ANNO LXXII - N. 3 
LUGLIO - SETTEMBRE 2020 


RASSEGNA 
AV 
V 
O 
C 
AT 
U 
R 
A 
DELLO 
STATO 


PUBBLICAZIONE 
TRIMESTRALE DI SERVIZIO 



COMITATO 
SCIENTIfICO: 
Presidente: Michele 
Dipace. Componenti: Franco Coppi 
-Giuseppe 
Guarino Natalino 
Irti - Eugenio Picozza - Franco Gaetano Scoca. 


DIRETTORE 
RESPONSABILE: 
Giuseppe 
Fiengo 
-CONDIRETTORI: 
Maurizio 
Borgo, 
Danilo 
Del 
Gaizo 
e 
Stefano Varone. 


COMITATO 
DI 
REDAZIONE: 
Giacomo Aiello -Lorenzo 
D’Ascia 
-Gianni 
De 
Bellis 
-Wally 
Ferrante 
-Sergio 
Fiorentino 
-Paolo 
Gentili 
-Maria 
Vittoria 
Lumetti 
-Francesco 
Meloncelli 
-Marina 
Russo. 


CORRISPONDENTI 
DELLE 
AVVOCATURE 
DISTRETTUALI: 
Andrea 
Michele 
Caridi 
-Stefano 
Maria 
Cerillo 
Pierfrancesco 
La 
Spina 
-Marco 
Meloni 
-Maria 
Assunta 
Mercati 
-Alfonso 
Mezzotero 
-Riccardo 
Montagnoli 
-Domenico 
Mutino 
-Nicola 
Parri 
-Adele 
Quattrone 
-Piero 
Vitullo. 


HANNO 
COLLABORATO 
INOLTRE 
AL 
PRESENTE 
fASCICOLO: 
Fausto 
Capelli, 
Giuseppe 
Coccia, 
Enrico 
De 
Giovanni, 
Monica 
De 
Vergori, 
Vito 
Forte, 
Michele 
Gerardo, 
Marco 
La 
Greca, 
Mariarosaria 
Mastromonaco, 
Adolfo 
Mutarelli, 
Gaetana 
Natale, 
Gabriella 
Palmieri 
Sandulli, 
Fabio 
Ratto 
Trabucco, 
Carlo 
Sica. 


Email 
giuseppe.fiengo@avvocaturastato.it 
maurizio.borgo@avvocaturastato.it 
danilodelgaizo@avvocaturastato.it 
stefanovarone@avvocaturastato.it 


ABBONAMENTO 
ANNUO 
..............................................................................€ 40,00 
UN 
NUMERO 
.............................................................................................. € 12,00 


Per 
abbonamenti 
ed 
acquisti 
inviare 
copia 
della 
quietanza 
di 
versamento 
di 
bonifico 
bancario 
o 
postale 
a 
favore 
della 
Tesoreria 
dello 
Stato 
specificando 
codice 
IBAN: 
IT 
42Q 
01000 
03245 
348 
0 
10 
2368 
05, 
causale 
di 
versamento, 
indirizzo 
ove 
effettuare 
la 
spedizione, 
codice 
fiscale 
del 
versante. 


I 
destinatari 
della 
rivista 
sono 
pregati 
di 
comunicare 
eventuali 
variazioni 
di 
indirizzo 


AVVOCATURA 
GENERALE 
DELLO 
STATO 
RASSEGNA 
-Via dei Portoghesi, 12, 00186 Roma 
E-mail: rassegna@avvocaturastato.it - Sito www.avvocaturastato.it 


Stampato in Italia - Printed in Italy 


Autorizzazione 
Tribunale di Roma - Decreto n. 11089 del 13 luglio 1966 



indice 
-sommario 


In ricordo di 
Antonio Catricalà 
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 
TEMI 
ISTITUZIONALI 
Intervento 
dell’Avvocato 
Generale 
dello 
Stato, 
avv. 
Gabriella 
Palmieri 
Sandulli, in occasione della cerimonia di inaugurazione 
dell’Anno 
Giudiziario 
2021. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 
1 
Intervento 
dell’Avvocato 
Generale 
dello 
Stato, 
avv. 
Gabriella 
Palmieri 
Sandulli, in occasione 
della cerimonia di 
presentazione 
della “Relazione 
sull’attività della Giustizia Amministrativa” 
per 
il 
2020 -Inaugurazione 
Anno Giudiziario 2021 
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ›› 
4 
Adempimenti 
di 
cui 
al 
Protocollo d’intesa tra la Cassa depositi 
e 
prestiti 
S.p.A. e 
l’Avvocatura Generale 
dello Stato, Circolare 
A.G.A. del 
21 gennaio 
2021 prot. 39237 n. 5 
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ›› 
6 
Protocollo 
d’intesa 
tra 
la 
Fondazione 
Teatro 
di 
San 
Carlo 
di 
Napoli 
e 
l’Avvocatura Distrettuale 
dello Stato di 
Napoli, Circolare 
A.G. del 
3 febbraio 
2021 n. 9 
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ›› 
8 
D.P.C.M. 26 gennaio 2021 recante 
“Autorizzazione 
all’Avvocatura dello 
Stato ad assumere 
la rappresentanza e 
la difesa dell’ERSU 
di 
Enna, Circolare 
A.G. del 11 febbraio 2021 n. 10. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ›› 
11 
Rimborso spese 
di 
difesa in esito a giudizi 
di 
responsabilità amministrativo 
-contabile 
dinanzi 
alla 
Corte 
dei 
Conti, 
Circolare 
A.G.A. 
del 
16 
febbraio 
2021 prot. 103724 n. 11. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ›› 
12 
Marco La 
Greca, I registri 
e 
gli 
indirizzi 
PEC (rectius 
i 
domicili 
digitali) 
rilevanti 
per 
l’Avvocatura dello Stato ai 
fini 
delle 
comunicazioni 
e 
notificazioni 
telematiche 
(T.a.r. 
Lazio, 
Sez. 
I 
ter, 
ord. 
25 
gennaio 
2021 
n. 
932; 
Cass., Sez. I civ., sent. 3 febbraio 2021 n. 2460) 
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . ›› 
14 
CONTENZIOSO 
COMUNITARIO 
ED 
INTERNAZIONALE 
Adolfo Mutarelli, La Corte 
di 
Giustizia e 
il 
“crollo della Baliverna”, a 
proposito della sentenza “Lexitor” 
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ›› 
27 
Wally 
ferrante, 
La 
registrazione 
all’anagrafe 
di 
un 
figlio 
con 
doppia 
maternità: 
dopo la Corte 
costituzionale, la parola alla Corte 
di 
giustizia 
(C. 
giust. Ue, causa 490/20) 
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ›› 
49 
Wally ferrante, In tema di 
protezione 
internazionale 
e 
ricongiungimento 
familiare 
(C. giust. Ue, causa 279/20) 
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ›› 
61 
Wally ferrante, Inammissibilità della domanda di 
protezione 
internazionale 
già 
accolta 
da 
altro 
Stato 
membro 
e 
diritto 
all’unità 
familiare 
(C. 
giust. Ue, causa 483/20) 
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ›› 
70 
CONTENZIOSO 
NAZIONALE 
Piero 
Vitullo, 
Mariarosaria 
Mastromonaco, 
Vincoli 
paesaggistici 
definitivi 



e 
sopravvenuti 
(La perdurante 
validità delle 
proposte 
di 
dichiarazione 
di 
notevole 
interesse 
pubblico 
e 
limiti 
della 
rilevanza 
del 
c.d. 
prospective 
overruling 
nella 
giurisprudenza 
amministrativa; 
la 
sopravvenienza 
del 
vincolo e 
limiti 
della sua applicabilità al 
procedimento autorizzatorio in 
corso) (T.a.r. Molise, Sez. I, sent. 14 marzo 2019 n. 104; 
Cons. St., Sez. 
VI, sent. 3 dicembre 2018 n. 6858) 
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 
77 
I PARERI 
DEL 
COMITATO 
CONSULTIVO 
Enrico De 
Giovanni, Sulla rimborsabilità delle 
spese 
di 
difesa, ex 
art. 18 
l. 135/97, a favore 
del 
dipendente 
assolto da imputazioni 
per 
fatti 
e 
comportamenti 
in potenziale “conflitto di interessi” con l’Amministrazione 
›› 
105 
Monica 
De 
Vergori, 
L’Ufficio 
dell’Avvocatura 
dello 
Stato 
tenuto 
a 
rendere 
il 
parere 
richiesto ai 
sensi 
dell’art. 18 dl 
n. 67/1997: il 
riparto interno di 
competenza 
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ›› 
117 
LEGISLAZIONE 
ED 
ATTUALITà 
Vito forte, Protezione, conservazione 
e 
tassazione 
delle 
dimore 
storiche 
private: sistemi a confronto 
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ›› 
121 
Giuseppe 
Coccia, Il 
finanziamento al 
sedicente 
Stato Islamico attraverso 
l’utilizzo 
dei 
servizi 
informali 
per 
il 
Trasferimento 
dei 
Valori. 
Il 
caso 
“Hawala” 
ed 
il 
motivo 
della 
sua 
potenzile 
maggiore 
diffusione 
a 
seguito 
della 
sconfitta militare subita sul territorio dal Califfato 
. . . . . . . . . . . . . . . . . ›› 
171 
fabio Ratto Trabucco, Il diritto di accesso ai documenti amministrativi 
in 
ambito 
urbanistico-edilizio 
tra 
costi 
procedimentali 
e 
diritto 
alla 
riservatezza 
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ›› 
190 
CONTRIBUTI 
DI 
DOTTRINA 
Gianni 
De 
Bellis, Il 
potere 
di 
autotutela tribuataria 
(Quinto laboratorio 
sul processo tributario dedicato agli “Istituti deflattivi”) 
. . . . . . . . . . . ›› 
203 
Michele Gerardo, I pubblici servizi 
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ›› 
214 
Gaetana 
Natale, Vaccinazioni 
anti-covid: il 
dialogo necessario tra medicina 
e diritto 
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ›› 
269 
RECENSIONI 
fausto Capelli, 
Un percorso tra etica e 
trasparenza per 
riformare 
la democrazia 
in Italia, Rubbettino Editore, 2020 
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ›› 
291 
fausto Capelli, L’attesa: chi la subisce e chi la domina per progredire 
. ›› 
292 
Pensionamento, Massimo Salvatorelli. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 
Errata corrige 
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 


In ricordo di 
Antonio Catricalà 
(*) 


Ieri 
è 
stata 
una 
giornata 
molto 
triste, 
tanto 
che 
nessuna 
parola 
mi 
è 
sembrata 
adeguata 
per 
esprimere l’incredulità e il dolore e allora meglio il silenzio. 
La tragica scomparsa di 
Antonio Catricalà è arrivata come un vento gelido. 
Questa mattina ho ricordato Antonio in apertura della seduta del CAPS. 
Per noi era e sarà sempre 
Antonio. 
Molti 
l’hanno conosciuto sin dall’ingresso in Avvocatura 
e 
il 
reciproco legame 
di 
stima 
e 
di 
affetto non si 
è 
mai 
spezzato anche 
quando è 
diventato Consigliere 
di 
Stato e 
ha 
ricoperto importantissimi 
incarichi 
istituzionali 
e 
politici. 
Non 
ha 
mai 
dimenticato 
il 
nostro 
Istituto 
nel 
quale ha mosso i primi passi della Sua prestigiosissima carriera. 
Perché 
questo è 
stato sempre 
Antonio: 
un Servitore 
dello Stato nella 
più nobile 
accezione 
del 
termine 
e 
un 
Uomo 
dalle 
eccezionali 
doti 
intellettuali, 
intelligentissimo, 
colto, 
saggio 
ed 
equilibrato, 
disponibile 
ad ascoltare, doti 
sempre 
unite 
a 
una 
grande 
signorilità, al 
rispetto verso 
gli altri, un Esempio da seguire. 
Maestro di Diritto e Maestro di 
Vita indimenticabile. 
Addio Antonio che la Luce 
Ti illumini e che la terra 
Ti sia lieve. 


Gabriella Palmieri 


L'Associazione 
Unitaria 
degli 
Avvocati 
e 
Procuratori 
dello 
Stato 
si 
associa 
alle 
parole 
del-
l'Avvocato 
Generale 
in 
ricordo 
di 
Antonio 
Catricalà, 
esempio 
altissimo 
di 
servitore 
dello 
Stato, 
di 
cultura 
e 
intelligenza 
fuori 
dal 
comune, un maestro e 
un amico degli 
Avvocati 
dello Stato 
e del nostro Istituto. 


Angelo Vitale 
Presidente 
AUAPS 

(*) E-mail Palmieri Gabriella - giovedì 25 febbraio 2021. 



TemiisTiTuzionali
Cerimonia 
di 
inaugurazione 
dell’anno 
giudiziario 
2021 


Intervento dell'Avvocato Generale dello Stato 
Avv. Gabriella Palmieri Sandulli 


Signor Presidente della Repubblica, 

Autorità Civili, Militari e Religiose, 

Signor Primo Presidente della Corte di Cassazione, 

Signor Procuratore Generale, 

prendo la 
parola 
in questa 
solenne 
Cerimonia 
per porgere 
il 
saluto del-
l’Istituto che ho l’alto onore di dirigere. 


2. 
Nella 
sua 
approfondita 
e 
ampia 
relazione 
il 
Primo 
Presidente 
ha 
riferito 
in modo analitico sui 
risultati 
raggiunti 
dalla 
Suprema 
Corte 
nell’anno 2020, 
frutto del 
grandissimo impegno profuso dai 
Magistrati 
e 
da 
tutto il 
Personale 
amministrativo, ai 
quali 
vanno il 
nostro più sentito apprezzamento e 
la 
nostra 
più viva gratitudine. 
La 
sinergia 
fra 
i 
diversi 
attori 
dell’attività 
giudiziaria 
si 
sviluppa, 
sul 
piano 
strettamente 
giurisdizionale, nel 
reciproco impegno per una 
celere 
ed efficace 
definizione del notevole contenzioso pendente. 


È 
proseguita, 
infatti, 
la 
collaborazione 
con 
la 
Corte 
anche 
per 
quel 
che 
riguarda 
le 
udienze 
tematiche 
e 
le 
cause 
pilota, utili 
meccanismi 
finalizzati 
a 
una 
riduzione 
del 
contenzioso 
e 
a 
una 
giurisprudenza 
stabile, 
preziosi 
strumenti 
di 
governo 
del 
processo, 
che 
valorizzano 
il 
ruolo 
nomofilattico 
del 
Giudice 
di legittimità. 


Meccanismi 
di 
deflazione 
e 
proficua 
collaborazione 
utilizzabili, invero, 
non 
solo 
per 
la 
materia 
tributaria, 
ma 
anche 
in 
altre 
materie, 
come 
la 
protezione 
internazionale, e in altre ipotesi di contenziosi di grande rilievo numerico. 


3. 
Sui 
dati 
del 
contenzioso dell'Avvocatura 
dello Stato relativi 
all’anno 

RASSEGNA 
AvvoCAtuRA 
DELLo 
StAto -N. 3/2020 


2020 
si 
riverberano 
con 
evidenza 
gli 
effetti 
dell'emergenza 
sanitaria 
che 
ha 
caratterizzato 
gran 
parte 
dell'anno, 
con 
una 
riduzione 
del 
numero 
di 
affari 
nuovi 
del 
21% rispetto al 
dato del 
2019, ha 
raggiunto comunque 
la 
ragguardevole 
cifra di 45.000 affari. 


Anche 
nelle 
Avvocature 
distrettuali 
si 
è 
avuta 
una 
contrazione 
degli 
affari 
nuovi, seppure 
in misura 
inferiore, pari 
circa 
al 
13%. Ha 
prodotto effetto la 


c.d. 
“sospensione 
covid” 
dei 
termini 
processuali, 
di 
64 
giorni, 
che, 
infatti, 
corrisponde 
a circa il 18% su base annua. 
L’impegno 
costante 
e 
la 
piena 
collaborazione 
degli 
Avvocati 
e 
Procuratori 
dello Stato e 
del 
Personale 
amministrativo hanno consentito di 
trasformare 
la 
situazione 
emergenziale 
in un fattore 
di 
accelerazione 
della 
digitalizzazione 
e 
della 
dematerializzazione, sperimentando modelli 
virtuosi 
di 
gestione 
dell’attività 
professionale 
e 
di 
riorganizzazione 
del 
lavoro 
condivisa 
anche 
con 
le 
Associazioni sindacali di categoria. 


È 
diminuito, 
quindi, 
in 
modo 
significativo 
l’utilizzo 
del 
cartaceo 
e 
si 
è 
determinato un significativo incremento dell'attività 
telematica: 
l’Avvocatura 
dello 
Stato 
ha 
eseguito 
67.000 
depositi 
telematici 
nel 
civile, 
con 
un 
incremento 
percentuale del 30% rispetto all’anno 2019. 


Infine, il 
dato delle 
notifiche 
via 
PEC di 
atti 
giudiziari 
è 
salito alla 
cifra 
record di oltre 21.000. 


Per 
quanto 
riguarda 
gli 
esiti 
dei 
giudizi 
in 
Corte 
in 
cui 
è 
parte 
l'Avvocatura 
dello Stato, si 
conferma 
una 
percentuale 
di 
successo nelle 
cause 
patrocinate 
nella 
media 
superiore 
al 
60%; 
rimandando, 
per 
la 
brevità 
dettata 
dalla 
sobrietà 
di 
questa 
Cerimonia, alla 
più ampia 
disamina 
che 
sarà 
contenuta 
nella 
Relazione 
annuale 
sul 
contenzioso dell’Avvocatura 
dello Stato che 
sarà 
presentata 
nei 
prossimi 
mesi, ripristinando una 
delle 
più nobili 
e 
significative 
tradizioni 
dell’Istituto. 


4. 
Nella 
seconda 
parte 
dell'anno la 
collaborazione 
con la 
Corte 
di 
cassazione 
si 
è 
concretizzata 
anche 
con 
la 
sottoscrizione 
dei 
due 
Protocolli 
di 
Intesa, 
con la Procura Generale e il CNF. 
Il 
primo, 
riguardante 
il 
contenzioso 
pendente, 
prevede 
l'invio 
degli 
atti 
del giudizio in formato PDF via PEC. 


L’Avvocatura 
dal 
14 
novembre 
scorso 
utilizza 
una 
specifica 
funzione 
appositamente 
sviluppata 
e 
da 
tale 
data 
ha 
inviato oltre 
1500 PEC: 
l'invio medio 
degli 
atti 
in Corte 
si 
è 
ora 
attestato intorno agli 
800 al 
mese, pari 
a 
circa 
40 
invii telematici giornalieri. 


Altrettanto 
importante 
in 
prospettiva 
futura 
il 
Protocollo 
per 
il 
processo 
telematico 
in 
Cassazione, 
al 
quale 
l’Avvocatura 
dello 
Stato 
partecipa 
mediante 
la 
sperimentazione 
di 
depositi 
telematici, 
che, 
se 
devono 
tenere 
conto 
degli 
aspetti 
tecnici 
e 
organizzativi, 
soprattutto 
per 
una 
struttura 
complessa 
come 
il 
nostro 
Istituto, 
rappresentano 
il 
punto 
di 
arrivo 
al 
quale 
tendiamo 
senza 
riserve 
di 
sorta. 



tEMI 
IStItuzIoNALI 


trasfondiamo 
la 
nostra 
esperienza 
maturata 
anche 
nel 
contenzioso 
sovranazionale, 
che 
si 
svolge, in particolare, innanzi 
alla 
Corte 
di 
giustizia 
e 
al 
tribunale 
della 
ue 
e 
innanzi 
alla 
CEDu, per il 
quale 
il 
processo telematico è 
già 
operativo da 
molti 
anni, fornendo, perciò, il 
nostro fattivo contributo per l’ottimizzazione 
dei 
procedimenti 
applicativi 
in chiave 
di 
collaborazione 
istituzionale 
nella sua più ampia accezione. 


5. 
Anche 
quest’anno 
concludo 
questo 
mio 
intervento 
certa 
di 
poterLe 
confermare, 
Signor Presidente 
della 
Repubblica, che 
l’Avvocatura 
dello Stato e 
tutti 
i 
suoi 
Componenti 
continueranno a 
profondere 
il 
massimo impegno per 
essere sempre all’altezza delle rilevanti funzioni loro assegnate. 
Grazie per l’attenzione. 


Roma, 29 gennaio 2021 
Palazzo di Giustizia, Aula Magna 



RASSEGNA 
AvvoCAtuRA 
DELLo 
StAto -N. 3/2020 


Cerimonia 
di 
presenTazione 
della 
“relazione 


sull’aTTiviTà 
della 
giusTizia 
amminisTraTiva” per 
il 
2020 
inaugurazione 
dell’anno 
giudiziario 
2021 della 
g.a. 


Intervento dell'Avvocato Generale dello Stato 
Avv. Gabriella Palmieri Sandulli 


Signor Presidente della Repubblica, 

Autorità Civili, Militari e Religiose, 

Signor Presidente del Consiglio di Stato, 

Signor Presidente 
Aggiunto, 

sono onorata 
di 
prendere 
la 
parola 
in questa 
Cerimonia 
per portare 
il 
saluto 
dell’Istituto che ho il privilegio di dirigere. 


La 
tradizionale 
e 
consolidata 
reciproca 
collaborazione 
istituzionale, 
della 
quale 
ringrazio Lei, Signor Presidente, tutti 
i 
Magistrati 
e 
il 
Personale 
amministrativo, 
è 
stata 
la 
chiave 
di 
volta 
per affrontare 
in modo proficuo l’emergenza 
epidemiologica. Dal 
confronto sui 
provvedimenti 
normativi 
dettati 
per 
lo svolgimento delle 
udienze 
da 
remoto sono emerse 
soluzioni 
condivise, poi 
tradotte 
in 
Protocolli 
operativi, 
sperimentando 
con 
successo, 
il 
dialogo 
costruttivo 
con gli 
Avvocati 
come 
metodo da 
non circoscrivere 
temporalmente 
alla fase emergenziale. 


Peraltro, in linea 
di 
continuità 
con quanto da 
Lei 
affermato in occasione 
della 
Cerimonia 
del 
Suo 
insediamento 
e 
della 
Relazione 
sull’attività 
della 
giustizia 
amministrativa 
per 
l’anno 
2019, 
considerando 
la 
proficua 
collaborazione 
tra 
Magistratura 
e 
Avvocatura 
funzionale 
all’espletamento dell’esercizio del-
l’attività giudiziaria in chiave di efficienza, di imparzialità e di affidabilità. 


L’emergenza 
sanitaria, grazie 
all’impegno costante 
degli 
Avvocati 
e 
Procuratori 
dello Stato e 
del 
Personale 
amministrativo, è 
divenuta 
un fattore 
di 
accelerazione 
della 
digitalizzazione, 
peraltro 
già 
in 
fase 
avanzata, 
e 
della 
consequenziale 
riorganizzazione 
dei 
processi 
di 
lavoro, 
condivisa 
con 
le 
Associazioni 
sindacali 
di 
categoria, 
in 
un’ottica 
di 
efficienza 
e 
di 
efficacia 
dell’attività 
defensionale. 


L’Avvocatura 
dello Stato ha 
eseguito nel 
2020 oltre 
70.000 depositi 
telematici, 
con un incremento percentuale 
pari 
allo 0,66, significativo in una 
contingenza 
temporale, 
quale 
quella 
pandemica, 
caratterizzata, 
invece, 
da 
una 
generale flessione del contenzioso. 


Dai 
predetti 
dati 
emerge 
l’intensità 
dell’impegno dell’Avvocatura 
dello 
Stato, unita 
alla 
considerazione 
circa 
l’importanza 
e 
la 
centralità 
degli 
ambiti 
e 
delle 
materie 
che 
la 
vedono quotidianamente 
impegnata 
davanti 
al 
Giudice 
Amministrativo. 



tEMI 
IStItuzIoNALI 


In particolare, con la 
brevità 
correlata 
alla 
sobrietà 
di 
questa 
Cerimonia, 
va 
menzionato il 
peculiare 
contenzioso fra 
Stato e 
Regioni 
nella 
delicata 
materia 
riguardante 
le 
modalità 
di 
gestione 
dell’emergenza 
epidemiologica. 
Contenzioso 
trattato, in collaborazione 
con le 
Avvocature 
Distrettuali, sia 
in sede 
cautelare, sia 
in sede 
di 
merito, e 
funzionale 
alla 
corretta 
individuazione 
degli 
ambiti 
di 
rispettiva 
competenza 
nell’adozione 
delle 
misure 
volte 
al 
contenimento 
dell’emergenza 
da 
CovID-19; 
culminato 
nel 
giudizio 
pendente 
innanzi 
alla 
Corte 
costituzionale, deciso in fase 
cautelare 
con la 
storica 
ordinanza 
n. 
4/2021, che 
ha 
statuito che 
la 
pandemia 
in corso ha 
richiesto e 
richiede 
interventi 
rientranti 
nella 
materia 
della 
profilassi 
internazionale 
di 
competenza 
esclusiva 
dello Stato ex art. 117, comma 
2, lett. q), Cost., e 
che 
sussiste 
l’interesse 
pubblico 
a 
una 
gestione 
unitaria 
a 
livello 
nazionale 
della 
pandemia, 
sospendendo l’efficacia dell’intera legge regionale. 


Come 
è 
continuato senza 
sosta 
l’impegno innanzi 
alle 
giurisdizioni 
sovranazionali, 
Corte 
di 
giustizia 
e 
tribunale 
della 
ue 
e 
CEDu, 
anche 
con 
udienze 
da 
remoto o, in alternativa, con la 
risposta 
scritta 
ai 
quesiti 
formulati 
dalla 
Corte, essendo sempre 
viva 
la 
necessità 
di 
confrontarsi 
con la 
normativa 
europea 
e 
la 
tutela 
uniforme 
dei 
diritti 
che 
essa 
impone 
agli 
Stati 
Membri, ancora 
più decisive nell’attuale fase emergenziale. 


In 
linea 
anche 
con 
l’attenzione 
del 
Consiglio 
di 
Stato 
verso 
le 
nuove 
questioni 
connesse 
all’evoluzione 
tecnologica, 
come 
l’utilizzo 
dell’algoritmo 
nell’ambito di 
un procedimento amministrativo al 
fine 
di 
valutarne 
la 
legittimità, 
l’Avvocatura 
dello 
Stato 
ha 
chiesto 
uno 
stanziamento 
specifico 
nell’ambito 
del 
PNRR 
per l’implementazione 
dei 
modelli 
di 
intelligenza 
artificiale 
e 
per la 
predisposizione 
di 
una 
banca 
dati 
professionale 
avanzata 
con i 
dati 
relativi 
alle 
precedenti 
difese 
svolte, per assicurare, da 
un lato, una 
più efficace 
collaborazione 
con le 
Amministrazioni 
patrocinate; 
e, dall’altro, con l’uso di 
algoritmi 
predittivi 
e 
di 
tecniche 
di 
machine 
learning, per ottimizzare 
la 
strategia 
processuale, 
a 
partire 
dai 
dati, 
anche 
in 
chiave 
deflattiva 
del 
contenzioso. 


Concludo 
questo 
mio 
intervento 
confermando 
che 
l’Avvocatura 
dello 
Stato 
e 
tutti 
i 
suoi 
Componenti 
continueranno 
come 
sempre 
a 
profondere 
il 
massimo impegno nello svolgimento degli 
importanti 
compiti 
loro assegnati. 


Grazie per l’attenzione. 


Roma, 2 febbraio 2021 
Palazzo Spada 



RASSEGNA 
AvvoCAtuRA 
DELLo 
StAto -N. 3/2020 


Avvocatura 
Generaledello 
Stato 


CIrColAre 
n. 5/2021 


oggetto: 
Adempimenti 
di 
cui 
al 
Protocollo 
d’intesa 
tra 
la 
Cassa 
depositi 
e prestiti S.p.A. e l’Avvocatura Generale dello Stato. 


Con circolare 
n. 49/2019 è 
stata 
comunicata 
l'intervenuta 
sottoscrizione 
del 
Protocollo 
d'intesa 
tra 
la 
Cassa 
depositi 
e 
prestiti 
S.p.A. e 
l'Avvocatura 
Generale 
dello Stato, avente 
ad 
oggetto le 
modalità 
di 
esplicazione 
del 
patrocinio dell'Avvocatura 
dello Stato in favore 
della 
Società. 


Il 
patrocinio 
legale 
della 
Cassa 
depositi 
e 
prestiti 
rappresenta 
per 
il 
nostro 
Istituto 
un 
impegno professionale 
di 
certa 
rilevanza 
anche 
alla 
luce 
del 
crescente 
ruolo recentemente 
attribuito 
alla medesima. 


Per 
garantire 
l'adempimento 
degli 
oneri 
informativi 
assunti 
dall'Avvocatura 
dello 
Stato 
con 
il 
citato 
Protocollo 
d'intesa, 
il 
cui 
testo 
è 
stato 
pubblicato 
in 
forma 
integrale 
unitamente 
alla 
circolare, 
si 
ritiene 
opportuno 
richiamare 
quanto 
ivi 
previsto 
all'art. 
3 
che 
di 
seguito 
si 
riporta. 


"L’Avvocatura informa CDP 
dei 
significativi 
sviluppi 
delle 
controversie 
in corso dalla 
stessa curate, assicurando il 
tempestivo invio degli 
atti 
difensivi 
propri 
e 
delle 
controparti, 
dando pronta comunicazione 
dell'esito dei 
giudizi 
e 
trasmettendo, su richiesta di 
CDP, informative 
periodiche 
sul 
rischio 
di 
soccombenza 
e 
sulle 
perdite 
potenzialmente 
derivanti 
dai 
contenziosi, 
tali 
da 
consentire 
l'adempimento 
degli 
obblighi 
di 
legge 
in 
materia 
di 
informative 
di 
bilancio e 
di 
vigilanza. In caso di 
pronunce 
giudiziali 
sfavorevoli 
per 
CDP 
l'Avvocatura 
rende 
tempestivamente 
il 
proprio 
parere 
in 
ordine 
alla 
impugnabilità 
della 
decisione 
stessa”. 


Gli 
incaricati 
degli 
affari 
in cui 
è 
parte 
Cassa 
depositi 
e 
prestiti 
S.p.a. sono, pertanto, invitati 
a 
trasmettere 
a 
quest'ultima, 
unitamente 
agli 
atti 
delle 
controparti, 
gli 
atti 
difensivi 
redatti 
e, premessa 
una 
sintetica 
descrizione 
della 
controversia, indicare 
il 
valore 
della 
controversia, 
precisare 
se 
siano state 
proposte 
domande 
riconvenzionali 
con il 
relativo importo e 
se 
siano 
stati 
chiamati 
in causa 
soggetti 
con i 
quali 
la 
Società 
ha 
stipulato una 
polizza 
assicurativa 
e, 
infine, 
valutare 
il 
rischio 
di 
soccombenza 
alla 
luce 
della 
seguente 
classificazione: 
rischio 
probabile, 
rischio possibile ovvero rischio remoto. 


In merito, si 
evidenzia 
che 
il 
rischio di 
soccombenza 
probabile 
si 
presenta 
qualora 
se 
ne 
ammetta 
l'accadimento in base 
a 
motivi 
seri 
o attendibili 
ma 
non certi, ossia 
se 
l'accadimento 
è 
credibile, verosimile 
o ammissibile 
in base 
a 
motivi 
ed argomenti 
abbastanza 
sicuri 
(sulla 
base 
dell'interpretazione 
delle 
disposizioni 
applicabili 
o 
in 
caso 
di 
consolidata 
giurisprudenza 
sfavorevole 
alla 
posizione 
della 
Cassa); 
rischio 
di 
soccombenza 
possibile 
si 
presenta 
se 
non è 
agevole 
prevedere 
l'esito della 
controversia 
ossia 
se 
il 
grado di 
realizzazione 
e 
di 
avveramento 
dell'evento futuro è 
inferiore 
al 
probabile 
(sulla 
base 
dell'interpretazione 
delle 
disposizioni 
applicabili 
o 
in 
caso 
di 
questioni 
nuove); 
rischio 
di 
soccombenza 
remoto 
si 
presenta 
se 
ha 
scarse 
possibilità 
di 
verificarsi, ossia, nei 
casi 
in cui 
potrà 
accadere 
molto difficilmente 
(sulla 
base 
dell'interpretazione 
delle 
disposizioni 
applicabili 
o 
in 
caso 
di 
consolidata 
giurisprudenza 
favorevole alla posizione della Cassa). 


tali 
valutazioni 
potranno, 
se 
ritenuto 
opportuno, 
essere 
modificate 
in 
sede 
di 
successiva 
trasmissione degli atti relativi all'affare o con apposita interlocuzione con la Società. 


Si 
invita, altresì, a 
comunicare 
i 
rinvii 
alle 
udienze 
successive 
precisando se 
sia 
verosimile 
ritenere che la causa si possa concludere nell'anno di riferimento. 



tEMI 
IStItuzIoNALI 


tanto 
si 
ritiene 
necessario 
per 
consentire 
a 
Cassa 
depositi 
e 
prestiti 
l'adempimento 
degli 
obblighi di legge in materia di informative di bilancio e di vigilanza. 
Si confida nella consueta collaborazione. 


l'avvocato generale 
aggiunto 
Carlo sica 



RASSEGNA 
AvvoCAtuRA 
DELLo 
StAto -N. 3/2020 


Avvocatura 
Generaledello 
Stato 


CIrColAre 
n. 9/2021 


oggetto: Protocollo di 
intesa tra la Fondazione 
Teatro di 
San 
Carlo di 
napoli e l’Avvocauta Distrettuale dello Stato di napoli. 


Si 
comunica 
che 
con 
il 
rinnovato 
protocollo 
d’intesa 
sottoscritto 
in 
data 
28 
gennaio 
2021 
tra 
l’Avvocatura 
Distrettuale 
di 
Napoli 
e 
la 
Fondazione 
teatro di 
San Carlo di 
Napoli, che 
si 
acclude 
alla 
presente, sono state 
definite 
le 
modalità 
di 
esplicazione 
del 
patrocinio dell’Avvocatura 
dello Stato in favore della Fondazione stessa. 


L'AvvoCAto GENERALE 
Gabriella Palmieri Sandulli 


proToCollo d'inTesa 
tra 
avvocatura 
distrettuale 
dello 
stato 
di 
napoli 
e 
Fondazione 
Teatro 
di 
san 
Carlo 
in 
napoli 


-Considerato che 
lo Statuto della 
Fondazione 
teatro di 
San Carlo in Napoli 
(di 
seguito 
denominata 
solo "Fondazione"), approvato ai 
sensi 
dell'art. 10 del 
Decreto Legislativo 
29 
giugno 
1996, 
n. 
367 
ed 
adeguato 
alle 
previsioni 
dell'art. 
11 
del 
Decreto-Legge 
8 
agosto 
2013, n. 91, convertito, con modificazioni, dalla 
Legge 
7 ottobre 
2013, n. 112, nel 
disciplinare 
l'organizzazione 
ed il 
funzionamento della 
Fondazione 
prevede 
all'art. 22 
che 
la 
Fondazione 
stessa 
può 
avvalersi 
del 
patrocinio 
dell'Avvocatura 
dello 
Stato 
(di 
seguito 
denominata 
solo 
"Avvocatura"), 
salvo 
che 
non 
intenda 
rivolgersi 
a 
legali 
del 
libero 
foro con decisione motivata del Sovrintendente; 
-Considerato che 
la 
Fondazione 
può avvalersi 
della 
consulenza 
e 
del 
patrocinio legale 
dell'Avvocatura, 
ai 
sensi 
dell'art. 
1, 
comma 
3, 
del 
Decreto-legge 
n. 
345/2000, 
convertito 
in 
Legge 
n. 
6 
del 
2001, 
e 
dell'art. 
43 
R.D. 
n. 
1611/1933, 
e 
che 
detto 
patrocinio 
è 
da 
tempo 
prestato 
con 
reciproca 
soddisfazione 
delle 
parti 
firmatarie 
del 
presente 
protocollo; 
-Considerata, 
a 
tal 
riguardo, 
l'ammissibilità 
(già 
espressa 
in 
precedenti 
occasioni 
dal 
Comitato 
Consultivo dell'Avvocatura 
Generale 
dello Stato) di 
un eventuale 
strumento in 
deroga 
di 
carattere 
generale 
ed esclusivo del 
patrocinio, da 
assumersi 
per una 
serie 
predeterminata 
di 
controversie 
che, in ragione 
della 
loro natura 
e 
modesta 
importanza 
economica, 
meglio potrebbero essere affidate e seguite da avvocati del libero foro; 


-Considerato che, per continuità 
difensiva, è 
opportuno che 
le 
controversie 
già 
affidate 
ad avvocati 
del 
libero foro siano seguite 
dai 
rispettivi 
difensori 
fino alla 
loro definitiva 
definizione; 
-Considerato il 
proficuo e 
fertile 
esito del 
rapporto intercorso con il 
protocollo d'intesa 
sottoscritto il 
15 giugno 2016 tra 
la 
Fondazione 
e 
l'Avvocatura, che 
ha 
avuto scadenza 
in data 31 dicembre 2020 e che entrambe le parti intendono rinnovare 

tEMI 
IStItuzIoNALI 


tra 


avvocatura distrettuale dello stato di napoli 


e 


Fondazione 
Teatro di san Carlo in napoli 


si conviene quanto segue: 


attività Consultiva 
1-La 
Fondazione 
provvede 
alla 
proposizione 
di 
quesiti 
e 
richieste 
di 
pareri 
che 
involgono 
questioni particolari o interpretative di carattere generale. 


assistenza e rappresentanza in giudizio 
2 
-L'Avvocatura 
fornisce 
ogni 
assistenza 
richiesta 
al 
fine 
di 
assicurare 
nel 
modo migliore 
la 
piena tutela degli interessi pubblici. 
3 
-ove 
un atto introduttivo di 
giudizio sia 
notificato direttamente 
alla 
Fondazione, la 
stessa 
provvede 
ad 
investirne 
l'Avvocatura 
con 
il 
più 
ampio 
margine 
rispetto 
alle 
scadenze, 
fornendo 
una 
completa 
e 
documentata 
relazione 
in fatto e 
in diritto, quale 
necessario supporto per l'efficace 
difesa delle ragioni della stessa Fondazione. 
Al 
fine 
di 
rendere 
praticabile 
operativamente 
un percorso di 
immediata 
e 
diretta 
comunicazione, 
anche 
informale, in sede 
di 
richiesta 
verrà 
precisato il 
nominativo del 
funzionario responsabile 
del 
procedimento, con le 
modalità 
per la 
sua 
immediata 
reperibilità 
(telefono, fax, 
e-mail); 
analogamente 
l'Avvocatura 
provvederà 
a 
segnalare 
alla 
struttura 
richiedente 
il 
nominativo 
dell'Avvocato incaricato dell'affare 
e 
le 
suindicate 
modalità 
di 
immediata 
reperibilità. 
Qualora 
gli 
atti 
introduttivi 
del 
giudizio, o di 
un grado di 
giudizio, vengano notificati 
presso 
l'Avvocatura, sono da 
quest'ultima 
prontamente 
inviati 
alla 
Fondazione 
con ogni 
relativa 
richiesta 
istruttoria. 
4 
-L'Avvocatura 
provvede 
a 
tenere 
informata 
la 
Fondazione 
dei 
significativi 
sviluppi 
delle 
controversie 
in 
corso 
dalla 
stessa 
curate, 
dando 
comunque 
pronta 
comunicazione 
dell'esito 
del 
giudizio 
con 
la 
trasmissione 
di 
copia 
della 
decisione. 
ove 
si 
tratti 
di 
pronuncia 
sfavorevole 
per la 
Fondazione 
suscettibile 
di 
gravame, l'Avvocatura 
rende 
tempestivamente 
il 
proprio parere 
in ordine alla impugnabilità della decisione stessa. 
5 
-A 
richiesta 
della 
Fondazione, l'Avvocatura 
può assumere, ai 
sensi 
dell'art. 44 del 
R.D. n. 
1611 del 
1933, la 
rappresentanza 
e 
la 
difesa 
di 
dipendenti 
della 
stessa 
Fondazione 
nei 
giudizi 
civili e penali che li interessano per fatti e cause di servizio. 
6 
-I rapporti 
economici 
fra 
le 
parti 
resteranno regolati 
dall'art. 21 R.D. n. 1611/1933. Sostanzialmente 
l'Avvocatura 
provvederà 
al 
diretto 
recupero 
nei 
confronti 
delle 
controparti 
e 
al 
successivo 
incameramento 
delle 
competenze 
ed 
onorari 
di 
giudizio, 
posti 
a 
carico 
dei 
soccombenti 
per effetto di 
sentenza, ordinanza, rinuncia 
o transazione. Resta 
inteso che 
la 
Fondazione 
è 
tenuta 
a 
sostenere 
in via 
preventiva 
le 
spese 
vive 
necessarie 
(contributo unificato, imposta 
di 
registro, ecc.) all'instaurazione e gestione della lite. 
7 
-L'incarico della 
trattazione 
degli 
affari 
legali 
riguardanti 
la 
Fondazione 
sarà, compatibilmente 
con 
le 
esigenze 
d'Istituto 
dell'Avvocatura 
e 
le 
esigenze 
di 
servizio 
del 
personale 
togato, 
affidato a 
uno o due 
avvocati 
dello Stato in servizio che 
verranno indicati 
dall'Avvocato Distrettuale 
con separata 
nota; 
i 
suddetti 
Avvocati 
assicureranno l'espletamento di 
tutti 
gli 
incombenti 
necessari 
ed opportuni 
in sede 
contenziosa 
e 
consultiva 
e 
potranno essere 
contattati 
anche per le vie brevi presso i recapiti che gli stessi forniranno. 
8 
-Restano escluse 
dal 
patrocinio ex 
lege 
dell'Avvocatura 
tutte 
le 
controversie 
nelle 
quali 
sia 
ravvisabile 
da 
parte 
dell'Avvocatura 
un conflitto di 
interesse 
tra 
la 
Fondazione 
e 
lo Stato, ivi 



RASSEGNA 
AvvoCAtuRA 
DELLo 
StAto -N. 3/2020 


comprese 
quelle 
di 
natura 
tributaria 
instaurate, o da 
instaurare, dinanzi 
alle 
Commissioni 
tributarie 
provinciali 
e 
regionali 
nelle 
quali 
siano ravvisabili 
conflitti 
anche 
virtuali 
di 
interessi 
fra 
le 
posizioni 
della 
Fondazione 
e 
gli 
uffici 
Finanziari 
tutelati 
e 
rappresentati 
ex 
officio 
dal-
l'Avvocatura 
dello 
Stato; 
restano 
altresì 
escluse 
le 
controversie 
di 
natura 
meramente 
esecutiva 
e 
le 
controversie 
civili, che 
in ragione 
della 
limitatissima 
rilevanza, sia 
per l'oggetto che 
per 
il 
valore 
potranno essere, previa 
decisione 
motivata 
del 
Sovrintendente, affidate 
e 
seguite 
da 
avvocati 
del 
libero foro; 
per tutte 
tali 
controversie 
la 
Fondazione 
si 
riserva 
di 
individuare 
avvocati 
del 
libero foro cui 
affidare 
la 
rappresentanza 
processuale 
e 
l'assistenza 
necessaria 
alla 
difesa dei propri interessi. 
9 
-L'Avvocatura 
e 
la 
Fondazione 
si 
impegnano a 
segnalare 
reciprocamente 
tutte 
le 
difficoltà 
operative 
eventualmente 
insorte 
nella 
gestione 
dei 
rapporti 
oggetto del 
presente 
protocollo, 
allo scopo di 
provvedere 
-nello spirito della 
migliore 
collaborazione 
-al 
superamento delle 
stesse. 
10 
-La 
presente 
convenzione 
ha 
durata 
fino al 
31 dicembre 
2024 e 
potrà 
essere 
in ogni 
momento 
modificata 
e 
integrata 
d'intesa 
fra 
le 
parti; 
potrà 
essere 
risolta 
da 
entrambe 
le 
parti, con 
le 
conseguenze 
di 
legge, 
con 
preavviso 
formale 
di 
tre 
mesi 
o 
per 
intervenuta 
diversa 
disciplina 


normativa. 
Napoli, 28 gennaio 2021 
avvocatura distrettuale 
dello stato di 
napoli 
Fondazione 
Teatro di 
san 
Carlo 
l'avvocato distrettuale il sovrintendente 
angelo d'amico stéphane lissner 



tEMI 
IStItuzIoNALI 


Avvocatura 
Generaledello 
Stato 


CIrColAre 
n. 10/2021 


oggetto: D.P.C.M. 26 gennaio 2021 recante 
"Autorizzazione 
all'Avvocatura 
dello Stato ad assumere 
la rappresentanza e 
la difesa dell'erSU 
di 
enna". 


Si 
comunica 
che 
con D.P.C.M. del 
26 gennaio u.s., in fase 
di 
pubblicazione 
in Gazzetta 
ufficiale, 
l'Avvocatura 
dello 
Stato 
è 
stata 
autorizzata 
ad 
assumere 
la 
rappresentanza 
e 
la 
difesa 
dell'ERSu 
di 
Enna 
nei 
giudizi 
attivi 
e 
passivi 
avanti 
le 
autorità 
giudiziarie, i 
collegi 
arbitrali, 
le giurisdizioni amministrative e speciali. 


L'AvvoCAto GENERALE 
Gabriella Palmieri Sandulli 



RASSEGNA 
AvvoCAtuRA 
DELLo 
StAto -N. 3/2020 


Avvocatura 
Generaledello 
Stato 


CIrColAre 
n. 11/2021 


oggetto: 
rimborso 
spese 
di 
difesa 
in 
esito 
a 
giudizi 
di 
responsabilità 
amministrativo 
-contabile dinanzi alla Corte dei Conti. 


la presente 
circolare 
attiene 
al 
rimborso delle 
spese 
di 
difesa ai 
sensi 
dell'art. 18 
del 
decreto-legge 
n. 67 del 
1997, convertito dalla legge 
n. 135 del 
1997, nei 
giudizi 
per 
responsabilità amministrativo-contabile dinanzi alla Corte dei Conti. 


La 
questione 
rinviene 
dall'interpretazione 
dell'art. 10 bis, comma 
10, della 
legge 
n. 248 
del 
2005 di 
conversione, con modificazioni, del 
decreto legge 
n. 203 del 
2005 che 
recita: 
“Le 
disposizioni 
dell'articolo 
3, 
comma 
2bis, 
del 
decreto 
legge 
23 
ottobre 
1996, 
n. 
543, 
convertito, 
con modificazioni, dalla legge 
20 dicembre 
1996, n. 639, e 
dell'articolo 18, comma 1, del 
decreto 
legge 
25 marzo 1997, n. 67, convertito, con modificazioni, dalla legge 
23 maggio 1997, 


n. 
135, 
si 
interpretano 
nel 
senso 
che 
il 
giudice 
contabile, 
in 
caso 
di 
proscioglimento 
nel 
merito, 
e 
con la sentenza che 
definisce 
il 
giudizio, ai 
sensi 
e 
con le 
modalità di 
cui 
all'articolo 91 del 
codice 
di 
procedura civile, non può disporre 
la compensazione 
delle 
spese 
del 
giudizio e 
liquida 
l'ammontare 
degli 
onorari 
e 
diritti 
spettanti 
alla difesa del 
prosciolto, fermo restando 
il 
parere 
di 
congruità 
dell'Avvocatura 
dello 
Stato 
da 
esprimere 
sulle 
richieste 
di 
rimborso 
avanzate all'amministrazione di appartenenza”. 
tale 
disposizione 
aveva 
visto diverse 
interpretazioni, sia 
giurisprudenziali 
sia 
delle 
amministrazioni 
sia 
dell'Avvocatura 
dello 
Stato, 
sino 
alla 
sentenza 
n. 
19195/13 
della 
Corte 
di 
Cassazione - Sez. Lavoro. 


tale 
sentenza 
ha 
affermato (per vero sottovalutando l'ultimo periodo della 
norma 
surri


°

portata) il 
seguente 
principio di 
diritto: 
“Dopo l'entrata in vigore 
dell'art. 10 bis, co. 10 
d.l. 


n. 203/05 (convertito con modificazioni 
in legge 
n. 248/05), in caso di 
proscioglimento nel 
merito 
del 
convenuto 
in 
giudizio 
per 
responsabilità 
amministrativo-contabile 
innanzi 
alla 
Corte 
dei 
Conti, spetta esclusivamente 
a detto giudice, con la sentenza che 
definisce 
il 
giudizio, 
liquidare 
a 
carico 
dell'amministrazione 
di 
appartenenza 
l'ammontare 
delle 
spese 
di 
difesa 
del 
prosciolto, senza successiva possibilità per 
quest'ultimo di 
chiedere 
in separata sede 
al-
l'amministrazione 
medesima la liquidazione 
di 
dette 
spese, neppure 
in via integrativa della 
liquidazione 
operata dal 
giudice 
contabile 
... ... Non può ammettersi 
neppure 
una sopravvivenza 
integrativa 
del 
rimborso 
extragiudiziale 
a 
fronte 
di 
un'eventuale 
incongrua 
liquidazione 
delle spese ad opera del giudice contabile”. 
tale 
principio di 
diritto ha 
trovato apparente 
conferma 
nell'art. 31 del 
D.Lgs. n. 174 del 
2016 dal 
cui 
dato testuale 
potrebbe 
sembrare 
che 
il 
Legislatore, facendo duplice 
riferimento 
alla 
“liquidazione” 
delle 
spese 
da 
parte 
del 
giudice 
contabile, abbia 
precluso ogni 
ulteriore 
liquidazione, 
ivi compresa quella da effettuare in occasione della richiesta 
ex 
art. 18 citato. 


Sulla 
scorta 
di 
questa 
impostazione, l'Avvocatura 
dello Stato si 
è 
adeguata 
e 
ha 
da 
quel 
momento 
negato 
le 
richieste 
di 
rimborso 
delle 
spese 
di 
difesa 
in 
esito 
a 
giudizi 
contabili, 
anche 
se 
talune 
pronunce 
di 
tAR 
e 
del 
Consiglio 
di 
Stato 
si 
muovevano 
in 
senso 
difforme 
accogliendo 
i ricorsi giurisdizionali proposti dagli interessati. 



tEMI 
IStItuzIoNALI 


Le 
richieste 
di 
rimborso, in realtà, hanno continuato ad essere 
avanzate 
dagli 
interessati 
e 
trasmesse 
dalle 
amministrazioni 
talora 
con motivazioni 
in favore 
dei 
richiedenti, anche 
alla 
luce 
della 
circostanza 
che 
le 
liquidazioni 
operate 
dal 
Giudice 
contabile 
si 
attestavano su una 
somma tra € 500,00 ed € 1.500,00. 


È, successivamente, intervenuta 
la sentenza della Corte 
Costituzionale 
n. 189/2020, 
depositata 
in 
data 
31 
luglio 
2020, 
nel 
cui 
ultimo 
periodo 
si 
afferma: 
“Al 
riguardo 
va 
rilevato 
che 
-ferma restando la regolamentazione 
da parte 
del 
giudice 
contabile 
delle 
spese 
del 
relativo 
giudizio -deve 
essere 
distinto il 
rapporto che 
ha per 
oggetto il 
giudizio di 
responsabilità 
contabile 
da 
quello 
che 
si 
instaura 
fra 
l'incolpato, 
poi 
assolto 
o 
prosciolto, 
e 
l'amministrazione 
di 
appartenenza, relativamente 
al 
rimborso delle 
spese 
per 
la difesa. Sia la giurisprudenza 
ordinaria, sia quella amministrativa, infatti, hanno riconosciuto che 
tra i 
due 
rapporti 
non vi 
sono elementi 
di 
connessione, in ragione 
della diversità del 
loro oggetto (Consiglio di 
Stato, 
sezione 
III, sentenza 28 luglio 2017, n. 3779; nello stesso senso, Corte 
di 
Cassazione, sezioni 
unite 
civili, sentenze 
14 marzo 2011, n. 5918, 24 marzo 2010, n. 6996, e 
12 novembre 
2003, 
n. 17014)”. 


Dunque, a 
tenore 
di 
tale 
sentenza, le 
spese 
di 
difesa 
relativamente 
ai 
giudizi 
contabili 
conclusi 
con il 
proscioglimento del 
dipendente 
sono rimborsabili 
ai 
sensi 
dell'art. 18 del 
d.l. 


n. 67 del 
1997, come 
convertito, indipendentemente 
dall'importo liquidato dal 
Giudice 
contabile 
(ovviamente detraendo tale importo dal quanto ritenuto congruo). 
Le 
amministrazioni 
hanno reiterato le 
loro richieste 
di 
rimborso in favore 
dei 
propri 
dipendenti 
paventando, in caso di 
mantenimento della 
posizione 
negativa, ricorsi 
al 
Giudice 
da 
parte degli interessati, con inerenti condanne anche alle spese del giudizio. 


Conseguentemente, 
a 
seguito 
di 
confronti 
istituzionali, 
si 
è 
concluso 
nel 
senso 
della 
possibilità 
di 
applicazione 
dell'art. 18, già 
citato, anche 
ai 
giudizi 
per responsabilità 
amministrativo-
contabile, ovviamente conclusi favorevolmente per il soggetto interessato. 


va, pertanto, modificato il 
precedente 
orientamento dell'avvocatura dello stato e 
va affermato che, anche 
rispetto a tali 
giudizi, è 
consentita -nel 
rispetto dei 
requisiti 
fissati 
dal 
ripetuto art. 18 -la valutazione 
e 
liquidazione, nel 
limite 
ritenuto congruo, delle 
spese 
di 
difesa 
nei 
giudizi 
per 
responsabilità 
contabile-amministrativa 
dinanzi 
alla 
Corte 
dei Conti. 


l'avvoCaTo generale aggiunTo 
avv. Carlo sica 



RASSEGNA 
AvvoCAtuRA 
DELLo 
StAto -N. 3/2020 


i registri e gli indirizzi peC (rectius i domicili digitali) 
rilevanti per l’avvocatura dello stato ai fini 
delle comunicazioni e notificazioni telematiche 


RIfLeSSIoNI 
A 
TRIbuNALe 
AMMINISTRATIvo 
ReGIoNALe 
PeR 
IL 
LAzIo, 
SezIoNe 
PRIMA 
TeR, oRDINANzA 
25 GeNNAIo 
2021 N. 932 e 
A 
CASSAzIoNe, 
SezIoNe 
PRIMA 
CIvILe, SeNTeNzA 
3 febbRAIo 
2021 N. 2460 


Marco la Greca* 


Il 
tar 
per 
il 
Lazio, 
con 
l’ordinanza 
in 
rassegna, 
ha 
rilevato 
la 
nullità 
della 
notifica 
del 
ricorso 
all’Avvocatura 
dello 
Stato, 
verosimilmente 
(la 
ragione 
non 
è 
stata 
esplicitata) 
in 
quanto 
l’indirizzo 
di 
destinazione 
(roma@mailcert.avvocaturastato.
it) 
non 
era 
presente, 
ai 
sensi 
dell’art. 
16 
ter 
del 
DL 
179/2012, 
negli 
indirizzi 
pubblici 
validi 
ai 
fini 
delle 
notificazioni 
e 
comunicazioni 
telematiche. 


Lo stesso tar ha 
peraltro ritenuto scusabile 
l’errore 
in cui 
è 
incorso il 
notificante 
(per l’effetto concedendo termine 
per rinnovare 
la 
notifica), in considerazione 
del 
fatto 
che 
il 
predetto 
indirizzo 
“è 
indicato 
dallo 
stesso 
sito 
Internet dell’Avvocatura”. 

Per 
individuare 
l’indirizzo 
da 
utilizzare 
ai 
fini 
delle 
notificazioni 
a 
mezzo 
PEC, tuttavia, si 
dovrebbero consultare 
non i 
siti 
internet 
delle 
Amministrazioni, 
ma 
i 
registri 
pubblici 
di 
cui 
al 
citato 
articolo 
16 
ter 
del 
DL 
179/2012 
(nei 
quali 
l’Avvocatura 
è 
presente 
unicamente 
con il 
diverso indirizzo avente 
struttura 
ags/ads.siglaprovincia@mailcert.avvocaturastato.it); 
tanto 
ciò 
che 
è 
vero 
che 
l’articolo 
3 
bis, 
comma 
5, 
lettera 
f), 
della 
legge 
n. 
53/1994, 
prevede 
espressamente 
che 
la 
relazione 
di 
notifica 
rechi 
anche 
“l’indicazione 
del-
l’elenco da cui” 
l’indirizzo del 
destinatario “è 
stato estratto”. Il 
tar non considera, 
poi, 
che 
il 
sito 
internet 
di 
ogni 
Pubblica 
Amministrazione 
deve 
indicare 
tutti 
gli 
indirizzi 
PEC di 
riferimento dell’Amministrazione 
stessa. Il 
sito del-
l’Avvocatura 
dello Stato non si 
sottrae 
a 
questo obbligo e, nell’indicare 
i 
vari 
indirizzi, ha 
anche 
cura 
(attenzione 
non frequente) di 
precisare 
funzione 
e 
utilizzo 
di 
ciascuna 
tipologia 
di 
essi, 
fornendo 
i 
relativi 
riferimenti 
normativi. 
Nello 
specifico, 
la 
pagina 
internet 
dedicata 
agli 
indirizzi 
PEC 
dell’Avvocatura 
dello Stato distingue 
tra 
“Corrispondenza relativa ad attività legale”, “Corrispondenza 
relativa ad attività amministrativa” 
e 
“Notificazioni 
(Processo 
Civile, 
Penale, 
Amministrativo, 
Contabile 
e 
Tributario)”. 
Cliccando 
sull’unico 
link intitolato alle 
notificazioni, si 
accede 
alla 
schermata 
che 
riporta 
gli 
indirizzi 
validi 
a 
detti 
fini, preceduti 
dalla 
specificazione 
che 
si 
tratta 
di 
“Indirizzi 


(*) Avvocato dello Stato, Responsabile per la transazione al digitale. 

l’ordinanza n. 932/2021 T.a.r. lazio, I 
ter, è 
stata segnalata dall’avv. Stato Alberto Giua, mentre 
la 
sentenza n. 2460/2021 Cass., Sez. I civ., dall’avv. St. luigi Simeoli. 



tEMI 
IStItuzIoNALI 


censiti 
nel 
registro 
denominato 
<Reginde>, 
previsto 
dall’art. 
7 
del 
D.M. 
n. 
44/2011, e 
nel 
registro di 
cui 
all’art. 16, comma 12, del 
D.L. 179/2012, entrambi 
dichiarati <elenchi pubblici> dall’art. 16 ter del D.L. 179/2012”. 

Pare 
dunque 
all’estensore 
della 
presente 
nota 
che 
l’errore 
in 
cui 
è 
incorso 
il 
notificante 
non sia 
affatto scusabile, e 
particolarmente 
non lo sia 
per la 
ragione 
indicata 
dal 
tar, non solo perché 
il 
notificante 
dovrebbe 
consultare 
i 
registri 
pubblici 
e 
non 
i 
siti 
internet, 
ma 
anche 
perché 
il 
sito 
dell’Avvocatura 
dello Stato, a ben vedere, reca indicazioni complete e chiare. 

A 
ingenerare 
un 
po’ 
di 
confusione, 
per 
il 
vero, 
sono 
a 
volte 
le 
disposizioni 
di 
legge 
(e 
non 
di 
rado 
la 
stessa 
giurisprudenza); 
si 
consideri 
che, 
in 
base 
all’articolo 
16 
ter 
del 
DL 
179/2012, 
uno 
dei 
registri 
validi 
ai 
fini 
delle 
notifiche 
via 
PEC 
è 
il 
“Registro 
delle 
PA”, 
previsto 
all’articolo 
16, 
comma 
12, 
dello 
stesso 
DL 
179/2012, 
mentre 
non 
lo 
è 
“l’indice 
PA” 
(per 
esteso 
“Indice 
dei 
domicili 
digitali 
delle 
Pubbliche 
Amministrazioni”), 
anche 
detto 
“IPA”, 
previsto 
dall’articolo 
6 
ter 
del 
Cad. 
La 
somiglianza 
terminologica 
è 
stata 
molte 
volte 
fonte 
di 
equivoci, 
ai 
quali 
non 
si 
sottrae, 
per 
certi 
versi, 
e 
come 
più 
avanti 
si 
proverà 
a 
evidenziare, 
nemmeno 
la 
Corte 
di 
Cassazione, 
con 
la 
sentenza 
n. 
2460/2021. 


Per completezza, anche 
se 
può introdurre 
un ulteriore 
elemento di 
apparente 
complicazione, è 
bene 
precisare 
che 
“l’IPA”, a 
seguito delle 
modifiche 
introdotte 
dall’articolo 28 del 
DL 
76/2020, assurge 
ora 
a 
valore 
di 
pubblico 
elenco, in via 
sussidiaria, per le 
amministrazioni 
che 
non abbiano adempiuto 
all’obbligo di 
comunicare 
il 
proprio indirizzo PEC (o, per dirlo con la 
terminologia 
aggiornata, il 
proprio domicilio digitale) al 
Registro delle 
PA. L’Avvocatura 
dello 
Stato, 
tuttavia, 
è 
tra 
le 
poche 
PA 
che 
hanno 
da 
tempo 
adempiuto 
ai 
propri 
obblighi 
di 
comunicazione, 
essendo 
regolarmente 
censita 
sul 
predetto 
registro sin dalla sua istituzione (risalente all’anno 2014). 

tornando alla 
notificazione 
in questione, occorre 
ancora 
considerare 
che 
in 
base 
all’articolo 
44, 
comma 
4, 
del 
CPA, 
il 
Giudice 
amministrativo 
può 
concedere 
termine 
per rinnovare 
la 
notifica 
nulla 
solo se 
ritiene 
che 
“l’esito negativo 
della 
notificazione 
dipenda 
da 
causa 
non 
imputabile 
al 
notificante”. 
Disposizione, a 
sommesso avviso di 
chi 
scrive, improvvidamente 
severa 
che 
conduce 
spesso il 
Giudice 
amministrativo, per mitigarne 
la 
portata, a 
cercare 
una 
ragione 
di 
scusabilità 
anche 
qualora 
non sussistente. In tale 
prospettiva, il 
tar, 
non 
potendo 
certo 
valorizzare 
come 
causa 
di 
non 
imputabilità 
l’ignoranza 
della 
legge, 
ha 
attribuito 
al 
sito 
dell’Avvocatura 
dello 
Stato 
una 
responsabilità 
che obiettivamente non ha. 

È 
certamente 
spaicevole 
fare 
da 
“capro 
espiatorio”, 
vedendosi 
attribuire, 
pur 
di 
fronte 
alle 
precise 
indicazioni 
contenute 
nel 
sito, 
la 
responsabilità 
di 
un 
errore 
che 
è 
invece 
attribuibile 
alla 
superficialità 
del 
ricorrente. 
Al 
tempo 
stesso, 
bisogna 
anche 
rilevare 
che 
la 
nullità 
rispetto 
a 
quell’indirizzo 
è 
stata 
comunque 
rilevata 
e 
che 
una 
giurisprudenza 
più 
“lasca” 
rispetto 
al 
citato 
articolo 
44, 
comma 
4, 
del 
CPA, 
potrebbe 
anche 
avere 
una 
utilità 
di 
carattere 
generale. 



RASSEGNA 
AvvoCAtuRA 
DELLo 
StAto -N. 3/2020 


venendo 
alla 
sentenza 
della 
Corte 
di 
Cassazione 
n. 
2460/2021, 
si 
osserva 
che 
le 
relative 
conclusioni, condensate 
nel 
principio di 
diritto, sono corrette, 
venendo ivi 
indicati 
tutti 
i 
registri 
validi 
ai 
fini 
delle 
comunicazioni 
e 
notificazioni 
via 
PEC (non viene 
menzionata, evidentemente 
non trovando applicazione 
nel 
caso di 
specie, la 
modifica 
introdotta 
dal 
citato articolo 28 del 
DL 
76/2020) ed essendo espressamente 
stabilita 
l’equipollenza 
tra 
Reginde 
e 
Inipec 
(nel 
senso che 
entrambi 
sono dichiarati 
registri 
validi 
ai 
fini 
delle 
notificazioni 
e 
comunicazioni 
via 
PEC). 
E 
però 
le 
stesse 
conclusioni, 
combinate 
con la 
parte 
motiva, si 
definiscono nella 
loro reale 
portata, foriera 
di 
possibili 
e pericolosi equivoci. 

È 
forse 
utile 
premettere 
che 
nella 
vicenda 
vengono 
in 
rilievo, 
direttamente 


o 
indirettamente, 
e 
sebbene 
la 
Corte 
non 
sembri 
esserne 
del 
tutto 
consapevole, 
quattro registri: 
1) 
l’indice 
delle 
p.a. 
(il 
cosiddetto 
“ipa”, 
ora 
“Indice 
dei 
domicili 
digitali 
delle 
Pubbliche 
Amministrazioni”), 
previsto 
dall’art. 
6 
ter 
del 
Cad: 
in 
base 
all’articolo 16 ter 
del 
DL 
179/2012, esso non è 
un registro valido ai 
fini 
delle 
notifiche 
PEC (se 
non in via 
sussidiaria 
nell’ipotesi 
sopra 
ricordata 
e 
che 
non 
riguarda 
l’Avvocatura 
dello Stato); 
l’indirizzo che 
ha 
utilizzato il 
notificante 
nel 
caso 
trattato 
dalla 
sentenza 
della 
Corte 
di 
cassazione 
(perugia@mailcert.avvocaturastato.it) 
è 
proprio 
quello 
risultante 
da 
questo 
elenco; 
2) l’indice 
inipec, previsto dall’art. 6 bis 
del 
Cad, rubricato “Indice 
nazionale 
degli 
indirizzi 
PEC delle 
imprese 
e 
dei 
professionisti”: 
in base 
all’art. 
16 ter 
del 
D.L. 179/2012, esso è 
un registro valido ai 
fini 
delle 
notificazioni 
e 
comunicazioni processuali; in questo registro l’Avvocatura non è presente; 
3) Il 
reginde, previsto dall’art. 7 del 
D.M. n. 44/2011: 
in base 
all’art. 
16 ter 
del 
D.L. 179/2012, esso è 
un registro valido ai 
fini 
delle 
notifiche 
PEC; 
su questo Registro l’Avvocatura, come 
detto, è 
censita 
con l’indirizzo che 
rispetto 
alla sede di Perugia è 
ads.pg@mailcert.avvocaturastato.it. 
4) il 
registro delle 
p.a. 
(da 
non confondere 
con il 
registro di 
cui 
al 
punto 
1), previsto dall’art. 16, comma 
12, del 
D.L. 179/2012: 
in base 
all’articolo 16 
ter 
del 
DL 
179/2012, esso, al 
pari 
del 
REGINDE, è 
un registro valido ai 
fini 
delle 
notifiche 
PEC; 
a 
differenza 
del 
REGINDE, però, questo registro è 
riservato 
alle 
P.A. intese 
come 
parti 
ed in questa 
veste 
l’Avvocatura 
indica 
il 
proprio 
indirizzo, nel 
caso in cui 
dovesse 
essere 
destinataria 
di 
una 
notifica 
come 
parte 
(anziché 
come 
difensore); 
ad ogni 
buon conto questa 
distinzione 
teorica 
è 
priva 
di 
rilevanza 
concreta 
dal 
momento 
che 
pure 
su 
questo 
registro, 
per 
semplificare 
i 
rapporti 
processuali 
con 
le 
controparti 
e 
ridurre 
al 
minimo 
la 
possibilità 
di 
loro errore, l’Avvocatura 
dello Stato ha 
indicato lo stesso indirizzo 
presente 
sul 
REGINDE, ovvero, e 
sempre 
per restare 
al 
caso di 
specie 
ads.pg@mailcert.avvocaturastato.it. 



tEMI 
IStItuzIoNALI 


In relazione 
ai 
registri 
appena 
ricordati, la 
Corte 
commette 
un primo errore 
nel 
confondere 
i 
registri 
di 
cui 
ai 
punti 
3 e 
4, ovvero il 
REGINDE 
e 
il 
Registro 
delle 
PA. 
L’errore 
si 
manifesta 
dove 
la 
Corte, 
dopo 
avere 
riferito 
dell’istituzione 
del 
registro 
di 
cui 
all’articolo 
16, 
comma 
12, 
del 
DL 
179/2012, 
nel 
quale 
le 
“amministrazioni 
pubbliche 
di 
cui 
all’articolo 1, comma 2, del 
D.Lgs. n. 165 del 
30.3.2001” 
avrebbero dovuto comunicare 
“un indirizzo di 
posta elettronica certificata… 
presso il 
quale 
ricevere 
le 
comunicazioni 
e 
notificazioni 
loro dirette”, conclude 
nel 
senso che 
“L’elenco di 
tali 
indirizzi 
di 
posta elettronica certificata” 
sarebbe 
“denominato Re.G.Ind.e”, mentre 
invece 
è il Registro delle PA. 

Sin 
qui, 
però, 
si 
tratterebbe 
di 
un 
errore 
certo 
grave, 
dal 
punto 
di 
vista 
della 
ricostruzione 
normativa 
generale, e 
però ancora 
tutto sommato innocuo 
rispetto alla 
posizione 
specifica 
dell’Avvocatura 
dello Stato. Il 
vero problema 
per 
l’Avvocatura 
risiede, 
ad 
avviso 
di 
chi 
scrive, 
in 
questo: 
nella 
ricostruzione 
in fatto si 
dà 
atto che 
la 
notifica 
è 
stata 
eseguita 
all’indirizzo perugia@mailcert.
avvocaturastato.it, 
ovvero 
l’indirizzo 
di 
cui 
al 
punto 
1, 
che 
la 
Corte 
stessa 
sembra 
ritenere 
essere 
stato 
tratto 
da 
Inipec. 
Ciò 
non 
è 
possibile, 
perché 
in 
quel registro, come già segnalato, l’Avvocatura dello Stato non è censita. 

L’equivoco 
è 
verosimilmente 
sorto, 
così 
come 
accadde 
nella 
sentenza 
della 
Cassazione 
n. 
3709/2019 
(1) 
(citata 
nella 
sentenza 
in 
commento 
unitamente 
alla 
relativa 
ordinanza 
di 
correzione, 
ma 
con 
estremi 
errati), 
perché 
la 
controparte 
aveva 
tratto 
l’indirizzo 
da 
IPA, 
dichiarando 
però 
di 
averlo 
tratto 
da 
Inipec. 


ora: 
che 
l’Avvocatura 
dello Stato non sia 
presente 
nell’indice 
Inipec 
può 
sempre 
essere 
dedotto, argomentando, in primo luogo, dalla 
stessa 
denominazione 
del 
registro, riferito alle 
imprese 
e 
ai 
professionisti 
(categorie 
alle 
quali 
di 
certo non può ricondursi 
l’Avvocatura 
dello Stato), e, ulteriormente, dalla 
regola 
di 
alimentazione 
del 
registro 
disciplinata 
dall’articolo 
6 
bis 
del 
Cad, 
secondo 
cui 
il 
registro 
in 
questione 
riceve 
le 
relative 
comunicazioni 
dal 
registro 
delle 
imprese, dai 
collegi 
e 
dagli 
ordini 
professionali 
(ovvero registri 
ed enti 
che 
nulla 
hanno a 
che 
vedere 
con l’Avvocatura 
dello Stato); 
occorrendo, inoltre, 
si 
può 
anche 
documentare 
il 
fatto, 
con 
l’immagine 
della 
relativa 
schermata, 
che 
l’Inipec 
non 
restituisce 
risultati 
qualora 
si 
cerchi 
l’Avvocatura 
dello 
Stato. 

Il 
vero 
problema, 
però, 
si 
torna 
a 
ripetere, 
è 
che 
combinando 
il 
fatto, 
per 
come 
narrato 
nella 
sentenza, 
con 
il 
principio 
affermato, 
potrebbe 
sostenersi 
che 
ad 
avviso 
della 
Corte 
gli 
indirizzi 
con 
struttura 
nomeprovincia@mailcert.avvocaturastato.it 
(nel 
caso 
di 
specie 
era 
perugia@mailcert.avvocaturastato.it, 
in 
quello 
dell’ordinanza 
del 
tar 
era 
roma@mailcert.avvocaturastato.it), 
in 
quanto 
estratti 
da 
Inipec, 
siano 
indirizzi 
validi. 


(1) In questa 
Rassegna, 2019, vol. 3, pp. 149 ss., MARCo 
LA 
GRECA, Qualche 
precisazione 
sui 
registri 
validi ai fini delle comunicazioni e notificazioni a mezzo PeC alla Avvocatura dello Stato. 

RASSEGNA 
AvvoCAtuRA 
DELLo 
StAto -N. 3/2020 


La 
Corte 
non ha 
purtroppo percepito, e 
perciò non ha 
mai 
affermato, che 
quell’indirizzo non è 
presente 
su Inipec 
ma 
su Indice 
IPA, ovvero su un registro 
non valido ai 
fini 
delle 
comunicazioni 
e 
notificazioni 
via 
PEC. tanto ciò 
è 
vero che 
la 
Corte 
ha 
accolto proprio il 
primo motivo di 
ricorso, con cui 
si 
denunziava 
la 
sentenza 
impugnata 
-secondo quanto riferisce 
la 
Corte 
stessa 
per 
avere 
“erroneamente 
dichiarato la nullità della citazione 
introduttiva del 
gravame”. La 
parte 
assumeva 
insomma 
di 
avere 
correttamente 
notificato. In 
sede 
di 
giudizio 
di 
rinvio 
forse 
ci 
potrà 
essere 
margine 
per 
chiarire 
la 
questione, 
anche 
perché, almeno espressamente, la 
Corte 
non si 
è 
pronunciata 
nel 
senso 
della 
validità 
di 
quella 
notifica, ma 
purtroppo sarà 
questa 
sentenza, con tutto 
il 
suo 
pericoloso 
precipitato, 
a 
circolare 
tra 
gli 
operatori 
e 
a 
diffondere 
ulteriori 
incertezze, quando non erronei convincimenti e distorte prassi applicative. 

In 
conclusione: 
è 
auspicabile 
ci 
possa 
essere 
presto 
l’occasione 
per 
far 
affermare, in una 
materia 
che 
certo non ha 
bisogno di 
contributi 
atti 
a 
favorire 
la 
confusione, la 
correttezza 
del 
dato giuridico-fattuale 
circa 
i 
registri 
e 
gli 
indirizzi 
PEC 
(o 
domicili 
digitali 
che 
dir 
si 
voglia) 
rilevanti 
per 
l’Avvocatura 
dello Stato ai 
fini 
delle 
comunicazioni 
e 
notificazioni 
telematiche, che, si 
ripete, 
sono solo due: 
Reginde 
e 
Registro delle 
PA 
(non Indice 
delle 
PA). Come 
ripetuto, la 
materia, già 
di 
suo insidiosa, viene 
resa 
ancora 
più complicata 
da 
decisioni 
che 
non 
sempre 
dedicano 
ad 
essa 
l'attenzione 
che 
invece 
sarebbe 
necessaria. 


Tribunale 
amministrativo regionale 
per 
il 
lazio, sezione 
prima Ter, ordinanza 25 gennaio 
2021 n. 932. 


(...) 
Considerato che 
il 
ricorso è 
stato notificato all’indirizzo PEC “roma@mailcert.avvocaturastato.
it” 
che 
non corrisponde 
all’indirizzo presso il 
quale 
devono, invece, essere 
notificati 
all’Avvocatura 
Generale dello Stato gli atti giudiziari (ags.rm@mailcert.avvocaturastato.it); 


- che l’Amministrazione non si è costituita; 
-che, ravvisando il 
Collegio la 
sussistenza 
di 
un errore 
scusabile 
nell’individuazione 
dell’indirizzo 
di 
posta 
elettronica 
dell’Avvocatura 
dello Stato, trattandosi 
di 
indirizzo pec 
indicato 
dallo stesso sito Internet dell’Avvocatura; 
Ritenuto 
di 
assegnare 
a 
parte 
ricorrente 
il 
termine 
di 
giorni 
20 
per 
la 
rinnovazione 
della 
notifica 
del 
ricorso introduttivo del 
giudizio, decorrente 
dalla 
comunicazione, in via 
amministrativa, 
della presente ordinanza; 
P.Q.M. 
Il 
tribunale 
Amministrativo 
Regionale 
per 
il 
Lazio 
(Sezione 
Prima 
ter) 
dispone 
la 
rimessione 
in termini 
per la 
notifica 
del 
ricorso introduttivo del 
giudizio, assegnando a 
parte 
ricorrente 
il 
termine 
di 
venti 
(20) giorni 
per provvedere 
all’incombente 
di 
cui 
in parte 
motiva, decorrente 
dalla comunicazione, in via amministrativa, della presente ordinanza. 
(...) 



tEMI 
IStItuzIoNALI 


Cassazione civile, sezione i, sentenza 3 febbraio 2021 n. 2460. 


FAttI DI CAuSA 
Con 
ordinanza 
del 
17.2.2017 
il 
tribunale 
di 
Perugia 
rigettava 
l'opposizione 
proposta 
da 


t.M. 
avverso 
il 
provvedimento 
della 
Commissione 
territoriale 
per 
il 
riconoscimento 
della 
protezione 
internazionale 
con 
il 
quale 
era 
stata 
respinta 
la 
domanda 
di 
riconoscimento 
della 
tutela, 
internazionale e umanitaria, formulata dal richiedente. 
Con 
la 
sentenza 
impugnata, 
n. 
333/2018, 
la 
Corte 
di 
Appello 
di 
Perugia 
dichiarava 
la 
nullità 
della 
citazione 
in appello con la 
quale 
il 
t. aveva 
proposto gravame 
avverso la 
decisione 
di 
prima 
istanza, poiché 
l'atto era 
stato notificato ad un indirizzo di 
posta 
elettronica 
certificata 
dell'Avvocatura 
Distrettuale 
dello Stato diverso da 
quello indicato nel 
Re.G.Ind.E. (Registro 
Generale 
degli 
Indirizzi 
Elettronici) ed il 
ricorrente 
aveva, in prima 
udienza, espressamente 
rifiutato il 
termine 
per provvedere 
alla 
rinnovazione 
della 
notificazione 
dell'atto di 
impugnazione. 


Propone ricorso per la cassazione di detta decisione il 
t. affidandosi a cinque motivi. 


Il 
Ministero dell'Interno, intimato, non ha 
svolto attività 
difensiva 
nel 
presente 
giudizio di 
legittimità. 


Il 
ricorso, originariamente 
chiamato nell'adunanza 
camerale 
della 
prima 
sezione 
civile 
di 
questa 
Corte 
del 
5.11.2019, è 
stato rinviato in udienza 
pubblica 
con ordinanza 
interlocutoria 
n. 3093/2020. 


RAGIoNI DELLA DECISIoNE 


Con il 
primo motivo il 
ricorrente 
denunzia 
la 
violazione 
ed erronea 
applicazione 
dell'art. 
291 c.p.c. e 
dell'art. 11 del 
R.D. n. 1611 del 
1933, in relazione 
all'art. 360, primo comma, n. 
3, 
c.p.c., 
perché 
la 
Corte 
di 
Appello 
avrebbe 
erroneamente 
dichiarato 
la 
nullità 
della 
citazione 
introduttiva del gravame. 


La censura è fondata. 


La 
Corte 
umbra 
dà 
atto che 
il 
t. aveva 
notificato per via 
telematica 
l'atto di 
citazione 
in 
appello 
all'Avvocatura 
Distrettuale 
dello 
Stato 
presso 
l'indirizzo 
di 
posta 
elettronica 
certificata 
perugia@mailcert.avvocaturastato.it 
diverso 
da 
quello 
ads.pg@mailcert.avvocaturastato.it 
risultante 
dal 
Registro Generale 
degli 
Indirizzi 
Elettronici 
(Re.G.Ind.E.) gestito dal 
Ministero 
della 
Giustizia. Inoltre, la 
decisione 
impugnata 
dà 
atto che, alla 
prima 
udienza, la 
difesa 
del-
l'appellante 
aveva 
"rifiutato il 
termine 
per 
il 
rinnovo della notifica al 
Ministero, che 
la Corte 
avrebbe 
potuto concedere 
ex 
art. 291 c.p.c., affermando di 
ritenere 
valida ex 
art. 11 R.D. n. 
1611/33 
la 
notifica 
effettuata 
e 
chiedendo 
perciò 
la 
dichiarazione 
di 
contumacia 
del 
Ministero" 
(cfr. pag. 2). Su tali 
premesse 
di 
fatto, la 
Corte 
territoriale 
ha 
ritenuto nulla 
la 
notificazione 
dell'atto 
introduttivo 
del 
gravame, 
sul 
presupposto 
che, 
ai 
sensi 
dell'art. 
17, 
comma 
4, 
del 


D.M. n. 44 del 
21/2/2011 (regolamento emanato in attuazione 
dei 
principi 
previsti 
dal 
D.Lgs. 
n. 82 del 
7/3/2005 e 
successive 
modificazioni, ai 
sensi 
dell'art. 4, commi 
1 e 
2, del 
D.L. n. 
193 del 
29/12/2009, convertito in Legge 
n. 24 del 
22/2/2019), l'indirizzo di 
posta 
elettronica 
certificata 
risultante 
dal 
Re.G.Ind.E. 
sia 
l'unico 
indirizzo 
presso 
il 
quale 
sia 
consentito 
eseguire 
notificazione di atti per via telematica. 
Il 
ricorrente 
contesta 
l'interpretazione 
fornita 
dalla 
Corte 
territoriale, 
richiamando 
una 
pronuncia 
del 
tribunale 
di 
Milano e 
sostenendo che 
la 
notificazione 
dell'atto di 
appello all'Avvocatura 
Distrettuale 
dello Stato avrebbe 
dovuto essere 
considerata 
valida, a 
nulla 
rilevando 
da 
quale 
elenco sia 
stato estratto l'indirizzo di 
posta 
elettronica 
certificata 
utilizzato, purché 
si 
tratti 
di 
un 
elenco 
pubblico. 
Secondo 
il 
ricorrente, 
peraltro, 
l'elencazione 
dei 
pubblici 
registri 



RASSEGNA 
AvvoCAtuRA 
DELLo 
StAto -N. 3/2020 


contenenti 
gli 
indirizzi 
di 
posta 
elettronica 
certificata 
presso cui 
sarebbe 
possibile 
eseguire 
le 
notificazioni 
in 
via 
telematica 
non 
avrebbe 
abrogato 
la 
domiciliazione 
presso 
l'Avvocatura 
dello Stato prevista, in via 
generale, dall'art. 11 del 
R.D. n. 1611 del 
1933, che 
dunque 
si 
aggiungerebbe 
a 
quella 
di 
cui 
all'art. 3 bis 
della 
Legge 
n. 53 del 
1994. Inoltre, il 
registro INIPEC 
(acronimo per Indice 
Nazionale 
degli 
Indirizzi 
di 
Posta 
Elettronica 
certificata) sarebbe 
un pubblico elenco, tenuto conto di 
quanto disposto dall'art. 16 ter, comma 
1, del 
D.L. n. 179 
del 
18.10.2012, convertito in Legge 
n. 221 del 
7.12.2012, e 
dall'art. 6 bis 
del 
D.Lgs. n. 82 del 
7.3.2005 (cd. Codice 
dell'Amministrazione 
Digitale), nonché 
dell'art. 149 bis, commi 
1 e 
2, 


c.p.c. e dell'art. 3 bis, comma 1, della Legge n. 53 del 21.1.1994. 
Sul 
tema 
delle 
notificazioni 
eseguite 
mediante 
posta 
elettronica 
certificata 
si 
è 
assistito, 
negli ultimi anni, ad un vivace dibattito giurisprudenziale. 
Questa 
Corte 
ha 
affermato, innanzitutto, che 
in materia 
di 
notificazioni 
al 
difensore, a 
seguito 
dell'introduzione 
del 
cd. "domicilio digitale" 
(corrispondente 
all'indirizzo di 
posta 
elettronica 
certificata 
che 
ciascun avvocato ha 
indicato al 
Consiglio dell'ordine 
di 
appartenenza, 
secondo le 
previsioni 
di 
cui 
all'art. 16 sexies 
del 
D.L. n. 179 del 
2012, convertito con modificazioni 
in Legge 
n. 221 del 
2012, come 
modificato dal 
D.L. n. 90 del 
2014, convertito con 
modificazioni 
in Legge 
n. 114 del 
2014), la 
notificazione 
dell'atto di 
appello vada 
eseguita 
all'indirizzo p.e.c. del 
difensore 
costituito risultante 
dal 
Re.G.Ind.E., pur se 
esso non sia 
stato 
indicato negli 
atti 
dal 
difensore 
medesimo, sicché 
è 
nulla 
la 
notificazione 
che 
sia 
stata 
effettuata 
-ai 
sensi 
dell'art. 
82 
del 
R.D. 
n. 
37 
del 
1934 
-presso 
la 
cancelleria 
dell'ufficio 
giudiziario 
innanzi 
al 
quale 
pende 
la 
lite, anche 
se 
il 
destinatario abbia 
omesso di 
eleggere 
il 
domicilio 
nel 
Comune 
in cui 
ha 
sede 
quest'ultimo, a 
meno che, oltre 
a 
tale 
omissione, non ricorra 
anche 
la 
circostanza 
che 
l'indirizzo di 
posta 
elettronica 
certificata 
non sia 
accessibile 
per cause 
imputabili 
al 
destinatario (Cass. Sez. 3, Sentenza 
n. 14914 del 
08/06/2018, Rv. 649318; 
Cass. 
Sez. 6-2, ordinanza 
n. 14140 del 
23/05/2019, Rv. 654325; 
Cass. Sez. 1, ordinanza 
interlocutoria 
n. 1411 del 18/01/2019, non massimata). 


È 
stato al 
contempo ritenuto che, ai 
fini 
della 
decorrenza 
del 
termine 
breve 
per impugnare, 
anche 
dopo l'introduzione 
del 
"domicilio digitale" 
resta 
valida 
la 
notificazione 
effettuata 
-ai 
sensi 
dell'art. 82 del 
R.D. n. 37 del 
1934 -presso la 
cancelleria 
dell'ufficio giudiziario innanzi 
al 
quale 
pende 
la 
lite, 
nel 
caso 
in 
cui 
il 
destinatario 
abbia 
scelto, 
eventualmente 
in 
associazione 
a 
quello digitale, di 
eleggervi 
il 
domicilio (Cass. Sez. 3, ordinanza 
n. 1982 del 
29/01/2020, 
Rv. 656890). 


Si 
è 
inoltre 
affermato che 
qualora 
la 
parte, pur avendo eletto domicilio ai 
sensi 
dell'art. 82 
del 
R.D. n. 37 del 
1934, abbia 
indicato nei 
propri 
atti 
un indirizzo di 
posta 
elettronica 
certificata, 
senza 
circoscrivere 
la 
portata 
di 
tale 
indicazione 
alle 
sole 
comunicazioni, sussiste 
l'obbligo 
di 
procedere 
alle 
successive 
notificazioni 
nei 
confronti 
della 
stessa 
parte 
esclusivamente 
in 
via 
telematica; 
con 
conseguente 
inidoneità 
della 
notificazione 
della 
sentenza 
d'appello 
eseguita 
presso il 
domiciliatario, anziché 
presso l'indirizzo di 
posta 
elettronica 
certificata, ai 
fini 
della 
decorrenza 
del 
termine 
breve 
di 
impugnazione 
(Cass. Sez. 6-2, ordinanza 
n. 10355 del 
01/06/2020, Rv. 657819). 


I 
richiamati 
precedenti 
condividono 
il 
presupposto 
di 
fondo, 
rappresentato 
dalla 
prevalenza 
del 
cd. "domicilio digitale" 
su ogni 
altra 
forma 
di 
domiciliazione 
prevista 
dalla 
legge, a 
meno 
che 
l'interessato 
non 
abbia 
dichiarato 
espressamente 
di 
voler 
eleggere 
domicilio, 
oltreché 
presso il 
suo recapito digitale, anche 
presso la 
cancelleria 
dell'ufficio giudiziario di 
fronte 
al 
quale 
penda 
la 
lite, ovvero nel 
caso in cui 
la 
notifica 
presso il 
domicilio digitale 
non sia 
stata 
in concreto possibile 
a 
causa 
dell'inaccessibilità 
dell'indirizzo di 
posta 
elettronica 
per causa 



tEMI 
IStItuzIoNALI 


imputabile 
al 
destinatario (come, ad esempio, nel 
caso della 
cd. "casella piena": 
Cass. Sez. 
6-3, ordinanza n. 3164 del 11/02/2020, Rv. 657013). 


Il 
Collegio condivide 
tale 
orientamento, al 
quale 
intende 
dare 
continuità. va, dunque, ribadito 
che, a 
seguito dell'istituzione 
del 
cd. "domicilio digitale", le 
notificazioni 
indirizzate 
alla 
parte 
che 
ne 
possegga 
uno, o che 
comunque 
ne 
indichi 
uno nell'ambito di 
un processo civile, 
devono essere eseguite con preferenza presso di esso. 


Per quanto invece 
attiene 
agli 
elenchi 
di 
indirizzi 
di 
posta 
elettronica 
certificata 
da 
cui 
le 
parti 
possono 
estrarre 
i 
recapiti 
utilizzabili 
ai 
fini 
della 
notificazione 
degli 
atti 
processuali, 
questa 
Corte 
ha 
in alcune 
occasioni 
affermato che 
l'unico registro a 
cui 
è 
possibile 
far riferimento 
sarebbe 
il 
Re.G.Ind.E. In particolare, secondo la 
pronuncia 
Cass. Sez. 3, Sentenza 
n. 
3709 dell'08/02/2019, non massimata 
(seguita 
poi 
da 
Cass. Sez. 6-3, ordinanza 
n. 24160 del 
27/09/2019, 
egualmente 
non 
massimata) 
il 
"domicilio 
digitale" 
previsto 
dall'art. 
16 
sexies 
del 


D.L. n. 179 del 
2012, convertito, con modificazioni, in Legge 
n. 221 del 
2012, come 
modificato 
dal 
D.L. n. 90 del 
2014, a 
sua 
volta 
convertito, con modificazioni, in legge 
n. 114 del 
2014, 
corrisponderebbe 
esclusivamente 
all'indirizzo 
p.e.c. 
che 
ciascun 
avvocato 
abbia 
indicato 
al 
Consiglio dell'ordine 
di 
appartenenza 
e 
che, per il 
tramite 
di 
quest'ultimo, sia 
stato inserito 
nel 
Registro 
Generale 
degli 
Indirizzi 
Elettronici 
(Re.G.Ind.E.) 
gestito 
dal 
Ministero 
della 
Giustizia. 
Solo questo indirizzo sarebbe 
qualificato ai 
fini 
processuali 
ed idoneo a 
garantire 
l'effettiva 
difesa, sicché 
la 
notificazione 
di 
un atto giudiziario ad un indirizzo p.e.c. riferibile 
-a 
seconda 
dei 
casi 
alla 
parte 
personalmente 
o al 
difensore, che 
sia 
diverso da 
quello inserito nel 
Re.G.Ind.E., sarebbe 
nulla, restando del 
tutto irrilevante 
la 
circostanza 
che 
detto indirizzo risulti 
dall'Indice Nazionale degli Indirizzi di Posta Elettronica Certificata (INI-PEC). 
La 
citata 
pronuncia 
richiama, 
quali 
precedenti 
conformi, 
Cass. 
Sez. 
6-3, 
ordinanza 
n. 
30139 
del 
14/12/2017, 
Rv. 
647189 
e 
Cass. 
Sez. 
6-L, 
ordinanza 
n. 
13224 
del 
25/05/2018, 
Rv. 
648685. 
Nel 
primo caso, la 
notifica 
dell'atto di 
appello era 
stata 
eseguita 
presso la 
cancelleria 
ai 
sensi 
dell'art. 82 del 
R.D. n. 37 del 
1934 senza 
ricorrere 
ai 
recapiti 
p.e.c. risultanti 
dai 
registri 
INIPEC 
e 
Re.G.Ind.E., 
nel 
secondo 
caso, 
invece, 
la 
notificazione 
a 
mezzo 
p.e.c. 
era 
stata 
eseguita 
a 
un indirizzo diverso da 
quello risultante 
dal 
Re.G.Ind.E., ancorché 
indicato dalla 
parte 
nella 
sua 
comparsa 
di 
risposta. In entrambe 
le 
ipotesi 
(sulla 
seconda 
delle 
quali, cfr. anche 
Cass. 
Sez. L, Sentenza 
n. 83 del 
04/01/2019, Rv. 652449), la 
notifica 
è 
stata 
ritenuta 
nulla, sul 
presupposto 
che l'unico "domicilio digitale" consentito sia quello risultante dal Re.G.Ind.E. 


Alla 
stessa 
conclusione 
è 
pervenuta 
Cass. 
Sez. 
6-L, 
ordinanza 
n. 
9562 
del 
05/04/2019, 
non 
massimata, 
secondo 
la 
quale, 
per 
i 
soggetti 
censiti 
all'interno 
del 
Re.G.Ind.E., 
l'unico 
indirizzo 
utilizzabile 
ai 
fini 
della 
notificazione 
degli 
atti 
giudiziari 
sarebbe 
quello inserito in detto registro 
e 
non 
anche 
quello 
eventualmente 
presente 
in 
altri 
registri 
PEC, 
anche 
qualora 
gli 
stessi 
siano ricompresi 
nell'ambito dell'art. 16-ter del 
D.L. n. 179 del 
2012. Pertanto, in tema 
di 
notificazione 
a 
mezzo p.e.c., ai 
sensi 
del 
combinato disposto dell'art. 149 bis 
c.p.c. e 
dell'art. 16 
ter 
del 
D.L. 
n. 
179 
del 
2012, 
introdotto 
dalla 
Legge 
di 
conversione 
n. 
221 
del 
2012, 
l'indirizzo 
del 
destinatario 
al 
quale 
va 
trasmessa 
la 
copia 
informatica 
dell'atto 
è, 
per 
i 
soggetti 
i 
cui 
recapiti 
sono 
inseriti 
nel 
Registro 
generale 
degli 
indirizzi 
elettronici 
gestito 
dal 
Ministero 
della 
giustizia 
(Re.G.Ind.E.), 
unicamente 
quello 
risultante 
da 
tale 
registro. 
Ne 
consegue, 
ai 
sensi 
dell'art. 
160 
c.p.c., la 
nullità 
della 
notifica 
eseguita 
presso un diverso indirizzo di 
posta 
elettronica 
certificata 
del destinatario. 


Ancor più recentemente 
si 
sono pronunciate, sempre 
nella 
stessa 
direzione, Cass. Sez. 61, 
ordinanza 
n. 24110 del 
27/9/2019, non massimata, in una 
fattispecie 
in cui 
non risultava 
da 
quale 
registro, 
diverso 
dal 
Re.G.Ind.E., 
fosse 
stato 
estratto 
l'indirizzo 
utilizzato 
in 
concreto 



RASSEGNA 
AvvoCAtuRA 
DELLo 
StAto -N. 3/2020 


dalla 
parte 
per la 
notificazione 
dell'atto di 
impugnazione; 
nonché 
la 
già 
citata 
Cass. Sez. 6-3, 
ordinanza 
n. 24160 del 
27/9/2019, del 
pari 
non massimata, in un caso in cui 
l'atto di 
impugnazione 
era 
stato 
invece 
notificato 
presso 
un 
indirizzo 
di 
posta 
elettronica 
certificata 
estratto 
dal registro INI-PEC. 


L'ultima 
decisione, 
tuttavia, 
è 
stata 
corretta 
d'ufficio, 
ai 
sensi 
di 
quanto 
previsto 
dall'art. 
391 bis 
c.p.c., con ordinanza 
(Cass. Sez. 6-3, ordinanza 
n. 29479 del 
15/11/2019, non massimata), 
che 
ha 
eliminato il 
riferimento, ritenuto erroneo, alla 
inidoneità 
oggettiva 
dell'estrazione 
dell'indirizzo 
p.e.c. 
dal 
registro 
INI-PEC. 
tale 
ordinanza 
di 
correzione 
richiama, 
in 
motivazione, la 
sentenza 
delle 
Sezioni 
unite 
n. 23620 del 
2018 (Cass. Sez. u, Sentenza 
n. 
23620 del 
28/09/2018, Rv. 650466), la 
quale 
ha 
affermato che, in seguito all'introduzione 
del 
"domicilio digitale" 
-previsto dall'art. 16 sexies 
del 
D.L. n. 179 del 
2012, convertito con modificazioni 
dalla 
L. n. 221 del 
2012, come 
modificato dal 
D.L. n. 90 del 
2014, convertito con 
modificazioni 
dalla 
L. 
n. 
114 
del 
2014 
-va 
ritenuta 
valida 
la 
notificazione 
eseguita 
presso 
l'indirizzo di 
posta 
elettronica 
certificata 
che 
il 
difensore 
è 
tenuto, ai 
sensi 
dell'art. 6 bis 
del 
D.Lgs. n. 82 del 
2005, a 
comunicare 
al 
proprio ordine 
professionale 
di 
appartenenza, e 
che 
quest'ultimo è 
a 
sua 
volta 
obbligato ad inserire, sia 
nei 
registri 
INI-PEC, sia 
nel 
Re.G.Ind.E. 
di 
cui 
al 
D.M. 21 febbraio 2011 n. 44, gestito dal 
Ministero della 
Giustizia. valorizzando il 
ruolo di 
coordinamento tra 
i 
due 
registri, INI-PEC e 
Re.G.Ind.E., assicurato di 
fatto dagli 
ordini 
professionali, le 
Sezioni 
unite 
sono pervenute 
ad una 
soluzione 
che 
ha 
sostanzialmente 
sancito l'equivalenza 
dei 
due 
registri, quantomeno per quel 
che 
concerne 
le 
notificazioni 
da 
eseguire, in forma elettronica, nei confronti degli appartenenti ai predetti ordini. 


Il 
Collegio 
condivide 
quest'ultima 
interpretazione 
e 
ritiene 
pertanto 
che 
-a 
seguito 
dell'istituzione 
del 
cd. "domicilio digitale" 
di 
cui 
all'art. 16 sexies 
del 
D.L. 179 del 
2012 e 
successive 
modificazioni 
ed integrazioni 
-quando la 
legge 
prevede 
che 
le 
notificazioni 
degli 
atti 
in materia 
civile 
al 
difensore 
siano 
eseguite, 
ad 
istanza 
di 
parte, 
presso 
la 
cancelleria 
dell'ufficio 
giudiziario, 
alla 
notificazione 
con 
le 
predette 
modalità 
possa 
procedersi 
esclusivamente 
quando non sia 
possibile, per causa 
imputabile 
al 
destinatario, la 
notificazione 
presso l'indirizzo 
di 
posta 
elettronica 
certificata, risultante 
dagli 
elenchi 
di 
cui 
all'articolo 6 bis 
del 
D.Lgs. 


n. 82 del 
2005 (tra 
cui, va 
annoverato anche 
l'INI-PEC), nonché 
dal 
Re.G.Ind.E. gestito dal 
Ministero della Giustizia. 
La 
notificazione 
degli 
atti 
processuali 
presso la 
cancelleria, dunque, costituisce 
oggi 
una 
ipotesi 
eccezionale, 
essendo 
stata 
tale 
modalità 
di 
notifica 
sostituita, 
in 
linea 
generale, 
proprio 
dall'istituzione 
del 
"domicilio digitale", nell'accezione 
appena 
prospettata, e 
dunque 
con riferimento 
alle risultanze di tutti i registri ufficiali di cui alle norme in precedenza richiamate. 


Nella 
pur 
farraginosa 
disciplina 
di 
settore, 
del 
resto, 
si 
rinvengono 
numerosi 
indizi 
che 
confermano 
l'esattezza 
dell'interpretazione 
già 
sposata 
dalle 
Sezioni 
unite 
di 
questa 
Corte, 
fondata 
sulla 
sostanziale 
equipollenza 
tra 
le 
risultanze 
dei 
diversi 
registri, 
INI-PEC 
e 
Re.G.Ind.E. 


In particolare, l'art. 16, comma 
12, del 
D.L. n. 179 del 
2012 -modificato dall'articolo 1, 
comma 
19, 
lettera 
b), 
della 
Legge 
n. 
228 
del 
2012, 
e 
successivamente 
dall'articolo 
47, 
comma 
1, del 
D.L. n. 90 del 
2014, convertito, con modificazioni, dalla 
Legge 
n. 114 del 
2014 -ha 
previsto, al 
fine 
di 
generalizzare 
il 
ricorso alla 
notificazione 
e 
comunicazione 
degli 
atti 
per 
via 
telematica, l'obbligo, per le 
amministrazioni 
pubbliche 
di 
cui 
all'articolo 1, comma 
2, del 
D.Lgs. n. 165 del 
30.3.2001, e 
successive 
modificazioni, di 
dotarsi 
e 
di 
comunicare 
al 
Ministero 
della 
Giustizia, entro il 
30.11.2014, con le 
regole 
tecniche 
adottate 
ai 
sensi 
dell'articolo 
4, comma 
1, del 
D.L. n. 193 del 
2009, convertito, con modificazioni, dalla 
Legge 
n. 24 del 



tEMI 
IStItuzIoNALI 


2010, un indirizzo di 
posta 
elettronica 
certificata 
conforme 
a 
quanto previsto dal 
D.P.R. n. 68 
del 
2005, 
e 
successive 
modificazioni, 
presso 
il 
quale 
ricevere 
le 
comunicazioni 
e 
notificazioni 
loro 
dirette. 
L'elenco 
di 
tali 
indirizzi 
di 
posta 
elettronica 
certificata 
(denominato 
Re.G.Ind.E.), 
formato 
dal 
Ministero 
della 
giustizia, 
è 
consultabile 
esclusivamente 
dagli 
uffici 
giudiziari, 
dagli 
uffici 
notificazioni, 
esecuzioni 
e 
protesti, 
e 
dagli 
avvocati. 
tale 
norma, 
però, 
non 
sancisce 
espressamente un privilegio di esclusività del predetto registro, rispetto agli altri. 


D'altro canto, l'art. 6 bis 
del 
D.Lgs. n. 82 del 
2005 (c.d. Codice 
dell'amministrazione 
digitale), 
per favorire 
la 
presentazione 
di 
istanze, dichiarazioni 
e 
dati, nonché 
lo scambio di 
informazioni 
e 
documenti 
tra 
i 
soggetti 
di 
cui 
all'articolo 
2, 
comma 
2, 
e 
le 
imprese 
e 
i 
professionisti 
in 
modalità 
telematica, 
ha 
previsto 
l'istituzione 
del 
pubblico 
elenco 
denominato 
Indice 
nazionale 
dei 
domicili 
digitali 
(INIPEC) 
delle 
imprese 
e 
dei 
professionisti, 
tenuto 
presso 
il 
Ministero per lo sviluppo economico e 
realizzato a 
partire 
dagli 
elenchi 
di 
indirizzi 
p.e.c. 
costituiti 
presso il 
registro delle 
imprese 
e 
gli 
ordini 
o collegi 
professionali. Anche 
questo registro, 
così 
come 
il 
Re.G.Ind.E., 
è 
tenuto 
e 
gestito 
da 
un 
organo 
centrale 
dello 
Stato, 
ed 
in 
esso 
confluiscono 
esclusivamente 
informazioni 
provenienti 
da 
organismi 
qualificati 
a 
fornirle. 
Nessuna 
sostanziale 
differenza, pertanto, si 
rinviene 
tra 
i 
due 
registri 
INI-PEC e 
Re.G.Ind.E., 
né 
sotto il 
profilo della 
provenienza 
delle 
informazioni 
in essi 
contenute, che 
appare 
analogamente 
qualificata, né 
per quanto attiene 
all'aspetto delle 
modalità 
di 
gestione 
e 
tenuta 
dei 
due 
elenchi, che 
in entrambi 
i 
casi 
è 
assicurata 
da 
una 
amministrazione 
centrale 
dello Stato, con 
modalità 
idonee 
ad 
assicurare 
la 
necessaria 
sicurezza 
delle 
informazioni 
ritraibili 
da 
ambedue 
le fonti di cui si discute. 


Dal 
canto suo, l'art. 16 ter, comma 
1, del 
D.L. n. 179 del 
2012, modificato dall'art. 45-bis, 
comma 
2, lettera 
a), numero 1), del 
D.L. n. 90 del 
2014, convertito, con modificazioni, dalla 
Legge 
n. 114 del 
2014, e 
successivamente 
sostituito dall'art. 66, comma 
5, del 
D.Lgs. n. 217 
del 
2017, ha 
previsto che, a 
decorrere 
dal 
15.12.2013, ai 
fini 
della 
notificazione 
e 
comunicazione 
degli 
atti 
in materia 
civile, penale, amministrativa, contabile 
e 
stragiudiziale, si 
intendono 
per pubblici 
elenchi 
quelli 
previsti 
dagli 
articoli 
6 bis, 6 quater e 
62 del 
D.Lgs. n. 82 del 
2005, nonché 
dall'articolo 16, comma 
12, dello stesso decreto, dall'articolo 16, comma 
6, del 


D.L. n. 185 del 
2008, convertito, con modificazioni, dalla 
legge 
n. 2 del 
2009, nonché 
il 
registro 
generale 
degli 
indirizzi 
elettronici, 
gestito 
dal 
Ministero 
della 
Giustizia. 
Anche 
in 
questo 
caso, dunque, la 
norma 
non solo non prevede 
alcuna 
differenza 
tra 
i 
due 
diversi 
registri, INIPEC 
e Re.G.Ind.E., ma addirittura li equipara espressamente. 
Ancora, 
l'art. 
149 
bis, 
comma 
2, 
c.p.c. 
(modificato 
dall'art. 
16, 
comma 
2, 
del 
D.L. 
n. 
179 
del 
2012, 
convertito, 
con 
modificazioni, 
in 
Legge 
n. 
221 
del 
2012) 
prevede 
che 
l'ufficiale 
giudiziario, 
ove 
proceda 
ai 
sensi 
del 
primo 
comma, 
debba 
trasmettere 
copia 
informatica 
dell'atto 
sottoscritta 
con 
firma 
digitale 
all'indirizzo 
di 
posta 
elettronica 
certificata 
del 
destinatario 
risultante 
da 
elenchi 
pubblici 
o 
comunque 
accessibili 
alle 
pubbliche 
amministrazioni. 
Anche 
in 
questo 
caso, 
nessun 
privilegio 
di 
esclusività, 
a 
favore 
dell'uno 
o 
dell'altro 
dei 
predetti 
registri, 
è 
contenuto 
nella 
norma 
in 
esame, 
che 
fa 
riferimento 
esclusivamente 
alla 
natura 
pubblica 
dell'elenco 
da 
cui 
è 
attinto 
l'indirizzo 
di 
posta 
elettronica 
certificata 
utilizzato 
ai 
fini 
della 
notificazione. 


Infine, l'art. 3 bis 
della 
Legge 
n. 53 del 
1994 dispone 
che 
la 
notificazione 
con modalità 
telematica 
si 
esegua 
a 
mezzo di 
posta 
elettronica 
certificata 
presso l'indirizzo risultante 
da 
pubblici 
elenchi, 
nel 
rispetto 
della 
normativa, 
anche 
regolamentare, 
concernente 
la 
sottoscrizione, 
la 
trasmissione 
e 
la 
ricezione 
dei 
documenti 
informatici. La 
notificazione 
può essere 
dunque 
eseguita 
esclusivamente 
utilizzando un indirizzo di 
posta 
elettronica 
certificata 
risultante 
da 
pubblici elenchi, ancora una volta senza alcuna distinzione tra l'uno o l'altro di detti elenchi. 



RASSEGNA 
AvvoCAtuRA 
DELLo 
StAto -N. 3/2020 


In 
definitiva, 
in 
base 
ai 
convergenti 
dati 
normativi 
ed 
all'insegnamento 
delle 
Sezioni 
unite, 
deve 
affermarsi 
il 
seguente 
principio di 
diritto: 
"A 
seguito dell'istituzione 
del 
cd. "domicilio 
digitale" 
di 
cui 
all'art. 16 sexies 
del 
D.L. n. 179 del 
18.10.2012, convertito con modificazioni 
in Legge 
n. 221 del 
7.12.2012, come 
modificato dal 
D.L. n. 90 del 
24.6.2014, convertito con 
modificazioni 
in Legge 
n. 114 dell'11.8.2014, le 
notificazioni 
e 
comunicazioni 
degli 
atti 
giudiziari, 
in materia civile, sono ritualmente 
eseguite 
-in base 
a quanto previsto dall'art. 16 
ter, 
comma 
1, 
del 
D.L. 
n. 
179 
del 
2012, 
modificato 
dall'art. 
45-bis, 
comma 
2, 
lettera 
a), 
numero 
1), del 
D.L. n. 90 del 
2014, convertito, con modificazioni, dalla Legge 
n. 114 del 
2014, e 
successivamente 
sostituito dall'art. 66, comma 5, del 
D.Lgs. n. 217 del 
13.12.2017, con decorrenza 
dal 
15.12.2013 -presso un indirizzo di 
posta elettronica certificata estratto da uno dei 
registri 
indicati 
dagli 
artt. 
6 
bis, 
6 
quater 
e 
62 
del 
D. 
Lgs. 
n. 
82 
del 
2005, 
nonché 
dall'articolo 
16, comma 12, dello stesso decreto, dall'articolo 16, comma 6, del 
D.L. n. 185 del 
2008, convertito, 
con 
modificazioni, 
dalla 
legge 
n. 
2 
del 
2009, 
nonché 
il 
registro 
generale 
degli 
indirizzi 
elettronici, gestito dal 
Ministero della Giustizia e, quindi, indistintamente, dal 
registro denominato 
INI-PeC e da quello denominato Re.G.Ind.e.". 


La 
Corte 
di 
Appello ha 
dunque 
errato, nel 
caso di 
specie, a 
ritenere 
nulla 
la 
notificazione 
dell'atto di 
impugnazione, che 
il 
ricorrente 
aveva 
eseguito presso un indirizzo di 
posta 
elettronica 
certificata dell'Avvocatura Distrettuale dello Stato estratto dal registro INI-PEC. 


Peraltro, la 
Corte 
distrettuale 
è 
incorsa 
in ulteriore 
errore, laddove, a 
fronte 
di 
una 
notificazione 
ritenuta 
nulla, 
non 
ha 
provveduto 
ad 
ordinarne 
la 
rinnovazione, 
ai 
sensi 
di 
quanto 
previsto dall'art. 291 c.p.c. 


Costituisce 
infatti 
ius 
receptum 
che 
la 
notifica 
dell'atto introduttivo di 
un giudizio che 
sia 
stata 
eseguita 
direttamente 
all'Amministrazione 
dello Stato e 
non presso l'Avvocatura 
distrettuale 
dello Stato (nei 
casi 
nei 
quali 
non si 
applica 
la 
deroga 
alla 
regola 
di 
cui 
all'art. 11 del 


R.D. 30 ottobre 
1933, n. 1611) non può ritenersi 
affetta 
da 
mera 
irregolarità 
o da 
inesistenza, 
bensì 
-secondo quanto disposto dalla 
citata 
norma 
-da 
nullità, ed è 
quindi 
suscettibile 
di 
rinnovazione 
ai 
sensi 
dell'art. 291 c.p.c. ovvero di 
sanatoria, nel 
caso in cui 
l'Amministrazione 
si 
costituisca 
(Cass. Sez. 1, Sentenza 
n. 5212 del 
27/02/2008, Rv. 602142; 
Cass. Sez. 1, Sentenza 
n. 18849 del 
15/09/2011, Rv. 618790; 
Cass. Sez. L, Sentenza 
n. 5853 del 
08/03/2017, 
Rv. 643276; Cass. Sez. 2, ordinanza n. 24032 del 30/10/2020, Rv. 659396). 
Analogamente, 
è 
nulla, 
e 
non 
meramente 
irregolare, 
né 
inesistente, 
la 
notificazione 
eseguita 
erroneamente 
presso 
l'Avvocatura 
Generale 
dello 
Stato, 
anziché 
presso 
quella 
Distrettuale 
del 
luogo in cui 
ha 
sede 
l'ufficio giudiziario davanti 
al 
quale 
è 
proposta 
l'azione 
o l'impugnazione 
(Cass. Sez. 1, ordinanza 
n. 28267 del 
04/11/2019, Rv. 656038; 
Cass. Sez. 6-1, ordinanza 
n. 
19826 del 
26/07/2018, Rv. 650196). Del 
pari, è 
nulla 
la 
notificazione 
eseguita 
presso l'Avvocatura 
Distrettuale 
dello Stato, anziché 
presso quella 
Generale, quando la 
norma 
preveda 
che 
la 
notifica 
debba 
eseguirsi 
presso quest'ultima 
(Cass. Sez. u, ordinanza 
interlocutoria 
n. 608 
del 
15/01/2015, Rv. 633916; 
Cass. Sez. 2, ordinanza 
interlocutoria 
n. 22079 del 
17/10/2014, 
Rv. 632870). 


In tutti 
i 
predetti 
casi, il 
giudice 
è 
tenuto ad ordinare 
la 
rinnovazione 
della 
notificazione 
nulla 
(Cass. Sez. 1, Sentenza 
n. 10457 del 
26/11/1996, Rv. 500792; 
Cass. Sez. u, Sentenza 
n. 
4573 
del 
06/05/1998, 
Rv. 
515156; 
Cass. 
Sez. 
1, 
ordinanza 
interlocutoria 
n. 
15062 
del 
30/06/2006, Rv. 590945; 
Cass. Sez. 2, Sentenza 
n. 2442 del 
02/02/2011, Rv. 616503), anche 
in 
difetto 
di 
istanza 
di 
parte, 
poiché, 
trattandosi 
di 
questione 
attinente 
alla 
regolare 
costituzione 
del 
contraddittorio e, quindi, ad inderogabili 
disposizioni 
d'ordine 
pubblico processuale, essa 
è 
rilevabile 
d'ufficio in ogni 
stato e 
grado del 
giudizio, compreso quello di 
legittimità, con il 



tEMI 
IStItuzIoNALI 


solo 
limite 
derivante 
dall'eventuale 
formazione 
del 
giudicato 
su 
di 
essa 
(Cass. 
Sez. 
2, 
Sentenza 
n. 17189 del 06/08/2007, Rv. 600208). 


Da 
quanto 
precede 
deriva 
che, 
a 
tutto 
voler 
concedere, 
la 
Corte 
di 
Appello, 
avendo 
ravvisato 
la 
nullità 
della 
notificazione 
dell'atto di 
impugnazione, avrebbe 
dovuto ordinare 
all'odierno 
ricorrente 
di 
procedere 
alla 
rinnovazione 
della 
notificazione, assegnando all'uopo un termine 
perentorio. L'adempimento dell'incombente 
entro il 
predetto termine, o comunque 
la 
rituale 
costituzione 
in 
giudizio 
dell'Amministrazione 
destinataria 
della 
notificazione, 
debitamente 
rappresentata 
e 
difesa, avrebbero comportato la 
sanatoria 
ex 
tunc 
del 
vizio (Cass. Sez. 1, Sentenza 
n. 53 del 
05/01/2000, Rv. 532714; 
Cass. Sez. 1, Sentenza 
n. 1774 del 
03/03/1999, Rv. 
523784). Al 
contrario, la 
mancata 
ottemperanza 
all'ordine 
di 
rinnovo della 
notificazione 
del-
l'atto 
di 
appello 
nel 
termine 
perentorio 
fissato 
ai 
sensi 
dell'art. 
291 
c.p.c. 
avrebbe 
causato 
l'inammissibilità 
del 
gravame, ove 
l'adempimento fosse 
stato totalmente 
omesso, ovvero la 
sua 
estinzione, 
in 
caso 
di 
esecuzione 
fuori 
termine 
(Cass. 
Sez. 
1, 
Sentenza 
n. 
23587 
del 
03/11/2006, Rv. 594612; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 13637 del 30/05/2017, Rv. 644465). 


Da 
quanto 
precede 
discende 
l'accoglimento 
del 
primo 
motivo 
del 
ricorso, 
con 
conseguente 
assorbimento 
di 
tutti 
gli 
altri. 
La 
decisione 
va 
dunque 
cassata, 
in 
relazione 
alla 
censura 
accolta, 
e 
la 
causa 
rinviata 
alla 
Corte 
di 
Appello di 
Perugia, in differente 
composizione, anche 
per le 
spese del presente giudizio di legittimità 


PQM 
la 
Corte 
accoglie 
il 
primo motivo di 
ricorso e 
dichiara 
assorbiti 
gli 
altri. Cassa 
la 
decisione 
impugnata 
in relazione 
alla 
censura 
accolta 
e 
rinvia 
la 
causa, anche 
per le 
spese 
del 
presente 
giudizio di legittimità, alla Corte di 
Appello di Perugia, in diversa composizione. 
Così 
deciso 
in 
Roma, 
nella 
camera 
di 
consiglio 
della 
prima 
sezione 
civile, 
in 
data 
11 
dicembre 
2020. 



ContenziosoComunitarioedinternazionaLe
La Corte di Giustizia e il “crollo della Baliverna”, 
a proposito della sentenza “Lexitor” 


Adolfo Mutarelli* 


SommarIo: 1. Premessa -2. Lapidario confronto ermeneutico tra i 
dati 
normativi 
-3. 
Direttiva e 
diritto vivente 
-4. Criteri 
a base 
della prova di 
resistenza -5. Possibili 
argini 
alla 
retroattività 
-6. 
Preesistenza 
di 
disciplina 
ad 
elevata 
protezione 
del 
consumatore 
-7. 
Certezza 
del diritto e legittimo affidamento - 8. Conclusioni e auspici. 


1. Premessa. 
Dopo 
oltre 
un 
anno 
dalla 
sentenza 
della 
Corte 
di 
Giustizia 
dell’11 
settembre 
2019, C-383/18 (c.d. Lexitor) non si 
intravede 
ancora 
un possibile 
esito 
dell’ampio 
e 
articolato 
dibattito 
in 
ordine 
alle 
ricadute 
nel 
nostro 
ordinamento. 
È 
apparso 
tuttavia 
subito 
chiaro 
«l’impatto 
devastante 
sui 
bilanci 
delle 
banche 
e 
delle 
società finanziarie» (1) che 
deriva 
dalla 
ritenuta 
applicabilità 
degli 
effetti 
della 
decisione 
sui 
rimborsi 
anticipati 
dei 
contratti 
di 
finanziamento stipulati 
(ante 
Lexitor) 
a 
fronte 
di 
cessioni 
del 
quinto. 
Si 
stima 
che 
l’onere 
restitutorio si 
aggirerebbe 
intorno ai 
10 miliardi 
di 
Euro (e 
ciò già 
al 
netto di 
quanto 
le 
Banche 
sono 
tenute 
a 
rimborsare 
ai 
sensi 
dell’art. 
125-sexies 
T.U.B.). 

La 
problematica 
è 
particolarmente 
intricata 
e 
scivolosa 
per 
cui 
appare 
opportuno 
premettere 
un 
excursus, 
seppur 
pindarico, 
sull’evoluzione 
della 
disciplina 
su cui ha impattato la sentenza 
Lexitor. 

La 
direttiva 
2008/48/CE 
del 
23 
aprile 
2008, 
relativa 
ai 
contratti 
di 
credito 
ai 
consumatori, stabilisce 
all’art. 16 par. 1 che 
«il 
consumatore 
ha diritto di 
adempiere 
in qualsiasi 
momento, in tutto o in parte, agli 
obblighi 
che 
gli 
de


(*) Già 
Avvocato dello Stato. 


(1) Tratto da: 
“Plus-Il Sole 24ore”, 14 dicembre 2019. 

rASSEGNA 
AvvoCATUrA 
DELLo 
STATo -N. 3/2020 


rivano dal 
contratto di 
credito. In tal 
caso, egli 
ha diritto a una riduzione 
del 
costo totale 
del 
credito che 
comprende 
gli 
interessi 
e 
i 
costi 
dovuti 
per 
la durata 
del 
contratto». La 
direttiva 
viene 
recepita 
negli 
ordinamenti 
degli 
Stati 
membri 
con 
diversificate 
intonazioni 
interpretative, 
tutte, 
peraltro, 
autorizzate 
dal carattere polisemico della riportata disposizione. 


Nel 
nostro 
ordinamento 
la 
direttiva 
è 
stata 
recepita 
con 
il 
D.Lgs. 
13 
agosto 
2010, 
n. 
141 
che 
introduce 
nel 
D.Lgs. 
1 
settembre 
1993, 
n. 
395 
(c.d. 
Testo 
Unico 
Bancario, 
di 
seguito 
e 
più 
brevemente 
T.U.B.) 
l’art. 
125-sexies 
che 
al 
primo 
comma 
prevede 
che 
«il 
consumatore 
può 
rimborsare 
anticipatamente 
in 
qualsiasi 
momento, 
in 
tutto 
o 
in 
parte, 
l'importo 
dovuto 
al 
finanziatore. 
In 
tale 
caso 
il 
consumatore 
ha 
diritto 
a 
una 
riduzione 
del 
costo 
totale 
del 
credito, 
pari 
all'importo 
degli 
interessi 
e 
dei 
costi 
dovuti 
per 
la 
vita 
residua 
del 
contratto». 


A 
distanza 
di 
oltre 
10 anni 
dalla 
direttiva 
(e 
a 
poco meno di 
dieci 
dal 
suo 
recepimento con il 
D.lgs. 141/2010) interviene 
la 
Corte 
di 
Giustizia 
Europea 
che, con la 
decisione 
in esame, stabilisce 
che 
«L’art. 16, paragrafo 1 della direttiva 
2008/48/CE 
del 
23 aprile 
2008 relativa ai 
contratti 
di 
credito ai 
consumatori 
che 
abroga 
la 
direttiva 
87/102/CEE 
del 
Consiglio 
dev’essere 
interpretato nel 
senso che 
il 
diritto del 
Consumatore 
alla riduzione 
del 
costo 
totale 
del 
credito 
in 
caso 
di 
rimborso 
anticipato 
include 
tutti 
i 
costi 
posti 
a 
carico del 
consumatore». La 
Corte 
precisa 
altresì 
come 
la 
disposizione 
della 
direttiva 
«deve 
essere 
interpretata non soltanto sulla base 
del 
suo tenore 
letterale, 
ma anche 
alla luce 
del 
suo contesto nonché 
con gli 
obiettivi 
della normativa 
di cui essa fa parte» (§ 26). 


Con ogni 
probabilità, consapevole 
del 
carattere 
non prevedibile 
della 
lettura 
offerta 
della 
direttiva 
rispetto 
alle 
norme 
di 
recepimento 
della 
stessa 
negli 
Stati 
membri, 
la 
Corte, 
con 
assoluta 
trasparenza, 
riconosce 
che 
la 
disposizione 
dell’art. 16 citato si 
presta 
a 
essere 
interpretata 
«tanto nel 
senso che 
essa significa 
che 
i 
costi 
interessati 
dalla riduzione 
del 
costo totale 
del 
credito sono 
limitati 
a quelli 
che 
dipendono oggettivamente 
dalla durata del 
contratto oppure 
a quelli 
che 
sono presentati 
dal 
soggetto concedente 
il 
credito come 
riferiti 
ad 
una 
fase 
particolare 
della 
conclusione 
o 
dell’esecuzione 
del 
contratto, 
quanto nel 
senso che 
essa indica che 
il 
metodo di 
calcolo che 
deve 
essere 
utilizzato 
al 
fine 
di 
procedere 
a tale 
riduzione 
consiste 
nel 
prendere 
in considerazione 
la 
totalità 
dei 
costi 
sopportati 
dal 
consumatore 
e 
nel 
ridurne 
poi 
l’importo 
in 
proporzione 
alla 
durata 
residua 
del 
contratto» 
(§ 
24), 
evidenziando 
altresì 
come 
la 
stessa 
sia 
stata 
trasposta 
in almeno quattro diverse 
formulazioni 
nell’ordinamento degli Stati Membri (§ 25). 

In 
tal 
senso 
peraltro 
anche 
le 
conclusioni 
dell’Avvocato 
Generale 
che, 
dopo aver osservato che 
la 
previsione 
si 
prestava 
«ad almeno quattro interpretazioni
» (cfr. conclusioni 
dell’Avvocato Generale 
presentate 
il 
23 maggio 
2019, § 42-46), rilevava 
che, pertanto, «gli 
Stati 
membri 
possono tra l’altro 
scegliere 
di 
recepire 
questa disposizione 
o, se 
del 
caso, di 
interpretare 
il 
loro 



CoNTENzIoSo 
CoMUNITArIo 
ED 
INTErNAzIoNALE 


diritto nazionale 
in conformità con l’una o l’altra delle 
interpretazioni» 
con 
l’ulteriore 
precisazione 
che 
la 
suddetta 
disposizione 
enuncia 
solo «i 
principi 
che gli Stati membri devono rispettare» (ivi, § 32). 


2. Lapidario confronto ermeneutico tra i dati normativi. 
Il 
confronto tra 
la 
disposizione 
della 
direttiva 
e 
l’art. 125-sexies 
T.U.B. 
rivela 
che 
quest’ultimo non costituisce 
mera 
trasposizione 
della 
direttiva; 
ciò 
in quanto il 
tenore 
letterale 
delle 
due 
previsioni 
non è, ictu oculi, sovrapponibile 
e 
ora, 
alla 
luce 
della 
sentenza 
Lexitor, 
le 
stesse 
possono 
ritenersi 
addirittura 
tra 
loro 
confliggenti. 
Mentre 
infatti 
l’art. 
125-sexies 
contiene 
il 
riferimento 
agli 
interessi 
e 
ai 
costi 
dovuti 
per la 
vita 
residua 
del 
contratto, non così 
la 
direttiva 
che 
non 
contiene 
il 
termine 
“residuo”, 
e 
che 
fa 
criptico 
riferimento 
agli 
interessi 
e 
ai 
costi 
dovuti 
per la 
durata 
del 
contratto. Tuttavia 
va 
ribadito che 
la 
denunciata 
evidente 
inconciliabilità 
tra 
le 
ricordate 
disposizioni 
(con 
il 
conseguente 
diverso 
rilievo 
normativo-economico) 
è 
risultato 
evidente 
solo 
in 
virtù della lettura postuma offerta dalla sentenza 
Lexitor. 

C’è 
a 
questo punto da 
chiedersi 
quale 
sia 
la 
disciplina 
applicabile 
nel 
nostro 
ordinamento: 
quella 
della 
direttiva, alla 
luce 
della 
non prevedibile 
lettura 
offerta 
dalla 
Lexitor, che 
conduce 
alla 
restituzione, in ipotesi 
di 
rimborso anticipato, 
dei 
costi 
up 
front 
e 
recurring 
(la 
cui 
differenziazione 
non 
rimarrebbe, 
di 
fatto, né 
più né 
meno che 
distinzione 
storicamente 
sepolta) ovvero quella 
dell’art. 
125-sexies 
T.U.B. 
(nella 
consolidata 
lettura 
ante 
Lexitor) 
che 
comporta 
la restituzione dei soli costi 
recurring. 

Prima 
di 
analizzare 
i 
riflessi 
problematici 
della 
discrasia 
delle 
disposizioni 
comparate, 
è 
bene 
avvertire 
che 
la 
soluzione 
di 
questo 
dilemma 
bipolare 
comporterà 
che 
sull’altare 
della 
Lexitor 
si 
bruceranno (o meno) risorse 
per circa 
10 
miliardi 
di 
oneri 
restitutori. 
Ancora 
nel 
buio, 
viceversa, 
l’individuazione 
del soggetto su cui graveranno in via definitiva. 


3. Direttiva e diritto vivente. 
È 
agevole 
osservare 
che, ai 
sensi 
dell’art. 288 TFUE, le 
direttive 
(a 
differenza 
dei 
regolamenti 
e 
dei 
Trattati 
che 
hanno efficacia 
diretta 
sia 
verticale 
che 
orizzontale) 
hanno 
(con 
eccezione 
di 
quelle 
self 
executing) 
esclusivamente 
efficacia 
verticale. 
In 
altre 
parole 
vincolano 
solo 
gli 
Stati 
membri 
che 
alle 
stesse 
sono tenuti 
a 
dare 
attuazione. Costituisce 
mera 
conferma 
di 
quanto precede 
il 
rilievo che 
la 
direttiva 
2008/48/CE 
prevede 
all’art. 32 (significativamente 
rubricato come 
“Destinatari”) che 
«Gli 
Stati 
membri 
sono destinatari 
della presente 
direttiva». Connotato delle 
direttive 
è, pertanto, quello di 
vincolare 
nel 
risultato gli 
Stati 
membri 
cui 
sono dirette 
(nella 
maggior parte 
dei 
casi, tutti 
gli 
Stati) lasciando ampio apprezzamento nell’individuazione 
della 
scelta 
della 
forma 
e 
dei 
mezzi 
necessari. Gli 
Stati 
membri 
sono, pertanto, vincolati 
solo nell’an 
ma liberi nel 
quomodo. 



rASSEGNA 
AvvoCATUrA 
DELLo 
STATo -N. 3/2020 


Appare 
opportuno subito chiarire 
che 
alla 
direttiva 
in esame 
non può riconoscersi 
natura 
self 
executing 
in quanto non è 
sufficientemente 
dettagliata 
nei 
propri 
contenuti 
e 
non specifica 
in alcun modo il 
perimetro dei 
diritti 
attribuiti 
al 
consumatore. È 
cioè 
assente 
ogni 
dettaglio per la 
sua 
concreta 
e 
immediata 
efficacia 
orizzontale 
con 
la 
conseguenza 
che 
non 
appare 
idonea 
ad 
incidere 
nella 
sfera 
giuridica 
del 
cittadino. Essa 
richiedeva, pertanto, per assumere 
efficacia 
orizzontale, 
il 
necessario 
recepimento 
da 
parte 
degli 
Stati 
membri, avvenuto per l’Italia con il ricordato D.Lgs. 141/2010. 


Può 
subito 
osservarsi 
che 
la 
sentenza 
Lexitor 
può 
incidere 
solo 
e 
immediatamente 
sulla 
lettura 
della 
direttiva 
(non 
self 
executing), 
non 
certo 
sulla 
norma 
di 
recepimento 
il 
cui 
dettato, 
ove 
confliggente, 
involge 
il 
rapporto 
dinamico 
tra 
ordinamenti 
non 
risolubile 
da 
parte 
del 
giudice 
ordinario 
con 
la 
mera 
affannosa 
e 
forzata 
ricerca 
di 
armonizzazione 
delle 
letture 
delle 
due 
disposizioni 
(possibile 
solo 
ove 
tra 
loro 
riconosciute 
non 
inconciliabili). 
L’obbligo 
di 
interpretazione 
conforme 
si 
arresta, 
infatti, 
per 
pacifica 
giurisprudenza, 
laddove 
venga 
postulata 
una 
lettura 
della 
direttiva 
contra 
legem 
rispetto 
al 
diritto 
nazionale 
(2). 


Il 
principio 
dell’interpretazione 
conforme, 
diversamente 
opinando, 
si 
trasformerebbe 
in 
un 
grimaldello 
utilizzato 
non 
per 
realizzare 
l’armonizzazione 
tra 
gli 
ordinamenti, 
bensì 
per 
attuare 
un 
sindacato 
diffuso 
di 
legittimità 
comunitaria 
della 
legislazione 
nazionale 
(3). 
Deve 
ancora 
precisarsi 
che 
l’ermeneusi 
orientata 
ad 
una 
lettura 
(possibilmente) 
conciliativa 
tra 
le 
richiamate 
disposizioni 
verrà 
condotta 
nel 
rispetto 
dei 
canoni 
normativi 
degli 
ordinamenti 
comparati. 


Nel 
nostro ordinamento vige 
il 
primato dell’interpretazione 
letterale 
essendo 
solo 
sussidiaria 
quella 
teleologica. 
La 
giurisprudenza 
monolitica 
è 
infatti 
orientata 
nel 
senso 
che: 
«È 
bene 
rammentare 
che 
l'attività 
ermeneutica, 
in 
consonanza con i 
criteri 
legislativi 
di 
interpretazione 
dettati 
dall'art. 12 preleggi, 
deve 
essere 
condotta innanzitutto e 
principalmente, mediante 
il 
ricorso 
al 
criterio letterale; il 
primato dell'interpretazione 
letterale 
è, infatti, costantemente 
ribadito 
dalla 
giurisprudenza 
di 
legittimità 
secondo 
cui 
all'intenzione 
del 
legislatore, 
secondo 
un'interpretazione 
logica, 
può 
darsi 
rilievo 
nell'ipotesi 
che 
tale 
significato 
non 
sia 
già 
tanto 
chiaro 
ed 
univoco 
da 
rifiutare 
una 
diversa 
e 
contraria interpretazione. alla stregua del 
ricordato insegnamento, l'interpretazione 
da seguire 
deve 
essere, dunque, quella che 
risulti 
il 
più possibile 
aderente 
al 
senso letterale 
delle 
parole, nella loro formulazione 
tecnico giuridica
» (4). Ne 
consegue 
che 
il 
cittadino non può che 
attenersi 
alla 
disciplina 
italiana 
e 
non alla 
disciplina 
desumibile 
da 
direttive 
non self 
executing 
(peraltro, 
nel caso in esame, dal pacifico tenore gravemente polisemico). 


(2) Ex plurimis: Corte di Giustizia, 15 aprile 2008, C-268/06. 
(3) Così: 
F. PoLLACChINI, Cedu e 
diritto dell’Unione 
Europea nei 
rapporti 
con l’ordinamento costituzionale 
interno, 
parallelismi 
e 
asimmetrie 
alla 
luce 
della 
più 
recente 
giurisprudenza 
costituzionale, 
in www.giur.cost.org. 
(4) 
Testualmente 
da 
Cass. 
S.U., 
5 
luglio 
1982, 
n. 
4000 
e, 
di 
recente 
Cass., 
4 
ottobre 
2018, 
n. 
24165. 

CoNTENzIoSo 
CoMUNITArIo 
ED 
INTErNAzIoNALE 


Si 
consideri 
inoltre 
che 
sino 
alla 
sentenza 
Lexitor 
la 
lettura 
dell’art. 
125-sexies 
T.U.B. 
era 
unanimemente 
orientata 
nel 
senso 
di 
ritenere 
rimborsabili 
i 
soli 
costi 
recurring 
(e 
non 
up 
front). 
Anzi 
può 
draconianamente 
affermarsi 
che, 
stante 
il 
chiaro 
tenore 
letterale 
della 
norma, 
il 
problema 
non 
risultava 
concretamente 
dibattuto 
negli 
orientamenti 
giurisprudenziali, 
amministrativi 
e 
dell’ABF 
(5). 


Del 
resto 
la 
Banca 
d’Italia, 
quale 
organo 
di 
vigilanza 
(sia 
con 
riferimento 
all’art. 
125-sexies 
che 
al 
previgente 
art. 
125 
T.U.B.) 
ha 
costantemente 
ritenuto 
che 
il 
diritto del 
consumatore 
ad una 
riduzione 
del 
costo totale 
del 
credito in 
sede 
di 
rimborso anticipato è 
limitato ai 
soli 
interessi 
e 
costi 
non ancora 
maturati 
al 
momento 
dell’estinzione 
del 
finanziamento 
(c.d. 
costi 
recurring), 
con 
esclusione, quindi, dei 
costi 
riconducibili 
ad attività 
o servizi 
espletati 
in vista 
e 
al 
momento della 
conclusione 
del 
contratto (cosiddetti 
costi 
up front). In tal 
senso (già) militava, del 
resto, la 
delibera 
CICr 8 luglio 1992 che, all’art. 3, 
primo 
comma, 
prevedeva 
che 
«il 
consumatore 
ha 
sempre 
la 
facoltà 
dell’adempimento 
anticipato; tale 
facoltà si 
esercita mediante 
versamento al 
creditore 
del 
capitale 
residuo, 
degli 
interessi 
e 
altri 
oneri 
maturati 
fino 
a 
quel 
momento 
e, se 
previsto dal 
contratto, di 
un compenso comunque 
non superiore 
all’1% 
del capitale residuo» (6). 

In 
tal 
contesto 
normativo 
si 
collocano 
altresì 
le 
Comunicazioni 
della 
Banca 
d’Italia 
del 
10 novembre 
2009 e 
del 
7 aprile 
2011 con cui 
l’Autorità 
di 
vigilanza 
sollecitava 
gli 
intermediari 
a 
«definire 
correttamente 
-in linea con 
le 
nuove 
disposizioni 
sul 
credito ai 
consumatori 
-la ripartizione 
tra commissioni 
up-front 
e 
recurring, 
includendo 
nelle 
seconde 
le 
componenti 
economiche 
soggette a maturazione nel tempo». 

Sintonico 
anche 
il 
monolitico 
orientamento 
dell’ABF, 
ripetutamente 
confermato 
anche 
dal 
Collegio di 
Coordinamento, secondo cui, nel 
caso di 
estinzione 
anticipata 
del 
finanziamento, doveva 
essere 
rimborsata 
al 
cliente 
la 
sola 
quota 
delle 
commissioni 
e 
dei 
costi 
assicurativi 
non maturati 
nel 
tempo (c.d. 
recurring). 
In 
tal 
senso 
anche 
la 
giurisprudenza 
arbitrale 
che, 
considerata 
come 
scontata 
la 
rimborsabilità 
dei 
soli 
costi 
recurring, 
appariva, 
come 
la 
giurispru


(5) 
In 
tal 
senso 
Collegio 
Coordinamento 
ABF, 
11 
novembre 
2016, 
n. 
10003 
secondo 
cui 
«La 
norma, in sé 
autosufficiente, enuncia quindi 
la regola che 
il 
criterio e 
la base 
di 
calcolo degli 
importi 
da 
retrocedere 
devono 
essere 
determinati 
e 
applicati 
oggettivamente 
[…] 
l’estinzione 
anticipata 
implica 
l’automatico effetto della restituzione degli importi corrispondenti ai 
[soli] servizi non resi». 
(6) Da 
ultimo proprio con riferimento a 
tale 
delibera 
il 
Tribunale 
di 
Milano, 23 gennaio 2020, n. 
694, motiva 
il 
rigetto della 
domanda 
di 
rimborso di 
costi 
up front 
in fattispecie 
ante 
Lexitor. Ed ancora 
il 
Tribunale 
di 
Torino 22 marzo 2019 n. 1410 secondo cui 
«i 
costi 
da ridurre 
sono quelli 
definiti 
come 
“recurring” 
poiché 
maturano 
nel 
corso 
dell’intero 
svolgimento 
del 
rapporto 
negoziale 
e 
sono 
corrisposti 
a titolo di 
copertura dei 
rischi 
di 
credito e 
delle 
spese 
per 
la gestione 
degli 
incassi. Da tali 
costi 
si 
differenziano 
quelli 
c.d. “Up front” 
che 
non sono ripetibili 
e 
che 
sono sostenuti 
nella fase 
delle 
trattative 
e 
della formazione 
del 
contratto come 
le 
spese 
di 
istruttoria e 
di 
stipulazione»; 
cfr. anche 
il 
Tribunale 
Napoli 
22 novembre 
2019, n. 10489 che, con riferimento agli 
oneri 
di 
intermediazione, ancor più radicalmente 
osserva 
«si 
tratta certamente 
di 
attività già svolta interamente 
prima che 
il 
rapporto venisse 
anticipatamente estinto, ed il relativo costo non va rimborsato nemmeno pro quota». 

rASSEGNA 
AvvoCATUrA 
DELLo 
STATo -N. 3/2020 


denza 
ordinaria, più attenta 
a 
verificare 
se 
la 
distinzione 
con i 
costi 
up front 
fosse 
ab initio contrattualmente chiara e trasparente (7). 

L’excursus 
proposto 
consente 
quindi 
di 
rilevare 
come 
la 
predetta 
univoca 
interpretazione 
giurisprudenziale 
(conforme, peraltro, alla 
prassi 
amministrativa 
e 
alle 
disposizioni 
dell’organo 
di 
vigilanza 
nonché 
agli 
orientamenti 
dell’ABF) costituiva, in ordine 
all’interpretazione 
dell’art. 125-sexies 
citato, 
un vero e proprio consolidato “diritto vivente”. 

Il 
delineato 
assetto 
spiega 
come 
la 
giurisprudenza 
che 
si 
è 
interessata 
dell’impatto della 
Lexitor 
abbia 
prevalentemente 
negato l’applicabilità 
della 
stessa, seppur con un articolato panorama 
di 
motivazioni. In tal 
senso si 
è 
osservato 
come 
la 
decisione 
Lexitor 
«non sposta i 
termini 
della presente 
decisione
» (8) dal 
momento che 
la 
stessa 
«interpreta la direttiva 2008/48/CEE 
e 
non 
l’art. 
125 
T.U.B. 
applicabile 
in 
questo 
caso» 
(9) 
ed 
altresì 
che 
«la 
direttiva 
48/2008/CE, 
art. 
16, 
par. 
1, 
ha 
comunque 
efficacia 
verticale 
con 
ciò 
intendendosi 
che 
l’interessato 
può 
far 
valere 
solo 
nei 
confronti 
dello 
Stato 
una 
ritenuta 
imperfetta attuazione 
della direttiva, mentre 
essa non ha efficacia orizzontale 
tra 
privati, 
con 
conseguente 
impossibilità, 
per 
il 
giudice, 
di 
procedere 
alla 
disapplicazione 
della normativa italiana» (10). 

Da 
ultimo e 
più radicalmente 
si 
è 
osservato che 
«Le 
sentenze 
della Corte 
di 
Giustizia europea non vincolano, com’è 
noto, il 
Giudice 
Nazionale, sicché, 
in concreto il 
significato residuo da attribuirsi 
ad esse 
è 
quello di 
offrire 
una 
possibile 
interpretazione 
della norma comunitaria per, appunto, l’interprete 
del 
singolo 
Paese» 
(11). 
Quando 
il 
Tribunale 
di 
vicenza 
esamina 
la 
norma 
concreta 
dell’art. 16 Direttiva, non può che 
prendere 
atto del 
fatto che 
il 
suo 
contenuto 
sostanziale 
non 
è 
stato 
trasposto 
nell’ordinamento 
nazionale, 
né, 
dall’altra 
parte, risulta 
che 
la 
Direttiva 
UE 
2008/48 sia 
self 
executing 
(e 
ciò 
senza 
contare 
che, in linea 
più generale, una 
direttiva 
non può essere 
immediatamente 
applicabile 
nei 
rapporti 
tra 
privati). In altre 
parole 
si 
è 
in presenza 
di 
una 
sentenza 
non vincolante, in relazione 
ad una 
norma 
che 
non ha 
cittadinanza 
e non è applicabile nell’ordinamento italiano. 


Né 
è 
privo 
di 
rilievo 
notare 
che 
lo 
stesso 
Collegio 
di 
Coordinamento 
ABF, 
privo 
di 
poteri 
paranormativi, 
ha 
correttamente 
ritenuto 
che 
«non 
potendo 
rinvenirsi 
al 
momento una utile 
disposizione 
normativa suppletiva, sia pure 
secondaria
» 
non resta, al 
momento, che 
affidarsi 
al 
«ricorso dell’ 
integrazione 
“giudiziale” 
secondo equità (art. 1374 c.c.) per 
determinare 
l’effetto imposto 


(7) Coll. Arbitrale 
roma, 11 settembre 
2015, in Nuova Giur. Civ. 2015, p. 1127, con nota 
di 
E. 
rUFFo. 
(8) Tribunale di Napoli, 22 novembre 2019, n. 10489. 
(9) Tribunale di Napoli, 10 marzo 2020, n. 2391. 
(10) Testualmente 
da 
Giudice 
di 
Pace 
di 
roma, 28 agosto 2020, n. 13888. Ed ancora 
in tal 
senso 
Giudice di Pace di Como, 13 ottobre 2020, n. 538. 
(11) Tribunale di 
vicenza, 13 novembre 2020, n. 1907. 

CoNTENzIoSo 
CoMUNITArIo 
ED 
INTErNAzIoNALE 


dalla 
rilettura 
dell’art. 
125-sexies 
T.U.B., 
con 
riguardo 
ai 
costi 
up 
front, 
effetto 
non contemplato dalle 
parti 
né 
regolamentato dalla legge 
o dagli 
usi» (12). 
Poiché 
l’equità 
integrativa 
è 
la 
giustizia 
del 
caso concreto, ogni 
valutazione 
al 
riguardo competerà, pertanto, ai 
singoli 
Collegi 
territoriali 
ABF 
che 
decideranno 
«tenendo conto della particolarità della fattispecie». 


4. Criteri a base della prova di resistenza. 
Da 
quanto precede 
emerge 
con solare 
evidenza 
l’univocità 
interpretativa 
dell’art. 125-sexies 
T.U.B (rimborsabilità 
dei 
soli 
costi 
recurring) e, quindi, il 
palese 
contrasto con la 
lettura 
Lexitor 
della 
direttiva 
2008/40/CE 
(rimborsabilità 
costi 
up front 
e 
recurring). 


Ed è 
altresì 
evidente 
che 
la 
prova 
di 
resistenza, al 
fine 
di 
verificare 
se 
la 
interpretazione 
della 
norma 
come 
recepita 
nel 
nostro 
ordinamento 
rientri 
o 
meno 
nel 
cono 
d’ombra 
di 
interpretazione 
della 
direttiva 
(nella 
lettura 
postuma 
offerta 
dalla 
Lexitor), 
l’ermeneusi 
deve 
essere 
effettuata 
tenendo 
conto 
del 
dato letterale e degli orientamenti interpretativi consolidatisi sulla stessa. 

Nel 
caso di 
specie, alla 
luce 
anche 
del 
primato letterale 
nell’interpretazione, 
il 
“diritto vivente”, come 
sopra 
illustrato, è 
stato ab initio 
monolitica-
mente 
schierato 
a 
favore 
di 
un’ermeneusi 
dell’art. 
125-sexies 
T.U.B. 
che 
circoscrive 
la 
rimborsabilità 
ai 
soli 
costi 
recurring 
dettati, 
cioè, 
in 
funzione 
della 
vita 
residua 
del 
contratto. Ne 
consegue 
l’inconciliabilità 
tra 
le 
disposizioni 
a 
confronto. Conflitto rinvenibile 
sia 
nel 
dettato letterale 
sia 
nei 
divaricanti 
riflessi applicativi. 

Del 
tutto 
fuorviante 
sarebbe, 
viceversa, 
operare 
il 
confronto 
tra 
l’art. 
125sexies 
T.U.B e 
la 
disposizione 
dell’art. 16 cit. della 
direttiva, come 
letta 
alla 
luce 
della 
sentenza 
Lexitor, 
in 
quanto 
tale 
modus 
operandi 
condurrebbe 
sempre 
e 
inevitabilmente 
a 
conformare 
la 
lettura 
della 
norma 
come 
recepita 
a 
quella 
offerta 
dalla 
Corte 
di 
Giustizia 
(nel 
caso di 
specie, ad oltre 
dieci 
anni 
di 
distanza). 
verrebbe 
per tal 
via 
meno il 
proficuo dialogo tra 
ordinamenti 
negandosi 
(già) 
in 
astratto 
l’esistenza 
di 
qualsiasi, 
pur 
possibile, 
contrasto 
normativo. 


Il 
delineato conflitto tra 
norma 
interna 
di 
recepimento e 
direttiva 
non è 
peraltro superabile 
con il 
potere 
riconosciuto al 
giudice 
ordinario di 
disapplicazione 
delle 
norme 
interne 
a 
favore 
di 
quelle 
unionali, in quanto l’esercizio, 
di 
tale 
potere 
è 
circoscritto alle 
sole 
norme 
aventi 
efficacia 
diretta 
nel 
nostro 
ordinamento 
e 
non 
involge 
le 
norme 
non 
aventi 
efficacia 
diretta 
(quale 
appunto 
la direttiva in esame non self executing) (13). 


(12) Collegio di Coordinamento ABF, 19 dicembre 2019, n. 26525. 
(13) 
L’illustrato 
contrasto 
andrebbe 
risolto 
dalla 
sola 
Corte 
Costituzionale 
(Corte 
Cost. 
14 
dicembre 
2017, 
n. 
269. 
In 
tal 
senso, 
ex 
plurimis: 
Corte 
Cost. 
24 
giugno 
2010 
n. 
227 
e 
Corte 
Cost. 
30 
marzo 
2012, 
n. 
75) 
che, 
stante 
l’oscurità 
della 
Direttiva 
riconosciuta 
nella 
stessa 
sentenza 
Lexitor, 
potrebbe 
fare 
buon 
uso 
del 
principio 
dell’efficacia 
differita 
nel 
tempo 
delle 
proprie 
decisioni 
al 
fine 
di 
«realizzare 
una 
transizione 
tra 
il 
vecchio 
e 
il 
nuovo 
regime 
il 
più 
possibile 
rispettosa 
delle 
situazioni 
soggettive 
già 
venute 
ad 
esistenza» 

rASSEGNA 
AvvoCATUrA 
DELLo 
STATo -N. 3/2020 


Allo stato, pertanto, nessun diritto sembra 
fruttuosamente 
azionabile 
dal 
consumatore 
nei 
confronti 
delle 
Banche 
e 
degli 
intermediari 
finanziari 
in relazione 
ai 
contratti 
in essere 
ante 
sentenza 
Lexitor. L’art. 125-sexies 
T.U.B. è 
tuttora 
vigente 
e 
l’eventuale 
errato 
recepimento 
non 
potrebbe 
mai 
ricadere 
sulle 
Banche 
che 
hanno 
osservato 
un 
comportamento 
compliant 
rispetto 
al 
“diritto vivente” 
quale 
derivante 
dall’univoca 
interpretazione 
della 
norma 
di 
recepimento 
e 
rispetto 
a 
cui 
alcun 
inadempimento 
è 
configurabile. 
In 
ogni 
caso 
le 
stesse 
potrebbero invocare, per andare 
esenti 
da 
responsabilità, il 
legittimo 
affidamento. 
Del 
resto, 
ancora 
di 
recente, 
la 
Corte 
di 
Giustizia 
ha 
precisato 
che 
la 
direttiva 
non recepita 
o recepita 
male 
nel 
nostro ordinamento non può 
creare 
obblighi 
a 
carico del 
singolo e 
non può essere 
fatta 
valere 
nelle 
controversie 
tra 
privati 
(14). opinare 
diversamente 
significherebbe 
riconoscere 
al-
l’Unione 
europea 
il 
potere 
di 
istituire 
con effetto immediato obblighi 
a 
carico 
dei 
singoli 
«mentre 
tale 
competenza le 
spetta solo laddove 
le 
sia attribuito il 
potere di adottare regolamenti» (15). 


Potrebbe 
al 
più intravedersi 
la 
responsabilità 
dello Stato per erroneo recepimento 
della 
direttiva. 
Ed 
infatti, 
ancora 
di 
recente, 
la 
giurisprudenza 
della 
Corte 
di 
Giustizia 
ha 
ribadito 
che 
il 
diritto 
dell’Unione, 
«in 
particolare 
dell’art. 
288 TFUE, deve 
essere 
interpretato nel 
senso che 
un giudice 
nazionale, investito 
di 
una controversia tra singoli, non è 
tenuto, sulla sola base 
del 
diritto 
dell’Unione, 
a 
disapplicare 
le 
disposizioni 
nazionali 
nonché 
una 
clausola 
contenuta, 
conformemente 
a queste 
ultime, in un contratto di 
assicurazione 
e 
che 
la 
parte 
lesa 
dalla 
non 
conformità 
del 
diritto 
nazionale 
al 
diritto 
unionale 
(per 
mancato, 
tardivo 
o 
errato 
recepimento) 
potrebbe 
tuttavia 
invocare 
la 
giurisprudenza 
scaturita dalla nota sentenza Francovich (16) per 
ottenere, eventualmente, 
da parte 
dello Stato membro il 
risarcimento dei 
danni» (17). Ma, 
invero, 
lo 
Stato 
si 
trova 
nei 
confronti 
della 
lettura 
della 
Lexitor 
nella 
medesima 
posizione 
delle 
Banche, 
in 
quanto, 
a 
sua 
volta, 
attesa 
la 
riconosciuta 
polisemia 
della 
direttiva, 
potrebbe 
invocare 
il 
proprio 
legittimo 
affidamento 
(18) 
e, 
quindi, l’errore scusabile nel recepimento (19). 

(G. 
zAGrEBELSky, 
Il 
controllo 
da 
parte 
della 
Corte 
Costituzionale 
degli 
effetti 
temporali 
delle 
sue 
pronunce, 
in 
Quaderni 
costituzionali, 
1989, 
p. 
69) 
disponendo 
la 
«gradualità 
nel 
dispiegarsi 
e 
nell’imporsi 
dei 
valori 
costituzionali» 
di 
equo 
bilanciamento 
(S.P. 
PANUNzIo, 
Incostituzionalità 
«sopravvenuta», 
incostituzionalità 
«progressiva» 
ed 
effetti 
temporali 
delle 
sentenze 
della 
Corte 
costituzionale, 
in 
AA.vv., 
Effetti 
temporali 
delle 
sentenze 
della 
Corte 
costituzionale 
anche 
con 
riferimento 
alle 
esperienze 
straniere, 
in 
atti 
del 
seminario 
svoltosi 
in 
roma, 
Palazzo 
della 
Consulta, 
il 
23 
e 
24 
novembre 
1988, 
Milano, 
1989, 
279). 
(14) Corte di Giustizia, 7 agosto 2018, C-122/17. 
(15) Corte di Giustizia, 14 luglio 1994, C-91/92. 
(16) Corte di Giustizia, 19 novembre 1991, cause riunite C-6/90 e C-9/90. 
(17) 
Corte 
di 
Giustizia, 
24 
gennaio 
2012, 
C-282/10 
ed 
ivi 
riferimenti. 
In 
dottrina: 
F. 
CICCArIELLo, 
La responsabilità del 
legislatore 
tra vecchi 
e 
nuovi 
miti, in www.judiucm.it 
(18 marzo 2018); 
E. CALzo-
LAIo, 
L’illecito 
dello 
Stato 
tra 
diritto 
comunitario 
e 
diritto 
interno. 
Una 
prospettiva 
comparata, 
Milano, 
2004, 
p. 
4; 
si 
veda, 
altresì, 
M.M. 
WINkLEr, 
Francovich 
colpisce 
ancora: 
una 
nuova 
condanna 
dello 
Stato per ritardato (ed errato) recepimento di una direttiva europea, in resp. civ. prev., 2011, p. 923. 

CoNTENzIoSo 
CoMUNITArIo 
ED 
INTErNAzIoNALE 


5. Possibili argini alla retroattività. 
Anche 
al 
di 
là 
dei 
motivi 
ostativi 
all’applicabilità 
della 
Lexitor, sembra 
opportuno verificare, in seconda 
battuta, la 
praticabilità 
di 
percorsi 
preclusivi 
della retroattività dell’art. 125-sexies 
T.U.B. in versione 
Lexitor. 


va 
pertanto, 
seppur 
nell’economia 
del 
presente 
scritto, 
indagato 
da 
un 
lato se 
l’art. 125-sexies 
T.U.B., nella 
sua 
consolidata 
interpretazione, non integri, 
in uno alla 
previgente 
disciplina 
di 
protezione 
del 
consumatore, il 
risultato 
teleologico 
perseguito 
dalla 
Lexitor, 
ovvero, 
dall’altro, 
se 
l’efficacia 
retroattiva 
della 
Lexitor 
inevitabilmente 
comporti 
anche 
una 
simmetrica 
lettura 
retroattiva dell’art. 125-sexies 
T.U.B. 


6. Presistenza di disciplina ad elevata protezione del consumatore. 
Sotto 
tale 
profilo 
dovrebbe 
valorizzarsi 
la 
considerazione 
che 
la 
sentenza 
Lexitor 
trova 
il 
suo 
dichiarato 
presupposto 
nella 
circostanza 
che, 
stante 
la 
molteplicità 
di 
possibili 
esiti 
interpretativi 
del 
dettato 
letterale 
della 
Direttiva 
2008/48/CE, 
deve 
far 
premio 
l’interpretazione 
teleologica 
della 
stessa 
orientata 
a 
tutela 
del 
consumatore 
(§§ 
26-33). 
La 
Corte 
precisa 
altresì 
che, 
diversamente 
opinando, 
il 
professionista 
sarebbe 
libero 
di 
qualificare 
i 
costi 
up 
front 
in 
modo 
tale 
da 
(teoricamente) azzerare 
i 
costi 
recurring. Di 
qui 
la 
tranciante 
lettura 
di 
«costo 
totale 
del 
credito» 
ritenuta 
dalla 
Corte 
comprensiva 
di 
«tutti 
i 
costi 
posti a carico del consumatore». 


risulta 
chiaro 
che 
la 
corretta 
lettura 
della 
sentenza 
Lexitor 
postula 
la 
comparazione 
della 
Direttiva 
2008/48/CE 
con 
gli 
ordinamenti 
dei 
singoli 
Stati 
membri. 
In 
altri 
termini 
l’efficacia 
teleologica 
della 
Lexitor 
impone, 
quale 
condicio 
iuris 
della 
sua 
applicazione 
retroattiva, la 
preliminare 
verifica 
se 
il 
singolo 
ordinamento 
(nel 
caso 
di 
specie 
quello 
italiano) 
non 
presenti 
già 
una 
disciplina 
che 
tuteli 
compiutamente 
il 
consumatore 
da 
quella 
che 
la 
Lexitor 
prefigura 
in astratto come 
(virtualmente 
possibile) pratica 
di 
arbitrio nella 
disciplina 
dei costi da parte dei professionisti del credito. 


Non 
può 
sfuggire 
che 
in 
Italia 
un 
tale 
arbitrio 
del 
professionista 
del 
credito 
sia 
escluso 
(o, 
almeno, 
fortemente 
compresso) 
in 
radice 
da 
tutte 
le 
norme 
poste 
a 
tutela 
del 
consumatore. 
In 
tal 
senso, 
oltre 
agli 
artt. 
121-ter 
e 
125-sexies 


T.U.B. 
che 
disciplinano 
la 
conoscibilità 
dei 
costi, 
militano 
le 
disposizioni 
della 
Banca 
d’Italia 
in ordine 
alla 
stessa 
determinazione 
e 
quantificazione 
proprio 
dei costi 
up front 
e 
recurring. 
In 
proposito 
le 
disposizioni 
della 
Banca 
d’Italia, 
in 
abito 
di 
organo 
di 


(18) Sul 
ruolo del 
principio del 
legittimo affidamento nel 
diritto unionale 
e 
degli 
stati 
membri 
sin 
rinvia 
a 
M. BACCI, L’evoluzione 
del 
principio del 
legittimo affidamento nel 
diritto dell’unione 
e 
degli 
stati membri, in www.masterdirittoprivatoeuropeo.it, 6, 2015. 
(19) In ipotesi 
di 
condanna 
lo Stato potrebbe 
far valere 
la 
propria 
posizione 
nei 
più ampi 
rapporti 
politico-istituzionali con l’Unione. 

rASSEGNA 
AvvoCATUrA 
DELLo 
STATo -N. 3/2020 


vigilanza, 
prevedono 
che 
«i 
contratti 
di 
credito 
indicano 
in 
modo 
chiaro 
e 
conciso 
il 
diritto 
del 
consumatore 
al 
rimborso 
anticipato 
previsto 
dall’articolo 
125-sexies, 
comma 
1, 
del 
T.U.B. 
e 
la 
procedura 
per 
effettuarlo 
nonché, 
in 
presenza 
delle 
condizioni 
ivi 
stabilite, 
il 
diritto 
del 
creditore 
a 
ottenere, 
ai 
sensi 
dell’articolo 
125-sexies, 
comma 
2, 
del 
T.U.B., 
un 
indennizzo 
a 
fronte 
del 
rimborso 
anticipato 
e 
le 
relative 
modalità 
di 
calcolo», 
chiarendo 
ulteriormente 
che 
«nei 
contratti 
di 
credito 
con 
cessione 
del 
quinto 
dello 
stipendio 
e 
della 
pensione 
e 
nelle 
fattispecie 
assimilate, 
le 
modalità 
di 
calcolo 
della 
riduzione 
del 
costo 
totale 
del 
credito 
a 
cui 
il 
consumatore 
ha 
diritto 
in 
caso 
di 
estinzione 
anticipata 
includono 
l’indicazione 
degli 
oneri 
che 
maturano 
nel 
corso 
del 
rapporto 
e 
che 
devono 
quindi 
essere 
restituiti, 
per 
la 
parte 
non 
maturata 
dal 
finanziatore 
o 
da 
terzi, 
al 
consumatore, 
se 
questi 
li 
ha 
corrisposti 
anticipatamente 
al 
finanziatore» 
(20). 


Dall’organico 
puntuale 
sostrato 
normativo 
(qui 
del 
tutto 
ellitticamente 
richiamato) 
emerge 
evidente 
lo stretto collegamento tra 
la 
trasparenza 
contrattuale, 
ex 
ante, e 
la 
tutela 
del 
consumatore 
anche 
ex 
post 
in sede 
di 
ripetibilità 
dei 
costi 
anticipati 
in caso di 
scioglimento parimenti 
anticipato del 
contratto. 
In 
senso 
ulteriormente 
confermativo 
milita 
la 
Comunicazione 
del 
Governatore 
di 
Banca 
d’Italia 
del 
10 novembre 
2009 (“Cessione 
del 
quinto dello stipendio 
e 
operazioni 
assimilate: cautele 
e 
indirizzi 
per 
gli 
operatori”), nella 
quale 
è 
stato 
sottolineato 
che 
«relativamente 
all’estinzione 
anticipata, 
la 
Banca 
d’Italia 
ha stigmatizzato la prassi, seguita dagli 
intermediari, di 
indicare 
cumulativamente, 
nei 
contratti 
e 
nei 
fogli 
informativi, l’importo di 
generiche 
spese, 
non consentendo quindi 
una chiara individuazione 
degli 
oneri 
maturati 
e 
di 
quelli non maturati». 


Si 
aggiunga 
che 
al 
cliente-consumatore 
il 
nostro 
ordinamento 
offre, 
a 
costi 
praticamente 
irrisori, 
la 
garanzia 
dell’ABF, 
che 
(quale 
organismo 
preposto 
per 
la 
risoluzione 
alternativa 
delle 
controversie 
tra 
banche 
e 
consumatori) 
assicura 
la 
più 
scrupolosa 
osservanza, 
da 
parte 
degli 
istituti 
di 
credito 
e 
degli 
intermediari 
finanziari, 
di 
tutte 
le 
disposizioni 
di 
rango 
primario 
e 
secondario. 


Nella 
riferita 
prospettiva 
sorgono non poche 
perplessità 
sulla 
possibilità 
che 
la 
Lexitor 
possa 
produrre 
effetti 
retroattivi 
nel 
nostro ordinamento che, a 
differenza 
di 
quello polacco fonte 
del 
rinvio pregiudiziale 
alla 
Corte 
di 
Giustizia, 
possedeva 
e 
possiede 
una 
compiuta 
disciplina 
(già) efficacemente 
e 
teleologicamente 
orientata 
alla 
tutela 
del 
consumatore. 
Del 
resto 
sembra 
riduttivo 
pensare 
che 
la 
mera 
tutela 
patrimoniale 
postuma 
del 
consumatore 
esaurisca 
l’ubi 
consistam 
della 
tutela, laddove 
il 
suo humus 
andrebbe 
più incisivamente 
rintracciato e 
rinsaldato nella 
legislazione 
di 
tutela 
in sede 
precontrattuale 
e 
contrattuale, 
momento 
in 
cui 
si 
avverte 
più 
marcatamente 


(20) Disposizioni di 
vigilanza 29 luglio 2009 e s.m.i. 

CoNTENzIoSo 
CoMUNITArIo 
ED 
INTErNAzIoNALE 


l’esigenza 
protettiva 
di 
garantire 
la 
parità 
di 
armi 
tra 
le 
parti 
contraenti. Diversamente 
il 
complesso delle 
norme 
di 
tutela 
che 
presidia 
il 
momento contrattuale 
si 
rileverebbe 
di 
fatto 
poco 
significativo 
essendo 
sufficiente 
prevedere 
unicamente 
che, 
in 
caso 
di 
estinzione 
anticipata, 
l’intermediario 
finanziario 
deve 
rimborsare 
tutto e 
le 
relative 
modalità 
(ad es. 
pro rata temporis, curva 
degli 
interessi 
ecc.), 
sollevando 
quest’ultimo 
dalla 
montante 
marea 
di 
oneri 
informativi, di 
trasparenza 
precontrattuale 
e 
contrattuale 
per l’ipotesi 
di 
esercizio 
di 
estinzione 
anticipata. 
Si 
trasformerebbe 
cioè 
da 
tutela 
della 
libertà 
contrattuale del contraente debole a mera tutela recuperatoria. 

Potrebbe 
pertanto 
ritenersi 
che 
la 
tutela 
garantita 
dall’art. 
125-sexies 
T.U.B 
assicura, 
alla 
luce 
del 
diritto 
vivente 
e 
della 
complessiva 
preesistente 
disciplina, 
una 
elevata 
tutela 
del 
consumatore 
del 
tutto 
analoga 
a 
quella 
perseguita 
(anche) 
dalla 
Lexitor, 
il 
cui 
rilievo 
applicativo 
va, 
evidentemente, 
calato 
e 
coniugato 
con 
il 
variegato 
contesto 
normativo 
dei 
singoli 
Paesi 
membri. 
In 
tale 
chiave 
ermeneutica 
si 
potrebbe 
infatti 
ritenere 
quanto 
mai 
opportuno 
l’intervento 
“recuperatorio” 
assicurato 
dalla 
Lexitor 
ove 
riferibile 
a 
Paesi 
a 
bassa 
o 
inefficace 
tutela 
contrattuale 
del 
consumatore 
con 
effetti 
compensativi 
della 
carente 
tutela 
ivi 
assicurata 
in 
sede 
precontrattuale 
e 
contrattuale 
al 
consumatore 
(21). 


7. Certezza del diritto e legittimo affidamento. 
Anche 
a 
voler ritenere 
applicabile 
la 
sentenza 
Lexitor 
(e 
quindi, la 
Direttiva 
2008/48/CE), 
non 
per 
questo 
dovrebbe 
ritenersi 
inevitabile 
riconoscere 
efficacia 
ex tunc 
alla nuova interpretazione dell’art. 125-sexies 
T.U.B. 

La 
Corte 
di 
Giustizia, 
infatti, 
ha 
già 
più 
volte 
affermato 
che 
«secondo 
costante 
giurisprudenza, il 
principio della certezza del 
diritto, che 
ha per 
corollario 
quello 
della 
tutela 
del 
legittimo 
affidamento», 
informa 
di 
sé 
l’intero 
ordinamento 
unionale 
(quale 
principio 
generale 
ex 
art. 
6 
§ 
3 
TUE) 
e 
quindi 
«esige 
che 
una normativa che 
comporta conseguenze 
svantaggiose 
per 
i 
privati 
sia chiara e 
precisa e 
che 
la sua applicazione 
sia prevedibile 
per 
gli 
amministrati
» (22), con la 
conseguente 
necessità 
-per il 
giudice 
nazionale 
-di 
disapplicare 
«una normativa nazionale 
[che] riduca [un] termine 
di 
prescrizione 
senza preavviso e in modo retroattivo» (23). 

(21) In tal 
senso cfr.: 
Tribunale 
di 
Mantova, ord. 30 giugno 2020 secondo cui 
«la sentenza della 
Corte 
di 
Giustizia UE 
dell’11 settembre 
2019 (c.d. Lexitor) 
[...] non appare 
attagliarsi 
al 
sistema normativo 
italiano che, rispetto a quello polacco, è 
certamente 
molto più garantista per 
il 
cliente 
avendo 
esattamente 
disciplinato i 
diritti 
restitutori 
in caso di 
estinzione 
anticipata, con l’art. 125 sexies 
TUB. 
La normativa nazionale 
non fa alcun riferimento ai 
costi 
iniziali 
sostentui 
dal 
cliente 
e 
la circostanza 
non appare 
né 
una dimenticanza né 
una eccessiva sproporzione 
a svantaggio del 
cliente. Gli 
unici 
costi 
che 
possono essere 
oggetto di 
domanda di 
rimborso, come 
peraltro recita l’art. 125 sexies 
TUB, sono 
quelli 
che 
non dovrà più sostenere 
avendo rimborsato anticipatamente 
il 
debito. Peraltro, la decisione 
resa 
dalla 
Corte 
di 
Giustizia 
nel 
2019 
non 
può 
trovare 
applicazione, 
anche 
perché 
resa 
su 
norma 
polacca 
dal 
tenore 
evidentemente 
difforme 
da 
quello 
cristallizzato 
nell’art. 
125 
sexies 
TUB 
nel 
quale 
il 
legislatore 
nazionale si è fatto onere di disciplinare quali siano le conseguenze del rimborso anticipato». 

rASSEGNA 
AvvoCATUrA 
DELLo 
STATo -N. 3/2020 


Ed è 
evidente 
che 
quanto vale 
per la 
perdita 
di 
un credito non può non 
valere, a 
maggior ragione, per gli 
obblighi 
di 
pagamento: 
una 
diversa 
interpretazione, 
imprevedibile 
rispetto a 
quella 
vigente 
alla 
stipula 
del 
contratto, 
che 
escludesse 
quegli 
obblighi 
di 
pagamento 
non 
potrebbe 
perciò 
ritenersi 
applicabile. 
In particolare, se 
deve 
essere 
disapplicata 
una 
disposizione 
di 
legge 
nazionale 
retroattiva 
che 
pregiudichi 
in modo imprevedibile 
i 
privati 
facendo 
loro perdere 
un credito, lo stesso deve 
dirsi 
degli 
effetti 
retroattivi 
di 
un’imprevedibile 
interpretazione 
di 
una 
disposizione 
nazionale 
(art. 
125-sexies, 
comma 
1, TUB), per la 
cui 
applicabilità 
lo stesso giudice 
nazionale 
potrebbe 
quindi pronunciare solo per il futuro (24). 

Tali 
principi 
sono 
stati 
declinati 
anche 
dalla 
giurisprudenza 
della 
Corte 
EDU 
con 
riferimento 
alla 
Carta 
Europea 
dei 
Diritti 
dell’Uomo 
secondo 
cui 
«le 
norme 
giuridiche 
sulle 
quali 
si 
fonda 
la 
privazione 
della 
proprietà 
dovrebbero 
essere 
sufficientemente 
accessibili, 
precise 
e 
prevedibili 
nella 
loro 
applicazione» 
(25). 


La 
lettura 
retroattiva 
della 
Lexitor 
sarebbe 
inammissibile 
da 
parte 
del 
giudice 
italiano stante 
l’ambiguità 
del 
tenore 
della 
direttiva 
2008/48/CE 
(riconosciuta 
dalla 
stessa 
sentenza 
Lexitor) 
e 
l’assenza 
sin 
qui 
di 
qualsivoglia 
contestazione 
di 
infrazione 
nella 
(personale) trasposizione 
della 
Direttiva 
da 
parte 
di 
tutti 
gli 
Stati 
membri. Inoltre, ove 
la 
direttiva 
venisse 
applicata 
con 
vis 
retroattiva, si 
realizzerebbe 
una 
discriminazione 
tra 
i 
vari 
Stati 
membri 
in 
cui 
vigono diversificati 
regimi 
e 
termini 
di 
prescrizione 
(26), anche 
per i 
rimborsi 
della 
specie 
(27), con rilevanti, ingiustificati 
e 
differenziati 
effetti 
sugli 
assetti 
bancari 
(Stato 
per 
Stato); 
ciò 
senza 
contare 
il 
correlativo 
e 
conseguente 
differenziato impatto sulle economie di ciascun Paese membro. 


8. Conclusioni e auspici. 
Alla 
luce 
di 
tutto 
quanto 
precede 
sembra 
ragionevole 
conclusione 
ritenere 


(22) Corte di Giustizia, 7 giugno 2005, C-17/03. 
(23) Corte di Giustizia, Sez. III, 12 dicembre 2013, C-362/12. 
(24) Sul 
rilievo che 
compete 
al 
Giudice 
nazionale 
valutare 
se 
sia 
stato rispettato il 
legittimo affidamento 
dei 
destinatari 
sulle 
disposizioni 
nazionali: 
Corte 
di 
Giustizia, Sez. III, 18 dicembre 
2014, C599/
13, punto 54. 
(25) Corte 
EDU, Sez. II, 5 marzo 2019, Uzan et 
a., § 197; 
Corte 
EDU, Sez. I, 11 ottobre 
2018, 
osmanyan and amiraghyan, § 52; 
Grande 
Camera 
della 
stessa 
Corte, 25 ottobre 
2012, Vistiņš 
and Perepjolkins, 
§ 97; Corte EDU, Sez. I, 20 maggio 2010, Lelas, § 76. 
(26) A. MUTArELLI, Prescrizione 
e 
decadenza nel 
diritto civile, in M. GErArDo 
-A. MUTArELLI, 
Ed. Giappichelli, Torino, 2015, p. 6, nota 
12 in cui 
si 
dà 
atto che 
alcuni 
Stati, intervenendo sui 
termini 
di 
prescrizione 
dei 
diritti 
in 
via 
generale 
«hanno 
stabilito 
termini 
più 
brevi 
rispetto 
alle 
altre 
legislazioni 
continentali». 
Né 
deve 
sottovalutarsi 
che, 
ove 
venisse 
configurata 
la 
responsabilità 
dello 
Stato 
per 
mancato 
o scorretto recepimento il 
termine 
di 
prescrizione 
si 
ridurrebbe 
a 
cinque 
anni 
(ove 
applicato l’art. 
4 della 
L. 12 novembre 
2011, n. 183) realizzandosi 
per tal 
via 
una 
disparità 
di 
regime 
di 
tutela 
del 
risparmiatore 
tra responsabilità dello Stato o, in alternativa, dell’intermediario finanziario. 
(27) 
Le 
banche 
tedesche, 
ceche, 
slovacche 
godono 
di 
un 
termine 
triennale 
di 
prescrizione, 
le 
francesi 
godono del 
termine 
di 
prescrizione 
quinquennale. viceversa 
le 
banche 
italiane 
sono esposte 
al 
termine 
decennale di prescrizione. 

CoNTENzIoSo 
CoMUNITArIo 
ED 
INTErNAzIoNALE 


che, 
rebus 
sic 
stantibus, 
nessuna 
responsabilità 
per 
inadempimento 
del 
sistema 
bancario e 
finanziario sia 
seriamente 
configurabile 
non solo per le 
perplessità 
che 
ruotano intorno all’immeditata 
applicabilità 
degli 
effetti 
retroattivi 
della 
Lexitor 
nel 
nostro 
ordinamento 
ma 
anche 
per 
carenza 
di 
legittimazione 
passiva 
del 
sistema 
bancario nel 
suo complesso cui 
certo non può in nessun modo imputarsi 
l’errata 
trasposizione 
della 
direttiva 
in esame. Dal 
canto suo lo Stato, 
dinanzi 
al 
riconosciuto 
ambiguo 
dettato 
della 
direttiva 
recepita, 
potrebbe 
a 
buon diritto invocare 
il 
legittimo affidamento riposto sul 
tenore 
letterale 
della 
direttiva 
e, comunque, sul 
rigoroso piano dell’applicazione 
dei 
principi 
del-
l’illecito civile, l’inesistenza 
della 
violazione 
“grave 
e 
manifesta” 
in cui, per 
parte 
della 
dottrina 
(28), sembra 
doversi 
esaurire 
l’elemento psicologico proprio 
della responsabilità 
in subiecta materia 
(29). 

Si 
aggiunga 
che 
la 
responsabilità 
dello 
Stato 
nell’attività 
di 
recepimento 
non 
costituisce 
effetto 
automatico 
di 
ogni 
tipo 
di 
inadempimento 
(mancato, 
ritardato 
o 
inesatto) 
avendo 
la 
più 
recente 
giurisprudenza 
della 
Corte 
di 
Giustizia 


(30) 
precisato 
che 
devono 
ricorrere, 
oltre 
ai 
requisiti 
previsti 
dalla 
sentenza 
Francovich, 
l’ulteriore 
requisito 
della 
“violazione 
sufficientemente 
caratterizzata” 
in 
cui, 
tra 
l’altro, 
rileva 
l’eventuale 
scusabilità 
dell’errore 
in 
sede 
di 
recepimento, 
l’eventuale 
concorso 
delle 
istituzioni 
comunitarie 
nonché 
il 
carattre 
intenzionale 
della 
vilazione 
da 
apprezzarsi 
alla 
luce 
del 
margine 
di 
discrezionalità 
riservata 
allo 
Stato 
membro. 
Nel 
caso 
di 
specie 
la 
mancanza 
di 
chiarezza 
e 
di 
precisione 
della 
direttiva 
violata 
(in 
realtà 
del 
tutto 
polisemica 
come 
risconosciuto 
dalla 
stessa 
Corte 
di 
Giustizia) 
rende 
assai 
arduo 
configurare 
a 
carico 
dello 
Stato 
una 
violazione 
“grave 
e 
manifesta” 
fonte 
di 
responsabilità. 
Tuttavia 
è 
chiaro 
che, 
in 
ogni 
caso, 
la 
partita 
intorno 
alla 
responsabilità 
dello 
Stato 
si 
giocherebbe, 
in 
ultima 
analisi 
e 
di 
rimbalzo, 
sul 
diverso 
profilo 
politico-istituzionale 
dei 
rapporti 
tra 
Stato 
e 
Unione 
(tenuto 
anche 
conto 
che 
analoghe 
problematiche 
sono 
sicuramente 
sorte 
negli 
ordinamenti 
degli 
altri 
Stati 
membri 
che 
hanno 
recepito 
la 
direttiva 
con 
intonazioni 
identiche 
o 
simili). 


risulta 
pertanto 
legittimamente 
auspicabile 
un 
nuovo 
rinvio 
pregiudiziale 
interpretativo alla 
Corte 
di 
Giustizia 
(art. 267, 2° 
comma, TFUE) (31). Tale 


(28) C.M. BIANCA, La responsabilità, in Diritto civile, vol. v, II ed., Giuffrè, 2012, p. 640. 
(29) 
In 
ordine 
al 
dibattito 
sul 
rapporto 
tra 
natura 
aquilina 
ovvero 
di 
obbligazione 
ex 
lege, 
di 
natura 
indennitaria 
della 
responsabilità 
dello Stato e 
prescrizione 
mi 
sia 
consentito, per brevità, il 
rinvio a 
M. 
GErArDo, Prescrizione 
e 
decadenza, in M. GErArDo 
-A. MUTArELLI, Giappichelli, 2015, p. 274 e 
ss. 
nonchè 
a 
W. FErrANTE, Prescrizione 
del 
diritto al 
risarcimento del 
danno nei 
confronti 
dello Stato per 
violazione del diritto comunitario, in rass. avv. Stato, 2009, III, p. 135. 
(30) Corte 
di 
Giustizia, 5 marzo 1996, nei 
procedimenti 
riuniti 
C-46/93 e 
C-48/93 (più nota 
come 
sentenza 
Brasserie). 
(31) Corte 
di 
Giustizia, 11 giugno 1987, C-14/86 ha 
confermato l’orientamento secondo cui 
«secondo 
la 
costante 
giurisprudenza 
della 
Corte, 
l’efficacia 
vincolante 
che 
le 
sentenze 
pregiudiziali 
hanno 
nei 
confronti 
dei 
giudici 
nazionali 
non 
osta 
a 
che 
il 
giudice 
nazionale 
destinatario 
di 
una 
siffatta 
sentenza 
si 
rivolga nuovamente 
alla Corte 
qualora lo ritenga necessario per 
la decisione 
della causa principale. 

rASSEGNA 
AvvoCATUrA 
DELLo 
STATo -N. 3/2020 


rinvio potrebbe 
essere 
richiesto affinché 
la 
Corte 
si 
pronunci 
su: 
a) se 
la 
sentenza 
Lexitor 
possa 
ritenersi 
inapplicabile 
laddove, 
come 
per 
l’ordinamento 
italiano, sia 
esistente 
una 
disciplina 
che, nel 
suo complesso, già 
assicura 
una 
elevata 
protezione 
del 
consumatore; 
b) se 
la 
riconosciuta 
polisemia 
della 
direttiva 
2008/48/CE 
e 
una 
recezione 
nell’ordinamento 
rivelatasi 
(solo 
a 
distanza 
di 
dieci 
anni) non conforme 
all’unanime 
interpretazione 
giurisprudenziale 
e 
prassi 
possa 
valere 
ad 
escludere, 
in 
virtù 
dei 
principi 
fondamentali 
unionali 
della 
certezza 
del 
diritto e 
della 
tutela 
del 
legittimo affidamento, l’ammissibilità 
di 
una 
lettura 
retroattiva 
conforme 
dell’art. 125-sexies 
T.U.B. (32); 
c) se 
l’efficacia 
retroattiva 
della 
sentenza 
Lexitor 
comporti 
un 
differenziato 
impatto 
economico 
nei 
diversi 
Stati 
con 
alterazione 
della 
concorrenza, 
atteso 
che 
negli 
Stati 
membri 
i 
termini 
di 
prescrizione 
sono di 
varia 
durata 
(da 
3 anni 
per la 
Germania, 
5 
anni 
per 
la 
Slovacchia, 
a 
10 
anni 
per 
l’Italia) 
e 
se, 
quindi, 
non 
possa 
ritenersi 
economicamente 
discriminatoria 
la 
retroattività 
della 
sentenza 
nella 
parte 
in cui 
determina 
effetti 
economici 
imprevedibilmente 
e 
ingiustificatamente 
diversificati per ciascun Paese. 


In quella 
sede 
(33), peraltro, proprio al 
fine 
di 
evitare 
effetti 
pregiudizievoli 
derivanti 
dalla 
naturale 
retroattività 
delle 
proprie 
decisioni, 
potrebbe 
chiedersi 
alla 
Corte 
di 
verificare 
la 
ricorrenza 
di 
“gravi 
inconvenienti” 
e 
“buona 
fede” 
alla 
luce 
dei 
quali 
possa 
ritenersi 
legittima 
un’interpretazione 
non 
retroattiva 
del 
decisum 
della sentenza 
Lexitor. 


Il 
nuovo rinvio può essere 
giustificato qualora il 
giudice 
nazionale… 
sottoponga alla Corte 
una nuova 
questione 
di 
diritto, 
oppure 
qualora 
egli 
le 
sottoponga 
nuovi 
elementi 
di 
valutazione 
che 
possano 
indurla 
a 
risolvere 
diversamente 
una 
questione 
già 
sollevata» 
(in 
tal 
senso 
anche 
ord., 
5 
marzo 
1986, 
C-69/85). 
Nelle 
“raccomandazioni 
della Corte 
di 
Giustizia all’attenzione 
dei 
giudici 
nazionali, relative 
alla presentazione 
di 
domande 
di 
pronuncia pregiudiziale” 
(G.U. EU. 8 novembre 
2019) si 
è 
altresì 
ribadito 
che 
«Un rinvio pregiudiziale 
può, segnatamente, risultare 
particolarmente 
utile 
quando dinanzi 
al 
giudice 
nazionale 
è 
sollevata una questione 
di 
interpretazione 
nuova che 
presenta un interesse 
generale 
per 
l’applicazione 
uniforme 
del 
diritto dell’Unione, o quando la giurisprudenza esistente 
non sembra 
fornire i chiarimenti necessari in un contesto di diritto o di fatto inedito». 


(32) 
Con 
specifico 
riferimento 
al 
nostro 
ordinamento 
sia 
consentito 
il 
rinvio 
a 
A. 
MUTArELLI, 
Novella 
interpretativa 
sulla 
prescrizione 
in 
tema 
di 
operazioni 
bancarie 
in 
conto 
corrente: 
“cronaca 
di 
una 
morte 
annunciata”, 
in 
www.Lexitalia.it, 
n. 
4/2011, 
ove 
ho 
osservato 
che 
«il 
legislatore 
è 
abilitato 
a 
emanare 
norme 
di 
interpretazioni 
autentiche 
solo 
in 
presenza 
di 
incertezze 
sull’applicazione 
di 
una 
disposizione, 
di 
contrasti 
giurisprudenziali 
nonchè 
quando 
la 
scelta 
imposta 
dalla 
legge 
rientri 
tra 
le 
possibili 
varianti 
di 
senso 
del 
testo 
originario 
con 
ciò 
vincolando 
un 
significato 
ascrivibile 
alla 
norma 
anteriore. 
Quanto 
precede 
nel 
rispetto 
del 
“principio 
dell’affidamento 
dei 
consociati 
alla 
certezza 
dell’ordinamento 
giuridico” 
con 
la 
conseguente 
illegittimità 
costituzionale 
di 
una 
disposizione 
interpretativa 
che 
proponga 
una 
soluzione 
ermeneutica 
non 
prevedibile 
e 
del 
tutto 
eclettica 
rispetto 
a 
quella 
consolidatasi 
nella 
prassi». 
In 
tal 
senso 
in 
giurisprudenza, 
Tar 
Lazio 
-roma, 
III, 
14 
dicembre 
2010, 
n. 
36532, 
in 
Foro 
amm., 
Tar 
2010, 
p. 
3919; 
Corte 
Cost., 
30 
gennaio 
2009, 
n. 
24 
in 
Giust. 
Civ., 
2009, 
I, 
p. 
825; 
Consiglio 
di 
Stato, 
Sez. 
vI, 
27 
dicembre 
2007, 
n. 
6664, 
in 
Foro 
amm. 
CDS 
2007, 
I, 
3521; 
Corte 
Cost., 
7 
luglio 
2006, 
n. 
274, 
in 
Giust. 
Civ., 
2006, 
I, 
2283; 
Corte 
Cost., 
22 
novembre 
2000, 
n. 
525, 
in 
Foro 
It., 
2000, 
I, 
3397. 
(33) Non si 
ritiene 
ammissibile 
il 
rinvio pregiudiziale 
solo sull’applicabilità 
del 
controlimite 
alla 
retroattività 
che 
è, 
viceversa, 
applicabile 
solo 
dalla 
sentenza 
che 
statuisce 
sull’interpretazione 
della 
norma 
oggetto di 
rinvio: 
Corte 
di 
Giustizia, 28 settembre 
1994, C-57/93; 
Corte 
di 
Giustizia, 16 luglio 
92, C-163/90. 

CoNTENzIoSo 
CoMUNITArIo 
ED 
INTErNAzIoNALE 


E 
infatti 
nel 
tempo 
la 
Corte 
ha 
sviluppato 
un 
controlimite 
all’efficacia 
retroattiva 
delle 
proprie 
sentenze 
allorché 
ricorrano due 
concorrenti 
condizioni: 
“gravi 
inconvenienti” 
e 
“buona 
fede” 
(34). 
Entrambe 
le 
condizioni 
di 
irretroattività 
sembrano configurabili nel caso di specie. 


Secondo la 
giurisprudenza 
della 
Corte 
i 
gravi 
inconvenienti 
sono infatti 
configurabili 
allorché 
(35) 
la 
retroattività 
delle 
proprie 
decisioni 
comporti, 
come 
nel 
caso 
di 
specie, 
gravi 
ripercussioni 
economiche 
(che 
nel 
presente 
contesto 
temporale 
si 
sommano 
all’emergenza 
economica 
causata 
dalla 
pandemia 
in 
atto) 
determinate 
dal 
numero 
considerevole 
di 
rapporti 
sorti 
(in 
buona 
fede) 
sulla 
base 
della 
normativa 
nazionale 
erroneamente 
interpretativa 
del 
diritto 
unionale 
(nel 
caso di 
specie 
ampiamente 
di 
ambigua 
lettura). Si 
aggiunga 
che 
il 
diversificato regime 
di 
prescrizione 
dei 
rimborsi 
tra 
gli 
Stati 
membri 
comporterebbe, 
peraltro, 
un 
non 
ragionevole 
impatto 
economico 
in 
particolare 
per 
l’Italia, che 
assicura 
il 
termine 
prescrizionale 
di 
dieci 
anni 
(il 
più lungo in assoluto) 
(36) 
con 
ingiustificata 
discriminazione 
economica 
tra 
gli 
Stati 
membri 
a seconda del regime di prescrizione applicabile. 


Quanto 
al 
requisito 
della 
buona 
fede, 
lo 
stesso 
risulta 
ampiamente 
provato 
da 
quanto 
sopra 
illustrato 
e 
dalla 
concorde 
interpretazione 
decennale 
(nel 
senso 
dell’esclusione 
dei 
costi 
up front) offerta 
dalla 
unanime 
giurisprudenza, dalle 
disposizioni 
dall’organo 
di 
vigilanza, 
dagli 
orientamenti 
dell’ABF 
e 
dalla 
prassi 
e, soprattutto, dalla 
polisemia 
della 
direttiva 
(come 
riconosciuto nella 
stessa sentenza 
Lexitor). 


In presenza 
delle 
predette 
condizioni 
(ricorrenti, ad avviso di 
chi 
scrive, 
nel 
caso di 
specie), la 
Corte 
potrebbe 
sterilizzare 
temporalmente 
gli 
effetti 
del 
proprio 
decisum, 
escludendo 
l’efficacia 
retroattiva 
della 
propria 
decisione; 
ciò, 
forse, anche 
nella 
consapevolezza 
che 
l’impeachment 
trae 
origine 
dalla 
Direttiva 
2008/48/CE 
la 
cui 
riconosciuta 
ambiguità, 
se 
finirà 
per 
gravare 
sugli 
Stati 
membri, non è, comunque, politicamente 
loro riferibile. Tutto ciò nell’auspicata 
certezza 
che 
l’Europa, a 
differenza 
del 
Paese 
del 
Barone 
rampante 
(37), 
sia un Paese in cui si verificano sempre sia le cause che gli effetti. 


(34) Corte di Giustizia, 12 febbraio 2000, C-378/98; Corte di Giustizia, 8 aprile 1976, C-43/75. 
(35) Giurisprudenza 
consolidata 
cfr.: 
Corte 
di 
Giustizia, 28 settembre 
1994, C-57/93, punto 21; 
Corte di Giustizia, 12 ottobre 2000, C-372/98, punto 42. 
(36) A. MUTArELLI, Prescrizione 
e 
decadenza nel 
diritto civile, in M. GErArDo 
-A. MUTArELLI, 
cit., 2015, p. 6 nota 12. 
(37) riferimento tratto da 
I. CALvINo, Il 
Barone 
rampante, Ed. Mondatori, 2020, p. 188, in cui 
si 
legge «Viviamo in un Paese dove si verificano sempre le cause e non gli effetti». 

rASSEGNA 
AvvoCATUrA 
DELLo 
STATo -N. 3/2020 


Corte 
di 
Giustizia, Prima sezione, sentenza 11 settembre 
2019, causa C-383/18 
-Pres. 
J.-C. Bonichot, rel. C. Toader -Domanda 
di 
pronuncia 
pregiudiziale 
proposta 
dal 
Sąd rejonowy 
Lublin‑Wschód w 
Lublinie 
z 
siedzibą 
w 
Świdniku (Tribunale 
circondariale 
di 
Lublino 


‑Wschód in Lublino con sede 
in Świdnik, Polonia) -Lexitor sp. z 
o.o. c. Spółdzielcza 
kasa 
oszczędnościowo -kredytowa 
im. Franciszka 
Stefczyka, Santander Consumer Bank S.A., 
mBank S.A. 
«rinvio 
pregiudiziale 
-Tutela 
dei 
consumatori 
-Contratti 
di 
credito 
ai 
consumatori 
-Direttiva 
2008/48/CE 
-Articolo 
16, 
paragrafo 
1 
-rimborso 
anticipato 
-Diritto 
del 
consumatore 
ad 
una 
riduzione 
del 
costo totale 
del 
credito corrispondente 
agli 
interessi 
e 
ai 
costi 
dovuti 
per la 
restante 
durata del contratto» 


1 La 
domanda 
di 
pronuncia 
pregiudiziale 
verte 
sull’interpretazione 
dell’articolo 16, paragrafo 
1, della 
direttiva 
2008/48/CE 
del 
Parlamento europeo e 
del 
Consiglio, del 
23 aprile 
2008, relativa 
ai 
contratti 
di 
credito ai 
consumatori 
e 
che 
abroga 
la 
direttiva 
87/102/CEE 
del Consiglio (GU 2008, L 133, pag. 66). 


2 Tale 
domanda 
è 
stata 
presentata 
nell’ambito di 
tre 
controversie 
che 
oppongono la 
Lexitor 
sp. z 
o.o. (in prosieguo: 
la 
«Lexitor»), rispettivamente, alla 
Spółdzielcza 
kasa 
oszczędnościowo 
-kredytowa 
im. Franciszka 
Stefczyka 
(in prosieguo: 
la 
«Skok»), alla 
Santander 
Consumer 
Bank 
S.A. 
(in 
prosieguo: 
la 
«Santander 
Consumer 
Bank») 
e 
alla 
mBank 


S.A. 
(in 
prosieguo: 
la 
«mBank»), 
in 
merito 
alla 
riduzione 
del 
costo 
totale 
di 
crediti 
al 
consumo a motivo del rimborso anticipato di questi ultimi. 
Contesto normativo 


Diritto dell’Unione 


Direttiva 87/102/CEE 


3 L’articolo 8 della 
direttiva 
87/102/CEE 
del 
Consiglio, del 
22 dicembre 
1986, relativa 
al 
ravvicinamento delle 
disposizioni 
legislative, regolamentari 
e 
amministrative 
degli 
Stati 
membri 
in materia 
di 
credito al 
consumo (GU 
1987, L 
42, pag. 48), che 
è 
stata 
abrogata 
e sostituita dalla direttiva 2008/48 con effetto all’11 giugno 2010, così disponeva: 
«Il 
consumatore 
deve 
avere 
la 
facoltà 
di 
adempiere 
in via 
anticipata 
gli 
obblighi 
che 
gli 
derivano dal 
contratto di 
credito. In tal 
caso, in conformità 
alle 
disposizioni 
degli 
Stati 
membri, egli 
deve 
avere 
diritto a 
una 
equa 
riduzione 
del 
costo complessivo del 
credito». 


Direttiva 2008/48 


4 I considerando 7, 9 e 39 della direttiva 2008/48 enunciano quanto segue: 
«(7) Per facilitare 
il 
sorgere 
di 
un efficiente 
mercato interno del 
credito al 
consumo è 
necessario 
prevedere 
un quadro comunitario armonizzato in una 
serie 
di 
settori 
fondamentali. 
visto 
il 
continuo 
sviluppo 
del 
mercato 
del 
credito 
al 
consumo 
e 
considerata 
la 
crescente 
mobilità 
dei 
cittadini 
europei, una 
legislazione 
comunitaria 
lungimirante, che 
sia 
adattabile 
alle 
future 
forme 
di 
credito e 
lasci 
agli 
Stati 
membri 
un adeguato margine 
di 
manovra 
in sede 
di 
attuazione, dovrebbe 
contribuire 
alla 
creazione 
di 
un corpus 
normativo 
moderno in materia di credito al consumo. 
(…) 


(9) È 
necessaria 
una 
piena 
armonizzazione 
che 
garantisca 
a 
tutti 
i 
consumatori 
della 
Comunità 
di 
fruire 
di 
un livello elevato ed equivalente 
di 
tutela 
dei 
loro interessi 
e 
che 
crei 
un vero mercato interno. (…) 
(…) 

CoNTENzIoSo 
CoMUNITArIo 
ED 
INTErNAzIoNALE 
43 


(39) Al 
consumatore 
dovrebbe 
essere 
concessa 
la 
facoltà 
di 
adempiere 
ai 
suoi 
obblighi 
prima 
della 
data 
concordata 
nel 
contratto di 
credito. In caso di 
rimborso anticipato, parziale 
o 
integrale, 
il 
creditore 
dovrebbe 
poter 
esigere 
un 
indennizzo 
per 
i 
costi 
direttamente 
collegati 
al 
rimborso 
anticipato, 
tenendo 
conto 
anche 
di 
eventuali 
risparmi 
per 
il 
creditore. 
Tuttavia, 
per 
determinare 
il 
metodo 
di 
calcolo 
dell’indennizzo, 
è 
importante 
rispettare 
alcuni 
principi. 
Il 
calcolo 
dell’indennizzo 
per 
il 
creditore 
dovrebbe 
essere 
trasparente 
e 
comprensibile 
per 
i 
consumatori 
già 
nella 
fase 
precontrattuale 
e 
in 
ogni 
caso 
durante 
l’esecuzione 
del 
contratto 
di 
credito. 
Inoltre, 
il 
metodo 
di 
calcolo 
dovrebbe 
essere 
di 
facile 
applicazione 
per 
i 
creditori 
e 
il 
controllo 
dell’indennizzo 
da 
parte 
delle 
autorità 
responsabili 
dovrebbe essere agevolato. (…)» 
5 L’articolo 3 di detta direttiva recita: 
«Ai fini della presente direttiva si applicano le seguenti definizioni: 


a) “consumatore”: 
una 
persona 
fisica 
che, nell’ambito delle 
transazioni 
disciplinate 
dalla 
presente 
direttiva, agisce 
per scopi 
estranei 
alla 
sua 
attività 
commerciale 
o professionale; 
(…) 
g) 
“costo 
totale 
del 
credito 
per 
il 
consumatore”: 
tutti 
i 
costi, 
compresi 
gli 
interessi, 
le 
commissioni, 
le 
imposte 
e 
tutte 
le 
altre 
spese 
che 
il 
consumatore 
deve 
pagare 
in relazione 
al 
contratto di 
credito e 
di 
cui 
il 
creditore 
è 
a 
conoscenza, escluse 
le 
spese 
notarili; 
sono inclusi 
anche 
i 
costi 
relativi 
a 
servizi 
accessori 
connessi 
con il 
contratto di 
credito, in particolare 
i 
premi 
assicurativi, 
se, 
in 
aggiunta, 
la 
conclusione 
di 
un 
contratto 
avente 
ad 
oggetto un servizio è 
obbligatoria 
per ottenere 
il 
credito oppure 
per ottenerlo alle 
condizioni 
contrattuali offerte; 
(…)». 
6 L’articolo 
16 
della 
direttiva 
in 
parola, 
intitolato 
«rimborso 
anticipato», 
dispone 
quanto 
segue: 


«1. 
Il 
consumatore 
ha 
il 
diritto 
di 
adempiere 
in 
qualsiasi 
momento, 
in 
tutto 
o 
in 
parte, 
agli 
obblighi 
che 
gli 
derivano dal 
contratto di 
credito. In tal 
caso, egli 
ha 
diritto ad una 
riduzione 
del 
costo 
totale 
del 
credito, 
che 
comprende 
gli 
interessi 
e 
i 
costi 
dovuti 
per 
la 
restante 
durata del contratto. 
2. In caso di 
rimborso anticipato del 
credito, il 
creditore 
ha 
diritto ad un indennizzo equo 
ed oggettivamente 
giustificato per eventuali 
costi 
direttamente 
collegati 
al 
rimborso anticipato 
del 
credito, 
sempre 
che 
il 
rimborso 
anticipato 
abbia 
luogo 
in 
un 
periodo 
per 
il 
quale il tasso debitore è fisso. 
L’indennizzo non può superare 
l’1% dell’importo del 
credito rimborsato in anticipo, se 
il 
periodo che 
intercorre 
tra 
il 
rimborso anticipato e 
lo scioglimento previsto dal 
contratto 
di 
credito è 
superiore 
a 
un anno. Se 
il 
periodo non è 
superiore 
a 
un anno, l’indennizzo 
non può superare lo 0,5% dell’importo del credito rimborsato in anticipo. 
3. Non può essere preteso nessun indennizzo per il rimborso anticipato: 
a) se 
il 
rimborso è 
stato effettuato in esecuzione 
di 
un contratto d’assicurazione 
destinato 
a garantire il rimborso del credito; 
b) in caso di concessione di scoperto; [o] 
c) se il rimborso ha luogo in un periodo per il quale il tasso debitore non è fisso. 
4. Gli Stati membri possono prevedere che: 
a) 
il 
creditore 
possa 
esigere 
detto 
indennizzo 
soltanto 
a 
condizione 
che 
l’importo 
del 
rimborso 
anticipato superi 
la 
soglia 
stabilita 
dalla 
legislazione 
nazionale. Tale 
soglia 
non supera 
l’importo di 10 000 EUr in dodici mesi; 
b) il 
creditore 
può eccezionalmente 
pretendere 
un indennizzo maggiore 
se 
è 
in grado di 

rASSEGNA 
AvvoCATUrA 
DELLo 
STATo -N. 3/2020 


dimostrare 
che 
la 
perdita 
subita 
a 
causa 
del 
rimborso anticipato supera 
l’importo determinato 
ai sensi del paragrafo 2. 
Se 
l’indennizzo richiesto dal 
creditore 
supera 
la 
perdita 
da 
questi 
effettivamente 
subita 
il 
consumatore può esigere una corrispondente riduzione. 
In tal 
caso la 
perdita 
consiste 
nella 
differenza 
tra 
il 
tasso di 
interesse 
inizialmente 
concordato 
e 
il 
tasso di 
interesse 
al 
quale 
il 
creditore 
può prestare 
la 
somma 
rimborsata 
anticipatamente 
sul 
mercato al 
momento del 
rimborso anticipato e 
tiene 
conto dell’impatto 
del rimborso anticipato sui costi amministrativi. 


5. 
L’indennizzo 
non 
supera 
l’ammontare 
degli 
interessi 
che 
il 
consumatore 
avrebbe 
pagato 
durante 
il 
periodo che 
intercorre 
tra 
il 
rimborso anticipato e 
la 
data 
concordata 
di 
scioglimento 
del contratto di credito». 
7 L’articolo 22 della 
medesima 
direttiva, intitolato «Armonizzazione 
e 
obbligatorietà 
della 
direttiva», stabilisce: 


«1. Nella 
misura 
in cui 
la 
presente 
direttiva 
contiene 
disposizioni 
armonizzate, gli 
Stati 
membri 
non possono mantenere 
né 
introdurre 
nel 
proprio ordinamento disposizioni 
diverse 
da quelle in essa stabilite. 
(…) 
3. Gli 
Stati 
membri 
provvedono inoltre 
affinché 
le 
disposizioni 
adottate 
per dare 
esecuzione 
alla 
presente 
direttiva 
non possano essere 
eluse 
attraverso l’impiego di 
forme 
particolari 
di 
contratti, in particolare 
includendo prelievi 
o contratti 
di 
credito che 
rientrano 
nell’ambito di 
applicazione 
della 
presente 
direttiva 
in contratti 
di 
credito la 
cui 
natura 
o 
finalità consenta di evitare l’applicazione della direttiva stessa». 
Diritto nazionale 


8 
L’ustawa 
o 
kredycie 
konsumenckim 
(legge 
relativa 
al 
credito 
ai 
consumatori), 
del 
12 
maggio 
2011 
(Dz. 
U. 
n. 
126, 
posizione 
715), 
nella 
versione 
applicabile 
alle 
controversie 
di 
cui 
al 
procedimento 
principale 
(in 
prosieguo: 
la 
«legge 
sul 
credito 
al 
consumo»), 
traspone 
la 
direttiva 
2008/48 
nell’ordinamento 
giuridico 
polacco. 


9 Ai 
sensi 
dell’articolo 5, punto 6, della 
legge 
suddetta, la 
nozione 
di 
«costo totale 
del 
credito
» si 
intende 
come 
comprensiva 
di 
tutti 
i 
costi 
che 
il 
consumatore 
è 
tenuto a 
pagare 
nel 
quadro del 
contratto di 
credito, in particolare 
gli 
interessi, le 
spese, le 
commissioni, 
le 
imposte 
ed 
i 
margini, 
di 
cui 
il 
creditore 
è 
a 
conoscenza, 
nonché 
i 
costi 
relativi 
ai 
servizi 
accessori, segnatamente 
i 
premi 
assicurativi, se 
il 
loro pagamento è 
obbligatorio per ottenere 
il 
credito 
o 
per 
ottenerlo 
alle 
condizioni 
contrattuali 
offerte, 
escluse 
le 
spese 
notarili 
che sono a carico del consumatore. 


10 Ai 
sensi 
dell’articolo 49, paragrafo 1, della 
legge 
summenzionata, in caso di 
rimborso 
dell’intero credito prima 
della 
data 
concordata 
nel 
contratto, il 
costo totale 
del 
credito è 
ridotto 
nella 
misura 
dei 
costi 
corrispondenti 
al 
periodo 
di 
durata 
residua 
del 
contratto, 
anche qualora il consumatore li abbia sostenuti prima di tale rimborso. 
Procedimento principale e questione pregiudiziale 


11 Le 
tre 
controversie 
di 
cui 
al 
procedimento principale, riunite 
dal 
giudice 
del 
rinvio, traggono 
origine 
dalla 
conclusione 
di 
contratti 
di 
credito al 
consumo tra 
un consumatore, ai 
sensi 
dell’articolo 3, lettera 
a), della 
direttiva 
2008/48, e, rispettivamente, la 
Skok, la 
Santander 
Consumer 
Bank 
e 
la 
mBank. 
Ciascuno 
dei 
contratti 
di 
credito 
prevedeva 
il 
versamento 
all’istituto 
bancario 
interessato 
di 
una 
commissione 
il 
cui 
importo 
non 
dipendeva 
dalla 
durata 
del 
contratto 
stesso, 
vale 
a 
dire, 
rispettivamente, 
1 
591,35 
zlotys 
polacchi 
(PLN) (380 EUr circa), PLN 
4 845 (1 150 EUr circa) e 
PLN 
3 070,40 (730 EUr circa). 



CoNTENzIoSo 
CoMUNITArIo 
ED 
INTErNAzIoNALE 
45 


12 Dopo aver proceduto al 
rimborso anticipato degli 
importi 
dei 
loro crediti, i 
consumatori 
hanno ceduto alla 
Lexitor, società 
di 
diritto polacco che 
offre 
servizi 
giuridici 
ai 
consumatori, 
i 
diritti 
di 
credito 
che 
essi 
vantavano 
verso 
gli 
istituti 
bancari 
in 
virtù 
del 
rimborso 
anticipato. 


13 
Successivamente, 
la 
Lexitor, 
nella 
sua 
qualità 
di 
cessionaria 
dei 
crediti, 
ha 
chiesto 
alla 
Skok, 
alla 
Santander 
Consumer 
Bank 
e 
alla 
mBank 
il 
rimborso 
di 
una 
parte 
dell’importo 
delle commissioni versate dai consumatori, maggiorata degli interessi di mora. 


14 
Poiché 
gli 
istituti 
di 
credito 
non 
hanno 
accolto 
tali 
richieste, 
la 
Lexitor 
ha 
presentato 
dinanzi 
al 
giudice 
del 
rinvio, 
in 
data 
8 
gennaio 
2018, 
29 
dicembre 
2017 
e 
26 
febbraio 
2018, 
tre 
ricorsi 
intesi 
ad 
ottenere 
la 
condanna, 
rispettivamente, 
della 
Santander 
Consumer 
Bank, 
della 
Skok 
e 
della 
mBank 
al 
pagamento 
di 
una 
parte 
di 
dette 
commissioni, 
corrispondente 
alla 
durata 
residua 
dei 
contratti 
di 
credito, 
nonché 
al 
versamento 
degli 
interessi 
di 
mora. 


15 
Le 
convenute 
nel 
procedimento 
principale 
hanno 
proposto 
opposizione 
contro 
le 
ordinanze 
di 
ingiunzione 
di 
pagamento 
emesse 
dal 
giudice 
del 
rinvio. 


16 Il 
giudice 
del 
rinvio si 
chiede 
se, in una 
situazione 
come 
quelle 
in discussione 
nel 
procedimento 
principale, il 
diritto del 
consumatore 
alla 
riduzione 
del 
costo totale 
del 
credito 
in caso di 
rimborso anticipato di 
quest’ultimo, contemplato all’articolo 16, paragrafo 1, 
della 
direttiva 
2008/48, 
riguardi 
anche 
i 
costi 
che 
non 
dipendono 
dalla 
durata 
del 
contratto. 
A 
tale 
titolo, esso sottolinea 
che, se 
taluni 
giudici 
polacchi 
hanno risposto in senso negativo 
a 
tale 
quesito, 
sulla 
base 
della 
legge 
sul 
credito 
al 
consumo, 
un 
altro 
giudice 
ha 
invece 
dato 
una 
risposta 
affermativa, 
fondandosi 
su 
un’interpretazione 
di 
tale 
legge 
alla 
luce 
dell’articolo 16 della direttiva sopra citata. 


17 Il 
giudice 
del 
rinvio ritiene 
che 
tale 
articolo debba 
essere 
interpretato nel 
senso che 
la 
riduzione 
del 
costo 
totale 
del 
credito 
include 
i 
costi 
che 
non 
dipendono 
dalla 
durata 
del 
contratto. 
A 
suo 
avviso, 
tale 
interpretazione 
permetterebbe 
di 
tutelare 
gli 
interessi 
del 
consumatore 
e 
garantirebbe 
l’equilibrio 
tra 
le 
parti. 
Il 
soggetto 
concedente 
il 
credito 
potrebbe, 
in 
caso 
di 
rimborso 
anticipato 
del 
credito, 
riutilizzare 
l’importo 
rimborsato 
per 
concedere 
un nuovo credito e 
beneficiare 
così 
di 
una 
nuova 
commissione. oltre 
a 
ciò, la 
soluzione 
contraria 
rischierebbe 
di 
tradursi 
in una 
prassi 
nella 
quale 
i 
soggetti 
mutuanti 
applicherebbero 
unicamente 
costi 
formalmente 
indipendenti 
dalla 
durata 
del 
contratto di 
credito, 
al fine di evitare che questi siano interessati dalla riduzione del costo totale del credito. 


18 Sulla 
scorta 
di 
tali 
circostanze, il 
Sąd rejonowy Lublin‑Wschód w 
Lublinie 
z 
siedzibą 
w 
Świdniku (Tribunale 
circondariale 
di 
Lublino‑Wschód in Lublino con sede 
in Świdnik, 
Polonia) ha 
deciso di 
sospendere 
il 
procedimento e 
di 
sottoporre 
alla 
Corte 
il 
seguente 
quesito pregiudiziale: 
«Se 
la 
disposizione 
contenuta 
nell’articolo 
16, 
paragrafo 
1, 
in 
combinato 
disposto 
con 
l’articolo 3, lettera 
g), della 
direttiva 
[2008/48], debba 
essere 
interpretata 
nel 
senso che 
il 
consumatore, in caso di 
adempimento anticipato degli 
obblighi 
che 
gli 
derivano dal 
contratto 
di 
credito, ha 
diritto ad una 
riduzione 
del 
costo totale 
del 
credito, compresi 
i 
costi 
il cui importo non dipende dalla durata del contratto di credito in questione». 


19 Il 
giudice 
del 
rinvio ha 
altresì 
chiesto il 
trattamento accelerato della 
causa 
ai 
sensi 
del-
l’articolo 
105, 
paragrafo 
1, 
del 
regolamento 
di 
procedura 
della 
Corte. 
Tale 
domanda 
è 
stata 
respinta 
con 
ordinanza 
del 
presidente 
della 
Corte 
del 
17 
settembre 
2018, 
Lexitor 
(C‑383/18, non pubblicata, EU:C:2018:769). 
sulla questione pregiudiziale 


20 
In 
via 
preliminare, 
occorre 
precisare 
che 
il 
fatto 
che 
le 
controversie 
di 
cui 
al 
procedimento 



rASSEGNA 
AvvoCATUrA 
DELLo 
STATo -N. 3/2020 


principale 
vedano 
quali 
parti 
in 
causa 
unicamente 
dei 
professionisti 
non 
costituisce 
un 
ostacolo all’applicazione 
della 
direttiva 
2008/48. Infatti, come 
rilevato dall’avvocato generale 
al 
paragrafo 24 delle 
sue 
conclusioni, l’ambito di 
applicazione 
di 
questa 
direttiva 
non dipende 
dall’identità 
delle 
parti 
della 
controversia 
di 
cui 
trattasi, bensì 
dalla 
qualità 
delle 
parti 
del 
contratto di 
credito. orbene, nel 
caso di 
specie, i 
crediti 
pecuniari 
che 
costituiscono 
l’oggetto 
delle 
controversie 
di 
cui 
al 
procedimento 
principale 
sono 
derivati 
da 
tre 
contratti 
di 
credito al 
consumo conclusi 
tra 
tre 
consumatori 
e 
le 
tre 
parti 
convenute 
nelle 
cause 
riunite 
nel 
procedimento principale, e 
sono stati 
ceduti 
alla 
parte 
ricorrente 
nelle 
tre 
controversie 
suddette 
dopo il 
rimborso anticipato dei 
contratti 
di 
credito al 
consumo 
in parola. 


21 Con il 
suo quesito, il 
giudice 
del 
rinvio chiede, in sostanza, se 
l’articolo 16, paragrafo 1, 
della 
direttiva 
2008/48 debba 
essere 
interpretato nel 
senso che 
il 
diritto ad una 
riduzione 
del 
costo totale 
del 
credito in caso di 
rimborso anticipato del 
credito include 
anche 
i 
costi 
che non dipendono dalla durata del contratto. 


22 L’articolo 16, paragrafo 1, della 
direttiva 
2008/48, letto alla 
luce 
del 
considerando 39 di 
quest’ultima, prevede 
il 
diritto per il 
consumatore 
di 
procedere 
al 
rimborso anticipato del 
credito e 
di 
beneficiare 
di 
una 
riduzione 
del 
costo totale 
del 
credito, che 
comprende 
gli 
interessi e i costi dovuti per la restante durata del contratto. 


23 Per 
quanto 
riguarda 
la 
nozione 
di 
«costo 
totale 
del 
credito», 
l’articolo 
3, 
lettera 
g), 
di 
detta 
direttiva 
la 
definisce 
come 
riguardante 
tutti 
i 
costi, 
compresi 
gli 
interessi, 
le 
commissioni, 
le 
imposte 
e 
tutte 
le 
altre 
spese 
che 
il 
consumatore 
deve 
pagare 
in 
relazione 
al 
contratto 
di 
credito 
e 
di 
cui 
il 
soggetto 
concedente 
il 
credito 
è 
a 
conoscenza, 
escluse 
le 
spese 
notarili. 
Tale 
definizione 
non 
contiene 
dunque 
alcuna 
limitazione 
relativa 
alla 
durata 
del 
contratto 
di 
credito 
in 
questione. 


24 A 
questo proposito, come 
risulta 
in particolare 
dalla 
domanda 
di 
pronuncia 
pregiudiziale 
e 
dalle 
osservazioni 
presentate 
sia 
dalle 
parti 
convenute 
nel 
procedimento principale 
sia 
dalle 
altre 
parti 
interessate 
nella 
presente 
causa, la 
menzione 
della 
«restante 
durata 
del 
contratto», 
che 
compare 
all’articolo 
16, 
paragrafo 
1, 
della 
direttiva 
2008/48, 
potrebbe 
essere 
interpretata 
tanto nel 
senso che 
essa 
significa 
che 
i 
costi 
interessati 
dalla 
riduzione 
del 
costo totale 
del 
credito sono limitati 
a 
quelli 
che 
dipendono oggettivamente 
dalla 
durata 
del 
contratto oppure 
a 
quelli 
che 
sono presentati 
dal 
soggetto concedente 
il 
credito 
come 
riferiti 
ad 
una 
fase 
particolare 
della 
conclusione 
o 
dell’esecuzione 
del 
contratto, 
quanto 
nel 
senso 
che 
essa 
indica 
che 
il 
metodo 
di 
calcolo 
che 
deve 
essere 
utilizzato 
al 
fine 
di 
procedere 
a 
tale 
riduzione 
consiste 
nel 
prendere 
in considerazione 
la 
totalità 
dei 
costi 
sopportati 
dal 
consumatore 
e 
nel 
ridurne 
poi 
l’importo 
in 
proporzione 
alla 
durata 
residua del contratto. 


25 Un’analisi 
comparativa 
delle 
diverse 
versioni 
linguistiche 
dell’articolo 16, paragrafo 1, 
della 
direttiva 
2008/48 non permette 
di 
stabilire 
la 
portata 
esatta 
della 
riduzione 
del 
costo 
totale 
del 
credito prevista 
da 
tale 
disposizione. Infatti, da 
un lato, le 
versioni 
in lingua 
neerlandese, 
polacca 
e 
rumena 
di 
tale 
disposizione 
suggeriscono 
una 
riduzione 
dei 
costi 
correlati 
alla 
restante 
durata 
del 
contratto 
(«een 
verlaging 
van 
de 
totale 
kredietkosten, 
bestaande 
uit 
de 
interesten en de 
kosten gedurende 
de 
resterende 
duur 
van de 
overeenkomst
», «obniżki 
całkowitego kosztu kredytu, na którą składają się 
odsetki 
i 
koszty 
przypadające 
na 
pozostały 
okres 
obowiązywania 
umowy»e«o 
reducere 
a 
costului 
total 
al 
creditului, care 
constă în dobânda și 
în costurile 
aferente 
duratei 
restante 
a contractului
»). 
Dall’altro 
lato, 
le 
versioni 
in 
lingua 
tedesca 
e 
inglese 
della 
disposizione 
di 
cui 
sopra 



CoNTENzIoSo 
CoMUNITArIo 
ED 
INTErNAzIoNALE 
47 


sono caratterizzate 
da 
una 
sicura 
ambiguità 
e 
fanno pensare 
che 
i 
costi 
correlati 
a 
tale 
periodo 
residuo 
servono 
come 
indicazione 
per 
il 
calcolo 
della 
riduzione 
(«das 
recht 
auf 
Ermäßigung 
der 
Gesamtkosten des 
Kredits, die 
sich nach den Zinsen und den Kosten für 
die 
verbleibende 
Laufzeit 
des 
Vertrags 
richtet»e«reduction 
consisting 
of 
the 
interest 
and 
the 
costs 
for 
the 
remaining duration of 
the 
contract»). La 
versione 
in lingua 
italiana 
della 
medesima 
disposizione 
evoca, al 
pari 
della 
versione 
in lingua 
francese, interessi 
e 
costi 
«dovuti» 
(«dus») 
per 
la 
restante 
durata 
del 
contratto. 
Infine, 
la 
versione 
in 
lingua 
spagnola 
dell’articolo 16, paragrafo 1, della 
direttiva 
2008/48 prescrive 
una 
riduzione 
che 
includa 
i 
costi 
che 
corrispondono 
alla 
restante 
durata 
del 
contratto 
(«una 
reducción 
del 
coste 
total 
del 
crédito, 
que 
comprende 
los 
intereses 
y 
costes 
correspondientes 
a 
la 
duración 
del 
contrato 
que quede por transcurrir»). 


26 Tuttavia, conformemente 
ad una 
consolidata 
giurisprudenza 
della 
Corte, la 
disposizione 
suddetta 
deve 
essere 
interpretata 
non 
soltanto 
sulla 
base 
del 
suo 
tenore 
letterale, 
ma 
anche 
alla 
luce 
del 
suo contesto nonché 
degli 
obiettivi 
perseguiti 
dalla 
normativa 
di 
cui 
essa 
fa 
parte 
(v., in tal 
senso, sentenza 
del 
10 luglio 2019, Bundesverband der verbraucherzentralen 
und verbraucherverbände, C‑649/17, EU:C:2019:576, punto 37). 


27 Per quanto riguarda 
il 
contesto, occorre 
ricordare 
che 
l’articolo 8 della 
direttiva 
87/102, 
che 
è 
stata 
abrogata 
e 
sostituita 
dalla 
direttiva 
2008/48, stabiliva 
che 
il 
consumatore, «in 
conformità 
alle 
disposizioni 
degli 
Stati 
membri, (…) deve 
avere 
diritto a 
una 
equa 
riduzione 
del costo complessivo del credito». 


28 
Dunque, 
occorre 
constatare 
che 
l’articolo 
16, 
paragrafo 
1, 
della 
direttiva 
2008/48 
ha 
concretizzato 
il 
diritto del 
consumatore 
ad una 
riduzione 
del 
costo del 
credito in caso di 
rimborso 
anticipato, 
sostituendo 
alla 
nozione 
generica 
di 
«equa 
riduzione» 
quella, 
più 
precisa, 
di 
«riduzione 
del 
costo totale 
del 
credito» e 
aggiungendo che 
tale 
riduzione 
deve 
riguardare 
«gli interessi e i costi». 


29 Quanto 
all’obiettivo 
della 
direttiva 
2008/48, 
una 
consolidata 
giurisprudenza 
della 
Corte 
ha 
riconosciuto 
che 
questa 
mira 
a 
garantire 
un’elevata 
protezione 
del 
consumatore 
(v., 
in 
tal 
senso, 
sentenza 
del 
6 
giugno 
2019, 
Schyns, 
C‑58/18, 
EU:C:2019:467, 
punto 
28 
e 
la 
giurisprudenza 
ivi 
citata). 
Questo 
sistema 
di 
protezione 
è 
fondato 
sull’idea 
secondo 
cui 
il 
consumatore 
si 
trova 
in 
una 
situazione 
di 
inferiorità 
rispetto 
al 
professionista 
per 
quanto 
riguarda 
sia 
il 
potere 
di 
negoziazione 
che 
il 
livello 
di 
informazione 
(v., 
in 
tal 
senso, 
sentenza 
del 
21 
aprile 
2016, 
radlinger 
e 
radlingerová, 
C‑377/14, 
EU:C:2016:283, 
punto 
63). 


30 Al 
fine 
di 
garantire 
tale 
protezione, l’articolo 22, paragrafo 3, della 
direttiva 
2008/48 impone 
agli 
Stati 
membri 
di 
provvedere 
affinché 
le 
disposizioni 
da 
essi 
adottate 
per l’attuazione 
di 
tale 
direttiva 
non 
possano 
essere 
eluse 
attraverso 
particolari 
formulazioni 
dei 
contratti. 


31 orbene, l’effettività 
del 
diritto del 
consumatore 
alla 
riduzione 
del 
costo totale 
del 
credito 
risulterebbe 
sminuita 
qualora 
la 
riduzione 
del 
credito potesse 
limitarsi 
alla 
presa 
in considerazione 
dei 
soli 
costi 
presentati 
dal 
soggetto concedente 
il 
credito come 
dipendenti 
dalla 
durata 
del 
contratto, dato che, come 
rilevato dall’avvocato generale 
al 
paragrafo 54 
delle 
sue 
conclusioni, i 
costi 
e 
la 
loro ripartizione 
sono determinati 
unilateralmente 
dalla 
banca e che la fatturazione di costi può includere un certo margine di profitto. 


32 Inoltre, come 
sottolineato dal 
giudice 
del 
rinvio, limitare 
la 
possibilità 
di 
riduzione 
del 
costo totale 
del 
credito ai 
soli 
costi 
espressamente 
correlati 
alla 
durata 
del 
contratto comporterebbe 
il 
rischio 
che 
il 
consumatore 
si 
veda 
imporre 
pagamenti 
non 
ricorrenti 
più 
elevati 
al 
momento della 
conclusione 
del 
contratto di 
credito, poiché 
il 
soggetto concedente 



rASSEGNA 
AvvoCATUrA 
DELLo 
STATo -N. 3/2020 


il 
credito potrebbe 
essere 
tentato di 
ridurre 
al 
minimo i 
costi 
dipendenti 
dalla 
durata 
del 
contratto. 


33 Inoltre, come 
sottolineato dall’avvocato generale 
ai 
paragrafi 
53 e 
55 delle 
sue 
conclusioni, 
il 
margine 
di 
manovra 
di 
cui 
dispongono gli 
istituti 
creditizi 
nella 
loro fatturazione 
e 
nella 
loro organizzazione 
interna 
rende, in pratica, molto difficile 
la 
determinazione, da 
parte 
di 
un consumatore 
o di 
un giudice, dei 
costi 
oggettivamente 
correlati 
alla 
durata 
del 
contratto. 


34 occorre 
aggiungere 
che 
il 
fatto 
di 
includere 
nella 
riduzione 
del 
costo 
totale 
del 
credito 
i 
costi 
che 
non 
dipendono 
dalla 
durata 
del 
contratto 
non 
è 
idoneo 
a 
penalizzare 
in 
maniera 
sproporzionata 
il 
soggetto 
concedente 
il 
credito. 
Infatti, 
occorre 
ricordare 
che 
gli 
interessi 
di 
quest’ultimo 
vengono 
presi 
in 
considerazione, 
da 
un 
lato, 
tramite 
l’articolo 
16, 
paragrafo 
2, 
della 
direttiva 
2008/48, 
il 
quale 
prevede, 
a 
beneficio 
del 
mutuante, 
il 
diritto 
ad 
un 
indennizzo 
per 
gli 
eventuali 
costi 
direttamente 
collegati 
al 
rimborso 
anticipato 
del 
credito, 
e, 
dall’altro 
lato, 
tramite 
l’articolo 
16, 
paragrafo 
4, 
della 
medesima 
direttiva, 
che 
offre 
agli 
Stati 
membri 
una 
possibilità 
supplementare 
di 
provvedere 
affinché 
l’indennizzo 
sia 
adeguato 
alle 
condizioni 
del 
credito 
e 
del 
mercato 
al 
fine 
di 
tutelare 
gli 
interessi 
del 
mutuante. 


35 Infine, occorre 
rilevare 
che, nel 
caso di 
un rimborso anticipato del 
credito, il 
mutuante 
recupera 
in anticipo la 
somma 
data 
a 
prestito, sicché 
quest’ultima 
diventa 
disponibile 
per 
la conclusione, eventualmente, di un nuovo contratto di credito. 


36 Alla 
luce 
dell’insieme 
delle 
considerazioni 
che 
precedono, occorre 
rispondere 
alla 
questione 
pregiudiziale 
dichiarando 
che 
l’articolo 
16, 
paragrafo 
1, 
della 
direttiva 
2008/48 
deve 
essere 
interpretato nel 
senso che 
il 
diritto del 
consumatore 
alla 
riduzione 
del 
costo 
totale 
del 
credito in caso di 
rimborso anticipato del 
credito include 
tutti 
i 
costi 
posti 
a 
carico 
del consumatore. 
sulle spese 


37 Nei 
confronti 
delle 
parti 
nel 
procedimento principale 
la 
presente 
causa 
costituisce 
un incidente 
sollevato dinanzi 
al 
giudice 
nazionale, cui 
spetta 
quindi 
statuire 
sulle 
spese. Le 
spese 
sostenute 
da 
altri 
soggetti 
per presentare 
osservazioni 
alla 
Corte 
non possono dar 
luogo a rifusione. 


Per questi motivi, la Corte (Prima Sezione) dichiara: 


L’articolo 
16, 
paragrafo 
1, 
della 
direttiva 
2008/48/Ce 
del 
Parlamento 
europeo 
e 
del 
Consiglio, 
del 
23 aprile 
2008, relativa ai 
contratti 
di 
credito ai 
consumatori 
e 
che 
abroga la 
direttiva 87/102/Cee del 
Consiglio, deve 
essere 
interpretato nel 
senso che 
il 
diritto del 
consumatore 
alla 
riduzione 
del 
costo 
totale 
del 
credito 
in 
caso 
di 
rimborso 
anticipato 
del 
credito include tutti i costi posti a carico del consumatore. 



CoNTENzIoSo 
CoMUNITArIo 
ED 
INTErNAzIoNALE 


La registrazione all’anagrafe di un figlio 
con doppia maternità: dopo la Corte costituzionale 
la parola alla Corte di giustizia 


(CorTE 
DI 
GIUSTIZIa 
DELL’UNIoNE 
EUroPEa, oSSErVaZIoNI 
DEL 
GoVErNo 
ITaLIaNo 
IN 
CaUSa 
C-490/20, PromoSSa 
CoN 
orDINaNZa 
DEL 
2 oTToBrE 
2020 
DaL 
aDmINISTraTIVEN 
SaD 
SoFIa-GraD 
- BULGarIa) 


1. 
Con 
l’ordinanza 
in 
epigrafe, 
è 
stato 
chiesto 
alla 
Corte 
di 
Giustizia 
dell’Unione 
europea 
di 
pronunciarsi, 
ai 
sensi 
dell’art. 
267 
TFUE, 
sulle 
seguenti 
questioni pregiudiziali: 
1. 
Se 
l’articolo 20 TFUE 
e 
l’articolo 21 TFUE 
nonché 
gli 
articoli 
7, 24 
e 
45 della Carta dei 
diritti 
fondamentali 
dell’Unione 
europea debbano essere 
interpretati 
nel 
senso 
che 
non 
consentono 
alle 
autorità 
amministrative 
bulgare, 
presso le 
quali 
è 
stata presentata una domanda di 
certificazione 
della nascita 
di 
un 
bambino 
con 
nazionalità 
bulgara 
avvenuta 
in 
un 
altro 
Stato 
membro 
dell’Unione, 
che 
è 
stata 
attestata 
da 
un 
certificato 
di 
nascita 
spagnolo, 
nel 
quale 
due 
persone 
di 
sesso femminile 
sono registrate 
come 
madri, senza precisare 
ulteriormente 
se 
una di 
loro, e 
in caso affermativo quale, sia la madre 
biologica del 
bambino, di 
rifiutare 
il 
rilascio di 
un certificato di 
nascita bulgaro 
con la motivazione 
che 
la ricorrente 
si 
rifiuta di 
indicare 
chi 
è 
la madre 
biologica del bambino. 
2. 
Se 
l’articolo 4, paragrafo 2, TUE 
e 
l’articolo 9 della Carta dei 
diritti 
fondamentali 
dell’Unione 
europea debbano essere 
interpretati 
nel 
senso che 
la 
salvaguardia 
dell’identità 
nazionale 
e 
dell’identità 
costituzionale 
degli 
Stati 
membri 
dell’Unione 
significa 
che 
questi 
ultimi 
dispongono 
di 
un’ampia 
discrezionalità 
con riferimento alle 
disposizioni 
per 
l’accertamento della filiazione. 
In particolare: 
-se 
l’articolo 4, paragrafo 2, TUE 
debba essere 
interpretato nel 
senso 
che 
consente 
agli 
Stati 
membri 
di 
richiedere 
informazioni 
sulla discendenza 
biologica del bambino; 
-se 
l’articolo 4, paragrafo 2, TUE 
in combinato disposto con l’articolo 
7 
e 
l’articolo 
24, 
paragrafo 
2, 
della 
Carta 
debba 
essere 
interpretato 
nel 
senso 
che 
è 
imprescindibile 
ponderare, 
da 
una 
parte, 
l’identità 
nazionale 
e 
l’identità 
costituzionale 
di 
uno 
Stato 
membro 
e, 
dall’altra, 
l’interesse 
superiore 
del 
bambino 
nell’intento di 
bilanciare 
gli 
interessi, tenuto conto del 
fatto che 
attualmente 
non sussiste 
un consenso né 
dal 
punto di 
vista dei 
valori 
né 
da quello 
giuridico sulla possibilità di 
far 
registrare 
come 
genitori 
in un certificato di 
nascita 
persone 
dello 
stesso 
sesso, 
senza 
precisare 
ulteriormente 
se 
uno 
di 
loro, 
e 
in 
caso 
affermativo 
quale, 
sia 
il 
genitore 
biologico 
del 
bambino. 
In 
caso di 
risposta positiva a tale 
domanda, come 
si 
possa realizzare 
concretamente 
detto bilanciamento di interessi. 

rASSEGNA 
AvvoCATUrA 
DELLo 
STATo -N. 3/2020 


3. 
Se 
le 
conseguenze 
giuridiche 
della 
Brexit 
siano 
rilevanti 
per 
la 
risposta 
alla prima questione 
in quanto una delle 
madri, che 
è 
indicata nel 
certificato 
di 
nascita rilasciato in un altro Stato membro, è 
cittadina del 
regno Unito, 
l’altra madre 
è 
cittadina di 
uno Stato membro dell’Unione, se 
si 
considera in 
particolare 
che 
il 
rifiuto 
di 
rilasciare 
un 
certificato 
di 
nascita 
bulgaro 
del 
bambino 
rappresenta 
un 
ostacolo 
per 
il 
rilascio 
di 
un 
certificato 
di 
identità 
del 
bambino da parte 
di 
uno Stato membro dell’Unione 
e, di 
conseguenza, rende 
eventualmente 
più 
difficile 
il 
pieno 
esercizio 
dei 
suoi 
diritti 
come 
cittadino 
dell’Unione. 
4. 
Se, 
in 
caso 
di 
risposta 
affermativa 
alla 
prima 
questione, 
il 
diritto 
dell’Unione, 
in 
particolare 
il 
principio 
di 
effettività, 
obblighi 
le 
competenti 
autorità nazionali 
a discostarsi 
dal 
modello per 
la redazione 
di 
un certificato 
di nascita, che è parte costitutiva del diritto nazionale vigente. 
esposizione dei fatti di causa 


2. 
La 
questione 
pregiudiziale 
sollevata 
dal 
Tribunale 
amministrativo 
Bulgaro 
riguarda 
la 
conformità 
agli 
artt. 
20 
e 
21 
TFUE 
nonché 
agli 
artt. 
7, 
24 
e 
45 
della 
Carta 
di 
Nizza 
della 
legislazione 
Bulgara, 
che 
preclude 
il 
rilascio, 
da 
parte 
del 
Comune 
di 
Sofia, 
di 
un 
certificato 
di 
nascita 
di 
un 
minore, 
nato 
in 
Spagna 
nel 
2019 
ed 
ivi 
soggiornante, 
dal 
quale 
risultino 
come 
madri 
due 
persone 
dello 
stesso 
sesso, 
una 
cittadina 
bulgara, 
anch’essa 
soggiornante 
in 
Spagna, 
e 
una 
cittadina 
britannica 
che 
hanno 
contratto 
matrimonio 
nel 
regno 
Unito. 
3. 
Nel 
certificato di 
nascita 
rilasciato in Spagna, risultano, quali 
genitori, 
due 
persone 
di 
sesso femminile: 
la 
cittadina 
bulgara, designata 
come 
"madre 
A", e la cittadina del regno Unito, indicata come "madre". 
4. 
La 
cittadina 
bulgara 
ricorrente 
ha 
richiesto 
alle 
competenti 
autorità 
bulgare 
il 
rilascio di 
un certificato di 
nascita 
del 
minore, sulla 
base 
dell'estratto 
del certificato di nascita di cui sopra. 
5. 
Il 
Comune 
di 
Sofia, competente 
per la 
registrazione, ha 
assegnato alla 
ricorrente 
un termine 
per la 
presentazione 
delle 
prove 
della 
discendenza 
genetica 
del bambino rispetto alla sua madre biologica. 
6. 
Tale 
informazione 
non è 
stata 
fornita 
in quanto, ad avviso della 
ricorrente, 
non 
vi 
è 
obbligo 
in 
tal 
senso 
alla 
luce 
della 
pertinente 
normativa 
vigente 
in Bulgaria. 
7. 
Conseguentemente, il 
Comune 
di 
Sofia 
ha 
rifiutato di 
redigere 
il 
certificato 
di nascita. 
8. 
La 
legislazione 
bulgara 
prevede, 
come 
quella 
italiana, 
che 
si 
considera 
madre 
chi 
ha 
partorito il 
nato; 
entrambe 
le 
normative 
non prevedono il 
matrimonio 
tra 
persone 
dello 
stesso 
sesso 
(quella 
bulgara 
non 
contempla 
nemmeno 
forme 
di 
unione 
civile 
da 
cui 
derivino effetti 
giuridici) e, analogamente, non 
prevedono il 
riconoscimento di 
una 
filiazione 
da 
parte 
di 
persone 
dello stesso 
sesso. 
9. 
Contro il 
rifiuto di 
rilasciare 
il 
certificato di 
nascita 
recante 
l’indica

CoNTENzIoSo 
CoMUNITArIo 
ED 
INTErNAzIoNALE 


zione 
di 
due 
madri 
è 
stato 
presentato 
ricorso 
al 
tribunale 
amministrativo 
al 
fine 
di 
ottenere 
un ordine 
a 
carico del 
Comune 
di 
Sofia 
di 
redigere 
detto certificato. 


10. 
Le 
ragioni 
dell'amministrazione 
si 
basano 
sul 
fatto 
che 
non 
sussistono 
dati 
sufficienti 
sulla 
discendenza 
del 
bambino 
in 
relazione 
alla 
madre 
biologica 
e 
che 
la 
legislazione 
bulgara 
vigente 
non consente 
la 
registrazione 
di 
due 
genitori 
entrambi 
di 
sesso femminile 
(o entrambi 
di 
sesso maschile) nel 
certificato 
di 
nascita 
di 
un 
bambino, 
atteso 
che 
in 
Bulgaria 
è 
attualmente 
inammissibile 
il 
matrimonio tra 
persone 
dello stesso sesso, per cui 
non è 
neppure 
possibile 
registrare 
due 
genitori 
dello stesso sesso nell'atto di 
nascita, in 
quanto ciò contrasterebbe con l'ordine pubblico. 
11. Secondo la 
parte 
ricorrente, invece, in base 
alle 
norme 
di 
diritto internazionale 
privato 
vigenti 
in 
Bulgaria 
e 
in 
base 
alla 
pertinente 
giurisprudenza 
della 
Corte 
di 
giustizia, in questo caso, non potrebbe 
essere 
sollevato il 
limite 
dell'ordine pubblico. 
12. 
Inoltre 
la 
decisione 
impugnata 
costituirebbe 
un'interferenza 
illecita 
nella 
vita 
privata 
della 
richiedente, così 
come 
nel 
diritto, suo e 
della 
cittadina 
britannica, 
alla 
vita 
privata 
e 
familiare, 
nella 
misura 
in 
cui 
è 
stata 
richiesta 
una 
prova sulla discendenza biologica del figlio. 
normativa dell’unione. 


13. L’art. 20 del 
TFUE 
istituisce 
la 
cittadinanza 
dell’Unione 
e 
stabilisce 
che 
“è 
cittadino 
dell’Unione 
chiunque 
abbia 
la 
cittadinanza 
di 
uno 
Stato 
membro”. 
14. L’art. 21 del 
TFUE 
prevede 
che 
“ogni 
cittadino dell’Unione 
ha il 
diritto 
di 
circolare 
e 
di 
soggiornare 
liberamente 
nel 
territorio 
degli 
Stati 
membri, 
fatte 
salve 
le 
limitazioni 
e 
le 
condizioni 
previste 
dai 
trattati 
e 
dalle 
disposizioni 
adottate in applicazione degli stessi”. 
15. 
Ai 
sensi 
dell’art. 
7 
della 
Carta 
dei 
diritti 
fondamentali 
dell’Unione 
europea, 
c.d. Carta 
di 
Nizza, “ogni 
individuo ha diritto al 
rispetto della propria 
vita privata e familiare, del proprio domicilio e delle sue comunicazioni”. 
16. L’art. 9 della 
Carta 
di 
Nizza 
dispone 
che 
“Il 
diritto di 
sposarsi 
e 
il 
diritto 
di 
costituire 
una famiglia sono garantiti 
secondo le 
leggi 
nazionali 
che 
ne disciplinano l’esercizio” 
(enfasi aggiunta). 
17. L’art. 24 della 
Carta 
di 
Nizza 
sui 
diritti 
del 
bambino prevede 
che 
“1. 
I bambini 
hanno diritto alla protezione 
e 
alle 
cure 
necessarie 
per 
il 
loro benessere. 
Essi 
possono 
esprimere 
liberamente 
la 
propria 
opinione; 
questa 
viene 
presa 
in 
considerazione 
sulle 
questioni 
che 
li 
riguardano 
in 
funzione 
della 
loro età e 
della loro maturità. 2. In tutti 
gli 
atti 
relativi 
ai 
bambini, siano essi 
compiuti 
da autorità pubbliche 
o da istituzioni 
private, l’interesse 
superiore 
del 
bambino deve 
essere 
considerato preminente. 3. ogni 
bambino ha diritto 
di 
intrattenere 
regolarmente 
relazioni 
personali 
e 
contatti 
diretti 
con 
i 
due 
genitori, 
salvo qualora ciò sia contrario al suo interesse”. 

rASSEGNA 
AvvoCATUrA 
DELLo 
STATo -N. 3/2020 


18. A 
norma 
dell’art. 45 della 
Carta 
di 
Nizza, recante 
libertà 
di 
circolazione 
e 
di 
soggiorno, “1. ogni 
cittadino dell’Unione 
ha il 
diritto di 
circolare 
e 
di 
soggiornare 
liberamente 
nel 
territorio degli 
Stati 
membri. 2. La libertà 
di 
circolazione 
e 
di 
soggiorno 
può 
essere 
accordata, 
conformemente 
al 
trattato 
che 
istituisce 
la Comunità europea, ai 
cittadini 
dei 
paesi 
terzi 
che 
risiedono 
legalmente nel territorio di uno Stato membro”. 
19. 
L’art. 
4, 
paragrafo 
2 
del 
TUE 
stabilisce 
che 
“L’Unione 
rispetta 
l’uguaglianza 
degli 
Stati 
membri 
davanti 
ai 
trattati 
e 
la 
loro 
identità 
nazionale 
insita 
nella loro struttura fondamentale, politica e 
costituzionale, compreso il 
sistema 
delle autonomie locali e regionali. rispetta le funzioni essenziali dello 
Stato, in particolare 
le 
funzioni 
di 
salvaguardia dell’integrità territoriale, di 
mantenimento 
dell’ordine 
pubblico 
e 
di 
tutela 
della 
sicurezza 
nazionale. 
In 
particolare, la sicurezza nazionale 
resta di 
esclusiva competenza di 
ciascuno 
Stato membro” 
(enfasi aggiunta). 
risposta al primo quesito 


20. 
Con 
il 
primo 
quesito, 
il 
giudice 
del 
rinvio 
chiede 
in 
sostanza 
alla 
Corte 
di 
giustizia 
di 
chiarire 
se 
gli 
articoli 
20 
(cittadinanza 
dell’Unione) 
e 
21 
(diritto 
di 
circolazione 
e 
di 
soggiorno 
nel 
territorio 
degli 
Stati 
membri) 
TFUE 
e 
gli 
articoli 
7 (rispetto della 
vita 
privata 
e 
familiare), 24 (diritti 
del 
fanciullo) e 
45 
(libertà 
di 
circolazione 
e 
stabilimento) della 
Carta 
dei 
diritti 
fondamentali 
impediscano 
alle 
autorità 
amministrative 
bulgare 
di 
rifiutare 
il 
rilascio del 
certificato 
di 
nascita 
di 
un 
bambino 
nato 
in 
un 
altro 
Stato 
membro 
dell'Unione, 
per 
il 
quale 
le 
autorità 
di 
questo Stato hanno registrato due 
madri, senza 
precisare 
quale 
delle 
due 
sia 
la 
madre 
biologica, adducendo (le 
autorità 
bulgare) quale 
motivo 
ostativo 
la 
mancata 
indicazione, 
da 
parte 
della 
richiedente, 
della 
madre 
biologica. 
21. Il 
giudice 
del 
rinvio ritiene 
che 
il 
caso ricada 
nell'ambito di 
applicazione 
del 
diritto dell'Unione 
in quanto il 
minore 
è 
figlio di 
un cittadino del-
l'Unione 
che 
soggiorna 
legalmente 
nel 
territorio di 
un altro Stato membro ed 
ha quindi anche motivo di invocare il diritto alla libera circolazione. 
22. Il 
rifiuto di 
rilasciare 
un certificato di 
nascita, necessario per ottenere 
un documento di identità, influirebbe sull'esercizio di tale diritto. 
23. Le 
ragioni 
del 
rifiuto si 
fondano nella 
concezione 
della 
famiglia 
tradizionale, 
radicata 
nella 
Costituzione 
bulgara, e 
che 
trova 
espressione 
nel 
codice 
del 
diritto 
di 
famiglia, 
che 
prevede 
che 
la 
madre 
del 
bambino 
sia 
la 
donna 
che lo ha partorito, anche nel caso di "procreazione artificiale". 
24. 
La 
legge 
nazionale, 
coerentemente 
con 
tale 
impostazione, 
prevede 
che 
l'ufficiale 
di 
stato 
civile 
deve 
redigere 
l'atto 
di 
nascita 
inserendo 
alcuni 
dati 
tra 
i 
quali 
la 
"discendenza 
accertata". 
A 
tal 
fine, 
vengono 
predisposti, 
dalle 
competenti 
autorità, 
modelli 
di 
atti 
dello 
stato 
civile 
che 
impongono, 
senza 
possibilità 
di 
operare 
una 
scelta 
diversa, 
di 
indicare 
la 
"madre" 
e 
il 
"padre", 
sicché 
in 
questo 
caso 
non 
sarebbe 
tecnicamente 
possibile 
rilasciare 
il 
certificato. 

CoNTENzIoSo 
CoMUNITArIo 
ED 
INTErNAzIoNALE 


25. Tuttavia, il 
giudice 
si 
interroga 
sulla 
proporzionalità 
dell'impatto di 
questo rifiuto sull'interesse 
del 
minore 
all'esercizio dei 
suoi 
diritti 
di 
cittadino 
europeo. Sul 
punto il 
giudice 
rileva 
che 
"questo rifiuto non ha 
alcun effetto 
giuridico sulla cittadinanza bulgara del bambino". 
26. Il 
Governo italiano ritiene 
di 
dare 
risposta 
negativa 
al 
primo quesito. 
27. Si 
reputa 
infatti 
che 
l’articolo 20 TFUE 
e 
l’articolo 21 TFUE 
nonché 
gli 
articoli 
7, 24 e 
45 della 
Carta 
dei 
diritti 
fondamentali 
dell’Unione 
europea 
debbano essere 
interpretati 
nel 
senso che 
non ostino al 
rifiuto da 
parte 
delle 
autorità 
amministrative 
bulgare 
-presso 
le 
quali 
è 
stata 
presentata 
una 
domanda 
di 
certificazione 
della 
nascita 
di 
un bambino con nazionalità 
bulgara 
avvenuta 
in 
un 
altro 
Stato 
membro 
dell’Unione, 
che 
è 
stata 
attestata 
da 
un 
certificato 
di 
nascita 
spagnolo, 
nel 
quale 
due 
persone 
di 
sesso 
femminile 
sono 
registrate 
come 
madri, 
senza 
precisare 
ulteriormente 
se 
una 
di 
loro, 
e 
in 
caso 
affermativo quale, sia 
la 
madre 
biologica 
del 
bambino -di 
rilasciare 
un certificato 
di 
nascita 
bulgaro con la 
motivazione 
che 
la 
ricorrente 
si 
rifiuta 
di 
indicare 
chi è la madre biologica del bambino. 
28. 
La 
questione 
posta 
dal 
tribunale 
del 
rinvio, 
come 
chiarito 
dallo 
stesso, 
non 
risulta 
essere 
stata 
ancora 
affrontata, 
nei 
medesimi 
e 
peculiari 
termini, 
dalla Corte di giustizia. 
29. Essa 
essenzialmente 
verte 
sulla 
possibilità 
di 
affermare 
l'esistenza 
di 
un 
diritto 
ad 
ottenere 
la 
registrazione 
di 
un 
atto 
di 
nascita 
di 
un 
minore 
recante 
l’indicazione 
di 
due 
madri, tacendo sulle 
circostanze 
che 
hanno portato alla 
sua 
nascita 
e, 
in 
particolare, 
all'esistenza 
di 
un 
legame 
biologico 
o 
quantomeno 
"intenzionale", nell'ambito di 
un progetto di 
procreazione 
medicalmente 
assistita 
o anche 
di 
maternità 
surrogata 
(non essendo specificato, come 
dato atto 
dal 
giudice 
bulgaro, se 
sia 
stato fatto ricorso a 
tale 
pratica), tra 
le 
persone 
che 
si dichiarano genitori e il nato. 
30. 
Al 
riguardo, 
la 
giurisprudenza 
della 
Corte 
EDU, 
pur 
riconoscendo 
alla 
coppia 
omosessuale 
il 
diritto al 
rispetto della 
vita 
privata, anche 
familiare, ed 
includendo in tale 
nozione 
anche 
il 
diritto al 
rispetto della 
decisione 
di 
diventare 
genitore 
e 
del 
modo di 
diventarlo (cfr. Corte 
EDU, 16 gennaio 2018, Nedescu 
c. romania; 
27 agosto 2015, Parrillo c. Italia; 
28 agosto 2012, Costa e 
Pavan c. Italia), ha 
escluso la 
possibilità 
di 
ravvisare 
un trattamento discriminatorio 
nella 
legge 
nazionale 
che 
attribuisca 
alla 
procreazione 
medicalmente 
assistita 
finalità 
esclusivamente 
terapeutiche, riservando alle 
coppie 
eterosessuali 
sterili 
il 
ricorso 
alle 
relative 
tecniche 
(cfr. 
Corte 
EDU, 
sent. 
15 
marzo 
2012, 
Gas 
e 
Dubois 
c. 
Francia), 
ed 
ha 
riconosciuto 
che 
in 
tale 
materia 
gli 
Stati 
godono 
di 
un 
ampio 
margine 
di 
apprezzamento, 
soprattutto 
con 
riguardo 
a 
quei 
profili 
in 
relazione 
ai 
quali 
non 
si 
riscontra 
un 
generale 
consenso 
a 
livello 
Europeo (cfr. Corte EDU, sent. 3 novembre 2011, S.H. c. austria). 
31. 
Quanto 
poi 
all'interesse 
del 
minore, 
la 
Corte 
EDU, 
pur 
osservando 
che 
il 
mancato riconoscimento del 
rapporto di 
filiazione 
è 
destinato inevita

rASSEGNA 
AvvoCATUrA 
DELLo 
STATo -N. 3/2020 


bilmente 
ad incidere 
sulla 
vita 
familiare 
del 
minore, ha 
escluso la 
configurabilità 
di 
una 
violazione 
del 
diritto al 
rispetto della 
stessa, ove 
sia 
assicurata 
in 
concreto 
la 
possibilità 
di 
condurre 
un'esistenza 
paragonabile 
a 
quella 
delle 
altre 
famiglie 
(cfr. Corte 
EDU, sent. 26 giugno 2014, mennesson e 
Labassee 


c. Francia). 
32. 
Tali 
principi 
non 
sembrano 
essere 
stati 
contraddetti 
dal 
recente 
parere 
della Grande Camera della Corte EDU del 10 aprile 2019. 
33. 
Invero, 
al 
di 
là 
del 
valore 
giuridico 
non 
vincolante 
del 
suddetto 
parere 
ai 
sensi 
del 
Protocollo 16, soprattutto per paesi 
come 
la 
Bulgaria 
e 
l’Italia 
che 
non 
lo 
ha 
ratificato, 
non 
pare 
che 
lo 
stesso 
abbia 
una 
portata 
innovativa 
rispetto 
alla precedente giurisprudenza in materia della stessa Corte. 
34. 
Non 
sembra, 
in 
particolare, 
che 
la 
Corte 
EDU 
abbia 
ridotto 
il 
margine 
di 
apprezzamento 
riservato 
agli 
Stati 
contraenti, 
essendosi 
limitata 
ad 
argomentare 
ulteriormente 
in 
ordine 
al 
rapporto 
tra 
l'articolo 
8 
CEDU 
e 
il 
superiore 
interesse 
del 
minore 
ribadendo, come 
già 
detto nella 
sentenza 
del 
26 giugno 
2014 
resa 
sui 
casi 
menesson 
e 
Labassée 
c. 
Francia, 
che 
gli 
Stati 
contraenti 
non sono tenuti 
a 
riconoscere 
un rapporto di 
filiazione 
con il 
genitore 
d’intenzione, 
ma 
a 
prevedere 
una 
via 
legale 
effettivamente 
percorribile, alternativa 
al 
riconoscimento dell'atto di 
nascita, nell'ambito della 
quale 
possa 
essere 
valutato 
in concreto ed anche 
a 
distanza 
di 
tempo rispetto alla 
nascita, se 
tale 
legame 
meriti di essere riconosciuto nel superiore interesse del minore. 
35. La 
Corte 
EDU 
ricorda, in tale 
occasione, che 
il 
riconoscimento del 
rapporto di 
filiazione 
con il 
genitore 
committente 
di 
maternità 
surrogata 
non 
sempre 
può essere 
considerato di 
per sé 
nell'interesse 
del 
minore 
e 
richiama 
espressamente 
il 
caso Paradiso e 
Campanelli 
c. Italia 
(sentenza 
della 
Grande 
Camera del 24 gennaio 2017). 
36. Non pare 
pertanto potersi 
ricavare 
dal 
citato parere 
un effettivo ribaltamento 
dei 
principi 
enunciati 
nei 
casi 
menesson 
e 
Labassée 
quanto 
ai 
margini 
di 
apprezzamento degli 
Stati 
contraenti 
e 
quanto alla 
conformità 
all'articolo 8 
della 
Convenzione 
del 
rifiuto di 
riconoscere 
e 
trascrivere 
l'atto di 
nascita 
con 
riferimento alla filiazione tra genitore non biologico e minore. 
risposta al secondo quesito 


37. 
Con 
il 
secondo 
quesito, 
il 
giudice 
del 
rinvio 
chiede 
se 
l'articolo 
9 
della 
Carta 
dei 
diritti 
fondamentali 
(diritto 
a 
contrarre 
matrimonio 
e 
a 
costituire 
una 
famiglia) 
e 
l'articolo 
4, 
paragrafo 
2 
TUE 
(rispetto 
dell’identità 
nazionale 
degli 
Stati 
membri), 
consentano 
agli 
Stati 
membri 
di 
chiedere 
informazioni 
sulla 
discendenza 
biologica 
del 
bambino 
e 
se 
si 
debbano 
bilanciare, 
da 
un 
lato, 
l'identità 
nazionale 
e 
costituzionale 
dello 
Stato 
membro 
e, 
dall'altro, 
l'interesse 
superiore 
del 
minore 
considerando 
che 
in 
Bulgaria 
non 
vi 
è, 
al 
momento, 
una 
visione 
valoriale 
o 
giuridica 
condivisa 
in 
ordine 
alla 
possibilità 
stessa 
di 
registrare 
come 
genitori 
due 
persone 
dello 
stesso 
sesso, 
e 
senza 
che 
sia 
precisato 
se 
una 
di 
loro, 
e 
in 
caso 
affermativo 
quale, 
sia 
il 
genitore 
biologico 
del 
bambino. 

CoNTENzIoSo 
CoMUNITArIo 
ED 
INTErNAzIoNALE 


38. 
In 
caso 
di 
risposta 
positiva 
a 
tale 
domanda 
il 
giudice 
chiede 
alla 
Corte 
di 
indicare 
i 
criteri 
in 
base 
ai 
quali 
condurre, 
in 
concreto, 
questo 
bilanciamento 
di interessi. 
39. Il Governo italiano ritiene di rispondere positivamente al quesito. 
40. Come 
si 
è 
visto, l’art. 9 della 
Carta 
di 
Nizza 
rinvia 
alle 
legislazioni 
nazionali per la disciplina del diritto di sposarsi e di costituire una famiglia. 
41. Dal 
canto suo, l’art. 4, paragrafo 2 TUE 
sancisce 
il 
rispetto dell’identità 
nazionale 
degli 
Stati 
membri 
insita 
nella 
loro struttura 
fondamentale, politica 
e costituzionale. 
42. 
In 
tale 
contesto, 
non 
può 
che 
sostenersi 
un’interpretazione 
delle 
citate 
norme 
unionali 
che 
salvaguardi 
il 
margine 
di 
apprezzamento 
riservato 
agli 
Stati 
membri 
in 
una 
materia 
eticamente 
sensibile 
quale 
quella 
oggetto 
del 
giudizio, 
nel rispetto dei valori costituzionali di ciascuno di essi. 
43. Al 
riguardo, con la 
sentenza 
n. 221 del 
2019, pronunciata 
proprio in 
un caso di 
filiazione 
da 
parte 
di 
una 
coppia 
omosessuale 
di 
sesso femminile, 
la 
Corte 
costituzionale 
italiana 
ha 
affermato la 
conformità 
al 
dettato costituzionale 
della 
legge 
n. 40/2004 nella 
parte 
in cui 
non consente 
il 
ricorso alle 
tecniche 
di 
procreazione 
medicalmente 
assistita 
alle 
coppie 
formate 
da 
due 
persone di sesso femminile. 
44. In proposito, la 
Corte 
Costituzionale, nella 
citata 
sentenza, ha 
affermato 
che 
l'infertilità 
"fisiologica" 
della 
coppia 
omosessuale 
non 
è 
affatto 
omologabile 
all'infertilità 
(di 
tipo 
assoluto 
e 
irreversibile) 
della 
coppia 
eterosessuale 
affetta 
da 
patologie 
riproduttive: 
così 
come 
non lo è 
l'infertilità 
"fisiologica" 
della 
donna 
sola 
e 
della 
coppia 
eterosessuale 
in età 
avanzata. Si 
tratta 
di 
fenomeni 
chiaramente 
e 
ontologicamente 
distinti. L'esclusione 
dalla 
procreazione 
medicalmente 
assistita 
delle 
coppie 
formate 
da 
due 
donne 
non 
è, dunque, fonte 
di 
alcuna 
distonia 
e 
neppure 
di 
una 
discriminazione 
basata 
sull'orientamento sessuale. 
45. In questo senso, ricorda 
detta 
sentenza, si 
è, del 
resto, specificamente 
espressa 
anche 
la 
Corte 
europea 
dei 
diritti 
dell'uomo. 
Essa 
ha 
affermato, 
infatti, 
che 
una 
legge 
nazionale 
che 
riservi 
l'inseminazione 
artificiale 
a 
coppie 
eterosessuali 
sterili, attribuendole 
una 
finalità 
terapeutica, non può essere 
considerata 
fonte 
di 
una 
ingiustificata 
disparità 
di 
trattamento 
nei 
confronti 
delle 
coppie 
omosessuali, rilevante 
agli 
effetti 
degli 
artt. 8 e 
14 CEDU: 
ciò, proprio 
perché 
la 
situazione 
delle 
seconde 
non 
è 
paragonabile 
a 
quella 
delle 
prime 
(Corte 
europea 
dei 
diritti 
dell'uomo, sentenza 
15 marzo 2012, Gas 
e 
Dubois 
contro Francia). 
46. 
Quanto 
al 
superiore 
interesse 
del 
minore, 
la 
Corte 
Costituzionale, 
nella 
citata 
sentenza, ha 
chiarito che 
di 
certo, non può considerarsi 
irrazionale 
e 
ingiustificata, in termini 
generali, la 
preoccupazione 
legislativa 
di 
garantire, 
a 
fronte 
delle 
nuove 
tecniche 
procreative, il 
rispetto delle 
condizioni 
ritenute 
migliori per lo sviluppo della personalità del nuovo nato. 

rASSEGNA 
AvvoCATUrA 
DELLo 
STATo -N. 3/2020 


47. 
In 
questa 
prospettiva, 
l'idea, 
sottesa 
alla 
disciplina 
in 
esame, 
che 
una 
famiglia 
ad 
instar 
naturae 
-due 
genitori, 
di 
sesso 
diverso, 
entrambi 
viventi 
e 
in 
età 
potenzialmente 
fertile 
-rappresenti, 
in 
linea 
di 
principio, 
il 
"luogo" 
più 
idoneo 
per 
accogliere 
e 
crescere 
il 
nuovo 
nato 
non 
può 
essere 
considerata, 
a 
sua 
volta, 
di 
per 
sé 
arbitraria 
o 
irrazionale. 
E 
ciò 
a 
prescindere 
dalla 
capacità 
della 
donna 
sola, 
della 
coppia 
omosessuale 
e 
della 
coppia 
eterosessuale 
in 
età 
avanzata 
di 
svolgere 
validamente 
anch'esse, 
all'occorrenza, 
le 
funzioni 
genitoriali. 
48. Nell'esigere, in particolare, per l'accesso alla 
procreazione 
medicalmente 
assistita 
la 
diversità 
di 
sesso dei 
componenti 
della 
coppia 
-condizione 
peraltro 
chiaramente 
presupposta 
dalla 
disciplina 
costituzionale 
della 
famiglia 
-il 
legislatore 
ha 
tenuto conto, d'altronde, anche 
del 
grado di 
accettazione 
del 
fenomeno della 
cosiddetta 
“omogenitorialità” 
nell'ambito della 
comunità 
sociale, 
ritenendo che, all'epoca 
del 
varo della 
legge, non potesse 
registrarsi 
un 
sufficiente consenso sul punto. 
49. 
In 
proposito, 
va 
evidenziato 
che 
l’accesso 
alle 
tecniche 
di 
procreazione 
medicalmente 
assistita 
costituisce 
un prius 
rispetto alla 
trascrivibilità 
di 
un atto di 
nascita 
di 
altro Stato membro o di 
paese 
terzo recante 
l’indicazione 
di due madri o di due padri, che costituisce un posterius. 
50. Al 
riguardo, la 
Corte 
costituzionale 
italiana, con la 
sentenza 
n. 230 
del 
2020 ha 
dichiarato inammissibile 
la 
questione 
di 
legittimità 
costituzionale 
della 
legge 
n. 76 del 
2016 sulle 
unioni 
civili 
e 
del 
D.P.r. n. 396 del 
2000 sul-
l’ordinamento 
dello 
Stato 
civile 
nella 
parte 
in 
cui 
non 
consentono 
l’indicazione 
nell’atto 
di 
nascita 
di 
un 
minore 
di 
due 
madri, 
di 
cui 
una 
biologica 
e 
l’altra 
“intenzionale”. 
51. La 
Corte 
costituzionale, pur avendo posto in risalto la 
libertà 
e 
la 
volontarietà 
dell'atto che 
consente 
di 
diventare 
genitori, ha 
riconosciuto che 
tale 
valore 
dev'essere 
bilanciato 
con 
altri 
valori 
costituzionalmente 
protetti, 
soprattutto 
quando, 
come 
nella 
specie, 
si 
discuta 
della 
scelta 
di 
ricorrere 
a 
tecniche 
che, alterando le 
dinamiche 
naturalistiche 
del 
processo di 
generazione 
degli 
individui, 
aprono 
scenari 
affatto 
innovativi 
rispetto 
ai 
paradigmi 
della 
genitorialità e della famiglia storicamente radicati nella cultura sociale. 
52. Precisato inoltre 
che 
la 
possibilità, dischiusa 
dai 
progressi 
scientifici 
e 
tecnologici, di 
una 
scissione 
tra 
atto sessuale 
e 
procreazione, mediata 
dal-
l'intervento del 
medico, pone 
il 
problema 
di 
stabilire 
se 
il 
desiderio di 
avere 
un figlio tramite 
l'uso delle 
tecnologie 
meriti 
di 
essere 
soddisfatto sempre 
e 
comunque, ovvero se 
sia 
giustificabile 
la 
previsione 
di 
specifiche 
condizioni 
di 
accesso alle 
pratiche 
considerate, soprattutto in 
una prospettiva di 
salvaguardia 
dei 
diritti 
del 
concepito 
e 
del 
nato, 
si 
ritiene 
che 
il 
compito 
di 
ponderare 
gli 
interessi 
in 
gioco 
e 
di 
trovare 
un 
equilibrio 
tra 
le 
diverse 
istanze, 
tenendo conto degli 
orientamenti 
maggiormente 
diffusi 
all’interno del 
tessuto 
sociale 
nel 
singolo momento storico, 
spetti 
in 
via primaria al 
legislatore 
di 
ciascuno stato membro, quale interprete della collettività nazionale. 

CoNTENzIoSo 
CoMUNITArIo 
ED 
INTErNAzIoNALE 


53. 
Alla 
luce 
di 
tali 
principi, 
si 
reputa 
quindi 
che 
legittimamente 
uno 
Stato 
membro possa 
richiedere 
informazioni 
sulla 
discendenza 
biologica 
del 
bambino. 
54. 
Nel 
caso 
di 
specie, 
considerando 
che 
la 
legge 
bulgara 
considera 
madre 
colei 
che 
partorisce 
il 
bambino e 
che, ciononostante, la 
ricorrente 
si 
è 
rifiutata 
di 
indicare 
se 
una 
delle 
due 
madri 
risultanti 
dal 
certificato di 
nascita 
spagnolo 
sia 
la 
madre 
biologica 
del 
bambino 
e, 
in 
caso 
positivo, 
chi 
sia 
delle 
due, 
è 
possibile 
ipotizzare 
che 
la 
coppia 
abbia 
potuto 
far 
ricorso 
alla 
maternità 
surrogata, 
fatto che 
può essere 
valutato da 
ciascuno Stato membro ai 
fini 
della 
compatibilità 
con i principi di ordine pubblico. 
55. Come 
detto, lo stesso giudice 
del 
rinvio afferma 
che 
non vi 
sono elementi 
agli 
atti 
per 
escludere 
che 
la 
coppia 
abbia 
fatto 
ricorso 
alla 
surrogazione 
di 
maternità, che 
in diversi 
Stati 
membri 
è 
vietata 
(in Italia 
è 
sanzionata 
penalmente, 
il 
che 
comporta 
in sé 
una 
valutazione 
da 
parte 
del 
legislatore 
nazionale 
tale da determinarne la contrarietà all’ordine pubblico). 
56. 
La 
stessa 
Corte 
costituzionale 
italiana, 
con 
la 
sentenza 
n. 
272 
del 
2017 
ha 
espresso una 
valutazione 
di 
elevato disvalore 
di 
tale 
pratica, ritenuta 
tale 
da 
“offendere 
in 
modo 
intollerabile 
la 
dignità 
della 
donna 
e 
da 
minare 
nel 
profondo le relazioni umane”. 
57. Anche 
le 
Sezioni 
Unite 
della 
Corte 
di 
cassazione 
italiana 
(sentenza 
n. 
12193/19) si 
sono occupate 
di 
vicenda 
analoga 
a 
quella 
oggetto del 
giudizio 
a quo 
(in quel 
caso si 
trattava 
di 
una 
coppia 
omosessuale 
maschile) e 
hanno 
ritenuto che, per stabilire 
quale 
sia 
in concreto il 
contenuto della 
nozione 
di 
ordine 
pubblico 
occorra 
prendere 
in 
considerazione 
sia 
i 
principi 
fondamentali 
dalla 
Carta 
costituzionale, sia 
quelli 
consacrati 
nelle 
fonti 
internazionali 
e 
sovranazionali, 
oltre 
che 
il 
modo in cui 
essi 
"si 
sono incarnati 
nella 
disciplina 
ordinaria 
dei 
singoli 
istituti", 
e 
della 
interpretazione 
fornita 
dalla 
giurisprudenza 
costituzionale e ordinaria. 
58. Costituisce 
"ordine 
pubblico" 
quell'insieme 
dei 
valori 
fondanti 
di 
un 
ordinamento in un determinato momento storico. 
59. 
Secondo 
le 
Sezioni 
Unite, 
per 
verificare 
se 
contrasta 
con 
l'ordine 
pubblico 
il 
riconoscimento di 
un atto di 
nascita, formato all'estero, che 
sancisce 
un rapporto di 
filiazione 
tra 
un minore 
e 
un adulto che 
non ha 
con lui 
alcun 
legame 
biologico, 
a 
seguito 
di 
ricorso 
a 
surrogazione 
di 
maternità, 
occorre 
considerare 
che 
tale 
pratica 
è 
tra 
quelle 
espressamente 
vietate, in Italia, dalla 
legge 
n. 40/2004 e 
occorre 
chiedersi 
se 
questo divieto esprima 
uno dei 
valori 
fondanti dell'ordinamento interno. 
60. 
Le 
Sezioni 
Unite, 
nella 
richiamata 
sentenza, 
rispondono 
positivamente 
a 
tale 
interrogativo, 
rilevando 
che 
la 
sanzione 
penale 
contro 
la 
pratica 
della 
maternità 
surrogata 
esprime 
la 
volontà 
del 
legislatore 
di 
contribuire 
alla 
tutela 
concreta di 
beni 
fondamentali 
come 
quello della "dignità umana" 
della 
gestante, e 
del 
sistema legale 
di 
adozione 
dei 
minori, governato da regole 

rASSEGNA 
AvvoCATUrA 
DELLo 
STATo -N. 3/2020 


particolari 
poste 
a 
tutela 
di 
tutti 
gli 
interessati 
e 
principalmente 
dei 
minori 
stessi. 


61. Si 
tratta 
quindi 
di 
scelta 
che 
è 
il 
portato di 
un principio di 
ordine 
pubblico 
in forza 
del 
quale 
l'ordinamento nazionale 
pone 
un divieto all'ingresso 
di 
norme 
e 
provvedimenti 
stranieri 
che 
siano con esso contrastanti, a 
protezione 
della coerenza interna del sistema giuridico. 
62. Questa 
nozione 
di 
ordine 
pubblico, secondo le 
Sezioni 
Unite, quindi, 
"non 
può 
ridursi 
ai 
soli 
valori 
condivisi 
dalla 
comunità 
internazionale, 
ma 
comprende 
anche 
principi 
e 
valori 
esclusivamente 
propri, purché 
fondamentali 
e (perciò) irrinunciabili". 
63. Il 
divieto di 
maternità 
surrogata, in assenza 
del 
quale 
il 
descritto assetto 
di 
tutela 
di 
interessi 
fondamentali 
verrebbe 
messo nel 
nulla 
da 
un mero 
accordo tra 
privati, non può pertanto ritenersi 
irragionevole, né 
contrastante 
con 
l'interesse 
superiore 
del 
minore, 
tutelato 
dall'articolo 
3 
della 
Convenzione 
di New 
york. 
64. 
Tale 
orientamento, 
che 
ha 
negato 
la 
trascrivibilità 
di 
un 
atto 
di 
nascita 
recante 
come 
genitori 
due 
persone 
dello 
stesso 
sesso 
è 
stato 
da 
ultimo 
recepito 
dalla 
Corte 
di 
Cassazione 
italiana 
anche 
con 
riguardo 
alla 
filiazione 
di 
una 
coppia 
omosessuale 
di 
sesso femminile 
che 
non aveva 
fatto ricorso alla 
surrogazione 
di maternità (Cass. n. 8029 del 2020). 
65. In tale 
sentenza 
la 
Corte 
di 
cassazione 
ha 
osservato che 
le 
sentenze 
n. 
162 del 
2014 e 
n. 96 del 
2015 della 
Corte 
costituzionale, pur avendo comportato 
un 
ampliamento 
del 
novero 
dei 
soggetti 
abilitati 
ad 
accedere 
alla 
procreazione 
medicalmente 
assistita, hanno lasciato inalterate 
le 
coordinate 
di 
fondo 
della 
predetta 
legge, costituite 
dalla 
configurazione 
di 
tali 
tecniche 
come 
rimedio 
alla sterilità o infertilità umana avente 
una causa patologica e 
non 
altrimenti 
rimuovibile 
e 
dall'intento di 
garantire 
che 
il 
nucleo familiare 
scaturente 
dalla loro applicazione 
riproduca il 
modello della famiglia caratterizzata 
dalla presenza di una madre e di un padre. 
66. 
Premesso 
che 
l'ammissione 
delle 
coppie 
omosessuali 
alla 
procreazione 
medicalmente 
assistita 
richiederebbe 
la 
sconfessione, 
sul 
piano 
della 
tenuta 
costituzionale, delle 
linee 
guida 
della 
relativa 
disciplina, ha 
rilevato che 
quest'ultima 
non 
presenta 
alcuna 
incongruenza 
interna, 
non 
essendo 
l'infertilità 
fisiologica 
della 
coppia 
omosessuale 
omologabile 
a 
quella 
della 
coppia 
eterosessuale 
affetta 
da 
patologie 
riproduttive. Pur confermando che 
nella 
nozione 
di 
formazione 
sociale 
di 
cui 
all’art. 
2 
della 
Costituzione, 
rientra 
anche 
l'unione 
omosessuale, intesa 
come 
stabile 
convivenza 
tra 
due 
persone 
del 
medesimo 
sesso, 
ha 
ricordato 
che, 
come 
già 
affermato 
nella 
citata 
sentenza 
n. 
162 
del 
2014, la 
Costituzione 
non pone 
una 
nozione 
di 
famiglia 
inscindibilmente 
correlata 
alla 
presenza 
di 
figli, 
ribadendo 
che 
il 
riconoscimento 
della 
libertà 
e 
volontarietà 
dell'atto 
che 
consente 
di 
diventare 
genitori 
di 
sicuro 
non 
implica 
che 
tale libertà possa esplicarsi senza limiti. 

CoNTENzIoSo 
CoMUNITArIo 
ED 
INTErNAzIoNALE 


67. 
Alla 
luce 
di 
tali 
principi 
sembra 
dover 
essere 
concretamente 
realizzato 
il bilanciamento degli interessi in gioco. 
risposta al terzo quesito 


68. Con il 
terzo quesito il 
giudice 
del 
rinvio chiede 
alla 
Corte 
se 
abbia 
rilevanza, 
nel 
caso 
concreto, 
il 
fatto 
che 
una 
delle 
madri 
registrate 
nel 
certificato 
formato 
in 
Spagna, 
abbia 
la 
cittadinanza 
del 
regno 
Unito 
e 
se 
pertanto 
il 
rifiuto 
di 
rilascio 
di 
un 
certificato 
di 
nascita 
da 
parte 
delle 
autorità 
bulgare 
costituisca 
un 
ostacolo 
al 
pieno 
esercizio 
dei 
diritti 
del 
bambino 
come 
cittadino 
del-
l'Unione. 
69. Il Governo italiano ritiene di dare risposta negativa al quesito. 
70. Invero, da 
quanto affermato dallo stesso giudice 
del 
rinvio pregiudiziale, 
il 
bambino acquisisce 
la 
cittadinanza 
bulgara 
in virtù dell’articolo 25, 
paragrafo 1 della 
Costituzione 
della 
repubblica 
di 
Bulgaria: 
è 
cittadino bulgaro 
chiunque 
abbia 
almeno un genitore 
di 
cittadinanza 
bulgara. Il 
mancato 
rilascio di 
un certificato di 
nascita 
bulgaro non integra 
un rifiuto della 
cittadinanza 
bulgara. Il 
figlio minorenne 
è 
per legge 
cittadino bulgaro, indipendentemente 
dal 
fatto che 
non gli 
sia 
stato rilasciato al 
momento alcun certificato 
di nascita bulgaro (punto 33 dell’ordinanza di rinvio). 
71. 
Alla 
luce 
di 
tale 
precisazione 
del 
giudice 
nazionale, 
pare 
evidente 
l’irrilevanza 
del 
fatto che 
l’altra 
madre 
indicata 
nell’atto di 
nascita 
sia 
una 
cittadina 
britannica 
e 
che, 
per 
effetto 
della 
Brexit, 
la 
stessa 
non 
sia 
più 
una 
cittadina 
dell’Unione. 
72. La 
cittadinanza 
dell’Unione 
del 
minore, derivante 
dalla 
cittadinanza 
bulgara 
della 
madre 
ricorrente 
comporta 
che 
nessuna 
violazione 
degli 
articoli 
20 e 
21 TFUE 
e 
degli 
articoli 
7, 24 e 
45 della 
Carta 
di 
Nizza 
possa 
ritenersi 
integrata 
nella 
fattispecie, come 
è 
confermato dal 
fatto che 
il 
minore 
sta 
legittimamente 
soggiornando in uno Stato membro (la 
Spagna) senza 
alcuna 
limitazione 
del 
suo diritto di 
circolare 
e 
di 
soggiornare 
liberamente 
nel 
territorio 
dell’Unione. 
risposta al quarto quesito 

73. Con il 
quarto quesito il 
giudice 
bulgaro chiede 
alla 
Corte 
se, in caso 
di 
risposta 
affermativa 
al 
primo 
quesito, 
il 
principio 
di 
effettività, 
imponga 
alle 
competenti 
autorità 
nazionali 
di 
discostarsi 
dal 
modello per la 
redazione 
di 
un 
certificato 
di 
nascita, 
che 
è 
parte 
costitutiva 
del 
diritto 
nazionale 
vigente. 
74. Avendo risposto negativamente 
al 
primo quesito, il 
Governo italiano 
non ritiene di dover rispondere al quarto quesito. 
Conclusioni 


75. Il 
Governo italiano propone 
quindi 
alla 
Corte 
di 
rispondere 
negativamente 
al 
primo 
quesito, 
affermando 
che 
l’articolo 
20 
TFUE 
e 
l’articolo 
21 
TFUE 
nonché 
gli 
articoli 
7, 24 e 
45 della 
Carta 
dei 
diritti 
fondamentali 
del-
l’Unione 
europea 
debbano 
essere 
interpretati 
nel 
senso 
che 
non 
ostino 
al 
rifiuto 
da 
parte 
delle 
autorità 
amministrative 
bulgare 
-presso le 
quali 
è 
stata 
presen

rASSEGNA 
AvvoCATUrA 
DELLo 
STATo -N. 3/2020 


tata 
una 
domanda 
di 
certificazione 
della 
nascita 
di 
un 
bambino 
con 
nazionalità 
bulgara 
avvenuta 
in un altro Stato membro dell’Unione, che 
è 
stata 
attestata 
da 
un 
certificato 
di 
nascita 
spagnolo, 
nel 
quale 
due 
persone 
di 
sesso 
femminile 
sono registrate 
come 
madri, senza 
precisare 
ulteriormente 
se 
una 
di 
loro, e 
in 
caso affermativo quale, sia 
la 
madre 
biologica 
del 
bambino -di 
rilasciare 
un 
certificato di 
nascita 
bulgaro con la 
motivazione 
che 
la 
ricorrente 
si 
rifiuta 
di 
indicare chi è la madre biologica del bambino. 

76. Il 
Governo italiano propone 
inoltre 
alla 
Corte 
di 
rispondere 
positivamente 
al 
secondo 
quesito, 
affermando 
che 
l'articolo 
9 
della 
Carta 
dei 
diritti 
fondamentali 
e 
l'articolo 4, paragrafo 2 TUE 
consentono agli 
Stati 
membri 
di 
chiedere 
informazioni 
sulla 
discendenza 
biologica 
del 
bambino 
e 
di 
bilanciare, 
da 
un 
lato, 
l'identità 
nazionale 
e 
costituzionale 
dello 
Stato 
membro 
e, 
dall'altro, 
l'interesse 
superiore 
del 
minore, 
considerando 
che 
in 
Bulgaria 
non 
vi 
è, 
al 
momento, 
una 
visione 
valoriale 
o giuridica 
condivisa 
in ordine 
alla 
possibilità 
di 
registrare 
come 
genitori 
due 
persone 
dello stesso sesso, e 
senza 
che 
sia 
precisato 
se 
una 
di 
loro, e 
in caso affermativo quale, sia 
il 
genitore 
biologico del 
bambino. 
77. Il 
Governo italiano propone 
infine 
alla 
Corte 
di 
rispondere 
negativamente 
al 
terzo 
quesito, 
affermando 
che 
le 
conseguenze 
giuridiche 
della 
Brexit 
sono 
irrilevanti 
per 
la 
risposta 
al 
primo 
quesito, 
atteso 
che 
la 
cittadinanza 
dell’Unione 
del 
minore, derivante 
dalla 
cittadinanza 
bulgara 
della 
madre 
ricorrente, 
garantisce 
allo stesso il 
diritto di 
circolare 
e 
di 
soggiornare 
liberamente 
nel territorio degli Stati membri. 
78. 
Avendo 
fornito 
risposta 
negativa 
al 
primo 
quesito, 
il 
Governo 
italiano 
non ritiene di dover rispondere al quarto quesito. 
roma, 30 novembre 2020 

Wally Ferrante 
Avvocato dello Stato 



CoNTENzIoSo 
CoMUNITArIo 
ED 
INTErNAzIoNALE 


in tema di protezione internazionale 
e ricongiungimento familiare 


(CorTE 
DI 
GIUSTIZIa 
DELL’UNIoNE 
EUroPEa, oSSErVaZIoNI 
DEL 
GoVErNo 
ITaLIaNo 
IN 
CaUSa 
C-279/20, PromoSSa 
CoN 
orDINaNZa 
DEL 
26 GIUGNo 
2020 
DaL 
BUNDESVErwaLTUNGSGErICHT 
- GErmaNIa) 


1. 
Con 
l’ordinanza 
in 
epigrafe, 
è 
stato 
chiesto 
alla 
Corte 
di 
Giustizia 
dell’Unione 
europea 
di 
pronunciarsi, 
ai 
sensi 
dell’art. 
267 
TFUE, 
sulle 
seguenti 
questioni pregiudiziali: 
1. Se 
l’articolo 4, paragrafo 1, lettera c), della direttiva 2003/86/CE 
del 
Consiglio, del 
22 settembre 
2003, relativa al 
diritto al 
ricongiungimento familiare, 
debba essere 
interpretato nel 
senso che 
il 
figlio di 
un soggiornante 
avente 
lo 
status 
di 
rifugiato 
è 
un 
minorenne 
ai 
sensi 
di 
tale 
disposizione 
anche 
se, pur 
essendo minorenne 
quando il 
soggiornante 
ha presentato la sua domanda 
di 
asilo, aveva già raggiunto la maggiore 
età prima che 
al 
soggiornante 
fosse 
riconosciuto 
lo 
status 
di 
rifugiato 
e 
prima 
della 
presentazione 
della 
domanda di ricongiungimento familiare. 
2. In caso di risposta affermativa alla prima questione: 
In un caso siffatto quali 
requisiti 
debbano soddisfare 
i 
vincoli 
familiari 
effettivi 
ai 
sensi 
dell’articolo 
16, 
paragrafo 
l), 
lettera 
b), 
della 
direttiva 
2003/86/CE. 

a) 
Se 
sia 
sufficiente 
il 
rapporto 
giuridico 
genitore-figlio 
od 
occorra 
anche 
un’effettiva vita familiare. 
b) 
Qualora 
occorra 
anche 
un’effettiva 
vita 
familiare: 
quale 
sia 
l’intensità 
necessaria a tal 
fine; se 
siano sufficienti, ad esempio, visite 
occasionali 
o regolari, 
o 
se 
occorra 
la 
coabitazione 
in 
un’abitazione 
comune 
o 
sia 
necessaria 
una comunità fondata sull’aiuto reciproco i 
cui 
membri 
hanno bisogno l’uno 
dall’altro. 
c) 
Se 
il 
ricongiungimento 
del 
figlio 
diventato 
nel 
frattempo 
maggiorenne, 
che 
si 
trova ancora nel 
paese 
terzo e 
che 
ha presentato una domanda di 
ricongiungimento 
familiare 
con 
un 
genitore 
riconosciuto 
come 
rifugiato, 
richieda 
la 
previsione 
che 
dopo 
l’ingresso 
la 
vita 
familiare 
sarà 
(ri)iniziata 
nello 
Stato membro secondo le modalità richieste ai sensi della questione sub 2b). 
esposizione dei fatti di causa 


2. 
La 
questione 
pregiudiziale 
sollevata 
dal 
Giudice 
tedesco 
riguarda 
l’interpretazione 
dell’art. 4, paragrafo 1, lettera 
c) della 
direttiva 
2003/86/CE 
relativa 
al diritto al ricongiungimento familiare. 
3. 
La 
fattispecie 
concerne 
la 
richiesta 
di 
ricongiungimento di 
una 
cittadina 
siriana, orfana 
di 
madre 
e 
soggiornante 
in Turchia 
da 
diversi 
anni, con il 
padre al quale è stato riconosciuto lo status 
di rifugiato in Germania. 
4. 
La 
figlia 
richiedente 
era 
minorenne 
al 
momento in cui 
il 
rifugiato ha 

rASSEGNA 
AvvoCATUrA 
DELLo 
STATo -N. 3/2020 


presentato la 
domanda 
di 
asilo ma 
ha 
raggiunto la 
maggiore 
età 
prima 
che 
a 
quest’ultimo 
fosse 
riconosciuto 
lo 
status 
di 
rifugiato 
e 
quindi 
anche 
prima 
della presentazione della domanda di ricongiungimento familiare. 


5. 
Sulla 
base 
della 
normativa 
tedesca, la 
ricorrente 
non ha 
diritto al 
rilascio 
di 
un permesso di 
soggiorno per ricongiungimento familiare 
con il 
padre 
difettando il 
requisito della 
minore 
età 
al 
momento della 
domanda 
di 
ingresso 
per ricongiungimento. 
6. 
La 
normativa 
tedesca, come 
quella 
italiana 
(art. 29, comma 
2 d.lgs. n. 
286/1998), prevede 
che, ai 
fini 
del 
ricongiungimento, si 
considerano minori 
i 
figli 
di 
età 
inferiore 
a 
diciotto 
anni 
al 
momento 
della 
presentazione 
dell’istanza 
di ricongiungimento. 
7. 
La 
legislazione 
tedesca 
prevede 
anche 
la 
possibilità 
di 
chiedere 
il 
ricongiungimento 
con figli 
maggiorenni, ma 
solo in presenza 
di 
"difficoltà 
eccezionali" 
che nel caso concreto non emergevano. 
8. 
Il 
Tribunale 
amministrativo avanti 
al 
quale 
è 
stato presentato ricorso, 
lo ha 
accolto, ordinando il 
rilascio del 
permesso di 
soggiorno in favore 
della 
ricorrente. 
9. 
La 
decisione 
è 
basata 
sulla 
ritenuta 
applicabilità 
al 
caso in questione 
del 
principio 
affermato 
dalla 
Corte 
di 
giustizia 
con 
sentenza 
del 
12 
aprile 
2018, 
causa 
C-550/16 
secondo 
cui, 
nel 
caso 
opposto 
di 
ricongiungimento 
familiare 
dei 
genitori 
con 
un 
minore 
non 
accompagnato al 
quale 
è 
stato riconosciuto 
lo status 
di 
rifugiato, la 
minore 
età, nel 
silenzio della 
direttiva 
sul 
punto, deve 
essere 
posseduta 
al 
momento di 
presentazione 
della 
domanda 
di 
protezione 
internazionale, essendo fuorviante, e 
possibile 
fonte 
di 
abusi, prescrivere 
(come 
nel 
caso specifico faceva 
la 
legge 
olandese) che 
la 
minore 
età 
sussista 
al 
momento dell'avvio della 
procedura 
di 
ricongiungimento, e 
che 
il 
sopraggiungere, nel 
corso del 
procedimento, della 
maggiore 
età, determini 
la 
perdita del diritto al ricongiungimento. 
10. 
Nella 
citata 
causa 
C-550/16, 
la 
domanda 
di 
ricongiungimento 
era 
stata 
presentata 
da 
persona 
entrata 
in 
territorio 
olandese 
come 
minore 
straniero 
non 
accompagnato il 
quale, avendo ottenuto lo status 
di 
rifugiato quando era 
divenuto 
maggiorenne, aveva 
esercitato il 
diritto al 
ricongiungimento con i 
genitori 
e con tre fratelli quando non era più minorenne. 
11. Nel 
giudizio da 
cui 
trae 
origine 
la 
presente 
questione 
pregiudiziale, il 
tribunale 
di 
primo grado, nel 
decidere 
sul 
ricorso presentato dalla 
ricorrente, 
ha 
ritenuto 
che 
il 
principio 
affermato 
dalla 
Corte 
di 
Giustizia 
nella 
citata 
causa 
C-550/16 
abbia, 
in 
sostanza, 
portata 
generale 
e 
debba 
trovare 
applicazione 
anche 
in caso di 
richiesta 
di 
ricongiungimento da 
parte 
del 
figlio, ormai 
maggiorenne, 
con il 
genitore 
riconosciuto rifugiato e 
regolarmente 
soggiornante 
nello Stato membro, purché 
il 
figlio fosse 
minorenne 
al 
momento della 
presentazione 
della domanda di protezione da parte del genitore. 
12. L'amministrazione 
ha 
presentato ricorso contro tale 
decisione, conte

CoNTENzIoSo 
CoMUNITArIo 
ED 
INTErNAzIoNALE 


stando 
la 
pertinenza 
al 
caso 
concreto 
del 
principio affermato 
dalla 
Corte 
di 
giustizia 
con 
la 
citata 
sentenza 
del 
12 
aprile 
2018, 
causa 
C-550/16 
e 
sostenendo 
la conformità alla direttiva della legislazione tedesca. 


13. 
La 
Corte 
amministrativa 
federale 
ritiene 
di 
non 
poter 
statuire 
sulle 
domande 
prima 
che 
la 
Corte 
di 
Giustizia 
abbia 
risposto 
ai 
quesiti 
contenuti 
nell'ordinanza di rinvio pregiudiziale. 
normativa dell’unione. 


14. La 
direttiva 
2003/86 fissa 
le 
condizioni 
dell’esercizio del 
diritto al 
ricongiungimento 
familiare 
di 
cui 
dispongono i 
cittadini 
di 
paesi 
terzi 
che 
risiedono 
legalmente nel territorio degli Stati membri. 
15. I considerando 2, 4, 6, 8, 9 e 
10 della 
direttiva 
2003/86 sono così 
formulati: 
16. 
“(2) 
Le 
misure 
in 
materia 
di 
ricongiungimento 
familiare 
dovrebbero 
essere 
adottate 
in 
conformità 
con 
l’obbligo 
di 
protezione 
della 
famiglia 
e 
di 
rispetto 
della 
vita 
familiare 
che 
è 
consacrato 
in 
numerosi 
strumenti 
di 
diritto 
internazionale. 
La 
presente 
direttiva 
rispetta 
i 
diritti 
fondamentali 
ed 
i 
principi 
riconosciuti 
in 
particolare 
nell’articolo 
8 
della 
convenzione 
europea 
per 
la 
salvaguardia 
dei 
diritti 
dell’uomo 
e 
delle 
libertà 
fondamentali, 
firmata 
a 
roma 
il 
4 
novembre 
1950 
e 
dalla 
Carta 
dei 
diritti 
fondamentali 
del-
l’Unione 
europea”. 
17. 
“(4) 
Il 
ricongiungimento 
familiare 
è 
uno 
strumento 
necessario 
per 
permettere 
la 
vita 
familiare. 
Esso 
contribuisce 
a 
creare 
una 
stabilità 
socioculturale 
che 
facilita 
l’integrazione 
dei 
cittadini 
di 
paesi 
terzi 
negli 
Stati 
membri, 
permettendo 
d’altra 
parte 
di 
promuovere 
la 
coesione 
economica 
e 
sociale, 
obiettivo fondamentale della Comunità, enunciato nel trattato”. 
18. “(6) al 
fine 
di 
assicurare 
la protezione 
della famiglia ed il 
mantenimento 
o 
la 
creazione 
della 
vita 
familiare 
è 
opportuno 
fissare, 
sulla 
base 
di 
criteri 
comuni, le 
condizioni 
materiali 
per 
l’esercizio del 
diritto al 
ricongiungimento 
familiare”. 
19. “(8) La situazione 
dei 
rifugiati 
richiede 
un’attenzione 
particolare, in 
considerazione 
delle 
ragioni 
che 
hanno 
costretto 
queste 
persone 
a 
fuggire 
dal 
loro paese 
e 
che 
impediscono loro di 
vivere 
là una normale 
vita familiare. In 
considerazione 
di 
ciò, occorre 
prevedere 
condizioni 
più favorevoli 
per 
l’esercizio 
del loro diritto al ricongiungimento familiare”. 
20. “(9) Il 
ricongiungimento familiare 
dovrebbe 
riguardare 
in ogni 
caso 
i 
membri 
della famiglia nucleare, cioè 
il 
coniuge 
e 
i 
figli 
minorenni” 
(enfasi 
aggiunta). 
21. (10) “Dipende 
dagli 
Stati 
membri 
decidere 
se 
autorizzare 
la riunificazione 
familiare 
per 
parenti 
in 
linea 
diretta 
ascendente, 
figli 
maggiorenni 
non coniugati, (…)” 
(enfasi aggiunta) 
22. Ai 
fini 
della 
risposta 
al 
primo quesito, si 
osserva 
che 
l’articolo 2 della 
direttiva 
2003/86 
così 
dispone: 
“ai 
fini 
della 
presente 
direttiva, 
si 
intende 
per: 

rASSEGNA 
AvvoCATUrA 
DELLo 
STATo -N. 3/2020 


(…) 
f) 
“minore 
non 
accompagnato”: 
il 
cittadino 
di 
paesi 
terzi 
o 
l’apolide 
d’età inferiore 
ai 
diciotto anni 
che 
giunga nel 
territorio dello Stato membro 
senza essere 
accompagnato da un adulto che 
ne 
sia responsabile 
in base 
alla 
legge 
o 
agli 
usi, 
fino 
a 
quando 
non 
sia 
effettivamente 
affidato 
ad 
un 
tale 
adulto, 


o 
il 
minore 
che 
viene 
abbandonato 
dopo 
essere 
entrato 
nel 
territorio 
degli 
Stati membri”. 
23. L’articolo 4, paragrafo 1, lett. c) della 
direttiva 
2003/86 prevede 
che: 
“1. 
In 
virtù 
della 
presente 
direttiva 
e 
subordinatamente 
alle 
condizioni 
stabilite 
al 
capo IV 
e 
all'articolo 16, gli 
Stati 
membri 
autorizzano l'ingresso e 
il 
soggiorno 
dei 
seguenti 
familiari: 
(…) 
c) 
i 
figli 
minorenni, 
compresi 
quelli 
adottati, 
del 
soggiornante, quando quest'ultimo sia titolare 
dell'affidamento e 
responsabile 
del 
loro mantenimento. Gli 
Stati 
membri 
possono autorizzare 
il 
ricongiungimento 
dei 
figli 
affidati 
ad entrambi 
i 
genitori, a condizione 
che 
l'altro 
titolare dell'affidamento abbia dato il suo consenso”. 

24. 
La 
direttiva, 
quindi, 
con 
specifico 
riferimento 
al 
ricongiungimento 
dei 
rifugiati, prevede 
che, in ragione 
della 
particolarità 
di 
questa 
categoria 
di 
soggetti 
regolarmente 
soggiornanti, 
gli 
Stati 
membri 
dovrebbero 
favorire 
il 
ricongiungimento 
delle 
famiglie 
in 
generale 
e, 
soprattutto, 
se 
esse 
comprendono 
minori 
e 
minori 
non accompagnati 
e 
dovrebbero evitare 
di 
imporre, a 
tal 
fine, 
gli 
stessi 
requisiti 
reddituali 
e 
le 
complessive 
condizioni 
di 
integrazione 
richiesti 
per qualsiasi 
altro straniero che 
non è 
giunto nel 
territorio dello Stato 
membro spinto dalla necessità di fuggire dal proprio Paese di origine. 
25. 
Con 
riferimento 
al 
requisito 
della 
minore 
età, 
tuttavia, 
nessuna 
distinzione 
viene operata per il ricongiungimento con rifugiati. 
26. Particolarmente 
rilevante 
è, per rispondere 
al 
secondo quesito, stabilire 
cosa si debba intendere per “vincolo familiare effettivo”. 
27. 
A 
norma 
dell’art. 
16, 
paragrafo 
1, 
lettera 
b): 
“1. 
Gli 
Stati 
membri 
possono 
respingere 
la domanda d'ingresso e 
di 
soggiorno ai 
fini 
del 
ricongiungimento 
familiare 
o, se 
del 
caso, ritirare 
o rifiutare 
il 
rinnovo del 
permesso di 
soggiorno di 
un familiare 
in uno dei 
casi 
seguenti: (…) b) qualora il 
soggiornante 
ed il 
suo familiare 
o i 
suoi 
familiari 
non abbiano o non abbiano più un 
vincolo coniugale o familiare effettivo”. 
risposta al primo quesito 


28. 
Con 
il 
primo 
quesito, 
il 
giudice 
del 
rinvio 
chiede 
in 
sostanza 
alla 
Corte 
di 
giustizia 
di 
chiarire 
se 
l'articolo 
4, 
paragrafo 
1 
lettera 
c) 
della 
direttiva 
2003/86/CE 
debba 
essere 
interpretato 
nel 
senso 
che, 
ai 
fini 
del 
ricongiungimento 
familiare, 
il 
requisito 
della 
minore 
età 
del 
figlio 
di 
un 
soggiornante 
che 
ha 
lo 
status 
di 
rifugiato, 
diventato 
maggiorenne 
prima 
del 
riconoscimento 
di 
detto 
status 
al 
genitore, 
debba 
essere 
valutato 
alla 
data 
di 
presentazione 
della 
domanda 
di 
asilo 
da 
parte 
del 
genitore. 
29. Il 
giudice 
si 
interroga, in particolare, sulla 
trasponibilità 
dei 
principi 
affermati 
dalla 
Corte 
di 
giustizia 
con la 
sentenza 
del 
12 aprile 
20118, causa 

CoNTENzIoSo 
CoMUNITArIo 
ED 
INTErNAzIoNALE 


C-550/16 (ritenuta 
dal 
giudice 
di 
primo grado come 
indicativa 
di 
un criterio 
interpretativo di 
portata 
generale) in considerazione 
della 
diversità 
della 
fattispecie 
su cui 
il 
giudice 
rimettente 
deve 
giudicare 
rispetto a 
quella 
che 
ha 
dato 
origine alla citata decisione della Corte di giustizia. 


30. 
Nell'ambito 
della 
prima 
questione, 
si 
chiede 
di 
chiarire 
anche 
se 
il 
momento rilevante 
per la 
valutazione 
del 
requisito della 
minore 
età 
nel 
procedimento 
di 
ricongiungimento familiare 
con il 
rifugiato, debba 
essere 
determinato 
secondo criteri 
uniformi 
secondo il 
diritto dell'Unione 
o se 
possa 
essere 
determinato dal 
legislatore 
nazionale, considerati 
i 
margini 
di 
discrezionalità 
attribuiti agli Stati membri dalla direttiva sul ricongiungimento. 
31. Il 
Governo italiano ritiene 
di 
dare 
risposta 
negativa 
al 
primo quesito. 
32. 
Si 
reputa 
infatti 
che 
l’art. 
4, 
paragrafo 
1, 
lettera 
c) 
della 
direttiva 
2003/86/CE 
debba 
essere 
interpretato 
nel 
senso 
che 
il 
figlio 
di 
un 
soggiornante 
avente 
lo 
status 
di 
rifugiato 
deve 
considerarsi 
un 
minorenne 
ai 
sensi 
di 
tale 
disposizione 
solo se 
il 
requisito della 
minore 
età 
è 
posseduto non solo quando il 
genitore 
soggiornante 
ha 
presentato la 
domanda 
di 
asilo o gli 
è 
stato riconosciuto 
lo status 
di 
rifugiato ma anche 
al 
momento della presentazione 
della 
domanda di ricongiungimento familiare. 
33. Nel 
silenzio della 
direttiva, si 
ritiene 
infatti 
che, legittimamente 
il 
legislatore 
tedesco, 
analogamente 
a 
quello 
italiano, 
abbia 
ritenuto 
di 
poter 
fissare 
in autonomia, in ragione 
della 
assenza 
di 
una 
specifica 
indicazione 
sul 
punto 
da 
parte 
del 
legislatore 
europeo, 
il 
momento 
nel 
quale 
il 
requisito 
della 
minore 
età 
deve 
essere 
posseduto e 
ha 
scelto di 
non attribuire 
rilevanza 
alla 
data 
di 
presentazione 
della 
domanda 
di 
protezione 
internazionale 
da 
parte 
del 
soggetto 
(genitore) che, dopo avere 
ottenuto lo status 
di 
rifugiato, esercita 
il 
diritto al 
ricongiungimento familiare 
bensì 
solo al 
momento di 
presentazione 
della 
domanda 
di ricongiungimento. 
34. Inoltre, il 
particolare 
favore 
espresso dal 
legislatore 
dell'Unione 
nel-
l'adozione 
di 
norme 
che 
agevolano la 
ricostituzione 
del 
nucleo familiare 
del 
rifugiato quando comprende 
un minore, sembra essere 
connesso alla piena 
realizzazione 
del 
superiore 
interesse 
del 
fanciullo, 
esigenza 
che 
potrebbe 
non essere 
ritenuta 
più preminente 
quando tale 
interesse 
non è 
ravvisabile 
e 
in particolare 
quando il 
procedimento di 
ricongiungimento viene 
avviato da 
(o 
nei 
confronti 
di) 
un 
figlio 
maggiorenne 
di 
un 
rifugiato 
che 
già 
da 
tempo 
vive 
autonomamente 
in 
un 
paese 
terzo, 
(la 
Turchia) 
diverso 
da 
quello 
di 
origine 
da cui è fuggito (la Siria). 
35. 
Al 
riguardo, 
non 
sembra 
possibile 
estendere 
al 
caso 
di 
specie 
i 
principi 
affermati 
dalla 
Corte 
di 
Giustizia 
nella 
citata 
sentenza 
del 
12 
aprile 
2018, 
causa 
C-550/16 che 
si 
è 
occupata 
del 
caso opposto del 
minore 
non accompagnato 
che 
ottiene 
il 
riconoscimento 
dello 
status 
di 
rifugiato 
e 
della 
richiesta 
di 
ricongiungimento 
dei 
suoi 
genitori 
in un momento in cui 
il 
minore 
ha 
nel 
frattempo 
raggiunto la maggiore età. 

rASSEGNA 
AvvoCATUrA 
DELLo 
STATo -N. 3/2020 


36. La 
fattispecie 
esaminata 
dalla 
Corte 
di 
giustizia 
in detto precedente 
è 
diversa, sotto molteplici 
profili, rispetto a 
quella 
oggetto del 
procedimento 
principale nel presente rinvio pregiudiziale. 
37. Deve 
infatti 
ritenersi 
che, in quel 
caso, la 
protezione 
speciale 
dei 
minori 
non accompagnati sia stata determinante per la decisione della Corte. 
38. Come 
si 
evince 
infatti 
dal 
punto 44 della 
citata 
sentenza 
del 
12 aprile 
2018, causa 
C-550/16, “non solo la direttiva 2003/86 persegue, in generale, 
l’obiettivo di 
favorire 
il 
ricongiungimento familiare 
e 
di 
concedere 
una protezione 
ai 
cittadini 
di 
paesi 
terzi, in particolare 
ai 
minori 
…, ma l’articolo 10, 
paragrafo 3, lettera a) della medesima mira nello specifico 
a garantire 
una 
protezione 
rafforzata 
a 
favore 
dei 
rifugiati 
che 
hanno 
lo 
status 
di 
minori 
non accompagnati”. 
39. 
Il 
citato 
articolo, 
10, 
paragrafo 
3, 
lettera 
a) 
della 
direttiva 
2003/86/CE 
infatti 
non prevede 
alcun margine 
di 
discrezionalità 
per gli 
Stati 
membri 
che 
sono 
tenuti 
ad 
autorizzare 
l’ingresso 
e 
il 
soggiorno 
ai 
fini 
del 
ricongiungimento 
familiare 
degli 
ascendenti 
diretti 
di 
primo grado dei 
minori 
rifugiati 
non 
accompagnati, 
senza 
applicare 
le 
condizioni 
previste 
dall’art. 
4, 
paragrafo 
2, 
lettera 
a) della 
medesima 
direttiva 
(ovvero che 
gli 
ascendenti 
diretti 
di 
primo 
grado siano a 
carico del 
soggiornante 
e 
non dispongano di 
un adeguato sostegno 
familiare nel paese d’origine). 
40. Contro l’estensione 
della 
citata 
sentenza 
del 
12 aprile 
2018, causa 
C550/
16, 
come 
correttamente 
osservato 
dal 
giudice 
del 
rinvio, 
si 
oppone 
il 
fatto 
che 
l’articolo 4, paragrafo 1, lettere 
b) e 
c), della 
direttiva 
2003/86/CE 
disciplina 
in generale 
il 
ricongiungimento familiare 
dei 
figli 
con cittadini 
di 
paesi 
terzi 
titolari 
di 
un permesso di 
soggiorno. Il 
soggiornante 
non è 
quindi 
necessariamente 
un 
rifugiato. 
Tuttavia, 
il 
solo 
momento 
ipotizzabile 
uniformemente, 
per 
tutti 
i 
casi 
di 
specie, ai 
fini 
della valutazione 
della minore 
età 
pare 
essere 
quello della domanda di 
ricongiungimento familiare. Che 
la 
direttiva 
consideri 
tale 
momento come 
quello rilevante, per quanto riguarda 
i 
limiti 
di 
età, 
sembra 
essere 
confermato 
anche 
dal 
regime 
speciale 
di 
cui 
all’articolo 
4, 
paragrafo 
6, 
della 
direttiva 
2003/86/CE. 
Dalla 
direttiva 
non 
si 
può 
desumere 
esplicitamente 
che, 
(solo) 
ai 
fini 
del 
ricongiungimento 
familiare 
con 
rifugiati, occorra 
fare 
riferimento ad un momento diverso, significativamente 
anteriore (punto 20 dell’ordinanza di rimessione). 
41. 
Tale 
tesi 
è 
peraltro 
anche 
sostenuta 
dall’avvocato 
generale 
hogan 
nelle 
sue 
conclusioni 
del 
19 
marzo 
2020 
nelle 
cause 
riunite 
C-133/19, 
C136/
19 e C-137/19 (paragrafo 41). 
42. 
Successivamente 
all’ordinanza 
di 
rimessione, 
è 
stata 
depositata 
la 
sentenza 
della 
Corte 
di 
Giustizia 
del 
16 luglio 2020, cause 
riunite 
C-133/19, C136/
19 
e 
C-137/19 
che, 
in 
fattispecie 
del 
tutto 
analoghe, 
ha 
innanzi 
tutto 
premesso 
che 
quando 
l’articolo 
4, 
paragrafo 
1, 
secondo 
comma, 
della 
direttiva 
2003/86 indica 
che 
i 
figli 
minorenni 
devono avere 
un’età 
inferiore 
a 
quella 
in 

CoNTENzIoSo 
CoMUNITArIo 
ED 
INTErNAzIoNALE 


cui 
si 
diventa 
legalmente 
maggiorenni 
nello Stato membro interessato, esso 
non precisa 
il 
momento a 
cui 
occorre 
fare 
riferimento per valutare 
se 
tale 
condizione 
sia 
soddisfatta, né 
opera, a 
quest’ultimo riguardo, un rinvio al 
diritto 
degli Stati membri (punto 28). 


43. La 
Corte 
di 
Giustizia 
precisa, inoltre, nella 
citata 
sentenza, che 
se 
è 
vero che, conformemente 
a 
detta 
disposizione, è 
lasciato alla 
discrezionalità 
degli 
Stati 
membri 
il 
compito di 
determinare 
la 
maggiore 
età, non può essere 
loro concesso invece 
alcun margine 
di 
discrezionalità 
quanto alla 
fissazione 
del 
momento in cui 
occorre 
fare 
riferimento per valutare 
l’età 
del 
richiedente 
ai 
fini 
dell’articolo 
4, 
paragrafo 
1, 
primo 
comma, 
lettera 
c) 
della 
direttiva 
2003/86 (punto 29). 
44. Fatte 
tali 
premesse, la 
Corte 
ha 
concluso che 
l’articolo 4, paragrafo 
1, primo comma 
lettera 
c) della 
direttiva 
2003/86 deve 
essere 
interpretato nel 
senso 
che 
la 
data 
a 
cui 
occorre 
fare 
riferimento 
per 
determinare 
se 
un 
cittadino 
di 
un paese 
terzo o un apolide 
non coniugato sia 
un figlio minorenne, ai 
sensi 
di 
tale 
disposizione, è 
quella in 
cui 
è 
presentata la domanda di 
ingresso e 
di 
soggiorno ai 
fini 
del 
ricongiungimento familiare 
per 
i 
figli 
minorenni, 
e 
non quella 
in cui 
le 
autorità 
competenti 
di 
tale 
Stato membro statuiscono su 
tale 
domanda, eventualmente 
dopo un ricorso avverso la 
decisione 
di 
rigetto 
di siffatta domanda (punto 47). 
45. I principi 
ivi 
affermati 
ben possono valere 
anche 
per la 
fattispecie 
in 
esame. 
46. 
Anche 
in 
tal 
caso, 
infatti, 
trattasi 
di 
cittadino 
di 
un 
paese 
terzo 
che 
beneficia 
dello status 
di 
rifugiato, che 
ha 
presentato la 
domanda 
di 
permesso di 
soggiorno 
per 
ricongiungimento 
familiare 
in 
nome 
e 
per 
conto 
dei 
suoi 
tre 
figli 
minorenni, 
divenuti 
maggiorenni 
nelle 
more 
del 
giudizio 
avverso 
il 
diniego 
del ricongiungimento. 
47. In nessun punto della 
sentenza 
è 
stato ipotizzato di 
anticipare 
il 
momento 
rilevante 
per stabilire 
il 
possesso della 
minore 
età 
a 
quello di 
presentazione 
della domanda di asilo da parte del padre. 
48. 
E 
ciò 
per 
il 
semplice 
motivo 
che 
il 
presupposto 
per 
presentare 
una 
domanda 
di 
ricongiungimento familiare 
è 
quello di 
essere 
titolare 
di 
un regolare 
permesso di 
soggiorno (che 
sia 
di 
rifugiato o di 
soggiornante 
ad altro titolo) 
che consenta di far valere il diritto all’unità familiare. 
49. 
È 
evidente 
quindi 
che, 
nel 
caso 
del 
giudizio 
a 
quo, 
la 
ricorrente, 
figlia 
del 
cittadino di 
paese 
terzo al 
quale 
è 
stato riconosciuto lo status 
di 
rifugiato, 
essendo già 
divenuta 
maggiorenne 
prima 
della 
presentazione 
della 
domanda 
di 
ricongiungimento familiare 
e 
addirittura 
prima 
che 
al 
padre 
fosse 
riconosciuto 
lo status 
di 
rifugiato non può giovarsi 
del 
requisito della 
minore 
età 
ai 
fini 
del 
ricongiungimento familiare 
proprio in ossequio al 
principio affermato 
dalla 
citata 
sentenza 
della 
Corte 
di 
Giustizia 
del 
16 luglio 2020, cause 
riunite 
C-133/19, C-136/19 e C-137/19. 

rASSEGNA 
AvvoCATUrA 
DELLo 
STATo -N. 3/2020 


risposta al secondo quesito 


50. Con il 
secondo quesito, il 
giudice 
tedesco chiede 
alla 
Corte 
di 
giustizia, 
nel 
caso 
di 
risposta 
positiva 
alla 
prima 
questione, 
di 
chiarire 
quali 
requisiti 
devono essere 
soddisfatti 
per ritenere 
che 
sussiste 
un vincolo familiare 
"effettivo" 
ai 
sensi 
dell'articolo 
16, 
paragrafo 
1, 
lettera 
b) 
della 
direttiva 
2003/86/CE, 
e in base a quali criteri l'effettività del vincolo debba essere verificato. 
51. Il 
giudice 
rimettente 
osserva 
che 
il 
diritto al 
ricongiungimento familiare 
è 
finalizzato a 
ricostituire 
un'effettiva 
vita 
familiare, per cui 
un legame 
puramente 
formale 
di 
parentela 
non 
dovrebbe 
essere 
sufficiente 
a 
garantire 
tale diritto. 
52. 
Al 
contempo, 
risulta 
difficoltoso 
stabilire 
quando 
un 
vincolo 
familiare 
possa 
dirsi 
"effettivo", considerata 
l'ampiezza 
del 
modo con cui 
tali 
rapporti 
si 
possono declinare, e 
pertanto il 
giudice 
tedesco chiede 
in che 
misura 
possa 
essere 
verificata 
la 
volontà 
di 
stabilire 
un'effettiva 
vita 
familiare 
tutte 
le 
volte 
che 
venga 
chiesto il 
ricongiungimento con parenti 
che 
si 
trovano in Stati 
diversi 
e 
se 
sia 
rilevante, in questa 
ottica, il 
fatto che 
il 
figlio che 
chiede 
il 
ricongiungimento 
abbia già raggiunto la maggiore età. 
53. Il 
giudice 
ritiene 
possibile 
operare 
una 
presunzione 
in tal 
senso tutte 
le 
volte 
che 
la 
domanda 
ha 
ad oggetto il 
ricongiungimento con un figlio minore, 
mentre 
solleva 
dubbi 
sull'applicabilità 
di 
una 
simile 
presunzione 
quando 
il figlio non è più minorenne. 
54. 
La 
questione 
dell'effettività 
dei 
vincoli 
sussistenti 
tra 
chi 
chiede 
il 
ricongiungimento 
e 
le 
categorie 
di 
congiunti 
per 
le 
quali 
è 
possibile 
inoltrare 
questa 
richiesta 
sorge, 
per 
quanto 
emerge 
dallo 
stesso 
art. 
16 
della 
direttiva 
2003/86/CE, 
in 
relazione 
ai 
provvedimenti 
di 
revoca 
o 
rifiuto 
di 
rinnovo 
di 
un 
permesso 
di 
soggiorno 
rilasciato 
per 
motivi 
di 
ricongiungimento 
o 
coesione 
familiare, 
oppure 
in 
tutti 
i 
casi 
in 
cui 
venga 
revocato 
il 
titolo 
di 
soggiorno 
a 
un 
cittadino 
di 
un 
paese 
terzo 
che 
abbia, 
in 
uno 
Stato 
membro, 
legami 
familiari. 
55. 
Al 
riguardo, 
la 
fissazione 
di 
criteri 
per 
valutare 
l’effettività 
del 
vincolo 
familiare, ai 
fini 
di 
ottenere 
il 
ricongiungimento familiare, dovrebbe, in linea 
generale, prescindere 
dal 
dato meramente 
formale 
della 
sola 
parentela 
o del 
solo coniugio. In proposito, si 
ritiene 
che, se 
nel 
caso di 
minorenne, deve 
presumersi 
sufficiente 
il 
rapporto 
giuridico 
genitore-figlio, 
mentre 
in 
caso 
di 
figlio 
maggiorenne, 
occorre 
accertare 
un’effettiva 
vita 
familiare, 
intendendosi 
per 
tale, 
se 
non 
necessariamente 
un 
vincolo 
fondato 
sulla 
coabitazione, 
quanto 
meno un legame 
che 
presupponga 
una 
regolare 
frequentazione 
e 
una 
condivisione 
di affetti basati sul reciproco supporto morale e/o materiale. 
56. L’effettività 
del 
vincolo presuppone 
inoltre 
che, dopo il 
ricongiungimento, 
la vita familiare sarà riiniziata nello Stato membro con tali modalità. 
Conclusioni 


57. Il 
Governo italiano propone 
quindi 
alla 
Corte 
di 
rispondere 
negativa

CoNTENzIoSo 
CoMUNITArIo 
ED 
INTErNAzIoNALE 


mente 
al 
primo quesito, affermando che 
l’art. 4, paragrafo 1, lettera 
c) della 
direttiva 
2003/86/CE 
debba 
essere 
interpretato 
nel 
senso 
che 
il 
figlio 
di 
un 
soggiornante 
avente 
lo status 
di 
rifugiato deve 
considerarsi 
un minorenne 
ai 
sensi 
di 
tale 
disposizione 
solo se 
il 
requisito della 
minore 
età 
è 
posseduto non 
solo quando il 
genitore 
soggiornante 
ha 
presentato la 
domanda 
di 
asilo o gli 
è 
stato riconosciuto lo status 
di 
rifugiato ma 
anche 
al 
momento della 
presentazione 
della domanda di ricongiungimento familiare. 


58. Nel 
caso in cui 
la 
Corte 
di 
giustizia 
dovesse 
dare 
risposta 
positiva 
al 
primo 
quesito, 
il 
Governo 
italiano 
propone 
alla 
Corte 
di 
rispondere 
al 
secondo 
quesito 
nel 
senso 
che, 
in 
relazione 
ai 
requisiti 
che 
debbono 
soddisfare 
i 
vincoli 
familiari 
effettivi 
ai 
sensi 
dell’art. 
16, 
paragrafo 
1, 
lettera 
b) 
della 
direttiva 
2003/86/CE, 
in 
caso 
di 
minorenne, 
deve 
presumersi 
sufficiente 
il 
rapporto 
giuridico 
genitore-figlio mentre in caso di figlio maggiorenne, occorre accertare 
un’effettiva 
vita 
familiare, intendendosi 
per tale, se 
non necessariamente 
un 
vincolo fondato sulla 
coabitazione, quanto meno un legame 
che 
presupponga 
una 
regolare 
frequentazione 
e 
una 
condivisione 
di 
affetti 
basati 
sul 
reciproco 
supporto 
morale 
e/o 
materiale. 
L’effettività 
del 
vincolo 
presuppone 
inoltre 
che, 
dopo il 
ricongiungimento, la 
vita 
familiare 
sarà 
riiniziata 
nello Stato membro 
con tali modalità. 
roma, 28 novembre 2020 

Wally Ferrante 
Avvocato dello Stato 



rASSEGNA 
AvvoCATUrA 
DELLo 
STATo -N. 3/2020 


inammissibilità della domanda di protezione internazionale 
già accolta da altro stato membro e diritto all’unità familiare 


(CorTE 
DI 
GIUSTIZIa 
DELL’UNIoNE 
EUroPEa, oSSErVaZIoNI 
DEL 
GoVErNo 
ITaLIaNo 
IN 
CaUSa 
C-483/20, PromoSSa 
CoN 
orDINaNZa 
DEL 
29 SETTEmBrE 
2020, 
DaL 
CoNSEIL 
D’ÉTaT 
- BELGIo 
) 


1. 
Con 
l’ordinanza 
in 
epigrafe, 
è 
stato 
chiesto 
alla 
Corte 
di 
Giustizia 
dell’Unione 
europea 
di 
pronunciarsi, 
ai 
sensi 
dell’art. 
267 
TFUE, 
sulla 
seguente 
questione pregiudiziale: 
Se 
il 
diritto 
dell’Unione 
europea, 
essenzialmente 
gli 
articoli 
18 
e 
24 
della 
Carta dei 
diritti 
fondamentali 
dell’Unione 
europea, gli 
articoli 
2, 20, 23 e 
31 
della 
direttiva 
2011/95/UE 
del 
Parlamento 
europeo 
e 
del 
Consiglio, 
del 
13 
dicembre 
2011, recante 
norme 
sull’attribuzione, a cittadini 
di 
paesi 
terzi 
o apolidi, 
della qualifica di 
beneficiario di 
protezione 
internazionale, su uno status 
uniforme 
per 
i 
rifugiati 
o per 
le 
persone 
aventi 
titolo a beneficiare 
della protezione 
sussidiaria, 
nonché 
sul 
contenuto 
della 
protezione 
riconosciuta, 
e 
l’articolo 
25, paragrafo 6, della direttiva 2013/32/UE 
del 
Parlamento europeo e 
del 
Consiglio del 
26 giugno 2013, recante 
procedure 
comuni 
ai 
fini 
del 
riconoscimento 
e 
della 
revoca 
dello 
status 
di 
protezione 
internazionale, 
osti 
a 
che, 
nell’attuazione 
della 
facoltà 
conferita 
dall’articolo 
33, 
paragrafo 
2, 
lettera 
a), della direttiva 2013/32/UE, uno Stato membro respinga una domanda di 
protezione 
internazionale 
per 
inammissibilità a causa di 
una protezione 
già 
accordata da un altro Stato membro, qualora il 
richiedente 
sia il 
padre 
di 
un 
minore 
non 
accompagnato 
che 
ha 
ottenuto 
protezione 
nel 
primo 
Stato 
membro, 
sia l’unico genitore 
della famiglia nucleare 
presente 
al 
suo fianco, viva con 
lui 
e 
detto Stato membro gli 
abbia riconosciuto la potestà genitoriale 
sul 
minore. 
Se 
i 
principi 
di 
unità del 
nucleo e 
di 
rispetto dell’interesse 
superiore 
del 
minore 
non impongano, al 
contrario, che 
lo Stato in cui 
il 
figlio ha ottenuto 
protezione riconosca una protezione a tale genitore. 


esposizione dei fatti di causa 


2. 
La 
questione 
pregiudiziale 
sollevata 
dal 
Giudice 
belga 
trae 
origine 
dal 
ricorso di 
un cittadino siriano che 
ha 
ottenuto il 
riconoscimento dello status 
di 
rifugiato 
in 
Austria 
e 
che 
chiede 
la 
protezione 
internazionale 
anche 
in 
Belgio 
dove 
le 
sue 
due 
figlie, 
di 
cui 
una 
minorenne, 
hanno 
ottenuto 
il 
riconoscimento 
della 
protezione 
sussidiaria, alla 
luce 
del 
principio dell’unità 
del 
nucleo familiare 
e del rispetto dell’interesse superiore del minore. 
3. 
La 
competente 
autorità 
belga 
ha 
dichiarato 
inammissibile 
la 
domanda, 
in 
base 
all'articolo 
57/6, 
paragrafo 
3 
e 
punto 
3, 
della 
legge 
nazionale 
in 
materia 
di 
"accesso 
al 
territorio, 
stabilimento, 
soggiorno 
e 
allontanamento 
degli 
stranieri". 
4. 
La 
legislazione 
belga, infatti, analogamente 
a 
quella 
italiana 
(art. 29, 
comma 
1, lettera 
a) del 
d.lgs. n. 25/2008), ha 
recepito l’art. 33, par. 2, lett. a) 

CoNTENzIoSo 
CoMUNITArIo 
ED 
INTErNAzIoNALE 


della 
direttiva 
2013/32/UE/ 
prevedendo 
che 
la 
Commissione 
territoriale 
dichiari 
inammissibile 
la 
domanda 
e 
non 
proceda 
all’esame 
qualora 
il 
richiedente 
sia 
stato riconosciuto rifugiato da 
uno Stato firmatario della 
Convenzione 
di 
Ginevra e possa ancora avvalersi di tale protezione. 

5. 
Il 
Consiglio per il 
contenzioso degli 
stranieri 
ha 
successivamente 
rigettato 
il 
ricorso 
contro 
la 
declaratoria 
di 
inammissibilità 
e 
tale 
decisione 
è 
stata 
impugnata 
davanti 
al 
Consiglio di 
Stato che 
ha 
ritenuto di 
non poter decidere 
la 
controversia 
senza 
prima 
investire 
la 
Corte 
di 
giustizia 
del 
quesito 
posto con l’ordinanza di rinvio pregiudiziale. 
normativa dell’unione 


6. 
L’art. 
18 
della 
Carta 
di 
Nizza 
sancisce 
che 
il 
diritto 
di 
asilo 
è 
garantito 
nel 
rispetto delle 
norme 
stabilite 
dalla 
Convenzione 
di 
Ginevra 
del 
28 luglio 
1951 e 
dal 
protocollo del 
31 gennaio 1967, relativi 
allo status 
dei 
rifugiati, e 
a norma del 
T.U.E. e del 
T.F.U.E. 
7. 
L’art. 24 della 
Carta 
di 
Nizza 
sui 
“diritti 
del 
minore” 
prevede 
che: 
“1. 
I minori 
hanno diritto alla protezione 
e 
alle 
cure 
necessarie 
per 
il 
loro benessere. 
[ …] 2. In tutti 
gli 
atti 
relativi 
ai 
minori, siano essi 
compiuti 
da autorità 
pubbliche 
o 
da 
istituzioni 
private, 
l’interesse 
superiore 
del 
minore 
deve 
essere 
considerato preminente. 3. Il 
minore 
ha diritto di 
intrattenere 
regolarmente 
relazioni 
personali 
e 
contatti 
diretti 
con i 
due 
genitori, salvo qualora ciò sia 
contrario al suo interesse”. 
8. 
L’art. 20 della 
direttiva 
2011/95/UE 
(c.d. direttiva 
qualifiche), nel 
dettare 
disposizioni 
generali 
sul 
contenuto della 
protezione 
internazionale, prevede, 
al 
comma 
5, 
che 
“5. 
L'interesse 
superiore 
del 
minore 
è 
la 
principale 
considerazione 
degli 
Stati 
membri 
quando 
attuano 
le 
disposizioni 
del 
presente 
capo che coinvolgono i minori”. 
9. 
L’art. 
23 
della 
predetta 
direttiva, 
recante 
“mantenimento 
dell'unità 
del 
nucleo familiare” 
dispone: 
“1. Gli 
Stati 
membri 
provvedono a che 
possa essere 
preservata l'unità del 
nucleo familiare. 2. Gli 
Stati 
membri 
provvedono a 
che 
i 
familiari 
del 
beneficiario di 
protezione 
internazionale, che 
individualmente 
non 
hanno diritto a tale 
protezione, siano ammessi 
ai 
benefici 
di 
cui 
agli 
articoli 
da 
24 
a 
35, 
in 
conformità 
delle 
procedure 
nazionali 
e 
nella 
misura 
in cui 
ciò sia compatibile 
con lo status 
giuridico personale 
del 
familiare. 3. I 
paragrafi 
1 e 
2 non si 
applicano quando il 
familiare 
è 
o sarebbe 
escluso dalla 
protezione 
internazionale 
in base 
ai 
capi 
III e 
V. 4. Nonostante 
i 
paragrafi 
1 
e 
2, gli 
Stati 
membri 
possono rifiutare, ridurre 
o revocare 
i 
benefici 
ivi 
menzionati, 
per 
motivi 
di 
sicurezza 
nazionale 
o 
di 
ordine 
pubblico. 
5. 
Gli 
Stati 
membri 
possono decidere 
che 
il 
presente 
articolo si 
applica anche 
agli 
altri 
congiunti 
che 
vivevano 
nel 
nucleo 
familiare 
al 
momento 
della 
partenza 
dal 
paese 
d'origine 
e 
che 
in 
quel 
momento 
erano 
completamente 
o 
principalmente 
a carico del beneficiario di protezione internazionale” 
(enfasi aggiunta). 
10. 
L’art. 
31 
della 
predetta 
direttiva, 
recante 
“minori 
non 
accompagnati”, 

rASSEGNA 
AvvoCATUrA 
DELLo 
STATo -N. 3/2020 


al 
comma 
5, stabilisce 
che: 
“5. Se 
a un minore 
non accompagnato è 
concessa 
la protezione 
internazionale 
e 
la ricerca dei 
suoi 
familiari 
non è 
ancora stata 
avviata, 
gli 
Stati 
membri 
procedono 
a 
rintracciarli 
quanto 
prima 
a 
seguito 
del 
riconoscimento della protezione 
internazionale, tutelando l'interesse 
superiore 
del 
minore 
non accompagnato. Se 
la ricerca è 
già stata avviata, gli 
Stati membri ove opportuno continuano la procedura di ricerca. […]”. 


11. L’art. 25, paragrafo 6 della 
direttiva 
2013/32/UE 
(c.d. direttiva 
procedure), 
recante 
“Garanzie 
per 
i 
minori 
non accompagnati”, stabilisce 
che: 
“6. L'interesse 
superiore 
del 
minore 
costituisce 
un criterio fondamentale 
nel-
l'attuazione, da parte degli Stati membri, della presente direttiva. 
[…]”. 
12. 
L’art. 
33 
della 
predetta 
direttiva 
la 
cui 
rubrica 
recita 
“Domande 
inammissibili”, 
prevede 
che: 
“1. 
oltre 
ai 
casi 
in 
cui 
una 
domanda 
non 
è 
esaminata 
a norma del 
regolamento (UE) n. 604/2013, gli 
Stati 
membri 
non sono tenuti 
ad esaminare 
se 
al 
richiedente 
sia attribuibile 
la qualifica di 
beneficiario di 
protezione 
internazionale 
a norma della direttiva 2011/95/UE, qualora la domanda 
sia giudicata inammissibile 
a norma del 
presente 
articolo. 2. Gli 
Stati 
membri 
possono 
giudicare 
una domanda di 
protezione 
internazionale 
inammissibile 
soltanto 
se: 
a) 
un 
altro 
Stato 
membro 
ha 
concesso 
la 
protezione 
internazionale; 
[…]” 
(enfasi aggiunta). 
risposta al quesito 


13. 
Con 
l’unico 
quesito, 
il 
giudice 
del 
rinvio 
chiede 
in 
sostanza 
alla 
Corte 
di 
giustizia 
di 
chiarire 
se 
gli 
articoli 
18 e 
24 della 
Carta 
di 
Nizza, gli 
articoli 
2, 20, 23 e 
31 della 
direttiva 
2011/95/UE 
(c.d. direttiva 
qualifiche) e 
l’articolo 
25, par. 6 della 
direttiva 
2013/32/UE 
(c.d. direttiva 
procedure) ostino, nell’attuazione 
della 
facoltà 
conferita 
dall’art. 33, par. 2, lett. a) della 
direttiva 
procedure, 
ad 
una 
legislazione, 
quale 
quella 
belga, 
che 
consente 
di 
dichiarare 
inammissibile 
una 
domanda 
di 
protezione 
internazionale 
in 
quanto 
già 
ottenuta 
in altro Stato membro, nella specie l’Austria. 
14. 
Ciò 
qualora, 
come 
accaduto 
nella 
causa 
principale, 
il 
richiedente 
sia 
padre 
di 
un 
minore 
non 
accompagnato 
che 
ha 
ottenuto 
protezione 
nello 
Stato 
membro 
davanti 
al 
quale 
viene 
presentata 
la 
nuova 
domanda 
di 
protezione, 
sia 
l'unico 
genitore 
della 
famiglia 
nucleare 
presente 
e 
conviva 
con 
detto 
minore. 
15. Come 
emerge 
dall'ordinanza 
di 
rinvio, il 
ricorrente 
premette 
che 
l'articolo 
33, 
paragrafo 
2, 
lettera 
a) 
della 
direttiva 
2013/32/UE 
si 
limita 
a 
conferire 
agli 
Stati 
membri 
una 
mera 
facoltà 
di 
dichiarare 
inammissibile 
una 
(seconda) 
domanda 
di 
protezione 
internazionale 
proposta 
da 
un richiedente 
che 
ha 
già 
ottenuto lo status 
da altro Stato membro. 
16. 
Secondo 
il 
ricorrente, 
tale 
disposizione 
non 
sarebbe 
stata 
correttamente 
trasposta e interpretata dal legislatore del Belgio. 
17. 
La 
scelta 
del 
legislatore 
belga 
di 
non 
consentire, 
in 
un 
caso 
come 
quello oggetto della 
causa 
principale, l'esame 
nel 
merito di 
una 
domanda 
di 
protezione 
internazionale, il 
cui 
scopo sarebbe 
quello di 
permettere 
al 
richie

CoNTENzIoSo 
CoMUNITArIo 
ED 
INTErNAzIoNALE 


dente 
di 
ricongiungersi 
in Belgio con un figlio minore 
che 
lì 
risiede 
regolarmente 
in 
quanto 
titolare 
di 
status 
di 
protezione 
sussidiaria, 
sarebbe 
in 
contrasto 
con il 
diritto dell'Unione 
in materia 
di 
protezione 
internazionale, con la 
Convenzione 
di Ginevra e con la Convenzione sui diritti dell'infanzia. 


18. 
Il 
Governo 
italiano 
non 
condivide 
tale 
assunto 
e 
ritiene 
di 
dare 
risposta 
negativa al quesito. 
19. 
Si 
reputa 
infatti 
che 
il 
citato 
l’art. 
33 
della 
c.d. 
direttiva 
procedure 
non 
possa 
essere 
interpretato nel 
senso di 
imporre 
agli 
Stati 
membri 
di 
esaminare 
nel 
merito una 
domanda 
di 
protezione 
internazionale, già 
accolta 
in un altro 
Stato 
membro, 
allo 
scopo 
non 
già 
di 
accordare 
una 
protezione 
contro 
il 
rischio 
di 
refoulement 
bensì 
di 
assicurare 
il 
diritto all’unità 
familiare 
e 
di 
tutelare 
il 
superiore interesse del minore. 
20. 
Ciò 
non 
solo 
alla 
luce 
del 
chiaro 
tenore 
letterale 
della 
disposizione 
citata 
“Gli 
Stati 
membri 
possono 
giudicare 
una domanda di 
protezione 
internazionale 
inammissibile 
soltanto 
se 
…” 
ma 
anche 
perché 
le 
eventuali 
esigenze 
di 
ricongiungimento familiare 
del 
rifugiato o del 
minore 
titolare 
di 
protezione 
sussidiaria 
possono essere 
garantite 
dagli 
articoli 
23 e 
31 della 
direttiva 
qualifiche, 
rispettivamente 
dedicati 
alla 
tutela 
dell’unità 
familiare 
e 
alla 
tutela 
del 
minore straniero non accompagnato. 
21. L'articolo 33 della 
direttiva 
2013/33/ 
UE 
pone 
precisi 
limiti 
agli 
Stati 
membri 
in 
ordine 
alla 
possibilità 
di 
dichiarare 
inammissibile, 
ossia 
senza 
esame di merito, una domanda di protezione internazionale. 
22. 
Uno 
di 
questi 
casi 
(paragrafo 
2, 
lettera 
a) 
ricorre 
quando 
il 
richiedente 
ha 
già 
presentato analoga 
domanda 
in altro Stato membro, ottenendo il 
riconoscimento 
del relativo status. 
23. La 
previsione 
è 
conforme 
al 
"considerando" 
n. 43 secondo cui: 
“Gli 
Stati 
membri 
dovrebbero 
esaminare 
tutte 
le 
domande 
nel 
merito, 
valutare 
cioè 
se 
al 
richiedente 
di 
cui 
trattasi 
è 
attribuibile 
la 
qualifica 
di 
beneficiario 
di 
protezione 
internazionale 
a norma della direttiva 2011/95/ 
UE, salvo se 
altrimenti 
previsto 
dalla 
presente 
direttiva, 
in 
particolare 
se 
si 
può 
ragionevolmente 
presumere 
che 
un altro paese 
proceda all'esame 
o fornisca sufficiente 
protezione. In particolare, gli 
Stati 
membri 
non 
dovrebbero essere 
tenuti 
a 
valutare 
il 
merito della domanda di 
protezione 
internazionale 
se 
il 
paese 
di 
primo asilo ha concesso al 
richiedente 
lo status 
di 
rifugiato o ha altrimenti 
concesso 
sufficiente 
protezione 
e 
il 
richiedente 
sarà 
riammesso 
in 
detto 
paese” 
(enfasi aggiunta). 
24. Scopo di 
questa 
previsione 
è, evidentemente, quello di 
conciliare 
interessi 
potenzialmente 
confliggenti 
quali, da 
un lato, il 
rispetto dei 
diritti 
fondamentali 
del 
richiedente 
e 
la 
sua 
effettiva 
condizione 
di 
sicurezza 
(in caso di 
ottenimento di 
uno status 
da 
parte 
di 
altro Stato membro vi 
è 
una 
presunzione 
di 
protezione 
contro 
l'espulsione), 
dall’altro, 
la 
discrezionalità 
che 
ciascuno 
Stato membro deve 
poter esercitare 
in relazione 
a 
una 
domanda 
di 
protezione 

rASSEGNA 
AvvoCATUrA 
DELLo 
STATo -N. 3/2020 


internazionale, potendo sussistere 
interessi 
propri 
dello Stato a 
valutarla 
nuovamente 
ed accoglierla, ovvero potendo prevalere 
l’intento di 
perseguire 
uno 
degli 
scopi 
fondamentali 
del 
Common European asylum 
System, quale 
quello 
di 
scoraggiare 
i 
cosiddetti 
movimenti 
interni, ossia 
gli 
spostamenti 
non autorizzati 
(e 
non 
necessari) 
dei 
cittadini 
di 
Paesi 
terzi 
finalizzati 
alla 
ricerca, 
secondo 
mere 
ragioni 
di 
convenienza, dello Stato membro in cui 
si 
reputa 
più 
conveniente stabilirsi o richiedere protezione. 


25. Del 
resto, come 
si 
è 
visto, l’art. 23 della 
direttiva 
c.d. qualifiche 
prevede 
espressamente 
che 
gli 
Stati 
membri 
provvedono a 
che 
i 
familiari 
del 
beneficiario 
di 
protezione 
internazionale 
siano 
ammessi 
ai 
benefici 
di 
cui 
agli 
articoli 
da 
24 a 
35, quali 
il 
rilascio di 
un permesso di 
soggiorno (art. 24) e 
di 
documenti 
di 
viaggio (art. 25), l’accesso all’occupazione 
(art. 26) e 
all’istruzione 
(art. 27), l’assistenza 
sociale 
(art. 29) e 
sanitaria 
(art. 30), l’accesso all’alloggio 
(art. 
32), 
la 
libera 
circolazione 
nel 
territorio 
dello 
Stato 
membro 
(art. 
33) e l’accesso agli strumenti di integrazione (art. 34). 
26. Pertanto, come 
correttamente 
messo in luce 
nell’ordinanza 
di 
rimessione, 
il 
principio dell’unità 
del 
nucleo familiare 
non mira 
a 
garantire 
ai 
familiari 
del 
beneficiario 
di 
una 
protezione 
internazionale 
la 
concessione 
di 
uno 
status 
derivato 
ma 
a 
consentire 
loro 
di 
usufruire 
dei 
vantaggi 
previsti 
dai 
predetti 
articoli da 24 a 35 della direttiva c.d. qualifiche. 
27. 
Non 
è 
pertanto 
configurabile 
alcuna 
compromissione 
del 
superiore 
interesse 
del 
minore 
posto che 
il 
genitore 
dello stesso, pur non potendo ottenere 
lo 
status 
di 
rifugiato 
già 
riconosciuto 
in 
altro 
Stato 
membro, 
potrà 
comunque 
ottenere 
un permesso di 
soggiorno nello Stato in cui 
la 
figlia 
minore 
ha 
ottenuto la 
protezione 
sussidiaria, potrà 
vivere 
con la 
stessa, avere 
accesso 
al 
lavoro, alla 
protezione 
sociale 
e 
sanitaria, all’alloggio e 
ad ogni 
altro beneficio 
espressamente 
esteso 
ai 
familiari 
del 
titolare 
di 
protezione 
internazionale 
dai citati articoli da 24 a 35 della direttiva qualifiche. 
28. 
Come 
chiarito 
dalla 
Corte 
di 
Giustizia 
nella 
sentenza 
del 
4 
ottobre 
2018, causa 
C-652/16, ahmedbekova, punto 68, la 
direttiva 
2011/95/UE 
non 
prevede 
un’estensione 
dello 
status 
di 
rifugiato 
o 
dello 
status 
di 
protezione 
sussidiaria 
ai 
familiari 
della 
persona 
alla 
quale 
tale 
status 
è 
concesso. Infatti, dal-
l’articolo 23 di 
tale 
direttiva 
deriva 
che 
quest’ultima 
si 
limita 
a 
imporre 
agli 
Stati 
membri 
di 
adattare 
il 
loro diritto nazionale 
in modo tale 
che 
i 
familiari 
del 
beneficiario 
di 
un 
siffatto 
status, 
se 
non 
soddisfano 
individualmente 
le 
condizioni 
per 
il 
riconoscimento 
del 
medesimo 
status, 
possano 
aver 
diritto 
a 
taluni 
vantaggi, che 
comprendono in particolare 
il 
rilascio di 
un titolo di 
soggiorno, 
l’accesso 
al 
lavoro 
o 
all’istruzione 
e 
che 
hanno 
ad 
oggetto 
il 
mantenimento 
dell’unità del nucleo familiare. 
29. Una 
diversa 
interpretazione 
imporrebbe 
allo Stato membro un onere 
che 
appare 
obiettivamente 
ingiustificato, consistente 
nell'esame 
di 
domande 
protezione già positivamente valutate da altro Stato membro. 

CoNTENzIoSo 
CoMUNITArIo 
ED 
INTErNAzIoNALE 


30. Si 
osserva, inoltre, che 
le 
eventuali 
esigenze 
di 
ricongiungimento del 
rifugiato 
o 
del 
titolare 
di 
protezione 
sussidiaria 
dovrebbero 
essere 
tutelate 
con 
lo 
strumento 
apposito, 
ossia 
in 
base 
ai 
diritti 
conferiti 
a 
questa 
categoria 
di 
cittadini 
stranieri, 
regolarmente 
soggiornanti, 
dal 
capo 
vII 
della 
direttiva 
2011/95/UE. 
31. L'articolo 23 è 
specificamente 
dedicato alla 
tutela 
dell'unità 
familiare 
del 
titolare 
di 
protezione 
internazionale 
e 
l'articolo 31 alla 
tutela 
che 
deve 
essere 
accordata al minore straniero non accompagnato. 
32. Dunque 
il 
diritto all'unità 
familiare 
e 
la 
tutela 
del 
superiore 
interesse 
del 
minore 
sono 
già 
compiutamente 
assicurati 
dalla 
direttiva 
qualifiche, 
senza 
che 
vi 
sia 
la 
necessità 
di 
forzare 
in via 
interpretativa 
la 
lettera 
dell'articolo 33 
della 
direttiva 
procedure, gravando gli 
Stati 
membri 
di 
oneri 
che, anche 
alla 
luce dei principi ispiratori della direttiva stessa, appaiono sproporzionati. 
33. 
Anche 
alla 
seconda 
parte 
del 
quesito, 
va 
quindi 
data 
risposta 
negativa, 
affermando che 
i 
principi 
di 
unità 
del 
nucleo familiare 
e 
di 
rispetto dell’interesse 
superiore 
del 
minore 
non impongono che 
lo Stato in cui 
il 
figlio ha 
ottenuto 
protezione 
riconosca 
una 
protezione 
a 
tale 
genitore, 
già 
titolare 
dello 
status 
di rifugiato in altro Stato membro. 
34. Altrimenti, si 
creerebbe 
un contrasto non solo con il 
"considerando" 
43 della 
direttiva 
procedure 
ma 
anche 
con la 
stessa 
funzione 
della 
procedura 
di 
asilo, diversa 
e 
distinta 
dalla 
ratio 
dei 
diritti 
di 
circolazione 
e 
di 
ricongiungimento 
sul 
territorio europeo, riconosciuti 
a 
titolari 
di 
protezione 
internazionale, 
anche 
nei 
casi, come 
quello oggetto della 
causa 
principale, caratterizzati 
dalla 
regolare 
presenza, in due 
diversi 
Stati 
membri 
di 
due 
cittadini 
di 
Paesi 
terzi (padre e figlia minorenne). 
Conclusioni 


35. 
Il 
Governo 
italiano 
propone 
quindi 
alla 
Corte 
di 
rispondere 
negativamente 
al 
quesito, 
affermando 
che 
gli 
articoli 
18 
e 
24 
della 
Carta 
dei 
diritti 
fondamentali 
dell’Unione 
europea, 
gli 
articoli 
2, 
20, 
23 
e 
31 
della 
direttiva 
2011/95/UE 
(c.d. 
direttiva 
qualifiche) 
e 
l’articolo 
25, 
paragrafo 
6, 
della 
direttiva 
2013/32/UE 
(c.d. 
direttiva 
procedure) 
non 
ostino 
a 
che, 
nell’attuazione 
della 
facoltà 
conferita 
dall’articolo 
33, 
paragrafo 
2, 
lettera 
a), 
della 
direttiva 
2013/32/UE, 
uno 
Stato 
membro 
respinga 
una 
domanda 
di 
protezione 
internazionale 
per 
inammissibilità 
a 
causa 
di 
una 
protezione 
già 
accordata 
da 
un 
altro 
Stato 
membro, 
qualora 
il 
richiedente 
sia 
il 
padre 
di 
un 
minore 
non 
accompagnato 
che 
ha 
ottenuto 
protezione 
nel 
primo 
Stato 
membro, 
sia 
l’unico 
genitore 
della 
famiglia 
nucleare 
presente 
al 
suo 
fianco, 
viva 
con 
lui 
e 
detto 
Stato 
membro 
gli 
abbia 
riconosciuto 
la 
potestà 
genitoriale 
sul 
minore. 
I 
principi 
di 
unità 
del 
nucleo 
familiare 
e 
di 
rispetto 
dell’interesse 
superiore 
del 
minore 
non 
impongono 
che 
lo 
Stato 
in 
cui 
il 
figlio 
ha 
ottenuto 
protezione 
riconosca 
una 
protezione 
a 
tale 
genitore. 
Le 
eventuali 
esigenze 
di 
ricongiungimento 
familiare 
del 
rifugiato 
o 
del 
minore 
titolare 
di 
protezione 
sussidiaria 

rASSEGNA 
AvvoCATUrA 
DELLo 
STATo -N. 3/2020 


possono 
essere 
garantite 
dagli 
articoli 
23 
e 
31 
della 
direttiva 
qualifiche, 
rispettivamente 
dedicati 
alla 
tutela 
dell’unità 
familiare 
e 
alla 
tutela 
del 
minore 
straniero 
non 
accompagnato. 


roma, 13 gennaio 2021 

Wally Ferrante 
Avvocato dello Stato 



Contenziosonazionale
Vincoli paesaggistici definitivi e sopravvenuti 


(La perdurante 
validità delle 
proposte 
di 
dichiarazione 
di 
notevole 
interesse 
pubblico 
e 
limiti 
della 
rilevanza 
del 
c.d. 
prospective 
overruling 
nella 
giurisprudenza 
amministrativa; 
la 
sopravvenienza 
del 
vincolo 
e 
limiti 
della 
sua 
applicabilità al procedimento autorizzatorio in corso) 


Commento 
a 
tribunaLe 
amministrativo 
regionaLe 
per 
iL 
moLise, 
sezione 
prima, sentenza 
14 marzo 
2019 n. 104; ConsigLio 
di 
stato, 
sezione 
sesta, sentenza 
3 diCembre 
2018 n. 6858 


Piero Vitullo* 
Mariarosaria Mastromonaco** 


sommario: 
1. 
La 
questione 
analizzata 
-1.2 
premessa 
ricostruttiva 
-2. 
L’approccio 
giurisprudenziale 
di 
merito alla tematica -3. analisi 
della sentenza -3.1 premessa sulla natura 
del 
vincolo paesaggistico e 
sul 
rapporto di 
tale 
vincolo con i 
piani 
regolatori 
-3.2 Considerazioni 
sulla potestà di 
definizione 
del 
vincolo nella decisione 
del 
t.a.r. molise 
n. 104/2019 


3.3 
L’evoluzione 
giurisprudenziale 
sul 
tema 
del 
c.d. 
“prospective 
overruling”, 
inteso 
non 
solo 
in senso esclusivamente 
“processuale” 
-3.4 (segue) 
La sopravvenienza del 
provvedimento 
di 
imposizione 
del 
vincolo 
paesaggistico 
rispetto 
alle 
valutazioni 
inerenti 
ai 
procedimenti 
autorizzatori 
in corso di svolgimento: le concrete soluzioni applicative. 
1. La questione analizzata. 
Il 
presente 
intervento 
mira 
a 
cogliere 
taluni 
spunti 
interpretativi 
sugli 
sviluppi 
applicativi 
scaturenti 
dalla 
nota 
sentenza 
dell’Adunanza 
plenaria 
del 
Consiglio di 
Stato n. 13 del 
22 dicembre 
2017, il 
cui 
orientamento è 
stato recepito 
e 
attuato 
da 
ultimo 
dal 
T.A.R. 
Molise 
con 
pronuncia 
n. 
104 
del 
14 
marzo 


(*) Avvocato dello Stato. 
(**) Dottoressa in Giurisprudenza, ammessa alla pratica forense presso l’Avvocatura dello Stato. 



RASSeGnA 
AvvoCATURA 
DeLLo 
STATo -n. 3/2020 


2019, oggetto della 
presente 
analisi. La 
questione 
affrontata, posta 
al 
vaglio 
della 
giurisprudenza 
amministrativa, inerisce 
all’indagine 
sui 
limiti 
di 
perdurante 
validità 
ed 
efficacia 
delle 
proposte 
di 
dichiarazione 
di 
notevole 
interesse 
pubblico, 
formulate 
prima 
dell’entrata 
in 
vigore 
del 
D.Lgs 
n. 
42/2004 
(Codice 
dei 
beni 
culturali 
e 
del 
paesaggio) 
e 
non 
seguite 
nell’immediatezza 
da 
apposito 
decreto 
ministeriale 
di 
conclusione 
del 
relativo 
procedimento 
dichiarativo; 
proposte, 
riguardo 
alle 
quali 
la 
citata 
sentenza 
n. 
13/2017 
dell’A.P. 
ha 
già 
escluso gli 
effetti 
preliminari 
scaturenti 
dal 
vincolo provvisorio, correlato al-
l’adozione delle proposte medesime. 


1.2 premessa ricostruttiva. 
La 
quaestio 
facti 
sottesa 
alla 
fattispecie 
esaminata 
dalla 
sentenza 
n. 
104/2019 
trae 
origine 
dal 
ricorso 
al 
T.A.R. 
Molise, 
n. 
R.G. 
382/2018, 
promosso 
dal 
Comune 
di 
Isernia 
e 
avente 
a 
oggetto 
la 
richiesta 
di 
annullamento, 
previa 
sospensione, 
del 
decreto 
n. 
18/2018, 
con 
cui 
il 
Direttore 
regionale 
per 
i 
beni 
e 
le 
attività 
culturali 
del 
Molise, 
sulla 
base 
del 
D.Lgs 
42/2004 
e 
della 
Legge 
n. 
1497/1939 
e 
in 
esito 
alla 
pronuncia 
dell’Adunanza 
plenaria 
del 
Consiglio 
di 
Stato 
n. 
13 
del 
22 
dicembre 
2017, 
ha 
accolto 
ai 
fini 
paesaggistici 
la 
proposta 
di 
dichiarazione 
di 
notevole 
interesse 
pubblico 
relativa 
al 
territorio 
del 
Comune 
di 
Isernia 
che, 
in 
conseguenza 
del 
predetto 
procedimento, 
avviato 
nel 
2003, 
è 
stato 
interamente 
e 
definitivamente 
sottoposto 
a 
vincolo 
paesaggistico. 


Invero, a 
seguito di 
una 
prima 
proposta 
di 
dichiarazione 
di 
notevole 
interesse 
pubblico, 
l’intero 
territorio 
comunale 
era 
stato 
inserito 
negli 
elenchi 
compilati 
e 
non approvati, previsti 
dall’art. 144 comma 
1 dell’allora 
T.U. dei 
beni 
culturali 
e 
approvato con D.Lgs 
n. 490/1999, a 
norma 
del 
quale 
il 
Ministero 
aveva 
la 
facoltà 
di 
integrare 
gli 
elenchi 
dei 
beni 
e 
delle 
località 
indicati 
all’art. 
139 (le 
c.d. bellezze 
individue 
e 
bellezze 
d’insieme) su proposte 
del 
soprintendente 
competente. 

Lo 
stesso 
Comune 
di 
Isernia, 
di 
conseguenza, 
provvide 
alla 
pubblicazione 
su stampa 
locale 
e 
nazionale 
della 
proposta 
di 
dichiarazione 
di 
notevole 
interesse 
pubblico, precedentemente inserita nei sopra richiamati elenchi. 


In seguito la 
Soprintendenza 
per i 
beni 
A.P.S.A.D., promuovendo l’iter 
procedurale 
delineato dall’allora 
vigente 
D.Lgs 
n. 490/1999, dinanzi 
al 
protrarsi 
dell’inerzia 
dell’Amministrazione 
regionale 
competente, esercitò la 
potestà 
concorrente 
e 
formulò, 
in 
via 
sostitutiva, 
una 
proposta 
dichiarativa 
in 
merito, con relativa 
trasmissione 
dell’avviso al 
pubblico per l’affissione 
della 
proposta in questione nell’albo pretorio isernino. 


Il 
T.A.R. 
Molise, 
in 
riferimento 
ai 
ricorsi 
proposti 
dalla 
Regione 
e 
dal 
Comune 
di 
Isernia, con le 
sentenze 
nn. 27 e 
28 del 
2004, annullò la 
proposta 
di 
dichiarazione 
di 
notevole 
interesse 
pubblico gravante 
sull’intero territorio comunale, 
per 
la 
ragione 
formale 
rappresentata 
dalla 
mancata 
comunicazione 
dell’avvio del procedimento ex 
art. 7 della Legge n. 240/1990. 



ConTenzIoSo 
nAzIonALe 


Manifestando contrario avviso, il 
Consiglio di 
Stato, con le 
sentenze 
nn. 
7606/2009 e 
7607/2009, accolse 
gli 
appelli 
ministeriali 
avverso le 
sopracitate 
sentenze, annullandone 
gli 
effetti 
e 
lasciando inalterata 
la 
proposta 
allora 
formulata 
di 
dichiarazione 
di 
notevole 
interesse 
pubblico afferente 
all’intero territorio 
comunale. 


In 
tale 
lasso 
temporale, 
sono 
sopravvenuti 
due 
decreti 
legislativi 
correttivi 
del 
D.lgs 
42/2004 (Codice 
del 
Paesaggio), ossia 
il 
D.lgs 
157/2006 e 
il 
D.lgs 
63/2008, che hanno modificato: 


-l’art. 157, comma 
1, integrato dalla 
lett. d-bis, che 
ha 
previsto la 
conservazione 
dell’efficacia, a 
tutti 
gli 
effetti, tra 
l’altro degli 
elenchi 
compilati 
o 
integrati 
ai 
sensi 
del 
D.Lgs 
490/1999, nonché 
il 
successivo comma 
2, alla 
cui 
stregua 
“Le 
disposizioni 
della 
presente 
parte 
si 
applicano 
anche 
agli 
immobili 
ed alle 
aree 
in ordine 
ai 
quali, alla data di 
entrata in vigore 
del 
presente 
codice, 
sia stata formulata la proposta ovvero definita la perimetrazione 
ai 
fini 
della dichiarazione 
di 
notevole 
interesse 
pubblico o del 
riconoscimento quali 
zone di interesse archeologico”; 
-l'art. 
141, 
comma 
5, 
il 
quale 
ora 
dispone 
che 
“se 
il 
provvedimento 
ministeriale 
di 
dichiarazione 
non 
è 
adottato 
nei 
termini 
di 
cui 
all'articolo 
140, 
comma 
1, 
allo 
scadere 
dei 
detti 
termini, 
per 
le 
aree 
e 
gli 
immobili 
oggetto 
della 
proposta 
di 
dichiarazione, 
cessano 
gli 
effetti 
di 
cui 
all'articolo 
146, 
comma 
1”. 


La 
prima 
modifica 
citata, inerente 
all’art. 157, in linea 
con l’assetto normativo 
previgente 
al 
citato codice, è 
parsa 
confermare 
che 
la 
disciplina 
di 
tutela 
trovi 
applicazione 
fin 
dalla 
pubblicazione 
della 
proposta 
nell'albo 
comunale, senza 
imposizione 
di 
termini 
di 
durata 
dell’efficacia 
della 
misura 
di 
salvaguardia 
e 
senza 
sanzioni 
decadenziali 
rispetto al 
tardivo esercizio del 
potere attinente all’emanazione del provvedimento finale. 


Dalle 
altre 
disposizioni 
invece 
sembra 
desumersi, 
in 
senso 
apparentemente 
dissonante 
rispetto alla 
confermata 
efficacia 
temporalmente 
illimitata 
della 
proposta 
di 
vincolo, come 
da 
art. 157, che 
l’art. 141, in relazione 
al 
precedente 
art. 139, abbia 
previsto che 
il 
decreto debba 
essere 
adottato entro il 
termine 
complessivo di 
180 giorni, in pratica 
decorrenti 
dalla 
pubblicazione 
nell’albo pretorio della medesima proposta. 


Di 
qui 
il 
contrasto 
interpretativo 
tra 
la 
tesi 
propugnata 
dall’Amministrazione 
B.A.C. 
e 
l’assunto 
difensivo 
dei 
privati 
ricorrenti, 
valorizzante 
invece 
la 
previsione 
limitatrice 
e 
decadenziale 
del 
potere 
di 
approvazione 
del 
vincolo. 


Contrasto, composto dalla 
citata 
decisione 
dell’Adunanza 
Plenaria, con 
creazione 
di 
una 
sorta 
di 
argomentazione 
intermedia 
tra 
le 
due 
in 
raffronto, 
alla 
cui 
stregua 
è 
stato ritenuto, sì, inciso dalla 
ricordata 
correzione 
normativa 
l’esercizio 
del 
potere 
di 
vincolo, 
ma 
senza 
adesione 
all’assunto 
sulla 
decadenza 
dell’atto recante 
l’originaria 
proposta 
di 
vincolo (in tesi, antecedente 
al 
D.lgs 
42/2004); 
di 
conseguenza 
l’Adunanza, 
ravvisando 
le 
condizioni 
per 
modulare 
la 
portata 
temporale 
delle 
proprie 
pronunce, con limitazione 
degli 
effetti 
pro



RASSeGnA 
AvvoCATURA 
DeLLo 
STATo -n. 3/2020 


iettati 
al 
futuro, ha 
fissato la 
regola 
secondo cui 
il 
complessivo termine 
di 
efficacia 
di 
centottanta 
giorni 
del 
vincolo 
preliminare 
nascente 
dalle 
proposte 
di 
dichiarazione 
di 
notevole 
interesse 
pubblico, formulate 
prima 
dell'entrata 
in vigore 
del 
D.lgs 
22 gennaio 2004 n. 42, decorre 
dalla 
data 
di 
pubblicazione 
della medesima sentenza, vale a dire il 22 dicembre 2017. 


Ciò premesso, nella 
concreta 
fattispecie 
in esame 
è 
avvenuto che 
il 
perfezionamento 
dell’iter 
successivo 
alla 
predetta 
proposta 
è 
stato 
conseguito 
soltanto 
nell’agosto 
2018, 
a 
seguito 
della 
modifica 
normativa 
introdotta 
dal 
D.Lgs 
63/2008 come 
interpretata 
dalla 
citata 
decisione 
dell’A.P.; 
e 
invero il 
competente 
Comitato 
tecnico-scientifico 
per 
il 
paesaggio 
ha 
reputato 
necessario 
conferire 
impulso 
al 
procedimento 
di 
vincolo 
in 
questione, 
alla 
luce 
delle 
indicazioni 
cogenti 
fornite 
dal 
Supremo 
Consesso, 
riavviando 
il 
procedimento 
sostitutivo 
in 
esito 
al 
quale, 
dopo 
preavviso 
del 
24 
luglio 
2018, 
è 
stato 
adottato 
apposito decreto di 
tutela 
paesaggistica 
del 
Segretariato regionale 
B.A.C., n. 
28 del 2 agosto 2018. 


Con 
la 
disposizione 
finale 
approvativa 
della 
proposta 
di 
vincolo, 
pertanto, 
è 
stato 
assoggettato 
definitivamente 
a 
tutela 
paesaggistica 
l’intero 
territorio 
comunale 
di 
Isernia, 
in 
termini 
preclusivi 
per 
l’Amministrazione 
regionale 
dell’adozione 
di 
ogni 
ulteriore 
provvedimento 
in 
tal 
senso, 
di 
sua 
teorica 
spettanza. 


Con ricorso al 
T.A.R. Molise 
n. R.G. 382/2018 il 
Comune 
di 
Isernia, nel-
l’impugnare 
principalmente 
tale 
D.D.R., oltre 
a 
lamentare 
la 
mancata 
comunicazione 
da 
parte 
del 
Ministero 
dell’avvio 
del 
procedimento 
stesso, 
allo 
scopo 
di 
consentire 
al 
Comune 
interessato 
la 
formulazione 
di 
osservazioni 
nella 
fase 
valutativa-decisionale 
del 
procedimento, 
tanto 
più 
necessaria 
a 
fronte 
dell’imposizione 
di 
un 
vincolo 
generalizzato 
e 
globale 
(1), 
diretto 
a 
condizionare 
qualsiasi 
intervento antropico e 
incidente 
su aree 
già 
urbanisticamente 
modificate 
con alterazione 
definitiva 
del 
paesaggio tutelando, ha 
argomentato sul 
profilo 
in disamina 
sostenendo essenzialmente 
che, a 
mente 
delle 
ultime 
modifiche 
legislative, 
sia 
prevista 
la 
decadenza 
dei 
vincoli 
de 
quibus 
una 
volta 
inutilmente 
spirato 
il 
termine 
di 
conclusione 
del 
procedimento, 
scaturente 
dalla 
sentenza 
n. 13/2017 dell’Adunanza 
Plenaria 
del 
Consiglio di 
Stato, in virtù della 


(1) Appare 
opportuno rammentare 
che 
la 
giurisprudenza 
ha 
da 
tempo riconosciuto allo Stato il 
potere 
di 
porre 
un vincolo paesaggistico sull'intero territorio di 
un comune 
(Cons. Stato, Iv, 6 dicembre 
1985, n. 596; 
vI, 4 aprile 1997, n. 553; Iv, 20 marzo 2006, n. 1470; 
vI, 21 luglio 2011, n. 4429). 
Certamente 
(cfr. 
CdS, 
sez. 
vI, 
sent. 
n. 
3540 
del 
27 
giugno 
2001), 
il 
provvedimento 
con 
il 
quale 
si 
impone 
un vincolo paesaggistico ambientale, ai 
sensi 
della 
legge 
29 giugno 1939, n. 1497 sull'intero territorio 
di 
un comune, deve 
essere 
motivato sulla 
base 
di 
concreti 
e 
specifici 
indici 
dell'interesse 
paesistico dominante 
e 
non già 
con riferimento ad un mero rapporto di 
vicinanza 
delle 
aree 
più urbanizzate 
rispetto 
a 
quelle 
di 
più 
diretto 
ed 
immediato 
rilievo 
paesistico. 
Di 
conseguenza 
il 
decreto 
di 
vincolo 
non 
potrebbe 
imporre 
limiti 
su di 
un intero territorio comunale, qualora 
il 
provvedimento sia 
motivato con richiamo 
a 
ragioni 
e 
apprezzamenti 
che, per la 
loro genericità, potrebbero giustificare 
l'imposizione 
del 
vincolo 
in questione su qualsiasi territorio dello Stato. 

ConTenzIoSo 
nAzIonALe 


quale 
il 
vincolo 
preliminare 
per 
le 
proposte 
formulate 
prima 
dell’entrata 
in 
vigore 
del 
D.Lgs 
42/2004 
cessa 
allorquando 
il 
relativo 
procedimento 
non 
sia 
concluso 
entro 
180 
giorni, 
decorrenti 
dalla 
pubblicazione 
della 
citata 
sentenza 
del 
22 dicembre 
2017. nel 
caso di 
specie, dunque, per il 
ricorrente 
il 
D.D.R. 
di 
dichiarazione 
di 
notevole 
interesse 
pubblico del 
2 agosto 2018 è 
stato emanato 
tardivamente 
e 
irrimediabilmente, 
in 
quanto 
successivo 
alla 
scadenza 
del 
20 giugno 2018. 


2. L’approccio giurisprudenziale di merito alla tematica. 
Il 
T.A.R. Molise, con sentenza 
n. 104 del 
6 marzo 2019, definitivamente 
pronunciando sul ricorso de quo, lo ha respinto poiché infondato. 


In 
particolare, 
il 
Giudice 
di 
primo 
grado, 
non 
ravvisando 
alcuna 
violazione 
delle 
garanzie 
procedimentali, 
considerata 
l’avvenuta 
interlocuzione 
tra 
Ministero, 
Regione 
Molise 
e 
Comune 
di 
Isernia, 
e 
ritenute 
infondate 
le 
censure 
inerenti 
al 
difetto di 
istruttoria 
nonché 
generica 
e 
inammissibile 
la 
doglianza 
relativa 
all’inosservanza 
o violazione 
del 
Piano paesaggistico regionale 
e 
del 


P.R.G. comunale 
(2), in riferimento alla 
perdurante 
efficacia 
degli 
effetti 
del 
vincolo preliminare 
nascente 
dalle 
proposte 
di 
dichiarazione 
di 
notevole 
interesse 
pubblico -formulate 
prima 
dell’entrata 
in vigore 
della 
novella 
al 
D.Lgs 
n. 
42/2004 
e 
non 
seguite 
da 
decreto 
ministeriale 
di 
conclusione 
del 
relativo 
procedimento dichiarativo -ha 
stabilito che 
la 
questione 
esaminata 
non concerneva 
“la 
sopravvivenza 
oltre 
i 
180 
giorni 
delle 
misure 
di 
salvaguardia 
scaturenti 
dalla proposta di 
vincolo paesaggistico, bensì 
la sopravvivenza oltre 
tale 
termine 
della proposta stessa, ancorché 
privata dei 
suoi 
provvisori 
effetti 
di salvaguardia”. 
Invero la 
citata 
sentenza, nell’allinearsi 
all’impostazione 
dell’Adunanza 
plenaria 
del 
Consiglio 
di 
Stato 
n. 
13/2017, 
ha 
ribadito 
che 
il 
mancato 
esercizio 
nel 
termine 
di 
180 giorni 
del 
potere 
autoritativo della 
Pubblica 
Amministrazione 
comporta 
non la decadenza della proposta 
bensì 
la 
semplice 
cessazione 
degli 
effetti 
di 
salvaguardia, in virtù del 
“compromesso” 
adottato dal 
legislatore, 
con cui 
si 
è 
stabilito che 
il 
potere 
impositivo del 
vincolo persiste 
anche 
successivamente 
alla 
scadenza 
del 
termine, determinando, tuttavia, la 
cessazione 
dell’effetto restrittivo provvisorio, derivante 
dal 
suo (iniziale) esercizio. 


Ciò 
posto, 
pur 
prendendo 
atto 
del 
fatto 
che 
la 
Direzione 
generale 
Mi.b.a.c. 
aveva 
riavviato 
e 
concluso 
il 
procedimento 
inerente 
al 
permanente 
vincolo 
paesaggistico e 
ambientale 
-sul 
presupposto che 
il 
competente 
Comitato tec


(2) A 
tal 
riguardo il 
Tribunale 
amministrativo ha 
precisato che 
i 
vincoli 
paesaggistici 
operano su 
un 
piano 
diverso 
da 
quello 
delle 
previsioni 
urbanistiche, 
nonché 
da 
quello 
dei 
vincoli 
ambientali 
in 
senso 
proprio. essi 
non diventano vincoli 
meramente 
urbanistici 
e 
non devono essere 
recepiti 
nel 
P.R.G. o nei 
piani 
regionali, mantenendo la 
loro natura 
di 
vincoli 
dichiarativi 
a 
effetto costitutivo non sottoposto a 
termine, in quanto discendenti 
non dalla 
scelta 
discrezionale 
dell’Amministrazione, bensì 
dalle 
qualità 
intrinseche del bene tutelato che il provvedimento di vincolo deve soltanto riconoscere e dichiarare. 

RASSeGnA 
AvvoCATURA 
DeLLo 
STATo -n. 3/2020 


nico-scientifico per il 
paesaggio solamente 
in data 
16 luglio 2018 avesse 
ravvisato 
la 
necessità 
di 
procedere 
alla 
definizione 
dei 
vincoli 
-il 
T.A.R. adito ha 
escluso 
la 
consumazione 
del 
potere 
ministeriale 
di 
portare 
a 
conclusione 
il 
procedimento in esame, in quanto sono decadute 
in data 22 giugno 2018 solo 
le 
previsioni 
di 
salvaguardia 
scaturenti 
dalla 
proposta 
stessa, 
proposta 
che 
ha 
conservato intatta la sua efficacia di 
atto di 
iniziativa del 
procedimento di 
dichiarazione 
di 
notevole 
interesse 
pubblico, 
ai 
sensi 
dell’art. 
136 
comma 
1 
lett. 


c) e d) del d.Lgs 42/2004. 
Come 
tale, 
la 
proposta 
è 
stata 
legittimamente 
recepita 
e 
posta 
a 
fondamento 
del decreto finale di approvazione del vincolo. 


La 
sentenza 
testé 
analizzata 
non 
è 
stata 
impugnata 
dal 
Comune 
e 
pertanto 
è passata in giudicato. 


3. analisi della sentenza. 
3.1 
premessa 
sulla 
natura 
del 
vincolo 
paesaggistico 
e 
sul 
rapporto 
di 
tale 
vincolo 
con i piani regolatori. 
Una 
preliminare 
considerazione 
appare 
opportuna 
in riferimento alla 
natura 
del 
vincolo paesaggistico e 
del 
suo rapporto con la 
pianificazione 
urbanistica 
(3), in quanto richiamati nella sentenza n. 104/2019. 


L’imposizione 
(mediante 
piani 
o 
provvedimenti 
puntuali) 
e 
l’applicazione 
dei 
vincoli 
paesaggistici 
ed ambientali 
sono disciplinate 
in virtù della 
potestà 
esclusiva 
statale 
prevista 
dall’articolo 117, comma 
2 lettera 
s) della 
Costituzione 
e 
da 
normative 
organiche 
statali, quali 
il 
Codice 
dei 
beni 
culturali 
e 
del 
paesaggio, 
di 
cui 
al 
D.Lgs 
42/2004; 
il 
T.U. 
ambientale 
D.Lgs 
152/2006; 
la 
legge 
quadro 
394/1991 
sulle 
aree 
naturali 
protette. 
Le 
relative 
competenze 
amministrative 
spettano allo Stato ed alle 
Regioni, sebbene 
sia 
diffusa 
la 
pratica 
della subdelega o del conferimento dei poteri autorizzatori agli enti locali. 

orbene, 
così 
come 
precisato 
dalla 
sentenza 
oggetto 
della 
presente 
analisi, 
i 
vincoli 
paesaggistici 
e 
ambientali 
in 
senso 
proprio 
non 
divengono 
vincoli 
(meramente) 
urbanistici 
per 
il 
solo 
fatto 
di 
essere 
recepiti 
nel 
piano 
regolatore 
generale, 
ma 
mantengono 
la 
loro 
natura 
di 
vincoli 
dichiarativi 
a 
effetto 
costitutivo 
non 
sottoposto 
a 
termine, 
in 
quanto 
discendenti 
non 
da 
una 
scelta 
discrezionale 
dell’amministrazione, 
bensì 
da 
qualità 
intrinseche 
del 
bene 
tutelato, 
che 
il 
provvedimento 
di 
vincolo 
deve 
soltanto 
riconoscere 
e 
dichiarare; 
ciò 
li 
distingue 


(3) 
Per 
quanto 
concerne 
invece 
la 
pianificazione 
paesaggistica 
regionale, 
articolata 
in 
plurimi 
Piani 
Territoriali 
Paesistico-Ambientali 
di 
Area 
vasta 
(P.T.P.A.A.v.), va 
tenuto conto delle 
peculiarità 
della 
legislazione 
regionale 
del 
Molise, da 
cui 
si 
evince 
la 
persistente 
efficacia 
dei 
vincoli 
antecedenti, 
scaturenti 
sia 
dai 
decreti 
ministeriali 
dichiarativi 
dell’interesse 
pubblico che, per equiparazione 
-stando 
alla 
giurisprudenza 
fino 
a 
epoca 
recente 
dominante 
-, 
delle 
proposte 
impositive 
di 
vincolo 
paesaggistico 
provvisorio, per il 
tramite 
dell’art. 8 l. 
r. 24/1989; 
sul 
punto specifico, si 
veda 
T.A.R. Molise, sent. n. 
733/2011, 
con 
l’aggiunta 
dell’effetto 
dichiarativo 
di 
vincolo 
insito 
nell’adozione 
degli 
stessi 
P.T.P.A.A.v. 
(cfr. art. 2, comma 2, l. 
r. 24/1989). 

ConTenzIoSo 
nAzIonALe 


nettamente 
dai 
vincoli 
urbanistici 
in 
senso 
proprio, 
i 
quali, 
seppur 
diretti 
a 
salvaguardare 
il 
paesaggio 
o 
l’ambiente, 
non 
si 
sottraggono 
all’alternativa 
tra 
temporaneità 
e 
indennizzabilità, 
qualora 
siano 
preordinati 
all’espropriazione 


o 
comunque 
rivestano 
carattere 
sostanzialmente 
espropriativo 
(4). 
La 
precisazione 
concorre 
a 
supportare 
l’assunto per cui 
la 
tutela 
del 
paesaggio 
e 
dell’ambiente 
non 
sono 
assimilabili 
nella 
materia 
urbanistica, 
di 
conseguenza 
i 
piani 
di 
tutela 
non sono confondibili 
e 
sovrapponibili; 
al 
riguardo 
la 
Suprema 
Corte 
ha 
più volte 
precisato che 
tali 
tutele 
concernono interessi 
pubblici 
distinti, 
sottoposti 
a 
tutela 
differenziata 
e 
sovraordinati 
rispetto 
a 
quelli sottesi al razionale assetto del territorio 
(5). 


(4) Cfr. Corte Cost., 20 maggio 1999, n. 179; 
T.A.R. Umbria, sent. n. 71 del 4 marzo 2009. 
(5) Cfr. sent. 5 maggio 2006, n. 182; 7 novembre 2007, n. 367 e 30 maggio 2008, n. 180. 
“Corollario 
è 
che 
nessuna 
valutazione 
di 
compatibilità 
urbanistica 
è 
idonea 
a 
sovvertire 
la 
pianificazione 
paesaggistica e la prioritaria necessità di sua tutela anche nella fattispecie in questione. 
Se 
ne 
desume 
la 
preminenza 
-come 
da 
ormai 
pacifico orientamento giurisprudenziale 
-da 
accordare 
alla 
disciplina 
di 
tutela 
paesistica 
rispetto 
alle 
prescrizioni 
regolanti 
l’attività 
urbanistico-edilizia, 
oggetto 
di 
normativa 
di 
cui 
sarebbe 
del 
tutto inappropriatamente 
invocato il 
rispetto; 
preminenza, che 
si 
ricava 
dall’art. 1 d.P.R. n. 380/2001, il 
quale, al 
comma 
2, testualmente 
stabilisce 
che 
“Restano ferme 
le 
disposizioni 
in 
materia 
di 
tutela 
dei 
beni 
culturali 
e 
ambientali 
contenute 
nel 
decreto 
legislativo 
29 
ottobre 
1999, 
n. 
490 
[antecedente 
normativo 
del 
D.Lgs. 
n. 
42/2004] 
… 
aventi 
incidenza 
sulla 
disciplina 
dell’attività edilizia” 
(si 
veda 
sul 
punto anche 
TA.R. Molise, ord. n. 47/2015; 
id., sent. 8 marzo 2011, 
n. 100: 
la 
tutela 
del 
paesaggio [ha] comunque 
portata 
generale 
e 
speciale 
considerazione 
di 
valore, rispetto 
a 
ogni 
forma 
di 
pianificazione 
degli 
interventi 
urbanistici, 
economici 
e 
infrastrutturali 
sul 
territorio, 
costituendo necessario presupposto per essi 
(cfr.: 
Cons. Stato Iv, 5 luglio 2010 n. 4244; 
idem 
v, 12 giugno 
2009 n. 3770)”. 
Il 
Consiglio di 
Stato (sez. iV, 5 luglio 2010, n. 4246) ha 
definito l’ambito di 
operatività 
delle 
due 
discipline 
di 
settore, quella 
paesaggistica 
e 
quella 
urbanistica, rimarcando la loro reciproca autonomia, 
all’uopo rammentando “la giurisprudenza costituzionale 
ed amministrativa che 
fa emergere 
la natura 
sostanzialmente 
insindacabile 
delle 
scelte 
effettuate, giustificandola alla luce 
del 
valore 
primario ed 
assoluto riconosciuto dalla Costituzione 
al 
paesaggio ed all’ambiente 
(cfr. da ultimo Cons. st., sez. v, 
12 giugno 2009, n. 3770; Corte 
cost., 7 novembre 
2007, n. 367)”, tenuto conto che 
“La ponderazione 
degli 
interessi 
privati, unitamente 
ed in 
coerenza con 
gli 
interessi 
pubblici 
connessi 
con 
la tutela paesaggistica 
ed 
ambientale, 
non 
deve 
essere 
giustificata 
neppure 
allo 
scopo 
di 
dimostrare 
che 
il 
sacrificio 
imposto al 
privato … sia stato contenuto nel 
minimo possibile, perché 
tale 
giudizio si 
colloca all’interno 
della disciplina costituzionale 
del 
paesaggio (art. 9 Cost.) che 
erige 
il 
valore 
estetico-culturale 
a valore primario dell’ordinamento. 
da queste premesse si sono tratti i seguenti corollari: 


a) la tutela del 
paesaggio non 
è 
riducibile 
a quella dell’urbanistica, né 
può essere 
considerato vizio 
della 
funzione 
preposta 
alla 
tutela 
del 
paesaggio 
il 
mancato 
accertamento 
dell’esistenza, 
nel 
territorio 
oggetto dell’intervento paesaggistico, di 
eventuali 
prescrizioni 
urbanistiche 
che, rispondendo ad esigenze 
diverse, 
in 
ogni 
caso 
non 
si 
inquadrano 
in 
una 
considerazione 
globale 
del 
territorio 
sotto 
il 
profilo dell’attuazione delprimario valore paesaggistico; 
b) l’avvenuta edificazione 
di 
un’area immobiliare 
o le 
sue 
condizioni 
di 
degrado non 
costituiscono 
ragione 
sufficiente 
per 
recedere 
dall’intento di 
proteggere 
i 
valori 
estetici 
o culturali 
ad essa legati, 
poiché 
l’imposizione 
del 
vincolo 
costituisce 
il 
presupposto 
per 
l’imposizione 
al 
proprietario 
delle 
cautele 
e 
delle 
opere 
necessarie 
alla conservazione 
del 
bene 
e 
per 
la cessazione 
degli 
usi 
incompatibili 
con la conservazione dell’integrità dello stesso; 
c) l’ambiente 
rileva non 
solo come 
paesaggio ma anche 
come 
assetto del 
territorio, comprensivo financo 
degli 
aspetti 
scientifico-naturalistici 
(come 
quelli 
relativi 
alla 
protezione 
di 
una 
particolare 
flora 
e fauna), pur non afferenti specificamente ai profili estetici della zona. 

RASSeGnA 
AvvoCATURA 
DeLLo 
STATo -n. 3/2020 


Ciò, 
in 
aderenza 
alla 
ratio 
profonda 
del 
vincolo 
paesaggistico, 
che 
risiede 
nell’intento legislativo di 
preservare 
dalla 
trasformazione 
edilizia 
indiscriminata 
le 
località 
e 
i 
paesaggi 
di 
notevole 
interesse 
pubblico, presenti 
sul 
territorio 
nazionale. 


Una 
lettura 
costituzionalmente 
orientata 
della 
norma, ai 
sensi 
dell’art. 9 
della 
Carta 
Costituzionale, 
impone 
la 
valorizzazione 
della 
tutela 
paesaggistica. 
Pertanto tale 
interesse 
pubblico è 
da 
considerarsi 
indubbiamente 
preminente 
rispetto agli altri interessi confliggenti (6). 


Infatti, l’art. 146 comma 
1 del 
D.Lgs 
42/2004, a 
tal 
riguardo, stabilisce 
che: 
“i 
proprietari, 
possessori 
o 
detentori 
a 
qualsiasi 
titolo 
di 
immobili 
ed 
aree 
di 
interesse 
paesaggistico, 
tutelati 
dalla 
legge, 
a 
termini 
dell'articolo 
142, 


o in base 
alla legge, a termini 
degli 
articoli 
136, 143, comma 1, lettera d), e 
157, non possono distruggerli, né 
introdurvi 
modificazioni 
che 
rechino pregiudizio 
ai valori paesaggistici oggetto di protezione”. 
Dunque 
l’Amm.ne 
comunale, 
in 
ossequio 
ai 
dettami 
normativi 
e 
in 
virtù 
del 
bilanciamento 
di 
interessi, 
più 
volte 
richiamato 
dalla 
giurisprudenza 
amministrativa, 
deve 
soprattutto 
tutelare 
il 
proprio 
territorio 
e 
il 
proprio 
patrimonio 
storico-culturale, 
predisponendo 
azioni 
mirate 
e 
necessarie, 
non 
generalizzate, 
riguardo 
sia 
alle 
nuove 
costruzioni 
sia 
agli 
interventi 
di 
lieve 
entità 
o 
di 
consolidamento, 
prefiggendosi 
come 
scopo 
la 
difesa 
del 
territorio 
comunale 
da 
interventi 
edilizi 
meramente 
speculativi. 


Infine, in riferimento all’art. 138 comma 
1 del 
D.Lgs 
42/2004, ai 
sensi 
del 
quale 
“La 
proposta 
è 
formulata 
con 
riferimento 
ai 
valori 
storici, 
culturali, 
naturali, morfologici, estetici 
espressi 
dagli 
aspetti 
e 
caratteri 
peculiari 
degli 
immobili 
o delle 
aree 
considerati 
ed alla loro valenza identitaria in rapporto 
al 
territorio in cui 
ricadono, e 
contiene 
proposte 
per 
le 
prescrizioni 
d'uso intese 
ad assicurare 
la conservazione 
dei 
valori 
espressi”, le 
prescrizioni 
d’uso 
tendono 
ad 
assicurare 
la 
conservazione 
e 
valorizzazione 
dei 
caratteri 
distintivi 
delle aree oggetto di tutela. 


Viene 
in 
luce 
il 
confluire 
ineluttabile, nella materia del 
governo del 
territorio, delle 
esigenze 
di 
salvaguardia 
di 
valori 
costituzionali 
assoluti 
e 
non 
comprimibili 
quali 
il 
paesaggio, l’ambiente 
ed i 
beni 
culturali; 
di 
questa 
caratteristica 
vi 
è 
traccia 
nel 
più 
recente 
dibattito 
sulla 
evoluzione 
della 
stessa 
scienza urbanistica, di 
cui 
si 
coglie 
l’eco nella giurisprudenza che 
riconosce, nel 
presupposto della necessità 
di 
non 
consentire 
la 
totale 
consumazione 
del 
suolo 
nazionale, 
la 
possibilità 
che 
gli 
strumenti 
urbanistici 
non siano sostenuti 
dalle 
tradizionali 
linee 
guida di 
espansione 
demografica o edilizia ma, al 
contrario, da linee 
guida esclusivamente 
rivolte 
al 
recupero ed alla razionalizzazione 
del 
patrimonio 
edilizio esistente (cfr. Cons. st., sez. iv, 12 marzo 2010, n. 1461)”. 


La 
questione 
può 
essere 
dunque 
riassunta 
nei 
seguenti 
termini 
(t.a.R. 
lazio 
RM, 
sez. 
ii 
quater, 
14 
dicembre 
2010 
n. 
36581): 
“la 
tutela 
paesaggistica, 
lungi 
dall’essere 
subordinata 
alla 
pianificazione 
urbanisticacomunale,
deve 
precedereedorientarelescelteurbanistico-edilizielocali. 
Perquantoattienealla 
tutela 
del 
paesaggio, 
le 
disposizioni 
paesaggistiche 
“… 
sono 
comunque 
prevalenti 
sulle 
disposizioni 
contenute 
negli 
atti 
di 
pianificazione 
ad 
incidenza 
territoriale 
previsti 
dalle 
normative 
di 
settore, 
ivi 
compresi 
quelli 
degli 
enti 
gestori 
delle 
aree 
naturali 
protette” 
(cfr. 
Corte 
costituzionale, 
30 
maggio 
2008, 
n. 
180)”. 


(6) Sul punto, ex multis, cfr. T.A.R. Molise, sent. n. 92/2016. 

ConTenzIoSo 
nAzIonALe 


va 
precisato, 
in 
tal 
senso, 
che 
il 
decreto 
che 
impone 
definitivamente 
il 
vincolo 
paesaggistico 
opera 
necessariamente 
un 
remand 
alla 
sede 
propria, 
rappresentata 
dalla 
pianificazione 
paesaggistica, 
di 
spettanza 
dell’Amm.ne 
regionale: 
infatti, ai 
sensi 
dell’art. 140 comma 
2 del 
decreto sopra 
richiamato, “La 
dichiarazione 
di 
notevole 
interesse 
pubblico 
detta 
la 
specifica 
disciplina 
intesa 
ad 
assicurare 
la 
conservazione 
dei 
valori 
espressi 
dagli 
aspetti 
e 
caratteri 
peculiari 
del 
territorio considerato. essa costituisce 
parte 
integrante 
del 
piano 
paesaggistico e 
non è 
suscettibile 
di 
rimozioni 
o modifiche 
nel 
corso del 
procedimento 
di redazione o revisione del piano medesimo”. 


3.2 Considerazioni 
sulla potestà di 
definizione 
del 
vincolo nella decisione 
del 
t.a.r. molise n. 104/2019. 
La 
sentenza 
in 
esame 
conferma 
il 
criterio 
di 
bilanciamento 
degli 
interessi 
contrapposti, propugnato dall’A.P., pervenendo a 
un equo contemperamento 
tra 
le 
opposte 
istanze, mediante 
la 
riconosciuta 
conservazione 
della 
proposta 
iniziale 
di 
vincolo, 
da 
reputarsi 
intatta 
e 
pienamente 
efficace 
e 
utilizzabile, 
anche 
successivamente 
alla 
consumazione 
delle 
misure 
di 
restrittive 
di 
salvaguardia, 
in quanto sottoposte 
al 
regime 
decadenziale 
allorquando non confermate 
da 
un 
successivo 
provvedimento 
amministrativo, 
nei 
termini 
indicati 
dalla Plenaria n. 13/2017. 

In particolare, pur a 
fronte 
di 
norma 
generale 
recante 
la 
limitazione 
temporale 
del 
potere 
autoritativo 
della 
P.A., 
sancito 
dall’art. 
141 
comma 
5 
del 
Codice 
(in 
attuazione 
del 
principio 
generale 
ex 
art. 
2 
della 
L. 
n. 
241/1990), 
la 
deroga 
operata 
dall’Adunanza 
Plenaria 
è 
stata 
intesa 
con 
elasticità 
e 
buon 
senso, in adeguata 
considerazione 
delle 
peculiarità 
della 
materia 
e 
dei 
sottesi 
interessi pubblici, incentrati sulla tutela del bene fondamentale/Paesaggio. 

La 
soluzione 
compromissoria 
sopra 
illustrata, 
consistente 
nel 
mantenimento 
della 
validità 
della 
proposta 
introduttiva 
di 
vincolo 
e 
nel 
riconoscimento 
della 
caducabilità 
solo 
degli 
effetti 
preliminari 
restrittivi 
da 
essa 
scaturenti, 
tra 
l’altro senza 
soluzioni 
di 
continuità 
qualora 
le 
Amministrazioni 
competenti 
si 
determinino positivamente 
al 
riguardo entro i 
180 giorni 
dalla 
pubblicazione 
della 
sentenza 
dell’A.P. n. 13/2017, è 
stata 
applicata 
nel 
caso di 
specie 
con ragionevolezza, 
dal 
momento che 
la 
perdurante 
efficacia 
della 
proposta 
di 
vincolo, 
anche 
dopo 
il 
decorso 
del 
termine 
finale 
del 
22 
giugno 
2018, 
ha 
legittimato la 
conseguente 
resistenza 
del 
potere 
della 
P.A. ai 
rilievi 
critici 
invocanti 
l’automatismo della 
sua 
consumazione 
in dipendenza 
della 
scadenza 
di 
quel 
termine; 
conclusione 
obbligata, quest’ultima, a 
fronte 
del 
rilievo sulla 
limitazione 
della 
decadenza 
alle 
sole 
previsioni 
di 
salvaguardia 
scaturenti 
dalla 
medesima 
proposta, con salvezza 
dell’imposizione 
definitiva 
del 
vincolo, per 
l’appunto in presenza 
di 
un potere 
permanentemente 
esercitabile 
e 
di 
un atto 
originario limitato non quanto all’attitudine 
propulsiva 
ma 
solo in relazione 
alla sua idoneità a produrre in via provvisoria effetti di vincolo. 



RASSeGnA 
AvvoCATURA 
DeLLo 
STATo -n. 3/2020 


Ciò 
non 
significa 
la 
vanificazione 
del 
surrichiamato 
termine 
di 
180 
giorni 
e 
della 
sua 
perentorietà, 
e 
tantomeno 
l’aggiramento 
della 
pronuncia 
dell’Adunanza 
Plenaria, 
dal 
momento 
che 
è 
stato 
recepito 
che 
risultano 
incise 
solo 
le 
misure 
cautelative 
scaturenti 
dalla 
proposta, 
col 
corollario, 
tuttavia, 
che 
la 
persistentemente 
valida 
proposta 
esplica 
una 
residuale 
efficacia 
quanto 
al-
l’attitudine 
a 
conferire 
impulso 
all’iter 
approvativo 
del 
vincolo, 
da 
ritenersi 
operativo 
semplicemente 
con 
effetto 
ex 
nunc 
in 
caso 
di 
travalicamento 
di 
quel 
termine, 
senza 
la 
possibilità 
per 
l’Amministrazione 
di 
evitare 
la 
soluzione 
di 
continuità 
della 
salvaguardia 
introdotta 
in 
via 
provvisoria 
rispetto 
al 
perfezionamento 
dell’atto 
finale 
approvativo 
del 
vincolo, 
ovverosia 
di 
consentire 
la 
saldatura 
degli 
effetti 
del 
vincolo 
provvisorio 
con 
quelli 
del 
vincolo 
definitivo; 
con 
ciò, 
esponendosi 
solo 
al 
rilievo 
dell’inopponibilità 
del 
vincolo 
a 
richieste 
di 
trasformazione 
edilizia 
del 
territorio 
comunale, 
intervenute 
successivamente 
al 
22 
giugno 
2018 
(termine 
inutilmente 
decorso) 
e 
definite 
prima 
del 
decreto 
finale 
di 
approvazione 
del 
vincolo 
medesimo, 
come 
tali 
da 
reputarsi 
non 
assoggettate 
ad 
autorizzazione 
paesaggistica 
e 
al 
parere 
vincolante 
del 
MIBAC 
(7). 


3.3 
L’evoluzione 
giurisprudenziale 
sul 
tema 
del 
c.d. 
“prospective 
overruling”, 
inteso non solo in senso esclusivamente “processuale”. 
La 
questione 
appena 
affrontata 
apre 
un’interessante 
prospettiva 
in 
ordine 
alla 
rilevanza 
nella 
materia 
in 
disamina 
del 
c.d. 
overruling, 
in 
senso 
esorbitante 
dai limiti del processo giudiziale. 


Come 
è 
noto, 
secondo 
la 
definizione 
giurisprudenziale 
il 
"prospective 
overruling" 
(istituto mutuato dal 
diritto anglosassone) è 
finalizzato a 
porre 
la 
parte 
al 
riparo 
da 
effetti 
pregiudizievoli 
(nullità, 
decadenze, 
preclusioni, 
inammissibilità) 
indotti 
da 
mutamenti 
imprevedibili 
della 
giurisprudenza 
di 
legittimità 
su 
norme 
regolatrici 
del 
processo, 
in 
guisa 
tale 
da 
consentire 
all'atto 
compiuto con modalità 
e 
in forme 
ossequiose 
dell'orientamento giurisprudenziale 
successivamente 
ripudiato, ma 
dominante 
al 
momento del 
compimento 
dell'atto, di 
produrre 
ugualmente 
i 
suoi 
effetti 
sostanziali; 
peraltro, per tradizionale 
affermazione 
soprattutto della 
giurisprudenza 
civile, non sarebbe 
invocabile 
nell'ipotesi 
in cui 
il 
nuovo indirizzo giurisprudenziale 
di 
legittimità 
riguardi 
l'interpretazione 
del 
diritto 
sostanziale, 
che 
spetta 
comunque 
alla 
parte 
valutare. 


In significativa 
consonanza 
con la 
sentenza 
in commento del 
Tribunale 
periferico, 
innestatasi 
sul 
solco 
dell’impostazione 
qui 
propugnata 
della 
materia 
trattata, sono intervenute 
pronunce 
innovative 
del 
Consiglio di 
Stato, successive 
alla richiamata sentenza dell’Adunanza plenaria n. 13/2017. 


(7) Il punto sarà approfondito all’apposito paragrafo 3.4 successivo. 

ConTenzIoSo 
nAzIonALe 


Su 
tale 
profilo 
specifico 
delle 
questioni 
affrontate 
si 
è 
infatti 
espressa 
anche 
la 
Sezione 
vI del 
Consiglio di 
Stato con la 
sentenza 
n. 6858 del 
3 dicembre 
2018, in riferimento a 
un caso strutturalmente 
analogo (occasionato 
da 
una 
S.C.I.A. 
relativa 
a 
un 
intervento 
edilizio 
sempre 
nel 
Comune 
di 
Isernia, 
denegata 
in costanza 
del 
termine 
surricordato di 
180 giorni), concernente 
la 
richiesta 
di 
declaratoria 
di 
nullità 
e 
inefficacia 
del 
medesimo vincolo paesaggistico, 
quale 
derivante 
dalla 
proposta 
di 
notevole 
interesse 
dell’intero territorio 
del 
Comune 
di 
Isernia, nonché 
del 
parere 
vincolante 
negativo espresso 
dalla 
Soprintendenza 
per 
i 
beni 
architettonici 
e 
paesaggistici 
del 
Molise 
in 
merito 
a 
un’istanza 
di 
autorizzazione 
ex 
art. 146 D.Lgs 
n. 42/2004, in quanto “il 
territorio del 
Comune 
di 
isernia è 
sottoposto a tutela paesaggistica ai 
sensi 
dell’art. 157 d.Lgs 
42/2004 con proposta di 
vincolo, affissa all’albo pretorio 
del Comune di isernia dal 15 aprile 2003 al 15 luglio 2003”. 


La 
sentenza 
riformata, n. 117/2018 del 
Tribunale 
amministrativo regionale 
del 
Molise, aveva 
inopinatamente 
accolto nel 
merito il 
ricorso proposto 
dalla 
società, ponendo a 
fondamento della 
propria 
decisione 
solo l’indirizzo 
già 
minoritario e 
fatto assurgere 
al 
rango di 
principio dall’Adunanza 
Plenaria 


n. 13/2017, secondo cui 
“il 
combinato disposto -nell’ordine 
logico -dell’art. 
157, comma 2, dell’art. 141, comma 5, dell’art. 140, comma 1 e 
dell’art. 139, 
comma 5 del 
d.Lgs 
22 gennaio 2004, n. 42, deve 
interpretarsi 
nel 
senso che 
il 
vincolo 
preliminare 
nascente 
dalle 
proposte 
di 
dichiarazione 
di 
notevole 
interesse 
pubblico formulate 
prima dell’entrata in vigore 
del 
medesimo decreto 
legislativo 
-come 
modificato 
con 
il 
d.Lgs 
24 
marzo 
2006, 
n. 
157 
e 
con 
il 
d.Lgs 
26 marzo 2008, n. 63 -cessa qualora il 
relativo procedimento non si 
sia concluso entro 180 giorni”. 
In proposito, il 
Giudice 
di 
prime 
cure 
-manifestando un avviso poi 
sostanzialmente 
mutato nella 
sentenza 
in commento -aveva 
precisato che 
tale 
principio 
è 
applicabile 
al 
caso 
vagliato, 
valorizzando 
la 
circostanza 
che 
il 
procedimento 
approvativo del 
vincolo, all’epoca 
non ancora 
definito ma 
prima 
della 
scadenza 
di 
quello -di 
180 giorni 
-delineato dall’A.P. quale 
occasione 
estrema 
proprio per la 
conclusione 
da 
parte 
dell’Amministrazione 
B.A.C. del 
medesimo 
procedimento, 
aveva 
avuto 
inizio 
con 
una 
proposta 
emanata 
11 
anni 
prima rispetto al diniego impugnato. 


In buona 
sostanza 
il 
T.A.R. Molise 
ha 
ritenuto che 
il 
vincolo preliminare 
fosse 
già 
decaduto allorquando la 
società 
ha 
formulato richiesta 
di 
autorizzazione 
paesaggistica, ai sensi dell’art. 146 D.Lgs n. 42/2004. 


Per 
quanto 
di 
interesse 
in 
riferimento 
al 
principio 
dell’overruling 
in 
discussione, 
il 
Tribunale 
amministrativo 
ha 
affermato 
che 
la 
“limitazione 
pro 
futuro 
degli 
effetti 
della 
sentenza 
interpretativa 
dell’adunanza 
plenaria 
equivale 
alla 
creazione 
di 
una 
norma 
transitoria, 
in 
funzione 
para-normativa, 
che 
non 
può 
vincolare 
il 
giudice 
di 
primo 
grado, 
in 
quanto 
recessiva 
rispetto 
al 
principio 
costituzionale 
di 
soggezione 
del 
giudice 
soltanto 
alla 
legge 
ex 
art. 
101 
Cost.”. 



RASSeGnA 
AvvoCATURA 
DeLLo 
STATo -n. 3/2020 


In particolare, il 
T.A.R. Molise 
ha 
ritenuto insussistenti 
i 
presupposti 
per 
la 
configurabilità 
del 
c.d. prospective 
overruling, in quanto l’esegesi 
inciderebbe 
su una 
norma 
sostanziale 
e 
non processuale 
di 
disciplina 
del 
procedimento 
amministrativo, 
tenuto 
conto 
altresì 
dell’insussistenza 
di 
effetti 
preclusivi 
del 
diritto di 
azione 
o di 
difesa 
derivanti 
dal 
mutamento dell’interpretazione 
giurisprudenziale 
e, 
in 
concreto, 
dell’assenza 
di 
un 
“diritto 
vivente” 
sul 
punto 
controverso, 
dopo 
la 
rimessione 
all’Adunanza 
Plenaria 
del 
contrasto 
insorto all’interno del Consiglio di Stato. 


Andando di 
contrario avviso, il 
Giudice 
di 
seconda 
istanza, accogliendo 
l’appello proposto dall’Amm.ne 
statale, ha 
affrontato in modo differente 
e 
innovativo 
l’istituto 
del 
c.d. 
prospective 
overruling, 
puntualizzando 
le 
collimanti 
tesi dell’A.P. 


Infatti, 
la 
sesta 
Sezione 
del 
Consiglio 
di 
Stato 
ha 
stabilito 
che 
l’esigenza 
di 
dare 
certezza 
al 
diritto 
applicato 
-alla 
base 
dell’art. 
99 
c.p.a. 
-deve 
essere 
bilanciata 
con 
la 
necessità 
di 
garantire 
forme 
naturali 
di 
evoluzione 
giurisprudenziale. 
Ciò 
premesso, 
il 
Supremo 
Consesso 
ha 
ritenuto 
che 
il 
Giudice 
di 
primo 
grado, 
pur 
non 
obbligato 
a 
seguire 
i 
principi 
dettati 
dall’Adunanza 
Plenaria, 
debba, 
tuttavia, 
evitare 
difformità, 
per 
incuriam, 
rispetto 
a 
tali 
principi. 


orbene, 
in 
determinate 
ipotesi, 
la 
medesima 
esigenza 
di 
certezza 
del 
diritto 
che 
muove 
all’enunciazione 
del 
principio, 
può 
indurre 
l’adunanza 
plenaria 
a 
stabilire 
che 
la 
propria 
decisione 
produca 
effetti 
unicamente 
‘pro 
futuro’ 
-e 
quindi 
non 
solo 
per 
i 
giudizi 
pendenti 
-escludendone 
la 
retroattività, 
mediante 
il 
ricorso 
al 
c.d. 
prospective 
overruling, 
strumento 
di 
creazione 
pretoria, 
escogitato 
per 
mitigare 
gli 
effetti 
retroattivi 
di 
un 
repentino 
mutamento 
giurisprudenziale, 
proiettando 
eventuali 
effetti 
sfavorevoli 
della 
sentenza 
solo 
nel 
futuro. 


La 
prospective 
overruling, come 
hanno precisato i 
Giudici 
del 
Supremo 
Consesso, richiede 
la 
concomitante 
sussistenza 
di 
tre 
presupposti: 
1) il 
nuovo 
orientamento giurisprudenziale 
deve 
incidere 
su una 
regola 
processuale 
e 
non 
sostanziale; 
2) il 
nuovo indirizzo interpretativo deve 
essere 
imprevedibile 
ovvero 
far seguito ad altro orientamento consolidatosi 
nel 
corso del 
tempo, tale 
da 
considerarsi 
diritto 
vivente 
e 
quindi 
da 
indurre 
un 
ragionevole 
affidamento; 


3) 
il 
mutamento 
dell’indirizzo 
interpretativo 
deve 
precludere 
il 
diritto 
di 
azione 
o di difesa. 
Tuttavia 
nella 
fattispecie 
astratta 
in disamina 
è 
stato ineluttabile 
commisurare 
la 
portata 
di 
tale 
istituto non solo alla 
decadenza 
delle 
misure 
cautelari 
di 
salvaguardia, ma 
anche 
alla 
conservazione 
di 
effetti 
innestatisi 
sulla 
proposta 
di 
vincolo, in quanto espressione 
della 
necessità 
di 
tutelare 
un valore 
fondamentale 
di 
rango costituzionale, quale 
appunto il 
Paesaggio, onde 
evitare 
il 
travolgimento 
irrimediabile 
e 
irreversibile 
dei 
procedimenti 
in 
corso 
e 
in 
attesa 
di conclusione. 

Con 
ciò, 
emergendo 
una 
circostanza 
“sostanziale” 
meritevole 
di 
protezione, 
mediante 
ridimensionamento 
della 
“naturale” 
retroattività, 
rispetto 
ai 



ConTenzIoSo 
nAzIonALe 


giudizi 
in corso, del 
revirement 
giudiziale 
sulla 
decadenza 
delle 
misure 
di 
salvaguardia, 
pur se 
l’applicazione 
della 
nuova 
interpretazione 
vada 
riferita 
a 
un 
istituto 
procedimentale 
(decadenza) 
operante 
in 
un 
contesto 
procedimentale 
amministrativo 
(8), 
parificabile 
a 
quello 
operante 
nel 
giudizio 
(decadenza 
processuale), 
in tal 
senso confermandosi 
l’allineamento della 
Sezione 
alla 
regolazione 
solo per il 
futuro degli 
effetti 
temporali 
dell’annullamento, dichiarato 
dall’Adunanza Plenaria, degli stessi atti ministeriali. 


Di 
conseguenza, pur reputando ammissibile 
il 
discostamento della 
decisione 
del 
T.A.R. n. 117/2018 dall’Ad. Plen. n. 13/2017, in ragione 
della 
limitata 
vincolatività, 
ai 
sensi 
dell’art. 
99 
c.p.a., 
delle 
pronunce 
dell’Adunanza 
nei 
giudizi 
diversi 
da 
quello che 
l’ha 
occasionata, il 
Supremo Consesso ha 
smentito 
nel 
merito 
la 
prospettazione 
di 
primo 
grado 
sull’insussistenza, 
nel 
caso 
deciso dall’Adunanza, dei 
presupposti 
per l’applicazione 
dello strumento del 
prospective overruling. 


Ciò posto, è 
stato riconosciuto che 
le 
Soprintendenze 
hanno la 
facoltà 
di 
concludere 
legittimamente 
i 
procedimenti 
di 
vincolo avviati 
prima 
delle 
modifiche 
al 
Codice 
dei 
beni 
culturali 
e 
paesaggistici, con salvezza 
delle 
citate 
misure 
di 
salvaguardia 
(previste 
dall’art. 146 del 
Codice 
dei 
beni 
culturali), 
nel 
termine 
previsto 
ex 
lege 
di 
180 
giorni, 
decorrente 
dalla 
pubblicazione 
della 
sentenza 
della 
Plenaria. 
Diversamente 
opinando, 
i 
procedimenti 
pendenti 
verrebbero 
travolti 
dall’efficacia 
retroattiva 
dell’ipotetica 
decisione 
di 
annullamento, 
con cui 
venga 
sancita 
la 
decadenza, non solo dell’effetto preliminare 
di vincolo, ma anche dell’efficacia della proposta. 


Motivo, 
per 
cui 
non 
vi 
è 
stata alcuna consumazione 
del 
potere 
Mi-
BaCt 
di 
concludere 
il 
procedimento in 
questione, proprio per la 
prevista 
salvezza 
dell’efficacia 
della 
proposta 
da 
cui 
è 
scaturito legittimamente 
il 
decreto 
impugnato, 
essendo 
decadute 
solamente 
le 
previsioni 
di 
salvaguardia 
scaturenti 
dalla 
stessa 
proposta, 
cessate 
a 
decorrere 
dalla 
scadenza 
del 
termine 
indicato di 180 giorni, fino alla definitiva imposizione del vincolo. 


Pertanto, la 
soluzione 
adottata 
dal 
Supremo Consesso si 
appalesa 
come 
indirizzata 
allo 
scopo 
di 
tutelare 
la 
parte 
pubblica 
potenzialmente 
soccombente 
anche 
dagli 
effetti 
sostanziali 
pregiudizievoli 
(nullità, decadenze, preclusioni, 
inammissibilità) indotti 
dal 
mutamento d’indirizzo, in quanto derivanti 
da 
innovazione 
improvvisa 
dell’esegesi 
giurisprudenziale, anche 
se 
non afferente 
a norme processuali in senso stretto. 


(8) 
L’assunto 
trova 
corrispondenza 
in 
una 
sorta 
di 
obiter 
dictum 
desumibile 
dalla 
sentenza 
n. 
1/2018 dell’Adunanza 
Plenaria, in tema 
di 
limiti 
applicativi 
dell’istituto in discussione, del 
prospective 
overruling:“nella fattispecie 
in 
esame 
non 
occorre 
applicare 
una norma processuale 
e 
nemmeno 
attinente 
al 
procedimento 
amministrativo, 
e, 
in 
ogni 
caso, 
non 
risulta 
che 
vi 
sia 
stato 
né 
un 
mutamento 
imprevedibile 
di 
orientamento 
in 
ragione 
anche 
degli 
indirizzi 
interpretativi 
seguiti 
nell’ambito 
della 
giurisprudenza 
della 
Corte 
di 
Cassazione 
né 
una 
incidenza 
negativa 
sul 
diritto di 
azione 
della 
parte 
appellata”. 

RASSeGnA 
AvvoCATURA 
DeLLo 
STATo -n. 3/2020 


Indispensabile 
presupposto, 
in 
ogni 
caso, 
resta 
la 
consolidazione 
della 
communis 
opinio 
maturata 
nella 
giurisprudenza 
e 
nella 
dottrina 
in 
ordine 
al 
significato 
normativo 
da 
attribuire 
ad 
una 
determinata 
disposizione; 
ossia 
proprio, 
nell’accezione costituzionalistica, il “diritto vivente” (9). 


Ciò 
consente, 
dunque, 
all'atto 
compiuto 
in 
ossequio 
all'orientamento 
giurisprudenziale 
successivamente 
ripudiato 
-ma 
dominante 
al 
momento 
del 
compimento dell'atto - di produrre ugualmente i suoi effetti, almeno in parte. 


Il 
confine 
di 
operatività 
dell’istituto 
in 
esame, 
pertanto, 
può 
ritenersi 
spostato 
in avanti 
in termini 
compatibili 
con la 
soglia 
delineata 
e 
ribadita 
dal 
successivo 
arresto 
giurisprudenziale 
civilistico 
(10), 
da 
cui 
si 
desume 
che 
il 
medesimo istituto non appare 
invocabile 
essenzialmente 
nell'ipotesi 
in cui 
il 
nuovo indirizzo giurisprudenziale 
di 
legittimità 
ampli 
facoltà 
e 
poteri 
che 
la 
parte 
non abbia 
esercitato per un'erronea 
interpretazione, in senso auto-limitativo, 
delle 
norme 
processuali, quindi, per apporto soggettivo non condizionato 
dalla 
giurisprudenza 
di 
legittimità, in quanto l'effetto pregiudizievole 
in 
questione 
deriverebbe 
direttamente 
ed 
esclusivamente 
dall'errore 
interpretativo 
della parte. 

L'affidamento 
qualificato 
in 
un 
consolidato 
indirizzo 
interpretativo, 
meritevole 
di 
tutela 
mediante 
il 
prospective 
overruling, 
è 
quindi 
riconoscibile 
solo 
in 
presenza 
di 
stabili 
approdi 
interpretativi, 
che 
assumono 
il 
valore 
di 
communis 


(9) Sul 
punto, si 
veda 
Consiglio di 
Stato, sez. vI, 1 aprile 
2019, n. 2147, che 
ha 
affrontato ancora 
la 
possibilità 
di 
differimento nel 
tempo dell’efficacia 
dei 
principi 
di 
diritto enunciati 
dalle 
sentenze 
del-
l'Adunanza plenaria nn. 11 e 13 del 2017. 
La 
medesima 
Sezione 
vI del 
Consiglio di 
Stato, in una 
fattispecie 
a 
ben vedere 
“opposta” 
a 
quella 
in 
disamina, ha 
avuto modo di 
puntualizzare 
che, in ordine 
alla 
possibilità 
di 
differire 
nel 
tempo gli 
effetti 
dei 
principi 
di 
diritto enunciati 
dalla 
sentenza 
dell'Adunanza 
plenaria, è 
necessario considerare 
che 
-in 
senso ostativo all'applicazione 
del 
c.d. 
prospective 
overruling -tale 
istituto non possa 
invocarsi 
per giustificare 
la 
perdurante 
applicazione 
di 
un 
orientamento 
interpretativo 
che 
non 
sia 
espressione 
di 
un 
diritto 
vivente, in quanto sviluppatosi 
in un arco temporale 
di 
pochi 
mesi 
e 
perché 
fondato su premesse 
processuali 
e 
conclusioni 
sostanziali 
che 
presentano profili 
di 
contrarietà 
a 
consolidati 
indirizzi 
giurisprudenziali 
di 
segno 
opposto, 
soprattutto 
allorché 
l'irretroattività 
della 
nuova 
esegesi 
abbia 
l'effetto 
di 
sacrificare 
la 
legittima 
aspettativa 
di 
un'amplia 
platea 
di 
soggetti 
controinteressati, 
producendo 
così 
effetti in danno degli stessi. 
Sui 
limiti 
di 
vincolatività 
delle 
pronunce 
dell’Adunanza 
plenaria, già 
con un’ordinanza 
di 
rimessione, 
il 
Supremo Consesso ha 
affermato che 
il 
vincolo nomofilattico previsto dall’art. 99 comma 
III c.p.a., rispetto 
a 
pronunce 
dell’Adunanza 
Plenaria, costituisce 
un mero vincolo processuale 
negativo. Pertanto, 
qualora 
una 
Sezione 
semplice 
del 
Consiglio di 
Stato non condivida 
il 
principio di 
diritto formulato dal-
l’Adunanza 
Plenaria, non sarà 
tenuta 
ad applicarlo, né 
tantomeno, dar luogo a 
una 
mera 
allegazione 
del 
dovere 
di 
ottemperanza 
di 
tale 
vincolo interpretativo. Di 
conseguenza, laddove 
la 
sezione 
semplice 
pervenga 
a 
un risultato contrario, dovrà, mediante 
ordinanza 
interlocutoria 
motivata 
(in funzione 
di 
anticipatory 
overruling), sollevare 
la 
questione 
dinanzi 
all’Adunanza 
Plenaria, invocando un revirement 
del 
principio di 
diritto non condiviso, affinché 
la 
Plenaria 
stessa 
rimuova 
il 
precedente 
che 
crea 
il 
vincolo 
interpretativo de 
quo. Infatti 
il 
principio non condiviso, costituendo un mero vincolo interpretativo negativo, 
ha 
la 
finalità 
di 
impedire 
la 
sola 
applicazione, da 
parte 
della 
Sezione 
semplice, della 
pronuncia 
contrastante con il principio di diritto formulato dall’Adunanza Plenaria. 
(10) Cfr. Cassazione civile, SS.UU., 12 febbraio 2019, n. 4135. 

ConTenzIoSo 
nAzIonALe 


opinio 
tra 
gli 
operatori 
e 
gli 
interpreti 
del 
diritto, 
qualora 
connotati 
dai 
caratteri 
di 
costanza 
e 
ripetizione, 
a 
differenza 
della 
giurisprudenza 
di 
merito, 
la 
quale 
non 
può 
giustificare 
il 
predetto 
affidamento 
qualificato, 
atteso 
che 
alcune 
di 
esse 
non 
sono 
idonee 
ad 
integrare 
un 
vero 
e 
proprio 
"diritto 
vivente". 


In 
definitiva, 
il 
principio 
dell’overruling 
sembra 
aver 
acquisito, 
come 
condivisibilmente 
illustrato 
da 
Cons. 
Stato 
n. 
6858/2018 
con 
indirizzo 
ripreso 
dalla 
sentenza 
in 
commento 
n. 
104/2019 
(e 
in 
presenza 
di 
un 
consistente 
indirizzo 
giurisprudenziale 
e 
dottrinale 
definibile 
come 
“diritto 
vivente”), 
una 
prospettiva 
inedita, 
allargandosi 
verso 
orizzonti 
non 
più 
limitati 
agli 
angusti 
limiti 
processuali 
inerenti 
a 
“giudizi” 
instaurati 
e 
pendenti, 
per 
il 
fatto 
di 
aprirsi 
-con 
esegesi 
su 
base 
“analogica” 
-anche 
all’iter 
procedimentale 
amministrativo 
e 
agli 
effetti 
“sostanziali” 
in 
esso 
rilevanti 
(art. 
157, 
art. 
141 
del 
Codice), 
ugualmente 
connotato 
dall’ordinata 
sequenzialità 
e 
funzionalizzazione 
di 
atti 
all’adozione 
di 
un 
provvedimento 
decisorio 
finale, 
idoneo 
a 
conferire 
tendenziale 
stabilità 
agli 
interessi 
esaminati; 
iter, 
ugualmente 
suscettibile 
dell’esposizione 
a 
sopravvenienze 
interpretative 
in 
grado 
di 
sovvertire 
l’equilibrio 
apparentemente 
consolidato 
dei 
contrapposti 
interessi 
in 
gioco 
all’interno 
del 
medesimo 
iter. 


D’altro 
canto, 
l’allargamento 
applicativo 
appare 
utile 
e 
apprezzabile, 
laddove 
si 
renda 
necessario l’esercizio di 
strumenti 
idonei 
a 
rimediare 
a 
vulnera 
di 
interessi 
incentrati 
su 
beni 
e 
valori 
di 
rango 
costituzionale 
fondamentale, 
come 
per il 
Paesaggio (art. 9 Cost.), che 
si 
manifesta 
quale 
componente 
qualificata 
ed essenziale 
dell’ambiente, nella 
lata 
accezione 
che 
di 
tale 
bene 
giuridico 
ha 
fornito 
l’evoluzione 
giurisprudenziale, 
anche 
di 
matrice 
costituzionale (11). 


nel 
caso 
di 
specie, 
l’indirizzo 
qui 
propugnato 
fa 
sì 
che 
il 
mutamento 
dell’orientamento 
giurisprudenziale 
non 
danneggi 
l’Amministrazione 
statale, 
esponendola 
a 
decadenze 
sino 
ad 
allora 
imprevedibili 
stando 
all’orientamento 
giurisprudenziale 
dominante 
prima 
di 
A.P. 
n. 
13/2017 
(12), 
che 
incidono 
in 
senso 
penalizzante 
su 
poteri 
e 
facoltà 
già 
esercitati 
e 
teoricamente 
non 
più 
esercitabili, 
conservandole 
l’opportunità 
di 
gestire 
adeguatamente 
l’interesse 
pubblico 
coinvolto, 
senza 
eccessiva 
compressione 
di 
quello 
privato 
contrapposto. 


Una 
plausibile 
conclusione 
è 
dunque 
nel 
senso 
che 
i 
segnali 
provenienti 
dalla 
giurisprudenza 
soprattutto 
amministrativa 
-sia 
dai 
Tribunali 
territoriali 


(11) Tra le tante, Corte Cost. 14 novembre 2007, n. 378; CdS, vI, n. 1144/2014. 
(12) Se 
ne 
veda 
il 
riepilogo essenziale 
nell’ordinanza 
di 
rimessione 
del 
Consiglio di 
Stato, sez. 
Iv, 12 giugno 2017, n. 2838, e 
in T.A.R. Molise 
n. 92/2016; 
CdS, sez. vI, sent. del 
27 luglio 2015 n. 
3663, 
id., 21 marzo 2005, n. 121; 
T.A.R. veneto, 29 aprile 
2015, n. 473; 
T.A.R. Molise 
n. 730/2011; 
Corte 
costituzionale, 
sentenza 
23 
luglio 
1997 
n. 
262. 
Quanto 
alla 
giurisprudenza 
penale, 
Cass. 
pen., 
sez. 
III, 12 gennaio 2012 n. 6617 e 17 febbraio 2010 n. 16476. 
In senso contrario, Cons. Stato, sez. vI, 16 novembre 2016, n. 4746. 

RASSeGnA 
AvvoCATURA 
DeLLo 
STATo -n. 3/2020 


che 
dal 
Supremo 
Consesso 
-depongono 
verso 
caute 
ma 
consapevoli 
e 
significative 
aperture 
all’applicazione 
estensiva 
dell’istituto, 
in 
termini 
rilevanti 
anche 
nell’interpretazione 
di 
norme 
procedurali 
amministrative 
e 
altresì 
deponenti 
per 
il 
sempre 
più 
consapevole 
uso 
del 
potere 
giudiziale 
di 
modulare 
nel 
tempo 
gli 
effetti 
dell’annullamento 
giurisdizionale, 
onde 
evitare 
l’eccessiva 
compromissione 
di 
interessi 
pubblici 
a 
protezione 
costituzionale. 


3.4 (segue) 
La sopravvenienza del 
provvedimento di 
imposizione 
del 
vincolo 
paesaggistico rispetto alle 
valutazioni 
inerenti 
ai 
procedimenti 
autorizzatori 
in corso di svolgimento: le concrete soluzioni applicative. 
Appare 
infine 
meritevole 
di 
approfondimento 
la 
consequenziale 
questione 
pratica 
e 
applicativa, 
coinvolgente 
la 
problematica 
inerente 
alla 
rilevanza 
o 
meno del 
sopravvenuto provvedimento definitivo di 
imposizione 
del 
vincolo 
paesaggistico, in riferimento alle 
fattispecie 
procedimentali 
in corso di 
espletamento 
e 
valutazione, ai 
fini 
del 
rilascio delle 
autorizzazioni 
previste 
per interventi 
di trasformazione del territorio oggetto di quel vincolo. 

In 
particolare, 
prima 
facie 
appaiono 
confacenti 
all’ipotesi 
in 
questione 
due principi forieri di soluzioni non completamente convergenti. 


Da 
un lato, il 
noto canone 
“tempus 
regit 
actum” 
sembrerebbe 
implicare 
l’applicabilità 
della 
regola 
sopravvenuta, 
scaturente 
dal 
provvedimento 
amministrativo 
di 
dichiarazione 
del 
vincolo 
de 
quo, 
alle 
procedure 
non 
ancora 
definite 
dell’iter 
destinato 
a 
culminare 
nell’atto 
autorizzatorio 
richiesto 
dal 
privato (13); 
generale 
corollario sarebbe, dall’altro lato, l’irrilevanza 
del 
vincolo 
sopravvenuto per i 
procedimenti 
già 
definiti, in conseguenza 
della 
posteriorità 
(e 
tardività, 
se 
non 
consumazione) 
del 
potere 
ministeriale 
di 
conclusione 
del relativo iter approvativo. 


Invero, il 
richiamato principio, scaturente 
dall’art. 11 delle 
Disposizioni 
preliminari 
al 
Codice 
Civile, si 
appalesa 
quale 
regola 
di 
ordine 
generale, applicabile 
a 
ciascuna 
branca 
del 
diritto, 
incluso 
quello 
pubblico, 
e 
dunque 
anche 
il 
procedimento amministrativo interessato dalla 
disciplina 
sopravvenuta 
verrebbe 
regolato 
dalle 
disposizioni 
in 
quel 
momento 
vigenti. 
L’assunto 
generale 
per 
cui, 
in 
difetto 
di 
una 
disciplina 
intertemporale, 
recante 
espressa 
previsione 
contraria 
di 
carattere 
retroattivo, 
la 
regola 
sopravvenuta 
vada 
applicata 
ai 
procedimenti 
in corso, nella 
fattispecie 
quindi 
determinerebbe 
l’applicabilità 
del 
sopravvenuto vincolo paesaggistico ai procedimenti non ancora definiti. 


In particolare, volendo far assurgere 
la 
fase 
decisoria 
dell’iter autorizza-
torio 
a 
parametro 
di 
riferimento 
temporale 
della 
valutazione 
di 
irrilevanza 


(13) 
Con 
riguardo 
al 
caso 
specifico 
del 
procedimento 
di 
sanatoria 
paesaggistica, 
qualora 
la 
relativa 
istanza 
introduttiva 
venga 
presentata 
dopo l’entrata 
in vigore 
del 
vincolo, anche 
a 
fronte 
di 
abuso antecedente 
al 
vincolo, deve 
senz’altro ritenersi 
legittimo il 
diniego di 
autorizzazione 
paesaggistica: 
in tal 
senso, ad es., T.A.R. Molise, sentt. n. 313/2018 e 92/2020. 

ConTenzIoSo 
nAzIonALe 


dello jus 
superveniens, sulla 
base 
dei 
sopra 
indicati 
principi, nonché 
in forza 
di 
quanto 
esposto, 
la 
decisione 
finale 
adottata 
dall’Amministrazione 
procedente 
determinerebbe 
il 
momento 
di 
preclusione 
dell’applicazione 
del 
vincolo 
sopravvenuto all’istanza abilitativa. 


Apparentemente 
più restrittiva 
e 
selettiva 
l’impostazione 
che 
arretra 
alla 
fase 
istruttoria 
dell’iter 
autorizzatorio lo sbarramento temporale 
di 
rilevanza 
della 
regola 
sopravvenuta, 
dal 
momento 
che 
l’esaurimento 
di 
quest’ultima 
fase 
prima 
dell’insorgenza 
del 
vincolo 
determinerebbe 
l’inettitudine 
del 
vincolo 
stesso 
a 
incidere 
sul 
contenuto 
dell’emanando 
provvedimento, 
di 
guisa 
che 
quest’ultimo potrebbe 
prescindere 
dalla 
considerazione 
della 
determinazione 
approvativa 
finale 
che 
l’ha 
definitivamente 
introdotto; 
pertanto, 
come 
valorizzato 
dalla 
giurisprudenza 
amministrativa, laddove 
l’Amministrazione 
(nel 
caso 
di 
specie, 
dei 
B.A.C.) 
non 
abbia 
adottato 
il 
relativo 
provvedimento, 
il 
fatto sopravvenuto non avrebbe 
la 
capacità 
di 
incidere 
sul 
provvedimento finale 
ancora 
da 
adottare 
dall’autorità 
procedente, solo se 
attinente 
a 
una 
fase 
endoprocedimentale 
già 
conclusa 
(14). Specularmente, non potrebbe 
esservi 
margine 
di 
applicazione 
del 
vincolo 
paesaggistico 
sopravvenuto 
ai 
procedimenti 
pervenuti a fase istruttoria già espletata o conclusa (15). 


A 
questo punto, peraltro, vanno considerate 
nella 
fattispecie 
specifica 
in 
esame 
le 
compatibilità 
con la 
prescrizione 
di 
modulazione 
degli 
effetti 
della 
decisione 
giurisdizionale 
di 
annullamento, scaturente 
da 
A.P. n. 13/2017, dovendosi 
vagliare 
anche 
alla 
stregua 
di 
quest’ultima 
l’applicabilità 
del 
vincolo 
paesaggistico 
definitivo 
nel 
procedimento 
abilitativo 
in 
corso, 
tenendosi 
in 
conto la 
sua 
interferenza 
col 
tema 
dell’eventuale 
rilevanza 
da 
riconoscersi 
o 
meno 
al 
decorso 
del 
prescritto 
termine 
di 
180 
giorni, 
dettato 
per 
la 
conclusione 
ordinaria dell’iter 
di approvazione del vincolo. 


A 
tal 
proposito, non appare 
recepibile 
la 
soluzione 
(cfr. T.A.R. Molise 
n. 
117/2018, riformata 
da 
Cons. Stato, sez. vI, n. 6858/2018), che 
esclude 
in limine 
l’applicabilità 
del 
vincolo sopravvenuto, in quanto insuscettibile 
di 
incidenza 
su qualsiasi 
iter 
in corso, e 
ciò perché, analogamente 
e 
specularmente 
alle 
surrichiamate 
impostazioni, 
parimenti 
si 
tradurrebbe 
nella 
disapplicazione 


(14) In generale, ex multis, T.A.R. Lazio RM, sez. I, 20 maggio 2005, n. 4014. 
(15) Come 
è 
noto, la 
procedura 
amministrativa 
è 
solita 
snodarsi 
in diverse 
fasi 
che, pur essendo 
tra 
loro coordinate, sono tuttavia 
dotate 
di 
una 
relativa 
autonomia. Ad esempio, in sede 
di 
valutazione 
e 
accertamento 
delle 
procedure 
di 
sanatoria, 
è 
possibile 
riscontrare 
la 
presenza 
di 
fasi 
istruttorie 
suscettibili 
di 
esaurimento 
e 
di 
irretrattabilità, 
consistenti 
in 
subprocedimenti 
riguardanti 
assensi, 
nulla 
osta 
e 
pareri 
di 
soggetti 
pubblici, 
conclusi 
univocamente 
dall’organo 
tecnico 
competente 
in 
sede 
autonoma 
e 
separata 
rispetto all’iter 
autorizzatorio condotto dall’Autorità 
procedente. Ciò posto, il 
c.d. jus 
superveniens, per 
esigenze 
di 
economia 
dell’azione 
amministrativa, 
potrebbe 
essere 
applicato 
a 
quelle 
sottofasi 
che, 
all’atto 
dell’entrata 
in 
vigore 
del 
vincolo, 
non 
siano 
state 
ancora 
realizzate. 
a 
contrario, 
da 
ciò 
è 
desumibile 
l’assunto 
per 
cui, 
qualora 
l’amministrazione 
si 
sia 
determinata 
compiutamente 
sulla 
richiesta, 
la 
fase 
istruttoria 
non risulterebbe 
ulteriormente 
suscettibile 
di 
nuova 
valutazione 
circa 
l’incidenza 
del 
vincolo 
sorto successivamente. 

RASSeGnA 
AvvoCATURA 
DeLLo 
STATo -n. 3/2020 


generalizzata 
del 
canone 
sulla 
salvezza 
dei 
valori 
costituzionali 
in gioco, cui 
è 
strumentale 
la 
modulabilità 
per il 
futuro degli 
effetti 
della 
decisione 
di 
annullamento 
giurisdizionale, 
che 
è 
il 
tratto 
distintivo 
ed 
essenziale 
di 
A.P. 
n. 
13/2017, in tal 
guisa 
elidendosi 
anche 
qualsiasi 
spazio vitale 
alla 
regola 
sopra 
illustrata del 
prospective overruling. 


Alla 
medesima 
conclusione 
si 
perverrebbe 
ugualmente 
qualora 
la 
sopravvenienza 
del 
vincolo 
fosse 
commisurata 
al 
momento 
di 
presentazione 
del-
l’istanza 
avente 
a 
oggetto 
il 
rilascio 
del 
titolo 
edilizio 
(come 
in 
generale 
ad 
esempio in tema 
di 
sanatoria 
di 
abusi 
paesaggistici) per la 
realizzazione 
di 
interventi 
di 
trasformazione 
del 
territorio interessato dal 
vincolo sopravvenuto, 
istanza 
in tesi 
antecedente 
all’entrata 
in vigore 
del 
vincolo stesso. Invero, affermare 
ciò darebbe 
luogo al 
riconoscimento di 
un dirimente 
effetto di 
“prenotazione” 
insito 
nella 
presentazione 
della 
domanda 
amministrativa 
di 
abilitazione 
alla 
trasformazione 
del 
territorio, che 
resterebbe 
sempre, per definizione, 
insensibile 
alle 
sopravvenienze 
fattuali 
e 
regolamentari, 
ad 
onta 
della 
pendenza ed eventuale quiescenza del correlativo procedimento (16). 


Ciò posto, appare 
ineludibile 
che 
il 
suesposto principio vada 
bilanciato 
con 
la 
prescrizione 
distintiva 
della 
decisione 
dell’Adunanza 
Plenaria 
n. 
13/2017, affinché 
non entri 
in conflitto con la 
"regola" 
pro futuro 
da 
quest’ultima 
dettata, marcando la 
differenza 
tra 
l’ipotesi 
in cui 
l'atto finale 
di 
vincolo 
sia 
intervenuto 
entro 
i 
180 
giorni 
indicati 
nella 
pronuncia 
dell’A.P. 
(caso 
deciso 
dal 
Cons. Stato con sent. n. 6858/2018) e 
quella 
in cui 
l’atto di 
imposizione 
di 
vincolo 
venga 
adottato 
in 
seguito 
alla 
scadenza 
del 
predetto 
termine 
(ultra-termine, 
come nel caso deciso dal 
T.A.R. Molise, con sent. n. 104/2019). 

vero è 
che 
non appare 
sostenibile 
che 
il 
vincolo paesaggistico possa 
essere 
indiscriminatamente 
applicato 
in 
qualsiasi 
contesto 
procedimentale 
autorizzatorio, 
poiché 
altrimenti 
ciò 
darebbe 
luogo 
a 
un’evidente 
elusione 
dell’orientamento 
già 
minoritario 
e 
poi 
prevalso 
nella 
prospettiva 
recepita 


(16) Tale 
aspetto è 
pacificamente 
desumibile 
dalla 
giurisprudenza 
in materia 
di 
sanatoria 
di 
abusi 
paesaggistici, allorquando la 
presentazione 
della 
relativa 
istanza 
preceda 
temporalmente 
l’insorgenza 
del 
vincolo. Come 
è 
noto, la 
sussistenza 
del 
vincolo medesimo va 
rapportata 
al 
momento in cui 
viene 
proposta 
la 
domanda 
di 
permesso di 
costruire 
o di 
condono o di 
sanatoria, a 
tal 
ultimo riguardo non rilevando 
l’epoca 
della 
realizzazione 
dell’abuso 
o 
la 
data 
di 
presentazione 
dell’istanza 
di 
sanatoria, 
tenuto 
conto del 
fatto che 
la 
predetta 
valutazione 
funzionale 
risponderebbe 
all’esigenza 
di 
vagliare 
la 
compatibilità 
attuale 
dei 
manufatti 
realizzati 
abusivamente 
con 
il 
regime 
di 
tutela 
compendiato 
dal 
vincolo 
(sul 
punto, t.a.R. sicilia Pa, sez. ii, 23 maggio 2017, n. 1389). 
Invero, in relazione 
al 
rapporto tra 
istanza 
di 
sanatoria 
e 
autorizzazione 
paesaggistica, prescindendosi 
dal 
momento di 
introduzione 
del 
vincolo, ciò che 
rileva 
è 
la 
data 
di 
valutazione 
della 
domanda 
di 
sanatoria 
e 
non quella 
di 
antecedente 
realizzazione 
dell'opera 
o di 
presentazione 
della 
domanda, essendo irrilevante 
che 
il 
vincolo 
paesaggistico 
sia 
sopravvenuto 
rispetto 
alla 
commissione 
dell’abuso 
e 
alla 
data 
di 
presentazione 
della 
domanda 
di 
sanatoria 
(cfr. 
Consiglio 
di 
stato, 
sez. 
Vi, 
9 
ottobre 
2014, 
n. 
5025). 
In tale 
specifica 
ipotesi, dunque, si 
applicherebbe 
il 
vincolo, solo se 
insorto prima 
della 
presentazione 
della 
domanda 
ovvero del 
momento di 
sua 
valutazione, altrimenti 
la 
suddetta 
sopravvenienza 
non potrebbe 
avere alcun margine operativo. 

ConTenzIoSo 
nAzIonALe 


dall’A.P., il 
quale 
tende 
a 
evitare 
la 
perpetuazione 
degli 
effetti 
di 
atti 
provvisori, 
quali 
appunto le 
proposte 
di 
vincolo, senza 
che 
le 
stesse 
abbiano avuto 
un 
tempestivo 
impulso 
procedimentale, 
in 
tal 
guisa 
rendendo 
il 
sottostante 
procedimento 
autorizzatorio 
a 
priori 
insensibile 
al 
decorso 
del 
termine 
perentorio 
imposto per la consolidazione del vincolo preliminare. 


Per 
converso 
e 
specularmente, 
non 
si 
può 
parimenti 
sostenere 
che 
il 
vincolo 
non 
possa 
mai 
essere 
applicato, 
per 
la 
consumazione 
del 
potere 
di 
sua 
approvazione 
definitiva, 
in 
quanto 
è 
pur 
sempre 
riconosciuta 
all’azione 
amministrativa 
una 
sottesa, 
minima 
utilità, 
in 
ossequio 
al 
principio 
di 
conservazione 
dell’atto 
amministrativo, 
che 
consente, 
appunto, 
di 
evitare 
che 
l’attività 
svolta 
dalla 
P.A. 
si 
dispieghi 
in 
termini 
totalmente 
infruttuosi, 
specialmente 
quando 
abbia 
ad 
oggetto 
beni 
a 
valenza 
costituzionale 
e 
dunque 
rango 
primario. 


Di 
conseguenza, il 
principio dell'inapplicabilità 
del 
jus 
superveniens 
va 
contemperato 
con 
l'ambito 
oggettivo 
in 
cui 
si 
cala, 
ossia 
va 
correlato 
allo 
stadio 
di 
avanzamento del 
procedimento su cui 
va 
a 
incidere. Come 
sopra 
esposto, 
dunque, esso sarebbe 
applicabile 
in sede 
istruttoria, laddove 
la 
specifica 
fase 
endoprocedimentale non risulti già conclusa. 

Se 
ne 
desume 
che 
non 
appaiono 
applicabili 
in 
termini 
assoluti 
i 
sopra 
richiamati 
principi 
del 
“tempus 
regit 
actum” 
e 
di 
preconcetta 
irrilevanza 
del 
vincolo 
sopravvenuto, 
potendosi 
invece 
privilegiare 
la 
prospettiva 
additata 
dalle 
sentenze 
in 
commento, 
che 
consentono 
di 
cogliere 
spunti 
validi 
per 
delineare 
una 
differenza 
operante 
essenzialmente 
in 
punto 
di 
attitudine 
del 
vincolo 
a 
dispiegarsi 
o 
meno 
all’insegna 
del 
canone 
di 
retroattività 
più 
o 
meno 
marcata. 


In 
tal 
senso, 
laddove 
l'atto 
finale 
di 
recepimento 
della 
proposta 
di 
vincolo 
intervenga 
tempestivamente 
entro il 
termine 
dei 
180 giorni 
indicati 
dall’A.P., 
in 
scadenza 
il 
22 
giugno 
2018, 
sarà 
possibile 
ritenere 
la 
piena 
applicazione 
delle 
ordinarie 
regole 
codicistiche, che 
prevedono la 
possibilità 
di 
dispiegamento 
preliminare 
e 
immediato del 
vincolo mediante 
le 
c.d. clausole 
di 
salvaguardia, 
rendendolo così, di 
fatto, retroattivo, con saldatura 
dei 
relativi 
effetti 
con quelli 
provvisori 
promananti 
dalla 
proposta, avente 
quale 
scaturigine 
una 
sorta 
di 
rimessione 
in 
termini 
in 
favore 
dell’Amministrazione 
ministeriale, 
come delineata dall’Adunanza Plenaria. 


Qualora, 
invece, 
l’atto 
di 
imposizione 
del 
vincolo 
sia 
stato 
tardivo 
perché 
successivo 
alla 
scadenza 
del 
termine 
di 
180 
giorni 
e 
quindi 
al 
22 
giugno 
2018, 
secondo quanto affermato dal 
Supremo Consesso, esso resterà 
valido ma 
non 
sarà 
opponibile 
a 
quelle 
domande, 
già 
proposte, 
pervenute 
a 
chiusura 
della 
fase 
istruttoria 
del 
relativo iter 
o subfase, senza 
perfezionamento di 
quest’ultimo. 
Ciò 
implicherebbe 
l’impossibilità 
per 
il 
vincolo 
paesaggistico 
di 
operare 
retroattivamente. 


Il 
materiale 
limite 
operativo 
(e 
discretivo 
tra 
le 
due 
delineate 
ipotesi 
di 
sopravvenienza 
del 
vincolo 
per 
perfezionamento 
dell’iter 
approvativo) 
è 
rappresentato, 
quindi, 
dallo 
stato 
di 
avanzamento 
del 
procedimento 
autorizzatorio. 



RASSeGnA 
AvvoCATURA 
DeLLo 
STATo -n. 3/2020 


Conseguentemente, laddove 
la 
fase 
istruttoria 
sia 
stata 
chiusa 
senza 
vagliare 
la 
congruità 
della 
proposta 
di 
vincolo 
implicante 
nell’immediato 
la 
produzione 
preliminare 
delle 
misure 
di 
salvaguardia, 
suscettibili 
di 
decadenza 
qualora 
la 
conferma 
finale 
della 
proposta 
intervenga 
oltre 
i 
180 giorni, l’atto 
impositivo di 
vincolo non sarà 
più applicabile 
al 
caso concreto; 
mentre, laddove 
la 
fase 
istruttoria 
non 
sia 
stata 
ancora 
conclusa, 
opererebbe 
in 
favore 
dell’Amministrazione 
procedente 
una 
sorta 
di 
deroga 
al 
principio 
del 
“tempus 
regit actum”, relativo alle fasi completate. 


La 
conclusione 
globalmente 
ricavabile, 
ai 
fini 
della 
soluzione 
del 
quesito 
inerente 
all’incidenza 
del 
vincolo sopravvenuto nei 
singoli 
procedimenti 
abilitativi, 
dai 
dettami 
impartiti 
dalla 
citata 
pronuncia 
dell’Adunanza 
Plenaria 
(passata 
indenne 
al 
controllo 
di 
legittimità), 
nonché 
di 
quelle, 
irrevocabili, 
della 
Sezione 
vI 
del 
Consiglio 
di 
Stato 
e 
del 
T.A.R. 
Molise, 
è 
dunque 
nel 
senso 
che 
l’applicazione 
del 
principio 
del 
“tempus 
regit 
actum” 
e 
della 
speculare 
deroga, in coerenza 
con i 
suesposti 
limiti, consente 
in ogni 
caso un minimo 
ampliamento 
dell’opportunità 
di 
tutela 
paesistica, 
per 
il 
fatto 
di 
garantire 
la 
qualificazione 
di 
interesse 
pubblico dei 
valori 
espressi 
dal 
territorio quando il 
relativo perfezionamento si 
sia 
sovrapposto al 
singolo iter 
autorizzatorio presupponente 
un concreto accertamento di 
compatibilità 
paesaggistica 
che 
non 
abbia 
raggiunto un certo grado di 
consolidazione, mentre 
la 
soluzione 
dell’irrilevanza 
assoluta 
del 
vincolo sopravvenuto, poiché 
incompatibile 
con l’esigenza 
di 
difesa 
estrema 
dei 
beni 
paesaggistici 
in 
relazione 
alla 
tutela 
costituzionale 
per essi 
apprestata, risulterebbe 
in radice 
inadeguata 
e 
incompatibile 
con 
quei 
valori, 
dunque 
meno 
equilibrata 
e 
pragmatica 
della 
linea 
dettata 
dalle medesime pronunce. 


tribunale 
amministrativo Regionale 
per 
il 
Molise, sezione 
Prima, sentenza 14 marzo 
2019 n. 104 
-pres. S.I. Silvestri, est. o. Ciliberti 
-Comune 
di 
Isernia 
(avv. A. Colesanti) c. 
Ministero 
per 
i 
beni 
e 
le 
attività 
culturali, 
Sovrintendenza 
per 
i 
beni 
architettonici, 
il 
paesaggio, 
il 
patrimonio storico, artistico e 
demoantropologico del 
Molise, Commissione 
regionale 
per 
il patrimonio culturale e Regione Molise (avv. distr. Stato). 

FATTo e DIRITTo 
I 
-Questo 
T.a.r., 
a 
seguito 
di 
ricorsi 
della 
Regione 
Molise 
e 
del 
Comune 
di 
Isernia, 
con 
le 
sentenze 
nn. 27 e 
28 del 
2004, annullava 
la 
proposta 
ministeriale 
di 
dichiarazione 
di 
notevole 
interesse 
pubblico 
del 
territorio 
di 
Isernia, 
formulata 
nel 
2003. 
Il 
Consiglio 
di 
Stato, 
con 
le 
sentenze 
nn. 7606/2009 e 
7607/2009, accoglieva 
gli 
appelli 
del 
Ministero avverso le 
sopracitate 
sentenze 
T.a.r., annullandone 
gli 
effetti 
e 
facendo così 
rivivere 
la 
proposta 
a 
suo tempo 
formulata 
dal 
Ministero 
per 
i 
beni 
e 
le 
attività 
culturali 
(Mi.b.a.c.) 
di 
dichiarazione 
di 
notevole 
interesse 
pubblico dell’intero territorio comunale. Sennonché, tale 
proposta 
non approdava 
ad 
alcun 
esito 
fino 
al 
2 
agosto 
2018, 
data 
nella 
quale 
il 
relativo 
procedimento 
veniva 
concluso 
col 
decreto n. 28/2018 del 
Ministero per i 
beni 
e 
le 
attività 
culturali 
-Segretariato regionale 



ConTenzIoSo 
nAzIonALe 


per 
il 
Molise 
che, 
in 
applicazione 
del 
D.Lgs. 
n. 
42/2004 
e 
della 
legge 
n. 
1497/1939, 
dichiarava 
il 
notevole 
interesse 
pubblico ai 
fini 
paesaggistici 
del 
territorio del 
Comune 
di 
Isernia, sottoponendo 
al vincolo l’intero territorio comunale. 
Il 
Comune 
insorge, 
col 
ricorso 
notificato 
il 
17 
ottobre 
2018 
e 
depositato 
il 
12 
novembre 
2018, 
per 
impugnare 
i 
seguenti 
atti: 
1) 
il 
decreto 
n. 
28/18 
del 
Ministero 
b.a.c. 
-Segretario 
regionale; 


2) il 
verbale 
del 
Comitato tecnico-scientifico per il 
paesaggio n. 9 del 
16 luglio 2018; 
3) la 
nota 
del 
Segretariato regionale 
per il 
Molise 
prot. n. 1786 del 
24 luglio 2018; 
4) la 
nota 
prot. 
n. 4976 del 
10 aprile 
2003 della 
Soprintendenza 
BAP-PSAD 
del 
Molise; 
5) gli 
atti 
connessi. 
Il 
Comune 
deduce 
i 
seguenti 
motivi 
di 
diritto: 
1) violazione 
e 
falsa 
applicazione 
del 
D.Lgs. 
n. 42 del 
2004, della 
legge 
n. 1497 del 
1939, del 
D.Lgs. n. 157/2006 e 
del 
D.Lgs. n. 63/2008 
e 
della 
normativa 
in materia, falsa 
applicazione 
della 
sentenza 
n. 13 dell'Adunanza 
plenaria 
del 
Consiglio di 
Stato del 
22 dicembre 
2017, violazione 
dell'art. 13.3 delle 
Linee-guida 
della 
Regione 
Molise 
per 
il 
procedimento 
unico 
ex 
art. 
12 
del 
D.Lgs. 
n. 
387/2003, 
eccesso 
di 
potere 
per sviamento, contraddittorietà 
manifesta; 
2) violazione 
e 
falsa 
applicazione 
del 
D.Lgs. n. 
42 del 
2004, della 
legge 
n. 1497 del 
1939, del 
D.Lgs. n. 157/2006 e 
del 
D.Lgs.n. 63/2008 e 
della 
normativa 
in materia, violazione 
della 
legge 
n. 241/1990 e 
della 
normativa 
generale 
sul 
procedimento, eccesso di 
potere 
per violazione 
dei 
principi 
generali 
in tema 
di 
giusto procedimento 
e 
di 
affidamento, 
difetto 
assoluto 
di 
istruttoria; 
3) 
eccesso 
di 
potere 
per 
difetto 
assoluto 
di 
istruttoria, 
presupposti 
erronei 
ed 
erronea 
valutazione 
dei 
fatti, 
incongruenza, 
difetto 
di 
motivazione, 
illogicità 
manifesta, 
violazione 
della 
normativa 
pianificatoria 
vigente, 
del 
Piano 
paesaggistico regionale e del P.r.g. del Comune di Isernia. 
Si 
costituiscono congiuntamente 
il 
Ministero e 
la 
Regione 
intimati, per resistere 
nel 
giudizio. 
Con 
tre 
successive 
memorie, 
deducono 
l’inammissibilità 
per 
ne 
bis 
in 
idem, 
la 
tardività 
rispetto 
agli atti preparatori, nonché l’infondatezza del ricorso. Concludono per la reiezione. 
nella 
camera 
di 
consiglio 
del 
5 
dicembre 
2018, 
il 
ricorrente 
Comune 
rinuncia 
all’istanza 
cautelare. 
All’udienza del 6 marzo 2019, la causa è introitata per la decisione. 
II - Il ricorso è ammissibile ma infondato. 
III -La 
tardiva 
impugnazione 
degli 
atti 
preparatori 
è 
del 
tutto inconferente, trattandosi 
di 
atti 
endo-procedimentali, privi di autonoma lesività. 
Iv 
-va 
disattesa 
l’eccezione 
di 
inammissibilità 
per il 
ne 
bis 
in idem, poiché 
l’odierno ricorso 
non 
riguarda 
la 
proposta 
del 
2003 
di 
apposizione 
del 
vincolo 
(oggetto 
delle 
sentenze 
del 
2009 
del 
Consiglio di 
Stato), bensì 
il 
sopravvenuto provvedimento del 
2018 che 
conclude 
il 
procedimento 
di 
dichiarazione 
di 
notevole 
interesse 
pubblico del 
territorio di 
Isernia. Anche 
se 
il 
giudicato copre 
il 
dedotto e 
il 
deducibile, ossia 
non solo le 
questioni 
di 
fatto e 
di 
diritto fatte 
valere 
in via 
di 
azione 
o di 
eccezione 
e, comunque, esplicitamente 
investite 
dalla 
decisione, 
ma 
anche 
le 
questioni 
che, seppure 
non dedotte, costituiscono un presupposto logico indefettibile 
della 
decisione, nondimeno, qui 
non si 
fa 
questione 
della 
legittimità 
della 
proposta 
di 
vincolo formulata 
nel 
2003, bensì 
della 
legittimità 
del 
vincolo apposto nel 
2018 al 
territorio 
di Isernia, ancorché in conformità alla detta proposta. 
v 
-I motivi 
dedotti 
dal 
ricorrente 
Comune 
sono i 
seguenti: 
1) la 
proposta 
del 
2003 di 
sotto-
posizione 
a 
vincolo avrebbe 
dovuto perdere 
di 
efficacia 
dopo i 
180 giorni 
previsti 
dalla 
normativa 
vigente; 
2) 
sarebbero 
state 
violate 
nel 
caso 
di 
specie 
le 
linee-guida 
previste 
dalla 
Regione 
Molise 
per il 
procedimento unico ex 
art. 12 del 
D.Lgs. n. 387/2003; 
3) il 
procedimento 
iniziato nel 
2003 non è 
stato intervallato da 
istruttoria, incontri, comunicazioni 
o atti 
di 
partecipazione; 
4) 
è 
stata 
ignorata 
la 
normativa 
del 
Piano 
paesaggistico 
regionale 
e 
del 

RASSeGnA 
AvvoCATURA 
DeLLo 
STATo -n. 3/2020 


P.R.G. 
del 
Comune 
di 
Isernia; 
5) 
non 
si 
è 
tenuto 
conto 
della 
reale 
situazione 
dei 
luoghi 
oggetto 
del vincolo e, nel complesso, l’istruttoria svolta sarebbe inadeguata. 
vI - Il primo motivo del ricorso è da ritenersi inattendibile. 
La 
problematica 
delle 
proposte 
di 
vincolo è 
stata, a 
suo tempo, approfondita 
da 
questo T.a.r. 
con la 
sentenza 
n. 92 del 
26 febbraio 2016, pervenendosi 
alla 
conclusione 
della 
perdurante 
efficacia 
degli 
effetti 
del 
vincolo preliminare 
nascente 
dalle 
proposte 
di 
dichiarazione 
di 
notevole 
interesse 
pubblico 
formulate 
prima 
dell’entrata 
in 
vigore 
della 
novella 
al 
D.Lgs. 
n. 
42/2004 (dapprima 
con il 
D.Lgs. 24 marzo 2006 n. 157, poi, segnatamente, con il 
D.Lgs. 26 
marzo 2008 n. 63), anche 
se 
non siano state 
seguite 
dal 
decreto ministeriale 
di 
conclusione 
del 
procedimento 
di 
dichiarazione 
di 
notevole 
interesse 
pubblico. 
Sennonché, 
sull’appello 
proposto avverso la 
predetta 
sentenza 
di 
questo T.a.r. n. 92/2016, la 
Iv 
sezione 
del 
Consiglio 
di 
Stato, 
con 
ordinanza 
12 
giugno 
2017, 
n. 
2838 
ha 
rimesso 
la 
questione 
all’Adunanza 
Plenaria 
la 
quale, con sentenza 
22 dicembre 
2017, n. 13 è 
giunta 
ad affermare 
il 
principio di 
diritto secondo 
cui 
“il 
combinato disposto -nell’ordine 
logico -dell’art. 157, comma 2, dell’art. 141, 
comma 5, dell’art. 140, comma 1 e 
dell’art. 139, comma 5 del 
d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, 
deve 
interpretarsi 
nel 
senso 
che 
il 
vincolo 
preliminare 
nascente 
dalle 
proposte 
di 
dichiarazione 
di 
notevole 
interesse 
pubblico formulate 
prima dell’entrata in vigore 
del 
medesimo decreto 
legislativo 
-come 
modificato 
con 
il 
d.lgs. 
24 
marzo 
2006, 
n. 
157 
e 
con 
il 
d.lgs. 
26 
marzo 
2008, 
n. 63 -cessa qualora il 
relativo procedimento non si 
sia concluso entro 180 giorni”. 
L’Adunanza 
Plenaria, chiamata 
a 
pronunciarsi 
anche 
sulla 
questione 
degli 
effetti 
della 
propria 
pronuncia 
sulle 
proposte 
di 
vincolo pendenti 
in relazione 
a 
procedimenti 
mai 
conclusi, ha 
pure 
affermato l’ulteriore 
principio di 
diritto secondo cui 
«il 
termine 
di 
efficacia di 
180 giorni 
del 
vincolo preliminare 
nascente 
dalle 
proposte 
di 
dichiarazione 
di 
notevole 
interesse 
pubblico 
formulate 
prima dell’entrata in vigore 
del 
d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42 decorre 
dalla pubblicazione 
della presente 
sentenza». In parte 
disattendendo tale 
orientamento giurisprudenziale, 
questo 
T.a.r., 
con 
la 
sentenza 
del 
5 
marzo 
2018 
n. 
117, 
ha 
accolto 
il 
ricorso 
di 
un 
privato 
avverso 
il 
rigetto 
della 
richiesta 
di 
autorizzazione, 
ai 
sensi 
dell’art. 
146 
del 
D.Lgs. 
n. 
42/2004, 
motivato 
dalla 
sussistenza 
di 
un 
vincolo 
paesaggistico 
sul 
territorio 
di 
Isernia, 
ribadendo 
nella 
motivazione 
la 
valenza 
inderogabilmente 
retroattiva 
della 
esegesi 
di 
norme 
di 
carattere 
sostanziale, 
anche 
in presenza 
di 
un 
prospective 
overruling ed affermando, pertanto, l’avvenuta 
decadenza 
del 
vincolo preliminare 
connesso alla 
proposta 
del 
2003. Peraltro tale 
sentenza 
è 
stata recentemente annullata dal Consiglio di Stato (Sez. vI, n. 6858 del 3 dicembre 2018). 
nondimeno, la 
questione 
qui 
presa 
in esame 
non riguarda 
la 
sopravvivenza 
oltre 
i 
180 giorni 
delle 
misure 
di 
salvaguardia 
scaturenti 
dalla 
proposta 
di 
vincolo paesaggistico, bensì 
la 
sopravvivenza 
oltre 
tale 
termine 
della 
proposta 
stessa, 
ancorché 
privata 
dei 
suoi 
provvisori 
effetti 
di salvaguardia. 
L’originaria 
proposta 
di 
dichiarazione 
di 
notevole 
interesse 
pubblico del 
territorio comunale 
di 
Isernia 
risale 
al 
2003 ed è 
stata 
esercitata 
mediante 
l’inserimento negli 
elenchi 
compilati 
di 
cui 
all’art. 
144, 
comma 
1, 
dell’allora 
T.U. 
dei 
beni 
culturali, 
approvato 
con 
D.Lgs. 
n. 
490/1999, 
il 
quale 
stabiliva 
la 
facoltà 
del 
Ministero dei 
beni 
culturali 
di 
integrare, su impulso della 
Soprintendenza 
competente, 
gli 
elenchi 
dei 
beni 
e 
delle 
località 
indicati 
all’art. 
139 
(le 
cosiddette 
bellezze 
individue 
o bellezze 
d’insieme). In precedenza, il 
Ministero, con le 
note 
del 
29 aprile 
1996 e 
del 
29 maggio 1996, aveva 
invitato la 
Regione 
Molise 
ad avvalersi 
delle 
proprie 
competenze, 
sottoponendo il 
territorio comunale 
alla 
tutela 
paesaggistica 
di 
cui 
all’allora 
vigente 
legge 
n. 
1497/1939. 
Stante 
il 
protrarsi 
dell’inerzia 
regionale, 
la 
Soprintendenza 
per 
i 
beni 
paesaggistici, 
esercitando una 
potestà 
concorrente, ai 
sensi 
della 
procedura 
prevista 
dall’allora 

ConTenzIoSo 
nAzIonALe 


vigente 
D.Lgs. n. 490/1999, con la 
nota 
prot. n. 4976 del 
10 aprile 
2003, formulava 
in via 
sostitutiva 
la 
propria 
proposta 
di 
dichiarazione 
di 
notevole 
interesse 
pubblico. Questo T.a.r., a 
seguito dei 
ricorsi 
della 
Regione 
Molise 
e 
del 
Comune 
di 
Isernia, con le 
sentenze 
nn. 27 e 
28 
del 
2004, 
caducava 
per 
illegittimità 
la 
proposta 
di 
dichiarazione 
di 
notevole 
interesse 
pubblico 
del 
territorio 
di 
Isernia, 
sennonché 
il 
Consiglio 
di 
Stato, 
con 
le 
sentenze 
nn. 
7606/2009 
e 
7607/2009, 
accoglieva 
gli 
appelli 
del 
Ministero, 
annullando 
le 
sopracitate 
sentenze 
T.a.r. 
e 
facendo rivivere 
l’originaria 
proposta 
di 
dichiarazione 
di 
notevole 
interesse 
pubblico del 
territorio 
di Isernia. 
Pertanto, 
a 
seguito 
dei 
menzionati 
pronunciamenti 
del 
Consiglio 
di 
Stato, 
interveniva 
il 
parere 
del 
Comitato 
tecnico-scientifico 
per 
il 
paesaggio, 
di 
cui 
al 
verbale 
del 
16 
luglio 
2018, 
che 
conferiva 
nuovo impulso al 
procedimento di 
vincolo. Al 
preavviso ministeriale 
del 
24 luglio 
2018, 
faceva 
seguito 
il 
decreto 
di 
tutela 
paesaggistica 
n. 
28/2018, 
pubblicato 
nell’albo 
pretorio 
il 
10 agosto 2018, nonché 
nel 
B.U.R.M. n. 48 del 
16 agosto 2018 e 
nella 
Gazzetta 
Ufficiale 
n. 207 del 6 settembre 2018. 
La 
citata 
sentenza 
dell’Adunanza 
Plenaria 
del 
Consiglio di 
Stato n. 13/2017 afferma 
che 
la 
decadenza 
dell’effetto preliminare 
di 
vincolo consente 
di 
far salva 
l’efficacia 
della 
proposta. 
In 
detta 
pronuncia 
si 
precisa, 
infatti, 
che 
l’effetto 
preliminare, 
ancorché 
trovi 
il 
suo 
presupposto 
nella 
proposta, 
è 
disposto 
dalla 
legge 
-precisamente 
dal 
combinato 
disposto 
dell’art. 
139, 
comma 
2, e 
dell’art. 146, comma 
1, del 
D.Lgs. n. 42/2004 -e, nondimeno, l’art. 141, comma 
5, dello stesso D.Lgs. n. 42/2004 (come 
sostituito dal 
D.Lgs. n. 63/2008) stabilisce 
che 
a 
decadere 
non 
è 
la 
proposta, 
ma 
è 
l’effetto 
preliminare. 
Anche 
se 
per 
“il 
principio 
introdotto 
dall’art. 2 della legge 
n. 241 del 
1990, e 
rafforzato dalle 
modifiche 
al 
medesimo, il 
potere 
autoritativo della pubblica amministrazione 
è 
circoscritto temporalmente”, tuttavia 
“in materia 
di 
tutela 
paesaggistica 
il 
legislatore 
ha 
adottato 
un 
compromesso, 
prevedendo 
che 
il 
potere 
impositivo del 
vincolo persiste 
anche 
dopo la scadenza del 
termine, ma cessa l’effetto 
restrittivo derivante 
dal 
suo (iniziale) esercizio”. Ciò in quanto 
“far 
cessare 
gli 
effetti 
della 
proposta di 
vincolo adottata nel 
passato non è 
meno logico che 
conservarli, tanto più che 
si 
tratta di 
un passato remoto: le 
proposte 
sono quelle 
anteriori 
al 
2004 (entrata in vigore 
del 
Codice), mentre 
la cessazione 
del 
vincolo è 
stata prevista nel 
2006 e 
poi 
nel 
2008 (entrata in 
vigore 
delle 
modifiche)”. 
In 
conclusione, 
“le 
norme 
in 
questione 
intervengono, 
così, 
sul 
potere 
dell’amministrazione, diversamente 
conformandolo nel 
senso di 
far 
conseguire 
al 
suo mancato 
esercizio 
nel 
termine 
di 
180 
giorni, 
non 
la 
decadenza 
della 
proposta, 
ma 
la 
semplice 
cessazione 
degli effetti di salvaguardia” 
(cfr.: Cons. Stato, Ad. Plen., 22 dicembre 2017 n. 13). 
Per 
tale 
ragione 
il 
Mi.b.a.c. 
(la 
cui 
Direzione 
Generale 
aveva 
chiesto 
di 
conoscere 
lo 
stato 
dei 
cosiddetti 
vincoli 
“non 
decretati”, 
tra 
cui 
quello 
del 
Comune 
di 
Isernia) 
ha 
riavviato 
e 
concluso 
il 
procedimento, 
sul 
presupposto 
che 
il 
competente 
Comitato 
tecnico-scientifico 
per 
il 
paesaggio, 
in 
data 
16 
luglio 
2018, 
aveva 
ravvisato 
la 
necessità 
di 
procedere 
alla 
decretazione 
dei 
vincoli. 
Ciò premesso, non si 
può ritenere 
che 
vi 
sia 
stata 
una 
consumazione 
del 
potere 
ministeriale 
di 
concludere 
il 
procedimento in esame, stante 
la 
salvezza 
della 
proposta 
pubblicata, essendo 
decadute 
in data 
22 giugno 2018 solo le 
previsioni 
di 
salvaguardia 
scaturenti 
dalla 
proposta 
stessa. 
La 
proposta 
ha, 
pertanto, 
conservato 
intatta 
la 
sua 
efficacia 
di 
atto 
di 
iniziativa 
del 
procedimento 
di 
dichiarazione 
di 
notevole 
interesse 
pubblico, ai 
sensi 
dell’art. 136, comma 
1, 
lett. c) e d) del D.Lgs. n. 42/2004. 
vII 
-Contrariamente 
a 
quanto 
genericamente 
dedotto 
dal 
ricorrente, 
non 
risultano 
violate, 
nel 
caso di 
specie, le 
linee-guida 
previste 
dalla 
Regione 
Molise 
per il 
procedimento unico ex 



RASSeGnA 
AvvoCATURA 
DeLLo 
STATo -n. 3/2020 


art. 12 del D.Lgs. n. 387/2003. Peraltro, non è 
ben chiaro nella prospettazione della censura, 
in 
che 
modo 
le 
dette 
linee-guida 
regionali 
avrebbero 
potuto 
o 
dovuto 
vincolare 
ovvero 
limitare 
l’azione ministeriale. 
vIII 
-Inattendibile 
è 
la 
censura 
che 
il 
procedimento 
iniziato 
nel 
2003 
non 
sia 
stato 
intervallato 
da 
istruttoria, 
incontri, 
comunicazioni 
o 
atti 
di 
partecipazione. 
vi 
è 
stata 
interlocuzione 
tra 
Ministero, 
Regione 
e 
Comune 
di 
Isernia, 
come 
risulta 
dal 
carteggio 
versato 
in 
atti 
dalla 
difesa 
erariale. Lo stesso contenzioso giurisdizionale 
al 
quale 
si 
è 
fatto cenno, sviluppatosi 
a 
partire 
dal 
2003, ha 
consentito al 
Comune 
ricorrente 
di 
esprimere 
compiutamente 
i 
propri 
punti 
di 
vista 
sulla 
questione 
della 
sottoposizione 
a 
vincolo del 
proprio territorio comunale, di 
guisa 
che non può ritenersi in alcun modo violata la garanzia procedimentale. 
IX 
-Generica 
e 
inammissibile 
è 
la 
censura 
di 
inosservanza 
o violazione 
del 
Piano paesaggistico 
regionale 
e 
del 
P.R.G. del 
Comune 
di 
Isernia: 
non è 
ben spiegato dal 
ricorrente 
in che 
modo 
il 
vincolo 
ministeriale 
possa 
aver 
interferito 
in 
senso 
negativo 
o 
nocivo 
rispetto 
alla 
pianificazione paesaggistica regionale ovvero a quella urbanistica comunale. 
Con 
riguardo 
alla 
pianificazione 
regionale, 
va 
evidenziato 
che 
Mi.b.a.c. 
e 
Regione 
Molise 
hanno, 
peraltro, 
sottoscritto 
un 
protocollo 
d’intesa 
in 
data 
25 
gennaio 
2018, 
per 
l’elaborazione 
del 
Piano 
paesaggistico 
regionale, 
ai 
sensi 
dell’art. 
135, 
comma 
1, 
del 
D.Lgs. 
n. 
42/2004, 
nonché 
un successivo disciplinare d’attuazione datato 27 marzo 2018. 
va 
considerato 
poi 
che 
i 
vincoli 
paesaggistici 
operano 
su 
un 
piano 
diverso 
da 
quello 
delle 
previsione 
urbanistiche, nonché da quello dei vincoli ambientali in senso proprio. 
essi 
non divengono vincoli 
meramente 
urbanistici 
e 
non devono essere 
recepiti 
nel 
P.R.G. o 
nei 
piani 
regionali, mantenendo la 
loro natura 
di 
vincoli 
dichiarativi 
a 
effetto costitutivo non 
sottoposto a 
termine, in quanto discendenti 
non dalla 
scelta 
discrezionale 
dell’Amministrazione, 
bensì 
dalle 
qualità 
intrinseche 
del 
bene 
tutelato che 
il 
provvedimento di 
vincolo deve 
soltanto riconoscere e dichiarare (cfr.: 
T.a.r. Umbria I, 4 marzo 2009 n. 2071). 
X 
-Infondata, infine, è 
la 
censura 
di 
difetto di 
istruttoria. Il 
provvedimento impugnato fa 
seguito 
a 
una 
lunga 
e 
articolata 
fase 
istruttoria 
che 
ha 
tenuto, senz’altro, conto della 
reale 
situazione 
dei 
luoghi 
oggetto del 
vincolo. In particolare, ne 
hanno tenuto conto la 
relazione 
datata 
10 aprile 
2003 di 
inquadramento geo-morfologico della 
competente 
Soprintendenza 
ed il 
parere 
di cui al verbale n. 9/2018 del Comitato tecnico-scientifico per il paesaggio. 
Regge, pertanto, alle 
censure 
del 
ricorso l’articolata 
motivazione 
del 
decreto n. 28/2018, a 
tenore 
della 
quale 
l’intero territorio del 
Comune 
di 
Isernia 
presenta 
notevole 
interesse 
pubblico 
ai sensi dell’art. 136, comma 1, lett. c) e d) del D.Lgs. n. 42/2004. 
XI 
-Il 
ricorso, 
in 
conclusione, 
deve 
essere 
respinto, 
perché 
infondato. 
Si 
ravvisano 
giustificate 
ragioni per la compensazione delle spese del giudizio tra le parti. 


P.Q.M. 
Il 
Tribunale Amministrativo Regionale 
per il 
Molise 
(Sezione 
Prima), definitivamente 
pronunciando 
sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge, perché infondato. 
Compensa tra le parti le spese del giudizio. 
ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'Autorità amministrativa. 
Così deciso in Campobasso, nella camera di consiglio del giorno 6 marzo 2019. 



ConTenzIoSo 
nAzIonALe 


Consiglio di 
stato, sezione 
sesta, sentenza 3 dicembre 
2018 n. 6858 
-pres. B. Lageder, 
est. 
o.M. 
Caputo 
-Ministero 
dei 
Beni 
e 
delle 
Attività 
Culturali 
e 
del 
Turismo 
(avv. 
gen. 
Stato) 


c. 
edilcentro 
S.r.l.(avv. 
S. 
Di 
Pardo); 
Comune 
di 
Isernia, 
Regione 
Molise, 
non 
costituiti 
in 
giudizio. 
FATTo e DIRITTo 


1. 
È 
appellata 
la 
sentenza 
del 
T.A.R. 
Molise, 
n. 
117/2018, 
d’accoglimento 
del 
ricorso 
proposto 
dalla 
edilcentro Srl 
avverso il 
provvedimento (prot. 00013547 del 
17 marzo 2014) di 
rigetto 
della richiesta di autorizzazione paesaggistica ai sensi dell’art. 146 d.lgs. n. 142/2004. 
Impugnazione 
estesa 
all’allegato parere 
negativo vincolante 
della 
Soprintendenza 
per i 
beni 
Architettonici 
e 
Paesaggistici 
del 
Molise 
MBAC- SBAP-MoL 
UAMB 0006143 del 
5 marzo 
2014 C1. 34.19.07/1.851, e 
al 
preavviso di 
provvedimento negativo della 
Soprintendenza 
e 
ogni ulteriore atto preordinato consequenziale e/o comunque connesso. 
2. nell’atto introduttivo la ricorrente ha premesso che: 
-in data 
22 novembre 
2013, la 
società 
edilcentro presentava 
al 
Comune 
di 
Isernia 
una 
SCIA, 
prot. n. 30369 
avente 
ad 
oggetto 
la 
demolizione 
dell’immobile 
sito 
in 
via 
Leopardi 
nella 
zona 
di 
P.R.G. B73.2 (zone 
residenziali 
consolidate) e 
la 
realizzazione 
di 
un fabbricato per civile 
abitazione; 
-il 
Comune 
di 
Isernia 
trasmetteva 
l’istanza 
alla 
Regione 
per 
il 
rilascio 
dell’autorizzazione 
paesaggistica, 
sul 
presupposto 
dell’insistenza 
dell’immobile 
in 
un’area 
paesaggisticamente 
vincolata; 
-con provvedimento n. 0037328/13 del 
19 dicembre 
2013, il 
Direttore 
del 
Servizio Pianificazione 
e 
Gestione 
territoriale 
e 
Paesistica 
(Gestione 
paesaggio zona 
di 
Isernia) comunicava 
alla 
edilcentro srl 
che 
la 
Commissione 
Regionale 
per il 
Paesaggio aveva 
espresso parere 
favorevole 
all’intervento e 
contestualmente 
aveva 
trasmesso alla 
Soprintendenza 
per i 
beni 
Architettonici 
e 
paesaggistici 
del 
Molise 
l’istanza 
di 
autorizzazione 
ex 
art. 146 d.lgs. n. 42/2004 
e la relativa documentazione. 
-la 
Soprintendenza 
con nota 
n. 0006143 del 
5 marzo 2014 C1. 34.19.07/1.851 esprimeva 
parere 
negativo 
vincolante 
recepito 
dalla 
Regione 
con 
provvedimento 
n. 
00013547 
del 
17 
marzo 
2014, 
in 
quanto 
“il 
territorio 
del 
Comune 
di 
Isernia 
è 
sottoposto 
a 
tutela 
paesaggistica 
ai 
sensi 
dell’art. 157 d.lgs. 42/2004 con proposta 
di 
vincolo, affissa 
all’Albo Pretorio del 
Comune 
di 
Isernia dal 15 aprile 2003 al 15 luglio 2003”. 
3. 
Con 
ricorso 
n. 
214 
del 
2014 
proposto 
innanza 
al 
TAR 
Molise 
la 
edilcentro 
Srl 
chiedeva 
l’annullamento, 
previa 
sospensione 
cautelare, 
dei 
predetti 
provvedimenti, 
nonché 
l’accertamento 
e 
la 
declaratoria 
della 
nullità 
ed 
inefficacia 
“del 
vincolo 
paesaggistico 
derivante 
dalla 
proposta 
di 
dichiarazione 
di 
notevole 
interesse 
dell’intero 
territorio 
di 
Isernia 
presentata 
dalla 
Soprintendenza 
e 
pubblicata 
all’Albo 
Pretorio 
del 
Comune 
di 
Isernia 
dal 
15 
aprile 
2003 
al 
15 
luglio 
2003”. 
3.1. 
nelle 
more 
del 
giudizio, 
il 
Comune 
di 
Isernia 
comunicava 
alla 
ricorrente 
il 
provvedimento 
n. 12919 prot. 30369/3661- s.c.i.a. a 
firma 
del 
Dirigente 
del 
Servizio edilizia 
Privata 
dello 
sportello unico per l’edilizia del Comune di Isernia, recante l’inibizione della SCIA. 
3.2. La edilcentro srl impugnava con motivi aggiunti il predetto provvedimento. 
3.3. Il 
Ministero per i 
Beni 
e 
le 
Attività 
culturali 
si 
costituiva 
in giudizio e 
ribadiva 
la 
legittimità 
del suo operato. 
3.4. Con ordinanza n. 71 del 2014 il 
TAR Molise respingeva la domanda cautelare. 
4. 
Con 
la 
sentenza 
appellata 
n. 
117/2018, 
il 
TAR 
Molise 
accoglieva 
il 
ricorso 
nel 
merito 
ponendo 
a 
fondamento 
della 
propria 
decisione 
il 
principio 
espresso 
dalla 
Adunanza 
Plenaria 
n. 
13 
del 

RASSeGnA 
AvvoCATURA 
DeLLo 
STATo -n. 3/2020 


2017, 
secondo 
cui 
“Il 
combinato 
disposto 
-nell’ordine 
logico 
-dell’art. 
157, 
comma 
2, 
dell’art. 
141, 
comma 
5, 
dell’art. 
140, 
comma 
1 
e 
dell’art. 
139, 
comma 
5 
del 
d.lgs. 
22 
gennaio 
2004, 
n. 
42, 
deve 
interpretarsi 
nel 
senso 
che 
il 
vincolo 
preliminare 
nascente 
dalle 
proposte 
di 
dichiarazione 
di 
notevole 
interesse 
pubblico 
formulate 
prima 
dell’entrata 
in 
vigore 
del 
medesimo 
decreto 
legislativo 
-come 
modificato 
con 
il 
d.lgs. 
24 
marzo 
2006, 
n. 
157 
e 
con 
il 
d.lgs. 
26 
marzo 
2008, 


n. 
63 
-cessa 
qualora 
il 
relativo 
procedimento 
non 
si 
sia 
concluso 
entro 
180 
giorni”. 
4.1. 
Principio 
che 
-precisavano 
i 
giudici 
di 
prime 
cure 
-sarebbe 
applicabile 
al 
caso 
di 
specie 
avente 
ad 
oggetto 
un 
procedimento 
iniziato 
con 
una 
proposta 
risalente 
ad 
11 
anni 
prima 
rispetto 
al 
diniego 
impugnato 
e 
mai 
concluso; 
sicché 
alla 
data 
di 
presentazione 
della 
richiesta 
l’autorizzazione 
paesaggistica 
il 
vincolo 
preliminare 
risultava 
ormai 
decaduto 
ed 
il 
bene 
immobile 
oggetto 
dell’intervento 
non 
più 
soggetto 
alla 
disciplina 
di 
tutela 
ex 
art. 
146 
d.lgs. 
n. 
42/2004. 
4.2. 
nondimeno 
il 
TAR 
si 
discostava 
dall’Adunanza 
Plenaria, 
laddove 
la 
pronuncia 
circoscriveva 
pro futuro 
l’operatività 
degli 
effetti 
del 
decisum: 
aderendo a 
tale 
impostazione, la 
proposta 
di 
vincolo 
relativa 
al 
Comune 
di 
Isernia 
avrebbe 
dovuto 
ritenersi 
assistita 
dalla 
perdurante 
efficacia 
del 
vincolo preliminare 
e 
quindi 
soggetta 
al 
potere 
di 
autorizzazione 
ai 
sensi dell’art. 146 d.lgs. n. 42/2004 sino al 22 giugno 2018. 
4.4. Il 
giudice 
di 
primo grado argomentava 
che 
“la 
limitazione 
pro futuro 
degli 
effetti 
della 
sentenza 
interpretativa 
dell’Adunanza 
Plenaria 
equivale 
alla 
creazione 
di 
una 
norma 
transitoria, 
in funzione 
para-normativa 
che 
non può vincolare 
il 
giudice 
di 
primo grado, in quanto recessiva 
rispetto 
al 
principio 
costituzionale 
di 
soggezione 
del 
giudice 
soltanto 
alla 
legge 
ex 
art. 
101 Cost.”, e 
ritenendo insussistenti 
nel 
caso de 
quo i 
presupposti 
elaborati 
dalla 
giurisprudenza 
ai 
fini 
della 
configurabilità 
del 
c.d. prospective 
overruling 
poiché 
“l’esegesi 
non incide 
su 
norma 
processuale 
ma 
su 
una 
sostanziale 
disciplina 
del 
procedimento 
amministrativo; 
l’innovazione 
non comporta 
effetti 
preclusivi 
del 
diritto di 
azione 
o di 
difesa; 
non si 
era 
formato 
un diritto vivente 
sul 
punto controverso (tanto che 
era 
stato necessario rimettere 
la 
questione 
alla 
Plenaria 
proprio 
per 
la 
presenza 
di 
un 
contrasto 
di 
giurisprudenza 
maturato 
in 
seno 
al 
Consiglio di Stato)”. 
5. Avverso la 
suddetta 
sentenza 
propone 
appello il 
Ministero dei 
beni 
delle 
Attività 
culturali 
e 
del 
Turismo 
con 
ricorso 
n. 
7778/2017 
instando, 
previa 
sospensione 
dell’esecutività 
della 
sentenza 
gravemente 
compromissoria 
della 
tutela 
paesaggistica 
del 
territorio del 
Comune 
di 
Isernia, l’annullamento della pronuncia e, per l’effetto, il rigetto del ricorso introduttivo. 
Alla 
camera 
di 
consiglio del 
15 novembre 
2018 deputata 
alla 
cognizione 
della 
domanda 
cautelare 
la 
causa, previa 
segnalazione 
alle 
parti 
della 
possibile 
pronuncia 
di 
una 
sentenza 
breve, 
è stata trattenuta in decisone. 
6. Preliminarmente 
va 
dato atto che 
sussistono i 
presupposti 
per la 
definizione 
del 
giudizio 
con sentenza 
ex 
art. 60 cod. proc. amm. Infatti, uniche 
cause 
ostative 
a 
tale 
definizione 
sono 
quelle, 
non 
sussistenti 
nel 
caso 
di 
specie, 
enunciate 
dalla 
disposizione 
del 
codice 
del 
processo 
ora 
citata, e 
cioè 
il 
difetto del 
contraddittorio e 
la 
non completezza 
dell’istruttoria, che 
spetta 
al 
collegio decidente 
apprezzare, nonché 
la 
dichiarazione 
della 
parte 
circa 
la 
volontà̀ di 
“proporre 
motivi 
aggiunti, ricorso incidentale 
o regolamento di 
competenza, ovvero regolamento 
di giurisdizione”. 
7. Con il 
primo motivo di 
doglianza 
l’appellante 
critica 
la 
sentenza 
impugnata 
laddove 
si 
discosta 
dal principio espresso dalla 
Adunanza Plenaria, ritenendolo non vincolante. 
7.1. 
Il 
Ministero 
dei 
beni 
delle 
Attività 
culturali 
e 
del 
Turismo 
osserva 
in 
particolare 
come, 
escludendo 
la 
vincolatività 
per 
il 
TAR 
di 
un 
principio 
di 
diritto 
espresso 
dall’Adunanza 
Plenaria 
nel-
l’espletamento 
della 
funzione 
nomofilattica 
che 
le 
è 
espressamente 
attribuita 
per 
legge, 
si 
rischia 

ConTenzIoSo 
nAzIonALe 


di 
“perdere 
i 
caratteri 
propri 
di 
uno 
strumento 
volto 
a 
una 
sostanziale 
reductio 
ad 
unitatem”, 
trasformando 
esso 
stesso 
in 
una 
“potenziale 
fonte 
di 
interpretazioni 
variegate 
e 
divergenti, 
con 
evidente 
nocumento 
del 
canone 
di 
certezza 
giuridica 
cui 
l’istituto, 
al 
contrario, 
è 
volto”. 


8. Il motivo non è fondato. 
8.1. 
Il 
riconoscimento 
dell’eguaglianza 
dei 
cittadini 
dinanzi 
alla 
legge 
-oggi 
scolpito 
nell’art. 
3 Cost. -è 
uno dei 
principi 
fondamentali 
di 
un sistema 
democratico e 
traduce 
l’esigenza 
primaria 
di 
assicurare 
parità 
di 
trattamento 
ai 
cittadini 
in 
situazioni 
eguali. 
Tale 
obiettivo 
può 
raggiungersi 
unicamente 
in 
presenza 
di 
un 
diritto 
connotato 
da 
un 
sufficiente 
grado 
di 
certezza 
e 
richiede 
da 
un lato che 
le 
norme 
giuridiche 
siano scritte 
in modo inequivoco e 
dall’altro che 
le stesse siano interpretare in modo uniforme e senza oscillazioni. 
8.2. L’evoluzione 
del 
sistema 
ha 
determinato, anche 
nei 
paesi 
di 
civil 
law, la 
necessità 
di 
rendere 
più 
efficace 
la 
funzione 
nomofilattica 
delle 
magistrature 
apicali. 
Con 
riferimento 
alla 
Adunanza 
Plenaria 
del 
Consiglio 
di 
Stato 
tale 
funzione 
è 
stata 
rafforzata 
dalle 
norme 
contenute 
nell’art. 99 cod. proc. amm., in particolare 
nei 
commi 
terzo e 
quinto, che 
si 
pongono in continuità 
con le disposizioni degli artt. 363 e 374 cod. proc. civ. 
8.3. Tali 
disposizioni 
hanno certamente 
modificato il 
peso del 
precedente 
costituito dalla 
pronuncia 
della 
Adunanza 
Plenaria 
la 
quale, 
da 
particolarmente 
autorevole 
in 
quanto 
proveniente 
dal 
massimo consesso della 
giustizia 
amministrativa, è 
divenuta 
in qualche 
modo vincolante 
per le sezioni semplici dei Consiglio di Stato. 
8.4. Il 
vincolo del 
precedente 
espresso dall’Adunanza 
Plenaria 
non può ritenersi 
lesivo del 
principio di 
cui 
all’art. 101, comma 
2, Cost., secondo cui 
i 
giudici 
sono soggetti 
soltanto alla 
legge, poiché 
la 
Sezione 
del 
Consiglio di 
Stato, ove 
non condivida 
il 
principio espresso dalla 
Plenaria, 
non 
è 
tenuta 
a 
decidere 
in 
modo 
difforme 
dal 
proprio 
convincimento, 
dovendo 
invece 
interpellare la stessa Plenaria con ordinanza motivata. 
8.5. 
Diversamente 
l’art. 
99 
cod. 
proc. 
amm. 
non 
spiega 
alcun 
effetto 
in 
via 
diretta 
nei 
confronti 
dei tribunali amministrativi regionali. 
8.6. 
L’esigenza 
di 
dare 
certezza 
al 
diritto 
applicato 
che 
si 
pone 
alla 
base 
dell’art. 
99 
cod. 
proc. 
amm. deve 
essere 
infatti 
bilanciata 
con la 
necessità 
di 
garantire 
forme 
naturali 
di 
evoluzione 
giurisprudenziale. 
Il 
giudice 
di 
prime 
cure 
non sarà 
quindi 
obbligato a 
seguire 
il 
principio, ma 
dovrà 
evitare 
difformità 
per incuriam 
rispetto allo stesso. 
8.7. nel 
caso di 
specie 
il 
TAR Molise 
fa 
espresso riferimento alla 
decisione 
della 
Adunanza 
Plenaria e se ne discosta motivatamente. Tale contegno appare quindi ammissibile. 
8.8. nondimeno, non appaiono condivisibili 
le 
osservazioni 
svolte 
dal 
giudice 
di 
prime 
cure 
come correttamente evidenziato nell’ambito del secondo motivo di appello. 
9. 
Con 
il 
secondo 
motivo 
di 
doglianza 
l’appellante 
lamenta 
l’erroneità 
della 
sentenza 
di 
primo 
grado che 
disapplica 
il 
principio di 
cui 
all’Ad. Plen. n. 13/2017, non ritenendo sussistenti, nel 
caso deciso dall’Adunanza, i 
presupposti 
per l’applicazione 
dello strumento del 
prospective 
overruling. 
10. Il motivo è fondato. 
10.1. 
Le 
pronunce 
dell’Adunanza 
Plenaria, 
specie 
nel 
caso 
in 
cui 
la 
stessa 
enunci 
un 
principio 
di 
diritto, hanno natura 
essenzialmente 
interpretativa 
e, analogamente 
alle 
sentenze 
di 
annullamento 
e a quelle di incostituzionalità, hanno efficacia nei giudizi in corso. 
10.2. In taluni 
casi 
tuttavia, la 
medesima 
esigenza 
di 
certezza 
del 
diritto che 
muove 
all’enunciazione 
del 
principio 
può 
indurre 
l’Adunanza 
Plenaria 
a 
stabilire 
che 
la 
propria 
decisione 
produca 
effetti 
unicamente 
pro futuro, escludendone 
la 
retroattività 
mediante 
il 
ricorso al 
c.d. 

RASSeGnA 
AvvoCATURA 
DeLLo 
STATo -n. 3/2020 


prospective 
overruling, istituto creato nel 
diritto nordamericano degli 
anni 
trenta 
proprio per 
mitigare gli effetti della naturale retroattività dei 
revirement 
delle corti supreme. 


10.3. A 
partire 
da 
Cass. civ., sez. un., 11 luglio 2011 n. 15144 (e 
numerose 
altre 
successive, 
tra 
cui 
21 maggio 2015, n. 10453; 
17 dicembre 
2014, n. 26541; 
4 giugno 2014, n. 12521, 13 
febbraio 2014, n. 3308 e, da 
ultimo, Cass. civ., sez. un., 13 settembre 
2017, n. 21194) si 
è 
costantemente 
affermato 
che, 
per 
configurare 
il 
c.d. 
prospective 
overruling, 
sia 
necessaria 
la 
concomitante 
presenza 
dei 
seguenti 
tre 
presupposti: 
1) l’esegesi 
deve 
incidere 
su una 
regola 
del 
processo; 
2) l’esegesi 
deve 
essere 
imprevedibile 
ovvero seguire 
ad altra 
consolidata 
nel 
tempo tale 
da 
considerarsi 
diritto vivente 
e 
quindi 
da 
indurre 
un ragionevole 
affidamento; 
3) 
l’innovazione 
comporti 
un 
effetto 
preclusivo 
del 
diritto 
di 
azione 
o 
di 
difesa. 
Tale 
impostazione 
è 
stata 
pedissequamente 
seguita 
anche 
dal 
giudice 
amministrativo (Cons. Stato, Ad. plen., 2 
novembre 2015, n. 9 e Cons. Stato, sez. III, ordinanza 7 novembre 2017, n. 5138). 
10.4. La 
Plenaria 
n. 13/17 ha 
ritenuto tuttavia 
di 
estendere 
la 
portata 
del 
prospective 
overrulling 
ad 
una 
decadenza 
procedimentale 
dell’Amministrazione 
(decadenza 
delle 
misure 
cautelari 
di salvaguardia). 
L’identità 
con 
la 
ratio 
sottesa 
alla 
decadenza 
processuale 
e 
l’inderogabile 
necessità 
di 
tutelare 
un valore 
costituzionale, qual 
è 
il 
paesaggio, inducono a 
ritenere 
che 
le 
Soprintendenze 
possano 
legittimamente 
concludere 
nel 
termine 
di 
legge 
di 
180 
gg. 
(decorrente 
dalla 
pubblicazione 
della 
sentenza 
della 
Plenaria) i 
procedimenti 
di 
vincolo avviati 
prima 
dei 
correttivi 
al 
codice 
dei beni culturali e mai conclusi, con salvezza delle misure di salvaguardia. 
Diversamente, 
i 
procedimenti 
in 
itinere 
sarebbero 
irrimediabilmente 
travolti 
dall’effetto 
retroattivo 
della 
pronuncia 
che 
ne 
ha 
accertato 
la 
cessazione. 
L’istituto 
del 
prospective 
overruling 
opera 
quindi 
in 
ordine 
alle 
norme 
sul 
procedimento 
(Ad. 
Plen. 
1/18), 
perché 
anche 
nell’ambito 
del 
procedimento 
amministrativo 
(nel 
caso 
in 
esame, 
di 
conclusione 
del 
procedimento 
di 
vincolo), 
come 
in 
ambito 
processuale, 
la 
modifica 
del 
precedente 
orientamento 
non 
può 
che 
comportare 
che 
la 
parte 
(nella 
specie, 
l’Amministrazione) 
incorra 
in 
decadenze 
fino 
allora 
non 
prevedibili. 
11. 
nondimeno, 
nella 
prospettiva 
di 
garantire 
sia 
il 
principio 
di 
effettività 
che 
quello 
del 
giusto 
processo di 
cui 
agli 
artt. 1 e 
2 cod. proc. amm., l’amministrazione 
preposta 
alla 
tutela 
del 
vincolo 
dovrà 
considerare 
la 
scansione 
cronologica 
del 
procedimento 
impositivo 
del 
vincolo 
protrattosi 
in un lasso di 
tempo tale 
da 
consolidare 
l’affidamento della 
ricorrente 
nell’esecuzione 
dell’opera progettata. 
Segnatamente 
-nel 
bilanciamento 
dei 
contrapposti 
interessi 
-dovrà 
tenere 
conto 
del 
parere 
favorevole 
che 
la 
Commissione 
Regionale 
per 
il 
Paesaggio 
aveva 
espresso 
sull’intervento; 
parere 
tempestivamente 
trasmesso 
alla 
Soprintendenza 
per 
i 
beni 
Architettonici 
e 
paesaggistici 
del 
Molise. 
12. 
Conclusivamente, 
l’appello 
è 
fondato 
ai 
sensi 
della 
motivazione 
e, 
per 
l’effetto, 
in 
riforma 
dell’appellata sentenza, deve essere respinto il ricorso di prime cure. 
13. La 
particolarità 
della 
vicenda 
dedotto in giudizio giustifica 
la 
compensazione 
delle 
spese 
del doppio grado di giudizio. 
P.Q.M. 
Il 
Consiglio di 
Stato in sede 
giurisdizionale 
(Sezione 
Sesta), definitivamente 
pronunciando 
sull'appello, come 
in epigrafe 
proposto, lo accoglie 
e, per l’effetto, in riforma 
dell’appellata 
sentenza, respinge il ricorso di primo grado nei sensi di cui in motivazione. 
Spese del doppio grado di giudizio compensate. 
ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. 
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 15 novembre 2018. 


PAreridelComitAtoConSultivo
Sulla rimborsabilità delle spese di difesa, 
ex art. 18 l. 135/97, a favore del dipendende assolto da 
imputazioni per fatti e comportamenti in potenziale 
“conflitto di interessi” con l’Amministrazione 


Parere 
del 
25/11/2020-593661, al 54044/2019, avv. enrico 
de 
Giovanni 


L'Avvocatura 
Distrettuale 
dello 
Stato 
di 
Firenze 
solleva 
nuovamente, 
alla 
luce 
di 
recenti 
arresti 
giurisprudenziali, "la problematica, di 
ordine 
generale, 
relativa alla rimborsabilità delle 
spese 
di 
difesa, ex 
art. 18 l. 135/97, a favore 
del 
dipendente 
assolto da imputazioni 
per 
fatti 
e 
comportamenti 
in potenziale 
"conflitto di interessi" 
con l'Amministrazione. 


La 
richiesta 
prende 
spunto dalla 
domanda 
di 
rimborso di 
una 
dipendente 
del 
Ministero 
(omissis); 
si 
rimanda, 
al 
riguardo, 
alla 
nota 
della 
Distrettuale, 
che, per miglior comprensione del presente parere, si allega (1). 


(1) Nota 37643-23/10/2019, Cons. 2668/2019, Avv. Cortigiani: 
«Si 
sottopone 
nuovamente 
all'esame 
di 
codesto G.U. la 
problematica, di 
ordine 
generale, relativa 
alla 
rimborsabilità, delle 
spese 
di 
difesa, ex 
art. l8 L. 135/97, a 
favore 
del 
dipendente 
assolto da 
imputazioni 
per fatti e comportamenti in potenziale "conflitto di interessi" con l'Amm.ne. 
Con la 
nota 
che 
si 
allega 
la 
Dir. Gen. (omissis) ha 
inoltrato la 
domanda 
di 
rimborso della 
funzionaria 
in 
oggetto, imputata 
(insieme 
al 
marito, pure 
dipendente 
dell'Amm.ne) di 
peculato e 
truffa 
in relazione 
all'uso 
personale 
di 
alcune 
attrezzature 
di 
ufficio, 
nonché 
di 
truffa 
per 
la 
compilazione 
di 
fogli 
di 
presenza 
attestanti falsamente la presenza in servizio. 
La 
funzionaria 
è 
stata 
assolta 
-in 
appello 
-dalle 
imputazioni 
relative 
all'utilizzo 
personale 
di 
attrezzature 
di 
ufficio in parte 
"perché 
il 
fatto non sussiste" 
e 
in parte 
"per non aver commesso il 
fatto" 
e 
dalla 
imputazione 
relativa 
alla 
percezione 
di 
emolumenti 
non dovuti 
in parte 
per prescrizione 
e 
in parte 
perché 
il fatto non sussiste. 
In 
tutti 
i 
casi 
la 
Corte 
ha 
ritenuto 
gli 
elementi 
probatori 
acquisiti 
non 
sufficienti 
a 
supportare 
la 
condanna 
(ma, per una 
parte 
degli 
episodi 
contestati 
nemmeno tali 
da 
superare 
il 
constatato verificarsi 
della 
prescrizione). 
La 
Direzione 
ha 
segnalato come 
la 
domanda 
fosse 
stata 
inizialmente 
respinta, in sostanza 
per mancanza 
della 
connessione 
con 
il 
servizio 
dei 
comportamenti 
contestati, 
e 
che 
di 
converso, 
in 
sede 
di 
osservazioni, 

RASSEGNA 
AvvOCATURA 
DELLO 
STATO -N. 3/2020 


la 
interessata 
ha 
lamentato che 
il 
procedimento aveva 
preso il 
via 
da 
un esposto anonimo presentato in 
conseguenza 
e 
"in 
odio" 
alla 
sua 
posizione 
all'interno 
dell'ufficio, 
richiamando 
la 
necessità 
di 
"soffermare 
l'attenzione 
sulla 
situazione 
nella 
quale 
può trovarsi 
un appartenente 
alla 
PA 
che 
viene 
segnalato in uno 
scritto anonimo allo scopo di essere screditato e diffamato per cause attinenti al servizio". 
Ora, le 
contestazioni 
di 
cui 
al 
capo A 
(salve 
le 
considerazioni 
espresse 
dalla 
interessata) potrebbero in 
effetti 
ritenersi 
attinenti 
ad una 
attività 
"privata", mentre 
per quelle 
di 
cui 
al 
capo B sembrerebbe 
più 
difficile 
negare 
la 
rimborsabilità, alla 
luce 
delle 
considerazioni 
esposte 
nel 
parere 
17 maggio 2017 n. 
252970 reso da codesto GU nell'affare 40117/16 a seguito di consultazione del Co.Co. 
Secondo 
tale 
parere 
l'intento 
perseguito 
con 
l'art. 
18 
risponde 
ad 
esigenze 
di 
equità 
sostanziale 
ed 
è 
mirato 
"alla 
tutela 
dei 
funzionari 
onesti, 
per 
cui 
non 
può 
essere 
esclusa 
la 
rimborsabilità 
in 
relazione 
a 
condotte 
inerenti 
al 
rapporto 
di 
lavoro 
che 
rispondano 
al 
concetto 
di 
"assolvimento 
di 
obblighi 
istituzionali". 
Ed 
in 
tale 
concetto, 
latamente 
inteso, 
rientrerebbero 
anche 
atti 
posti 
in 
essere 
dal 
dipendente 
in 
relazione 
al 
rapporto di 
lavoro, quali 
domande, istanze, certificazioni 
e 
anche 
la 
ricezione 
di 
somme 
a 
titolo di 
retribuzione. 
Il 
parere 
stesso peraltro segnala 
come 
la 
questione 
sia 
"complessa 
e 
ogni 
soluzione 
appaia 
opinabile" 
e 
non manca di rilevare l'esistenza di precedenti giurisprudenziali (Cass. 2366/10) in senso restrittivo. 
Orbene, 
successivamente 
al 
suddetto 
parere 
sono 
sopravvenute 
decisioni 
sia 
del 
GA 
(Tar 
Lazio 
10749/19), sia 
del 
GO 
(Cass. 25976/17 e 
anche 
Cass. 20561/18, Cass. 3026/19 sia 
pur relative 
a 
dipendenti 
di 
Enti 
locali) 
che 
recisamente 
escludono 
la 
rimborsabilità 
delle 
spese 
per 
giudizi 
derivanti 
da 
comportamenti 
che 
evidenzino un "conflitto di 
interessi" 
la 
cui 
sussistenza 
deve 
essere 
oggetto di 
una 
valutazione 
ex 
ante 
che 
prescinde 
dall'esito 
del 
giudizio 
penale 
e 
dalla 
formula 
di 
eventuale 
assoluzione" 
(Cass. 17874/18). 
Tali 
decisioni 
sono, 
tra 
l'altro, 
richiamate 
nella 
bozza 
di 
parere 
Cs 
8533/19 
discussa 
nella 
seduta 
del 
Co.Co. del 16 ottobre 2019. 
Resta 
pertanto aperta 
la 
questione 
sulla 
applicabilità 
dell'art. 18 anche 
a 
situazioni 
nelle 
quali 
i 
comportamenti 
contestati 
(e 
poi 
rivelatisi 
insussistenti) si 
pongano secondo una 
valutazione 
ex 
ante 
come 
contrastanti 
con l'interesse 
della 
Amm.ne 
di 
appartenenza, tanto da 
poter rendere 
in ipotesi 
possibile 
una 
costituzione 
di 
parte 
civile 
della 
Amm.ne 
stessa. Ovvero debba 
essere 
limitata 
a 
situazioni 
nelle 
quali, 
estremamente 
semplificando, dai 
fatti 
contestati 
potrebbe 
astrattamente 
discendere 
una 
chiamata 
della 
Amm.ne quale responsabile civile. 
Il 
che 
è, anche, come 
dire 
se 
la 
previsione 
dell'art. 18 si 
ponga 
come 
una 
forma 
di 
"difesa 
dell'interesse 
concreto della 
Amm.ne" 
alternativa 
ma 
non dissimile 
da 
quella 
prevista 
dall'art. 44 RD 
1611/33, ovvero 
sia 
destinata 
a 
tutelare 
comunque 
la 
"tranquillità" 
del 
dipendente 
pubblico nello svolgimento non solo 
delle 
proprie 
attività 
istituzionali. 
Ma 
anche 
nell'ambito 
del 
rapporto 
contrattuale 
con 
l'Amm.ne, 
rapporto 
che comunque costituisce la cornice all'interno della quale l'attività istituzionale viene svolta. 
In tale 
ottica 
anche 
la 
suddetta 
"tranquillità" 
potrebbe 
essere 
vista 
come 
volta 
a 
favorire, sia 
pur indirettamente, 
l'interesse 
della 
Amm.ne 
che 
trarrebbe 
comunque 
utilità 
da 
tale 
tranquillità 
del 
dipendente 
nei 
confronti di denunce (in ipotesi in odio della sua posizione) che poi si rivelano infondate. 
Non senza 
rilevare 
che 
la 
posizione 
più restrittiva 
della 
giurisprudenza 
sembra 
più agevolmente 
inquadrarsi 
nell'ambito dell'art. 28 Cost., si 
osserva 
come 
argomenti 
di 
valutazione 
(sia 
in un senso che 
nel-
l'altro) potrebbero trarsi 
dalla 
specifica 
normativa 
in materia 
di 
spese 
del 
giudizio svoltosi 
innanzi 
alla 
Corte dei Conti, normativa anche in ordine alla quale numerose volte codesto GU è intervenuto. 
Per un verso potrebbe 
sostenersi 
che 
la 
previsione 
del 
rimborso a 
favore 
del 
dipendente 
prosciolto all'esito 
di 
un giudizio per il 
quale 
la 
sussistenza 
-ex 
ante 
-di 
un conflitto di 
interessi 
con l'Amm.ne 
è 
connaturata 
al 
giudizio stesso (v. art. 3 c. 2 bis 
dl 
543/96) sta 
a 
dimostrare 
che, appunto, la 
ravvisabilità 
ex ante 
di tale conflitto non è in assoluto di ostacolo alla rimborsabilità. 
Per 
l'altro 
potrebbe 
peraltro 
osservarsi 
che 
secondo 
la 
giurisprudenza 
conseguente 
alla 
modifica 
dell'art. 
10 bis 
comma 
10 del 
dl 
203/05 "il 
rimborso giudiziale 
costituisce 
uno strumento strettamente 
processuale" 
(Cass. 19195/13) la 
cui 
applicazione 
spetta 
esclusivamente 
al 
giudice 
contabile, senza 
possibilità 
di una successiva richiesta di integrazione a carico della 
Amm.ne. 
Sulla 
base 
di 
tale 
giurisprudenza 
codesto GU 
(parere 
Cs 
17910/15) ha 
escluso la 
possibilità 
di 
una 
liquidazione 
delle 
spese 
da 
parte 
della 
Avvocatura 
anche 
nel 
caso in cui 
il 
Giudice 
contabile 
-errando abbia 
omesso tale liquidazione. 
Se, dunque, in un ambito di 
palese 
conflitto di 
interessi 
il 
rimborso delle 
spese 
di 
giudizio affrontate 
dal 



PARERI 
DEL 
COMITATO 
CONSULTIvO 


Si 
dirà 
qui, in sintesi, che 
le 
prime 
imputazioni 
avverso la 
dipendente 
riguardavano 
i 
reati 
di 
peculato 
e 
di 
truffa 
in 
relazione 
all'uso 
personale 
di 
alcune 
attrezzature 
d'ufficio (per i 
quali 
è 
intervenuta 
assoluzione 
perché 
il 
fatto non 
sussiste) mentre 
un'ulteriore 
imputazione 
concerneva 
il 
reato di 
truffa 
per la 
compilazione 
di 
fogli 
di 
presenza 
che 
attestavano 
falsamente 
la 
presenza 
in 
ufficio (con assoluzione con la formula 
"per non avere commesso il fatto"). 


Osserva 
l'Avvocatura 
fiorentina 
che 
le 
prime 
imputazioni 
potrebbero 
ritenersi 
"attinenti 
ad 
una 
attività 
privata", 
mentre 
le 
seconde, 
essendo 
relative 
ad 
atti 
posti 
in 
essere 
dalla 
dipendente 
in 
relazione 
al 
rapporto 
di 
lavoro, 
andrebbero 
rimborsate 
in 
applicazione 
dei 
principi 
esposti 
nel 
parere 
17 
maggio 
2017 
reso 
nell'affare 
40117/16, 
su 
cui 
si 
era 
pronunziato 
il 
Comitato 
Consultivo. 


Poiché, 
prosegue 
il 
quesito, 
come 
sopra 
segnalato 
sono 
di 
recente 
sopravvenute 
decisioni 
che 
hanno 
escluso 
la 
rimborsabilità 
delle 
spese 
legali 
"in 
giudizi 
derivanti 
da comportamenti 
che 
evidenzino un conflitto di 
interessi 
la cui 
sussistenza deve 
essere 
oggetto di 
una valutazione 
ex 
ante 
che 
prescinda dal-
l'esito 
del 
giudizio 
penale 
e 
dalla 
formula 
di 
eventuali 
assoluzioni 
(cass. 
17874/18)" 
e 
tali 
decisioni 
sono, tra 
l'altro, richiamate 
nella 
bozza 
di 
parere 
CS 
8533/19 
discussa 
nella 
seduta 
del 
Co.Co. 
del 
16 
ottobre 
2019, 
viene 
chiesto 
il riesame del sopra citato parere del 17 maggio 2017. 


L'Avvocatura 
Distrettuale 
pone 
in particolare 
evidenza 
la 
questione 
relativa 
al 
momento 
della 
valutazione 
(ex 
ante 
o 
ex 
post) 
della 
condotta 
del 
dipendente 
ai 
fini 
dell'applicazione 
dell'art.18 
del 
D.L. 
67/97, 
conv. 
con 
l. 
135/97, in relazione alla problematica del conflitto di interessi. 


Sulla 
questione 
si 
svolgono le 
seguenti 
considerazioni, precisando fin da 
ora 
che 
parte 
della 
giurisprudenza 
che 
sarà 
esaminata 
concerne 
l'applicazione 
di 
disposizioni 
sul 
rimborso delle 
spese 
legali 
contenute 
in CCNL 
riferiti 
al 
personale 
dipendente 
di 
enti 
non statali: 
ma 
la 
sostanziale 
analogia 
di 
siffatte 
previsioni 
contrattuali 
con il 
contenuto del 
citato art. 18 del 
D.L. 67/97 rende 
i 
principi 
ivi 
richiamati 
pienamente 
applicabili 
anche 
ai 
pareri 
resi 
ai 
sensi 
della norma testè ricordata. 


*** 


dipendente 
prosciolto è 
da 
ritenere 
un istituto processuale 
rispondente 
al 
principio "victus 
victori 
in expensis 
condemnatur" 
(nel 
giudizio la 
Procura 
ha 
esercitato una 
azione 
nell'interesse 
della 
Amm.ne 
ed è 
rimasta 
soccombente), non altrettanto dovrebbe 
avvenire 
nel 
giudizio penale, ove 
l'azione 
del 
PM 
non 
è 
esercitata 
nell'interesse 
della 
specifica 
Amm.ne 
(e 
dove, anche 
ove 
vi 
fosse 
costituzione 
di 
p.c. non è 
prevista la condanna della parte civile alla rifusione delle spese di difesa dell'imputato). 
In 
definitiva 
sembra 
alla 
Scrivente 
che 
pur 
tenendo 
conto 
della 
possibilità, 
prospettata 
ma 
non 
dimostrata 
dalla 
interessata 
della 
denuncia 
consapevolmente 
infondata 
"in odio" 
al 
funzionario, l'avviso espresso 
con il 
parere 
Cs 
40117/16 sia 
suscettibile 
di 
rimeditazione 
alla 
luce 
anche 
della 
giurisprudenza 
sopravvenuta 
e delle considerazioni che precedono. 
Si resta pertanto in attesa di conoscere se il suddetto parere verrà confermato o rivisto. 


L’Avvocato Distrettuale 
(Gianni cortigiani) 



RASSEGNA 
AvvOCATURA 
DELLO 
STATO -N. 3/2020 


Si 
pone 
dunque 
la 
questione 
delle 
modalità 
e 
dei 
criteri 
di 
valutazione 
dell'esistenza 
o meno di 
una 
situazione 
di 
conflitto di 
interessi 
con l'Amministrazione 
che, ove 
sussistente, esclude 
la 
connessione 
delle 
condotte 
oggetto 
dell'imputazione con l'espletamento del servizio. 


Premesso che, una volta accertatane 
l'esistenza, non 
vi 
è 
dubbio che 
il 
conflitto 
di 
interessi 
escluda 
la 
rimborsabilità, 
in 
particolare 
va 
affrontato 
il 
problema 
se 
siffatta 
valutazione 
debba 
essere 
effettuata 
ex 
ante, sulla 
base 
della 
prospettazione 
accusatoria 
di 
cui 
ai 
capi 
di 
imputazione 
(in tal 
senso il 
quesito sembra 
intendere 
il 
concetto di 
valutazione 
ex 
ante), ovvero ex 
post, 
cioè 
sulla 
base 
di 
quanto accertato con la 
decisione 
che 
ha 
definito il 
giudizio. 


Si 
ritiene 
che 
la 
risposta 
al 
quesito 
come 
testè 
posto 
vada 
resa 
nel 
secondo 
senso, 
cioè 
nel 
senso 
che 
la 
valutazione 
debba 
essere 
effettuata 
ex 
post 
sulla 
base 
delle 
risultanze 
processuali 
consacrate 
nella 
decisione 
giurisprudenziale 
conclusiva e 
definitiva: 
e 
ciò per i 
seguenti 
motivi, alla 
cui 
esposizione 
seguirà 
un 
esame 
di 
alcune 
rilevanti 
decisioni 
della 
giurisprudenza 
civile 
e 
amministrativa. 


Si 
avranno, innanzi 
tutto, anche 
qui 
per richiamate 
le 
interessanti 
considerazioni 
svolte 
dall'Avvocatura 
distrettuale 
nel 
quesito, a 
sostegno ora 
del-
l'una 
ora 
dell'altra 
tesi, 
che 
costituiscono 
utile 
approfondimento 
della 
questione. 


La 
ragione 
dell'opzione 
favorevole 
alla 
necessità 
di 
una 
valutazione 
ex 
post, cioè 
basata 
sulle 
effettive 
e 
definitive 
risultanze 
processuali 
anziché 
su 
una 
valutazione 
ex 
ante, basata 
sulle 
prospettazioni 
di 
cui 
ai 
capi 
di 
imputazione, 
va 
ricercata 
negli 
argomenti 
sottesi 
al 
ricordato precedente 
parere 
del 
17 maggio 2017, n. 252970. 


Si 
era 
ivi 
sottolineata 
(premettendo 
che 
non 
sussisteva 
ancora 
un 
certo 
approdo giurisprudenziale), sulla 
base 
di 
una 
ricostruzione 
della 
volontà 
del 
legislatore, 
l'applicabilità 
dell'art. 
18 
anche 
alle 
condotte 
"inerenti 
al 
rapporto 
di 
lavoro... 
ove 
il 
comportamento del 
dipendente 
risulti 
lecito, corretto e, appunto, 
onesto". 


Il 
tutto ispirato a 
quella 
"esigenza di 
equità sostanziale 
e 
a tutela degli 
amministratori 
e 
funzionari 
onesti" 
esplicitata 
nella 
relazione 
illustrativa 
che 
accompagnò l'approvazione del più volte citato art. 18 in esame. 


Se 
questa 
era 
la 
finalità 
del 
legislatore 
-e 
tanto 
emerge 
con 
certezza 
dalla 
documentazione 
di 
accompagnamento 
alla 
norma 
-appare 
evidente 
che 
svolgere 
valutazioni 
ex 
ante, 
cioè 
basate 
sulla 
mera 
prospettazione 
accusatoria 
di 
cui 
ai 
capi 
di 
imputazione, 
impedisce 
ogni 
effettiva 
considerazione 
della 
reale 
condotta 
del 
dipendente 
(ove 
per 
"reale" 
si 
intende 
la 
condotta 
come 
definitivamente 
accertata 
in 
sede 
processuale), 
con 
l'effetto 
di 
non 
poter 
rimborsare 
per 
definizione 
le 
spese 
relative 
ad 
imputazioni 
riconducibili 
al 
rapporto 
di 
lavoro 
giacchè 
non 
si 
riesce 
ad 
immaginare 
quali 
azioni 
od 
omissioni 
penalmente 
rile



PARERI 
DEL 
COMITATO 
CONSULTIvO 


vanti 
concernenti, 
appunto, 
il 
rapporto 
di 
lavoro 
intercorrente 
con 
la 
P.A. 
datrice 
di 
lavoro 
possano 
non 
configurare 
un 
conflitto 
di 
interessi 
con 
la 
medesima. 


Peraltro, in via 
astratta, ogni 
reato commesso da 
un dipendente 
nell'esercizio 
delle 
proprie 
funzioni 
si 
pone 
in 
"conflitto 
di 
interessi" 
con 
la 
P.A., 
anche 
se 
soggetto passivo del 
reato è 
un soggetto terzo, giacché 
l'azione 
della 
medesima 
deve 
sempre 
svolgersi 
nel 
rispetto 
della 
legge 
e 
considerato 
che, 
in 
astratto, ai 
sensi 
dell'art. 28 Cost. l'amministrazione 
può essere 
chiamata 
a 
rispondere 
civilmente 
dei 
danni 
procurati 
al 
soggetto offeso dal 
reato e 
dunque 
ogni 
reato commesso da 
un pubblico dipendente 
può, in teoria, determinare 
un danno alla P.A. datrice di lavoro. 


In 
sostanza, 
dunque, 
si 
ritiene 
che 
si 
debba 
accedere 
ad 
una 
considerazione 
concreta 
dei 
fatti 
come 
accertati 
in giudizio, anziché 
ad una 
valutazione 
astratta 
della 
(solo) 
ipotizzata 
condotta 
in 
contrasto 
con 
gli 
interessi 
della 
P.A., 
giacché 
nella 
seconda 
ipotesi 
resterebbero frustrate 
le 
esigenze 
di 
"equità sostanziale" 
e 
di 
"tutela 
... 
dei 
funzionari 
onesti" 
esplicitamente 
poste 
a 
base 
della 
ratio legis 
del 
citato art. 18; 
e 
siffatta 
violazione 
della 
ratio legis 
avverrebbe 
in relazione, si 
ripete, ad una 
mera 
ipotesi 
accusatoria, il 
che, peraltro, 
può anche 
apparire, in senso lato, come 
poco conforme 
al 
principio di 
presunzione 
di 
innocenza 
di 
cui 
all'art. 
27 
Cost., 
giacché 
finirebbe 
con 
il 
discriminare 
tra 
soggetti 
meritevoli, o non, di 
rimborso, in base 
ad un'accusa 
e 
non in base 
ad un accertamento definitivo del giudice. 


Resta 
ovviamente 
fermo il 
fatto che, al 
fine 
di 
scrutinare 
positivamente 
la 
rimborsabilità 
delle 
spese 
legali, la 
condotta 
tenuta 
dal 
dipendente 
-come 
accertata 
giudizialmente 
-, 
pur 
se 
non 
penalmente 
rilevante, 
andrà 
attentamente 
valutata 
per riscontrare 
se 
essa 
sia 
o meno rispondente 
al 
concetto di 
connessione 
con 
l'espletamento 
del 
servizio 
elaborata 
dalla 
giurisprudenza, 
e 
dunque 
si 
potrà 
ritenere 
applicabile 
il 
citato 
art. 
18 
solo 
quando 
risulti 
che 
l'agire 
incriminato 
sia 
strettamente 
strumentale 
al 
regolare 
e 
diligente 
adempimento 
dei 
compiti 
istituzionali 
di 
servizio e 
vi 
sia quindi 
coincidenza di 
posizioni 
e 
non 
si 
riscontri 
in 
concreto un 
conflitto di 
interessi 
con 
l'Amministrazione 
di appartenenza. 


Tanto ritenuto in via 
di 
massima, i 
quesiti 
posti 
nella 
nota 
che 
si 
riscontra 
meritano i seguenti ulteriori approfondimenti. 


Occorre 
ribadire, 
innanzi 
tutto, 
un 
concetto 
fondamentale, 
su 
cui 
la 
presente 
analisi 
continuerà 
a 
muoversi: 
l'accertamento, 
in 
sede 
di 
espressione 
del 
parere 
sulla 
rimborsabilità 
e 
quindi 
sulla 
concessione 
o 
meno 
del 
rimborso, 
deve 
muovere 
da 
una 
considerazione 
dei 
fatti 
oggetto 
del 
procedimento 
penale 
così 
come 
definitivamente 
accertati 
nella 
decisione 
che 
ha 
concluso 
il 
giudizio. 


È 
da 
questa 
"verità 
processuale" 
che 
occorre, 
necessariamente, 
partire 
per 
poi 
accedere, 
sul 
piano 
logico, 
ad 
una 
sussunzione, 
o 
meno, 
delle 
condotte 
accertate 
nell'ambito 
degli 
atti 
o 
fatti 
connessi 
con 
l'espletamento 
del 
servizio. 



RASSEGNA 
AvvOCATURA 
DELLO 
STATO -N. 3/2020 


In tal 
senso occorre 
ulteriormente 
ribadire, in modo netto, che 
il 
riferimento 
ad 
una 
valutazione 
"ex 
ante" 
non 
può 
in 
alcun 
modo 
determinare 
il 
fatto 
che 
vengano 
prese 
in 
considerazione 
le 
condotte 
meramente 
ipotizzate 
nei 
capi 
di 
imputazione: 
va, al 
riguardo, meglio chiarito cosa 
debba 
intendersi, per valutazione 
"ex 
ante", anche 
attraverso l'attenta 
lettura 
di 
alcuni 
precedenti 
giurisprudenziali. 


Si 
espone 
pertanto la 
seguente 
tesi: 
la valutazione 
"ex ante" 
consiste, 
nel 
presente 
caso, nel 
prendere 
in 
considerazione, ai 
fini 
del 
riscontro del-
l'eventuale 
connessione 
con 
l'espletamento 
del 
servizio, 
le 
condotte 
del-
l'istante 
(come 
fattualmente 
accertate 
in 
giudizio) 
al 
momento 
(anteriore, 
ovviamente, 
al 
giudizio 
stesso) 
in 
cui 
furono 
poste 
in 
essere: 
siffatte 
condotte, 
per 
dare 
luogo 
alla 
rimborsabilità 
devono 
(vedi 
C. 
Cassazione 
Sez. 
Lavoro 
sent. n. 20561/18) ricollegarsi 
"necessariamente 
all'esercizio diligente 
della 
pubblica funzione"; 
inoltre 
"occorre 
che 
vi 
sia un nesso di 
strumentalità tra 
l'adempimento del 
dovere 
e 
il 
compimento dell'atto" 
(ibidem); 
pertanto al 
dipendente 
"non 
compete 
il 
rimborso 
delle 
spese 
legali 
qualora 
il 
giudice 
abbia 
evidenziato 
che 
i 
fatti 
ascrittigli 
esulavano 
dalla 
funzione 
svolta 
e 
costituivano 
grave violazione dei doveri d'ufficio" 
(ibidem) (enfasi aggiunta). 


Appare 
dunque 
chiaro che 
proprio la 
citata 
sentenza 
n. 20561/18, ricordata 
fra 
le 
altre 
dall'Avvocatura 
di 
Firenze, consente 
di 
affermare 
che 
la 
valutazione 
non 
può 
essere 
svolta 
in 
astratto 
sui 
fatti 
ipotizzati 
nei 
capi 
di 
imputazione, ma 
in concreto laddove 
"il 
giudice" 
(con ciò evidentemente 
indicandosi 
l'organo 
giudicante 
che 
ha 
emesso 
la 
decisione 
definitiva) 
abbia 
"evidenziato", cioè 
ritenuto nella 
decisione, che 
"i 
fatti 
ascrittigli" 
(al 
dipendente, 
ovviamente) si 
ponevano in conflitto di 
interessi 
con la 
P.A.; 
dunque 
il 
contrasto 
di 
interessi 
va 
accertato 
sulla 
base 
della 
ricordata 
"verità 
processuale" 
e 
non 
può 
a 
priori 
essere 
escluso, 
né 
ammesso, 
alla 
luce 
della 
mera 
astratta ascrizione del reato recata dal capo di imputazione. 


Siffatta 
impostazione 
appare 
pienamente 
seguita 
anche 
in più recente 
arresto 
della 
Suprema 
Corte 
in 
materia: 
ci 
si 
riferisce 
a 
C. 
Cass. 
Sez. 
L, 
sentenza 


n. 34457 del 
24 dicembre 
2019: 
"in tema di 
rimborso delle 
spese 
legali 
sostenute 
dal 
personale 
non 
dirigente 
di 
Poste 
italiane, 
ai 
sensi 
dell'art. 
45 
del 
c.c.n.l. del 
2003, l'assenza di 
conflitto di 
interessi, che 
costituisce 
il 
presupposto 
per 
l'assunzione 
dell'onere 
di 
pagamento 
da 
parte 
datoriale, 
va 
valutata 
"ex ante" 
nel 
momento in 
cui 
è 
stata posta in 
essere 
la condotta generatrice 
di 
responsabilità, né 
è 
automaticamente 
esclusa in 
caso di 
assoluzione 
del 
dipendente, 
occorrendo 
accertare, 
sulla 
base 
di 
una 
autonoma 
ricostruzione 
fattuale 
della vicenda da parte 
del 
giudice 
di 
merito, che 
il 
dipendente 
abbia 
agito unicamente 
per 
finalità di 
espletamento del 
servizio, in 
esecuzione 
dei 
compiti 
di 
ufficio 
e, 
quindi, 
non 
in 
conflitto 
con 
il 
suo 
datore 
di 
lavoro, 
fermo 
restando 
che 
ai 
fini 
ricostruttivi 
della 
esistenza 
o 
meno 
di 
una 
situazione 
antagonista 
possono, comunque, assumere 
rilievo elementi 
acquisiti 
successi

PARERI 
DEL 
COMITATO 
CONSULTIvO 


vamente 
anche 
tratti 
dal 
provvedimento che 
ha definito il 
giudizio nel 
quale 
era coinvolto il lavoratore" 
(enfasi aggiunta). 


Si 
tratta, come 
sottolineato, della 
più recente 
decisione 
in materia 
della 
Suprema 
Corte, che 
appare 
idonea 
a 
superare 
precedenti 
diversi 
orientamenti. 


Sembra 
al 
riguardo sostenuta 
da 
diverso avviso la 
precedente 
C. Cass., I 
civ., ord. 2475/19, ove 
si 
legge, dopo il 
richiamo ad altri 
principi 
già 
esposti 
nel 
presente 
parere, 
che 
"ai 
fini 
del 
rimborso 
richiesto 
è 
necessario 
che 
il 
fatto 
reato oggetto dell'imputazione 
penale 
non configuri 
una fattispecie 
ontologicamente 
in conflitto con i 
doveri 
d'ufficio ne 
determini 
ipso facto la legittimazione 
dello stesso ente 
di 
costituirsi 
parte 
civile... se 
l'accusa è 
quella di 
aver 
commesso un reato che 
contempli 
l'ente 
locale 
come 
parte 
offesa (e, quindi, 
in 
oggettiva 
situazione 
di 
conflitto 
di 
interessi) 
il 
diritto 
al 
rimborso 
non 
sorge 
affatto, escludendo dunque 
che 
esso emerga solo nel 
momento in cui 
il 
dipendente 
sia stato, in ipotesi, assolto dall'accusa". 


L'ordinanza, 
quindi, 
sembra 
prendere 
in 
considerazione 
il 
solo 
capo 
d'accusa, 
l'imputazione 
astratta 
che, 
ove 
preveda 
l'ente 
pubblico 
quale 
parte 
offesa 
preclude il rimborso. 


Allo 
stesso 
orientamento 
aderisce 
sempre 
Cass. 
Civ. 
I 
Sez., 
ord. 
3026/2019: 
ma 
va 
osservato 
che 
la 
motivazione 
dell'ordinanza 
consiste, 
in 
sostanza, 
in un ampio richiamo a 
C. Cass. S.U. sent. 13048/07: 
tuttavia 
il 
(testuale) 
richiamo contenuto in quella 
motivazione 
si 
arresta 
proprio nel 
punto 
in 
cui 
le 
Sezioni 
Unite, 
dopo 
aver 
affermato 
che 
"se 
l'accusa 
era 
quella 
di 
aver 
commesso 
un 
reato 
che 
vedeva 
l'ente 
locale 
come 
parte 
offesa, 
(e 
quindi 
in 
oggettiva 
situazione 
di 
conflitto 
di 
interessi), 
il 
diritto 
al 
rimborso 
non 
sorgeva 
affatto e 
non già sorgeva solo nel 
momento in cui 
il 
dipendente 
fosse 
stato, in 
ipotesi, 
assolto 
dall'accusa"; 
precisavano 
quanto 
segue: 
"ferma 
restando 
però 
la possibilità per 
quest'ultimo di 
dedurre 
non 
solo che 
il 
comportamento da 
lui 
tenuto, ed addebitatogli 
come 
fonte 
di 
responsabilità penale, non 
costituisse 
reato in 
danno dell'ente 
locale, ma che 
in 
realtà la sua condotta rappresentasse 
null'altro 
che 
l'espletamento 
del 
servizio 
o 
l'adempimento 
dei 
compiti 
d'ufficio; nel 
qual 
caso -che 
comunque 
non 
è 
dedotto nella specie 


-il 
conflitto di 
interessi 
sarebbe 
stato solo apparente 
e 
sarebbe 
comunque 
sorto l'onere 
dell'Amministrazione 
di 
farsi 
carico delle 
spese 
legali, ma pur 
sempre "sin dall'apertura del procedimento" 
(enfasi aggiunta). 
Dunque 
anche 
la 
sentenza 
delle 
S.U., richiamata 
di 
recente 
da 
C. Cass. 
ord. 3026/19, affermava 
in realtà 
la 
necessità 
di 
basare 
la 
valutazione 
sull'esistenza 
del 
conflitto di 
interessi 
non sulla 
(teorica) accusa 
(ove 
il 
"conflitto di 
interessi" 
potrebbe 
essere 
"solo apparente") ma 
sugli 
(effettivi) accertamenti 
processuali. 


Dunque, pur nella 
perdurante 
incertezza, sembra 
che 
anche 
presso la 
Suprema 
Corte 
sia 
ben solido l'orientamento "pragmatico", volto a 
valorizzare 
la 
"verità 
processuale" 
ai 
fini 
della 
valutazione 
della 
riconducibilità 
della 
con



RASSEGNA 
AvvOCATURA 
DELLO 
STATO -N. 3/2020 


dotta 
del 
dipendente 
al 
corretto espletamento del 
servizio: 
il 
che 
consente 
di 
sostenere la tesi in precedenza esposta nel presente parere. 


Per completezza, tuttavia, occorre 
dar conto, in questa 
sede, di 
quanto ritenuto 
dal 
Consiglio di 
Stato in una 
serie 
di 
recenti 
(favorevoli) analoghe 
sentenze 
depositate 
in 
data 
28 
novembre 
2019; 
si 
prenderà 
ad 
esempio 
la 
sentenza 


n. 8144/19 (che si allega in copia) (2). 
(2) 
«... 
L’appellante, 
dipendente 
dell’Arma 
dei 
Carabinieri, 
è 
stato 
sottoposto 
ad 
un 
processo 
penale, 
nel 
quale 
è 
stato imputato per il 
reato di 
insubordinazione 
con ingiuria, aggravata 
dalla 
presenza 
di 
più 
militari, per aver rivolto ad un superiore 
una 
frase, durante 
lo svolgimento dei 
preparativi 
per una 
festa 
dell’Arma. 
Con la 
sentenza 
del 
giudice 
dell’udienza 
preliminare 
del 
Tribunale 
militare 
di 
Napoli 
n. 11 del 
1° 
aprile 
2008, egli è stato assolto ‘perché il fatto non sussiste’. 
Tale sentenza ha rilevato che: 
-la 
contestazione 
ha 
riguardato 
l’aver 
rivolto 
al 
superiore, 
alla 
presenza 
di 
più 
persone, 
una 
frase 
di 
natura 
ingiuriosa 
e 
irrispettosa, 
dopo 
essere 
stato 
da 
lui 
verbalmente 
rimproverato 
per 
aver 
dato 
in 
escandescenze; 
-è 
risultata 
una 
discordanza 
sulla 
effettiva 
pronuncia 
di 
tale 
frase, 
poiché 
due 
testimoni 
hanno 
dichiarato 
di 
averla 
sentita 
(il 
maresciallo Sa. Ca. e 
il 
brigadiere 
Ga. Cl.), mentre 
altri 
tre 
testimoni 
hanno escluso 
che sia stata pronunciata (il mar. Al. Ri. e i carabinieri Gi. Sa. e Mi. Ni.); 
-‘la 
discordanza 
tra 
le 
diverse 
testimonianze 
sul 
punto, tutte 
parimenti 
valutabili, lascia 
sorgere 
il 
legittimo 
dubbio sulla effettiva pronunzia da parte del maresciallo delle parole in contestazione’; 
-‘tuttavia, 
qualora 
si 
volesse 
ritenere 
che 
l’espressione 
sia 
stata 
effettivamente 
pronunziata, 
è 
necessario 
valutare 
se 
la 
stessa 
costituisca 
o 
meno 
reato’, 
ciò 
che 
la 
stessa 
sentenza 
ha 
escluso, 
essendo 
stato 
espresso ‘unicamente 
l’atteggiamento infastidito di 
un militare 
che 
si 
è 
sentito maltrattato dal 
suo comandante’…, 
‘invero, l’espressione 
potrà 
anche 
essere 
scurrile 
e, perciò, da 
disapprovare, ma 
non contiene 
alcuna 
potenzialità 
offensiva 
degli 
attributi 
morali 
della 
personalità 
umana 
nei 
comuni 
rapporti 
sociali’, considerato che ‘la frase è priva di rilievo nell’ambito del codice penale comune’. 
Dopo la 
conclusione 
del 
giudizio penale, l’interessato ha 
chiesto alla 
Amministrazione 
di 
appartenenza 
il 
rimborso delle 
spese 
legali 
sostenute, ai 
sensi 
dell’art. 18 del 
decreto legge 
n. 67 del 
1997, convertito 
nella legge n. 135 del 1997. 
Con l’atto di 
data 
4 maggio 2010, il 
Ministero della 
difesa 
ha 
respinto l’istanza, rilevando che 
i 
fatti 
valutati 
in sede 
penale 
non erano connessi 
all’espletamento del 
servizio o con l’assolvimento di 
compiti 
istituzionali. 
2. Con il 
ricorso di 
primo grado n. -OMISSIS 
-(proposto al 
TAR per la 
Calabria, Sede 
di 
Catanzaro), 
l’interessato ha impugnato il diniego e ne ha chiesto l’annullamento. 
3. Il 
TAR, con la 
sentenza 
n. -OMISSIS 
-, ha 
respinto il 
ricorso ed ha 
compensato le 
spese 
del 
giudizio, 
rilevando che 
l’art. 18 del 
decreto legge 
n. 67 del 
1997 si 
applica 
quando sia 
ravvisabile 
‘un rapporto di 
connessione 
tra 
la 
condotta 
tenuta 
e 
l’attività 
di 
servizio tale 
da 
comportare 
l’imputazione 
degli 
effetti 
dell’agire del soggetto dipendente direttamente all’Amministrazione’. 
4. Con l’appello in esame, l’interessato ha 
chiesto che, in riforma 
della 
sentenza 
impugnata, il 
ricorso 
di primo grado sia accolto. 
L’appellante 
-dopo 
aver 
richiamato 
i 
precedenti 
giurisprudenziali 
in 
materia 
-ha 
dedotto 
che 
i 
fatti 
contestati 
sarebbero ‘connessi al servizio svolto’, perché: 
-la 
contestazione 
in 
sede 
penale 
ha 
riguardato 
fatti 
connessi 
alle 
funzioni 
di 
militare 
in 
attività 
di 
servizio, 
svolte 
nella 
sede 
di 
lavoro e 
durante 
l’orario di 
lavoro, con un superiore 
anch’egli 
in servizio, e 
si 
è 
conclusa 
con l’esclusione di ogni responsabilità; 
-sarebbe 
stato violato il 
giudicato penale, che 
-all’esito di 
un ‘ingiusto processo penale’ 
-ha 
escluso 
che 
il 
fatto si 
sia 
verificato ed ha 
comunque 
escluso che, se 
anche 
si 
fosse 
verificato, sarebbe 
stata 
integrata 
la fattispecie contestata. 
5. 
In 
data 
19 
febbraio 
2019, 
il 
Ministero 
appellato 
si 
è 
costituito 
in 
giudizio 
ed 
ha 
chiesto 
che 
il 
gravame 
sia respinto. 
In data 
22 ottobre 
2019, l’Amministrazione 
ha 
depositato una 
memoria 
difensiva, con cui 
ha 
ribadito la 

PARERI 
DEL 
COMITATO 
CONSULTIvO 


domanda di reiezione dell’appello. 
L’appellante 
in data 
31 ottobre 
2019 ha 
depositato una 
memoria 
di 
replica, con cui 
ha 
insistito nelle 
già 
formulate conclusioni. 


6. Ritiene la Sezione che l’appello vada respinto, perché infondato. 
7. Per comodità 
di 
lettura, va 
riportato il 
contenuto dell’art. 18, comma 
1, del 
decreto legge 
n. 67 del 
1997, come convertito nella legge n. 135 del 1997. 
“le 
spese 
legali 
relative 
a giudizi 
per 
responsabilità civile, penale 
e 
amministrativa, promossi 
nei 
confronti 
di 
dipendenti 
di 
amministrazioni 
statali 
in 
conseguenza 
di 
fatti 
ed 
atti 
connessi 
con 
l'espletamento 
del 
servizio o con l'assolvimento di 
obblighi 
istituzionali 
e 
conclusi 
con sentenza o provvedimento che 
escluda la loro responsabilità, sono rimborsate 
dalle 
amministrazioni 
di 
appartenenza nei 
limiti 
riconosciuti 
congrui 
dall'avvocatura dello Stato. le 
amministrazioni 
interessate, sentita l'avvocatura dello 
Stato, 
possono 
concedere 
anticipazioni 
del 
rimborso, 
salva 
la 
ripetizione 
nel 
caso 
di 
sentenza 
definitiva 
che accerti la responsabilità”. 


Per 
i 
casi 
in 
cui 
sussiste 
la 
giurisdizione 
amministrativa 
esclusiva, 
rilevano 
i 
principi 
generali 
per 
i 
quali, 
in 
presenza 
di 
un 
potere 
valutativo 
dell’Amministrazione, 
la 
posizione 
del 
dipendente 
va 
qualificata 
come 
interesse 
legittimo 
(pur 
se 
è 
stata 
talvolta 
definita 
come 
di 
‘diritto 
condizionato’ 
all’accertamento 
dei 
relativi 
presupposti: 
Cons. 
Stato, 
Sez. 
III, 
29 
dicembre 
2017, 
n. 
6194; 
Sez. 
vI, 
21 
gennaio 
2011, 
n. 
1713). 
L’art. 18 sopra 
riportato attribuisce 
un peculiare 
potere 
valutativo all’Amministrazione 
con riferimento 
all’an ed al 
quantum, poiché 
essa 
deve 
verificare 
se 
sussistano in concreto i 
presupposti 
per disporre 
il 
rimborso delle 
spese 
di 
giudizio sostenute 
dal 
dipendente, nonché 
-quando sussistano tali 
presupposti 


-se 
siano congrue 
le 
spese 
di 
cui 
sia 
chiesto il 
rimborso -con l’ausilio della 
Avvocatura 
dello Stato, il 
cui 
parere 
di 
congruità 
ha 
natura 
obbligatoria 
e 
vincolante 
(Cons. 
Stato, 
Sez. 
II, 
31 
maggio 
2017, 
n. 
1266; Sez. Iv, 8 luglio 2013, n. 3593). 
Di 
per sé 
il 
parere 
-per la 
sua 
natura 
tecnico-discrezionale 
-non deve 
attenersi 
all’importo preteso dal 
difensore 
(Cons. Stato, Sez. II, 20 ottobre 
2011, n. 2054/2012), o a 
quello liquidato dal 
Consiglio del-
l’Ordine 
degli 
avvocati 
per quanto rileva 
nei 
rapporti 
tra 
il 
difensore 
e 
l’assistito (Cons. Stato, Sez. II, 
31 
maggio 
2017, 
n. 
1266; 
Sez. 
vI, 
8 
ottobre 
2013, 
n. 
4942), 
ma 
deve 
valutare 
quali 
siano 
state 
le 
effettive 
necessità 
difensive 
(Cass. 
Sez. 
Un., 
6 
luglio 
2015, 
n. 
13861; 
Cons. 
Stato, 
Sez. 
Iv, 
7 
ottobre 
2019, 
n. 
6736; 
Sez. II, 31 maggio 2017, n. 1266; 
Sez. II, 20 ottobre 
2011, n. 2054/12) ed è 
sindacabile 
in sede 
di 
giurisdizione 
di 
legittimità 
per 
errore 
di 
fatto, 
illogicità, 
carenza 
di 
motivazione, 
incoerenza, 
irrazionalità 
o per violazione delle norme di settore (Cons. Stato, Sez. II, 30 giugno 2015, n. 7722). 
Qualora 
il 
diniego (totale 
o parziale) di 
rimborso risulti 
illegittimo, il 
suo annullamento non comporta 
di 
per 
sé 
l’accertamento 
della 
spettanza 
del 
beneficio, 
dovendosi 
comunque 
pronunciare 
sulla 
questione 
l’Amministrazione, in sede di emanazione degli atti ulteriori. 
8. 
Per 
quanto 
riguarda 
i 
presupposti 
indefettibili 
per 
l’applicazione 
dell’art. 
18, 
si 
è 
formata 
una 
univoca 
e convergente giurisprudenza della Corte di Cassazione e di questo Consiglio di Stato. 
Tali presupposti sono due: 
a) la 
pronuncia 
di 
una 
sentenza 
o di 
un provvedimento del 
giudice, che 
abbia 
escluso definitivamente 
la 
responsabilità del dipendente; 
b) la 
sussistenza 
di 
una 
connessione 
tra 
i 
fatti 
e 
gli 
atti 
oggetto del 
giudizio e 
l’espletamento del 
servizio 
e l’assolvimento degli obblighi istituzionali. 
9. Quanto alla 
pronuncia 
definitiva 
sull’esclusione 
della 
responsabilità 
del 
dipendente, qualora 
si 
tratti 
di 
una 
sentenza 
penale 
si 
deve 
trattare 
di 
un accertamento della 
assenza 
di 
responsabilità, anche 
quando 
-in assenza 
di 
ulteriori 
specificazioni 
contenute 
nell’art. 18 -sia 
stato applicato l’art. 530, comma 
2, del 
codice 
di 
procedura 
penale 
(Cons. 
Stato, 
Sez. 
Iv, 
4 
settembre 
2017, 
n. 
4176, 
cit.; 
Ad. 
Gen., 
29 
novembre 
2012, n. 20/13; Sez. Iv, 21 gennaio 2011, n. 1713, cit.). 
L’art. 18, invece, non può essere 
invocato quando il 
proscioglimento sia 
dipeso da 
una 
ragione 
diversa 
dalla 
assenza 
della 
responsabilità, cioè 
quando sia 
stato disposto a 
seguito dell’estinzione 
del 
reato, ad 
esempio 
per 
prescrizione, 
o 
quando 
vi 
sia 
stato 
un 
proscioglimento 
per 
ragioni 
processuali, 
quali 
la 
mancanza 
delle 
condizioni 
di 
promovibilità 
o di 
procedibilità 
dell’azione 
(cfr. Cons. Stato, Sez. Iv, 4 settembre 
2017, n. 4176, cit.; Sez. vI, 2005, n. 2041). 
10. Oltre 
alla 
pronuncia 
del 
giudice 
che 
espressamente 
abbia 
escluso la 
responsabilità 
del 
dipendente, 
l’art. 18 ha 
disciplinato un ulteriore 
presupposto per la 
spettanza 
del 
beneficio, e 
cioè 
la 
sussistenza 
di 
una 
connessione 
tra 
i 
fatti 
e 
gli 
atti 
oggetto del 
giudizio e 
l’espletamento del 
servizio e 
l’assolvimento 

RASSEGNA 
AvvOCATURA 
DELLO 
STATO -N. 3/2020 


degli 
obblighi 
istituzionali: 
l’art. 18 si 
applica 
a 
favore 
del 
dipendente 
che 
abbia 
agito in nome 
e 
per 
conto, 
oltre 
che 
nell’interesse 
della 
Amministrazione 
(e 
cioè 
quando 
per 
la 
condotta 
oggetto 
del 
giudizio 
sia ravvisabile il ‘nesso di immedesimazione organica’). 


10.1. Tale 
connessione 
sussiste 
-sia 
pure 
in modo peculiare 
-qualora 
sia 
stata 
contestata 
al 
dipendente 
la 
violazione 
dei 
doveri 
di 
istituto 
e, 
all’esito 
del 
procedimento, 
il 
giudice 
abbia 
constatato 
non 
solo 
l’assenza 
della 
responsabilità, ma 
che 
esso sia 
sorto in esclusiva 
conseguenza 
di 
condotte 
illecite 
di 
terzi, 
di 
natura 
diffamatoria 
o calunniosa, oppure 
qualificabili 
come 
un millantato credito (si 
pensi 
al 
funzionario, 
al 
dirigente 
o al 
magistrato accusato di 
corruzione, ma 
in realtà 
del 
tutto estraneo ai 
fatti, perché 
vittima 
di 
una 
orchestrata 
attività 
calunniosa 
o di 
un millantato credito emerso dopo l’attivazione 
del 
procedimento penale). 
Sotto tale 
profilo, l’art. 18 tutela 
senz’altro -col 
rimborso delle 
spese 
sostenute 
-il 
dipendente 
statale 
che 
sia 
stato costretto a 
difendersi, pur innocente, nel 
corso del 
procedimento penale 
nel 
quale 
-esclusivamente 
in ragione 
del 
suo status 
e 
non per l’aver posto in essere 
specifici 
atti 
-sia 
stato coinvolto nel 
procedimento penale 
perché 
sostanzialmente 
vittima 
di 
illecite 
condotte 
altrui, che 
per un qualsiasi 
motivo 
illecito hanno coinvolto il 
dipendente, a 
maggior ragione 
se 
è 
stato designato come 
vittima 
proprio 
quale appartenente alle Istituzioni e per il servizio prestato. 
Qualora 
in tali 
casi 
il 
giudice 
penale 
disponga 
il 
proscioglimento del 
dipendente 
statale, non rileva 
pertanto 
la 
natura 
attiva 
od 
omissiva 
della 
condotta 
oggetto 
della 
contestazione, 
perché 
ciò 
che 
conta 
è 
l’accertamento 
da 
parte 
del 
giudice 
penale 
dell’estraneità 
del 
dipendente 
ai 
fatti 
contestati, 
nonché 
il 
carattere 
diffamatorio o calunnioso delle dichiarazioni altrui. 
10.2. 
A 
parte 
l’ipotesi 
del 
coinvolgimento 
del 
dipendente 
estraneo 
ai 
fatti, 
ma 
vittima 
di 
una 
illecita 
condotta 
altrui, 
quanto 
alla 
‘connessione’ 
tra 
i 
fatti 
e 
gli 
atti 
oggetto 
del 
giudizio 
e 
l’espletamento 
del 
servizio 
e 
l’assolvimento degli 
obblighi 
istituzionali, la 
giurisprudenza 
ha 
più volte 
chiarito che 
si 
deve 
trattare 
di 
condotte 
(estrinsecatesi 
in atti 
o comportamenti) che 
di 
per sé 
siano riferibili 
all’Amministrazione 
di 
appartenenza 
e 
che, di 
conseguenza, comportino a 
questa 
l’imputazione 
dei 
relativi 
effetti 
(Cons. Stato, 
Sez. Iv, 7 giugno 2018, n. 3427; 
Sez. Iv, 5 aprile 
2017, n. 1568; 
Sez. Iv, 26 febbraio 2013, n. 1190): 
la 
condotta 
oggetto 
della 
contestazione 
deve 
essere 
espressione 
della 
volontà 
della 
Amministrazione 
di 
appartenenza e finalizzata all’adempimento dei suoi fini istituzionali. 
L’art. 18 è 
di 
stretta 
applicazione 
e 
si 
applica 
quando il 
dipendente 
sia 
stato coinvolto nel 
processo per 
l’aver svolto il 
proprio lavoro, e 
cioè 
quando si 
sia 
trattato dello svolgimento dei 
suoi 
obblighi 
istituzionali 
e 
vi 
sia 
un nesso di 
strumentalità 
tra 
l’adempimento del 
dovere 
ed il 
compimento dell’atto o del 
comportamento (e 
dunque 
quando l’assolvimento diligente 
dei 
compiti 
specificamente 
lo richiedeva), 
e 
non anche 
quando la 
condotta 
oggetto della 
contestazione 
sia 
stata 
posta 
in essere 
‘in occasione’ 
del-
l’attività 
lavorativa 
(Cass., 3 gennaio 2008, n. 2; 
Cons. Stato, Sez. vI, 13 marzo 2017, n. 1154; 
Sez. III, 
8 aprile 
2016, n. 1406; 
Sez. Iv, 26 febbraio 2013, n. 1190; 
Sez. Iv, 14 aprile 
2000, n. 2242) o quando 
sia di per sé meritevole di una sanzione disciplinare (Cons. Stato, Sez. Iv, 26 febbraio 2013, n. 1190). 
Invece, esso non si 
applica 
quando la 
contestazione 
in sede 
penale 
si 
sia 
riferita 
ad un atto o ad un comportamento, 
in ipotesi, che: 
a) di 
per sé 
costituisca 
una 
violazione 
dei 
doveri 
d’ufficio (cfr. Cons. Stato, Sez. Iv, 7 giugno 2018, n. 
3427); 
b) sia 
stato comunque 
posto in essere 
per ragioni 
personali, sia 
pure 
durante 
e 
‘in occasione’ 
dello svolgimento 
del 
servizio, 
e 
dunque 
non 
sia 
riferibile 
all’Amministrazione 
(Cass. 
civ., 
Sez. 
I, 
31 
gennaio 
2019, n. 3026; 
Sez. lav., 6 luglio 2018, n. 17874; 
Sez. lav., 3 febbraio 2014, n. 2297; 
Sez. lav., 30 novembre 
2011, n. 25379; 
Sez. lav., 10 marzo 2011, n. 5718; 
Cons. Stato, Sez. v, 5 maggio 2016, n. 1816; 
Sez. III, 2013, n. 4849; 
Sez. Iv, 26 febbraio 2013, n. 1190), ad esempio, quando la 
contestazione 
si 
sia 
riferita 
a 
una 
condotta 
che 
riguardi 
la 
propria 
vita 
di 
relazione, ancorché 
nell’ambiente 
di 
lavoro (Cons. 
Stato, Sez. v, 2014, n. 6389; 
Sez. II, 15 maggio 2013, n. 3938/13), o che 
non sia 
riconducibile 
strettamente 
alla 
attività 
istituzionale, quale 
l’accettazione 
di 
un regalo o il 
coinvolgimento in un alterco con 
colleghi, ma che all’esito del giudizio non sia stata qualificata come reato. 
c) 
sia 
potenzialmente 
idoneo 
a 
condurre 
ad 
un 
conflitto 
con 
gli 
interessi 
dell’Amministrazione 
(ad 
esempio 
quando, malgrado l’assenza 
di 
una 
responsabilità 
penale, sussistano i 
presupposti 
per ravvisare 
un 
illecito disciplinare 
e 
per attivare 
il 
relativo procedimento: 
cfr. Cons. Stato, Sez. II, 27 agosto 2018, n. 
2055; Sez. Iv, 4 settembre 2017, n. 4176, cit.; Sez. Iv, 2013, n. 1190; Sez. Iv, 2012, n. 423). 
Infatti, la 
ratio 
della 
regola 
del 
rimborso delle 
spese 
-per i 
giudizi 
conseguenti 
alle 
condotte 
attinenti 
al 

PARERI 
DEL 
COMITATO 
CONSULTIvO 


Tra 
le 
numerose 
affermazioni 
ivi 
contenute 
si 
legge 
che 
l'art. 18 in esame 
"non si 
applica quando la contestazione 
in sede 
penale 
si 
sia riferita ad un 
atto o ad un comportamento, in ipotesi, che: 


a) 
di per sé costituisca una violazione dei doveri d'ufficio 
b) 
sia stato comunque posto in essere per ragioni personali 
b) 
sia potenzialmente 
idoneo a condurre 
ad un conflitto di 
interessi 
con 
l'amministrazione". 
Siffatta 
affermazione, 
se 
correttamente 
interpretata 
nel 
contesto 
dell'intera 
sentenza, non va 
intesa 
nel 
senso che 
sia 
sufficiente 
che 
nel 
capo di 
imputazione 
sia 
rappresentata 
una 
condotta 
con tali 
caratteristiche; 
l'espressione 
ge


servizio -è 
quella 
di 
‘evitare 
che 
il 
dipendente 
statale 
tema 
di 
fare 
il 
proprio dovere’: 
occorre 
uno specifico 
nesso causale 
tra 
il 
fatto contestato e 
lo svolgimento del 
dovere 
d’ufficio (Cons. Stato, Sez. II, 21 
novembre 
2018, n. 2735; 
Sez. Iv, 11 aprile 
2007, n. 1681) e 
il 
rimborso non spetta 
per il 
solo fatto che 
in 
sede 
penale 
vi 
sia 
il 
proscioglimento 
per 
un 
reato 
proprio 
(commesso 
per 
la 
qualità 
di 
dipendente 
dello Stato). 


10.3. In materia 
non rilevano di 
per sé 
le 
disposizioni 
del 
codice 
civile 
sul 
contratto di 
mandato, proprio 
perché 
l’art. 18 sopra 
riportato ha 
indicato i 
presupposti 
-sostanziali 
e 
procedimentali 
-indefettibili 
per 
la spettanza del rimborso. 
11. 
Tenuto 
conto 
dei 
principi 
sopra 
evidenziati, 
vanno 
integralmente 
confermate 
le 
statuizioni 
della 
sentenza 
appellata. 
La 
condotta 
contestata 
in sede 
penale 
non ha 
riguardato un atto o un comportamento posto in essere 
nel 
corso dello svolgimento del 
servizio e 
imputabile 
alla 
Amministrazione 
di 
appartenenza, bensì 
un comportamento 
del dipendente, per una espressione formulata nei confronti di un proprio superiore. 
Nella 
specie, i 
fatti 
accaduti 
hanno riguardato un alterco -effettivamente 
verificatosi 
-nel 
quale 
è 
stato 
coinvolto l’appellante. 
Pur 
se 
la 
sentenza 
penale 
ha 
prosciolto 
l’interessato 
(per 
aver 
rilevato 
al 
riguardo 
una 
‘discordanza 
tra 
le 
diverse 
testimonianze 
sul 
punto, 
tutte 
parimenti 
valutabili’, 
e 
che 
‘parole 
in 
contestazione’, 
sia 
pure 
‘da 
disapprovare’, 
di 
per 
sé 
non 
costituiscono 
reato), 
tenuto 
conto 
dei 
principi 
sopra 
affermati 
nel 
punto 
11.2. 
va 
condivisa 
la 
valutazione 
dell’Amministrazione, 
che 
ha 
rilevato 
come 
il 
comportamento 
oggetto 
della 
contestazione 
-conseguente 
alla 
animata 
discussione 
con 
il 
superiore 
-non 
può 
essere 
considerato 
connesso 
‘con 
l'espletamento 
del 
servizio 
o 
con 
l'assolvimento 
di 
obblighi 
istituzionali’, 
ai 
sensi 
e 
per 
gli 
effetti 
dell’art. 
18, 
comma 
1, 
del 
decreto 
legge 
n. 
67 
del 
1997, 
come 
convertito 
nella 
legge 
n. 
135 
del 
1997. 
12. Per le ragioni che precedono, l’appello va respinto. 
Sussistono giusti motivi per compensare tra le parti le spese del secondo grado del giudizio. 
P.Q.M. 
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta) respinge l’appello n. - OMISSIS 
-. 
Condanna 
l’appellante 
al 
pagamento di 
euro duemila 
a 
favore 
del 
Ministero appellato, per spese 
del 
secondo 
grado del giudizio. 
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. 
(...) 
Così 
deciso in Roma, presso la 
sede 
del 
Consiglio di 
Stato, Palazzo Spada, nella 
camera 
di 
consiglio 
del giorno 21 novembre 2019, con l'intervento dei magistrati: 


Luigi Maruotti, Presidente, Estensore 
Oberdan Forlenza, Consigliere 
Daniela Di Carlo, Consigliere 
Alessandro verrico, Consigliere 
Nicola D'Angelo, Consigliere 


IL PRESIDENTE, ESTENSORE 
Luigi Maruotti» 



RASSEGNA 
AvvOCATURA 
DELLO 
STATO -N. 3/2020 


nerica 
"contestazione 
in 
sede 
penale" 
non 
assume, 
infatti, 
il 
significato 
di 
"imputazione" 
ma 
ha 
il 
valore 
di 
indicare 
la 
concreta 
condotta, accertata 
dal 
giudice 
con 
la 
decisione 
finale, 
tenuta 
dall'imputato: 
con 
il 
risultato 
che 
ove 
la 
condotta, come 
accertata 
in via 
definitiva, e 
dunque 
valutata 
ex 
post, presenti 
uno dei descritti caratteri va esclusa la rimborsabilità 
ex 
art. 18. 


In sostanza, quindi, anche 
la 
più recente 
giurisprudenza 
del 
Consiglio di 
Stato non sembra porsi in contrasto con la tesi sopra esposta. 


Sul 
presente 
parere 
si 
è 
espresso in senso conforme 
il 
Comitato Consultivo 
dell'Avvocatura dello Stato in data 29 gennaio 2020. 


*** 


Fermo quanto sopra 
esposto e 
ritenuto, si 
ritiene 
infine 
utile 
sottolineare 
che 
l'avviso così 
formulato appare 
sostanzialmente 
confermato dalla 
recente 
sentenza 
del 
Consiglio di 
Stato n. 6554/2020, successiva 
all'espressione 
del 
parere 
del 
Comitato 
Consultivo, 
con 
cui, 
dopo 
aver 
riaffermato 
che 
"non 
è 
quindi 
sufficiente 
che 
la condotta posta in essere 
sia avvenuta "in occasione 
del 
servizio", 
ma 
è 
necessario 
che 
essa 
fosse 
finalizzata 
all'espletamento 
dello 
stesso" 
il 
Giudice 
Amministrativo 
afferma 
che 
devono 
"essere 
esaminate 
le 
concrete 
circostanze 
e 
la 
concreta 
condotta 
tenuta 
dal 
richiedente 
il 
rimborso" 
e 
quindi, nel 
caso in quel 
giudizio esaminato, trae 
le 
proprie 
conclusioni 
(favorevoli 
all'Amministrazione) 
"dalla 
lettura 
(in 
particolare, 
pagg. 
15, 
16, 
17) 
della sentenza di 
assoluzione 
dal 
reato di 
corruzione 
dell'appellante 
emessa 
dalla corte d'appello di Milano" 
(enfasi aggiunte). 


Stante 
la 
natura 
di 
massima 
del 
presente 
parere 
si 
ritiene 
opportuno inviarlo 
per conoscenza a tutte le 
Avvocature distrettuali. 


L’Avvocato dello Stato L’Avvocato Generale 
Aggiunto 
Enrico De Giovanni Carlo Sica 



PARERI 
DEL 
COMITATO 
CONSULTIvO 


l’ufficio dell’Avvocatura dello Stato tenuto a rendere 
il parere richiesto ai sensi dell’art. 18 dl n. 67/1997: 
il riparto interno di competenza 


Parere 
del 
06/03/2020-142643/44, al 54161/2019, Proc. Monica 
de 
verGori 


È 
pervenuta 
presso questo Generale 
Ufficio la 
nota 
indicata 
in epigrafe 
con la 
quale 
codesta 
Avvocatura 
Distrettuale 
[di 
Genova, n.d.r.] -ricevuta 
la 
richiesta 
di 
parere 
sull'istanza 
rimborso 
delle 
somme 
a 
titolo 
di 
spese 
legali 
del 
(omissis) in relazione 
allo stralcio dal 
processo principale 
conclusosi 
con 
provvedimento di 
archiviazione 
del 
GIP 
di 
Massa 
-ha 
trasmesso l'intera 
documentazione 
fornita 
dalla 
Direzione 
Generale 
del 
Personale 
Militare 
del 
Ministero 
della 
Difesa 
all'Avvocatura 
distrettuale 
dello Stato di 
Firenze, ritenuta 
competente a pronunziarsi sulla richiesta in oggetto. 


Nella 
suddetta 
nota 
si 
legge, infatti, che 
"essendo quello richiesto un parere 
rientrante 
per 
legge 
in un procedimento amministrativo il 
cui 
eventuale 
provvedimento 
finale 
è 
soggetto 
alla 
giurisdizione 
amministrativa 
ed 
alla 
competenza 
territoriale 
del 
Tar 
Toscana, la competenza a pronunziarsi 
[appartiene] 
alla consorella avvocatura di Firenze". 


In 
altre 
parole, 
è 
stato 
individuato 
quale 
criterio 
di 
competenza 
interna 
quello 
collegato 
al 
Tribunale 
Amministrativo 
Regionale 
in 
ipotesi 
competente 
a 
decidere 
sul 
ricorso avverso il 
provvedimento di 
diniego del 
rimborso delle 
spese legali. 


La 
questione 
è 
posta 
all'attenzione 
stante 
la 
particolarità 
della 
fattispecie 
in analisi, in considerazione 
del 
fatto che 
il 
Tribunale 
di 
Massa, competente 
per le 
indagini 
preliminari, rientra 
nel 
distretto della 
Corte 
d'Appello di 
Genova. 


Tanto 
premeso, 
esaminata 
la 
questione 
pervenuta 
all'attenzione 
della 
Scrivente 
solo 
incidentalmente, 
al 
fine 
di 
fare 
chiarezza 
sul 
corretto 
riparto 
interno 
di 
competenza 
alla 
redazione 
del 
parere 
di 
cui 
all'art. 
18 
dl 
67/1997 
si 
svolgono 
le 
seguenti 
considerazioni, 
ritenute 
opportune 
in 
un'ottica 
di 
più 
proficua 
e 
celere 
espletamento della relativa funzione consultiva. 


* 


Preliminarmente 
si 
ricorda 
che 
il 
T.U. 
delle 
leggi 
e 
delle 
norme 
giuridiche 
sulla 
rappresentanza 
e 
difesa 
in 
giudizio 
dello 
Stato 
e 
sull'ordinamento 
del-
l'Avvocatura 
dello Stato (R.D. n. 1611/1933) detta 
all'art. 13 la 
disciplina 
del-
l'attività 
consultiva 
dell'Istituto, 
prevedendo 
che: 
"l'avvocatura 
dello 
Stato 
provvede 
alla tutela legale 
dei 
diritti 
e 
degli 
interessi 
dello Stato; alle 
consultazioni 
legali 
richieste 
dalle 
amministrazioni 
ed inoltre 
a consigliarle 
e 
dirigerle 
quando 
si 
tratti 
di 
promuovere, 
contestare 
o 
abbandonare 
giudizi; 
esamina progetti 
di 
legge, di 
regolamenti, di 
capitolati 
redatti 
dalle 
amministrazioni, 
qualora 
ne 
sia 
richiesta; 
predispone 
transazioni 
d'accordo 
con 
le 



RASSEGNA 
AvvOCATURA 
DELLO 
STATO -N. 3/2020 


amministrazioni 
interessate 
o esprime 
parere 
sugli 
atti 
di 
transazione 
redatti 
dalle 
amministrazioni; prepara contratti 
o suggerisce 
provvedimenti 
intorno 
a reclami 
o questioni 
mossi 
amministrativamente 
che 
possano dar 
materia di 
litigio". 


È, altresì, opportuno richiamare, sempre 
in via 
preliminare, il 
contenuto 
dell'art. 44 del 
T.U. 1611/1933, ai 
sensi 
del 
quale: 
"l'avvocatura dello Stato 
assume 
la rappresentanza e 
la difesa degli 
impiegati 
e 
agenti 
delle 
amministrazioni 
dello 
Stato 
o 
delle 
amministrazioni 
o 
degli 
enti 
di 
cui 
all'art. 
43, 
qualora 
le 
amministrazioni 
o gli 
enti 
ne 
facciano richiesta, e 
l'avvocato generale 
dello Stato ne riconosca la opportunità". 


* 


Quanto allo specifico compito dell'Avvocatura 
dello Stato tenuta 
a 
rendere, 
in sede 
consultiva, il 
parere 
richiesto ai 
sensi 
dell'art. 18 del 
d.l. n. 67 
del 1997, valgano le seguenti considerazioni. 


Come 
noto e 
come 
correttamente 
rappresentato dall'Avvocatura 
Distrettuale 
dello Stato di 
Genova, il 
parere 
di 
cui 
all'art. 18 del 
d.l. 67/1997 si 
inserisce 
all'interno 
di 
un 
complesso 
procedimento 
amministrativo 
che 
termina 
con l'adozione 
del 
provvedimento di 
accoglimento ovvero di 
diniego della 
richiesta 
di 
rimborso 
delle 
spese 
di 
lite 
sostenute 
da 
un 
soggetto 
investito 
di 
pubbliche 
funzioni 
in giudizi 
civili, penali 
o amministrativi 
nei 
quali 
è 
stato 
parte. 


Tale 
parere, 
connotato 
da 
ampia 
discrezionalità 
tecnica, 
attiene 
principalmente 
alla 
conformità 
della 
parcella 
professionale 
con le 
tariffe 
forensi 
tenuto 
conto dell'importanza 
e 
delicatezza 
dell'attività 
difensiva 
in relazione 
alla 
fattispecie 
concreta, 
e 
può 
essere 
soggetto 
al 
vaglio 
giurisdizionale 
per 
il 
controllo 
del 
rispetto dei 
principi 
di 
affidamento, ragionevolezza 
e 
tutela 
effettiva 
dei 
diritti. 


È, inoltre, pacifico che 
il 
presupposto da 
cui 
nasce 
il 
diritto al 
rimborso condizionato 
alla 
emissione 
di 
un parere 
positivo, poi 
recepito dall'Amministrazione 
di 
appartenenza 
-è, quanto al 
procedimento penale, l'assoluzione 
(o 
l'archiviazione) 
innanzi 
ad 
un 
determinato 
Ufficio 
Giudiziario, 
rientrante 
in 
un circondario all'interno di un Distretto di Corte d'Appello. 


Infine, con specifico riferimento al 
riparto di 
giurisdizione 
ed alla 
possibilità 
di 
impugnare 
i 
provvedimenti 
di 
diniego, mentre 
nei 
casi 
di 
cui 
agli 
artt. 
3 del 
d.lgs. 165/2001 [ipotesi 
che 
ricorre 
nella 
fattispecie 
pervenuta 
all'attenzione 
di 
questo 
G.U.] 
si 
ricade 
nell'ambito 
della 
giurisdizione 
esclusiva 
del 


G.A. (ex 
art. 63, comma 
4 d.lgs. 165/2001), con specifico riferimento al 
pubblico 
impiego 
c.d. 
privatizzato 
le 
relative 
controversie 
vengono 
pacificamente 
devolute 
alla 
giurisdizione 
ordinaria, trattandosi 
di 
diritto soggettivo a 
contenuto 
patrimoniale, quale 
è 
il 
diritto del 
dipendente 
di 
essere 
tenuto indenne, 
in 
caso 
di 
assoluzione, 
dalle 
spese 
dei 
giudizi 
subiti 
per 
fatti 
connessi 
all'espletamento 
dei compiti di ufficio. 

PARERI 
DEL 
COMITATO 
CONSULTIvO 


* 


Alla 
luce 
delle 
preliminari 
considerazioni, si 
coglie 
l'occasione 
per confermare 
il 
precedente 
orientamento relativo al 
radicamento della 
competenza 
alla 
redazione 
del 
parere 
ex 
art. 18 del 
d.l. n. 67 del 
1997 in capo alla 
Avvocatura 
Distrettuale 
dello Stato competente 
per il 
processo [civile, penale 
o amministrativo] 
a 
quo, 
dal 
quale 
sorge 
-come 
sopra 
evidenziato 
-il 
diritto 
al 
rimborso. 


L'espletamento della 
funzione 
consultiva 
spetta 
alla 
medesima 
Avvocatura 
competente 
alla 
trattazione 
del 
giudizio a quo, ovvero l'Avvocatura 
del 
competente 
distretto di 
Corte 
d'Appello nel 
quale 
rientra 
l'Ufficio Giudiziario 
che ha trattato la controversia. 


Difatti, non pare 
possibile 
ravvisare 
criteri 
di 
collegamento validi 
per lo 
"spostamento" 
di 
competenza 
presso 
altra 
e 
diversa 
Avvocatura 
dello 
Stato, 
in quanto ai 
fini 
della 
individuazione 
dell'Ufficio competente 
occorre 
fare 
riferimento 
al 
presupposto 
fattuale 
che 
comporta 
la 
nascita 
del 
diritto 
al 
rimborso 
delle 
spese 
che, 
come 
si 
è 
anticipato, 
discende 
dalla 
assoluzione 
(ovvero 
dall'archiviazione) nel 
procedimento giurisdizionale 
(civile, penale 
o amministrativo) 
che 
vede 
quale 
parte 
un soggetto investito di 
pubbliche 
funzioni, 
che ha sostenuto in concreto delle spese per la difesa. 


Né 
d'altro canto appare 
condivisibile 
l'individuazione 
dell'Ufficio competente 
sulla 
base 
di 
un 
fattore 
meramente 
prospettico, 
ovvero 
l'impugnazione 
dell'eventuale 
provvedimento di 
diniego, che 
-al 
momento della 
richiesta 
del 
parere di congruità - ha carattere squisitamente eventuale. 


Ragioni 
di 
univocità 
ed oggettività 
di 
individuazione 
del 
criterio di 
collegamento 
portano 
a 
disattendere 
l'individuazione 
in 
funzione 
della 
sede 
di 
servizio 
(criterio 
che 
radica 
la 
competenza 
giurisdizionale 
sulla 
impugnazione 
ex 
art. 
413 
c.p.c. 
e/o 
ex 
art. 
13, 
comma 
4 
c.p.a.), 
trattandosi 
di 
fattore 
mutevole 
e 
non individuabile, con oggettiva 
certezza, al 
momento della 
formulazione 
della richiesta di parere. 


Conseguentemente, 
il 
criterio 
di 
riparto 
di 
competenza 
territoriale 
sulla 
base 
dell'autorità 
giudiziaria 
-si 
ripete 
-solo 
ipoteticamente 
competente 
alla 
trattazione 
della 
impugnazione 
non 
potrebbe 
essere 
certo 
se 
non 
proprio 
a 
seguito 
dell'esplicitazione 
delle 
ragioni 
di 
contestazione 
(a 
valle) 
del 
provvedimento 
amministrativo 
di 
recepimento 
del 
parere 
reso 
(a 
monte) 
dall'Avvocatura 
dello 
Stato. 


Sussistono, quindi, ragioni 
di 
uniformità 
che 
rendono più coerente 
l'individuazione 
di 
un criterio unitario di 
competenza 
territoriale 
nella 
trattazione 
sia 
in 
sede 
giudiziaria 
che 
consultiva 
-di 
fattispecie 
riconducibili 
al 
medesimo 
presupposto costitutivo (ovvero l'essere 
parte 
di 
un giudizio civile, penale 
o 
amministrativo per fatti e/o cause di servizio). 


Le 
considerazioni 
sin 
qui 
svolte 
trovano 
conferma 
nel 
contenuto 
della 
Circolare 
n. 31/2004 nella 
quale 
si 
legge 
che 
"a 
decorrere 
dal 
1° 
luglio 2004 



RASSEGNA 
AvvOCATURA 
DELLO 
STATO -N. 3/2020 


il 
compito di 
emettere 
i 
pareri 
in argomento è 
attribuito alle 
avvocature 
distrettuali 
territorialmente 
competenti 
in relazione 
alla sede 
dell'ufficio giudiziario 
che 
ha 
emesso 
la 
sentenza 
passata 
in 
giudicato 
che 
legittima 
la 
richiesta 
di rimborso [...]". 


Anche 
il 
Comitato 
Consultivo 
con 
precedente 
parere 
n. 
234673 
del 
29 
maggio 2013 (CS 
35495/2011 -Avv. Lumetti), richiamata 
la 
summenzionata 
Circolare 
n. 31/2004, ha 
evidenziato la 
necessità 
di 
individuare 
"per 
motivi 
di 
opportunità, un criterio oggettivo ed invariabile, immutabile 
che 
tenga in debita 
considerazioni 
le 
componenti 
relative 
a 
competenza, 
parere 
obbligatorio, 
provvedimento, 
Tar, 
sede 
di 
servizio" 
tale 
da 
garantire 
celerità 
ed 
efficacia 
dell'azione 
amministrativa, così 
concludendo: 
"la sede 
dell'organo giurisdizionale 
penale 
che 
ha 
emesso 
la 
sentenza 
deve 
essere 
pertanto 
individuata 
quale 
unico criterio certo possibile, non essendo esposto al 
rischio di 
cambiamenti, 
a differenza della sede di servizio". 


In conclusione, facendo specifico riferimento alla 
fattispecie 
in oggetto, 
considerato che 
il 
procedimento a quo 
si 
è 
svolto presso il 
GIP 
del 
Tribunale 
di 
Massa, rientrante 
nel 
distretto della 
Corte 
d'Appello di 
Genova, si 
ritiene 
conclusivamente 
che 
il 
parere 
ex 
art. 18 d.l. 67 del 
1997 rientri 
nella 
competenza 
dell'Avvocatura Distrettuale di Genova. 


In relazione 
ai 
sopra 
evidenziati 
aspetti 
è 
stato sentito il 
Comitato consultivo, 
che si è espresso in conformità. 


il Procuratore dello Stato l’Avvocato Generale 
Aggiunto 
monica de 
vergori Carlo Sica 



LegisLazioneedattuaLità
Protezione, conservazione e tassazione 
delle dimore storiche private: sistemi a confronto 


Vito Forte* 


SommArIo: 1. Premessa. La diffusione 
delle 
dimore 
storiche 
in ambito europeo -2. Uno 
sguardo oltre 
i 
confini 
nazionali: il 
sistema francese 
e 
il 
modello anglosassone 
-2.1. Tutela 
e 
conservazione 
delle 
dimore 
storiche 
private 
francesi 
-2.2. Il 
sistema di 
tassazione 
francese 
degli 
immobili 
storici 
di 
proprietà privata -2.3. Le 
misure 
fiscali 
ed economiche 
a sostegno 
dei 
proprietari 
di 
dimore 
storiche 
francesi 
-2.3.1. La Loi 
monuments 
Historiques 
-2.3.2. La 
Loi 
malraux 
-2.3.3. La Loi 
Aillagon -2.4. Il 
modello anglosassone: breve 
introduzione 
al 
diritto di 
proprietà immobiliare 
-2.5. Catalogazione 
e 
conservazione 
dei 
beni 
immobili 
d’interesse 
storico in Gran Bretagna -2.6. La tassazione 
immobiliare 
e 
le 
misure 
fiscali 
di 
sostegno 
ai 
proprietari 
di 
listed buildings 
-3. Il 
sistema italiano di 
protezione, conservazione 
e 
tassazione 
delle 
dimore 
storiche 
di 
proprietà privata -3.1. La tutela del 
patrimonio culturale 
privato. Le 
dimore 
storiche 
di 
proprietà privata tra vincoli 
e 
obblighi 
conservativi 
-3.2. Il 
sistema 
di 
tassazione 
italiano delle 
dimore 
storiche 
vincolate 
di 
proprietà privata -3.3. Protezione 
e 
conservazione 
degli 
immobili 
storici 
sottoposti 
a vincolo: quali 
misure 
a sostegno dei 
proprietari privati? - 4. Sistemi a confronto. Conclusioni. 


1. Premessa. La diffusione delle dimore storiche in ambito europeo. 
in 
italia 
le 
dimore 
storiche 
private 
rappresentano 
una 
preziosa 
testimonianza 
d’arte, 
nonché 
una 
parte 
rilevante 
del 
patrimonio 
culturale 
nazionale 
(1). 


Secondo quanto emerge 
dal 
recente 
studio della 
Commissione 
europea 
“Heritage Houses for Europe”, in europa ogni anno si investono circa 5 mi


(*) Ricercatore 
nell’ambito del 
progetto “Osservatorio Patrimonio Culturale 
Privato” della Fondazione 
Bruno Visentini. 


Dottore 
in Giurisprudenza, ammesso alla 
pratica 
forense 
presso l’Avvocatura 
Generale 
dello Stato 
(avv. St. Pietro Garofoli). 


(1) 
Cfr. 
Severini, 
Il 
codice 
dei 
beni 
culturali 
e 
del 
paesaggio, 
in 
Giornale 
Dir. 
Amm., 
2004, 
5, 
p. 
469. 

rASSeGnA 
AvvoCAturA 
DeLLo 
StAto -n. 3/2020 


liardi 
di 
euro 
solo 
per 
garantire 
l’apertura 
al 
pubblico 
delle 
dimore 
storiche 
(pubbliche 
e 
private), le 
quali, nel 
2018, hanno consentito di 
generare 
un fatturato 
di 
335 miliardi 
di 
euro, nonché 
la 
creazione 
di 
ben 9 milioni 
di 
nuovi 
posti di lavoro (2). 

Lo 
studio 
realizza 
una 
prima 
mappatura 
pan-europea 
delle 
dimore 
storiche, 
analizzandone, 
in 
particolare, 
l’impatto 
socio-economico, 
alla 
ricerca 
di 
modelli 
di 
business 
innovativi 
in 
grado 
di 
supportarne 
la 
conservazione 
sostenibile. 


A 
tal 
fine, la 
Commissione 
analizza 
la 
situazione 
relativa 
agli 
immobili 
edificati 
con funzione 
abitativa, posseduti 
o gestiti 
da 
privati, il 
cui 
valore 
artistico, 
storico o architettonico è pubblicamente riconosciuto. 


Lo studio stima 
che 
oltre 
il 
40% delle 
dimore 
storiche 
prese 
in considerazione 
appartiene 
esclusivamente 
a 
privati, i 
quali 
devono farsi 
carico delle 
spese 
di 
conservazione 
delle 
stesse, 
nonché 
della 
valorizzazione 
della 
loro 
eredità 
culturale 
verso 
le 
comunità 
di 
riferimento 
(3). 
tuttavia, 
oltre 
il 
45% 
di 
suddetti 
immobili 
subisce 
una 
perdita 
a 
cui 
gli 
stessi 
proprietari 
devono 
far 
fronte, contribuendo con fondi 
personali; 
sicché 
è 
evidente 
la 
necessità 
per le 
istituzioni 
nazionali 
di 
prevedere 
adeguate 
misure 
di 
sostegno economico per 
questi ultimi (4). 

Dall’indagine, inoltre, sembrerebbe 
emergere 
che 
la 
concentrazione 
più 
elevata 
di 
dimore 
storiche 
private 
è 
riscontrabile 
in Francia 
(5.200), in italia 


(4.500) e in Gran Bretagna (1.650). 
Sul 
punto, occorre 
rilevare, però, che 
gli 
immobili 
mappati 
dalla 
Commissione 
europea, ai 
fini 
della 
propria 
analisi, sono riconducibili 
unicamente 
alle 
dimore 
storiche 
private 
iscritte 
alla 
European 
Historic 
Houses 
Association 
tra 
il 
2018 e 
il 
2019. tale 
precisazione 
si 
rende 
necessaria 
poiché 
il 
loro numero 
risulta 
essere 
di 
gran 
lunga 
maggiore 
all’interno 
dei 
singoli 
Stati 
membri 
(si 
pensi, 
ad 
esempio, 
che 
in 
italia 
le 
dimore 
storiche 
private 
sono 
più 
di 
30.000 
e rappresentano circa il 17% del capitale storico-artistico complessivo) (5). 

Pertanto, sono evidenti 
le 
ragioni 
sottese 
alla 
necessaria 
attenzione 
che 
il 
legislatore 
nazionale 
deve 
riservare 
alla 
protezione, 
alla 
conservazione, 
nonché 
alla 
tassazione 
delle 
dimore 
storiche 
private: 
quest’ultimo, 
infatti, 
atteso 
il 
loro 
pregio, il 
numero elevato, nonché 
gli 
ingenti 
costi 
di 
conservazione, deve 
favorirne, 
ad un tempo, sia 
l’efficiente 
e 
tempestiva 
manutenzione, scongiurandone 
eventuali 
alterazioni 
strutturali, 
che 
la 
valorizzazione 
in 
funzione 
del 
loro 
valore storico, artistico e architettonico. 


(2) Cfr. Commissione europea, Study of “Heritage Houses for Europe”, 2019. 
(3) Così 
CAPozzuCCA, Europa: le 
potenzialità delle 
dimore 
storiche, in ilsole24ore, 26 ottobre 
2019. 
(4) nel 
2018 la 
spesa 
media 
dei 
proprietari 
di 
dimore 
storiche 
per la 
conservazione 
delle 
stesse 
si 
aggirava intorno ai 50.000 euro. 
(5) Cfr. Monti 
-Cerroni, How the 
Widespread Presence 
of 
Historical 
Private 
real 
Estate 
Can 
Contribute to Local Development. 
revieW oF euroPeAn StuDieS, vol. 11, no 1, 2019, pp. 183-193. 

LeGiSLAzione 
eD 
AttuALità 


tanto premesso, il 
presente 
contributo intende, preliminarmente, analizzare 
il 
sistema 
francese 
di 
conservazione 
e 
tassazione 
degli 
immobili 
storici 
di 
proprietà 
privata, ponendone 
in risalto le 
numerose 
misure 
fiscali 
ed economiche 
a 
sostegno dei 
proprietari 
dei 
predetti, nonché 
quello anglosassone 
con 
particolare 
riferimento 
alla 
mappatura 
interna 
delle 
dimore 
storiche 
private 
classificate 
quali 
listed buildings 
-per poi 
comparare 
gli 
stessi 
con il 
sistema 
italiano 
di 
protezione, 
conservazione 
e 
tassazione 
degli 
immobili 
vincolati, 
rilevandone 
le criticità (6). 


2. Uno sguardo oltre 
i 
confini 
nazionali: il 
sistema francese 
e 
il 
modello anglosassone. 
2.1 Tutela e conservazione delle dimore storiche private francesi. 
L’esperienza 
francese 
è 
da 
sempre 
attenta 
alla 
tutela 
ed 
alla 
valorizzazione 
del patrimonio storico-culturale nazionale (7). 

La 
valorizzazione 
del 
patrimonio 
risponde 
alle 
priorità 
nazionali 
e 
la 
cultura 
è considerata quale contributo alla costruzione della cittadinanza (8). 

in 
Francia, 
gli 
edifici, 
la 
cui 
conservazione 
è 
di 
interesse 
pubblico 
dal 
punto 
di 
vista 
storico, 
artistico 
o 
architettonico, 
possono 
essere 
classificati 
come 
monumenti 
storici, ovvero “iscritti” 
all’Inventaire 
Supplémentaire 
des 
monuments 
Historiques 
(i.S.M.H.) (9). tale 
iscrizione 
rappresenta 
una 
forma 
di 
protezione 
per i 
beni 
(pubblici 
e 
privati) caratterizzati 
da 
un notevole 
interesse 
su scala 
regionale, contrariamente 
alla 
classificazione, che 
intende 
proteggere 
i soli monumenti d’interesse nazionale (10). 


Suddetti 
immobili 
a 
causa 
delle 
loro 
peculiari 
caratteristiche 
sono 
soggetti 
a 
disposizioni 
speciali 
in 
tema 
di 
conservazione; 
sicché 
per 
poter 
eseguire 
qualsiasi 
lavoro 
di 
manutenzione, 
riparazione, 
restauro 
o 
modifica 
i 
proprietari 
degli 
stessi 
sono chiamati 
a 
seguire 
uno specifico iter 
procedimentale 
fissato 
dalla 
legge 
in funzione 
della 
differente 
rilevanza 
dell’interesse 
culturale 
che 
ne ha giustificato la protezione. 


negli 
ultimi 
anni, 
il 
regime 
legislativo 
e 
quello 
regolamentare 
relativi 
alla 
circolazione 
ed 
alla 
conservazione 
dei 
monumenti 
storici 
francesi 
hanno 
subito 


(6) La 
decisione 
di 
comparare 
il 
sistema 
italiano con i 
due 
sistemi 
sopraindicati 
è 
stata 
presa 
sulla 
base 
della 
maggiore 
concentrazione 
che 
le 
dimore 
storiche 
presentano 
all’interno 
di 
suddetti 
Stati 
rispetto 
alle 
altre 
realtà 
europee, nonché 
in funzione 
dei 
modelli 
di 
sostegno fiscale 
ed economico ai 
privati 
che 
questi ultimi offrono ai fini della loro conservazione e valorizzazione. 
(7) v. Préambule de la Constitution du 27 octobre 1946. 
(8)v. 
https://www.culture.gouv.fr/regions/Drac-Bourgogne-Franche-Comte/VotreDrAC/
Patrimoines-etArchitec-ture/Valorisation-du-patrimoine. 


(9) v. Livre VI du Code du Patrimoine. 
(10) Gli 
edifici 
sono classificati 
o registrati, rispettivamente, secondo le 
disposizioni 
degli 
artt. L. 
621-1 e 
L. 621-25 ss. del 
Code 
du Patrimoine. La 
“decisione 
di 
protezione” 
deve 
elencare 
le 
parti 
del-
l’edificio sottoposte a vincolo, eccettuate le ipotesi in cui l’intero edificio risulti protetto. 

rASSeGnA 
AvvoCAturA 
DeLLo 
StAto -n. 3/2020 


profondi 
cambiamenti, 
sviluppandosi 
verso 
un 
ruolo 
sempre 
più 
attivo 
dei 
proprietari 
privati 
delle 
dimore 
storiche 
classificate 
o 
iscritte. 
Spetta 
ormai 
a 
questi 
ultimi, infatti, definire 
i 
programmi 
di 
manutenzione 
o restauro delle 
proprie 
dimore 
storiche, 
scegliere 
l’appaltatore 
principale 
per 
l’esecuzione 
dell’opera, 
assicurare 
i 
necessari 
finanziamenti 
e 
sollecitare 
l’aiuto dello Stato e 
di 
eventuali 
altri 
partner 
(es. 
Fondation du Patrimoine) (11). 

Ai 
sensi 
dell’art. L. 621-9 del 
Code 
du Patrimoine, l’edificio classificato 
come 
monumento 
storico 
non 
può 
essere 
distrutto 
o 
spostato 
o 
essere 
soggetto 
a 
lavori 
di 
restauro o modifica 
senza 
autorizzazione 
rilasciata 
dal 
prefetto regionale 
(artt. 
r. 
621-11 
ss. 
Code 
du 
Patrimoine). 
tali 
lavori 
non 
sono 
soggetti 
a un permesso di costruzione, ma unicamente alla predetta autorizzazione. 


tra 
le 
opere 
che 
necessitano 
dell’autorizzazione 
prefettizia 
è 
possibile 
riscontrare 
il 
consolidamento, 
lo 
sviluppo, 
la 
riqualificazione, 
il 
risanamento 
nonché 
il 
restauro dell’intero immobile 
o di 
parti 
di 
esso (es. facciate), comprese 
quelle 
interne 
classificate, per cui 
è 
possibile 
altresì 
procedere 
ad una 
modifica 
della 
volumetria 
ed alla 
realizzazione 
di 
opere 
di 
finitura 
o decorazioni, 
lavori di carpenteria, imbiancatura e murali. 


L’autorizzazione 
è 
necessaria 
anche 
per effettuare 
installazioni 
temporanee 
con una 
superficie 
superiore 
a 
20 m² 
e 
una 
durata 
superiore 
ad un mese 
su 
terreni 
classificati 
(ivi 
compresi 
i 
giardini 
storici). Al 
contrario, i 
lavori 
di 
manutenzione 
ordinaria 
e 
di 
riparazione 
non 
sono 
soggetti 
all’autorizzazione 
prefettizia 
(art. r. 621-11, co. 3, Code du Patrimoine). 


Prima 
di 
iniziare 
una 
delle 
opere 
ut 
supra 
su 
di 
una 
dimora 
storica 
privata 
classificata, 
il 
maître 
d’ouvrage 
(12) 
o 
il 
proprietario 
sono 
tenuti 
ad 
informare 
la 
Conservation 
régionale 
des 
monuments 
historiques 
(C.r.M.H.) 
(13) 
presso 
la 
Direction régionale 
des 
affaires 
culturelles 
(D.r.A.C.). L’adempimento di 
tale 
onere 
apre 
il 
processo di 
concertazione 
con l’Amministrazione, prodromico 
all’esecuzione dei lavori. 


La 
consulenza 
del 
D.r.A.C. 
durante 
lo 
sviluppo 
del 
programma 
di 
studio 
e 
nel 
corso della 
progettazione 
preliminare 
per un progetto complesso, consente 
di beneficiare di un controllo scientifico e tecnico a monte. 


La 
concertazione 
può continuare 
fino al 
progetto preliminare 
definitivo, 
che consente di presentare la richiesta di autorizzazione dei lavori. 


una 
volta 
rilasciata, l’autorizzazione 
dev’essere 
visibile 
all’esterno del-
l’edificio per tutta la durata dei lavori (14). 

(11) Per un approfondimento, cfr. touzeAu 
-MouFLArD 
e 
verjAt, La protection des 
monuments 
historiques: Patrimoine immobilier, juris édition Dalloz, 2018. 
(12) 
Persona 
pubblica 
o 
privata 
per 
conto 
della 
quale 
vengono 
eseguiti 
lavori 
o 
lavori 
immobiliari. 
(13) La 
Conservation régionale 
des 
monuments 
historiques 
è 
responsabile, in applicazione 
delle 
norme 
dettate 
dal 
Code 
du Patrimoine, della 
protezione 
del 
patrimonio monumentale 
e 
mobile, della 
sua conservazione, manutenzione, restauro e valorizzazione. 

LeGiSLAzione 
eD 
AttuALità 


Le 
operazioni, 
oggetto 
di 
una 
specifica 
déclaration 
d'ouverture 
(art. 
L. 
461-1 
Code 
de 
l’urbanisme) 
(15) 
da 
inviare 
al 
municipio 
prima 
dell’inizio 
dei 
lavori, devono essere 
eseguite 
sotto il 
controllo scientifico e 
tecnico della 
Direction 
régionale des affaires culturelles. 


La 
scelta 
dell'architetto 
responsabile 
delle 
opere 
avviene 
ad 
opera 
del 
solo 
proprietario. 
tuttavia, 
per 
i 
lavori 
di 
restauro 
di 
edifici 
classificati, 
questa 
scelta 
deve 
essere 
compiuta 
tra 
gli 
architectes 
en 
chef 
des 
monuments 
historiques 
ovvero tra 
architetti 
francesi 
o stranieri 
con qualifica 
equivalente 
(v. artt. r. 
621-26 - r. 621-28 Code du Patrimoine). 


Qualsiasi 
cambiamento 
nella 
natura 
e 
nella 
portata 
dell’opera 
autorizzata 
deve essere oggetto di una nuova specifica richiesta di autorizzazione. 


La 
verifica 
in loco 
della 
conformità 
dei 
lavori 
eseguiti 
all’autorizzazione 
rilasciata 
è 
obbligatoria 
per 
tutte 
le 
opere 
effettuate 
su 
edifici 
classificati 
come 
monumento 
storico 
protetto 
e 
viene 
condotta 
in 
collaborazione 
con 
il 
D.r.A.C. 


Al 
completamento 
dei 
lavori, 
il 
maître 
d’oeuvre 
deve 
presentare 
il 
dossier 
dei 
lavori 
eseguiti 
in quattro copie 
al 
maître 
d’ouvrage, che 
deve 
inviarne 
tre 
al 
Service 
Territorial 
de 
l’Architecture 
et 
du Patrimoine. Solo a 
seguito della 
consegna 
di 
tale 
documentazione 
il 
D.r.A.C. può provvedere 
a 
dichiarare 
la 
conformità dell’esecuzione dell’opera all’autorizzazione (16). 

il 
certificato 
di 
conformità 
delle 
opere 
consente 
il 
rilascio 
dell’attestazione 
del 
prefetto 
regionale 
che 
permette 
il 
pagamento 
del 
saldo 
di 
eventuali 
sussidi 
pubblici, nonché 
l’ottenimento delle 
deduzioni 
fiscali 
da 
parte 
dei 
proprietari 
privati delle dimore storiche protette sottoposte ai lavori (17). 

i 
lavori 
su 
un 
immobile 
iscritto 
all’Inventaire 
Supplémentaire 
des 
monuments 
Historiques, 
a 
differenza 
di 
quelli 
effettuati 
su 
edifici 
classificati 
come 
monumenti 
storici, 
sono 
soggetti 
ad 
una 
autorisation 
d'urbanisme 
(permesso 
di 
costruzione 
o 
dichiarazione 
di 
lavoro 
a 
seconda 
della 
natura 
dell’opera) 
(18). 


La 
consultazione 
preventiva 
ut 
supra 
per gli 
immobili 
storici 
iscritti 
non 
è 
obbligatoria, ma 
solo consigliata 
(19); 
tuttavia, per i 
lavori 
effettuati 
su tali 
edifici 
il 
maître 
d’ouvrage 
o 
il 
proprietario, 
prima 
di 
intraprendere 
l’opera, 
sono 
tenuti 
ad 
informare 
la 
Conservation 
régionale 
des 
monuments 
historiques 
presso la D.r.A.C. 


(14) v. art. r. 621-16 Code du Patrimoine. 
(15) La 
dichiarazione 
di 
apertura 
del 
cantiere 
è 
un documento che 
segnala 
l’inizio dei 
lavori 
al 
municipio. riguarda solo il beneficiario di un permesso di costruzione o di un permesso di sviluppo. 
(16) 
La 
dichiarazione 
di 
conformità 
dev’essere 
rilasciata 
dal 
D.r.A.C. 
entro 
6 
mesi 
dalla 
consegna 
della documentazione 
ut supra. 
(17) v. infra 
par. 2.2. 
(18) v. art. L. 421-1 Code de l’urbanisme. 
(19) Qualora 
l’interessato decida 
d’intraprendere 
la 
strada 
della 
consultazione 
preventiva, si 
applicherà 
in specie 
il 
procedimento di 
consultazione 
analizzato in relazione 
agli 
edifici 
storici 
classificati 
come monumenti storici. 

rASSeGnA 
AvvoCAturA 
DeLLo 
StAto -n. 3/2020 


i 
lavori 
di 
riparazione 
e 
modifica 
di 
un 
edificio 
storico 
iscritto, 
ad 
eccezione 
di 
quelli 
di 
manutenzione 
ordinaria, 
sono 
soggetti 
a 
un 
permesso 
di 
costruzione, 
così 
come 
quelli 
di 
ristrutturazione 
che 
possono 
influire 
sullo 
stato 
o 
sull’aspetto 
della 
parte 
protetta 
dell’immobile 
o 
comprometterne 
la 
conservazione. 


Qualora 
i 
lavori 
necessitano della 
demolizione 
di 
una 
parte 
dell’edificio, 
è altresì obbligatoria una domanda di permesso di demolizione. 


Allo 
stesso 
modo, 
se 
le 
opere 
richiedono 
uno 
scavo 
e/o 
un’elevazione 
del 
terreno di 
oltre 
2 metri 
e 
coprono un’area 
maggiore 
o uguale 
a 
20.000 m², è 
necessario un permis d'aménager 
(20). 

Le 
opere 
non soggette 
al 
codice 
urbanistico, come 
la 
modifica 
di 
giardini 
storici, di 
converso, sono soggette 
alla 
déclaration préalable 
(dichiarazione 
preventiva) prevista dal 
Code du Patrimoine 
(21). 

La 
procedura 
ai 
fini 
dell’ottenimento 
di 
un’autorisation 
d'urbanisme 
è 
identica 
a 
quella 
che 
si 
applica 
alle 
altre 
costruzioni. 
tuttavia, 
la 
decisione 
che 
concede 
l’autorizzazione 
o la 
decisione 
di 
non opporsi 
alla 
déclaration préalable 
deve aver luogo in seguito all’accordo con il prefetto regionale (22). 

una 
volta 
rilasciata 
l’autorizzazione, prima 
del 
loro inizio, i 
lavori 
sono 
oggetto 
della 
déclaration 
d'ouverture 
de 
chantier 
(dichiarazione 
di 
apertura 
del 
cantiere), che 
dev’essere 
inviata 
sia 
al 
sindaco, che 
alla 
Conservation régionale 
des monuments historiques. 


La 
scelta 
dell'architetto responsabile 
delle 
opere 
appartiene 
al 
solo proprietario 
e 
i 
lavori 
vengono eseguiti 
sotto il 
controllo scientifico e 
tecnico del 
D.r.A.C. (23). 

Al 
termine 
dei 
lavori 
occorre 
procedere 
alla 
dichiarazione 
di 
completamento 
dei 
lavori, 
da 
effettuarsi 
presso 
il 
municipio 
che 
ha 
rilasciato 
l’autorizzazione. 


Come 
per 
gli 
edifici 
classificati 
come 
monumenti 
storici, 
la 
verifica 
di 
conformità 
delle 
opere 
su 
edifici 
iscritti 
all’i.S.M.H. 
è 
obbligatoria 
e 
viene 
eseguita in collaborazione il D.r.A.C. 


il 
certificato 
di 
conformità 
consente 
al 
prefetto 
regionale 
di 
rilasciare 
l’attestazione 
che 
consente 
il 
pagamento 
del 
saldo 
degli 
eventuali 
sussidi 
pubblici 
accordati, nonché l’ottenimento di deduzioni fiscali. 


Qualsiasi 
scoperta 
realizzata 
durante 
i 
lavori 
di 
un’immobile 
classificato 


o iscritto all’i.S.M.H., riguardante 
un nuovo elemento relativo alla 
storia, all’architettura 
o alla 
decorazione 
dell’edificio dev’essere 
immediatamente 
ri(
20) v. artt. r. 421-19 ss. Code de l’urbanisme. 
(21) v. artt. L. 632-1 ss. Code du Patrimoine. 
(22) Anche 
per i 
lavori 
da 
eseguirsi 
su immobili 
storici 
iscritti, il 
nome 
dell’architetto autore 
del 
progetto deve essere visibile sul terreno interessato dall’autorisation d'urbanisme. 
(23) 
Come 
per 
i 
lavori 
di 
conservazione 
di 
monumenti 
storici, 
qualsiasi 
cambiamento 
nella 
natura 
e 
nella 
portata 
dell’opera 
deve 
essere 
oggetto 
di 
una 
nuova 
richiesta 
di 
autorizzazione 
da 
parte 
del 
maître 
d’ouvrage 
o del proprietario. 

LeGiSLAzione 
eD 
AttuALità 


ferita 
al 
prefetto regionale, che 
decide 
le 
eventuali 
misure 
di 
salvaguardia 
da 
adottare. 


Ma 
vieppiù. Anche 
i 
lavori 
su un edificio situato vicino ad una 
dimora 
storica 
classificata 
come 
monumento storico o iscritta 
all’Inventaire 
Supplémentaire 
des 
monuments 
Historiques 
possono necessitare, in taluni 
casi 
e 
a 
determinate condizioni, dall’autorisation d'urbanisme. 

L’obbligo di ottenere la predetta autorizzazione si verifica quando: 


1. 
l’edificio è 
annesso ad una 
dimora 
storica 
classificata, ovverosia 
è 
in 
contatto con quest’ultima; 
2. 
l’edificio 
forma 
un 
ensemble 
cohérent 
con 
un 
monumento 
storico 
o 
contribuisce alla sua valorizzazione; 
3. 
i 
lavori 
riguardano una 
parte 
non protetta 
di 
un edificio parzialmente 
classificato come monumento storico; 
4. 
l’edificio è 
situato nel 
campo di 
visibilità 
di 
una 
dimora 
storica 
classificata 
o iscritta, ovvero a meno di 500 m. dalla stessa (24); 
5. 
l’edificio è 
situato all’interno di 
un perimetro di 
protezione 
adattato o 
modificato, divenuto 
périmètres délimités des abords. 
L’autorisation 
d'urbanisme 
necessaria 
dipende 
anche 
dalla 
natura 
del 
lavoro. 
occorre, 
infatti, 
un 
permis 
de 
construire 
in 
caso 
di 
cambio 
di 
destinazione 
dei 
locali 
o 
aggiunta 
di 
una 
superficie 
superiore 
a 
20 
m², 
un 
permis 
de 
démolir 
in 
caso 
di 
demolizione, 
un 
permis 
d'aménager 
qualora 
le 
opere 
richiedono 
uno 
scavo 
e/o 
l’elevazione 
del 
terreno 
di 
oltre 
2 
metri 
o 
una 
déclaration 
préalable 
se 
i 
lavori 
modificano 
l’aspetto 
esteriore 
dell’edificio 
nonché 
nelle 
ipotesi 
in 
cui 
prevedono 
la 
creazione 
di 
una 
superficie 
o 
un 
ingombro 
tra 
5 
m² 
e 
20 
m². 


La 
procedura 
per 
ottenere 
il 
rilascio 
dell’autorizzazione, 
identica 
a 
quella 
delle 
altre 
costruzioni, è 
però caratterizzata 
dal 
preventivo accordo con l’Architecte 
des Bâtiments de France. 


i lavori 
che 
non sono soggetti 
a 
un permis 
o a 
una 
déclaration préalable, 
necessitano comunque 
dell’autorizzazione 
del 
prefetto del 
dipartimento, resa 
successivamente al parere dell’Architecte des Bâtiments de France. 


Da 
quanto 
analizzato, 
emerge 
chiaramente 
non 
solo 
l’attenzione 
riservata 
dall’ordinamento 
francese 
all’iter 
procedurale 
dei 
lavori 
di 
conservazione 
delle 
dimore 
storiche 
di 
proprietà 
privata 
al 
fine 
di 
evitare 
possibili 
alterazioni 
delle 
stesse 
che 
possano pregiudicarne 
il 
valore 
storico, artistico o architettonico; 
bensì 
anche 
la 
cautela 
che 
il 
legislatore 
d’oltralpe 
ha 
voluto 
adottare 
in 
relazione 
alle 
opere 
su 
beni 
situati 
nelle 
immediate 
vicinanze 
degli 
immobili 
storici 
protetti 
(classificati 
o 
iscritti). 
Prevedere 
una 
serie 
di 
casi 
tassativi 
in 
cui 
sono 
necessarie 
specifiche 
autorizzazioni 
per 
la 
realizzazione 
di 
lavori 
di 
manutenzione 
su 
immobili 
non 
qualificabili 
come 
monumenti 
storici 
consente 
in 
specie 
di 
evi


(24) Deroghe 
dal 
perimetro protetto di 
500 m. possono essere 
prese 
su proposta 
dell’Architecte 
des Bâtiments de France. 

rASSeGnA 
AvvoCAturA 
DeLLo 
StAto -n. 3/2020 


tare, 
da 
un 
lato, 
possibili 
danni 
strutturali 
agli 
edifici 
protetti 
e, 
dall’altro, 
l’eventuale 
svalutazione 
del 
sito 
ove 
la 
dimora 
storica 
classificata 
o 
iscritta 
è 
ubicata. 


2.2. Il 
sistema di 
tassazione 
francese 
degli 
immobili 
storici 
di 
proprietà privata. 
il 
sistema 
fiscale 
francese 
è 
improntato 
ai 
principi 
di 
uguaglianza, 
capacità 
contributiva 
e 
progressività, 
già 
enunciati 
nella 
Déclaration 
des 
Droits 
de 
l'Homme 
et 
du 
Citoyen 
del 
1789 
(25), 
e 
prevede 
imposte 
nazionali 
e 
locali, 
in 
base 
alla 
destinazione 
del 
gettito. 


tale 
sistema 
per molti 
aspetti 
si 
presenta 
speculare 
a 
quello italiano, in 
particolare 
in riferimento alla 
tassazione 
delle 
persone 
fisiche, la 
quale, tuttavia, 
in relazione 
all’imposta 
sui 
redditi 
(Impôt 
sur 
le 
revenu), non avviene 
a 
livello individuale, bensì 
in base 
al 
foyer 
fiscal, ovverosia 
il 
nucleo familiare 
ai 
fini 
fiscali, che 
può risultare 
composto da 
una 
sola 
persona 
(non coniugata, 
divorziata 
o vedova), da 
una 
coppia 
coniugata, da 
persone 
(anche 
dello stesso 
sesso) 
legate 
da 
un’unione 
di 
fatto 
regolata 
da 
un 
patto 
civile 
di 
solidarietà 
(P.A.C.S.), nonché dalle persone a loro carico (26). 

La 
base 
imponibile 
dell’imposta 
sui 
redditi, 
pertanto, 
è 
costituita 
dalla 
somma 
dei 
redditi 
conseguiti 
dalle 
persone 
considerate 
facenti 
parte 
del 
foyer 
fiscal 
(art. 
156 
c.g.i.). 
Di 
talché, 
il 
reddito 
netto 
globale, 
rappresentato 
dal 
risultato 
del 
reddito 
lordo 
globale 
(revenue 
Brut 
Global) 
sottratte 
le 
spese 
deducibili, 
è 
costituito 
dall’insieme 
dei 
redditi 
dei 
singoli 
componenti 
del 
foyer 
fiscal, 
ascrivibili 
ai 
sensi 
dell’art. 
1 
A 
c.g.i., 
alle 
seguenti 
categorie: 
revenus 
fonciers 
(redditi 
fondiari); 
bénéfices 
industriels 
et 
commerciaux 
(redditi 
d’impresa); 
bénéfices 
de 
l'exploitation 
agricole 
(redditi 
agrari); 
traitements, 
salaires, 
indemnités, 
émoluments, 
pensions 
et 
rentes 
viagères 
(redditi 
da 
lavoro 
dipendente); 
bénéfices 
des 
professions 
non 
commerciales 
et 
revenus 
y 
assimilés 
(redditi 
da 
lavoro 
autonomo); 
revenus 
de 
capitaux 
mobiliers 
(redditi 
da 
capitale); 
plus-values 
de 
cession 
à 
titre 
onéreux 
de 
biens 
ou 
de 
droits 
de 
toute 
nature; 
nonché 
les 
rémunérations 
di 
cui 
al 
co. 
2, 
punto 
3 
del 
medesimo 
articolo. 


in particolare, les 
revenus 
fonciers, a 
differenza 
di 
quanto accade 
nel 
sistema 
italiano, sono costituiti 
unicamente 
dai 
redditi 
derivanti 
dalla 
locazione 
d’immobili 
(ivi 
comprese 
le 
dimore 
storiche) 
e 
terreni 
(compresi 
i 
giardini 
storici) 
(27). non rientrano, però, in tale 
categoria 
i 
redditi 
derivanti 
dalla 
locazione 
(e 
sublocazione) 
d’immobili 
ammobiliati, 
dalla 
sublocazione 
d’immobili 
non ammobiliati, nonché 
i 
redditi 
da 
locazione 
generati 
da 
un’impresa 
commerciale 
o agricola (28). 

(25) Cfr. jeLLinek, La dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino, Milano, 2002. 
(26) Per un approfondimento, cfr. SAntoro, Scheda Paese 
-Francia, in Fisco oggi, 8 gennaio 
2019. 
(27) 
Ai 
fini 
dell’imposta 
sui 
redditi 
delle 
persone 
fisiche 
non 
sono 
tassati 
i 
beni 
immobili 
non 
locati a disposizione del proprietario. 

LeGiSLAzione 
eD 
AttuALità 


orbene, 
le 
dimore 
storiche, 
attese 
le 
loro 
peculiari 
caratteristiche, 
sovente 
si 
prestano 
ad 
essere 
locate; 
tuttavia, 
a 
differenza 
di 
quanto 
accade 
in 
relazione 
ai 
beni 
immobili 
non classificati 
quali 
monumenti 
storici, i 
proprietari 
delle 
predette 
non 
possono 
beneficiare 
del 
regime 
micro-foncier 
(regime 
forfettario), 
applicabile 
al 
foyer 
fiscal 
avente 
un 
revenue 
fonciers 
brut 
global 
non 
superiore 
a 
15.000 
euro 
(29). 
in 
relazione 
a 
questi 
ultimi, 
infatti, 
trova 
applicazione 
unicamente 
il 
regime 
ordinario 
di 
tassazione 
dei 
revenus 
fonciers 
(c.d. 
régime 
réel), 
nonché 
i 
conseguenti 
benefici 
fiscali 
previsti 
dall’applicazione 
in 
specie 
della 
Loi monuments Historiques 
(v. infra 
par. 2.3.1.). 


invero, qualora 
le 
dimore 
storiche 
francesi 
di 
proprietà 
privata 
non dovessero 
essere 
qualificate 
come 
monumenti 
storici 
(30), il 
regime 
fiscale 
applicabile 
ai 
proprietari 
delle 
stesse 
risulterebbe 
comunque 
riconducibile 
al 
doppio binario tracciato dal 
Code 
Generale 
des 
Impôts 
(c.g.i.) in tema 
di 
tassazione 
dei 
revenus fonciers 
(art. 14 ss c.g.i.). 


Mentre 
il 
regime 
micro-foncier 
prevede 
un 
abbattimento 
forfettario 
del 
30% 
del 
totale 
dei 
revenus 
fonciers 
bruts, 
consentendo 
l’integrazione 
del 
restante 
70% 
con 
gli 
altri 
redditi 
percepiti 
dal 
foyer 
fiscal 
ai 
fini 
dell’imposta 
sul 
reddito, 
il 
regime 
ordinario 
di 
tassazione 
dei 
redditi 
ut 
supra 
comporta 
la 
possibilità 
di 
dedurre 
i 
costi 
e 
gli 
oneri 
sostenuti 
per 
la 
proprietà 
locata 
nonché, 
nell’ipotesi 
in 
cui 
il 
risultato 
dell’operazione 
risulti 
positivo, 
il 
computo 
di 
quest’ultimo 
ai 
fini 
del 
calcolo 
del 
revenu 
brut 
global, 
mentre, 
nel-
l’ipotesi 
in 
cui 
risulti 
negativo, 
la 
deduzione 
del 
déficits 
fonciers 
dal 
totale 
(revenu 
Net 
Global), 
consentendo 
così 
una 
riduzione 
del 
quantum 
dell’imposta 
dovuta 
(31). 


il 
déficits 
fonciers 
derivante 
dalle 
spese 
deducibili 
-diverse 
dagli 
interessi 
sui 
prestiti 
-può essere 
dedotto dal 
revenu brut 
global 
del 
foyer 
fiscal 
per un 
ammontare 
complessivo non superiore, di 
regola, a 
10.700 euro (32). Limite 
che, tuttavia, non trova 
applicazione 
in relazione 
alle 
spese 
sostenute 
dai 
proprietari 
di 
dimore 
storiche, 
seppur 
al 
verificarsi 
delle 
specifiche 
condizioni 
dettate dalla 
Loi monuments Historiques. 


(28) i redditi 
derivanti 
dalla 
locazione, nonché 
dalla 
sublocazione, di 
immobili 
ammobiliati 
sono 
riconducibili 
alla 
categoria 
dei 
bénéfices 
industriels 
et 
commerciaux 
(cc.dd. B.i.C.), mentre 
quelli 
derivanti 
dal 
subaffitto di 
immobili 
non ammobiliati 
ai 
bénéfices 
des 
professions 
non commerciales 
et 
revenus 
y assimilés 
(cc.dd. B.n.C.). 
(29) 
Cfr. 
Dereix 
-kiSLiG, 
Les 
investissements 
immobiliers 
& 
défiscalisation, 
Paris, 
2020, 
pag. 
22. 
(30) trattasi 
delle 
ipotesi 
in cui 
le 
dimore 
storiche 
non sono classificate 
come 
monumenti 
storici 
o iscritte all’i.S.M.H. 
(31) 
Cfr. 
LuBin, 
Fiscalité 
immobilière, 
Acquisition 
-Gestion 
-Vente 
-Imposition, 
editions 
Le 
Moniteur, 2013. 
(32) Qualora 
il 
déficits 
fonciers 
totale 
risulti 
superiore 
a 
10.700 euro, l’eccedenza 
potrà 
essere 
riportata 
nei 
10 anni 
successivi 
sul 
revenu foncier 
net 
positivo. il 
limite 
del 
déficits 
fonciers 
è 
innalzato a 
15.300 euro nei casi tassativamente indicati dalla legge (v. Loi Périssol 
e 
Loi Cosse). 

rASSeGnA 
AvvoCAturA 
DeLLo 
StAto -n. 3/2020 


Ciò 
posto, 
occorre 
rilevare 
che 
l’imposizione 
diretta 
sugli 
immobili 
francesi, 
riguardante 
anche 
le 
dimore 
storiche 
private, 
si 
articola 
principalmente 
in 
quattro 
tipologie 
di 
prelievo: 
la 
taxe 
d’habitation 
(art. 
1407 
ss 
c.g.i.), 
la 
taxe 
foncière 
(art. 
1380 
ss 
c.g.i.), 
la 
taxe 
d’enlèvement 
des 
ordures 
ménagères 
(art. 
1520 
ss 
c.g.i.), 
nonché 
l’impôt 
sur 
la 
fortune 
immobilière 
(art. 
964 
ss 
c.g.i.) 
(33). 


La 
taxe 
d’habitation 
è 
un’imposta 
riscossa 
annualmente 
dalle 
autorità 
locali, 
che 
grava 
sui 
proprietari, sui 
locatari 
o sugli 
occupanti 
a 
titolo gratuito 


(34) di 
un immobile 
adibito ad abitazione 
principale 
ovvero a 
residenza 
secondaria 
(35). Sono esonerati 
dal 
pagamento del 
tributo per l’abitazione 
principale 
i 
soggetti 
che 
soddisfano 
tre 
condizioni: 
1) 
percezione 
dell’indennità 
di 
solidarietà 
per anziani 
(A.S.P.A.) o dell’indennità 
di 
invalidità 
supplementare 
(A.S.i.) (36), ovvero dell'indennità 
per adulti 
disabili 
(A.A.H.) (37), o in alternativa 
coloro 
che 
risultano 
essere 
disabili, 
oppure 
ultrasessantenni 
o 
vedovi 
di 
qualunque 
età 
non 
soggetti 
all’impôt 
sur 
la 
fortune 
immobilière; 
2) 
l’importo 
del 
reddito 
imponibile 
per 
l’anno 
precedente 
non 
deve 
superare 
il 
limite 
di 
cui 
all’art. 1417-i c.g.i.; 
3) gli 
interessati 
devono occupare 
l’immobile, come 
abitazione 
principale, 
da 
soli, 
con 
il 
coniuge 
o 
con 
il 
partner 
P.A.C.S., 
ovvero 
con 
persone 
a 
carico, con soggetti 
percettori 
di 
A.S.i. o A.S.P.A. o con una 
terza 
persona disabile (38). 
Sono 
interessati 
dalla 
taxe 
d’habitation 
gli 
immobili 
sufficientemente 
ammobiliati 
(art. 1407 c.g.i.) (39) , nonché 
le 
dépendances 
(art. 1409 c.g.i.) (40). 
Al 
contrario, gli 
edifici 
non abitabili 
-caratterizzati 
ad esempio dall’assenza 
di 
utenze 
e 
da 
nessun tipo di 
arredo -e 
non occupati 
devono ritenersi 
esclusi 
dall’ambito applicativo del 
tributo (41). Pertanto, i 
proprietari 
di 
dimore 
storiche 
non 
rientranti 
nelle 
predette 
categorie, 
nonché 
titolari 
d’immobili 
non 


(33) Cfr. PoMMier, 
Impôts 
locaux: «La France 
est 
une 
exception en Europe», in Le 
Figaro, 18 
febbraio 2014. 
(34) Per un approfondimento sui 
soggetti 
passivi, cfr. 
Conseil 
d’Etat, 18 giugno 2016, n. 386200; 
Cassation, 5 dicembre 2018, n. 17-31.189. 
(35) La 
legge 
di 
bilancio francese 
del 
dicembre 
2017 ha 
modificato il 
Code 
Generale 
des 
Impôts, 
prevedendo 
la 
progressiva 
riduzione 
della 
taxe 
d’habitation 
sulle 
residenze 
principali 
per 
l’80% 
dei 
contribuenti 
nell’arco del 
triennio successivo (il 
30% nel 
2018, il 
65% nel 
2019 e 
il 
100% nel 
2020). Per il 
restante 
20% dei 
contribuenti 
il 
tributo sarà 
ridotto del 
30% nel 
2021, del 
65% nel 
2022, nonché 
del 
100% nel 2023. 
(36) v. artt. L. 815-1 e L. 815-24 c.s.s. 
(37) v. art. L. 821-1 c.s.s. 
(38) i soggetti 
esentati 
dal 
pagamento della 
taxe 
d’habitation 
sono altresì 
esonerati 
dalla 
contribution 
à l’audiovisuel 
public 
(art. 1605 c.g.i.). essere 
esonerati 
dalla 
taxe 
d’habitation, tuttavia, non significa 
essere 
automaticamente 
esentati 
dal 
pagamento 
della 
taxe 
foncière 
e 
dalla 
taxe 
d’enlèvement 
des 
ordures ménagères. 
(39) Cfr. Conseil d’Etat, 14 giugno 1972, n. 79444. 
(40) Cfr. rM 
Ansquer, jo déb An du 27 mars 1985, n. 62720, p. 2364. 
(41) in tal 
caso, tuttavia, i 
proprietari 
sono tenuti 
a 
dichiarare 
periodicamente 
lo stato di 
suddetti 
immobili al 
Trèsor Public. 

LeGiSLAzione 
eD 
AttuALità 


abitabili, non arredati 
e 
non occupati, non possono ritenersi 
esenti 
dal 
pagamento 
della 
taxe d’habitation. 


L’aliquota 
fiscale 
varia 
in base 
alle 
caratteristiche 
della 
proprietà 
(es. dimensioni) 
e 
alla 
situazione 
personale 
del 
contribuente 
(es. foyer 
fiscal), risultante 
al 1° gennaio dell’anno d’imposta (42). 

La 
taxe 
d’habitation 
è 
calcolata 
sul 
valore 
locativo netto, pari 
al 
valore 
catastale 
dell’immobile 
diminuito, 
nel 
caso 
dell’abitazione 
principale, 
delle 
detrazioni 
obbligatorie 
(es. familiari 
a 
carico) ovvero di 
quelle 
facoltative 
(es. 
disabilità 
o handicap di 
uno dei 
componenti 
del 
nucleo familiare). A 
suddetto 
valore 
si 
aggiungono 
le 
aliquote 
previste 
dal 
Comune 
ove 
l’immobile 
è 
situato, 


o 
dall’amministrazione 
per 
i 
syndicats 
intercommunaux, 
nonché 
altre 
eventuali 
addizionali (es. G.e.M.A.P.i.) (43). 
La 
taxe 
foncière 
è 
una 
tassa 
locale 
sulla 
proprietà 
dei 
beni 
immobili, che 
prescinde 
dalle 
caratteristiche 
degli 
stessi. 
Quest’ultima 
grava 
esclusivamente 
sul 
proprietario dell’immobile 
e 
si 
applica 
sia 
sulla 
proprietà 
edificata 
(taxe 
foncière 
sur 
les 
propriétés 
bâties) che 
su quella 
non edificata 
(taxe 
foncière 
sur les propriétés non bâties). 


La 
differenza 
tra 
la 
taxe 
d’habitation 
e 
la 
taxe 
foncière 
riguarda 
il 
presupposto 
impositivo, nonché 
il 
soggetto passivo: 
mentre 
la 
prima 
è 
una 
tassa 
che 
grava 
su 
locatari 
e 
proprietari, 
riguardando 
l’abitabilità 
dell’edificio, 
la 
seconda 
è 
un tributo che 
colpisce 
unicamente 
il 
proprietario dell’immobile 
a 
prescindere dalla sua abitabilità. 

La 
base 
imponibile 
della 
taxe 
foncière 
sur 
les 
propriétés 
bâties 
è 
costituita 
dalla 
rendita 
catastale 
netta, 
corrispondente 
al 
50% 
del 
valore 
locativo 
catastale 
al 
1° 
gennaio dell’anno d’imposizione 
(art. 1388 c.g.i.). L’importo della 
tassa 
dovuta 
è 
determinato applicando al 
valore 
locativo, rivalutato secondo un coefficiente 
stabilito annualmente, le aliquote deliberate dai Comuni (44). 

Sono esenti 
dalla 
taxe 
foncière 
i 
proprietari 
di 
edifici 
rurali 
ad uso agricolo, 
di 
alloggi 
modesti 
situati 
nei 
D.o.M. (Domini 
d’oltre 
Mare), ovvero di 
locali 
che 
ospitano un’associazione 
di 
mutilati 
di 
guerra 
o sul 
lavoro oppure 
riconosciuti 
di 
pubblica 
utilità 
(45). 
Sono, 
inoltre, 
temporaneamente 
esenti 
per 
due 
anni 
i 
proprietari 
di 
nuove 
costruzioni, seppur a 
determinate 
condizioni 


(42) 
Cfr. 
SteCkeL 
-ASSouère, 
La 
taxe 
d’habitation, 
Collectivités 
locales, 
Encyclopédie 
juridique 
Dalloz, 3e 
édition, décembre 2017, no 7830, pp. 1-39. 
(43) v. art. 1530 c.g.i. 
(44) La 
taxe 
foncière 
sur 
les 
propriétés 
non bâties 
si 
applica 
a 
giardini 
(anche 
a 
quelli 
storici), 
boschi 
e 
parchi, serre, paludi 
e 
saline, campi 
da 
golf e 
strade 
di 
proprietà 
privata. il 
suo ammontare 
è 
determinato moltiplicando l'80% del 
valore 
locativo per i 
coefficienti 
determinati 
dalle 
autorità 
locali 
(art. 1396 c.g.i.). 
(45) non rientrano tra 
le 
proprietà 
imponibili 
neppure 
gli 
edifici 
di 
proprietà 
pubblica 
utilizzati 
per servizi 
pubblici 
che 
non generano reddito, edifici 
dediti 
al 
culto religioso, nonché 
quelli 
di 
proprietà 
di Stati esteri dedicati alle missioni diplomatiche. 

rASSeGnA 
AvvoCAturA 
DeLLo 
StAto -n. 3/2020 


(art. 1383 c.g.i.) (46), nonché 
i 
soggetti 
che 
occupano come 
residenza 
principale 
nuove costruzioni di alloggi sociali (artt. 1385 ss c.g.i.) (47). 

Da 
un’attenta 
analisi 
della 
disciplina 
del 
tributo 
in 
oggetto, 
dunque, 
i 
proprietari 
di 
dimore 
storiche 
classificate 
“monumenti 
storici”, 
iscritte 
all’i.S.M.H., ovvero facenti 
parte 
del 
patrimonio nazionale 
possono ritenersi 
pacificamente 
qualificabili 
come 
soggetti 
passivi 
della 
taxe 
foncière 
sur 
les 
propriétés 
bâties. Ciononostante, occorre 
precisare 
che 
questi 
ultimi, a 
differenza 
dei 
proprietari 
d’immobili 
non 
classés, 
sono 
legittimati 
a 
dedurre 
quanto 
pagato dal 
revenu brut global 
(48). 

La 
taxe 
d’enlèvement 
des 
ordures 
ménagères 
(tassa 
sui 
rifiuti 
solidi 
urbani), 
concerne 
tutte 
le 
proprietà 
imponibili 
ai 
fini 
della 
taxe 
fonciere 
sur 
les 
propriétés 
bâties 
ed 
è 
calcolata 
sulla 
medesima 
base 
imponibile 
di 
quest’ultima. 


il 
tributo non dipende 
dal 
volume 
dei 
rifiuti 
prodotti 
ed è 
quindi 
dovuto 
dai proprietari anche in totale assenza di produzione degli stessi. 


Quando l’immobile 
viene 
locato, il 
proprietario ha 
il 
diritto di 
recuperare 
l'importo dell’imposta 
dall’inquilino (decreto n. 87 -713 del 
26 agosto 1987). 
in questo caso, la 
tassa 
dev’essere 
incorporata 
da 
parte 
del 
proprietario nelle 
spese di locazione che il conduttore paga mensilmente (49). 

L’impôt 
sur 
la fortune 
immobilière 
(i.F.i.), a 
differenza 
delle 
precedenti, 
è 
un’imposta 
statale. Quest’ultima, introdotta 
dall’art. 31 della 
legge 
n. 20171837 
del 
30 dicembre 
2017, ha 
sostituito l’imposta 
di 
Solidarietà 
sulla 
ricchezza 
(i.S.F.), in vigore in Francia dal 1982 (50). 

L’imposta 
riguarda 
esclusivamente 
i 
proprietari 
di 
un patrimonio immobiliare 
tassabile 
del 
valore 
complessivo 
superiore 
a 
1,3 
milioni 
di 
euro 
(art. 
964 
c.g.i.) 
(51); 
onde 
per 
cui 
è 
evidente 
la 
necessità 
di 
un’accurata 
analisi 
della 
stessa 
in 
relazione 
al 
peculiare 
tema 
delle 
dimore 
storiche 
di 
proprietà 
privata, 
il cui valore spesso risulta assai elevato. 


L’i.F.i. 
è 
calcolata 
sul 
valore 
netto 
del 
patrimonio 
immobiliare 
imponibile 
al 
1° 
gennaio dell’anno fiscale, il 
quale 
a 
sua 
volta 
è 
computato sulla 
base 
del 
valore 
di 
tutte 
le 
proprietà 
direttamente 
e 
indirettamente 
possedute 
dal 
soggetto 
passivo 
dedotte 
le 
spese 
“giustificabili” 
sostenute 
per 
le 
stesse 
(art. 
974-i 
c.g.i.) 


(46) L’esenzione 
si 
applica 
indipendentemente 
dall’uso dell’immobile 
(abitazione 
principale, secondaria, 
costruzione commerciale…) e si può ottenere anche per edifici ristrutturati. 
(47) in tal caso, l’esenzione può avere una durata variabile di 10, 15 anni o 20 anni. 
(48) v. Bulletin officiel 
des 
Finances 
Publiques-Impôts 
del 
19 dicembre 
2018, Boi-rFPi-SPeC-3020-
20-20181219, rFPI -revenus 
fonciers 
-régimes 
spéciaux 
-monuments 
historiques 
et 
assimilés 
-modalités 
de déduction - Immeuble ne procurant aucune recette imposable. 
(49) invero, l’unico soggetto responsabile 
dell'imposta 
nei 
confronti 
del 
fisco resta 
il 
proprietario 
dell’immobile. 
(50) Cfr. GoLiArD, Droit fiscal général, 4° edizione, Gualino editore, 2020, pag. 39. 
(51) una 
riduzione 
d’imposta 
è 
prevista 
solo per i 
patrimoni 
imponibili 
netti 
compresi 
tra 
1,3 e 
1,4 milioni di euro, il cui ammontare è pari a 17.500 euro. 

LeGiSLAzione 
eD 
AttuALità 


(52), come 
ad esempio i 
costi 
relativi 
alla 
loro acquisizione, le 
spese 
di 
riparazione, 
manutenzione, 
miglioramento, 
ricostruzione, 
ampliamento 
e 
restauro, 
le 
imposte 
sulla 
proprietà 
(es. 
taxe 
foncière). 
Le 
sue 
aliquote 
seguono 
uno 
schema progressivo per scaglioni (art. 977 c.g.i.). 


orbene, 
in 
relazione 
all’imposta 
in 
esame 
è 
necessario 
evidenziare 
che 
nel 
2019, 
durante 
i 
dibattiti 
per 
la 
legge 
finanziaria 
2020, 
nonostante 
il 
sostegno 
del 
Senato, 
l’Assemblea 
nazionale 
ha 
respinto 
un 
emendamento 
volto 
a 
garantirne 
la 
riduzione 
del 
75% 
del 
valore 
per 
i 
proprietari 
di 
monumenti 
storici 
aperti 
al 
pubblico 
o 
che 
esercitano 
un’attività 
turistica 
o 
economica 
(53). 


Pertanto, ad oggi, i 
proprietari 
di 
dimore 
storiche 
classificate 
come 
monumenti 
storici 
o iscritte 
all’i.S.M.H., aventi 
un patrimonio immobiliare 
dal 
valore 
netto superiore 
a 
1,3 milioni 
di 
euro, non possono ritenersi 
esenti 
dal 
pagamento dell’i.F.i., anche se esercenti attività d’impresa (54). 

tutti 
i 
tributi 
pocanzi 
analizzati, ad eccezione 
dell’ultimo, si 
basano sul 
valore 
locativo degli 
immobili, vale 
a 
dire 
l’affitto che 
questi 
produrrebbero 
normalmente 
se 
fossero locati. A 
tal 
proposito, tuttavia, occorre 
rilevare, per 
quanto 
riguarda 
i 
c.d. 
“alloggi 
con 
caratteristiche 
eccezionali” 
-categoria 
composta 
principalmente 
da 
monumenti 
storici 
-il 
governo francese, nonostante 
l’opposizione 
del 
Senato, 
ha 
recentemente 
votato 
un 
paragrafo 
(art. 
146, 
C, 1 della 
legge 
finanziaria 
per il 
2020) contenente 
due 
importanti 
novità, che 
il 
Consiglio Costituzionale 
ha 
dichiarato conformi 
alla 
Costituzione 
(55): 
la 
prima 
consistente 
nel 
nuovo calcolo del 
valore 
locativo di 
suddetti 
immobili 
(da 
effettuarsi 
in base 
al 
valore 
di 
mercato); 
la 
seconda 
riguardante 
l’applicazione 
di 
un’aliquota 
dell’8% al 
valore 
di 
mercato del 
bene, da 
parte 
delle 
autorità 
fiscali, ai fini del computo del valore locativo. 


L’imposizione 
indiretta 
sugli 
immobili 
francesi, 
di 
converso, 
è 
riconducibile 
principalmente 
ai 
droits 
de 
mutation 
a 
titolo 
oneroso 
e 
a 
titolo 
gratuito. 
in 
relazione 
ai 
proprietari 
di 
dimore 
storiche 
classès, 
tuttavia, 
è 
necessario 
sottolineare 
sin 
da 
subito 
l’applicazione 
in 
specie 
di 
un 
regime 
fiscale 
più 
favorevole 
(artt. 
795 
ss 
c.g.i.). 
in 
particolare, 
sono 
esentati 
dal


(52) L’abitazione 
principale 
del 
contribuente 
beneficia 
di 
un abbattimento forfettario del 
30% del 
suo valore di mercato, a condizione che la stessa non sia detenuta per mezzo di una S.C.i. 
(53) v. Assemblée 
Nationale 
XVe 
législature, session ordinaire 
de 
2019-2020, deuxième 
séance 
du jeudi 17 octobre 2019 
sul progetto di legge finanziaria 2020. 
(54) 
tuttavia, 
i 
beni 
immobili 
“professionali” 
sono 
esenti 
i.F.i., 
purché 
siano 
soddisfatte 
le 
seguenti 
condizioni: 
l’immobile 
dev’essere 
utilizzato nel 
contesto di 
una 
professione 
industriale, commerciale, 
artigianale, agricola 
o liberale; 
l’attività 
in questione 
deve 
corrispondere 
all’esercizio effettivo di 
una 
vera 
professione 
e 
dev’essere 
esercitata 
direttamente 
dal 
proprietario, 
dal 
coniuge, 
dal 
suo 
partner 
di 
P.A.C.S., o dai 
figli 
minori 
sotto amministrazione 
legale; 
l’attività 
deve 
essere 
la 
professione 
principale 
del contribuente e il bene dev’essere necessario per l’esercizio della stessa. 
(55) Cfr. Conseil Constitutionnel, décision 
n. 2019-796 DC del 27 dicembre 2019. 

rASSeGnA 
AvvoCAturA 
DeLLo 
StAto -n. 3/2020 


l’imposta 
in 
oggetto 
i 
soli 
trasferimenti 
a 
titolo 
gratuito 
di 
beni 
immobili 
storici 
qualificati 
come 
monumenti 
storici. 
Anche 
i 
beni 
mobili 
che 
ne 
costituiscono 
il 
complemento 
storico 
o 
artistico 
sono 
esenti 
dall’imposta 
(infra 
par. 
2.3.1). 


2.3. Le 
misure 
fiscali 
ed economiche 
a sostegno dei 
proprietari 
di 
dimore 
storiche 
francesi. 
esaminato 
il 
sistema 
di 
tassazione 
francese 
degli 
immobili, 
in 
particolare 
quello 
delle 
dimore 
storiche 
private, 
posto 
che 
circa 
il 
49,4% 
dei 
43.600 
edifici 
francesi 
protetti 
come 
monumenti 
storici 
(14.100 
classificati 
e 
29.500 
registrati) 
appartengono a 
proprietari 
privati 
(persone 
fisiche 
e 
giuridiche) e 
solo 
il 
restante 
50,6% alle 
autorità 
locali 
e 
allo Stato (56), è 
necessario sottolineare 
l’importanza 
rivestita 
dalle 
misure 
di 
sostegno 
ai 
privati 
proprietari 
di 
tali 
edifici 
ai fini della loro conservazione e valorizzazione. 


in particolare, in assenza 
di 
specifiche 
misure 
di 
sostegno, le 
dimore 
storiche 
private 
protette 
(classificate 
o iscritte) risulterebbero esposte 
ad una 
potenziale 
incuria 
da 
parte 
dei 
loro proprietari, atteso che 
la 
loro conservazione 
è 
resa 
assai 
difficile 
a 
causa 
degli 
elevati 
costi 
di 
manutenzione. 
A 
tal 
fine, 
l’ordinamento 
francese 
predispone 
delle 
rilevanti 
misure 
fiscali 
ed 
economiche 


(57) a 
sostegno dei 
proprietari 
di 
queste 
ultime, rintracciabili, principalmente, 
nella 
Loi monuments Historiques, nella 
Loi malraux 
e nella 
Loi 
Aillagon. 
2.3.1. La Loi monuments Historiques. 
La 
Loi 
monuments 
Historiques, introdotta 
in Francia 
nel 
1913 e 
successivamente 
integrata 
nel 
Code 
du 
Patrimoine 
nel 
2004 
(58), 
offre 
ai 
proprietari 
di 
dimore 
storiche 
classificate 
o 
comunque 
registrate, 
a 
specifiche 
condizioni, 
rilevanti 
vantaggi 
fiscali; 
in 
particolare 
la 
possibilità 
di 
dedurre 
dal 
revenu 
brut 
global 
le 
spese 
sostenute 
per la 
conservazione 
dell’immobile 
in deroga 
al 
limite 
fissato dalla legge (59). 

i benefici 
fiscali 
scaturenti 
dall’applicazione 
di 
suddetta 
legge 
possono 
essere 
utilizzati 
da 
tutti 
i 
contribuenti, domiciliati 
a 
fini 
fiscali 
in Francia 
(art. 
4 
B 
c.g.i.), 
proprietari 
di 
edifici: 
classificati 
come 
monumenti 
storici; 
registrati 
all’Inventaire 
Supplémentaire 
des 
monuments 
Historiques 
(i.S.M.H.); 
rien


(56) 
Dato 
aggiornato 
al 
2015 
(v. 
https://www.culture.gouv.fr/Sites-thematiques/monumentshistoriques/
Presentation/Les-monuments-historiques). 
(57) Dal 
punto di 
vista 
delle 
misure 
economiche 
è 
bene 
precisare 
che 
i 
lavori 
di 
conservazione 
delle 
dimore 
storiche 
classificate 
o iscritte 
possono essere 
oggetto di 
specifiche 
sovvenzioni 
statali 
o 
delle 
comunità 
territoriali, ovvero di 
aiuti 
finanziari 
da 
parte 
d’imprese 
(v. Loi 
Aillagon); 
tuttavia, i 
soggetti 
pubblici, a 
differenza 
dei 
privati, possono sovvenzionare 
gli 
stessi 
nel 
limite 
del 
40% delle 
spese 
effettive sostenute dagli interessati (art. L. 621-29 Code du Patrimoine). 
(58) La 
disciplina 
in oggetto è 
stata 
da 
ultimo modificata 
dall’ordonnance 
du Président 
de 
la république 
relative aux monuments historiques et aux espaces protégés du 8 septembre 2005. 
(59) il limite attuale è di 10.700 euro. 

LeGiSLAzione 
eD 
AttuALità 


tranti 
nel 
patrimonio nazionale 
in ragione 
della 
“label” 
(etichetta) deliberata 
dalla 
“Fondation 
du 
Patrimoine” 
(art. 
L. 
143-2 
code 
du 
patrimoine) 
(60), 
previo 
parere 
favorevole 
del 
Service 
Départemental 
de 
l'architecture 
et 
du patri-
moine; 
rientranti 
nel 
patrimonio 
nazionale, 
a 
causa 
del 
loro 
particolare 
carattere 
storico o artistico, previa 
approvazione 
del 
Ministro dell’economia 
e 
delle 
finanze, 
ed aperti al pubblico (61). 

Qualora 
la 
classificazione 
ut 
supra 
dovesse 
riguardare 
unicamente 
alcune 
parti 
dell’edificio, il 
proprietario dello stesso non può però beneficiare 
delle 
agevolazioni 
fiscali 
in 
relazione 
a 
tutte 
le 
spese 
sostenute 
per 
la 
manutenzione 
dell’immobile, 
bensì 
può 
soltanto 
dedurre 
dal 
revenu 
brut 
global 
i 
costi 
sostenuti 
per la conservazione delle specifiche parti interessate dal vincolo. 


in linea 
generale 
i 
proprietari 
di 
dimore 
storiche 
classificate 
o registrate, 
a 
condizione 
d’impegnarsi 
a 
conservare 
l’immobile 
per un periodo di 
almeno 
15 anni 
(art. 156 bis 
c.g.i.) (62), possono dedurre 
ai 
fini 
dell’i.r.: 
le 
spese 
di 
manutenzione 
e 
ristrutturazione 
affrontate, le 
tasse 
fondiarie, i 
premi 
assicurativi 
e 
i 
costi 
di 
promozione 
e 
pubblicità 
riguardanti 
l’immobile, nonché 
le 
spese 
di 
acquisto 
di 
apparecchiature 
informatiche 
per 
la 
gestione 
della 
biglietteria 
o per il monitoraggio delle movimentazioni di cassa. 


invero, 
al 
fine 
di 
determinare 
correttamente 
i 
vantaggi 
fiscali 
dei 
suddetti 
proprietari, 
occorre 
distinguere 
tre 
possibili 
scenari: 
proprietà 
di 
immobili 
che 
non generano entrate 
(neppure 
dalle 
visite) occupati 
dai 
proprietari; 
proprietà 
d’immobili 
non 
occupati, 
che 
però 
generano 
entrate; 
proprietà 
d’immobili 
occupati 
che generano entrate. 


in relazione 
al 
primo scenario prospettato il 
proprietario di 
una 
dimora 
storica 
classificata 
o iscritta 
può dedurre 
dal 
revenu brut 
global 
del 
suo foyer 
fiscal 
le 
spese 
di 
conservazione 
dell’immobile 
(riparazioni, 
ristrutturazione, 
migliorie, taxe 
fonciere 
sur 
les 
propriétés 
bâties, interessi 
sui 
prestiti 
per la 
ristrutturazione…) 
senza 
limiti, se 
l’immobile 
è 
aperto al 
pubblico (63), e 
nel 
limite del 50% del loro ammontare in caso contrario. 


nelle 
ipotesi 
in cui 
il 
proprietario non occupa 
l’immobile, ma 
quest’ul


(60) il 
label 
è 
attribuito dalla 
Fondation du Patrimoine, fondazione 
istituita 
dalla 
legge 
n. 96-590 
del 
2 luglio 1996, al 
fine 
di 
favorire 
la 
conservazione 
e 
la 
valorizzazione 
degli 
immobili 
francesi 
particolarmente 
caratteristici 
del 
patrimonio e 
della 
cultura 
locale 
non tutelati 
dallo Stato come 
monumenti 
storici 
e 
appartenenti 
a 
proprietari 
privati. il 
label 
consente 
a 
questi 
ultimi 
di 
beneficiare 
di 
eventuali 
finanziamenti 
pubblici, nonché 
delle 
deduzioni 
fiscali 
previste 
dalla 
legge. il 
label, tra 
l’altro, è 
subordinato 
alla condizione che l’edificio sia visibile dalla pubblica via. 
(61) il 
proprietario dell’immobile, a 
partire 
dal 
2009, per beneficiare 
delle 
agevolazioni 
della 
Loi 
monuments 
Historiques, non può più detenere 
indirettamente 
lo stesso per mezzo di 
una 
société 
civile 
immobilière 
(S.C.i.). 
(62) La condizione si applica anche per gli immobili acquistati prima del 1° gennaio 2009. 
(63) Gli 
edifici 
storici 
francesi 
possono considerarsi 
aperti 
al 
pubblico quando possono essere 
visitati 
per almeno 50 giorni 
all'anno, inclusi 
25 giorni 
non lavorativi, nei 
mesi 
da 
aprile 
a 
settembre, o almeno 
40 giorni nei mesi di luglio, agosto e settembre. 

rASSeGnA 
AvvoCAturA 
DeLLo 
StAto -n. 3/2020 


timo genera 
comunque 
entrate, possono essere 
dedotte 
dai 
revenus 
fonciers, 
senza 
limiti, 
non 
solo 
le 
spese 
sopraindicate, 
ma 
anche 
quelle 
legate 
al 
“diritto 
di visita” (es. remunerazione del personale). 


Dai 
redditi 
derivanti 
dal 
diritto di 
visita 
i 
proprietari 
devono dedurre 
forfettariamente 
la 
somma 
di 
2.290 euro se 
l’immobile 
possiede 
un parco o un 
giardino accessibile al pubblico e 1.525 euro in caso contrario. 


nell’ultima 
ipotesi 
delineata, invece, il 
proprietario, che 
occupa 
(a 
titolo 
di 
abitazione 
principale 
o secondaria) una 
dimora 
storica 
che 
genera 
entrate, 
può 
dedurre, 
integralmente, 
dai 
revenus 
fonciers 
le 
spese 
sostenute 
per 
la 
parte 
dell’immobile 
visitabile 
e 
al 
contempo 
può 
mantenere 
la 
deduzione 
forfettaria. 
Per la 
parte 
dell’edificio non visitabile, al 
contrario, l’interessato può dedurre 
le spese legate all’occupazione della sua proprietà sul 
revenu brut global. 


La 
Loi 
monuments 
Historiques, 
inoltre, 
esonera 
il 
proprietario 
di 
immobili 
classificati 
o 
registrati 
dal 
pagamento 
delle 
imposte 
di 
successione 
e 
donazione, 
a 
condizione 
che 
gli 
eredi, 
i 
legatari 
o 
i 
donatari 
sottoscrivano 
con 
i 
Ministeri 
della 
cultura 
e 
delle 
finanze 
un’apposita 
convenzione, 
con 
la 
quale 
i 
firmatari 
s’impegnano, 
in 
particolare, 
a 
rispettare 
le 
modalità 
di 
manutenzione 
della 
proprietà 
previste 
nell’accordo, 
nonché 
ad 
aprire 
i 
locali 
al 
pubblico 
per 
almeno 
90 
giorni 
da 
maggio 
a 
settembre 
(di 
cui 
60 
dal 
15 
giugno 
al 
30 
settembre). 


L’esenzione 
si 
estende 
anche 
ai 
parchi 
e 
ai 
giardini 
che 
circondano l’immobile, 
a 
condizione 
che 
questi 
ultimi 
risultino attrezzati 
per la 
visita, nonché 
ai beni mobili annessi, che ne costituiscono “l’estensione” storica o artistica. 


Allorquando una 
delle 
condizioni 
previste 
nella 
convenzione 
non viene 
rispettata, 
l’atto 
dispositivo 
è 
soggetto 
all’imposta 
sulle 
donazioni 
o 
sulle 
successioni 
sulla 
base 
del 
valore 
del 
bene 
nel 
giorno dell’inadempimento ovvero 
nel giorno in cui è stato stipulato l’accordo (se superiore). 


Anche 
la 
vendita, 
totale 
o 
parziale, 
dell’immobile 
comporta 
la 
tassazione 
dell’originario atto dispositivo. 


2.3.2. La Loi malraux. 
La 
Loi 
malraux 
(loi 
n. 
62-903 
del 
4 
agosto 
1962) 
si 
prefigge 
sin 
dalla 
sua 
promulgazione 
quale 
scopo 
precipuo 
la 
riqualificazione 
di 
aree 
urbane 
storiche 
degradate, e 
più in generale 
delle 
aree 
urbane 
di 
interesse 
del 
patrimonio, prevedendo 
importanti 
vantaggi 
fiscali 
per 
i 
soggetti 
che 
intraprendono 
un’attività 
di ristrutturazione o restaurazione di immobili situati in tali zone. 


La 
legge 
finanziaria 
del 
2020 ha 
esteso il 
sistema 
malraux 
fino al 
31 dicembre 
2022, accordando ai 
contribuenti, che 
hanno intenzione 
di 
procedere 
al 
restauro 
d’immobili 
situati 
nelle 
aree 
sopraindicate, 
la 
possibilità 
di 
ottenere 
un’ingente riduzione d’imposta. 


tra 
i 
beneficiari 
della 
riduzione 
d’imposta, 
oscillante 
tra 
il 
22% 
ed 
il 
30%, 
a 
differenza 
di 
quanto previsto dalla 
Loi 
monuments 
Historiques, possono ri



LeGiSLAzione 
eD 
AttuALità 


scontrarsi 
anche 
le 
persone 
fisiche 
socie 
di 
una 
société 
civile 
immobilière 
(64) 
non soggetta 
all’impôt 
sur 
les 
sociétés 
(art. 1655-ter 
c.g.i.), le 
quali, tuttavia, 
possono 
beneficiare 
del 
vantaggio 
fiscale 
in 
oggetto 
soltanto 
pro 
quota. 
inoltre, 
qualora 
l’immobile 
da 
ristrutturare 
è 
oggetto 
di 
comproprietà, 
ciascuno 
dei 
comproprietari 
può 
beneficiare 
della 
riduzione 
fiscale, 
calcolata 
proporzionalmente 
sulle spese ammissibili (65). 

Le 
operazioni 
di 
restauro 
devono 
avvenire 
nell’ambito 
di 
siti 
patrimoniali 
rimarchevoli 
(es. 
Zone 
de 
Protection 
di 
Patrimoine 
Architectural, 
Urbain 
et 
Paysager) 
(66) 
situati 
in 
quartieri 
storici 
degradati 
(indicati 
con 
decreto), 
ovvero 
coperti 
da 
un 
Plan 
de 
Sauvegarde 
et 
mise 
en 
Valeur 
(P.S.M.v.) 
o 
sottoposti 
ad 
un 
Plan 
de 
Valorisation 
de 
l’Architecture 
et 
du 
Patrimoine 
approvato 
(67). 


tali 
operazioni 
devono condurre 
al 
restauro completo dell’immobile 
-in 
quanto un restauro parziale 
dello stesso escluderebbe 
ex 
lege 
la 
possibilità 
di 


(64) Sulle S.C.i. v. artt. 1845 ss. code civil. 
(65) 
il 
contribuente, 
per 
godere 
dei 
benefici 
fiscali 
scaturenti 
dalla 
Loi 
malraux, 
deve 
allegare 
alla 
propria 
dichiarazione 
dei 
redditi 
per l’anno in cui 
chiede 
di 
beneficiare 
della 
riduzione 
d’imposta 
una 
nota, redatta 
secondo il 
modello stabilito dall’amministrazione 
-che 
deve 
riportare: 
la 
sua 
identità 
e 
il 
suo indirizzo; 
l’indirizzo dell’immobile 
oggetto di 
restauro, la 
menzione 
che 
quest’ultimo si 
trova, 
a 
seconda 
dei 
casi, in un settore 
protetto, in un quartiere 
degradato ovvero in una 
zona 
per la 
protezione 
del 
patrimonio 
architettonico, 
urbano 
e 
paesaggistico 
o 
in 
un’area 
per 
la 
valorizzazione 
dell’architettura 
e 
del 
patrimonio; 
la 
data 
dell’approvazione 
del 
piano di 
salvaguardia 
e 
miglioramento o della 
dichiarazione 
di 
pubblica 
utilità 
dell’operazione; 
la 
data 
di 
rilascio del 
permesso di 
costruire; 
l’assegnazione, 
per 
uso 
residenziale 
o 
non 
residenziale, 
degli 
edifici 
interessati 
prima 
e 
dopo 
il 
completamento 
dei 
lavori; 
l’ammontare 
del 
lavoro effettivamente 
effettuato (fattura) e 
la 
data 
o le 
date 
del 
suo pagamento; 
l’impegno 
di 
affittare, a 
seconda 
dei 
casi, l’immobile 
per la 
residenza 
principale 
dell’inquilino per almeno 
nove 
anni 
(successivi 
al 
completamento dei 
lavori); 
al 
termine 
dell’opera, la 
data 
di 
completamento dei 
lavori; 
nonché 
allorquando 
l’alloggio 
viene 
affittato, 
la 
data 
effettiva 
del 
contratto 
di 
locazione 
-nonché 
una 
copia 
di 
taluni 
documenti 
(la 
dichiarazione 
di 
pubblica 
utilità 
dell’operazione 
di 
restauro, a 
meno 
che 
questo documento non sia 
già 
stato prodotto per un anno precedente; 
il 
permesso di 
pianificazione, 
accompagnato dal 
parere 
dell’Architecte 
des 
bâtiments 
de 
France, a 
meno che 
questo documento non 
sia 
già 
stato prodotto per un anno precedente; 
le 
fatture 
delle 
società 
che 
hanno eseguito i 
lavori 
o, in 
caso di 
vendita 
di 
un edificio da 
ristrutturare, il 
contratto). Se 
i 
locali 
non vengono affittati 
al 
momento 
della 
presentazione 
della 
dichiarazione 
dei 
redditi 
per l’anno per cui 
è 
richiesto il 
beneficio della 
riduzione 
fiscale, 
il 
contratto 
di 
locazione 
dev’essere 
allegato 
alla 
successiva 
dichiarazione 
dei 
redditi 
durante 
la 
quale 
è 
firmato. in caso di 
cambiamento del 
locatario durante 
il 
periodo d’impegno, una 
copia 
del 
nuovo contratto d’affitto stipulato dev’essere 
allegata 
alla 
dichiarazione 
dei 
redditi 
per l’anno in cui 
è 
avvenuta la modifica. 
(66) Le 
Zones 
de 
Protection di 
Patrimoine 
Architectural, Urbain et 
Paysager 
sono sviluppate 
su 
iniziativa 
e 
sotto la 
responsabilità 
del 
comune, con l'assistenza 
dell’Architecte 
des 
bâtiments 
de 
France. 
tali 
aree 
sono delimitate 
a 
seguito di 
un'indagine 
pubblica 
ordinata 
del 
Prefetto regionale 
con l'accordo 
del 
Comune 
e 
previo parere 
della 
Commission régionale 
du patrimoine 
et 
des 
sites. 
Le 
Zones 
de 
Protection 
di 
Patrimoine 
Architectural, Urbain et 
Paysager 
possono essere 
stabilite 
in aree 
limitrofe 
a 
monumenti 
storici, 
ma 
anche 
in 
quartieri 
o 
siti 
da 
proteggere. 
La 
costruzione, 
la 
demolizione, 
la 
trasformazione 
o 
la 
modifica 
degli 
edifici 
inclusi 
nel 
perimetro 
di 
predette 
zone 
sono 
subordinate 
ad 
una speciale autorizzazione. 
(67) 
La 
riduzione 
d’imposta 
per 
le 
opere 
di 
restauro 
compiute 
in 
S.P.r. 
coperti 
da 
un 
Plan 
de 
Sauvegarde 
et 
mise 
en Valeur, ovvero in quartieri 
storici 
degradati 
è 
del 
30%; 
mentre 
in tutti 
gli 
altri 
casi 
è 
del 22%. 

rASSeGnA 
AvvoCAturA 
DeLLo 
StAto -n. 3/2020 


ottenere 
la 
riduzione 
d’imposta, 
eccettuate 
le 
ipotesi 
in 
cui 
talune 
parti 
del-
l’edificio non necessitano di 
alcun intervento -e 
devono essere 
dichiarate 
di 
pubblica utilità (68). 

Le 
operazioni 
di 
restauro 
possono 
consistere 
in 
lavori 
di 
ripristino, 
di 
ammodernamento, 
nell’apporto migliorie, ma 
anche 
nell’eventuale 
demolizione 
di 
parte 
dell’immobile 
(seppur nei 
soli 
casi 
in cui 
è 
imposta 
dall’Amministrazione 
che 
delibera 
sul 
permesso di 
costruire 
ovvero è 
necessaria 
ai 
fini 
del-
l’abitabilità dell’edificio). 


Le 
spese 
di 
restauro danno diritto alla 
riduzione 
d’imposta 
solo se 
sostenute 
successivamente 
alla 
domanda 
di 
permesso di 
costruire 
ovvero della 
déclaration 
de 
travaux 
(depositate 
a 
partire 
dal 
1° 
gennaio 
2017), 
in 
accordo 
con 
l’Architecte 
des 
bâtiments 
de 
France 
ed in conformità 
con la 
dichiarazione 
di 
pubblica 
utilità 
o con il 
P.S.M.v. (69), e 
sono prese 
in considerazione 
soltanto 
entro il 
limite 
di 
un massimale 
pluriennale 
di 
400.000 euro (70) tra 
la 
data 
del 
permesso 
di 
costruzione 
e 
il 
31 
dicembre 
del 
terzo 
anno 
successivo 
(71). 
L’eventuale 
eccedenza 
annuale 
della 
riduzione 
fiscale 
può tuttavia 
essere 
riportata 
a nuovo. 


La 
riduzione 
d’imposta 
prevista 
dal 
sistema 
malraux 
non è 
cumulabile 
con altre riduzioni d’imposta (es. investissement locatif de tourisme). 


All’ingente 
vantaggio fiscale 
accordato dalla 
Loi 
malraux 
funge 
da 
contrappeso 
l’obbligo per il 
contribuente 
di 
procedere 
alla 
locazione 
dell’immobile 
ristrutturato 
come 
residenza 
principale 
(del 
conduttore) 
per 
un 
periodo 
minimo di 
9 anni, entro i 
dodici 
mesi 
successivi 
alla 
data 
di 
completamento 
dei lavori di restauro. 


il 
conduttore 
non 
può 
essere 
una 
persona 
afferente 
al 
foyer 
fiscal 
del 
soggetto 
beneficiario 
della 
misura, 
né 
un 
ascendente 
o 
un 
discendente 
del 
proprietario 
dell’immobile o dei soci della S.C.i. 


La 
riduzione 
d’imposta 
è 
messa 
in 
discussione 
qualora 
l’impegno 
del 
locatore 
viene 
meno 
nel 
corso 
dei 
9 
anni 
(tranne 
nei 
casi 
in 
cui 
quest’ultimo 
è 
deceduto, 
è 
stato 
licenziato 
o 
è 
incorso 
in 
un’invalidità 
di 
2° 
o 
3° 
categoria) 
(72) 


(68) 
non 
occorre 
la 
dichiarazione 
di 
pubblica 
utilità 
nelle 
ipotesi 
in 
cui 
risulta 
approvato 
un 
P.S.M.v. 
(69) tra 
le 
spese 
prese 
in considerazione 
ai 
fini 
della 
riduzione 
d’imposta 
non rientrano soltanto 
quelle 
inerenti 
ai 
lavori 
di 
costruzione, bensì 
anche 
gli 
ulteriori 
oneri 
fondiari 
derivanti 
dalla 
proprietà 
dell’immobile (es. 
taxe foncière). 
(70) il 
limite 
del 
plafond 
è 
stato portato a 
400.000 euro su base 
pluriennale 
dalla 
legge 
di 
bilancio 
francese del 2016. Per i lavori effettuati prima del 1° gennaio 2017 il 
plafond 
è di 100.000 euro annui. 
(71) Le spese che eccedono il limite in oggetto non sono prese in considerazione. 
(72) Gli 
assicurati 
riconosciuti 
invalidi, ai 
sensi 
dell’art. L. 341-3 del 
Code 
de 
la Sécurité 
sociale, 
sono classificati 
in una 
delle 
seguenti 
categorie: 
1) invalidi 
capaci 
di 
lavoro subordinato; 
2) invalidi 
assolutamente 
incapaci 
di 
eseguire 
qualsiasi 
occupazione; 
3) invalidi 
che 
sono assolutamente 
incapaci 
di 
esercitare 
una 
professione 
e 
sono anche 
obbligati 
a 
ricorrere 
a 
un sostegno di 
terzi 
per compiere 
gli 
atti 
di ordinaria amministrazione. 

LeGiSLAzione 
eD 
AttuALità 


ovvero 
nei 
casi 
di 
“démembrement” 
del 
diritto 
di 
proprietà 
(73) 
(ad 
eccezione 
delle 
ipotesi 
in 
cui 
il 
démambrement 
è 
conseguente 
al 
decesso 
del 
locatario 
e 
il 
coniuge 
sopravvissuto 
decide 
d’impegnarsi 
a 
propria 
volta 
ad 
ottemperare 
alle 
obbligazioni 
assunte). 


Al 
momento della 
rivendita 
di 
qualsiasi 
proprietà, ad eccezione 
delle 
residenze 
principali, 
il 
venditore 
deve 
pagare 
le 
tasse 
sulla 
plusvalenza 
realizzata 
(tranne 
nelle 
ipotesi 
in cui 
risulti 
titolare 
dell’immobile 
da 
più di 
22 anni 
per 
impôt sur le revenu, e da più di 30 anni per i 
prélèvements sociaux). 


Anche 
quando 
si 
vende 
un 
immobile, 
restaurato 
nell’ambito 
della 
Loi 
malraux, si 
applica 
il 
regime 
delle 
plusvalenze 
immobiliari. tuttavia, i 
lavori 
di 
restauro 
o 
ristrutturazione 
non 
sono 
inclusi, 
di 
regola, 
nel 
calcolo, 
atteso 
che 
tali 
spese 
sono 
già 
state 
prese 
in 
considerazioni 
ai 
fini 
della 
riduzione 
d’imposta 
prevista 
dal 
sistema 
malraux. Di 
talché 
non è 
possibile 
aggiungere 
queste 
ultime al prezzo d’acquisto dell’edificio. 


invero, 
qualora 
la 
vendita 
è 
conclusa 
nell’ambito 
di 
una 
vente 
d’immeuble 
à rénover 
(c.d. v.i.r.), il 
prezzo di 
costo dell’immobile 
viene 
calcolato includendo 
il 
costo di 
suddetti 
lavori 
(art. 150 vB c.g.i.), accordando così 
al 
venditore 
un ulteriore rilevante vantaggio fiscale. 


Sul 
punto, 
l’Amministrazione 
finanziaria 
francese 
in 
una 
risposta 
ministeriale 
pubblicata 
il 
12 
gennaio 
2017 
(74) 
affermava 
che 
non 
vi 
erano 
ostacoli 
affinché 
il 
contribuente 
potesse 
godere 
del 
doppio 
vantaggio 
fiscale 
derivante 
in 
specie 
dall’applicazione 
della 
Loi 
malraux. 
un’interpretazione, 
che, 
però, 
si 
scontrava 
con 
il 
dettato 
normativo 
dell’art. 
150, 
co. 
4, 
c.g.i., 
il 
quale 
prevede 
che 
il 
prezzo 
può 
essere 
aumentato 
delle 
spese 
di 
lavoro 
sostenute 
soltanto 
nelle 
ipotesi 
in 
cui 
le 
stesse 
non 
sono 
«déjà 
été 
prises 
en 
compte 
pour 
la 
détermination 
de 
l’impôt 
sur 
le 
revenu»; 
tanto 
da 
far 
tornare 
l’Amministrazione 
sui 
suoi 
passi. 


il 
10 gennaio 2019, infatti, con la 
risposta 
ministeriale 
“Frassa” 
(75) si 
è 
ritenuto di 
escludere 
dal 
prezzo di 
costo dell’immobile 
acquistato nell’ambito 
di 
un v.i.r. le 
spese 
sostenute 
per i 
lavori 
di 
ristrutturazione 
già 
prese 
in considerazione 
ai 
fini 
della 
determinazione 
dell’imposta 
sul 
reddito (i.r.), eliminando 
il 
doppio 
vantaggio 
fiscale 
scaturente 
dall’applicazione 
della 
Loi 
malraux. Ciononostante, parte 
della 
dottrina 
francese 
ritiene 
comunque 
che 
gli 
investimenti 
effettuati 
nell’ambito di 
un v.i.r. nel 
sistema 
malraux 
debbano 
mantenere tutti i loro vantaggi (76). 

(73) il 
démambrement 
del 
diritto di 
proprietà 
consiste 
nel 
separare 
il 
godimento del 
bene 
dalla 
proprietà 
dello stesso (c.d. nuda 
proprietà). nel 
diritto francese 
“la propriété 
est 
le 
droit 
de 
jouir 
et 
disposer 
des 
choses 
de 
la manière 
la plus 
absolue, pourvu qu'on n'en fasse 
pas 
un usage 
prohibé 
par 
les 
lois ou par les règlements” 
(art. 544 code civil). 
(74) v. rép. Eblé: Sén. 
12-1-2017 n. 21771. 
(75) v. rép. Eblé: Sén. 10-01.2019 n. 1409. 
(76) 
Cfr. 
jeAnne, 
VIr: 
détermination 
du 
prix 
d’acquisition, 
in 
WoLterS 
kLuWer 
FrAnCe 
-ACtuA-
LitÉS Du Droit, 19 gennaio 2019. 

rASSeGnA 
AvvoCAturA 
DeLLo 
StAto -n. 3/2020 


Alla 
luce 
di 
quanto 
sopraesposto, 
si 
possono 
quindi 
riscontrare 
diverse 
differenze 
tra 
la 
Loi 
malraux 
e 
Loi 
monuments 
Historiques, 
nonostante 
entrambe 
rappresentano 
efficaci 
misure 
a 
sostegno 
dei 
proprietari 
di 
dimore 
storiche: 


1) Ai 
fini 
dell’ottenimento dei 
vantaggi 
fiscali, mentre 
con la 
Loi 
monuments 
Historiques 
i 
proprietari 
devono 
impegnarsi 
a 
conservare 
l’immobile 
per un periodo minimo di 
15 anni, i 
soggetti 
che 
provvedono al 
restauro di 
un 
immobile 
situato in un’area 
da 
riqualificare 
devono impegnarsi, ai 
sensi 
della 
Loi malraux, a locare lo stesso per almeno 9 anni; 
2) 
La 
Loi 
monuments 
Historiques 
non 
obbliga 
il 
proprietario 
a 
locare 
l’immobile; 
al 
contrario, il 
sistema 
malraux 
impone 
un periodo di 
locazione 
di almeno 9 anni; 
3) il 
sistema 
di 
agevolazioni 
delineato dalla 
Loi 
monuments 
Historiques 
consente 
di 
dedurre 
i 
lavori 
di 
ristrutturazione 
effettuati 
dall’r.B.G. del 
foyer 
fiscal 
del 
contribuente, 
di 
regola, 
senza 
alcuna 
limitazione, 
mentre 
nel 
caso 
della 
Loi 
malraux, non solo le 
spese 
di 
ristrutturazione 
non sono deducibili 
dall’r.B.G. oltre 
il 
limite 
di 
10.700 euro, ma 
le 
stesse 
sono prese 
in considerazione 
ai fini della riduzione imposta. 
Anche 
la 
ratio 
sottesa 
alle 
due 
normative 
è 
diversa. 
Le 
disposizioni 
riconducibili 
alla 
Loi 
monuments 
Historiques, ormai 
integrata 
nel 
Code 
du Patrimoine, 
si 
prefigge 
quale 
scopo 
ultimo 
quello 
di 
fornire 
ai 
proprietari 
d’immobili 
storici 
dei 
vantaggi 
fiscali 
per 
incentivarne 
la 
conservazione; 
al 
contrario, la 
ratio 
della 
Loi 
malraux 
consiste 
nel 
promuovere 
la 
riqualificazione 
di 
talune 
aree 
urbane 
storiche 
degradate, incentivando il 
restauro d’immobili 
(non 
necessariamente 
storici, 
ma 
semplicemente 
rientranti 
nel 
perimetro della zona interessata) anche per mezzo di S.C.i. 


2.3.3. La Loi 
Aillagon. 
La 
legge 
n. 
2003-709 
del 
1° 
agosto 
2003, 
meglio 
nota 
come 
Loi 
Aillagon 
ovvero 
legge 
sul 
mecenatismo 
deducibile, 
rappresenta 
un’importante 
misura 
fiscale 
in 
favore 
dei 
“mecenati” 
(persone 
fisiche 
e 
società) 
ed 
economica 
a 
sostegno 
di 
taluni 
proprietari 
di 
dimore 
storiche 
classificate 
come 
monumenti 
storici 
o 
iscritte 
all’i.S.M.H., 
avente 
quale 
finalità 
ultima 
il 
sostegno 
di 
beni 
d’interesse 
generale 
ovvero 
l’acquisto 
di 
beni 
culturali 
dichiarati 
tesoro 
nazionale. 


Suddetta 
legge 
introduce 
un 
regime 
fiscale 
di 
favore 
nei 
confronti 
di 
privati 
e 
imprese 
che 
danno 
sostegno 
(finanziario, 
in 
natura 
o 
di 
competenze), 
a 
organismi 
riconosciuti 
d’interesse 
generale 
(artt. 
200 
e 
238 
bis 
c.g.i.), 
a 
titolo 
puramente 
liberale. 
Di 
talché 
è 
bene 
evidenziare 
sin 
da 
subito 
l’impossibilità 
per 
i 
privati 
(persone 
fisiche) 
proprietari 
di 
dimore 
storiche 
protette 
di 
godere 
dei 
benefici 
economici 
scaturenti 
dal 
c.d. 
mecenatismo 
deducibile, 
di 
seguito 
analizzati. 


numerosi 
risultano 
essere, 
allo 
stato, 
gli 
organismi 
d’interesse 
generale 



LeGiSLAzione 
eD 
AttuALità 


(come 
ad 
esempio 
fondazioni 
o 
associazioni 
riconosciute 
di 
pubblica 
utilità) 
titolari 
di 
dimore 
storiche 
(classificate 
o 
iscritte), 
anche 
d’ingente 
valore, 
che 
possono 
beneficiare 
delle 
misure 
previste 
dalla 
Loi 
Aillagon. 
tra 
questi, 
sovente, 
è 
possibile 
riscontrare 
anche 
organizzazioni 
che 
si 
prefiggono 
quale 
scopo 
precipuo 
proprio 
la 
valorizzazione 
del 
patrimonio 
storico-artistico 
francese 
(77). 


i benefici 
economici 
che 
i 
destinatari 
della 
donazione 
possono percepire 
dai 
“mecenati” 
possono 
essere 
di 
varia 
natura, 
a 
seconda 
della 
tipologia 
di 
mecenatismo 
scelto. 


La 
forma 
più 
conosciuta 
e 
più 
diffusa 
di 
mecenatismo 
è 
quello 
finanziario, 
che 
si 
basa 
su 
donazioni 
di 
denaro 
(in 
contanti, 
assegno, 
bonifico, 
o 
pagamento 
online) (78). 

Altre 
forme 
di 
mecenatismo praticate 
sono il 
mécénat 
en nature 
e 
il 
mécénat 
de 
compétences. nel 
primo caso, il 
donatore 
procede 
a 
fornire 
gratuitamente 
all’organizzazione 
d’interesse 
nazionale 
beni 
o 
servizi, 
mentre, 
nel 
secondo, 
si 
consente 
al 
beneficiario 
della 
donazione 
di 
usufruire 
delle 
capacità 
organizzative, gestionali e produttive del donante. 


Se 
il 
beneficiario ha 
diritto al 
patrocinio deducibile, la 
donazione 
o l’acquisto 
di 
beni 
culturali 
dichiarati 
tesoro 
nazionale 
comportano 
un 
conseguente 
beneficio fiscale 
per i 
donatori 
(persone 
fisiche 
e 
società), consistente 
in una 
riduzione d’imposta (79). 

La 
riduzione 
fiscale 
viene 
sottratta 
dall’importo 
dell’imposta 
sulle 
società 


o 
dell’imposta 
sul 
reddito 
(per 
le 
persone 
fisiche) 
dovuta 
dal 
donante 
per 
l’anno in cui ha realizzato i pagamenti. 
in particolare, le 
società 
(rectius 
i 
soggetti 
titolari 
di 
reddito di 
impresa), 
a 
partire 
dal 
1° 
gennaio 2020, possono godere 
di 
una 
riduzione 
di 
imposta 
del 
60% 
per 
la 
frazione 
della 
donazione 
inferiore 
o 
uguale 
a 
2 
milioni 
di 
euro, 
ovvero 
del 
40% dell'importo per la 
frazione 
superiore 
a 
2 milioni 
di 
euro, entro 
il 
limite 
di 
10.000 euro o del 
5 per mille 
del 
fatturato annuo al 
netto delle 
imposte 
(80). Se 
il 
plafond 
viene 
superato, è 
possibile 
riportare 
a 
nuovo l’eccedenza 
nei prossimi 5 esercizi successivi. 

Di 
converso, 
i 
“mecenati” 
privati, 
domiciliati 
in 
Francia 
(81), 
possono 
beneficiare 
di 
una 
riduzione 
di 
imposta 
pari 
al 
66% 
dell’ammontare 
della 
donazione, 
nel 
limite 
annuale 
del 
20% 
del 
reddito 
imponibile, 
e, 
se 
tale 
percentuale 
viene 
superata, 
la 
riduzione 
d’imposta 
può 
essere 
ripartita 
sui 
5 
anni 
successivi. 


(77) v. art. 238-bis, co. 1, lett. a, c.g.i. 
(78) La corresponsione della donazione non è sottoposta a 
t.v.A. (in italia i.v.A). 
(79) 
viceversa, 
qualora 
il 
beneficiario 
non 
ha 
diritto 
al 
patrocinio 
deducibile 
non 
potranno 
trovare 
applicazione i benefici fiscali previsti dalla 
Loi 
Aillagon. 
(80) il massimale si applica in relazione all’ammontare complessivo delle donazioni effettuate. 
(81) v. art. 4 B c.g.i. 

rASSeGnA 
AvvoCAturA 
DeLLo 
StAto -n. 3/2020 


occorre 
precisare, 
da 
ultimo, 
che 
sono 
previste 
anche 
agevolazioni 
fiscali 
specifiche 
per le 
imprese 
che 
donano finanziando l’acquisto di 
un bene 
culturale 
riconosciuto 
trésor 
national 
o 
di 
grande 
interesse 
per 
il 
patrimonio 
nazionale 
a 
vantaggio 
di 
una 
collezione 
pubblica. 
in 
tal 
caso, 
la 
riduzione 
d’imposta 
equivale 
al 
90% 
dell’importo 
della 
donazione, 
nel 
limite 
del 
50% 
dell’imposta 
dovuta 
dal 
donante. Mentre, nelle 
ipotesi 
di 
acquisto di 
tesori 
nazionali, a 
determinate 
condizioni 
(82), l’impresa 
deduce 
il 
40% dell’importo d’acquisto, 
nel limite del 
plafonnement global des avantages fiscaux 
(83). 

Ai 
fini 
dell’ottenimento dei 
predetti 
benefici 
fiscali, il 
destinatario della 
donazione 
deve 
rilasciare 
un’apposita 
ricevuta 
fiscale 
al 
“mecenate”, 
che 
dovrà 
allegarla alla propria dichiarazione dei redditi (84). 


2.4 Il 
modello anglosassone: breve 
introduzione 
al 
diritto di 
proprietà immobiliare. 
Per 
poter 
comprendere 
il 
modello 
di 
tutela 
e 
tassazione 
degli 
immobili 
storici 
all’interno 
del 
sistema 
anglosassone, 
occorre 
esaminare, 
preliminarmente, 
il concetto di proprietà immobiliare sotteso a tale ordinamento. 


in linea 
generale, il 
diritto di 
proprietà 
nel 
sistema 
anglosassone 
non corrisponde, 
sotto il 
profilo logico-sistematico, all’idea 
di 
proprietà 
dei 
sistemi 
di 
civil 
law 
(85). La 
proprietà 
rappresenta 
un concetto separato dalla 
res 
che 
ne costituisce l’oggetto (86). 

Mentre 
i 
sistemi 
di 
civil 
law 
sono incentrati 
sul 
principio di 
unicità 
del 
titolo 
di 
proprietà 
(87) quelli 
di 
common law 
si 
caratterizzano per il 
fatto che 
la 
proprietà 
rappresenta 
un insieme 
di 
diritti 
sul 
bene, comportando l’affermazione 
dell’opposto principio di 
molteplicità 
dei 
titoli 
concorrenti 
sulla 
medesima 
res. Di 
talché, è 
possibile 
la 
coesistenza 
sul 
medesimo bene 
immobile 
di 
molteplici 
estates. 


in 
inghilterra 
e 
Galles, 
tutti 
i 
beni 
immobili 
appartengono 
alla 
Corona 


(82) La 
riduzione 
d’imposta 
nei 
casi 
di 
acquisto diretto di 
un trésor 
national 
è 
possibile 
solo se: 
la 
proprietà 
non è 
stata 
oggetto di 
un’offerta 
d’acquisto da 
parte 
dello Stato; 
la 
società 
richiede 
l’approvazione 
per l’acquisto diretto del 
bene; 
la 
società 
si 
impegna 
a 
richiedere 
la 
sua 
classificazione 
come 
monumento 
storico; 
la 
proprietà 
non 
viene 
venduta 
entro 
10 
anni 
dall’acquisto 
e 
viene 
depositata 
presso 
un museo in Francia, un servizio di 
archivio pubblico o una 
biblioteca, appartenente 
allo Stato o posta 
sotto il suo controllo tecnico, per almeno 10 anni. 
(83) Per la 
tassazione 
2020 delle 
entrate 
del 
2019, i 
benefici 
fiscali 
totali 
non possono prevedere 
una 
riduzione 
dell’importo dell’imposta 
dovuta 
superiore 
a 
10.000 euro (art. 200-0 A 
c.g.i., da 
ultimo 
modificato dalla legge n. 2019-1479 del 28 dicembre 2019). 
(84) il 
destinatario della 
donazione 
deve 
provvedere 
a 
redigere 
la 
ricevuta 
sulla 
base 
del 
Formulaire 
n. 11580*04 du ministère chargé des finances. 
(85) Così 
BASSo, La proprietà inglese: profili 
logico-comparativi 
del 
possesso, in 
diritto.it, 10 
novembre 2011. 
(86) Così 
CAStronovo 
e 
MAzzAMuto, manuale 
di 
diritto privato europeo, vol. 2, Milano, 2007, 
p. 26. 
(87) in relazione al sistema italiano, v. art. 832 c.c. 

LeGiSLAzione 
eD 
AttuALità 


(88) ed ogni 
“proprietario” 
dei 
predetti 
assume 
la 
sola 
posizione 
formale 
di 
possessore dell’estate 
in ragione di una concessione regia (89). 
esistono due 
tipi 
principali 
di 
estate 
in land 
(possesso fondiario): 
il 
freehold 
estate 
e il 
leasehold estate 
(90). 
il 
freehold estate 
è 
riconducibile 
al 
diritto reale 
maggiormente 
rilevante 
nell’ordinamento 
anglosassone, 
in 
quanto 
non 
presenta 
alcun 
limite 
temporale 
e 
può essere 
liberamente 
trasferito dal 
titolare 
(c.d. freeholder) per atto 
inter 
vivos, nonché 
mortis 
causa 
(91), rappresentando, de 
facto, il 
diritto più vicino 
a 
quello 
di 
proprietà 
-piena 
ed 
esclusiva 
-dei 
beni 
immobili 
degli 
ordinamenti 
di 
civil law. 


il 
leasehold 
estate, 
invece, 
consiste 
nella 
concessione 
del 
diritto 
al 
possesso 
esclusivo 
di 
un 
bene 
immobile 
per 
un 
periodo 
di 
tempo 
determinato 
(92), 
inferiore 
a 
quello 
che 
il 
cedente 
(freeholder) 
vanta 
sul 
medesimo 
bene 
(93). 
Allo 
scadere 
del 
termine, 
in 
assenza 
di 
rinnovo, 
il 
diritto 
del 
freeholder 
si 
riespande, 
consentendo 
a 
quest’ultimo 
di 
riacquisire 
il 
pieno 
possesso 
dell’immobile. 


Al 
leaseholder, 
di 
regola, 
sono 
riconosciuti 
gli 
stessi 
poteri 
del 
freeholder, 
nonché 
i 
medesimi 
diritti, ivi 
compresa 
la 
facoltà 
di 
stipulare 
un contratto di 
lease 
di 
durata 
inferiore 
al 
proprio contratto (c.d. sublease). il 
contratto stipulato 
tra 
il 
freeholder 
ed il 
leaseholder, invero, può sancire 
peculiari 
restrizioni 
in relazione al godimento del bene immobile. 


ne 
deriva, dunque, la 
possibilità 
per qualsiasi 
edificio ubicato su suolo 
anglosassone 
di 
essere 
soggetto ad una 
gerarchia 
di 
diritti: 
il 
medesimo immobile 
appartenente 
alla 
Corona, 
infatti, 
potrebbe 
essere 
allo 
stesso 
tempo 
oggetto 
di 
freehold, leasehold 
e 
sublease estate. 


nel 
complesso 
sistema 
delineato, 
le 
riparazioni 
alla 
struttura 
dell’edificio 
sono 
a 
carico 
del 
freeholder, 
così 
come 
le 
opere 
di 
conservazione 
sulle 
dimore 
storiche 
catalogate 
di 
proprietà 
di 
quest’ultimo 
(94), 
le 
quali, 
però, 
a 
differenza 
delle 
prime, devono essere 
effettuate 
dall’interessato nel 
rispetto dei 
regolamenti 
di 
pianificazione 
vigenti, nonché 
delle 
normative 
specifiche 
relative 
a 
tali immobili (es. Town and Country Planning Act 
del 1990). 


(88) tuttavia, l’appartenenza dei beni alla Corona rappresenta oramai un mero tecnicismo. 
(89) Cfr. zAMBeLLi, Inghilterra: il 
mercato immobiliare 
ad uso commerciale, in Immobili 
e 
proprietà, 
2011, 2. 
(90) Sia 
il 
freehold estate 
che 
il 
leasehold estate 
sono stati 
riconosciuti 
dal 
Law Property 
Act 
del 
1925. 
(91) il 
trasferimento, tuttavia, diviene 
efficace 
solo a 
seguito di 
registrazione 
del 
titolo nel 
Land 
registry. 
(92) Storicamente 
la 
maggior parte 
dei 
contratti 
di 
leasehold 
ha 
durata 
novantanovennale. non è 
insolito, però, che tali contratti presentino una durata di 999 anni. 
(93) Cfr. Woodfall's Law of landlord and Tenant. 
(94) v. infra 
par. 2.5. 

rASSeGnA 
AvvoCAturA 
DeLLo 
StAto -n. 3/2020 


2.5. Catalogazione 
e 
conservazione 
dei 
beni 
immobili 
d’interesse 
storico in 
Gran Bretagna. 
il 
sistema 
britannico, 
al 
fine 
di 
realizzare 
una 
compiuta 
tutela 
dei 
beni 
immobili 
storici 
ovvero 
caratterizzati 
da 
un 
particolare 
interesse 
artistico, 
culturale 
o architettonico, prevede 
l’inserimento degli 
stessi 
in appositi 
elenchi 
sulla base di specifici parametri individuati dal Governo. 


Suddetto sistema 
di 
catalogazione 
si 
basa 
sulla 
fondamentale 
distinzione 
tra 
Ancient monuments 
e 
Historic Buildings. 


All’interno 
della 
prima 
categoria 
sono 
riconducibili 
le 
aree 
archeologiche, 
i 
monumenti 
e 
gli 
edifici 
antichi 
in condizioni 
tali 
da 
non prestarsi 
né 
ad usi 
abitativi 
né 
ad altro utilizzo (ivi 
comprese 
le 
costruzioni 
parzialmente 
o completamente 
sotto terra). viceversa, rientrano nella 
seconda 
categoria 
tutti 
gli 
edifici 
d’interesse 
storico 
ed 
artistico 
che 
si 
prestano 
ad 
una 
qualsiasi 
funzione 


o utilizzo (ivi comprese le dimore storiche di proprietà privata). 
tra 
gli 
Historic 
Buildings 
occorre 
poi 
distinguere 
gli 
scheduled 
buildings 
dai 
listed buildings: 
i 
primi 
rappresentano gli 
edifici 
di 
maggior pregio e 
antichi 
monumenti 
di 
rilevanza 
nazionale 
(95), 
nonché 
le 
aree 
archeologiche, 
già 
tutelati 
dall’Ancient 
Protect 
Act 
del 
1882 e 
successivamente 
protetti 
dal-
l’Ancient 
monument 
and Archeological 
Areas 
Act 
del 
1979; 
mentre 
i 
secondi 
gli 
immobili 
storici 
rilevanti 
per 
la 
loro 
storia, 
nonché 
per 
le 
loro 
caratteristiche 
architettoniche, salvaguardati 
dapprima 
dal 
Town and Country 
Planning Act 
del 
1947 e 
poi 
dal 
Town and Country 
Planning Act 
del 
1990, oggi 
integrato 
dal 
Planning and Compulsory Purchase 
Act 
del 2004. 


il 
procedimento 
di 
scheduling, 
effettuato 
esclusivamente 
nelle 
ipotesi 
in 
cui 
si 
riscontri 
la 
rilevanza 
nazionale 
del 
sito 
o 
dell’immobile 
(96), 
assicura 
il 
rispetto 
delle 
esigenze 
di 
protezione 
dell’edificio 
da 
ogni 
potenziale 
opera 
di 
restauro 
o 
modifica 
che 
potrebbe 
arrecarvi 
danni 
strutturali, 
subordinandola 
allo 
“scheduled 
monument 
consent” 
(97). 
in 
assenza 
di 
tale 
autorizzazione, 
il 
soggetto 
che 
ha 
intrapreso 
i 
lavori 
si 
espone 
a 
rilevanti 
sanzioni 
amministrative 
e 
penali. 


Lo scheduling 
avviene, in inghilterra 
e 
Galles, ad opera 
del 
Secretary 
of 
State 
for 
the 
Department 
for 
Culture, media and Sport 
(D.C.M.S.) (98) e, in 
Scozia 
e 
irlanda 
del 
nord, rispettivamente 
dallo Scottish Government 
e 
dalla 
Welsh Assembly. 


(95) v. s1 (3) Ancient monuments and Archaeological 
Areas 
Act 1979. 
(96) il 
Segretario di 
Stato, periodicamente, predispone 
una 
serie 
di 
criteri 
in base 
ai 
quali 
viene 
valutato 
il 
ricorso 
allo 
scheduling 
(es. 
rarità, 
stato 
di 
conservazione, 
fragilità, 
rappresentatività 
e 
rilevanza 
del bene). v. s61 (7) Ancient monuments and Archaeological 
Areas 
Act 1979. 
(97) in inghilterra lo scheduled monument consent 
è rilasciato dal D.C.M.S. 
(98) 
Le 
domande 
di 
scheduling 
o 
descheduling 
di 
un 
monumento 
sono 
gestite 
dalla 
Historic 
Buildings 
and 
monuments 
Commission 
for 
England, 
che 
ha 
il 
compito 
di 
effettuare 
un’attenta 
valutazione 
delle 
caratteristiche 
dell’edificio 
(o 
del 
sito), 
nonché 
di 
procedere 
all’eventuale 
raccomandazione 
al 
D.C.M.S. 

LeGiSLAzione 
eD 
AttuALità 


La 
designazione 
non 
può 
essere 
effettuata 
in 
relazione 
ad 
un 
ecclesiastical 
building 
in uso ecclesiastico o ad un edificio in uso come 
abitazione, a 
meno 
che la persona che vi abita non sia impiegata come custode del sito (99). 

il 
listing, 
invece, 
è 
un 
procedimento 
di 
catalogazione 
che 
riguarda 
edifici 
riconosciuti 
e 
protetti 
in ragione 
del 
loro speciale 
interesse 
storico, culturale, 
artistico o architettonico (c.d. 
listed buildings) (100). Attualmente 
il 
numero 
complessivo di 
questi 
ultimi, in inghilterra, secondo Historic 
Buildings 
and 
monuments 
Commission for 
England 
è 
di 
circa 
500.000 unità 
(101), di 
cui 
il 
56,8% è rappresentato dalle dimore storiche ad uso residenziale (102). 

Si 
considerano listed buildigs 
tutti 
gli 
edifici 
inseriti 
nelle 
specifiche 
statutory 
lists 
tenute 
dalla 
Historic 
Buildings 
and 
monuments 
Commission 
for 
England in inghilterra 
(103), dalla 
Historic 
Environment 
Scotland 
in Scozia, 
da 
Cadw 
in Galles, e 
dalla 
Historic 
Environment 
Division del 
Department 
for 
Communities 
nell’irlanda del nord. 


in particolare, i 
listed buildings 
inglesi, così 
come 
i 
scheduled buildings, 
vengono scelti 
dal 
Secretary 
of 
State 
for 
the 
Department 
for 
Culture, media 
and Sport, 
in base a specifici criteri descritti dalla 
English Heritage. 


L’inserimento 
di 
suddetti 
edifici 
nella 
National 
Heritage 
List 
for 
England 
può avvenire 
sia 
d’ufficio che 
dietro apposita 
richiesta 
del 
proprietario, delle 
autorità locali, ma anche di associazioni private. 


La 
presentazione 
dell’apposita 
istanza 
d’iscrizione 
al 
D.C.M.S. 
determina 
l’apertura 
di 
un complesso procedimento (c.d. spotlisting), la 
cui 
durata 
è 
di 
circa 
sei 
mesi. in tale 
lasso temporale 
l’English Heritage 
svolge 
tutte 
le 
indagini 
ed i 
sopralluoghi 
necessari, i 
cui 
risultati 
sono sintetizzati 
in un apposito 
report, 
obbligatorio 
ma 
non 
vincolante, 
che 
dev’essere 
consegnato 
al 
D.C.M.S. 


in inghilterra e Galles, gli edifici sono classificati in base a gradi di valore: 


-Grado i, rappresenta 
il 
massimo grado d’interesse 
e 
ricomprende 
gli 
edifici 
di 
“exceptional 
interest”; 


-Grado 
ii*, 
ricomprende 
gli 
edifici 
particolarmente 
importanti 
“more 
than 
special 
interest”; 


-Grado ii, costituito da edifici di particolare interesse (104). 

Secondo 
Historic 
Buildings 
and 
monuments 
Commission 
for 
England 
solo 
il 
2,5% 
dei 
listed 


buildings 
è 
di 
grado 
i, 
mentre 
il 
5,8% 
degli 
stessi 
è 
di 
grado 
ii* 
ed 
il 
restante 
91,7% 
di 
grado 
ii. 


(99) v. https://historicengland.org.uk/advice/hpg/has/scheduledmonuments. 
(100) 
Sul 
punto, 
cfr. 
Supreme 
Court, 
Dill 
vs 
Secretary 
of 
State 
for 
Housing, 
Communities 
and 
Local Government and another, 2020. 
(101) v. https://historicengland.org.uk/listing/what-is-designation/listed-buildings. 
(102) 
Secondo 
una 
recente 
ricerca 
effettuata 
da 
maintain 
our 
Heritage 
il 
numero 
complessivo 
delle 
dimore 
storiche 
ad uso residenziale, catalogate 
come 
listed buildings, si 
aggirerebbe 
intorno alle 
284.000 unità. 
(103) L’elenco tenuto dalla 
Historic 
Buildings 
and monuments 
Commission for 
England 
è 
denominato 
“National Heritage List for England”. 
(104) il Grado iii è stato abolito nel 1970. 

rASSeGnA 
AvvoCAturA 
DeLLo 
StAto -n. 3/2020 


in 
Scozia 
l’attuale 
base 
legislativa 
per 
il 
procedimento 
di 
listing 
è 
il 
Town 
and 
Country 
Planning 
(Scotland) 
Act 
del 
1997. 
Lo 
schema 
di 
classificazione 
dei 
listed 
buildings 
non 
si 
declina 
in 
gradi, 
ma 
in 
categorie, 
redatte 
in 
funzione 
del 
periodo 
storico, 
del 
tipo 
e 
dello 
stile 
dell’edificio. 


Lo schema di classificazione è il seguente: 


-Categoria 
A 
(massima), costituita 
da 
“buildings 
of 
special 
architectural 
or 
historical 
interest which are outstanding examples of a particular period, style or building type”. 


-Categoria 
B, 
ricomprende 
“buildings 
of 
special 
architectural 
or 
historic 
interest 
which 
are major examples of a particular period, style or building type”. 


-Categoria 
C, 
include 
i 
“buildings 
of 
special 
architectural 
or 
historic 
interest 
which 
are representative examples of a period, style or building type” 
(105). 


in 
irlanda 
del 
nord, 
invece, 
il 
sistema 
di 
catalogazione 
si 
basa 
sull’elenco 
previsto 
dalla 
Section 
80 
of 
the 
Planning 
Act 
(N.I.) 
del 
2011 
(106). 
L’elenco 
è 
redatto 
in 
funzione 
del 
diverso 
interesse 
storico, 
artistico 
o 
architettonico 
rivestito 
dall’edificio, 
che 
ne 
comporta 
l’inserimento 
in uno dei seguenti gradi di 
listed buildings 
(107): 


-Grado A (massimo), include gli edifici di rilevana nazionale dell’irlanda del nord; 


-Grado B+, comprende 
edifici 
di 
alta 
qualità 
che 
presentano caratteristiche 
eccezionali 
superiori 
a 
quelle 
presentate 
dagli 
immobili 
classificati 
nel 
grado B1, ma 
non sufficienti 
per 
configurarli 
come 
edifici 
di 
classe 
A, 
atteso 
il 
loro 
“incomplete 
design, 
lower 
quality 
additions 
or alterations” 
(108); 


-Grado 
B1, 
costituito 
dagli 
edifici, 
aventi 
rilevanza 
locale, 
qualificabili 
quali 
buoni 
esempi 
di 
un particolare 
periodo o di 
un determinato stile 
(“a degree 
of 
alteration or 
imperfection 
of design may be acceptable”); 


-Grado 
B2, 
costituito 
da 
edifici 
speciali 
di 
rilevanza 
locale 
che 
soddisfano 
i 
requisiti 
minimi 
per 
l’attribuzione 
della 
qualifica 
di 
listed 
building 
previsti 
dalla 
Historic 
Environment 
Division del Department for Communities nell’Irlanda del Nord. 


orbene, 
a 
prescindere 
dal 
sistema 
di 
catalogazione 
utilizzato, 
un 
listed 
buldings 
non può essere 
demolito (109), ampliato o modificato in assenza 
del 
“Listed 
Building 
Consent” 
(110) 
della 
local 
planning 
authority 
(autorità 
locale 
di 
pianificazione) ovvero, in alcune 
specifiche 
ipotesi, dell’agenzia 
governativa 
centrale 
competente 
(in 
particolare 
per 
modifiche 
significative 
agli 
edifici 
più 
importanti) 
(111). 
i 
lavori 
di 
manutenzione 
dell’immobile 
che 
non 
influen


(105) v. Town and Country Planning (Scotland) Act 1997. 
(106) 
Secondo 
il 
Department 
for 
Communities 
in 
irlanda 
del 
nord 
sono 
presenti 
circa 
8.900 
listed 
buildings. 
(107) 
v. 
Planning 
Policy 
Statement 
6 
Planning, 
Archaeology 
and 
the 
Built 
Heritage, 
D.o.E. 
NI, 
2011. 
(108) v. Planning Policy Statement, op. cit. 
(109) 
nei 
casi 
in 
cui 
il 
Listed 
Building 
Consent 
è 
richiesto 
per 
demolire 
l’edificio 
storico 
protetto, 
ai 
fini 
di 
una 
riqualificazione 
dell’area 
interessata, il 
richiedente 
dovrà 
contestualmente 
richiedere 
un 
planning permission all’autorità locale per la nuova costruzione. 
(110) Cfr. PeLLizzAri, Il 
ruolo dei 
privati 
e 
la tutela del 
patrimonio culturale 
nell'ordinamento 
giuridico inglese: un modello esportabile?, in 
Aedon 
1/2010. 
(111) invero, qualora 
i 
listed buildings 
risultano qualificabili 
come 
ecclesiastical 
building 
in uso 
di 
culto, in relazione 
agli 
stessi 
non trova 
applicazione 
la 
disciplina 
di 
controllo sopraindicata 
(Listed 

LeGiSLAzione 
eD 
AttuALità 
147 


zano il 
suo peculiare 
carattere 
storico, artistico o architettonico, tuttavia, sono 
esenti dalla predetta autorizzazione (112). 

nei 
casi 
in cui 
il 
privato non richiede 
l’autorizzazione 
non solo si 
espone 
ad una 
possibile 
(rectius 
probabile) richiesta, ove 
possibile, di 
remissione 
in 
pristino dello stato dei 
luoghi 
da 
parte 
dell’Amministrazione, bensì 
anche 
alle 
sanzioni penali previste in specie dalla normativa vigente. 


Allorquando 
la 
domanda 
di 
“Listed 
Building 
Consent” 
è 
respinta, 
ovvero 
sottoposta 
a 
condizione, 
dall’autorità 
di 
pianificazione 
locale, 
l’interessato 
può 
ricorrere 
all’autorità 
governativa 
centrale 
(in 
inghilterra 
il 
D.C.M.S.). 


il 
proprietario del 
listed building deve 
mantenere 
il 
proprio immobile 
in 
uno stato di ragionevole conservazione (113). 

Se 
un’autorità 
locale 
ritiene 
che 
un listed building 
non è 
adeguatamente 
conservato, può emettere 
nei 
confronti 
del 
proprietario un “repairs 
Notice” 
(Avviso 
di 
riparazione) 
ai 
sensi 
della 
Sezione 
48 
del 
Planning 
(Listed 
Buildings 
and Conservation Areas) Act 
del 
1990 (114). tale 
avviso deve 
specificare 
le 
opere 
che 
l’Amministrazione 
ritiene 
ragionevolmente 
necessarie 
per 
la 
corretta 
conservazione 
dell’edificio 
e 
deve 
contenere 
al 
proprio 
interno 
l’avvertimento 
di 
un eventuale 
Compulsory 
Purchase 
order 
nell’ipotesi 
di 
inottemperanza 
dello stesso (115). 

Qualora, 
entro 
due 
mesi, 
l’interessato 
non 
ottempera 
al 
provvedimento 
dell’autorità 
locale, 
quest’ultima 
emette 
un 
provvedimento 
di 
esproprio 
(Compulsory 
Purchase 
order) -in funzione 
del 
quale 
è 
previsto un indennizzo particolarmente 
modesto 
(minimum 
compensation) 
-che 
dev’essere 
presentato 
all’autorità governativa per la conferma. 

in inghilterra 
l’autorità 
governativa 
competente 
è 
il 
D.C.M.S, che 
provvede 
alla 
conferma 
del 
provvedimento dell’autorità 
locale 
al 
ricorrere 
di 
tre 
condizioni: 
il 
privato non deve 
aver adottato delle 
misure 
ragionevoli 
per preservare 
l’edificio, dev’essere 
opportuno preservare 
l’immobile 
e 
deve 
sussistere 
la necessità del suo acquisto per garantirne la conservazione. 


i proprietari 
di 
listed buildings 
possono, in alcuni 
casi, ottenere 
sovvenzioni 
o prestiti per realizzare le opere di conservazione sui propri immobili. 


i finanziamenti 
sono per lo più erogati 
dalla 
Historic 
Buildings 
and monuments 
Commission 
for 
England 
e 
dalle 
autorità 
locali, 
che, 
attraverso 
il 
loro 


Building 
Consent 
e, 
se 
del 
caso, 
planning 
permission) 
nelle 
ipotesi 
in 
cui 
l’organizzazione 
religiosa 
pertinente 
applica la propria procedura di autorizzazione equivalente. 

(112) Si 
pensi 
ai 
lavori 
di 
ordinaria 
manutenzione 
(es. aggiunta 
punto luce; 
sostituzione 
sanitari 
o lavabi; installazione zanzariere; riparazione grondaie…). 
(113) v. art. 47 Planning (Listed Buildings and Conservation Areas) Act 
del 1990. 
(114) Avverso il 
repairs Notice 
non è prevista la possibilità di ricorrere in giudizio. 
(115) nello specificare 
suddette 
opere 
l’Amministrazione 
non ha 
l’obbligo di 
prendere 
in considerazione 
i mezzi finanziari del proprietario. 

rASSeGnA 
AvvoCAturA 
DeLLo 
StAto -n. 3/2020 


operato, garantiscono la 
sostenibilità 
dei 
lavori 
di 
conservazione 
da 
parte 
dei 
proprietari di 
listed buildings. 


un 
peculiare 
sistema 
di 
finanziamento 
del 
patrimonio 
storico 
culturale 
britannico 
è 
rappresentato 
dall’Heritage 
Lottery 
Funding: 
un 
meccanismo 
che 
impegna 
circa 
375 
milioni 
di 
sterline 
da 
investire, 
ogni 
anno, 
in 
progetti 
sul 
patrimonio 
(116). 


L’Heritage 
Lottery 
Fund 
è 
gestito 
dal 
National 
Heritage 
memorial 
Fund, 
a 
cui 
è 
affidata 
la 
responsabilità 
di 
distribuire 
una 
quota 
del 
denaro raccolto 
attraverso 
la 
lotteria 
nazionale 
alle 
Good 
Causes 
collegate 
al 
patrimonio 
in 
tutto 
il 
regno 
unito 
(ivi 
compresi 
i 
progetti 
di 
conservazione 
e 
ristrutturazione 
di 
listed building) (117). 

2.6. La tassazione 
immobiliare 
e 
le 
misure 
fiscali 
di 
sostegno ai 
proprietari 
di 
listed buildings. 
il 
sistema 
di 
tassazione 
degli 
immobili 
inglesi 
è 
profondamente 
difforme 
da quello francese, e più in generale da quelli di 
civil law. 


L’imposizione 
diretta 
sugli 
immobili 
britannici, 
riguardante 
anche 
i 
listed 
buildings, è 
riconducibile, in inghilterra, Galles 
e 
Scozia, alla 
Council 
tax; 
di 
converso, in irlanda 
del 
nord continua 
ad operare 
un sistema 
di 
tassazione 
locale 
degli stessi (c.d. domestic rate). 


La 
Council 
tax, introdotta 
dal 
Local 
Government 
Finance 
Act 
del 
1992, 
non si 
configura 
come 
un’imposta 
patrimoniale, bensì 
quale 
tassa 
unica, imposta 
dal 
Borough 
(Comune) che 
amministra 
il 
territorio sui 
cui 
sorge 
l’immobile, 
per 
la 
fornitura 
dei 
servizi 
offerti 
da 
quest’ultimo 
alla 
comunità 
locale. 


La 
tassa, essendo legata 
alla 
fruizione 
di 
servizi, è 
a 
carico di 
chi 
utilizza 
la 
proprietà. 
Pertanto, 
nelle 
ipotese 
di 
lease 
(v. 
supra 
par. 
2.4) 
è 
dovuta 
dal 
leaseholder 
e non dal 
freeholder. 


Ai 
sensi 
del 
Local 
Government 
Finance 
Act 
del 
1992, 
il 
tributo 
dev’essere 
calcolato progressivamente 
sulla 
base 
del 
valore 
dell’immobile, tenuto conto 
del fabbisogno comunale per l’espletamento dei servizi locali (118). 

in taluni 
casi 
peculiari, tuttavia, sono previste 
delle 
ipotesi 
di 
esenzione, 
nonché 
di 
riduzione 
del 
tributo, anche 
discrezionali 
da 
parte 
dalle 
singole 
autorità 
locali 
(119). in particolare, a 
mero titolo esemplificativo, si 
precisa 
che 
sono esenti 
dall’ambito applicativo di 
suddetta 
tassa 
gli 
immobili 
occupati 
da 
leaseholder 
e 
freeholder 
con 
età 
inferiore 
o 
uguale 
a 
18 
anni, 
nonché 
gli 
edifici 
abitati 
da 
ministri 
di 
culto; 
mentre 
specifiche 
riduzioni 
sono accordate 
nelle 
ipotesi 
di 
occupazione 
dell’immobile 
da 
parte 
di 
un solo adulto (riduzione 
del 


(116) 
Dal 
1994 
i 
giocatori 
della 
lotteria 
nazionale 
hanno 
consentito 
di 
raccogliere 
circa 
34 
miliardi 
di sterline per progetti sul patrimonio storico-artistico in tutto il regno unito. 
(117) Per un approfondimento, v. https://www.heritagefund.org.uk/. 
(118) i coniugi e i conviventi sono condebitori del tributo. 
(119) A 
discrezione 
dell’ente 
locale 
si 
possono ottenere 
sconti 
(fino al 
50%) per le 
seconde 
abitazioni, 
occupate o vuote (cfr. The Council Tax reduction Schemes (England) regulations 
del 2012). 

LeGiSLAzione 
eD 
AttuALità 


25% 
della 
tassa), 
ovvero 
di 
persone 
disabili 
(attribuzione 
di 
una 
fascia 
inferiore 
a quella prevista 
ex lege). 


La 
tassa 
presenta 
degli 
scaglioni 
progressivi 
(120), costruiti 
in Scozia 
e 
in 
inghilterra 
utilizzando 
i 
prezzi 
di 
mercato 
riscontrati 
nell’Aprile 
1991, 
mentre 
in Galles i prezzi di mercato rivalutati dell’Aprile 2003 (121). 

il 
governo 
centrale 
fissa 
il 
valore 
minimo 
e 
quello 
massimo 
di 
ciascun 
scaglione 
e 
l’ente 
locale 
l’ammontare 
d’imposta 
per 
ciascuna 
“fascia 
di 
valore” 


(c.d. 
council tax band). 
La 
Council 
tax 
varia 
in 
base 
al 
tipo 
di 
abitazione, 
alla 
zona 
in 
cui 
l’edificio 
è ubicato, nonché al numero di persone che occupano l’immobile. 
in 
irlanda 
del 
nord, 
al 
posto 
della 
Council 
tax, 
trova 
applicazione 
una 
“domestic 
rate” 
sulla 
proprietà 
immobiliare, destinata 
alla 
gestione 
dei 
sevizi 
locali e calcolata sul valore di mercato degli immobili (122). 

L’aliquota 
della 
tassa 
è 
data 
dalla 
somma 
di 
due 
componenti: 
la 
District 
rate, 
fissata 
annualmente 
dai 
singoli 
consigli 
ed 
utilizzata 
per 
pagare 
servizi 
come 
la 
raccolta, 
il 
riciclaggio 
e 
lo 
smaltimento 
dei 
rifiuti, 
la 
pulizia 
delle 
strade, 
dei 
parchi, 
nonché 
i 
community 
services 
(123); 
la 
regional 
rate, 
fissata 
dal 
governo 
centrale 
ed 
utilizzata 
per 
pagare 
servizi 
come 
istruzione 
e 
sanità 
(124). 


Specifiche 
agevolazioni 
sono 
previste 
in 
relazione 
ad 
immobili 
ad 
uso 
residenziale 
di proprietà d’individui a basso reddito, disabili e ultrasettantenni. 


inoltre, qualora 
l’immobile 
non è 
occupato, ammobiliato e 
neanche 
utilizzato 
come 
deposito, 
i 
proprietari 
possono 
essere 
esentati 
dal 
pagamento 
della tassa in oggetto. 

Ciò 
posto, 
è 
necessario 
precisare 
che, 
ad 
oggi, 
le 
autorità 
locali 
non 
hanno 
previsto specifiche 
ipotesi 
di 
esenzione 
o riduzione 
di 
entrambe 
le 
tasse 
sopraindicate 
per 
i 
proprietari 
di 
listed 
buildings; 
di 
talché, 
affinché 
questi 
ultimi 
possano 
ritenersi 
esenti 
dal 
pagamento 
di 
tali 
tributi 
dovranno 
necessariamente 
ricorrere 
le 
ordinarie 
ipotesi 
di 
esenzione 
e 
riduzione 
ut 
supra. 
Al 
contrario, 
specifiche 
misure 
fiscali 
di 
sostegno 
ai 
predetti 
proprietari 
sono 
state 
introdotte 
in relazione all’imposizione fiscale immobiliare indiretta. 

in particolare, mentre 
in relazione 
alla 
Capital 
gains 
tax 
(imposta 
sulle 
plusvalenze) 
trovano 
applicazione 
le 
comuni 
ipotesi 
di 
esenzione 
previste 
dalla 
legge 
in tema 
di 
vendita 
dell’abitazione 
principale, nonché 
di 
roll-over 
relief 


(120) in inghilterra gli scaglioni sono otto ed indicati da lettere (da “A” ad “H”). 
(121) 
Cfr. 
Entrate 
Tributarie 
Internazionali, 
report 
Gennaio 
-Settembre 
2018, 
Ministero 
del-
l’economia 
e 
delle 
Finanze, 
Dipartimento 
delle 
Finanze, 
Direzione 
Studi 
e 
ricerche 
economico 
Fiscali, 
ufficio iii, Bollettino 117, nov. 2018, p. 22 
(122) 
il 
Land 
and 
Property 
Services 
è 
l’autorità 
responsabile 
del 
calcolo 
del 
valore 
della 
proprietà. 
Per le 
“non-domestic 
properties”, come 
aziende 
e 
uffici, la 
tassa 
è 
calcolata 
sul 
valore 
locativo delle 
proprietà. 
(123) tale componente rappresenta il 44% dell’imposta della 
domestic rate. 
(124) v. https://www.belfastcity.gov.uk/council/rates/whatarerates.aspx. 

rASSeGnA 
AvvoCAturA 
DeLLo 
StAto -n. 3/2020 


(125), occorre 
rilevare, in riferimento alla 
Inheritance 
tax 
(tassa 
sulle 
successioni) 
(126), che 
i 
proprietari 
di 
taluni 
listed buildings 
possono beneficiare 
di 
precipui vantaggi fiscali. 


L’Inheritance 
tax 
è 
un 
tributo 
proporzionale 
(127) 
dovuto 
dagli 
eredi 
del 
de 
cuius 
sulle 
proprietà 
loro 
trasferite 
a 
seguito 
del 
decesso 
di 
quest’ultimo. 


non è 
previsto il 
pagamento di 
suddetta 
imposta 
nelle 
ipotesi 
in cui 
il 
valore 
delle 
proprietà 
del 
de 
cuius 
è 
inferiore 
a 
325.000 sterline 
e, nei 
casi 
in cui 
il 
valore 
risulti 
superiore 
a 
tale 
soglia, allorquando l’eccedenza 
è 
lasciata 
a 
favore 
del 
coniuge, 
del 
partner 
unito 
civilmente, 
di 
un 
ente 
di 
beneficenza 
ovvero 
di una società sportiva dilettantistica (128). 

invero, si 
precisa 
che 
alcuni 
beni, a 
determinate 
condizioni, non formano 
oggetto 
di 
Inheritance 
tax. 
tra 
questi 
si 
riscontrano 
i 
“Buildings 
of 
outstanding 
historic 
or 
architectural 
interest” 
e 
gli 
“objects 
historically 
associated with 
an outstanding building”, a 
patto che 
il 
nuovo proprietario si 
impegni 
a 
garantirne 
un 
accesso 
ragionevole 
al 
pubblico, 
nonché 
ad 
assumere 
adeguate 
misure 
per la loro manutenzione, conservazione e riparazione. 


Di 
talché, è 
evidente, in assenza 
di 
una 
specifica 
disposizione 
legislativa 
sul 
punto, 
la 
possibilità 
di 
ricondurre 
taluni 
listed 
buildings 
alla 
prima 
categoria 
d’immobili 
(esente) 
sopraindicata, 
quantomeno 
in 
relazione 
agli 
edifici 
protetti 
classificati 
di 
i 
o 
ii*. 
La 
valutazione 
dell’outstanding 
historic 
or 
architectural 
interest 
rappresenta 
infatti 
una 
questione 
di 
giudizio, 
che 
consente 
agevolmente 
la 
riconduzione 
dei 
listed building di 
rilevanza 
nazionale, nonché 
dei 
scheduled monument, all’interno di 
tale 
ambito d’esenzione 
in ragione 
delle 
loro peculiari caratteristiche (v. supra 
par. 2.5). 


L’esenzione 
condizionale 
in 
oggetto 
trova 
applicazione 
anche 
in 
relazione 
alla 
successiva 
cessione 
della 
proprietà 
a 
causa 
di 
morte 
del 
destinatario, 
ovvero 
relativamente 
ad 
ogni 
ulteriore 
trasferimento 
o 
donazione 
dell’immobile 
di 
eccezionale 
interesse 
storico 
o 
architettonico, 
fintanto 
che 
il 
nuovo 
proprietario 
stipuli 
nuovi 
impegni 
di 
conservazione 
dell’edificio 
e 
di 
accesso 
al 
pubblico. 


in relazione 
alla 
Inheritance 
tax 
può trovare 
applicazione 
l’Acceptance 
in Lieu (129), un istituto di 
diritto tributario britannico che 
consente 
la 
cancellazione 
(totale 
o 
parziale) 
dell’imposta 
sulle 
successioni 
in 
cambio 
dell’acquisizione 
da parte di soggetti pubblici di opere di rilevanza nazionale. 


(125) 
Sul 
punto, 
tuttavia, 
occorre 
precisare 
che 
qualora 
l’immobile 
è 
oggetto 
di 
una 
private 
treaty 
sales 
tra 
un 
museo 
(ovvero 
un 
ente 
avente 
quale 
finalità 
la 
salvaguardia 
del 
patrimonio 
culturale 
inglese) 
ed un privato, sovente, in favore 
di 
quest’ultimo sono previsti 
notevoli 
vantaggi 
finanziari 
e 
fiscali 
(v. 
ss 25, 32, 230 Inheritance Tax 
Act 
del 1984). 
(126) tassa 
introdotta 
nel 
regno unito il 
18 marzo 1986 con il 
Finance 
Act 
1986 in sostituzione 
della 
Capital Transfer Tax. 
(127) L’aliquota dell'Inheritance tax 
standard è del 40%. 
(128) Qualora 
il 
de 
cuius 
lascia 
la 
propria 
casa 
ai 
figli 
(anche 
adottati) o ai 
nipoti 
la 
soglia 
sale 
a 
500.000 sterline. 
(129) v. Parte ii, National Heritage 
Act 
del 1980. 

LeGiSLAzione 
eD 
AttuALità 


Al 
contribuente 
è 
riconosciuto 
il 
valore 
di 
mercato 
del 
bene 
assegnato 
alle 
istituzioni 
pubbliche 
del 
regno unito -inclusi 
musei, gallerie, archivi 
e 
biblioteche 
-in 
luogo 
dell’imposta 
dovuta. 
in 
tal 
modo, 
l’interessato 
è 
in 
grado 
di 
ottenere 
un valore 
maggiore 
per il 
bene 
“donato” 
rispetto a 
quello che 
lo 
stesso avrebbe 
potuto ottenere 
offrendolo all’asta 
al 
fine 
di 
raccogliere 
fondi 
per estinguere il proprio debito con l’erario (130). 

Attraverso 
il 
meccanismo 
dell’Acceptance 
in 
Lieu, 
tuttavia, 
il 
contribuente 
non ottiene 
soltanto una 
riduzione 
dell’importo dell’imposta 
dovuta, 
bensì 
anche 
l’incomputabilità 
del 
valore 
del 
bene 
ai 
fini 
del 
calcolo dell’imponibile, 
conseguendo di fatto un duplice vantaggio fiscale. 


Suddetto 
meccanismo, 
gestito 
dall’Art 
Council 
England, 
necessita 
del-
l’approvazione, in inghilterra, del 
Secretary 
of 
State 
for 
Culture, media and 
Sport 
ovvero dei 
ministri 
competenti 
nei 
governi 
di 
Scozia, Galles 
e 
irlanda 
del nord (ove applicabile). 


Sebbene 
alcune 
offerte 
presentino condizioni 
o un desiderio di 
assegnazione, 
l’Amministrazione 
cerca 
di 
garantire 
che 
le 
opere 
acquisite 
tramite 
lo 
schema 
dell’Acceptance 
in Lieu 
siano distribuite 
in modo equo e 
ragionevole 
in tutto il regno unito. 


ordunque, 
da 
quanto 
analizzato, 
emerge 
chiaramente 
l’intento 
del 
legislatore 
britannico 
di 
incentivare 
meccanismi 
“pubblici” 
di 
finanziamento 
e 
sovvenzione 
delle 
opere 
di 
conservazione 
dei 
listed 
buldings 
(comprese 
le 
dimore 
storiche 
di 
proprietà 
privata) 
a 
discapito 
delle 
misure 
fiscali 
a 
sostegno 
delle 
predette. 


A 
differenza 
di 
altri 
ordinamenti, 
infatti, 
quello 
anglosassone 
presenta 
una 
politica 
di 
sostegno ai 
proprietari 
d’immobili 
storici 
“protetti” 
fortemente 
orientata 
ad una 
tutela 
diretta 
di 
tipo economico, piuttosto che 
ad una 
tutela 
indiretta di tipo fiscale basata su detrazioni e deduzioni. 


3. Il 
sistema italiano di 
protezione, conservazione 
e 
tassazione 
delle 
dimore 
storiche di proprietà privata. 
3.1. 
La 
tutela 
del 
patrimonio 
culturale 
privato. 
Le 
dimore 
storiche 
di 
proprietà 
privata tra vincoli e obblighi conservativi. 
il 
D.lgs. 
n. 
42/2004 
(c.d. 
Codice 
dei 
beni 
culturali 
e 
del 
paesaggio), 
nel 
dare 
attuazione 
all’art. 
9 
della 
Carta 
Costituzionale, 
riafferma 
con 
forza 
l’obbligo 
dello 
Stato 
di 
tutelare 
e 
valorizzare 
il 
patrimonio 
culturale 
-inteso 
in 
modo 
unitario, 
senza 
distinzioni 
di 
sorta 
-per 
preservare 
la 
“memoria 
della 
comunità 
nazionale 
e 
del 
suo 
territorio”, 
nonché 
per 
promuovere 
lo 
sviluppo 
della 
cultura. 


Le 
dimore 
storiche 
(rectius 
gli 
immobili 
d’interesse 
storico 
e 
artistico) 
devono 
essere 
ricomprese 
nel 
più 
ampio 
genus 
dei 
beni 
rientranti 
nel 
patrimo


(130) il 
valore 
degli 
oggetti 
“donati” 
tramite 
il 
meccanismo dell’Aceptance 
in Lieu 
è 
limitato a 
30 milioni di sterline. 

rASSeGnA 
AvvoCAturA 
DeLLo 
StAto -n. 3/2020 


nio culturale 
costituzionalmente 
tutelato. La 
protezione 
e 
la 
conservazione 
di 
queste 
ultime, tuttavia, non è 
sempre 
(e 
solo) a 
carico dello Stato, atteso che 
sovente 
le 
stesse 
risultano di 
proprietà 
di 
soggetti 
privati 
chiamati 
a 
“garantirne 
la conservazione” 
(art. 30 D.Lgs. n. 42/2004). 

L’idea 
di 
una 
tutela 
statale 
esclusiva 
dei 
beni 
culturali, invalsa 
per lungo 
tempo all’interno del 
nostro paese, deve 
lasciare 
il 
posto ad un’idea 
nuova 
di 
protezione 
degli 
stessi, che 
vede 
la 
partecipazione 
attiva 
dei 
soggetti 
privati 
alle 
opere 
di 
manutenzione, conservazione 
e 
restauro di 
detti 
beni. una 
partecipazione 
che, però, dev’essere incentivata sempre più dal legislatore. 


L’attuale 
quadro 
normativo 
relativo 
ai 
beni 
culturali 
privati, 
prevede 
a 
carico 
dei 
proprietari, 
dei 
possessori 
e 
dei 
detentori 
di 
detti 
beni 
non 
solo 
obblighi 
peculiari 
di 
tutela 
e 
conservazione, scaturenti 
dalla 
dichiarazione 
d’interesse 
culturale 
di 
cui 
all’art. 
13 
del 
D.Lgs. 
n. 
42/2004, 
bensì 
anche 
la 
necessità 
della 
preventiva 
autorizzazione 
statale 
ai 
fini 
della 
realizzazione 
di 
opere 
di 
demolizione, 
modifica e restauro sugli stessi (art. 21). 


Ai 
fini 
del 
riconoscimento 
dell’interesse 
culturale 
del 
bene 
-e 
conseguentemente 
dell’applicazione 
delle 
prescrizioni 
ut 
supra 
-il 
D.Lgs. 
n. 
42/2004 
prevede 
due 
distinte 
procedure: 
la 
prima 
relativa 
alle 
ipotesi 
in 
cui 
la 
res 
risulta 
di 
proprietà 
di 
regioni, 
province, 
comuni, 
altri 
enti 
pubblici, 
nonché 
di 
persone 
giuridiche 
private 
senza 
scopi 
di 
lucro 
(c.d. 
procedura 
di 
verifica 
dell’interesse 
culturale) (131); 
la 
seconda 
riguardante 
i 
beni 
culturali 
privati 
(132) (c.d. dichiarazione 
d’interesse culturale) (133). 

La 
procedura 
di 
cui 
all’art. 
12 
D.Lgs. 
n. 
42/2004 
prevede 
che 
i 
beni 
mobili 
e 
immobili 
appartenenti 
ad enti 
pubblici 
e 
a 
persone 
giuridiche 
private 
senza 
scopo di 
lucro debbano essere 
sottoposte 
ad uno specifico “procedimento di 
verifica”, volto ad accertare 
la 
sussistenza 
dell’interesse 
culturale, in due 
ipotesi 
peculiari: 


1. quando il bene oggetto di verifica risale ad oltre settanta anni; 
2. 
quando la 
res 
è stata realizzata ad opera di un autore non più vivente. 
L’interesse 
culturale 
dev’essere 
riscontrato dai 
competenti 
organi 
ministeriali 
-d’ufficio 
o 
su 
richiesta 
formulata 
dai 
soggetti 
cui 
le 
cose 
appartengono 


-sulla 
base 
degli 
indirizzi 
di 
carattere 
generale 
stabiliti 
dal 
Ministero per garantirne 
l’uniformità della valutazione. 
in 
attesa 
dell’esito 
della 
verifica, 
in 
relazione 
a 
tali 
beni 
trova 
applicazione 
(ex 
lege), seppur provvisoriamente, la 
disciplina 
relativa 
alla 
tutela 
dei 
beni 
d’interesse culturale di cui alla Parte ii del D.Lgs. n. 42/2004. 


(131) v. artt. 10 co. 1, e 12 D.Lgs. 42/2004. 
(132) v. art. 13 D.Lgs. n. 42/2004. 
(133) Cfr. CASini, Il 
«nuovo» codice 
dei 
beni 
culturali 
e 
del 
paesaggio, in Giornale 
Dir. Amm., 
2006, 10, p. 1067. 

LeGiSLAzione 
eD 
AttuALità 


Di 
converso, la 
dichiarazione 
dell’interesse 
culturale, sancita 
dall’art. 13 
D.Lgs. n. 42/2004, consiste 
in una 
procedura 
volta 
a 
riconoscere 
la 
rilevanza 
storico-culturale 
di 
un 
determinato 
bene 
mobile 
o 
immobile 
privato 
(134). 
Quest’ultima 
è 
effettuata 
dal 
soprintendente, 
anche 
su 
motivata 
richiesta 
della 
regione, nonché 
“di 
ogni 
altro ente 
territoriale 
interessato”, il 
quale 
è 
chiamato 
a 
comunicare 
al 
proprietario, al 
possessore 
ovvero al 
detentore 
della 
res 
l’avvio del procedimento. 


La 
comunicazione, 
contiene 
gli 
elementi 
di 
identificazione 
e 
di 
valutazione 
della 
res 
risultanti 
dalle 
prime 
indagini, 
nonché 
l’indicazione 
del 
termine, 
comunque 
non 
inferiore 
a 
trenta 
giorni, 
per 
la 
presentazione 
di 
eventuali 
osservazioni, 
nelle 
ipotesi 
in 
cui 
il 
procedimento 
ha 
ad 
oggetto 
unità 
immobiliari, 
dev’essere 
inviata 
anche 
al 
comune 
e 
alla 
città 
metropolitana 
ove 
è 
ubicato 
il 
fabbricato. 


Al 
termine 
del 
procedimento 
la 
dichiarazione 
dell’interesse 
culturale 
è 
adottata 
dal 
Ministero e 
successivamente 
notificata 
al 
proprietario, al 
possessore 
o comunque al detentore del bene interessato (135). 

Qualora 
la 
dichiarazione 
insiste 
su 
di 
un 
bene 
immobile 
il 
provvedimento 
è 
trascritto, 
su 
richiesta 
del 
soprintendente, 
presso 
la 
conservatoria 
dei 
registri 
immobiliari. L’annotazione 
ha 
lo scopo di 
far valere 
il 
vincolo sul 
fabbricato 
con riferimento a 
qualsiasi 
futuro proprietario, possessore 
o detentore 
a 
qualsiasi 
titolo dell’immobile (136). 

L’apposizione 
del 
vincolo comporta 
l’impossibilità 
per i 
proprietari 
privati 
dei 
beni 
culturali 
di 
demolirli, 
modificarli, 
ovvero 
adibirli 
ad 
usi 
non 
compatibili 
con 
il 
loro 
carattere 
storico-artistico 
senza 
l’autorizzazione 
del 
Ministero ovvero del soprintendente territorialmente competente. 


La 
realizzazione 
di 
qualsivoglia 
tipologia 
d’intervento sui 
beni 
culturali 
è 
sempre 
subordinata, ai 
sensi 
dell’art. 21 D.Lgs. n. 42/2004, al 
preventivo rilasio 
dell’apposita autorizzazione statale (137). 

A 
tal 
proposito, occorre 
sottolineare 
come, allo stato, non sussiste 
alcuna 
soglia 
di 
rilevanza 
di 
detti 
interventi, atteso che 
la 
disposizione 
in oggetto si 
riferisce 
ad 
“opere 
ed 
interventi 
di 
qualunque 
genere”. 
tale 
formulazione 
consente 
di 
cogliere 
immediatamente 
la 
differenza 
con 
il 
“regime 
abilitativo” 


(134) 
il 
giudizio 
che 
presiede 
all’imposizione 
di 
una 
dichiarazione 
di 
interesse 
culturale, 
secondo 
l’orientamento dominante 
della 
giurisprudenza, è 
connotato da 
un’ampia 
discrezionalità 
tecnico-valutativa, 
comportando l'applicazione 
di 
cognizioni 
tecnico-scientifiche 
proprie 
di 
peculiari 
settori 
scientifici, 
caratterizzati 
da 
ampi 
margini 
di 
opinabilità 
(ex 
multis 
Cons. 
Stato, 
Sez. 
vi, 
14 
ottobre 
2015, 
n. 
4747; 
15 giugno 2015, n. 2903; 
2 marzo 2015, n. 1000). Per un maggiore 
approfondimento sul 
tema, 
cfr. SABAto, La tutela del 
patrimonio culturale 
nella giurisprudenza costituzionale 
e 
amministrativa, in 
Giornale Dir. Amm., 2017, 1, p. 116. 
(135) La 
notifica 
avviene 
tramite 
messo comunale 
o a 
mezzo posta 
raccomandata 
con avviso di 
ricevimento. 
(136) La trascrizione si applica anche in relazione ai beni mobili registrati. 
(137) in relazione 
al 
procedimento di 
autorizzazione 
per interventi 
di 
edilizia, v. art. 22 D.Lgs. n. 
42/2004. 

rASSeGnA 
AvvoCAturA 
DeLLo 
StAto -n. 3/2020 


(138) degli 
interventi 
da 
eseguirsi 
su beni 
interessati 
dai 
c.d. vincoli 
paesaggistici, 
per 
i 
quali, 
invece, 
il 
combinato 
disposto 
dell’art. 
149 
del 
D.Lgs. 
n. 
42/2004 
e 
dell’art. 
2 
del 
d.P.r. 
n. 
31/2017 
individua 
diversi 
interventi 
non 
soggetti 
ad alcuna autorizzazione. 
in 
relazione 
ai 
soli 
immobili 
vincolati 
è 
bene 
precisare 
che, 
di 
regola, 
l’autorizzazione 
occorrente 
per la 
realizzazione 
delle 
opere 
di 
manutenzione, 
conservazione 
e 
restauro è 
concessa 
dal 
soprintendente 
e 
non dal 
Ministero, 
atteso che 
l’autorizzazione 
di 
quest’ultimo risulta 
necessaria 
in specie 
unicamente 
nelle 
ipotesi 
di 
demolizione, anche 
con successiva 
ricostituzione, del 
bene vincolato (139). 

Solo nei 
casi 
di 
assoluta 
urgenza 
possono essere 
effettuati 
gli 
interventi 
provvisori 
indispensabili 
per 
evitare 
danni 
al 
bene 
tutelato, 
seppur 
previa 
“immediata” 
comunicazione 
alla 
soprintendenza, 
cui 
devono 
essere 
comunque 
tempestivamente 
inviati 
i 
progetti 
degli 
interventi 
definitivi 
per la 
necessaria 
autorizzazione. 


i proprietari 
privati 
di 
dimore 
storiche, in ragione 
del 
vincolo scaturente 
dalla 
dichiarazione 
ex 
art. 13 D.Lgs. n. 42/2004, sono quindi 
chiamati 
a 
far 
fronte 
a 
tutte 
le 
spese 
di 
manutenzione 
necessarie 
per preservare 
la 
conservazione 
del 
loro immobile 
storico (art. 30, co. 3, D.Lgs. n. 42/2004), nonché 
a 
richiedere 
a 
tal 
fine 
l’autorizzazione 
di 
cui 
all’art. 
21 
D.Lgs. 
n. 
42/2004. 
L’apposizione 
del 
vincolo, invero, consente 
a 
questi 
ultimi 
di 
beneficiare 
del 
sistema 
speciale 
di 
tassazione, 
nonché 
delle 
misure 
fiscali 
ed 
economiche 
di 
cui 
si dirà nei paragrafi successivi. 


Ma 
vieppiù. numerosi 
risultano essere, infatti, i 
proprietari 
di 
immobili 
sottoposti “indirettamente” a vincolo. 


il 
Codice 
dei 
beni 
culturali 
prevede 
la 
facoltà 
in capo al 
Ministero per i 
beni 
e 
le 
attività 
culturali 
di 
prevedere, nel 
rispetto dei 
criteri 
di 
congruenza, 
ragionevolezza 
e 
proporzionalità 
(140), 
specifiche 
limitazioni 
per 
i 
proprietari 
di 
immobili 
ubicati 
nelle 
vicinanze 
dei 
beni 
vincolati, 
volte 
ad 
evitarne 
la 
messa 
in 
pericolo 
dell’integrità 
strutturale, 
il 
danneggiamento 
della 
prospettiva 


o della 
luce, ovvero l’alterazione 
delle 
condizioni 
di 
ambiente 
e 
decoro (141). 
La 
ratio 
sottesa 
alla 
previsione 
legislativa 
consiste 
nell’evitare 
che 
i 
comportamenti 
del 
proprietario 
possano 
ledere 
irrimediabilmente 
un 
immobile 
meritevole 
di tutela costituzionale. 


(138) Così 
Di 
Leo, Attività edilizia su immobili 
interessati 
da vincolo di 
interesse 
culturale, in 
Diritto & diritti, 23 gennaio 2019. 
(139) v. art. 21, co. 4, D.Lgs. n. 42/2004. 
(140) 
Cfr. 
Cons. 
Stato, 
Sez. 
vi, 
28 
dicembre 
2017, 
n. 
6142; 
t.A.r. 
Puglia, 
Lecce, 
Sez. 
i, 
24 
marzo 
2020, n. 347; 
t.A.r. Campania, napoli, Sez. viii, 24 aprile 2009, n. 2161. 
(141) 
Cfr. 
BeLLin, 
Gli 
immobili 
vincolati: 
aspetti 
fiscali 
e 
catastali, 
in 
Immobili 
e 
proprietà, 
2018, 
7, p. 446. 

LeGiSLAzione 
eD 
AttuALità 


La 
contiguità 
rispetto 
al 
bene 
vincolato 
non 
dev’essere 
intesa 
unicamente 
in senso fisico, né 
richiede 
una 
continuità 
stilistica 
o estetica 
fra 
le 
aree 
interessate, 
bensì 
può essere 
posta 
anche 
a 
tutela 
della 
“continuità c.d. storica fra 
il monumento e i fabbricati circostanti” 
(142). 

Le 
prescrizioni 
in 
oggetto, 
dunque, 
possono 
interessare 
anche 
immobili 
non 
situati 
nelle 
immediate 
vicinanze 
del 
bene 
culturale 
tutelato, 
purché 
ad 
esso 
accomunati 
dall’appartenenza 
ad 
un 
unitario 
e 
inscindibile 
contesto 
territoriale 
(143). 
Queste 
ultime, 
inoltre, 
devono 
essere 
recepite 
dagli 
enti 
pubblici 
territoriali 
interessati 
nei 
regolamenti 
edilizi 
e 
negli 
strumenti 
urbanistici 
(144). 


i 
proprietari 
di 
immobili 
indirettamente 
vincolati, 
a 
differenza 
dei 
proprietari 
di 
dimore 
storiche 
sottoposte 
a 
vincolo 
diretto 
(rectius 
beni 
culturali), 
non 
solo 
sono 
chiamati 
a 
rispettare 
tali 
prescrizioni, 
ma 
non 
possono 
beneficiare 
neanche 
delle 
agevolazioni 
fiscali 
ed 
economiche 
predisposte 
dall’ordinamento 
ai 
fini 
della 
conservazione 
e 
della 
valorizzazione 
dei 
propri 
immobili 
(145). 


3.2. 
Il 
sistema 
di 
tassazione 
italiano 
delle 
dimore 
storiche 
vincolate 
di 
proprietà 
privata. 
il 
legislatore 
italiano si 
è 
interessato per la 
prima 
volta 
in modo specifico 
al 
peculiare 
tema 
della 
tassazione 
dei 
beni 
immobili 
di 
interesse 
storico, artistico 
e 
architettonico -e 
più in generale 
della 
trattazione 
unitaria 
delle 
agevolazioni 
fiscali 
legate 
ai 
beni 
culturali 
-con 
la 
legge 
2 
agosto 
1982, 
n. 
512 
(146). 
in particolare, con l’art. 1, introduceva 
l’ancora 
vigente 
art. 5-bis 
del 
D.P.r. 
29 settembre 
1973, n. 601, che 
esclude 
dalla 
formazione 
del 
reddito delle 
persone 
fisiche, nonché 
da 
quello delle 
persone 
giuridiche, ai 
fini 
delle 
relative 
imposte, “i 
redditi 
catastali 
degli 
immobili 
totalmente 
adibiti 
a sedi, aperte 
al 
pubblico, 
ai 
musei, 
biblioteche, 
archivi, 
cineteche, 
emeroteche 
statali, 
di 
privati, di 
enti 
pubblici, di 
istituzioni 
e 
fondazioni, quando al 
possessore 
non 
derivi 
alcun reddito dalla utilizzazione 
dell'immobile”, nonché 
“i 
redditi 
catastali 
dei 
terreni, parchi 
e 
giardini 
che 
siano aperti 
al 
pubblico o la cui 
conservazione 
sia riconosciuta dal 
ministero per 
i 
beni 
culturali 
e 
ambientali 
di 
pubblico interesse” 
(cc.dd. immobili 
con destinazione 
ad usi 
culturali) (147). 


Precipue 
norme 
fiscali 
agevolative 
erano 
altresì 
introdotte 
in 
relazione 


(142) Così 
t.A.r. Puglia, Bari, Sez. iii, 8 febbraio 2007, n. 370. 
(143) Cfr. t.A.r. emilia-romagna, Parma, Sez. i, 14 gennaio 2010, n. 18 
(144) v. art. 45, co. 2, D.Lgs. n. 42/2004. 
(145) Cfr. Cass. 24 gennaio 2018, n. 1695. 
(146) Prima 
di 
tale 
data 
non è 
possibile 
riscontrare 
alcun intervento normativo unitario relativo 
al tema in oggetto. 
(147) La 
fruizione 
dell’agevolazione 
fiscale 
in oggetto, non è 
subordinata 
alla 
classificazione 
catastale 
del 
bene, ma 
piuttosto al 
suo utilizzo per fini 
culturali 
(cfr. Comm. trib. regionale 
Sardegna, Sez. 
i, 4 marzo 2014). 

rASSeGnA 
AvvoCAturA 
DeLLo 
StAto -n. 3/2020 


all’imposta 
di 
registro per il 
trasferimento di 
immobili 
di 
interesse 
storico, artistico 
o architettonico e 
all’imposta 
di 
successione, nonché 
alle 
donazioni 
di 
beni culturali (148). 

Pochi 
anni 
dopo l’entrata 
in vigore 
di 
suddetta 
legge, il 
legislatore 
interveniva 
nuovamente 
in 
materia 
con 
l’art. 
11, 
co. 
2, 
della 
legge 
30 
dicembre 
1991, n. 413, prevedendo, ai 
fini 
i.r.P.e.F. e 
i.r.e.S., la 
determinazione 
del 
reddito 
degli 
immobili 
riconosciuti 
di 
interesse 
storico 
o 
artistico, 
“in 
ogni 
caso”, 
mediante 
l’applicazione 
della 
minore 
tra 
le 
tariffe 
d’estimo 
previste 
per le 
abitazioni 
della 
zona 
censuaria 
nella 
quale 
era 
collocato il 
fabbricato. 
tale 
disposizione 
trovava 
applicazione 
sia 
nelle 
ipotesi 
in cui 
l’immobile 
non 
risultava 
locato, 
che 
nei 
casi 
di 
locazione 
a 
terzi 
dello 
stesso, 
comportando 
una 
rilevante 
agevolazione 
fiscale 
per i 
proprietari 
di 
dimore 
storiche 
locate, 
in quanto il 
loro fabbricato era 
tassato unicamente 
in funzione 
della 
rendita 
catastale 
e 
non dell’importo maggiore 
tra 
canone 
di 
locazione 
e 
rendita 
catastale 
rivalutata. 


i proprietari 
di 
immobili 
di 
interesse 
storico, artistico o archeologico locati, 
dunque, 
attraverso 
questo 
meccanismo, 
realizzavano 
un 
ingente 
risparmio 
di 
spesa, non vedendo tassato il 
proprio reddito derivante 
dalla 
locazione 
immobiliare. 
A 
tal 
proposito, tuttavia, occorre 
precisare 
che 
l’art. 11, co. 2, della 
legge 
30 dicembre 
1991, n. 413 è 
risultato al 
centro di 
un fervente 
dibattito 
dottrinale e giurisprudenziale (149). 

La 
tesi 
erariale, appoggiata 
dalla 
dottrina 
minoritaria, prevedeva 
un’interpretazione 
restrittiva 
della 
norma, riconoscendo il 
regime 
agevolato in riferimento 
alle 
sole 
ipotesi 
in cui 
l’immobile 
non risultasse 
locato. viceversa, 
la 
dottrina 
maggioritaria, affermava 
l’applicazione 
del 
predetto regime 
a 
tutti 
gli immobili storici, compresi quelli concessi in locazione (150). 

La 
Suprema 
Corte, intervenendo sulla 
questione, pochi 
anni 
dopo la 
sua 
entrata 
in 
vigore, 
statuiva 
che 
la 
disposizione 
in 
esame 
rappresentava 
«l’esclusiva 
ed esaustiva disciplina per 
la fissazione 
del 
reddito imponibile 
rispetto 
agli 
immobili 
di 
interesse 
storico 
artistico, 
da 
effettuarsi 
sempre 
con 
riferimento 
alla più bassa delle 
tariffe 
di 
estimo della zona, a prescindere 
dalla locazione 
del 
bene 
a canone 
superiore» (151), riconoscendo, 
de 
facto, il 
regime 
agevolativo sopraindicato anche per le dimore storiche locate (152). 

(148) v. artt. 4-8, della legge 2 agosto 1982, n. 512. 
(149) Cfr. LuneLLi, Attualità e 
prospettive 
nel 
trattamento tributario dei 
beni 
storici 
tutelati, in 
Fisco, 2013, 5 - parte 1, p. 654. 
(150) Cfr. CoStAnzo, Fisco e 
cultura: la tassazione 
degli 
immobili 
di 
interesse 
storico artistico 
e 
l’intervento dei 
privati 
a sostegno del 
patrimonio culturale, in rassegna dell’Avvocatura dello Stato, 
n. 4/2015, p. 274. 
(151) Cass., 18 marzo 1999, n. 2442. 


(152) 
Sulla 
base 
di 
suddetta 
sentenza 
anche 
l’erario 
mutava 
il 
proprio 
orientamento 
riconoscendo 
l’agevolazione 
in questione 
dapprima 
in relazione 
a 
tutti 
gli 
immobili 
storici, purché 
ad uso abitativo 

LeGiSLAzione 
eD 
AttuALità 


il 
regime 
“speciale” 
delineato dall’art. 11, co. 2, della 
legge 
30 dicembre 
1991, 
n. 
413 
è 
stato 
altresì 
oggetto 
della 
questione 
di 
legittimità 
costituzionale 
promossa 
con 
ordinanza 
dell’11 
novembre 
2002 
dalla 
Commissione 
tributaria 
Provinciale di 
torino (153). 

La 
Consulta, dopo un’attenta 
analisi 
degli 
obblighi 
conservativi 
gravanti 
sui 
proprietari 
di 
immobili 
storici 
vincolati, 
derivanti 
dalla 
tutela 
costituzionale 
accordata 
agli 
stessi 
dall’art. 
9, 
co. 
2 
della 
Carta 
Costituzionale, 
dichiarava 
infondata 
la 
questione 
di 
legittimità 
costituzionale, 
affermando 
che 
«nessun 
dubbio 
può 
sussistere 
sulla 
legittimità 
della 
concessione 
di 
un 
beneficio 
fiscale 
relativo 
agli 
immobili 
di 
interesse 
storico 
o 
artistico, 
apparendo 
tale 
scelta 
tutt’altro che 
arbitraria o irragionevole, in considerazione 
del 
complesso di 
vincoli ed obblighi gravanti per legge sulla proprietà di siffatti beni» (154). 

il 
regime 
di 
imposizione 
diretta 
delle 
dimore 
storiche 
di 
proprietà 
privata 
veniva 
successivamente 
riformulato dal 
D.L. 2 marzo 2012, n. 16 (c.d. “Decreto 
semplificazioni”), 
convertito 
con 
modificazioni 
dalla 
legge 
26 
aprile 
2012 n. 44, che 
abrogava 
il 
previgente 
art. 11, co. 2, della 
legge 
30 dicembre 
1991, n. 413 (co. 5-quater), prevedendo una 
nuova 
modalità 
di 
tassazione 
dei 
redditi 
derivanti 
dal 
possesso di 
immobili 
di 
interesse 
storico o artistico vincolati 
(v. artt. 37, 90 e 
144 t.u.i.r.) (155). Siffatto regime, ad oggi 
vigente, 
prevede, 
ai 
fini 
i.r.P.e.F., 
per 
i 
soli 
proprietari 
di 
immobili 
storici 
vincolati 
locati 
(156), 
la 
deduzione 
forfettaria 
dal 
reddito 
imponibile, 
determinato 
in 
misura 
pari 
al 
canone 
di 
locazione, del 
35% di 
quest’ultimo anziché 
del 
5% 
(art. 37, co. 4-bis, t.u.i.r.) (157); 
mentre, ai 
fini 
i.r.e.S., per le 
società, gli 
enti 
commerciali 
e 
gli 
enti 
non 
commerciali 
proprietari 
d’immobili 
storici 
non 
locati, 
non 
qualificabili 
quali 
beni 
strumentali 
per 
l’esercizio 
dell’attività 
d’impresa, 
la 
riduzione 
del 
reddito 
medio 
ordinario 
delle 
unità 
immobiliari 
del 
50% 


(158) 
nonché 
la 
disapplicazione 
della 
maggiorazione 
di 
cui 
all’art. 
41 
del 
(cfr. 
Circolare 
9/e 
del 
14 
marzo 
2005), 
e 
successivamente 
a 
tutti 
i 
fabbricati, 
inclusi 
quelli 
ad 
uso 
diverso 
da quello abitativo (cfr. Circolare 2/e del 17 gennaio 2006). 


(153) L’ordinanza 
è 
stata 
pubblicata 
nella 
Gazzetta 
ufficiale 
della 
repubblica 
n. 5, prima 
serie 
speciale, dell’anno 2003. 
(154) Cfr. Corte Cost. 28 novembre 2003, n. 346. 
(155) Cfr. zAnni, Il 
nuovo regime 
fiscale 
degli 
immobili 
di 
interesse 
storico artistico, in Il 
Fisco, 
2012, 27, p. 4225. 
(156) il 
Codice 
dei 
beni 
culturali 
prevede 
che 
i 
locatori 
di 
unità 
immobiliari 
di 
interesse 
storico o 
artistico vincolati 
inviino, entro 30 giorni, alla 
Soprintendenza 
del 
luogo ove 
l’edificio è 
situato la 
denuncia 
del contratto di affitto (art. 59, D.Lgs. n. 42/2004). 
(157) Sul 
punto, occorre 
precisare 
che 
nelle 
ipotesi 
in cui 
il 
canone 
risultante 
dal 
contratto di 
locazione, 
ridotto forfetariamente 
del 
5%, sia 
superiore 
al 
reddito medio ordinario, determinato mediante 
l’applicazione 
delle 
tariffe 
d’estimo, stabilite 
secondo le 
norme 
della 
legge 
catastale 
per ciascuna 
categoria 
e 
classe, ovvero, per i 
fabbricati 
a 
destinazione 
speciale 
o particolare, mediante 
stima 
diretta, il 
reddito si 
determina 
in misura 
pari 
a 
quella 
del 
canone 
di 
locazione 
al 
netto di 
tale 
riduzione 
(v. art. 37, 
co. 4-bis, t.u.i.r.). 
(158) Cfr. FrAnCo, Gli 
investimenti 
in cultura: l’attuale 
normativa fiscale 
e 
le 
principali 
proble

rASSeGnA 
AvvoCAturA 
DeLLo 
StAto -n. 3/2020 


t.u.i.r. 
(159), 
e, 
per 
gli 
edifici 
da 
essi 
locati, 
l’applicazione 
del 
medesimo 
vantaggio fiscale 
previsto per le 
persone 
fisiche 
(artt. 90, co. 1, e 
144, co. 1, 
t.u.i.r.) (160). 
i 
proprietari 
(persone 
fisiche) 
di 
dimore 
storiche 
non 
locate, 
di 
converso, 
sono 
tenuti 
unicamente 
al 
pagamento 
dell’i.M.u., 
la 
quale 
sostituisce, 
oltre 
che 
la 
previgente 
i.C.i., 
anche 
l’i.r.P.e.F. 
e 
le 
relative 
addizionali 
sui 
redditi 
fondiari 
degli 
immobili 
non 
locati 
(art. 
8 
D.Lgs. 
14 
marzo 
2011, 
n. 
23) 
(161). 


La 
nuova 
disciplina 
del 
2012 
ha 
quindi 
eliminato 
il 
previgente 
criterio 
della 
rendita 
figurativa 
(162), 
ridimensionando, 
sotto 
il 
profilo 
qualitativo 
e 
quantitativo, 
i 
benefici 
accordati 
ai 
proprietari 
di 
dimore 
storiche 
dal 
regime 
“speciale” 
delineato 
dall’art. 
11, 
co. 
2, 
della 
legge 
30 
dicembre 
1991, 
n. 
413 
(163). 


Anche 
il 
nuovo 
regime 
fiscale, 
così 
come 
il 
precedente, 
è 
stato 
sottoposto 
al 
vaglio della 
Corte 
Costituzionale. nello specifico, la 
Commissione 
tributaria 
Provinciale 
di 
novara 
con ordinanza 
del 
1° 
dicembre 
2015 (pubblicata 
nella 
Gazzetta 
ufficiale 
n. 8/2016, i serie 
speciale), sollevava 
questione 
di 
legittimità 
costituzionale 
dell’art. 4, co. 5-quater 
e 
5-sexies 
del 
D.L. 16/2012, 
poi 
convertito, 
con 
modificazioni, 
nella 
legge 
n. 
44/2012, 
in 
relazione 
agli 
artt. 
3, 9, co. 2, e 53 della Carta Costituzionale. 


La 
Consulta, tuttavia, affermando che 
lo speciale 
regime 
fiscale 
agevolativo 
in essere 
per gli 
immobili 
storici 
o artistici 
era 
giustificabile 
«in considerazione 
del 
complesso 
di 
vincoli 
ed 
obblighi 
gravanti 
per 
legge 
sulla 
proprietà 
di 
siffatti 
beni 
quale 
riflesso 
della 
tutela 
costituzionale 
loro 
garantita 
dall’art. 
9, 
secondo 
comma, 
della 
Costituzione» 
(164), 
dichiarava 
“nuovamente” 
infondata la questione (165). 

matiche, in 
AA.vv., L’intervento dei 
privati 
nella cultura -Profili 
economici, fiscali 
e 
amministrativi, 
cit., pp. 127 ss. 


(159) La 
locazione 
di 
un immobile 
abitativo storico-artistico, tuttavia, non esclude 
per il 
locatore 
la 
possibilità 
di 
optare 
per il 
regime 
facoltativo della 
“cedolare 
secca”, che 
si 
sostanzia 
nel 
pagamento 
di 
un’imposta 
sostitutiva 
dell’i.r.P.e.F. e 
delle 
addizionali, calcolata 
mediante 
l’applicazione 
di 
un’aliquota 
del 21% sul canone di locazione annuo stabilito dalle parti (art. 3 D.Lgs. 23/2011). 
(160) 
Si 
precisa 
che, 
nel 
caso 
in 
cui 
gli 
immobili 
vincolati 
risultino 
locati 
in 
regime 
di 
canone 
concordato, 
in 
aggiunta 
alla 
sopraindicata 
riduzione 
del 
35% 
l’impresa 
può 
usufruire 
anche 
dell’ulteriore 
abbattimento 
del 
30% 
sancito 
dall’art. 
8 
della 
legge 
n. 
431/1998 
(v. 
risposta 
all’interrogazione 
a 
risposta 
immediata 
in 
Commissione 
5-08349 
presentata 
dal 
deputato 
Lo 
Monte 
martedì 
30 
ottobre 
2012, 
seduta 
n. 
711). 
(161) La 
proprietà 
di 
immobili 
non locati 
situati 
nello stesso Comune 
dell’abitazione 
principale 
determina 
l’obbligo 
di 
dichiarare 
un 
reddito 
ai 
fini 
i.r.P.e.F. 
pari 
al 
50% 
della 
rendita 
catastale 
rivalutata 
del 
5% aumentato di 
un terzo (art. 1, co. 717, D.L. n. 147/13). L’aggiornamento della 
rendita 
catastale 
degli 
immobili 
storici 
vincolati 
è 
effettuato mediante 
l’applicazione 
del 
minore 
tra 
i 
coefficienti 
previsti 
per i fabbricati (art. 190, co. 3, t.u.i.r.). 
(162) Cfr. risoluzione dell’Agenzia delle entrate del 31 dicembre 2012, n. 114/e. 
(163) Cfr. CoStAnzo, Fisco e 
cultura: la tassazione 
degli 
immobili 
di 
interesse 
storico artistico 
e l’intervento dei privati a sostegno del patrimonio culturale, cit., p. 274. 
(164) Corte Cost. 4 aprile 2018, n. 72. 

LeGiSLAzione 
eD 
AttuALità 


Ciò 
posto, 
occorre 
rilevare 
che 
l’attuale 
sistema 
di 
tassazione 
diretta 
delle 
dimore 
storiche 
di 
proprietà 
privata 
vincolate 
-ai 
sensi 
dell’art. 
10 
del 
D.Lgs. 
22 
gennaio 
2004, 
n. 
42 
-non 
si 
esaurisce 
con 
il 
pagamento 
dell’i.r.P.e.F. 
e 
del-
l’i.r.e.S., 
atteso 
che 
i 
proprietari 
delle 
predette 
risultano 
altresì 
soggetti, 
al 
ricorrere 
di 
specifici 
presupposti, 
a 
due 
tributi 
locali: 
la 
nuova 
i.M.u. 
e 
la 
t.A.r.i. 


Prima 
dell’introduzione 
della 
nuova 
i.M.u. 
ad 
opera 
della 
legge 
di 
bilancio 
2020 (art. 1, co. 738-783, legge 
27 dicembre 
2019, n. 160), il 
sistema 
dei 
tributi 
locali 
dovuti 
dai 
proprietari 
di 
unità 
immobiliari, 
ivi 
comprese 
le 
dimore 
storiche vincolate, risultava tripartito (i.M.u.; 
t.A.S.i.; 
t.A.r.i.). 


L’i.M.u. (imposta 
municipale 
unica), il 
cui 
presupposto d’imposta 
consisteva 
nel 
possesso di 
fabbricati, aree 
fabbricabili 
e 
terreni 
agricoli, non era 
dovuta 
per l’abitazione 
principale, salvo che 
si 
trattasse 
di 
un’unità 
abitativa 
classificata nelle categorie catastali 
A/1, A/8 e 
A/9 (166). 

Gli 
immobili 
storici 
e 
artistici 
vincolati, 
rientrando 
sovente 
all’interno 
delle 
categorie 
catastali 
sopraindicate 
-in 
particolare 
nella 
A/9 
(“Castelli, 
palazzi 
di 
eminenti 
pregi 
artistici 
o 
storici”) 
(167) 
-non 
consentivano 
ai 
loro 
proprietari 
di 
beneficiare 
dell’agevolazione 
ut 
supra 
(168). Ciononostante, a 
questi 
ultimi, era 
riconosciuto un abbattimento della 
base 
imponibile 
del 
50% 
ai sensi dell’art. 13, co. 3, lett. a), del D.L. n. 201/2011 (169). 

in tema 
di 
riduzione 
dell’i.M.u., inoltre, il 
legislatore 
prevedeva, a 
specifiche 
condizioni 
(170), una 
riduzione 
del 
50% dell’imposta 
sull’abitazione 
concessa 
in comodato gratuito ad un parente 
di 
primo grado (v. art. 1, co. 10, 
legge 
n. 208/2015). tale 
agevolazione, non applicabile 
in relazione 
alle 
unità 
immobiliari 
classificate 
nelle 
categorie 
catastali 
A/1, 
A/8 
e 
A/9, 
da 
quanto 


(165) il 
regime 
agevolativo introdotto per i 
beni 
immobili 
vincolati 
è 
stato più volte 
oggetto delle 
pronunce 
della 
Corte 
Costituzionale 
(ex 
multis 
Corte 
Cost. 28 novembre 
2003, n. 346; 
20 aprile 
2016, 
n. 
111; 
4 
aprile 
2018, 
n. 
72). 
Sul 
punto, 
cfr. 
CAPoLuPo, 
Legittima 
la 
reformatio 
in 
peius 
delle 
agevolazioni 
fiscali: il caso dei beni di interesse storico, in Fisco, 2019, 14, p. 1354. 
(166) v. art. 13 del D.L. 6 dicembre 2011, n. 201. 
(167) Ad ogni 
immobile 
vincolato di 
interesse 
culturale 
è 
attribuita 
una 
delle 
categorie 
previste 
nel 
quadro di 
qualificazione 
della 
zona 
censuaria 
di 
riferimento sulla 
base 
delle 
proprie 
caratteristiche 
intrinseche 
ed 
in 
funzione 
della 
propria 
destinazione 
d’uso. 
non 
può 
stabilirsi, 
dunque, 
una 
correlazione 
tra 
il 
riconoscimento di 
immobile 
vincolato ed una 
specifica 
categoria 
catastale 
(cfr. Circolare 
del 
9 ottobre 
2012 n. 5 - Agenzia del 
territorio - Direzione Centrale Catasto e cartografia). 
(168) 
erano 
soggetti 
passivi 
del 
tributo: 
il 
proprietario; 
l’usufruttuario; 
l’enfiteuta 
e 
il 
titolare 
del 
diritto 
di 
superficie; 
il 
titolare 
del 
diritto 
d’uso 
e 
di 
abitazione; 
il 
locatario 
finanziario; 
il 
concessionario 
di 
aree 
demaniali; 
l’amministratore 
per 
conto 
di 
tutti 
i 
condomini 
per 
i 
beni 
comuni 
censibili 
condominiali. 
(169) La 
base 
imponibile 
era 
uguale 
alla 
rendita 
catastale 
rivalutata 
del 
5% e 
moltiplicata 
per il 
coefficiente specifico per ogni tipologia immobiliare. 
(170) La 
riduzione 
del 
50% dell’imposta 
poteva 
essere 
ottenuta 
solo a 
condizione 
che 
il 
contratto 
di 
comodato gratuito venisse 
stipulato tra 
genitori 
e 
figli, ovvero tra 
parenti 
in linea 
retta 
entro il 
primo 
grado, e 
risultasse 
regolarmente 
registrato. inoltre, il 
comodante 
doveva 
possedere 
una 
sola 
abitazione 
in italia 
ed ivi 
risiedere 
anagraficamente, nonché 
avere 
la 
propria 
dimora 
abituale 
nello stesso comune 
in cui 
era 
situato l’immobile 
concesso in comodato. L’agevolazione 
continuava 
ad applicarsi, in caso di 
morte del comodatario, al coniuge di quest’ultimo, ma solo in presenza di figli minori. 

rASSeGnA 
AvvoCAturA 
DeLLo 
StAto -n. 3/2020 


emergeva 
dalla 
Circolare 
M.e.F. 
n. 
1/DF 
del 
17 
febbraio 
2016, 
era 
cumulabile 
con 
quella 
per 
gli 
immobili 
storici 
di 
cui 
sopra 
(171). 
viceversa, 
l’amministrazione 
finanziaria 
affermava 
il 
divieto di 
cumulo in relazione 
all’agevolazione 
prevista per gli immobili vincolati dichiarati inagibili. 

Anche 
per 
la 
t.A.S.i. 
(tributo 
per 
i 
servizi 
indivisibili) 
(172), 
il 
cui 
presupposto 
impositivo 
consisteva 
nel 
possesso 
o 
nella 
detenzione, 
a 
qualsiasi 
titolo, 
di 
fabbricati 
e 
di 
aree 
edificabili, 
ad 
eccezione, 
in 
ogni 
caso, 
dei 
terreni 
agricoli 
e 
dell’abitazione 
principale, 
come 
definiti 
ai 
sensi 
dell’art. 
13, 
co. 
2, 
del 
D.L. 
6 
dicembre 
2011, 
n. 
201 
(173), 
era 
prevista 
l’applicazione 
dell’abbattimento 
della 
base 
imponibile 
del 
50%, 
dal 
momento 
che, 
ai 
sensi 
dell’art. 
1, 
co. 
675, 
della 
legge 
n. 
147/2013, 
la 
sua 
base 
imponibile 
era 
la 
medesima 
dell’i.M.u. 
(174). 


Analogamente 
a 
quanto 
esaminato 
ai 
fini 
del 
pagamento 
della 
previgente 


i.M.u. 
da 
parte 
dei 
proprietari 
di 
dimore 
storiche 
vincolate, 
anche 
per 
la 
t.A.S.i. trovavano applicazione 
le 
agevolazioni, nonché 
le 
ipotesi 
di 
cumulo 
sopraindicate (175). 
La 
nuova 
i.M.u., 
invece, 
riunisce 
in 
un’unica 
imposta 
le 
previgenti 


i.M.u. e 
t.A.S.i. e 
presenta 
quale 
presupposto d’imposta 
unicamente 
il 
“possesso 
d’immobili” 
(176). 
Sulla 
scorta 
della 
previgente 
disciplina 
dei 
tributi 
pocanzi 
analizzati, 
il 
pagamento della 
nuova 
imposta 
è 
escluso in riferimento all’abitazione 
principale 
o 
assimilata, 
eccettuati 
i 
casi 
in 
cui 
si 
tratti 
di 
un’unità 
abitativa 
classificata 
nelle categorie catastali 
A/1, A/8 o A/9 (177). 

Per 
abitazione 
principale 
s’intende 
l’immobile, 
iscritto 
o 
iscrivibile 
nel 
catasto edilizio urbano come 
unica 
unità 
immobiliare, nel 
quale 
il 
possessore 


(171) il 
cumulo consentiva 
un’ulteriore 
riduzione 
d’imposta. L’i.M.u. era 
calcolata, infatti, unicamente 
sul 25% della base imponibile. 
(172) 
Ex 
multis 
AuLentA, 
Tax 
expenditures 
negli 
enti 
territoriali, 
in 
rivista 
di 
Diritto 
Finanziario 
e Scienza delle Finanze, fasc. 4, 2015, p. 554. 
(173) Sulle 
differenze 
intercorrenti 
tra 
i.M.u. e 
t.A.S.i. cfr. Comm. trib. reg. Lombardia, sez. v, 
15 marzo 2019, n. 1234. 
(174) Cfr. Circolare M.e.F. 1/DF del 17 febbraio 2016. 
(175) Cfr. vADeMeCuM 
A.D.S.i. 
-Aspetti 
normativi, fiscali 
e 
gestionali 
degli 
immobili 
storici, 
delle 
aziende 
agricole 
e 
del 
loro passaggio generazionale, a 
cura 
di 
tereSA 
PeruSini, in www.associazionedimorestoricheitaliane.
it/normative, pp. 10 ss. 
(176) 
i 
soggetti 
passivi 
dell’imposta 
in 
oggetto 
a 
norma 
dell’art. 
1, 
co. 
743, 
legge 
27 
dicembre 
2019, 
n. 
160, 
sono 
i 
possessori 
di 
immobili, 
intendendosi 
per 
tali 
il 
proprietario 
ovvero 
il 
titolare 
del 
diritto 
reale 
di 
usufrutto, 
uso, 
abitazione, 
enfiteusi 
e 
superficie 
sugli 
stessi. 
Per 
gli 
immobili, 
anche 
da 
costruire 
ovvero 
in 
corso 
di 
costruzione, 
concessi 
in 
locazione 
finanziaria, 
il 
soggetto 
passivo 
è 
il 
locatario 
a 
decorrere 
dalla 
data 
della 
stipula 
e 
per 
tutta 
la 
durata 
del 
contratto. 
in 
presenza 
di 
più 
soggetti 
passivi 
con 
riferimento 
ad 
un 
medesimo 
immobile, 
ognuno 
è 
titolare 
di 
un’autonoma 
obbligazione 
tributaria. 
nell’applicazione 
dell’imposta 
si 
tiene 
conto 
degli 
elementi 
soggettivi 
ed 
oggettivi 
riferiti 
ad 
ogni 
singola 
quota 
di 
possesso, 
anche 
nei 
casi 
di 
applicazione 
delle 
esenzioni 
o 
delle 
agevolazioni. 
(177) Sono esenti 
dall’imposta 
i 
proprietari 
degli 
immobili 
di 
cui 
all’art. 1, co. 758 e 
759, legge 
27 dicembre 2019, n. 160. 

LeGiSLAzione 
eD 
AttuALità 


e 
il 
suo nucleo familiare 
dimorano abitualmente 
e 
risiedono anagraficamente 
(178). 
Le 
pertinenze 
all’abitazione 
principale 
seguono 
lo 
stesso 
trattamento 
dell’immobile (179). 

L’aliquota 
di 
base 
per l’abitazione 
principale 
classificata 
nelle 
categorie 
catastali 
A/1, A/8 e 
A/9 -categorie 
all’interno delle 
quali 
sovente 
sono ricondotte 
le 
dimore 
storiche 
private 
vincolate 
-e 
per le 
relative 
pertinenze 
è 
pari 
allo 
0,5%. 
tuttavia, 
il 
Comune, 
con 
deliberazione 
del 
consiglio 
comunale, 
può 
aumentarla dello 0,1% ovvero diminuirla fino all’azzeramento (180). 

Dall’imposta 
dovuta 
per 
l’unità 
immobiliare 
classificata 
nelle 
categorie 
catastali 
A/1, 
A/8 
e 
A/9, 
adibita 
ad 
abitazione 
principale 
del 
soggetto 
passivo, 
si 
detraggono, 
fino 
a 
concorrenza 
del 
suo 
ammontare, 
200 
euro 
rapportati 
al 
periodo 
dell’anno 
durante 
il 
quale 
si 
protrae 
detta 
destinazione. 
Se 
l’unità 
immobiliare 
è 
adibita 
ad 
abitazione 
principale 
da 
più 
soggetti 
passivi, 
la 
detrazione 
spetta 
a 
ciascuno 
di 
essi 
“proporzionalmente 
alla 
quota 
per 
la 
quale 
la 
destinazione 
medesima 
si 
verifica” 
(art. 
1, 
co. 
749, 
legge 
27 
dicembre 
2019, 
n. 
160). 


Qualora 
l’immobile 
risulta 
d’interesse 
storico 
o 
artistico 
ai 
sensi 
dell’art. 
10 
del 
D.Lgs. 
22 
gennaio 
2004, 
n. 
42, 
anche 
se 
rientrante 
nelle 
categorie 
catastali 
A/1, 
A/8 
o 
A/9, 
trova 
comunque 
applicazione 
la 
previgente 
riduzione 
della 
base 
imponibile 
del 
50% 
(art. 
1, 
co. 
747, 
lett. 
a, 
legge 
27 
dicembre 
2019, 
n. 
160). 


un immobile, ai 
fini 
dell’ottenimento della 
sopraindicata 
agevolazione, 
deve 
essere 
direttamente 
di 
interesse 
storico e 
culturale 
e 
non può acquisire 
tale caratteristica per via indiretta (181). 

La 
ratio 
sottesa 
al 
beneficio 
consiste 
infatti 
nel 
“contemperare 
l'entità 
del 
tributo con le 
ingenti 
spese 
che 
i 
proprietari 
sono tenuti 
ad affrontare 
per 
preservare 
le 
caratteristiche 
degli 
immobili 
vincolati” 
(182); 
di 
talché 
l’agevolazione 
non può che 
trovare 
applicazione 
esclusivamente 
in relazione 
agli 
edifici sottoposti a vincolo diretto. 


inoltre, come 
previsto anche 
dalla 
disciplina 
previgente, la 
base 
imponibile 
è 
altresì 
ridotta 
del 
50%, 
a 
specifiche 
condizioni, 
nelle 
ipotesi 
in 
cui 
l’abitazione 
è 
concessa 
in comodato gratuito ad un parente 
in linea 
retta 
entro il 
primo grado che 
la 
utilizza 
come 
abitazione 
principale, nonché 
allorquando il 
fabbricato è 
dichiarato inagibile 
o inabitabile 
e 
di 
fatto non utilizzato (183). 
Le due agevolazioni, tuttavia, non risultano cumulabili. 


La 
t.A.r.i., 
al 
contrario 
delle 
previgenti 
i.M.u. 
e 
t.A.S.i., 
non 
è 
stata 


(178) v. art. 1, co. 741, legge 27 dicembre 2019, n. 160. 
(179) Sul 
punto, si 
precisa 
che 
risultano agevolabili 
al 
massimo tre 
pertinenze, nella 
misura 
di 
una sola pertinenza per categoria (C/2, C/6 e C/7). 
(180) Per il 
calcolo della 
base 
imponibile 
dell’imposta 
relativa 
agli 
immobili 
rientranti 
nelle 
altre 
categorie catastali v. art. 1, co. 745, legge 27 dicembre 2019, n. 160. 
(181) v. supra 
par. 3.1. 
(182) Cfr. Cass. 24 gennaio 2018, n. 1695. 
(183) v. art. 1, co. 747, lett. b e c, legge 27 dicembre 2019, n. 160. 

rASSeGnA 
AvvoCAturA 
DeLLo 
StAto -n. 3/2020 


abolita 
dalla 
legge 
di 
bilancio 2020, e 
rappresenta 
il 
tributo destinato a 
finanziare 
i 
costi 
relativi 
al 
servizio di 
raccolta 
e 
smaltimento dei 
rifiuti, dovuto da 
chiunque 
possieda 
o 
detenga 
a 
qualsiasi 
titolo 
unità 
immobiliari 
o 
aree 
scoperte 
suscettibili 
di 
produrre 
i 
rifiuti 
medesimi 
(art. 1, co. 641, legge 
n. 147/2013). 
Al 
suo 
pagamento, 
pertanto, 
sono 
tenuti 
anche 
i 
proprietari 
di 
dimore 
storiche, 
i 
loro inquilini 
ovvero coloro che 
a 
qualunque 
titolo le 
detengono (184). tuttavia, 
in caso di 
detenzione 
breve 
dell’immobile 
di 
durata 
non superiore 
a 
sei 
mesi, la 
tassa 
non è 
dovuta 
dall’utilizzatore, ma 
resta 
esclusivamente 
a 
carico 
del 
proprietario, 
del 
titolare 
dell’usufrutto, 
dell’uso, 
dell’abitazione 
o 
del 
diritto 
di superficie (185). 

La 
t.A.r.i., 
consta 
di 
una 
quota 
fissa, 
che 
si 
calcola 
moltiplicando 
i 
metri 
quadrati 
dell’unità 
immobiliare 
per il 
numero di 
persone 
che 
la 
occupano, ed 
una 
quota 
variabile, stabilita 
con delibera 
comunale 
in base 
alla 
quantità 
di 
rifiuti 
prodotti in via presuntiva dagli occupanti (186). 


orbene, occorre 
osservare 
che, allo stato, in relazione 
al 
tributo in esame 
non esistono norme 
agevolative 
nazionali 
a 
favore 
dei 
proprietari 
di 
dimore 
storiche 
vincolate. A 
livello locale, invero, taluni 
comuni 
prevedono peculiari 
agevolazioni 
in 
relazione 
agli 
immobili 
storici 
vincolati 
(si 
pensi, 
ad 
esempio, 
al 
Comune 
di 
Lucca, il 
quale 
prevede 
che 
“la superficie 
delle 
abitazioni 
comprese 
in fabbricati 
vincolati 
ai 
sensi 
del 
decreto legislativo 22 gennaio 2004 


n. 42 e 
successive 
modifiche, è 
calcolata nella misura del 
30%, limitatamente 
alla 
quota 
di 
superficie 
che 
eccede 
i 
400 
metri 
quadrati 
e 
fino 
a 
600 
metri 
quadrati, rimanendo non imponibile la superficie eccedente”) (187). 
esaurita 
la 
trattazione 
della 
tassazione 
diretta 
delle 
dimore 
storiche 
vincolate, 
è 
necessario procedere 
all’analisi 
delle 
peculiarità 
relative 
alla 
tassazione 
indiretta delle stesse. 


in 
relazione 
all’imposta 
di 
registro, 
dovuta, 
in 
specie, 
nelle 
ipotesi 
di 
cessione 
(188) del 
bene 
immobile 
vincolato a 
persone 
fisiche 
che 
non agiscono 
nell’esercizio di 
attività 
commerciali, artistiche 
o professionali, l’art. 10 del 
D.Lgs. 
23/2011, 
modificando 
la 
previgente 
disciplina 
applicabile 
al 
caso 
di 


(184) Sono escluse 
dalla 
t.A.r.i. le 
aree 
scoperte 
pertinenziali 
o accessorie 
a 
locali 
tassabili 
non 
operative e le aree comuni condominiali che non siano detenute o occupate in via esclusiva. 
(185) in caso di 
pluralità 
di 
utilizzatori, questi 
ultimi 
sono tenuti 
in solido all'adempimento del-
l’obbligazione tributaria. 
(186) 
Sui 
criteri 
di 
determinazione 
della 
superficie 
catastale 
ai 
fini 
t.A.r.i. 
cfr. 
interpello 
all’Agenzia 
delle 
entrate 
n. 
306/2019, 
rubricato 
“Interpello 
art. 
11, 
comma 
a), 
Legge 
n. 
212/2000. 
Criteri 
di 
determinazione 
della superficie 
catastale 
di 
un immobile, ai 
fini 
del 
calcolo del 
Tributo Tari”, disponibile 
sul sito https://www.agenziaentrate.gov.it/. 
(187) v. art. 19, co. 1, lett. o), del 
regolamento per 
l’applicazione 
della tariffa corrispettiva per 
il servizio di gestione dei rifiuti urbani e assimilati 
del Comune di Lucca. 
(188) Con il 
termine 
“cessione” 
si 
fa 
riferimento in specie 
a 
tutti 
gli 
atti 
a 
titolo oneroso, che 
trasferiscono 
la 
proprietà 
di 
fabbricati 
e 
trasferiscono 
o 
costituiscono 
diritti 
reali 
immobiliari 
di 
godimento. 

LeGiSLAzione 
eD 
AttuALità 


specie 
(189), prevede 
l’applicazione, a 
partire 
dal 
1° 
gennaio 2014, di 
un’aliquota 
del 9% sul valore del fabbricato (art. 43 t.u.r.) (190). 

L’imposta 
ipotecaria 
e 
l’imposta 
catastale, 
addebitabili 
in 
funzione 
di 
suddetti 
atti 
di 
trasferimento immobiliare, ai 
sensi 
dell’art. 26 del 
D.L. 12 settembre 
2013, n. 104, sono dovute nella misura fissa di 50,00 euro ciascuna. 


Di 
talché, è 
bene 
evidenziare 
che, rispetto alla 
normativa 
fiscale 
previgente 
prevista 
in 
tema 
di 
cessione 
d’immobili 
vincolati 
diversi 
dall’abitazione 
principale, l’attuale 
sistema 
di 
tassazione 
dei 
predetti 
non è 
caratterizzato da 
peculiari 
agevolazioni 
fiscali 
(191). 
Al 
contrario, 
in 
tema 
di 
imposte 
sulle 
successioni 
e 
sulle 
donazioni, il 
sistema 
di 
tassazione 
degli 
immobili 
vincolati, 
trasferiti 
mortis 
causa 
ovvero 
inter 
vivos, 
risulta 
caratterizzato 
da 
rilevanti 
agevolazioni 
fiscali 
in 
favore, 
rispettivamente, 
degli 
eredi, 
dei 
legatari, 
nonché 
dei donatari. 


Suddette 
imposte 
indirette 
sono 
dovute 
in 
misura 
differente 
a 
seconda 
che 
l’immobile risulti o meno già vincolato all’atto del trasferimento. 


in merito all’imposta 
di 
successione, le 
disposizioni 
cui 
far riferimento 
in relazione 
alla 
tassazione 
degli 
immobili 
vincolati 
presenti 
nell’asse 
ereditario 
sono 
gli 
artt. 
12, 
13 
e 
25 
del 
D.Lgs. 
31 
ottobre 
1990, 
n. 
346 
(c.d. 
t.u.S.D.). 


in 
base 
al 
combinato 
disposto 
degli 
artt. 
12 
e 
13 
del 
t.u.S.D. 
sono 
esclusi 
dall’attivo 
ereditario, 
ai 
fini 
dell’imposta 
in 
oggetto, 
i 
beni 
già 
sottoposti 
a 
vincolo 
al momento dell’apertura della successione, a condizione che: 


1) 
siano 
stati 
assolti 
i 
conseguenti 
obblighi 
di 
conservazione 
e 
protezione 
previsti dalla legge; 
2) 
l’erede 
o 
il 
legatario 
abbia 
presentato 
l’inventario 
dei 
beni 
culturali 
che 
ritiene 
non debbano essere 
compresi 
nell’attivo ereditario, con la 
descrizione 
particolareggiata 
degli 
stessi 
e 
con 
ogni 
notizia 
idonea 
alla 
loro 
identificazione, 
al 
competente 
organo periferico del 
Ministero per i 
beni 
culturali 
e 
del 
turismo, 
il 
quale 
deve 
attestare 
per ogni 
singolo bene 
la 
sussistenza 
del 
vincolo, 
nonché l’assolvimento degli obblighi di conservazione e protezione (192); 
3) 
nel 
quinquennio successivo all’apertura 
della 
successione, l’erede 
o il 
legatario non alieni 
in tutto o in parte 
suddetti 
beni, non muti, senza 
autorizzazione 
da 
parte 
delle 
autorità 
competenti, 
la 
destinazione 
degli 
immobili 
vin(
189) il 
sistema 
previgente 
prevedeva 
l’applicazione 
di 
un’aliquota 
ridotta 
al 
3% nelle 
ipotesi 
di 
trasferimento di 
immobili 
di 
interesse 
storico, artistico e 
architettonico di 
cui 
alla 
legge 
1° 
giugno 1939, 
n. 1089 (v. previgente art. 1, nota ii, della 
tariffa, allegata al D.P.r. 26 aprile 1986, n. 131). 
(190) L’imposta, però, non può comunque risultare inferiore a 1.000,00 euro. 
(191) 
il 
trattamento 
fiscale 
degli 
immobili 
vincolati, 
invero, 
risulta 
il 
medesimo 
di 
quelli 
non 
vincolati. 
(192) 
Avverso 
il 
rifiuto 
dell’attestazione 
è 
possibile 
esperire 
ricorso 
gerarchico 
al 
Ministro 
dei 
Beni 
e 
delle 
Attività 
Culturali 
e 
del 
turismo, il 
quale 
decide 
sentito il 
Consiglio nazionale 
per i 
beni 
culturali ed ambientali. 

rASSeGnA 
AvvoCAturA 
DeLLo 
StAto -n. 3/2020 


colati, 
ovvero 
non 
provveda 
all’assolvimento 
degli 
obblighi 
prescritti 
dalla 
legge per consentire l’esercizio del diritto di prelazione dello Stato. 


Qualora 
nell’attivo ereditario sono compresi 
immobili 
non ancora 
sottoposti 
a 
vincolo, pur presentando le 
caratteristiche 
di 
cui 
all’art. 10 D.Lgs. 22 
gennaio 2004, n. 42, l’imposta 
dovuta 
dall’erede 
o dal 
legatario è 
ridotta 
del 
50% (art. 25 t.u.S.D.), seppur alle medesime condizioni di cui sopra. 


in 
relazione 
agli 
atti 
di 
donazione, 
invece, 
trova 
applicazione 
l’art. 
59, 
co. 1, lett. b), t.u.S.D., secondo cui 
gli 
immobili 
già 
sottoposti 
a 
vincolo al 
momento del 
trasferimento sono soggetti 
all’imposta 
“nella misura fissa prevista 
per 
l’imposta di 
registro” 
(a 
partire 
dal 
1° 
gennaio 2014 pari 
a 
200,00 
euro), a 
condizione 
che 
sia 
presentata 
all’ufficio del 
registro l’attestazione 
di 
cui al sopracitato art. 13, co. 2, t.u.S.D. 


3.3. 
Protezione 
e 
conservazione 
degli 
immobili 
storici 
sottoposti 
a 
vincolo: 
quali misure a sostegno dei proprietari privati? 
La 
realizzazione 
di 
opere 
di 
conservazione 
e 
valorizzazione 
su immobili 
storici 
vincolati 
può 
risultare 
estremamente 
dispendiosa 
per 
i 
proprietari 
degli 
stessi. 
A 
favore 
di 
questi 
ultimi, 
tuttavia, 
il 
legislatore 
prevede 
peculiari 
misure 
fiscali 
ed economiche, in grado di 
garantire 
le 
attività 
di 
manutenzione, protezione 
e restauro cui 
ex lege 
sono obbligati. 


Dal 
punto di 
vista 
fiscale, accanto alle 
agevolazioni 
analizzate 
nel 
paragrafo 
precedente, 
il 
legislatore 
prevede, 
ai 
fini 
i.r.P.e.F., 
la 
possibilità, 
per 
suddetti 
proprietari, 
di 
effettuare 
una 
detrazione 
pari 
al 
19% 
delle 
spese 
relative 
alla 
manutenzione, 
alla 
protezione 
ed 
al 
restauro 
dei 
beni 
vincolati 
nella 
misura 
effettivamente 
rimasta 
a 
loro 
carico 
(193). 
Detrazione 
che 
può 
essere 
effettuata 
dal 
proprietario 
dell'immobile 
vincolato 
per 
l'intero 
importo, 
qualora 
il 
suo 
reddito complessivo non ecceda i 120.000 euro (194). 

il 
diritto di 
detrazione 
in oggetto sorge 
come 
contrappeso all’obbligo di 
conservazione 
dei 
beni 
vincolati 
gravante 
sui 
“proprietari 
privati, possessori 


o detentori” 
degli stessi ai sensi dell’art. 30, co. 3, D.Lgs. 42/2004 (195). 
La 
detrazione 
non incide 
sulla 
base 
imponibile, bensì 
direttamente 
sull’imposta, 
consentendo 
un 
risparmio 
quantitativo 
identico 
per 
tutti 
i 
contribuenti, 
anche 
se 
in 
proporzione 
più 
elevato 
per 
i 
contribuenti 
con 
redditi 
medio-bassi (196). 

(193) v. art. 15, co. 1, lett. g, t.u.i.r. 
(194) 
v. 
art. 
15, 
co. 
3 
bis 
tuir, 
come 
modificato 
dall’art. 
1, 
co. 
629, 
legge 
27 
dicembre 
2019, 
n. 
160. 
(195) 
Sul 
punto, 
l’Amministrazione 
finanziaria 
con 
risoluzione 
Ade 
n. 
10/e/2009 
ha 
chiarito 
che 
anche 
il 
contratto di 
comodato può costituire 
un titolo astrattamente 
idoneo a 
qualificare 
il 
comodatario 
quale 
soggetto 
obbligato 
a 
porre 
in 
essere 
gli 
interventi 
conservativi 
di 
cui 
all’art. 
30, 
co. 
3, 
D.Lgs. n. 42/2004. 
(196) Così 
FrAnCo, Gli 
investimenti 
in cultura: l’attuale 
normativa fiscale 
e 
le 
principali 
problematiche, 
in 
AA.vv., 
L’intervento 
dei 
privati 
nella 
cultura 
-Profili 
economici, 
fiscali 
e 
amministrativi, 
cit., p. 113. 

LeGiSLAzione 
eD 
AttuALità 


il 
diritto 
alla 
detrazione 
viene 
meno 
nelle 
ipotesi 
in 
cui 
il 
proprietario 
del-
l’immobile 
vincolato 
ne 
ha 
mutato 
la 
destinazione 
in 
assenza 
della 
preventiva 
autorizzazione 
statale 
(197), 
nonché 
nei 
casi 
in 
cui 
non 
ha 
assolto 
agli 
obblighi 
di 
legge 
per 
consentire 
l’esercizio 
del 
diritto 
di 
prelazione 
dello 
Stato 
(198). 


Le 
spese 
sostenute, se 
non obbligatorie 
per legge, devono risultare 
“necessarie” 
da 
apposita 
certificazione, 
rilasciata 
dalla 
competente 
Soprintendenza 
del 
Ministero 
dei 
beni 
e 
delle 
attività 
culturali 
e 
del 
turismo, 
previo 
accertamento della loro congruità (199). 

tale 
certificazione, prevista 
dall’art. 15, co. 1, lett. g, t.u.i.r., è 
oggi 
sostituita 
da 
un’apposita 
dichiarazione 
sostitutiva 
dell’atto di 
notorietà 
(200) relativa 
alle 
spese 
effettivamente 
sostenute 
per lo svolgimento degli 
interventi 
e 
delle 
attività 
cui 
i 
benefici 
si 
riferiscono (art. 40, co. 9, D.L. n. 201/2011), 
che 
unitamente 
alla 
documentazione 
delle 
stesse 
(es. copia 
fatture, computo 
metrico, planimetrie, eventuali 
autorizzazioni), nonché 
alla 
fotocopia 
del 
documento 
d’identità, 
dev’essere 
presentata 
alla 
Soprintendenza 
per 
gli 
opportuni 
controlli. 


i lavori 
da 
eseguirsi 
sul 
bene 
immobile 
oggetto di 
tutela, ai 
fini 
del 
godimento 
dell’agevolazione 
fiscale 
in oggetto, devono risultare 
preventivamente 
autorizzati, ai 
sensi 
dell’art. 21 del 
D.Lgs. n. 42/2004, dalla 
competente 
Soprintendenza. 
in assenza 
di 
tale 
autorizzazione 
gli 
interventi 
debbono considerarsi 
illeciti 
e 
non consentono alcuna 
detrazione, anzi 
comportano a 
carico 
del proprietario rilevanti sanzioni amministrative e penali. 


L’Amministrazione 
finanziaria 
con 
Circolare 
Ade 
n. 
3/e/2016 
ha 
chiarito 
che 
la 
detrazione 
fiscale 
ut 
supra 
è 
cumulabile 
con 
quella 
sancita 
dall’art. 
16-bis 
t.u.i.r. 
prevista 
per 
gli 
interventi 
di 
recupero 
del 
patrimonio 
abitativo 
esistente. 
in 
tal 
caso, 
però, 
la 
detrazione 
in 
esame 
è 
ridotta 
del 
50% 
(art. 
16bis, 
co. 
6, 
t.u.i.r.); 
sicché 
le 
spese 
sostenute 
per 
i 
lavori 
di 
manutenzione, 
protezione 
e 
restauro 
agli 
immobili 
vincolati 
potranno 
essere 
detratte 
solo 
per 
il 
9,5%. 


La 
riduzione 
riguarda 
unicamente 
la 
parte 
di 
spesa 
per 
la 
quale 
si 
usufruisce 
contemporaneamente 
anche 
della 
detrazione 
per gli 
interventi 
di 
recupero 
del 
patrimonio 
edilizio. 
Ciò 
consente, 
pertanto, 
la 
detrazione 
per 
le 
spese 
di 
ristrutturazione 
eccedenti 
il 
limite 
previsto 
dall’art. 
16-bis 
t.u.i.r. 
nella 
misura del 19%. 


in 
tema 
di 
misure 
fiscali 
a 
sostegno 
dei 
proprietari 
di 
dimore 
storiche 
vincolate, 
occorre 
precisare, inoltre, che 
non trova 
applicazione 
in specie 
il 
c.d. 
Art 
bonus 
(201), 
consistente 
nel 
riconoscimento 
di 
un 
credito 
d’imposta 
(202) 


(197) v. supra 
par. 3.1. 
(198) v. art. 60, D.Lgs. n. 42/2004. 
(199) L’accertamento della 
congruità 
delle 
spese 
avviene 
d'intesa 
con il 
competente 
ufficio del 
territorio del Ministero dell’economia e delle finanze. 
(200) v. art. 47 del D P. r. 445/2000. 

rASSeGnA 
AvvoCAturA 
DeLLo 
StAto -n. 3/2020 


a 
favore 
di 
coloro 
che 
effettuano 
erogazioni 
liberali 
per 
interventi 
di 
manutenzione, 
protezione 
e 
restauro di 
beni 
culturali, atteso che 
tale 
peculiare 
agevolazione 
è 
riconosciuta 
unicamente 
in 
relazione 
ai 
lavori 
effettuati 
su 
beni 
pubblici 
(203). 
Al 
contrario, 
trova 
applicazione 
in 
relazione 
agli 
immobili 
vincolati 
il 
c.d. Superbonus 
110%, introdotto dall’art. 119 del 
D.L. 34/2020 (c.d. 
Decreto rilancio), convertito con modificazioni 
dalla 
legge 
n. 77/2020, che 
consente 
al 
proprietario dell’edificio di 
fruire 
della 
detrazione 
del 
110% delle 
spese 
sostenute 
dal 
1° 
luglio 
2020 
al 
31 
dicembre 
2021, 
per 
specifici 
interventi 
di 
efficientamento energetico, antisismici, nonché 
di 
installazione 
di 
impianti 
fotovoltaici, 
autorizzati, 
a 
norma 
dell’art. 
21 
del 
D.Lgs. 
n. 
42/2004, 
dalla 
competente 
Soprintendenza (204). 


La 
detrazione 
dev’essere 
ripartita 
in 
5 
quote 
annuali 
di 
pari 
importo, 
entro 
i 
limiti 
di 
capienza 
dell’imposta 
annua 
derivante 
dalla 
dichiarazione 
dei 
redditi. 


in alternativa 
alla 
fruizione 
diretta 
della 
detrazione 
in oggetto, il 
contribuente 
può optare 
per un contributo anticipato sotto forma 
di 
sconto ad opera 
dei 
fornitori 
dei 
beni 
o servizi 
(c.d. sconto in fattura) ovvero per la 
cessione 
del credito corrispondente alla detrazione (205). 

La 
cessione 
può essere 
disposta 
a 
favore: 
dei 
fornitori 
dei 
beni 
e 
dei 
servizi 
necessari 
alla 
realizzazione 
degli 
interventi; 
di 
istituti 
di 
credito e 
intermediari 
finanziari; 
di 
altri 
soggetti 
(es. 
persone 
fisiche 
esercenti 
attività 
di 
lavoro autonomo) (206). 

(201) 
L’Art 
bonus 
è 
stato 
introdotto 
con 
la 
legge 
n. 
83/2014 
ed 
è 
stato 
reso 
permanente 
dalla 
legge 
di stabilità 2016. 
(202) il 
credito d’imposta 
è 
riconosciuto nella 
misura 
del 
65% per le 
erogazioni 
liberali 
per interventi 
di 
manutenzione, protezione 
e 
restauro di 
beni 
culturali 
pubblici 
nei 
limiti, per le 
persone 
fisiche 
ed enti 
non commerciali, del 
15% del 
reddito imponibile 
dichiarato; 
mentre, per le 
imprese, società 
ed 
enti 
commerciali, del 
5 per mille 
dei 
ricavi 
dichiarati. il 
credito d’imposta 
è 
fruibile 
in tre 
quote 
annuali 
di 
pari 
importo (cfr. CAMiLLoCCi, Art 
bonus, sponsorizzazioni 
e 
forme 
di 
partenariato per 
la cultura e 
lo spettacolo, in Fisco, 2019, 9, 824). 
(203) 
Per 
un 
maggiore 
approfondimento 
sul 
tema 
in 
oggetto 
cfr. 
MArCHetti, 
Dimore 
storiche 
private: 
alcune 
brevi 
riflessioni 
su 
possibili 
misure 
volte 
al 
recupero 
del 
patrimonio 
storico-immobiliare, 
in CorDeiro 
GuerrA, PACe, verriGni, viotto 
(a 
cura 
di), Finanza pubblica e 
misure 
tributarie 
per 
il 
patrimonio culturale. Prime riflessioni, torino 2019. 
(204) 
Parimenti, 
può 
trovare 
applicazione 
a 
favore 
dei 
proprietari 
di 
immobili 
storici 
anche 
il 
c.d. 
Bonus 
facciate 
(art. 
1, 
co. 
219 
-223 
della 
legge 
27 
dicembre 
2019, 
n. 
160), 
consistente 
in 
una 
detrazione 
d’imposta 
del 
90% 
per 
interventi 
finalizzati 
al 
recupero 
o 
restauro 
della 
facciata 
esterna 
degli 
edifici 
di 
qualsiasi 
categoria 
catastale, 
compresi 
gli 
immobili 
strumentali. 
tuttavia, 
tale 
agevolazione 
fiscale 
non 
è 
cumulabile 
con 
la 
detrazione 
spettante 
ai 
proprietari 
di 
dimore 
storiche 
vincolate 
ai 
sensi 
dell’art. 
15, 
co. 
1, 
lett. 
g) 
t.u.i.r. 
(cfr. 
Circolare 
Ade 
n. 
2/e 
del 
14 
febbraio 
2020). 
Ciò 
posto, 
si 
precisa 
che 
il 
c.d. 
superbonus 
110% 
ed 
il 
c.d. 
Bonus 
facciate, 
a 
differenza 
dell’agevolazione 
introdotta 
dall’art. 
15, 
co. 
1, 
lett. 
g) 
t.u.i.r., 
non 
rappresentano 
misure 
fiscali 
strutturali, 
in 
quanto 
risultano 
temporalmente 
limitate. 
(205) Sul 
punto, si 
precisa 
che 
i 
soggetti 
a 
cui 
è 
ceduto il 
credito possono, a 
loro volta, cedere 
lo 
stesso. 
(206) 
Per 
un 
approfondimento, 
v. 
https://www.agenziaentrate.gov.it/portale/superbonus-110%25. 

LeGiSLAzione 
eD 
AttuALità 


nonostante 
la 
conclamata 
convenienza 
della 
misura 
fiscale, è 
bene 
precisare 
che 
inizialmente 
la 
stessa 
non poteva 
essere 
utilizzata 
dai 
proprietari 
di 
immobili 
appartenenti 
alle 
categorie 
catastali 
A/1 
(abitazioni 
di 
lusso), 
A/8 
(ville) e 
A/9 (castelli 
e 
palazzi 
di 
eminenti 
pregi 
storici 
e 
artistici), i 
quali 
rappresentano 
la 
maggioranza 
dei 
proprietari 
di 
dimore 
storiche 
private 
vincolate 
(207). Solo con il 
D.L. 14 agosto 2020, n. 104, è 
stata 
prevista 
la 
possibilità 
per 
i 
proprietari 
di 
fabbricati 
“aperti 
al 
pubblico” 
rientranti 
nella 
categoria 
catastale 
A/9 di usufruire dell’agevolazione in oggetto. 


Ad 
oggi, 
pertanto, 
seppur 
legittimamente 
utilizzabile 
ad 
opera 
dei 
proprietari 
privati 
di 
immobili 
storici, l’ambito applicativo del 
c.d. Superbonus 
110%, 
ne 
rende 
estremamente 
difficoltoso 
l’utilizzo 
da 
parte 
dei 
predetti, 
atteso 
che 
restano 
esclusi 
dalla 
misura 
gli 
immobili 
“appartenenti 
alle 
categorie 
catastali 
A/1, A/8, nonché 
alla categoria catastale 
A/9 per 
le 
unità immobiliari 
non aperte al pubblico” 
(art. 80, co. 6, D.L. 104/2020). 


Passando all’analisi 
delle 
misure 
economiche 
riconosciute 
ai 
proprietari 
privati 
di 
immobili 
vincolati 
è 
bene 
precisare 
che 
gli 
artt. 35 e 
37 del 
D.Lgs. 


n. 
42/2004 
prevedono 
la 
possibilità 
per 
lo 
Stato 
di 
concorrere, 
almeno 
in 
parte, 
alle 
spese 
di 
restauro, recupero e 
valorizzazione 
di 
detti 
beni, erogando contributi 
in conto capitale 
ovvero in conto d’interessi 
sul 
mutuo contratto per la 
realizzazione dell’intervento (208). 
i 
proprietari 
di 
dimore 
storiche 
vincolate, 
ai 
fini 
dell’ottenimento 
dell’erogazione 
delle 
due 
tipologie 
di 
contributi 
sopraindicati, 
in 
sede 
di 
autorizzazione 
del 
progetto 
conservativo, 
presentato 
presso 
la 
Soprintendenza 
territorialmente 
competente 
(art. 
21 
D.Lgs. 
n. 
42/2004), 
devono 
richiedere 
specificamente a quest’ultima l’ammissione ai contributi in oggetto. 


il 
soprintendente, 
pronunciandosi 
sull’ammissibilità 
dei 
contributi 
statali 
di 
cui 
agli 
artt. 35 e 
37 del 
D.Lgs. n. 42/2004, si 
pronuncia 
anche 
sulla 
necessità 
dell’intervento conservativo ai 
fini 
della 
concessione 
delle 
agevolazioni 
tributarie previste dalla legge (209). 

i contributi 
in conto capitale 
consistono in contributi 
a 
fondo perduto in 
quota 
percentuale 
sull’importo ammissibile, calcolati 
sulla 
spesa 
effettiva 
rimasta 
a 
carico 
del 
proprietario, 
possessore 
o 
detentore 
dell’immobile 
vincolato 


(207) v. previgente 
art. 119, co. 15-bis, D.L. n. 34/2020, come 
modificato dalla 
legge 
n. 77/2020. 
(208) 
tali 
contributi, 
anche 
se 
tra 
loro 
cumulabili, 
devono 
essere 
richiesti 
distintamente, 
ciascuno 
secondo 
il 
proprio 
peculiare 
procedimento. 
L’erogazione 
degli 
stessi, 
inoltre, 
è 
stata 
sospesa 
nel 
periodo 
intercorrente 
dall’8 
agosto 
2012 
al 
31 
dicembre 
2018. 
Solo 
con 
la 
legge 
di 
bilancio 
2018, 
il 
legislatore, 
decideva 
di 
ripristinare 
i 
contributi 
in 
esame, 
concedendo 
risorse, 
in 
relazione 
ai 
contributi 
in 
conto 
capitale 
di 
cui 
all’art. 
35 
D.Lgs. 
n. 
42/2004, 
nel 
limite 
massimo 
di 
10 
milioni 
di 
euro 
per 
l’anno 
2019 
e 
20 
milioni 
di 
euro 
annui 
a 
decorrere 
dall’anno 
2020, 
secondo 
modalità 
da 
definire 
con 
decreto 
del 
Ministro 
per 
i 
beni 
e 
le 
attività 
culturali 
e 
del 
turismo, 
di 
concerto 
con 
il 
Ministro 
dell’economia 
e 
delle 
finanze. 
(209) v. art. 15, co. 1, lett. g), t.u.i.r. 

rASSeGnA 
AvvoCAturA 
DeLLo 
StAto -n. 3/2020 


(rectius 
del 
bene 
culturale) 
che 
ha 
posto 
in 
essere 
l’intervento 
conservativo 
approvato dalla Soprintendenza. 


il 
Ministero, 
a 
norma 
dell’art. 
35 
del 
D.Lgs. 
n. 
42/2004, 
ha 
facoltà 
di 
concorrere 
alla 
spesa 
sostenuta 
per 
un 
ammontare 
non 
superiore 
alla 
metà 
della 
stessa, 
ad 
eccezione 
delle 
ipotesi 
in 
cui 
l’intervento 
risulti 
di 
“particolare 
rilevanza” 
o 
venga 
realizzato 
su 
beni 
in 
uso 
o 
godimento 
pubblico. 
in 
tal 
caso, 
infatti, 
il 
contributo 
statale 
può 
concorrere 
alla 
spesa 
fino 
al 
suo 
intero 
ammontare. 


L’erogazione 
del 
contributo 
avviene 
a 
lavori 
ultimati 
e 
collaudati 
sulla 
spesa 
effettivamente 
sostenuta 
dal 
beneficiario. 
Sul 
punto, 
però, 
si 
precisa 
che 
i 
proprietari, i 
possessori, nonché 
i 
detentori 
di 
detti 
beni 
possono richiedere 
l’erogazione 
di 
acconti 
sulla 
base 
degli 
stati 
di 
avanzamento dei 
lavori 
regolarmente 
certificati (210). 

i contributi 
in conto interessi, invece, possono essere 
utilizzati 
dai 
proprietari, 
dai 
possessori 
ovvero dai 
detentori 
di 
beni 
culturali 
(in specie 
immobili 
storici 
e 
artistici 
vincolati) per far fronte 
agli 
interessi 
sui 
mutui 
o su altre 
forme 
di 
finanziamento accordati 
agli 
stessi 
dagli 
istituti 
di 
credito per la 
realizzazione 
degli interventi conservativi. 


Suddetti 
contributi 
sono 
concessi 
nella 
misura 
massima 
corrispondente 
agli 
interessi 
calcolati 
ad un tasso annuo di 
sei 
punti 
percentuali 
sul 
capitale 
erogato (211). tuttavia, qualora 
il 
prestito dovesse 
presentare 
un tasso variabile, 
il 
contributo è 
calcolato sviluppando il 
piano di 
ammortamento al 
tasso 
costante della prima rata. 


A 
differenza 
dei 
contributi 
in 
conto 
capitale, 
i 
contributi 
in 
conto 
interessi 
sono 
corrisposti 
direttamente 
dal 
Ministero 
all’istituto 
di 
credito 
secondo 
tempi 
e modalità stabilite in apposite convenzioni. 


una 
volta 
ottenuto uno dei 
contributi 
ut 
supra 
per la 
realizzazione 
di 
interventi 
conservativi, i 
beni 
culturali, oggetto di 
questi 
ultimi, devono essere 
resi 
accessibili 
al 
pubblico secondo le 
modalità 
stabilite, caso per caso, da 
appositi 
accordi 
o 
convenzioni 
fra 
il 
Ministero 
e 
i 
singoli 
proprietari 
(art. 
38 
D.Lgs. n. 42/2004) (212). tali 
convenzioni 
devono stabilire 
i 
limiti 
temporali 
dell’obbligo di 
apertura 
al 
pubblico, tenendo conto della 
tipologia 
degli 
interventi, 
del valore artistico e storico degli immobili e dei beni in essi esistenti. 

4. Sistemi a confronto. Conclusioni. 
Comparando i 
tre 
sistemi 
di 
protezione, conservazione 
e 
tassazione 
delle 


(210) 
Qualora 
gli 
interventi 
non 
sono 
stati, 
in 
tutto 
o 
in 
parte, 
regolarmente 
eseguiti 
il 
beneficiario 
è tenuto alla restituzione degli acconti percepiti. 
(211) v. art. 37, co. 2, D.Lgs. n. 42/2004. 
(212) Gli 
accordi 
e 
le 
convenzioni 
aventi 
ad oggetto beni 
immobili 
qualificabili 
come 
“beni 
culturali” 
devono essere 
trasmessi, a 
cura 
del 
soprintendente, al 
comune 
e 
alla 
città 
metropolitana 
nel 
cui 
territorio si trovano gli stessi. 

LeGiSLAzione 
eD 
AttuALità 


dimore 
storiche 
di 
proprietà 
privata 
analizzati 
nei 
paragrafi 
precedenti, è 
evidente 
l’attenzione 
riservata 
dai 
diversi 
legislatori 
nazionali 
al 
peculiare 
tema 
della 
protezione 
dei 
beni 
immobili 
storici 
-vincolati, classès, listed 
-qualificabili 
quali 
beni 
culturali. ogni 
ordinamento, infatti, seppur con una 
diversa 
sensibilità, protegge 
i 
beni 
appartenenti 
al 
proprio patrimonio culturale 
a 
prescindere 
dalla titolarità pubblicistica o privatistica degli stessi. 

Ciò posto, occorre 
rilevare 
che, in relazione 
ai 
beni 
immobili 
privati 
vincolati, 
classès, 
listed, 
tutti 
e 
tre 
i 
sistemi 
esaminati 
intendono 
realizzare 
un 
modello 
di 
tutela 
basato sul 
connubio tra 
protezione 
e 
obblighi 
di 
conservazione 
dei 
privati, 
riconoscendo 
un 
ruolo 
sempre 
più 
attivo 
di 
questi 
ultimi 
nella 
tutela 
del patrimonio culturale nazionale. 


tutti 
gli 
ordinamenti, in particolare 
quello italiano, cercano di 
assicurare 
l’efficiente 
e 
tempestiva 
manutenzione 
dei 
beni 
immobili 
storici, 
riconoscendo 
peculiari 
obblighi 
di 
conservazione 
a 
carico dei 
loro proprietari; 
tuttavia, alcuni, 
più di 
altri, favoriscono l’adempimento di 
detti 
obblighi, riconoscendo 
efficaci 
misure 
sia 
fiscali 
che 
economiche 
a 
sostegno 
dei 
proprietari 
privati 
dei 
predetti. L’ordinamento francese, ad esempio, con la 
Loi 
monuments 
Historiques, 
la 
Loi 
malraux 
e 
la 
Loi 
Aillagon 
ha 
realizzato nel 
corso del 
tempo 
un 
efficiente 
sistema 
di 
tutele 
a 
favore 
dei 
proprietari 
di 
suddetti 
beni, 
in 
grado 
di 
controbilanciare 
la 
pressione 
fiscale 
generata 
dal 
sistema 
interno di 
tassazione 
sulla proprietà immobiliare (213). 

Di 
converso, seppur fortemente 
orientato alla 
tutela 
del 
patrimonio culturale 
privato, il 
sistema 
italiano prevede 
esigue 
misure 
fiscali 
di 
sostegno ai 
proprietari 
di 
dimore 
storiche 
vincolate, 
nonché 
ai 
cc.dd. 
mecenati 
privati 
delle 
stesse. tuttavia, è 
bene 
rilevare 
che 
quest’ultimo è 
l’unico, tra 
i 
tre 
esaminati, 
che, allo stato, prevede 
specifiche 
agevolazioni 
in tema 
di 
imposte 
dirette 
su 
beni 
immobili 
afferenti 
al 
patrimonio 
culturale 
privato 
(es. 
riduzione 
ai 
fini 


i.M.u. della base imponibile del 50%). 
il 
sistema 
inglese, 
invece, 
non 
solo 
non 
prevede 
peculiari 
agevolazioni 
in relazione 
alla 
Council 
tax 
dovuta 
per i 
listed buildings, ma 
presenta 
altresì 
un sistema 
di 
tutele 
in favore 
dei 
proprietari 
privati 
degli 
stessi 
perlopiù incentrato 
su misure 
economiche 
-piuttosto che 
fiscali 
-consistenti 
in sovvenzioni 
o prestiti 
per la 
realizzazione 
di 
opere 
di 
conservazione 
da 
eseguirsi 
su 
tali edifici (214). 

un aspetto che 
accumuna 
i 
tre 
sistemi 
è 
rappresentato dalla 
mancata 
previsione 
di 
agevolazioni 
fiscali 
ed 
economiche 
a 
favore 
di 
proprietari 
di 
immo


(213) Sul 
punto, è 
bene 
precisare 
che 
la 
Francia 
e 
il 
regno unito nel 
2018 presentavano entrate 
derivanti 
dalla 
tassazione 
sulla 
proprietà 
immobiliare 
più alte 
della 
media 
europea 
(2,6% del 
P.i.L.), rispettivamente 
del 
4,7% 
e 
del 
4,3% 
del 
P.i.L. 
(cfr. 
Cfr. 
Entrate 
Tributarie 
Internazionali, 
report 
Gennaio 
- Settembre 2018, Ministero dell’economia e delle Finanze, cit., p. 11) 
(214) Si pensi alla 
Heritage Lottery Fund 
(supra 
par. 2.5). 

rASSeGnA 
AvvoCAturA 
DeLLo 
StAto -n. 3/2020 


bili 
storici 
“indirettamente” 
vincolati, 
i 
quali, 
in 
assenza 
di 
tutele, 
sono 
comunque 
chiamati 
a 
rispettare 
le 
specifiche 
prescrizioni 
dell’autorità 
amministrativa 
al 
fine 
di 
evitare 
un’eventuale 
lesione 
agli 
immobili 
meritevoli 
di 
tutela 
ad essi “contigui”. 


in 
conclusione, 
è 
possibile 
affermare, 
dunque, 
che 
l’analisi 
comparata 
dei 
sistemi 
ut 
supra 
non soltanto consente 
di 
cogliere 
le 
differenze 
intercorrenti 
tra 
gli 
stessi, 
bensì 
offre 
anche 
l’opportunità 
di 
riflettere, 
dal 
punto 
di 
vista 
prospettico, sulle 
eventuali 
misure 
da 
adottare 
per migliorare 
l’efficienza 
del-
l’attuale 
sistema 
italiano 
di 
protezione, 
conservazione 
e 
tassazione 
delle 
dimore 
storiche di proprietà privata. 



LeGiSLAzione 
eD 
AttuALità 


il finanziamento al sedicente stato islamico attraverso 
l’utilizzo dei servizi informali per il 
trasferimento dei 
Valori 


Il caso “Hawala” ed il motivo della sua potenziale maggiore diffusione a 
seguito della sconfitta militare subita sul territorio dal Califfato 


Giuseppe Coccia* 


SommArIo: 1. Introduzione 
e 
quadro generale 
di 
riferimento -2. Importanza e 
ruolo di 
denaro contante 
e 
valori 
assimilabili 
in contesti 
non leciti 
nell’UE 
-3. I servizi 
informali 
di 
trasferimento 
valori: 
“Hawala” 
e 
similari 
-4. 
Una 
sentenza 
importante 
(Tribunale 
di 
Palermo, 
sentenza 
22 
marzo 
2018, 
dep. 
18 
settembre 
2018, 
n. 
400, 
G.U.P. 
Ferro) 
-5. 
riflessioni 
sui 
principali 
vantaggi 
derivanti 
dell’utilizzo 
del 
sistema 
Hawala 
-6. 
L’uso 
di 
Hawala 
da 
parte 
dell’ISIS dopo la sconfitta militare 
-7. Brevi 
considerazioni 
finali 
-Bibliografia e 
Sitografia. 


1. Introduzione e quadro generale di riferimento. 
il 
riciclaggio di 
denaro ed il 
finanziamento del 
terrorismo sono sfide 
rilevanti 
ed 
in 
evoluzione 
costante, 
tali 
fenomeni 
per 
essere 
opportunamente 
contrastati 
devono essere 
affrontati 
a 
livelli 
diversi; 
partendo da 
una 
prospettiva 
internazionale, passando per un’ottica 
in ambito regionale 
(unione 
europea, 
ad esempio) fino a 
giungere 
a 
soluzioni 
pragmatiche 
a 
livello di 
singolo 
Paese. un approccio in tale 
ottica 
è 
l’unico che 
può dare 
risultati 
davvero efficaci. 


i recenti 
attacchi 
terroristici 
e 
i 
ricorrenti 
scandali 
finanziari 
(vedi 
il 
caso 
Qatar) richiedono azioni 
vigorose 
e 
decise 
in questo settore. Ai 
nostri 
giorni, 
i 
flussi 
finanziari 
sono sempre 
più integrati 
e 
transfrontalieri 
per loro natura 
ed il 
denaro e 
gli 
altri 
valori 
equivalenti 
possono fluire 
rapidamente, in realtà 
sempre 
più 
spesso 
istantaneamente, 
da 
uno 
Stato 
all'altro 
consentendo 
alla 
criminalità 
organizzata 
ed 
ai 
fiancheggiatori 
del 
terrorismo 
di 
movimentare 
fondi 
in tutto il 
globo, abbattendo il 
rischio di 
essere 
individuati 
dalle 
Autorità 
preposte 
al contrasto di tali fenomeni. 


Quanto finora 
detto è 
valido ovviamente 
anche 
per lo Stato islamico e, 
secondo 
il 
pensiero 
dello 
scrivente, 
a 
maggior 
ragione 
in 
questo 
momento 
storico. 
L’organizzazione, infatti, a 
seguito della 
sconfitta 
militare 
sul 
territorio 
starebbe 
riorganizzandosi 
allo scopo di 
poter rispondere 
con un’azione 
con


(*) ufficiale 
del 
Corpo della 
Guardia 
di 
Finanza, esperto antiriciclaggio e 
contrasto al 
finanziamento 
del terrorismo. 


Costituisce 
il 
presente 
scritto l’elaborato finale 
dell’Autore 
al 
Master 
di 
II 
livello in 
Geopolitica e 
Sicurezza 
Globale - Università degli Studi di Roma La Sapienza (Edizione 2019 - 2020). 


un ringraziamento all’avv. Stato Maria 
vittoria Lumetti per l’invio dell’articolo alla 
rassegna 
(ndr). 



rASSeGnA 
AvvoCAturA 
DeLLo 
StAto -n. 3/2020 


troffensiva 
in 
grado 
di 
colpire 
qualsiasi 
Paese. 
ovviamente 
tale 
azione 
non 
avverrà 
in 
campo 
aperto, 
con 
scontri 
diretti 
tra 
coalizione 
e 
miliziani, 
dove 
l’esito sarebbe 
già 
certo, ma 
secondo le 
classiche 
logiche 
dei 
fondamentalisti, 
ossia 
generando terrore 
nel 
mondo attraverso il 
ricorso ad attentati 
isolati 
ai 
danni di civili. 

è 
indubbio che 
per organizzare 
qualsiasi 
atto terroristico servano soldi, 
anche 
per il 
più semplice 
degli 
attentati 
è 
necessario un minimo di 
organizzazione 
e 
di 
tempo 
e 
in 
sostanza 
di 
denaro, 
che 
servirà 
per 
le 
più 
disparate 
attività 
logistiche, sia illecite che lecite (alloggi, spostamenti, noleggi, acquisti ecc). 

il 
finanziamento del 
terrorismo è 
un settore, da 
un punto di 
vista 
squisitamente 
operativo, non molto esplorato, atteso che 
solo di 
recente 
si 
è 
posta 
come 
fondamentale 
l’azione 
preventiva/repressiva 
rappresentata 
dal 
contrasto 
a 
tale 
fenomeno, 
visto 
inoltre 
che 
presenta 
pochi 
“poli 
esperienziali”, 
non 
solo 
da 
parte 
delle 
Forze 
di 
Polizia, ma 
anche 
da 
parte 
della 
Magistratura. Le 
indagini 
sinora 
condotte 
si 
erano 
orientate 
prevalentemente 
a 
definire 
l’appartenenza 
di 
un 
soggetto 
ad 
una 
determinata 
organizzazione 
terroristica 
(mutuando 
le 
tecniche 
investigative 
in 
uso 
per 
le 
associazioni 
di 
stampo 
mafioso), 
ovvero 
a 
prevenire 
il 
compimento di 
atti 
terroristici, senza 
dare 
particolare 
rilevanza 
all’aspetto inerente al finanziamento del fenomeno. 


ritenendo fondamentale 
presidiare 
tale 
settore 
operativo, sono state 
elaborate 
diverse 
analisi 
operative 
da 
parte 
delle 
diverse 
Amministrazioni 
preposte 
a 
presidio 
del 
sistema 
bancario 
e 
finanziario, 
rivolgendo 
l’attenzione 
investigativa 
nei 
confronti 
di 
soggetti 
-sia 
persone 
fisiche 
che 
persone 
giuridiche 
-a 
rischio 
di 
terrorismo, 
che 
hanno 
commesso 
violazioni 
alla 
normativa 
valutaria. Da 
quest’attività 
scaturiscono le 
riflessioni 
e 
le 
considerazioni 
che 
sono esposte di seguito. 

2. 
L’importanza 
ed 
il 
ruolo 
del 
denaro 
contante 
e 
dei 
valori 
assimilabili 
in 
contesti non leciti nell’U.E. (1) 
Alcuni 
studi 
circa 
la 
valutazione 
del 
rischio hanno dimostrato che 
il 
denaro 
contante 
ed i 
valori 
ad esso assimilabili 
(oro, diamanti, etc.) rimangono 
il 
mezzo al 
quale 
si 
ricorre 
con maggiore 
frequenza 
per finalità 
di 
finanziamento 
del 
terrorismo, 
in 
quanto 
consentono 
agli 
attori 
di 
mantenere 
il 
massimo 
anonimato e 
di 
non essere 
facilmente 
identificabili. ecco perché 
l’analisi 
di 
tali 
aspetti 
è 
presente 
in quasi 
tutte 
le 
indagini 
in materia 
di 
Anti 
money 
Laundering 
e 
di 
Counter 
Financing Terrorism. nel 
quadro normativo impiantato 
dal 
succedersi 
delle 
varie 
direttive 
europee 
antiriciclaggio, valide 
per il 
tutto 
il 
territorio 
regionale 
dell’unione 
europea, 
ed 
attualmente 
incardinato 
sui 
con


(1) Da 
relazione 
Commissione 
europea 
al 
Parlamento del 
26 giugno 2017, non sono interessati 
i 
trasferimenti 
di 
denaro contante 
multifinalità 
in operazioni 
di 
aiuto umanitario con finanziamenti 
del-
l'u.e. 

LeGiSLAzione 
eD 
AttuALità 


tenuti 
della 
recentissima 
v 
Direttiva 
(Direttiva 
u.e. 
2018/843) 
che 
apporta 
fortunatamente 
dei 
bilanciamenti 
-novellando 
i 
Decreti 
Legislativi 
nr. 
90 
e 
92 
del 
2017 -le 
operazioni 
in contanti 
e 
valori 
assimilabili 
non erano state 
adeguatamente 
sottoposte 
a 
controllo 
nel 
mercato 
interno 
a 
causa 
della 
mancanza 
di 
requisiti 
chiari 
ed univoci 
in termini 
di 
regolamentazione 
e 
verifiche. Gli 
Stati 
membri 
avevano 
quindi 
introdotto 
sistemi 
diversi 
per 
le 
segnalazioni 
delle 
operazioni 
in 
contanti 
sospette 
oppure 
limiti 
massimi 
diversificati 
sui 
pagamenti 
in contanti 
(ad esempio a 
Stati 
europei 
che 
avevano posto limiti 
relativamente 
bassi 
si 
contrapponevano Paesi 
che 
non avevano posto alcun limite 
al pagamento tramite denaro contante). 


è 
lampante 
che 
in 
assenza 
di 
requisiti 
totalmente 
comuni 
per 
tutti 
gli 
Stati 
membri, 
si 
possono 
sfruttare 
facilmente 
le 
differenze 
tra 
le 
diverse 
legislazioni. 
Analogamente 
il 
quadro normativo dell’u.e. per i 
controlli 
sui 
corrieri 
di 
denaro 
contante 
alle 
frontiere 
esterne 
dell'unione 
europea 
non garantisce 
adeguati 
livelli 
di 
attenzione, in particolare 
perché 
non tratta 
in modo esauriente 
prodotti 
assimilabili 
al 
denaro contante 
quali, ad esempio, i 
cc.dd. beni 
altamente 
“liquidi” 
-si 
pensi 
all'oro, ai 
diamanti 
o alle 
carte 
prepagate 
-che 
possono 
essere 
e 
rimanere 
completamente 
anonimi 
consentendo 
tuttavia 
un’elevata 
disponibilità 
di 
“fondo liquido” 
disponibile 
ed impiegabile 
molto 
rapidamente. 

ricordiamo ancora 
che 
i 
rischi 
derivanti 
dai 
commercianti 
di 
oggetti 
di 
valore 
elevato che 
accettano pagamenti 
in contanti 
per importi, in alcuni 
casi, 
pari 
o superiori 
a 
15.000 euro sono considerati 
significativi 
a 
causa 
dell'esposizione 
a 
rischi 
intrinseci, 
nonché 
per 
lo 
scarso 
livello 
qualitativo/quantitativo 
di 
controlli. il 
fatto che 
tali 
operatori 
commerciali 
siano soggetti 
alle 
norme 
A.M.L./C.F.t. soltanto nella 
misura 
della 
nazionalità 
della 
controparte 
da 
cui 
accettano 
pagamenti 
in 
contanti 
di 
valore 
particolarmente 
elevato 
sembra 
possa 
portare 
all'inefficacia 
di 
tali 
norme. La 
sfida 
risulta 
essere 
persino più 
importante 
per quanto riguarda 
quelle 
attività 
economiche 
normalmente 
caratterizzate 
da 
elevato 
utilizzo 
di 
contante, 
le 
quali 
non 
sono 
strettamente 
soggette 
alle 
norme 
in materia 
di 
antiriciclaggio e 
contrasto al 
finanziamento al 
terrorismo a 
meno che 
non rientrino in particolari 
categorie 
caratterizzate 
da 
rischio particolarmente elevato. 


tali 
attività 
possono fungere 
da 
mezzo estremamente 
comodo per il 
riciclaggio 
di 
proventi 
in denaro contante 
derivanti 
da 
attività 
criminose 
e 
anche 
e 
soprattutto per i 
finanziatori 
del 
terrorismo, che 
non hanno tra 
l’altro il 
problema 
-tipico 
dei 
criminali 
-, 
di 
dover 
“ripulire” 
il 
denaro 
per 
poi 
reimpiegarlo, 
anzi 
in 
quest’ultimo 
caso 
spesso 
il 
denaro 
impiegato 
per 
sostenere 
il 
terrorismo 
è di natura originariamente lecita. 


La 
valutazione 
sottolinea 
altresì 
il 
fatto 
che 
anche 
i 
beni 
che 
offrono 
strumenti 
simili 
ai 
contanti 
(oro, 
diamanti 
ecc.) 
oppure 
quelli 
che 
denotano 
un 
determinato 
stile 
di 
vita 
e 
presentano 
un 
elevato 
valore, 
oltre 
ad 
essere 
facilmente 



rASSeGnA 
AvvoCAturA 
DeLLo 
StAto -n. 3/2020 


commercializzabili 
(ad 
esempio 
opere 
d'arte, 
automobili, 
gioielli, 
orologi) 
sono 
soggetti 
ad un rischio elevato, a 
causa 
dei 
controlli, purtroppo non sempre 
efficaci. 
Sono state, inoltre, espresse 
preoccupazioni 
specifiche 
riguardo al 
saccheggio 
e 
al 
traffico di 
antichità 
e 
di 
altri 
manufatti 
di 
particolare 
pregio; 
gli 
stessi 
possono servire 
utilmente 
come 
fonte 
per il 
finanziamento del 
terrorismo, 
in alternativa 
tali 
beni 
possono risultare 
interessanti 
quale 
metodologia 
per il 
riciclaggio di 
denaro proveniente 
da 
reato. tali 
somme 
potranno poi 
essere 
reinvestite 
in 
modo 
lecito 
per 
poter 
creare 
un 
circuito 
continuo 
di 
alimentazione 
delle casse dei soggetti vicini alle organizzazioni terroristiche. 

3. I servizi informali di trasferimento valori: “Hawala” e similari. 
Giova, 
in 
via 
preliminare, 
per 
i 
discorsi 
che 
faremo 
in 
seguito, 
mettere 
bene 
a 
fuoco il 
funzionamento di 
Hawala 
e 
degli 
altri 
sistemi 
informali 
di 
pagamento. 
Accanto ai 
sistemi 
cc.dd. formali 
di 
trasferimento dei 
fondi, cioè 
a 
quelli 
che 
operano 
all’interno 
del 
sistema 
finanziario 
regolamentato, 
sussistono 
-da 
tempi 
anche 
remoti 
-dei 
sistemi 
“ufficiosi”, 
operanti 
totalmente 
al 
di 
fuori 
dal 
circuito 
ufficiale 
che 
consentono 
l’esecuzione 
di 
transazioni 
finanziarie 
caratterizzate 
da 
un elevato grado di 
opacità 
(2). tali 
sistemi 
informali 
di 
trasferimento 
fondi 
sono ritenuti 
possibili 
canali 
attraverso cui 
veicolare, anche 
a 
fini 
di 
riciclaggio/finanziamento del 
terrorismo, denaro “sporco” 
o meno; 
ad essi 
ci 
si 
riferisce 
anche 
come 
Alternative 
remittance 
Systems 
(sistemi 
alternativi 
di 
trasferimento fondi) (3), ma 
non di 
rado, per le 
dimensioni 
e 
le 
caratteristiche 
che 
vengono ad assumere 
in determinate 
realtà, essi 
sono altresì 
noti 
come 
Underground or 
Parallel 
Banking Systems 
(sistemi 
bancari 
sotterranei 
o paralleli). Gli 
Alternative 
remittance 
Systems, invero, si 
fondano su 
precisi 
fattori 
etnici, culturali 
e 
storici 
e, in alcuni 
casi, hanno origini 
remote 
che 
precedono di 
alcuni 
secoli 
lo sviluppo del 
sistema 
bancario occidentale. 
Spesso i 
sistemi 
informali 
di 
trasferimento di 
fondi 
hanno legami 
con le 
specifiche 
aree 
geografiche 
in cui 
si 
sono sviluppati, in relazione 
alle 
quali 
assumono 
differenti caratteristiche e denominazioni. 


Le 
forme 
più conosciute 
di 
tali 
sistemi 
informali 
sono per l’appunto Hawala, 
sviluppatosi 
in 
Asia 
meridionale 
e 
successivamente 
diffusosi 
in 
tutta 
l’area 
mediorientale; 
l’Hundi, in uso in india 
prima 
dell’avvento del 
sistema 
bancario convenzionale; 
il 
Fei-ch’ien, noto in Cina 
già 
alla 
fine 
del 
diciottesimo 
secolo; 
il 
mercato Nero del 
Peso, originario inizialmente 
in America 
latina 
e poi estesosi in tutto il continente americano (4). 


tali 
sistemi, 
da 
quanto 
emerge 
da 
altro 
studio 
dello 
scrivente 
in 
itinere 


(2) 
M. 
ConDeMi, 
F. 
De 
PASQuALe, 
Lineamenti 
della 
disciplina 
internazionale 
di 
prevenzione 
e 
contrasto del 
riciclaggio e 
del 
finanziamento del 
terrorismo, in Quaderni 
di 
ricerca giuridica, 2008, n. 
60, pp. 187 ss. 
(3) An Analysis of the Hawala System, report n. 25803, Washington D.C., 2003. 
(4) ALeSSAnDro 
QuAttroCCHi, Diritto Penale Contemporaneo, Fascicolo 2/2019. 

LeGiSLAzione 
eD 
AttuALità 


ed 
inerente 
l’analisi 
della 
prostituzione 
in 
strada 
o 
in 
appartamento 
quale 
“markers” 
della 
criminalità 
organizzata 
e 
delle 
interrelazioni 
tra 
le 
diverse 
mafie 
insistenti 
su 
un 
dato 
territorio, 
permettono 
alle 
prostitute 
-ma 
più 
spesso 
a 
chi 
le 
sfrutta 
-di 
trasferire, quasi 
senza 
rischi, il 
profitto del 
meretricio in 
qualsiasi 
angolo del 
mondo. in questo momento si 
riscontra, ad esempio, un 
incremento 
nell’uso 
del 
sistema 
per 
trasferire 
denaro 
verso 
il 
venezuela 
da 
parte 
delle 
prostitute, 
in 
numero 
sempre 
crescente 
in 
europa, 
originarie 
di 
quel 
Paese. 


nati 
dunque 
come 
fenomeni 
regionali, i 
meccanismi 
informali 
di 
trasferimento 
di 
fondi 
sono oggi 
presenti 
in ogni 
parte 
del 
mondo in virtù del 
loro 
utilizzo da 
parte 
delle 
comunità 
di 
immigrati, al 
fine 
di 
effettuare 
rimesse 
di 
denaro nei 
propri 
Paesi 
d’origine. La 
diffusione 
su larga 
scala 
dei 
sistemi 
informali 
sono, dunque, dovuti 
ad una 
molteplicità 
di 
ragioni, fra 
cui 
vanno annoverate 
- prime fra tutte - le seguenti: 


-rapidità 
con cui 
vengono movimentate 
le 
somme 
(tempi 
medi 
compresi 
tra 6 - 12 ore); 
-i 
costi 
particolarmente 
ridotti 
del 
servizio (all’incirca 
compresi 
tra 
il 
2 
ed il 5% delle somme movimentate); 
- la semplicità di funzionamento; 
-l’accessibilità 
anche 
in mancanza 
di 
un rapporto continuativo/regolamentato 
con l’intermediario; 
-la 
possibilità 
di 
raggiungere 
aree 
geografiche 
particolarmente 
remote 
in 
cui 
le 
banche 
tradizionali 
non operano ovvero dove 
sono presenti 
conflitti 
armati 
o situazioni di instabilità politica; 


-il 
totale 
anonimato delle 
transazioni, garantito dalla 
mancanza 
di 
obblighi 
di 
identificazione 
della 
clientela 
e 
di 
registrazione 
delle 
relative 
operazioni. 
tanto osservato in generale, il 
sistema 
di 
trasferimento di 
denaro basato 
sul 
“brokeraggio informale” 
e 
su relazioni 
non contrattuali 
Hawala, quanto 
al 
suo 
funzionamento 
pratico, 
prevede 
che 
il 
soggetto 
che 
intende 
trasferire 
una 
somma 
di 
denaro 
ad 
altro 
soggetto, 
di 
norma 
residente 
in 
un 
diverso 
Paese, 
contatta 
un broker intermediario (c.d. Hawaladar) e 
gli 
versa 
la 
somma 
da 
inviare; 
l’intermediario locale 
contatta 
quindi 
un suo omologo nel 
Paese 
ricevente, 
dandogli 
ordine 
di 
pagare 
al 
soggetto destinatario la 
somma 
indicata, 
trattenendo ovviamente 
una 
percentuale 
a 
titolo di 
commissione. La 
somma 
versata 
al 
destinatario verrà 
ripagata 
dal 
primo al 
secondo intermediario in un 
secondo 
momento, 
con 
tempi 
e 
mezzi 
variabili, 
secondo 
le 
circostanze 
(5). 
ti


(5) ALeSSAnDro 
QuAttroCCHi, Diritto Penale Contemporaneo, Fascicolo 2/2019. 
Cfr. G. oDDo, M. MAGnAni, r. SettiMo, S. zAPPA, 
Le 
rimesse 
dei 
lavoratori 
stranieri 
in Italia: una 
stima dei 
flussi 
invisibili 
del 
“canale 
informale”, in Questioni 
di 
Economia e 
Finanza, 2016, n. 332, p. 
6. 

rASSeGnA 
AvvoCAturA 
DeLLo 
StAto -n. 3/2020 


picamente, i 
due 
Hawaladar 
sono uniti 
in qualche 
forma 
di 
sodalizio e, più in 
generale, 
inseriti 
in 
una 
rete 
di 
mediatori 
e 
non 
essendoci 
tra 
gli 
stessi 
scambio 
di 
strumenti 
cambiari, 
le 
transazioni 
sono 
basate 
unicamente 
sulla 
fiducia 
e 
sull’onore. 
in 
aggiunta 
alle 
commissioni, 
i 
profitti 
dei 
mediatori 
si 
imperniano 
altresì sulla circostanza che gli stessi aggirano i tassi ufficiali di cambio. 


Generalmente 
poi 
i 
fondi 
entrano 
nel 
sistema 
di 
trasferimento 
Hawala 
con la 
valuta 
dello Stato di 
origine 
e 
lo lasciano nella 
valuta 
del 
Paese 
del 
destinatario 
sicché 
possono essere 
effettuati 
a 
tassi 
diversi 
dal 
cambio ufficiale. 
Per il 
fatto che 
nessuna 
somma 
è 
direttamente 
trasferita 
dal 
mittente 
al 
destinatario, 
il 
sistema 
è 
stato definito money 
Transfer 
Without 
money 
movement 
(6). 
Dato che 
i 
trasferimenti 
di 
fondi 
effettuati 
tramite 
il 
descritto canale 
sono, 
per 
le 
ragioni 
anzidette, 
del 
tutto 
informali 
essi 
si 
prestano 
a 
una 
facile 
elusione 
delle 
normative 
sulla 
tracciabilità 
dei 
flussi 
finanziari 
e 
statisticamente 
sono 
sempre 
più utilizzati 
per scopi 
criminali, in particolare 
per il 
riciclaggio di 
denaro 
ed il 
finanziamento di 
attività 
illecite, tra 
cui 
quelle 
terroristiche. Anche 
se 
inizialmente 
Hawala 
può svilupparsi 
come 
rete 
effettivamente 
destinata 
a 
soddisfare 
le 
esigenze 
di 
rimessa 
personali 
dei 
migranti, 
tale 
canale, 
costituendo 
un solido e 
costante 
corridoio di 
trasferimento di 
risorse 
economiche, 
si 
presta 
dunque 
facilmente 
ad 
essere 
infiltrato 
o 
acquisito 
dalle 
organizzazioni 
criminali/terroristiche, per essere 
dalle 
stesse 
gestito e 
utilizzato quale 
strumento 
di mobilizzazione finanziaria. 


il 
sistema 
Hawala 
(7) quindi, e 
gli 
altri 
servizi 
simili 
informali 
di 
trasferimento 
di 
valori, 
rappresentano 
una 
minaccia 
specifica, 
in 
particolare 
nel 
contesto 
del 
finanziamento 
del 
terrorismo, 
per 
i 
motivi 
appena 
esposti 
ed 
in 
particolare 
-a 
modesto parere 
dello scrivente 
per il 
caso specifico del 
finanziamento 
al 
terrorismo 
-per 
la 
mancanza 
della 
necessità 
di 
ripulire 
“dirty 
money” 
da reimmettere nel circuito dell’economia legale. 

Solitamente 
tutti 
gli 
operatori 
che 
prestano la 
propria 
attività 
quali 
intermediari 
nei 
servizi 
di 
pagamento, così 
come 
definiti 
all'articolo 4, paragrafo 
3, della 
Direttiva 
Servizi 
di 
Pagamento (8) dovrebbero essere 
adeguatamente 
registrati e regolamentati. 


(6) Attraverso questo sistema 
viene 
trasferito il 
solo valore 
corrispondente 
al 
denaro, che 
esclusivamente 
a 
destinazione 
si 
tradurrà 
in contanti, a 
ciò alludendosi 
con l’espressione 
di 
uso comune 
secondo 
cui 
“Hawala can be 
used to send money 
without 
sending money”; 
cfr. j.F. WiLSon, Hawala and 
other 
informal 
payments 
systems: an economic 
perspective, in Address 
at 
the 
Seminar 
on Current 
Developments 
in monetary and Financial Law, 2002, p. 4. 
(7) i fornitori 
Hawala 
e 
altri 
fornitori 
di 
servizi 
simili 
si 
occupano del 
trasferimento e 
della 
ricezione 
di 
fondi 
o 
di 
valore 
equivalente 
e 
liquidano 
gli 
stessi 
tramite 
attività 
commerciali, 
denaro 
contante 
e 
compensazione 
netta 
nel 
corso 
di 
un 
lungo 
periodo 
di 
tempo. 
Ciò 
che 
li 
distingue 
da 
altri 
"trasmettitori 
di fondi" è il loro utilizzo di metodi di regolamento non bancari. 
(8) Direttiva 
(ue) 2015/2366 del 
25 novembre 
2015 relativa 
ai 
servizi 
di 
pagamento nel 
mercato 
interno, 
che 
modifica 
le 
direttive 
2002/65/Ce, 
2009/110/Ce 
e 
2013/36/ue 
e 
il 
regolamento 
(ue) 
n. 
1093/2010, e abroga la direttiva 2007/64/Ce. 

LeGiSLAzione 
eD 
AttuALità 


tali 
fornitori 
dovrebbero 
quindi 
richiedere 
lo 
status 
di 
istituti 
di 
pagamento 
autorizzati 
oppure, nel 
rispetto di 
determinate 
condizioni, di 
istituti 
di 
pagamento registrati. 


Hawala 
e 
gli 
altri 
servizi 
informali 
di 
trasferimento 
di 
valori 
normalmente 
vengono qualificati 
come 
illegali 
in quanto non sono registrati 
e 
non soddisfano 
nessuno dei 
requisiti 
della 
Direttiva 
sui 
Servizi 
di 
Pagamento sopra 
indicata. 


Questo 
problema 
è 
aggravato 
dalla 
difficoltà 
di 
rilevare 
l'esistenza 
di 
detti 
servizi 
e 
spesso 
le 
operazioni 
finanziarie 
e 
di 
trasferimento 
dei 
valori 
sono 
raggruppate 
tra 
loro, 
compensate 
attraverso 
importazioni/esportazioni 
di 
beni 
e lasciano un flusso di informazioni a riguardo molto limitato, se non nullo. 

Si 
aggiunga 
a 
quanto detto che 
il 
processo di 
eliminazione 
dei 
rischi 
(derisking) 
può 
creare 
terreno 
fertile 
per 
i 
sistemi 
informali 
di 
pagamento 
in 
quanto i 
clienti 
respinti 
dai 
prestatori 
di 
servizi 
finanziari 
regolamentati 
potrebbero 
ricorrere ai servizi illegali di questo tipo. 


4. Una sentenza importante 
(Tribunale 
di 
Palermo, sentenza 22 marzo 2018, 
dep. 18 settembre 2018, n. 400, G.U.P. Ferro). (9) 
Con la 
sentenza 
in titolo il 
Giudice 
dell’udienza 
preliminare 
di 
Palermo, 
decidendo nelle 
forme 
del 
rito abbreviato, un procedimento a 
carico di 
numerosi 
imputati, 
attinge 
in 
maniera 
innovativa 
e 
tendenzialmente 
inedita, 
allo 
strumentario 
del 
diritto 
penale 
dell’economia 
per 
arricchire 
le 
strategie 
di 
contrasto 
e 
le 
connesse 
risposte 
sanzionatorie 
al 
fenomeno dello “smuggling of 
migrants”. in particolare, applicando fattispecie 
incriminatrici 
poste 
a 
tutela 
della 
stabilità 
e 
del 
funzionamento 
del 
sistema 
finanziario, 
si 
colpisce 
il 
sistema 
informale 
di 
pagamento 
denominato 
Hawala, 
che 
le 
organizzazioni 
criminali, 
a 
modesto parere 
dello scrivente, operanti 
a 
livello internazionale 
utilizzano 
costantemente 
per trasferire 
le 
risorse 
finanziarie 
provento dei 
reati 
-o anche 
di 
provenienza 
lecita 
nel 
caso di 
finanziamento al 
terrorismo -al 
di 
fuori 
dei 
canali 
regolamentati 
e, quindi, del 
controllo statuale, rappresentato nel 
caso 
di 
specie 
dal 
prezzo pagato dai 
migranti 
per acquistare 
il 
viaggio dalle 
coste 
libiche 
a 
quelle 
italiane 
su 
natanti 
di 
fortuna. 
il 
presente 
lavoro, 
muovendo 
dalla 
fattispecie 
concreta 
e 
dalla 
soluzione 
interpretativa 
fatta 
propria 
dal 
giudice 
di 
prime 
cure 
ricostruisce, 
prima 
facie, 
i 
meccanismi 
operativi 
del 
sistema 
Hawala. 


L’organizzazione 
considerata, 
in 
definitiva, 
era 
in 
grado 
di 
trasferire, 
dietro 
lauto 
compenso, 
cittadini 
africani 
di 
diverse 
nazionalità 
dai 
Paesi 
d’origine 
verso le 
coste 
libiche; 
farli 
transitare, a 
bordo di 
natanti 
di 
fortuna, sulle 
coste 
italiane; 
far raggiungere 
ai 
migranti, frattanto allontanatisi 
dai 
centri 
di 
acco


(9) ALeSSAnDro 
QuAttroCCHi, Diritto Penale 
Contemporaneo -Fascicolo del 
febbraio 2019 La 
rilevanza penale del sistema di pagamento “Hawala”. 

rASSeGnA 
AvvoCAturA 
DeLLo 
StAto -n. 3/2020 


glienza, prima 
il 
Centro italia 
-in particolare 
roma 
-poi 
gli 
Stati 
del 
nord 
europa, 
procurando 
loro 
biglietti 
e 
passaporti 
falsi; 
movimentare 
ingenti 
somme 
di 
denaro, profitto della 
menzionata 
attività 
illecita, anche 
tramite 
il 
canale di intermediazione finanziaria informale detto Hawala. 


tanto 
premesso 
sulla 
vicenda 
di 
fatto 
che 
ha 
animato 
la 
pronuncia 
in 
commento, 
tralasciando i 
pur interessanti 
passaggi 
motivazionali 
relativi 
alla 
sussistenza 
del 
reato 
associativo 
(art. 
416 
c.p.) 
come 
anche 
del 
delitto 
di 
favoreggiamento dell’immigrazione 
clandestina 
(art. 12 d.lgs. n. 286/1998), 
l’arresto 
giurisprudenziale 
suscita 
particolare 
interesse 
per 
avere 
ritenuto 
la 
rilevanza 
penale 
del 
più volte 
citato sistema 
di 
pagamento, in forza 
delle 
considerazioni 
che ci si appresta ad esporre. 


A 
sei 
degli 
imputati, 
congiuntamente 
ad 
altri 
sei 
per 
i 
quali 
si 
è 
proceduto 
separatamente, 
la 
pubblica 
accusa 
ha 
contestato, 
in 
concorso 
tra 
loro 
ed 
avvinti 
dal 
vincolo della 
continuazione, i 
reati 
di 
cui 
agli 
artt. 5, comma 
3, d.lgs. n. 
153/1997 (in relazione 
all’art. 15, comma 
1, lett. c, l. n. 52/1996 ed all’art. 3, 
d.lgs. n. 374/1999), 132 d.lgs. n. 385/1993 (in relazione 
all’art. 106, d.lgs. n. 
385/1993) 
e 
4 
l. 
n. 
146/2006, 
per 
avere, 
con 
più 
azioni 
esecutive 
del 
medesimo 
disegno 
criminoso, 
senza 
alcuna 
autorizzazione 
e 
senza 
essere 
iscritti 
negli 
appositi 
elenchi, albi 
e 
ruoli 
previsti 
dalla 
legge, esercitato abusivamente 
nei 
confronti 
del 
pubblico attività 
di 
intermediazione 
finanziaria 
ed in particolare 
per avere 
svolto attività 
di 
raccolta 
abusiva 
del 
risparmio e 
di 
abusiva 
intermediazione 
nel 
cambio monetario, attraverso il 
sistema 
denominato Hawala. 


Quanto 
alle 
imputazioni 
summenzionate 
va 
fin 
d’ora 
rilevato 
che 
l’art. 
5, 
comma 
3, d.lgs. n. 153/1997, in materia 
di 
contrasto al 
riciclaggio dei 
capitali 
di 
provenienza 
illecita, 
punisce 
(recte, 
puniva) 
l’esercizio 
di 
agenzia 
in 
attività 
finanziaria 
in 
assenza 
della 
prescritta 
iscrizione 
nell’elenco 
tenuto 
dalla 
Banca 
d’italia 
(10); 
l’art. 132 d.lgs. n. 385/1993 (d’ora 
in avanti 
“t.u.B.”) sanziona 


(10) 
Circa 
tale 
incriminazione, 
non 
pare 
superfluo 
ricordare 
che 
la 
l. 
n. 
197/1991, 
prima 
legge 
antiriciclaggio in italia, partendo dall’assunto che 
il 
settore 
dell’intermediazione 
finanziaria 
costituisce 
un punto obbligato di 
passaggio per l’inserimento dei 
capitali 
illeciti 
nel 
mercato legale, ha 
disciplinato 
una 
serie 
di 
“presidi” 
atti 
ad ostacolare 
la 
commissione 
del 
fenomeno criminale. in generale, il 
sistema 
di 
prevenzione, oltre 
a 
fissare 
specifici 
divieti 
ed obblighi 
per i 
privati 
in materia 
di 
utilizzo del 
denaro 
contante 
e 
titoli 
al 
portatore, ha 
richiesto una 
collaborazione 
“attiva” 
e 
“passiva” 
da 
parte 
dei 
destinatari 
della 
disciplina 
antiriciclaggio, avendo riguardo alle 
informazioni 
da 
questi 
possedute 
o acquisite 
nel-
l’ambito 
dell’ordinaria 
attività 
istituzionale 
o 
professionale 
svolta. 
il 
d.lgs. 
n. 
56/2004, 
in 
attuazione 
della 
Direttiva 
n. 2001/97/Ce, ha 
poi 
riunito, in un’unica 
cornice 
normativa, tutti 
i 
destinatari 
degli 
obblighi 
antiriciclaggio, prima 
frammentariamente 
indicati 
all’art. 13 d.l. n. 625/1979, nonché 
nell’art. 1 
d.lgs. n. 374/1999. in particolare, quest’ultimo provvedimento ha 
ampliato le 
categorie 
dei 
soggetti 
sottoposti 
agli 
obblighi 
previsti 
dalla 
Legge 
n. 197/1991, attraverso un aggiornamento dell’originaria 
tipologia 
di 
intermediari 
finanziari 
e 
l’inclusione 
di 
quei 
soggetti 
che, 
pur 
non 
operando 
nel 
campo 
finanziario, 
svolgono 
attività 
suscettibili 
di 
utilizzazione 
ai 
fini 
di 
riciclaggio. 
tra 
questi, 
i 
cosiddetti 
“operatori 
non finanziari”, cioè 
dediti, ai 
sensi 
dell’art. 1 del 
d.lgs. n. 374/1999, alle 
attività 
ivi 
indicate 
e, 
tra 
esse, 
quella 
di 
“agenzia 
in 
attività 
finanziaria” 
(come 
prevista 
dall’articolo 
106 
del 
d.lgs. 
n. 
385/1993), subordinata 
all’iscrizione 
nell’elenco costituito presso l’allora 
l’ufficio italiano Cambi. Per 

LeGiSLAzione 
eD 
AttuALità 


l’abusiva 
attività 
finanziaria 
svolta 
nei 
confronti 
del 
pubblico in assenza 
del-
l’autorizzazione 
o dell’iscrizione 
negli 
appositi 
elenchi 
(11); 
infine, l’art. 4 l. 


n. 146/2006 disciplina l’aggravante della transnazionalità. 
La 
sentenza 
in commento prende 
le 
mosse 
quindi, dal 
reato di 
esercizio 
abusivo dell’attività 
finanziaria 
ex 
art. 132 t.u.B., il 
quale, nella 
versione 
vigente 
a 
seguito del 
d.lgs. n. 141/2010 (applicabile 
ratione 
temporis 
al 
caso di 
specie), sanziona 
l’esercizio senza 
autorizzazione 
nei 
confronti 
del 
pubblico 
di 
una 
o più attività 
finanziarie 
previste 
dall’art. 106, comma 
1, t.u.B., vale 
a 
dire 
delle 
attività 
di 
concessione 
di 
finanziamenti 
sotto qualsiasi 
forma. Al 
riguardo, 
il 
giudice 
di 
prime 
cure 
osserva 
che 
l’attività 
di 
“incasso 
e 
trasferimento 
di 
fondi” 
è 
riconducibile, 
per 
il 
suo 
stesso 
oggetto, 
ai 
“servizi 
di 
pagamento” 
disciplinati 
dall’art. 106 t.u.B., cui 
rimanda 
la 
norma 
sanzionatrice, 
art. 132 t.u.B., nonché 
l’art. 4, comma 
1, del 
D.M. 6 luglio 1994, emanato 
dal 
Ministero 
del 
tesoro 
in 
ottemperanza 
di 
quanto 
disposto 
dall’art. 
106, 
comma 
4, lett. a), del 
medesimo t.u.B. Prosegue 
la 
pronuncia 
rilevando che 
anche 
l’allora 
ufficio italiano Cambi, nell’ambito delle 
proprie 
attribuzioni, 
con provvedimento dell’11 luglio 2002 ha 
definito l’attività 
di 
trasferimento 
di 
valuta 
come 
attività 
compresa 
nell’art. 106 t.u.B., in quanto “prestazione 
di 
servizi 
di 
pagamento”, in tutte 
le 
sue 
componenti, quali 
la 
trasmissione 
ed 
esecuzione 
di 
ordini 
di 
pagamento, la 
compensazione 
di 
debiti 
e 
crediti, la 
remissione 
e 
gestione 
di 
carte 
di 
credito, di 
debito o altri 
mezzi 
di 
pagamento, 
oltre 
il 
trasporto 
materiale 
di 
denaro 
contante 
o 
di 
valori 
(ad 
esempio, 
ad 
opera 
dei cd. trasporta valute). 

Sicché, conclude 
il 
giudice 
di 
prime 
cure, il 
“trasferimento di 
valuta” 
nel 
caso di 
specie 
integra 
una 
delle 
attività 
riservate 
da 
parte 
dell’art. 106 t.u.B., 
poiché 
consente 
all’operatore 
di 
intervenire 
attivamente 
sulla 
quantità 
e 
qualità 
della 
moneta 
raccolta, nonché 
sui 
tempi 
di 
regolamento della 
transazione 
richiesta. 
Per l’effetto, ogni 
attività, anche 
materiale, di 
incasso e 
di 
pagamento 
in assenza 
di 
autorizzazione 
contrasta 
con gli 
artt. 132 e 
106 t.u.B., fuoriuscendo 
dalla 
nozione 
di 
“servizio di 
pagamento” 
esclusivamente 
l’attività 
di 
trasporto 
e 
consegna 
al 
creditore 
dei 
valori 
forniti 
dallo 
stesso 
debitore, 
perché 
la 
prestazione 
in tal 
caso è 
priva 
di 
contenuto finanziario e, quindi, non riservata 
agli 
intermediari 
autorizzati; 
il 
contenuto 
finanziario 
e 
la 
riserva 
di 
attività 
sussistono, invece, ogni 
qualvolta 
ricorra 
un’attività 
ulteriore 
svolta 
dall’intermediario 
rispetto a quella di semplice trasporto e consegna. 

nel 
caso in esame, sulla 
scorta 
dell’analisi 
critica 
del 
compendio probatorio 
raccolto, la 
sentenza 
giunge 
a 
ritenere 
che 
gli 
imputati, in via 
continua-

un approfondimento sull’evoluzione 
della 
disciplina 
nazionale 
in materia 
di 
riciclaggio, cfr., per tutti, 


M. CArBone, P. BiAnCHi, v. vALLeFuoCo, 
Le nuove regole antiriciclaggio, Milano, 2017, pp. 199 ss. 
Si veda a proposito di quanto detto l’esito dell’operazione GDF di Ferrara del 15 dicembre 2019. 
(11) Cfr. r. BriCCHetti, Esercizio abusivo dell’attività finanziaria, in Libro dell’anno del 
diritto 
Treccani, roma, 2012. 

rASSeGnA 
AvvoCAturA 
DeLLo 
StAto -n. 3/2020 


tiva, abbiano offerto al 
pubblico e 
ad un numero indeterminato di 
soggetti 
il 
servizio 
di 
raccolta 
di 
denaro 
e 
di 
cambio 
di 
valuta, 
nonché 
la 
gestione 
del 
successivo 
trasferimento 
all’estero, 
attività 
certamente 
vietate 
dalla 
legge 
bancaria 
indipendentemente 
dal 
mezzo virtuale, quale 
è 
Hawala, o materiale 
utilizzato 
per il trasferimento della moneta. 


5. 
riflessioni 
sui 
principali 
vantaggi 
derivanti 
dell’utilizzo 
del 
sistema 
Hawala. 
Come 
evidenziato sopra, il 
fenomeno Hawala 
e, più in generale, quello 
dei 
sistemi 
di 
pagamento “informali” 
ha 
rilevanza 
e 
proporzioni 
globali 
(12); 
pertanto analizzarne 
i 
meccanismi 
di 
funzionamento assume 
importanza 
cruciale. 
il 
significato attribuito al 
termine 
Hawala 
è 
essenzialmente 
(oltre 
che 
letteralmente) quello di 
“trasferimento” 
(13), significatività 
forte 
che 
emerge 
dallo 
stesso 
fenomeno 
giuridico 
cui 
il 
termine 
corrisponde. 
il 
termine 
Hawala 
rappresenta le seguenti posizioni: 


- la circolazione della posizione di debito; 
- la circolazione della posizione di credito; 
- il sistema di pagamenti nel suo complesso. 
tale 
pluralità 
di 
significati 
corrisponde 
alla 
diversa 
realtà 
dei 
rapporti 
giuridici 
che lo compongono: 


- le relazioni fra utenti ed intermediari; 
-il 
rapporto fra 
gli 
stessi 
intermediari 
incaricati 
di 
trasferire 
il 
denaro dal 
pagatore al beneficiario. 
L’informalità 
di 
tale 
sistema 
di 
pagamento 
è 
data 
dalla 
sua 
capacità 
di 
funzionamento principalmente 
grazie 
alle 
relazioni 
interpersonali 
esistenti 
all’interno 
della 
relativa 
“rete” 
e 
alla 
conseguente 
fiducia 
personale 
intercorrente 
tra i membri della stessa. 


tale 
struttura 
è 
imperniata 
su 
vincoli 
familiari, 
para-familiari 
o 
tribali 
(14) 
che 
innescano meccanismi 
di 
solidarietà 
capaci 
di 
tenere 
insieme 
la 
rete 
di 
intermediari 
degli 
Hawaladar, 
garantendo 
la 
fiducia 
e 
la 
fidelizzazione 
degli 
utenti 
che 
a 
loro 
si 
rivolgono. 
è 
tuttavia 
fuorviante 
assumere 
che 
la 
fiducia 
sia 
originata 
solo 
ed 
esclusivamente 
dall’affidabilità 
delle 
persone 
e 
non 
anche 
dall’effettività 
delle 
regole 
che 
si 
traduce 
in 
efficienza 
del 
sistema 
Hawala: 
l’affidabilità 
degli 
intermediari 
è 
fondamentale 
ma 
è 
parte 
integrante 
del 
complessivo 
sistema 
connotato dall’effettività 
delle 
regole 
consuetudinarie 
e 
dal


(12) Cfr. r. t.F. GeitHner 
-M.u. kLein, Foreword, in The 
World Bank 
-Committee 
on Payment 
and Settlement Systems, General Principles for International remittance Services, Basilea, 2007 
(13) ALeSSAnDro 
QuAttroCCHi, Diritto Penale 
Contemporaneo 
-Fascicolo del 
Febbraio 2019 La 
rilevanza penale del sistema di pagamento “Hawala”. 
(14) 
Con 
riferimento 
alle 
origini 
dell’antico 
Hawala, 
cfr. 
AL-HAMiz, 
Hawala: 
a 
U.A.I. 
Perspective, 
in AA.vv., regulatory 
Frameworks 
for 
Hawala and other 
remittance 
Systems, Washington, 2005, p. 
31. 

LeGiSLAzione 
eD 
AttuALità 


l’efficienza 
delle 
procedure 
adottate, anch’esse 
essenziali. è 
l’assoluta 
condivisione 
di 
tali 
regole 
che 
permette 
il 
saldo funzionamento del 
fenomeno: 
da 
essa 
deriva 
l’interconnessione 
di 
ciascuna 
delle 
reti 
di 
Hawaladar 
con 
le 
altre, 
le 
quali 
sono dunque 
tra 
loro interoperabili 
(15). L’esperienza, anche 
quella 
processual-penalistica 
rappresentata 
dalla 
sentenza 
poco 
sopra 
riportata, 
dimostra 
che 
il 
sistema 
Hawala 
funziona. 
tuttavia, 
poiché 
trattasi 
di 
sistema 
visceralmente 
imperniato 
sui 
rapporti 
fiduciari, 
la 
fiducia 
riposta 
nella 
rete 
Hawala 
da 
parte 
degli 
utenti 
si 
combina 
con la 
fiducia 
che 
organizzazioni 
illegali 
(criminali 
e 
terroristiche) ripongono nel 
sistema. Ciò che, di 
fatti, è 
accaduto 
nel 
caso 
di 
specie, 
laddove 
l’organizzazione 
criminale 
finalizzata 
al 
favoreggiamento dell’immigrazione 
clandestina 
ha 
asservito il 
canale 
di 
pagamento 
fiduciario 
ai 
propri 
scopi 
e, 
segnatamente, 
al 
finanziamento 
della 
propria 
struttura 
associativa. 
A 
livello 
internazionale 
si 
è 
ben 
consci 
di 
questo 
rischio, quanto meno in relazione 
all’asservimento del 
sistema 
Hawala 
al 
finanziamento 
delle organizzazioni criminali terroristiche (16). 


6. L’uso di Hawala da parte dell’ISIS dopo la sconfitta militare. 
Partendo da 
questi 
presupposti 
cercheremo ora 
di 
capire 
se 
il 
sedicente 
Stato islamico utilizzi 
questo sistema, quanto venga 
utilizzato a 
seguito della 
disfatta 
militare 
e 
se 
lo stesso, potrebbe 
consentire 
in qualche 
modo, una 
riorganizzazione 
efficace 
ed una 
controffensiva 
-a 
qualsiasi 
livello -contro i 
nemici 
del Califfato nero. 


Bisogna 
innanzitutto partire 
da 
quelle 
che 
sono le 
fonti 
che 
permettono 
all’organizzazione 
terroristica 
di 
vivere, evolversi, diffondersi 
e 
combattere. 
La 
sua 
forza 
si 
fonda 
su 
diversi 
fattori 
economici 
di 
sviluppo 
caratterizzati 
dal 
fatto di 
essere 
molteplici, diversificati, ambigui 
e 
sotterranei. in connessione 
con 
alleanze 
variabili, 
tattiche 
e 
strategiche, 
sui 
territori 
di 
invasione 
-latu 
sensu 
intese 
-, l’i.S. è 
oggi 
una 
minaccia 
latente 
ad ampio spettro, in una 
fase 
di 
rimodulazione 
e 
rinnovanda 
alimentazione 
finanziaria. 
Da 
un 
punto 
di 
vista 
prettamente 
economico-finanziario una 
ricerca 
(17), pubblicata 
da 
rubettino 
e 
curata 
da 
Carlo De 
Stefano, elettra 
Santori 
e 
italo Saverio trento, illustra 
nei 
dettagli 
il 
lungo catalogo, in continuo aggiornamento, dei 
flussi 
finanziari 
del 
fondamentalismo islamico. nel 
corso della 
ricerca, partendo dalle 
banche 
che 
rispettano la 
Sharia, vengono passati 
in rassegna 
ed analizzati 
i 
principali 
fenomeni 
ed aspetti, tra 
loro sicuramente 
interconnessi, che 
portano ossigeno 


(15) 
Sistemi 
di 
pagamento 
interoperabili, 
«regolamento» 
e 
certezza 
delle 
regole, 
in 
Scritti 
in 
onore 
di Francesco Capriglione, Padova, 2010,1, pp. 575 ss. 
(16) Il 
contrasto del 
finanziamento al 
terrorismo internazionale, Padova, 2013, p. 29 e, con precipuo 
riferimento 
all’impiego 
dell’hawala, 
S. 
vitALe, 
Le 
strategie 
di 
contrasto 
al 
finanziamento 
del 
terrorismo 
alla prova dei diritti dell’individuo, in v. MiLiteLLo, A. SPenA. 
(17) Terrorismo, criminalità e 
contrabbando. Gli 
affari 
dei 
jihadisti 
tra medio oriente, Africa ed 
Europa, rubbettino, 2019. 

rASSeGnA 
AvvoCAturA 
DeLLo 
StAto -n. 3/2020 


alle 
casse 
delle 
varie 
organizzazioni 
fondamentaliste, in particolare 
dell’islamic 
State: 


-il 
controllo 
diretto 
o 
indiretto 
di 
alcuni 
giacimenti 
di 
petrolio, 
di 
centrali 
elettriche e di gas; 


-i rapimenti di ostaggi; 
- i traffici di opere d’arte, di medicinali contraffatti e di droga; 
-il 
commercio 
illegale 
di 
idrocarburi, 
scovato 
anche 
dalla 
nostra 
Guardia 
di Finanza; 


-il 
traffico dei 
migranti, la 
tratta 
di 
esseri 
umani 
e 
il 
connesso traffico di 
organi; 
- il commercio illegale dei reperti archeologici; 
- il contrabbando di tabacchi; 
-il 
traffico 
di 
armi, 
soprattutto 
quello 
proveniente 
dai 
Balcani, 
meno 
redditizio 
ma più strategico. 
Bloccare 
tale 
finanziamenti 
significa 
poter “inceppare 
la 
macchina 
jihadista”, 
ha 
dichiarato 
il 
Prefetto 
vecchione, 
a 
capo 
del 
D.i.S., 
confermando 
che 
le 
principali 
fonti 
di 
finanziamento sono i 
gruppi 
di 
privati 
ed anche 
le 
associazioni 
caritatevoli. Sigarette 
e 
petrolio, però, non scherzano e 
i 
dati 
del 
Generale 
Giuseppe 
Arbore, 
comandante 
del 
iii 
reparto 
“operazioni” 
della 
Guardia 
di 
Finanza, 
lo 
spiegano: 
le 
Fiamme 
gialle 
sequestrarono, 
nel 
2013, 
120 tonnellate 
di 
sigarette, l’anno scorso 280 tonnellate 
in buona 
parte 
“illicit 
white”, cioè 
prodotte 
al 
di 
fuori 
dell’unione 
europea 
e 
destinate 
al 
mercato 
illecito dell’u.e. Anche 
il 
petrolio di 
contrabbando arriva 
in italia 
da 
canali 
clandestini 
e 
consente 
di 
vendere 
il 
carburante 
in tante 
stazioni 
a 
prezzi 
bassissimi. 
non va 
dimenticato che 
il 
Mediterraneo allargato ha 
tra 
il 
65 e 
il 
70 
per 
cento 
delle 
risorse 
energetiche 
del 
mondo 
e, 
pur 
rappresentando 
circa 
l’uno 
per cento dei 
mari, nel 
Mediterraneo naviga 
il 
venti 
per cento della 
flotta 
navale 
globale. invece, sul 
fronte 
della 
lotta 
ai 
finanziamenti 
al 
terrorismo ed al 
riciclaggio, Arbore 
ha 
rivendicato un ruolo di 
avanguardia 
per l’italia: 
l’anno 
scorso ci 
sono state 
1.280 segnalazioni 
con profili 
di 
rischio di 
finanziamento 
al 
terrorismo 
da 
parte 
dell’unità 
di 
informazione 
Finanziaria 
(u.i.F.) 
della 
Banca 
d’italia 
che 
hanno portato a 
circa 
350 investigazioni, un’ottantina 
delle 
quali 
finite 
in inchieste. nella 
mole 
di 
dati 
analizzati 
dall’intelligence 
italiana 
e dalle Forze di Polizia - trasmessi al 
viminale - spiccano due elementi: 


-i 
foreign fighter 
italiani; 
- i detenuti monitorati nelle carceri 
che 
partecipano, tra 
le 
altre 
cose, a 
diffondere 
e 
a 
far conoscere 
il 
sistema 
che stiamo analizzando in queste pagine. 
il 
ministro 
dell’interno, 
ha 
dichiarato 
che 
sui 
135 
foreign 
fighters 
collegati 
con 
l’italia 
48 
sono 
morti 
in 
guerra 
e 
12 
sono 
rientrati 
in 
italia 
dei 
quali 
5 
sono 
in 
carcere 
e 
7 
monitorati 
dalle 
Forze 
dell’ordine. 
in 
base 
alla 
relazione 
del 
Dipartimento 
dell’Amministrazione 
Penitenziaria 
per 
il 
2018, 
invece, 
sono 



LeGiSLAzione 
eD 
AttuALità 


506 i 
detenuti 
nel 
mirino su 12.775 di 
fede 
musulmana: 
242 sono al 
primo livello, 
i 
più pericolosi, tra 
cui 
62 in carcere 
per reati 
di 
terrorismo internazionale; 
114 
sono 
al 
secondo 
livello, 
coloro 
che 
hanno 
avuto 
atteggiamenti 
di 
vicinanza 
al 
jihadismo o hanno svolto attività 
di 
proselitismo; 
150 al 
terzo livello, 
i 
detenuti 
i 
cui 
comportamenti 
vanno 
approfonditi 
ulteriormente. 
Questi 
dati 
vanno letti 
in combinato a 
quanto di 
seguito: 
l'accesso bancario limitato 
in alcune 
giurisdizioni 
porta, come 
conseguenza 
naturale, ad un maggior utilizzo 
di 
“m.V.T.S.” 
(18) non regolamentati. Sono accertati 
diversi 
esempi 
di 
terroristi 
e 
dei 
loro finanziatori 
che 
utilizzano Hawala 
principalmente, o altri 
fornitori di servizi simili (H.o.S.S.P.) (19) per trasferire fondi. 

Spesso gli 
emissari 
del 
broker Hawala 
si 
appoggiano a 
banche 
compiacenti 
in 
paradisi 
fiscali 
per 
emettere 
assegni 
circolari, 
rendendo 
quindi 
impossibile 
effettuare 
qualsiasi 
controllo 
sui 
passaggi 
di 
denaro 
e 
difficilissimo 
ricondurre 
le 
transazioni 
alla 
fonte 
originaria, a 
volte, anche 
banche 
ed intermediari 
finanziari con sede in europa. 


una 
recente 
operazione 
“anti-hawala” 
coadiuvata 
dall’europol 
ha 
portato 
all’arresto 
di 
38 
persone 
e 
al 
sequestro 
di 
7 
milioni 
di 
euro 
in 
contanti. 
Secondo 
una 
fonte 
interna 
della 
“Polizia 
europea” 
il 
gruppo, 
composto 
da 
broker 
e 
da 
spalloni 
per 
la 
movimentazione 
del 
denaro, 
era 
al 
servizio 
di 
diversi 
gruppi 
criminali/terroristici 
e 
movimentava/fatturava 
circa 
2 
miliardi 
di 
euro 
all’anno. 
“Con 
il 
sistema 
degli 
hawaladar, 
decine 
di 
milioni 
di 
persone 
costituiscono 
veri 
e 
propri 
spazi 
offshore, 
con 
circuiti 
economici 
paralleli 
che 
sfuggono 
ad 
ogni 
statistica”, 
spiega 
Giovambattista 
Palumbo, 
Direttore 
dell’osservatorio 
eurispes 
sulle 
Politiche 
fiscali. 
“Altro 
che 
paradisi 
fiscali, 
siamo 
di 
fronte 
-conclude 
il 
presidente 
di 
eurispes 
-a 
un’intera 
economia 
offshore 
che 
muove 
miliardi 
di 
euro, 
un 
flusso 
informale 
che 
non 
passa 
attraverso 
i 
canali 
bancari 
e 
che 
sfugge 
a 
qualsiasi 
forma 
di 
controllo 
o 
rilevazione” 
(20). 


oggi 
l’errore 
più 
grande 
sarebbe 
dare 
lo 
Stato 
islamico 
per 
sconfitto. 
“Nel 
momento 
in 
cui 
l’ISIS 
si 
è 
palesato 
con 
il 
controllo 
del 
territorio 
aveva 
già 
una forte 
disponibilità economica”, ammonisce 
Lorenzo Marinone 
-analista 
per il 
Centro Studi 
internazionali 
(Ce.Si). Come 
a 
dire, la 
sconfitta 
militare 
è 
buona 
cosa 
ma 
lo 
scenario 
attuale 
non 
è 
troppo 
diverso 
da 
quello 
di 
pochi 
anni 
fa, 
quando 
il 
Califfato 
urlava 
al 
mondo 
la 
sua 
natura 
parastatale. 
ed 
era 
questa 
la 
sua 
unicità, 
nessuna 
organizzazione 
terroristica 
era 
mai 
stata 
in 
grado 
di 
costruire 
un sistema 
di 
welfare 
così 
forte, uno Stato sociale 
e 
una 
rete 
di 
infrastrutture 
vaste 
ed al 
servizio dei 
militanti. una 
scelta 
strategica 
che, agli 
occhi 


(18) money or Value Transfer Services. 
(19) Hawala and other Similar Service Provider. 
(20) 
GiovAMBAttiStA 
PALuMBo, 
Direttore 
dell’osservatorio 
eurispes 
sulle 
Politiche 
fiscali. 
Da 
articolo su il 
Sole 24 ore. 

rASSeGnA 
AvvoCAturA 
DeLLo 
StAto -n. 3/2020 


della 
popolazione 
sotto il 
suo controllo, poneva 
il 
Califfato al 
confine 
tra 
l’essere 
entità 
da 
temere 
e 
soggetto 
statale 
vero 
e 
proprio, 
perfetto 
per 
imporre 
tasse 
agli 
agricoltori, ai 
commercianti, ai 
veicoli 
in transito, fino ad arrivare 
a 
vere 
e 
proprie 
estorsioni 
ma 
da 
cui 
aspettarsi 
anche 
servizi 
primari 
quali 
elettricità 
e 
acqua. un gettito di 
denaro che 
nel 
2015 il 
centro di 
ricerca 
i.C.S.r. 
stimava 
essere 
di 
circa 
600 milioni 
di 
euro, addirittura 
più proficuo del 
contrabbando 
di 
petrolio. 
Buona 
parte 
di 
questo 
sistema 
fiscale 
si 
basava 
sulla 
Zakat, una 
tassa 
a 
cui, come 
da 
precetti 
del 
Corano, devono contribuire 
tutti 
i 
musulmani 
e 
che 
impone 
il 
devolvere 
parte 
dei 
propri 
profitti 
a 
organizzazioni 
religiose. “È 
una tassa sul 
guadagno, non sulla proprietà, e 
viene 
pagata per 
tutto 
ciò 
che 
eccede 
una 
determinata 
cifra 
calcolata 
in 
maniera 
diversa 
in 
tempi 
diversi 
e 
in 
contesti 
diversi”, 
spiega 
Luca 
Patrizi, 
docente 
di 
Storia 
e 
istituzioni 
dell’islam 
all’università 
di 
torino. 
in 
difficoltà 
economica 
durante 
il 
conflitto 
armato, 
l’isis 
è 
arrivato 
al 
punto 
di 
legittimare 
vere 
e 
proprie 
estorsioni 
attraverso la 
Zakat. non era 
però soltanto l’apparato burocratico, sotto 
forma 
di 
tasse 
ed estorsioni, a 
garantire 
enormi 
entrate 
allo Stati 
islamico. il 
controllo dei 
pozzi 
petroliferi, durato relativamente 
poco a 
seguito dell’avvio 
della 
campagna 
militare 
alleata, generava 
entrate 
enormi. La 
perdita 
del 
controllo 
di 
Mosul 
prima 
e 
raqqa 
poi, 
e 
di 
conseguenza 
dei 
giacimenti 
e 
delle 
raffinerie 
più importanti, costringe 
ora 
il 
Califfato a 
volgere 
lo sguardo verso 
altre 
fonti 
di 
finanziamento. Comprendere 
come 
cambierà 
l’economia 
del 
califfato 
significa 
capire 
quale 
forma 
prenderà 
quello che 
è 
ancora 
considerato 
il 
gruppo terroristico più ricco al 
mondo. 
“Una quantità non irrilevante 
di 
finanziamenti 
arrivava 
già 
da 
soggetti 
privati, 
localizzati 
principalmente 
nei 
Paesi 
del 
Golfo”, afferma 
l’analista 
del 
Ce.Si., “ed è 
lecito immaginare 
che 
avverrà un rafforzamento di 
questa linea di 
finanziamenti”. uno scenario più 
che 
plausibile 
e 
non nuovo, “già visto con Al-Qaeda dieci 
anni 
fa e 
ancora 
prima 
con 
i 
mujahedin 
afgani 
nella 
guerra 
contro 
i 
russi”, 
conclude 
Marinone. 
Questa 
tipologia 
di 
flussi 
di 
denaro crea 
non pochi 
grattacapi 
all’antiterrorismo 
internazionale 
poiché 
si 
tratta 
perlopiù 
di 
una 
miriade 
di 
trasferimenti 
di 
contante 
di 
piccole 
o medie 
entità, quasi 
impossibili 
da 
rintracciare 
e 
tra 
i 
metodi 
maggiormente 
utilizzati 
per il 
trasferimento di 
queste 
somme di denaro vi è proprio Hawala. 


Metteremo 
di 
seguito 
in 
evidenza 
i 
motivi 
per 
cui 
Hawala 
principalmente 


-e 
tutti 
gli 
altri 
fornitori 
di 
servizi 
simili 
-possa 
fornire, allo stato attuale, un 
supporto 
fondamentale 
per 
il 
finanziamento 
al 
sedicente 
Stato 
islamico, 
in 
questa 
fase 
così 
critica 
per 
lo 
stesso, 
dove 
le 
altre 
“entrate” 
sono 
compromesse 
a 
seguito della 
sconfitta 
militare 
subita 
sui 
territori 
occupati 
nella 
fase 
espansionistica. 
Al 
tracollo sul 
piano militare 
ne 
è 
seguito, logicamente, anche 
uno 
economico. 

LeGiSLAzione 
eD 
AttuALità 


Le 
ragioni 
più 
comuni 
che, 
a 
parere 
dello 
scrivente, 
possono 
incrementare 
l’utilizzo di 
Hawala 
da parte del “restaurando” i.S.i.S. sono le seguenti: 


trasmissione del denaro più economica: 


Hawala 
e 
gli 
altri 
fornitori 
di 
servizi 
simili 
di 
solito costano al 
massimo 
il 
25-50% dell'addebito bancario equivalente 
a 
seconda 
della 
destinazione 
del 
trasferimento, 
i 
clienti 
ottengono, 
generalmente, 
tassi 
di 
cambio 
migliori 
dagli 


H.o.S.S.P. (21) rispetto alle 
banche 
tradizionali 
e 
ai 
money 
Transfer 
ufficiali 
perché operano avendo spese di gestione sostanzialmente più basse. 
trasmissione più rapida del denaro: 


Hawala 
e 
altri 
fornitori 
di 
servizi 
simili 
possono avere 
una 
vasta 
rete 
di 
controparti 
situate 
in 
Paesi 
specifici. 
La 
trasmissione 
del 
denaro 
può 
essere 
completata 
in poche 
ore 
o al 
massimo in due 
giorni, in caso di 
luoghi 
di 
destinazione 
dei 
fondi 
particolarmente 
isolati 
e 
privi 
di 
agevoli 
canali 
di 
comunicazione 
o vie 
di 
accesso -pensiamo a 
campi 
di 
addestramento di 
terroristi, a 
lupi 
solitari 
in missione 
o a 
covi 
di 
“dirigenti” 
delle 
cellule 
terroristiche 
nascosti 
in 
località 
particolarmente 
inaccessibili. 
nelle 
stesse 
posizioni, 
le 
banche 
possono 
richiedere 
diversi 
giorni 
o 
in 
alcuni 
casi, 
potrebbero 
non 
essere 
in 
grado o vedere 
fortemente 
compromessa 
e 
limitata 
la 
capacità 
di 
trasmissione 
di 
fondi. uno dei 
motivi 
che 
garantisce 
una 
rapida 
trasmissione 
di 
fondi 
è 
il 
fatto che 
spesso gli 
H.o.S.S.P. non trasferiscono le 
somme 
per ogni 
singola 
transazione 
(22) 
con 
il 
cliente, 
bensì 
ricorrono 
alla 
liquidazione 
netta/compensazione 
come fanno molti altri tipi di M.v.t.S. 


Preferenza culturale: gli H.o.s.s.P. 


esistono 
da 
molto 
tempo 
in 
alcune 
aree 
del 
Centro 
dell’Asia, 
Asia 
meridionale 
e 
Medio 
oriente, 
in 
alcuni 
casi 
da 
molto 
tempo 
prima 
dell'inizio 
del 
moderno 
settore 
bancario. 
Quindi 
può 
essere 
una 
tradizione 
culturale 
per 
le 
persone 
in 
queste 
aree 
per 
trasferire 
denaro 
attraverso 
Hawala 
tradizionale 
e 
altri 
fornitori 
di 
servizi 
simili. 
in 
molti 
Paesi 
sviluppati, 
tali 
canali 
sono 
utilizzati 
principalmente 
dai 
migranti 
a 
causa 
della 
facilità 
di 
accedere 
a 
tali 
sistemi 
piuttosto 
che 
a 
quelli 
bancari. 
inoltre 
vi 
è 
una 
condivisione 
di 
costumi, 
stili 
di 
vita, 
linguaggio 
ed 
anche 
diffidenza 
verso 
il 
mondo 
occidentale 
e 
negli 
usi 
e 
costumi 
dello 
stesso. 


accesso bancario nei Paesi di ricezione ed invio delle rimesse: (23) 
in alcuni 
dei 
Paesi 
di 
ricezione 
delle 
rimesse, i 
sistemi 
finanziari 
hanno 


(21) FAtF rePort oCtoBer 2013. 
(22) D.i.A. relazione secondo semestre 2017. 
(23) operazione 
di 
polizia 
giudiziaria 
denominata 
“Hawala.net”, conclusa, a 
Bari 
e 
a 
Catania, il 
10 maggio 2017. 

rASSeGnA 
AvvoCAturA 
DeLLo 
StAto -n. 3/2020 


un livello di 
sviluppo e 
di 
diffusione 
molto basso. in tali 
casi, solo Hawala 
ed 
eventuali 
altri 
fornitori 
di 
servizi 
simili 
hanno la 
capacità 
di 
fornire 
somme 
di 
denaro 
in 
luoghi 
lontani 
e 
remoti 
dove 
non 
esistono 
canali 
regolamentati. 
Paesi 
come 
il 
nepal, il 
Pakistan o alcuni 
Stati 
del 
nord Africa 
e 
del 
Medio oriente 
sono buoni 
esempi 
di 
tale 
situazione. ed in tutte 
queste 
regioni 
sono presenti 
formazioni 
combattenti 
vicino 
all’isis. 
Gli 
H.o.S.S.P. 
sono 
spesso 
anche 
l'unico canale 
attraverso il 
quale 
i 
fondi 
possono essere 
trasmessi 
in zone 
di 
conflitto armato, come 
in parti 
della 
Somalia, in Siria 
e 
in Afghanistan, giusto 
a 
titolo 
di 
esempio. 
Questi 
passaggi 
di 
rimesse 
sono 
il 
modo 
più 
“sicuro”, 
semplice 
ed economico per trasferire 
fondi 
in questi 
territori. Aggiungiamo, che 
in relazione 
agli 
Stati 
di 
invio delle 
rimesse, in cui 
il 
sistema 
bancario è 
sviluppato 
e 
l'accesso 
bancario 
è 
più 
agevole 
e/o 
garantito, 
Hawala 
è 
l’unico 
mezzo disponibile 
per gli 
stranieri 
in condizione 
di 
illegalità. tale 
status 
preclude 
loro 
di 
poter 
accedere 
alle 
banche 
e 
agli 
altri 
fornitori 
di 
servizi 
finanziari 
regolamentati, lasciando solo alternative 
limitate 
a 
costi-convenienti, come 
i 
fornitori 
di 
servizi 
non 
regolamentati 
per 
inviare 
rimesse 
alle 
famiglie 
rimaste 
nei 
Paesi 
di 
origine. Si 
sottolinea, tuttavia, che 
anche 
il 
residente 
legale 
ed i 
migranti 
regolarmente 
ospiti 
nel 
nostro Paese, e 
negli 
altri 
Paesi 
occidentali 
utilizzano ampiamente 
questi 
fornitori 
di 
servizi 
informali 
di 
pagamento per 
le altre ragioni che analizzeremo ora. 


Maggiore 
fiducia in 
Hawala 
ed 
in 
altri 
fornitori 
di 
servizi 
simili 
rispetto 
al sistema bancario: 


tale 
situazione 
si 
verifica 
essenzialmente 
nei 
Paesi 
in cui 
vi 
è 
una 
mancanza 
culturale 
di 
fiducia 
verso 
le 
banche 
ed 
il 
sistema 
finanziario 
tradizionale, 
in particolare 
questo fenomeno si 
riscontra 
nei 
cittadini 
di 
Stati 
in cui 
i 
clienti 
delle 
banche 
hanno perso le 
somme 
depositate 
quando si 
sono verificate 
crisi 
bancarie. La 
limitata 
comprensione 
o familiarità 
con servizi 
finanziari 
tradizionali 
a 
causa 
della 
mancanza 
di 
alfabetizzazione 
finanziaria 
può essere 
un 
altro 
motivo 
capace 
di 
spiegare 
questa 
mancanza 
di 
fiducia 
nei 
confronti 
degli 
istituti 
finanziari 
regolamentati. 
Alla 
fine 
le 
già 
accennate 
barriere 
linguistiche 
rischiano di essere un ostacolo significativo per le popolazioni immigrate. 


agevole 
evasione 
dei 
controlli 
valutari 
e 
delle 
sanzioni 
internazionali: 


Hawala 
e 
gli 
altri 
servizi 
simili 
permettono 
di 
aggirare 
agevolmente 
le 
restrizioni 
applicate 
alle 
operazioni 
-ad esempio i 
controlli 
di 
cambio oppure 
le 
sanzioni 
internazionali; 
è 
chiaro quindi 
che 
Hawala 
e 
gli 
altri 
canali 
informali 
di 
pagamento vengano utilizzati 
anche, se 
non principalmente 
-stante 
la 
propria 
natura 
-per aggirare 
i 
controlli 
valutari 
e/o le 
sanzioni 
internazionali 
per combattere 
il 
riciclaggio di 
denaro sporco ed il 
rischio di 
finanziamento 
del terrorismo. 



LeGiSLAzione 
eD 
AttuALità 


trasferire opacamente i fondi evolvendosi costantemente: 


i terroristi, quindi, utilizzerebbero Hawala 
e 
similari 
canali 
per trasferire 
fondi 
perché 
l’impegno 
e 
gli 
obblighi 
sono 
molto 
meno 
rigorosi 
rispetto 
a 
quelli 
richiesti 
dalle 
banche 
e 
dagli 
altri 
istituti 
finanziari 
regolamentati. 
inoltre 
tali 
sistemi 
di 
trasferimento 
sono 
meno 
accessibili 
alle 
Autorità, 
o 
quanto 
meno 
richiedono sforzi 
info-investigativi 
non indifferenti. Pertanto, quando ci 
sono 
somme 
da 
inviare 
-anche 
nei 
più 
remoti 
angoli 
del 
globo 
(zone 
desertiche, 
territori 
in 
balia 
di 
guerre, 
montagne 
quasi 
inaccessibili) 
-i 
titolari 
di 
tali 
fondi, 
sia 
di 
lecita 
che 
illecita 
provenienza, 
hanno 
tutto 
l’interesse 
ad 
accedere 
ai 
servizi 
prestati 
dagli 
Hawaladar, 
ben 
disposti 
a 
servirli 
trasferendo 
il 
denaro 
senza 
tracciarne 
in alcun modo il 
flusso o addirittura 
falsificando la 
scarna 
ed 
eventuale 
documentazione 
disponibile 
per rendere 
l’attività 
delle 
Autorità 
più 
difficile 
e 
complessa. Molte 
indagini 
di 
Polizia 
hanno infatti 
rivelato che 
hawaladars 
e 
fornitori 
di 
servizi 
simili 
non 
gestiscono 
sistemi 
“paperless”, 
come 
si 
potrebbe 
supporre, 
ma 
in 
realtà 
tengono 
dei 
“registri” 
-una 
species 
delle 
agende 
per contabilizzare 
il 
“nero”, tipiche 
degli 
anni 
’70 -attraverso i 
quali 
riescono a 
tenere 
sotto controllo i 
flussi 
ed a 
comprovare 
la 
loro reputazione 
ed efficienza. tutto ciò a 
comprova 
del 
fatto che 
Hawala 
tradizionale 
e 
pura 
è 
in realtà 
un mito. Le 
esperienze 
investigative 
nazionali 
suggeriscono che 
le 
entità 
all'interno 
della 
rete 
adattino 
la 
loro 
struttura 
e 
i 
loro 
metodi 
per 
garantire 
che 
i 
corridoi 
di 
rimessa 
siano gestiti 
in modo efficiente. Dunque 
un sistema 
che 
si 
adegua, ed infatti 
è 
dimostrato che 
ormai 
tale 
struttura 
non è 
solo connessa 
al 
puro 
trasferimento 
di 
somme 
più 
o 
meno 
grandi 
-Hawala 
tradizionale 
pura 
-ma 
offre 
oggi 
anche 
altri 
servizi 
finanziari 
come 
il 
cambio 
valutario, 
prestiti 
a 
breve 
termine, garanzie 
commerciali, banco di 
pegni 
e 
addirittura, 
in alcuni Paesi, conservazione sicura dei fondi trasferiti. 


tutto 
questo 
comporta, 
tuttavia, 
che 
le 
transazioni 
gestite 
da 
Hawala 
possono 
essere 
economicamente 
competitive 
all'interno di 
corridoi 
ben definiti 
e 
specifici. 
La 
loro 
competitività 
è 
la 
più 
alta 
dove 
i 
clienti 
devono 
inviare 
denaro 
ad 
aree 
in 
cui 
i 
sistemi 
bancari 
tradizionali 
e 
le 
catene 
trovano 
difficile, 
costoso 


o 
ad 
alto 
rischio 
operare. 
Quando 
tali 
condizioni 
non 
sono 
soddisfatte, 
il 
costo 
di 
invio di 
fondi 
attraverso Hawala 
e 
altri 
fornitori 
di 
servizi 
simili 
potrebbe 
in 
realtà 
non 
essere 
così 
competitivo, 
ma 
questo 
in 
tale 
momento 
non 
dovrebbe 
interessare 
i 
gerarchi 
del 
califfato 
nero, 
oggi 
la 
preoccupazione 
maggiore 
è 
fare 
arrivare 
i 
soldi. ed in certi 
contesti 
solo Hawala 
può garantire 
questo risultato. 
Gli 
Hawaladar 
quindi, in concorrenza 
costante 
tra 
loro, cercano di 
accaparrare 
“clientela” 
tra 
i 
sostenitori 
del 
terrorismo 
costruendosi 
una 
“reputazione”, 
che 
ovviamente 
si 
può 
perdere 
facilmente 
in 
caso 
di 
problemi 
di 
trasmissione 
o ritardi. Quindi 
oltre 
che 
sulla 
“fiducia” 
tradizionale, oggi 
abbiamo 
un 
sistema 
che 
si 
è 
evoluto 
e 
che 
è 
quasi 
in 
grado 
di 
recensire 
i 
vari 
fornitori del servizio sulla base delle singole prestazioni erogate. 



rASSeGnA 
AvvoCAturA 
DeLLo 
StAto -n. 3/2020 


Gli 
Hawaladar, tra 
l’altro, sempre 
più spesso individui 
relativamente 
rispettati 
all'interno della 
loro comunità 
di 
origine 
-quasi 
una 
sorta 
di 
colletti 
bianchi 
sui 
generis 
-sono 
oggi 
in 
realtà 
altamente 
visibili 
all'interno 
delle 
collettività 
che 
servono e 
può anche 
capitare 
che 
vi 
sia 
una 
certa 
“pubblicità” 
dei 
servizi 
offerti, 
ovviamente 
sempre 
limitatamente 
alle 
comunità 
di 
origine 
o 
quanto meno tra le etnie di appartenenza. 


7. Brevi considerazioni finali. 
Questo breve 
e 
schematico lavoro vuole 
evidenziare 
chiaramente 
quanto 
Hawala 
e 
gli 
altri 
servizi 
di 
trasferimento valori 
simili 
possano essere 
fondamentali 
alla 
causa 
dell’isis, che 
oggi 
più che 
mai 
ha 
la 
necessità 
di 
reperire 
risorse 
dai 
sostenitori 
e 
finanziatori, 
a 
qualsiasi 
livello 
e 
da 
qualsiasi 
posto 
della 
terra. 


i flussi 
di 
ricchezza 
collegati 
al 
Jihad 
-e 
dunque 
all’i.S.i.S. che 
ha 
adepti 
ovunque 
-da 
ogni 
più 
remoto 
angolo 
del 
globo 
si 
muovono 
continuamente 
verso altrettanti 
punti 
del 
mondo. tali 
gettiti 
economici 
sono il 
frutto di 
ogni 
tipo di 
attività, lecita 
o illecita, ed è 
evidente 
che 
il 
modo migliore 
per “muovere” 
tanta 
ricchezza, per quanto detto sopra, sia 
per lo stato islamico probabilmente 
il sistema di rimesse che abbiamo analizzato in queste pagine. 


Hawala, 
tuttavia, 
non 
è 
da 
considerare 
una 
struttura 
infallibile 
e 
tantomeno 
deve 
considerarsi 
inespugnabile, la 
possibilità 
di 
minarne 
le 
capacità 
ci 
sono e 
non sono affatto blande. in sostanza 
bisognerebbe 
attaccare 
il 
sistema 
“infiltrandolo” 
e 
demolendolo dall’interno, analogamente 
a 
quanto accade 
in 
materia 
di 
stupefacenti 
e 
criminalità 
organizzata, in modo da 
farlo crollare 
su 
sé 
stesso. Questo ragionamento, sicuramente 
dirompente 
da 
un punto di 
vista 
normativo 
-alla 
stregua 
di 
quello 
fatto 
a 
suo 
tempo 
dal 
Presidente 
dell’A.n.A.C. raffaele 
Cantone 
per combattere 
in modo innovativo la 
corruzione 
-permetterebbe 
di 
far venire 
meno l’affidamento nel 
sistema 
fiduciario 
su 
cui 
si 
regge 
Hawala, 
scoraggiando 
di 
conseguenza 
l’affidamento 
del 
denaro 
alla rete. 

Bibliografia 


roBerto 
MuGAvero, 
rAnieri 
rAzzAnte, Terrorismo e nuove tecnologie, Pacini editore. 
rAnieri 
rAzzAnte, Finanziamento del 
terrorismo e 
antiriciclaggio, normativa di 
contrasto 
e prassi operativa, edizione nuova Giuridica. 
rAnieri 
rAzzAnte, 
Comprendere 
il 
terrorismo. 
Spunti 
interpretativi 
di 
analisi 
e 
metodologie 
di contrasto del fenomeno, Pacini editore. 
rAnieri 
rAzzAnte, radicalismo, migrazioni 
e 
minacce 
ibride. Analisi 
e 
metodologie 
di 
contrasto, 
Pacini editore. 



LeGiSLAzione 
eD 
AttuALità 


Sitografia 


www.crstitaly.it 
http://www.mediterraneaninsecurity.it 
http://www.airant.it/ 
https://antidroga.interno.gov.it/ 
http://direzioneinvestigativaantimafia.interno.gov.it/index.html 
http://parlamento17.camera.it/156 
http://questionegiustizia.it/speciale/2016/1/follow-the-money_sviluppi-recenti-delcontrasto-
al-finanziamento-del-terrorismo-internazionale_15.php 
https://www.sicurezzanazionale.gov.it/sisr.nsf/chi-siamo/organizzazione/dis.html 
http://www.gdf.it/ 



rASSeGnA 
AvvoCAturA 
DeLLo 
StAto -n. 3/2020 


il diritto di accesso ai documenti amministrativi 
in ambito urbanistico 
-edilizio tra costi 
procedimentali e diritto alla riservatezza 


Fabio Ratto Trabucco* 


SommArIo: 1. Il 
diritto di 
accesso ai 
documenti 
amministrativi 
a livello locale 
-2. Il 
limite 
della riservatezza in ambito urbanistico 
-edilizio -3. Gli 
oneri 
per 
l’accesso ai 
fini 
di 
ricerca, 
visura e 
riproduzione 
degli 
atti 
-4. Una casistica di 
accesso e 
tutela in materia di 
atti 
urbanistico 
-edilizi. 


1. Il diritto di accesso ai documenti amministrativi a livello locale. 
Costituisce 
elemento lapalissiano come 
la 
primigenia 
introduzione 
generalizzata 
del 
diritto di 
accesso documentale 
agli 
artt. 22 e 
seguenti 
della 
L. 7 
agosto 1990, n. 241, in materia 
di 
procedimento amministrativo, è 
da 
sempre 
percepita 
come 
una 
profonda 
storica 
innovazione 
della 
pubblica 
amministrazione 
italiana in punto di trasparenza (1). 

tuttavia, 
giova 
rammentare 
come 
l’ambito 
dell’accesso 
agli 
atti 
degli 
enti 
locali, 
e 
di 
riflesso 
quindi 
anche 
i 
provvedimenti 
in 
materia 
urbanistico-edilizia 
nonché 
del 
settore 
degli 
appalti 
pubblici 
locali 
(2), erano già 
stati 
oggetto di 
specifica 
disposizione 
normativa. infatti 
l’art. 25, c. 1, L. 27 dicembre 
1985, 


n. 816, riconosceva 
il 
diritto di 
tutti 
i 
cittadini 
a 
prendere 
visione 
dei 
provvedimenti 
degli 
enti 
locali, rinviando alle 
singole 
amministrazioni 
di 
stabilire, 
con 
proprio 
regolamento, 
la 
disciplina 
dell’esercizio 
di 
tale 
diritto. 
tale 
disposto 
è 
stato 
poi 
sostanzialmente 
trasfuso 
nel 
testo 
unico 
degli 
enti 
locali 
(*) 
esperto 
in 
ambito 
giuspubblicistico 
italiano 
e 
comparato, 
svolge 
attività 
di 
ricerca 
all’estero 
nel-
l’ambito del diritto costituzionale comparato. 
Professore a contratto - università degli Studi di Padova. 


Articolo già èdito. 


(1) 
in 
tema 
d’accesso 
documentale, 
senza 
pretesa 
d’esaustività, 
cfr.: 
A. 
GireLLA, 
F. 
GireLLA, 
L’accesso 
ai 
documenti 
amministrativi 
nel 
comparto sicurezza, orvieto, intermedia, 2017; 
G. BAuSiLio, Il 
diritto 
di 
accesso 
ai 
documenti 
amministrativi: 
profili 
giurisprudenziali, 
vicalvi, 
key, 
2016; 
j. 
SCHWArze, Access 
to documents 
under 
European Union law, in rivista italiana di 
diritto pubblico comunitario, 
2015, 2, 335-344; 
L. CALiFAno, C. CoLAPietro, Le 
nuove 
frontiere 
della trasparenza nella 
dimensione 
costituzionale, napoli, editoriale 
Scientifica, 2014; 
P. CAPuti 
jAMBrenGHi, Il 
diritto di 
accesso 
ai 
documenti 
amministrativi, 
in 
S. 
CoGnetti, 
et 
al. 
(cur.), 
Percorsi 
di 
diritto 
amministrativo, 
torino, 
Giappichelli, 2014, 205-230; 
D. GiAnnini, L’accesso ai 
documenti, Milano, Giuffrè, 2013; 
C. CoLAPietro 
(cur.), Il 
diritto di 
accesso e 
la Commissione 
per 
l'accesso ai 
documenti 
amministrativi 
a vent’anni 
dalla legge 
n. 241 del 
1990, napoli, editoriale 
Scientifica, 2012; 
P. BurLA, G. FrACCAStoro, Il 
diritto 
di accesso ai documenti della pubblica amministrazione, roma, Laurus, 2006. 
(2) Cfr. v. GAStALDo, Il 
diritto di 
accesso nel 
settore 
degli 
appalti 
pubblici 
e 
gli 
obblighi 
di 
trasparenza 
delle stazioni appaltanti, in Urbanistica e appalti, 2014, 10, 1005-1020. 

LeGiSLAzione 
eD 
AttuALità 


(tueL) 
di 
cui 
al 
d.lgs. 
18 
agosto 
2000, 
n. 
267, 
con 
norme 
sostanzialmente 
analoghe 
a 
quelle 
generali 
della 
l. n. 241/1990, per cui 
l’art. 6 demanda 
agli 
statuti 
comunali, metropolitani 
e 
provinciali 
la 
definizione 
delle 
forme 
«dell’accesso 
dei 
cittadini 
alle 
informazioni 
e 
ai 
procedimenti 
amministrativi». A 
sua 
volta 
il 
successivo 
art. 
10 
stabilisce 
che 
«tutti 
gli 
atti 
dell’amministrazione 
comunale 
e 
provinciale 
sono 
pubblici, 
ad 
eccezione 
di 
quelli 
riservati 
per 
espressa 
indicazione 
di 
legge 
o per effetto di 
una 
temporanea 
e 
motivata 
dichiarazione 
del 
Sindaco o del 
Presidente 
della 
Provincia». inoltre 
demanda 
ai 
regolamenti 
degli 
enti 
la 
disciplina 
dell’accesso 
agli 
atti 
amministrativi, 
del 
rilascio delle 
relative 
copie 
e 
delle 
modalità 
«per assicurare 
ai 
cittadini 
l’informazione 
sullo 
stato 
degli 
atti 
e 
delle 
procedure 
e 
sull’ordine 
di 
esame 
di 
domande, progetti 
e 
provvedimenti 
che 
comunque 
li 
riguardino» ed impone 
in generale 
agli 
enti 
locali 
di 
assicurare 
l’accesso «alle 
informazioni 
di 
cui 
è 
in possesso l’amministrazione». 

La 
dottrina 
e 
la 
giurisprudenza 
hanno individuato le 
seguenti 
peculiarità 
del 
diritto di 
accesso previsto dal 
tueL 
(ed in precedenza 
dalla 
legge 
sull’ordinamento 
degli 
enti 
locali, 8 giugno 1990, n. 142, cd. Legge 
Gava) rispetto a 
quello della l. n. 241/1990: 


a) 
legittimazione 
attiva: 
la 
l. 
n. 
241/1990 
consente 
a 
«chiunque» 
l’esercizio 
del 
diritto, 
mentre 
il 
tueL 
circoscrive 
la 
titolarità 
del 
diritto 
ai 
«cittadini»; 
b) 
interesse: 
la 
l. n. 241/1990 circoscrive 
l’accesso funzionalizzandolo al 
soddisfacimento di 
un interesse 
«per la 
tutela 
di 
situazioni 
giuridicamente 
rilevanti
»; 
il 
tueL 
non pone 
limiti 
al 
riguardo, anche 
se 
la 
giurisprudenza 
ha 
negato 
che 
possa 
trattarsi 
di 
un’azione 
popolare, 
nel 
senso 
che 
la 
posizione 
del richiedente deve comunque differenziarsi da quella del 
quivis de populo; 
c) oggetto: 
la 
l. n. 241/1990 parla 
di 
«documenti 
amministrativi», di 
cui 
fornisce 
una 
definizione 
molto 
ampia 
ma 
ancorata 
ad 
un 
dato 
materiale 
(«ogni 
rappresentazione 
grafica, fotocinematografica, elettromagnetica 
o di 
qualunque 
altra 
specie 
del 
contenuto di 
atti»); 
il 
tueL 
si 
riferisce 
agli 
«atti 
amministrativi
» 
ed 
alle 
«informazioni». 
è 
evidente 
che 
l’informazione 
è 
un 
bene 
immateriale che può trovarsi o meno incorporato in un documento; 
d) 
limiti: 
la 
l. 
n. 
241/1990: 
a) 
prevede 
l’esclusione 
dell’accesso 
per 
i 
documenti 
coperti 
da 
«segreto 
o 
divieto 
di 
divulgazione 
altrimenti 
previsti 
dal-
l’ordinamento»; 
b) 
esclude 
o 
differisce 
l’accesso 
per 
i 
documenti 
individuati 
da 
ciascuna 
amministrazione 
in 
relazione 
ad 
alcuni 
interessi 
tipizzati 
all’art. 
24, 
c. 
2, 
l. 
n. 
240/1990; 
c) 
esclude 
l’accesso 
per 
gli 
«atti 
preparatori 
nel 
corso 
della 
formazione 
dei 
provvedimenti» 
normativi 
o 
amministrativi 
generali; 
d) 
differisce 
l’accesso 
per 
i 
documenti 
«sino 
a 
quando 
la 
conoscenza 
di 
essi 
possa 
impedire 
o 
gravemente 
ostacolare 
lo 
svolgimento 
dell’azione 
amministrativa». 
il 
tueL 
prevede: 
a) 
l’esclusione 
dell’accesso 
per 
gli 
atti 
«riservati 
per 
espressa 
indicazione 
di 
legge»; 
b) 
il 
differimento 
dell’accesso 
con 
provvedimento 
motivato 
del 
Sindaco 
e 
del 
Presidente 
della 
Provincia 
quando 
la 
divulgazione 
possa 

rASSeGnA 
AvvoCAturA 
DeLLo 
StAto -n. 3/2020 


pregiudicare 
«la 
riservatezza 
di 
persone, 
gruppi 
ed 
imprese, 
conformemente 
a 
quanto 
previsto 
dal 
regolamento 
dell’amministrazione 
locale»; 


e) modalità 
di 
esercizio: 
la 
l. n. 241/1990 individua 
alcuni 
elementi 
(obbligo 
di 
motivazione, 
richiesta 
all’amministrazione 
che 
ha 
formato 
il 
documento 
o 
che 
lo 
detiene 
stabilmente, 
etc.) 
e 
demanda 
ai 
regolamenti 
governativi 
l’ulteriore 
disciplina; 
il 
tueL 
rinvia 
integralmente 
al 
regolamento 
dell’amministrazione 
locale, 
fornendo 
disposizioni 
solo 
riguardo 
al 
rimborso 
dei 
costi; 
f) rimborsi: 
la 
l. n. 241/1990 prevede 
che 
l’esercizio del 
diritto di 
accesso 
tramite 
visura 
sia 
gratuito, mentre 
il 
rilascio di 
copia 
subordinato al 
solo rimborso 
del 
«costo di 
riproduzione», salve 
le 
disposizioni 
in materia 
di 
bollo e 
gli 
eventuali 
«diritti 
di 
ricerca 
e 
visura» (art. 25, c. 1, l. n. 241/1990); 
il 
tueL 
rinvia 
al 
regolamento la 
determinazione 
dei 
«soli 
costi», e 
quindi 
rende 
rimborsabili 
tutte le spese vive (non solo quelle di riproduzione) sostenute. 
A 
fronte 
di 
un dato letterale 
così 
diverso, si 
è 
sostenuto che 
l’accesso disciplinato 
dalla 
norma 
generale 
sull’azione 
amministrativa 
avrebbe 
una 
natura 
diversa 
rispetto a 
quello previsto per gli 
enti 
locali, più agevolmente 
identificabile 
alla stregua di un diritto soggettivo in senso tecnico. 

tuttavia, sono assolutamente 
prevalenti 
le 
posizioni 
contrarie 
alla 
frammentazione 
nella 
ricostruzione 
dell’istituto 
dell’accesso: 
«[…] 
l’art. 
10, 
d.lgs. 


n. 267/2000 […] stabilendo che 
“tutti 
gli 
atti 
dell’amministrazione 
comunale 
e 
provinciale 
sono pubblici”, ad eccezione 
di 
quelli 
riservati 
per legge 
o dichiarati 
tali 
da 
un atto del 
Sindaco o dal 
Presidente 
della 
Provincia 
allo scopo 
di 
tutelare 
la 
riservatezza 
delle 
persone 
dei 
gruppi 
o delle 
imprese, non da 
una 
propria 
configurazione 
del 
diritto di 
accesso, né 
regola 
l’esercizio di 
tale 
diritto. 
La 
disposizione 
stabilisce 
soltanto che 
non vi 
sono atti 
riservati, non accessibili, 
se 
non 
quelli 
da 
essa 
indicati. 
[…] 
nulla 
tali 
disposizioni 
dispongono 
per quanto concerne 
la 
conformazione 
e 
l’esercizio del 
diritto di 
accesso. occorre 
fare 
riferimento, pertanto, anche 
per quanto riguarda 
gli 
atti 
dei 
comuni 
e 
delle 
province 
alla 
disciplina 
generale 
contenuta 
negli 
artt. 22 e 
seguenti 
del 
capo v 
della 
l. 241/1990. […] Quindi, anche 
per tali 
atti 
vale 
il 
dettato della 
norma 
ora 
citata 
secondo cui 
il 
diritto di 
accesso è 
riconosciuto unicamente 
a 
chi 
vanti 
un 
interesse 
per 
la 
tutela 
di 
situazioni 
giuridicamente 
rilevanti. 
Anche 
per l’accesso agli 
atti 
dei 
Comuni 
e 
delle 
Province 
pertanto, allo scopo di 
collegarlo 
alla 
tutela 
di 
posizioni 
giuridiche 
soggettive, ad interessi, quindi, personali 
e 
concreti, si 
richiede 
un’istanza 
motivata. e 
appena 
il 
caso di 
rilevare, 
infine 
[…] che 
un diritto di 
accesso agli 
atti 
dei 
Comuni 
e 
delle 
Province 
libero, 
ma 
«per i 
soli 
cittadini 
residenti» non sarebbe 
in linea 
con il 
principio di 
eguaglianza di tutti i cittadini» (3). 
Ancora, «[…] le 
norme 
che 
disciplinano l’esercizio del 
diritto di 
accesso 
ai 
documenti 
degli 
enti 
locali 
non 
hanno 
introdotto 
un 
istituto 
ulteriore 
rispetto 


(3) CdS, sez. v, 18 marzo 2004, n. 1412. 

LeGiSLAzione 
eD 
AttuALità 


a 
quello 
di 
cui 
alla 
legge 
sul 
procedimento 
amministrativo. 
va 
infatti 
osservato 
che 
il 
rapporto tra 
le 
discipline, recate 
rispettivamente 
dall’art. 10 del 
d.lgs. n. 
267/2000, 
sull’ordinamento 
delle 
autonomie 
locali, 
in 
combinato 
disposto 
nel 
caso in questione con l’art. 72, Statuto Provincia di roma, e dal Capo v, l. n. 
241/1990, 
sul 
procedimento 
amministrativo 
in 
materia 
di 
accesso 
a 
documenti 
amministrativi, 
entrambe 
ispirate 
al 
comune 
intento 
di 
garantire 
la 
trasparenza 
dell’azione 
amministrativa 
va 
posto in termini 
di 
cooperazione, con la 
conseguenza 
che 
le 
disposizioni 
del 
citato Capo v 
penetrano all’interno degli 
ordinamenti 
degli 
enti 
locali 
in tutte 
le 
ipotesi 
in cui 
nella 
disciplina 
di 
settore 
non 
si 
rinvengano appositi 
precetti 
che 
regolino la 
materia 
con carattere 
di 
specialità. 
in particolare, l’art. 10, d.lgs. n. 267/2000, ha 
introdotto una 
disposizione 
per gli 
enti 
locali 
che 
si 
pone 
semplicemente 
in termini 
integrativi 
rispetto a 
quella, 
di 
contenuto 
generale, 
di 
cui 
alla 
l. 
n. 
241/1990. 
tale 
conclusione 
risulta 
chiara dal tenore della disposizione in esame» (4). 


2. Il limite della riservatezza in ambito urbanistico-edilizio. 
Appare 
evidente 
che 
nell’ambito 
edilizio-urbanistico 
vengono 
quasi 
sempre 
in rilievo interessi 
di 
soggetti 
terzi 
controinteressati 
al 
diritto di 
accesso in 
quanto potenzialmente 
lesi 
nel 
loro diritto alla 
riservatezza 
sia 
pure 
con riferimento 
a 
dati 
personali 
di 
natura 
più spesso comune 
(data 
e 
luogo di 
nascita, 
residenza, 
domicilio) 
e 
non 
anche 
sensibile. 
tuttavia, 
ne 
discende 
che 
in 
forza 
della 
riforma 
operata 
in materia 
di 
procedimento amministrativo con la 
l. 11 
febbraio 2005, n. 15, dopo aversi 
ribadito che 
in tal 
caso «deve 
comunque 
essere 
garantita 
ai 
richiedenti 
la 
visione 
degli 
atti 
dei 
procedimenti 
amministrativi 
la 
cui 
conoscenza 
sia 
necessaria 
per 
curare 
o 
per 
difendere 
i 
loro 
stessi 
interessi 
giuridici», è 
stato opportunamente 
aggiunto che 
«nel 
caso di 
documenti 
contenenti 
dati 
sensibili 
e 
giudiziari, l’accesso è 
consentito nei 
limiti 
in 
cui 
è 
strettamente 
indispensabile 
e 
nei 
termini 
previsti 
dall’articolo 60 del 
decreto 
legislativo 
30 
giugno 
2003, 
n. 
196, 
in 
caso 
di 
dati 
idonei 
a 
rivelare 
lo 
stato di salute e la vita sessuale». 


La 
giurisprudenza 
amministrativa 
ha, 
a 
sua 
volta, 
affrontato 
la 
vexata 
quaestio 
del 
rapporto 
tra 
l’esigenza 
di 
rendere 
accessibili 
i 
documenti 
e 
la 
necessità 
di 
tutelare 
adeguatamente 
la 
privacy 
dei 
soggetti 
ai 
quali 
si 
riferiscono 
i 
dati 
contenuti 
negli 
atti 
dei 
quali 
si 
chiede 
l’ostensione. 
La 
svolta 
è 
stata 
determinata 
dall’entrata 
in 
vigore 
del 
d.lgs. 
n. 
196/2003 
(Codice 
della 
privacy) 
come 
da 
ultimo 
integrato 
per 
l’effetto 
del 
regolamento 
ue 
n. 
2016/679 
del 
Parlamento 
europeo 
e 
del 
Consiglio 
del 
27 
aprile 
2016, 
relativo 
alla 
protezione 
delle 
persone 
fisiche 
con 
riguardo 
al 
trattamento 
dei 
dati 
personali, 
che 
ha 
natura 
modificativa 
ed 
integrativa 
della 
disciplina 
previgente, 
e 
non 
meramente 
compilativa. 
in 
buona 
sostanza, 
si 
può 
comunque 
ritenere 
che 
il 
legislatore 


(4) CdS, sez. v, 7 aprile 2004, n. 1969. 

rASSeGnA 
AvvoCAturA 
DeLLo 
StAto -n. 3/2020 


abbia 
recepito 
e 
codificato 
l’elaborazione 
giurisprudenziale 
prevalente. 
in 
relazione 
all’esercizio 
del 
diritto 
di 
accesso, 
l’art. 
59, 
d.lgs. 
n. 
196/2003, 
come 
modificato 
dall’art. 
5, 
c. 
1, 
lett. 
a), 
d.lgs. 
10 
agosto 
2018, 
n. 
101, 
prevede 
che: 
«fatto 
salvo 
quanto 
previsto 
dall’articolo 
60, 
i 
presupposti, 
le 
modalità, 
i 
limiti 
per 
l'esercizio 
del 
diritto 
di 
accesso 
a 
documenti 
amministrativi 
contenenti 
dati 
personali, 
e 
la 
relativa 
tutela 
giurisdizionale, 
restano 
disciplinati 
dalla 
legge 
7 
agosto 
1990, 
n. 
241, 
e 
successive 
modificazioni 
e 
dalle 
altre 
disposizioni 
di 
legge 
in 
materia, 
nonché 
dai 
relativi 
regolamenti 
di 
attuazione, 
anche 
per 
ciò 
che 
concerne 
i 
tipi 
di 
dati 
di 
cui 
agli 
articoli 
9 
e 
10 
del 
regolamento 
e 
le 
operazioni 
di 
trattamento 
eseguibili 
in 
esecuzione 
di 
una 
richiesta 
di 
accesso». 


tale 
peculiare 
disciplina 
ha 
condotto la 
giurisprudenza 
a 
ritenere 
possibile, 
nel 
contemperare 
gli 
opposti 
interessi 
coinvolti, 
la 
limitazione 
dell’accesso 
alla 
sola 
presa 
visione, 
ed 
a 
omettere 
le 
parti 
di 
documento 
riferite 
a 
soggetti 
terzi. 
in 
ogni 
caso, 
i 
terzi 
titolari 
del 
diritto 
alla 
riservatezza 
sono 
soggetti 
contraddittori 
necessari 
nel 
procedimento amministrativo ovvero giurisdizionale, 
ex 
art. 25, c. 4, l. n. 241/1990. 


L’attuale 
approdo normativo è 
costituito dalla 
riformulazione 
degli 
artt. 
22, 
24 
e 
25 
della 
l. 
n. 
241/1990 
da 
parte 
del 
legislatore 
del 
2005. 
in 
riferimento 
al 
primo 
degli 
articoli 
citati, 
vengono 
definiti 
controinteressati 
«tutti 
i 
soggetti 
privati, 
compresi 
quelli 
portatori 
di 
interessi 
pubblici 
o 
diffusi, 
che 
abbiano 
un interesse 
diretto, concreto e 
attuale, corrispondente 
ad una 
situazione 
giuridicamente 
tutelata 
e 
collegata 
al 
documento al 
quale 
è 
chiesto l’accesso». il 
nuovo 
art. 
24, 
esclude 
dall’accesso 
i 
«documenti 
amministrativi 
contenenti 
informazioni 
di 
carattere 
psico-attitudinale 
relativi 
a 
terzi» che 
riguardino procedimenti 
selettivi 
(c. 1, lett. d)); 
la 
stessa 
norma, tra 
le 
ipotesi 
di 
esclusione 
dal 
diritto di 
accesso che 
possono essere 
disciplinate 
dal 
regolamento governativo, 
prevede 
il 
caso in cui 
«i 
documenti 
riguardino la 
vita 
privata 
o la 
riservatezza 
di 
persone 
fisiche, 
persone 
giuridiche, 
gruppi, 
imprese 
e 
associazioni, 
con 
particolare 
riferimento 
agli 
interessi 
epistolare, 
sanitario, 
professionale, finanziario, industriale 
e 
commerciale 
di 
cui 
siano in concreto 
titolari, ancorché 
i 
relativi 
dati 
siano forniti 
all’amministrazione 
dagli 
stessi 
soggetti cui si riferiscono» (c. 1, lett. d)). 


La 
norma 
conclude 
con una 
serie 
di 
disposizioni 
che 
tentano di 
fare 
chiarezza 
nei 
rapporti 
tra 
accesso e 
riservatezza, “legificando” 
la 
disposizione 
già 
contenuta 
nell’art. 8 del 
previgente 
regolamento statale 
in materia 
d’acceso, 


d.P.r. 27 giugno 1993, n. 352, secondo cui 
«deve 
comunque 
essere 
garantito 
ai 
richiedenti 
l’accesso ai 
documenti 
amministrativi 
la 
cui 
conoscenza 
sia 
necessaria 
per 
curare 
o 
per 
difendere 
i 
propri 
interessi 
giuridici», 
ed 
aggiungendo 
che 
«nel 
caso di 
documenti 
contenenti 
dati 
sensibili 
e 
giudiziari, l’accesso è 
consentito 
nei 
limiti 
in 
cui 
sia 
strettamente 
indispensabile 
e 
nei 
termini 
previsti 
dall’articolo 60 del 
decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, in caso di 
dati 
idonei a rivelare lo stato di salute e la vita sessuale». 

LeGiSLAzione 
eD 
AttuALità 


La 
nuova 
versione 
dell’art. 25 prevede, nell’ambito della 
tutela 
non giurisdizionale, 
una 
forma 
di 
coordinamento tra 
la 
Commissione 
per l’accesso ai 
documenti 
amministrativi 
e 
il 
Garante 
della 
privacy: 
«se 
l’accesso è 
negato o 
differito per motivi 
inerenti 
ai 
dati 
personali 
che 
si 
riferiscono a 
soggetti 
terzi, 
la 
Commissione 
provvede 
sentito il 
Garante 
per la 
protezione 
dei 
dati 
personali, 
il 
quale 
si 
pronuncia 
entro 
il 
termine 
di 
dieci 
giorni 
dalla 
richiesta, 
decorso 
inutilmente il quale il parere si intende reso». 

Come 
si 
vede, 
si 
tratta 
dell’inserimento 
di 
un 
parere 
obbligatorio 
ma 
non 
vincolante, 
peraltro 
acquisibile 
implicitamente 
con 
la 
fictio 
del 
silenzio-assenso. 
Le 
uniche 
differenze 
riguardano 
i 
termini 
assegnati 
alla 
Commissione 
per 
l’accesso 
(che 
ha 
quindici 
giorni 
di 
tempo 
per 
esprimere 
il 
suo 
parere, 
anziché 
i 
dieci 
assegnati 
al 
Garante) 
ed 
al 
Garante 
(la 
cui 
attesa 
del 
parere 
della 
Commissione 
interrompe 
il 
termine 
per 
la 
pronuncia, 
mentre 
il 
termine 
per 
definire 
il 
ricorso 
attivato 
presso 
la 
Commissione 
per 
l’accesso 
resta 
di 
trenta 
giorni). 


3. Gli oneri per l’accesso ai fini di ricerca, visura e riproduzione degli atti. 
infine, una 
peculiare 
digressione 
in materia 
è 
opportuna 
in tema 
di 
oneri 
da 
pagare 
da 
parte 
del 
richiedente 
per 
l’accesso 
sotto 
forma 
di 
mera 
visura 
posto 
che 
la 
giurisprudenza 
è 
orientata 
ad 
affermarne 
la 
gratuità 
e 
stante 
riflessi 
in ordine ai diritti di ricerca sovente imposti a livello di enti locali minori. 

La 
disposizione 
dell’art. 
25, 
l. 
n. 
241/1990, 
pur 
non 
brillando 
sotto 
il 
profilo 
sintattico 
-posto 
che 
l’inciso, 
in 
funzione 
della 
costruzione 
della 
frase 
(«il 
rilascio di 
copia 
è 
subordinato soltanto al 
rimborso del 
costo di 
riproduzione, 
salve 
le 
disposizioni 
vigenti 
in 
materia 
di 
bollo»), 
avrebbe 
richiesto 
l’uso 
della 
preposizione 
articolata 
«dei» 
(diritti 
di 
ricerca 
e 
visura) 
e 
non 
già 
dell’articolo 
determinativo «i» -è 
affatto chiara 
nel 
sancire 
l’assoluta 
gratuità 
dell’esame 
dei 
documenti. D’altro canto l’inciso «nonché 
i 
diritti 
di 
ricerca 
e 
visura» è 
contenuto nella 
suddetta 
proposizione, separata 
dall’altra, relativa 
all’esame 
dei 
documenti, 
da 
un 
segno 
d’interpunzione, 
un 
punto, 
che 
non 
consente 
di 
riferirne 
all’altra 
il 
contenuto. Al 
cospetto di 
un tenore 
letterale 
siffatto e 
privo 
di 
ogni 
equivocità 
non è 
consentito per la 
giurisprudenza, con un’operazione 
ermeneutica 
che 
si 
risolve 
in effetti 
in una 
vera 
e 
propria 
integrazione 
etero-
testuale, 
tale 
da 
legare 
alla 
prima 
proposizione 
(«L’esame 
dei 
documenti 
è 
gratuito
») 
una 
porzione 
della 
seconda 
(«nonché 
i 
diritti 
di 
ricerca 
e 
visura»), 
sostenere 
che 
sia 
legittima 
la 
richiesta, 
anche 
per 
il 
solo 
esame 
della 
documentazione, 
dei 
cd. diritti 
di 
ricerca 
e 
visura. Peraltro, è 
evidente 
che 
l’amministrazione 
deve 
comunque 
sostenere, quali 
costi 
generali, il 
cui 
finanziamento 
ricade 
sulla 
fiscalità 
generale, le 
spese 
relative 
alla 
predisposizione 
di 
uffici 
e 
personale 
dedicati, tra 
l’altro, al 
riscontro delle 
istanze 
di 
accesso e 
non può 
pretendere 
di 
ripartirli 
pro-quota, nemmeno in forma 
forfetizzata, sui 
soggetti 
che 
esercitano l’accesso nella 
sola 
forma 
della 
visione, potendo, al 
limite 
esigere 
i 
diritti 
di 
ricerca 
e 
visura 
per i 
soli 
documenti 
di 
cui 
sia 
richiesta 
l’estra



rASSeGnA 
AvvoCAturA 
DeLLo 
StAto -n. 3/2020 


zione 
di 
copia. 
una 
diversa 
opzione 
ermeneutica, 
in 
contrasto 
con 
la 
chiara 
lettera 
della 
disposizione, 
con 
i 
principi 
generali 
sull’interpretazione 
e 
con 
l’esigenza 
di 
non 
rendere 
gravoso 
l’esercizio 
del 
diritto 
di 
accesso 
nella 
forma 
della 
visione, di 
cui 
la 
legge 
stabilisce 
l’assoluta 
gratuità, finirebbe 
per comprimere 
in 
modo 
del 
tutto 
irragionevole 
e 
senza 
alcuna 
base 
normativa 
il 
diritto 
di 
accesso. 
ed 
in 
definitiva 
lo 
stesso 
esercizio 
di 
difesa 
giurisdizionale 
cui 
l’accesso 
sia 
finalizzato, 
onde 
non 
sarebbe 
comunque 
sostenibile 
in 
una 
chiave 
costituzionalmente orientata (5). 


Circa 
i 
costi 
di 
riproduzione, il 
regolamento statale 
in materia 
d’accesso 
ai 
documenti 
amministrativi, d.P.r. 12 aprile 
2006, n. 184, rinvia 
alla 
potestà 
auto-organizzativa 
di 
ciascun 
ente, 
limitandosi 
a 
prevedere 
che 
i 
provvedimenti 
generali 
organizzatori 
di 
ogni 
amministrazione 
in 
materia 
d’accesso 
devono 
indicare 
l’ammontare 
dei 
diritti 
e 
delle 
spese 
da 
corrispondere 
per 
il 
rilascio 
di 
copie 
dei 
documenti 
di 
cui 
sia 
stata 
fatta 
richiesta, 
fatte 
salve 
le 
competenze del Ministero dell’economia e delle Finanze. 


in 
particolare, 
il 
dicastero 
de 
qua 
ha 
stabilito 
che 
solo 
per 
il 
rilascio 
di 
copie 
conformi 
all’originale 
sia 
dovuto 
il 
pagamento 
dell’imposta 
di 
bollo 
(6). 
in materia 
basti 
ricordare 
che, per le 
amministrazioni 
statali, si 
applica 
l’allegato 
2 del 
decreto del 
Ministro dell’economia 
e 
delle 
Finanze 
del 
5 gennaio 
2012, n. 2571, per cui 
«il 
rilascio di 
copia di 
atti 
è 
subordinato al 
rimborso 
del 
costo 
di 
riproduzione 
mediante 
l’apposizione 
di 
marche 
da 
bollo 
(0,26 
Euro per 
foglio fronte 
-retro) annullate 
con normale 
datario», disposizione 
che 
è 
stata 
ripresa 
anche 
da 
altre 
amministrazioni 
pubbliche, 
diverse 
dallo 
Stato, salvo differenti norme interne in forza della loro autonomia. 


tuttavia, e 
con particolare 
attenzione 
ad alcune 
discutibili 
prassi 
invalse 
negli 
enti 
locali 
minori, 
risulta 
opportuno 
sottolineare 
come 
il 
costo 
del 
diritto 
d’accesso non deve 
disincentivare 
l’utente. infatti, trattandosi 
di 
prestazioni 
imposte 
(per le 
quali 
opera 
la 
riserva 
di 
legge 
di 
cui 
all’art. 23 Cost.) la 
norma 
della 
l. 241/1990 avrebbe 
dovuto indicare 
anche 
un criterio di 
riferimento per 
la 
determinazione 
dei 
diritti. in mancanza, è 
certamente 
operante 
il 
principio 
generale 
di 
ragionevolezza 
e 
proporzionalità, in virtù del 
quale 
è 
certamente 
possibile 
contestare 
una 
eventuale 
fissazione 
che 
risulti 
eccessiva 
ed 
unicamente 
finalizzata 
a 
disincentivare 
gli 
accessi. Per esempio i 
casi 
di 
enti 
locali 
che, accanto al 
costo di 
riproduzione, esigono anche 
un elevato diritto fisso di 
ricerca 
del 
tutto svincolato dal 
numero e 
caratteristiche 
degli 
atti, di 
talché 
incongruo 
in presenza di limitata estrazione di copie. 


Peraltro, in punto di 
tutela, la 
Commissione 
per l’accesso ai 
documenti 
amministrativi 
ha 
avuto modo di 
affermare 
che, l’eventuale 
lamentata 
eccessività 
dei 
costi 
di 
accesso, esula 
dalla 
propria 
competenza, in quanto non ine


(5) CdS, sez. iv, ord. 14 aprile 2015, n. 1900. 
(6) Circolare Ministero dell’economia e delle Finanze, 28 luglio 1997, n. 213/S/uCoP/1997. 

LeGiSLAzione 
eD 
AttuALità 


rente 
il 
riconoscimento 
del 
diritto 
di 
accesso 
ma 
le 
modalità 
organizzative 
poste 
in 
essere 
dall’amministrazione 
per 
l’esercizio 
del 
diritto 
stesso 
(7), 
di 
fatto 
così 
escludendo 
un 
suo 
sindacato 
in 
un 
ambito 
che 
difficilmente 
potrebbe 
giungere 
alla 
decisione 
del 
Giudice 
amministrativo, stante 
gli 
inevitabili 
correlati 
non infimi costi di giustizia. 


Aspetto correlato è 
infine 
quello dei 
dinieghi 
strumentali, pretestuosi, in-
conferenti 
e 
quindi 
con 
motivazioni 
manifestamente 
illegittime 
elevati 
da 
parte 
di 
enti 
locali 
facendo 
leva 
sulle 
carenze 
di 
risorse 
umane 
e 
strumentali 
del-
l’amministrazione, più spesso un piccolo Comune. Al 
riguardo, la 
giurisprudenza 
ha 
avuto anzitutto modo di 
pronunciarsi 
sull’eventualità 
che 
l’aggravio 
dell’attività 
d’ufficio in forza 
del 
ricevimento d’istanze 
d’accesso possa 
legittimare 
un diniego, anche 
per ragioni 
economiche, ovvero essere 
causa 
di 
responsabilità 
erariale 
per l’istante, scrutinando con rigore 
tale 
possibilità 
che 
in alcun modo può essere 
sussunta 
dall’amministrazione 
onde 
non corrispondere 
all’istanza d’accesso. 


Così, particolarmente, «l’esistenza 
di 
situazioni 
idonee 
ad escludere 
il 
rilascio 
di 
copie 
di 
un atto va 
valutata 
con particolare 
severità, evitando di 
mettere, 
a 
fondamento di 
un sostanziale 
diniego dell’accesso, dei 
meri 
profili 
di 
sostenibilità 
economica 
dei 
costi 
relativi; 
costi 
che 
peraltro 
sono 
comunque 
riversati 
sul 
soggetto 
richiedente, 
giusta 
l’art. 
25, 
comma 
1, 
della 
legge 
n. 
241/1990» (8). Di 
talché 
i 
limiti 
organizzativi 
e 
di 
struttura 
non sono in alcun 
caso 
da 
considerare 
limiti 
oggettivi 
all’ostensione, 
come 
avvenuto 
nel 
concreto 
caso di 
accesso di 
soggetto privato ad elaborati 
grafici 
in materia 
urbanistico-
edilizia 
non fotocopiabili 
dall’ente 
locale 
con mezzi 
propri. Da 
un lato per la 
impossibilità 
tecnica 
da 
parte 
del 
Comune 
di 
Dobbiaco 
di 
procedere 
alla 
copia 
delle 
planimetrie 
nel 
formato 
desiderato, 
stante 
la 
disponibilità 
di 
fotocopiatrici 
nei 
soli 
formati 
A3 ed A4; 
dall’altro, per l’esistenza 
di 
norma 
del 
regolamento 
comunale 
in 
materia 
d’accesso 
che 
impedisce 
l’asporto 
dei 
documenti 
dal 
luogo in cui essi sono dati in visione. 


4. Una casistica di accesso e tutela in materia di atti urbanistico-edilizi. 
nell’atto 
dei 
provvedimenti 
degli 
enti 
locali 
relativi 
all’ambito 
urbanistico 
ed edilizio si 
registra 
un’ampia 
giurisprudenza 
a 
fronte 
di 
diniego d’accesso 
tipicamente 
formulato 
dal 
competente 
Comune, 
soggetto 
passivo 
del 
diritto 
d’accesso. 


La 
giurisprudenza 
ha 
anzitutto 
avuto 
modo 
di 
riconoscere 
l’accesso, 
stante 
la 
sussistenza 
di 
un interesse 
giuridicamente 
rilevante, al 
proprietario 
di 
un 
terreno 
confinante 
con 
quello 
oggetto 
di 
lottizzazione 
onde 
acquisire 
copia dei relativi atti per ogni connessa tutela (9). 


(7) Decisione Commissione per l’accesso ai documenti amministrativi, 17 novembre 2016. 
(8) CdS, sez. iv, 10 aprile 2009, n. 2243. 

rASSeGnA 
AvvoCAturA 
DeLLo 
StAto -n. 3/2020 


Parimenti, la 
Commissione 
per l’accesso ai 
documenti 
amministrativi 
ha 
riconosciuto l’ostensione 
degli 
atti 
di 
accatastamento, variazione, nonché 
di 
ogni 
altra 
pratica 
catastale 
conservati 
presso 
l’Agenzia 
delle 
entrate-territorio 
da 
parte 
del 
soggetto proprietario adiacente 
onde 
verificare 
la 
conformità 
alle 
relative 
norme 
degli 
interventi 
ivi 
realizzati. infatti, la 
vicinitas, intesa 
come 
qualità 
di 
proprietario di 
unità 
immobiliare 
confinante 
con quella 
cui 
si 
riferisce 
la 
documentazione 
richiesta, radica 
in capo all’accedente 
un interesse 
diretto, 
concreto ed attuale (10). 


Similmente 
è 
stato anche 
riconosciuto l’accesso al 
soggetto che 
dimora 
in 
prossimità 
di 
una 
zona 
interessata 
da 
un 
insediamento 
produttivo, 
in 
quanto 
titolare 
di 
un interesse 
collegato alle 
condizioni 
dell’ambiente 
in cui 
vive 
e, 
quindi, rilevante per il suo benessere psicofisico (11). 


in 
materia 
di 
accesso 
agli 
atti 
di 
agibilità 
abitativa, 
secondo 
un 
recente 
indirizzo espresso dal 
Consiglio di 
Stato, è 
ammissibile 
e 
meritevole 
di 
tutela 
anche 
la 
domanda 
di 
accesso 
presentata 
dal 
proprietario 
dell’unità 
immobiliare 
soprastante 
tesa 
ad ottenere 
-ove 
esistente 
-copia 
del 
ridetto documento attinente 
l’unità 
sottostante, per la 
quale 
è 
stato autorizzato il 
cambio di 
destinazione 
d’uso 
(12). 
A 
sostegno 
dell’assunto, 
i 
Giudici 
amministrativi 
hanno 
osservato 
che 
il 
documento 
nella 
specie 
richiesto 
è 
espressamente 
previsto 
dalle 
vigenti 
disposizioni 
legislative 
recate 
dal 
testo unico sull’edilizia 
di 
cui 
al 
d.P.r. 6 agosto 2001, n. 380 (ma 
anche 
dalla 
normativa 
previgente 
al 
medesimo), 
che 
assoggetta 
a 
tale 
certificazione 
ogni 
organismo 
edilizio 
destinato 
ad un utilizzo che 
comporta 
la 
permanenza 
dell’uomo nelle 
strutture 
edilizie 
autorizzate, 
al 
fine 
di 
attestare 
la 
sussistenza 
delle 
condizioni 
di 
sicurezza, 
igiene, salubrità 
e 
risparmio energetico (art. 24, c. 1, d.P.r. cit.). trattasi, perciò, 
di 
una 
certificazione 
assolutamente 
necessaria 
ai 
fini 
dell’uso legittimo e 
conforme 
dei 
locali 
per i 
quali 
viene 
assentita 
la 
realizzazione 
e 
la 
trasformazione; 
sicché 
della 
stessa 
certificazione 
è 
peraltro 
lecito 
e 
doveroso 
presumerne 
l’esistenza. 
Ciò 
posto, 
e 
traguardando 
la 
situazione 
del 
soggetto 
istante, 
il 
Collegio 
ha 
ritenuto che, in linea 
generale, la 
situazione 
sottesa 
alla 
domanda 
di 
accesso si 
configura 
come 
un vero e 
proprio diritto soggettivo meritevole 
di 
tutela 
quante 
volte 
la 
conoscenza 
degli 
atti 
oggetto della 
formulata 
richiesta, 
fatta 
eccezione 
per gli 
atti 
normativamente 
sottratti 
all’accesso, è 
strumentale 
all’esercizio di 
difesa 
dei 
propri 
interessi 
in sede 
giurisdizionale 
e/o in altra 
sede 
e 
comunque 
risulta 
rilevante 
ai 
fini 
del 
conseguimento da 
parte 
dell’interessato 
di un bene della vita (13). 


in ambito di 
patrimonio edilizio pubblico, un caso peculiare, risolto ne


(9) tAr Lazio, roma, sez. i, 28 settembre 1992, n. 1182. 
(10) Decisione Commissione per l’accesso ai documenti amministrativi, 27 ottobre 2016. 
(11) CdS, sez. v, 21 ottobre 1998, n. 1529. 
(12) CdS, sez. iv, 9 febbraio 2012, n. 690. 
(13) Ex plurimis, CdS, sez. vi, 27 ottobre 2006, n. 6440. 

LeGiSLAzione 
eD 
AttuALità 


gativamente, attiene 
all’accesso ai 
documenti 
formati 
e 
detenuti 
dall’Agenzia 
territoriale 
per l’edilizia 
residenziale 
-ente 
strumentale 
comunale 
o regionale 
per 
la 
gestione 
del 
patrimonio 
abitativo 
destinato 
alle 
fasce 
deboli 
-, 
allorquando 
tale 
istanza 
sia 
elevata 
dall’occupante 
abusivo del 
medesimo immobile. 
i Giudici 
amministrativi 
hanno avuto modo di 
precisare 
che 
il 
soggetto 
detentore 
sine 
titulo 
non è 
titolare 
di 
una 
posizione 
giuridica 
che 
lo legittimi 
alla 
richiesta 
di 
accesso agli 
atti 
riguardanti 
l’immobile 
abusivamente 
occupato, 
quali 
nella 
disponibilità 
dell’Agenzia 
comunale 
per la 
gestione 
dell’edilizia 
residenziale 
(nel 
caso 
di 
specie 
l’A.t.e.r. 
del 
già 
Comune 
di 
roma, 
oggi 
roma 
Capitale). 
infatti, 
secondo 
il 
tAr 
capitolino, 
il 
soggetto 
istante 
«non 
gode 
di 
una 
posizione 
di 
diritto soggettivo rispetto all’immobile, considerato 
che 
una 
posizione 
del 
genere 
appartiene 
a 
chi 
è 
titolare 
di 
un contratto di 
locazione 
o è 
proprietario dell’immobile 
oppure 
si 
trova 
in una 
posizione 
di 
legame, 
giuridicamente 
riconosciuta, 
con 
chi 
è 
rispettivamente, 
conduttore 
o 
proprietario. Ma 
non gode 
nemmeno di 
una 
posizione 
di 
interesse 
legittimo, 
atteso che 
una 
posizione 
del 
genere, meno piena 
della 
precedente, può essere 
riconosciuta, 
comunque, 
a 
chi 
si 
trovi 
in 
un 
rapporto 
legittimamente 
instaurato 
con il 
bene 
del 
quale 
rivendica 
la 
tutela. La 
posizione 
del 
ricorrente 
è, al 
contrario, 
una 
posizione 
di 
mero fatto, in quanto l’immobile 
occupato non gli 
è 
stato attribuito sulla 
base 
di 
un titolo giuridicamente 
valido ma 
è 
stato da 
lui 
appreso 
abusivamente, 
senza 
che 
assuma 
rilievo 
la 
volontà 
manifestata, 
dal 
medesimo soggetto istante, di 
voler procedere 
alla 
regolarizzazione 
di 
un’indennità 
di 
occupazione, 
peraltro 
autonomamente 
fissata, 
in 
favore 
del 
proprietario
» 
(14). 
Per 
suffragare 
ulteriormente 
il 
proprio 
orientamento, 
i 
Giudici 
richiamano un precedente 
penalistico di 
legittimità 
secondo cui 
«il 
carattere 
dell’indisponibilità 
giuridica 
che 
assiste 
gli 
alloggi 
dell’edilizia 
residenziale 
pubblica 
(erP), per cui 
gli 
stessi 
non possono formare 
oggetto di 
valida 
assegnazione 
in favore 
dei 
terzi 
se 
non nel 
rispetto dei 
modi 
e 
dei 
mezzi 
previsti 
a 
tale 
scopo dalla 
legge, influenza 
la 
posizione 
sostanziale 
dell’aspirante 
al 
godimento 
del 
bene 
immobile 
che 
non può efficacemente 
realizzarsi 
se 
non attraverso 
il 
rispetto 
delle 
norme 
di 
diritto 
sostanziale 
e 
strumentale 
che 
presidiano il 
procedimento di 
assegnazione 
degli 
alloggi» (15). Ciò posto, si 
osserva 
che 
nel 
caso in esame 
non vi 
è 
stata 
una 
valida 
procedura 
di 
assegnazione 
dell’alloggio occupato, sicché 
quest’ultimo non è 
in alcun modo legittimamente 
entrato 
nella 
sfera 
dell’accedente, 
se 
non 
in 
via 
di 
fatto: 
deve 
quindi 
dedursi 
che 
lo 
stesso 
istante 
non 
rivesta 
una 
posizione 
che 
lo 
legittimi 
a 
richiedere 
la 
documentazione 
in 
possesso 
dell’Agenzia 
territoriale 
per 
l’edilizia 
residenziale. infatti, basti 
ricordare 
che, secondo l’art. 22, c. 1, lett. b), della 
l. 


n. 
241/1990, 
per 
«interessati» 
s’intendono 
tutti 
i 
soggetti 
privati, 
compresi 
(14) tAr Lazio, roma, sez. iii-quater, 22 marzo 2006, n. 2031. 
(15) Cass. pen., sez. ii, 13 maggio 1997. 

rASSeGnA 
AvvoCAturA 
DeLLo 
StAto -n. 3/2020 


quelli 
portatori 
di 
interessi 
pubblici 
o diffusi, che 
abbiano un interesse 
diretto, 
concreto e 
attuale, corrispondente 
ad una 
situazione 
giuridicamente 
tutelata 
e 
collegata 
al 
documento 
al 
quale 
è 
chiesto 
l’accesso. 
nel 
caso 
in 
esame, 
appare 
perciò evidente 
e 
financo logico che 
tale 
situazione 
non sussiste 
per l’occupante 
abusivo di immobili pubblici. 


Ancora, in materia 
di 
edilizia 
pubblica 
si 
ricorda 
il 
riconoscimento della 
sussistenza 
di 
un 
interesse 
giuridicamente 
rilevante 
all’accesso 
in 
capo 
al 
soggetto 
rimasto vittima 
di 
un incidente 
stradale 
a 
bordo di 
motociclo per la 
presenza 
di 
buca 
non 
visibile 
sul 
fondo 
della 
via 
comunale, 
circa 
l’ostensione 
degli 
atti 
relativi 
al 
contratto 
di 
manutenzione 
stradale, 
nonché 
a 
quelli 
relativi 
alla 
gara 
di 
appalto aggiudicata, onde 
esperire 
azioni 
giurisdizionali 
di 
tutela 
risarcitoria (16). 


Al 
contrario, 
è 
stata 
esclusa 
la 
legittimazione 
attiva 
per 
l’istanza 
di 
accesso 
presentata 
ad 
un 
ente 
locale 
da 
un’associazione 
privata 
di 
aziende 
di 
cartellonistica 
ed 
arredi 
pubblicitari 
onde 
ottenere 
copia 
dei 
documenti 
amministrativi 
relativi 
al 
monitoraggio ed al 
censimento di 
alcune 
strade 
provinciali 
nonché all’installazione di segnali stradali (17). 


inoltre, un particolare 
caso di 
accesso riguarda 
l’ostensione 
degli 
atti 
del 
procedimento 
di 
sanatoria 
edilizia 
ai 
soggetti 
interessati 
al 
medesimo, 
quali 
per 
esempio 
i 
proprietari 
confinanti 
alle 
aree 
ed 
alle 
opere 
sanate. 
Al 
riguardo, 
inoltre, 
si 
è 
posto 
anche 
il 
tema 
dell’eventuale 
differimento 
dell’accesso 
al 
termine 
del procedimento stesso. 


tuttavia, 
in 
un 
illuminante 
caso 
relativo 
all’accesso 
agli 
atti 
di 
un 
procedimento 
di 
condono 
edilizio 
di 
opere 
abusive 
su 
istanza 
del 
soggetto 
viciniore, 
cui 
l’amministrazione 
comunale 
aveva 
espressamente 
negato 
l’accesso 
motivando 
la 
pendenza 
del 
procedimento 
amministrativo, 
la 
giurisprudenza 
intervenuta 
in 
tema 
di 
differimento 
del 
diritto 
di 
accesso 
agli 
atti 
ha 
avuto 
modo 
di 
chiarire 
che 
«la 
possibilità 
di 
un 
differimento 
dell’accesso 
perché 
il 
procedimento 
è 
ancora 
in 
corso 
è 
in 
realtà 
solo 
incidentalmente 
prevista 
dalla 
disposizione» 
di 
cui 
all’art. 
9, 
c. 
2, 
d.P.r. 
n. 
184/2006, 
lì 
dove, 
tra 
le 
possibili 
giustificazioni 
del 
ritardo, 
menziona 
quella 
di 
salvaguardare 
specifiche 
esigenze 
dell’amministrazione, 
specie 
nella 
fase 
preparatoria 
dei 
provvedimenti. 
Ma 
è 
del 
tutto 
evidente 
che 
«questa 
previsione 
normativa, 
lungi 
dall’introdurre 
e 
ammettere 
il 
preteso 
principio 
di 
inaccessibilità 
degli 
atti 
che 
si 
correlano 
ad 
un 
procedimento 
in 
itinere 
non 
ancora 
concluso; 
[...], 
ribadisce 
e 
riafferma 
il 
principio 
(opposto) 
stabilito 
dalla 
legge 
n. 
241 
del 
1990, 
della 
normale 
accessibilità 
di 
tutti 
i 
documenti 
amministrativi, 
salve 
le 
motivate 
eccezioni», 
tra 
cui 
anche 
i 
casi 
di 
solo 
temporanea 
non 
accessibilità 
(differimento 
dell’accesso), 
«ma 
sempre 
che 
l’amministrazione 
dimo


(16) tAr Campania, napoli, sez. v, 22 ottobre 2004, n. 15159. 
(17) tAr Puglia, Bari, sez. ii, 17 aprile 2009, n. 896. 

LeGiSLAzione 
eD 
AttuALità 


stri 
motivatamente, 
con 
specifico 
riferimento 
al 
singolo 
caso 
concreto, 
la 
necessità 
(non 
altrimenti 
realizzabile) 
di 
salvaguardare 
specifiche 
esigenze 
dell’amministrazione, 
specie 
nella 
fase 
preparatoria 
dei 
provvedimenti, 
in 
relazione 
a 
documenti 
la 
cui 
conoscenza 
possa 
compromettere 
il 
buon 
andamento 
dell’azione 
amministrativa» 
(18). 


Per l’effetto, non appare 
possibile 
differire 
legittimamente 
al 
termine 
del 
procedimento l’accesso agli 
atti 
di 
una 
sanatoria 
edilizia 
pendente, posto che 
non sussistono ragionevoli 
esigenze 
amministrative 
che 
determinano un nocumento 
all’azione 
dell’ente 
interessato, come 
può essere 
tipicamente 
invece 
il 
caso dell’accesso agli 
atti 
di 
procedure 
concorsuali 
in corso di 
svolgimento. 


(18) tAr Campania, napoli, sez. v, 10 maggio 2007, n. 5870, nonché 
decisione 
del 
Difensore 
civico della regione Liguria, 1 marzo 2012. 

CONTRIBUTIDIDOTTRINA
Il potere di autotutela tributaria 


(Riferimenti normativi: art. 2-quater, D.L. n. 564/1994 
conv. dalla L. n. 656/1994; D.M. n. 37/1997 
) 


a cura di Gianni De Bellis* 


Com’è 
noto l’autotutela 
è 
un istituto che 
consente 
ad una 
pubblica 
Amministrazione 
di 
correggere 
i 
propri 
errori. Il 
legislatore 
ha 
concesso questo 
potere 
in quanto le 
p.a. hanno lo scopo di 
tutelare 
l’interesse 
pubblico, e 
proprio 
a 
tutela 
dell’interesse 
pubblico, oltre 
che 
al 
ripristino di 
una 
legalità 
violata, 
è pertanto finalizzato l’esercizio di tale potere. 


Tuttavia 
in campo tributario tale 
istituto assume 
caratteristiche 
peculiari, 
derivanti 
dal 
fatto che 
l’attività 
della 
p.a. (Amministrazione 
finanziaria) consiste 
nell’accertamento 
dei 
tributi 
nei 
confronti 
di 
tutti 
i 
soggetti 
(contribuenti) 
che 
secondo 
il 
legislatore 
devono 
“concorrere 
alle 
spese 
pubbliche” 
mediante 
il versamento delle imposte, come impone l’art. 53 Cost. 

Tale 
attività 
deve 
ritenersi 
non discrezionale, bensì 
vincolata 
ed infatti 
il 
rapporto d’imposta 
ha 
per oggetto diritti 
soggettivi 
e 
non interessi 
legittimi. A 
fronte 
del 
diritto dell’Amministrazione 
finanziaria 
ad esigere 
le 
imposte 
previste 
dalla 
legge, esiste 
il 
diritto del 
contribuente 
a 
non essere 
tenuto a 
corrispondere 
imposte maggiori di quelle al cui versamento è tenuto. 


L’autotutela 
tributaria 
può 
essere 
esercitata 
in 
favore 
della 
stessa 
p.a. 
(che 


(*) Vice 
Avvocato generale dello Stato. 

Costituisce 
il 
presente 
scritto, l’intervento dell’Autore 
in 
occasione 
del 
“Quinto laboratorio sul 
processo 
tributario” 
dedicato 
agli 
“Istituti 
deflattivi” 
tenutosi 
in 
Roma, 
20 
gennaio 
2021, 
Corte 
Suprema 
di Cassazione, Aula Virtuale Teams. 


Le 
opinioni 
espresse 
nel 
presente 
lavoro rappresentano il 
pensiero dell’Autore 
e 
non necessariamente 
quello della Istituzione presso la quale presta servizio. 



RASSegNA 
AVVoCATuRA 
DeLLo 
STATo -N. 3/2020 


provvede, ad esempio, ad annullare 
un proprio atto illegittimo per sostituirlo 
con altro atto privo di vizi) ovvero in favore del contribuente. 

In 
questa 
sede 
ci 
occuperemo 
soltanto 
di 
quest’ultima 
ipotesi, 
limitandoci 
ad 
evidenziare 
che 
mentre 
per 
l’autotutela 
a 
favore 
della 
p.a. 
il 
legislatore 
ha 
posto 
dei 
limiti 
(ad 
es. 
temporali, 
in 
quanto 
non 
è 
possibile 
la 
rinnovazione 
di 
un 
atto 
se 
nel 
frattempo 
è 
scaduto 
il 
termine 
di 
decadenza 
che 
la 
legge 
prevedeva), 
per 
l’autotutela 
a 
favore 
del 
contribuente 
non 
sono 
previsti 
limiti 
temporali, 
bensì 
di 
altra 
natura. 
In 
particolare, 
come 
si 
vedrà, 
l’autotutela 
richiesta 
a 
fronte 
di 
un 
atto 
definitivo 
è 
ammissibile 
non 
per 
meri 
vizi 
formali 
dell’atto 
(ormai 
consolidatisi 
con 
la 
sua 
mancata 
impugnazione), 
ma 
soltanto 
per 
vizi 
sostanziali, 
diretti 
cioè 
a 
far 
valere 
la 
mancanza 
dei 
presupposti 
alla 
base 
della 
pretesa 
tributaria. 


A 
differenza 
che 
negli 
altri 
settori 
della 
p.a., 
l’autotutela 
tributaria 
a 
favore 
del 
contribuente 
ha 
trovato storicamente 
difficoltà 
applicative; 
il 
motivo era 
evidente, in quanto l’annullamento di 
un atto impositivo definitivo (il 
cui 
credito 
magari 
era 
già 
stato 
pagato 
dal 
contribuente) 
provocava 
automaticamente 
un danno erariale, il 
che 
portava 
una 
assunzione 
di 
responsabilità 
non indifferente 
per il funzionario che decideva di adottare l’atto. 

A 
tale 
situazione 
ha 
posto fine 
il 
legislatore 
che, come 
vedremo, ha 
finalmente 
introdotto 
(dal 
1994) 
una 
disciplina 
sufficientemente 
dettagliata 
(ed 
integrata 
anche 
dalla 
prassi 
dell’Amministrazione 
finanziaria), 
che 
oggi 
consente 
l’esercizio di 
tale 
potere 
senza 
il 
rischio di 
una 
azione 
di 
responsabilità 
amministrativa 
da parte della Procura della Corte dei Conti (1). 


L’autotutela 
tributaria 
trova 
quindi 
il 
suo 
principale 
fondamento 
giuridico 
nell’art. 
2 
quater 
del 
D.L. 
564/1994, 
il 
cui 
comma 
1 
prevede 
che 
“Con 
decreti 
del 
Ministro 
delle 
finanze 
sono 
indicati 
gli 
organi 
dell'Amministrazione 
finanziaria 
competenti 
per 
l'esercizio del 
potere 
di 
annullamento d'ufficio o di 
revoca, 
anche 
in pendenza di 
giudizio o in caso di 
non impugnabilità, degli 
atti 
illegittimi o infondati”. 


In applicazione 
di 
tale 
disposizione 
è 
stato emanato il 
D.M. n. 37/1997 il 
quale 
prevede 
-tra 
l’altro 
-all’art. 
2 
comma 
1, 
che 
“L'Amministrazione 
finanziaria 
può procedere, in tutto o in parte, all'annullamento o alla rinuncia al-
l'imposizione 
in 
caso 
di 
autoaccertamento, 
senza 
necessità 
di 
istanza 
di 
parte, 
anche 
in pendenza di 
giudizio o in caso di 
non impugnabilità, nei 
casi 
in cui 
sussista illegittimità dell'atto o dell'imposizione”. 


Non meno importante 
è 
infine 
la 
Circolare 
dell’allora 
Ministero delle 
Finanze 
5 agosto 1998 n. 198, la 
quale 
ha 
cura 
di 
precisare 
che 
quando ne 
sussistono 
i presupposti 


(1) Invero una 
più scarna 
disciplina 
era 
contenuta 
già 
nell’art. 68 del 
D.P.R. n. 287/1992, in forza 
del 
quale 
“Salvo che 
sia intervenuto giudicato, gli 
uffici 
dell'Amministrazione 
finanziaria possono procedere 
all'annullamento, totale 
o parziale, dei 
propri 
atti 
riconosciuti 
illegittimi 
o infondati 
con provvedimento 
motivato comunicato al destinatario dell'atto”. 

CoNTRIbuTI 
DI 
DoTTRINA 


“l'Ufficio procede all'annullamento: 


-anche 
se 
l'atto 
è 
divenuto 
ormai 
definitivo 
per 
avvenuto 
decorso 
dei 
termini 
per ricorrere; 


-anche 
se 
il 
ricorso è 
stato presentato ma respinto con sentenza passata 
in giudicato per 
motivi 
di 
ordine 
formale 
(inammissibilità, irricevibilità, improcedibilità, 
ecc.); 
- anche se vi è pendenza di giudizio; 
-anche 
se 
non è 
stata prodotta in tal 
senso alcuna istanza da parte 
del 
contribuente”. 
È 
importante 
chiarire 
che 
l’autotutela 
può atteggiarsi 
in modo diverso a 
seconda 
se 
intervenga 
in corso di 
giudizio ovvero riguardi 
un atto impositivo 
divenuto definitivo per omessa impugnazione. 


Nel 
primo 
caso 
l’autotutela 
potrà 
essere 
disposta 
(anche 
d’ufficio) 
per 
vizi di qualsiasi genere, sia formali che sostanziali. 

Nel 
secondo caso invece, i 
vizi 
formali 
non assumono più rilievo a 
causa 
della 
definitività 
dell’atto, 
mentre 
l’autotutela 
può 
essere 
disposta 
solo 
per 
“vizi 
sostanziali”, 
cioè 
per 
mancanza 
dei 
presupposti 
che 
legittimino 
la 
pretesa 
fiscale. 


A 
tale 
riguardo l’art. 1 comma 
2 del 
citato D.M. 37/1997 ne 
fa 
un elenco 
indicativo: 
“a) errore di persona; 


b) evidente errore logico o di calcolo; 
c) errore sul presupposto dell'imposta; 
d) doppia imposizione; 
e) mancata considerazione 
di 
pagamenti 
di 
imposta, regolarmente 
eseguiti; 
f) mancanza di 
documentazione 
successivamente 
sanata, non oltre 
i 
termini 
di decadenza; 
g) 
sussistenza 
dei 
requisiti 
per 
fruire 
di 
deduzioni, 
detrazioni 
o 
regimi 
agevolativi, precedentemente negati; 
h) 
errore 
materiale 
del 
contribuente, 
facilmente 
riconoscibile 
dall'Amministrazione”. 
Come 
si 
vede, 
sono 
tutte 
ipotesi 
in 
cui 
il 
tributo 
non 
doveva 
essere 
richiesto. 


Le 
caratteristiche 
dell’autotutela 
tributaria 
sono 
tratteggiate 
nella 
sentenza 


n. 181/2017 della 
Corte 
Costituzionale, che 
ha 
precisato le 
analogie 
e 
le 
differenze 
rispetto alla 
storica 
autotutela 
che 
ogni 
p.a. può esercitare 
rispetto ai 
propri atti illegittimi. In particolare la Corte ha affermato che: 
a) 
l'autotutela 
tributaria 
conosce 
“una 
disciplina 
articolata 
e 
specifica, 
distinta da quella dell'autotutela amministrativa generale”; 

RASSegNA 
AVVoCATuRA 
DeLLo 
STATo -N. 3/2020 


b) 
secondo la 
giurisprudenza 
della 
Corte 
di 
cassazione, “l'autotutela tributaria 
-che 
non si 
discosta, in questo essenziale 
aspetto, dall'autotutela nel 
diritto 
amministrativo 
generale 
-costituisce 
un 
potere 
esercitabile 
d'ufficio 
da parte 
delle 
Agenzie 
fiscali 
sulla base 
di 
valutazioni 
largamente 
discrezionali, 
e non uno strumento di protezione del contribuente”; 
c) 
ed 
infine 
“Sul 
carattere 
non 
doveroso 
dell'autotutela 
tributaria, 
la 
ricostruzione 
della 
giurisprudenza 
della 
Cassazione 
fornita 
dal 
rimettente 
è 
dunque 
corretta: 
non 
esiste 
un 
dovere 
dell'amministrazione 
di 
pronunciarsi 
sull'istanza 
di 
autotutela 
e, 
mancando 
tale 
dovere, 
il 
silenzio 
su 
di 
essa 
non 
equivale 
ad 
inadempimento, 
né, 
d'altro 
canto, 
il 
silenzio 
stesso 
può 
essere 
considerato 
un 
diniego, 
in 
assenza 
di 
una 
norma 
specifica 
che 
così 
lo 
qualifichi 
giuridicamente 
(Corte 
di 
cassazione, 
sezioni 
unite 
civili, 
sentenza 
27 
marzo 
2007, 
n. 
7388; 
Corte 
di 
cassazione, 
sezione 
quinta 
civile, 
sentenza 
9 
ottobre 
2000, 
n. 
13412), 
con 
la 
conseguenza 
che 
il 
silenzio 
dell'amministrazione 
finanziaria 
sull'istanza 
di 
autotutela 
non 
è 
contestabile 
davanti 
ad 
alcun 
giudice”. 
Sulla 
base 
di 
tali 
presupposti 
la 
Corte 
Costituzionale 
ha 
dichiarato 
non 
fondata 
la 
questione 
di 
costituzionalità 
delle 
norme 
che 
disciplinano l’autotutela 
tributaria, sollevata 
dalla 
C.T.P. di 
Chieti 
sul 
presupposto che 
-secondo il 
diritto vivente 
-l’esercizio di 
tale 
potere 
non è 
obbligatorio, ma 
lasciato alla 
discrezionalità della p.a. 

Passiamo ora 
brevemente 
all’esame 
dei 
quesiti 
che 
erano stati 
formulati 
con il 
questionario e 
delle 
risposte 
ricevute 
(questionario specificatamente 
rivolto 
ai 
giudici 
tributari 
di 
merito 
e 
da 
questi 
compilato 
in 
base 
al 
proprio 
orientamento personale, 
n.d.r.). 


Scheda I - quesito 1 


Il 
diniego di 
autotutela 
può essere 
impugnato davanti 
alle 
Commissioni 
Tributarie? 


a. sì sempre 
b. 
no, in quanto non è un atto impugnabile 
c. no, in quanto va impugnato davanti al Giudice 
Amministrativo 
Al 
primo 
quesito 
la 
grande 
maggioranza 
dei 
compilatori 
ha 
indicato 
la 
risposta 
a). In effetti 
questa 
è 
la 
posizione 
costante 
della 
giurisprudenza 
della 
Suprema 
Corte, la 
quale 
anche 
di 
recente 
ha 
ribadito che 
“il 
ricorso avverso 
il 
diniego di 
autotutela è 
certamente 
ammissibile”, anche 
se 
ha 
avuto cura 
subito 
dopo di 
precisare 
che 
tuttavia 
“il 
sindacato può esercitarsi, nelle 
forme 
ammesse 
sugli 
atti 
discrezionali, 
soltanto 
sulla 
legittimità 
del 
rifiuto 
e 
non 
sulla 
fondatezza 
della 
pretesa 
tributaria” 
(Cass. 
18992/2019; 
nello 
stesso 
senso Cass. 23805/2020). 



CoNTRIbuTI 
DI 
DoTTRINA 


Scheda I - quesito 2 


Il 
silenzio-rifiuto su una 
istanza 
di 
autotutela 
può essere 
impugnato davanti 
alle Commissioni 
Tributarie? 


a. sì sempre 
b. 
no, in quanto non è un atto impugnabile 
c. no, in quanto va impugnato davanti al Giudice 
Amministrativo 
Anche 
per 
questa 
domanda 
la 
risposta 
più 
votata 
è 
stata 
quella 
a). 
In 
effetti 
l’impugnabilità 
del 
silenzio 
rifiuto 
su 
istanza 
di 
autotutela 
è 
stata 
affermata 
da 
Cass. 
20200/2020: 
“non 
è 
consentito 
al 
contribuente 
proporre 
ripetute 
istanze 
di 
autotutela avverso accertamenti 
tributari 
definitivi, e 
decidere 
quale 
impugnare 
innanzi 
al 
giudice, 
potendo 
essere 
proposto 
ricorso 
soltanto 
avverso 
il 
diniego 
espresso 
o 
tacito, 
a 
seguito 
della 
formazione 
del 
silenzio 
rifiuto, 
relativo 
alla 
prima 
istanza 
proposta, 
e 
soltanto 
invocando 
ragioni 
di 
interesse 
generale 
all'annullamento 
dell'accertamento 
definitivo, 
che 
si 
assume 
siano 
state 
trascurate 
dall'Amministrazione 
finanziaria". 
Ammettono 
l’impugnabilità 
del 
silenzio 
rifiuto 
anche 
Cass. 
6030/2020, 
nonché 
4989/2020 
e 
7616/2018 
(v. 
però 
in 
senso 
contrario 
Cass. 
7511/2016 
secondo 
cui 
"in 
tema 
di 
contenzioso 
tributario, 
l'atto 
con 
il 
quale 
l'Amministrazione 
manifesti 
il 
rifiuto 
di 
ritirare, 
in 
via 
di 
autotutela, 
un 
atto 
impositivo 
divenuto 
definitivo, 
non 
rientra 
nella 
previsione 
di 
cui 
al 
D.Lgs. 
31 
dicembre 
1992, 
n. 
546, 
art. 
19, 
e 
non 
è 
quindi 
impugnabile, 
sia 
per 
la 
discrezionalità 
da 
cui 
l'attività 
di 
autotutela 
è 
connotata 
in 
questo 
caso, 
sia 
perchè, 
altrimenti, 
si 
darebbe 
ingresso 
ad 
una 
inammissibile 
controversia 
sulla 
legittimità 
di 
un 
atto 
impositivo 
ormai 
definitivo". 


A 
fronte 
di 
quello 
che 
appare 
un 
orientamento 
(della 
più 
recente 
giurisprudenza) 
ormai 
consolidato, vi 
è 
tuttavia 
l’affermazione 
della 
Corte 
Costituzionale 
(sentenza 
n. 
181/2017 
sopra 
citata) 
secondo 
cui 
“il 
silenzio 
dell'amministrazione 
finanziaria sull'istanza di 
autotutela non è 
contestabile 
davanti ad alcun giudice” 
(2). 

Pur 
ammettendo 
tuttavia 
la 
più 
recente 
giurisprudenza 
l’impugnabilità 
del 
silenzio 
rifiuto, 
resta 
comunque 
la 
limitata 
utilità 
di 
un 
siffatto 
rimedio, 
dal 
momento 
che 
-secondo 
la 
consolidata 
posizione 
della 
Corte 
di 
Cassazione 
-non 
è 
possibile 
discutere 
del 
merito 
della 
pretesa, 
in 
quanto 
“il 
sindacato 
giurisdizionale 
sull'impugnato diniego, espresso o tacito, di 
procedere 
ad un 
annullamento 
in 
autotutela 
può 
riguardare 
soltanto 
eventuali 
profili 
di 
illegittimità 
del 
rifiuto 
dell'Amministrazione, 
in 
relazione 
alle 
ragioni 
di 
rilevante 
interesse 
generale 
che 
giustificano l'esercizio di 
tale 
potere, e 
non la fondatezza 
della 
pretesa 
tributaria, 
atteso 
che, 
altrimenti, 
si 
avrebbe 
un'indebita 
sostituzione 
del 
giudice 
nell'attività 
amministrativa 
o 
un'inammissibile 


(2) 
Per 
la 
verità 
la 
posizione 
della 
Corte 
Costituzionale 
appare 
essere 
più 
che 
altro 
ricognitiva 
della 
giurisprudenza 
della 
Corte 
di 
Cassazione, non ancora 
-com’è 
invece 
da 
ultimo -favorevole 
alla 
impugnazione anche del silenzio rifiuto di autotutela. 

RASSegNA 
AVVoCATuRA 
DeLLo 
STATo -N. 3/2020 


controversia 
sulla 
legittimità 
di 
un 
atto 
impositivo 
ormai 
definitivo" 
(Cass. 
4989/2020, conforme a numerose altre pronunce). 


Scheda I - quesito 3 


Il 
nuovo 
provvedimento 
emesso 
in 
via 
di 
autotutela 
dall'Amministrazione 
Finanziaria 
su 
istanza 
del 
contribuente 
può 
essere 
impugnato 
davanti 
alle 
Commissioni 
Tributarie? 


a. sì 
b. no 
c. no solo qualora l'atto precedente era già divenuto definitivo 
Anche 
in questo caso la 
risposta 
a) è 
stata 
la 
più votata. ed in effetti, una 
volta 
che 
l’Amministrazione 
si 
è 
determinata 
a 
pronunciarsi 
su di 
una 
istanza 
di 
autotutela 
non può che 
agire 
secondo legge 
e, se 
così 
non provvedesse, non 
potrà 
negarsi 
la 
possibilità 
al 
soggetto 
leso 
da 
tale 
nuovo 
provvedimento 
di 
impugnarlo in sede 
giurisdizionale. Ne 
consegue 
che 
-ad esempio -a 
fronte 
dell’accoglimento 
solo 
parziale 
di 
una 
istanza 
di 
autotutela, 
il 
contribuente 
potrebbe 
impugnare 
l’atto 
per 
dimostrare 
che 
l’accoglimento 
dell’istanza 
avrebbe 
dovuto essere integrale. 


Scheda I - quesito 4 


Il 
giudicato di 
rigetto per motivi 
di 
rito di 
un ricorso avverso un atto impositivo 
è 
ostativo al 
successivo annullamento del 
medesimo atto in via 
di autotutela? 


a. 
sì 
b. no 
Al 
quesito n. 4 la 
risposta 
pressoché 
unanime 
dei 
compilatori 
è 
stata 
la 
b). In effetti 
è 
proprio l’art. 1 del 
D.M. 37/1997 a 
prevedere 
(al 
comma 
2) che 
“Non si 
procede 
all’annullamento d’ufficio, o alla rinuncia all’imposizione 
in 
caso 
di 
autoaccertamento, 
per 
motivi 
sui 
quali 
sia 
intervenuta 
sentenza 
passata 
in giudicato favorevole all’Amministrazione finanziaria”. 


e 
poiché 
l’autotutela 
su 
provvedimenti 
definitivi, 
come 
si 
è 
detto, 
può 
essere 
richiesta 
(e 
concessa) solo per motivi 
“sostanziali”, cioè 
di 
erronea 
tassazione, 
è 
evidente 
come 
una 
sentenza 
passata 
in giudicato che, ad esempio, 
abbia 
dichiarato 
il 
ricorso 
inammissibile 
-senza 
quindi 
pronunciarsi 
nel 
merito 


- non sia ostativa all’esercizio del potere di autotutela. 
A 
ben vedere 
però, la 
disposizione 
sopra 
citata 
afferma 
qualcosa 
in più. 
Nel 
momento 
in 
cui 
prevede 
che 
non 
si 
possa 
procedere 
in 
autotutela 
“per 
motivi 
sui 
quali 
sia intervenuta sentenza passata in giudicato favorevole 
al-
l'Amministrazione 
finanziaria”, 
in 
realtà 
la 
norma 
ammette 
l’autotutela 
anche 
quando vi 
sia 
stato un giudicato contrario (al 
contribuente) non di 
mero rito 



CoNTRIbuTI 
DI 
DoTTRINA 


ma 
sul 
merito; 
a 
condizione 
però che 
il 
motivo posto a 
base 
della 
richiesta 
di 
autotutela 
sia 
diverso da 
quelli 
formulati 
(e 
rigettati 
con sentenza 
definitiva) 
nel giudizio precedente. 

e 
quindi, per fare 
un esempio, a 
fronte 
di 
un giudicato che 
abbia 
ritenuto 
legittimo un avviso di 
accertamento impugnato solo per vizi 
formali 
(motivazione, 
mancato rispetto del 
contraddittorio, decadenza 
ecc.), ben potrebbe 
il 
contribuente 
chiedere 
l’annullamento dell’atto in autotutela 
dimostrando documentalmente 
l’esistenza 
dei 
costi 
che 
erano stati 
disconosciuti 
(sempreché 
tuttavia 
non si 
siano verificate 
decadenze 
ostative 
all’utilizzo dei 
documenti) 
(3). Si 
può dunque 
affermare 
che 
ai 
fini 
dell’esercizio del 
potere 
di 
autotutela 
tributaria 
il 
giudicato 
copre 
il 
solo 
“dedotto" 
e 
non 
anche 
il 
“deducibile” 
(come invece avviene in campo civile). 


CoNSIDeRAzIoNI 
CoNCLUSIve 


esaminando 
lo 
stato 
dell’arte 
in 
materia 
di 
autotutela 
tributaria, 
non 
si 
può 
fare 
a 
meno 
di 
notare 
che 
sussiste 
una 
singolare 
divergenza 
tra 
la 
disciplina 
normativa 
(primaria 
e 
secondaria) 
e 
la 
relativa 
prassi 
dell’Amministrazione 
finanziaria 
-decisamente 
orientate 
in 
favore 
del 
contribuente 
al 
fine 
di 
evitare 
ingiuste 
tassazioni 
-e 
la 
posizione 
della 
giurisprudenza 
(peraltro 
avallata 
dalla 
Corte Costituzionale) che appare invece molto restrittiva. 


In relazione 
alla 
prima, basti 
considerare 
il 
contenuto della 
“storica” 
Circolare 
5 agosto 1998 n. 198 del 
Ministero delle 
Finanze 
(richiamata 
tutt’ora 
costantemente 
anche 
dall’Agenzia 
delle 
entrate) 
nella 
quale 
si 
afferma 
in 
modo netto: 


“Ai 
fini 
dell'esercizio 
concreto 
dell'autotutela, 
…. 
la 
legge 
non 
considera 
rilevante 
il 
comportamento 
(omissivo 
o 
non) 
tenuto 
dal 
contribuente 
o 
il 
tempo 
trascorso dall'emanazione 
dell'atto e 
neppure 
(salvo il 
caso di 
giudicato sostanziale) 
le 
eventuali 
vicende 
processuali 
cui 
l'atto sia andato incontro, ma 
solo l'esito del 
riesame 
svolto dall'ufficio che 
lo ha emanato; al 
quale 
è 
attribuito 
il 
solo e 
unico compito di 
verificare, in modo del 
tutto autonomo e 
indipendente 
da 
tali 
eventi 
o 
comportamenti, 
se 
l'atto 
è 
legittimo 
o 
meno. 
Se, 
a 
seguito 
di 
tale 
verifica, 
la 
pretesa 
tributaria 
risulta 
infondata 
in 
tutto 
o 
in 
parte, essa va ritirata ovvero opportunamente 
ridotta in modo da ristabilire 
un corretto rapporto con il 
contribuente, il 
quale 
non può essere 
chiamato al 
pagamento di tributi che non siano strettamente previsti dalla legge. 


È 
appena 
il 
caso 
di 
soggiungere, 
a 
tale 
proposito, 
che 
l'annullamento 
del


(3) Cfr. l’art. 32 comma 
4 del 
D.P.R. n. 600/1973, secondo cui 
“Le 
notizie 
ed i 
dati 
non addotti 
e 
gli 
atti, i 
documenti, i 
libri 
ed i 
registri 
non esibiti 
o non trasmessi 
in risposta agli 
inviti 
dell'ufficio non 
possono essere 
presi 
in considerazione 
a favore 
del 
contribuente, ai 
fini 
dell'accertamento in sede 
amministrativa 
e 
contenziosa. Di 
ciò l'ufficio deve 
informare 
il 
contribuente 
contestualmente 
alla richiesta”. 

RASSegNA 
AVVoCATuRA 
DeLLo 
STATo -N. 3/2020 


l'atto travolge 
necessariamente 
ed automaticamente 
tutti 
gli 
altri 
atti 
ad esso 
consequenziali 
(ad esempio, il 
ritiro di 
un avviso di 
accertamento determina 
automaticamente 
la nullità delle 
cartelle 
di 
pagamento emesse 
in base 
all'avviso 
stesso) e 
comporta l'obbligo di 
restituzione 
delle 
somme 
indebitamente 
riscosse. 
Sarebbe 
infatti 
del 
tutto 
contraddittorio 
che 
l'amministrazione 
annullasse 
un atto in quanto lo riconosce 
illegittimo e 
infondato, e 
poi 
lasciasse 
che 
le 
procedure 
di 
riscossione 
proseguano indisturbate 
ovvero trattenesse 
le 
somme riscosse in forza di esso [..]. 


e 
se 
è 
vero, 
a 
stretto 
rigore, 
che 
l'ufficio 
ha 
il 
potere 
ma 
non 
il 
dovere 
giuridico 
di 
ritirare 
l'atto 
viziato 
(mentre 
è 
certo 
che 
il 
contribuente, 
a 
sua 
volta, 
non 
ha 
un 
diritto 
soggettivo 
a 
che 
l'ufficio 
eserciti 
tale 
potere), 
è 
tuttavia 
indubbio che 
l'ufficio stesso non possiede 
un potere 
discrezionale 
di 
decidere 
a 
suo 
piacimento 
se 
correggere 
o 
meno 
i 
propri 
errori. 
Infatti 
da 
un 
lato 
il 
mancato 
esercizio 
dell'autotutela 
nei 
confronti 
di 
un 
atto 
patentemente 
illegittimo, 
nel 
caso 
sia 
ancora 
aperto 
o 
comunque 
esperibile 
il 
giudizio, 
può 
portare 
alla 
condanna 
alle 
spese 
dell'amministrazione 
con 
conseguente 
danno 
erariale 
(la cui 
responsabilità potrebbe 
essere 
fatta ricadere 
sul 
dirigente 
responsabile 
del 
mancato annullamento dell'atto); dall'altro, essendo previsto 
che 
in caso di 
"grave 
inerzia" 
dell'ufficio che 
ha emanato l'atto può intervenire, 
in via sostitutiva, l'organo sovraordinato, è 
evidente 
che 
l'esercizio corretto 
e 
tempestivo dell'autotutela viene 
considerato dall'amministrazione 
non 
certo 
come 
una 
specie 
di 
"optional" 
che 
si 
può 
attuare 
o 
non 
attuare 
a 
propria 
discrezione 
ma 
come 
una 
componente 
del 
corretto 
comportamento 
dei 
dirigenti 
degli 
uffici 
e, quindi, come 
un elemento di 
valutazione 
della loro attività 
dal punto di vista disciplinare e professionale”. 


ebbene, 
a 
fronte 
di 
tale 
posizione 
dell’Amministrazione 
finanziaria 
-chiaramente 
orientata 
nel 
senso 
della 
obbligatorietà 
dell’autotutela, 
in 
presenza 
ovviamente 
dei 
relativi 
presupposti 
-la 
giurisprudenza 
è 
invece 
costante 
nel-
l’affermare 
da 
un lato, che 
non esiste 
un obbligo di 
autotutela, che 
sarebbe 
invece 
sempre 
rimesso alla 
discrezionalità 
dell’Amministrazione 
(4); 
dall’altro 
che 
pur essendo consentito al 
contribuente 
adire 
il 
giudice 
tributario avverso 
il 
diniego espresso o tacito dell’autotutela, in tale 
sede 
si 
può discutere 
solo 
della 
legittimità 
del 
rifiuto e 
non anche 
della 
pretesa 
tributaria 
(pretesa 
la 
cui 
insussistenza 
tuttavia 
è 
proprio il 
presupposto che 
è 
alla 
base 
della 
richiesta 
di 
autotutela). 

In particolare, secondo la 
Corte 
di 
Cassazione 
“il 
sindacato giurisdizionale 
sull'impugnato 
diniego, 
espresso 
o 
tacito, 
di 
procedere 
ad 
un 
annulla


(4) 
Anche 
se 
la 
Corte 
di 
Cassazione 
fin 
da 
SS.uu. 
n. 
16776/2005, 
ha 
affermato 
che 
la 
giurisdizione 
in tema 
di 
autotutela 
tributaria 
appartiene 
alla 
giurisdizione 
del 
giudice 
Tributario e 
non del 
giudice 
Amministrativo. 

CoNTRIbuTI 
DI 
DoTTRINA 


mento 
in 
autotutela 
può 
riguardare 
soltanto 
eventuali 
profili 
di 
illegittimità 
del 
rifiuto 
dell'Amministrazione, 
in 
relazione 
alle 
ragioni 
di 
rilevante 
interesse 
generale 
che 
giustificano l'esercizio di 
tale 
potere, e 
non la fondatezza della 
pretesa tributaria, atteso che, altrimenti, si 
avrebbe 
un'indebita sostituzione 
del 
giudice 
nell'attività amministrativa o un'inammissibile 
controversia sulla 
legittimità 
di 
un 
atto 
impositivo 
ormai 
definitivo" 
(Cass. 
4989/2020, 
conforme 
a numerose altre). 

Ma 
quali 
dovrebbero essere 
le 
“ragioni 
di 
rilevante 
interesse 
generale” 
la 
cui 
presenza 
sola 
giustificherebbe 
un 
obbligo 
di 
autotutela? 
un 
soggetto 
che 
-ad esempio -ha 
omesso di 
impugnare 
un avviso di 
accertamento IVA 
e 
che 
richiede 
l’autotutela 
dimostrando 
di 
essere 
un 
lavoratore 
dipendente 
e 
che 
c’è 
stato un caso di 
omonimia, cosa 
altro dovrebbe 
dimostrare 
affinchè 
l’Amministrazione 
sia 
tenuta 
ad annullare 
il 
suo (insussistente) debito d’imposta? 


o 
ancora, 
a 
fronte 
di 
un 
avviso 
di 
accertamento 
non 
impugnato 
con 
cui 
un 
Comune 
richiede 
il 
pagamento di 
una 
IMu 
che 
era 
stata 
invece 
regolarmente 
pagata, 
quali 
“ragioni 
di 
rilevante 
interesse 
generale” 
il 
contribuente 
deve 
dimostrare per avere diritto all’annullamento dell’atto? 
In realtà 
quella 
“singolare 
divergenza” 
a 
cui 
ho sopra 
accennato, sembra 
trovare 
una 
giustificazione 
soltanto nel 
timore 
che 
un obbligo generalizzato 
di autotutela possa portare ad un incremento del contenzioso fiscale. 

Ciò emerge 
chiaramente 
dalla 
sentenza 
n. 181/2017 della 
Corte 
Costituzionale, 
che 
nel 
ritenere 
l’attuale 
normativa 
(come 
interpretata 
dalla 
giurisprudenza) 
compatibile 
con 
i 
principi 
costituzionali 
(in 
particolare 
con 
l’art. 
53 
Cost.) ha precisato: 


“Se 
questa Corte 
affermasse 
il 
dovere 
dell'amministrazione 
tributaria di 
pronunciarsi 
sull'istanza 
di 
autotutela, 
aprirebbe 
la 
porta 
(ammettendo 
l'esperibilità 
dell'azione 
contro il 
silenzio, con la conseguente 
affermazione 
del 
dovere 
dell'amministrazione 
di 
provvedere 
e 
l'eventuale 
impugnabilità 
dell'esito 
del 
procedimento che 
ne 
deriva) alla possibile 
messa in discussione 
dell'obbligo 
tributario consolidato a seguito dell'atto impositivo definitivo. L'autotutela 
finirebbe 
quindi 
per 
offrire 
una generalizzata "seconda possibilità" 
di 
tutela, dopo la scadenza dei 
termini 
per 
il 
ricorso contro lo stesso atto impositivo”. 


È 
vero che 
la 
stessa 
Corte 
ritiene 
che 
il 
legislatore 
potrebbe 
decidere 
diversamente: 


“La 
previsione 
legislativa 
di 
casi 
di 
autotutela 
obbligatoria 
è 
dunque 
possibile, così 
come 
l'introduzione 
di 
limiti 
all'esercizio del 
potere 
di 
autoannullamento, 
ma non può certo dirsi 
costituzionalmente 
illegittima, per 
le 
ragioni 
sopra 
viste, 
una 
disciplina 
generale 
che 
escluda 
il 
dovere 
dell'amministrazione 
e, per 
quanto qui 
interessa, delle 
Agenzie 
fiscali 
di 
pronunciarsi 
sulle istanze di autotutela”. 



RASSegNA 
AVVoCATuRA 
DeLLo 
STATo -N. 3/2020 


Non 
è 
escluso 
però 
che 
alla 
previsione 
di 
una 
autotutela 
obbligatoria 
si 
possa 
già 
pervenire 
-senza 
dover 
attendere 
il 
legislatore 
-in 
via 
giurisprudenziale, 
tenuto 
conto 
del 
quadro 
normativo 
(e 
della 
inerente 
prassi 
dell’Amministrazione 
finanziaria) 
che 
risulta 
invero 
decisamente 
orientato 
in 
tal 
senso. 
Come 
spesso 
accade, 
non 
è 
da 
escludere 
che 
un 
mutamento 
di 
giurisprudenza 
potrà 
avvenire 
in 
presenza 
di 
casi 
limite, 
in 
cui 
la 
violazione 
del-
l’art. 
53 
Cost. 
faccia 
emergere 
tutta 
la 
iniquità 
di 
un 
diniego 
(o 
mancato 
esercizio) 
di 
autotutela. 


Se 
poi 
si 
volesse 
inquadrare 
sistematicamente 
a 
livello concettuale 
l’obbligatorietà 
dell’autotutela 
(a 
favore 
del 
contribuente), si 
può sostenere 
che 
la 
sua 
posizione 
giuridica 
rispetto ad un atto impositivo è 
sia 
di 
interesse 
legittimo 
che di diritto soggettivo. 


Di 
interesse 
legittimo 
per 
quel 
che 
riguarda 
il 
rispetto 
dei 
requisiti 
formali 
dell’atto (sottoscrizione, motivazione, rispetto dei 
termini 
di 
decadenza 
ecc.). 
In conseguenza 
di 
ciò il 
contribuente 
nell’impugnare 
l’atto è 
vincolato al 
rispetto 
di 
un 
termine 
perentorio 
ed 
alla 
formulazione 
di 
precisi 
motivi 
di 
ricorso 
(con il 
conseguente 
consolidamento dei 
motivi 
non dedotti), mentre 
il 
giudicato 
di 
annullamento 
per 
tali 
vizi 
non 
preclude 
la 
reitera 
dell’atto 
da 
parte 
dell’Amministrazione 
(semprechè 
non 
siano 
decorsi 
termini 
di 
decadenza). 
In 
sostanza, 
è 
il 
meccanismo 
del 
giudizio 
di 
mera 
legittimità 
che 
si 
svolge 
davanti 
al 
g.A. e 
che 
in modo non dissimile 
opera 
nel 
giudizio tributario (dove 
sono 
al pari proponibili motivi aggiunti: art. 24 D.Lgs. n. 546/1992). 


Tuttavia 
rispetto al 
merito della 
pretesa 
tributaria 
la 
posizione 
giuridica 
del 
contribuente 
può ritenersi 
di 
diritto soggettivo (5). La 
conseguenza 
di 
tale 
natura 
si 
riflette 
nel 
giudizio tributario (che, come 
noto, è 
di 
tipo misto, cioè 
con 
cognizione 
di 
legittimità 
e 
di 
merito 
da 
parte 
del 
giudice) 
dove 
per 
far 
valere 
la 
inesistenza 
del 
proprio debito tributario non si 
è 
vincolati 
a 
precisi 
motivi 
di 
ricorso 
con 
l’indicazione 
specifica 
delle 
norme 
violate, 
con 
modalità 
quindi 
non dissimili 
(anche 
se 
non del 
tutto coincidenti) con le 
azioni 
a 
tutela 
dei 
propri 
diritti 
davanti 
al 
giudice 
ordinario. e, al 
pari 
nel 
giudizio civile, la 
sentenza 
che 
accolga 
il 
ricorso per motivi 
di 
merito è 
ostativa 
ad una 
reiterazione 
dell’atto 
impositivo 
da 
parte 
dell’Amministrazione 
(ancorchè 
non 
siano 
ancora scaduti i termini di decadenza). 


La 
natura 
di 
diritto 
soggettivo 
(come 
già 
rilevato, 
derivante 
direttamente 
dall’art. 
53 
Cost.) 
spiega 
allora 
la 
scelta 
del 
legislatore 
di 
consentire 
anche 
il 
superamento 
della 
definitività 
amministrativa, 
per 
imporre 
all’Amministrazione 
di 
non 
esercitare 
una 
pretesa 
fiscale 
priva 
di 
fondamento 
(affetta 
cioè 
da 
“vizi 
sostanziali”), 
ancorchè 
il 
contribuente 
non 
abbia 
proposto 
tempestivo 
ricorso. 
Quella 
definitività, 
per 
omessa 
impugnazione, 
impedisce 
di 
certo 
al 
contribuente 


(5) Ciò che è peraltro coerente con la natura vincolata dell’attività di accertamento dei tributi. 

CoNTRIbuTI 
DI 
DoTTRINA 


di 
far 
valere 
eventuali 
vizi 
formali 
dell’atto 
(6), 
ma 
non 
gli 
vieta 
di 
richiedere 
(ed 
ottenere) 
un’autotutela 
che 
annulli 
un 
debito 
che 
non 
era 
mai 
esistito. 


Sempre 
la 
natura 
di 
diritto 
soggettivo 
consente 
di 
superare, 
come 
si 
è 
visto, 
anche 
un 
eventuale 
giudicato 
di 
rigetto 
della 
impugnazione 
dell’atto 
impositivo, 
con la 
sola 
limitazione 
della 
esistenza 
di 
un giudicato sostanziale 
sui 
medesimi 
motivi 
posti 
a 
base 
della 
richiesta 
di 
autotutela. 
In 
tali 
ipotesi 
infatti, 
l’esistenza 
di 
un 
diritto 
soggettivo 
è 
già 
stata 
negata 
da 
un 
giudice 
con 
sentenza 
definitiva 
e 
ciò esclude 
che 
l’Amministrazione 
debba 
(o possa) riconoscere 
il 
medesimo diritto. 


Tuttavia 
un limite 
all’esercizio dell’autotutela 
in favore 
del 
contribuente, 
potrebbe 
individuarsi 
nelle 
ipotesi 
di 
mutamento o incertezze 
della 
giurisprudenza. 
Non dovrebbe 
quindi 
ritenersi 
possibile 
richiedere 
l’annullamento di 
un atto impositivo non impugnato, nei 
casi 
in cui 
la 
pretesa 
fiscale 
sia 
infondata 
rispetto ad una 
giurisprudenza 
oscillante, ovvero non favorevole 
al 
contribuente 
nel 
momento 
in 
cui 
l’atto 
era 
stato 
emanato. 
Diversamente 
ogni 
mutamento 
(purtroppo 
non 
infrequente) 
della 
giurisprudenza 
apicale 
potrebbe 
dar luogo -questo sì 
-ad un incremento notevole 
del 
contenzioso. A 
tal 
fine 
potrebbe 
essere 
auspicabile 
l’introduzione 
di 
un termine 
espresso, analogo a 
quello (18 mesi) previsto nell’art. 21-nonies 
della 
legge 
n. 241/1990 (7), per 
l’esercizio del potere di autotutela in favore del contribuente. 

(6) 
Ciò 
che 
dovrebbe 
far 
venir 
meno 
i 
timori 
di 
una 
proliferazione 
del 
contenzioso 
che, 
come 
noto, si 
fonda 
attualmente 
in modo prevalente 
su censure 
di 
legittimità 
formale 
dell’atto. un eventuale 
contenzioso sul diniego di autotutela invece, non potrebbe che riguardare il puro merito della pretesa. 
(7) 
L’art. 
21-nonies 
al 
comma 
1 
prevede 
che 
“Il 
provvedimento 
amministrativo 
illegittimo 
ai 
sensi 
dell'articolo 21-octies, esclusi 
i 
casi 
di 
cui 
al 
medesimo articolo 21-octies, comma 2, può essere 
annullato 
d'ufficio, sussistendone 
le 
ragioni 
di 
interesse 
pubblico, entro un termine 
ragionevole, comunque 
non superiore 
a diciotto mesi 
dal 
momento dell'adozione 
dei 
provvedimenti 
di 
autorizzazione 
o di 
attribuzione 
di 
vantaggi 
economici, inclusi 
i 
casi 
in cui 
il 
provvedimento si 
sia formato ai 
sensi 
dell'articolo 
20, 
e 
tenendo 
conto 
degli 
interessi 
dei 
destinatari 
e 
dei 
controinteressati, 
dall'organo 
che 
lo 
ha 
emanato, 
ovvero da altro organo previsto dalla legge. Rimangono ferme 
le 
responsabilità connesse 
all'adozione 
e al mancato annullamento del provvedimento illegittimo”. 

RASSegNA 
AVVoCATuRA 
DeLLo 
STATo -N. 3/2020 


I pubblici servizi 


Michele Gerardo* 


SoMMARIo: 1. Aspetti 
generali 
-2. Servizi 
pubblici 
essenziali 
-3. Servizi 
pubblici 
locali 


-4. Tipologia di 
servizi 
pubblici 
non economici. Servizi 
sanitari 
-5. Tipologia di 
servizi 
pubblici 
non 
economici. 
(segue) 
Servizi 
scolastici 
-6. 
Tipologia 
di 
servizi 
pubblici 
non 
economici. 
(segue) 
Servizi 
sociali 
-7. Tipologia di 
servizi 
pubblici 
economici. Gestione 
integrata dei 
rifiuti 
-8. 
Tipologia 
di 
servizi 
pubblici 
economici. 
(segue) 
Servizio 
idrico 
integrato 
-9. 
Tipologia 
di 
servizi 
pubblici 
economici. 
(segue) Trasporto pubblico locale. Trasporto aereo, marittimo 
e 
ferroviario -10. Tipologia di 
servizi 
pubblici 
economici. 
(segue) Forniture 
elettriche 
-11. 
Tipologia di 
servizi 
pubblici 
economici. (segue) 
Forniture 
di 
gas 
naturale 
-12. Tipologia di 
servizi 
pubblici 
economici. (segue) 
Telecomunicazioni 
-13. Tipologia di 
servizi 
pubblici 
economici. 
(segue) 
Servizio postale. Cenni - 14. Giurisdizione. 
1. Aspetti generali. 
I pubblici 
servizi 
sono prestazioni 
materiali 
che 
vengono erogate 
al 
pubblico, 
ossia 
ad 
una 
collettività 
indeterminata 
di 
destinatari, 
secondo 
regole 
omogenee 
predeterminate, sussistendo un interesse 
pubblico costituito dallo 
scopo di soddisfare bisogni fondamentali della collettività (1). 

Il 
servizio consiste 
in una 
prestazione 
il 
cui 
oggetto consiste 
in un fare. Il 
fabbisogno del 
beneficiario del 
servizio viene 
realizzato mediante 
lo svolgimento 
di 
una 
attività 
materiale 
o 
immateriale; 
la 
prestazione 
dell’attività 
di 
servizi 
può comportare 
trasferimento di 
beni, ma 
quest’ultima 
evenienza 
integra 
un elemento secondario della 
fattispecie: 
centrale 
rimane 
la 
prestazione 
dell’attività, il 
facere 
del soggetto (2). 


La 
prestazione 
fondamentale 
di 
chi 
eroga 
il 
servizio 
è 
una 
operazione, 
una attività materiale o immateriale, a carattere non autoritario (3). 


I pubblici servizi vengono erogati: 


- dall’ente pubblico attributario dell’interesse pubblico 
-oppure, mediante 
atto unilaterale 
o convenzionale, da 
un altro soggetto 
che 
abbia 
determinati 
requisiti. 
L’ente 
pubblico 
attributario 
dell’interesse 
pubblico 
e/o 
l’autorità 
amministrativa 
indipendente 
competente, 
in 
questa 
evenienza, 
svolge una attività di vigilanza e di controllo. 


(*) Avvocato dello Stato. 


(1) 
Per 
un 
affresco 
generale: 
F. 
MeRuSI, 
Servizio 
pubblico, 
in 
Novissimo 
Digesto, 
vol. 
XVII, 
uTeT, 1970, pp. 215-221; 
S. CATTANeo, Servizi 
pubblici, in 
enc. del 
Diritto, vol. XLII, giuffré, 1990, 
pp. 
355-374; 
g. 
DeLLA 
CANANeA, 
Servizi 
pubblici 
(Dir. 
amm.), 
in 
Il 
Diritto 
enciclopedia 
Giuridica, 
vol. 
XIV, Corriere della Sera Il Sole 24 ore, 2007, pp. 456-469. 
(2) 
L. 
MAzzARoLLI, 
g. 
PeRICu, 
A. 
RoMANo, 
F.A. 
RoVeRSI 
MoNACo, 
F.g. 
SCoCA 
(a 
cura 
di), 
Diritto 
amministrativo, vol. II, IV ed., Monduzzi, 2005, p. 154. 
(3) Per quest’ultimo aspetto: S. CATTANeo, Servizi pubblici, in enc. del Diritto, cit., p. 366. 

CoNTRIbuTI 
DI 
DoTTRINA 


L’erogazione 
poi 
può 
avvenire 
in 
forma 
di 
impresa 
-e 
quindi 
almeno 
con 
copertura dei costi con i ricavi - o in forma sociale. 


Attesi 
i 
descritti 
caratteri 
le 
regole 
predeterminate 
sono almeno di 
rango 
legislativo, tenuto conto della riserva di legge 
ex 
art. 97, comma 2, Cost. 

La 
tipologia 
e 
le 
modalità 
di 
prestazione 
-direttamente 
o meno da 
parte 
dell’ente 
pubblico, in forma 
di 
impresa 
oppure 
in forma 
sociale 
-dei 
pubblici 
servizi 
dipende, 
quindi, 
da 
una 
scelta 
politica, 
veicolata 
nella 
legge 
espressione 
della volontà generale. 


uno Stato liberista 
potrà 
decidere 
di 
ridurre 
all’osso i 
pubblici 
servizi, limitandosi 
ad una 
mera 
regolazione 
e 
consentendo a 
privati 
la 
prestazione 
dei 
servizi. È l’esempio delle prestazioni sanitarie erogate negli uSA. 


uno 
Stato 
socialista 
amplierà 
il 
ventaglio 
delle 
prestazioni 
e, 
vieppiù, 
deciderà 
di erogarle direttamente. 


Da 
quanto descritto si 
evince 
che 
i 
caratteri 
dei 
pubblici 
servizi 
-come 
desunti dal sistema normativo (4) - sono i seguenti: 


a) Servizio qualificato dalla legge di pubblico interesse. 
Perché 
il 
servizio pubblico possa 
essere 
giuridicamente 
identificato è 
necessaria 
una 
previsione 
legislativa 
che 
lo 
contempli 
istituendolo 
e 
organizzandolo 
direttamente 
o 
rimettendo 
la 
relativa 
concreta 
istituzione, 
organizzazione 


o 
predisposizione 
all’Amministrazione 
pubblica. 
La 
legge 
deve 
comunque 
individuare 
l’Amministrazione 
titolare 
del 
servizio 
o 
l’Amministrazione 
cui 
compete l’organizzazione o la predisposizione del servizio stesso (5). 
La 
legge 
ascrive 
alla 
cura 
di 
uno o più individuati 
enti 
pubblici 
la 
prestazione 
del 
servizio, delineando altresì 
la 
disciplina, l’organizzazione 
della 
ma


(4) In dottrina, nel 
tempo, si 
sono susseguite 
le 
concezioni 
soggettive 
ed oggettive 
per spiegare 
la 
vicenda. Per la 
concezione 
soggettiva 
-sviluppata 
agli 
inizi 
del 
‘900 con la 
legge 
sulle 
c.d. municipalizzazioni 
(L. 29 marzo 1903, n. 103) -un servizio è 
pubblico allorché 
l’attività 
in cui 
esso si 
esplica 
sia 
riconducibile 
ad un ente 
pubblico, che 
lo dichiari 
tale 
in forza 
di 
un provvedimento legislativo o amministrativo, 
compiendo 
la 
scelta 
per 
la 
sua 
assunzione. 
Per 
la 
concezione 
oggettiva 
-sviluppata 
negli 
anni 
’60 
del 
‘900 
e 
valorizzante 
i 
dati 
somministrati 
dagli 
artt. 
41, 
comma 
3 
e 
43 
Cost. 
-non 
è 
tanto 
il 
soggetto 
cui 
è 
affidata 
l’attività 
che 
si 
concretizza 
nel 
servizio, quanto la 
sua 
funzionalizzazione 
alla 
immediata 
e 
istituzionale 
soddisfazione 
dei 
bisogni 
collettivi 
e, in quanto tale, sottoposta 
ad una 
disciplina 
che 
garantisca 
il 
rispetto 
dei 
canoni 
fondamentali 
di 
eguaglianza, 
parità 
di 
trattamento, 
continuità 
e 
trasparenza. 
Per tali 
concezioni: 
F.g. SCoCA 
(a 
cura 
di), Diritto amministrativo, giappichelli, III edizione, 2014, pp. 
634-643. 
Per 
L. MAzzARoLLI, g. PeRICu, A. RoMANo, F.A. RoVeRSI 
MoNACo, F.g. SCoCA 
(a 
cura 
di), Diritto amministrativo, 
vol. II, cit., p. 157 va 
accolta 
una 
nozione 
soggettiva 
del 
servizio pubblico, la 
quale 
“non 
deriva 
dalla 
natura 
del 
gestore 
(che 
può 
essere 
anche 
un 
privato), 
bensì: 
a) 
dalla 
imputabilità 
o 
titolarità 
del 
servizio all’Amministrazione 
pubblica, che 
ha assunto (istituito) il 
servizio o alla quale 
lo stesso è 
stato assegnato dal 
legislatore 
come 
compito da curare; b) dalle 
finalità alle 
quali 
il 
servizio risponde, 
perché 
se 
esse 
sono pertinenti 
alla soddisfazione 
di 
esigenze 
della collettività, emerge 
una corrispondenza 
biunivoca 
con 
i 
compiti 
dell’Amministrazione 
pubblica 
(posto 
il 
ruolo 
di 
essa 
nell’ordinamento); 
c) dalla presenza di 
un determinato tipo di 
organizzazione 
del 
servizio mirata ad assicurare 
specifiche 
modalità gestorie”. 
(5) 
L. 
MAzzARoLLI, 
g. 
PeRICu, 
A. 
RoMANo, 
F.A. 
RoVeRSI 
MoNACo, 
F.g. 
SCoCA 
(a 
cura 
di), 
Diritto 
amministrativo, vol. II, cit., pp. 164-165. 

RASSegNA 
AVVoCATuRA 
DeLLo 
STATo -N. 3/2020 


teria. 
In 
tal 
modo 
l’erogazione 
del 
servizio 
è 
per 
l’ente 
attributario 
un 
compito 
che 
deve 
essere 
pertanto, 
alle 
condizioni 
fissate 
dalla 
legge, 
doverosamente 
assunto e 
prestato. Il 
servizio, quindi, è 
uno dei 
compiti 
istituzionali 
dell’ente 
pubblico, connesso ad esigenze 
di 
benessere 
e 
di 
sviluppo socio-economico 
delle comunità rappresentate. 


Il 
carattere 
necessario 
di 
queste 
attività, 
senza 
il 
quale 
esse 
non 
sarebbero 
identificabili 
come 
servizi 
pubblici 
(o 
di 
interesse 
generale), 
comporta 
che 
esse 
debbano 
essere 
svolte 
in 
concreto, 
costantemente 
nel 
tempo, 
e 
senza 
soluzioni 
di 
continuità 
sul 
territorio; 
ossia, 
debbono 
avere 
una 
dimensione 
universale 
con 
riferimento 
ad 
un 
determinato 
contesto 
socio-territoriale 
e 
debbono 
essere 
accessibili 
in 
principio 
ad 
ogni 
consociato, 
rispettando 
il 
principio 
della 
parità 
di 
trattamento 
(universalità 
ed 
accessibilità 
delle 
attività 
di 
servizio 
pubblico) 
(6). 


b) Creazione di un ordinamento settoriale. 
Le 
attività 
di 
servizio pubblico si 
qualificano per il 
loro inserimento in 
un 
complesso 
organizzatorio 
di 
tipo 
pubblicistico 
prefigurato 
dalla 
legge 
e 
definito 
dall’amministrazione (7). 


La 
titolarità, la 
pertinenza 
istituzionale 
del 
servizio pubblico spetta 
alla 


P.A. La 
titolarità 
deriva 
dalla 
legge 
nelle 
ipotesi 
in cui 
tale 
fonte 
istituisca 
un 
servizio 
o 
ne 
preveda 
l’istituzione 
obbligatoria 
e 
lo 
affidi 
direttamente 
alla 
cura 
di 
una 
Amministrazione 
individuata; 
deriva, invece 
da 
un atto amministrativo 
qualora 
si 
tratti 
di 
un 
servizio 
pubblico 
che 
può 
essere 
facoltativamente 
assunto 
dalla 
Amministrazione 
interessata, 
ricorrendone 
i 
presupposti 
indicati 
dalla legge e secondo le forme di gestione tipizzate. 
In ordine 
all’affidamento della 
gestione 
si 
rileva 
che 
l’ente 
pubblico attributario 
dell’interesse 
pubblico della 
cura 
del 
servizio eroga 
le 
prestazioni 
o 
direttamente o indirettamente, a seconda delle previsioni legali. 


Direttamente mediante il proprio apparato amministrativo. 


Indirettamente mediante 


-soggetti 
controllati 
o 
legati 
da 
un 
nesso 
di 
strumentalità 
con 
il 
detto 
ente. 


Trattasi 
di 
soggetto 
(agenzie, 
aziende 
speciali, 
enti, 
società 
in 
house 
o 
controllate) 
“dedicato” 
alla 
missione 
di 
servizio pubblico, previsto nel 
modulo organizzatorio 
dell’Amministrazione titolare del servizio; 


- soggetti estranei all’ente pubblico. 
Tanto a 
mezzo di 
atto unilaterale 
(provvedimento di 
concessione 
od autorizzazione 
adottato 
dall’ente) 
o 
di 
atto 
convenzionale 
di 
diritto 
pubblico 
(come 
il 
contratto di 
servizio, in tema 
-ad esempio -di 
servizi 
pubblici 
locali 


(6) ex 
plurimis: 
V. CeRuLLI 
IReLLI, Lineamenti 
del 
diritto amministrativo, giappichelli, VI edizione, 
2017, 
p. 
234; 
e. 
CASeTTA, 
Manuale 
di 
diritto 
amministrativo, 
giuffré, 
XVI 
edizione, 
2014, 
p. 
639. 
(7) 
Conf. 
L. 
MAzzARoLLI, 
g. 
PeRICu, 
A. 
RoMANo, 
F.A. 
RoVeRSI 
MoNACo, 
F.g. 
SCoCA 
(a 
cura 
di), Diritto amministrativo, vol. II, cit., p. 147. 

CoNTRIbuTI 
DI 
DoTTRINA 


a 
rilevanza 
economica 
(8) e 
di 
distribuzione 
del 
gas 
naturale) o ad evidenza 
pubblica 
(quale 
il 
contratto di 
concessione 
di 
servizi 
ex 
art. 3, comma 
1, lett. 
vv, D.L.vo 18 aprile 
2016, n. 50) (9). L’atto convenzionale 
è 
lo strumento per 
disciplinare i rapporti tra amministrazione e soggetto esercente. 


L’ente 
pubblico attributario della 
cura 
del 
servizio dispone, in attuazione 
dei 
principi 
fissati 
dalla 
legge, di 
un potere 
regolatorio avente 
ad oggetto le 
tariffe 
al 
pubblico, la 
predeterminazione 
delle 
modalità 
del 
servizio con garanzia 
della 
parità 
di 
trattamento nei 
confronti 
degli 
utenti, controlli. L’esercente 
il 
pubblico 
servizio 
è 
sottoposto 
a 
peculiari 
regole, 
quali 
quelle 
sull’accesso ai documenti (art. 23 L. n. 241/1990). 


Nell’ipotesi 
della 
erogazione 
indiretta 
delle 
prestazioni 
la 
dottrina 
ha 
qualificato 
la fattispecie come ordinamento sezionale (10). 


A 
partire 
degli 
anni 
’90 
del 
secolo 
trascorso 
-per 
importanti 
settori 
di 
servizi 
-nella 
disciplina 
dell’ordinamento settoriale 
si 
sono inserite, in aggiunta 
all’ente 
attributario 
della 
cura 
del 
servizio, 
le 
autorità 
amministrative 
indipendenti, 
con un forte potere regolatorio. 

I compiti 
regolatori 
-dell’ente 
attributario della 
cura 
del 
servizio o delle 
autorità amministrative indipendenti - attengono alla disciplina: 


-dell’ingresso 
nel 
mercato. 
Sotto 
tale 
profilo, 
la 
regolazione 
serve, 
tra 
l’altro, a 
disciplinare 
l’accesso alle 
infrastrutture 
di 
rete, la 
loro interconnessione, 
l’accesso ai servizi forniti da altri operatori; 


-del 
servizio. 
Vengono 
in 
rilievo 
gli 
interventi 
diretti 
a 
determinare 
le 
condizioni 
economiche 
di 
offerta 
dei 
servizi 
(determinazione 
ex 
ante 
delle 
tariffe; 
controllo ex 
post 
della 
rispondenza 
dei 
prezzi 
ai 
costi 
effettivamente 
sostenuti), 
la 
pubblicità 
delle 
caratteristiche 
dei 
servizi 
offerti, la 
disciplina 
dei 
rapporti tra gli operatori; 


- della vigilanza sulla condotta degli operatori; 
(8) L’art. 113, comma 
11, D.L.vo 18 agosto 2000, n. 267 (TueL) enuncia: 
“I rapporti 
degli 
enti 
locali 
con le 
società di 
erogazione 
del 
servizio e 
con le 
società di 
gestione 
delle 
reti 
e 
degli 
impianti 
sono regolati 
da contratti 
di 
servizio, allegati 
ai 
capitolati 
di 
gara, che 
dovranno prevedere 
i 
livelli 
dei 
servizi da garantire e adeguati strumenti di verifica del rispetto dei livelli previsti”. 
(9) L’affidamento, nel 
caso di 
soggetti 
controllati 
o legati 
da 
un nesso di 
strumentalità 
con l’ente 
pubblico, per i 
principi 
generali 
in materia, può essere 
diretto senza 
dare 
luogo a 
procedure 
selettive. 
Invece, 
nel 
caso 
di 
soggetti 
estranei 
all’ente 
pubblico 
l’affidamento 
potrà 
avvenire 
all’esito 
di 
procedure 
selettive. 
(10) 
S. CATTANeo, Servizi 
pubblici, in enc. del 
Diritto, cit. p. 369: 
“Il 
meccanismo della imputazione 
del 
servizio pubblico a soggetti 
privati 
si 
fonda necessariamente 
sull’assoggettamento della loro 
attività ad uno speciale 
regime 
di 
diritto pubblico, che 
nella dottrina si 
è 
ritenuto potersi 
riconoscere 
nella configurazione 
dei 
cosiddetti 
ordinamenti 
sezionali, caratterizzati 
dall’esistenza di 
complessi 
di 
soggetti 
il 
cui 
agire 
è 
diretto e 
controllato attraverso poteri 
pubblici 
di 
governo del 
settore. Alla figura 
dell’ordinamento sezionale, oggetto di 
discussioni 
in dottrina, si 
è 
dato poi 
un significato ampio, tale 
da farne 
<l’aspetto organizzativo di 
programmi 
e 
controlli>, cioè 
di 
quei 
programmi 
e 
controlli 
da determinarsi 
con legge, tramite 
l’art. 41 comma 3 cost. che 
prevede 
che 
l’attività economica pubblica o 
privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali”. 

RASSegNA 
AVVoCATuRA 
DeLLo 
STATo -N. 3/2020 


- della erogazione dei servizi al pubblico; 
- della tutela dei fruitori del servizio (11). 
c) Tipologia del 
servizio pubblico: servizi 
a rilevanza non economica o 
servizi a rilevanza economica. 
Il 
modulo 
organizzatorio 
del 
servizio 
può 
essere, 
poi, 
non 
imprenditoriale 
(a 
rilevanza 
non economica 
o sociale) o imprenditoriale 
(a 
rilevanza 
economica). 
ossia: 


-erogazione 
con 
metodo 
non 
economico. 
L’attività 
di 
produzione 
del 
servizio 
non 
è 
imprenditoriale. 
L’ente 
attributario 
del 
servizio 
con 
proprie 
fonti 
provvede 
a 
coprire 
i 
costi 
del 
servizio 
per 
la 
parte 
non 
coperta 
dagli 
eventuali 
proventi 
degli 
utenti. 
L’erogazione 
con 
metodo 
non 
economico 
spesso 
si 
collega 
a 
prestazioni 
garantite 
dalla 
Costituzione, 
venendo 
in 
rilievo 
“diritti 
civili 
e 
sociali 
che 
devono 
essere 
garantiti 
su 
tutto 
il 
territorio 
nazionale” 
almeno 
con 
riguardo 
ai 
livelli 
essenziali 
delle 
prestazioni 
(art. 
117, 
comma 
2, 
lett. 
m, 
Cost.); 


-erogazione 
con metodo economico, con tendenziale 
copertura 
almeno 
dei 
costi 
con i 
ricavi. L’attività 
è 
quindi 
un’impresa, in un sistema 
nel 
quale 
vige 
il 
principio 
della 
libera 
concorrenza 
nel 
mercato 
di 
riferimento, 
con 
la 
potestà 
legislativa 
esclusiva 
dello 
Stato 
ex 
art. 
117, 
comma 
2, 
lett. 
e) 
Cost. 
(“tutela della concorrenza” 
). Viene 
in rilievo la 
nozione, unionistica 
ex 
art. 
106 TFue (12), del servizio di interesse economico generale. 
Solo i 
servizi 
pubblici 
a 
rilevanza 
economica 
sono suscettibili 
di 
essere 
monopolizzati 
dai 
pubblici 
poteri. Difatti 
l’art. 43 Cost. menziona 
solamente 
le 
imprese 
come 
oggetto della 
riserva 
di 
determinate 
attività 
alla 
mano pubblica, 
laddove 
gli 
artt. 
33, 
commi 
1, 
2 
e 
3, 
e 
38, 
ultimo 
comma, 
Cost. 
escludono 
un 
monopolio 
pubblico 
per 
le 
prestazioni 
di 
servizi 
inerenti 
all’istruzione 
e 
all’assistenza, tipiche attività pertinenti alla sfera sociale (13). 


d) Principi in materia di servizi pubblici: 
-doverosità 
(arg. 
ex 
artt. 
1679 
e 
2597 
c.c.), 
continuità, 
universalità, 
parità 
di trattamento ed eguaglianza; 
-tipicità 
dei 
modelli 
di 
gestione. 
La 
tipicità 
dell’organizzazione 
dei 
servizi 


(11) Per tali aspetti: g. DeLLA 
CANANeA, Servizi pubblici (Dir. amm.), cit., pp. 463-466. 
(12) “1. Gli 
Stati 
membri 
non emanano né 
mantengono, nei 
confronti 
delle 
imprese 
pubbliche 
e 
delle 
imprese 
cui 
riconoscono 
diritti 
speciali 
o 
esclusivi, 
alcuna 
misura 
contraria 
alle 
norme 
dei 
trattati, 
specialmente 
a 
quelle 
contemplate 
dagli 
articoli 
18 
e 
da 
101 
a 
109 
inclusi. 
2. 
Le 
imprese 
incaricate 
della gestione 
di 
servizi 
di 
interesse 
economico generale 
o aventi 
carattere 
di 
monopolio fiscale 
sono 
sottoposte 
alle 
norme 
dei 
trattati, e 
in particolare 
alle 
regole 
di 
concorrenza, nei 
limiti 
in cui 
l'applicazione 
di 
tali 
norme 
non osti 
all'adempimento, in linea di 
diritto e 
di 
fatto, della specifica missione 
loro 
affidata. Lo sviluppo degli 
scambi 
non deve 
essere 
compromesso in misura contraria agli 
interessi 
del-
l'Unione. 
3. 
La 
Commissione 
vigila 
sull'applicazione 
delle 
disposizioni 
del 
presente 
articolo 
rivolgendo, 
ove occorra, agli Stati membri, opportune direttive o decisioni”. 
(13) Si 
rileva 
in dottrina 
che 
la 
Costituzione, con riguardo ai 
servizi 
a 
rilevanza 
sociale 
“abbina 
due 
scelte 
di 
fondo: la libertà dei 
privati 
e 
la necessaria presenza, accanto ad essi, di 
istituzioni 
pubbliche”: 
g. DeLLA 
CANANeA, Servizi pubblici (Dir. amm.), cit., p. 460. 

CoNTRIbuTI 
DI 
DoTTRINA 


pubblici 
sta 
a 
significare 
che 
essi 
possono essere 
predisposti 
dalla 
P.A. nelle 
sole 
forme 
individuate 
dalla 
legge 
-in 
virtù 
dell’applicazione 
dell’art. 
97, 
comma 
2, 
Cost. 
-a 
tal 
fine. 
Il 
principio 
di 
tipicità 
evoca 
altresì 
quello 
dell’adeguatezza, 
che 
impone 
la 
scelta 
-discrezionale 
-del 
modello di 
gestione 
più 
appropriato in relazione 
alla 
situazione 
di 
fatto ed agli 
obiettivi 
che 
si 
intendono 
conseguire; 


-economicità 
(arg. ex 
art. 114, comma 
4, D.L.vo n. 267/2000, secondo 
cui 
“L'azienda e 
l'istituzione 
conformano la loro attività a criteri 
di 
efficacia, 
efficienza ed economicità ed hanno l'obbligo dell'equilibrio economico, considerando 
anche 
i 
proventi 
derivanti 
dai 
trasferimenti, 
fermo 
restando, 
per 
l'istituzione, l'obbligo del pareggio finanziario”); 
- accessibilità; 
-qualità, 
tutela 
e 
partecipazione. 
A 
tal 
fine 
l’art. 
11, 
commi 
1 
e 
2, 
D.L.vo 
30 
luglio 
1999, 
n. 
286 
-iterato 
con 
l’art. 
101 
D.L.vo 
6 
settembre 
2005, 
n. 
206 
-prescrive: 
“1. 
I 
servizi 
pubblici 
nazionali 
e 
locali 
sono 
erogati 
con 
modalità 
che 
promuovono 
il 
miglioramento 
della 
qualità 
e 
assicurano 
la 
tutela 
dei 
cittadini 
e 
degli 
utenti 
e 
la 
loro 
partecipazione, 
nelle 
forme, 
anche 
associative, 
riconosciute 
dalla 
legge, 
alle 
inerenti 
procedure 
di 
valutazione 
e 
definizione 
degli 
standard 
qualitativi. 
2. 
Le 
modalità 
di 
definizione, 
adozione 
e 
pubblicizzazione 
degli 
standard 
di 
qualità, 
i 
casi 
e 
le 
modalità 
di 
adozione 
delle 
carte 
dei 
servizi 
[le 
quali 
esplicitano 
i 
caratteri 
dei 
servizi 
offerti 
al 
pubblico], 
i 
criteri 
di 
misurazione 
della 
qualità 
dei 
servizi, 
le 
condizioni 
di 
tutela 
degli 
utenti, 
nonché 
i 
casi 
e 
le 
modalità 
di 
indennizzo 
automatico 
e 
forfettario 
all'utenza 
per 
mancato 
rispetto 
degli 
standard 
di 
qualità 
sono 
stabilite 
con 
direttive, 
aggiornabili 
annualmente, 
del 
Presidente 
del 
Consiglio 
dei 
Ministri. 
Per 
quanto 
riguarda 
i 
servizi 
erogati 
direttamente 
o 
indirettamente 
dalle 
regioni 
e 
dagli 
enti 
locali, 
si 
provvede 
con 
atti 
di 
indirizzo 
e 
coordinamento 
adottati 
d'intesa 
con 
la 
conferenza 
unificata 
di 
cui 
al 
decreto 
legislativo 
28 
agosto 
1997, 
n. 
281”. 


e) 
Principi 
in 
materia 
di 
servizi 
a 
rilevanza 
economica: 
rispetto 
della 
libertà 
di 
concorrenza; 
separazione 
tra 
gestione 
della 
rete 
e 
gestione 
del 
servizio. 
opera 
il 
principio, di 
fonte 
europea, che 
le 
attività 
di 
servizio pubblico, 
laddove 
organizzate 
in forma 
di 
impresa 
(servizi 
di 
interesse 
economico generale: 
art. 106 TFue), debbano essere 
esercitate 
da 
soggetti 
imprenditoriali, 
anche 
pubblici, 
in 
concorrenza 
tra 
loro: 
esercitati 
quindi 
da 
una 
pluralità 
di 
imprese 
che 
contendono 
tra 
loro 
nell’ambito 
del 
mercato. 
ove 
affidati 
a 
privati 
occorre 
rispettare 
procedure 
concorsuali, salvo il 
ricorso alle 
società 
in house 
sussistenti i presupposti di legge. 


L’entrata 
nel 
settore 
è 
tendenzialmente 
libera. Vi 
è 
una 
specifica 
normativa 
(artt. 
101 
e 
ss. 
TFue; 
L. 
10 
ottobre 
1990, 
n. 
287) 
e 
appositi 
soggetti 
(Commissione 
europea 
e 
Autorità 
garante 
della 
concorrenza 
e 
del 
mercato) 
in 



RASSegNA 
AVVoCATuRA 
DeLLo 
STATo -N. 3/2020 


funzione 
della 
effettività 
del 
gioco della 
concorrenza. Strumentale 
alla 
libertà 
di concorrenza è poi la libertà di circolazione dei servizi (artt. 56-62 TFue). 


Le 
imprese 
sono soggette 
tuttavia 
agli 
obblighi 
di 
servizio pubblico imposti 
dall’autorità, 
attraverso 
l’attività 
di 
regolazione. 
In 
questi 
settori 
l’attività 
delle 
pubbliche 
Amministrazioni 
si 
riduce 
all’esercizio 
di 
poteri 
di 
regolazione, 
oltre che a quelli di controllo. 


Attraverso 
l’attività 
di 
regolazione, 
alle 
imprese 
esercenti 
il 
servizio 
vengono 
imposti 
obblighi 
di 
servizio 
pubblico, 
secondo 
la 
terminologia 
europea 
(ad 
es. 
art. 
2 
Regolamento 
Ce 
n.1370/2007 
del 
23 
ottobre 
2007 
in 
materia 
di 
trasporti), 
intesi 
come 
quelli 
che 
l’impresa 
“ove 
considerasse 
il 
proprio 
interesse 
commerciale, 
non 
assumerebbe 
o 
non 
assumerebbe 
nella 
stessa 
misura 
né 
alle 
stesse 
condizioni”. 
essi 
comprendono 
vari 
obblighi 
relativi 
all’espletamento 
del 
servizio 
nonché 
quelli 
di 
carattere 
tariffario. 
Tra 
essi 
il 
c.d. 
obbligo 
di 
servizio 
universale, 
inteso 
come 
quello 
di 
prestare 
un 
determinato 
servizio 
su 
tutto 
il 
territorio 
nazionale, 
a 
prezzi 
accessibili, 
e 
a 
condizioni 
qualitative 
simili 
indipendentemente 
dalla 
redditività 
delle 
singole 
operazioni 
(14). 


Allorché 
viene 
in 
rilievo 
un 
servizio 
pubblico 
economico 
è 
prevista 
la 
regola, 
di 
provenienza 
unionistica 
(15), 
della 
separazione 
tra 
gestione 
della 
rete 
-ossia 
l’infrastruttura 
mediante 
la 
quale 
è 
possibile 
esercitare 
il 
servizio -e 
gestione 
del 
servizio. Ciò per una 
efficiente 
resa 
del 
servizio nel 
rispetto delle 
regole 
sulla 
concorrenza. Si 
richiede, quindi, che 
l’operatore 
che 
gestisce 
la 
rete sia diverso dall’operatore che gestisce il servizio. 

A 
fronte 
dell’unico gestore 
della 
rete, vi 
potranno essere 
più soggetti 
che 
erogano 
il 
servizio. 
Ad 
esempio, 
la 
rete 
ferroviaria 
è 
l’insieme 
dei 
binari 
e 
loro 
pertinenze 
(ponti, 
gallerie, 
stazioni, 
depositi, 
ecc.). 
Il 
gestore 
della 
rete 
può 
essere 
il 
proprietario, 
pubblico 
o 
privato 
che 
sia. 
ove 
il 
proprietario 
sia 
lo 
Stato, la rete avrà la qualità di demanio accidentale (art. 822, comma 2, c.c.). 
Il 
proprietario potrà 
gestire 
direttamente 
la 
rete 
oppure 
affidarne 
la 
gestione 
ad 
un 
terzo. 
La 
gestione 
della 
rete 
implica 
l’attività 
di 
manutenzione 
ordinaria 
e 
straordinaria. 
Separata 
dalla 
gestione 
della 
rete 
è 
la 
gestione 
del 
servizio 
ferroviario. 
Il 
gestore 
del 
servizio deve 
essere 
diverso dal 
gestore 
della 
rete. Vi 
potranno essere 
più gestori 
del 
servizio, i 
quali 
potranno usare 
la 
rete 
ferroviaria 
con le 
modalità 
concordate 
con il 
gestore 
della 
rete 
e/o con l’autorità 
regolatoria del settore, ad esempio per le tratte e gli orari. 

(14) Su tali 
aspetti 
ex 
plurimis: 
V. CeRuLLI 
IReLLI, Lineamenti 
del 
diritto amministrativo, cit., p. 
236. 
(15) Ad es.: 
direttiva 
2012/34/ue 
del 
Parlamento europeo e 
del 
Consiglio del 
21 novembre 
2012 
che istituisce uno spazio ferroviario europeo unico. 

CoNTRIbuTI 
DI 
DoTTRINA 


f) Natura giuridica degli atti esplicativi del pubblico servizio. 
La 
prestazione 
del 
servizio, come 
innanzi 
esposto, consiste 
in una 
operazione 
(l’erogazione 
materiale 
dell’energia 
elettrica, 
l’attività 
di 
trasporto, 
la 
visita 
medica, 
ecc.). 
Nella 
vicenda 
sono 
presenti 
anche 
atti 
amministrativi, 
specie 
a 
livello di 
organizzazione 
della 
prestazione. È 
il 
caso, ad esempio, del 
piano sanitario nazionale. 


All’uopo si 
rileva 
in dottrina 
che 
il 
servizio pubblico è, in sostanza, un 
modello 
più 
o 
meno 
composito 
di 
attività 
amministrativa, 
distinguibile 
soprattutto 
per i connotati organizzativi (16). 


g) Prestazione del servizio alla generalità degli utenti. 
I beneficiari 
del 
servizio sono una 
data 
collettività 
-gli 
amministrati 
-indeterminabile 
a priori 
(17). Difettando tale 
carattere 
non ricorre 
un pubblico 
servizio; 
a 
tale 
stregua, 
ad 
esempio, 
non 
è 
un 
pubblico 
servizio 
l’attività 
di 
produzione 
e 
di 
distribuzione 
dei 
farmaci 
svolta 
dalle 
case 
farmaceutiche 
a 
favore 
solo di strutture ospedaliere e farmaceutiche (18). 


La 
situazione 
giuridica 
soggettiva 
al 
godimento del 
servizio -ossia: 
alla 
fruizione 
mediante 
la 
stipula 
di 
un contratto di 
utenza 
pubblica 
o l’adozione 
di 
un 
provvedimento 
di 
ammissione 
o 
una 
organizzazione 
amministrativa 
vincolativamente 
disegnata 
dalla 
legge 
-dipende 
dalla 
configurazione 
normativa, 
specie 
costituzionale: 
potrà 
essere 
di 
diritto 
soggettivo 
o 
di 
interesse 
legittimo. 
A 
tale 
stregua, e 
ad esempio, vi 
è 
un diritto soggettivo all’assistenza 
sanitaria 
(art. 
32 
Cost.) 
all’istruzione 
scolastica 
(art. 
34 
Cost.), 
all’assistenza 
sociale 
(art. 
38 
Cost.) 
e, 
in 
generale, 
ai 
“livelli 
essenziali 
delle 
prestazioni 
concernenti 
i 
diritti 
civili 
e 
sociali 
che 
devono essere 
garantiti 
su tutto il 
territorio nazionale” 
ex 
art. 117, comma 2, lett. m, Cost. 


L’art. 2 D.L.vo 6 settembre 
2005, n. 206 -rubricato “Diritti 
dei 
consumatori” 
- prescrive: 


“1. 
Sono 
riconosciuti 
e 
garantiti 
i 
diritti 
e 
gli 
interessi 
individuali 
e 
collettivi 
dei 
consumatori 
e 
degli 
utenti, 
ne 
è 
promossa 
la 
tutela 
in 
sede 
nazionale 
e 
locale, 
anche 
in 
forma 
collettiva 
e 
associativa, 
sono 
favorite 
le 
iniziative 
rivolte 
a 
perseguire 
tali 
finalità, 
anche 
attraverso 
la 
disciplina 
dei 
rapporti 
tra 
le 
associazioni 
dei 
consumatori 
e 
degli 
utenti 
e 
le 
pubbliche 
amministrazioni. 


2. Ai 
consumatori 
ed agli 
utenti 
sono riconosciuti 
come 
fondamentali 
i 
diritti: a) alla tutela della salute; b) alla sicurezza e 
alla qualità dei 
prodotti 
e 
dei 
servizi; c) ad una adeguata informazione 
e 
ad una corretta pubblicità; 
c-bis) 
all'esercizio 
delle 
pratiche 
commerciali 
secondo 
principi 
di 
buona 
fede, 
(16) L. MAzzARoLLI, g. PeRICu, A. RoMANo, F.A. RoVeRSI 
MoNACo, F.g. SCoCA 
(a 
cura 
di), Diritto 
amministrativo, vol. II, cit., p. 146. 
(17) Conf. L. MAzzARoLLI, g. PeRICu, A. RoMANo, F.A. RoVeRSI 
MoNACo, F.g. SCoCA 
(a 
cura 
di), Diritto amministrativo, vol. II, cit., p. 147. 
(18) Conf. Cass. civ. S.u., 30 marzo 2000, n. 71. 

RASSegNA 
AVVoCATuRA 
DeLLo 
STATo -N. 3/2020 


correttezza 
e 
lealtà; 
d) 
all'educazione 
al 
consumo; 
e) 
alla 
correttezza, 
alla 
trasparenza ed all'equità nei 
rapporti 
contrattuali; f) alla promozione 
e 
allo 
sviluppo 
dell'associazionismo 
libero, 
volontario 
e 
democratico 
tra 
i 
consumatori 
e 
gli 
utenti; g) all'erogazione 
di 
servizi 
pubblici 
secondo standard di 
qualità 
e di efficienza”. 


Nella individuazione della qualità delle prestazioni sono rilevanti: 


- gli atti di regolazione delle 
Authority 
-e 
le 
c.d. 
carte 
dei 
servizi 
pubblici 
adottate 
dal 
gestore, 
con 
le 
quali 
questi 
assume 
-in esecuzione 
di 
precetti 
legali 
-unilateralmente 
una 
serie 
di 
obbligazioni 
volte 
a 
garantire 
determinati 
livelli 
di 
qualità. Controversa 
è 
la 
natura 
giuridica 
della 
carta 
dei 
servizi 
pubblici. Secondo un primo orientamento, la 
carta 
si 
sostanzierebbe 
in un insieme 
di 
clausole 
unilateralmente 
predisposte 
dal 
gestore 
sulla 
base 
di 
schemi 
normativi 
e 
che, in base 
al 
meccanismo di 
cui 
all’art. 1339 c.c., andrebbero ad integrare 
il 
contenuto del 
contratto di 
utenza. 
Seguendo, 
invece, 
un’altra 
tesi, 
questo 
stesso 
processo 
di 
integrazione 
andrebbe 
piuttosto 
ricondotto 
allo 
schema 
predisposto 
dall’art. 
1374 
c.c. 
In 
quest’ultima 
ipotesi, quindi, la 
disciplina 
del 
rapporto contrattuale 
tra 
utente 
e 
gestore 
sarebbe 
quella 
risultante 
dalle 
condizioni 
generali 
di 
contratto -ove 
la 
fonte 
del 
rapporto sia 
un contratto -e 
dal 
contenuto della 
carta 
dei 
servizi, 
escludendo, 
però, 
l’operatività 
del 
meccanismo 
di 
sostituzione 
tra 
clausole 
previsto dall’art. 1339 c.c. (19). 


giusta 
l’art. 8, comma 
1, D.L. 24 gennaio 2012, n. 1, conv. L. 24 marzo 
2012, 
n. 
27, 
le 
carte 
di 
servizio, 
nel 
definire 
gli 
obblighi 
cui 
sono 
tenuti 
i 
gestori 
dei 
servizi 
pubblici, 
anche 
locali, 
o 
di 
un'infrastruttura 
necessaria 
per 
l'esercizio 
di 
attività 
di 
impresa 
o per l'esercizio di 
un diritto della 
persona 
costituzionalmente 
garantito, indicano in modo specifico i 
diritti, anche 
di 
natura 
risarcitoria, 
che 
gli 
utenti 
possono 
esigere 
nei 
confronti 
dei 
gestori 
del 
servizio 
e 
dell'infrastruttura. 


Allorché 
la 
consistenza 
della 
pretesa 
alla 
prestazione 
sia 
di 
diritto 
soggettivo, 
la 
fruizione 
in 
concreto 
della 
stessa 
dipende 
dalla 
sussistenza 
di 
risorse 
finanziarie, tenuto anche 
conto delle 
regole 
sull’equilibrio del 
bilancio (artt. 
81, 97 e 119 Cost.). 


Le prestazioni possono essere rese 


-indistintamente 
a 
tutti 
gli 
interessati, c.d. servizi 
indivisibili 
(si 
pensi 
al 
servizio radiotelevisivo). In questo caso non si 
instaura 
alcun rapporto giuridico 
specifico tra 
l’erogatore 
e 
il 
fruitore 
del 
servizio, ma 
le 
prestazioni 
sono 
rese 
a 
tutti 
gli 
utenti 
in 
virtù 
di 
legge: 
chiunque 
sia 
interessato 
può 
beneficiarne 
in quanto soggetto dell’ordinamento (uti 
civis). Il 
finanziamento dell’attività 
avviene 
per 
lo 
più 
in 
via 
indiretta, 
mediante 
le 
entrate 
tributarie 
non 
esattamente 
commisurate all’uso effettivo del servizio; 
(19) Su tali orientamenti: F.g. SCoCA 
(a cura di), Diritto amministrativo, cit., p. 667. 

CoNTRIbuTI 
DI 
DoTTRINA 


-ovvero ai 
singoli 
utenti 
che 
ne 
facciano richiesta, c.d. servizi 
divisibili 


o a 
domanda 
individuale 
(gas, energia 
e 
così 
via). Sussiste, qui, un rapporto 
giuridico 
specifico 
tra 
l’erogatore 
e 
l’utente, 
costituito 
su 
iniziativa 
di 
quest’ultimo: 
chi 
intende 
fruire 
del 
servizio 
deve 
attivarsi 
individualmente 
(uti 
singulus) al 
fine 
di 
ottenere, verso un corrispettivo, la 
prestazione 
desiderata, 
con conseguente stipula di contratto di utenza. 
Rientra 
in questa 
categoria 
la 
maggior parte 
dei 
servizi 
di 
carattere 
industriale 
e 
commerciale 
resi 
da 
Amministrazioni 
ed enti 
pubblici 
ovvero in regime 
di 
concessione: 
dalle 
poste 
alle 
telecomunicazioni, 
dai 
trasporti 
ai 
servizi 
a rete (20). 


Il 
servizio, per tutti 
gli 
utenti 
ovvero per alcune 
fasce 
di 
utenti, potrà 
essere 
erogato gratis 
o con pagamento di 
un prezzo che 
copra 
totalmente 
o parzialmente 
i costi. 

La 
fonte 
del 
rapporto 
può 
essere 
costituita 
da 
un 
contratto 
stipulato 
tra 
erogatore 
del 
servizio ed utente 
(ove 
vi 
sia 
un pagamento, questo integrerà 
il 
corrispettivo) 
oppure 
dalla 
legge 
o 
da 
un 
atto 
amministrativo 
-provvedimento 
di 
ammissione 
-in base 
alla 
legge 
(ove 
vi 
sia 
un pagamento, questo integrerà 
un tributo, e in specie una tassa). 


una 
volta 
stipulato 
il 
contratto 
o 
adottato 
il 
provvedimento 
di 
ammissione 
sorge 
un 
diritto 
soggettivo 
in 
capo 
all’utente, 
con 
la 
conseguenza 
che 
l’inadempimento 
del 
gestore, 
pubblico 
o 
privato, 
origina 
responsabilità 
contrattuale. 


Il 
contratto, c.d. contratto di 
utenza, fonte 
del 
rapporto, di 
solito, rientra 
in quelli 
per adesione, con applicazione 
della 
conseguente 
disciplina 
ex 
artt. 
1341-1342 c.c. Attesi 
i 
principi 
in materia 
di 
servizio pubblico -dei 
quali 
vi 
è 
conferma 
negli 
artt. 2597 e 
1679 c.c. -in capo al 
gestore 
vi 
è 
l’obbligo di 
contrarre, 
con divieto di 
discriminazione. una 
volta 
sorta 
l’obbligazione, essa 
è 
in 
generale 
retta 
dal 
diritto 
comune, 
salvo 
le 
deroghe 
legali 
specie 
con 
riguardo 
alla 
integrazione 
del 
contenuto del 
contratto di 
utenza 
in virtù degli 
atti 
di 
regolazione 
delle 
Authority 
e delle c.d. carte dei servizi pubblici. 


Ai 
sensi 
dell’art. 
101, 
commi 
2 
e 
3, 
D.L.vo 
n. 
206/2005 
il 
rapporto 
di 
utenza 
deve 
svolgersi 
nel 
rispetto di 
standard di 
qualità 
predeterminati 
e 
adeguatamente 
resi 
pubblici 
ed 
agli 
utenti 
è 
garantita, 
attraverso 
forme 
rappresentative, 
la 
partecipazione 
alle 
procedure 
di 
definizione 
e 
di 
valutazione 
degli 
standard di qualità previsti dalle leggi. 


Tutela dei fruitori del servizio. 


A 
tutela 
delle 
situazioni 
giuridiche 
soggettive 
dei 
fruitori 
del 
servizio vi 
sono rimedi stragiudiziali e giudiziali. 


Tra 
i 
primi 
le 
singole 
normative 
di 
settore 
prevedono 
i 
reclami 
e 
procedure 


(20) ex 
plurimis: 
L. MAzzARoLLI, g. PeRICu, A. RoMANo, F.A. RoVeRSI 
MoNACo, F.g. SCoCA 
(a 
cura di), Diritto amministrativo, vol. II, cit., p. 166. 

RASSegNA 
AVVoCATuRA 
DeLLo 
STATo -N. 3/2020 


di 
conciliazione 
e 
arbitrato. Tra 
i 
secondi 
vi 
è 
il 
ricorso all’autorità 
giurisdizionale. 


Nozione penalistica di persona incaricata di un pubblico servizio. 


Infine 
si 
rileva 
che 
nel 
delineare 
i 
caratteri 
dei 
pubblici 
servizi 
alcun contributo 
può 
essere 
fornito 
dalla 
nozione 
della 
persona 
incaricata 
di 
un 
pubblico 
servizio 
di 
cui 
all’art. 
358 
c.p. 
(21), 
valendo 
essa 
nozione 
esclusivamente 
“Agli 
effetti della legge penale”. 


2. Servizi pubblici essenziali. 
Nell’ordinamento 
giuridico 
vi 
è 
la 
categoria 
dei 
servizi 
pubblici 
essenziali, 
alla quale è collegata una diversificata disciplina. 


La 
Costituzione 
all’art. 43 (22) menziona 
i 
servizi 
pubblici 
essenziali 
-a 
carattere 
imprenditoriale, 
a 
rilevanza 
economica 
-che 
abbiano 
carattere 
di 
preminente 
interesse 
generale 
al 
fine 
di 
consentire 
una 
riserva 
di 
esercizio 
in 
capo 
allo 
Stato, 
ad 
enti 
pubblici 
o 
a 
comunità 
di 
lavoratori 
o 
di 
utenti, 
con 
esclusione 
della libertà di iniziativa economica attesa la chiusura del mercato. 


I servizi 
pubblici 
essenziali 
sono presi 
pure 
in considerazione 
dalla 
L. 16 
giugno 1990, n. 146, attuativa 
di 
particolari 
aspetti 
dell’art. 40 Cost. con riguardo 
a 
limiti 
all’esercizio diritto di 
sciopero, ove, al 
primo comma 
dell’art. 
1, si 
enuncia 
che 
“sono considerati 
servizi 
pubblici 
essenziali, indipendentemente 
dalla natura giuridica del 
rapporto di 
lavoro, anche 
se 
svolti 
in regime 
di 
concessione 
o mediante 
convenzione, quelli 
volti 
a garantire 
il 
godimento 
dei 
diritti 
della 
persona, 
costituzionalmente 
tutelati, 
alla 
vita, 
alla 
salute, 
alla 
libertà 
ed 
alla 
sicurezza, 
alla 
libertà 
di 
circolazione, 
all'assistenza 
e 
previdenza 
sociale, all'istruzione ed alla libertà di comunicazione”. 


3. Servizi pubblici locali. 
La 
materia 
dei 
servizi 
pubblici 
locali 
spetta 
alla 
potestà 
legislativa 
residuale 
delle 
Regioni 
(art. 117, comma 
4, Cost.), salve 
le 
interferenze 
delle 
materie 
trasversali 
(art. 
117, 
comma 
2, 
lett. 
e, 
Cost. 
sulla 
tutela 
della 
concorrenza 
legittimante 
la 
disciplina 
nazionale 
relativa 
alle 
modalità 
di 
affidamento e 
gestione 
dei 
servizi 
pubblici 
locali 
di 
rilevanza 
economica; 
art. 117, comma 
2, 
lett. 
l, 
Cost. 
sull’ordinamento 
civile 
interferente 
sulle 
tariffe 
dei 
servizi 
pubblici 


(21) “Agli 
effetti 
della legge 
penale, sono incaricati 
di 
un pubblico servizio coloro i 
quali, a qualunque 
titolo, 
prestano 
un 
pubblico 
servizio. 
Per 
pubblico 
servizio 
deve 
intendersi 
un'attività 
disciplinata 
nelle 
stesse 
forme 
della pubblica funzione, ma caratterizzata dalla mancanza dei 
poteri 
tipici 
di 
quest'ultima, 
e 
con 
esclusione 
dello 
svolgimento 
di 
semplici 
mansioni 
di 
ordine 
e 
della 
prestazione 
di 
opera 
meramente materiale”. 
(22) 
“A 
fini 
di 
utilità 
generale 
la 
legge 
può 
riservare 
originariamente 
o 
trasferire, 
mediante 
espropriazione 
e 
salvo indennizzo, allo Stato, ad enti 
pubblici 
o a comunità di 
lavoratori 
o di 
utenti 
determinate 
imprese 
o categorie 
di 
imprese, che 
si 
riferiscano a servizi 
pubblici 
essenziali 
o a fonti 
di 
energia 
o a situazioni di monopolio ed abbiano carattere di preminente interesse generale”. 

CoNTRIbuTI 
DI 
DoTTRINA 


locali; 
art. 117, comma 
2, lett. s, Cost. sulla 
tutela 
dell’ambiente 
intersecante 
il 
servizio idrico integrato e 
la 
gestione 
dei 
rifiuti) e 
della 
chiamata 
in sussidiarietà 
(23). 


La 
gestione 
dei 
servizi 
pubblici 
locali 
spetta 
agli 
enti 
locali. 
L’art. 
112 
D.L.vo 
n. 
267/2000 
dispone 
che 
“1. 
Gli 
enti 
locali, 
nell'ambito 
delle 
rispettive 
competenze, 
provvedono 
alla 
gestione 
dei 
servizi 
pubblici 
che 
abbiano 
per 
oggetto produzione 
di 
beni 
ed attività rivolte 
a realizzare 
fini 
sociali 
e 
a promuovere 
lo 
sviluppo 
economico 
e 
civile 
delle 
comunità 
locali. 
3. 
Ai 
servizi 
pubblici 
locali 
si 
applica il 
capo III del 
decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 
286, relativo alla qualità dei servizi pubblici locali e carte dei servizi”. 


Il 
Consiglio 
dell’ente 
locale 
ha 
la 
competenza 
in 
materia 
di 
organizzazione 
dei 
pubblici 
servizi, costituzione 
di 
istituzioni 
e 
aziende 
speciali, concessione 
dei 
pubblici 
servizi, 
partecipazione 
dell'ente 
locale 
a 
società 
di 
capitali, 
affidamento 
di 
attività 
o 
servizi 
mediante 
convenzione 
(art. 
42, 
comma 2, lett. e, D.L.vo n. 267/2000). 


Quanto alla 
provvista 
per l’erogazione 
dei 
servizi 
i 
principi 
sono fissati 
dall’art. 149, commi 7 ed 8, D.L.vo n. 267/2000 secondo cui 


-le 
entrate 
fiscali 
finanziano 
i 
servizi 
pubblici 
ritenuti 
necessari 
per 
lo 
sviluppo 
della 
comunità 
ed 
integrano 
la 
contribuzione 
erariale 
per 
l'erogazione 
dei servizi pubblici indispensabili; 


-a 
ciascun ente 
locale 
spettano le 
tasse, i 
diritti, le 
tariffe 
e 
i 
corrispettivi 
sui 
servizi 
di 
propria 
competenza. 
gli 
enti 
locali 
determinano 
per 
i 
servizi 
pubblici 
tariffe 
o corrispettivi 
a 
carico degli 
utenti, anche 
in modo non generalizzato. 
Lo 
Stato 
e 
le 
regioni, 
qualora 
prevedano 
per 
legge 
casi 
di 
gratuità 
nei 
servizi 
di 
competenza 
dei 
comuni 
e 
delle 
province 
ovvero fissino prezzi 
e 
tariffe 
inferiori 
al 
costo effettivo della 
prestazione, debbono garantire 
agli 
enti 
locali risorse finanziarie compensative (24). 
I servizi 
pubblici 
locali 
si 
suddividono in servizi 
a 
rilevanza 
economica 
e servizi privi di rilevanza economica (25). 


Gestione 
dei 
servizi 
pubblici 
locali 
di 
rilevanza economica. La gestione 
delle reti (art. 113 D.L.vo n. 267/2000). 


L’ente 
locale, 
in 
base 
alla 
valutazione 
comparativa 
di 
tutti 
gli 
interessi 


(23) 
g. 
guzzeTTA, 
F.S. 
MARINI, 
D. 
MoRANA 
(a 
cura 
di), 
Le 
materie 
di 
competenza 
regionale. 
Commentario, edizioni Scientifiche italiane, 2015, pp. 515, 517-521. 
(24) L’art. 3 D.L. 22 dicembre 
1981, n. 786, conv. L. 26 febbraio 1982, n. 51 enuncia: 
“Per 
i 
servizi 
pubblici 
a domanda individuale, le 
province, i 
comuni, i 
loro consorzi 
e 
le 
comunità montane 
sono 
tenuti 
a richiedere 
la contribuzione 
degli 
utenti, anche 
a carattere 
non generalizzato. 
[…] Fanno eccezione 
i 
servizi 
gratuiti 
per 
legge, i 
servizi 
finalizzati 
all'inserimento sociale 
dei 
portatori 
di 
handicaps, 
quelli 
per 
i 
quali 
le 
vigenti 
norme 
prevedono 
la 
corresponsione 
di 
tasse, 
di 
diritti 
o 
di 
prezzi 
amministrati 
ed i servizi di trasporto pubblico”. 
(25) Sulla 
problematica: 
g. gAMbARDeLLA, I servizi 
pubblici 
locali 
con particolare 
riferimento 
al servizio di gestione dei rifiuti solidi urbani, in Rass. Avv. Stato, 2015, 4, pp. 175-230. 

RASSegNA 
AVVoCATuRA 
DeLLo 
STATo -N. 3/2020 


pubblici 
e 
privati 
coinvolti, 
sceglie, 
discrezionalmente, 
la 
modalità 
di 
organizzazione 
dei 
servizi 
pubblici 
locali 
reputata 
più 
idonea 
alle 
sue 
esigenze. 
L’art. 
34, 
comma 
20, 
D.L. 
18 
ottobre 
2012, 
n. 
179, 
conv. 
L. 
17 
dicembre 
2012, 
n. 
221 
prescrive: 
“Per 
i 
servizi 
pubblici 
locali 
di 
rilevanza 
economica, 
al 
fine 
di 
assicurare 
il 
rispetto 
della 
disciplina 
europea, 
la 
parità 
tra 
gli 
operatori, 
l'economicità 
della 
gestione 
e 
di 
garantire 
adeguata 
informazione 
alla 
collettività 
di 
riferimento, 
l'affidamento 
del 
servizio 
è 
effettuato 
sulla 
base 
di 
apposita 
relazione, 
pubblicata 
sul 
sito 
internet 
del-
l'ente 
affidante, 
che 
dà 
conto 
delle 
ragioni 
e 
della 
sussistenza 
dei 
requisiti 
previsti 
dall'ordinamento 
europeo 
per 
la 
forma 
di 
affidamento 
prescelta 
e 
che 
definisce 
i 
contenuti 
specifici 
degli 
obblighi 
di 
servizio 
pubblico 
e 
servizio 
universale, 
indicando 
le 
compensazioni 
economiche 
se 
previste”. 


All’uopo 
i 
servizi 
pubblici 
locali 
di 
rilevanza 
economica 
sono 
gestiti 
mediante 
a) 
affidamento 
diretto 
a 
società 
a 
capitale 
interamente 
pubblico 
a 
condizione 
che 
gli 
enti 
pubblici 
titolari 
del 
capitale 
sociale 
esercitino 
sulla 
società 
un 
controllo 
analogo 
a 
quello 
esercitato 
sui 
propri 
servizi 
e 
che 
la 
società 
realizzi 
la 
parte 
più 
importante 
della 
propria 
attività 
con 
l'ente 
o 
gli 
enti 
pubblici 
che 
la 
controllano 
(società 
in 
house); 
b) 
procedura 
ad 
evidenza 
pubblica 
per 
l’individuazione 
del 
gestore; 
c) 
affidamento 
a 
società 
mista 
all’esito 
di 
gara 
a 
doppio 
oggetto 
(per 
l’individuazione 
del 
socio 
ed 
il 
contestuale 
affidamento 
del 
servizio). 


Dal 
punto 
di 
vista 
organizzativo, 
l’art. 
3 
bis, 
comma 
1, 
D.L. 
13 
agosto 
2011, n. 138, conv. L. 14 settembre 
2011, n. 148 prescrive 
che 
a 
tutela 
della 
concorrenza 
e 
dell'ambiente, le 
regioni 
e 
le 
province 
autonome 
di 
Trento e 
di 
bolzano organizzano lo svolgimento dei 
servizi 
pubblici 
locali 
a 
rete 
di 
rilevanza 
economica 
in 
ambiti 
o 
bacini 
territoriali 
ottimali 
e 
omogenei 
tali 
da 
consentire 
economie 
di 
scala 
e 
di 
differenziazione 
idonee 
a 
massimizzare 
l'efficienza 
del 
servizio e 
che 
la 
dimensione 
degli 
ambiti 
o bacini 
territoriali 
ottimali 
di 
norma 
deve 
essere 
non inferiore 
almeno a 
quella 
del 
territorio provinciale 
(26). 

I 
rapporti 
degli 
enti 
locali 
con 
le 
società 
di 
erogazione 
del 
servizio 
e 
con 
le 
società 
di 
gestione 
delle 
reti 
e 
degli 
impianti 
sono 
regolati 
da 
contratti 
di 
servizio, 
allegati 
ai 
capitolati 
di 
gara, 
che 
dovranno 
prevedere 
i 
livelli 
dei 
servizi 
da 
garantire 
e 
adeguati 
strumenti 
di 
verifica 
del 
rispetto 
dei 
livelli 
previsti 
(27). 


(26) Il 
comma 
1 bis 
precisa 
che 
“Le 
funzioni 
di 
organizzazione 
dei 
servizi 
pubblici 
locali 
a rete 
di 
rilevanza economica, compresi 
quelli 
appartenenti 
al 
settore 
dei 
rifiuti 
urbani, di 
scelta della forma 
di 
gestione, di 
determinazione 
delle 
tariffe 
all'utenza per 
quanto di 
competenza, di 
affidamento della 
gestione 
e 
relativo controllo sono esercitate 
unicamente 
dagli 
enti 
di 
governo degli 
ambiti 
o bacini 
territoriali 
ottimali 
e 
omogenei 
istituiti 
o designati 
ai 
sensi 
del 
comma 1 del 
presente 
articolo cui 
gli 
enti 
locali 
partecipano obbligatoriamente, fermo restando quanto previsto dall'articolo 1, comma 90, della 
legge 7 aprile 2014, n. 56”. 

CoNTRIbuTI 
DI 
DoTTRINA 


L'ente 
locale 
può cedere 
in tutto o in parte 
la 
propria 
partecipazione 
nelle 
società 
erogatrici 
di 
servizi 
mediante 
procedure 
ad evidenza 
pubblica 
da 
rinnovarsi 
alla 
scadenza 
del 
periodo di 
affidamento. Tale 
cessione 
non comporta 
effetti sulla durata delle concessioni e degli affidamenti in essere. 


Le 
discipline 
di 
settore 
stabiliscono i 
casi 
nei 
quali 
l'attività 
di 
gestione 
delle 
reti 
e 
degli 
impianti 
destinati 
alla 
produzione 
dei 
servizi 
pubblici 
locali 
di 
rilevanza 
economica 
può 
essere 
separata 
da 
quella 
di 
erogazione 
degli 
stessi. 
È 
in ogni 
caso, garantito l'accesso alle 
reti 
a 
tutti 
i 
soggetti 
legittimati 
all'erogazione 
dei relativi servizi. 


Qualora 
sia 
separata 
dall'attività 
di 
erogazione 
dei 
servizi, 
per 
la 
gestione 
delle 
reti, 
degli 
impianti 
e 
delle 
altre 
dotazioni 
patrimoniali 
gli 
enti 
locali, 
anche 
in 
forma 
associata, 
si 
avvalgono: 
a) 
di 
soggetti 
allo 
scopo 
costituiti, 
nella 
forma 
di 
società 
di 
capitali 
con 
la 
partecipazione 
totalitaria 
di 
capitale 
pubblico 
cui 
può 
essere 
affidata 
direttamente 
tale 
attività, 
a 
condizione 
che 
gli 
enti 
pubblici 
titolari 
del 
capitale 
sociale 
esercitino 
sulla 
società 
un 
controllo 
analogo 
a 
quello 
esercitato 
sui 
propri 
servizi 
e 
che 
la 
società 
realizzi 
la 
parte 
più 
importante 
della 
propria 
attività 
con 
l'ente 
o 
gli 
enti 
pubblici 
che 
la 
controllano; 
b) 
di 
imprese 
idonee, 
da 
individuare 
mediante 
procedure 
ad 
evidenza 
pubblica. 


In ogni 
caso in cui 
la 
gestione 
della 
rete, separata 
o integrata 
con l'erogazione 
dei 
servizi, 
non 
sia 
stata 
affidata 
con 
gara 
ad 
evidenza 
pubblica, 
i 
soggetti 
gestori 
provvedono all'esecuzione 
dei 
lavori 
comunque 
connessi 
alla 
gestione 


(27) 
L’art. 
2, 
comma 
461, 
L. 
24 
dicembre 
2007, 
n. 
244 
precisa: 
“Al 
fine 
di 
tutelare 
i 
diritti 
dei 
consumatori 
e 
degli 
utenti 
dei 
servizi 
pubblici 
locali 
e 
di 
garantire 
la 
qualità, 
l'universalità 
e 
l'economicità 
delle 
relative 
prestazioni, 
in 
sede 
di 
stipula 
dei 
contratti 
di 
servizio 
gli 
enti 
locali 
sono 
tenuti 
ad 
applicare 
le 
seguenti 
disposizioni: 
a) 
previsione 
dell'obbligo 
per 
il 
soggetto 
gestore 
di 
emanare 
una 
"Carta 
della 
qualità 
dei 
servizi", 
da 
redigere 
e 
pubblicizzare 
in 
conformità 
ad 
intese 
con 
le 
associazioni 
di 
tutela 
dei 
consumatori 
e 
con 
le 
associazioni 
imprenditoriali 
interessate, 
recante 
gli 
standard 
di 
qualità 
e 
di 
quantità 
relativi 
alle 
prestazioni 
erogate 
così 
come 
determinati 
nel 
contratto 
di 
servizio, 
nonché 
le 
modalità 
di 
accesso 
alle 
informazioni 
garantite, 
quelle 
per 
proporre 
reclamo 
e 
quelle 
per 
adire 
le 
vie 
conciliative 
e 
giudiziarie 
nonché 
le 
modalità 
di 
ristoro 
dell'utenza, 
in 
forma 
specifica 
o 
mediante 
restituzione 
totale 
o 
parziale 
del 
corrispettivo 
versato, 
in 
caso 
di 
inottemperanza; 
b) 
consultazione 
obbligatoria 
delle 
associazioni 
dei 
consumatori; 
c) 
previsione 
che 
sia 
periodicamente 
verificata, 
con 
la 
partecipazione 
delle 
associazioni 
dei 
consumatori, 
l'adeguatezza 
dei 
parametri 
quantitativi 
e 
qualitativi 
del 
servizio 
erogato 
fissati 
nel 
contratto 
di 
servizio 
alle 
esigenze 
dell'utenza 
cui 
il 
servizio 
stesso 
si 
rivolge, 
ferma 
restando 
la 
possibilità 
per 
ogni 
singolo 
cittadino 
di 
presentare 
osservazioni 
e 
proposte 
in 
merito; 
d) 
previsione 
di 
un 
sistema 
di 
monitoraggio 
permanente 
del 
rispetto 
dei 
parametri 
fissati 
nel 
contratto 
di 
servizio 
e 
di 
quanto 
stabilito 
nelle 
Carte 
della 
qualità 
dei 
servizi, 
svolto 
sotto 
la 
diretta 
responsabilità 
dell'ente 
locale 
o 
dell'ambito 
territoriale 
ottimale, 
con 
la 
partecipazione 
delle 
associazioni 
dei 
consumatori 
ed 
aperto 
alla 
ricezione 
di 
osservazioni 
e 
proposte 
da 
parte 
di 
ogni 
singolo 
cittadino 
che 
può 
rivolgersi, 
allo 
scopo, 
sia 
all'ente 
locale, 
sia 
ai 
gestori 
dei 
servizi, 
sia 
alle 
associazioni 
dei 
consumatori; 
e) 
istituzione 
di 
una 
sessione 
annuale 
di 
verifica 
del 
funzionamento 
dei 
servizi 
tra 
ente 
locale, 
gestori 
dei 
servizi 
ed 
associazioni 
dei 
consumatori 
nella 
quale 
si 
dia 
conto 
dei 
reclami, 
nonché 
delle 
proposte 
ed 
osservazioni 
pervenute 
a 
ciascuno 
dei 
soggetti 
partecipanti 
da 
parte 
dei 
cittadini; 
f) 
previsione 
che 
le 
attività 
di 
cui 
alle 
lettere 
b), 
c) 
e 
d) 
siano 
finanziate 
con 
un 
prelievo 
a 
carico 
dei 
soggetti 
gestori 
del 
servizio, 
predeterminato 
nel 
contratto 
di 
servizio 
per 
l'intera 
durata 
del 
contratto 
stesso”. 

RASSegNA 
AVVoCATuRA 
DeLLo 
STATo -N. 3/2020 


della 
rete 
esclusivamente 
mediante 
contratti 
di 
appalto o di 
concessione 
di 
lavori 
pubblici, aggiudicati 
a 
seguito di 
procedure 
di 
evidenza 
pubblica, ovvero 
in 
economia. 
Qualora 
la 
gestione 
della 
rete, 
separata 
o 
integrata 
con 
la 
gestione 
dei 
servizi, 
sia 
stata 
affidata 
con 
procedure 
di 
gara, 
il 
soggetto 
gestore 
può 
realizzare 
direttamente 
i 
lavori 
connessi 
alla 
gestione 
della 
rete, 
purché 
qualificato 
ai 
sensi 
della 
normativa 
vigente 
e 
purché 
la 
gara 
espletata 
abbia 
avuto ad oggetto 
sia 
la 
gestione 
del 
servizio relativo alla 
rete, sia 
l'esecuzione 
dei 
lavori 
connessi. Qualora, invece, la 
gara 
abbia 
avuto ad oggetto esclusivamente 
la 
gestione 
del 
servizio relativo alla 
rete, il 
gestore 
deve 
appaltare 
i 
lavori 
a 
terzi 
con le procedure ad evidenza pubblica previste dalla legislazione vigente. 

In ordine 
alla 
rete 
è 
prescritto che 
gli 
enti 
locali 
non possono cedere 
la 
proprietà 
degli 
impianti, delle 
reti 
e 
delle 
altre 
dotazioni 
destinati 
all'esercizio 
dei 
servizi 
pubblici 
locali 
di 
rilevanza 
economica, salva 
la 
possibilità 
di 
conferire 
la 
proprietà 
delle 
reti, 
degli 
impianti, 
e 
delle 
altre 
dotazioni 
patrimoniali 
a 
società 
a 
capitale 
interamente 
pubblico, che 
è 
incedibile. Tali 
società 
pongono 
le 
reti, 
gli 
impianti 
e 
le 
altre 
dotazioni 
patrimoniali 
a 
disposizione 
dei 
gestori 
incaricati 
della 
gestione 
del 
servizio 
o, 
ove 
prevista 
la 
gestione 
separata 
della 
rete, 
dei 
gestori 
di 
quest'ultima, 
a 
fronte 
di 
un 
canone 
stabilito 
dalla 
competente 
Autorità 
di 
settore, ove 
prevista, o dagli 
enti 
locali. Alla 
società 
suddetta 
gli 
enti 
locali 
possono anche 
assegnare 
-qualora 
sia 
separata 
la 
gestione 
delle 
reti 
dall'attività 
di 
erogazione 
dei 
servizi 
-la 
gestione 
delle 
reti, nonché 
il compito di espletare le gare per l’erogazione del servizio. 


Alla 
scadenza 
del 
periodo 
di 
affidamento, 
e 
in 
esito 
alla 
successiva 
gara 
di 
affidamento, 
le 
reti, 
gli 
impianti 
e 
le 
altre 
dotazioni 
patrimoniali 
di 
proprietà 
degli 
enti 
locali 
o 
delle 
società 
conferitarie 
sono 
assegnati 
al 
nuovo 
gestore. 


È 
vietata 
ogni 
forma 
di 
differenziazione 
nel 
trattamento 
dei 
gestori 
di 
pubblico 
servizio 
in 
ordine 
al 
regime 
tributario, 
nonché 
alla 
concessione 
da 
chiunque dovuta di contribuzioni o agevolazioni per la gestione del servizio. 


gli 
utenti 
del 
servizio 
pagano 
un 
corrispettivo 
denominato 
tariffa. 
La 
disciplina 
della 
tariffe 
dei 
servizi 
è 
contenuta 
nell’art. 
117 
D.L.vo 
n. 
267/2000. 
Viene 
stabilito 
che 
gli 
enti 
interessati 
approvano 
le 
tariffe 
dei 
servizi 
pubblici 
in 
misura 
tale 
da 
assicurare 
l'equilibrio 
economico-finanziario 
dell'investimento 
e 
della 
connessa 
gestione. 
I 
criteri 
per 
il 
calcolo 
della 
tariffa 
relativa 
ai 
servizi 
stessi 
sono: 
a) 
la 
corrispondenza 
tra 
costi 
e 
ricavi 
in 
modo 
da 
assicurare 
la 
integrale 
copertura 
dei 
costi, 
ivi 
compresi 
gli 
oneri 
di 
ammortamento 
tecnico-finanziario; 
b) 
l'equilibrato 
rapporto 
tra 
i 
finanziamenti 
raccolti 
ed 
il 
capitale 
investito; 
c) 
l'entità 
dei 
costi 
di 
gestione 
delle 
opere, 
tenendo 
conto 
anche 
degli 
investimenti 
e 
della 
qualità 
del 
servizio; 
d) 
l'adeguatezza 
della 
remunerazione 
del 
capitale 
investito, 
coerente 
con 
le 
prevalenti 
condizioni 
di 
mercato. 


La 
tariffa 
costituisce 
il 
corrispettivo dei 
servizi 
pubblici; 
essa 
è 
determi



CoNTRIbuTI 
DI 
DoTTRINA 


nata 
e 
adeguata 
ogni 
anno dai 
soggetti 
proprietari, attraverso contratti 
di 
programma 
di 
durata 
poliennale, nel 
rispetto del 
disciplinare 
e 
dello statuto conseguenti 
ai modelli organizzativi prescelti. 


Qualora 
i 
servizi 
siano 
gestiti 
da 
soggetti 
diversi 
dall'ente 
pubblico 
per 
effetto di 
particolari 
convenzioni 
e 
concessioni 
dell'ente 
o per effetto del 
modello 
organizzativo di 
società 
mista, la 
tariffa 
è 
riscossa 
dal 
soggetto che 
gestisce 
i servizi pubblici. 


Gestione 
dei 
servizi 
pubblici 
locali 
privi 
di 
rilevanza 
economica 
(art. 
113 
bis D.L.vo n. 267/2000). 


I 
servizi 
pubblici 
locali 
privi 
di 
rilevanza 
economica 
sono 
gestiti 
mediante 
affidamento 
diretto 
a: 
a) 
istituzioni; 
b) 
aziende 
speciali, 
anche 
consortili; 
c) 
società 
in house. È 
consentita 
la 
gestione 
in economia 
quando, per le 
modeste 
dimensioni 
o per le 
caratteristiche 
del 
servizio, non sia 
opportuno procedere 
ad affidamento ai 
soggetti 
sopraindicati. gli 
enti 
locali 
possono procedere 
all'affidamento 
diretto dei 
servizi 
culturali 
e 
del 
tempo libero anche 
ad associazioni 
e fondazioni da loro costituite o partecipate. 


4. Tipologia di servizi pubblici non economici. 
Servizi sanitari. 
Si 
passeranno 
in 
rassegna 
le 
principali 
ipotesi 
di 
servizi 
pubblici 
non 
economici. 


Settore 
importantissimo 
è 
quello 
dei 
servizi 
sanitari 
(28), 
atteso 
che 
lo 
stesso 
è 
la 
principale 
delle 
voci 
di 
spesa 
pubblica. 
Tanto 
al 
fine 
di 
attuare 
l’art. 
32, comma 
1, Cost. secondo cui 
“La Repubblica tutela la salute 
come 
fondamentale 
diritto dell'individuo e 
interesse 
della collettività, e 
garantisce 
cure 
gratuite agli indigenti”. 


La 
materia 
della 
“tutela 
della 
salute” 
rientra 
in 
quelle 
di 
legislazione 
concorrente 
ex 
art. 117, comma 
3, Cost. (29). Sicché 
la 
normativa 
statale 
deve 
limitarsi 
alla 
determinazione 
dei 
principi 
fondamentali, 
spettando 
invece 
alle 
regioni 
la 
regolamentazione 
di 
dettaglio, trattandosi 
di 
fonti 
tra 
le 
quali 
non vi 
sono rapporti di gerarchia, ma di separazione di competenze (30). 

a) La 
disciplina 
della 
materia 
si 
rinviene, fondamentalmente, nella 
L. 23 
dicembre 
1978, n. 833, istitutiva 
del 
Servizio sanitario nazionale, e 
nella 
L. 
30 
dicembre 
1992, 
n. 
502. 
L’art. 
1, 
comma 
1, 
della 
L. 
n. 
833/1978 
enuncia 
che 
“La Repubblica tutela la salute 
come 
fondamentale 
diritto dell'individuo 
e 
interesse 
della collettività mediante 
il 
servizio sanitario nazionale”. Dispo(
28) V. MoLASChI, 
Sanità, in Il 
Diritto enciclopedia Giuridica, vol. XIV, Corriere 
della Sera Il 
Sole 24 ore, 2007, pp. 30-40. 
(29) 
g. 
guzzeTTA, 
F.S. 
MARINI, 
D. 
MoRANA 
(a 
cura 
di), 
Le 
materie 
di 
competenza 
regionale. 
Commentario, cit., pp. 583-593. 
(30) Conf. Corte Cost., 26 gennaio 2005, n. 30. 

RASSegNA 
AVVoCATuRA 
DeLLo 
STATo -N. 3/2020 


sizione 
analoga 
si 
ha 
con l’art. 1, comma 
1, D.L.vo n. 502/1992. La 
legislazione 
di dettaglio è contenuta nelle varie leggi regionali. 


Va 
precisato 
che 
i 
principi 
fondamentali 
fissati 
dal 
legislatore 
statale 
contenuti, 
in 
buona 
parte 
nel 
sopracitato 
decreto 
legislativo 
n. 
502/1992 
-sono 
di 
estremo dettaglio, lasciando 
“un margine 
molto esiguo, per 
non dire 
inesistente, 
all’attuazione 
regionale” 
(31), 
con 
il 
dubbio 
del 
mancato 
rispetto 
degli 
ambiti 
competenziali 
fissati 
dall’art. 
117, 
comma 
3 
della 
Costituzione. 
emblematico 
in 
tal 
senso 
è 
il 
D.L.vo 
4 
agosto 
2016, 
n. 
171 
in 
materia 
di 
dirigenza 
sanitaria, contenente 
varie 
norme 
con una 
eccessiva 
procedimentalizzazione, 
la 
quale, 
intuitivamente, 
si 
presenta 
incompatibile 
con 
la 
fissazione 
di 
un 
principio 
fondamentale 
della 
materia, 
appartenendo 
-per 
sua 
stessa 
natura 
-all’ambito 
della 
disciplina 
meramente 
attuativa 
rientrante 
nella 
sfera 
di 
competenza legislativa concorrente delle regioni (32). 


b) ordinamento settoriale. L’ente 
pubblico attributario della 
cura 
del 
servizio 
è 
la 
Regione, 
nell’ambito 
dei 
principi 
fondamentali 
delineati 
dallo 
Stato. 
Ciò 
è 
enunciato 
-iterando 
quanto 
già 
previsto 
dall’art. 
11 
L. 
n. 
833/1978 
nell’art. 
2, comma 
1, D.L.vo n. 502/1992: 
“Spettano alle 
regioni 
e 
alle 
province 
autonome, nel 
rispetto dei 
principi 
stabiliti 
dalle 
leggi 
nazionali, le 
funzioni 
legislative 
ed 
amministrative 
in 
materia 
di 
assistenza 
sanitaria 
ed 
ospedaliera”. 
Invece, giusta 
l’art. 3 della 
L. n. 833/1978 “Lo Stato, nell'ambito della 
programmazione 
economica nazionale, determina, con il 
concorso delle 
regioni, 
gli 
obiettivi 
della programmazione 
sanitaria nazionale. La legge 
dello 
Stato, 
[…] 
, 
fissa 
i 
livelli 
delle 
prestazioni 
sanitarie 
che 
devono 
essere, 
comunque, 
garantite 
a 
tutti 
i 
cittadini”. 
Per 
lo 
Stato 
l’articolazione 
competente 
in 
materia è il Ministero della Salute. 


Il 
quadro 
programmatorio 
viene 
stabilito 
con 
il 
Piano 
sanitario 
nazionale. 
L’art. 
53 
L. 
n. 
833/1978 
statuisce: 
“Le 
linee 
generali 
di 
indirizzo 
e 
le 
modalità 
di 
svolgimento 
delle 
attività 
istituzionali 
del 
servizio 
sanitario 
nazionale 
sono 
stabilite 
con 
il 
piano 
sanitario 
nazionale 
in 
conformità 
agli 
obiettivi 
della 
programmazione 
socio-economica nazionale 
e 
tenuta presente 
l'esigenza di 
superare 
le 
condizioni 
di 
arretratezza 
socio-sanitaria 
che 
esistono 
nel 
Paese, 
particolarmente 
nelle 
regioni 
meridionali. Il 
piano sanitario nazionale 
viene 
predisposto dal 
Governo su proposta del 
Ministro della sanità, sentito il 
Consiglio 
sanitario nazionale. Il 
piano sanitario nazionale 
è 
sottoposto dal 
Governo 
al 
Parlamento ai 
fini 
della sua approvazione 
con atto non legislativo 
[…] Il 
piano sanitario nazionale 
ha di 
norma durata triennale 
e 
può essere 
modificato nel 
corso del 
triennio con il 
rispetto delle 
modalità di 
cui 
al 
pre


(31) Così: 
A. PIoggIA, Le nomine dei vertici della sanità, in Giornale Dir. amm., 2016, 6, 733. 
(32) Sul 
punto: 
M. geRARDo, Il 
direttore 
generale 
degli 
enti 
del 
Servizio Sanitario. Compiti, natura 
giuridica del rapporto e relative vicende, in Rass. Avv. Stato, 2018, 2, pp. 180-181. 

CoNTRIbuTI 
DI 
DoTTRINA 


sente 
articolo […] 
Le 
regioni 
predispongono e 
approvano i 
propri 
piani 
sanitari 
regionali 
entro il 
successivo mese 
di 
novembre”. giusta 
il 
comma 
10 del-
l’art. 1, D.L.vo n. 502/1992 il 
Piano sanitario nazionale, tra 
l’altro, indica: 
a) 
le 
aree 
prioritarie 
di 
intervento, 
anche 
ai 
fini 
di 
una 
progressiva 
riduzione 
delle 
diseguaglianze 
sociali 
e 
territoriali 
nei 
confronti 
della salute; 
b) i 
livelli 
essenziali 
di 
assistenza sanitaria da assicurare 
per 
il 
triennio di 
validità del 
Piano; 
c) la quota capitaria di 
finanziamento per 
ciascun anno di 
validità del 
Piano e 
la sua disaggregazione 
per 
livelli 
di 
assistenza; d) gli 
indirizzi 
finalizzati 
a orientare 
il 
Servizio sanitario nazionale 
verso il 
miglioramento continuo 
della 
qualità 
dell'assistenza, 
anche 
attraverso 
la 
realizzazione 
di 
progetti 
di 
interesse 
sovraregionale; 
[…] h) le 
linee 
guida e 
i 
relativi 
percorsi 
diagnostico-
terapeutici 
allo scopo di 
favorire, all'interno di 
ciascuna struttura sanitaria, 
lo 
sviluppo 
di 
modalità 
sistematiche 
di 
revisione 
e 
valutazione 
della 
pratica clinica e 
assistenziale 
e 
di 
assicurare 
l'applicazione 
dei 
livelli 
essenziali 
di 
assistenza; 
i) i 
criteri 
e 
gli 
indicatori 
per 
la verifica dei 
livelli 
di 
assistenza 
assicurati in rapporto a quelli previsti”. 


A 
cascata, 
rispetto 
al 
Piano 
sanitario 
nazionale, 
le 
regioni 
provvedono 
al-
l'attuazione 
del 
servizio sanitario nazionale 
in base 
ai 
piani 
sanitari 
triennali, 
coincidenti 
con il 
triennio del 
piano sanitario nazionale, finalizzati 
alla 
eliminazione 
degli 
squilibri 
esistenti 
nei 
servizi 
e 
nelle 
prestazioni 
nel 
territorio regionale. 
I 
piani 
sanitari 
triennali 
delle 
regioni, 
che 
devono 
uniformarsi 
ai 
contenuti 
ed 
agli 
indirizzi 
del 
piano 
sanitario 
nazionale, 
sono 
predisposti 
dalla 
giunta 
regionale, 
secondo 
la 
procedura 
prevista 
nei 
rispettivi 
statuti 
per 
quanto 
attiene 
alla 
consultazione 
degli 
enti 
locali 
e 
delle 
altre 
istituzioni 
ed organizzazioni 
interessate. I piani 
sanitari 
triennali 
delle 
regioni 
sono approvati 
con 
legge 
regionale 
almeno 120 giorni 
prima 
della 
scadenza 
di 
ogni 
triennio. Ai 
contenuti 
ed agli 
indirizzi 
del 
piano regionale 
debbono uniformarsi 
gli 
atti 
e 
provvedimenti emanati dalle regioni (art. 55 L. 833/1978). 


I livelli 
essenziali 
di 
assistenza 
(c.d. LeA) comprendono le 
tipologie 
di 
assistenza, i 
servizi 
e 
le 
prestazioni 
relativi 
alle 
aree 
di 
offerta 
individuate 
dal 
Piano 
sanitario 
nazionale 
(33). 
Tali 
livelli 
comprendono, 
giusta 
l’art. 
1, 
comma 
6, D.L.vo n. 502/1992: 


-l'assistenza 
sanitaria 
collettiva 
in ambiente 
di 
vita 
e 
di 
lavoro. Tale 
macroarea 
interessa 
la 
prevenzione 
nei 
suoi 
molteplici 
aspetti, 
intesa 
come 
insieme 
delle misure adatte ad impedire l’insorgenza di stato morboso; 
-l'assistenza 
distrettuale. 
Tale 
macroarea 
interessa 
tutte 
le 
prestazioni 
che 
vengono erogate 
sul 
territorio al 
fine 
di 
garantire 
l’assistenza 
primaria, il 
coordinamento 
dei 
medici 
di 
medicina 
generale 
e 
dei 
pediatri 
di 
libera 
scelta 
con 


(33) La 
competenza 
alla 
determinazione 
dei 
LeA 
appartiene 
allo Stato (art. 117, comma 
2, lett. 
m, 
Cost; 
art. 
1, 
comma 
2, 
D.L.vo 
n. 
502/1992). 
Attualmente 
i 
LeA 
sono 
definiti 
con 
D.P.C.M. 
12 
gennaio 
2017. 

RASSegNA 
AVVoCATuRA 
DeLLo 
STATo -N. 3/2020 


le 
strutture 
operative 
a 
gestione 
diretta 
e 
l’erogazione 
delle 
prestazioni 
sanitarie 
a rilevanza sociale; 


-l'assistenza 
ospedaliera. 
Tale 
macroarea 
interessa 
l’attività 
di 
pronto 
soccorso 
ed i 
trattamenti 
erogati 
nel 
corso del 
ricovero ospedaliero in regime 
ordinario, 
inclusi 
i 
ricoveri 
di 
riabilitazione 
e 
di 
lungodegenza 
post-acuzie, 
il 
ricovero diurno (day hospital) e i trattamenti ospedalieri a domicilio (34). 


I soggetti 
che 
erogano le 
prestazioni 
-in base 
alla 
legislazione 
nazionale 
e 
regionale 
-sono 
le 
Aziende 
Sanitarie 
Locali-ASL 
(artt. 
14-15 
L. 
n. 
833/1978; 
artt. 3 e 
ss. D.L.vo n. 502/1992), le 
Aziende 
ospedaliere-Ao 
(art. 4 D.L.vo n. 
502/1992), Aziende 
ospedaliere 
universitarie-Aou 
(art. 39 L. n. 833/1978; 
art. 6 D.L.vo n. 502/1992), Istituti 
di 
ricovero e 
di 
cura 
a 
carattere 
scientifico-
IRCCS 
(art. 42 L. n. 833/1978 e 
art. 4 D.L.vo n. 502/1992), i 
medici 
di 
medicina 
generale 
ed i 
pediatri 
di 
libera 
scelta, i 
farmacisti, le 
Istituzioni 
sanitarie 
di carattere privato (artt. 43-44 L. n. 833/1978). 

Le 
ASL, le 
Ao, le 
Aou 
e 
gli 
IRCCS 
sono enti 
pubblici 
sottoposti 
all’indirizzo 
e al controllo delle Regioni. 


I 
medici 
di 
medicina 
generale 
ed 
i 
pediatri 
di 
libera 
scelta 
sono 
liberi 
professionisti 
convenzionati 
con 
il 
pubblico 
ed 
erogano 
prestazioni 
assistenziali. 
In 
specie 
il 
rapporto 
tra 
il 
Servizio 
sanitario 
nazionale 
ed 
i 
medici 
di 
medicina 
generale 
ed 
i 
pediatri 
di 
libera 
scelta 
è 
disciplinato 
da 
apposite 
convenzioni 
onerose 
di 
durata 
triennale 
conformi 
agli 
accordi 
collettivi 
nazionali 
stipulati 
con 
le 
organizzazioni 
sindacali 
di 
categoria 
maggiormente 
rappresentative 
in 
campo 
nazionale 
(art. 
8, 
D.L.vo 
n. 
502/1992). 
In 
tal 
modo 
l’ente 
pubblico, 
avvalendosi 
di 
liberi 
professionisti, 
garantisce 
i 
livelli 
essenziali 
di 
assistenza. 
Il 
fine 
è 
quindi 
quello 
di 
“garantire 
l'attività 
assistenziale 
per 
l'intero 
arco 
della 
giornata 
e 
per 
tutti 
i 
giorni 
della 
settimana, 
nonché 
un'offerta 
integrata 
delle 
prestazioni 
dei 
medici 
di 
medicina 
generale, 
dei 
pediatri 
di 
libera 
scelta, 
della 
guardia 
medica, 
della 
medicina 
dei 
servizi 
e 
degli 
specialisti 
ambulatoriali, 
adottando 
forme 
organizzative 
monoprofessionali, 
denominate 
aggregazioni 
funzionali 
territoriali, 
che 
condividono, 
in 
forma 
strutturata, 
obiettivi 
e 
percorsi 
assistenziali, 
strumenti 
di 
valutazione 
della 
qualità 
assistenziale, 
linee 
guida, 
audit 
e 
strumenti 
analoghi, 
nonché 
forme 
organizzative 
multiprofessionali, 
denominate 
unità 
complesse 
di 
cure 
primarie, 
che 
erogano 
prestazioni 
assistenziali 
tramite 
il 
coordinamento 
e 
l'integrazione 
dei 
professionisti 
delle 
cure 
primarie 
e 
del 
sociale 
a 
rilevanza 
sanitaria 
tenuto 
conto 
della 
peculiarità 
delle 
aree 
territoriali 
quali 
aree 
metropolitane, 
aree 
a 
popolazione 
sparsa 
e 
isole 
minori” 
(art. 
8, 
comma 
1, 
lett. 
b 
bis, 
D.L.vo 
n. 
502/1992). 
Viene 
così 
articolata 
una 
rete 
di 
medici 
e 
pediatri 
nella 
quale 
l’assistito 
può 
liberamente 
scegliere. 


Il 
modulo convenzionale 
trova 
applicazione 
anche 
in relazione 
all’assi


(34) Su tali 
aspetti: 
R. bALDuzzI, g. CARPANI, Manuale 
di 
diritto sanitario, il 
Mulino, 2013, pp. 
341-362. 

CoNTRIbuTI 
DI 
DoTTRINA 


stenza 
farmaceutica, 
che 
viene 
erogata 
per 
conto 
delle 
ASL 
dalle 
farmacie 
pubbliche 
e 
private 
convenzionate 
con 
il 
SSN 
(art. 
8, 
comma 
2, 
D.L.vo 
n. 
502/1992). 


Le 
Istituzioni 
sanitarie 
di 
carattere 
privato contribuiscono, su base 
convenzionale 
onerosa 
-come 
i 
medici 
di 
medicina 
generale 
ed 
i 
pediatri 
di 
libera 
scelta 
-ad 
assicurare 
i 
livelli 
essenziali 
e 
uniformi 
di 
assistenza. 
A 
termini 
dell’art. 8 bis, commi 
2 e 
3 , D.L.vo n. 502/1992 “I cittadini 
esercitano la libera 
scelta del 
luogo di 
cura e 
dei 
professionisti 
nell'ambito dei 
soggetti 
accreditati 
con 
cui 
siano 
stati 
definiti 
appositi 
accordi 
contrattuali. 
L'accesso 
ai 
servizi 
è 
subordinato 
all'apposita 
prescrizione, 
proposta 
o 
richiesta 
compilata 
sul 
modulario del 
Servizio sanitario nazionale. La realizzazione 
di 
strutture 
sanitarie 
e 
l'esercizio di 
attività sanitarie, l'esercizio di 
attività sanitarie 
per 
conto 
del 
Servizio 
sanitario 
nazionale 
e 
l'esercizio 
di 
attività 
sanitarie 
a 
carico 
del 
Servizio 
sanitario 
nazionale 
sono 
subordinate, 
rispettivamente, 
al 
rilascio 
delle 
autorizzazioni 
di 
cui 
all'articolo 8-ter, dell'accreditamento istituzionale 
di 
cui 
all'articolo 
8-quater, 
nonché 
alla 
stipulazione 
degli 
accordi 
contrattuali 
di 
cui 
all'articolo 
8-quinquies. 
La 
presente 
disposizione 
vale 
anche 
per 
le 
strutture 
e le attività sociosanitarie”. 

L’esercizio, ad opera 
delle 
istituzioni 
sanitarie 
di 
carattere 
privato, di 
attività 
sanitarie 
per conto del 
Servizio sanitario nazionale 
si 
ha 
in virtù del 
c.d. 
accreditamento 
istituzionale: 
dai 
connotati 
legislativi 
-è 
rilasciato 
alle 
strutture 
autorizzate 
“subordinatamente 
alla loro rispondenza ai 
requisiti 
ulteriori 
di 
qualificazione, 
alla 
loro 
funzionalità 
rispetto 
agli 
indirizzi 
di 
programmazione 
regionale 
e 
alla verifica positiva dell'attività svolta e 
dei 
risultati 
raggiunti” 
-l’atto 
di 
accreditamento 
ha 
la 
natura 
di 
provvedimento 
di 
concessione 
di 
servizio 
pubblico (35). 


Il 
contributo 
del 
privato 
nei 
servizi 
sanitari 
costituisce 
un 
esempio 
di 
sussidiarietà 
orizzontale 
ex 
art. 118, ultimo comma, Cost. 


gli 
enti 
collettivi 
erogano 
le 
prestazioni 
sanitarie 
a 
mezzo 
di 
risorse 
umane 
facenti 
parte 
delle 
professioni 
sanitarie. Le 
professioni 
sanitarie 
sono 
quelle 
che 
lo 
Stato 
italiano 
riconosce 
e 
che, 
in 
forza 
di 
un 
titolo 
abilitante, 
svolgono attività 
di 
prevenzione, diagnosi, cura 
e 
riabilitazione. Alcune 
professioni 
sanitarie 
sono 
costituite 
in 
ordini 
e 
Collegi, 
con 
sede 
in 
ciascuna 
delle 
province 
del 
territorio nazionale. Professioni 
sanitarie 
sono: 
farmacista, me


(35) 
Su 
tale 
istituto, 
F. 
SPANICCIATI, 
Pubblico 
e 
privato 
dell’accreditamento 
sanitario, 
in 
Giornale 
Dir. Amm., 2016, 5, pp. 673 e 
ss., anche 
sulle 
varie 
tesi 
sulla 
natura 
dell’accreditamento: 
concessione 
di 
servizio pubblico attributivo di 
compiti 
pubblici 
e 
di 
natura 
discrezionale 
(orientamento prevalente 
in 
giurisprudenza: 
ex 
plurimis 
Cass., 25 gennaio 2011, n. 1740; 
Cass. S.u., 8 luglio 2005, n. 14335); 
autorizzazione 
sub specie 
di 
abilitazione 
tecnica 
connotata 
da 
automatismi 
tra 
requisiti 
e 
rilascio, atteso 
che 
si 
consente 
una 
attività 
sulla 
base 
di 
un accertamento tecnico; 
provvedimento di 
natura 
mista 
con 
elementi 
della 
concessione 
di 
servizio pubblico e 
dell'abilitazione 
tecnica 
idoneativa 
(Cons. Stato, 22 
gennaio 2016, n. 207). 

RASSegNA 
AVVoCATuRA 
DeLLo 
STATo -N. 3/2020 


dico chirurgo, odontoiatra, veterinario, psicologo. Vi 
sono anche 
professioni 
sanitarie 
infermieristiche 
e 
ostetrici, nonché 
infermiere 
pediatrico; 
a 
queste 
si 
aggiungono le 
professioni 
sanitarie 
riabilitative, nonché 
professioni 
tecnico-
sanitarie 
(di 
area 
tecnico-diagnostica 
e 
tecnico-assistenziale). 
Sicché, 
per 
esercenti 
le 
professioni 
sanitarie 
si 
intendono quei 
professionisti 
che, in virtù di 
un rapporto diretto con il paziente, svolgono prestazioni sanitarie. 


c) utenti 
del 
servizio. gli 
utenti 
del 
servizio sono tutti, cittadini 
e 
non, e 
vantano 
un 
diritto 
soggettivo 
alla 
erogazione 
delle 
prestazioni. 
Il 
servizio 
è 
gratuito. 
In 
dati 
casi 
può 
essere 
chiesto 
il 
pagamento 
di 
un 
contributo 
(c.d. 
ticket). 
L’erogazione 
delle 
prestazioni 
sanitarie 
ad 
opera 
di 
strutture 
sanitarie, 
pubbliche 
o 
private, 
trova 
fonte 
in 
un 
negozio 
giuridico 
intercorrente 
tra 
l’ente 
ed il paziente. 


Si 
parla 
in giurisprudenza 
del 
c.d. contratto atipico di 
spedalità 
e/o contratto 
di 
assistenza 
sanitaria 
che 
si 
perfeziona 
“per 
facta concludentia” 
con 
l’accettazione 
del 
paziente 
presso il 
nosocomio e 
ha 
un oggetto molto ampio, 
non limitato all’erogazione 
delle 
cure 
sanitarie, ma 
esteso anche 
“ad obblighi 
di protezione e accessori” 
(36). 


Corollario di 
ciò è 
che 
alle 
eventuali 
anomalie 
in sede 
di 
esecuzione 
si 
applica 
la 
disciplina 
sulla 
responsabilità 
contrattuale. ossia 
(richiamando gli 
aspetti 
più 
significativi): 
prescrizione 
decennale 
ex 
art. 
2946 
c.c.; 
presunzione 
di inadempimento e di colpa 
ex 
art. 1218 c.c. 

Per i 
principi 
generali, venendo in rilievo la 
tutela 
di 
un interesse 
essenziale 
della 
persona, vi 
è 
-in favore 
del 
paziente 
danneggiato -il 
concorso del-
l’azione aquiliana 
ex 
art. 2043 c.c. 


Vi 
è 
concorso di 
responsabilità 
contrattuale 
ed extracontrattuale 
quando 
-in 
relazione 
al 
medesimo 
fatto 
-coesistono 
le 
fattispecie 
dell’inadempimento 
e 
dell’illecito 
civile. 
una 
condotta 
di 
inadempimento 
contrattuale 
può 
dar 
luogo ad una 
responsabilità 
extracontrattuale 
quando consista 
in un fatto che 
pregiudichi 
contemporaneamente 
diritti 
derivanti 
dal 
contratto 
e 
diritti 
che, 
indipendentemente 
dall’esistenza 
di 
un rapporto contrattuale, trovino il 
loro 


(36) Cass. S.u., 11 gennaio 2008, n. 577, la 
quale 
precisa 
che 
“Questa Corte 
ha costantemente 
inquadrato la responsabilità della struttura sanitaria nella responsabilità contrattuale, sul 
rilievo che 
l'accettazione 
del 
paziente 
in ospedale, ai 
fini 
del 
ricovero o di 
una visita ambulatoriale, comporta la 
conclusione 
di 
un contratto (Cass. n. 1698 del 
2006; Cass. n. 9085 del 
2006; Cass. 28 maggio 2004, n. 
10297; 
Cass. 11 marzo 2002, n. 3492; Cass. 14 luglio 2003, n. 11001; 
Cass. 21 luglio 2003, n. 11316)”; 
precisa 
altresì 
“Così 
ricondotta la responsabilità della struttura ad un autonomo contratto (di 
ospedalità), 
la sua responsabilità per 
inadempimento si 
muove 
sulle 
linee 
tracciate 
dall'art. 1218 c.c., e, per 
quanto concerne 
le 
obbligazioni 
mediche 
che 
essa svolge 
per 
il 
tramite 
dei 
medici 
propri 
ausiliari, l'individuazione 
del 
fondamento 
di 
responsabilità 
dell'ente 
nell'inadempimento 
di 
obblighi 
propri 
della 
struttura consente 
quindi 
di 
abbandonare 
il 
richiamo, alquanto artificioso, alla disciplina del 
contratto 
d'opera 
professionale 
e 
di 
fondare 
semmai 
la 
responsabilità 
dell'ente 
per 
fatto 
del 
dipendente 
sulla 
base 
dell'art. 1228 c.c.”. 

CoNTRIbuTI 
DI 
DoTTRINA 


fondamento 
nel 
principio 
del 
neminem 
laedere 
(37). 
Ciò 
accade 
nel 
caso 
di 
lesione 
di 
diritti 
assoluti 
e 
primari 
erga omnes, quali 
il 
diritto alla 
vita, alla 
integrità 
ed 
incolumità 
personale, 
alla 
proprietà, 
all’onore. 
Il 
medesimo 
fatto 
lede 
al 
contempo sia 
diritti 
che 
hanno fonte 
in un preesistente 
vinculum 
iuris, 
sia 
diritti 
indipendenti 
da 
esso; 
vi 
sono 
cioè 
due 
distinti 
diritti 
in 
capo 
allo 
stesso soggetto. 


Il 
paziente 
danneggiato, 
oltrecché 
nei 
confronti 
della 
struttura 
sanitaria 
(a 
titolo contrattuale 
e 
extracontrattuale), ha 
azione 
altresì 
nei 
confronti 
del-
l’equipe 
medica 
esecutrice 
della 
prestazione 
sanitaria 
dannosa. Il 
concorso di 
azioni 
è 
operativo anche 
in relazione 
alla 
tutela 
risarcitoria 
nei 
confronti 
del-
l’equipe 
medica; 
difatti 
accanto 
alla 
(sicura) 
azione 
aquiliana 
per 
l’inosservanza 
del 
principio 
del 
naeminem 
laedere, 
il 
quadro 
giurisprudenziale 
si 
è 
assestato 
nel 
senso 
che 
il 
rapporto 
tra 
medico 
e 
paziente 
nella 
struttura 
sanitaria 
determina 
un “contatto sociale” 
idoneo a 
determinare 
l’applicazione 
degli 
effetti 
della 
responsabilità 
contrattuale, 
ancorché 
difetti 
una 
specifica 
fonte 
contrattuale 
(rapporti 
contrattuali 
di 
fatto) 
(38). 
La 
responsabilità 
da 
contatto 
sociale 
è 
un’ipotesi 
di 
responsabilità 
da 
inadempimento 
dell’obbligazione 
che 
nasce 
dal 
“contatto sociale” 
tra 
due 
soggetti 
che 
non hanno posto in essere 
alcuna 
relazione contrattuale (39). 


Va 
tenuto presente 
che 
nel 
giudizio -instaurato dal 
danneggiato -avente 
ad oggetto l’azione 
risarcitoria 
nei 
confronti 
dell’esercente 
la 
professione 
sanitaria 
nell’ambito 
di 
strutture 
private, 
“Se 
la 
prestazione 
implica 
la 
soluzione 
di 
problemi 
tecnici 
di 
speciale 
difficoltà, 
il 
prestatore 
d'opera 
non 
risponde 
dei danni, se non in caso di dolo o di colpa grave” 
(art. 2236 c.c.). 


Invece 
nel 
giudizio 
-instaurato 
dal 
danneggiato 
-avente 
ad 
oggetto 
l’azione 
risarcitoria 
nei 
confronti 
dell’esercente 
la 
professione 
sanitaria 
nel-
l’ambito 
di 
strutture 
pubbliche 
è 
sempre 
richiesta 
la 
colpa 
grave 
(art. 
23 
D.P.R. 
10 gennaio 1957, n. 3). 

In 
ossequio 
al 
principio 
di 
cui 
all’art. 
1294 
c.c. 
-ed 
altresì 
all’art. 
28 
della 
Costituzione 
ove 
venga 
in 
rilievo 
una 
struttura 
sanitaria 
pubblica 
-vi 
è 
responsabilità 
solidale 
passiva 
della 
struttura 
sanitaria 
e 
dei 
componenti 
della 
equipe 
medica per il risarcimento del danno al paziente. 


Va 
evidenziato che 
con L. 8 marzo 2017 n. 24 è 
stata 
dettata 
una 
nuova 
disciplina 
sulla 
responsabilità 
collegata 
all’erogazione 
delle 
prestazioni 
sanitarie. 
Tra 
l’altro, 
il 
comma 
3 
dell'art. 
7 
della 
legge 
citata 
regolamenta 
la 
re


(37) Sul 
concorso dei 
due 
tipi 
di 
responsabilità, ex 
plurimis: 
C.M. bIANCA, Diritto Civile, vol. V, 
II ed., giuffrè, 2012, p. 563. 
(38) Cass. S.u., n. 577/2008, cit., per la 
quale 
“anche 
l'obbligazione 
del 
medico dipendente 
dalla 
struttura sanitaria nei 
confronti 
del 
paziente, ancorché 
non fondata sul 
contratto, ma sul 
"contatto sociale", 
ha 
natura 
contrattuale 
(Cass. 
22 
dicembre 
1999, 
n. 
589; 
Cass. 
29 
settembre 
2004, 
n. 
19564; 
Cass. 21 giugno 2004, n. 11488; Cass. n. 9085 del 2006)”. 
(39) 
C.M. bIANCA, Istituzioni di diritto privato, giuffré editore, 2016, p. 550. 

RASSegNA 
AVVoCATuRA 
DeLLo 
STATo -N. 3/2020 


sponsabilità 
dell'esercente 
la 
professione 
sanitaria 
e 
dispone: 
“L'esercente 
la 
professione 
sanitaria […] 
risponde 
del 
proprio operato ai 
sensi 
dell'articolo 
2043 
del 
codice 
civile, 
salvo 
che 
abbia 
agito 
nell'adempimento 
di 
obbligazione 
contrattuale 
assunta con il 
paziente. Il 
giudice, nella determinazione 
del 
risarcimento 
del 
danno, 
tiene 
conto 
della 
condotta 
dell'esercente 
la 
professione 
sanitaria 
ai 
sensi 
dell'articolo 
5 
della 
presente 
legge 
e 
dell'articolo 
590-sexies 
del 
codice 
penale, introdotto dall'articolo 6 della presente 
legge”. Tale 
precetto 
è 
innovativo rispetto allo stato dell'arte 
in materia 
alla 
data 
di 
entrata 
in 
vigore 
della 
legge. Difatti 
viene 
meno -in questa 
evenienza 
con riguardo alla 
responsabilità 
dell'esercente 
la 
professione 
sanitaria 
-la 
teorica 
del 
“contatto 
sociale” 
e 
sussiste, 
in 
linea 
di 
principio, 
solo 
la 
responsabilità 
aquiliana. 
Il 
precetto 
de 
quo 
è 
espressione 
della 
volontà 
di 
indirizzare 
-attraverso il 
regime 
di 
maggior 
favore 
dell’art. 
1218 
c.c. 
-le 
pretese 
del 
danneggiato 
verso 
la 
struttura 
sanitaria 
(responsabile 
a 
titolo 
contrattuale 
e/o 
aquiliano), 
che 
è 
meglio 
in 
grado di 
scongiurare, attraverso una 
efficiente 
organizzazione, gli 
eventi 
avversi. 
Nella 
determinazione 
del 
danno 
risarcibile 
si 
tiene 
conto 
della 
entità 
della 
inosservanza 
delle 
leges 
artis 
in materia. Tanto allo scopo di 
attenuare 
la 
responsabilità 
dell’esercente 
le 
professioni 
sanitarie 
rispetto alla 
situazione 
preesistente 
alla 
sua 
entrata 
in vigore. La 
legge 
tenta 
di 
risolvere 
le 
aporie 
sul 
contenzioso sanitario. Negli 
ultimi 
anni 
si 
è 
registrato un considerevole 
incremento 
del 
contenzioso in ambito sanitario. Ciò ha 
comportato un crescente 
ricorso 
alla 
c.d. 
medicina 
difensiva, 
ovvero 
alla 
prescrizione, 
da 
parte 
dei 
medici, di 
molteplici 
prestazioni 
diagnostiche 
e 
terapeutiche, spesso non necessarie 
per non dire 
potenzialmente 
pericolose 
per la 
salute. Si 
assiste 
addirittura 
al 
rifiuto, sempre 
da 
parte 
dei 
medici, ad effettuare 
interventi 
sanitari, 
ritenuti 
ad alto rischio, con conseguente 
venire 
meno di 
quel 
rapporto di 
fiducia 
che deve intercorrere tra il medico e il proprio paziente (40). 


5. Tipologia di servizi pubblici non economici. 
(segue) 
Servizi scolastici. 
Altro settore 
rilevante 
è 
quello dei 
servizi 
scolastici. Le 
coordinate 
sono 
fissate 
negli 
articoli 
33 e 
34 della 
Costituzione. L’art. 33 dispone: 
“L'arte 
e 
la 
scienza 
sono 
libere 
e 
libero 
ne 
è 
l'insegnamento. 
La 
Repubblica 
detta 
le 
norme 
generali 
sull'istruzione 
ed istituisce 
scuole 
statali 
per 
tutti 
gli 
ordini 
e 
gradi. 
enti 
e 
privati 
hanno 
il 
diritto 
di 
istituire 
scuole 
ed 
istituti 
di 
educazione, 
senza 
oneri 
per 
lo Stato. La legge, nel 
fissare 
i 
diritti 
e 
gli 
obblighi 
delle 
scuole 
non 
statali 
che 
chiedono la parità, deve 
assicurare 
ad esse 
piena libertà e 
ai 
loro 
alunni 
un trattamento scolastico equipollente 
a quello degli 
alunni 
di 
scuole 


(40) 
Su 
tali 
aspetti: 
M. 
geRARDo, 
Responsabilità 
degli 
enti 
e 
degli 
esercenti 
le 
professioni 
per 
l’erogazione 
delle 
prestazioni 
sanitarie 
alla luce 
della legge 
8 marzo 2017 n. 24 (c.d. “Legge 
Gelli”), 
in Rass. Avv. Stato, 2017, 3, pp. 157-177. 

CoNTRIbuTI 
DI 
DoTTRINA 


statali. È 
prescritto un esame 
di 
Stato per 
l'ammissione 
ai 
vari 
ordini 
e 
gradi 
di 
scuole 
o per 
la conclusione 
di 
essi 
e 
per 
l'abilitazione 
all'esercizio professionale. 
Le 
istituzioni 
di 
alta 
cultura, 
università 
ed 
accademie, 
hanno 
il 
diritto 
di 
darsi 
ordinamenti 
autonomi 
nei 
limiti 
stabiliti 
dalle 
leggi 
dello 
Stato”. 
L’art. 
34 recita: 
“La scuola è 
aperta a tutti. L'istruzione 
inferiore, impartita per 
almeno 
otto 
anni, 
è 
obbligatoria 
e 
gratuita. 
I 
capaci 
e 
meritevoli, 
anche 
se 
privi 
di 
mezzi, hanno diritto di 
raggiungere 
i 
gradi 
più alti 
degli 
studi. La Repubblica 
rende 
effettivo questo diritto con borse 
di 
studio, assegni 
alle 
famiglie 
ed altre provvidenze, che devono essere attribuite per concorso”. 


gli 
artt. 33 e 
34 Cost. ostano all’instaurazione 
di 
un monopolio pubblico 
ex 
art. 43 Cost. per i servizi di istruzione (41). 


Spetta, in via 
esclusiva, alla 
legge 
dello Stato fissare 
le 
“norme 
generali 
sull'istruzione” 
(art. 117, comma 
2, lett. n). È 
materia, invece, di 
legislazione 
concorrente 
l’“istruzione, 
salva 
l'autonomia 
delle 
istituzioni 
scolastiche 
e 
con 
esclusione 
della 
istruzione 
e 
della 
formazione 
professionale” 
(art. 
117, 
comma 
3, Cost.) (42). 

a) La 
disciplina 
della 
materia 
si 
rinviene, fondamentalmente, nel 
D.L.vo 
16 aprile 
1994, n. 297, recante 
il 
Testo unico delle 
disposizioni 
legislative 
vigenti 
in materia 
di 
istruzione, relative 
alle 
scuole 
di 
ogni 
ordine 
e 
grado, nel 
D.L.vo 
19 
febbraio 
2004, 
n. 
59 
recante 
norme 
generali 
relative 
alla 
scuola 
del-
l'infanzia 
e 
al 
primo ciclo dell'istruzione, nel 
D.L.vo 17 ottobre 
2005, n. 226 
recante 
Norme 
generali 
e 
livelli 
essenziali 
delle 
prestazioni 
relativi 
al 
secondo 
ciclo del 
sistema 
educativo di 
istruzione 
e 
formazione 
e 
nella 
L. 30 Dicembre 
2010, n. 240, recante 
Norme 
in materia 
di 
organizzazione 
delle 
università, di 
personale accademico e reclutamento. 
b) ordinamento settoriale. L’ente 
pubblico attributario, in via 
principale, 
della 
cura 
del 
servizio 
è 
lo 
Stato, 
tramite 
le 
articolazioni 
del 
Ministero 
del-
l'Istruzione 
ed 
il 
Ministero 
dell’università 
e 
della 
Ricerca. 
Lo 
Stato, 
tra 
l’altro, 
è 
competente 
alla 
istituzione 
delle 
scuole 
statali 
materne, elementari 
e 
degli 
istituti di istruzione secondaria e artistica (artt. 53-63, D.L.vo n. 297/1994). 
Funzioni 
amministrative 
spettano anche 
alle 
Regioni 
(quale 
l’assistenza 
scolastica: 
art. 76, D.L.vo n. 297/1994), alle 
Province 
(quale 
la 
materia 
dell’ 
edilizia 
scolastica 
con riguardo alla 
istruzione 
secondaria 
superiore 
e 
alla 
formazione 
professionale: 
art. 
85, 
D.L.vo 
n. 
297/1994) 
ed 
i 
Comuni 
(quale 
la 
materia 
dell’edilizia 
scolastica 
con riguardo alla 
istruzione 
materna, elementare 
e media: art. 85, D.L.vo n. 297/1994). 


In ossequio al 
principio di 
sussidiarietà 
orizzontale 
le 
scuole 
possono essere 
private o pubbliche. 


(41) e. CASeTTA, Manuale di diritto amministrativo, cit., p. 644. 
(42) Sul 
quadro delle 
competenze: 
g. guzzeTTA, F.S. MARINI, D. MoRANA 
(a 
cura 
di), Le 
materie 
di competenza regionale. Commentario, cit., pp. 254-286. 

RASSegNA 
AVVoCATuRA 
DeLLo 
STATo -N. 3/2020 


L’articolazione della scuola pubblica ed è la seguente: 


-Scuola 
dell'infanzia. 
Questa, 
non 
obbligatoria 
e 
di 
durata 
triennale, 
concorre 
all'educazione 
e 
allo 
sviluppo 
affettivo, 
psicomotorio, 
cognitivo, 
morale, 
religioso 
e 
sociale 
delle 
bambine 
e 
dei 
bambini 
promuovendone 
le 
potenzialità 
di 
relazione, 
autonomia, 
creatività, 
apprendimento, 
e 
ad 
assicurare 
un'effettiva 
eguaglianza 
delle 
opportunità 
educative; 
nel 
rispetto della 
primaria 
responsabilità 
educativa 
dei 
genitori, 
contribuisce 
alla 
formazione 
integrale 
delle 
bambine 
e 
dei 
bambini, 
anche 
promuovendo 
il 
plurilinguismo 
attraverso 
l'acquisizione 
dei 
primi 
elementi 
della 
lingua 
inglese, e, nella 
sua 
autonomia 
e 
unitarietà 
didattica 
e 
pedagogica, realizza 
il 
profilo educativo e 
la 
continuità 
educativa 
con 
il 
complesso 
dei 
servizi 
all'infanzia 
e 
con 
la 
scuola 
primaria 
(art. 
1 D.L.vo n. 59/2004); 


-Primo 
ciclo 
di 
istruzione 
(art. 
4 
D.L.vo 
n. 
59/2004). 
Il 
primo 
ciclo 
d'istruzione 
è 
costituito 
dalla 
scuola 
primaria 
e 
dalla 
scuola 
secondaria 
di 
primo 
grado, ciascuna 
caratterizzata 
dalla 
sua 
specificità. esso ha 
la 
durata 
di 
otto 
anni 
e 
costituisce 
il 
primo 
segmento 
in 
cui 
si 
realizza 
il 
diritto-dovere 
all'istruzione 
e formazione. 


La 
scuola 
primaria, della 
durata 
di 
cinque 
anni, è 
articolata 
in un primo 
anno, 
raccordato 
con 
la 
scuola 
dell'infanzia 
e 
teso 
al 
raggiungimento 
delle 
strumentalità 
di 
base, e 
in due 
periodi 
didattici 
biennali. essa 
promuove, nel 
rispetto delle 
diversità 
individuali, lo sviluppo della 
personalità, ed ha 
il 
fine 
di 
far acquisire 
e 
sviluppare 
le 
conoscenze 
e 
le 
abilità 
di 
base, ivi 
comprese 
quelle 
relative 
all'alfabetizzazione 
informatica, 
fino 
alle 
prime 
sistemazioni 
logico-critiche, di 
fare 
apprendere 
i 
mezzi 
espressivi, la 
lingua 
italiana 
e 
l'alfabetizzazione 
nella 
lingua 
inglese, di 
porre 
le 
basi 
per l'utilizzazione 
di 
metodologie 
scientifiche 
nello 
studio 
del 
mondo 
naturale, 
dei 
suoi 
fenomeni 
e 
delle 
sue 
leggi, di 
valorizzare 
le 
capacità 
relazionali 
e 
di 
orientamento nello 
spazio 
e 
nel 
tempo, 
di 
educare 
ai 
principi 
fondamentali 
della 
convivenza 
civile 
(art. 5 D.L.vo n. 59/2004). 


La 
scuola 
secondaria 
di 
primo grado, della 
durata 
di 
tre 
anni, si 
articola 
in un periodo didattico biennale 
e 
in un terzo anno, che 
completa 
prioritariamente 
il 
percorso disciplinare 
ed assicura 
l'orientamento ed il 
raccordo con il 
secondo 
ciclo. 
essa, 
attraverso 
le 
discipline 
di 
studio, 
è 
finalizzata 
alla 
crescita 
delle 
capacità 
autonome 
di 
studio e 
al 
rafforzamento delle 
attitudini 
all'interazione 
sociale; 
organizza 
ed 
accresce, 
anche 
attraverso 
l'alfabetizzazione 
e 
l'approfondimento 
nelle 
tecnologie 
informatiche, 
le 
conoscenze 
e 
le 
abilità, 
anche 
in 
relazione 
alla 
tradizione 
culturale 
e 
alla 
evoluzione 
sociale, 
culturale 
e 
scientifica 
della 
realtà 
contemporanea; 
è 
caratterizzata 
dalla 
diversificazione 
didattica 
e 
metodologica 
in 
relazione 
allo 
sviluppo 
della 
personalità 
dell'allievo; 
cura 
la 
dimensione 
sistematica 
delle 
discipline; 
sviluppa 
progressivamente 
le 
competenze 
e 
le 
capacità 
di 
scelta 
corrispondenti 
alle 
attitudini 
e 
vocazioni 
degli 
allievi; 
fornisce 
strumenti 
adeguati 
alla 
prosecuzione 
delle 
attività 
di 



CoNTRIbuTI 
DI 
DoTTRINA 


istruzione 
e 
di 
formazione; 
introduce 
lo 
studio 
di 
una 
seconda 
lingua 
del-
l'unione 
europea; 
aiuta 
ad 
orientarsi 
per 
la 
successiva 
scelta 
di 
istruzione 
e 
formazione (art. 9 D.L.vo n. 59/2004). 


Il 
passaggio dalla 
scuola 
primaria 
alla 
scuola 
secondaria 
di 
primo grado 
avviene 
a 
seguito di 
valutazione 
positiva 
al 
termine 
del 
secondo periodo didattico 
biennale. 


Il 
primo 
ciclo 
di 
istruzione 
ha 
configurazione 
autonoma 
rispetto 
al 
secondo 
ciclo di istruzione e si conclude con l'esame di Stato. 


Le 
scuole 
statali 
appartenenti 
al 
primo ciclo possono essere 
aggregate 
tra 
loro 
in 
istituti 
comprensivi 
anche 
comprendenti 
le 
scuole 
dell'infanzia 
esistenti 
sullo stesso territorio. 


-Secondo ciclo del 
sistema 
educativo di 
istruzione 
e 
formazione 
(art. 1, 
D.L.vo 
n. 
226/2005). 
Il 
secondo 
ciclo 
del 
sistema 
educativo 
di 
istruzione 
e 
formazione 
è 
costituito dal 
sistema 
dell'istruzione 
secondaria 
superiore 
e 
dal 
sistema 
dell'istruzione 
e 
formazione 
professionale. 
Con 
esso 
si 
persegue 
la 
formazione 
intellettuale, 
spirituale 
e 
morale, 
anche 
ispirata 
ai 
princìpi 
della 
Costituzione, lo sviluppo della 
coscienza 
storica 
e 
di 
appartenenza 
alla 
comunità 
locale, alla collettività nazionale ed alla civiltà europea. 
Tutte 
le 
istituzioni 
del 
sistema 
educativo di 
istruzione 
e 
formazione 
sono 
dotate di autonomia didattica, organizzativa, e di ricerca e sviluppo. 


Al 
secondo ciclo del 
sistema 
educativo di 
istruzione 
e 
formazione 
si 
accede 
a 
seguito 
del 
superamento 
dell'esame 
di 
Stato 
conclusivo 
del 
primo 
ciclo 
di istruzione. 


I percorsi 
liceali 
e 
i 
percorsi 
di 
istruzione 
e 
formazione 
professionale 
nei 
quali 
si 
realizza 
il 
diritto-dovere 
all'istruzione 
e 
formazione 
sono 
di 
pari 
dignità 
e 
si 
propongono il 
fine 
comune 
di 
promuovere 
l'educazione 
alla 
convivenza 
civile, la 
crescita 
educativa, culturale 
e 
professionale 
dei 
giovani 
attraverso il 
sapere, il 
saper essere, il 
saper fare 
e 
l'agire, e 
la 
riflessione 
critica 
su di 
essi, 
nonché 
di 
incrementare 
l'autonoma 
capacità 
di 
giudizio e 
l'esercizio della 
responsabilità 
personale 
e 
sociale 
curando 
anche 
l'acquisizione 
delle 
competenze 
e 
l'ampliamento 
delle 
conoscenze, 
delle 
abilità, 
delle 
capacità 
e 
delle 
attitudini 
relative 
all'uso delle 
nuove 
tecnologie 
e 
la 
padronanza 
di 
una 
lingua 
europea, 
oltre 
all'italiano e 
all'inglese. essi 
assicurano gli 
strumenti 
indispensabili 
per 
l'apprendimento lungo tutto l'arco della vita. 

Tutti 
i 
titoli 
e 
le 
qualifiche 
a 
carattere 
professionalizzante 
sono di 
competenza 
delle 
regioni 
e 
province 
autonome 
e 
vengono 
rilasciati 
esclusivamente 
dalle 
istituzioni 
scolastiche 
e 
formative 
del 
sistema 
d'istruzione 
e 
formazione 
professionale. essi 
hanno valore 
nazionale 
in quanto corrispondenti 
ai 
livelli 
essenziali. 


Il 
sistema 
dei 
licei 
comprende 
i 
licei 
artistico, classico, linguistico, musicale 
e 
coreutico, 
scientifico 
e 
delle 
scienze 
umane 
(art. 
3, 
D.P.R. 
15 
marzo 
2010, n. 89). 



RASSegNA 
AVVoCATuRA 
DeLLo 
STATo -N. 3/2020 


I 
percorsi 
dei 
licei 
si 
concludono 
con 
un 
esame 
di 
Stato, 
secondo 
le 
vigenti 
disposizioni 
sugli 
esami 
conclusivi 
dell'istruzione 
secondaria 
superiore. 
Al 
superamento 
dell'esame 
di 
Stato 
conclusivo 
dei 
percorsi 
liceali 
è 
rilasciato 
il 
titolo 
di 
diploma 
liceale, 
indicante 
la 
tipologia 
di 
liceo 
e 
l'eventuale 
indirizzo, 
opzione 


o 
sezione 
seguita 
dallo 
studente. 
Il 
diploma 
consente 
l'accesso 
all'università 
ed 
agli 
istituti 
di 
alta 
formazione 
artistica, 
musicale 
e 
coreutica, 
agli 
istituti 
tecnici 
superiori 
e 
ai 
percorsi 
di 
istruzione 
e 
formazione 
tecnica 
superiore. 
Il 
diploma 
è 
integrato 
dalla 
certificazione 
delle 
competenze 
acquisite 
dallo 
studente 
al 
termine 
del 
percorso 
liceale 
(art. 
11, 
D.P.R. 
15 
marzo 
2010, 
n. 
89). 
L’articolazione 
del 
tipo di 
scuola 
e 
correlativi 
caratteri 
con riguardo alla 
scuola 
pubblica 
valgono anche 
con riguardo alla 
scuola 
privata, rectius: 
alla 
scuola non statale. 


A 
termini 
dell’art.1 bis 
D.L. 5 dicembre 
2005, n. 250, conv. L. 3 febbraio 
2006, n. 27, le 
scuole 
non statali 
di 
cui 
alla 
parte 
II, titolo VIII, capi 
I, II e 
III, 
del 
testo 
unico 
di 
cui 
al 
decreto 
legislativo 
16 
aprile 
1994, 
n. 
297 
-ossia: 
Scuola 
dell'infanzia, 
Primo 
ciclo 
di 
istruzione 
e 
Secondo 
ciclo 
del 
sistema 
educativo 
di 
istruzione 
e 
formazione 
-sono 
ricondotte 
alle 
due 
tipologie 
di 
scuole 
paritarie 
riconosciute 
ai 
sensi 
della 
legge 
10 
marzo 
2000, 
n. 
62, 
e 
di 
scuole 
non paritarie. 


La 
parità 
è 
riconosciuta 
con provvedimento adottato dal 
dirigente 
preposto 
all'ufficio 
scolastico 
regionale 
competente 
per 
territorio, 
previo 
accertamento 
della 
sussistenza 
dei 
requisiti 
di 
cui 
all'articolo 1 della 
citata 
legge 
n. 
62 del 
2000. Il 
riconoscimento ha 
effetto dall'inizio dell'anno scolastico successivo 
a quello in cui è stata presentata la relativa domanda. 

Sono scuole 
non paritarie 
quelle 
che 
svolgono un'attività 
organizzata 
di 
insegnamento 
e 
che 
presentano 
le 
seguenti 
condizioni 
di 
funzionamento: 
a) 
un progetto educativo e 
relativa 
offerta 
formativa, conformi 
ai 
princìpi 
della 
Costituzione 
e 
all'ordinamento 
scolastico 
italiano, 
finalizzati 
agli 
obiettivi 
generali 
e 
specifici 
di 
apprendimento correlati 
al 
conseguimento di 
titoli 
di 
studio; 
b) 
la 
disponibilità 
di 
locali, 
arredi 
e 
attrezzature 
conformi 
alle 
norme 
vigenti 
in 
materia 
di 
igiene 
e 
sicurezza 
dei 
locali 
scolastici, 
e 
adeguati 
alla 
funzione, 
in relazione 
al 
numero degli 
studenti; 
c) l'impiego di 
personale 
docente 
e 
di 
un coordinatore 
delle 
attività 
educative 
e 
didattiche 
forniti 
di 
titoli 
professionali 
coerenti 
con 
gli 
insegnamenti 
impartiti 
e 
con 
l'offerta 
formativa 
della 
scuola, 
nonché 
di 
idoneo 
personale 
tecnico 
e 
amministrativo; 
d) 
alunni 
frequentanti, 
in età 
non inferiore 
a 
quella 
prevista 
dai 
vigenti 
ordinamenti 
scolastici, 
in relazione 
al 
titolo di 
studio da 
conseguire, per gli 
alunni 
delle 
scuole 
statali o paritarie. 


Le 
scuole 
non paritarie 
che 
presentino sopraevidenziate 
condizioni 
sono 
incluse 
in un apposito elenco affisso all'albo dell'ufficio scolastico regionale. 
Lo 
stesso 
ufficio 
vigila 
sulla 
sussistenza 
e 
sulla 
permanenza 
delle 
predette 
condizioni, 
il 
cui 
venir 
meno 
comporta 
la 
cancellazione 
dall'elenco. 
Le 
scuole 
non 



CoNTRIbuTI 
DI 
DoTTRINA 


paritarie 
non possono rilasciare 
titoli 
di 
studio aventi 
valore 
legale, né 
intermedi, 
né 
finali. 
esse 
non 
possono 
assumere 
denominazioni 
identiche 
o 
comunque 
corrispondenti 
a 
quelle 
previste 
dall'ordinamento 
vigente 
per 
le 
istituzioni 
scolastiche 
statali 
o paritarie 
e 
devono indicare 
nella 
propria 
denominazione 
la condizione di scuola non paritaria. 

Le 
scuole 
erogano le 
prestazioni 
scolastiche 
a 
mezzo del 
personale 
docente, 
direttivo ed ispettivo. Ancillare 
all’erogazione 
delle 
prestazioni 
scolastiche 
è personale amministrativo, tecnico e ausiliario. 


L’istruzione 
superiore 
è 
erogata 
dall’università, 
statali 
e 
non 
statali. 
A 
termini dell’art. 1 L. n. 240/2010: 


-le 
università 
sono sede 
primaria 
di 
libera 
ricerca 
e 
di 
libera 
formazione 
nell'ambito dei 
rispettivi 
ordinamenti 
e 
sono luogo di 
apprendimento ed elaborazione 
critica 
delle 
conoscenze; 
operano, combinando in modo organico 
ricerca 
e 
didattica, 
per 
il 
progresso 
culturale, 
civile 
ed 
economico 
della 
Repubblica; 
-ciascuna 
università 
opera 
ispirandosi 
a 
principi 
di 
autonomia 
e 
di 
responsabilità; 


-il 
Ministero 
competente, 
nel 
rispetto 
delle 
competenze 
delle 
regioni, 
provvede 
a 
valorizzare 
il 
merito, 
a 
rimuovere 
gli 
ostacoli 
all'istruzione 
universitaria 
e 
a 
garantire 
l'effettiva 
realizzazione 
del 
diritto 
allo 
studio. 
A 
tal 
fine, 
pone 
in essere 
specifici 
interventi 
per gli 
studenti 
capaci 
e 
meritevoli, anche 
se 
privi 
di 
mezzi, che 
intendano iscriversi 
al 
sistema 
universitario della 
Repubblica 
per portare a termine il loro percorso formativo; 


-il 
Ministero 
competente, 
nel 
rispetto 
della 
libertà 
di 
insegnamento 
e 
del-
l'autonomia 
delle 
università, 
indica 
obiettivi 
e 
indirizzi 
strategici 
per 
il 
sistema 
e 
le 
sue 
componenti 
e, 
tramite 
l'Agenzia 
nazionale 
di 
valutazione 
del 
sistema 
universitario 
e 
della 
ricerca 
(ANVuR) 
per 
quanto 
di 
sua 
competenza, 
ne 
verifica 
e 
valuta 
i 
risultati 
secondo 
criteri 
di 
qualità, 
trasparenza 
e 
promozione 
del 
merito, 
anche 
sulla 
base 
delle 
migliori 
esperienze 
diffuse 
a 
livello 
internazionale, 
garantendo 
una 
distribuzione 
delle 
risorse 
pubbliche 
coerente 
con 
gli 
obiettivi, 
gli 
indirizzi 
e 
le 
attività 
svolte 
da 
ciascun 
ateneo, 
nel 
rispetto 
del 
principio 
della 
coesione 
nazionale, 
nonché 
con 
la 
valutazione 
dei 
risultati 
conseguiti. 


-la 
distribuzione 
delle 
risorse 
pubbliche 
deve 
essere 
garantita 
in maniera 
coerente 
con gli 
obiettivi 
e 
gli 
indirizzi 
strategici 
per il 
sistema 
e 
le 
sue 
componenti. 
gli 
organi 
delle 
università 
statali 
sono: 
1) rettore; 
2) senato accademico; 


3) consiglio di 
amministrazione; 
4) collegio dei 
revisori 
dei 
conti; 
5) nucleo 
di 
valutazione; 
6) direttore 
generale 
(art. 2, comma 
1, L. n. 240/2010). Le 
articolazioni 
interne 
dei 
detti 
enti 
sono: 
i 
dipartimenti 
e 
le 
strutture 
di 
raccordo 
tra i dipartimenti (art. 2, comma 2, L. n. 240/2010). 
Le 
prestazioni 
di 
docenza 
sono erogate 
dai 
professori 
e 
dai 
ricercatori 
di 
ruolo (art. 6 L. n. 240/2010). 



RASSegNA 
AVVoCATuRA 
DeLLo 
STATo -N. 3/2020 


c) utenti 
del 
servizio. gli 
utenti 
del 
servizio sono tutti 
coloro, cittadini 
e 
non, che 
ne 
fanno richiesta. essi 
vantano un diritto soggettivo alla 
erogazione 
delle 
prestazioni, sussistenti 
i 
requisiti 
di 
legge 
(questi 
ultimi 
sono oggetto di 
mero 
acclaramento); 
ad 
esempio 
per 
iscriversi 
all’università 
occorre 
avere 
completato 
positivamente 
il 
Secondo 
ciclo 
del 
sistema 
educativo 
di 
istruzione 
e 
formazione. Il 
servizio relativo al 
Primo ciclo di 
istruzione 
è 
gratuito. A 
partire 
dal 
Secondo ciclo del 
sistema 
educativo di 
istruzione 
e 
formazione 
vanno 
pagate 
le 
tasse 
scolastiche. Ad esempio, negli 
istituti 
e 
scuole 
di 
istruzione 
secondaria 
superiore 
le 
tasse 
scolastiche 
sono: 
tassa 
di 
iscrizione; 
tassa 
di 
frequenza; 
tassa 
per 
esami 
di 
idoneità, 
integrativi, 
di 
licenza, 
di 
qualifica, 
di 
maturità 
e 
di 
abilitazione; 
tassa 
di 
rilascio dei 
relativi 
diplomi 
(art. 200 D.P.R. 
n. 
297/1994). 
La 
legge 
prevede 
in 
date 
circostanze 
-tra 
cui: 
studenti 
meritevoli 
per il 
rendimento scolastico, studenti 
appartenenti 
a 
famiglie 
di 
disagiata 
condizione 
economica - la dispensa dal pagamento delle tasse. 
L’erogazione 
delle 
prestazioni 
scolastiche 
ad opera 
delle 
scuole, pubbliche 
o private, trova 
fonte 
in un provvedimento amministrativo dichiarativo il 
quale origina il rapporto scolastico fonte di diritti ed obblighi 
inter partes. 


6. Tipologia di servizi pubblici non economici. 
(segue) 
Servizi sociali. 
La 
materia 
dei 
servizi 
sociali 
spetta 
alla 
potestà 
legislativa 
residuale 
delle 
Regioni 
(art. 
117, 
comma 
4, 
Cost.), 
salve 
le 
interferenze 
delle 
materie 
trasversali 
(art. 117, comma 
2, lett. m, Cost. sui 
livelli 
essenziali 
delle 
prestazioni) e 
della chiamata in sussidiarietà (43). 


a) I servizi 
sociali 
sono finalizzati 
alla 
tutela 
e 
alla 
promozione 
del 
benessere 
della 
persona 
(44). La 
materia 
è 
regolata 
dalla 
L. 8 novembre 
2000, n. 
328 
(Legge 
quadro 
per 
la 
realizzazione 
del 
sistema 
integrato 
di 
interventi 
e 
servizi 
sociali) che, all’art. 1, comma 
2, precisa 
che 
per "interventi 
e 
servizi 
sociali" 
si 
intendono tutte 
le 
attività 
previste 
dall'articolo 128 del 
D.L.vo 31 
marzo 
1998, 
n. 
112, 
ossia 
“tutte 
le 
attività 
relative 
alla 
predisposizione 
ed 
erogazione 
di 
servizi, gratuiti 
ed a pagamento, o di 
prestazioni 
economiche 
destinate 
a rimuovere 
e 
superare 
le 
situazioni 
di 
bisogno e 
di 
difficoltà che 
la 
persona umana incontra nel 
corso della sua vita, escluse 
soltanto quelle 
assicurate 
dal 
sistema previdenziale 
e 
da quello sanitario, nonché 
quelle 
assicurate 
in sede di amministrazione della giustizia”. 
b) 
ordinamento 
settoriale. 
La 
programmazione 
e 
l'organizzazione 
del 
sistema 
integrato 
di 
interventi 
e 
servizi 
sociali 
compete 
agli 
enti 
locali, 
alle 
re(
43) 
g. 
guzzeTTA, 
F.S. 
MARINI, 
D. 
MoRANA 
(a 
cura 
di), 
Le 
materie 
di 
competenza 
regionale. 
Commentario, cit., pp. 31-33. 
(44) 
A. 
ALbANeSe, 
Servizi 
sociali 
(Dir. 
amm.), 
in 
Il 
Diritto 
enciclopedia 
Giuridica, 
vol. 
XIV, 
Corriere 
della Sera Il Sole 24 ore, 2007, pp. 469-474. 

CoNTRIbuTI 
DI 
DoTTRINA 


gioni 
ed 
allo 
Stato 
ai 
sensi 
del 
decreto 
legislativo 
31 
marzo 
1998, 
n. 
112, 
e 
della 
legge 
n. 
328/2000, 
secondo 
i 
principi 
di 
sussidiarietà 
verticale 
ed 
orizzontale, 
cooperazione, 
efficacia, 
efficienza 
ed 
economicità, 
omogeneità, 
copertura 
finanziaria 
e 
patrimoniale, 
responsabilità 
ed 
unicità 
dell'amministrazione, 
autonomia 
organizzativa 
e 
regolamentare 
degli 
enti 
locali, 
dello 
Stato, 
delle 
regioni 
e 
degli 
enti 
locali 
(art. 
1, 
comma 
3, 
L. 
n. 
328/2000), 
con 
la 
normativa 
di 
dettaglio 
contenuta 
negli 
artt. 
6-9 
L. 
n. 
328/2000. 


Alla 
gestione 
ed all'offerta 
dei 
servizi 
provvedono ex 
art. 1, comma 
5, L. 


n. 328/2000 soggetti pubblici e privati. 
Soggetti pubblici: 
- enti locali; 
-aziende 
pubbliche 
di 
servizi 
alla 
persona 
(artt. 
5-15 
D.L.vo 
4 
maggio 
2001, 
n. 
207 
sul 
riordino 
del 
sistema 
delle 
istituzioni 
pubbliche 
di 
assistenza 
e 
beneficenza-IPAb, 
a 
norma 
dell'articolo 
10 
della 
L. 
n. 
328/2000) 
(45). 
Trattasi 
di 
istituzioni 
sottoposte 
alla 
vigilanza 
della 
Regione 
che 
svolgono 
direttamente 
attività 
di 
erogazione 
di 
servizi 
assistenziali; 
possono 
anche 
svolgere 
indirettamente 
attività 
socio 
assistenziale 
mediante 
l'erogazione, 
ad 
enti 
e 
organismi 
pubblici 
e 
privati 
operanti 
nel 
settore, 
delle 
rendite 
derivanti 
dall'attività 
di 
amministrazione 
del 
proprio 
patrimonio 
e 
delle 
liberalità 
ricevute 
a 
tal 
fine. 


Soggetti 
privati: 
organismi 
non 
lucrativi 
di 
utilità 
sociale, 
organismi 
della 
cooperazione, organizzazioni 
di 
volontariato, associazioni 
ed enti 
di 
promozione 
sociale, fondazioni, enti di patronato e altri soggetti privati. 


L’art. 11, comma 5, L. n. 328/2000 precisa: 


-i 
servizi 
e 
le 
strutture 
a 
ciclo residenziale 
e 
semiresidenziale 
a 
gestione 
pubblica 
o dei 
soggetti 
di 
cui 
all'art. 1, comma 
5, L. n. 328/2000 sono autorizzati 
dai 
comuni. 
L'autorizzazione 
è 
rilasciata 
in 
conformità 
ai 
requisiti 
stabiliti 
(45) 
Art. 
6 
D.L.vo 
n. 
207/2001: 
“1. 
L'azienda 
pubblica 
di 
servizi 
alla 
persona 
non 
ha 
fini 
di 
lucro, 
ha personalità giuridica di 
diritto pubblico, autonomia statutaria, patrimoniale, contabile, gestionale 
e 
tecnica ed opera con criteri 
imprenditoriali. essa informa la propria attività di 
gestione 
a criteri 
di 
efficienza, 
efficacia 
ed 
economicità, 
nel 
rispetto 
del 
pareggio 
di 
bilancio 
da 
perseguire 
attraverso 
l'equilibrio 
dei 
costi 
e 
dei 
ricavi, 
in 
questi 
compresi 
i 
trasferimenti. 
2. 
All'azienda 
pubblica 
di 
servizi 
alla 
persona 
si 
applicano i 
princìpi 
relativi 
alla distinzione 
dei 
poteri 
di 
indirizzo e 
programmazione 
dai 
poteri 
di 
gestione. Gli 
statuti 
disciplinano le 
modalità di 
elezione 
o nomina degli 
organi 
di 
Governo e 
di 
direzione 
e 
i 
loro 
poteri, 
nel 
rispetto 
delle 
disposizioni 
del 
presente 
capo. 
3. 
Nell'àmbito 
della 
sua 
autonomia 
l'azienda pubblica di 
servizi 
alla persona può porre 
in essere 
tutti 
gli 
atti 
ed i 
negozi, anche 
di 
diritto 
privato, funzionali 
al 
perseguimento dei 
propri 
scopi 
istituzionali 
e 
all'assolvimento degli 
impegni 
assunti 
in sede 
di 
programmazione 
regionale. In particolare, l'azienda pubblica di 
servizi 
alla persona 
può costituire 
società od istituire 
fondazioni 
di 
diritto privato al 
fine 
di 
svolgere 
attività strumentali 
a 
quelle 
istituzionali 
nonché 
di 
provvedere 
alla 
gestione 
ed 
alla 
manutenzione 
del 
proprio 
patrimonio. 
L'eventuale 
affidamento della gestione 
patrimoniale 
a soggetti 
esterni 
avviene 
in base 
a criteri 
comparativi 
di 
scelta 
rispondenti 
all'esclusivo 
interesse 
dell'azienda. 
4. 
Gli 
statuti 
disciplinano 
i 
limiti 
nei 
quali 
l'azienda pubblica di 
servizi 
alla persona può estendere 
la sua attività anche 
in ambiti 
territoriali 
diversi da quello regionale o infraregionale di appartenenza”. 

RASSegNA 
AVVoCATuRA 
DeLLo 
STATo -N. 3/2020 


dalla 
legge 
regionale, 
che 
recepisce 
e 
integra, 
in 
relazione 
alle 
esigenze 
locali, 
i requisiti minimi nazionali; 


-i 
comuni 
provvedono 
all'accreditamento 
e 
corrispondono 
ai 
soggetti 
accreditati 
tariffe 
per 
le 
prestazioni 
erogate 
nell'àmbito 
della 
programmazione 
regionale. 


c) utenti del servizio. giusta l’art. 2 L. n. 328/2000 
-hanno diritto di 
usufruire 
delle 
prestazioni 
e 
dei 
servizi 
del 
sistema 
integrato 
di 
interventi 
e 
servizi 
sociali 
i 
cittadini 
italiani 
e, nel 
rispetto degli 
accordi 
internazionali, con le 
modalità 
e 
nei 
limiti 
definiti 
dalle 
leggi 
regionali, 
anche 
i 
cittadini 
di 
Stati 
appartenenti 
all'unione 
europea 
ed 
i 
loro 
familiari, 
nonché 
gli 
stranieri, individuati 
ai 
sensi 
dell'articolo 41 del 
testo unico di 
cui 
al 
decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286. Ai 
profughi, agli 
stranieri 
ed agli 
apolidi 
sono 
garantite 
le 
misure 
di 
prima 
assistenza, 
di 
cui 
all'articolo 
129, 
comma 1, lettera h), del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112; 
-il 
sistema 
integrato di 
interventi 
e 
servizi 
sociali 
ha 
carattere 
di 
universalità. 
I soggetti 
di 
cui 
all'articolo 1, comma 
3, sono tenuti 
a 
realizzare 
il 
sistema 
di 
cui 
alla 
presente 
legge 
che 
garantisce 
i 
livelli 
essenziali 
di 
prestazioni, 
ai 
sensi 
dell'articolo 22, e 
a 
consentire 
l'esercizio del 
diritto soggettivo a 
beneficiare 
delle 
prestazioni 
economiche 
di 
cui 
all'articolo 
24 
della 
presente 
legge, nonché 
delle 
pensioni 
sociali 
di 
cui 
all'articolo 26 della 
legge 
30 aprile 
1969, n. 153, e 
successive 
modificazioni, e 
degli 
assegni 
erogati 
ai 
sensi 
del-
l'articolo 3, comma 6, della legge 8 agosto 1995, n. 335; 
-i 
soggetti 
in 
condizioni 
di 
povertà 
o 
con 
limitato 
reddito 
o 
con 
incapacità 
totale 
o 
parziale 
di 
provvedere 
alle 
proprie 
esigenze 
per 
inabilità 
di 
ordine 
fisico 
e 
psichico, 
con 
difficoltà 
di 
inserimento 
nella 
vita 
sociale 
attiva 
e 
nel 
mercato 
del 
lavoro, 
nonché 
i 
soggetti 
sottoposti 
a 
provvedimenti 
dell'autorità 
giudiziaria 
che 
rendono 
necessari 
interventi 
assistenziali, 
accedono 
prioritariamente 
ai 
servizi 
e 
alle 
prestazioni 
erogati 
dal 
sistema 
integrato 
di 
interventi 
e 
servizi 
sociali. 
I 
parametri 
per 
la 
valutazione 
delle 
menzionate 
condizioni 
sono 
definiti 
dai 
comuni, 
sulla 
base 
dei 
criteri 
generali 
stabiliti 
dal 
Piano 
nazionale. 


7. Tipologia di servizi pubblici economici. 
Gestione integrata dei rifiuti. 
La 
disciplina 
dei 
rifiuti 
rientra 
nella 
materia 
della 
tutela 
dell’ambiente, 
spettante 
-quale 
competenza 
legislativa 
-in via 
esclusiva 
allo Stato (art. 117, 
comma 
2, lett. s, Cost.). Ai 
sensi 
di 
questo articolo, deve 
intendersi 
riservato 
allo Stato il 
potere 
di 
fissare 
livelli 
di 
tutela 
uniforme 
sull’intero territorio nazionale, 
livelli 
minimi 
di 
tutela 
da 
intendersi 
come 
tutela 
adeguata 
e 
non riducibile 
secondo 
la 
Corte 
Costituzionale, 
restando 
ferma 
la 
competenza 
delle 
Regioni 
per la 
cura 
degli 
interessi 
ambientali. Le 
Regioni, nell’esercizio delle 
loro competenze 
sono tenute 
al 
rispetto della 
normativa 
statale, ma 
possono 
stabilire 
livelli 
di 
tutela 
più 
elevati 
per 
il 
raggiungimento 
dei 
propri 
fini 
in 
tema 



CoNTRIbuTI 
DI 
DoTTRINA 


di 
tutela 
della 
salute, 
valorizzazione 
dei 
beni 
ambientali, 
governo 
del 
territorio. 
A 
tal 
riguardo, precisa 
la 
Corte 
Costituzionale, se 
le 
competenze 
regionali 
incidono 
sull’ambiente, 
ciò 
avviene 
non 
nell’esercizio 
di 
competenze 
ambientali, 
ma nell’esercizio delle competenze loro attribuite dalla Costituzione (46). 


a) La 
gestione 
integrata 
dei 
rifiuti 
costituisce 
il 
complesso delle 
attività, 
ivi 
compresa 
quella 
di 
spazzamento delle 
strade, volte 
ad ottimizzare 
la 
gestione 
dei 
rifiuti, ossia 
di 
qualsiasi 
sostanza 
od oggetto di 
cui 
il 
detentore 
si 
disfi 
o abbia 
l'intenzione 
o abbia 
l'obbligo di 
disfarsi. La 
disciplina 
della 
materia 
si 
rinviene 
nel 
D.L.vo 3 aprile 
2006, n. 152, recante 
Norme 
in materia 
ambientale, e 
in specie 
agli 
artt. 177-238. Per l’art. 177, comma 
2, D.L.vo n. 
52/2006 la gestione dei rifiuti costituisce attività di pubblico interesse. 
b) ordinamento settoriale. La 
materia 
della 
gestione 
dei 
rifiuti 
è 
di 
competenza 
dello 
Stato, 
delle 
regioni 
e 
degli 
enti 
locali 
(art. 
177, 
comma 
5, 
D.L.vo 
n. 52/2006; artt. 195-198). A grosse linee: 
-lo Stato svolge 
funzioni 
di 
indirizzo e 
coordinamento. L’Amministrazione 
competente 
è 
il 
Ministro dell'ambiente 
e 
della 
tutela 
del 
territorio e 
del 
mare; 
-la 
Regione 
adotta, sentiti 
le 
province, i 
comuni 
e 
le 
Autorità 
d'ambito, 
dei 
piani 
regionali 
di 
gestione 
dei 
rifiuti; 
regolamenta 
le 
attività 
di 
gestione 
dei 
rifiuti, ivi 
compresa 
la 
raccolta 
differenziata 
dei 
rifiuti 
urbani, anche 
pericolosi; 
approva 
i 
progetti 
di 
nuovi 
impianti 
per la 
gestione 
di 
rifiuti, anche 
pericolosi, 
e 
autorizza 
le 
modifiche 
degli 
impianti 
esistenti; 
autorizza 
l'esercizio 
delle operazioni di smaltimento e recupero di rifiuti, anche pericolosi; 
-la 
Provincia 
svolge 
le 
funzioni 
amministrative 
concernenti 
la 
programmazione 
ed 
organizzazione 
del 
recupero 
e 
dello 
smaltimento 
dei 
rifiuti 
a 
livello 
provinciale; 
-Il 
Comune 
concorre, nell'ambito delle 
attività 
svolte 
a 
livello degli 
ambiti 
territoriali ottimali, alla gestione dei rifiuti urbani ed assimilati. 
La 
gestione 
dei 
rifiuti 
urbani 
è 
organizzata 
sulla 
base 
di 
ambiti 
territoriali 
ottimali, di 
seguito anche 
denominati 
ATo, delimitati 
dal 
piano regionale 
di 
gestione dei rifiuti. 


L'organizzazione, l'affidamento e 
il 
controllo del 
servizio di 
gestione 
integrata 
dei 
rifiuti 
spettava 
all’Autorità 
d'ambito, 
struttura 
dotata 
di 
personalità 
giuridica 
costituita 
-sulla 
base 
di 
legge 
regionale 
-in ciascun ambito territoriale 
ottimale, alla 
quale 
gli 
enti 
locali 
partecipano obbligatoriamente 
ed alla 
quale 
è 
trasferito l'esercizio delle 
loro competenze 
in materia 
di 
gestione 
integrata 
dei 
rifiuti 
(art. 201, D.L.vo n. 52/2006). Le 
Autorità 
d'ambito territoriale 
sono state 
soppresse 
dall’art. 2, comma 
186 bis, L. 23 dicembre 
2009, n. 191, 


(46) Su tali 
aspetti, anche 
con riguardo alla 
giurisprudenza 
costituzionale: 
g. gAMbARDeLLA, I 
servizi 
pubblici 
locali 
con particolare 
riferimento al 
servizio di 
gestione 
dei 
rifiuti 
solidi 
urbani, cit., p. 
200. 

RASSegNA 
AVVoCATuRA 
DeLLo 
STATo -N. 3/2020 


con 
previsione 
che 
le 
regioni 
attribuiscono 
con 
legge 
le 
funzioni 
già 
esercitate 
dalle 
Autorità. 


Il 
soggetto 
individuato 
con 
legge 
regionale 
-che 
ha 
preso 
il 
posto 
del-
l’Autorità 
d'ambito 
-aggiudica 
il 
servizio 
di 
gestione 
integrata 
dei 
rifiuti 
urbani 
mediante 
gara 
disciplinata 
dai 
principi 
e 
dalle 
disposizioni 
comunitarie, 
secondo 
la 
disciplina 
vigente 
in 
tema 
di 
affidamento 
dei 
servizi 
pubblici 
locali, 
nonché 
con 
riferimento 
all'ammontare 
del 
corrispettivo 
per 
la 
gestione 
svolta, 
tenuto 
conto 
delle 
garanzie 
di 
carattere 
tecnico 
e 
delle 
precedenti 
esperienze 
specifiche 
dei 
concorrenti, 
secondo 
modalità 
e 
termini 
definiti 
con 
decreto 
dal 
Ministro 
dell'ambiente 
e 
della 
tutela 
del 
territorio 
e 
del 
mare 
nel 
rispetto 
delle 
competenze 
regionali 
in 
materia. 
gli 
impianti 
e 
le 
altre 
dotazioni 
patrimoniali 
di 
proprietà 
degli 
enti 
locali 
già 
esistenti 
al 
momento 
dell'assegnazione 
del 
servizio 
sono 
conferiti 
in 
comodato 
ai 
soggetti 
affidatari 
del 
medesimo 
servizio. 
I 
nuovi 
impianti 
vengono 
realizzati 
dal 
soggetto 
affidatario 
del 
servizio 
o 
direttamente 
ove 
sia 
in 
possesso 
dei 
requisiti 
prescritti 
dalla 
normativa 
vigente, 
o 
mediante 
il 
ricorso 
alle 
procedure 
di 
cui 
al 
D.L.vo 
n. 
50/2016, 
ovvero 
secondo 
lo 
schema 
della 
finanza 
di 
progetto 
(art. 
202, 
D.L.vo 
n. 
152/2006). 


I 
rapporti 
tra 
l’affidante 
e 
i 
soggetti 
affidatari 
del 
servizio 
integrato 
sono 
regolati 
da 
contratti 
di 
servizio, 
da 
allegare 
ai 
capitolati 
di 
gara, 
prevedenti, 
tra 
l’altro: 
il 
regime 
giuridico 
prescelto 
per 
la 
gestione 
del 
servizio; 
la 
durata 
dell'affidamento, 
comunque 
non 
inferiore 
a 
quindici 
anni; 
i 
principi 
e 
le 
regole 
generali 
relativi 
alle 
attività 
ed 
alle 
tipologie 
di 
controllo, 
in 
relazione 
ai 
livelli 
del 
servizio 
ed 
al 
corrispettivo, 
le 
modalità, 
i 
termini 
e 
le 
procedure 
per 
lo 
svolgimento 
del 
controllo 
e 
le 
caratteristiche 
delle 
strutture 
organizzative 
all'uopo 
preposte; 
l'obbligo 
di 
riconsegna 
delle 
opere, 
degli 
impianti 
e 
delle 
altre 
dotazioni 
patrimoniali 
strumentali 
all'erogazione 
del 
servizio 
in 
condizioni 
di 
efficienza 
ed 
in 
buono 
stato 
di 
conservazione; 
i 
criteri 
e 
le 
modalità 
di 
applicazione 
delle 
tariffe 
determinate 
dagli 
enti 
locali 
e 
del 
loro 
aggiornamento, 
anche 
con 
riferimento 
alle 
diverse 
categorie 
di 
utenze 
(art. 
203, 
D.L.vo 
n. 
152/2006). 


La 
gestione 
dei 
rifiuti 
avviene 
nel 
rispetto 
della 
seguente 
gerarchia: 
a) 
prevenzione; 
b) 
preparazione 
per 
il 
riutilizzo; 
c) 
riciclaggio; 
d) 
recupero 
di 
altro 
tipo, 
per 
esempio 
il 
recupero 
di 
energia; 
e) 
smaltimento. 
La 
gerarchia 
stabilisce, in generale, un ordine 
di 
priorità 
di 
ciò che 
costituisce 
la 
migliore 
opzione ambientale (art. 179, commi 1 e 2, D.L.vo n. 52/2006). 


In particolare, lo smaltimento dei 
rifiuti 
costituisce 
la 
fase 
residuale 
della 
gestione 
dei 
rifiuti, previa 
verifica, da 
parte 
della 
competente 
autorità, della 
impossibilità 
tecnica 
ed economica 
di 
esperire 
le 
operazioni 
di 
recupero. I rifiuti 
da 
avviare 
allo smaltimento finale 
devono essere 
il 
più possibile 
ridotti 
sia 
in massa 
che 
in volume. È 
vietato smaltire 
i 
rifiuti 
urbani 
non pericolosi 
in 
regioni 
diverse 
da 
quelle 
dove 
gli 
stessi 
sono prodotti, fatti 
salvi 
eventuali 
ac



CoNTRIbuTI 
DI 
DoTTRINA 


cordi 
regionali 
o internazionali, qualora 
gli 
aspetti 
territoriali 
e 
l'opportunità 
tecnico economica 
di 
raggiungere 
livelli 
ottimali 
di 
utenza 
servita 
lo richiedano. 
Il 
divieto non si 
applica 
ai 
rifiuti 
urbani 
che 
il 
Presidente 
della 
regione 
ritiene 
necessario 
avviare 
a 
smaltimento, 
nel 
rispetto 
della 
normativa 
europea, 
fuori 
del 
territorio 
della 
regione 
dove 
sono 
prodotti 
per 
fronteggiare 
situazioni 
di 
emergenza 
causate 
da 
calamità 
naturali 
per le 
quali 
è 
dichiarato lo stato di 
emergenza di protezione civile (art. 182 D.L.vo n. 52/2006). 


L’art. 188 D.L.vo n. 52/2006 delinea 
la 
responsabilità 
della 
gestione 
dei 
rifiuti. Viene 
previsto che 
il 
produttore 
iniziale 
-vale 
a 
dire 
il 
soggetto la 
cui 
attività 
produce 
rifiuti 
-o altro detentore 
di 
rifiuti 
provvedono direttamente 
al 
loro trattamento, oppure 
li 
consegnano ad un intermediario, ad un commerciante, 
ad 
un 
ente 
o 
impresa 
che 
effettua 
le 
operazioni 
di 
trattamento 
dei 
rifiuti, 


o ad un soggetto pubblico o privato addetto alla raccolta dei rifiuti. 
gli 
enti 
o 
le 
imprese 
che 
provvedono 
alla 
raccolta 
o 
al 
trasporto 
dei 
rifiuti 
a 
titolo professionale, conferiscono i 
rifiuti 
raccolti 
e 
trasportati 
agli 
impianti 
autorizzati alla gestione dei rifiuti. 


I costi 
della 
gestione 
dei 
rifiuti 
sono sostenuti 
dal 
produttore 
iniziale 
dei 
rifiuti, dai detentori del momento o dai detentori precedenti dei rifiuti. 


Nella 
materia 
sono 
previsti 
vari 
provvedimenti 
abilitativi. Il 
più 
rilevante 
è 
l’autorizzazione 
unica 
per i 
nuovi 
impianti 
di 
smaltimento e 
di 
recupero dei 
rifiuti (art. 208 D.L.vo n. 152/2006). Questa, in sintesi, la disciplina. 


I 
soggetti 
che 
intendono 
realizzare 
e 
gestire 
nuovi 
impianti 
di 
smaltimento 


o 
di 
recupero 
di 
rifiuti, 
anche 
pericolosi, 
devono 
presentare 
apposita 
domanda 
alla 
regione 
competente 
per 
territorio, 
allegando 
il 
progetto 
definitivo 
dell'impianto 
e 
la 
documentazione 
tecnica 
prevista 
per la 
realizzazione 
del 
progetto 
stesso dalle 
disposizioni 
vigenti 
in materia 
urbanistica, di 
tutela 
ambientale, 
di 
salute, di 
sicurezza 
sul 
lavoro e 
di 
igiene 
pubblica. ove 
l'impianto debba 
essere 
sottoposto alla 
procedura 
di 
valutazione 
di 
impatto ambientale 
ai 
sensi 
della 
normativa 
vigente, alla 
domanda 
è 
altresì 
allegata 
la 
comunicazione 
del 
progetto all'autorità 
competente 
ai 
predetti 
fini; 
i 
termini 
restano sospesi 
fino 
all'acquisizione della pronuncia sulla compatibilità. 
Per le 
installazioni 
di 
cui 
all'articolo 6, comma 
13, D.L.vo n. 152/2006 
l'autorizzazione integrata ambientale sostituisce l'autorizzazione 
de qua. 

L'istruttoria 
si 
conclude 
entro centocinquanta 
giorni 
dalla 
presentazione 
della 
domanda 
con il 
rilascio dell'autorizzazione 
unica 
o con il 
diniego motivato 
della stessa. 


L'autorizzazione 
individua 
le 
condizioni 
e 
le 
prescrizioni 
necessarie 
ed è 
concessa 
per 
un 
periodo 
di 
dieci 
anni 
ed 
è 
rinnovabile. 
In 
caso 
di 
inosservanza 
delle 
prescrizioni 
dell'autorizzazione 
l'autorità 
competente 
procede, secondo 
la 
gravità 
dell'infrazione: 
a) alla 
diffida, stabilendo un termine 
entro il 
quale 
devono essere 
eliminate 
le 
inosservanze; 
b) alla 
diffida 
e 
contestuale 
sospensione 
dell'autorizzazione 
per un tempo determinato, ove 
si 
manifestino situa



RASSegNA 
AVVoCATuRA 
DeLLo 
STATo -N. 3/2020 


zioni 
di 
pericolo per la 
salute 
pubblica 
e 
per l'ambiente; 
c) alla 
revoca 
dell'autorizzazione 
in caso di 
mancato adeguamento alle 
prescrizioni 
imposte 
con la 
diffida 
e 
in caso di 
reiterate 
violazioni 
che 
determinino situazione 
di 
pericolo 
per la salute pubblica e per l'ambiente. 

c) 
utenti 
del 
servizio. 
gli 
utenti 
del 
servizio 
sono 
tenuti 
al 
pagamento 
di 
un 
tributo 
per 
la 
gestione 
dei 
rifiuti 
urbani, 
costituito 
dalla 
tassa 
sui 
rifiuti 
(TARI), 
regolata 
dall’art. 
1, 
commi 
639, 
da 
641 
a 
668, 
704 
e 
705, 
L. 
27 
dicembre 
2013, 
n. 
147. 
La 
TARI 
è 
“destinata 
a 
finanziare 
i 
costi 
del 
servizio 
di 
raccolta 
e 
smaltimento 
dei 
rifiuti, 
a 
carico 
dell'utilizzatore” 
(comma 
639), 
con 
la 
precisazione 
che 
“In 
ogni 
caso 
deve 
essere 
assicurata 
la 
copertura 
integrale 
dei 
costi 
di 
investimento 
e 
di 
esercizio 
relativi 
al 
servizio” 
(comma 
654). 
8. Tipologia di servizi pubblici economici. 
(segue) 
Servizio idrico integrato. 
La 
materia 
del 
servizio idrico integrato spetta 
alla 
potestà 
legislativa 
residuale 
delle 
Regioni 
(art. 
117, 
comma 
4, 
Cost.), 
salve 
le 
interferenze 
delle 
materie 
trasversali 
(art. 117, comma 
2, lettere 
e, l, s, Cost. sulla 
tutela 
della 
concorrenza, 
sull’ordinamento 
civile 
e 
sulla 
tutela 
dell’ambiente) 
e 
della 
chiamata 
in sussidiarietà (47). 


a) Il 
servizio idrico integrato è 
costituito dall'insieme 
dei 
servizi 
pubblici 
di 
captazione, adduzione 
e 
distribuzione 
di 
acqua 
ad usi 
civili, di 
fognatura 
e 
di 
depurazione 
delle 
acque 
reflue. Tale 
servizio è 
destinato ad amministrare 
uno 
dei 
beni 
comuni 
per 
eccellenza, 
l’acqua, 
rispetto 
al 
quale 
vi 
sono 
esigenze 
di 
tutela 
dei 
diritti 
essenziali 
della 
persona 
particolarmente 
qualificate, come 
confermato 
dalla 
direttiva 
2000/60/Ce 
del 
parlamento 
europeo 
e 
del 
consiglio 
del 
23 ottobre 
2000 -che 
istituisce 
un quadro per l'azione 
comunitaria 
in materia 
di 
acque 
-la 
quale 
nel 
considerando 
n. 
1 
enuncia: 
“L'acqua 
non 
è 
un 
prodotto 
commerciale 
al 
pari 
degli 
altri, 
bensì 
un 
patrimonio 
che 
va 
protetto, 
difeso e trattato come tale”. 
La 
disciplina 
della 
materia 
si 
rinviene 
nel 
D.L.vo 
n. 
152/2006, 
e 
in 
specie 
agli artt. 141-176. 

b) 
ordinamento 
settoriale. 
Competenti 
nella 
materia 
in 
esame 
sono, 
ex 
art. 142 D.L.vo n. 152/2006: 
-lo Stato, a 
mezzo del 
Ministro dell'ambiente 
e 
della 
tutela 
del 
territorio 
e del mare; 
-le 
regioni, le 
quali 
provvedono a 
disciplinare 
il 
governo del 
rispettivo 
territorio; 
-gli 
enti 
locali 
che, attraverso l'ente 
di 
governo dell'ambito, svolgono le 
funzioni 
di 
organizzazione 
del 
servizio idrico integrato, di 
scelta 
della 
forma 
(47) Sulla 
problematica: 
L. MARTINez, Il 
governo delle 
risorse 
idriche 
tra competenze 
statali 
e 
territoriali, 
in Rass. Avv. Stato, 2012, 3, pp. 251-287. 

CoNTRIbuTI 
DI 
DoTTRINA 


di 
gestione, di 
determinazione 
e 
modulazione 
delle 
tariffe 
all'utenza, di 
affidamento 
della gestione e relativo controllo. 


Compiti 
regolatori 
nella 
materia 
spettano all’AReRA 
(Autorità 
di 
Regolazione 
energia Reti e 
Ambiente). 


L’organizzazione 
territoriale 
del 
servizio idrico integrato è 
delineata 
nel-
l’art. 147 D.L.vo n. 152/2006 nel 
seguente 
modo. I servizi 
idrici 
sono organizzati 
sulla 
base 
degli 
ambiti 
territoriali 
ottimali 
definiti 
dalle 
Regioni, 
i 
quali 
possono essere 
modificati 
per migliorare 
la 
gestione 
del 
servizio idrico integrato. 
gli 
enti 
locali 
ricadenti 
nel 
medesimo ambito ottimale 
partecipano obbligatoriamente 
all'ente 
di 
governo dell'ambito, individuato dalla 
competente 
regione 
per 
ciascun 
ambito 
territoriale 
ottimale, 
al 
quale 
è 
trasferito 
l'esercizio 
delle 
competenze 
ad essi 
spettanti 
in materia 
di 
gestione 
delle 
risorse 
idriche, 
ivi compresa la programmazione delle infrastrutture idriche. 

L’ente 
di 
governo dell'ambito provvede 
alla 
gestione 
del 
servizio idrico 
integrato. All’uopo: 


-adotta 
il 
piano d'ambito, costituito dai 
seguenti 
atti: 
ricognizione 
delle 
infrastrutture; 
programma 
degli 
interventi, individuante 
le 
opere 
di 
manutenzione 
straordinaria 
e 
le 
nuove 
opere 
da 
realizzare; 
modello gestionale 
ed organizzativo, 
definente 
la 
struttura 
operativa 
mediante 
la 
quale 
il 
gestore 
assicura 
il 
servizio 
all'utenza 
e 
la 
realizzazione 
del 
programma 
degli 
interventi; 
piano economico finanziario (art. 149 D.L.vo n. 152/2006) (48); 
-provvede 
all'affidamento 
del 
servizio 
nel 
rispetto 
della 
normativa 
nazionale 
in materia 
di 
organizzazione 
dei 
servizi 
pubblici 
locali 
a 
rete 
di 
rilevanza 
economica. 
L'affidamento 
diretto 
può 
avvenire 
a 
favore 
di 
società 
interamente 
pubbliche, 
in 
possesso 
dei 
requisiti 
prescritti 
dall'ordinamento 
europeo 
per 
la 
gestione 
in 
house, 
comunque 
partecipate 
dagli 
enti 
locali 
ricadenti 
nell'ambito 
territoriale 
ottimale. 
Il 
soggetto 
affidatario 
gestisce 
il 
servizio 
idrico integrato su tutto il 
territorio degli 
enti 
locali 
ricadenti 
nell'ambito territoriale 
ottimale. Al 
fine 
di 
ottenere 
un'offerta 
più conveniente 
e 
completa 
e 
di 
evitare 
contenziosi 
tra 
i 
soggetti 
interessati, le 
procedure 
di 
gara 
per l'affidamento 
del 
servizio 
includono 
appositi 
capitolati 
con 
la 
puntuale 
indicazione 
delle 
opere 
che 
il 
gestore 
incaricato 
deve 
realizzare 
durante 
la 
gestione 
del 
servizio (art. 149 
bis 
D.L.vo n. 152/2006). 


Il 
rapporto tra 
l'ente 
di 
governo dell'ambito ed il 
soggetto gestore 
del 
servizio 
idrico integrato è 
regolato da 
una 
convenzione 
predisposta 
dall'ente 
di 


(48) “Il 
piano economico finanziario, articolato nello stato patrimoniale, nel 
conto economico e 
nel 
rendiconto finanziario, prevede, con cadenza annuale, l'andamento dei 
costi 
di 
gestione 
e 
di 
investimento 
al 
netto di 
eventuali 
finanziamenti 
pubblici 
a fondo perduto. esso è 
integrato dalla previsione 
annuale 
dei 
proventi 
da 
tariffa, 
estesa 
a 
tutto 
il 
periodo 
di 
affidamento. 
Il 
piano, 
così 
come 
redatto, 
dovrà garantire 
il 
raggiungimento dell'equilibrio economico finanziario e, in ogni 
caso, il 
rispetto dei 
principi 
di 
efficacia, efficienza ed economicità della gestione, anche 
in relazione 
agli 
investimenti 
programmati” 
(comma 4 dell’art. 149). 

RASSegNA 
AVVoCATuRA 
DeLLo 
STATo -N. 3/2020 


governo 
dell'ambito 
sulla 
base 
delle 
convenzioni 
tipo, 
con 
relativi 
disciplinari, 
adottate 
dall'Autorità 
per l'energia 
elettrica, il 
gas 
ed il 
sistema 
idrico. Le 
convenzioni 
tipo, con relativi 
disciplinari, devono tra 
l’altro prevedere: 
il 
regime 
giuridico 
prescelto 
per 
la 
gestione 
del 
servizio; 
la 
durata 
dell'affidamento, 
non 
superiore 
comunque 
a 
trenta 
anni; 
le 
opere 
da 
realizzare 
durante 
la 
gestione 
del 
servizio come 
individuate 
dal 
bando di 
gara; 
l'obbligo del 
raggiungimento 
e 
gli 
strumenti 
per 
assicurare 
il 
mantenimento 
dell'equilibrio 
economico-finanziario 
della 
gestione; 
il 
livello di 
efficienza 
e 
di 
affidabilità 
del 
servizio da 
assicurare 
all'utenza, anche 
con riferimento alla 
manutenzione 
degli 
impianti; 
i 
criteri 
e 
le 
modalità 
di 
applicazione 
delle 
tariffe 
determinate 
dall'ente 
di 
governo 
dell'ambito 
e 
del 
loro 
aggiornamento 
annuale, 
anche 
con 
riferimento 
alle 
diverse 
categorie 
di 
utenze; 
l'obbligo di 
adottare 
la 
carta 
di 
servizio sulla 
base 
degli 
atti 
d'indirizzo 
vigenti; 
l'obbligo 
di 
provvedere 
alla 
realizzazione 
del 
Programma 
degli 
interventi; 
l'obbligo 
di 
restituzione, 
alla 
scadenza 
del-
l'affidamento, 
delle 
opere, 
degli 
impianti 
e 
delle 
canalizzazioni 
del 
servizio 
idrico integrato in condizioni 
di 
efficienza 
ed in buono stato di 
conservazione 
(art. 151 D.L.vo n. 152/2006). 


Le 
infrastrutture 
idriche 
di 
proprietà 
degli 
enti 
locali 
sono 
affidate 
in 
concessione 
d'uso 
gratuita, 
per 
tutta 
la 
durata 
della 
gestione, 
al 
gestore 
del 
servizio 
idrico integrato, il 
quale 
ne 
assume 
i 
relativi 
oneri 
nei 
termini 
previsti 
dalla 
convenzione 
e 
dal 
relativo disciplinare. Le 
immobilizzazioni, le 
attività 
e 
le 
passività 
relative 
al 
servizio idrico integrato, ivi 
compresi 
gli 
oneri 
connessi 
all'ammortamento 
dei 
mutui 
oppure 
i 
mutui 
stessi, 
al 
netto 
degli 
eventuali 
contributi 
a 
fondo perduto in conto capitale 
e/o in conto interessi, sono trasferite 
al 
soggetto gestore, che 
subentra 
nei 
relativi 
obblighi. Di 
tale 
trasferimento si 
tiene 
conto nella 
determinazione 
della 
tariffa, al 
fine 
di 
garantire 
l'invarianza 
degli 
oneri 
per la 
finanza 
pubblica. Il 
gestore 
è 
tenuto a 
subentrare 
nelle 
garanzie 
e 
nelle 
obbligazioni 
relative 
ai 
contratti 
di 
finanziamento in essere 
o ad 
estinguerli, 
ed 
a 
corrispondere 
al 
gestore 
uscente 
un 
valore 
di 
rimborso 
definito 
secondo i 
criteri 
stabiliti 
dall'Autorità 
per l'energia 
elettrica, il 
gas 
e 
il 
sistema 
idrico (art. 153 D.L.vo n. 152/2006). 


Ciascun gestore 
di 
servizio idrico, per assicurare 
la 
fornitura 
di 
acqua 
di 
buona 
qualità 
e 
per il 
controllo degli 
scarichi 
nei 
corpi 
ricettori, deve 
dotarsi 
di 
un adeguato servizio di 
controllo territoriale 
e 
di 
un laboratorio di 
analisi 
per i 
controlli 
di 
qualità 
delle 
acque 
alla 
presa, nelle 
reti 
di 
adduzione 
e 
di 
distribuzione, 
nei 
potabilizzatori 
e 
nei 
depuratori, ovvero stipula 
apposita 
convenzione 
con 
altri 
soggetti 
gestori 
di 
servizi 
idrici 
(art. 
165 
D.L.vo 
n. 
152/2006). 


L'ente 
di 
governo 
dell'ambito, 
una 
volta 
operato 
l’affidamento, 
ha 
incisivi 
poteri 
di 
controllo e 
vigilanza. In specie 
ha 
facoltà 
di 
accesso e 
verifica 
alle 
infrastrutture 
idriche, anche 
nelle 
fase 
di 
costruzione. Nell'ipotesi 
di 
inadempienze 
del 
gestore 
agli 
obblighi 
che 
derivano dalla 
legge 
o dalla 
convenzione, 



CoNTRIbuTI 
DI 
DoTTRINA 


e 
che 
compromettano 
la 
risorsa 
o 
l'ambiente 
ovvero 
che 
non 
consentano 
il 
raggiungimento 
dei 
livelli 
minimi 
di 
servizio, l'ente 
di 
governo dell'ambito interviene 
tempestivamente 
per 
garantire 
l'adempimento 
da 
parte 
del 
gestore, 
esercitando 
tutti 
i 
poteri 
ad 
essa 
conferiti 
dalle 
disposizioni 
di 
legge 
e 
dalla 
convenzione. 
Perdurando 
l'inadempienza 
del 
gestore, 
e 
ferme 
restando 
le 
conseguenti 
penalità 
a 
suo 
carico, 
nonché 
il 
potere 
di 
risoluzione 
e 
di 
revoca, 
l'ente 
di 
governo dell'ambito, previa 
diffida, può sostituirsi 
ad esso provvedendo a 
far eseguire 
a 
terzi 
le 
opere, nel 
rispetto delle 
vigenti 
disposizioni 
in materia 
di 
appalti 
pubblici. 
Qualora 
l'ente 
di 
governo 
dell'ambito 
non 
intervenga, 
o 
comunque 
ritardi 
il 
proprio 
intervento, 
la 
regione, 
previa 
diffida, 
esercita 
i 
necessari 
poteri 
sostitutivi, 
mediante 
nomina 
di 
un 
commissario 
ad 
acta 
(art. 
152 
D.L.vo n. 152/2006). 


c) utenti 
del 
servizio. gli 
utenti 
del 
servizio sono i 
beneficiari 
delle 
prestazioni 
erogate 
dal 
gestore 
di 
servizio idrico. All’uopo tra 
gestore 
di 
servizio 
idrico ed utente 
viene 
stipulato un contratto oneroso avente 
un oggetto complesso. 
La 
prestazione 
del 
gestore 
consiste 
nella 
fornitura 
di 
acqua 
e 
nel 
servizio 
di 
fognatura 
e 
depurazione. 
La 
prestazione 
dell’utente 
consiste 
nel 
pagamento 
della 
tariffa, 
costituente 
un 
corrispettivo 
di 
diritto 
privato 
per 
il 
servizio idrico integrato. 
La 
disciplina 
della 
tariffa 
è 
contenuta 
nell’art. 154 D.L.vo n. 152/2006 il 
quale così dispone: 


-la 
tariffa 
costituisce 
il 
corrispettivo del 
servizio idrico integrato ed è 
determinata 
tenendo 
conto 
della 
qualità 
della 
risorsa 
idrica 
e 
del 
servizio 
fornito, 
delle 
opere 
e 
degli 
adeguamenti 
necessari, 
dell'entità 
dei 
costi 
di 
gestione 
delle 
opere, e 
dei 
costi 
di 
gestione 
delle 
aree 
di 
salvaguardia, nonché 
di 
una 
quota 
parte 
dei 
costi 
di 
funzionamento 
dell'ente 
di 
governo 
dell'ambito, 
in 
modo 
che 
sia 
assicurata 
la 
copertura 
integrale 
dei 
costi 
di 
investimento e 
di 
esercizio secondo 
il 
principio del 
recupero dei 
costi 
e 
secondo il 
principio “chi 
inquina 
paga”. Viene 
testualmente 
previsto che 
“Tutte 
le 
quote 
della tariffa del 
servizio 
idrico integrato hanno natura di corrispettivo”; 
-il 
Ministro dell'ambiente 
e 
della 
tutela 
del 
territorio e 
del 
mare, tenuto 
conto 
della 
necessità 
di 
recuperare 
i 
costi 
ambientali 
anche 
secondo 
il 
principio 
“chi 
inquina 
paga”, definisce 
con decreto le 
componenti 
di 
costo per la 
determinazione 
della 
tariffa 
relativa 
ai 
servizi 
idrici 
per 
i 
vari 
settori 
di 
impiego 
dell'acqua; 
-al 
fine 
di 
assicurare 
un'omogenea 
disciplina 
sul 
territorio 
nazionale, 
con 
decreto 
del 
Ministro 
dell'economia 
e 
delle 
finanze, 
di 
concerto 
con 
il 
Ministro 
dell'ambiente 
e 
della 
tutela 
del 
territorio 
e 
del 
mare, 
sono 
stabiliti 
i 
criteri 
generali 
per 
la 
determinazione, 
da 
parte 
delle 
regioni, 
dei 
canoni 
di 
concessione 
per 
l'utenza 
di 
acqua 
pubblica, 
tenendo 
conto 
dei 
costi 
ambientali 
e 
dei 
costi 
della 
risorsa 
e 
prevedendo 
altresì 
riduzioni 
del 
canone 
nel-
l'ipotesi 
in 
cui 
il 
concessionario 
attui 
un 
riuso 
delle 
acque 
reimpiegando 
le 



RASSegNA 
AVVoCATuRA 
DeLLo 
STATo -N. 3/2020 


acque 
risultanti 
a 
valle 
del 
processo 
produttivo 
o 
di 
una 
parte 
dello 
stesso 
o, 
ancora, 
restituisca 
le 
acque 
di 
scarico 
con 
le 
medesime 
caratteristiche 
qualitative 
di 
quelle 
prelevate; 


-l’ente 
di 
governo 
dell'ambito, 
al 
fine 
della 
redazione 
del 
piano 
economico-
finanziario, 
predispone 
la 
tariffa 
di 
base, 
nell'osservanza 
del 
metodo 
tariffario 
di 
cui 
all'articolo 
10, 
comma 
14, 
lettera 
d) 
(49), 
del 
decreto-legge 
13 
maggio 
2011, 
n. 
70, 
convertito, 
con 
modificazioni, 
dalla 
legge 
12 
luglio 
2011, 
n. 
106, 
e 
la 
trasmette 
per 
l'approvazione 
all'Autorità 
per 
l'energia 
elettrica 
e 
il 
gas; 


-la 
tariffa 
è 
applicata 
dai 
soggetti 
gestori, nel 
rispetto della 
Convenzione 
e del relativo disciplinare; 
-nella 
modulazione 
della 
tariffa 
sono 
assicurate, 
anche 
mediante 
compensazioni 
per 
altri 
tipi 
di 
consumi, 
agevolazioni 
per 
quelli 
domestici 
essenziali, 
nonché 
per 
i 
consumi 
di 
determinate 
categorie, 
secondo 
prefissati 
scaglioni 
di 
reddito. 
Per 
conseguire 
obiettivi 
di 
equa 
redistribuzione 
dei 
costi 
sono 
ammesse 
maggiorazioni 
di 
tariffa 
per 
le 
residenze 
secondarie, 
per 
gli 
impianti 
ricettivi 
stagionali, 
nonché 
per 
le 
aziende 
artigianali, 
commerciali 
e 
industriali. 


Nella 
determinazione 
della 
tariffa 
si 
fa 
applicazione 
del 
principio, di 
derivazione 
comunitaria, 
di 
full 
cost 
recovery, 
cioè 
della 
previsione 
che 
la 
tariffa 
va 
calcolata 
in modo da 
coprire 
integralmente 
i 
costi 
(50), al 
fine 
di 
garantire 
la 
economicità 
della 
gestione, ossia 
la 
sua 
autosufficienza, e 
in accordo alla 
natura 
del 
servizio idrico integrato quale 
servizio pubblico di 
rilevanza 
economica 
(51). 


L’art. 162 D.L.vo n. 152/2006 regola 
la 
partecipazione, garanzia 
e 
informazione 
degli utenti. A tal riguardo: 


(49) “predispone 
il 
metodo tariffario per 
la determinazione, con riguardo a ciascuna delle 
quote 
in 
cui 
tale 
corrispettivo 
si 
articola, 
della 
tariffa 
del 
servizio 
idrico 
integrato, 
sulla 
base 
della 
valutazione 
dei 
costi 
e 
dei 
benefici 
dell'utilizzo 
delle 
risorse 
idriche 
e 
tenendo 
conto, 
in 
conformità 
ai 
principi 
sanciti 
dalla normativa comunitaria, sia del 
costo finanziario della fornitura del 
servizio che 
dei 
relativi 
costi 
ambientali 
e 
delle 
risorse, 
affinché 
siano 
pienamente 
attuati 
il 
principio 
del 
recupero 
dei 
costi 
ed 
il 
principio 
"chi 
inquina 
paga", 
e 
con 
esclusione 
di 
ogni 
onere 
derivante 
dal 
funzionamento 
dell'Agenzia; 
fissa, altresì, le 
relative 
modalità di 
revisione 
periodica, vigilando sull'applicazione 
delle 
tariffe, e, nel 
caso 
di 
inutile 
decorso 
dei 
termini 
previsti 
dalla 
legge 
per 
l'adozione 
degli 
atti 
di 
definizione 
della 
tariffa 
da parte 
delle 
autorità al 
riguardo competenti, come 
individuate 
dalla legislazione 
regionale 
in conformità 
a linee 
guida approvate 
con decreto del 
Ministro dell'ambiente 
e 
della tutela del 
territorio e 
del 
mare 
previa intesa raggiunta in sede 
di 
Conferenza unificata, provvede 
nell'esercizio del 
potere 
sostitutivo, 
su istanza delle 
amministrazioni 
o delle 
parti 
interessate, entro sessanta giorni, previa diffida 
all'autorità competente ad adempiere entro il termine di venti giorni”. 
(50) 
L’art. 
9 
della 
direttiva 
2000/60/Ce 
enuncia: 
“1. 
Gli 
Stati 
membri 
tengono 
conto 
del 
principio 
del 
recupero dei 
costi 
dei 
servizi 
idrici, compresi 
i 
costi 
ambientali 
e 
relativi 
alle 
risorse, prendendo in 
considerazione 
l'analisi 
economica effettuata in base 
all'allegato III e, in particolare, secondo il 
principio 
«chi inquina paga»”. 
(51) Sulla 
problematica: 
F. SPANICCIATI, Il 
principio di 
copertura integrale 
dei 
costi 
nella tariffazione 
del servizio idrico integrato, in Giornale Dir. Amm., 2018, 3, pp. 213 e ss. 

CoNTRIbuTI 
DI 
DoTTRINA 


-il 
gestore 
del 
servizio 
idrico 
integrato 
assicura 
l'informazione 
agli 
utenti, 
promuove 
iniziative 
per 
la 
diffusione 
della 
cultura 
dell'acqua 
e 
garantisce 
l'accesso 
dei 
cittadini 
alle 
informazioni 
inerenti 
ai 
servizi 
gestiti 
nel-
l'ambito 
territoriale 
ottimale 
di 
propria 
competenza, 
alle 
tecnologie 
impiegate, 
al 
funzionamento 
degli 
impianti, 
alla 
quantità 
e 
qualità 
delle 
acque 
fornite 
e 
trattate; 


-il 
Ministro 
dell'ambiente 
e 
della 
tutela 
del 
territorio 
e 
del 
mare, 
le 
regioni 
e 
le 
province 
autonome, nell'ambito delle 
rispettive 
competenze, assicurano 
la 
pubblicità 
dei 
progetti 
concernenti 
opere 
idrauliche 
che 
comportano o presuppongono 
grandi 
e 
piccole 
derivazioni, opere 
di 
sbarramento o di 
canalizzazione, 
nonché 
la 
perforazione 
di 
pozzi. 
A 
tal 
fine, 
le 
amministrazioni 
competenti 
curano 
la 
pubblicazione 
delle 
domande 
di 
concessione, 
contestualmente 
all'avvio del 
procedimento, oltre 
che 
nelle 
forme 
previste 
dall'articolo 
7 del 
testo unico delle 
disposizioni 
di 
legge 
sulle 
acque 
e 
sugli 
impianti 
elettrici, 
approvato con regio decreto 11 dicembre 
1933, n. 1775, su almeno un 
quotidiano a 
diffusione 
nazionale 
e 
su un quotidiano a 
diffusione 
locale 
per le 
grandi 
derivazioni 
di 
acqua 
da 
fiumi 
transnazionali 
e 
di 
confine. 
Chiunque 
può prendere visione presso i competenti uffici del Ministero dell'ambiente e 
della 
tutela 
del 
territorio e 
del 
mare, delle 
regioni 
e 
delle 
province 
autonome 
di 
tutti 
i 
documenti, 
atti, 
studi 
e 
progetti 
inerenti 
alle 
domande 
di 
concessione, 
ai 
sensi 
delle 
vigenti 
disposizioni 
in materia 
di 
pubblicità 
degli 
atti 
delle 
amministrazioni 
pubbliche. 

9. Tipologia di servizi pubblici economici. 
(segue) 
Trasporto pubblico locale. 
(segue) Trasporto aereo, marittimo e ferroviario. 
Con riguardo al 
riparto di 
potestà 
legislativa 
tra 
Stato e 
Regioni 
ex 
art. 
117 Cost. si 
osserva 
che 
i 
profili 
concernenti 
le 
modalità 
di 
affidamento e 
gestione 
dei 
servizi 
di 
trasporto pubblico locale 
rientrano nella 
materia 
"tutela 
della concorrenza" 
di 
potestà 
esclusiva 
dello Stato, mentre 
in generale 
il 
trasporto 
pubblico 
locale 
-come 
tutti 
i 
servizi 
pubblici 
locali 
-è 
oggetto 
di 
potestà 
residuale da parte delle regioni (52). 


Il 
trasporto 
pubblico 
regionale 
e 
locale 
è 
il 
complesso 
dei 
servizi 
di 
trasporto 
di 
persone 
e 
merci, 
che 
non 
rientrano 
tra 
quelli 
di 
interesse 
nazionale 
(53); 
essi 
comprendono 
l'insieme 
dei 
sistemi 
di 
mobilità 
terrestri, 
marittimi, 


(52) Conf. Corte cost., sentenza 8 giugno 2005, n. 222. 
(53) Per l’art. 3 D.L.vo n. 422/1997 “Costituiscono servizi 
pubblici 
di 
trasporto di 
interesse 
nazionale: 
a) i 
servizi 
di 
trasporto aereo, ad eccezione 
dei 
collegamenti 
che 
si 
svolgono esclusivamente 
nell'ambito di 
una regione 
e 
dei 
servizi 
elicotteristici; 
b) i 
servizi 
di 
trasporto marittimo, ad eccezione 
dei 
servizi 
di 
cabotaggio che 
si 
svolgono prevalentemente 
nell'ambito di 
una regione; 
c) i 
servizi 
di 
trasporto 
automobilistico 
a 
carattere 
internazionale, 
con 
esclusione 
di 
quelli 
transfrontalieri, 
e 
le 
linee 
interregionali 
che 
collegano più di 
due 
regioni; d) i 
servizi 
di 
trasporto ferroviario internazionali 
e 
quelli 

RASSegNA 
AVVoCATuRA 
DeLLo 
STATo -N. 3/2020 


lagunari, 
lacuali, 
fluviali 
e 
aerei 
che 
operano 
in 
modo 
continuativo 
o 
periodico 
con 
itinerari, 
orari, 
frequenze 
e 
tariffe 
prestabilite, 
ad 
accesso 
generalizzato, 
nell'ambito 
di 
un 
territorio 
di 
dimensione 
normalmente 
regionale 
o 
infraregionale. 


a) 
La 
disciplina 
della 
materia 
si 
rinviene 
fondamentalmente 
nel 
D.L.vo 
19 
novembre 
1997, 
n. 
422, 
nelle 
leggi 
regionali 
di 
settore 
e 
nel 
Regolamento 
(Ce) 
n. 
1370/2007 
del 
Parlamento 
europeo 
e 
del 
Consiglio 
del 
23 
ottobre 
2007 
relativo 
ai 
servizi 
pubblici 
di 
trasporto 
di 
passeggeri 
su 
strada 
e 
per 
ferrovia 
(54). 
b) 
ordinamento 
settoriale. 
La 
competenza 
principale 
in 
materia 
spetta 
alle 
Regioni 
ed 
enti 
locali. 
Residuali 
sono 
le 
competenze 
dello 
Stato 
esercitate 
a mezzo del Ministero delle infrastrutture e trasporti. 
opera 
anche 
una 
Amministrazione 
indipendente, 
l'Autorità 
dei 
Trasporti, 
con 
compiti 
regolatori 
in 
funzione 
della 
promozione 
della 
concorrenza. 
In 
specie, 
l’Autorità 
ha 
il 
compito di 
definire 
regole 
generali 
riferite 
alle 
procedure 
di 
scelta 
del 
contraente 
per l'affidamento dei 
servizi 
di 
trasporto pubblico locale 
e 
regionale, tra 
cui 
definire 
gli 
schemi 
dei 
contratti 
di 
servizio esercitati 
in house 
da 
società 
pubbliche 
o a 
partecipazione 
maggioritaria 
pubblica, nonché 
per quelli 
affidati 
direttamente 
(art. 48, commi 
6 e 
7, D.L. 24 aprile 
2017, 


n. 50, conv. L. 21 giugno 2017, n. 96). 
Allo Stato spettano le 
funzioni 
in materia 
di 
sicurezza 
e 
l’adozione 
delle 
linee 
guida 
e 
dei 
principi 
quadro per la 
riduzione 
dell'inquinamento derivante 
dal 
sistema 
di 
trasporto pubblico (art. 4 D.L.vo n. 422/1997). Lo Stato inoltre 
interviene 
al 
finanziamento del 
servizio del 
trasporto pubblico locale 
a 
mezzo 
del 
Fondo TPL 
il 
quale 
viene 
ripartito entro il 
30 giugno di 
ogni 
anno con decreto 
ministeriale. 
Tale 
fondo 
è 
stato 
istituito 
dall’art. 
16 
bis 
D.L. 
6 
luglio 
2012, 


n. 95, conv. L. 7 agosto 2012, n. 135. 
Alla Regione spettano: 
-i 
compiti 
di 
programmazione 
dei 
servizi 
di 
trasporto pubblico regionale 
e 
locale 
(artt. 6 e 
14 D.L.vo n. 422/1997). Nell'esercizio dei 
compiti 
di 
programmazione, 
le 
regioni: 
definiscono 
gli 
indirizzi 
per 
la 
pianificazione 
dei 
trasporti 
locali 
ed in particolare 
per i 
piani 
di 
bacino; 
redigono i 
piani 
regionali 
dei 
trasporti 
e 
loro aggiornamenti 
tenendo conto della 
programmazione 
degli 
enti 
locali 
ed 
in 
particolare 
dei 
piani 
di 
bacino 
predisposti 
dalle 
province 
e, 
ove 
esistenti, dalle 
città 
metropolitane, in connessione 
con le 
previsioni 
di 
assetto 
territoriale 
e 
di 
sviluppo economico e 
con il 
fine 
di 
assicurare 
una 
rete 
di 
trasporto che 
privilegi 
le 
integrazioni 
tra 
le 
varie 
modalità 
favorendo in parti-
nazionali 
di 
percorrenza mediolunga caratterizzati 
da elevati 
standards 
qualitativi 
[…]; 
e) i 
servizi 
di 
collegamento via mare 
fra terminali 
ferroviari; 
f) i 
servizi 
di 
trasporto di 
merci 
pericolose, nocive 
ed 
inquinanti”. 


(54) 
Sulla 
materia: 
I.M. 
TRIoLo, 
Il 
trasporto 
pubblico 
locale: 
la 
qualificazione 
dell’attività 
in 
termini 
di servizio pubblico e il contratto di servizio, in Rass. Avv. Stato, 2016, 1, pp. 247-264. 

CoNTRIbuTI 
DI 
DoTTRINA 


colar modo quelle 
a 
minore 
impatto sotto il 
profilo ambientale. Per la 
regolamentazione 
dei 
servizi 
di 
trasporto pubblico locale, con riferimento ai 
servizi 
minimi 
(55), 
le 
regioni, 
sentite 
le 
oo.SS. 
confederali 
e 
le 
associazioni 
dei 
consumatori, 
approvano programmi 
triennali 
dei 
servizi 
di 
trasporto pubblico locale, 
che 
individuano: 
la 
rete 
e 
l'organizzazione 
dei 
servizi; 
l'integrazione 
modale 
e 
tariffaria; 
le 
risorse 
da 
destinare 
all'esercizio e 
agli 
investimenti; 
le 
modalità 
di 
determinazione 
delle 
tariffe; 
le 
modalità 
di 
attuazione 
e 
revisione 
dei 
contratti 
di 
servizio 
pubblico; 
il 
sistema 
di 
monitoraggio 
dei 
servizi; 
i 
criteri 
per la riduzione della congestione e dell'inquinamento ambientale; 


-le 
funzioni 
e 
i 
compiti 
di 
programmazione 
e 
di 
amministrazione 
inerenti 
i 
servizi 
ferroviari 
di 
interesse 
regionale 
e 
locale 
non 
in 
concessione 
a 
F.S. 


S.p.a. 
ed 
altresì 
i 
servizi 
ferroviari 
di 
interesse 
regionale 
e 
locale 
in 
concessione 
a F.S. S.p.a. (artt. 6 e 8-9 D.L.vo n. 422/1997); 
-le 
funzioni 
e 
i 
compiti 
amministrativi 
in materia 
di 
servizi 
marittimi 
e 
aerei di interesse regionale (artt. 6 e 10 D.L.vo n. 422/1997); 
Agli enti locali, ex 
art. 7 D.L.vo n. 422/1997, spettano: 


-tutte 
le 
funzioni 
e 
i 
compiti 
regionali 
in materia 
di 
trasporto pubblico 
locale 
ai 
sensi 
dell'articolo 
117 
della 
Costituzione, 
che 
non 
richiedono 
l'unitario 
esercizio a 
livello regionale, in coerenza 
con i 
principi 
di 
sussidiarietà, economicità, 
efficienza, 
responsabilità, 
unicità 
e 
omogeneità 
dell'amministrazione, 
nonché 
di 
copertura 
finanziaria, con esclusione 
delle 
sole 
funzioni 
incompatibili 
con 
le 
dimensioni 
medesime. 
Tanto 
in 
virtù 
di 
conferimento 
operato 
dalle 
Regioni a mezzo di legge; 
- le funzioni e i compiti non mantenuti allo Stato o alle regioni. 
Le 
modalità 
di 
affidamento del 
servizio di 
trasporto pubblico locale 
sono 
state 
definite 
a 
livello europeo dal 
regolamento (Ce) n. 1370/2007 relativo ai 
servizi 
pubblici 
di 
trasporto 
di 
passeggeri 
su 
strada 
e 
per 
ferrovia, 
che 
stabilisce 
anche 
le 
condizioni 
alle 
quali 
le 
autorità 
competenti, 
se 
impongono 
o 
stipulano 
obblighi 
di 
servizio pubblico, compensano gli 
operatori 
di 
servizio pubblico 
per 
i 
costi 
sostenuti 
e/o 
conferiscono 
loro 
diritti 
di 
esclusiva 
in 
cambio 
del-
l'assolvimento degli obblighi di servizio pubblico. 


Il 
Regolamento prevede 
(art. 5) l'applicazione 
di 
tre 
possibili 
modalità 
di 
affidamento 
del 
servizio: 
la 
prima 
è 
la 
procedura 
di 
affidamento 
mediante 
gara, 
modalità 
che 
deve 
comunque 
essere 
ammessa 
dagli 
ordinamenti 
degli 
Stati 
membri; 
le 
altre 
due 
modalità, 
facoltative 
e 
che 
possono 
pertanto 
anche 
essere 
vietate 
dalle 
singole 
legislazioni 
nazionali, sono quella 
della 
gestione 
diretta 


(55) giusta 
l’art. 16, comma 
1, D.L.vo n. 422/1997 “I servizi 
minimi, qualitativamente 
e 
quantitativamente 
sufficienti 
a soddisfare 
la domanda di 
mobilità dei 
cittadini 
e 
i 
cui 
costi 
sono a carico del 
bilancio delle 
regioni, sono definiti 
tenendo conto: a) dell'integrazione 
tra le 
reti 
di 
trasporto; b) del 
pendolarismo scolastico e 
lavorativo; c) della fruibilità dei 
servizi 
da parte 
degli 
utenti 
per 
l'accesso ai 
vari 
servizi 
amministrativi, socio-sanitari 
e 
culturali; d) delle 
esigenze 
di 
riduzione 
della congestione 
e 
dell'inquinamento”. 

RASSegNA 
AVVoCATuRA 
DeLLo 
STATo -N. 3/2020 


(cioè 
la 
fornitura 
del 
servizio da 
parte 
delle 
stesse 
autorità 
locali 
competenti) 
e 
quella 
dell'aggiudicazione 
mediante 
affidamento diretto ad un soggetto distinto. 
La 
possibilità 
di 
affidamento diretto è 
però subordinata 
alla 
presenza 
di 
determinati 
requisiti: 
l'affidamento deve 
avvenire 
a 
favore 
di 
un soggetto 
giuridicamente 
distinto su cui 
l'autorità 
pubblica 
eserciti 
un controllo analogo 
a 
quello esercitato sulle 
proprie 
strutture 
(si 
deve 
trattare 
cioè 
di 
una 
società 
in 
house) 
e 
non 
ci 
deve 
essere 
un 
divieto 
da 
parte 
del 
legislatore 
nazionale. 
gli 
affidamenti 
diretti 
sono peraltro sempre 
consentiti 
(sempre 
fatto salvo il 
divieto da 
parte 
del 
Legislatore 
nazionale) al 
di 
sotto di 
determinate 
soglie 
di 
valore e dimensione del servizio. 


L’organizzazione 
dei 
servizi 
di 
trasporto 
pubblico 
regionale 
e 
locale 
è 
delineata 
negli artt. 17-19 D.L.vo n. 422/1997. Alla stregua di tale normativa: 


-occorre 
che 
il 
gestore 
del 
servizio, in ossequio ai 
principi 
in materia 
di 
concorrenza, venga scelto all’esito di una gara; 


-possono essere 
previsti 
obblighi 
di 
servizi 
in capo al 
gestore. ossia: 
è 
necessario assicurare 
il 
servizio anche 
in tratte 
con costi 
che 
superano i 
ricavi 
-tanto al 
fine 
di 
garantire 
il 
diritto alla 
mobilità 
degli 
utenti 
-sicché 
i 
gestori 
sono obbligati 
al 
relativo servizio. ovviamente 
il 
costo deve 
poi 
essere 
sostenuto 
dall’ente pubblico affidante; 
- la gestione della rete deve essere separata dalla gestione del servizio. 
Va 
precisato che 
la 
disciplina 
modellata 
nel 
D.L.vo n. 422/1997 -specie 
in ordine 
alle 
modalità 
di 
affidamento del 
servizio -dopo tanti 
anni, stenta 
ancora 
ad affermarsi. Sono intervenute 
nel 
frattempo leggi 
e 
leggine 
che 
hanno 
consentito 
il 
mantenimento 
dello 
status 
quo, 
con 
affidamenti 
diretti, 
perpetuando 
monopoli od oligopoli. 


Ciò osservato in via generale, l’art. 18, in dettaglio così dispone: 


-l'esercizio dei 
servizi 
di 
trasporto pubblico regionale 
e 
locale, con qualsiasi 
modalità 
effettuati 
e 
in qualsiasi 
forma 
affidati, è 
regolato mediante 
contratti 
di 
servizio 
di 
durata 
non 
superiore 
a 
nove 
anni. 
L'esercizio 
deve 
rispondere 
a 
principi 
di 
economicità 
ed efficienza, da 
conseguirsi 
anche 
attraverso 
l'integrazione 
modale 
dei 
servizi 
pubblici 
di 
trasporto. I servizi 
in economia 
sono disciplinati 
con regolamento dei 
competenti 
enti 
locali. Al 
fine 
di 
garantire 
l'efficace 
pianificazione 
del 
servizio, degli 
investimenti 
e 
del 
personale, 
i 
contratti 
di 
servizio 
relativi 
all'esercizio 
dei 
servizi 
di 
trasporto 
pubblico 
ferroviario 
comunque 
affidati 
hanno 
durata 
minima 
non 
inferiore 
a 
sei 
anni 
rinnovabili 
di 
altri 
sei, nei 
limiti 
degli 
stanziamenti 
di 
bilancio allo scopo finalizzati. 
All’evidenza 
la 
legge 
ha 
previsto il 
contratto di 
servizio quale 
strumento 
-di 
generale 
applicazione 
ed obbligatorio -per regolare 
l’esercizio dei 
servizi di trasporto pubblico regionale e locale; 
-i 
servizi 
di 
trasporto pubblico ferroviario, qualora 
debbano essere 
svolti 
anche 
sulla 
rete 
infrastrutturale 
nazionale, 
sono 
affidati 
dalle 
regioni 
ai 
soggetti 
in possesso del 
titolo autorizzatorio di 
cui 
all'articolo 3, comma 
1, lettera 
r) 

CoNTRIbuTI 
DI 
DoTTRINA 


(56), 
del 
decreto 
legislativo 
8 
luglio 
2003, 
n. 
188, 
ovvero 
della 
apposita 
licenza 
valida 
in ambito nazionale 
rilasciata 
con le 
procedure 
previste 
dal 
medesimo 
decreto legislativo n. 188 del 2003; 


-allo 
scopo 
di 
incentivare 
il 
superamento 
degli 
assetti 
monopolistici 
e 
di 
introdurre 
regole 
di 
concorrenzialità 
nella 
gestione 
dei 
servizi 
di 
trasporto 
regionale 
e 
locale, 
per 
l'affidamento 
dei 
servizi 
le 
regioni 
e 
gli 
enti 
locali 
si 
attengono 
ai 
principi 
dell'articolo 
2 
della 
legge 
14 
novembre 
1995, 
n. 
481 
disciplinante 
l’Autorità 
per 
i 
servizi 
di 
pubblica 
utilità 
-garantendo 
in 
particolare: 
il 
ricorso 
alle 
procedure 
concorsuali 
per 
la 
scelta 
del 
gestore 
del 
servizio 
sulla 
base 
degli 
elementi 
del 
contratto 
di 
servizio 
e 
in 
conformità 
alla 
normativa 
comunitaria 
e 
nazionale 
sugli 
appalti 
pubblici 
di 
servizio. 
La 
gara 
è 
aggiudicata 
sulla 
base 
delle 
migliori 
condizioni 
economiche 
e 
di 
prestazione 
del 
servizio, 
nonché 
dei 
piani 
di 
sviluppo 
e 
potenziamento 
delle 
reti 
e 
degli 
impianti, 
oltre 
che 
della 
fissazione 
di 
un 
coefficiente 
minimo 
di 
utilizzazione 
per 
la 
istituzione 
o 
il 
mantenimento 
delle 
singole 
linee 
esercite. 
Il 
bando 
di 
gara 
deve 
garantire 
che 
la 
disponibilità 
a 
qualunque 
titolo 
delle 
reti, 
degli 
impianti 
e 
delle 
altre 
dotazioni 
patrimoniali 
essenziale 
per 
l'effettuazione 
del 
servizio 
non 
costituisca, 
in 
alcun 
modo, 
elemento 
discriminante 
per 
la 
valutazione 
delle 
offerte 
dei 
concorrenti. 
Il 
bando 
di 
gara 
deve 
altresì 
assicurare 
che 
i 
beni 
di 
cui 
al 
periodo 
precedente 
siano, 
indipendentemente 
da 
chi 
ne 
abbia, 
a 
qualunque 
titolo, 
la 
disponibilità, 
messi 
a 
disposizione 
del 
gestore 
risultato 
aggiudicatario 
a 
seguito 
di 
procedura 
ad 
evidenza 
pubblica; 
l'esclusione, 
in 
caso 
di 
mancato 
rinnovo 
del 
contratto 
alla 
scadenza 
o 
di 
decadenza 
dal 
contratto 
medesimo, 
di 
indennizzo 
al 
gestore 
che 
cessa 
dal 
servizio; 
l'indicazione 
delle 
modalità 
di 
trasferimento, 
in 
caso 
di 
cessazione 
dell'esercizio, 
dal 
precedente 
gestore 
all'impresa 
subentrante 
dei 
beni 
essenziali 
per 
l'effettuazione 
del 
servizio 
e 
del 
personale 
dipendente; 
l'applicazione 
della 
disposizione 
dell'articolo 
1, 
comma 
5, 
del 
regolamento 
1893/91/Cee 
alle 
società 
di 
gestione 
dei 
servizi 
di 
trasporto 
pubblico 
locale 
che, 
oltre 
a 
questi 
ultimi 
servizi, 
svolgono 
anche 
altre 
attività; 
la 
determinazione 
delle 
tariffe 
del 
servizio 
in 
analogia, 
ove 
possibile, 
a 
quanto 
previsto 
dall'articolo 
2 
della 
legge 
14 
novembre 
1995, 
n. 
481; 
relativamente 
ai 
servizi 
di 
trasporto 
pubblico 
ferroviario, 
la 
definizione 
di 
meccanismi 
certi 
e 
trasparenti 
di 
aggiornamento 
annuale 
delle 
tariffe 
in 
coerenza 
con 
l'incremento 
dei 
costi 
dei 
servizi, 
che 
tenga 
conto 
del 
necessario 
miglioramento 
dell'efficienza 
nella 
prestazione 
dei 
servizi, 
del 
rapporto 
tra 
ricavi 
da 
traffico 
e 
costi 
operativi, 
di 
cui 
all'articolo 


(56) 
“r) 
«titolo 
autorizzatorio», 
il 
titolo 
di 
cui 
all'articolo 
131, 
comma 
1, 
della 
legge 
23 
dicembre 
2000, n. 388, rilasciato dal 
Ministro delle 
infrastrutture 
e 
dei 
trasporti 
su richiesta delle 
imprese 
ferroviarie 
in possesso di 
licenza, che 
consente 
l'espletamento, sulla rete 
infrastrutturale 
nazionale, di 
tutte 
le 
tipologie 
di 
servizi 
di 
trasporto 
in 
àmbito 
nazionale 
ed 
internazionale, 
a 
condizioni 
di 
reciprocità 
qualora si 
tratti 
di 
imprese 
ferroviarie 
aventi 
sede 
all'estero o loro controllate 
ai 
sensi 
dell'articolo 7 
della legge 10 ottobre 1990, n. 287”. 

RASSegNA 
AVVoCATuRA 
DeLLo 
STATo -N. 3/2020 


19, 
comma 
5, 
del 
tasso 
di 
inflazione 
programmato, 
nonché 
del 
recupero 
di 
produttività 
e 
della 
qualità 
del 
servizio 
reso. 


L’art. 
27, 
comma 
12 
quater, 
D.L. 
24 
aprile 
2017, 
n. 
50, 
conv. 
L. 
21 
giugno 
2017, n. 96 ha 
poi 
stabilito il 
principio di 
separazione 
delle 
funzioni 
di 
regolazione, 
indirizzo, organizzazione 
e 
controllo e 
quelle 
di 
gestione 
dei 
servizi 
di 
trasporto 
pubblico 
locale 
e 
regionale. 
La 
norma 
stabilisce, 
in 
particolare, 
l'obbligo 
per 
l'ente 
locale 
o 
la 
regione 
affidante 
di 
avvalersi 
obbligatoriamente 
di 
un'altra 
stazione 
appaltante 
per 
lo 
svolgimento 
della 
procedura 
di 
affidamento 
dei 
servizi 
di 
trasporto 
pubblico 
locale 
e 
regionale 
qualora 
il 
gestore 
uscente, ovvero uno dei 
concorrenti, sia 
controllato o partecipato dall'ente 
affidante, 
ovvero sia affidatario del servizio in via diretta ovvero in house. 

In 
materia 
di 
scelta 
del 
contraente 
è 
intervenuto 
anche 
l'articolo 
48, 
commi 
4 e 
5, del 
D.L. n. 50/2017, prevedendo che 
gli 
enti 
affidanti 
articolino 
i 
bacini 
di 
mobilità 
in più lotti, oggetto di 
procedure 
di 
gara 
e 
di 
contratti 
di 
servizio, tenuto conto delle 
caratteristiche 
della 
domanda. L'art. 48, commi 
13 
del 
D.L. n. 50/2017 dispone 
che 
i 
bacini 
di 
mobilità 
per i 
servizi 
di 
trasporto 
pubblico regionale 
e 
locale 
e 
i 
relativi 
enti 
di 
governo, siano determinati 
dalle 
regioni, sentite 
le 
città 
metropolitane, gli 
altri 
enti 
di 
area 
vasta 
e 
i 
comuni 
capoluogo 
di 
Provincia, nell'ambito della 
pianificazione 
del 
trasporto pubblico 
regionale 
e 
locale, 
sulla 
base 
di 
analisi 
della 
domanda 
che 
tengano 
conto 
delle 
caratteristiche 
socio-economiche, 
demografiche 
e 
comportamentali 
dell'utenza 
potenziale, della 
struttura 
orografica, del 
livello di 
urbanizzazione 
e 
dell'articolazione 
produttiva del territorio di riferimento. 


All’esito di 
procedura 
di 
evidenza 
pubblica 
viene 
stipulato il 
contratto di 
servizio disciplinato dall’art. 19 D.L.vo n. 422/1997 nel modo seguente: 


-i 
contratti 
di 
servizio assicurano la 
completa 
corrispondenza 
fra 
oneri 
per servizi 
e 
risorse 
disponibili, al 
netto dei 
proventi 
tariffari 
e 
sono stipulati 
prima 
dell'inizio del 
loro periodo di 
validità. Per i 
servizi 
ferroviari 
i 
contratti 
di 
servizio sono stipulati 
sette 
mesi 
prima 
dell'inizio del 
loro periodo di 
validità, 
al fine di consentire la definizione degli orari nazionali. 
-i 
contratti 
di 
servizio per i 
quali 
non è 
assicurata, al 
momento della 
loro 
stipula, la 
corrispondenza 
tra 
l'importo eventualmente 
dovuto dall'ente 
pubblico 
all'azienda 
di 
trasporto 
per 
le 
prestazioni 
oggetto 
del 
contratto 
e 
le 
risorse 
effettivamente disponibili sono nulli; 
-i 
contratti 
di 
servizio, tra 
l’altro, definiscono: 
il 
periodo di 
validità; 
le 
caratteristiche 
dei 
servizi 
offerti 
ed 
il 
programma 
di 
esercizio; 
gli 
standard 
qualitativi 
minimi 
del 
servizio, in termini 
di 
età, manutenzione, confortevolezza 
e 
pulizia 
dei 
veicoli, 
e 
di 
regolarità 
delle 
corse; 
la 
struttura 
tariffaria 
adottata 
ed 
i 
criteri 
di 
aggiornamento 
annuale; 
l'importo 
eventualmente 
dovuto 
dall'ente 
pubblico all'azienda 
di 
trasporto per le 
prestazioni 
oggetto del 
contratto 
e 
le 
modalità 
di 
pagamento, nonché 
eventuali 
adeguamenti 
conseguenti 
a 
mutamenti 
della 
struttura 
tariffaria; 
le 
modalità 
di 
modificazione 
del 
contratto 

CoNTRIbuTI 
DI 
DoTTRINA 


successivamente 
alla 
conclusione; 
le 
garanzie 
che 
devono essere 
prestate 
dal-
l'azienda 
di 
trasporto; 
le 
sanzioni 
in caso di 
mancata 
osservanza 
del 
contratto; 


-i 
contratti 
di 
servizio pubblico devono avere 
caratteristiche 
di 
certezza 
finanziaria 
e 
copertura 
di 
bilancio e 
prevedere 
un progressivo incremento del 
rapporto tra 
ricavi 
da 
traffico e 
costi 
operativi, rapporto che, al 
netto dei 
costi 
di infrastruttura, dovrà essere pari almeno allo 0,35 (57). 
Le 
regioni, 
le 
province 
e 
i 
comuni, 
allo 
scopo 
di 
assicurare 
la 
mobilità 
degli 
utenti, 
definiscono 
obblighi 
di 
servizio 
pubblico 
(58), 
prevedendo 
nei 
contratti 
di 
servizio, 
le 
corrispondenti 
compensazioni 
economiche 
alle 
aziende 
esercenti 
i 
servizi 
stessi, determinate 
secondo il 
criterio dei 
costi 
standard che 
dovrà 
essere 
osservato 
dagli 
enti 
affidanti 
nella 
quantificazione 
dei 
corrispettivi 
da 
porre 
a 
base 
d'asta 
previsti 
nel 
bando di 
gara 
o nella 
lettera 
di 
invito delle 
procedure 
concorsuali, tenendo conto dei 
proventi 
derivanti 
dalle 
tariffe 
e 
di 
quelli 
derivanti 
anche 
dalla 
eventuale 
gestione 
di 
servizi 
complementari 
alla 
mobilità 
(art. 17 D.L.vo n. 422/1997). L’art. 27, comma 
8 bis 
D.L. n. 50/2017 
impone 
agli 
enti 
affidatari 
dei 
servizi 
di 
trasporto pubblico locale 
e 
regionale, 
di 
determinare 
le 
compensazioni 
economiche 
e 
i 
corrispettivi 
da 
porre 
a 
base 
d'asta sulla base dei costi standard. 

Il 
contratto di 
servizio, attesi 
i 
caratteri 
giuridici, integra 
un contratto ad 
oggetto pubblico e 
in specie 
un accordo amministrativo sostitutivo di 
cui 
all’art. 
11 L. n. 241/1990, con carattere 
necessario atteso che 
costituisce 
l’unica 
modalità 
tipizzata 
di 
esercizio del 
potere 
amministrativo per la 
costituzione 
e 
disciplina 
del 
rapporto tra 
gestore 
e 
Amministrazione 
(59), sicché 
è 
impedito 
all'amministrazione 
di 
intervenire 
nella 
definizione 
dei 
relativi 
obblighi 
in via 
unilaterale, a mezzo di atti autoritativi quale il regolamento (60). 


espressione 
del 
principio 
della 
separazione 
della 
gestione 
della 
rete 
dalla 
gestione del servizio sono le seguenti disposizioni: 


-art. 8, comma 
4 bis 
D.L.vo n. 422/1997 secondo cui 
la 
gestione 
delle 
reti 
e 
dell'infrastruttura 
ferroviaria 
per 
l'esercizio 
dell'attività 
di 
trasporto 
a 
mezzo ferrovia 
è 
regolata 
dalle 
norme 
di 
separazione 
contabile 
o costituzione 
di imprese separate; 
-l’art. 48, comma 
2, D.L. n. 50/2017 per il 
quale 
“Agli 
enti 
di 
governo 
dei 
bacini 
possono essere 
conferite 
in uso le 
reti, gli 
impianti 
e 
le 
altre 
dota(
57) 
In 
virtù 
dell’art. 
19, 
comma 
5, 
D.L.vo 
n. 
422/1997 
"Con 
decreto 
del 
Ministro 
delle 
infrastrutture 
e 
dei 
trasporti, di 
concerto con il 
Ministro dell'economia e 
delle 
finanze, sentita la Conferenza 
unificata di 
cui 
all'articolo 8 del 
decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, la soglia minima del 
rapporto 
di 
cui 
al 
precedente 
periodo può essere 
rideterminata per 
tenere 
conto del 
livello della domanda 
di trasporto e delle condizioni economiche e sociali”. 
(58) 
“Per 
"obblighi 
di 
servizio 
pubblico" 
si 
intendono 
gli 
obblighi 
che 
l'impresa 
di 
trasporto, 
ove 
considerasse 
il 
proprio 
interesse 
commerciale, 
non 
assumerebbe 
o 
non 
assumerebbe 
nella 
stessa 
misura 
né alle stesse condizioni” 
(art. 2, comma 1, Reg. (Cee) 26 giugno 1969, n. 1191). 
(59) Conf. TAR Piemonte, 10 giugno 2010, n. 2750. 
(60) Conf. Cons. Stato, 19 marzo 2018, n. 1746. 

RASSegNA 
AVVoCATuRA 
DeLLo 
STATo -N. 3/2020 


zioni 
patrimoniali 
di 
proprietà 
degli 
enti 
pubblici 
associati. 
In 
tal 
caso 
gli 
enti 
di 
governo costituiscono società interamente 
possedute 
dagli 
enti 
conferenti, 
che 
possono affidare 
anche 
la gestione 
delle 
reti, degli 
impianti 
e 
delle 
altre 
dotazioni 
patrimoniali. Al 
capitale 
di 
tali 
società non è 
ammessa la partecipazione, 
neanche parziale o indiretta, di soggetti privati”. 


Circa 
poi 
le 
leggi 
e 
leggine 
che 
hanno 
annacquato 
i 
principi 
sopraesposti, 
in ordine 
alle 
modalità 
di 
affidamento dei 
servizi 
di 
trasporto pubblico locale, 
si evidenzia quanto segue. 


L’art. 
61 
(61) 
L. 
23 
luglio 
2009, 
n. 
99 
ha 
attenuato 
il 
principio 
dell'obbligo 
di 
affidamento 
dei 
servizi 
con 
procedure 
concorsuali, 
stabilito 
originariamente 
dall'articolo 
18 
del 
D.L.vo 
n. 
422/1997, 
attraverso 
la 
facoltà, 
concessa 
alle 
autorità 
competenti, di 
aggiudicare 
direttamente 
i 
contratti 
di 
servizio, anche 
in 
deroga 
alla 
disciplina 
di 
settore, attraverso un richiamo alle 
specifiche 
previsioni 
del 
regolamento (Ce) n. 1370/2007. Sicché 
si 
è 
consentito l'utilizzo di 
tutte 
e 
tre 
le 
modalità 
di 
affidamento previste 
dalla 
disciplina 
europea, concedendo 
espressamente 
alle 
autorità 
competenti, la facoltà di aggiudicare direttamente 
i 
contratti 
di 
servizio, 
anche 
in 
deroga 
alla 
disciplina 
di 
settore, 
avvalendosi 
delle 
previsioni 
dell'articolo 
5, 
paragrafi 
2, 
4, 
5 
e 
6, 
e 
dell'articolo 
8, paragrafo 2, del regolamento (Ce) n. 1370/2007. 


c) utenti 
del 
servizio. gli 
utenti 
beneficiano del 
servizio con la 
stipula 
di 
un 
contratto 
di 
trasporto 
e 
-a 
fronte 
della 
prestazione 
-pagano 
un 
corrispettivo 
di diritto privato. gli stessi vantano un diritto soggettivo alla prestazione. 
Con 
riguardo, 
infine, 
al 
trasporto 
aereo, 
marittimo 
e 
ferroviario 
(62) 
si 
rileva 
quanto segue. 


Tale 
servizio 
va 
distinto 
dalle 
materie 
“porti 
e 
aeroporti 
civili” 
e 
“grandi 
reti 
di 
trasporto e 
di 
navigazione” 
oggetto di 
competenza 
legislativa 
concorrente 
di 
Stato 
e 
Regioni 
ex 
art. 
117, 
comma 
3, 
Cost. 
(63), 
non 
involgendo, 
queste, 
gli aspetti del servizio pubblico (64). 


a) Trasporto aereo. 
La 
materia 
è 
disciplinata 
dal 
regolamento 
(Ce) 
n. 
1008/2008 
del 
parlamento 


(61) “Al 
fine 
di 
armonizzare 
il 
processo di 
liberalizzazione 
e 
di 
concorrenza nel 
settore 
del 
trasporto 
pubblico regionale 
e 
locale 
con le 
norme 
comunitarie, le 
autorità competenti 
all'aggiudicazione 
di 
contratti 
di 
servizio, anche 
in deroga alla disciplina di 
settore, possono avvalersi 
delle 
previsioni 
di 
cui 
all'articolo 5, paragrafi 
2, 4, 5 e 
6, e 
all'articolo 8, paragrafo 2, del 
regolamento (Ce) n. 1370/2007 
del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 ottobre 2007 
[…]”. 
(62) 
Per 
un 
quadro 
della 
materia: 
F.g. 
SCoCA 
(a 
cura 
di), 
Diritto 
amministrativo, 
cit., 
pp. 
619-622. 
(63) Sul 
quadro competenziale: 
P. DI 
PALMA, Il 
trasporto aereo tra Stato e 
regioni, in Rass. Avv. 
Stato, 2014, 2, pp. 268-277, evidenziante 
che 
la 
materia 
“porti 
e 
aeroporti 
civili” 
riguarda 
le 
infrastrutture 
e 
la 
loro collocazione 
sul 
territorio regionale; 
P. DI 
PALMA, Problemi 
attuali 
del 
trasporto aereo nel 
nostro Paese, in Rass. Avv. Stato, 2018, 4, pp. 204-240. 
(64) 
g. 
guzzeTTA, 
F.S. 
MARINI, 
D. 
MoRANA 
(a 
cura 
di), 
Le 
materie 
di 
competenza 
regionale. 
Commentario, cit., p. 221. 

CoNTRIbuTI 
DI 
DoTTRINA 


europeo 
e 
del 
consiglio 
del 
24 
settembre 
2008 
recante 
norme 
comuni 
per 
la 
prestazione 
di 
servizi 
aerei 
nella 
comunità, 
il 
quale 
-tra 
l’altro 
-disciplina: 


-il 
rilascio 
delle 
licenze 
ai 
vettori 
aerei 
unionistici. 
All’uopo 
il 
regolamento 
fissa 
le 
condizioni 
-essenzialmente 
l’acclaramento 
dei 
requisiti 
di 
competenza 
e 
sicurezza 
-acché 
l’autorità 
competente 
di 
uno stato membro possa 
rilasciare 
la 
licenza 
di 
esercizio (quindi 
con autorizzazioni 
non discrezionali); 


-l’accesso alle 
rotte. All’uopo il 
regolamento sancisce 
la 
libertà 
di 
prestazione 
del 
servizio aereo intracomunitario: 
ossia, i 
vettori 
aerei 
comunitari 
possono prestare 
servizi 
intracomunitari 
e 
gli 
Stati 
membri 
devono astenersi 
dal 
subordinare 
il 
servizio a 
qualsivoglia 
permesso o autorizzazione. Il 
regolamento 
stabilisce 
altresì, principi 
generali 
per gli 
oneri 
di 
servizio pubblico 
e, in particolare, prevede 
che 
questi 
oneri 
possano essere 
imposti 
dagli 
Stati 
membri 
solo nella 
misura 
necessaria 
a 
garantire 
che 
su rotte 
antieconomiche 
-essenziali 
per 
lo 
sviluppo 
economico 
e 
sociale 
della 
Regione 
interessata 
siano 
prestati 
servizi 
aerei 
minimi 
rispondenti 
a 
criteri 
di 
continuità, 
regolarità, 
tariffazione o capacità minima; 
-la 
determinazione 
del 
prezzo 
dei 
servizi 
aerei. 
Il 
regolamento 
fissa 
il 
principio 
della 
piena 
libertà 
tariffaria 
e 
sancisce 
che 
la 
relativa 
disciplina 
deve 
ispirarsi a canoni di accessibilità delle informazioni e non discriminazione. 


Quanto ai 
soggetti 
istituzionali 
nel 
settore 
del 
trasporto aereo, un ruolo 
centrale 
è 
rivestito 
dall’ente 
nazionale 
per 
l’aviazione 
civile 
-eNAC 
(ente 
pubblico soggetto all’indirizzo e 
alla 
vigilanza 
del 
Ministero delle 
Infrastrutture 
e 
Trasporti), che 
è 
competente 
in materia 
di 
sicurezza, di 
tutela 
dei 
diritti 
dei 
passeggeri 
e 
dell’ambiente 
e 
di 
obblighi 
di 
servizio 
pubblico, 
e 
dall’eNAV 


s.p.a. (società 
nazionale 
per l’assistenza 
al 
volo, interamente 
partecipata 
dallo 
Stato), che 
è 
responsabile 
del 
controllo del 
traffico aereo, della 
navigazione 
terminale in aeroporto, nonché dell’assegnazione delle aerovie. 
b) Trasporto marittimo. 
La 
materia 
è 
disciplinata 
dal 
regolamento (Ce) n. 4055/1986 del 
Consiglio 
del 
22 dicembre 
1986 che 
applica 
il 
principio della 
libera 
prestazione 
dei 
servizi 
ai 
trasporti 
marittimi 
tra 
Stati 
membri 
e 
tra 
Stati 
membri 
e 
paesi 
terzi 
ed altresì 
dal 
Regolamento (Cee) n. 3577/92 del 
Consiglio, del 
7 dicembre 
1992, 
concernente 
l'applicazione 
del 
principio 
della 
libera 
prestazione 
dei 
servizi 
ai 
trasporti 
marittimi 
fra 
Stati 
membri 
(cabotaggio 
marittimo). 
Valgono 
principi analoghi a quelli descritti in materia di trasporto aereo. 


A 
tutela 
della 
sicurezza 
e 
della 
concorrenza 
è 
stata 
istituita 
-con Regolamento 
(Ce) n. 1406/2002 del 
Parlamento europeo e 
del 
Consiglio, del 
27 giugno 
2002 - l’Agenzia europea per la sicurezza marittima (eMSA). 


c) Trasporto ferroviario nazionale e internazionale. 
La 
materia 
è 
disciplinata 
dalla 
direttiva 
unionistica 
n. 
2012/34/ue 
del 
Parlamento europeo e 
del 
Consiglio che 
istituisce 
uno spazio ferroviario europeo 
unico, attuata con D.L.vo 15 luglio 2015, n. 112, il quale disciplina: 



RASSegNA 
AVVoCATuRA 
DeLLo 
STATo -N. 3/2020 


-le 
regole 
relative 
all'utilizzo 
ed 
alla 
gestione 
dell'infrastruttura 
ferroviaria 
adibita 
a 
servizi 
ferroviari 
nazionali 
e 
internazionali 
ed 
alle 
attività 
di 
trasporto 
per ferrovia 
delle 
imprese 
ferroviarie 
operanti 
in Italia 
(artt. 11-16 D.L.vo n. 
112/2015). 


Poiché 
la 
rete 
ferroviaria, non essendo duplicabile, attiene 
ad un monopolio 
naturale, 
è 
prevista 
la 
separazione 
tra 
il 
soggetto 
gestore 
di 
essa 
ed 
i 
soggetti 
erogatori 
del 
servizio 
di 
trasporto. 
Il 
gestore 
della 
rete 
-ossia: 
Rete 
Ferroviaria 
Italiana 
s.p.a., 
totalmente 
partecipata 
da 
Ferrovie 
dello 
Stato 
s.p.a., 
a 
sua 
volta 
totalmente 
partecipata 
dallo Stato -deve 
essere 
un soggetto indipendente 
dai 
fornitori 
del 
servizio ed è 
tenuto ad assegnare 
la 
capacità 
di 
infrastruttura 
ferroviaria 
nel 
rispetto 
dei 
criteri 
di 
equità, 
trasparenza 
e 
non 
discriminazione 
(65). Alle 
imprese 
ferroviarie 
è 
concesso, a 
condizioni 
eque, 
non discriminatorie 
e 
trasparenti, il 
diritto di 
accesso alla 
infrastruttura 
ferroviaria 
per 
l'esercizio 
del 
trasporto 
ferroviario 
di 
merci 
e 
dei 
servizi 
ad 
esso 
collegati 
e per l'esercizio dei servizi di trasporto ferroviario di passeggeri. 

I rapporti 
tra 
il 
gestore 
dell'infrastruttura 
ferroviaria 
nazionale 
e 
lo Stato 
sono 
disciplinati 
da 
un 
atto 
di 
concessione 
e 
da 
uno 
o 
più 
contratti 
di 
programma. 
I 
contratti 
di 
programma 
sono 
stipulati 
per 
un 
periodo 
minimo 
di 
cinque 
anni, nel 
rispetto dei 
principi 
e 
parametri 
fondamentali 
di 
cui 
all'allegato 
II del D.L.vo n. 112/2015; 


-i 
criteri 
che 
disciplinano 
il 
rilascio, 
la 
proroga 
o 
la 
modifica 
delle 
licenze 
per la 
prestazione 
di 
servizi 
di 
trasporto ferroviario da 
parte 
delle 
imprese 
ferroviarie 
stabilite in Italia (artt. 4-10 D.L.vo n. 12/2015). 


I soggetti 
erogatori 
del 
servizio di 
trasporto, per accedere 
all’infrastruttura, 
devono ottenere 
una 
licenza 
da 
parte 
del 
Ministero delle 
infrastrutture 
e 
trasporti, il 
cui 
rilascio non è 
discrezionale, essendo subordinato al 
mero accertamento 
dei 
requisiti 
in materia 
di 
onorabilità, capacità 
finanziaria 
e 
competenza 
professionale, nonché 
di 
copertura 
della 
propria 
responsabilità 
civile 
stabiliti 
dalla 
legge. Tra 
i 
soggetti 
erogatori 
del 
servizio ricordiamo la 
società 
Trenitalia 
s.p.a., 
anch’essa 
totalmente 
partecipata 
da 
Ferrovie 
dello 
Stato 
s.p.a.; 


-i 
principi 
e 
le 
procedure 
da 
applicare 
nella 
determinazione 
e 
nella 
riscossione 
dei 
canoni 
dovuti 
per 
l'utilizzo 
dell'infrastruttura 
ferroviaria 
ed 
anche 
nell'assegnazione 
della 
capacità 
di 
tale 
infrastruttura 
(artt. 
17-21 
D.L.vo 
n. 
112/2015). 


Fermo 
restando 
il 
generale 
potere 
di 
indirizzo 
del 
Ministro 
delle 
infrastrutture 
e 
dei 
trasporti, di 
concerto con il 
Ministro dell'economia 
e 
delle 
finanze, 
ai 
fini 
dell'accesso 
e 
dell'utilizzo 
equo 
e 
non 
discriminatorio 
dell'infrastruttura 
ferroviaria 
da 
parte 
delle 
imprese 
ferroviarie, l'Autorità 
di 
regolazione 
dei 
trasporti, fatta 
salva 
l'indipendenza 
del 
gestore 
dell'infrastrut


(65) 
L’assegnazione 
della 
capacità 
di 
infrastruttura 
è 
regolata 
negli 
artt. 
22-41 
del 
D.L.vo 
n. 
112/2015. 

CoNTRIbuTI 
DI 
DoTTRINA 


tura 
e 
tenendo conto dell'esigenza 
di 
assicurare 
l'equilibrio economico dello 
stesso, stabilisce 
i 
criteri 
per la 
determinazione 
del 
canone 
per l'utilizzo del-
l'infrastruttura 
ferroviaria 
da 
parte 
del 
gestore 
dell'infrastruttura 
e 
dei 
corrispettivi 
dei 
servizi. 
Di 
seguito, 
il 
gestore 
dell'infrastruttura 
ferroviaria 
determina 
il 
canone 
dovuto dalle 
imprese 
ferroviarie 
per l'utilizzo dell'infrastruttura 
e 
procede 
alla 
riscossione 
dello 
stesso. 
Il 
gestore 
dell'infrastruttura 
provvede 
affinché 
l'applicazione 
del 
sistema 
di 
imposizione 
comporti 
canoni 
equivalenti 
e 
non 
discriminatori 
per 
le 
diverse 
imprese 
ferroviarie 
che 
prestano 
servizi di natura equivalente su una parte simile del mercato o di rete. 

10. Tipologia di servizi pubblici economici. 
(segue) Forniture elettriche. 
Il 
settore 
dell’energia 
elettrica, così 
come 
quello del 
gas 
naturale, è 
stato 
progressivamente, 
anche 
se 
non 
completamente, 
aperto 
al 
mercato 
concorrenziale 
per effetto della 
normativa 
unionistica. Per entrambi 
i 
settori 
si 
è 
realizzato 
il 
superamento dei 
regimi 
di 
riserva 
istituiti 
a 
favore 
di 
soggetti 
pubblici: 
il 
monopolio 
pubblico 
era 
gestito 
dall’enel 
e 
dall’eni 
(enti 
pubblici 
economici, 
poi 
trasformati 
nel 
1992 
in 
società 
per 
azioni) 
-rispettivamente 
nei 
settori 
dell’energia elettrica e del gas naturale. 

Tale 
servizio -come 
quella 
delle 
forniture 
di 
gas 
naturale 
-coinvolge 
la 
materia 
“produzione, 
trasporto 
e 
distribuzione 
nazionale 
dell'energia” 
oggetto 
di 
competenza 
legislativa 
concorrente 
di 
Stato e 
Regioni 
ex 
art. 117, comma 
3, Cost. 

a) La 
disciplina 
della 
materia 
si 
rinviene 
nel 
D.L.vo 16 marzo 1999, n. 
79 e 
succ. mod., in attuazione 
delle 
direttive 
unionistiche 
recanti 
norme 
comuni 
per il mercato interno dell'energia elettrica (66). 
L’attività 
di 
distribuzione 
(ossia 
il 
trasporto di 
energia 
elettrica 
su reti 
in 
media 
e 
bassa 
tensione) per la 
consegna 
ai 
clienti 
finali, avendo carattere 
di 
monopolio 
naturale, 
è 
sottoposta 
ad 
un 
regime 
concessorio: 
il 
rilascio 
delle 
concessioni 
avviene 
mediante 
gara, le 
cui 
modalità 
sono determinate 
con regolamento 
dal 
Ministero 
dello 
sviluppo 
economico, 
sentita 
la 
Conferenza 
uni


(66) 
L’attività 
di 
produzione 
di 
energia 
elettrica 
è 
libera 
(sono 
previste, 
comunque, 
procedure 
autorizzative 
per 
la 
costruzione 
dei 
relativi 
impianti). 
Libere 
sono 
anche 
le 
attività 
di 
importazione 
e 
di 
esportazione 
di 
energia 
elettrica. 
Le 
attività 
di 
trasmissione 
(ossia 
il 
trasporto 
di 
energia 
elettrica 
su 
reti 
ad 
alta 
e 
altissima 
tensione) 
e 
di 
dispacciamento 
(consistente 
nell’insieme 
delle 
funzioni 
per 
l’uso 
coordinato 
di 
impianti 
di 
produzione 
e 
delle 
reti), 
avendo 
carattere 
di 
monopolio 
naturale 
in 
quanto 
la 
rete 
elettrica 
non 
è 
duplicabile, 
sono 
affidate, 
in 
regime 
di 
concessione 
ex 
lege, 
ad 
un 
soggetto 
ad 
hoc, 
il 
gestore 
della 
rete, 
che 
attualmente 
è 
anche 
proprietario 
della 
rete 
stessa. 
Si 
tratta 
di 
Terna 
s.p.a. 
Il 
gestore 
della 
rete 
ha 
l’obbligo 
di 
connettere 
alla 
rete 
tutti 
i 
soggetti 
che 
ne 
facciano 
richiesta, 
senza 
compromettere 
la 
continuità 
del 
servizio, 
e 
purché 
siano 
rispettate 
le 
regole 
tecniche 
e 
le 
condizioni 
determinate 
dall’AReRA, 
atte 
a 
garantire 
a 
tutti 
gli 
utenti 
la 
libertà 
di 
accesso 
alla 
rete 
a 
parità 
di 
condizioni, 
l’imparzialità 
e 
la 
neutralità 
del 
servizio 
(art. 
3, 
commi 
1 
e 
3, 
D.L.vo 
n. 
79/1999). 

RASSegNA 
AVVoCATuRA 
DeLLo 
STATo -N. 3/2020 


ficata 
e 
l’AReRA. Le 
imprese 
distributrici 
hanno l'obbligo di 
connettere 
alle 
proprie 
reti 
tutti 
i 
soggetti 
che 
ne 
facciano richiesta, senza 
compromettere 
la 
continuità 
del 
servizio e 
purché 
siano rispettate 
le 
regole 
tecniche 
nonché 
le 
deliberazioni 
emanate 
dall'AReRA 
in 
materia 
di 
tariffe, 
contributi 
ed 
oneri 
(art. 9 D.L.vo n. 79/1999). 


Anche 
l’attività 
di 
vendita 
dell'energia 
elettrica 
è 
libera. 
Sicché 
tutti 
i 
clienti 
finali 
-domestici; 
non 
domestici; 
idonei, 
ossia 
con 
un 
consumo 
di 
energia 
elettrica 
superiore 
ad una 
certa 
soglia 
-hanno la 
facoltà 
di 
poter scegliere 
liberamente il proprio fornitore (art. 14 D.L.vo n. 79/1999). 


b) ordinamento settoriale. Il 
maggiore 
attore 
è 
lo Stato, titolare 
della 
potestà 
legislativa 
esclusiva 
ex 
art. 
117, 
comma 
2, 
lett. 
e) 
Cost. 
nella 
materia 
della 
“tutela 
della 
concorrenza” 
e 
competente 
a 
fissare 
i 
principi 
fondamentali 
nella 
materia 
concorrente 
(art. 117, comma 
3, Cost.) della 
“produzione, trasporto 
e distribuzione nazionale dell'energia”. 
Per 
lo 
Stato 
le 
funzioni 
spettano 
al 
governo 
ed 
al 
Ministero 
dello 
sviluppo 
economico. 

Il 
governo determina 
gli 
obiettivi 
generali 
di 
politica 
energetica 
e 
indica 
le 
esigenze 
di 
sviluppo dei 
servizi 
di 
pubblica 
utilità 
di 
cui 
le 
autorità 
di 
regolazione 
devono tenere 
conto; 
esso stabilisce 
i 
criteri 
generali 
integrativi 
per la 
determinazione delle tariffe da parte dell’AReRA. 


Il 
Ministero dello sviluppo economico è 
invece 
competente, in via 
generale, 
a 
provvedere 
alla 
sicurezza 
e 
all’economicità 
del 
sistema 
elettrico nazionale: 
a 
tal 
fine 
svolge 
numerose 
funzioni 
di 
carattere 
tecnico, 
come 
ad 
esempio 
il controllo delle attività di manutenzione e sviluppo della rete elettrica. 


In materia 
svolge 
attività 
di 
regolazione 
e 
controllo l'Autorità 
di 
regolazione 
per rnergia reti e ambiente (AReRA). 


c) utenti 
del 
servizio. Il 
contratto di 
fornitura 
di 
energia 
elettrica 
è 
il 
contratto 
con cui 
una 
parte 
(il 
venditore) si 
obbliga, verso il 
corrispettivo di 
un 
prezzo, 
a 
somministrare 
a 
favore 
dell’altra 
(l’utente 
consumatore) 
energia 
elettrica. 
È 
un contratto: 
consensuale 
che 
si 
perfeziona 
solo con il 
consenso delle 
parti: 
oneroso; 
a 
prestazioni 
corrispettive 
(l’energia 
viene 
erogata 
a 
seguito 
del 
pagamento delle 
bollette); 
di 
durata 
(nel 
senso che 
l’esecuzione 
del 
contratto 
si 
protrae 
nel 
tempo per soddisfare 
un bisogno del 
consumatore 
che 
si 
estende 
anche 
esso 
nel 
tempo). 
Ciascun 
utente, 
in 
sostanza, 
è 
libero 
di 
scegliere 
il 
venditore 
di 
energia 
che 
applica 
le 
migliori 
condizioni 
contrattuali 
e 
tariffarie 
in rapporto al proprio caso. 
11. Tipologia di servizi pubblici economici. 
(segue) 
Forniture di gas naturale. 
a) La 
disciplina 
della 
materia 
si 
rinviene 
nel 
D.L.vo 23 maggio 2000, n. 
164 e 
succ. mod., in attuazione 
delle 
direttive 
unionistiche 
recanti 
norme 
comuni 
per il mercato interno del gas naturale (67). 

CoNTRIbuTI 
DI 
DoTTRINA 


L’art. 14, comma 
1, D.L.vo n. 164/2000 stabilisce 
che 
“L'attività di 
distribuzione 
di 
gas 
naturale 
è 
attività 
di 
servizio 
pubblico. 
Il 
servizio 
è 
affidato 
esclusivamente 
mediante 
gara 
per 
periodi 
non 
superiori 
a 
dodici 
anni. 
Gli 
enti 
locali 
che 
affidano 
il 
servizio, 
anche 
in 
forma 
associata, 
svolgono 
attività 
di 
indirizzo, 
di 
vigilanza, 
di 
programmazione 
e 
di 
controllo 
sulle 
attività 
di 
distribuzione, 
ed i 
loro rapporti 
con il 
gestore 
del 
servizio sono regolati 
da appositi 
contratti 
di 
servizio, 
sulla 
base 
di 
un 
contratto 
tipo 
predisposto 
dall'Autorità per 
l'energia elettrica e 
il 
gas 
ed approvato dal 
Ministero del-
l'industria, del commercio e dell'artigianato”. 


b) ordinamento settoriale e c) utenti del servizio. 
Venendo in rilievo un settore 
energetico, vale 
sul 
punto quanto esposto 
per le forniture elettriche. 

12. Tipologia di servizi pubblici economici. 
(segue) 
Telecomunicazioni. 
La 
materia 
“ordinamento 
della 
comunicazione” 
è 
oggetto 
di 
competenza 
legislativa 
concorrente 
di 
Stato e 
Regioni 
ex 
art. 117, comma 
3, Cost. La 
materia 
coincide 
con 
il 
sistema 
delle 
comunicazioni 
considerato 
dalla 
L. 
31 
luglio 
1997, n. 249, istitutiva 
dell’Autorità 
per le 
garanzie 
nelle 
comunicazioni 
e 
riferita 
tanto al settore 
delle 
telecomunicazioni quanto a 
quello della 
radiotelevisione 
(68). 


a) 
La 
disciplina 
della 
materia 
si 
rinviene 
nel 
D.L.vo 
1 
agosto 
2003, 
n. 
259 
(Codice delle comunicazioni elettroniche). 
b) 
ordinamento 
settoriale. 
Il 
maggiore 
attore 
è 
lo 
Stato, 
titolare 
della 
potestà 
legislativa 
esclusiva 
ex 
art. 
117, 
comma 
2, 
lett. 
e) 
Cost. 
nella 
materia 
della 
“tutela 
della 
concorrenza” 
e 
competente 
a 
fissare 
i 
principi 
fondamentali 
nella 
materia 
concorrente 
(art. 
117, 
comma 
3, 
Cost.) 
dell’“ordinamento 
della 
comunicazione”. 
(67) 
Con 
la 
indicata 
normativa 
si 
stabilisce 
la 
liberalizzazione 
del 
mercato 
interno 
del 
gas 
naturale. 
All’uopo l’art. 1, comma 
1, D.L.vo n. 164/2000 enuncia 
che 
“le 
attività di 
importazione, esportazione, 
trasporto 
e 
dispacciamento, 
distribuzione 
e 
vendita 
di 
gas 
naturale, 
in 
qualunque 
sua 
forma 
e 
comunque 
utilizzato, sono libere”; 
l’art. 8, commi 
1 e 
2 D.L.vo n. 164/2000 statuiscono: 
“L'attività di 
trasporto e 
dispacciamento di 
gas 
naturale 
è 
attività di 
interesse 
pubblico. Le 
imprese 
che 
svolgono attività di 
trasporto 
e 
dispacciamento sono tenute 
ad allacciare 
alla propria rete 
gli 
utenti 
che 
ne 
facciano richiesta 
ove 
il 
sistema di 
cui 
esse 
dispongono abbia idonea capacità, e 
purché 
le 
opere 
necessarie 
all'allacciamento 
dell'utente 
siano tecnicamente 
ed economicamente 
realizzabili 
in base 
a criteri 
stabiliti 
con delibera 
dell'Autorità per 
l'energia elettrica e 
il 
gas”; 
invece 
l'attività 
di 
stoccaggio del 
gas 
naturale 
in 
giacimenti 
o unità 
geologiche 
profonde 
è 
attività 
sottoposta 
a 
riserva 
statale 
svolta 
sulla 
base 
di 
concessione, 
di 
durata 
non superiore 
a 
venti 
anni, rilasciata 
dal 
Ministero dello Sviluppo economico ai 
richiedenti 
che 
abbiano la 
necessaria 
capacità 
tecnica, economica 
ed organizzativa 
e 
che 
dimostrino di 
poter 
svolgere, nel 
pubblico interesse, un programma 
di 
stoccaggio rispondente 
alle 
disposizioni 
del 
D.L.vo 
n. 164/2000 (art. 11, comma 1, D.L.vo n. 164/2000). 
(68) 
Per 
tali 
aspetti: 
g. 
guzzeTTA, 
F.S. 
MARINI, 
D. 
MoRANA 
(a 
cura 
di), 
Le 
materie 
di 
competenza 
regionale. Commentario, cit., pp. 312. 

RASSegNA 
AVVoCATuRA 
DeLLo 
STATo -N. 3/2020 


In 
materia 
svolge 
attività 
di 
regolazione 
in 
parte 
il 
Ministero 
dello 
sviluppo 
economico 
e 
in 
parte 
l'Autorità 
per 
le 
garanzie 
nelle 
comunicazioni 
(AgCoM). 


Per quanto riguarda 
la 
disciplina 
dell’accesso al 
mercato, è 
previsto che 
l’attività 
di 
fornitura 
delle 
reti 
o di 
servizi 
di 
comunicazione 
elettronica 
(telefoni, 
internet, 
ecc.) 
sia 
subordinata 
all’ottenimento 
di 
una 
unica 
autorizzazione 
generale, 
rilasciata 
dal 
Ministero 
dello 
sviluppo 
economico 
in 
base 
ad 
una 
procedura 
modellata 
sull’art. 19 L. n. 241/1990, e 
quindi 
di 
carattere 
non discrezionale. 


Il 
Ministero è 
titolare 
di 
una 
generica 
funzione 
di 
vigilanza 
sull’adempimento 
degli 
obblighi 
che 
derivano dalle 
autorizzazioni 
generali 
e 
sul 
rispetto 
della 
normativa 
di 
settore. La 
restante 
funzione 
di 
regolazione 
è 
rimessa, fondamentalmente, 
all’AgCoM. 


c) 
utenti 
del 
servizio. 
Venendo 
in 
rilevo 
un 
servizio, 
gli 
utenti 
finali 
hanno 
il 
diritto ad un insieme 
minimo di 
prestazioni 
su tutto il 
territorio nazionale 
e 
con carattere 
di 
continuità 
(in particolare 
una 
connessione 
in postazione 
fissa 
alla rete telefonica pubblica, un efficace accesso e un elenco degli abbonati). 
13. Tipologia di servizi pubblici economici. 
(segue) Servizio postale. Cenni. 
La 
disciplina 
della 
materia 
si 
rinviene 
nel 
D.L.vo 22 luglio 1999, n. 261 
(Attuazione 
della 
direttiva 
97/67/Ce 
concernente 
regole 
comuni 
per 
lo 
sviluppo 
del 
mercato 
interno 
dei 
servizi 
postali 
comunitari 
e 
per 
il 
miglioramento 
della qualità del servizio). 


14. Giurisdizione. 
In ordine 
alla 
giurisdizione 
nelle 
controversie 
in materia 
di 
servizi 
pubblici 
occorre 
distinguere 
due 
casi: 
controversie 
tra 
utenti 
e 
gestori 
del 
servizio 
pubblico 
e 
controversie 
tra 
i 
gestori 
del 
servizio 
e 
l’amministrazione 
affidante. 


La 
cognizione 
delle 
controversie 
tra 
utenti 
e 
gestori 
del 
servizio 
pubblico 
spetta 
al 
giudice 
ordinario. 
Tanto 
sulla 
base 
delle 
ordinarie 
regole 
sul 
riparto 
di 
giurisdizione 
vendendo 
in 
rilevo 
un 
contratto 
con 
contrapposti 
diritti 
ed 
obblighi. 
Fa 
eccezione 
il 
caso 
del 
servizio 
di 
gestione 
dei 
rifiuti 
nel 
quale 
il 
corrispettivo 
è 
congegnato 
come 
tributo, 
sicché 
la 
controversia 
spetta 
alla 
cognizione 
delle 
Commissioni 
tributarie 
ex 
art.n2 
D.L.vo 
31 
dicembre 
1992, 
n. 
546. 


Attesa 
la 
massività 
dei 
rapporti 
viene 
incentivata 
la 
definizione 
non contenziosa 
delle 
controversie; 
all’uopo le 
carte 
dei 
servizi 
dei 
soggetti 
pubblici 
e 
privati 
che 
erogano servizi 
pubblici 
o di 
pubblica 
utilità 
contengono la 
previsione 
della 
possibilità, per l'utente 
o per la 
categoria 
di 
utenti 
che 
lamenti 
la 
violazione 
di 
un diritto o di 
un interesse 
giuridico rilevante, di 
promuovere 
la 
risoluzione 
non giurisdizionale 
della 
controversia, che 
avviene 
entro i 
trenta 
giorni 
successivi 
alla 
richiesta; 
esse 
prevedono, 
altresì, 
l'eventuale 
ricorso a 



CoNTRIbuTI 
DI 
DoTTRINA 


meccanismi 
di 
sostituzione 
dell'amministrazione 
o del 
soggetto inadempiente 
(art. 30 L. 18 giugno 2009, n. 69) (69). 

L’efficienza 
del 
servizio 
pubblico 
può 
altresì 
essere 
assicurata 
dalla 
c.d. 
class 
action 
pubblica 
ex 
D.L.vo 
20 
dicembre 
2009, 
n. 
198 
rimessa 
alla 
giurisdizione 
esclusiva 
del 
giudice 
amministrativo. 
Al 
fine 
di 
ripristinare 
il 
corretto 
svolgimento 
della 
funzione 
o 
la 
corretta 
erogazione 
di 
un 
servizio, 
i 
titolari 
di 
interessi 
giuridicamente 
rilevanti 
ed 
omogenei 
per 
una 
pluralità 
di 
utenti 
e 
consumatori 
possono 
agire 
in 
giudizio 
nei 
confronti 
delle 
amministrazioni 
pubbliche 
e 
dei 
concessionari 
di 
servizi 
pubblici, 
se 
derivi 
una 
lesione 
diretta, 
concreta 
ed 
attuale 
dei 
propri 
interessi, 
dalla 
violazione 
di 
termini 
o 
dalla 
mancata 
emanazione 
di 
atti 
amministrativi 
generali 
obbligatori 
e 
non 
aventi 
contenuto 
normativo 
da 
emanarsi 
obbligatoriamente 
entro 
e 
non 
oltre 
un 
termine 
fissato 
da 
una 
legge 
o 
da 
un 
regolamento, 
dalla 
violazione 
degli 
obblighi 
contenuti 
nelle 
carte 
di 
servizi 
ovvero 
dalla 
violazione 
di 
standard 
qualitativi 
ed 
economici 
stabiliti, 
per 
i 
concessionari 
di 
servizi 
pubblici, 
dalle 
autorità 
preposte 
alla 
regolazione 
ed 
al 
controllo 
del 
settore 
e, 
per 
le 
pubbliche 
amministrazioni, 
definiti 
dalle 
stesse 
in 
conformità 
alle 
disposizioni 
in 
materia 
di 
performance 
contenute 
nel 
decreto 
legislativo 
27 
ottobre 
2009, 
n. 
150. 
Il 
ricorso 
può 
essere 
proposto 
anche 
da 
associazioni 
o 
comitati 
a 
tutela 
degli 
interessi 
dei 
propri 
associati, 
appartenenti 
alla 
pluralità 
di 
utenti 
e 
consumatori. 
Nel 
giudizio 
di 
sussistenza 
della 
lesione 
il 
giudice 
tiene 
conto 
delle 
risorse 
strumentali, 
finanziarie 
e 
umane 
concretamente 
a 
disposizione 
delle 
parti 
intimate. 
Il 
ricorso 
non 
consente 
di 
ottenere 
il 
risarcimento 
del 
danno 
cagionato 
dagli 
atti 
e 
dai 
comportamenti 
rilevanti; 
a 
tal 
fine, 
restano 
fermi 
i 
rimedi 
ordinari. 


La 
cognizione 
delle 
controversie 
tra 
i 
gestori 
del 
servizio e 
l’amministrazione 
affidante 
“in 
materia 
di 
pubblici 
servizi 
relative 
a 
concessioni 
di 
pubblici 
servizi, escluse 
quelle 
concernenti 
indennità, canoni 
ed altri 
corrispettivi, ovvero 
relative 
a provvedimenti 
adottati 
dalla pubblica amministrazione 
o dal 
gestore 
di 
un 
pubblico 
servizio 
in 
un 
procedimento 
amministrativo, 
ovvero 
ancora 
relative 
all'affidamento di 
un pubblico servizio, ed alla vigilanza e 
controllo 
nei 
confronti 
del 
gestore, 
nonché 
afferenti 
alla 
vigilanza 
sul 
credito, 
sulle 
assicurazioni 
e 
sul 
mercato mobiliare, al 
servizio farmaceutico, ai 
trasporti, 
alle 
telecomunicazioni 
e 
ai 
servizi 
di 
pubblica 
utilità” 
spettano 
alla 
giurisdizione 
esclusiva 
del 
giudice 
amministrativo ex 
art. 133, comma 
1, lett. 


c) D.L.vo n. 104/2010. L’ambito della 
giurisdizione 
esclusiva 
del 
giudice 
amministrativo, 
in tema 
di 
servizi 
pubblici, deve 
considerarsi 
limitato alle 
controversie 
concernenti 
il 
titolo in base 
al 
quale 
i 
servizi 
sono erogati 
(invalidità 
(69) L’art. 11 D.P.R. 7 settembre 
2010, n. 168 contiene 
normativa 
di 
dettaglio con riguardo alla 
tutela non giurisdizionale in materia di servizi pubblici locali di rilevanza economica. 

RASSegNA 
AVVoCATuRA 
DeLLo 
STATo -N. 3/2020 


della 
concessione, mancanza 
dei 
requisiti 
per l’esercizio dei 
diritti 
che 
scaturiscono 
dall’autorizzazione 
generale). essa 
non include, da 
un lato, le 
dispute 
riguardanti 
l’organizzazione 
del 
servizio, che 
la 
giurisprudenza 
assimila 
alle 
azioni 
popolari, ammesse 
dall’ordinamento soltanto in casi 
eccezionali; 
non 
include 
neppure 
-come 
visto 
innanzi 
-le 
controversie 
relative 
alle 
prestazioni 
erogate al pubblico e ai singoli (70). 


(70) Per tali aspetti: g. DeLLA 
CANANeA, Servizi pubblici (Dir. amm.), cit., p. 468. 

ContrIbUtI 
DI 
DottrInA 


VACCINAZIONI 
ANTI-COVID: 
il dialogo necessario tra medicina e diritto 
(*) 


Natale Gaetana* 


nella 
drammaticità 
della 
pandemia 
da 
Covid-19 
la 
ricerca 
scientifica, 
supportata 
da 
ingenti 
finanziamenti 
pubblici, è 
riuscita 
in tempi 
brevissimi 
a 
mettere 
a 
disposizione 
alcuni 
prototipi 
di 
vaccino che 
offrono la 
possibilità 
di 
un 
contenimento 
efficace 
alla 
diffusione 
del 
virus, 
un 
virus 
che, 
per 
la 
sua 
specificità 
e 
per la 
sua 
cd. plasticità d’ospite, ha 
messo in ginocchio l’economia 
dell’intero pianeta. 


“Ma di 
tutto il 
male 
la cosa più terrificante 
era la demoralizzazione 
da 
cui 
venivano 
presi 
quando 
si 
accorgevano 
di 
essere 
stati 
contagiati 
dal 
morbo. 
Ciò provocò la più vasta mortalità” 
(Thuc. II 47,2-48,3). Così 
si 
esprimeva 
tucidide 
nella 
sua 
opera 
“Guerra del 
Peloponneso”, opera 
in cui 
lo storico 
racconta 
la 
peste 
che 
devastò Atene 
durante 
il 
secondo anno della 
guerra 
del 
Peloponneso, nel 430 a.c. 

Le 
parole 
di 
tucidide, 
da 
cui 
si 
evince 
il 
clima 
di 
paura 
del 
contagio 
e 
della 
morte 
nel 
quale 
vivevano 
gli 
ateniesi, 
sono 
ancora 
attuali. 
La 
paura 
del 
virus 
ha 
generato 
una 
vera 
psicosi 
alimentata 
quotidianamente 
dai 
mass-
media 
che 
rappresentano, 
volendo 
usare 
un 
termine 
enucleato 
dalla 
psicologia, 
la 
cd. 
euristica 
della 
disponibilità. 
Duemilacinquecento 
anni 
fa, 
come 
oggi, 
si 
dovette 
gestire 
l’emergenza, 
i 
bisogni 
economici 
e 
prevenire 
la 
disperazione 
e 
i 
disordini 
sociali. 
Il 
grande 
Pericle 
non 
ci 
riuscì 
e 
così 
iniziò 
il 
lento 
declino 
della 
civiltà 
ateniese. 
A 
quel 
tempo 
non 
vi 
erano, 
però, 
i 
vaccini, 
anche 
se 
tucidide 
osservò 
che 
coloro 
che 
sopravvivevano 
alla 
malattia 
infettiva 
sviluppavano 
una 
certa 
resistenza 
tanto 
che 
si 
occupavano 
di 
coloro 
che 
la 
contraevano 
successivamente 
(1). 
Era 
ancora 
lontano 
il 
con


(*
) 
In 
calce 
all’articolo 
si 
pubblica 
il 
Piano 
Strategico 
Vaccinazione 
anti-SARS-CoV-2/COVID-19, 
Elementi 
di 
preparazione 
e 
di 
implementazione 
della 
strategia 
vaccinale 
(Ministero 
della 
Salute, 
Presidenza 
del 
Consiglio dei 
Ministri 
-Commissario Straordinario per 
l’attuazione 
e 
il 
coordinamento 
delle 
misure 
di 
contenimento 
e 
contrasto 
dell’emergenza 
epidemiologica 
Covid-19, 
Istituto 
Superiore 
di Sanità, age.na.s., AIFA -Agenzia Italiana del Farmaco). Aggiornamento del 12 dicembre 2020. 


(*
) 
Avvocato 
dello 
Stato, 
assegnata 
alla 
V 
sezione 
dell'Avvocatura 
Generale 
dello 
Stato, 
Sezione 
preposta 
alla 
difesa 
del 
Ministero 
della 
Salute, 
Istituto 
Superiore 
di 
Sanità 
e 
Aifa 
-Agenzia 
Italiana 
per 
il 
farmaco; 
Consigliere 
Giuridico del 
Ministero del 
Lavoro 
e 
delle 
Politiche 
Sociali; 
Professore 
a 
contratto presso 
l’Università degli Studi di Salerno. 


Si 
ringrazia 
la 
Dott.ssa 
Valentina 
Sabatino, praticante 
forense 
presso l'Avvocatura 
Generale 
dello Stato, 
per la redazione e correzione delle note. 


(1) 
D. 
Von 
EnGELhArDt, 
Il 
sollievo 
della 
sofferenza 
nella 
storia 
della 
medicina, 
in 
E. 
SGrECCIA, 
Storia 
della 
medicina 
e 
storia 
dell’etica 
medica 
verso 
il 
terzo 
millennio, 
Soveria 
Mannelli, 
rubbettino, 
2000. 

rASSEGnA 
AVVoCAtUrA 
DELLo 
StAto -n. 3/2020 


cetto 
di 
“memoria 
immunologica”: 
il 
termine 
vaccino 
(dal 
latino 
“vaccinus”, 
derivato 
da 
“vacca”) 
solo 
parecchi 
millenni 
dopo 
fu 
utilizzato 
per 
indicare 
sia 
il 
vaiolo 
dei 
bovini 
(vaiolo 
vaccino) 
sia 
il 
pus 
ricavato 
dalle 
pustole 
del 
vaiolo 
bovino, 
impiegato 
per 
praticare 
l’immunizzazione 
attiva 
contro 
il 
vaiolo 
umano. 


Il 
principio dell’azione 
della 
vaccinazione 
risiede 
in meccanismi 
fisiologici 
che 
sfruttano 
principalmente 
il 
concetto 
di 
memoria 
immunologica. 
La 
scoperta 
della 
proprietà 
immunizzante 
della 
vaccinazione 
risale 
a 
Edward 
Jenner 
(1749-1823), 
medico 
e 
naturalista 
britannico, 
considerato 
il 
padre 
dell’immunizzazione 
(2). Egli 
dimostrò come 
una 
lieve 
infezione 
prodotta 
dal 
virus 
del 
vaiolo 
vaccino 
fosse 
in 
grado 
di 
proteggere 
da 
quella, 
molto 
più 
grave, 
prodotta 
dal 
virus 
del 
vaiolo umano. Successivamente, nel 
1880, L. Pasteur 
scoprì 
che 
le 
colture 
del 
batterio del 
colera 
dei 
polli 
una 
volta 
esposte 
per un 
adeguato periodo di 
tempo all’ossigeno dell’aria 
si 
“indebolivano” 
e 
non era 
più in grado di 
provocare 
la 
morte 
del 
pollo in cui 
venivano iniettate, ma 
anzi 
l’animale 
diventava 
immune 
a 
eventuali 
successive 
vere 
infezioni 
da 
quel 
germe. 
Questa 
scoperta 
pose 
le 
basi 
per 
l’evoluzione 
dei 
vaccini 
vivi 
attenuati, 
come 
ad esempio oggi 
quello del 
morbillo. La 
storia 
della 
medicina 
potrebbe 
continuare 
con 
le 
scoperte 
di 
Alexander 
Fleming, 
Robert 
Koch, 
scoperte 
e 
studi 
che 
hanno 
portato 
alla 
completa 
eliminazione 
di 
malattie 
prima 
esistenti: 
il 
vaiolo è 
scomparso nel 
1977 e 
dal 
2002 il 
continente 
europeo è 
privo della 
poliomielite (3). 

Perché 
queste 
considerazioni? 
Ebbene 
la 
ragione 
risiede 
nel 
fatto 
che 
nell’attuale 
crisi 
pandemica 
occorre 
recuperare 
la 
fiducia 
nella 
scienza 
medica, 
attraverso 
un 
approccio 
di 
“oggettivizzazione 
di 
significato”, 
promuovendo 
un processo di 
responsabilizzazione 
sociale 
in un’ottica 
meta- individuale 
del 
diritto alla 
salute 
ex 
artt. 2 e 
32 Cost. tale 
processo di 
responsabilizzazione 
deve 
basarsi 
sullo 
stato 
delle 
conoscenze 
scientifiche 
attuali 
con 
il 
rispetto 
del 
principio 
di 
autodeterminazione 
individuale 
che 
trovi 
le 
sue 
basi 
sui 
dati 
scientifici 
certi, così 
come 
riportati 
nelle 
più autorevoli 
riviste 
scientifiche 
secondo 
i criteri rigorosi dell’index quotation, peer review e impact factors. 


Dal 
punto 
di 
vista 
giuridico 
il 
vaccino 
deve 
inquadrarsi 
tra 
le 
misure 
volte 
al 
contenimento 
del 
virus, 
materia 
di 
profilassi 
internazionale, 
di 
attribuzione 
esclusiva 
dello 
Stato 
ex 
art. 
117, 
comma 
2, 
lett. 
q, 
perché 
è 
riservato 
a 
quest’ultimo 
“il 
compito 
di 
qualificare 
come 
obbligatorio 
un 
determinato 
trattamento 
sanitario, 
sulla 
base 
dei 
dati 
e 
delle 
conoscenze 
scientifiche 
disponibili” 
(sent. 
Corte 
Cost. 
n. 
5/2018 
(4)). 
La 
materia 
va 
ad 
innestarsi 
nella 


(2) E. JEnnEr, On Vaccination Against Smallpox, United Kingdom, Dodo Press, 2009. 
(3) J. rUffIè, J.C. SoUrnIA, Le epidemie nella storia, roma, Editori riuniti, 1985. 
(4) 
La 
Corte 
Costituzionale, 
con 
la 
sent. 
n. 
5 
del 
24 
gennaio 
2018, 
ha 
affermato 
il 
principio 
secondo 
cui 
il 
legislatore 
può adottare 
un atteggiamento diverso nei 
confronti 
di 
taluni 
trattamenti 
medici, nella 
specie 
delle 
vaccinazioni, purché 
si 
tratti 
di 
misure 
efficaci 
a 
salvaguardare 
la 
salute 
della 
popolazione. 

ContrIbUtI 
DI 
DottrInA 


complessa 
e 
delicata 
questione 
della 
sovrapposizione 
di 
competenze 
tra 
Stato 
e 
regioni, 
questione 
che 
trova 
un 
suo 
momento 
di 
sintesi 
nella 
seguente 
statuizione: 
la 
sanità 
è 
materia 
di 
legislazione 
concorrente, 
ma 
non 
sono 
ammissibili 
interventi 
in 
materia 
di 
vaccinazioni 
obbligatorie 
da 
parte 
delle 
regioni. 
Lo 
ha 
di 
recente 
ribadito 
il 
tar 
Lazio 
(sez. 
III 
quater, 
2 
ottobre 
2020, 
n. 
10047), 
annullando 
l’ordinanza 
della 
regione 
Lazio 
che 
imponeva 
l’obbligo 
della 
vaccinazione 
antinfluenzale 
stagionale 
per 
la 
categoria 
dei 
soggetti 
deboli 
over 
65 
anni, 
per 
il 
personale 
sanitario 
e 
sociosanitario 
e 
per 
le 
persone 
immunodepresse. 


Il 
dilemma 
allora 
si 
snoda 
su 
due 
concetti 
basilari: 
quello 
della 
raccomandazione 
e 
quello della 
prescrizione, binari 
lungo i 
quali 
può svilupparsi 
la 
discrezionalità 
legislativa 
nell’ambito della 
cd. “Ermessen”, ossia 
la 
valutazione 
comparativa 
degli 
interessi 
in gioco ispirata 
ai 
principi 
di 
precauzione 
e 
di 
proporzionalità. É 
l’antico dilemma 
tra 
Autorità 
e 
Libertà 
nella 
consapevolezza, 
come 
mettono in evidenza 
alcuni 
illustri 
costituzionalisti 
(5), che 
la 
pandemia 
rappresenta 
uno “stato di 
emergenza”, ma 
non uno “stato di 
eccezione”. 
Superando 
la 
diversità 
di 
pensiero 
tra 
Schmitt 
(6) 
e 
Kelsen 
(7) 
sul 
concetto 
di 
Costituzione, 
Grundnorm, 
lo 
stato 
di 
eccezione 
è 
il 
punto 
di 
non 
ritorno della 
legalità 
costituzionale, l’emergenza 
è, invece, il 
punto di 
consolidamento 
e 
di 
evoluzione 
della 
legalità 
costituzionale, lo stato di 
emergenza 
si 
dichiara 
“non 
per 
distruggere”, 
ma 
per 
“proteggere”: 
lo 
stato 
di 
emergenza 
è 
esso 
stesso 
fonte 
di 
produzione 
normativa. 
Si 
pensi 
a 
tal 
riguardo 
al 
concetto 
di 
“estado de alarma” 
che troviamo nella Costituzione spagnola (8). 


Se 
allora 
lo 
stato 
di 
emergenza 
pandemica, 
che 
non 
trova 
una 
sua 
puntuale 
previsione 
nella 
nostra 
Costituzione 
italiana 
(9), 
è 
dichiarato 
con 
lo 
scopo 
pre-

Infatti, la 
scelta 
delle 
modalità 
attraverso le 
quali 
si 
deve 
assicurare 
una 
prevenzione 
efficace 
dalle 
malattie 
infettive 
spetta 
alla 
discrezionalità 
del 
legislatore, potendo egli 
selezionare 
talora 
la 
tecnica 
della 
raccomandazione, 
talaltra 
quella 
dell'obbligo. 
Seguendo 
tale 
disciplina, 
cfr. 
C. 
Cost., 
sent. 
6 
giugno 
2019, n. 137; 
C. Cost., sent. 18 luglio 2019, n. 186; 
C. Cost., sent. 23 giugno 2020, n. 118; 
nonché 
le 
sentenze 
del 
Consiglio di 
Stato, cfr. Cons. St., sez. III, sent. 3 ottobre 
2019, n. 6655 e 
Cons. St., sez. III, 
sent. 
9 
gennaio 
2017, 
n. 
27, 
ove 
il 
collegio 
ha 
determinato, 
per 
la 
scelta 
del 
vaccino 
e 
in 
virtù 
del 
principio 
di 
precauzione, 
la 
necessaria 
individuazione 
del 
rischio 
specifico 
all’esito 
di 
una 
valutazione 
quanto 
più 
possibile 
completa, condotta 
alla 
luce 
dei 
dati 
disponibili 
che 
risultino maggiormente 
affidabili, e 
che 
deve concludersi con un giudizio di stretta necessità della misura. 

(5) 
Cfr. 
M. 
LUCIAnI, 
Il 
sistema 
delle 
fonti 
del 
diritto 
alla 
prova 
dell’emergenza, 
in 
Liber 
amicorum 
per Pasquale Costanzo, Consulta online, 11 aprile 2020. 
(6) 
C. 
SChMItt, 
Politische 
Theologie. 
Vier 
Kapitel 
zur 
Lehre 
von 
der 
Souveränität, 
München-
Leipzig, Duncker & humblot, 1934. 
(7) h. KELSEn, Essenza e valore della democrazia, bologna, Il Mulino, 1998, pagg. 68-69. 
(8) G. bAttArIno, Prime 
riflessioni 
su un criterio di 
distribuzione 
dei 
vaccini 
anti 
Sars-Cov2 costituzionalmente 
fondato, in Questione Giustizia.it, 24 novembre 2020. 
(9) Elemento sottolineato più volte 
da 
illustri 
costituzionalisti, vd. ad es. I.A. nICotrA, Stato di 
necessità e 
diritti 
fondamentali. Emergenza e 
potere 
legislativo, in 
AIC. Rivista, n. 1/2021; 
A. CELotto, 
Necessitas 
non 
habet 
legem? 
Prime 
riflessioni 
sulla 
gestione 
costituzionale 
dell'emergenza 
coronavirus, 
bologna, Mucchi Editore, 2020. 

rASSEGnA 
AVVoCAtUrA 
DELLo 
StAto -n. 3/2020 


cipuo 
della 
“protezione 
della 
salute 
collettiva” 
da 
contemperare 
con 
gli 
interessi 
dell’attività 
economica 
di 
un 
Paese, 
(principio 
guida 
nel 
controllo 
parlamentare 
preventivo 
e 
successivo 
dei 
vari 
DPCM 
che 
hanno 
regolato 
tale 
periodo 
insieme 
alle 
numerose 
ordinanze 
della 
Protezione 
Civile, 
del 
Ministero 
della 
Salute 
e 
della 
regioni), 
allora 
il 
piano 
vaccinale 
dovrà 
essere 
attuato 
secondo 
il 
principio 
non 
della 
prescrizione 
obbligatoria, 
ma 
della 
cd. 
“raccomandazione 
rafforzata” 
(10), 
modulata 
sui 
principi 
di 
precauzione, 
proporzionalità 
e 
ragionevolezza. 
É 
questa 
la 
cd. 
Daubert 
trilogy 
(11), 
sviluppatasi 
dopo 
la 
sentenza 
Cozzini 
(Cass. 
Pen. 
IV, 
17 
settembre 
2010, 
n. 
43786). 


Secondo la 
Daubert 
trilogy 
sviluppatasi 
nella 
giurisprudenza 
americana 
una tesi scientifica è affidabile quando rispetta le seguenti condizioni: 


1) 
Sottoposizione della tesi scientifica a test; 
2) 
Pubblicazione 
della 
tesi 
in rivista 
soggetta 
a 
peer 
review 
(revisione 
tra 
pari); 
3) 
Indicazione del tasso di errore noto o potenziale della tesi; 
4) 
Generale 
accettazione 
della 
tesi 
da 
parte 
della 
comunità 
scientifica 
di 
riferimento. 
tutto l’impianto scientifico relativo al 
Coronavirus 
è 
incentrato sull’elaborazione 
e 
sulla 
condivisione 
dei 
dati, attività 
che 
ha 
visto la 
collaborazione 
recente 
anche 
dell’Accademia 
nazionale 
dei 
Lincei, 
per 
l’analisi 
del 
valore 
rt 
(Rate 
trasmission), elaborato con un metodo statistico consolidato incentrato 
sull’algoritmo Markov Chain Montecarlo. 


Secondo 
la 
sentenza 
Cozzini, 
l’affidabilità 
della 
tesi 
scientifica, 
secondo 
l’impostazione 
dell’epistemologia 
moderna 
(12), 
va 
valutata 
con 
i 
seguenti 
parametri: 
identità, 
autorità 
indiscussa 
e 
indipendenza 
del 
soggetto 
che 
gestisce 
la 
ricerca, 
finalità 
per 
cui 
il 
soggetto 
fa 
la 
ricerca, 
ampiezza, 
rigore, 
oggettività 
della 
ricerca, 
grado 
di 
sostegno 
che 
i 
fatti 
accordano 
alla 
tesi, 
intensità 
della 
discussione 
critica 
che 
ha 
accompagnato 
l’elaborazione 
dello 
studio, 
attitudine 
esplicativa 
dell’elaborazione 
teorica, 
consenso 
che 
raccoglie 
nella 
comunità 
scientifica. 


Se 
spostiamo 
tali 
principi 
metodologici 
ai 
vaccini, 
è 
innegabile 
che 
i 
consistenti 
finanziamenti 
pubblici 
alle 
industrie 
farmaceutiche 
con 
temporanea 
limitazione 
del 
loro 
diritto 
di 
brevetto 
e 
la 
procedura 
di 
autorizzazione 
accelerata 
del 
rolling 
review 
da 
parte 
dell’EMA 
e 
dell’AIfA 
con 
concomitante 
esecuzione 


(10) G. CErrInA 
fEronI, 
Vaccino obbligatorio: «Raccomandare 
è 
giusto, ma imporre 
va contro 
i diritti», in Il Dubbio, 1 gennaio 2021. 
(11) «Il 
decisore 
politico non potrà 
tuttavia 
scegliere 
a 
caso tra 
l’una 
o l’altra 
teoria 
scientifica, 
ma 
potrà 
e 
dovrà 
distinguere 
tra 
scienza 
e 
pseudo-scienza 
individuando la 
tesi 
scientifica 
più affidabile 
avvalendosi 
dei 
parametri 
elaborati 
dalla 
giurisprudenza 
statunitense 
(Daubert 
trilogy) 
e 
nazionale 
(sentenza 
Cozzini, 
Cass. 
pen., 
IV, 
17 
settembre 
2010 
n. 
43786)», 
r. 
DE 
nICtoLIS, 
Il 
processo 
amministrativo 
ai 
tempi 
della pandemia, in Il 
Diritto Amministrativo. Rivista giuridica, Anno XIII, gennaio 2021, n. 1. 
(12) K. PoPPEr, Conjectures and Refutations, London, 1969 (trad. it., bologna, 1972). 

ContrIbUtI 
DI 
DottrInA 


delle 
fasi 
dei 
clinical 
trials, (facendo tesoro dell’esperienza 
scientifica 
maturata 
per 
la 
Sars) 
accompagnata, 
però, 
dalla 
costante 
attività 
di 
farmacovigilanza 
e 
monitoraggio 
continuo 
degli 
effetti 
delle 
inoculazioni, 
ci 
porta 
a 
considerare 
la 
vaccinazione 
il 
risultato di 
un individuale 
percorso decisionale 
che 
deve 
rimanere 
ispirato 
al 
principio 
di 
autodeterminazione 
e 
di 
solidarietà 
sociale. 


“Non 
sarebbero 
auspicabili 
misure 
afflittive 
indirette 
incidenti 
sulla 
sfera 
giuridica 
dei 
soggetti 
non 
vaccinati 
come 
l’impossibilità 
di 
accedere 
ad 
ospedali, 
strutture 
socio-sanitarie 
o 
ad 
ambienti 
lavorativi, 
o 
anche 
solo 
sportivi, 
ludici 


o 
ricreativi 
che 
renderebbe 
di 
fatto 
“obbligatorio” 
il 
vaccino. 
Ciò 
non 
sarebbe 
compatibile con i principi costituzionali” 
(13). 
Si 
potrebbe 
obiettare 
che 
“in 
tema 
di 
vaccinazioni 
scolastiche 
si 
è 
scelta 
la 
strada 
della 
prescrizione 
e 
non 
della 
raccomandazione 
rafforzata 
puntando 
nel 
contempo 
sull’efficacia 
delle 
politiche 
sociali 
basate 
sulla 
persuasione 
critica 
per 
garantire 
e 
conciliare 
il 
diritto 
alla 
salute 
con 
il 
diritto 
all’istruzione” 
(Corte 
Cost. 
n. 
5/2018 
e 
Commissione 
speciale 
del 
CDS 
parere 
n. 
2065 
del 
26 
settembre 
2017) 
(14). 
Ma 
la 
vaccinazione 
anti-Covid 
presenta 
delle 
peculiarità 
del 
tutto 
eccezionali. 
É 
la 
più 
grande 
vaccinazione 
di 
massa 
che 
sia 
mai 
avvenuta 
nella 
storia 
della 
medicina, 
una 
vaccinazione 
che 
viene 
praticata 
nel 
bel 
mezzo 
di 
una 
pandemia 
in 
una 
fase 
di 
continua 
evoluzione 
dei 
dati 
scientifici 
che 
impongono 
anche 
un 
onere 
di 
aggiornamento 
dei 
risultati 
della 
ricerca 
sui 
singoli 
cittadini 
che 
si 
trovano 
ad 
affrontare 
tra 
l’altro 
anche 
una 
crisi 
economica 
senza 
precedenti. 
A 
livello 
europeo 
la 
Commissione 
è 
stata 
promotrice 
di 
un’azione 
comune 
coordinata 
tra 
i 
vari 
Paesi, 
provvedendo 
alla 
stipula 
di 
contratti 
per 
la 
fornitura 
di 
vaccini 
con 
le 
grandi 
industrie 
farmaceutiche 
(15) 
(il 
13, 
5 
per 
cento 
delle 
dosi 
acquisite 
andranno 
all’Italia), 
vietando 
nel 
contempo 
i 
parallel 
agreement 
dei 
singoli 
Stati. 


Si 
pone 
allora 
il 
problema 
dell’individuazione 
delle 
strategie, dei 
criteri 
etici 
e 
degli 
obiettivi 
che 
la 
campagna 
vaccinale 
anti-Covid deve 
perseguire 
(16). Qualche 
mese 
fa, sulla 
rivista 
Science, 19 epidemiologici, filosofi 
e 
giuristi 
hanno 
pubblicato 
un 
modello 
denominato 
“Fair 
Priority 
Model” 
(17). 
La 
“priorità 
equa” 
andrebbe 
perseguita 
individuando 
tre 
fasi: 
1. 
ridurre 
le 
morti 
premature; 
2. ridurre 
le 
conseguenze 
economiche 
e 
sociali 
gravi; 
3. ritornare 
alla situazione ante-virus. 

La 
metrica 
importante 
più 
impiegata 
è 
quella 
degli 
anni 
attesi 
di 
vita 
persi, 


(13) G. CErrInA 
fEronI, 
op.cit. 
(14) Ibidem. 
(15) 
Commissione 
Europea, 
Coronavirus: 
la 
Commissione 
approva 
un 
terzo 
contratto 
per 
garantire 
l'accesso a un potenziale vaccino, Comunicato Stampa, bruxelles, 8 ottobre 2020. 
(16) In merito, la 
Commissione 
Europea 
ha 
cercato di 
delineare 
delle 
linee 
guida 
comuni 
per la 
somministrazione del vaccino anti-Covid, vd. CoM(2020) 680, del 15 ottobre 2020. 
(17) AA.VV., An ethical 
framework 
for 
global 
vaccine 
allocation, in Science, 11 settembre 
2020. 

rASSEGnA 
AVVoCAtUrA 
DELLo 
StAto -n. 3/2020 


ovvero brutalmente 
la 
tutela 
di 
un giovane 
viene 
anteposta 
a 
quella 
di 
un anziano, 
perché 
il 
primo 
ha 
più 
tempo 
di 
vivere. 
La 
priorità 
nei 
vaccini 
andrebbe, 
dunque, ai 
Paese 
capaci 
di 
ridurre 
più “anni 
persi” 
per dose 
di 
vaccino. In realtà, 
aldilà 
dell’aspetto etico che 
non può essere 
trascurato, le 
strategie 
vaccinali 
devono 
essere 
modellate 
sulle 
informazioni 
scientifiche 
in 
possesso 
relative 
alle 
specificità 
dei 
vaccini: 
se 
a 
livello scientifico è 
riconosciuto che 
il 
vaccino può solo evitare 
il 
peggioramento della 
malattia, appare 
opportuno, 
come 
risulta 
dal 
piano 
vaccinale 
italiano 
concordato 
in 
sede 
di 
Conferenza 
Unificata 
Stato-regioni, dare 
la 
priorità 
ai 
soggetti 
fragili 
e 
agli 
operati 
sanitari. 
Se, invece, le 
conoscenze 
scientifiche 
porteranno ad appurare 
che 
il 
vaccino 
è 
in grado di 
interrompere 
la 
trasmissibilità 
del 
virus, si 
dovrà 
prendere 
in considerazione 
la 
necessità 
di 
somministrare 
con priorità 
il 
vaccino anche 
a quelle categorie che diffondono la malattia. 


Una 
recente 
circolare 
del 
Ministero 
della 
Salute, 
Direzione 
Generale 
della 
Prevenzione 
Sanitaria 
del 
24 dicembre 
2020 (18), regola 
la 
governance 
e 
gli 
aspetti 
operativi 
delle 
vaccinazioni, 
rinviando 
poi 
al 
piano 
per 
l’individuazione 
delle categorie target delle vaccinazioni. 


La 
recentissima 
Legge 
finanziaria 
del 
30 dicembre 
2020, n. 178, stabilisce 
infine, che 
il 
Ministro della 
Salute 
adotta 
con proprio decreto «avente 
natura 
non 
regolamentare», 
il 
piano 
strategico 
nazionale 
dei 
vaccini 
per 
la 
prevenzione 
delle 
infezioni 
da 
Sars-Covid2, 
finalizzato 
a 
garantire 
il 
massimo 
livello di 
copertura 
vaccinale 
sul 
territorio nazionale. Sul 
piano strettamente 
giuridico, 
si 
è 
messo 
correttamente 
in 
evidenza 
l’opportunità 
che 
il 
piano 
vaccinale 
venga 
regolato 
con 
legge 
ordinaria 
e 
non 
con 
un 
atto 
amministrativo 
generale 
(19). É 
opportuno, però, tener conto della 
situazione 
epidemiologica 
attuale 
che 
presenta 
dei 
profili 
logistici 
ed 
organizzattivi 
di 
non 
poca 
complessità 
che 
impongono una 
strategia 
di 
tipo “adattativo” 
e 
“reattivo” 
(reaction 
vaccination). 

nei 
giorni 
in 
cui 
viene 
scritto 
il 
presente 
articolo 
viene 
somministrato 
il 
vaccino 
Pfizer, 
vaccino 
definito 
a 
mrnA, 
cioè 
composto 
da 
rnA 
messaggero, 
incapsulato 
in 
sacche 
lipidiche 
cd. 
“liposomi”, 
che 
va 
conservato 
a 
meno 
70 
gradi 
centigradi. 
Come 
il 
vaccino 
Moderna 
approvato 
dall’EMA 
lo 
scorso 
6 
gennaio, 
tale 
vaccino 
non 
contiene 
il 
virus, 
ma 
una 
molecola 
chiamata 
appunto 
mrnA 
che 
ha 
le 
istruzioni 
per 
produrre 
la 
proteina 
Spike. 
Questa 
è 
una 
proteina 
che 
si 
trova 
sulla 
superficie 
del 
virus 
Sars-Cov2 
di 
cui 
il 
virus 
ha 
bisogno 
per 
agganciarsi 
ai 
recettori 
ACE 
delle 
cellule, 
per 
poi 
entrare 
in 
essere 
e 
distruggerle. 
Quando 
una 
persona 
riceve 
il 
vaccino, 
alcune 


(18) Piano Strategico per 
la Vaccinazione 
anti-SARS-CoV-2/COVID-19, Ministero della 
Salute, 
n. 42164, 24 dicembre 2020. 
(19) 
Vd. 
n. 
roSSI, 
Il 
Diritto 
di 
vaccinarsi. 
Criteri 
di 
priorità 
e 
ruolo 
del 
Parlamento, 
in 
Questione 
Giustizia.it, n. 1/2021. 

ContrIbUtI 
DI 
DottrInA 


delle 
sue 
cellule 
leggeranno 
le 
istruzioni 
dell’mrnA 
e 
produrranno 
temporaneamente 
la 
proteina 
Spike. 
Il 
sistema 
immunitario 
della 
persona 
riconoscerà 
questa 
proteina 
come 
estranea 
e 
produrrà 
anticorpi, 
attivando 
i 
linfociti 
t 
(un 
tipo 
di 
globuli 
bianchi) 
per 
attaccarle. 
L’mrnA 
del 
vaccino 
non 
rimane 
nel 
corpo, 
ma 
viene 
scomposto 
ed 
eliminato 
subito 
dopo 
la 
vaccinazione. 
Per 
il 
cittadino 
comune 
non 
è 
facile 
cogliere 
le 
differenze 
con 
il 
vaccino 
Astrazeneca 
ancora 
in 
corso 
di 
valutazione 
messo 
a 
punto 
dall’Università 
di 
oxford 
in 
collaborazione 
con 
l’Irbm 
di 
Pomezia 
che 
invece, 
utilizza 
il 
metodo 
del 
vettore 
virale. 
Molti 
si 
chiederanno 
se 
sia 
meglio 
aspettare 
il 
vaccino 
italiano 
Reithera 
prodotto 
in 
collaborazione 
con 
lo 
Spallanzani 
che 
avrà 
l’indubbio 
vantaggio 
di 
essere 
conservato 
ad 
una 
temperatura 
tra 
i 
2 
e 
gli 
8 
gradi 
per 
30 
giorni 
e 
inoculato 
con 
una 
sola 
dose. 
L’approccio 
alla 
vaccinazione 
deve 
partire 
da 
un 
atto 
di 
responsabilità 
sociale 
con 
fiducia 
nella 
scienza 
medica 
e 
con 
la 
consapevolezza 
che 
il 
monitoraggio 
continuo 
degli 
enti 
regolatori 
porterà 
a 
chiarire 
senz’altro 
se 
il 
vaccino 
potrà 
essere 
somministrato 
ai 
minori 
di 
16 
anni, 
alle 
donne 
in 
gravidanza 
o 
in 
allattamento, 
se 
il 
vaccino 
protegge 
solo 
dalla 
malattia 
o 
anche 
dall’infezione, 
se 
sia 
in 
grado 
di 
prevenire 
la 
malattia 
asintomatica 
e 
a 
definire 
il 
limite 
temporale 
dell’immunità. 
Sappiamo 
con 
certezza 
che 
solo 
con 
la 
seconda 
dose 
(da 
somministrare 
dopo 
21 
giorni 
per 
il 
Vaccino 
Pfizer 
e 
28 
giorni 
per 
Moderna) 
dopo 
10 
giorni 
inizia 
il 
cd. 
“switch 
di 
classe”, 
ossia 
la 
produzione 
di 
anticorpi 
più 
affini 
ed 
efficaci, 
determinando 
una 
protezione 
al 
95%. 
I 
vaccini 
anti-Covid 
approvati 
oggi 
nel 
mondo 
sono 
sette: 
tre 
cinesi, 
due 
russi, 
oltre 
ai 
due 
sopra 
citati 
di 
Pfizer-BioNtech 
e 
Moderna. 
La 
ricerca 
scientifica 
ha 
dimostrato 
di 
avere 
delle 
straordinarie 
potenzialità 
che 
si 
sono 
tradotte 
anche, 
non 
si 
può 
negare, 
in 
un 
potenziamento 
azionario 
delle 
grandi 
multinazionali 
farmaceutiche. 
occorre, 
però, 
nella 
fase 
di 
crisi 
in 
cui 
ci 
troviamo 
individuare 
delle 
priorità 
di 
analisi 
che 
non 
possono 
non 
investire 
in 
primis 
la 
tutela 
della 
salute 
in 
un’ottica 
di 
cd. 
“umanizzazione 
della 
medicina”. 


La 
vaccinazione 
anti-Covid 
deve 
seguire 
una 
logica 
“individualizzante”, 
incentrata 
sull’esposizione 
al 
rischio di 
contagio e 
sulle 
cd. fragilità. tale 
logica 
è 
rinvenibile 
in 
una 
recentissima 
sentenza 
del 
Tar 
Bari 
sez. 
II, 
7 
gennaio 
2021, n. 39. In tale 
sentenza 
relativa 
agli 
obblighi 
vaccinali 
obbligatori 
e 
attività 
degli 
uffici 
del 
servizio sanitario pubblico viene 
affermato che 
le 
istituzioni 
scolastiche, 
gli 
uffici 
ASL 
preposti 
e 
i 
pediatri 
di 
libera 
scelta 
sono 
chiamati 
a 
cooperare 
nello scambio di 
dati 
utili 
e 
ad individuare 
i 
minori 
per 
i 
quali 
le 
vaccinazioni 
sono state 
regolarmente 
effettuate 
o omesse 
senza 
giustificazione 
o 
esonerati 
(anche 
temporaneamente) 
nelle 
previste 
ipotesi, 
avendo 
cura 
di 
dedicare 
una 
particolare 
attenzione 
ai 
soggetti 
minori 
portatori 
di 
disabilità 
o, comunque, soggetti 
“fragili” 
in relazione 
alla 
peculiare 
condizione 
di 
salute, 
onde 
appurare 
la 
modalità 
clinicamente 
più 
opportuna 
per 
l’adempimento dell’obbligo vaccinale 
che 
può anche 
comprendere, compor



rASSEGnA 
AVVoCAtUrA 
DELLo 
StAto -n. 3/2020 


tare 
l’esonero giustificato, temporaneo o assoluto della 
somministrazione 
di 
uno o più vaccini. In altri 
termini 
la 
vaccinazione 
deve 
modellarsi 
sulle 
esigenze 
del 
singolo: 
deve 
venire 
in rilievo non l’obbligo in quanto tale, ma 
la 
persona 
su cui 
va 
ad incidere. In medicina 
è 
frequente 
l’approccio terapeutico 
secondo cui 
deve 
considerarsi 
il 
malato e 
non malattia, dando prevalenza 
al 
concetto della cd. alleanza terapeutica. 


É 
noto 
che 
l’art. 
2, 
comma 
1, 
lett. 
a) 
del 
DPCM 
12 
gennaio 
2017 
(20), 
contenente 
la 
definizione 
dei 
livelli 
essenziali 
di 
assistenza 
(cd. 
LEA) 
di 
cui 
all’art. 
1, 
comma 
7, 
D.Lgs. 
30 
dicembre 
1992, 
n. 
502, 
prevede, 
tra 
l’altro, 
nell’ambito 
della 
prevenzione 
collettiva 
e 
sanità 
pubblica, 
che 
il 
Servizio 
sanitario 
nazionale 
debba 
garantire, 
attraverso 
i 
propri 
servizi, 
nonché 
avvalendosi 
dei 
medici 
di 
medicina 
generale 
e 
dei 
pediatri 
convenzionati, 
le 
attività 
di 
sorveglianza, 
di 
prevenzione 
e 
di 
controllo 
delle 
malattie 
infettive, 
parassitarie, 
inclusi 
i 
programmi 
vaccinali. 
tale 
attività 
per 
le 
vaccinazioni 
anti-
Covid, 
accentrate, 
data 
l’emergenza 
a 
livello 
governativo, 
deve 
essere 
rivolta 
a 
fornire 
in 
modo 
proattivo 
informazioni 
complete, 
obiettive 
e 
accurate 
con 
la 
finalità 
di 
favorire 
un’ampia 
adesione 
alla 
campagna 
vaccinale. 
A 
tal 
fine 
sarà 
necessario 
spiegare 
che 
le 
rigorose 
procedure 
di 
autorizzazione 
dell’UE 
non 
contemplano 
alcuna 
deroga 
alla 
sicurezza. 
occorrerà 
chiarire 
il 
concetto 
di 
“pressione 
qualitativa”, 
nel 
senso 
che 
il 
virus 
mrnA 
per 
sua 
natura 
è 
destinato 
a 
mutare, 
per 
cui 
in 
caso 
di 
mutazione 
bisognerà 
modificare 
la 
sequenza 
generica 
della 
proteina 
Spike 
generata 
dal 
vaccino, 
un’operazione 
semplice 
che 
richiede 
poche 
settimane, 
fermo 
restando 
che 
i 
vaccini 
approvati 
sono 
vaccini 
ad 
ampio 
spettro 
di 
azione. 


L’informazione 
capillare 
e 
diffusa 
è 
alla 
base 
del 
consenso informato: 
le 
iniziative 
istituzionali 
di 
AIfA, ISS 
e 
Ministero della 
salute 
sono molto importanti 
e 
meritevoli, 
ma 
sappiamo 
che 
sui 
social 
media 
viaggiano 
velocissime 
ben altre 
informazioni. L’attuale 
campagna 
vaccinale 
viaggia 
nella 
cd. 
“infosfera” 
di 
cui 
parla 
Luciano floridi, docente 
di 
filosofia 
ed Etica 
dell’Informazione 
a 
oxford, 
autore 
del 
libro 
“Pensare 
l’infosfera” 
(21). 
Egli 
ritiene 
che 
la 
post-modernità 
rifugga 
sempre 
più dalla 
dimensione 
reale 
per andare 
verso 
un’inarrestabile 
astrazione 
dal 
materiale. Siamo passati 
da 
una 
posizione 
ontologica 
assoluta, modellata 
su un mondo letto in termini 
aristotelici 
(primato 
delle 
cose) e 
newtoniani 
(primato dello spazio e 
del 
tempo) a 
quella 
epistemologica-
relazionale, dominante 
nell’infosfera. Un costruzionismo di 
ispira


(20) Il 
DPCM 
del 
12 gennaio 2017, nell’art. 2, comma 
1, lett. a) afferma 
che 
«1. Il 
Servizio sanitario 
nazionale 
assicura, attraverso le 
risorse 
finanziarie 
pubbliche 
e 
in coerenza 
con i 
principi 
e 
i 
criteri 
indicati 
dalla 
legge 
23 dicembre 
1978, n. 833 e 
dal 
decreto legislativo 30 dicembre 
1992, n. 502, e 
successive 
modifiche 
e 
integrazioni, i 
seguenti 
livelli 
essenziali 
di 
assistenza: 
a) Prevenzione 
collettiva 
e 
sanità pubblica […]». 
(21) L. fLorIDI, Pensare 
l’infosfera. La filosofia come 
design concettuale, Milano, Cortina 
raffaello, 
2020. 

ContrIbUtI 
DI 
DottrInA 


zione 
neo-kantiana 
definito 
come 
processo 
di 
modellizzazione 
(non 
copia 
platonica 
del 
modello) che 
dà 
forma 
alla 
realtà 
rendendola 
intelligibile. In questa 
realtà 
di 
“inforgs” 
può 
prevalere 
non 
la 
conoscenza, 
ma 
la 
pseudoconoscenza. 
La 
cd. Bildung, la 
cd. costruzione 
del 
proprio pensiero critico, il 
processo di 
formazione 
del 
proprio 
percorso 
decisionale 
può 
essere 
deviato 
dalla 
disinformazione 
e 
dalla 
circolazione 
di 
notizie 
false. Si 
ricorderà 
il 
noto caso del 
Dott. Wakefield nel 
1998: 
tale 
medico inglese 
sostenne 
che 
il 
vaccino MMr 
provocasse 
un’infiammazione 
intestinale 
favorita 
da 
bassi 
livelli 
di 
IgA 
che 
rendeva 
possibile 
il 
passaggio in circolo di 
sostanze 
tossiche 
responsabili 
del-
l’insorgenza 
di 
encefalopatia 
e 
autismo. 
tuttavia, 
le 
sue 
ricerche 
dimostrarono 
limitazioni 
ed 
arbitrarietà 
e 
i 
suoi 
articoli 
furono 
successivamente 
ritrattati 
dalla 
rivista 
scientifica 
che 
li 
aveva 
pubblicati 
(The 
Lancet) e 
l’autore 
fu radiato 
dall’ordine 
dei 
medici. Anche 
di 
recente 
nella 
regione 
Lazio sono stati 
presi 
dei 
provvedimenti 
disciplinari 
nei 
confronti 
di 
alcuni 
medici 
che 
si 
sono 
dichiarati 
contrari 
alla 
vaccinazione 
anti-Covid. L’Avvocatura 
dello Stato ha 
in questo senso dato il 
suo contributo tecnico professionale 
al 
rispetto della 
verità 
scientifica: 
nel 
difendere 
il 
Ministero 
della 
Salute 
nelle 
cause 
risarcitorie 
per danni 
da 
vaccinazioni 
obbligatorie, è 
riuscita 
in giudizio, attraverso l’invocata 
applicazione 
del 
principio di 
causalità adeguata, cd. “oltre 
il 
più probabile 
che 
non” 
declinato nei 
criteri 
cronologico, topografico, dell’efficienza 
qualitativa 
e 
della 
continuità 
fenomenica, 
a 
ottenere 
pronunzie 
(22) 
che 
hanno 
negato 
categoricamente 
il 
nesso 
di 
causalità 
tra 
vaccinazione 
ed 
autismo. 
É 
stato questo un esempio costruttivo del 
dialogo necessario tra 
medicina 
e 
diritto, 
quel 
momento di 
sintesi 
Aufhebung (23) che 
è 
auspicabile 
trovare 
nella 
complessa campagna vaccinale anti-Covid appena iniziata. 


roma, 9 gennaio 2021 

Bibliografia 


AA.VV., An ethical framework for global vaccine allocation, in Science, 11 settembre 2020. 
ADInoLfI 
P., 
L'innovazione 
gestionale 
nelle 
aziende 
sanitarie. Dallo Scientific 
Health Management 
alla New Health Governance, Salerno, brunolibri, 2008. 
bAttArIno 
G., Prime 
riflessioni 
su un criterio di 
distribuzione 
dei 
vaccini 
anti 
Sars-Cov2 costituzionalmente 
fondato, in Questione Giustizia.it, 24 novembre 2020. 
brACCo 
M., Sulla vaccinazione 
contro il 
COVID-19. Competenze 
e 
destinatari, in Servizio 
studi del Senato, 12 gennaio 2021, n. 248. 


(22) Ex 
multis, Cass. Civ., sez. lav., sent. 11 settembre 
2018, n. 22078; 
Cass. Civ., sez. lav., sent. 
24 giugno 2020, n. 12446; Cass. Civ., sez. III, ord. 10 novembre 2020, n. 25272. 
(23) PAoLA 
ADInoLfI, 
L'innovazione 
gestionale 
nelle 
aziende 
sanitarie. Dallo Scientific 
Health 
Management alla New Health Governance, pagg. 259 ss., Salerno, brunolibri, 2008. 

rASSEGnA 
AVVoCAtUrA 
DELLo 
StAto -n. 3/2020 


CELotto 
A., Necessitas 
non habet 
legem? Prime 
riflessioni 
sulla gestione 
costituzionale 
del-
l'emergenza coronavirus, bologna, Mucchi Editore, 2020. 
CErrInA 
fEronI 
G., Vaccino obbligatorio: «Raccomandare 
è 
giusto, ma imporre 
va contro i 
diritti», in Il Dubbio, 1 gennaio 2021. 
DE 
nICtoLIS 
r., Il 
processo amministrativo ai 
tempi 
della pandemia, in Il 
Diritto Amministrativo. 
Rivista giuridica, Anno XIII, gennaio 2021, n. 1. 
fLorIDI 
L., Pensare 
l’infosfera. La filosofia come 
design concettuale, Milano, Cortina 
raffaello, 
2020. 
JEnnEr 
E., On Vaccination Against Smallpox, United Kingdom, Dodo Press, 2009. 
KELSEn 
h., Essenza e valore della democrazia, bologna, Il Mulino, 1998. 
LUCIAnI 
M., Il 
sistema delle 
fonti 
del 
diritto alla prova dell’emergenza, in Liber 
amicorum 
per Pasquale Costanzo, Consulta online, 11 aprile 2020. 
nICotrA 
I.A., 
Stato 
di 
necessità 
e 
diritti 
fondamentali. 
Emergenza 
e 
potere 
legislativo, 
in 
AIC. 
Rivista, n. 1/2021. 
PoPPEr 
K., Conjectures and Refutations, London, 1969. 
roSSI 
n., 
Il 
Diritto 
di 
vaccinarsi. 
Criteri 
di 
priorità 
e 
ruolo 
del 
Parlamento, 
in 
Questione 
Giustizia.it, n. 1/2021. 
rUffIè 
J., SoUrnIA 
J.C., Le epidemie nella storia, roma, Editori riuniti, 1985. 
SChMItt 
C., 
Politische 
Theologie. 
Vier 
Kapitel 
zur 
Lehre 
von 
der 
Souveränität, 
München-
Leipzig, Duncker & humblot, 1934. 
tUCIDIDE, La guerra del Peloponneso, roma, Einaudi, 1997. 
Von 
EnGELhArDt 
D., Il 
sollievo della sofferenza nella storia della medicina, in SGrECCIA 
E., 
Storia della medicina e 
storia dell’etica medica verso il 
terzo millennio, Soveria 
Mannelli, 
rubbettino, 2000. 


Giurisprudenza 


C. Cost., sent. 23 giugno 2020, n. 118. 
C. Cost., sent. 18 luglio 2019, n. 186. 
C. Cost., sent. 6 giugno 2019, n. 137. 
C. Cost., sent. 24 gennaio 2018, n. 5. 
Cass. Civ., sez. III, ord. 10 novembre 2020, n. 25272. 
Cass. Civ., sez. lav., sent. 24 giugno 2020, n. 12446. 
Cass. Civ., sez. lav., sent. 25 ottobre 2018, n. 27101. 
Cass. Civ., sez. lav., sent. 11 settembre 2018, n. 22078. 
Cass. Civ., sez. lav., sent. 10 maggio 2018, n. 11339. 
Cass. Pen., sez. IV, sent. 17 settembre 2010, n. 43786. 
Cons. St., sez. III, sent. 3 ottobre 2019, n. 6655. 
Cons. St., sez. III, sent. 9 gennaio 2017, n. 27. 
Cons. St., parere 26 settembre 2017, n. 2065. 
C. App. Milano, sez. lav., 18 febbraio 2020, n. 152. 
tar bari, sez. II, sent. 7 gennaio 2021, n. 39. 
tar Lazio, sez. III quater, sent. 2 ottobre 2020, n. 10047. 

ContrIbUtI 
DI 
DottrInA 


Vaccinazione anti-SARS-CoV-2/COVID-19 


PIANO STRATEGICO 


Elementi di preparazione e di implementazione della strategia vaccinale 


Aggiornamento del 12 dicembre 2020 


InDICE 


1. IntroDUZIonE 
2. VALorI, PrInCIPI E CAtEGorIE PrIorItArIE 
3. LoGIStICA, APProVVIGIonAMEnto, StoCCAGGIo E 
trASPorto 
4. PUntI VACCInALI, orGAnIZZAZIonE 
DELLE 
SEDUtE 
VACCInALI E 
fIGUrE 
CoInVoLtE 
5. SIStEMA InforMAtIVo 
6. VACCInoVIGILIAnZA E SorVEGLIAnZA IMMUnoLoGICA 
7. CoMUnICAZIonE 
8. VALUtAZIonE 
DI IMPAtto 
EPIDEMIoLoGICo 
E 
MoDELLI DI VALUtAZIonE 
EConoMICA 
1. IntroDUZIonE 
L'Italia, 
attraverso 
il 
Ministero 
della 
salute, 
ha 
seguito 
sin 
dalle 
prime 
battute 
le 
fasi 
che 
hanno 
portato 
alla 
messa 
a 
punto 
di 
vaccini 
che 
possono 
contribuire 
alla 
protezione 
di 
individui 
e 
comunità, 
al 
fine 
di 
ridurre 
l'impatto 
della 
pandemia. 
Appena 
è 
stato 
comunicato 
-da 
parte 
delle 
principati 
aziende 
produttrici 
-l'avvio 
dello sviluppo di 
candidati 
vaccini, il 
Ministero della 
Salute 
italiano ha 
ritenuto 
opportuno 
avviare 
interlocuzioni 
con 
altri 
partner 
europei, 
per 
procedere 
congiuntamente 
a 
negoziazioni 
che 
potessero 
assicurare 
la 
disponibilità 
di 
un 
numero 
di 
dosi 
necessario 
per 
l'immunizzazione 
dei 
cittadini 
dei 
Paesi 
coinvolti 
e 
di 
tutta 
l'Unione 
Europea, 
dal 
momento 
che 
i 
vaccini 
devono 
essere 
considerati 
beni 
di 
interesse 
globale, e 
che 
un reale 
vantaggio in termini 
di 
sanità 
pubblica 
si 
può ottenere 
solo attraverso una 
diffusa 
e 
capillare 
campagna 
vaccinale. 
La 
Commissione 
UE 
e 
gli 
Stati 
Membri 
hanno poi 
sottoscritto un accordo in 
base 
al 
quale 
i 
negoziati 
con le 
aziende 
produttrici 
sono stati 
affidati 
in esclusiva 
alla 
stessa, 
affiancata 
da 
un 
gruppo 
di 
sette 
negoziatori 
in 
rappresentanza 
degli 
Stati 
membri 
(tra 
i 
quali 
un italiano), e 
da 
uno Steering board 
che 
assume 
le decisioni finali, ove siedono rappresentanti di tutti gli Stati membri. 
Le 
trattative 
avviate 
si 
sono concentrate 
su un gruppo di 
Aziende 
che 
stanno 
sviluppando vaccini 
con diversa 
tecnologia. I negoziati 
hanno già 
portato alla 
sigla 
di 
alcuni 
accordi 
e 
l'Unione 
Europea, 
al 
momento, 
si 
è 
già 
assicurata 
circa 
1,3 miliardi 
di 
dosi 
da 
parte 
di 
diverse 
Aziende. Queste 
dosi 
saranno di



rASSEGnA 
AVVoCAtUrA 
DELLo 
StAto -n. 3/2020 


stribuite 
agli 
Stati 
membri 
in proporzione 
alla 
numerosità 
delle 
rispettive 
popolazioni. 


La 
situazione 
di 
emergenza 
e 
la 
necessità 
di 
accelerare 
i 
tempi 
per poter avere 
a 
disposizione 
dei 
vaccini 
sicuri 
ed efficaci 
hanno reso necessario il 
ricorso a 
procedure 
del 
tutto innovative; 
per tale 
motivo, parallelamente 
alla 
realizzazione 
degli 
studi 
pre-clinici 
e 
di 
quelli 
clinici 
di 
fase 
I, II 
e 
III, si 
è 
avviata 
la 
preparazione 
della produzione 
su scala 
industriale, ai 
fini 
della 
distribuzione 
commerciale. Quest'ultima, peraltro, non può aver luogo prima 
che 
le 
Agenzie 
regolatorie 
(per 
l'Europa 
l'EMA) 
abbiano 
compiuto 
i 
necessari 
approfondimenti, 
atti 
a 
garantire 
la 
sicurezza e 
l’efficacia 
del 
prodotto -caratteristiche 
queste 
che 
non 
possono 
essere 
messe 
in 
alcun 
caso 
in 
secondo 
piano 


-e concesso quindi un'autorizzazione all'immissione in commercio 
(AIC). 
L'Agenzia 
europea 
per 
i 
medicinali 
(EMA), 
onde 
contribuire 
all'accelerazione 
del 
processo senza 
venir meno al 
proprio fondamentale 
ruolo, sta 
procedendo 
con una 
procedura 
finalizzata, definita 
di 
"rolling review", che 
consiste 
nel 
valutare 
le 
singole 
parti 
dei 
dossier 
man mano che 
vengono presentate 
dalle 
aziende, 
anziché 
attendere 
l'invio 
di 
un 
dossier 
completo. 
tale 
procedura, 
senza 
inficiare 
la 
valutazione 
complessiva, 
abbrevia 
significativamente 
i 
tempi, 
e 
non 
si 
esclude 
che 
si 
arrivi 
a concedere 
una prima AIC 
già entro l'anno. 

Vista 
la 
possibile 
disponibilità 
di 
vaccini 
nel 
breve 
periodo, 
presso 
il 
Ministero 
della 
Salute 
è 
stato istituito un gruppo di 
lavoro intersettoriale 
per fornire 
al 
Paese 
un piano nazionale 
per la 
vaccinazione 
anti-SArS-CoV-2 ad interim, 
con 
l'intento 
di 
definire 
le 
strategie 
vaccinali, 
i 
possibili 
modelli 
organizzativi, 
compresa 
la 
formazione 
del 
personale, 
la 
logistica, 
le 
caratteristiche 
del 
sistema 
informativo di 
supporto a 
tutte 
le 
attività 
connesse 
con la 
vaccinazione, 
gli 
aspetti 
relativi 
alla 
comunicazione, alla 
vaccinovigilanza 
e 
sorveglianza, e 
ai 
modelli 
di 
impatto e 
di 
analisi 
economica. L'attuazione 
del 
piano è 
affidata 
al 
Commissario straordinario per l'attuazione 
e 
il 
coordinamento delle 
misure 
occorrenti 
per 
il 
contenimento 
e 
contrasto 
dell'emergenza 
epidemiologica 
CoVID-19. 
In questo documento viene 
presentata 
una 
sintesi 
delle 
linee 
di 
indirizzo relative 
alle 
azioni 
che 
sarà 
necessario implementare 
al 
fine 
di 
garantire 
la 
vaccinazione 
secondo 
standard 
uniformi 
nonché 
il 
monitoraggio 
e 
la 
valutazione 
tempestiva delle vaccinazioni durante la campagna vaccinale. 



ContrIbUtI 
DI 
DottrInA 


Tabella 1 -Stima della potenziale 
quantità di 
dosi 
di 
vaccino disponibili 
(in 
milioni) 
in 
Italia 
nel 
2021, 
per 
trimestre 
(Q) 
e 
per 
azienda 
produttrice, 
in 
base 
ad accordi 
preliminari 
d'acquisto (APA) sottoscritti 
dalla Commissione 
europea 
e previa AIC. 


Vaccini 
(azienda) 
Q1 2021 
Q2 2021 
Q3 2021 
Q4 2021 
Q1 2022 
Q2 2022 
TOTALI 
Astra Zeneca 
16,155 
24,225 
----40,38 
Pf/bt 
8,749 
8,076 
10,095 
---26,92 
J&J * 
-14,806 
32,304 
6,73 
--53,84 
Sanofi/GSK ** 
----20,19 
20,19 
40,38 
Curevac 
2,019 
5,384 
6,73 
8,076 
8,076 
-30,285 
Moderna 
1,346 
4,711 
4,711 
---10,768 
TOTALE 
28,269 
57,202 
53,84 
14,806 
28,266 
20,19 
202,573 
media per mese 
9,421 
19,065 
17,947 
4,935 
9,422 
6,73 


(milioni di dosi) 


* Se due dosi per regime vaccinale per J&J (altrimenti 1/2) 
** Come 
da comunicazione 
Sanofì, si 
modificano i 
tempi 
di 
consegna conseguenti 
allo sviluppo 
e produzione del vaccino. 
Le 
tempistiche 
e 
le 
cifre 
sopra 
riportate, pari 
al 
13,46% delle 
dosi 
acquisite 
a 
livello europeo, potranno essere 
soggette 
a 
variazioni 
in funzione 
dei 
processi 
di autorizzazione e assegnazione delle dosi. 


2. VALorI, PrInCIPI E CAtEGorIE PrIorItArIE. 
La 
Costituzione 
italiana 
riconosce 
la 
salute 
come 
un diritto fondamentale 
del-
l'individuo e delle comunità. 
Lo sviluppo di 
raccomandazioni 
su gruppi 
target 
a 
cui 
offrire 
la 
vaccinazione 
sarà 
ispirato dai 
valori 
e 
principi 
di 
equità, reciprocità, legittimità, protezione, 
promozione 
della 
salute 
e 
del 
benessere, su cui 
basare 
la 
strategia 
di 
vaccinazione. 
A 
tal 
fine 
è 
necessario 
identificare 
gli 
obiettivi 
della 
vaccinazione, 
identificare 
e 
definire 
i 
gruppi 
prioritari, stimare 
le 
dimensioni 
dei 
gruppi 
target 
e 
le 
dosi 
di 
vaccino necessarie 
e, in base 
alle 
dosi 
disponibili 
(che 
all'inizio del 
programma 
potrebbero essere 
molto limitate), identificare 
i 
sottogruppi 
a 
cui 
dare estrema priorità. 
Le 
raccomandazioni 
saranno 
soggette 
a 
modifiche 
e 
verranno 
aggiornate 
in 



rASSEGnA 
AVVoCAtUrA 
DELLo 
StAto -n. 3/2020 


base 
all'evoluzione 
delle 
conoscenze 
e 
alle 
informazioni 
su 
efficacia 
vaccinale 
e/o immunogenicità 
in diversi 
gruppi 
di 
età 
e 
fattori 
di 
rischio, sulla 
sicurezza 
della 
vaccinazione 
in diversi 
gruppi 
di 
età 
e 
gruppi 
a 
rischio, sull'effetto del 
vaccino 
sull'acquisizione 
dell'infezione, 
e 
sulla 
trasmissione 
o 
sulla 
protezione 
da 
forme 
gravi 
di 
malattia, sulle 
dinamiche 
di 
trasmissione 
del 
virus 
SArSCoV-
2 
nella 
popolazione 
nazionale 
e 
sulle 
caratteristiche 
epidemiologiche, 
microbiologiche 
e 
cliniche 
di 
CoV1D-19. 
è 
attivo 
un 
confronto 
sul 
piano 
anche con il Comitato nazionale di bioetica. 
nella 
fase 
iniziale 
di 
disponibilità 
limitata 
di 
vaccini 
contro CoVID-19, è 
necessario 
definire 
delle 
priorità 
in 
modo 
chiaro 
e 
trasparente, 
tenendo 
conto 
delle raccomandazioni internazionali ed europee. 
Attualmente 
l'Italia 
si 
trova 
nella 
fase 
di 
trasmissione 
sostenuta 
in comunità, 
per 
cui 
le 
indicazioni 
iniziali 
sono 
riferite 
a 
tale 
situazione 
epidemiologica. 
La 
strategia 
di 
sanità 
pubblica 
per questa 
fase 
si 
focalizzerà 
inizialmente 
sulla 
riduzione 
diretta 
della 
morbilità 
e 
della 
mortalità, nonché 
sul 
mantenimento dei 
servizi 
essenziali 
più 
critici. 
Successivamente, 
qualora 
uno 
o 
più 
vaccini 
si 
mostrino 
in 
grado 
di 
prevenire 
l'infezione, 
si 
focalizzerà 
l'attenzione 
anche 
sulla 
riduzione 
della 
trasmissione, al 
fine 
di 
ridurre 
ulteriormente 
il 
carico di 
malattia e le conseguenze sociali ed economiche. 
Al 
fine 
di 
sfruttare 
l'effetto 
protettivo 
diretto 
dei 
vaccini, 
sono 
state 
identificate 
le seguenti categorie da vaccinare in via prioritaria nelle fasi iniziali: 


• 
operatori 
sanitari 
e 
sociosanitari: 
Gli 
operatori 
sanitari 
e 
sociosanitari 
"in 
prima 
Linea", sia 
pubblici 
che 
privati 
accreditati, hanno un rischio più elevato 
di 
essere 
esposti 
all'infezione 
da 
CoVID-19 
e 
di 
trasmetterla 
a 
pazienti 
suscettibili 
e 
vulnerabili 
in contesti 
sanitari 
e 
sociali. Inoltre, è 
riconosciuto 
che 
la 
vaccinazione 
degli 
operatori 
sanitari 
e 
sociosanitari 
in 
prima 
linea 
aiuterà 
a 
mantenere 
la 
resilienza 
del 
servizio sanitario. La 
priorità 
di 
vaccinazione 
di 
questa 
categoria 
è 
supportata 
anche 
dal 
principio di 
reciprocità, 
indicato 
dal 
framework 
di 
valori 
SAGE 
e 
rappresenta 
quindi 
una 
priorità 
assoluta. 


• 
residenti 
e 
personale 
dei 
presidi 
residenziali 
per 
anziani. 
Un'elevata 
percentuale 
di 
residenze 
sanitarie 
assistenziali 
(rSA) 
è 
stata 
gravemente 
colpita 
dal 
CoVID-19. I residenti 
di 
tali 
strutture 
sono ad alto rischio di 
malattia 
grave 
a 
causa 
dell'età 
avanzata, la 
presenza 
di 
molteplici 
comorbidità, e 
la 
necessità 
di 
assistenza 
per alimentarsi 
e 
per le 
altre 
attività 
quotidiane. Pertanto, 
sia 
la 
popolazione 
istituzionalizzata 
che 
il 
personale 
dei 
presidi 
residenziali 
per 
anziani 
devono 
essere 
considerati 
ad 
elevata 
priorità 
per 
la 
vaccinazione. 
• 
Persone 
di 
età 
avanzata. Un programma 
vaccinale 
basato sull'età 
è 
generalmente 
più facile 
da 
attuare 
e 
consente 
di 
ottenere 
una 
maggiore 
copertura 

ContrIbUtI 
DI 
DottrInA 


vaccinale. è 
anche 
evidente 
che 
un programma 
basato sull'età 
aumenti 
la 
copertura 
anche 
nelle 
persone 
con fattori 
di 
rischio clinici, visto che 
la 
prevalenza 
di 
comorbidità 
aumenta 
con l'età. Pertanto, fintanto che 
un vaccino 
disponibile 
sia 
sicuro e 
efficace 
nelle 
persone 
di 
età 
avanzata, considerata 
l'elevata 
probabilità 
di 
sviluppare 
una 
malattia 
grave 
e 
il 
conseguente 
ricorso 
a 
ricoveri 
in 
terapia 
intensiva 
o 
sub-intensiva, 
questo 
gruppo 
di 
popolazione 
dovrebbe 
rappresentare 
una 
priorità 
assoluta 
per 
la 
vaccinazione. 
Le 
priorità 
potrebbero 
cambiare 
sostanzialmente 
se 
i 
primi 
vaccini 
disponibili 
non 
fossero 
considerati efficaci per gli anziani. 


Tabella 2 
-Stima della numerosità delle 
categorie 
prioritarie 
(Fonte: ISTAT, 
Ministero della Salute, Regioni e Commissario Straordinario). 


CATEGORIE 
TOTALE 
operatori sanitari e sociosanitari * 
1.404.037 
Personale ed ospiti dei presidi residenziali per anziani */** 
570.287 
Anziani over 80 anni ** 
4.442.048 
OS + 
ANZIANI over 80 + 
ANZIANI PRESIDI RESIDENZIALI 
6.416.372 


CATEGORIE 
TOTALE 
Persone dai 60 ai 79 anni * 
13.432.005 
Popolazione con almento una comorbidità cronica */** 
7.403.578 


* / ** categorie non mutuamente esclusive. 
naturalmente, 
con 
l'aumento 
delle 
dosi 
di 
vaccino 
si 
inizierà 
a 
sottoporre 
a 
vaccinazione 
le 
altre 
categorie 
di 
popolazioni, fra 
le 
quali 
quelle 
appartenenti 
ai 
servizi 
essenziali, 
come 
evidenziato 
nella 
fig. 
1, 
quali 
anzitutto 
gli 
insegnanti 
ed il 
personale 
scolastico, le 
forze 
dell'ordine, il 
personale 
delle 
carceri 
e 
dei 
luoghi di comunità, etc. 
nel 
corso 
dell'epidemia 
si 
potrà 
attuare 
una 
strategia 
di 
tipo 
adattativo, 
qualora 
venissero identificate 
particolari 
categorie 
a 
rischio o gruppi 
di 
popolazione 



rASSEGnA 
AVVoCAtUrA 
DELLo 
StAto -n. 3/2020 


in grado di 
sostenere 
la 
trasmissione 
dell'infezione 
nella 
comunità, o nel 
caso 
in 
cui 
si 
sviluppassero 
focolai 
epidemici 
rilevanti 
in 
specifiche 
aree 
del 
Paese, 
destinando eventuali 
scorte 
di 
vaccino a 
strategie 
vaccinali 
di 
tipo "reattivo" 
(reactive vaccination). 


Figura 1 -Volumi 
di 
potenziali 
dosi 
disponibili 
e 
% di 
copertura della popolazione. 
Le 
fasi 
indicate 
(T) 
dipendono 
dai 
tempi 
delle 
autorizzazioni 
delle 
agenzie regolatorie. 


100 % 
90% 
80% 
70% 
60% 
50% 
40% 
30% 
20% 
10% 
0% 


Tutta 
la 
popola-

Insegnanti 
e 
personale 
sco


zione 
che 
non 
ha 


lastico rimanente. 


ancora 
avuto 
ac


90% 


Lavoratori 
di 
servizi 
essen


cesso. 


ziali e dei setting a rischio. 
Carceri e luoghi comunità. 
Persone 
con 
comorbidità 
moderata di ogni età. 


Persone di 60 o più aa.
Personeconcomorbiditàsevera,immunodeficienzae/o fragilità di ogni età.
Gruppisociodemograficiarischiosignificatavi-
mentepiùelevatodimalat-
tia grave o morte.
Insegnantiepersonalescolastico ad alta priorità.
15%
50%
Operatori sanitari e 
sociosanitari. 
Ospiti lungodegenze. 
Persone 
di 
80 
o 
più 
aa. 


5% 


T1T2 
T3 
T4 


-Volume di dosi disponibili e copertura della popolazione -

Fornitura limitata. 
Aumento 
della 
for-Fornitura 
dei 
vaccini 
in 
Fornitura 
dei 
vaccini 
e 
siti 
Strette 
priorità 
per 
la 
nitura dei vaccini. 
aumento 
e 
siti 
vaccinali 
vaccinali a regime. 
somministrazione. 
Organizzazione 
a 
regime 
(ampi 
spazi 
e 


omogenea 
dei 
siti 
centri 
vaccinali 
e 
studi 
vaccinali 
(ampi 
MMG). 


. 
spazi). 



ContrIbUtI 
DI 
DottrInA 


3. LoGIStICA, APProVVIGIonAMEnto, StoCCAGGIo E 
trASPorto. 
Gli 
aspetti 
relativi 
alla 
logistica 
e 
alla 
catena 
di 
approvvigionamento (supply 
chain), 
stoccaggio 
e 
trasporto 
dei 
vaccini 
saranno 
di 
competenza 
del 
Commissario 
Straordinario per l'attuazione 
delle 
misure 
di 
contenimento e 
contrasto 
dell'emergenza 
epidemiologica 
CoVID-19 
della 
Presidenza 
del 
Consiglio 
dei 
Ministri. 
nella 
definizione 
dei 
piani 
di 
fattibilità 
e 
delle 
forniture 
di 
tutte 
le 
attrezzature/strumenti/materiale 
necessari 
sono 
stati 
considerati 
diversi 
aspetti, 
tra 
cui 
la 
catena 
del 
freddo 
estrema 
(-20/-70° 
C) 
per 
la 
conservazione 
di 
alcuni 
vaccini 
(vaccini 
a 
mrnA) o catena 
del 
freddo standard 
(tra 
i 
2 e 
gli 
8° 
C), il 
confezionamento 
dei 
vaccini 
in 
multi-dose 
e 
la 
necessità 
o 
meno 
di 
diluizione. 
Per i 
vaccini 
che 
necessitano di 
catena 
del 
freddo standard 
(trai 
2°e 
gli 
8°) si 
adotterà 
un modello di 
distribuzione 
"hub and spoke", con 1 sito nazionale 
di 
stoccaggio e una serie di siti territoriali di secondo livello. 
Per 
quanto 
riguarda 
invece 
i 
vaccini 
che 
necessitano 
di 
catena 
del 
freddo 
estrema, 
questi 
verranno 
consegnati 
direttamente 
dall'azienda 
produttrice 
presso 300 punti 
vaccinali, che 
sono stati 
condivisi 
con le 
regioni 
e 
le 
Province 
Autonome. 
Il 
confezionamento 
dei 
vaccini 
in 
multi-dose 
richiede 
l'acquisizione 
di 
un 
adeguato 
numero di 
siringhe, aghi 
e 
diluente 
(nei 
casi 
in cui 
non siano forniti 
direttamente 
dall'azienda 
produttrice 
del 
vaccino), 
eseguita 
sia 
tramite 
joint 
procurement 
europeo, 
sia 
attraverso 
la 
richiesta 
di 
offerta 
pubblica 
già 
emessa 
dagli uffici del Commissario per l'emergenza CoVID-19. 
A 
ciò si 
aggiunge 
la 
necessità 
di 
fornire 
il 
materiale 
ritenuto essenziale 
per lo 
svolgimento 
delle 
sedute 
vaccinali 
(DPI 
per 
il 
personale 
delle 
unità 
mobili, 
disinfettante, 
cerotti 
etc.), 
cui 
provvederà 
il 
Commissario 
Straordinario. 
La 
distribuzione 
dei 
vaccini, in particolare 
relativi 
alla 
catena 
del 
freddo standard, 
avverrà 
con il 
coinvolgimento delle 
forze 
armate 
che, in accordo con il 
Commissario 
Straordinario, stanno già pianificando vettori, modalità e logistica. 


4. PUntI VACCInALI, orGAnIZZAZIonE 
DELLE 
SEDUtE 
VACCInALI E 
fIGUrE 
CoInVoLtE. 
La 
governance 
del 
piano di 
vaccinazione 
è 
assicurata 
dal 
coordinamento costante 
tra 
il 
Ministro della 
Salute, la 
struttura 
del 
Commissario Straordinario 
e 
le 
regioni 
e 
Province 
Autonome. In linea 
generale, la 
strategia 
vaccinale 
si 
articolerà 
in 
diverse 
fasi, 
il 
cui 
modello 
organizzativo 
dipenderà 
da 
diversi 
fattori, 
che 
includono la 
quantità 
di 
vaccino disponibile, la 
numerosità 
delle 
categorie 
target 
prioritarie 
per 
la 
vaccinazione, 
e 
aspetti 
logistici 
legati 
alla 
tipologia 
di 
catena 
del 
freddo (estrema 
/ 
standard) necessaria 
per il 
loro trasporto 
e stoccaggio. 



rASSEGnA 
AVVoCAtUrA 
DELLo 
StAto -n. 3/2020 


nella 
fase 
iniziale 
della 
campagna 
vaccinale 
si 
prevede 
una 
gestione 
centralizzata 
della 
vaccinazione 
con l'identificazione 
di 
siti 
ospedalieri 
o peri-ospedalieri 
e 
l'impegno di 
unità 
mobili 
destinate 
alla 
vaccinazione 
delle 
persone 
impossibilitate 
a 
raggiungere 
i 
punti 
di 
vaccinazione. Il 
personale 
delle 
unità 
vaccinali 
sarà 
costituito 
da 
un 
numero 
flessibile 
di 
medici, 
infermieri, 
assistenti 
sanitari, oSS 
e 
personale 
amministrativo di 
supporto. Si 
stima, al 
momento, 
un fabbisogno massimo di 
circa 
ventimila 
persone. A 
tal 
riguardo, si 
prevede 
di 
agire 
da 
un lato ricorrendo ad un cospicuo e 
temporaneo ricorso alle 
professionalità 
esistenti 
nel 
Paese, anche 
attraverso la 
pubblicazione 
di 
un invito 
a 
manifestare 
la 
disponibilità 
a 
contribuire 
alla 
campagna 
di 
vaccinazione, 
con 
l'attivazione 
di 
conseguenti 
modalità 
contrattuali 
definite 
ad hoc, nonché 
alla 
stipula 
di 
accordi 
con il 
Ministero dell'Università 
e 
della 
ricerca 
nell'ambito 
dei percorsi formativi delle scuole di specializzazione medica. 
Sul 
piano organizzativo, a 
livello nazionale, saranno definite 
le 
procedure, gli 
standard 
operativi 
e 
il 
lay-out 
degli 
spazi 
per l'accettazione, la 
somministrazione 
e 
la 
sorveglianza 
degli 
eventuali 
effetti 
a 
breve 
termine, 
mentre 
a 
livello 
territoriale 
verranno stabilite 
la 
localizzazione 
fisica 
dei 
siti, il 
coordinamento 
operativo degli 
addetti, nonché 
il 
controllo sull'esecuzione 
delle 
attività. A 
livello 
regionale 
e 
a 
livello locale 
saranno pertanto identificati 
referenti 
che 
risponderanno 
direttamente 
alla 
struttura 
di 
coordinamento 
nazionale 
e 
si 
interfacceranno 
con 
gli 
attori 
del 
territorio, 
quali 
i 
Dipartimenti 
di 
Prevenzione, 
per 
garantire 
l'implementazione 
dei 
piani 
regionali 
di 
vaccinazione 
e 
il 
loro 
raccordo 
con 
il 
Piano 
nazionale 
di 
Vaccinazione. 
Con 
l'aumentare 
della 
disponibilità 
dei 
vaccini, a 
livello territoriale 
potranno essere 
realizzate 
campagne 
su 
larga 
scala 
(waik-in) 
per 
la 
popolazione 
presso 
centri 
vaccinali 
organizzati 
ad hoc 
e, in fase 
avanzata, accanto all'utilizzo delle 
unità 
mobili, 
il 
modello 
organizzativo 
vedrà 
via 
via 
una 
maggiore 
articolazione 
sul 
territorio, 
seguendo 
sempre 
più 
la 
normale 
filiera 
tradizionale, 
incluso 
il 
coinvolgimento 
degli 
ambulatori 
vaccinali 
territoriali, dei 
Medici 
di 
Medicina 
Generale 
e 
dei 
Pediatri 
di 
Libera 
Scelta, della 
sanità 
militare, e 
dei 
medici 
competenti 
delle 
aziende. 


5. SIStEMA InforMAtIVo. 
Per 
la 
realizzazione 
delle 
attività 
del 
piano 
si 
sta 
predisponendo 
un 
sistema 
informativo 
efficiente 
ed interfacciabile 
con i 
diversi 
sistemi 
regionali 
e 
nazionali, 
per poter ottimizzare 
tutti 
i 
processi 
organizzativi 
e 
gestionali 
a 
partire 
dalle forniture, fino alla programmazione e gestione delle sedute vaccinali. 
Inoltre, dovranno essere 
garantite 
funzionalità 
omogenee 
su tutto il 
territorio 
nazionale, in particolare 
relativamente 
al 
sistema 
di 
chiamata 
attiva 
/ 
prenotazione, 
alla 
registrazione 
e 
certificazione 
della 
vaccinazione, al 
sistema 
di 
recall, 
al 
calcolo 
puntuale 
(real 
time) 
delle 
coperture 
vaccinali 
e 
all'integrazione 



ContrIbUtI 
DI 
DottrInA 


con i 
sistemi 
regionali 
e 
nazionali 
di 
vaccinovigilanza 
e 
sorveglianza 
epidemiologica. 
Sarà 
quindi 
necessario implementare 
le 
risorse 
informative 
di 
cui 
dispone 
attualmente 
il 
sistema 
sanitario nazionale, anche 
attraverso la 
predisposizione 
di 
nuove 
piattaforme 
progettate 
ad hoc. 
In particolare, gli 
elementi 
necessari 
da 
integrare 
riguardano le 
modalità 
di 
gestione 
della 
relazione 
con i 
cittadini 
dal 
momento della 
chiamata 
attiva 
/ 
prenotazione 
fino alla 
fase 
di 
somministrazione 
e 
sorveglianza, nonché 
il 
supporto alla 
catena 
logistica 
nella 
distribuzione 
dall'hub 
nazionale 
fino 
ai 
punti 
di 
somministrazione, 
con 
la 
tracciabilità 
e 
gestione 
in 
tempo 
reale 
della 
merce 
durante 
le 
singole 
fasi. 
Verrà 
infine 
implementata 
una 
piattaforma 
di 
reporting 
capace 
di 
tracciare 
e 
rendicontare 
tutte le attività che verranno realizzate. 


6. VACCInoVIGILIAnZA E SorVEGLIAnZA IMMUnoLoGICA. 
In previsione 
della 
disponibilità 
di 
vaccini 
anti-Covid-19 che 
saranno offerti 
attivamente 
alla 
popolazione, 
è 
necessario 
predisporre 
una 
sorveglianza 
aggiuntiva 
sulla 
sicurezza 
dei 
vaccini 
stessi. Le 
attività 
di 
sorveglianza 
devono 
essere 
pianificate 
accuratamente, in termini 
sia 
di 
raccolta 
e 
valutazione 
delle 
segnalazioni 
spontanee 
di 
sospetta 
reazione 
avversa 
(farmacovigilanza 
passiva) 
che 
di 
azioni 
pro-attive 
attraverso studi/progetti 
di 
farmacovigilanza 
attiva 
e 
farmaco-epidemiologia. 
L'obiettivo 
fondamentale 
è 
quello 
di 
monitorare 
gli 
eventuali 
eventi 
avversi 
ai 
nuovi 
vaccini 
CoVID 
nel 
contesto del 
loro utilizzo 
reale, di 
identificare 
e 
caratterizzare 
prontamente 
eventuali 
nuovi 
rischi 
ancora 
non emersi, e 
di 
individuare 
eventuali 
problematiche 
relative 
alla 
qualità. 
L'AIfA, in aggiunta 
alle 
attività 
di 
farmacovigilanza 
che 
sono normalmente 
previste 
per farmaci 
e 
vaccini 
(basate 
sulle 
segnalazioni 
spontanee 
e 
sulle 
reti 
di 
farmacovigilanza 
già 
presenti), promuoverà 
l'avvio di 
alcuni 
studi 
indipendenti 
post-autorizzativi 
sui 
vaccini 
CoVID. 
L'AIfA 
si 
doterà 
inoltre 
di 
un 
Comitato 
scientifico che, per tutto il 
periodo della 
campagna 
vaccinale, avrà 
la 
funzione 
di 
supportare 
l'Agenzia 
e 
i 
responsabili 
scientifici 
dei 
singoli 
studi 
nella 
fase 
di 
impostazione 
delle 
attività, nell'analisi 
complessiva 
dei 
dati 
che 
saranno 
raccolti, 
e 
nell'individuazione 
di 
possibili 
interventi. 
La 
finalità 
è 
quella 
di 
disporre, 
anche 
attraverso 
una 
rete 
collaborativa 
internazionale, 
della 
capacità 
di 
evidenziare 
ogni 
eventuale 
segnale 
di 
rischio e, nel 
contempo, di 
confrontare 
i 
profili 
di 
sicurezza 
dei 
diversi 
vaccini 
che 
si 
renderanno disponibili, 
nonché nel fornire raccomandazioni. 


Sarà 
infine 
importante 
valutare 
la 
risposta 
immunitaria 
indotta 
dal 
vaccino in 
diversi 
gruppi 
di 
popolazione, in particolare 
su durata 
e 
qualità 
della 
risposta. 
A 
tal 
fine 
sarà 
condotta 
un'indagine 
sierologica 
su un numero rappresentativo 



rASSEGnA 
AVVoCAtUrA 
DELLo 
StAto -n. 3/2020 


di 
individui 
vaccinati 
con 
i 
singoli 
vaccini 
utilizzati 
nel 
nostro 
Paese, 
con 
l'obiettivo di 
valutare 
la 
specificità 
della 
risposta 
immunitaria, la 
durata 
della 
memoria 
immunologica, e 
identificare 
i 
correlati 
di 
protezione. Il 
monitoraggio, 
coordinato 
dall'ISS, 
coinvolgerà 
un 
campione 
rappresentativo 
di 
vaccinati 
stratificati 
per 
area 
geografica, 
età, 
genere, 
e 
stato 
di 
salute. 
Gli 
esami 
saranno 
eseguiti 
immediatamente 
prima 
della 
vaccinazione 
(tempo zero) e 
a 
distanza 
di 
1, 6 e 
12 mesi. Le 
evidenze 
scientifiche 
raccolte 
saranno pubblicate 
ed utilizzate 
a fini informativi e valutativi. 


7. CoMUnICAZIonE. 
è 
necessario fornire 
in modo proattivo informazioni 
complete, obiettive 
e 
accurate, 
con la 
finalità 
di 
favorire 
un'ampia 
adesione 
alla 
campagna 
vaccinale 
da 
parte 
della 
popolazione. A 
tal 
fine 
sarà 
necessario spiegare 
che 
le 
rigorose 
procedure 
di 
autorizzazione 
dell’UE 
non contemplano alcuna 
deroga 
alla 
sicurezza. 
nelle 
fasi 
iniziali, il 
numero complessivo di 
dosi 
di 
vaccino potrà 
essere 
limitato, 
e 
pertanto sarà 
essenziale 
spiegare 
le 
motivazioni 
che 
hanno portato alla 
scelta 
delle 
categorie 
che 
hanno 
accesso 
prioritario 
ai 
vaccini 
(es. 
operatori 
sanitari, anziani 
e 
individui 
più vulnerabili). In questa 
prima 
fase 
è 
di 
particolare 
importanza 
potenziare 
il 
focus 
sugli 
operatori 
sanitari, 
in 
quanto 
primi 
beneficiari 
del 
vaccino e, a 
loro volta, esecutori 
materiali 
della 
vaccinazione. A 
tal 
fine 
si 
dovrà, anche 
tramite 
uno specifico programma 
di 
formazione 
a 
distanza 
(fAD) 
a 
cura 
dell'ISS: 
1) 
informare 
e 
formare 
gli 
operatori 
sanitari 
sulle 
caratteristiche 
dei 
vaccini 
CoVID; 
2) aumentare 
la 
fiducia 
e 
l'adesione 
degli 
stessi 
nei 
confronti 
del 
vaccino in quanto destinatari 
prioritari; 
3) migliorare 
la 
capacità 
dei 
professionisti 
sanitari 
di 
comunicare 
e 
interagire 
con 
le 
persone 
appartenenti 
alle 
altre 
categorie 
prioritarie 
al 
fine 
di 
sostenere 
la 
campagna 
vaccinale. 
La 
gestione 
della 
comunicazione 
istituzionale 
richiede 
l'identificazione 
di 
un'unità 
di 
coordinamento 
composta 
da 
rappresentanti 
del 
mondo 
medico-
scientifico 
e 
delle 
Istituzioni, 
e 
che 
persegua 
i 
seguenti 
obiettivi: 
1) 
sviluppare 
e 
diffondere 
messaggi 
chiave 
anche 
considerando le 
diverse 
fasce 
di 
età; 
2) 
aggiornare 
costantemente 
i 
media 
tradizionali 
e 
web 2.0 al 
fine 
di 
prevenire 
un'informazione/comunicazione 
non puntuale; 
3) sviluppare 
contenuti 
e 
strategie 
operative 
online 
e 
offline 
per rilevare 
e 
rispondere 
alla 
disinformazione 
in tempo reale 
(ad esempio, tramite 
accordi 
con i 
maggiori 
social 
media) e 
indirizzare 
la 
richiesta 
di 
informazione 
verso il 
sito del 
Ministero della 
Salute 
e/o un numero telefonico dedicato). 



ContrIbUtI 
DI 
DottrInA 


8. VALUtAZIonE 
DI IMPAtto 
EPIDEMIoLoGICo 
E 
MoDELLI DI VALUtAZIonE 
EConoMICA. 
La 
pandemia 
causata 
da 
Sars-Cov2, 
oltre 
ad 
aver 
causato 
un 
carico 
di 
malattia 
e 
di 
decessi 
elevato, ha 
intuibilmente 
avuto ricadute 
economiche 
dirette 
e 
indirette, 
non 
solo 
sulla 
Sanità, 
ma 
anche 
sulla 
società 
e 
i 
settori 
economico-
produttivi 
in Italia 
e 
nel 
resto del 
mondo. Il 
17 giugno 2020, la 
Commissione 
Europea 
(CE) ha 
presentato una 
strategia 
comune 
per accelerare 
lo sviluppo, 
la 
produzione 
e 
la 
diffusione 
di 
vaccini 
efficaci 
e 
sicuri 
contro 
l'infezione 
SArS-CoV-2 e/o la 
malattia 
CoVID-19. In cambio del 
diritto di 
acquistare 
un determinato numero di 
dosi 
di 
vaccino in uno specifico periodo di 
tempo, 
la 
Commissione 
ha 
finanziato 
parte 
degli 
upfront 
costs 
sostenuti 
dai 
produttori 
e 
dalle 
case 
farmaceutiche. 
Il 
finanziamento 
fornito 
è 
stato 
concesso 
sotto 
forma 
di 
down-payment, mentre 
i 
vaccini 
verranno poi 
effettivamente 
acquistati 
dai 
singoli 
Stati 
membri 
a 
fine 
sperimentazione. 
Questi 
accordi 
hanno 
consentito di 
investire 
su un rapido sviluppo di 
un ampio numero di 
vaccini 
basati 
su diverse 
piattaforme, che 
altrimenti 
non avrebbe 
avuto luogo, considerato 
l'alto rischio di fallimento per le aziende produttrici. 


La 
letteratura 
scientifica 
ha 
fornito evidenze 
su come 
il 
beneficio netto del 
distanziamento 
sociale 
intermittente 
possa 
essere 
negativo 
da 
una 
prospettiva 
macroeconomica, 
soprattutto 
quando 
le 
perdite 
sono 
persistenti 
nel 
tempo. 
Inoltre, il 
beneficio netto dell'immunizzazione 
della 
popolazione 
decresce 
se 
l'introduzione 
della 
vaccinazione 
viene 
ritardata, o anche 
qualora 
l'immunizzazione 
naturale 
consegua 
a 
un processo di 
lunga 
durata, o infine 
se 
la 
protezione 
indotta dal vaccino sia breve. 


Alla 
luce 
delle 
ultime 
raccomandazioni 
Who, due 
criteri 
dovrebbero indirizzare 
la 
valutazione 
economica: 
l'utilizzo 
razionale 
delle 
risorse 
e 
l'equità. 
Pertanto, 
è 
innanzitutto necessario stimare 
il 
burden of 
disease 
di 
Covid-19, e 
in 
particolare 
il 
peso 
economico 
della 
malattia. 
Allo 
stesso 
tempo 
si 
rende 
necessario 
individuare 
le 
risorse 
necessarie 
per 
l'implementazione 
del 
Piano 
Vaccinale 
e 
quantificare 
economicamente 
l'impatto 
della 
vaccinazione 
sulla 
Sanità 
Italiana. 
L'analisi 
costo-efficacia 
avrà 
come 
profilo 
di 
valutazione 
l'analisi 
dei 
costi 
sanitari 
diretti 
e 
indiretti 
della 
pandemia 
Covid 19, l'analisi 
dei 
costi 
diretti 
e 
indiretti 
della 
vaccinazione, nonché 
l'analisi 
costo-efficacia 
della 
vaccinazione 
contrapposta 
alle 
sole 
misure 
di 
mitigazione 
di 
Sanità 
Pubblica. In 
tal 
senso sarà 
opportuno stratificare 
i 
dati 
epidemiologici 
per strati 
di 
età, genere, 
variabili socio-economiche e comorbidità. 


Inoltre, l'evidenza 
scientifica 
dovrà 
fornire 
prove 
a 
sostegno dell'equità 
come 
fine 
razionale 
per l'allocazione 
delle 
risorse. In particolare, i 
dati 
epidemiologici 
relativi 
alla 
diffusione 
di 
Sars-Cov-2 tra 
gruppi 
di 
popolazione 
svantag



rASSEGnA 
AVVoCAtUrA 
DELLo 
StAto -n. 3/2020 


giati 
o affetti 
da 
specifiche 
comorbidità 
devono essere 
utilizzati 
per stabilire 
se 
la 
discriminazione 
sociale 
possa 
influenzare 
significativamente 
gli 
outcome 
di 
salute 
e 
il 
raggiungimento 
della 
copertura 
vaccinale 
programmata. 
Variabili 
rilevanti, 
a 
tal 
fine, 
sono 
la 
condizione 
economica, 
sociale, 
lavorativa, 
culturale 
e geografica. 


In conclusione, al 
fine 
di 
una 
razionale 
allocazione 
di 
risorse 
limitate, la 
valutazione 
costo-efficacia 
offrirà, nell'immediato, una 
base 
razionale 
per supportare 
le 
scelte 
di 
Sanità 
Pubblica, 
e 
in 
prospettiva, 
uno 
strumento 
decisionale 
standardizzato per le future esigenze ed emergenze sanitarie. 



RECENSIONI
Fausto 
Capelli 
(*), 
un 
percorso 
tra 
etica 
e 
trasparenza 
per 
riformare la democrazia in italia. 


(Rubbettino 
editoRe, 2020, pp. 236) 


L’accoglienza 
favorevole 
che 
è 
stata 
riservata 
al 
libro per 
salvare 
la democrazia 
in italia 
(Rubbettino, 2019) non ha 
impedito a 
qualche 
lettore, particolarmente 
esigente, di 
sollevare 
obiezioni 
su alcuni 
passaggi 
inseriti 
nella 
Parte 
quinta 
del 
libro contenente 
le 
proposte 
per migliorare 
il 
funzionamento 
del 
nostro sistema 
democratico. Si 
è 
pertanto pensato di 
approfittare 
del 
periodo 
di 
domicilio coatto, imposto dalla 
pandemia, per scrivere 
questo nuovo 
libro il 
cui 
primo obiettivo è 
sia 
chiarire, rendendoli 
più comprensibili, i 
passi 
sui 
quali 
sono 
sorte 
le 
perplessità, 
sia 
esporre 
in 
modo 
più 
semplice 
le 
tesi 
dell’Autore 
sulle 
soluzioni 
innovative 
da 
introdurre, cominciando con la 
descrizione 
del 
suo percorso intellettuale 
e 
professionale 
e 
terminando con una 
proposta, 
parimenti 
innovativa, 
su 
come 
cambiare 
il 
modo 
di 
far 
politica 
in 
Italia. Il 
secondo obiettivo è 
rendere 
edotti 
i 
lettori 
dell’enorme 
impatto esercitato 
dalla 
normativa 
europea 
sull’ordinamento giuridico italiano. Anche 
se 
l’applicazione 
delle 
norme 
comunitarie, nel 
corso degli 
ultimi 
quarant’anni, 
ha 
interamente 
cambiato il 
quadro giuridico-economico nel 
quale 
gli 
italiani 
operano, la 
stragrande 
maggioranza 
di 
essi 
non se 
n’è 
resa 
conto e 
non ne 
ha 
percepito 
né 
la 
vastità, 
né 
la 
profondità. 
L’ulteriore 
auspicio 
è 
pertanto 
che 
questo libro possa 
contribuire 
a 
diffondere 
la 
conoscenza 
delle 
problematiche 
europee all’interno del nostro Paese. 


(*) Professore 
di 
diritto dell'Unione 
europea, Collegio europeo/Università 
di 
Parma; 
Direttore 
della 
rivista 
"Diritto comunitario e 
degli 
scambi 
internazionali" 
e 
Condirettore 
della 
"Rivista 
giuridica 
del-
l'ambiente"; 
Avvocato 
in 
Milano, 
specializzato 
in 
diritto 
dell'Unione 
europea 
e 
in 
diritto 
internazionale. 



RASSegNA 
AVVoCAtURA 
DeLLo 
StAto -N. 3/20120 


L’attesa: chi la subisce e chi la domina per progredire 
(*) 


L’attesa 
disturba 
e 
inquieta 
numerosissime 
persone. 
Per 
la 
stragrande 
maggioranza 
è 
un fastidio perché 
viene 
percepita 
come 
una 
perdita 
di 
tempo. 


La 
quasi 
totalità 
la 
subisce 
come 
un ostacolo che 
impedisce 
di 
agire 
e 
di 
operare. Ciò si 
verifica 
qualunque 
sia 
il 
motivo dell’attesa: 
quando l’invitato 
è 
in ritardo, quando l’aereo non parte 
puntualmente 
o quando il 
treno non è 
in 
orario. 


In 
questi 
casi, 
chi 
deve 
attendere 
si 
indispettisce. 
Quali 
consigli 
possiamo 
offrirgli? 


Il 
primo lo possiamo ricavare 
da 
una 
geniale 
intuizione 
di 
Arthur 
Schopenhauer, 
il 
solo vero filosofo le 
cui 
opere 
possono essere 
lette 
tutte 
da 
cima 
a fondo con profitto (1). 


Altri 
consigli 
e 
suggerimenti 
si 
possono ricostruire 
facendo riferimento 
ai testi dei vari autori ripresi ne 
il libro aperto degli aforismi 
(2). 


Secondo 
Schopenhauer 
«Si 
può 
dividere 
la 
società 
in 
due 
categorie: 
quella 
delle 
numerosissime 
persone 
che 
diventano 
furiose 
se 
devono 
aspettare 
e 
quella composta dalle 
poche 
persone 
che 
trovano gradevole 
l’attesa perché 
offre loro la possibilità di riflettere 
("meditare")». 


In tedesco, il 
verbo usato da 
Schopenhauer per "riflettere" 
è 
«nachdenken
», composto da 
«denken ꞊ 
pensare» e 
dalla 
preposizione 
temporale 
«nach 
꞊ 
dopo», alternativamente 
anche 
preposizione 
spaziale 
che 
significa 
sia 
«dietro
» sia «verso» nel senso della direzione. 


Il 
tedesco, 
che 
non 
è 
una 
lingua 
spontanea 
ma 
costruita 
a 
tavolino, 
spiega 
dunque 
bene 
il 
processo 
mentale 
che 
si 
sviluppa 
in 
modo 
elementare 
e 
naturale 
quando «riflettiamo» ("meditiamo"). In effetti 
quando «meditiamo» noi 
non 
solo "pensiamo-dopo", ma 
anche 
"pensiamo-dietro" 
e 
"pensiamo-verso", per 
cui 
dobbiamo avere 
il 
tempo per farlo: 
ecco il 
valore 
dell’attesa 
sottolineato 
ed elogiato da Schopenhauer. 


Consentendo di 
riflettere 
e 
di 
meditare, l’attesa 
svolge 
dunque 
una 
straordinaria 
funzione 
formativa 
perché 
educa 
alla 
pazienza 
(3) che, non essendo 


(*) Scritto già èdito in diritto comunitario e degli scambi internazionali, fasc. 1-2/2019, pp. 255-258. 


(1) «Schopenhauer fece 
di 
tutto per essere 
letto, sia 
perché 
scrisse 
relativamente 
poco, se 
paragonato 
ad altri 
autori, sia 
perché 
usò uno stile, così 
bello e 
accattivante, che 
non ha 
l'eguale 
nella 
filosofia 
tedesca. Questo è 
un filosofo che 
si 
fa 
capire 
e 
che 
non trebbia 
mai 
paglia 
vuota. Non ha 
bisogno di 
interpreti, 
perché 
la 
sua 
prosa 
è 
così 
chiara 
ed essenziale, che 
il 
volerla 
filtrare 
sarebbe 
come 
voler ridistillare 
la 
grappa. Non s'incontrano mai, nei 
suoi 
libri, quelle 
lungagnate 
in chiave 
cabalistica 
e 
quegli 
orribili 
accozzi 
di 
parole 
tanto 
frequenti 
nei 
filosofi 
tedeschi 
e 
anche 
nei 
non 
tedeschi» 
(A. 
VeRReCChIA, 
introduzione, in A. SChoPeNhAUeR, Metafisica dell’amore sessuale, Milano, RCS Libri, 1997). 
(2) F. CAPeLLI 
(a 
cura 
di), il 
libro aperto degli 
aforismi, (www.capellilex.it), Soveria 
Mannelli, 
Rubbettino editore, 2015. 
(3) Dal latino patiens 
꞊ che sopporta. 

ReCeNSIoNI 
293 


classificata 
tra 
le 
virtù cardinali 
e 
teologali, deve 
essere 
considerata, proprio 
per questo, il segno distintivo della persona saggia. 


Un 
elogio 
commovente 
dell’attesa, 
della 
pazienza 
e 
della 
saggezza 
si 
trova 
in questo splendido brano di 
Cesare 
Pavese: 
«diventare 
saggi 
vuol 
dire 
maturare 
come 
matura 
l'albero 
che 
non 
dà 
fretta 
al 
proprio 
sviluppo, 
ai 
propri 
rami 
e 
ai 
propri 
frutti 
e 
se 
ne 
sta 
fiducioso 
tra 
le 
tempeste 
ben 
piantato 
al 
suolo 
in 
attesa 
della 
primavera 
senza 
temere 
che, 
dopo 
la 
primavera, 
potrebbe 
non essere 
pronta a giungere 
l'estate. e 
l'estate, pazientemente 
attesa, giunge 
quando 
è 
il 
suo 
momento. 
nella 
saggezza, 
come 
nella 
vita, 
la 
pazienza 
è 
tutto». 


In 
questo 
brano 
Cesare 
Pavese 
evoca 
quella 
saggezza 
che 
era 
stata 
definita 
da 
thomas 
Paine 
«una 
pianta 
senza 
semi», 
perché 
geneticamente 
non 
riproducibile 
in 
quanto 
unicamente 
derivata 
da 
un 
processo 
di 
assimilazione 
interiore. 
È 
anche 
un 
frutto 
della 
paziente 
attesa: 
per 
François 
de 
La 
Rochefoucauld 
«La 
saggezza 
è 
per 
l’anima 
ciò 
che 
la 
salute 
è 
per 
il 
corpo» 
e 
per 
baltasar 
Graciàn 
«uno 
dei 
principi 
della 
saggezza 
è 
quello 
di 
non 
scomporsi 
mai». 


La 
saggezza 
deve 
anche 
governare 
la 
cultura 
(4). È 
pericoloso infatti 
separare 
la 
cultura 
dalla 
saggezza, perché 
la 
cultura, se 
rimane 
isolata, diventa 
mera 
erudizione. 
Questo 
aspetto 
è 
stato 
acutamente 
osservato 
da 
Somerset 
Maugham, 
autore 
di 
grande 
successo, 
secondo 
cui 
«La 
cultura 
non 
serve 
a 
nulla 
se 
non 
nobilita 
e 
forma 
il 
carattere. 
di 
regola 
genera 
erudizione 
e, 
molto 
spesso, 
vanità. 
Chi 
non 
ha 
visto 
il 
sorrisetto 
di 
sufficienza 
dello 
studioso 
quando 
corregge 
una 
citazione 
sbagliata 
o 
l'espressione 
infastidita 
dell'intenditore 
quando qualcuno ammira un quadro che 
egli 
non apprezza? Aver 
letto 
mille libri non è più meritevole di aver arato mille campi». 


Sull’erudizione 
(5) così 
si 
esprime 
in modo elegante 
il 
grande 
Schopenhauer: 
«L’erudizione 
sta 
al 
genio 
come 
le 
note 
al 
testo». 
Il 
giudizio 
di 
William 
hazlitt 
è 
invece 
drastico 
«Se 
volete 
avere 
un’idea 
della 
potenza 
del 
genio 
umano, leggete 
Shakespeare. Se 
volete 
avere 
un’idea dell’inutilità dell’erudizione 
umana, leggete 
i 
commentatori 
di 
Shakespeare». Per Schopenhauer il 
genio è 
sempre 
un autodidatta. Per William 
hazlitt 
l’erudito è 
uno che 
esce 
con buoni voti da una scuola regolare. Nulla più. 


Contro l’erudizione 
e 
contro gli 
eruditi 
diversi 
autori 
hanno proiettato i 
loro 
strali. 
Secondo 
Vittorio 
Alfieri 
questa 
è 
la 
definizione 
dell’erudito 
«buona 
memoria di 
suo e 
roba d’altri». oscar 
Wilde 
è 
stato più cattivo: 
«La conver


(4) Il 
termine 
«cultura» deriva 
direttamente 
dalla 
parola 
latina 
cultura, che 
possiede, nella 
lingua 
originaria, il 
significato concreto e 
quello figurato propri 
della 
parola 
cultura 
mantenuti 
anche 
nella 
lingua 
italiana 
e 
può essere 
così 
inteso sia 
nel 
senso concreto di 
coltura, coltivazione, sia 
in quello figurato 
di 
cura, riguardo. Nella 
sua 
evoluzione 
il 
termine 
cultura 
è 
stato inteso come 
complesso di 
conoscenze 
ed 
esperienze 
rientranti 
nel 
patrimonio 
intellettuale 
e 
spirituale 
di 
una 
persona, 
così 
da 
diventarne 
la 
parte 
caratterizzante 
la 
sua 
identità. Con l’espressione 
«cultura animi», sia 
Cicerone 
sia 
orazio hanno 
inteso far riferimento all’educazione. 
(5) Dal latino erudire 
꞊ istruire. 

RASSegNA 
AVVoCAtURA 
DeLLo 
StAto -N. 3/20120 


sazione 
erudita o è 
un’ostentazione 
dell’ignorante 
o la professione 
del 
disoccupato 
intellettuale». Stanislaw J. Lec 
è 
stato altrettanto cattivo ma 
anche 
arguto 
«C’è 
in 
lui 
un 
vuoto 
enorme 
ricolmo 
di 
erudizione». 
Leo 
Longanesi 
è 
stato invece 
cattivissimo e 
addirittura 
con Benedetto Croce: 
«È 
uno che 
non 
capisce, ma non capisce con grande autorità e grande competenza». 


Dagli 
aforismi 
e 
dai 
brani 
appena 
riportati 
si 
desume 
che 
l’erudizione 
è 
la 
caratteristica 
predominante 
degli 
intellettuali, 
contro 
i 
quali 
vengono 
lanciate 
sferzate 
ed invettive 
anche 
feroci. Cominciamo con l’accusa 
terribile 
di 
Cicerone 
che 
sembra 
scritta 
ieri 
sul 
Corriere 
della Sera «Questi 
intellettuali 
progressisti 
dagli 
atteggiamenti 
narcisistici, 
alimentati 
da 
idealità 
venate 
da 
astrattezza utopistica, abituati 
ad esprimersi 
con sentenze 
come 
se 
vivessero 
nella Repubblica ideale 
di 
platone 
e 
non in mezzo alla confusione. incapaci 
di 
misericordia, insensibili 
ad ogni 
preghiera, implacabili: sanno tutto loro, 
non sbagliano mai, non si 
pentono mai 
e 
non cambiano mai 
opinione; tanto 
più spavaldi 
a parole, quanto più vigliacchi 
nel 
comportamento». A 
seguire, 
aggiungiamo 
alcune 
frecciate 
che 
aiutano 
a 
capire, 
sorridendo, 
il 
problema. 
Secondo ennio Flaiano «un intellettuale 
è 
un signore 
che 
fa rilegare 
e 
mette 
in mostra libri 
che 
non ha mai 
letto». Secondo Giuseppe 
pontiggia 
«Rileggere: 
verbo utilizzato (dagli 
intellettuali) per 
i 
classici 
che 
si 
leggono per 
la 
prima 
volta». 
Secondo 
William 
Hazlitt 
«L’intellettuale 
è 
uno 
che 
chiede 
la 
saggezza 
in 
prestito 
agli 
altri. 
non 
ha 
idee 
proprie 
e 
deve 
quindi 
vivere 
di 
idee 
altrui». 


Siamo 
quindi 
partiti 
dall’attesa, 
dalla 
pazienza, 
dalla 
saggezza 
e 
dalla 
cultura 
per arrivare a conoscere gli eruditi e gli intellettuali. 


Possiamo fermarci 
qui, ritenendo di 
aver assolto il 
nostro compito, senza 
necessità 
di 
infierire 
su 
altri 
soggetti 
come 
i 
rappresentanti 
della 
politica, 
della 
burocrazia e dei sindacati. 


Mettendo 
insieme 
gli 
aspetti 
negativi 
che 
emergono 
dai 
brani 
e 
dagli 
aforismi 
in 
precedenza 
riportati, 
ci 
rendiamo 
però 
conto 
di 
aver 
delineato, 
per 
contrasto, i 
tratti 
positivi 
di 
chi 
dovrebbe 
contribuire 
a 
far funzionare 
correttamente 
la 
democrazia. 
Purtroppo, 
il 
sistema 
democratico 
rappresentativo 
che 
abbiamo 
attualmente 
in 
Italia, 
trasformato 
in 
un 
sistema 
assembleare, 
non 
funziona 
più: 
il 
tragico 
fallimento 
dei 
partiti 
politici 
ne 
è 
la 
prova. 
Riteniamo 
quindi 
di 
avere 
un valido stimolo per affrontare 
anche 
questi 
aspetti 
e 
ci 
riserviamo 
di farlo quando si presenterà l’occasione opportuna (6). 


Fausto Capelli 


(6) Queste 
brevi 
considerazioni 
sull'attesa sono state 
redatte 
nel 
2015 e 
l'occasione 
indicata 
nel 
testo si 
è 
presentata nel 
2019 quando è 
stato possibile 
pubblicare 
con 
l'Editore 
Rubbettino il 
volume 
«per 
salvare 
la 
democrazia 
in 
italia 
-Cultura 
dell'etica 
e 
della 
legalità 
in 
un 
mondo 
dominato 
dalla politica e dall'economia». 

COMUNICATO 
DELL'AVVOCATO 
GENERALE 
(*) 


Domani 
lascia 
il 
servizio, dopo oltre 
38 anni 
di 
prestigiosa 
presenza, l’Avv. Massimo Salva-
torelli, Vice 
Avvocato Generale dello Stato. 
L’Avv. Salvatorelli 
ha 
onorato l’Avvocatura 
e 
il 
Paese 
con la 
Sua 
altissima 
professionalità, 
con il 
Suo continuo impegno e 
con le 
Sue 
elevatissime 
doti 
anche 
umane; 
acquisendo grandissima 
stima 
e 
unanime 
considerazione 
sia 
presso i 
Colleghi, per i 
quali 
ha 
rappresentato un 
costante 
punto di 
riferimento, sia 
negli 
ambienti 
giudiziari 
e 
del 
Foro, sia 
presso le 
Pubbliche 
Amministrazioni. 
Per questo e 
per avere 
accettato di 
continuare 
a 
presiedere 
il 
Gruppo di 
lavoro istituito per la 
predisposizione 
della 
Relazione 
annuale 
sull’attività 
dell’Avvocatura 
dello 
Stato 
un 
particolare 
e sincero ringraziamento. 
Al 
Collega 
e 
Amico vanno i 
saluti 
e 
gli 
auguri 
più affettuosi 
di 
tutti 
gli 
Avvocati 
e 
Procuratori 
dello Stato e del Personale dell’Avvocatura. 


Gabriella Palmieri Sandulli 


... 
Quando 
ho 
chiesto 
consiglio 
su 
qualche 
questione 
particolarmente 
spinosa 
ho 
trovato 
sempre 
risposte 
convincenti, illustrate 
con chiarezza 
non comune 
e 
accompagnate 
immancabilmente 
da un rassicurante sorriso. 

D’altra 
parte, 
le 
qualità 
umane 
e 
professionali 
di 
Massimo 
sono 
ampiamente 
conosciute 
non solo in Avvocatura, posso solo aggiungere 
che 
mi 
hanno sempre 
colpito la 
padronanza 
nell’argomentare 
in diritto, segno di 
una 
profonda 
cultura 
non solo giuridica, la 
capacità 
di 
creare 
un clima 
disteso tra 
i 
colleghi 
e 
con il 
personale 
amministrativo, smussando pazientemente 
ogni 
asperità 
e 
la 
particolare 
attenzione 
dedicata 
alla 
crescita 
professionale 
dei 
colleghi 
più giovani. Il 
tutto con un quotidiano impegno personale, spesso assai 
gravoso, che, dopo 
tante 
battaglie 
e 
molte 
soddisfazioni, 
testimonia 
il 
suo 
appassionato 
rigore 
nel 
perseguire 
“l’interesse 
della 
collettività” 
attraverso 
la 
stretta 
osservanza 
del 
principio 
di 
legalità 
cui 
deve 
ispirarsi 
l’azione dei pubblici poteri. Credo resti a noi l’impegno per preservare questi valori. 


Assai 
lodevole, 
dunque, 
mi 
pare 
l’iniziativa 
dell’Avvocato 
Generale 
di 
conservare 
il 
suo 
legame 
con l’Istituto che 
può essere 
anche 
un modo per tornare 
insieme 
a 
frequentare, spero 
al 
più presto, la 
biblioteca. In ogni 
caso, l’esperienza 
lavorativa 
può terminare 
l’amicizia 
rimane. 


Grazie, caro Massimo 


Pio G. Marrone 


(*) E-mail Segreteria Particolare - mercoledì 23 dicembre 2020. 



Errata corrige: 


Nel 
numero 2/2020 di 
questa Rassegna, l’annotazione 
a Cons. St., Sez. VI, 
ord. 24 settembre 
2020 n. 5588 (pp. 180 ss.) erroneamente 
è 
stata attribuita 
all’avv. St. Paola Palmieri, affidataria della causa. 
L’annotazione è stata di esclusiva cura della redazione. 


g.f. 



Finito di stampare nel mese di marzo 2021 
Stabilimenti 
Tipografici Carlo Colombo S.p.A. 
Vicolo della Guardiola n. 22 - 00186 Roma