are 
obliged 
to take 
and some 
are 
voluntary. It 
will 
differ depending on what 
personal 
data 



LegISLAzIoNe 
ed 
AttuALItà 


you have 
and what 
you do with it. these 
measures 
can form 
the 
basis 
of your 
programme 
controls 
if you opt 
to put 
in place 
a 
privacy management 
framework 
across your organisation. 


Should we implement data protection policies? 


For many organisations, putting in place 
relevant 
policies 
is 
a 
fundamental 
part 
of their approach to data 
protection compliance. the 
gdPr explicitly 
says 
that, where 
proportionate, implementing data 
protection policies 
is 
one 
of the measures you can take to ensure, and demonstrate, compliance. 


What 
you 
have 
policies 
for, 
and 
their 
level 
of 
detail, 
depends 
on 
what 
you 
do 
with 
personal 
data. 
If, 
for 
instance, 
you 
handle 
large 
volumes 
of 
personal 
data, 
or 
particularly 
sensitive 
information 
such 
as 
special 
category 
data, 
then 
you 
should 
take 
greater 
care 
to 
ensure 
that 
your 
policies 
are 
robust 
and 
comprehensive. 


As 
well 
as 
drafting 
data 
protection 
policies, 
you 
should 
also 
be 
able 
to 
show 
that 
you 
have 
implemented 
and 
adhered 
to 
them. 
this 
could 
include 
awareness 
raising, 
training, 
monitoring 
and 
audits 
-all 
tasks 
that 
your 
data 
protection 
officer 
can 
undertake 
(see 
below 
for 
more 
on 
data 
protection 
officers). 


Privacy by design has 
long been seen as 
a 
good practice 
approach when 
designing new 
products, processes 
and systems 
that 
use 
personal 
data. under 
the 
heading ‘data 
protection by design and by default’, the 
gdPr legally requires 
you to take this approach. 


data 
protection by design and default 
is 
an integral 
element 
of being accountable. 
It 
is 
about 
embedding 
data 
protection 
into 
everything 
you 
do, 
throughout 
all 
your processing operations. the 
gdPr suggests 
measures 
that 
may 
be 
appropriate 
such as 
minimising the 
data 
you collect, applying pseudonymisation 
techniques, and improving security features. 


Integrating data 
protection considerations 
into your operations 
helps 
you 
to comply with your obligations, while 
documenting the 
decisions 
you take 
(often in data protection impact assessments - see below) demonstrates this. 


Whenever a 
controller uses 
a 
processor to handle 
personal 
data 
on their 
behalf, it 
needs 
to put 
in place 
a 
written contract 
that 
sets 
out 
each party’s 
responsibilities 
and liabilities. 


Contracts 
must 
include 
certain specific 
terms 
as 
a 
minimum, such as 
requiring 
the 
processor to take 
appropriate 
measures 
to ensure 
the 
security of 
processing 
and 
obliging 
it 
to 
assist 
the 
controller 
in 
allowing 
individuals 
to 
exercise their rights under the gdPr. 


using clear and comprehensive 
contracts 
with your processors 
helps 
to 
ensure 
that 
everyone 
understands 
their 
data 
protection 
obligations 
and 
is 
a 
good way to demonstrate this formally. 


the 
above 
measures 
can help to support 
an accountable 
approach to data 
protection, 
but 
it 
is 
not 
limited 
to 
these. 
You 
need 
to 
be 
able 
to 
prove 
what 
steps 
you 
have 
taken 
to 
comply. 
In 
practice 
this 
means 
keeping 
records 
of 
what 
you do and justifying your decisions. 



rASSegNA 
AVVoCAturA 
deLLo 
StAto -N. 1/2021 


Accountability 
is 
not 
just 
about 
being 
answerable 
to 
the 
regulator; 
you 
must 
also demonstrate 
your compliance 
to individuals. Amongst 
other things, 
individuals 
have 
the 
right 
to 
be 
informed 
about 
what 
personal 
data 
you 
collect, 
why you use 
it 
and who you share 
it 
with. Additionally, if you use 
techniques 
such as 
artificial 
intelligence 
and machine 
learning to make 
decisions 
about 
people, in certain cases 
individuals 
have 
the 
right 
to hold you to account 
by 
requesting 
explanations 
of 
those 
decisions 
and 
contesting 
them. 
You 
therefore 
need to find effective 
ways 
to provide 
information to people 
about 
what 
you 
do with their personal data, and explain and review automated decisions. 


the 
obligations 
that 
accountability 
places 
on 
you 
are 
ongoing 
-you 
cannot 
simply 
sign 
off 
a 
particular 
processing 
operation 
as 
‘accountable’ 
and 
move 
on. 
You 
must 
review 
the 
measures 
you 
implement 
at 
appropriate 
intervals 
to 
ensure 
that 
they 
remain 
effective. 
You 
should 
update 
measures 
that 
are 
no 
longer 
fit 
for 
purpose. 
If 
you 
regularly 
change 
what 
you 
do 
with 
personal 
data, 
or 
the 
types 
of 
information 
that 
you 
collect, 
you 
should 
review 
and 
update 
your 
measures 
frequently, 
remembering 
to 
document 
what 
you 
do 
and 
why. 


2. The principle of accountability. 
the 
general 
data 
Protection regulation (gdPr) introduces 
a 
new 
principle 
to data 
protection rules 
in europe: 
that 
of accountability. the 
gdPr requires 
that 
the 
controller is 
responsible 
for making sure 
all 
privacy principles 
are 
adhered to. Moreover, the 
gdPr requires 
that 
your organisation can demonstrate 
compliance 
with all 
the 
principles. So, which steps 
should your organisation 
take 
to 
build 
such 
a 
culture 
and 
to 
be 
able 
to 
demonstrate 
accountability? 


Firstly, the 
organisation must 
know 
what 
principles 
need to be 
adhered 
to. there 
are 
six principles 
set 
out 
in the 
gdPr. these 
are 
the 
principles 
of 
lawfulness, fairness 
and transparency, purpose 
limitation, data 
minimisation, 
accuracy, storage 
limitation, and integrity and confidentiality. one 
of the 
best 
ways 
to 
make 
sure 
these 
principles 
are 
adhered 
to 
is 
to 
make 
sure 
your 
internal 
privacy governance structure is set up correctly and comprehensively. 


the 
ways 
to incorporate 
these 
principles 
are 
woven in throughout 
the 
gdPr. 
For 
instance, 
the 
gdPr 
states 
your 
organisation 
is 
required 
to 
deploy 
appropriate 
technical 
and 
organisational 
measures 
as 
laid 
out 
in 
the 
gdPr. 
Some 
(new) 
measures 
mentioned 
in 
the 
gdPr 
are: 
documented 
processes/policies, 
data 
protection 
impact 
assessments 
(dPIA), 
suggested 
data 
security 
methods, 
data 
protection 
by 
design 
and 
by 
default, 
a 
mandatory 
data 
protection 
officer 
(dPo) 
for 
large 
scale 
personal 
data 
processing, 
and 
keeping 
records 
of 
your 
processing 
activities. 
Special 
attention 
is 
given 
to 
(industry) 
code 
of 
conducts 
and 
self-certification, 
data 
breach 
notification 
and 
transparency 
requirements. 



LegISLAzIoNe 
ed 
AttuALItà 


3. A culture and organisational change. 
A 
strong governance 
structure 
is 
essential 
to standardise 
privacy and develop 
privacy by design and default. to create 
a 
cultural 
and organisational 
change 
for 
gdPr 
compliance 
within 
your 
organisation, 
buy-in 
from 
stakeholders 
is 
of 
significant 
importance. 
by 
developing 
internal 
guidelines 
for 
employees, 
compliance 
with legal 
obligations 
for data 
processing and securing 
data 
can 
be 
ensured. 
Incorporate 
training 
and 
awareness 
programs 
for 
everyone 
who is 
going to be 
involved in the 
processing of personal 
data. Your organisation 
can 
also 
consider 
subscribing 
to 
an 
industry 
code 
of 
conduct 
or 
creating 
internal guidelines and a review process for data analytics. 


Subscribing to an industry code 
of conduct 
can demonstrate 
compliance, 
especially 
when 
the 
certifications 
are 
issued 
by 
the 
certification 
bodies. 
these 
mechanisms 
are 
not 
obligatory 
under 
the 
gdPr, 
but 
are 
highly 
recommended. 
developing 
your 
own 
ethical 
standards 
with 
respect 
to 
processing 
personal 
data, may further enhance 
your accountability efforts. the 
risks 
of new 
initiatives 
are 
weighed against 
possible 
benefits. Questions 
like 
‘can we 
legally do 
this?’ 
should be 
complemented by ‘do we 
want 
to do this 
and how 
will 
it 
be 
perceived by our customers?’ to safeguard the ethical use of the data. 


Furthermore 
the 
gdPr obligates 
your organisation to maintain an internal 
record 
of 
all 
your 
processing 
activities. 
Your 
organisation 
is, 
among 
others 
things, required to record the 
purposes 
of the 
processing and a 
description of 
technical and organisational security measures. 


New 
in the 
gdPr is 
the 
requirement 
to designate 
a 
data 
Privacy officer 
(dPo) within your organisation. Although the 
requirement 
is 
only mandatory 
in 
certain 
circumstances, 
a 
dPo 
can 
monitor 
the 
activities 
of 
your 
organisation 
and the processing activities to help you become compliant with the gdPr. 


4. Conclusion. 
today 
this 
system 
of 
rules 
is 
not 
enough. 
the 
level 
of 
protection 
must 
follow the technology. 


the 
Commission has 
made 
a 
proposal 
of Digital 
Service 
Act 
that 
will 
introduce 
a 
concept 
of accountability in terms 
of strict 
liability for contents 
of 
big 
data. 
data 
are 
considered 
important 
items 
of 
digital 
economy, 
making 
the 
concept 
of 
Data 
Driven 
Economy. 
It 
is 
important 
to 
create 
a 
multilevel 
system 
of 
protection, 
enhancing 
the 
power 
of 
inspection 
and 
injunction 
of 
SA 
with 
pre-emptive 
remedy 
and 
with 
web-tax 
to 
regulate 
economic 
influence 
of 
social 
platforms. the 
criteria 
of one 
stop Shop 
and consistency 
mechanism 
must 
be 
integrated 
by 
common 
european 
culture 
of 
right 
of 
privacy 
in 
a 
general 
context 
of safeguard of human rights. 



Contributididottrina
La nozione complessa della parità di genere 


Gaetana Natale* 


Quando 
si 
parla 
di 
“parità 
di 
genere” 
si 
corre 
il 
rischio 
di 
assumere 
spesso 
un atteggiamento non ispirato alla 
c.d. “oggettivazione 
di 
significato”, scevro 
da 
bias, 
da 
pregiudizi, 
da 
convinzioni 
personali 
e 
da 
quella 
che 
C. 
Schmitt 
definisce 
la “tirannia dei valori” (1). 

Se 
è 
vero che 
“le 
parole 
sono azioni”, come 
affermava 
Ludwig Wittgenstein 
(2), il 
linguaggio diventa 
strumento dinamico -e 
non statico -di 
descrizione 
dell’evoluzione 
culturale 
di 
una 
società 
democratica. 
i 
termini 
che 
si 
utilizzano 
costituiscono 
l’espressione 
concreta 
di 
un’astrazione 
concettuale 
che 
si 
traduce 
nell’implicita 
accettazione 
di 
un comune 
sentire 
sociale 
e 
culturale. 
non è 
un caso che 
John Langslaw 
Austin, altro grande 
filosofo del 
novecento, 
indicasse 
con il 
termine 
“speech act” 
il 
dinamismo descrittivo delle 
parole che innesta processi sociali e culturali in continuo divenire. 


ebbene, 
l’espressione 
“parità 
di 
genere” 
ha 
innestato 
dei 
processi 
di 
cambiamento 
culturale 
molto spesso dovuti 
ad atti 
propulsivi 
di 
coraggio posti 
in 
essere 
da 
persone 
che 
hanno 
portato 
avanti 
la 
richiesta 
di 
tutela 
dei 
loro 
diritti, 
andando 
al 
di 
là 
dei 
c.d. 
bias, 
ossia 
dei 
pregiudizi. 
il 
pensiero 
corre 
al 
noto 
caso di 
Rosa 
Oliva 
(3) e 
alla 
sentenza 
della 
Corte 
Costituzionale 
n. 33 del 
13 


(*) Avvocato dello Stato, Professore 
a 
contratto presso l’Università 
degli 
Studi 
di 
Salerno, Consigliere 
giuridico del Garante per la Privacy. 


Un ringraziamento alla 
Dott.ssa 
Giulia 
Saragoni, ammessa 
alla 
pratica 
forense 
presso l’Avvocatura 
Generale 
dello Stato, che ha contribuito nella redazione delle note e nella ricerca della bibliografia. 


(1) 
C. SChmitt, “La tirannia dei valori”, Adelphi, 2008. 
(2) L. WittGenStein, “Tractatus logico-philosophicus”, 1921. 
(3) Vide 
respinta 
la 
propria 
domanda 
di 
partecipazione 
al 
concorso per la 
carriera 
prefettizia 
in 

RASSeGnA 
AVVOCAtURA 
DeLLO 
StAtO -n. 1/2021 


maggio 1960 (4) che, per la 
prima 
volta, affermò la 
possibilità 
per una 
donna 
di intraprendere la carriera prefettizia. 

in un recente 
convegno la 
Prof.ssa 
marta 
Cartabia 
(5), attuale 
ministro 
della 
Giustizia, 
ha 
messo 
in 
evidenza 
come 
l’avvocato 
della 
signora 
Rosa 
Oliva 
innanzi 
alla 
Corte 
delle 
leggi, Prof. Costantino mortati, nella 
sua 
difesa 
non parlò allora 
di 
parità 
di 
genere, intesa 
come 
pari 
opportunità, -probabilmente 
convinto della 
debolezza 
di 
tale 
tesi 
difensiva 
in un periodo storico in 
cui 
non 
era 
ancora 
maturata 
un 
tale 
tipo 
di 
sensibilità 
-, 
ma 
preferì 
concentrarsi 
sul 
profilo tecnico della 
riserva 
di 
legge 
ex 
artt. 3 e 
51 Cost., per contestare 
la 
fonte 
regolamentare 
del 
divieto allora 
vigente 
che 
impediva 
alla 
donne 
l’ingresso 
nella 
pubblica 
Amministrazione 
(6), incentrando la 
sua 
tesi 
difensiva 
su un uso corretto delle 
fonti 
del 
diritto. Fu la 
Corte 
Costituzionale 
che, oltre 
ad 
un 
problema 
di 
fonte 
e 
di 
violazione 
della 
riserva 
di 
legge, 
ravvisò 
una 
violazione 
della parità di genere. 

Le 
pronunce 
della 
Corte 
Costituzionale 
hanno rappresentato, nella 
storia 
della 
Repubblica 
italiana, lo strumento di 
evoluzione 
sociale 
e 
culturale, basti 
pensare 
alla 
recente 
ordinanza 
con cui 
la 
Corte 
si 
è 
autorimessa 
la 
questione 
del 
patronimico, residuo di 
una 
concezione 
patriarcale 
della 
famiglia 
(7). ma 


quanto donna 
e 
decise, con il 
patrocinio del 
Prof. mortati, di 
ricorrere 
alla 
Corte 
costituzionale, la 
quale 
si 
espresse 
in 
suo 
favore. 
molti 
anni 
sono 
dovuti 
passare 
prima 
che 
una 
donna 
diventasse 
Presidente 
della 
Corte 
Costituzionale 
(Prof.ssa 
marta 
Cartabia) e 
Avvocato Generale 
dello Stato (Avvocato dello 
Stato Gabriella Palmieri Sandulli). 


(4) Si 
tratta 
della 
prima 
e, ancora 
oggi, rimane 
una 
delle 
più importanti 
pronunce 
in materia 
di 
parità, la 
quale 
ha 
aperto alle 
donne 
professioni 
prima 
precluse, come 
la 
magistratura 
e 
la 
carriera 
prefettizia 
e 
più complessivamente 
a 
tutte 
quelle 
professioni 
che 
implicavano “l'esercizio di 
diritti 
e 
di 
potestà 
politiche": 
con essa, infatti, qui 
la 
Consulta 
dichiarò illegittima 
la 
norma 
che 
escludeva 
le 
donne 
da 
una 
vasta 
categoria 
di 
impieghi 
pubblici 
“per 
irrimediabile 
contrasto 
con 
l’art. 
51, 
il 
quale 
proclama 
l’accesso 
ai 
pubblici 
uffici 
e 
alle 
cariche 
elettive 
degli 
appartenenti 
all’uno 
e 
all’altro 
sesso 
in 
condizioni 
di 
uguaglianza”, facendo rispettare 
un diritto fino ad allora 
disatteso. Si 
vedano, sul 
tema, anche: 
Corte 
cost. n. 133/1970 in materia 
di 
obbligo del 
marito al 
mantenimento della 
moglie, con cui 
il 
Giudice 
costituzionale 
ha 
rimodulato i 
rapporti 
coniugali 
sostituendo alla 
logica 
patriarcale 
il 
principio di 
parità; 
Corte 
cost. n. 30/1983, dichiarativa 
della 
illegittimità 
costituzionale, per contrasto con gli 
articoli 
3 e 
29 
della 
Costituzione, dell’art. 1 della 
legge 
n. 555/1912 nella 
parte 
in cui 
detta 
disposizione 
escludeva 
il 
riconoscimento 
della 
cittadinanza 
italiana 
anche 
al 
figlio 
di 
madre 
cittadina; 
Corte 
cost. 
n. 
163/1993 
(infra). 
(5) m. CARtAbiA, 
J. ReSnik, 
S. bAeR 
“Women, Gender 
and Violence, and the 
Construction of 
the 
“Domestic”; 
m. CARtAbiA 
“Riconoscimento e 
riconciliazione”; 
m. CARtAbiA 
“Nelle 
forme 
e 
nei 
limiti 
della Costituzione”; 
m. CARtAbiA 
“The 
Italian Constitution as 
a revolutionary 
agreement”, hart 
Publishing 
2020; 
m. CARtAbiA 
“Court’s 
relations” 
in International 
Journal 
of 
Constitutional 
Law, 2020; 
m. 
CARtAbiA 
“The 
charter 
of 
fundamental 
rights 
of 
the 
European Union”, hart 
Publishing, 2019; 
m. CARtAbiA 
“Cooperazione e mutualità: la Costituzione come storia di popolo”, ecra, 2019. 
(6) Corte 
Costituzionale, sent. n. 33 del 
13 maggio 1960: 
“La Corte 
Costituzionale 
dichiara l’illegittimità 
costituzionale 
della 
norma 
contenuta 
nell’art. 
7 
della 
legge 
17 
luglio 
1919, 
n. 
1176, 
che 
esclude 
le 
donne 
da tutti 
gli 
uffici 
pubblici 
che 
implicano l’esercizio di 
diritti 
e 
di 
potestà politiche, in 
riferimento all’art. 51, primo comma, della Costituzione”. 
(7) 
Corte 
Costituzionale, 
ord. 
n. 
18/2021: 
“La 
Corte 
Costituzionale 
solleva, 
disponendone 
la 
trattazione 
innanzi 
a 
sé, 
questioni 
di 
legittimità 
costituzionale 
dell’art. 
262, 
primo 
comma, 
del 
codice 
civile, 

DOttRinA 
241 


il 
percorso dell’uguaglianza 
ex 
art. 3, primo e 
secondo comma 
Cost. (8), non 
si 
realizza 
solo con la 
rimozione 
delle 
discriminazioni 
dirette, aperte, conclamate, 
ma 
anche 
con 
la 
rimozione 
delle 
discriminazioni 
indirette. 
Si 
pensi 
a 
quanto affermato dalla 
Corte 
Costituzionale 
nella 
nota 
sentenza 
n. 163/1993 
in tema 
di 
condizionamento dell’accesso ad un posto di 
lavoro al 
possesso di 
un requisito di altezza minima identico per gli uomini e per le donne (9). 

in 
realtà 
non 
basta 
introdurre 
misure 
positive, 
ma 
occorre 
introdurre 
norme 
gender 
blindind 
con un “implicita valorizzazione 
delle 
diversità” 
creando, 
come 
sostiene 
la 
prof.ssa 
Cartabia, un reasonable 
adjustment, un equilibrio 
da 
valutare 
nel 
contesto, 
un 
“equilibrio 
di 
sistema” 
con 
un 
approccio 
integrato 
alla 
diversità. 
Su 
questo 
profilo 
si 
delineano 
due 
approcci, 
quello 
statunitense 
“assimilazionista” 
e 
quello 
europeo 
“accomodazionista” 
con 
la 
valorizzazione 
delle 
diversità 
come 
sostiene 
una 
delle 
più 
accreditate 
studiose 
di 
parità 
di 
genere, la 
prof.ssa 
Ruth Rubio marin (10), la 
quale 
nel 
suo libro 


nella parte 
in cui, in mancanza di 
diverso accordo dei 
genitori, impone 
l’acquisizione 
alla nascita del 
cognome 
paterno, anziché 
dei 
cognomi 
di 
entrambi 
i 
genitori, in riferimento agli 
artt. 2, 3 e 
117, primo 
comma, della Costituzione, quest’ultimo in relazione 
agli 
artt. 8 e 
14 della Convenzione 
per 
la salvaguardia 
dei 
diritti 
dell’uomo 
e 
delle 
libertà 
fondamentali, 
firmata 
a 
Roma 
il 
4 
novembre 
1950, 
ratificata 
e resa esecutiva con la legge 4 agosto 1955, n. 848”. 


(8) 
Uguaglianza 
formale 
ed 
uguaglianza 
sostanziale. 
Si 
veda: 
F. 
POLACChini, 
“Il 
principio 
di 
eguaglianza”, 
in L. mezzetti 
(a 
cura 
di), Principi 
costituzionali, Giappichelli 
editore, torino 2011, pagg. 
307-309; 
“I 
principi 
di 
uguaglianza 
e 
non 
discriminazione, 
una 
prospettiva 
di 
diritto 
comparato”, 
Studio 
a 
cura 
di 
ePRS-Servizio di 
ricerca 
del 
Parlamento europeo, ottobre 
2020; 
C. GiORGi, “Il 
principio di 
uguaglianza costituzionale”, in Rivista trimestrale 
di 
diritto pubblico, n. 1/2018; 
S. CASSeSe, “L’eguaglianza 
sostanziale 
nella Costituzione: genesi 
di 
una norma rivoluzionaria”, in Le 
Carte 
e 
la Storia, n. 
1/2017; 
m. LAze, “L’articolo 3, comma 2 della Costituzione 
repubblicana e 
la legislazione 
degli 
ultimi 
20 anni”, Relazione 
di 
base 
al 
convegno “Il 
progetto costituzionale 
dell'uguaglianza. Quali 
politiche 
italiane 
ed europee 
contro la continua crescita delle 
diseguaglianze", Fondazione 
Lelio e 
Lisli 
bassoissoco, 
Roma, 
12-13 
dicembre 
2013; 
G. 
FeRRARA, 
G. 
zAGRebeLSky, 
Relazioni, 
in 
n. 
OCChiOCUPO 
(a 
cura 
di), 
“La 
Corte 
costituzionale 
tra 
norma 
giuridica 
e 
realtà 
sociale. 
Bilancio 
di 
vent’anni 
di 
attività”, 
bologna, 1978, pagg. 89-120. 
(9) nel 
dichiarare 
l'illegittimità 
costituzionale 
dell'art. 4 n. 2 della 
legge 
della 
Provincia 
di 
trento 
n. 3/1980, nella 
parte 
in cui 
prevedeva, tra 
i 
requisiti 
per l'accesso alle 
carriere 
direttive 
e 
di 
concetto 
del 
ruolo tecnico del 
servizio antincendi, il 
possesso di 
una 
statura 
fisica 
minima 
indifferenziata 
per uomini 
e 
donne, la 
Corte 
Costituzionale 
ha 
sottolineato come 
vi 
siano ipotesi 
in cui 
la 
disciplina 
uniforme 
di 
situazioni 
diverse 
contrasta 
tanto 
con 
l’uguaglianza 
formale, 
quanto 
con 
quella 
sostanziale. 
La 
disposizione 
in questione, infatti, si 
poneva 
in contrasto sia 
con il 
principio di 
eguaglianza 
formale, laddove 
applicava 
una 
regola 
identica 
a 
situazioni 
differenti, 
alla 
luce 
delle 
diverse 
caratteristiche 
fisiche 
dei 
due 
sessi 
e, al 
contempo, violava 
l’uguaglianza 
sostanziale, poiché 
l’adozione 
di 
un identico requisito fisico 
per uomini 
e 
donne 
«è 
causa di 
una “discriminazione 
indiretta” 
a sfavore 
delle 
persone 
di 
sesso femminile, 
poiché 
svantaggia queste 
ultime 
in modo proporzionalmente 
maggiore 
rispetto agli 
uomini, in 
considerazione 
di 
una 
differenza 
fisica 
statisticamente 
riscontrabile 
e 
obiettivamente 
dipendente 
dal 
sesso». 
(10) Docente 
di 
Diritto costituzionale 
presso l’Università 
di 
Siviglia, coordinatrice 
della 
Gender 
Governance, autrice, ex 
multis, anche 
di: 
“Women as 
Constitution Makers: Case 
Studies 
from 
the 
New 
Democratic 
Era” 
(with 
heLen 
iRVinG, 
eds), 
Cambridge 
University 
Press, 
2019; 
“Gender 
Parity 
and 
Multicultural 
Feminism: 
Towards 
a 
New 
Synthesis” 
(with 
WiLL 
kymLiCkA, 
eds), 
Oxford 
University 
Press, 2018; 
“Transforming gender 
citizenship: The 
irresistible 
rise 
of 
gender 
quotas 
in Europe” 
(with 

RASSeGnA 
AVVOCAtURA 
DeLLO 
StAtO -n. 1/2021 


“Women 
as 
Constitution 
makers” 
con 
i 
suoi 
studi 
ha 
dimostrato 
come 
la 
public 
law 
possa 
creare 
categorie 
di 
inclusione 
e 
di 
esclusione 
basate 
sui 
concetti 
di 
sesso, nazionalità, cittadinanza ed etnia. 

esempio 
emblematico 
di 
tale 
processo 
è 
stato 
il 
rapporto 
tra 
scienza 
e 
sesso 
femminile: 
nel 
1993 
la 
storica 
della 
scienza 
margaret 
W. 
Rossiter 
inventò 
un’espressione 
per 
descrivere 
la 
«natura 
sessista» 
del 
mancato 
riconoscimento 
delle 
donne 
nella 
ricerca 
scientifica 
e 
l’attribuzione 
sistematica 
del 
merito dei 
loro risultati 
ai 
colleghi 
uomini. Rossiter chiamò questo specifico pregiudizio 
di 
genere 
“effetto Matilda” 
dal 
nome 
di 
matilde 
Joslyn Gage, suffraggetta 
del 
diciannovesimo secolo che 
nel 
1870 pubblicò il 
saggio “Woman as 
inventor”, 
pubblicato sulla 
North American Review 
in cui 
raccontava 
come 
diverse 
scoperte 
scientifiche 
ed invenzioni 
fossero il 
risultato di 
donne 
rimaste 
nell’anonimato 
nel 
corso 
dei 
secoli. 
Gage 
aveva 
dimostrato, 
infatti, 
che 
nonostante 
l’educazione 
scientifica 
delle 
donne 
fosse 
stata 
«gravemente 
trascurata» (11) 
alcune 
delle 
invenzioni 
più 
importanti 
si 
dovevano 
a 
loro. 
Gage 
elencava 
dozzine 
di 
invenzioni 
tra 
cui 
l’acquario della 
biologa 
marina 
francese 
Jeanne 
Villepreux-
Power, 
il 
telescopio 
subacqueo 
della 
statunitense 
Sarah 
mather, 
la 
sgranatrice 
di 
cotone 
che 
serviva 
per separare 
le 
fibre 
della 
pianta 
di 
cotone 
dal 
resto, il 
cui 
merito dell’invenzione 
viene 
ancora 
oggi 
attribuito solamente 
allo statunitense 
eli 
Whiztney, nonostante 
l’idea 
di 
utilizzare 
il 
dispositivo simile 
ad 
una 
spazzola 
fu 
di 
Catharine 
Littlefield 
Green. 
Per 
molte 
donne 
rivendicare 
il 
merito 
delle 
proprie 
invenzioni 
era 
un 
esercizio 
inutile, 
affermava 
Gage, a 
causa 
di 
un generale 
pregiudizio di 
una 
società 
che 
favoriva 
il 
marito 
in materia 
di 
proprietà 
di 
brevetti, della 
limitata 
mobilità 
sociale 
e 
della 
mancata 
indipendenza 
economica 
che 
impediva 
alle 
donne 
di 
raccogliere 
i 
risultati 
e i meriti del proprio lavoro e di esercitare i loro poteri inventivi. 

nel 
corso dei 
secoli, il 
c.d. “effetto matilda” 
ha 
avuto come 
conseguenza 
la 
cancellazione 
delle 
scienziate 
dalla 
storia: 
questa 
“invisibilità” 
ha 
fatto 
passare 
l’idea ancora oggi molto radicata che la scienza sia una cosa da uomini. 

Rossiter, partendo dal 
saggio di 
matilde 
Joslyn Gage, utilizza 
il 
concetto 
di 
“segregazione 
gerarchica”, l’assenza, cioè, di 
donne 
in ruoli 
di 
potere 
e 
re


eLeOnORe 
LéPinARD, 
eds), 
Cambridge 
University 
Press, 
2018; 
“The 
Participatory 
Turn 
in 
Gender 
Equality 
and its 
Relevance 
for 
Multicultural 
Feminism” 
in Gender 
Parity 
and Multicultural 
Feminism: Towards 
a 
New 
Synthesis 
(with 
WiLL 
kymLiCkA, 
eds), 
Oxford 
University 
Press, 
2018, 
pagg. 
1-46; 
“Racial 
and 
Gender 
Based 
Violence 
as 
Discrimination 
under 
the 
European 
Convention 
of 
Human 
Rights” 
(with 
mAthiAS 
möSCheL) in The 
European Convention on Human Rights 
and the 
Principles 
of 
Non-discrimination 
(mARCO 
bALbOni, ed.), editoriale Scientifica di napoli, 2018, pagg. 171-196. 


(11) Per millenni 
le 
donne 
non hanno avuto accesso all’istruzione. Vedi 
G.C. ODORiSiO 
-F. tARi-
COne, 
“Per 
filo 
e 
per 
segno. 
Antologia 
di 
testi 
politici 
sulla 
questione 
femminile 
dal 
XVII 
al 
XIX 
secolo”, 
torino, Giappichelli, 2008; 
F. tARiCOne, “L’istruzione 
femminile 
tra diritto civile 
e 
diritto politico”; 
A. 
neCCi, “L’importanza dell’accesso femminile 
in Italia e 
in Europa all’istruzione 
e 
al 
mondo del 
lavoro. 
Ieri, 
oggi, 
domani”, 
in 
https://rivista.microcredito.gov.it/ 
; 
iStAt 
(cur.), 
“Donne 
all’università”, 
bologna, 
il mulino, 2001. 

DOttRinA 
243 


sponsabilità 
e 
individuò 
un 
comportamento 
costante 
nel 
sistema 
di 
valutazione 
e 
riconoscimento 
dei 
risultati 
e 
dei 
lavori 
scritti 
dalle 
scienziate 
teso 
a 
sminuirne 
il 
valore: 
le 
citazioni 
in 
campo 
scientifico 
sono 
indice 
di 
riconoscimento 
e 
il 
numero di 
citazioni 
ricevute 
da 
lavori 
realizzati 
da 
scienziate 
era 
di 
gran 
lunga 
minore 
rispetto 
a 
quello 
di 
analoghi 
lavori 
realizzati 
da 
colleghi 
uomini. 
Che 
il 
sesso influisca 
sulla 
diffusione 
del 
lavoro di 
ricerca 
è 
stato dimostrato 
da alcune analisi successive. 

Silvia 
knobloch-Westerwick 
e 
Carroll 
J. 
Glynn, 
ad 
esempio, 
hanno 
preso 
in esame 
le 
decisioni 
di 
1020 articoli 
pubblicati 
tra 
il 
1991 e 
il 
2005, dimostrando 
che 
l’ipotesi 
secondo 
cui 
gli 
articoli 
scritti 
da 
uomini 
ricevono 
in 
media 
il doppio delle citazioni di quelli scritti da donne era verificata. 

La 
tendenza 
a 
sottovalutare 
o a 
sminuire 
i 
risultati 
scientifici 
conseguiti 
dalle 
donne 
ha 
avuto importanti 
conseguenze, non solo per le 
scienziate 
cancellate 
dalla 
storia, 
ma 
anche 
nella 
percezione 
stessa 
della 
scienza 
come 
settore 
maschile 
e 
sulla 
possibilità 
per le 
donne 
di 
intraprendere 
carriere 
in scienza, 
tecnologia, ingegneria e matematica (12). 

nel 
luglio del 
2006 sulla 
rivista 
scientifica 
Nature 
venne 
pubblicato un 
articolo di 
ben barres, neurobiologo statunitense, che 
aveva 
avuto esperienza 
diretta 
delle 
discriminazioni 
di 
genere. Oltre 
a 
raccontare 
diversi 
episodi 
personali, 
barres 
dimostrava 
le 
discriminazioni 
in ambito scientifico anche 
attraverso 
numeri 
e 
dati. il 
titolo del 
suo articolo era 
“Does 
gender 
matter?” 
(13). 
La 
sua 
risposta 
era 
sì, e 
non certo per un non meglio precisato determinismo 
sessuale, «quanto piuttosto per 
l’assunzione 
sociale 
che 
le 
donne 
siano meno 
capaci», cioè per l’effetto matilda. 

i 
pregiudizi 
che 
stanno 
alla 
base 
di 
questa 
assunzione 
concettuali 
sono 
ancora 
molto 
diffusi. 
basti 
pensare 
che 
ancora 
nel 
2015 
durante 
una 
conferenza 
Lawrence 
Summers, 
importante 
economista 
e 
all’epoca 
presidente 
della 
harvard 
University 
sostenne 
che 
«la 
scarsa 
presenza 
femminile 
in 
certi 
ambiti 
scientifici», 
come 
la 
matematica 
o 
l’ingegneria, 
era 
da 
imputare 
«a 
una 
caratteristica 
innata 
delle 
donne, 
la 
mancanza 
di 
un’attitudine 
intrinseca 
alla 
scienza». Ancora 
oggi 
ci 
sono scienziati 
ed intellettuali 
che 
pensano e 
dichiarano 
pubblicamente 
«che 
le 
difficoltà 
che 
le 
donne 
hanno 
ad 
emergere 
in 
certe 
discipline, come 
la matematica, sia dovuta al 
fatto che 
non sono biologicamente 
portate per l’astrazione». 

ma 
quanto 
dipende 
dalla 
biologia 
e 
quanto 
dipende 
dalla 
“pari 
opportunità”? 


Rossiter 
descrive 
un 
caso 
emblematico 
nel 
suo 
libro 
(14): 
tra 
i 
vari 
esempi 


(12) Le 
c.d. Stem, di 
cui 
oggi 
abbiamo molto bisogno. trattasi 
di 
un acronimo utilizzato per indicare 
le 
discipline 
scientifico-tecnologiche 
(Science, Technology, Engineering and Mathematics) fondamentali 
per l’innovazione e la prosperità di un Paese. 
(13) “Il genere conta?” 
(14) 
m.W. 
ROSSiteR, 
“Women 
scientists 
in 
America 
-Before 
Affirmative 
Action 
1940-1972”, 
JhU 
Press, 1982. 

RASSeGnA 
AVVOCAtURA 
DeLLO 
StAtO -n. 1/2021 


del 
c.d. “effetto matilda” 
cita 
il 
caso di 
trotula 
de 
Ruggiero, medico donna 
salernitana, che 
tra 
l’undicesimo e 
il 
dodicesimo secolo, scrisse 
opere 
fondamentali 
per la 
medicina, opere 
che 
nelle 
trascrizioni 
successive 
alla 
sua 
morte 
vennero attribuite 
ad un uomo: 
«È 
probabilmente 
la più vergognosa cancellazione 
e 
trasformazione 
nella storia della scienza e 
della medicina», scrive 
Rossiter, 
«nel 
dodicesimo 
secolo 
un 
monaco, 
supponendo 
che 
una 
persona 
così 
esperta dovesse 
essere 
un uomo, copiò male 
il 
suo nome 
su uno dei 
suoi 
trattati, declinandolo al maschile». 

Vi 
è 
da 
chiedersi 
se 
tale 
“effetto 
matilda” 
oggi 
si 
verifichi 
solo 
nel 
campo 
scientifico, o se 
abbia 
un effetto espansivo in altri 
settori, considerato che 
la 
parola 
donna 
è 
inteso spesso in ambito lavorativo come 
gravidanza 
e 
maternità? 


La 
discriminazione 
collegata 
alla 
funzione 
procreatrice 
della 
donna 
costituisce 
ancora 
oggi 
una 
forma 
particolare 
di 
discriminazione 
di 
genere 
che 
la normativa euro-unitaria ha cercato di arginare e contenere. 


L’art. 
157 
del 
tFUe 
sancisce, 
infatti, 
l’obbligo 
della 
parità 
di 
retribuzione 
tra 
lavoratori 
di 
sesso maschile 
e 
quelli 
di 
sesso femminile 
e 
stabilisce 
un fondamento 
giuridico 
generale 
per 
l’adozione 
di 
misure 
riguardanti 
l’uguaglianza 
di 
genere, incluse 
la 
parità 
e 
la 
lotta 
alla 
discriminazione 
sulla 
base 
della 
gravidanza 
o della maternità sul luogo di lavoro. 


L’art. 33, paragrafo 2, della 
Carta 
dell’Ue 
(15) afferma 
che: 
«Al 
fine 
di 
poter 
conciliare 
vita 
familiare 
e 
vita 
professionale, 
ogni 
individuo 
ha 
il 
diritto 
di 
essere 
tutelato contro il 
licenziamento per 
un motivo legato alla maternità 
e 
il 
diritto 
a 
un 
congedo 
di 
maternità 
retribuito 
e 
a 
un 
congedo 
parentale 
dopo 
la nascita o l’adozione di un figlio». 


Le 
direttive 
europee 
contro 
la 
discriminazione 
vietano 
la 
differenza 
di 
trattamento 
fondata 
su 
taluni 
motivi 
oggetto 
di 
protezione 
-secondo 
un 
elenco 
circoscritto, 
che 
corrisponde 
alla 
elencazione 
contenuta 
nell’articolo 
10 
tFUe 


-e, tra 
essi, il 
genere 
(16). trattasi 
della 
direttiva 
sulla 
parità 
di 
trattamento 
tra 
uomini 
e 
donne 
in 
materia 
di 
accesso 
ai 
beni 
e 
ai 
servizi 
(17), 
della 
direttiva 
sulla 
parità 
di 
trattamento fra 
uomini 
e 
donne 
in materia 
di 
occupazione 
e 
di 
impiego (18), della 
direttiva 
(19) che 
attua 
l’accordo quadro riveduto in materia 
di congedo parentale (20). 
(15) Che 
ha 
lo stesso valore 
giuridico dei 
trattati. Si 
veda: 
L.S. ROSSi, “’Stesso valore 
giuridico 
dei 
Trattati?’Rango, 
primato 
ed 
effetti 
diretti 
della 
Carta 
dei 
diritti 
fondamentali 
dell’Unione 
europea”, 
in dirittounioneeuropea.eu; 
R. ADAm, “La Carta dei 
diritti 
fondamentali. I vent’anni 
di 
uno strumento 
costituzionale 
dell’Unione 
europea”, 
in 
rivista.eurojus.it; 
A. 
CeLOttO, 
G. 
PiStORiO, 
“L’efficacia 
giuridica 
della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea”, in Giurisprudenza italiana. 
(16) 
Art. 
10 
tFUe 
“Nella 
definizione 
e 
nell’attuazione 
delle 
sue 
politiche 
e 
azioni, 
l’Unione 
mira 
a 
combattere 
le 
discriminazioni 
fondate 
sul 
sesso, 
la 
razza 
o 
l’origine 
etnica, 
la 
religione 
o 
le 
convinzioni 
personali, la disabilità, l’età o l’orientamento sessuale”. 
(17) Direttiva 2004/113/Ce. 
(18) Direttiva 2006/54/Ce. 



DOttRinA 
245 


Anche 
la 
CGUe 
ha 
contribuito notevolmente 
allo sviluppo di 
questo settore 
del 
diritto, 
offrendo 
ulteriori 
chiarimenti, 
applicando 
i 
principi 
espressi 
nei 
trattati 
e 
fornendo 
ampie 
interpretazioni 
dei 
relativi 
diritti. 
Secondo 
la 
CGUe, la 
tutela 
dei 
diritti 
alla 
maternità 
e 
alla 
gravidanza 
non si 
traduce 
solo 
nella 
promozione 
di 
una 
sostanziale 
parità 
di 
genere, bensì 
anche 
della 
salute 
della 
madre 
dopo il 
parto e 
del 
legame 
tra 
madre 
e 
neonato. nelle 
decisioni 
CGUe, C-177/88, Dekker 
del 
14 novembre 
1989 e 
CGUe, C-179/88, Hoejesteret 
dell’8 novembre 
1990, la 
Corte 
d Giustizia 
ha 
stabilito che, poiché 
soltanto 
le 
donne 
possono 
rimanere 
incinte, 
il 
rifiuto 
di 
assumere 
o 
il 
licenziamento di 
una 
donna 
incinta 
per il 
suo stato di 
gravidanza 
o maternità 
costituiscono 
una 
discriminazione 
diretta 
fondata 
sul 
sesso 
che 
non 
può 
essere 
giustificata 
da 
alcun interesse, compreso quello economico del 
datore 
di 
lavoro. 
Più recentemente 
nel 
noto caso CGUe 
C-531/2015 Otero Ramos 
del 
19 
ottobre 
2017, 
al 
punto 
55 
si 
legge: 
«in 
base 
all’articolo 
2, 
paragrafo 
2, 
lettera 


c) 
della 
direttiva 
2006/54, 
la 
discriminazione 
comprende, 
in 
particolare, 
qualsiasi 
trattamento meno favorevole 
riservato ad una donna per 
ragioni 
collegate 
alla gravidanza o al 
congedo per 
maternità» e 
punto 61: 
«per 
quanto 
riguarda la protezione 
della gravidanza e 
della maternità, la Corte 
ha ripetutamente 
affermato 
che, 
riservando 
agli 
Stati 
membri 
il 
diritto 
di 
mantenere 
in 
vigore 
o di 
istituire 
norme 
destinate 
ad assicurare 
tale 
protezione, l’art. 
2, paragrafo 2, della direttiva 2006/54 riconosce 
la legittimità, in 
relazione 
al 
principio della parità di 
trattamento tra i 
sessi, in 
primo luogo, della protezione 
della 
condizione 
biologica 
della 
donna 
durante 
e 
dopo 
la 
gravidanza, 
e, in 
secondo luogo, della protezione 
delle 
particolari 
relazioni 
tra la donna 
e il bambino durante il periodo successivo al parto» (21). 
(19) Direttiva 2010/18/Ce. 


(20) nel 
nostro ordinamento la 
normativa 
principale 
di 
riferimento sui 
congedi 
parentali 
è 
rinvenibile 
nel 
decreto legislativo del 
26 marzo 2001, n. 151 e 
successive 
modifiche 
ed integrazioni, recante 
“Testo unico delle 
disposizioni 
legislative 
in materia di 
tutela e 
sostegno della maternità e 
della paternità, 
a 
norma 
dell'articolo 
15 
della 
legge 
8 
marzo 
2000, 
n. 
53”, 
nonché 
nelle 
leggi 
di 
bilancio, 
nei 
decreti 
attuativi e nelle circolari dell’inPS che hanno fatto seguito alle più recenti riforme in materia. 
(21) Si 
vedano, altresì: 
sentenza 
Defrenne 
II dell'8 aprile 
1976 (causa 
C-43/75), con cui 
la 
Corte 
ha 
riconosciuto 
l'effetto 
diretto 
del 
principio 
della 
parità 
della 
retribuzione 
tra 
lavoratori 
di 
sesso 
maschile 
e 
lavoratori 
di 
sesso femminile, stabilendo che 
tale 
principio riguarda 
non solo le 
pubbliche 
autorità, 
ma 
vale 
del 
pari 
per tutte 
le 
convenzioni 
che 
disciplinano in modo collettivo il 
lavoro subordinato; 
sentenza 
Bilka 
del 
13 maggio 1986 (causa 
C-170/84) ove 
la 
Corte 
ha 
stabilito che 
una 
misura 
volta 
a 
escludere 
i 
dipendenti 
a 
orario ridotto da 
un regime 
di 
pensioni 
aziendali 
costituisce 
una 
«discriminazione 
indiretta» ed è 
pertanto in contrasto con l'ex 
articolo 119 del 
trattato Cee 
qualora 
colpisca 
un numero 
molto più elevato di 
donne 
che 
di 
uomini, a 
meno che 
non si 
possa 
provare 
che 
detta 
esclusione 
è 
basata 
su fattori 
obiettivamente 
giustificati 
ed estranei 
a 
qualsiasi 
discriminazione 
fondata 
sul 
sesso; 
sentenza 
Barber 
del 
17 
maggio 
1990 
(causa 
C-262/88): 
qui 
la 
Corte 
ha 
riconosciuto 
che 
tutte 
le 
forme 
di 
pensione 
professionale 
costituiscono un elemento della 
retribuzione 
a 
norma 
dell'ex 
articolo 119, e 
che 
pertanto 
a 
esse 
si 
applica 
il 
principio della 
parità 
di 
trattamento, stabilendo che 
i 
lavoratori 
di 
sesso maschile 
devono 
poter accedere 
ai 
diritti 
di 
pensione 
o di 
pensione 
di 
reversibilità 
alla 
stessa 
età 
delle 
colleghe 
di 
sesso femminile; 
sentenza 
Marshall 
dell'11 novembre 
1997 (causa 
C-409/95) con cui 
la 
Corte 
ha 
di

RASSeGnA 
AVVOCAtURA 
DeLLO 
StAtO -n. 1/2021 


La 
protezione 
della 
parità 
di 
genere 
viene 
tutelata 
in una 
dimensione 
dinamica 
anche 
naturalmente 
della 
CeDU 
nelle 
note 
pronunzie 
Konstantin 
Markin 
c. 
Russia 
n. 
30078/06, 
22 
marzo 
2012 
e 
Emel 
Boyraz 
c. 
Turchia, 
n. 
61960/08, 2 dicembre 
2014. non è 
un caso che 
la 
turchia 
si 
trovi 
presente 
nei 
giudizi 
innanzi 
alla 
Corte 
di 
Strasburgo se 
consideriamo che 
tale 
paese 
si 
è 
ritirato 
dalla 
Convenzione 
di 
istanbul 
riguardante 
la 
tutela 
delle 
donne 
(22) o al 
recente 
caso diplomatico della 
mancata 
sedia 
alla 
Presidente 
della 
Commissione 
europea, Ursula 
Von der Leyen. 


nel 
nostro ordinamento il 
d.lgs. 11 aprile 
2006 n. 198 (23) si 
è 
specificamente 
occupato 
del 
comportamento 
discriminatorio 
fondato 
sul 
sesso 
ed 
ha 
promosso, sul 
piano sostanziale, le 
pari 
opportunità 
di 
carriera 
e 
di 
lavoro tra 
i 
sessi, lasciando all’attore 
la 
scelta 
tra 
il 
rito “ordinario” 
del 
lavoro e 
un rito 
speciale appositamente delineato. 


il 
d.lgs. 
25 
gennaio 
2010 
n. 
5 
ha, 
poi, 
dato 
attuazione 
alla 
direttiva 


chiarato che 
una 
norma 
nazionale 
che 
imponga 
di 
dare 
la 
precedenza 
nella 
promozione 
ai 
candidati 
di 
sesso 
femminile 
(«discriminazione 
positiva») 
nei 
settori 
in 
cui 
la 
presenza 
femminile 
è 
inferiore 
rispetto 
a 
quella 
maschile 
non 
è 
vietata 
dalla 
legislazione 
comunitaria, 
a 
condizione 
che 
tale 
vantaggio 
non 
venga 
applicato automaticamente 
e 
che 
i 
candidati 
di 
sesso maschile 
siano comunque 
presi 
in considerazione, 
senza 
essere 
esclusi 
a 
priori 
dalla 
possibilità 
di 
presentare 
domanda; 
sentenza 
Test-Achats 
del 
10 marzo 
2011 (causa 
C-236/09) con cui 
la 
Corte 
ha 
dichiarato l'invalidità 
dell'articolo 5, paragrafo 2, della 
direttiva 
2004/113/Ce 
del 
Consiglio, stabilendo che 
esso è 
contrario al 
principio della 
parità 
di 
trattamento 
tra 
uomini 
e 
donne 
per 
quanto 
riguarda 
l'accesso 
a 
beni 
e 
servizi 
e 
la 
loro 
fornitura. 
Pertanto, 
ai 
fini 
della 
determinazione 
dei 
premi 
e 
delle 
prestazioni 
assicurative, 
agli 
uomini 
e 
alle 
donne 
deve 
essere 
applicato 
lo stesso sistema 
di 
calcolo attuariale; 
sentenza 
Ypourgos 
c. Kalliri 
(causa 
C-409-16) con cui 
la 
Corte 
ha 
stabilito 
che 
una 
legge 
che 
stabilisce 
come 
criterio 
per 
l’ammissione 
a 
una 
scuola 
di 
polizia 
un’altezza 
minima 
da 
rispettare 
a 
prescindere 
dal 
sesso 
può 
costituire 
una 
discriminazione 
illecita 
nei 
confronti 
delle 
donne; 
sentenza 
18 
novembre 
2020 
(causa 
C-463/19): 
qui 
la 
Corte 
ricorda 
anzitutto 
che 
la 
Direttiva 
2006/54/Ce 
del 
Parlamento 
europeo 
e 
del 
Consiglio, 
del 
5 
luglio 
2006, 
riguardante 
l'attuazione 
del 
principio 
delle 
pari 
opportunità 
e 
della 
parità 
di 
trattamento fra 
uomini 
e 
donne 
in materia 
di 
occupazione 
e 
impiego vieta 
qualsiasi 
discriminazione 
diretta 
o indiretta 
fondata 
sul 
sesso per quanto concerne 
le 
condizioni 
di 
impiego 
e 
di 
lavoro. 
il 
giudice 
comunitario 
precisa, 
tuttavia, 
che 
dopo 
la 
scadenza 
del 
congedo 
legale 
di 
maternità, uno Stato membro può riservare 
alla 
madre 
del 
bambino un congedo supplementare 
qualora 
quest’ultimo le 
sia 
conferito non nella 
sua 
qualità 
di 
genitore, ma 
con riguardo tanto alle 
conseguenze 
della 
gravidanza 
quanto 
alla 
sua 
condizione 
di 
maternità. 
Sottolinea, 
poi, 
che 
un 
contratto 
collettivo 
che 
esclude 
dal 
beneficio di 
tale 
congedo supplementare 
un lavoratore 
di 
sesso maschile 
che 
si 
prende 
cura 
in 
prima 
persona 
di 
suo 
figlio 
comporta 
una 
differenza 
di 
trattamento 
tra 
i 
lavoratori 
di 
sesso 
maschile 
e 
i 
lavoratori 
di 
sesso femminile. tale 
differenza 
di 
trattamento risulta 
compatibile 
con la 
direttiva 
«principio di 
parità 
tra 
uomini 
e 
donne» solo se 
è 
diretta 
a 
tutelare 
la 
madre 
con riguardo tanto 
alle conseguenze della gravidanza quanto alla sua condizione di maternità. 


(22) Convenzione 
del 
Consiglio d’europa 
sulla 
prevenzione 
e 
la 
lotta 
contro la 
violenza 
nei 
confronti 
delle 
donne 
e 
la 
violenza 
domestica, adottata 
dal 
Comitato dei 
ministri 
del 
Consiglio d’europa 
il 
7 aprile 
2011 ed aperta 
alla 
firma 
l’11 maggio 2011 in occasione 
della 
121° 
Sessione 
del 
Comitato dei 
ministri 
a 
istanbul. in italia, la 
Camera 
dei 
Deputati 
ha 
approvato all’unanimità 
la 
ratifica 
della 
Convenzione 
in data 28 maggio 2013 e il Senato, sempre all’unanimità, il 19 giugno 2013. 
(23) Codice 
delle 
pari 
opportunità 
tra 
uomo e 
donna. Si 
veda: 
G. De 
mARzO, “Codice 
delle 
pari 
opportunità”, 
Giuffrè 
ed., 
2007, 
milano; 
m. 
mARCUCCi, 
m.i. 
VAnGeLiSti, 
“L’evoluzione 
della 
normativa 
di 
genere 
in Italia e 
in Europa”, in Questioni 
di 
Economia e 
Finanza 
(Occasional 
Papers), ed. banca 
d’italia, n. 188, giugno 2013. 

DOttRinA 
247 


200/54/Ce 
relativa 
al 
principio della 
pari 
opportunità 
e 
della 
parità 
di 
trattamento 
fra uomini e donne in materia di occupazione e impiego. 


il 
d.lgs. 1° 
settembre 
2011 n. 150 ha, quindi, ricondotto il 
procedimento 
contro le 
discriminazioni 
al 
modello del 
rito sommario di 
cognizione 
ex 
art. 
702 bis 
e ss. c.p.c. 


L’art. 25, comma 
1, del 
d.lgs. n. 198 del 
2006, come 
modificato dall’art. 
8-quater, comma 
1, lettera 
a), del 
d.l. n. 59 del 
2008 convertito con modificazioni 
dalla 
L. 
n. 
101 
del 
2008 
e, 
successivamente, 
dall’art. 
1, 
comma 
1, 
lettera 
p), numero 1), del d.lgs. 25 gennaio 2010 n. 5, prevede che: 


«Costituisce 
discriminazione 
diretta, 
ai 
sensi 
del 
presente 
titolo, 
qualsiasi 
disposizione, 
criterio, 
prassi, 
atto, 
patto 
o 
comportamento, 
nonché 
l’ordine 
di 
porre 
in 
essere 
un 
atto 
o 
un 
comportamento 
che 
produca 
un 
effetto 
pregiudizievole 
discriminando 
le 
lavoratrici 
o 
i 
lavoratori 
in 
ragione 
del 
loro 
sesso 
e, 
comunque, 
il 
trattamento 
meno 
favorevole 
rispetto 
a 
quello 
di 
un’altra 
lavoratrice 
o 
di 
un 
altro 
lavoratore 
in 
situazione 
analoga». 
il 
comma 
2 
della 
medesima 
disposizione 
stabilisce, 
poi, 
che 
«Si 
ha 
discriminazione 
indiretta, 
ai 
sensi 
del 
presente 
titolo, 
quando 
una 
disposizione, 
un 
criterio, 
una 
prassi, 
un 
atto, 
un 
patto 
o 
un 
comportamento 
apparentemente 
neutri 
mettono 
o 
possono 
mettere 
i 
lavoratori 
di 
un 
determinato 
sesso 
in 
una 
posizione 
di 
particolare 
svantaggio 
rispetto 
a 
lavoratori 
dell’altro 
sesso, 
salvo 
che 
riguardino 
requisiti 
essenziali 
allo 
svolgimento 
dell’attività 
lavorativa, 
purché 
l’obiettivo 
sia 
legittimo 
e 
i 
mezzi 
impiegati 
per 
il 
suo 
conseguimento 
siano 
appropriati 
e 
necessari». 


il 
successivo comma 
2-bis, aggiunto dall’art. 1, comma 
1, lettera 
p), numero 
2, del 
D.lgs. n. 5/2010 stabilisce 
che: 
«Costituisce 
discriminazione, ai 
sensi 
del 
presente 
titolo, ogni 
trattamento meno favorevole 
in ragione 
dello 
stato di 
gravidanza, nonché 
di 
maternità o paternità, anche 
adottive, ovvero 
in ragione della titolarità e dell’esercizio dei relativi diritti». 


in 
altri 
termini, 
quel 
che 
rileva 
è 
che, 
in 
presenza 
di 
situazioni 
analoghe, 
sia 
stato 
posto 
in 
essere 
un 
atto 
o 
un 
comportamento 
pregiudizievole 
e 
comunque, 
sia 
stato 
attribuito 
un 
trattamento 
meno 
favorevole 
ad 
una 
lavoratrice 
in 
ragione 
del 
suo 
stato 
di 
gravidanza. 
La 
tutela, 
però, 
si 
realizza 
sul 
piano 
processuale 
con 
un’agevolazione 
sul 
piano 
probatorio, 
perché 
le 
discriminazioni 
sia 
dirette 
che 
indirette 
non 
sempre 
risultano 
di 
facile 
dimostrazione 
in 
giudizio. 


Quanto alla 
concreta 
dimostrazione 
di 
una 
situazione 
di 
tal 
genere, si 
osserva 
che 
l’art. 40 del 
d.lgs. 5 aprile 
2006 n. 198 (24) prevede 
che: 
«Quando 
il 
ricorrente 
fornisce 
elementi 
di 
fatto, desunti 
anche 
da dati 
di 
carattere 
sta


(24) 
il 
cui 
contenuto 
corrisponde 
a 
quanto 
già 
previsto 
dall’art. 
4, 
comma 
5, 
della 
l. 
10 
aprile 
1991 
n. 125 “Azioni 
positive 
per 
la realizzazione 
della parità uomo-donna nel 
lavoro” 
ed è 
stato, poi, riprodotto 
dal d.lgs. 150/2011, art. 28, comma 4. 

RASSeGnA 
AVVOCAtURA 
DeLLO 
StAtO -n. 1/2021 


tistico relativo alle 
assunzioni, ai 
regimi 
retributivi, all’assegnazione 
di 
mansioni 
e 
qualifiche, ai 
trasferimenti, alla progressione 
in carriera ed ai 
licenziamenti, 
idonei 
a 
fondare, 
in 
termini 
precisi 
e 
concordanti, 
la 
presunzione 
dell’esistenza 
di 
atti, 
patti 
o 
comportamenti 
discriminatori 
in 
ragione 
del 
sesso, spetta al 
convenuto l’onere 
della prova sull’insussistenza della discriminazione
». 


La 
disposizione 
fonda 
la 
propria 
ratio 
nell’art. 4 della 
direttiva 
97/80/Ce 
riguardante 
l’onere 
della 
prova 
nei 
casi 
di 
discriminazione 
basata 
sul 
sesso 
(25). in altri 
termini, tale 
disposizione 
sembra 
dire 
-tra 
le 
righe 
-che 
la 
tutela 
della 
parità 
di 
genere 
resta 
lettera 
morta 
se 
non si 
crea 
un alleggerimento del-
l’onere 
probatorio in capo al 
soggetto che 
chiede 
tutela 
dato il 
carattere 
subdolo 
e inespresso di tali condotte discriminatorie. 


La 
direttiva 
soprarichiamata 
è 
stata 
oggetto 
di 
interpretazione 
da 
parte 
della 
Corte 
di 
Giustizia 
Ue, C-104/10 sentenza 
del 
21 luglio 2011 Kelly:«La 
direttiva 97/80 enuncia, all’art. 4, n. 1, che 
gli 
Stati 
membri 
adottano i 
provvedimenti 
necessari, 
affinché 
spetti 
alla 
parte 
convenuta 
provare 
l’insussistenza 
della 
violazione 
del 
suddetto 
principio 
ove 
chi 
si 
ritiene 
leso 
dalla 
mancata osservanza nei 
propri 
confronti 
di 
tale 
principio abbia prodotto dinanzi 
ad un organo giurisdizionale, ovvero dinanzi 
ad un altro organo competente, 
elementi 
di 
fatto in base 
ai 
quali 
si 
possa presumere 
che 
ci 
sia stata 
discriminazione diretta o indiretta» (26). 


Circa 
l’operatività 
dell’art. 40 del 
D.lgs 
n. 198/2006, la 
Corte 
di 
Cassazione 
ha 
già 
da 
tempo affermato che, nei 
giudizi 
antidiscriminatori 
(27), i 
criteri 
di 
riparto 
dell’onere 
probatorio 
non 
seguono 
i 
canoni 
ordinari 
di 
cui 
all’art. 
2729 
c.c. 
(28), 
bensì 
quelli 
speciali, 
i 
quali 
non 
stabiliscono 
un’inversione 
dell’onere 
probatorio, 
ma 
solo 
un’agevolazione 
del 
regime 
probatorio 
in 
favore 
del 
ricorrente; 
ne 
consegue 
che 
il 
lavoratore 
deve 
provare 
il 
fattore 
di 
rischio, 
ossia 
il 
trattamento che 
assume 
come 
meno favorevole 
rispetto a 
quello riservato 
a 
soggetti 
in condizioni 
analoghe 
e 
non portatori 
del 
fattore 
di 
rischio ed 
il 
datore 
di 
lavoro, in linea 
con quanto disposto dall’art. 19 della 
direttiva 
n. 


(25) «1.Gli 
Stati 
membri, secondo i 
loro sistemi 
giudiziari, adottano i 
provvedimenti 
necessari, 
affinché 
spetti 
alla parte 
convenuta provare 
l’insussistenza della violazione 
del 
principio della parità 
di 
trattamento 
ove 
chi 
si 
ritiene 
leso 
dalla 
mancata 
osservanza 
nei 
propri 
confronti 
di 
tale 
principio 
abbia prodotto dinanzi 
ad un organo giurisdizionale, ovvero dinanzi 
ad un altro organo competente, 
elementi 
di 
fatto in base 
ai 
quali 
si 
possa presumere 
che 
ci 
sia stata discriminazione 
diretta o indiretta. 
2. La presente 
direttiva non osta a che 
gli 
Stati 
membri 
impongano un regime 
probatorio più favorevole 
alla parte attrice». 
(26) Si 
veda 
anche 
sentenza 
Corte 
di 
Giustizia 
Ue 
10 marzo 2005, causa 
C-196/02, Nikoloudi, 
punto 68 e più recente Corte di Giustizia 19 ottobre 2017 in causa C-531/15 Otero Ramos. 
(27) Sia 
proposti 
con le 
forme 
del 
procedimento speciale, sia 
con quelle 
dell’azione 
ordinaria 
(v. 
Cass. 5 giugno 2013 n. 14206). 
(28) Finendosi 
altrimenti 
per porre 
a 
carico di 
chi 
agisce 
l’onere 
di 
una 
prova 
piena 
del 
fatto discriminatorio, 
ancorché raggiunta per via presuntiva. 

DOttRinA 
249 


2006/54/Ce 
-che 
ha 
riprodotto 
il 
testo 
dell’art. 
4 
della 
direttiva 
97/80/Ce 
citata 
-, 
le 
circostanze 
inequivoche, 
idonee 
a 
escludere, 
per 
precisione, 
gravità 
e 
concordanza 
di 
significato, 
la 
natura 
discriminatoria 
della 
condotta, 
in 
quanto 
dimostrative 
di 
una 
scelta 
che 
sarebbe 
stata 
operata 
con i 
medesimi 
parametri 
nei 
confronti 
di 
qualsiasi 
lavoratore 
privo del 
fattore 
di 
rischio, che 
si 
fosse 
trovato nella stessa posizione (29). 


Possiamo 
affermare 
che 
tale 
tipo 
di 
tutela 
sia 
sufficiente 
per 
affermare 
una 
piena 
parità 
di 
genere? 
Probabilmente 
no, se 
il 
legislatore 
ha 
sentito l’esigenza 
di 
predisporre 
un disegno di 
legge 
sul 
Family 
Act 
(30) e 
se 
nell’ambito 
del 
Recovery 
Plan 
(31) 
presentato 
lo 
scorso 
28 
aprile 
2021 
vi 
è 
una 
parte 
precisamente 
la missione 5 - dedicata all’ “Inclusione e Coesione” (32). 

(29) Si 
veda, in tal 
senso, tra 
le 
più recenti, Cass. 2 gennaio 2020, n. 1 e 
Cass. 12 ottobre 
2018, 
n. 25543. 
(30) 
Disegno 
di 
legge 
presentato 
alla 
Camera 
dei 
Deputati 
il 
25 
giugno 
2020 
“Deleghe 
al 
governo 
per il sostegno e la valorizzazione della famiglia”. 
(31) il 
Piano nazionale 
di 
Ripresa 
e 
Resilienza 
(PnRR), trasmesso dal 
Governo al 
Parlamento il 
25 
aprile 
2021, 
rappresenta 
un 
ulteriore 
passo 
verso 
la 
compiuta 
definizione 
del 
Recovery 
Plan 
che 
dovrà 
essere 
predisposto dal 
nostro Paese 
e 
presentato alle 
istituzioni 
europee 
entro il 
30 aprile 
per accedere 
ai fondi 
di 
next 
Generation eU 
(nGeU), il 
nuovo strumento dell'Unione europea 
per la ripresa 
che 
integra 
il 
Quadro 
finanziario 
pluriennale 
per 
il 
periodo 
2021-2027. 
il 
testo 
definitivo 
del 
PnRR, 
nella 
Parte 
1 dedicata 
agli 
Obiettivi 
generali 
e 
struttura, definisce 
le 
“Priorità trasversali” 
nei 
seguenti 
termini: 
“Per 
l'Italia 
il 
programma 
Next 
Generation 
EU 
non 
rappresenta 
solo 
l’occasione 
per 
realizzare 
una Piena transizione 
ecologica e 
digitale, ma anche 
per 
recuperare 
i 
ritardi 
storici 
che 
penalizzano 
storicamente il Paese e che riguardano le persone con disabilità, i giovani, le donne e il Sud. 
Per 
essere 
efficace, 
strutturale 
e 
in 
linea 
con 
gli 
obiettivi 
del 
pilastro 
europeo 
dei 
diritti 
sociali, 
la 
ripresa 
dell’Italia deve 
dare 
pari 
opportunità a tutti 
i 
cittadini, soprattutto quelli 
che 
non esprimono oggi 
pienamente 
il 
loro potenziale. La persistenza di 
disuguaglianze 
di 
genere, così 
come 
l’assenza di 
pari 
opportunità 
a prescindere 
da provenienza, religione, disabilità, età o orientamento sessuale, non è 
infatti 
solo un problema individuale, ma è un ostacolo significativo alla crescita economica. 
Per 
questo 
motivo 
le 
6 
Missioni 
del 
PNRR 
condividono 
priorità 
trasversali, 
relative 
alle 
pari 
opportunità 
generazionali, di 
genere 
e 
territoriali. Le 
Riforme 
e 
le 
Missioni 
sono valutate 
sulla base 
dell’impatto 
che 
avranno nel 
recupero del 
potenziale 
dei 
giovani, delle 
donne 
e 
dei 
territori, e 
nelle 
opportunità fornite 
a 
tutti, 
senza 
alcuna 
discriminazione. 
Questa 
attenzione 
trasversale, 
articolata 
puntualmente 
in 
tutte 
le 
missioni 
del 
PNRR, corrisponde 
anche 
alle 
raccomandazioni 
specifiche 
della Commissione 
Europea 
sull’Italia del 2019 e del 2020. 
Per 
perseguire 
le 
finalità 
relative 
alle 
pari 
opportunità, 
generazionali 
e 
di 
genere, 
saranno 
in 
particolare 
inserite, 
per 
le 
imprese 
che, 
a 
diverso 
titolo, 
parteciperanno 
ai 
progetti 
finanziati 
dal 
PNRR 
e 
dai 
Fondi 
REACT-EU 
e 
FCN, 
previsioni 
dirette 
a 
condizionare 
l’esecuzione 
dei 
progetti 
all’assunzione 
di 
giovani 
e 
donne, 
anche 
per 
il 
tramite 
di 
contratti 
di 
formazione/specializzazione 
che 
possono 
essere 
attivati 
prima 
dell’avvio 
dei 
medesimi 
progetti. 
In 
particolare, 
con 
specifici 
interventi 
normativi, 
sarà 
previsto 
l’inserimento 
nei 
bandi 
gara, 
tenuto 
anche 
conto 
della 
tipologia 
di 
intervento, 
di 
specifiche 
clausole 
con 
cui 
saranno 
indicati, 
come 
requisiti 
necessari 
e 
in 
aggiunta, 
premiali 
dell’offerta, 
criteri 
orientati 
verso 
tali 
obiettivi. 
I 
criteri 
saranno 
definiti 
tenendo, 
tra 
l’altro, 
conto 
dell’oggetto 
del 
contratto, 
della 
tipologia 
e 
della 
natura 
del 
singolo 
progetto 
in 
relazione 
ai 
profili 
occupazionali 
richiesti, 
dei 
principi 
di 
proporzionalità, 
ragionevolezza, 
non 
discriminazione, 
trasparenza, 
degli 
indicatori 
degli 
obiettivi 
attesi 
in 
termini 
di 
occupazione 
femminile 
e 
giovanile 
al 
2026 
anche 
tenendo 
conto 
dei 
corrispondenti 
valori 
medi 
nonché 
dei 
corrispondenti 
indicatori 
medi 
settoriali 
europei 
in 
cui 
vengono 
svolti 
i 
progetti”. 
(32) La 
missione 
riveste 
un ruolo rilevante 
nel 
perseguimento degli 
obiettivi, trasversali 
a 
tutto il 

RASSeGnA 
AVVOCAtURA 
DeLLO 
StAtO -n. 1/2021 


Occorre 
un 
approccio 
culturale 
di 
tipo 
diverso 
che 
vada 
oltre 
le 
quote 
rosa 


(33) e 
l’empowerment 
femminile 
(34) e 
che 
consenta 
un approccio integrato 
alla 
diversità 
nella 
consapevolezza 
del 
valore 
della 
persona 
umana 
fondamentale 
per uno sviluppo democratico in uno Stato di diritto (35). 
PnRR, di 
sostegno all'empowerment 
femminile 
e 
al 
contrasto alle 
discriminazioni 
di 
genere, di 
incremento 
delle 
competenze 
e 
delle 
prospettive 
occupazionali 
dei 
giovani, di 
riequilibrio territoriale 
e 
sviluppo 
del mezzogiorno. 


(33) 
istituite 
dalla 
legge 
12 
luglio 
2011, 
n. 
120 
“Modifiche 
al 
testo 
unico 
delle 
disposizioni 
in 
materia 
di 
intermediazione 
finanziaria, di 
cui 
al 
decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, concernenti 
la parità di 
accesso agli 
organi 
di 
amministrazione 
e 
di 
controllo delle 
società quotate 
in mercati 
regolamentati”. 
(34) in generale 
in europa 
non tutti 
i 
paesi 
hanno adottato un sistema 
di 
“quote” 
come 
l’italia. 
Gli 
Stati 
che 
hanno un sistema 
simile 
sono Francia, Germania 
e 
Spagna, mentre 
altri 
paesi 
come 
Regno 
Unito non utilizzano lo stesso parametro. Quest’ultimo, in particolare, ha 
abolito il 
sistema 
delle 
“quote 
obbligatorie” 
in 
favore 
di 
una 
legislazione 
antidiscriminatoria 
che 
si 
è 
evoluta 
nel 
tempo 
con 
modifiche. 
Dalla 
Disability 
Discrimination Act, del 
1995, si 
è 
arrivati 
con le 
varie 
modifiche 
alla 
Equality 
Act 
del 
2010, il 
quale 
stabilisce 
la 
parità 
nell’accesso occupazionale, nonché 
ai 
servizi 
pubblici 
e 
privati, indipendentemente 
dalle 
caratteristiche 
personali 
di 
età, disabilità, orientamento sessuale, genere, etnia, religione 
credo personale. 
(35) Si 
veda 
anche 
la 
recente 
pronuncia 
del 
22 aprile 
2021, n. 4706, con cui 
il 
t.A.R per il 
Lazio, 
Sez. 
i, 
ritenendo 
meritevole 
di 
accoglimento 
le 
censure 
di 
merito 
sollevate 
dalla 
ricorrente, 
ha 
dichiarato 
che 
“è 
illegittimo il 
regolamento elettorale 
per 
l'elezione 
dei 
Consigli 
degli 
Ordini 
dei 
dottori 
commercialisti 
e 
degli 
esperti 
contabili 
e 
dei 
collegi 
dei 
revisori 
in carica dal 
1° 
gennaio 2021 al 
31 dicembre 
2024, 
per 
violazione 
del 
principio 
di 
parità 
di 
accesso 
alle 
cariche 
elettive 
e 
della 
sua 
obbligatoria 
promozione 
di 
cui 
all’art. 51 Cost.”. Richiamando i 
principi 
costituzionali 
in tema 
di 
parità 
di 
genere, in 
particolare 
l’art. 51 Cost., e 
calando tali 
principi 
nello specifico contesto del 
quadro normativo in tema 
di 
elezioni 
degli 
ordini 
professionali 
dei 
dottori 
commercialisti, il 
Giudice 
Amministrativo ha, altresì, 
condivisibilmente 
aggiunto che 
“l’equilibrio di 
genere, come 
parametro conformativo di 
legittimità sostanziale 
dell’azione 
amministrativa, nato nell’ottica dell’attuazione 
del 
principio di 
eguaglianza sostanziale 
fra 
i 
sessi, 
viene 
così 
ad 
acquistare 
una 
ulteriore 
dimensione 
funzionale, 
collocandosi 
nell’ambito degli 
strumenti 
attuativi 
dei 
principi 
di 
cui 
all’art. 97 Cost.: dove 
l’equilibrata partecipazione 
di 
uomini 
e 
donne 
(col 
diverso patrimonio di 
umanità, sensibilità, approccio culturale 
e 
professionale 
che 
caratterizza i 
due 
generi) ai 
meccanismi 
decisionali 
e 
operativi 
di 
organismi 
esecutivi 
o di 
vertice 
diventa nuovo strumento di 
garanzia di 
funzionalità, maggiore 
produttività, ottimale 
perseguimento 
degli obiettivi, trasparenza ed imparzialità dell’azione pubblica”. 

DOttRinA 
251 


annotazioni a margine dell’art. 23 quater d.L. 137/2020 alla 
luce della rilevanza generale e sistematica dell’elenco istat 


Carlo Russo* 


SOMMARIO: 1. Introduzione 
-2. Sulla questione 
di 
legittimità: l’insussistenza del 
vulnus 
di 
tutela giurisdizionale 
-2.1. Sulla rilevanza generale 
e 
sistematica dell’elenco Istat 
-2.2. 
Sulla 
tesi 
del 
giudice 
amministrativo 
come 
giudice 
naturale 
della 
fattispecie 
in 
esame 
alla 
luce 
della sua evoluzione: sul 
ripristino dell’equilibrio sistematico -3. Sulla complessa posizione 
dell’Istat 
in equilibrio precario tra ordinamento nazionale 
ed ordinamento sovranazionale. 


1. Introduzione. 
L’intento 
di 
questo 
contributo, 
partendo 
dall’analisi 
dell’attualmente 
dibattuta 
questione 
di 
legittimità 
costituzionale 
dell’art. 
23 
quater 
D.L. 
137/2020, 
è 
proporre 
una 
riflessione 
più 
ampia 
sulla 
generale 
rilevanza 
assunta 
dall’elenco 
istat, 
in 
particolar 
modo 
ai 
fini 
della 
perimetrazione 
della 
soggettività 
pubblica. 


tale 
riflessione 
appare 
necessaria 
per 
la 
valutazione 
del 
plesso 
giurisdizionale 
cui 
sia 
sistematicamente 
più 
corretto 
attribuire 
le 
controversie 
in 
materia 
di 
impugnazioni 
avverso 
l’inclusione 
nell’elenco 
e 
conseguentemente 
anche 
per 
la 
valutazione 
della 
bontà 
dell’articolo 
in 
esame, 
che 
in 
questa 
materia 
interviene. 


in 
conclusione, 
si 
darà 
conto 
della 
complessa 
posizione, 
in 
equilibrio 
precario 
tra 
l’ordinamento nazionale 
e 
quello sovranazionale, in cui 
è 
venuto a 
trovarsi 
l’istat 
nella 
redazione 
dell’elenco, in ragione 
proprio della 
rilevanza 
da questo assunta. 


Occorre 
sottolineare 
che 
per 
elenco 
istat 
ex 
art. 
1 
co. 
3 
L. 
196/2009 
(Legge 
di 
contabilità 
e 
finanza 
pubblica) si 
intende 
l’elenco redatto annualmente 
dall’istat 
sulla 
base 
del 
Sistema 
europeo dei 
conti 
(Sec10 definito dal 
Regolamento Ue 
del 
Parlamento europeo e 
del 
Consiglio, n. 549/2013) in cui 
vengono individuate 
tutte 
le 
unità 
istituzionali 
nazionali 
che 
fanno parte 
del 
settore 
delle 
Amministrazioni 
Pubbliche, il 
settore 
S13. Rispetto a 
tale 
settore 
si 
compila 
il 
conto 
economico 
consolidato 
che 
costituisce 
il 
riferimento 
degli 
aggregati 
trasmessi 
alla 
Commissione 
europea 
in applicazione 
del 
Protocollo 
sulla Procedura per i Deficit eccessivi annesso al 
trattato di maastricht. 

La 
partecipazione 
al 
conto economico consolidato, in quanto pubbliche 
amministrazioni, dei 
soggetti 
inseriti 
nell’elenco istat, sottopone 
questi 
ultimi 
al 
rispetto del 
principio di 
derivazione 
comunitaria 
dell’equilibrio di 
bilancio, 
costituzionalizzato con L. Cost. 1/2012 negli 
articoli 
81 e 
97, indirizzati 
appunto 
alle 
pubbliche 
amministrazioni. Dall’obbligo del 
rispetto del 
principio 


(*) Dottore 
in Giurisprudenza, ammesso alla 
pratica 
forense 
presso l’Avvocatura 
Generale 
dello Stato 
(avv. Stato PietRO 
GAROFOLi). 



RASSeGnA 
AVVOCAtURA 
DeLLO 
StAtO -n. 1/2021 


dell’equilibrio 
di 
bilancio 
e 
in 
generale 
dalla 
partecipazione 
al 
Sistema 
dei 
conti 
europei 
derivano 
in 
capo 
ai 
soggetti 
inseriti 
nell’elenco 
istat 
tutta 
una 
serie 
di 
obblighi 
comunicativi 
ed informativi 
inerenti 
i 
propri 
bilanci 
e 
la 
sottoposizione 
all’attività di vigilanza del meF. 


La 
natura 
primariamente 
statistico-contabile 
dell’atto e 
gli 
effetti 
prevalentemente 
contabili 
ad esso connessi 
hanno spinto il 
legislatore 
ad attribuire 
la 
giurisdizione 
sull’intera 
materia 
alla 
Corte 
dei 
conti, 
fino 
all’intervento 
dell’art. 23-quater. 

Allora, la 
valutazione 
della 
legittimità 
costituzionale 
di 
tale 
articolo non 
può che 
essere 
connessa 
ad una 
riconsiderazione 
della 
rilevanza 
e 
degli 
effetti 
dell’elenco 
istat 
che, 
come 
si 
dimostrerà, 
ha 
effettivamente 
assunto 
rilevanza 
generale, soprattutto rispetto alla 
costruzione 
del 
concetto di 
pubblica 
amministrazione, 
ed effetti ulteriori rispetto a quelli propriamente contabili. 


Con 
l’art. 
23-quater 
D.L. 
137/2020, 
convertito 
in 
legge 
dalla 
legge 
di 
conversione 
176/2020, 
il 
legislatore 
è 
intervenuto 
sulla 
giurisdizione 
della 
Corte 
dei 
conti 
rispetto 
all’elenco 
in 
esame, 
limitandola 
alla 
sola 
questione 
della 
applicabilità 
ai 
soggetti, 
già 
inseriti 
nello 
stesso, 
della 
normativa 
nazionale 
sul 
contenimento 
della 
spesa, 
sottraendo 
alla 
Corte 
il 
sindacato 
a 
monte 
sull’inclusione 
nell’elenco 
(l’art. 
23 
quater 
ha 
aggiunto 
al 
co. 
6 
lett. 
b 
dell’art. 
11 
del 
D.lgs. 
174/2016 
le 
parole 
“ai 
soli 
fini 
dell’applicazione 
della 
normativa 
nazionale 
sul 
contenimento della spesa”). Ciò vuol 
dire 
che 
se 
prima 
dell’intervento 
dell’art. 23-quater 
i 
soggetti 
inseriti 
nell’elenco istat 
dovevano impugnare 
l’inclusione 
innanzi 
alla 
Corte 
dei 
conti, 
ora, 
dopo 
l’intervento 
dell’art. 23-quater, la 
medesima 
impugnazione 
dovrà 
avvenire 
innanzi 
al 
giudice 
amministrativo. 
Difronte 
alla 
Corte 
dei 
conti 
si 
potrà 
contestare 
solo 
il 
differente 
profilo 
dell’applicabilità 
della 
specifica 
legislazione 
in 
materia 
di 
contenimento della spesa. 


La 
legittimità 
costituzionale 
della 
norma 
è 
stata 
messa 
in 
discussione 
dalla 
Procura 
generale 
della 
Corte 
dei 
conti 
che 
ha 
sostenuto, in via 
principale, che 
la 
norma 
in questione 
creerebbe 
un vuoto di 
tutela, non indicando specificamente 
quale 
sia 
il 
giudice 
competente 
a 
giudicare 
dell’inserimento 
nell’elenco, 
facendo così 
intendere 
che 
l’inclusione 
all’interno dello stesso sia 
stata 
sottratta 
a qualsiasi controllo giurisdizionale, in violazione dell’art. 113 Cost. 


in via 
subordinata, la 
Procura 
ha 
affermato che, ove 
si 
ritenesse 
il 
controllo 
giurisdizionale 
attribuito 
o 
al 
giudice 
ordinario 
o 
quello 
amministrativo, 
questa 
attribuzione 
violerebbe 
gli 
articoli 
100 e 
103 Cost., che 
affidano alla 
giurisdizione 
della 
Corte 
dei 
Conti 
la 
materia 
contabile, implicitamente 
ritenendo 
che 
l’inclusione 
nell’elenco istat 
abbia 
esclusivamente 
rilevanza 
contabile. 


Al 
contrario, l’intervento appare 
non solo perfettamente 
legittimo da 
un 
punto di 
vista 
costituzionale, ma 
anche 
decisamente 
apprezzabile 
da 
un punto 
di 
vista 
sistemico e 
di 
generale 
riparto di 
giurisdizione, potendosi 
affermare 



DOttRinA 
253 


che, anzi, abbia 
ricondotto ad 
equilibrio il 
sistema, alla 
luce 
della 
rilevanza, 
non più esclusivamente contabile, che ha assunto l’elenco istat. 


2. Sulla questione 
di 
legittimità: l’insussistenza del 
vulnus 
di 
tutela giurisdizionale. 
in 
primo 
luogo, 
bisogna 
sottolineare 
che 
l’intervento 
dell’articolo 
23-quater 
D.L. 137/2020 non ha 
affatto determinato un vulnus 
di 
tutela 
giurisdizionale, 
nella 
misura 
in 
cui 
è 
pacifico 
che 
alla 
limitazione 
della 
giurisdizione 
della 
Corte 
dei 
Conti 
segua 
una 
riespansione 
della giurisdizione 
del 
giudice 
amministrativo. 


nel 
sistema 
delineato, giova 
ripetere, il 
giudice 
amministrativo avrà 
giurisdizione 
rispetto 
alla 
inclusione 
all’interno 
dell’elenco 
predisposto 
dall’istat, 
ciò vuol 
dire 
che 
innanzi 
ad esso gli 
interessati 
dovranno impugnare 
l’elenco 
stesso; 
la 
Corte 
dei 
conti, 
invece, 
conserverà 
giurisdizione 
per 
la 
parte 
più 
propriamente 
contabile 
della 
materia, 
ovverosia 
rispetto 
alle 
questioni 
inerenti 
l’applicazione 
ai 
soggetti 
indicati 
nell’elenco 
della 
normativa 
nazionale 
in 
tema 
di 
contenimento della 
spesa. A 
tal 
fine, si 
deve 
ritenere 
che 
innanzi 
alla 
Corte 
dei 
conti 
non 
si 
impugnerà 
l’elenco 
istat, 
ma 
la 
singola 
normativa 
di 
contenimento 
della 
spesa 
che 
all’elenco 
fa 
riferimento 
per 
delimitare 
il 
proprio 
ambito soggettivo di applicazione. 

D’altronde, 
è 
da 
considerare 
che, 
prima 
che 
l’art. 
11 
co. 
6 
lett. 
b 
del 
codice 
di 
giustizia 
contabile 
attribuisse 
la 
materia 
alla 
giurisdizione 
della 
Corte 
dei 
conti, era 
il 
giudice 
amministrativo ad essere, a 
ragione, ritenuto competente 
a 
giudicare 
delle 
impugnazioni 
dell’elenco istat. Questa 
osservazione, in aggiunta 
alla 
considerazione 
che, 
da 
un 
punto 
di 
vista 
sistematico, 
il 
giudice 
amministrativo 
è 
il 
giudice 
naturalmente 
preposto 
alla 
tutela 
degli 
interessi 
legittimi 
lesi 
dai 
provvedimenti 
della 
pubblica 
amministrazioni, 
spiega 
perché, 
a 
seguito dell’intervento dell’art. 23-quater, sia 
pacifico che 
le 
impugnazioni 
in merito all’inclusione 
nel 
registro istat 
ritornino nell’ambito della 
giurisdizione 
amministrativa 
e 
che 
non sussista 
alcun vulnus 
di 
tutela, pur in assenza 
di 
una 
specifica 
disposizione 
legislativa 
in tal 
senso, evidentemente 
non necessaria. 
La 
chiarezza 
sistematica 
dell’intervento 
non 
solleva 
neanche 
un 
dubbio 
interpretativo. 


2.1 Sulla rilevanza generale e sistematica dell’elenco Istat. 
tornando al 
punto centrale 
di 
questo contributo, si 
sostiene 
che 
la 
riconduzione 
dell’elenco 
istat 
sotto 
la 
giurisdizione 
del 
giudice 
amministrativo 
abbia 
riportato 
ad 
equilibrio 
il 
sistema 
di 
riparto 
giurisdizionale 
in 
ragione 
della rilevanza generale che tale elenco ha assunto. 

infatti, 
sebbene 
si 
concordi 
sul 
fatto 
che 
la 
compilazione 
dell’elenco 
nasca 
per finalità 
eminentemente 
statistico-contabili, come 
preparazione 
di 
un documento 
tecnico che 
contribuisse 
alla 
descrizione 
dell’economica 
nazionale, 



RASSeGnA 
AVVOCAtURA 
DeLLO 
StAtO -n. 1/2021 


favorendo 
la 
comparazione 
dei 
dati 
in 
ambito 
europeo, 
non 
si 
può 
d’altro 
canto 
negare 
che 
l’elenco 
ed 
i 
parametri 
europei 
sulla 
base 
dei 
quali 
è 
redatto 
abbiano 
assunto 
un 
ruolo 
chiave 
nella 
perimetrazione 
della 
soggettività 
pubblica, 
essendo diventati 
un punto di 
riferimento di 
numerose 
leggi 
amministrative, 
oltre 
che 
di 
orientamenti 
giurisprudenziali 
ed 
elaborazioni 
dottrinali, 
assumendo 
così un’efficacia ultronea rispetto a quella strettamente contabile. 

il 
punto è 
che 
in diritto amministrativo manca 
una 
definizione 
univoca 
e 
comunemente 
accettata 
di 
amministrazione 
pubblica 
(1), 
manca 
una 
norma 
generale 
che 
ne 
individui 
i 
caratteri 
salienti, i 
tratti 
essenziali, esistendo solo 
definizioni 
settoriali 
avanzate 
da 
singole 
leggi 
amministrative 
delineate 
con 
l’esclusivo intento pratico di 
delimitare 
il 
proprio ambito di 
applicazione 
soggettivo 
(2). in più, la 
realtà 
giuridica 
attuale 
presenta 
un così 
elevato grado di 
complessità 
e 
varietà 
di 
moduli 
organizzativi 
in cui 
si 
sostanziano i 
soggetti 
pubblici 
da 
potersi 
parlare, non più di 
semplice 
pluralismo organizzativo, ma 
di 
vera 
e 
propria 
crisi 
della 
soggettività 
pubblica, nella 
misura 
in cui 
risulta 
sempre 
più 
difficile 
perimetrare 
i 
soggetti 
pubblici 
alla 
luce 
della 
varietà 
e 
complessità delle forme assunte (3). 

in 
questo 
contesto, 
appare 
chiaro 
che 
la 
collocazione 
all’interno 
del-
l’elenco istat 
risulti 
decisiva 
e 
dirimente 
ai 
fini 
della 
qualificazione 
di 
un soggetto 
come 
pubblica 
amministrazione 
in 
via 
generale 
ben 
al 
di 
là 
della 
semplice materia contabile. 


Allora, 
mancando 
una 
definizione 
legislativa 
di 
pubblica 
amministrazione, 
ci 
si 
domanda, ribaltando la 
prospettiva, se 
sia 
possibile 
sostenere 
che 
un soggetto inserito nell’elenco per finalità 
contabili, possa, invece, in via 
generale 
non 
essere 
considerato 
all’interno 
dell’ordinamento 
come 
pubblica 
amministrazione. 
Sembra 
molto 
arduo 
sostenere 
che 
tale 
soggetto, 
considerato 
come 
pubblica 
amministrazione 
a 
fini 
contabili, 
sia 
poi 
in 
via 
generale, 
invece, 
non considerato alla stessa stregua. 

Certamente, 
essendo 
i 
regimi 
pubblicistici 
estremamente 
variegati, 
il 
soggetto 
potrà 
in concreto non rientrare 
nell’ambito di 
applicazione 
di 
una 
o più 
leggi 
amministrative, 
ma 
ciò 
non 
toglie 
che, 
a 
seguito 
dell’inserimento 
nel-
l’elenco, 
quel 
soggetto 
all’interno 
del 
nostro 
ordinamento, 
in 
via 
generale, 
sarà 
considerato 
pubblica 
amministrazione. 
D’altronde, 
tale 
elenco 
rappresenta 


(1) S. CASSeSe, “Istituzioni 
di 
diritto amminsitrativo”, Giuffré 
editore, Quinta 
edizione, Cap. i, 
in 
modo 
netto, 
alla 
fine 
dell’indagine 
sul 
concetto 
di 
pubblica 
amministrazione, 
sostiene 
“In 
conclusione 
si può dire che: non vi è una definizione di pubblica amministrazione”. 
(2) S. CASSeSe, op. ult. cit., Cap. i, sottolinea 
che 
“Per 
esigenze 
diverse, della definizione 
di 
pubblica 
amministrazione 
si 
preoccupano, 
ora, 
le 
norme. 
Ma 
queste 
contengono 
nozioni 
funzionali, 
nel 
senso che variano in relazione agli scopi che le norme stesse si prefiggono”. 
(3) S. CASSeSe, op. ult. cit., Cap. i, afferma 
“Per 
lungo tempo si 
è 
cercato di 
definire 
la pubblica 
amministrazione, 
come 
potere 
esecutivo 
o 
esecuzione 
di 
leggi 
e 
come 
cura 
concreta 
di 
interessi 
pubblici. 
Ma la varietà delle amministrazioni è tale, che esse sfuggono a una nozione unitaria”. 

DOttRinA 
255 


l’unico 
atto 
normativo 
generale, 
annualmente 
aggiornato, 
in 
cui 
vengono 
analiticamente 
individuati 
e 
classificati 
nei 
diversi 
sottoinsiemi 
categoriali 
tutti 
i 
soggetti 
pubblici, l’unico atto in grado di 
mettere 
ordine 
e 
di 
orientare, tanto 
il legislatore, quanto gli intrepreti, nella congerie della soggettività pubblica. 

non a 
caso, come 
detto, è 
a 
tale 
atto che 
diverse 
leggi 
amministrative 
direttamente 
rimandano ai 
fini 
dell’individuazione 
dei 
soggetti 
cui 
si 
applicano, 
ritenendo, appunto, per pubbliche 
amministrazioni 
i 
soggetti 
individuati 
nel-
l’elenco. Queste 
leggi 
non per forza 
hanno contenuto contabile, ma 
possono 
riguardare i più diversi ambiti del diritto amministrativo (4). 

Dunque, 
è 
possibile 
sostenere 
che 
l’inserimento 
all’interno 
dell’elenco 
istat 
abbia 
effetti 
ulteriori 
rispetto a 
quelli 
di 
natura 
strettamente 
economico-
contabile, 
perché 
dal 
combinato 
disposto 
di 
tale 
elenco 
con 
le 
diverse 
leggi 
che 
ad 
esso 
fanno 
riferimento 
deriva 
l’applicazione 
ai 
soggetti 
inseriti 
nel-
l’elenco istat 
delle 
normative 
in questione, producendosi 
gli 
effetti, non solo 
contabili, che da esse derivano. 

inoltre, oramai 
è 
all’elenco istat 
ed ai 
parametri 
sulla 
base 
dei 
quali 
esso 
è 
redatto 
che, 
in 
dottrina 
come 
in 
giurisprudenza, 
si 
fa 
riferimento 
nel 
tentativo 
di costruire un concetto, seppur minimale, di pubblica amministrazione. 

A 
tal 
proposito è 
sufficiente 
citare 
il 
prof. Clarich, che 
nel 
suo manuale 
di 
Diritto Amministrativo nel 
definire 
le 
pubbliche 
amministrazioni 
afferma: 
“volendo provare 
a sintetizzare 
i 
tratti 
caratterizzanti 
delle 
pubbliche 
amministrazioni, 
si 
può anzitutto dire, in negativo, che 
esse 
si 
collocano al 
di 
fuori 
del 
mercato, nel 
senso che 
esse 
non producono beni 
e 
servizi 
resi 
sulla base 
di 
prezzi 
che 
consentano 
di 
realizzare 
ricavi 
atti 
a 
coprire 
i 
costi 
ed 
a 
produrre 
utili. In positivo, la caratteristica propria delle 
pubbliche 
amministrazioni 
è 
quella 
di 
produrre 
beni 
pubblici 
materiali 
o 
immateriali, 
quelli 
che 
cioè 
il 
mercato 
non è 
in grado di 
garantire 
in modo adeguato con finalità anche 
redistributive. 
Finanziamento 
di 
tali 
attività 
è 
posto 
in 
ultima 
analisi 
in 
prevalenza 
a carico della collettività attraverso il 
ricorso alla tassazione” 
(5). Come 
si 


(4) 
A 
titolo 
esemplificativo, 
si 
veda 
l’art. 
5 
co. 
9 
D.L. 
95/2012 
che 
recita 
“È 
fatto 
divieto 
alle 
pubbliche 
amministrazioni 
di 
cui 
all'articolo 1, comma 2, del 
decreto legislativo n. 165 del 
2011, nonché 
alle 
pubbliche 
amministrazioni 
inserite 
nel 
conto 
economico 
consolidato 
della 
pubblica 
amministrazione, 
come 
individuate 
dall'Istituto nazionale 
di 
statistica (ISTAT) ai 
sensi 
dell'articolo 1, comma 2, 
della legge 
31 dicembre 
2009, n. 196 nonché 
alle 
autorità indipendenti 
ivi 
inclusa la Commissione 
nazionale 
per 
le 
società e 
la borsa (Consob) di 
attribuire 
incarichi 
di 
studio e 
di 
consulenza a soggetti 
già 
lavoratori 
privati 
o 
pubblici 
collocati 
in 
quiescenza. 
Alle 
suddette 
amministrazioni 
è, 
altresì, 
fatto 
divieto 
di 
conferire 
ai 
medesimi 
soggetti 
incarichi 
dirigenziali 
o direttivi 
o cariche 
in organi 
di 
governo delle 
amministrazioni 
di 
cui 
al 
primo periodo e 
degli 
enti 
e 
società da esse 
controllati 
[..]. Gli 
incarichi, le 
cariche 
e 
le 
collaborazioni 
di 
cui 
ai 
periodi 
precedenti 
sono comunque 
consentiti 
a titolo gratuito. Per 
i 
soli 
incarichi 
dirigenziali 
e 
direttivi, ferma restando la gratuità, la durata non può essere 
superiore 
a 
un 
anno, 
non 
prorogabile 
né 
rinnovabile, 
presso 
ciascuna 
amministrazione. 
Devono 
essere 
rendicontati 
eventuali 
rimborsi 
di 
spese, corrisposti 
nei 
limiti 
fissati 
dall'organo competente 
dell'amministrazione 
interessata. 
Gli 
organi 
costituzionali 
si 
adeguano 
alle 
disposizioni 
del 
presente 
comma 
nell'ambito 
della 
propria autonomia”. 

RASSeGnA 
AVVOCAtURA 
DeLLO 
StAtO -n. 1/2021 


vede, la 
definizione 
riprede 
puntualmente 
quella 
fornita 
dal 
Sec10 per individuare 
il 
perimetro del 
settore 
S13, costruendola 
sulla 
base 
dei 
parametri 
individuati 
e definiti nel Regolamento. 


Orbene, 
alla 
luce 
della 
rilevanza 
che 
ha 
assunto 
l’elenco 
istat 
ai 
fini 
della 
perimetrazione 
della 
soggettività 
pubblica 
è 
necessario 
domandarsi 
quale 
sia 
il 
plesso 
giurisdizionale 
più 
adatto 
a 
conoscere 
delle 
controversie 
relative 
all’inserimento 
dei 
soggetti 
al 
suo 
interno, 
se 
sia 
più 
corretto 
da 
un 
punto 
di 
vista 
sistematico 
lasciare 
la 
materia 
alla 
giurisdizione 
della 
Corte 
dei 
conti 
o, 
invece, 
attribuirla 
al 
giudice 
amministrativo. 
evidentemente, 
la 
risposta 
a 
tale 
quesito 
è 
decisiva 
ai 
fini 
della 
valutazione 
di 
legittimità 
costituzionale 
dell’art. 
23-quater. 


Ci 
si 
domanda: 
è 
la 
scelta 
sistematicamente 
più corretta 
ri-espandere 
la 
giurisdizione 
della 
Corte 
dei 
conti, a 
scapito di 
quella 
del 
giudice 
amministrativo, 
ritenendo costituzionalmente 
illegittimo l’art. 23-quater? 
È 
sistematicamente 
corretto 
lasciare 
che 
sia 
la 
Corte 
dei 
conti, 
giudice 
contabile, 
a 
decidere 
dei confini della soggettività pubblica? 


La 
posizione 
qui 
sostenuta 
è 
che, invece, appare 
essere 
il 
giudice 
amministrativo 
il 
giudice 
naturale 
di 
questa 
fattispecie 
che, 
per 
l’evoluzione 
del-
l’ordinamento, 
ha 
assunto 
rilevanza 
decisiva 
e 
generale 
in 
ambito 
amministrativo. Per questo motivo, si 
sostiene 
che 
l’intervento legislativo indirizzato 
alla 
riconduzione 
della 
materia 
nell’alveo della 
giurisdizione 
amministrativa 
vada 
accolto 
con 
favore, 
avendo 
ripristinato 
l’equilibrio 
sistematico. 


2.2 
Sulla 
tesi 
del 
giudice 
amministrativo 
come 
giudice 
naturale 
della 
fattispecie 
in esame 
alla luce 
della sua evoluzione: sul 
ripristino dell’equilibrio sistematico. 
il 
giudice 
amministrativo 
appare 
essere 
il 
giudice 
naturale 
della 
fattispecie 
in esame per le ragioni che seguono. 

in 
primo 
luogo, 
a 
differenza 
di 
quanto 
sostenuto 
dalle 
Sezioni 
Unite 
nella 
sentenza 
12496/2017 (6), che 
si 
erano espresse 
sulla 
contestata 
attribuzione 
alla 
giurisdizione 
della 
Corte 
dei 
Conti 
della 
materia 
in esame, l’atto con cui 
viene 
disposto 
l’elenco 
istat 
non 
ha 
natura 
meramente 
ricognitiva 
di 
un 
effetto 
già 
prodottosi 
in virtù del 
Sec10, ma 
è 
un vero e 
proprio provvedimento amministrativo 
in 
grado 
di 
per 
sé 
di 
modificare 
la 
realtà 
giuridica, 
determinando, 
come 
visto, 
la 
qualificazione 
all’interno 
del 
nostro 
ordinamento 
di 
un 
soggetto 
come 
pubblica 
amministrazione, 
con 
tutti 
gli 
effetti 
che 
a 
questa 
qualificazione 
si 
riconnettono. non si 
può più ritenere 
che 
l’atto sia 
meramente 
ricognitivo 
di 
un 
effetto 
prodottosi 
altrove, 
in 
ambito 
europeo, 
per 
finalità 
meramente 
sta


(5) m. CLARiCh, “Manuale 
di 
diritto amminsitrativo”, il 
mulino, terza 
edizione, cap. 8 pag. 325. 
(6) Secondo le 
Sezioni 
Unite 
civili 
della 
Cassazione 
“l’elenco delle 
amministrazioni 
pubbliche 
è 
un atto che 
non ha natura provvedimentale, ma un contenuto prevalentemente 
ricognitivo sulla sussistenza 
dei 
presupposti 
previsti 
dalla normativa europea per 
la qualificazione 
di 
un’attività istituzionale 
come amministrazione pubblica”. 

DOttRinA 
257 


tistiche, perché 
si 
è 
dimostrato che 
tale 
atto ha 
anche 
una 
propria 
valenza 
interna 
ultronea: 
ultronea 
tanto 
alla 
dimensione 
sovranazionale, 
quanto 
alla 
materia 
strettamente contabile. 

in 
secondo 
luogo, 
non 
è 
più 
condivisibile 
neanche 
la 
ricostruzione 
offerta 
nella 
già 
citata 
sentenza 
(7) 
del 
potere 
previsto 
in 
capo 
all’istat 
come 
strettamente 
vincolato, 
in 
quanto, 
come 
la 
prassi 
applicativa 
ha 
dimostrato, 
l’applicazione 
dei 
parametri 
previsti 
dal 
Sec10 
ai 
fini 
della 
collocazione 
di 
un 
soggetto 
nell’elenco 
istat 
è 
tutt’altro 
che 
automatica. 
L’applicazione 
di 
tali 
parametri 
presuppone 
una 
ampia 
attività 
interpretativa 
e 
valutativa 
da 
parte 
dell’istat, 
dimostrata 
dalla 
notevole 
elaborazione 
giurisprudenziale 
sugli 
stessi 
scaturita 
dal 
fittissimo 
contenzioso 
in 
materia 
(8). 
Questi 
elementi 
cozzano 
con 
la 
configurazione 
del 
potere 
come 
strettamente 
vincolato 
e 
spingono 
verso 
la 
qualificazione 
dello 
stesso 
nell’ambito 
della 
categoria 
della 
discrezionalità 
tecnica. 


ebbene, 
rispetto 
a 
tale 
provvedimento 
amministrativo 
posto 
in 
essere 
dal-
l’istat 
nell’esercizio 
del 
proprio 
potere 
tecnicamente 
discrezionale, 
il 
soggetto 
vanta 
una 
posizione 
di 
interesse 
legittimo, 
la 
cui 
tutela 
l’art. 
103 
Cost., 
in 
modo 
chiaro, 
attribuisce 
al 
giudice 
amministrativo, 
affermando 
“Il 
Consiglio 
di 
Stato 
e 
gli 
altri 
organi 
di 
giustizia 
amministrativa 
hanno 
giurisdizione 
per 
la 
tutela 
nei 
confronti 
della 
pubblica 
amministrazione 
degli 
interessi 
legittimi”. 


Come 
si 
vede, il 
giudice 
amministrativo è 
il 
giudice 
naturale 
degli 
interessi 
legittimi, 
il 
giudice 
specificamente 
preposto 
alla 
tutela 
di 
questa 
peculiare 
posizione 
giuridica 
soggettiva, 
contraltare 
del 
potere, 
dalle 
lesioni 
che 
dal-
l’esercizio illegittimo del 
potere 
stesso le 
possono derivare. Dalla 
prospettiva 
opposta, 
il 
giudice 
amministrativo 
è 
il 
giudice 
della 
pubblica 
amministrazione 
che agisce nell’esercizio di un potere conferitole dalla legge. 

in precedenza, l’attribuzione 
della 
materia 
alla 
giurisdizione 
della 
Corte 
dei 
conti 
era 
giustificata 
alla 
luce 
del 
criterio della 
“attinenza dall’atto in argomento 
alla materia della contabilità pubblica” 
(9), criterio per materia 
che 
si 
riteneva 
prevalesse 
su quello della 
situazione 
giuridica 
soggettiva, di 
interesse 
legittimo, alla 
luce 
di 
un duplice 
fraintendimento: 
il 
primo, si 
riteneva 
erroneamente 
che 
la 
materia 
avesse 
esclusiva 
rilevanza 
contabile; 
il 
secondo, 
si 
sfumava 
la 
rilevanza 
della 
situazione 
giuridica 
soggettiva, 
affermando 
la 
natura 
totalmente 
vincolata 
del 
potere 
previsto 
in 
capo 
all’istat, 
da 
cui 
non 


(7) La 
sentenza 
12496/2017 Cass. Sez. Un. sostiene 
che 
l’elenco istat 
consista 
“nella determinazione 
assunta all’esito dell’accertamento in ordine 
alla ricorrenza dei 
criteri 
definitori 
e 
classificatori 
posti 
nel 
regolamento comunitario (Sec10), e 
pertanto in esplicazione 
di 
attività vincolata, e 
non già 
natura provvedimentale di accertamento costituivo, espressione dell’agire discrezionale”. 
(8) A 
titolo d’esempio, si 
vedano le 
sentenze 
rese 
dalla 
Corte 
dei 
conti 
a 
Sezioni 
Riunite 
in sede 
giurisdizionale 
ed in speciale 
composizione 
27/2020/RiS- trentino Sviluppo S.p.a, 1/2020/RiS- Fondazione 
teatro 
della 
Scala 
milano, 
25/2020/RiS-Fondazione 
Accademica 
nazionale 
Santa 
Cecilia, 
20/2020/RiS- Autorità unica per i servizi idrici e i rifiuti. 
(9) Sent. 12496/20117 Cass. Sez. Un. 

RASSeGnA 
AVVOCAtURA 
DeLLO 
StAtO -n. 1/2021 


scaturiva 
che 
un atto meramente 
tecnico-ricognitivo, privo di 
natura 
provvedimentale 
come 
della 
capacità 
di 
ledere 
la 
posizione 
soggettiva 
del 
contro-interessato. 
Questi 
elementi 
giustificavano 
la 
prevalenza 
del 
criterio 
per 
materia 
a 
scapito di 
quello della 
situazione 
giuridica 
lesa, che, stante 
questa 
ricostruzione, 
non era neanche concretamente lesa. 

Attualmente, alla 
luce, da 
un lato, della 
dimostrata 
ultroneità 
degli 
effetti 
che 
scaturiscono dalla 
inclusione 
nel 
registro istat, dall’altro, della 
corretta 
ricostruzione 
della 
fattispecie 
in 
esame 
come 
rientrante 
nella 
categoria 
della 
discrezionalità 
tecnica, 
con 
ciò 
che 
questo 
comporta 
in 
termini 
di 
concreta 
possibilità 
di 
lesione 
della 
situazione 
giuridica 
soggettiva 
e 
di 
effettive 
esigenze 
di 
tutela, 
l’attribuzione 
della 
materia 
in 
esame 
alla 
giurisdizione 
del 
giudice 
amministrativo sembra 
la 
più corretta 
da 
un punto di 
vista 
sistematico, 
configurandosi tale giudice come il giudice naturale della fattispecie. 

D’altronde, risulta 
difficile 
pensare 
di 
poter sottrarre, nel 
nostro ordinamento, 
alla 
giurisdizione 
del 
giudice 
amministrativo una 
materia 
che 
ha 
ricadute 
dirette 
sui 
confini 
della 
soggettività 
pubblica; 
di 
poter 
sottrarre 
alla 
cognizione 
ed elaborazione 
del 
giudice 
della 
pubblica 
amministrazione 
concetti 
fondamentali 
ai 
fini 
della 
costruzione 
della 
nozione 
stessa 
di 
pubblica 
amministrazione. 

Vero è 
che 
lo stesso articolo 103 Cost. stabilisce 
anche 
che 
“La Corte 
dei 
conti 
ha giurisdizione 
nelle 
materie 
di 
contabilità pubblica e 
nelle 
altre 
specificate 
dalla 
legge”, 
ma, 
infatti, 
deve 
tenersi 
bene 
a 
mente 
che 
l’art. 
23-quater 
preserva 
la 
giurisdizione 
della 
Corte 
dei 
conti 
nelle 
materie 
prettamente 
contabili, 
disponendo, non che 
la 
materia 
della 
ricognizione 
delle 
pubbliche 
amministrazioni 
viene 
sottratta 
alla 
giurisdizione 
della 
Corte 
dei 
conti, ma 
solo 
che 
il 
giudice 
contabile 
in 
questa 
materia 
ha 
giurisdizione 
“ai 
soli 
fini 
dell’applicazione 
della 
normativa 
nazionale 
sul 
contenimento 
della 
spesa”. 
ecco 
perché 
può sostenersi 
che 
il 
legislatore 
con questo intervento abbia 
ripristinato 
l’equilibrio del 
sistema. La 
questione 
dell’inclusione 
all’interno dell’elenco, 
avendo rilevanza 
sistematica 
generale 
ed involgendo direttamente 
un una 
posizione 
di 
interesse 
legittimo, è 
stata 
ricondotta 
nell’ambito della 
sua 
giurisdizione 
naturale, 
quella 
del 
giudice 
amministrativo; 
tutte 
le 
questioni 
che, 
invece, 
dopo 
l’inclusione 
nell’elenco 
concernono 
l’applicazione 
della 
normativa 
di 
contenimento della 
spesa, in quanto questioni 
strettamente 
contabili, sono rimaste 
nell’alveo della giurisdizione contabile. 

3. Sulla complessa posizione 
dell’Istat 
in equilibrio precario tra ordinamento 
nazionale ed ordinamento sovranazionale. 
La 
discussione 
sull’articolo 23-quater 
e 
le 
riflessioni 
sulla 
rilevanza 
generale 
assunta 
dall’elenco 
istat 
si 
riconnettono 
anche 
ad 
un’altra 
questione, 
inerente 
la 
difficile 
posizione, 
in 
equilibrio 
precario 
tra 
ordinamento 
nazionale 
e 
sovranazionale, in cui 
si 
è 
venuto a 
trovare 
l’istat, in relazione 
proprio al



DOttRinA 
259 


l’evoluzione 
dell’elenco 
ed 
alla 
complessità 
determinatasi. 
Rispetto 
alla 
natura 
ed agli 
effetti 
di 
tale 
elenco si 
può parlare 
ormai 
di 
una 
vera 
e 
propria 
ambivalenza, 
nella 
misura 
in 
cui, 
nella 
prospettiva 
comunitaria, 
l’elenco 
è 
soltanto 
un documento statistico-contabile 
redatto dall’istat 
e 
trasmesso alla 
Commissione 
europea 
(eurostat) 
in 
adempimento 
degli 
obblighi 
comunicativi 
sui 
dati 
sull’indebitamento netto e 
sul 
debito delle 
amministrazioni 
pubbliche; 
nella 
prospettiva 
nazionale, 
invece, 
come 
dimostrato, 
tale 
documento 
ha 
assunto 
ben 
altra 
rilevanza, 
generale 
e 
sistematica, 
configurandosi 
come 
vero 
e 
proprio 
provvedimento amministrativo. Da 
un punto di 
vista 
sovranazionale 
(esclusivamente 
statistico-contabile), 
la 
redazione 
dell’elenco 
da 
parte 
dell’istat 
è 
sottoposta 
al 
controllo 
dell’eurostat, 
che 
vigila 
sulla 
corretta 
applicazione 
dei 
criteri 
previsti 
dal 
Sec 
nell’ambito 
del 
processo 
di 
excessive 
Deficit 
Procedure; 
da 
un punto di 
vista 
nazionale 
(amministrativistico), invece, l’elenco istat, in 
quanto provvedimento amministrativo da 
cui 
scaturiscono una 
molteplicità 
di 
effetti 
giuridici, configurandosi 
per questo la 
possibilità 
di 
ledere 
una 
situazione 
soggettiva 
di 
interesse 
legittimo, è 
necessariamente 
sottoposto al 
sindacato 
giurisdizionale 
di 
un 
giudice, 
sia 
esso 
la 
Corte 
dei 
conti 
o, 
più 
correttamente, il giudice amministrativo. 

ebbene, 
non 
è 
difficile 
immaginare 
le 
situazioni 
di 
tensione 
e 
conflitto 
che 
possono 
crearsi, 
soprattutto 
alla 
luce 
della 
complessità 
della 
materia, 
dato 
che 
non 
sempre, 
sulla 
base 
dei 
criteri 
stabiliti 
dal 
Sec, 
è 
automatica 
ed 
immediata 
l’inclusione 
di 
un 
soggetto 
nell’elenco 
o 
la 
sua 
collocazione 
statistica 
in 
uno 
dei 
vari 
sotto-insiemi 
previsti, 
anzi, 
il 
contenzioso 
in 
materia 
dimostra 
il 
contrario 
(10). 
nei 
casi 
più 
complessi 
ben 
può 
esserci 
discordanza 
tra 
la 
posizione 
assunta 
dall’eurostat 
sulla 
qualificazione 
statistica 
di 
un 
soggetto 
in 
applicazione 
dei 
parametri 
Sec 
e 
la 
sentenza 
del 
giudice 
nazionale 
sul 
ricorso 
del 
medesimo 
soggetto 
avverso 
l’inclusione 
nell’elenco 
sulla 
base 
degli 
stessi 
parametri. 


Si 
comprende 
la 
situazione 
di 
criticità 
denunciata 
dall’istat 
in tali 
ipotesi 
(11), 
in 
cui, 
da 
un 
lato, 
vi 
è 
l’indicazione 
dell’eurostat 
a 
favore 
dell’inclusione 
del 
soggetto nell’elenco, dall’altro, in modo diametralmente 
opposto, la 
sen


(10) nota 
istat 
prot. 2019440/20 del 
20/10/2020, “Come 
noto, l’inserimento di 
taluni 
Enti 
nel-
l’Elenco de 
quo ha determinato, nel 
corso degli 
anni, l’attivazione 
di 
numerosi 
contenziosi 
dinanzi 
al 
Giudice 
contabile, con il 
conseguente 
affermarsi 
di 
un orientamento giurisprudenziale 
sfavorevole 
all’Istituto 
e 
diretto 
all’esclusione 
dall’Elenco 
stesso, 
per 
effetto 
di 
pronuncia 
giudiziale, 
di 
soggetti 
o 
categorie 
di soggetti che hanno un peso significativo sui conti pubblici”. 
(11) nota 
istat 
prot. 2019440/20 del 
20/10/2020, in cui 
l’istat 
afferma 
“Lo scrivente 
Istituto ha 
altresì 
rappresentato le 
criticità derivanti 
dalla pubblicazione 
in Gazzetta Ufficiale 
dell’Elenco delle 
Amministrazioni 
pubbliche 
ai 
sensi 
dell’articolo 1, comma 3, Legge 
31 dicembre 
2009, n. 196 (Legge 
di 
contabilità e 
di 
finanza pubblica)” 
aggiungendo poi 
che 
“questi 
sviluppi 
rischiano di 
moltiplicare 
i 
casi 
di 
ricorso avverso l’inclusione 
in Lista da parte 
di 
altri 
Enti, con il 
rischio di 
rendere 
sempre 
più̀ 
incerta la natura della classificazione 
e, con essa, la solidità del 
processo di 
definizione 
statistica dei 
conti”. 

RASSeGnA 
AVVOCAtURA 
DeLLO 
StAtO -n. 1/2021 


tenza 
del 
giudice 
nazionale 
che 
dispone 
l’esclusione 
dello stesso dall’elenco; 
da 
un lato, escludendo dall’elenco un soggetto che 
l’eurostat 
ritiene 
si 
debba 
includere, 
producendosi 
un’incoerenza 
rispetto 
ai 
criteri 
statistici, 
c’è 
il 
rischio 
di 
una 
riserva 
sui 
conti 
pubblici 
con 
gravi 
conseguenze 
sulla 
credibilità 
delle 
statistiche 
di 
finanza 
nazionale; 
dall’altro, 
includendo 
nell’elenco 
un 
soggetto 
che 
secondo 
il 
giudice 
nazionale 
non 
vi 
dovrebbe 
rientrare, 
si 
determina 
la 
violazione 
di 
un 
giudicato, 
il 
mancato 
adempimento 
di 
un 
ordine 
dell’autorità 
giudiziaria. 

Queste 
ipotesi 
critiche 
non sono casi 
di 
scuola, ma 
si 
sono già 
verificate 
nella prassi. 

È 
da 
segnalare 
che 
di 
recente 
si 
è 
verificata 
una 
vicenda 
di 
questo 
genere, 
iniziata 
con la 
pubblicazione 
dell’elenco 2020 nella 
Gazzetta 
Ufficiale 
della 
Repubblica 
italiana, serie 
generale 
242 del 
30 settembre, nel 
quale 
l’istat, seguendo 
le 
indicazioni 
dell’eurostat, ha 
inserito diverse 
unità 
che 
avevano già 
impugnato 
l’inclusione 
dinanzi 
al 
Giudice 
contabile, 
ottenendo 
l’accoglimento 
del 
ricorso (12) e 
che 
di 
conseguenza 
non sarebbero dovute 
essere 
collocate 
nell’elenco. 
L’istat, 
nonostante 
le 
sentenze 
della 
Corte 
dei 
conti, 
ha 
egualmente 
inserito 
tali 
soggetti 
nell’elenco, 
giustificando 
l’inclusione 
con 
una 
nota 
esplicativa 
pubblicata 
sul 
sito istituzionale 
(13) in cui 
si 
poneva 
l’accento sulla 
natura 
strettamente 
contabile 
di 
tale 
collocazione 
e 
sulla 
posizione 
espressa 
dall’eurostat, 
sottolineandone 
il 
ruolo 
in 
materia. 
A 
fronte 
di 
ciò, 
taluni 
dei 
soggetti 
interessati 
hanno 
notificato 
atti 
di 
diffida 
all’istituto 
(cfr. 
atto 
di 
diffida 
della 
Fondazione 
Accademia 
nazionale 
di 
S. 
Cecilia 
del 
14 
ottobre 
2020 
e 
atto 
di 
diffida 
della 
Fondazione 
teatro 
alla 
Scala 
di 
milano 
del 
15 
ottobre 
2020) 
diretti 
ad 
ottenere 
l’immediata 
cancellazione 
dall’elenco 
2020, 
asserendo 
l’avvenuta 
violazione, attraverso il 
loro reinserimento, della 
decisione 
della 
Corte 
dei 
conti 
ed un mancato adempimento da 
parte 
dell’istat 
ad un ordine 
dell'Autorità 
giudiziaria. 
A 
seguito 
di 
tali 
atti 
ed 
in 
ragione 
dell’evoluzione 
della 
vicenda, 
l’istat 
ha 
annullato 
il 
precedente 
elenco, 
pubblicandone 
uno 
nuovo 
senza 
i 
soggetti 
in 
questione, 
in 
ottemperanza 
alle 
decisioni 
del 
Giudice 
contabile. 
L’istat, 
però, 
ha 
colto 
l’occasione 
per 
sottolineare 
con 
forza 
la 
complessità 
della 
situazione 
in cui 
è 
venuto a 
trovarsi, invitando gli 
attori 
istituzionali 
a 
porre 
in 
essere 
una 
riflessione 
comune 
per 
addivenire 
ad 
una 
soluzione del problema (14). 

(12) 
Si 
vedano 
le 
già 
citate 
sentenze 
1/2020/RiS-Fondazione 
teatro 
della 
Scala 
milano, 
25/2020/RiS- Fondazione 
Accademica nazionale Santa Cecilia. 
(13) 
nella 
nota 
istat 
prot. 
1785593/20 
del 
9/9/2020 
si 
legge 
che 
“Dal 
punto 
di 
vista 
statistico 
esse 
sono incluse 
nel 
perimetro delle 
unità che 
concorrono alla compilazione 
del 
conto economico consolidato 
delle 
Amministrazioni 
pubbliche 
secondo i 
criteri 
stabiliti 
dal 
SEC, così 
come 
discusso e 
concordato 
con Eurostat 
che 
vigila sulla corretta applicazione 
di 
tali 
criteri 
nell’ambito del 
processo EDP 
(Excessive Deficit Procedure)”. 
(14) 
nota 
istat 
prot. 
2019440/20 
del 
20/10/2020, 
“Si 
ribadisce 
l’urgenza 
di 
attivare 
una 
riflessione 

DOttRinA 
261 


Occorre 
qui 
sottolineare 
che 
attualmente 
la 
soluzione 
non 
può 
certamente 
essere 
la 
sottrazione 
dell’elenco 
a 
qualsiasi 
controllo 
giurisdizionale, 
come 
pur 
inizialmente 
si 
era 
inteso 
fare, 
ponendosi 
l’accento 
sulla 
natura 
prettamente 
statistico-contabile 
del 
documento e 
sull’esclusiva 
rilevanza 
sovranazionale. 
non 
a 
caso, 
l’istat, 
sulla 
base 
degli 
stessi 
argomenti, 
nella 
vicenda 
richiamata, 
non ha 
inizialmente 
dato seguito alle 
sentenze 
della 
Corte 
dei 
conti. Si 
comprende 
che 
l’esclusione 
del 
controllo 
giurisdizionale 
possa 
semplificare 
la 
fattispecie 
e 
che 
si 
sia 
tentati 
dal 
leggere 
in 
questa 
direzione 
l’art. 
23-quater, 
ma, 
allo 
stato 
dei 
fatti, 
per 
la 
rilevanza 
dell’elenco 
istat 
e 
gli 
effetti 
giuridici 
interni 
ad esso connessi, l’unica 
lettura 
conforme 
a 
Costituzione 
dell’art. 23-quater 
è 
quella 
che 
riconduce 
la 
giurisdizione 
sull’inclusione 
nell’elenco 
all’alveo 
della 
giurisdizione 
amministrativa, 
non 
potendosi 
in 
alcun 
modo 
sostenere 
che 
si 
sia escluso il controllo giurisdizionale. 


Se 
si 
intende 
sottrarre 
l’elenco 
al 
controllo 
giurisdizionale 
per 
evitare 
contrasti 
con 
la 
Commissione 
europea 
in 
una 
materia 
delicata 
come 
quella 
dei 
conti 
pubblici, 
non 
si 
può 
partire, 
a 
valle, 
dalla 
giurisdizione, 
ma 
si 
deve 
partire, 
a 
monte, 
dagli 
effetti 
connessi 
all’elenco. 
L’interesse 
ad 
impugnare 
è 
solo 
una 
conseguenza 
degli 
effetti 
giuridici 
che 
scaturiscono 
da 
tale 
atto. 
D’altronde, 
è 
proprio 
in 
ragione 
dell’estensione 
di 
tali 
effetti 
al 
di 
là 
della 
materia 
contabile 
che 
si 
è 
sostenuto 
essere 
sistematicamente 
più 
corretto 
attualmente 
ricondurre 
le 
controversie 
intorno 
all’elenco 
istat 
alla 
giurisdizione 
amministrativa. 


Se 
si 
rimuovessero 
gli 
effetti 
giuridici 
interni 
connessi 
all’elenco, 
riconducendolo 
ad 
una 
dimensione 
meramente 
statistica, 
si 
potrebbe 
ipotizzare 
che 
soggetti 
inseriti 
al 
suo 
interno 
non 
avrebbero 
più 
interesse 
ad 
impugnare 
la 
propria 
inclusione 
e, 
ove 
lo 
facessero, 
il 
ricorso 
sarebbe 
dichiarato 
inammissibile 
per 
carenza 
di 
interesse 
ad 
agire. 
Per 
far 
ciò, 
allora, 
innanzitutto 
bisognerebbe 
evitare 
che 
l’ordinamento 
faccia 
riferimento 
all’elenco 
per 
l’individuazione 
dei 
soggetti 
cui 
applicare 
obblighi 
amministrativo-contabili. 
Poi, 
bisognerebbe 
costruire 
una 
nozione 
generale 
di 
pubblica 
amministrazione, 
magari 
attraverso 
un 
intervento 
legislativo, 
svincolandola 
dai 
criteri 
contabili 
del 
Sec 
e 
delineandola 
sulla 
base 
di 
un 
regime 
giuridico 
comune 
anche 
minimale, 
una 
serie 
di 
effetti 
giuridici 
interni 
certamente 
connessi 
al-
l’attribuzione 
di 
tale 
qualifica, 
su 
cui 
poi 
costruire 
i 
variegati 
regimi 
dei 
diversi 
soggetti 
pubblici. 


Si 
deve 
riconoscere, però, che, pur agendo in questa 
direzione, si 
è 
molto 
scettici 
sulla 
possibilità 
di 
riuscire 
a 
limitare 
gli 
effetti 
connessi 
all’inclusione 
nell’elenco fino al 
punto in cui 
potrebbe 
dirsi 
non sussistente 
un interesse 
alla 
sua 
impugnazione. Ciò perché, pur ammettendo si 
riesca 
ad invertire 
il 
trend 


congiunta al 
fine 
di 
addivenire 
alla formulazione 
di 
proposte 
condivise 
che 
tengano conto del 
quadro 
sopra delineato e dell’attuale situazione di impasse per l’Istituto e per il Paese”. 



RASSeGnA 
AVVOCAtURA 
DeLLO 
StAtO -n. 1/2021 


interno ed a 
restringere 
gli 
effetti 
prettamente 
nazionali 
connessi 
all’elenco, 
questo comunque 
continuerebbe 
ad essere 
un documento estremamente 
rilevante 
in ambito sovranazionale, cui 
si 
riconnetterebbero pur sempre 
degli 
incisivi 
effetti 
giuridici 
di 
natura 
contabile 
che, 
dato 
il 
livello 
di 
integrazione 
oramai 
raggiunto tra 
i 
due 
ordinamenti, soprattutto in questa 
materia 
(si 
pensi 
alla 
già 
richiamata 
costituzionalizzazione 
del 
principio dell’equilibrio di 
bilancio), 
non potranno che 
ripercuotersi 
anche 
nell’ordinamento nazionale. La 
tesi 
della 
rilevanza 
esclusivamente 
statistico-contabile 
e 
sovranazionale 
del-
l’elenco 
può 
essere 
posta 
a 
fondamento 
della 
scelta 
tra 
la 
giurisdizione 
del 
Giudice 
contabile 
e 
quella 
del 
Giudice 
amministrativo, ma 
non può in alcun 
modo giustificare 
la 
sottrazione 
generale 
al 
controllo giurisdizionale. Anche 
laddove 
si 
sposasse 
la 
prospettiva 
comunitaria 
del 
documento statistico-contabile, 
non si 
potrebbe 
negare 
la 
rilevanza 
degli 
effetti 
giuridici 
connessi 
ad 
esso che, pur se 
solo contabili 
e 
non generali, sarebbero egualmente 
estremamente 
rilevanti 
e 
solleverebbero un’innegabile 
esigenza 
di 
tutela. essere 
inseriti 
nell’elenco, 
comporterebbe 
ad 
ogni 
modo 
la 
partecipazione 
al 
conto 
economico consolidato e, di 
conseguenza, la 
necessaria 
sottoposizione 
ad obblighi 
informativi 
e 
comunicativi 
inerenti 
i 
propri 
bilanci, 
ma 
soprattutto 
l’obbligo 
del 
rispetto 
del 
principio 
dell’equilibrio 
di 
bilancio 
oltre 
che 
per 
il 
disposto 
interno 
degli 
articolo 
81 
e 
97 
Cost., 
pur 
sempre 
in 
virtù 
del 
diritto 
comunitario. 
Se 
così 
non 
fosse, 
perderebbe 
di 
connotazione 
giuridica 
l’intera 
attività 
di 
valutazione 
e 
controllo della 
contabilità 
pubblica 
nazionale 
posta 
in 
essere dalla Commissione europea. 

Dunque, anche 
ove 
si 
espungessero dall’ordinamento interno tutti 
i 
riferimenti 
all’elenco 
e 
si 
costruisse 
una 
nozione 
generale 
di 
pubblica 
amministrazione, 
la 
sottoposizione 
ai 
suddetti 
obblighi 
comunicativi 
ed informativi 
e 
l’obbligo del 
rispetto del 
principio di 
equilibrio di 
bilancio sarebbero comunque 
effetti 
giuridici 
troppo rilevanti 
per potere 
ipotizzare 
una 
sottrazione 
del-
l’elenco 
istat 
al 
controllo 
giurisdizionale, 
a 
prescindere 
dalla 
connotazione 
che 
gli si intende attribuire. 


Forse, 
l’unica 
soluzione 
al 
problema 
è 
prendere 
atto 
della 
complessità 
della 
fattispecie 
derivante 
dal 
livello di 
integrazione 
raggiunto tra 
criteri 
economico-
statistici 
e 
concetti 
giuridici, 
della 
rilevanza 
assunta 
da 
tale 
elenco, 
tanto in ambito comunitario, quanto in ambito nazionale, tanto in ambito statistico-
contabile, quanto in ambito amministrativistico-generale 
e 
prevedere, 
pertanto, delle 
forme 
collaborative, di 
dialogo non solo tra 
istat 
ed eurostat, 
ma anche tra eurostat e Giudice nazionale. 



RECENSIONI
Fausto 
Capelli 
(*), 
evoluzione 
splendori 
e 
decadenza 
delle 
direttive 
comunitarie. 
impatto 
della 
direttiva 
Ce 
n. 
2006/123 
in 
materia di servizi: il caso delle concessioni balneari. 


(EditorialE 
SciEntifica, 2021) 


In Memoria 


l'autore 
e 
l'Editore 
dedicano 
questo 
libro 
alla 
memoria 
del 
Prof. 
GiuSEPPE 
tESauro 
in 
segno 
di 
riconoscimento 
e 
di 
ringraziamento 
per 
i 
Suoi 
fondamentali 
contributi 
all'approfondimento 
del 
diritto dell'unione 
europea, come 
studioso e 
Professore 
universitario 
e 
alla sua affermazione 
in italia e 
in Europa come 
avvocato 
Generale 
della corte 
di 
giu stizia, Presidente 
dell'autorità 
Garante 
della con correnza e 
del 
mercato nonché 
come 
Giudice 
e Presidente della corte costituzionale italiana. 
la Sua amicizia della quale 
ci 
ha onorato in vita continuerà a 
vivere come duraturo ricordo nella nostra memoria. 


Milano - Napoli, 6 luglio 2021 


Fausto Capelli 
Mario De Dominicis 


avvertenza 


Nella 
prima 
parte 
del 
libro vengono sottoposte 
ad una 
valutazione 
critica 
le 
sentenze 
della 
Corte 
di 
giustizia 
sulla 
portata 
e 
sull'efficacia 
delle 
direttive 
comunitarie, 
la 
cui 
evoluzione 
viene 
analizzata 
seguendo 
il 
percorso 
della 
giu


(*) Professore 
di 
Diritto dell'Unione 
europea 
al 
Collegio europeo/Università 
di 
Parma; 
Direttore 
della 
rivista 
"Diritto 
comunitario 
e 
degli 
scambi 
internazionali" 
e 
Condirettore 
della 
"Rivista 
giuridica 
del-
l'ambiente"; 
Avvocato in Milano, specializzato in diritto dell'Unione 
europea 
e 
in diritto internazionale. 



RAssEGNA 
AVVoCATURA 
DELLo 
sTATo -N. 1/2021 


risprudenza 
pronunciata 
dalla 
Corte 
a 
partire 
dai 
primi 
anni 
'70 
del 
secolo 
scorso fino ai giorni nostri. 


Il 
titolo della 
prima 
parte 
fa 
riferimento ai 
"difetti 
della 
giurisprudenza" 


(1) 
per 
significare 
che, 
nel 
corso 
di 
quarant’anni, 
la 
giurisprudenza 
della 
Corte 
di 
giustizia 
è 
stata 
influen zata 
da 
motivi 
di 
carattere 
politico che 
ancora 
oggigiorno 
continuano ad incidere sulle sue decisioni. 
Al 
termine 
della 
prima 
parte 
del 
libro 
vengono 
pertanto 
svolte 
alcune 
considerazioni 
che 
intendono contribuire 
all'attività 
di 
ricerca 
di 
rimedi 
adeguati 
in grado di ovviare agli inconvenienti che tuttora perdurano. 


La 
seconda 
parte 
del 
libro è 
invece 
dedicata 
alla 
direttiva 
Ce 
n. 2006/123 
sui 
servizi, 
la 
cosiddetta 
direttiva 
Bolkestein, 
e 
rappresenta 
una 
critica 
frontale 
e 
radicale 
contro 
la 
pretesa 
di 
applicare 
tale 
direttiva 
alle 
concessioni 
balneari. 


Tale 
critica 
è 
sviluppata 
nel 
Capitolo II della 
seconda 
parte 
del 
libro che 
è redatto in modo semplice prestandosi ad un'agevole lettura. 


Milano, 3 agosto 2021 


F. C. 
(1) Il 
titolo della 
prima 
parte 
del 
libro si 
ispira 
a 
quello della 
celebre 
opera 
di 
Ludovico Antonio 
Muratori 
(1672-1750) "dei 
difetti 
della giurisprudenza" 
(Venezia, editore 
Giambattista 
Pasquali, 1742) 
unicamente per un aspetto. 
Come 
è 
noto 
L.A. 
Muratori 
lamentava 
che 
le 
decisioni 
giurisprudenziali, 
pronunciate 
nel 
corso 
del 
tempo, avessero alterato il 
significato originario delle 
norme 
romane 
del 
corpus 
iuris 
civilis, incoraggiando 
un 
indirizzo 
diverso 
da 
quello 
autentico. 
La 
stessa 
critica 
viene 
sollevata 
nella 
prima 
parte 
di 
questo libro per sostenere 
che 
la 
giurisprudenza 
della 
Corte 
di 
giustizia 
si 
è 
discostata 
dall'indirizzo originario 
fissato dalle 
norme 
del 
Trattato di 
Roma. E, come 
dice 
Aristotele 
nel 
"trattato sul 
cielo", «il 
discostarsi 
in 
partenza, 
anche 
di 
poco, 
dalla 
vera 
origine, 
si 
moltiplica 
all'infinito, 
via 
via 
che 
si 
procede». 

RECENsIoNI 
265 


si pubblicano degli estratti segnalati dall’Autore: 


«l’argomento 
più 
importante 
a 
favore 
delle 
tesi 
sostenute 
nel 
libro 
si 
trova 
alle 
pp. 
123-124. 
Gli 
argomenti 
più 
interessanti 
de 
jure 
condendo 
si 
trovano 
alle pp. 156-161». 


(pp. 123-124) 


(...) 


È 
da 
ritenere 
pertanto 
che 
il 
Commissario 
Bolkestein 
non 
abbia, 
a 
ragione, 
considerato 
di 
dover 
applicare 
la 
direttiva 
sui 
servizi 
alle 
concessioni 
balneari, 
come 
sopra 
riferito. Forse, inconsapevolmente, egli 
ha 
avuto l'intuizione 
giu sta. 
Infatti, l'applicazione 
della 
direttiva 
sui 
servizi 
alle 
con cessioni 
balneari 
avrebbe 
necessariamente 
determinato un'ar monizzazione 
nel 
settore 
del 
turismo, 
incidendo 
sulle 
legislazioni 
degli 
stati 
membri 
in 
aperta 
violazione 
della 
lettera e dello spirito dell'art. 195 TFUE 
(25). 


3. VALUTAzIoNI 
CoNCLUsIVE 
È 
quindi 
incredibile 
che 
in sede 
europea 
non si 
sia 
pen sato di 
analizzare 
e 
valutare, 
non 
appena 
entrata 
in 
vigore 
nel 
2009, 
la 
norma 
del 
Trattato 
sul 
funzionamento 
dell'Unione 
europea 
(TFUE) 
contenuta 
nell'art. 
195, 
che 
oltretutto 
è 
scritta 
in modo semplice, chiaro e 
conciso così 
da 
po ter essere 
da 
tutti 
compresa. 


Il 
par. 
1 
dell'art. 
195 
TFUE 
stabilisce 
infatti 
che: 
«l'unione 
completa 
l'azione 
degli 
Stati 
membri 
nel 
settore 
del 
turismo, 
in 
particolare 
promuovendo 
la competitività delle imprese dell'unione in tale settore». 


E 
non è 
forse 
per promuovere 
la 
competitività 
fra 
i 
po tenziali 
destinatari 
delle 
concessioni 
balneari 
che 
i 
burocrati 
hanno 
costretto 
nel 
2009 
l'Italia, 
dopo 
l'avvio 
della 
prima 
procedura 
di 
infrazione 
(P.I. 
200/4908), 
a 
sopprimere 
il 
«diritto di 
insistenza» allo scopo di 
imporre 
una 
procedura 
di 
gara 
fra 
i 
vari 
candidati concorrenti che aspiravano ad ottenere le concessioni? 


Al 
momento della 
soppressione 
del 
«diritto di 
insisten za» (30 dicembre 
2009) era 
però già 
in vigore, dal 
1° 
dicembre 
2009, il 
Trattato sul 
funzionamento 
dell'Unione 
europea 
(TFUE) il 
cui 
art. 195, par. 2, categoricamente 
e 
chiaramente 
stabilisce: 
«il 
Parlamento 
europeo 
e 
il 
consiglio, 
deliberando 
secondo la procedura legislativa ordinaria, sta biliscono le 
misure 
specifiche 
destinate 
a completare 
le 
azioni 
svolte 
negli 
Stati 
membri 
al 
fine 
di 
realizzare 
gli 
obiettivi 
di 
cui 
al 
presente 
articolo, 
ad 
esclusione 
di 
qualsiasi 
armonizzazione 
delle 
disposizioni 
legislative 
e 
regolamentari 
degli 
Stati 
membri». 


È 
pacifico che 
le 
disposizioni 
contenute 
negli 
articoli 
da 
9 a 
13 della 
di


(25) Cfr. M. oNIDA, nuovo trattato sul 
funzionamento dell'uE, politica del 
turismo e 
tutela ambientale: 
un'occasione mancata, in rivista giuridica dell'ambiente, 2011, p. 356. 

RAssEGNA 
AVVoCATURA 
DELLo 
sTATo -N. 1/2021 


rettiva 
sui 
servizi 
-se 
applicate 
alle 
concessioni 
balneari 
-armonizzerebbero 
le 
procedure 
nazionali 
che 
gli 
stati 
membri 
applicano nel 
settore 
del 
turismo. 


Ciò appare 
però assolutamente 
vietato dall'art. 195, secondo paragrafo, e 
a 
tale 
divieto 
le 
Istituzioni 
europee 
non 
potrebbero 
sottrarsi 
neppure 
invocando 
l'art. 
352 
TFUE 
sopra 
richiamato, 
perché 
il 
par. 
3 
dell'art. 
352 
impedisce 
l'adozione 
di 
qualunque 
disposizione 
europea 
che 
abbia 
come 
scopo di 
introdurre 
un'armonizzazione vietata espressamen te dal 
Trattato. 


Da 
ciò si 
deduce 
che 
nel 
settore 
del 
turismo le 
Istituzio ni 
comunitarie 
devono 
soltanto seguire 
gli 
indirizzi 
tracciati 
dagli 
stati 
membri 
accompagnandoli 
nella 
loro 
politica. 
E 
anche 
nei 
casi 
nei 
quali 
le 
Istituzioni 
europee 
avessero 
ritenuto 
di 
poter 
suggerire 
qualche 
semplice 
Piano 
d'azione 
comunitaria 
a 
favore 
del 
turismo, come 
è 
avvenuto con il 
Piano d'Azione 
triennale 
(1993-1995), 
esse 
avrebbero 
dovuto 
far 
ricorso 
alle 
deliberazioni 
adottate 
all'unanimità 
(cfr. 
Decisione 
n. 
92/411 
in 
Guce 
n. 
L 
231/1992) 
fondando 
le 
loro decisioni 
sull'art. 235 del 
Trattato sulle 
Comunità 
europee 
(poi 
divenuto 
art. 352 TFUE). 


In conclusione, nel 
2009, quando era 
già 
in vigore 
l'art. 195 del 
Trattato 
sul 
funzionamento 
dell'Unione 
europea 
(art. 
195, 
par. 
2 
e 
art. 
352, 
par. 
3) 
l'Italia 
è 
stata 
indotta 
a 
mo dificare 
una 
norma 
del 
Codice 
della 
navigazione 
che 
appariva 
del 
tutto legittima 
secondo l'ordinamento nazionale 
e 
secondo l'ordinamento 
europeo (26). 


(26) Per tracciare 
un parallelo, in casi 
analoghi 
la 
Federazione 
degli 
stati 
Uniti 
d'America 
che 
è 
uno stato sovrano da 
quasi 
due 
secoli 
e 
mezzo, non avrebbe 
mai 
potuto pretendere 
di 
interferire 
nella 
gestione 
delle 
aree 
destinate 
agli 
stabilimenti 
balneari 
di 
proprietà 
degli 
stati 
federati 
come 
la 
Florida 
o 
la California. 

RECENsIoNI 
267 


(pp. 156-161) 


e. Disciplina e trattamento "de jure condendo" 
Identificata 
la 
disciplina 
applicabile, 
sotto 
il 
profilo 
giuridico, 
a 
questa 
categoria 
di 
concessioni, occorre 
ora 
individuare 
la 
disciplina 
ad essa 
applicabile 
anche sotto il profilo economico. 


Poiché 
si 
tratta 
di 
un tipo di 
concessione 
in grado di 
permettere 
al 
concessionario 
di 
esercitare 
un’impresa 
che 
gli 
procura 
redditi, utilizzando beni 
ubicati 
in aree 
demaniali, appartenenti 
al 
concedente, vale 
a 
dire 
allo stato e, 
quindi, alla 
collettività, appare 
logico e 
corretto che 
il 
concedente, vale 
a 
dire 
lo 
stato, 
ottenga 
un'adeguata 
remunerazione 
proporzionata 
ai 
benefici 
percepiti 
dal 
concessionario, even tualmente 
devolvibile 
ad Enti 
no-profit 
che 
erogano 
benefici alla collettività. 


Per questo, nel 
caso in cui 
l'impresa 
non venga 
gestita 
dal 
concessionario 
in modo adeguato (profittevole 
e 
sostenibile), il 
concedente, che 
ha 
un interesse 
al 
buon funzionamento dell’impresa, può sollecitare 
adattamenti, modifiche 
fino 
alla 
comunicazione 
della 
revoca 
della 
concessione 
per 
uno 
dei 
motivi 
in precedenza 
esposti 
ricorrendo alla 
selezione 
di 
un nuovo concessionario 
tramite 
la 
messa 
in gara, della 
concessione 
mediante 
una 
procedura 
di 
evidenza pubblica. 


La 
soluzione 
appena 
ipotizzata 
ricalca, 
per 
certi 
versi, 
il 
modello 
tracciato 
dal 
Disegno di 
legge 
n. 2031 comunicato il 
24 febbraio 2010 alla 
Presidenza 
del senato contenente la «Delega per la modifica del codice civile in materia 
di 
beni 
pubblici» 
(23), nel 
quale 
le 
«spiagge» e 
le 
«rade» sono classificate 
fra 
i 
beni di «appartenenza pubblica necessaria». 


In tale 
disegno di 
legge 
si 
stabilisce 
che: 
«1) tutte 
le 
utilizzazioni 
di 
beni 
pubblici 
da parte 
di 
un soggetto privato devono comportare 
il 
pagamento di 
un 
corrispettivo 
rigorosamente 
proporzionale 
ai 
vantaggi 
che 
può 
trarne 
l'utilizza tore 
individuato attraverso il 
confronto fra più offerte; 2) nella valutazione 
delle 
offerte, anche 
in occasione 
del 
rinnovo, si 
dovrà in ogni 
caso tenere 
conto 
dell'impatto 
sociale 
ed 
ambientale 
dell'utilizzazione; 
3) 
la 
gestione 
dei 
beni 
pubblici 
deve 
assicurare 
un'adeguata manutenzione 
e 
un idoneo sviluppo 
anche in relazione al mutamento delle esigenze di servizio». 


Viene 
inoltre 
precisato che 
i 
corrispettivi 
percepiti 
dallo stato a 
titolo di 
remunerazione «non possono essere imputa ti a spesa corrente». 


Come 
si 
vede, pertanto, la 
soluzione 
qui 
proposta 
appare 
del 
tutto equa 
e 
ragionevole 
e 
potrebbe 
essere 
applicata 
alle 
concessioni 
balneari 
della 
prima 
categoria 
con 
tutti 
gli 
adattamenti 
che 
saranno 
ritenuti 
opportuni 
dopo 
aver 
sotto posto la materia ad una pubblica discussione. 


(23) 
Reperibile 
all'indirizzo 
internet 
https://www.senato.it/service/PDF/PDFserver/DF/21 
7244.pdf. 

RAssEGNA 
AVVoCATURA 
DELLo 
sTATo -N. 1/2021 


2. LE 
CoNCEssIoNI 
DELLA 
sECoNDA 
CATEGoRIA 
a. aspetti economici 
Per 
quanto 
riguarda 
invece 
le 
concessioni 
della 
seconda 
categoria, 
diverse, 
quindi, dalle 
concessioni 
relative 
alle 
imprese, in quanto identificabili 
come 
normali 
concessioni 
di 
aree 
libere 
da 
impianti 
fissi 
o da 
strutture 
difficilmente 
amovibili, 
nelle 
quali 
il 
concessionario 
non 
ha 
effettuato 
investimenti 
di 
rilievo, 
il 
corrispettivo 
per 
l'utilizzo 
dell'area 
non 
dovrebbe 
essere 
rapportato 
ai 
vantaggi 
ottenuti 
dal 
concessionario 
ma, 
seguendo 
il 
criterio 
attualmente 
applicato in Italia, dovrebbe 
consistere 
in un canone 
calcolato in misura 
fissa 
e parametrato alla dimensione dell'area data in concessione 
(24). 


Il 
canone 
potrebbe 
eventualmente 
essere 
determinato con riferimento a 
tre 
diversi 
livelli 
(ad 
esempio: 
A, 
B, 
C) 
a 
seconda 
del 
pregio 
dell'area 
concessa, 
ma 
sempre 
si 
tratterà, per ciascun livello, di 
un canone 
fisso (x euro per metro 
quadrato) parametrato alla dimensione dell'area oggetto della concessione. 


Detto 
questo, 
per 
quanto 
riguarda 
gli 
aspetti 
economici, 
occorre 
anche 
trovare 
una 
soluzione 
adeguata 
relativamente 
alla 
disciplina 
giuridica 
da 
applicare 
a queste concessioni. 


b. Disciplina giuridica 
Considerati 
i 
criteri 
applicabili 
sotto il 
profilo economico, appaiono evidenti 
i 
problemi 
che 
si 
pongono per l'aggiu dicazione 
delle 
concessioni 
appartenenti 
a questa seconda categoria. 


se 
l'aggiudicazione 
spetta 
al 
vincitore 
selezionato 
in 
una 
gara 
organizzata 
tramite 
una 
procedura 
di 
evidenza 
pubblica, 
ci 
si 
rende 
subito 
conto 
che 
manca, 
per 
lo 
svolgimento 
della 
gara, 
l'elemento 
economico 
determinante, 
costituito 
dalla 
variabilità 
dell'offerta, 
che 
risulta 
esclusa 
dall'immutabilità 
del 
canone 
fissato 
in 
modo 
uguale 
per 
tutti 
i 
candidati 
e 
calcolato 
secondo 
gli 
stessi 
criteri per le (rispettive) concessioni messe in gara. 


Per quanto riguarda 
la 
possibilità 
di 
tener conto di 
altri 
dati 
significativi 
riferiti 
alle 
offerte, appare 
evidente 
la 
loro scarsa 
rilevanza 
ai 
fini 
della 
gara, 
dipendendo 
il 
possesso 
di 
tali 
dati 
da 
prescrizioni 
legislative 
ed 
amministrative 
imposte 
per 
legge 
a 
tutti 
i 
candidati 
per 
ragioni 
di 
ordine 
pubblico, 
di 
carattere 
sanitario, di carattere sociale, di tutela dell'ambiente etc. 


Ne 
consegue 
che 
occorrerebbe 
trovare 
una 
soluzione 
del 
tutto 
nuova 
e 
diversa da quelle finora sperimentate. 


se 
pensiamo alla 
bellezza 
di 
certe 
località 
che 
godono di 
notevoli 
vantaggi, 
soprattutto economici, procurati 
dal 
tu rismo grazie 
a 
paesaggi 
incante


(24) Dal 
1° 
gennaio 2021, in base 
all'art. 100, comma 
2 del 
decreto-legge 
14 agosto 2020 n. 104 
convertito nella 
legge 
13 ottobre 
2020 n. 126 il 
canone 
e 
calcolato in misura 
fissa 
indipendentemente 
dal valore dei beni oggetto della Convenzione. 

RECENsIoNI 
269 


voli 
e 
a 
siti 
stupendi 
che 
la 
natura 
ha 
donato alla 
collettività 
di 
quella 
zona, 
appare 
equo 
e 
ragionevole 
che 
l’intera 
collettività 
possa 
beneficiare 
di 
tali 
vantaggi. 


Per questo occorrerebbe 
fare 
in modo che 
le 
concessioni 
fossero affidate 
ad Enti 
del 
Terzo settore, appartenenti 
alla 
società 
civile, che 
si 
impegnino a 
gestire 
le 
aree 
concesse 
con criteri 
economicamente 
sani, remunerando tutti 
i 
collaboratori 
nel 
rispetto delle 
disposizioni 
normative 
ed amministrative 
applicabili, 
ma 
ponendo a 
disposizione 
di 
organizzazioni 
e 
strutture 
pubbliche 
gli 
utili 
dell'attività 
che 
non siano stati 
messi, per legge, a 
riserva 
nel 
bilancio 
dell'Ente del 
Terzo settore interessato. 


Questi 
Enti 
dovrebbero, 
in 
tutte 
le 
località 
nelle 
quali 
operano, 
concordare 
con 
le 
autorità 
municipali 
competenti, 
le 
tariffe 
imponibili 
in 
modo 
da 
praticare 
prezzi 
equi 
e 
trasparenti 
agli 
utenti. 
Inoltre 
dovrebbero, 
in 
tutte 
le 
località 
nelle 
quali 
operano, 
garantire 
l'utilizzo 
di 
spiagge 
libere 
che 
si 
presentino 
al 
pubblico 
in modo decoroso. 


ovviamente 
questi 
sono suggerimenti 
de 
iure 
condendo 
per cui 
è 
aperta 
ogni discussione in proposito. 


Noi 
riteniamo utile 
aver fornito alcuni 
validi 
argomenti 
contribuendo ad 
aprire 
la 
discussione, con indicazione 
dei 
confini 
entro i 
quali 
la 
discussione 
potrà svilupparsi. 


3. LE 
CoNCEssIoNI 
REsIDUE 
oltre 
alle 
concessioni 
della 
prima 
categoria 
(concessioni 
di 
impresa) 
e 
alle 
concessioni 
della 
seconda 
categoria, so pra 
esaminate, è 
possibile 
ipotizzare 
anche una terza catego ria di concessioni. 


si 
potrebbe 
in effetti 
pensare 
all'istituzione 
di 
una 
categoria 
particolare 
di 
concessioni 
riguardanti 
le 
aree 
che 
ven gono utilizzate 
da 
vacanzieri 
dotati 
di 
mezzi 
di 
trasporto, 
come 
i 
"camper", 
che 
consentono 
loro 
di 
frequentare 
luoghi diversi con frequenti spostamenti. 


I 
gestori 
di 
queste 
aree 
devono 
fornire 
prestazioni 
ed 
assistenze 
particolari 
tenuto conto delle esigenze che manifestano i loro clienti. 


Per 
queste 
concessioni, 
pertanto, 
per 
le 
quali 
occorrerebbe 
pur 
sempre 
applicare 
un canone 
in misura 
fissa 
come 
per le 
concessioni 
della 
seconda 
categoria, 
si 
potrebbe 
prevedere 
anche 
un contributo aggiuntivo a 
favore 
dei 
comuni 
che 
devono provvedere 
al 
controllo dell'area 
interessata 
(per ragioni 
di 
ordine pubblico, tutela sanitaria, ambientale etc.). 


III. Valutazioni finali e conclusive 
Questo terzo capitolo, come 
ben si 
comprende, è 
orien tato in una 
direzione 
del 
tutto diversa 
rispetto a 
quella 
seguita 
dai 
primi 
due, perché 
non affronta 
questioni 
de jure con dito, bensì 
de jure condendo. 


Come 
abbiamo 
visto, 
le 
questioni 
de 
jure 
condito, 
esaminate 
nei 
primi 



RAssEGNA 
AVVoCATURA 
DELLo 
sTATo -N. 1/2021 


due 
capitoli 
sono state 
risolte 
interpretando le 
norme 
applicabili 
in modo da 
giungere 
a 
conclusioni 
completamente 
opposte 
a 
quelle 
alle 
quali 
è 
pervenuta 
la Commissione europea. 


Per 
quanto 
riguarda 
le 
soluzioni 
de 
jure 
condendo, 
suggerite 
in 
questo 
terzo 
capitolo, 
che 
giungono 
anch'esse 
a 
conclusioni 
del 
tutto 
opposte 
a 
quelle 
auspicate 
dalla 
Commissione 
europea, le 
stesse 
hanno anche, a 
nostro avviso, 
il 
pregio 
di 
essere 
più 
eque 
e 
ragionevoli 
di 
quelle 
che 
la 
Commissione 
europea 
vorrebbe realizzare. 


Le 
soluzioni 
suggerite 
infatti 
consentono allo stato italiano e 
alla 
collettività 
di ottenere i seguenti vantaggi: 


a. 
Per 
quanto 
riguarda 
le 
concessioni 
appartenenti 
alla 
prima 
categoria 
(concessioni relative ad imprese balneari) 
Lo 
stato 
italiano 
oltre 
al 
canone 
otterrebbe 
come 
corrispettivo 
per 
la 
concessione 
di 
un'impresa 
balneare 
una 
partecipazione 
agli 
utili, 
realizzati 
dal 
concessionario, 
proporzionali 
all'importo 
dei 
medesimi 
(che 
potrebbero 
essere 
devoluti in parte alla collettività locale). 


I 
titolari 
della 
concessione 
sarebbero 
incentivati 
a 
gestire 
l'impresa 
in 
modo efficiente 
e 
sostenibile 
per conseguire 
utili 
ragionevoli 
e 
per evitare 
la 
revoca della concessione. 


In 
caso 
di 
revoca 
della 
concessione 
o, 
comunque, 
in 
caso 
di 
rinnovo 
della 
stessa 
è 
prevista 
una 
procedura 
di 
evidenza 
pubblica 
rispettosa 
delle 
regole 
di 
trasparenza etc. 


b. 
Per quanto riguarda le concessioni della seconda categoria 
Lo 
stato 
continua 
a 
ricevere 
un 
canone 
fisso 
analogo 
a 
quello 
oggigiorno 
incassato 
e 
il 
concessionario 
continua 
a 
pagare 
un 
canone 
analogo 
a 
quello 
oggi versato. 


Chi 
si 
avvantaggia 
è 
la 
società 
civile 
e 
la 
collettività 
perché 
vengono 
promosse 
forme 
di 
cooperazione 
nuove 
con gli 
Enti 
del 
Terzo settore 
che, senza 
discriminare 
gli 
operatori 
impegnati 
nel 
settore, consentono loro di 
fornire 
il 
proprio 
contributo 
a 
favore 
dell'intera 
collettività 
e, 
quindi, 
a 
vantaggio 
di 
tutti 
i cittadini. 


c. 
Per quanto riguarda le concessioni della terza categoria 
Anche 
in questo caso tutti 
coloro che 
partecipano alle 
attività, rese 
possibili 
dalle 
concessioni, 
contribuiscono 
in 
modo 
equo 
al 
loro 
esercizio 
e 
ottengono 
vantaggi propor zionati ai contributi versati. 


In 
ogni 
caso, 
trattandosi, 
come 
già 
ricordato, 
di 
proposte 
de 
jure 
condendo, 
è 
consentito ovviamente 
a 
tutti 
gli 
in teressati 
di 
fornire 
ulteriori 
idee 
e 
suggerimenti che portino a soluzioni ancora migliori. 



Un saluto affettuoso 
(*) 


Domani 
10 
settembre 
2021 
raggiungerò 
i 
fatidici 
“limiti 
di 
età” 
che 
costituiscono 
il 
traguardo 
cronologico 
della carriera e lascerò l’Istituto. 
Non nascondo che 
si 
tratta 
di 
una 
separazione 
che 
mi 
comporta 
un certo magone, dato che 
sono sempre 
stato e 
sono molto affezionato al 
mio lavoro e 
fiero di 
appartenere 
ad un’Istituzione 
che, pur fra 
grandi 
difficoltà, 
rende 
alla 
comunità 
un 
alto 
servigio 
di 
civiltà 
giuridica 
nel 
perseguimento 
degli 
obiettivi 
dello 
Stato democratico. 
Ringrazio sentitamente 
del 
rapporto di 
colleganza 
fatto di 
lealtà 
e 
disponibilità, che 
mi 
ha 
consentito di 
assolvere meglio i miei compiti. 
Formulo i 
più sinceri 
ed affettuosi 
auguri 
a 
tutti 
voi 
che 
continuate 
ed all’Avvocatura 
perché 
ottenga 
sempre gli alti riconoscimenti che merita. 
Un forte abbraccio 


Gesualdo d’Elia 


Caro Aldo, 
per me 
i 
Tuoi 
saluti 
hanno un significato particolare, che 
riassume 
nelle 
Tue 
poche 
righe 
quaranta 
anni di 
Amicizia profonda, fatta di enorme stima e di reciproco affetto. 
Solo 
chi 
come 
noi 
ha 
condiviso 
questa 
irripetibile 
esperienza 
di 
vita 
può 
capire 
quello 
che 
si 
prova 
in questi momenti. 
Quello che 
Tu hai 
rappresentato per il 
nostro Istituto come 
Collega 
è 
davanti 
agli 
occhi 
di 
tutti, e 
ognuno 
di 
noi 
può 
testimoniare 
l’altissimo 
valore 
professionale 
del 
Tuo 
contributo 
alla 
difesa 
del-
l’interesse 
pubblico, e 
il 
segno che 
Tu lasci 
nella 
nostra 
storia, con il 
Tuo scrupolo, la 
Tua 
dedizione, 
la 
Tua puntualità, il 
Tuo amore per il dovere. 
Quello che 
voglio aggiungere, però, deriva 
dalla 
conoscenza 
personale 
che 
io -più di 
tutti 
-credo 
di poter vantare. 
Ci 
mancherà 
la 
Tua 
cultura, la 
Tua 
saggezza, la 
Tua 
disponibilità 
serena 
e 
pacata 
ad ascoltare 
gli 
altri, la 
certezza 
di 
poterti 
trovare 
ogniqualvolta 
c’era 
il 
bisogno di 
scambiare 
due 
parole, due 
riflessioni, 
non solo di 
lavoro, il 
Tuo humor ricco di 
umanità, la 
Tua 
costante 
aspirazione 
ad amministrare 
i 
giovani 
e 
a 
trasmettere 
loro 
i 
valori 
nei 
quali 
abbiamo 
sempre 
creduto, 
e 
nei 
quali 
anche oggi (seppure con maggiore fatica) dobbiamo credere. 
L’Avvocatura 
è 
un grande 
mare, nel 
quale 
ciascuno di 
noi 
è 
una 
piccola 
goccia, e 
come 
le 
gocce 
tutti scorriamo e scorreremo via. 
Grazie per aver popolato questo mare. 

Marco Corsini 


Caro Aldo, 
aggiungo la 
mia 
voce 
al 
coro unanime 
dei 
Colleghi 
che 
in questi 
giorni 
Ti 
hanno salutato, agganciandomi 
alle 
parole 
di 
Marco 
Corsini, 
che 
trovo 
particolarmente 
felici 
nel 
descrivere 
i 
Tuoi 
pregi 
e i 
Tuoi valori e che condivido integralmente. 
In particolare 
mi 
sento di 
ringraziarTi 
per il 
ruolo prezioso che 
hai 
svolto per tantissimo tempo e 
con grandissima 
dedizione 
a 
beneficio dei 
giovani 
che 
si 
affacciano per la 
prima 
volta 
nel 
mondo 
del 
lavoro 
degli 
adulti, 
non 
facendo 
mancare 
anche 
alle 
strutture 
amministrative 
dell’Istituto 
i 
Tuoi suggerimenti e le 
Tue riflessioni sulle questioni giuridiche che via via si presentavano. 
Un abbraccio affettuoso, 


Paolo Grasso 


(*) 
E-mail, giovedì 9 settembre 2021. 



Finito di stampare nel mese di ottobre 2021 
Stabilimenti 
Tipografici Carlo Colombo S.p.A. 
Vicolo della Guardiola n. 22 - 00186 Roma