ANNO LXIX - N. 1 
GENNAIO - MARZO 2017 


RASSEGNA 
AV 
V 
O 
C 
AT 
U 
R 
A 
DELLO 
STATO 


PUBBLICAZIONE 
TRIMESTRALE DI SERVIZIO 



COMITATO 
SCIENTIfICO: 
Presidente: Michele 
Dipace. Componenti: Franco Coppi 
- Giuseppe 
Guarino Natalino 
Irti - Eugenio Picozza - Franco Gaetano Scoca. 


DIRETTORE 
RESPONSABILE: 
Giuseppe 
Fiengo 
-CONDIRETTORI: 
Maurizio 
Borgo, 
Danilo 
Del 
Gaizo 
e 
Stefano Varone. 


COMITATO 
DI 
REDAZIONE: 
Giacomo Aiello -Lorenzo 
D�Ascia 
-Gianni 
De 
Bellis 
-Francesco 
De 
Luca 
-
Wally 
Ferrante 
-Sergio 
Fiorentino 
-Paolo 
Gentili 
-Maria 
Vittoria 
Lumetti 
-Francesco 
Meloncelli 
Marina 
Russo. 


CORRISPONDENTI 
DELLE 
AVVOCATURE 
DISTRETTUALI: 
Andrea 
Michele 
Caridi 
-Stefano 
Maria 
Cerillo 
Pierfrancesco 
La 
Spina 
-Marco 
Meloni 
-Maria 
Assunta 
Mercati 
-Alfonso 
Mezzotero 
-Riccardo 
Montagnoli 
-Domenico 
Mutino 
-Nicola 
Parri 
-Adele 
Quattrone 
-Pietro 
Vitullo. 


HANNO 
COLLABORATO 
INOLTRE 
AL 
PRESENTE 
fASCICOLO: 
Anna 
Andolfi, 
Emanuela 
Brugiotti, 
Sonia 
Catalano, 
Roberto 
de 
Felice, 
Enrico 
De 
Giovanni, 
Giulia 
Fabrizi, 
Vinca 
Giannuzzi 
Savelli, 
Federica 
Mariniello, 
Massimo 
Massella 
Ducci 
Teri, 
Adolfo 
Mutarelli, 
Matteo 
Maria 
Mutarelli, 
Antonio 
Pugliese, 
Daniele 
Sisca, 
Claudio 
Tric�. 


Email 
giuseppe.fiengo@avvocaturastato.it 
maurizio.borgo@avvocaturastato.it 
danilodelgaizo@avvocaturastato.it 
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IT 
42Q 
01000 
03245 
348 
0 
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05, 
causale 
di 
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della 
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di 
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AVVOCATURA 
GENERALE 
DELLO 
STATO 
RASSEGNA 
- Via dei Portoghesi, 12, 00186 Roma 
E-mail: rassegna@avvocaturastato.it - Sito www.avvocaturastato.it 


Stampato in Italia - Printed in Italy 


Autorizzazione 
Tribunale di Roma - Decreto n. 11089 del 13 luglio 1966 



indice 
-sommario 


TEMI 
ISTITUZIONALI 
Benefici 
spettanti 
alle 
vittime 
del 
dovere 
ed equiparati. Contenzioso: direttive, 
Circolare 
A.G. prot. 227893 del 4 maggio 2017 n. 22 
. . . . . . . . . pag. 
1 
Definizione 
delle 
liti 
tributarie 
pendenti, 
prevista 
dall�art. 
11 
del 
D.L. 
24 
aprile 
2017 
n. 
50, 
pubblicato 
nella 
G.U. 
del 
24 
aprile 
2017, 
n. 
95, 
S.O. 
Prime 
istruzioni, 
Circolare 
A.G. 
prot. 
266851 
del 
24 
maggio 
2017 
n. 
25 
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . �� 
5 
CONTENZIOSO 
COMUNITARIO 
ED 
INTERNAZIONALE 
Emanuela 
Brugiotti, 
Un difficile 
bilanciamento di 
interessi 
e 
un dialogo 
forse 
mancato 
con 
le 
Corti 
italiane: 
riflessioni 
a 
margine 
della 
pronuncia 
della 
Grande 
Camera 
della 
Corte 
Europea 
dei 
diritti 
dell�uomo 
del 
24 
gennaio 2017 (Corte 
EDU, Grande 
Camera, sent. 24 gennaio 2017, ric. 
n. 25358/12, Paradiso e Campanelli c. Italia). . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . �� 
9 
Gianni 
De 
Bellis, La Corte 
di 
Giustizia �salva� 
il 
meccanismo italiano 
pro-rata 
per 
il 
calcolo 
dell�IVA 
detraibile 
(C. 
Giustiza 
UE, 
Sez. 
Terza, 
sent. 14 dicembre 2016, causa C-378/15). . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . �� 
77 
CONTENZIOSO 
NAZIONALE 
Giulia 
fabrizi, Brevi 
note 
sulla trasmissibilit� alla nascita del 
cognome 
materno dopo la sentenza della Corte 
EDU 
Cusan e 
Fazzo c. Italia del 
7 
gennaio 2014, n. 77. Nota a Corte 
Costituzionale 
n. 286 del 
21 dicembre 
2016 (C. cost., sent. 28 dicembre 2016 n. 286) 
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . �� 
97 
Antonio Pugliese, Sulla qualifica di 
P.G. per 
gli 
operatori 
ARPA: considerazioni 
sulle 
due 
recenti 
pronunce 
della Cassazione 
e 
della Corte 
Costituzionale 
(Cass. 
pen., 
Sez. 
III, 
sent. 
28 
novembre 
2016 
n. 
50352; 
C. 
Cost., sent. 13 gennaio 2017 n. 8) 
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . �� 
122 
Anna 
Andolfi, Il 
�rito Fornero� 
e 
le 
controversie 
aventi 
ad oggetto l�impugnativa 
dei licenziamenti instaurate 
dai pubblici dipendenti �contrattualizzati� 
(Trib. Napoli, Sez. lav., ord. 8 febbraio 2017) 
. . . . . . . . . . . . �� 
137 
Informativa 
antimafia 
e 
autorizzazioni: 
art. 
89 
bis 
del 
d.lgs 
n. 
159 
del 
2011 (c.d. codice 
delle 
leggi 
antimafia) un presunto eccesso di 
delega? 
Uno 
scambio 
di 
email 
su 
Consiglio 
di 
Stato, 
Sez. 
Terza, 
sentenza 
7 
marzo 
2017 n. 1080 
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . �� 
154 
Marina 
Russo, Diritto di 
accesso e 
opponibilit� della clausola di 
riservatezza 
(Cons. St., Sez. III, sent. 17 marzo 2017 n. 1213) 
. . . . . . . . . . . . �� 
165 
Vinca 
Giannuzzi 
Savelli, Brevi 
note 
sul 
sistema di 
regolazione 
del 
demanio 
marittimo (T.a.r. Campania, Napoli, Sez. VII, sent. 9 febbraio 2017 
n. 818). . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . �� 
174 



LEGISLAZIONE 
ED 
ATTUALIT� 
Alfonso Mezzotero, Daniele 
Sisca, Il 
Commissario ad acta per 
il 
superamento 
dell�emerganza sanitaria nel 
territorio della Regione 
Calabria. 
Analisi 
ragionata 
e 
sistematica 
delle 
tipologie 
di 
ricorsi 
esaminati 
dal 
T.A.R. Calabria. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 
191 
federica 
Mariniello, Il 
rilievo giuridico dei 
codici 
di 
comportamento nel 
settore 
pubblico, 
con 
riferimento 
alle 
varie 
forme 
di 
responsabilit� 
dei 
pubblici funzionari 
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . �� 
218 
CONTRIBUTI 
DI 
DOTTRINA 
Roberto 
de 
felice, 
Che 
cosa 
� 
un 
nome? 
Brevi 
appunti 
sul 
diritto 
al 
nome 
. 
. 
. 
. 
. 
. 
. 
. 
. 
. 
. 
. 
. 
. 
. 
. 
. 
. 
. 
. 
. 
. 
. 
. 
. 
. 
. 
. 
. 
. 
. 
. 
. 
. 
. 
. 
. 
. 
. 
. 
. 
. 
. 
. 
. 
. 
. 
. 
. 
. 
. 
�� 
229 
Adolfo 
Mutarelli, 
Matteo 
Maria 
Mutarelli, 
Considerazioni 
intorno 
alle 
possibili 
ricadute 
della 
misura 
straordinaria 
ex 
art. 
32 
d.l. 
90/2014 
(debiti 
pregressi e rapporti di lavoro) 
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . �� 
253 
Antonio Pugliese, Atto di provenienza amministrativa e prova penale 
. . �� 
265 
Claudio Tric�, Principio di 
uguaglianza: pregiudizi 
privati 
e 
discriminazione 
dello straniero nell�accesso all�abitazione 
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . �� 
287 



TEMIISTITUZIONALI
Avvocatura 
Generaledello 
Stato 


CirColare 
n. 22/2017 
oggetto: 
Benefici 
spettanti 
alle 
vittime 
del 
dovere 
ed 
equiparati. 
Contenzioso: 
direttive. 


Si 
trasmette, 
per 
conoscenza 
e 
coordinamento, 
copia 
del 
parere 
reso 
da 
questo 
Generale 
Ufficio in relazione all'oggetto. 


Alla 
luce 
dei 
recenti 
arresti 
delle 
Sezioni 
Unite 
della 
Corte 
di 
Cassazione 
ivi 
richiamati, 
nelle 
more 
di 
eventuali 
iniziative 
legislative 
e/o 
amministrative, 
vorranno 
codeste 
Avvocature 
attenersi alle condotte processuali indicate nel parere. 


Si 
riservano ulteriori 
comunicazioni 
a 
seguito dei 
riscontri 
che 
perverranno dalle 
Amministrazioni 
interessate. 


L�AVVOCATO GENERALE DELLO STATO 
avv. Massimo Massella Ducci 
Teri 


Avvocatura 
Generale 
dello Stato 


Via dei Portoghesi, 12 
00186 ROMA 


Tipo Affare CT 15110/17 - Sez. V 
Avv. DE GIOVANNI 


Rif. a nota del 03/04/2017 


Prot. n. 45342 


22/04/2017-212869 P 
AGS Roma / POSTA CERTIFICATA 


MINISTERO DELLA DIFESA 
Direzione Generale della Previdenza 
Militare e della Leva 
Viale dell�Esercito, 186 
00143 ROMA 


22/04/2017-212870 P 
AGS Roma / POSTA CERTIFICATA 


PRESIDENZA DEL CONSIGLIO 
DEI MINISTRI 
Dipartimento Affari 
Giuridici 
e 
Legislativi 
Largo Chigi 
00187 ROMA 



RASSEGNA 
AVVOCATURA 
DELLO 
STATO - N. 1/2017 


22/04/2017-212871 P 
AGS Roma / POSTA CERTIFICATA 


MINISTERO ECONOMIA E FINANZE 
Gabinetto 
Via XX Settembre, 87 
00100 ROMA 


22/04/2017-212872 P 
AGS Roma / POSTA CERTIFICATA 


MINISTERO DELL�INTERNO 
Gabinetto 
Piazza del 
Viminale, 1 
00184 ROMA 


22/04/2017-212873 P 
AGS Roma / POSTA CERTIFICATA 


MINISTERO DELLA GIUSTIZIA 
Gabinetto 
Via 
Arenula, 70 
00186 ROMA 


OggettO: 
Richiesta 
di 
parere 
in materia 
di 
benefici 
spettanti 
alle 
vittime 
del 
dovere 
ed equiparati. 


A 
riscontro 
della 
nota 
del 
Ministro 
della 
difesa 
indicata 
in 
epigrafe 
... 
si 
rappresenta 
quanto segue. 


Come 
� 
noto, varie 
problematiche 
relative 
alle 
provvidenze 
in favore 
delle 
vittime 
del 
dovere, e 
fra 
le 
altre 
quella 
dell'ammontare 
dell'assegno vitalizio mensile 
(appunto in favore 
delle 
vittime 
del 
dovere 
e 
dei 
soggetti 
ad 
essi 
equiparati) 
previsto 
dall'art. 
1, 
co. 
562 
e 
ss., 
della 
L. 266/05 e 
dal 
DPR 243/06, si 
sono poste 
in numerosi 
giudizi, sia 
dinanzi 
al 
Giudice 
ordinario sia 
dinanzi 
a 
quello amministrativo, cosicch� 
si 
vanno consolidando alcuni 
orientamenti 
giurisprudenziali che impongono un'attenta considerazione. 


Vanno 
in 
particolare 
ricordate 
tre 
decisioni 
di 
estremo 
rilievo, 
in 
quanto 
provenienti 
dalle 
Sezioni 
Unite 
della 
Corte 
di 
Cassazione; 
con 
la 
sentenza 
no 
23300 
del 
16 
novembre 
2016 
� 
stata 
affermata 
la 
giurisdizione 
del 
giudice 
civile 
sulle 
controversie 
in subiecta 
materia; 
con 
la 
sentenza 
n� 
759 del 
13 gennaio 2017 sono state 
affrontate 
questioni 
interpretative 
concernenti 
l�art. 1, c. 564, della 
1. 23 dicembre 
2005, ed in particolare 
� 
stata 
affermata 
un'interpretazione 
(per 
inciso 
assai 
estensiva) 
della 
nozione 
di 
"missione"; 
infine 
le 
Sezioni 
Unite 
della 
Corte 
di 
Cassazione 
nella 
recente 
sentenza 
n. 7761 del 
7 marzo 2017 hanno ritenuto che 
l'importo 
dell'assegno 
debba 
essere 
"uguale 
a 
quello 
dell'analogo 
assegno 
attribuibile 
alle 
vittime 
del 
terrorismo e 
della 
criminalit� 
organizzata 
essendo la 
legislazione 
primaria 
in materia 
permeata 
da 
simile 
intento perequativo come 
risulta 
dal 
"diritto vivente" 
rappresentato dalla 
costante giurisprudenza amministrativa ed ordinaria", cio� pari a euro 500,00 mensili. 


Le 
questioni 
sollevate 
dall'Amministrazione 
della 
difesa 
con la 
nota 
che 
si 
riscontra, relative 
in particolare 
a 
quest'ultima 
sentenza, vanno pertanto, a 
giudizio di 
questa 
Avvocatura, 
esaminate 
nel 
pi� 
ampio 
contesto 
costituito 
dagli 
orientamenti 
generali 
assunti 
dalla 
Suprema 



TEMI 
ISTITUZIONALI 


Corte 
con riferimento alle 
provvidenze 
in favore 
delle 
vittime 
del 
dovere 
come 
manifestati 
dalle varie sentenze sopra ricordate. 


Appare 
infatti 
evidente 
un orientamento inteso a 
riconoscere 
nel 
modo pi� ampio sia 
la 
spettanza che l'entit� dei benefici. 


Siffatto "favor", giustificato da 
evidenti 
ragioni 
di 
natura 
solidaristica, appare 
testimoniato 
dalle 
stesse 
motivazioni 
poste 
a 
base 
della 
sentenza 
n� 
7761/17, che, richiamando a 
sostegno 
della 
decisione 
la 
"costante 
giurisprudenza 
amministrativa 
e 
ordinaria", 
non 
ha 
considerato che 
la 
Scrivente, negli 
atti 
difensionali 
depositati 
nel 
giudizio di 
legittimit� 
in cui 
� 
stata 
resa 
la 
sentenza 
citata, 
ed 
in 
particolare 
nella 
memoria 
ex 
art. 
378 
c.p.c., 
aveva 
segnalato 
i 
diversi 
orientamenti, provvedendo anche 
a 
citare 
espressamente 
la 
recentissima 
sentenza 
n. 
5337/2016 
del 
Consiglio 
di 
Stato, 
riportandone 
ampi 
stralci, 
nonch� 
il 
parere 
n� 
751/2016 
sempre 
del 
Consiglio di 
Stato; 
tuttavia, la 
Suprema 
Corte 
non ha 
dedicato particolare 
attenzione 
ai 
predetti 
precedenti. Dunque 
il 
perseguimento dell� 
�intento perequativo� 
segnalato 
dalla 
stessa 
sentenza 
in esame 
appare 
evidente; 
va 
poi 
sottolineato come, accanto a 
siffatta 
affermazione, la 
Suprema 
Corte 
abbia 
sostenuto la 
propria 
decisione 
anche 
con ulteriori 
argomenti, 
ad 
esempio 
con 
un 
richiamo 
all'art. 
2, 
co. 
105 
e 
ss., 
della 
L. 
244 
del 
2007; 
in 
sostanza, 
alla 
luce 
dei 
complessivi 
orientamenti 
delle 
SS.UU., si 
deve 
ritenere 
che 
ben difficilmente 
le 
questioni 
sopra 
ricordate 
potranno 
essere 
decise 
in 
modo 
difforme 
in 
eventuali 
future 
decisioni 
della 
Corte 
di 
Cassazione, giacch� 
testimoniano la 
ferma 
adesione 
della 
Suprema 
Corte 
al 
ricordato 
"intento perequativo"; 
e 
ci� sembra 
valere 
sia 
per quanto riguarda 
l'importo dell'assegno 
mensile 
(500 
euro), 
sia 
con 
riferimento 
al 
concetto 
di 
"missione", 
ferma 
restando 
la 
ritenuta giurisdizione dell'A.G.O. 


Tanto premesso va 
sottolineato che, poich� 
la 
giurisdizione 
in subiecta 
materia 
spetta 
al 
Giudice 
Ordinario, 
nella 
valutazione 
dei 
precedenti 
giurisprudenziali 
l'orientamento 
della 
Corte 
di 
Cassazione 
assume 
rilevanza 
decisiva 
rispetto a 
quello del 
Giudice 
Amministrativo, 
considerazione 
a 
cui 
si 
aggiunge 
quella 
inerente 
alla 
funzione 
di 
nomofilachia 
istituzionalmente 
svolta dalla Suprema Corte. 


Deve 
quindi 
rilevarsi 
che 
alla 
luce 
delle 
attuali 
disposizioni 
processuali 
i 
precedenti 
resi 
dalle 
Sezioni 
Unite 
costituiscono 
arresti 
(che 
saranno 
certamente 
fatti 
valere 
dalle 
controparti) 
suscettibili 
di 
condizionare 
la 
sorte 
dei 
giudizi 
pendenti, 
nel 
senso 
di 
determinare 
la 
quasi 
certa 
soccombenza 
delle 
P.A. 
resistenti 
e 
significative 
condanne 
alle 
spese 
legali 
a 
carico 
delle 
Amministrazioni medesime. 


Siffatta 
situazione 
impone, 
pertanto, 
un'attenta 
e 
ponderata 
valutazione 
in 
merito 
alle 
strategie 
processuali 
da 
seguire 
per 
la 
miglior 
tutela 
degli 
interessi 
erariali; 
tuttavia 
essa 
rende 
anche 
fortemente 
opportuna 
una 
urgente 
valutazione 
a 
livello 
politico 
e 
amministrativo, 
anche 
in vista di eventuali interventi di natura normativa o amministrativa generale. 


Per quanto � 
noto alla 
Scrivente, l'incremento da 
� 258 a 
� 500 del 
beneficio in esame 
determinerebbe 
infatti 
un onere 
finanziario non previsto a 
carico del 
bilancio dello Stato, e 
ci� sia 
in relazione 
ai 
maggiori 
costi 
conseguenti 
all'esecuzione 
delle 
sentenze 
di 
condanna, 
sia 
all'eventuale 
estensione, in via 
amministrativa, dell'aumento dell'assegno a 
tutti 
gli 
aventi 
diritto, con riflessi 
sia 
sul 
bilancio corrente 
(anche 
in considerazione 
del 
pagamento degli 
arretrati) 
sia sull'onere finanziario a regime. 


Appare 
quindi 
auspicabile 
che 
le 
varie 
questioni 
sopra 
esposte 
vengano urgentemente 
esaminate 
e, laddove 
non si 
ritenga 
di 
intervenire 
sulle 
norme 
vigenti 
in via 
interpretativa 
e/o 
modificativa, vengano apprestate 
le 
opportune 
misure 
per far fronte 
ai 
relativi 
maggiori 
oneri 
finanziari (che la Scrivente non �, ovviamente, in grado di stimare). 



RASSEGNA 
AVVOCATURA 
DELLO 
STATO - N. 1/2017 


Nel 
frattempo, 
in 
attesa 
delle 
eventuali 
(ed 
auspicabilmente 
tempestive) 
iniziative 
sopra 
descritte, appare 
opportuno che 
nei 
nuovi 
giudizi 
e 
in quelli 
pendenti 
le 
singole 
Avvocature 
(Generale 
e 
Distrettuali) 
dello 
Stato 
si 
costituiscano 
in 
giudizio 
rappresentando, 
sullo 
specifico 
tema 
dell'importo 
dovuto, 
i 
diversi 
orientamenti 
giurisprudenziali 
sopra 
ricordati, 
rimettendosi 
comunque 
alle 
decisioni 
dei 
giudici 
aditi 
(salve, ovviamente, eventuali 
diverse 
questioni 
di 
rito 
e/o 
di 
merito 
proponibili) 
e 
si 
astengano 
comunque 
dall'impugnare 
le 
decisioni 
sfavorevoli 
gi� 
rese, 
cosicch� 
si 
possa 
tentare 
di 
evitare 
declaratoria 
di 
inammissibilit� 
delle 
impugnazioni 
medesime con conseguenti prevedibili onerose condanne alle spese. 


In 
tal 
senso 
saranno 
fornite 
indicazioni 
a 
tutte 
le 
Avvocature 
distrettuali 
dello 
Stato 
nelle 
more delle decisioni che saranno assunte dalle 
Amministrazioni interessate. 


Si 
resta 
comunque 
in 
attesa 
di 
conoscere, 
con 
l'urgenza 
del 
caso, 
le 
valutazioni 
e 
le 
eventuali 
iniziative di codeste 
Amministrazioni. 


L'Avvocato Estensore 
Il 
Vice 
Avvocato Generale 
(Avv. Enrico DE 
GIOVANNI) (Avv. Leonello 
MARIANI 
) 



TEMI 
ISTITUZIONALI 


Avvocatura 
Generaledello 
Stato 


CirColare 
n. 25/2017 
oggetto: 
Definizione 
delle 
liti 
tributarie 
pendenti, 
prevista 
dall�art. 
11 
del 


D.l. 24 aprile 
2017 n. 50, pubblicato nella G.U. del 
24 aprile 
2017, n. 95, 
S.o. Prime istruzioni. 
Il 
24 aprile 
2017 � 
entrato in vigore 
il 
D.L. n. 50/2017, recante 
"Disposizioni 
urgenti 
in 
materia finanziaria, iniziative 
a favore 
degli 
enti 
territoriali, ulteriori 
interventi 
per 
le 
zone 
colpite da eventi sismici e misure per lo sviluppo". 


Il 
decreto, 
all'art. 
11, 
ha 
previsto 
una 
"definizione 
agevolata 
delle 
controversie 
tributarie" 
in cui � parte l'Agenzia delle entrate. 


A 
differenza 
dei 
casi 
precedenti 
in cui 
l'importo da 
pagare 
per la 
definizione 
era 
modulato 
in funzione 
dello stato della 
causa 
(art. 16, comma 
1, L. n. 289/2002; 
art. 39, comma 
12, 


D.L. 
n. 
98/2011) 
il 
citato 
art. 
11 
prevede 
che 
le 
controversie 
tributarie 
possano 
essere 
definite, 
"a domanda del 
soggetto che 
ha proposto l'atto introduttivo del 
giudizio o di 
chi 
vi 
� 
subentrato 
o 
ne 
ha 
la 
legittimazione", 
mediante 
il 
pagamento 
dell'intero 
tributo, 
con 
una 
parte 
degli 
interessi ed "escluse le sanzioni collegate al tributo". 


Queste 
ultime 
non sono dovute 
anche 
quando sono oggetto di 
separata 
contestazione, 
semprech� 
il 
tributo sia 
stato definito ai 
sensi 
del 
medesimo art. 11, ovvero "anche 
con modalit� 
diverse". 
In tali 
casi 
� 
comunque 
necessaria 
la 
presentazione 
della 
domanda 
di 
definizione 
(comma 5). 


Per le 
sanzioni 
non collegate 
al 
tributo la 
definizione 
� 
subordinata 
al 
pagamento di 
una 
somma pari al 40% della sanzione. 


requisiti soggettivi 


Sono definibili 
le 
sole 
controversie 
in cui 
� 
parte 
l'Agenzia 
delle 
Entrate, ivi 
comprese 
quelle 
dell'ex Agenzia 
del 
territorio (incorporata 
nell'Agenzia 
delle 
Entrate 
in forza 
dell'art. 
23 quater 
del D.L. n. 95/2012). 


La 
domanda 
di 
definizione 
pu� essere 
presentata 
dal 
"soggetto che 
ha proposto l'atto 
introduttivo del giudizio o di chi vi � subentrato o ne ha la legittimazione". 


requisiti oggettivi (comma 3) 


Sono astrattamente 
definibili 
tutte 
le 
controversie 
"attribuite 
alla giurisdizione 
tributaria" 
che 
siano "pendenti 
in ogni 
stato e 
grado del 
giudizio", semprech� 
la 
costituzione 
in giudizio 
del ricorrente in primo grado sia avvenuta entro il 31 dicembre 2016. 


Non 
sono 
definibili 
le 
controversie 
"per 
le 
quali 
alla 
data 
di 
presentazione 
della 
domanda 
di 
definizione" 
(che 
deve 
essere 
presentata 
entro il 
30 settembre 
2017) risulti 
emessa 
una 
"pronuncia definitiva" 
(passata in giudicato). 


Controversie escluse (comma 4) 


Sono espressamente 
escluse 
dalla 
definizione 
le 
controversie 
concernenti 
"anche 
solo 
in parte" 
: 


a) le 
risorse 
proprie 
tradizionali 
previste 
dall'articolo 2, paragrafo 1, lettera a), delle 
decisioni 
2007/436/Ce, euratom 
del 
Consiglio, del 
7 giugno 2007, e 
2014/335/Ue, euratom 
del 
Consiglio, 
del 
26 
maggio 
2014, 
e 
l'imposta 
sul 
valore 
aggiunto 
riscossa 
all�importazione; 



RASSEGNA 
AVVOCATURA 
DELLO 
STATO - N. 1/2017 


b) le 
somme 
dovute 
a titolo di 
recupero di 
aiuti 
di 
Stato ai 
sensi 
dell'articolo 16 del 
regolamento 
(Ue) 2015/1589 del Consiglio, del 13 luglio 2015. 


Sono pertanto da ritenersi definibili le controversie in materia di IVA. 


Sono invece da ritenersi logicamente escluse dalla definizione le controversie: 


a) aventi 
ad oggetto istanze 
di 
rimborso (anche 
a 
seguito d� 
diniego espresso), in quanto 
non relative ad un "atto impugnato" 
portante una pretesa del fisco; 


b) 
aventi 
ad 
oggetto 
atti 
che 
non 
contengono 
una 
pretesa 
fiscale 
quantificata 
(es. 
i 
ricorsi 
contro provvedimenti 
di 
attribuzione 
di 
rendita 
catastale, di 
cancellazione 
dal 
registro delle 
ONLUS, di diniego di benefici o agevolazioni fiscali ecc.); 


c) aventi ad oggetto atti di riscossione di somme per precedenti condoni. 


Appare 
incerta 
la 
possibilit� 
di 
definire 
le 
controversie 
avverso atti 
di 
mera 
riscossione 
(es. cartelle di pagamento precedute da un avviso di accertamento). 


Tali 
atti, 
nelle 
scorse 
ipotesi 
di 
definizione 
delle 
liti, 
non 
venivano 
qualificati 
come 
"atti 
impositivi" 
e 
conseguentemente 
la 
giurisprudenza 
ne 
escludeva 
la 
definibilit� 
(a 
meno 
che 
non fossero stati preceduti dall'atto presupposto: Cass. n. 22000/2015). 


Sembra 
tuttavia 
che 
nel 
caso 
in 
esame 
anche 
tali 
controversie 
possano 
ritenersi 
definibili, 
in quanto: 


a) a 
differenza 
dei 
casi 
precedenti, l'art. 11 fa 
riferimento generico "all'atto impugnato" 
(e 
non 
all'atto 
impositivo: 
in 
particolare 
l'art. 
16, 
comma 
3, 
lett. 
a) 
della 
legge 
n. 
289 
precisava 
che 
per 
lite 
pendente 
doveva 
intendersi 
quella 
avente 
ad 
oggetto 
"avvisi 
di 
accertamento, 
provvedimenti di irrogazione delle sanzioni e ogni altro atto di imposizione" 
); 


b) 
le 
modalit� 
di 
definizione 
sono 
analoghe 
a 
quelle 
previste 
dall'art. 
6 
del 
D.L. 
193/2016 


(c.d. 
"rottamazione 
dei 
ruoli") 
per 
tutte 
le 
ipotesi 
di 
crediti 
iscritti 
a 
ruolo 
ed 
a 
tale 
riguardo 
la 
relazione 
governativa 
al 
D.D.L. 
di 
conversione 
del 
D.L. 
n. 
50/2017 
(AC 
4444) 
precisa 
che 
"La 
nuova 
forma 
di 
definizione 
delle 
liti 
pendenti 
soddisfa 
l'esigenza 
di 
rendere 
compiuto 
l'effetto 
definitorio 
sulle 
controversie 
cui 
� 
applicabile 
la 
definizione 
agevolata 
in 
corso 
dei 
carichi 
affidati 
all'agente 
della 
riscossione 
in 
applicazione 
del 
citato 
decreto-legge 
n. 
193 
del 
2016, 
consentendo 
al 
contribuente 
di 
definire 
integralmente 
i 
rapporti 
tributari 
in 
contestazione, 
anche 
qualora 
gli 
importi 
oggetto 
di 
contenzioso 
non 
siano 
stati 
integralmente 
affidati 
all'agente 
della 
riscossione 
per 
effetto 
delle 
disposizioni 
sulla 
riscossione 
in 
pendenza 
di 
giudizio 
". 
In 
tale 
situazione 
� 
allo 
stato 
opportuno, 
in 
via 
cautelativa, 
ritenere 
non 
definibili 
le 
cause 
aventi 
ad 
oggetto 
atti 
di 
mera 
riscossione 
ai 
fini 
della 
sospendibilit� 
dei 
relativi 
termini. 


Perfezionamento della definizione (comma 5) 


Il 
comma 
5 prevede 
che 
la 
definizione 
si 
perfeziona 
con il 
pagamento della 
prima 
(o 
dell'unica) rata, da effettuarsi entro il 30 settembre 2017. 


Ne 
consegue 
che 
il 
mancato versamento delle 
rate 
successive 
alla 
prima, non far� 
venir 
meno la 
definizione 
e 
la 
successiva 
estinzione 
del 
giudizio (e 
l'Amministrazione 
dovr� 
ovviamente 
procedere alla riscossione coattiva delle somme ancora dovute). 


Il 
medesimo comma 
5 prevede 
che 
"Qualora non ci 
siano importi 
da versare, la definizione 
si perfeziona con la sola presentazione della domanda". 


Sospensione dei giudizi in corso (comma 8) 


Il 
comma 
8 
che 
prevede 
che 
le 
controversie 
suscettibili 
di 
definizione 
"non 
sono 
sospese, 
salvo che 
il 
contribuente 
faccia apposita richiesta al 
giudice, dichiarando di 
volersi 
avvalere 
delle 
disposizioni 
del 
presente 
articolo. In tal 
caso il 
processo � 
sospeso fino al 
10 ottobre 
2017. Se 
entro tale 
data il 
contribuente 
avr� depositato copia della domanda di 
definizione 
e 



TEMI 
ISTITUZIONALI 


del 
versamento degli 
importi 
dovuti 
o della prima rata, il 
processo resta sospeso fino al 
31 
dicembre 2018". 


Sospensione dei termini (comma 9) 


Il 
comma 
9 prevede 
che 
per le 
controversie 
suscettibili 
di 
definizione 
"sono sospesi 
per 
sei 
mesi 
i 
termini 
di 
impugnazione, 
anche 
incidentale, 
delle 
pronunce 
giurisdizionali 
e 
di 
riassunzione 
che 
scadono 
dalla 
data 
di 
entrata 
in 
vigore 
del 
presente 
articolo 
fino 
al 
30 
settembre 
2017". 


Ne consegue che - ancorch� le cause siano condonabili - non devono ritenersi sospesi: 


a) i 
termini 
per il 
deposito delle 
controdeduzioni 
(in CTP 
e 
CTR) e 
per la 
notifica 
del 
controricorso (ancorch� 
si 
possa 
forse 
ritenere 
il 
contrario, stante 
la 
prevista 
sospensione 
dei 
termini per le impugnazioni incidentali); 


b) il termine per il deposito dei ricorsi (e controricorsi) eventualmente notificati; 


c) il 
termine 
lungo di 
impugnazione 
(di 
norma 
semestrale) delle 
sentenze 
depositate 
dal 
1� 
marzo 2017 in poi, in quanto (calcolando la 
sospensione 
feriale 
dal 
l� 
al 
31 agosto 2017) 
verrebbe a scadere in data successiva al 30 settembre 2017. 


A 
tale 
riguardo � 
opportuno precisare 
che 
una 
eventuale 
notifica 
della 
sentenza 
durante 
il 
periodo 
di 
sospensione, 
non 
sarebbe 
idonea 
n� 
ad 
abbreviare 
il 
citato 
termine 
lungo 
(in 
quanto 
per 
il 
termine 
breve 
opererebbe 
comunque 
la 
sospensione 
semestrale), 
n� 
ad 
allungarlo 
(in base 
al 
noto principio secondo cui 
il 
termine 
di 
decadenza 
matura 
con lo scadere 
del 
termine 
lungo e 
non pu� essere 
posticipato da 
quello breve 
che 
eventualmente 
lo superi: 
Cass. 
SS.UU. n. 21197/2009; Cass. n. 26272/2005). 


Si 
precisa 
che 
trattandosi 
di 
un termine 
di 
sospensione 
(e 
non di 
proroga), nel 
termine 
di 
sei 
mesi 
deve 
ritenersi 
assorbito il 
termine 
di 
sospensione 
feriale 
(cfr. da 
ultimo, Cass. n. 
9438/2017). 


Diniego di definizione (comma 10) 


Il 
comma 
10 prevede 
che 
"l'eventuale 
diniego della definizione 
va notificato entro il 
31 
luglio 2018" 
(in mancanza, la 
definizione 
deve 
ritenersi 
valida) e 
che 
avverso tale 
atto � 
possibile 
proporre 
ricorso 
"dinanzi 
all'organo 
giurisdizionale 
presso 
il 
quale 
pende 
la 
lite" 
ovvero, 
nei 
casi 
in cui 
sia 
pendente 
il 
termine 
per impugnare 
una 
sentenza, davanti 
al 
giudice 
del 
gravame 
unitamente alla sentenza stessa. 


La 
norma 
prevede 
- ancorch� 
in modo non molto chiaro - che 
le 
controversie 
condonate 
si 
estinguono 
"in 
mancanza 
di 
istanza 
di 
trattazione 
presentata 
entro 
il 
31 
dicembre 
2018 
dalla parte che ne ha interesse ". 


Dalla 
relazione 
governativa 
sopra 
richiamata 
risulta 
che 
la 
disposizione 
� 
finalizzata 
a 
provocare l'estinzione automatica delle cause definite, senza necessit� di apposita istanza. 


effetti verso i condebitori solidali (comma 11) 


Il 
comma 
11 prevede 
che 
"La definizione 
perfezionata dal 
coobbligato giova in favore 
degli 
altri, inclusi 
quelli 
per 
i 
quali 
la controversia non sia pi� pendente, fatte 
salve 
le 
disposizioni 
del 
secondo periodo del 
comma 7" 
(il 
comma 
7 prevede 
il 
divieto di 
restituzione 
delle 
somme gi� versate, ancorch� eccedenti). 


Gestione del contenzioso 


Alla 
luce 
di 
quanto 
sopra 
esposto, 
gli 
Avvocati 
e 
Procuratori 
assegnatari 
di 
affari 
tributari 
avranno cura 
di 
verificare 
le 
controversie 
per le 
quali 
non opera 
la 
sospensione 
dei 
termini, e 
di rimodulare (per le altre) le nuove scadenze (rispetto a quelle risultanti da NSSI). 



RASSEGNA 
AVVOCATURA 
DELLO 
STATO - N. 1/2017 


Come si � detto, in via cautelativa dovranno ritenersi non sospesi 


- i termini di impugnazione nelle cause non definibili; 
-i 
termini 
di 
impugnazione 
nelle 
cause 
aventi 
ad oggetto atti 
di 
mera 
riscossione 
(nel 
dubbio sulla loro definibilit�); 
- i termini per il controricorso, per le controdeduzioni nonch� per l'iscrizione a ruolo. 
Qualora 
nella 
stessa 
causa 
sia 
impugnato anche 
un solo atto suscettibile 
di 
definizione, 
la 
sospensione 
dei 
termini 
prevista 
per quest'ultimo dovrebbe 
comportare 
la 
sospensione 
dei 
termini per l'intera causa (Cass. n. 8113/2013). 


Tuttavia 
un 
simile 
effetto 
� 
da 
escludersi 
per 
i 
casi 
di 
cui 
agli 
atti 
espressamente 
esclusi 
dalla 
definizione 
(comma 
4), 
la 
cui 
presenza 
� 
ostativa 
in 
toto 
alla 
definibilit� 
anche 
degli 
eventuali 
ulteriori 
atti 
impugnati 
nel 
medesimo 
giudizio 
(i 
cui 
termini 
pertanto 
non 
sono 
sospesi). 


La 
valutazione 
in ordine 
alla 
opportunit� 
o meno di 
proporre 
comunque 
ricorso per cassazione 
nelle 
cause 
il 
cui 
termine 
� 
sospeso, � 
rimessa 
a 
ciascun titolare 
dell'affare. Occorrer� 
tuttavia 
tenere 
conto che 
una 
volta 
venuta 
meno la 
sospensione 
dei 
termini, le 
originarie 
scadenze 
si sommeranno a quelle 
"ordinarie" 
medio tempore sopravvenute. 


Si 
fa 
riserva 
di 
ulteriori 
chiarimenti 
anche 
all'esito 
delle 
eventuali 
modifiche 
che 
potranno 
essere apportate in sede di conversione in legge del decreto. 


L�AVVOCATO GENERALE 
Massimo MASSELLA DUCCI TERI 



ContEnziosoComUnitarioEdintErnazonalE
Un difficile bilanciamento di interessi e un dialogo forse 
mancato con le Corti italiane: riflessioni a margine della 
pronuncia della Grande Camera della Corte Europea 
dei diritti dell�uomo del 24 gennaio 2017 


Nota 
a 
Corte 
eDU, GraNDe 
Camera, seNteNza 
24 GeNNaIo 
2017, 
rICorso 
N. 25358/12, ParaDIso 
e 
CamPaNellI 
C. ItalIa 


Emanuela Brugiotti* 


sommarIo: Premessa - 1. Delimitazione 
dell�oggetto - 2. assenza di 
una vita familiare 
e 
riconoscimento interferenza nella vita privata - 3. misure 
previste 
dalla legge 
- 4. obiettivo 
legittimo - 5. Necessit� in una societ� democratica - Conclusioni. 


Premessa 


Il 
24 gennaio 2017 la 
Grande 
Camera 
(GC) della 
Corte 
EDU 
(1) si 
� 
pronunciata, 
a 
quasi 
due 
anni 
dalla 
sentenza 
della 
Camera, seconda 
sezione 
(2), 
su richiesta di riesame del Governo italiano ai sensi dell�art. 43 CEDU (3). 


La 
vicenda 
aveva 
richiamato l�attenzione 
gi� 
allora 
per le 
diverse 
tema-

La Rassegna ospita il 
presente 
contributo, ma la delicatezza del 
tema trattato con 
il 
difficile 
contemperamento 
dei diritti coinvolti pu� condurre a divergenti considerazioni (n.d.r.). 


(*) Avvocato e Dottore di ricerca in Giustizia costituzionale e diritti fondamentali (Universit� di Pisa), 
gi� praticante presso l�Avvocatura Generale dello Stato. 


(1) 
Corte 
EDU, 
Paradiso 
e 
Campanelli 
v. 
Italy, 
Grande 
Camera, 
24 
gennaio 
2017, 
ric. 
n. 
25358/12, 
consultabile sul sito http://hudoc.echr.coe.int/eng#{%22itemid%22:[%22001-170359%22]}. 
(2) 
Pubblicata 
il 
27 
gennaio 
2015, 
ric. 
n. 
25358/12, 
consultabile 
sul 
sito 
http://hudoc.echr.coe.int/eng?i=001-151056#{%22itemid%22:[%22001-151056%22]} 
. 
(3) Richiesta 
accolta 
dall�apposito panel 
di 
5 giudici 
il 
1� 
giugno 2015. L�udienza 
si 
� 
tenuta 
il 
9 
dicembre 
2016 e 
si 
pu� vedere 
in streaming sul 
sito http://www.echr.coe.int/Pages/home.aspx?p=hearings&
w=2535812_ 09122015&language=en. 

RASSEGNA 
AvvoCATURA 
DELLo 
STATo - N. 1/2017 


tiche 
coinvolte. Quest�ultima 
e 
definitiva 
pronuncia 
della 
Corte 
di 
Strasburgo 
ha riacceso le diverse opinioni sorte in merito. 

I 
fatti 
da 
cui 
trae 
origine 
il 
caso 
sono 
noti. 
Dopo 
aver 
scoperto 
di 
non 
poter 
avere 
figli, 
due 
coniugi 
italiani 
-i 
signori 
Paradiso 
e 
Campanelli 
-hanno 
iniziato la 
procedura 
di 
adozione 
e 
nel 
2006 sono stati 
dichiarati 
idonei, con 
obbligo di 
rispettare 
i 
limiti 
di 
et� 
previsti 
dalla 
legge. Tuttavia, il 
ritardo nel-
l�affidamento 
di 
un 
bambino, 
li 
ha 
spinti 
prima 
a 
provare 
senza 
successo 
la 
fecondazione 
in 
vitro 
e 
poi 
a 
ricorrere 
alla 
gestazione 
per 
altri. 
A 
tal 
fine, 
hanno 
stipulato 
in 
Russia 
un 
contratto 
con 
la 
societ� 
Rosjurconsulting, 
conformemente 
alla 
normativa 
russa. Dopo la 
nascita 
del 
bambino il 
27 febbraio 2011, 
i 
coniugi 
sono 
stati 
registrati 
come 
genitori 
senza 
alcuna 
indicazione 
che 
il 
minore era nato a seguito di un accordo di gestazione per altri. 


La 
signora 
Paradiso 
ha 
portato 
il 
bambino 
in 
Italia 
dopo 
due 
mesi 
dalla 
nascita. 
Qui 
per� 
i 
coniugi 
non 
hanno 
ottenuto 
la 
registrazione 
dell�atto 
di 
nascita 
dal 
Comune 
di 
residenza, 
in 
quanto 
il 
Consolato 
italiano 
a 
Mosca 
aveva 
informato 
il 
Tribunale 
per 
i 
minorenni 
competente, 
il 
Ministero 
degli 
Affari 
Esteri 
e 
il 
Comune 
che 
il 
documento 
attestante 
la 
nascita 
del 
bambino 
conteneva 
informazioni 
false. 


Il 
5 
maggio 
2011 
la 
coppia 
� 
stata 
cos� 
accusata 
di 
�false 
dichiarazioni 
nello 
stato 
civile� 
e 
di 
violazione 
dell�art. 
72 
della 
legge 
sulle 
adozioni 
(4), 
avendo portato illegalmente 
il 
bambino in Italia 
ed avendo violato i 
limiti 
di 
et� imposti dalla decisione del 2006. 

Nello 
stesso 
periodo, 
il 
minore, 
considerato 
in 
stato 
di 
abbandono, 
� 
stato 
avviato all�adozione. Il 
7 luglio 2011 il 
Tribunale 
per i 
Minorenni 
ha 
ordinato 
il 
test 
del 
DNA 
(eseguito il 
successivo 1 agosto) dal 
quale 
� 
emerso che 
il 
minore 
non aveva 
alcun legame 
genetico con i 
coniugi, sebbene, secondo la 
ricostruzione 
di 
questi 
ultimi, la 
clinica 
russa 
si 
fosse 
impegnata 
ad utilizzare 
il 
liquido seminale 
del 
signor Campanelli, portato in Russia 
dalla 
moglie. Il 
20 
ottobre 2011, il 
Tribunale per i Minorenni di Campobasso ha deciso di allontanare 
il 
bambino dai 
coniugi, affidandolo prima 
ad una 
casa 
famiglia 
e 
poi 
ad una 
nuova 
coppia. I contatti 
tra 
i 
ricorrenti 
e 
il 
bambino sono stati 
vietati. 
La 
decisione 
� 
stata 
confermata 
dalla 
Corte 
d�Appello 
sezione 
famiglia 
di 
Campobasso con sentenza del 28 febbraio 2012. 


Il 
3 aprile 
2013, anche 
il 
rifiuto di 
registrare 
il 
certificato di 
nascita 
russo 
� 
stato confermato in appello, in considerazione 
del 
fatto che 
la 
registrazione, 
per la 
legge 
italiana, sarebbe 
stata 
contraria 
all'ordine 
pubblico, poich� 
il 
certificato 
conteneva 
dati 
non 
rispondenti 
al 
vero, 
non 
essendovi 
nessuna 
relazione 
biologica tra il bambino e i ricorrenti. 

La 
procedura 
di 
adozione 
del 
minore 
� 
potuta 
cos� 
riprendere 
dinanzi 
al 
Tribunale 
per i 
Minorenni, il 
quale 
il 
5 giugno 2013 ha 
deciso che 
i 
coniugi 


(4) L. n. 184/83, consultabile sul sito 
http://www.camera.it/_bicamerali/leg14/infanzia/leggi/legge184 %20del%201983.htm. 


CoNTENzIoSo 
CoMUNITARIo 
ED 
INTERNAzIoNALE 


Campanelli 
non avrebbero potuto partecipare 
alla 
procedura 
di 
adozione 
del 
minore, non avendo alcun legame di parentela con lo stesso. 

Il 
rifiuto della 
registrazione 
dell�atto di 
nascita 
cos� 
come 
la 
decisione 
riguardante 
l�apertura 
della 
proceduta 
di 
adozione 
del 
bambino sono stati 
impugnati 
davanti 
alla 
Corte 
europea 
dei 
diritti 
dell�uomo, in quanto lesive 
dei 
diritti 
alla 
vita 
familiare 
e 
alla 
vita 
privata, 
tutelati 
dell�art. 
8 
della 
CEDU, 
cos� 
come interpretato dalla giurisprudenza della Corte EDU. 

I 
ricorrenti 
hanno 
presentato 
ricorso 
anche 
in 
nome 
del 
bambino, 
ma 
la 
Corte 
ha 
respinto 
questo 
punto, 
ritenendo 
che 
i 
coniugi 
non 
avessero 
titolo 
per 
agire 
in 
tal 
senso, 
non 
sussistendo 
alcun 
legame 
biologico 
o 
giuridico 
con 
il 
minore 
(5). 
Come 
chiarito 
nel 
seguito 
del 
presente 
lavoro, 
questa 
decisione 
sembra 
aver 
avuto 
un 
peso 
rilevante 
nella 
successiva 
decisione 
della 
Grande 
Camera. 


Nella 
sentenza 
del 
27 
gennaio 
2015, 
la 
seconda 
sezione 
della 
Corte 
EDU 
ha 
considerato 
esistente 
una 
vita 
familiare 
de 
facto, 
pur 
in 
assenza 
di 
un 
legame 
biologico 
e 
nonostante 
la 
coabitazione 
dei 
ricorrenti 
e 
del 
bambino 
si 
fosse 
protratta 
per 
un 
tempo 
piuttosto 
esiguo 
(due 
mesi 
in 
Russia 
e 
sei 
mesi 
in 
Italia). 
La 
Corte 
ha 
valutato, 
poi, 
che 
le 
Autorit� 
italiane 
nel 
decidere 
di 
allontanare 
il 
minore 
dai 
ricorrenti 
hanno 
oltrepassato 
il 
proprio 
margine 
di 
apprezzamento, 
a 
discapito 
del 
superiore 
interesse 
del 
minore, 
e 
ha 
accertato, 
quindi, 
la 
violazione 
dell�art. 
8 
CEDU. 
Tuttavia, 
proprio 
in 
considerazione 
del 
superiore 
interesse 
del 
minore, 
la 
Corte 
ha 
specificato 
che 
la 
propria 
decisione 
non 
avrebbe 
obbligato 
le 
Autorit� 
italiane 
a 
�restituire� 
il 
bambino 
ai 
coniugi, 
avendo 
egli 
nel 
frattempo 
instaurato 
solidi 
legami 
con 
la 
famiglia, 
cui 
era 
stato 
affidato 
dal 
2013 
(6). 


Con 
la 
citata 
sentenza 
del 
24 
gennaio 
2017, 
la 
Grande 
Camera 
ha 
ribaltato 
quanto deciso dalla 
seconda 
sezione, non riscontrando la 
violazione 
dell�articolo 
8 della Convenzione. 


1. Delimitazione dell�oggetto. 
In via 
preliminare, la 
particolare 
delicatezza 
dei 
temi 
toccati 
nella 
fattispecie 
richiede 
una 
delimitazione 
dell�oggetto della 
pronuncia 
della 
Grande 
Camera. Del 
resto, dopo aver rigettato le 
eccezioni 
preliminari 
del 
Governo 
(7), sono gli 
stessi 
giudici 
a 
circoscrivere 
la 
propria 
indagine, chiarendo che 


(5) Par. 50, Corte 
Edu, sez. II, 27 gennaio 2015, ric. n. 25358/12, consultabile 
in italiano sul 
sito 
https://www.giustizia.it/giustizia/it/mg_1_20_1.wp;jsessionid=D7e4D7B10184F7D47D2CC86957B21a 
25.ajpal02?facetNode_1=0_8_1_4&facetNode_2=1_2(2015)&previsiousPage=mg_1_20&contentId=
sDU1126686. 


(6) Per un commento si 
rinvia 
fra 
gli 
altri 
a 
BRUGIoTTI 
E., maternit� surrogata. Il 
rifiuto di 
registrazione 
dell�atto di 
nascita nella giurisprudenza della Corte 
edu e 
alcune 
conseguenze 
applicative 
nell�ordinamento 
italiano 
(e 
non 
solo), 
in 
rass. 
avv. 
stato, 
Anno 
LXvII 
-n. 
3, 
Luglio 
-Settembre 
2015, 
pagg. 
31 
ss., 
consultabile 
sul 
sito 
http://www.avvocaturastato.it/files//file/rassegna/2015/rassegna_ 
avvocatura_
2015_ luglio_settembre.pdf. 
(7) Parr. 92-94, Corte 
EDU, Paradiso e 
Campanelli 
v. Italy, Grande 
Camera, 24 gennaio 2017, 
ric. n. 25358/12, cit. 

RASSEGNA 
AvvoCATURA 
DELLo 
STATo - N. 1/2017 


essa 
ha 
ad oggetto �the 
measures 
taken by 
the 
Italian authorities 
which resulted 
in the 
separation, on a permanent 
basis, of 
the 
child and the 
applicants� 


(8). 
Dunque, 
la 
Corte 
non 
si 
� 
pronunciata 
n� 
sulla 
questione 
della 
trascrizione 
del 
certificato di 
nascita 
straniero, n� 
sul 
riconoscimento della 
filiazione 
di 
un 
bambino 
nato 
all�estero 
da 
gestazione 
surrogata, 
n� 
tantomeno 
sulla 
legittimit� 


o meno di tale pratica. 
I giudici 
sono rimasti, quindi, molto accuratamente 
nei 
confini 
del 
caso 
concreto, 
precisando 
numerose 
volte 
le 
differenze 
con 
altri 
casi 
giudicati 
dalla 
Corte 
di 
Strasburgo, evitando il 
pi� possibile 
affermazioni 
suscettibili 
di 
pi� 
vasto respiro su un tema 
cos� 
delicato e 
riconoscendo all�Italia 
un ampio (e 
in 
questo caso forse anche troppo ampio) margine di apprezzamento. 


In 
particolare, 
le 
questioni 
giuridiche 
al 
centro 
del 
giudizio 
sono 
state: 
se, 
date 
le 
circostanze 
del 
caso, 
l�articolo 
8 
CEDU 
risultava 
applicabile, 
se 
le 
misure 
urgenti 
ordinate 
dai 
giudici 
italiani 
costituivano 
un'interferenza 
nel 
diritto 
dei 
ricorrenti 
al 
rispetto 
della 
loro 
vita 
familiare 
e/o 
della 
loro 
vita 
privata, 
ai 
sensi 
dell'articolo 
8 
� 
1 
della 
Convenzione 
e, 
in 
caso 
affermativo, 
se 
le 
misure 
contestate 
erano 
state 
adottate 
ai 
sensi 
dell'articolo 
8 
� 
2 
della 
Convenzione 
(9). 


Infine, la 
Corte 
ha 
precisato che 
il 
minore 
non � 
un ricorrente 
nel 
procedimento, 
avendo la 
seconda 
sezione 
rigettato il 
ricorso proposto dai 
coniugi 
in 
sua 
rappresentanza. 
Pertanto, 
i 
giudici 
sono 
tenuti 
a 
valutare 
solo 
le 
censure 
sollevate 
dei 
ricorrenti 
in proprio nome. Questa 
� 
una 
precisazione 
molto importante 
perch� 
ha 
consentito alla 
Grande 
Camera 
- insieme 
alla 
mancanza 
di 
un legame 
biologico del 
minore 
con uno dei 
ricorrenti 
- di 
discostarsi, come 
gi� 
evidenziato, 
da 
altri 
casi, 
in 
particolare 
da 
quelli 
decisi 
con 
le 
sentenze 
mennesson c. Francia 
e 
labassee c. Francia 
(10) 
(11). 


(8) �133. Unlike 
the 
above-cited mennesson and labassee 
cases, the 
present 
article 
8 complaint 
does 
not 
concern the 
registration of 
a foreign birth certificate 
and recognition of 
the 
legal 
parent-child 
relationship 
in 
respect 
of 
a 
child 
born 
from 
a 
gestational 
surrogacy 
arrangement 
(see 
paragraph 
84 
above). What 
is 
at 
issue 
in the 
present 
case 
are 
the 
measures 
taken by 
the 
Italian authorities 
which resulted 
in the 
separation, on a permanent 
basis, of 
the 
child and the 
applicants�, Corte 
EDU, Paradiso 
e Campanelli v. Italy, Grande Camera, 24 gennaio 2017, ric. n. 25358/12, cit. 
(9) �134. therefore 
the 
legal 
questions 
at 
the 
heart 
of 
the 
case 
are: whether, given the 
circumstances 
outlined above, article 
8 is 
applicable; in the 
affirmative, whether 
the 
urgent 
measures 
ordered 
by 
the 
minors 
Court, which resulted in the 
child�s 
removal, amount 
to an interference 
in the 
applicants� 
right 
to respect 
for 
their 
family 
life 
and/or 
their 
private 
life 
within the 
meaning of 
article 
8 � 1 of 
the 
Convention and, if 
so, whether 
the 
impugned measures 
were 
taken in accordance 
with article 
8 � 2 of 
the 
Convention�, 
Par. 
134, 
Corte 
EDU, 
Paradiso 
e 
Campanelli 
v. 
Italy, 
Grande 
Camera, 
24 
gennaio 
2017, ric. n. 25358/12, cit. 
(10) 
mennesson 
c. 
Francia, 
Corte 
EDU, 
Sent. 
Sez. 
v, 
26 
giugno 
2014, 
ric. 
n. 
65941/11 
e 
labassee 
c. Francia, Corte EDU, Sent. Sez. v, 26 giugno 2014, ric. n. 65192/11, consultabili rispettivamente in 
http://hudoc.echr.coe.int/sites/engpress/pages/search.aspx?i=00348046175854908#{%22itemid%
22:[%22003-4804617-5854908%22]} 
e in 
http://hudoc.echr.coe.int/sites/eng/pages/search.aspx?i=001145180*# 
{%22itemid%22:[%22001145180*%
22]} 
. 

CoNTENzIoSo 
CoMUNITARIo 
ED 
INTERNAzIoNALE 


2. 
assenza 
di 
una 
vita 
familiare 
e 
riconoscimento 
interferenza 
nella 
vita 
privata. 
In seguito, la 
Corte 
ha 
analizzato l�applicabilit� 
al 
caso dell�art. 8 della 
Convenzione, 
sotto 
la 
duplice 
prospettiva 
della 
vita 
familiare 
e/o 
della 
vita 
privata, appunto nei 
confronti 
solo dei 
due 
coniugi. Come 
visto, con la 
pronuncia 
del 
2015, 
la 
seconda 
sezione 
della 
Corte 
EDU 
ha 
riconosciuto 
esistente 
una 
vita 
familiare 
de 
facto, 
basandosi 
sulla 
durata 
della 
coabitazione 
con 
il 
bambino, per quanto breve, nonch� 
sulle 
capacit� 
dei 
ricorrenti 
che 
avevano 
agito quali genitori del minore (12). 


Dopo aver richiamato i 
principi 
rilevanti 
per la 
questione 
(13), la 
GC ha 
ritenuto invece 
di 
non poter riscontrare 
in questo caso l�esistenza 
di 
una 
vita 
familiare 
de 
facto, considerando la 
breve 
durata 
della 
convivenza. Inoltre, la 
Corte 
ha 
riconosciuto che 
la 
precariet� 
del 
legame 
giuridico tra 
il 
bambino ed 
i 
ricorrenti 
� 
stata 
creata 
proprio da 
questi 
ultimi, i 
quali 
hanno consapevolmente 
adottato una 
condotta 
contraria 
al 
diritto italiano, cui 
le 
autorit� 
nazionali 
non 
hanno 
potuto 
che 
reagire 
tempestivamente. 
La 
Grande 
Camera 
ha 
concluso, pertanto, per l�inesistenza di una vita familiare (14). 


Quindi, si 
badi 
bene, la 
Corte 
non ha 
disconosciuto affatto la 
possibilit� 
di 
un 
legame 
familiare 
di 
fatto, 
affiancato 
ad 
un 
legame 
biologico 
o 
legale, 
semplicemente, se 
ne 
condivida 
o meno la 
valutazione, non lo ha 
rinvenuto in 
questo caso concreto. 

Ci� precisato, si 
evidenziano di 
seguito alcune 
perplessit� 
sorte 
in merito 
alle argomentazioni sviluppate nella sentenza. 

Nel 
caso di 
specie, cos� 
come 
la 
seconda 
sezione, i 
giudici 
della 
Grande 
Camera 
hanno ritenuto necessario analizzare 
la 
qualit� 
del 
legame 
instaurato 
fra 
la 
coppia 
e 
il 
bambino, 
il 
ruolo 
assunto 
concretamente 
nei 
confronti 
di 
questo 
e la durata della convivenza. 

(11) �135. lastly, the 
Court 
points 
out 
that 
the 
child t.C. is 
not 
an applicant 
in the 
proceedings 
before 
the 
Court, the 
Chamber 
having dismissed the 
complaints 
raised by 
the 
applicants 
on his 
behalf 
(see 
paragraph 86 above). the 
Court 
is 
called upon to examine 
solely 
the 
complaints 
raised by 
the 
applicants 
on their 
own behalf 
(see, a contrario, mennesson, cited above, �� 96-102, and labassee, cited 
above, �� 75-81)�, Corte 
EDU, Paradiso e 
Campanelli 
v. Italy, Grande 
Camera, 24 gennaio 2017, ric. 
n. 25358/12, cit. 
(12) Par. 69 Corte EDU sentenza pubblicata il 27 gennaio 2015, ric. n. 25358/12, cit. 
(13) �140. the 
existence 
or 
non-existence 
of 
�family 
life� 
is 
essentially 
a question of 
fact 
depending 
upon the 
existence 
of 
close 
personal 
ties 
(see 
marckx 
v. Belgium, 13 June 
1979, � 31, series 
a 
no. 
31, and K. and t. v. Finland, cited above, � 150). the 
notion of 
�family� 
in article 
8 concerns 
marriage-
based relationships, and also other 
de 
facto �family 
ties� 
where 
the 
parties 
are 
living together 
outside 
marriage 
or 
where 
other 
factors 
demonstrated 
that 
the 
relationship 
had 
sufficient 
constancy 
(see 
Kroon and others 
v. the 
Netherlands, 27 october 
1994, � 30, series 
a 
no. 297-C; Johnston and 
others 
v. Ireland, 18 December 
1986, � 55, series 
a 
no. 112; Keegan v. Ireland, 26 may 
1994, � 44, series 
a, no. 290; and X, Y 
and z 
v. the 
United Kingdom, 22 april 
1997, � 36, reports 
1997-II)�, Corte 
EDU, Paradiso e Campanelli v. Italy, Grande Camera, 24 gennaio 2017, ric. n. 25358/12, cit. 
(14) Par. 158 Corte 
EDU, Paradiso e 
Campanelli 
v. Italy, Grande 
Camera, 24 gennaio 2017, ric. 
n. 25358/12, cit. 

RASSEGNA 
AvvoCATURA 
DELLo 
STATo - N. 1/2017 


Quanto ai 
primi 
due 
punti, la 
Corte 
ha 
valutato che 
i 
coniugi 
hanno sviluppato 
un vero e 
proprio un progetto genitoriale, assumendo poi 
tale 
ruolo 
nei 
confronti 
del 
bambino, 
e 
che 
gli 
stessi 
hanno 
instaurato 
legami 
affettivi 
profondi 
con 
il 
piccolo 
nelle 
prime 
fasi 
della 
sua 
vita, 
dato 
questo 
emerso 
dalla 
relazione degli assistenti sociali, disposta dai giudici nazionali (15). 

Quanto 
alla 
durata 
della 
convivenza, 
i 
giudici 
hanno 
premesso 
l�inopportunit� 
di 
fissare 
un termine 
per una 
simile 
valutazione, citando un caso in cui 
un 
legame 
familiare 
di 
fatto 
� 
stato 
riscontrato 
a 
fronte 
di 
una 
convivenza 
(due 
mesi) inferiore 
a 
quella 
avuta 
nel 
caso di 
specie 
(sei 
mesi 
in Italia 
e 
circa 
due 
mesi 
in 
Russia) 
(16). 
La 
Corte 
ha 
poi 
svolto 
considerazioni 
relative 
all�assenza 
di 
un legame 
biologico e 
all�incertezza 
del 
legame 
giuridico della 
coppia 
con 
il 
bambino; 
apprezzamenti 
questi 
che 
per� 
non 
attengono 
propriamente 
ad 
una 
valutazione di una situazione appunto de facto. 

Tuttavia, �and in spite 
of 
the 
existence 
of 
a parental 
project 
and the 
quality 
of 
the 
emotional 
bonds� 
- che 
invece 
dovrebbero costituire 
criteri 
fondamentali 
per accertare 
la 
sussistenza 
di 
un legame 
familiare 
di 
fatto - la 
Grande 
Camera 
ha 
ritenuto 
che 
questo 
non 
fosse 
sussistente 
nel 
caso 
concreto. 
Questa 
conclusione 
si 
� 
fondata 
su 
tre 
fattori: 
la 
mancanza 
di 
un 
legame 
genetico, 
l�incertezza 
del 
legame 
giuridico e 
la 
breve 
durata 
della 
convivenza 
(17). Di 
questi, 
come 
gi� 
osservato, i 
primi 
due 
non attengono a 
valutazioni 
di 
fatto, ma 
rappresentano gli 
altri 
due 
tipi 
di 
legame, in base 
ai 
quali 
pu� sorgere 
una 
relazione 
familiare; 
mentre 
il 
terzo non esclude 
di 
per s� 
la 
sussistenza 
di 
un legame 
familiare, 
dovendosi 
analizzare 
in 
concreto 
la 
qualit� 
del 
legame 
instaurato, come 
sottolineato dalla 
stessa 
Grande 
Camera 
nella 
premessa 
del-
l�analisi da svolgere. 

Come 
pi� volte 
ribadito dalla 
Corte 
EDU, infatti, l�esistenza 
o meno di 
una 
"vita 
familiare" 
� 
essenzialmente 
una 
questione 
di 
fatto, dipendente 
dalla 


(15) �151. It 
is 
therefore 
necessary, in the 
instant 
case, to consider 
the 
quality 
of 
the 
ties, the 
role 
played by 
the 
applicants 
vis-�-vis 
the 
child and the 
duration of 
the 
cohabitation between them 
and the 
child. the 
Court 
considers 
that 
the 
applicants 
had developed a parental 
project 
and had assumed their 
role 
as 
parents 
vis-�-vis 
the 
child 
(see, 
a 
contrario, 
Giusto, 
Bornacin 
and 
V. 
v. 
Italy 
(dec.), 
no. 
38972/06, 
15 
may 
2007). 
they 
had 
forged 
close 
emotional 
bonds 
with 
him 
in 
the 
first 
stages 
of 
his 
life, 
the 
strength 
of 
which 
was, 
moreover, 
clear 
from 
the 
report 
drawn 
up 
by 
the 
team 
of 
social 
workers 
following 
a 
request 
by 
the 
minors 
Court 
(see 
paragraph 25 above)�, Corte 
EDU, Paradiso e 
Campanelli 
v. Italy, Grande 
Camera, 24 gennaio 2017, ric. n. 25358/12, cit. 
(16) D. and others 
v. Belgium 
Corte 
EDU, 8 July 2014, ric. n. 29176/13, � 49, consultabile 
sul 
sito 
http://hudoc.echr.coe.int/app/conversion/pdf/?library=eCHr&id=002-10163&filename=00210163.
pdf& tID=i hgdqbxnfi. 
(17) 157. Having regard to the 
above 
factors, namely 
the 
absence 
of 
any 
biological 
tie 
between 
the 
child and the 
intended parents, the 
short 
duration of 
the 
relationship with the 
child and the 
uncertainty 
of 
the 
ties 
from 
a 
legal 
perspective, 
and 
in 
spite 
of 
the 
existence 
of 
a 
parental 
project 
and 
the 
quality 
of 
the 
emotional 
bonds, 
the 
Court 
considers 
that 
the 
conditions 
enabling 
it 
to 
conclude 
that 
there 
existed a de 
facto family 
life 
have 
not 
been met, Corte 
EDU, Paradiso e 
Campanelli 
v. Italy, Grande 
Camera, 24 gennaio 2017, ric. n. 25358/12, cit. 

CoNTENzIoSo 
CoMUNITARIo 
ED 
INTERNAzIoNALE 


reale 
esistenza, in pratica, di 
stretti 
legami 
personali 
(18). Inoltre, l�articolo 8 
della 
Convenzione 
non fa 
distinzione 
fra 
famiglia 
�legittima� 
e 
famiglia 
�illegittima� 
(19), cos� 
come 
la 
presenza 
di 
un legame 
biologico tra 
chi 
agisce 
quale 
genitore 
ed il 
bambino rappresenta 
sicuramente 
un�indicazione 
importante 
circa 
l�esistenza 
di 
una 
vita 
familiare, ma 
la 
mancanza 
di 
questo tipo di 
legame 
non 
vuol 
dire 
necessariamente 
assenza 
di 
una 
vita 
familiare 
(20). 
Nella 
sentenza 
in 
commento, 
sono 
gli 
stessi 
giudici 
(o 
meglio 
la 
maggioranza 
di 
questi) a 
richiamare 
una 
serie 
di 
altri 
casi 
che 
dimostrano come 
ad essere 
rilevante 
sia 
la 
sussistenza 
di 
legami 
personali 
veri, non di 
legami 
biologici 
o 
di 
un legame 
giuridico riconosciuto (21). Si 
ha 
l�impressione, quindi, che 
la 
GC 
abbia 
premesso 
determinati 
parametri/principi 
di 
analisi, 
ma 
abbia 
poi 
deciso 
dando particolare rilevanza ad altri. 


Inoltre, 
come 
indicato, 
nonostante 
sia 
stata 
riscontrata 
la 
sussistenza 
di 
un 
vero 
e 
proprio 
progetto 
genitoriale, 
sulla 
base 
di 
legami 
affettivi 
di 
alta 
qualit� 
(22), la 
maggioranza 
dei 
giudici 
ha 
respinto questo argomento per il 
fatto 


(18) �140 Corte 
EDU, Paradiso e 
Campanelli 
v. Italy, Grande 
Camera, 24 gennaio 2017, ric. n. 
25358/12, cit. Si 
vedano anche 
K. e 
t. c. Finlandia 
[GC], n. 25702/94, � 150, CEDU 
2001-vII, consultabile 
sul 
sito 
http://hudoc.echr.coe.int/eng#{%22appno%22:[%2225702/94%22],%22itemid%
22:[%22001-59587%22]} 
e 
serife 
Yi.it 
c. 
turchia 
[GC], 
ric. 
n. 
3976/05, 
� 
93, 
2 
novembre 
2010, 
consultabile 
sul 
sito 
http://hudoc.echr.coe.int/eng#{%22fulltext%22:[%22serife%20Yi%C4%9Fit%22],%22documentcollectionid2%
22:[%22GraNDCHamBer%22,%22CHamBer%22],%22itemid%22:[%22001101579%
22]}. 


(19) Si 
vedano fra 
le 
altre 
marckx 
v. Belgium, [CP] 
13 June 
1979, � 31, ric. n. 6833/74, Series 
A 
n. 31, consultabile 
sul 
sito http://hudoc.echr.coe.int/eng#{%22fulltext%22:[%22marckx%20v.%20Belgium%
22],%22documentcollectionid2%22:[%22GraNDCHamBer%22,%22CHamBer%22],%22ite 
mid%22:[%22001-57534%22]}; 
Johnston 
and 
others 
v. 
Ireland, 
18 
December 
1986, 
� 
55, 
r. 
n. 
9697/82 
Series 
A 
n. 
11, 
consultabile 
sul 
sito 
http://hudoc.echr.coe.int/eng#{%22fulltext%22:[%22Johnston%20and%20others%20v.%20 
Ireland%
22],%22documentcollectionid2%22:[%22GraNDCHamBer%22,%22CHamBer%22],%22itemid%
22:[%22001-57508%22]}; 
serife 
Yi.it 
c. 
turchia 
[GC], 
r. 
n. 
3976/05, 
� 
94, 
2 
novembre 
2010, 
cit. 


(20) 
Nazarenko 
v. 
russia, 
16 
giugno 
2015 
ricorso 
no. 
39438/13, 
� 
58, 
consultabile 
su 
h 
tt 
p: 
// 
h 
ud 
o 
c 
.e 
chr.co 
e 
. 
i 
n 
t/ 
a 
pp/ 
c 
o 
nvers 
i 
o 
n 
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p 
d 
f 
/ 
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ib 
rar 
y 
=e 
C 
Hr 
& 
i 
d 
= 
00 
3 
-5 
1 
3 
3 
99 
5 
6337799&
filename=003-5133995-6337799.pdf. 
(21) 
Si 
vedano 
i 
paragrafi 
148-150 
Corte 
EDU, 
Paradiso 
e 
Campanelli 
v. 
Italy, 
Grande 
Camera, 
24 
gennaio 
2017, 
ric. 
n. 
25358/12, 
cit., 
in 
cui 
la 
Corte 
si 
riferisce 
a 
Wagner 
e 
JmWl 
v. 
lussemburgo, 
n. 
76240/01, 
� 
117, 
28 
giugno 
2007, 
consultabile 
sul 
sito 
http://hudoc.echr.coe.int/app/conversion/pdf/?library=eCHr&id=002-2645&filename=0022645.
pdf&tID=ihgdqbxnfi; 
moretti 
e 
Benedetti 
contro l'Italia, ric. n. 16318/07, �� 49-52, 27 aprile 
2010 
https://www.giustizia.it/giustizia/it/mg_1_20_1.page;jsessionid 
=xUQ16JWBesej6KhnosHJqrov? 
facetNode_1=1_2(2010)&facetNode_2=1_2(201004)&facetNode_3=0_8_1_4&contentId=sDU344902 
&previsiousPage=mg_1_20;e 
Kopf 
e 
liberda v. austria, n. 1598-1506, � 37, 17 gennaio 2012, consultabile 
sul sito http://www.menschenrechte.ac.at/orig/12_1/Kopf.pdf. 
(22) Par. 157 Corte 
EDU, Paradiso e 
Campanelli 
v. Italy, Grande 
Camera, 24 gennaio 2017, ric. 
n. 25358/12 cit. Anche 
i 
giudici 
Lazarova 
Trajakovska, Bianku, Laffrancque, Lemmens 
e 
Grozev nella 
loro 
opinione 
dissenziente 
evidenziano 
tale 
aspetto. 
In 
particolare, 
secondo 
questi 
ultimi 
la 
maggioranza 
nella 
sentenza 
non ha 
dato la 
giusta 
rilevanza 
al 
fatto che 
i 
coniugi 
avessero vissuto i 
primi 
mesi 
di 
vita 
del 
bambino, fino a 
quando non gli 
� 
stato portato via 
e 
il 
legame 
sarebbe 
continuato se 
l�autorit� 
non 

RASSEGNA 
AvvoCATURA 
DELLo 
STATo - N. 1/2017 


che 
l'intervento delle 
Autorit� 
italiane 
� 
stato la 
conseguenza 
dell'incertezza 
giuridica, 
creata 
dagli 
stessi 
ricorrenti. 
Questi 
avrebbero 
posto 
in 
essere, 
infatti, 
comportamenti 
contrari 
alla 
legge 
italiana, venendo a 
stabilirsi 
in Italia 
con il 
bambino (23). Al 
riguardo, appare 
ragionevole 
il 
timore 
espresso dai 
giudici 
Lazarova 
Trajkovska, Bianku, Laffranque, Lemmens 
e 
Grozev nella 
propria 
opinione 
dissenziente: 
cos� 
facendo 
la 
maggioranza 
ha 
operato 
sostanzialmente 
una 
distinzione 
tra 
famiglia 
"legittima" 
e 
famiglia 
"illegittima", 
distinzione 
questa 
esclusa 
dalla 
Corte 
EDU 
da 
molti 
anni 
(24). Al 
contrario, non pare 
essersi 
data 
la 
giusta 
rilevanza 
alla 
lunga 
tradizione 
del 
principio, in precedenza 
evidenziato, secondo cui 
l'esistenza 
o la 
non esistenza 
di 
una 
"vita 
familiare" 
� essenzialmente una questione di fatto (25). 


Non 
solo, 
ma 
volendo 
entrare 
nel 
merito 
della 
qualificazione 
del 
comportamento 
contrario 
alla 
legge 
italiana, 
non 
pu� 
non 
darsi 
conto 
che, 
con 
la 
sentenza 
n. 
13525 
del 
5 
aprile 
2016, 
la 
Corte 
di 
Cassazione 
ha 
stabilito 
che 
non 
commettono 
reato 
i 
genitori 
del 
bambino 
nato 
da 
gestazione 
surrogata, 
se 
nel 
paese 
estero 
(in 
quel 
caso 
l�Ucraina, 
in 
questo 
la 
Russia) 
tale 
pratica 
� 
lecita. 
Secondo 
la 
Corte 
deve 
ritenersi 
insussistente 
il 
reato 
contestato, 
poich� 
la 
coppia 
non 
aveva 
alcuna 
volont� 
di 
commettere 
l'illecito, 
avendo 
compiuto 
detta 
attivit� 
in 
un 
Paese 
dove 
tale 
pratica 
era 
appunto 
lecita 
(26). 
La 
suddetta 
pronuncia 
della 
Corte 
di 
Cassazione 
� 
citata 
nella 
sentenza 
della 
Grande 
Camera 
(27). 


Stesso 
discorso 
vale 
poi 
mutatis 
mutandi 
per 
la 
violazione 
della 
legge 
sulle 
adozioni, 
in 
quanto 
i 
coniugi 
non 
hanno 
avuto 
alcuna 
volont� 
di 
violarne 
i 
precetti, essendosi 
recati 
in Russia 
per ricorrere 
alla 
pratica 
della 
maternit� 
surrogata, non ad una 
adozione, e 
sono rientrati 
in Italia 
sulla 
base 
di 
un certificato 
di 
filiazione 
non di 
adozione. Il 
fatto che 
il 
Tribunale 
per i 
Minorenni 
ritenga 
sussistente 
una 
situazione 
di 
illegalit� 
imputabile 
ai 
ricorrenti, 
indipendentemente 
dagli 
aspetti 
di 
diritto 
penale, 
non 
implica 
necessariamente 
che 


vi 
avesse 
posto 
fine. 
� 
3 
opinione 
dissenziente, 
Corte 
EDU, 
Paradiso 
e 
Campanelli 
v. 
Italy, 
Grande 
Camera, 
24 
gennaio 
2017, 
ric. 
n. 
25358/12, 
consultabile 
http://hudoc.echr.coe.int/eng#{%22itemid%
22:[%22001-170359%22]}. 


(23) Par. 156, Corte 
EDU, Paradiso e 
Campanelli 
v. Italy, Grande 
Camera, 24 gennaio 2017, ric. 
n. 25358/12. 
(24) Si veda nota 19 supra. 
(25) Par. 4 opinione 
dissenziente, Corte 
EDU, Paradiso e 
Campanelli 
v. Italy, Grande 
Camera, 
24 gennaio 2017, ric. n. 25358/12, cit. 
(26) 
Corte 
di 
Cassazione, 
sez. 
v 
penale, 
sentenza 
n. 
13525 
del 
5 
aprile 
2016, 
consultabile 
su 
http://www.foroitaliano.it/wp-content/uploads/2016/04/cass-pen-13525-16.pdf; 
si 
veda 
anche 
Corte 
di 
Cassazione, sezione 
vI penale 
sentenza 
17 novembre 
2016, n. 48696, in particolare 
per l�assenza 
sia 
dell�elemento 
soggettivo 
(dolo 
generico) 
sia 
dell�elemento 
oggettivo 
del 
delitto 
contestato, 
consultabile 
sul sito 
http://www.neldiritto.it/appgiurisprudenza.asp?id=13551. 
(27) 2. subsequent to the Grande Camera hearing 
71. 
the 
Court 
of 
Cassation 
(section 
V, 
judgment 
no. 
13525 
of 
5 
april 
2016) 
ruled 
in 
criminal 
proceedings 
against 
two Italian nationals 
who had travelled to Ukraine 
in order 
to conceive 
a child and had used 
an ova donor 
and a surrogate 
mother�, Corte 
EDU, Paradiso e 
Campanelli 
v. Italy, Grande 
Camera, 
24 gennaio 2017, ric. n. 25358/12, cit. 

CoNTENzIoSo 
CoMUNITARIo 
ED 
INTERNAzIoNALE 


la 
ricostruzione 
giuridica 
operata 
da 
questo sia 
quella 
corretta 
secondo l�ordinamento 
italiano (28). 


Come 
noto, 
lo 
stesso 
concetto 
di 
ordine 
pubblico 
� 
mutato 
nella 
giurisprudenza 
italiana, attraverso un progressivo affrancamento da 
una 
funzione 
di 
tipo 
difensivo 
e 
l�apertura 
alla 
dimensione 
della 
relazione 
e 
dell�interazione 
tra ordinamento interno e ordinamento internazionale (29). 


Cos� 
come 
si 
deve 
sottolineare 
la 
rilevanza 
che 
i 
giudici 
italiani 
riconoscono 
oggi 
al 
genitore 
�sociale� 
(30), potendosi 
affermare 
che 
ormai 
� 
stato 
rotto il 
paradigma 
genetico/biologico nella 
costituzione 
dello stato giuridico 
di figlio (e correlativamente di genitore). 


(28) Par. 147, Corte 
EDU, Paradiso e 
Campanelli 
v. Italy, Grande 
Camera, 24 gennaio 2017, ric. 
n. 25358/12, cit. 
(29) Tra 
l�altro sotto la 
spinta 
anche 
di 
principi 
espressi 
dalla 
Corte 
di 
Strasburgo. Si 
veda 
in particolare 
Corte 
di 
Cassazione, III sezione 
civile, sentenza 
19405/2013, consultabile 
su http://www.europeanrights.
eu/public/sentenze/cass_19405_del_2013.pdf, in cui 
i 
giudici 
di 
legittimit� 
hanno precisato 
che: 
��� 
acquisizione 
sufficientemente 
consolidata quella per 
cui 
la nozione 
di 
ordine 
pubblico �- in 
forza della quale 
la norma straniera che 
vi 
contrasti 
non pu� trovare 
ingresso nel 
nostro ordinamento 
in applicazione 
della pertinente 
disposizione 
di 
diritto internazionale 
privato - non � 
enucleabile 
esclusivamente 
sulla 
base 
dell�assetto 
ordinamentale 
interno, 
racchiudendo 
essa 
i 
principi 
fondamentali 
della Costituzione 
o quegli 
altri 
principi 
e 
regole 
che 
rispondono all�esigenza di 
carattere 
universale 
di 
tutelare 
i 
diritti 
fondamentali 
dell�uomo o che 
informano l�intero ordinamento in modo tale 
che 
la 
loro lesione 
si 
traduce 
in uno stravolgimento dei 
valori 
fondanti 
del 
suo assetto ordinamentale 
(Cass., 
26 novembre 
2004, n. 22332; Cass., 19 luglio 2007, n. 16017). In altri 
termini, come 
posto in rilievo da 
Cass., 26 aprile 
2013, n. 10070 (nel 
richiamare 
anche 
Cass., 6 dicembre 
2002, 17349 e 
Cass., 23 febbraio 
2006, 
n. 
4040), 
il 
concetto 
di 
ordine 
pubblico 
a 
fini 
internazionalprivatistici 
si 
identifica 
con 
quello 
indicato 
con 
l�espressione 
�ordine 
pubblico 
internazionale�, 
da 
intendersi 
�come 
complesso 
di 
principi 
fondamentali 
caratterizzanti 
l�ordinamento interno in un determinato periodo storico o fondati 
su esigenze 
di 
garanzia, 
comuni 
ai 
diversi 
ordinamenti, 
di 
tutela 
dei 
diritti 
fondamentali 
dell�uomo�. 
Si 
veda, 
ancora, 
Corte 
di 
Cassazione 
sentenza 
19599/2016, 
consultabile 
su 
http://www.articolo29.it/wpcontent/
uploads/2016/10/Cass-195992016.pdf, 
secondo 
cui 
l�ordine 
pubblico 
non 
deve 
essere 
inteso 
come 
strumento di 
difesa 
dell�intero ordinamento, ma 
solo di 
quei 
principi 
fondamentali 
che, qualificandone 
il 
nucleo 
essenziale, 
resistono 
alla 
relazione, 
impedendo 
che 
norme 
e 
atti 
formati 
all�estero 
possano 
venire 
in 
rilievo 
all�interno, 
in 
conseguenza 
dell�applicazione 
delle 
norme 
di 
conflitto. 
�la 
progressiva 
riduzione 
della portata del 
principio di 
ordine 
pubblico�, secondo la 
Corte, ҏ 
coerente 
con la 
storicit� 
della 
nozione 
e 
trova 
un 
limite 
soltanto 
nella 
potenziale 
aggressione 
dell�atto 
giuridico 
straniero 
ai 
valori 
essenziali 
dell�ordinamento interno, da valutarsi 
in armonia con quelli 
della comunit� internazionale� 
(par. 
7, 
p. 
25). 
A 
sostegno 
di 
tale 
posizione, 
la 
Corte 
ha 
richiamato 
-facendo 
uso 
significativo 
dell�argomento comparativo - la 
decisione 
con la 
quale 
la 
Corte 
federale 
di 
giustizia 
tedesca 
ha 
riconosciuto 
la 
trascrivibilit� 
nell�ordinamento 
interno 
dell�atto 
di 
nascita 
del 
minore 
nato 
a 
seguito 
del 
ricorso 
alla 
gestazione 
per 
altri, 
con 
indicazione 
di 
entrambi 
i 
genitori 
intenzionali 
(si 
trattava 
di 
due 
padri: 
BGH, 10-19 dicembre 
2014, X. c. land di 
Berlino, trad. it. di 
R. De 
Felice 
su www.personaedanno.it, 
2015), per un commento di 
questa 
sentenza 
si 
rinvia 
a 
SCHILLACI 
A., le 
vie 
dell�amore 
sono infinite. la 
Corte 
di 
cassazione 
e 
la trascrizione 
dell�atto di 
nascita straniero con due 
genitori 
dello stesso sesso, 
consultabile 
su 
http://www.articolo29.it/2016/le-vie-dellamore-sono-infinite-la-corte-di-cassazione-ela-
trascrizione-dellatto-di-nascita-straniero-con-due-genitori-dello-stesso-sesso/. 
(30) Si 
veda 
la 
Corte 
costituzionale 
con la 
sentenza 
5 ottobre 
2016, n. 225 (Pres. Grossi, est. Morelli), 
consultabile 
su 
http://www.ilcaso.it/giurisprudenza/archivio/16283.pdf. 
Si 
veda 
anche 
Corte 
di 
Cassazione, sezione 
vI penale 
sentenza 
17 novembre 
2016, n. 48696, cit.; 
per la 
giurisprudenza 
di 
merito, 
tra 
gli 
altri, si 
veda 
Trib. Palermo, sez. I, decreto 6 aprile 
2015 (Pres. C. Grimaldi 
di 
Terresena, est. 
M. Ruvolo), consultabile su http://www.ilcaso.it/giurisprudenza/archivio/12429.pdf. 

RASSEGNA 
AvvoCATURA 
DELLo 
STATo - N. 1/2017 


Si 
veda 
in 
merito 
la 
recentissima 
ordinanza 
della 
Corte 
d�Appello 
di 
Trento (31) che 
ha 
riconosciuto il 
legame 
tra 
figli 
e 
genitore 
non genetico. In 
particolare, la 
pronuncia 
ha 
disposto il 
riconoscimento di 
efficacia 
giuridica 
al 
provvedimento straniero, che 
stabiliva 
la 
sussistenza 
di 
un legame 
genitoriale 
tra 
due 
minori 
nati 
grazie 
alla 
gestazione 
per altri 
- nel 
quadro di 
un progetto 
di 
genitorialit� 
di 
una 
coppia 
omosessuale 
-ed 
il 
loro 
padre 
non 
genetico. 
L�ordinanza 
ha 
applicato i 
principi 
enunciati 
dalla 
Corte 
di 
cassazione, con la 
sentenza n. 19599/2016 (32). 

Per 
quanto 
riguarda 
la 
questione 
trattata 
in 
questa 
sede, 
deve 
essere 
sottolineato 
il 
passaggio 
in 
cui 
la 
Corte 
d�Appello 
di 
Trento 
ha 
ritenuto 
che 
l�insussistenza 
di 
un 
legame 
genetico 
tra 
i 
minori 
e 
il 
padre 
non 
� 
di 
ostacolo 
al 
riconoscimento 
di 
efficacia 
giuridica 
al 
provvedimento 
straniero: 
si 
deve 
infatti 
escludere 
�che 
nel 
nostro 
ordinamento 
vi 
sia 
un 
modello 
di 
genitorialit� 
esclusivamente 
fondato 
sul 
legame 
biologico 
fra 
il 
genitore 
e 
il 
nato; 
all�opposto 
deve 
essere 
considerata 
l�importanza 
assunta 
a 
livello 
normativo 
dal 
concetto 
di 
responsabilit� 
genitoriale 
che 
si 
manifesta 
nella 
consapevole 
decisione 
di 
allevare 
ed 
accudire 
il 
nato; 
la 
favorevole 
considerazione 
da 
parte 
dell�ordinamento 
al 
progetto 
di 
formazione 
di 
una 
famiglia 
caratterizzata 
dalla 
presenza 
di 
figli 
anche 
indipendentemente 
dal 
dato 
genetico, 
con 
la 
regolamentazione 
dell�istituto 
dell�adozione; 
la 
possibile 
assenza 
di 
relazione 
biologica 
con 
uno 
dei 
genitori 
(nella 
specie 
il 
padre) 
per 
i 
figli 
nati 
da 
tecniche 
di 
fecondazione 
eterologa 
consentite� 
(33). 


Senza 
dubbio, 
nel 
caso 
dei 
coniugi 
Campanelli, 
la 
Corte 
si 
� 
dovuta 
occupare 
di 
una 
situazione 
molto 
particolare 
perch� 
qui 
(seppure 
per 
un 
errore 
non 


(31) 
Corte 
d�Appello 
di 
Trento, 
23 
febbraio 
2017, 
http://www.articolo29.it/wp-content/uploads/
2017/02/ordinanza.pdf. 
La 
pronuncia 
si 
segnala 
perch� 
i 
giudici 
hanno 
affrontato 
anche 
la 
sentenza 
della 
Grande 
Camera 
qui 
in commento, evidenziando la 
particolarit� 
del 
caso deciso ed escludendo che 
la 
pronuncia 
della 
Corte 
di 
Strasburgo 
possa 
essere 
di 
ostacolo 
al 
riconoscimento 
del 
legame 
tra 
i 
minori 
ed il loro padre non genetico. 
(32) 
Corte 
di 
Cassazione, 
sentenza 
n. 
19599 
del 
21 
giugno 
2016, 
depositata 
il 
30 
settembre 
(anche 
questa 
prima 
dell�udienza 
della 
Grande 
Camera 
del 
9 dicembre 
2016), cit. Questi 
in sintesi 
i 
principi 
stabiliti 
dalla 
Corte: 
�a) in merito al 
giudizio di 
compatibilit� tra il 
provvedimento straniero e 
l�ordine 
pubblico, la necessit� di 
far 
riferimento ad un concetto di 
ordine 
pubblico dai 
contorni 
larghi, al 
fine 
di 
valutare 
non gi� se 
il 
provvedimento straniero applichi 
una disciplina della materia corrispondente 
a 
quella 
italiana, 
bens� 
piuttosto 
se 
esso 
appaia 
conforme 
alle 
esigenze 
di 
tutela 
dei 
diritti 
fondamentali 
dell�uomo (in questo caso, del 
minore) come 
garantiti 
dalla Costituzione 
italiana e 
dai 
principali 
documenti 
internazionali 
in materia; b) l�esigenza di 
salvaguardare 
il 
diritto del 
minore 
alla continuit� 
dello status 
filiationis 
nei 
confronti 
di 
entrambi 
i 
genitori, il 
cui 
mancato riconoscimento non solo determinerebbe 
un 
grave 
pregiudizio 
per 
i 
minori, 
ma 
li 
priverebbe 
di 
un 
fondamentale 
elemento 
della 
loro identit� familiare, cos� 
come 
acquisita e 
riconosciuta nello stato estero in cui 
l�atto di 
nascita � 
stato 
formato; 
c) 
l�assoluta 
indifferenza 
delle 
tecniche 
di 
procreazione 
cui 
si 
sia 
fatto 
ricorso 
all�estero, 
rispetto 
al 
diritto 
del 
minore 
al 
riconoscimento 
dello 
status 
filiationis 
nei 
confronti 
di 
entrambi 
i 
genitori 
che 
lo abbiano portato al 
mondo, nell�ambito di 
un progetto di 
genitorialit� condivisa�, SCHILLACI 
A., 
Due 
padri, i 
loro figli: la Corte 
d�appello di 
trento riconosce, per 
la prima volta, il 
legame 
tra i 
figli 
e 
il padre non genetico, consultabile su http://www.articolo29.it/ 
(33) ordinanza Corte d�Appello di 
Trento, 23 febbraio 2017, cit., pp. 17-18. 

CoNTENzIoSo 
CoMUNITARIo 
ED 
INTERNAzIoNALE 


imputabile 
alla 
coppia) 
manca 
un 
legame 
genetico 
con 
entrambi 
i 
genitori. 
Tuttavia, 
pur 
non 
sostituendosi 
alle 
Autorit� 
italiane 
nell�interpretazione 
della 
legge 
nazionale, 
nel 
valutare 
gli 
elementi 
posti 
a 
fondamento 
delle 
misure 
adottate 
da 
queste, 
i 
giudici 
di 
Strasburgo 
forse 
avrebbero 
dovuto 
tenere 
in 
maggiore 
considerazione 
i 
principi 
emersi 
e 
l�applicazione 
fattane 
dalle 
Corti 
nazionali 
e 
non 
solo 
quella 
operata 
dai 
singoli 
tribunali 
che 
hanno 
giudicato 
il 
caso. 


In linea 
con la 
seconda 
sezione 
della 
Corte 
EDU, invece, la 
Grande 
Camera 
ha 
considerato che 
l�art. 8 CEDU 
� 
applicabile 
con riferimento al 
diritto 
al rispetto della vita privata (34). 


Nell�esaminare 
questa 
la 
violazione, 
la 
GC 
ha 
ritenuto, 
infatti, 
che 
le 
misure 
adottate 
da 
parte 
delle 
Autorit� 
italiane 
(allontanamento 
del 
minore, 
affidamento 
in 
una 
casa 
famiglia 
senza 
contatti 
con 
i 
ricorrenti 
e 
nomina 
di 
un 
tutore) 
hanno 
costituito 
sicuramente 
un�ingerenza, 
ai 
sensi 
dell�art. 
8 
CEDU 
(35). 
Di 
conseguenza, 
la 
stessa 
ha 
poi 
verificato 
se 
queste 
potevano 
essere 
giustificate 
ai 
sensi 
dell�art. 
8, 
par. 
2, 
CEDU, 
in 
quanto 
previste 
dalla 
legge, 
dirette 
al 
perseguimento 
di 
un 
obiettivo 
legittimo 
e 
necessarie 
in 
una 
societ� 
democratica 
(36). 


Al 
riguardo, a 
parere 
di 
chi 
scrive, si 
deve 
prestare 
attenzione 
ad alcuni 
principi 
enucleati 
dalla 
giurisprudenza 
della 
Corte 
EDU. In particolare, ci 
si 
riferisce 
a 
quello per cui 
nei 
casi 
riguardanti 
la 
dichiarazione 
di 
adozione 
di 
un minore, il migliore interesse di questo � di primaria importanza (37). 


Come 
chiarito anche 
dai 
giudici 
Lazarova 
Trajakovska, Bianku, Laffrancque, 
Lemmens 
e 
Grozev, nell'identificare 
l'interesse 
superiore 
del 
bambino 
in un caso specifico, le 
considerazioni 
che 
devono essere 
tenute 
presenti 
sono 
due: 
in primo luogo, � 
nel 
migliore 
interesse 
del 
bambino mantenere 
i 
legami 
con la 
propria 
famiglia 
(per i 
giudici 
doveva 
essere 
riconosciuto un legame 
di 
tipo familiare, ma 
in ogni 
caso il 
superiore 
interesse 
del 
bambino deve 
essere 
perseguito comunque 
in tutti 
procedimenti 
che 
lo coinvolgono (38)), tranne 


(34) Par. 161, Corte 
EDU, Paradiso e 
Campanelli 
v. Italy, Grande 
Camera, 24 gennaio 2017, ric. 
n. 25358/12, cit. 
(35) Par. 166, Corte 
EDU, Paradiso e 
Campanelli 
v. Italy, Grande 
Camera, 24 gennaio 2017, ric. 
n. 25358/12, cit. 
(36) Par. 167, Corte 
EDU, Paradiso e 
Campanelli 
v. Italy, Grande 
Camera, 24 gennaio 2017, ric. 
n. 25358/12, cit. 
(37) 
Si 
vedano 
Johansen 
v. 
Norway, 
7 
August 
1996, 
� 
78, 
in 
reports 
of 
Judgments 
and 
Decisions 
1996-III; 
Kearns 
v. 
France, 
n. 
35991/04, 
� 
79, 
10 
gennaio 
2008, 
consultabile 
sul 
sito 
http://hudoc.echr.coe.int/eng#{%22appno%22:[%2235991/04%22],%22itemid%22:[%2200184339%
22]}; 
r. 
and 
H. 
v. 
the 
United 
Kingdom, 
n. 
35348/06, 
�� 
73 
and 
81, 
31 
maggio 
2011, 
consultabile 
sul 
sito 
http://www.familylawweek.co.uk/site.aspx?i=ed83859 
; 
and 
Y.C. 
v. 
the 
United 
Kingdom, 
n. 
4547/10, � 134, 13 marzo 2012, consultabile 
sul 
sito http://hudoc.echr.coe.int/app/conversion/pdf/?library=
eCHr&id=001-112315&filename=001-112315.pdf&tID=thkbhnilzk.; 
nonch� 
l�opinione 
dissenziente 
dei 
giudici 
Lazarova 
Trajakovska, 
Bianku, 
Laffrancque, 
Lemmens 
e 
Grozev 
a 
Corte 
EDU, 
Paradiso e Campanelli v. Italy, Grande Camera, 24 gennaio 2017, ric. n. 25358/12, cit. 
(38) 
La 
Convenzione 
sui 
diritti 
del 
fanciullo 
dell'onu 
del 
1989 
all'art. 
3 
sancisce 
espressamente 
che: 
"in 
tutte 
le 
azioni 
riguardanti 
bambini, 
se 
avviate 
da 
istituzioni 
di 
assistenza 
sociale, 
private 
e 
pubbliche, 
tribunali, 
autorit� 
amministrative, 
corpi 
legislativi, 
i 

RASSEGNA 
AvvoCATURA 
DELLo 
STATo - N. 1/2017 


nei 
casi 
in 
cui 
la 
famiglia 
si 
� 
dimostrata 
particolarmente 
inidonea; 
in 
secondo 
luogo, � 
nel 
migliore 
interesse 
del 
bambino assicurare 
il 
suo sviluppo in un 
ambiente sicuro e protetto (39). 


Pertanto, 
se 
giustamente 
la 
Corte 
di 
Strasburgo 
non 
pu� 
sostituire 
la 
propria 
valutazione 
a 
quella 
dei 
tribunali 
nazionali 
per 
quanto 
riguarda 
le 
misure 
concernenti 
i 
minori, 
questo 
non 
vuol 
dire 
per� 
che 
questa 
non 
sia 
chiamata 
ad 
accertare 
che 
il 
processo 
decisionale 
che 
ha 
portato 
all'adozione 
di 
tali 
misure 
sia 
stato 
giusto, 
abbia 
permesso 
agli 
interessati 
di 
presentare 
il 
proprio 
caso 
in 
modo 
completo 
e 
che 
sia 
stato 
tutelato 
l'interesse 
superiore 
del 
bambino 
(40). 


In 
particolare, 
nei 
procedimenti 
di 
adozione 
i 
giudici 
nazionali 
devono 
esaminare 
non 
solo 
se 
l�allontanamento 
del 
bambino 
dalle 
persone 
che 
agiscono 
come 
i 
suoi 
genitori 
sarebbe 
nel 
suo interesse, ma 
devono anche 
motivare 
in modo specifico alla luce delle circostanze del caso (41). 


Quindi, 
per 
verificare 
se 
l�interferenza 
con 
il 
diritto 
dei 
ricorrenti 
al 
rispetto 
della 
loro 
vita 
privata 
(non 
essendo 
stata 
riconosciuta 
una 
vita 
familiare), 
cio� 
l�allontanamento 
del 
bambino, 
� 
stata 
compatibile 
con 
l�articolo 
8 
CEDU 
� 
importante 
valutare 
quali 
motivazioni 
/ 
giustificazioni 
sono 
state 
date 
dalle 
Autorit� 
nazionali. 


Sul 
punto 
il 
Tribunale 
per 
i 
Minorenni 
di 
Campobasso 
e 
la 
Corte 
d�Appello, 
sezione 
Minori, 
di 
Campobasso 
hanno 
dato 
motivazioni 
molto 
differenti, 
fatto 
questo 
che 
� 
stato 
rilevato 
in 
modo 
puntuale 
anche 
nella 
dissenting 
opinion 
(42). 


In particolare, agendo a 
seguito della 
richiesta 
di 
adozione 
di 
misure 
urgenti 
del 
Pubblico 
Ministero, 
il 
Tribunale 
per 
i 
Minorenni 
ha 
fondato 
la 
propria 
decisione 
sulla 
necessit� 
di 
porre 
fine 
ad una 
situazione 
contraria 
alla 
legge 
italiana, 
scaturente 
da 
due 
violazioni. 
La 
prima: 
aver 
portato 
il 
minore 
in 
Italia, 
facendolo passare 
per proprio figlio, ha 
violato le 
norme 
sulle 
adozioni 
internazionali 
previste 
delle 
Legge 
n. 183 del 
1984 (43); 
la 
seconda: 
aver stipulato 
un accordo di 
gestazione 
per altri 
in Russia 
ha 
violato la 
legge 
sulla 
feconda-

maggiori 
interessi 
dei 
bambini 
devono 
costituire 
oggetto 
di 
primaria 
importanza". 
In 
Italia 
la 
Convenzione 
� 
stata 
ratificata 
con 
Legge 
27 
maggio 
1991, 
n. 
176, 
consultabile 
sul 
sito 


http://www.camera.it/_bicamerali/leg14/infanzia/leggi/legge%20176%20del%201991.htm. 

(39) 
� 
6 
opinione 
dissenziente, 
Corte 
EDU, 
Paradiso 
e 
Campanelli 
v. 
Italy, 
Grande 
Camera, 
24 
gennaio 
2017, 
ric. 
n. 
25358/12, 
cit. 
Si 
vedano 
anche 
Neulinger 
e 
shuruk 
v. 
svizzera 
[GC], 
n. 
41615/07, 
� 
136, 
CEDU 
2010, 
consultabile 
sul 
sito 
http://www.federalismi.it/applopenFilePDF.
cfm?artid=16718&dpath=document&dfile= 
28072010161721.pdf&content=Corte+dei+diritti+
dell%27Uomo,+sentenza+del+in+tema+di+sottrazione+internazionale+di+minori,+pericolo+d 
i+violazione+dell%27art.+8+CeDU+(Neulinger+e+shuruk+c.+svizzera)++-++-++-+;e 
r. e 
H. c. 
regno Unito, ric. n. 35348/06, 31 maggio 2011, �� 73-74, cit. 
(40) 
v. 
� 
139 
Neulinger 
e 
shuruk 
c. 
svizzera 
[GC], 
cit., 
e 
X 
v. 
lettonia 
[GC], 
n. 
27853/09, 
� 
102, 
novembre 
2013, 
consultabile 
sul 
sito 
http://hudoc.echr.coe.int/app/conversion/pdf/?library=
eCHr&id=002-9245&filename=002-9245.pdf&tID=thkbhnilzk. 
(41) Si 
veda 
mutatis 
mutandis, per quanto riguarda 
la 
decisione 
sulla 
domanda 
per il 
ritorno di 
un 
figlio ai 
sensi 
della 
Convenzione 
dell'Aia 
sugli 
aspetti 
civili 
della 
sottrazione 
internazionale 
di 
minori, 
X v. latvia [GC], no. 27853/09, � 107, novembre 2013, cit. 
(42) Par. 7 opinione 
dissenziente, Corte 
EDU, Paradiso e 
Campanelli 
v. Italy, Grande 
Camera, 
24 gennaio 2017, ric. n. 25358/12, cit. 

CoNTENzIoSo 
CoMUNITARIo 
ED 
INTERNAzIoNALE 


zione 
assistita, L. n. 40/2004. La 
reazione 
a 
questa 
situazione 
illegale 
� 
stata 
duplice: 
allontanare 
il 
bambino dai 
coniugi 
e 
collocarlo presso una 
struttura, 
al fine di trovare una coppia idonea per l�adozione (44). 


Con la 
sentenza 
del 
28 febbraio 2012, la 
Corte 
d�Appello, sezione 
famiglia, 
ha 
rigettato l�impugnazione 
della 
decisone 
del 
Tribunale, ma 
sulla 
base 
di 
motivazioni 
differenti. I giudici 
di 
secondo grado non hanno affermato, infatti, 
che 
la 
coppia 
era 
in 
una 
situazione 
illegale 
e 
che 
c�era 
la 
necessit� 
di 
porvi 
fine, bens� 
hanno dichiarato il 
bambino �in stato di 
abbandono� 
ai 
sensi 
della legge n 183/84, in quanto privo dell�assistenza della famiglia naturale. 


Quindi, mentre 
il 
Tribunale 
per i 
Minorenni 
ha 
incentrato le 
proprie 
analisi 
(e 
valutazioni) sul 
comportamento dei 
coniugi 
e 
lo ha 
sanzionato con le 
suddette 
misure, i 
giudici 
d�appello hanno esaminato la 
questione 
sulla 
base 
di 
una 
valutazione 
degli 
interessi 
e 
dello stato del 
minore. Ed � 
fuor di 
dubbio 
che questo sia l�approccio corretto in questo genere di procedimenti (45). 


Ebbene, la 
motivazione 
della 
Corte 
d�Appello, sostituendosi 
a 
quella 
del 
Tribunale 
per i 
Minorenni, avrebbe 
dovuto essere 
quella 
da 
tenere 
primariamente 
in considerazione 
da 
parte 
dei 
Giudici 
di 
Strasburgo, per valutare 
la 
legittimit� 
dell�interferenza 
nei 
diritti 
tutelati 
dall�art. 8 della 
Convenzione. Al 
contrario si 
ha 
l�impressione 
che 
la 
Corte 
EDU 
abbia 
valutato soprattutto (se 
non esclusivamente) quella del giudice di primo grado. 


3. misure previste dalla legge. 
La 
prima 
questione 
da 
esaminare 
� 
se 
l�ingerenza 
nel 
diritto tutelato dal-
l�articolo 8 della 
Convenzione 
era 
prevista 
dalla 
legge. Tenendo conto delle 
motivazioni 
date 
dalla 
Corte 
d�Appello nella 
sentenza 
del 
28 febbraio 2012, 
l�allontanamento del 
minore 
dalla 
coppia 
� 
fondato sull�art. 8 legge 
183/84, 


(43) I ricorrenti 
avrebbero intenzionalmente 
eluso le 
disposizioni 
di 
tale 
legge, la 
quale 
prevede 
che 
le 
coppie 
si 
devono rivolgere 
ad un organismo autorizzato (art. 31) e 
che 
dispone 
il 
coinvolgimento 
della Commissione per l'adozione internazionale (art. 38). 
(44) Cfr. � 37, Corte 
EDU, Paradiso e 
Campanelli 
v. Italy, Grande 
Camera, 24 gennaio 2017, ric. 
n. 25358/12, cit. 
(45) Le 
limitazioni 
della 
responsabilit� 
genitoriale, l�allontanamento del 
minore, le 
dichiarazioni 
dello 
stato 
di 
abbandono 
e 
di 
adottabilit� 
non 
rappresentano 
delle 
punizioni 
in 
risposta 
a 
comportamenti 
�scorretti�, ma 
degli 
interventi 
resi 
necessari 
per tutelare 
il 
sano sviluppo psico-fisico del 
bambino. Cfr. 
fra 
i 
tanti 
CHISToLINI 
M., 
affido 
sine 
die 
e 
tutela 
dei 
minori. 
Cause, 
effetti 
e 
gestione, 
FrancoAngeli, 
2015; 
RUo 
M.G., tutela dei 
figli 
e 
procedimenti 
relativi 
alla crisi 
della coppia genitoriale 
nella giurisprudenza 
della 
Corte 
europea 
dei 
Diritti 
dell�Uomo, 
in 
Dir. 
Di 
famiglia 
e 
delle 
persone, 
2011, 
pp. 
1004 ss.; 
e 
ancora 
�Nella prospettiva di 
una cultura della tutela dei 
diritti, quelli 
del 
minore 
all�educazione, 
alla cura, all�istruzione 
e 
all�affetto, in generale 
ad una crescita equilibrata, costituiscono pertanto 
il 
riferimento 
fondamentale 
per 
poter 
inquadrare 
il 
tema 
dei 
provvedimenti 
convenienti 
che 
il 
giudice 
deve 
adottare 
per 
ristabilire 
un 
equilibrio 
di 
relazioni 
familiari 
e 
di 
crescita 
armoniosa 
del 
bambino�, 
cos� 
SPINA 
L., tutela delle 
persone 
minori 
di 
et� e 
rispetto delle 
relazioni 
familiari, Introduzione 
ai 
lavori 
del 
XXXI Convegno nazionale, Associazione 
Italiana 
dei 
Magistrati 
per i 
minorenni 
e 
per la 
famiglia, Roma, 23 novembre 
2012, consultabile 
su http://www.minoriefamiglia.it/download/spina-relazione-
roma-2012.pdf. 

RASSEGNA 
AvvoCATURA 
DELLo 
STATo - N. 1/2017 


secondo il 
quale: 
�sono dichiarati 
in stato di 
adottabilit� dal 
tribunale 
per 
i 
minorenni 
del 
distretto nel 
quale 
si 
trovano, i 
minori 
di 
cui 
sia accertata la situazione 
di 
abbandono perch� 
privi 
di 
assistenza morale 
e 
materiale 
da parte 
dei 
genitori 
o dei 
parenti 
tenuti 
a provvedervi, purch� 
la mancanza di 
assistenza 
non 
sia 
dovuta 
a 
causa 
di 
forza 
maggiore 
di 
carattere 
transitorio�. 
Poich� 
i 
ricorrenti 
non sono stati 
considerati 
dalla 
Corte 
come 
parenti, il 
minore 
� stato considerato in stato di abbandono e quindi dichiarato adottabile. 


A 
parere 
di 
chi 
scrive, sul 
punto � 
di 
particolare 
interesse 
l�osservazione 
fatta 
dai 
giudici 
nell�opinione 
dissenziente 
citata. Dopo aver premesso che 
� 
compito 
dei 
giudici 
nazionali 
interpretare 
la 
legge 
dei 
singoli 
Stati 
membri, 
questi 
hanno precisato: 
�Nevertheless, we 
cannot 
but 
express 
our 
surprise 
as 
to the 
finding that 
the 
child, who was 
cared for 
by 
a couple 
that 
fully 
assumed 
the 
role 
of 
parents, 
was 
declared 
to 
be 
in 
a 
state 
of 
�abandonment�. 
If 
the 
only 
reason for 
such a finding was 
that 
the 
applicants 
were 
not, legally 
speaking, 
the 
parents, then we 
wonder 
whether 
the 
domestic 
courts� 
reasoning is 
not 
excessively 
formal, 
in 
a 
manner 
that 
is 
incompatible 
with 
the 
requirements 
stemming from 
article 8 of the Convention in such cases� 
(46). 


In un momento storico in cui, come 
gi� 
evidenziato in precedenza, la 
rilevanza 
dei 
legami 
affettivi 
�sociali� 
si 
� 
fatta 
breccia 
non 
solo 
nella 
giurisprudenza 
della 
Corte 
EDU, 
ma 
ormai 
anche 
in 
quella 
nazionale 
(47), 
in 
quanto situazioni 
giuridiche 
meritevoli 
di 
tutela 
nel 
perseguimento del 
superiore 
interesse 
del 
minore, forse 
non � 
poi 
cos� 
azzardato chiedersi 
se 
effettivamente 
un�interpretazione 
cos� 
formale 
della 
norma 
(o 
la 
norma 
stessa, 
se 
questa 
deve 
essere 
considerata 
l�unica 
interpretazione 
possibile) sia 
davvero 
ancora compatibile con l�art. 8 della Convenzione (e non solo). 


Tra 
l�altro, 
la 
rilevanza 
del 
legame 
affettivo 
tra 
il 
bambino 
e 
le 
persone, 
non 
parenti, 
che 
se 
ne 
prendono 
cura 
� 
stata 
introdotta 
dalla 
legge 
n. 
73/2015 
(48), 
per 
quanto 
riguarda 
il 
minore 
e 
la 
famiglia 
affidataria, 
e 
in 
materia 
di 
adozione 
in 
casi 
particolari, 
ai 
sensi 
dell�art. 
44 
lett. 
a), 
l. 
183/84. 
Secondo 
quest�ultima 
disposizione, 
infatti, 
� 
possibile 
richiedere 
l�adozione 
speciale 
da 
parte 
di 
chi 
� 
unito 
al 
minore 
�da 
un 
rapporto 
stabile 
e 
duraturo 
quando 
il 
minore 
sia 
orfano 
di 
padre 
e 
di 
madre�. 
vero 
� 
che 
in 
questo 
caso 
il 
minore 
non 
� 
orfano, 
ma 
figlio 
di 
genitori 
ignoti, 
tuttavia 
� 
pur 
vero 
che 
questa 
� 
una 
condizione 


(46) Par. 8 opinione 
dissenziente, Corte 
EDU, Paradiso e 
Campanelli 
v. Italy, Grande 
Camera, 
24 gennaio 2017, ric. n. 25358/12, cit. 
(47) Ma 
anche 
da 
parte 
del 
legislatore, si 
vedano ad esempio la 
legge 
n. 173/2015 a 
tutela 
della 
continuit� 
affettiva 
nei 
procedimenti 
di 
affidamento e 
adozione 
e 
la 
legge 
n. 76/2016 sulla 
Regolamentazione 
delle 
unioni 
civili 
tra 
persone 
dello stesso sesso e 
sulla 
disciplina 
delle 
convivenze, consultabili 
rispettivamente 
sui 
siti 
http://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2015/10/29/15G00187/sg 
e 
http://www.gazzettaufficiale.
it/eli/id/2016/05/21/ 16G00082/sg. 
(48) 
Legge 
19 
ottobre 
2015, 
n. 
173, 
cit. 
La 
legge 
riconosce 
un 
vero 
e 
proprio 
diritto 
alla 
continuit� 
affettiva del minore e delle persone affidatarie. 

CoNTENzIoSo 
CoMUNITARIo 
ED 
INTERNAzIoNALE 


sostanzialmente 
assimilabile 
e 
infatti 
assimilata 
per 
quanto 
riguarda 
la 
dichiarazione 
di 
stato 
di 
abbandono 
e 
la 
dichiarazione 
di 
adottabilit�. 
Per 
quanto 
riguarda 
poi 
la 
questione 
di 
quando 
concretamente 
un 
rapporto 
possa 
essere 
considerato 
sufficientemente 
stabile 
e 
duraturo 
ai 
fini 
del 
suo 
riconoscimento 
giuridico, 
questa 
rappresenta 
pi� 
propriamente 
una 
valutazione 
di 
fatto 
legata 
al 
caso 
concreto. 
Tale 
forma 
di 
adozione 
(sub 
species 
della 
lett. 
d) 
� 
poi 
riconosciuta 
nei 
confronti 
del 
convivente 
del 
genitore 
biologico 
del 
minore 
(49). 


In ogni 
caso, quello che 
rileva 
� 
il 
rapporto instaurato dall�adulto con il 
bambino - il 
legame 
parentale 
di 
fatto o �sociale�- meritevole 
di 
tutela 
se 
rispondente 
all�interesse 
del 
minore, il 
cui 
accertamento in concreto � 
in ogni 
caso un elemento sempre imprescindibile. 


Ad 
ogni 
modo, 
pur 
assumendo 
che 
l�interferenza 
nella 
vita 
privata 
sia 
stata 
legittima, si 
ritiene, come 
illustrato in seguito, che 
questa 
non sia 
stata 
comunque 
sufficientemente 
giustificata 
da 
parte 
delle 
Autorit� 
nazionali 
(50). 


4. obiettivo legittimo. 
La 
seconda 
questione 
da 
affrontare 
� 
se 
l�interferenza 
nel 
diritto 
alla 
vita 
privata 
perseguiva 
uno 
scopo 
legittimo. 
In 
merito, 
si 
� 
gi� 
osservato 
che 
la 
Corte 
d�Appello 
ha 
fondato 
la 
propria 
decisione 
sulla 
necessit� 
di 
porre 
fine 
allo 
stato 
di 
abbandono, 
in 
cui 
� 
stato 
ritenuto 
si 
trovasse 
il 
minore, 
e 
quindi 
le 
misure 
adottate 
hanno 
avuto 
come 
fine 
la 
tutela 
dei 
diritti 
del 
bambino. 
La 
Corte 
EDU 
ha 
ritenuto 
per� 
che 
queste 
perseguissero 
anche 
un 
altro 
obiettivo, 
cio� 
quello 
di 
�preventing 
disorder�. 
Come 
la 
seconda 
sezione 
(51), 
infatti, 
i 
giudici 
della 
Grande 
Camera 
(la 
maggioranza) 
si 
sono 
riferiti 
al 
fatto 
che 
la 
coppia 
con 
il 
proprio 
comportamento 
avesse 
violato 
la 
legge 
sulle 
adozioni 
e 
la 
legge 
sulla 
procreazione 
medicalmente 
assistita 
(52). 
Bene, 
al 
di 
l� 
delle 
considerazioni 
gi� 
svolte 
in 
precedenza 
in 
merito 
alla 
valutazione 
della 
illegalit� 
del 
comportamento 
dei 
ricorrenti 
valutata 
in 
base 
a 
quanto 
stabilito 
dal 
singolo 
giudice, 
nonostante 
l�orientamento 
espresso 
(e 
citato) 
dal 
resto 
della 
giurisprudenza 
(53), 
l�argomentazione 
della 
CG 
non 
convince 
anche 
per 
un 
altro 
motivo. 


Infatti, 
si 
� 
gi� 
osservato 
che 
� 
stato 
soltanto 
il 
Tribunale 
per 
i 
Minorenni, 


(49) Si 
veda 
in merito all�applicazione 
al 
compagno (omosessuale) del 
genitore 
biologico Cass., 
sez. 
I 
civile, 
sentenza 
22 
giugno 
2016, 
n. 
12962, 
consultabile 
sul 
sito 
http://www.neldiritto.it/public/pdf/12962_06_2016.pdf 


(50) 
Si 
concorda 
quindi 
con 
l�opinione 
dissenziente, 
cfr. 
Par. 
8 
opinione 
dissenziente, 
Corte 
EDU, 
Paradiso e Campanelli v. Italy, Grande Camera, 24 gennaio 2017, ric. n. 25358/12, cit. 
(51) Par. 73 Corte 
EDU, seconda 
sez., Paradiso e 
Campanelli 
c. Italia, 27 gennaio 2015, ric. n. 
25358/12, cit. 
(52) Par. 177 Corte 
EDU, Paradiso e 
Campanelli 
v. Italy, Grande 
Camera, 24 gennaio 2017, ric. 
n. 25358/12, cit. 
(53) In species 
della 
Corte 
di 
Cassazione, che 
dovrebbe 
svolgere 
un ruolo superiore 
di 
nomofilachia 
delle 
disposizioni 
di 
legge 
rispetto alle 
singole 
pronunce 
dei 
giudici 
di 
merito, e 
dalla 
Corte 
Costituzionale 
come giudice delle leggi. 

RASSEGNA 
AvvoCATURA 
DELLo 
STATo - N. 1/2017 


giudice 
di 
primo grado, a 
fondare 
la 
propria 
pronuncia 
sulle 
necessit� 
di 
porre 
fine 
ad 
una 
situazione 
causata 
dal 
comportamento 
illecito 
dei 
ricorrenti. 
La 
Corte 
d�Appello si 
� 
rifiutata, invece, di 
utilizzare 
la 
misura 
di 
porre 
il 
minore 
in stato di adozione come una sanzione nei confronti della coppia (54). 


5. Necessit� in una societ� democratica. 
Infine, l�ultimo punto affrontato � 
quello relativo alla 
valutazione 
se 
l�ingerenza 
nel 
diritto tutelato dall�art. 8 CEDU 
era 
necessaria 
in una 
societ� 
democratica, 
al fine di raggiungere lo scopo perseguito. 


Questa 
valutazione, 
come 
osservato 
dalla 
Grande 
Camera, 
implica 
in 
primo 
luogo 
che 
le 
ragioni 
addotte 
per 
giustificare 
la 
misura 
impugnata 
siano 
state 
pertinenti 
e 
sufficienti 
in 
relazione 
al 
legittimo 
scopo 
perseguito 
(55) 
ed 
in 
secondo 
luogo, 
sempre 
in 
relazione 
a 
quest�ultimo, 
che 
la 
misura 
sia 
stata 
proporzionata 
e 
sia 
stato 
operato 
un 
corretto 
bilanciamento 
degli 
interessi 
in 
gioco 
(56). 


Anche 
su questo punto, quello che 
non convince 
fino in fondo nella 
sentenza 
� 
l�applicazione 
dei 
principi 
al 
caso 
concreto 
operata 
dalla 
Corte 
di 
Strasburgo, 
sebbene 
senza 
dubbio 
la 
valutazione 
dipenda 
largamente 
da 
quali 
specifiche 
finalit� 
legittime 
sono 
identificate 
come 
quelle 
perseguite 
dalle 
Autorit� 
nazionali, mediante l�adozione delle misure applicate. 


Come 
indicato, 
in 
accordo 
a 
quanto 
sostenuto 
anche 
nell�opinione 
dissenziente, 
a 
parere 
di 
chi 
scrive 
la 
Corte 
d�Appello 
ha 
fondato 
l�allontanamento 
del 
bambino 
sulla 
condizione 
di 
quest�ultimo 
(stato 
di 
abbandono 
ai 
sensi 
delle 
legge 
adozioni). 
Al 
contrario, 
i 
giudici 
di 
Strasburgo 
non 
solo 
hanno 
preso in considerazione 
le 
motivazioni 
adottate 
dal 
Tribunale 
per i 
Minorenni 
(la 
situazione 
illegale 
creata 
dai 
ricorrenti), ma 
seguendo le 
osservazioni 
del 
Governo hanno valutato il 
contesto pi� ampio del 
divieto di 
accordi 
di 
gestazione 
per altri 
(e 
della 
sua 
ratio) da 
parte 
della 
legge 
Italiana 
e 
dell�esigenza 
di scoraggiarne la pratica all�estero (57). 


In 
merito, 
i 
giudici 
Lazarova 
Trajakovska, 
Bianku, 
Laffrancque, 
Lemmens 
e 
Grozev hanno osservato che: 
�the 
specific 
facts 
of 
the 
present 
case, 
and in particular 
the 
judgments 
handed down by 
the 
domestic 
authorities, do 
not 
warrant 
such a broad approach, in which sensitive 
policy 
considerations 
may 
play 
an important 
role�. Inoltre, si 
deve 
nuovamente 
porre 
in rilievo che 


(54) 
Questa 
osservazione 
� 
stata 
evidenziata 
anche 
nell�opinione 
dissenziente, 
dai 
giudici 
Lazarova 
Trajakovska, 
Bianku, 
Laffrancque, 
Lemmens 
e 
Grozev, 
Corte 
EDU, 
Paradiso 
e 
Campanelli 
v. 
Italy, 
Grande Camera, 24 gennaio 2017, ric. n. 25358/12, cit. 
(55) Si 
veda 
il 
paragrafo 179 della 
sentenza, Corte 
EDU, Paradiso e 
Campanelli 
v. Italy, Grande 
Camera, 24 gennaio 2017, ric. n. 25358/12 cit. 
(56) Si 
veda 
il 
paragrafo 181 della 
sentenza, Corte 
EDU, Paradiso e 
Campanelli 
v. Italy, Grande 
Camera, 24 gennaio 2017, ric. n. 25358/12 cit. 
(57) Si 
veda 
il 
paragrafo 203 della 
sentenza, Corte 
EDU, Paradiso e 
Campanelli 
v. Italy, Grande 
Camera, 24 gennaio 2017, ric. n. 25358/12, cit. 

CoNTENzIoSo 
CoMUNITARIo 
ED 
INTERNAzIoNALE 


sulla 
nozione 
di 
ordine 
pubblico, 
a 
cui 
riconduce 
il 
concetto 
di 
�preventing 
disorder� 
utilizzato dalla 
Corte 
EDU, questa 
aveva 
a 
disposizione 
l�orientamento 
ormai 
consolidato 
della 
Corte 
di 
Cassazione. 
In 
base 
a 
questo 
-seppure 
in merito al 
riconoscimento del 
certificato di 
nascita 
straniero - i 
giudici 
di 
legittimit� 
nazionali 
hanno 
stabilito 
che 
il 
riconoscimento 
dell�atto 
straniero 


�nel 
quale 
risulti 
la nascita di 
un figlio da due 
donne 
[�] 
nell�ambito di 
un 
progetto genitoriale 
realizzato dalla coppia [�] 
non contrasta con l�ordine 
pubblico per 
il 
solo fatto che 
il 
legislatore 
non preveda o vieti 
il 
verificarsi 
di 
una simile 
fattispecie 
nell�ordinamento italiano, dovendosi 
avere 
riguardo al 
principio, 
di 
rilevanza 
costituzionale 
primaria, 
dell�interesse 
superiore 
del 
minore, che 
si 
sostanzia nel 
suo diritto alla continuit� dello status 
filiationis, 
validamente acquisito all�estero� 
(58). 


A 
questo non pu� ostare 
il 
rilievo che 
la 
nascita 
del 
minore 
sia 
avvenuta 
a 
seguito 
del 
ricorso 
ad 
una 
pratica 
di 
procreazione 
medicalmente 
assistita 
non 
consentita 
dalla 
legge 
italiana. �Non si 
pu� ricorrere 
alla nozione 
di 
ordine 
pubblico� 
afferma, 
infatti, 
la 
Corte, 
�per 
giustificare 
discriminazioni 
nei 
confronti 
[del 
minore] 
a 
causa 
della 
scelta 
di 
coloro 
che 
lo 
hanno 
messo 
al 
mondo 
mediante 
una pratica di 
procreazione 
assistita non consentita in Italia [�] 
Vi 
sarebbe 
altrimenti 
una violazione 
del 
principio di 
uguaglianza, intesa come 
pari 
dignit� sociale 
di 
tutti 
i 
cittadini 
e 
come 
divieto di 
differenziazioni 
legislative 
basate su condizioni personali e sociali� 
(59). 

Inoltre, sebbene 
spetti 
al 
legislatore 
nazionale 
stabilire 
la 
politica 
in materia, 
tuttavia 
deve 
anche 
riconoscersi 
che 
la 
legge 
italiana 
non ha 
effetti 
extraterritoriali 
(60). In particolare, quando una 
coppia 
� 
ricorsa 
all�estero a 
tale 
pratica 
e 
rientra 
legalmente 
in Italia 
con il 
bambino nato, per le 
Autorit� 
italiane 
dovrebbe 
essere 
rilevante 
la 
situazione 
di 
fatto 
sussistente 
in 
Italia. 
In 
base 
al 
medesimo rilevo nell�opinione 
dissenziente, i 
giudici 
non concordano 
con 
l�argomentazione 
della 
GC, 
secondo 
cui 
la 
ratio 
che 
ha 
spinto 
il 
legislatore 
a 
vietare 
tale 
pratica 
� 
rilevante 
in merito alle 
misure 
adottate 
per scoraggiare 
il 
ricorso a 
tale 
tecnica 
procreativa 
all�estero. Gli 
stessi 
hanno osservato che 
la 
pertinenza 
di 
questi 
motivi 
diventa 
meno evidente, infatti, quando una 
situazione 
� 
stata 
prodotta 
all'estero, perch�, in quanto tale, non pu� avere 
violato 
la 
legge 
italiana 
(61). 
Inoltre, 
si 
deve 
anche 
sottolineare 
che 
la 
condizione 


(58) Par. 8.4, p. 36, sentenza della Corte di Cassazione n. 19599/2016, cit. 
(59) Par. 8.3, pp. 34-35 sentenza della Corte di Cassazione n. 19599/2016, cit. 
(60) 
�We 
do 
not 
intend 
to 
express 
any 
opinion 
on 
the 
prohibition 
of 
surrogacy 
arrangements 
under 
Italian law. It 
is 
for 
the 
Italian legislature 
to state 
the 
Italian policy 
on this 
matter. However, Italian law 
does 
not 
have 
extraterritorial 
effects�, Dissenting opinion, Corte 
EDU, Paradiso e 
Campanelli 
v. Italy, 
Grande 
Camera, 
24 
gennaio 
201, 
ric. 
n. 
25358/12, 
cit. 
Peraltro, 
come 
visto, 
la 
considerazione 
� 
allineata 
alla giurisprudenza di legittimit� italiana, si vedano le sentenze citate 
supra. 
(61) �Where 
a couple 
has 
managed to enter 
into a surrogacy 
agreement 
abroad and to obtain 
from 
a mother 
living abroad a baby, which subsequently 
is 
brought 
legally 
into Italy, it 
is 
the 
factual 
situation 
in Italy 
stemming from 
these 
earlier 
events 
in another 
country 
that 
should guide 
the 
relevant 

RASSEGNA 
AvvoCATURA 
DELLo 
STATo - N. 1/2017 


creata 
dai 
ricorrenti 
in Russia 
� 
stata 
inizialmente 
riconosciuta 
e 
formalizzata 
dalle autorit� italiane attraverso il consolato di Mosca (62). 

In ogni 
caso, quali 
che 
siano le 
ragioni 
avanzate 
per giustificare 
l�allontanamento 
del 
minore 
dalla 
coppia, non pare 
che 
le 
Autorit� 
italiane 
abbiano 
effettuato comunque 
un corretto bilanciamento degli 
interessi 
in gioco, come 
invece ritenuto dalla Grande Camera. 


Per 
quanto 
riguarda 
gli 
interessi 
pubblici, 
si 
� 
gi� 
messo 
in 
evidenza 
come 
sia 
stato 
dato 
forse 
troppo 
peso 
alla 
necessit� 
di 
porre 
fine 
ad 
una 
situazione 
illegale 
e 
di 
scoraggiare 
i 
cittadini 
a 
ricorrere 
all�estero 
a 
pratiche 
vietate 
in 
Italia. 
Non 
sono 
questi 
gli 
interessi, 
infatti, 
che 
la 
Corte 
d�Appello 
ha 
cercato 
di 
perseguire. 


Riguardo 
agli 
interessi 
della 
coppia, 
invece, 
non 
� 
stato 
tenuto 
in 
alcuna 
considerazione 
il 
fatto 
che 
per 
anni 
questa 
ha 
atteso 
inutilmente 
l�arrivo 
di 
un 
bambino 
da 
adottare. 
La 
dichiarazione 
di 
idoneit� 
all�adozione 
� 
infatti 
del 
2006, 
i 
coniugi 
sono 
ricorsi 
alla 
gestazione 
per 
altri 
in 
Russia 
solo 
nel 
2010. 
Se 
� 
vero 
che 
non 
esiste 
un 
diritto 
ad 
adottare 
o 
un 
diritto 
a 
costituire 
una 
famiglia, 
sussistono 
per� 
il 
diritto 
alla 
realizzazione 
personale, 
il 
diritto 
di 
rispettare 
la 
decisone 
di 
divenire 
genitori 
e 
di 
poter 
accedere 
agli 
strumenti 
che 
lo 
consentono 
(63). 
Pertanto 
una 
volta 
ottenuta 
l�idoneit� 
all�adozione 
deve 
essere 
riconosciuta 
alla 
coppia 
un�aspettativa 
meritevole 
di 
tutela. 
Il 
trascorre 
del 
tempo, 
infatti, 
pu� 
svuotare 
ed 
in 
alcuni 
casi 
compromettere 
(in 
questo 
caso 
per 
il 
superamento 
dei 
limiti 
di 
et�) 
la 
possibilit� 
di 
formare 
una 
famiglia, 
peraltro 
svilendo 
anche 
la 
ratio 
della 
legge 
sulle 
adozioni 
(64). 
Se 
il 
sistema 
italiano 
sulle 
adozioni 
avesse 
funzionato 
con 
tempi 
diversi, 
forse 
i 
coniugi 
in 
Russia 
non 
ci 
sarebbero 
andati. 


Non pare 
sia 
stato dato poi 
il 
giusto rilievo neanche 
all�interesse 
dei 
coniugi 
a 
proseguire 
il 
rapporto con il 
bambino di 
cui 
volevano essere 
genitori, 
in 
particolar 
modo 
dal 
Tribunale 
per 
i 
Minorenni. 
Per 
questo 
il 
bambino 
� 
stato 
soltanto un mezzo per soddisfare 
le 
aspettative 
�narcisistiche� 
dei 
ricorrenti 
e 
nel 
complesso 
sembra 
affermare 
che 
chi 
pratica 
all�estero 
la 
fecondazione 
eterologa 
o 
la 
gestazione 
� 
per 
ci� 
stesso 
inadatto 
ad 
essere 
un 
buon 
genitore, 
fino ad essere 
considerato talmente 
pericoloso che 
i 
minori 
devono essere 
im-

Italian authorities 
in their 
reaction to that 
situation. In this 
respect, we 
have 
some 
difficulty 
with the 
majority�s 
view that 
the 
legislature�s 
reasons 
for 
prohibiting surrogacy 
arrangements 
are 
of 
relevance 
in 
respect 
of 
measures 
taken 
to 
discourage 
Italian 
citizens 
from 
having 
recourse 
abroad 
to 
practices 
which are 
forbidden on Italian territory 
(see 
paragraph 203 of 
the 
judgment). In our 
opinion, the 
relevance 
of 
these 
reasons 
becomes 
less 
clear 
when a situation has 
been created abroad which, as 
such, 
cannot 
have 
violated 
Italian 
law�, 
Dissenting 
opinion, 
Corte 
EDU, 
Paradiso 
e 
Campanelli 
v. 
Italy, 
Grande Camera, 24 gennaio 201, ric. n. 25358/12, cit. 

(62) Si 
veda 
il 
par. 17, Corte 
EDU, Paradiso e 
Campanelli 
v. Italy, Grande 
Camera, 24 gennaio 
201, ric. n. 25358/12, cit. 
(63) Par. 159 Corte 
EDU, Paradiso e 
Campanelli 
v. Italy, Grande 
Camera, 24 gennaio 2017, ric. 
n. 25358/12 cit. 
(64) Si 
veda 
l�inchiesta 
sullo stato del 
sistema 
adozioni 
in Italia, adozioni, la lunga gestazione 
di 
una 
famiglia 
quasi 
impossibile, 
del 
13 
febbraio 
2016 
consultabile 
sul 
sito 
http://www.pagina99.it/2016/07/29/adozioni-la-lunga-gestazione-di-una-famiglia-quasi-impossibile/ 

CoNTENzIoSo 
CoMUNITARIo 
ED 
INTERNAzIoNALE 


mediatamente 
allontanati 
e 
destinati 
ad una 
casa 
famiglia. In merito, anche 
i 
giudici 
minoritari 
hanno 
ritenuto 
che 
�such 
assessments 
were 
of 
a 
speculative 
nature 
and should not 
have 
guided the 
minors 
Court 
in its 
examination of 
the 
Public Prosecutor�s request for urgent measures� 
(65). 

Deve 
essere 
ricordato, 
poi, 
che 
la 
coppia 
� 
stata 
dichiarata 
idonea 
all�adozione 
nel 
2006 
dallo 
stesso 
Tribunale 
per 
i 
Minorenni 
e 
che 
nella 
relazione 
dei 
servizi 
sociali 
del 
2011, 
incaricati 
dallo 
stesso, 
si 
� 
riscontrato 
come 
i 
ricorrenti 
si 
occupassero 
del 
bambino 
secondo 
gli 
standard 
pi� 
elevati 
di 
cure. 
Queste 
valutazioni 
positive 
non 
sono 
state 
smentite 
da 
serie 
considerazioni 
riguardo 
al 
concreto 
miglior 
interesse 
del 
minore, 
bens� 
da 
ragionamenti 
astratti 
e 
generali 
(66). 


oltre 
a 
ci�, si 
evidenzia 
anche 
l�osservazione 
fatta 
in merito dai 
giudici 
minoritari. Come 
riconosciuto peraltro nella 
stessa 
sentenza 
della 
Grande 
Camera, 
questi 
hanno 
sottolineato 
che 
le 
Autorit� 
nazionali 
hanno 
dato 
poco 
peso 
all'impatto che 
la 
separazione 
immediata 
e 
irreversibile 
dal 
bambino avrebbe 
avuto sui 
ricorrenti 
(67). Secondo l�opinione 
dissenziente 
questo fatto integra 
una 
grave 
lacuna 
- che 
non pu� essere 
giustificata 
con il 
fatto che 
il 
comportamento 
dei 
ricorrenti 
era 
illegale 
ed il 
rapporto con il 
bambino precario - e 
dimostra 
che 
in realt� 
non si 
� 
cercato di 
trovare 
un giusto equilibrio tra 
gli 
interessi 
dei 
ricorrenti 
e 
gli 
eventuali 
interessi 
contrapposti. Questo indipendentemente 
da quale sarebbe stato l�esito di tale bilanciamento (68). 


Riguardo 
all�interesse 
del 
minore, 
invece, 
si 
rimanda 
a 
quanto 
gi� 
evidenziato 
in 
relazione 
alla 
valutazione 
di 
stato 
di 
abbandono 
e 
si 
mette 
qui 
in 
evidenza 
che 
nessuno 
dei 
giudici 
nazionali 
ha 
valutato 
se 
sarebbe 
stato 
nell'interesse 
del 
bambino 
rimanere 
con 
le 
persone 
che 
avevano 
assunto 
il 
ruolo 
di 
suoi 
genitori. 
Infatti, 
l�allontanamento 
si 
� 
fondato 
unicamente 
su 
motivazioni 
giuridiche, 
mentre 
i 
fatti 
hanno 
acquisito 
rilevanza 
solo 
per 
stabilire 
se, 
deciso 
l�allontanamento, 
questo 
sarebbe 
stato 
troppo 
traumatico 
per 
il 
minore 
(69). 


(65) 
Dissenting 
opinion, 
Corte 
EDU, 
Paradiso 
e 
Campanelli 
v. 
Italy, 
Grande 
Camera, 
24 
gennaio 
2017, ric. n. 25358/12 cit. 
(66) Cos� si esprimono i giudici, dissenting opinion, cit. 
(67) 
Si 
veda 
il 
paragrafo 
211 
Corte 
EDU, 
Paradiso 
e 
Campanelli 
v. 
Italy, 
Grande 
Camera, 
24 
gennaio 2017, ric. n. 25358/12 cit . 
(68) 
�the 
courts 
did 
not 
address 
the 
impact 
which 
the 
immediate 
and 
irreversible 
separation 
from 
the 
child 
would 
have 
on 
the 
applicants 
(see 
paragraph 
211 
of 
the 
judgment). 
We 
find 
this 
a 
serious 
shortcoming, 
which 
cannot 
be 
justified 
by 
the 
majority�s 
consideration 
that 
the 
applicants� 
conduct 
was 
illegal 
and their 
relationship with the 
child precarious 
(ibid.). the 
mere 
fact 
that 
the 
domestic 
courts 
did not 
find it 
necessary 
to discuss 
the 
impact 
on the 
applicants 
of 
the 
removal 
of 
a child who was 
the 
specific 
subject 
of 
their 
parental 
project 
demonstrates, in our 
opinion, that 
they 
were 
not 
really 
seeking 
to 
strike 
a 
fair 
balance 
between 
the 
applicants� 
interests 
and 
any 
opposing 
interests, 
whatever 
these 
might 
have 
been�, Dissenting opinion, Corte 
EDU, Paradiso e 
Campanelli 
v. Italy, Grande 
Camera, 24 
gennaio 2017, ric. n. 25358/12, cit. 
(69) 
Considerazione 
evidenziata 
anche 
dai 
giudici 
minoritari 
nell�opinione 
dissenziente, 
Corte 
EDU, Paradiso e 
Campanelli 
v. Italy, Grande 
Camera, 24 gennaio 2017, .ic. n. 25358/12, cit. �We 
consider 
that 
in these 
circumstances 
it 
cannot 
be 
said that 
the 
domestic 
courts 
sufficiently 
addressed the 
impact that the removal would have on the child�s well-being�. 

RASSEGNA 
AvvoCATURA 
DELLo 
STATo - N. 1/2017 


Le 
medesime 
considerazioni 
giuridiche 
hanno 
portato 
le 
Autorit� 
italiane 
ad escludere 
la 
possibilit� 
di 
lasciare 
il 
minore 
in affidamento alla 
coppia 
in 
vista 
di 
una 
adozione. Non un accenno � 
stato fatto se 
fosse 
o meno nell�interesse 
del 
minore 
lo 
sviluppo 
del 
rapporto 
parentale 
di 
fatto 
instaurato 
fra 
la 
coppia 
e 
il 
minore, 
consentendone 
la 
prosecuzione 
sotto 
un�adeguata 
veste 
giuridica. In merito, appare 
sfuggente 
il 
punto in cui 
la 
Grande 
Camera 
ha 
riconosciuto 
che 
la 
legge 
italiana 
consentirebbe 
di 
derogare 
al 
prescritto limite 
di 
et� 
per l�adozione, ma 
ha 
ritenuto non censurabile 
la 
scelta 
delle 
Autorit� 
giurisdizionali 
italiane 
di 
non 
prendere 
in 
considerazione 
tale 
ipotesi 
nelle 
circostanze 
del 
caso 
di 
specie, 
senza 
indicare 
perch� 
essa 
non 
fosse 
appunto 
censurabile 
(70). Ci� a 
meno di 
non voler intendere 
che, visto il 
comportamento 
dei 
ricorrenti 
contrario 
alla 
legge 
italiana, 
non 
possa 
essere 
rimproverato 
ai 
giudici di aver omesso l�esame di questa (non meritata) opzione. 

In 
realt�, 
questi 
rilievi 
osservati 
sembrano 
omissioni 
piuttosto 
importanti 
nei 
procedimenti 
davanti 
ai 
giudici 
nazionali, 
poich� 
proprio 
in 
questi 
processi 
deve 
essere 
data 
la 
massima 
rilevanza 
all�interesse 
superiore 
del 
minore. 
Pertanto, 
si 
concorda 
con 
i 
giudici 
Lazarova 
Trajakovska, 
Bianku, 
Laffrancque, 
Lemmens 
e 
Grozev 
nel 
ritenere 
che 
le 
Autorit� 
italiane 
non 
abbiano 
tenuto 
sufficientemente 
conto 
dell�impatto 
che 
la 
separazione 
cos� 
come 
il 
proseguimento 
della 
relazione 
genitoriale 
con 
la 
coppia 
avrebbero 
potuto 
avere 
sul 
benessere 
del 
bambino. 


Infatti, il 
superiore 
interesse 
del 
minore 
ҏ, con certezza, diritto fondamentale 
che 
gode 
sia 
di 
una 
prospettiva 
sostanziale, 
direttamente 
rivolta 
a 
garantire 
le 
relazioni 
familiari 
del 
minore 
che 
di 
un�ulteriore 
dimensione 
di 
natura processuale. Quest�ultima costituisce 
la garanzia prima della protezione 
effettiva di 
quella sostanziale, di 
guisa che 
in tanto il 
preminente 
interesse 
del 
minore 
pu� 
dirsi 
salvaguardato, 
in 
quanto 
�nel 
processo� 
venga 
garantita 
un�adeguata 
ponderazione 
di 
tutti 
gli 
interessi 
in 
gioco 
e, 
fra 
questi, 
di 
quello del 
minore� 
(71). Superiore 
interesse 
che 
si 
delinea 
poi 
anche 
parametro 
interpretativo 
delle 
norme 
legislative 
(72) 
e 
che 
in 
generale 
opera 
come 
clausola 
generale 
con �un�accentuata vocazione 
a fungere 
da valvola di 
sicu


(70) 
�214. 
moreover, 
apart 
from 
the 
illegality 
of 
the 
applicants�conduct, 
the 
Government 
pointed 
out 
that 
they 
had exceeded the 
age 
limit 
for 
adoption laid down in section 6 of 
the 
adoption act, namely 
a maximum 
difference 
in age 
of 
forty-five 
years 
in respect 
of 
one 
adopting parent 
and fifty-five 
years 
in 
respect 
of 
the 
second. the 
Court 
observes 
that 
the 
law authorises 
the 
courts 
to make 
exceptions 
from 
these 
age-limits. In the 
circumstances 
of 
the 
present 
case, the 
domestic 
courts 
cannot 
be 
reproached for 
failing 
to 
consider 
that 
option� 
Corte 
EDU, 
Paradiso 
e 
Campanelli 
v. 
Italy, 
Grande 
Camera, 
24 
gennaio 
2017, ric. n. 25358/12, cit. 
(71) CoNTI 
R., alla ricerca degli 
anelli 
di 
una catena, in Dirittoequestionipubbliche.it, 2015 consultabile 
sul 
sito 
http://www.dirittoequestionipubbliche.org/page/2015_n15-1/01_mono_06-Conti.pdf. 
Sul 
carattere 
fondamentale 
di 
tale 
diritto, insistono, d�altra 
parte, tanto le 
giurisdizioni 
sovranazionali 
v. 
Corte 
dir. 
Uomo, 
Grande 
Camera, 
6 
luglio 
2010, 
Neulinger 
e 
shuruk 
c. 
svizzera 
-che 
quelle 
nazionali 
(Corte cost. n. 7/2013). 
(72) Corte cost. n. 308/2008, in tema di assegnazione della casa coniugale. 

CoNTENzIoSo 
CoMUNITARIo 
ED 
INTERNAzIoNALE 


rezza 
elastica 
capace 
di 
impedire 
che, 
nelle 
fattispecie 
concrete, 
l�applicazione 
di 
una disposizione 
normativa o di 
un provvedimento giurisdizionale 
possano 
determinare un nocumento al minore� 
(73). 


Conclusioni. 


Quanto 
emerso 
in 
questa 
sede, 
conferma 
l�opinione 
gi� 
espressa 
in 
merito 
alla 
valutazione 
fatta 
dalla 
seconda 
sezione 
della 
Corte 
EDU 
con la 
sentenza 
del 
2015 (74), condividendo, in particolare, che 
gli 
elementi 
sui 
cui 
i 
giudici 
italiani 
hanno fondato la 
decisione 
di 
allontanare 
il 
bambino dai 
coniugi 
non 
fossero sufficienti, per ritenere questa misura proporzionata (75). 


Tuttavia, 
non 
si 
pu� 
non 
tenere 
conto 
che 
non 
� 
sicuramente 
agevole 
valutare 
la 
proporzionalit� 
delle 
misure 
adottate 
dalle 
Autorit� 
nazionali, 
in 
un 
contesto 
come 
quello 
in 
oggetto 
in 
cui 
sussiste, 
oltre 
ad 
una 
diversit� 
di 
discipline 
nei 
diversi 
ordinamenti 
nazionali, 
spesso 
anche 
una 
divergenza 
di 
tempi 
tra 
il 
diritto 
giurisprudenziale 
e 
il 
diritto 
politico 
(o 
meglio 
legislativo) 
(76). 
Si 
vedano, 
ad 
esempio, 
proprio 
le 
tematiche 
della 
gestazione 
per 
altri, 
del 
riconoscimento 
del 
certificato 
di 
nascita 
prodotto 
all�estero 
a 
seguito 
di 
ricorso 
a 
tale 
pratica 
o 
all�adozione 
del 
minore 
da 
parte 
del 
compagno 
del 
genitore 
biologico 
per 
le 
coppie 
omosessuali 
e 
alla 
rilevanza 
dei 
legami 
familiari 
�sociali�. 


Inoltre, ogni 
fattispecie 
presenta 
peculiarit� 
(e 
questa 
ne 
presenta 
senza 
dubbio) 
che 
possono 
avere 
come 
conseguenza 
quella 
di 
portare 
a 
soluzioni 
diverse, 
pur 
applicando 
quegli 
stessi 
principi 
che 
anche 
la 
Grande 
Camera 
man


(73) CoNTI 
R., alla ricerca degli 
anelli 
di 
una catena, in 
Dirittoequestionipubbliche.it, 2015, cit. 
(74) 
BRUGIoTTI 
E., 
maternit� 
surrogata. 
Il 
rifiuto 
di 
registrazione 
dell�atto 
di 
nascita 
nella 
giurisprudenza 
della 
Corte 
edu 
e 
alcune 
conseguenze 
applicative 
nell�ordinamento 
italiano 
(e 
non 
solo), 
cit. 
(75) 
�86. 
tenuto 
conto 
di 
questi 
fattori, 
la 
Corte 
non 
� 
convinta 
del 
carattere 
adeguato 
degli 
elementi 
sui 
quali 
le 
autorit� 
si 
sono 
basate 
per 
concludere 
che 
il 
minore 
doveva 
essere 
preso 
in 
carico 
dai 
servizi 
sociali. 
Ne 
deriva 
che 
le 
autorit� 
italiane 
non 
hanno 
mantenuto 
il 
giusto 
equilibrio 
che 
deve 
sussistere 
tra 
gli 
interessi 
in 
gioco�, 
Paradiso 
Campanelli 
c. 
Italia, 
27 
gennaio 
2015, 
ric. 
n. 
25358/12, 
cit. 
Medesima 
conclusione 
anche 
quella 
dei 
giudici 
Lazarova 
Trajakovska, 
Bianku, 
Laffrancque, 
Lemmens 
e 
Grozev 
nell�opinione 
dissenziente: 
�In 
our 
opinion, 
it 
has 
not 
been 
shown 
that 
the 
Italian 
authorities 
struck 
the 
fair 
balance 
that 
had 
to 
be 
maintained 
between 
the 
competing 
interests 
at 
stake�, 
opinione 
dissenziente, 
Corte 
EDU, 
Paradiso 
e 
Campanelli 
v. 
Italy, 
Grande 
Camera, 
24 
gennaio 
2017, 
ric. 
n. 
25358/12 
cit. 
(76) 
In 
un 
ambiente 
segnato 
cio� 
da 
forti 
ritardi 
ed 
evidenti 
carenze 
del 
legislatore 
nel 
farsi 
carico 
di 
una 
efficace 
tutela 
dei 
diritti 
fondamentali 
(non 
solo 
dei 
�nuovi�, 
specie 
di 
quelli 
maggiormente 
legati 
allo 
sviluppo 
scientifico 
e 
tecnologico, 
ma 
anche 
dei 
vecchi, 
pure 
bisognosi 
di 
rinnovate 
regolazioni 
al 
passo 
coi 
tempi), 
si 
assiste 
all�emersione 
dei 
giudici 
quali 
operatori 
istituzionali 
specificamente 
preposti 
ad 
offrire 
quella 
tutela, 
pur 
nei 
limiti 
del 
ruolo 
che 
� 
loro 
proprio. 
Cos� 
RUGGERI 
A., 
Dialogo 
tra 
le 
Corti 
e 
tecniche 
decisorie, 
a 
tutela 
dei 
diritti 
fondamentali, 
I 
Quaderni 
europei, 
n. 
56, 
dicembre 
2013, 
consultabile 
sul 
sito 
http://www.cde.unict.it/sites/default/files/Quaderno%20europeo_
59_dicembre_2013.pdf; 
dello stesso autore, linguaggio del 
legislatore 
e 
linguaggio dei 
giudici, a 
garanzia dei 
diritti 
fondamentali, Consulta online, Fasc. III, 2015 cit.; 
ancora 
si 
veda 
AA.vv., la tutela 
dei 
diritti 
fondamentali 
tra diritto politico e 
diritto giurisprudenziale: �casi 
difficili� 
alla prova, a 
cura 
di 
CAvINo 
M., TRIPoDINA 
C., Milano 2012; 
RoMBoLI 
R., del 
quale 
v., tra 
i 
molti 
suoi 
contributi, I diritti 
fondamentali 
tra 
diritto 
politico 
e 
diritto 
giurisprudenziale, 
in 
Quad. 
21/seminario 
2010, 
a 
cura 
del-
l�Associazione per gli studi e le ricerche parlamentari, Torino 2012, p. 131 ss. 

RASSEGNA 
AvvoCATURA 
DELLo 
STATo - N. 1/2017 


tiene 
in 
ogni 
caso 
fermi. 
Peraltro, 
l�insistenza 
con 
cui 
nella 
pronuncia 
la 
Corte 
EDU 
ha 
voluto sottolineare 
di 
volersi 
attenere 
strettamente 
al 
caso concreto 
ed 
alle 
misure 
adottate 
dalle 
Autorit�, 
cos� 
come 
il 
volerlo 
differenziare 
rispetto 
ai 
leading case 
in materia 
(es. i 
casi 
mennesonn c. Francia 
(77) e 
labassee 
c. 
Francia 
(78)) fanno ragionevolmente 
supporre 
che, in altre 
condizioni, probabilmente 
la soluzione sarebbe stata diversa. 

In questi 
termini, tra 
l�altro, pare 
essere 
stata 
recepita 
anche 
dalla 
prima 
giurisprudenza 
italiana 
(79), anche 
se 
indubbiamente 
saranno necessarie 
altre 
pronunce 
sia 
della 
Corte 
di 
Strasburgo sia 
dei 
giudici 
italiani 
(e 
non) per valutare 
l�effettiva portata di questa decisione. 


Ad 
ogni 
modo, 
in 
questa 
sede 
si 
� 
cercato 
di 
evidenziare 
alcuni 
profili 
critici 
che 
la 
sentenza 
della 
Grande 
Camera 
� 
sembrata 
presentare. 
Cos�, 
ad 
esempio, 
non 
si 
� 
condivisa 
l�applicazione 
ristretta 
della 
nozione 
di 
vita 
familiare 
adottata 
in 
questo 
caso. 
Sebbene, 
infatti, 
la 
Corte 
EDU 
non 
abbia 
inserito 
la 
considerazione 
dell�origine 
(se 
legale 
o 
meno 
e 
se 
biologica 
o 
meno) 
dell�instaurazione 
della 
convivenza 
fra 
i 
criteri 
per 
valutare 
la 
sussistenza 
di 
una 
vita 
familiare, 
come 
invece 
suggerito 
dai 
giudici 
Spano 
e 
Raimondi 
(80), 
questi 
parametri 
sono 
parsi 
avere 
fin 
troppa 
rilevanza 
nella 
valutazione 
sostanziale 
fatta 
dalla 
Grande 
Camera. 


� 
un dato evidente, come 
gi� 
evidenziato, che 
la 
genitorialit� 
non � 
pi� 
solo 
ed 
esclusivamente 
quella 
fondata 
sul 
legame 
genetico. 
La 
scissione 
tra 
filiazione 
genetica 
e 
filiazione 
giuridica, prima 
riscontrabile 
solo nell�istituto 
dell�adozione, � 
diventata 
il 
risultato di 
un pi� ampio processo evolutivo, al 
quale 
contribuiscono anche 
le 
nuove 
tecniche 
di 
riproduzione 
assistita. Da 
un 
lato, attraverso la 
procreazione 
assistita 
di 
tipo eterologo - ora 
consentita 
nel 
nostro 
ordinamento 
in 
seguito 
all�intervento 
della 
Corte 
costituzionale 
(81) 
che 
ha 
dichiarato illegittimo il 
divieto - nei 
casi 
di 
infertilit� 
si 
pu� divenire 
genitori 
senza 
aver dato il 
proprio contributo genetico, ma 
con l�apporto di 
un 
donatore 
esterno alla 
coppia. D�altro lato, si 
� 
affermato, specialmente 
nelle 
attuali 
famiglie 
allargate 
o ricomposte, e 
trova 
riconoscimento da 
parte 
della 
giurisprudenza 
(82) 
la 
figura 
del 
�genitore 
sociale�, 
che 
si 
prende 
cura 
del 
minore 
in 
senso 
morale 
e 
materiale, 
svolgendo 
un 
ruolo 
genitoriale 
e 
costituendo 
un riferimento significativo affettivo ed educativo. 

(77) mennesson c. Francia, Corte EDU Sez. v, 26 giugno 2014, ric. n. 65941/11, cit. 
(78) labassee c. Francia, Corte EDU Sez. v, 26 giugno 2014, ric. n. 65192/11, cit. 
(79) Corte d�Appello di 
Trento, 23 febbraio 2017, cit. 
(80) 
Nell�opinione 
parzialmente 
dissenziente 
allegata 
alla 
sentenza 
Corte 
EDU, 
Paradiso 
e 
Campanelli 
v. 
Italy, 
Grande 
Camera, 
27 
gennaio 
2015, 
ric. 
n. 
25358/12, 
consultabile 
in 
inglese 
sul 
sito 
http://hudoc.echr.coe.int/eng#{%22languageisocode%22:[%22eNG%22],%22appno%22:[%2225358/ 
12%22],%22documentcollectionid2%22:[%22CHamBer%22],%22itemid%22:[%22001151056%
22]}. 
(81) Corte 
cost., 10 giugno 2014, n. 162, consultabile 
sul 
sito www.cortecostituzionale.it/actionschedaPronuncia.
do?anno=2014&numero=162. 
(82) Ma si � visto anche nella normativa, si veda la l. n. 175/2015 cit. 

CoNTENzIoSo 
CoMUNITARIo 
ED 
INTERNAzIoNALE 


La 
decisione 
giudiziale 
- che 
sia 
l�adozione 
da 
parte 
del 
partner 
del 
genitore 
biologico 
o 
il 
riconoscimento 
dello 
status 
di 
figlio 
conseguito 
all�estero 
o, anche, la 
semplice 
continuazione 
di 
un rapporto preesistente 
basato sugli 
affetti 
- deve 
essere 
guidata 
esclusivamente 
dal 
raggiungimento dell�interesse 
del 
minore 
(83). 
Non 
importa, 
quindi, 
se 
questo 
sia 
nato 
da 
un 
progetto 
voluto 
e 
attuato insieme 
dalla 
coppia, all�estero, attraverso l�utilizzazione 
delle 
tecniche 
di 
procreazione 
assistita, o che 
sia 
nato da 
una 
precedente 
relazione; 
ci� 
che 
rileva 
� 
che 
la 
persona 
che 
si 
comporta 
come 
genitore 
dia 
piena 
realizzazione 
ai 
diritti 
del 
minore 
all�amore 
e 
alla 
protezione 
e 
costituisca 
per questo 
una 
figura 
fondamentale 
nella 
vita 
del 
bambino. In questi 
procedimenti, dunque, 
la 
scelta 
delle 
misure 
da 
adottare 
nei 
confronti 
del 
minore 
non dovrebbe 
fondarsi su politiche volte a scoraggiare/punire condotte tenute dagli adulti. 

Inoltre, � 
vero che 
in materia 
come 
quella 
delle 
scelte 
procreative 
� 
riconosciuto 
agli 
Stati 
membri 
un ampio margine 
di 
apprezzamento, ma 
questo si 
dovrebbe 
arrestare, 
come 
visto, 
di 
fronte 
al 
superiore 
interesse 
del 
minore 
(che 
sia 
o 
meno 
ricorrente 
in 
prima 
persona 
nel 
procedimento). 
Il 
riferimento 
al 
carattere 
superiore, infatti, sembra 
porre 
tale 
valore 
per ci� stesso al 
di 
sopra 
di 
altri 
valori 
concorrenti 
che 
andrebbero 
posti 
su 
un 
gradino 
inferiore, 
dovendosi 
nel 
conflitto 
dare 
comunque 
spazio 
alla 
prevalenza 
del 
primo 
sul 
secondo 
(84). 
In 
ogni 
caso, 
il 
riconoscimento 
del 
margine 
di 
apprezzamento 
di 
ciascuno 
Stato 
membro non pu� arrivare 
al 
punto di 
consentire 
un�efficacia 
extraterritoriale 
della 
legge 
nazionale, configurando illecita 
l�attivit� 
della 
coppia 
compiuta 
in 
un Paese dove tale pratica � perfettamente lecita (85). 

In 
questo 
caso, 
poi, 
avrebbe 
potuto 
giocare 
forse 
un 
ruolo 
pi� 
significativo 
l�interpretazione 
che 
di 
quelle 
norme 
d� 
la 
giurisprudenza 
nazionale, soprattutto 
le 
Corti 
superiori. 
In 
particolare, 
come 
si 
� 
indicato, 
in 
tema 
di 
definizione 
di 
ordine 
pubblico, di 
rilevanza 
dei 
rapporti 
parentali 
di 
fatto, di 
scissione 
tra 
filiazione 
genetica 
e 
filiazione 
giuridico sociale 
(86), di 
non illiceit� 
di 
com


(83) Per questo fine 
deve 
essere 
preceduta 
da 
accurate 
indagini 
sociali 
e 
psicologiche 
volte 
principalmente 
a 
verificare 
l�idoneit� 
affettiva 
e 
la 
capacit� 
educativa 
di 
chi 
ha 
svolto e 
svolger� 
il 
ruolo genitoriale, 
oltre alla situazione personale, economica e familiare. 
(84) CoNTI 
R., alla ricerca degli 
anelli 
di 
una catena, in Dirittoequestionipubbliche.it, 2015, cit. 
A 
tal 
riguardo si 
veda 
Corte 
cost. n. 198/1986 in cui 
viene 
riconosciuto il 
potere 
del 
giudice 
di 
valutare 
�il 
superiore 
interesse 
del 
minore: in vista del 
quale 
la legge, in determinate 
situazioni, abbandona le 
soluzioni 
rigide, prevedendo che 
la valutazione 
[...] 
sia effettuata in concreto dal 
giudice 
nell�esclusivo 
interesse del minore�, consultabile sul sito http://www.giurcost.org/decisioni/1986/0198s-86.html 


(85) Corte di Cassazione, sentenza n. 13525 del 5 aprile 2016, cit. 
(86) 
�Nel 
quadro 
legislativo 
attuale, 
il 
concetto 
di 
discendenza 
non 
ha, 
dunque, 
riguardo 
soltanto 
ad un fatto genetico, ma assume 
una connotazione 
giuridico-sociale, dal 
momento che, oltre 
al 
legame 
biologico fra genitori 
e 
figlio, viene 
conferita dignit� anche 
ad un legame 
di 
genitorialit� in assenza di 
una 
relazione 
genetica, 
in 
quanto 
conseguente 
al 
ricorso 
alle 
tecniche 
di 
fecondazione 
artificiale 
(omologa 
o eterologa) secondo la disciplina fissata dalla citata l. n. 40, come 
modificata dal 
Giudice 
costituzionale 
con 
la 
sentenza 
n. 
162 
del 
2014. 
Il 
nostro 
ordinamento 
riconosce 
dunque, 
in 
parallelo 
al 
concetto di 
genitorialit� biologica, anche 
un concetto di 
genitorialit� legale�, Corte 
di 
Cassazione, se

RASSEGNA 
AvvoCATURA 
DELLo 
STATo - N. 1/2017 


portamenti 
praticati 
all�estero, di 
bilanciamento degli 
interessi 
in materia 
di 
gestazione 
per altri 
quando � 
coinvolto l�interesse 
di 
un minore 
(87), ci 
sono 
stati 
rilevanti 
mutamenti 
in 
questi 
ultimi 
anni. 
Questi 
si 
sono 
mostrati 
non 
solo 
a 
livello di 
Tribunali 
ordinari, ma 
anche 
come 
si 
� 
visto da 
parte 
della 
Corte 
Costituzionale 
e 
soprattutto 
della 
Corte 
di 
Cassazione 
(88). 
Tuttavia, 
gli 
stessi 
rimangono 
sullo 
sfondo 
rispetto 
alle 
interpretazioni 
date 
nelle 
singole 
sentenze 
che 
hanno deciso il 
caso concreto e 
alle 
osservazioni 
presentate 
dal 
Governo; 
mentre 
avrebbero potuto essere 
rilevanti 
nel 
valutare 
soprattutto la 
proporzionalit� 
delle 
misure 
adottate 
dalle 
Autorit�, 
in 
base 
agli 
elementi 
posti 
da 
queste 
a fondamento dei provvedimenti adottati. 


Infine, non pu� non sottolinearsi 
che 
questi 
cambiamenti 
nella 
giurisprudenza 
nazionale 
sono stati 
spesso la 
conseguenza 
proprio del 
recepimento di 
principi 
sanciti 
dai 
Giudici 
di 
Strasburgo. Si 
deve 
ribadire, infatti, che 
senza 
le 
previsioni 
della 
CEDU 
(ed 
in 
generale 
delle 
Carte 
di 
origine 
sovranazionale) 
e, soprattutto, dell�opera 
dei 
giudici 
non nazionali, molti 
diritti 
non avrebbero 
ottenuto pieno riconoscimento e 
tutela 
o quantomeno l�avrebbero avuto con 
tempi 
molto 
diversi. 
Si 
condivide, 
quindi, 
quanto 
osservato 
da 
autorevole 
dottrina 
secondo cui 
molte 
conquiste 
di 
civilt� 
si 
devono a 
quest�opera 
che 
si 
� 
estesa 
a 
moltissimi 
campi, 
specialmente 
riguardo 
ai 
nuovi 
diritti. 
�Non 
vՏ 
questione 
eticamente 
sensibile 
in cui 
la mano dei 
giudici 
extranazionali 
non 


zione 
vI penale, sentenza 
17 novembre 
2016, n. 48696, cit. Non si 
ignora 
poi 
una 
precedente 
sentenza 
della 
Corte 
di 
Cassazione 
24001/14, che 
ha 
confermato la 
decisione 
dei 
giudici 
di 
merito di 
dare 
in adozione 
un 
bambino 
nato 
da 
gestazione 
per 
altri 
all�estero 
e 
privo 
di 
alcun 
legame 
biologico 
con 
la 
coppia. 
Tuttavia, in quel 
caso i 
ricorrenti 
erano ricorsi 
a 
tale 
pratica 
senza 
utilizzare 
volontariamente 
il 
proprio 
materiale 
genetico, 
cosa 
che 
aveva 
anche 
reso 
non 
legale 
il 
procedimento 
di 
gestazione 
per 
altri 
nel 
paese 
estero (Ucraina, la 
quale 
ammetterebbe 
le 
tecniche 
di 
surrogazione 
di 
maternit� 
a 
condizione 
che 
almeno 
il 
50% 
del 
patrimonio 
genetico 
del 
nascituro 
provenga 
dalla 
coppia 
committente). 
Inoltre, 
in 
Italia 
la 
coppia 
era 
stata 
dichiarata 
per tre 
volte 
non idonea 
all�adozione 
per �grosse 
difficolt� nella elaborazione 
di 
una 
sana 
genitorialit� 
adottiva�. 
Il 
che 
non 
pu� 
che 
confermare 
come 
il 
superiore 
interesse 
del 
minore 
deve 
essere 
sempre 
accertato in concreto. La 
sentenza 
� 
consultabile 
sul 
sito http://www.biodiritto.
org/index.php/item/571-cassazione-surrogata. 

(87) 
Soggetto 
che 
non 
ha 
partecipato 
a 
quella 
scelta 
e 
non 
pu� 
quindi 
subirne 
in 
alcun 
modo 
gli 
effetti, 
anche 
se 
questi 
sono 
finalizzati 
a 
scoraggiare 
la 
pratica 
all�estero 
di 
quello 
che 
� 
vietato 
in 
Italia. 
(88) 
Si 
vedano 
le 
citate 
Corte 
di 
Cassazione, 
III 
sezione 
civile, 
sentenza 
19405/2013; 
Corte 
di 
Cassazione 
sentenza 
19599/2016; 
Corte 
costituzionale 
con 
la 
sentenza 
5 
ottobre 
2016, 
n. 
225; 
per 
i 
giudici 
di 
merito 
fra 
le 
tante 
la 
Corte 
d�Appello 
di 
Trento, 
23 
febbraio 
2017 
(cit.) 
e 
ancora 
i 
due 
recentissimi 
decreti 
del 
7 
e 
8 
marzo 
2017 
del 
Trib. 
min. 
Firenze 
di 
riconoscimento 
di 
due 
sentenze 
straniere 
di 
adozione 
di 
minori 
residenti 
in 
quegli 
Stati 
da 
parte 
di 
due 
coppie 
di 
uomini, 
aventi 
la 
cittadinanza 
italiana 
e 
residenti 
da 
tempo 
nello 
stato 
estero, 
consultabili 
rispettivamente 
sul 
sito 
http://www.articolo29.
it/wp-content/uploads/2017/03/trib-min-fi-1.pdf 
e 
http://www.articolo29.it/wp-content/uploads/
2017/03/trib-min-fi-2.pdf; 
ancora, 
ordinanza 
CdA 
Napoli, 
30 
marzo 
2016, 
consultabile 
sul 
sito 
http://www.articolo29.it/corte-dappello-di-napoli-sentenza-del-30-marzo-2016/; 
sentenza 
CdA 
Roma, 
Sez. min., 23 dicembre 
2015, n. 7127, consultabile 
sul 
sito 
http://www.articolo29.it/wp-content/uploads/
2015/12/seNteNza-Corte-aPPello-roma-23-12-15.pdf; 
Trib. 
Palermo 
decr., 
13 
aprile 
2015 
(cit); 
Sentenza 
Trib. 
min. 
Roma, 
30 
luglio 
2014, 
n. 
299, 
consultabile 
sul 
sito 
http://www.articolo29.it/wpcontent/
uploads/2014/08/trib-min-roma-30-7-2014.pdf. 

CoNTENzIoSo 
CoMUNITARIo 
ED 
INTERNAzIoNALE 


abbia 
avuto 
modo 
di 
lasciare 
un 
segno 
marcato, 
che 
ha 
incoraggiato 
e 
sovente 
orientato ed influenzato, anche 
in significativa misura, l�intraprendenza dei 
giudici nazionali� 
(89). 


Pertanto, 
al 
di 
l� 
del 
singolo 
caso 
concreto 
oggetto 
di 
queste 
note, 
non 
pu� che 
guardarsi 
positivamente 
nel 
complesso al 
�benefico dinamismo giurisprudenziale� 
(90), 
frutto 
di 
un 
dialogo 
intergiurisprudenziale 
(91) 
che 
si 
spera 
si 
sviluppi 
in 
modo 
costruttivo 
da 
entrambi 
le 
parti, 
per 
diventare 
sempre 
pi� un valore aggiunto nella tutela effettiva dei diritti (92). 

(89) Cos� 
RUGGERI 
A., linguaggio del 
legislatore 
e 
linguaggio dei 
giudici, a garanzia dei 
diritti 
fondamentali, Consulta online, Fasc. III, 2015, Estratto pag. 783, a 
cui 
si 
rinvia 
anche 
per indicazioni 
sull�ampia 
letteratura 
in argomento, consultabile 
sul 
sito 
http://www.giurcost.org/studi/ruggeri52.pdf; 
tra 
cui 
si 
veda 
CoNTI 
R. 
I 
giudici 
ed 
il 
biodiritto. 
Un 
esame 
concreto 
dei 
casi 
difficili 
e 
del 
ruolo 
del 
giudice 
di 
merito, 
della 
Cassazione 
e 
delle 
Corti 
europee, 
Aracne, 
Roma 
2014; 
D�AMICo 
M., 
opportunit� 
e 
limiti 
del 
diritto 
giurisprudenziale 
in 
relazione 
alle 
problematiche 
dell�inizio 
della 
vita 
(i 
casi 
della 
procreazione 
medicalmente 
assistita 
e 
dell�interruzione 
volontaria 
di 
gravidanza), 
in 
www.forumcostituzionale.it, 20 luglio 2015, e, della 
stessa, pure 
ivi, ora, le 
questioni 
�eticamente 
sensibili� 
fra scienza, giudici 
e 
legislatore; 
CoNTI 
R., alla ricerca del 
ruolo dell�art. 8 della Convenzione 
europea 
dei 
diritti 
dell�uomo, 
in 
Pol. 
dir., 
2013,127 
ss.; 
dello 
stesso 
autore 
sulle 
unioni 
e 
adozioni 
per 
le 
coppie 
omosessuali, 
la 
giurisprudenza 
della 
Corte 
europea 
dei 
diritti 
dell�uomo 
e 
dei 
giudici 
di 
merito, 
consultabile 
sul 
sito 
http://www.cde.unict.it/sites/default/files/files/r_%20Conti_la%20giurisprudenza%20della 
%20Corte%20europea%20dei%20diritti%20dell%27uomo%20e%20dei%20giudici%20di%20merito.pdf 
(90) CARTABIA 
M., I diritti 
in europa: la prospettiva della giurisprudenza costituzionale 
italiana, 
in riv. trim. dir. pubbl., 1/2015, pag. 30. 
(91) 
Cfr. 
AA.vv., 
Crisi 
dello 
stato 
nazionale, 
dialogo 
intergiurisprudenziale, 
tutela 
dei 
diritti 
fondamentali, 
a 
cura 
di 
D�ANDREA 
L., 
MoSCHELLA 
G., 
RUGGERI 
A., 
SAITTA 
A., 
Giappichelli, 
Torino 
2015; 
RUGGERI 
A., 
Crisi 
dello 
stato 
nazionale, 
dialogo 
intergiurisprudenziale, 
tutela 
dei 
diritti 
fondamentali: 
notazioni 
introduttive, 
nel 
vol. 
coll. 
da 
ultimo 
cit., 
nonch� 
in 
Consulta 
online, 
2014, 
24 
novembre 
2014. 
La 
questione 
del 
dialogo 
fra 
le 
Corti 
e 
i 
giudizi 
nazionali 
� 
oggetto 
da 
tempo 
di 
inteso 
confronto 
dottrinale, 
del 
quale 
non 
pu� 
rendersene 
conto 
in 
queste 
note 
a 
margine 
della 
sentenza 
della 
Corte 
EDU. 
Per 
un 
inquadramento 
generale 
si 
rinvia 
a 
MALFATTI 
E., 
I 
''livelli'' 
di 
tutela 
dei 
diritti 
fondamentali 
nella 
dimensione 
europea, 
Giappichelli, 
sec. 
ed., 
2015; 
RUGGERI 
A. 
Dialogo 
tra 
Corti 
europee 
e 
giudici 
nazionali, 
alla 
ricerca 
della 
tutela 
pi� 
intensa 
dei 
diritti 
fondamentali 
(con 
specifico 
riguardo 
alla 
materia 
penale 
e 
processuale), 
in 
Dirittifondamentali.it, 
2013, 
consultabile 
sul 
sito 
http://www.di-
rittifondamentali.it/unicas_df/attachments/article/148/ruggeri_%e2%80%9CDialogo%e2%80%9D% 
20tra%20Corti%20europee%20e%20giudici%20nazionali.pdf 
; 
Il 
diritto 
europeo 
nel 
dialogo 
delle 
Corti, 
a 
cura 
di 
CoSIo 
R., 
FoGLIA 
R., 
Milano 
2013; 
GIovANNETTI 
T., 
PASSAGLIA 
P., 
la 
Corte 
ed 
i 
rapporti 
tra 
diritto 
interno 
e 
diritto 
sovranazionale, 
in 
AA.vv., 
aggiornamenti 
in 
tema 
di 
processo 
costituzionale 
(2011-2013), 
a 
cura 
di 
RoMBoLI 
R., 
Giappichelli, 
Torino 
2014, 
389 
ss.; 
RUGGERI 
A., 
sei 
tesi 
in 
tema 
di 
diritti 
fondamentali 
e 
della 
loro 
tutela 
attraverso 
il 
�dialogo� 
tra 
Corti 
europee 
e 
Corti 
nazionali, 
in 
www.federalismi.it, 
18/2014; 
per 
un�analisi 
critica 
sull�impatto 
che 
la 
giurisprudenza 
della 
Corte 
europea 
di 
Strasburgo 
ha 
sulle 
modalit� 
e 
sui 
risultati 
della 
protezione 
dei 
diritti 
negli 
ordinamenti 
e, 
in 
particolare 
in quello italiano, sostenendo che 
tale 
impatto costituisca 
una 
delle 
cause 
dell�attuale 
crisi 
dei 
diritti, 
non dando per scontata 
l�equazione 
�pi� diritti 
= pi� giustizia�, si 
rinvia 
a 
TEGA 
D., I diritti 
in crisi 
- tra 
Corti nazionali e Corte europea di strasburgo, Giuffr�, 2012. 
(92) 
In 
tal 
senso 
potranno 
avere 
un 
ruolo 
rilevante 
gli 
strumenti 
operanti 
con 
il 
Protocollo 
d�intesa 
e 
con la 
richiesta 
di 
pareri 
consultivi 
alla 
Corte 
di 
Strasburgo da 
parte 
delle 
pi� alte 
giurisdizioni 
nazionali, 
previsti 
nel 
Protocollo n. 16 alla 
CEDU. Quanto al 
primo � 
stato firmato l�11 dicembre 
2015 dal 
Primo 
Presidente 
della 
Corte 
di 
Cassazione 
ed 
il 
Presidente 
della 
Corte 
europea 
dei 
diritti 
dell'uomo 
(iniziativa 
intrapresa 
poco 
prima 
anche 
con 
la 
Corte 
di 
Cassazione 
ed 
il 
Consiglio 
di 
Stato 
francesi). 
Nella 
circolare 
del 
Segretario generale 
della 
Corte 
di 
Cassazione 
in attuazione 
del 
Protocollo d�intesa 

RASSEGNA 
AvvoCATURA 
DELLo 
STATo - N. 1/2017 


Corte 
Europea 
dei 
diritti 
dell'Uomo, 
Grande 
Camera, 
sentenza 
24 
gennaio 
2017 
(*) 
-ricorso 
n. 
25358/12 
-Causa 
Paradiso 
e 
Campanelli 
c. 
italia 
-Pres. 
Luis 
L�pez 
Guerra, 
Giudici 
Guido 
Raimondi, 
Mirjana 
Lazarova 
Trajkovska, 
Angelika 
Nu�berger, 
vincent 
A. 
De 
Gaetano, 
Khanlar 
Hajiyev, 
Ledi 
Bianku, 
Julia 
Laffranque, 
Paulo 
Pinto 
de 
Albuquerque, 
Andr� 
Potocki, 
Paul 
Lemmens, 
Helena 
J�derblom, 
Krzysztof 
Wojtyczek, 
valeriu 
Gri.co, 
Dmitry 
Dedov, Yonko Grozev, S�ofra o�Leary. 
(...) 


ii. il diritto E la Prassi intErni PErtinEnti 
a. il diritto italiano 
1. la legge sul diritto internazionale privato 
57. 
Ai 
sensi 
dell'articolo 
33 
della 
legge 
n. 
218 
del 
1995 
sul 
sistema 
italiano 
di 
diritto 
internazionale 
privato, 
la 
filiazione 
� 
determinata 
dalla 
legge 
nazionale 
del 
figlio 
al 
momento 
della 
nascita. 
2. la legge per la semplificazione dell�ordinamento dello stato civile 
58. Il 
decreto del 
Presidente 
della 
Repubblica 
del 
3 novembre 
2000 n. 396 (legge 
per la 
semplificazione 
dell�ordinamento 
dello 
stato 
civile) 
prevede 
che 
le 
dichiarazioni 
di 
nascita 
relative 
a 
cittadini 
italiani 
rese 
all'estero devono essere 
trasmesse 
alle 
autorit� 
consolari 
(articolo 15). 
Le 
autorit� 
consolari 
trasmettono copia 
degli 
atti 
ai 
fini 
della 
trascrizione 
all�ufficiale 
dello 
stato civile 
del 
comune 
in cui 
l'interessato intende 
stabilire 
la 
propria 
residenza 
(articolo 17). 
Gli 
atti 
formati 
all'estero 
non 
possono 
essere 
trascritti 
se 
sono 
contrari 
all'ordine 
pubblico 
(articolo 
18). Affinch� 
essi 
producano i 
loro effetti 
in Italia, i 
provvedimenti 
emessi 
all�estero 
pronunciati 
in materia 
di 
capacit� 
delle 
persone 
o di 
esistenza 
di 
rapporti 
familiari 
(�) non 
devono essere contrari all'ordine pubblico (articolo 65). 
3. la legge n. 40 del 19 febbraio 2004 sulla procreazione medicalmente assistita 
59. L�articolo 4 di 
questa 
legge 
prevedeva 
il 
divieto di 
ricorrere 
alla 
tecniche 
di 
procreazione 
medicalmente 
assistita 
di 
tipo eterologo. Il 
mancato rispetto di 
questa 
norma 
comportava 
una 
sanzione amministrativa pecuniaria da 300.000 EUR a 600.000 EUR. 
60. La 
Corte 
costituzionale 
ha 
dichiarato l�incostituzionalit� 
di 
queste 
disposizioni 
nella 
misura 
in cui 
il 
divieto riguardava 
una 
coppia 
eterosessuale 
cui 
sia 
stata 
diagnosticata 
una 
patologia 
che sia causa di sterilit� assolute ed irreversibili. 
61. In questa 
stessa 
sentenza, la 
Corte 
costituzionale 
ha 
dichiarato che 
il 
divieto della 
surrogazione 
di 
maternit�, prevista 
dall�articolo 12, comma 
6, della 
legge, � 
invece 
legittimo. Tale 
disposizione 
punisce 
chiunque 
realizzi, 
organizzi 
o 
pubblicizzi 
la 
commercializzazione 
di 
gasi 
legge: 
�la 
possibilit� 
di 
confronto 
diretto 
consentir� 
di 
accelerare 
e 
migliorare 
i 
meccanismi 
di 
emersione 
ed inclusione 
della giurisprudenza della Corte 
dei 
diritti 
umani 
nell�ordinamento nazionale, offrendo 
altres� 
l�opportunit� 
di 
un 
interscambio 
sui 
�conflitti� 
gi� 
in 
atto 
o 
potenziali, 
che 
sono 
destinati 
a 
presentarsi 
rispetto 
a 
casi 
concreti, 
favorendo 
la 
comprensione 
piena 
delle 
rispettive 
posizioni, 
ancora 
una 
volta 
nel 
pieno 
rispetto 
dell�autonomia 
delle 
due 
Istituzioni 
giudiziarie�. 
Entrambi 
sono 
consultabili 
su 
http://www.penalecontemporaneo.it/upload/1456162578attuazione_del_protocollo_d_intesa-4.pdf. 
Il 
protocollo 
n. 
16 
alla 
CEDU, 
adottato 
il 
2 
ottobre 
2013, 
� 
consultabile 
sul 
sito 
http://www.echr.coe.int/Documents/Protocol_16_Ita.pdf, 
lo 
stato 
delle 
firme 
e 
delle 
ratifiche 
pu� 
essere 
consultato 
sul 
sito 
http://www.coe.int/en/web/conventions/full-list/-/conventions/treaty/214/signatures 


(*) 
Traduzione 
della 
sentenza 
a 
cura 
del 
Ministero 
della 
Giustizia, 
Direzione 
generale 
degli 
affari 
giuridici 
e 
legali, eseguita e 
rivista da Rita Carnevali, assistente 
linguistico, e 
dalla dott.ssa Martina 
Scantamburlo, 
funzionario 
linguistico, 
con 
la 
collaborazione 
della 
dott.ssa 
Daniela 
Riga, 
funzionario 
linguistico. 



CoNTENzIoSo 
CoMUNITARIo 
ED 
INTERNAzIoNALE 


meti 
o di 
embrioni 
o la 
surrogazione 
di 
maternit�. Le 
sanzioni 
previste 
sono la 
reclusione 
(da 
tre mesi a due anni) e una multa da 600.000 EUR a 1.000.000 EUR. 


62. 
Con 
la 
sentenza 
n. 
96 
del 
5 
giugno 
2015, 
la 
Corte 
costituzionale 
si 
� 
nuovamente 
pronunciata 
sul 
divieto 
di 
ricorrere 
alle 
tecniche 
di 
procreazione 
eterologa 
e 
ha 
dichiarato 
tali 
disposizioni 
incostituzionali 
nei 
confronti 
delle 
coppie 
fertili 
portatrici 
di 
gravi 
malattie 
genetiche 
trasmissibili. 
4. le disposizioni pertinenti in materia di adozione 
63. 
Le 
disposizioni 
relative 
alla 
procedura 
di 
adozione 
sono 
contenute 
nella 
legge 
n. 
184/1983, 
dal titolo �Diritto del minore a una famiglia�, come modificata dalla legge n. 149 del 2001. 
Secondo l'articolo 2, il 
minore 
che 
� 
rimasto temporaneamente 
senza 
un ambiente 
familiare 
idoneo pu� essere 
affidato ad un'altra 
famiglia 
che 
abbia, se 
possibile, altri 
figli 
minori, o a 
una 
persona 
singola, 
o 
a 
una 
comunit� 
di 
tipo 
familiare, 
al 
fine 
di 
assicurargli 
il 
mantenimento, 
l'educazione 
e 
l'istruzione. 
Nel 
caso 
in 
cui 
non 
fosse 
possibile 
un 
affidamento 
familiare 
idoneo, 
� 
consentito l�inserimento del 
minore 
in un istituto di 
assistenza 
pubblico o privato, preferibilmente 
nel luogo di residenza del minore. 
L'articolo 5 prevede 
che 
la 
famiglia 
o la 
persona 
alla 
quale 
il 
minore 
� 
affidato debbano provvedere 
al 
suo 
mantenimento 
e 
alla 
sua 
educazione 
e 
istruzione 
tenendo 
conto 
delle 
indicazioni 
del 
tutore 
ed osservando le 
prescrizioni 
stabilite 
dall'autorit� 
giudiziaria. In ogni 
caso, la 
famiglia 
di 
accoglienza 
esercita 
la 
responsabilit� 
genitoriale 
in relazione 
agli 
ordinari 
rapporti 
con la 
scuola 
e 
il 
servizio sanitario nazionale. La 
famiglia 
di 
accoglienza 
deve 
essere 
sentita 
nel procedimento di affidamento e in quello che riguarda la dichiarazione di adottabilit�. 
L�articolo 
6 
della 
legge 
prevede 
dei 
limiti 
di 
et� 
per 
adottare. 
La 
differenza 
fra 
l�et� 
del 
minore 
e 
quella 
degli 
adottanti 
deve 
essere 
di 
almeno diciotto anni 
e 
al 
massimo di 
quarantacinque 
anni, 
tale 
limite 
pu� 
essere 
portato 
a 
cinquantacinque 
anni 
per 
il 
secondo 
adottante. 
Il 
tribunale 
per i 
minorenni 
pu� derogare 
a 
tali 
limiti 
di 
et� 
se 
ritiene 
che 
la 
mancata 
adozione 
del 
minore 
sarebbe pregiudizievole per quest�ultimo. 
Peraltro, l'articolo 7 prevede 
che 
l'adozione 
� 
consentita 
a 
favore 
dei 
minori 
dichiarati 
in stato 
di adottabilit�. 
L'articolo 8 prevede 
che 
�possono essere 
dichiarati 
in stato di 
adottabilit� 
dal 
tribunale 
per i 
minorenni, 
anche 
d'ufficio, 
(�) 
i 
minori 
di 
cui 
sia 
accertata 
la 
situazione 
di 
abbandono 
perch� 
privi 
di 
assistenza 
morale 
e 
materiale 
da 
parte 
dei 
genitori 
o dei 
parenti 
tenuti 
a 
provvedervi, 
purch� 
la 
mancanza 
di 
assistenza 
non sia 
dovuta 
a 
causa 
di 
forza 
maggiore 
di 
carattere 
transitorio
�. �La 
situazione 
di 
abbandono sussiste�, prosegue 
l'articolo 8, �(�) anche 
quando i 
minori 
si 
trovino presso istituti 
di 
assistenza 
(�) o siano in affidamento familiare�. Infine, 
questa 
disposizione 
prevede 
che 
la 
causa 
di 
forza 
maggiore 
non 
sussista 
se 
i 
genitori 
o 
gli 
altri 
parenti 
tenuti 
a 
provvedere 
al 
minore 
rifiutano le 
misure 
di 
sostegno offerte 
dai 
servizi 
sociali 
locali 
e 
se 
tale 
rifiuto 
viene 
ritenuto 
ingiustificato 
dal 
giudice. 
La 
situazione 
di 
abbandono 
pu� essere 
segnalata 
all�autorit� 
pubblica 
da 
ogni 
cittadino e 
pu� essere 
rilevata 
d'ufficio dal 
giudice. D'altra 
parte, ogni 
funzionario pubblico, nonch� 
la 
famiglia 
del 
minore, che 
siano a 
conoscenza 
dello 
stato 
di 
abbandono 
di 
quest'ultimo, 
sono 
obbligati 
a 
farne 
denuncia. 
Peraltro, 
gli 
istituti 
di 
assistenza 
devono informare 
regolarmente 
l'autorit� 
giudiziaria 
della 
situazione 
dei minori collocati presso di loro (articolo 9). 
L'articolo 10 prevede 
poi 
che 
il 
tribunale 
possa 
disporre, fino all�affidamento preadottivo del 
minore 
alla 
famiglia 
di 
accoglienza, 
ogni 
opportuno 
provvedimento 
provvisorio 
nell'interesse 
del minore, compresa eventualmente la sospensione della potest� genitoriale. 
Gli 
articoli 
da 
11 a 
14 prevedono una 
indagine 
volta 
chiarire 
la 
situazione 
del 
minore 
e 
a 
stabilire 
se 
quest'ultimo si 
trovi 
in uno stato di 
abbandono. In particolare, l'articolo 11 dispone 

RASSEGNA 
AvvoCATURA 
DELLo 
STATo - N. 1/2017 


che 
quando 
dalle 
indagini 
risulta 
che 
il 
minore 
non 
ha 
rapporti 
con 
alcun 
parente 
entro 
il 
quarto 
grado, 
il 
tribunale 
provvede 
a 
dichiarare 
lo 
stato 
di 
adottabilit� 
salvo 
che 
esistano 
istanze di adozione ai sensi dell'articolo 44. 
Al 
termine 
del 
procedimento 
previsto 
da 
questi 
ultimi 
articoli, 
se 
lo 
stato 
di 
abbandono 
ai 
sensi 
dell'articolo 
8 
persiste, 
il 
tribunale 
per 
i 
minorenni 
dichiara 
lo 
stato 
di 
adottabilit� 
del 
minore 
se: 
a) 
i 
genitori 
o 
gli 
altri 
parenti 
non 
si 
sono 
presentati 
nel 
corso 
del 
procedimento; 
b) 
la 
loro 
audizione 
ha 
dimostrato 
il 
persistere 
della 
mancanza 
di 
assistenza 
morale 
e 
materiale 
nonch� 
la 
non 
disponibilit� 
degli 
interessati 
ad 
ovviarvi; 
c) 
le 
prescrizioni 
impartite 
ai 
sensi 
dell'articolo 
12 
sono 
rimaste 
inadempiute 
per 
responsabilit� 
dei 
genitori 
(articolo 
15). 
L'articolo 
15 
prevede 
anche 
che 
la 
dichiarazione 
dello 
stato 
di 
adottabilit� 
sia 
disposta 
dal 
tribunale 
per 
i 
minorenni 
in 
camera 
di 
consiglio 
con 
decreto 
motivato, 
sentito 
il 
pubblico 
ministero, 
nonch� 
il 
rappresentante 
dell'istituto 
presso 
cui 
il 
minore 
� 
stato 
ricoverato 
o 
la 
sua 
eventuale 
famiglia 
di 
accoglienza, 
il 
tutore 
e 
il 
minore 
stesso 
se 
abbia 
compiuto 
i 
dodici 
anni 
o, 
se 
� 
pi� 
giovane, 
se 
sia 
necessaria 
la 
sua 
audizione. 
L'articolo 
17 
prevede 
che 
l�opposizione 
al 
provvedimento 
sullo 
stato 
di 
adottabilit� 
del 
minore 
debba 
essere 
depositata 
entro 
trenta 
giorni 
a 
partire 
dalla 
data 
della 
comunicazione 
alla 
parte 
ricorrente. 
L'articolo 19 prevede 
che 
durante 
lo stato di 
adottabilit� 
sia 
sospeso l�esercizio della 
potest� 
genitoriale. 
L'articolo 
20 
prevede 
infine 
che 
lo 
stato 
di 
adottabilit� 
cessi 
nel 
momento 
in 
cui 
il 
minore 
� 
adottato 
o 
se 
quest'ultimo 
diventa 
maggiorenne. 
Peraltro, 
lo 
stato 
di 
adottabilit� 
pu� 
essere 
revocato, 
d'ufficio 
o 
su 
richiesta 
dei 
genitori 
o 
del 
pubblico 
ministero, 
se 
le 
condizioni 
previste 
dall'articolo 
8 
sono 
state 
nel 
frattempo 
revocate. 
Tuttavia, 
se 
il 
minore 
� 
stato 
dato 
in 
affidamento 
preadottivo 
ai 
sensi 
degli 
articoli 
da 
22 
a 
24, 
lo 
stato 
di 
adottabilit� 
non 
pu� 
essere 
revocato. 


64. L'articolo 44 prevede 
alcuni 
casi 
di 
adozione 
speciale: 
l'adozione 
� 
possibile 
per i 
minori 
che 
non 
sono 
stati 
ancora 
dichiarati 
adottabili. 
In 
particolare, 
l'articolo 
44 
d) 
prevede 
l'adozione 
quando � impossibile procedere a un affidamento preadottivo. 
65. L'articolo 37bis 
di 
questa 
legge 
prevede 
che 
ai 
minori 
stranieri 
che 
si 
trovano in Italia 
in 
situazione 
di 
abbandono si 
applichi 
la 
legge 
italiana 
in materia 
di 
adozione, di 
affidamento e 
di provvedimenti necessari in caso di urgenza. 
66. Le 
persone 
che 
desiderano adottare 
un bambino straniero devono rivolgersi 
a 
enti 
autorizzati 
per la 
ricerca 
di 
un minore 
(articolo 31) e 
alla 
Commissione 
per le 
adozioni 
internazionali 
(articolo 38). Quest�ultima 
� 
l�unico organo competente 
per autorizzare 
l�ingresso e 
la 
residenza 
permanente 
del 
minore 
straniero in Italia 
(articolo 32). Una 
volta 
che 
il 
minore 
� 
arrivato in Italia, il 
tribunale 
per i 
minorenni 
ordina 
la 
trascrizione 
del 
provvedimento di 
adozione 
nel registro dello stato civile. 
67. Ai 
sensi 
dell�articolo 72 della 
legge, chiunque 
- in violazione 
delle 
disposizioni 
di 
cui 
al 
paragrafo 66 supra 
- introduce 
nel 
territorio dello Stato uno straniero minore 
di 
et� 
per procurarsi 
denaro 
o 
altra 
utilit�, 
e 
perch� 
il 
minore 
sia 
definitivamente 
affidato 
a 
cittadini 
italiani, 
commette 
un reato punibile 
con la 
reclusione 
da 
uno a 
tre 
anni. Tale 
pena 
si 
applica 
anche 
a 
coloro che, in cambio di 
denaro o altra 
utilit�, accolgono stranieri 
minori 
di 
et� 
in �affidamento
� con carattere 
di 
definitivit�. La 
condanna 
per tale 
violazione 
comporta 
l�inidoneit� 
a 
ottenere affidamenti e l�incapacit� all�ufficio tutelare. 
5. il ricorso per cassazione previsto dall�articolo 111 della Costituzione 
68. 
Ai 
sensi 
dell'articolo 
111, 
comma 
7, 
della 
Costituzione 
italiana, 
� 
sempre 
ammesso 
ricorso 
in cassazione 
per violazione 
di 
legge 
contro i 
provvedimenti 
giudiziari 
aventi 
ad oggetto le 
restrizioni 
della 
libert� 
personale. La 
Corte 
di 
cassazione 
ha 
esteso il 
campo di 
applicazione 
di 
questo rimedio ai 
procedimenti 
civili 
quando la 
decisione 
da 
contestare 
ha 
un impatto so

CoNTENzIoSo 
CoMUNITARIo 
ED 
INTERNAzIoNALE 


stanziale 
su alcune 
situazioni 
(decisoria) e 
non pu� essere 
modificata 
o revocata 
dallo stesso 
giudice che l'ha pronunciata (definitiva). 
I provvedimenti 
con i 
quali 
il 
tribunale 
per i 
minorenni 
dispone 
misure 
urgenti 
nei 
confronti 
di 
un minore 
in stato di 
abbandono adottati 
in base 
all�articolo 10 della 
legge 
sull�adozione 
(articoli 
330 
e 
seguenti 
del 
codice 
civile, 
742 
del 
codice 
di 
procedura 
civile) 
sono 
modificabili 
e 
revocabili 
e 
possono essere 
oggetto di 
reclamo dinanzi 
alla 
corte 
d�appello. Trattandosi 
di 
provvedimenti 
che 
possono 
essere 
modificati 
e 
revocati 
in 
qualsiasi 
momento, 
non 
� 
ammesso 
il ricorso per cassazione (Cassazione civile, Sez. I, sentenza del 18.10.2012, n. 17916). 


6. la legge che ha istituito i tribunali per i minorenni 
69. Il 
regio decreto n. 1404 del 
1934, convertito nella 
legge 
n. 835 del 
1935, ha 
istituito i 
tribunali 
per i minorenni. Tale legge ha subito ulteriori modifiche in seguito. 
Ai 
sensi 
del 
suo articolo 2, il 
tribunale 
per i 
minorenni 
� 
composto da 
un magistrato di 
corte 
d'appello, che 
lo presiede, da 
un magistrato di 
tribunale 
e 
da 
due 
cittadini, un uomo ed una 
donna, benemeriti, dell'assistenza 
sociale, scelti 
fra 
i 
cultori 
di 
biologia, di 
psichiatria, di 
antropologia 
criminale, di pedagogia, di psicologia. 
B. la giurisprudenza della Corte di cassazione 
1. Giurisprudenza antecedente all�udienza dinanzi alla Grande Camera 
70. La 
Corte 
di 
cassazione 
(Sezione 
I, sentenza 
n. 24001 del 
26 settembre 
2014) si 
� 
pronunciata 
in 
una 
causa 
civile 
relativa 
a 
due 
cittadini 
italiani 
che 
si 
erano 
recati 
in 
Ucraina 
per 
avere 
un figlio mediante 
una 
surrogazione 
di 
maternit�. La 
Corte 
di 
cassazione 
ha 
ritenuto che 
la 
decisione 
di 
disporre 
l�affidamento del 
minore 
fosse 
conforme 
alla 
legge. Avendo constatato 
l�assenza 
di 
legami 
biologici 
tra 
il 
minore 
e 
gli 
aspiranti 
genitori, ne 
ha 
dedotto che 
la 
situazione 
controversa 
era 
illegale 
rispetto al 
diritto ucraino, in quanto quest�ultimo esigeva 
che 
vi fosse un legame biologico con uno degli aspiranti genitori. Dopo avere rammentato che il 
divieto di 
surrogazione 
di 
maternit� 
era 
sempre 
vigente 
in Italia, l�alta 
giurisdizione 
ha 
spiegato 
che 
il 
divieto di 
tale 
pratica 
nel 
diritto italiano era 
di 
natura 
penale 
e 
aveva 
lo scopo di 
proteggere 
la 
dignit� 
umana 
della 
gestante 
e 
l�istituto 
dell�adozione. 
Essa 
ha 
aggiunto 
che 
solo un�adozione 
regolare, riconosciuta 
dalla 
legge, rendeva 
possibile 
una 
genitorialit� 
non 
fondata 
sul 
legame 
biologico, e 
ha 
dichiarato che 
la 
valutazione 
dell�interesse 
del 
minore 
veniva 
operata 
a 
monte 
dalla 
legge, e 
che 
il 
giudice 
non dispone 
in questa 
materia 
di 
alcuna 
discrezionalit�. 
Ne 
ha 
concluso 
che 
non 
poteva 
esserci 
conflitto 
con 
l�interesse 
del 
minore 
quando il 
giudice 
applicava 
la 
legge 
nazionale 
e 
non teneva 
conto della 
filiazione 
stabilita 
all�estero 
in seguito a una surrogazione di maternit�. 
2. Giurisprudenza posteriore all�udienza dinanzi alla Grande Camera 
71. La 
Corte 
di 
cassazione 
(Sezione 
v, sentenza 
n. 13525 del 
5 aprile 
2016) si 
� 
pronunciata 
nell�ambito 
di 
un 
procedimento 
penale 
avviato 
nei 
confronti 
di 
due 
cittadini 
italiani 
che 
si 
erano 
recati 
in 
Ucraina 
per 
concepire 
un 
figlio 
ricorrendo 
a 
una 
donatrice 
di 
ovuli 
e 
a 
una 
madre 
surrogata. La 
legge 
ucraina 
esige 
che 
uno dei 
due 
genitori 
sia 
il 
genitore 
biologico. La 
sentenza 
di 
assoluzione 
pronunciata 
in 
primo 
grado 
era 
stata 
impugnata 
in 
cassazione 
dal 
pubblico 
ministero. 
L�alta 
giurisdizione 
ha 
rigettato 
il 
ricorso 
del 
pubblico 
ministero, 
confermando 
cos� 
l�assoluzione, fondata 
sulla 
constatazione 
che 
i 
ricorrenti 
non avevano violato l�articolo 
12 c. 6 della 
legge 
n. 40 del 
19 febbraio 2004 sulla 
procreazione 
medicalmente 
assistita 
in 
quanto avevano fatto ricorso a 
una 
tecnica 
di 
procreazione 
assistita 
che 
era 
legale 
nel 
paese 
in 
cui 
era 
stata 
praticata. 
Inoltre, 
la 
Corte 
di 
cassazione 
ha 
ritenuto 
che 
il 
fatto 
che 
gli 
imputati 
avessero 
presentato 
alle 
autorit� 
italiane 
un 
certificato 
di 
nascita 
straniero 
non 
fosse 
costitutivo 
del 
reato 
di 
�falsa 
dichiarazione 
sull�identit�� 
(articolo 
495 
del 
codice 
penale) 
o 
di 
�alterazione 

RASSEGNA 
AvvoCATURA 
DELLo 
STATo - N. 1/2017 


di 
stato� (articolo 567 del 
codice 
penale), dal 
momento che 
il 
certificato in questione 
era 
legittimo 
rispetto al diritto del paese che lo aveva rilasciato. 


72. La 
Corte 
di 
cassazione 
(Sezione 
I, sentenza 
n. 12962/14 del 
22 giugno 2016) si 
� 
pronunciata 
in una 
causa 
civile 
in cui 
la 
ricorrente 
aveva 
chiesto di 
poter adottare 
il 
figlio della 
sua 
compagna. Le 
due 
donne 
si 
erano recate 
in Spagna 
allo scopo di 
ricorrere 
a 
tecniche 
di 
procreazione 
assistita 
vietate 
in Italia. Una 
di 
loro era 
la 
�madre� ai 
sensi 
del 
diritto italiano, 
il 
liquido 
seminale 
proveniva 
da 
un 
donatore 
ignoto. 
La 
ricorrente 
aveva 
vinto 
la 
causa 
in 
primo 
e 
secondo 
grado. 
Adita 
dal 
pubblico 
ministero, 
l�alta 
giurisdizione 
ha 
rigettato 
il 
ricorso 
di 
quest�ultimo 
ed 
ha 
cos� 
accettato 
che 
un 
figlio 
nato 
grazie 
a 
tecniche 
di 
procreazione 
assistita 
all�interno 
di 
una 
coppia 
di 
donne 
fosse 
adottato 
da 
quella 
che 
non 
l�aveva 
partorito. 
Per 
giungere 
a 
tale 
conclusione 
la 
Corte 
di 
cassazione 
ha 
tenuto conto del 
legame 
affettivo stabile 
esistente 
tra 
la 
ricorrente 
e 
il 
figlio, 
nonch� 
dell�interesse 
del 
minore. 
La 
Corte 
ha 
utilizzato 
l�articolo 44 della legge sull�adozione, che prevede casi particolari di adozione. 
C. il diritto russo 
73. All�epoca 
dei 
fatti, ossia 
fino a 
febbraio 2011, quando � 
nato il 
figlio, l�unica 
legge 
pertinente 
in vigore 
era 
il 
codice 
della 
famiglia 
del 
29 dicembre 
1995. Quest�ultimo disponeva 
che 
una 
coppia 
sposata 
era 
riconosciuta 
come 
coppia 
di 
genitori 
di 
un 
figlio 
nato 
da 
una 
madre 
surrogata, quando quest�ultima 
dava 
il 
suo consenso scritto (articolo 51 comma 
4 del 
codice 
della 
famiglia). Il 
codice 
della 
famiglia 
non si 
pronunciava 
sulla 
questione 
di 
stabilire 
se, in 
caso 
di 
gestazione 
per 
conto 
terzi, 
gli 
aspiranti 
genitori 
debbano 
o 
meno 
avere 
un 
legame 
biologico 
con il 
minore. Neanche 
il 
decreto di 
applicazione 
n. 67 adottato nel 
2003 e 
rimasto in 
vigore fino al 2012 si pronunciava a questo proposito. 
74. 
Successivamente 
alla 
nascita 
del 
figlio, 
la 
legge 
fondamentale 
sulla 
protezione 
della 
salute 
dei 
cittadini, 
adottata 
il 
21 
novembre 
2011 
ed 
entrata 
in 
vigore 
il 
1� 
gennaio 
2012, 
ha 
introdotto 
delle 
disposizioni 
per regolamentare 
le 
attivit� 
mediche, comprese 
le 
procreazioni 
assistite. 
Nel 
suo articolo 55, tale 
legge 
definisce 
la 
maternit� 
surrogata 
come 
la 
gestazione 
e 
consegna 
del 
figlio sulla 
base 
di 
contratto concluso dalla 
madre 
surrogata 
e 
dagli 
aspiranti 
genitori 
che 
hanno fornito il materiale genetico loro appartenente. 
Il 
decreto n. 107 adottato il 
30 agosto 2012 dal 
Ministro della 
Sanit� 
definisce 
la 
gestazione 
per conto terzi 
come 
un contratto stipulato tra 
la 
madre 
surrogata 
e 
gli 
aspiranti 
genitori 
che 
hanno utilizzato il loro materiale genetico per il concepimento. 
iii. diritto E strUmEnti intErnazionali PErtinEnti 
a. 
la 
Convenzione 
dell�aja 
riguardante 
l�abolizione 
della 
legalizzazione 
di 
atti 
pubblici 
stranieri 
75. 
La 
Convenzione 
dell'Aja 
riguardante 
l�abolizione 
della 
legalizzazione 
di 
atti 
pubblici 
stranieri 
� 
stata 
conclusa 
il 
5 
ottobre 
1961. 
Essa 
si 
applica 
agli 
atti 
pubblici 
-cos� 
come 
definiti 
dall'articolo 
1 
-che 
sono 
stati 
redatti 
sul 
territorio 
di 
uno 
Stato 
contraente 
e 
che 
devono 
essere 
prodotti sul territorio di un altro Stato contraente. 
Articolo 2 
�Ciascuno 
Stato 
contraente 
dispensa 
dalla 
legalizzazione 
gli 
atti 
cui 
si 
applica 
la 
presente 
Convenzione 
e 
che 
devono 
essere 
prodotti 
sul 
suo 
territorio. 
La 
legalizzazione 
ai 
sensi 
della 
presente 
Convenzione 
concerne 
solo 
la 
formalit� 
mediante 
la 
quale 
gli 
agenti 
diplomatici 
o 
consolari 
del 
paese, 
sul 
cui 
territorio 
l�atto 
deve 
essere 
prodotto, 
attestano 
l�autenticit� 
della 
firma, 
la 
qualifica 
della 
persona 
che 
ha 
sottoscritto 
l�atto 
e, 
ove 
occorra, 
l�autenticit� 
del 
sigillo 
o 
del 
bollo 
apposto 
a 
questo 
atto.� 
Articolo 3 

CoNTENzIoSo 
CoMUNITARIo 
ED 
INTERNAzIoNALE 


�L�unica 
formalit� 
che 
possa 
essere 
richiesta 
per 
attestare 
l�autenticit� 
della 
firma, 
la 
qualifica 
della 
persona 
che 
ha 
sottoscritto l�atto e, ove 
occorra, l�autenticit� 
del 
sigillo o del 
bollo apposto 
a 
questo atto, � 
l�apposizione 
dell�apostille 
di 
cui 
all�articolo 4, rilasciata 
dall�autorit� 
competente dello Stato dal quale emana il documento.� 
Articolo 5 
�L�apostille 
� 
apposta 
su richiesta 
del 
firmatario o del 
portatore 
dell�atto. Debitamente 
compilata, 
essa 
attesta 
l�autenticit� 
della 
firma, la 
qualifica 
della 
persona 
che 
ha 
sottoscritto l�atto 
e, ove 
occorra, l�autenticit� 
del 
sigillo o del 
bollo apposto a 
questo atto. La 
firma, il 
sigillo o 
il bollo che figurano sull�apostille sono dispensati da qualsiasi attestazione�. 
Dal 
rapporto esplicativo della 
suddetta 
Convenzione 
risulta 
che 
l�apostille 
non attesta 
la 
veridicit� 
del 
contenuto 
dell�atto 
sottostante. 
Tale 
limitazione 
degli 
effetti 
giuridici 
derivanti 
dalla 
Convenzione 
dell�Aja 
ha 
lo 
scopo 
di 
preservare 
il 
diritto 
degli 
Stati 
firmatari 
di 
applicare 
le 
proprie 
regole 
in materia 
di 
conflitti 
di 
leggi 
quando devono decidere 
sul 
peso da 
attribuire 
al contenuto del documento apostillato. 


B. la Convenzione delle nazioni Unite sui diritti del fanciullo 
76. Le 
disposizioni 
pertinenti 
della 
Convenzione 
delle 
Nazioni 
Unite 
sui 
diritti 
del 
fanciullo, 
conclusa a New 
York il 20 novembre 1989, recitano: 
Preambolo 
�Gli Stati parte alla presente Convenzione, 
(...) 
Convinti 
che 
la 
famiglia, 
unit� 
fondamentale 
della 
societ� 
e 
ambiente 
naturale 
per 
la 
crescita 
e 
il 
benessere 
di 
tutti 
i 
suoi 
membri 
e 
in 
particolare 
dei 
fanciulli, 
deve 
ricevere 
la 
protezione 
e 
l'assistenza 
di 
cui 
necessita 
per 
poter 
svolgere 
integralmente 
il 
suo 
ruolo 
nella 
collettivit�, 
Riconoscendo 
che 
il 
fanciullo, 
ai 
fini 
dello 
sviluppo 
armonioso 
e 
completo 
della 
sua 
personalit� 
deve 
crescere 
in 
un 
ambiente 
familiare 
in 
un 
clima 
di 
felicit�, 
di 
amore 
e 
di 
comprensione, 
(...) 
Hanno convenuto quanto segue: 
(...) 
Articolo 3 
1. 
In 
tutte 
le 
decisioni 
relative 
ai 
fanciulli, 
di 
competenza 
delle 
istituzioni 
pubbliche 
o 
private 
di 
assistenza 
sociale, 
dei 
tribunali, 
delle 
autorit� 
amministrative 
o 
degli 
organi 
legislativi, 
l'interesse 
superiore del fanciullo deve essere una considerazione preminente. 
(...) 
Articolo 7 
1. Il 
fanciullo � 
registrato immediatamente 
al 
momento della 
sua 
nascita 
e 
da 
allora 
ha 
diritto 
(�) a conoscere i suoi genitori e a essere allevato da essi. 
(...) 
Articolo 9 
1. Gli 
Stati 
parti 
vigilano affinch� 
il 
fanciullo non sia 
separato dai 
suoi 
genitori 
contro la 
loro 
volont� (...). 
Articolo 20 
1. ogni 
fanciullo il 
quale 
� 
temporaneamente 
o definitivamente 
privato del 
suo ambiente 
familiare 
oppure 
che 
non 
pu� 
essere 
lasciato 
in 
tale 
ambiente 
nel 
suo 
proprio 
interesse, 
ha 
diritto 
a una protezione e ad aiuti speciali dello Stato. 
2. 
Gli 
Stati 
parti 
prevedono 
per 
questo 
fanciullo 
una 
protezione 
sostitutiva, 
in 
conformit� 
con 
la loro legislazione nazionale. 

RASSEGNA 
AvvoCATURA 
DELLo 
STATo - N. 1/2017 


3. 
Tale 
protezione 
sostitutiva 
pu� 
in 
particolare 
concretizzarsi 
per 
mezzo 
dell'affidamento 
familiare, 
della 
Kafalah 
di 
diritto 
islamico, 
dell'adozione 
o 
in 
caso 
di 
necessit�, 
del 
collocamento 
in 
adeguati 
istituti 
per 
l'infanzia. 
Nell'effettuare 
una 
selezione 
tra 
queste 
soluzioni, 
si 
terr� 
debitamente 
conto della 
necessit� 
di 
una 
certa 
continuit� 
nell'educazione 
del 
fanciullo, nonch� 
della sua origine etnica, religiosa, culturale e linguistica. 
Articolo 21 
Gli 
Stati 
parti 
che 
ammettono 
e/o 
autorizzano 
l'adozione, 
si 
accertano 
che 
l'interesse 
superiore 
del fanciullo sia la considerazione fondamentale in materia, e: 
a) vigilano affinch� 
l'adozione 
di 
un fanciullo sia 
autorizzata 
solo dalle 
Autorit� 
competenti 
le 
quali 
verificano, in conformit� 
con la 
legge 
e 
con le 
procedure 
applicabili 
e 
in base 
a 
tutte 
le 
informazioni 
affidabili 
relative 
al 
caso 
in 
esame, 
che 
l'adozione 
pu� 
essere 
effettuata 
in 
considerazione 
della 
situazione 
del 
bambino 
in 
rapporto 
al 
padre 
e 
alla 
madre, 
genitori 
e 
tutori 
legali 
e 
che, ove 
fosse 
necessario, le 
persone 
interessate 
hanno dato il 
loro consenso all'adozione 
in cognizione di causa, dopo aver acquisito i pareri necessari; 
b) 
Riconoscono 
che 
l'adozione 
all'estero 
pu� 
essere 
presa 
in 
considerazione 
come 
un 
altro 
mezzo 
per 
garantire 
le 
cure 
necessarie 
al 
fanciullo, 
qualora 
quest'ultimo 
non 
possa 
essere 
affidato 
a 
una 
famiglia 
affidataria 
o 
adottiva 
oppure 
essere 
allevato 
in 
maniera 
adeguata 
nel 
paese 
d'origine; 
c) vigilano, in caso di 
adozione 
all'estero, affinch� 
il 
fanciullo abbia 
il 
beneficio di 
garanzie 
e norme equivalenti a quelle esistenti per le adozioni nazionali; 
d) Adottano ogni 
adeguata 
misura 
per vigilare 
affinch�, in caso di 
adozione 
all'estero, il 
collocamento 
del 
fanciullo non diventi 
fonte 
di 
profitto materiale 
indebito per le 
persone 
che 
ne 
sono responsabili; 
e) perseguono le 
finalit� 
del 
presente 
articolo stipulando accordi 
o intese 
bilaterali 
o multilaterali 
a 
seconda 
dei 
casi, e 
si 
sforzano in questo contesto di 
vigilare 
affinch� 
le 
sistemazioni 
di fanciulli all'estero siano effettuate dalle autorit� o dagli organi competenti. 
(...)� 
77. Nel 
suo Commento generale 
n. 7 (2005) sull�attuazione 
dei 
diritti 
del 
fanciullo nella 
primissima 
infanzia, il 
Comitato sui 
diritti 
dell�infanzia 
ha 
inteso incoraggiare 
gli 
Stati 
parti 
a 
riconoscere 
che 
i 
bambini 
in tenera 
et� 
godono di 
tutti 
i 
diritti 
sanciti 
dalla 
Convenzione 
sui 
diritti 
del 
fanciullo e 
che 
la 
prima 
infanzia 
� 
un periodo determinante 
per la 
realizzazione 
di 
tali diritti. Il Comitato evoca in particolare l�interesse superiore del minore: 
�13. 
L�articolo 
3 
della 
Convenzione 
sancisce 
il 
principio 
secondo 
il 
quale 
l�interesse 
superiore 
del 
minore 
� 
una 
considerazione 
fondamentale 
in 
tutte 
le 
decisioni 
riguardanti 
i 
minori. 
A 
causa 
della 
loro 
relativa 
mancanza 
di 
maturit�, 
i 
bambini 
in 
tenera 
et� 
dipendono 
dalle 
autorit� 
competenti 
che 
definiscono 
i 
loro 
diritti 
e 
il 
loro 
interesse 
superiore 
e 
li 
rappresentano 
quando 
prendono 
decisioni 
e 
adottano 
provvedimenti 
che 
pregiudicano 
il 
loro 
benessere, pur 
tenendo 
conto del 
loro parere 
e 
dello sviluppo delle 
loro capacit�. Il 
principio dell�interesse 
superiore 
del 
minore 
� 
menzionato molte 
volte 
nella 
Convenzione 
(in particolare 
negli 
articoli 
9, 18, 
20 e 
21, che 
sono i 
pi� pertinenti 
per quanto concerne 
la 
prima 
infanzia). Questo principio si 
applica 
a 
tutte 
le 
decisioni 
riguardanti 
i 
minori 
e 
deve 
essere 
accompagnato 
da 
misure 
efficaci 
volte 
a 
tutelarne 
i 
diritti 
e 
a 
promuoverne 
la 
sopravvivenza, la 
crescita 
e 
il 
benessere, nonch� 
misure 
volte 
a 
sostenere 
e 
aiutare 
i 
genitori 
e 
le 
altre 
persone 
che 
hanno la 
responsabilit� 
di 
concretizzare giorno dopo giorno i diritti del minore: 
a) Interesse 
superiore 
del 
minore 
in quanto individuo. In qualsiasi 
decisione 
che 
riguarda 
in 
particolare 
la 
custodia, la 
salute 
o l�educazione 
di 
un minore, tra 
cui 
le 
decisioni 
prese 
dai 
genitori, 
dai 
professionisti 
che 
si 
occupano dei 
minori 
e 
da 
altre 
persone 
che 
si 
assumono re

CoNTENzIoSo 
CoMUNITARIo 
ED 
INTERNAzIoNALE 


sponsabilit� 
nei 
confronti 
di 
questi 
ultimi, 
deve 
essere 
preso 
in 
considerazione 
il 
principio 
dell�interesse 
superiore 
del 
minore. Gli 
Stati 
parti 
sono vivamente 
pregati 
di 
adottare 
disposizioni 
affinch� 
i 
minori 
in tenera 
et� 
siano rappresentati 
in maniera 
indipendente, in tutte 
le 
procedure 
previste 
dalla 
legge, 
da 
una 
persona 
che 
agisca 
nel 
loro 
interesse 
e 
affinch� 
i 
minori 
siano sentiti 
in tutti 
i 
casi 
in cui 
sono capaci 
di 
esprimere 
le 
loro opinioni 
o le 
loro preferenze; 
(...)� 


C. la Convenzione 
dell�aja sulla protezione 
dei 
minori 
e 
la cooperazione 
in 
materia di 
adozione internazionale 
78. 
Le 
disposizioni 
pertinenti 
della 
Convenzione 
sulla 
protezione 
dei 
minori 
e 
la 
cooperazione 
in materia di adozione internazionale, conclusa all�Aja il 29 maggio 1993, recitano: 
Articolo 4 
�1. Le 
adozioni 
contemplate 
dalla 
Convenzione 
possono aver luogo soltanto se 
le 
autorit� 
competenti dello Stato d'origine: 
a) hanno stabilito che il minore � adottabile; 
b) hanno constatato, dopo aver debitamente 
vagliato le 
possibilit� 
di 
affidamento del 
minore 
nello Stato d'origine, che l'adozione internazionale corrisponde al suo superiore interesse; 
c) si sono assicurate 
1) che 
le 
persone, istituzioni 
ed autorit�, il 
cui 
consenso � 
richiesto per l'adozione, sono state 
assistite 
con la 
necessaria 
consulenza 
e 
sono state 
debitamente 
informate 
sulle 
conseguenze 
del 
loro consenso, in particolare 
per quanto riguarda 
il 
mantenimento o la 
cessazione, a 
causa 
dell'adozione, dei legami giuridici fra il minore e la sua famiglia d'origine, 
2) che 
tali 
persone, istituzioni 
ed autorit� 
hanno prestato il 
consenso liberamente, nelle 
forme 
legalmente stabilite e che questo consenso � stato espresso o attestato per iscritto; 
3) che 
i 
consensi 
non sono stati 
ottenuti 
mediante 
pagamento o contropartita 
di 
alcun genere 
e non sono stati revocati; e 
4) che 
il 
consenso della 
madre, qualora 
sia 
richiesto, sia 
stato prestato solo successivamente 
alla nascita del minore; e 
d - si sono assicurate, tenuto conto dell'et� e della maturit� del minore, 
1) 
che 
questi 
� 
stato 
assistito 
mediante 
una 
consulenza 
e 
che 
� 
stato 
debitamente 
informato 
sulle 
conseguenze 
dell'adozione 
e 
del 
suo 
consenso 
all'adozione, 
qualora 
tale 
consenso 
sia 
richiesto; 
2) che i desideri e le opinioni del minore sono stati presi in considerazione; 
3) che 
il 
consenso del 
minore 
all'adozione, quando � 
richiesto, � 
stato prestato liberamente, 
nelle forme legalmente stabilite, ed � stato espresso o constatato per iscritto; e 
4) che 
il 
consenso non � 
stato ottenuto mediante 
pagamento o contropartita 
di 
alcun genere.� 
d. i 
principi 
adottati 
dal 
comitato ad 
hoc 
di 
esperti 
sul 
progresso delle 
scienze 
biomediche 
del Consiglio d�Europa 
79. 
Il 
comitato 
ad 
hoc 
di 
esperti 
sul 
progresso 
delle 
scienze 
biomediche 
costituito 
in 
seno 
al 
Consiglio 
d�Europa 
(CAHBI), 
precursore 
dell�attuale 
comitato 
direttivo 
di 
bioetica, 
ha 
pubblicato 
nel 
1989 
una 
serie 
di 
principi 
fra 
cui 
il 
quindicesimo, 
relativo 
alle 
�madri 
surrogate�, 
� 
cos� 
formulato: 
�1. Nessun medico o istituto deve 
utilizzare 
le 
tecniche 
di 
procreazione 
artificiale 
per il 
concepimento 
di un figlio che sar� portato in gestazione da una madre surrogata. 
2. 
Nessun 
contratto 
o 
accordo 
tra 
una 
madre 
surrogata 
e 
la 
persona 
o 
la 
coppia 
per 
conto 
delle 
quali � portato in gestazione un bambino potr� essere invocato in giudizio. 
3. 
Qualsiasi 
attivit� 
di 
intermediazione 
a 
favore 
delle 
persone 
interessate 
da 
una 
maternit� 
surrogata 
deve 
essere 
vietata, 
come 
pure 
deve 
essere 
vietata 
ogni 
forma 
di 
pubblicit� 
che 
vi 
faccia 
riferimento. 
4. 
Tuttavia, 
gli 
Stati 
possono, 
in 
casi 
eccezionali 
stabiliti 
dal 
loro 
diritto 
nazionale, 
prevedere, 

RASSEGNA 
AvvoCATURA 
DELLo 
STATo - N. 1/2017 


senza 
fare 
eccezione 
al 
paragrafo 
2 
del 
presente 
Principio, 
che 
un 
medico 
o 
un 
istituto 
possano 
procedere 
alla 
fecondazione 
di 
una 
madre 
surrogata 
utilizzando tecniche 
di 
procreazione 
artificiale, 
a condizione: 


a. che la madre surrogata non tragga alcun vantaggio materiale dall�operazione; e 
b. che la madre surrogata possa scegliere alla nascita di tenere il bambino.� 
E. i lavori della Conferenza dell�aja di diritto internazionale privato 
80. 
La 
Conferenza 
dell�Aja 
di 
diritto 
internazionale 
privato 
ha 
esaminato 
le 
questioni 
di 
diritto 
internazionale 
privato 
relative 
allo 
status 
dei 
bambini, 
in 
particolare 
per 
quanto 
riguarda 
il 
riconoscimento 
della 
filiazione. 
In 
seguito 
a 
un 
vasto 
processo 
di 
consultazione 
che 
si 
� 
concluso 
con 
uno 
studio 
comparativo 
(documenti 
preliminari 
nn. 
3B 
e 
3C 
del 
2014), 
nell�aprile 
2014, 
il 
Consiglio 
sugli 
affari 
generali 
e 
la 
politica 
ha 
convenuto 
che 
sarebbe 
necessario 
proseguire 
i 
lavori 
al 
fine 
di 
approfondire 
lo 
studio 
di 
fattibilit� 
per 
l�istituzione 
di 
uno 
strumento 
multilaterale. 
Il 
documento preliminare 
n. 3A 
di 
febbraio 2015, intitolato �Il 
progetto Filiazione/Maternit� 
surrogata: 
nota 
di 
aggiornamento� menziona 
ancora 
una 
volta 
l�importanza 
delle 
preoccupazioni 
in materia 
di 
diritti 
umani 
che 
suscita 
l�attuale 
situazione 
relativa 
alle 
convenzioni 
internazionali 
di 
maternit� 
surrogata, nonch� 
il 
fatto che 
esse 
sono sempre 
pi� frequenti. In tale 
documento, 
la 
Conferenza 
dell�Aja 
ritiene 
perci� 
che 
i 
suoi 
lavori 
in 
questo 
ambito 
siano 
sempre 
pi� giustificati dal punto di vista dei diritti umani, e in particolare di quelli dei bambini. 
iV. ElEmEnti di diritto ComParato 


81. Nelle 
cause 
Mennesson c. Francia 
(n. 65192/11, �� 40-42, CEDU 
2014 (estratti) e 
Labassee 
c. Francia 
(n. 65941/11, �� 31-33, 26 giugno 2014), la 
Corte 
ha 
fornito una 
rassegna 
dei 
risultati 
di 
una 
analisi 
di 
diritto comparato condotta 
su 35 Stati 
parti 
alla 
Convenzione 
diversi 
dalla 
Francia. Da 
tale 
analisi 
emerge 
che 
la 
gestazione 
per conto terzi 
� 
espressamente 
vietata 
in quattordici 
di 
tali 
Stati; 
che 
in altri 
dieci 
Stati, nei 
quali 
non vi 
� 
una 
normativa 
relativa 
alla 
gestazione 
per conto terzi, o tale 
pratica 
� 
vietata 
in virt� di 
disposizioni 
generali, 
o non � 
tollerata, oppure 
la 
questione 
della 
sua 
legalit� 
� 
incerta; 
e 
che 
essa 
� 
autorizzata 
in 
sette di questi trentacinque Stati (purch� sussistano alcune condizioni rigorose). 
In tredici 
di 
questi 
trentacinque 
Stati, � 
possibile 
per gli 
aspiranti 
genitori 
ottenere 
il 
riconoscimento 
giuridico del 
legame 
di 
filiazione 
con un bambino nato da 
una 
gestazione 
per conto 
terzi legalmente praticata in un altro paese. 
in diritto 


i. sUll�oGGEtto dElla ControVErsia dinanzi 
alla GrandE CamEra 
82. Nel 
procedimento dinanzi 
alla 
Grande 
Camera 
le 
due 
parti 
hanno sottoposto delle 
osservazioni 
rispetto ai motivi di ricorso che la camera ha dichiarato irricevibili. 
83. Il 
Governo afferma 
che 
i 
ricorrenti 
non hanno esaurito le 
vie 
di 
ricorso interne, nella 
misura 
in cui 
lamentano il 
mancato riconoscimento del 
certificato di 
nascita 
formato all�estero. 
In 
effetti, 
gli 
interessati 
non 
hanno 
presentato 
ricorso 
per 
cassazione 
avverso 
la 
decisione 
della 
corte 
di 
appello di 
Campobasso del 
3 aprile 
2013, con la 
quale 
quest�ultima 
ha 
confermato il 
rifiuto di registrare detto certificato. 
84. La 
Corte 
osserva 
che 
la 
camera 
ha 
accolto l�eccezione 
relativa 
al 
mancato esaurimento 
delle 
vie 
di 
ricorso interne 
per quanto riguarda 
il 
motivo di 
ricorso relativo alla 
impossibilit� 
di 
ottenere 
la 
registrazione 
del 
certificato di 
nascita 
russo. Di 
conseguenza, questa 
doglianza 
� 
stata 
dichiarata 
irricevibile 
(paragrafo 62 della 
sentenza 
della 
camera). Ne 
consegue 
che 
la 
stessa 
non � 
oggetto della 
controversia 
sottoposta 
all�esame 
della 
Grande 
Camera 
poich�, se

CoNTENzIoSo 
CoMUNITARIo 
ED 
INTERNAzIoNALE 


condo la 
giurisprudenza 
consolidata, �la 
causa� rinviata 
dinanzi 
alla 
Grande 
Camera 
� 
il 
ricorso 
cos� 
come 
dichiarato 
ricevibile 
dalla 
camera 
(si 
veda, 
tra 
altre, 
K. 
e 
T. 
c. 
Finlandia 
[GC], 


n. 25702/94, � 141, CEDU 2001-vII). 
85. I ricorrenti 
chiedono alla 
Grande 
Camera 
di 
prendere 
in considerazione 
le 
doglianze 
da 
loro formulate 
in nome 
del 
minore, che 
secondo loro presentano un interesse 
nella 
fase 
del-
l�esame 
sul 
merito (Azinas 
c. Cipro [GC], n. 56679/00, � 32, CEDU 
2004-III, K. e 
T. c. Finlandia, 
sopra 
citata, � 141). Essi 
affermano che, in effetti, l�interesse 
superiore 
del 
minore 
� 
al centro della causa e che le autorit� nazionali non ne hanno tenuto conto in alcun modo. 
86. 
A 
questo 
proposito, 
la 
Corte 
osserva 
che 
la 
camera 
ha 
ritenuto 
che 
i 
ricorrenti 
non 
avessero 
la 
qualit� 
per agire 
dinanzi 
alla 
Corte 
in nome 
del 
minore 
e 
che 
ha 
rigettato le 
doglianze 
sollevate 
in 
nome 
di 
quest�ultimo 
in 
quanto 
incompatibili 
ratione 
personae 
(paragrafi 
48-50 
della 
sentenza 
della 
camera). Ne 
consegue 
che 
questa 
parte 
del 
ricorso non � 
oggetto della 
controversia 
sottoposta all�esame della Grande Camera (K. e 
T. c. Finlandia, sopra citata, � 141). 
87. Nondimeno, la 
questione 
di 
stabilire 
se 
l�interesse 
superiore 
del 
minore 
sia 
da 
prendere 
in 
considerazione 
nell�esame 
delle 
doglianze 
che 
i 
ricorrenti 
sollevano 
in 
loro 
nome 
� 
una 
questione che fa parte della controversia dinanzi alla Grande Camera. 
ii. sUllE ECCEzioni PrEliminari dEl GoVErno 
a. argomenti delle parti 
1. il Governo 
88. Il Governo solleva due eccezioni preliminari. 
89. In primo luogo, afferma 
che 
i 
ricorrenti 
non hanno esaurito le 
vie 
di 
ricorso interne, in 
quanto non hanno contestato la 
decisione 
del 
tribunale 
per i 
minorenni 
del 
5 giugno 2013 che 
negava 
che 
essi 
avessero la 
qualit� 
per agire 
nell�ambito della 
procedura 
di 
adozione. A 
suo 
parere, i ricorsi disponibili nel diritto italiano erano efficaci. 
90. In secondo luogo, il 
Governo chiede 
alla 
Corte 
di 
rigettare 
il 
ricorso per incompatibilit� 
ratione personae, in quanto i ricorrenti non avrebbero locus standi dinanzi alla Corte. 
2. i ricorrenti 
91. I ricorrenti 
rammentano che 
la 
camera 
si 
� 
gi� 
pronunciata 
in merito a 
tali 
eccezioni 
e 
le 
ha 
respinte. Per quanto riguarda 
in particolare 
l�eccezione 
di 
mancato esaurimento delle 
vie 
di 
ricorso interne 
rispetto alla 
decisione 
del 
5 giugno 2013 che 
negava 
che 
essi 
avessero la 
qualit� 
per agire 
nell�ambito della 
procedura 
di 
adozione, essi 
sottolineano che, nel 
momento 
in cui 
il 
tribunale 
per i 
minorenni 
li 
ha 
esclusi 
dalla 
procedura, erano trascorsi 
pi� di 
venti 
mesi 
dall�allontanamento del 
minore, e 
ritengono che 
il 
tempo trascorso avesse 
reso perfettamente 
illusorio il 
ritorno del 
minore 
dato che 
quest�ultimo viveva 
ormai 
in un�altra 
famiglia. 
I 
ricorrenti 
osservano 
che, 
del 
resto, 
il 
Governo 
non 
ha 
fornito 
alcun 
precedente 
giurisprudenziale 
a sostegno della sua tesi. 
B. Valutazione della Corte 
92. La 
Corte 
osserva 
che 
le 
eccezioni 
sollevate 
dal 
Governo sono state 
gi� 
esaminate 
dalla 
camera (paragrafi 55-64 della sentenza della camera). 
93. La 
Corte 
rileva 
che 
la 
camera 
le 
ha 
rigettate 
(paragrafi 
64 e 
57 rispettivamente 
della 
sentenza 
della 
camera) e 
che 
il 
Governo ribadisce 
queste 
eccezioni 
basandosi 
sugli 
stessi 
argomenti. 
La 
Corte 
ritiene 
che, 
per 
quanto 
riguarda 
queste 
due 
eccezioni, 
nulla 
porti 
a 
discostarsi 
dalle conclusioni della camera. 
94. In conclusione, le eccezioni del Governo devono essere respinte. 

RASSEGNA 
AvvoCATURA 
DELLo 
STATo - N. 1/2017 


iii. sUlla dEdotta 
ViolazionE dEll�artiColo 8 dElla ConVEnzionE 
95. 
I 
ricorrenti 
affermano 
che 
i 
provvedimenti 
adottati 
dalle 
autorit� 
italiane 
nei 
confronti 
del 
minore 
e 
che 
hanno portato all�allontanamento definitivo di 
quest�ultimo hanno pregiudicato 
il loro diritto alla vita privata e famigliare, sancito dall�articolo 8 della Convenzione. 
96. Il Governo si oppone a questa tesi. 
97. L�articolo 8 della Convenzione, nelle sue parti pertinenti, recita: 
�1. ogni persona ha diritto al rispetto della propria vita privata e familiare (...). 
2. 
Non 
pu� 
esservi 
ingerenza 
di 
una 
autorit� 
pubblica 
nell�esercizio 
di 
tale 
diritto 
a 
meno 
che 
tale 
ingerenza 
sia 
prevista 
dalla 
legge 
e 
costituisca 
una 
misura 
che, 
in 
una 
societ� 
democratica, 
� 
necessaria 
alla 
sicurezza 
nazionale, 
alla 
pubblica 
sicurezza, 
al 
benessere 
economico 
del 
paese, alla 
difesa 
dell�ordine 
e 
alla 
prevenzione 
dei 
reati, alla 
protezione 
della 
salute 
e 
della 
morale, o alla protezione dei diritti e delle libert� altrui.� 
a. la sentenza della camera 
98. 
Dopo 
aver 
dichiarato 
irricevibile 
la 
doglianza 
formulata 
dai 
ricorrenti 
in 
nome 
del 
minore 
nonch� 
la 
loro 
doglianza 
relativa 
al 
mancato 
riconoscimento 
del 
certificato 
di 
nascita 
rilasciato 
in 
Russia, 
la 
camera 
ha 
esaminato 
le 
misure 
che 
hanno 
comportato 
l�allontanamento 
definitivo 
del 
minore. 
Poich� 
il 
certificato 
di 
nascita 
non 
� 
stato 
riconosciuto 
nel 
diritto 
italiano, 
la 
camera 
ha 
ritenuto 
che 
tra 
i 
ricorrenti 
e 
il 
minore 
non esistesse 
per l�esattezza 
alcun legame 
giuridico. La 
camera 
ha 
concluso 
tuttavia 
che 
esisteva 
una 
vita 
famigliare 
de 
facto 
nel 
senso 
dell�articolo 
8. 
Per 
giungere 
a 
questa 
conclusione, essa 
ha 
tenuto conto del 
fatto che 
i 
ricorrenti 
avevano passato 
con il 
minore 
le 
prime 
tappe 
importanti 
della 
sua 
giovane 
vita, e 
che 
si 
erano comportati 
nei 
confronti 
di 
quest�ultimo come 
genitori. Per di 
pi�, la 
camera 
ha 
ritenuto che 
anche 
la 
vita 
privata 
del 
ricorrente 
fosse 
in gioco, dato che, a 
livello nazionale, egli 
aveva 
cercato di 
verificare 
l�esistenza 
di 
un legame 
biologico tra 
lui 
e 
il 
minore 
per mezzo di 
un test 
del 
DNA. In 
conclusione, 
la 
camera 
ha 
affermato 
che 
le 
misure 
controverse 
si 
traducevano 
in 
una 
ingerenza 
nella 
vita 
famigliare 
de 
facto tra 
i 
ricorrenti 
e 
il 
minore 
(paragrafi 
67-69 della 
sentenza 
della 
camera), e anche nella vita privata del ricorrente (paragrafo 70 della sentenza della camera). 
99. 
Successivamente, 
constatando 
che 
i 
tribunali 
interni 
avevano 
applicato 
il 
diritto 
italiano 
per 
determinare 
la 
filiazione 
del 
minore 
e 
avevano 
concluso 
che 
quest�ultimo 
era 
in 
�stato 
di 
abbandono
� 
in 
assenza 
di 
un 
legame 
biologico 
con 
i 
ricorrenti, 
la 
camera 
ha 
ritenuto 
che 
i 
giudici 
nazionali 
non 
avessero 
adottato 
un 
provvedimento 
irragionevole. 
Di 
conseguenza, 
la 
camera 
ha 
ammesso 
che 
l�ingerenza 
era 
�prevista 
dalla 
legge� 
(paragrafo 
72 
della 
sentenza 
della 
camera). 
100. 
La 
camera 
ha 
ritenuto, 
inoltre, 
che 
le 
misure 
adottate 
nei 
confronti 
del 
minore 
mirassero 
alla 
�difesa 
dell�ordine�, 
in 
quanto 
la 
condotta 
dei 
ricorrenti 
si 
scontrava 
con 
la 
legge 
italiana 
in 
materia 
di 
adozione 
internazionale 
e 
di 
ricorso 
alla 
procreazione 
medicalmente 
assistita. 
Inoltre, 
le 
misure 
in 
questione 
erano 
volte 
alla 
protezione 
dei 
�diritti 
e 
libert�� 
del 
minore 
(paragrafo 
73 
della 
sentenza 
della 
camera). 
101. 
Avendo 
riconosciuto 
l�esistenza 
di 
una 
vita 
famigliare, 
la 
camera 
ha 
valutato 
congiuntamente 
gli 
interessi 
privati 
dei 
ricorrenti 
e 
l�interesse 
superiore 
del 
minore, 
e 
li 
ha 
bilanciati 
con 
l�interesse 
pubblico. 
Non 
si 
� 
convinta 
del 
carattere 
adeguato 
degli 
elementi 
sui 
quali 
le 
autorit� 
italiane 
si 
erano 
basate 
per 
concludere 
che 
il 
minore 
doveva 
essere 
preso 
in 
carico 
dai 
servizi 
sociali. 
Nel 
suo 
ragionamento, 
si 
� 
basata 
sul 
principio 
che 
l�allontanamento 
del 
minore 
dal 
contesto 
famigliare 
era 
una 
misura 
estrema 
alla 
quale 
si 
dovrebbe 
ricorrere 
solo 
in 
ultima 
ratio, 
per 
proteggere 
il 
minore 
che 
affronti 
un 
pericolo 
immediato 
per 
lui, 
(la 
camera 
ha 
rinviato, 
a 
questo 
proposito, 
alle 
sentenze 
seguenti: 
Scozzari 
e 
Giunta 
c. 
Italia 
[GC], 
n. 
39221/98 
e 
41963/98, 
� 
148, 
CEDU 
2000 
vIII, 
Neulinger 
e 
Shuruk 
c. 
Svizzera 
[GC], 
n. 
41615/07, 
� 
136, 
CEDU 
2010, 
Y.C. 
c. 
Regno 
Unito, 
n. 
4547/10, 

CoNTENzIoSo 
CoMUNITARIo 
ED 
INTERNAzIoNALE 


�� 
133-138, 
13 
marzo 
2012, 
e 
Pontes 
c. 
Portogallo, 
n. 
19554/09, 
�� 
74-80, 
10 
aprile 
2012). 
Considerati 
gli 
elementi 
del 
fascicolo, 
la 
camera 
ha 
ritenuto 
che 
i 
giudici 
nazionali 
avessero 
preso 
decisioni 
senza 
valutare 
concretamente 
le 
condizioni 
di 
vita 
del 
minore 
con 
i 
ricorrenti 
e 
l�interesse 
superiore 
dello 
stesso. 
Di 
conseguenza, 
essa 
ha 
concluso 
che 
vi 
� 
stata 
violazione 
dell�articolo 
8 
della 
Convenzione, 
in 
quanto 
le 
autorit� 
nazionali 
non 
avevano 
preservato 
il 
giusto 
equilibrio 
che 
deve 
regnare 
tra 
l�interesse 
generale 
e 
gli 
interessi 
privati 
in 
gioco 
(paragrafi 
75-87 
della 
sentenza 
della 
camera). 


B. osservazioni delle parti 
1. i ricorrenti 
102. 
I 
ricorrenti 
dichiarano 
anzitutto 
che 
la 
Corte 
non 
� 
chiamata 
a 
pronunciarsi 
su 
nient�altro 
che 
le 
misure 
adottate 
dalle 
autorit� 
italiane 
nei 
confronti 
del 
minore, e 
questo dal 
punto di 
vista 
dell�articolo 8 della 
Convenzione, per determinare 
se 
vi 
sia 
stata 
violazione 
del 
loro diritto 
alla 
vita 
privata 
e 
famigliare. Secondo loro, considerata 
la 
decisione 
della 
camera 
di 
dichiarare 
irricevibile 
la 
doglianza 
relativa 
al 
rifiuto 
di 
trascrivere 
in 
Italia 
l�atto 
di 
nascita 
russo 
del 
minore, la 
Corte 
non � 
chiamata 
a 
pronunciarsi 
sulla 
convenzionalit� 
della 
scelta 
di 
uno 
Stato di 
autorizzare 
o meno la 
pratica 
della 
gestazione 
per conto terzi 
sul 
suo territorio o sulle 
condizioni di riconoscimento di un legame di filiazione legittimamente concepito all�estero. 
103. I ricorrenti 
ritengono che 
i 
legami 
che 
li 
univano al 
minore 
si 
traducono in una 
vita 
famigliare 
che 
rientra 
nelle 
previsioni 
dell�articolo 8 della 
Convenzione. A 
tale 
proposito fanno 
riferimento alla giurisprudenza della Corte. 
104. 
Essi 
sostengono 
che 
la 
vita 
famigliare 
costruitasi 
tra 
loro 
e 
il 
minore 
messo 
al 
mondo 
da 
una 
madre 
surrogata 
� 
conforme 
al 
diritto 
russo, 
cos� 
come 
applicabile 
all�epoca 
dei 
fatti, 
e 
si 
baserebbe 
dunque 
su 
un 
legame 
giuridico 
di 
parentela 
legale 
attestato 
dal 
certificato 
di 
nascita 
rilasciato 
dalle 
autorit� 
competenti. 
La 
legittimit� 
di 
questo 
legame 
giuridico 
non 
sarebbe 
dunque 
pregiudicata 
dal 
fatto 
che 
� 
risultato 
che 
nessun 
legame 
biologico 
di 
filiazione 
univa 
l�aspirante 
padre 
al 
minore, 
non 
essendo 
all�epoca 
richiesta 
dal 
diritto 
russo 
la 
presenza 
di 
un 
tale 
legame 
biologico. 
105. Per i 
ricorrenti, la 
potest� 
genitoriale 
da 
loro esercitata 
sul 
minore 
- e 
dunque 
il 
legame 
giuridico di 
parentela 
che 
hanno stabilito con lo stesso - � 
stata 
riconosciuta 
dalle 
autorit� 
italiane 
nella misura in cui queste l�hanno sospesa e revocata. 
106. Il 
minore 
sarebbe 
stato il 
frutto di 
un progetto genitoriale 
serio e 
ben ponderato. La 
coppia 
gli 
avrebbe 
manifestato il 
proprio attaccamento ancor prima 
della 
sua 
nascita 
(Anayo c. 
Germania, n. 20578/07, � 61, 21 dicembre 
2010) e 
si 
sarebbe 
impegnata 
per permettere 
una 
vita 
famigliare 
effettiva. I ricorrenti 
affermano che, alla 
nascita 
del 
minore, la 
ricorrente 
lo ha 
preso 
rapidamente 
in 
carico 
sistemandosi 
con 
lui 
in 
un 
appartamento 
a 
Mosca, 
stabilendo 
forti 
legami 
affettivi. Una 
volta 
arrivato in Italia, il 
minore 
avrebbe 
vissuto con i 
ricorrenti 
in un 
contesto accogliente, rassicurante 
e 
favorevole 
al 
suo sviluppo armonioso sia 
sul 
piano affettivo 
che 
materiale. I ricorrenti 
rammentano che 
la 
famiglia 
ha 
convissuto per otto mesi, sei 
dei 
quali 
in 
Italia. 
Pur 
essendo 
relativamente 
breve, 
questo 
periodo 
coinciderebbe 
con 
le 
prime 
tappe 
importanti 
della 
giovane 
vita 
del 
minore. I ricorrenti 
rammentano che, del 
resto, questa 
brevit� 
non pu� essere 
attribuita 
alla 
loro volont�, in quanto la 
fine 
brutale 
della 
convivenza 
� dipesa esclusivamente dalle misure adottate dalle autorit� italiane. 
107. 
I 
ricorrenti 
aggiungono 
che 
l�assenza 
di 
legame 
biologico 
non 
pu� 
bastare 
per 
scartare 
l�esistenza 
di 
una 
vita 
famigliare. 
Nella 
fattispecie, 
essi 
dichiarano 
che 
erano, 
per 
di 
pi�, 
convinti 
dell�esistenza 
di 
un 
legame 
biologico 
tra 
il 
ricorrente 
e 
il 
minore 
e 
che 
non 
vi 
sono 
motivi 
per 
dubitare 
della 
loro 
buona 
fede. 
In 
ogni 
caso, 
l�errore 
della 
clinica 
non 
avrebbe 
alcuna 
conseguenza 
giuridica 
sulla 
legittimit� 
della 
filiazione 
stabilita 
in 
Russia, 
poich� 
all�epoca 
dei 
fatti 
il 
diritto 
russo 
non 
esigeva 
che 
gli 
aspiranti 
genitori 
fornissero 
il 
loro 
proprio 
materiale 
biolo

RASSEGNA 
AvvoCATURA 
DELLo 
STATo - N. 1/2017 


gico. 
Pertanto, 
rispetto 
alle 
norme 
applicabili 
all�epoca 
dei 
fatti, 
la 
gestazione 
per 
conto 
terzi 
praticata 
dai 
ricorrenti 
sarebbe 
stata 
perfettamente 
legittima 
rispetto 
al 
diritto 
russo. 
Secondo 
i 
ricorrenti, 
� 
solo 
dal 
1� 
gennaio 
2012, 
data 
dell�entrata 
in 
vigore 
della 
legge 
federale 
n. 
323 
Fz 
del 
21 
novembre 
2011, 
che 
il 
ricorso 
a 
un 
donatore 
di 
gameti 
� 
vietato 
dagli 
aspiranti 
genitori. 


108. 
I 
ricorrenti 
ritengono 
che 
i 
provvedimenti 
adottati 
dalle 
autorit� 
italiane 
costituiscano 
una 
ingerenza 
nella 
loro 
vita 
famigliare. 
Secondo 
loro 
tale 
ingerenza 
aveva 
formalmente 
una 
base 
giuridica, 
in 
quanto 
i 
provvedimenti 
erano 
stati 
adottati 
conformemente 
alla 
legge 
italiana 
sull�adozione. 
Tuttavia, 
tali 
misure 
deriverebbero 
da 
un�analisi 
arbitraria 
da 
parte 
dei 
giudici 
nazionali 
nella 
misura 
in 
cui 
questi 
hanno 
ritenuto 
che 
il 
minore 
si 
trovasse 
�in 
stato 
di 
abbandono�. 
I 
ricorrenti 
sostengono 
inoltre 
che, 
se 
la 
pratica 
della 
gestazione 
per 
conto 
terzi 
� 
vietata 
dalla 
legge 
sulla 
procreazione 
medicalmente 
assistita 
(articoli 
6 
e 
14), 
non 
sono 
comunque 
mai 
stati 
avviati 
procedimenti 
penali 
nei 
confronti 
di 
madri 
surrogate 
o 
di 
aspiranti 
genitori. 
In 
effetti, 
in 
assenza 
di 
una 
clausola 
di 
extraterritorialit�, 
una 
gestazione 
per 
conto 
terzi 
realizzata 
legittimamente 
in 
un 
altro 
Stato 
non 
pu�, 
secondo 
loro, 
essere 
perseguita 
da 
parte 
dei 
giudici 
italiani. 
Non 
potendo 
perseguire 
la 
gestazione 
per 
conto 
terzi 
in 
quanto 
tale, 
altre 
disposizioni 
sarebbero 
utilizzate 
per 
fondare 
i 
procedimenti 
penali. 
Cos� 
sarebbe 
avvenuto 
nel 
caso 
dei 
ricorrenti, 
nei 
cui 
confronti 
si 
procede 
dal 
5 
maggio 
2011 
per 
alterazione 
di 
stato 
civile 
(articolo 
567 
del 
codice 
penale), 
uso 
di 
atto 
falso 
(articolo 
489 
del 
codice 
penale) 
e 
violazione 
delle 
disposizioni 
in 
materia 
di 
adozione. 
109. I ricorrenti 
contestano la 
tesi 
secondo la 
quale 
lo scopo legittimo delle 
misure 
in questione 
era 
quello di 
proteggere 
i 
diritti 
e 
le 
libert� 
del 
minore. In effetti, i 
giudici 
italiani 
si 
sarebbero 
basati 
esclusivamente 
sulla 
illegalit� 
della 
situazione 
creata 
dai 
ricorrenti 
e 
si 
sarebbero limitati 
ad affermare 
- senza 
minimamente 
rispettare 
la 
legislazione 
russa 
- che 
la 
maternit� 
surrogata 
in 
Russia 
era 
contraria 
al 
diritto 
italiano. 
Perci�, 
il 
tribunale 
per 
i 
minorenni 
si 
sarebbe 
principalmente 
sforzato 
di 
impedire 
il 
protrarsi 
della 
situazione 
illegale. 
I 
ricorrenti 
vedono nelle 
decisioni 
di 
questo giudice 
la 
volont� 
esclusiva 
di 
sanzionarli 
per il 
loro comportamento. 
L�interesse 
del 
minore 
sarebbe 
stato 
evocato 
solo 
per 
affermare 
che 
l�impatto 
dei 
provvedimenti controversi su quest�ultimo sarebbe stato minimo. 
110. Per quanto riguarda 
la 
necessit� 
di 
tali 
misure, i 
ricorrenti 
osservano che 
se 
il 
ricorso 
alla 
gestazione 
per 
conto 
terzi 
solleva 
delicate 
questioni 
di 
ordine 
etico, 
questa 
considerazione 
non pu� legittimare 
una 
�carta 
bianca 
che 
giustifichi 
qualsiasi 
provvedimento�. In effetti, se 
gli 
Stati 
godono 
di 
un 
ampio 
margine 
di 
apprezzamento 
per 
autorizzare 
o 
meno 
la 
pratica 
della 
gestazione 
per conto terzi 
sul 
loro territorio, essi 
ritengono che 
questo non sia 
l�oggetto 
del 
presente 
ricorso. Nel 
caso di 
specie, sarebbe 
la 
Corte 
a 
dover dire 
se 
i 
provvedimenti 
che 
hanno comportato l�allontanamento definitivo del 
minore 
abbiano mantenuto il 
giusto equilibrio 
tra 
gli 
interessi 
in 
gioco, 
ossia 
quelli 
dei 
ricorrenti, 
quelli 
del 
minore 
e 
quelli 
dell�ordine 
pubblico. Da 
questo punto di 
vista, i 
ricorrenti 
ritengono che 
si 
debba 
tenere 
presente 
che, in 
tutte 
le 
decisioni 
che 
riguardano un minore, l�interesse 
superiore 
di 
quest�ultimo deve 
prevalere. 
Perci�, 
essi 
affermano 
che 
una 
rottura 
immediata 
e 
definitiva 
dei 
legami 
famigliari 
� 
stata 
ritenuta 
conforme 
all�articolo 8 solo quando i 
minori 
interessati 
erano esposti 
a 
rischi 
gravi 
e 
persistenti 
per la 
loro salute 
e 
il 
loro benessere. ora, cos� 
non era 
nel 
caso di 
specie 
secondo i 
ricorrenti, che 
ritengono che 
l�interesse 
superiore 
del 
minore 
non sia 
stato minimamente 
preso in considerazione dalle autorit� nazionali. 
111. 
I 
ricorrenti 
affermano 
che 
vi 
era 
convergenza 
di 
interessi 
tra 
loro 
e 
il 
minore 
il 
giorno 
in 
cui 
sono 
stati 
messi 
in 
atto 
i 
provvedimenti 
controversi. 
Tali 
misure 
avrebbero 
spezzato 
la 
loro 
vita 
famigliare 
e 
avrebbero 
comportato 
una 
rottura 
definitiva 
dei 
legami 
famigliari, 
con 
conseguenze 
irrimediabili, 
in 
assenza 
di 
condizioni 
tali 
da 
giustificare 
questa 
rottura. 
Il 
tribunale 

CoNTENzIoSo 
CoMUNITARIo 
ED 
INTERNAzIoNALE 


per 
i 
minorenni 
si 
sarebbe 
astenuto 
dall�esaminare 
le 
condizioni 
reali 
di 
vita 
del 
minore, 
e 
avrebbe 
presunto 
che 
quest�ultimo 
fosse 
privo 
dell�assistenza 
materiale 
e 
morale 
dei 
genitori. 
Per 
i 
ricorrenti, 
i 
giudici 
nazionali 
hanno 
messo 
in 
dubbio 
la 
loro 
capacit� 
effettiva 
ed 
educativa 
soltanto 
sulla 
base 
dell�illegalit� 
del 
loro 
comportamento 
e 
hanno 
ritenuto 
che 
avessero 
fatto 
ricorso 
alla 
gestazione 
per 
conto 
terzi 
per 
narcisismo. 
I 
ricorrenti 
rammentano 
che 
erano 
comunque 
stati 
dichiarati 
idonei 
a 
diventare 
genitori 
adottivi 
dalle 
stesse 
autorit�, 
e 
che, 
inoltre, 
le 
assistenti 
sociali, 
incaricate 
dal 
tribunale 
per 
i 
minorenni, 
avevano 
redatto 
un 
rapporto 
molto 
favorevole 
alla 
continuazione 
della 
vita 
comune 
con 
il 
minore. 
vi 
sarebbero 
state 
delle 
lacune 
evidenti 
nel 
processo 
decisionale 
che 
aveva 
condotto 
ai 
provvedimenti 
contestati. 
Perci�, 
i 
ricorrenti 
ritengono 
di 
essere 
stati 
considerati 
incapaci 
di 
educare 
e 
amare 
il 
figlio 
unicamente 
sulla 
base 
di 
presunzioni 
e 
deduzioni, 
e 
senza 
che 
fosse 
stata 
ordinata 
una 
perizia 
dai 
tribunali. 


112. 
I 
ricorrenti 
osservano 
inoltre 
che 
le 
autorit� 
non 
hanno 
previsto 
misure 
diverse 
dalla 
presa in carico definitiva del minore. 
113. Essi 
spiegano che 
il 
20 ottobre 
2011 gli 
agenti 
dei 
servizi 
sociali 
si 
sono presentati 
a 
casa 
loro e 
hanno portato via 
il 
minore, nonostante 
loro non fossero nemmeno stati 
informati 
della 
decisione 
del 
tribunale. 
Questa 
operazione 
avrebbe 
provocato 
spavento 
e 
confusione. 
Anche 
nel 
momento 
dell�esecuzione 
dei 
provvedimenti 
vi 
sarebbe 
stata 
dunque 
sproporzione. 
114. 
Infine, 
i 
ricorrenti 
sottolineano 
che 
le 
autorit� 
italiane 
non 
hanno 
adottato 
alcun 
provvedimento 
per 
preservare 
le 
relazioni 
tra 
loro 
e 
il 
minore 
al 
fine 
di 
mantenere 
la 
possibilit� 
di 
ricostruire 
la 
famiglia 
e, 
ben 
al 
contrario, 
hanno 
vietato 
qualsiasi 
contatto 
con 
il 
minore 
mandandolo 
in 
un 
luogo 
sconosciuto. 
Per 
i 
ricorrenti, 
l�impatto 
di 
questi 
provvedimenti 
� 
stato 
irrimediabile. 
115. I ricorrenti 
chiedono alla 
Corte 
di 
concludere 
che 
vi 
� 
stata 
una 
violazione 
dell�articolo 
8 della 
Convenzione. Pur essendo consapevoli 
che 
� 
trascorso molto tempo da 
quando il 
minore 
� 
stato preso in carico dai 
servizi 
sociali, e 
che 
� 
auspicabile, nell�interesse 
del 
minore, 
che 
la 
sua 
situazione 
famigliare 
non cambi 
nuovamente, essi 
ritengono che 
una 
somma 
accordata 
a 
titolo 
di 
equa 
soddisfazione 
non 
sia 
sufficiente. 
I 
ricorrenti 
desiderano 
infatti 
riprendere 
contatto con il minore. 
2. il Governo 
116. Il 
Governo afferma 
che 
la 
camera 
ha 
interpretato l�articolo 8 � 1 della 
Convenzione 
in 
maniera troppo estensiva, e l�articolo 8 � 2 in maniera troppo restrittiva. 
117. Facendo riferimento al 
paragrafo 69 della 
sentenza 
della 
camera, nel 
quale 
la 
camera 
ha 
concluso 
che 
esisteva 
una 
vita 
famigliare 
de 
facto 
tra 
i 
ricorrenti 
e 
il 
minore, 
il 
Governo 
ritiene 
che 
l�affermazione 
della 
camera 
sarebbe 
stata 
valida 
se 
il 
legame 
tra 
i 
ricorrenti 
e 
il 
minore 
fosse 
stato 
un 
legame 
famigliare 
realmente 
biologico 
(sebbene 
soltanto 
dal 
lato 
paterno) 
e 
formalizzato da 
un atto di 
nascita 
legale 
e 
soprattutto, se 
il 
tempo vissuto insieme 
avesse 
permesso 
il 
realizzarsi 
di 
una 
vera 
vita 
famigliare 
e 
l�esercizio effettivo della 
potest� 
genitoriale. 
ora, il 
Governo osserva 
che 
nessuno dei 
ricorrenti 
ha 
un legame 
biologico con il 
minore. Ne 
conclude che la vita famigliare, nel caso di specie, non � mai iniziata. 
118. L�atto di 
nascita 
controverso sarebbe 
anche 
contrario all�ordine 
pubblico per il 
fatto che 
indica 
che 
i 
ricorrenti 
sono 
i 
genitori 
�biologici� 
del 
minore 
il 
che, 
secondo 
il 
Governo, 
� 
falso. Inoltre, il 
Governo si 
oppone 
all�argomento dei 
ricorrenti 
secondo il 
quale 
il 
certificato 
di 
nascita 
rilasciato dalle 
autorit� 
russe 
sarebbe 
conforme 
alla 
legge 
russa. Esso spiega 
che 
quest�ultima 
richiede 
espressamente 
l�esistenza 
di 
un 
legame 
biologico 
tra 
il 
minore 
e 
almeno 
uno degli 
aspiranti 
genitori. Del 
resto, la 
corte 
d�appello di 
Campobasso avrebbe 
gi� 
tenuto 
conto di 
questo punto nel 
momento in cui 
ha 
deciso di 
non autorizzare 
la 
registrazione 
del 
certificato di nascita (sentenza del 3 aprile 2013). 

RASSEGNA 
AvvoCATURA 
DELLo 
STATo - N. 1/2017 


119. Peraltro, il 
Governo afferma 
che, nel 
2011, i 
ricorrenti 
non soddisfacevano pi� i 
criteri 
di 
et� 
necessari 
per adottare 
il 
minore 
in questione, e 
aggiunge 
che 
la 
vita 
famigliare 
de 
facto 
non 
pu� 
basarsi 
su 
una 
situazione 
illegale 
come 
quella 
creata 
dai 
ricorrenti, 
che 
avrebbero 
potuto avere 
un figlio mediante 
l�adozione, avendo ottenuto l�autorizzazione 
nel 
2006. A 
suo 
parere, i ricorrenti potevano scegliere di non agire contro la legge. 
120. Il 
Governo rammenta 
peraltro che, secondo la 
giurisprudenza 
della 
Corte, l�articolo 8 
non sancisce n� il diritto di formare una famiglia n� il diritto di adottare. 
121. 
Il 
Governo 
rimprovera 
ai 
ricorrenti 
di 
essersi 
assunti 
la 
responsabilit� 
di 
condurre 
in 
Italia 
un 
minore 
che 
era 
loro 
completamente 
estraneo, 
e 
questo 
in 
violazione 
della 
legislazione 
applicabile. A 
suo parere, la 
scelta 
degli 
interessati 
era 
deliberata 
e 
il 
fatto che 
essi 
abbiano 
concluso un contratto per comprare 
un neonato ha 
viziato la 
loro situazione 
fin dall�inizio. Il 
Governo non vede alcuna misura che possa regolarizzare questa situazione. 
122. 
Inoltre, 
lo 
Stato 
gode 
a 
suo 
parere 
di 
un 
ampio 
margine 
di 
apprezzamento 
per 
quanto 
riguarda 
la maternit� surrogata e le tecniche di procreazione assistita. Il trasporto del liquido seminale 
del 
ricorrente 
sarebbe 
contrario alla 
legge 
sulla 
procreazione 
assistita 
e 
al 
decreto 
legislativo 
n. 
191/2007, 
che 
recepisce 
la 
direttiva 
europea 
2004/23/CE 
sulla 
definizione 
di 
norme 
di 
qualit� 
e 
di 
sicurezza 
per 
la 
donazione, 
l'approvvigionamento, 
il 
controllo, 
la 
lavorazione, 
la 
conservazione, 
lo 
stoccaggio 
e 
la 
distribuzione 
di 
tessuti 
e 
cellule 
umani. 
Inoltre, 
considerato 
il 
fatto 
che 
il 
minore 
non 
ha 
alcun 
legame 
biologico 
con 
i 
ricorrenti, 
il 
Governo 
dubita 
della 
validit� 
del 
consenso 
della 
madre 
surrogata 
e 
della 
regolarit� 
del 
protocollo 
seguito 
in 
Russia. 
123. Il 
Governo dedica 
una 
parte 
delle 
sue 
osservazioni 
alla 
questione 
del 
mancato riconoscimento 
del 
certificato di 
nascita 
straniero e 
osserva 
che, secondo il 
codice 
civile 
italiano, 
l�unica 
madre 
biologica 
possibile 
� 
la 
madre 
che 
ha 
partorito il 
figlio, cosa 
che 
non si 
� 
verificata 
nella presente causa. 
124. 
Per 
quanto 
riguarda 
le 
misure 
volte 
ad 
allontanare 
definitivamente 
il 
minore, 
il 
Governo 
afferma 
che 
queste 
si 
fondavano su una 
base 
giuridica 
e 
conviene 
con la 
camera 
che 
le 
stesse 
rispondevano a uno scopo legittimo. 
125. Quanto alla 
loro necessit�, il 
Governo sottolinea 
che 
il 
diritto italiano riconosce 
la 
filiazione 
soltanto 
in 
presenza 
di 
un 
legame 
biologico 
o 
in 
caso 
di 
adozione 
che 
rispetti 
le 
garanzie 
previste 
dalla 
legge 
in materia 
di 
adozione. A 
suo parere, non � 
operando questa 
scelta 
- legislativa, 
politica 
ed etica 
- che 
lo Stato italiano ha 
deciso di 
proteggere 
l�interesse 
dei 
minori, 
e 
di 
rispondere 
alle 
esigenze 
dell�articolo 3 della 
Convenzione 
delle 
Nazioni 
unite 
sui 
diritti 
del fanciullo. Tale scelta non lascerebbe ai giudici alcun margine di discrezionalit�. 
126. Il 
Governo ritiene 
che 
i 
provvedimenti 
adottati 
dai 
tribunali 
interni 
si 
basino su una 
valutazione 
attenta 
della 
situazione, e 
rammenta 
che 
le 
giurisdizioni 
per i 
minorenni 
- che 
prendono 
le 
loro 
decisioni 
collegialmente 
-si 
compongono 
di 
due 
giudici 
togati 
e 
due 
giudici 
onorari 
aventi 
una 
formazione 
specifica 
in psichiatria, biologia, antropologia 
criminale, pedagogia 
o 
psicologia. 
Nel 
caso 
di 
specie, 
il 
tribunale 
di 
Campobasso 
avrebbe 
tenuto 
conto 
degli 
aspetti 
psicosociali 
del 
minore 
nella 
valutazione 
dell�interesse 
di 
quest�ultimo 
e 
avrebbe 
dubitato delle capacit� dei ricorrenti di amare e educare il minore. 
127. 
Il 
Governo 
assicura 
che 
le 
misure 
controverse 
sono 
state 
adottate 
affinch� 
il 
minore 
possa 
beneficiare 
di 
una 
vita 
privata 
e 
famigliare 
in 
un�altra 
famiglia, 
in 
grado 
di 
proteggere 
la 
sua 
salute 
e 
di 
assicurare 
il 
suo 
sviluppo 
sano 
e 
sicuro 
e 
una 
identit� 
certa. 
Le 
autorit� 
italiane 
avrebbero 
ricercato 
l�equilibrio 
tra 
i 
diversi 
interessi, 
e 
l�interesse 
superiore 
del 
minore 
sarebbe 
stato 
la 
considerazione 
principale. 
Per 
il 
Governo, 
esse 
hanno 
rispettato 
la 
legislazione 
nazionale, 
conformemente 
al 
margine 
di 
apprezzamento 
che 
� 
stato 
accordato 
loro 
in 
materia, 
e 
hanno 
reagito 

CoNTENzIoSo 
CoMUNITARIo 
ED 
INTERNAzIoNALE 


di 
fronte 
al 
comportamento 
dei 
ricorrenti 
che 
avevano 
violato 
la 
legge 
sulla 
procreazione 
assistita. 


128. Il 
Governo fa 
osservare 
che 
la 
Corte 
di 
cassazione 
� 
giunta 
alla 
stessa 
conclusione 
per 
quanto 
riguarda 
delle 
misure 
simili 
che 
le 
autorit� 
avevano 
adottato 
in 
un 
caso 
analogo 
a 
quello del 
caso di 
specie, in cui 
il 
minore 
era 
nato in Ucraina 
(paragrafo 70 supra), e 
chiede 
alla 
Corte 
di 
rispettare 
il 
principio di 
sussidiariet� 
e 
il 
margine 
di 
apprezzamento lasciato agli 
Stati e di non sostituire la sua valutazione a quella delle autorit� nazionali. 
129. Tenuto conto di 
questi 
elementi, il 
Governo ritiene 
che 
il 
ricorso non ponga 
alcun problema 
dal punto di vista dell�articolo 8 della Convenzione. 
130. 
Infine, 
il 
Governo 
dedica 
l�ultimo 
capitolo 
delle 
sue 
osservazioni 
alla 
gestazione 
per 
conto terzi 
e 
alla 
legge 
sulla 
procreazione 
medicalmente 
assistita, che 
vieta 
tale 
pratica, sottolineando 
che 
i 
ricorrenti 
hanno fatto ricorso a 
una 
pratica 
commerciale 
eticamente 
condannabile, 
a 
proposito della 
quale 
non vi 
� 
un consenso europeo. Il 
Governo critica 
la 
sentenza 
della 
camera 
in quanto non contiene 
un capitolo dedicato al 
diritto comparato europeo in materia 
di 
gestazione 
per conto terzi. In assenza 
di 
regole 
comuni 
e 
visto che 
alcuni 
Stati 
ammettono 
la 
pratica 
della 
maternit� 
surrogata, 
il 
Governo 
denuncia 
la 
crescita 
del 
�turismo 
procreativo� e 
osserva 
che 
i 
problemi 
giuridici 
in questo ambito sono spinosi, a 
causa 
della 
mancanza 
di 
armonizzazione 
tra 
i 
sistemi 
giuridici 
degli 
Stati. 
Esso 
ritiene 
che, 
di 
fronte 
a 
questa 
mancata 
armonizzazione 
e 
all�assenza 
di 
regolamentazione 
internazionale, 
la 
Corte 
debba riconoscere agli Stati un ampio margine di apprezzamento. 
C. Valutazione della Corte 
1. Considerazioni preliminari 
131. La 
Corte 
osserva 
anzitutto che 
il 
minore 
T.C. � 
nato da 
un embrione 
ottenuto da 
una 
donazione 
di 
ovociti 
e 
da 
una 
donazione 
di 
sperma 
effettuata 
da 
donatori 
sconosciuti, ed � 
stato 
messo al 
mondo in Russia, da 
una 
donna 
russa 
che 
ha 
rinunciato ai 
suoi 
diritti 
su di 
lui. Pertanto 
non esiste 
alcun legame 
biologico tra 
i 
ricorrenti 
e 
il 
minore. I ricorrenti 
hanno pagato 
circa 
50.000 EUR per ricevere 
il 
minore. Le 
autorit� 
russe 
hanno rilasciato un certificato di 
nascita 
che 
attestava 
che 
loro 
erano 
i 
genitori 
ai 
sensi 
dell�ordinamento 
russo. 
I 
ricorrenti 
hanno 
quindi 
deciso 
di 
portare 
il 
minore 
in 
Italia 
e 
di 
vivere 
in 
questo 
paese 
con 
lui. 
Le 
origini 
genetiche 
del 
minore 
rimangono sconosciute. Il 
caso di 
specie, pertanto, riguarda 
ricorrenti 
che, 
agendo 
al 
di 
fuori 
di 
ogni 
regolare 
procedura 
di 
adozione, 
hanno 
portato 
in 
Italia 
dal-
l�estero un minore 
che 
non aveva 
alcun legame 
biologico con nessuno dei 
due 
genitori 
e 
che 
� 
stato concepito - secondo quanto asserito dai 
giudici 
nazionali 
- attraverso tecniche 
di 
procreazione 
assistita illegali ai sensi dell�ordinamento italiano. 
132. 
La 
Corte 
osserva 
che 
nelle 
cause 
Mennesson 
c. 
Francia 
(n. 
65192/11, 
CEDU 
2014 
(estratti)) 
e 
Labassee 
c. 
Francia 
(n. 
65941/11, 
26 
giugno 
2014), 
due 
coppie 
di 
aspiranti 
genitori 
avevano fatto ricorso alla 
gestazione 
per conto terzi 
negli 
Stati 
Uniti 
e 
si 
erano stabilite 
con i 
loro figli 
in Francia. In quelle 
cause 
era 
stata 
dimostrata 
l�esistenza 
di 
un legame 
biologico 
tra 
il 
padre 
e 
i 
figli 
e 
le 
autorit� 
francesi 
non avevano mai 
contemplato l�ipotesi 
di 
separare 
i 
figli 
dai 
genitori. La 
questione 
al 
centro di 
quelle 
cause 
era 
il 
rifiuto di 
registrare 
i 
dati 
di 
un 
certificato di 
nascita 
redatto all�estero in indiscussa 
conformit� 
con la 
legislazione 
del 
paese 
di 
origine 
e 
il 
diritto dei 
figli 
di 
ottenere 
il 
riconoscimento della 
loro filiazione. Sia 
i 
genitori 
che i figli erano tutti ricorrenti dinanzi alla Corte. 
133. 
Contrariamente 
alle 
cause 
Mennesson 
e 
Labassee 
sopra 
citate, 
la 
presente 
causa 
non 
riguarda 
la 
registrazione 
di 
un 
certificato 
di 
nascita 
rilasciato 
all�estero 
e 
il 
riconoscimento 
della 
filiazione 
rispetto 
a 
un 
minore 
nato 
da 
un 
accordo 
di 
gestazione 
per 
conto 
terzi 
(paragrafo 
84 
supra).Al 
centro 
del 
caso 
di 
specie 
vi 
sono 
le 
misure 
adottate 
dalle 
autorit� 
italiane 
che 
hanno 
determinato 
la 
sepa

RASSEGNA 
AvvoCATURA 
DELLo 
STATo - N. 1/2017 


razione 
definitiva 
del 
minore 
dai 
ricorrenti. 
Infatti, 
i 
giudici 
nazionali 
hanno 
affermato 
che 
non 
si 
trattava 
di 
una 
surrogazione 
di 
maternit� 
�tradizionale�, 
visto 
che 
non 
era 
stato 
usato 
il 
materiale 
biologico 
dei 
ricorrenti. 
� 
stato 
posto 
l�accento 
sul 
mancato 
rispetto 
delle 
procedure 
previste 
dalla 
legislazione 
sulle 
adozioni 
internazionali 
e 
sulla 
violazione 
del 
divieto 
di 
usare 
gameti 
di 
donatori 
ai 
sensi 
dell�articolo 
4 
della 
legge 
sulla 
procreazione 
medicalmente 
assistita 
(si 
veda 
il 
passaggio 
pertinente 
del 
provvedimento 
del 
tribunale 
per 
i 
minorenni, 
paragrafo 
37 
supra). 


134. 
Pertanto, 
la 
questione 
giuridica 
al 
centro 
della 
causa 
� 
se, 
date 
le 
circostanze 
sopra 
esposte, 
sia 
applicabile 
l�articolo 8; 
e, in caso affermativo, se 
le 
misure 
urgenti 
ordinate 
dal 
tribunale 
per 
i 
minorenni 
-che 
hanno 
determinato 
l�allontanamento 
del 
minore 
-costituiscano 
una 
ingerenza 
nel 
diritto 
dei 
ricorrenti 
al 
rispetto 
della 
vita 
famigliare 
e/o 
della 
vita 
privata, 
ai 
sensi 
dell�articolo 8 � 1 della 
Convenzione 
e, in questo caso, se 
le 
misure 
impugnate 
siano 
state adottate conformemente all�articolo 8 � 2 della Convenzione. 
135. 
Infine, 
la 
Corte 
rammenta 
che 
il 
minore 
T.C. 
non 
� 
un 
ricorrente 
nel 
procedimento 
dinanzi 
ad 
essa, 
visto 
che 
la 
camera 
ha 
rigettato 
le 
doglianze 
sollevate 
dai 
ricorrenti 
per 
suo 
conto 
(paragrafo 
86 
supra). 
La 
Corte 
� 
chiamata 
a 
esaminare 
unicamente 
le 
doglianze 
sollevate 
dai 
ricorrenti 
in 
loro 
nome 
(si 
vedano, 
a 
contrario, 
Mennesson, 
sopra 
citata, 
�� 
96-102, 
e 
Labassee, 
sopra 
citata, 
�� 
75-81)). 
2. applicabilit� dell�articolo 8 della Convenzione 
136. 
La 
Corte 
rammenta 
che 
la 
camera 
� 
giunta 
alla 
conclusione 
che 
esistesse 
una 
vita 
famigliare 
de 
facto 
tra 
i 
ricorrenti 
e 
il 
minore 
(paragrafo 
69 
della 
sentenza 
della 
camera). 
Ha 
inoltre 
ritenuto 
che 
la 
situazione 
lamentata 
riguardasse 
anche 
la 
vita 
privata 
del 
ricorrente, 
in 
quanto 
la 
posta 
in 
gioco 
per 
lui 
era 
la 
determinazione 
di 
un 
legame 
biologico 
con 
il 
minore 
(paragrafo 
70 
della 
sentenza 
della 
camera). 
Di 
conseguenza 
l�articolo 
8 
della 
Convenzione 
era 
applicabile 
alla 
presente 
causa. 
137. Il 
Governo contesta 
l�esistenza 
di 
una 
vita 
famigliare 
nel 
caso di 
specie, basandosi 
essenzialmente 
sull�assenza 
di 
un legame 
biologico tra 
i 
ricorrenti 
e 
il 
minore 
e 
sull�illegalit� 
della 
condotta 
dei 
ricorrenti 
ai 
sensi 
dell�ordinamento 
italiano. 
Esso 
sostiene 
che, 
visto 
il 
comportamento 
contrario alla 
legge 
adottato dai 
ricorrenti, tra 
loro e 
il 
minore 
non pu� esistere 
alcun 
legame 
tutelato 
dall�articolo 
8 
della 
Convenzione. 
Afferma 
inoltre 
che 
i 
ricorrenti 
hanno 
vissuto con il minore per soli otto mesi. 
138. I ricorrenti 
chiedono alla 
Corte 
di 
riconoscere 
l�esistenza 
di 
una 
vita 
famigliare 
nonostante 
l�assenza 
di 
un legame 
biologico con il 
minore 
e 
del 
riconoscimento della 
filiazione 
nell�ordinamento italiano. Sostanzialmente, affermano che 
nel 
diritto russo � 
riconosciuto un 
legame 
giuridico di 
filiazione 
e 
che 
essi 
hanno instaurato dei 
legami 
affettivi 
stretti 
con il 
minore 
durante i suoi primi otto mesi di vita. 
139. La 
Corte 
deve 
quindi 
pronunciarsi 
sulla 
questione 
della 
possibilit� 
che 
i 
fatti 
di 
causa 
riguardino la vita famigliare e/o privata dei ricorrenti. 
a) Vita famigliare 


i. Principi pertinenti 
140. 
La 
questione 
dell�esistenza 
o 
dell�assenza 
di 
una 
vita 
famigliare 
� 
essenzialmente 
una 
questione 
di 
fatto, 
che 
dipende 
dall�esistenza 
di 
legami 
personali 
stretti 
(Marckx 
c. 
Belgio, 
13 
giugno 
1979, 
� 
31, 
serieAn. 
31; 
e 
K. 
e 
T. 
c. 
Finlandia 
sopra 
citata, 
� 
150). 
Il 
concetto 
di 
�famiglia� 
di 
cui 
all�articolo 
8 
riguarda 
le 
relazioni 
basate 
sul 
matrimonio 
ed 
anche 
altri 
legami 
�famigliari� 
de 
facto, 
in 
cui 
le 
parti 
convivono 
al 
di 
fuori 
del 
matrimonio 
o 
in 
cui 
altri 
fattori 
dimostrano 
che 
la 
relazione 
� 
sufficientemente 
stabile 
(Kroon 
e 
altri 
c. 
Paesi 
Bassi, 
27 
ottobre 
1994, 
� 
30, 
serie 
A 
n. 
297-C; 
Johnston 
e 
altri 
c. 
Irlanda, 
18 
dicembre 
1986, 
� 
55, 
serie 
A 
n. 
112; 
Keegan 
c. 
Irlanda, 
26 
maggio 
1994, 
� 
44, 
serie 
A 
n. 
290; 
e 
X, 
Y 
e 
z 
c. 
Regno 
Unito, 
22 
aprile 
1997, 
� 
36, 
Recueil 
1997 
II). 
141. Le 
disposizioni 
dell�articolo 8 non garantiscono n� 
il 
diritto di 
costituire 
una 
famiglia 

CoNTENzIoSo 
CoMUNITARIo 
ED 
INTERNAzIoNALE 


n� 
il 
diritto di 
adottare 
(E.B. c. Francia 
[GC], n. 43546/02, � 41, 22 gennaio 2008). Il 
diritto 
al 
rispetto di 
una 
�vita 
famigliare� non tutela 
il 
semplice 
desiderio di 
costituire 
una 
famiglia; 
esso presuppone 
l�esistenza 
di 
una 
famiglia 
(Marckx, sopra 
citata, � 31), o almeno di 
una 
relazione 
potenziale, che 
si 
sia 
potuta 
costituire, ad esempio, tra 
un padre 
naturale 
e 
un figlio 
nato 
fuori 
dal 
matrimonio 
(Nylund 
c. 
Finlandia 
(dec.), 
n. 
27110/95, 
CEDU 
1999-vI), 
o 
di 
una 
relazione 
nata 
da 
un 
matrimonio 
non 
fittizio, 
anche 
se 
non 
era 
ancora 
pienamente 
stabilita 
una 
vita 
famigliare 
(Abdulaziz, Cabales 
e 
Balkandali 
c. Regno Unito, 28 maggio 1985, � 62, 
serie 
A 
n. 94), o ancora 
della 
relazione 
tra 
un padre 
e 
il 
figlio legittimo, anche 
quando si 
sia 
dimostrato, anni 
dopo, che 
non era 
basata 
su un legame 
biologico (Nazarenko c. Russia, n. 
39438/13, � 58, CEDU 
2015 (estratti)) o dalla 
relazione 
nata 
da 
un�adozione 
legale 
e 
non fittizia 
(Pini e altri c. Romania, nn. 78028/01 e 78030/01, � 148, CEDU 2004-v (estratti)). 


ii. applicazione al caso di specie 
142. Pur se 
� 
indubbio che 
non vi 
sia 
un legame 
biologico tra 
i 
ricorrenti 
e 
il 
minore, le 
parti 
hanno 
proposto 
argomenti 
diversi 
in 
merito 
alla 
legittimit� 
del 
vincolo 
genitoriale, 
riconosciuto 
dall�ordinamento russo, che legava i ricorrenti al minore (paragrafi 107 e 118 supra). 
143. 
� 
vero 
che, 
come 
il 
Governo 
indica 
nelle 
sue 
osservazioni 
(paragrafo 
118 
supra), 
la 
questione 
della 
conformit� 
del 
certificato di 
nascita 
all�ordinamento russo � 
stata 
effettivamente 
esaminata 
dalla 
corte 
d�appello di 
Campobasso, che 
ha 
confermato il 
rifiuto di 
registrare 
il 
certificato in questione, ritenendo che 
violasse 
la 
legislazione 
russa 
(paragrafo 47 supra). I ricorrenti 
non 
hanno 
contestato 
questa 
tesi 
dinanzi 
alla 
Corte 
di 
cassazione 
(paragrafo 
84 
supra). 
144. 
Tuttavia, 
la 
formulazione 
delle 
disposizioni 
della 
legislazione 
russa 
applicabili 
il 
27 
febbraio 
2011, 
data 
di 
nascita 
del 
minore, 
e 
il 
10 
marzo 
2011, 
data 
in 
cui 
i 
ricorrenti 
sono 
stati 
registrati 
come 
genitori 
a 
Mosca, 
sembra 
confermare 
l�argomento 
proposto 
dai 
ricorrenti 
dinanzi 
alla 
Corte, 
secondo 
il 
quale 
all�epoca 
dei 
fatti 
l�esistenza 
di 
un 
legame 
biologico 
tra 
il 
minore 
e 
gli 
aspiranti 
genitori 
non 
era 
esplicitamente 
richiesto 
dalla 
legislazione 
russa 
(paragrafi 
7374 
e 
107 
supra). 
Inoltre, 
il 
certificato 
in 
questione 
riportava 
semplicemente 
che 
i 
ricorrenti 
erano 
i 
�genitori�, 
senza 
specificare 
se 
fossero 
i 
genitori 
biologici 
(paragrafo 
16 
supra). 
145. La 
Corte 
osserva 
che 
la 
questione 
della 
conformit� 
del 
certificato di 
nascita 
alla 
legislazione 
russa 
non 
� 
stata 
esaminata 
dal 
tribunale 
per 
i 
minorenni 
nell�ambito 
delle 
misure 
urgenti 
adottate nei confronti del minore. 
146. 
Dinanzi 
ai 
giudici 
italiani, 
la 
potest� 
genitoriale 
esercitata 
dai 
ricorrenti 
sul 
minore 
� 
stata 
riconosciuta 
implicitamente, 
nella 
misura 
in 
cui 
ne 
era 
stata 
richiesta 
la 
sospensione 
(paragrafo 
23 
supra). 
Tuttavia, 
la 
potest� 
genitoriale 
in 
questione 
era 
dubbia 
per 
i 
seguenti 
motivi. 
147. La 
situazione 
dei 
ricorrenti 
era 
in 
conflitto 
con 
l�ordinamento 
nazionale. Secondo 
il 
Tribunale 
per 
i 
minorenni 
di 
Campobasso 
(paragrafo 
37 
supra), 
e 
indipendentemente 
dagli 
aspetti 
di 
diritto penale, vi 
era 
una 
situazione 
di 
illegalit�, che 
consisteva 
in primo luogo nel 
fatto di 
aver portato in Italia 
un minore 
straniero che 
non aveva 
legami 
biologici 
con nessuno dei 
genitori, 
in 
violazione 
delle 
norme 
in 
materia 
di 
adozioni 
internazionali 
e, 
in 
secondo 
luogo, 
nell�avere 
sottoscritto un accordo che 
prevedeva 
la 
consegna 
del 
liquido seminale 
del 
ricorrente 
al 
fine 
della 
fecondazione 
degli 
ovociti 
di 
un�altra 
donna 
in violazione 
del 
divieto, operato 
dalla legislazione italiana, della procreazione assistita eterologa. 
148. La 
Corte 
deve 
accertare 
se, nelle 
circostanze 
di 
causa, la 
relazione 
tra 
i 
ricorrenti 
e 
il 
minore 
rientri 
nella 
sfera 
della 
vita 
famigliare 
ai 
sensi 
dell�articolo 8. La 
Corte 
accetta, in determinate 
situazioni, l�esistenza 
di 
una 
vita 
famigliare 
de 
facto tra 
un adulto o degli 
adulti 
e 
un minore 
in assenza 
di 
legami 
biologici 
o di 
un legame 
riconosciuto giuridicamente, a 
condizione 
che vi siano legami personali effettivi. 

RASSEGNA 
AvvoCATURA 
DELLo 
STATo - N. 1/2017 


149. 
Nonostante 
l�assenza 
di 
un 
legame 
biologico 
e 
di 
un 
legame 
di 
filiazione 
giuridicamente 
riconosciuto dallo Stato convenuto, la 
Corte 
ha 
ritenuto che 
esistesse 
un vita 
famigliare 
tra 
i 
genitori 
affidatari 
che 
si 
erano presi 
cura 
di 
un minore 
temporaneamente 
e 
il 
minore 
in questione, 
sulla 
base 
degli 
stretti 
legami 
personali 
tra 
loro, 
del 
ruolo 
rivestito 
dagli 
adulti 
nei 
confronti 
del 
minore 
e 
del 
tempo trascorso insieme 
(Moretti 
e 
Benedetti 
c. Italia, n. 16318/07, � 
48, 27 aprile 
2010, e 
Kopf e 
Liberda 
c. Austria, n. 1598/06, � 37, 17 gennaio 2012). Nella 
causa 
Moretti 
e 
Benedetti, la 
Corte 
ha 
attribuito importanza 
al 
fatto che 
il 
minore 
era 
arrivato 
nella 
famiglia 
all�et� 
di 
un mese 
e 
che, per diciannove 
mesi, i 
ricorrenti 
avevano condiviso 
con lui 
le 
prime 
importanti 
tappe 
della 
sua 
giovane 
vita. Ha 
anche 
rilevato che 
le 
perizie 
condotte 
sulla 
famiglia 
per ordine 
del 
tribunale 
avevano evidenziato che 
il 
minore 
era 
ben integrato 
nella 
famiglia 
e 
profondamente 
attaccato ai 
ricorrenti 
e 
ai 
loro figli. Inoltre, i 
ricorrenti 
si 
erano anche 
occupati 
dello sviluppo sociale 
del 
minore. Tali 
elementi 
sono stati 
sufficienti 
perch� 
la 
Corte 
ritenesse 
che 
esistevano 
tra 
i 
ricorrenti 
e 
il 
minore 
legami 
interpersonali 
stretti 
e 
che 
i 
ricorrenti 
si 
erano comportati 
sotto tutti 
i 
punti 
di 
vista 
come 
i 
suoi 
genitori, e 
che 
pertanto 
esistevano tra 
loro �legami 
famigliari� de 
facto (Moretti 
e 
Benedetti, sopra 
citata, �� 
49-50). La 
causa 
Kopf e 
Liberda 
riguardava 
una 
famiglia 
affidataria 
che 
si 
era 
presa 
cura, per 
un periodo di 
circa 
quarantasei 
mesi, di 
un minore 
che 
era 
arrivato nella 
loro casa 
all�et� 
di 
due 
anni. Anche 
in questo caso, la 
Corte 
� 
giunta 
alla 
conclusione 
che 
esistesse 
una 
vita 
famigliare, 
visto che 
i 
ricorrenti 
avevano sinceramente 
a 
cuore 
il 
benessere 
del 
minore 
e 
che 
un 
legame 
affettivo si 
era 
stabilito tra 
le 
persone 
interessate 
(Kopf e 
Liberda, sopra 
citata, � 37). 
150. Inoltre, nella 
causa 
Wagner e 
J.M.W.L. c. Lussemburgo (n. 76240/01, � 117, 28 giugno 
2007) 
-che 
riguardava 
l�impossibilit� 
di 
ottenere 
il 
riconoscimento 
giuridico 
in 
Lussemburgo 
di 
una 
decisione 
giudiziaria 
peruviana 
con 
cui 
era 
stata 
pronunciata 
l�adozione 
piena 
della 
seconda 
ricorrente 
a 
vantaggio della 
prima 
ricorrente 
- la 
Corte 
ha 
riconosciuto l�esistenza 
di 
una 
vita 
famigliare 
nonostante 
il 
mancato riconoscimento giuridico dell�adozione, sulla 
base 
del 
fatto che 
dei 
legami 
famigliari 
de 
facto esistevano da 
pi� di 
dieci 
anni 
tra 
le 
ricorrenti 
e 
che la sig.ra 
Wagner si comportava a tutti gli effetti come la madre della minore. 
151. 
� 
pertanto 
necessario, 
nel 
caso 
di 
specie, 
esaminare 
la 
qualit� 
dei 
legami, 
il 
ruolo 
rivestito 
dai 
ricorrenti 
nei 
confronti 
del 
minore 
e 
la 
durata 
della 
convivenza 
tra 
loro. La 
Corte 
ritiene 
che 
i 
ricorrenti 
abbiano concepito un progetto genitoriale 
e 
si 
siano assunti 
il 
loro ruolo di 
genitori 
nei 
confronti 
del 
minore 
(si 
veda, a 
contrario, Giusto, Bornacin e 
v. c. Italia 
(dec.), n. 
38972/06, 15 maggio 2007). Hanno intessuto stretti 
legami 
affettivi 
con lui 
nelle 
prime 
tappe 
della 
sua 
vita, come 
efficacemente 
riferito, del 
resto, nelle 
perizie 
redatte 
dall�equipe 
di 
assistenti 
sociali su incarico del tribunale per i minorenni (paragrafo 25 supra). 
152. 
Per 
quanto 
riguarda 
la 
durata 
della 
convivenza 
tra 
i 
ricorrenti 
e 
il 
minore 
nel 
caso 
di 
specie, 
la 
Corte 
osserva 
che 
questi 
ultimi 
hanno 
vissuto 
insieme 
per 
sei 
mesi 
in 
Italia, 
preceduti 
da un periodo di circa due mesi di convivenza della ricorrente con il minore in Russia. 
153. Sarebbe 
certamente 
poco opportuno definire 
una 
durata 
minima 
della 
convivenza 
necessaria 
per costituire 
una 
vita 
famigliare 
de 
facto, visto che 
la 
valutazione 
di 
ogni 
situazione 
deve 
tenere 
conto della 
�qualit�� del 
legame 
e 
delle 
circostanze 
di 
ciascun caso. Tuttavia, la 
durata 
della 
relazione 
con il 
minore 
� 
un fattore 
chiave 
affinch� 
la 
Corte 
riconosca 
l�esistenza 
di 
una 
vita 
famigliare. Nella 
causa 
Wagner e 
J.M.W.L. sopra 
citata, la 
convivenza 
era 
durata 
per oltre 
dieci 
anni. Analogamente, nella 
causa 
Nazarenko (sopra 
citata, � 58), nella 
quale 
un 
uomo sposato aveva 
assunto il 
ruolo genitoriale 
prima 
di 
scoprire 
di 
non essere 
il 
padre 
biologico 
del minore, il periodo trascorso insieme era durato oltre cinque anni. 
154. � 
vero che, nel 
caso di 
specie, la 
durata 
della 
convivenza 
con il 
minore 
� 
stata 
maggiore 

CoNTENzIoSo 
CoMUNITARIo 
ED 
INTERNAzIoNALE 


di 
quella 
della 
causa 
D. e 
altri 
c. Belgio, ((dec.), n. 29176/13, � 49, 8 luglio 2014), nella 
quale 
la 
Corte 
ha 
ritenuto che 
vi 
fosse 
vita 
famigliare, tutelata 
dall�articolo 8, per una 
convivenza 
durata 
solamente 
due 
mesi 
prima 
della 
separazione 
temporanea 
di 
una 
coppia 
belga 
e 
di 
un 
minore 
nato in Ucraina 
da 
una 
madre 
surrogata. In quel 
caso, tuttavia, vi 
era 
un legame 
biologico 
tra il minore e almeno uno dei genitori e la convivenza era ripresa successivamente. 


155. Per quanto riguarda 
l�argomento proposto dal 
ricorrente 
secondo il 
quale 
egli 
era 
convinto 
di 
essere 
il 
padre 
biologico del 
minore, visto che 
aveva 
consegnato il 
suo liquido seminale 
alla 
clinica, la 
Corte 
ritiene 
che 
tale 
convinzione 
- smentita 
nell�agosto 2011 dall�esito 
del 
test 
del 
DNA 
-non 
possa 
compensare 
la 
breve 
durata 
del 
periodo 
in 
cui 
ha 
vissuto 
insieme 
al 
minore 
(si 
veda, a 
contrario, Nazarenko, sopra 
citata, � 58) e 
non sia 
pertanto sufficiente 
per determinare una vita famigliare de facto. 
156. Sebbene 
la 
fine 
della 
loro relazione 
con il 
minore 
non sia 
direttamente 
imputabile 
ai 
ricorrenti 
nel 
caso 
di 
specie, 
nondimeno 
essa 
� 
la 
conseguenza 
dell�incertezza 
giuridica 
che 
essi 
stessi 
hanno 
determinato 
rispetto 
ai 
legami 
in 
questione, 
adottando 
una 
condotta 
contraria 
all�ordinamento 
italiano 
e 
venendo 
a 
stabilirsi 
in 
Italia 
con 
il 
minore. 
Le 
autorit� 
italiane 
hanno 
reagito rapidamente 
a 
questa 
situazione 
chiedendo la 
sospensione 
della 
potest� 
genitoriale 
e 
avviando la 
procedura 
per l�adottabilit� 
(paragrafi 
22-23 supra). Il 
caso di 
specie 
differisce 
dalle 
cause 
Kopf, Moretti 
e 
Benedetti, e 
Wagner sopra 
citate, in cui 
l�affidamento del 
minore 
ai ricorrenti era, rispettivamente, riconosciuto o tollerato dalle autorit�. 
157. In considerazione 
dei 
fattori 
sopra 
esposti, vale 
a 
dire 
l�assenza 
di 
legami 
biologici 
tra 
il 
minore 
e 
gli 
aspiranti 
genitori, la 
breve 
durata 
della 
relazione 
con il 
minore 
e 
l�incertezza 
dei 
legami 
dal 
punto di 
vista 
giuridico e 
malgrado l�esistenza 
di 
un progetto genitoriale 
e 
la 
qualit� 
dei 
legami 
affettivi, la 
Corte 
ritiene 
che 
le 
condizioni 
per poter concludere 
che 
esiste 
una vita famigliare de facto non siano soddisfatte. 
158. Pertanto, la Corte conclude che, nel caso di specie, non sussiste una vita famigliare. 
b) Vita privata 


i. Principi pertinenti 
159. La 
Corte 
rammenta 
che 
il 
concetto di 
�vita 
privata� ai 
sensi 
dell�articolo 8 della 
Convenzione 
� 
un concetto ampio, che 
non si 
presta 
a 
una 
definizione 
esaustiva. Comprende 
l�integrit� 
fisica 
e 
psicologica 
di 
una 
persona 
(X 
e 
Y 
c. Paesi 
Bassi, 26 marzo 1985, � 22, serie 
A 
n. 91) e, entro certi 
limiti, il 
diritto di 
instaurare 
e 
sviluppare 
rapporti 
con altri 
esseri 
umani 
(Niemietz 
c. Germania, 16 dicembre 
1992, � 29, serie 
A 
n. 251-B). Pu� a 
volte 
comprendere 
aspetti 
dell�identit� 
fisica 
e 
sociale 
di 
una 
persona 
(Mikuli. 
c. 
Croazia, 
n. 
53176/99, 
� 
53, 
CEDU 
2002-I). Il 
concetto di 
vita 
privata 
include 
anche 
il 
diritto alla 
realizzazione 
personale 
o il 
diritto all�autodeterminazione 
(Pretty c. Regno Unito, n. 2346/02, � 61, CEDU 
2002 III), 
e 
il 
diritto 
al 
rispetto 
delle 
decisioni 
di 
diventare 
o 
meno 
genitore 
(Evans 
c. 
Regno 
Unito 
[GC], 
n. 
6339/05, 
� 
71, 
CEDU 
2007-I, 
e 
A, 
B 
e 
C 
c. 
Irlanda 
[GC], 
n. 
25579/05, 
� 
212, 
CEDU 
2010). 
160. Nella 
sentenza 
pronunciata 
nella 
causa 
Dickson c. Regno Unito ([GC], n. 44362/04, � 
66, CEDU 
2007-v), relativa 
al 
rifiuto di 
concedere 
ai 
ricorrenti 
- un detenuto e 
sua 
moglie 
la 
possibilit� 
di 
praticare 
l�inseminazione 
artificiale, 
la 
Corte 
� 
giunta 
alla 
conclusione 
che 
l�articolo 8 fosse 
applicabile 
in quanto il 
rifiuto delle 
pratiche 
di 
inseminazione 
artificiale 
in 
questione 
riguardava 
la 
loro vita 
privata 
e 
famigliare, specificando che 
tali 
concetti 
comprendono 
il 
diritto al 
rispetto della 
loro decisione 
di 
diventare 
genitori 
genetici. Nella 
causa 
S.H. 
e 
altri 
c. Austria 
([GC], n. 57813/00, � 82, CEDU 
2011) - che 
riguardava 
delle 
coppie 
che 
volevano 
avere 
un figlio usando gameti 
di 
donatori 
- la 
Corte 
ha 
ritenuto che 
anche 
il 
diritto di 
una 
coppia 
di 
concepire 
un figlio utilizzando a 
tal 
fine 
la 
procreazione 
medicalmente 
assistita 

RASSEGNA 
AvvoCATURA 
DELLo 
STATo - N. 1/2017 


� tutelato dall�articolo 8, poich� tale scelta � un�espressione della vita privata e famigliare. 


ii. applicazione al caso di specie 
161. 
La 
Corte 
osserva 
che 
non 
vi 
� 
alcun 
motivo 
valido 
per 
ritenere 
che 
il 
concetto 
di 
�vita 
privata� 
escluda 
i 
legami 
affettivi 
che 
si 
instaurano 
e 
si 
sviluppano 
tra 
un 
adulto 
e 
un 
minore 
in 
situazioni 
diverse 
dalla 
classica 
situazione 
di 
parentela. 
Anche 
questo 
tipo 
di 
legame 
appartiene 
alla 
vita 
e 
alla 
identit� 
sociale 
delle 
persone. 
In 
alcuni 
casi, 
aventi 
ad 
oggetto 
una 
relazione 
tra 
adulti 
e 
minore 
tra 
i 
quali 
non 
vi 
sono 
legami 
n� 
biologici 
n� 
giuridici, 
i 
fatti 
possono 
nondimeno 
rientrare 
nella 
sfera 
della 
�vita 
privata� 
(X. 
c. 
Svizzera, 
n. 
8257/78, 
decisione 
della 
Commissione 
del 
10 
luglio 
1978, 
D�cisions 
et 
rapports 
5; 
si 
veda 
anche, 
mutatis 
mutandis, 
Niemietz, 
sopra 
citata, 
� 
29). 
162. In particolare, nella 
causa 
X. c. Svizzera 
sopra 
citata, la 
Commissione 
ha 
esaminato la 
situazione 
di 
una 
persona 
a 
cui 
degli 
amici 
avevano affidato il 
loro figlio, compito che 
era 
stato assolto. Quando, anni 
dopo, le 
autorit� 
avevano deciso che 
il 
minore 
non poteva 
pi� rimanere 
con la 
persona 
in questione, visto che 
i 
genitori 
avevano chiesto di 
riprenderlo con 
loro, la 
ricorrente 
aveva 
presentato un ricorso per poter continuare 
a 
tenere 
con s� 
il 
minore, 
invocando 
l�articolo 
8 
della 
Convenzione. 
La 
Commissione 
aveva 
ritenuto 
che 
fosse 
coinvolta 
la vita privata della ricorrente, in quanto la stessa era profondamente legata al minore. 
163. Nel 
caso di 
specie, la 
Corte 
osserva 
che 
i 
ricorrenti 
avevano la 
sincera 
intenzione 
di 
diventare 
genitori, 
inizialmente 
tentando 
la 
fecondazione 
in 
vitro, 
quindi 
richiedendo 
e 
ottenendo 
l�idoneit� 
all�adozione, 
e, 
infine, 
rivolgendosi 
alla 
donazione 
di 
ovuli 
e 
ricorrendo 
a 
una 
madre 
surrogata. 
Una 
gran 
parte 
della 
loro 
vita 
� 
stata 
concentrata 
sulla 
realizzazione 
del 
loro 
progetto 
di 
diventare 
genitori, 
per 
amare 
e 
crescere 
un 
figlio. 
Di 
conseguenza, 
l�argomento 
in 
questione 
� 
il 
diritto al 
rispetto della 
decisione 
dei 
ricorrenti 
di 
diventare 
genitori 
(S.H. e 
altri 
c. Austria, 
sopra 
citata, � 82), e 
la 
realizzazione 
personale 
degli 
interessati 
attraverso il 
ruolo di 
genitori 
che 
era 
loro desiderio assumere 
nei 
confronti 
del 
minore. Infine, dato che 
il 
procedimento dinanzi 
al 
tribunale 
per i 
minorenni 
riguardava 
la 
questione 
dell�esistenza 
di 
legami 
biologici 
tra 
il 
minore 
e 
il 
ricorrente, tale 
procedimento e 
l�accertamento dei 
dati 
genetici 
hanno avuto 
un impatto sull�identit� di quest�ultimo e sul rapporto tra i due ricorrenti. 
164. 
Alla 
luce 
delle 
considerazioni 
precedenti, 
la 
Corte 
conclude 
che 
i 
fatti 
di 
causa 
rientrano 
nella sfera della vita privata dei ricorrenti. 
c) Conclusione 


165. In considerazione 
di 
quanto sopra, la 
Corte 
conclude 
che 
non vi 
� 
stata 
vita 
famigliare 
tra 
i 
ricorrenti 
e 
il 
minore, e 
ritiene 
invece 
che 
le 
misure 
contestate 
riguardino la 
vita 
privata 
dei ricorrenti. Ne consegue che l�articolo 8 della Convenzione si applica a questo titolo. 
3. sul rispetto dell�articolo 8 della Convenzione 
166. 
Nella 
fattispecie, 
i 
ricorrenti 
sono 
stati 
danneggiati 
dalle 
decisioni 
giudiziarie 
che 
hanno 
portato 
all�allontanamento 
del 
minore 
e 
alla 
presa 
in 
carico 
di 
quest�ultimo 
da 
parte 
dei 
servizi 
sociali 
ai 
fini 
della 
sua 
adozione. La 
Corte 
ritiene 
che 
le 
misure 
adottate 
nei 
confronti 
del 
minore 
- allontanamento, affido famigliare 
senza 
contatto con i 
ricorrenti, nomina 
di 
un tutore 
si 
traducano in una ingerenza nella vita privata dei ricorrenti. 
167. Tale 
ingerenza 
� 
contraria 
all�articolo 8 a 
meno che 
non sia 
giustificabile 
dal 
punto di 
vista 
del 
paragrafo 2 di 
questa 
disposizione, cio� 
a 
meno che 
non sia 
�prevista 
dalla 
legge�, 
non persegua 
uno o pi� scopi 
legittimi 
tra 
quelli 
elencati 
in tale 
disposizione 
e 
non sia 
�necessaria 
in una societ� democratica� per raggiungere tali scopi. 
a) �Prevista dalla legge� 


168. 
I 
ricorrenti 
affermano 
che 
l�applicazione 
del 
diritto 
italiano 
e, 
in 
particolare, 
dell�articolo 
8 della 
legge 
sull�adozione 
- che 
definisce 
il 
minore 
in stato di 
abbandono come 
un minore 

CoNTENzIoSo 
CoMUNITARIo 
ED 
INTERNAzIoNALE 


privo 
di 
assistenza 
morale 
o 
materiale 
da 
parte 
dei 
genitori 
o 
dei 
famigliari 
tenuti 
a 
provvedervi 


- dipende da una scelta arbitraria da parte dei giudici italiani. 
169. 
La 
Corte 
rammenta 
la 
sua 
giurisprudenza 
costante 
secondo 
la 
quale 
le 
parole 
�prevista 
dalla 
legge� 
impongono 
non 
solo 
che 
la 
misura 
contestata 
abbia 
una 
base 
giuridica 
nel 
diritto 
interno, 
ma 
riguardano 
anche 
la 
qualit� 
della 
legge 
in 
causa: 
perci�, 
questa 
deve 
essere 
accessibile 
alle 
persone 
sottoposte 
alla 
giustizia, 
e 
i 
suoi 
effetti 
devono 
essere 
prevedibili 
(Rotaru 
c. 
Romania 
[GC], 
n. 
28341/95, 
� 
52, 
CEDU 
2000-v 
e 
Centro 
Europa 
7 
S.r.l. 
e 
Di 
Stefano 
c. 
Italia 
[GC], 
n. 
38433/09, 
� 
140, 
CEDU 
2012). 
Tuttavia, 
spetta 
alle 
autorit� 
nazionali, 
in 
particolare 
ai 
tribunali, 
interpretare 
e 
applicare 
il 
diritto 
interno 
(Kruslin 
c. 
Francia, 
24 
aprile 
1990, 
� 
29, 
serie 
A 
n. 
176A, 
Kopp 
c. 
Svizzera, 
25 
marzo 
1998, 
� 
59, 
Recueil 
1998-II, 
e 
Centro 
Europa 
7 
S.r.l. 
e 
Di 
Stefano, 
sopra 
citata, 
� 
140; 
si 
veda 
anche 
Delfi 
AS 
c. 
Estonia 
[GC], 
n. 
64569/09, 
� 
127, 
CEDU 
2015). 
170. Come 
la 
camera 
(paragrafo 72 della 
sentenza 
della 
camera), la 
Grande 
Camera 
ritiene 
che 
la 
scelta 
dei 
tribunali 
nazionali 
di 
applicare 
il 
diritto italiano per quanto riguarda 
la 
filiazione 
e 
di 
non basarsi 
sul 
certificato di 
nascita 
rilasciato dalle 
autorit� 
russe 
e 
apostillato sia 
compatibile 
con 
la 
Convenzione 
dell�Aja 
del 
1961 
(paragrafo 
75 
supra). 
In 
effetti, 
ai 
sensi 
dell�articolo 5 di 
tale 
Convenzione, l�unico effetto dell�apostille 
� 
quello di 
certificare 
l�autenticit� 
della 
firma, la 
qualit� 
nella 
quale 
il 
firmatario dell�atto ha 
agito e, se 
del 
caso, l�identit� 
del 
timbro apposto nello stesso. Dal 
rapporto esplicativo di 
detta 
Convenzione 
risulta 
che 
l�apostille 
non attesta 
la 
veridicit� 
del 
contenuto dell�atto sottostante. Tale 
limitazione 
degli 
effetti 
giuridici 
derivante 
dalla 
Convenzione 
dell�Aja 
ha 
lo scopo di 
preservare 
il 
diritto degli 
Stati 
firmatari 
di 
applicare 
le 
loro 
norme 
in 
materia 
di 
conflitti 
di 
leggi 
quando 
devono 
decidere 
quale peso attribuire al contenuto del documento apostillato. 
171. Nella 
fattispecie, il 
tribunale 
per i 
minorenni 
ha 
applicato la 
norma 
italiana 
in materia 
di 
conflitti 
di 
leggi, che 
prevede 
che 
la 
filiazione 
� 
determinata 
dalla 
legge 
nazionale 
del 
minore 
al 
momento della 
nascita 
(legge 
sul 
diritto internazionale 
privato, paragrafo 57 supra). 
Tuttavia, poich� 
il 
minore 
� 
nato da 
gameti 
di 
donatori 
sconosciuti, secondo i 
giudici 
italiani 
la sua nazionalit� non era accertata. 
172. L�articolo 37bis 
della 
legge 
sull�adozione 
prevede 
che 
ai 
minori 
stranieri 
che 
sono in 
Italia 
si 
applichi 
la 
legge 
italiana 
in materia 
di 
adozione, di 
affidamento e 
di 
provvedimenti 
necessari 
in caso di 
urgenza 
(paragrafi 
63 e 
65 supra). La 
situazione 
del 
minore 
T.C., la 
cui 
nazionalit� 
non � 
conosciuta 
e 
che 
� 
nato all�estero da 
genitori 
biologici 
sconosciuti, � 
stata 
assimilata a quella di un minore straniero. 
173. 
In 
queste 
circostanze, 
la 
Corte 
ritiene 
che 
fosse 
prevedibile 
che 
l�applicazione 
del 
diritto 
italiano da 
parte 
dei 
giudici 
nazionali 
portasse 
alla 
constatazione 
che 
il 
minore 
si 
trovava 
in 
stato di abbandono. 
174. Ne 
consegue 
che 
l�ingerenza 
nella 
vita 
privata 
dei 
ricorrenti 
era 
�prevista 
dalla 
legge�. 
b) scopo legittimo 


175. Il 
Governo si 
dichiara 
d�accordo con la 
sentenza 
della 
camera 
che 
ha 
accettato che 
le 
misure 
in questione 
miravano alla 
�difesa 
dell�ordine� e 
alla 
protezione 
dei 
�diritti 
e 
delle 
libert�
� del minore. 
176. Da 
parte 
loro, i 
ricorrenti 
contestano che 
tali 
misure 
servissero a 
proteggere 
i 
�diritti 
e 
le libert�� del minore. 
177. Nella 
misura 
in cui 
la 
condotta 
dei 
ricorrenti 
contravveniva 
alla 
legge 
sull�adozione 
e 
al 
divieto 
nel 
diritto 
italiano 
delle 
tecniche 
di 
procreazione 
assistita 
eterologa, 
la 
Grande 
Camera 
ammette 
il 
punto di 
vista 
della 
camera 
secondo il 
quale 
le 
misure 
adottate 
nei 
confronti 
del 
minore 
tendevano alla 
�difesa 
dell�ordine�. Peraltro, essa 
ammette 
che 
tali 
misure 
miravano 

RASSEGNA 
AvvoCATURA 
DELLo 
STATo - N. 1/2017 


anche 
alla 
protezione 
dei 
�diritti 
e 
delle 
libert�� altrui. In effetti, la 
Corte 
giudica 
legittima, 
rispetto 
all�articolo 
8 
� 
2, 
la 
volont� 
delle 
autorit� 
italiane 
di 
riaffermare 
la 
competenza 
esclusiva 
dello Stato per riconoscere 
un legame 
di 
filiazione 
- e 
ci� unicamente 
in caso di 
legame 
biologico o di adozione regolare - allo scopo di tutelare i minori. 


178. Pertanto le misure controverse rispondevano a scopi legittimi. 
c) necessit� in una societ� democratica 


i. Principi pertinenti 
179. La 
Corte 
rammenta 
che, per valutare 
la 
�necessit�� delle 
misure 
controverse 
�in una 
societ� 
democratica�, 
deve 
esaminare, 
alla 
luce 
della 
causa 
nel 
suo 
complesso, 
se 
i 
motivi 
addotti 
per giustificarle 
sono pertinenti 
e 
sufficienti 
ai 
fini 
del 
paragrafo 2 dell�articolo 8 (si 
vedano, 
tra 
molte 
altre, Parrillo c. Italia 
[GC], n. 46470/11, � 168, CEDU 
2015, S.H. e 
altri 
c. 
Austria, sopra citata, � 91, e K. e 
T. c. Finlandia, sopra citata, � 154). 
180. 
In 
una 
causa 
derivante 
da 
un 
ricorso 
individuale, 
la 
Corte 
non 
ha 
il 
compito 
di 
controllare 
in 
astratto 
una 
legislazione 
o 
una 
pratica 
contestata, 
ma 
deve 
per 
quanto 
possibile 
limitarsi, 
senza 
perdere 
di 
vista 
il 
contesto 
generale, 
a 
trattare 
le 
questioni 
sollevate 
dal 
caso 
concreto 
di 
cui 
� 
investita 
(S.H. 
e 
altri 
c. 
Austria, 
sopra 
citata, 
� 
92, 
e 
olsson 
c. 
Svezia 
(n. 
1), 
24 
marzo 
1988, 
� 
54, 
serie 
A 
n. 
130). 
Essa 
non 
deve, 
pertanto, 
sostituire 
la 
propria 
valutazione 
a 
quella 
delle 
autorit� 
nazionali 
competenti 
quando 
si 
tratta 
di 
determinare 
il 
mezzo 
migliore 
per 
regolare 
la 
questione 
-complessa 
e 
delicata 
-del 
rapporto 
tra 
aspiranti 
genitori 
e 
un 
minore 
nato 
all�estero 
nell�ambito 
di 
un 
accordo 
commerciale 
di 
gestazione 
per 
conto 
terzi 
e 
attraverso 
un 
metodo 
di 
procreazione 
medicalmente 
assistita 
che 
siano 
entrambi 
vietati 
nello 
Stato 
convenuto. 
181. Secondo la 
giurisprudenza 
consolidata 
della 
Corte, la 
nozione 
di 
necessit� 
implica 
che 
l�ingerenza 
corrisponda 
a 
un 
bisogno 
sociale 
imperioso 
e, 
in 
particolare, 
che 
sia 
proporzionata 
allo 
scopo 
legittimo 
perseguito 
tenuto 
conto 
del 
giusto 
equilibrio 
da 
mantenere 
tra 
gli 
interessi 
concomitanti 
in gioco (A, B e 
C c. Irlanda, sopra 
citata, � 229). Per determinare 
se 
una 
ingerenza 
sia 
�necessaria 
in 
una 
societ� 
democratica�, 
si 
deve 
tenere 
conto 
del 
fatto 
che 
un 
margine 
di 
apprezzamento 
viene 
lasciato 
alle 
autorit� 
nazionali, 
la 
cui 
decisione 
rimane 
soggetta 
al 
controllo della 
Corte, competente 
per verificarne 
la 
conformit� 
alle 
esigenze 
della 
Convenzione 
(X, Y e z c. Regno Unito, sopra citata, � 41). 
182. La 
Corte 
rammenta 
che, per pronunciarsi 
sull�ampiezza 
del 
margine 
di 
apprezzamento 
che 
deve 
essere 
riconosciuto allo Stato in una 
causa 
che 
solleva 
questioni 
rispetto all�articolo 
8, si 
deve 
tenere 
conto di 
un certo numero di 
fattori 
(si 
vedano, tra 
molti 
esempi, S.H. e 
altri 
c. 
Austria, 
sopra 
citata, 
� 
94, 
e 
H�m�l�inen 
c. 
Finlandia 
[GC], 
n. 
37359/09, 
� 
67, 
CEDU 
2014). 
Quando � 
in gioco un aspetto particolarmente 
importante 
dell�esistenza 
o dell�identit� 
di 
un 
individuo, il 
margine 
lasciato allo Stato � 
normalmente 
ristretto (Evans, sopra 
citata, � 77). 
Invece, quando non vi 
� 
un consenso tra 
gli 
Stati 
membri 
del 
Consiglio d�Europa, che 
sia 
sull�importanza 
relativa 
dell�interesse 
in 
gioco 
o 
sui 
mezzi 
pi� 
appropriati 
per 
proteggerlo, 
in 
particolare 
quando la 
causa 
solleva 
questioni 
morali 
o etiche 
delicate, il 
margine 
di 
apprezzamento 
� 
pi� ampio (Evans, sopra 
citata, � 77, e 
A, B e 
C c. Irlanda, sopra 
citata, � 232). Il 
margine 
di 
apprezzamento, � 
generalmente 
ampio anche 
quando lo Stato deve 
garantire 
un 
equilibrio tra 
interessi 
privati 
e 
pubblici 
concomitanti 
o diritti 
diversi 
tutelati 
dalla 
Convenzione 
(Evans, sopra citata, � 77 e Dickson, sopra citata, � 78). 
183. 
Se 
le 
autorit� 
godono 
di 
ampia 
libert� 
in 
materia 
di 
adozione 
(Wagner 
e 
J.M.W.L., 
sopra 
citata, 
� 
128) 
o 
per 
valutare 
la 
necessit� 
di 
prendere 
in 
carico 
un 
minore 
(Kutzner 
c. 
Germania, 
n. 
46544/99, 
� 
67, 
CEDU 
2002 
I), 
in 
particolare 
in 
caso 
di 
urgenza, 
la 
Corte 
deve 
comunque 
avere 
acquisito 
la 
convinzione 
che, 
nella 
causa 
in 
questione, 
esistevano 
circostanze 
tali 
da 
giu

CoNTENzIoSo 
CoMUNITARIo 
ED 
INTERNAzIoNALE 


stificare 
il 
fatto 
di 
allontanare 
il 
minore 
(zhou 
c. 
Italia, 
n. 
33773/11, 
� 
55, 
21 
gennaio 
2014). 


184. 
Quanto 
al 
riconoscimento 
da 
parte 
della 
Corte 
del 
fatto 
che 
agli 
Stati 
in 
linea 
di 
principio 
deve 
essere 
riconosciuto un ampio margine 
di 
apprezzamento nei 
casi 
che 
sollevano delicate 
questioni 
di 
ordine 
etico per le 
quali 
non esiste 
un consenso su scala 
europea, la 
Corte 
rinvia 
all�approccio moderato adottato sulla 
questione 
della 
fecondazione 
assistita 
eterologa 
nella 
causa 
S.H. 
e 
altri 
(sopra 
citata, 
�� 
95-118), 
e 
alla 
sua 
analisi 
riguardante 
la 
maternit� 
surrogata 
e 
il 
riconoscimento giuridico del 
legame 
di 
filiazione 
tra 
gli 
aspiranti 
genitori 
e 
i 
minori 
legittimamente 
concepiti all�estero nella sentenza Mennesson (sopra citata, �� 78-79). 
ii. applicazione al caso di specie 
185. 
I 
ricorrenti 
affermano 
che 
l�allontanamento 
del 
minore 
non 
era 
n� 
necessario 
n� 
fondato 
su 
motivi 
pertinenti 
e 
sufficienti, 
e 
che 
i 
giudici 
nazionali 
hanno 
deciso 
basandosi 
unicamente 
sulla 
difesa 
dell�ordine 
pubblico, senza 
procedere 
alla 
valutazione 
degli 
interessi 
in gioco. A 
questo proposito, osservano che 
i 
rapporti 
redatti 
dai 
servizi 
sociali 
e 
dalla 
psicologa 
consulente 
nominata 
da 
questi 
ultimi 
- che 
erano estremamente 
positivi 
per quanto riguarda 
la 
loro 
capacit� 
di 
amare 
il 
minore 
e 
di 
prendersene 
cura 
- non sono stati 
in alcun modo presi 
in considerazione 
dai tribunali. 
186. Il 
Governo afferma 
che 
i 
provvedimenti 
dei 
tribunali 
erano necessari 
per ripristinare 
la 
legalit� e hanno tenuto conto dell�interesse del minore. 
187. La 
Corte 
deve 
pertanto valutare 
le 
misure 
volte 
all�allontanamento immediato e 
definitivo 
del minore e il loro impatto sulla vita privata dei ricorrenti. 
188. A 
questo proposito, la 
Corte 
osserva 
che 
i 
giudici 
nazionali 
hanno fondato i 
provvedimenti 
adottati 
sull�assenza 
di 
legame 
genetico tra 
i 
ricorrenti 
e 
il 
minore 
e 
sulla 
violazione 
della 
legislazione 
nazionale 
relativa 
all�adozione 
internazionale 
e 
alla 
procreazione 
medicalmente 
assistita. I provvedimenti 
adottati 
dalle 
autorit� 
miravano alla 
interruzione 
immediata 
e 
definitiva 
di 
ogni 
contatto tra 
i 
ricorrenti 
e 
il 
minore, nonch� 
all�affidamento famigliare 
di 
quest�ultimo e alla nomina di un tutore. 
189. Nel 
provvedimento del 
20 ottobre 
2011, il 
tribunale 
per i 
minorenni 
di 
Campobasso ha 
tenuto conto degli 
elementi 
seguenti 
(paragrafo 37 supra). La 
ricorrente 
aveva 
dichiarato di 
non essere 
la 
madre 
genetica; 
gli 
ovuli 
provenivano da 
una 
donatrice 
sconosciuta; 
il 
test 
del 
DNA 
effettuato sul 
ricorrente 
e 
sul 
minore 
aveva 
dimostrato che 
non esisteva 
alcun legame 
genetico 
tra 
loro; 
i 
ricorrenti 
avevano 
versato 
una 
somma 
di 
denaro 
importante; 
contrariamente 
a 
quanto affermava, nulla 
dimostrava 
che 
il 
materiale 
genetico del 
ricorrente 
fosse 
stato realmente 
trasportato in Russia. Ci� premesso, non si 
trattava 
di 
un caso di 
maternit� 
surrogata 
tradizionale, in quanto il 
minore 
non aveva 
alcun legame 
genetico con i 
ricorrenti. L�unica 
certezza 
riguardava 
l�identit� 
della 
madre 
surrogata, che 
non era 
la 
madre 
genetica 
e 
aveva 
rinunciato ai 
suoi 
diritti 
sul 
minore 
dopo averlo messo al 
mondo. I genitori 
genetici 
rimanevano 
sconosciuti. 
I 
ricorrenti 
si 
trovavano 
in 
situazione 
illegale 
in 
quanto, 
in 
primo 
luogo, 
avevano condotto un minore 
in Italia 
senza 
rispettare 
la 
legge 
sull�adozione. ora, ai 
sensi 
di 
quest�ultima, prima 
di 
condurre 
un minore 
straniero in Italia, i 
candidati 
all�adozione 
internazionale 
devono in effetti 
rivolgersi 
a 
un organismo autorizzato per cercare 
un minore, poi 
chiedere 
l�intervento della 
commissione 
per le 
adozioni 
internazionali, unico organo competente 
per 
autorizzare 
l�ingresso 
e 
la 
residenza 
permanente 
di 
un 
minore 
straniero 
in 
Italia. 
L�articolo 72 di 
questa 
legge 
sanziona 
i 
comportamenti 
che 
contravvengono a 
queste 
norme, 
ma 
la 
valutazione 
dell�aspetto 
penale 
della 
situazione 
non 
era 
di 
competenza 
del 
tribunale 
per 
i 
minorenni. In secondo luogo, l�accordo concluso dai 
ricorrenti 
con la 
societ� 
Rosjurconsulting 
era 
contrario alla 
legge 
sulla 
procreazione 
medicalmente 
assistita 
che, nel 
suo articolo 4, 

RASSEGNA 
AvvoCATURA 
DELLo 
STATo - N. 1/2017 


vietava 
la 
fecondazione 
assistita 
eterologa. 
Si 
doveva 
mettere 
fine 
a 
questa 
situazione 
illegale 
e l�unico modo di farlo era allontanare il minore dai ricorrenti. 


190. 
Pur 
riconoscendo 
che 
il 
minore 
avrebbe 
subito 
un 
pregiudizio 
a 
causa 
della 
separazione, 
il 
tribunale 
per i 
minorenni 
ha 
ritenuto che, visto il 
breve 
periodo trascorso con i 
ricorrenti 
e 
la 
sua 
tenera 
et�, tale 
trauma 
non sarebbe 
stato irreparabile, e 
questo contrariamente 
al 
parere 
della 
psicologa 
nominata 
dai 
ricorrenti. 
Il 
tribunale 
ha 
dichiarato 
che 
la 
ricerca 
di 
un�altra 
coppia 
che 
potesse 
prendere 
in carico il 
minore 
e 
attutire 
le 
conseguenze 
del 
trauma 
avrebbe 
dovuto 
essere 
avviata 
immediatamente. 
Ha 
aggiunto 
che, 
considerato 
che 
i 
ricorrenti 
avevano 
preferito 
aggirare 
la 
legge 
sull�adozione 
malgrado 
avessero 
ottenuto 
l�autorizzazione, 
si 
poteva 
pensare 
che 
il 
minore 
fosse 
il 
risultato di 
un desiderio narcisistico della 
coppia 
o che 
fosse 
destinato a 
risolvere 
i 
problemi 
di 
quest�ultima. Di 
conseguenza, il 
tribunale 
ha 
espresso dei 
dubbi sulla reale capacit� affettiva ed educativa dei ricorrenti. 
191. 
Peraltro, 
la 
corte 
d�appello 
di 
Campobasso 
ha 
confermato 
il 
provvedimento 
del 
tribunale 
per 
i 
minorenni, 
ritenendo 
anch�essa 
che 
il 
minore 
fosse 
in 
�stato 
di 
abbandono� 
ai 
sensi 
della 
legge 
sull�adozione. 
Essa 
ha 
sottolineato 
l�urgenza 
di 
adottare 
dei 
provvedimenti 
nei 
suoi 
confronti, 
senza 
attendere 
l�esito della 
procedura 
relativa 
alla 
registrazione 
del 
certificato di 
nascita 
(paragrafo 40 supra). 
.. margine di apprezzamento 


192. La 
Corte 
deve 
esaminare 
se 
questi 
motivi 
siano pertinenti 
e 
sufficienti 
e 
se 
i 
giudici 
nazionali 
abbiano trovato un giusto equilibrio tra 
gli 
interessi 
privati 
e 
pubblici 
coesistenti. A 
tale 
scopo, essa 
deve 
prima 
determinare 
l�ampiezza 
del 
margine 
di 
apprezzamento da 
accordare 
allo Stato in materia. 
193. Secondo i 
ricorrenti, il 
margine 
di 
apprezzamento � 
ristretto, dato che 
l�oggetto della 
presente 
causa 
� 
il 
provvedimento di 
allontanamento definitivo del 
minore 
e 
che 
l�interesse 
superiore 
di 
quest�ultimo deve 
prevalere 
(paragrafo 110 supra). Per il 
Governo, le 
autorit� 
dispongono 
di 
un ampio margine 
di 
apprezzamento per quanto riguarda 
la 
surrogazione 
di 
maternit� 
e le tecniche di procreazione medicalmente assistita (paragrafo 122 supra). 
194. La 
Corte 
osserva 
che 
i 
fatti 
di 
causa 
riguardano argomenti 
eticamente 
sensibili 
- adozione, 
presa 
in carico di 
un minore 
da 
parte 
dello Stato, procreazione 
medicalmente 
assistita 
e 
gestazione 
per conto terzi 
- per i 
quali 
gli 
Stati 
membri 
godono di 
un ampio margine 
di 
apprezzamento 
(paragrafo 182 supra). 
195. 
Contrariamente 
alla 
situazione 
della 
causa 
Mennesson 
(sopra 
citata 
�� 
80 
e 
96 
97), 
la 
questione 
dell�identit� 
del 
minore 
e 
del 
riconoscimento 
della 
sua 
filiazione 
genetica 
non 
si 
pone 
nel 
caso 
di 
specie 
poich�, 
da 
una 
parte, 
un 
eventuale 
rifiuto 
da 
parte 
dello 
Stato 
di 
dare 
una 
identit� 
al 
minore 
non 
pu� 
essere 
contestato 
dai 
ricorrenti, 
che 
non 
lo 
rappresentano 
dinanzi 
alla 
Corte 
e, 
dall�altra, 
non 
esiste 
alcun 
legame 
biologico 
tra 
il 
minore 
e 
i 
ricorrenti. 
Inoltre, 
la 
presente 
causa 
non 
riguarda 
la 
scelta 
di 
divenire 
genitori 
genetici, 
ambito 
nel 
quale 
il 
margine 
di 
apprezzamento 
degli 
Stati 
� 
ristretto 
(Dickson, 
sopra 
citata, 
� 
78). 
Tuttavia, 
le 
scelte 
operate 
dallo 
Stato, 
anche 
nei 
casi 
in 
cui, 
come 
nella 
fattispecie, 
esso 
gode 
di 
un 
ampio 
margine 
di 
apprezzamento, 
non 
sfuggono 
al 
controllo 
della 
Corte. 
Spetta 
a 
quest�ultima 
esaminare 
attentamente 
gli 
argomenti 
di 
cui 
si 
� 
tenuto 
conto 
per 
giungere 
alla 
soluzione 
adottata 
e 
cercare 
di 
stabilire 
se 
sia 
stato 
trovato 
un 
giusto 
equilibrio 
tra 
gli 
interessi 
dello 
Stato 
e 
quelli 
degli 
individui 
direttamente 
interessati 
da 
questa 
soluzione 
(si 
veda, 
mutatis 
mutandis, 
S.H. 
e 
altri 
c. 
Austria, 
sopra 
citata, 
� 
97). 
.. motivi pertinenti e sufficienti 


196. Per quanto riguarda 
i 
motivi 
addotti 
dalle 
autorit� 
interne, la 
Corte 
osserva 
che 
queste 
ultime 
si 
sono fondate 
in particolare 
su due 
serie 
di 
argomenti: 
in primo luogo, hanno avuto 

CoNTENzIoSo 
CoMUNITARIo 
ED 
INTERNAzIoNALE 


riguardo 
alla 
illegalit� 
della 
condotta 
dei 
ricorrenti 
e, 
in 
secondo 
luogo, 
all�urgenza 
di 
adottare 
provvedimenti 
riguardanti 
il 
minore, che 
esse 
consideravano �in stato di 
abbandono� ai 
sensi 
dell�articolo 8 della legge sull�adozione. 


197. La 
Corte 
non dubita 
della 
pertinenza 
dei 
motivi 
invocati 
dai 
giudici 
interni. Tali 
motivi 
sono direttamente 
legati 
allo scopo legittimo della 
difesa 
dell�ordine 
e 
anche 
della 
protezione 
del 
minore 
- non solo di 
quello di 
cui 
trattasi 
nel 
caso di 
specie 
ma 
dei 
minori 
in generale 
considerata 
la 
prerogativa 
dello 
Stato 
di 
stabilire 
la 
filiazione 
mediante 
l�adozione 
e 
mediante 
il divieto di alcune tecniche di procreazione medicalmente assistita (paragrafo 177 supra). 
198. Quanto al 
punto di 
stabilire 
se 
i 
motivi 
addotti 
dai 
giudici 
nazionali 
fossero anche 
sufficienti, 
la 
Grande 
Camera 
rammenta 
che, contrariamente 
alla 
camera, essa 
ritiene 
che 
i 
fatti 
di 
causa 
non 
rientrino 
nella 
nozione 
di 
vita 
famigliare, 
ma 
unicamente 
in 
quella 
di 
vita 
privata. 
Perci�, � 
opportuno esaminare 
la 
causa 
non dal 
punto di 
vista 
del 
mantenimento di 
una 
unit� 
famigliare, ma 
piuttosto sotto il 
profilo del 
diritto dei 
ricorrenti 
al 
rispetto della 
loro vita 
privata, 
dal 
momento che 
ci� che 
� 
in gioco nel 
caso di 
specie 
� 
il 
loro diritto allo sviluppo personale 
attraverso la loro relazione con il minore. 
199. Nelle 
circostanze 
particolari 
della 
causa, la 
Corte 
ritiene 
che 
i 
motivi 
addotti 
dai 
giudici 
nazionali, che 
erano centrati 
sulla 
situazione 
del 
minore 
e 
sull�illegalit� 
della 
condotta 
dei 
ricorrenti, 
fossero sufficienti. 
.. Proporzionalit� 


200. Resta 
da 
esaminare 
se 
le 
misure 
controverse 
fossero proporzionate 
allo scopo legittimo 
perseguito, 
in 
particolare 
se 
i 
giudici 
nazionali, 
agendo 
nell�ambito 
dell�ampio 
margine 
di 
apprezzamento 
che 
era 
loro 
accordato 
nel 
caso 
di 
specie, 
abbiano 
assicurato 
un 
giusto 
equilibrio 
tra gli interessi pubblici e privati concomitanti in gioco. 
201. 
I 
giudici 
nazionali 
hanno 
attribuito 
una 
grande 
importanza 
all�inosservanza 
da 
parte 
dei 
ricorrenti 
della 
legge 
sull�adozione 
e 
alla 
circostanza 
secondo 
la 
quale 
essi 
hanno 
fatto 
ricorso 
all�estero 
a 
metodi 
di 
procreazione 
medicalmente 
assistita 
vietati 
in 
Italia. 
Nell�ambito 
del 
procedimento 
interno, 
i 
tribunali, 
che 
si 
sono 
concentrati 
sulla 
necessit� 
di 
adottare 
misure 
urgenti, 
non 
si 
sono 
dilungati 
sugli 
interessi 
generali 
in 
gioco 
n� 
hanno 
affrontato 
espressamente 
le 
questioni 
eticamente 
sensibili 
sottese 
alle 
disposizioni 
giuridiche 
cui 
i 
ricorrenti 
hanno 
contravvenuto. 
202. Nel 
procedimento dinanzi 
alla 
Corte, il 
governo convenuto ha 
spiegato che, nel 
diritto 
italiano, la 
filiazione 
pu� essere 
accertata 
sia 
mediante 
l�esistenza 
di 
un legame 
biologico sia 
mediante 
un�adozione 
che 
rispetti 
le 
norme 
stabilite 
dalla 
legge. A 
suo parere, il 
legislatore 
italiano, con questa 
scelta, cercava 
di 
proteggere 
l�interesse 
superiore 
del 
minore, come 
richiede 
l�articolo 
3 
della 
Convenzione 
sui 
diritti 
del 
fanciullo. 
La 
Corte 
ammette 
che, 
vietando 
l�adozione 
privata 
fondata 
su una 
relazione 
contrattuale 
tra 
gli 
individui 
e 
limitando il 
diritto 
dei 
genitori 
adottivi 
di 
far entrare 
dei 
minori 
stranieri 
in Italia 
nei 
casi 
in cui 
le 
norme 
in materia 
di 
adozione 
internazionale 
siano 
rispettate, 
il 
legislatore 
nazionale 
si 
sforza 
di 
proteggere 
i 
minori 
da 
pratiche 
illecite, 
alcune 
delle 
quali 
possono 
essere 
definite 
traffico 
di 
esseri 
umani. 
203. Peraltro, il 
Governo si 
� 
fondato sull�argomento secondo il 
quale 
le 
soluzioni 
adottate 
dovevano essere 
esaminate 
nel 
contesto del 
divieto nel 
diritto italiano degli 
accordi 
di 
gestazione 
per conto terzi. Non vi 
sono dubbi 
che 
il 
ricorso a 
tali 
accordi 
solleva 
questioni 
etiche 
delicate 
sulle 
quali 
non 
esiste 
alcun 
consenso 
tra 
gli 
Stati 
contraenti 
(Mennesson, 
sopra 
citata, 
� 79). vietando la 
gestazione 
per conto terzi, lo Stato italiano ritiene 
di 
perseguire 
l�interesse 
generale 
della 
protezione 
delle 
donne 
e 
dei 
minori 
potenzialmente 
interessati 
da 
pratiche 
che 
esso 
percepisce 
come 
estremamente 
problematiche 
da 
un 
punto 
di 
vista 
etico. 
Come 
sottolinea 
il 
Governo, 
questa 
politica 
diventa 
tanto 
pi� 
importante 
quando, 
come 
nel 
caso 
di 
specie, 
sono 

RASSEGNA 
AvvoCATURA 
DELLo 
STATo - N. 1/2017 


in gioco contratti 
commerciali 
di 
gestazione 
per conto terzi. Questo interesse 
generale 
entra 
in gioco anche 
nel 
caso di 
misure 
adottate 
dallo Stato per dissuadere 
i 
propri 
cittadini 
dal 
fare 
ricorso all�estero a pratiche vietate nel proprio territorio. 


204. 
In 
definitiva, 
i 
giudici 
nazionali 
avevano 
come 
principale 
preoccupazione 
quella 
di 
porre 
fine 
a 
una 
situazione 
illegale. Alla 
luce 
delle 
considerazioni 
sopra 
esposte, la 
Corte 
ammette 
che 
le 
leggi 
che 
sono state 
violate 
dai 
ricorrenti 
e 
i 
provvedimenti 
adottati 
in risposta 
alla 
loro 
condotta perseguivano lo scopo di proteggere degli interessi generali importanti. 
205. Per quanto riguarda 
gli 
interessi 
privati 
in gioco, vi 
sono quelli 
del 
minore 
da 
una 
parte 
e quelli dei ricorrenti dall�altra. 
206. Per quanto riguarda 
gli 
interessi 
del 
minore, la 
Corte 
rammenta 
che 
il 
tribunale 
per i 
minorenni 
di 
Campobasso ha 
tenuto conto dell�assenza 
di 
legame 
biologico tra 
i 
ricorrenti 
e 
il 
minore, e 
ha 
dichiarato che 
era 
necessario trovare 
quanto prima 
una 
coppia 
che 
potesse 
prendersi 
cura 
di 
lui. Tenuto conto della 
tenera 
et� 
del 
minore 
e 
del 
breve 
periodo che 
aveva 
trascorso 
con i 
ricorrenti, il 
tribunale 
non ha 
aderito alla 
perizia 
di 
una 
psicologa 
presentata 
dai 
ricorrenti, 
secondo 
la 
quale 
la 
separazione 
avrebbe 
avuto 
conseguenze 
devastanti 
per 
il 
minore. 
Rinviando alla 
letteratura 
in materia, il 
tribunale 
ha 
ritenuto che 
il 
semplice 
fatto di 
essere 
separato 
dalle 
persone 
che 
si 
prendevano cura 
di 
lui 
non avrebbe 
comportato una 
condizione 
psicopatologica 
nel 
minore 
in assenza 
di 
altri 
fattori 
di 
causalit�. Ha 
concluso che 
il 
trauma 
causato dalla separazione non sarebbe stato irreparabile. 
207. 
Quanto 
all�interesse 
dei 
ricorrenti 
a 
proseguire 
la 
loro 
relazione 
con 
il 
minore, 
il 
tribunale 
per i 
minorenni 
ha 
osservato che 
nessun elemento del 
fascicolo confermava 
le 
dichiarazioni 
degli 
interessati 
secondo le 
quali 
essi 
avevano consegnato alla 
clinica 
russa 
il 
materiale 
genetico 
del 
ricorrente. Il 
tribunale 
ha 
aggiunto che, dopo aver ottenuto il 
consenso all�adozione 
internazionale, 
avevano 
aggirato 
la 
legge 
sull�adozione 
riportando 
il 
minore 
in 
Italia 
senza 
l�approvazione 
dell�organo competente, ossia 
la 
commissione 
per le 
adozioni 
internazionali. 
Alla 
luce 
di 
questa 
condotta, il 
tribunale 
per i 
minorenni 
ha 
dichiarato di 
temere 
che 
il 
minore 
fosse 
uno 
strumento 
per 
realizzare 
un 
desiderio 
narcisistico 
della 
coppia 
o 
esorcizzare 
un 
problema 
individuale 
o 
di 
coppia. 
Inoltre, 
ha 
ritenuto 
che 
la 
condotta 
dei 
ricorrenti 
gettasse 
�un�ombra 
importante 
sull�esistenza 
di 
reali 
capacit� 
affettive 
ed educative 
e 
di 
un istinto di 
solidariet� 
umana, 
che 
devono 
essere 
presenti 
in 
coloro 
che 
desiderano 
integrare 
i 
figli 
di 
altre 
persone nella loro vita come se fossero propri figli� (paragrafo 37 supra). 
208. Prima 
di 
esaminare 
la 
questione 
di 
stabilire 
se 
le 
autorit� 
italiane 
abbiano debitamente 
valutato i 
diversi 
interessi 
in gioco, la 
Corte 
rammenta 
che 
il 
minore 
non � 
ricorrente 
nella 
presente 
causa 
e, per di 
pi�, non era 
un membro della 
famiglia 
dei 
ricorrenti 
nel 
senso del-
l�articolo 
8 
della 
Convenzione. 
Ci� 
premesso, 
non 
risulta 
che 
l�interesse 
superiore 
del 
minore 
e 
il 
modo in cui 
tale 
interesse 
� 
stato valutato dai 
giudici 
nazionali 
non rivestano alcuna 
importanza. 
A 
questo proposito, la 
Corte 
osserva 
che 
l�articolo 3 della 
Convenzione 
sui 
diritti 
del 
minore 
esige 
che 
�in tutte 
le 
decisioni 
che 
riguardano i 
minori, (...) l�interesse 
superiore 
del 
minore 
deve 
essere 
una 
considerazione 
fondamentale�, 
senza 
tuttavia 
precisare 
la 
nozione 
di �interesse superiore del minore�. 
209. 
Il 
caso 
di 
specie 
si 
distingue 
dalle 
cause 
che 
riguardano 
la 
scissione 
di 
una 
famiglia 
mediante 
la 
separazione 
di 
un 
minore 
dai 
suoi 
genitori 
nelle 
quali, 
in 
linea 
di 
principio, 
la 
separazione 
� 
una 
misura 
che 
pu� 
essere 
ordinata 
soltanto 
se 
l�integrit� 
fisica 
o 
psichica 
del 
minore 
sia 
in 
pericolo 
(si 
vedano, 
tra 
altre, 
Scozzari 
e 
Giunta, 
sopra 
citata, 
�� 
148-151, 
Kutzner, 
sopra 
citata, 
�� 
69 
82). 
Nel 
caso 
di 
specie, 
invece, 
la 
Corte 
ritiene 
che 
i 
giudici 
interni 
non 
fossero 
tenuti 
a 
dare 
la 
priorit� 
al 
mantenimento 
della 
relazione 
tra 
i 
ricorrenti 
e 
il 
minore, 
e 
si 
trovassero 
piuttosto 
di 

CoNTENzIoSo 
CoMUNITARIo 
ED 
INTERNAzIoNALE 


fronte 
a 
una 
scelta 
delicata: 
permettere 
ai 
ricorrenti 
di 
continuare 
la 
loro 
relazione 
con 
il 
minore, 
e 
in 
tal 
modo 
legalizzare 
la 
situazione 
che 
questi 
avevano 
imposto 
come 
un 
fatto 
compiuto, 
o 
adottare 
misure 
volte 
a 
dare 
al 
minore 
una 
famiglia 
conformemente 
alla 
legge 
sull�adozione. 


210. 
La 
Corte 
ha 
gi� 
rilevato 
l�importanza 
degli 
interessi 
generali 
in 
gioco. 
Inoltre, 
essa 
ritiene 
che 
il 
ragionamento 
dei 
giudici 
italiani 
riguardante 
l�interesse 
del 
minore 
non 
rivestisse 
un 
carattere 
automatico 
o 
stereotipato 
(si 
veda, 
mutatis 
mutandis, 
X 
c. 
Lettonia 
[GC], 
n. 
27853/09, 
� 
107, 
CEDU 
2013). 
I 
tribunali, 
nell�ambito 
della 
loro 
valutazione 
della 
situazione 
specifica 
del 
minore, 
hanno 
ritenuto 
auspicabile 
darlo 
in 
affidamento 
ad 
una 
coppia 
idonea 
ai 
fini 
dell�adozione 
ma 
hanno 
anche 
valutato 
l�impatto 
che 
avrebbe 
avuto 
su 
di 
lui 
la 
separazione 
dai 
ricorrenti, 
concludendo 
sostanzialmente 
che 
la 
separazione 
non 
avrebbe 
causato 
al 
minore 
un 
pregiudizio 
grave 
o 
irreparabile. 
211. 
Al 
contrario, 
i 
giudici 
italiani 
non 
hanno 
attribuito 
molta 
importanza 
all�interesse 
dei 
ricorrenti 
a 
continuare 
a 
sviluppare 
delle 
relazioni 
con 
un 
minore 
di 
cui 
desideravano 
essere 
i 
genitori. 
Non hanno espressamente 
esaminato l�impatto che 
la 
separazione 
immediata 
e 
irreversibile 
dal 
minore 
avrebbe 
avuto 
sulla 
loro 
vita 
privata. 
Tuttavia, 
la 
causa 
deve 
essere 
esaminata 
dal 
punto 
di 
vista 
della 
illegalit� 
della 
condotta 
dei 
ricorrenti 
e 
del 
fatto 
che 
la 
loro 
relazione 
con 
il 
minore 
era 
precaria 
dal 
momento 
stesso 
in 
cui 
hanno 
deciso 
di 
risiedere 
con 
lui 
in 
Italia. 
Il 
legame 
� 
divenuto 
ancora 
pi� 
tenue 
quando, 
una 
volta 
conosciuto 
l�esito 
del 
test 
del 
DNA, 
� 
risultato 
che 
non 
vi 
era 
alcun 
legame 
biologico 
tra 
il 
secondo 
ricorrente 
e 
il 
minore. 
212. 
I 
ricorrenti 
affermano 
che 
la 
procedura 
� 
stata 
viziata 
da 
varie 
lacune. 
Per 
quanto 
riguarda 
l�idea 
che 
non sarebbe 
stato consultato alcun perito, la 
Corte 
osserva 
che 
il 
tribunale 
per i 
minorenni 
ha 
preso in esame 
il 
rapporto redatto da 
una 
psicologa 
prodotto dai 
ricorrenti, senza 
tuttavia 
aderire 
alla 
conclusione 
di 
cui 
al 
rapporto 
in 
questione, 
secondo 
la 
quale 
la 
separazione 
dai 
ricorrenti 
avrebbe 
avuto 
conseguenze 
devastanti 
per 
il 
minore. 
A 
questo 
proposito, 
la 
Corte 
attribuisce 
una 
certa 
importanza 
all�osservazione 
del 
Governo secondo la 
quale 
il 
tribunale 
per i 
minorenni 
� 
composto da 
due 
magistrati 
togati 
e 
da 
due 
specialisti 
(paragrafo 69 supra). 
213. 
Per 
quanto 
riguarda 
l�argomentazione 
dei 
ricorrenti 
secondo 
la 
quale 
i 
tribunali 
non 
hanno esaminato soluzioni 
alternative 
alla 
separazione 
immediata 
e 
irreversibile 
dal 
minore, 
la 
Corte 
osserva 
che, 
dinanzi 
al 
tribunale 
per 
i 
minorenni 
gli 
interessati 
hanno 
chiesto 
anzitutto 
che 
il 
minore 
fosse 
affidato 
a 
loro 
in 
via 
provvisoria, 
in 
attesa 
di 
una 
successiva 
adozione. 
Secondo 
la 
Corte, 
si 
deve 
tenere 
in 
mente 
che 
la 
procedura 
rivestiva 
un 
carattere 
di 
urgenza. 
Qualsiasi 
misura 
di 
natura 
tale 
da 
prolungare 
il 
soggiorno 
del 
minore 
presso 
i 
ricorrenti, 
come 
il 
suo affidamento provvisorio presso di 
loro, avrebbe 
comportato il 
rischio che 
il 
semplice 
trascorrere del tempo non portasse a una risoluzione della causa. 
214. Peraltro, oltre 
all�illegalit� 
della 
condotta 
dei 
ricorrenti, il 
Governo sottolinea 
che 
essi 
hanno superato il 
limite 
di 
et� 
per l�adozione 
previsto all�articolo 6 della 
legge 
sull�adozione, 
ossia 
una 
differenza 
di 
et� 
di 
massimo 45 anni 
per uno dei 
genitori 
adottivi 
e 
di 
55 anni 
per il 
secondo. La 
Corte 
rileva 
che 
la 
legge 
autorizza 
i 
tribunali 
a 
fare 
delle 
eccezioni 
a 
questi 
limiti 
di 
et�. Nelle 
circostanze 
della 
presente 
causa, non si 
pu� rimproverare 
ai 
tribunali 
nazionali 
di avere omesso di esaminare questa opzione. 
.. Conclusione 


215. La 
Corte 
non sottovaluta 
l�impatto che 
la 
separazione 
immediata 
e 
irreversibile 
dal 
minore 
deve 
aver avuto sulla 
vita 
privata 
dei 
ricorrenti. Se 
la 
Convenzione 
non sancisce 
alcun 
diritto 
di 
diventare 
genitore, 
la 
Corte 
non 
pu� 
comunque 
ignorare 
il 
dolore 
morale 
che 
sentono 
coloro il 
cui 
desiderio di 
genitorialit� 
non � 
stato o non pu� essere 
soddisfatto. Tuttavia, l�interesse 
generale 
in gioco ha 
un grande 
peso sul 
piatto della 
bilancia 
mentre, in confronto, si 
deve 
accordare 
una 
importanza 
minore 
all�interesse 
dei 
ricorrenti 
ad assicurare 
il 
proprio svi

RASSEGNA 
AvvoCATURA 
DELLo 
STATo - N. 1/2017 


luppo personale 
proseguendo la 
loro relazione 
con il 
minore. Accettare 
di 
lasciare 
il 
minore 
con 
i 
ricorrenti, 
forse 
nella 
prospettiva 
che 
questi 
diventassero 
i 
suoi 
genitori 
adottivi, 
sarebbe 
equivalso 
a 
legalizzare 
la 
situazione 
da 
essi 
creata 
in 
violazione 
di 
norme 
importanti 
del 
diritto 
italiano. La 
Corte 
ammette 
dunque 
che 
i 
giudici 
italiani, avendo concluso che 
il 
minore 
non 
avrebbe 
subito un pregiudizio grave 
o irreparabile 
a 
causa 
della 
separazione, hanno garantito 
un giusto equilibrio tra 
i 
diversi 
interessi 
in gioco, rimanendo nei 
limiti 
dell�ampio margine 
di apprezzamento di cui disponevano nel caso di specie. 


216. Pertanto, non vi � stata violazione dell�articolo 8 della Convenzione. 
PEr QUEsti motiVi, la CortE, 


Rigetta, all�unanimit�, le eccezioni preliminari del Governo; 


Dichiara, con undici 
voti 
contro sei, che 
non vi 
� 
stata 
violazione 
dell�articolo 8 della 
Convenzione. 


(...) 


oPinionE ConCordantE dEl GiUdiCE raimondi 


1. 
Condivido 
pienamente 
le 
conclusioni 
cui 
perviene 
la 
Grande 
Camera 
in 
questa 
importante 
sentenza, 
conclusioni, 
peraltro, 
di 
cui 
sostenevo 
l�opportunit� 
nella 
mia 
opinione 
dissenziente, 
presentata 
congiuntamente 
al 
giudice 
Spano 
e 
allegata 
alla 
sentenza 
della 
camera, 
vale 
a 
dire 
che 
nel 
caso 
di 
specie 
non 
si 
pu� 
ravvisare 
una 
violazione 
dell�articolo 
8 
della 
Convenzione. 
2. 
Se 
sento 
il 
bisogno 
di 
esprimermi 
tramite 
un�opinione 
separata, 
� 
solo 
perch� 
tengo 
a 
notare 
che 
la 
scelta 
della 
Grande 
Camera 
di 
esaminare 
questa 
causa 
dal 
punto di 
vista 
della 
protezione 
della 
vita 
privata 
dei 
ricorrenti 
e 
non dal 
punto di 
vista 
della 
loro vita 
familiare 
�, 
a mio avviso, particolarmente appropriata. 
3. Il 
giudice 
Spano 
ed 
io 
stesso 
avevamo 
osservato 
nella 
nostra 
opinione 
dissenziente 
comune 
che 
�possiamo 
accettare, 
ma 
con 
una 
certa 
esitazione 
e 
con 
riserva 
delle 
seguenti 
osservazioni, 
le 
conclusioni 
della 
maggioranza 
secondo 
le 
quali 
nel 
caso 
di 
specie 
� 
applicabile 
l�articolo 
8 
della 
Convenzione 
(�) 
e 
vi 
� 
stata 
ingerenza 
nei 
diritti 
dei 
ricorrenti. 
(...) 
In 
effetti, 
la 
vita 
famigliare 
(o 
vita 
privata) 
de 
facto 
dei 
ricorrenti 
con 
il 
minore 
si 
basava 
su 
un 
legame 
debole, 
in 
particolare 
se 
si 
tiene 
conto 
del 
periodo 
molto 
breve 
durante 
il 
quale 
ne 
avrebbero 
avuto 
la 
custodia. 
Riteniamo 
che 
la 
Corte, 
in 
situazioni 
come 
quella 
che 
ha 
dovuto 
esaminare 
nella 
presente 
causa, 
debba 
tenere 
conto 
delle 
circostanze 
nelle 
quali 
il 
minore 
� 
stato 
dato 
in 
custodia 
alle 
persone 
interessate 
nel 
momento 
in 
cui 
deve 
stabilire 
se 
si 
sia 
o 
meno 
realizzata 
una 
vita 
famigliare 
de 
facto. 
Sottolineiamo 
che 
l�articolo 
8 
� 
1 
non 
pu�, 
secondo 
noi, 
essere 
interpretato 
nel 
senso 
di 
sancire 
una 
�vita 
famigliare� 
tra 
un 
minore 
e 
delle 
persone 
prive 
di 
qualsiasi 
legame 
biologico 
con 
lo 
stesso 
quando 
i 
fatti, 
ragionevolmente 
chiariti, 
suggeriscono 
che 
alla 
base 
della 
custodia 
vi 
� 
un 
atto 
illegale 
con 
cui 
si 
� 
contravvenuto 
all�ordine 
pubblico. 
In 
ogni 
caso, 
riteniamo 
che, 
nell�analisi 
della 
proporzionalit� 
che 
si 
impone 
nel 
contesto 
del-
l�articolo 
8, 
si 
debba 
tenere 
conto 
delle 
considerazioni 
legate 
ad 
una 
eventuale 
illegalit� 
sulle 
quali 
� 
fondato 
l�accertamento 
di 
una 
vita 
famigliare 
de 
facto.� 
4. 
Sottoscrivo 
quindi 
l�analisi 
della 
Grande 
Camera 
(paragrafi 
142-158) 
che 
nel 
caso 
di 
specie 
esclude 
qualsiasi 
riconoscimento 
di 
una 
�vita 
familiare�, 
in 
particolare 
sulla 
base 
della 
mancanza 
di 
qualsiasi 
legame 
biologico tra 
il 
minore 
e 
gli 
aspiranti 
genitori, della 
breve 
durata 
del 
rapporto 
con 
il 
bambino 
e 
della 
precariet� 
dei 
legami 
dal 
punto 
di 
vista 
giuridico, 
e 
sottoscrivo 
la 
sua 
conclusione 
secondo 
la 
quale, 
nonostante 
l�esistenza 
di 
un 
progetto 
ge

CoNTENzIoSo 
CoMUNITARIo 
ED 
INTERNAzIoNALE 


nitoriale 
e 
la 
qualit� 
dei 
legami 
affettivi, 
non 
sono 
soddisfatte 
le 
condizioni 
che 
consentono 
di concludere che vi � stata una vita famigliare de facto. 


5. 
Sono 
pienamente 
convinto, 
per 
contro, 
dal 
ragionamento 
della 
Grande 
Camera, 
che 
giunge 
a 
configurare 
le 
misure 
controverse 
come 
un�ingerenza 
nella 
�vita 
privata� dei 
ricorrenti 
(si 
vedano, 
in 
particolare, 
i 
paragrafi 
161-165 
della 
sentenza), 
nonostante 
i 
dubbi 
che 
avevo 
espresso anche da questo punto di vista. 
oPinionE 
ConCordantE 
ComUnE 
ai 
GiUdiCi 
dE 
GaEtano, 
Pinto 
dE 
alBUQUErQUE, 
WoJtYCzEK 
E dEdoV 


1. 
Pur 
condividendo 
pienamente 
la 
conclusione 
cui 
perveniamo 
nel 
caso 
di 
specie, 
esprimiamo 
serie 
riserve 
per quanto riguarda 
la 
motivazione 
della 
sentenza, la 
quale, a 
nostro avviso, 
mette 
in 
evidenza 
tutte 
le 
carenze 
e 
le 
incoerenze 
nell�approccio 
adottato 
finora 
dalla 
Corte 
nei casi in cui si applica l�articolo 8. 
2. L�attuazione 
dell�articolo 8 richiede 
una 
definizione 
scrupolosa 
del 
suo campo di 
applicazione. 
Secondo la 
sentenza, l�esistenza 
o l�assenza 
di 
una 
vita 
familiare 
� 
in primo luogo 
una 
questione 
di 
fatto, 
che 
dipende 
dall�esistenza 
di 
legami 
personali 
stretti 
e 
stabili 
(si 
veda, in particolare, il 
paragrafo 140 della 
sentenza). A 
nostro avviso, la 
formula 
proposta 
� 
troppo vaga 
e 
al 
tempo stesso troppo ampia. Questo approccio sembra 
fondato sulla 
premessa 
implicita 
che 
i 
legami 
interpersonali 
esistenti 
dovrebbero beneficiare 
di 
una 
protezione, 
almeno 
prima 
facie, 
contro 
le 
ingerenze 
dello 
Stato. 
Al 
riguardo 
rileviamo 
che 
possono 
esistere 
dei 
rapporti 
interpersonali 
stretti 
e 
stabili 
anche 
al 
di 
fuori 
della 
sfera 
della 
vita 
familiare. Il 
ragionamento esposto nella 
sentenza 
non spiega 
la 
natura 
dei 
legami 
interpersonali 
che 
costituiscono 
la 
vita 
familiare. 
Allo 
stesso 
tempo, 
sembra 
attribuire 
grande 
importanza 
ai 
legami 
affettivi 
(paragrafi 
149, 150, 151 e 
157 della 
sentenza). Tuttavia, i 
legami affettivi non possono da soli creare una vita familiare. 
3. 
Le 
diverse 
disposizioni 
della 
Convenzione 
devono 
essere 
interpretate 
alla 
luce 
dell�insieme 
del 
suo testo e 
di 
altri 
trattati 
internazionali 
pertinenti. Ne 
consegue 
che 
l�articolo 8 deve 
essere 
letto alla 
luce 
dell�articolo 12, che 
garantisce 
il 
diritto di 
sposarsi 
e 
di 
fondare 
una 
famiglia. 
Questi 
due 
articoli 
devono 
anche 
essere 
collocati 
nel 
contesto 
dell�articolo 
16 
della 
Dichiarazione 
universale 
dei 
diritti 
dell�uomo e 
dell�articolo 23 del 
Patto internazionale 
relativo ai 
diritti 
civili 
e 
politici. Quest�ultima 
disposizione, ampiamente 
ispirata 
dal-
l�articolo 16 della Dichiarazione universale dei diritti dell�uomo, � cos� formulata: 
1. La 
famiglia 
� 
il 
nucleo naturale 
e 
fondamentale 
della 
societ� 
e 
ha 
diritto ad essere 
protetta 
dalla societ� e dallo Stato. 
2. Il 
diritto di 
sposarsi 
e 
di 
fondare 
una 
famiglia 
� 
riconosciuto all�uomo e 
alla 
donna 
in 
et� per contrarre matrimonio. 
3. Nessun 
matrimonio 
pu� 
essere 
concluso 
senza 
il 
libero 
e 
pieno 
consenso 
dei 
futuri 
coniugi. 
4. Gli 
Stati 
parte 
al 
presente 
Patto adotteranno le 
misure 
adeguate 
per garantire 
la 
parit� 
di 
diritti 
e 
responsabilit� 
dei 
coniugi 
riguardo 
al 
matrimonio, 
durante 
il 
matrimonio 
e 
all�atto 
del 
suo scioglimento. In caso di 
scioglimento, saranno adottate 
disposizioni 
per garantire 
ai minori la protezione necessaria. 
occorre 
prendere 
nota 
dell�approccio del 
Comitato dei 
diritti 
dell�uomo adottato nell�osservazione 
generale 
n. 19: 
articolo 23 (Protezione 
della 
famiglia), � 2). La 
famiglia 
� 
giustamente 
intesa 
in 
questo 
testo 
come 
un 
elemento 
che 
beneficia 
di 
un 
riconoscimento 
giuridico o sociale nello Stato interessato. 
La 
nozione 
stessa 
di 
�elemento� che 
figura 
nella 
Dichiarazione 
universale 
dei 
diritti 
del

RASSEGNA 
AvvoCATURA 
DELLo 
STATo - N. 1/2017 


l�uomo, nel 
Patto internazionale 
relativo ai 
diritti 
civili 
e 
politici 
e 
nel 
Patto internazionale 
relativo 
ai 
diritti 
economici, 
sociali 
e 
culturali 
(articolo 
10) 
presuppone 
la 
soggettivit� 
della 
famiglia 
nel 
suo insieme 
(vale 
a 
dire 
il 
riconoscimento di 
tutta 
la 
famiglia 
come 
titolare 
di 
diritti) nonch� 
la 
stabilit� 
dei 
legami 
interpersonali 
nell�ambito della 
famiglia. L�accento 
posto 
nella 
Dichiarazione 
universale 
dei 
diritti 
dell�uomo 
e 
nel 
Patto 
internazionale 
relativo 
ai 
diritti 
civili 
e 
politici 
sul 
carattere 
naturale 
e 
fondamentale 
della 
famiglia 
colloca 
quest�ultima 
tra 
le 
pi� importanti 
istituzioni 
e 
valori 
che 
necessitano di 
una 
protezione 
in una 
societ� 
democratica. Inoltre, la 
formulazione 
e 
la 
struttura 
dell�articolo 23 del 
Patto internazionale 
relativo ai 
diritti 
civili 
e 
politici 
e 
la 
formulazione 
dell�articolo 12 della 
Convenzione 
stabiliscono 
un 
chiaro 
collegamento 
tra 
la 
nozione 
di 
famiglia 
e 
quella 
di 
matrimonio. 
Alla 
luce 
di 
tutte 
le 
disposizioni 
di 
cui 
sopra, la 
famiglia 
deve 
essere 
intesa 
come 
un elemento 
naturale 
e 
fondamentale 
della 
societ� 
istituito essenzialmente 
dal 
matrimonio tra 
un 
uomo e 
una 
donna. La 
vita 
familiare 
comprende, in primo luogo, i 
legami 
tra 
i 
coniugi 
e 
quelli 
tra 
genitori 
e 
figli. Tramite 
il 
matrimonio, i 
coniugi 
non solo assumono determinati 
obblighi 
giuridici 
ma 
scelgono anche 
di 
tutelare 
giuridicamente 
la 
loro vita 
familiare. La 
Convenzione offre una solida protezione della famiglia fondata sul matrimonio. 
Come 
gi� 
menzionato, 
la 
nozione 
di 
famiglia 
di 
cui 
agli 
articoli 
8 
e 
12 
della 
Convenzione 
si 
basa 
principalmente 
sulle 
relazioni 
interpersonali 
formalizzate 
in 
diritto 
nonch� 
sui 
legami 
di 
parentela 
biologica. 
Tale 
approccio 
non 
esclude 
di 
estendere 
la 
protezione 
dell�articolo 
8 
alle 
relazioni 
interpersonali 
con 
parenti 
meno 
prossimi, 
come 
le 
relazioni 
tra 
nonni 
e 
nipoti. 
Anche 
alcuni 
legami 
familiari 
de 
facto 
possono 
richiedere 
una 
protezione 
(si 
vedano, 
ad 
esempio, 
Mu�oz 
D�az 
c. 
Spagna, 
n. 
49151/07, 
CEDU 
2009; 
e 
Nazarenko 
c. 
Russia, 
n. 
39438/13, 
CEDU 
2015 
(estratti)). 
La 
portata 
e 
gli 
strumenti 
di 
protezione 
in 
tali 
situazioni 
rientrano 
nell�ambito 
del 
potere 
discrezionale 
dello 
Stato, 
sotto 
il 
controllo 
della 
Corte. 
Nei 
casi 
riguardanti 
dei 
legami 
interpersonali 
de 
facto non formalizzati, in diritto interno, 
� 
necessario 
prendere 
in 
considerazione 
vari 
elementi 
al 
fine 
di 
determinare 
se 
sussista 
una 
vita 
familiare. In primo luogo, poich� 
la 
nozione 
di 
famiglia 
presuppone 
l�esistenza 
di 
legami 
stabili, 
occorre 
esaminare 
la 
natura 
e 
la 
stabilit� 
dei 
legami 
interpersonali. 
In 
secondo 
luogo, � 
impossibile, a 
nostro avviso, accertare 
che 
esiste 
una 
vita 
familiare 
senza 
considerare 
il 
modo in cui 
i 
legami 
interpersonali 
sono stati 
stabiliti. Tale 
elemento deve 
essere 
valutato da 
un punto di 
vista 
giuridico e 
morale. Nemo auditur propriam 
turpitudinem 
allegans. 
La 
legge 
non pu� offrire 
una 
protezione 
alle 
situazioni 
di 
fatto compiuto sorte 
da 
una violazione di norme giuridiche o di principi morali fondamentali. 
Nel 
caso di 
specie, i 
legami 
tra 
i 
ricorrenti 
e 
il 
minore 
sono stati 
stabiliti 
in violazione 
del 
diritto italiano. Sono stati 
inoltre 
stabiliti 
in violazione 
del 
diritto internazionale 
sull�adozione. 
I 
ricorrenti 
hanno 
concluso 
un 
contratto 
avente 
ad 
oggetto 
il 
concepimento 
di 
un 
bambino 
e 
la 
gestazione 
tramite 
maternit� 
surrogata. 
Il 
minore 
� 
stato 
separato 
dalla 
madre 
surrogata 
con la 
quale 
aveva 
iniziato a 
sviluppare 
un legame 
unico (si 
veda 
infra). Inoltre, 
gli 
eventuali 
effetti 
sul 
minore 
dell�inevitabile 
separazione 
dalle 
persone 
che 
avevano 
avuto 
cura 
di 
lui 
durante 
un certo periodo devono essere 
imputati 
ai 
ricorrenti 
stessi. Non � 
accettabile 
brandire 
le 
conseguenze 
pregiudizievoli 
delle 
proprie 
azioni 
illegali 
come 
scudo 
contro l�ingerenza dello Stato. ex iniuria ius non oritur. 


4. La 
sentenza 
sottolinea 
come 
argomento a 
favore 
dei 
ricorrenti 
il 
fatto che 
questi 
ultimi 
abbiano 
messo 
a 
punto 
un 
�progetto 
genitoriale� 
(paragrafi 
151 
e 
157 
della 
sentenza). 
Questo 
argomento richiede 
tre 
osservazioni. In primo luogo, la 
genitorialit� 
che 
non si 
basa 
su dei 
legami 
biologici 
si 
fonda 
necessariamente 
su un progetto ed � 
il 
risultato di 
lunghi 
sforzi. 

CoNTENzIoSo 
CoMUNITARIo 
ED 
INTERNAzIoNALE 


L�esistenza 
di 
un �progetto genitoriale� non differenzia 
questa 
causa 
da 
altri 
casi 
di 
genitorialit� 
non fondata su legami biologici. 
In secondo luogo, come 
sopra 
indicato il 
legame 
de 
facto tra 
i 
ricorrenti 
e 
il 
minore 
� 
stato 
stabilito illegalmente. L�approccio adottato dalla 
maggioranza 
non � 
convincente 
poich� 
essa 
considera 
l�esistenza 
di 
un 
progetto 
genitoriale 
come 
un 
argomento 
a 
favore 
della 
protezione, 
indipendentemente 
dalla 
natura 
illegale, riconosciuta 
nel 
ragionamento, del 
progetto 
concreto. Il 
fatto che 
i 
ricorrenti 
abbiano agito con premeditazione 
al 
fine 
di 
aggirare 
la 
legislazione 
nazionale 
pu� 
solo 
volgere 
a 
loro 
sfavore. 
Nelle 
circostanze 
del 
caso 
di 
specie, 
l�esistenza di un �progetto genitoriale� � in realt� una circostanza aggravante. 
In terzo luogo, la 
genitorialit� 
richiede 
una 
tutela 
a 
prescindere 
dal 
fatto che 
rientri 
o meno 
in un progetto pi� generale. Non vi 
� 
alcun motivo per ritenere 
che 
l�articolo 8 offra 
una 
protezione pi� forte agli atti premeditati. 


5. Una 
protezione 
effettiva 
in 
materia 
di 
diritti 
umani 
richiede 
che 
si 
definiscano 
chiaramente 
il 
contenuto 
e 
la 
portata 
dei 
diritti 
tutelati, 
nonch� 
la 
nozione 
di 
ingerenza 
contro 
la 
quale 
uno 
specifico 
diritto 
offre 
uno 
scudo. 
Rileviamo, 
al 
riguardo, 
che 
secondo 
la 
maggioranza, 
�i 
fatti 
di 
causa 
rientrano 
nella 
sfera 
della 
vita 
privata 
dei 
ricorrenti� 
(paragrafo 
164 
della 
sentenza). 
Inoltre, Ǐ 
in questione 
(...) il 
diritto al 
rispetto della 
decisione 
dei 
ricorrenti 
di 
diventare 
genitori 
(S.H. e 
altri 
c. Austria, sopra 
citata, � 82), nonch� 
la 
realizzazione 
personale 
degli 
interessati 
attraverso il 
ruolo di 
genitori 
che 
era 
loro desiderio assumere 
nei 
confronti 
del 
minore� (paragrafo 163 della sentenza). 
Il 
ragionamento contiene 
anche 
le 
seguenti 
considerazioni: 
�Nella 
fattispecie, i 
ricorrenti 
sono stati 
danneggiati 
dalle 
decisioni 
giudiziarie 
che 
hanno portato all�allontanamento del 
minore 
e 
alla 
presa 
in 
carico 
di 
quest�ultimo 
da 
parte 
dei 
servizi 
sociali 
ai 
fini 
della 
sua 
adozione. 
La 
Corte 
ritiene 
che 
le 
misure 
adottate 
nei 
confronti 
del 
minore 
-allontanamento, 
affido famigliare 
senza 
contatto con i 
ricorrenti, nomina 
di 
un tutore 
- si 
traducano in una 
ingerenza nella vita privata dei ricorrenti� (paragrafo 166 della sentenza). 
� 
difficile 
condividere 
l�approccio della 
maggioranza 
espresso nei 
passaggi 
citati 
sopra. 
In primo luogo, la 
nozione 
di 
�fatti 
di 
causa� � 
necessariamente 
molto pi� ampia 
dell�ingerenza 
stessa 
anche 
se 
quest�ultima 
deve 
essere 
collocata 
in 
un 
contesto 
pi� 
generale. 
Questi 
�fatti�, 
possono 
rientrare 
nell�ambito 
di 
numerosi 
diritti 
riconosciuti 
dalla 
Convenzione. 
La 
Corte 
deve 
valutare 
la 
compatibilit� 
con 
la 
Convenzione 
non 
dei 
fatti 
di 
causa 
ma 
dell�ingerenza 
controversa, 
vista 
in 
un 
contesto 
pi� 
generale. 
Ci� 
che 
importa 
non 
� 
se 
i 
�fatti 
di 
causa� 
rientrino 
nella 
sfera 
della 
vita 
privata 
dei 
ricorrenti, 
ma 
solo 
se 
l�ingerenza 
controversa 
ricada 
nell�ambito 
del 
diritto 
dei 
ricorrenti 
alla 
protezione 
della 
loro 
vita 
privata. 
In secondo luogo, non si 
pu� sostenere 
che 
la 
questione 
riguardi 
il 
diritto dei 
ricorrenti 
al 
rispetto della 
loro decisione 
di 
diventare 
genitori. Non � 
in gioco la 
decisione 
in s�, ma 
il 
modo 
in 
cui 
i 
ricorrenti 
hanno 
cercato 
di 
raggiungere 
il 
loro 
obiettivo. 
Lo 
Stato 
non 
ha 
commesso alcuna 
ingerenza 
nella 
decisione 
dei 
ricorrenti 
di 
diventare 
genitori 
ma 
soltanto 
nell�attuazione, contraria alla legge, di questa decisione. 
In terzo luogo, non vi 
� 
alcun dubbio che 
i 
ricorrenti 
siano stati 
interessati 
dalle 
decisioni 
giudiziarie 
che 
hanno portato all�allontanamento del 
minore 
e 
alla 
sua 
presa 
in carico da 
parte 
dei 
servizi 
sociali 
in 
vista 
della 
sua 
adozione. 
Ci� 
non 
giustifica 
affatto 
la 
conclusione 
secondo cui 
le 
misure 
prese 
nei 
confronti 
del 
minore 
hanno necessariamente 
comportato 
un�ingerenza 
nella 
vita 
privata 
dei 
ricorrenti. L�articolo 8 non riguarda 
la 
protezione 
della 
persona 
da 
qualsiasi 
atto 
che 
la 
colpisca, 
ma 
da 
tipi 
specifici 
di 
atti 
che 
si 
configurano 
come 
un�ingerenza 
ai 
sensi 
di 
questa 
disposizione. 
Per 
stabilire 
che 
vi 
� 
stata 
ingerenza 
nell�eser

RASSEGNA 
AvvoCATURA 
DELLo 
STATo - N. 1/2017 


cizio di 
un diritto, � 
necessario in primo luogo stabilire 
il 
contenuto del 
diritto e 
i 
tipi 
di 
ingerenza 
da cui esso protegge. 
In 
conclusione, 
il 
ragionamento 
adottato 
dalla 
maggioranza 
non 
dice 
chiaramente 
che 
cosa 
comprenda 
la 
vita 
privata, quale 
sia 
la 
portata 
della 
protezione 
del 
diritto riconosciuto dal-
l�articolo 
8, 
e 
cosa 
costituisca 
un�ingerenza 
ai 
sensi 
di 
questa 
disposizione. 
Deploriamo 
che queste nozioni non siano state chiarite nel ragionamento della sentenza. 


6. La 
Corte 
ammette 
giustamente 
(al 
paragrafo 
202 
della 
sentenza) 
che, 
�vietando 
l�adozione 
privata 
fondata 
su 
una 
relazione 
contrattuale 
tra 
gli 
individui 
e 
limitando 
il 
diritto 
dei 
genitori 
adottivi 
di 
far 
entrare 
dei 
minori 
stranieri 
in 
Italia 
nei 
casi 
in 
cui 
le 
norme 
in 
materia 
di 
adozione 
internazionale 
siano 
rispettate, 
il 
legislatore 
nazionale 
si 
sforza 
di 
proteggere 
i 
minori 
da 
pratiche 
illecite, 
alcune 
delle 
quali 
possono 
essere 
definite 
traffico 
di 
esseri 
umani�. 
Nel 
caso di 
specie 
il 
minore 
� 
stato effettivamente 
vittima 
di 
un traffico di 
esseri 
umani. � 
stato commissionato e 
acquistato dai 
ricorrenti. A 
tale 
proposito va 
osservato che 
i 
�fatti 
di 
causa� rientrano nelle previsioni di vari strumenti internazionali. 
In 
primo 
luogo, 
� 
necessario 
menzionare 
la 
Convenzione 
dell�Aja 
del 
29 
maggio 
1993 
sulla 
protezione 
dei 
minori 
e 
la 
cooperazione 
in 
materia 
di 
adozione 
internazionale. 
In 
base 
a 
questo 
trattato, 
l�adozione 
prevista 
da 
questo 
strumento 
avr� 
luogo 
solo 
se 
le 
autorizzazioni 
non 
sono 
state 
ottenute 
mediante 
pagamento 
o 
corrispettivo 
di 
alcun 
tipo 
e 
se 
non 
sono 
state 
revocate. 
In secondo luogo, l�articolo 35 della 
Convenzione 
sui 
diritti 
del 
fanciullo � 
pertinente 
nel 
caso di specie. Tale disposizione recita: 
�Gli 
Stati 
parti 
adottano 
ogni 
adeguato 
provvedimento 
a 
livello 
nazionale, 
bilaterale 
e 
multilaterale 
per impedire 
il 
rapimento, la 
vendita 
o la 
tratta 
di 
fanciulli 
per qualunque 
fine 
e 
sotto qualsiasi forma.� 
Questa 
disposizione 
� 
stata 
completata 
dal 
Protocollo 
opzionale 
alla 
Convenzione 
sui 
diritti 
del 
fanciullo concernente 
la 
vendita 
di 
bambini, la 
prostituzione 
dei 
bambini 
e 
la 
pornografia 
rappresentante 
bambini. Ci 
rammarichiamo che 
questo protocollo sia 
stato omesso 
nella 
parte 
del 
ragionamento che 
elenca 
gli 
strumenti 
internazionali 
pertinenti. Esso contiene 
le seguenti disposizioni: 
�Articolo primo 
Gli 
Stati 
parti 
vietano la 
vendita 
di 
bambini, la 
prostituzione 
di 
bambini 
e 
la 
pornografia 
con bambini, in conformit� alle norme del presente Protocollo. 
Articolo 2 
Ai fini del presente Protocollo: 
a) per vendita 
di 
bambini 
si 
intende 
qualsiasi 
atto o transazione 
in cui 
un bambino � 
presentato 
da 
qualsiasi 
persona 
o 
gruppo 
di 
persone 
a 
un�altra 
persona 
o 
un 
altro 
gruppo 
dietro 
compenso o altro vantaggio; (...)� 
Notiamo 
la 
definizione 
molto 
ampia 
della 
vendita 
di 
bambini, 
che 
si 
estende 
a 
tutte 
le 
transazioni 
indipendentemente 
dal 
loro scopo, e 
pertanto si 
applica 
ai 
contratti 
conclusi 
al 
fine 
di 
acquisire 
dei 
diritti 
genitoriali. I trattati 
internazionali 
sopra 
menzionati 
mostrano una 
dichiarata 
tendenza 
internazionale 
verso 
la 
limitazione 
della 
libert� 
contrattuale 
attuale 
vietando 
qualsiasi 
tipo di 
contratto avente 
ad oggetto il 
trasferimento di 
minori 
o il 
trasferimento 
di diritti genitoriali su minori. 
In 
terzo 
luogo, 
le 
disposizioni 
pertinenti 
di 
soft 
law 
trattano 
anche 
della 
questione 
della 
maternit� 
surrogata. 
In 
virt� 
dei 
principi 
adottati 
dal 
comitato 
ad 
hoc 
di 
esperti 
sui 
progressi 
delle 
scienze 
biomediche 
costituito in seno al 
Consiglio d�Europa 
(documento richiamato 
al paragrafo 79 della sentenza): 

CoNTENzIoSo 
CoMUNITARIo 
ED 
INTERNAzIoNALE 


�Nessun medico o istituto deve 
utilizzare 
le 
tecniche 
di 
procreazione 
artificiale 
per il 
concepimento 
di un figlio che sar� portato in gestazione da una madre surrogata.� 
� 
inoltre 
importante 
rilevare 
a 
questo 
proposito 
che 
la 
Dichiarazione 
sui 
diritti 
del 
fanciullo 
stabilisce pi� in generale che: 
�Il 
fanciullo, 
per 
lo 
sviluppo 
armonico 
della 
sua 
personalit�, 
ha 
bisogno 
di 
amore 
e 
di 
comprensione. 
Egli, nei 
limiti 
del 
possibile, deve 
crescere 
sotto la 
custodia 
e 
la 
responsabilit� 
dei 
genitori 
e, in ogni 
caso, in una 
atmosfera 
di 
affetto e 
di 
sicurezza 
morale 
e 
materiale; 
nella 
prima 
infanzia, salvo casi 
eccezionali, non deve 
essere 
separato dalla 
madre. (Principio 
6, in principio).� 


7. La 
presente 
causa 
verte 
sulla 
questione 
della 
surrogazione 
di 
maternit�. Ai 
fini 
di 
questa 
opinione, 
intendiamo 
per 
surrogazione 
di 
maternit� 
una 
situazione 
in 
cui 
una 
donna 
(la 
madre 
surrogata) 
porta 
in 
gestazione 
un 
feto 
che 
� 
stato 
impiantato 
nel 
suo 
utero 
nonostante 
le 
sia 
geneticamente 
estraneo, 
essendo 
stato 
concepito 
a 
partire 
da 
un 
ovulo 
fornito 
da 
un�altra 
donna 
(la 
madre 
biologica). 
La 
madre 
surrogata 
porta 
in 
gestazione 
il 
bambino 
impegnandosi 
a 
darlo 
a 
terze 
persone 
che 
hanno 
commissionato 
la 
gravidanza, 
le 
quali 
possono 
essere i donatori di gameti (i genitori biologici) ma non necessariamente. 
vorremmo qui 
presentare 
brevemente 
il 
nostro punto di 
vista 
su questa 
questione, sollevando 
solo alcuni punti tra i molti aspetti di questo complesso problema. 
Secondo il 
Comitato per i 
diritti 
del 
fanciullo, la 
maternit� 
surrogata 
retribuita, in assenza 
di 
regolamentazione, 
rientra 
nella 
vendita 
di 
bambini 
(si 
vedano 
le 
osservazioni 
finali 
concernenti 
il 
secondo rapporto periodico degli 
Stati 
Uniti 
d�America, presentato in applicazione 
dell�articolo 
12 
del 
Protocollo 
opzionale 
alla 
Convenzione 
sui 
diritti 
del 
fanciullo 
sulla 
vendita 
di 
bambini, 
la 
prostituzione 
dei 
bambini 
e 
la 
pornografia 
rappresentante 
bambini, 
CRC/C/oPSC/USA/Co/2, 
� 
29; 
osservazioni 
finali 
concernenti 
il 
terzo 
e 
quarto 
rapporto 
periodico dell�India, CRC/C/IND/Co/3-4, � � 57-58). 
A 
nostro avviso, la 
maternit� 
surrogata 
a 
fini 
commerciali, che 
sia 
o meno regolamentata, 
costituisce 
una 
situazione 
contemplata 
dall�articolo 1 del 
Protocollo opzionale 
alla 
Convenzione 
sui 
diritti 
del 
fanciullo, ed � 
pertanto illegale 
ai 
sensi 
del 
diritto internazionale. 
Noi 
vorremmo sottolineare 
a 
tale 
riguardo che 
attualmente 
quasi 
tutti 
gli 
Stati 
europei 
vietano 
la 
maternit� 
surrogata 
a 
fini 
commerciali 
(si 
vedano i 
documenti 
di 
diritto comparato 
citati al paragrafo 81 della sentenza). 
Pi� in generale, riteniamo che 
la 
maternit� 
surrogata, anche 
se 
non retribuita, non sia 
compatibile 
con la 
dignit� 
umana. Essa 
costituisce 
un trattamento degradante 
non solo per il 
bambino, 
ma 
anche 
per 
la 
madre 
surrogata. 
La 
medicina 
moderna 
offre 
sempre 
pi� 
elementi 
che 
dimostrano l�impatto determinante 
del 
periodo prenatale 
della 
vita 
umana 
per il 
successivo 
sviluppo dell�essere 
umano. La 
gravidanza 
con le 
sue 
preoccupazioni, i 
suoi 
limiti 
e 
le 
sue 
gioie, nonch� 
la 
prova 
e 
lo stress 
della 
nascita, crea 
un legame 
unico tra 
la 
madre 
biologica 
e 
il 
figlio. La 
maternit� 
surrogata 
� 
a 
priori 
orientata 
verso una 
rottura 
radicale 
di 
questo legame. La 
madre 
surrogata 
deve 
rinunciare 
a 
sviluppare 
una 
relazione 
di 
amore 
e 
di 
assistenza 
per tutta 
la 
vita. Il 
nascituro non solo � 
forzatamente 
posto in un ambiente 
biologico estraneo, ma 
� 
anche 
privato di 
quello che 
avrebbe 
dovuto essere 
l�amore 
senza 
limiti 
della 
madre 
nella 
fase 
prenatale. 
La 
maternit� 
surrogata 
impedisce 
anche 
lo 
sviluppo 
di 
questo legame 
particolarmente 
forte 
tra 
il 
bambino e 
il 
padre 
che 
accompagna 
la 
madre 
e 
il 
bambino durante 
la 
gravidanza. Sia 
il 
minore 
che 
la 
madre 
surrogata 
non sono trattati 
come 
finalit� 
in s�, ma 
come 
mezzi 
per soddisfare 
i 
desideri 
di 
altre 
persone. Tale 
pratica 
non � 
compatibile 
con i 
valori 
sottesi 
alla 
Convenzione. La 
maternit� 
surrogata 
� 
partico

RASSEGNA 
AvvoCATURA 
DELLo 
STATo - N. 1/2017 


larmente 
inaccettabile 
se 
la 
madre 
surrogata 
� 
remunerata. Deploriamo che 
la 
Corte 
non 
abbia adottato una posizione chiara contro tali pratiche. 


oPinionE ConCordantE dEl GiUdiCE dEdoV 


Per la 
prima 
volta, sebbene 
si 
pronunci 
a 
favore 
dello Stato convenuto, la 
Corte 
insiste 
pi� 
sui 
valori 
che 
sul 
margine 
di 
apprezzamento formale. Essa 
presume 
che 
il 
divieto di 
un�adozione 
privata 
sia 
volto a 
proteggere 
i 
minori 
da 
pratiche 
illecite, alcune 
delle 
quali 
possono 
essere 
assimilate 
a 
un traffico di 
esseri 
umani. In effetti, il 
traffico di 
esseri 
umani 
� 
strettamente 
collegato agli 
accordi 
di 
maternit� 
surrogata. I fatti 
del 
caso di 
specie 
dimostrano chiaramente 
quanto 
sarebbe 
facile 
che 
un 
traffico 
di 
esseri 
umani 
venga 
formalmente 
rappresentato 
(e 
coperto) da 
accordi 
di 
questo tipo. Tuttavia, il 
fenomeno della 
maternit� 
surrogata 
� 
di 
per 
s� 
molto 
pericoloso 
per 
il 
benessere 
della 
societ�. 
Mi 
riferisco 
non 
solo 
alla 
maternit� 
surrogata 
a fini commerciali, ma a tutte le forme di surrogazione di maternit�. 
In una 
societ� 
che 
si 
sviluppa 
armoniosamente, tutti 
i 
suoi 
membri 
apportano il 
proprio contributo 
mediante i propri talenti, la propria energia e la propria intelligenza. 
ovviamente, essi 
hanno anche 
bisogno di 
beni, capitali 
e 
risorse, ma 
questi 
ultimi 
sono necessari 
soltanto come strumenti materiali che permettono di applicare i primi. 
Pertanto, anche 
se 
l�unica 
risorsa 
valida 
di 
cui 
dispone 
un individuo � 
un corpo bello o sano, 
l�argomento non � 
sufficiente 
per poter giustificare 
che 
egli 
tragga 
un reddito dalla 
prostituzione, 
dalla pornografia o dalla surrogazione di maternit�. 
La 
Carta 
dei 
diritti 
fondamentali 
dell�Unione 
europea 
sancisce 
il 
divieto 
di 
fare 
del 
corpo 
umano in quanto tale 
una 
fonte 
di 
profitti; 
questa 
disposizione 
mira 
a 
proteggere 
il 
diritto di 
ogni 
persona 
alla 
propria 
integrit� 
fisica 
e 
mentale 
(articolo 3). Tuttavia, tale 
dichiarazione 
inequivocabile 
� 
stata 
oggetto di 
discussioni 
tra 
gli 
esperti, che 
non hanno potuto trovare 
dei 
motivi 
comuni 
per sostenerla 
e 
giungere 
a 
conclusioni 
definitive, a 
causa 
della 
complessit� 
dell�argomento e della diversit� degli approcci da parte degli Stati in merito a tali questioni. 
Si 
potrebbero esporre 
molti 
argomenti 
a 
favore 
della 
surrogazione 
di 
maternit�, fondati, ad 
esempio, sulle 
nozioni 
di 
economia 
di 
mercato, di 
diversit� 
e 
di 
solidariet�. Non tutte 
le 
persone 
sono in grado di 
utilizzare 
il 
proprio cervello poich� 
ci� richiede 
sforzi 
intellettuali 
considerevoli 
e 
un apprendimento permanente, ed � 
questo un compito molto difficile. � 
molto 
pi� facile 
guadagnare 
denaro utilizzando il 
proprio corpo, avuto riguardo soprattutto al 
fatto 
che 
vi 
� 
una 
forte 
richiesta 
di 
corpi 
ai 
fini 
della 
surrogazione 
di 
maternit�, richiesta 
relativamente 
stabile 
da 
secoli. Ci� potrebbe 
contribuire 
a 
risolvere 
i 
problemi 
di 
disoccupazione 
e 
a 
ridurre 
le 
tensioni 
sociali. La 
partecipazione 
del 
corpo umano all�economia 
in quanto risorsa 
economica 
di 
valore 
non 
significa 
un 
arresto 
del 
progresso. 
Coloro 
che 
preferiscono 
utilizzare 
la 
propria 
materia 
grigia 
continueranno a 
sviluppare 
nuove 
tecnologie 
e 
nuove 
scienze. In un 
contesto 
in 
cui 
la 
popolazione 
mondiale 
aumenta 
in 
maniera 
esponenziale, 
lo 
sfruttamento 
del corpo potrebbe essere considerato ragionevole dal punto di vista economico. 
Tuttavia, 
ci 
troviamo 
qui 
di 
fronte 
a 
un 
dilemma 
millenario: 
o 
gli 
esseri 
umani 
sopravvivono 
attraverso 
un 
processo 
di 
adattamento 
naturale, 
che 
richiede 
un 
compromesso 
con 
la 
dignit� 
e 
l�integrit� 
umane, 
o 
cercano 
di 
conseguire 
una 
nuova 
qualit� 
della 
vita 
sociale, 
in 
grado 
di 
superare 
la 
necessit� 
di 
un 
tale 
compromesso. 
La 
nozione 
di 
diritti 
e 
libert� 
fondamentali 
richiede 
l�attuazione 
della 
seconda 
opzione. 
La 
nostra 
sopravvivenza 
e 
il 
nostro 
sviluppo 
lo 
esigono. 
Qualsiasi 
compromesso 
con 
i 
diritti 
umani 
e 
i 
valori 
fondamentali 
comporta 
la 
fine 
di 
ogni 
civilt�. 
Naturalmente 
ci� 
� 
avvenuto 
pi� 
volte, 
sia 
nell�antichit� 
che 
nella 
storia 
moderna. 
Di 
fatto, 
vi 
sono 
due 
ragioni 
che 
giustificano 
che 
i 
beneficiari 
sostengano 
la 
surrogazione 
di 
ma



CoNTENzIoSo 
CoMUNITARIo 
ED 
INTERNAzIoNALE 


ternit�: 
sottrarsi 
ai 
problemi 
fisici 
causati 
dalla 
gravidanza 
o 
avere 
un 
figlio 
in 
una 
situazione 
di 
infertilit�. 
Entrambe 
le 
richieste 
sarebbero 
soddisfatte, 
a 
meno 
che 
non 
sia 
attuata 
una 
strategia 
sociale. 
Tale 
strategia 
sociale 
(basata 
sulla 
protezione 
della 
dignit�) 
pu� 
cambiare 
il 
modo 
di 
rispondere 
alla 
domanda: 
l�adozione 
(la 
via 
pi� 
semplice 
per 
risolvere 
problemi 
sociali), 
lo 
sviluppo 
dell�embrione 
fuori 
dall�utero 
(che 
non 
� 
possibile, 
ma 
potrebbe 
diventarlo 
in 
futuro 
con 
l�aiuto 
delle 
nuove 
biotecnologie), 
lo 
sviluppo 
delle 
biotecnologie 
esistenti 
di 
riproduzione 
assistita 
che 
consentirebbero 
a 
ogni 
donna 
di 
rimanere 
incinta, 
la 
promozione 
dell�idea 
che 
una 
vita 
pu� 
essere 
piena 
anche 
senza 
figli, 
la 
promozione 
di 
una 
cultura 
di 
educazione 
e 
la 
creazione 
di 
nuovi 
lavori. 
Spetta 
alla 
societ� 
decidere 
come 
intende 
avanzare: 
verso 
il 
progresso 
sociale 
e 
lo 
sviluppo 
o 
verso 
la 
stagnazione 
e 
il 
degrado. 
Ma, 
soprattutto, 
la 
societ� 
deve 
stabilire 
il 
valore 
dei 
diritti 
fondamentali, 
in 
funzione 
dei 
quali 
questo 
approccio 
alla 
vita 
privata 
non 
pu� 
essere 
rispettato 
a 
scapito 
della 
stagnazione 
e 
del 
degrado 
della 
societ�. 
La 
surrogazione 
di 
maternit� 
non 
costituirebbe 
un 
problema 
se 
fosse 
utilizzata 
in 
rare 
occasioni, 
ma 
sappiamo 
anche 
che 
� 
diventata 
un�importante 
attivit� 
commerciale 
e 
lucrativa 
per 
il 
�terzo 
mondo�. 
Per 
quanto 
riguarda 
la 
solidariet�, 
non 
credo 
nella 
maternit� 
surrogata 
come 
forma 
di 
assistenza 
volontaria 
e 
liberamente 
fornita 
a 
coloro 
che 
non 
possono 
avere 
figli; 
non 
posso 
credere 
che 
questa 
sia 
una 
dichiarazione 
onesta 
e 
leale. 
La 
solidariet� 
mira 
ad 
aiutare 
coloro 
la 
cui 
vita 
� 
in 
gioco, 
ma 
non 
quelli 
che 
hanno 
solo 
il 
desiderio 
di 
avere 
una 
vita 
privata 
o 
familiare 
pienamente 
soddisfatta. 
I 
donatori 
dovrebbero 
essere 
pronti 
a 
condividere 
la 
loro 
energia 
o 
i 
loro 
beni 
(o 
un 
surplus 
o 
una 
parte 
rilevante 
di 
questi 
ultimi), 
ma 
preferibilmente 
senza 
mettere 
a 
repentaglio 
la 
propria 
salute 
e 
la 
propria 
vita 
(salvo 
in 
situazioni 
di 
emergenza, 
come 
un 
incendio 
o 
altri 
casi 
di 
forza 
maggiore). 
Questi 
fattori 
hanno 
svolto 
un 
ruolo 
fondamentale 
nella 
recente 
crisi 
migratoria 
in 
Europa, 
quando 
i 
popoli 
hanno 
inviato 
un 
chiaro 
messaggio 
ai 
loro 
governanti: 
siamo 
pronti 
ad 
accogliere 
i 
migranti 
sulla 
base 
della 
solidariet�, 
ma 
non 
siamo 
pronti 
a 
mettere 
le 
nostre 
vite 
in 
pericolo. 
Un 
donatore 
pu� 
condividere 
alcune 
parti 
del 
proprio 
corpo 
con 
dei 
beneficiari 
in 
un 
solo 
caso: 
immediatamente 
dopo la 
sua 
morte, a 
seguito di 
un consenso informato o di 
altre 
garanzie 
procedurali. 
La 
gravidanza 
e 
la 
nascita 
di 
un 
bambino 
sono 
estremamente 
stressanti 
per la 
madre 
surrogata 
sia 
in termini 
fisici 
che 
emotivi. Le 
conseguenze 
sono imprevedibili, 
e, in assenza 
di 
situazioni 
di 
emergenza, la 
surrogazione 
di 
maternit� 
non pu� essere 
considerata 
un mezzo adeguato per favorire la solidariet� sociale. 
Non intendo dilungarmi 
sulle 
questioni 
etiche 
e 
morali, in quanto queste 
ultime 
non dovrebbero 
essere 
utilizzate 
per 
un�analisi 
sistemica. 
Attualmente, 
esse 
non 
aiutano 
a 
risolvere 
il 
problema, data l�enorme diversit� delle convinzioni etiche e morali esistenti. 
� meglio partire dalla realt�. 
Secondo lo studio di 
diritto comparato, il 
numero di 
Stati 
che 
vietano la 
maternit� 
surrogata 
� 
praticamente 
pari 
al 
numero di 
quelli 
che 
tollerano esplicitamente 
le 
maternit� 
surrogate 
effettuate 
all�estero. Si 
potrebbe 
anche 
concludere 
che 
la 
surrogazione 
di 
maternit� 
esce 
�vincente
� 
da 
tale 
studio, 
dato 
che 
solo 
un 
terzo 
degli 
Stati 
membri 
l�hanno 
espressamente 
vietata. 
Le 
statistiche 
e 
i 
fatti 
delle 
cause 
di 
surrogazione 
di 
maternit� 
esaminate 
dalla 
Corte 
dimostrano 
che 
le 
gestazioni 
per conto terzi 
sono portate 
avanti 
da 
persone 
povere 
o nei 
paesi 
poveri. 
I 
beneficiari 
sono 
generalmente 
ricchi 
e 
affascinanti 
e, 
inoltre, 
spesso 
fanno 
parte 
del 
parlamento nazionale 
o esercitano su di 
esso un�influenza 
decisiva. Peraltro, � 
estremamente 
ipocrita 
vietare 
la 
surrogazione 
di 
maternit� 
nel 
proprio paese 
per proteggere 
le 
donne 
che 
vi 
abitano, ma permettere di ricorrere a questo tipo di operazioni all�estero. 
Ancora 
una 
volta, 
questa 
� 
un�altra 
sfida 
contemporanea 
per 
la 
nozione 
di 
diritti 
umani: 
o 
crediamo 
una 
societ� 
che 
� 
divisa 
tra 
coloro che 
sono dentro e 
coloro che 
sono fuori, o creiamo 



RASSEGNA 
AvvoCATURA 
DELLo 
STATo - N. 1/2017 


una 
base 
per una 
solidariet� 
mondiale; 
o creiamo una 
societ� 
che 
� 
divisa 
tra 
le 
nazioni 
sviluppate 
e 
le 
nazioni 
meno sviluppate, o creiamo una 
base 
per lo sviluppo solidale 
e 
l�autorealizzazione; 
o creiamo una base per l�uguaglianza o non la creiamo. La risposta � chiara. 
Lo 
Stato 
convenuto 
ha 
preso 
una 
posizione 
molto 
onesta 
e 
senza 
compromessi 
in 
merito 
al 
divieto 
di 
qualsiasi 
tipo 
di 
surrogazione 
di 
maternit�. 
Ci� 
risulta 
chiaramente 
dalla 
posizione 
del 
Governo 
e 
della 
Corte 
costituzionale 
italiana. 
Ritengo 
che 
tale 
posizione 
sia 
stata 
sviluppata 
sulla 
base 
di 
valori 
cristiani 
(Lautsi 
e 
altri 
c. 
Italia 
[GC], 
n. 
30814/06, 
CEDU 
2011 
(estratti)). 
In 
Russia, 
la 
situazione 
� 
completamente 
diversa. 
La 
Corte 
costituzionale 
russa 
ha 
inizialmente 
(nel 
2012) rifiutato di 
esaminare 
i 
problemi 
sollevati 
nei 
casi 
di 
maternit� 
surrogata 
quando 
la 
madre 
surrogata 
esprimeva 
il 
desiderio 
di 
tenere 
il 
bambino 
al 
momento 
della 
nascita. 
Questo 
problema 
� 
stato rapidamente 
risolto nel 
2013 nel 
codice 
della 
famiglia, in favore 
della 
madre 
surrogata. Questa 
� 
stata 
la 
prima 
iniziativa 
legislativa 
per disciplinare 
gli 
accordi 
di 
maternit� 
surrogata. 
Non 
ho 
sentito 
levarsi 
alcuna 
voce 
per 
vietare 
la 
surrogazione 
di 
maternit� 
sulla 
base 
di 
valori 
fondamentali. Nel 
frattempo, questo metodo per acquistare 
un neonato � 
diventato molto popolare tra le persone ricche e famose. 
Quanto 
al 
legame 
biologico 
tra 
il 
minore 
e 
i 
genitori 
adottivi 
(cio� 
i 
beneficiari 
della 
maternit� 
surrogata), il 
giudice 
Knyazev della 
Corte 
costituzionale 
russa, nella 
sua 
opinione 
separata, 
ha 
sollevato un problema, vale 
a 
dire 
che 
il 
diritto della 
madre 
surrogata 
di 
tenere 
il 
bambino 
viola 
i 
diritti 
costituzionali 
dei 
beneficiari 
della 
maternit� 
surrogata 
in quanto sono stati 
loro 
ad 
aver 
fornito 
il 
materiale 
genetico. 
A 
mio 
avviso, 
questo 
non 
� 
il 
problema 
pi� 
grande, 
perch� 
tali 
genitori 
possono 
essere 
considerati 
come 
donatori. 
Un 
problema 
pi� 
serio 
risiede 
nel 
fatto 
che, 
fin 
dall�inizio, 
la 
maternit� 
surrogata 
viola 
i 
valori 
fondamentali 
della 
civilt� 
umana 
e 
nuoce a tutti i partecipanti: la madre surrogata, i genitori adottivi e il minore. 
Alcuni 
dei 
genitori 
adottivi 
non sono sposati 
o vivono da 
soli. Se 
il 
codice 
della 
famiglia 
permette 
di 
concludere 
accordi 
di 
maternit� 
surrogata 
solo 
alle 
coppie 
sposate, 
i 
giudici 
russi 
hanno 
assunto 
una 
posizione 
ancora 
pi� 
�liberale� 
e 
hanno 
autorizzato 
qualsiasi 
persona, 
anche 
una 
donna 
fertile, ad avere 
un figlio in questo modo. Ci� comporta, a 
mio avviso, un 
grave problema di traffico di esseri umani autorizzato dallo Stato. 
Credo 
che, 
per 
impedire 
il 
degrado 
morale 
ed 
etico 
della 
societ�, 
la 
Corte 
dovrebbe 
sostenere 
delle 
azioni 
basate 
sui 
valori 
e 
non 
nascondersi 
dietro 
il 
margine 
di 
apprezzamento. 
Tali 
valori 
(dignit�, 
integrit�, 
uguaglianza, 
solidariet�, 
curiosit�, 
autorealizzazione, 
creativit�, 
conoscenza 
e 
cultura) 
non 
sono 
in 
conflitto 
con 
il 
rispetto 
della 
vita 
privata 
e 
familiare. 
Il 
rispetto 
della 
vita 
familiare, 
attraverso 
l�esistenza 
di 
un 
legame 
biologico, 
ha 
costituito 
un 
criterio 
decisivo 
in 
precedenti 
cause 
contro 
la 
Francia, 
vale 
a 
dire 
Mennesson 
c. 
Francia 
(n. 
65192/11, 
CEDU 
2014 
(estratti)) 
e 
Labassee 
c. 
Francia 
(n. 
65941/11, 
26 
giugno 
2014), 
che 
sono 
state 
decise 
in 
favore 
dei 
ricorrenti. 
L�assenza 
di 
un 
legame 
biologico 
� 
un 
punto 
centrale 
anche 
nella 
sentenza 
del 
caso 
che 
stiamo 
trattando; 
tuttavia, 
se 
la 
surrogazione 
di 
maternit� 
� 
in 
linea 
di 
principio 
incompatibile 
con 
la 
nozione 
di 
diritti 
fondamentali, 
essa 
dovrebbe 
essere 
controbilanciata 
da 
una 
sanzione 
individuale 
e 
da 
un 
dibattito 
pubblico 
per 
prevenire 
tali 
pratiche 
in 
futuro. 
Ritengo 
che 
nel 
caso 
di 
specie 
la 
Corte 
abbia 
fatto 
un 
primo 
passo 
facendo 
prevalere 
i 
valori 
sul 
margine 
di 
apprezzamento 
in 
una 
causa 
�etica� 
(dovrei 
menzionare 
un�altra 
recente 
causa 
esaminata 
dalla 
Grande 
Camera, 
vale 
a 
dire 
Dubsk� 
e 
Krejzov� 
c. 
Repubblica 
ceca 
([GC], 
nn. 
28859/11 
e 
28473/12, 
15 
novembre 
2016)). 
Non 
lo 
aveva 
fatto 
nella 
causa 
Lautsi 
e 
altri 
sopra 
citata 
o 
nella 
causa 
Parrillo 
c. 
Italia 
([GC], 
n. 
46470/11, 
CEDU 
2015). 
ora, 
� 
realmente 
una 
nuova 
Corte. 
� 
molto 
difficile 
scegliere 
tra 
il 
diritto 
al 
rispetto 
della 
vita 
privata 
e 
l�ingerenza 
nell�esercizio 
di 
tale 
diritto 
per 
tutelare 
la 
morale, 
in 
quanto 
le 
categorie 
morali 
non 
sono 
chiare. 
Tuttavia, 



CoNTENzIoSo 
CoMUNITARIo 
ED 
INTERNAzIoNALE 


quando 
le 
norme 
morali 
sono 
legate 
ai 
valori 
umani, 
la 
decisione 
� 
pi� 
avvalorata 
in 
una 
prospettiva 
a 
lungo 
termine, 
perch� 
il 
progresso 
sociale 
deve 
assolutamente 
fondarsi 
su 
dei 
valori. 
Infine, 
la 
maternit� 
surrogata 
rappresenta 
una 
di 
queste 
sfide 
che 
ci 
obbligano 
a 
chiederci 
chi 
siamo 
-una 
civilt� 
o 
una 
biomassa? 
-per 
quanto 
riguarda 
la 
sopravvivenza 
della 
razza 
umana 
nel 
suo 
insieme. 
Lo 
studio 
di 
diritto 
comparato 
sulla 
surrogazione 
di 
maternit� 
mostra 
che 
tale 
fenomeno 
� 
tollerato 
nella 
maggior 
parte 
degli 
Stati 
membri 
ed 
� 
per 
questo 
che 
non 
� 
stato 
nemmeno 
interpretato 
secondo 
il 
punto 
di 
vista 
sopra 
esposto. 
Presumo 
che 
la 
vera 
risposta 
stia 
da 
qualche 
parte 
nel 
mezzo: 
le 
nazioni 
civilizzate 
costituiscono 
la 
base 
del 
diritto 
internazionale, 
e 
la 
surrogazione 
di 
maternit� 
non 
ostacola 
lo 
sviluppo 
civile 
delle 
nazioni. 
Tuttavia, 
se 
si 
considera 
il 
numero 
delle 
persone 
coinvolte, 
direttamente 
o 
indirettamente, 
in 
una 
forma 


o 
in 
un�altra 
in 
questo 
modo 
antisociale 
di 
realizzare 
profitti, 
legalmente 
o 
meno, 
la 
portata 
reale 
del 
problema 
� 
impressionante. 
Quando 
la 
solidariet� 
sociale 
non 
� 
incentivata 
o 
effettivamente 
protetta 
in 
pratica 
dalle 
autorit� 
(che 
si 
limitano 
a 
fare 
dichiarazioni 
in 
documenti 
ufficiali), 
ci� 
solleva 
problemi 
di 
discriminazione 
o 
di 
disparit� 
sociali 
che 
possono 
portare 
a 
una 
destabilizzazione 
o 
a 
un 
degrado 
della 
societ�; 
questa 
minaccia 
non 
deve 
essere 
sottovalutata. 
oPinionE 
dissEnziEntE 
ComUnE 
dEi 
GiUdiCi 
lazaroVa 
traJKoVsKa, 
BianKU, 
laFFran-
QUE, lEmmEns E GrozEV 


1. 
Ci 
rammarichiamo 
di 
non 
poter 
condividere 
l�opinione 
della 
maggioranza 
secondo 
cui 
non 
vi 
� 
stata 
violazione 
dell�articolo 
8 
della 
Convenzione. 
Riteniamo 
difatti 
che 
vi 
sia 
stata 
ingerenza 
nel 
diritto 
dei 
ricorrenti 
al 
rispetto 
della 
loro 
vita 
familiare. 
Inoltre, 
siamo 
del-
l�avviso 
che, 
nelle 
circostanze 
specifiche 
del 
caso 
di 
specie, 
tale 
diritto 
sia 
stato 
violato. 
sull�esistenza di una vita familiare 


2. 
La 
maggioranza 
esamina 
il 
motivo di 
ricorso dei 
ricorrenti 
dal 
punto di 
vista 
del 
diritto al 
rispetto della 
loro vita 
privata 
dichiarando esplicitamente 
che 
non vi 
era 
alcuna 
vita 
familiare 
(paragrafi 140-158 della sentenza). 
Preferiamo l�approccio adottato dalla 
camera, che 
conclude 
che 
vi 
� 
stata 
ingerenza 
nel 
diritto dei ricorrenti al rispetto della loro vita familiare. 
3. 
Come 
la 
maggioranza, 
partiamo 
dal 
principio 
(paragrafo 
140 
della 
sentenza) 
che 
l�esistenza 
o meno di 
una 
�vita 
familiare� � 
in primo luogo una 
questione 
di 
fatto che 
dipende 
della 
realt� 
pratica 
di 
legami 
personali 
stretti 
(K. e 
T. c. Finlandia 
[GC], n. 25702/94, � 150, 
CEDU 
2001 - vII, e 
.erife 
Yi.it 
c. Turchia 
[GC], n. 3976/05, � 93, 2 novembre 
2010). 
L�articolo 8 della 
Convenzione 
non distingue 
tra 
famiglia 
�legittima� e 
famiglia 
�naturale
� (Marckx c. Belgio, 13 giugno 1979, � 31, serie 
A 
n. 31). La 
nozione 
di 
�vita 
familiare
� 
di 
cui 
all�articolo 
8 
non 
si 
limita 
dunque, 
ad 
esempio, 
unicamente 
alle 
relazioni 
basate 
sul 
matrimonio ma 
pu� comprendere 
altri 
�legami 
familiari� de 
facto quando le 
persone 
convivono al 
di 
fuori 
del 
matrimonio o quando una 
relazione 
� 
sufficientemente 
stabile 
(si 
vedano, fra 
altre, Kroon e 
altri 
c. Paesi 
Bassi, 27 ottobre 
1994, � 30, serie 
A 
n. 
297-C, e Mikuli. c. Croazia, n. 53176/99, � 51, CEDU 2002 I). 
Se 
i 
legami 
biologici 
tra 
coloro 
che 
agiscono 
in 
qualit� 
di 
genitori 
e 
un 
minore 
possono 
essere 
un�indicazione 
molto 
importante 
quanto 
all�esistenza 
di 
una 
vita 
familiare, 
l�assenza 
di 
tali 
legami 
non 
necessariamente 
significa 
che 
non 
ve 
ne 
sia. 
La 
Corte 
ha 
cos� 
riconosciuto, 
ad 
esempio, 
che 
la 
relazione 
tra 
un 
uomo 
e 
una 
minore 
che 
intrattenevano 
rapporti 
affettivi 
molto 
stretti 
e 
che 
per 
anni 
avevano 
creduto 
di 
essere 
padre 
e 
figlia, 
fino 
a 
quando 
si 
scopr� 
che 
il 
ricorrente 
non 
era 
il 
padre 
biologico 
della 
minore, 
costituiva 
una 
vita 
familiare 
(Nazarenko 
c. 
Russia, 
n. 
39438/13, 
� 
58, 
CEDU 
2015 
(estratti)). 



RASSEGNA 
AvvoCATURA 
DELLo 
STATo - N. 1/2017 


La 
maggioranza 
fa 
inoltre 
riferimento, 
assai 
giustamente, 
a 
vari 
altri 
casi 
che 
illustrano 
il 
fatto 
che 
� 
l�esistenza 
di 
significativi 
legami 
personali 
ad 
essere 
importante, 
e 
non 
l�esistenza 
di 
legami 
biologici 
o 
di 
un 
rapporto 
giuridico 
riconosciuto 
(paragrafi 
148-150 
della 
sentenza, 
che 
rinviano 
a 
Wagner 
e 
J.M.W.L. 
c. 
Lussemburgo, 
n. 
76240/01, 
� 
117, 
28 
giugno 
2007, 
Moretti 
e 
Benedetti 
c. 
Italia, 
n. 
16318/07, 
�� 
49-52, 
27 
aprile 
2010, 
e 
Kopf 
e 
Liberda 
c. 
Austria, 
n. 
1598/06, 
� 
37, 
17 
gennaio 
2012). 


4. 
Quanto 
ai 
legami 
familiari 
de 
facto 
nel 
caso 
di 
specie, 
rileviamo, 
come 
la 
maggioranza, 
che 
i 
ricorrenti 
e 
il 
minore 
hanno 
vissuto 
insieme 
per 
sei 
mesi 
in 
Italia, 
dopo 
un 
periodo 
di 
convivenza 
di 
circa 
due 
mesi 
tra 
la 
prima 
ricorrente 
e 
il 
minore 
in 
Russia 
(paragrafo 
152 
della 
sentenza). 
Inoltre, 
e 
soprattutto, 
i 
ricorrenti 
hanno 
stretto 
forti 
legami 
affettivi 
con 
quest�ultimo 
nelle 
prime 
fasi 
della 
sua 
vita, 
la 
cui 
qualit� 
� 
stata 
riconosciuta 
da 
una 
equipe 
di 
assistenti 
sociali 
(paragrafo 
151 
della 
sentenza). 
In 
breve, 
esisteva 
un 
vero 
progetto 
genitoriale, 
fondato 
sui 
dei 
legami 
affettivi 
di 
alta 
qualit� 
(paragrafo 
157 
della 
sentenza). 
La 
maggioranza 
ritiene 
tuttavia 
che 
la 
durata 
della 
convivenza 
tra 
i 
ricorrenti 
e 
il 
minore 
fosse 
troppo breve 
per essere 
sufficiente 
per costituire 
una 
vita 
familiare 
de 
facto (paragrafi 
152-154 della 
sentenza). Con tutto il 
rispetto che 
dobbiamo ai 
nostri 
colleghi, non 
possiamo 
concordare 
con 
tale 
conclusione. 
Attribuiamo 
infatti 
importanza 
alla 
circostanza 
che 
la 
convivenza 
� 
iniziata 
il 
giorno stesso della 
nascita 
del 
bambino ed � 
durata 
fino a 
quando il 
bambino fu tolto ai 
ricorrenti, e 
al 
fatto che 
sarebbe 
proseguita 
a 
tempo indeterminato 
se 
le 
autorit� 
non fossero intervenute 
per porvi 
fine. La 
maggioranza 
respinge 
questo 
argomento 
in 
quanto 
l�intervento 
era 
la 
conseguenza 
dell�incertezza 
giuridica 
creata 
dai 
ricorrenti 
stessi 
�adottando una 
condotta 
contraria 
al 
diritto italiano e 
trasferendosi 
in Italia 
con il 
minore� (paragrafo 156 della 
sentenza). Temiamo che 
la 
maggioranza 
non 
faccia 
quindi 
una 
distinzione 
tra 
famiglia 
�legittima� 
e 
famiglia 
�naturale�, 
distinzione 
che 
� 
stata 
respinta 
dalla 
Corte 
molti 
anni 
fa 
(paragrafo 3 supra), e 
che 
non 
concede 
tutta 
l�importanza 
che 
merita 
al 
principio 
consolidato 
secondo 
il 
quale 
l�esistenza 
o meno di una �vita familiare�, � essenzialmente una questione di fatto (ibidem). 
5. Anche 
se 
il 
periodo di 
convivenza 
in quanto tale 
� 
relativamente 
breve, riteniamo che 
i 
ricorrenti 
si 
siano comportati 
nei 
confronti 
del 
minore 
come 
dei 
genitori 
e 
concludiamo 
che, nel 
caso di 
specie, esiste 
di 
una 
vita 
familiare 
de 
facto tra 
i 
ricorrenti 
e 
il 
minore 
(si 
veda sentenza della camera, � 69). 
sul 
punto di 
stabilire 
se 
l�ingerenza nel 
diritto al 
rispetto della vita familiare 
fosse 
giustificata 


6. 
vorremmo 
anzitutto 
ricordare 
alcuni 
principi 
generali 
derivanti 
dalla 
giurisprudenza 
della 
Corte. 
Nelle 
cause 
riguardanti 
l�affidamento preadottivo di 
un minore, che 
comporta 
la 
rottura 
permanente 
dei 
legami 
familiari, 
l�interesse 
superiore 
del 
fanciullo 
deve 
essere 
prioritario 
(Johansen c. Norvegia, 7 agosto 1996, � 78, Recueil 
des 
arr�ts 
et 
d�cisions 
1996 -III, Kearns 
c. Francia, n. 35991/04, � 79, 10 gennaio 2008, R. e 
H. c. Regno Unito, n. 35348/06, 
� � 73 e 
81, 31 maggio 2011, e 
Y.C. c. Regno Unito, n. 4547/10, � 134, 13 marzo 2012). 
Per individuare 
l�interesse 
superiore 
del 
minore 
in una 
causa 
particolare, occorre 
tenere 
presente 
due 
considerazioni: 
in primo luogo, � 
nell�interesse 
del 
minore 
che 
i 
legami 
tra 
lui 
e 
la 
sua 
famiglia 
siano mantenuti, tranne 
nei 
casi 
in cui 
quest�ultima 
si 
sia 
mostrata 
particolarmente 
indegna; 
e 
in 
secondo 
luogo, 
� 
nell�interesse 
del 
minore 
assicurargli 
un�evoluzione 
in un ambiente 
sano (Neulinger e 
Shuruk c. Svizzera 
[GC], n. 41615/07, 
� 136, CEDU 2010, e R. e H. c. Regno Unito, sopra citata, �� 73-74). 



CoNTENzIoSo 
CoMUNITARIo 
ED 
INTERNAzIoNALE 


Se 
non 
spetta 
alla 
Corte 
sostituire 
la 
propria 
valutazione 
a 
quella 
dei 
giudici 
nazionali 
per 
quanto 
riguarda 
i 
provvedimenti 
relativi 
ai 
minori, 
essa 
deve 
comunque 
assicurarsi 
che 
il 
processo 
decisionale 
che 
ha 
portato 
i 
giudici 
nazionali 
ad 
adottare 
la 
misura 
controversa 
sia 
stato 
equo 
e 
che 
abbia 
consentito 
agli 
interessati 
di 
esercitare 
pienamente 
i 
loro 
diritti, 
nel 
rispetto 
dell�interesse 
superiore 
del 
minore 
(Neulinger 
e 
Shuruk, 
sopra 
citata, 
� 
139, 
e 
X 
c. 
Lettonia 
[GC], 
n. 
27853/09, 
� 
102, 
CEDU 
2013). 
Riteniamo 
che, 
nell�esaminare 
una 
domanda 
di 
affidamento 
preadottivo 
di 
un 
minore, 
i 
giudici 
non 
soltanto 
debbano 
esaminare 
se 
la 
separazione 
del 
minore 
dalle 
persone 
che 
si 
comportano 
come 
sui 
genitori 
sia 
nel 
suo 
interesse, 
ma 
devono 
anche 
pronunciarsi 
al 
riguardo 
con 
una 
decisione 
specificamente 
motivata 
alla 
luce 
delle 
circostanze 
del 
caso 
di 
specie 
(si 
veda, 
mutatis 
mutandis, 
riguardo 
ad 
una 
decisione 
su 
una 
domanda 
di 
ritorno 
di 
un 
minore 
ai 
sensi 
della 
Convenzione 
dell�Aja 
sugli 
aspetti 
civili 
della 
sottrazione 
internazionale 
di 
minori, 
X. 
c. 
Lettonia, 
sopra 
citata, 
� 
107). 


7. 
Al 
fine 
di 
verificare 
se 
l�ingerenza 
nel 
diritto dei 
ricorrenti 
al 
rispetto della 
loro vita 
familiare, 
cio� 
il 
fatto di 
togliere 
loro il 
minore, sia 
compatibile 
con l�articolo 8 della 
Convenzione, 
occorre 
rilevare 
quale 
giustificazione 
sia 
stata 
in 
realt� 
data 
dalle 
autorit� 
nazionali all�ingerenza in questione. 
A 
tale 
riguardo, rileviamo una 
notevole 
differenza 
tra 
le 
ragioni 
addotte 
dal 
tribunale 
per 
i minorenni di Campobasso e quelle esposte dalla corte d�appello di Campobasso. 
Il 
tribunale 
per 
i 
minorenni, 
adito 
dal 
pubblico 
ministero 
con 
una 
domanda 
di 
provvedimenti 
urgenti, 
ha 
fondato 
il 
suo 
provvedimento 
del 
20 
ottobre 
2011 
sulla 
necessit� 
di 
impedire 
il 
perdurare 
di 
una 
situazione 
illegale. 
Secondo 
il 
tribunale, 
l�illegalit� 
derivava 
dalla 
violazione 
di 
due 
leggi. 
Da 
un 
lato, 
portando 
un 
neonato 
in 
Italia 
e 
facendolo 
passare 
per 
il 
proprio 
figlio, 
i 
ricorrenti 
avrebbero 
violato 
in 
modo 
palese 
le 
disposizioni 
della 
legge 
sull�adozione 
(legge 
n. 
184 
del 
4 
maggio 
1983) 
che 
disciplina 
l�adozione 
internazionale 
di 
minori; 
in 
ogni 
caso, 
essi 
avrebbero 
deliberatamente 
eluso 
le 
disposizioni 
di 
questa 
legge 
che 
prevedevano 
non 
soltanto 
l�obbligo 
per 
le 
persone 
che 
desideravano 
adottare 
di 
rivolgersi 
ad 
un 
ente 
riconosciuto 
(articolo 
31), 
ma 
anche 
l�intervento 
della 
Commissione 
per 
le 
adozioni 
internazionali 
(articolo 
38). 
Dall�altro, 
dal 
momento 
che 
l�accordo 
concluso 
tra 
la 
prima 
ricorrente 
e 
la 
societ� 
Rosjurconsulting 
prevedeva 
la 
consegna 
del 
materiale 
genetico 
del 
secondo 
ricorrente 
per 
la 
fecondazione 
degli 
ovuli 
di 
un�altra 
donna, 
contravveniva, 
secondo 
il 
tribunale, 
al 
divieto 
di 
ricorrere 
a 
tecniche 
di 
procreazione 
medicalmente 
assistita 
di 
tipo 
eterologo, 
previsto 
dall�articolo 
4 
della 
legge 
sulla 
procreazione 
medicalmente 
assistita 
(legge 
n. 
40 
del 
19 
febbraio 
2004). 
La 
reazione 
a 
questa 
situazione 
illegale 
ha 
preso 
la 
forma 
di 
una 
duplice 
decisione: 
allontanare 
il 
minore 
dai 
ricorrenti 
e 
collocarlo 
in 
una 
struttura 
adeguata 
in 
attesa 
di 
trovare 
una 
coppia 
appropriata 
al 
quale 
affidarlo 
(paragrafo 
37 
della 
sentenza). 
La 
corte 
d�appello 
ha 
respinto 
l�appello 
dei 
ricorrenti 
il 
28 
febbraio 
2012, 
ma 
con 
un 
diverso 
ragionamento. 
Essa 
non 
ha 
dichiarato 
che 
i 
ricorrenti 
erano 
in 
una 
situazione 
illegale 
e 
che 
era 
necessario 
porvi 
fine, 
ma 
ha 
spiegato 
che 
il 
bambino 
era 
in 
�stato 
di 
abbandono
� 
ai 
sensi 
dell�articolo 
8 
della 
legge 
n. 
184 
del 
4 
maggio 
1983, 
dato 
che 
non 
beneficiava 
di 
un�assistenza 
morale 
e 
materiale 
da 
parte 
della 
sua 
�famiglia 
naturale�. 
Secondo 
la 
corte 
d�appello, 
questo 
stato 
di 
abbandono 
giustificava 
le 
misure 
adottate 
dal 
tribunale 
per 
i 
minorenni, 
che 
erano 
di 
natura 
cautelare 
e 
urgente. 
La 
corte 
d�appello 
ha 
rilevato 
che 
queste 
misure 
erano 
compatibili 
con 
l�esito 
probabile 
del 
procedimento 
nel 
merito 
sulla 
domanda 
del 
pubblico 
ministero, 
vale 
a 
dire 
una 
dichiarazione 
di 
adottabilit� 
(paragrafo 
40 
della 
sentenza). 
A 
nostro 
avviso, 
� 
essenzialmente, 
se 
non 
esclusivamente, 
il 
ragionamento 
della 
corte 
d�ap



RASSEGNA 
AvvoCATURA 
DELLo 
STATo - N. 1/2017 


pello 
che 
deve 
essere 
preso 
in 
considerazione 
per 
valutare 
le 
ragioni 
che 
giustificano 
l�allontanamento 
del 
minore 
dai 
ricorrenti. 
Infatti, 
� 
la 
corte 
d�appello 
che 
ha 
statuito 
in 
ultima 
istanza, 
sostituendo 
in 
tal 
modo 
la 
propria 
motivazione 
a 
quella 
del 
tribunale 
per 
i 
minorenni. 
Inoltre, 
mentre 
il 
tribunale 
per 
i 
minorenni 
ha 
prima 
di 
tutto 
espresso 
la 
sua 
disapprovazione 
per 
la 
condotta 
dei 
ricorrenti 
e 
di 
conseguenza 
li 
ha 
sanzionati, 
la 
corte 
d�appello 
ha 
iniziato 
la 
sua 
analisi 
sulla 
base 
di 
una 
valutazione 
dell�interesse 
del 
minore, 
il 
che 
� 
di 
per 
s� 
l�approccio 
corretto 
nelle 
cause 
quali 
quella 
del 
caso 
di 
specie 
(paragrafo 
6 
supra). 


Infine, 
osserviamo 
che 
la 
maggioranza, 
quando 
esamina 
la 
giustificazione 
dell�ingerenza, 
non 
si 
riferisce 
esplicitamente 
alle 
decisioni 
adottate 
dai 
tribunali 
nella 
procedura 
relativa 
alla 
contestazione 
da 
parte 
dei 
ricorrenti 
del 
rifiuto dell�ufficio di 
stato civile 
di 
inserire 
il 
certificato 
di 
nascita 
nel 
registro 
dello 
stato 
civile, 
in 
particolare 
alla 
sentenza 
della 
corte 
d�appello 
di 
Campobasso 
del 
3 
aprile 
2013 
(paragrafi 
47-48 
della 
sentenza). 
Per 
questo 
motivo, 
omettiamo 
anche 
di 
includere 
il 
ragionamento 
di 
quest�ultima 
autorit� 
giudiziaria nella nostra analisi. 


8. La 
prima 
questione 
da 
esaminare 
� 
se 
l�ingerenza, ossia 
l�allontanamento del 
minore 
dai 
ricorrenti, fosse prevista dalla legge. 
Alla 
luce 
dei 
motivi 
esposti 
dalla 
corte 
di 
appello 
nella 
sua 
sentenza 
del 
28 
febbraio 
2012, 
concludiamo 
che 
l�allontanamento 
si 
basava 
sull�articolo 
8 
della 
legge 
sull�adozione, 
che 
prevede 
che 
possa 
essere 
dichiarato 
in 
stato 
di 
adottabilit� 
il 
minore 
in 
situazione 
di 
abbandono, 
cio� 
privo 
di 
qualsiasi 
assistenza 
morale 
o 
materiale 
da 
parte 
dei 
suoi 
genitori 
o 
dei 
suoi 
familiari. 
Poich� 
i 
giudici 
si 
sono 
rifiutati 
di 
considerare 
i 
ricorrenti 
come 
i 
suoi 
genitori, 
il 
minore 
� 
stato 
considerato 
in 
situazione 
di 
abbandono 
ed 
� 
stato 
quindi 
dichiarato 
adottabile. 
Siamo 
consapevoli 
che 
spetta 
ai 
giudici 
nazionali 
interpretare 
ed 
applicare 
il 
diritto 
interno 
(paragrafo 169 della 
sentenza). Tuttavia, non possiamo che 
esprimere 
la 
nostra 
sorpresa 
per quanto riguarda 
la 
conclusione 
per la 
quale 
il 
minore, di 
cui 
una 
coppia 
che 
aveva 
pienamente 
assunto il 
ruolo di 
genitori 
si 
prendeva 
cura, si 
trovava 
in stato di 
�abbandono
�. Se 
tale 
conclusione 
si 
basa 
unicamente 
sul 
fatto che 
i 
ricorrenti 
non erano i 
suoi 
genitori 
sul 
piano 
giuridico, 
ci 
chiediamo 
se 
il 
ragionamento 
dei 
giudici 
nazionali 
non 
avesse 
un 
carattere 
eccessivamente 
formale, 
e 
non 
fosse 
pertanto 
incompatibile 
con 
le 
esigenze derivanti dall�articolo 8 della Convenzione in questo caso (paragrafo 6 supra). 


Tuttavia, non mi 
dilungher� su tale 
argomento. Infatti, anche 
supponendo che 
fosse 
stata 
prevista 
dalla 
legge, l�ingerenza 
non pu�, a 
nostro parere, essere 
giustificata 
per i 
motivi 
qui di seguito illustrati. 


9. 
La questione successiva � se l�ingerenza perseguisse uno scopo legittimo. 
Rileviamo che 
la 
corte 
d�appello ha 
fondato la 
sua 
decisione 
relativa 
all�allontanamento 
del 
minore 
sullo 
stato 
di 
abbandono 
in 
cui 
quest�ultimo 
si 
sarebbe 
trovato. 
Si 
pu� 
pertanto 
sostenere 
che 
essa 
ha 
adottato 
la 
misura 
controversa 
al 
fine 
di 
tutelare 
i 
�diritti 
e 
le 
libert� 
altrui�, ossia i diritti del minore. 
La 
maggioranza 
riconosce 
che 
le 
misure 
perseguivano anche 
un altro scopo, quello della 
�difesa 
dell�ordine�. Come 
la 
camera, essa 
rammenta 
che 
la 
condotta 
dei 
ricorrenti 
contravveniva 
alla 
legge 
sull�adozione 
e 
al 
divieto, nel 
diritto italiano, delle 
tecniche 
di 
procreazione 
assistita eterologa (paragrafo 177 della sentenza). 
Con 
tutto 
il 
rispetto 
che 
dobbiamo 
ai 
nostri 
colleghi 
della 
maggioranza, 
non 
possiamo 
concordare 
con 
questo 
parere. 
Soltanto 
il 
tribunale 
per 
i 
minorenni, 
ossia 
il 
giudice 
di 
primo 
grado, 
si 
� 
fondato 
sulla 
condotta 
illegale 
dei 
genitori; 
la 
corte 
d�appello 
si 
� 
astenuta 
dall�utilizzare 
la 
possibilit� 
di 
dichiarare 
il 
minore 
adottabile 
come 
una 
sanzione 
nei 
confronti 
dei 
ricorrenti. 



CoNTENzIoSo 
CoMUNITARIo 
ED 
INTERNAzIoNALE 


10. Infine, occorre 
esaminare 
se 
l�ingerenza 
fosse 
necessaria 
in una 
societ� 
democratica, per 
raggiungere lo scopo perseguito. 
Come 
la 
maggioranza, riteniamo che 
questa 
condizione 
implichi, in primo luogo, che 
i 
motivi 
addotti 
per giustificare 
la 
misura 
controversa 
siano pertinenti 
e 
sufficienti 
(paragrafo 
179 
della 
sentenza), 
e, 
in 
secondo 
luogo, 
che 
la 
misura 
sia 
proporzionata 
allo 
scopo 
legittimo perseguito tenuto conto del 
giusto equilibrio da 
mantenere 
tra 
gli 
interessi 
concomitanti 
in gioco (paragrafo 181 della sentenza). 
11. 
Il 
nostro 
disaccordo 
con 
la 
maggioranza 
attiene 
all�applicazione 
dei 
principi 
al 
caso 
di 
specie. 
In 
modo 
evidente, 
la 
valutazione 
della 
condizione 
di 
necessit� 
dipende, 
in 
gran 
parte, 
dalla 
questione 
di 
conoscere 
quali 
siano 
gli 
scopi 
legittimi 
specifici 
che 
sono 
definiti 
come 
quelli 
che 
le 
autorit� 
competenti 
perseguivano. Come 
indicato in precedenza, riteniamo 
che 
la 
corte 
d�appello abbia 
giustificato l�allontanamento del 
minore 
sulla 
base 
della 
situazione 
di 
quest�ultimo. 
Al 
contrario, 
la 
maggioranza 
non 
solo 
prende 
in 
considerazione 
i 
motivi 
esposti 
dal 
tribunale 
per i 
minorenni 
(la 
situazione 
illegale 
creata 
dai 
ricorrenti), 
ma 
arriva 
al 
punto di 
considerare, seguendo l�argomentazione 
del 
Governo, il 
contesto 
pi� ampio del 
divieto nel 
diritto italiano degli 
accordi 
di 
gestazione 
per conto terzi 
(su 
quest�ultimo punto, si 
veda 
il 
paragrafo 203 della 
sentenza). Riteniamo che 
le 
particolari 
circostanze 
della 
fattispecie, 
e 
soprattutto 
le 
decisioni 
adottate 
dalle 
autorit� 
nazionali, 
non richiedano un approccio cos� 
ampio, in cui 
delle 
considerazioni 
delicate 
di 
politica 
generale possono svolgere un ruolo importante. 
Non abbiamo intenzione 
di 
esprimere 
una 
qualsiasi 
opinione 
sul 
divieto degli 
accordi 
di 
maternit� 
surrogata 
in diritto italiano. Spetta 
al 
legislatore 
italiano stabilire 
quale 
sia 
la 
politica 
dell�Italia 
in 
materia. 
Tuttavia, 
il 
diritto 
italiano 
non 
ha 
effetti 
extraterritoriali. 
Quando una 
coppia 
� 
riuscita 
a 
sottoscrive 
all�estero un accordo di 
maternit� 
surrogata 
e 
a 
ottenere 
da 
una 
madre 
residente 
in un altro paese 
un neonato che 
successivamente 
ha 
portato legalmente 
in Italia, � 
la 
situazione 
fattuale 
in Italia 
derivante 
da 
tali 
eventi 
che 
si 
sono svolti 
precedentemente 
in un altro paese 
a 
dover guidare 
le 
autorit� 
italiane 
competenti 
nella 
loro reazione 
a 
tale 
situazione. A 
questo riguardo, abbiamo difficolt� 
a 
comprendere 
il 
punto 
di 
vista 
della 
maggioranza 
che 
ritiene 
pertinenti 
le 
motivazioni 
del 
legislatore 
che 
giustificano 
il 
divieto 
di 
accordi 
di 
maternit� 
surrogata 
trattandosi 
di 
misure 
adottate 
per scoraggiare 
i 
cittadini 
italiani 
dal 
ricorrere 
all�estero a 
pratiche 
che 
sono vietate 
in Italia 
(paragrafo 203 della 
sentenza). A 
nostro parere, la 
pertinenza 
di 
tali 
motivi 
diventa 
meno evidente 
quando si 
tratta 
di 
una 
situazione 
sorta 
all�estero che, di 
per s�, 
non pu� aver violato il 
diritto italiano. A 
tale 
proposito, � 
importante 
rilevare 
che 
la 
situazione 
creata 
dai 
ricorrenti 
in Russia 
� 
stata 
in origine 
riconosciuta 
e 
formalizzata 
dalle 
autorit� italiane, tramite il consolato italiano di Mosca (paragrafo 17 della sentenza). 
12. 
Quali 
che 
siano 
le 
ragioni 
addotte 
per 
giustificare 
la 
separazione 
del 
minore 
dai 
ricorrenti, 
non possiamo condividere 
la 
conclusione 
della 
maggioranza 
secondo la 
quale 
i 
giudici 
italiani hanno mantenuto un giusto equilibrio tra i vari interessi in gioco. 
Per quanto riguarda 
gli 
interessi 
generali 
in causa, abbiamo gi� 
spiegato che, a 
nostro avviso, 
� 
stata 
attribuita 
troppa 
importanza 
alla 
necessit� 
di 
porre 
fine 
a 
una 
situazione 
illegale 
(con 
riguardo 
alle 
leggi 
sull�adozione 
internazionale 
e 
sull�uso 
delle 
tecniche 
di 
riproduzione 
assistita) 
e 
all�esigenza 
di 
dissuadere 
i 
cittadini 
italiani 
dal 
ricorrere 
all�estero 
a 
pratiche 
che 
sono vietate 
in Italia. Tali 
interessi 
non erano assolutamente 
quelli 
che 
la 
corte d�appello ha cercato di proteggere. 

RASSEGNA 
AvvoCATURA 
DELLo 
STATo - N. 1/2017 


Per quanto riguarda 
l�interesse 
del 
minore, abbiamo gi� 
espresso il 
nostro stupore 
per la 


qualificazione 
data 
alla 
situazione 
di 
quest�ultimo considerato �in stato di 
abbandono�. 


In nessun momento i 
giudici 
si 
sono chiesti 
se 
fosse 
nell�interesse 
del 
minore 
rimanere 


con persone che si comportavano come suoi genitori. 

L�allontanamento 
si 
basava 
su 
motivi 
puramente 
giuridici. 
I 
fatti 
sono 
entrati 
in 
gioco 


solo per valutare 
se 
le 
conseguenze 
dell�allontanamento, una 
volta 
deciso, non sarebbero 


state 
troppo dure 
per il 
minore. Riteniamo che, in tali 
circostanze, non si 
possa 
sostenere 


che 
i 
giudici 
nazionali 
abbiano tenuto sufficientemente 
conto dell�impatto che 
l�allonta


namento avrebbe 
avuto sul 
benessere 
del 
minore. Si 
tratta 
di 
una 
grave 
omissione, dato 


che 
qualsiasi 
misura 
di 
questo tipo deve 
prendere 
in considerazione 
l�interesse 
superiore 


del minore (paragrafo 6 supra). 


Per 
quanto 
riguarda 
gli 
interessi 
dei 
ricorrenti, 
pensiamo 
che 
il 
loro 
interesse 
a 
continuare 
a 


sviluppare 
la 
relazione 
con 
un 
minore 
di 
cui 
desideravano 
essere 
i 
genitori 
(paragrafo 
211 


della 
sentenza) 
non 
sia 
stato 
sufficientemente 
tenuto 
in 
considerazione, 
in 
particolare 
dal 
tri


bunale 
per 
i 
minorenni. 
Non 
possiamo 
condividere 
il 
riferimento 
compiacente 
della 
maggio


ranza 
al 
suggerimento 
di 
questo 
giudice 
secondo 
cui 
i 
ricorrenti 
cercavano 
di 
soddisfare 
un 


�desiderio 
narcisistico� 
o 
di 
�esorcizzare 
un 
problema 
individuale 
o 
di 
coppia�, 
o 
ai 
suoi 


dubbi 
in 
merito 
all�esistenza 
nei 
ricorrenti 
di 
�reali 
capacit� 
affettive 
ed 
educative� 
e 
�di 
un 


istinto 
di 
solidariet� 
umana� 
(paragrafo 
207 
della 
sentenza). 
Riteniamo 
che 
tali 
valutazioni 


fossero 
di 
carattere 
speculativo 
e 
non 
avrebbero 
dovuto 
guidare 
il 
tribunale 
per 
i 
minorenni 


nell�esame 
della 
domanda 
di 
provvedimenti 
urgenti 
presentata 
dal 
pubblico 
ministero. 


oltre 
a 
queste 
considerazioni 
del 
tribunale 
per 
i 
minorenni, 
che 
sembrano 
essere 
state 


corrette 
dall�approccio 
pi� 
neutrale 
assunto 
dalla 
corte 
d�appello, 
vorremmo 
ricordare 


che 
i 
ricorrenti 
sono stati 
ritenuti 
idonei 
all�adozione 
il 
7 dicembre 
2006, quando hanno 


ottenuto l�autorizzazione 
del 
tribunale 
per i 
minorenni 
(paragrafo 10 della 
sentenza), e 


che 
un 
equipe 
di 
assistenti 
sociali 
designata 
da 
un 
tribunale 
ha 
dichiarato, 
in 
una 
relazione 


del 
18 maggio 2011, che 
i 
ricorrenti 
si 
erano fatti 
carico del 
bambino �in maniera 
otti


male� 
(paragrafo 
25 
della 
sentenza). 
Tali 
valutazioni 
positive 
non 
sono 
state 
contraddette 


da 
una 
seria 
valutazione 
dell�interesse 
superiore 
del 
minore, ma 
sono state 
oscurate 
da 


considerazioni pi� generali e astratte. 


Inoltre, 
come 
riconosce 
la 
maggioranza, 
i 
tribunali 
non 
hanno 
affrontato 
l�impatto 
che 
la 


separazione 
immediata 
e 
irreversibile 
dal 
minore 
avrebbe 
avuto 
sui 
ricorrenti 
(paragrafo 


211 
della 
sentenza). 
Riteniamo 
si 
tratti 
di 
una 
lacuna 
grave, 
che 
non 
pu� 
essere 
giustificata 


dalle 
considerazioni 
della 
maggioranza 
circa 
l�illegalit� 
della 
condotta 
dei 
ricorrenti 
e 
la 


precariet� 
della 
loro 
relazione 
con 
il 
minore 
(ibidem). 
Il 
semplice 
fatto 
che 
i 
giudici 
nazio


nali 
non 
abbiano 
ritenuto 
necessario 
discutere 
dell�impatto 
sui 
ricorrenti 
dell�allontana


mento 
di 
un 
minore 
che 
era 
al 
centro 
del 
loro 
progetto 
genitoriale 
dimostra, 
a 
nostro 
avviso, 


che 
i 
giudici 
non 
hanno 
realmente 
cercato 
di 
trovare 
un 
giusto 
equilibrio 
tra 
gli 
interessi 


dei 
ricorrenti 
e 
qualsiasi 
altro 
interesse 
concomitante, 
quale 
che 
fosse 
quest�ultimo. 


13. Alla 
luce 
di 
quanto precede, riteniamo pertanto, al 
pari 
della 
camera, che 
gli 
elementi 
sui 
quali 
i 
giudici 
si 
sono basati 
per decidere 
che 
il 
minore 
doveva 
essere 
tolto ai 
ricorrenti 
e 
doveva 
essere 
preso in carico dai 
servizi 
sociali 
non siano sufficienti 
per concludere 
che 
tali misure non erano sproporzionate (si veda la sentenza della camera, � 86). 
Per noi, non � 
stato dimostrato che 
le 
autorit� 
italiane 
hanno garantito il 
giusto equilibrio 
che occorreva mantenere tra gli interessi concorrenti in gioco. 

CoNTENzIoSo 
CoMUNITARIo 
ED 
INTERNAzIoNALE 


la Corte di Giustizia �salva� il meccanismo italiano 
pro-rata per il calcolo dell�iVa detraibile 


Corte 
DI 
GIUstIzIa 
Ue, sez. terza, seNteNza 
14 DICemBre 
2016, CaUsa 
C-378/15 


Gianni De Bellis* 


Con la 
sentenza 
del 
14 dicembre 
2016 la 
Corte 
ha 
dichiarato che 
la 
normativa 
comunitaria 
di 
cui 
agli 
articoli 
17, 
par. 
5, 
terzo 
comma 
lett. 
d) 
e 
19 
della 
direttiva 
77/388/CEE, non osta 
al 
meccanismo previsto negli 
articoli 
19 
comma 
5 e 
19-bis 
del 
D.P.R. n. 633/1972 per la 
determinazione 
dell�IvA 
detraibile 
nelle 
ipotesi 
in cui 
il 
soggetto passivo pone 
in essere 
attivit� 
sia 
imponibili 
che 
non 
imponibili 
(pi� 
precisamente, 
che 
conferiscono 
o 
meno 
il 
diritto 
alla detrazione dell'IvA). 


Trattasi 
del 
meccanismo 
del 
c.d. 
pro-rata; 
in 
sostanza 
poich� 
la 
detrazione 
dell�IvA 
assolta 
a 
monte 
� 
consentita 
solo 
se 
afferisce 
ad 
operazioni 
imponibili, 
si 
pone 
il 
problema 
di 
come 
calcolare 
la 
percentuale 
di 
detrazione 
nei 
casi 
in 
cui 
l'imposta 
assolta 
afferisca 
ad 
operazioni 
�miste� 
(cio� 
sia 
imponibili 
che 
non). 


Davanti alla Corte di Lussemburgo si fronteggiavano due tesi: 


a) 
quella 
della 
Mercedes 
Benz 
Italia 
(inizialmente 
condivisa 
dalla 
Commissione 
europea), 
secondo 
cui 
la 
regola 
del 
pro-rata 
era 
applicabile 
ai 
soli 
beni 
�misti�, 
cio� 
utilizzati 
per 
operazioni 
sia 
imponibili 
che 
non. 
Da 
ci� 
la 
non 
compatibilit� 
comunitaria 
del 
sistema 
italiano, 
che 
calcolava 
invece 
la 
percentuale 
di 
detraibilit� 
su 
tutto 
il 
fatturato 
(cio� 
su 
tutte 
le 
operazioni 
imponibili 
e 
non); 


b) 
quella 
del 
Governo 
Italiano 
(inizialmente 
isolata, 
alla 
quale 
per� 
in 
udienza 
si 
� 
poi 
associata 
la 
Commissione 
europea) secondo cui 
l�articolo 17, 
par. 5 terzo comma 
lett. d) della 
direttiva 
77/388/CEE, consentiva 
agli 
Stati 
membri 
anche 
l�adozione 
di 
un sistema 
(indubbiamente 
di 
pi� semplice 
applicazione) 
come 
quello italiano, che 
determina 
la 
percentuale 
di 
detraibilit� 
di 
tutta 
l�IvA 
�a 
monte� 
sul 
totale 
delle 
operazioni 
(imponibili 
e 
non), 
anzich� 
soltanto sui beni ad uso misto. 


E 
proprio sulla 
interpretazione 
della 
citata 
disposizione 
si 
� 
concentrata 
anche 
la 
discussione 
in udienza 
(con oltre 
un�ora 
di 
domande 
formulate 
dalla 
Corte 
alle 
parti), a 
cui 
hanno fatto seguito le 
conclusioni 
dell�Avvocato Generale, 
che condividevano le tesi di Mercedes Benz Italia. 


La 
Corte 
� 
andata 
per� di 
diverso avviso rispetto all�Avvocato Generale 
(cosa 
non 
frequente, 
ma 
che 
gi� 
si 
verific� 
anche 
sul 
pi� 
noto 
caso 
IRAP, 
l�imposta 
italiana 
valutata 
dalla 
Corte 
nella 
causa 
C-475/03 con la 
sentenza 
3 ot


(*) vice 
Avvocato Generale. 


Si 
pubblicano in 
allegato ed in 
calce 
alla presente 
nota gli 
atti 
defensionali 
del 
Governo italiano: le 
Osservazioni e l�Intervento orale. 



RASSEGNA 
AvvoCATURA 
DELLo 
STATo - N. 1/2017 


tobre 
2006, in questa 
rass., 2007, I, 84 ss.), ritenendo il 
sistema 
italiano perfettamente 
in linea con la citata disposizione comunitaria. 


Una 
decisione 
nel 
senso 
opposto 
avrebbe 
creato 
notevoli 
problemi; 
non 
soltantoperla 
�sostituzione� 
delmeccanismonazionaledelpro-ratacheil 
legislatore 
avrebbe 
dovuto 
adottare, 
ma 
soprattutto 
per 
gli 
effetti 
retroattivi 
della 
sentenza, 
che 
avrebbero 
provocato 
un 
complesso 
(e 
oneroso) 
contenzioso, 
derivante 
da 
richieste 
di 
rimborso 
da 
parte 
di 
soggetti 
IvA, 
come 
la 
Mercedes 
Benz 
Italia. 


Ct. 32314/15 

CortE di GiUstizia dEll�UnionE EUroPEa 


ossErVazioni 
del 
GoVErno 
dElla 
rEPUBBliCa 
italiana, 
in 
persona 
dell'Agente 
designato 
per 
il 
presente 
giudizio, con domicilio eletto a Lussemburgo presso l'Ambasciata d'Italia 


nella causa C-378/15 
Mercedes-Benz Italia S.p.A. 
contro 
Agenzia delle Entrate 
promossa 
ai 
sensi 
dell'art. 267 TFUE 
dalla 
Commissione 
Tributaria 
Regionale 
di 
Roma 
(Italia), 
con ordinanza depositata in data 6 maggio 2015. 

* * * 


1. 
La 
Commissione 
Tributaria 
Regionale 
di 
Roma 
ha 
formulato alla 
Corte 
una 
domanda 
di 
pronuncia pregiudiziale ai sensi dell�art. 267 TFUE. 
2. 
La 
questione 
� 
sorta 
nell�ambito 
di 
un 
giudizio 
tributario 
che 
vede 
contrapposte 
la 
societ� 
Mercedes-Benz 
Italia 
S.p.A. 
(in 
seguito 
�la 
societ��) 
e 
l�Agenzia 
delle 
Entrate 
(in 
seguito 
�l�agenzia�). 
3. 
A 
quanto consta 
dal 
provvedimento di 
rimessione 
l�Agenzia 
indirizzava 
alla 
Societ� 
un 
avviso di 
accertamento, emesso ai 
fini 
IvA, per l�anno di 
imposta 
2004, recuperando a 
tassazione la somma di Euro 1.755.882,00 oltre sanzioni e interessi. 
4. 
A 
sostegno 
dell�atto 
di 
accertamento 
l�Agenzia 
rilevava 
che 
la 
Societ� 
aveva 
indicato 
nella 
dichiarazione 
IvA, per l�anno 2004, operazioni 
esenti 
(per circa 
41 milioni 
di 
Euro) 
relative 
ad interessi 
maturati 
su finanziamenti 
erogati 
alle 
societ� 
controllate, qualificandole 
come 
attivit� 
accessorie 
ad operazioni 
imponibili 
ed escludendole, pertanto, dal 
calcolo 
pro rata ai sensi dell�art. 19 e 19 bis del D.P.R. 26 ottobre 1972 n. 633 (1). 
5. 
La 
Societ� 
si 
opponeva 
all�avviso 
di 
accertamento 
proponendo 
ricorso 
alla 
Commissione 
Tributaria 
Provinciale 
di 
Roma 
ed 
eccependone 
l�illegittimit� 
a 
causa 
del 
non 
corretto 
calcolo del 
prorata 
da 
parte 
dall�Ufficio impositore; 
inoltre 
metteva 
in risalto l�effetto distorsivo 
che 
si 
era 
verificato 
attraverso 
tale 
calcolo, 
effettuato 
in 
conseguenza 
della 
scelta 
del 
legislatore 
italiano di 
applicare 
il 
prorata 
sulla 
base 
di 
un criterio esclusivamente 
for(
1) Decreto del 
Presidente 
della 
Repubblica 
26 ottobre 
1972 n. 633, recante 
�Istituzione 
e 
disciplina 
dell'imposta sul 
valore 
aggiunto�, pubblicato nella 
GURI 11 novembre 
1972, n. 292, S.o. e 
pi� 
volte modificato. 

CoNTENzIoSo 
CoMUNITARIo 
ED 
INTERNAzIoNALE 


male 
e 
matematico (composizione 
del 
volume 
d�affari 
e 
quantificazione 
delle 
operazioni 
esenti rispetto a quest�ultimo), anzich� sostanziale (composizione degli acquisti). 


6. 
Per 
sostenere 
la 
propria 
tesi 
la 
Societ� 
depositava 
in 
giudizio 
due 
perizie 
giurate 
nelle 
quali 
venivano analizzati 
i 
beni 
e 
servizi 
acquistati 
a 
monte 
e 
utilizzati 
per la 
produzione 
di 
operazioni 
esenti 
mettendo 
in 
rilievo 
come 
tali 
acquisti 
avessero 
un�incidenza 
marginale 
rispetto al totale dei costi. 
7. 
L�Agenzia 
si 
� 
difesa 
nel 
giudizio ribadendo la 
legittimit� 
del 
calcolo operato nell�avviso 
di 
accertamento e 
del 
conseguente 
recupero dell�IvA 
a 
carico della 
Societ�. Essa 
faceva 
presente 
che 
dall�analisi 
dell�attivit� 
di 
erogazione 
di 
finanziamenti 
esercitata 
dalla 
Societ� 
a 
favore 
delle 
proprie 
societ� 
controllate 
emergeva 
un 
volume 
d�affari 
molto 
elevato 
(pari 
al 
71,64% 
del 
totale), 
il 
che 
consentiva 
di 
qualificare 
tale 
attivit� 
come 
�attivit� 
propria� 
dell�impresa 
o, 
comunque, 
le 
operazioni 
ad 
essa 
riconducibili, 
come 
non 
accessorie 
rispetto alle attivit� imponibili poste in essere. 
8. 
Il 
giudice 
di 
primo 
condivideva 
la 
tesi 
dell�Agenzia 
respingendo 
il 
ricorso 
della 
Societ� 
la 
quale 
si 
rivolgeva 
al 
giudice 
di 
appello 
(Commissione 
Tributaria 
Regionale 
di 
Roma) 
per 
riproporre 
le 
proprie 
tesi 
difensive 
ed 
ottenere 
l�annullamento 
dell�avviso 
di 
accertamento. 
9. 
Specificava 
la 
Societ� 
che, 
qualora 
si 
fosse 
applicato 
il 
diverso 
metodo 
di 
calcolo 
dalla 
stessa 
suggerito 
(fondato 
sulla 
composizione 
degli 
acquisti) 
la 
�limitazione� 
del 
diritto 
alla 
detrazione 
dell�IvA 
assolta 
a 
monte 
si 
sarebbe 
attenuata, 
consentendo 
il 
diritto 
alla 
detrazione 
sulla 
quota 
reale 
degli 
acquisti 
di 
beni 
o 
servizi 
destinati 
all�attivit� 
imponibile. 
10. 
La 
Societ� 
invitava 
inoltre 
il 
giudice 
a 
proporre 
alla 
Corte, ai 
sensi 
dell�art. 267 TFUE, 
un 
quesito 
pregiudiziale 
relativo 
all�interpretazione 
delle 
norme 
europee 
relative 
al 
sistema 
del prorata IvA. 
11. 
Il 
giudice 
del 
procedimento 
principale 
ha 
accolto 
tale 
richiesta 
sollevando 
la 
seguente 
questione pregiudiziale 
se, 
ai 
fini 
dell'esercizio 
del 
diritto 
di 
detrazione, 
ostino 
all'interpretazione 
degli 
art. 
168, 
173, 
174 
e 
175 
della 
Direttiva 
n. 
2006/112/Ce, 
orientata 
secondo 
i 
principi 
di 
proporzionalit�, 
effettivit� 
e 
neutralit�, 
siccome 
individuati 
nel 
diritto 
comunitario, 
la 
legislazione 
nazionale 
(segnatamente, 
gli 
artt. 
19, 
5� 
comma 
e 
19-bis, 
del 
D.P.r. 
633/1972) 
e 
la 
prassi 
dell'amministrazione 
fiscale 
nazionale 
che 
impongano 
il 
riferimento 
alla 
composizione 
del 
volume 
d'affari 
dell'operatore, 
anche 
per 
l'individuazione 
delle 
operazioni 
cosiddette 
accessorie, 
senza 
prevedere 
un 
metodo 
di 
calcolo 
fondato 
sulla 
composizione 
e 
destinazione 
effettiva 
degli 
acquisti, 
e 
che 
rifletta 
oggettivamente 
la 
quota 
di 
imputazione 
reale 
delle 
spese 
sostenute 
a 
ciascuna 
delle 
attivit� 
-tassate 
e 
non 
tassate 
-esercitate 
dal 
contribuente. 
* * * 


12. 
Il Governo italiano interviene nel giudizio osservando quanto segue. 
13. 
II prorata 
� 
il 
meccanismo ideato per consentire 
un corretto esercizio del 
diritto a 
detrazione 
(2) 
nel 
caso 
in 
cui 
un 
operatore 
effettui 
sia 
operazioni 
imponibili 
che 
operazioni 
non soggette ad imposta. 
(2) La 
Corte 
ha 
chiarito che 
il 
diritto alla 
detrazione 
costituisce 
parte 
integrante 
del 
meccanismo 
dell'IvA, che, in linea 
di 
principio, non pu� essere 
soggetto a 
limitazioni 
e 
che 
va 
esercitato per tutte 
le 
imposte 
che 
hanno gravato le 
operazioni 
imponibili 
effettuate 
a 
monte, in quanto � 
inteso ad esonerare 
l�imprenditore 
dall�IvA 
dovuta 
o pagata 
nell�ambito di 
tutte 
le 
sue 
attivit� 
economiche 
imponibili. Il 
sistema 
comune 
dell�IvA 
garantisce, 
di 
conseguenza 
la 
neutralit� 
dell�imposizione 
fiscale 
(cfr. 
la 
sentenza 
del 13 marzo 2008, C-437/06, securenta, punti 24 e 25 e giurisprudenza ivi citata). 

RASSEGNA 
AvvoCATURA 
DELLo 
STATo - N. 1/2017 


14. 
Tale 
meccanismo 
� 
oggi 
disciplinato 
dagli 
articoli 
173, 
174 
e 
175 
della 
Direttiva 
2006/112/CE. 
15. 
L�art. 173, paragrafo 1 prevede, in particolare 
che, per quanto riguarda 
i 
beni 
ed i 
servizi 
utilizzati 
da 
un soggetto passivo sia 
per operazioni 
che 
danno diritto a 
detrazione 
(di 
cui 
agli 
articoli 
168, 169 e 
170 della 
stessa 
direttiva), sia 
per operazioni 
che 
non danno tale 
diritto, �la detrazione 
� 
ammessa soltanto per 
il 
prorata dell'IVa 
relativo alla prima categoria 
di 
operazioni. 
Il 
prorata 
di 
detrazione 
� 
determinato, 
conformemente 
agli 
articoli 
174 e 175, per il complesso delle operazioni effettuate dal soggetto passivo�. 
16. 
L�art. 
173, 
paragrafo 
2 
autorizza 
espressamente 
gli 
Stati 
membri 
ad 
adottare 
le 
misure 
seguenti: 
a) 
autorizzare 
il 
soggetto 
passivo 
a 
determinare 
un 
prorata 
per 
ogni 
settore 
della 
propria 
attivit�, se vengono tenute contabilit� distinte per ciascun settore; 
b) obbligare 
il 
soggetto passivo a determinare 
un prorata per 
ogni 
settore 
della propria 
attivit� ed a tenere contabilit� distinte per ciascuno di questi settori; 
c) autorizzare 
od obbligare 
il 
soggetto passivo ad operare 
la detrazione 
in base 
all'utilizzazione 
della totalit� o di una parte dei beni e servizi; 
d) 
autorizzare 
od 
obbligare 
il 
soggetto 
passivo 
ad 
operare 
la 
detrazione 
secondo 
la 
norma 
di 
cui 
al 
paragrafo 1, primo comma, relativamente 
a tutti 
i 
beni 
e 
servizi 
utilizzati 
per 
tutte le operazioni ivi contemplate; 
e) 
prevedere 
che 
non 
si 
tenga 
conto 
dell'IVa 
che 
non 
pu� 
essere 
detratta 
dal 
soggetto 
passivo quando essa sia insignificante. 

17. 
Lo 
Stato 
italiano, 
nel 
dare 
attuazione 
alla 
normativa 
comunitaria 
(nel 
testo, 
sovrapponibile 
sul 
punto, 
previsto 
dall�art. 
17, 
paragrafo 
5 
della 
Sesta 
direttiva 
del 
Consiglio 
del 
17 
maggio 
1977, n. 388 (3)) ha previsto, all�art. 19, comma 5 D.P.R. 633/72 
ai 
contribuenti 
che 
esercitano 
sia 
attivit� 
che 
danno 
luogo 
ad 
operazioni 
che 
conferiscono 
il 
diritto alla detrazione 
sia attivit� che 
danno luogo ad operazioni 
esenti 
ai 
sensi 
del-
l'articolo 10, il 
diritto alla detrazione 
dell'imposta spetta in misura proporzionale 
alla 
prima categoria di 
operazioni 
e 
il 
relativo ammontare 
� 
determinato applicando la percentuale 
di detrazione di cui all'articolo 19-bis. 


(3) Art. 17, paragrafo 5 della direttiva 1977/388/CEE 
Per 
quanto riguarda i 
beni 
ed i 
servizi 
utilizzati 
da un soggetto passivo sia per 
operazioni 
che 
danno 
diritto a deduzione 
di 
cui 
ai 
paragrafi 
2 e 
3, sia per 
operazioni 
che 
non conferiscono tale 
diritto, la deduzione 
� 
ammessa 
soltanto 
per 
il 
prorata 
dell'imposta 
sul 
valore 
aggiunto 
relativo 
alla 
prima 
categoria 
di operazioni. 
Detto 
prorata 
� 
determinato 
ai 
sensi 
dell'articolo 
19 
per 
il 
complesso 
delle 
operazioni 
compiute 
dal 
soggetto passivo. 
tuttavia, gli stati membri possono: 
a) autorizzare 
il 
soggetto passivo a determinare 
un prorata per 
ogni 
settore 
della propria attivit�, se 
vengono tenute contabilit� distinte per ciascun settore; 
b) obbligare 
il 
soggetto passivo a determinare 
un prorata per 
ogni 
settore 
della propria attivit� ed a tenere 
contabilit� distinte per ciascuno di questi settori; 
c) autorizzare 
od obbligare 
il 
soggetto passivo ad operare 
la deduzione 
in base 
all'utilizzazione 
della 
totalit� o di una parte dei beni e servizi; 
d) 
autorizzare 
od 
obbligare 
il 
soggetto 
passivo 
ad 
operare 
la 
deduzione 
secondo 
la 
norma 
di 
cui 
al 
primo comma relativamente a tutti i beni e servizi utilizzati per tutte le operazioni ivi contemplate; 
e) prevedere 
che 
non si 
tenga conto dell'imposta sul 
valore 
aggiunto che 
non pu� essere 
dedotta dal 
soggetto passivo quando essa sia insignificante. 



CoNTENzIoSo 
CoMUNITARIo 
ED 
INTERNAzIoNALE 


18. 
Lo 
Stato 
italiano 
ha 
pertanto 
esercitato 
la 
facolt� 
prevista 
dall�art. 
173, 
paragrafo 
2 
lettera 
d) - gi� 
art. 17, paragrafo 5 lettera 
d) della 
Sesta 
direttiva 
- di 
calcolare 
il 
prorata 
di 
detrazione 
per 
tutti 
i 
beni 
e 
servizi 
utilizzati 
dal 
soggetto 
passivo 
per 
compiere 
sia 
operazioni 
che 
danno 
diritto 
a 
deduzione, 
sia 
operazioni 
che 
non 
conferiscono 
tale 
diritto, 
calcolando 
tale 
percentuale 
in base 
ai 
criteri 
di 
cui 
all�art. 174 (4) della 
direttiva 
112/2006/CE, il 
cui 
testo � 
sostanzialmente 
riprodotto all�art. 19-bis 
D.P.R. 633/72 (recante 
�Percentuale 
di 
detrazione�) che cos� dispone: 
1. la percentuale 
di 
detrazione 
di 
cui 
all'articolo 19, comma 5, � 
determinata in base 
al 
rapporto tra l'ammontare 
delle 
operazioni 
che 
danno diritto a detrazione, effettuate 
nel-
l'anno, e 
lo stesso ammontare 
aumentato delle 
operazioni 
esenti 
effettuate 
nell'anno medesimo. 
la 
percentuale 
di 
detrazione 
� 
arrotondata 
all'unit� 
superiore 
o 
inferiore 
a 
seconda che la parte decimale superi o meno i cinque decimi. 
2. 
Per 
il 
calcolo 
della 
percentuale 
di 
detrazione 
di 
cui 
al 
comma 
1 
non 
si 
tiene 
conto 
delle 
cessioni 
di 
beni 
ammortizzabili, 
dei 
passaggi 
di 
cui 
all'articolo 
36, 
ultimo 
comma, 
e 
delle 
operazioni 
di 
cui 
all'articolo 
2, 
terzo 
comma, 
lettere 
a), 
b), 
d) 
e 
f), 
delle 
operazioni 
esenti 
di 
cui 
all'articolo 10, primo comma, numero 27-quinquies), e, quando non formano oggetto 
dell'attivit� propria del 
soggetto passivo o siano accessorie 
alle 
operazioni 
imponibili, 
delle 
altre 
operazioni 
esenti 
indicate 
ai 
numeri 
da 1) a 9) del 
predetto articolo 10, 
ferma restando la indetraibilit� dell'imposta relativa ai 
beni 
e 
servizi 
utilizzati 
esclusivamente 
per effettuare queste ultime operazioni. 
19. 
La 
giurisprudenza 
della 
Corte 
� 
costante 
nell�affermare 
che, 
nei 
limiti 
in 
cui 
il 
calcolo 
del 
prorata 
di 
detrazione 
costituisce 
un elemento del 
regime 
delle 
detrazioni, le 
modalit� 
secondo 
cui 
tale 
calcolo 
deve 
essere 
effettuato 
rientrano, 
unitamente 
a 
detto 
regime 
di 
detrazioni, 
nella 
sfera 
di 
applicazione 
della 
normativa 
nazionale 
in 
materia 
di 
IvA 
cui 
un'attivit� o un'operazione deve essere fiscalmente collegata: 
Spetta, 
infatti, 
alle 
autorit� 
tributarie 
di 
ogni 
Stato 
membro 
stabilire, 
come 
consente 
loro 
l'articolo 
17, 
paragrafo 
5, 
terzo 
comma, 
della 
sesta 
direttiva, 
nell'autorizzarle 
a 
prevedere 
la fissazione 
di 
un prorata distinto per 
ogni 
settore 
d'attivit� oppure 
la detrazione 
secondo la destinazione 
della totalit� o di 
parte 
dei 
beni 
e 
servizi 
ad un'attivit� precisa, 


(4) L�art. 174 della direttiva 112/2006/CE cos� dispone: 
1. Il prorata di detrazione risulta da una frazione che presenta i seguenti importi: 
a) al 
numeratore, l'importo totale 
del 
volume 
d'affari 
annuo, al 
netto dell'IVa, relativo alle 
operazioni 
che danno diritto a detrazione a norma degli articoli 168 e 169; 
b) 
al 
denominatore, 
l'importo 
totale 
del 
volume 
d'affari 
annuo, 
al 
netto 
dell'IVa, 
relativo 
alle 
operazioni 
che figurano al numeratore e a quelle che non danno diritto a detrazione. 
Gli 
stati 
membri 
possono includere 
nel 
denominatore 
l'importo delle 
sovvenzioni 
diverse 
da quelle 
direttamente 
connesse al prezzo delle cessioni di beni o delle prestazioni di servizi di cui all'articolo 73. 
2. In deroga al 
paragrafo 1, per 
il 
calcolo del 
prorata di 
detrazione, non si 
tiene 
conto degli 
importi 
seguenti: 
a) 
l'importo 
del 
volume 
d'affari 
relativo 
alle 
cessioni 
di 
beni 
d'investimento 
utilizzati 
dal 
soggetto 
passivo 
nella sua impresa; 
b) l'importo del volume d'affari relativo alle operazioni accessorie immobiliari e finanziarie; 
c) l'importo del 
volume 
d'affari 
relativo alle 
operazioni 
di 
cui 
all'articolo 135, paragrafo 1, lettere 
da 
b) a g), quando si tratta di operazioni accessorie. 
3. Qualora si 
avvalgano della facolt� prevista all'articolo 191 di 
non richiedere 
la rettifica per 
i 
beni 
di 
investimento, gli 
stati 
membri 
possono includere 
i 
proventi 
della cessione 
di 
tali 
beni 
nel 
calcolo del 
prorata di detrazione. 

RASSEGNA 
AvvoCATURA 
DELLo 
STATo - N. 1/2017 


oppure 
anche 
a 
prevedere 
l'esclusione 
del 
diritto 
a 
detrazione 
al 
ricorrere 
di 
determinate 
condizioni, il metodo di determinazione del diritto alla detrazione 
(sentenza 
18 dicembre 
2008 in causa 
C-488/07, royal 
Bank 
of 
scotland, punto 19; 
sentenza 
12 settembre 2013, in causa C-388/11, 
le Cr�dit lyonnais 
punto 31). 


20. 
Il 
sistema 
italiano 
prevede, 
pertanto, 
in 
via 
generale, 
il 
diritto 
alla 
detrazione 
dell'imposta 
per tutti 
i 
beni 
e 
servizi 
acquistati 
nell'esercizio d'impresa. Secondo tale 
principio i 
contribuenti 
hanno diritto ad una 
detrazione 
totale 
dell'imposta 
assolta 
sui 
loro acquisti 
ed 
importazioni 
di 
beni 
e 
servizi, se 
svolgono unicamente 
attivit� 
soggette 
ad IvA 
o ad esse 
assimilate 
ai 
fini 
delle 
detrazioni 
e 
non hanno diritto ad alcuna 
detrazione, se 
svolgono 
soltanto attivit� esenti o escluse dal campo di applicazione dell'Iva. 
21. 
Hanno, infine, diritto ad una 
detrazione 
parziale 
(secondo il 
metodo del 
prorata) quando 
svolgono sia attivit� imponibili od assimilate, sia attivit� esenti o escluse dall'imposta. 
22. 
In quest�ultima 
ipotesi, per rapportare 
la 
detrazione 
alla 
sola 
attivit� 
imponibile 
ed assimilata, 
il 
diritto 
alla 
detrazione 
dell'IvA 
a 
monte 
consiste 
in 
una 
percentuale 
(prorata), 
data 
dal 
rapporto tra 
l'ammontare 
delle 
operazioni 
imponibili 
ed assimilate 
nell'arco del-
l�anno (al 
numeratore) e 
l'importo complessivo di 
tutte 
le 
operazioni, imponibili, assimilate 
ed 
esenti, 
effettuate 
nell'anno 
stesso 
(al 
denominatore), 
con 
l�eccezione 
delle 
deroghe 
contemplate 
dal 
comma 
2 dell�art. 19 bis 
D.P.R. 633/72 (in linea 
con quanto previsto dal 
paragrafo 2 dell�art. 174 della direttiva 2006/112/CE). 
23. 
Da 
ci� consegue 
che 
l'aumento del 
denominatore 
(per effetto della 
inclusione 
di 
operazioni 
esenti) determina una diminuzione della percentuale di detraibilit�. 
24. 
Per tale 
ragione 
il 
comma 
2 dell�art. 19 bis 
D.P.R. 633/72 (in linea 
con il 
paragrafo 2 del-
l�art. 174 della 
direttiva 
2006/112/CE) prevede 
che 
non vengano incluse 
in detto denominatore, 
al 
fine 
di 
non 
alterare 
il 
prorata 
e 
renderlo 
cos� 
maggiormente 
aderente 
alla 
realt� 
economica 
dell�impresa, 
alcune 
operazioni 
non 
soggette 
ad 
imposizione 
che, 
invece, 
laddove 
calcolate 
puramente 
e 
semplicemente, darebbero luogo ad una 
riduzione 
eccessiva 
dell�IvA 
detraibile 
incidendo 
negativamente 
sul 
conseguimento 
dell�obiettivo 
di 
neutralit� 
garantito dal sistema comune IvA (5). 
25. 
Per 
quanto 
riguarda 
la 
presente 
causa 
viene 
in 
rilievo, 
in 
particolare, 
la 
previsione 
in 
base 
alla 
quale 
le 
operazioni 
esenti 
�accessorie� 
non 
vengano 
incluse 
nel 
denominatore 
della 
frazione 
utilizzata 
per 
il 
calcolo 
del 
prorata 
di 
deduzione. 
Tale 
disposizione, 
come 
si 
� 
detto, 
� 
volta 
ad 
evitare 
che 
attivit� 
esenti 
che 
siano 
solo 
�accessorie�, 
alterino 
il 
calcolo 
del 
pro-
rata 
ed 
incidano 
negativamente 
sul 
conseguimento 
dell�obiettivo 
di 
neutralit� 
garantito 
dal 
sistema 
comune 
IvA 
(cfr. 
sentenza 
29 
aprile 
2004 
in 
causa 
C-77/01 
citata 
in 
nota 
5). 
26. 
Nella 
causa 
principale 
si 
trattava 
di 
stabilire 
se 
le 
attivit� 
finanziarie 
esenti 
ex art. 10 n. 1 
DPR 633/72 (finanziamenti 
infragruppo erogati 
alle 
societ� 
controllate 
dalla 
Mercedes(
5) Sul 
punto cfr. la 
sentenza 
29 aprile 
2004 in causa 
C-77/01 empresa de 
Desenvolvimento mineiro 
sGPs sa 
- eDm, punto 75: 
��a 
tal 
riguardo va osservato che, in sede 
di 
applicazione 
dell�art. 19, 
n. 1, della sesta direttiva, un aumento dell�importo del 
fatturato relativo alle 
operazioni 
che 
non danno 
diritto a deduzione 
determina la diminuzione 
dell�importo di 
IVa 
deducibile 
da parte 
del 
soggetto passivo. 
La 
non 
inclusione 
di 
alcune 
operazioni 
accessorie 
nel 
denominatore 
della 
frazione 
utilizzata 
per 
il 
calcolo del 
prorata di 
deduzione, ai 
sensi 
dell�art. 19, n. 2, seconda frase, della sesta direttiva, 
serve 
a neutralizzare 
gli 
effetti 
negativi, per 
il 
soggetto passivo, di 
tale 
conseguenza inerente 
al 
detto 
calcolo, 
al 
fine 
di 
evitare 
che 
queste 
operazioni 
lo 
alterino 
e 
di 
garantire, 
in 
tal 
modo, 
il 
conseguimento 
dell�obiettivo di neutralit� garantito dal sistema comune IVA��. 

CoNTENzIoSo 
CoMUNITARIo 
ED 
INTERNAzIoNALE 


Benz 
Italia 
S.p.A.) costituissero o meno operazioni 
�accessorie� 
ai 
sensi 
dell'art. 19 bis 


D.P.R. 633/1972 e, di 
conseguenza, se 
nel 
calcolo del 
prorata 
di 
deduzione, occorresse 
prescindere da tali operazioni. 
27. 
Tuttavia 
nel 
suo 
quesito 
il 
giudice 
a 
quo 
non 
sembra 
avere 
chiesto 
espressamente 
alla 
Corte 
di 
pronunciarsi 
sulla 
questione 
della 
natura 
accessoria 
o 
meno 
delle 
operazioni 
poste 
in 
essere 
dalla 
Societ�. 
Per 
completezza 
si 
ritiene 
comunque 
opportuno 
trattare, 
ancorch� 
brevemente, la relativa questione. 
28. 
Secondo la 
normativa 
italiana 
i 
criteri 
da 
tenere 
presenti 
ai 
fine 
di 
stabilire 
la 
rilevanza 
o 
meno delle attivit� esenti nel calcolo della percentuale di detrazione sono i seguenti: 
- occorre 
valutare 
se 
le 
operazioni 
esenti 
formano o meno �oggetto dell'attivit� propria 
del 
soggetto passivo� 
(perch� 
in caso positivo vanno sicuramente 
incluse 
nel 
calcolo del 
prorata al denominatore); 
-occorre 
valutare 
se 
tali 
operazioni 
esenti 
siano 
solo 
�accessorie� 
ad 
operazioni 
imponibili 
(ed 
in 
caso 
positivo 
vanno 
sicuramente 
escluse 
nel 
calcolo 
del 
prorata 
al 
denominatore). 
29. 
In 
quest�ultimo 
caso 
la 
norma 
dispone 
l'indetraibilit� 
per 
i 
costi 
relativi 
ad 
operazioni 
utilizzate 
�esclusivamente� 
per effettuare 
quelle 
particolari 
operazioni 
esenti, che 
non sono 
incluse 
nel 
denominatore 
(l�art. 19 bis 
dispone 
infatti 
al 
comma 
2 che 
�ferma restando la 
indetraibilit� 
dell'imposta 
relativa 
ai 
beni 
e 
servizi 
utilizzati 
esclusivamente 
per 
effettuare 
queste ultime operazioni�) (tale aspetto non viene in rilievo nel caso in esame). 
30. 
La 
Corte 
si 
� 
soffermata 
su 
entrambi 
i 
suesposti 
concetti. 
In 
ordine 
al 
carattere 
�stabile� 
e 
non 
occasionale 
dell�attivit� 
-con 
riferimento 
ad 
una 
societ� 
che 
effettuava 
attivit� 
di 
amministrazione 
di 
immobili 
e 
che 
investiva 
le 
somme 
ricevute 
dai 
proprietari 
degli 
stessi 
in 
attivit� 
di 
carattere 
finanziario 
ritraendone 
proventi 
esenti 
-ha 
affermato 
l'incidenza 
della 
predetta 
attivit� 
nel 
calcolo 
del 
prorata 
in 
quanto 
l�attivit� 
originaria 
si 
configura 
come 
stabile, 
permanente 
e, 
quindi, 
rilevante 
ai 
fini 
dell�individuazione 
della 
percentuale 
di 
indetraibilit� 
del 
prorata 
(sentenza 
11 
luglio 
1996 
in 
causa 
C-306/94 
r�gie 
dauphinoise). 
31. 
In ordine 
alla 
condizione 
della 
�accessoriet��, ricorrendo la 
quale 
l'attivit� 
esente 
non 
va 
considerata 
nel 
calcolo della 
percentuale 
di 
detrazione, la 
Corte 
nella 
citata 
sentenza 
29 aprile 2004 in causa C-77/01 EDM, ha avuto modo di affermare i seguenti principi: 
-la concessione 
annua, da parte 
di 
una holding, di 
prestiti 
a titolo oneroso alle 
societ� 
partecipate 
nonch� 
gli 
investimenti 
della medesima in depositi 
bancari 
ovvero in titoli, 
quali 
buoni 
del 
tesoro 
o 
certificati 
di 
deposito, 
costituiscono 
attivit� 
economiche 
compiute 
da un soggetto passivo che agisce in quanto tale ..; 
-all�atto 
del 
calcolo 
del 
prorata 
di 
deduzione 
... 
tali 
operazioni 
devono 
essere 
considerate 
operazioni 
�accessorie� 
... qualora implichino solamente 
un uso estremamente 
limitato 
di beni o di servizi per i quali l�imposta sul valore aggiunto � dovuta. 
32. 
Aggiunge 
ancora 
la 
Corte 
che 
l�entit� 
dei 
redditi 
provenienti 
dalle 
operazioni 
finanziarie 
ricomprese 
nella 
sfera 
di 
applicazione 
della 
sesta 
direttiva 
pu� �costituire 
un 
indizio 
nel 
senso che 
tali 
operazioni 
non debbano essere 
considerate 
accessorie 
ai 
sensi 
della detta 
disposizione�, ancorch� 
detta 
circostanza 
non possa, di 
per s� 
sola, escludere 
la 
qualificazione 
di queste ultime quali 
�operazioni accessorie�. 
33. 
Nella 
causa 
principale, sulla 
base 
dei 
criteri 
appena 
esposti, l�attivit� 
di 
finanziamento da 
parte 
della 
Societ� 
non pu� essere 
considerata 
un�attivit� 
meramente 
accessoria 
rispetto 
all�oggetto sociale 
(che 
� 
molto ampio ed � 
rappresentato dall'assunzione 
e 
detenzione 
di 
partecipazioni 
sociali; 
dal 
coordinamento a 
favore 
delle 
societ� 
italiane 
del 
gruppo, delle 
attivit� 
finanziarie, di 
vendita 
e 
di 
distribuzione 
relative 
al 
settore 
automobilistico; 
dalla 

RASSEGNA 
AvvoCATURA 
DELLo 
STATo - N. 1/2017 


centralizzazione delle funzioni di tesoreria e di altre funzioni organizzativo-gestionali). 


34. 
L'attivit� 
di 
finanziamento, oltre 
ad essere 
contemplata 
in modo autonomo nell'oggetto 
sociale 
della 
Societ�, risulta 
essere 
strutturata 
e 
svolta 
in modo continuo ed abituale 
ed 
ha 
generato un volume 
d'affari 
nell�anno in considerazione 
(2004) che, rispetto al 
totale, 
presenta 
una 
incidenza 
percentuale 
pari 
al 
71,64% 
(entit� 
che, 
come 
visto, 
rileva 
alla 
luce 
della citata sentenza 29 aprile 2004 in causa C-77/01 EDM). 
35. 
Da 
ci� consegue 
che, in una 
situazione 
come 
quella 
che 
si 
� 
verificata 
nella 
causa 
principale, 
l�attivit� 
di 
finanziamento andava 
necessariamente 
inclusa 
nel 
calcolo del 
prorata 
(ai 
sensi 
dell�art. 19 bis 
D.P.R. 633/72), mentre 
tale 
attivit� 
avrebbe 
potuto essere 
esclusa 
dal 
calcolo solo ove 
accessoria 
perch� 
collaterale 
e 
strumentale 
a 
quella 
principale 
svolta 
dall�operatore, ipotesi non ricorrente nel caso di specie. 
36. 
Ci� premesso, non pu� dubitarsi 
della 
conformit� 
alla 
direttiva 
2006/112/CE 
della 
scelta 
del 
legislatore 
italiano di 
prevedere 
che 
il 
calcolo del 
prorata 
prenda 
in considerazione 
tutti 
i 
beni 
e 
servizi 
utilizzati 
per operazioni 
che 
danno diritto alla 
detrazione 
e 
che 
non 
danno 
tale 
diritto 
(art. 
173, 
paragrafo 
2, 
lett. 
d) 
direttiva 
2006/112/CE) 
e 
che 
da 
tale 
calcolo 
siano escluse 
solo le 
operazioni 
finanziarie 
di 
natura 
accessoria 
(come 
previsto dall�art. 
174, paragrafo 2, lett. b) direttiva 2006/112/CE). 
37. 
occorre 
al 
riguardo 
rilevare 
come 
la 
non 
inclusione 
al 
denominatore 
nel 
calcolo 
delle 
operazioni 
accessorie 
costituisce 
ai 
sensi 
della 
direttiva 
una 
�deroga� 
al 
metodo 
di 
calcolo 
di 
cui 
all�art. 174, paragrafo 1 e 
spetta 
al 
giudice 
nazionale 
stabilire, sulla 
base 
delle 
concrete 
circostanze, quando ricorrono le condizioni per l�applicazione della deroga stessa. 
38. 
Il 
diritto dell�Unione 
consente 
pienamente 
agli 
Stati 
membri 
di 
optare 
per un sistema 
di 
calcolo del 
prorata 
come 
quello adottato dall�Italia 
e 
tale 
sistema 
� 
da 
ritenersi 
legittimo 
anche 
laddove 
dovesse 
verificarsi 
un�ipotesi 
specifica 
in cui 
l�operatore 
dimostrasse 
che, 
prendendo in considerazione 
singoli 
acquisti 
di 
beni 
e 
servizi 
e 
la 
loro destinazione 
effettiva 
a 
ciascuna 
delle 
attivit� 
(imponibili 
e 
non imponibili), lo stesso avrebbe 
avuto diritto 
a 
detrarre 
una 
maggiore 
percentuale 
dell�IvA 
assolta 
a 
monte 
rispetto a 
quella 
che 
pu� 
detrarre sulla base del calcolo del prorata. 
39. 
�, infatti, il 
sistema 
stesso del 
prorata, come 
disciplinato dalla 
direttiva, che 
prevede 
un 
criterio puramente 
matematico che 
semplifica 
il 
calcolo della 
detrazione, soprattutto nei 
casi 
in cui 
sia 
impossibile 
o difficoltoso verificare 
quanta 
parte 
degli 
acquisti 
siano impiegati 
per le 
operazioni 
imponibili 
(con diritto, perci� a 
detrazione) e 
quanta 
parte 
degli 
stessi siano impiegati per operazioni che non danno diritto a detrazione. 
40. 
Si 
osserva, inoltre, che, proprio al 
fine 
di 
salvaguardare 
i 
principi 
che 
sono alla 
base 
del 
sistema 
IvA 
e 
le 
caratteristiche 
neutrali 
dell�imposta, il 
legislatore 
italiano consente 
agli 
operatori 
nazionali 
di 
separare 
le 
proprie 
diverse 
attivit� 
svolte, sulla 
base 
di 
un�opzione 
che 
pu� essere 
legittimamente 
esercitata 
ai 
sensi 
dell�art. 36 comma 
3 D.P.R. 633/72 (6). 
(6) Art. 36 D.P.R. 633/1972 (Esercizio di pi� attivit�) dispone: �� 
[1] 
Nei 
confronti 
dei 
soggetti 
che 
esercitano pi� attivit� l'imposta si 
applica unitariamente 
e 
cumulativamente 
per 
tutte 
le 
attivit�, con riferimento al 
volume 
di 
affari 
complessivo, salvo quanto stabilito nei 
successivi commi. 
[2] 
se 
il 
soggetto esercita contemporaneamente 
imprese 
e 
arti 
o professioni 
l'imposta si 
applica separatamente 
per 
l'esercizio di 
imprese 
e 
per 
l'esercizio di 
arti 
o professioni, secondo le 
rispettive 
disposizioni 
e con riferimento al rispettivo volume d'affari. 
[3] 
I 
soggetti 
che 
esercitano 
pi� 
imprese 
o 
pi� 
attivit� 
nell'ambito 
della 
stessa 
impresa 
ovvero 
pi� 
arti 

CoNTENzIoSo 
CoMUNITARIo 
ED 
INTERNAzIoNALE 


41. 
Di 
conseguenza 
il 
soggetto passivo ha 
facolt� 
di 
separare 
le 
attivit� 
e, dunque, anche 
le 
attivit� 
imponibili 
da 
quelle 
esenti, di 
modo che, esercitando tale 
opzione 
avr� 
diritto di 
detrarre 
integralmente 
l�IvA 
assolta 
sugli 
acquisti 
relativi 
a 
attivit� 
imponibili, 
mentre 
non 
potr� 
detrarre 
l�IvA 
assolta 
sugli 
acquisti 
relativi 
a 
beni 
o 
servizi 
impiegati 
per 
attivit� 
esenti o non imponibili. 
42. 
Nei 
confronti 
di 
soggetti 
come 
la 
Societ� 
che 
svolgono sia 
operazioni 
imponibili 
che 
non 
imponibili, lo Stato italiano d�, quindi, anche 
la 
possibilit� 
di 
optare 
per la 
separazione 
delle 
attivit� 
(ai 
sensi 
del 
citato art. 36 del 
D.P.R. 633/72), con imputazione 
specifica 
a 
ciascuna di esse dell'IvA relativa agli acquisti. 
43. 
Non avendo la 
Societ� 
optato per tale 
separazione, essa 
� 
assoggettata 
al 
calcolo del 
pro-
rata 
previsto dall�art. 174 della 
direttiva 
2006/112/CE 
e 
non pu� quindi 
lamentare 
l�impossibilit� 
di 
provvedere 
ad 
una 
diversa 
imputazione 
dei 
costi 
in 
relazione 
al 
loro 
effettivo 
o 
professioni, 
hanno 
facolt� 
di 
optare 
per 
l'applicazione 
separata 
dell'imposta 
relativamente 
ad 
alcuna 
delle 
attivit� esercitate, dandone 
comunicazione 
all'Ufficio nella dichiarazione 
relativa all'anno precedente 
o 
nella 
dichiarazione 
di 
inizio 
dell'attivit�. 
In 
tal 
caso 
la 
detrazione 
di 
cui 
all'art. 
19 
spetta 
a 
condizione 
che 
l'attivit� sia gestita con 
contabilit� separata 
ed � 
esclusa, in deroga a quanto stabilito 
nell'ultimo comma, per 
l'imposta relativa ai 
beni 
non ammortizzabili 
utilizzati 
promiscuamente. l'opzione 
ha effetto fino a quando non sia revocata e 
in ogni 
caso per 
almeno un triennio. se 
nel 
corso di 
un anno sono acquistati 
beni 
ammortizzabili 
la revoca non � 
ammessa fino al 
termine 
del 
periodo di 
rettifica della detrazione 
di 
cui 
all'art. 19-bis. la revoca deve 
essere 
comunicata all'Ufficio nella dichiarazione 
annuale 
ed ha effetto dall'anno in corso. le 
disposizioni 
del 
presente 
comma si 
applicano 
anche 
ai 
soggetti 
che 
effettuano sia locazioni, o cessioni, esenti 
da imposta, di 
fabbricati 
o porzioni 
di 
fabbricato 
a 
destinazione 
abitativa 
che 
comportano 
la 
riduzione 
della 
percentuale 
di 
detrazione 
a 
norma 
dell'articolo 19, comma 5, e 
dell'articolo 19-bis, sia locazioni 
o cessioni 
di 
altri 
fabbricati 
o di 
altri 
immobili, 
con riferimento a ciascuno di 
tali 
settori 
di 
attivit�. Le 
disposizioni 
del 
presente 
comma si 
applicano, 
altres�, ai 
soggetti 
che 
svolgono sia il 
servizio di 
gestione 
individuale 
di 
portafogli, ovvero 
prestazioni 
di 
mandato, mediazione 
o intermediazione 
relative 
al 
predetto servizio, sia attivit� esenti 
dall'imposta ai sensi dell'articolo 10, primo comma. 
[4] 
l'imposta 
si 
applica 
in 
ogni 
caso 
separatamente, 
secondo 
le 
rispettive 
disposizioni 
e 
con 
riferimento 
al 
volume 
d'affari 
di 
ciascuna di 
esse, per 
le 
attivit� di 
commercio al 
minuto di 
cui 
al 
terzo comma del-
l'art. 
24, 
comprese 
le 
attivit� 
ad 
esse 
accessorie 
e 
quelle 
non 
rientranti 
nell'attivit� 
propria 
dell'impresa, 
nonch� 
per 
le 
attivit� 
di 
cui 
all'art. 
34, 
fermo 
restando 
il 
disposto 
dei 
commi 
secondo 
e 
terzo 
dello 
stesso 
articolo e 
per 
quelle 
di 
cui 
all'art. 74, sesto comma, per 
le 
quali 
la detrazione 
prevista dall'art. 19 sia 
applicata forfettariamente e per quelle di cui al comma 5 dell'articolo 74-quater (372) . 
[5] 
In 
tutti 
i 
casi 
nei 
quali 
l'imposta 
� 
applicata 
separatamente 
per 
una 
determinata 
attivit� 
la 
detrazione 
di 
cui 
all'art. 19, se 
ridotta ai 
sensi 
del 
terzo comma dello stesso articolo ovvero se 
applicata forfettariamente, 
� 
ammessa 
per 
l'imposta 
relativa 
ai 
beni 
e 
ai 
servizi 
utilizzati 
promiscuamente, 
nei 
limiti 
della 
parte 
imputabile 
all'esercizio dell'attivit� stessa; i 
passaggi 
di 
servizi 
all'attivit� soggetta a detrazione 
ridotta o forfettaria costituiscono prestazioni 
di 
servizio ai 
sensi 
dell'art. 3 e 
si 
considerano effettuati, 
in base 
al 
loro valore 
normale, nel 
momento in cui 
sono resi. Per 
i 
passaggi 
interni 
dei 
beni 
tra attivit� 
separate 
si 
applicano le 
disposizioni 
degli 
artt. 21 e 
seguenti, con riferimento al 
loro valore 
normale, e 
le 
annotazioni 
di 
cui 
agli 
artt. 23 e 
25 devono essere 
eseguite 
nello stesso mese. Per 
i 
passaggi 
dei 
beni 
all'attivit� di 
commercio al 
minuto di 
cui 
al 
terzo comma dell'art. 24 e 
per 
quelli 
da questa ad altra attivit�, 
l'imposta non � 
dovuta, ma i 
passaggi 
stessi 
devono essere 
annotati 
in base 
al 
corrispettivo di 
acquisto dei 
beni, entro il 
giorno non festivo successivo a quello del 
passaggio. le 
annotazioni 
devono 
essere 
eseguite, distintamente 
in base 
all'aliquota applicabile 
per 
le 
relative 
cessioni, nei 
registri 
di 
cui 
agli 
artt. 23, 24 e 
25, ovvero in apposito registro tenuto a norma dell'art. 39. la dichiarazione 
annuale 
deve 
essere 
presentata su un unico modello per 
tutte 
le 
attivit� secondo le 
modalit� stabilite 
nel 
decreto 
di 
cui 
al 
primo comma dell'art. 28 e 
i 
versamenti 
di 
cui 
agli 
artt. 27, 30 e 
33 devono essere 
eseguiti 
per 
l'ammontare complessivo dovuto, al netto delle eccedenze detraibili 

RASSEGNA 
AvvoCATURA 
DELLo 
STATo - N. 1/2017 


utilizzo (in misura maggiore per le attivit� imponibili rispetto a quelle non imponibili). 


44. 
L�eventualit� 
che, in un caso specifico, anche 
a 
causa 
del 
mancato esercizio dell�opzione 
per la 
separazione, l�operatore 
nazionale 
possa 
sopportare 
un carico �maggiore� 
di 
IvA 
indetraibile 
rispetto a 
quello che 
avrebbe 
sopportato sulla 
base 
di 
un calcolo puntuale, � 
una 
conseguenza 
dell�applicazione 
del 
metodo prorata 
previsto dalla 
direttiva 
e 
della 
legittima 
scelta dello Stato italiano sopra evidenziata. 
45. 
Un 
singolo 
eventuale 
e 
potenziale 
effetto 
come 
quello 
lamentato 
dalla 
Societ� 
nella 
causa 
principale, sarebbe 
comunque 
conseguenza 
anche 
della 
scelta 
della 
Societ� 
di 
non esercitare 
l�opzione per la separazione delle attivit�. 
In conclusione 
il 
Governo italiano ritiene 
che 
al 
quesito posto dalla 
Commissione 
Tributaria 
Regionale di Roma nella causa principale la Corte debba cos� rispondere: 


gli 
articoli 
168, 173, 174 e 
175 della direttiva 2006/112/CE (e 
gli 
art. 17 e 
19 della sesta direttiva 
1977/388/CEE) 
non 
ostano 
ad 
una 
normativa 
nazionale 
(quale 
quella 
contenuta 
negli 
articoli 
19, 5� 
comma e 
19-bis 
del 
D.P.R. 633/1972) la quale 
preveda un 
calcolo del 
prorata che 
prenda in 
considerazione 
la totalit� dei 
beni 
e 
servizi 
utilizzati 
per 
tutte 
le 
operazioni 
che 
danno diritto alla detrazione 
e 
per 
quelle 
che 
non 
danno tale 
diritto, con 
esclusione 
dal 
calcolo 
delle 
operazioni 
finanziarie 
di 
natura 
accessoria, 
senza 
consentire 
(in 
mancanza 
di 
una 
specifica 
opzione 
da 
parte 
dell�operatore 
per 
la 
separazione 
delle 
attivit�) 
di 
operare 
la detrazione 
- caso per 
caso - in 
base 
alla destinazione 
effettiva degli 
acquisti 
dei beni ad attivit� imponibili oppure ad attivit� che non danno diritto a detrazione. 

Roma, 3 novembre 2015 

Gianni de Bellis 
avvocato dello stato 


Eugenio de Bonis 
avvocato dello stato 


Ct. 32314/15 

CortE di GiUstizia dEll�UnionE EUroPEa 
causa C-378/15 
intErVEnto oralE dEl GoVErno italiano 


Signor Presidente, Signori della Corte, signor Avvocato Generale 


1. 
Il 
Governo 
italiano 
nelle 
sue 
osservazioni 
ha 
evidenziato 
come 
la 
sua 
legislazione 
interna 
si 
fondi 
sull�articolo 17 paragrafo 5 della 
sesta 
Direttiva 
(ora 
articolo 173 della 
Direttiva 
112/2006, 
di 
contenuto 
identico) 
ed 
in 
particolare 
sul 
comma 
3 
il 
quale 
alla 
lettera 
d) 
consente 
agli 
Stati 
membri 
di 
��autorizzare 
od obbligare 
il 
soggetto passivo ad operare 
la 
deduzione 
secondo la norma di 
cui 
al 
primo comma relativamente 
a tutti 
i 
beni 
e 
servizi 
utilizzati per tutte le operazioni ivi contemplate��. 
2. 
Nelle 
sue 
osservazioni 
la 
Commissione 
ritiene 
nella 
sostanza 
che 
l�Italia 
non abbia 
correttamente 
applicato il meccanismo del prorata. 
3. 
Tale 
metodo, 
sostiene 
la 
Commissione 
al 
punto 
18 
delle 
sue 
osservazioni, 
��non 
si 
riferisce 

CoNTENzIoSo 
CoMUNITARIo 
ED 
INTERNAzIoNALE 


ad un'attivit� mista (e 
pertanto non � 
volto a determinare 
l'incidenza dell'attivit� - principale 
o accessoria - che 
d� diritto a detrazione) ma si 
riferisce 
a beni 
e 
servizi 
destinati 
ad un 
uso misto 
(per 
attivit� che 
danno diritto a detrazione 
e 
per 
attivit� che 
non danno 
diritto a detrazione), e 
pertanto � 
volto a determinare 
l'imputabilit� dei 
costi 
relativi 
all'acquisto 
di beni e servizi a monte nel prezzo del bene o del servizio prestato a valle��. 


4. 
Poich� 
il 
sistema 
italiano 
invece 
applica 
il 
prorata 
nei 
casi 
di 
attivit� 
miste 
svolte 
dal 
soggetto 
IvA, 
estendendolo 
a 
tutti 
gli 
acquisti 
a 
monte, 
quale 
che 
sia 
l�uso 
a 
cui 
sono 
destinati, 
sostiene 
la 
Commissione 
che 
in 
tal 
modo 
si 
sarebbe 
violato 
il 
principio 
di 
neutralit� 
del 
sistema. 
5. 
A 
conferma 
della 
correttezza 
della 
sua 
interpretazione, la 
Commissione 
richiama 
la 
sentenza 
Portugal telecom 
in causa C-426/11 dove tali principi sarebbero stati espressi. 
6. 
Il 
Governo 
italiano 
dubita 
per� 
del 
fatto 
che 
questa 
sia 
la 
corretta 
interpretazione 
della 
norma. 
7. 
La 
Commissione 
non 
considera 
che 
l�articolo 
17 
par. 
5 
al 
comma 
3 
lascia 
agli 
Stati 
membri 
un�ampia discrezionalit�. 
8. 
Come 
precisato dalla 
Corte 
al 
punto 23 della 
sentenza 
Royal 
Bank �mentre 
il 
secondo 
comma 
del 
detto 
art. 
17, 
n. 
5, 
della 
direttiva 
prevede, 
per 
il 
calcolo 
dell�importo 
detraibile, 
che 
l�applicazione 
del 
detto art. 19 costituisce 
la regola, il 
suo terzo comma, che 
inizia 
con 
l�espressione 
�tuttavia�, autorizza gli 
Stati 
membri 
a prevedere 
deroghe 
di 
maggiore 
o minore 
portata a questa regola, 
che 
possono comportare 
anche 
l�esclusione 
del 
diritto a detrazione�. 
9. 
Ne 
consegue 
che, per scelta 
del 
legislatore, � 
possibile 
nell�Unione 
la 
coesistenza 
di 
sistemi 
diversi di applicazione del prorata. 
10. 
Nel 
primo quesito a 
cui 
la 
Corte 
ha 
invitato le 
parti 
a 
rispondere 
in questa 
sede, credo che 
si colga precisamente il punto centrale della questione. 
11. 
Mi 
riferisco al 
comma 
3 dell�articolo 17 p. 5 ed in particolare 
alla 
lettera 
d) in base 
alla 
quale 
gli 
Stati 
membri 
possono ��autorizzare 
od obbligare 
il 
soggetto passivo ad operare 
la 
deduzione 
secondo 
la 
norma 
di 
cui 
al 
primo 
comma 
relativamente 
a 
tutti 
i 
beni 
e 
servizi 
utilizzati per tutte le operazioni ivi contemplate��. 
12. 
orbene, se 
l�interpretazione 
corretta 
della 
lettera 
d) fosse 
quella 
suggerita 
dalla 
Commissione, 
e 
cio� 
che 
la 
norma 
si 
riferisce 
solo ai 
beni 
ad uso misto, la 
conseguenza 
sarebbe 
la totale inutilit� della stessa lettera d). 
13. 
Poich� 
il 
comma 
1 gi� 
prevede 
l�obbligo del 
prorata 
per i 
beni 
ad uso misto, la 
lettera 
d) 
si 
limiterebbe 
a 
ribadire 
che 
gli 
Stati 
membri 
possono autorizzare 
o obbligare 
i 
soggetti 
passivi ad applicare il comma 1 per i beni ad uso misto. 
14. 
In sostanza 
la 
lettera 
d) sarebbe 
del 
tutto priva 
di 
significato, in quanto non farebbe 
altro 
che ripetere ci� che gi� impone in via generale il comma 1. 
15. 
In realt� 
la 
corretta 
portata 
della 
lettera 
d) � 
un�altra, e 
cio� 
quella 
di 
consentire 
agli 
Stati 
membri 
di 
imporre 
il 
prorata 
per tutti 
gli 
acquisti, sulla 
base 
del 
solo presupposto che 
il 
soggetto passivo sia un soggetto misto, che compia cio� attivit� imponibili ed esenti. 
16. 
Ne 
consegue 
che, 
il 
consentire 
(o 
imporre) 
l�applicazione 
del 
prorata 
�relativamente 
a 
tutti 
i 
beni 
e 
servizi 
utilizzati 
per 
tutte 
le 
operazioni� 
contemplate 
nel 
comma 
1, 
cio� 
sia 
per 
le 
imponibili 
che 
non, 
significa 
esattamente 
consentire 
la 
scelta 
fatta 
dal 
Governo 
italiano. 
17. 
Questa 
scelta 
ha 
evidenti 
finalit� 
di 
semplificazione: 
ogni 
anno si 
calcola 
il 
prorata 
e 
la 
detrazione 
� 
concessa 
nella 
misura 
prevista 
per tutti 
gli 
acquisti, indipendentemente 
dal-
l�uso misto o meno degli stessi. 
18. 
L�obbligo 
di 
tale 
sistema 
-indubbiamente 
di 
semplice 
applicazione 
-� 
temperato 
dal 
fatto 
che 
il 
soggetto 
passivo 
pu� 
tenere 
contabilit� 
separate 
per 
i 
diversi 
settori 
di 
attivit� 
e 
cos� 

RASSEGNA 
AvvoCATURA 
DELLo 
STATo - N. 1/2017 


rispettare 
con maggiore 
precisione 
la 
regola 
del 
prorata. Su tale 
punto l�Italia 
si 
� 
avvalsa 
della possibilit� prevista dalla lettera a). 


19. 
Ma 
se 
tale 
scelta 
il 
soggetto 
passivo 
non 
opera, 
dovr� 
attenersi 
al 
prorata 
obbligatorio 
per 
tutti i suoi acquisti. 
20. 
Il 
che 
lo potr� 
svantaggiare 
in relazione 
all�IvA 
assolta 
sugli 
acquisti 
finalizzati 
ad operazioni 
imponibili, ma 
lo potr� 
invece 
avvantaggiare 
per l�IvA 
assolta 
sugli 
acquisti 
finalizzati 
ad operazioni 
esenti 
(o meglio, non imponibili). Ma 
questa 
� 
una 
conseguenza 
della semplificazione. 
21. 
Ci� che 
� 
certo per�, � 
che 
il 
legislatore 
non vieta, anzi 
espressamente 
consente, una 
tale 
modalit�. 
22. 
Credo di avere cos� dato risposta al primo quesito. 
23. 
Con 
il 
secondo 
quesito 
la 
Corte 
chiede 
di 
�precisare 
il 
senso 
che 
occorra 
dare 
al 
rinvio� 
contenuto 
nella 
lettera 
d) 
�alla 
norma 
prevista 
nel 
primo 
comma 
dell'articolo 
17, 
paragrafo 
5, 
della 
sesta 
direttiva 
piuttosto 
che 
alle 
disposizioni 
contenute 
nel 
suo 
secondo 
comma�. 
24. 
In altri termini, perch� la lettera d) richiama il comma 1 e non invece il comma 2? 
25. 
La 
risposta 
� 
semplice. � 
il 
comma 
1 che 
definisce 
il 
prorata 
e 
il 
suo ambito di 
applicazione, 
mentre 
il 
comma 
2 
ne 
costituisce 
solo 
una 
specificazione, 
limitandosi 
a 
prevederne 
il metodo di calcolo. 
26. 
Riteniamo quindi 
che 
il 
richiamo al 
comma 
1 sia 
il 
pi� corretto. La 
lettera 
d) consente 
di 
dare 
applicazione 
alla 
regola 
del 
prorata 
contenuta 
nel 
comma 
1, imponendo (o autorizzando) 
ad 
un 
soggetto 
passivo 
di 
applicare 
la 
percentuale 
di 
prorata 
�relativamente 
a 
tutti 
i beni e servizi utilizzati per tutte le operazioni ivi contemplate�. 
27. 
Il 
riferimento a 
tutti 
i 
beni 
e 
servizi 
e 
a 
tutte 
le 
operazioni 
contemplate 
nel 
comma 
1, non 
pu� che 
essere 
rivolto al 
complesso delle 
operazioni, imponibili 
e 
non. E 
ci� in quanto 
nel comma 1 vengono indicate appunto entrambe le categorie di operazioni. 
28. 
In conclusione, riteniamo che 
la 
Corte 
non possa 
che 
ritenere 
corretto il 
meccanismo del 
prorata 
vigente 
in Italia, in quanto coerente 
con la 
lettera 
d) del 
comma 
3, che 
se 
interpretata 
come vorrebbe la Commissione, priverebbe la norma di ogni effetto utile. 
29. 
Un accenno soltanto alla 
sentenza 
Portugal 
sulla 
quale 
si 
basa 
la 
posizione 
della 
Commissione. 
30. 
Se 
si 
esamina 
attentamente 
il 
contenuto 
di 
tale 
decisione, 
si 
vede 
come 
l�oggetto 
di 
quella 
causa 
era 
del 
tutto diverso da 
quello di 
oggi. In quel 
caso infatti 
si 
discuteva 
solo di 
come 
rilevasse 
l�attivit� 
della 
Holding non economica, cio� 
non rilevante 
ai 
fini 
IvA, ed i 
suoi 
riflessi sulla detraibilit� dell�IvA a monte. 
Grazie 
Gianni 
dE 
BEllis 
aVVoCato 
dEllo 
stato 



CoNTENzIoSo 
CoMUNITARIo 
ED 
INTERNAzIoNALE 
89 


Corte 
di 
Giustizia 
dell�Unione 
europea, 
sez. 
terza, 
sentenza 
14 
dicembre 
2016 
nella 
causa C-378/15 
-Pres. L. Bay Larsen, rel. J. Malenovsk. - Domanda 
di 
pronuncia 
pregiudiziale 
proposta 
dalla 
Commissione 
tributaria 
regionale 
di 
Roma 
(Italia) con ordinanza 
del 
6 
maggio 2015 - Mercedes Benz Italia SpA c. Agenzia delle Entrate. 


�Rinvio pregiudiziale 
� Fiscalit� 
� Imposta 
sul 
valore 
aggiunto � Direttiva 
77/388/CEE 
� Articolo 
17, paragrafo 5, terzo comma, lettera 
d) � Ambito di 
applicazione 
� Applicazione 
di 
un 
pro rata 
di 
detrazione 
all�imposta 
sul 
valore 
aggiunto che 
ha 
gravato l�acquisto della 
totalit� 
dei 
beni 
e 
dei 
servizi 
utilizzati 
da 
un 
soggetto 
passivo 
� 
operazioni 
accessorie 
� 
Utilizzo 
della 
cifra d�affari come indizio� 


1 
La 
domanda 
di 
pronuncia 
pregiudiziale 
verte 
sull�interpretazione 
dell�articolo 17, paragrafo 
5, e 
dell�articolo 19 della 
sesta 
direttiva 
77/388/CEE 
del 
Consiglio, del 
17 maggio 
1977, in materia 
di 
armonizzazione 
delle 
legislazioni 
degli 
Stati 
membri 
relative 
alle 
imposte 
sulla 
cifra 
di 
affari 
-Sistema 
comune 
di 
imposta 
sul 
valore 
aggiunto: 
base 
imponibile 
uniforme 
(GU 
1977, 
L 
145, 
pag. 
1), 
nella 
versione 
in 
vigore 
all�epoca 
dei 
fatti 
controversi 
(in prosieguo: la �sesta direttiva�). 


2 
Tale 
domanda 
� 
stata 
presentata 
nell�ambito 
di 
una 
controversia 
tra 
la 
Mercedes 
Benz 
Italia 
Spa 
(in prosieguo: 
la 
�Mercedes 
Benz�) e 
l�Agenzia 
delle 
Entrate 
Direzione 
Provinciale 
Roma 
3 (in prosieguo: 
l��Agenzia 
delle 
Entrate�) in merito a 
detrazioni 
dell�imposta 
sul 
valore 
aggiunto (IvA) operate 
dalla 
Mercedes 
Benz 
nell�anno d�imposta 
2004. 


Contesto normativo 


Diritto dell�Unione 


3 Il diciassettesimo considerando della sesta direttiva cos� prevedeva: 
�considerando 
che 
� 
opportuno 
che, 
entro 
certi 
limiti 
e 
a 
certe 
condizioni, 
gli 
Stati 
membri 
possano adottare 
o mantenere 
misure 
particolari 
derogative 
alla 
presente 
direttiva, al 
fine 
di semplificare la riscossione dell�imposta e di evitare talune frodi ed evasioni fiscali; 
(...)�. 


4 L�articolo 13, B, di tale direttiva cos� disponeva: 
�Fatte salve altre disposizioni comunitarie, gli Stati membri esonerano (...): 
d) le operazioni seguenti: 


1. la 
concessione 
e 
la 
negoziazione 
di 
crediti 
nonch� 
la 
gestione 
di 
crediti 
da 
parte 
di 
chi 
li ha concessi; 
(...)�. 
5 
Ai sensi dell�articolo 17, paragrafi 2 e 5, di detta direttiva: 


�2. Nella 
misura 
in cui 
i 
beni 
e 
servizi 
sono impiegati 
ai 
fini 
di 
sue 
operazioni 
soggette 
ad imposta, il soggetto passivo � autorizzato a [detrarre] dall�imposta di cui � debitore: 
a) l�imposta 
sul 
valore 
aggiunto dovuta 
o assolta 
per i 
beni 
che 
gli 
sono o gli 
saranno forniti 
e 
per i 
servizi 
che 
gli 
sono o gli 
saranno prestati 
da 
un altro soggetto passivo debitore 
dell�imposta all�interno del paese; 
(...) 
5. 
Per 
quanto 
riguarda 
i 
beni 
ed 
i 
servizi 
utilizzati 
da 
un 
soggetto 
passivo 
sia 
per 
operazioni 
che 
danno diritto a 
[detrazione] di 
cui 
ai 
paragrafi 
2 e 
3, sia 
per operazioni 
che 
non conferiscono 
tale 
diritto, la 
[detrazione] � 
ammessa 
soltanto per il 
prorata 
dell�imposta 
sul 
valore aggiunto relativo alla prima categoria di operazioni. 
Detto 
prorata 
� 
determinato 
ai 
sensi 
dell�articolo 
19 
per 
il 
complesso 
delle 
operazioni 
compiute dal soggetto passivo. 

RASSEGNA 
AvvoCATURA 
DELLo 
STATo - N. 1/2017 


Tuttavia, gli Stati membri possono: 
a) autorizzare 
il 
soggetto passivo a 
determinare 
un prorata 
per ogni 
settore 
della 
propria 
attivit�, se vengono tenute contabilit� distinte per ciascun settore; 
b) obbligare 
il 
soggetto passivo a 
determinare 
un prorata 
per ogni 
settore 
della 
propria 
attivit� ed a tenere contabilit� distinte per ciascuno di questi settori; 
c) autorizzare 
od obbligare 
il 
soggetto passivo ad operare 
la 
[detrazione] in base 
all�utilizzazione 
della totalit� o di una parte dei beni e servizi; 
d) 
autorizzare 
od 
obbligare 
il 
soggetto 
passivo 
ad 
operare 
la 
[detrazione] 
secondo 
la 
norma 
di 
cui 
al 
primo 
comma 
relativamente 
a 
tutti 
i 
beni 
e 
servizi 
utilizzati 
per 
tutte 
le 
operazioni 
ivi contemplate; 
e) prevedere 
che 
non si 
tenga 
conto dell�imposta 
sul 
valore 
aggiunto che 
non pu� essere 
[detratta] dal soggetto passivo quando essa sia insignificante�. 


6 L�articolo 19, paragrafi 
1 e 
2, della 
medesima 
direttiva, intitolato �Calcolo del 
prorata 
di 
[detrazione]�, era redatto come segue: 


�1. Il 
prorata 
di 
[detrazione] previsto dall�articolo 17, paragrafo 5, primo comma, risulta 
da una frazione avente: 
-al 
numeratore 
l�importo 
totale 
della 
cifra 
d�affari 
annua, 
al 
netto 
dell�imposta 
[sul] 
valore 
aggiunto, relativo alle operazioni che danno diritto a [detrazione] (...), 
-al 
denominatore 
l�importo totale 
della 
cifra 
d�affari 
annua, al 
netto dell�imposta 
sul 
valore 
aggiunto, 
relativo 
alle 
operazioni 
che 
figurano 
al 
numeratore 
e 
a 
quelle 
che 
non 
danno 
diritto a [detrazione]. (...) 
Il 
prorata 
viene 
determinato su base 
annuale, in percentuale 
e 
viene 
arrotondato all�unit� 
superiore. 
2. In deroga 
alle 
disposizioni 
del 
paragrafo 1, per il 
calcolo del 
prorata 
di 
[detrazione], 
non si 
tiene 
conto (...) dell�importo della 
cifra 
d�affari 
relativa 
alle 
operazioni 
accessorie, 
immobiliari o finanziarie (...)�. 
7 
La 
sesta 
direttiva 
� 
stata 
abrogata 
e 
sostituita 
dalla 
direttiva 
2006/112/CE 
del 
Consiglio, 
del 
28 
novembre 
2006, 
relativa 
al 
sistema 
comune 
d�imposta 
sul 
valore 
aggiunto 
(GU 
2006, L 347, pag. 1), entrata in vigore il 1� gennaio 2007. 


Diritto italiano 


8 L�articolo 10, numero 1), del 
decreto del 
Presidente 
della 
Repubblica 
del 
26 ottobre 
1972, 


n. 633 - Istituzione 
e 
disciplina 
dell�imposta 
sul 
valore 
aggiunto, (GURI n. 292, dell�11 
novembre 
1972), 
nella 
sua 
versione 
applicabile 
alla 
controversia 
principale 
(in 
prosieguo: 
il �DPR n. 633/72�), cos� dispone: 
�Sono esenti dall�imposta: 
le 
prestazioni 
di 
servizi 
concernenti 
la 
concessione 
e 
la 
negoziazione 
di 
crediti, 
la 
gestione 
degli stessi da parte dei concedenti e le operazioni di finanziamento (...)�. 
9 L�articolo 19, comma 5, del DPR n. 633/72, prevede quanto segue: 
�Ai 
contribuenti 
che 
esercitano 
sia 
attivit� 
che 
danno 
luogo 
ad 
operazioni 
che 
conferiscono 
il 
diritto 
alla 
detrazione 
sia 
attivit� 
che 
danno 
luogo 
ad 
operazioni 
esenti 
(�), 
il 
diritto 
alla 
detrazione 
dell�imposta 
spetta 
in 
misura 
proporzionale 
alla 
prima 
categoria 
di 
operazioni 
e 
il 
relativo 
ammontare 
� 
determinato 
applicando 
la 
percentuale 
di 
detrazione 
di 
cui 
all�articolo 
19-bis�. 


10 
Dal 
fascicolo sottoposto alla 
Corte 
risulta 
che 
il 
metodo di 
determinazione 
del 
diritto a 
detrazione, previsto all�articolo 19, comma 
5, del 
DPR n. 633/72, si 
applica 
in relazione 
al 
complesso 
dei 
beni 
e 
dei 
servizi 
acquistati 
da 
soggetti 
passivi 
che 
effettuano 
operazioni 
che danno diritto a detrazione e operazioni esenti. 



CoNTENzIoSo 
CoMUNITARIo 
ED 
INTERNAzIoNALE 
91 


11 
Secondo l�articolo 19-bis del DPR n. 633/72: 


�1. La 
percentuale 
di 
detrazione 
di 
cui 
all�articolo 19, comma 
5, � 
determinata 
in base 
al 
rapporto tra 
l�ammontare 
delle 
operazioni 
che 
danno diritto a 
detrazione, effettuate 
nel-
l�anno, e 
lo stesso ammontare 
aumentato delle 
operazioni 
esenti 
effettuate 
nell�anno medesimo. 
La 
percentuale 
di 
detrazione 
� 
arrotondata 
all�unit� 
superiore 
o 
inferiore, 
a 
seconda che la parte decimale superi o meno i cinque decimi. 
2. Per il 
calcolo della 
percentuale 
di 
detrazione 
di 
cui 
al 
comma 
1 non si 
tiene 
conto (...), 
quando non formano oggetto dell�attivit� 
propria 
del 
soggetto passivo o siano accessorie 
alle 
operazioni 
imponibili, 
delle 
(�) 
operazioni 
esenti 
indicate 
ai 
numeri 
da 
1) 
a 
9) 
del[l�] 
(�) 
articolo 
10 
[del 
DPR 
n. 
633/72], 
ferma 
restando 
la 
indetraibilit� 
dell�imposta 
relativa 
ai beni e servizi utilizzati esclusivamente per effettuare queste ultime operazioni�. 
12 
L�articolo 36 del DPR n. 633/72 � redatto nei termini seguenti: 
�(1) 
Nei 
confronti 
dei 
soggetti 
che 
esercitano 
pi� 
attivit� 
l�imposta 
si 
applica 
unitariamente 
e 
cumulativamente 
per tutte 
le 
attivit�, con riferimento al 
volume 
di 
affari 
complessivo, 
salvo quanto stabilito nei successivi commi. 


(2) Se 
il 
soggetto esercita 
contemporaneamente 
imprese 
e 
arti 
o professioni 
l�imposta 
si 
applica 
separatamente 
per l�esercizio di 
imprese 
e 
per l�esercizio di 
arti 
o professioni, secondo 
le rispettive disposizioni e con riferimento al rispettivo volume d�affari. 
(3) I soggetti 
che 
esercitano pi� imprese 
o pi� attivit� 
nell�ambito della 
stessa 
impresa, 
ovvero pi� arti 
o professioni, hanno facolt� 
di 
optare 
per l�applicazione 
separata 
dell�imposta 
relativamente 
ad 
alcune 
delle 
attivit� 
esercitate, 
dandone 
comunicazione 
all�ufficio 
nella 
dichiarazione 
relativa 
all�anno 
precedente 
o 
nella 
dichiarazione 
di 
inizio 
dell�attivit�. 
In tal 
caso la 
detrazione 
di 
cui 
all�art. 19 spetta 
a 
condizione 
che 
l�attivit� 
sia 
gestita 
con 
contabilit� 
separata 
ed 
� 
esclusa, 
in 
deroga 
a 
quanto 
stabilito 
nell�ultimo 
comma, 
per 
l�imposta 
relativa 
ai 
beni 
non ammortizzabili 
utilizzati 
promiscuamente. L�opzione 
ha 
effetto 
fino a 
quando non sia 
revocata 
e 
in ogni 
caso per almeno un triennio. (...) Le 
disposizioni 
del 
presente 
comma 
si 
applicano, altres�, ai 
soggetti 
che 
svolgono (...) attivit� 
esenti 
dal-
l�imposta ai sensi dell�articolo 10, primo comma. 
(4) L�imposta 
si 
applica 
in ogni 
caso separatamente, secondo le 
rispettive 
disposizioni 
e 
con riferimento al volume di affari di ciascuna di esse, (...). 
(5) 
In 
tutti 
i 
casi 
nei 
quali 
l�imposta 
� 
applicata 
separatamente 
per 
una 
determinata 
attivit� 
la 
detrazione 
di 
cui 
all�art. 19, se 
ridotta 
ai 
sensi 
del 
terzo comma 
dello stesso articolo 
ovvero se 
applicata 
forfettariamente, � 
ammessa 
per l�imposta 
relativa 
ai 
beni 
e 
ai 
servizi 
utilizzati 
promiscuamente, 
nei 
limiti 
della 
parte 
imputabile 
all�esercizio 
dell�attivit� 
stessa; 
i 
passaggi 
di 
servizi 
all�attivit� 
soggetta 
a 
detrazione 
ridotta 
o 
forfettaria 
costituiscono 
prestazioni 
di 
servizio ai 
sensi 
dell�art. 3 e 
si 
considerano effettuati, in base 
al 
loro valore 
normale, nel momento in cui sono rese (...)�. 
Procedimento principale e questione pregiudiziale 


13 
La 
Mercedes 
Benz 
� 
responsabile 
della 
direzione 
strategica 
della 
commercializzazione 
dei marchi del gruppo Daimler-Chrysler in Italia. 


14 
Nella 
sua 
dichiarazione 
IvA 
per l�anno d�imposta 
2004, la 
Mercedes 
Benz 
ha 
qualificato 
le 
proprie 
attivit� 
finanziarie, ossia 
l�erogazione 
di 
finanziamenti 
alle 
societ� 
controllate, 
come 
�accessorie� rispetto alle 
proprie 
attivit� 
imponibili, circostanza 
che 
l�ha 
portata 
a 
escludere 
gli 
interessi 
maturati 
su tali 
finanziamenti 
dal 
calcolo del 
denominatore 
della 
frazione 
che 
serve 
a 
stabilire 
la 
percentuale 
di 
detrazione 
di 
cui 
all�articolo 
19-bis 
del 
DPR n. 633/72. 



RASSEGNA 
AvvoCATURA 
DELLo 
STATo - N. 1/2017 


15 
A 
seguito di 
un controllo fiscale 
effettuato nel 
corso del 
2008 e 
riguardante 
l�anno d�imposta 
2004, 
la 
Mercedes 
Benz 
� 
stata 
sottoposta, 
con 
decisione 
dell�Agenzia 
delle 
Entrate, 
a 
un 
avviso 
di 
accertamento 
IvA 
di 
EUR 
1 
755 
882, 
per 
il 
motivo 
che 
gli 
interessi 
percepiti 
su 
tali 
finanziamenti 
erano 
stati 
indebitamente 
esclusi 
dal 
denominatore 
della 
frazione 
che 
era 
servita 
a 
stabilire 
la 
percentuale 
di 
detrazione, 
considerato 
che 
l�erogazione 
di 
tali 
finanziamenti 
era 
una 
delle 
principali 
attivit� 
della 
Mercedes 
Benz, poich� 
gli 
interessi 
maturati su di essi rappresentavano il 71,64% della sua cifra d�affari complessiva. 


16 
La 
Mercedes 
Benz 
ha 
proposto un ricorso avverso tale 
decisione 
dinanzi 
alla 
Commissione 
tributaria 
provinciale 
di 
Roma 
(Italia), 
che 
lo 
ha 
respinto. 
Successivamente, 
la 
Mercedes 
Benz 
ha 
interposto appello avverso tale 
decisione 
dinanzi 
al 
giudice 
del 
rinvio, la 
Commissione tributaria regionale di Roma (Italia). 


17 
In occasione 
di 
tale 
controversia, la 
Mercedes 
Benz 
ha 
sostenuto che 
era 
legittimata 
ad 
escludere 
gli 
interessi 
maturati 
sui 
finanziamenti 
erogati 
dal 
denominatore 
della 
frazione 
che 
era 
servita 
a 
stabilire 
la 
percentuale 
di 
detrazione 
dell�IvA 
e 
ha 
fatto valere 
in particolare 
che, comunque, il 
legislatore 
nazionale 
non aveva 
trasposto correttamente 
gli 
articoli 
168 e 
da 
173 a 
175 della 
direttiva 
2006/112 prevedendo che 
il 
prorata 
di 
detrazione 
di 
cui 
all�articolo 19-bis 
del 
DPR n. 633/72 si 
applichi 
indistintamente 
al 
complesso dei 
beni 
e 
dei 
servizi 
acquistati 
da 
un soggetto passivo, senza 
distinzione 
a 
seconda 
che 
tali 
beni 
e 
tali 
servizi 
siano destinati 
a 
operazioni 
che 
danno diritto a 
detrazione, a 
operazioni 
che non conferiscono tale diritto o a entrambi i tipi di operazioni. 


18 
In tali 
circostanze, la 
Commissione 
tributaria 
regionale 
di 
Roma 
ha 
deciso di 
sospendere 
il procedimento e di sottoporre alla Corte la seguente questione pregiudiziale: 
�Dica 
la 
Corte 
se, ai 
fini 
dell�esercizio del 
diritto di 
detrazione, ostino all�interpretazione 
degli 
art[icoli] 
168, 
173, 
174 
e 
175 
della 
direttiva 
n. 
2006/112/CE, 
orientata 
secondo 
i 
principi 
di 
proporzionalit�, effettivit� 
e 
neutralit�, siccome 
individuati 
nel 
diritto comunitario, 
la 
legislazione 
nazionale 
(segnatamente, gli 
articoli 
19, 5� 
comma 
e 
19-bis, del 


D.P.R. 633/1972) e 
la 
prassi 
dell�Amministrazione 
fiscale 
nazionale 
che 
impongano il 
riferimento 
alla 
composizione 
del 
volume 
d�affari 
dell�operatore, 
anche 
per 
l�individuazione 
delle 
operazioni 
cosiddette 
accessorie, 
senza 
prevedere 
un 
metodo 
di 
calcolo 
fondato sulla 
composizione 
e 
destinazione 
effettiva 
degli 
acquisti, e 
che 
rifletta 
oggettivamente 
la 
quota 
di 
imputazione 
reale 
delle 
spese 
sostenute 
a 
ciascuna 
delle 
attivit� 
-tassate 
e non tassate - esercitate dal contribuente�. 
sulla questione pregiudiziale 


osservazioni preliminari 


19 
In 
primo 
luogo, 
sebbene 
il 
giudice 
del 
rinvio 
si 
sia 
formalmente 
riferito, 
nella 
sua 
domanda 
di 
pronuncia 
pregiudiziale, agli 
articoli 
168 e 
da 
173 a 
175 della 
direttiva 
2006/112, si 
deve 
rilevare 
che 
nell�anno d�imposta 
di 
cui 
trattasi 
nel 
procedimento principale 
il 
diritto 
a 
detrazione 
dei 
soggetti 
passivi 
era 
principalmente 
disciplinato 
dagli 
articoli 
17 
e 
19 
della 
sesta direttiva. 


20 In secondo luogo, dal 
fascicolo sottoposto alla 
Corte 
risulta 
che, adottando l�articolo 19, 
comma 
5, 
e 
l�articolo 
19-bis 
del 
DPR 
n. 
633/72, 
il 
legislatore 
nazionale 
ha 
inteso 
fare 
uso del 
metodo derogatorio previsto all�articolo 17, paragrafo 5, terzo comma, lettera 
d), 
della sesta direttiva. 


21 In tali 
circostanze 
occorre 
ritenere 
che, con la 
sua 
questione, il 
giudice 
del 
rinvio chieda, 
in 
sostanza, 
se 
l�articolo 
17, 
paragrafo 
5, 
terzo 
comma, 
lettera 
d), 
e 
l�articolo 
19 
della 
sesta 
direttiva 
debbano essere 
interpretati 
nel 
senso che 
non ostano a 
una 
normativa 
e 
a 



CoNTENzIoSo 
CoMUNITARIo 
ED 
INTERNAzIoNALE 
93 


una 
prassi 
nazionali, come 
quelle 
di 
cui 
trattasi 
nel 
procedimento principale, che 
impongono 
a un soggetto passivo: 


-di 
applicare 
alla 
totalit� 
dei 
beni 
e 
dei 
servizi 
da 
esso acquistati 
un prorata 
di 
detrazione 
basato sulla 
cifra 
d�affari, senza 
prevedere 
un metodo di 
calcolo che 
sia 
fondato sulla 
natura 
e 
sulla 
destinazione 
effettiva 
di 
ciascun bene 
e 
servizio acquistato e 
che 
rifletta 
oggettivamente 
la 
quota 
di 
imputazione 
reale 
delle 
spese 
sostenute 
a 
ciascuna 
delle 
attivit� 
tassate e non tassate; e 
-di 
riferirsi 
alla 
composizione 
della 
sua 
cifra 
d�affari 
per 
l�individuazione 
delle 
operazioni 
qualificabili come �accessorie�. 
risposta della Corte 


22 
occorre 
anzitutto 
ricordare 
che, 
in 
forza 
dell�articolo 
17, 
paragrafo 
2, 
della 
sesta 
direttiva, 
i 
soggetti 
passivi 
hanno la 
possibilit� 
di 
detrarre 
l�imposta 
che 
ha 
gravato l�acquisto o la 
fornitura 
di 
beni 
o 
di 
servizi 
destinati 
a 
essere 
utilizzati 
esclusivamente 
per 
la 
realizzazione 
delle operazioni soggette ad imposta. 


23 
Per 
quanto 
riguarda 
i 
beni 
e 
i 
servizi 
destinati 
a 
essere 
utilizzati 
ai 
fini 
sia 
delle 
operazioni 
che 
danno diritto a 
detrazione 
sia 
delle 
operazioni 
che 
non conferiscono tale 
diritto, l�articolo 
17, paragrafo 5, primo comma, di 
tale 
direttiva 
prevede 
che 
la 
detrazione 
sia 
ammessa 
soltanto per il prorata dell�IvA relativo alla prima categoria di operazioni. 


24 
Tuttavia, 
l�articolo 
17, 
paragrafo 
5, 
terzo 
comma, 
della 
sesta 
direttiva 
consente 
agli 
Stati 
membri 
di 
ricorrere 
a 
metodi 
di 
determinazione 
del 
diritto 
a 
detrazione 
specifici, 
a 
carattere 
derogatorio, 
tra 
i 
quali 
figura 
quello 
enunciato 
al 
punto 
d) 
di 
tale 
disposizione 
(v., 
in 
tal 
senso, 
sentenza 
dell�8 
novembre 
2012, 
BLC 
Baumarkt, 
C.511/10, 
EU:C:2012:689, 
punto 
24). 


25 
Conformemente 
all�articolo 
17, 
paragrafo 
5, 
terzo 
comma, 
lettera 
d), 
della 
sesta 
direttiva, 
uno Stato membro pu� autorizzare 
od obbligare 
un soggetto passivo ad operare 
la 
detrazione, 
secondo 
la 
norma 
di 
cui 
all�articolo 
17, 
paragrafo 
5, 
primo 
comma, 
di 
tale 
direttiva, 
relativamente a tutti i beni e i servizi utilizzati per tutte le operazioni ivi contemplate. 


26 
In primo luogo, occorre 
esaminare 
se 
l�articolo 17, paragrafo 5, terzo comma, lettera 
d), 
della 
sesta 
direttiva, letto nel 
suo contesto, debba 
essere 
interpretato nel 
senso che 
il 
metodo 
di 
calcolo del 
diritto a 
detrazione 
dell�IvA 
da 
esso previsto implichi 
il 
ricorso a 
un 
prorata di detrazione fondato sulla cifra d�affari. 


27 
A 
tale 
riguardo, 
va 
rilevato 
che, 
contrariamente 
agli 
altri 
metodi 
di 
calcolo 
derogatori 
enunciati 
all�articolo 17, paragrafo 5, terzo comma, della 
sesta 
direttiva, quello previsto 
al 
suo punto d) prevede 
espressamente 
che 
tale 
metodo sia 
applicato secondo la 
norma 
di 
cui all�articolo 17, paragrafo 5, primo comma, di tale direttiva. 


28 
orbene, 
come 
risulta 
dal 
punto 
23 
della 
presente 
sentenza, 
la 
norma 
di 
cui 
all�articolo 
17, 
paragrafo 
5, 
primo 
comma, 
della 
sesta 
direttiva 
non 
precisa 
come 
il 
prorata 
dell�IvA 
relativo 
alle 
operazioni 
che 
danno 
diritto 
a 
detrazione 
debba 
essere 
concretamente 
determinato. 


29 
Ci� detto, il 
secondo comma 
dell�articolo 17, paragrafo 5, della 
sesta 
direttiva, che 
segue 
immediatamente 
il 
primo comma 
e 
inizia 
con i 
termini 
�detto prorata�, riferendosi 
cos� 
al 
prorata 
di 
detrazione 
previsto al 
primo comma, precisa 
che 
detto prorata 
deve 
essere 
determinato conformemente all�articolo 19 di tale direttiva. 


30 
orbene, 
l�articolo 
19, 
paragrafo 
1, 
della 
sesta 
direttiva 
dispone 
che 
il 
prorata 
di 
detrazione 
previsto all�articolo 17, paragrafo 5, primo comma, della 
medesima 
direttiva 
deve 
essere 
stabilito 
sulla 
base 
di 
una 
frazione 
avente, 
al 
numeratore, 
la 
cifra 
d�affari 
relativa 
alle 
operazioni 
che 
danno diritto a 
detrazione 
e, al 
denominatore, la 
cifra 
d�affari 
relativa 
a 
tali 
operazioni e alle operazioni che non danno diritto a detrazione. 



RASSEGNA 
AvvoCATURA 
DELLo 
STATo - N. 1/2017 


31 
Pertanto, 
si 
deve 
intendere 
il 
riferimento, 
figurante 
all�articolo 
17, 
paragrafo 
5, 
terzo 
comma, lettera 
d), della 
sesta 
direttiva, alla 
conformit� 
alla 
norma 
di 
cui 
al 
primo comma 
di 
tale 
paragrafo, 
come 
implicante 
l�utilizzo 
di 
un 
prorata 
di 
detrazione 
fondato 
sulla 
cifra 
d�affari nell�attuazione di tale disposizione. 


32 
Ne 
deriva 
che 
l�articolo 
17, 
paragrafo 
5, 
terzo 
comma, 
lettera 
d), 
della 
sesta 
direttiva, 
letto 
in 
combinato 
disposto 
con 
l�articolo 
17, 
paragrafo 
5, 
primo 
e 
secondo 
comma 
nonch� 
con l�articolo 19, paragrafo 1, di 
tale 
direttiva, deve 
essere 
interpretato nel 
senso che 
il 
metodo di 
calcolo del 
diritto a 
detrazione 
dell�IvA 
che 
esso prevede 
implica 
il 
ricorso a 
un prorata fondato sulla cifra d�affari. 


33 
In secondo luogo, occorre 
esaminare 
se 
l�articolo 17, paragrafo 5, terzo comma, lettera 
d), della 
sesta 
direttiva 
osti 
a 
che 
uno Stato membro imponga 
a 
un soggetto passivo di 
applicare 
al 
complesso dei 
beni 
e 
dei 
servizi 
da 
esso acquistati 
un prorata 
di 
detrazione 
fondato sulla 
cifra 
d�affari, e 
ci� senza 
tener conto della 
natura 
e 
della 
destinazione 
effettiva 
di ciascuno di tali beni e di tali servizi. 


34 A tale riguardo, da un lato, dalla formulazione stessa dell�articolo 17, paragrafo 5, primo 
comma, della 
sesta 
direttiva 
risulta 
che 
il 
calcolo di 
un prorata 
di 
detrazione 
per determinare 
l�importo dell�IvA 
detraibile 
�, in linea 
di 
principio, riservato unicamente 
ai 
beni 
e 
servizi 
utilizzati 
da 
un soggetto passivo per effettuare 
nel 
contempo operazioni 
economiche 
che 
danno diritto a 
detrazione 
e 
operazioni 
economiche 
che 
non conferiscono diritto 
a 
detrazione 
(v., 
in 
tal 
senso, 
sentenze 
del 
6 
settembre 
2012, 
Portugal 
Telecom, 
C.496/11, 
EU:C:2012:557, punto 40, e 
del 
9 giugno 2016, Wolfgang und Dr. 
Wilfried Rey Grundst�cksgemeinschaft, 
C.332/14, EU:C:2016:417, punto 25). 


35 Dall�altro lato, in forza 
dell�articolo 17, paragrafo 5, terzo comma, lettera 
d), della 
sesta 
direttiva, � 
consentito agli 
Stati 
membri 
autorizzare 
o obbligare 
un soggetto passivo ad 
operare 
la 
detrazione 
�secondo 
la 
norma 
di 
cui 
al 
primo 
comma 
relativamente 
a 
tutti 
i 
beni e servizi utilizzati per tutte le operazioni ivi contemplate�. 


36 
Dato 
che 
l�articolo 
17, 
paragrafo 
5, 
primo 
comma, 
della 
sesta 
direttiva, 
richiamato 
espressamente 
all�articolo 17, paragrafo 5, terzo comma, lettera 
d), di 
tale 
direttiva, si 
riferisce 
sia 
alle 
operazioni 
che 
danno diritto a 
detrazione 
sia 
a 
quelle 
che 
non conferiscono tale 
diritto, 
si 
devono 
intendere 
i 
termini 
�tutte 
le 
operazioni 
ivi 
contemplate� 
come 
comprendenti 
entrambi 
i 
tipi 
di 
operazioni 
menzionati 
all�articolo 17, paragrafo 5, primo comma, 
di detta direttiva. 


37 
orbene, 
contrariamente 
al 
primo 
comma 
dell�articolo 
17, 
paragrafo 
5, 
della 
sesta 
direttiva, 
il 
terzo comma, lettera 
d), del 
medesimo articolo 17, paragrafo 5, non utilizza 
i 
termini 
�sia...sia�. 


38 
In 
mancanza 
di 
una 
siffatta 
precisazione, 
l�articolo 
17, 
paragrafo 
5, 
terzo 
comma, 
lettera 
d), 
della 
sesta 
direttiva 
deve 
essere 
inteso 
nel 
senso 
che 
si 
riferisce 
al 
complesso 
dei 
beni 
e 
dei 
servizi 
utilizzati 
dal 
soggetto 
passivo 
al 
fine 
di 
realizzare 
tanto 
le 
operazioni 
che 
danno 
diritto 
a 
detrazione 
quanto 
quelle 
che 
non 
conferiscono 
tale 
diritto, 
senza 
che 
sia 
necessario 
che 
tali 
beni 
e 
servizi 
servano 
ad 
effettuare 
sia 
l�uno 
sia 
l�altro 
tipo 
di 
operazioni. 


39 
occorre 
infatti 
ricordare 
che, allorch� 
una 
disposizione 
di 
diritto dell�Unione 
pu� avere 
diverse 
interpretazioni, occorre 
dare 
priorit� 
a 
quella 
che 
� 
idonea 
a 
salvaguardare 
il 
suo 
effetto utile 
(v., in particolare, sentenza 
del 
9 marzo 2000, EKW 
e 
Wein & 
Co, C.437/97, 
EU:C:2000:110, punto 41). 


40 
orbene, 
interpretare 
l�articolo 
17, 
paragrafo 
5, 
terzo 
comma, 
lettera 
d), 
della 
sesta 
direttiva 
nel 
senso 
che 
esso 
si 
applichi 
unicamente 
con 
riferimento 
ai 
beni 
e 
ai 
servizi 
utilizzati 



CoNTENzIoSo 
CoMUNITARIo 
ED 
INTERNAzIoNALE 


per realizzare 
�sia� operazioni 
che 
danno diritto a 
detrazione 
�sia� operazioni 
che 
non 
conferiscono 
tale 
diritto 
condurrebbe 
ad 
attribuire 
a 
tale 
disposizione 
la 
medesima 
portata 
dell�articolo 17, paragrafo 5, primo comma, di 
tale 
direttiva, alla 
quale 
si 
suppone 
che 
tale disposizione debba invece derogare. 


41 
Certamente, il 
giudice 
del 
rinvio sembra 
nutrire 
dubbi 
riguardo alla 
compatibilit� 
dell�interpretazione 
esposta 
al 
punto 38 della 
presente 
sentenza 
con i 
principi 
di 
proporzionalit� 
delle detrazioni, di effettivit� del diritto a detrazione e di neutralit� dell�IvA. 


42 
Tuttavia, 
senza 
dover 
esaminare 
quale 
sia 
l�incidenza 
precisa 
di 
tali 
principi 
sull�interpretazione 
dell�articolo 
17, 
paragrafo 
5, 
terzo 
comma, 
della 
sesta 
direttiva, 
va 
constatato 
che 
la 
presa 
in 
considerazione 
di 
questi 
principi, 
che 
informano 
il 
sistema 
dell�IvA, 
ma 
ai 
quali 
il 
legislatore 
pu� 
validamente 
derogare, 
non 
pu� 
comunque 
giustificare 
un�interpretazione 
che 
privi 
detta 
deroga, 
voluta 
espressamente 
dal 
legislatore, 
di 
qualsiasi 
effetto 
utile. 


43 
Le 
considerazioni 
svolte 
al 
punto 38 della 
presente 
sentenza 
sono, inoltre, avvalorate 
da 
uno 
degli 
obiettivi 
perseguiti 
dalla 
sesta 
direttiva 
consistente, 
come 
risulta 
dal 
suo 
diciassettesimo 
considerando, nell�autorizzare 
il 
ricorso a 
regole 
di 
applicazione 
relativamente 
semplici 
(v., 
in 
tal 
senso, 
sentenza 
dell�8 
marzo 
2012, 
Commissione/Portogallo, 
C.524/10, 
EU:C:2012:129, punto 35). 


44 
Infatti, applicando la 
regola 
di 
calcolo prevista 
all�articolo 17, paragrafo 5, terzo comma, 
lettera 
d), della 
sesta 
direttiva, i 
soggetti 
passivi 
non hanno l�obbligo di 
imputare 
i 
beni 
e 
i 
servizi 
che 
acquistano o alle 
operazioni 
che 
danno diritto a 
detrazione, o a 
quelle 
che 
non conferiscono un tale 
diritto, o a 
entrambi 
i 
tipi 
di 
operazioni 
e, di 
conseguenza, le 
amministrazioni 
fiscali 
nazionali 
non 
sono 
tenute 
a 
verificare 
se 
tale 
imputazione 
sia 
stata 
correttamente effettuata. 


45 
In terzo luogo, occorre 
determinare 
se 
a 
uno Stato membro sia 
consentito, tenuto conto 
dell�articolo 19, paragrafo 2, della 
sesta 
direttiva, imporre 
che 
tale 
soggetto passivo si 
riferisca 
parimenti 
alla 
composizione 
della 
sua 
cifra 
d�affari 
al 
fine 
di 
identificare, tra 
le 
operazioni realizzate, quelle che sono qualificabili come �accessorie�. 


46 
A 
tale 
riguardo, occorre 
ricordare 
che, ai 
sensi 
dell�articolo 19, paragrafo 2, della 
sesta 
direttiva, 
per 
stabilire 
il 
prorata 
di 
cui 
al 
paragrafo 
1 
di 
tale 
articolo, 
non 
si 
deve 
tener 
conto dell�importo della 
cifra 
d�affari 
relativa 
alle 
�operazioni 
accessorie, immobiliari 
o 
finanziarie�. orbene, quest�ultima nozione non � definita dalla sesta direttiva. 


47 Tuttavia, la 
Corte 
ha 
gi� 
precisato che, se 
� 
pur vero che 
l�entit� 
dei 
redditi 
provenienti 
dalle 
operazioni 
finanziarie 
ricomprese 
nella 
sfera 
di 
applicazione 
della 
sesta 
direttiva 
pu� costituire 
un indizio del 
fatto che 
tali 
operazioni 
non debbano essere 
considerate 
accessorie, 
ai 
sensi 
dell�articolo 19, paragrafo 2, di 
tale 
direttiva, la 
circostanza 
che 
redditi 
superiori 
a 
quelli 
prodotti 
dall�attivit� 
indicata 
come 
principale 
dall�impresa 
interessata 
provengano da 
tali 
operazioni 
non pu�, di 
per s�, escludere 
la 
qualificazione 
di 
queste 
ultime 
quali 
�operazioni 
accessorie� ai 
sensi 
della 
disposizione 
medesima 
(v., in tal 
senso, 
sentenza del 29 aprile 2004, EDM, C.77/01, EU:C:2004:243, punto 77). 


48 
Inoltre, 
dalla 
giurisprudenza 
della 
Corte 
risulta 
che 
un�attivit� 
economica 
deve 
essere 
qualificata 
come 
�accessoria�, 
ai 
sensi 
dell�articolo 
19, 
paragrafo 
2, 
della 
sesta 
direttiva 
qualora 
essa 
non 
costituisca 
il 
prolungamento 
diretto, 
permanente 
e 
necessario 
dell�attivit� 
imponibile 
dell�impresa 
e 
non 
implichi 
un 
impiego 
significativo 
di 
beni 
e 
di 
servizi 
per 
i 
quali 
l�IvA 
� 
dovuta 
(v., 
in 
tal 
senso, 
sentenze 
dell�11 
luglio 
1996, 
R�gie 
dauphinoise, 
C.306/94, 
EU:C:1996:290, 
punto 
22; 
del 
29 
aprile 
2004, 
EDM, 
C.77/01, 
EU:C:2004:243, 
punto 
76, 
e 
del 
29 
ottobre 
2009, 
NCC 
Construction 
Danmark, 
C.174/08, 
EU:C:2009:669, 
punto 
31). 



RASSEGNA 
AvvoCATURA 
DELLo 
STATo - N. 1/2017 


49 
Pertanto, si 
deve 
constatare 
che 
la 
composizione 
della 
cifra 
d�affari 
del 
soggetto passivo 
costituisce 
un 
elemento 
rilevante 
per 
determinare 
se 
talune 
operazioni 
debbano 
essere 
considerate 
come 
�accessorie�, 
ai 
sensi 
dell�articolo 
19, 
paragrafo 
2, 
seconda 
frase, 
della 
sesta 
direttiva, ma 
che 
si 
deve 
altres� 
tener conto, a 
tal 
fine, del 
rapporto tra 
dette 
operazioni 
e 
le 
attivit� 
imponibili 
di 
tale 
soggetto 
passivo 
nonch�, 
eventualmente, 
dell�impiego 
che esse implicano dei beni e dei servizi per i quali l�IvA � dovuta. 


50 
Dall�insieme 
delle 
considerazioni 
che 
precedono 
risulta 
che 
l�articolo 
17, 
paragrafo 
5, 
terzo comma, lettera 
d), e 
l�articolo 19 della 
sesta 
direttiva 
devono essere 
interpretati 
nel 
senso che 
non ostano a 
una 
normativa 
e 
a 
una 
prassi 
nazionali, come 
quelle 
di 
cui 
trattasi 
nel procedimento principale, che impongono a un soggetto passivo: 


-di 
applicare 
alla 
totalit� 
dei 
beni 
e 
dei 
servizi 
da 
esso acquistati 
un prorata 
di 
detrazione 
basato sulla 
cifra 
d�affari, senza 
prevedere 
un metodo di 
calcolo che 
sia 
fondato sulla 
natura 
e 
sulla 
destinazione 
effettiva 
di 
ciascun bene 
e 
servizio acquistato e 
che 
rifletta 
oggettivamente 
la 
quota 
di 
imputazione 
reale 
delle 
spese 
sostenute 
a 
ciascuna 
delle 
attivit� 
tassate e non tassate; e 
-di 
riferirsi 
alla 
composizione 
della 
sua 
cifra 
d�affari 
per 
l�individuazione 
delle 
operazioni 
qualificabili 
come 
�accessorie�, a 
condizione 
che 
la 
valutazione 
condotta 
a 
tal 
fine 
tenga 
conto altres� 
del 
rapporto tra 
dette 
operazioni 
e 
le 
attivit� 
imponibili 
di 
tale 
soggetto passivo 
nonch�, eventualmente, dell�impiego che 
esse 
implicano dei 
beni 
e 
dei 
servizi 
per i 
quali l�IvA � dovuta. 
sulle spese 


51 Nei 
confronti 
delle 
parti 
nel 
procedimento principale 
la 
presente 
causa 
costituisce 
un incidente 
sollevato dinanzi 
al 
giudice 
nazionale, cui 
spetta 
quindi 
statuire 
sulle 
spese. Le 
spese 
sostenute 
da 
altri 
soggetti 
per presentare 
osservazioni 
alla 
Corte 
non possono dar 
luogo a rifusione. 


Per questi motivi, la Corte (Terza Sezione) dichiara: 


l�articolo 
17, 
paragrafo 
5, 
terzo 
comma, 
lettera 
d), 
e 
l�articolo 
19 
della 
sesta 
direttiva 
77/388/CEE 
del 
Consiglio, 
del 
17 
maggio 
1977, 
in 
materia 
di 
armonizzazione 
delle 
legislazioni 
degli 
stati 
membri 
relative 
alle 
imposte 
sulla 
cifra 
di 
affari 
-sistema 
comune 
di 
imposta 
sul 
valore 
aggiunto: 
base 
imponibile 
uniforme, 
devono 
essere 
interpretati 
nel 
senso 
che 
non 
ostano 
a 
una 
normativa 
e 
a 
una 
prassi 
nazionali, 
come 
quelle 
di 
cui 
trattasi 
nel 
procedimento 
principale, 
che 
impongono 
a 
un 
soggetto 
passivo: 


- 
di 
applicare 
alla totalit� dei 
beni 
e 
dei 
servizi 
da esso acquistati 
un 
prorata di 
detrazione 
basato sulla cifra d�affari, senza prevedere 
un 
metodo di 
calcolo che 
sia fondato sulla natura e 
sulla destinazione 
effettiva di 
ciascun 
bene 
e 
servizio 
acquistato 
e 
che 
rifletta 
oggettivamente 
la 
quota 
di 
imputazione 
reale 
delle 
spese 
sostenute a ciascuna delle attivit� tassate e non tassate; e 
- 
di 
riferirsi 
alla 
composizione 
della 
sua 
cifra 
d�affari 
per 
l�individuazione 
delle 
operazioni 
qualificabili 
come 
�accessorie�, 
a 
condizione 
che 
la 
valutazione 
condotta 
a 
tal 
fine 
tenga 
conto 
altres� 
del 
rapporto 
tra 
dette 
operazioni 
e 
le 
attivit� 
imponibili 
di 
tale 
soggetto 
passivo 
nonch�, 
eventualmente, 
dell�impiego 
che 
esse 
implicano 
dei 
beni 
e 
dei 
servizi 
per 
i 
quali 
l�imposta 
sul 
valore 
aggiunto 
� 
dovuta. 


Cos� deciso e pronunciato a Lussemburgo il 14 dicembre 2016. 



CONTENZIOSONAZIONALE
Brevi note sulla trasmissibilit� alla nascita 
del cognome materno dopo la sentenza della Corte EDU 
Cusan e Fazzo c. Italia del 7 gennaio 2014, n. 77. 
Nota a Corte Costituzionale n. 286 del 21 dicembre 2016 


Giulia Fabrizi* 


Va dichiarata l'illegittimit� costituzionale 
della norma desumibile 
dagli 
artt. 237, 262 e 
299 
c.c., 72, comma 1, del 
R.D. n. 1238 del 
1939 e 
artt. 33 e 
34 del 
d.P.R. n. 396 del 
3 novembre 
2000, nella parte 
in cui 
non consente 
ai 
coniugi, di 
comune 
accordo, di 
trasmettere 
ai 
figli, 
al 
momento della nascita, anche 
il 
cognome 
materno, atteso che 
siffatta preclusione 
pregiudica 
il 
diritto all'identit� personale 
del 
minore 
e, al 
contempo, costituisce 
un'irragionevole 
disparit� di 
trattamento tra i 
coniugi, che 
non trova alcuna giustificazione 
nella finalit� di 
salvaguardia dell'unit� familiare. Di 
conseguenza, ai 
sensi 
dell'art. 27 della l. n. 87 del 
1953 
va dichiarata l'illegittimit� costituzionale 
dell'art. 262, comma 1, c.c., nella parte 
in cui 
non 
consente 
ai 
genitori, di 
comune 
accordo, di 
trasmettere 
al 
figlio, al 
momento della nascita, 
anche 
il 
cognome 
materno e 
dell'art. 299, comma 3, c.c., nella parte 
in cui 
non consente 
ai 
coniugi, in caso di 
adozione 
compiuta da entrambi, di 
attribuire, di 
comune 
accordo, anche 
il cognome materno al momento dell'adozione. 


con 
la 
sentenza 
in 
epigrafe 
(1), 
la 
corte 
costituzionale 
ha 
operato 
un 
primo intervento sul 
delicato tema 
dell�attribuzione 
alla 
prole 
anche 
del 
cognome 
materno, al momento della nascita. 

Il 
Giudice 
delle 
leggi, 
preso 
atto 
della 
lacunosit� 
del 
vigente 
sistema 
norma


(*) 
Dottoressa 
in 
Giurisprudenza, 
ammessa 
alla 
pratica 
forense 
presso 
l�Avvocatura 
Generale 
dello 
Stato. 


In tema 
si 
rinvia 
a 
RobeRto 
De 
FelIce, Che 
cosa � 
un nome? Brevi 
appunti 
sul 
diritto al 
nome, in questa 
Rass., p. 229 ss. 


(1) 
http://www.cortecostituzionale.it/actionPronuncia.do, 
pubblicata 
in 
GU 
1a 
Serie 
Speciale 
Corte 
Costituzionale, n. 52 del 28 dicembre 2016. 

RASSeGNA 
AVVocAtURA 
Dello 
StAto - N. 1/2017 


tivo 
in 
subiecta 
materia, 
pi� 
volte 
denunciata 
sia 
in 
sede 
comunitaria 
che 
nazionale 
(infra), 
ha 
iniziato 
a 
muoversi 
in 
direzione 
pi� 
conforme 
ai 
principi 
ivi 
sanciti. 


la 
soluzione 
adottata, invero, nella 
sua 
pur pregevole 
innovazione, non 
ha 
avuto quella 
portata 
dirompente 
che 
avrebbe 
potuto prospettarsi, configurandosi, 
piuttosto, come un �ponte� tra vecchio e, auspicabilmente, nuovo. 


Il 
giudizio a quo. 
Il 
giudizio di 
costituzionalit� 
ha 
preso avvio da 
un�ordinanza 
di remissione emessa dalla corte di 
Appello di Genova (2). 

Nel 
caso 
di 
specie, 
le 
parti 
reclamanti 
-di 
nazionalit� 
brasiliana 
-avevano 
proposto ricorso innanzi 
al 
tribunale 
di 
Genova 
(3), in composizione 
collegiale, 
avverso il 
rifiuto opposto dall�Ufficiale 
dello stato civile 
del 
comune 
di 
Genova 
di 
attribuire 
al 
figlio anche 
il 
cognome 
materno. Il 
tribunale 
rigettava 
il 
gravame 
motivando 
il 
provvedimento 
sull�assunto 
che 
nell�ordinamento 
italiano 
l�attribuzione 
automatica 
del 
cognome 
paterno 
al 
figlio 
legittimo, 
seppur 
non prevista 
da 
alcuna 
specifica 
disposizione 
di 
legge, � 
desunta 
da 
una 
serie 
di 
disposizioni 
regolatrici 
diverse, quali 
gli 
artt. 237, 262 e 
299 cod. civ., 
l�art. 72 del R.D. n. 1238 del 1939 e gli artt. 33 e 34 del d.P.R. 396 del 2000. 


Il 
tribunale 
richiamava 
la 
sentenza 
n. 
61 
del 
2006 
(4) 
con 
la 
quale 
la 
consulta 
aveva 
dichiarato inammissibile 
la 
questione 
di 
legittimit� 
costituzionale 
relativa 
alle 
norme 
predette, 
e 
ribadiva 
che 
la 
richiesta 
avanzata 
dalle 
parti 
non 
sarebbe 
stata 
conforme 
neppure 
alla 
legislazione 
brasiliana, 
nella 
quale 
sarebbe 
stato il cognome paterno a posporsi a quello materno (5). 

Avverso 
il 
provvedimento 
del 
tribunale 
le 
parti 
proponevano 
reclamo, 
contestando tutte 
le 
motivazioni 
addotte 
e 
precisando che 
la 
richiamata 
sentenza 
della 
corte 
costituzionale, pur avendo dichiarato inammissibile 
la 
questione 
di 
costituzionalit�, 
aveva 
qualificato 
l�attuale 
sistema 
di 
attribuzione 
del 
solo cognome 
paterno �un retaggio del 
passato, lesivo dei 
valori 
costituzionali 
dell�uguaglianza tra uomo e donna�. 


(2) ordinanza 
del 
26 novembre 
2013, n. 31, pubblicata 
in G.U 
1a 
Serie 
Speciale 
- Corte 
Costituzionale, 
n. 13 del 19 marzo 2014. 
(3) 
trattasi 
di 
ricorso 
ex 
art. 
95 
del 
d.P.R. 
3 
novembre 
2000, 
n. 
396, 
previsto 
per 
la 
rettificazione 
di 
atti 
dello 
stato 
civile, 
ai 
sensi 
del 
quale, 
�Chi 
intende 
promuovere 
la 
rettificazione 
di 
un 
atto 
dello 
stato 
civile 
o 
la 
ricostituzione 
di 
un 
atto 
distrutto 
o 
smarrito 
o 
la 
formazione 
di 
un 
atto 
omesso 
o 
la 
cancellazione 
di 
un 
atto 
indebitamente 
registrato, 
o 
intende 
opporsi 
a 
un 
rifiuto 
dell'ufficiale 
dello 
stato 
civile 
di 
ricevere 
in 
tutto 
o 
in 
parte 
una 
dichiarazione 
o 
di 
eseguire 
una 
trascrizione, 
una 
annotazione 
o 
altro 
adempimento, 
deve 
proporre 
ricorso 
al 
tribunale 
nel 
cui 
circondario 
si 
trova 
l'ufficio 
dello 
stato 
civile 
presso 
il 
quale 
� 
registrato 
l'atto 
di 
cui 
si 
tratta 
o 
presso 
il 
quale 
si 
chiede 
che 
sia 
eseguito 
l'adempimento. 
Il 
procuratore 
della 
Repubblica 
pu� 
in 
ogni 
tempo 
promuovere 
il 
procedimento 
di 
cui 
al 
comma 
1. 
L'interessato 
pu� 
comunque 
richiedere 
il 
riconoscimento 
del 
diritto 
al 
mantenimento 
del 
cognome 
originariamente 
attribuitogli 
se 
questo 
costituisce 
ormai 
autonomo 
segno 
distintivo 
della 
sua 
identit� 
personale�. 
(4) V. infra 
nota 13. 
(5) 
Il 
sistema 
brasiliano 
di 
trasmissione 
del 
cognome 
trova 
la 
sua 
disciplina 
nella 
Lei 
de 
Registros 
P�blicos, n. 6015 del 
31 dicembre 
1973 e 
ss.mm.ii., in specie, nell�art. 60, secondo cui 
�O 
registro conter� 
o nome do pai ou da m�e, ainda que ileg�timos, quando qualquer deles for o declarante.� 

coNteNzIoSo 
NAzIoNAle 


la 
corte 
di 
Appello, 
recependo 
le 
doglianze 
dei 
reclamanti, 
formulava 
l�ordinanza 
di 
remissione 
al 
Giudice 
delle 
leggi 
(6) sollevando la 
questione 
di 
costituzionalit� 
degli 
artt. 237, 262 e 
299 cod. civ., nonch� 
dell�art. 72 del 


R.D. 
n. 
1238 
del 
1939 
e 
degli 
artt. 
33 
e 
34 
del 
d.P.R. 
396 
del 
2000, 
in 
relazione 
agli artt. 2, 3, 29, comma 2 e 117 della costituzione. 
Il 
remittente 
ribadiva 
che 
l�attribuzione 
automatica 
del 
cognome 
paterno 
al 
figlio, 
pur 
non 
prevista 
da 
una 
norma 
specifica, 
si 
desumeva 
dal 
sistema 
normativo, in quanto presupposta 
dagli 
artt. 237, 262 e 
299 cod. civ., nonch� 
dall�art. 72 del 
R.D. n. 1238 del 
1939 e 
dagli 
artt. 33 e 
34 del 
d.P.R. 396 del 
2000. 
la 
citata 
pronuncia 
della 
corte 
costituzionale 
n. 
61 
del 
2006, 
pur 
avendo 
dichiarato 
inammissibile 
la 
questione 
relativa 
alle 
norme 
predette, 
aveva 
affermato che 
�l�attuale 
sistema 
di 
attribuzione 
del 
cognome 
� 
retaggio 
di 
una 
concezione 
patriarcale 
della 
famiglia, la 
quale 
affonda 
le 
proprie 
radici 
nel 
diritto di 
famiglia 
romanistico, e 
di 
una 
tramontata 
potest� 
maritale, non 
pi� 
coerente 
con 
i 
principi 
dell�ordinamento 
e 
con 
il 
valore 
costituzionale 
dell�uguaglianza 
tra 
uomo e 
donna�. Nel 
caso di 
specie, la 
consulta 
aveva 
ritenuto 
la 
questione 
�esorbitante� 
rispetto alle 
sue 
funzioni, auspicando un intervento 
risolutore del legislatore. 


Si 
riscontrava, 
inoltre, 
una 
reiterata 
violazione 
degli 
obblighi 
derivanti 
dalla 
ratifica 
della 
Convenzione 
sulla eliminazione 
di 
ogni 
forma di 
discriminazione 
nei 
confronti 
della 
donna 
del 
18 
dicembre 
1979, 
resa 
esecutiva 
in 
Italia con la legge 14 marzo 1985, n. 132 (7). 

Il 
giudice 
a 
quo 
richiamava 
le 
due 
sentenze 
n. 
348 
e 
349 
del 
2007 
(8) 
della 
stessa 
corte 
costituzionale, nelle 
quali 
era 
stato affrontato il 
tema 
concernente 
l�obbligo del 
legislatore 
ordinario, in forza 
del 
nuovo art. 117 cost., 
comma 
1, di 
rispettare 
le 
norme 
comunitarie 
di 
natura 
convenzionale, qualificate 
come 
�norme 
interposte�, con conseguente 
violazione 
dell�art. 117 della 
norma 
nazionale 
con 
le 
stesse 
incompatibile. 
Di 
tale 
meccanismo 
non 
avrebbe 
potuto avvalersi 
la 
consulta 
nel 
2006, in quanto la 
possibilit� 
di 
utilizzare 
le 
norme 
convenzionali 
come 
norme 
interposte 
e 
quindi 
come 
parametro di 
costituzionalit� 
della 
norma 
interna 
sull�attribuzione 
automatica 
del 
cognome 
paterno al 
momento della 
nascita, era 
sorta 
solamente 
a 
seguito dell�approvazione 
del 
nuovo 
art. 
117, 
comma 
1, 
e 
della 
citata 
interpretazione 
elaborata 
dalla corte costituzionale. 

(6) V. supra 
nota 2. 
(7) http://www.un.org/womenwatch/daw/cedaw/text/econvention.htm 
in specie, l�art. 16, comma 
1, lettera 
g), ai 
sensi 
del 
quale, �States 
Parties 
shall 
take 
all 
appropriate 
measures 
to eliminate 
discrimination 
against 
women in all 
matters 
relating to marriage 
and family 
relations 
and in particular 
shall 
ensure, on a basis 
of 
equality 
of 
men and women (..). The 
same 
personal 
rights 
as 
husband and wife, including 
the right to choose a family name, a profession and an occupation�. 
(8) Sentenze 
nn. 348 e 
349 del 
24 ottobre 
2007, pubblicate 
in GU 
1a 
Serie 
Speciale 
- Corte 
Costituzionale 
n. 42 del 31 novembre 2007. 

RASSeGNA 
AVVocAtURA 
Dello 
StAto - N. 1/2017 


Il 
remittente 
ribadiva 
che, a 
seguito della 
ratifica 
del 
trattato di 
lisbona 
nel 
2008, si 
era 
aperta 
la 
via 
all�applicazione 
diretta 
delle 
norme 
del 
trattato 
stesso 
e 
al 
controllo 
di 
costituzionalit� 
delle 
norme 
interne 
in 
relazione 
a 
quelle 
comunitarie. Segnatamente, si 
menzionavano gli 
artt. 1-bis 
e 
2, in tema 
di 
parit� 
tra 
donne 
e 
uomini 
e 
di 
promozione 
della 
parit�, l�art. 6 in tema 
di 
riconoscimento 
di 
diritti, 
libert� 
e 
principi 
sanciti 
dalla 
carta 
dei 
diritti 
fondamentali 
dell�Unione, sottoscritta 
a 
Nizza 
il 
7 dicembre 
2000, che 
prevedeva, inoltre, 
l�adesione 
alla 
convenzione 
europea 
per 
la 
salvaguardia 
dei 
diritti 
dell�uomo, 
i 
cui 
diritti 
fondamentali 
costituiscono 
principi 
generali 
del 
diritto 
dell�Unione. 

Alla 
luce 
delle 
considerazioni 
suesposte, 
il 
giudice 
a 
quo 
ribadiva 
il 
palese 
contrasto della 
disciplina 
in tema 
di 
automatica 
attribuzione 
del 
cognome 
paterno 
al 
momento della 
nascita 
con l�art. 2 della 
costituzione, in quanto violazione 
del 
diritto 
all�identit� 
personale, 
che 
trova 
il 
primo 
ed 
immediato 
riscontro nel 
nome 
e 
che 
identifica 
il 
singolo in seno alla 
collettivit�, che 
si 
estrinseca 
nel 
diritto del 
singolo di 
vedersi 
riconosciuti 
i 
segni 
identificativi 
di 
entrambi 
i 
rami 
genitoriali, nonch� 
nel 
diritto della 
madre 
di 
poter trasmettere 
al figlio il proprio cognome. 


In 
secundis, 
si 
riscontrava 
la 
violazione 
dell�art. 
3 
della 
costituzione, 
quale 
diritto 
di 
uguaglianza 
e 
pari 
dignit� 
sociale 
dei 
genitori 
nei 
confronti 
dei 
figli, dell�art. 29, quale 
diritto di 
uguaglianza 
morale 
e 
giuridica 
dei 
coniugi, 
menomato 
innegabilmente 
dall�obbligatoria 
prevalenza 
del 
cognome 
paterno, 
nonch� 
dell�art. 117, comma 
1 - alla 
luce 
dell�interpretazione 
della 
consulta 
nelle 
sentenze 
nn. 
348 
e 
349 
del 
2007 
-, 
avendo 
le 
norme 
convenzionali 
richiamate 
natura 
di 
norme 
interposte 
e 
dunque 
di 
parametro di 
costituzionalit� 
delle norme interne. 


L�oggetto del 
giudizio. 
con la 
sentenza 
in epigrafe 
(9) la 
corte 
costituzionale 
ha 
accolto le 
doglianze 
�limitate� 
del 
giudice 
a quo, pervenendo ad 
una 
declaratoria 
di 
illegittimit� 
costituzionale 
degli 
artt. 
237, 
262 
e 
299 
del 
codice 
civile; 
72, primo comma, del 
regio decreto 9 luglio 1939, n. 1238 (ordinamento 
dello stato civile); 
e 
33 e 
34 del 
d.P.R. 3 novembre 
2000, n. 396 
(Regolamento 
per 
la 
revisione 
e 
la 
semplificazione 
dell�ordinamento 
dello 
stato civile, a 
norma 
dell�articolo 2, comma 
12, della 
l. 15 maggio 1997, n. 
127) nella 
parte 
in cui 
non prevedono la 
possibilit� 
per i 
coniugi, di 
comune 
accordo, di 
attribuire 
alla 
prole 
anche 
il 
cognome 
materno al 
momento della 
nascita, 
recependo, 
infine, 
i 
risalenti 
e 
reiterati 
moniti 
provenienti 
sia 
dalla 
giurisprudenza comunitaria (10), che da quella nazionale. 


(9) V. supra 
nota 1. 
(10) Vengono, inoltre, richiamate 
le 
raccomandazioni 
del 
consiglio d�europa 
28 aprile 
1995, n. 
1271 e 
18 marzo 1998, n. 1362, nonch� 
la 
risoluzione 
27 settembre 
1978, n. 37, relative 
alla 
piena 
realizzazione 
della 
uguaglianza 
tra 
madre 
e 
padre 
nell�attribuzione 
del 
cognome 
dei 
figli, nonch� 
alcune 

coNteNzIoSo 
NAzIoNAle 


l�attribuzione 
ipso jure 
alla 
prole 
del 
cognome 
paterno, � 
una 
regola 
non 
enunciata 
expressis 
verbis 
in alcuna 
disposizione 
legislativa, ma 
espressione 
di 
un principio che, oltre 
ad essere 
saldamente 
penetrato nella 
coscienza 
sociale, 
affonda 
le 
proprie 
radici 
nel 
sistema 
(11), tanto da 
poter agevolmente, 
seppur implicitamente, essere 
colto in numerose 
disposizioni 
legislative 
(12), 
tra cui quelle poste all�esame della consulta. 

I 
precedenti 
costituzionali. 
la 
corte 
richiama 
due 
pregresse 
pronunce 


(13) in cui 
analoga 
questione 
era 
stata 
prospettata 
e, sebbene 
non risolta 
in ragione 
della 
inammissibilit� 
dei 
rispettivi 
ricorsi, 
aveva 
in 
essi 
svolto 
alcune 
considerazioni 
sul 
favor 
verso un criterio di 
attribuzione 
del 
nome 
distintivo 
dei 
membri 
della 
famiglia 
che 
fosse 
pi� rispettoso della 
uguaglianza 
morale 
e 
dell�autonomia dei coniugi. 
Gi� 
nell�ordinanza 
n. 176 del 
1988, la 
corte 
auspicava 
che 
il 
legislatore 
elaborasse 
un 
criterio 
di 
attribuzione 
�originaria� 
del 
cognome 
alla 
nascita 
che 
meglio garantisse 
e 
tutelasse 
il 
dettato dell�art. 29 cost., posto a 
presidio del-
l�uguaglianza 
morale 
e 
giuridica 
dei 
coniugi, affermando che 
�Sarebbe 
possibile, 
e 
probabilmente 
consentaneo 
all'evoluzione 
della 
coscienza 
sociale, 
sostituire 
la regola vigente 
in ordine 
alla determinazione 
del 
nome 
distintivo 
dei 
membri 
della famiglia costituita dal 
matrimonio con un criterio diverso, 
pi� 
rispettoso 
dell'autonomia 
dei 
coniugi, 
il 
quale 
concili 
i 
due 
principi 
sanciti 
dall'art. 
29 
Cost., 
anzich� 
avvalersi 
dell'autorizzazione 
a 
limitare 
l'uno 
in 
funzione 
dell'altro; che, peraltro, siffatta innovazione 
normativa, per 
la quale 
e 
stato presentato gi� nelle 
passate 
legislature 
e 
riproposto in quella in corso 
un disegno di 
legge 
di 
iniziativa parlamentare, e 
una questione 
di 
politica e 
di tecnica legislativa di competenza esclusiva del "conditor iuris" 
(14). 


pronunce 
della 
corte 
europea 
dei 
diritti 
dell�uomo, 
che 
vanno 
nella 
direzione 
della 
eliminazione 
di 
ogni 
discriminazione 
basata 
sul 
genere 
nella 
scelta 
del 
cognome: 
sentenze 
16 
febbraio 
2005, 
Unal 
Tekeli 
contro 
Turchia; 
24 
ottobre 
1994, 
Stjerna 
contro 
Finlandia; 
24 
gennaio 
1994, 
Burghartz 
contro 
Svizzera, 
(vedi 
infra). 


(11) PAcINI, Una consuetudine 
secolare 
da rivedere, in Giur. merito, 1985, 1243 ss., nel 
senso di 
una 
consuetudine 
ormai 
contra legem; 
nello stesso senso, PRoSPeRI, L�eguaglianza morale 
e 
giuridica 
dei 
coniugi 
e 
la trasmissione 
del 
cognome 
ai 
figli, in Rass. dir. civ., 1996, 841 ss. Di 
contro, cARRARo, 
Della filiazione 
naturale 
e 
della legittimazione, sub art. 262, in Commentario al 
diritto italiano della 
famiglia, 
vol. 
IV, 
686, 
rileva 
che 
una 
tale 
�consuetudine� 
sia 
invece 
conforme 
al 
dettato 
dell�art. 
29 
cost. 
(12) Secondo parte 
della 
dottrina, SANtoRo 
PASSARellI, Diritti 
e 
doveri 
dei 
coniugi, in Commentario 
al 
diritto 
italiano 
della 
famiglia, 
a 
cura 
di 
cIAN, 
oPPo, 
tRAbUcchI, 
1992 
la 
regola 
dell�attribuzione 
ipso 
jure 
alla 
prole 
del 
cognome 
paterno 
risponde 
all�esigenza 
di 
assicurare 
l�unit� 
del 
nucleo 
familiare: 
�L�assunzione 
del 
cognome 
dei 
figli 
legittimi 
� 
parsa cos� 
inerente 
al 
principio dell�unit�, che 
non si 
trova disposta testualmente 
nel 
codice�. 
Nello stesso senso, cAttANeo, Il 
cognome 
della moglie 
e 
dei 
figli, in Riv. Dir. Civ. 
1997, 1, pag. 63 e ss. 
(13) corte 
cost. ord. n. 176 dell�11 febbraio 1988, pubblicata 
in GU 
1a 
Serie 
Speciale 
- Corte 
Costituzionale 
n. 8 del 
24 febbraio 1988; 
corte 
cost. sent. n. 61 del 
16 febbraio 2006 pubblicata 
in GU 
1a 
Serie Speciale - Corte Costituzionale 
n. 8 del 22 febbraio 2006. 
(14) Nel 
caso di 
specie, nel 
corso di 
un procedimento di 
rettificazione 
di 
un atto di 
nascita, in

RASSeGNA 
AVVocAtURA 
Dello 
StAto - N. 1/2017 


A 
distanza 
di 
ben diciotto anni, nella 
sentenza 
n. 61 del 
2006, si 
rilevava, 
alla 
luce 
dell�immutato quadro normativo, come 
il 
sistema 
vigente 
costituisse 
ormai 
retaggio di 
una 
concezione 
patriarcale 
della 
famiglia, per nulla 
confacente 
all�evoluzione 
dell�ordinamento 
vigente 
e 
del 
rapporto 
tra 
coniugi 
all�interno 
del 
nucleo 
familiare: 
�Tuttavia, 
l'intervento 
che 
si 
invoca 
con 
la 
ordinanza 
di 
rimessione 
richiede 
una 
operazione 
manipolativa 
esorbitante 
dai 
poteri 
della Corte. Ed infatti, nonostante 
l'attenzione 
prestata dal 
collegio rimettente 
a 
circoscrivere 
il 
petitum, 
limitato 
alla 
richiesta 
di 
esclusione 
del-
l'automatismo 
della 
attribuzione 
al 
figlio 
del 
cognome 
paterno 
nelle 
sole 
ipotesi 
in 
cui 
i 
coniugi 
abbiano 
manifestato 
una 
concorde 
diversa 
volont�, 
viene 
comunque 
lasciata 
aperta 
tutta 
una 
serie 
di 
opzioni, 
che 
vanno 
da 
quella 
di 
rimettere 
la 
scelta 
del 
cognome 
esclusivamente 
a 
detta 
volont� 
-con 
la 
conseguente 
necessit� 
di 
stabilire 
i 
criteri 
cui 
l'ufficiale 
dello 
stato 
civile 
dovrebbe 
attenersi 
in 
caso 
di 
mancato 
accordo 
-ovvero 
di 
consentire 
ai 
coniugi 
che 
abbiano 
raggiunto un accordo di 
derogare 
ad una regola pur 
sempre 
valida, a 
quella di 
richiedere 
che 
la scelta dei 
coniugi 
debba avvenire 
una sola volta, 
con effetto per 
tutti 
i 
figli, ovvero debba essere 
espressa all'atto della nascita 
di 
ciascuno di 
essi. Del 
resto, la stessa eterogeneit� delle 
soluzioni 
offerte 
dai 
diversi 
disegni 
di 
legge 
presentati 
in materia nel 
corso della XIV 
legislatura 
(v., tra gli 
altri, disegno di 
legge 
n. 1739-S., che 
prevede 
che 
ai 
figli 
legittimi 
nati 
in 
costanza 
di 
matrimonio 
sia 
attribuito 
il 
cognome 
di 
entrambi 
i 
genitori, 
e 
che 
sia riportato per 
primo quello del 
padre, ed inoltre 
che 
il 
figlio naturale 
assuma 
il 
doppio 
cognome 
di 
chi 
lo 
ha 
riconosciuto; 
disegno 
di 
legge 
n. 
1454S., 
secondo il 
quale, all'atto della registrazione 
del 
figlio, l'ufficiale 
di 
stato 
civile, sentiti 
i 
genitori, attribuisca al 
neonato il 
cognome 
del 
padre, ovvero 
quello 
della 
madre, 
ovvero 
entrambi 
nell'ordine 
determinato 
di 
comune 
accordo 
tra 
i 
genitori 
stessi, 
e, 
in 
caso 
di 
mancato 
accordo, 
i 
cognomi 
di 
entrambi 
i 
genitori 
in ordine 
alfabetico; disegno di 
legge 
n. 3133-S., che, dopo 
aver 
disposto 
che 
il 
cognome 
parentale 
� 
composto 
dal 
primo 
cognome 
di 
ciascuno 
dei 
genitori, 
prevede, 
quanto 
all'ordine 
dei 
cognomi 
stessi, 
che, 
nel 


staurato dai 
coniugi 
X 
e 
Y 
in conseguenza 
del 
rifiuto opposto dall'ufficiale 
di 
stato civile 
di 
Mezzolombardo 
alla 
loro richiesta 
congiunta 
di 
imporre 
al 
figlio z. entrambi 
i 
loro cognomi, il 
tribunale 
di 
trento, 
con ordinanza 
del 
7 maggio 1987 (ord. n. 311 del 
1987), aveva 
sollevato questione 
di 
legittimit� 
costituzionale 
dell'art. 71 del 
R.D. 9 luglio 1939, n. 1238, dell'art. 72, ultimo comma, del 
R.D. 9 luglio 1939, 


n. 1238 e 
dell'art. 73 del 
R.D. 9 luglio 1939, n. 1238 sull'ordinamento dello stato civile, nella 
parte 
in 
cui 
"non prevedono e 
consentono ai 
genitori 
la 
facolt� 
di 
determinare 
anche 
il 
cognome 
da 
attribuire 
al 
proprio figlio legittimo mediante 
l'imposizione 
di 
entrambi 
i 
loro cognomi, e 
in quanto non prevedono 
il 
diritto di 
quest'ultimo di 
assumere 
anche 
il 
cognome 
materno". Si 
deduceva 
che 
le 
disposizioni 
denunziate, 
in quanto presupponevano una 
norma 
- implicita 
nel 
sistema 
del 
codice 
civile 
- che 
attribuiva 
ai 
figli 
legittimi 
esclusivamente 
il 
cognome 
paterno, erano reputate 
dal 
giudice 
remittente 
in contrasto 
con 
gli 
artt. 
2, 
3, 
29 
e 
30 
Cost., 
perch� 
avrebbero 
violato 
il 
diritto 
del 
figlio 
all'identit� 
personale, 
il 
principio 
di 
uguaglianza 
dei 
cittadini 
in 
generale 
e 
il 
principio 
di 
uguaglianza 
dei 
coniugi 
in 
particolare, 
nonch�, infine, anche 
i 
diritti 
dei 
membri 
della 
famiglia 
legittima 
in rapporto al 
trattamento previsto per 
i figli naturali dall'art. 262, comma secondo, cod. civ. 

coNteNzIoSo 
NAzIoNAle 


corso 
della 
celebrazione 
del 
matrimonio, 
gli 
sposi, 
con 
dichiarazione 
resa 
davanti 
all'ufficiale 
dello 
stato 
civile, 
stabiliscono 
se 
il 
primo 
cognome 
della 
madre 
preceda quello del 
padre 
o viceversa, e 
che, in assenza di 
manifestazioni 
di 
volont�, 
il 
cognome 
parentale 
� 
composto 
dal 
primo 
cognome 
del 
padre 
e 
dal 
primo cognome 
della madre) testimonia la pluralit� delle 
opzioni 
prospettabili, la scelta tra le 
quali 
non pu� che 
essere 
rimessa al 
legislatore. 
Per 
tali 
ragioni, e 
tenuto conto del 
vuoto di 
regole 
che 
determinerebbe 
una 
caducazione 
della disciplina denunciata, non � 
ipotizzabile, come 
adombrato 
nella ordinanza di 
rimessione, nemmeno una pronuncia che, accogliendo la 
questione 
di 
costituzionalit�, demandi 
ad un futuro intervento del 
legislatore 
la successiva regolamentazione organica della materia� 
(15). 


In quella 
sede 
il 
Giudice 
della 
leggi, pur non potendo entrare 
nel 
merito 
della 
questione, in quanto avrebbe 
posto in essere 
un�operazione 
esorbitante 
le 
sue 
funzioni 
che 
avrebbe 
parimenti 
lasciato 
un 
vuoto 
di 
tutela 
colmabile 
unicamente 
dall�attivit� 
normativa, 
assumeva 
indubbiamente 
un 
atteggiamento 
pi� 
critico 
nei 
confronti 
di 
un 
sistema 
che, 
conforme 
all�ideologia 
a 
cui 
era 
ispirato il 
codice 
civile 
nel 
1942, si 
prestava 
ormai 
a 
censure 
di 
anacronismo 
e di non rispondenza all�evoluzione dell�ordinamento. 


Nella 
sentenza 
in commento la 
corte 
redarguisce 
l�operato, anzi 
il 
non 
operato del 
legislatore, evidenziando come, anche 
a 
distanza 
di 
un notevole 
lasso 
temporale, 
alcun 
intervento 
legislativo 
sull�attribuzione 
originaria 
del 
cognome 
al 
momento della 
nascita 
fosse 
stato attuato (16). l�unico risultato 
concreto, rappresentato dalla 
disciplina 
sul 
cambiamento di 
cognome 
- abrogazione 
degli 
artt. 84, 85, 86, 87, 88 del 
d.P.R n. 396 del 
2000 e 
modifica 
del-
l�art. 
89 
ad 
opera 
del 
d.P.R. 
13 
marzo 
2012, 
n. 
54 
-non 
aveva 
attinto 
la 
disciplina 
dell�attribuzione 
originaria 
del 
cognome 
(17), considerato uno dei 


(15) Nel 
caso di 
specie, la 
corte 
di 
cassazione, I Sez. civile, chiamata 
a 
decidere 
sul 
ricorso proposto 
nei 
confronti 
della 
sentenza 
della 
corte 
d'appello 
di 
Milano 
con 
la 
quale 
si 
confermava 
la 
decisione 
del 
tribunale 
di 
Milano di 
rigetto della 
domanda 
dei 
coniugi 
c.A. e 
F.l. diretta 
ad ottenere 
la 
rettificazione 
dell'atto di 
nascita 
della 
propria 
figlia 
minore 
nel 
senso che 
le 
fosse 
imposto il 
cognome 
materno 
in luogo di 
quello paterno, risultante 
dall'atto formato dall'ufficiale 
dello stato civile, in contrasto con la 
volont� 
espressa 
dal 
padre 
al 
momento della 
dichiarazione 
di 
nascita, con ordinanza 
del 
17 luglio 2004, 
aveva 
sollevato, in riferimento agli 
artt. 2, 3 e 
29, secondo comma, della 
costituzione, questione 
di 
legittimit� 
costituzionale 
degli 
artt. 
143-bis, 
236, 
237, 
secondo 
comma, 
262, 
299, 
terzo 
comma, 
del 
codice 
civile, 33 e 
34 del 
d.P.R. 3 novembre 
2000, n. 396 (Regolamento per la 
revisione 
e 
la 
semplificazione 
dell'ordinamento dello stato civile, a 
norma 
dell' 
art. 2, comma 
12, della 
legge 
15 maggio 1997, n. 127), 
nella 
parte 
in 
cui 
prevedono 
che 
il 
figlio 
legittimo 
acquisti 
automaticamente 
il 
cognome 
del 
padre 
anche 
quando vi sia in proposito una diversa volont� dei coniugi, legittimamente manifestata. 
(16) 
Neppure 
il 
decreto 
legislativo 
28 
dicembre 
2013, 
n. 
154 
(Revisione 
delle 
disposizioni 
vigenti 
in 
materia 
di 
filiazione, 
a 
norma 
dell�articolo 
2 
della 
legge 
10 
dicembre 
2012, 
n. 
219), 
con 
cui 
il 
legislatore 
aveva 
posto 
le 
basi 
per 
la 
completa 
equiparazione 
della 
disciplina 
dello 
status 
di 
figlio 
legittimo, 
figlio 
naturale 
e 
figlio 
adottato, 
riconoscendo 
l�unicit� 
dello 
status 
di 
figlio, 
era 
riuscito 
a 
scalfire 
la 
norma 
censurata. 
(17) l�art. 89 del 
d.P.R. n. 396 del 
2000, modificato dall�art. 2, comma 
1, del 
d.P.R. 13 marzo 
2012, n. 54, cos� 
recita: 
�Salvo quanto disposto per 
le 
rettificazioni, chiunque 
vuole 
cambiare 
il 
nome 
o aggiungere 
al 
proprio un altro nome 
ovvero vuole 
cambiare 
il 
cognome, anche 
perch� 
ridicolo o ver

RASSeGNA 
AVVocAtURA 
Dello 
StAto - N. 1/2017 


corollari 
del 
diritto alla 
identit� 
personale 
nonch� 
segno distintivo della 
personalit�, 
tanto del minore, quanto della madre (18). 

La rilevanza costituzionale 
del 
diritto al 
nome. Violazione 
dell�articolo 
2 
Cost. 
Il 
primo 
profilo 
di 
illegittimit� 
costituzionale 
viene 
rinvenuto 
dalla 
consulta 
in una 
totale 
distonia 
delle 
norme 
de 
quibus 
rispetto alla 
piena 
garanzia 
del 
diritto all�identit� 
personale 
(19) come 
aspetto della 
rilevanza 
costituzionale 
che la persona vede garantito dall�art. 2 della costituzione (20). 


gognoso o perch� 
rivela l'origine 
naturale 
o aggiungere 
al 
proprio un altro cognome, deve 
farne 
domanda 
al 
prefetto della provincia del 
luogo di 
residenza o di 
quello nella cui 
circoscrizione 
� 
situato 
l'ufficio dello stato civile 
dove 
si 
trova l'atto di 
nascita al 
quale 
la richiesta si 
riferisce. Nella domanda 
l'istante 
deve 
esporre 
le 
ragioni 
a fondamento della richiesta. 2. Nella domanda si 
deve 
indicare 
la modificazione 
che 
si 
vuole 
apportare 
al 
nome 
o al 
cognome 
oppure 
il 
nome 
o il 
cognome 
che 
si 
intende 
assumere. 
3. 
In 
nessun 
caso 
pu� 
essere 
richiesta 
l'attribuzione 
di 
cognomi 
di 
importanza 
storica 
o 
comunque 
tali 
da indurre 
in errore 
circa l'appartenenza del 
richiedente 
a famiglie 
illustri 
o particolarmente 
note nel luogo in cui si trova l'atto di nascita del richiedente o nel luogo di sua residenza�. 

(18) V. nota 27 
(19) Una 
delle 
prime 
teorie 
dottrinali 
in materia, StolFI, I segni 
di 
distinzione 
personale, 1905, 
85 ss., costruiva 
il 
diritto al 
nome 
secondo lo schema 
del 
diritto di 
propriet� 
(sul 
nome), al 
fine 
di 
affermarne 
l�inviolabilit�, 
inalienabilit� 
e 
imprescrittibilit�. 
Per 
altri, 
SANtoRo 
PASSARellI, 
Dottrine 
generali 
del 
diritto civile, 1977, 50-51, il 
diritto al 
nome 
doveva 
essere 
inquadrato in uno schema 
prettamente 
pubblicistico, al 
fine 
di 
distinguere 
i 
consociati 
l�uno dall�altro, per esigenze 
di 
ordine 
pubblico. la 
dottrina 
dominante 
ha 
da 
tempo 
superato 
sia 
la 
concezione 
del 
dominium, 
che 
quella 
pubblicistica, 
mettendo 
in 
luce 
come 
il 
diritto 
al 
nome 
ex 
art. 
6 
cod. 
civ. 
avesse 
natura 
di 
diritto 
soggettivo 
personale, 
espressivo 
dell�identit� 
personale 
del 
singolo individuo e 
come 
tale 
essenziale, imprescrittibile, irrinunciabile, indisponibile. 
beSSoNe 
e 
FeRRANDo, voce 
Persona fisica (dir. priv.) 
in Enc. dir., XXXIII, 1983, 193-223; 
MAcIoce, Tutela civile 
della persona e 
identit� personale, 1984, 46-51, secondo cui 
�vi 
sono diritti 
a 
struttura complessa, che 
presentano caratteri 
tali 
da sfuggire 
a qualsiasi 
elementare 
classificazione 
in 
termini 
di 
ci� che 
� 
fisico e 
di 
ci� che 
� 
morale. E 
il 
diritto al 
nome 
ne 
costituisce 
un chiaro esempio. 
Esso 
infatti 
designa 
la 
persona 
umana 
nel 
suo 
complesso�. 
De 
cUPIS, 
I 
diritti 
della 
personalit�, 
in 
Tratt. 
Dir. Civ. e 
comm. 
1982, �Il 
nome 
� 
strettamente 
inerente 
alla persona che 
appresenta ed individua in s� 
medesima e 
nelle 
sue 
azioni 
(..) Per 
mezzo di 
quel 
segno distintivo che 
� 
il 
nome, si 
realizza il 
bene 
del-
l�identit�, consistente 
nel 
distinguersi 
nei 
rapporti 
sociali 
dalle 
altre 
persone, risultando per 
chi 
si 
� 
realmente 
(..). 
bIANcA, Diritto civile, 1, La norma giuridica. I soggetti. 
1990, 175, secondo cui 
�Il 
diritto 
al 
nome 
tutela un interesse 
che 
� 
reputato essenziale 
della persona�. 
NIVARRA 
l., RIccIUto 
V. e 
Sco-
GNAMIGlIo 
c., 
Diritto 
privato, 
I 
diritti 
della 
persona, 
in 
Foro 
Italiano, 
�Inteso 
come 
diritto 
della 
persona, 
il 
nome 
non ha pi� finalit� meramente 
identificativa ispirata ad un�elementare 
esigenza di 
ordine 
pubblico: 
esso assume 
la qualit� di 
attributo fondamentale 
del 
soggetto; � 
espressione 
in grado di 
riassumere 
e 
riferire 
qualit� e 
caratteri 
a quel 
determinato soggetto; diviene 
elemento attraverso il 
quale 
il 
singolo pu� agire e distinguersi dalla massa indefinita degli altri consociati�. 
(20) In dottrina 
si 
sono fronteggiati 
due 
opposti 
orientamenti 
sull�oggetto dei 
diritti 
della 
personalit�. 
I fautori 
della 
concezione 
monista, FRANceSchellI, Il 
diritto alla riservatezza, 1960, Napoli, sostengono 
la 
sussistenza 
di 
un unico diritto della 
personalit�, che 
sintetizza 
tutte 
le 
diverse 
forme 
e 
gli 
interessi 
in 
cui 
lo 
stesso 
pu� 
manifestarsi; 
per 
contro, 
i 
sostenitori 
della 
concezione 
pluralista, 
De 
cUPIS, 
I diritti 
della personalit�, in Tratt. Dir. Civ. e 
comm. 
1982, affermano che 
il 
nostro ordinamento tutela 
la 
persona 
nella 
misura 
in 
cui 
sia 
possibile 
determinare 
distinte 
situazioni 
giuridiche 
meritevoli 
di 
tutela, 
ossia 
diversi 
diritti 
della 
personalit�. la 
Suprema 
corte, in un primo tempo oscillante 
tra 
le 
due 
opposte 
teorie, 
ha 
da 
tempo 
aderito 
alla 
tesi 
monista, 
affermando 
in 
cass. 
civ., 
9 
febbraio 
1996, 
n. 
978, 
che 
�L�identit� 
personale 
� 
venuta 
emergendo, 
nella 
pi� 
recente 
elaborazione 
giurisprudenziale, 
come 
bene 


-valore 
costituito dalla proiezione 
sociale 
della personalit� dell'individuo, cui 
si 
correla un interesse 

coNteNzIoSo 
NAzIoNAle 


In 
accordo 
a 
precedenti 
pronunce 
(21), 
la 
corte 
ribadisce 
che 
il 
diritto 
al 
nome, 
al 
quale 
� 
accordata 
una 
valenza 
sia 
privatistica 
-ex 
art. 
6 
cod. 
civ. 
-che 
pubblicistica, 
rappresenta 
una 
delle 
estrinsecazioni 
del 
valore 
dell�identit� 
della 
persona 
(22), 
proiettato, 
in 
subiecta 
materia, 
nell�appartenenza 
del 
singolo 
ad 
un 
gruppo 
familiare. 
orbene, 
i 
criteri 
attributivi 
del 
cognome 
al 
minore 
non 
possono 
non 
influire 
sull�ampiezza 
riconosciuta 
dall�ordinamento 
al 
valore 
de 
quo. 


tale 
legame 
indissolubile, 
invero, 
era 
stato 
riconosciuto 
nella 
sentenza 
n. 
297 del 
1996, ove 
la 
consulta, dichiarando l�illegittimit� 
costituzionale 
del-
l�art. 
262 
cod. 
civ. 
laddove 
non 
prevedeva 
che 
il 
figlio 
naturale, 
nell�assumere 
il 
cognome 
del 
genitore 
che 
lo 
aveva 
riconosciuto, 
potesse 
ottenere 
dal 
giudice 
il 
riconoscimento del 
diritto a 
mantenere, anteponendolo o aggiungendolo, il 
cognome 
precedentemente 
attribuitogli 
con 
atto 
formalmente 
legittimo, 
aveva 
qualificato il 
diritto al 
nome 
come 
�segno distintivo della 
identit� 
personale� 
idoneo a determinare una corrispondenza tra soggetto e nome (23). 

del 
soggetto 
ad 
essere 
rappresentato, 
nella 
vita 
di 
relazione, 
con 
la 
sua 
vera 
identit�, 
a 
non 
vedere 
quindi, all'esterno, modificato, offuscato o comunque 
alterato il 
proprio patrimonio intellettuale, ideologico, 
etico, professionale 
(ecc.) quale 
gi� estrinsecatosi 
o destinato, comunque, ad estrinsecarsi, nel-
l'ambiente 
sociale, 
secondo 
indici 
di 
previsione 
costituiti 
da 
circostanze 
obiettive 
ed 
univoche. 
La 
specificit� di 
tale 
interesse 
("ad essere 
se 
stesso") � 
stata anche 
colta in parallelo od in contrappunto 
ad altri 
interessi 
ad esso contermini 
o collegati 
come 
l'interesse 
ai 
segni 
distintivi 
(nome, pseudonimo), 
che 
identificano 
nell'attuale 
ordinamento 
il 
soggetto 
sul 
piano 
dell'esistenza 
materiale 
e 
della 
condizione 
civile; (..) Quest'ultima puntualizzazione 
che 
presuppone 
l'adesione 
ad una concezione 
"monistica" 
dei 
diritti 
della personalit� (da questa Corte, del 
resto, gi� sostanzialmente 
anticipata nella citata sent. n. 
990 del 
1963) aiuta anche 
a definire, senza perplessit�, in termini 
di 
diritto soggettivo perfetto, la struttura 
della situazione 
soggettiva considerata. E 
consente, nel 
contempo, di 
individuare 
con maggiore 
risolutezza 
(superando 
le 
riserve 
affioranti 
in 
qualche 
tratto 
della 
motivazione 
della 
pure 
gi� 
citata 
sentenza 
n. 
3769 
del 
1985) 
il 
correlativo 
fondamento 
giuridico, 
ancorandolo 
direttamente 
all'art. 
2 
della 
Costituzione 
(Cfr., 
implicitamente 
su 
questa 
linea, 
anche 
Corte 
Cost. 
n. 
13 
del 
1994); 
inteso 
tale 
precetto 
nella 
sua 
pi� 
ampia 
dimensione 
di 
clausola 
generale, 
"aperta" 
all'evoluzione 
dell'ordinamento 
e 
suscettibile, 
per 
ci� appunto, di 
apprestare 
copertura costituzionale 
ai 
nuovi 
valori 
emergenti 
della personalit� 
in 
correlazione 
anche 
all'obiettivo 
primario 
di 
tutela 
del 
"pieno 
sviluppo 
della 
persona 
umana", 
di cui al successivo art. 3 della Costituzione�. 

(21) corte 
cost. n. 297 del 
23 luglio 1996, pubblicata 
in GU 
1a 
Serie 
Speciale 
- Corte 
Costituzionale 
n. 31 del 
31 luglio 1996; 
corte 
cost. 268 del 
24 giugno 2002, pubblicata 
in GU 
1a 
Serie 
Speciale 
- Corte Costituzionale 
n. 26 del 3 luglio 2002. 
(22) Secondo De 
cUPIS, Nome 
e 
cognome, in Noviss. Dig. It., XI, 1965, 300, �il 
nome 
� 
strettamente 
inerente 
alla 
persona 
che 
appresenta 
ed 
individua 
in 
se 
medesima 
e 
nelle 
sue 
azioni 
(..) 
Per 
mezzo 
di 
quel 
segno distintivo che 
� 
il 
nome, si 
realizza il 
bene 
dell�identit�, consistente 
nel 
distinguersi 
nei 
rapporti sociali dalle altre persone, risultando per chi si � realmente (..)�. 
(23) Nel 
caso di 
specie 
con ordinanza 
del 
15 gennaio 1996 il 
tribunale 
di 
Salerno - adito con ricorso 
diretto ad ottenere 
l'accertamento del 
diritto di 
un figlio naturale 
di 
anteporre 
al 
cognome, derivatogli 
dall'(unico) riconoscimento della 
madre 
naturale 
intervenuto oltre 
quaranta 
anni 
dopo il 
parto, il 
precedente 
cognome 
attribuito dall'ufficiale 
di 
stato civile 
- aveva 
sollevato questione 
incidentale 
di 
legittimit� 
costituzionale 
dell'art. 262 del 
codice 
civile 
in riferimento all'art. 2 della 
costituzione, nella 
parte 
in cui 
non prevedeva 
che 
il 
figlio naturale, assumendo il 
cognome 
del 
genitore 
che 
per primo lo 
aveva 
riconosciuto, 
avesse 
diritto 
di 
mantenere 
il 
cognome 
originariamente 
attribuitogli 
ove 
questo 
fosse 
ormai da ritenersi segno distintivo della sua identit� personale. 
In particolare 
il 
tribunale 
rimettente 
osservava 
che, tra 
i 
diritti 
che 
formano il 
patrimonio irretrattabile 

RASSeGNA 
AVVocAtURA 
Dello 
StAto - N. 1/2017 


Analogamente, 
nella 
sentenza 
n. 
268 
del 
2002, 
si 
ribadiva 
che 
�costituisce 
principio 
consolidato 
nella 
giurisprudenza 
di 
questa 
corte 
quello 
per 
cui 
il 
cognome 
� 
una 
"parte 
essenziale 
ed 
irrinunciabile 
della 
personalit�" 
che, 
per 
tale 
ragione, 
gode 
di 
tutela 
di 
rilievo 
costituzionale 
in 
quanto 
"costituisce 
il 
primo 
ed 
immediato 
elemento 
che 
caratterizza 
l'identit� 
personale"; 
esso 
� 
quindi 
riconosciuto 
come 
un 
"bene 
oggetto 
di 
autonomo 
diritto 
dall'art. 
2 
cost." 
e 
costituisce 
oggetto 
di 
un 
"tipico 
diritto 
fondamentale 
della 
persona 
umana" 
-sentenze 


n. 
13 
del 
1994, 
n. 
297 
del 
1996 
e, 
da 
ultimo, 
sentenza 
n. 
120 
del 
2001� 
(24). 
Nel 
caso 
di 
specie, 
la 
corte 
aveva 
ritenuto 
non 
fondata 
la 
questione 
di 
legittimit� 
costituzionale 
dell'art. 
55 
della 
legge 
4 
maggio 
1983, 
n. 
184 
-Disciplina 
dell'adozione 
e 
dell'affidamento 
dei 
minori 
-, 
nella 
parte 
in 
cui, 
rinviando 
all'art. 
299 
del 
codice 
civile 
per 
l'attribuzione 
del 
cognome 
al 
minore 
adottato 
in 
casi 
particolari, 
non 
consentiva 
che 
il 
minore, 
o 
i 
suoi 
legali 
rappresentanti, 
o 
gli 
adottanti 
potessero 
ottenere, 
sempre 
nell'interesse 
del 
minore, 
che 
questi 
mantenesse 
il 
suo 
precedente 
cognome, 
ovvero 
lo 
anteponesse 
o 
lo 
aggiungesse 
a 
quello 
dell'adottante, 
o 
ancora 
sostituisse 
il 
cognome 
dell'adottante 
al 
suo 
(25). 


Si 
riteneva, 
invero, 
che 
si 
trattasse 
di 
una 
disposizione 
rispettosa 
della 
personalit� 
del 
minore 
e 
non 
discriminatoria; 
l'attribuzione 
del 
doppio 
cognome 
era 
idonea 
a 
significare 
l'avvenuto inserimento del 
minore 
nel 
nuovo 
nucleo familiare, senza 
che 
nel 
contempo venisse 
imposta 
la 
perdita 
del 
cognome 
con il 
quale 
egli 
era 
conosciuto nei 
diversi 
ambienti 
che 
frequentava 
e 
dei legami con la famiglia di origine. 

la 
conclusione 
raggiunta 
dalla 
corte 
nella 
sentenza 
in 
commento 
rappre


della 
persona 
umana, l'art. 2 della 
costituzione 
riconosce 
e 
garantisce 
anche 
il 
diritto all'identit� 
personale, 
primo e 
pi� immediato elemento della 
quale 
� 
proprio il 
nome, sicch� 
sussisteva 
un'autonoma 
esigenza 
di 
protezione 
dell'interesse 
alla 
conservazione 
del 
cognome, 
attribuito 
con 
atto 
formalmente 
legittimo, in presenza 
di 
una 
situazione 
nella 
quale 
con quel 
cognome 
la 
persona 
sia 
ormai 
individuata 
e conosciuta nell'ambiente ove vive. 


(24) corte 
cost. n. 13 del 
3 febbraio 1994, pubblicata 
in GU 
1a 
Serie 
Speciale 
- Corte 
Costituzionale 
n. 7 del 
9 febbraio 1994; 
corte 
cost. n. 297 del 
18 luglio 1996, pubblicata 
in GU 
1a 
Serie 
Speciale 
-Corte 
Costituzionale 
n. 31 del 
31 luglio 1996; 
corte 
cost. n. 120 dell�11 maggio 2001, pubblicata 
in 
GU 1a 
Serie Speciale - Corte Costituzionale 
n. 19 del 16 maggio 2001. 
(25) 
Nel 
caso 
di 
specie, 
la 
corte 
d'appello 
di 
torino 
-sezione 
per 
i 
minorenni, 
con 
ordinanza 
emessa 
il 
20 
novembre 
2000, 
ha 
sollevato, 
in 
riferimento 
agli 
artt. 
2, 
3, 
secondo 
comma, 
30, 
terzo 
comma, 
e 
31, 
secondo 
comma, 
della 
costituzione, 
questione 
di 
legittimit� 
costituzionale 
dell'art. 
55 
della 
legge 
4 maggio 1983, n. 184 (Disciplina 
dell'adozione 
e 
dell'affidamento dei 
minori), nella 
parte 
in cui, rinviando all'art. 299 del 
codice 
civile 
per l'attribuzione 
del 
cognome 
al 
minore 
adottato in casi 
particolari, non consente 
che 
il 
minore, o i 
suoi 
legali 
rappresentanti, o gli 
adottanti 
possano ottenere, 
sempre 
nell'interesse 
del 
minore, che 
questi 
mantenga 
il 
suo precedente 
cognome, ovvero lo anteponga 
o lo aggiunga a quello dell'adottante, o ancora sostituisca il cognome dell'adottante al suo. 
la 
corte 
rimettente 
era 
investita 
dell'esame 
di 
un reclamo avverso un provvedimento del 
tribunale 
per 
i 
minorenni 
che 
aveva 
dichiarato inammissibile 
un'istanza 
con la 
quale 
si 
chiedeva 
l'attribuzione 
ad un 
minore, adottato ai 
sensi 
dell'art. 44, lettera 
b), della 
legge 
n. 184 del 
1983, del 
solo cognome 
dell'adottante 
(nella 
fattispecie, il 
coniuge 
della 
madre), con la 
conseguente 
sostituzione 
del 
suo cognome 
originario. 

coNteNzIoSo 
NAzIoNAle 


senta, 
dunque, 
l�esito 
naturale 
di 
un 
processo 
argomentativo 
che 
da 
tempo 
aveva preso piede. 

Ad 
avvalorare 
le 
suesposte 
considerazioni, 
si 
richiama 
la 
recente 
pronuncia 
della 
corte 
europea 
dei 
diritti 
dell�uomo, Cusan 
e 
Fazzo 
contro Italia 
del 
7 gennaio 2014, n. 77/07 (26), in cui, in un caso analogo a 
quello del 
giudizio 
a 
quo, 
l�impossibilit� 
per 
i 
genitori 
di 
attribuire 
al 
figlio, 
alla 
nascita, 
il 
cognome 
della 
madre, mediante 
apposita 
richiesta 
di 
iscrizione 
nei 
registri 
dello 
stato 
civile, 
anzich� 
quello 
del 
padre, 
veniva 
ritenuta 
lesiva 
dell�art. 
14 
in 
combinato 
disposto con l�art. 8 della 
ceDU. la 
corte 
condannava 
e 
ammoniva, 
pertanto, l�ordinamento italiano a 
colmare 
tale 
lacuna 
legislativa 
che, da 
un 
lato impediva 
la 
piena 
ed effettiva 
realizzazione 
del 
diritto del 
figlio ad essere 
identificato, 
sin 
dalla 
nascita, 
attraverso 
l�attribuzione 
del 
cognome 
di 
entrambi 
i 
genitori, e 
dall�altro impediva 
il 
riconoscimento del 
paritario rilievo di 
entrambe 
le 
figure 
genitoriali 
nel 
processo di 
costruzione 
di 
tale 
identit� 
personale. 
Anzi, 
la 
corte 
eDU 
riteneva 
la 
disciplina 
in 
esame 
fortemente 
discriminatoria 
nei 
confronti 
della 
madre, 
alla 
quale 
era 
preclusa 
in 
ogni 
modo, 
anche 
con l�assenso del 
coniuge, la 
possibilit� 
di 
trasmettere 
ab origine 
al 
figlio 
il 
segno distintivo del 
proprio gruppo familiare. Si 
affermava 
che 
�La regola 
secondo 
la 
quale 
i 
�figli 
legittimi� 
si 
vedono 
attribuire 
alla 
nascita 
il 
cognome 
del 
padre 
risulta, 
mediante 
adeguata 
interpretazione, 
dal 
combinato 
disposto di 
un certo numero di 
articoli 
del 
codice 
civile. La legislazione 
interna 
non prevede 
alcuna eccezione 
a tale 
regola. � 
vero, come 
sottolinea il 
Governo, che 
l�articolo 84 del 
decreto del 
Presidente 
della Repubblica n. 396 
del 
2000 
prevede 
la 
possibilit� 
di 
un 
cambiamento 
del 
cognome 
e 
che, 
nel 
caso di 
specie, il 
prefetto di 
Milano ha autorizzato i 
ricorrenti 
a completare 
il 
cognome 
di 
Maddalena 
con 
l�aggiunta 
di 
un 
altro 
cognome 
(quello 
della 
madre). 
Tuttavia, 
occorre 
distinguere 
la 
determinazione 
del 
cognome 
alla 
nascita 
dalla 
possibilit� 
di 
cambiare 
il 
cognome 
nel 
corso 
della 
vita. 
Al 
riguardo, 
la 
Corte 
rinvia 
alle 
considerazioni 
da 
essa 
esposte 
nell�ambito 
dell�eccezione 
del 
Governo relativa alla perdita, da parte 
dei 
ricorrenti, della qualit� di 
vittime. 
Alla luce 
di 
quanto precede, la Corte 
� 
del 
parere 
che, nell�ambito della 
determinazione 
del 
cognome 
da attribuire 
al 
�figlio legittimo�, persone 
che 
si 
trovavano 
in 
situazioni 
simili, 
vale 
a 
dire 
il 
ricorrente 
e 
la 
ricorrente, 
rispettivamente 
padre 
e 
madre 
del 
bambino, siano stati 
trattati 
in maniera diversa. 
Infatti, 
a 
differenza 
del 
padre, 
la 
madre 
non 
ha 
potuto 
ottenere 
l�attribuzione 
del 
suo cognome 
al 
neonato, e 
ci� nonostante 
il 
consenso del 
coniuge� 
(27). 


(26) http://hudoc.echr.coe.int/eng?i=001-122470. 
(27) Nel 
caso di 
specie, i 
ricorrenti 
presentarono dinanzi 
al 
tribunale 
di 
Milano un ricorso contro 
il 
rifiuto dell�ufficiale 
di 
stato civile 
di 
iscrizione 
della 
figlia 
con il 
nome 
della 
madre, sostenendo che 

RASSeGNA 
AVVocAtURA 
Dello 
StAto - N. 1/2017 


non vi 
fosse 
alcuna 
disposizione 
del 
diritto italiano che 
lo impedisse. Il 
tribunale 
di 
Milano respinse 
il 
ricorso dei 
ricorrenti 
osservando che, bench� 
nessuna 
disposizione 
di 
legge 
imponesse 
di 
iscrivere 
un 
figlio 
nato 
da 
una 
coppia 
sposata 
con 
il 
cognome 
del 
padre, 
tale 
regola 
corrispondeva 
a 
un 
principio 
ben 
radicato nella 
coscienza 
sociale 
e 
nella 
storia 
italiana. Il 
tribunale 
riteneva 
inoltre 
superflua 
la 
questione 
dell�esistenza 
o 
meno 
di 
una 
disposizione 
di 
legge 
esplicita, 
osservando 
in 
effetti 
che, 
ai 
sensi 
del 
vecchio 
articolo 144 del 
codice 
civile 
(�il 
cc�), la 
donna 
sposata 
adottava 
il 
cognome 
del 
marito, e 
che 
i 
figli 
potevano essere 
iscritti 
solo con tale 
cognome; 
esso era 
di 
fatto comune 
ai 
coniugi, anche 
se, successivamente, 
l�articolo 143 bis 
del 
cc aveva 
previsto che 
il 
cognome 
del 
marito potesse 
essere 
semplicemente 
aggiunto a 
quello della 
moglie. I ricorrenti 
proposero appello, ma 
la 
corte 
d�appello di 
Milano 
conferm� la 
sentenza 
di 
primo grado osservando che 
la 
corte 
costituzionale 
aveva 
affermato pi� volte 
(ordinanze 
nn. 176 del 
28 gennaio 1988 e 
586 dell�11 maggio 1988) che 
la 
mancata 
previsione 
della 
possibilit�, per la 
madre, di 
trasmettere 
il 
proprio cognome 
ai 
�figli 
legittimi� non violava 
l�articolo 29 
(matrimonio ordinato sull'eguaglianza 
morale 
e 
giuridica 
dei 
coniugi) n� 
l�articolo 3 (eguaglianza 
dei 
cittadini 
davanti 
alla 
legge) della 
costituzione. essa 
osserv� che 
la 
corte 
costituzionale 
aveva 
indicato 
che 
spettava 
al 
legislatore 
decidere 
sull�opportunit� 
di 
introdurre 
un sistema 
diverso di 
attribuzione 
del 
cognome 
e 
che 
almeno sei 
disegni 
o proposte 
di 
legge 
erano all�epoca 
all�esame 
del 
Parlamento. ci� 
dimostrava 
a 
suo avviso che 
la 
regola 
non scritta 
di 
attribuzione 
del 
cognome 
era 
ancora 
in vigore; 
la 
giurisprudenza 
del 
resto non ne 
aveva 
messo in dubbio l�esistenza. I ricorrenti 
presentarono ricorso per 
cassazione, la 
quale, con ordinanza 
del 
26 febbraio 2004, depositata 
in cancelleria 
il 
17 luglio 2004, ritenne 
la 
questione 
incidentale 
della 
legittimit� 
costituzionale 
della 
regola 
che 
attribuisce 
ai 
�figli 
legittimi
� 
il 
cognome 
del 
padre 
rilevante 
e 
non 
manifestamente 
infondata; 
di 
conseguenza, 
sospese 
il 
procedimento e ordin� la trasmissione del fascicolo alla corte costituzionale. 
Nella 
motivazione 
dell�ordinanza, 
la 
corte 
di 
cassazione 
precis� 
che 
la 
regola 
in 
questione 
non 
era 
una 
norma 
consuetudinaria, 
ma 
risultava 
dall�interpretazione 
di 
alcuni 
articoli 
del 
cc. 
con 
sentenza 


(n. 
6) 
del 
16 
febbraio 
2006, 
la 
corte 
costituzionale 
dichiar� 
inammissibile 
la 
questione 
di 
legittimit� 
costituzionale. 
Nella 
motivazione, la 
corte 
costituzionale 
ritenne 
che 
il 
sistema 
in vigore 
di 
attribuzione 
del 
cognome 
fosse 
retaggio 
di 
una 
concezione 
patriarcale 
della 
famiglia 
e 
della 
potest� 
maritale 
che 
affondava 
le 
proprie 
radici 
nel 
diritto 
di 
famiglia 
romanistico 
e 
non 
era 
pi� 
coerente 
con 
il 
valore 
costituzionale 
del-
l�uguaglianza 
tra 
uomo 
e 
donna. 
Inoltre, 
la 
corte 
rilev� 
che 
l�articolo 
16, 
comma 
1, 
lettera 
g), 
della 
convenzione 
sulla 
eliminazione 
di 
ogni 
forma 
di 
discriminazione 
nei 
confronti 
della 
donna 
(ratificata 
con legge 
14 marzo 1985, n. 132) impegnava 
gli 
Stati 
contraenti 
ad adottare 
tutte 
le 
misure 
adeguate 
per eliminare 
la 
discriminazione 
nei 
confronti 
della 
donna 
in tutte 
le 
questioni 
derivanti 
dal 
matrimonio 
e 
nei 
rapporti 
famigliari 
e, in particolare, ad assicurare 
gli 
stessi 
diritti 
personali 
al 
marito e 
alla 
moglie, 
compresa la scelta del cognome. 
essa 
rilev� 
in 
effetti 
che 
veniva 
lasciata 
aperta 
tutta 
una 
serie 
di 
opzioni, 
ossia: 
1) 
se 
la 
scelta 
del 
cognome 
dipendesse 
esclusivamente 
dalla 
volont� 
dei 
coniugi; 
2) se 
ai 
coniugi 
fosse 
consentito derogare 
alla 
regola; 
3) se 
la 
scelta 
dei 
coniugi 
dovesse 
avvenire 
una 
sola 
volta 
con effetto per tutti 
i 
loro figli 
o dovesse 
essere 
espressa 
all'atto della 
nascita 
di 
ciascuno di 
essi. la 
corte 
costituzionale 
osserv� che 
i 
disegni 
di 
legge 
(nn. 
1739-S, 
1454 
S 
e 
3133-S) 
presentati 
nel 
corso 
della 
XIV 
legislatura 
testimoniavano 
la 
pluralit� 
delle 
opzioni 
prospettabili, la 
scelta 
tra 
le 
quali 
non poteva 
che 
essere 
rimessa 
al 
legislatore. Ritenne 
anche 
che 
una 
dichiarazione 
di 
incostituzionalit� 
delle 
disposizioni 
interne 
pertinenti 
avrebbe 
determinato 
un 
vuoto 
giuridico. 
con 
sentenza 
del 
29 
maggio 
2006, 
depositata 
in 
cancelleria 
il 
16 
luglio 
2006, 
la 
corte 
di 
cassazione 
prese 
atto 
della 
decisione 
della 
corte 
costituzionale 
e 
respinse 
il 
ricorso 
dei 
ricorrenti. 
Nella 
motivazione 
essa 
sottoline� che 
la 
norma 
denunciata 
dai 
ricorrenti 
era 
retaggio di 
una 
concezione 
patriarcale 
della 
famiglia 
non in sintonia 
con le 
fonti 
sopranazionali, ma 
che 
spettava 
comunque 
al 
legislatore 
ridisegnarla in senso costituzionalmente adeguato. 
Successivamente 
i 
ricorrenti 
domandarono 
al 
Ministro 
dell�Interno 
di 
essere 
autorizzati 
a 
far 
completare 
il 
cognome 
dei 
loro �figli 
legittimi� aggiungendo il 
cognome 
�cusan�. essi 
spiegavano che 
con ci� desideravano 
permettere 
ai 
figli 
di 
identificarsi 
nel 
patrimonio morale 
del 
loro nonno materno - deceduto 
nel 
2011 - che, secondo loro, era 
stato un filantropo; 
poich� 
il 
fratello della 
ricorrente 
non aveva 
avuto 
discendenti, essi 
precisavano che 
il 
cognome 
�cusan� poteva 
perpetuarsi 
soltanto passando ai 
figli 
di 
Alessandra 
cusan. Il 
prefetto di 
Milano li 
autorizz� al 
cambiamento di 
cognome. Nonostante 
l�assenso 
prefettizio i 
ricorrenti 
hanno deciso di 
proseguire 
il 
loro ricorso dinanzi 
alla 
corte, osservando che 
il 

coNteNzIoSo 
NAzIoNAle 


la 
disciplina 
vigente 
nel 
sistema 
giuridico 
priva, 
dunque, 
il 
minore 
del 
diritto 
ad 
essere 
identificato, 
sin 
dalla 
nascita 
anche 
attraverso 
il 
cognome 
materno, 
a 
nulla 
rilevando, 
proprio 
perch� 
afferente 
ad 
ambiti 
differenti, 
la 
possibilit� 
per 
lo 
stesso 
di 
cambiare 
il 
proprio 
cognome 
durante 
il 
corso 
della 
vita 
(28). 


Violazione 
degli 
artt. 
3 
e 
29 
Cost. 
Accogliendo 
le 
ulteriori 
doglianze 
avanzate 
dal 
giudice 
remittente 
(29), il 
Giudice 
delle 
leggi 
rileva 
come 
il 
criterio 
della 
prevalenza 
del 
cognome 
paterno, 
comporti 
inevitabilmente 
una 
ingiustificata 
violazione 
del 
principio di 
uguaglianza 
dei 
coniugi, non trovando fondamento 
n� 
nell�art. 3 della 
costituzione, n� 
nella 
�finalit� di 
salvaguardia 
dell�unit� familiare�, sancita nell�art. 29. 


Anzi, la 
corte 
evidenzia 
come 
proprio tale 
finalit� 
di 
salvaguardia, sebbene 
possa 
giustificare 
talune 
ipotesi 
di 
disparit� 
di 
trattamento dei 
coniugi, 
non faccia 
che 
essere 
cos� 
ripetutamente 
mortificata 
dalla 
disciplina 
vigente, 
che, 
impedendo 
che 
la 
madre 
possa 
alla 
nascita 
trasmettere 
il 
proprio 
cognome 
al 
figlio, spezza 
quell�unit� 
familiare 
che, sia 
il 
dettato costituzionale, che 
la 
disciplina del codice civile intendono tutelare (30). 

Gi� 
in una 
risalente 
pronuncia 
- corte 
cost. n. 133 del 
1970 (31) - si 
era, 
invero, affermato lo stretto legame 
tra 
uguaglianza 
tra 
i 
coniugi 
e 
unit� 
familiare, 
evidenziando 
come 
la 
prima 
fosse 
posta 
a 
garanzia 
della 
seconda. 
la 


decreto 
del 
Prefetto 
� 
stato 
emesso 
all�esito 
di 
un 
procedimento 
amministrativo, 
e 
non 
giudiziario, 
e 
che 
non sono stati 
autorizzati 
a 
dare 
alla 
loro figlia 
soltanto il 
cognome 
della 
madre, come 
avevano domandato 
al tribunale di Milano. 


(28) 
Dopo 
questa 
condanna 
dell'Italia, 
alla 
camera 
dei 
deputati 
sono 
stati 
presentati 
alcuni 
disegni 
di 
legge 
(A.c. 360 e 
A.c. 1943) tra 
cui 
uno di 
iniziativa 
del 
Governo dell'epoca, firmato dal 
Presidente 
del 
consiglio dei 
Ministri 
e 
dai 
Ministri 
della 
giustizia 
e 
degli 
esteri 
nel 
febbraio 2014 (A.c. 2123 del 
21 febbraio 2014) in materia di cognomi dei figli. 
Al 
termine 
di 
vivaci 
discussioni, 
unificato 
il 
testo 
del 
disegno 
di 
legge, 
la 
camera 
propose 
l'introduzione, 
nel 
vigente 
codice 
civile, dell'art. 144 quater 
in cui 
si 
afferma 
che 
i 
genitori 
coniugati 
possono attribuire 
all'atto 
della 
dichiarazione 
di 
nascita 
il 
cognome 
del 
padre 
o 
quello 
della 
madre 
o 
di 
entrambi 
nell'ordine 
concordato, 
o 
in 
caso 
di 
mancato 
accordo 
in 
ordine 
alfabetico. 
Il 
figlio 
con 
entrambi 
i 
cognomi, 
divenuto 
padre 
pu� 
trasmetterne 
al 
proprio 
figlio 
soltanto 
uno 
a 
sua 
scelta. 
la 
camera 
approv� 
il 
disegno 
di 
legge 
il 
24 settembre 
2014 e 
il 
26 settembre 
2014 lo trasmise 
al 
Senato dove 
divent� il 
D.D.l. S. 1628 e 
si 
aggiunse 
ad 
un 
precedente 
D.D.l. 
n. 
1363 
del 
12 
marzo 
2014 
presentato 
subito 
dopo 
la 
sentenza 
della 
cedu. Purtroppo al 
Senato, come 
si 
evince 
dal 
"fascicolo iter" 
aggiornato al 
19 dicembre 
2016, il 
testo 
� 
fermo da 
oltre 
due 
anni, anche 
se 
la 
commissione 
permanente 
Giustizia 
si 
� 
riunita 
pi� volte 
(maggio, 
giugno, settembre, ottobre e novembre 2016). l'ultima riunione si � tenuta il 2 novembre 2016. 
(29) Nell�ordinanza 
di 
remissione 
della 
corte 
d�Appello di 
Genova, n. 31 del 
2014, si 
affermava 
quanto segue: 
�Tale 
disciplina si 
trova in palese 
contrasto con l�art. 3, come 
violazione 
del 
diritto di 
uguaglianza e 
pari 
dignit� sociale 
dei 
genitori 
nei 
confronti 
dei 
figli, con l�art. 29 comma 2, come 
violazione 
del 
diritto di 
uguaglianza morale 
e 
giuridica dei 
coniugi, che 
non si 
pone 
in contrasto con l�esigenza 
di 
tutela 
dell�unit� 
familiare, 
non 
potendosi 
ragionevolmente 
giustificare 
con 
quest�ultima 
l�obbligatoria prevalenza del cognome paterno�. 
(30) l�art. 143, 1 co., cod. civ. dispone 
che 
�Con il 
matrimonio il 
marito e 
la moglie 
acquistano 
gli stessi diritti e assumono i medesimi doveri�. 
(31) corte 
cost. n. 133 del 
24 giugno 1970, pubblicata 
in GU 
1a 
Serie 
Speciale 
- Corte 
Costituzionale 
n. 177 del 15 luglio 1970. 

RASSeGNA 
AVVocAtURA 
Dello 
StAto - N. 1/2017 


corte 
ritenne 
�che 
siffatta disparit� di 
trattamento non trovi 
giustificazione 
in funzione 
dell'unit� familiare. Si 
pu�, anzi, affermare 
che, quando si 
tratti 
dei 
rapporti 
patrimoniali 
fra 
i 
coniugi, 
� 
proprio 
l'eguaglianza 
che 
garantisce 
quella unit� e, viceversa, � 
la diseguaglianza a metterla in pericolo. Certo �, 
in verit�, che, per 
quanti 
sforzi 
si 
facciano, l'obbligo del 
marito di 
mantenere 
la 
moglie 
se 
questa 
disponga 
di 
mezzi 
sufficienti 
o 
pi� 
che 
sufficienti 
in 
nessun 
modo riesce 
ad apparire 
come 
strumento necessario all'unit� della famiglia: 
la quale, al 
contrario, si 
rafforza nella misura in cui 
i 
reciproci 
rapporti 
fra i 
coniugi sono governati dalla solidariet� e dalla parit�� 
(32). 


le 
parole 
della 
corte 
risultano ancor di 
maggior pregio se 
si 
considera 
che, 
all�epoca 
della 
pronuncia, 
la 
riforma 
del 
diritto 
di 
famiglia 
era 
ancora 
inattuata, 
ma 
desta, 
al 
contrario, 
notevoli 
perplessit� 
la 
circostanza 
per 
la 
quale 
ad oggi, quasi 
50 anni 
dopo, a 
fronte 
di 
una 
superata 
concezione 
patriarcale 
della famiglia e dei rapporti tra coniugi, esse perdurino nella loro attualit�. 

Rilievi 
critici 
e 
problematiche 
aperte. Seppur conclusiva 
della 
sentenza 
in commento, non pu� tralasciarsi 
l�ultima 
incisiva, anzi 
lapidaria, affermazione 
della 
corte 
che, nel 
delimitare 
nuovamente 
la 
quaestio 
affrontata, ribadisce, 
quasi 
ad 
abudantiam, 
che 
la 
dichiarazione 
di 
incostituzionalit� 
delle 
norme 
de 
quibus 
investe 
unicamente 
la 
trasmissibilit� 
anche 
del 
cognome 
materno 
al 
momento della 
nascita 
- le 
modalit� 
attuative 
dovranno, peraltro, essere 
accuratamente 
disciplinate 
-in 
presenza 
di 
accordo 
dei 
genitori: 
in 
assenza 
di 
tale 
comune 
volont� 
residuerebbe, pertanto, la 
generale 
previsione 
dell�attribuzione 
ipso jure 
del 
solo cognome 
paterno, destinata 
a 
disciplinare 
organicamente 
la 
materia 
fino 
a 
quando 
non 
interverr� 
una 
nuova 
regolamentazione 
normativa onnicomprensiva (33). 

(32) Quattro ordinanze 
del 
tribunale 
di 
Udine 
(17 ottobre 
1968), della 
corte 
di 
appello di 
Roma 
(21 dicembre 
1968 e 
8 gennaio 1969) e 
della 
corte 
di 
appello di 
Genova 
(9 gennaio 1969) proponevano 
una 
questione 
di 
legittimit� 
costituzionale 
concernente 
l'art. 156, primo comma, in relazione 
all'art. 145 
del 
codice 
civile, 
nella 
parte 
relativa 
agli 
obblighi 
patrimoniali 
che 
nei 
confronti 
del 
coniuge 
incolpevole 
gravavano sul coniuge per colpa del quale fosse stata pronunziata la separazione personale. 
le 
ordinanze 
mettevano in rilievo che 
dalla 
disposizione 
impugnata 
derivava 
un trattamento pi� sfavorevole 
per il 
marito colpevole 
della 
separazione, tenuto a 
somministrare 
alla 
moglie 
incolpevole 
tutto 
ci� che 
fosse 
necessario ai 
bisogni 
della 
vita 
indipendentemente 
dalle 
condizioni 
economiche 
di 
lei, e 
pi� favorevole 
per la 
moglie 
in colpa, che 
al 
mantenimento del 
marito incolpevole 
era 
tenuta 
solo se 
egli 
non avesse 
mezzi 
sufficienti: 
siffatta 
disparit� 
- concludevano le 
ordinanze 
avrebbe 
violato gli 
artt. 
3 e 
29 della 
costituzione, non essendo possibile 
giustificarla 
in funzione 
di 
quella 
unit� 
della 
famiglia 
che con la separazione era venuta meno. 
(33) critiche 
alla 
pronuncia 
sono svolte 
da 
cASARUbI, �La corte 
costituzionale 
apre 
al 
cognome 
materno, ma restano molte 
questioni 
irrisolte 
(Nota 
a 
corte 
cost., 21 dicembre 
2016, n. 286, M.M., in 
Foro 
it., 
Rep. 
2017, 
secondo 
cui 
�Qual 
� 
il 
cognome 
che, 
su 
accordo 
dei 
coniugi/genitori, 
si 
pu� 
imporre 
al 
figlio? Solo quello della madre, invece 
di 
quello del 
padre, ovvero quello della madre 
in aggiunta a 
quello 
del 
padre, 
ed 
in 
quale 
ordine? 
La 
sentenza 
� 
ambigua, 
richiamando, 
anche 
in 
dispositivo, 
la 
possibilit� 
di 
trasmettere 
�anche� il 
cognome 
materno, parola che 
sembra avere 
il 
valore 
di 
congiunzione. 
Se 
cos� 
fosse, tuttavia, la portata della decisione 
ne 
risulterebbe 
diminuita (non senza profili 
discrimi

coNteNzIoSo 
NAzIoNAle 


Si 
rileva, 
altres�, 
come 
la 
sentenza 
in 
epigrafe 
abbia 
tutt�altro 
che 
recepito 
il 
dictum 
della 
corte 
europea 
del 
2014. Invero, avrebbe 
potuto dichiarare 
incostituzionale 
il 
complesso 
di 
norme 
(34) 
per 
violazione 
dell�art. 
46 
della 
ceDU 
(35) e 
117, 1 co. cost., in forza 
di 
Cusan e 
Fazzo, in cui 
il 
consenso 
del 
coniuge 
� 
un 
obiter 
che 
rafforza 
il 
principio 
di 
diritto 
ivi 
affermato 
che 
non 
lice 
discriminare 
la 
madre 
nella 
trasmissione 
del 
cognome 
(36). 
l�espres


natori), in quanto - a tutto voler 
concedere, e 
sempre 
che 
vi 
sia accordo tra i 
genitori 
- il 
cognome 
materno 
pu� essere 
s� 
imposto, ma mai 
da solo (a differenza di 
quello paterno) e, piuttosto, in aggiunta 
(anticipato o posticipato) all�altro. La motivazione, sul 
punto, non � 
di 
aiuto; nondimeno, ritengo - proprio 
perch� 
la pronuncia si 
fonda sull�eguaglianza dei 
coniugi/genitori 
(art. 3 e 
29 Cost.) - che, in caso 
di 
accordo, pu� scegliersi 
il 
cognome 
materno anche 
in via esclusiva ovvero in aggiunta a quello paterno, 
nell�ordine prescelto dai genitori stessi. 
Quale 
� 
il 
momento in cui 
la scelta del 
cognome 
va effettuata, ovvero oltre 
il 
quale 
non � 
pi� possibile 
(con imposizione, quindi, del 
cognome 
paterno)? Le 
principali 
disposizioni 
di 
riferimento, gli 
art. 29 e 
30 d.p.r. 396/00, sono del 
tutto inadeguate; in particolare, si 
ricordi 
che, alla stregua della seconda, la 
dichiarazione 
di 
nascita, propedeutica alla formazione 
dell�atto di 
nascita, pu� essere 
effettuata anche 
da uno solo dei 
genitori. � 
comunque 
verosimile 
che 
- nel 
termine 
per 
la dichiarazione 
in oggetto (dieci 
giorni 
dalla 
nascita) 
-i 
genitori 
dovranno 
contestualmente 
dichiarare 
all�ufficiale 
di 
stato 
civile 
la 
loro 
concorde 
scelta per 
il 
cognome 
materno (nel 
senso sopra indicato), in deroga al 
criterio legale 
di 
attribuzione 
del 
cognome 
paterno. La scelta dei 
coniugi/genitori 
deve 
avvenire 
una sola volta, con effetto 
per 
tutti 
i 
figli, ovvero deve 
essere 
espressa all�atto della nascita di 
ciascuno di 
essi? Si 
tratta di 
una 
delle 
possibili 
opzioni 
richiamate 
da 
Corte 
cost. 
61/06, 
che, 
infatti 
-a 
fronte 
di 
questa 
e 
di 
altre 
fattispecie 
suscettibili 
di 
soluzioni 
alternative 
-dichiar� 
inammissibile 
il 
medesimo 
incidente 
di 
costituzionalit� 
ora 
accolto. 
La 
sentenza 
in 
rassegna, 
del 
tutto 
incongruamente, 
ha 
evitato 
anche 
solo 
di 
riferirsi 
a 
questa parte, pur 
decisiva, della prima pronuncia�; secondo cARboNe, Per 
la Corte 
Costituzionale 
i 
figli 
possono avere 
anche 
il 
cognome 
materno, se 
i 
genitori 
sono d�accordo, in 
Corriere 
Giur., 
2017, 2, 
165 (nota 
a 
sentenza), in assenza 
di 
comune 
volont� 
dei 
genitori, ma 
volendo ugualmente 
la 
madre 
apporre 
il 
proprio cognome, quid juris? 
�Se 
la decisione 
della Corte 
� 
da accogliere 
positivamente, essa 
per� non risolve 
il 
problema alla radice. Occorre 
perci� che 
il 
legislatore 
si 
decida ed intervenga sia 
per 
dare 
veste 
normativa alla predetta decisione, sia per 
regolare 
i 
casi 
- speriamo sporadici 
o eccezionali 
- nei 
quali 
non sussista l'accordo dei 
coniugi 
e 
la madre 
insista ugualmente 
per 
l'aggiunta del 
proprio 
cognome 
in 
ordine 
alfabetico 
(art. 
143 
quater 
del 
disegno 
di 
legge 
1628 
pendente 
in 
Senato), 
tenendo conto quanto la stessa Corte 
costituzionale 
afferm�, in relazione 
al 
solo patronimico, considerato 
"un retaggio di 
una concezione 
patriarcale 
della famiglia... e 
di 
una tramontata potest� maritale, 
non 
pi� 
coerente 
con 
i 
principi 
dell'ordinamento 
e 
con 
il 
valore 
costituzionale 
dell'eguaglianza 
tra 
uomo 
e donna". 


(34) Per una completa analisi delle stesse si rinvia al successivo articolo di de Felice (infra). 
(35) Ai 
sensi 
dell�art. 46 ceDU, �Le 
Alte 
Parti 
contraenti 
si 
impegnano a conformarsi 
alle 
sentenze 
definitive 
della Corte 
sulle 
controversie 
nelle 
quali 
sono parti. La sentenza definitiva della Corte 
� 
trasmessa al 
Comitato dei 
Ministri 
che 
ne 
controlla l�esecuzione. Se 
il 
Comitato dei 
Ministri 
ritiene 
che 
il 
controllo dell�esecuzione 
di 
una sentenza definitiva sia ostacolato da una difficolt� di 
interpretazione 
di 
tale 
sentenza, esso pu� adire 
la Corte 
affinch� 
questa si 
pronunci 
su tale 
questione 
di 
interpretazione. 
La 
decisione 
di 
adire 
la 
Corte 
� 
presa 
con 
un 
voto 
a 
maggioranza 
dei 
due 
terzi 
dei 
rappresentanti 
che 
hanno 
il 
diritto 
di 
avere 
un 
seggio 
in 
seno 
al 
Comitato. 
Se 
il 
Comitato 
dei 
Ministri 
ritiene 
che 
un�Alta 
Parte 
contraente 
rifiuti 
di 
conformarsi 
a una sentenza definitiva in una controversia cui 
essa � 
parte, 
pu�, dopo aver 
messo in mora tale 
Parte 
e 
con una decisione 
adottata con voto a maggioranza dei 
due 
terzi 
dei 
rappresentanti 
che 
hanno il 
diritto di 
avere 
un seggio in seno al 
Comitato, adire 
la Corte 
sulla 
questione dell�adempimento degli obblighi assunti dalla Parte ai sensi del paragrafo 1�. 
(36) 
A 
seguito 
della 
sentenza 
della 
corte 
eDU 
del 
2009 
Scoppola 
c. 
Italia, 
la 
corte 
costituzionale, 
nella 
sentenza 
n. 210 del 
18 luglio 2013, pubblicata 
in GU 
1a 
Serie 
Speciale 
- corte 
costituzionale 
n. 

RASSeGNA 
AVVocAtURA 
Dello 
StAto - N. 1/2017 


sione 
�nonostante 
il 
consenso del 
coniuge�, veniva 
ivi 
impiegata 
per evidenziare 
l�inadeguatezza 
del 
sistema 
italiano di 
attribuzione 
del 
cognome, lesivo 
dell�uguaglianza 
dei 
genitori, tale 
che, persino in presenza 
di 
una 
concorde 
e 
unanime 
volont� 
degli 
stessi, la 
madre 
non avrebbe 
potuto trasmettere 
il 
proprio 
cognome alla prole (37). 

Per 
contro, 
nel 
sistema 
oggi 
delineato 
dalla 
consulta, 
l�elemento 
del 
consenso 
dei 
genitori 
� 
l�unico espediente, peraltro di 
assai 
difficile 
e 
scarsa 
operativit�, 
in grado di 
adeguare 
il 
sistema 
italiano al 
monito della 
corte 
europea 
(38). con ci� pare 
quasi 
che 
la 
corte, auspicando inoltre 
un rapido intervento 
legislativo 
e 
dichiarando 
assorbita 
la 
questione 
di 
legittimit� 
costituzionale 
relativa 
all�art. 117, comma 
1, cost., abbia 
implicitamente 
ridotto la 
portata 
innovativa 
della 
sua 
pronuncia 
(39), 
estromettendosi 
da 
un�operazione 
manipolativa 
esorbitante 
le 
sue 
funzioni 
nel 
caso di 
specie 
ma 
ammonendo il 
legislatore 
a 
provvedere 
in tempi 
brevi 
per portare 
a 
compimento il 
processo 
innovativo da essa intrapreso (40). 

30 
del 
24 
luglio 
2013, 
affermava 
che, 
�Deve 
rilevarsi 
che 
le 
modalit� 
attraverso 
le 
quali 
lo 
Stato 
membro 
si 
adegua con misure 
strutturali 
alle 
sentenze 
della Corte 
di 
Strasburgo non sempre 
sono puntualmente 
determinate 
nel 
loro 
contenuto 
da 
tali 
pronunce, 
ma 
ben 
possono 
essere 
individuate 
con 
un 
ragionevole 
margine 
di 
apprezzamento. Perci� non � 
necessario che 
le 
sentenze 
della Corte 
EDU 
specifichino le 
�misure 
generali� 
da 
adottare 
per 
ritenere 
che 
esse, 
pur 
discrezionalmente 
configurabili, 
costituiscono 
comunque 
una necessaria conseguenza della violazione 
strutturale 
della CEDU 
da parte 
della legge 
nazionale. Quando ci� accade 
� 
fatto obbligo ai 
poteri 
dello Stato, ciascuno nel 
rigoroso rispetto delle 
proprie attribuzioni, di adoperarsi affinch� gli effetti normativi lesivi della CEDU cessino�. 


(37) Invero, la 
corte 
affermava 
che 
�Alla luce 
di 
quanto precede, la Corte 
� 
del 
parere 
che, nel-
l�ambito della determinazione 
del 
cognome 
da attribuire 
al 
�figlio legittimo�, persone 
che 
si 
trovavano 
in situazioni 
simili, vale 
a dire 
il 
ricorrente 
e 
la ricorrente, rispettivamente 
padre 
e 
madre 
del 
bambino, 
siano stati 
trattati 
in maniera diversa. Infatti, a differenza del 
padre, la madre 
non ha potuto ottenere 
l�attribuzione del suo cognome al neonato, e ci� nonostante il consenso del coniuge�. 
(38) Si 
rileva, altres�, che 
i 
rimedi 
ex 
artt. 144 e 
316, 2 co., cod. civ., fondati 
sull�accordo tra 
i 
genitori, 
sono 
di 
non 
pronta 
spedizione 
e 
incompatibili 
con 
la 
necessit� 
della 
sollecita 
formazione 
dell�atto 
di 
nascita. 
Ibidem 
dicasi 
in 
caso 
di 
accordo 
tra 
i 
genitori 
prima 
della 
nascita, 
in 
quanto 
per 
ogni 
eventuale 
contrasto, gli 
stessi 
saranno obbligati 
ad adire 
ugualmente 
l�autorit� 
giudiziaria, con sensibili 
ripercussioni 
sulla effettivit� della disciplina 
de qua. 
(39) 
Sulla 
ridotta 
portata 
della 
sentenza, 
MAlFAttI, 
Illegittimit� 
dell�automatismo, 
nell�attribuzione 
del 
cognome 
paterno: 
la 
cornice 
giurisprudenziale 
europea 
non 
fa 
il 
quadro, 
in 
Forum 
di 
quaderni 
costituzionali 
-Rassegna,(http://www.forumcostituzionale.it/wordpress/wp-content/uploads/
2016/01/nota_286_2016_malfatti.pdf), secondo la 
quale, �Nella 
sent. 
n. 
286/2016, 
invece, 
lo 
stesso 
assorbimento 
della 
censura 
relativa 
all�art. 
117, 
comma 
1, 
Cost. 
arriva 
un 
po�a 
sorpresa, 
seguendo 
l�andamento 
della 
motivazione 
-la 
Corte 
non 
trova 
di 
meglio 
che 
distinguere 
de 
facto 
la 
richiesta 
portata 
in 
Europa 
(attribuire 
il 
cognome 
materno 
anzich� 
quello 
paterno) 
da 
quella 
che 
ha 
determinato 
la 
nuova 
questione 
di 
costituzionalit� 
(attribuire 
anche 
il 
cognome 
materno) 
-e 
ingenera 
il 
dubbio 
che 
a 
prevalere 
su 
una 
diversa 
linea 
interpretativa 
siano 
stati 
i 
timori 
di 
ridimensionamento 
di 
ruolo 
della 
stessa 
Corte, 
di 
apparire 
all�esterno 
come 
una 
sorta 
di 
semplice 
�terminale 
periferico� 
della 
condanna 
fioccata 
a 
Strasburgo 
(con 
ci� 
sottovalutando 
forse 
l�importanza, 
e 
l�infungibilit�, 
del 
dispositivo 
di 
accoglimento)�. 
(40) Si 
segnala 
la 
circolare 
del 
Ministero dell�Interno - Dipartimento per gli 
affari 
interni 
e 
territoriali 
- n. 1/ 
2017, del 
23 gennaio 2017, recante 
l�invito ai 
Prefetti 
di 
sollecitare 
le 
opportune 
direttive 
agli 
uffici 
di 
stato 
civile 
per 
la 
puntuale 
applicazione 
dei 
principi 
di 
diritto 
affermati 
nella 
sentenza 
della 
corte costituzionale citata (http://servizidemografici.interno.it/it/content/circolare-n-12017). 

coNteNzIoSo 
NAzIoNAle 


Il 
legislatore 
invero, proprio per ottemperare 
alla 
condanna 
europea, potrebbe 
prevedere, come 
nel 
codice 
spagnolo (41), l�attribuzione 
automatica 
di 
due 
cognomi 
e, alla 
nascita 
dei 
figli 
di 
coloro cos� 
nominati, la 
formazione 
di 
un nuovo, doppio cognome, utilizzando solo quello paterno o solo quello materno, 
o l�assoluta 
libert� 
di 
scelta, per ciascuno dei 
figli, della 
formazione 
di 
pi� cognomi o lo stesso per tutti come in Francia (42). 

Va 
indubbiamente 
salutata 
con 
favore 
questa 
prima 
e 
attesa 
recezione 
dei 
moniti 
internazionali, 
comunitari 
e 
nazionali, 
ma 
non 
pu� 
non 
considerarsi 
che 
andr� 
ad attingere 
un marginale, seppur rilevante, aspetto della 
questione. 

Corte 
costituzionale, 
sentenza 
21 
dicembre 
2016 
n. 
286 
-Pres. 
P. 
Grossi, 
Red. 
G. 
Amato 
Giudizio 
di 
legittimit� 
costituzionale 
della 
norma 
desumibile 
dagli 
artt. 
237, 
262 
e 
299 
cod. 
civ., 
72, 
primo 
comma, 
del 
R.D. 
9 
luglio 
1939, 
n. 
1238 
(ordinamento 
dello 
stato 
civile) 
e 
33 
e 
34 
del 
d.P.R. 
3 
novembre 
2000, 
n. 
396 
(Regolamento 
per 
la 
revisione 
e 
la 
semplificazione 
del-
l�ordinamento 
dello 
stato 
civile, 
a 
norma 
dell�articolo 
2, 
comma 
12, 
della 
l. 
15 
maggio 
1997, 


n. 
127), 
promosso 
dalla 
corte 
di 
appello 
di 
Genova 
con 
ordinanza 
del 
28 
novembre 
2013. 
PeRSoNA 
FISIcA 
e 
DIRIttI DellA 
PeRSoNAlIt� 
- DIRItto 
Al 
NoMe 
- FIlIAzIoNe 
- coGNoMe 
- coGNoMe 
PAteRNo 
-AttRIbUzIoNe 
AUtoMAtIcA 
-IMPoSSIbIlIt� 
DI 
tRASMISSIoNe 
Del 
coGNoMe 
MAteRNo 
-VIolAzIoNe 
Del 
DIRItto 
All�IDeNtIt� 
PeRSoNAle 
Del 
FIGlIo 
-VIolAzIoNe 
Del 
DIRItto 
DI 
UGUAGlIANzA 
GIURIDIcA e MoRAle DeI coNIUGI - INcoStItUzIoNAlIt� 


(41) In Spagna, la 
normativa 
sul 
cognome 
dei 
figli 
� 
contenuta 
nell'art. 109 del 
codice 
civile, modificato 
dalla 
legge 
n. 
40 
del 
1999, 
Disposizioni 
di 
dettaglio 
sono 
contenute 
negli 
artt. 
49-57 
della 
legge 
sul 
Registro civile 
del 
2011 (ley 20/2011, de 
21 de 
julio, del 
Registro civil), che 
� 
entrato in vigore 
il 
22 
luglio 
2014, 
abrogando 
la 
precedente 
normativa 
del 
1957. 
Nell�ordinamento 
spagnolo, 
vige 
la 
regola 
del 
"doppio cognome", per cui 
ogni 
individuo porta 
il 
primo cognome 
di 
entrambi 
i 
genitori, nell'ordine 
deciso in accordo tra 
di 
essi. In caso di 
disaccordo, � 
attribuito al 
figlio il 
primo cognome 
del 
padre 
insieme 
al 
primo cognome 
della 
madre. Una 
volta 
maggiorenne, si 
pu� proporre 
istanza 
per invertire 
l'ordine 
dei cognomi. 
(42) 
In 
Francia, 
l�art. 
311-21 
del 
Code 
Civil 
prevede 
che 
nella 
trasmissione 
del 
cognome 
non 
esiste 
pi� distinzione 
tra 
la 
madre 
o il 
padre 
ed il 
figlio pu� ricevere 
il 
cognome 
di 
uno o dell'altro genitore 
o entrambi i cognomi affiancati. 
In 
caso 
di 
riconoscimento 
simultaneo 
del 
figlio, 
l'attribuzione 
viene 
decisa 
di 
comune 
accordo 
dai 
genitori 
che 
possono 
scegliere 
il 
cognome 
di 
uno 
o 
dell'altro 
o 
entrambi 
i 
nomi 
affiancati 
secondo 
l'ordine 
di 
loro 
scelta 
(per 
un 
massimo 
di 
un 
cognome 
per 
genitore). 
I 
genitori 
devono 
presentare 
una 
dichiarazione 
congiunta 
davanti 
all'ufficiale 
di 
stato 
civile. 
In 
assenza 
di 
una 
dichiarazione 
congiunta 
il 
bambino 
prende 
il 
cognome 
del 
padre. 
�Lorsque 
la 
filiation 
d'un 
enfant 
est 
�tablie 
� 
l'�gard 
de 
ses 
deux 
parents 
au 
plus 
tard 
le 
jour 
de 
la 
d�claration 
de 
sa 
naissance 
ou 
par 
la 
suite 
mais 
simultan�ment, 
ces 
derniers 
choisissent 
le 
nom 
de 
famille 
qui 
lui 
est 
d�volu 
: 
soit 
le 
nom 
du 
p�re, 
soit 
le 
nom 
de 
la 
m�re, 
soit 
leurs 
deux 
noms 
accol�s 
dans 
l'ordre 
choisi 
par 
eux 
dans 
la 
limite 
d'un 
nom 
de 
famille 
pour 
chacun 
d'eux. 
En 
l'absence 
de 
d�claration 
conjointe 
� 
l'officier 
de 
l'�tat 
civil 
mentionnant 
le 
choix 
du 
nom 
de 
l'enfant, 
celui-ci 
prend 
le 
nom 
de 
celui 
de 
ses 
parents 
� 
l'�gard 
duquel 
sa 
filiation 
est 
�tablie 
en 
premier 
lieu 
et 
le 
nom 
de 
son 
p�re 
si 
sa 
filiation 
est 
�tablie 
simultan�ment 
� 
l'�gard 
de 
l'un 
et 
de 
l'autre. 
En 
cas 
de 
d�saccord 
entre 
les 
parents, 
signal� 
par 
l'un 
d'eux 
� 
l'officier 
de 
l'�tat 
civil, 
au 
plus 
tard 
au 
jour 
de 
la 
d�claration 
de 
naissance 
ou 
apr�s 
la 
naissance, 
lors 
de 
l'�tablissement 
simultan� 
de 
la 
filiation, 
l'enfant 
prend 
leurs 
deux 
noms, 
dans 
la 
limite 
du 
premier 
nom 
de 
famille 
pour 
chacun 
d'eux, 
accol�s 
selon 
l'ordre 
alphab�tique�. 

RASSeGNA 
AVVocAtURA 
Dello 
StAto - N. 1/2017 


(...) 


Ritenuto in fatto 

1.� con ordinanza 
emessa 
il 
28 novembre 
2013, la 
corte 
d�appello di 
Genova 
ha 
sollevato 
- in riferimento agli 
artt. 2, 3, 29, secondo comma, e 
117, primo comma, della 
costituzione 
questione 
di 
legittimit� 
costituzionale 
della 
norma 
desumibile 
dagli 
artt. 237, 262 e 
299 del 
codice 
civile, 72, primo comma, del 
regio decreto 9 luglio 1939, n. 1238 (ordinamento dello 
stato civile) e 
33 e 
34 del 
d.P.R. 3 novembre 
2000, n. 396 (Regolamento per la 
revisione 
e 
la 
semplificazione 
dell�ordinamento dello stato civile, a 
norma 
dell�articolo 2, comma 
12, della 


l. 
15 
maggio 
1997, 
n. 
127), 
nella 
parte 
in 
cui 
prevede 
�l�automatica 
attribuzione 
del 
cognome 
paterno al figlio legittimo, in presenza di una diversa contraria volont� dei genitori�. 
2.� Il 
giudizio a 
quo ha 
per oggetto il 
reclamo avverso il 
provvedimento del 
tribunale 
ordinario 
di 
Genova 
che 
ha 
respinto 
il 
ricorso 
avverso 
il 
rigetto, 
da 
parte 
dall�ufficiale 
dello 
stato 
civile, 
della 
richiesta 
di 
attribuire 
al 
figlio 
dei 
ricorrenti 
il 
cognome 
materno, 
in 
aggiunta 
a quello paterno. 

la 
corte 
d�appello di 
Genova 
osserva 
che, sebbene 
la 
norma 
sull�automatica 
attribuzione 
del 
cognome 
paterno, anche 
in presenza 
di 
una 
diversa 
volont� 
dei 
genitori, non sia 
prevista 
da 
alcuna 
specifica 
norma 
di 
legge, essa 
� 
desumibile 
dal 
sistema 
normativo, in quanto presupposta 
dagli 
artt. 
237, 
262 
e 
299 
cod. 
civ., 
nonch� 
dall�art. 
72, 
primo 
comma, 
del 
r.d. 
n. 
1238 del 1939, e dagli artt. 33 e 34 del d.P.R. n. 396 del 2000. 

Il 
rimettente 
evidenzia 
che 
molti 
Stati 
europei 
si 
sono gi� 
adeguati 
al 
vincolo posto dalle 
fonti 
convenzionali 
e, 
in 
particolare, 
dall�art. 
16, 
comma 
1, 
lettera 
g), 
della 
convenzione 
sulla 
eliminazione 
di 
ogni 
forma 
di 
discriminazione 
nei 
confronti 
della 
donna, 
adottata 
a 
New 
York 
il 
18 
dicembre 
1979, 
ratificata 
e 
resa 
esecutiva 
con 
legge 
14 
marzo 
1985, 
n. 
132. 
essa 
impegna 
gli 
Stati 
contraenti 
ad adottare 
tutte 
le 
misure 
adeguate 
per eliminare 
tale 
discriminazione 
in 
tutte 
le 
questioni 
derivanti 
dal 
matrimonio e 
nei 
rapporti 
familiari 
e, in particolare, ad assicurare 
�gli stessi diritti personali al marito e alla moglie, compresa la scelta del cognome�. 

Vengono, inoltre, richiamate 
le 
raccomandazioni 
del 
consiglio d�europa 
28 aprile 
1995, 


n. 1271 e 
18 marzo 1998, n. 1362, nonch� 
la 
risoluzione 
27 settembre 
1978, n. 37, relative 
alla 
piena 
realizzazione 
della 
uguaglianza 
tra 
madre 
e 
padre 
nell�attribuzione 
del 
cognome 
dei 
figli, nonch� 
alcune 
pronunce 
della 
corte 
europea 
dei 
diritti 
dell�uomo, che 
vanno nella 
direzione 
della 
eliminazione 
di 
ogni 
discriminazione 
basata 
sul 
genere 
nella 
scelta 
del 
cognome 
(sentenze 
16 
febbraio 
2005, 
Unal 
tekeli 
contro 
turchia; 
24 
ottobre 
1994, 
Stjerna 
contro 
Finlandia; 24 gennaio 1994, burghartz contro Svizzera). 
Viene, 
in 
particolare, 
richiamata 
la 
sentenza 
di 
questa 
corte 
in 
cui 
si 
afferma 
che 
�l�attuale 
sistema 
di 
attribuzione 
del 
cognome 
� 
retaggio 
di 
una 
concezione 
patriarcale 
della 
famiglia, 
la 
quale 
affonda 
le 
proprie 
radici 
nel 
diritto 
di 
famiglia 
romanistico, 
e 
di 
una 
tramontata 
potest� 
maritale, 
non 
pi� 
coerente 
con 
i 
principi 
dell�ordinamento 
e 
con 
il 
valore 
costituzionale 
dell�uguaglianza 
tra 
uomo 
e 
donna� 
(sentenza 
n. 
61 
del 
2006). 
In 
quella 
occasione, 
osserva 
il 
rimettente, 
la 
corte 
costituzionale 
ritenne 
che 
la 
questione 
esorbitasse 
dalle 
proprie 
prerogative, 
in 
quanto 
l�intervento 
invocato 
avrebbe 
comportato 
un�operazione 
manipolativa 
eccedente 
dai 
suoi 
poteri. 


Il 
giudice 
a 
quo evidenzia, tuttavia, la 
necessit� 
di 
una 
rivalutazione 
della 
medesima 
questione, 
alla 
luce 
degli 
argomenti 
sviluppati 
dalla 
corte 
di 
cassazione 
nell�ordinanza 
n. 23934 
del 
22 
settembre 
2008, 
con 
la 
quale 
-ai 
sensi 
dell�art. 
374, 
secondo 
comma, 
del 
codice 
di 
procedura 
civile 
- veniva 
disposta 
la 
trasmissione 
degli 
atti 
al 
Primo Presidente 
ai 
fini 
della 
ri



coNteNzIoSo 
NAzIoNAle 


messione 
alle 
sezioni 
unite, 
per 
valutare 
la 
possibilit� 
di 
un�interpretazione 
costituzionalmente 
orientata delle norme che regolano l�attribuzione del cognome ai figli. 

Il 
rimettente 
ritiene 
che 
la 
distonia 
rispetto ai 
principi 
sanciti 
dall�art. 29 cost., gi� 
rilevata 
nella 
sentenza 
n. 61 del 
2006, imponga 
- alla 
luce 
dei 
due 
eventi 
normativi 
consistenti, da 
un 
lato, nella 
modifica 
dell�art. 117 cost. e, dall�altro, nella 
ratifica 
del 
trattato di 
lisbona 
- la 
riproposizione 
della 
questione 
relativa 
alla 
norma 
implicita 
che 
prevede 
l�automatica 
attribuzione 
del 
cognome 
paterno al 
figlio legittimo, in presenza 
di 
una 
diversa 
volont� 
dei 
genitori. 

tale 
disciplina 
si 
porrebbe 
in 
contrasto, 
in 
primo 
luogo, 
con 
l�art. 
2 
cost., 
per 
la 
violazione 
del 
diritto all�identit� 
personale, che 
trova 
il 
primo ed immediato riscontro proprio nel 
nome 
e 
che, nell�ambito del 
consesso sociale, identifica 
le 
origini 
di 
ogni 
persona. Da 
ci� discenderebbe 
il 
diritto del 
singolo individuo di 
vedersi 
riconoscere 
i 
segni 
di 
identificazione 
di 
entrambi 
i rami genitoriali. 

Viene, 
inoltre, 
denunciata 
la 
violazione 
dell�art. 
3 
e 
dell�art. 
29, 
secondo 
comma, 
cost., 
sotto il 
profilo del 
diritto di 
uguaglianza 
e 
pari 
dignit� 
dei 
genitori 
nei 
confronti 
dei 
figli 
e 
dei 
coniugi 
tra 
di 
loro. D�altra 
parte, ad avviso del 
rimettente, l�esigenza 
di 
tutela 
dell�unit� 
familiare 
non sarebbe idonea a giustificare l�obbligatoria prevalenza del cognome paterno. 

Viene, 
infine, 
denunciata 
la 
violazione 
dell�art. 
117, 
primo 
comma, 
cost., 
�come 
interpretato 
nelle 
sentenze 
n. 
348 
e 
n. 
349 
del 
2007 
della 
corte 
costituzionale 
[�], 
costituendo 
le 
norme 
di 
natura 
convenzionale 
gi� 
citate 
parametri 
del 
giudizio 
di 
costituzionalit� 
delle 
norme 
interne�. 


3.� Nel 
giudizio dinanzi 
alla 
corte 
si 
sono costituite 
le 
parti 
reclamanti 
nel 
giudizio principale, 
chiedendo 
l�accoglimento 
della 
questione 
di 
legittimit� 
costituzionale 
sollevata 
dal 
giudice a quo. 

3.1.� In punto di 
fatto, esse 
evidenziano che 
il 
proprio figlio minore, nato in costanza 
di 
matrimonio, � 
titolare 
di 
doppia 
cittadinanza 
e 
tuttavia 
- per effetto del 
rifiuto opposto dal-
l�ufficiale 
dello stato civile 
di 
procedere 
all�iscrizione 
del 
minore 
con il 
cognome 
di 
entrambi 
i 
genitori 
-egli 
viene 
identificato 
diversamente 
nei 
due 
Stati 
dei 
quali 
� 
cittadino: 
in 
Italia 
con 
il solo cognome del padre ed in brasile con il doppio cognome, paterno e materno. 

Dopo avere 
illustrato l�evoluzione 
normativa 
e 
giurisprudenziale 
successiva 
alla 
sentenza 


n. 61 del 
2006, la 
difesa 
delle 
parti 
ricorrenti 
evidenzia 
che, nelle 
more 
del 
presente 
giudizio, 
la 
corte 
europea 
dei 
diritti 
dell�uomo 
ha 
affermato 
che 
l�impossibilit� 
per 
i 
genitori 
di 
far 
iscrivere 
il 
figlio 
�legittimo� 
nei 
registri 
dello 
stato 
civile 
attribuendogli 
alla 
nascita 
il 
cognome 
della 
madre, anzich� 
quello del 
padre, integra 
violazione 
dell�art. 14 (divieto di 
discriminazione), 
in 
combinato 
disposto 
con 
l�art. 
8 
(diritto 
al 
rispetto 
della 
vita 
privata 
e 
familiare) 
della 
convenzione 
europea 
per 
la 
salvaguardia 
dei 
diritti 
dell�uomo 
e 
delle 
libert� 
fondamentali 
(ceDU), firmata 
a 
Roma 
il 
4 novembre 
1950, ratificata 
e 
resa 
esecutiva 
con la 
legge 
4 agosto 
1955, n. 848, e 
deriva 
da 
una 
lacuna 
del 
sistema 
giuridico italiano, per superare 
la 
quale 
�dovrebbero 
essere 
adottate 
riforme 
nella 
legislazione 
e/o nelle 
prassi 
italiane� (sentenza 
7 gennaio 
2014, cusan e Fazzo contro Italia). 
Ad avviso delle 
parti 
reclamanti, tale 
decisione, vertente 
su un caso sostanzialmente 
identico 
a 
quello 
all�esame 
di 
questa 
corte, 
rafforza 
gli 
argomenti 
a 
sostegno 
della 
fondatezza 
della questione. 

3.2.� 
con 
riferimento 
alla 
denunciata 
violazione 
dell�art. 
2 
cost., 
la 
difesa 
delle 
parti 
private 
richiama 
i 
principi 
affermati 
dalla 
giurisprudenza 
costituzionale 
sul 
diritto 
al 
nome 
come 
segno 
distintivo dell�identit� 
personale, anche 
in riferimento alla 
posizione 
del 
figlio adottivo (sentenze 
n. 268 del 2002; n. 120 del 2001; n. 297 del 1996 e n. 13 del 1994). 

Pur 
riconoscendo 
che 
permangono 
delle 
differenze 
in 
materia 
di 
attribuzione 
del 
co



RASSeGNA 
AVVocAtURA 
Dello 
StAto - N. 1/2017 


gnome 
tra 
la 
posizione 
del 
figlio 
di 
una 
coppia 
non 
unita 
in 
matrimonio 
o 
adottato 
e 
la 
posizione 
del 
figlio 
di 
una 
coppia 
coniugata, 
le 
parti 
ricorrenti 
ritengono 
che 
la 
rigidit� 
della 
norma 
che 
impone 
in 
ogni 
caso 
l�attribuzione 
del 
cognome 
paterno 
sacrifichi 
il 
diritto 
al-
l�identit� 
del 
minore, 
che 
si 
vede 
negata 
la 
possibilit� 
di 
aggiungere 
il 
cognome 
materno, 
qualora 
tale 
scelta 
sia 
espressione 
di 
un�esigenza 
connessa 
all�esercizio 
del 
diritto 
all�identit� 
personale. 


Ad avviso delle 
parti 
private, se 
il 
diritto al 
nome 
e, pi� in particolare, al 
cognome, costituisce 
la 
manifestazione 
esterna 
e 
�tangibile� 
del 
diritto all�identit� 
personale, l�attribuzione 
automatica 
al 
figlio di 
una 
coppia 
coniugata 
del 
solo cognome 
paterno determina 
l�irrimediabile 
compromissione 
di 
tale 
diritto, precludendo al 
singolo individuo di 
essere 
identificato attraverso 
il cognome che meglio corrisponda alla propria identit� personale. 

3.3.� con riferimento alla 
dedotta 
violazione 
dell�art. 3, primo comma, e 
dell�art. 29, secondo 
comma, 
cost., 
sotto 
il 
profilo 
dell�uguaglianza 
e 
pari 
dignit� 
dei 
genitori 
e 
dei 
coniugi, 
vengono richiamate 
le 
pronunce 
con le 
quali, sin dal 
1960, la 
giurisprudenza 
costituzionale 
ha 
affermato l�illegittimit� 
di 
norme 
che 
prevedevano un trattamento irragionevolmente 
differenziato 
dei 
coniugi 
(sentenze 
n. 33 del 
1960; 
n. 126 e 
n. 127 del 
1968; 
n. 147 del 
1969; 
n. 
128 del 
1970; 
n. 87 del 
1975; 
n. 477 del 
1987; 
n. 254 del 
2006; 
in tema 
di 
eguaglianza 
nei 
rapporti 
patrimoniali 
tra 
i 
coniugi, vengono, inoltre, citate 
le 
sentenze 
n. 46 del 
1966; 
n. 133 
del 1970; n. 6 del 1980 e n. 116 del 1990). 

3.4.� Quanto alla 
denunciata 
violazione 
dell�art. 117, primo comma, cost., la 
difesa 
delle 
parti 
private 
richiama 
i 
principi 
affermati 
a 
livello internazionale, e 
recepiti 
dall�ordinamento 
italiano, sulla 
protezione 
dei 
diritti 
del 
fanciullo e 
sulla 
parit� 
di 
genere. Vengono richiamati, 
in 
particolare, 
l�art. 
24 
del 
Patto 
internazionale 
sui 
diritti 
civili 
e 
politici 
(adottato 
dall�Assemblea 
Generale 
delle 
Nazioni 
Unite 
il 
16 
dicembre 
1966, 
entrato 
in 
vigore 
il 
23 
marzo 
1976, 
ratificato e 
reso esecutivo con legge 
25 ottobre 
1977, n. 881); 
l�art. 7 della 
convenzione 
sui 
diritti 
del 
fanciullo 
(fatta 
a 
New 
York 
il 
20 
novembre 
1989, 
ratificata 
e 
resa 
esecutiva 
con 
legge 
27 maggio 1991, n. 176); 
l�art. 16, lettera 
g), della 
convenzione 
sull�eliminazione 
di 
tutte 
le 
forme 
di 
discriminazione 
contro 
le 
donne 
(convention 
on 
the 
elimination 
of 
all 
forms 
of Discrimination Against 
Women - ceDAW), adottata 
il 
18 dicembre 
1979 dall�Assemblea 
generale delle Nazioni Unite, ratificata e resa esecutiva con legge 14 marzo 1985, n. 132. 

Da 
tale 
quadro 
normativo 
emergerebbe 
la 
non 
conformit� 
ai 
principi 
sopra 
richiamati 
della 
norma 
che 
impone 
l�attribuzione 
automatica 
ed esclusiva 
del 
solo cognome 
paterno. essa 
sarebbe 
lesiva 
sia 
dei 
principi 
che 
garantiscono la 
tutela 
del 
diritto al 
nome, sia 
di 
quelli 
in tema 
di 
eguaglianza 
e 
di 
non discriminazione 
tra 
uomo e 
donna 
nella 
trasmissione 
del 
cognome 
al 
figlio, sia esso legittimo o naturale. 

la 
difesa 
delle 
parti 
reclamanti 
evidenzia, in particolare, che 
sebbene 
la 
ceDU 
non contenga 
alcun 
riferimento 
espresso 
al 
diritto 
al 
nome 
del 
singolo 
individuo, 
la 
corte 
di 
Strasburgo, 
in 
molteplici 
pronunce, 
ne 
ha 
ricondotto 
la 
tutela 
entro 
l�ambito 
applicativo 
del 
diritto 
al 
rispetto della 
vita 
privata, sancito dall�art. 8 della 
ceDU. In queste 
decisioni 
la 
corte 
europea 
-pronunciandosi 
su 
casi 
analoghi 
a 
quello 
successivamente 
deciso 
dalla 
citata 
sentenza 
nel 
caso cusan e 
Fazzo - ha 
accertato la 
violazione 
dell�art. 8 ceDU, in combinato disposto 
con l�art. 14, in ragione della disparit� di trattamento fondata sul genere. 

3.5.� le 
parti 
private 
deducono, inoltre, che 
la 
pronuncia 
richiesta 
alla 
corte 
non sarebbe 
tale 
da 
invadere 
la 
sfera 
di 
discrezionalit� 
del 
legislatore, trattandosi, viceversa, di 
un intervento 
costituzionalmente 
imposto, 
limitato 
all�apposizione, 
alla 
norma 
impugnata, 
delle 
�rime 
obbligate�. la 
corte 
potrebbe, infatti, limitarsi 
a 
dichiarare 
l�illegittimit� 
costituzionale 
delle 



coNteNzIoSo 
NAzIoNAle 


norme 
invocate, 
nella 
parte 
in 
cui 
non 
consentono 
ai 
genitori 
di 
scegliere, 
di 
comune 
accordo, 
il cognome da trasmettere ai figli. 

D�altra 
parte, non sarebbe 
ravvisabile 
alcun vuoto normativo derivante 
dall�invocato intervento 
caducatorio. Al 
riguardo, sono richiamate 
le 
pronunce 
che 
affermano che, a 
fronte 
di 
�un vulnus 
costituzionale, non sanabile 
in via 
interpretativa 
- tanto pi� se 
attinente 
a 
diritti 
fondamentali 
-la 
corte 
� 
tenuta 
comunque 
a 
porvi 
rimedio: 
e 
ci�, 
indipendentemente 
dal 
fatto 
che 
la 
lesione 
dipenda 
da 
quello che 
la 
norma 
prevede 
o, al 
contrario, da 
quanto la 
norma 
(o, 
meglio, 
la 
norma 
maggiormente 
pertinente 
alla 
fattispecie 
in 
discussione) 
omette 
di 
prevedere. 
[�] Spetter�, infatti, da 
un lato, ai 
giudici 
comuni 
trarre 
dalla 
decisione 
i 
necessari 
corollari 
sul 
piano 
applicativo, 
avvalendosi 
degli 
strumenti 
ermeneutici 
a 
loro 
disposizione; 
e, 
dall�altro, 
al 
legislatore 
provvedere 
eventualmente 
a 
disciplinare, nel 
modo pi� sollecito e 
opportuno, 
gli 
aspetti 
che 
apparissero 
bisognevoli 
di 
apposita 
regolamentazione� 
(sentenza 
n. 
113 
del 
2011; nello stesso senso, sentenze n. 78 del 1992 e n. 59 del 1958). 

4.� (...) 

5.. l�ordinanza 
di 
rimessione 
� 
stata 
ritualmente 
notificata 
al 
Presidente 
del 
consiglio dei 
ministri, il quale ha omesso di intervenire in giudizio. 

Considerato in diritto 

1.� con ordinanza 
emessa 
il 
28 novembre 
2013, la 
corte 
d�appello di 
Genova 
ha 
sollevato 
- in riferimento agli 
artt. 2, 3, 29, secondo comma, e 
117, primo comma, della 
costituzione 
questione 
di 
legittimit� 
costituzionale 
della 
norma 
desumibile 
dagli 
artt. 237, 262 e 
299 del 
codice 
civile, 72, primo comma, del 
regio decreto 9 luglio 1939, n. 1238 (ordinamento dello 
stato civile) e 
33 e 
34 del 
d.P.R. 3 novembre 
2000, n. 396 (Regolamento per la 
revisione 
e 
la 
semplificazione 
dell�ordinamento dello stato civile, a 
norma 
dell�articolo 2, comma 
12, della 


l. 
15 
maggio 
1997, 
n. 
127), 
nella 
parte 
in 
cui 
prevede 
�l�automatica 
attribuzione 
del 
cognome 
paterno al figlio legittimo, in presenza di una diversa contraria volont� dei genitori�. 
� 
denunciata, 
in 
primo 
luogo, 
la 
violazione 
dell�art. 
2 
cost., 
in 
quanto 
verrebbe 
compresso 
il 
diritto all�identit� 
personale, il 
quale 
comporta 
il 
diritto del 
singolo individuo di 
vedersi 
riconoscere 
i segni di identificazione di entrambi i rami genitoriali. 

Viene, inoltre, evidenziato il 
contrasto con gli 
artt. 3 e 
29, secondo comma, cost., poich� 
sarebbe 
leso il 
diritto di 
uguaglianza 
e 
pari 
dignit� 
dei 
genitori 
nei 
confronti 
dei 
figli 
e 
dei 
coniugi 
tra di loro. 

Viene, 
infine, 
ravvisata 
la 
violazione 
dell�art. 
117, 
primo 
comma, 
cost., 
in 
riferimento 
all�art. 
16, 
comma 
1, 
lettera 
g), 
della 
convenzione 
sulla 
eliminazione 
di 
ogni 
forma 
di 
discriminazione 
nei 
confronti 
della 
donna, 
alle 
raccomandazioni 
del 
consiglio 
d�europa 
28 
aprile 
1995, 
n. 
1271 
e 
18 
marzo 
1998, 
n. 
1362, 
nonch� 
alla 
risoluzione 
27 
settembre 
1978, 
n. 
37, 
relative 
alla 
piena 
realizzazione 
dell�uguaglianza 
dei 
genitori 
nell�attribuzione 
del 
cognome 
dei 
figli. 


2.� (...) 


3.� la questione sollevata in riferimento agli artt. 2, 3 e 29 cost. � fondata. 

3.1.� � 
denunciata 
l�illegittimit� 
costituzionale 
della 
norma 
- desumibile 
dagli 
artt. 237, 
262 e 
299 cod. civ. e 
dagli 
artt. 33 e 
34 del 
d.P.R. n. 396 del 
2000 - che 
prevede 
l�automatica 
attribuzione 
del 
cognome 
paterno al 
figlio nato in costanza 
di 
matrimonio, in presenza 
di 
una 
diversa contraria volont� dei genitori. 

Va 
rilevato, preliminarmente, che 
tra 
le 
disposizioni 
individuate 
dal 
rimettente 
compare, 
altres�, l�art. 72, primo comma, del 
r.d. n. 1238 del 
1939, il 
quale, tuttavia, � 
stato abrogato 
dall�art. 110 del 
d.P.R. n. 396 del 
2000. Dal 
tenore 
complessivo degli 
argomenti 
sviluppati 



RASSeGNA 
AVVocAtURA 
Dello 
StAto - N. 1/2017 


nell�ordinanza 
di 
rinvio 
si 
evince, 
peraltro, 
che 
tale 
disposizione 
rientra 
nel 
fuoco 
delle 
censure 
del 
rimettente 
al 
solo fine 
di 
esplicitare 
la 
norma 
- da 
essa 
presupposta 
- che 
prevede 
l�automatica 
attribuzione del solo cognome paterno. 

l�esistenza 
della 
norma 
censurata 
e 
la 
sua 
perdurante 
immanenza 
nel 
sistema, desumibili 
dalle 
disposizioni 
che 
implicitamente 
la 
presuppongono, � 
stata 
gi� 
riconosciuta 
dalla 
giurisprudenza 
costituzionale, 
nelle 
precedenti 
occasioni 
in 
cui 
ne 
� 
stata 
denunciata 
l�illegittimit� 
(sentenze 
n. 61 del 
2006 e 
n. 176 del 
1988; 
ordinanze 
n. 145 del 
2007 e 
n. 586 del 
1988). In 
queste 
pronunce, 
la 
corte 
ha 
riconosciuto 
l�esistenza 
di 
tale 
norma, 
in 
quanto 
presupposta 
dalle 
medesime 
disposizioni, 
regolatrici 
di 
fattispecie 
diverse, 
individuate 
dall�odierno 
rimettente 
(artt. 237, 262 e 299 cod. civ., nonch� artt. 33 e 34 del d.P.R. n. 396 del 2000). 

Sebbene 
essa 
non abbia 
trovato corpo in una 
disposizione 
espressa, ancora 
una 
volta, non 
vi 
� 
ragione 
di 
dubitare 
dell�attuale 
vigenza 
e 
forza 
imperativa 
della 
norma, in base 
alla 
quale 
il cognome del padre si estende ipso iure al figlio. 

Nello stesso senso si 
� 
espressa 
anche 
la 
giurisprudenza 
di 
legittimit�, sia 
precedente, sia 
successiva 
alle 
richiamate 
pronunce 
di 
questa 
corte, laddove 
ha 
riconosciuto che 
- da 
tali 
pur 
eterogenee 
previsioni 
- si 
desume 
l�esistenza 
di 
una 
norma 
che, sebbene 
non prevista 
testualmente 
nell�ambito di 
alcuna 
disposizione, � 
ugualmente 
presente 
nel 
sistema 
e 
�certamente 
si 
configura 
come 
traduzione 
in 
regola 
dello 
Stato 
di 
un�usanza 
consolidata 
nel 
tempo� 
(cass., 
sez. I, 17 luglio 2004, n. 13298; v. anche cass., sez. I, 22 settembre 2008, n. 23934). 

Nel 
caso in esame, la 
norma 
sull�automatica 
attribuzione 
del 
cognome 
paterno � 
oggetto 
di 
censura 
per la 
sola 
parte 
in cui 
non consente 
ai 
genitori 
- i 
quali 
ne 
facciano concorde 
richiesta 
al momento della nascita - di attribuire al figlio anche il cognome materno. 

3.2.� cos� 
ricostruito l�oggetto della 
presente 
questione, va 
rilevato che 
gi� 
in precedenti 
occasioni 
questa 
corte 
ha 
esaminato la 
disciplina 
della 
prevalenza 
del 
cognome 
paterno, al 
momento della 
sua 
attribuzione 
al 
figlio, ma 
ha 
dichiarato inammissibili 
le 
relative 
questioni, 
ritenendole 
riservate 
alla 
discrezionalit� 
del 
legislatore, 
nell�ambito 
di 
una 
rinnovata 
disciplina. 

tuttavia, gi� 
nell�ordinanza 
n. 176 del 
1988, � 
stato espressamente 
riconosciuto che 
�sarebbe 
possibile, 
e 
probabilmente 
consentaneo 
all�evoluzione 
della 
coscienza 
sociale, 
sostituire 
la 
regola 
vigente 
in ordine 
alla 
determinazione 
del 
nome 
distintivo dei 
membri 
della 
famiglia 
costituita 
dal 
matrimonio con un criterio diverso, pi� rispettoso dell�autonomia 
dei 
coniugi, 
il 
quale 
concilii 
i 
due 
principi 
sanciti 
dall�art. 29 cost., anzich� 
avvalersi 
dell�autorizzazione 
a limitare l�uno in funzione dell�altro� (v. anche ordinanza n. 586 del 1988). 

Diciotto anni 
dopo, con ancora 
maggiore 
fermezza, nella 
sentenza 
n. 61 del 
2006, in considerazione 
dell�immutato 
quadro 
normativo, 
questa 
corte 
ha 
espressamente 
rilevato 
l�incompatibilit� 
della 
norma 
in 
esame 
con 
i 
valori 
costituzionali 
della 
uguaglianza 
morale 
e 
giuridica 
dei 
coniugi. tale 
sistema 
di 
attribuzione 
del 
cognome, infatti, � 
definito come 
il 
�retaggio di 
una 
concezione 
patriarcale 
della 
famiglia, la 
quale 
affonda 
le 
proprie 
radici 
nel 
diritto di 
famiglia 
romanistico, e 
di 
una 
tramontata 
potest� 
maritale, non pi� coerente 
con i 
principi 
del-
l�ordinamento e con il valore costituzionale dell�uguaglianza tra uomo e donna�. 

3.3.� A 
distanza 
di 
molti 
anni 
da 
queste 
pronunce, un �criterio diverso, pi� rispettoso del-
l�autonomia dei coniugi�, non � ancora stato introdotto. 

Neppure 
il 
decreto legislativo 28 dicembre 
2013, n. 154 (Revisione 
delle 
disposizioni 
vigenti 
in materia 
di 
filiazione, a 
norma 
dell�articolo 2 della 
legge 
10 dicembre 
2012, n. 219), 
con 
cui 
il 
legislatore 
ha 
posto 
le 
basi 
per 
la 
completa 
equiparazione 
della 
disciplina 
dello 
status 
di 
figlio 
legittimo, 
figlio 
naturale 
e 
figlio 
adottato, 
riconoscendo 
l�unicit� 
dello 
status 
di 
figlio, 
ha scalfito la norma oggi censurata. 


coNteNzIoSo 
NAzIoNAle 


Pur 
essendo 
stata 
modificata 
la 
disciplina 
del 
cambiamento 
di 
cognome 
-con 
l�abrogazione 
degli 
artt. 84, 85, 86, 87 e 
88 del 
d.P.R. n. 396 del 
2000 e 
l�introduzione 
del 
nuovo testo del-
l�art. 89, ad opera 
del 
d.P.R. 13 marzo 2012, n. 54 (Regolamento per la 
revisione 
e 
la 
semplificazione 
dell�ordinamento 
dello 
stato 
civile, 
a 
norma 
dell�art. 
2, 
comma 
12, 
della 
l. 
15 
maggio 1997, n. 127) - le 
modifiche 
non hanno attinto la 
disciplina 
dell�attribuzione 
�originaria� 
del cognome, effettuata al momento della nascita. 

Va, d�altro canto, rilevata 
un�intensa 
attivit� 
preparatoria 
di 
interventi 
legislativi 
volti 
a 
disciplinare 
secondo nuovi 
criteri 
la 
materia 
dell�attribuzione 
del 
cognome 
ai 
figli. Allo stato, 
tuttavia, essi risultano ancora in itinere. 

Nella 
famiglia 
fondata 
sul 
matrimonio 
rimane 
cos� 
tuttora 
preclusa 
la 
possibilit� 
per 
la 
madre 
di 
attribuire 
al 
figlio, sin dalla 
nascita, il 
proprio cognome, nonch� 
la 
possibilit� 
per il 
figlio di essere identificato, sin dalla nascita, anche con il cognome della madre. 

3.4.� la 
corte 
ritiene 
che 
siffatta 
preclusione 
pregiudichi 
il 
diritto all�identit� 
personale 
del 
minore 
e, al 
contempo, costituisca 
un�irragionevole 
disparit� 
di 
trattamento tra 
i 
coniugi, 
che non trova alcuna giustificazione nella finalit� di salvaguardia dell�unit� familiare. 

3.4.1.� 
Quanto 
al 
primo 
profilo 
di 
illegittimit�, 
va 
rilevato 
che 
la 
distonia 
di 
tale 
norma 
rispetto 
alla 
garanzia 
della 
piena 
realizzazione 
del 
diritto 
all�identit� 
personale, 
avente 
copertura 
costituzionale 
assoluta, 
ai 
sensi 
dell�art. 
2 
cost., 
risulta 
avvalorata 
nell�attuale 
quadro 
ordinamentale. 


Il 
valore 
dell�identit� 
della 
persona, nella 
pienezza 
e 
complessit� 
delle 
sue 
espressioni, e 
la 
consapevolezza 
della 
valenza, pubblicistica 
e 
privatistica, del 
diritto al 
nome, quale 
punto 
di 
emersione 
dell�appartenenza 
del 
singolo 
ad 
un 
gruppo 
familiare, 
portano 
ad 
individuare 
nei 
criteri 
di 
attribuzione 
del 
cognome 
del 
minore 
profili 
determinanti 
della 
sua 
identit� 
personale, 
che si proietta nella sua personalit� sociale, ai sensi dell�art. 2 cost. 

� 
proprio 
in 
tale 
prospettiva 
che 
questa 
corte 
aveva, 
da 
tempo, 
riconosciuto 
il 
diritto 
al 
mantenimento 
dell�originario 
cognome 
del 
figlio, 
anche 
in 
caso 
di 
modificazioni 
del 
suo 
status 
derivanti 
da 
successivo riconoscimento o da 
adozione. tale 
originario cognome 
si 
qualifica, 
infatti, 
come 
autonomo 
segno 
distintivo 
della 
sua 
identit� 
personale 
(sentenza 
n. 
297 
del 
1996), 
nonch� 
�tratto 
essenziale 
della 
sua 
personalit�� 
(sentenza 
n. 
268 
del 
2002; 
nello 
stesso 
senso, 
sentenza n. 120 del 2001). 

Il 
processo di 
valorizzazione 
del 
diritto all�identit� 
personale 
� 
culminato nella 
recente 
affermazione, 
da 
parte 
di 
questa 
corte, del 
diritto del 
figlio a 
conoscere 
le 
proprie 
origini 
e 
ad 
accedere 
alla 
propria 
storia 
parentale, 
quale 
�elemento 
significativo 
nel 
sistema 
costituzionale 
di tutela della persona� (sentenza n. 278 del 2013). 

In questa 
stessa 
cornice 
si 
inserisce 
anche 
la 
giurisprudenza 
della 
corte 
europea 
dei 
diritti 
dell�uomo, che 
ha 
ricondotto il 
diritto al 
nome 
nell�ambito della 
tutela 
offerta 
dall�art. 8 della 
convenzione 
per la 
salvaguardia 
dei 
diritti 
dell�uomo e 
delle 
libert� 
fondamentali 
(ceDU), 
firmata a Roma il 4 novembre 1950 e resa esecutiva con la legge 4 agosto 1955, n. 848. 

In particolare, nella 
sentenza 
cusan Fazzo contro Italia, del 
7 gennaio 2014, successiva 
all�ordinanza 
di 
rimessione 
in esame, la 
corte 
di 
Strasburgo ha 
affermato che 
l�impossibilit� 
per i 
genitori 
di 
attribuire 
al 
figlio, alla 
nascita, il 
cognome 
della 
madre, anzich� 
quello del 
padre, integra 
violazione 
dell�art. 14 (divieto di 
discriminazione), in combinato disposto con 
l�art. 8 (diritto al 
rispetto della 
vita 
privata 
e 
familiare) della 
ceDU, e 
deriva 
da 
una 
lacuna 
del 
sistema 
giuridico italiano, per superare 
la 
quale 
�dovrebbero essere 
adottate 
riforme 
nella 
legislazione 
e/o 
nelle 
prassi 
italiane�. 
la 
corte 
eDU 
ha, 
altres�, 
ritenuto 
che 
tale 
impossibilit� 
non 
sia 
compensata 
dalla 
successiva 
autorizzazione 
amministrativa 
a 
cambiare 
il 
cognome 
dei figli minorenni aggiungendo a quello paterno il cognome della madre. 


RASSeGNA 
AVVocAtURA 
Dello 
StAto - N. 1/2017 


la 
piena 
ed effettiva 
realizzazione 
del 
diritto all�identit� 
personale, che 
nel 
nome 
trova 
il 
suo primo ed immediato riscontro, unitamente 
al 
riconoscimento del 
paritario rilievo di 
entrambe 
le 
figure 
genitoriali 
nel 
processo 
di 
costruzione 
di 
tale 
identit� 
personale, 
impone 
l�affermazione 
del 
diritto 
del 
figlio 
ad 
essere 
identificato, 
sin 
dalla 
nascita, 
attraverso 
l�attribuzione del cognome di entrambi i genitori. 

Viceversa, la 
previsione 
dell�inderogabile 
prevalenza 
del 
cognome 
paterno sacrifica 
il 
diritto 
all�identit� 
del 
minore, negandogli 
la 
possibilit� 
di 
essere 
identificato, sin dalla 
nascita, 
anche con il cognome materno. 

3.4.2.� Quanto al 
concorrente 
profilo di 
illegittimit�, che 
risiede 
nella 
violazione 
del 
principio 
di 
uguaglianza 
dei 
coniugi, va 
rilevato che 
il 
criterio della 
prevalenza 
del 
cognome 
paterno, 
e 
la 
conseguente 
disparit� 
di 
trattamento 
dei 
coniugi, 
non 
trovano 
alcuna 
giustificazione 
n� 
nell�art. 3 cost., n� 
nella 
finalit� 
di 
salvaguardia 
dell�unit� 
familiare, di 
cui 
all�art. 29, secondo 
comma, cost. 

come 
gi� 
osservato da 
questa 
corte 
sin da 
epoca 
risalente, Ǐ 
proprio l�eguaglianza 
che 
garantisce 
quella 
unit� 
e, 
viceversa, 
� 
la 
diseguaglianza 
a 
metterla 
in 
pericolo�, 
poich� 
l�unit� 
�si 
rafforza 
nella 
misura 
in 
cui 
i 
reciproci 
rapporti 
fra 
i 
coniugi 
sono 
governati 
dalla 
solidariet� 
e dalla parit�� (sentenza n. 133 del 1970). 

la 
perdurante 
violazione 
del 
principio 
di 
uguaglianza 
�morale 
e 
giuridica� 
dei 
coniugi, 
realizzata 
attraverso la 
mortificazione 
del 
diritto della 
madre 
a 
che 
il 
figlio acquisti 
anche 
il 
suo 
cognome, 
contraddice, 
ora 
come 
allora, 
quella 
finalit� 
di 
garanzia 
dell�unit� 
familiare, 
individuata 
quale 
ratio 
giustificatrice, 
in 
generale, 
di 
eventuali 
deroghe 
alla 
parit� 
dei 
coniugi, 
ed in particolare, della norma sulla prevalenza del cognome paterno. 

tale 
diversit� 
di 
trattamento dei 
coniugi 
nell�attribuzione 
del 
cognome 
ai 
figli, in quanto 
espressione 
di 
una 
superata 
concezione 
patriarcale 
della 
famiglia 
e 
dei 
rapporti 
fra 
coniugi, 
non 
� 
compatibile 
n� 
con 
il 
principio 
di 
uguaglianza, 
n� 
con 
il 
principio 
della 
loro 
pari 
dignit� 
morale e giuridica. 

4.� con la 
presente 
decisione, questa 
corte 
�, peraltro, chiamata 
a 
risolvere 
la 
questione 
formulata 
dal 
rimettente 
e 
riferita 
alla 
norma 
sull�attribuzione 
del 
cognome 
paterno 
nella 
sola 
parte 
in cui, anche 
in presenza 
di 
una 
diversa 
e 
comune 
volont� 
dei 
coniugi, i 
figli 
acquistano 
automaticamente 
il 
cognome 
del 
padre. 
l�accertamento 
della 
illegittimit� 
�, 
pertanto, 
limitato 
alla 
sola 
parte 
di 
essa 
in 
cui 
non 
consente 
ai 
coniugi, 
di 
comune 
accordo, 
di 
trasmettere 
ai 
figli, al momento della nascita, anche il cognome materno. 

4.1� Rimane assorbita la censura relativa all�art. 117, primo comma, cost. 

5.� Ai 
sensi 
dell�art. 27 della 
legge 
11 marzo 1953, n. 87 (Norme 
sulla 
costituzione 
e 
sul 
funzionamento della 
corte 
costituzionale), la 
dichiarazione 
di 
illegittimit� 
costituzionale 
va 
estesa, 
in 
via 
consequenziale, 
alla 
disposizione 
dell�art. 
262, 
primo 
comma, 
cod. 
civ., 
la 
quale 
contiene 
tuttora 
- con riferimento alla 
fattispecie 
del 
riconoscimento del 
figlio naturale 
effettuato 
contemporaneamente 
da 
entrambi 
i 
genitori 
- una 
norma 
identica 
a 
quella 
dichiarata 
in 
contrasto con la costituzione dalla presente sentenza. 

Anche 
tale 
disposizione 
va, pertanto, dichiarata 
illegittima, nella 
parte 
in cui 
non consente 
ai 
genitori, di 
comune 
accordo, di 
trasmettere 
al 
figlio, al 
momento della 
nascita, anche 
il 
cognome 
materno. 

5.1.� Per le 
medesime 
ragioni, la 
dichiarazione 
di 
illegittimit� 
costituzionale, ai 
sensi 
del-
l�art. 27 della 
legge 
n. 87 del 
1953, va 
estesa, infine, all�art. 299, terzo comma, cod. civ., per 
la 
parte 
in 
cui 
non 
consente 
ai 
coniugi, 
in 
caso 
di 
adozione 
compiuta 
da 
entrambi, 
di 
attribuire, 
di comune accordo, anche il cognome materno al momento dell�adozione. 


coNteNzIoSo 
NAzIoNAle 


6.� Va, infine, rilevato che, in assenza 
dell�accordo dei 
genitori, residua 
la 
generale 
previsione 
dell�attribuzione 
del 
cognome 
paterno, 
in 
attesa 
di 
un 
indifferibile 
intervento 
legislativo, 
destinato a 
disciplinare 
organicamente 
la 
materia, secondo criteri 
finalmente 
consoni 
al 
principio 
di parit�. 

PeR 
QUeStI 
MotIVI 
lA coRte coStItUzIoNAle 


1) dichiara 
l�illegittimit� 
costituzionale 
della 
norma 
desumibile 
dagli 
artt. 237, 262 e 
299 
del 
codice 
civile; 
72, primo comma, del 
regio decreto 9 luglio 1939, n. 1238 (ordinamento 
dello 
stato 
civile); 
e 
33 
e 
34 
del 
d.P.R. 
3 
novembre 
2000, 
n. 
396 
(Regolamento 
per 
la 
revisione 
e 
la 
semplificazione 
dell�ordinamento dello stato civile, a 
norma 
dell�articolo 2, comma 
12, 
della 
l. 15 maggio 1997, n. 127), nella 
parte 
in cui 
non consente 
ai 
coniugi, di 
comune 
accordo, 
di trasmettere ai figli, al momento della nascita, anche il cognome materno; 


2) 
dichiara 
in 
via 
consequenziale, 
ai 
sensi 
dell�art. 
27 
della 
legge 
11 
marzo 
1953, 
n. 
87 
(Norme 
sulla 
costituzione 
e 
sul 
funzionamento 
della 
corte 
costituzionale), 
l�illegittimit� 
costituzionale 
dell�art. 
262, 
primo 
comma, 
cod. 
civ., 
nella 
parte 
in 
cui 
non 
consente 
ai 
genitori, 
di 
comune 
accordo, 
di 
trasmettere 
al 
figlio, 
al 
momento 
della 
nascita, 
anche 
il 
cognome 
materno; 


3) dichiara 
in via 
consequenziale, ai 
sensi 
dell�art. 27 della 
legge 
n. 87 del 
1953, l�illegittimit� 
costituzionale 
dell�art. 299, terzo comma, cod. civ., nella 
parte 
in cui 
non consente 
ai 
coniugi, in caso di 
adozione 
compiuta 
da 
entrambi, di 
attribuire, di 
comune 
accordo, anche 
il 
cognome materno al momento dell�adozione. 

cos� 
deciso in Roma, nella 
sede 
della 
corte 
costituzionale, Palazzo della 
consulta, l�8 novembre 
2016. 



RASSeGNA 
AVVocAtURA 
Dello 
StAto - N. 1/2017 


Sulla qualifica di P.G. per gli operatori 
ARPA: 
considerazioni sulle due recenti pronunce 
della Cassazione e della Corte Costituzionale 


NOTA 
A 
CASSAzIONE 
PENALE, SEz. III, SENTENzA 
28 NOVEMBRE 
2016 N. 50352 
E 
CORTE 
COSTITUzIONALE, SENTENzA 
13 GENNAIO 
2017 N. 8 


Antonio Pugliese* 

la 
corte 
di 
cassazione 
e 
la 
consulta, a 
stretto giro l�una 
dall�altra, tornano ad affrontare 
il 
tema 
della 
qualifica 
attribuibile 
agli 
operatori 
ARPA. 
la 
questione, 
pi� 
volte 
al 
centro 
di 
(anche 
accesi) dibattiti, pare 
aver trovato, per bocca 
delle 
due 
Alte 
corti, una 
soluzione 
che 
ambisce 
ad essere 
definitiva. oltre 
che 
per la 
risoluzione 
offerta 
alla 
singola 
questione, le 
due 
sentenze 
si 
contraddistinguono per l�aver offerto, soprattutto se 
lette 
congiuntamente, degli 
utili 
criteri 
spendibili 
in ogni 
successivo dibattito che 
dovesse 
prender piede 
circa 
l�attribuzione 
di 
qualifica 
e 
di 
funzioni 
di 
Polizia 
giudiziaria. Anche 
per questa 
ragione 
le 
due 
statuizioni 
assumono un sicuro rilievo. 


Premesse. 


le 
sentenze 
in commento affrontano il 
difficile 
tema 
dell�attribuzione 
di 
qualifica 
al 
personale 
ARPA 
nell�esercizio delle 
proprie 
funzioni 
di 
vigilanza. 
Il 
tema, invero, � 
stato a 
lungo vittima 
di 
incertezze 
applicative 
e 
in altre 
circostanze 
la 
giurisprudenza, anche 
di 
recente 
(1), ha 
avuto occasione 
di 
misurarsi 
col tema, s� giungendo, in verit�, a soluzioni spesso discordanti. 


l�incertezza 
applicativa, 
cos� 
come 
rileva 
anche 
la 
corte 
costituzionale 
nella 
sentenza 
in 
commento, 
� 
figlia 
di 
una 
legislazione 
statuale 
confusa 
che, 
prima 
della 
riforma 
(2) 
avvenuta 
per 
il 
tramite 
della 
l. 
n. 
132/2016 
(art. 
14, 
co. 
7), 
ben 
si 
prestava 
a 
differenti 
interpretazioni 
in 
ordine 
all�esistenza 
di 
una 
fonte 
(3) 
che 
giustificasse 
l�attribuzione 
al 
personale 
ARPA 
della 
qualifica 
di 
polizia 
giudiziaria. 


cos�, 
nel 
2012, 
il 
consiglio 
di 
Stato, 
adunanza 
del 
23 
maggio, 
sezione 
seconda 
consultiva, si 
esprimeva 
in termini 
negativi 
in ordine 
alla 
riconduci


(*) 
Dottore 
in 
Giurisprudenza, 
ammesso 
alla 
pratica 
forense 
presso 
l�Avvocatura 
distrettuale 
dello 
Stato 
di bologna. 


(1) Per ultimo, in ordine 
di 
tempo, corte 
cass. pen., sez. 3, 3-28 novembre 
2016, n. 50352. Sulla 
questione 
era 
gi� 
intervenuto il 
consiglio di 
Stato, sezione 
seconda 
consultiva, il 
23 maggio del 
2012. 
Su queste ultime due pronunce torneremo in corso trattazione. 
(2) l� 
art. 14, rubricato �Disposizioni 
sul 
personale 
ispettivo�, al 
suo co. 7, della 
l. n. 132/2016, 
afferma 
�Il 
presidente 
dell'ISPRA 
e 
i 
legali 
rappresentanti 
delle 
agenzie 
possono 
individuare 
e 
nominare, 
tra il 
personale 
di 
cui 
al 
presente 
articolo, i 
dipendenti 
che, nell'esercizio delle 
loro funzioni, operano 
con la qualifica di 
ufficiale 
di 
polizia giudiziaria. A 
tale 
personale 
sono garantite 
adeguata assistenza 
legale e copertura assicurativa a carico dell'ente di appartenenza�. 
(3) come si dir� a breve, statale. 

coNteNzIoSo 
NAzIoNAle 


bilit� 
al 
detto 
personale 
della 
qualifica 
in 
discussione, 
mentre, 
molto 
pi� 
di 
recente, 
la 
cassazione 
(4) 
si 
� 
espressa 
in 
maniera 
diametralmente 
opposta: 
� 
riuscita 
a 
ricondurre 
la 
qualifica 
agli 
operatori 
ARPA. Su queste 
ultime 
pronunce 
si 
torner� 
a 
breve 
ma 
� 
parso opportuno farne 
immediato accenno, a 
riprova 
delle difficolt� interpretative. 


Prima 
di 
procedere, 
invece, 
par 
bene 
ripercorrere, 
seppur 
brevemente, 
le 
ragioni 
che 
si 
pongono 
alla 
base 
del 
presente 
giudizio 
di 
legittimit� 
costituzionale. 


la 
legge 
regionale 
della 
basilicata 
n. 37 del 
2015, contenente 
norme 
per 
la 
disciplina 
dell�Agenzia 
regionale 
per la 
protezione 
ambientale 
della 
basilicata 
(d�ora 
innanzi, 
ARPAb), 
stabiliva, 
al 
suo 
art. 
31 
co. 
4, 
che 
�nell�esercizio 
delle 
funzioni 
di 
vigilanza 
tale 
personale 
[ARPAb] riveste 
anche 
la 
qualifica 
di ufficiale o agente di polizia giudiziaria�. 


la 
censura 
di 
ordine 
costituzionale 
mossa 
dal 
Presidente 
del 
consiglio 
dei 
Ministri 
riguarda 
lo 
sconfinamento, 
ad 
opera 
di 
detta 
legge, 
in 
una 
materia 
riservata 
allo 
Stato 
a 
norma 
dell�art. 
117 
cost. 
Per 
essere 
pi� 
precisi, 
l�art. 
117, 
secondo 
comma, 
lettera 
l), 
riserva 
alla 
potest� 
legislativa 
esclusiva 
dello 
Stato 
ci� che 
ricade 
nella 
�giurisdizione 
e 
norme 
processuali; 
ordinamento civile 
e 
penale (...)�. 


Preannunciando, in parte, le 
finali 
determinazioni 
della 
consulta, solo si 
noti 
che, al 
di 
l� 
del 
singolo caso, ed anche 
oltre 
lo stretto conflitto d�attribuzione, 
il 
quesito posto ai 
giudici, in realt�, sconfina 
in un ambito, ci 
sia 
consentito 
dire, pi� delicato ancora: 
quello del 
rispetto dei 
principi 
fondamentali 
dei 
singoli 
e 
delle 
garanzie, anche 
di 
ordine 
processuale, che 
debbono essere 
riconosciute. 


la 
questione 
sar� 
oggetto di 
successive 
riflessione 
ma, sin d�ora, si 
osservi 
solo che 
il 
dibattito attorno all�attribuzione 
di 
qualifica 
di 
polizia 
giudiziaria 
inevitabilmente 
si 
riflette 
sui 
diritti 
dei 
singoli. 
In 
merito 
a 
ci�, 
si 
rammenti, inoltre, come 
l�Amministrazione, in virt� dei 
poteri 
di 
cui 
dispone 
e 
degli 
ambiti 
in cui 
� 
chiamata 
ad operare, pu�, delle 
volte, assumere 
iniziative 
che 
finiscono per collocarsi 
tra 
l�istruttoria 
amministrativa 
e 
le 
indagini 
penali, una 
sorta 
di 
terra di 
mezzo 
(5). Intuitivi 
i 
rischi: 
le 
attivit� 
poste 
in essere 
dall�Amministrazione 
potrebbero far gola 
agli 
organi 
d�Accusa. In quest�ottica, 
possedere 
o 
meno 
poteri 
di 
p.g. 
finisce 
per 
rilevare 
in 
ordine 
all�incisivit� 
degli 
atti 
che 
questi 
soggetti 
possono porre 
in essere: 
pi� incisivi 
se 
potessero godere 
della 
qualifica 
di 
cui 
si 
discute, il 
che, ovviamente, non � 
vietato; purch� sia chiaro. 


Quanto 
detto 
vale, 
per 
quanto 
qui 
interessa, 
per 
il 
settore 
ambientale, 
ove, 
di 
frequente, 
la 
P.A. 
� 
chiamata 
ad 
effettuare 
attivit� 
istruttorie 
che, 
delle 
volte, 


(4) Supra, v. nota �1�. 
(5) In questo senso si 
pu� fare 
riferimento agli 
atti 
a 
finalit� 
c.d. mista, ossia 
quegli 
atti 
posti 
in 
essere dall�amministrazione ed in grado di recare conoscenze spendibili anche in campo penale. 

RASSeGNA 
AVVocAtURA 
Dello 
StAto - N. 1/2017 


rischiano di 
essere 
particolarmente 
incisive 
e, perch� 
no (?), anche 
dal 
contenuto, 
come si diceva, spendibile in sede penale (6). 


D�altronde 
questa 
preoccupazione 
risulta 
certamente 
presente 
nel 
caso 
oggetto 
d�esame, 
cos� 
come 
emerge 
dalle 
parole 
spese 
dall�Avvocatura 
Generale 
dello 
Stato 
nell�ambito 
della 
memoria 
depositata 
prima 
dell�udienza 
pubblica. 


A 
tal 
proposito, 
si 
deve 
evidenziare 
come 
la 
Regione 
basilicata, 
anche 
con 
l�obiettivo 
di 
rispondere 
alle 
critiche 
mossegli, 
dopo 
la 
promozione 
del 
giudizio di 
legittimit� 
aveva 
proceduto, con legge 
n. 5 del 
2016 (art. 10), al-
l�abrogazione 
dell�art. 
31, 
co. 
4 
della 
legge 
n. 
37 
del 
2015; 
ciononostante 
l�Avvocatura 
Generale 
riteneva, trovando d�accordo i 
giudici, che 
la 
materia 
del 
contendere 
non 
potesse 
ritenersi 
cessata, 
la 
ragione? 
Per 
il 
tempo 
in 
cui 
quella 
disposizione 
� 
rimasta 
in vigore 
potrebbero essere 
stati 
posti 
in essere 
dal 
personale 
ARPA, nell�erronea 
convinzione 
di 
possedere 
la 
qualifica 
di 
p.g., atti 
incidenti 
sulla 
libert� 
dei 
cittadini 
o, pi� in generale, in grado di 
ledere 
i 
loro 
diritti, anche di ordine processuale. 


Per 
questa 
ragione 
non 
ci 
si 
� 
potuti 
accontentare 
della 
legge 
abrogativa 
della 
basilicata: 
si 
rendeva 
necessaria 
una 
pronuncia 
che 
travolgesse, 
anche 
con 
efficacia 
retroattiva, 
gli 
effetti 
eventualmente 
prodottisi 
dalla 
disposizione 
incriminata. 


ecco, 
in 
definitiva, 
la 
questione 
con 
la 
quale 
ha 
dovuto 
cimentarsi 
la 
consulta. 


Prima 
di 
procedere, 
solo 
qualche 
breve 
annotazione 
introduttiva 
circa 
la 
sentenza 
della 
cassazione 
in 
commento. 
Ai 
giudici 
di 
legittimit� 
era 
stato 
posto 
proprio 
un 
quesito 
inerente 
alla 
qualifica 
da 
assegnare 
al 
personale 
ARPA 
(toscana) 
nel 
corso 
delle 
loro 
funzioni 
di 
vigilanza. 
ora, 
al 
di 
l� 
del 
fatto 
che 
la 
cassazione 
� 
riuscita, 
partendo 
dal 
D.M. 
57/1997, 
a 
trovare 
una 
legislazione 
di 
matrice 
statale 
che 
giustificasse 
una 
simile 
attribuzione 
di 
funzione 
-comunque 
oggetto 
privilegiato 
delle 
attenzioni 
della 
sentenza 
(in 
commento) 
della 
corte 
costituzionale, 
cui 
si 
rimanda 
-la 
pronuncia 
dei 
giudici 
del 
Palazzaccio 
si 
contraddistingue 
anche 
e 
soprattutto 
perch� 
fornisce 
alcuni 
criteri 
di 
ordine 
generale, 
spendibili 
anche 
in 
futuri 
confronti, 
in 
merito 
all�attribuzione 
di 
funzioni 
di 
P.g. 


Solo 
per 
completezza, 
si 
deve 
rilevare 
come 
il 
tema 
sia 
ricco 
di 
molte 
altre 
implicazioni 
e 
sarebbero molteplici 
le 
riflessioni 
che 
potrebbero essere 
sviluppate. Per la 
maggior parte, per�, rischierebbero di 
risultare 
eccentriche 
rispetto alle 
finalit� 
del 
presente 
approfondimento (7). Per questa 
ragione 
si 
circoscriver� il pi� possibile il campo d�azione. 


(6) come 
si 
intuisce 
dalle 
parole 
spese, il 
tema 
affrontato nel 
presente 
approfondimento potrebbe 
facilmente 
aprire 
un pi� amplio confronto sul 
tema 
della 
spendibilit�, o meglio, utilizzabilit� 
degli 
atti 
amministrativi 
nel 
processo 
penale. 
Il 
tema, 
bench� 
di 
certo 
interesse, 
rischierebbe, 
per�, 
di 
risultare 
eccentrico 
rispetto alla 
questione 
che 
abbiamo scelto di 
affrontare 
e, anche 
per questa 
ragione, ne 
faremo, 
in seguito, solo un breve 
cenno. Per un approfondito esame, si 
veda 
R. oRlANDI, Atti 
e 
informazioni 
della autorit� amministrativa nel processo penale, Giuffr�, 1992. 
(7) Si 
potrebbe 
intraprendere 
una 
riflessione 
sui 
tipi 
di 
atti 
che 
il 
personale 
ARPA 
pu� porre 
in essere, 
ed 
ancora, 
si 
potrebbe 
approfondire 
il 
tema 
degli 
atti 
a 
finalit� 
c.d. 
mista, 
ossia 
quelli 
posti 
in 
essere 

coNteNzIoSo 
NAzIoNAle 


I precedenti dibattiti e le attuali determinazioni. 


� 
opportuno 
evidenziare 
come, 
in 
verit�, 
sulla 
questione 
si 
siano 
cimentati 
in molti 
negli 
anni, a 
riprova 
della 
centralit� 
del 
tema. cos�, a 
titolo esemplificativo, 
oltrech� 
per la 
lucidit� 
delle 
determinazioni 
assunte 
- in anticipo rispetto 
a 
quanto 
molto 
pi� 
di 
recente 
ha 
affermato 
la 
consulta 
-, 
si 
pu� 
fare 
riferimento al 
parere 
espresso dalla 
Procura 
Generale 
presso la 
corte 
d�Appello 
di 
Ancona 
del 
2007, alla 
quale 
era 
sta 
sottoposta 
la 
questione 
se 
potesse 
essere 
attribuita 
alle 
guardie 
ecologiche 
e 
volontarie 
zoofile 
della 
Provincia 
di Pesaro e Urbino la qualifica e le funzioni di polizia giudiziaria. 


Il 
parere 
appare 
particolarmente 
istruttivo. 
In 
maniera 
molto 
lucida 
espone 
le 
ragioni 
di 
chi, gi� 
al 
tempo, riteneva 
potesse 
esservi 
tale 
attribuzione 
e, al 
contempo, mostra i limiti di una simile impostazione. 


Sinteticamente, 
come 
si 
dir� 
anche 
in 
seguito, 
si 
pu� 
affermare 
che 
gli 
orientamenti 
favorevoli 
al 
riconoscimento 
della 
qualifica, 
a 
prescindere 
da 
una 
formale 
e 
statuale 
investitura, 
si 
fondavano 
sulla 
circostanza 
che 
alcuni 
dei 
soggetti 
chiamati 
ad 
effettuare 
un�attivit� 
di 
controllo 
e 
di 
vigilanza, 
�svolgono 
in 
tutto 
o 
in 
parte 
compiti 
riconducibili 
all�art. 
55 
c.p.p. 
In 
altri 
termini, 
l�attribuzione 
della 
qualifica 
sarebbe 
conseguenza 
diretta 
non 
gi� 
di 
una 
formale 
investitura 
(�), 
bens� 
delle 
funzioni 
che 
il 
personale 
� 
chiamato 
a 
svolgere 
(�)� 
(8). 


Sin d�ora, preme 
evidenziare 
come 
argomenti 
di 
questo tipo si 
pongono 
in contrasto con sovraordinati 
principi 
di 
rango costituzionale; 
nella 
sostanza, 
cos� 
come 
con vigore 
affermato dai 
Giudici 
delle 
leggi 
(9), rischiano di 
tradursi 
in una (troppo facile) elusione della riserva di legge. 


lo 
si 
� 
gi� 
accennato 
ma 
pare 
comunque 
opportuno 
tornare 
rapidamente 
sulla 
questione. 
Non 
solo 
non 
si 
rispetterebbe 
la 
distribuzione 
delle 
materie 
fra 
Stato 
e 
Regioni 
ma, 
elemento 
tutt�altro 
che 
secondario, 
si 
finirebbe 
per 
interferire 
con 
i 
diritti 
fondamentali 
tutelati 
dalla 
carta 
costituzionale 
(artt. 
13 
ss.). 
Anche 
per 
questa 
ragione 
-non 
pare 
inutile 
ripeterlo 
-deve 
ritenersi 
non 
praticabile 
ogni 
soluzione 
-come 
� 
stato 
per 
il 
caso 
che 
ci 
interessa, 
cos� 
per 
quelli 
che 
potrebbero 
nascere 
-che 
pretenda 
di 
adottare 
interpretazioni 
analogiche 
o 
estensive. 
Una 
simile 
possibilit� 
deve 
ritenersi 
preclusa 
anche 
perch� 
rischierebbe 
di 
incidere 
sui 
diritti 
dei 
singoli 
(oltrech� 
sulla 
inflessibile 
riserva 
di 
legge). 


Si 
� 
gi� 
accennato 
in 
precedenza 
al 
parere 
del 
consiglio 
di 
Stato 
del 
2012, 
ma 
� 
opportuno tornare 
rapidamente 
sul 
punto, coerentemente 
con le 
problematiche 
appena esposte. 


dalla 
Pubblica 
Amministrazione 
ma 
in grado di 
portare 
conoscenze 
utili 
al 
procedimento penale. Si 
potrebbe, 
in 
definitiva, 
proporre 
un�analisi 
sugli 
artt. 
220 
e 
223 
disp. 
att. 
c.p.p. 
Nelle 
conclusioni, 
solo 
marginalmente, in maniera 
tutt�altro che 
esaustiva, lambiremo questi 
ultimi 
temi. Sul 
tema, per la 
completezza 
dell�indagine, si veda R. oRlANDI, Atti e informazioni, cit. 


(8) Parere 
espresso dalla 
Procura 
Generale 
presso la 
corte 
d�Appello di 
Ancona 
del 
27 febbraio 
2007, p. 1. 
(9) Sentenza corte costituzionale n. 8 del 2017. 

RASSeGNA 
AVVocAtURA 
Dello 
StAto - N. 1/2017 


Ai 
giudici 
era 
stato 
posto 
proprio 
un 
quesito 
(10) 
circa 
l�esistenza 
di 
una 
normativa 
statale 
da 
cui 
far 
discendere, 
in 
via 
generale, 
la 
qualifica 
di 
u.p.g. 
al 
personale 
ARPA. 
testualmente, 
all�epoca, 
il 
consiglio 
di 
Stato 
rispose 
affermando 
che 
�in 
relazione 
al 
quesito 
posto, 
dunque, 
non 
pu� 
che 
concludersi 
rilevando, 
in 
linea 
con 
la 
prospettazione 
dell�Amministrazione 
regionale 
richiedente, 
l�assenza, 
allo 
stato, 
nell�ordinamento 
di 
norme 
di 
livello 
statale 
che 
attribuiscano 
in 
via 
generale 
la 
qualifica 
di 
u.p.g. 
al 
personale 
ARPA 
e 
che 
individuino 
l�autorit� 
competente 
ad 
attribuire 
espressamente 
tale 
incarico�. 


la 
pronuncia 
del 
consiglio di 
Stato, in verit�, ha 
generato un esteso dibattito, 
diffusosi 
soprattutto 
negli 
ambiti 
ove 
si 
sperava 
nel 
riconoscimento 
della qualifica (11). 


Sintetizzando le 
ragioni 
del 
disappunto, in molti 
ritenevano che 
i 
giudici 
avessero finito per proporre 
una 
visione 
limitativa 
delle 
funzioni 
di 
controllo 
ambientale 
posto in essere 
dal 
personale 
ARPA 
(12). In pratica, visto il 
valore 
delle 
attivit� 
di 
vigilanza, da 
pi� parti 
si 
domandava 
il 
riconoscimento delle 
competenze messe a disposizione. 


le 
preoccupazioni 
e, 
con 
esse, 
le 
argomentazioni 
espresse 
trovano 
sfogo 
nel 
dibattito 
immediatamente 
successivo 
al 
parere 
del 
consiglio 
di 
Stato 
(13), 
ove 
in 
diversi 
rilevavano 
come 
le 
violazioni 
della 
materia 
ambientale, 
gi� 
nel 
2013, 
potevano 
condurre 
il 
trasgressore 
verso 
sanzioni 
oltrech� 
amministrative, 
penali. 


Per questa 
ragione, letteralmente, �i 
soggetti 
preposti 
alle 
attivit� 
di 
vigilanza 
e 
controllo debb[o]no essere 
in possesso della 
qualifica 
di 
Polizia 
Giudiziaria 
e, 
nel 
caso 
delle 
ARPA, 
tale 
qualifica 
pu� 
essere 
propriamente 
ricoperta dal 
tecnico di Prevenzione� (14). 


In realt�, quanto detto, bench� 
giustificabile 
nelle 
intenzioni, come 
si 
� 
gi� 
segnalato, rischia 
di 
sovrapporre 
esigenze 
o, perch� 
no (?), ambizioni 
di 
singoli 
gruppi 
alle 
prerogative 
statuali 
e, con esse, si 
pongono a 
rischio anche 
le 
prerogative 
dei 
singoli 
quando questi 
ultimi, ad esempio, siano chiamati 
a 
fare i conti con la legge penale. 


A 
tal 
proposito, appare 
utile 
fare 
un cenno al 
pur diverso e 
amplio tema 
degli 
atti 
a 
finalit� 
c.d. 
mista 
e 
circa 
la 
loro 
spendibilit� 
in 
sede 
penale. 
Seppur 
consci 
dei 
limiti 
di 
cui 
soffre 
una 
trattazione 
cos� 
rapida 
- e 
dunque 
senza 
nessuna 
pretesa 
di 
esaustivit� 
- , si 
sappia 
solo che 
delle 
volte 
gli 
organi 
amministrativi 
possono 
porre 
in 
essere 
atti 
che 
potrebbero 
avere 
anche 
un 
certo 
valore 


(10) Il 
parere 
riguarda 
il 
quesito della 
Regione 
lombardia 
in merito alla 
non attribuzione 
della 
qualifica 
di 
Ufficiale 
di 
Polizia 
Giudiziaria 
al 
personale 
dell�Agenzia 
Regionale 
per la 
Protezione 
Ambientale. 
(11) 
A 
tal 
proposito 
si 
veda 
la 
lettera 
dell�UNPISI 
(Unione 
Nazionale 
Personale 
Ispettivo 
Sanitario 
Italiano) al Ministro dell�Ambiente e della 
tutela del 
territorio e del Mare del 18 gennaio 2013. 
(12) lettera dell�UNPISI, cit., p. 3. 
(13) Supra, nota �5�. 
(14) lettera dell�UNPISI, cit., p. 3. 

coNteNzIoSo 
NAzIoNAle 


all�interno 
di 
un 
procedimento 
penale 
(15). 
Nell�ambito 
del 
rapporto 
e 
del 
confine 
(alle 
volte 
fumoso) 
tra 
procedimento 
amministrativo 
e 
penale 
assume 
una 
certa 
importanza 
l�art. 220 dip. att. c.p.p. la 
norma, avendo il 
compito di 
segnare 
il 
confine 
tra 
i 
due 
procedimenti, afferma 
che 
�quando nel 
corso di 
attivit� 
ispettive 
e 
di 
vigilanza 
previste 
da 
leggi 
o 
decreti 
emergono 
indizi 
di 
reato, 
gli 
atti 
necessari 
ad assicurarle 
fonti 
di 
prova 
(�) sono compiuti 
nell�osservanza 
della 
legge 
penale�. ebbene, al 
di 
l� 
delle 
discussioni 
e 
dibattiti 
(16), 
anche 
giurisprudenziali 
(17), sul 
concetto di 
indizio di 
reato (18), ci� che 
per 
noi 
rileva 
� 
che 
comunque 
vi 
� 
un limite, un confine 
oltre 
il 
quale 
� 
necessario 
passare ad altro rito: quello penale. 


ebbene, a 
prima 
vista 
questa 
rapida 
digressione 
potrebbe 
apparire 
estranea 
all�oggetto dell�approfondimento ma, in realt�, consente 
un�utile 
precisazione. 
come 
� 
intuibile, 
� 
tutt�altro 
che 
indifferente 
per 
un 
organo 
amministrativo essere 
in grado di 
cumulare 
la 
qualifica 
di 
P.g. Facciamo un 
esempio. Nel 
caso in cui 
l�Amministrazione 
stesse 
conducendo proprie 
investigazioni 
(per restare 
in tema, immaginiamo) ai 
fini 
della 
verifica 
del 
rispetto 
delle 
norme 
in materia 
ambientale, potrebbe 
capitare 
che 
gli 
organi 
ispettivi 
vengano 
a 
conoscenza 
di 
un 
possibile 
reato; 
ebbene, 
in 
questa 
circostanza, 
possedere 
o meno la 
qualifica 
di 
P.g. pu� fare 
una 
sicura 
differenza 
in merito 
all�incisivit� delle loro azioni (19). 


cos�, semplificando, se 
il 
soggetto �ispettore� 
non potesse 
accedere 
alla 
diversa 
qualifica, 
le 
sue 
indagini 
dovrebbero 
rimanere 
confinate 
nel 
(pi� 
ristretto) 
ambito 
delle 
attivit� 
ispettive 
amministrativo 
(20); 
per 
contro, 
se 
si 


(15) Il 
tema 
� 
quello degli 
atti 
a 
finalit� 
c.d. mista 
che, per verit�, rester� 
quasi 
del 
tutto estraneo 
all�approfondimento. Per l�indagine esaustiva si rimanda a 
R. oRlANDI, Atti e informazioni, cit. 
(16) Si 
vedano, G. bIScARDI, Atti 
a finalit� mista, indizi 
di 
reato e 
garanzie 
difensive: una sintesi 
difficile, 
Processo 
penale 
e 
giustizia, 
n. 
6 
del 
2015, 
p. 
159; 
P. 
SoRbello, 
La 
valutazione 
di 
sospetti, 
indizi 
e 
notizie 
di 
reato 
nel 
passaggio 
(incerto) 
dalle 
attivit� 
ispettive 
alle 
funzioni 
di 
polizia 
giudiziaria, 
Diritto penale 
contemporaneo, 2/2016, p. 128; 
per la 
completezza 
dell�indagine, 
R. oRlANDI, Atti 
e 
informazioni, 
cit; 
e 
ancora 
R.e. KoStoRIS, Sub art. 220, in e. AMoDIo, o. DoMINIoNI, 
Commentario del 
nuovo codice di procedura penale, Appendice, Milano, 1990, p. 74. 
(17) Fra 
le 
pi� importanti, cass. Pen., Sez. Un., n. 45477 del 
2001; 
pi� di 
recente, cass. Pen., sez. 
III, n. 1973 del 
2015 e 
cass. Pen., sez. III, n. 4919 del 
2015. Fra 
le 
pronunce 
della 
consulta, che 
hanno 
aperto il dibattito sul tema, corte cost. nn. 148 e 149 del 1969. 
(18) Seppur molto brevemente, si 
sappia 
che 
il 
concetto che 
sia 
in dottrina 
sia 
in giurisprudenza 
sembra 
si 
sia 
fatto strada 
� 
quello di 
�mera 
possibilit� 
di 
reato�. Dunque, quando nel 
corso delle 
attivit� 
ispettive 
e 
di 
vigilanza 
condotte 
in sede 
amministrativa, dovesse 
palesarsi 
questa 
possibilit� 
di 
reato di 
cui 
si 
� 
detto, sar� 
il 
tempo di 
passare 
al 
rito penale. In dottrina, R. oRlANDI, Atti 
e 
informazioni, cit. In 
giurisprudenza si rimanda, fra le tante, a cass. SS.UU., 45477 del 2001. 
(19) Viste 
le 
brevi 
considerazioni 
che 
si 
sono anticipate 
a 
norma 
dell�art. 220 disp. att. c.p.p., infatti, 
�quando nel 
corso di 
attivit� 
ispettive 
e 
di 
vigilanza 
previste 
da 
leggi 
o decreti 
emergono indizi 
di 
reato, gli 
atti 
necessari 
ad assicurarle 
fonti 
di 
prova 
(�) sono compiuti 
nell�osservanza 
della 
legge 
penale�. 
(20) In maniera 
esemplificativa, si 
pu� citare 
la 
recente 
cass. Pen., sez. II, 10 giugno 2015, n. 
35099, 
�A 
norma 
dell'art. 
57, 
comma 
secondo, 
lett. 
b), 
cod. 
proc. 
pen., 
gli 
agenti 
della 
polizia 
municipale 
hanno la qualifica di 
agenti 
di 
polizia giudiziaria, quando sono in servizio nell'ambito territoriale 
del

RASSeGNA 
AVVocAtURA 
Dello 
StAto - N. 1/2017 


producesse 
in indagini 
penali 
gli 
atti 
da 
questi 
prodotti 
dovrebbero esser ritenuti 
inutilizzabili 
nell�ipotetico 
successivo 
giudizio 
penale 
(21). 
ed 
infine, 
visto il 
recentissimo riconoscimento, quando pu� accedere 
alla 
qualifica, seppur 
nei 
limiti 
e 
nel 
rispetto della 
legge 
processuale, potr� 
continuare 
le 
sue 
indagini 
anche in ambito penale. 

ed allora, venendo al 
contenuto pi� significativo delle 
sentenze 
in commento, 
ed anche 
in forza 
delle 
argomentazioni 
esposte, si 
pu� certamente 
affermare 
come 
le 
precisazioni 
effettuate 
dalle 
due 
corti 
hanno 
il 
pregio 
di 
fissare 
una 
volta 
di 
pi� i 
criteri 
spendibili 
ai 
fini 
di 
una 
corretta 
ricerca 
della 
qualifica attribuibile ad un organo, lato sensu, investigativo. 


le 
due 
pronunce, 
invero, 
avviandoci 
alla 
conclusione, 
hanno 
il 
merito, 
soprattutto 
se 
lette 
congiuntamente, 
di 
specificare 
quali 
debbono 
essere 
i 
criteri 
ermeneutici 
utilizzabili 
ai 
fini 
dell�attribuzione 
di 
funzione. Un�analisi 
critica 
svela 
come 
per 
un 
corretto 
inquadramento 
della 
questione, 
debbono 
utilizzarsi 
criteri 
sia 
di 
matrice 
sostanziale 
sia 
di 
natura 
processuale. 
Sul 
punto, 
si 
esprime 
in maniera particolarmente lucida la sentenza della cassazione (22). 


Difatti, come 
emerge 
dalle 
parole 
spese 
dai 
giudici 
di 
legittimit�, una 
let


l'ente 
di 
appartenenza; ne 
consegue 
che 
tale 
qualifica � 
limitata nel 
tempo e 
nello spazio, a differenza 
di 
altri 
corpi 
di 
polizia (Polizia di 
Stato, Carabinieri, Guardia di 
Finanza, ecc.) i 
cui 
appartenenti 
operano 
su tutto il 
territorio nazionale 
e 
sono sempre 
in servizio. (In applicazione 
di 
tale 
principio, la S.C. 
ha ritenuto illegittimo l'arresto operato da agenti 
della polizia municipale 
al 
di 
fuori 
del 
territorio di 
propria competenza, sebbene l� avesse avuto inizio l'inseguimento dell'indagato)�. 


(21) In questo senso, a 
titolo esemplificativo, si 
collocano, fra 
le 
altre, cass. Pen., sez. III, 9 febbraio 
2016, n. 13502, �I dipendenti 
dell'Agenzia delle 
Entrate 
non rivestono la qualit� di 
soggetti 
legittimati 
a 
svolgere 
attivit� 
di 
polizia 
giudiziaria, 
con 
la 
conseguenza 
che 
� 
affetto 
da 
nullit� 
l'interrogatorio, richiesto dall'indagato ex 
art. 415 bis, comma terzo, cod. proc. pen., che 
sia stato agli 
stessi 
delegato dal 
P.M. (In motivazione, la Corte 
ha escluso l'applicabilit� alle 
attuali 
Agenzie 
fiscali 
delle 
norme 
concernenti 
i 
preesistenti 
uffici 
delle 
imposte 
ovvero di 
quelle 
relative 
alle 
funzioni 
di 
P.G. 
svolte 
della 
Guardia 
di 
Finanza, 
altres� 
rilevando 
che 
l'Agenzia 
delle 
Entrate 
aveva, 
nella 
specie, 
la 
qualit� 
di 
persona 
offesa 
dal 
reato)�; 
ed 
ancora, 
in 
termini 
pi� 
prossimi 
all�oggetto 
della 
nostra 
indagine, 
si 
veda, cass. Pen., sez. VI, n. 37491 del 
2010 �Le 
guardie 
zoofile 
dell'E.N.P.A. (Ente 
nazionale 
protezione 
animali) non rivestono in alcun caso la qualifica di 
ufficiali 
o agenti 
di 
polizia giudiziaria e 
non 
possono procedere 
pertanto al 
sequestro probatorio�, o ancora 
quanto affermato da 
cass. Pen., sez. III, 
n. 
15074 
del 
2007 
�Orbene 
alle 
guardie 
volontarie 
delle 
associazioni 
di 
protezione 
dell'ambiente 
(come 
il 
WWF) non risulta riconosciuta la qualifica di 
polizia giudiziaria n� 
dalla L. n. 157 del 
1992, n� 
da 
altra normativa speciale 
(�). Stante 
la mancanza della qualifica di 
Agente 
o Ufficiale 
di 
P.G. nei 
confronti 
delle 
guardie 
volontarie 
che 
hanno operato in concreto il 
sequestro probatorio, consegue 
la illegittimit� 
dello stesso, perch� eseguito in violazione delle norme di cui agli artt. 354 e 355 c.p.p�. 
(22) cass. Pen., sez. III, n. 50352/2016, afferma 
che 
�Il 
tecnico della prevenzione 
nell'ambiente 
e 
nei 
luoghi 
di 
lavoro, operante 
nei 
servizi 
con compiti 
ispettivi 
di 
vigilanza (nella specie, si 
trattava di 
personale 
in servizio presso un'agenzia regionale 
per 
l'ambiente: Arpa) �, nei 
limiti 
delle 
proprie 
attribuzioni, 
ufficiale 
di 
polizia giudiziaria, in ragione 
delle 
specifiche 
competenze 
attribuitegli 
e 
alla rilevanza 
-anche 
costituzionale 
-del 
bene 
(l'ambiente) 
al 
quale 
le 
stesse 
attengono. 
Ci�, 
del 
resto, 
dovendolo desumere, con riferimento al 
disposto generale 
dell'art. 57, comma 3, c.p.p, dal 
d.l. 4 dicembre 
1993 n. 496, conv. dalla l. 21 gennaio 1994 n. 61, istitutivo dell'agenzia nazionale 
per 
la protezione 
dell'ambiente 
e 
delle 
agenzie 
regionali 
e 
provinciali, 
nonch� 
dal 
d.m. 
17 
gennaio 
1997 
n. 
58, 
di 
disciplina 
del profilo professionale del tecnico della prevenzione nell'ambiente e nei luoghi di lavoro�. 

coNteNzIoSo 
NAzIoNAle 


tura 
che 
si 
basasse 
solamente 
sugli 
articoli 
55 
e 
57 
del 
codice 
di 
procedura 
penale 
si 
mostrerebbe 
insufficiente. Gli 
articoli 
da 
ultimo richiamati, infatti, indicano 
�solamente� 
le 
attivit� 
che 
la 
P.g. 
deve 
svolgere 
e 
individuano 
chi, 
astrattamente, 
� 
chiamato 
a 
svolgere 
quelle 
funzioni. 
Una 
corretta 
�indagine�, 
per�, 
come 
emerge 
chiaramente 
dalla 
sentenza 
della 
cassazione 
n. 
50352/2016, pretende 
una 
riflessione 
che 
investa 
anche 
la 
materia 
di 
volta 
in 
volta 
oggetto 
delle 
investigazioni, 
latamente 
intese: 
la 
materia 
� 
presidiata 
dalla legge penale? (23). 


ovviamente, come 
accennato, la 
risposta 
al 
quesito non potr� 
che 
avvenire 
per ogni 
singolo ambito; 
qui, per rimanere 
in tema 
con l�oggetto delle 
riflessioni 
proposte, 
ci 
si 
pu� 
limitare 
al 
quesito 
se 
la 
materia 
ambientale 
� 
presidiata dalla legge penale (?). 


ora, in verit�, in merito a 
ci� la 
risposta 
appare 
quasi 
immediata: 
la 
materia 
ambientale 
� 
presidiata 
dalla 
legge 
penale. 
A 
riprova 
si 
consideri 
solamente 
la 
riforma 
intercorsa 
nel 
2015 
(24), 
volta 
ad 
inasprire 
la 
risposta 
repressiva 
dello Stato contro comportamenti 
in grado di 
impattare 
negativamente 
sull�ambiente. 


D�altronde, 
il 
tutto 
appare 
in 
piena 
linea 
di 
coerenza 
logica 
con 
i 
numerosi 
dibattiti 
politici 
diffusisi 
sia 
in ambito nazionale 
sia 
in contesti 
internazionali 
(25), che 
hanno avuto ad oggetto il 
tema. oramai 
il 
diritto ambientale 
costituisce 
un modernissimo terreno di 
confronto e 
di 
dialogo: 
� 
presidiato dalla 
legge 
penale. ci� ha 
reso ancor pi� attuale 
questo rinnovato confronto in merito 
alla qualifica attribuibile agli operatori 
ARPA. 


Note conclusive. 


Dunque, 
in 
conclusione, 
le 
Alte 
corti 
hanno 
dato 
risposta 
ai 
quesiti 
ed 
alle 
istanze 
che 
provenivano 
da 
pi� 
parti 
e 
nel 
far 
ci�, 
hanno 
fornito 
criteri, 
di 
certa 
utilit�, 
spendibili 
anche 
in 
altri 
e 
futuri 
casi, 
qualora 
si 
aprisse 
un 
nuovo 
dibattito. 


In ultima 
istanza, solo si 
nota 
che, se 
da 
un lato le 
due 
pronunce, riconoscendo 
la 
qualifica 
P.g. al 
personale 
ARPA, hanno reso pi� incisive 
le 
loro attivit� 
di 
vigilanza; 
dall�altro, 
seppur 
in 
maniera 
apparentemente 
mediata, 
hanno comunque 
fornito tutela 
ai 
cittadini. ci� perch� 
la 
sentenza 
della 
consulta, 
ad esempio, finisce 
con l�essere 
un monito a 
future 
iniziative 
regionali 
sul 
tema 
e 
poi, 
visto 
anche 
la 
(corposa) 
giurisprudenza 
di 
legittimit� 
sulla 
questione, 
tengono 
accesi 
i 
riflettori 
sulle 
attivit� 
di 
P.g. 
e 
sull�importanza 
che 
queste siano sempre legittime. 


Infine, 
si 
segnala 
come 
la 
corte 
costituzionale, 
rilevata 
la 
violazione 
del-
l�art. 
117 
cost., 
ha 
dichiarato 
l�illegittimit� 
costituzionale 
dell�art. 
31, 
co. 
4, 


(23) Questo � uno dei quesiti cui deve dar risposta l�interprete. 
(24) legge n. 68 del 2015. 
(25) Si pensi, per ultimo, alla conferenza di Parigi del 2016. 

RASSeGNA 
AVVocAtURA 
Dello 
StAto - N. 1/2017 


della 
legge 
della 
Regione 
basilicata 
n. 
37 
del 
2015, 
nella 
parte 
in 
cui 
riteneva 
di 
poter 
attribuire 
al 
personale 
ARPAb, 
nell�esercizio 
delle 
proprie 
funzioni 
di 
vigilanza, 
la 
qualifica 
e 
le 
funzioni 
di 
Polizia 
giudiziaria; 
e 
ci� 
(al 
tempo 
della 
legge 
incriminata) 
senza 
che 
vi 
fosse 
una 
fonte 
di 
provenienza 
statale. 


Corte 
costituzionale, sentenza 13 gennaio 2017 n. 8 -Pres. P. Grossi, Red. N. zanon - Giudizio 
di legittimit� 
costituzionale dell�art. 31, comma 
4, della 
legge 
della 
Regione basilicata 
14 settembre 2015, n. 37 (avv. St. P.G. Marrone per il Presidente del consiglio dei ministri). 


Ritenuto in fatto 


1.� 
con 
ricorso 
notificato 
il 
12-17 
novembre 
2015, 
depositato 
il 
17 
novembre 
2015 
e 
iscritto 
al 
n. 
100 
del 
registro 
ricorsi 
2015, 
il 
Presidente 
del 
consiglio 
dei 
ministri, 
rappresentato 
e 
difeso dall�Avvocatura 
generale 
dello Stato, ha 
promosso questione 
di 
legittimit� 
costituzionale 
in via 
principale 
dell�art. 31, comma 
4, della 
legge 
della 
Regione 
basilicata 
14 settembre 
2015, 
n. 
37, 
recante 
�Riforma 
Agenzia 
Regionale 
per 
l�Ambiente 
di 
basilicata 
(A.R.P.A.b.)�, per violazione dell�art. 117, secondo comma, lettera l), della costituzione. 


1.1.� Ricorda, anzitutto, il 
ricorrente 
che 
la 
legge 
reg. basilicata 
n. 37 del 
2015 disciplina 
l�Agenzia 
regionale 
per la 
protezione 
ambientale 
della 
basilicata 
(d�ora 
in avanti: 
ARPAb), 
ente 
che 
era 
gi� 
stato 
istituito 
dalla 
legge 
della 
Regione 
basilicata 
19 
maggio 
1997, 
n. 
27 
(Istituzione 
dell�Agenzia 
regionale 
per l�ambiente 
della 
basilicata. A.R.P.A.b.); 
che 
tra 
le 
attivit� 
istituzionali 
obbligatorie 
svolte 
dall�Agenzia 
vi 
sono quelle 
di 
prevenzione, di 
monitoraggio 
e 
di 
controllo ambientale 
(elencate 
all�art. 6 della 
legge 
reg. basilicata 
n. 37 del 
2015); 
e 
che 
il 
personale 
addetto a 
tali 
attivit� 
� 
individuato, con proprio atto, dal 
direttore 
generale 
del-
l�ARPAb (art. 31, comma 1, legge reg. basilicata n. 37 del 2015). 


In 
tale 
quadro 
normativo, 
il 
Presidente 
del 
consiglio 
dei 
ministri 
lamenta 
l�illegittimit� 
costituzionale 
del 
comma 
4 dell�art. 31 della 
legge 
reg. basilicata 
n. 37 del 
2015, il 
quale, dopo 
aver stabilito che 
�[a]l 
personale 
dell�A.R.P.A.b., incaricato dell�espletamento delle 
funzioni 
di 
vigilanza 
e 
controllo si 
applicano le 
disposizioni 
sul 
personale 
ispettivo di 
cui 
all�articolo 
2-bis 
del 
D.l. 4 dicembre 
1993, n. 496 convertito con modificazioni 
nella 
legge 
21 gennaio 
1994, n. 61�, prevede 
che 
�[n]ell�esercizio delle 
funzioni 
di 
vigilanza 
tale 
personale 
riveste 
anche 
la 
qualifica 
di 
ufficiale 
o agente 
di 
polizia 
giudiziaria�. Secondo il 
ricorrente 
tale 
disposizione, 
nella 
parte 
in 
cui 
attribuisce 
al 
personale 
dell�ARPAb, 
nello 
svolgimento 
delle 
funzioni 
di 
vigilanza, �la 
qualifica 
di 
ufficiale 
o agente 
di 
polizia 
giudiziaria�, sconfinerebbe 
in ambiti 
riservati 
alla 
potest� 
legislativa 
esclusiva 
dello Stato ai 
sensi 
dell�art. 117, secondo 
comma, lettera 
l), cost., il 
quale 
affida 
alla 
legge 
statale 
la 
materia 
�giurisdizione 
e 
norme 
processuali; ordinamento civile e penale�. 


Sono 
richiamate 
la 
sentenza 
della 
corte 
costituzionale 
n. 
313 
del 
2003, 
nella 
quale 
sarebbe 
stato affermato che 
l�attribuzione 
di 
funzioni 
di 
polizia 
giudiziaria 
spetta 
alla 
competenza 
legislativa 
esclusiva 
dello Stato in materia 
di 
giurisdizione 
penale, e 
le 
successive 
sentenze 
n. 
167 
del 
2010 
e 
n. 
35 
del 
2011, 
con 
cui 
sono 
state 
dichiarate 
costituzionalmente 
illegittime 
norme 
regionali 
che 
attribuivano 
agli 
addetti 
della 
polizia 
locale 
la 
qualifica 
di 
agenti 
e 
ufficiali 
di 
polizia 
giudiziaria. 
la 
corte 
costituzionale 
avrebbe, 
dunque, 
in 
pi� 
occasioni 
affermato 
che 
il 
codice 
di 
procedura 
penale, agli 
artt. 55 e 
57, concepisce 
la 
polizia 
giudiziaria 
quale 
�soggetto 
ausiliario di 
uno dei 
soggetti 
del 
rapporto triadico in cui 
si 
esprime 
la 
funzione 
giurisdi



coNteNzIoSo 
NAzIoNAle 


zionale 
(il 
pubblico ministero)� proprio nell�esercizio della 
competenza 
esclusiva 
dello Stato 
in 
materia 
di 
giurisdizione 
penale 
disposta 
dalla 
lettera 
l) 
del 
secondo 
comma 
dell�art. 
117 
cost., con l�inevitabile 
conseguenza 
di 
sottrarre 
al 
legislatore 
regionale 
qualsiasi 
possibilit� 
di attribuire la qualifica di ufficiale o agente di polizia giudiziaria. 


osserva, 
quindi, 
il 
ricorrente 
che 
la 
possibilit� 
da 
ultimo 
ricordata 
non 
potrebbe 
trovare 
fondamento nella 
potest� 
legislativa 
residuale 
riconosciuta 
alle 
Regioni 
a 
statuto ordinario in 
ordine 
alla 
polizia 
amministrativa 
locale, 
n� 
la 
disposizione 
impugnata 
potrebbe 
�trovare 
emenda� nel 
richiamo, contenuto nell�art. 31, comma 
4, della 
legge 
reg. basilicata 
n. 37 del 
2015, 
all�art. 
2-bis 
del 
decreto-legge 
4 
dicembre 
1993, 
n. 
496 
(Disposizioni 
urgenti 
sulla 
riorganizzazione 
dei 
controlli 
ambientali 
e 
istituzione 
della 
Agenzia 
nazionale 
per la 
protezione 
dell�ambiente), convertito in legge, con modificazioni, dall�art. 1, comma 
1, della 
legge 
21 
gennaio 
1994, 
n. 
61, 
il 
quale 
detta 
disposizioni 
sul 
personale 
ispettivo 
dell�Agenzia 
nazionale 
per la protezione dell�ambiente. 


l�Avvocatura 
generale 
dello Stato conclude 
ricordando quanto affermato dalla 
corte 
costituzionale 
nella 
gi� 
menzionata 
sentenza 
n. 
35 
del 
2011, 
ossia 
che 
il 
problema 
in 
discussione 
non � 
stabilire 
se 
la 
legge 
regionale 
impugnata 
sia 
o non sia 
conforme 
a 
quella 
statale, ma, 
ancora 
prima, se 
essa 
sia 
competente 
a 
disporre 
il 
riconoscimento delle 
qualifiche 
di 
ufficiale 


o agente di polizia giudiziaria. 
(...) 
3.� 
con 
memoria 
depositata 
in 
prossimit� 
dell�udienza 
pubblica, 
l�Avvocatura 
generale 
dello 
Stato 
d� 
atto 
dell�avvenuta 
abrogazione 
dell�art. 
31, 
comma 
4, 
della 
legge 
reg. 
basilicata 


n. 
37 
del 
2015 
da 
parte 
dell�art. 
10 
della 
legge 
della 
Regione 
basilicata 
4 
marzo 
2016, 
n. 
5 
(collegato 
alla 
legge 
di 
stabilit� 
regionale 
2016). 
essa 
ritiene, 
tuttavia, 
che 
non 
sussistano 
le 
condizioni 
per 
una 
pronuncia 
di 
cessazione 
della 
materia 
del 
contendere. 
Mentre 
la 
novella 
sarebbe 
certamente 
satisfattiva 
delle 
ragioni 
del 
ricorrente, 
non 
vi 
sarebbe 
invece 
prova 
della 
mancata 
applicazione 
della 
norma 
abrogata. 
l�Avvocatura 
generale 
dello 
Stato, 
sul 
punto, 
osserva 
che, 
nonostante 
la 
disposizione 
censurata 
sia 
rimasta 
in 
vigore 
per 
un 
lasso 
temporale 
�non 
eccessivo 
in 
termini 
assoluti�, 
essa 
� 
di 
immediata 
applicazione 
e 
-anche 
in 
difetto 
di 
contrarie 
allegazioni 
da 
parte 
della 
Regione 
basilicata, 
... 
-� 
presumibile 
che 
abbia 
prodotto 
effetti. 
Non 
potrebbe, 
dunque, 
escludersi 
-secondo 
l�Avvocatura 
generale 
dello 
Stato 
-che 
al 
personale 
dell�ARPAb, nell�esercizio delle 
funzioni 
di 
vigilanza, sia 
stata 
attribuita 
la 
qualifica 
di 
agente 
o ufficiale 
di 
polizia 
giudiziaria 
gi� 
all�indomani 
dell�entrata 
in vigore 
della 
disposizione 
impugnata, e 
che, dunque, sulla 
base 
di 
essa 
siano stati 
adottati 
atti 
incidenti 
sulla 
libert� 
o sui 
beni 
dei 
cittadini, i 
quali, in difetto di 
una 
pronuncia 
di 
illegittimit� 
costituzionale, 
non sarebbero travolti dalla sopravvenuta abrogazione, che non ha efficacia retroattiva. 


Considerato in diritto 


1.� Il 
Presidente 
del 
consiglio dei 
ministri 
ha 
promosso questione 
di 
legittimit� 
costituzionale 
dell�art. 31, comma 
4, della 
legge 
della 
Regione 
basilicata 
14 settembre 
2015, n. 37, 
recante 
�Riforma 
Agenzia 
Regionale 
per l�Ambiente 
di 
basilicata 
(A.R.P.A.b.)�, nella 
parte 
in cui 
prevede 
che 
il 
personale 
dell�ARPAb, nell�esercizio delle 
funzioni 
di 
vigilanza, riveste 
anche 
la 
qualifica 
di 
ufficiale 
o agente 
di 
polizia 
giudiziaria, per violazione 
dell�art. 117, secondo 
comma, lettera l), della costituzione. 

Secondo il 
ricorrente 
la 
disposizione 
costituzionale 
da 
ultimo citata, affidando alla 
legge 
statale 
la 
materia 
�giurisdizione 
e 
norme 
processuali; 
ordinamento civile 
e 
penale�, sottrarrebbe 
al 
legislatore 
regionale 
qualsiasi 
possibilit� 
di 
attribuire 
ai 
funzionari 
dell�Agenzia 
regionale 
la qualifica di ufficiale o agente di polizia giudiziaria. 



RASSeGNA 
AVVocAtURA 
Dello 
StAto - N. 1/2017 


2.� Successivamente 
alla 
proposizione 
del 
ricorso, la 
Regione 
basilicata 
ha 
approvato la 
legge 
regionale 
4 marzo 2016, n. 5 (collegato alla 
legge 
di 
stabilit� 
regionale 
2016), nella 
quale 
� 
disposta, all�art. 10, comma 
2, l�abrogazione 
della 
disposizione 
impugnata 
(art. 31, 
comma 4, ultimo periodo, della legge reg. basilicata n. 37 del 2015). 

come 
rilevato 
dall�Avvocatura 
generale 
dello 
Stato, 
non 
sussistono, 
tuttavia, 
le 
condizioni 
per la dichiarazione di cessazione della materia del contendere. 

Secondo la 
costante 
giurisprudenza 
di 
questa 
corte, � 
a 
tal 
fine 
necessario il 
concorso di 
due 
requisiti: 
lo ius 
superveniens 
deve 
avere 
carattere 
satisfattivo delle 
pretese 
avanzate 
con 
il 
ricorso e 
le 
disposizioni 
censurate 
non devono avere 
avuto medio tempore 
applicazione 
(ex 
multis, sentenze 
n. 257, n. 253, n. 242, n. 199, n. 185, n. 155, n. 147, n. 101 e 
n. 39 del 
2016). 


Nel 
caso 
ora 
in 
esame, 
l�abrogazione 
dell�intera 
disposizione 
impugnata 
risulta 
satisfattiva 
delle ragioni del ricorrente. 

Non sussistono, invece, elementi 
che 
dimostrino la 
sua 
mancata 
applicazione 
medio tempore 
o che 
ragionevolmente 
possano indurre 
ad escluderla. essa 
� 
rimasta 
in vigore 
per un 
lasso di 
tempo relativamente 
contenuto (dal 
1� 
ottobre 
2015 al 
5 marzo 2016), ma, indipendentemente 
da 
ci�, rileva, in primo luogo, la 
sua 
natura 
auto-applicativa 
(ex multis, sentenze 


n. 149 e 
n. 16 del 
2015) e, in secondo luogo, la 
circostanza 
che 
la 
disposizione 
impugnata 
si 
pone 
in parziale 
continuit� 
normativa 
con quanto previsto dalla 
precedente 
legge 
reg. basilicata 
19 
maggio 
1997, 
n. 
27 
(Istituzione 
dell�Agenzia 
regionale 
per 
l�ambiente 
della 
basilicata. 
A.R.P.A.b.), 
la 
quale 
-all�art. 
3, 
comma 
2, 
ultimo 
periodo 
-prevedeva 
che 
�[i]l 
Direttore 
dell�A.R.P.A.b. con proprio atto individua 
il 
personale 
che 
ai 
fini 
dell�espletamento delle 
attivit� 
di 
istituto deve 
disporre 
della 
qualifica 
di 
ufficiale 
di 
polizia 
giudiziaria�. Pur se 
le 
due 
disposizioni 
recano formulazioni 
non coincidenti, esse 
mirano allo stesso obbiettivo, cio� 
attribuire 
al 
personale 
dell�ARPAb 
la 
qualifica 
di 
ufficiale 
o 
agente 
di 
polizia 
giudiziaria. 
e 
anche 
tale 
parziale 
continuit� 
normativa 
induce 
a 
non escludere 
che 
la 
disposizione 
ora 
impugnata 
abbia trovato applicazione nel territorio regionale. 
3.� Nel merito, la questione � fondata. 


Accanto a 
quella 
effettivamente 
impugnata, altre 
leggi 
regionali 
hanno affrontato il 
problema 
qui 
in discussione, con formulazioni 
diverse 
ma 
convergenti 
nel 
disporre 
che 
al 
personale 
delle 
agenzie 
sia 
possibile 
attribuire 
la 
qualifica 
di 
ufficiale 
o 
agente 
di 
polizia 
giudiziaria 
(con attribuzione 
diretta 
ex lege, ovvero affidando ad una 
autorit� 
amministrativa 
la 
concreta 
individuazione 
dei 
funzionari 
muniti 
della 
qualifica). tale 
scelta 
si 
spiega 
con l�obiettivo di 
rendere 
maggiormente 
efficace 
l�attivit� 
ispettiva 
in materia 
ambientale, in un contesto normativo 
statale 
che, 
anteriormente 
alla 
riforma 
recata 
dall�art. 
14, 
comma 
7, 
della 
legge 
28 
giugno 2016, n. 132 (Istituzione 
del 
Sistema 
nazionale 
a 
rete 
per la 
protezione 
dell�ambiente 
e 
disciplina 
dell�Istituto 
superiore 
per 
la 
protezione 
e 
la 
ricerca 
ambientale), 
si 
prestava 
ad 
opposte 
interpretazioni 
in ordine 
all�esistenza 
di 
una 
fonte 
(appunto, statale) idonea 
ad attribuire 
al 
personale 
ispettivo 
delle 
agenzie 
la 
qualifica 
in 
questione 
(si 
vedano, 
da 
un 
lato, 
consiglio 
di 
Stato 
-sezione 
seconda 
consultiva, 
adunanza 
di 
sezione 
del 
23 
maggio 
2012; 
dall�altro, corte 
di 
cassazione, sezione 
terza 
penale, 3-28 novembre 
2016, n. 50352, che 
offrono 
contrastanti 
soluzioni 
sulla 
possibilit� 
di 
fondare 
l�attribuzione 
in 
parola 
sull�art. 
21 
della 
legge 
23 dicembre 
1978, n. 833, recante 
�Istituzione 
del 
servizio sanitario nazionale�, 
sugli 
artt. 03, 2-bis, e 
5 del 
decreto-legge 
4 dicembre 
1993, n. 496, recante 
�Disposizioni 
urgenti 
sulla 
riorganizzazione 
dei 
controlli 
ambientali 
e 
istituzione 
della 
Agenzia 
nazionale 
per 
la 
protezione 
dell�ambiente�, convertito, con modificazioni, dalla 
legge 
21 gennaio 1994, n. 
61, e, infine, sul 
decreto del 
Ministro della 
sanit� 
17 gennaio 1997, n. 58, recante 
�Regola



coNteNzIoSo 
NAzIoNAle 


mento concernente 
la 
individuazione 
della 
figura 
e 
relativo profilo professionale 
del 
tecnico 
della 
prevenzione 
nell�ambiente 
e 
nei 
luoghi 
di 
lavoro�). Attualmente, il 
delicato problema 
� 
stato risolto dal 
ricordato art. 14, comma 
7, della 
legge 
statale 
n. 132 del 
2016, che 
autorizza 
i 
legali 
rappresentanti 
delle 
agenzie 
regionali 
per 
la 
protezione 
ambientale 
a 
individuare 
e 
nominare, 
tra 
il 
personale 
ispettivo, i 
dipendenti 
che, nell�esercizio delle 
loro funzioni, operano 
con la qualifica di ufficiali di polizia giudiziaria. 

Anche 
a 
prescindere 
dall�opportuna 
soluzione 
ora 
introdotta 
dal 
legislatore 
competente, 
la 
disposizione 
impugnata 
� 
in 
contrasto 
con 
la 
costante 
giurisprudenza 
di 
questa 
corte 
(sentenze 
n. 
35 
del 
2011, 
n. 
167 
del 
2010 
e 
n. 
313 
del 
2003), 
elaborata 
in 
relazione 
a 
disposizioni 
di 
leggi 
regionali 
che 
attribuivano 
la 
qualifica 
in 
discussione 
al 
personale 
della 
polizia 
locale 
o 
del 
corpo 
forestale 
regionale. 
essa 
ha 
sempre 
affermato 
che 
ufficiali 
o 
agenti 
di 
polizia 
giudiziaria 
possono 
essere 
solo 
i 
soggetti 
indicati 
all�art. 
57, 
commi 
1 
e 
2, 
del 
codice 
di 
procedura 
penale, 
nonch� 
quelli 
ai 
quali 
le 
leggi 
e 
i 
regolamenti 
attribuiscono 
le 
funzioni 
previste 
dall�art. 
55 
del 
medesimo 
codice, 
aggiungendo 
che 
le 
fonti 
da 
ultimo 
richiamate 
non 
possono 
che 
essere 
statali. 
ci� 
perch� 
le 
funzioni 
in 
esame 
ineriscono 
all�ordinamento 
processuale 
penale, 
che 
configura 
la 
polizia 
giudiziaria 
�come 
soggetto 
ausiliario 
di 
uno 
dei 
soggetti 
del 
rapporto 
triadico 
in 
cui 
si 
esprime 
la 
funzione 
giurisdizionale 
(il 
pubblico 
ministero)� 
(cos�, 
in 
particolare, 
la 
sentenza 
n. 
35 
del 
2011). 


Gli 
stessi 
principi 
vanno 
affermati 
in 
relazione 
all�attribuzione 
della 
qualifica 
in 
questione, 
operata 
da 
legge 
regionale, 
al 
personale 
ispettivo 
dell�Agenzia 
regionale 
per 
la 
protezione 
ambientale 
della 
Regione 
basilicata. 
Ne 
consegue 
l�illegittimit� 
costituzionale, 
per 
violazione 
dell�art. 
117, 
secondo 
comma, 
lettera 
l), 
cost. 
della 
disposizione 
impugnata, 
in 
quanto 
invasiva 
della competenza esclusiva statale in materia di giurisdizione penale. 


PeR 
QUeStI 
MotIVI 
lA coRte coStItUzIoNAle 


dichiara 
l�illegittimit� 
costituzionale 
dell�art. 31, comma 
4, della 
legge 
della 
Regione 
basilicata 
14 settembre 
2015, n. 37, recante 
�Riforma 
Agenzia 
Regionale 
per l�Ambiente 
di 
basilicata 
(A.R.P.A.b.)�, 
nella 
parte 
in 
cui 
prevede 
che 
�[n]ell�esercizio 
delle 
funzioni 
di 
vigilanza 
tale 
personale 
riveste 
anche 
la 
qualifica 
di 
ufficiale 
o agente 
di 
polizia 
giudiziaria�. 


cos� 
deciso in Roma, nella 
sede 
della 
corte 
costituzionale, Palazzo della 
consulta, il 
6 dicembre 
2016. 


Cassazione 
penale, Sezione 
3, sentenza 28 novembre 
2016 n. 50352 
-Pres. A. Fiale, Rel. 


e. 
Mengoni 
-Ricorso 
proposto 
da 
Procuratore 
della 
Repubblica 
presso 
il 
tribunale 
di 
Firenze 
nel 
procedimento nei 
confronti 
di 
I.t., avverso la 
sentenza 
del 
14 agosto 2015 del 
tribunale 
di Firenze. 
RIteNUto IN FAtto 


1. con sentenza 
del 
14 agosto 2015, il 
Giudice 
per le 
indagini 
preliminari 
del 
tribunale 
di 
Firenze 
dichiarava 
non luogo a 
procedere 
nei 
confronti 
di 
t.I. - indagato per il 
reato di 
cui 
agli 
artt. 192, 256, d. lgs. 3 aprile 
2006, n. 152 - perch� 
il 
fatto non sussiste; 
rilevava, al 
riguardo, 
che 
l'accusa 
si 
fondava 
esclusivamente 
su atti 
di 
indagine 
compiuti 
da 
personale 
del-
l'A.r.pa.t., al 
quale 
non pu� esser riconosciuta 
la 
qualifica 
di 
polizia 
giudiziaria, s� 
da 
risultare 
gli atti medesimi �radicalmente inutilizzabili�. 

RASSeGNA 
AVVocAtURA 
Dello 
StAto - N. 1/2017 


2. Propone 
ricorso per cassazione 
il 
Procuratore 
della 
Repubblica 
presso il 
tribunale 
di 
Firenze, deducendo - con unico motivo - la 
violazione 
dell'art. 57 cod. proc. pen. e 
del 
d.m. 
n. 58 del 
1997. Premesso il 
carattere 
oggettivamente 
controverso della 
questione, specie 
in 
ordine 
all'individuazione 
dell'autorit� 
competente 
ad assegnare 
la 
qualifica 
in oggetto, e 
richiamata 
la 
legge 
Regione 
toscana 
n. 12 del 
2013 (che 
la 
stessa 
qualifica 
ha 
espressamente 
riconosciuto, cos� 
per� inducendo dubbi 
di 
incostituzionalit�), si 
afferma 
che 
la 
soluzione 
affermativa 
non potrebbe, tuttavia, esser negata 
in forza 
di 
una 
lettura 
congiunta 
ed armonica 
degli 
articoli 
citati 
(e 
delle 
disposizioni 
contrattuali 
del 
personale 
de 
quo); 
a 
mente 
dei 
quali, 
infatti, 
tali 
soggetti 
-addetti 
a 
funzioni 
di 
prevenzione, 
verifica 
e 
controllo 
in 
materia 
di 
igiene 
e 
sicurezza 
ambientale, 
presidiate 
dalla 
legge 
penale 
-ricoprirebbero 
senza 
dubbio 
la 
qualifica 
di 
cui 
trattasi, 
senza 
peraltro 
rendere 
necessario 
il 
conferimento 
della 
stessa 
attraverso 
espressa 
previsione normativa. 
3. 
con 
requisitoria 
scritta 
del 
7 
marzo 
2016, 
il 
Procuratore 
generale 
presso 
questa 
corte 
ha 
chiesto 
annullarsi 
con 
rinvio 
il 
provvedimento 
impugnato, 
condividendo 
le 
tesi 
del 
ricorrente. 
coNSIDeRAto IN DIRItto 


3. Il ricorso merita accoglimento. 
Rileva 
innanzitutto 
il 
collegio 
che 
la 
sentenza 
impugnata 
-lungi 
dall'affermare 
con 
motivata 
sicurezza 
un principio di 
diritto, per poi 
porlo a 
fondamento della 
decisione 
- ha 
sottolineato 
in primo luogo il 
carattere 
controverso della 
questione, �a 
pi� riprese 
e 
a 
pi� livelli 
dibattuta 
e 
nel 
tempo si 
sono cos� 
susseguiti 
vari 
pronunciamenti 
e 
pareri, di 
segno opposto 
tra 
loro, 
che 
hanno 
prima 
affermato 
e 
poi 
negato 
che 
il 
personale 
Arpa 
abbia 
ricevuto, 
da 
norme 
di 
rango statale, la 
qualifica 
di 
u.p.g.�; 
mossa 
questa 
premessa, il 
Giudice 
ha 
quindi 
ritenuto 
opportuno 
�prendere 
atto 
dell'orientamento 
che, 
certamente 
nel 
circondario 
fiorentino, 
si 
� 
affermato, e 
che 
fa 
discendere 
da 
ci� l'assenza 
della 
qualifica� in oggetto. orientamento, 
subito dopo, argomentato con il 
richiamo al 
d. lgs. 30 dicembre 
1992, n. 502 (Riordino della 
disciplina in materia sanitaria, a norma dell'articolo 1 della legge 
23 ottobre 
1992, n. 421) 
ed al 
d.m. 17 gennaio 1997, n. 58 (Regolamento concernente 
la individuazione 
della figura e 
relativo profilo professionale 
del 
tecnico della prevenzione 
nell'ambiente 
e 
nei 
luoghi 
di 
lavoro), 
cos� 
poi 
concludendo 
che 
la 
disciplina 
di 
quest'ultimo 
non 
pu� 
trovare 
applicazione 
nei 
confronti 
del 
personale 
A.r.p.a.t., non concernendo - in parte 
qua 
- il 
settore 
della 
tutela 
delle 
acque e della corretta gestione dei rifiuti. 

4. orbene, ritiene 
il 
collegio che 
questa 
conclusione 
non possa 
esser condivisa, in uno 
con la 
premessa 
argomentativa 
che 
la 
sostiene, in forza 
delle 
considerazioni 
di 
cui 
al 
ricorso, 
che si apprezzano per la particolare lucidit� e fondatezza. 
5. 
In 
tal 
senso, 
quindi, 
occorre 
muovere 
dall'art. 
57 
cod. 
proc. 
pen., 
a 
mente 
del 
cui 
comma 
3 "sono altres� 
ufficiali 
e 
agenti 
di 
polizia 
giudiziaria, nei 
limiti 
del 
servizio cui 
sono 
destinate 
e 
secondo le 
rispettive 
attribuzioni, le 
persone 
alle 
quali 
le 
leggi 
e 
i 
regolamenti 
attribuiscono 
le 
funzioni 
previste 
dall'articolo 
55"; 
da 
individuarsi, 
queste 
ultime, 
nel 
"prendere 
notizia 
dei 
reati, impedire 
che 
vengano portati 
a 
conseguenze 
ulteriori, ricercarne 
gli 
autori, 
compiere 
gli 
atti 
necessari 
per 
assicurare 
le 
fonti 
di 
prova 
e 
raccogliere 
quant'altro 
possa 
servire 
per 
l'applicazione 
della 
legge 
penale", 
nonch� 
nello 
svolgere 
"ogni 
indagine 
e 
attivit� 
disposta 
o delegata dall'autorit� giudiziaria". 
Di 
seguito, 
occorre 
richiamare 
la 
legge 
23 
dicembre 
1978, 
n. 
833, 
istitutiva 
del 
Servizio 
sanitario 
nazionale, 
la 
quale 
-all'art. 
21 
(Organizzazione 
dei 
servizi 
di 
prevenzione) 
-stabilisce 
che 
"in 
applicazione 
di 
quanto 
disposto 
nell'ultimo 
comma 
dell'art. 
27, 
D.P.R. 
24 
luglio 
1977, 



coNteNzIoSo 
NAzIoNAle 


n. 
616 
(12/b), 
spetta 
al 
prefetto 
stabilire, 
su 
proposta 
del 
presidente 
della 
regione, 
quali 
addetti 
ai 
servizi 
di 
ciascuna 
unit� 
sanitaria 
locale, 
nonch� 
ai 
presidi 
e 
servizi 
di 
cui 
al 
successivo 
articolo 
22 
assumano 
ai 
sensi 
delle 
leggi 
vigenti 
la 
qualifica 
di 
ufficiale 
di 
polizia 
giudiziaria, 
in 
relazione 
alle 
funzioni 
ispettive 
e 
di 
controllo 
da 
essi 
esercitate 
relativamente 
all'applicazione 
della 
legislazione 
sulla 
sicurezza 
del 
lavoro 
(comma 
3). 
Al 
personale 
di 
cui 
al 
comma 
precedente 
� 
esteso 
il 
potere 
d'accesso 
attribuito 
agli 
ispettori 
del 
lavoro 
dall'art. 
8, 
secondo 
comma, 
nonch� 
la 
facolt� 
di 
diffida 
prevista 
dall'art. 
9, 
D.P.R. 
19 
marzo 
1955, 
n. 
520" 
(comma 
4). 
tale 
disposizione, sia 
pur direttamente 
non riferibile 
al 
caso di 
specie 
(poich� 
attinente 
soltanto alla 
materia 
della 
sicurezza 
del 
lavoro), deve 
per� esser letta 
in combinato disposto 
con il 
d.l. 4 dicembre 
1993, n. 496 (Disposizioni 
urgenti 
sulla riorganizzazione 
dei 
controlli 
ambientali 
e 
istituzione 
dell'Agenzia 
nazionale 
per 
la 
protezione 
dell'ambiente), 
convertito 
nella 
l. 21 gennaio 1994, n. 61, il 
cui 
art. 03 stabilisce 
che 
"Per lo svolgimento delle 
attivit� 
di 
interesse 
regionale 
di 
cui 
all'articolo 01 e 
delle 
ulteriori 
attivit� 
tecniche 
di 
prevenzione, di 
vigilanza 
e 
di 
controllo ambientale, eventualmente 
individuate 
dalle 
regioni 
e 
dalle 
province 
autonome 
di 
trento 
e 
di 
bolzano, 
le 
medesime 
regioni 
e 
province 
autonome 
con 
proprie 
leggi, 
entro centottanta 
giorni 
dalla 
data 
di 
entrata 
in vigore 
della 
legge 
di 
conversione 
del 
presente 
decreto, 
istituiscono 
rispettivamente 
Agenzie 
regionali 
e 
provinciali, 
attribuendo 
ad 
esse 
o 
alle 
loro articolazioni 
territoriali 
le 
funzioni, il 
personale, i 
beni 
mobili 
e 
immobili, le 
attrezzature 
e 
la 
dotazione 
finanziaria 
dei 
presidi 
rnultizonali 
di 
prevenzione, nonch� 
il 
personale, 
l'attrezzatura 
e 
la 
dotazione 
finanziaria 
dei 
servizi 
delle 
unit� 
sanitarie 
locali 
adibiti 
alle 
attivit� 
di cui all'articolo 01". 

lo 
stesso 
decreto, 
al 
successivo 
art. 
2-bis, 
prescrive 
poi 
che, 
"nell'espletamento 
delle 
funzioni 
di 
controllo 
e 
di 
vigilanza 
di 
cui 
al 
presente 
decreto, 
il 
personale 
ispettivo 
dell'ANPA, 
per l'esercizio delle 
attivit� 
di 
cui 
all'articolo 1, comma 
1, e 
delle 
Agenzie 
di 
cui 
all'articolo 
03 pu� accedere 
agli 
impianti 
e 
alle 
sedi 
di 
attivit� 
e 
richiedere 
i 
dati, le 
informazioni 
e 
i 
documenti 
necessari 
per l'espletamento delle 
proprie 
funzioni. tale 
personale 
� 
munito di 
documento 
di 
riconoscimento 
rilasciato 
dall'Agenzia 
di 
appartenenza. 
Il 
segreto 
industriale 
non 
pu� essere opposto per evitare od ostacolare le attivit� di verifica o di controllo". 

Da 
ultimo, e 
soltanto per via 
cronologica, occorre 
qui 
richiamare 
il 
gi� 
citato decreto 
ministeriale 
17 gennaio 1997, n. 58 (Regolamento concernente 
la individuazione 
della figura 
e 
relativo profilo professionale 
del 
tecnico della prevenzione 
nell'ambiente 
e 
nei 
luoghi 
di 
lavoro), 
con il 
quale 
il 
Ministro della 
Sanit�, prima 
ancora 
di 
elencare 
le 
competenze 
spettanti 
al 
tecnico 
medesimo, 
afferma 
(art. 
1, 
comma 
2) 
che 
"Il 
tecnico 
della 
prevenzione 
nell'ambiente 
e 
nei 
luoghi 
di 
lavoro, 
operante 
nei 
servizi 
con 
compiti 
ispettivi 
e 
di 
vigilanza 
�, 
nei 
limiti 
delle 
proprie 
attribuzioni, 
ufficiale 
di 
polizia 
giudiziaria; 
svolge 
attivit� 
istruttoria, 
finalizzata 
al rilascio di autorizzazioni o di nulla osta tecnico sanitari per attivit� soggette a controllo". 

orbene, 
cos� 
richiamata 
la 
normativa 
di 
riferimento, 
occorre 
innanzitutto 
evidenziare 
che 
la 
stessa 
- di 
natura 
legislativa 
e 
regolamentare 
- riveste 
indubbio carattere 
generale, relativo 
cio� 
all'intero 
territorio 
nazionale, 
come 
(implicitamente) 
richiesto 
dal 
citato 
art. 
57 
cod. pen. proprio in tema 
di 
attribuzione 
delle 
funzioni 
di 
polizia 
giudiziaria; 
dal 
che, l'irrilevanza, 
nel 
caso di 
specie, della 
l. Regione 
toscana 
22 giugno 2009, n. 30, novellata 
sul 
punto 
dalla 
l. 
r. 
2 
aprile 
2013, 
n. 
12, 
che 
ha 
comunque, 
parimenti, 
attribuito 
al 
direttore 
generale 
del-
l'Arpat 
(in luogo del 
prefetto, come 
sopra 
indicato) la 
competenza 
ad individuare 
- peraltro, 
"con atto di 
natura 
ricognitiva" 
- il 
personale 
che, nell'ambito delle 
attivit� 
di 
ispezione 
e 
vigilanza, 
svolge funzioni di ufficiale di polizia giudiziaria. 

Di 
seguito, 
ed 
in 
adesione 
alla 
prospettazione 
del 
Procuratore 
ricorrente, 
sottolinea 
il 



RASSeGNA 
AVVocAtURA 
Dello 
StAto - N. 1/2017 


collegio che 
tale 
disciplina 
- e, in particolare, il 
citato decreto ministeriale 
n. 58 del 
1997, in 
uno con il 
d. l. n. 496 del 
1993 - costituisce 
un imprescindibile 
e 
chiaro supporto normativo 
per 
affermare 
la 
qualifica 
di 
cui 
trattasi 
in 
capo 
al 
personale 
in 
esame, 
proprio 
in 
ragione 
delle 
specifiche 
competenze 
allo stesso attribuite 
ed alla 
rilevanza 
- anche 
costituzionale 
- del 
bene 
al 
quale 
le 
stesse 
attengono, 
oggetto 
di 
tutela 
penale; 
in 
particolare, 
il 
decreto 
medesimo 
emanato 
in attuazione 
del 
d. lgs. 30 dicembre 
1992, n. 502, ripreso nell'ordinanza 
impugnata 


-stabilisce 
(art. 1, comma 
1) che 
"il 
tecnico della 
prevenzione 
nell'ambiente 
e 
nei 
luoghi 
di 
lavoro � 
l'operatore 
sanitario che, in possesso del 
diploma 
universitario abilitante, � 
responsabile, 
nell'ambito 
delle 
proprie 
competenze, 
di 
tutte 
le 
attivit� 
di 
prevenzione, 
verifica 
e 
controllo 
in materia 
di 
igiene 
e 
sicurezza 
ambientale 
nei 
luoghi 
di 
vita 
e 
di 
lavoro, di 
igiene 
degli 
alimenti 
e 
delle 
bevande, di 
igiene 
di 
sanit� 
pubblica 
e 
veterinaria". Una 
competenza 
ampia, 
quindi, diffusamente 
descritta 
al 
comma 
3 dell'art. 1, a 
mente 
del 
quale 
il 
tecnico medesimo: 
a) istruisce, determina, contesta 
e 
notifica 
le 
irregolarit� 
rilevate 
e 
formula 
pareri 
nell'ambito 
delle 
proprie 
competenze; 
b) vigila 
e 
controlla 
gli 
ambienti 
di 
vita 
e 
di 
lavoro e 
valuta 
la 
necessit� 
di 
effettuare 
accertamenti 
ed inchieste 
per infortuni 
e 
malattie 
professionali; 
c) vigila 
e 
controlla 
la 
rispondenza 
delle 
strutture 
e 
degli 
ambienti 
in 
relazione 
alle 
attivit� 
ad 
esse 
connesse; 
d) vigila 
e 
controlla 
le 
condizioni 
di 
sicurezza 
degli 
impianti; 
e) vigila 
e 
controlla 
la 
qualit� 
degli 
alimenti 
e 
bevande 
destinati 
all'alimentazione 
dalla 
produzione 
al 
consumo 
e 
valuta 
la 
necessit� 
di 
procedere 
a 
successive 
indagini 
specialistiche; 
f) vigila 
e 
controlla 
l'igiene 
e 
sanit� 
veterinaria, nell'ambito delle 
proprie 
competenze, e 
valuta 
la 
necessit� 
di 
procedere 
a 
successive 
indagini; 
g) 
vigila 
e 
controlla 
i 
prodotti 
cosmetici; 
h) 
collabora 
con 
l'amministrazione 
giudiziaria 
per indagini 
sui 
reati 
contro il 
patrimonio ambientale, sulle 
condizioni 
di 
igiene 
e 
sicurezza 
nei 
luoghi 
di 
lavoro e 
sugli 
alimenti. Fino a 
stabilirsi, quale 
disposizione 
di 
chiusura, 
che 
lo 
stesso 
tecnico 
della 
prevenzione 
dell'ambiente 
"vigila 
e 
controlla 
quant'altro 
previsto da 
leggi 
e 
regolamenti 
in materia 
di 
prevenzione 
sanitaria 
e 
ambientale, nell'ambito 
delle proprie competenze" (art. 1, comma 3, lett. i). 
competenze 
per 
le 
quali 
-si 
ribadisce 
-lo 
stesso 
decreto 
n. 
58/1997 
riconosce 
la 
qualifica 
di 
polizia 
giudiziaria 
anche 
al 
personale 
dell'A.r.p.a.t. che 
ha 
compiuto gli 
accertamenti 
di 
cui 
al 
giudizio in esame; 
s� 
da 
condividere 
l'assunto del 
Procuratore 
ricorrente 
in forza 
del 
quale, 
�poich� 
la 
tutela 
dell'ambiente 
� 
materia 
presidiata 
dalla 
legge 
penale, 
le 
funzioni 
di 
vigilanza 
e 
controllo che 
la 
citata 
normativa 
statale 
riconosce 
(e, quanto alla 
Regione 
toscana, anche 
la 
conforme 
e 
successiva 
legislazione 
regionale) 
ai 
tecnici 
delle 
Agenzie 
Regionali 
non 
possono 
non 
essere 
ricondotte 
nell'alveo 
della 
previsione 
di 
cui 
all'art. 
55 
c.p.p. 
e, 
quanto 
alla 
qualifica 
spettante 
ai 
soggetti 
che 
ne 
sono titolari, alla 
generale 
previsione 
di 
cui 
al 
citato terzo comma 
del successivo art. 57 c.p.p.�. 

e 
s�, 
ancora, 
da 
imporre 
l'annullamento 
della 
sentenza 
impugnata, 
con 
rinvio 
al 
tribunale 
di Firenze, per l'ulteriore esame del procedimento. 

P.Q.M. 
Annulla la sentenza impugnata con rinvio al 
tribunale di Firenze. 
cos� deciso in Roma, il 3 novembre 2016. 

coNteNzIoSo 
NAzIoNAle 


Il �rito Fornero� e le controversie aventi ad 


oggetto l�impugnativa dei licenziamenti instaurate 


dai pubblici dipendenti �contrattualizzati� 


NOTA 
A 
TRIBUNALE 
DI 
NAPOLI, SEz. LAV., ORDINANzA 
8 FEBBRAIO 
2017 


Anna Andolfi* 


SOMMARIO: 1. La �riforma Fornero� 
e 
il 
licenziamento del 
pubblico dipendente 
- 2. La 
controversia questione 
dell�applicabilit� dell�art. 18 dello Statuto dei 
Lavoratori, novellato 
dalla 
�riforma 
Fornero�, 
al 
pubblico 
impiego 
-3. 
La 
controversia 
questione 
dell�applicabilit� 
del 
�rito Fornero� 
al 
pubblico impiego - 4. Brevi 
cenni 
sulla qualit� della cognizione 
nella 
prima fase del �rito Fornero� - 5. Considerazioni conclusive. 


1. La �riforma Fornero� e il licenziamento del pubblico dipendente. 
l�ordinanza 
che 
si 
annota 
prende 
posizione 
su 
una 
delle 
questioni 
pi� 
controverse 
sorte 
con 
l�entrata 
in 
vigore 
della 
legge 
28 
giugno 
2012, 
n. 
92, 
vale 
a 
dire 
l�applicabilit� 
(o 
meno) 
del 
rito 
per 
l�impugnativa 
dei 
licenziamenti, 
disciplinato 
dall�art. 
1, 
commi 
47 
ss., 
della 
citata 
legge, 
alle 
controversie 
aventi 
ad 
oggetto 
l�impugnativa 
dei 
licenziamenti 
instaurate 
dai 
pubblici 
dipendenti 
�contrattualizzati�. 


Infatti, 
sin 
dall�entrata 
in 
vigore 
della 
legge 
n. 
92/2012, 
dottrina 
e 
giurisprudenza 
hanno 
nutrito 
dubbi 
in 
ordine 
all�ambito 
di 
applicazione 
della 
riforma. 


I 
maggiori 
dubbi 
sono 
sorti 
soprattutto 
a 
causa 
dell�equivoca 
formulazione 
dei 
commi 
7 
e 
8 
dell�art. 
1, 
l. 
n. 
92/2012, 
concernenti 
la 
disciplina 
transitoria 
(1). 


Il 
problema 
posto 
all�interprete 
� 
stabilire 
se 
l�applicazione 
al 
dipendente 
presso le 
pubbliche 
amministrazioni 
delle 
disposizioni 
di 
cui 
alla 
legge 
n. 92 
del 
2012 sia 
condizionata 
al 
soddisfacimento delle 
iniziative, di 
cui 
al 
comma 
8, da parte del Ministero per la Pubblica 
Amministrazione. 

l�incertezza 
interpretativa 
posta 
dalle 
predette 
disposizioni 
� 
ulteriormente 
aggravata 
dalle 
previsioni 
di 
cui 
agli 
artt. 2 e 
51 del 
D.lgs. 30 marzo 
2001, n. 165, le 
quali 
prevedono una 
estensione 
generalizzata 
delle 
regole 
vigenti 
nel 
settore 
privato, 
ivi 
inclusa 
la 
legge 
20 
maggio 
1970, 
n. 
300, 
ai 
rapporti 
di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni (2). 

(*) Dottore in Giurisprudenza, gi� praticante forense presso l�Avvocatura distrettuale di Napoli. 


(1) Mentre 
il 
comma 
7 prevede 
che 
�le 
disposizioni 
della 
presente 
legge, per quanto ad esse 
non 
espressamente 
previsto, costituiscono principi 
e 
criteri 
per la 
regolazione 
dei 
rapporti 
di 
lavoro dei 
dipendenti 
delle 
pubbliche 
amministrazioni 
[�]�, il 
comma 
8 dispone 
che 
�Ai 
fini 
dell�applicazione 
del 
comma 
7 
il 
Ministro 
per 
la 
pubblica 
amministrazione 
e 
la 
semplificazione, 
sentite 
le 
organizzazioni 
sindacali 
maggiormente 
rappresentative 
dei 
dipendenti 
delle 
amministrazioni 
pubbliche, individua 
e 
definisce, 
anche 
mediante 
iniziative 
normative, 
gli 
ambiti, 
le 
modalit� 
e 
i 
tempi 
di 
armonizzazione 
della 
disciplina relativa ai dipendenti delle amministrazioni pubbliche�. 
(2) coSMAI 
P., La questione 
dell�applicabilit� del 
rito Fornero al 
pubblico impiego, in Il 
Lavoro 
nella Giurisprudenza, 2014, 790. 

RASSeGNA 
AVVocAtURA 
Dello 
StAto - N. 1/2017 


Su 
queste 
basi 
in 
dottrina 
e 
in 
giurisprudenza 
sono 
emerse 
diverse 
opzioni 
ermeneutiche 
circa 
i 
confini 
applicativi 
della 
riforma 
�Fornero�, 
con 
riferimento 
sia 
ai 
profili 
sostanziali 
che 
a 
quelli 
processuali 
della 
predetta 
riforma. 

2. 
La 
controversa 
questione 
dell�applicabilit� 
dell�art. 
18 
dello 
Statuto 
dei 
Lavoratori, novellato dalla �riforma Fornero�, al pubblico impiego. 
la 
tesi 
favorevole 
all�applicazione 
dell�art. 
18, 
come 
modificato 
dalla 
legge 
n. 92/2012 al 
pubblico impiego, fa 
leva 
sulla 
assimilazione 
dei 
rapporti 
di 
lavoro dei 
dipendenti 
presso le 
pubbliche 
amministrazioni 
ai 
lavoratori 
del 
settore 
privato 
(3), 
assimilazione 
confermata 
dal 
�rinvio 
mobile� 
di 
cui 
all�art. 
51, comma 
2, D.lgs. n. 165/2001, il 
quale 
imporrebbe 
l�applicazione 
del 
novellato 
art. 18 anche ai rapporti di lavoro pubblico (4). 

la 
tesi 
contraria 
si 
fonda 
sulla 
incompatibilit� 
con 
il 
pubblico 
impiego 
degli 
obiettivi 
della 
riforma 
-vale 
a 
dire 
l�incremento 
occupazionale, 
agevolando 
la 
c.d. 
flessibilit� 
in 
uscita 
-atteso 
che 
l�impiego 
presso 
le 
Amministrazioni 
ha 
un 
sistema 
di 
accesso 
diverso 
da 
quello 
privato 
e 
basato 
esclusivamente 
sul 
pubblico 
concorso 
(5). 
Inoltre, 
come 
evidenziato 
dai 
sostenitori 
della 
tesi 
in 
esame, 
posto 
che 
il 
rinvio 
di 
cui 
all�art. 
2, 
comma 
2, 
del 
D.lgs. 
n. 
165/2001, 
ha 
l�effetto 
di 
estendere 
al 
pubblico 
impiego 
tutte 
le 
norme 
sul 
lavoro 
privato, 
i 
commi 
7 
e 
8 
dell�art. 
1, 
della 
l. 
n. 
92/2012 
avrebbero 
lo 
scopo 
specifico 
di 
paralizzare 
l�efficacia 
del 
predetto 
rinvio, 
rendendo 
inapplicabili 
le 
disposizioni 
di 
cui 
alla 
�riforma 
Fornero� 
(6). 


la 
tesi 
in 
ultimo 
esaminata 
ha 
il 
pregio 
di 
offrire 
una 
soluzione 
che 
tenga 
conto 
delle 
diversit� 
ontologiche 
tra 
il 
settore 
pubblico 
e 
quello 
privato, 
con 
particolare 
riferimento 
alle 
disposizioni 
in 
tema 
di 
licenziamento 
individuale. 
Si 
consideri, 
infatti, 
che 
l�art. 
55 
del 
D.lgs. 
n. 
165/2001 
prevede 
che 
le 
disposizioni 
dettate 
in 
tema 
di 
procedura 
disciplinare 
del 
pubblico 
dipendente, 
nonch� 
in 
tema 
di 
giusta 
causa 
o 
giustificato 
motivo 
di 
licenziamento, 
sono 
norme 
imperative, 
ai 
sensi 
e 
per 
gli 
effetti 
degli 
artt. 
1339 
e 
1418, 
comma 
2, 
c.c., 
la 
cui 
violazione 
dovrebbe 
comportare 
la 
nullit� 
del 
recesso. 
Viceversa, 
la 
disci


(3) cAVAllARo 
l., Pubblico Impiego e 
(nuovo) art. 18 St. lav.: �difficile 
convivenza� 
o �coesistenza 
pacifica�?, in WP 
C.S.D.L.E. �Massimo D�Antona�.IT 
- 176/2013; 
ID., Perch� 
il 
nuovo art. 18 
St. lav. si 
applica al 
pubbligo impiego, in Il 
Lavoro nelle 
Pubbliche 
Amministrazioni, 2013, 6, 927 ss.; 
cURzIo 
P., Il nuovo rito per i licenziamenti, in WP C.S.D.L.E. �Massimo D�Antona�. IT - 258/2012. 
(4) GRAzIA 
M.A., La disciplina del 
licenziamento nel 
pubblico impiego dopo la riforma Fornero, 
in Il Lavoro nella Giurisprudenza, 2016, 77 ss. 
(5) 
cARINcI 
F., 
Ripensando 
il 
nuovo 
art. 
18 
dello 
Statuto 
dei 
Lavoratori, 
in 
Argomenti 
di 
Diritto 
del 
Lavoro, 
2013, 
3, 
461 
ss.; 
ID., 
� 
applicabile 
il 
novellato 
art. 
18 
St. 
al 
pubblico 
impiego 
privatizzato? 
(una 
domanda 
ancora 
in 
cerca 
di 
risposta), 
in 
Il 
Lavoro 
nelle 
Pubbliche 
Amministrazioni, 
2013, 
6, 
913 
ss.; 
bARbeRI 
M., 
La 
nuova 
disciplina 
del 
licenziamento 
individuale: 
profili 
sostanziali 
e 
questioni 
controverse, 
in 
bARbeRI 
M., 
DAlFINo 
D., 
Il 
licenziamento 
individuale, 
2013, 
cacucci 
editore, 
bari, 
49. 
(6) bARbeRI 
M., La nuova disciplina del 
licenziamento individuale: profili 
sostanziali 
e 
questioni 
controverse, cit., 49. 

coNteNzIoSo 
NAzIoNAle 


plina 
introdotta 
dalla 
legge 
n. 
92/2012 
ha 
generalizzato 
la 
tutela 
risarcitoria, 
sancendo 
la 
nullit� 
del 
recesso 
datoriale 
nei 
soli 
casi 
tassativamente 
indicati 
nel 
comma 
1 
dell�art. 
18, 
legge 
n. 
300/1970 
(7). 
Il 
limite 
della 
tesi 
in 
ultimo 
citata 
pu� 
individuarsi 
nella 
difficolt� 
di 
ipotizzare 
la 
coesistenza 
di 
due 
diversi 
articoli 
18 
dello 
Statuto 
dei 
lavoratori, 
posto 
che, 
come 
testualmente 
previsto 
dall�art. 
1, 
comma 
42, 
della 
legge 
n. 
92/2012, 
il 
vecchio 
testo 
dell�art. 
18 
sarebbe 
stato 
sostituito 
dalla 
formulazione 
di 
nuovo 
conio. 


Si 
registra, 
infine, 
una 
tesi 
intermedia 
(8), 
la 
quale 
sussume 
tutte 
le 
ipotesi 
di 
illegittimit� 
del 
licenziamento 
del 
pubblico 
dipendente 
alla 
tutela 
reintegratoria 
piena 
di 
cui 
al 
primo 
comma 
dell�art. 
18 
dello 
St. 
lav., 
lasciando 
i 
restanti 
tre 
regimi 
sanzionatori 
di 
cui 
ai 
commi 
successivi 
(9) al 
solo impiego privato. 
l�opzione 
ermeneutica 
in esame 
si 
fonda 
sul 
carattere 
imperativo delle 
disposizioni 
contenute 
negli 
artt. 55 ss. del 
D.lgs. n. 165/2001 e 
sulla 
impossibilit� 
di 
configurare, in capo al 
lavoratore 
pubblico illegittimamente 
licenziato, una 
tutela 
meramente 
risarcitoria 
(10), in considerazione 
delle 
maggiori 
difficolt� 
di accesso al pubblico impiego. 


la 
tesi 
in 
ultimo 
menzionata 
ha 
ispirato 
la 
prima 
pronuncia 
di 
legittimit� 
sulla 
tematica 
della 
applicabilit� 
al 
pubblico 
dipendente 
della 
novellata 
disciplina 
di 
cui 
all�art. 
18 
della 
legge 
n. 
300/1970. 
la 
corte 
di 
cassazione 
infatti, 
con 
la 
sentenza 
26 
novembre 
2015, 
n. 
24157 
(11), 
sul 
presupposto 
dell�applicabilit� 
del 
novellato 
art. 
18, 
ha 
sancito 
che 
le 
violazioni 
formali 
della 
procedura 
disciplinare 
promossa 
nei 
confronti 
del 
pubblico 
dipendente 
danno 
vita 
alla 
tutela 
reintegratoria 
piena 
di 
cui 
al 
primo 
comma 
della 
predetta 
disposizione 
(12). 


Il 
dibattito 
sulla 
tormentata 
questione 
del 
perimetro 
applicativo 
della 
�riforma 
Fornero� 
ha 
assunto 
nuovo 
vigore 
con 
il 
D.lgs. 
4 
marzo 
2015, 
n. 
23 
(13), 
il 
quale 
opta 
per 
una 
netta 
esclusione 
delle 
pubbliche 
amministrazioni 
dall�ambito 
di 
applicazione 
della 
riforma. 
l�art. 
1, 
comma 
1, 
del 
richiamato 
decreto 
le


(7) GRAzIA 
M.A., La disciplina del 
licenziamento nel 
pubblico impiego dopo la riforma Fornero, 
cit., 77. 
(8) 
De 
lUcA 
M., 
Riforma 
della 
tutela 
reale 
contro 
il 
licenziamento 
illegittimo 
e 
rapporto 
di 
lavoro 
privatizzato alla dipendenza di 
amministrazioni 
pubbliche: problemi 
e 
prospettive 
di 
coordinamento, 
in WP C.S.D.L.E. �Massimo D�Antona�.IT - 178/2013. 
(9) Vale 
a 
dire 
la 
tutela 
reintegratoria 
attenuata 
di 
cui 
ai 
commi 
4 e 
7 dell�art. 18, la 
tutela 
indennitaria 
piena 
di 
cui 
al 
comma 
5 del 
novellato art. 18 e 
la 
tutela 
indennitaria 
attenuata 
o debole 
di 
cui 
al 
comma 
6 dell�art. 18 dello Statuto dei 
lavoratori 
(bARbeRI 
M., La nuova disciplina del 
licenziamento 
individuale: profili sostanziali e questioni controverse, cit., 18 ss.). 
(10) GIoRGI 
e., 
Art. 18 Stat. Lav. e 
impiego pubblico contrattualizzato: brevi 
riflessioni 
su un revirement 
giurisprudenziale, in Il Lavoro nella Giurisprudenza, 2016, 7, 679. 
(11) In Il Lavoro nelle Pubbliche 
Amministrazioni, 2015, 3-4, 510 ss., con nota di 
tAMPIeRI 
A. 
(12) 
GRAzIA 
M.A., 
La 
disciplina 
del 
licenziamento 
nel 
pubblico 
impiego 
dopo 
la 
riforma 
Fornero, 
cit., 83. 
(13) Recante 
�disposizioni 
in materia 
di 
contratto di 
lavoro a 
tempo indeterminato a 
tutele 
crescenti, 
in attuazione della legge 10 dicembre 2014, n. 183�. 

RASSeGNA 
AVVocAtURA 
Dello 
StAto - N. 1/2017 


gislativo, 
infatti, 
definendo 
il 
campo 
di 
applicazione 
nella 
normativa, 
identifica 
come 
destinatari 
le 
categorie 
dei 
lavoratori 
privati 
definiti 
dall�art. 
2095 
c.c. 
(14). 


Un 
ultimo 
importante 
arresto, 
nel 
dibattito 
relativo 
ambito 
di 
applicazione 
del 
novellato art. 18 St. lav., si 
� 
avuto con la 
sentenza 
della 
corte 
di 
cassazione, 
n. 
11868 
del 
9 
giugno 
2016 
(15). 
la 
Suprema 
corte, 
dopo 
aver 
illustrato 
gli 
orientamenti 
dottrinari 
e 
giurisprudenziali 
formatisi 
sul 
tema, mutando il 
precedente 
orientamento, 
ha 
escluso 
l�applicabilit�, 
ai 
dipendenti 
pubblici 
�contrattualizzati�, della 
disciplina 
di 
cui 
all�art. 18 della 
legge 
n. 300/1970. 
Secondo 
il 
giudice 
di 
legittimit�, 
sino 
all�intervento 
normativo 
di 
cui 
al 
comma 
8, 
art. 
1, 
legge 
n. 
92/2012, 
�non 
si 
estendono 
ai 
dipendenti 
delle 
pubbliche 
amministrazioni 
le 
modifiche 
apportate 
all�art. 18 dello Statuto, con la 
conseguenza 
che 
la 
tutela 
da 
riconoscere 
a 
detti 
dipendenti 
in caso di 
licenziamento 
illegittimo resta 
quella 
assicurata 
dalla 
previgente 
formulazione 
della 
norma� 
(16). la 
corte, al 
fine 
di 
salvaguardare 
la 
specialit� 
della 
disciplina 
del 
lavoro 
alle 
dipendenze 
delle 
pubbliche 
amministrazioni, propende 
per la 
perdurante 
vigenza 
dell�art. 18 della 
legge 
n. 300/1970 nel 
testo antecedente 
alla 
legge 
n. 
92/2012 
limitatamente 
ai 
rapporti 
di 
lavoro 
di 
cui 
all�art. 
2 
del 
D.lgs. 
n. 
165/2001. 
tale 
opzione 
ermeneutica, 
tuttavia, 
suscita 
qualche 
perplessit� 
in 
quanto, 
valorizzando 
eccessivamente 
la 
disposizione 
transitoria 
di 
cui 
al 
comma 
8, art. 1, legge 
n. 92/2012, finisce 
per scavalcare 
il 
dato letterale 
del-
l�art. 1, comma 
42, della 
predetta 
legge, il 
quale 
ha 
sic 
et 
simpliciter 
sostituito 
la precedente formulazione dell�art. 18 con quella di nuovo conio. 


3. La controversa questione 
dell�applicabilit� del 
�rito Fornero� 
al 
pubblico 
impiego. 
Il 
dibattito 
in 
ordine 
all�ambito 
di 
applicazione 
della 
legge 
n. 
92/2012 
ha 
investito 
non 
soltanto 
i 
profili 
sostanziali, 
ma 
anche 
quelli 
processuali 
della 
riforma. 


comՏ 
noto, 
il 
legislatore, 
con 
la 
legge 
28 
giugno 
2012, 
n. 
92, 
in 
evidente 
controtendenza 
rispetto alla 
scelta 
operata 
con il 
D.lgs. 1� 
settembre 
2011, n. 
150 (17), ripropone 
la 
tecnica 
della 
tutela 
giurisdizionale 
differenziata 
(18), 
introducendo un rito ad hoc 
per la 
trattazione 
delle 
controversie 
aventi 
ad og


(14) Secondo una 
parte 
della 
dottrina, l�intervento normativo in ultimo citato, in sostanziale 
continuit� 
con 
la 
�riforma 
Fornero�, 
testimonierebbe 
la 
tendenza 
alla 
progressiva 
disgregazione 
del 
principio 
della 
privatizzazione 
del 
lavoro pubblico (MAINARDI 
S., Il 
campo di 
applicazione 
del 
d.lgs. 23/2015: licenziamenti 
illegittimi, tutele 
crescenti 
e 
dipendenti 
pubblici, in Il 
Lavoro nelle 
Pubbliche 
Amministrazioni, 
2015, 
1, 
37 
ss.; 
sulla 
c.d. 
�riforma 
Fornero�, 
RoMeo 
c., 
La 
�legge 
Fornero� 
e 
il 
rapporto 
di 
impiego 
pubblico, 
in 
Lavoro 
nelle 
Pubbliche 
Amministrazioni, 
2012, 
721). 
con 
riferimento 
ai 
profili 
processuali 
del 
D.lgs. 
n. 
23/2015 
si 
rinvia 
a 
boRGheSI 
D., 
Aspetti 
processuali 
del 
contratto 
a 
tutele 
crescenti, 
in 
www.judicium.it; 
De 
ANGelIS 
l., Il 
contratto a tutele 
crescenti. Il 
giudizio, in WP 
C.S.D.L.E. 
�Massimo D�Antona�.IT - 250/2015. 
(15) In Il Lavoro nella Giurisprudenza, 2016, 7, 674 ss., con nota di GIoRGI 
e. 
(16) Sul 
punto anche 
PUccettI 
e., Il 
nuovo articolo 18 si 
applica al 
pubblico impiego, anzi 
no, 
in Il Lavoro nelle Pubbliche 
Amministrazioni, 2016, 6, 949 ss. 

coNteNzIoSo 
NAzIoNAle 


getto l�impugnativa 
dei 
licenziamenti, nelle 
quali 
si 
chieda 
l�applicazione 
di 
una 
o 
pi� 
delle 
tutele 
previste 
nel 
novellato 
art. 
18 
della 
legge 
n. 
300 
del 
1970. 
la 
disciplina 
di 
riferimento � 
contenuta 
nei 
commi 
da 
47 a 
69 dell�art. 1, 


l. 
n. 
92 
del 
2012, 
i 
quali 
disegnano 
un 
rito 
strutturato 
in 
quattro 
fasi: 
primo 
grado di 
giudizio a 
struttura 
bifasica 
(prima 
fase, sommaria, da 
concludersi, 
in tempi 
brevi, con ordinanza 
�immediatamente 
esecutiva�, che 
si 
svolge 
dinanzi 
al 
tribunale 
in funzione 
di 
giudice 
del 
lavoro; 
fase, eventuale, di 
opposizione, 
avverso 
l�ordinanza, 
che 
si 
svolge 
dinanzi 
al 
medesimo 
tribunale 
e 
che 
sar� 
definita 
con sentenza); 
secondo grado di 
giudizio, eventuale, da 
proporsi, 
mediante 
�reclamo�, dinanzi 
alla 
corte 
d�Appello; 
terzo ed eventuale 
grado di 
giudizio, dinanzi 
alla 
corte 
di 
cassazione 
avverso la 
sentenza 
pronunciata 
dal giudice d�appello (19). 
Il 
rito speciale 
per l�impugnativa 
dei 
licenziamenti 
- in particolare 
nella 
prima 
fase 
sommaria, strutturata 
in modo da 
consentire 
di 
pervenire, nel 
pi� 
breve 
tempo possibile, ad un accertamento circa 
la 
legittimit� 
o meno del 
licenziamento 
- risponde 
senz�altro alle 
esigenze 
celerit� 
e 
di 
certezza 
ampiamente 
espresse dal legislatore con la l. n. 92/2012 (20). 

(17) 
Recante 
�disposizioni 
complementari 
al 
codice 
di 
procedura 
civile 
in 
materia 
di 
riduzione 
e 
semplificazione 
dei 
procedimenti 
civili 
di 
cognizione, 
ai 
sensi 
dell�art. 
54 
della 
legge 
18 
giugno 
2009, 
n. 
69�. 
tale 
riforma 
mira 
a 
ricondurre 
i 
molteplici 
riti 
civili, 
previsti 
da 
leggi 
speciali, 
ai 
tre 
riti 
previsti 
nel 
codice 
di 
procedura 
civile: 
rito 
ordinario 
di 
cognizione, 
rito 
del 
lavoro, 
procedimento 
sommario 
di 
cognizione. 
(18) PRoto 
PISANI 
A., Le 
tutele 
giurisdizionali 
dei 
diritti, Jovene, Napoli 
2003, spec. Problemi 
della cd. tutela giurisdizionale 
differenziata, 227 ss.; 
ID., Verso la residualit� del 
processo a cognizione 
piena?, in Il Foro Italiano, 2006, 53. 
(19) 
Per 
una 
dettagliata 
analisi 
del 
rito 
speciale 
per 
l�impugnativa 
dei 
licenziamenti 
si 
rinvia 
a 
coN-
Solo 
c., 
RIzzARDo 
D., 
Vere 
o 
presunte 
novit�, 
sostanziali 
e 
processuali, 
sui 
licenziamenti 
individuali, 
in 
Il 
Corriere 
Giuridico, 
2012, 
6, 
735 
ss.; 
cURzIo 
P., 
Il 
nuovo 
rito 
per 
i 
licenziamenti, 
in 
WP 
C.S.D.L.E. 
�Massimo 
D�Antona�.IT 
-158/2012; 
DAlFINo 
D., 
Il 
nuovo 
procedimento 
in 
materia 
di 
impugnativa 
del 
licenziamento 
(nella 
l. 
28 
giugno 
2012 
n. 
92), 
in 
Il 
Giusto 
Processo 
Civile, 
2012, 
3, 
759 
ss.; 
ID., 
Il 
rito 
Fornero 
nella 
giurisprudenza: 
prime 
applicazioni, 
in 
Rivista 
Giuridica 
del 
Lavoro 
e 
della 
Previdenza 
Sociale, 
2013, 
2, 
159 
ss.; 
ID., 
Il 
rito 
Fornero 
nella 
giurisprudenza: 
aggiornamento, 
ivi, 
2014, 
1, 
3 
ss.; 
ID., 
Il 
rito 
Fornero 
nella 
giurispudenza: 
le 
questioni 
ancora 
aperte, 
ivi, 
3, 
397 
ss.; 
ID., 
L�impugnativa 
del 
licenziamento 
secondo 
il 
cd. 
rito 
�Fornero�: 
questioni 
interpretative, 
in 
Il 
Foro 
Italiano, 
2013, 
1, 
6 
ss.; 
De 
lUcA 
M., 
La 
disciplina 
dei 
licenziamenti 
tra 
tradizione 
e 
innovazione: 
per 
una 
lettura 
conforme 
a 
costituzione, 
in 
WP 
C.S.D.L.E. 
�Massimo 
D�Antona�.IT 
-175/2013; 
De 
cRISotFARo 
M., 
GIoIA 
G., 
Il 
nuovo 
rito 
dei 
licenziamenti: 
l�anelito 
alla 
celerit� 
per 
una 
tutela 
sostanziale 
dimidiata, 
in 
ceSteR 
c. 
(a 
cura 
di), 
I 
licenziamenti 
dopo 
la 
legge 
92 
del 
2012, 
cedam, 
Padova 
2013, 
379 
ss.; 
FIcARellA 
G., 
Il 
rito 
�Fornero� 
a 
due 
anni 
dall�entrata 
in 
vigore: 
dottrina 
e 
giurisprudenza 
a 
confronto, 
in 
Il 
Giusto 
Processo 
Civile, 
2014, 
4, 
1211 
ss.; 
lUISo 
F.P., 
La 
disciplina 
processuale 
speciale 
della 
legge 
n. 
92 
del 
2012 
nell�ambito 
del 
processo 
civile: 
modelli 
di 
riferimento 
ed 
inquadramento 
sistematico, 
in 
www.judicium.it; 
PAGNI 
I., 
I 
correttivi 
alla 
durata 
del 
processo 
nella 
l. 
28 
giugno 
2012, 
n. 
92: 
note 
brevi 
sul 
nuovo 
rito 
in 
materia 
di 
licenziamenti, 
in 
Rivista 
Italiana 
di 
Diritto 
del 
Lavoro, 
2013, 
1, 
339 
ss.; 
VeRDe 
G., 
Note 
sul 
processo 
nelle 
controversie 
in 
seguito 
a 
licenziamenti 
regolati 
dall�art. 
18 
dello 
Statuto 
dei 
lavoratori, 
in 
Rivista 
di 
diritto 
processuale, 
2013, 
1, 
299 
ss. 
(20) 
la 
legge, 
infatti, 
detta 
una 
serie 
di 
disposizioni 
dirette 
a 
ridurre 
il 
grado 
di 
incertezza 
derivante 
dall�impugnativa 
del 
licenziamento, incertezza 
che 
pu� volgere 
a 
danno del 
datore 
di 
lavoro e 
del 
lavoratore, 
ponendoli 
in una 
situazione 
di 
attesa 
per tutta 
la 
durata 
del 
processo. Rispondono senz�altro a 
questa 
esigenza: 
l�introduzione 
di 
un tetto massimo all�indennit� 
risarcitoria, nonch� 
la 
riduzione 
del 
secondo termine per l�impugnativa giudiziale del licenziamento, da 270 a 180 giorni. 

RASSeGNA 
AVVocAtURA 
Dello 
StAto - N. 1/2017 


Il 
nuovo 
rito 
si 
applica, 
come 
dispone 
il 
comma 
47, 
art. 
1, 
l. 
92/2012 
�alle 
controversie 
aventi 
ad 
oggetto 
l�impugnativa 
dei 
licenziamenti 
nelle 
ipotesi 
regolate 
dall�articolo 
18 
della 
legge 
20 
maggio 
1970, 
n. 
300, 
e 
successive 
modificazioni, 
anche 
quando 
devono 
essere 
risolte 
questioni 
relative 
alla 
qualificazione 
del 
rapporto 
di 
lavoro�. 
Il 
criterio 
scelto 
dal 
legislatore 
fa 
perno, 
dunque, 
sulla 
disciplina 
sostanziale 
dei 
licenziamenti: 
quando, 
impugnando 
il 
licenziamento, 
il 
lavoratore 
chieda 
una 
(o 
pi�) 
delle 
tutele 
previste 
dall�art. 
18 
St. 
lav., 
la 
domanda 
dovr� 
essere 
proposta 
nelle 
forme 
di 
cui 
al 
comma 
48, 
art. 
1, 
l. 
n. 
92/2012. 


l�entrata 
in vigore 
del 
rito speciale 
per l�impugnativa 
dei 
licenziamenti 
ha 
posto all�interprete 
numerose 
questioni 
interpretative, di 
cui 
solo alcune 
di 
queste 
hanno 
trovato 
soluzione 
in 
sede 
giurisprudenziale 
(21). 
tra 
le 
principali 
questioni 
ermeneutiche 
vi 
� 
quella 
relativa 
all�attrazione 
(o meno) delle 
controversie 
aventi 
ad 
oggetto 
l�impugnativa 
dei 
licenziamenti 
dei 
dipendenti 
presso le 
pubbliche 
amministrazioni 
all�ambito di 
applicazione 
del 
rito speciale, 
questione affrontata dal giudice di merito nell�ordinanza che si annota. 

Fermo 
quanto 
sopra 
esposto 
con 
riferimento 
alla 
questione 
dell�(in)applicabilit� 
del 
novellato art. 18 dello St. lav. al 
pubblico impiego, per quanto 
riguarda 
i 
profili 
processuali 
della 
riforma 
�Fornero� 
si 
potrebbe 
ritenere 
non 
applicabile 
la 
disciplina 
transitoria 
di 
cui 
ai 
pi� volte 
citati 
commi 
7 e 
8, art. 
1, legge 
n. 92/2012, soprattutto perch� 
non sembra 
possa 
riconoscersi, nella 


(21) tra 
le 
numerose 
questioni 
controverse 
si 
segnalano: 
la 
fruibilit� 
del 
rito speciale 
da 
parte 
del 
datore 
di 
lavoro (DAlFINo 
D., Obbligatoriet� del 
cd. rito Fornero (anche 
per 
il 
datore 
di 
lavoro) e 
decisione 
di 
questioni 
nella fase 
sommaria, in Rivista Italiana di 
Diritto del 
Lavoro, 2014, 2, 396 ss.; 
Izzo 
S., La legittimazione 
del 
datore 
di 
lavoro nel 
nuovo rito per 
l�impugnativa dei 
licenziamenti, in Diritti 
Lavori 
Mercati, 2013, 2, 406 ss.; 
ID., La legittimazione 
del 
datore 
di 
lavoro e 
la complessit� della fase 
sommaria del 
c.d. rito Fornero alle 
sezioni 
unite, in Il 
Foro Italiano, 2014, 6, 1858 ss.; 
ID., Le 
sezioni 
unite, il 
c.d. rito Fornero e 
l�ammissibilit� della domanda del 
datore 
di 
lavoro, �si 
parva non liquet�, 
ivi, 
9, 
2760 
ss.; 
PIccININI 
A., 
Richiesta 
di 
accertamento 
della 
legittimit� 
del 
licenziamento 
ex 
rito 
Fornero 
da 
parte 
del 
datore 
di 
lavoro, 
in 
Il 
lavoro 
nella 
Giurisprudenza, 
2013, 
4, 
376 
ss.), 
le 
domande 
proponibili 
con il 
rito speciale 
e 
la 
connessa 
questione 
delle 
conseguenze 
in caso di 
erronea 
individuazione 
del 
rito 
applicabile 
(bUoNcRIStIANI 
D., La conversione 
del 
rito Fornero in rito laburistico, in Rivista Italiana 
di 
Diritto del 
Lavoro, 2014, 2, 610 ss., MUtARellI 
M.M., � 
davvero �improponibile� 
nel 
rito Fornero 
la 
domanda 
di 
tutela 
ex 
art. 
8, 
l. 
n. 
604/1966?, 
in 
Rivista 
giuridica 
del 
Lavoro 
e 
della 
Previdenza 
Sociale, 
2016, 
2, 
241 
ss.), 
il 
rapporto 
tra 
la 
prima 
fase 
sommaria 
e 
la 
tutela 
cautelare 
ex 
art. 
700 
c.p.c. 
(cAPoNettI 
S., Rito Fornero e 
ricorso al 
provvedimento cautelare 
d�urgenza: un caso di 
delicata �chirurgia� 
processuale, 
in Il 
Lavoro nella Giurisprudenza, 2014, 12, 1102 ss.; 
RUScIANo 
S., 
Procedimento di 
impugnativa 
di 
licenziamento: 
il 
complicato 
ricorso 
alla 
tutela 
d�urgenza 
ex 
art. 
700 
c.p.c., 
in 
Rivista 
Italiana 
di 
Diritto del 
Lavoro, 2013, 1, 653 ss.), la 
natura 
del 
giudizio di 
opposizione 
(GIoRGI 
F.M., La consulta 
si 
pronuncia sulla legittimit� costituzionale 
dell�art. 1, comma 51, del 
rito Fornero, in Il 
Lavoro 
nella 
Giurisprudenza, 2015, 8, 788 ss.; 
MINAFRA 
N., Brevi 
note 
sull�incompatibilit� tra il 
giudice 
della fase 
sommaria 
e 
il 
giudice 
dell�opposizione 
nel 
procedimento 
per 
l�impugnativa 
del 
licenziamento, 
in 
Il 
Giusto 
Processo Civile, 2014, 3, 811 ss.; 
PANzARolA 
A., Incompatibilit� del 
giudice 
e 
impugnativa del 
licenziamento 
alla luce 
della nuova disciplina della legge 
Fornero, in Giurisprudenza di 
Merito, 2013, 
8, 1540 ss.), l�applicabilit� 
al 
reclamo di 
cui 
ai 
commi 
58 a 
61, art. 1, legge 
n. 92/2012, del 
c.d. �filtro 
in 
appello� 
(De 
lUcA 
M., 
Reclamo 
contro 
la 
sentenza 
di 
primo 
grado 
nel 
procedimento 
specifico 
in 
materia 
di 
licenziamenti 
(art. 
1, 
commi 
58 
ss., 
legge 
92 
del 
2012): 
natura, 
forma 
e 
filtro 
in 
appello, 
in 
Rivista Italiana di Diritto del Lavoro, 2013, 2, 847 ss). 

coNteNzIoSo 
NAzIoNAle 


materia 
processuale, 
uno 
spazio 
di 
intervento 
e 
di 
armonizzazione 
al 
Ministero 
per la Pubblica 
Amministrazione (22). 

Si 
consideri, inoltre, che 
con riferimento alle 
controversie 
in esame 
il 
perimetro 
applicativo 
del 
�rito 
Fornero� 
potrebbe 
essere 
pi� 
ampio, 
posta 
la 
esclusione 
dei 
pubblici 
dipendenti 
dall�ambito di 
applicazione 
del 
D.lgs. n. 
23/2015 
e, 
dunque, 
dall�art. 
11 
ivi 
previsto, 
il 
quale 
dispone 
la 
non 
applicabilit� 
del rito speciale ai licenziamenti soggetti al regime di tutele crescenti. 


la 
dottrina 
allo stato prevalente 
(23) ha 
espresso opinione 
favorevole 
al-
l�applicabilit� 
del 
rito 
in 
esame 
alle 
controversie 
promosse 
dai 
pubblici 
dipendenti, 
facendo 
ricorso 
ad 
una 
serie 
di 
argomentazioni. 
Anzitutto, 
si 
pone 
l�accento sulla 
finalit� 
del 
rito speciale, volto a 
dare 
certezza 
ai 
rapporti 
di 
lavoro, 
finalit� 
il 
cui 
raggiungimento 
va 
favorito 
anche 
nei 
rapporti 
di 
lavoro 
presso 
la 
pubblica 
amministrazione 
(24). 
In 
secondo 
luogo, 
si 
fa 
leva 
sulla 
�natura 
tendenzialmente 
uniforme� 
della 
disciplina 
processualcivilistica, 
�per 
tutte 
le 
controversie 
aventi 
ad 
oggetto 
rapporti 
contrattuali 
della 
stessa 
natura� 
(25): 
mentre 
� 
comprensibile, 
infatti, 
una 
diversa 
disciplina 
dei 
regimi 
sanzionatori 
tra 
rapporti 
di 
lavoro pubblici 
e 
privati, altrettanto non pu� dirsi 
per le 
norme 
di 
natura 
processuale, 
richiedendosi, 
pertanto, 
una 
disciplina 
uniforme. 
Quest�ultima 
argomentazione 
� 
quella 
alla 
quale 
fa 
ricorso 
anche 
una 
parte 
della 
giurisprudenza 
di 
merito per riconoscere 
l�applicabilit� 
del 
nuovo rito al 
pubblico dipendente, anche 
laddove 
si 
esclude 
l�applicabilit� 
della 
disciplina 
sostanziale 
(26). 
Non 
mancano, 
tuttavia, 
pronunce 
di 
senso 
contrario, 
tendenti 
ad escludere 
dal 
perimetro applicativo del 
rito speciale 
le 
controversie 
instaurate 
dai dipendenti presso le Pubbliche 
Amministrazioni (27). 

(22) 
GeRARDo 
M., 
MUtARellI 
A., 
Il 
licenziamento 
nel 
pubblico 
impiego 
dopo 
la 
riforma 
Fornero 
(ovvero il cubo di Rubrik), in 
Il Lavoro nelle Pubbliche 
Amministrazioni, 2013, 1, 191 ss. 
(23) 
cURzIo 
P., 
Il 
nuovo 
rito 
per 
i 
licenziamenti, 
cit., 
7 
s.; 
SoRDI 
P., 
L�ambito 
di 
applicazione 
del 
nuovo 
rito 
per 
l�impugnazione 
dei 
licenziamenti 
e 
disciplina 
della 
fase 
di 
tutela 
urgente, 
in 
www.giuslavoristi.it, 9 s.; 
DAlFINo 
D., Il 
licenziamento dopo la l. n. 92 del 
2012: profili 
processuali, in 
bARbeRI 
M., DAlFINo 
D., Il 
licenziamento individuale, cit., 71 s.; 
GeRARDo 
M., MUtARellI 
A., Il 
licenziamento 
nel 
pubblico 
impiego 
dopo 
la 
riforma 
Fornero 
(ovvero 
il 
cubo 
di 
Rubrik), 
cit., 
199 
ss. 
In 
senso 
contrario, De 
cRIStoFARo 
M., GIoIA 
G., Il 
nuovo rito dei 
licenziamenti: l�anelito alla celerit� per 
una 
tutela sostanziale dimidiata, cit., 382, nota 10. 
(24) In tal senso, cURzIo 
P., Il nuovo rito per i licenziamenti, cit., 7. 
(25) In tal 
senso, SoRDI 
P., L�ambito di 
applicazione 
del 
nuovo rito per 
l�impugnazione 
dei 
licenziamenti 
e disciplina della fase di tutela urgente, cit., 9. 
(26) trib. Reggio calabria, ord. 21 aprile 
2013 (in www.personaedanno.it); 
trib. di 
Napoli, ord. 
9 gennaio 2014 (in Il 
lavoro nella Giurisprudenza, 2014, fasc. 8-9, pag. 787 e 
ss. con commento di 
co-
SMAI 
P.). Si 
segnala, inoltre, trib. di 
Perugia, ord. 9 novembre 
2012 (inedita); 
trib. di 
trento, ord. 24 
marzo 2013 (inedita); 
trib. di 
Napoli, ord. 24 giugno 2015 (inedita); 
trib. di 
bari, ord. del 
14 gennaio 
2013 
(in 
bARbeRI 
M., 
DAlFINo 
D., 
Il 
licenziamento 
individuale 
nell�interpretazione 
della 
legge 
Fornero, 
cit., pag. 118 ss.); 
trib. di 
Perugia, ord. 15 gennaio 2013 (in www.filodiritto.com, �Rito Fornero� 
e 
licenziamento 
nel pubblico impiego contrattualizzato). 
(27) trib. di 
Modena, ord. 26 febbraio 2015 (inedita), trib. di 
Frosinone, ord. 12 dicembre 
2013, 
in Rivista Italiana di 
Diritto del 
Lavoro, 2014, II, pag. 881 e 
ss., con nota 
di 
commento di 
AVAlloNe 
F.; 

RASSeGNA 
AVVocAtURA 
Dello 
StAto - N. 1/2017 


l�ordinanza 
che 
si 
annota 
si 
colloca 
nel 
primo dei 
predetti 
orientamenti, 
ritenendo applicabile 
il 
rito speciale 
per l�impugnativa 
dei 
licenziamenti 
alla 
specifica 
controversia 
sottoposta 
alla 
cognizione 
del 
tribunale 
di 
Napoli 
ed 
avente 
ad oggetto l�impugnativa 
del 
licenziamento disciplinare 
intimato dal 
Ministero della Difesa nei confronti di un proprio dipendente. 


4. 
Brevi 
cenni 
sulla 
qualit� 
della 
cognizione 
nella 
prima 
fase 
del 
�rito 
Fornero�. 
Nell�ordinanza 
che 
si 
annota 
il 
tribunale 
di 
Napoli 
affronta 
anche 
la 
questione 
della 
natura 
della 
cognizione, 
delimitando 
l�oggetto 
ed 
i 
confini 
istruttori 
della 
prima 
fase 
di 
giudizio di 
cui 
all�art. 1, commi 
47 e 
ss., legge 
28 giugno 
2012, n. 92. 


comՏ 
noto, 
il 
nostro 
ordinamento 
conosce 
diverse 
nozioni 
di 
sommariet�, 
e 
dunque 
diversi 
modelli 
processuali 
sommari: 
l�elemento 
in 
comune 
tra 
tutti 
� 
la 
riduzione 
dei 
tempi 
del 
processo, riduzione 
ottenuta 
attraverso l�impiego 
di 
mezzi 
diversi 
(28). esistono modelli 
deformalizzati, idonei 
tuttavia 
a 
conseguire 
un accertamento pieno e 
definitivo sui 
fatti 
di 
causa 
(riti 
sommari 
quanto allo svolgimento 
ma 
non anche 
sommari 
quanto all�oggetto 
(29)), ed 
esistono modelli 
sommari 
in punto di 
ritualit� 
procedimentali 
ed anche 
sommari 
in 
punto 
di 
accertamento 
del 
thema 
decidendum 
(riti 
sommari 
quanto 
allo svolgimento 
e 
sommari quanto all�oggetto). 

Nel 
rito di 
cui 
all�art. 1, commi 
48 ss., legge 
92 del 
2012, la 
fase 
introduttiva 
� 
regolata 
dalla 
legge, e 
gli 
spazi 
di 
direzione 
del 
giudice 
sono ridotti, 
soprattutto dal 
necessario rispetto dei 
termini 
previsti 
nel 
comma 
48, mentre 
le 
fasi 
successive 
(fase 
preparatoria, fase 
istruttoria 
e 
fase 
decisoria) sono totalmente 
rimesse 
alla 
direzione 
del 
giudice. 
� 
il 
giudice 
che 
stabilisce 
il 
modus 
procedendi, in base 
alle 
esigenze 
del 
caso concreto posto al 
suo esame, e 
nel 
rispetto 
del 
principio 
del 
contraddittorio. 
Il 
comma 
49, 
infatti, 
proponendo, 
sia 
pure 
in parte, la 
formula 
utilizzata 
dal 
legislatore 
nell�art. 669 sexies 
del 
codice 
di 
rito 
civile, 
relativo 
al 
procedimento 
cautelare 
uniforme, 
stabilisce 
che 
�il 
giudice, sentite 
le 
parti 
e 
omessa 
ogni 
formalit� 
non essenziale 
al 
contraddittorio, 
procede 
nel 
modo che 
ritiene 
pi� opportuno agli 
atti 
di 
istruzione 
indispensabili�. come 
si 
legge 
dalla 
formula, dunque, altissimo � 
il 
tasso di 
flessibilit� 
processuale: 
il 
legislatore 
supera 
la 
rigida 
predeterminazione 
legale 
delle 
forme 
e 
dei 
termini, nelle 
fasi 
successive 
a 
quella 
introduttiva, previste 


quest�ultima 
pronuncia 
esclude 
l�applicabilit� 
del 
nuovo 
rito 
al 
rapporto 
di 
lavoro 
presso 
la 
pubblica 
amministrazione 
�alla 
luce 
del 
disposto dei 
commi 
7 e 
8 della 
succitata 
legge, non si 
pu� ritenere 
che 
il 
legislatore 
abbia 
voluto riferire 
l�applicabilit� 
alla 
pubblica 
amministrazione�; 
tribunale 
di 
Milano, 
ord. 23 giugno 2016, in Rivista Italiana di 
Diritto del 
Lavoro, 2016, 4, 855 ss., con nota 
di 
AVoGARo 
M. 


(28) 
tIScINI 
R., 
L�accertamento 
del 
fatto 
nei 
procedimenti 
con 
struttura 
sommaria, 
in 
www.judicium.it, 3. 
(29) 
Secondo 
la 
terminologia 
offerta 
da 
DellA 
PIetRA 
G., 
Il 
procedimento 
possessorio. 
Contributo 
allo studio della tutela del possesso, Giappichelli, 2003, 221 ss. 

coNteNzIoSo 
NAzIoNAle 


per 
le 
controversie 
di 
lavoro 
dagli 
artt. 
da 
420 
a 
429 
c.p.c., 
lasciando 
al 
giudice 
la gestione del processo. 


la 
prima 
fase 
del 
rito speciale 
per l�impugnativa 
dei 
licenziamenti 
pu� 
essere 
senz�altro definita 
sommaria quanto allo svolgimento: 
posto che 
anche 
un 
procedimento 
non 
rigidamente 
regolato 
dalla 
legge 
pu� 
essere 
idoneo 
a 
far 
conseguire 
un accertamento pieno e 
definitivo sui 
fatti 
di 
causa 
(30), occorre 
verificare 
se 
alla 
prima 
fase 
in esame 
possa 
attribuirsi 
natura 
sommaria 
anche 
in punto di accertamento del 
thema decidendum. 


con 
riferimento 
alla 
natura 
della 
cognizione, 
la 
giurisprudenza 
di 
merito, 
soprattutto nel 
periodo immediatamente 
successivo all�entrata 
in vigore 
della 
legge 
n. 92 del 
2012, ha 
aderito alla 
tesi 
della 
sommariet� 
della 
cognizione, 
parlando di 
�giudizio di 
mera 
verosimiglianza� (31) circa 
l�esistenza 
o meno 
dei 
vizi 
nel 
licenziamento, 
o 
di 
�fumus 
di 
fondatezza 
della 
domanda� 
(32), 
soprattutto 
perch�, ragionando diversamente, la 
fase 
sommaria 
rischierebbe 
di 
diventare �una duplicazione della fase di opposizione� (33). 

la 
tesi 
opposta, che 
riconosce 
alla 
fase 
sommaria 
l�idoneit� 
a 
far conseguire 
un accertamento pieno sui 
fatti 
di 
causa, si 
� 
assestata 
come 
prevalente 
in seno alla 
giurisprudenza 
di 
merito (34), soprattutto dopo l�ordinanza 
della 
corte 
di 
cassazione, 
Sezioni 
Unite, 
18 
settembre 
2014, 
n. 
19674 
(35), 
la 
quale 
rappresenta 
la 
prima 
pronuncia 
in cui 
la 
Suprema 
corte 
offre 
un quadro ricostruttivo 
complessivo 
del 
rito 
speciale 
per 
l�impugnativa 
dei 
licenziamenti. 
Nella 
citata 
pronuncia, la 
Suprema 
corte 
esclude 
la 
sommariet� 
in punto di 
cognizione 
del 
thema 
decidendum 
(sommariet� 
quanto 
all�oggetto), 
sulla 
base 
della 
equiparabilit� 
della 
prima 
fase 
del 
nuovo rito per l�impugnativa 
dei 
licenziamenti 
con il 
primo grado di 
giudizio nel 
procedimento sommario di 
cognizione 
(36). occorre 
rilevare, tuttavia, che 
la 
predetta 
tesi 
non � 
a 
perfetta 


(30) PRoto 
PISANI 
A., Tutela sommaria, in Il Foro Italiano, 2007, 1, 241. 
(31) trib. Piacenza, ord. 12 novembre 
2012 (inedita, l�estratto dell�ordinanza 
pu� essere 
letto in 
DAlFINo 
D., Il 
rito Fornero nella giurisprudenza: prime 
applicazioni, cit., pag. 163); 
trib. Roma, ord. 
29 gennaio 2013 (in bARbeRI 
M., DAlFINo 
D., Il 
licenziamento individuale 
nell�interpretazione 
della 
legge Fornero, cit., 207 ss.). 
(32) trib. Napoli, ord. 16 ottobre 
2012 (inedita, l�estratto dell�ordinanza 
pu� essere 
letto in DAl-
FINo 
D., Il rito Fornero nella giurisprudenza: prime applicazioni, cit., 163). 
(33) 
trib. 
Pavia, 
ord. 
16 
novembre 
2012 
(inedita); 
trib. 
Roma, 
ord. 
13 
novembre 
2012 
(inedita). 
Secondo 
il 
trib. 
di 
Milano, 
ord. 
18 
settembre 
2012 
(inedita), 
dando 
corso 
ad 
un�attivit� 
istruttoria 
piena 
�verrebbe 
meno 
il 
significato 
di 
un 
procedimento 
ridisegnato 
secondo 
modalit� 
e 
contenuti 
[�] 
che 
appaiono 
viceversa 
finalizzati 
a 
una 
definizione 
pi� 
rapida 
possibile 
della 
controversia�. 
l�estratto 
delle 
ordinanze 
citate 
pu� 
essere 
letto 
in 
DAlFINo 
D., 
Il 
rito 
Fornero 
nella 
giurisprudenza: 
prime 
applicazioni, 
cit., 
162 
ss. 
(34) Propende 
per la 
pienezza 
della 
cognizione 
il 
trib. Napoli, ord. 24 aprile 
2013 (in 
Rivista italiana 
di 
diritto 
del 
lavoro, 
2014, 
II, 
623 
ss., 
con 
nota 
di 
commento 
di 
teReSI 
M.), 
secondo 
cui 
�l�esigenza 
di 
accelerare 
i 
tempi 
del 
processo incide 
[�] sulla 
selezione 
degli 
atti 
istruttori 
da 
espletare, ma 
non sul 
tipo di 
cognizione 
e 
sulla 
tipologia 
dell�accertamento dei 
fatti 
rilevanti, che 
deve 
essere 
comunque 
tesa 
all�accertamento della sussistenza del diritto azionato�. 
(35) In Il 
Lavoro nella Giurisprudenza, 2015, 3, 269 ss., con nota 
di 
GIoRGI 
F.M., e 
in Il 
Foro Italiano, 
2015, 3, 540 ss., con nota di DAlFINo 
D. 

RASSeGNA 
AVVocAtURA 
Dello 
StAto - N. 1/2017 


tenuta, 
posto 
che 
il 
primo 
grado 
di 
giudizio 
del 
rito 
speciale 
per 
l�impugnativa 
dei 
licenziamenti 
ha 
struttura 
�bifasica�, 
diversamente 
dal 
primo 
grado 
di 
giudizio 
del procedimento sommario di cognizione. 

In 
considerazione 
della 
struttura 
del 
primo 
grado 
di 
giudizio, 
la 
prima 
fase 
del 
rito 
in 
esame 
dovrebbe 
ospitare 
un 
giudizio 
di 
natura 
sommaria, 
di 
mera 
�verosimiglianza� 
circa 
la 
legittimit�/illegittimit� 
del 
licenziamento, al 
fine 
di 
riconoscere 
alle 
parti 
una 
tutela 
rapida, con possibilit� 
di 
instaurare 
il 
giudizio 
a 
cognizione 
piena 
mediate 
opposizione 
avverso 
l�ordinanza, 
ai 
sensi 
dei 
commi 
51 ss., art. 1, legge 
n. 92/2012. Il 
tribunale 
di 
Napoli, nella 
ordinanza 
che 
si 
annota, propende 
per la 
natura 
sommaria 
della 
cognizione 
della 
prima fase del rito speciale per l�impugnativa dei licenziamenti (37). 


5. Considerazioni conclusive. 
Il 
rito speciale 
per l�impugnativa 
dei 
licenziamenti 
ha 
senz�altro contribuito 
ad 
accelerare 
la 
trattazione 
e 
la 
definizione 
delle 
cause 
aventi 
ad 
oggetto 
l�impugnativa 
dei 
licenziamenti 
ove 
sia 
applicabile 
l�articolo 18 St. lav.: 
si 
consideri 
che 
i 
primi 
licenziamenti, impugnati 
successivamente 
all�entrata 
in 
vigore 
della 
legge 
n. 
92/2012, 
sono 
stati 
decisi 
in 
cassazione, 
dopo 
il 
giudizio 
di 
primo grado e 
il 
reclamo, in poco pi� di 
due 
anni 
(38). Al 
tempo stesso, tuttavia, 
ha 
dato luogo, sin dall�immediatezza 
della 
sua 
entrata 
in vigore, a 
molteplici 
questioni 
interpretative 
(39), alcune 
di 
fondamentale 
importanza 
sotto 
il 
profilo 
della 
effettivit� 
della 
tutela 
giurisdizionale 
e 
della 
certezza 
del 
diritto, 
tanto 
da 
far 
avanzare 
una 
proposta 
abrogativa 
da 
parte 
degli 
operatori, 
gi� 
nel-
l�immediatezza della vigenza del rito (40). 

Il 
legislatore, 
interprete 
delle 
suddette 
istanze, 
dopo 
nenache 
tre 
anni 
di 
vigenza 
del 
rito 
speciale 
per 
l�impugnativa 
dei 
licenziamenti, 
con 
l�articolo 
11 
del 


(36) 
Si 
legge 
nell�ordinanza 
che 
�l�istruttoria, 
essendo 
limitata 
agli 
�atti 
di 
istruzione 
indispensabili�, 
� 
semplificata 
o 
sommaria 
quale 
quella 
cos� 
qualificata 
nel 
procedimento 
di 
cui 
agli 
artt. 
702-bis 
ss. 
c.p.c.�, 
ed 
ancora 
�la 
sommariet� 
riguarda 
le 
caratteristiche 
dell�istruttoria, 
senza 
che 
ad 
essa 
si 
ricolleghi 
una 
sommariet� 
della 
cognizione 
del 
giudice, 
n� 
l�instabilit� 
del 
provvedimento 
finale�. 
In 
dottrina 
propendono 
per 
la 
pienezza 
della 
cognizione 
nella 
fase 
sommaria 
PAGNI 
I., 
I 
correttivi 
alla 
durata 
del 
processo 
nella 
L. 
28 
giugno 
2012, 
n. 
92: 
brevi 
note 
sul 
nuovo 
rito 
in 
materia 
di 
licenziamenti, 
cit., 
spec. 
342 
ss.; 
RIzzARDo 
D., 
Rito 
Fornero: 
l�ordinanza 
che 
chiude 
la 
fase 
sommaria 
passa 
in 
giudicato, 
in 
Il 
Corriere 
Giuridico, 
2015, 
3, 
381 
ss., 
spec. 
383 
ss.; 
lUISo 
F.P., 
La 
disciplina 
processuale 
speciale 
della 
legge 
n. 
92 
del 
2012 
nell�ambito 
del 
processo 
civile: 
modelli 
di 
riferimento 
ed 
inquadramento 
sistematico, 
cit., 
3; 
DIttRIch 
l., 
Rito 
speciale 
dei 
licenziamenti 
e 
qualit� 
della 
cognizione, 
in 
Rivista 
di 
diritto 
processuale, 
2014, 
I, 
111 
ss. 
(37) 
come 
si 
legge 
nell�ordinanza 
in 
commento 
�trattasi 
di 
una 
fase 
a 
cognizione 
sommaria 
basata 
su una 
istruttoria 
che 
investe 
necessariamente 
solo il 
fumus 
di 
fondatezza 
della 
domanda 
e 
tale 
da 
garantire 
una definizione pressoch� immediata della fase stessa�. 
(38) PIccINI 
A., Forum/Giustizia del lavoro (1/5), in www.questionegiustizia.it. 
(39) Si rinvia alla nota n. 21. 
(40) 
la 
proposta 
� 
stata 
elaborata 
congiuntamente 
da 
AGI 
(Avvocati 
giuslavoristi 
italiani) 
e 
ANM 
(associazione 
nazionale 
magistrati), 
il 
cui 
testo 
pu� 
essere 
letto 
in 
www.giuslavoristi.it 
. 
Sul 
punto 
anche 
MelIS 
V., Avvocati e giudici contro il rito Fornero, in www.ilsole24ore.com, 23 aprile 2014. 

coNteNzIoSo 
NAzIoNAle 


decreto 
legislativo 
4 
marzo 
2015, 
n. 
23, 
ha 
scelto 
di 
non 
estendere 
alle 
controversie 
aventi 
ad 
oggetto 
l�impugnativa 
dei 
licenziamenti 
dei 
nuovi 
assunti 
con 
contratto 
di 
lavoro 
a 
tempo 
indeterminato 
a 
tutele 
crescenti, 
il 
rito 
speciale 
introdotto 
nel 
2012 
(41), 
riconducendo 
le 
stesse 
al 
modello 
del 
lavoro 
di 
cui 
agli 
artt. 
413 
ss. 
c.p.c. 
(42). 
In 
ultimo, 
il 
disegno 
di 
legge 
n. 
2953 
di 
�delega 
al 
Governo 
recante 
disposizioni 
per 
l�efficienza 
del 
processo 
civile�, 
in 
esame 
al 
Senato, 
prevede, 
all�art. 
2, 
l�abrogazione 
delle 
disposizioni 
di 
cui 
all�art. 
1, 
commi 
da 
48 
a 
68 
della 
legge 
n. 
92/2012, 
facendo 
salvo 
il 
rito 
speciale 
solo 
per 
le 
controversie 
gi� 
introdotte 
con 
ricorso 
depositato 
entro 
la 
data 
di 
entrata 
in 
vigore 
della 
legge. 


Tribunale 
di 
Napoli, Sezione 
lavoro, ordinanza 8 febbraio 2017 
-Giud. Alessandra 
lucarino 
- D.A. M. (avv.ti o. Pannone e F. eboli) c. Ministero difesa (avv. St. G. Arpaia). 


con ricorso ex art. 1, comma 
48, l. n. 92/2012, depositato in data 
7.11.2016, M. D.A, premesso 
di 
essere 
stato dipendente 
del 
Ministero della 
Difesa, prima 
n.q. di 
caporal 
maggiore, 
poi 
trasferito nelle 
aree 
funzionali 
del 
personale 
civile 
- centro Documentale 
di 
Napoli, a 
decorrere 
dall'1.9.2011, 
in 
qualit� 
di 
assistente 
amministrativo, 
profilo 
professionale 
SA3I 
-Area 
2^ 
- fascia 
retributiva 
F2, ha 
impugnato il 
licenziamento senza 
preavviso, intimato con provvedimento 
in 
data 
18.5.2016, 
in 
quanto 
nullo, 
illegittimo 
ed 
inefficace, 
ed 
ha 
chiesto 
al 
Giudice 
adito di 
ordinare 
all'Amministrazione 
convenuta 
di 
reintegrarlo nel 
posto di 
lavoro precedentemente 
occupato 
ai 
sensi 
dell'art. 
18 
l. 
300/1970; 
per 
l'effetto, 
di 
condannare 
parte 
convenuta 
al 
risarcimento del 
danno pari 
ad una 
indennit� 
commisurata 
alla 
retribuzione 
globale 
di 
fatto 
calcolata 
dal 
giorno 
del 
licenziamento 
fino 
a 
quello 
dell'effettiva 
reintegra, 
oltre 
interessi 
legali 
e 
rivalutazione 
monetaria; 
di 
condannare 
parte 
convenuta 
al 
versamento 
dei 
relativi 
contributi 
previdenziali ed assistenziali. 
A 
sostegno 
della 
domanda 
ha 
dedotto 
l'illegittimit� 
del 
procedimento 
disciplinare 
e 
della 
conseguente 
sanzione 
espulsiva 
per i 
seguenti 
motivi: 
1) omessa, generica, incompleta 
contestazione; 
2) 
tardivit� 
nell'inizio 
e 
nella 
conclusione 
del 
procedimento 
disciplinare; 
3) 
insussistenza del fatto contestato. 


(41) Dispone, infatti, l�art. 11 del 
citato decreto che 
�Ai 
licenziamenti 
di 
cui 
al 
presente 
decreto 
non si applicano le disposizioni dei commi da 48 a 68 dell�articolo 1 della legge n. 92 del 2012�. 
(42) De 
lUcA 
M., Contratto a tempo indeterminato a tutele 
crescenti 
e 
nuovo sistema sanzionatorio 
contro i 
licenziamenti 
illegittimi: tra legge 
delega e 
legge 
delegata, cit., 34. I primi 
commentatori 
individuano, nella 
scelta 
compiuta 
dal 
legislatore 
con il 
predetto articolo 11 del 
decreto legislativo n. 23 
del 
2015, l�inizio di 
un percorso a 
ritroso nel 
�cammino iniziato con l�istituzione 
nel 
2012 di 
un rito 
speciale 
per 
l�impugnativa 
dei 
licenziamenti�, 
in 
ragione 
dei 
limiti 
che 
presenta 
tale 
rito, 
il 
quale 
�costa, 
in termini 
di 
complicazioni 
procedurali, pi� di 
quanto rende 
in termini 
di 
riduzione 
dei 
tempi 
necessari 
per avere 
una 
pronuncia 
definitiva� (boRGheSI 
D., Aspetti 
processuali 
del 
contratto a tutele 
crescenti, 
cit., 
pag. 
5. 
In 
questi 
termini 
anche 
De 
ANGelIS 
l., 
Il 
contratto 
a 
tutele 
crescenti. 
Il 
giudizio, 
in 
WP 
C.S.D.L.E. �Massimo D�Antona�.IT 
- 250/2015, 2; 
PISANI 
c., Il 
licenziamento disciplinare: novit� legislative 
e 
giurisprudenziali 
sul 
regime 
sanzionatorio, in Argomenti 
di 
diritto del 
lavoro, 2015, 1, 97 
ss.; 
zoPPolI 
A., Legittimit� costituzionale 
del 
contratto di 
lavoro a tutele 
crescenti, tutela reale 
per 
il 
licenziamento 
ingiustificato, 
tecnica 
del 
bilanciamento, 
in 
WP 
C.S.D.L.E. 
�Massimo 
D�Antona�.IT 
260/
2015, 20; 
VIDIRI 
G., Il 
licenziamento disciplinare 
nel 
primo decreto attuativo del 
jobs 
act 
tra luci 
e 
(non poche) ombre, in Argomenti di diritto del lavoro, 2015, 3, 357 ss.). 

RASSeGNA 
AVVocAtURA 
Dello 
StAto - N. 1/2017 


Si 
� 
costituito in giudizio il 
Ministero della 
Difesa 
contestando la 
domanda 
e 
chiedendone 
il 
rigetto, per tutti i motivi di cui alla memoria di costituzione e risposta. 
In 
particolare, 
ha 
dedotto 
la 
tempestivit� 
del 
procedimento 
disciplinare 
nonch� 
la 
gravit� 
degli 
addebiti mossi al ricorrente e, conseguentemente, la legittimit� del licenziamento. 
Acquisiti i documenti in atti il Giudice si � riservato di decidere. 


1. 
la 
nuova 
disciplina 
del 
rito dei 
licenziamenti 
� 
contenuta 
nell'art. 1, commi 
47-69, l. n. 
92/2012, 
e 
si 
applica 
-recita 
il 
comma 
47 
-�alle 
controversie 
aventi 
ad 
oggetto 
l'impugnativa 
dei 
licenziamenti 
nelle 
ipotesi 
regolate 
dall'articolo 18 della legge 
20 maggio 1970, n. 300, 
e 
successive 
modificazioni, anche 
quando devono essere 
risolte 
questioni 
relative 
alla qualificazione 
del rapporto di lavoro�. 
Per 
intendere 
correttamente 
il 
significato 
di 
questa 
disposizione 
e, 
dunque, 
l'ambito 
delle 
controversie 
da 
trattare 
con 
il 
rito 
speciale, 
bisogna 
considerare 
che 
il 
comma 
42 
del 
medesimo 
art. 
1 
della 
l. 
n. 
92/2012 
ha 
completamente 
riscritto 
l'art. 
18 
St. 
lav., 
che 
-sotto 
la 
rubrica 
�Tutela 
del 
lavoratore 
in 
caso 
di 
licenziamento 
illegittimo� 
-disciplina 
adesso 
non 
solo 
le 
conseguenze 
del 
licenziamento 
intimato 
alle 
dipendenze 
di 
datori 
di 
lavoro 
che 
occupino 
pi� 
di 
15 
dipendenti 
in 
ciascuna 
unit� 
produttiva 
(o 
pi� 
di 
60 
sul 
territorio 
nazionale), 
ma 
anche 
taluni 
casi 
di 
licenziamento 
intimati 
alle 
dipendenze 
di 
datori 
di 
lavoro 
che 
non 
posseggano 
tali 
requisiti 
dimensionali. 
la 
legge 
ha 
inteso 
assicurare 
una 
corsia 
preferenziale 
ed 
un 
rito 
celere 
e 
sommario 
per 
le 
controversie 
che 
potrebbero 
concludersi, 
almeno 
astrattamente, 
con 
un 
provvedimento 
reintegra-
torio, che dichiari la prosecuzione o il ripristino del rapporto illegittimamente cessato. 
come 
espressamente 
disposto dalla 
l. n. 92/2012, il 
procedimento da 
essa 
previsto ex art. I 
commi 
48 e 
ss. si 
applica 
dalla 
data 
di 
entrata 
in vigore 
della 
legge 
medesima 
(18.7.2012) e 
trova, 
quindi, 
applicazione 
al 
presente 
procedimento; 
anche 
la 
normativa 
sostanziale, 
prevista 
dall'art. 1, comma 
42, trova 
applicazione 
nel 
caso di 
specie, in quanto il 
licenziamento � 
stato 
intimato dopo la data di entrata in vigore della legge. 


2. 
Prima 
di 
affrontare 
l'esame 
del 
merito 
della 
questione 
proposta 
� 
necessario 
delimitare 
l'oggetto 
ed i 
confini 
istruttori 
di 
questa 
prima 
fase 
di 
giudizio prevista 
dall'art. 1, commi 
47 e 
ss., 
della legge 92/2012 (c.d. rito Fornero). 
Quest'ultima, 
come 
� 
noto, 
ha 
previsto 
al 
comma 
49 
dell'art. 
1 
che: 
�Il 
giudice, 
sentite 
le 
parti 
e 
omessa ogni 
formalit� non essenziale 
al 
contraddittorio, procede 
nel 
modo che 
ritiene 
pi� 
opportuno 
agli 
atti 
di 
istruzione 
indispensabili 
richiesti 
dalle 
parti 
o 
disposti 
d'ufficio, 
ai 
sensi 
dell�art. 421 cpc, e 
provvede, con ordinanza immediatamente 
esecutiva, all'accoglimento o 
al rigetto della domanda�. 
Dunque, trattasi 
di 
una 
fase 
a 
cognizione 
sommaria 
basata 
su una 
istruttoria 
che 
investe 
necessariamente 
solo il 
fumus 
di 
fondatezza 
della 
domanda 
e 
tale 
da 
garantire 
una 
definizione 
pressoch� immediata della fase stessa. 


3. 
ci� premesso e passando all'esame della fattispecie in oggetto, si osserva quanto segue. 
Il 
ricorrente 
� 
stato 
licenziato, 
senza 
preavviso, 
ai 
sensi 
dell'art. 
24, 
comma 
1, 
lett. 
g) 
del 
ccNl 
comparto Ministeri, con Decreto del 
Direttore 
Generale 
del 
Ministero della 
Difesa 
Direzione 
Generale 
per 
il 
Personale 
civile, 
in 
data 
18.5.2016, 
e 
decorrenza 
dal 
5.12.2015 
(all. 
12 di parte ricorrente e all. 1 di parte convenuta). 
Il 
procedimento disciplinare 
nei 
confronti 
del 
ricorrente 
ha 
avuto inizio con la 
contestazione 
di 
addebiti 
datata 
8.3.2016, contenente 
anche 
la 
convocazione 
del 
ricorrente 
a 
difesa 
per il 
giorno 14.4.2016 (all. 9 di 
parte 
ricorrente 
e 
all. 2 di 
parte 
convenuta), proveniente 
dal 
Direttore 
del 
Servizio 
Disciplina 
della 
Direzione 
Generale 
per 
il 
Personale 
civile 
del 
Ministero 
della Difesa, nella quale si legge: 

coNteNzIoSo 
NAzIoNAle 


"Ai 
sensi 
dell'art. 24 CCNL 
16.5.1995 e 
s.m.i. e 
dell'art. 55 bis 
D.lgs. 165/2001 e 
successive 
modificazioni, si contesta quanto segue: 
dalle 
comunicazioni 
del 
suo Ente 
di 
appartenenza risulta che 
il 
suo Legale 
Avv. Eboli 
ha precisato 
che 
nei 
suoi 
confronti 
in 
data 
11.11.2014 
� 
stata 
emessa 
una 
sentenza 
di 
condanna 
alla 
pena complessiva di 
3 anni 
e 
6 mesi, per 
la quale 
si 
trova ristretto nella casa circondariale 
di 
Santa Maria Capua Vetere, dopo aver 
scontato parte 
della condanna presso la Comunit� 
di San Patrignano, avendo ottenuto il beneficio della pena esterna. 
Al 
riguardo, 
dal 
carteggio 
trasmesso 
dall'Ente, 
� 
risultato, 
invece, 
che 
in 
data 
29.1.2015 
aveva 
chiesto 
di 
essere 
posto 
in 
aspettativa 
ai 
sensi 
dell'art. 
11 
del 
C.C.N.L. 
del 
16.5.2001 
al 
fine 
di 
entrare 
nella 
predetta 
Comunit� 
Terapeutica, 
per 
il 
programma 
di 
recupero, 
senza 
rendere 
nota 
la 
circostanza 
della 
condanna 
alla 
pena 
esterna. 
Risulta 
inoltre 
che, 
in 
data 
5.12.2015, 
abbandonava 
la 
predetta 
struttura, 
cagionando 
l'interruzione 
volontaria 
del 
programma 
di 
recupero�. 


Il 
ricorrente 
ha 
impugnato il 
provvedimento di 
licenziamento per una 
molteplicit� 
di 
motivi 
attinenti 
sia 
al 
procedimento 
disciplinare 
che 
ha 
preceduto 
il 
provvedimento 
espulsivo 
sia 
alla 
legittimit� dello stesso provvedimento. 
� necessario, pertanto, analizzare singolarmente le varie ragioni di doglianza. 
Il primo motivo di censura (omessa, generica, incompleta contestazione) � infondato. 
Secondo la 
consolidata 
giurisprudenza 
di 
legittimit�, in tema 
di 
sanzioni 
disciplinari 
a 
carico 
dei 
lavoratori 
subordinati, 
la 
contestazione 
dell'addebito 
ha 
lo 
scopo 
di 
consentire 
al 
lavoratore 
incolpato l'immediata 
difesa 
e 
deve, conseguentemente, rivestire 
il 
carattere 
della 
specificit�, 
senza 
l'osservanza 
di 
schemi 
prestabiliti 
e 
rigidi, purch� 
siano fornite 
al 
lavoratore 
le 
indicazioni 
necessarie 
ed essenziali 
per individuare, nella 
sua 
materialit�, il 
fatto o i 
fatti 
addebitati 
(cass. Sez. l, n. 10662/2014). 
Appare 
chiara 
l'esigenza 
avvertita 
dal 
legislatore 
di 
approntare 
un 
sistema 
di 
garanzie 
formali 
e 
sostanziali 
a 
favore 
del 
lavoratore 
il 
quale, 
nel 
momento 
patologico 
del 
rapporto, 
deve 
essere 
previamente 
e 
tempestivamente 
messo 
in 
grado 
di 
cogliere 
le 
ragioni 
del 
provvedimento 
sanzionatorio 
per 
poter 
esercitare 
efficacemente 
le 
proprie 
difese. 
Se 
� 
vero, 
allora, 
che 
la 
contestazione 
degli 
addebiti 
non 
esige 
una 
minuta, 
completa 
e 
particolareggiata 
esposizione 
dei 
fatti 
che 
integrano 
l'illecito 
(rectius 
inadempimento), 
�, 
tuttavia, 
necessario 
che 
il 
dipendente, 
con 
la 
lettura 
dell'addebito, 
sia 
posto 
in 
grado 
di 
cogliere 
la 
portata 
del 
fatto 
che 
gli 
viene 
contestato. 
Nel 
caso 
di 
specie, 
dalla 
semplice 
lettura 
della 
lettera 
di 
contestazioni, 
sopra 
riportata, 
emerge 
che la stessa contiene in modo preciso e dettagliato gli addebiti mossi al ricorrente. 
In particolare, l'Amministrazione 
datrice 
di 
lavoro ha 
specificato le 
circostanze 
di 
tempo e 
di 
luogo in cui i fatti contestati sarebbero stati commessi dal ricorrente. 
Pertanto, ritiene 
il 
giudice 
che 
non vi 
sia 
stata 
alcuna 
violazione 
del 
diritto di 
difesa 
del 
lavoratore, 
garantito dall'art. 7 della 
l. n. 300/1970, il 
quale 
� 
stato posto in grado di 
esercitare, 
per il tramite del suo avvocato, una compiuta difesa in sede di giustificazioni. 
con 
riferimento 
al 
secondo 
motivo 
di 
censura 
(tardivit� 
nell'inizio 
e 
nella 
conclusione 
del 
procedimento disciplinare) si osserva quanto segue. 
Nel 
caso 
di 
specie 
non 
vi 
� 
stata 
alcuna 
decadenza 
dell'Amministrazione 
convenuta 
dall'azione 
disciplinare, 
ai 
sensi 
dell'art. 
55 
bis 
del 
D.lgs. 
n. 
165/2001, 
come 
introdotto 
dall'art. 
69 
del 
D.lgs. 


n. 
150/2009 
(c.d. 
riforma 
brunetta), 
pacificamente 
applicabile 
alla 
fattispecie 
ratione 
temporis. 
come 
� 
noto, il 
D.lgs. 27 ottobre 
2009 n. 150 ha 
incisivamente 
innovato la 
disciplina 
del 
procedimento 
disciplinare 
e 
delle 
sanzioni 
disciplinari 
nel 
rapporto 
di 
lavoro 
pubblico, 
sostituendo 
l'art. 55 del 
D.lgs. 30 marzo 2001 n. 165 (art. 68), introducendo nel 
medesimo corpus 
normativo 
gli artt. 55 bis-55 novies (art. 69) e abrogando l'art. 56 (art. 72). 

RASSeGNA 
AVVocAtURA 
Dello 
StAto - N. 1/2017 


Il 
fondamento 
della 
nuova 
disciplina 
in 
tema 
di 
responsabilit� 
disciplinare 
deve 
ravvisarsi, 
da 
un lato - per quanto riguarda 
le 
norme 
attributive 
del 
potere 
disciplinare 
- nell'esigenza 
di 
assicurare 
il 
perseguimento dell'obiettivo del 
buon andamento ed efficienza 
dell'amministrazione 
e, dall'altro lato - per quanto riguarda 
le 
norme 
regolanti 
il 
provvedimento disciplinare 


- nell'esigenza di assicurare il diritto di difesa del pubblico dipendente. 
In 
tale 
ottica, 
1' 
art. 
55 
bis, 
rubricato 
�Forme 
e 
termini 
del 
procedimento 
disciplinare� 
prevede 
testualmente: 
1. Per 
le 
infrazioni 
di 
minore 
gravit�, 
per 
le 
quali 
� 
prevista 
l'irrogazione 
di 
sanzioni 
superiori 
al 
rimprovero 
verbale 
ed 
inferiori 
alla 
sospensione 
dal 
servizio 
con 
privazione 
della 
retribuzione 
per 
pi� 
di 
dieci 
giorni, 
il 
procedimento 
disciplinare, 
se 
il 
responsabile 
della 
struttura 
ha 
qualifica 
dirigenziale, 
si 
svolge 
secondo 
le 
disposizioni 
del 
comma 
2. 
Quando 
il 
responsabile 
della 
struttura 
non 
ha 
qualifica 
dirigenziale 
o 
comunque 
per 
le 
infrazioni 
punibili 
con 
sanzioni 
pi� 
gravi 
di 
quelle 
indicate 
nel 
primo 
periodo, 
il 
procedimento 
disciplinare 
si 
svolge 
secondo 
le 
disposizioni 
del 
comma 
4. 
Alle 
infrazioni 
per 
le 
quali 
� 
previsto 
il 
rimprovero 
verbale 
si 
applica 
la 
disciplina 
stabilita 
dal 
contratto 
collettivo. 
2. Il 
responsabile, con qualifica dirigenziale, della struttura in cui 
il 
dipendente 
lavora, 
anche 
in posizione 
di 
comando o di 
fuori 
ruolo, quando ha notizia di 
comportamenti 
punibili 
con taluna delle 
sanzioni 
disciplinari 
di 
cui 
al 
comma I, primo periodo, senza 
indugio e 
comunque 
non oltre 
venti 
giorni 
contesta per 
iscritto l'addebito al 
dipendente 
medesimo e 
lo convoca per 
il 
contraddittorio a sua difesa 
con l'eventuale 
assistenza di 
un 
procuratore 
ovvero 
di 
un 
rappresentante 
dell'associazione 
sindacale 
cui 
il 
lavoratore 
aderisce 
o 
conferisce 
mandato, 
con 
un 
preavviso 
di 
almeno 
dieci 
giorni. 
Entro 
il 
termine 
fissato, il 
dipendente 
convocato, se 
non intende 
presentarsi, pu� inviare 
una memoria 
scritta 
o, 
in 
caso 
di 
grave 
ed 
oggettivo 
impedimento, 
formulare 
motivata 
istanza 
di 
rinvio 
del 
termine 
per 
l'esercizio 
della 
sua 
difesa. 
Dopo 
l'espletamento 
dell'eventuale 
ulteriore 
attivit� istruttoria, il 
responsabile 
della struttura conclude 
il 
procedimento, con l'atto 
di 
archiviazione 
o di 
irrogazione 
della sanzione, entro sessanta giorni 
dalla contestazione 
dell'addebito. 
In 
caso 
di 
differimento 
superiore 
a 
dieci 
giorni 
del 
termine 
a 
difesa, 
per 
impedimento del 
dipendente, il 
termine 
per 
la conclusione 
del 
procedimento � 
prorogato 
in misura corrispondente. Il 
differimento pu� essere 
disposto per 
una sola volta 
nel 
corso 
del 
procedimento. 
La 
violazione 
dei 
termini 
stabiliti 
nel 
presente 
comma 
comporta. 
per 
l'amministrazione, 
la 
decadenza 
dall'azione 
disciplinare 
ovvero, 
per 
il 
dipendente, 
dall'esercizio del diritto di difesa. 
3. Il 
responsabile 
della struttura, se 
non ha qualifica dirigenziale 
ovvero se 
la sanzione 
da 
applicare 
� 
pi� 
grave 
di 
quelle 
di 
cui 
al 
comma 
1, 
primo 
periodo, 
trasmette 
gli 
atti, 
entro cinque 
giorni 
dalla notizia del 
fatto, all'ufficio individuato ai 
sensi 
del 
comma 4, 
dandone contestuale comunicazione all'interessato". 
4. Ciascuna amministrazione, secondo il 
proprio ordinamento, individua l'ufficio competente 
per 
i 
procedimenti 
disciplinari 
ai 
sensi 
del 
comma 1, secondo periodo. Il 
predetto 
ufficio contesta l'addebito al 
dipendente, lo convoca per 
il 
contraddittorio a sua difesa, 
istruisce 
e 
conclude 
il 
procedimento secondo guanto previsto nel 
comma 2, ma, se 
la 
sanzione 
da applicare 
� 
pi� grave 
di 
quelle 
di 
cui 
al 
comma 1, primo periodo, con applicazione 
di 
termini 
pari 
al 
doppio di 
quelli 
ivi 
stabiliti 
e 
salva l'eventuale 
sospensione 
ai sensi dell'articolo 
55-ter. Il 
termine 
per 
la contestazione 
dell'addebito decorre 
dalla 
data 
di 
ricezione 
degli 
atti 
trasmessi 
ai 
sensi 
del 
comma 
3 
ovvero 
dalla 
data 
nella 
quale 
l'ufficio 
ha 
altrimenti 
acquisito 
notizia 
dell'infrazione, 
mentre 
la 
decorrenza 
del 
termine 

coNteNzIoSo 
NAzIoNAle 


per 
la conclusione 
del 
procedimento resta comunque 
fissata alla data di 
prima acquisizione 
della notizia dell'infrazione, anche 
se 
avvenuta da parte 
del 
responsabile 
della 
struttura in cui 
il 
dipendente 
lavora. La violazione 
dei 
termini 
di 
cui 
al 
presente 
comma 
comporta, per 
l'amministrazione, la decadenza dall'azione 
disciplinare 
ovvero, per 
il 
dipendente, dall'esercizio del diritto di difesa�. 


5. 
...(omissis) 
il 
dipendente 
ha 
diritto 
di 
accesso 
agli 
atti 
istruttori 
del 
procedimento.. 
(omissis). 
Dal 
combinato disposto dei 
commi 
1, 2 e 
4 dell'art. 55 bis, come 
novellato, si 
evince, quindi, 
che 
nell'ipotesi 
di 
irrogazione 
di 
sanzione 
disciplinare 
pi� 
grave 
della 
sospensione 
dal 
servizio 
con 
privazione 
della 
retribuzione 
per 
pi� 
di 
dieci 
giorni, 
come 
nel 
caso 
di 
specie, 
l'ufficio 
competente 
per i 
procedimenti 
disciplinari 
(U.P.D.) deve 
contestare 
l'addebito al 
dipendente 
entro 
il 
termine 
di 
40 
giorni 
dalla 
ricezione 
degli 
atti 
trasmessi 
dal 
responsabile 
della 
struttura 


o dalla 
data 
(anteriore) in cui 
l'ufficio abbia, comunque, avuto notizia 
dell'infrazione; 
deve, 
poi, convocare 
il 
lavoratore 
con un preavviso di 
almeno 20 giorni 
ed emettere 
il 
provvedimento 
finale 
nei 
120 giorni 
decorrenti 
dalla 
data 
della 
prima 
acquisizione 
della 
notizia 
del-
l'infrazione, 
anche 
se 
avvenuta 
da 
parte 
del 
responsabile 
della 
struttura 
cui 
il 
dipendente 
� 
addetto. In sostanza 
i 
termini 
sono raddoppiati 
(art. 55 bis, comma 
4, d.lgs. cit.) rispetto alle 
ipotesi in cui siano irrogate sanzioni disciplinari pi� lievi. 
Il tenore letterale delle disposizioni citate non lascia dubbi sulla natura decadenziale di detti 
termini, collegando, il 
legislatore, al 
mancato rispetto dei 
termini 
ivi 
fissati, la 
perdita 
del 
potere 
di esercitare il diritto dalla stessa previsto. 
Pu� affermarsi, quindi, che 
il 
termine 
per la 
contestazione, il 
termine 
a 
difesa 
per la 
convocazione 
e 
quello 
per 
la 
conclusione 
del 
procedimento 
disciplinare 
sono 
termini 
perentori 
previsti 
a 
pena 
di 
decadenza 
dall'azione 
disciplinare; 
viceversa, poich� 
non � 
prevista 
alcuna 
conseguenza 
per il 
mancato rispetto del 
termine 
di 
5 giorni 
fissato per l'invio degli 
atti 
al 
collegio 
di disciplina (comma 3), deve affermarsi la natura ordinatoria del detto termine. 
ci� posto, essendo in presenza, nel 
caso di 
specie, di 
infrazione 
punibile 
con una 
sanzione 
pi� grave 
della 
sospensione 
dal 
servizio con privazione 
della 
retribuzione 
per un periodo superiore 
a 
10 giorni, i 
termini 
perentori 
di 
cui 
al 
comma 
2 sono raddoppiati, e 
gli 
stessi 
sono 
stati rispettati dall'Amministrazione convenuta. 
In particolare, ai 
sensi 
del 
comma 
4 dell'art. 55 bis 
sopra 
indicato, il 
termine 
per la 
contestazione 
dell'addebito decorre 
dalla 
data 
di 
ricezione 
degli 
atti 
trasmessi 
ai 
sensi 
del 
comma 
3, 
ossia 
dalla 
data 
di 
ricezione 
degli 
atti 
da 
parte 
dell'Ufficio competente 
per i 
procedimenti 
disciplinari; 
mentre 
la 
decorrenza 
del 
termine 
per 
la 
conclusione 
del 
procedimento 
� 
fissata 
alla 
data 
di 
prima 
acquisizione 
della 
notizia 
dell'infrazione, 
anche 
se 
avvenuta 
da 
parte 
del 
responsabile 
della struttura in cui il dipendente lavora. 
Risulta 
documentalmente 
provato 
che 
il 
comando 
Forze 
di 
Difesa 
Interregionale 
Sud 
di 
Napoli, 
presso 
cui 
era 
addetto 
il 
ricorrente, 
ha 
inoltrato 
all'Ufficio 
Procedimenti 
Disciplinari 
competente 
la 
pec 
dell'Avv.to 
eboli, 
datata 
23.1.2015, 
contenete 
i 
chiarimenti 
sulla 
vicenda 
giudiziaria 
nella 
quale 
il 
D.A. 
era 
rimasto 
coinvolto, 
con 
nota 
prot. 
n. 
M_D 
e25990/0003313 
del 
5.2.2016, 
pervenuta 
in 
data 
8.2.2016 
(all. 
4 
di 
parte 
convenuta); 
che 
I'UPD 
competente 
ha 
contestato 
al 
ricorrente 
gli 
addebiti 
con 
nota 
prot. 
n. 
M_D 
GcIV 
ReG20I6 
0015078 
dell'8.3.20l6 
(nel 
rispetto 
del 
termine 
di 
40 
giorni), 
e 
lo 
ha 
convocato 
a 
difesa 
per 
il 
giorno 
14.4.2016 
(nel 
rispetto 
del 
termine 
di 
20 
giorni 
di 
preavviso) 
(all. 
2 
di 
parte 
convenuta); 
che 
il 
procedimento 
disciplinare 
si 
� 
concluso 
con 
il 
decreto 
del 
Direttore 
Generale 
dell'UPD 
datato 
18.5.2016 
(nel 
rispetto 
del 
termine 
di 
120 
giorni 
dalla 
data 
di 
prima 
acquisizione 
della 
notizia 
dell'infrazione). 

RASSeGNA 
AVVocAtURA 
Dello 
StAto - N. 1/2017 


Ritiene 
il 
giudice, 
alla 
luce 
degli 
addebiti 
mossi 
al 
ricorrente 
e 
fondanti 
il 
provvedimento 
espulsivo, 
che 
solo 
con 
la 
pec 
dell'Avv.to 
eboli 
del 
23.1.2016 
l'Amministrazione 
datrice 
di 
lavoro 
� 
venuta 
a 
conoscenza 
della 
sentenza 
penale 
di 
condanna 
emessa 
nei 
confronti 
del 
ricorrente 
e 
che 
la 
sua 
assegnazione 
alla 
comunit� 
terapeutica 
di 
San 
Patrignano 
non 
era 
giustificata 
da 
un 
programma 
di 
recupero, 
come 
dal 
D.A. 
evidenziato 
nella 
richiesta 
di 
aspettativa 
presentata 
in 
data 
29.1.20 
15 
ai 
sensi 
dell'art. 
11 
del 
ccNl 
comparto 
ministeri, 
ma 
per 
l'espiazione 
della 
pena 
esterna, 
ai 
sensi 
dell'art. 
94 
del 
DPR 
n. 
309/1990, 
essendo 
costui 
tossicodipendente. 
Alla 
luce 
delle 
considerazioni 
che 
precedono, 
anche 
il 
secondo 
motivo 
di 
censura 
� 
infondato. 
Il ricorrente ha, infine, allegato l'insussistenza del fatto contestato. 
Preliminarmente, deve 
stabilirsi 
cosa 
si 
intenda 
per "fatto" 
ai 
sensi 
dell'art. 18, comma 
4, St. 
lav. e individuare il criterio sulla base del quale fondare la valutazione di insussistenza. 
In assenza 
di 
parametri 
normativi 
di 
riferimento, si 
discute 
se 
il 
fatto vada 
inteso come 
"fatto 
materiale", quale mero accadimento naturalistico, oppure come "fatto giuridico". 
evidentemente, 
il 
primo 
passaggio 
del 
percorso 
di 
valutazione 
e 
decisione 
che 
il 
giudice 
� 
chiamato a 
compiere 
consiste 
nel 
verificare 
se 
il 
fatto contestato dal 
datore 
di 
lavoro e 
posto 
a 
base 
del 
provvedimento espulsivo si 
sia 
verificato sul 
piano storico e 
naturalistico: 
laddove 
si 
accerti 
che 
il 
fatto non si 
� 
affatto verificato il 
giudizio di 
insussistenza 
sar�, senz'altro, positivo 
senza necessit� di effettuare ulteriori valutazioni. 
Nell'ipotesi 
in cui 
l'addebito mosso al 
lavoratore 
corrisponda 
ad una 
condotta 
o ad un evento 
storicamente 
e 
naturalisticamente 
avvenuti, l'accertamento giudiziale 
non pu� ritenersi 
esaurito, 
ma 
deve 
procedere 
per verificare 
se 
quel 
fatto (condotta 
attiva 
o omissiva/evento) abbia 
un rilievo disciplinare, perch� 
il 
"fatto" 
contestato al 
lavoratore 
sussiste, ai 
fini 
del 
giudizio 
in 
corso, 
nella 
misura 
in 
cui 
abbia 
una 
consistenza 
di 
inadempimento 
rispetto 
alle 
obbligazioni 
poste a carico del lavoratore. 
Poich� 
il 
licenziamento disciplinare 
� 
ontologicamente 
un licenziamento fondato sulla 
colpa 
del 
lavoratore, perch� 
possa 
essere 
integrato l'illecito disciplinare 
il 
fatto deve 
configurare 
un 
inadempimento contrattuale. e tale valutazione spetta, necessariamente, al giudice. 
ed 
invero, 
interpretando 
il 
fatto 
quale 
mero 
accadimento 
materiale, 
privo 
di 
una 
connotazione 
giuridica 
nel 
senso 
sopra 
delineato, 
si 
rischierebbe 
di 
ritenere 
"fatto 
sussistente" 
qualsiasi 
comportamento, anche 
lecito e 
non integrante 
alcun profilo di 
inadempimento, compiuto dal 
lavoratore e addotto a motivo del licenziamento dal datore di lavoro. 
la 
nozione 
di 
fatto rilevante 
ai 
fini 
della 
operativit� 
del 
comma 
4 dell'art. 18 deve, quindi, 
comprendere 
tutti 
i 
suoi 
elementi 
costitutivi 
nella 
loro 
pienezza 
(elemento 
oggettivo 
e 
elemento 
soggettivo, ove richiesto dalla concreta ipotesi sanzionatoria richiamata). 
A 
sostegno dell'opzione 
ermeneutica 
qui 
proposta, si 
osserva 
che 
lo stesso art. 18, comma 
4, 
l 
300/1970 chiede 
al 
giudice 
di 
valutare 
se 
il 
"fatto rientri 
tra le 
condotte 
punibili 
solo con 
una sanzione 
conservativa sulla base 
delle 
previsioni 
dei 
contratti 
collettivi 
", giudizio che 
implica 
necessariamente 
una 
qualificazione 
(non meramente 
fattuale 
ma) giuridica 
del 
fatto 
oggetto di contestazione ed un suo raffronto con le previsioni sanzionatorie contrattuali. 
Negli 
stessi 
termini 
si 
� 
espressa 
la 
corte 
di 
cassazione, motivando che 
�con la legge 
n. 92 
del 
2012 � 
stato introdotta una nuova, complessa ed articolata disciplina dei 
licenziamenti 
che 
ancora le 
sanzioni 
irrogabili 
per 
effetto della accertata illegittimit� del 
recesso a valutazioni 
di 
fatto incompatibili 
non solo con il 
giudizio di 
legittimit� ma anche 
con una eventuale 
rimessione 
al 
giudice 
di 
merito 
che 
dovr� 
applicare 
uno 
dei 
possibili 
sistemi 
sanzionatori 
conseguenti 
alla 
qualificazione 
del 
fatto 
(giuridico) 
che 
ha 
determinato 
il 
provvedimento 
espulsivo� 
(cass. 10550/2013). 



coNteNzIoSo 
NAzIoNAle 


ed ancora 
ha 
affermato la 
Suprema 
corte 
che 
"l'insussistenza de/fatto di 
cui 
all'art. 18 l. n. 
300 
del 
1970, 
come 
modificato 
dalla 
l. 
n. 
92 
del 
2012, 
comprende 
anche 
l'ipotesi 
in 
cui 
il 
fatto sussista ma sia privo di 
illiceit�, poich� 
la completa irrilevanza giuridica del 
fatto contestato 
equivale 
alla 
sua 
insussistenza 
materiale 
ed 
�, 
pertanto, 
suscettibile 
di 
dare 
luogo 
alla 
tutela reintegratoria� 
(cass. 20540/2015; 18418/2016). 
Nel 
caso di 
specie, tenuto conto della 
contestazione 
mossa 
al 
ricorrente, l'indagine 
giudiziale 
deve 
effettuarsi 
accertando la 
sussistenza, nel 
caso concreto, del 
profilo oggettivo ed anche 
soggettivo 
della 
condotta, 
ovvero 
l'elemento 
psicologico 
dell'intenzionalit� 
quale 
elemento 
essenziale 
e 
connotante 
la 
condotta 
contestata 
e 
presupposto 
necessario 
affinch� 
l'azione 
possa 
assumere rilevanza disciplinare. 
osserva 
il 
giudice 
che 
il 
ricorrente, alla 
data 
del 
29.1.2015, ossia 
quando ha 
trasmesso al 
comando 
Forze 
di 
Difesa 
Interregionale 
Sud 
di 
Napoli 
la 
domanda 
di 
aspettativa 
ai 
sensi 
dell'art. 
11 
del 
ccNl 
16.5.2001, 
era 
a 
conoscenza 
della 
sentenza 
penale 
di 
condanna, 
emessa 
nei 
suoi 
confronti 
in data 
9.10.2014 e 
divenuta 
irrevocabile 
l'11.11.2014, e 
della 
concessione 
del 
beneficio 
dell'espiazione 
della 
pena 
esterna 
presso 
la 
comunit� 
di 
San 
Patrignano, 
ed 
ha 
ritenuto 
non 
solo 
di 
non 
darne 
comunicazione 
all'Amministrazione 
datrice 
di 
lavoro, 
ma 
anzi 
di 
richiedere 
un periodo di aspettativa per un motivo diverso (programma di recupero). 
Inoltre, il 
ricorrente 
in data 
5.12.2015 si 
� 
allontanato volontariamente 
dalla 
comunit� 
terapeutica 
e, ben potendolo fare, non avendo pi� il 
divieto di 
comunicare 
con l'esterno, non ne 
ha dato comunicazione all'Amministrazione convenuta. 
Risulta, pertanto, provato che 
le 
condotte 
imputate 
al 
ricorrente 
(omessa 
comunicazione 
alla 
datrice 
di 
lavoro della 
sentenza 
penale 
di 
condanna 
emessa 
nei 
suoi 
confronti 
e 
della 
interruzione 
del 
programma 
terapeutico) sono state 
da 
lui 
commesse 
almeno con colpa, se 
non addirittura 
volontariamente, e 
che 
le 
stesse 
configurano un inadempimento contrattuale, ossia 
una violazione delle obbligazioni poste a suo carico. 
Resta, 
quindi, 
da 
valutare 
se 
vi 
sia 
proporzione 
tra 
la 
condotta 
ascritta 
e 
la 
sanzione 
comminata. 
Ai 
sensi 
dell'art. 
13, 
comma 
6, 
del 
ccNl 
applicato 
al 
rapporto 
si 
applica 
la 
sanzione 
disciplinare 
del 
licenziamento 
senza 
preavviso 
in 
caso 
di 
�condanna 
passata 
in 
giudicato 
per 
un 
delitto 
commesso 
in 
servizio 
o 
fuori 
servizio 
che, 
pur 
non 
attenendo 
in 
via 
diretta 
al 
rapporto 
di 
lavoro, 
non 
ne 
consenta 
neanche 
provvisoriamente 
la 
prosecuzione 
per 
la 
sua 
specifica 
gravit��. 


ebbene, il 
ricorrente, con sentenza 
n. 4234/2014, divenuta 
irrevocabile 
l'11.11.2014, � 
stato 
condannato, ex art. 444 c.p.p., alla 
pena 
complessiva 
di 
anni 
3 e 
mesi 
6 di 
reclusione 
per i 
reati di cui all'art. 629, comma 2, art. 628, comma 3, n. 1, art. 4 l. 110/1975. 
Si 
tratta, 
quindi, 
di 
una 
condanna 
per 
reati 
gravi, 
quali 
la 
rapina 
e 
l'estorsione 
aggravati 
dall'uso 
delle 
armi, sicuramente 
idonea 
a 
ledere 
il 
vincolo fiduciario intercorrente 
tra 
lavoratore 
e 
datore 
di lavoro. 
Da 
quanto 
precede 
deriva 
che 
il 
provvedimento 
espulsivo 
� 
legittimo, 
avuto 
riguardo 
alla 
gravit� 
dei fatti contestati e alle norme contrattuali e di legge violate dal lavoratore. 
Il ricorso, per le ragioni che precedono, deve essere respinto. 
la 
natura 
delle 
parti 
e 
la 
complessit� 
delle 
questioni 
trattate 
giustificano l'integrale 
compensazione 
delle spese del giudizio. 


PQM 


- rigetta il ricorso; 
- spese compensate. 
Si comunichi. 
Napoli, 8 febbraio 2017 

RASSeGNA 
AVVocAtURA 
Dello 
StAto - N. 1/2017 


Informativa antimafia e 
autorizzazioni: art. 89 bis 
del 
d.lgs. n. 
159 
del 
2011 
(c.d. 
codice 
delle 
leggi 
antimafia) 
un 
presunto 
eccesso di 
delega? Uno scambio di 
email 
su 
Consiglio di 
Stato, 
Sez. Terza, sentenza 7 marzo 2017 n. 1080 


Da: 
Wally Ferrante [mailto:wally.ferrante@avvocaturastato.it] 
Inviato: venerd� 24 marzo 2017 17:19 


A: 'Avvocati_tutti' <Avvocati_tutti@avvocaturastato.it> 
oggetto: informativa antimafia e autorizzazioni 
Vi 
allego 
un�importante 
sentenza 
del 
cDS, 
sez. 
III, 
Pres. 
Frattini, 
7 
marzo 
2017, 
n. 
1080 
che, 
nel 
richiamare 
un 
principio 
affermato 
da 
altra 
sentenza 
della 
stessa 
sezione 
nella 
medesima 
camera 
di 
consiglio (Sez. III, 9 febbraio 
2017, 
n. 
565) 
nonch� 
un 
parere 
del 
cDS, 
Sezione 
Prima, 
del 
17 
novembre 
2015, n. 3088, ha 
precisato che 
l�informazione 
antimafia 
produce 
i 
medesimi 
effetti 
della 
comunicazione 
antimafia 
ai 
sensi 
dell�art. 89 bis 
del 
codice 
antimafia 
anche 
nelle 
ipotesi 
in cui 
manchi 
un rapporto contrattuale 
con la 
pubblica 
amministrazione 
e 
quindi 
non solo in materia di 
appalti 
e 
concessioni 
ma anche 
in caso di 
svolgimento di 
attivit� imprenditoriale 
privata soggetta 
a mera autorizzazione. 
Non 
so 
chi 
abbia 
a 
Roma 
la 
questione 
in 
corte 
costituzionale 
sollevata 
dal 
tAR Sicilia 
- catania 
con l�ordinanza 
28 settembre 
2016, n. 2337 sull�art. 89 
bis 
del 
d.lgs. n. 159/2011 ma 
la 
sentenza 
offre 
anche 
argomentati 
e 
motivati 
spunti a sostegno della costituzionalit� della norma. 


Wally Ferrante 


(Avvocatura Generale Stato) 


Da: zito Mario 
Inviato: venerd� 24 marzo 2017 17:42 


A: Ferrante 
Wally; 
Avvocati_tutti 
oggetto: Re: informativa antimafia e autorizzazioni 
Avevo visto la 
precedente 
che 
se 
non sbaglio dovrebbe 
essere 
nata 
da 
un contenzioso 
del nostro tar. 
Sono perplesso sul futuro delle informative interdittive. 
Noi 
le 
stiamo vincendo quasi 
tutte, ma 
perch� 
teniamo il 
profilo basso sostenendo 
che 
l'esclusione 
� 
solo 
dagli 
appalti 
pubblici 
e 
non 
significa 
un 
giudizio 
di 
valore 
sull'Impresa 
ma 
solo di 
pericolo, astratto e 
in estrema 
prevenzione, 
di infiltrazioni. 
con questa 
giurisprudenza 
che 
di 
fatto parifica 
il 
potenziale 
infiltrato al 
soggetto 
colpito 
da 
misura 
di 
prevenzione, 
temo 
che 
i 
tar 
vorranno 
in 
futuro 
delle 
motivazioni molto rafforzate. 



coNteNzIoSo 
NAzIoNAle 


Spero di non sbagliarmi ma a volte il meglio � nemico del bene ... 


Mario zito 


(Avvocatura dello Stato di bologna) 


Consiglio di 
Stato, Sezione 
Terza, sentenza 7 marzo 2017 n. 1080 -Pres. 
Franco Frattini, Est. Manfredo Atzeni. 
(...) 
Questo consiglio di 
Stato ha 
gi� 
espresso il 
proprio orientamento al 
riguardo 
con la 
sentenza 
n. 565 in data 
9 febbraio 2017, deliberata 
alla 
stessa 
odierna 
camera 
di 
consiglio, i 
cui 
principi 
sono ovviamente 
applicabili 
anche 
per risolvere 
la presente controversia. 
In quella 
sentenza 
� 
stato affermato che 
la 
disciplina 
dettata 
dal 
d. lgs. n. 159 
del 
2011 (c.d. codice 
delle 
leggi 
antimafia) consente 
l�applicazione 
delle 
informazioni 
antimafia anche ai provvedimenti a contenuto autorizzatorio. 


�La tendenza del 
legislatore 
muove, in questa materia, verso il 
superamento 
della rigida bipartizione 
tra comunicazioni 
antimafia, applicabili 
alle 
autorizzazioni, 
e 
informazioni 
antimafia, applicabili 
ad appalti, concessioni, contributi 
ed elargizioni.� 
�Questo 
tradizionale 
riparto 
dei 
rispettivi 
ambiti 
di 
applicazione, 
tipico 
della 
legislazione 
anteriore 
al 
nuovo 
codice 
delle 
leggi 
antimafia 
(d. 
lgs. 
n. 
159 
del 
2011), 
si 
� 
rilevato 
inadeguato 
ed 
� 
entrato 
in 
crisi 
a 
fronte 
della 
sempre 
pi� 
frequente 
constatazione 
empirica 
che 
la 
mafia 
tende 
ad 
infiltrarsi, 
capillarmente, 
in 
tutte 
le 
attivit� 
economiche, 
anche 
quelle 
soggette 
a 
regime 
autorizzatorio 
(o 
a 
s.c.i.a.), 
e 
che 
un�efficace 
risposta 
da 
parte 
dello 
Stato 
alla 
pervasivit� 
di 
tale 
fenomeno 
criminale 
rimane 
lacunosa, 
e 
finanche 
illusoria 
nello 
stesso 
settore 
dei 
contratti 
pubblici, 
delle 
concessioni 
e 
delle 
sovvenzioni, 
se 
la 
prevenzione 
del 
fenomeno 
mafioso 
non 
si 
estende 
al 
controllo 
e 
all�eventuale 
interdizione 
di 
ambiti 
economici 
nei 
quali, 
pi� 
frequentemente, 
la 
mafia 
si 
fa, 
direttamente 
o 
indirettamente, 
imprenditrice 
ed 
espleta 
la 
propria 
attivit� 
economica.� 
�L�esperienza 
ha 
mostrato, 
infatti, 
che 
in 
molti 
di 
tali 
settori, 
strategici 
per 
l�economia 
nazionale 
(l�edilizia, 
le 
grandi 
opere 
pubbliche, 
lo 
sfruttamento 
di 
nuove 
fonti 
energetiche, 
gli 
scarichi 
delle 
sostanze 
reflue 
industriali, 
come 
appunto 
nel 
caso 
di 
specie, 
relativo 
all�AUA, 
e 
persino 
la 
ricostruzione 
dopo 
i 
gravi 
eventi 
sismici 
che 
funestano 
il 
territorio 
italiano), 
le 
associazioni 
di 
stampo 
mafioso 
hanno 
impiegato, 
diretto 
o 
controllato 
ingenti 
capitali 
e 
risorse 
umane 
per 
investimenti 
particolarmente 
redditizi 
finalizzati 
non 
solo 
ad 
ottenere 
pubbliche 
commesse 
o 
sovvenzioni, 
ma 
in 
generale 
a 
colonizzare 
l�intero 
mercato 
secondo 
un 
disegno, 
di 
pi� 
vasto 
respiro, 
del 
quale 
l�aggiudicazione 
degli 
appalti 
o 
il 
conseguimento 
di 
concessioni 
ed 
elargizioni 
costituisce 
una 
parte 
certo 
cospicua, 
ma 
non 
esclusiva 
n� 
satisfattiva 
per 
le 
mire 
egemoniche 



RASSeGNA 
AVVocAtURA 
Dello 
StAto - N. 1/2017 


della 
criminalit�; 
disegno, 
quello 
mafioso, 
talvolta 
agevolato 
dall�omert�, 
se 
non 
persino 
dalla 
collusione 
o 
dalla 
corruzione, 
dei 
pubblici 
amministratori.� 
�La 
tradizionale 
reciproca 
impermeabilit� 
tra 
le 
comunicazioni 
antimafia, 
richieste 
per 
le 
autorizzazioni, 
e 
le 
informazioni 
antimafia, 
rilasciate 
per 
i 
contratti, 
le 
concessioni 
e 
le 
agevolazioni, 
ha 
fatto 
s� 
che 
le 
associazioni 
di 
stampo 
mafioso 
potessero, 
comunque, 
gestire 
tramite 
imprese 
infiltrate, 
inquinate 
o 
condizionate 
da 
essa, 
lucrose 
attivit� 
economiche, 
in 
vasti 
settori 
dell�economia 
privata, 
senza 
che 
l�ordinamento 
potesse 
efficacemente 
intervenire 
per 
contrastare 
tale 
infiltrazione, 
al 
di 
fuori 
delle 
ipotesi 
di 
comunicazioni 
antimafia 
emesse 
per 
misure 
di 
prevenzione 
definitive 
con 
effetto 
interdittivo 
ai 
sensi 
dell�art. 
67 
del 
d. 
lgs. 
n. 
159 
del 
2011, 
anche 
quando, 
paradossalmente, 
a 
dette 
imprese 
fosse 
stata 
comunque 
interdetta 
la 
stipulazione 
dei 
contratti 
pubblici 
per 
effetto 
di 
una 
informativa 
antimafia.� 
�Ci� non di 
rado ha condotto allo stesso aggiramento della normativa antimafia, 
nel 
suo complesso, perch� 
l�organizzazione 
mafiosa, anche 
dopo l�interdizione 
di 
una impresa mediante 
una informativa, poteva (e 
pu�) servirsi 
di 
una nuova, creata ad hoc, per 
avviare, intanto e 
comunque, una nuova attivit� 
economica privata, soggetta solo al 
regime 
della comunicazione 
antimafia, 
e 
nuovamente 
concorrere 
alle 
pubbliche 
gare, fintantoch� 
non venga 
emessa una informazione antimafia anche a carico di quest�ultima.� 
�Il 
riordino 
della 
materia, 
impresso 
dalla 
legge 
delega, 
ha 
posto 
fine 
a 
molte 
delle 
gravi 
lacune 
evidenziatasi 
nel 
sistema 
precedente 
della 
prevenzione 
antimafia.� 
�La 
l. 
n. 
136 
del 
13 
agosto 
2010, 
intitolata 
�Piano 
straordinario 
contro 
le 
mafie, 
nonch� 
delega 
al 
Governo 
in 
materia 
di 
normativa 
antimafia�, 
ha 
introdotto, 
nell�art. 
2 
che 
reca 
la 
specifica 
Delega 
al 
Governo 
per 
l�emanazione 
di 
nuove 
disposizioni 
in 
materia 
di 
documentazione 
antimafia, 
il 
comma 
1, 
lett. 
c), 
il 
quale 
ha 
istituto 
la 
Banca 
dati 
nazionale 
unica 
della 
documentazione 
antimafia, 
con 
immediata 
efficacia 
delle 
informative 
antimafia 
negative 
su 
tutto 
il 
territorio 
nazionale 
e 
�con 
riferimento 
a 
tutti 
i 
rapporti, 
anche 
gi� 
in 
essere, 
con 
la 
pubblica 
amministrazione, 
finalizzata 
all�accelerazione 
delle 
procedure 
di 
rilascio 
della 
medesima 
documentazione 
e 
al 
potenziamento 
dell�attivit� 
di 
prevenzione 
dei 
tentativi 
di 
infiltrazione 
mafiosa 
nell�attivit� 
di 
impresa�.� 
�� 
evidente 
che 
l�art. 
2, 
comma 
1, 
lett. 
c) 
si 
riferisca 
a 
tutti 
i 
rapporti 
con 
la 
pubblica 
amministrazione, 
senza 
differenziare 
le 
autorizzazioni 
dalle 
concessioni 
e 
dai 
contratti, 
come 
fanno 
invece, 
ed 
espressamente, 
le 
lett. 
a) 
e 
b); 
dunque, 
la 
lettera 
c) 
si 
riferisce 
anche 
a 
quei 
rapporti 
-come 
nel 
caso 
di 
specie 
l�AUA 
-che, 
per 
quanto 
oggetto 
di 
mera 
autorizzazione, 
hanno 
un 
impatto 
fortissimo 
e 
potenzialmente 
devastante 
su 
beni 
e 
interessi 
pubblici, 
come 
nei 
casi 
di 
scarico 
di 
sostanze 
inquinanti 
o 
l�esercizio 
di 
attivit� 
pericolose 
per 
la 
salute 
e 
per 
l�ambiente.� 
�N� 
giova replicare, come 
fa il 
primo giudice, che 
l�espressione 
�rapporti� 
si 
riferisca 
solo 
ai 
contratti 
e 
alle 
concessioni, 
ma 
non 
alle 
autorizzazioni, 
che 
secondo una classica concezione 
degli 
atti 
autorizzatori 
non costituirebbero 
un �rapporto� con l�Amministrazione.� 



coNteNzIoSo 
NAzIoNAle 


�Tale 
conclusione 
non solo � 
smentita dal 
tenore 
letterale 
dell�art. 2, comma 
1, lett. c), che 
non differenzia le 
une 
dalle 
altre 
come 
fanno, invece, la lett. a) 
e 
la lett. b) (che 
richiama la lett. a), ma anche 
a livello sistematico contrasta 
con 
una 
visione 
moderna, 
dinamica 
e 
non 
formalistica 
del 
diritto 
amministrativo, 
quale 
effettivamente 
vive 
e 
si 
svolge 
nel 
tessuto economico e 
nell�evoluzione 
dell�ordinamento, 
che 
individua 
un 
rapporto 
tra 
amministrato 
e 
amministrazione 
in ogni 
ipotesi 
in cui 
l�attivit� economica sia sottoposta ad 
attivit� provvedimentale, che 
essa sia di 
tipo concessorio o autorizzatorio o, 
addirittura soggetta a s.c.i.a., come 
questo Consiglio, in sede 
consultiva, ha 
chiarito nei 
numerosi 
pareri 
emessi 
in ordine 
all�attuazione 
del 
d. lgs. n. 124 
del 
2015 (v., in particolare 
e 
tra gli 
altri, il 
parere 
n. 839 del 
30 marzo 2016 
sulla riforma della disciplina della s.c.i.a.).� 
�Di 
qui 
la legittimit�, anche 
prima dell�introduzione 
dell�art. 89-bis 
- di 
cui 
ora si 
dir� - con il 
decreto correttivo n. 153 del 
2014, delle 
originarie 
previsioni 
contenute 
nel 
d. lgs. n. 159 del 
2011 (Codice 
delle 
leggi 
antimafia) attuative 
dei 
fondamentali 
princip� 
gi� contenuti 
in nuce 
nell�art. 2 della legge 
delega e, in particolare: 

-dell�art. 83, comma 1, laddove 
prevede 
che 
le 
amministrazioni 
devono acquisire 
la documentazione, di 
cui 
all�art. 84, prima di 
rilasciare 
o consentire 
i 
provvedimenti 
di 
cui 
all�art. 
67 
(tra 
cui 
rientrano, 
appunto, 
le 
autorizzazioni 
di cui alla lett. f); 
-dell�art. 91, comma 1, laddove 
prevede 
che 
detti 
soggetti 
devono acquisire 
l�informativa prima di 
rilasciare 
o consentire 
anche 
i 
provvedimenti 
indicati 
nell�art. 67; 
-dell�art. 
91, 
comma 
7, 
che 
prevede 
che 
con 
regolamento, 
adottato 
con 
decreto 
del 
Ministro 
dell�Interno 
-di 
concerto 
con 
quello 
della 
Giustizia, 
con 
quello 
delle 
Infrastrutture 
e 
con 
quello 
dello 
Sviluppo 
Economico 
ai 
sensi 
dell�art. 
17, 
comma 
3, 
della 
l. 
n. 
400 
del 
1988 
-siano 
individuate 
�le 
diverse 
tipologie 
di 
attivit� 
suscettibili 
di 
infiltrazione 
mafiosa 
nell�attivit� 
di 
impresa 
per 
le 
quali, 
in 
relazione 
allo 
specifico 
settore 
di 
impiego 
e 
alle 
situazioni 
ambientali 
che 
determinano 
un 
maggiore 
rischio 
di 
infiltrazione 
mafiosa, 
� 
sempre 
obbligatoria 
l�acquisizione 
della 
documentazione 
indipendentemente 
dal 
valore 
del 
contratto, 
subcontratto, 
concessione, 
erogazione 
o 
provvedimento 
di 
cui 
all�art. 
67�, 
dovendosi 
ricordare 
che 
l�art. 
67 
tra 
l�altro 
prevede, 
alla 
lett. 
f), 
proprio 
le 
�altre 
iscrizioni 
o 
provvedimenti 
a 
contenuto 
autorizzatorio, 
concessorio 
o 
abilitativo 
per 
lo 
svolgimento 
di 
attivit� 
imprenditoriali, 
comunque 
denominate�;� 
�L�introduzione 
dell�art. 89-bis 
del 
d. lgs. n. 159 del 
2011 ad opera del 
d. lgs. 
n. 153 del 
2014, dunque, non rappresenta una novit� n�, ancor 
meno, una distonia 
nel 
sistema, ma � 
anzi 
coerente 
con esso, secondo la chiara tendenza 
legislativa di 
cui 
si 
� 
detto, avviata dalla legge 
delega, che 
aveva gi� trovato 
parziale 
attuazione, 
sul 
piano 
sostanziale, 
nelle 
richiamate 
disposizioni 
del 
codice delle leggi antimafia.� 

RASSeGNA 
AVVocAtURA 
Dello 
StAto - N. 1/2017 


�Tale 
disposizione 
prevede, nel 
comma 1, che 
�quando in esito alle 
verifiche 
di 
cui 
all�articolo 88, comma 2, venga accertata la sussistenza di 
tentativi 
di 
infiltrazione 
mafiosa, 
il 
prefetto 
adotta 
comunque 
un�informazione 
interdittiva 
antimafia e 
ne 
d� comunicazione 
ai 
soggetti 
richiedenti 
di 
cui 
all�articolo 83, 
commi 
1 e 
2, senza emettere 
la comunicazione 
antimafia� e 
in tal 
caso, come 
espressamente 
sancisce 
il 
comma 
2, 
�l�informazione 
antimafia 
adottata 
ai 
sensi del comma 1 tiene luogo della comunicazione antimafia richiesta�.� 
�Con questa previsione, che 
non ha natura attributiva di 
un nuovo potere 
sostanziale, 
invero gi� rinvenibile 
nei 
dati 
di 
diritto positivo sopra evidenziati, 
ma 
ha 
al 
pi� 
carattere 
specificativo 
e 
procedimentale, 
il 
codice 
delle 
leggi 
antimafia 
ha inteso chiarire 
e 
disciplinare 
l�ipotesi 
nella quale 
il 
Prefetto, nel-
l�eseguire 
la 
consultazione 
della 
Banca 
dati 
nazionale 
unica 
per 
il 
rilascio 
della comunicazione 
antimafia, appuri 
che 
vi 
sia il 
pericolo di 
infiltrazione 
mafiosa all�interno dell�impresa.� 
�L�art. 
98, 
comma 
1, 
del 
d. 
lgs. 
n. 
159 
del 
2011, 
come 
� 
noto, 
prevede 
che 
nella 
Banca 
dati 
nazionale 
unica, 
ora 
operativa, 
�sono 
contenute 
le 
comunicazioni 
e 
le 
informazioni 
antimafia, 
liberatorie 
ed 
interdittive� 
e, 
dunque, 
tutti 
i 
provvedimenti 
che 
riguardano 
la 
posizione 
�antimafia� 
dell�impresa; 
tale 
Banca 
consente, 
ai 
sensi 
del 
comma 
2, 
la 
consultazione 
dei 
dati 
acquisiti 
nel 
corso 
degli 
accessi 
nei 
cantieri 
delle 
imprese 
interessate 
all�esecuzione 
di 
lavori 
pubblici, 
disposti 
dal 
Prefetto, 
e 
tramite 
il 
collegamento 
ad 
altre 
banche 
dati, 
ai 
sensi 
del 
comma 
3, 
anche 
la 
cognizione 
di 
eventuali 
ulteriori 
dati 
anche 
provenienti 
dall�estero.� 
�Si 
tratta di 
disposizione 
quanto mai 
opportuna, considerato il 
carattere 
pervasivo 
ed 
espansivo, 
a 
livello 
economico, 
e 
la 
dimensione 
sovente 
transnazionale 
delle attivit� imprenditoriali da parte delle associazioni mafiose.� 
�Va 
qui 
ricordato 
che 
il 
Prefetto, 
richiesto 
di 
rilasciare 
la 
documentazione 
antimafia, 
pu� 
emettere 
la 
comunicazione 
antimafia 
liberatoria, 
attestando 
che 
la 
stessa 
� 
stata 
emessa 
utilizzando 
il 
collegamento 
alla 
Banca 
dati, 
in 
due ipotesi: 
a) quando non emerge, a carico dei 
soggetti 
censiti, la sussistenza di 
cause 
di 
decadenza, 
di 
sospensione 
o 
di 
divieto 
di 
cui 
all�art. 
67 
(art. 
88, 
comma 
1: 


c.d. comunicazione de plano); 
b) quando, emersa la sussistenza di 
una di 
dette 
cause 
ed effettuate 
le 
necessarie 
verifiche, di 
cui 
all�art. 88, comma 2, per 
accertare 
la �corrispondenza 
dei 
motivi 
ostativi 
emersi 
dalla 
consultazione 
della 
banca 
dati 
nazionale 
unica 
alla situazione 
aggiornata del 
soggetto sottoposto ad accertamenti�, queste 
abbiano 
dato 
un 
esito 
negativo 
e 
non 
sussista 
pi�, 
nell�attualit�, 
alcuna 
causa 
di decadenza, di sospensione o di divieto (art. 88, comma 1).� 
�Nel 
corso di 
tali 
verifiche, quando emerga dalla Banca dati 
la presenza di 
provvedimenti 
definitivi 
di 
prevenzione, ai 
sensi 
dell�art. 67, comma 1, del 
d. 
lgs. n. 159 del 
2011, o comunque 
di 
dati 
che, ai 
sensi 
del 
richiamato art. 98, 
impongano 
una 
necessaria 
attivit� 
di 
verifica 
nell�impossibilit� 
di 
emettere 

coNteNzIoSo 
NAzIoNAle 


la 
comunicazione 
antimafia 
de 
plano, 
il 
Prefetto 
pu� 
riscontrare 
la 
sussistenza 
di 
tentativi 
di 
infiltrazione 
mafiosa, in base 
all�art. 89-bis, ed emettere 
informazione 
antimafia, sostitutiva della comunicazione richiesta.� 
�Ci� 
pu� 
verificarsi, 
ad 
esempio, 
quando 
il 
Prefetto, 
nell�eseguire 
il 
collegamento 
alla 
Banca 
dati 
e 
le 
verifiche 
di 
cui 
all�art. 
88, 
comma 
2, 
constati 
l�esistenza 
di 
�una 
documentazione 
antimafia 
interdittiva 
in 
corso 
di 
validit� 
a 
carico 
dell�impresa
�, 
come 
ad 
esempio 
una 
pregressa 
informativa 
emessa 
in 
rapporto 
ad 
un 
contratto 
pubblico, 
secondo 
quanto 
prevede 
espressamente 
l�art. 
24, 
comma 
2, 
del 
d.P.C.M. 
n. 
193 
del 
2014 
(regolamento 
recante 
le 
modalit� 
di 
funzionamento, 
tra 
l�altro, 
della 
Banca 
dati 
nazionale 
unica 
della 
documentazione 
antimafia, 
istituita 
ai 
sensi 
dell�art. 
96 
del 
d. 
lgs. 
n. 
159 
del 
2011), 
o 
acquisisca 
dati 
risultanti 
da 
precedenti 
accessi 
in 
cantiere, 
ai 
sensi 
dell�art. 
98, 
comma 
2, 
o 
informazioni 
provenienti 
dall�estero, 
ai 
sensi 
dell�art. 
98, 
comma 
3.� 
�L�istituzione 
della 
Banca 
dati 
nazionale 
unica, 
prevista 
dall�art. 
2 
della 
legge 
delega sopra ricordato e 
resa operativa con il 
d.P.C.M. n. 193 del 
2014, consente 
ora al 
Ministero dell�Interno, e 
per 
esso ai 
Prefetti 
competenti, di 
monitorare, 
e 
di 
�mappare�, 
le 
imprese 
sull�intero 
territorio 
nazionale 
-o, 
addirittura, anche 
nelle 
loro attivit� svolte 
all�esterno - e 
nello svolgimento 
di 
qualsivoglia attivit� economica, che 
essa sia soggetta a comunicazione 
o a 
informazione 
antimafia, 
sicch� 
l�autorit� 
prefettizia, 
richiesta 
di 
emettere 
una 
comunicazione 
antimafia liberatoria, ben pu� venire 
a conoscenza, nel 
collegarsi 
alla Banca dati, che 
a carico dell�impresa sussista una informativa antimafia 
o 
ulteriori 
elementi 
di 
apprezzabile 
significativit�, 
provvedendo 
ad 
emettere, ai 
sensi 
dell�art. 89-bis, comma 2, del 
d. lgs. n. 159 del 
2011, una 
informativa antimafia in luogo della richiesta comunicazione.� 
�E 
ci� perfettamente 
in linea con la richiamata previsione 
dell�art. 2, comma 
1, lett. c) della legge 
delega che, giova ripeterlo, ha istituto una Banca dati 
nazionale 
unica 
della 
documentazione 
antimafia, 
testualmente, 
con 
�immediata 
efficacia delle 
informative 
antimafia negative 
su tutto il 
territorio nazionale
� 
e 
�con 
riferimento 
a 
tutti 
i 
rapporti, 
anche 
gi� 
in 
essere, 
con 
la 
pubblica 
amministrazione, 
finalizzata 
all�accelerazione 
delle 
procedure 
di 
rilascio 
della 
medesima 
documentazione 
e 
al 
potenziamento 
dell�attivit� 
di 
prevenzione 
dei tentativi di infiltrazione mafiosa nell�attivit� di impresa�.� 
�Tale 
ultima finalit�, chiaramente 
enunciata dal 
legislatore, pienamente 
giustifica, 
ad avviso di 
questo Consiglio, il 
potere 
prefettizio di 
emettere 
una informativa 
antimafia, 
ricorrendone 
i 
presupposti 
dell�art. 
84, 
comma 
4, 
e 
dell�art. 91, comma 6, del 
d. lgs. n. 159 del 
2011 in luogo e 
con l�effetto della 
richiesta comunicazione antimafia.� 
�Al 
riguardo questo stesso Consiglio di 
Stato, sez. I, nel 
parere 
n. 3088 del 
17 
novembre 
2015 
ha 
gi� 
evidenziato 
che 
�le 
perplessit� 
di 
ordine 
sistematico 
e 
teleologico sollevate 
in ordine 
all�applicazione 
di 
tale 
disposizione 
anche 
alle 
ipotesi 
in cui 
non vi 
sia un rapporto contrattuale 
- appalti 
o concessioni 



RASSeGNA 
AVVocAtURA 
Dello 
StAto - N. 1/2017 


-con 
la 
pubblica 
amministrazione 
non 
hanno 
ragion 
d�essere, 
posto 
che 
anche 
in ipotesi 
di 
attivit� soggette 
a mera autorizzazione 
l�esistenza di 
infiltrazioni 
mafiose 
inquina 
l�economia 
legale, 
altera 
il 
funzionamento 
della 
concorrenza 
e costituisce una minaccia per l�ordine e la sicurezza pubbliche�.� 
�La prevenzione 
contro l�inquinamento dell�economia legale 
ad opera della 
mafia ha costituito e 
costituisce, tuttora, una priorit� per 
la legislazione 
del 
settore, che 
ha indotto il 
legislatore 
delegante 
e, di 
seguito, quello delegato, 
nelle 
previsioni 
originarie 
del 
codice 
delle 
leggi 
antimafia 
e 
dei 
successivi 
correttivi, ad estendere 
la portata delle 
informazioni 
antimafia anche 
ad ambiti 
tradizionalmente e precedentemente ad esse estranei.� 
�Questo Collegio non ignora che, con l�ordinanza n. 2337 del 
28 settembre 
2016, 
il 
T.A.R. 
per 
la 
Sicilia, 
sezione 
staccata 
di 
Catania, 
ha 
rimesso 
alla 
Corte 
costituzione 
la questione 
di 
compatibilit� dell�art. 89-bis 
del 
d. lgs. n. 
159 del 
2011 in relazione 
ad un presunto eccesso di 
delega ai 
sensi 
degli 
art. 
76, 77, primo comma, e 3 della Cost.� 
�Alla 
Corte 
competer�, 
ovviamente, 
decidere 
di 
tale 
delicata 
questione 
quanto 
al sollevato vizio inerente al presunto eccesso di delega.� 
�Ritiene 
tuttavia 
questo 
Collegio 
che 
tale 
questione, 
anche 
al 
di 
l� 
della 
sua 
manifesta 
infondatezza 
per 
le 
ragioni 
sopra 
vedute, 
sia 
comunque 
irrilevante 
nel 
presente 
giudizio, 
perch� 
l�applicazione 
dell�informativa 
antimafia 
alle 
autorizzazioni 
si 
fonda 
sull�applicazione 
della 
stessa 
legge 
delega 
e 
di 
disposizioni 
del 
codice 
delle 
leggi 
antimafia 
anche 
diverse 
dal 
richiamato 
art. 
89-bis, 
che 
pure 
costituisce 
indice 
significativo 
ed 
ulteriore 
riconferma, 
sul 
piano 
procedimentale, 
della 
innovativa 
impostazione 
del 
legislatore 
in 
questa 
materia.� 
�Deve 
questo 
Collegio 
solo 
qui 
aggiungere, 
per 
completezza, 
che 
non 
ritiene 
che 
la 
nuova 
disciplina 
contrasti 
con 
gli 
artt. 
3, 
24, 
27, 
comma 
secondo, 
41 
e 
42 
Cost.� 
�Lo Stato non riconosce 
dignit� e 
statuto di 
operatori 
economici, e 
non pi� 
soltanto 
nei 
rapporti 
con 
la 
pubblica 
amministrazione, 
a 
soggetti 
condizionati, 
controllati, infiltrati ed eterodiretti dalle associazioni mafiose.� 
�Questa 
valutazione, 
che 
ha 
natura 
preventiva 
e 
non 
sanzionatoria 
ed 
�, 
dunque, 
avulsa 
da 
qualsivoglia 
logica 
penale 
o 
lato 
sensu 
punitiva 
(Cons. 
St., 
sez. 
III, 
3 
maggio 
2013, 
n. 
1743), 
costituisce 
un 
severo 
limite 
all�iniziativa 
economica 
privata, 
che 
tuttavia 
� 
giustificato 
dalla 
considerazione 
che 
il 
metodo 
mafioso, 
per 
sua 
stessa 
ragion 
di 
essere, 
costituisce 
un 
�danno 
alla 
sicurezza, 
alla 
libert�, 
alla 
dignit� 
umana� 
(art. 
41, 
comma 
secondo, 
Cost.), 
gi� 
sul 
piano 
dei 
rapporti 
tra 
privati 
(prima 
ancora 
che 
in 
quello 
con 
le 
pubbliche 
amministrazioni), 
oltre 
a 
porsi 
in 
contrasto, 
ovviamente, 
con 
l�utilit� 
sociale, 
limite, 
quest�ultimo, 
allo 
stesso 
esercizio 
della 
propriet� 
privata.� 
�Il 
metodo mafioso � 
e 
resta tale, per 
un essenziale 
principio di 
eguaglianza 
sostanziale 
prima 
ancora 
che 
di 
logica 
giuridica, 
non 
solo 
nelle 
contrattazioni 
con 
la 
pubblica 
amministrazione, 
ma 
anche 
tra 
privati, 
nello 
svolgimento 
della 
libera iniziativa economica.� 



coNteNzIoSo 
NAzIoNAle 


�Non si 
pu� ignorare, e 
la legislazione 
antimafia pi� recente 
non ha di 
certo 
ignorato, 
che 
tra 
economia 
pubblica 
ed 
economia 
privata 
sussista 
un 
intreccio 
tanto 
profondo, 
anche 
nell�attuale 
contesto 
di 
una 
economia 
globalizzata, 
che 
non � 
pensabile 
e 
possibile 
contrastare 
l�infiltrazione 
della mafia �imprenditrice� 
e 
i 
suoi 
interessi 
nell�una senza colpire 
anche 
gli 
altri 
e 
che 
tale 
distinzione, 
se 
poteva 
avere 
una 
giustificazione 
nella 
societ� 
meno 
complessa 
di 
cui 
la precedente 
legislazione 
antimafia era specchio, viene 
oggi 
a perdere 
ogni 
valore, 
ed 
efficacia 
deterrente, 
per 
entit� 
economiche 
che, 
sostenute 
da 
ingenti 
risorse 
finanziarie 
di 
illecita origine 
ed agevolate, rispetto ad altri 
operatori, 
da modalit� criminose 
ed omertose, entrino nel 
mercato con una aggressivit� 
tale da eliminare ogni concorrenza e, infine, da monopolizzarlo.� 
�La tutela della trasparenza e 
della concorrenza, nel 
libero esercizio di 
una 
attivit� imprenditoriale 
rispettosa della sicurezza e 
della dignit� umana, � 
un 
valore che deve essere preservato nell�economia sia pubblica che privata.� 
�La stessa Corte 
di 
Giustizia UE, in riferimento alla prassi 
dei 
cc.dd. protocolli 
di 
legalit�, ha ribadito di 
recente 
che 
�va riconosciuto agli 
Stati 
membri 
un certo potere 
discrezionale 
nell�adozione 
delle 
misure 
destinate 
a garantire 
il 
rispetto del 
principio della parit� di 
trattamento e 
dell�obbligo di 
trasparenza, 
i 
quali 
si 
impongono 
alle 
amministrazioni 
aggiudicatrici 
in 
tutte 
le 
procedure 
di 
aggiudicazione 
di 
un 
appalto 
pubblico� 
poich� 
�il 
singolo 
Stato 
membro 
� 
nella 
posizione 
migliore 
per 
individuare, 
alla 
luce 
di 
considerazioni 
di 
ordine 
storico, giuridico, economico o sociale 
che 
gli 
sono proprie, le 
situazioni 
favorevoli 
alla 
comparsa 
di 
comportamenti 
in 
grado 
di 
provocare 
violazioni 
del 
rispetto del 
principio e 
dell�obbligo summenzionati� (Corte 
di 
Giustizia, sez. X, 22 ottobre 2015, in C-425/14).� 
�Non a caso proprio per 
tali 
considerazioni 
di 
ordine 
storico, giuridico, economico 
e 
sociale 
peculiari 
del 
nostro 
ordinamento, 
come 
ha 
correttamente 
dedotto 
la 
Provincia 
appellante 
nel 
secondo 
motivo 
(pp. 
9-12 
del 
ricorso), 
la 


c.d. legge 
anticorruzione 
(l. n. 190 del 
2012), nell�art. 1, commi 
52 e 
53, ha 
istituito la c.d. white 
list, con la creazione 
di 
appositi 
elenchi, presso le 
Prefetture, 
dei 
fornitori, prestatori 
di 
servizi 
ed esecutori 
non soggetti 
a tentativo 
di infiltrazione mafiosa per attivit� economiche particolarmente sensibili.� 
�Ad 
esempio 
(e 
l�esempio 
� 
quanto 
mai 
appropriato, 
per 
quanto 
si 
dir�, 
nel 
caso 
di 
specie, 
che 
riguarda 
impresa 
operante 
nel 
territorio 
emiliano 
e 
non 
inserita 
nella 
c.d. 
white 
list), 
per 
il 
terremoto 
che 
ha 
colpito 
le 
province 
di 
Bologna, 
Modena, 
Ferrara, 
Mantova, 
Reggio 
Emilia 
e 
Rovigo 
il 
20 
e 
il 
29 
maggio 
2012, 
l�art. 
5-bis, 
comma 
4, 
del 
d.l. 
n. 
74 
del 
2012, 
inserito 
in 
sede 
di 
conversione 
dalla 
l. 
n. 
122 
del 
1� 
agosto 
2012, 
ha 
previsto 
che 
i 
controlli 
antimafia, 
relativi 
alle 
imprese 
iscritte 
in 
tali 
elenchi, 
si 
estendessero 
�sugli 
interventi 
di 
ricostruzione 
affidati 
da 
soggetti 
privati 
e 
finanziati 
con 
le 
erogazioni 
e 
le 
concessioni 
di 
provvidenze 
pubbliche�.� 
�Ulteriore 
conferma questa, laddove 
ve 
ne 
fosse 
bisogno, che 
la distinzione 

RASSeGNA 
AVVocAtURA 
Dello 
StAto - N. 1/2017 


tra 
economia 
pubblica 
ed 
economia 
privata, 
in 
taluni 
settori 
-l�edilizia, 
lo 
smaltimento dei 
rifiuti, il 
traporto dei 
materiali 
in discarica, i 
noli 
a freddo, 
gli 
autotrasporti 
per 
conto 
terzi, 
la 
fornitura 
di 
ferro 
lavorato, 
il 
trasporto 
terra, etc. - � 
del 
tutto inidonea e 
inefficace 
a descrivere, e 
a circoscrivere, la 
vastit� e la pervasivit� del pericolo mafioso in esame.� 
�Se 
ne 
deve 
concludere, pertanto, che 
nell�attuale 
sistema della documentazione 
antimafia la suddivisione 
tra l�ambito applicativo delle 
comunicazioni 
antimafia 
e 
delle 
informazioni 
antimafia, 
codificata 
dal 
d. 
lgs. 
n. 
159 
del 
2011, 
mantiene 
la sua attualit� - del 
resto ribadita nel 
codice 
stesso - se 
e 
nella misura 
in 
cui 
essa 
non 
si 
risolva 
nella 
impermeabilit� 
dei 
dati 
posti 
a 
fondamento 
delle 
une 
con quelli 
posti 
a fondamento delle 
altre, soprattutto dopo l�istituzione, 
in attuazione 
dell�art. 2 della legge 
delega, della Banca dati 
nazionale 
unica, che 
consente 
di 
avere 
una cognizione 
ad ampio spettro e 
aggiornata 
della posizione antimafia di una impresa.� 
�E 
una 
simile 
impermeabilit� 
e 
incomunicabilit� 
tra 
i 
diversi 
settori 
economici 
e 
i 
relativi 
provvedimenti 
interdittivi, 
infatti, 
ha 
inteso 
evitare 
il 
legislatore 
con 
le pi� recenti modifiche del codice delle leggi antimafia.� 
�Il 
Prefetto, pertanto, avr� l�obbligo di 
rilasciare 
le 
informazioni 
antimafia 
nelle 
ipotesi 
di 
cui 
all�art. 91, comma 1, del 
d. lgs. n. 159 del 
2011 e 
avr� la 
facolt�, nelle 
ipotesi 
di 
verifiche, procedimentalizzate 
dall�art. 88, comma 2, 
e 
dall�art. 
89-bis, 
di 
emettere 
una 
informativa 
antimafia, 
in 
luogo 
della 
richiesta 
comunicazione 
antimafia, 
tutte 
le 
volte 
in 
cui, 
nel 
collegamento 
alla 
Banca 
dati 
nazionale 
unica, emergano provvedimenti 
o dati 
che 
lo inducano a ritenere 
non possibile 
emettere 
una comunicazione 
liberatoria de 
plano, ma impongano 
pi� serie verifiche in ordine al pericolo di infiltrazione mafiosa.� 
�Il 
sistema 
cos� 
delineato, 
che 
risponde 
a 
valori 
costituzionali 
ed 
europei 
di 
preminente 
interesse 
e 
di 
irrinunciabile 
tutela, 
non 
attenua 
le 
garanzie 
che 
la 
tradizionale 
ripartizione 
tra 
le 
comunicazioni 
e 
le 
informazioni 
antimafia 
prima 
assicurava, 
consentendo 
alle 
sole 
comunicazioni 
antimafia, 
emesse 
sulla 
base 
di 
un 
provvedimento 
di 
prevenzione 
definitivo 
adottato 
dal 
Tribunale 
con 
tutte 
le 
garanzie 
giurisdizionali, 
di 
precludere 
l�ottenimento 
di 
licenze, 
autorizzazioni 


o 
di 
qualsivoglia 
provvedimento, 
comunque 
denominato, 
per 
l�esercizio 
di 
attivit� 
imprenditoriali 
(art. 
67, 
comma 
1, 
lett. 
f) 
del 
d. 
lgs. 
n. 
159 
del 
2011).� 
�Il 
timore 
che, 
estendendo 
l�applicazione 
delle 
informative 
antimafia 
alle 
attivit� 
economiche 
soggette 
al 
regime 
autorizzatorio, 
si 
schiuda 
la 
via 
all�arbitrio 
del-
l�autorit� 
prefettizia 
nella 
valutazione 
della 
permeabilit� 
mafiosa 
e 
quindi 
anche 
nell�accesso 
alle 
attivit� 
economiche 
(solo) 
private, 
senza 
che 
tale 
valutazione 
sia 
assistita 
da 
preventive 
garanzie 
procedimentali 
o, 
comunque, 
dalle 
stesse 
garanzie 
delle 
misure 
di 
prevenzione 
emesse 
dal 
Tribunale, 
� 
del 
tutto 
infondato.� 
�La valutazione 
prefettizia - questa Sezione 
deve 
ancora una volta e 
con pi� 
convinzione 
qui 
ribadirlo - deve 
fondarsi 
su elementi 
gravi, precisi 
e 
concordanti 
che, alla stregua della �logica del 
pi� probabile 
che 
non�, consentano 

coNteNzIoSo 
NAzIoNAle 


di 
ritenere 
razionalmente 
credibile 
il 
pericolo di 
infiltrazione 
mafiosa in base 
ad 
un 
complessivo, 
oggettivo, 
e 
sempre 
sindacabile 
in 
sede 
giurisdizionale, 
apprezzamento dei fatti nel loro valore sintomatico.� 
�Gli 
elementi 
di 
inquinamento mafioso, ben lungi 
dal 
costituire 
un numerus 
clausus, assumono forme 
e 
caratteristiche 
diverse 
secondo i 
tempi, i 
luoghi 
e 
le 
persone 
e 
sfuggono, per 
l�insidiosa pervasivit� e 
mutevolezza, anzitutto sul 
piano 
sociale, 
del 
fenomeno 
mafioso, 
ad 
un 
preciso 
inquadramento 
(v., 
sul 
punto, la gi� richiamata sentenza di 
questo Cons. St., sez. III, 3 maggio 2016, 


n. 
1743), 
ma 
essi 
devono 
pur 
sempre 
essere 
ricondotti 
ad 
una 
valutazione 
unitaria 
e 
complessiva, che 
imponga all�autorit� e 
consenta al 
giudice 
di 
verificare 
la 
ragionevolezza 
o 
la 
logicit� 
dell�apprezzamento 
discrezionale, 
costituente 
fulcro e 
fondamento dell�informativa, in ordine 
al 
serio rischio di 
condizionamento mafioso.� 
�In 
tale 
senso 
il 
criterio 
civilistico 
del 
�pi� 
probabile 
che 
non�, 
seguito 
costantemente 
dalla 
giurisprudenza 
di 
questo 
Consiglio, 
si 
pone 
quale 
regola, 
garanzia 
e, 
insieme, 
strumento 
di 
controllo, 
fondato 
anche 
su 
irrinunciabili 
dati 
dell�esperienza, 
della 
valutazione 
prefettizia 
e, 
in 
particolare, 
consente 
di 
verificare 
la 
correttezza 
dell�inferenza 
causale 
che 
da 
un 
insieme 
di 
fatti 
sintomatici, 
di 
apprezzabile 
significato 
indiziario, 
perviene 
alla 
ragionevole 
conclusione 
di 
permeabilit� 
mafiosa, 
secondo 
una 
logica 
che 
nulla 
ha 
a 
che 
fare 
con 
le 
esigenze 
del 
diritto 
punitivo 
e 
del 
sistema 
sanzionatorio, 
laddove 
vige 
la 
regola 
della 
certezza 
al 
di 
l� 
di 
ogni 
ragionevole 
dubbio 
per 
pervenire 
alla 
condanna 
penale.� 
�Questa ultima regola, come 
� 
stato di 
recente 
chiarito, si 
palesa �consentanea 
alla garanzia fondamentale 
della �presunzione 
di 
non colpevolezza�, di 
cui 
all�art. 
27 
Cost., 
comma 
2, 
cui 
� 
ispirato 
anche 
il 
p. 
2 
del 
citato 
art. 
6 
CEDU�, sicch� 
� 
evidente 
come 
la vicenda in esame 
in alcun modo possa essere 
ricondotta 
nell�alveo 
del 
principio 
anzidetto, 
desunto 
dalla 
giurisprudenza 
di 
Strasburgo dall�art. 6 CEDU, in quanto �non attiene 
ad ipotesi 
di 
affermazione 
di 
responsabilit� 
penale�, 
� 
�estranea 
al 
perimetro 
delle 
garanzie 
innanzi 
ricordate� (v., in questi 
significativi 
termini, Cass., sez. I, 30 settembre 
2016, 
n. 
19430, 
per 
la 
responsabilit� 
civile), 
ma 
riguarda 
la 
prevenzione amministrativa antimafia.� 
�L�equilibrata 
ponderazione 
dei 
contrapposti 
valori 
costituzionali 
in 
gioco, 
la 
libert� 
di 
impresa, 
da 
un 
lato, 
e 
la 
tutela 
dei 
fondamentali 
beni 
che 
presidiano 
il 
principio 
di 
legalit� 
sostanziale 
sopra 
richiamati, 
richiedono 
alla 
Prefettura 
un�attenta 
valutazione 
di 
tali 
elementi, 
che 
devono 
offrire 
un 
quadro 
chiaro, 
completo 
e 
convincente 
del 
pericolo 
di 
infiltrazione 
mafiosa, 
e 
a 
sua 
volta 
impongono 
al 
giudice 
amministrativo 
un 
altrettanto 
approfondito 
esame 
di 
tali 
elementi, 
singolarmente 
e 
nella 
loro 
intima 
connessione, 
per 
assicurare 
una 
tutela 
giurisdizionale 
piena 
ed 
effettiva 
contro 
ogni 
eventuale 
eccesso 
di 
potere 
da 
parte 
del 
Prefetto 
nell�esercizio 
di 
tale 
ampio, 
ma 
non 
indeterminato, 
potere 
discrezionale.� 
�La 
delicatezza 
di 
tale 
ponderazione 
intesa 
a 
contrastare 
in 
via 
preventiva 
la 

RASSeGNA 
AVVocAtURA 
Dello 
StAto - N. 1/2017 


minaccia 
insidiosa 
ed 
esiziale 
delle 
organizzazioni 
mafiose, 
richiesta 
all�autorit� 
amministrativa, 
pu� 
comportare 
anche 
un�attenuazione, 
se 
non 
una 
eliminazione, 
del 
contraddittorio 
procedimentale, 
che 
del 
resto 
non 
� 
un 
valore 
assoluto, 
slegato 
dal 
doveroso 
contemperamento 
di 
esso 
con 
interessi 
di 
pari 
se 
non 
superiore 
rango 
costituzionale, 
n� 
un 
bene 
in 
s�, 
o 
un 
fine 
supremo 
e 
ad 
ogni 
costo 
irrinunciabile, 
ma 
� 
un 
principio 
strumentale 
al 
buon 
andamento 
della 
pubblica 
amministrazione 
(art. 
97 
Cost.) 
e, 
in 
ultima 
analisi, 
al 
principio 
di 
legalit� 
sostanziale 
(art. 
3, 
comma 
secondo, 
Cost.), 
vero 
e 
pi� 
profondo 
fondamento 
del 
moderno 
diritto 
amministrativo.� 
�E 
d�altro 
canto, 
occorre 
qui 
ricordare, 
il 
contraddittorio 
procedimentale 
non 
� 
del 
tutto 
assente 
nemmeno 
nelle 
procedure 
antimafia, 
se 
� 
vero 
che 
l�art. 
93, 
comma 
7, 
del 
d. 
lgs. 
n. 
159 
del 
2011 
�il 
prefetto 
competente 
al 
rilascio 
dell�informazione, 
ove 
lo 
ritenga 
utile, 
sulla 
base 
della 
documentazione 
e 
delle 
informazioni 
acquisite 
invita, 
in 
sede 
di 
audizione 
personale, 
i 
soggetti 
interessati 
a 
produrre, 
anche 
allegando 
elementi 
documentali, 
ogni 
informazione 
ritenuta 
utile�.� 
�Infine 
deve 
essere 
qui 
anche 
ribadito, 
come 
questa 
Sezione 
ha 
pi� 
volte 
chiarito, 
che 
il 
bilanciamento 
tra 
i 
valori 
costituzionali 
rilevanti 
in 
materia 
-l�esigenza, 
da 
un 
lato, 
di 
preservare 
i 
rapporti 
economici 
dalle 
infiltrazioni 
mafiose 
in attuazione 
del 
superiore 
principio di 
legalit� sostanziale 
e, dall�altro, la libert� 
di 
impresa 
-trova 
nella 
previsione 
dell�aggiornamento, 
ai 
sensi 
dell�art. 
91, comma 5, del 
d. lgs. n. 159 del 
2011, un punto di 
equilibrio fondamentale 
e 
uno 
snodo 
della 
disciplina 
in 
materia, 
sia 
in 
senso 
favorevole 
che 
sfavorevole 
all�impresa, 
poich� 
impone 
all�autorit� 
prefettizia 
di 
considerare 
i 
fatti 
nuovi, 
laddove 
sopravvenuti, 
o 
anche 
precedenti 
-se 
non 
noti 
-e 
consente 
all�impresa 
stessa di 
rappresentarli 
all�autorit� stessa, laddove 
da questa non conosciuti 
(v., ex plurimis, Cons. St., sez. III, 5 ottobre 2016, n. 4121).� 
�L�ordinamento positivo in materia, dalla legge-delega al 
cd. �Codice 
antimafia� 
sino 
alle 
pi� 
recenti 
integrazioni 
di 
quest�ultimo, 
ha 
voluto 
apprestare, 
per 
l�individuazione 
del 
pericolo 
di 
infiltrazione 
mafiosa 
nell�economia 
e 
nelle 
imprese, strumenti 
sempre 
pi� idonei 
e 
capaci 
di 
consentire 
valutazioni 
e 
accertamenti 
tanto 
variegati 
e 
adeguabili 
alle 
circostanze, 
quanto 
variabili 
e 
diversamente 
atteggiati 
sono 
i 
mezzi 
che 
le 
mafie 
usano 
per 
cercare 
di 
moltiplicare i loro illeciti profitti.� 
�Nella 
ponderazione 
degli 
interessi 
in 
gioco, 
tra 
cui 
certo 
quello 
delle 
garanzie 
per 
l�interessato da una misura interdittiva � 
ben presente, non pu� pensarsi 
che 
gli 
organi 
dello Stato contrastino con �armi 
impari� 
la pervasiva 
diffusione 
delle 
organizzazioni 
mafiose 
che 
hanno, 
nei 
sistemi 
globalizzati, 
vaste 
reti 
di 
collegamento 
e 
profitti 
criminali 
quale 
�ragione 
sociale� 
per 
tendere 
al controllo di interi territori.� 


(...) 
cos� deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 26 gennaio 2017. 



coNteNzIoSo 
NAzIoNAle 


Diritto di accesso e opponibilit� della clausola di riservatezza 

CONSIGLIO 
DI 
STATO, SEzIONE 
TERzA, SENTENzA 
17 MARzO 
2017 N. 1213 


la 
sentenza 
afferma 
il 
principio per cui 
clausola 
di 
riservatezza, pattuita 
fra 
l�Amministrazione 
e 
l�impresa 
privata 
nell�ambito di 
una 
procedura 
di 
negoziazione 
del 
prezzo di 
un farmaco da 
classificare 
tra 
quelli 
a 
carico del 
servizio 
sanitario 
nazionale, 
legittima 
il 
diniego 
di 
accesso 
agli 
atti 
della 
procedura 
da 
parte 
di 
un�azienda 
concorrente 
e, 
particolarmente, 
ai 
risultati 
economici 
raggiunti 
attraverso 
la 
negoziazione 
nonch� 
al 
regime 
di 
sconti 
concessi 
dall�azienda all�istituto. 

Il 
diritto 
di 
accesso 
deve 
tuttavia 
prevalere 
qualora 
determinato 
da 
esigenze 
difensive 
che, 
per�, 
devono 
essere 
adeguatamente 
circostanziate: 
infatti 
nella 
specie, 
il 
consiglio 
di 
Stato 
ha 
rigettato 
la 
domanda 
di 
accesso, 
in 
difetto 
di 
prova 
del 
fatto che 
il 
concorrente, richiedente 
l�accesso, avesse 
instaurato 
giudizi o procedimenti utili per la difesa della posizione giuridica di base. 


Marina Russo* 


Consiglio di 
Stato, Sezione 
Terza, sentenza 17 marzo 2017 n. 1213 
-Pres. F. Frattini, Est. 


G. 
Veltri 
-Agenzia 
Italiana 
del 
Farmaco 
-AIFA, 
(avv. 
St. 
M. 
Russo) 
c. 
Abbvie 
Srl 
a 
Socio 
Unico 
(avv. 
A. 
lirosi, 
c. 
Guglielmello) 
e 
nei 
confronti 
di 
Gilead 
Sciences 
Srl 
(avv.ti 
D. 
Vaiano, 
c. osti). 
FAtto 
l� 
Agenzia 
Italiana 
del 
Farmaco 
-AIFA 
-e 
la 
Gilead 
Sciences 
S.p.A. 
hanno 
proposto 
appello 
per 
la 
riforma 
della 
sentenza 
depositata 
dal 
tAR 
lazio, 
sez. 
III 
quater, 
in 
data 
25 
novembre 
2016, 


n. 
11819, 
con 
la 
quale 
� 
stato 
accolto 
in 
parte 
un 
ricorso 
proposto 
dalla 
AbbVie 
S.r.l. 
avverso 
il 
diniego 
opposto 
dall'AIFA 
sull'istanza 
di 
accesso 
da 
essa 
presentata 
con 
riferimento 
agli 
atti 
inerenti 
al 
procedimento 
che 
ha 
condotto 
alla 
stipula 
tra 
l'AIFA 
e 
la 
Gilead 
sciences, 
in 
data 
29 
gennaio 
2015, 
dell'accordo 
sulla 
rimborsabilit� 
e 
il 
prezzo 
relativo 
ai 
farmaci 
Sovaldi 
e 
harvoni. 
Analogo appello � 
stato proposto dalla 
AbbVie 
S.r.l. al 
fine 
di 
ottenere 
un accesso integrale 
e 
non solo parziale agli atti. 
Questi i fatti: 
la 
Gilead 
sciences 
s.r.l. 
produce 
il 
farmaco 
Sovaldi, 
a 
base 
del 
principio 
attivo 
sofosbuvir 
che 
� 
attualmente 
l'unico prodotto rimborsato in Italia 
ad essere 
indicato nel 
trattamento di 
tutti 
i 
genotipi 
(da 
1 a 
6) dell'epatite 
c cronica; 
produce 
altres� 
il 
farmaco harvoni, che 
aggiunge 
al 
principio attivo Sofosbuvir anche 
il 
ledipasvir, e 
che 
risulta 
anch'esso indicato nel 
trattamento dell'epatite c cronica, per i genotipi di tipo 1, 3 e 4. 
Si 
tratta 
di 
medicinali 
innovativi 
in grado di 
eradicare 
completamente 
il 
virus 
che 
genera 
la 
grave malattia in questione, precedentemente considerata cronica. 
(*) Avvocato dello Stato. 



RASSeGNA 
AVVocAtURA 
Dello 
StAto - N. 1/2017 


Per 
la 
cessione 
dei 
suddetti 
farmaci 
al 
SSN, 
la 
Gilead 
ha 
svolto 
contrattazione 
con 
l'AIFA 
-Agenzia 
Italiana 
del 
Farmaco, 
ai 
sensi 
di 
quanto 
previsto 
dall'art. 
48, 
comma 
33, 
del 
d.l. 
n. 
269/2003, 
conv. 
in 
legge 
326/2003, 
il 
quale 
stabilisce 
che 
"i 
prezzi 
dei 
prodotti 
rimborsati 
dal 
SSN 
sono 
determinati 
mediante 
contrattazione 
tra 
Agenzia 
e 
Produttori 
secondo 
le 
modalit� 
e 
i 
criteri 
indicati 
nella 
Delibera 
CIPE 
febbraio 
2001, 
n. 
3, 
pubblicata 
nella 
Gazzetta 
Ufficiale 
n. 
73 
del 
28 
marzo 
2001", 
deliberazione 
quest�ultima, 
che 
a 
sua 
volta 
disciplina 
dettagliatamente 
i 
"criteri 
per 
la 
contrattazione 
del 
prezzo 
dei 
farmaci", 
prevedendo 
espressamente 
che, 
tra 
le 
condizioni 
negoziali 
di 
cessione 
del 
farmaco 
alle 
strutture 
del 
SSN, 
si 
possa 
fare 
riferimento 
ai 
"volumi 
di 
vendita", 
si 
possano 
pattuire 
"sconti 
per 
le 
forniture 
agli 
ospedali 
e 
alle 
strutture 
sanitarie 
pubbliche" 
e 
si 
possa 
fare 
riferimento 
ai 
"volumi 
e 
i 
prezzi 
di 
altri 
medicinali 
della 
stessa 
impresa�. 
Pertanto 
l'AIFA 
e 
la 
Gilead 
hanno 
concluso 
in 
data 
29 
gennaio 
2015 
un 
accordo 
negoziale 
per 
la 
cessione 
al 
SSN 
dei 
farmaci 
Sovaldi 
e 
harvoni 
nel 
quale 
hanno 
inserito 
-come 
del 
resto 
sovente 
accade 
negli 
accordi 
sottoscritti 
tra 
AIFA 
e 
le 
aziende 
farmaceutiche 
ex 
art. 
48, 
comma 
33, 
del 


d.l. 
cit. 
-un 
meccanismo 
di 
sconto 
denominato 
prezzo/volume, 
in 
applicazione 
del 
quale, 
in 
buona 
sostanza, 
il 
prezzo 
di 
rimborso 
dei 
suddetti 
medicinali 
� 
stato 
assoggettato 
a 
percentuali 
di 
sconto 
sempre 
crescenti 
quanti 
pi� 
pazienti 
vengono 
trattati. 
l'accordo 
per 
la 
rimborsabilit� 
dei 
suddetti 
farmaci, 
scaduto 
in 
data 
18 
giugno 
2016, 
continua 
allo 
stato 
a 
rimanere 
operativo 
nelle 
more 
della 
stipula 
di 
un 
nuovo 
accordo 
tra 
l'AIFA 
e 
la 
Gilead, 
per 
il 
quale 
� 
tuttora 
in 
corso 
una 
formale 
rinegoziazione, 
ai 
sensi 
di 
quanto 
previsto 
dal 
punto 
7 
della 
citata 
delibera 
cIPe 
n. 
3/2001. 
In 
data 
10 
giugno 
2016, 
nel 
corso 
dunque 
della 
citata 
rinegoziazione, 
la 
ricorrente 
AbbVie 
S.r.l. ha 
presentato all'AIFA 
un'istanza 
di 
accesso "agli 
atti 
negoziali 
che 
hanno portato alla 
stipula 
del 
suddetto 
accordo 
di 
rimborsabilit� 
a 
carico 
del 
SSN 
delle 
specialit� 
medicinali 
Sovaldi 
e 
harvoni" 
motivandola 
sulla 
base 
di 
un pretesa 
legittimazione 
discendente 
dall'essere 
essa 
un'azienda 
farmaceutica 
che 
commercializza 
in Italia 
una 
terapia 
per il 
trattamento del-
l'epatite 
c "concorrente 
di 
harvoni", nonch� 
adducendo presunte 
criticit� 
di 
natura 
concorrenziale 
riscontrabili nell'accordo di rimborsabilit� concluso tra l'AIFA e la Gilead. 
con 
nota 
prot. 
n. 
Al/68272.P 
del 
30 
giugno 
2016, 
tuttavia, 
l'AIFA 
ha 
opposto 
diniego 
all'istanza 
presentata dalla ricorrente, rilevando, in sintesi: 
1. 
Il 
carattere 
strettamente 
riservato 
dell�accordo, 
in 
ragione 
dell'impegno 
contrattuale 
assunto 
dalle 
parti 
a 
non diffonderne 
i 
termini 
dell'accordo in questione 
(esattamente 
come 
avvenuto 
in occasione 
della 
sottoscrizione 
dell�accordo negoziale 
dei 
farmaci 
Viekirax ed exviera 
di 
cui � titolare dell�A.I.c. proprio la societ� 
Abbvie); 
2. la 
ricorrenza 
della 
condizione 
ostativa 
all�accesso di 
cui 
all�art. 24, comma 
6, della 
legge 
n. 241/1990, stante il carattere riservato della documentazione richiesta; 
3. il 
carattere 
bilaterale 
e 
strettamente 
riservato dell�accordo, implicante 
di 
per s� 
l'esclusione 
di terzi estranei dalla partecipazione; 
4. la 
considerazione 
del 
fatto che 
il 
medicinale 
Sovaldi 
� 
attualmente 
l�unico farmaco autorizzato 
per il 
trattamento senza 
interferone 
di 
tutti 
i 
genotipi 
di 
epatite 
c cronica, ragion per 
cui 
la 
Gilead 
Sciences 
s.r.l., 
avendo 
sviluppato 
per 
prima 
tale 
medicinale, 
� 
stata 
anche 
la 
prima (ed attualmente l�unica) ad �entrare� nel relativo mercato rilevante. 
Il 
tAR ha 
accolto in parte 
il 
ricorso ed ha 
riconosciuto alla 
AbbVie 
S.r.l. il 
diritto ad ottenere 
solo un parziale accesso agli atti da essa richiesti, cos� delimitandolo: 
1. 
dovr� 
essere 
dato 
accesso 
solo 
agli 
atti 
relativi 
al 
procedimento 
riguardante 
l'harvoni 
e 
non 
anche 
quelli 
inerenti 
al 
Sovaldi, in quanto solo il 
primo e 
non anche 
il 
secondo � 
stato riconosciuto 
essere 
in 
concorrenza 
con 
i 
prodotti 
Viekirax 
ed 
exviera 
di 
cui 
la 
richiedente 
� 
titolare 
dell'AIc; 

coNteNzIoSo 
NAzIoNAle 


2. non dovr� 
essere 
dato accesso, in ogni 
caso, neppure 
per harvoni 
a 
quelle 
parti 
dei 
documenti 
richiesti 
nelle 
quali 
vi 
siano riferimenti 
ai 
"dati 
di 
cui 
all'art. 6 della 
delibera 
cIPe 
che 
intervengono nel 
procedimento di 
determinazione 
del 
prezzo", che 
sarebbero - si 
trae 
sempre 
dalla 
sentenza 
impugnata 
-tra 
gli 
altri, 
quelli 
contenuti 
nelle 
proposte 
di 
prezzo 
corredate 
"con 
adeguate 
valutazioni 
economiche 
del 
prodotto 
e 
del 
contesto 
industriale 
(con 
riferimento 
agli 
investimenti 
in produzione, ricerca 
e 
sviluppo e 
alle 
esportazioni) di 
mercato e 
di 
concorrenza 
nel 
quale 
il 
medesimo 
prodotto 
si 
colloca", 
poich� 
questi, 
"siccome 
si 
riferiscono 
alla 
posizione 
sul 
mercato 
della 
Gilead 
e 
fanno 
riferimento 
a 
strategie 
di 
produzione 
o 
a 
know 
how 
particolari", ad avviso del 
tAR "possono rientrare 
nei 
casi 
di 
esclusione 
di 
cui 
al 
Regolamento 
AIFA sull'accesso". 
Avverso la 
sentenza, come 
accennato in premessa, hanno proposto appello tutti 
i 
protagonisti 
della vicenda. 
tutte 
le 
cause 
sono state 
trattenute 
in decisione 
all�udienza 
camerale 
del 
23 febbraio 2017. 
Per le 
cause 
chiamate 
per la 
delibazione 
della 
domanda 
cautelare, il 
collegio ha 
dato avviso 
della possibile decisione nel merito, in forma semplificata. 
DIRItto 


1. Per gli 
appellanti, AIFA 
e 
Gilead, la 
sentenza 
sarebbe 
erronea 
innanzitutto nella 
parte 
in 
cui 
� 
concesso 
�l'accesso alla documentazione 
relativa al 
farmaco Harvoni 
prodotto da Gilead 
... mentre 
non potr� concederlo in relazione 
al 
farmaco Sovaldi 
frutto di 
un brevetto di 
cui 
la stessa � 
titolare", atteso che: 
a) l�esistenza 
di 
una 
protezione 
brevettuale 
non sarebbe 
rilevante 
ai 
fini 
dell�accesso ad atti 
che 
nulla 
avrebbero a 
che 
vedere 
con la 
negoziazione 
sul 
prezzo; 
b) 
in 
ogni 
caso 
la 
Gilead 
� 
titolare 
di 
brevetto 
anche 
con 
riferimento 
ad 
harvoni, 
sicch� 
-se 
questa 
� 
la 
ragione 
giustificatrice 
dell'esclusione 
dal 
diritto di 
accesso - non sarebbe 
dato 
comprendere le ragione del 
discrimen 
fra i due farmaci ai fini dell�accesso. 
1.1. Il 
giudice 
di 
prime 
cure 
avrebbe 
altres� 
omesso di 
valutare 
il 
tema 
della 
riservatezza 
del 
documento del 
quale 
AbbVie 
intende 
ottenere 
l'esibizione, e 
di 
tutti 
quelli 
che 
l'hanno preceduto 
ai 
fini 
della 
sua 
formazione. esigenza 
di 
riservatezza 
che, infatti, AIFA 
aveva 
posto a 
base 
del 
diniego opposto alla 
richiesta 
di 
accesso, in quanto protetto da 
apposita 
clausola 
del-
l�accordo stipulato all�esito della 
negoziazione. Del 
resto, secondo gli 
appellanti, la 
riservatezza 
commerciale 
costituisce 
legittima 
causa 
di 
esclusione 
dell�accesso ai 
sensi 
dell'art. 24, 
comma 
6 della 
1. n. 241/1990, ed anche 
del 
regolamento AIFA, e 
la 
clausola 
di 
riservatezza 
sarebbe 
proprio lo strumento concordemente 
utilizzato dalle 
parti 
per evidenziare 
la 
natura 
sensibile del documento a tali fini. 
1.2. l�esigenza 
di 
riservatezza 
sarebbe 
vieppi� rinforzata, nel 
caso di 
specie, anche 
dal 
concomitante 
interesse 
pubblico ad ottenere 
un prezzo pi� basso ed a 
limitare 
il 
fenomeno delle 
esportazioni 
parallele, che 
verrebbero certamente 
favorite 
dalla 
conoscenza 
del 
prezzo finale 
di 
cessione: 
il 
farmaco 
verrebbe 
infatti 
acquistato 
per 
essere 
rivenduto 
all�estero 
ad 
un 
prezzo 
maggiore, cos� 
consentendo all�esportatore 
di 
lucrare 
sulla 
differenza, con l�ulteriore 
rischio 
-gi� 
concretizzatosi 
in passato - di 
determinare 
indisponibilit� 
del 
farmaco in Italia, a 
tutto 
discapito dei pazienti. 
1.3. 
la 
sentenza 
sarebbe, 
ad 
ogni 
modo, 
erronea 
anche 
nella 
parte 
in 
cui 
ha 
ritenuto 
sussistente 
la 
situazione 
legittimante 
l'esercizio 
del 
diritto 
di 
accesso 
agli 
atti 
del 
procedimento 
di 
contrattazione 
del 
prezzo 
e 
delle 
altre 
condizioni 
di 
rimborso 
di 
specialit� 
medicinali 
commercializzate 
da 
altra 
azienda 
farmaceutica 
operante 
sul 
mercato 
italiano, 
atteso 
che 
dall�accordo 
non 
sarebbe 
derivato 
n� 
potrebbe 
derivare 
uno 
svantaggio 
concorrenziale 
per 
AbbVie 
rispetto 
alla 
Gilead. 

RASSeGNA 
AVVocAtURA 
Dello 
StAto - N. 1/2017 


2. Per AbbVie 
S.r.l., per converso, la 
sentenza 
sarebbe 
erronea 
innanzitutto nella 
parte 
in cui 
ha 
escluso 
l�ostensibilit� 
della 
documentazione 
relativa 
al 
farmaco 
Sovaldi. 
Il 
tAR 
-nell�esegesi 
che 
della 
pronuncia 
ne 
d� 
l�appellante 
-ha 
inteso fondare 
l'esclusione 
dell'accesso sul 
fatto che, essendo il 
Sovaldi 
l'unico farmaco pan-genotipico disponibile 
sul 
mercato, e 
quindi 
il 
solo deputato al 
trattamento di 
quattro dei 
sei 
diversi 
genotipi 
di 
epatite 
c cronica 
(segnatamente, 
i 
genotipi 
2, 3, 5 e 
6), non � 
rinvenibile 
una 
situazione 
di 
concorrenza 
diretta 
con la 
terapia commercializzata da 
AbbVie (e indicata per il trattamento dei genotipi 1 e 4). 
le 
conclusioni 
cui 
giunge 
il 
tAR 
sarebbero 
tuttavia 
errate, 
posto 
che 
per 
effetto 
del 
meccanismo 
di 
sconti 
previsto 
nell'Accordo 
Gilead 
-che 
consente 
di 
cumulare 
le 
vendite 
di 
entrambi 
i 
farmaci 
ai 
fini 
del 
raggiungimento 
dei 
successivi 
scaglioni 
di 
pazienti 
trattati 
e 
quindi 
del-
l'applicazione 
dei 
crescenti 
livelli 
di 
sconto 
ad 
essi 
collegati 
-AbbVie, 
pur 
avendo 
anch'essa 
stipulato 
con AIFA 
un 
accordo 
prezzo-volume 
relativo 
alla 
propria 
terapia 
anti-epatite 
c, 
si 
troverebbe 
in 
una 
situazione 
di 
strutturale 
e 
insuperabile 
svantaggio 
concorrenziale. 
ci� 
perch�, 
ai 
fini 
del 
raggiungimento 
dei 
propri 
scaglioni 
di 
pazienti 
e 
quindi 
dell'incentivo 
all'acquisto 
del 
proprio 
farmaco 
da 
parte 
delle 
strutture 
ospedaliere 
pubbliche, 
Gilead 
potrebbe 
contare 
su 
un 
effetto 
di 
fidelizzazione 
scaturente 
dall�infungibilit� 
del 
Sovaldi 
(unico 
farmaco 
attualmente 
autorizzato 
e 
rimborsato 
per 
il 
trattamento 
dei 
genotipi 
2, 
3, 
5 
e 
6), 
che, 
gioco 
forza, 
trainerebbe 
anche 
il 
secondo 
farmaco 
harvoni, 
con 
conseguente 
abuso 
di 
posizione 
dominante. 
Ne 
deriverebbe 
che 
la 
struttura 
dell'Accordo Gilead (applicato attualmente 
in regime 
di 
proroga), 
sarebbe 
tale 
da 
pregiudicare 
la 
posizione 
sul 
mercato di 
AbbVie 
ledendo la 
legittima 
aspirazione 
della 
stessa 
a 
concorrere 
in 
situazioni 
di 
parit� 
ed 
imparzialit�. 
In 
questo 
contesto, 
la circostanza che il trattamento di 
AbbVie non sia direttamente concorrente di Sovaldi (ma 
solo di 
harvoni) sarebbe 
del 
tutto indifferente 
ai 
fini 
che 
interessano, in quanto la 
legittimazione 
e 
l'interesse 
di 
AbbVie 
trarrebbero origine 
proprio dal 
fatto che 
l'AIFA 
ha 
incluso all'interno 
dello 
stesso 
meccanismo 
prezzo-volume 
due 
farmaci 
che 
invece 
andavano 
tenuti 
nettamente 
distinti 
sia 
perch� 
rivolti 
a 
mercati 
differenti, sia 
perch� 
l'uno � 
commercializzato 
in regime di monopolio e l'altro no. 
2.1. la 
sentenza 
sarebbe 
altres� 
erronea 
sia 
nella 
parte 
in cui, pur accordando l'accesso alla 
documentazione 
di 
harvoni, ha 
rimesso all'AIFA 
di 
valutare 
la 
sussistenza 
di 
eventuali 
limitazioni 
"in relazione 
alla 
specifica 
causa 
di 
esclusione 
indicata 
dall'art. 18, comma 
2 del 
Regolamento 
sull'accesso", sia 
nella 
parte 
in cui 
ha 
ricondotto a 
tale 
causa 
di 
esclusione 
"i 
dati 
di 
cui 
all'art. 6 della 
delibera 
cIPe 
e 
che 
intervengono nel 
procedimento di 
determinazione 
del 
prezzo, 
siccome 
riferiti 
alla 
posizione 
sul 
mercato 
della 
Gilead 
e 
facenti 
riferimento 
a 
strategie 
di produzione o a know how particolari". 
Nel 
caso 
di 
specie, 
secondo 
l�appellante 
non 
vi 
sarebbe 
alcuna 
esigenza 
di 
riservatezza 
legata 
alla 
produzione 
ed 
al 
know 
how 
atteso 
che 
il 
procedimento 
di 
negoziazione 
disciplinato 
dalla 
deliberazione 
cIPe 
n. 
3 
del 
1� 
febbraio 
2001 
ha 
riferimento 
alle 
sole 
valutazioni 
economiche 
del 
prodotto 
e 
del 
contesto 
industriale 
di 
mercato 
e 
di 
concorrenza 
nel 
quale 
il 
medesimo 
prodotto 
si 
colloca. 
3. le 
VAlUtAzIoNI Del colleGIo 
3.1. ovviamente i ricorsi devono essere riuniti vertendo sulla medesima sentenza. 
3.2. Gli appelli di 
AIFA e di Gilead sono fondati. 
3.3. � utile ricostruire il quadro normativo del quale si � fatto sintetico cenno in premessa. 
l'art. 48, comma 
33, del 
d.l. n. 269/2003, conv. in legge 
326/2003, stabilisce 
che 
"i 
prezzi 
dei 
prodotti 
rimborsati 
dal 
SSN 
sono 
determinati 
mediante 
contrattazione 
tra 
Agenzia 
e 
Produttori 
secondo le 
modalit� e 
i 
criteri 
indicati 
nella Delibera CIPE 
1 febbraio 2001, n. 3, pubblicata 
nella Gazzetta Ufficiale n. 73 del 28 marzo 2001". 

coNteNzIoSo 
NAzIoNAle 


3.4. tale 
ultima 
delibera, a 
sua 
volta, detta 
analitiche 
disposizioni 
aventi 
ad oggetto i 
medicinali 
autorizzati 
all'immissione 
in commercio secondo le 
procedure 
centralizzate 
e 
di 
mutuo 
riconoscimento, e 
riguardanti 
in particolare 
il 
procedimento di 
contrattazione 
del 
prezzo di 
medicinali 
idonei 
all'inclusione 
nella 
lista 
dei 
medicinali 
rimborsabili 
dal 
Servizio sanitario 
nazionale. 
Nell�ambito 
di 
tale 
attivit� 
negoziata 
procedimentalizzata, 
� 
previsto 
che 
l�impresa 
farmaceutica 
proponga 
un prezzo sulla 
base 
di 
un documentato e 
circostanziato dossier alla 
luce 
di 
un criterio costo/efficacia 
per i 
pazienti; 
che 
l�amministrazione 
compia 
speculari 
valutazioni, 
anche 
attraverso l�ausilio di 
organi 
interni 
specializzati, al 
fine 
di 
una 
controproposta; 
che 
la 
procedura 
negoziale 
si 
concluda 
con un accordo tra 
le 
parti 
con la 
fissazione 
di 
un 
prezzo sulla 
base 
dei 
volumi 
di 
vendita, della 
disponibilit� 
del 
prodotto per il 
Servizio sanitario, 
degli 
sconti 
per le 
forniture 
agli 
ospedali 
e 
alle 
strutture 
sanitarie 
pubbliche; 
del 
volumi 
e 
dei 
prezzi 
di 
altri 
medicinali 
della 
stessa 
impresa. � 
in particolare 
espressamente 
previsto 
che, 
in 
sede 
di 
definizione 
contrattuale 
possa 
essere 
definita 
una 
relazione 
funzionale 
tra 
prezzo e intervalli di variazione dei volumi di vendita. 
3.5. 
l�accordo 
� 
un 
passaggio 
obbligatorio 
ed 
ineludibile, 
poich�, 
in 
mancanza, 
il 
prodotto 
� 
classificato 
nella 
fascia 
c 
di 
cui 
al 
comma 
10, 
dell'art. 
8, 
della 
legge 
del 
24 
dicembre 
1993, 
n. 
537. 
3.6. Il 
prezzo contrattato rappresenta 
per gli 
ospedali 
e 
le 
ASl 
il 
prezzo massimo di 
cessione 
al 
Servizio sanitario nazionale. Su tale 
prezzo essi 
devono, in applicazione 
di 
proprie 
procedure, 
contrattare gli sconti commerciali. 
3.7. 
Relativamente 
al 
segmento 
di 
mercato 
che 
transita 
attraverso 
il 
canale 
della 
distribuzione 
intermedia 
e 
finale, 
al 
prezzo 
ex-fabrica 
contrattato 
sono 
aggiunte, 
per 
la 
definizione 
del 
prezzo al 
pubblico, l'IVA 
e 
le 
quote 
di 
spettanza 
per la 
distribuzione 
(si 
vedano in proposito 
il comma 5 e seguenti dell�art. 1 della deliberazione citata). 
4. 
ci� 
chiarito, 
pu� 
da 
subito 
sgombrarsi 
il 
campo 
dai 
dubbi 
circa 
l�astratta 
accessibilit� 
degli 
atti, 
in 
quanto 
formati 
nell�ambito 
di 
procedimento 
negoziale 
e 
non 
di 
un 
procedimento 
amministrativo. 
4.1. 
A 
prescindere 
dalla 
sussumibilit� 
dell�accordo 
nel 
quadro 
degli 
accordi 
sostitutivi 
di 
provvedimento 
ex 
art. 
11 
l. 
241/90, 
o 
piuttosto 
in 
una 
vera 
e 
propria 
fattispecie 
contrattuale, 
la 
giurisprudenza 
di 
questo consiglio, muovendo dal 
consolidato approdo secondo il 
quale 
la 
disciplina 
legale 
della 
ostensibilit� 
dei 
documenti 
amministrativi 
pone 
anzitutto - sul 
piano 
oggettivo 
-un 
rapporto 
tra 
regola 
deponente 
per 
la 
generale 
accessibilit�, 
ed 
eccezioni 
tassative 
e 
non estensibili, � 
giunta 
alla 
conclusione 
che 
in base 
alla 
disciplina 
contenuta 
negli 
artt. 22 
e 
ss. 
l. 
n. 
241 
del 
1990, 
il 
diritto 
di 
accesso 
pu� 
esercitarsi 
anche 
rispetto 
a 
documenti 
di 
natura 
privatistica 
purch� 
concernenti 
attivit� 
di 
pubblico interesse. e 
del 
resto l'attivit� 
amministrativa, 
soggetta 
all'applicazione 
dei 
principi 
di 
imparzialit� 
e 
di 
buon 
andamento, 
� 
configurabile 
non 
solo 
quando 
l'Amministrazione 
esercita 
pubbliche 
funzioni 
e 
poteri 
autoritativi, 
ma 
anche 
quando essa 
persegue 
le 
proprie 
finalit� 
istituzionali 
e 
provvede 
alla 
cura 
concreta 
di 
pubblici 
interessi 
mediante 
un'attivit� 
sottoposta 
alla 
disciplina 
dei 
rapporti 
tra 
privati 
(ex 
multis, cons. Stato Sez. IV, Sent., 28/01/2016, n. 326). 
4.2. Sempre 
in via 
generale 
ed astratta, deve 
ritenersi 
sufficiente, ai 
fini 
dell�accesso, a 
mente 
dell�art. 22 della 
legge 
generale 
sul 
procedimento, �un interesse 
diretto, concreto e 
attuale, 
corrispondente 
ad una situazione 
giuridicamente 
tutelata e 
collegata al 
documento al 
quale 
� 
chiesto l'accesso�. 
Non occorre 
che 
sia 
instaurato, o in via 
di 
instaurazione, un giudizio, 
bastando la 
dimostrazione 
del 
grado di 
protezione 
che 
l�ordinamento accorda 
alla 
posizione 
base, ossia 
al 
bene 
della 
vita 
dal 
quale 
scaturisce 
l�interesse 
ostensivo. In altri 
termini, la 
legittimazione 
all'accesso agli 
atti 
della 
P.A. va 
riconosciuta 
a 
chiunque 
possa 
dimostrare 
che 
gli 
atti 
oggetto dell'accesso abbiano spiegato o siano idonei 
a 
spiegare 
effetti 
diretti 
o indiretti 

RASSeGNA 
AVVocAtURA 
Dello 
StAto - N. 1/2017 


nei 
suoi 
confronti, indipendentemente 
dalla 
lesione 
di 
una 
posizione 
giuridica, stante 
l'autonomia 
del 
diritto di 
accesso, inteso come 
interesse 
ad un bene 
della 
vita 
distinto rispetto alla 
situazione 
legittimante 
all'impugnativa 
dell'atto 
(in 
tali 
termini, 
da 
ultimo 
cons. 
Stato 
Sez. 
IV, 20-10-2016, n. 4372). 


5. 
Applicando 
queste 
prime 
coordinate 
giurisprudenziali 
alla 
fattispecie 
in 
esame, 
non 
vՏ 
dubbio che: 
a) AbbVie 
sia 
pacificamente 
legittimata 
a 
domandare 
l�accesso, essendo dimostrato che 
essa 
compete 
nel 
medesimo 
mercato 
di 
Gilead 
e 
risente 
economicamente 
dei 
risultati 
commerciali 
raggiungibili 
da 
quest�ultima 
in forza 
dell�accordo con AIFA 
ex art. 48, comma 
33, del 
d.l. n. 
269/2003. Non occorre 
indagare 
sulla 
possibilit� 
di 
una 
effettiva 
lesione 
conseguente 
all�asserito 
abuso 
di 
una 
posizione 
dominante 
acquisita 
da 
Gilead 
a 
mezzo 
dell�accordo, 
poich� 
questa � questione che compete al giudice naturale della situazione giuridica di base. 
b) gli 
atti 
del 
procedimento negoziale 
siano oggettivamente 
accessibili 
in quanto documenti 
amministrativi 
ricompresi 
nell�ambito 
di 
applicazione 
dell�art. 
22 
della 
legge 
generale 
del 
procedimento, a ci� non ostando la bilateralit� dell�accordo. 
5.1. Del 
resto, l�ordinamento conosce 
una 
specifica 
disciplina 
dell�accesso per i 
casi 
in cui 
l�attivit� 
dell�amministrazione 
si 
sostanzi 
nell�esperimento 
di 
una 
procedura, 
aperta, 
ristretta, 
ma 
anche 
negoziata 
(il 
superato istituto della 
�trattativa 
privata�), caratterizzata 
da 
un rigida 
inaccessibilit� 
in 
pendenza 
della 
procedura, 
strumentale 
alla 
garanzia 
della 
leale 
competizione, 
e 
da 
una 
tendenziale 
accessibilit� 
di 
tutti 
gli 
atti 
della 
serie 
negoziale, ad aggiudicazione 
avvenuta, 
salvo 
che 
in 
relazione 
ad 
alcuni 
specifici 
aspetti 
per 
i 
quali 
vengano 
in 
rilievo, 
secondo 
motivata 
e 
comprovata 
dichiarazione 
dell'offerente, 
�segreti 
tecnici 
o 
commerciali� 
(sul 
punto 
si veda l�attuale art. 53 del d.lgs. 50/2016, ma gi� l�art. 13 del d.lgs. 163/2006). 
6. ci� che 
� 
peculiare 
e 
dirimente 
nel 
caso di 
specie 
- come 
condivisibilmente 
sottolineato da 
AIFA e da Gilead - � la pattuizione di una clausola di riservatezza. 
6.1. 
Non 
vՏ 
dubbio 
che, 
dal 
punto 
di 
vista 
giuridico, 
essa 
vincoli 
le 
parti 
dell�accordo, 
sempre 
che non si ponga in contrasto con norme imperative. 
� su quest�ultimo punto che il collegio ritiene necessario soffermarsi. 
6.2. le 
norme 
�imperative� 
in tema 
di 
accesso qualificato (ossia 
sorretto da 
uno specifico interesse) 
ai 
documenti 
amministrativi 
sono contenute 
nel 
capo V 
della 
legge 
generale 
sul 
procedimento. 
la 
legge, 
pur 
chiarendo 
in 
via 
generale 
che 
�l'accesso 
ai 
documenti 
amministrativi, attese 
le 
sue 
rilevanti 
finalit� di 
pubblico interesse, costituisce 
principio generale 
dell'attivit� amministrativa al 
fine 
di 
favorire 
la partecipazione 
e 
di 
assicurarne 
l'imparzialit� 
e 
la trasparenza� 
(art. 22 comma 
2) e 
disponendo conseguentemente 
che 
�tutti 
i 
documenti 
amministrativi 
sono accessibili�..� 
ha 
cura 
di 
individuare 
alcune 
eccezioni 
in cui 
il diritto di accesso � escluso o pu� essere escluso (art. 22 comma 3 ed art. 24 l. cit.) 
6.3. Qui 
rileva, in particolare, l�art. 24 comma 
6 lett. d), a 
mente 
del 
quale, il 
diritto d�accesso 
pu� 
essere 
escluso 
�quando 
i 
documenti 
riguardino 
la 
vita 
privata 
o 
la 
riservatezza 
di 
persone 
fisiche, persone 
giuridiche, gruppi, imprese 
e 
associazioni, con particolare 
riferimento agli 
interessi 
epistolare, 
sanitario, 
professionale, 
finanziario, 
industriale 
e 
commerciale 
di 
cui 
siano 
in 
concreto 
titolari, 
ancorch� 
i 
relativi 
dati 
siano 
forniti 
all'amministrazione 
dagli 
stessi 
soggetti cui si riferiscono�. 
6.4. 
l�esigenza 
di 
riservatezza 
delle 
imprese 
in 
ordine 
all�interesse 
commerciale 
� 
dunque 
idoneo, 
in 
astratto, 
a 
giustificare 
esclusioni 
o 
limitazioni 
del 
diritto 
d�accesso. 
� 
evidente 
che 
deve 
trattarsi 
di 
esigenza 
oggettivamente 
apprezzabile, 
lecita 
e 
meritevole 
di 
tutela 
in 
quanto 
collegata 
a 
potenziali 
pregiudizi 
derivanti 
dalla 
divulgazione, 
secondo 
un 
nesso 
di 
proporzionalit�. 

coNteNzIoSo 
NAzIoNAle 


7. 
Un 
punto 
di 
equilibrio 
tra 
esigenze 
di 
riservatezza 
e 
trasparenza 
nell�ambito 
delle 
procedure 
di 
evidenza 
pubblica 
finalizzata 
alla 
stipula 
di 
contratti 
di 
appalto 
si 
rinviene 
nella 
disciplina 
di 
settore 
dettata 
dal 
dlgs 
50/2016, 
la 
quale 
fa 
prevalere 
le 
ovvie 
esigenze 
di 
riservatezza 
degli 
offerenti 
durante 
la 
competizione, 
prevedendo 
un 
vero 
e 
proprio 
divieto 
di 
divulgazione, 
salvo 
ripristinare 
la 
fisiologica 
dinamica 
dell�accesso 
a 
procedura 
conclusa, 
con 
espressa 
eccezione 
per 
�le 
informazioni 
fornite 
nell'ambito 
dell'offerta 
o 
a 
giustificazione 
della 
medesima 
che 
costituiscano, 
secondo 
motivata 
e 
comprovata 
dichiarazione 
dell'offerente, 
segreti 
tecnici 
o 
commerciali�. 
Il 
riferimento al 
�segreto� 
commerciale, contenuto nell�art. 53, pi� rigoroso e 
stringente 
del-
l�art. 24 che 
invece 
parla 
di 
�riservatezza� 
commerciale, si 
spiega 
in relazione 
allo specifico 
contesto dell�evidenza 
pubblica 
nell�ambito del 
quale 
si 
svolge 
una 
vera 
e 
proprio competizione 
governata 
dal 
principio 
di 
concorrenza 
e 
da 
quello 
di 
pari 
trattamento 
che 
ne 
costituisce 
il 
corollario 
endoconcorsuale. 
essendo 
la 
gara 
basata 
sulla 
convenienza 
dell�offerta 
economica 
� 
chiaro che 
le 
condizioni 
alle 
quali 
essa 
� 
aggiudicata, ed il 
relativo contratto � 
stipulato, costituiscono 
la 
prova 
ed il 
riscontro della 
corretta 
conduzione 
delle 
competizione 
fra 
gli 
offerenti, 
ragion per cui 
nessuna 
esigenza 
di 
riservatezza 
potr� 
essere 
tale 
da 
sottrarre 
all�accesso 
i 
dati 
economici 
che 
non 
siano 
cos� 
inestricabilmente 
avvinti 
a 
quelli 
tecnici 
da 
costituire 
parte 
di un segreto industriale. 


8. Il 
contesto in cui 
si 
muovono i 
contendenti 
nella 
causa 
oggetto dell�odierno esame 
� 
per� 
radicalmente diverso dal procedimento di evidenza pubblica. 
8.1. 
la 
pubblica 
amministrazione, 
nel 
procedimento 
di 
negoziazione 
per 
la 
fissazione 
del 
prezzo dei 
farmaci 
coperti 
da 
brevetto, punta 
a 
perseguire 
contemporaneamente 
una 
pluralit� 
di 
obiettivi, quali, da 
un lato, la 
salute 
della 
popolazione, il 
suo accesso effettivo ai 
farmaci, 
il contenimento della spesa farmaceutica, dall�altro il supporto alle aziende che investono in 
farmaci innovativi. 
8.2. Questi 
obiettivi 
possono, e 
devono, invero, essere 
raggiunti 
(per gli 
acquisti 
da 
parte 
di 
enti 
del 
SSN) 
attraverso 
la 
competizione 
sui 
prezzi 
per 
il 
tramite 
di 
procedure 
di 
evidenza 
pubblica, qualora 
il 
segmento di 
mercato sia 
quello comprendente 
le 
specialit� 
originali 
contenenti 
il 
principio attivo il 
cui 
brevetto � 
scaduto (i 
cosiddetti 
prodotti 
generici 
branded) e 
le 
specialit� vendute con il nome del principio attivo (i cosiddetti generici 
unbranded). 
8.3. le 
procedure 
proconcorrenziali 
per converso non sono applicabili 
ed utili 
per il 
raggiungimento 
degli 
obiettivi 
sopra 
indicati, quando il 
segmento di 
riferimento � 
quello dei 
farmaci 
coperti 
da 
brevetto che 
hanno gi� 
ottenuto l�autorizzazione 
alla 
immissione 
in commercio e 
che 
richiedono di 
poter essere 
prescritti 
a 
carico del 
Servizio Sanitario Nazionale, sulla 
base 
di 
un prezzo di 
rimborso che 
tenga 
anche 
conto del 
loro potenziale 
terapeutico innovativo. In 
tale 
segmento non cՏ 
concorrenza 
fra 
i 
produttori 
perch� 
ci 
sono situazioni 
di 
monopolio, 
sia 
pur transitorie, legate 
alla 
protezione 
brevettuale, indi 
non vՏ 
il 
presupposto logico per 
l�applicazione 
del 
principio della 
gara, e 
non vՏ 
il 
presupposto economico per giustificarla, 
id est la tendenziale uguaglianza tra costo marginale e beneficio marginale per l�acquirente. 
Infatti, 
da 
una 
lato 
il 
monopolista 
pu� 
portare 
il 
prezzo 
al 
di 
sopra 
del 
livello 
di 
equilibrio 
senza 
con ci� subire 
la 
sanzione 
da 
parte 
del 
mercato, come 
avverrebbe 
in un sistema 
competitivo, 
dall�altro il 
consumatore 
che 
ha 
un problema 
di 
salute 
potenzialmente 
risolvibile 
con 
un farmaco non � interessato a ricercare il punto di ottimo tra benefici e costi, e soprattutto con 
specifico riferimento ai 
farmaci 
in fascia 
A 
rimborsabili 
- non � 
indotto a 
cercare 
il 
prodotto 
che 
minimizza 
i 
costi, poich� 
l�onere 
finanziario per l�acquisto � 
sostenuto dal 
Sistema 
sanitario pubblico sulla base di una decisione pubblica di protezione della salute collettiva. 
8.2. 
In 
tale 
scenario, 
la 
soluzione 
predisposta 
da 
nostro 
ordinamento, 
fra 
le 
tante 
opzioni 
possibili, 

RASSeGNA 
AVVocAtURA 
Dello 
StAto - N. 1/2017 


� 
stata 
quella 
di 
demandare 
all�Agenzia 
Italiana 
del 
Farmaco 
(AIFA) 
-una 
volta 
che 
la 
commissione 
tecnica 
e 
Scientifica 
(ctS) 
ha 
valutato 
l�efficacia 
del 
farmaco 
-il 
compito 
di 
negoziare 
con 
l�azienda 
produttrice 
il 
prezzo 
finale. 
Il 
legislatore 
ha 
in 
proposito 
indicato, 
attraverso 
il 
rinvio 
statico 
alla 
deliberazione 
cIPe, 
i 
quattro 
parametri 
che 
AIFA 
deve 
tenere 
presente 
nella 
negoziazione: 
(i) 
i 
prezzi 
correnti 
negli 
altri 
Stati 
membri 
della 
Ue; 
(ii) 
i 
prezzi 
dei 
prodotti 
simili 
in 
Italia; 
(iii) 
le 
previsioni 
di 
vendita 
sul 
mercato; 
(iv) 
il 
rapporto 
costo/efficacia. 


9. escluso dunque 
che, nel 
caso di 
specie, si 
tratti 
di 
una 
procedura 
di 
evidenza 
pubblica 
o di 
procedura 
analoga 
(tale 
da 
consentire 
il 
ricorso 
alla 
analogia 
legis), 
si 
pu� 
concludere 
per 
l�applicabilit� 
del 
generale 
disposto di 
cui 
all�art. 24 comma 
6 lett. d) che 
fornisce 
tutela 
alla 
�riservatezza� 
commerciale, senza 
ulteriori 
specificazioni. In altri 
termini 
non vՏ 
una 
norma 
che 
direttamente 
o indirettamente 
vieti, chiaramente 
e 
nettamente, la 
stipula 
di 
accordi 
di 
riservatezza 
in relazione agli interessi commerciali di un�impresa. 
10. la 
conclusione 
raggiunta 
in punto di 
validit� 
della 
clausola, non esime 
tuttavia 
il 
collegio 
da 
un controllo di 
meritevolezza 
della 
stessa, avuto riguardo all�interesse 
al 
buon andamento 
ed imparzialit� dell�amministrazione, parte dell�accordo. 
10.1 .l�amministrazione, nelle 
sue 
difese 
ha 
chiarito di 
aver prestato il 
consenso alle 
clausole 
poich� 
la 
riservatezza 
degli 
esiti 
della 
negoziazione 
sarebbe 
utile 
all�ottenimento di 
risparmi. 
10.2. l�affermazione 
� 
sorretta 
da 
argomentazioni 
plausibili 
e 
comunque 
sufficienti 
a 
sorreggere 
un giudizio di meritevolezza della causa. 
10.2.1. In effetti 
nelle 
situazioni 
in cui 
la 
concorrenza 
� 
rarefatta, la 
conoscenza 
delle 
condizioni 
economiche 
offerte 
dal 
concorrente 
attuale 
o potenziale 
costituisce 
elemento, utile 
per 
il 
soggetto 
che 
vuole 
entrare 
nel 
mercato, 
ad 
orientare 
la 
propria 
azione 
commerciale 
in 
modo 
da 
essere 
competitivo, 
nei 
soli 
e 
ristretti 
limiti 
in 
cui 
ci� 
sia 
utile 
ad 
eguagliare 
o 
sopravanzare 
l�avversario, senza troppo sacrificio per i margini di ricavo. 
l�apposizione 
della 
clausola 
di 
riservatezza 
operante 
nei 
rapporti 
tra 
imprese, 
consente 
invece 
al 
negoziatore 
pubblico 
di 
tenere 
celati 
i 
risultati 
economici 
raggiunti 
nella 
negoziazione 
che 
ovviamente 
rimangono sempre 
utilizzabili 
quale 
parametro interno - e 
di 
�spuntare� 
tutti 
gli 
sconti 
che 
il 
produttore 
sia 
oggettivamente 
e 
soggettivamente 
in 
grado 
di 
concedere 
in 
base 
ai 
suoi 
costi 
ed 
alle 
sue 
aspettative 
di 
profitto. 
cio� 
proprio 
quegli 
sconti 
che 
il 
produttore 
sarebbe 
restio 
a 
concedere 
se 
dovesse 
preparare 
anche 
una 
�difesa� 
successiva 
rispetto 
ad 
altro produttore che venisse a conoscenza dei propri criteri per fissare il prezzo. 
ovviamente 
ci� 
pone 
un 
problema 
di 
controllabilit�, 
che 
tuttavia 
esula 
dai 
limiti 
della 
quaestio 
iuris 
oggetto di 
specifico esame. ci� che 
conta 
ai 
fini 
del 
giudizio � 
che 
la 
clausola, oltre 
che 
rispondere 
ad 
un 
interesse 
commerciale 
privato, 
persegua 
anche 
un 
concomitante 
interesse 
pubblico; 
e 
si 
� 
visto che 
tale 
condizione 
� 
sostenuta 
con plausibile 
argomentazione, in riferimento 
all�obiettivo perseguito da 
AIFA 
di 
ottenere 
prezzi 
pi� bassi 
per farmaci, di 
regola 
assai costosi, il cui onore � a carico del S.S.N. 
la clausola � dunque da ritenere valida ed efficace. 
11. 
Per 
quanto, 
in 
ragione 
di 
quanto 
sopra 
detto, 
la 
clausola 
sia 
valida 
e 
risponda 
ad 
interessi 
meritevoli 
di 
tutela 
-� 
nondimeno 
opportuno 
precisare 
che 
la 
stessa 
dev�essere 
interpretata 
ed 
eseguita 
in 
modo 
da 
non 
porsi 
in 
contrasto 
con 
le 
previsioni 
di 
legge, 
che 
antepongono 
l�esigenza 
di 
difesa 
in 
giudizio 
del 
concorrente, 
rispetto 
a 
quelle 
di 
riservatezza 
del 
contraente. 
11.1. Sul 
punto � 
chiarissimo il 
tenore 
dell�art. 24 comma 
7 della 
legge 
generale 
sul 
procedimento: 
�deve 
comunque 
essere 
garantito 
ai 
richiedenti 
l'accesso 
ai 
documenti 
amministrativi 
la cui conoscenza sia necessaria per curare o per difendere i propri interessi giuridici�. 
Ne 
deriva 
che 
la 
ove 
la 
conoscenza 
dei 
termini 
dell�accordo 
sia 
necessaria 
per 
la 
difesa 
in 



coNteNzIoSo 
NAzIoNAle 


giudizio 
in 
ordine 
alla 
situazione 
giuridica 
di 
base, 
rispetto 
alla 
quale 
l�accesso 
� 
strumentale, 
la clausola di riservatezza non � mai opponibile. 


11.2. Nel 
caso di 
specie, non risulta 
tuttavia, che 
Abbvie 
abbia 
instaurato giudizi 
o procedimenti 
utili 
per la 
difesa 
della 
posizione 
giuridica 
di 
base 
al 
di 
l� 
di 
assai 
generici 
richiami 
�a 
criticit� di natura concorrenziale� formulati ai fini della domanda di accesso. 
12. traendo le 
conclusioni 
da 
tutto quanto argomentato, devono essere 
accolti 
gli 
appelli 
di 
AIFA 
e 
di 
Gilead tese 
a 
confermare 
la 
validit� 
del 
diniego opposto dall�amministrazione 
per 
entrambi 
i 
farmaci, in relazione 
all�accesso ad atti 
in cui 
vi 
sia 
riferimento diretto o indiretto 
alle condizioni economiche offerte. 
13. Per le 
medesime 
ragioni 
deve 
invece 
essere 
respinto l�appello di 
Abbvie 
in quanto finalizzato 
all�ottenimento senza 
limitazioni 
dell�accesso alle 
informazioni 
economiche 
per entrambi 
i farmaci. 
14. Avuto riguardo all�esito ed alla 
complessit� 
e 
novit� 
delle 
questioni, le 
spese 
del 
doppio 
grado di giudizio possono essere compensate. 
P.Q.M. 
Il 
consiglio 
di 
Stato 
in 
sede 
giurisdizionale 
(Sezione 
terza) 
definitivamente 
pronunciando 
sugli appelli, come in epigrafe proposti e riuniti: 
Accoglie 
gli 
appelli 
dell�Agenzia 
italiana 
del 
farmaco, 
e 
di 
Gilead 
Sciences 
Srl; 
respinge 
l�appello 
di 
Abbvie Srl. Per l�effetto, respinge il ricorso introduttivo in primo grado. 
Spese del doppio grado compensate. 
ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorit� amministrativa. 
cos� deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 23 febbraio 2017. 

RASSeGNA 
AVVocAtURA 
Dello 
StAto - N. 1/2017 


Brevi note sul sistema di regolazione del demanio marittimo 


NOTA 
A 
T.A.R. CAMPANIA 
- NAPOLI, SEz. VII, SENTENzA 
9 FEBBRAIO 
2017 N. 818 


Vinca Giannuzzi Savelli* 


l�articolo 
49 
del 
codice 
della 
navigazione, 
sulla 
devoluzione 
automatica 
allo 
Stato 
delle 
opere 
non amovibili, trova 
applicazione 
solo a 
seguito dell�effettiva 
e 
definitiva 
cessazione 
del 
rapporto 
concessorio. 
Pertanto 
ai 
fini 
della 
determinazione 
del 
relativo 
canone 
non 
vanno 
incluse 
le 
pertinenze 
demaniali 
costruite 
successivamente 
dal 
concessionario 
quando 
il 
rapporto 
concessorio 
non sia mai cessato. 


SOMMARIO: 1. La nozione 
di 
demanio marittimo ed i 
modi 
di 
fruizione 
dello stesso - 2. 
Principi 
ed istituti 
normativi 
- 3. Criteri 
di 
scelta del 
concessionario - 4. Durata della concessione 
- 5. Riparto delle 
compentenze 
gestionali 
tra Stato e 
Regioni 
- 6. Competenza dello 
Stato circa la determinazione 
e 
riscossione 
dei 
canoni 
di 
concessione 
- 7. Natura dei 
canoni 
delle 
concessioni 
- 8. Determinazione 
del 
canone 
- 9. L�intervento della Corte 
di 
Giustizia 
dell�Unione Europea - 10. La risposta dell�Italia: la c.d. legge salva-spiagge. 


1. La nozione di demanio marittimo ed i modi di fruizione dello stesso. 
Rientrano nel 
c.d. demanio marittimo i 
beni 
di 
origine 
naturale 
afferenti 
a 
spazi 
acquei 
che, in relazione 
alle 
loro intrinseche 
caratteristiche 
e 
alla 
loro 
destinazione collettiva, non possono che appartenere allo Stato. 


Se 
ne 
rinviene 
un�elencazione 
nel 
libro terzo del 
codice 
civile, dedicato 
alla 
propriet�, agli 
artt. 822 e 
ss., ed in altre 
norme 
integrative, in particolare 
del codice della navigazione. 


l�elenco non � 
tassativo ed � 
stato nel 
tempo ampliato dagli 
apporti 
dottrinali 
e giurisprudenziali. 


Ai 
beni 
naturali 
del 
demanio 
marittimo 
si 
aggiungono 
le 
�pertinenze� 
costituite 
dalle 
�costruzioni 
e 
altre 
opere 
appartenenti 
allo 
Stato 
che 
esistono 
entro i 
limiti 
del 
demanio marittimo e 
del 
mare 
territoriale�, salvo che 
non sia 
diversamente disposto. 


Anche 
le 
opere 
non amovibili 
costruite 
sulla 
zona 
demaniale 
dal 
concessionario 
restano acquisite 
allo Stato quando venga 
a 
cessare 
la 
concessione, 
ai sensi dell�art. 49 del codice della navigazione. 


Si 
tratta, quindi, di 
una 
categoria 
molto ampia 
e 
variegata 
per le 
cui 
particolari 
caratteristiche 
di 
utilizzo � 
oggi 
prevista 
una 
regolamentazione 
specifica: 
i 
beni 
demaniali 
marittimi 
sono 
potenzialmente 
idonei 
a 
soddisfare 


(*) Avvocato dello Stato. 


Il 
presente 
lavoro � 
stato redatto con la 
partecipazione 
della 
dr.ssa 
Sonia 
catalano, ammessa 
alla 
pratica 
forense presso l�Avvocatura dello Stato di Napoli. 



coNteNzIoSo 
NAzIoNAle 


un�imprecisata 
serie 
di 
interessi 
pubblici-sociali 
connessi 
al 
mare 
che 
risentono 
dell�evoluzione storica nonch� di quella della realt� socio-economica. 


Se 
tradizionalmente 
i 
�pubblici 
usi 
del 
mare�, 
riguardavano 
essenzialmente 
le 
attivit� 
di 
difesa 
delle 
coste, la 
navigazione, il 
traffico marittimo, la 
pesca, le 
attivit� 
cantieristiche, oggi 
invece 
il 
demanio marittimo � 
prevalentemente 
diretto ad assolvere 
finalit� 
commerciali, turistiche, balneari 
nonch� 
di fruizione del passaggio e del tempo libero. 


2. Principi ed istituti normativi. 
le 
concessioni 
demaniali 
marittime 
sono 
state 
interessate 
da 
una 
notevole 
evoluzione 
legislativa 
in materia 
di 
competenze 
amministrative 
e 
gestionali 
e 
per quel che concerne i criteri di determinazione dei canoni concessori. 


Si 
� 
passati 
da 
una 
concezione 
"statica" 
dei 
beni 
demaniali, 
volta 
alla 
loro 
mera 
conservazione, 
ad 
una 
"dinamica", 
che 
ha 
posto 
maggiore 
attenzione 
alle 
opportunit� 
scaturenti 
dal 
loro 
utilizzo 
e 
gestione 
per 
il 
raggiungimento 
di 
obiettivi 
di 
pertinenza 
statale 
e 
di 
interesse 
collettivo: 
il 
demanio 
marittimo, 
viene 
oggi 
inteso 
come 
�strumento� 
da 
valorizzare, 
alla 
luce 
delle 
sue 
elevate 
potenzialit� 
nello 
sviluppo 
economico, 
in 
quanto 
fonte 
di 
benessere 
della 
popolazione 
nonch� 
oggetto 
di 
doverosa 
preservazione 
ambientale, 
paesaggistica 
e 
biologica. 


In questo nuovo contesto, si 
registra 
un maggiore 
ricorso all�istituto concessorio. 
Quest�ultimo, 
da 
evento 
eccezionale, 
stante 
l�assoluta 
preminenza 
dei 
valori 
della 
propriet� 
e 
dell�uso pubblico, � 
diventato invece 
del 
tutto �ordinario�, 
a 
seguito 
delle 
utilizzazioni 
sempre 
pi� 
numerose 
e 
diversificate 
consentite 
a 
favore 
dei 
concessionari 
privati, 
ma 
in 
grado 
di 
risolversi 
in 
un 
vantaggio per la collettivit�. 


In particolare, si 
� 
diffuso il 
rilascio di 
concessioni 
su beni 
del 
demanio 
marittimo per scopi 
turistico-balneari 
e 
per la 
nautica. la 
stessa 
legge, d�altronde, 
ha 
esplicitamente 
disposto che 
la 
concessione 
dei 
beni 
demaniali 
marittimi 
possa 
essere 
rilasciata, oltre 
che 
per servizi 
pubblici 
e 
attivit� 
portuali 
e 
produttive, per l�esercizio di 
tutta 
una 
serie 
di 
elencate 
attivit�, tra 
le 
quali 
spiccano proprio quelle aventi finalit� turistico-ricreative. 


Se 
� 
vero 
che 
le 
utilizzazioni 
e 
la 
fruibilit� 
dei 
beni 
sono 
ormai 
considerati 
il 
loro tratto saliente, pi� degli 
aspetti 
della propriet� pubblica e 
della demanialit�, 
tale 
qualit� 
resta 
comunque 
determinante 
per il 
relativo regime 
giuridico 
in quanto il 
bene 
deve 
sempre 
essere 
idoneo, in concreto, alla 
fruizione 
della 
generalit� 
e 
proprio 
in 
virt� 
delle 
attivit� 
ed 
opere 
poste 
in 
essere 
dal 
concessionario: 
da 
qui 
l�importanza 
della 
regolamentazione, 
discrezionale, 
prevista 
dall�autorit� 
concedente 
e 
dalla 
compatibilit�, da 
questa 
garantibile 
e 
controllabile, tra uso pubblico ed uso privato. 

Il 
procedimento amministrativo di 
concessione 
resta 
disciplinato dal 
codice 
della 
navigazione 
(art. 36 e 
ss.) e 
dal 
relativo regolamento di 
esecuzione 



RASSeGNA 
AVVocAtURA 
Dello 
StAto - N. 1/2017 


cos� 
come 
modificati, in particolare, dal 
D.l. n. 400/1993 convertito nella 
l. 


n. 494/1993. 
Questa 
scarna 
disciplina 
originaria 
si 
� 
nel 
tempo 
arricchita 
grazie 
ai 
contributi 
della giurisprudenza nazionale ed europea. 
Per cui 
oggi 
pu� affermarsi 
che 
l�affidamento dei 
beni 
demaniali 
suscettibili 
di 
uno sfruttamento economico deve 
essere 
sempre 
preceduto dal 
confronto 
concorrenziale, e 
le 
regole 
dell�evidenza 
pubblica, gi� 
desumibili 
dai 
menzionati 
art. 37 del 
codice 
della 
navigazione 
e 
art. 18 del 
regolamento di 
esecuzione, 
devono 
essere 
interpretate 
in 
conformit� 
dei 
principi 
dell�Unione. 


3. Criteri di scelta del concessionario. 
circa 
la 
scelta 
del 
concessionario, 
questa 
� 
sempre 
discrezionale, 
ma 
l�amministrazione 
deve 
necessariamente 
procedere 
ad una valutazione 
comparativa 
e fornire un�idonea motivazione in merito. 


In 
caso 
di 
concorso 
di 
pi� 
domande, 
la 
normativa 
nazionale 
indicava 
i 
criteri 
di 
preferenza 
generali, consistenti 
nell�offerta 
di 
maggiori 
garanzie 
di 
proficua 
utilizzazione, quali 
possono desumersi 
dall�adeguatezza 
della 
capacit� 
economico-aziendale, 
dall�affidabilit� 
finanziaria 
degli 
aspiranti, 
e 
nel-
l�uso rispondente 
ad un pi� rilevante 
interesse 
pubblico, sempre 
�a 
giudizio 
dell�amministrazione�. 


Sono 
poi 
previsiti 
dei 
criteri 
di 
preferenza 
speciale 
indicati 
per 
le 
richieste 
di 
concessioni 
demaniali 
marittime 
per 
attivit� 
turistico-ricreative 
(art. 
37, 
comma 
2 
codice 
navigazione). 
la 
scelta 
qui 
doveva 
propendere 
a 
vantaggio 
delle 
attivit� 
che 
importino 
�attrezzature 
non 
fisse 
e 
completamente 
amovibili� 
(ci� 
che 
comporta 
un 
accertamento 
tecnico-materiale) 
e, 
in 
sede 
di 
rinnovo, 
a 
favore 
del 
precedente 
concessionario, 
che 
nella 
previsione 
originaria 
era 
dunque 
titolare 
del 
c.d. 
�diritto 
di 
insistenza�. 
tale 
diritto 
� 
peraltro 
anch�esso 
apprezzabile 
dall�amministrazione 
nell�ambito 
della 
sua 
valutazione 
complessiva. 


oggi 
per 
le 
le 
concessioni 
turistico-ricreative 
con 
la 
legge 
n. 
25/2010 
il 
c.d. 
diritto 
d�insistenza 
previsto 
dall�art. 
37 
comma 
2 
c. 
n. 
e, 
successivamente 
con 
la 
legge 
n. 
217/2011 
il 
c.d. 
rinnovo 
automatico 
stabilito 
dall�art. 
10 
della 
legge 
n. 
88/2001, 
non 
possono 
pi� 
essere 
riconosciuti 
in 
favore 
dei 
concessionari. 


Il 
diritto di 
insistenza 
non pu� pi� da 
solo assurgere 
ad unico criterio di 
scelta 
n� 
l�amministrazione 
pu� essere 
vincolata 
all'obbligo di 
rinnovo automatico 
al precedente concessionario. 

4. Durata della concessione. 
la 
normativa 
nazionale 
prevede 
che 
la 
concessione, 
considerata 
la 
natura 
del 
bene 
sul 
quale 
viene 
rilasciata, deve 
essere 
necessariamente 
temporanea 
e, giunta 
al 
termine, si 
intende 
cessata 
di 
diritto senza 
che 
occorra 
alcuna 
diffida 
o costituzione in mora. 

la 
scadenza 
del 
termine 
ha 
dunque 
un 
effetto 
risolutivo 
automatico, 
che 



coNteNzIoSo 
NAzIoNAle 


comporta 
l�estinzione 
della 
concessione 
e 
l�obbligo 
del 
concessionario 
di 
rilasciare 
l�immobile, 
senza 
la 
necessit� 
di 
una 
tempestiva 
rituale 
disdetta 
n� 
di 
un 
formale 
provvedimento 
di 
revoca. 
D�altronde, 
in 
materia 
di 
concessione 
di 
beni 
pubblici 
l�ordinamento 
non 
contempla 
la 
fattispecie 
del 
silenzio-assenso 
o 
del 
rinnovo 
tacito, 
per 
cui 
se 
manca 
un�espressa 
determinazione 
dell�amministrazione 
l�occupazione 
del 
bene 
� 
da 
ritenersi 
sine 
titulo. 
Ne 
consegue 
altres� 
che 
una 
nuova 
concessione 
deve 
essere 
sempre 
rilasciata 
con 
l�osservanza 
delle 
procedure 
prescritte 
ed 
� 
autonoma 
in 
toto 
rispetto 
alla 
precedente. 


la 
cessazione 
della 
concessione 
comporta 
la 
devoluzione 
allo 
Stato, 
senza 
alcun 
compenso 
o 
rimborso, 
delle 
opere 
non 
amovibili 
costruite 
sulla 
zona 
demaniale. 


5. Riparto delle competenze gestionali tra Stato e Regioni. 
la 
crescente 
complessit� 
della 
regolamentazione 
dell�uso 
del 
demanio 
marittimo 
� 
stata 
determinata 
anche 
dall'attuazione 
del 
c.d. 
federalismo 
demaniale 
che ha frazionato le competenze gestionali nell�ambito. 


Infatti 
l�esercizio delle 
funzioni 
di 
gestione 
amministrativa 
delle 
concessioni 
demaniali 
marittime, 
originariamente 
attribuite 
esclusivamente 
allo 
Stato, 
� 
stato 
decentrato 
progressivamente 
alle 
Regioni 
e 
agli 
enti 
locali, 
ad 
eccezione 
di talune competenze rimaste tuttora in capo all�Amministrazione centrale. 


Per 
comprendere 
a 
pieno 
tale 
trasferimento 
� 
necessario 
un 
excursus 
storico. 


Fino 
al 
DPR 
n. 
616 
del 
24 
luglio 
1977 
(art. 
59), 
di 
attuazione 
della 
delega 
di 
cui 
all�art. 1 della 
legge 
22 luglio 1975 n. 382, la 
gestione 
del 
demanio marittimo, 
ed 
in 
particolare 
la 
materia 
delle 
concessioni, 
unitamente 
alla 
propriet� 
dei 
beni, � 
stata 
esclusivamente 
di 
competenza 
dello Stato. A 
partire 
dal 
suddetto 
decreto 
del 
1977, 
con 
successive 
disposizioni 
legislative 
e 
provvedimenti, 
sono venute 
meno le 
competenze 
gestionali 
dello Stato, a 
favore 
delle 
Regioni 
e, 
sussidiariamente, 
degli 
enti 
locali. 
Si 
� 
trattato 
di 
un 
processo 
lungo 
e 
complesso, caratterizzato da 
molteplici 
difficolt� 
interpretative 
ed applicative, 
non 
ancora 
del 
tutto 
superate, 
e 
dall�intervento 
della 
corte 
costituzionale 
-chiamata 
pi� 
volte 
a 
pronunciarsi 
in 
occasione 
di 
conflitti 
di 
attribuzione 
Stato Regioni 
- nonch�, in sede 
consultiva, dei 
giudici 
di 
Palazzo Spada 
e, ai 
fini del controllo, della corte dei conti. 


la 
delega 
alle 
regioni 
bench� 
disposta 
nel 
1977, con il 
DPR n. 616/1977, 
� restata per� di fatto inoperante fino al 1996. 


Infatti 
solo per effetto del 
D.lgs. n. 112/1998, � 
stato stabilito il 
conferimento 
generale 
alle 
Regioni, salvo talune 
eccezioni, delle 
funzioni 
amministrative 
concernenti il demanio marittimo. 

tale 
decreto 
ha 
quindi 
il 
merito 
di 
aver 
prescritto 
una 
delega 
di 
contenuto 
ben pi� ampio rispetto alla precedente, limitata per specifiche attivit�. 


Infatti, 
a 
norma 
dell�art. 
105, 
comma 
2, 
lettera 
l) 
del 
suddetto 
D.lgs., 
sono state 
attribuite 
alle 
Regioni 
e 
agli 
enti 
locali 
le 
funzioni, purch� 
non attribuite 
alle 
Autorit� 
portuali, 
relative 
al 
rilascio 
delle 
concessioni 
dei 
beni 
del 



RASSeGNA 
AVVocAtURA 
Dello 
StAto - N. 1/2017 


demanio marittimo e 
di 
zone 
del 
mare 
territoriale 
per tutte 
le 
finalit� 
�diverse 
da 
quelle 
di 
approvvigionamento di 
fonti 
di 
energia�, e 
quindi 
non per le 
sole 
finalit� turistiche e ricreative che erano state previste dalla delega del 1977. 


Sono 
rimaste 
escluse 
dal 
trasferimento 
generale 
alle 
Regioni, 
oltre 
alle 
funzioni 
attribuite 
alle 
Autorit� 
portuali 
ai 
sensi 
della 
legge 
n. 84/1994, quelle 
da 
esercitarsi 
�nei 
porti 
finalizzati 
alla 
difesa 
militare 
ed alla 
sicurezza 
dello 
Stato, 
nei 
porti 
di 
rilevanza 
economica 
internazionale 
e 
nazionale, 
nonch� 
nelle 
aree 
di 
preminente 
interesse 
nazionale 
individuate 
con il 
DPcM 
21 dicembre 
1995�. 


Ai 
sensi 
dell�art. 4 comma 
5 della 
legge 
n. 59/1997 le 
Regioni, in relazione 
alle 
funzioni 
loro trasferite, avrebbero dovuto provvedere, entro un termine 
di 
sei 
mesi 
dall�emanazione 
dei 
decreti 
legislativi 
previsti 
nella 
medesima 
legge, 
all�individuazione, 
mediante 
legge 
regionale, 
delle 
funzioni 
da 
trasferire 


o delegare agli enti locali e di quelle da mantenere. 
considerata 
l�inadempienza 
di 
diverse 
Regioni, il 
Governo si 
� 
avvalso 
del 
potere 
sostitutivo ed ha 
adottato il 
decreto legislativo n. 96 del 
1999: 
�Intervento 
sostitutivo 
del 
Governo 
per 
la 
ripartizione 
di 
funzioni 
amministrative 
tra Regioni 
ed Enti 
Locali 
a norma dell'articolo 4, comma 5, della legge 
15 
marzo 1997, n. 59, e successive modificazioni�. 


In particolare, l�art. 42 del 
citato d. lgs, ha 
trasferito, a 
partire 
dal 
1 luglio 
1999, 
ai 
Comuni 
le 
funzioni 
amministrative 
previste 
dall�art. 
105 
comma 
2 
lettere 
f) ed l) del 
d. lgs. n. 112/1998�, attribuendo agli 
enti 
locali 
la 
titolarit� 
della 
gestione 
del 
demanio marittimo per finalit� 
diverse 
dall�approvvigionamento 
di fonti di energia. 


Spetta 
quindi 
alla 
Regione, e 
per essa 
agli 
enti 
locali 
delegati, il 
rilascio 
ed il 
rinnovo delle 
concessioni, che 
fanno cos� 
capo, dopo il 
trasferimento, ad 
un 
unico 
centro 
di 
imputazione, 
qualunque 
sia 
la 
durata 
ed 
il 
carattere 
formale 
del 
provvedimento (mentre 
prima, a 
seconda 
del 
tipo e 
durata 
dell�atto, vi 
era 
una diversit� di competenza tra pi� organi dello Stato). 

Spettano alle 
Regioni 
anche 
tutte 
quelle 
competenze 
di 
carattere 
autorizzatorio 
connesse 
alla 
funzione 
concessoria, previste 
dal 
codice 
della 
navigazione 
e 
dal 
regolamento 
di 
esecuzione, 
come 
il 
consenso 
all�anticipata 
occupazione 
di 
zone 
demaniali, 
previa 
cauzione, 
e 
all�esecuzione 
di 
lavori 
(art. 
38); 
alla 
costituzione 
d�ipoteca 
sulle 
opere 
costruite 
dal 
concessionario (art. 
41); 
all�affidamento ad altri 
soggetti 
delle 
attivit� 
oggetto della 
concessione 
(art. 45 bis); all�esecuzione di nuove opere (art. 55). 


In 
conseguenza 
del 
trasferimento, 
compete 
inoltre 
alla 
Regione 
o 
all�ente 
locale 
a 
sua 
volta 
delegato la 
regolamentazione 
e 
la 
disciplina 
delle 
modalit� 
dell�esercizio delle 
attivit� 
relative 
all�uso del 
bene, per quanto concerne 
pulizie, 
igiene, tutela 
sanitaria, orari, ecc. ed intervenire, in sede 
di 
autotutela, 
nei casi in cui ci� era prima demandato alle 
Autorit� marittime. 


la 
propriet� 
dei 
cespiti 
demanaili 
marittimi, 
quando 
non 
� 
attribuita 



coNteNzIoSo 
NAzIoNAle 


espressamente 
alle 
Regioni 
appartiene 
allo Stato che 
esercita 
le 
funzioni 
dominicali 
attraverso l' 
Agenzia del demanio. 

6. Competenza dello Stato circa la determinazione 
e 
riscossione 
dei 
canoni 
di concessione. 
I 
canoni 
di 
concessione 
costituiscono 
le 
obbligazioni 
poste 
a 
carico 
di 
ciascun concessionario. 

originariamente 
la 
determinazione 
e 
la 
percezione 
dei 
canoni, secondo il 
criterio c.d. dominicale 
spettava 
esclusivamente 
allo Stato e 
alle 
altre 
amministrazioni 
titolari 
dei 
cespiti: 
�la potest� di 
imposizione 
e 
riscossione 
del 
canone 
demaniale, 
segue 
la 
titolarit� 
dominicale 
del 
bene 
e 
non 
quella 
delle 
funzioni amministrative� 
(sent. corte cost. n. 343/1995). 


la 
progressiva 
separazione 
dei 
profili 
gestionali 
da 
quelli 
dominicali 
ha 
determinato una compartecipazione ai proventi anche dell'ente gestore. 


Rimane 
fermo 
che 
non 
possono 
rientrare 
nella 
gestione 
conferita 
ai 
suddetti 
enti 
le 
attivit� 
ed 
i 
provvedimenti 
che 
attengono 
o 
che 
comunque 
influiscono 
sulla 
estensione 
fisica 
del 
bene, 
come 
la 
determinazione 
di 
alcune 
zone 
del 
demanio 
marittimo 
(art. 
32 
del 
codice 
della 
navigazione), 
ovvero 
il 
suo 
ampliamento 
con 
l�acquisizione 
di 
zone 
adiacenti 
di 
propriet� 
privata 
(art. 
33), 
nonch� 
la 
stessa 
possibile 
esclusione 
dal 
demanio, 
e 
quindi 
la 
sdemanializzazione 
(art. 
35). 
Attiene 
ovviamente 
ai 
profili 
dominicali 
anche 
l�incameramento 
da 
parte 
dello 
Stato 
delle 
opere 
non 
amovibili 
costruite 
dal concessionario sulla zona demaniale, per effetto della devoluzione prevista, 
alla 
cessazione 
della 
concessione, 
ai 
sensi 
dell�art. 
49 
del 
codice 
della 
navigazione, 
nonch� 
la 
decisione 
di 
far 
abbattere 
costruzioni 
ed 
innovazioni 
abusive 
(art. 
54) 
e 
di 
consentire 
l�esecuzione 
di 
opere 
in 
prossimit� 
del 
demanio 
(art. 
55). 


I 
profili 
dominicali 
relativi 
alla 
determinazione 
e 
riscossione 
dei 
canoni 
e 
agli 
aspetti 
di 
cui 
si 
� 
fatta 
menzione 
sono 
quindi 
affidati 
alla 
cura, 
alla 
vigilanza 
e 
al 
controllo 
dei 
componenti 
organi 
dello 
Stato, 
Ministeri 
ed 
Agenzie. 


7. Natura dei canoni delle concessioni. 
I canoni 
delle 
concessioni 
demaniali 
marittime 
presentano caratteri 
che 
possono avvicinarli 
ai 
tributi, o alle 
tasse, o ad altre 
indistinte 
ipotesi 
di 
prestazioni 
patrimoniali 
imposte, e 
perci� ne 
� 
discussa 
la 
natura 
giuridica. l�assimilazione 
ai 
tributi 
pu� 
ricavarsi 
dal 
fatto 
che 
l�importo 
del 
canone 
viene 
ormai 
determinato non pi� con valutazioni 
discrezionali, ma 
in base 
a 
criteri 
e 
parametri 
stabiliti 
dalla 
legge, come 
superficie, tipo di 
costruzioni, valore 
di 
mercato. Inoltre 
la 
riscossione 
coattiva 
di 
tali 
canoni 
� 
perseguita 
con procedure 
analoghe 
a 
quelle 
dei 
debiti 
tributari. Diversamente 
dalle 
imposte, per�, 
il 
canone 
non � 
dovuto e 
calcolato in relazione 
alla 
capacit� 
contributiva 
del 
concessionario o alle 
manifestazioni 
di 
tale 
sua 
capacit�, essendo invece 
una 



RASSeGNA 
AVVocAtURA 
Dello 
StAto - N. 1/2017 


sorta 
di 
corrispettivo 
richiestogli, 
latu 
sensu 
sinallagmaticamente, 
per 
l�uso 
particolare di un bene di propriet� collettiva. 

8. Determinazione del canone. 
Il 
canone 
viene 
indicato nell�atto di 
concessione 
(art. 19 del 
regolamento 
di 
esecuzione 
del 
codice 
della 
navigazione) 
e 
viene 
stabilito, 
dall�amministrazione 
concedente, in base 
alle 
prescrizioni 
legislative 
e 
regolamentari 
vigenti 
(art. 
16, 
comma 
2 
del 
suddetto 
regolamento). 
Secondo 
l�impostazione 
risalente 
all�entrata 
in vigore 
del 
citato regolamento (art. 16, comma 
4), il 
canone 
dovrebbe 
essere 
determinato in relazione 
all�estensione 
dell�area 
della 
concessione, 
allo scopo della medesima e ai profitti potenziali del concessionario. 


le 
misure 
ed 
i 
criteri 
di 
determinazione 
del 
canone 
sono 
diversi 
a 
seconda 
del 
tipo e 
della 
finalit� 
della 
concessione 
e 
quindi 
esistono pi� �gruppi� 
di 
canoni. 
tra 
le 
tipologie 
di 
concessioni, e 
relativi 
canoni, quelli 
per le 
attivit� 
turistico-
ricreative 
hanno 
particolarmente 
richiamato, 
soprattutto 
negli 
ultimi 
anni, l�attenzione del legislatore. 


l�evoluzione 
dei 
criteri 
di 
determinazione 
dei 
canoni 
� 
stata 
caratterizzata 
da 
una 
serie 
di 
�step�. 
Nel 
primo 
periodo, 
durato 
fino 
al 
1989, 
il 
canone 
� 
stato 
quantificato con riferimento al 
caso concreto e 
con valutazioni 
di 
tipo discrezionali, 
facenti 
capo alle 
Autorit� 
marittime, alle 
Intendenze 
di 
finanza 
e 
agli 
Uffici 
tecnico erariali, in modo da 
tener conto, in particolare, della 
utilit� 
economica 
che 
poteva 
essere 
tratta 
dalla 
concessione. la 
procedura 
era 
piuttosto 
lunga 
e 
complessa, 
tanto 
che 
spesso 
venivano 
applicati 
canoni 
provvisori, 
salvo conguaglio. 


con la 
legge 
5 maggio 1989 n. 160 (art. 10), di 
conversione, con modificazioni, 
del 
D.l. 4 marzo 1989 n. 77, e 
con il 
decreto interministeriale 
di 
attuazione, 
il 
criterio 
della 
discrezionalit� 
fu 
nella 
sostanza 
abbandonato 
e 
sostituito 
dall�applicazione 
di 
elementi 
di 
quantificazione 
oggettiva, 
come 
l�estensione 
delle 
superfici, le 
volumetrie 
delle 
pertinenze, la 
natura, di 
facile 


o 
difficile 
rimozione, 
delle 
eventuali 
costruzioni. 
la 
procedura 
fu 
cos� 
snellita 
e 
semplificata, 
ma 
la 
diversit� 
della 
valenza 
economica 
delle 
varie 
concessioni 
risult� messa in secondo piano. 
Dopo poco, tuttavia, furono nuovamente 
modificati 
i 
criteri 
e 
le 
misure 
dei 
canoni, in quanto con la 
legge 
n. 165 del 
26 giugno 1990 (art. 12, comma 
6), 
di 
conversione, 
con 
modificazioni, 
del 
D.l. 
27 
aprile 
1990 
n. 
90, 
venne 
stabilito, 
dal 
1990, 
un 
adeguamento 
degli 
importi, 
per 
portarli 
ad 
un 
livello 
superiore 
da 
due 
a 
quattro volte 
quelli 
del 
1988, tenendo conto non solo delle 
caratteristiche 
oggettive, ma 
altres� 
�delle 
capacit� 
reddituali 
dei 
beni 
in concessione� 
e 
rinviando la 
concreta 
attuazione 
degli 
aumenti 
ad un decreto interministeriale 
del 
Ministro 
della 
marina 
mercantile, 
di 
concerto 
con 
quelli 
delle finanze e del tesoro. 


Ma 
anche 
questa 
disciplina, contrassegnata 
da 
varie 
difficolt� 
di 
applica



coNteNzIoSo 
NAzIoNAle 


zione, 
fu 
presto 
abbandonata. 
Il 
decreto 
interministeriale 
di 
attuazione, 
che 
era 
stato emanato in data 
18 ottobre 
1990, fu infatti 
annullato dal 
tAR del 
lazio, 
sez. 
III, 
n. 
1456/1992, 
del 
5 
novembre 
1992, 
in 
conseguenza 
dell�accoglimento 
di un ricorso di un concessionario contro gli aumenti. 


Fu 
quindi 
introdotta 
una 
nuova 
normativa, 
a 
decorrere 
dal 
1 
gennaio 
1994, 
con 
il 
gi� 
ricordato 
D.l. 
n. 
400/1993, 
come 
convertito, 
con 
modificazioni, 
nella 
l. n. 494/1993. Il 
relativo regolamento attuativo per le 
concessioni 
turistico-
ricreative 
fu peraltro emanato dal 
Ministero dei 
trasporti 
e 
della 
navigazione 
solo dopo pi� di cinque anni. 


con 
tali 
provvedimenti 
la 
determinazione 
dei 
canoni 
con 
finalit� 
turistico-
ricreative 
fu differenziata 
in base 
alla 
diversa 
�valenza 
turistica� 
del 
territorio 
nazionale 
costiero 
(alta, 
media, 
minore) 
e, 
nell�ambito 
di 
aree 
della 
medesima 
valenza 
turistica, 
con 
l�applicazione 
di 
importi 
a 
mq., 
indicati 
in 
apposite 
tabelle, 
diversi 
a 
seconda 
delle 
caratteristiche 
della 
concessione, 
e 
cio� 
se 
rilasciata 
per l�uso di 
aree 
scoperte 
o meno, e/o con impianti 
di 
facile 


o difficile 
rimozione 
e/o con pertinenze; 
per gli 
specchi 
d�acqua, fu applicato 
il criterio dei canoni decrescenti con l�aumento della distanza dalla costa. 
l' 
individuazione 
della 
valenza 
turistica 
delle 
singole 
aree 
fu 
rimessa 
alle 
decisioni 
delle 
Regioni 
territorialmente 
competenti; 
la 
maggioranza 
delle 
quali, peraltro, evit� di 
deliberare 
in merito. Per tutte, infine, fu applicato il 
calcolo, meno oneroso, della valenza �minore�. 


la 
normativa 
sopra 
ricordata, 
pur 
essendo 
stata 
oggetto, 
dal 
2003, 
di 
progetti 
legislativi 
di 
riforma, � 
invece 
restata 
in vigore, nella 
sostanza, fino al 
31 
dicembre 
2006, allorch� 
� 
stata 
modificata, con decorrenza 
1 gennaio 2007, 
dalla 
legge 
finanziaria 
2007. essa, comunque, ha 
avuto un�applicazione 
travagliata 
e 
controversa, a 
causa 
della 
complessit� 
della 
disciplina 
da 
applicare, 
in quanto derivante 
dalla 
successione 
di 
una 
serie 
di 
disposizioni 
legislative 
e 
regolamentari; 
a 
ci� si 
aggiungano le 
non semplici 
problematiche, di 
cui 
si 
� 
gi� 
fatto cenno, connesse 
al 
trasferimento, prima 
per delega 
e 
poi 
per diretto 
conferimento, alle 
Regioni, e 
da 
queste 
ai 
comuni, delle 
competenze 
amministrative 
in materia di gestione del demanio marittimo. 


Prima 
dell�intervento 
con 
la 
legge 
n. 
292/2006, 
legge 
finanziaria 
per 
il 
2007, 
art. 
1, 
commi 
250-257, 
il 
Governo 
progett� 
una 
riforma 
dei 
criteri 
e 
delle 
misure 
dei 
canoni 
stabiliti 
per 
le 
concessioni 
turistico-ricreative 
con 
i 
provvedimenti 
del 
1993 e 
1998 con l�obiettivo di 
realizzare 
un loro adeguamento. 
Ne 
dispose 
quindi 
la 
rivalutazione 
del 
300% dal 
1 gennaio 2004 qualora 
non 
fosse 
stato 
emanato 
un 
decreto 
interministeriale 
atto 
ad 
assicurare 
entrate 
erariali 
ulteriori 
di 
almeno 
140 
milioni 
annui. 
tale 
provvedimento 
avrebbe 
dovuto 
essere 
emanato 
entro 
il 
30 
giugno 
2004, 
termine 
poi 
prorogato 
di volta in volta. 

la 
tormentata 
vicenda 
dell�aumento 
del 
300% 
delle 
tabelle 
di 
cui 
al 
D.M. 


n. 342 del 
1998, che 
avrebbe 
dovuto scattare 
dal 
1 gennaio 2004, ma 
che 
non 

RASSeGNA 
AVVocAtURA 
Dello 
StAto - N. 1/2017 


entr� mai 
effettivamente 
in vigore, ebbe 
termine 
con la 
finanziaria 
per il 
2007 
avendo questa 
disposto, contestualmente 
all�introduzione 
di 
una 
nuova 
disciplina, 
l�applicazione 
per 
gli 
anni 
2004, 
2005, 
2006 
delle 
precedenti 
misure 
stabilite 
nel 
1993 
ai 
sensi 
della 
legge 
n. 
494/1993. 
con 
la 
disciplina 
introdotta 
dal 
1 
gennaio 
2007 
sono 
stati 
mantenuti 
il 
criterio 
della 
suddivisione 
delle 
aree 
costiere 
a 
seconda 
della 
loro �valenza 
turistica�, ed il 
criterio della 
applicazione 
di 
tabelle 
di 
canoni 
a 
mq., 
differenziati 
tra: 
aree 
scoperte; 
aree 
con 
opere 
amovibili 
o di 
facile 
rimozione; 
aree 
sulle 
quali 
insistono opere 
amovibili 
o 
di difficile rimozione; specchi acquei. 


la 
novit�, 
in 
subiecta 
materia, 
� 
costituita 
dalla 
previsione 
del 
canone 
�commisurato al 
valore 
di 
mercato�. tale 
criterio � 
da 
applicarsi 
alle 
concessioni 
comprensive 
di 
�strutture 
permanenti 
costituenti 
pertinenze 
demaniali 
marittime destinate ad attivit� commerciali". 


la 
finanziaria 
del 
2007 ha 
disposto, inoltre, l�applicazione 
dei 
medesimi 
criteri 
di 
quantificazione 
dei 
canoni 
per le 
concessioni 
con finalit� 
turistico-
ricreative 
anche 
alle 
strutture 
dedicate 
alla 
nautica 
da 
diporto, con l�abrogazione 
dell�art. 
10, 
comma 
4 
della 
legge 
27 
dicembre 
1997 
n. 
449. 
Valgono 
pure 
per queste 
strutture 
le 
distinzioni 
tra 
opere 
amovibili 
e 
non e 
la 
quantificazione 
del 
canone 
commisurata 
ai 
valori 
di 
mercato delle 
pertinenze 
oggetto 
di sfruttamento commerciale. 


la 
sentenza 
in epigrafe 
evidenzia 
proprio la 
necessit� 
- ai 
fini 
dell'effetto 
devolutivo in favore 
del 
Demanio delle 
opere 
inamovibili 
su suolo in concessione 
- di 
una 
cessazione 
del 
rapporto concessorio: 
la 
questione 
diventa 
dirimente 
per 
il 
calcolo 
del 
canone 
demaniale 
soprattutto 
in 
relazione 
a 
concessioni 
risalenti 
nel 
tempo e 
per le 
quali 
sono state 
realizzati 
consistenti 
ampliamenti di volumetrie e cubature. 


Finch� 
non c'� 
un'apprezzabile 
interruzione 
della detenzione 
delle 
opere 
da 
parte 
del 
concessionario 
esse 
non 
sono 
valutabili 
come 
parte 
del 
compendio 
demaniale. 


Ma 
a 
fronte 
di 
continui 
rinnovi 
e 
proroghe 
della 
concessione 
diventa 
estremamente 
difficile 
in 
assenza 
di 
un 
formale 
atto 
ricognitivo 
dell' 
acquisito 
(c.d. 
testimoniale 
di 
Stato 
peraltro 
non 
sempre 
determinante) 
individuare 
con 
esattezza 
il 
momento 
in 
cui 
si 
perfeziona 
l'effetto 
devolutivo 
previsto 
dall' 
art. 
49 
citato. 


9. L�intervento della Corte di Giustizia dell�Unione Europea. 
� 
trascorso 
quasi 
un 
decennio 
dal 
momento 
in 
cui 
la 
crisi 
del 
sistema 
di 
regolazione 
del 
demanio 
marittimo 
ha 
assunto 
caratteri 
sempre 
pi� 
significativi. 


la 
problematica 
del 
rilascio 
e 
del 
rinnovo 
delle 
concessioni 
demaniali 
con 
finalit� 
turistico-ricreative 
continua 
ad 
essere 
al 
centro 
dell�attenzione 
nazionale 
e dell�Unione. 


Soltanto con la 
sentenza 
del 
14 luglio 2016 la 
corte 
di 
Giustizia 
europea 
� intervenuta in maniera decisa a chiarire molteplici dubbi. 



coNteNzIoSo 
NAzIoNAle 


I 
giudici 
europei 
hanno 
anzitutto 
affermato 
inequivocabilmente 
che 
le 
concessioni 
demaniali 
marittime 
non possono essere 
automaticamente 
rinnovate 
poich� 
una 
siffatta 
procedura 
contrasterebbe 
con il 
principio della 
libert� 
di 
stabilimento, di 
non discriminazione 
nonch� 
di 
tutela 
della 
concorrenza, di 
cui agli articoli 49, 56 e 106 del 
tFUe. 

Inoltre, 
l'art. 
12 
della 
direttiva 
2006/123/ce 
del 
Parlamento 
europeo 
e 
del 
consiglio stabilisce 
che 
il 
rilascio delle 
concessioni 
demaniali 
marittime 
e 
lacuali 
deve 
necessariamente 
avvenire 
attraverso 
una 
gara 
pubblica 
che 
consenta 
a tutti gli operatori economici di inserirsi nel mercato. 


Ma 
vi 
� 
di 
pi�. la 
corte 
facendo leva 
proprio sull'art. 49 del 
tFUe, ha 
precisato 
che, 
ove 
tali 
concessioni 
presentino 
un 
interesse 
transfrontaliero 
certo, una 
proroga 
automatica 
ad un'impresa 
con sede 
in uno Stato 
costituisce 
una 
disparit� 
di 
trattamento 
nei 
confronti 
delle 
altre 
imprese 
collocate 
in 
altri 
Stati ed interessate al settore. 


Sono 
queste 
conclusioni 
lapidarie 
che, 
pur 
non 
risolvendo 
le 
controversie 
nazionali, 
la 
cui 
soluzione 
spetta 
ai 
giudici 
italiani 
in 
conformit� 
alle 
decisioni 
della corte, sembrano lasciare ben poco spazio di manovra. 


la 
corte 
di 
giustizia 
sembra 
tuttavia 
consentire 
alcune 
�aperture� 
ossia 
consente delle facolt� di deroga. 


In 
primis, 
sostiene 
che 
l'assegnazione 
di 
una 
concessione 
in 
assenza 
di 
trasparenza 
costituisce 
disparit� 
di 
trattamento 
a 
danno 
di 
imprese 
che 
potrebbero 
essere 
interessate 
alla 
medesima 
concessione 
solo qualora 
siffatta 
concessione 
presenti 
un 
interesse 
transfrontaliero 
certo; 
e 
tale 
interesse 
dovr� 
essere 
verificato caso per caso sulla 
base 
di 
elementi 
quanto pi� possibile 
oggettivi 
(questa 
precisazione 
sembrerebbe 
escludere 
ad esempio gli 
spazi 
demaniali 
in localit� di scarso interesse turtistico). 


Inoltre 
-ricorda 
la 
corte 
-l�articolo 
12, 
paragrafo 
3, 
della 
direttiva 
2006/123/ce, fa 
salva 
la 
possibilit� 
degli 
Stati 
nazionali 
di 
tenere 
conto - nel-
l�individuazione 
delle 
regole 
della 
procedura 
selettiva 
preordinata 
al 
rilascio 
delle 
autorizzazioni 
- di 
considerazioni 
legate 
a 
motivi 
imperativi 
di 
interesse 
generale. 


In proposito, la 
corte 
di 
Giustizia 
ha 
precisato che 
la 
facolt� 
contemplata 
dalla 
norma 
pu� 
essere 
fatta 
valere 
unicamente 
nello 
stabilire 
le 
regole 
dell�iter 
selettivo, 
ma 
non 
pu� 
essere 
utilizzata 
per 
giustificare 
la 
legittimit� 
di 
una 
proroga 
automatica 
e 
generalizzata 
delle 
concessioni, tanto pi� quando il 
rilascio 
iniziale 
del 
provvedimento autorizzativo non sia 
stato effettuato in base 
alle 
necessarie procedure ad evidenza pubblica. 


Parimenti 
la 
cGe 
ha 
ribadito 
che 
eventuali 
cause 
giustificative 
della 
proroga 
delle 
concessioni 
vigenti 
fondate 
sul 
principio del 
legittimo affidamento 
non sono in grado di 
sostenere 
la 
liceit� 
di 
una 
proroga 
indiscriminata 
come 
quella 
prevista 
dalla 
norma 
nazionale, 
ma 
sono 
adducibili 
esclusivamente 
qualora 
si 
operino valutazioni 
caso per caso, al 
fine 
di 
acclarare 
se 
l�interessato 



RASSeGNA 
AVVocAtURA 
Dello 
StAto - N. 1/2017 


non 
potesse 
che 
attendersi 
il 
rinnovo 
del 
provvedimento 
e 
che, 
di 
conseguenza, 
abbia effettuato investimenti ancora non ammortizzati. 


10. La risposta dell�Italia: la c.d. legge salva-spiagge. 
A 
seguito 
della 
pronuncia 
europea 
il 
Governo 
� 
intervenuto 
in 
sede 
di 
conversione 
in legge 
del 
D.l. 113/2016, recante 
�Misure 
finanziarie 
urgenti 
per 
gli 
enti 
territoriali 
e 
il 
territorio� 
introducendo 
all�art. 
24, 
il 
comma 
3septies, 
il 
quale 
dispone 
che: 
�Nelle 
more 
della revisione 
e 
del 
riordino della 
materia 
in 
conformit� 
ai 
principi 
di 
derivazione 
europea, 
per 
garantire 
la 
certezza 
alle 
situazioni 
giuridiche 
in 
atto 
e 
assicurare 
l�interesse 
pubblico 
all�ordinata 
gestione 
del 
demanio 
senza 
soluzione 
di 
continuit�, 
conservano 
validit� 
i 
rapporti 
gi� instaurati 
e 
pendenti 
in base 
all�articolo 1, comma 18, del 
de-
creto-legge 
30 
dicembre 
2009, 
n. 
194, 
convertito 
con 
modificazioni, 
dalla 
legge 
26 
febbraio 
2010, 
n. 
25�. 
In 
pratica, 
viene 
riconosciuta 
la 
validit� 
ex 
lege 
dei 
rapporti 
concessori 
gi� 
instaurati 
e 
pendenti 
in base 
all�art. 1, comma 
18, del 
D.l. 194/2009, che 
ha 
prorogato fino al 
31 dicembre 
2020 la 
durata 
delle 
concessioni 
demaniali 
marittime 
per 
finalit� 
turistico-ricreative 
in 
essere 
al 
30 dicembre 
2009 (data 
di 
entrata 
in vigore 
del 
decreto) e 
in scadenza 
entro 
il 31 dicembre 2015. 


Il 
comma 
9-duodevicies 
dell�art. 7 del 
D.l. 78/2015 (convertito in legge 
dalla 
l. 125/2015) ha 
prorogato le 
utilizzazioni 
delle 
aree 
di 
demanio marittimo 
per 
finalit� 
diverse 
da 
quelle 
di 
cantieristica 
navale, 
pesca 
e 
acquacoltura, 
in 
essere 
al 
31 
dicembre 
2013, 
fino 
alla 
definizione 
del 
procedimento 
previsto 
dal 
precedente 
comma 
9-septiesdecies 
del 
medesimo art. 7 (vedi 
pi� avanti), 
e comunque non oltre il 31 dicembre 2016. 


Inoltre, l'art. 1, comma 
484, della 
l. 208/2015 (legge 
di 
stabilit� 
2016) 
ha 
previsto 
la 
sospensione 
fino 
al 
30 
settembre 
2016, 
in 
attesa 
del 
riordino 
della 
disciplina 
dei 
canoni 
demaniali 
marittimi, 
dei 
procedimenti 
pendenti 
alla 
data 
del 
15 novembre 
2015 per il 
rilascio, la 
sospensione, la 
revoca 
e 
la 
decadenza 
di concessioni demaniali marittime con finalit� turistico-ricreative. 


Si 
fa 
esclusivo riferimento alle 
concessioni 
inerenti 
la 
conduzione 
delle 
pertinenze 
demaniali, 
ed 
ai 
procedimenti 
derivanti 
da 
procedure 
di 
contenzioso 
connesse 
all�applicazione 
dei 
criteri 
per il 
calcolo dei 
canoni. la 
sospensione 
non 
si 
applica 
per 
i 
beni 
pertinenziali 
oggetto 
di 
procedimenti 
giudiziari 
penali, 
nonch� 
nei 
comuni 
e 
nei 
municipi 
sciolti 
o commissariati 
in conseguenza 
di 
fenomeni 
di 
infiltrazione 
e 
di 
condizionamento 
di 
tipo 
mafioso. 
In 
sede 
di 
conversione 
in 
legge 
del 
D.l. 
113/2016 
� 
stato 
introdotto 
il 
comma 
3-octies 
all�art. 
24 che, novellando il 
comma 
484 della 
l. 208/2015, dispone 
che 
la 
sospensione 
dei 
procedimenti 
pendenti 
relativi 
alle 
concessioni 
demaniali 
e 
di 
quelli 
su 
cui 
sussistono 
contenziosi 
relativamente 
ai 
canoni 
sia 
effettuata 
fino 
al 
complessivo 
riordino della 
disciplina 
dei 
canoni 
demaniali 
marittimi, anzich� 
fino 
al 
30 settembre 
2016. Viene, quindi, eliminato il 
riferimento alla 
data 
del 
30 



coNteNzIoSo 
NAzIoNAle 


settembre 
2016 come 
termine 
previsto per il 
riordino complessivo della 
materia 
in commento. 


Il 
27 
gennaio 
2017 
� 
stato 
approvato 
dal 
consiglio 
dei 
Ministri 
il 
disegno 
di 
legge 
per 
la 
delega 
al 
Governo 
per 
la 
revisione 
e 
il 
riordino 
della 
normativa 
relativa 
alle 
concessioni 
del 
demanio 
marittimo 
e 
lacuale 
per 
finalit� 
ricreative: 


"Il 
Governo � 
delegato ad adottare, entro sei 
mesi 
dalla 
data 
di 
entrata 
in 
vigore 
della 
presente 
legge, uno o pi� decreti 
legislativi 
per la 
revisione 
e 
il 
riordino 
della 
normativa 
relativa 
alle 
concessioni 
demaniali 
marittime, 
nonch� 
lacuali 
e 
fluviali, ad uso turistico ricreativo, nel 
rispetto della 
normativa 
europea, 
secondo i seguenti princ�pi e criteri direttivi: 


a) prevedere 
criteri 
e 
modalit� 
di 
affidamento nel 
rispetto dei 
principi 
di 
concorrenza, di 
qualit� 
paesaggistica 
e 
di 
sostenibilit� 
ambientale, di 
valorizzazione 
delle 
diverse 
peculiarit� 
territoriali, di 
libert� 
di 
stabilimento, di 
garanzia 
dell�esercizio, 
dello 
sviluppo, 
della 
valorizzazione 
delle 
attivit� 
imprenditoriali 
e 
di 
riconoscimento 
e 
tutela 
degli 
investimenti, 
dei 
beni 
aziendali 
e 
del 
valore 
commerciale, 
mediante 
procedure 
di 
selezione 
che 
assicurino 
garanzie 
di 
imparzialit� 
e 
di 
trasparenza, 
prevedano 
un�adeguata 
pubblicit� 
dell�avvio della 
procedura 
e 
del 
suo svolgimento e 
tengano conto della 
professionalit� 
acquisita 
nell�esercizio 
di 
concessioni 
di 
beni 
demaniali 
marittimi, 
nonch� lacuali e fluviali, per finalit� turistico-ricreative; 


b) stabilire 
adeguati 
limiti 
minimi 
e 
massimi 
di 
durata 
delle 
concessioni 
entro i 
quali 
le 
regioni 
fissano la 
durata 
delle 
stesse 
in modo da 
assicurare 
un 
uso rispondente 
all�interesse 
pubblico, nonch� 
prevedere 
che 
le 
regioni 
possono 
disporre 
che 
un operatore 
economico pu� essere 
titolare 
di 
un numero 
massimo di 
concessioni, tale 
comunque 
da 
garantire 
adeguata 
pluralit� 
e 
differenziazione 
dell�offerta, nell�ambito territoriale di riferimento; 


c) stabilire 
le 
modalit� 
procedurali 
per l�eventuale 
dichiarazione 
di 
decadenza 
ai 
sensi 
della 
vigente 
normativa 
delle 
concessioni, nonch� 
criteri 
e 
modalit� 
per il subingresso in caso di vendita o di affitto delle aziende; 


d) 
prevedere, 
anche 
in 
relazione 
alle 
innovazioni 
introdotte 
dalla 
presente 
legge, 
un 
adeguato 
periodo 
transitorio 
per 
l�applicazione 
della 
disciplina 
di 
riordino; 


e) 
rideterminare 
la 
misura 
dei 
canoni 
concessori 
con 
l�applicazione 
di 
valori 
tabellari, 
tenendo 
conto 
della 
tipologia 
dei 
beni 
oggetto 
di 
concessione, 
anche 
con 
riguardo 
alle 
pertinenze 
e 
alle 
relative 
situazioni 
pregresse, 
e 
prevedere 
la 
classificazione, 
quanto 
alla 
valenza 
turistica, 
in 
differenti 
categorie 
dei 
medesimi 
beni, 
applicando 
a 
quelli 
di 
maggiore 
valenza 
un 
canone 
pi� 
elevato 
con 
l�attribuzione 
di 
una 
quota, 
calcolata 
in 
percentuale 
sulle 
maggiori 
entrate 
annue 
rispetto 
alle 
previsioni 
di 
bilancio, 
a 
favore 
della 
regione 
di 
riferimento; 


f) 
procedere 
al 
coordinamento 
formale 
e 
sostanziale 
delle 
disposizioni 
legislative 
vigenti in materia, con indicazione esplicita delle norme abrogate; 


g) aggiornare 
le 
procedure, prevedendo l�estesa 
e 
ottimale 
utilizzazione 



RASSeGNA 
AVVocAtURA 
Dello 
StAto - N. 1/2017 


delle tecnologie digitali dell�informazione e della comunicazione, finalizzate 
al 
rafforzamento del 
sistema 
informativo demanio marittimo, favorendo l�interscambio 
e 
la 
condivisione 
dei 
dati 
tra 
i 
sistemi 
informatici 
delle 
Amministrazioni 
competenti 
in 
materia, 
nonch� 
garantendo 
la 
trasparenza 
dei 
rapporti 
con i destinatari dell�azione amministrativa. 


2.I decreti 
di 
cui 
al 
comma 
1 sono adottati 
su proposta 
dei 
Ministri 
dei 
beni 
e 
della 
attivit� 
culturali 
e 
del 
turismo, delle 
infrastrutture 
e 
dei 
trasporti, 
dell�economia 
e 
delle 
finanze 
e 
per gli 
affari 
regionali 
e 
le 
autonomie, di 
concerto 
con i 
Ministri 
dell�ambiente 
e 
della 
tutela 
del 
territorio e 
del 
mare, dello 
sviluppo economico e 
per la 
semplificazione 
e 
la 
pubblica 
amministrazione, 
previa 
intesa 
da 
sancire 
in sede 
di 
conferenza 
unificata 
ai 
sensi 
dell�articolo 
8 del 
decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, e 
previa 
acquisizione 
del 
parere 
del 
consiglio di 
Stato, da 
rendere 
nel 
termine 
di 
trenta 
giorni 
dalla 
data 
di 
trasmissione 
degli 
schemi 
di 
decreto, decorso il 
quale 
il 
Governo pu� comunque 
procedere. 
Gli 
schemi 
di 
decreto 
sono 
successivamente 
trasmessi 
alla 
camera 
dei 
deputati 
e 
al 
Senato della 
Repubblica 
per l�espressione 
dei 
pareri 
delle 
commissioni 
parlamentari 
competenti 
per materia, che 
si 
pronunciano 
nel 
termine 
di 
trenta 
giorni 
dalla 
data 
di 
trasmissione, 
decorso 
il 
quale 
i 
decreti 
legislativi possono essere comunque adottati". 
Nei 
prossimi 
mesi 
si 
attende 
quindi 
una 
risposta 
organica 
a 
tutte 
le 
problematiche 
emerse 
in 
materia 
di 
gestione 
del 
demanio 
marittimo 
e 
qui 
solo 
parzialmente evocate. 


Se 
non pu� certo ignorarsi 
che, attualmente, sono pi� di 
trenta 
mila, le 
imprese 
balneari 
che 
operano su arenile 
del 
demanio in regime 
�di 
proroga� 
di 
concessione 
e 
che 
tale 
macchina 
di 
produzione 
offre 
numerosi 
posti 
di 
lavoro, 
� altrettanto vero che non si pu� �monopolizzare� tale ambito. 


ecco quindi 
che 
il 
legislatore 
de 
jure 
condendo dovr� 
fare 
i 
conti 
da 
una 
parte 
con l�esigenza 
di 
garantire 
e 
preservare 
l' 
equilibrio che 
con difficolt� 
si 
� 
raggiunto, e 
quindi 
di 
tutelare 
le 
imprese 
del 
turismo balneare 
per una 
nazione 
con oltre 
7500 km 
di 
litorale; 
dall�altra 
con l�esigenza 
che 
lo Stato non 
abdichi 
ai 
suoi 
poteri 
di 
controllo 
garantendo 
trasparenza 
e 
concorsualit� 
nella 
gestione del demanio marittimo. 


Tribunale 
Amministrativo Regionale 
della Campania, Napoli, Sez. Settima, sentenza 9 
febbraio 
2017 
n. 
818 
-Pres. 
A. 
Pagano, 
Est. 
M. 
Perrelli 
-la 
Fontelina 
di 
Arcucci 
A., 
Gargiulo 
M., Gargiulo c. s.a.s. (avv. l. Montemitro) c. comune 
di 
capri 
(avv. A. lembo), Agenzia 
del 
Demanio (avv. distrett. Stato Napoli), Regione campania (n.c.). 


FAtto 


1. la 
societ� 
ricorrente, titolare 
della 
concessione 
demaniale 
marittima 
n. 4 del 
26 maggio 
2008, avente 
ad oggetto mq. 1080 + mq. 755 di 
area 
scoperta, ha 
impugnato la 
nota 
prot. n. 

coNteNzIoSo 
NAzIoNAle 


16243 del 
25 settembre 
2015 e 
il 
relativo avviso di 
pagamento n. A/2015 di 
euro 28.154,16, 
emesso dal 
comune 
di 
capri 
il 
23 settembre 
2015, deducendone 
l�illegittimit� 
per violazione 
di 
legge 
(art. 49 codice 
della 
Navigazione; 
art. 3, comma 
1, lett. b) della 
legge 
n. 494/1993 e 
successive 
modifiche; 
art. 3 della 
legge 
n. 241/1990) e 
per eccesso di 
potere 
sotto molteplici 
profili e concludendo per l�annullamento. 


2. 
Il 
comune 
di 
capri, 
costituito 
in 
giudizio 
con 
memoria 
di 
stile, 
ha 
concluso 
per 
la 
reiezione 
del ricorso. 
3. l�Agenzia 
del 
Demanio - filiale 
della 
campania 
ha 
concluso per la 
reiezione 
del 
ricorso in 
quanto infondato, mentre 
la 
Regione 
campania, bench� 
ritualmente 
citata, non si 
� 
costituita 
in giudizio. 
4. con ordinanza 
collegiale 
n. 1924 del 
19 aprile 
2016 la 
Sezione 
ha 
ordinato al 
comune 
resistente 
di 
depositare 
una 
dettagliata 
relazione 
in ordine 
ai 
titoli 
concessori 
che 
hanno riguardato 
nel 
corso 
degli 
anni 
l�area 
demaniale 
in 
questione, 
con 
particolare 
riguardo 
alla 
successione 
dei 
titoli 
nel 
periodo antecedente 
alla 
concessione 
n. 6 del 
2002, corredata 
della 
documentazione citata e/o comunque afferente alla detta area. 
5. Alla 
pubblica 
udienza 
del 
22 novembre 
2016, preso atto dell�avvenuto deposito in data 
28 
luglio 
2016 
della 
relazione 
richiesta 
all�amministrazione 
comunale 
e 
delle 
memorie 
ex 
art. 
73 
c.p.a., la causa � stata trattenuta in decisione. 
DIRItto 


6. Il ricorso � fondato e va accolto per le seguenti ragioni. 
7. Il 
collegio ritiene 
dirimente 
per la 
decisione 
della 
presente 
controversia 
stabilire 
se 
sia 
applicabile 
o meno ai 
manufatti 
di 
288,70 mq., presenti 
nell�area 
in concessione, l�art. 49 del 
codice 
della 
navigazione 
e 
se 
possa, 
quindi, 
dirsi 
avvenuta 
l�acquisizione 
degli 
stessi 
da 
parte 
del 
Demanio alla 
scadenza 
del 
titolo concessorio, con conseguente 
applicazione 
del 
canone 
maggiorato, di 
cui 
all�art. 1, comma 
251, della 
legge 
27 dicembre 
2006, n. 296 (che 
ha 
modificato 
la 
legge 
n. 94 del 
1993) sul 
presupposto della 
qualificazione 
come 
pertinenze 
demaniali 
degli immobili 
de quibus. 
8. 
con 
i 
motivi 
di 
ricorso 
la 
societ� 
ricorrente 
deduce 
che 
nel 
caso 
di 
specie 
non 
troverebbe 
applicazione 
l�art. 
49 
del 
codice 
della 
navigazione 
sulla 
devoluzione 
automatica 
allo 
Stato 
delle 
opere 
non 
amovibili, 
non 
essendosi 
mai 
verificata 
la 
definitiva 
cessazione 
della 
concessione 
demaniale 
-che 
� 
stata 
sempre 
rinnovata 
dal 
1949 
senza 
soluzione 
di 
continuit� 
-, 
mentre 
il 
summenzionato 
istituto 
presupporrebbe 
l�effettiva 
e 
definitiva 
cessazione 
del 
rapporto 
concessorio. 
8.1. Ad avviso della 
societ� 
ricorrente, quindi, l�amministrazione 
comunale 
avrebbe 
erroneamente 
considerato 
una 
parte 
delle 
opere 
presenti 
nell�area 
oggetto 
della 
concessione 
demaniale 
marittima 
n. 
38 
del 
2008 
come 
pertinenze 
demaniali 
marittime, 
calcolandone 
il 
relativo 
canone 
secondo il 
valore 
di 
mercato, ai 
sensi 
dell�art. 3, comma 
1, lett. b) punto 2.1 della 
legge 
n. 
494 del 
1993 e 
successive 
modifiche, mentre 
al 
contrario si 
tratterebbe 
di 
opere 
di 
propriet� 
esclusiva 
de 
�la 
Fontelina 
di 
Arcucci 
A., Gargiulo M. Gargiulo c. s.a.s.� 
e 
come 
tali 
assoggettabili 
al canone tabellare. 
9. 
l�art. 
49 
del 
codice 
della 
navigazione 
prevede 
che 
��quando 
venga 
a 
cessare 
la 
concessione, 
le 
opere 
non 
amovibili, 
costruite 
sulla 
zona 
demaniale, 
restano 
acquisite 
allo 
Stato, 
senza 
alcun 
compenso 
o 
rimborso, 
salva 
la 
facolt� 
dell�autorit� 
concedente 
di 
ordinarne 
la 
demolizione, 
con 
restituzione 
del 
bene 
demaniale 
al 
pristino 
stato�: 
tale 
disposizione 
-che 
richiama 
l�istituto 
del-
l�accessione, 
di 
cui 
all�art. 
934 
c. 
c. 
(con 
deroga 
al 
principio 
dell�indennizzo, 
di 
cui 
al 
successivo 
art. 
936 
c.c.) 
-� 
stata 
pi� 
volte 
interpretata 
nel 
senso 
che 
l�accessione 
si 
verifica 
ipso 
iure, 
al 
ter

RASSeGNA 
AVVocAtURA 
Dello 
StAto - N. 1/2017 


mine 
del 
periodo 
di 
concessione 
e, 
secondo 
parte 
della 
giurisprudenza 
(cfr. 
cass. 
civ, 
III, 
24 
marzo 
2004, 
n. 
5842) 
va 
applicata 
anche 
in 
caso 
di 
rinnovo 
della 
concessione 
stessa, 
implicando 
il 
rinnovo 
-a 
differenza 
della 
proroga 
-una 
nuova 
concessione 
in 
senso 
proprio, 
dopo 
l�estinzione 
della 
concessione 
precedente 
alla 
relativa 
scadenza, 
con 
automatica 
produzione 
degli 
effetti, 
di 
cui 
al 
predetto 
art. 
49 
(cfr. 
cons. 
di 
Stato, 
VI, 
1 
febbraio 
2013, 
n. 
626). 


9.1. 
Ai 
fini 
della 
decisione 
della 
controversia 
sottoposta 
a 
giudizio, 
occorre 
inoltre 
rammentare 
che 
l�art. 
1, 
comma 
251, 
della 
legge 
27 
dicembre 
2006, 
n. 
296, 
ha 
introdotto 
per 
le 
concessioni 
attinenti 
ad 
utilizzazioni 
�turistico-ricreative 
di 
aree, 
pertinenze 
demaniali 
marittime 
e 
specchi 
acquei, 
per 
i 
quali 
si 
applichino 
le 
disposizioni 
relative�al 
demanio 
marittimo� 
una 
forte 
rivalutazione 
dei 
canoni, 
a 
lungo 
lasciati 
a 
livelli 
del 
tutto 
inadeguati, 
rispetto 
agli 
equilibri 
di 
mercato, 
con 
disposta 
decorrenza 
1 
gennaio 
2007, 
in 
relazione 
alle 
concessioni 
�rilasciate 
e 
rinnovate� 
(e, 
dunque, 
anche 
con 
incidenza 
sui 
rapporti 
in 
corso, 
secondo 
una 
lettura 
della 
norma 
rispondente 
al 
dato 
testuale 
e 
alle 
finalit� 
di 
interesse 
pubblico 
sottese), 
tenuto 
conto 
dei 
poteri 
riconosciuti 
all�ente 
proprietario 
nei 
confronti 
dei 
concessionari, 
nonch� 
dell�esigenza 
di 
trarre 
dall�uso 
dei 
beni 
pubblici 
proventi 
non 
irrisori, 
da 
porre 
a 
servizio 
della 
collettivit�. 
10. 
ci� 
posto, 
nel 
caso 
di 
specie 
il 
comune 
di 
capri, 
in 
adempimento 
degli 
incombenti 
istruttori 
disposti 
con l�ordinanza 
n. 1924/2016, ha 
evidenziato che 
la 
societ� 
ricorrente 
detiene 
il 
compendio demaniale 
in forza 
dell�atto concessorio n. 4 del 
26 maggio 2008, con decorrenza 
dall�1 gennaio 2008 e 
scadenza 
al 
31 dicembre 
2013, successivamente 
prorogata 
ex 
lege 
al 
31 dicembre 2020. 
l�amministrazione 
comunale, premesso di 
gestire 
il 
demanio marittimo a 
partire 
dal 
2000, ha 
affermato che 
l�atto pi� risalente 
relativo all�area 
in questione 
esistente 
nei 
propri 
archivi 
� 
la 
concessione 
n. 179 del 
1994, rilasciata 
dalla 
capitaneria 
di 
Porto di 
Napoli 
con durata 
dall�1 
gennaio 1994 al 
31 diccembre 
1997 dalla 
quale 
si 
evince 
che 
si 
tratta 
di 
�mero rinnovo di 
atto 
concessorio precedente�. 
Successivamente 
a 
tale 
atto la 
Regione 
campania, divenuta 
competente 
a 
seguito dell�entrata 
in vigore 
del 
D.lvo n. 112 del 
1998, ha 
rilasciato alla 
societ� 
ricorrente 
la 
concessione 
demaniale 
n. 136 del 
1998 con decorrenza 
dall�1 gennaio 1998 e 
scadenza 
al 
31 dicembre 
2001; 
quindi 
il 
comune 
di 
capri, al 
quale 
nelle 
more 
era 
passata 
la 
competenza 
in forza 
della 
Delibera 
della 
Giunta 
Regionale 
n. 3744 del 
14 luglio 2000, disponeva 
con atto n. 6 del 
2002 il 
rinnovo automatico del 
titolo, ai 
sensi 
della 
legge 
n. 88 del 
2001, con decorrenza 
dall�1 gennaio 
2002 e scadenza al 31 dicembre 2007. 
10.1. Ne 
discende 
che 
dalla 
documentazione 
acquisita 
a 
seguito della 
disposta 
istruttoria 
non 
si 
evince 
alcuna 
cessazione 
del 
titolo concessorio idonea 
a 
determinare 
l�effetto devolutivo 
previsto dall�art. 49 del 
codice 
della 
Navigazione, non essendo riscontrabile 
nessuna 
cesura 
temporale tra i titoli concessori succedutisi dal 1994 al 2008. 
10.2. N� 
la 
prova 
dell�esistenza 
dei 
presupposti 
per il 
verificarsi 
di 
un simile 
effetto � 
stata 
data 
dall�Agenzia 
del 
Demanio la 
quale 
assume 
che 
l�effetto devolutivo si 
sarebbe 
verificato 
il 
31 dicembre 
1989 alla 
scadenza 
della 
concessione 
n. 305 del 
1989 e 
che 
le 
opere 
insistenti 
nell�area demaniale sarebbero, quindi, passate allo Stato a partire dall�1 gennaio 1990. 
Ad 
avviso 
dell�amministrazione 
demaniale 
tale 
effetto 
devolutivo 
discenderebbe 
dalla 
clausola 
contenuta 
nell�atto 
concessorio 
n. 
305 
del 
1989 
in 
forza 
della 
quale 
�la 
societ� 
concessionaria 
accetta, 
senza 
alcuna 
riserva, 
quanto 
oggetto 
del 
foglio 
di 
questa 
capitaneria 
n. 
De/16205 
del 
29 maggio 1985, diretto alla 
stessa 
e 
in particolare 
ribadisce, ancora 
una 
volta, il 
proprio consenso 
all�acquisizione 
al 
demanio 
marittimo 
dell�intero 
manufatto 
realizzato 
abusivamente 
su di 
una 
superficie 
di 
mq. 53 anche 
per la 
parte 
ricadente 
su area 
di 
sua 
propriet� 
non appena 

coNteNzIoSo 
NAzIoNAle 


espletato l�iter per la 
indemanializzazione 
della 
zona 
e 
del 
manufatto in questione 
nelle 
more 
dell�espletamento di detta procedura�. 


10.3. 
Al 
riguardo 
il 
collegio 
rileva 
che, 
pur 
a 
voler 
prescindere 
dalla 
differente 
superficie 
dei 
manufatti 
in 
relazione 
ai 
quali 
� 
stato 
applicato 
il 
canone 
maggiorato 
(288,70 
mq.) 
rispetto 
a 
quella 
del 
fabbricato 
abusivo 
richiamato 
nella 
citata 
clausola 
(53 
mq.), 
non 
risulta 
in 
alcun 
modo 
dimostrato 
l�avvenuto 
esperimento 
e 
la 
conseguente 
conclusione 
della 
procedura 
volta 
a 
far 
acquisire 
il 
carattere 
demaniale 
agli 
immobili 
oggetto 
di 
controversia, 
n� 
tanto 
meno 
dal 
tenore 
della 
citata 
clausola 
del 
titolo 
concessorio 
sembra 
trattarsi 
del 
procedimento 
disciplinato 
dall�art. 
49 
del 
codice 
della 
Navigazione 
per 
la 
devoluzione 
delle 
opere 
non 
amovibili 
al 
patrimonio 
statale. 
10.4. 
Ne 
discende 
che 
manca 
nel 
caso 
di 
specie 
sia 
la 
prova 
dell�esistenza 
di 
un 
provvedimento 
con 
il 
quale 
l�amministrazione 
abbia 
accertato 
la 
sussistenza 
dei 
presupposti 
di 
legge 
per 
l�assunzione 
del 
bene 
tra 
le 
pertinenze 
demaniali 
marittime, ai 
sensi 
dell�art. 49 del 
codice 
della 
navigazione, sia 
la 
prova 
dell�esistenza 
di 
una 
cesura 
temporale 
tra 
i 
titoli 
concessori 
susseguitisi 
nel tempo idonea a determinare il predetto effetto devolutivo. 
Ad avviso del 
collegio, pertanto, a 
differenza 
di 
altre 
analoghe 
fattispecie 
sottoposte 
alla 
sua 
cognizione, nel 
caso di 
specie 
� 
condivisibile 
la 
prospettazione 
di 
parte 
ricorrente 
secondo la 
quale 
non cՏ 
soluzione 
di 
continuit� 
tra 
l�una 
e 
l�altra 
concessione 
afferente 
all�area 
in questione 
e, quindi, spazio per il 
verificarsi 
dell�effetto devolutivo, poich� 
dall�esame 
della 
documentazione 
versata 
in atti 
tutti 
i 
titoli 
concessori 
esaminati 
appaiono essere 
meri 
rinnovi 
dell�originaria concessione. 
11. Per tali 
ragioni, assorbite 
le 
restanti 
censure, il 
ricorso deve, pertanto, essere 
accolto con 
conseguente 
annullamento degli 
atti 
impugnati, salvo il 
potere 
dell�amministrazione 
di 
rideterminarsi 
alla luce dei principi enunciati nella presente decisione. 
13. Sussistono nondimeno i 
presupposti 
di 
legge, attesa 
la 
complessit� 
della 
normativa 
applicabile 
alla vicenda esaminata, per compensare integralmente tra le parti le spese di giudizio. 
P.Q.M. 
Il 
tribunale 
Amministrativo 
Regionale 
della 
campania 
(Sezione 
Settima), 
pronunciando 
sul 
ricorso, 
come 
in 
epigrafe 
proposto, 
lo 
accoglie 
e, 
per 
l�effetto, 
annulla 
i 
provvedimenti 
impugnati. 
Spese compensate. 
ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorit� amministrativa. 
cos� deciso in Napoli nella camera di consiglio del giorno 22 novembre 2016. 

LEGISLAZIONEEDATTUALIT�
Il 
Commissario 
ad 
acta 
per 
il 
superamento 
dell�emergenza 
sanitaria 
nel 
territorio 
della 
Regione 
Calabria. 
Analisi 
ragionata e 
sistematica delle 
tipologie 
di 
ricorsi 
esaminati 
dal 


T.A.R. Calabria 
Alfonso Mezzotero, Daniele Sisca* 


Sommario: 
1. 
il 
Commissario 
ad 
acta 
per 
l�attuazione 
del 
Piano 
di 
rientro 
dai 
disavanzi 
del 
settore 
sanitario. Natura e 
funzioni 
- 2. il 
Piano di 
rientro dai 
disavanzi 
del 
settore 
sanitario 
della regione 
Calabria. Natura e 
scopi 
- 3. Le 
tipologie 
di 
ricorsi 
esaminati 
dal 
T.a.r. 
Calabria - 3.1. Sulle 
limitazioni 
contrattuali 
per 
le 
strutture 
sanitarie 
- 3.2. Sulla riduzione 
dei 
tetti 
di 
spesa per 
l�acquisto di 
prestazioni 
da soggetti 
privati 
accreditati 
- 3.2.1. Sulla determinazione 
dei 
tetti 
di 
spesa sulla base 
del 
c.d. �criterio storico� 
- 3.3. Sull�accorpamento 
dei 
laboratori 
�sotto soglia� 
- 3.4. Sulla riorganizzazione 
della rete 
ospedaliera e 
laboratoristica 
calabrese 
pubblica e 
privata - 3.5. Sull�illegittimit� della convenzione 
stipulata tra il 
Commissario ad acta e 
l�agenzia Nazionale 
per 
i 
Servizi 
Sanitari 
regionali 
(age.na.s.) - 4. i 
principi enucleati dalla Corte costituzionale in materia di emergenza sanitaria. 


1. il 
Commissario ad acta per 
l�attuazione 
del 
Piano di 
rientro dai 
disavanzi 
del settore sanitario. Natura e funzioni. 
Nel 
nostro ordinamento, il 
potere 
sostitutivo del 
Governo (volto a 
fronteggiare 
eventi 
eccezionali 
che 
non possono essere 
gestiti 
con i 
normali 
strumenti 
operativi 
a 
disposizione 
degli 
enti 
a 
cui 
il 
compito 
� 
affidato) 
ha 
acquisito 
sempre 
maggiore 
rilievo 
e 
importanza. 
Le 
strutture 
commissariali 
che 
si 
insediano nei 
territori 
locali 
sono, infatti, un fenomeno sempre 
pi� frequente, 
vuoi 
per una 
cattiva 
gestione 
nella 
risoluzione 
di 
problematiche 
ine


(*) Alfonso Mezzotero, avvocato dello Stato. 

Daniele 
Sisca, 
dottore 
in 
Giurisprudenza, 
ammesso 
alla 
pratica 
forense 
presso 
l�Avvocatura 
dello 


Stato di Catanzaro. 



RASSEGNA 
AVVOCATuRA 
DELLO 
STATO - N. 1/2017 


renti 
i 
pubblici 
servizi 
(si 
vedano 
a 
riguardo 
i 
diversi 
Commissari 
insediati 
per 
il 
superamento dello stato di 
emergenza 
in materia 
di 
gestione 
e 
smaltimento 
dei 
rifiuti 
solidi 
urbani), vuoi 
per la 
situazione 
economica 
disastrosa 
che 
incombe 
in alcuni 
settori 
pubblici 
(ed � 
il 
caso che 
ci 
riguarda, ovvero i 
Commissari 
per 
l�attuazione 
del 
Piano 
di 
rientro 
dai 
disavanzi 
del 
settore 
sanitario), 


o 
ancora, 
in 
casi 
meno 
frequenti, 
per 
fronteggiare 
situazioni 
del 
tutto 
particolari 
(si 
veda 
il 
Commissario delegato per il 
superamento dell�emergenza 
�Costa 
Concordia� 
sull�isola 
del 
Giglio (1) o i 
Commissari 
nominati 
a 
seguito di 
alluvioni 
(2), terremoti (3) o altre calamit� naturali) (4). 
Nel 
settore 
sanitario, le 
regioni 
in deficit 
- e 
pertanto sottoposte 
al 
Piano 
di 
rientro 
dai 
disavanzi 
del 
settore 
sanitario 
-sono 
ben 
otto: 
Lazio 
(5), 
Abruzzo 
(6), 
Campania 
(7), 
Molise 
(8), 
Sicilia 
(9), 
Calabria 
(10), 
Piemonte 
(11), 
Puglia 
(12). 
Per 
cinque 
di 
esse 
(Abruzzo, 
Calabria, 
Campania, 
Lazio 
e 
Molise) 
� 
stato 
nominato anche 
un commissario ad acta 
per l�attuazione 
del 
Piano. L�origine 
della 
gestione 
commissariale 
nel 
settore 
sanitario 
regionale 
� 
sicuramente 
rinvenibile, 
principalmente, 
nell�art. 
120, 
comma 
2, 
Cost. 
(13) 
e, 
successiva


(1) 
Con 
O.P.C.M. 
n. 
3998/2012 
(in 
www.pa.leggiditalia.it) 
veniva 
nominato 
Commissario 
delegato 
per 
l�emergenza 
�Costa 
Concordia� 
il 
Capo 
Dipartimento 
della 
Protezione 
Civile, 
Franco 
Gabrielli. 
Tra 
i 
compiti 
a 
lui 
attribuiti 
vi 
erano la 
coordinazione 
degli 
interventi 
per superare 
l�emergenza, il 
controllo 
e 
l�esecuzione 
degli 
interventi 
di 
messa 
in sicurezza 
e 
bonifica 
da 
parte 
dell�armatore 
e 
la 
verifica 
che la rimozione del relitto avvenisse in sicurezza. 
(2) Con O.C.D.P.C. n. 298 del 
17 novembre 
2015 (in www.pa.leggiditalia.it) veniva 
nominato il 
Commissario 
Delegato 
per 
l�emergenza 
causata 
dagli 
eventi 
alluvionali 
che 
avevano 
colpito 
il 
territorio 
della Regione Campania nei giorni dal 14 al 20 ottobre 2015. 
(3) L�1 settembre 
2016, il 
Consiglio dei 
Ministri, in una 
seduta 
lampo, ha 
nominato Vasco Errani 
Commissario 
straordinario 
di 
Governo 
per 
la 
ricostruzione 
delle 
aree 
colpite 
dal 
terremoto 
del 
24 
agosto 
2016 nel territorio del Lazio. 
(4) Per un maggiore 
approfondimento si 
veda 
SiSCA, La successione 
degli 
Enti 
Pubblici: il 
caso 
controverso 
del 
Commissario 
delegato 
per 
l�emergenza 
ambientale 
nel 
territorio 
della 
regione 
Calabria, 
in rass. avv. Stato, n. 3/2016, p. 247 ss. 
(5) 
Piano 
di 
rientro 
sottoscritto 
in 
data 
28 
febbraio 
2007 
e 
approvato 
con 
D.G.R. 
n. 
149 
del 
6 
marzo 2007. 
(6) Piano di 
rientro sottoscritto in data 
6 marzo 2007 e 
approvato con D.G.R. n. 224 del 
13 marzo 
2007. 
(7) 
Piano 
di 
rientro 
sottoscritto 
in 
data 
13 
marzo 
2007 
e 
approvato 
con 
D.G.R. 
n. 
460 
del 
20 
marzo 
2007. 
(8) 
Piano 
di 
rientro 
sottoscritto 
in 
data 
27 
marzo 
2007 
e 
approvato 
con 
D.G.R. 
n. 
362 
del 
30 
marzo 
2007. 
(9) Piano di 
rientro sottoscritto in data 
31 luglio 2007 e 
approvato con D.G.R. n. 312 del 
1 agosto 
2007. 
(10) Piano di 
rientro sottoscritto in data 
17 dicembre 
2009 e 
approvato con D.G.R. n. 908 del 
23 
dicembre 2009. 
(11) Piano di 
rientro sottoscritto in data 
29 luglio 2010 e 
approvato con D.G.R. n. 1-415 del 
2 
agosto 2010. 
(12) Piano di 
rientro sottoscritto in data 
29 novembre 
2010 e 
approvato con D.G.R. n. 2624 del 
30 novembre 2010. 
(13) �il 
Governo pu� sostituirsi 
a organi 
delle 
regioni, delle 
Citt� metropolitane, delle 
Province 
e 
dei 
Comuni 
nel 
caso di 
mancato rispetto di 
norme 
e 
trattati 
internazionali 
o della normativa comuni

LEGiSLAziONE 
ED 
ATTuALTi� 


mente, ha 
trovato attuazione 
nel 
d.l. 1 ottobre 
2007, n. 159 (14), convertito in 


l. 
29 
novembre 
2007, 
n. 
222 
(�interventi 
urgenti 
in 
materia 
economico-finanziaria, 
per 
lo sviluppo e 
l'equit� fiscale�) il 
quale 
- a 
seguito delle 
precedenti 
disposizioni 
inerenti 
il 
superamento dello stato di 
emergenza 
in materia 
sanitaria 
e 
l�adozione 
dei 
Piani 
di 
rientro 
-ha 
dettato 
una 
disciplina 
uniforme 
circa 
la 
procedura 
di 
attuazione 
del 
Piano 
di 
rientro 
e 
le 
relative 
conseguenze 
in 
caso di 
inadempimento da 
parte 
delle 
regioni, sino a 
giungere 
a 
quella 
pi� restrittiva 
inerente, appunto, la nomina di un commissario ad acta 
(15). 
Tale 
disposizione 
attribuisce, 
infatti, 
al 
Consiglio 
dei 
Ministri, 
su 
proposta 
del 
Ministro dell�Economia 
e 
delle 
Finanze, di 
concerto con il 
Ministro della 
Salute, 
sentito 
il 
Ministro 
per 
gli 
Affari 
Regionali 
e 
le 
Autonomie 
Locali 
di 
nominare 
- a 
seguito della 
diffida 
prevista 
dal 
comma 
1 - un commissario ad 
acta 
per 
l�intero 
periodo 
di 
vigenza 
del 
Piano 
di 
rientro, 
stabilendo 
inoltre 
che 
gli 
eventuali 
oneri 
derivanti 
dalla 
nomina 
del 
commissario, 
sono 
a 
carico 
della 
regione interessata. 


in merito alla 
natura 
del 
commissario 
ad acta, occorre 
premettere 
che 
la 
struttura 
commissariale 
resta 
pienamente 
autonoma 
e 
distinta 
(anche, ovviamente, 
sul 
piano 
della 
legittimazione 
processuale) 
sia 
dagli 
enti 
territoriali 
competenti 
che 
dalla 
Presidenza 
del 
Consiglio 
dei 
Ministri 
e 
dai 
Ministeri 


taria oppure 
di 
pericolo grave 
per 
l'incolumit� e 
la sicurezza pubblica, ovvero quando lo richiedono la 
tutela 
dell'unit� 
giuridica 
o 
dell'unit� 
economica 
e 
in 
particolare 
la 
tutela 
dei 
livelli 
essenziali 
delle 
prestazioni 
concernenti 
i 
diritti 
civili 
e 
sociali, prescindendo dai 
confini 
territoriali 
dei 
governi 
locali. 
La legge 
definisce 
le 
procedure 
atte 
a garantire 
che 
i 
poteri 
sostitutivi 
siano esercitati 
nel 
rispetto del 
principio di sussidiariet� e del principio di leale collaborazione�. 


(14) in Gazzetta Ufficiale 
n. 229 del 2 ottobre 2007. 
(15) il 
testo completo della 
disposizione 
recita: 
�Qualora nel 
procedimento di 
verifica e 
monitoraggio 
dei 
singoli 
Piani 
di 
rientro, effettuato dal 
Tavolo di 
verifica degli 
adempimenti 
e 
dal 
Comitato 
permanente 
per 
la verifica dei 
livelli 
essenziali 
di 
assistenza, di 
cui 
rispettivamente 
agli 
articoli 
12 e 
9 
dell'intesa Stato-regioni 
del 
23 marzo 2005, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale 
n. 105 del 
7 maggio 
2005, con le 
modalit� previste 
dagli 
accordi 
sottoscritti 
ai 
sensi 
dell'articolo 1, comma 180, della legge 
30 dicembre 
2004, n. 311, e 
successive 
modificazioni, si 
prefiguri 
il 
mancato rispetto da parte 
della regione 
degli 
adempimenti 
previsti 
dai 
medesimi 
Piani, in relazione 
alla realizzabilit� degli 
equilibri 
finanziari 
nella 
dimensione 
e 
nei 
tempi 
ivi 
programmati, 
in 
funzione 
degli 
interventi 
di 
risanamento, 
riequilibrio economico-finanziario e 
di 
riorganizzazione 
del 
sistema sanitario regionale, anche 
sotto il 
profilo amministrativo e 
contabile, tali 
da mettere 
in pericolo la tutela dell'unit� economica e 
dei 
livelli 
essenziali 
delle 
prestazioni, ferme 
restando le 
disposizioni 
di 
cui 
all'articolo 1, comma 796, lettera b), 
della legge 
27 dicembre 
2006, n. 296, il 
Presidente 
del 
Consiglio dei 
ministri, con la procedura di 
cui 
all'articolo 8, comma 1, della legge 
5 giugno 2003, n. 131, su proposta del 
ministro dell'economia e 
delle 
finanze, di 
concerto con il 
ministro della salute, sentito il 
ministro per 
gli 
affari 
regionali 
e 
le 
autonomie 
locali, 
diffida 
la 
regione 
ad 
adottare 
entro 
quindici 
giorni 
tutti 
gli 
atti 
normativi, 
amministrativi, 
organizzativi 
e 
gestionali 
idonei 
a garantire 
il 
conseguimento degli 
obiettivi 
previsti 
nel 
Piano. 2. ove 
la regione 
non adempia alla diffida di 
cui 
al 
comma 1, ovvero gli 
atti 
e 
le 
azioni 
posti 
in essere, valutati 
dai 
predetti 
Tavolo e 
Comitato, risultino inidonei 
o insufficienti 
al 
raggiungimento degli 
obiettivi 
programmati, 
il 
Consiglio dei 
ministri, su proposta del 
ministro dell'economia e 
delle 
finanze, di 
concerto 
con il 
ministro della salute, sentito il 
ministro per 
gli 
affari 
regionali 
e 
le 
autonomie 
locali, nomina un 
commissario ad acta per 
l'intero periodo di 
vigenza del 
singolo Piano di 
rientro. Gli 
eventuali 
oneri 
derivanti dalla nomina del commissario ad acta sono a carico della regione interessata�. 

RASSEGNA 
AVVOCATuRA 
DELLO 
STATO - N. 1/2017 


competenti. il 
Commissario ad acta, pertanto, risulta 
essere 
un centro d�imputazione 
autonomo 
sia 
rispetto 
agli 
enti 
locali 
(i 
cui 
uffici 
operano 
a 
supporto 
organizzativo 
della 
struttura 
commissariale 
in 
relazione 
di 
mero 
avvalimento) 
sia 
rispetto 
alla 
Presidenza 
del 
Consiglio 
dei 
Ministri 
e 
dei 
Ministeri 
interessati, 
stante 
l�autonomia 
operativa, 
decisionale 
ed 
organizzativa 
della 
struttura 
commissariale, 
competendo alla 
Presidenza 
del 
Consiglio il 
solo procedimento di 
nomina 
e 
la 
prodromica 
attivit� 
istruttoria 
relativa 
all�accertamento dei 
presupposti 
per disporre l�intervento sostituivo (16). 

Tale 
impostazione 
� 
stata, 
a 
pi� 
riprese, 
accolta 
dal 
T.A.R. 
Calabria, 
che 
ha 
dichiarato 
il 
difetto 
di 
legittimazione 
passiva 
della 
Presidenza 
del 
Consiglio 
dei 
Ministri 
e 
dei 
Ministeri 
competenti 
ai 
quali 
venivano 
notificati 
i 
ricorsi 
aventi 
ad 
oggetto 
l�impugnazione 
di 
provvedimenti 
del 
commissario 
ad 
acta 
(17). 


Riguardo la 
sua 
funzione, il 
Commissario ad acta - quale 
organo straordinario 
sostitutivo 
degli 
organi 
regionali 
nell�esercizio 
delle 
funzioni 
programmatorie 
ed 
organizzative 
in 
materia 
sanitaria 
-in 
conformit� 
al 
disposto 
dell�art. 
2, 
comma 
3, 
l. 
n. 
191/2009, 
�adotta 
tutte 
le 
misure 
indicate 
nel 
Piano 
di 
rientro, nonch� 
gli 
ulteriori 
atti 
e 
provvedimenti 
normativi, amministrativi, 
organizzativi 
e 
gestionali 
da 
esso 
implicati 
in 
quanto 
presupposti 
o 
comunque 
correlati 
e 
necessari 
alla 
completa 
attuazione 
del 
Piano 
stesso, 
in 
particolare, 
del 
precipuo 
compito 
affidatogli 
inerente 
il 
riassetto 
della 
rete 
ospedaliera 
con adeguati interventi per la dismissione/riconversione dei presidi� 
(18). 

Le 
funzioni 
del 
Commissario, pertanto, per come 
delineate 
nella 
disposizione 
sopra 
citata, 
ricomprendono 
non 
solo 
atti 
specifici 
ed 
espressamente 
scaturenti 
dal 
Piano di 
rientro, ma 
anche 
tutti 
gli 
altri 
provvedimenti 
che 
- anche 
implicitamente 
-sono 
necessari 
per 
la 
corretta 
attuazione 
del 
medesimo 
Piano, 
derivandone 
da 
ci� un�ampissima 
sfera 
di 
azione 
riguardante 
una 
seria 
indefinita 
di 
ambiti 
e 
materie 
inerenti 
il 
settore 
sanitario regionale. in altri 
termini, 
al 
fine 
di 
pervenire 
alla 
completa, pronta 
e 
concreta 
attuazione 
del 
Piano di 
rientro, il 
Commissario � 
investito di 
ampi 
e 
straordinari 
poteri, implicanti 
la 
possibilit� 
di 
adozione 
di 
�ulteriori� 
atti 
(quali, ad esempio, la 
riconversione 
e/o 
riorganizzazione 
delle 
strutture 
di 
assistenza 
e 
dei 
presidi 
ospedalieri), 
che 
non trovano la 
sua 
fonte 
normativa 
in atti 
di 
natura 
legislativa 
regionale 
o nazionale, 
ma 
si 
classificano 
come 
atti 
amministrativi 
generali 
di 
natura 
programmatoria, 
suscettibili 
di 
essere 
modificati 
per 
il 
perseguimento 
degli 
obiettivi del Piano di rientro. 


(16) Cos� in SiSCA, op. cit., pagg. 248-249. 
(17) 
Cfr., 
T.A.R. 
Calabria, 
Catanzaro, 
sez. 
i, 
27 
giugno 
2016, 
n. 
1313 
e 
n. 
1314, 
in 
www.giustizia-amministrativa.it, 
le 
quali 
richiamano 
Cons. 
St., 
sez. 
iii, 
10 
aprile 
2015, 
n. 
1832, 
in 
Banca 
Dati De Jure. 
(18) 
Definizione 
fornita 
da 
T.A.R. 
Calabria, 
Catanzaro, 
sez. 
i, 
17 
novembre 
2016, 
n. 
2238, 
in 
www.giustizia-amministrativa.it, la 
quale 
richiama 
Cons. St., sez. iii, 27 aprile 
2015, n. 2151, in Foro 
amm., 2015, 4, 1048. 

LEGiSLAziONE 
ED 
ATTuALTi� 


2. il 
Piano di 
rientro dai 
disavanzi 
del 
settore 
sanitario della regione 
Calabria. 
Natura e scopi. 
L�art. 
1, 
comma 
180, 
l. 
n. 
311/2004 
(19) 
ha 
previsto 
la 
possibilit�, 
per 
le 
Regioni 
che 
presentavano 
situazioni 
di 
squilibrio 
economico-finanziario 
e 
di 
mancato 
mantenimento 
dei 
Livelli 
Essenziali 
di 
Assistenza 
(LEA), 
di 
elaborare 
un 
programma 
operativo 
di 
riorganizzazione, 
riqualificazione 
o 
potenziamento 
del 
servizio 
sanitario 
regionale 
da 
sottoscrivere, 
con 
apposito 
Accordo, 
con 
il 
Ministero 
dell�Economia 
e 
delle 
Finanze 
e 
con 
il 
Ministero 
della 
Salute. 
Con 
tale 
Accordo 
venivano 
individuati 
gli 
interventi 
necessari 
per 
il 
perseguimento 
dell�equilibrio 
economico 
nel 
rispetto 
dei 
LEA 
e 
gli 
adempimenti 
previsti 
dalla 
successiva 
intesa 
fra 
Governo 
e 
Regioni, 
siglata 
il 
23 
marzo 
2005 
(20). 


Con 
tale 
intesa, 
infatti, 
sono 
stati 
individuati 
una 
serie 
di 
adempimenti 
organizzativi 
e 
gestionali 
in linea 
con i 
precedenti 
provvedimenti 
e 
accordi 
di 
contenimento 
della 
spesa. 
Tra 
questi 
occorre 
far 
cenno 
alle 
nuove 
forme 
di 
controllo per migliorare 
il 
monitoraggio della 
spesa 
sanitaria 
nell�ambito del 
nuovo 
sistema 
informativo 
(NSiS), 
la 
razionalizzazione 
della 
rete 
ospedaliera 
e 
tutta 
una 
serie 
di 
meccanismi 
procedurali 
e 
di 
controllo 
da 
attuare 
per 
il 
contenimento 
della spesa pubblica (21). 

Successivamente, l�art. 1, commi 
274 e 
ss., l. n. 266/2005 (22) ha 
confermato 
gli 
obblighi 
posti 
a 
carico delle 
Regioni 
e 
ha 
previsto, inoltre, l�istituzione 
di 
un 
sistema 
nazionale 
di 
verifica 
e 
controllo 
dell�assistenza 
sanitaria 
(SiVEAS) 
che 
si 
avvale 
delle 
funzioni 
svolte 
dal 
nucleo 
di 
supporto 
per 
le 
analisi 
delle 
disfunzioni 
e 
la 
revisione 
organizzativa 
(SAR), 
il 
quale 
ha 
il 
compito 
di 
verificare 
che 
i 
finanziamenti 
siano 
tradotti 
in 
servizi 
ai 
cittadini 
secondo 
criteri di efficienza e appropriatezza. 

L�intesa 
del 
5 ottobre 
2006 ha 
recepito, poi, il 
�Patto della Salute�, accordo 
di 
tipo 
finanziario 
per 
il 
triennio 
2007/2009, 
con 
la 
previsione 
di 
un 
fondo 
transitorio 
per 
le 
Regioni 
con 
elevati 
disavanzi 
ed 
un 
accordo 
normativo 
e programmatico volto alla riorganizzazione del settore sanitario (23). 


il 
Piano 
di 
rientro, 
quindi, 
nasce 
da 
una 
necessit� 
di 
ristabilire 
l�equilibrio 
economico-finanziario delle 
Regioni 
interessate 
e 
-sulla 
base 
della 
ricognizione 
regionale 
delle 
cause 
che 
hanno 
determinato 
strutturalmente 
l�emersione 


(19) Legge Finanziaria del 2005. 
(20) 
intesa 
ai 
sensi 
dell�art. 
8, 
comma 
6, 
l. 
5 
giugno 
2003, 
n. 
131, 
in 
attuazione 
dell�art. 
1, 
comma 
173, l. n. 30 dicembre 
2004, n. 311, in Gazzetta Ufficiale, Serie 
Generale, n. 105 del 
7 maggio 2005 -
Suppl. ordinario 
n. 83. 
(21) Punto 2 del 
Piano di 
rientro dai 
disavanzi 
del 
settore 
sanitario nel 
territorio della 
Regione 
Calabria. 
(22) Legge Finanziaria del 2006. 
(23) 
L�intesa 
� 
stata 
recepita 
dalla 
Finanziaria 
2007 
che 
ha 
disciplinato 
i 
Piani 
di 
rientro 
e 
l�attivit� 
di affiancamento da parte dei Ministeri. 

RASSEGNA 
AVVOCATuRA 
DELLO 
STATO - N. 1/2017 


di 
significativi 
disavanzi 
di 
gestione 
-individua 
e 
affronta 
selettivamente 
le 
diverse problematiche emerse in ambito regionale (24). 


Tra 
gli 
obiettivi 
pi� 
significativi 
elencati 
nel 
Piano 
di 
rientro 
calabrese 
figurano 
l�adozione 
del 
provvedimento 
di 
riassetto 
della 
rete 
ospedaliera, 
quello 
di 
riassetto della 
rete 
dell�emergenza 
urgenza 
e 
della 
rete 
di 
assistenza 
territoriale 
(in coerenza 
con quanto specificatamente 
previsto dal 
Patto per la 
salute 
2014-2016), 
la 
razionalizzazione 
e 
il 
contenimento 
della 
spesa 
per 
il 
personale 
e 
per l�acquisto di 
beni 
e 
servizi, interventi 
sulla 
spesa 
farmaceutica 
convenzionata 
ed ospedaliera 
al 
fine 
di 
garantire 
il 
rispetto dei 
vigenti 
tetti 
di 
spesa 
previsti 
dalla 
normativa 
nazionale, 
la 
definizione 
dei 
contratti 
con 
gli 
erogatori 
privati 
accreditati 
e 
dei 
tetti 
di 
spesa 
delle 
relative 
prestazioni 
con 
l�attivazione, 
in caso di 
mancata 
stipulazione 
del 
contratto, di 
quanto prescritto dall�art. 8quinquies, 
comma 
2-quinquies, d.lgs. 30 dicembre 
1992, n. 502 (25) e 
ridefinizione 
delle 
tariffe 
delle 
prestazioni 
sanitarie 
(nel 
rispetto di 
quanto disposto 
dall�art. 15, comma 
17, decreto-legge 
n. 95 del 
2012, convertito, con modificazioni, 
dalla 
l. 
n. 
135 
del 
2012 
(26)), 
il 
completamento 
del 
riassetto 
della 
rete 
laboratoristica 
e 
di 
assistenza 
specialistica 
ambulatoriale, 
l�attuazione 
della 
normativa statale in materia di autorizzazioni e accreditamenti istituzionali. 


in 
particolare, 
tra 
gli 
scopi 
sopra 
elencati, 
di 
particolare 
rilievo 
sono 
quelli 
la 
cui 
attuazione 
� 
suscettibile 
di 
comportare 
oneri 
di 
vario 
genere 
per 
le 
strutture 
sanitarie 
private; 
in questo senso, possono citarsi 
la 
limitazione 
dei 
tetti 
di 
spesa 
per l�acquisto di 
prestazioni 
da 
soggetti 
privati, la 
riorganizzazione 
della 
rete 
laboratoristica 
che 
prevedeva 
l�accorpamento 
tra 
i 
laboratori 
che 
non 
raggiungevano una 
soglia 
minima 
di 
prestazioni 
annue 
ed anche, pur se 
rilevante 
dal 
punto 
di 
vista 
collettivo 
e 
non 
dei 
singoli 
soggetti 
accreditati, 
la 
riorganizzazione 
della 
rete 
ospedaliera, 
con 
la 
chiusura 
e/o 
l�accorpamento 
di 
presidi ospedalieri presenti sul territorio calabrese. 


Ovviamente, si 
tratta 
di 
limiti 
che 
esprimono un impegno delle 
parti 
pri


(24) 
SANiT-Forum 
internazionale 
della 
Salute 
"i 
Piani 
di 
rientro: 
opportunit� 
e 
prospettive�, 
Documento 
di 
sintesi 
attivit� 
SiVeaS-Ministero 
della 
Salute 
Dipartimento 
qualit�, 
�Programmazione 
sanitaria, 
livelli di assistenza e principi etici di sistema� ufficio X 
�SiVeaS�. 
(25) �in caso di 
mancata stipula degli 
accordi 
di 
cui 
al 
presente 
articolo, l�accreditamento istituzionale 
di 
cui 
all�articolo 8-quater 
delle 
strutture 
e 
dei 
professionisti 
eroganti 
prestazioni 
per 
conto 
del Servizio sanitario nazionale interessati � sospeso�. 
(26) �Gli 
importi 
tariffari, fissati 
dalle 
singole 
regioni, superiori 
alle 
tariffe 
massime 
di 
cui 
al 
presente 
articolo 
restano 
a 
carico 
dei 
bilanci 
regionali. 
Tale 
disposizione 
si 
intende 
comunque 
rispettata 
dalle 
regioni 
per 
le 
quali 
il 
Tavolo di 
verifica degli 
adempimenti, istituito ai 
sensi 
dell'articolo 12 del-
l'intesa sancita dalla Conferenza permanente 
per 
i 
rapporti 
tra lo Stato, le 
regioni 
e 
le 
Province 
autonome 
di 
Trento 
e 
Bolzano 
nella 
seduta 
del 
23 
marzo 
2005, 
abbia 
verificato 
il 
rispetto 
dell'equilibrio 
economico-finanziario del 
settore 
sanitario, fatto salvo quanto specificatamente 
previsto per 
le 
regioni 
che 
hanno sottoscritto l�accordo di 
cui 
all'articolo 1, comma 180, della legge 
30 dicembre 
2004, n. 311 
e 
successive 
modificazioni 
su un programma operativo di 
riorganizzazione, di 
riqualificazione 
o di 
potenziamento 
del 
Servizio sanitario regionale, per 
le 
quali 
le 
tariffe 
massime 
costituiscono un limite 
invalicabile�. 

LEGiSLAziONE 
ED 
ATTuALTi� 


vate 
contraenti 
finalizzato al 
rispetto ed accettazione 
dei 
vincoli 
di 
spesa 
derivanti 
da 
un contesto emergenziale 
come 
quello calabrese. Difatti, non pu� 
tralasciarsi 
di 
considerare 
che 
il 
Piano di 
rientro implica 
l�applicazione 
di 
disciplina 
speciale 
rispetto 
a 
quella 
ordinaria 
in 
materia 
di 
sanit�, 
di 
talch� 
la 
seconda 
viene 
soppiantata 
dalla 
prima, 
con 
tutte 
le 
conseguenze 
che 
ne 
derivano. 
il 
che 
trova 
conferma 
in 
diverse 
decisioni 
del 
T.A.R. 
Calabria 
(tutte 
rifacentesi 
ai 
principi 
espressi 
da 
Cons. 
St., 
sez. 
iii, 
25 
marzo 
2016, 
n. 
1244 
(27)), 
secondo 
cui 
�la specialit� della normativa emergenziale 
rispetto alla normativa ordinaria, 
con 
la 
conseguenza 
che 
tali 
norme 
-volte 
a 
ripristinare 
l�equilibrio 
economico 
finanziario 
del 
sistema 
sanitario 
regionale 
-esitano 
necessariamente 
nell�adozione 
di 
provvedimenti 
autoritativi 
e 
vincolanti 
per 
le 
strutture 
sanitarie 
accreditate� 
(28). 
Mediante 
siffatti 
provvedimenti 
viene 
imposto 
alle 
stesse 
strutture 
un 
sacrificio 
giustificato 
dall�attuazione 
del 
Piano 
di 
rientro 
dai 
disavanzi, il 
quale 
non sarebbe 
attuabile 
se 
non con la 
rimodulazione 
e 
la 
riorganizzazione 
delle 
risorse 
pubbliche 
assegnate 
alle 
medesime 
strutture. 
Ne 
consegue 
che 
la 
natura 
ampiamente 
discrezionale 
delle 
scelte 
operate 
dal 
commissario 
ad acta 
per il 
raggiungimento dei 
suoi 
obiettivi 
limita 
e 
circoscrive 
l�ambito 
del 
sindacato 
giurisdizionale 
ai 
soli 
profili 
di 
evidente 
illogicit�, 
contraddittoriet�, 
ingiustizia manifesta, arbitrariet� o irragionevolezza. 

3. Le tipologie di ricorsi esaminati dal T.a.r. Calabria. 
Ben 80 sono state 
le 
sentenze 
di 
merito emesse 
nel 
2016 in seguito alla 
discussione 
in diverse 
udienze 
tematiche 
fissate 
dal 
Presidente 
del 
T.A.R. Calabria 
per la trattazione congiunta di tali ricorsi. 

Le 
prime 
questioni 
poste 
all�esame 
del 
Collegio 
avevano 
ad 
oggetto 
i 


D.C.A. n. 78 e 
92 del 
2015, inerenti 
l�approvazione 
dello schema 
di 
accordo 
contrattuale 
con 
gli 
erogatori 
privati 
accreditati 
oltre 
che 
i 
ricorsi 
avverso 
i 
D.C.A. 
n. 
80 
e 
85 
del 
2015 
inerenti 
la 
determinazione 
dei 
tetti 
di 
spesa 
per 
l�acquisto di prestazioni da soggetti privati accreditati (29). 
Successivamente, 
particolare 
attenzione 
� 
stata 
posta 
ai 
provvedimenti 
di 
determinazione 
dei 
tetti 
di 
spesa 
sulla 
base 
del 
c.d. 
�criterio 
storico� 
(a 
seguito 
di 
un ricorso presentato dall�Autorit� 
Garante 
per la 
Concorrenza 
ed il 
Mercato) 
oltre 
che 
sulla 
riorganizzazione 
della 
rete 
laboratoristica 
e 
ospedaliera 
pubblica e privata. 


(27) in Banca Dati De Jure. 
(28) Sul punto, si v. T.A.R. Calabria, Catanzaro, sez. i, 29 giugno 2016, n. 1324, in 
www.giustizia-amministrativa.it., nella 
quale 
si 
legge 
che 
�il 
carattere 
vincolato dei 
provvedimenti 
attuativi 
del 
Piano di 
rientro e 
la loro natura di 
provvedimenti 
generali 
di 
programmazione 
finanziaria, 
giustificano la prevalenza della normativa emergenziale 
dalla legislazione 
regionale 
e 
nazionale 
(cfr. 
punti 8.8. 8.19 parte motiva sent. Cons. St. 1244/2016)�. 
(29) Di 
analogo contenuto vi 
sono i 
D.C.A. n. 25 e 
27 del 
2016, i 
quali 
si 
differenziano con quelli 
appena richiamati in quanto fanno riferimento all�anno successivo (2016). 

RASSEGNA 
AVVOCATuRA 
DELLO 
STATO - N. 1/2017 


in 
tutti 
questi 
ricorsi 
era, 
principalmente, 
dedotta 
la 
violazione 
dei 
principi 
costituzionali 
contenuti 
nell�art. 32 e 
nell�art. 97 Cost. (e 
in alcuni 
casi 
anche 
dell�art. 113 Cost.), la 
violazione 
del 
d.lgs. n. 502/1992 (30), di 
diverse 
leggi 
regionali 
tra 
cui 
la 
l. reg. n. 24/2008 (e 
il 
relativo regolamento n. 13/2008) e 
la 
l. 
reg. 
n. 
9/1984, 
diversi 
Decreti 
del 
Ministro 
della 
Salute 
oltre 
l�illegittimit� 
per eccesso di potere nelle pi� svariate forme sintomatiche. 


La 
lesione 
lamentata 
dalle 
strutture 
sanitarie 
ricorrenti 
era 
incentrata 
sulla 
limitazione 
della 
loro 
attivit� 
derivante, 
da 
un 
lato, 
da 
obblighi 
contrattuali 
impartiti 
-a 
loro 
dire 
-in 
maniera 
irragionevole 
e 
arbitraria 
(con 
l�apposizione 
di 
clausole 
- prime 
fra 
tutte 
la 
c.d. �clausola 
di 
salvaguardia� 
di 
cui 
all�art. 14 
dello schema 
contrattuale 
approvato con D.C.A. n. 92/2015 - che 
andavano a 
limitare 
l�attivit� 
economica 
oltre 
che 
il 
diritto di 
difesa 
delle 
medesime), dal-
l�altro, 
sulla 
riduzione 
dei 
tetti 
di 
spesa 
per 
le 
prestazioni 
acquistate 
dal 
Sistema 
Sanitario Regionale. 


Discorso a 
parte, invece, per i 
ricorsi 
avverso i 
Decreti 
di 
riordino della 
rete 
ospedaliera 
pubblica, 
in 
tal 
caso 
i 
ricorrenti 
(Comuni 
o 
comitati 
civici) 
lamentavano 
la 
lesione 
del 
diritto alla 
salute 
di 
ogni 
singolo cittadino, lo sviamento 
dell�interesse 
pubblico, 
l�impatto 
devastante 
per 
il 
tessuto 
sociale 
di 
tali 
scelte 
e 
il 
depotenziamento della 
rete 
ospedaliera 
con grave 
disagio per le 
popolazioni interessate dal ridimensionamento. 


Da 
ultimo, occorre 
menzionare 
un particolare 
giudizio in cui 
a 
ricorrere 
era 
la 
Regione 
Calabria 
(ente 
competente 
in 
via 
ordinaria 
in 
materia 
sanitaria), 
che, 
nell�occasione, 
impugnava 
il 
decreto 
del 
Commissario 
ad 
acta 
n. 
46/2016 
(successivamente 
modificato 
con 
il 
D.C.A. 
n. 
58/2016) 
di 
approvazione 
di 
una 
convenzione 
tra 
il 
Commissario ad acta 
e 
l�Age.na.s. (Agenzia 
Nazionale 
per 
i Servizi Sanitari Regionali). 

in tale 
giudizio, il 
T.A.R. calabrese 
� 
stato chiamato a 
pronunciarsi 
sulla 
specifica 
questione 
se 
- avendo la 
gestione 
commissariale 
attratto a 
s� 
tutte 
le 
funzioni 
attribuite 
all�ente 
regionale 
in via 
ordinaria 
-poteva 
o meno configurarsi 
in capo alla 
medesima 
regione 
l�interesse 
ad agire 
avverso i 
provvedimenti 
commissariali. 


La 
trattazione 
delle 
pronunce 
avverso i 
decreti 
del 
Commissario ad acta 
pu� suddividersi, come di seguito si vedr�, in cinque filoni principali. 

3.1. Sulle limitazioni contrattuali per le strutture sanitarie. 
La 
questione 
qui 
prospettata 
prende 
le 
mosse 
dal 
D.C.A. 
n. 
78/2015 
avente 
ad 
oggetto 
�approvazione 
dello 
schema 
tipo 
di 
accordo 
contrattuale 
con 
gli 
erogatori 
privati 
accreditati� 
successivamente 
modificato 
dal 
D.C.A. 
n. 
92/2015. 


(30) La 
prima 
legge 
che 
riforma 
in maniera 
organica 
il 
sistema 
sanitario nazionale 
e 
regionale, 
perseguendo, 
principalmente, 
tre 
principi: 
l�aziendalizzazione, 
l�orientamento 
al 
�mercato�, 
la 
distribuzione 
di responsabilit� alle regioni. 

LEGiSLAziONE 
ED 
ATTuALTi� 


inizialmente, 
la 
parte 
impugnata 
prevedeva 
che 
�sono 
considerate 
inammissibili 
� 
riserve 
in ordine 
alla proposta contrattuale 
cos� 
come 
formulata 
dall�aSP 
competente 
per 
territorio� 
nonch� 
nella 
parte 
in 
cui 
stabiliva 
che 
�in 
caso 
di 
contestazioni 
manifestate 
successivamente 
alla 
stipula 
del 
contratto, 
sar� 
avviata 
nei 
confronti 
dell�erogatore 
interessato 
la 
procedura 
di 
sospensione 
dell�accreditamento in applicazione 
dell�art. 8, comma 2-quinques, 
d.lgs. n. 502/1992�. 


Con 
decreto 
presidenziale 
emesso 
ai 
sensi 
dell�art. 
56 
c.p.a., 
a 
seguito 
dei 
primi 
ricorsi 
presentati, il 
D.C.A. n. 78/2015 veniva 
sospeso nella 
parte 
in cui 
disponeva 
l�inammissibilit� 
di 
riserve 
in ordine 
alla 
proposta 
contrattuale 
formulata 
dall�ASP. 


A 
seguito di 
tale 
sospensione, il 
Commissario ad acta 
emanava 
il 
D.C.A. 


n. 92/2015 con cui 
disponeva 
la 
sostituzione 
dello schema 
contratto/accordo 
e 
l�espunzione, 
nella 
parte 
dispositiva 
del 
D.C.A. 
n. 
78/2015, 
dei 
periodi 
sopra 
riportati. 
Ci� 
nonostante, 
le 
strutture 
che 
avevano 
impugnato 
quest�ultimo 
provvedimento 
proponevano 
motivi 
aggiunti 
avverso 
il 
D.C.A. 
n. 
92/2015 
(31), 
assumendone 
l�illegittimit� 
nella 
parte 
in 
cui 
prevedeva 
(32) 
�in 
caso 
di 
mancata 
sottoscrizione 
del 
presente 
accordo sar� avviata la procedura di 
sospensione 
dell�accreditamento 
ai 
sensi 
dell�art. 
8, 
comma 
2-quinques, 
d.lgs. 
n. 
5012/1992�, nella 
parte 
in cui 
disponeva 
(33) che 
�con la sottoscrizione 
del-
l�accordo la struttura accetta espressamente, completamente 
ed incondizionatamente 
il 
contenuto 
e 
gli 
effetti 
dei 
provvedimenti 
di 
determinazione 
dei 
tetti 
di 
spesa, di 
determinazione 
delle 
tariffe 
e 
ogni 
altro atto agli 
stessi 
collegato 
o 
presupposto, 
in 
quanto 
atti 
che 
determinano 
il 
contenuto 
del 
contratto� 
oltre 
che 
nella 
parte 
in cui 
prevedeva 
che 
�con la sottoscrizione 
del 
presente 
contratto 
la 
struttura 
rinuncia 
alle 
azioni 
gi� 
intraprese 
avverso 
i 
predetti 
provvedimenti 
ovvero ai 
conteziosi 
instaurabili 
contro provvedimenti 
gi� adottati e conoscibili�. 


Nei 
ricorsi 
per 
motivi 
aggiunti 
le 
ricorrenti 
sostenevano 
che 
-pur 
essendo 
state 
espunte 
le 
clausole 
oggetto 
di 
contestazione 
-le 
stesse 
sarebbero 
state 
sostituite 
con altre 
altrettanto lesive 
che, in concreto, conducevano al 
medesimo 
obiettivo a cui giungevano quelle sostituite. 

(31) D�altronde, per coloro che 
volevano giungere 
ad una 
pronuncia 
sulla 
questione 
si 
rendeva 
necessaria 
la 
proposizione 
di 
motivi 
aggiunti 
in quanto l�emanazione 
del 
D.C.A. n. 92/2015 aveva 
prodotto 
la 
cessazione 
della 
materia 
del 
contendere 
nei 
giudizi 
avverso il 
D.C.A. n. 78/2016. A 
proposito, 
si 
veda 
T.A.R. Calabria, sez. i, 27 giugno 2016, n. 1312, in www.giustizia-amministrativa.it, con cui 
veniva 
dichiarata, appunto, la 
cessazione 
della 
materia 
del 
contendere 
ex 
art. 34, comma 
5, c.p.a. �per 
effetto 
del 
sopravvenuto decreto n. 92/2015 con cui 
� 
stato modificato il 
decreto oggetto di 
impugnazioni, 
proprio nelle parti in contestazione ed in senso satisfattivo per gli interessati�. 
(32) Art. 4, comma 10 dello schema di contratto/accordo. 
(33) Art. 14, comma 1 ed 1-bis 
dello schema di contratto/accordo. 

RASSEGNA 
AVVOCATuRA 
DELLO 
STATO - N. 1/2017 


La 
prima 
sentenza 
depositata 
su questo filone 
di 
ricorsi 
� 
stata 
la 
n. 1039 
del 
16 maggio 2016 (34) con la 
quale 
il 
T.A.R. ha 
sostenuto che 
le 
clausole 
oggetto di 
contestazione, in realt�, non vietavano a 
priori 
qualunque 
riserva 
ma, di 
contro, individuano in modo definito gli 
obblighi 
che 
il 
contraente 
assumeva 
con la stipula del contratto. 

Ci� 
soprattutto 
ove 
si 
consideri 
che, 
tale 
statuizione 
rinviene 
il 
proprio 
fondamento nella 
circostanza 
che 
il 
rapporto Commissario/Strutture 
si 
fonda 
sul 
rispetto di 
un determinato regolamento contrattuale 
il 
cui 
contenuto � 
stabilito 
mediante 
atti 
autoritativi 
(quali, appunto, il 
D.C.A. n. 92/2015), attraverso 
i 
quali 
vengono definite 
la 
misura 
e 
le 
modalit� 
di 
distribuzione 
delle 
risorse 
disponibili; 
a 
maggior 
ragione, 
nei 
casi 
in 
cui 
la 
contrattazione 
non 
avviene 
nell�ambito di 
un libero mercato ma 
di 
un panorama 
caratterizzato dal-
l�estrema 
limitatezza 
delle 
risorse 
in 
relazione 
sia 
all�ampiezza 
dei 
bisogni 
cui 
si 
deve 
far fronte, sia 
all�esigenza 
di 
porre 
riparo ad uno squilibrio finanziario 
maturato nel corso degli anni (35). 


in ogni 
caso, a 
prescindere 
da 
tali 
argomentazioni 
inerenti 
la 
necessit� 
e 
(pi� 
che 
altro) 
la 
ragionevolezza 
di 
tali 
clausole, nelle 
sentenze 
in 
esame 
il 
Collegio affronta 
alcuni 
argomenti 
di 
matrice 
civilistica 
riguardanti 
la 
disciplina 
dei 
rapporti 
negoziali. 
in 
particolare, 
afferma 
che 
�l�inserimento 
di 
clausole 
del 
genere 
non 
� 
di 
per 
s� 
in 
contrasto 
con 
lo 
strumento 
contrattuale, 
restando pur 
sempre 
alla scelta dell�operatore 
quella di 
sottoscrivere 
o meno 
il 
contratto, come 
avviene 
del 
resto, nell�esperienza quotidiana dei 
rapporti 
contrattuali 
con imprenditori, anche 
in settori 
cruciali, quali 
quello bancario 
e 
assicurativo�. 
Difatti, 
si 
tratta 
pur 
sempre 
di 
un�opzione 
offerta 
al 
contraente 
privato, 
il 
quale, 
laddove 
non 
ritenga 
opportuna 
la 
sua 
sottoscrizione 
pu� 
sempre 
astenersi 
dal 
sottoscriverlo e, di 
conseguenza, decidere 
di 
non avere 
accesso 
al 
regime 
di 
accreditamento 
con 
il 
Sistema 
Sanitario 
Nazionale 
e 
Regionale, senza 
che 
ulteriori 
vincoli 
e 
pregiudizi 
possano riservarsi 
sulla 
sua 
attivit� economica privata. 


ulteriore 
aspetto 
esaminato 
dal 
T.A.R. 
in 
tali 
giudizi 
� 
quello 
concernente 
la 
previsione 
(contenuta 
nella 
clausola 
di 
cui 
all�art. 
4, 
comma 
10 
dello 
schema 
di 
contratto/accordo) 
in 
caso 
di 
mancata 
sottoscrizione 
dell�accordo, 
dell�avvio 
della procedura di sospensione dell�accreditamento. 


(34) 
A 
cui 
hanno 
fatto 
seguito 
T.A.R. 
Calabria, 
Catanzaro, 
16 
maggio 
2016, 
n. 
1040; 
id., 
1 
giugno 
2016, 
n. 
1136; 
id., 
20 
luglio 
2016, 
n. 
1538; 
id., 
27 
giugno 
2016, 
n. 
1314 
cit.; 
id., 
16 
giugno 
2016, 
n. 
1251; 
id., 
n. 
1252; 
id., 
29 
giugno 
2016, 
n. 
1337; 
id., 
20 
luglio 
2016, 
n. 
1557, 
tutte 
in 
www.giustizia-amministrativa.it. 
(35) Con tale 
motivazione, riportata 
anche 
in tutte 
le 
successive 
sentenze 
inerenti 
questo filone, 
il 
T.A.R. 
calabrese 
ha 
sottolineato 
che 
la 
situazione 
emergenziale 
in 
cui 
la 
Regione 
Calabra 
versa 
implica, 
necessariamente, 
l�imposizione 
di 
vincoli 
e 
sacrifici 
per 
gli 
erogatori 
privati 
accreditati. 
Vincoli 
che 
sono, in ogni 
caso, funzionali 
all�esigenza 
di 
garantire 
una 
programmazione 
sanitaria 
equa 
ed efficiente 
e, allo stesso tempo, di 
perseguire 
l�opera 
di 
contenimento della 
spesa 
pubblica 
all�interno dell�intero 
territorio regionale. 

LEGiSLAziONE 
ED 
ATTuALTi� 


Sul 
punto, 
il 
T.A.R. 
non 
si 
� 
specificamente 
intrattenuto, 
trattandosi 
di 
un 
aspetto 
gi� 
specificamente 
previsto 
dalla 
legge 
(art. 
8-quinques, 
d.lgs. 
n. 
502/1992 (36), la 
cui 
applicazione 
esclude 
che 
tale 
clausola 
possa 
essere 
considerata 
illegittima) (37). 

Particolarmente 
significative 
sono le 
argomentazioni 
concernenti 
l�ulteriore 
clausola 
contenuta 
nell�art. 
14 
dello 
schema 
di 
contratto/accordo 
(c.d. 
�clausola 
di 
salvaguardia�) inerente 
la 
rinuncia 
alle 
azioni 
gi� 
intraprese 
avverso 
i 
provvedimenti 
in materia 
di 
tetti 
di 
spesa 
oltre 
che 
ai 
contenziosi 
instaurabili 
contro i provvedimenti gi� adottati e conoscibili. 

Le 
parti 
ricorrenti 
lamentavano 
l�illegittimit� 
di 
tale 
clausola 
in 
quanto 
la 
stessa 
avrebbe 
limitato la 
loro tutela 
giurisdizionale 
con conseguente 
violazione 
dell�art. 113 Cost. 


il 
T.A.R. ha 
osservato, innanzitutto, che 
non pu� esservi 
lesione 
dell�art. 
113 Cost., in quanto non viene 
esclusa 
la 
sottoposizione 
ad impugnazione 
di 
una 
determinata 
categoria 
di 
atti 
definita 
in astratto bens� 
ad atti 
riferibili 
alla 
sola 
sottoscrizione 
dell�accordo. il 
Collegio, tuttavia, non ha 
mancato di 
evidenziare 
l�ambiguit� 
e 
l�imprecisione 
della 
clausola 
nella 
parte 
in cui 
prevede 
la 
rinuncia 
ai 
contenziosi 
instaurabili 
contro 
i 
provvedimenti 
gi� 
adottati 
e 
conoscibili 
- la 
quale 
potrebbe 
alludere 
ad effetti 
coinvolgenti 
anche 
provvedimenti 
sconosciuti 
-senza 
che, 
tuttavia, 
ci� 
implichi 
automaticamente 
l�illegittimit� 
del 
provvedimento, 
dovendo, 
in 
ogni 
caso, 
la 
clausola 
essere 
interpretata 
secondo i consueti canoni ermeneutici. 

Pertanto, 
una 
clausola 
che 
implicasse 
l�esclusione 
della 
tutela 
giurisdizionale 
di 
atti 
non 
conosciuti 
non 
produrrebbe 
alcun 
effetto, 
in 
quanto 
in 
contrasto 
con 
norme 
imperative 
e 
sarebbe, 
quindi, 
affetta 
da 
nullit� 
ai 
sensi 
degli 
artt. 
1418 
e 
1419 
c.c., 
rilevabile 
anche 
d�ufficio 
in 
ogni 
stato 
e 
grado 
del 
giudizio. 


infine, in tali 
sentenze, viene 
fatto esplicito riferimento ad una 
pronuncia 
del 
Consiglio di 
Stato (38) la 
quale, con riferimento ad analoghe 
clausole 
im


(36) �in caso di 
mancata stipula degli 
accordi 
di 
cui 
al 
presente 
articolo, l�accreditamento istituzionale 
di 
cui 
all'articolo 8-quater 
delle 
strutture 
e 
dei 
professionisti 
eroganti 
prestazioni 
per 
conto 
del Servizio sanitario nazionale interessati � sospeso�. 
(37) 
in 
realt� 
il 
T.A.R. 
calabrese 
si 
era 
gi� 
espresso 
in 
materia 
di 
sospensione 
dell�accreditamento 
per 
mancata 
sottoscrizione 
degli 
accordi: 
cfr., 
T.A.R. 
Calabria, 
Catanzaro, 
24 
gennaio 
2013, 
n. 
72, 
in 
www.giustizia-amministrativa.it, 
nella 
quale 
veniva 
affermato 
che: 
�La 
sospensione 
dell'accreditamento 
� 
una 
conseguenza 
automatica 
della 
mancata 
stipula 
degli 
accordi, 
che 
segue 
ex 
lege 
ad 
essa, 
senza 
che 
alcuna 
valutazione 
discrezionale 
sia 
riservata 
all'amministrazione. 
Nel 
sistema 
dell'accreditamento 
con 
il 
S.s.n. 
delle 
strutture 
private, 
l�assenza 
della 
sottoscrizione 
degli 
accordi 
di 
cui 
all'art. 
8-quinquies, 
d.lg. 
30 
dicembre 
1992 
n. 
502, 
a 
prescindere 
dall'imputabilit� 
del 
mancato 
accordo 
all'una 
o 
all'altra 
parte, 
comporta 
che 
l�attivit� 
sanitaria 
non 
pu� 
essere 
esercitata 
per 
conto 
e 
a 
carico 
del 
S.s.n. 
L�art. 
8-quinquies, 
d.lg. 
n. 
502 
del 
1992, 
infatti, 
pone 
il 
rapporto 
di 
accreditamento 
su 
base 
saldamente 
negoziale, 
con 
la 
conseguenza 
che 
l'acquisto 
delle 
prestazioni 
sanitarie 
da 
parte 
dell'amministrazione 
presuppone 
la 
stipulazione 
dell'accordo 
contrattuale: 
la 
struttura 
sanitaria 
che 
vuole 
operare 
nell�ambito 
del 
S.s.n. 
ha 
quindi 
l�onere, 
non 
solo 
di 
conseguire 
l'accreditamento, 
ma 
anche 
di 
stipulare 
l'accordo 
contrattuale�. 
(38) Cons. St., sez. iii, 26 febbraio 2015, ord. n. 906, in www.giustizia-amministrativa.it. 

RASSEGNA 
AVVOCATuRA 
DELLO 
STATO - N. 1/2017 


poste 
dal 
Commissario 
ad 
acta 
della 
Regione 
Abbruzzo, 
ha 
affermato 
che 
�a) 
si 
� 
in presenza di 
oggettivi 
vincoli 
e 
stati 
di 
necessit� rigorosamente 
quantitativi 
conseguenti 
al 
Piano 
di 
rientro 
al 
cui 
rispetto 
la 
regione 
� 
tenuta 
ai 
sensi 
della normativa vigente 
confermata da una consolidata e 
univoca giurisprudenza 
della Corte Costituzionale. 

b) 
Gli 
operatori 
privati 
non 
possono 
ritenersi 
estranei 
a 
tali 
vincoli 
e 
stati 
di 
necessit�, 
che 
derivano 
da 
flussi 
di 
spesa 
che 
hanno 
determinato 
in 
passato 
uno stato di 
disavanzo eccessivo nella regione 
e 
che 
riguardano l�essenziale 
interesse 
pubblico alla corretta e 
appropriata fornitura del 
primario servizio 
della salute 
alla popolazione 
della medesima regione 
per 
la quale 
gli 
stessi 
operatori sono dichiaratamente impegnati; 


c) 
le 
autorit� 
competenti 
operano 
in 
diretta 
attuazione 
delle 
esigenze 
cogenti 
del 
Piano 
di 
rientro 
e 
del 
Programma 
operativo 
per 
tutti 
gli 
aspetti 
quantitativi 
e 
pertanto, 
i 
medesimi 
non 
sono 
sostanzialmente 
negoziabili 
dalle 
parti 
come 
ha 
riconosciuto 
l�amplissima 
e 
univoca 
giurisprudenza 
di 
questa 
Sezione 
sui 
tetti 
di 
spesa; 


d) 
in 
questo 
contesto 
la 
sottoscrizione 
della 
clausola 
di 
salvaguardia 
(art. 
20 
dello 
schema 
negoziale), 
� 
imposta 
dal 
ministero 
dell�Economia 
e 
delle 
Finanze 
e 
dal 
ministero 
della 
Salute 
per 
esigenze 
di 
programmazione 
finanziaria, 
attraverso 
le 
prescrizioni 
elaborate 
all�esito 
della 
riunione 
del 
Tavolo 
tecnico 
per 
la 
verifica 
degli 
adempimenti 
regionali 
tenutasi 
il 
21 
novembre 
2013. 
Tale 
clausola 
di 
conseguenza 
equivale 
ad 
un 
impegno 
della 
parte 
privata 
contraente 
al 
rispetto 
ed 
accettazione 
dei 
vincoli 
di 
spesa 
essenziali 
in 
un 
regime 
come 
quello 
esistente 
in 
abruzzo, 
sottoposto 
al 
Piano 
di 
rientro; 
d�altro 
canto, 
in 
caso 
di 
mancata 
sottoscrizione, 
l�autorit� 
politico-amministrativa 
non 
avrebbe 
alcun 
interesse 
a 
contrarre 
a 
meno 
di 
non 
rendere 
incerti 
i 
tetti 
di 
spesa 
preventivati, 
n� 
potrebbe 
essere 
obbligata 
in 
altro 
modo 
alla 
stipula, 
con 
l�effetto 
che 
la 
richiesta 
sospensione 
finirebbe 
per 
non 
giovare 
alla 
parte 
ricorrente 
in 
primo 
grado�. 


3.2. Sulla riduzione 
dei 
tetti 
di 
spesa per 
l�acquisto di 
prestazioni 
da soggetti 
privati accreditati. 
Altra 
importante 
questione 
posta 
all�esame 
del 
T.A.R. 
Calabria 
in 
materia 
sanitaria 
ha 
riguardato 
la 
determinazione 
dei 
tetti 
di 
spesa 
per 
l�acquisto, 
da 
parte 
del 
sistema 
sanitario 
regionale, 
di 
prestazioni 
da 
soggetti 
privati 
accreditati. 


i decreti 
commissariali 
di 
interesse 
sono il 
n. 80/2015 (inerente 
le 
prestazioni 
di 
assistenza 
ospedaliera) e 
il 
n. 85 (inerente 
le 
prestazioni 
di 
assistenza 
specialistica) entrambi 
in riferimento all�anno 2015, mentre, il 
n. 25 (inerente 
le 
prestazioni 
di 
assistenza 
specialistica) e 
il 
n. 27 (inerente 
le 
prestazioni 
di 
assistenza ospedaliera) in riferimento all�anno 2016. 


in questo caso, i 
vizi 
denunciati 
dalle 
ricorrenti 
riguardavano - oltre 
che 
la 
violazione 
di 
legge 
in riferimento agli 
artt. 32, 97 Cost. e 
art. 8-bis, d.lgs. n. 
502/1992 (39) - l�eccesso di 
potere 
per carenza 
dei 
presupposti, travisamento 
dei fatti, difetto di istruttoria, di motivazione e contraddittoriet�. 



LEGiSLAziONE 
ED 
ATTuALTi� 


Dai 
ricorsi 
esaminati 
si 
evince 
che: 
1) quasi 
tutte 
le 
strutture 
sostenevano 
che 
il 
Commissario sarebbe 
incorso in una 
valutazione 
verticistica 
ed autoritaria, 
imponendo 
dei 
limiti, 
ma 
senza 
alcuna 
giustificazione 
a 
riguardo; 
2) 
molte 
strutture 
lamentavano 
l�assenza 
del 
riferimento 
all�effettivo 
fabbisogno 
di 
prestazioni 
oltre 
che 
la 
violazione 
del 
principio di 
parit� 
tra 
pubblico e 
privato 
in materia 
sanitaria; 
3) alcune 
strutture 
lamentavano anche 
una 
discriminazione 
rispetto ad altre 
che, a 
differenza 
loro, avevano ottenuto un aumento 
di 
budget. 


in 
merito 
alle 
valutazioni 
autoritative 
poste 
in 
essere 
dal 
Commissario 
ad 
acta, il 
T.A.R. (40) ha enunciato diversi principi. 


il 
primo 
� 
quello 
secondo 
cui 
la 
normativa 
che 
disciplina 
i 
Piani 
di 
rientro 
� 
una 
disciplina 
emergenziale 
e, pertanto, che 
pu� derogare 
la 
normativa 
ordinaria 
(41). Ne 
consegue 
che 
il 
carattere 
vincolante 
dei 
provvedimenti 
attua


(39) Art. 8-bis, d.lgs. n. 502/1992: 
�Le 
regioni 
assicurano i 
livelli 
essenziali 
e 
uniformi 
di 
assistenza 
di 
cui 
all�art. 1 avvalendosi 
dei 
presidi 
direttamente 
gestiti 
dalle 
aziende 
unit� sanitarie 
locali, 
delle 
aziende 
ospedaliere, 
delle 
aziende 
universitarie 
e 
degli 
istituti 
di 
ricovero 
e 
cura 
a 
carattere 
scientifico, 
nonch� 
di 
soggetti 
accreditati 
ai 
sensi 
dell'articolo 
8-quater, 
nel 
rispetto 
degli 
accordi 
contrattuali 
di 
cui 
all�articolo 
8-quinquies. 
i 
cittadini 
esercitano 
la 
libera 
scelta 
del 
luogo 
di 
cura 
e 
dei 
professionisti 
nell'ambito dei 
soggetti 
accreditati 
con cui 
siano stati 
definiti 
appositi 
accordi 
contrattuali. L�accesso 
ai 
servizi 
� 
subordinato 
all�apposita 
prescrizione, 
proposta 
o 
richiesta 
compilata 
sul 
modulario 
del 
Servizio 
sanitario 
nazionale. 
La 
realizzazione 
di 
strutture 
sanitarie 
e 
l�esercizio 
di 
attivit� 
sanitarie, 
l�esercizio 
di 
attivit� sanitarie 
per 
conto del 
Servizio sanitario nazionale 
e 
l'esercizio di 
attivit� sanitarie 
a 
carico 
del 
Servizio 
Sanitario 
Nazionale 
sono 
subordinate, 
rispettivamente, 
al 
rilascio 
delle 
autorizzazioni 
di 
cui 
all'articolo 
8-ter, 
dell�accreditamento 
istituzionale 
di 
cui 
all�art. 
8-quater, 
nonch� 
alla 
stipulazione 
degli 
accordi 
contrattuali 
di 
cui 
all'articolo 
8-quinquies. 
La 
presente 
disposizione 
vale 
anche 
per 
le 
strutture e le attivit� sociosanitarie�. 
(40) 
Cfr. 
T.A.R. 
Calabria, 
sez. 
i, 
29 
giugno 
2016, 
n 
1324 
cit., 
www.giustizia-amministrativa.it, 
con la 
quale 
si 
rinviava 
- ex 
art. 88, comma 
1, lett. d - alla 
sentenza 
Cons. St., sez. iii, 25 marzo 2016, 
n. 1244, ivi. 
(41) 
Si 
rimanda 
a 
Cons. 
St., 
n. 
1244/2016 
cit., 
punti 
8.2, 
8.3, 
8.4 
e 
8.5, 
nella 
quale 
viene 
esplicitato 
in maniera 
chiara 
l�evolversi 
della 
disciplina 
inerente 
l�attuazione 
del 
Piano di 
rientro. Si 
afferma, in 
particolare, 
che 
�rispetto 
alla 
preesistente 
legislazione 
la 
normativa 
in 
tema 
di 
piano 
di 
rientro 
comporta 
precisi 
e 
ulteriori 
effetti 
giuridici 
nel 
rendere 
vincolanti 
gli 
obiettivi 
di 
contenimento finanziario e 
nel-
l�imporre 
alla 
regione 
di 
adottare 
prioritariamente 
i 
provvedimenti 
adeguati 
ad 
ottenere 
il 
contenimento 
delle 
spese 
in essere 
nella misura richiesta, salvo il 
rispetto dei 
livelli 
essenziali 
di 
assistenza e 
secondo 
i 
fondamentali 
criteri 
di 
ragionevolezza, logicit� e 
non travisamento dei 
fatti 
nel 
bilanciamento degli 
interessi. Di 
conseguenza cambiano in misura determinante 
la natura, l�oggetto e 
la principale 
finalit� 
dei 
provvedimenti. La introduzione 
di 
obiettivi 
prioritari 
e 
vincolanti 
condiziona e 
orienta verso le 
finalit� 
indicate 
lo svolgimento delle 
preesistenti 
procedure, modificando anche 
le 
modalit� istruttorie 
e 
il 
tipo di 
motivazione 
che 
i 
provvedimenti 
risultanti 
richiedono, come 
di 
seguito precisato. Va pertanto 
pregiudizialmente 
esaminata 
-per 
poi 
trarne 
successivamente 
le 
conseguenze 
in 
ordine 
al 
caso 
in 
esame 
-la disciplina normativa che 
regola obiettivi 
e 
vincoli 
del 
piano di 
rientro e 
la giurisprudenza che 
ne 
ha 
ricavato 
un 
principio 
di 
prevalenza 
rispetto 
alle 
esigenze 
di 
mantenimento 
di 
volumi 
di 
attivit� 
o 
livelli di tariffe gi� acquisiti degli operatori privati nei limiti di seguito precisati. 
8.4. - La normativa per 
il 
rientro da eccessivi 
disavanzi 
del 
sistema sanitario di 
singole 
regioni 
ha la 
sua origine 
nel 
Patto della Salute 
del 
2001 e 
costituisce 
un sistema organico di 
norme 
costantemente 
aggiornate 
fino ad oggi 
attraverso successivi 
interventi 
legislativi 
per 
lo pi� basati 
su intese 
preventive 
tra Stato e 
regioni 
a scadenza triennale 
seguite 
dal 
recepimento nella legislazione 
statale 
ovvero suc

RASSEGNA 
AVVOCATuRA 
DELLO 
STATO - N. 1/2017 


tivi 
del 
Piano di 
rientro e 
la 
loro natura 
di 
provvedimenti 
generali 
di 
programmazione 
finanziaria 
implicano la 
derogabilit� 
- per effetto della 
�prevalente� 
normativa 
emergenziale 
-delle 
procedure 
previste 
dalla 
legislazione 
regionale 
e nazionale. 


Da 
ci� discende 
la 
natura 
ampiamente 
discrezionale 
delle 
scelte 
poste 
in 
essere 
dal 
Commissario ad acta 
e 
la 
limitazione 
del 
sindacato giurisdizionale 
ai 
soli 
profili 
di 
evidente 
illogicit�, 
contraddittoriet�, 
ingiustizia 
manifesta, 
arbitrariet� 
e 
irragionevolezza 
(42) da 
valutarsi 
di 
volta 
in volta 
in maniera 
concreta 
e 
obiettiva, senza 
che 
a 
nulla 
possa 
valere 
la 
semplice 
circostanza 
della 
riduzione 
del 
budget 
nei 
confronti 
di 
una 
struttura 
e 
l�aumento nei 
confronti 
di un�altra, purch� ragionevolmente motivata. 

Le 
strutture 
ricorrenti 
si 
dolevano, in particolare, della 
carenza 
di 
motivazione 
e di istruttoria dei provvedimenti di determinazione del 
budget. 

La 
pur succinta 
motivazione 
di 
tali 
provvedimenti 
� 
stata 
ritenuta 
sufficiente 
dal 
T.A.R. calabrese 
ai 
fini 
della 
individuazione 
delle 
esigenze 
di 
volta 
in volta da soddisfare. 

in particolare, nella 
sent. 23 maggio 2016, n. 1075 (43), il 
T.A.R. calabrese 
-in 
relazione 
alla 
motivazione 
contenuta 
nel 
D.C.A. 
n. 
80/2015 
-afferma 
che 
�Si 
tratta 
di 
motivazione 
sintetica 
e 
certamente 
non 
espressa 
in 
bello 
stile, 
ma 
da 
essa 
si 
desumono 
le 
ragioni 
alla 
base 
delle 
assegnazioni 
dei 
budget 
alle 
strutture 
ospedaliere 
accreditate�; 
la 
sentenza 
in 
discorso 
afferma 
che 
�dall�istruttoria 
effettuata 
dai 
competenti 
uffici 
del 
Dipartimento 
Tutela 
della 
Salute 
relativamente 
alle 
proposte 
delle 
aziende 
si 
rileva 
una 
discordanza 
con 


cessivamente 
ratificati 
da esse. Si 
richiamano in quanto pro tempore 
rilevanti 
ai 
fini 
del 
caso in esame: 
l�accordo Stato-regioni 
dell�8 agosto 2001, recepito dal 
decreto legge 
n. 347/2001 e 
dalla legge 
finanziaria 
per 
l�anno 2002 (legge 
n. 448/2001); la successiva introduzione 
della procedura annuale 
di 
verifica 
dell�equilibrio 
dei 
conti 
sanitari 
regionali 
-che 
reca 
tra 
l�altro 
il 
meccanismo 
dell�incremento 
automatico delle 
aliquote 
fiscali 
in caso di 
mancata copertura dell�eventuale 
disavanzo - (articolo 1, 
commi 
174 
e 
seguenti, 
della 
legge 
n. 
311/2004), 
confermata 
dall�intesa 
Stato-regioni 
del 
23 
marzo 
2005; il 
Patto per 
la Salute 
2007-2009 (intesa Stato-regioni 
del 
5 ottobre 
2006) recepito dalla legge 
27 dicembre 
2006, n. 296, legge 
finanziaria per 
il 
2007; l�art. 1, comma 796, lettera b), della legge 
27 
dicembre 
2006, n. 296 (Disposizioni 
per 
la formazione 
del 
bilancio annuale 
e 
pluriennale 
dello Stato legge 
finanziaria 2007), che 
prescrive 
che 
�gli 
interventi 
individuati 
dai 
programmi 
operativi 
di 
riorganizzazione, 
qualificazione 
o potenziamento del 
servizio sanitario regionale, necessari 
per 
il 
perseguimento 
dell�equilibrio 
economico, 
nel 
rispetto 
dei 
livelli 
essenziali 
di 
assistenza, 
oggetto 
degli 
accordi 
di 
cui 
all�articolo 
1, 
comma 
180, 
della 
legge 
30 
dicembre 
2004, 
n. 
311, 
e 
successive 
modificazioni, 
come 
integrati 
dagli 
accordi 
di 
cui 
all�articolo 1, commi 
278 e 
281, della legge 
23 dicembre 
2005, n. 266, 
sono 
vincolanti 
per 
la 
regione 
che 
ha 
sottoscritto 
l�accordo 
(�). 
il 
sistema 
viene 
ulteriormente 
precisato 
e 
rafforzato negli 
anni 
successivi 
anche 
grazie 
alla piena conferma della sua legittimit� conseguente 
alle pronunce in materia della Corte costituzionale�. 

(42) 
irragionevolezza 
che 
(come 
affermato 
in 
T.A.R. 
Calabria, 
Catanzaro, 
sez. 
i, 
19 
dicembre 
2016, n. 2511, in www.giustizia-amministartiva.it) non pu� desumersi 
dalla 
scelta 
del 
Commissario di 
attribuire, per l�anno 2015, pi� risorse 
alle 
prestazioni 
di 
acuzie 
anzich� 
a 
quelle 
di 
riabilitazione, n� 
tanto meno dall�impossibilit� 
di 
utilizzare 
tutti 
i 
30 posti 
letto accreditati 
(nella 
fattispecie 
esaminata 
dalla richiamata sentenza). 
(43) in www.giustizia-amministrativa.it. 

LEGiSLAziONE 
ED 
ATTuALTi� 


i 
criteri 
stabiliti 
a livello regionale 
per 
l�assegnazione 
dei 
budget, rappresentati 
dal 
recupero della mobilit� passiva (interventi 
chirurgici 
ortopedici, oncologici, 
sulla 
tiroide) 
dall�implementazione 
della 
complessit� 
dei 
ricoveri, 
dall�incremento 
della 
neuroriabilitazione, 
dell�appropriatezza 
e 
della 
complementariet� 
con le prestazioni erogate�. 


Passando 
all�ulteriore 
censura 
dedotta 
da 
diverse 
strutture 
concernente 
la 
violazione 
del 
principio 
della 
parit� 
tra 
presidi 
pubblici 
e 
privati 
(44), 
il 
T.A.R. 
ha 
avuto 
modo 
di 
precisare 
che 
�anche 
se 
le 
strutture 
private 
accreditate 
concorrono, 
al 
pari 
delle 
strutture 
pubbliche, all�erogazione 
delle 
prestazioni 
sanitarie, 
il 
sistema, 
si 
� 
progressivamente 
allontanato 
da 
una 
situazione 
di 
perfetta parit� tra operatore 
pubblico e 
privato, essendosi 
concesso all�ente 
pubblico 
un 
forte 
potere 
autoritativo 
di 
contenimento 
della 
spesa 
pubblica 
che 
trova la sua implicita giustificazione 
nella possibilit� per 
le 
imprese 
private 
di 
fruire, pi� facilmente 
delle 
strutture 
pubbliche, di 
economie 
di 
scala, potendo 
attuare 
opportune 
iniziative 
di 
flessibilit� e 
programmazione, a fronte 
della contrazione dell�attivit�� 
(45). 


D�altronde 
un 
motivo 
di 
illegittimit� 
basato 
su 
tali 
presupposti 
sembra 
alquanto vago e 
poco rispondente 
ai 
principi 
a 
cui 
il 
nostro ordinamento deve 
conformarsi 
soprattutto in tema 
di 
tutela 
della 
salute 
e 
buon andamento della 
pubblica amministrazione. 


in merito, poi, all�ultimo motivo di 
ricorso avanzato da 
qualche 
struttura 
sanitaria 
ovvero 
quello 
inerente 
la 
discriminazione 
di 
alcune 
strutture 
in 
favore 
di 
altre, il 
Collegio non ha 
svolto articolate 
argomentazioni, ritenendo di 
per 
s� 
evidente 
che 
l�eventuale 
aumento 
di 
budget 
a 
favore 
di 
un�altra 
struttura 
sanitaria 
non 
determini 
l�illegittimit� 
del 
provvedimento. 
Bisognerebbe 
far 
riferimento, 
pi� che 
altro, alle 
motivazioni 
della 
ripartizione 
ovvero alle 
tipologie 
di 
prestazioni 
che 
si 
intendono incrementare 
o diminuire, fermo restando 
che 
tali 
scelte 
sono suscettibili 
di 
essere 
sindacate 
dal 
giudice 
amministrativo 
solo se ritenute irragionevoli (46). 

in 
conclusione, 
ai 
fini 
della 
determinazione 
dei 
tetti 
di 
spesa 
per 
l�acquisto 
di 
prestazioni 
da 
privato, l�orientamento giurisprudenziale 
(47) si 
� 
attestato 


(44) 
Le 
ricorrenti 
sostenevano 
l�illegittimit� 
di 
tali 
provvedimenti 
in 
quanto 
le 
strutture 
pubbliche 
non sarebbero state toccate dalla riduzione dei 
budget. 
(45) Cos� 
in T.A.R. Calabria, Catanzaro, sez. i, 23 maggio 2016, n. 1075, cit., la 
quale 
richiama 
T.A.R. Calabria, Catanzaro, sez. i, 22 luglio 2013, n. 791, in www.giustizia-amministrativa.it, che 
a 
sua 
volta richiama Cons. St., sez. iii, 23 giugno 2012, n. 2418, in Foro amm., Cds, 2012, 6, 1671. 
(46) in molti 
ricorsi, infatti, sono state 
chiamate 
in causa, in veste 
di 
controinteressati, altre 
strutture 
sanitarie 
che 
avevano 
beneficiato 
di 
un 
budget 
maggiore 
rispetto 
a 
quello 
dell�anno 
precedente. 
Cfr., a 
riguardo, T.A.R. Calabria, Catanzaro, sez. i, 29 giugno 2016, n. 1324; 
id., 19 dicembre 
2016, n. 
2511; 
id., 23 maggio 2016, n. 1072; 
id., 9 novembre 
2016, n. 2134; 
id., 5 dicembre 
2016, n. 2368; 
id., 
15 settembre 2016, n. 1800, tutte in www.giustizia-amministrativa.it. 
(47) 
Gi� 
innervatosi 
da 
Cons. 
St., 
ad. 
plen., 
12 
aprile 
2012, 
nn. 
3 
e 
4, 
in 
www.giustizia-amministrativa.it, 
le 
quali 
diedero 
continuit� 
ad 
una 
precedente 
pronuncia 
ovvero 
ad. 

RASSEGNA 
AVVOCATuRA 
DELLO 
STATO - N. 1/2017 


nel 
senso 
di 
ritenere 
legittima 
la 
determinazione 
dei 
tetti 
di 
spesa 
da 
cui 
deriva 
una 
perdita 
per 
il 
soggetto 
privato 
accreditato, 
purch� 
l�esercizio 
del 
potere 
autoritativo (con cui 
viene 
effettuata 
la 
ripartizione) si 
dispieghi 
nell�alveo di 
una 
seria 
ed effettiva 
programmazione 
finanziaria, in funzionamento del 
fondamentale 
obiettivo 
di 
contenimento 
della 
spesa 
ed 
entro 
il 
corretto 
svolgimento 
delle 
procedure 
contrattuali 
previste 
dalla 
legge 
(48). Alla 
luce 
di 
ci�, 
tutti 
i 
ricorsi 
avverso i 
provvedimenti 
di 
determinazione 
dei 
tetti 
di 
spesa 
esaminati 
dal 
T.A.R. Calabria 
(49) sono stati 
rigettati 
in quanto tutte 
le 
censure 
dedotte 
(per come 
sopra 
esaminate) non erano idonee 
a 
qualificare 
come 
�irragionevole� 
la 
concreta 
assegnazione 
dei 
budget 
effettuata 
dal 
Commissario 
ad 
acta 
con 
i 
D.C.A. 
nn. 
80, 
85 
(in 
riferimento 
al 
2015), 
25 
e 
27 
(in 
riferimento 
al 2016) (50). 

3.2.1. Sulla determinazione 
dei 
tetti 
di 
spesa sulla base 
del 
c.d. �criterio storico�. 
Di 
particolare 
importanza, 
risultano 
le 
pronunce 
inerenti 
la 
determinazione 
dei 
tetti 
di 
spesa 
per 
l�acquisto 
di 
prestazioni 
da 
privato 
(51) 
ripartiti 
utilizzando, 
quale unico criterio, il c.d. �criterio storico� 
(52). 


plen., 
2 
maggio 
2006, 
n. 
8, 
ivi, 
nelle 
quali 
si 
legge 
che 
�i 
tetti 
di 
spesa 
sono 
in 
via 
di 
principio 
indispensabili, 
date 
le 
insopprimibili 
esigenze 
di 
equilibrio 
finanziario 
e 
di 
razionalizzazione 
della 
spesa 
pubblica. 
La 
matrice 
autoritativa 
e 
vincolante 
delle 
determinazioni 
regionali 
in 
tema 
di 
limiti 
alle 
spese 
sanitarie 
si 
collega 
alla 
necessit� 
che 
l�attivit� 
dei 
vari 
soggetti 
operanti 
nel 
sistema 
sanitario 
si 
dispieghi 
nell'alveo 
di 
una 
seria 
ed 
effettiva 
pianificazione 
finanziaria. 
Ne 
discende 
che 
tale 
attivit� 
di 
programmazione, 
tesa 
a 
garantire 
la 
corretta 
gestione 
delle 
risorse 
disponibili, 
assume 
valenza 
imprescindibile 
in 
quanto 
la 
fissazione 
dei 
limiti 
di 
spesa 
rappresenta 
l'adempimento 
di 
un 
preciso 
ed 
ineludibile 
obbligo 
che 
influisce 
sulla 
possibilit� 
stessa 
di 
attingere 
le 
risorse 
necessarie 
per 
la 
remunerazione 
delle 
prestazioni 
erogate�. 


(48) in questo senso hanno concluso tutte 
le 
sentenze 
aventi 
ad oggetto l�impugnativa 
avverso i 
provvedimenti 
di 
determinazione 
dei 
tetti 
di 
spese. 
in 
particolare, 
si 
vedano 
T.A.R. 
Calabria, 
Catanzaro, 
16 giugno 2016, n. 1253, id. 
n. 1259; 
id., n. 1261; 
id., n. 1262; 
id., n. 1264, id., n. 1264; 
id., 21 luglio 
2016, n. 1569, tutte in www.giustizia-amministrativa.it. 
(49) Salvo quanto si vedr� 
infra 
al punto 3.3. 
(50) 
Alcuni 
ricorsi 
in 
materia 
di 
determinazione 
di 
tetti 
di 
spesa 
venivano 
accolti 
ma 
limitatamente 
alla 
parte 
in cui 
prevedevano la 
fissazione 
dei 
tetti 
di 
spesa 
su base 
mensile 
anzich� 
annuale. in questi 
casi, il 
T.A.R. ha 
ritenuto priva 
di 
adeguata 
giustificazione 
- oltrech� 
non rispondente 
ai 
parametri 
di 
logicit� 
e 
ragionevolezza 
- la 
fissazione 
dei 
tetti 
di 
spesa 
su base 
mensile. Ci� determinerebbe, infatti, una 
compressione 
della 
libert� 
di 
iniziativa 
del 
privato, non adeguatamente 
giustificata 
dal 
perseguimento 
dell�interesse 
pubblico 
sotteso 
alla 
programmazione 
degli 
interventi 
sanitari. 
Tale 
previsione 
appare, 
effettivamente, 
fin troppo stringente 
per le 
strutture 
private 
che 
operano in regime 
di 
accreditamento con 
il 
sistema 
sanitario regionale, essendo, di 
converso, pi� adeguata 
e 
ragionevole 
la 
fissazione 
di 
un tetto 
di 
spesa 
su base 
mensile 
(cfr., in terminis, T.A.R. Calabria, Catanzaro, sez. i, 5 dicembre 
2016, n. 2368; 
id., ord. 29 giugno 2016, n. 263, in www.giustizia-amministrativa.it). 
(51) Avvenuta 
con D.C.A. n. 68/2014 avente 
ad oggetto �Determinazione 
dei 
tetti 
di 
spesa per 
le 
prestazioni di assistenza specialistica da privato. anno 2014. azione 7.7.1.1�. 
(52) 
Secondo 
tale 
criterio, 
il 
budget 
da 
attribuire 
alle 
strutture 
sanitarie, 
verrebbe 
calcolato 
facendo 
riferimento a 
quello gi� 
attribuito l�anno precedente, senza 
la 
valutazione 
di 
alcun altro criterio sia 
oggettivo 
che soggettivo. 

LEGiSLAziONE 
ED 
ATTuALTi� 


il 
primo 
ricorso 
avente 
ad 
oggetto 
tali 
doglianze 
veniva 
proposto 
dall�Autorit� 
Garante 
della 
Concorrenza 
e 
del 
Mercato (53) (54), definito con la 
sentenza 
n. 1373 del 
29 giugno 2016 (55), con la 
quale 
il 
T.A.R., condividendo 


(53) Ai 
sensi 
dell�art. 21-bis, l. 10 ottobre 
1990, n. 287, il 
quale 
recita 
�L'autorit� garante 
della 
concorrenza e 
del 
mercato � 
legittimata ad agire 
in giudizio contro gli 
atti 
amministrativi 
generali, i 
regolamenti 
ed i 
provvedimenti 
di 
qualsiasi 
amministrazione 
pubblica che 
violino le 
norme 
a tutela della 
concorrenza e 
del 
mercato. L'autorit� garante 
della concorrenza e 
del 
mercato, se 
ritiene 
che 
una pubblica 
amministrazione 
abbia emanato un atto in violazione 
delle 
norme 
a tutela della concorrenza e 
del 
mercato, emette, entro sessanta giorni, un parere 
motivato, nel 
quale 
indica gli 
specifici 
profili 
delle 
violazioni 
riscontrate. Se 
la pubblica amministrazione 
non si 
conforma nei 
sessanta giorni 
successivi 
alla comunicazione 
del 
parere, l'autorit� pu� presentare, tramite 
l'avvocatura dello Stato, il 
ricorso, 
entro i 
successivi 
trenta giorni. ai 
giudizi 
instaurati 
ai 
sensi 
del 
comma 1 si 
applica la disciplina di 
cui 
al Libro iV, Titolo V, del decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104�. 
(54) in questo giudizio, inoltre, veniva 
esaminata 
una 
interessante 
questione 
concernente 
la 
rappresentanza 
in giudizio dell�AGCOM 
per mezzo, nell�occasione, di 
un patrocinatore 
privato. Tale 
eccezione 
veniva 
sollevata 
dall�Avvocatura 
dello Stato di 
Catanzaro (rappresentante 
in giudizio ex 
lege 
del 
Commissario ad acta), la 
quale 
sosteneva 
che 
- facendo esplicito riferimento, il 
comma 
2, art. 21bis, 
l. 
n. 
287/1990, 
alla 
proposizione 
del 
ricorso 
da 
parte 
dell�AGCOM 
per 
tramite 
dell�Avvocatura 
dello 
Stato 
-la 
stessa 
Autorit� 
non 
avrebbe 
potuto 
agire 
in 
giudizio 
avvalendosi 
di 
un 
avvocato 
del 
libero 
foro. La 
difesa 
erariale 
evidenziava 
che 
l�Autorit� 
- se 
pur dotata 
di 
un alto grado di 
indipendenza 
- non 
� 
un ente 
distinto dallo Stato, ma 
� 
un organismo dello stesso (si 
veda, in questo senso, Cons. St., sez. 
Vi, 25 novembre 
1994, n. 1716, in Giust. civ., 1995, i, 619 e 
in 
riv. it. dir. pubbl. comunit., 1995, 1011, 
con nota 
di 
ANTONiOLi), conseguendone 
da 
ci� che, in linea 
di 
principio, la 
rappresentanza 
e 
la 
difesa 
in 
giudizio della 
stessa 
competono all�Avvocatura 
dello Stato, ai 
sensi 
e 
per gli 
effetti 
dell�art. 1, R.d. 30 
ottobre 
1933, n. 1611. Tuttavia, nella 
vicenda 
scrutinata 
dal 
T.A.R. calabrese, si 
poneva 
il 
problema 
che 
entrambe 
le 
parti 
avrebbero dovuto usufruire 
del 
patrocinio obbligatorio dell�Avvocatura 
dello Stato, il 
che avrebbe, comunque, causato conflitto nella difesa. 
Al 
riguardo, l�Avvocatura 
sosteneva 
che, qualora 
l�azione 
giudiziaria 
da 
parte 
dell�Autorit� 
dev�essere 
esercitata 
nei 
confronti 
di 
un�altra 
Amministrazione 
Statale 
(venendosi 
a 
configurare, 
cos�, 
una 
situazione 
di 
conflitto), l�onere 
del 
ricorso al 
patrocinatore 
privato graverebbe 
in capo all�Amministrazione 
resistente, 
nel 
caso 
di 
specie, 
quindi, 
in 
capo 
al 
Commissario 
ad 
acta 
e 
non 
all�Autorit� 
Garante 
per 
la 
Concorrenza 
ed il Mercato. 
Si 
tratta, invero, di 
un principio affermato in giurisprudenza 
proprio in riferimento al 
procedimento attivabile 
dall�AGCOM 
ex art. 21-bis, l. n. 287/1990: 
cfr., ex 
pluribus, T.A.R. Lazio, Roma, sez. iii, 15 
marzo 2013, n. 2720, in Foro amm.-Tar, 2013, 5, 1587, con nota 
di 
CAPPAi, che, in un giudizio soggettivamente 
identico 
a 
quello 
di 
cui 
si 
discute, 
ha 
affermato 
che: 
�L�obbligo 
di 
patrocinio 
erariale 
previsto 
dall�art. 21-bis, l. 287/1990 in capo all�autorit� antitrust 
per 
la promozione 
dello speciale 
ricorso si 
pone 
in rapporto di 
conformit� con la previsione 
di 
cui 
all�art. 1 r.d. n. 1611 del 
1933 sul 
patrocinio obbligatorio 
dell�avvocatura per 
tutte 
le 
amministrazioni 
dello Stato, tra le 
quali 
sono annoverate 
anche 
le 
autorit� 
indipendenti. 
La 
previsione 
specifica 
rispetto 
al 
precetto 
generale 
menzionato, 
sembra 
valere 
a concretizzare 
il 
precetto di 
cui 
all�art. 43 r.d. n. 1611 del 
1933 in fattispecie 
in cui 
la situazione 
di 
conflitto, prevista come 
eccezionale 
dallo stesso art. 43, tende 
ad assumere 
carattere 
di 
ordinariet�. La 
revisione 
dell�obbligo specifico dell�autorit� di 
ricorrere 
al 
patrocinio erariale, nonostante 
l�azione 
de 
qua 
venga 
normalmente 
esercitata 
nei 
confronti 
di 
amministrazioni 
statali 
anch�esse 
soggette 
all�obbligo 
generale 
di 
rappresentanza 
e 
difesa 
in 
giudizio 
per 
mezzo 
dell�avvocatura 
dello 
Stato, 
implica 
cio� 
che, 
in simili 
fattispecie, di 
potenziale 
conflitto di 
interessi, l�onere 
del 
ricorso al 
patrocinatore 
privato per 
la soluzione del conflitto gravi di norma in capo all�amministrazione resistente�. 
Sul 
tema, per ulteriori 
approfondimenti, si 
rimanda 
a 
MEzzOTERO-ROMEi, il 
patrocinio della Pubblica 
amministrazione, pp. 55 e ss. 
(55) Seguita 
da 
altre, tra 
cui, T.A.R. Calabria, Catanzaro, sez. i. 12 dicembre 
2016, n. 2525, in 
www.giustizia-amministrativa.it. 



RASSEGNA 
AVVOCATuRA 
DELLO 
STATO - N. 1/2017 


l�impostazione 
dell�Autorit� 
ricorrente, ha 
osservato che 
l�utilizzo di 
tale 
criterio 
di 
ripartizione 
attribuisce 
ai 
soggetti 
privati 
accreditati 
indebiti 
e 
giustificati 
vantaggi 
concorrenziali. 
Ci� 
in 
ossequio 
al 
dettato 
dell�art. 
106 
T.F.u.E., 
il 
quale 
stabilisce 
che 
�gli 
Stati 
membri 
non 
emanano 
n� 
mantengono, 
nei 
confronti 
delle 
imprese 
pubbliche 
e 
delle 
imprese 
cui 
riconoscono diritti 
speciali 
o 
esclusivi, 
alcuna 
misura 
contraria 
alle 
norme 
dei 
Trattati, 
specialmente 
quelle 
contemplate 
dagli 
artt. 18 (divieto di 
discriminazione) e 
da 101 a 109 
inclusi 
(divieto 
di 
intese 
restrittive 
della 
concorrenza; 
divieto 
dell�abuso 
di 
posizione dominante; divieto di aiuti di Stato)�. 


Ha 
osservato, 
ancora, 
il 
T.A.R. 
che 
pu� 
ritenersi 
legittimo 
il 
riferimento 
ad 
una 
molteplicit� 
di 
elementi 
sia 
di 
carattere 
oggettivo, 
come 
la 
potenzialit� 
dei 
singoli 
distretti 
(determinata 
dalla 
popolazione 
residente 
e 
dalle 
prestazioni 
richieste) 
sia 
di 
carattere 
soggettivo, 
con 
la 
ripartizione 
delle 
risorse 
secondo 
apposite 
griglie 
di 
valutazione 
che 
tengono 
conto 
di 
molteplici 
fattori 
qualitativi 
come 
dotazioni; 
universit� 
di 
personale 
e 
tipologia 
del 
rapporto 
di 
lavoro; 
collegamento 
al 
CuP; 
accessibilit� 
alla 
struttura; 
correttezza 
del 
rapporto 
con 
l�utenza, 
rispetto 
degli 
istituti 
contrattuali; 
ulteriori 
standard 
finalizzati 
all�accoglienza 
quali 
sale 
d�attesa, 
biglietto 
elimina 
code, 
riscaldamento 
e 
climatizzazione, 
apertura 
al 
sabato 
e 
misura 
degli 
spazi. 
Di 
converso, 
la 
determinazione 
in 
ragione 
del 
�costo 
storico� 
si 
porrebbe 
in 
contrasto 
con 
i 
principi 
di 
tutela 
della 
concorrenza, 
se 
non 
siano 
adottati 
i 
necessari 
correttivi 
o 
se, 
quanto 
meno, 
non 
vi 
siano 
specifiche 
ragioni 
di 
tutela 
della 
sanit� 
che 
la 
giustifichino. 


L�utilizzo di 
tale 
criterio, effettivamente, cristallizzerebbe 
le 
posizioni 
in 
passato acquisite 
sul 
mercato dai 
singoli 
operatori 
sanitari 
privati, disincentivando 
il 
perseguimento 
dell�efficienza 
nell�erogazione 
dei 
servizi 
sanitari 
e 
vanificando la concorrenza tra le varie strutture (56). 

3.3. Sull�accorpamento dei laboratori �sotto soglia�. 
ulteriore 
importante 
filone 
di 
ricorsi 
� 
stato 
quello 
avente 
ad 
oggetto 
l�impugnativa 
del 
D.C.A. 
n. 
84/2015 
recante 
�riequilibrio 
ospedale-territorio. 
riorganizzazione della rete dei laboratori pubblici e privati�. 


Con tale 
decreto si 
procedeva 
alla 
riorganizzazione 
della 
rete 
laboratoristica 
attraverso l�aggregazione 
dei 
laboratori 
privati 
che 
non raggiungevano 
la soglia minima di prestazioni in esso stabilita. 

in 
particolare, 
i 
laboratori 
che 
non 
erogavano 
200.000 
prestazioni 
durante 
l�anno avevano l�obbligo di 
aggregarsi 
tra 
loro in rete, pena 
la 
decadenza 
del-
l�accreditamento 
e 
l�impossibilit� 
di 
sottoscrivere 
contratti 
per 
l�erogazione 
di prestazioni a carico del servizio sanitario regionale (57). 


(56) 
Tale 
questione 
� 
stata 
richiamata 
nella 
relazione 
introduttiva 
in 
occasione 
dell�inaugurazione 
dell�anno giudiziario 2017 del 
T.A.R. Calabria, Catanzaro, in www.giustizia-amministrativa.it. 
(57) 
Ci� 
avrebbe 
determinato, 
come 
sostenuto 
dalle 
ricorrenti, 
la 
conversione 
dei 
laboratori 
medio

LEGiSLAziONE 
ED 
ATTuALTi� 


il 
T.A.R. 
si 
� 
pronunciato, 
dapprima, 
con 
sentenza 
non 
definitiva 
(58), 
accogliendo 
parzialmente 
il 
ricorso 
e 
annullando 
il 
provvedimento 
impugnato 
nella parte in cui non prevedeva un�adeguata fase transitoria e fissava un termine 
di 
90 
giorni 
dalla 
pubblicazione 
del 
decreto 
di 
riordino 
per 
la 
costituzione 
del 
laboratorio 
aggregato 
e 
per 
presentare 
domanda 
di 
adesione 
alla 
rete 
di 
organizzazione. 


Al 
riguardo, 
il 
Collegio 
ha 
ritenuto 
che 
�la 
scansione 
temporale 
ipotizzata 
dal 
decreto appare 
lesiva dei 
principi 
di 
ragionevolezza, adeguatezza e 
proporzionalit�, 
imponendo di 
fatto alle 
strutture 
un obbligo a realizzare 
determinati 
risultati 
per 
mantenere 
l�accreditamento, 
senza 
disciplinare 
in 
maniera 
adeguata la fase transitoria� 
(59). 


Con 
la 
sentenza 
definitiva 
(60) 
ha 
ritenuto 
che 
la 
previsione 
di 
soglie 
quantitative 
minime 
di 
produzione 
analitica, 
aggiungendosi 
ai 
requisiti 
per 
l�autorizzazione 
all�esercizio delle 
attivit� 
sanitarie, finisce 
con l�integrare 
un 
ulteriore 
requisito per l�accreditamento, che 
non ha 
formato preventiva 
intesa 
con la 
Conferenza 
Stato-Regioni, contrariamente 
a 
quanto disposto dall�art. 
8, comma 4, d.lgs. n. 502/1992 (61). 

invero - ha 
rilevato il 
T.A.R. - con l�impugnato D.C.A. n. 84/2015 � 
stato 
introdotto un nuovo presupposto per l�accreditamento senza 
che 
venisse 
seguito 
l�iter 
previsto dalla 
normativa 
vigente, discendendone 
da 
ci� l�illegittimit� 
del 
citato 
decreto 
-nella 
parte 
in 
cui 
stabilisce 
l�obbligatoriet� 
dell�aggregazione 
in rete 
dei 
laboratori 
privati 
che 
non raggiungono la 
soglia 
minima 
di 
prestazioni 
nell�anno - in quanto privo di 
adeguato supporto nor-

piccoli 
in meri 
punti 
di 
prelievo oltre 
che 
un�ingiusta 
causa 
di 
perdita 
dell�accreditamento non disciplinata 
da 
alcuna 
fonte 
normativa. Tale 
circostanza 
avrebbe 
leso l�interesse 
pubblico e 
collettivo in quanto 
implicava 
lo smantellamento di 
un servizio sanitario di 
prossimit� 
al 
paziente, capillare 
ed efficiente 
su 
tutto il territorio. 


(58) 
Cfr. 
T.A.R. 
Calabria, 
Catanzaro, 
sez. 
i, 
16 
maggio 
2016, 
n. 
1042, 
id., 
20 
giugno 
2016, 
n. 
1298; 
id., 4 luglio 2016, n. 1397, in www.giustizia-amministrativa.it. 
(59) Tali 
principi 
sono stati 
enunciati 
anche 
da 
T.A.R. Lazio, Roma, sez. iii, 3 febbraio 2016, n. 
1538, 
in 
www.giustizia-amministrativa.it, 
ove 
si 
afferma 
che 
�L�assenza 
di 
una 
adeguata 
fase 
transitoria 
che 
garantisca da un lato la posizione 
di 
accreditamento o i 
contratti 
in essere 
dei 
vari 
Laboratori 
consente 
di 
ritenere 
irragionevole 
anche 
la 
scansione 
temporale 
dettata 
al 
punto 
Xiii 
del 
cronoprogramma, 
per 
come 
da 
parte 
ricorrente 
dedotto 
e 
nella 
misura 
in 
cui 
va 
ad 
agire 
retroattivamente 
per 
l�anno 
2015 
sulle 
prestazioni 
gi� 
erogate 
che, 
laddove 
in 
numero 
inferiore 
alle 
60.000 
pur 
correttamente 
determinate 
come 
soglia di 
partenza per 
raggiungere 
il 
livello massimo nel 
triennio, non paiono tutelare 
adeguatamente 
il regime di accreditamento in corso di ogni laboratorio�. 
(60) 
T.A.R. 
Calabria, 
Catanzaro, 
sez. 
i, 
21 
novembre 
2016, 
n. 
2262, 
in 
www.giustizia-amministrativa.it. 
(61) 
Ai 
sensi 
del 
quale: 
�Ferma 
restando 
la 
competenza 
delle 
regioni 
in 
materia 
di 
autorizzazione 
e 
vigilanza sulle 
istituzioni 
sanitarie 
private, a norma dell�art. 43 della legge 
23 dicembre 
1978, n. 833, 
con atto di 
indirizzo e 
coordinamento, emanato d�intesa con la Conferenza permanente 
per 
i 
rapporti 
tra lo Stato, le 
regioni 
e 
le 
province 
autonome, sentito il 
Consiglio superiore 
di 
sanit�, sono definiti 
i 
requisiti 
strutturali, tecnologici 
e 
organizzativi 
minimi 
richiesti 
per 
l�esercizio delle 
attivit� sanitarie 
da parte 
delle 
strutture 
pubbliche 
e 
private 
e 
la periodicit� dei 
controlli 
sulla permanenza dei 
requisiti 
stessi�. 

RASSEGNA 
AVVOCATuRA 
DELLO 
STATO - N. 1/2017 


mativo, 
oltrech� 
non 
rispondente 
ai 
parametri 
di 
logicit� 
e 
ragionevolezza 
previsti 
dalla normativa in materia. 


3.4. Sulla riorganizzazione 
della rete 
ospedaliera e 
laboratoristica calabrese 
pubblica e privata. 
Va 
esaminato, 
da 
ultimo, 
un 
ulteriore 
filone 
di 
ricorsi, 
ovvero 
quello 
concernente 
l�impugnativa 
dei 
provvedimenti 
di 
riorganizzazione 
della 
rete 
ospedaliera 
pubblica. 


in tal 
caso, le 
doglianze 
lamentate 
dai 
ricorrenti 
impingevano la 
(sostenuta) 
lesione 
di 
un 
interesse 
collettivo, 
tant� 
che 
tali 
ricorsi 
sono 
stati 
proposti 
dai 
Comuni 
o Comitati 
Civici 
sorti 
con la 
finalit� 
di 
opporsi 
al 
ridimensionamento 
ospedaliero calabrese. 

La 
lesione 
lamentata, 
infatti, 
aveva 
ad 
oggetto 
(a 
seconda 
dei 
casi) 
il 
mancato 
riconoscimento di 
presidi 
ospedalieri 
c.d. di 
�base�, la 
cancellazione 
di 
reparti, la 
trasformazione 
dei 
nosocomi 
in ospedali 
di 
montagna 
(e 
quindi 
in 
semplici 
presidi 
di 
pronto 
soccorso) 
con 
la 
conseguente 
compromissione, 
a 
loro dire, del 
diritto costituzionalmente 
garantito alla 
salute 
oltre 
che 
un rilevante 
danno per il tessuto sociale e l�economia locale. 


il 
provvedimento 
maggiormente 
rilevante 
in 
tal 
senso 
� 
stato 
senza 
dubbio 
il 
D.C.A. n. 9/2015, avente 
ad oggetto �approvazione 
documento di 
riorganizzazione 
della 
rete 
ospedaliera, 
della 
rete 
dell'emergenza-urgenza 
e 
delle 
reti tempo dipendenti�. 

E 
proprio a 
definizione 
di 
un giudizio scaturito da 
un ricorso avverso tale 
decreto, con una 
esaustiva 
sentenza 
(62), il 
T.A.R. ha 
osservato che 
anche 
in 
tema 
di 
riordino della 
rete 
ospedaliera 
pubblica 
il 
principio della 
programmazione 
�, comunque, diretto a 
realizzare 
un contenimento della 
spesa 
pubblica 
ed 
una 
razionalizzazione 
del 
sistema 
sanitario; 
ci� 
in 
considerazione 
dei 
limiti 
che 
il 
legislatore 
ordinario 
incontra 
ed 
anche 
in 
relazione 
alle 
risorse 
finanziarie 
disponibili. 


in particolare, in merito alla 
costituzione 
dei 
presidi 
ospedalieri 
di 
base, 
� 
stato fatto riferimento al 
D.M 
Salute 
2 aprile 
2015, n. 70 (63), il 
quale 
attri


(62) 
T.A.R. 
Calabria, 
Catanzaro, 
sez. 
i, 
20 
giugno 
2016, 
n. 
1300, 
in 
www.giustizia-amministrativa.it, 
con cui si contestava il depotenziamento degli ospedali di Serra San Bruno e Soveria Mannelli. 
(63) 
La 
riorganizzazione 
della 
rete 
ospedaliera 
ha 
previsto 
tre 
tipi 
di 
presidi. 
il 
primo 
� 
quello 
�base�: 
sono strutture 
che 
dispongono di 
una 
sede 
di 
pronto soccorso, accanto alla 
quale 
sono ospitate 
le 
specialit� 
di 
medicina 
interna, chirurgia 
generale, anestesia. i pres�di 
di 
base, che 
hanno un bacino 
d�utenza 
compreso tra 
80.000 e 
150.000 abitanti, dispongono di 
servizi 
di 
guardia 
attiva 
e 
supporto in 
rete di radiologia, laboratorio ed emoteca. 
Al 
gradino superiore 
dell�assistenza 
si 
trovano gli 
spoke, struttura 
designata 
come 
centro intermedio. 
Gli 
spoke, 
o 
centri 
di 
primo 
livello 
nelle 
indicazioni 
del 
Ministero 
della 
Salute, 
sono 
ospedali 
con 
bacino 
d�utenza 
compreso 
tra 
150.000 
e 
300.000 
persone 
e 
dotati 
di 
Dipartimenti 
di 
Emergenza 
e 
Accettazione. 
Oltre 
alle 
prestazioni 
di 
base 
garantite 
dai 
pres�di 
di 
base 
svolgono funzioni 
di 
osservazione, breve 
degenza 
e 
rianimazione; 
inoltre 
dispongono di 
un numero maggiore 
di 
specialit� 
come 
ortopedia 
e 
trau

LEGiSLAziONE 
ED 
ATTuALTi� 


buisce 
un�ampia 
discrezionalit� 
in capo alla 
pubblica 
amministrazione 
in ordine 
al 
ridimensionamento della 
rete 
ospedaliera 
e 
laboratoristica 
regionale, 
dovendosi 
rapportare, tali 
scelte, alle 
specifiche 
esigenze 
territoriali 
e 
al 
contenimento 
della spesa pubblica (64). 

Anche 
in questo caso sono state 
disattese 
le 
doglianze 
dei 
ricorrenti 
inerenti 
il 
depotenziamento di 
un presidio ospedaliero o l�accorpamento di 
esso 
con altro presidio, avendo il 
T.A.R. calabrese 
ritenuto che 
il 
Commissario ad 
acta, con i 
provvedimenti 
impugnati, ha 
posto in essere 
una 
serie 
di 
interventi 
volti 
ad attuare 
il 
Piano di 
rientro, il 
quale 
attribuisce 
a 
quest�ultimo un ampio 
potere 
programmatorio, attraverso il 
quale, lo stesso Commissario, pu� individuare 
- nei 
limiti 
di 
legge 
e 
nel 
limite 
della 
ragionevolezza 
tecnica 
e 
della 
propria 
discrezionalit� 
- le 
strutture 
da 
potenziare 
e 
quelle 
invece 
da 
depotenziare 
(attenendosi ai criteri impartiti dal Ministero). 


Si 
tratterebbe, quindi, anche 
in questo caso, di 
provvedimenti 
insindacabili 
sul 
piano giurisdizionale 
se 
non per i 
soli 
profili 
di 
macroscopica 
o manifesta 
illogicit� o arbitrariet�. 


il 
T.A.R., pertanto, ha 
affermato che 
i 
poteri 
del 
Commissario sono funzionali 
agli 
obiettivi 
a 
lui 
attribuiti 
dalla 
legge, con la 
conseguenza 
che 
il 
de-
potenziamento 
di 
strutture 
ospedaliere 
pubbliche 
appare 
senza 
dubbio 
coerente 
in una 
funzione 
di 
programmazione 
generale 
con le 
funzioni 
allo stesso attribuite 
e con i compiti ad esso spettanti. 

inoltre, la 
valutazione 
svolta 
dalla 
pubblica 
amministrazione 
non pu� essere 
censurata 
se 
la 
stessa 
ha 
adeguatamente 
contemperato e 
analizzato i 
vari 


matologia, ostetricia 
e 
ginecologia, pediatria. Gli 
spoke 
dispongono anche 
di 
tutti 
i 
servizi 
e 
i 
collegamenti 
necessari 
per stabilizzare 
pazienti 
gravi, come 
quelli 
con patologie 
cardiovascolari 
complesse 
o 
con ictus, e per trasportarli nei centri di livello superiore. 
il 
vertice 
della 
catena 
sanitaria 
� 
occupato dagli 
hub, strutture 
in grado di 
servire 
un bacino di 
utenza 
da 


300.000 
a 
1.200.000 
abitanti. 
Negli 
hub 
hanno 
sede 
i 
Dipartimenti 
Emergenza 
e 
Accettazione 
di 
secondo 
livello, che 
comprendono tutte 
le 
funzioni 
degli 
spoke 
e 
in pi� hanno a 
disposizione 
specializzazioni 
complesse 
come 
cardiochirurgia 
e 
neurochirurgia, cardiologia 
con emodinamica 
interventistica. Negli 
hub 
dovrebbe 
essere 
sempre 
presente, secondo il 
decreto che 
ne 
istituisce 
l�esistenza, la 
radiologia 
con 
TAC ed ecografia 
e 
il 
servizio immunotrasfusionale, e 
in generale 
tutte 
le 
discipline 
ad alta 
specializzazione 
la cui presenza non � prevista nelle strutture di primo livello. 
(64) Lo scopo del 
D.M. n. 70/2015, infatti, � 
proprio quello di 
imporre 
alle 
regioni 
un riordino 
della 
rete 
ospedaliera 
ai 
fini 
del 
raggiungimento 
degli 
standard 
qualitativi, 
strutturali, 
tecnologici 
e 
quantitativi 
relativi 
all'assistenza 
ospedaliera. Si 
legge, infatti, all�art. 1, che 
�Le 
regioni 
provvedono, entro 
tre 
mesi 
dalla data di 
entrata in vigore 
del 
presente 
decreto, ad adottare 
il 
provvedimento generale 
di 
programmazione 
di 
riduzione 
della dotazione 
dei 
posti 
letto ospedalieri 
accreditati 
ed effettivamente 
a 
carico del 
Servizio sanitario regionale, ad un livello non superiore 
a 3,7 posti 
letto (p.l.) per 
mille 
abitanti, 
comprensivi 
di 
0,7 
posti 
letto 
per 
mille 
abitanti 
per 
la 
riabilitazione 
e 
la 
lungodegenza 
post-acuzie, 
nonch� 
i 
relativi 
provvedimenti 
attuativi, 
garantendo, 
entro 
il 
triennio 
di 
attuazione 
del 
patto 
per 
la 
salute 
2014-2016, il 
progressivo adeguamento agli 
standard di 
cui 
al 
presente 
decreto, in coerenza con 
le 
risorse 
programmate 
per 
il 
Servizio sanitario nazionale 
(SSN) e 
nell'ambito della propria autonomia 
organizzativa 
nell'erogazione 
delle 
prestazioni 
incluse 
nei 
Livelli 
essenziali 
di 
assistenza 
sanitaria 
(LEa), 
di 
cui 
al 
decreto del 
Presidente 
del 
Consiglio dei 
ministri 
29 novembre 
2001, e 
successive 
modificazioni�. 

RASSEGNA 
AVVOCATuRA 
DELLO 
STATO - N. 1/2017 


profili 
tecnici 
relativi 
agli 
interessi 
pubblici 
sottesi, 
sicch� 
nessuna 
lesione 
pu� 
configurarsi 
in capo al 
cittadino per il 
semplice 
fatto che 
un presidio ospedaliero 
� 
stato ridimensionato dal 
piano di 
riorganizzazione 
posto in essere 
dalla 
struttura commissariale. 

3.5. Sull�illegittimit� della convenzione 
stipulata tra il 
Commissario ad acta 
e l�agenzia Nazionale per i Servizi Sanitari regionali (age.na.s.) 
Come 
accennato 
in 
precedenza, 
una 
ulteriore 
questione 
affrontata 
dal 


T.A.R. calabrese 
ha 
riguardato l�impugnazione 
proposta 
avverso il 
D.C.A. n. 
46/2016 
(successivamente 
modificato 
dal 
D.C.A. 
n. 
58/2016), 
con 
cui 
il 
Commissario 
ad acta approvava 
una 
convenzione 
con l�Autorit� 
Nazionale 
per i 
Servizi 
Sanitari 
Regionali 
(Age.na.s.) 
(65) 
per 
la 
realizzazione 
di 
attivit� 
di 
supporto tecnico-operativo e 
di 
affiancamento ai 
fini 
dell�attuazione 
del 
Programma 
Operativo 
2016-2018 
con 
riferimento 
alla 
riorganizzazione 
della 
rete 
ospedaliera, 
rete 
dell�emergenza 
urgenza, 
reti 
tempo 
dipendenti 
e 
reti 
cliniche, 
gi� 
programmate; 
programmazione 
delle 
ulteriori 
reti 
cliniche 
previste 
dal 
D.M. 
Salute 
n. 
70/2015; 
revisione 
del 
documento 
di 
programmazione 
della 
rete 
di 
assistenza 
territoriale 
e 
laboratoristica 
(pubblica 
e 
privata) 
e 
relative 
azioni 
di 
riorganizzazione; 
completamento 
delle 
attivit� 
relative 
alla 
revisione 
dei 
manuali 
di 
autorizzazione 
e 
accreditamento 
nonch� 
supporto 
giuridico 
per 
la 
verifica 
della 
conformit� 
degli 
atti 
amministrativi 
inerenti 
provvedimenti 
di 
attuazione del piano di rientro. 
Tale 
giudizio 
� 
risultato 
particolarmente 
interessante 
in 
quanto 
si 
� 
trattato 
di 
un �anomalo� 
conflitto tra 
amministrazioni 
(Regione 
Calabria 
e 
Commissario 
ad acta) competenti 
- anche 
se 
in misura 
diversa 
e 
con ruoli 
differenti 
in 
ambito sanitario regionale. 


Ad impugnare 
il 
decreto citato � 
stata 
la 
Regione 
Calabria, la 
quale 
lamentava 
in primo luogo la 
sua 
estromissione 
dall�importantissima 
fase 
di 
attuazione 
del 
Programma 
Operativo per gli 
anni 
2016-2018 (in quanto tutte 
le 
funzioni 
ad essa 
attribuite 
venivano concesse 
all�Age.na.s); 
in secondo luogo, 
si 
doleva 
del 
fatto che 
(come 
si 
vedr� 
meglio infra) il 
corrispettivo previsto 
nella 
convenzione 
sarebbe 
gravato -ingiustamente 
e 
contro la 
sua 
volont� 
sul 
bilancio regionale (66). 


(65) 
L�Agenzia 
Nazionale 
per 
i 
Servizi 
Sanitari 
Regionali 
(Age.na.s) 
� 
un 
Ente 
pubblico 
non 
economico 
di 
rilievo nazionale, istituito con d.lgs. 30 giugno 1993, n. 266, il 
quale 
svolge 
funzioni 
di 
supporto 
al 
Ministero 
della 
Salute 
e 
alle 
Regioni 
per 
le 
strategie 
di 
sviluppo 
e 
innovazione 
del 
Servizio 
sanitario nazionale. Obiettivo prioritario e 
qualificante 
dell�Agenzia 
� 
lo 
svolgimento 
di 
attivit� 
di 
supporto 
tecnico-operativo 
alle 
politiche 
di 
governo 
dei 
sistemi 
sanitari 
di 
Stato 
e 
Regioni, 
all�organizzazione 
dei 
servizi 
e 
all�erogazione 
delle 
prestazioni 
sanitarie, 
in 
base 
agli 
indirizzi 
della 
Conferenza 
unificata 
(20 
settembre 
2007). 
L�Agenzia 
realizza 
tale 
obiettivo 
tramite 
attivit� 
di 
monitoraggio, 
di 
valutazione, 
di 
formazione 
e 
di 
ricerca 
orientate 
allo 
sviluppo 
del 
sistema 
salute. 
informazioni 
tratte 
dal 
www.agenas.it. 
(66) Difatti, anche 
se 
la 
convenzione 
veniva 
sottoscritta 
dal 
Commissario ad acta 
ing. Massimo 
Scura, lo stesso agiva 
in rappresentanza 
della 
Regione 
Calabria, come 
chiaramente 
espresso nell�inte

LEGiSLAziONE 
ED 
ATTuALTi� 


Preliminarmente, 
da 
parte 
del 
Commissario 
ad 
acta 
veniva 
eccepita 
l�inammissibilit� 
del 
ricorso 
per 
carenza 
originaria 
di 
legittimazione 
e 
interesse 
in capo alla Regione Calabria ricorrente. 

Tale 
ragionamento 
prendeva 
le 
mosse 
dalla 
circostanza 
secondo 
cui 
le 
funzioni 
attribuite 
al 
Commissario (per come 
specificate 
nei 
programmi 
operativi) 
devono restare 
- fino all�esaurimento dei 
compiti 
commissariali 
- al 
riparo 
da ogni interferenza degli organi regionali. 

Si 
tratta, 
di 
un 
principio 
affermato, 
in 
particolare, 
anche 
dalla 
Corte 
Costituzionale 
con 
la 
sentenza 
n. 
278 
del 
12 
dicembre 
2014 
(67), 
nella 
quale 
si 
legge 
che 
�Le 
funzioni 
amministrative 
del 
Commissario, 
ovviamente 
fino 
all�esaurimento 
dei 
suoi 
compiti 
di 
attuazione 
del 
piano 
di 
rientro, 
devono 
essere 
poste 
al 
riparo 
da 
ogni 
interferenza 
degli 
organi 
regionali, 
senza 
che 
possa 
essere 
evocato 
il 
rischio 
di 
fare 
di 
esso 
l�unico 
soggetto 
cui 
spetti 
di 
provvedere 
per 
il 
superamento 
della 
situazione 
di 
emergenza 
sanitaria 
in 
ambito 
regionale� 
(68). 


Di 
conseguenza, 
il 
grave 
danno 
che 
la 
ricorrente 
avrebbe 
subito 
-secondo 
quanto assunto nel 
ricorso - per la 
�totale 
estromissione 
della regione 
Calabria 
dall�importantissima 
fase 
di 
attuazione 
del 
Programma 
operativo 
per 
gli 
anni 
2016.2018� 
non 
sarebbe 
giuridicamente 
ipotizzabile 
(e, 
quindi, 
� 
inesistente) 
in quanto la 
Regione 
non sarebbe 
titolare 
dell�interesse 
che 
con il 
ricorso 
avrebbe inteso tutelare. 


Sosteneva 
ancora 
la 
difesa 
del 
Commissario 
ad 
acta 
che 
l�esclusione 
della 
Regione 
dalle 
funzioni 
amministrative 
oggetto dei 
poteri 
commissariali 
rappresentava 
proprio una 
delle 
ragioni 
fondamentali 
del 
Piano di 
rientro; 
le 
delibere 
del 
Commissario sono ordinanze 
emergenziali 
statali 
in deroga, ossia 
misure 
straordinarie 
che 
lo stesso Commissario - nell�esercizio delle 
proprie 
competenze 
e 
del 
suo ruolo di 
organo statale 
- � 
tenuto ad assumere 
in esecuzione 
del 
Piano 
di 
rientro. 
Pertanto, 
presupponendo 
il 
potere 
d�azione 
nel 
processo 
amministrativo 
la 
titolarit� 
di 
una 
situazione 
giuridica 
riconducibile 
a 
diritto 
soggettivo 
o 
interesse 
legittimo 
oltre 
che 
un 
interesse 
a 
ricorrere 
(inteso 
non come 
idoneit� 
astratta 
a 
conseguire 
un risultato utile, ma 
come 
interesse 
personale, concreto ed attuale 
al 
conseguimento di 
un vantaggio materiale 
o 
morale) 
il 
Commissario 
concludeva 
per 
l�inammissibilit� 
del 
ricorso 
proposto 
dalla 
Regione 
Calabria 
per carenza 
originaria 
di 
legittimazione 
e 
interesse 
in 
capo alla medesima. 


stazione 
dell�atto in cui 
si 
legge: 
�Convenzione 
tra: la regione 
Calabria con sede 
in Catanzaro, Via 
Sensales 
(Pal. alemanni), rappresentata dal 
Commissario ad acta per 
l'attuazione 
del 
piano di 
rientro 
dai 
disavanzi 
del 
settore 
sanitario, ing. massimo Scura, (di 
seguito regione) domiciliato per 
la carica 
presso la sede 
della regione 
medesima ed avente 
i 
poteri 
per 
il 
presente 
atto ��, provvedimento reperibile 
in www.regione.calabria.it. 


(67) in www.cortecostituzionale.it. 
(68) in questo senso si 
vedano, inoltre, Corte 
Cost. n. 78/2011; 
id., 104/2013; 
id., 228/2015, in 
www.cortecostituzionale.it. 

RASSEGNA 
AVVOCATuRA 
DELLO 
STATO - N. 1/2017 


il 
T.A.R., 
all�esito 
dell�udienza 
camerale 
-pur 
non 
pronunciandosi 
espressamente 
sull�ammissibilit� 
o 
meno 
del 
ricorso 
-accoglieva 
le 
argomentazioni 
svolte 
dal 
Commissario 
ad 
acta 
e, 
con 
ord. 
n. 
270 
del 
29 
giugno 
2016 
(69), 
affermava 
che 
�non 
sussistono 
le 
condizioni 
per 
rendere 
il 
provvedimento 
cautelare 
invocato 
dalla 
parte 
ricorrente, 
alla 
luce 
del 
costante 
insegnamento 
della 
Corte 
costituzionale, 
richiamato 
dalla 
difesa 
erariale 
resistente 
(Corte 
cost. 
11 
marzo 
2011, 
n. 
78; 
29 
maggio 
2013, 
n. 
104; 
12 
dicembre 
2014, 
n. 
278), 
per 
cui: 
1) 
la 
nomina 
di 
un 
Commissario 
ad 
acta 
per 
l�attuazione 
del 
piano 
di 
rientro 
dal 
disavanzo 
sanitario, 
previamente 
concordato 
tra 
lo 
Stato 
e 
la 
regione 
interessata, 
sopraggiunge 
all�esito 
di 
una 
persistente 
inerzia 
degli 
organi 
regionali, 
essendosi 
questi 
ultimi 
sottratti 
ad 
un�attivit� 
che 
pure 
� 
imposta 
dalle 
esigenze 
di 
finanza 
pubblica; 
2) 
detta 
attivit� 
� 
volta 
a 
soddisfare 
la 
necessit� 
di 
assicurare 
la 
tutela 
dell�unit� 
economica 
della 
repubblica, 
oltre 
che 
i 
livelli 
essenziali 
delle 
prestazioni 
concernenti 
un 
diritto 
fondamentale 
(art. 
32 
Cost.) 
qual 
� 
quello 
alla 
salute; 
3) 
in 
questo 
quadro, 
le 
funzioni 
amministrative 
del 
commissario, 
ovviamente 
fino 
all�esaurimento 
dei 
suoi 
compiti 
di 
attuazione 
del 
piano 
di 
rientro, 
devono 
essere 
poste 
al 
riparo 
da 
ogni 
interferenza 
degli 
organi 
regionali, 
senza 
che 
possa 
essere 
evocato 
il 
rischio 
di 
fare 
di 
esso 
l�unico 
soggetto 
cui 
spetti 
di 
provvedere 
per 
il 
superamento 
della 
situazione 
di 
emergenza 
sanitaria 
in 
ambito 
regionale; 
ritenuto, 
peraltro, 
che 
l�esame 
dello 
schema 
di 
convenzione 
non 
consente 
di 
affermare 
che 
l�age.na.s. 
sia 
chiamata 
a 
svolgere 
in 
via 
esclusiva 
l�attivit� 
demandatagli�. 


Prescindendo da 
tali 
questioni 
di 
rito, il 
punto principale 
che 
ha 
formato 
oggetto 
di 
contestazione 
da 
parte 
della 
Regione 
Calabria 
si 
incentrava 
sulla 
circostanza 
secondo cui 
la 
convenzione 
approvata 
con il 
D.C.A. n. 46/2016 
prevedeva 
un corrispettivo in favore 
dell�Age.na.s. pari 
a 
� 200.000,00 annui 
(art. 6 della 
convenzione). La 
difesa 
regionale, infatti, riteneva 
irragionevole 
e 
ingiusto attribuire 
a 
titolo oneroso funzioni 
che 
sarebbero gi� 
attribuite 
ex 
lege 
alla 
stessa 
Agenzia 
e, 
soprattutto, 
gi� 
retribuite 
dal 
Ministero 
della 
Salute 
e, 
quindi, 
a 
carico 
del 
bilancio 
dello 
Stato; 
riteneva 
ancora 
pi� 
illegittimo, 
come 
detto 
sopra, 
che 
tale 
importo 
sarebbe 
gravato 
sul 
bilancio 
regionale, 
producendo 
cos� 
una 
doppia 
lesione 
nei 
confronti 
della 
stessa 
regione 
(da 
un 
lato, 
infatti, la 
sottrazione 
delle 
funzioni 
ad essa 
attribuite 
e, dall�altro, la 
concessione 
a 
suo carico dell�importo di 
� 200.000,00 in favore 
di 
un altro ente 
che 
avrebbe dovuto svolgere proprio le funzioni ad essa sottratte). 

La 
difesa 
del 
Commissario ad acta, di 
contro, sosteneva 
che 
la 
centralit� 
del 
ruolo riconosciuto a 
quest�ultimo (il 
quale 
si 
sostituisce 
in toto 
agli 
enti 
ordinariamente 
competenti) prevede 
che 
lo stesso goda 
di 
amplissimi 
poteri 
finalizzati 
ad una 
efficace 
e 
concreta 
attuazione 
del 
programma, tra 
cui 
anche 


(69) in www.giustizia.amministrativa.it. 

LEGiSLAziONE 
ED 
ATTuALTi� 


quella 
di 
concedere 
incarichi 
(non importa 
se 
a 
titolo gratuito o oneroso) per 
la 
corretta 
e 
sostanziale 
attuazione 
del 
Piano 
di 
rientro 
e, 
la 
convenzione 
in 
questione, a suo dire, non era altro che esercizio di tali poteri. 


Avverso l�ordinanza 
del 
T.A.R. Calabria 
n. 270/2016 cit., la 
Regione 
Calabria 
proponeva 
appello 
innanzi 
al 
Consiglio 
di 
Stato, 
mentre, 
medio 
tempore, 
veniva 
emanato il 
D.C.A 
n. 58/2016, con cui 
veniva 
modificato il 
precedente 


D.C.A. n. 46/2016 sia 
nella 
sua 
parte 
motiva 
(la 
convenzione 
veniva 
integrata 
con riferimenti 
legislativi 
e 
normativi 
a 
sostegno dell�adozione 
del 
provvedimento) 
oltre 
che 
nella 
sua 
parte 
dispositiva 
(la 
rubrica 
dell�art. 6 veniva 
modificata 
da �Corrispettivo� a �Contributo�). 
Tali 
modifiche, per�, non sono bastate 
a 
persuadere 
il 
Consiglio di 
Stato 
chiamato a 
pronunciarsi 
sull�impugnazione 
della 
predetta 
ordinanza. Difatti, 
con ord. 1 settembre 
2016, n. 3618 (70), il 
Cons. St., sez. iii, - capovolgendo 
l�impostazione 
fornita 
dal 
T.A.R. Calabria 
con l�ordinanza 
cautelare 
- ha 
sospeso 
il 
provvedimento impugnato nella 
parte 
in cui 
conteneva 
la 
previsione 
di 
un 
corrispettivo 
a 
favore 
di 
Age.na.s. 
Tale 
decisione 
affonda 
le 
sue 
basi 
sulla 
circostanza 
secondo cui 
il 
quadro normativo vigente 
(�seppur 
complesso e 
di 
non 
chiara 
decifrazione� 
afferma 
testualmente 
il 
Consiglio 
di 
Stato) 
non 
sembra 
attribuire 
ad Age.na.s. la 
facolt� 
di 
stipulare 
convenzioni 
a 
titolo oneroso 
per lo svolgimento di 
attivit� 
a 
supporto delle 
Regioni 
sottoposte 
a 
Piano di 
rientro, 
�essendo 
tali 
attivit� 
ricomprese 
nel 
novero 
delle 
competenze, 
dei 
compiti 
e 
degli 
obblighi 
assegnatile 
dalla 
legislazione 
relativa 
ai 
Piani 
di 
rientro 
dai disavanzi del settore sanitario�. 


La 
vicenda 
si 
� 
infatti 
conclusa 
con il 
conferimento dei 
predetti 
incarichi 
all�Age.na.s., a titolo, per�, meramente gratuito (71). 

4. i principi 
enucleati 
dalla Corte 
costituzionale 
in materia di 
emergenza sanitaria. 
� 
utile 
evidenziare, 
adesso, 
come 
i 
principi 
sanciti 
dal 
T.A.R. 
Calabria 
nonch� 
contenuti 
nella 
normativa 
applicabile 
alle 
regioni 
sottoposte 
a 
Piano 
di 
rientro, 
siano 
stati 
rafforzati 
da 
numerose 
pronunce 
della 
Corte 
Costituzionale. 


Quest�ultima, ha 
sempre 
confermato la 
piena 
legittimit� 
delle 
norme 
che 
stabiliscono vincoli 
e 
limiti 
all�autonomia 
regionale 
ai 
fini 
del 
coordinamento 


(70) in www.giustizia-amministrativa.it. 
(71) Difatti, con la 
nota 
prot. n. 268382 del 
6 settembre 
2016, il 
Commissario ad acta 
(ing. Massimo 
Scura) comunicava 
al 
Direttore 
dell�Age.na.s. quanto segue: 
�Egr. Direttore, nell�apprendere 
che 
i'Ecc.mo Consiglio di 
Stato, con ordinanza n. 3618 del 
30 agosto 2016, ha accolto l�appello cautelare 
proposto 
dalla 
regione 
Calabria 
e, 
per 
l'effetto, 
ha 
sospeso 
gli 
effetti 
del 
DCa 
n. 
58/2016 
del 
24 
giugno 
2016, siamo qui 
a chiederLe 
di 
voler 
ugualmente 
fornire 
a questa Struttura Commissariale, la preziosa 
collaborazione 
dell'agenzia 
da 
Lei 
diretta, 
a 
titolo 
meramente 
gratuito, 
senza 
alcun 
onere 
a 
carico 
della 
regione 
Calabria, per 
la realizzazione 
di 
attivit� di 
supporto tecnico-operativo e 
di 
affiancamento per 
l�attuazione del Programma operativo 2016-2018�. 

RASSEGNA 
AVVOCATuRA 
DELLO 
STATO - N. 1/2017 


della 
finanza 
pubblica 
e 
della 
salvaguardia 
degli 
obiettivi 
a 
cui 
lo stesso coordinamento 
� finalizzato. 

il 
principio di 
fondo sancito dalla 
Consulta 
attesta 
il 
carattere 
vincolante 
del Piano di rientro esplicitamente stabilito in via legislativa. 


Tra 
le 
disposizioni 
sottoposte 
al 
vaglio 
di 
legittimit� 
costituzionale 
vi 
sono 
diverse 
disposizioni 
disciplinanti 
lo 
stato 
di 
squilibrio 
economico-finanzario 
del 
settore 
sanitario 
regionale, 
tra 
cui, 
principalmente, 
l�art. 
1, 
comma 
796, 
lettera 
b), 
l. 
27 
dicembre 
2006, 
n. 
296 
(72) 
(il 
quale 
detta 
la 
procedura 
per 
la 
stipula 
degli 
accordi 
tra 
le 
regioni 
interessate 
ai 
fini 
della 
predisposizione, 
sottoscrizione 
e 
attuazione 
del 
Piano 
di 
rientro 
dai 
disavanzi 
del 
settore 
sanitario 
(73)). 


(72) Legge Finanziaria 2007. 
(73) 
il 
quale 
dispone 
che 
�� 
istituito 
per 
il 
triennio 
2007-2009, 
un 
Fondo 
transitorio 
di 
1.000 
milioni 
di 
euro 
per 
l'anno 
2007, 
di 
850 
milioni 
di 
euro 
per 
l'anno 
2008 
e 
di 
700 
milioni 
di 
euro 
per 
l'anno 2009, la cui 
ripartizione 
tra le 
regioni 
interessate 
da elevati 
disavanzi 
� 
disposta con decreto del 
ministro della salute, di 
concerto con il 
ministro dell'economia e 
delle 
finanze, d'intesa con la Conferenza 
permanente 
per 
i 
rapporti 
tra 
lo 
Stato. 
L'accesso 
alle 
risorse 
del 
Fondo 
di 
cui 
alla 
presente 
lettera 
� 
subordinato alla sottoscrizione 
di 
apposito accordo ai 
sensi 
dell'articolo 1, comma 180, della legge 
30 dicembre 
2004, n. 311, e 
successive 
modificazioni, comprensivo di 
un Piano di 
rientro dai 
disavanzi. 
il 
piano di 
rientro deve 
contenere 
sia le 
misure 
di 
riequilibrio del 
profilo erogativo dei 
livelli 
essenziali 
di 
assistenza, per 
renderlo conforme 
a quello desumibile 
dal 
vigente 
Piano sanitario nazionale 
e 
dal 
vigente 
decreto del 
Presidente 
del 
Consiglio dei 
ministri 
di 
fissazione 
dei 
medesimi 
livelli 
essenziali 
di 
assistenza, 
sia 
le 
misure 
necessarie 
all'azzeramento 
del 
disavanzo 
entro 
il 
2010, 
sia 
gli 
obblighi 
e 
le 
procedure 
previsti 
dall'articolo 8 dell'intesa 23 marzo 2005 sancita dalla Conferenza permanente 
per 
i 
rapporti 
tra lo Stato, le 
regioni 
e 
le 
province 
autonome 
di 
Trento e 
di 
Bolzano, pubblicata nel 
supplemento 
ordinario n. 83 alla Gazzetta Ufficiale 
n. 105 del 
7 maggio 2005. Tale 
accesso presuppone 
che 
sia scattata formalmente 
in modo automatico o che 
sia stato attivato l'innalzamento ai 
livelli 
massimi 
dell'addizionale 
regionale 
all'imposta sul 
reddito delle 
persone 
fisiche 
e 
dell'aliquota dell'imposta regionale 
sulle 
attivit� produttive. Qualora nel 
procedimento di 
verifica annuale 
del 
piano si 
prefiguri 
il 
mancato 
rispetto 
di 
parte 
degli 
obiettivi 
intermedi 
di 
riduzione 
del 
disavanzo 
contenuti 
nel 
piano 
di 
rientro, 
la 
regione 
interessata 
pu� 
proporre 
misure 
equivalenti 
che 
devono 
essere 
approvate 
dai 
ministeri 
della salute 
e 
dell'economia e 
delle 
finanze. in ogni 
caso l'accertato verificarsi 
del 
mancato raggiungimento 
degli 
obiettivi 
intermedi 
comporta che, con riferimento all'anno d'imposta dell'esercizio successivo, 
l'addizionale 
all'imposta sul 
reddito delle 
persone 
fisiche 
e 
l�aliquota dell'imposta regionale 
sulle 
attivit� 
produttive 
si 
applicano 
oltre 
i 
livelli 
massimi 
previsti 
dalla 
legislazione 
vigente 
fino 
all'integrale 
copertura dei 
mancati 
obiettivi. La maggiorazione 
ha carattere 
generalizzato e 
non settoriale 
e 
non � 
suscettibile 
di 
differenziazioni 
per 
settori 
di 
attivit� e 
per 
categorie 
di 
soggetti 
passivi. Qualora invece 
sia verificato che 
il 
rispetto degli 
obiettivi 
intermedi 
� 
stato conseguito con risultati 
ottenuti 
quantitativamente 
migliori, la regione 
interessata pu� ridurre, con riferimento all'anno d'imposta dell'esercizio 
successivo, 
l'addizionale 
all'imposta 
sul 
reddito 
delle 
persone 
fisiche 
e 
l'aliquota 
dell'imposta 
regionale 
sulle 
attivit� produttive 
per 
la quota corrispondente 
al 
miglior 
risultato ottenuto. Gli 
interventi 
individuati 
dai 
programmi 
operativi 
di 
riorganizzazione, 
qualificazione 
o 
potenziamento 
del 
servizio 
sanitario 
regionale, necessari 
per 
il 
perseguimento dell'equilibrio economico, nel 
rispetto dei 
livelli 
essenziali 
di 
assistenza, 
oggetto 
degli 
accordi 
di 
cui 
all'articolo 
1, 
comma 
180, 
della 
legge 
30 
dicembre 
2004, 
n. 
311, 
e 
successive 
modificazioni, come 
integrati 
dagli 
accordi 
di 
cui 
all'articolo 1, commi 
278 e 
281, della 
legge 
23 dicembre 
2005, n. 266, sono vincolanti 
per 
la regione 
che 
ha sottoscritto l'accordo e 
le 
determinazioni 
in esso previste 
possono comportare 
effetti 
di 
variazione 
dei 
provvedimenti 
normativi 
ed amministrativi 
gi� adottati 
dalla medesima regione 
in materia di 
programmazione 
sanitaria. il 
ministero 
della salute, di 
concerto con il 
ministero dell'economia e 
delle 
finanze, assicura l�attivit� di 
affiancamento 
delle 
regioni 
che 
hanno sottoscritto l'accordo di 
cui 
all'articolo 1, comma 180, della legge 
30 dicembre 
2004, 
n. 
311, 
comprensivo 
di 
un 
Piano 
di 
rientro 
dai 
disavanzi, 
sia 
ai 
fini 
del 
monitoraggio 
dello 

LEGiSLAziONE 
ED 
ATTuALTi� 


in particolare, con riferimento all�art. 1, comma 
796, lettera 
b), l. n. 296 
del 
2006 - con una 
sentenza 
riassuntiva 
di 
tutte 
le 
altre 
pronunce 
precedentemente 
emesse 
in materia 
(74) 
(75) - la 
Consulta 
ha 
affermato che 
tale 
norma 
�pu� 
essere 
qualificata 
come 
espressione 
di 
un 
principio 
fondamentale 
diretto 
al 
contenimento della spesa pubblica sanitaria e, dunque, espressione 
di 
un 
correlato 
principio 
di 
coordinamento 
della 
finanza 
pubblica�. 
Pertanto, 
l�esplicita 
condivisione 
da 
parte 
delle 
Regioni 
della 
assoluta 
necessit� 
di 
contenere 
i 
disavanzi 
del 
settore 
sanitario 
determina 
una 
situazione 
nella 
quale 
l�autonomia 
legislativa 
concorrente 
delle 
Regioni 
nel 
settore 
della 
tutela 
della 
salute 
ed 
in 
particolare 
nell�ambito 
della 
gestione 
del 
servizio 
sanitario 
pu� 
incontrare 
limiti 
alla 
luce 
degli 
obiettivi 
della 
finanza 
pubblica 
e 
del 
contenimento 
della spesa. 

Ci� in quanto, afferma 
ancora 
la 
Consulta, �le 
norme 
statali 
che 
fissano 
limiti 
alla 
spesa 
di 
enti 
pubblici 
regionali 
sono 
espressione 
della 
finalit� 
di 
coordinamento 
finanziario, 
per 
cui 
il 
legislatore 
statale 
pu� 
legittimamente 
imporre 
alle 
regioni 
vincoli 
alla 
spesa 
corrente 
per 
assicurare 
l�equilibrio 
unitario della finanza pubblica complessiva, in connessione 
con il 
perseguimento 
di obbiettivi nazionali, condizionati anche da obblighi comunitari�. 

invero, la 
giurisprudenza 
amministrativa, ha 
- conformemente 
al 
dettato 
della 
Corte 
- sviluppato e 
valorizzato tali 
principi, 
in primis 
con le 
citate 
sentenze 
dell�Adunanza 
Plenaria. n. 8 del 
2006 e 
nn. 3 e 
4 del 
2012, e 
successivamente 
con numerose sentenze (76). 

stesso, 
sia 
per 
i 
provvedimenti 
regionali 
da 
sottoporre 
a 
preventiva 
approvazione 
da 
parte 
del 
ministero 
della salute 
e 
del 
ministero dell'economia e 
delle 
finanze, sia per 
i 
Nuclei 
da realizzarsi 
nelle 
singole 
regioni 
con funzioni 
consultive 
di 
supporto tecnico, nell�ambito del 
Sistema nazionale 
di 
verifica e 
controllo 
sull'assistenza sanitaria di 
cui 
all'articolo 1, comma 288, della legge 
23 dicembre 
2005, n. 266�. 


(74) Corte Cost., 12 maggio 2011, n. 163, in www.cortecostituzionale.it. 
(75) Riassuntiva 
dei 
principi 
gi� 
pressoch� 
enucleati 
dalla 
Consulta 
con le 
precedenti 
pronunce 
Corte 
Cost., 18 febbraio 2010, n. 52; 
id., 17 marzo 2010, n. 100; 
id. 
23 aprile 
2010, n. 141; 
id. 
11 aprile 
2011, n. 123; 
id. 12 maggio 2011, n. 163; 
id. 
25 aprile 
2012, n. 131; 
id. 
19 luglio 2013, n. 219; 
id. 
5 
maggio 2014, n. 110, tutte in www.cortecostituzionale.it. 
(76) Tra 
le 
pi� recenti 
ed esaustive, si 
vedano Cons. St., sez. iii, 1244/2016 cit.; 
id., 3 febbraio 
2016, n. 431, in Foro amm., 2016, 2, 280; 
id., 7 gennaio 2014, n. 2, ivi, 2014, 1, 29; 
id., 22 gennaio 
2014, n. 296, ivi, 2014, 1, 37; 
id., 2 aprile 
2014, n. 1582, 
ivi, 2014, 4, 1048; 
id., 6 febbraio 2015, n. 604, 
in ragiusan, 2015, 374-376, 159; 
id., 27 febbraio 2015 n. 982, ivi, 2015, 371-373, 183; 
id., 7 dicembre 
2015, n. 5539, in Foro amm., 2015, 12, 3059; 
id., 4 febbraio 2016, n. 450, in 
Banca Dati 
De 
Jure; 
id., 
17 dicembre 2015, n. 5731, in www.giustizia-amministrativa.it. 

RASSEGNA 
AVVOCATuRA 
DELLO 
STATO - N. 1/2017 


Il rilievo giuridico dei codici di comportamento 
nel settore pubblico, con riferimento alle varie forme di 
responsabilit� dei pubblici funzionari 


Federica Mariniello* 


Sommario: 
1. 
Premessa 
-2. 
ambito 
di 
applicabilit� 
del 
nuovo 
Codice 
di 
comportamento 
e 
suoi 
contenuti 
- 3. Valenza giuridica del 
nuovo Codice 
sul 
piano della responsabilit� dei 
pubblici funzionari - 4. Considerazioni conclusive. 


1. Premessa. 
La 
legge 
6 novembre 
2012, n. 190, recante 
�Disposizioni 
per la 
prevenzione 
e 
la 
repressione 
della 
corruzione 
e 
dell�illegalit� 
nella 
pubblica 
amministrazione� 
disegna 
un 
articolato 
quadro 
di 
misure 
dirette 
al 
contrasto 
di 
fenomeni 
di 
corruzione 
e 
illegalit� 
nella 
Pubblica 
Amministrazione, sia 
attraverso 
una strategia di prevenzione che di repressione. 


A 
tale 
contesto -in cui 
il 
legislatore 
ha 
inteso ridefinire 
gli 
standard di 
condotta 
nell�esercizio di 
funzioni 
pubbliche 
- sono riconducibili 
una 
serie 
di 
prescrizioni 
che 
si 
rivolgono, nel 
loro complesso, al 
rafforzamento dell�integrit� 
del 
funzionario pubblico come 
fattore 
decisivo per il 
buon andamento e 
l�imparzialit� 
della 
Pubblica 
Amministrazione, in ossequio al 
dettato costituzionale 
di 
cui 
agli 
artt. 97 e 
98, quest�ultimo recante 
il 
principio di 
esclusivit� 
al 
servizio della 
Nazione. Rilevano, altres�, a 
completamento del 
quadro costituzionale 
di 
riferimento 
in 
tema 
di 
legalit� 
ed 
etica 
pubblica: 
l�art. 
54 
comma 
2 
-in 
ordine 
al 
dovere, 
per 
coloro 
cui 
sono 
affidate 
funzioni 
pubbliche, 
di 
adempierle 
con 
disciplina 
e 
onore 
-che 
pu� 
fondatamente 
considerarsi 
una 
specificazione 
del 
citato principio di 
imparzialit� 
e 
buon andamento dell�organizzazione 
amministrativa; 
l�art. 28, che 
prevede 
la 
diretta 
responsabilit�, 
per 
i 
funzionari 
e 
i 
dipendenti 
dello 
Stato 
e 
degli 
enti 
pubblici, 
secondo 
le 
leggi 
penali, civili e amministrative, degli atti compiuti in violazione di diritti (1) 


Tra 
gli 
interventi 
operati 
dalla 
legge 
in 
parola 
-afferenti, 
tra 
l�altro, 
ai 
temi 
della 
trasparenza, 
della 
pubblicit�, 
dell�incompatibilit� 
di 
incarichi, 
della 
misurazione 
e 
valutazione 
della 
performance, 
della 
formazione 
e 
rotazione 
del 


(*) Dottoressa 
in Giurisprudenza 
- master in management 
e 
politiche 
delle 
Pubbliche 
Amministrazioni 
presso la Luiss Guido Carli in partnership con la Scuola Nazionale dell�Amministrazione. 

il 
presente 
scritto � 
la 
rielaborazione 
di 
un testo sviluppato all�interno del 
corso �prevenzione 
della corruzione 
amministrativa� 
tenuto dal 
Prof. B.G. Mattarella 
nell�ambito del 
master di 
ii livello in management 
e 
politiche 
delle 
amministrazioni 
pubbliche, 
organizzato 
dalla 
School 
of 
Government 
della 
Luiss 
Guido Carli in collaborazione con la Scuola Nazionale dell�Amministrazione. 


(1) 
F. 
MERLONi, 
La 
nuova 
autorit� 
nazionale 
anticorruzione, 
RAFFAELE 
CANTONE 
(a 
cura 
di), 
Giappichelli Editore, 2015, 65. 

LEGiSLAziONE 
ED 
ATTuALTi� 


personale 
che 
opera 
nell�ambito di 
attivit� 
pi� esposte 
al 
rischio di 
corruzione 


-assume 
rilievo centrale, sul 
piano della 
prevenzione 
dei 
fenomeni 
corruttivi, 
la 
nuova 
disciplina 
del 
Codice 
di 
comportamento dei 
dipendenti 
delle 
pubbliche 
amministrazioni, esito di 
una 
completa 
riformulazione 
dell�art. 54 del 
decreto 
legislativo 
30 
marzo 
2001, 
n. 
165, 
ad 
opera 
del 
comma 
44 
dell�art. 
1 
della 
legge 
n. 190/2012, cui 
� 
seguita 
l�adozione 
- con D.P.R. 16 aprile 
2013, 
n. 62 (2), emanato nelle 
forme 
previste 
per i 
regolamenti 
governativi 
dall'art. 
17 
comma 
1 
della 
legge 
n. 
400/1988 
-di 
un 
Codice 
recante 
una 
serie 
di 
principi 
comportamentali 
cui 
i 
pubblici 
dipendenti 
sono 
tenuti 
a 
uniformarsi 
sia 
sul 
posto 
di 
lavoro 
sia 
in 
ambito 
extra-lavorativo, 
tradotti 
in 
regole 
di 
condotta 
concrete 
e 
facilmente 
applicabili, che 
vanno a 
integrare 
i 
doveri 
d'ufficio e 
le 
altre 
ipotesi 
di 
responsabilit� 
disciplinare 
previsti 
dalle 
norme 
di 
legge, di 
regolamento 
e dai contratti collettivi (3). 
L�obiettivo del 
presente 
elaborato � 
quello di 
analizzarne 
l�impianto, focalizzandone 
un importante 
profilo innovativo rispetto alla 
previgente 
formulazione 
dell�art. 
54 
del 
d.lgs. 
n. 
165/2001: 
l�autonoma 
valenza 
giuridica, 
specificamente ai fini disciplinari. 


Ci� in piena 
adesione 
alla 
rigorosa 
disciplina 
prevista 
dalla 
citata 
legge 


n. 190/2012 che 
- oltre 
a 
prescrivere 
attivit� 
di 
formazione 
con il 
chiaro scopo 
di 
assicurare 
l�attualit� 
dell�interesse 
e 
della 
rilevanza 
del 
Codice 
con finalit� 
di 
prevenzione 
di 
comportamenti 
scorretti 
-rafforza 
anche 
il 
profilo 
costrittivo 
del 
provvedimento 
(prevedendo all�art. 16 che 
la 
violazione 
dei 
doveri 
in esso 
contenuti 
�integra 
comportamenti 
contrari 
ai 
doveri 
d'ufficio�), 
configurandolo 
quale 
�fonte 
diretta di 
responsabilit� disciplinare� 
- senza 
che 
sia 
necessaria 
la 
mediazione 
della 
contrattazione 
collettiva, cos� 
relegata 
ad un ruolo marginale 
-e 
attribuendogli 
rilevanza 
ai 
fini 
della 
responsabilit� 
civile, 
amministrativa 
e 
contabile 
quando 
le 
stesse 
siano 
collegate 
alla 
violazione 
di 
doveri, 
obblighi, 
leggi 
e 
regolamenti. 
Con 
riferimento 
a 
tale 
ultimo 
aspetto, 
� 
bene 
evidenziare 
che 
il 
rilievo giuridico connesso a 
responsabilit� 
di 
carattere 
soprattutto 
contabile costituisce il maggior deterrente introdotto dalla norma. 
Giova 
anche 
sottolineare 
sin d�ora 
che 
la 
ratio 
sottesa 
alla 
nuova 
e 
pi� rigorosa 
disciplina 
si 
coglie 
nell�intento di 
annettere 
alla 
previsione 
del 
rilievo 
disciplinare 
la 
finalit� 
di 
rendere 
il 
Codice 
di 
comportamento uno strumento 
efficace 
nei 
confronti 
di 
coloro 
che 
non 
si 
adeguino 
spontaneamente 
a 
principi 
che 
dovrebbero essere 
connaturali, conosciuti 
e 
seguiti 
non solo senza 
alcuna 
imposizione, ma 
con fierezza 
e 
personale 
impegno da 
chi 
� 
posto al 
servizio 
dei cittadini. 


(2) 
http://public.cittametropolitana.ct.it/public/amministrazione-Trasparente/upload/rELa-
ZioNE_iLLUSTraTiVa_CoDiCE_PrVCT.pdf. 
(3) 
http://www.diritto24.ilsole24ore.com/guidaalDiritto/amministrativo/primiPiani/2013/10/dipendenti-
pubblici-obblighi-piu-stringenti-con-il-codice-di-comportamento.php. 

RASSEGNA 
AVVOCATuRA 
DELLO 
STATO - N. 1/2017 


2. ambito di 
applicabilit� del 
nuovo Codice 
di 
comportamento e 
suoi 
contenuti. 
L�ambito soggettivo di 
applicazione 
del 
nuovo Codice 
ricomprende 
non 
solo i 
dipendenti 
pubblici 
c.d. contrattualizzati 
(delle 
amministrazioni 
pubbliche 
di 
cui 
all'art. 1, comma 
2, del 
citato d.lgs. n. 165/2001, il 
cui 
rapporto di 
lavoro � 
disciplinato in base 
all'art. 2, commi 
2 e 
3, del 
medesimo decreto (4)) 
ma 
� 
esteso, 
nei 
limiti 
di 
compatibilit�, 
a 
coloro 
che, 
pur 
estranei 
alla 
P.A., 
siano 
ad 
essa 
legati 
da 
rapporti 
di 
collaborazione 
professionale 
e 
di 
consulenza, 
rilevando, piuttosto che 
la 
natura 
giuridica 
del 
rapporto di 
lavoro che 
lega 
il 
soggetto alla 
Pubblica 
Amministrazione, la 
funzionalizzazione 
dell�attivit� 
al 
perseguimento di 
interessi 
pubblici. A 
tale 
scopo le 
Amministrazioni 
sono tenute 
a 
inserire, negli 
atti 
di 
incarico o nei 
contratti 
di 
acquisizione 
delle 
collaborazioni 
o 
dei 
servizi, 
clausole 
di 
risoluzione 
o 
decadenza 
del 
rapporto 
in 
caso di violazione degli obblighi derivanti dal Codice. 

Tale 
ultimo 
aspetto 
costituisce 
un 
quid 
novi 
rispetto 
al 
passato, 
cos� 
come 
inedita 
� 
la 
specifica 
sezione 
dedicata 
ai 
doveri 
dei 
dirigenti, in primis 
quello 
di 
aver un comportamento integerrimo improntato a 
lealt�, diligenza 
e 
puntualit� 
nell�adempimento dei 
propri 
compiti 
e 
nel 
porre 
a 
frutto tutte 
le 
risorse 
umane disponibili per l�ottimale andamento dell�ufficio. 


� 
bene 
precisare 
inoltre 
che 
il 
Codice 
non si 
applica 
alle 
Magistrature 
e 
all�Avvocatura 
dello Stato: 
esclusione 
riconducibile 
alla 
peculiare 
posizione 
di 
indipendenza 
e 
imparzialit� 
ad 
esse 
costituzionalmente 
riconosciuta. 
Nei 
confronti, 
invece, 
delle 
altre 
categorie 
indicate 
dall�art. 
3 
del 
d.lgs. 
n. 
165/2001 
(carriera 
prefettizia, 
diplomatica, 
forze 
di 
polizia, 
corpo 
militare, 
corpo 
nazionale 
dei 
vigili 
del 
fuoco) le 
norme 
del 
codice 
costituiscono principi 
di 
comportamento 
e 
trovano 
applicazione 
solo 
in 
quanto 
compatibili 
con 
le 
disposizioni 
dei 
rispettivi 
ordinamenti 
e, dunque, nel 
rispetto delle 
loro peculiarit� 
ordinamentali. 


Quanto ai 
contenuti, il 
riformato strumento, dopo la 
definizione 
dell�ambito 
di 
applicazione 
e 
il 
richiamo ad alcuni 
principi 
ai 
quali 
il 
pubblico dipendente 
deve 
informare 
la 
propria 
prestazione 
lavorativa 
(che 
potremmo 
definire 
dell��etica 
del 
dovere�: 
correttezza, 
diligenza, 
imparzialit�, 
legalit� 
ecc; 
e 
della 
�responsabilit��) 
e, 
pi� 
in 
generale, 
alle 
qualit� 
etiche 
che 
deve 
dimostrare 
nel 
proprio 
comportamento 
(lealt� 
e 
buona 
condotta), 
procede 
alla 
tipizzazione 
delle 
condotte 
illecite, necessaria 
in quanto esse 
costituiscono fonte 
diretta 
di 
responsabilit� 
disciplinare 
(eventualmente 
concorrente 
con altre 
forme 
di 
responsabilit�), 
come si chiarir� ulteriormente in prosieguo. 


(4) 
C. 
BENuSSi, 
il 
codice 
di 
comportamento 
dei 
dipendenti 
pubblici 
ha 
ora 
natura 
regolamentare, 
18 
giugno 
2013, 
in 
http://www.penalecontemporaneo.it/d/2365-il-codice-di-comportamento-deidipendenti-
pubblici-ha-ora-natura-regolamentare. 

LEGiSLAziONE 
ED 
ATTuALTi� 


Ancorch� 
rechi 
precetti 
puntuali 
e 
indicazioni 
operative, il 
suo impianto 
dispositivo, composto di 
17 articoli, si 
pone 
come 
contenuto minimo, caratterizzato 
da 
una 
struttura 
asciutta, 
necessariamente 
e 
doverosamente 
suscettibile 
di 
integrazione 
e 
ulteriore 
specificazione. Ci� attraverso due 
percorsi 
distinti: 
da 
un lato, con l�esplicitazione 
dei 
doveri 
connessi 
all�attuazione 
del 
Piano di 
prevenzione 
della 
corruzione, dei 
quali 
la 
legge 
n. 190/2012 afferma 
del 
pari 
la 
valenza 
a 
fini 
disciplinari; 
dall�altro, con i 
codici 
adottati 
dalle 
singole 
amministrazioni, 
in ragione 
delle 
specificit� 
dell'organizzazione 
e 
delle 
competenze 
istituzionali, nonch� della rete dei rapporti con i cittadini-utenti. 

il 
rinnovato 
strumento 
dispositivo, 
rispondendo 
a 
quanto 
statuito 
dalla 
legge 
n. 
190/2012 
(come 
contenuto 
obbligatorio), 
contiene, 
in 
applicazione 
del 
principio 
di 
imparzialit� 
dell�attivit� 
amministrativa, 
specifiche 
prescrizioni 
afferenti 
al 
divieto 
per 
il 
dipendente 
di 
chiedere, 
sollecitare 
o 
di 
accettare, 
per 
s� 
o 
per 
altri 
e 
a 
qualsiasi 
titolo 
(quindi, 
anche 
sotto 
forma 
di 
sconto), 
compensi, 
�regali 
o altre 
utilit�� (fatti 
salvi 
quelli 
d'uso e 
di 
modico valore 
non 
superiore, in via 
orientativa, a 
150 euro), ricomprendendo in questo contesto 
anche 
un 
divieto 
di 
collaborazioni 
con 
soggetti 
privati 
�che 
abbiano 
o 
abbiano 
avuto nel 
biennio precedente 
un interesse 
significativo in decisioni 
o attivit� 
inerenti l�ufficio di appartenenza�. 

Pi� 
in 
generale, 
dalla 
lettura 
delle 
previsioni 
contenute 
nel 
Codice 
emerge 
in tutta 
evidenza 
un rafforzamento dell�attenzione 
al 
tema 
dei 
conflitti 
di 
interesse, 
sia 
reali 
che 
apparenti, 
e 
in 
questo 
senso 
� 
palese 
la 
coerenza 
dello 
strumento con una disciplina volta a prevenire i fenomeni di malcostume. 


Al riguardo rilevano, in particolare, gli obblighi: 


-per 
il 
dipendente, 
di 
astenersi 
�dal 
prendere 
decisioni 
o 
svolgere 
attivit� 
inerenti 
le 
sue 
mansioni 
in 
situazioni 
di 
conflitto, 
anche 
potenziale, 
di 
interessi
� di 
qualsiasi 
natura, anche 
non patrimoniali, come 
quelli 
�derivanti 
dal-
l'intento 
di 
assecondare 
pressioni 
politiche, 
sindacali 
o 
dei 
superiori 
gerarchici�; 
di 
comunicare, 
all'atto 
dell'assegnazione 
all'ufficio, 
�tutti 
i 
rapporti, 
diretti 
o indiretti, di 
collaborazione� avuti 
con soggetti 
privati 
negli 
ultimi 
tre 
anni 
e 
in qualunque 
modo retribuiti, oltre 
che 
di 
precisare 
se 
con lo 
stesso (o con il 
di 
lui 
coniuge 
o convivente 
o parenti 
o affini 
entro il 
secondo 
grado) i rapporti finanziari sussistano ancora; 


-per il 
dirigente, prima 
di 
assumere 
le 
sue 
funzioni, di 
rappresentare 
al-
l'amministrazione 
�le 
partecipazioni 
azionarie 
e 
gli 
altri 
interessi 
finanziari� 
che 
possano 
porlo 
in 
conflitto 
d'interesse 
con 
le 
funzioni 
pubbliche 
che 
svolge. 
Strumentali 
al 
contenimento 
di 
eventuali 
situazioni 
di 
conflitto, 
tra 
la 
funzione 
pubblica 
e 
interessi 
privati, propri 
o di 
terzi, sono altres� 
i 
previsti 
obblighi 
di 
disclosure 
(la 
tempestiva 
comunicazione 
da 
parte 
del 
dipendente 
al 
responsabile 
dell'ufficio della 
propria 
�adesione 
o appartenenza� ad associazioni 
od organizzazioni 
- esclusi 
partiti 
politici 
e 
sindacati 
- i 
cui 
ambiti 
di 
interesse 
possano interferire con lo svolgimento delle attivit� dell'ufficio). 



RASSEGNA 
AVVOCATuRA 
DELLO 
STATO - N. 1/2017 


Meritevoli 
di 
specifica 
menzione, tra 
gli 
altri, gli 
ulteriori 
obblighi 
fissati 
nell�articolato, rispondenti 
a 
principi 
di 
imparzialit� 
e 
di 
parit� 
di 
trattamento 
dei 
destinatari 
dell�azione 
amministrativa, 
nonch� 
di 
utilizzo 
delle 
prerogative 
e 
poteri 
pubblici 
a 
fini 
esclusivamente 
di 
interesse 
generale. in tale 
contesto 
rileva, in particolare, il dovere: 


-di 
assicurare 
la 
trasparenza 
e 
la 
tracciabilit� 
dei 
processi 
decisionali 
adottati 
che 
dovr� 
�essere, in tutti 
i 
casi, garantita 
attraverso un adeguato supporto 
documentale, che consenta in ogni momento la replicabilit��; 


-di 
�comportamento 
nei 
rapporti 
privati� 
e 
�in 
servizio� 
e 
all'interno 
del-
l'organizzazione 
amministrativa. Rileva, in particolare, il 
dovere, nella 
trattazione 
delle 
pratiche, di 
rispettare, salvo diverse 
esigenze 
di 
servizio o diversa 
disposizione 
di 
priorit� 
stabilito 
dall'amministrazione 
di 
appartenenza, 
l'ordine 
cronologico e 
di 
non rifiutare, con motivazioni 
generiche, le 
prestazioni 
a 
cui 
sia tenuto; 


-di 
�rispetto dei 
vincoli 
posti 
dall'amministrazione� nell'utilizzo del 
materiale 
o 
delle 
attrezzature 
assegnate 
ai 
dipendenti 
per 
ragioni 
di 
ufficio, 
anche 
con riferimento ai servizi telematici e alle linee telefoniche dell'ufficio�. 
il 
Codice 
dedica 
infine 
particolare 
attenzione 
al 
comportamento 
che 
il 
dipendente 
deve 
osservare 
nei 
rapporti 
con 
il 
pubblico, 
declinandolo 
in 
una 
pluralit� 
di 
doveri 
(di 
cortesia 
e 
precisione; 
di 
fornire 
spiegazioni; 
di 
rispetto 
degli 
standard di qualit� ecc). 


3. Valenza giuridica del 
nuovo Codice 
sul 
piano della responsabilit� dei 
pubblici 
funzionari. 
Come 
gi� 
accennato, 
un 
profilo 
certamente 
decisivo 
del 
riformato 
Codice 
risiede 
nella 
sua 
autonoma 
valenza 
a 
fini 
disciplinari 
(5), 
che 
prescinde 
dal 
collegamento 
contrattuale 
con 
le 
relative 
sanzioni: 
i 
doveri 
preesistono 
e 
sono 
indisponibili rispetto alle dinamiche negoziali (6). 


Depone 
nel 
senso anche 
il 
tenore 
letterale 
del 
novellato art. 54 del 
d. lgs. 


n. 
165/2001 
e, 
in 
particolare, 
del 
comma 
3, 
a 
mente 
del 
quale 
la 
violazione 
dei 
doveri 
d�ufficio 
contenuti 
nel 
codice 
di 
comportamento 
Ǐ 
fonte 
di 
responsabilit� 
disciplinare�, 
da 
accertare 
all�esito 
del 
procedimento 
disciplinare 
e 
nel rispetto dei principi di gradualit� e proporzionalit� delle sanzioni. 
Ci� ferme 
restando le 
ipotesi 
in cui 
la 
violazione 
delle 
disposizioni 
contenute 
nel 
Codice, 
nonch� 
dei 
doveri 
e 
degli 
obblighi 
previsti 
dal 
piano 
di 
prevenzione 
della 
corruzione, diano luogo anche 
a 
responsabilit� 
penale, civile, 
amministrativa e contabile del pubblico dipendente. 

(5) 
Valenza 
che, 
alla 
luce 
del 
comma 
5 
dell�art. 
54 
del 
d. 
lgs. 
n. 
165/2001, 
si 
estende 
anche 
ai 
codici adottati da ciascuna 
Amministrazione. 
(6) Cfr. B.G. MATTARELLA, i codici 
di 
comportamento, in riv. giur. lav., 1, 1996, 275 ss.; 
E. CAR-
LONi, ruolo e 
natura dei 
c.d. �codici 
etici� 
delle 
amministrazioni 
pubbliche, in Diritto Pubblico, n. 1, 
2002, 319 ss. 

LEGiSLAziONE 
ED 
ATTuALTi� 


L�eventuale, concorrente 
rilevanza 
della 
violazione 
dei 
doveri 
posti 
dal 
Codice 
anche 
sul 
piano della 
responsabilit� 
civile, amministrativa 
o contabile 
costituisce 
una 
previsione 
ricognitiva 
di 
un fenomeno gi� 
esistente, in quanto 
sono numerose 
le 
sentenze 
della 
Corte 
dei 
conti, dei 
giudici 
del 
lavoro e 
dei 
giudici 
penali 
che 
dal 
rispetto 
o 
dalla 
violazione 
del 
Codice 
di 
comportamento 
traggono elementi 
per affermare 
o negare 
l'una 
o l'altra 
di 
quelle 
forme 
di 
responsabilit� 
(7). 

in sostanza, per effetto della 
�giuridicizzazione� 
operata 
dal 
Codice 
vigente, 
alle 
regole 
di 
comportamento 
imposte 
al 
pubblico 
dipendente 
corrisponde 
il 
diritto di 
pretenderne 
il 
rispetto da 
parte 
dell�Amministrazione, dei 
colleghi 
e 
degli 
amministrati, agendo in caso di 
loro violazione 
per far valere, 
in primo luogo, la 
responsabilit� 
disciplinare 
del 
dipendente, ma 
anche 
eventualmente 
concorrenti 
titoli 
di 
responsabilit� 
(cfr. 
art. 
16 
del 
Codice), 
posto 
che 
uno stesso fatto pu� assumere 
rilievo per le 
leggi 
amministrative, civili 
o 
penali, come recita l�art. 28 Cost. 


Esemplificativa, al 
riguardo, � 
l�ipotesi 
della 
responsabilit� 
amministrativa, 
avente 
carattere 
risarcitorio, per danno erariale 
connesso alla 
violazione 
di prescrizioni del Codice, con condotta caratterizzata da dolo o colpa grave. 

Orbene, se 
del 
precedente 
Codice 
del 
2000 si 
osservava 
la 
sua 
scarsa 
effettivit� 
in ragione 
dell�assenza 
della 
previsione 
di 
alcuna 
forma 
di 
responsabilit� 
e, dunque, di 
sanzioni 
(8), la 
questione 
parrebbe 
ormai 
superata 
con la 
scelta 
operata 
di 
contemplare 
una 
precisa 
e 
complessa 
dimensione 
di 
responsabilit�. 
L�efficacia 
del 
previgente 
Codice 
del 
2000 era, invero, problematica 
anche 
perch�, 
a 
fronte 
della 
codificazione 
unilaterale 
dei 
doveri 
realizzata 
tramite 
decreto 
governativo, 
era 
comunque 
contemplata 
un�altra 
determinazione 
degli 
obblighi 
del 
dipendente, 
rimessa 
al 
codice 
disciplinare 
e 
realizzata 
attraverso 
la 
contrattazione 
collettiva: 
per cui 
la 
domanda 
era 
quale 
fosse 
la 
responsabilit� 
che 
discendeva 
dal 
codice 
ex art. 54 del 
d. lgs. n. 165/2001, se 
la 
responsabilit� 
disciplinare 
gi� 
scaturiva 
dal 
rapporto contrattuale 
degli 
impiegati 
pubblici (9). 


Nella 
nuova 
formulazione 
del 
pi� 
volte 
menzionato 
art. 
54 
si 
coglie 
chia


(7) http://www.sileaspa.it/files/news/relazione_Guida_ii.pdf. 
(8) 
Tali 
erano 
le 
osservazioni 
riportate 
da 
B.G. 
MATTARELLA, 
Le 
regole 
dell�onest�: 
etica, 
politica, 
amministrazione, Bologna, 2007, 164 ss., bench� 
l�A. ritenesse 
che 
l�assenza 
di 
tale 
previsione 
fosse 
assolutamente 
dovuta 
ad una 
sorta 
di 
priorit� 
logica: 
il 
vecchio art. 54 del 
d.lgs. n. 165/2001 impostava 
l�intervento di 
risanamento degli 
apparati 
pubblici 
a 
partire 
dallo strumento del 
codice, con valenza 
di 
mero indirizzo dei 
comportamenti, e 
il 
successivo art. 55 demandava 
ai 
contratti 
collettivi 
la 
determinazione 
dei doveri e degli illeciti da cui potevano scaturire sanzioni. 
(9) 
G. 
NOViELLO, 
V. 
TENORE, 
La 
responsabilit� 
e 
il 
procedimento 
disciplinare 
nel 
pubblico 
impiego 
privatizzato: 
infrazioni, 
sanzioni 
e 
codice 
disciplinare, 
codici 
di 
comportamento, 
procedimento 
e 
natura 
dei 
relativi 
termini, responsabilit� disciplinare 
del 
dirigente, incompatibilit� e 
riflessi 
disciplinari, rapporti 
tra illecito penale 
e 
disciplinare, sospensione 
cautelare, (ricorsi 
amministrativi, ricorso giurisdizionale, 
conciliazione e arbitrato disciplinare), accesso e privacy, Milano, Giuffr�, 2002, 100 ss. 

RASSEGNA 
AVVOCATuRA 
DELLO 
STATO - N. 1/2017 


ramente 
la 
significativa 
innovazione 
riguardo 
alla 
previgente 
versione, 
che 
postulava, invece, un coordinamento dei 
principi 
del 
Codice 
con le 
previsioni 
dei 
contratti: 
nel 
nuovo assetto normativo alla 
fonte 
negoziale 
compete 
l�individuazione 
delle 
infrazioni 
e 
delle 
sanzioni, ma 
ci� a 
valle 
della 
definizione 
dei doveri comportamentali operata con regolamento e fonti unilaterali. 


La 
previsione 
� 
ulteriormente 
rafforzata 
dall�ultimo 
passaggio 
del 
terzo 
comma, 
a 
mente 
del 
quale 
violazioni 
gravi 
o 
reiterate 
del 
Codice 
comportano 
l�irrogazione 
della 
sanzione 
del 
licenziamento 
ex 
lege 
(art. 
55-quater, 
comma 
1), 
a 
fronte 
di 
una 
serie 
di 
ipotesi 
legate 
essenzialmente 
a 
violazioni, 
ritenute 
particolarmente 
gravi, 
di 
doveri 
di 
diligenza 
e 
prestazione 
lavorativa 
(a 
titolo 
esemplificativo: 
falsa 
attestazione 
della 
presenza 
in 
servizio; 
ingiustificato 
rifiuto 
del 
trasferimento 
disposto 
dall�amministrazione 
per 
motivate 
esigenze 
di 
servizio; 
falsit� 
documentali 
o 
dichiarative 
commesse 
ai 
fini 
o 
in 
occasione 
dell�instaurazione 
del 
rapporto 
di 
lavoro 
ovvero 
di 
progressioni 
in 
carriera; 
reiterazione 
nell�ambiente 
di 
lavoro 
di 
gravi 
condotte 
aggressive 
o 
moleste 
o 
minacciose 
o 
ingiuriose 
o 
comunque 
lesive 
dell�onore 
e 
della 
dignit� 
personale 
altrui). 


Va 
anche 
precisato 
sul 
punto 
che, 
al 
di 
fuori 
della 
dimensione 
disciplinare, 
le 
norme 
in questione 
hanno un autonomo rilievo e 
assumono una 
propria 
efficacia 
in 
termini 
anche 
sanzionatori 
laddove 
la 
violazione 
dei 
doveri 
sia 
�grave� o reiterata� (10). 


Ritenuto, dunque, alla 
luce 
di 
quanto sopra 
argomentato, superato ogni 
dubbio residuo sulla 
natura 
solo etica 
o deontologica 
dei 
codici 
(11), non possono, 
certo, sottacersi 
una 
serie 
di 
problemi 
di 
�messa 
a 
sistema� 
posti 
dalla 
norma 
primaria. Tra 
questi, ad esempio: 
quali 
siano le 
sanzioni 
applicabili 
in 
caso di 
violazione 
delle 
disposizioni 
del 
codice 
ancorch� 
non �gravi 
o reiterate�; 
come 
si 
raccordino i 
doveri 
del 
Codice 
con le 
sanzioni 
disciplinari 
definite 
dalla 
contrattazione, 
laddove 
potrebbe 
ipotizzarsi 
un 
nuovo 
assetto 
in 
cui 
a 
quest�ultima 
risulterebbe 
rimessa 
la 
previsione 
delle 
tipologie 
di 
sanzioni, 
ma 
non anche 
il 
raccordo tra 
queste 
e 
i 
doveri 
posti 
unilateralmente 
attraverso 
i 
Codici 
di 
comportamento. infatti, secondo il 
D.P.R. n. 62/2013, ai 
fini 
della 
determinazione 
del 
tipo e 
dell�entit� 
della 
sanzione 
disciplinare 
la 
violazione 
� 
valutata 
con riguardo alla 
gravit� 
del 
comportamento e 
all�entit� 
del 
pregiudizio, 
anche 
morale, derivatone 
al 
decoro o al 
prestigio dell�amministrazione 
e 
le 
sanzioni 
risultano dunque 
essere 
quelle 
previste 
dalla 
legge, dai 
regolamenti 
e dai contratti collettivi. 


infine, 
deve 
ritenersi 
che, 
se 
una 
certa 
violazione 
non 
� 
sanzionata 
dai 


(10) 
E. 
CARLONi, 
il 
nuovo 
Codice 
di 
comportamento 
ed 
il 
rafforzamento 
dell�imparzialit� 
dei 
funzionari 
pubblici, in Le 
istituzioni 
del 
federalismo: bimestrale 
di 
studi 
giuridici 
e 
politici 
della regione 
Emilia romagna, n. 2/2013, 377-407, fasc. A. 34. 
(11) 
F. 
MERLONi, 
Codici 
di 
comportamento, 
in 
R. 
GAROFOLi 
-G. 
FERRARi 
-M.A. 
SANDuLLi 
(a 
cura di), Diritto amministrativo, in il libro dell�anno del diritto, 2014, ist. Enc. Treccani, Roma. 

LEGiSLAziONE 
ED 
ATTuALTi� 


contratti, prevarr� 
la 
legge 
e 
il 
procedimento disciplinare 
dovr� 
comunque 
essere 
avviato. 
in 
pratica, 
occorrer� 
ricondurre 
la 
violazione, 
non 
espressamente 
prevista, 
a 
una 
delle 
generiche 
previsioni 
normalmente 
contenute 
nei 
contratti. 
E, dato che 
la 
legge 
non dispone 
in ordine 
alla 
fase 
transitoria, deve 
ritenersi 
che 
l�obbligo di 
attribuire 
rilievo disciplinare 
delle 
violazioni 
sia 
immediato, 
senza bisogno di attendere la prossima tornata contrattuale (12). 


Ne 
deriva, evidentemente, una 
maggiore 
importanza 
del 
Codice 
di 
comportamento: 
di 
tutte 
le 
sue 
previsioni, 
anche 
di 
quelle 
finora 
trascurate 
dai 
contratti 
collettivi 
e 
che, 
quindi, 
i 
dipendenti 
pubblici 
potevano 
permettersi 
di 
ignorare. 
Nessuna 
previsione 
pu� 
pi� 
essere 
ignorata, 
salvo 
incorrere 
in 
responsabilit� 
disciplinare. 
Ne 
consegue, 
ovviamente, 
come 
corollario, 
anche 
una 
pi� significativa 
rilevanza 
dell'attivit� 
di 
formazione 
e 
informazione 
sul 
tema e di quella di vigilanza sul rispetto del Codice. 

4. Considerazioni conclusive. 
il 
nuovo 
Codice 
del 
2013 
non 
� 
pi� 
da 
considerare 
come 
mero 
strumento 
di 
prevenzione, 
partecipando 
della 
dimensione 
repressiva 
che, 
come 
si 
� 
visto, 
� 
ampiamente 
presente 
nella 
legge 
n. 
190/2012. 
Si 
pu� 
fondatamente 
argomentare 
che 
la 
finalit� 
perseguita 
dal 
Codice 
rimanga 
primariamente 
quella 
di 
costituire 
una 
tavola 
di 
riferimento 
per 
il 
dipendente 
pubblico, 
che 
lo 
aiuti 
a 
orientarsi 
nello 
svolgimento 
dei 
suoi 
compiti 
a 
servizio 
della 
collettivit�; 
ma 
che 
a 
questa 
funzione 
fondamentale, 
che 
si 
dispiega 
sul 
piano 
preventivo, 
se 
ne 
affianca 
una 
nuova, 
integrata 
dalla 
configurazione 
di 
specifici 
profili 
di 
responsabilit�, 
in 
presenza 
dei 
quali 
il 
dipendente 
sar� 
evidentemente 
colpito 
da 
un 
diversificato 
spettro 
di 
sanzioni, 
ivi 
compresa 
quella 
pi� 
grave, 
consistente 
nel 
licenziamento. 


La 
valenza 
giuridica 
del 
testo normativo qui 
esaminata 
cambia, pertanto, 
radicalmente 
rispetto 
ai 
Codici 
che 
l�hanno 
preceduto, 
risultando 
cos� 
uno 
strumento 
potenzialmente 
pi� efficace 
nell�estirpare 
condotte 
contrarie 
e 
incompatibili 
con l�interesse della collettivit�. 

Si reputa tuttavia che il maggior effetto deterrente introdotto dalla norma 
non 
sia 
tanto 
il 
rilievo 
disciplinare, 
quanto 
quello 
giuridico 
connesso 
a 
responsabilit� 
di 
carattere 
soprattutto 
contabile 
(oltre 
che 
civile 
e 
amministrativo), 
laddove 
a 
causa 
del 
comportamento 
scorretto 
del 
dipendente 
si 
siano 
prodotti 
danni 
(anche 
da 
disservizio 
o 
anche 
da 
lesione 
di 
interesse 
legittimo 
per 
eccesso 
di 
potere 
in 
caso 
di 
disparit� 
di 
trattamento), 
fonte 
di 
responsabilit� 
risarcitoria 
a 
carico 
della 
P.A., 
e 
quindi, 
in 
caso 
di 
dolo 
o 
colpa 
grave, 
a 
sua 
volta 
a 
carico 
di 
chi 
ne 
� 
stato 
l�autore 
(ai 
sensi 
dell�art. 
1 
della 
legge 
n. 
20/1994) 
(13). 


(12) 
B.G. 
MATTARELLA, 
La 
prevenzione 
della 
corruzione 
in 
italia. 
Commento 
alla 
legge 
6 
novembre 
2012, n. 190, in Giornale di diritto amministrativo, n. 2/2013. 
(13) P.M. zERMAN, il 
nuovo codice 
di 
comportamento - i doveri 
del 
dirigente 
pubblico. (DPr 
13 
aprile 2013, n. 62), Associazione Nazionale Notifiche 
Atti. 

RASSEGNA 
AVVOCATuRA 
DELLO 
STATO - N. 1/2017 


il 
Codice 
di 
comportamento 
in 
parola 
si 
colloca 
in 
tale 
logica: 
bench� 
esso 
non 
si 
qualifichi 
quale 
codice 
etico, 
indubbiamente 
risponde 
all�esigenza 
di 
riaffermare 
le 
regole 
irrinunciabili 
e 
fondamentali 
del 
pubblico agire, e 
di 
indirizzare 
il 
personale 
pubblico 
verso 
condotte 
di 
integrit�, 
se 
non 
addirittura 
di 
moralit�, 
che 
complessivamente 
si 
possono 
ricomprendere 
nella 
formula 
dell��etica 
pubblica�. 
Formula 
che 
definisce 
il 
corretto 
agire 
dei 
pubblici 
agenti 
al 
servizio della 
collettivit� 
e 
che 
comprende 
al 
suo interno tanto il 
rispetto 
della 
legge 
quanto la 
soddisfazione 
ultima 
degli 
interessi 
protetti, delle 
giuste aspirazioni dei cittadini utenti, nella tutela della loro dignit� (14). 

� 
difficile 
prevedere 
quale 
impatto il 
Codice 
potr� 
avere 
nella 
correzione 
del 
fenomeno della 
maladministration, ma 
� 
immaginabile 
che 
non basti 
tale 
strumento a 
ri-orientare 
i 
comportamenti 
e 
le 
scelte 
dei 
�cittadini 
cui 
sono affidate 
funzioni 
pubbliche�, i 
cui 
valori 
fondamentali 
e 
la 
cui 
formazione 
personale 
-prima 
ancora 
che 
professionale 
-sono 
le 
vere 
condizioni 
che 
determinano 
un 
agire 
di 
rigore 
e 
di 
coscienziosit�. 
O 
meglio, 
lo 
strumento 
potr� 
bastare 
a 
ri-orientare 
i 
comportamenti 
nella 
misura 
in 
cui 
le 
regole 
di 
questo e 
di 
futuri 
codici 
di 
comportamento, o addirittura 
etici, verranno �interiorizzate
� dai 
singoli 
membri 
della 
pubblica 
amministrazione, e 
andranno 
dunque 
a 
rappresentare 
la 
�tavola 
valoriale� capace 
di 
orientare 
le 
loro decisioni. 
Ma 
occorre, 
appunto, 
che 
esso 
si 
appelli 
effettivamente 
alla 
deontologia 
di 
chi 
svolge 
pubbliche 
funzioni 
e 
che 
possa 
essere 
da 
costoro fatto proprio: 
come 
� 
stato 
osservato 
in 
un 
intervento 
del 
presidente 
della 
Corte 
dei 
conti 
che 
risale 
gi� 
al 
2011 �per arginare 
questo fenomeno, un ruolo fondamentale 
pu� svolgere 
l�etica, vale 
a 
dire 
la 
propria, intima, tensione 
morale 
del 
funzionario 
pubblico 
al 
suo 
corretto 
agire�. 
L�elemento 
umano 
rimane 
dunque 
centrale 
ed irrinunciabile, e 
solo se 
su di 
esso il 
nuovo complesso di 
regole 
di 
comportamento riuscir� 
a 
svolgere 
una 
funzione 
di 
rigenerazione 
di 
una 
coscienza 
etica 
si 
potr� 
considerare 
il 
codice 
un mezzo prezioso e 
produttivo di 
effetti virtuosi (15). 


Conclusivamente, 
ripercorrendo 
l�evoluzione 
dei 
Codici 
di 
comportamento 
e 
dei 
profili 
di 
responsabilit� 
correlativamente 
disciplinati, si 
pu� evidenziare 
un 
trend 
di 
progressiva 
riduzione 
della 
discrezionalit� 
amministrativa 
-esercitata 
nel 
riempire 
di 
contenuto, 
attraverso 
un 
attivo 
ricorso 
allo 
strumento 
disciplinare, le 
regole 
etiche 
- cui 
ha 
corrisposto una 
progressiva 
codi


(14) 
Secondo 
la 
definizione 
di 
V. 
CERuLLi 
iRELLi, 
Per 
una 
politica 
dell�etica 
pubblica: 
controlli 
e 
disciplina 
delle 
funzioni 
amministrative, 
in 
L. 
VANDELLi 
(a 
cura 
di), 
Etica 
pubblica 
e 
buona 
amministrazione, 
28. 
F. RiVA, Bene 
comune 
e 
lavoro sociale, Roma, Edizioni 
Lavoro, 2012, 206, sottolinea 
il 
ruolo centrale 
che 
in 
un 
codice 
etico 
ha 
la 
corrispondenza 
tra 
la 
centralit� 
della 
persona 
e 
la 
responsabilit� 
in 
tutto 
l�ambito del 
lavoro sociale, quale 
� 
quello delle 
pubbliche 
amministrazioni: 
un codice 
�vincola 
alla 
responsabilit� 
in quanto lavoro per le persone e con le persone�. 
(15) 
C. 
BuzzACCHi, 
il 
codice 
di 
comportamento 
come 
strumento 
preventivo 
della 
corruzione: 
l�orizzonte di un�etica pubblica, 
in amministrazione in Cammino, 22 maggio 2013, 19 ss. 

LEGiSLAziONE 
ED 
ATTuALTi� 


ficazione 
delle 
regole 
etiche 
accompagnata, 
per�, 
a 
un 
minor 
ricorso 
allo 
strumento 
disciplinare. 

La 
fase 
attuale, 
infine, 
vede 
ancor 
di 
pi� 
compressa 
la 
discrezionalit� 
amministrativa, 
non solo nell�individuazione 
delle 
regole 
di 
comportamento, ma 
anche 
nell�an 
dell�esercizio dell�azione 
disciplinare, tenuto conto dell�obbligatoriet�, 
pi� 
volte 
richiamata, 
di 
quest�ultima 
nei 
casi 
di 
violazione 
delle 
norme contenute nei codici. 

Nelle 
intenzioni 
legislative, l�irrigidimento ora 
evidenziato ha 
lo scopo 
di 
assicurare 
una 
maggior tutela 
dei 
diritti 
dei 
cittadini, che 
usufruiscono dei 
servizi 
pubblici 
e 
appare, purtroppo, il 
chiaro riflesso della 
crescente 
e 
allarmante 
sfiducia dei cittadini nell�operato delle amministrazioni. 



ContriButididottrina
Che cosa � un nome? 
(*) 
Brevi appunti sul diritto al nome 


Roberto de Felice** 


1. 
operazione 
fondamentale 
di 
ogni 
comunit� 
umana, 
dalle 
pi� 
primitive, 
� 
quella 
di 
distinguere 
identificare 
e 
in 
una 
parola 
dare 
un 
nome 
ai 
propri 
componenti, 
esseri 
unici 
e 
irripetibili 
(1). 
Individuarli 
� 
un'operazione 
quasi 
sacra, 
l'antroponimo o pi� in generale 
il 
nome 
si 
rivela, nelle 
religioni 
primitive 
o in 
leggende 
pervenuteci, essere 
qualcosa 
di 
primordiale, altamente 
segreto (2) e 
a volte sacro da rivelare e pronunziare (3). 
(*) Romeo and Juliet, Act 
II, Scene 
II: 
"What's 
in a 
name? 
That 
which we 
call 
a 
rose 
by any other name 
would smell as sweet". 

(**) Avvocato dello Stato. 


In tema 
si 
rinvia 
a 
GIulIA 
FAbrIzI, Brevi 
note 
sulla trasmissibilit� alla nascita del 
cognome 
materno 
dopo la sentenza della Corte 
EDU 
Cusan e 
Fazzo c. Italia del 
7 gennaio 2014, n. 77. Nota a Corte 
Costituzionale 
n. 286 del 21 dicembre 2016, in questa 
Rass., p. 97 ss. 


(1) STeFAno 
VISenTIn 
Potere 
del 
nome 
e 
potenza del 
linguaggio. Il 
Discorso sulla servit� volontaria 
di 
Etienne 
de 
La Bo�tie 
secondo cui, �Ognuno si 
immedesima nel 
nome 
che 
gli 
permette 
di 
ricostruisce 
un�unit� 
immaginaria, 
mitica, 
che 
lo 
rinvia 
ad 
un�immagine 
di 
s� 
e 
della 
societ� 
completa, 
risolta, appunto unitaria: in questo senso il 
tiranno � 
il 
nostro nome, nella misura in cui 
ciascun individuo 
desidera - e 
lo desidera effettivamente 
- di 
(tornare 
a) essere 
uno - uno in s� 
e 
uno con gli 
altri�, 
in http://isonomia.uniurb.it/vecchiaserie/2007visentin.pdf. 
(2) Turandot, Atto III, scena 1: 
�Ma il mio mistero � chiuso in me, il nome mio nessun sapr��. 
(3) �Nomen est 
omen�, dicevano i 
romani, il 
nome 
� 
un presagio, perch� 
in esso � 
racchiusa 
la 
vita 
di 
una 
persona. Ma 
anche 
in altre 
civilt� 
era 
diffusa 
la 
credenza 
che 
il 
nome 
rappresentasse 
una 
predestinazione 
legata 
al 
suo possessore; 
si 
pensava 
persino che 
sapendo come 
si 
chiamava 
un individuo, 
si 
potesse 
esercitare 
un influsso su di 
lui. I nomi 
dei 
sovrani 
egiziani 
venivano scolpiti 
sui 
monumenti 
per garantire 
il 
prolungarsi 
della 
loro vita 
al 
di 
l� 
della 
morte: 
perci� il 
peggiore 
castigo era 
la 
cancellazione 
dell�iscrizione, 
quella 
che 
per 
i 
romani 
era 
la 
�damnatio 
memoriae�, 
cio� 
l�eliminazione 
del 
nome 
dai 
documenti 
e 
dai 
monumenti. e 
d�altronde 
ancora 
oggi 
il 
nome 
che 
i 
genitori 
danno al 
loro bimbo 

rASSeGnA 
AVVoCATurA 
Dello 
STATo - n. 1/2017 


2. 
nella 
realt� 
giuridica 
odierna, 
il 
diritto 
al 
nome 
� 
fondamentale 
(4): 
dalla 
tutela 
di 
tale 
attributo fondamentale 
della 
persona 
di 
cui 
agli 
articoli 
da 
6 
a 
9 
cc, 
come 
diritto 
assoluto 
della 
stessa 
alla 
inconcepibilit� 
di 
un 
essere 
umano 
senza 
nome 
come 
stabilito 
dall'art. 
24 
comma 
2 
del 
Patto 
internazionale 
relativo 
ai 
diritti 
civili 
e 
politici 
(5) 
(approvato 
dall�Assemblea 
Generale 
onu 
esprime 
le 
aspettative 
che 
essi 
ripongono nel 
figlio. Quando poi 
gli 
uomini 
entrano in una 
nuova 
condizione, 
hanno bisogno di 
un�altra 
denominazione: 
si 
pensi 
ai 
re 
appena 
incoronati 
o alla 
nomina 
del 
Papa. 
Il 
cambiamento 
di 
nome 
ha 
sempre 
avuto 
una 
valenza 
notevole 
e 
la 
letteratura 
� 
ricca 
di 
mutamenti, 
da 
Shakespeare 
nel 
re 
lear 
a 
Pirandello 
nel 
Fu 
Mattia 
Pascal, 
dai 
classici 
a 
molti 
altri 
autori 
pi� 
recenti. 
Si 
pensi 
a 
ulisse, che 
disse 
a 
Polifemo di 
chiamarsi 
�nessuno� 
e 
si 
salv� cos� 
la 
vita, o ai 
Fisici 
di 
D�rrenmatt, 
che 
non 
si 
sa 
chi 
siano 
davvero, 
o 
a 
Saulo 
di 
Tarso 
che 
cambi� 
il 
suo 
atteggiamento 
nei 
confronti 
dei 
cristiani 
e 
venne 
chiamato 
Paolo, 
oppure 
ancora 
agli 
attori 
e 
ai 
personaggi 
dello 
spettacolo, 
che 
usano un nome 
d�arte. Si 
pensi 
al 
nome 
di 
Dio, che 
per la 
religione 
cristiana 
cattolica 
non deve 
essere 
nominato 
invano, 
�Non 
nominare 
il 
nome 
di 
Dio 
invano�; 
o 
al 
Corano, 
che 
in 
relazione 
al 
nome 
di 
Allah 
afferma, 
�Ad 
Allah 
appartengono 
i 
nomi 
pi� 
belli: 
invocatelo 
con 
quelli� 
(Corano, 
Al-A'r�f, 
180); 
ancora 
alla 
titolatura 
reale 
dei 
faraoni, l'insieme 
dei 
nomi 
e 
degli 
epiteti 
con cui 
nell'antico egitto ci 
si 
riferiva 
al 
sovrano, l'insieme 
di 
tali 
termini 
era 
definita 
Grandi 
nomi. Il 
sovrano era 
considerato l'incarnazione 
del 
dio-falco Horo e 
disponeva, dalla 
V 
dinastia, di 
una 
titolatura 
regale 
costituita 
da 
cinque 
nomi, detti 
Grandi 
nomi 
di 
cui 
due 
si 
richiamavano, appunto, a 
tale 
divinit�: 
il 
nome 
Horo; 
il 
nome 
nebty (o "le 
Due 
Signore"); 
il 
nome 
(bik nebu) Horo d'oro; 
il 
prenomem 
(nesut 
bity) (o nome 
di 
trono); 
il 
nomen 
(Sa ra) (o nome personale). 


(4) 
Il 
Code 
napol�on 
e 
i 
codici 
civili 
preunitari 
non 
contemplavano 
espressamente 
il 
diritto 
al 
nome. 
Il 
cc 
italiano 
del 
1865, 
in 
particolare, 
vi 
accennava 
soltanto 
nel 
titolo 
degli 
atti 
dello 
stato 
civile, 
senza 
alcun 
riferimento 
ad 
esso 
come 
a 
un 
diritto 
della 
personalit�. 
Il 
codice 
del 
1942, 
pur 
dedicando 
ad 
esso 
gli 
artt. 
6 
e 
ss. 
sembrava 
comunque 
ricondurlo 
ad 
una 
logica 
proprietaria. 
Infatti, 
una 
delle 
prime 
teorie 
dottrinali 
in 
materia, 
SAnToro 
PASSArellI, 
Dottrine 
generali 
del 
diritto 
civile, 
1954, 
5051, 
il 
diritto 
al 
nome 
doveva 
essere 
inquadrato 
in 
uno 
schema 
prettamente 
pubblicistico, 
al 
fine 
di 
distinguere 
i 
consociati 
l�uno 
dall�altro, 
per 
esigenze 
di 
ordine 
pubblico. 
risalente 
� 
la 
concezione 
di 
STolFI, 
I 
segni 
di 
distinzione 
personale, 
1905, 
85 
ss., 
costruiva 
il 
diritto 
al 
nome 
secondo 
lo 
schema 
del 
diritto 
di 
propriet� 
(sul 
nome), 
al 
fine 
di 
affermarne 
l�inviolabilit�, 
inalienabilit� 
e 
imprescrittibilit�. 
la 
dottrina 
dominante 
ha 
da 
tempo 
superato 
sia 
la 
concezione 
del 
dominium, 
che 
quella 
pubblicistica, 
mettendo 
in 
luce 
come 
il 
diritto 
al 
nome 
ex 
art. 
6 
cc 
avesse 
natura 
di 
diritto 
soggettivo 
personale, 
espressivo 
dell�identit� 
personale 
del 
singolo 
individuo 
e 
come 
tale 
essenziale, 
imprescrittibile, 
irrinunciabile, 
indisponibile. 
beSSone 
e 
FerrAnDo, 
voce 
Persona 
fisica 
(dir. 
priv.) 
in 
Enc. 
dir., 
XXXIII, 
1983, 
193-223; 
MACIoCe, 
Tutela 
civile 
della 
persona 
e 
identit� 
personale, 
1984, 
46-51, 
secondo 
cui 
�vi 
sono 
diritti 
a 
struttura 
complessa, 
che 
presentano 
caratteri 
tali 
da 
sfuggire 
a 
qualsiasi 
elementare 
classificazione 
in 
termini 
di 
ci� 
che 
� 
fisico 
e 
di 
ci� 
che 
� 
morale. 
E 
il 
diritto 
al 
nome 
ne 
costituisce 
un 
chiaro 
esempio. 
Esso 
infatti 
designa 
la 
persona 
umana 
nel 
suo 
complesso�. 
De 
CuPIS, 
I 
diritti 
della 
personalit�, 
in 
Tratt. 
Dir. 
Civ. 
e 
comm. 
1982, 
�Il 
nome 
� 
strettamente 
inerente 
alla 
persona 
che 
appresenta 
ed 
individua 
in 
s� 
medesima 
e 
nelle 
sue 
azioni 
(..) 
Per 
mezzo 
di 
quel 
segno 
distintivo 
che 
� 
il 
nome, 
si 
realizza 
il 
bene 
dell�identit�, 
consistente 
nel 
distinguersi 
nei 
rapporti 
sociali 
dalle 
altre 
persone, 
risultando 
per 
chi 
si 
� 
realmente 
(..). 
bIAnCA, 
Diritto 
civile, 
1, 
La 
norma 
giuridica. 
I 
soggetti. 
1990, 
175, 
secondo 
cui 
�Il 
diritto 
al 
nome 
tutela 
un 
interesse 
che 
� 
reputato 
essenziale 
della 
persona�. 
nIVArrA 
l., 
rICCIuTo 
V. 
e 
SCoGnAMIGlIo 
C., 
Diritto 
privato, 
I 
diritti 
della 
persona, 
in 
Foro 
Italiano, 
�Inteso 
come 
diritto 
della 
persona, 
il 
nome 
non 
ha 
pi� 
finalit� 
meramente 
identificativa 
ispirata 
ad 
un�elementare 
esigenza 
di 
ordine 
pubblico: 
esso 
assume 
la 
qualit� 
di 
attributo 
fondamentale 
del 
soggetto; 
� 
espressione 
in 
grado 
di 
riassumere 
e 
riferire 
qualit� 
e 
caratteri 
a 
quel 
determinato 
soggetto; 
diviene 
elemento 
attraverso 
il 
quale 
il 
singolo 
pu� 
agire 
e 
distinguersi 
dalla 
massa 
indefinita 
degli 
altri 
consociati�. 
(5) l�art. 24, 2 co. dispone 
che 
�Ogni 
fanciullo deve 
essere 
registrato subito dopo la nascita ed 
avere un nome� 
(https://www.unric.org/html/italian/humanrights/patti2d.html). 

DoTTrInA 
231 


a 
new 
York il 
16 dicembre 
1966 e 
ratificato con legge 
del 
25 ottobre 
1977 n. 
881, in vigore 
per l'Italia 
dal 
15 dicembre 
1978), dall'art. 7 della 
Convenzione 
sui 
diritti 
dell'infanzia 
(6) (fatta 
a 
new 
York il 
20 novembre 
1989, ratificata 
con legge 
del 
27 maggio 1991 n. 176, vigente 
dal 
12 giugno 1991 e 
in vigore 
per l'Italia 
dal 
5 ottobre 
1991). l'antroponimo (oggi 
in Italia 
costituito da 
prenome 
e 
cognome) segue 
precise 
regole 
di 
determinazione 
e 
trasmissione 
all'interno 
della 
societ� 
(7). 
Tali 
regole 
sono, 
come 
si 
vedr� 
improntate 
a 
una 
marcata 
preminenza 
sociale 
del 
padre 
del 
nominando, il 
cui 
cognome 
� 
trasmesso 
nella 
maggior parte 
dei 
casi, e, quindi 
discriminano la 
madre 
rispondendo 
a superate concezioni patriarcali (8). 

3. 
le 
regole 
pertinenti 
(9) 
in 
diritto 
italiano 
possono 
essere 
riassunte 
come 
segue: 
I. 
� 
di 
competenza 
dell'ufficiale 
di 
stato 
civile 
imporre 
il 
prenome 
non 
scelto 
dall'avente 
diritto 
nella 
dichiarazione 
di 
nascita 
(10), 
ovvero 
anche 
il 
cognome 
nel 
caso di 
minore 
abbandonato (11) o di 
genitori 
ignoti 
(12), - ipotesi 
da 
riferirsi 
ai 
casi 
in 
cui 
i 
genitori 
non 
abbiano 
abbandonato 
il 
figlio 
subito 
dopo la 
nascita, ma 
non abbiano dichiarato le 
proprie 
generalit� 
ovvero le 
abbiano 
declinate in modo falso -; 
II. i 
figli 
nati 
in costanza 
di 
matrimonio (gi� 
legittimi) assumono il 
co(
6) Art. 7: 
1. Il 
fanciullo � 
registrato immediatamente 
al 
momento della sua nascita e 
da allora 
ha diritto a un nome, ad acquisire 
una cittadinanza e, nella misura del 
possibile, a conoscere 
i 
suoi 
genitori 
e 
a essere 
allevato da essi. 2. Gli 
Stati 
parti 
vigilano affinch� 
questi 
diritti 
siano attuati 
in conformit� 
con 
la 
loro 
legislazione 
nazionale 
e 
con 
gli 
obblighi 
che 
sono 
imposti 
loro 
dagli 
strumenti 
internazionali 
applicabili 
in materia, in particolare 
nei 
casi 
in cui, se 
ci� non fosse 
fatto, il 
fanciullo 
verrebbe a trovarsi apolide�. 
(7) 
Segnatamente, 
le 
norme 
oggetto 
della 
sentenza 
in 
epigrafe, 
artt. 
237, 
262 
e 
299 
del 
cc; 
72, 
primo comma, del regio Decreto 9 luglio 1939, n. 1238 e 33 e 34 del d.P.r. 3 novembre 2000, n. 396. 
(8) 
la 
stessa 
Corte 
Costituzionale, 
nella 
sentenza 
n. 
286 
del 
2016, 
ha 
richiamato 
le 
precedenti 
considerazioni 
svolte 
nella 
pregressa 
pronunzia 
n. 61 del 
2006, definendo il 
sistema 
di 
trasmissione 
del 
cognome 
�retaggio di 
una concezione 
patriarcale 
della famiglia, la quale 
affonda le 
proprie 
radici 
nel 
diritto di 
famiglia romanistico, e 
di 
una tramontata potest� maritale, non pi� coerente 
con i 
principi 
dell�ordinamento e con il valore costituzionale dell�uguaglianza tra uomo e donna�. 
(9) 
Che, 
in 
diritto 
internazionale 
privato, 
sono 
determinate 
dalla 
legge 
nazionale 
ai 
sensi 
della 
Convenzione 
di 
Monaco 
del 
5 
settembre 
1980, 
ratificata 
con 
legge 
19 
novembre 
1984 
n. 
950, 
art. 
1, 
con 
una 
significativa 
eccezione 
operata 
dall'art. 5 ove 
la 
legge 
nazionale 
del 
neonato non sia 
determinabile. 
(10) Art. 29, co. 4. del 
d.P.r. n. 396 del 
2000, �Se 
il 
dichiarante 
non d� un nome 
al 
bambino, vi 
supplisce l'ufficiale dello stato civile�. 
(11) 
Art. 
38, 
del 
d.P.r. 
citato, 
�Chiunque 
trova 
un 
bambino 
abbandonato 
deve 
affidarlo 
ad 
un 
istituto o ad una casa di 
cura. Il 
direttore 
della struttura che 
accoglie 
il 
bambino ne 
d� immediata comunicazione 
all'ufficiale 
dello stato civile 
del 
comune 
dove 
� 
avvenuto il 
ritrovamento. L'ufficiale 
dello 
stato civile 
iscrive 
negli 
archivi 
di 
cui 
all'art. 10 apposito processo verbale 
nel 
quale 
indica l�et� apparente 
ed il 
sesso del 
bambino, cos� 
come 
risultanti 
nella comunicazione 
a lui 
pervenuta, ed impone 
un 
cognome 
ed un nome, informandone 
immediatamente 
il 
giudice 
tutelare 
e 
il 
tribunale 
per 
i 
minorenni 
per l'espletamento delle incombenze di rispettiva competenza�. 
(12) Art. 29, co. 5 del 
d.P.r. citato, �Quando si 
tratta di 
bambini 
di 
cui 
non sono conosciuti 
i 
genitori, 
l'ufficiale dello stato civile impone ad essi il nome ed il cognome�. 

rASSeGnA 
AVVoCATurA 
Dello 
STATo - n. 1/2017 


gnome 
del 
padre 
in base 
a 
un complesso di 
norme 
e 
principi 
ben analizzate 
nella sentenza della Corte Costituzionale n. 286/2016 (13); 


III. ai 
figli 
legittimati 
(14) veniva 
attribuita 
la 
qualit� 
di 
figlio legittimo e 
con essa 
il 
cognome 
paterno, salva 
la 
diversa 
scelta 
di 
mantenere 
il 
cognome 
precedente 
ovvero 
di 
anteporre 
o 
aggiungere 
ad 
esso 
il 
cognome 
paterno, 
sancita 
dal d.P.r. 396, gi� citato; 
IV. 
per 
il 
figlio 
nato 
fuori 
del 
matrimonio 
(gi� 
naturale) 
sussistono 
ipotesi 
distinte: 
.) 
il 
figlio 
riconosciuto 
dalla 
sola 
madre 
assume 
il 
cognome 
materno, 
peraltro, 
salvo il 
caso della 
dichiarazione 
espressa 
della 
madre 
di 
non volere 
essere 
nominata 
nell'atto 
di 
nascita, 
il 
riconoscimento 
della 
madre 
� 
sostanzialmente 
inutile 
in quanto il 
processo verbale 
redatto dai 
sanitari 
che 
assistono la partoriente la identifica, ove possibile; 


.) 
il 
figlio 
riconosciuto 
congiuntamente 
dai 
genitori 
alla 
nascita 
o 
successivamente 
assume il cognome paterno (15); 
.) 
il 
figlio 
riconosciuto 
solo 
successivamente 
dal 
padre 
per 
atto 
unilaterale 


o 
il 
cui 
legame 
di 
filiazione 
sia 
stabilito 
con 
sentenza 
dal 
giudice, 
pu�, 
ai 
sensi 
dell'art. 262 cc, assumere 
il 
cognome 
paterno in aggiunta 
o in sostituzione 
di 
quello materno, autonomamente se maggiorenne (16); 
.) 
nell'ipotesi 
di 
minore 
la 
decisione 
di 
assumere 
il 
cognome 
paterno 
viene 
effettuata 
dai 
legali 
rappresentanti, 
ove 
questi 
sia 
riconosciuto 
solo 
successivamente 
dal 
padre 
deve 
essere 
ratificata 
dall'autorit� 
giudiziaria 
(17) 
che 
deve 
ascoltare 
il 
minore 
che 
abbia 
compiuto 
gli 
anni 
dodici 
o 
anche 
di 
et� 
inferiore 
se 
sufficientemente 
maturo. 
Inoltre, 
l'attuale 
comma 
3 
dell'art. 
262 
del 
cc, 
come 
aggiunto 
dall'art. 
27 
comma 
1b 
del 
d. 
lgs. 
n. 
154 
del 
2013 
consente 
di 
mantenere 
il 
cognome 
originario 
imposto 
dall'ufficiale 
di 
stato 
civile 
al 
figlio 
abbandonato 
o 
di 
ignoti 
solo 
se 
� 
divenuto 
segno 
autonomo 
della 
sua 
identit� 
(18). 


(13) Artt. 237, 262 e 
299 del 
cc; 
72, primo comma, del 
regio Decreto 9 luglio 1939, n. 1238 e 
33 
e 34 del d.P.r. 3 novembre 2000, n. 396. 
(14) la 
legittimazione 
� 
stata 
soppressa 
dall'art. 1, comma 
10 della 
legge 
10 dicembre 
2012 n. 
219 e 
conferiva 
al 
figlio naturale 
legittimato dal 
susseguente 
matrimonio dei 
genitori 
ai 
sensi 
dell'art. 
283 del 
cc, ovvero dal 
provvedimento del 
giudice 
ai 
sensi 
dell�art. 284 del 
cc 
(a 
suo tempo per decreto 
reale o del capo dello Stato) la qualit� di figlio legittimo. 
(15) Art. 262, 1 co., II periodo, cc, �Se 
il 
riconoscimento � 
stato effettuato contemporaneamente 
da entrambi i genitori il figlio assume il cognome del padre�. 
(16) 
Art. 
262, 
2 
e 
3 
co., 
cc, 
�Se 
la 
filiazione 
nei 
confronti 
del 
padre 
� 
stata 
accertata 
o 
riconosciuta 
successivamente 
al 
riconoscimento da parte 
della madre, il 
figlio pu� assumere 
il 
cognome 
del 
padre 
aggiungendolo, anteponendolo o sostituendolo a quello della madre. Se 
la filiazione 
nei 
confronti 
del 
genitore 
� 
stata 
accertata 
o 
riconosciuta 
successivamente 
all'attribuzione 
del 
cognome 
da 
parte 
del-
l'ufficiale 
dello stato civile, si 
applica il 
primo e 
il 
secondo comma del 
presente 
art.; il 
figlio pu� mantenere 
il 
cognome 
precedentemente 
attribuitogli, ove 
tale 
cognome 
sia divenuto autonomo segno della 
sua identit� personale, aggiungendolo, anteponendolo o sostituendolo al 
cognome 
del 
genitore 
che 
per 
primo lo ha riconosciuto o al cognome dei genitori in caso di riconoscimento da parte di entrambi�. 
(17) Ai 
sensi 
dell'art. 262 ultimo comma 
del 
cc, come 
aggiunto dall'art. 27 comma 
1 del 
d. lgs. 28 
dicembre 2013 n. 154. 

DoTTrInA 
233 


.) nel 
quinto caso, previsto dall'art. 33 comma 
2 del 
citato d.P.r. 396 del 
2000 � 
fatta 
salva 
la 
facolt� 
del 
maggiorenne, il 
cui 
cognome 
sia 
variato, sia 
per riconoscimento negoziale 
o giudiziale 
da 
parte 
di 
uno o di 
entrambi 
i 
genitori, 
sia 
per 
legittimazione, 
di 
conservare 
il 
cognome 
originario 
attribuito 
dall'ufficiale 
di 
stato civile 
ovvero di 
anteporre 
o aggiungere 
a 
tale 
originario 
cognome 
quello nuovo; 
tale 
facolt� 
deve 
essere 
esercitata 
entro un anno dalla 
conoscenza 
della 
variazione 
del 
proprio cognome, espressa 
anche 
nel 
caso in 
cui 
il 
cognome 
sia 
mutato a 
seguito del 
cambiamento del 
nome 
del 
genitore 
che lo abbia trasmesso (19). 

V. 
Quanto 
alla 
filiazione 
adottiva, 
consentita, 
nella 
lettera 
originaria 
del 
cc, 
a 
tutti 
i 
maggiorenni, 
senza 
figli 
legittimi 
o 
naturali, 
nei 
confronti 
di 
adottati 
minorenni 
o 
maggiorenni, 
� 
sempre 
valsa 
la 
regola 
della 
aggiunta 
del 
cognome 
dell'adottante 
al 
cognome 
dell'adottato 
(20). 
l�adottante 
poteva 
essere 
persona 
non 
coniugata 
o 
di 
sesso 
femminile 
(21). 
l'adozione 
dei 
minori, 
inizialmente 
denominata 
adozione 
speciale, 
venne 
introdotta 
dalla 
legge 
5 
giugno 
1967 
n. 
831, 
sicch� 
le 
norme 
di 
cui 
agli 
articoli 
291 
e 
seguenti 
del 
cc 
sono 
rimaste 
riservate 
alla 
adozione 
di 
persone 
di 
maggiore 
et�. 
� 
appena 
il 
caso 
di 
ricordare 
che 
a 
seguito 
della 
sentenza 
della 
Corte 
costituzionale 
del 
19 
maggio 
1988 
n. 
537 
(22) 
tale 
forma 
di 
adozione 
� 
stata 
consentita 
anche 
in 
presenza 
di 
discendenti 
legittimi 
che 
a 
ci� 
consentano; 
previsione 
estesa 
ai 
figli 
naturali 
dalla 
successiva 
decisione 
della 
Consulta 
del 
20 
luglio 
2004 
n. 
245 
(23). 
Tanto 
nella 
adozione 
speciale 
di 
cui 
all'art. 
314/1 
del 
cc, 
quanto 
nell'adozione 
legittimante 
di 
cui 
agli 
articoli 
6 
e 
ss. 
della 
legge 
4 
maggio 
1983 
n. 
184, 
istituti 
entrambi 
riservati 
a 
coppie 
sposate 
ex 
art. 
6 
della 
legge 
184 
ed 
ex 
art. 
314/2 
del 
cc, 
l�adottato 
assume 
il 
cognome 
degli 
adottanti 
(art. 
27 
della 
legge 
184, 
art. 
314/26 
del 
cc) 
cio� 
quello 
del 
padre 
adottivo 
in 
quanto 
suo 
figlio 
legittimo 
e 
coniuge 
della 
(18) �Se 
la filiazione 
nei 
confronti 
del 
genitore 
� 
stata accertata o riconosciuta successivamente 
all'attribuzione 
del 
cognome 
da parte 
dell'ufficiale 
dello stato civile, si 
applica il 
primo e 
il 
secondo 
comma del 
presente 
art.; il 
figlio pu� mantenere 
il 
cognome 
precedentemente 
attribuitogli, ove 
tale 
cognome 
sia divenuto autonomo segno della sua identit� personale, aggiungendolo, anteponendolo o sostituendolo 
al 
cognome 
del 
genitore 
che 
per 
primo lo ha riconosciuto o al 
cognome 
dei 
genitori 
in caso 
di riconoscimento da parte di entrambi�. 
(19) Art. 33, co. 2, del 
d.P.r. 396 del 
2000, �Il 
figlio maggiorenne 
che 
subisce 
il 
cambiamento o 
la modifica del 
proprio cognome 
a seguito della variazione 
di 
quello del 
genitore 
da cui 
il 
cognome 
deriva, 
nonch� 
il 
figlio nato fuori 
del 
matrimonio, riconosciuto, dopo il 
raggiungimento della maggiore 
et�, da uno dei 
genitori 
o contemporaneamente 
da entrambi, hanno facolt� di 
scegliere, entro un anno 
dal 
giorno in cui 
ne 
vengono a conoscenza, di 
mantenere 
il 
cognome 
portato precedentemente, se 
diverso, 
ovvero di aggiungere o di anteporre ad esso, a loro scelta, quello del genitore�. 
(20) Ai 
sensi 
dell�art. 299, 1 co., cc, �L'adottato assume 
il 
cognome 
dell'adottante 
e 
lo antepone 
al proprio�. 
(21) Ai 
sensi 
del 
comma 
3 dell�art. 299, cc, �Se 
l'adozione 
� 
compiuta da coniugi, l'adottato assume 
il 
cognome 
del 
marito�, mentre, ai 
sensi 
del 
comma 
4, �Se 
l'adozione 
� 
compiuta da una donna 
maritata, l'adottato, che non sia figlio del marito, assume il cognome della famiglia di lei�. 
(22) Pubblicata in GU 1a 
Serie Speciale - Corte Costituzionale 
n. 21 del 25 maggio 1988. 
(23) Pubblicata in GU 1a 
Serie Speciale - Corte Costituzionale 
n. 29 del 28 luglio 2004. 

rASSeGnA 
AVVoCATurA 
Dello 
STATo - n. 1/2017 


madre 
adottiva. 
Per 
l'adozione 
in 
casi 
particolari, 
prevista 
dall'art. 
44 
della 
legge 
184 
del 
1983, 
l'art. 
55 
della 
stessa 
legge 
opera 
un 
incongruo 
rinvio 
all'art. 
299 
del 
cc, 
cos� 
estendendo 
le 
stesse 
norme 
relative 
agli 
adottati 
maggiorenni 
che 
sanciscono 
il 
principio 
dell�aggiunta 
del 
cognome 
dell�adottante. 


VI. 
nel 
soppresso 
istituto 
dell�affiliazione 
(24), 
in 
cui 
una 
persona 
di 
fiducia, 
cui 
fosse 
stato 
affidato 
dall'istituto 
della 
pubblica 
assistenza 
un 
minore, 
poteva 
essere 
nominato, 
come 
diremmo 
oggi, 
affidatario 
permanente 
del 
minore, 
assumendo 
i 
poteri 
della 
potest� 
genitoriale 
e 
l'obbligo 
di 
mantenimento, 
di 
istruzione 
ed 
educazione, 
senza 
creare 
alcun 
rapporto 
di 
parentela 
o 
successorio 
e 
con 
una 
crudele 
previsione 
di 
revocabilit� 
dell�affiliazione 
in 
caso 
di 
traviamento 
del 
minore, 
il 
cognome 
dell�affiliante 
poteva 
essere 
attribuito, 
su 
richiesta 
del 
medesimo, 
all'affiliato, 
a 
meno 
che 
l'affiliato 
non 
fosse 
figlio 
legittimo 
o 
naturale, 
caso 
in 
cui 
il 
cognome 
dell�affiliato 
era 
aggiunto 
al 
precedente 
(25). 
l'affiliazione, 
come 
ricordato 
da 
Pietro 
rescigno, 
era 
tipica 
di 
una 
societ� 
agricola, 
aumentava 
la 
forza 
lavoro 
del 
capofamiglia 
senza 
incidere 
sulle 
future 
aspettative 
degli 
eredi 
dell�affiliante. 
Ci� 
considerato, 
sarebbe 
stato 
quindi 
un 
caso 
affatto 
eccezionale 
-anche 
se 
possibile 
-che 
una 
donna 
coniugata 
affiliasse 
da 
s� 
sola 
un 
minore. 
Anche 
in 
questo 
caso 
poteva 
essere 
attribuito 
un 
solo 
cognome, 
quello 
dell�affiliante 
(generalmente 
maschio) 
e 
non, 
ad 
esempio, 
quello 
di 
sua 
moglie 
che 
ben 
poteva 
chiedere 
al 
giudice 
tutelare 
di 
affiliare 
a 
sua 
volta 
il 
minore, 
fermo 
restando 
l'esercizio 
esclusivo 
della 
patria 
potest� 
in 
capo 
al 
marito 
(26) 
ai 
sensi 
dell'art. 
409 
ultimo 
comma 
del 
cc, 
che 
rinviava 
alle 
norme 
sulla 
filiazione 
legittima. 
Dunque, 
avvenuta 
l'affiliazione 
parallela 
di 
due 
coniugi, 
era 
possibile 
solo 
attribuire 
il 
cognome 
del 
marito 
(27). 
Conclusivamente, salvo il 
caso di 
figli 
abbandonati 
o privi 
di 
genitori 
i 
cui 
nomi 
fossero 
noti, 
in 
cui 
lo 
Stato 
impone 
d�ufficio 
nome 
e 
cognome, 
ai 
nati 
nel 
matrimonio 
� 
trasmesso 
il 
cognome 
paterno, 
per 
il 
complesso 
di 
norme 
e 
principi 
analizzati 
infra 
dalla 
Consulta, e 
ben espressi 
dalle 
regole 
III, IV 
. 
ed ., e 
cos� 
avviene 
per i 
figli 
equiparati 
a 
quelli 
legittimi, i 
legittimati, e 
nel 


(24) 
l�istituto 
dell�affiliazione, 
previsto 
dagli 
artt. 
404-413 
del 
codice 
civile, 
� 
stato 
abrogato 
dal-
l�art. 77 della legge n. 184 del 1983. 
(25) l�art. 408 del 
cc 
prevedeva 
che 
�Il 
provvedimento che 
accoglie 
la domanda attribuisce 
al 
minore 
il 
cognome 
dell'affiliante, 
qualora 
questi 
ne 
abbia 
fatta 
richiesta. 
Se 
si 
tratta 
di 
un 
figlio 
legittimo 
o di 
un figlio naturale 
riconosciuto, il 
cognome 
dell'affiliante 
pu� soltanto essere 
aggiunto a quello del 
minore�. 
(26) 
Ai 
sensi 
dell'articolo 
409 
ultimo 
comma 
del 
codice 
civile 
che 
rinvia 
alle 
norme 
sulla 
filiazione 
legittima. 
(27) Per le 
affiliazioni 
pronunciate 
in vigenza 
dell'istituto, restano fermi 
gli 
effetti, ma 
anche 
la 
possibilit� 
di 
chiederne 
la 
revoca 
o 
l'estinzione. 
Sulla 
base 
di 
ci�, 
le 
indicazioni 
(vigenti) 
quando 
l'istituto 
dell'affiliazione 
era 
norma 
continuano a 
trovare 
applicazione. la 
l. 20 gennaio 1994, n. 48 � 
stata 
emanata 
proprio 
per 
queste 
contingenze, 
altrimenti 
l'affiliato, 
a 
seguito 
di 
revoca 
/ 
estinzione 
dell'affiliazione, 
avrebbe 
continuato 
a 
portare 
il 
cognome 
derivante 
da 
tale 
istituto 
(abrogato 
11 
anni 
prima 
della 
l. 
48/1994) 
senza 
altre 
possibilit�. 
Dopo 
tale 
legge, 
conserva 
tale 
cognome, 
ma 
ha 
la 
facolt� 
di 
dismetterlo 
con la procedura ivi indicata. 

DoTTrInA 
235 


caso di 
adozione 
legittimante 
e 
della 
soppressa 
adozione 
speciale. la 
stessa 
regola 
si 
applica 
al 
figlio naturale 
riconosciuto da 
entrambi 
i 
genitori, ad eccezione 
del 
caso 
del 
figlio 
riconosciuto 
successivamente 
dal 
padre 
cui 
per� 
pu� spettare 
la 
facolt� 
di 
assumere 
il 
cognome 
paterno anche 
in sostituzione 
di 
quello materno, chiara 
espressione 
di 
una 
preferenza 
del 
legislatore 
in tal 
senso. Infine, nell'adozione 
particolare, a 
differenza 
di 
quella 
legittimante 
che 
vede 
come 
adottante 
una 
coppia 
coniugata, 
si 
applicano 
le 
regole 
dell�art. 
299 
cc 
richiamate 
dall�art. 55 l. 184, per cui, se 
ad adottare 
� 
una 
coppia, si 
aggiunge 
il 
cognome 
del 
marito. nel 
solo caso di 
cui 
all�art. 44 b l. 184/83 il 
minore � adottato dal coniuge del suo genitore. 


le 
regole 
sul 
cognome 
generano non solo il 
diritto dovere 
dei 
figli 
di 
assumere 
e 
far 
valere 
il 
cognome 
del 
genitore, 
di 
solito 
quello 
maschio, 
ma 
anche 
il diritto del genitore di trasmettere il proprio cognome. 

4. 
Che 
il 
citato 
d.P.r. 
396 
del 
2000 
preveda 
nell'attuale 
formulazione 
degli 
articoli 
da 
89 
a 
94, 
grazie 
alle 
modifiche 
disposte 
dal 
d.P.r. 
del 
13 
marzo 
2012 
n. 54, la 
possibilit� 
di 
cambiare 
il 
cognome 
o di 
aggiungerne 
uno con un procedimento 
celere 
e 
spedito, 
affidato 
al 
Prefetto 
(28) 
-una 
volta 
riservato 
ai 
soli 
casi 
di 
cognomi 
ridicoli, vergognosi 
o rivelanti 
origine 
illegittima 
- in cui 
il 
provvedimento 
prefettizio 
di 
concessione 
(29), 
pu� 
essere 
accordato 
per 
qualsiasi 
valida 
ragione 
(in 
precedenza, 
invece, 
la 
richiesta 
di 
cambiare 
cognome, 
per altre 
ragioni, erano di 
competenza 
del 
Ministro, e, precisamente 
del 
Ministro 
dell'Interno 
dall'entrata 
in 
vigore 
del 
d.P.r. 
396 
(30), 
in 
prece(
28) 
l�art. 
89 
del 
d.P.r. 
n. 
396 
del 
2000, 
modificato 
dall'articolo 
2, 
comma 
1, 
del 
D.P.r. 
13 
marzo 
2012, 
n. 
54, 
dispone 
che 
�1. 
Salvo 
quanto 
disposto 
per 
le 
rettificazioni, 
chiunque 
vuole 
cambiare 
il 
nome 
o aggiungere 
al 
proprio un altro nome 
ovvero vuole 
cambiare 
il 
cognome, anche 
perch� 
ridicolo o vergognoso 
o perch� 
rivela l'origine 
naturale 
o aggiungere 
al 
proprio un altro cognome, deve 
farne 
domanda 
al 
prefetto della provincia del 
luogo di 
residenza o di 
quello nella cui 
circoscrizione 
� 
situato 
l'ufficio dello stato civile 
dove 
si 
trova l'atto di 
nascita al 
quale 
la richiesta si 
riferisce. Nella domanda 
l'istante 
deve 
esporre 
le 
ragioni 
a fondamento della richiesta. 2. Nella domanda si 
deve 
indicare 
la modificazione 
che 
si 
vuole 
apportare 
al 
nome 
o al 
cognome 
oppure 
il 
nome 
o il 
cognome 
che 
si 
intende 
assumere. 
3. 
In 
nessun 
caso 
pu� 
essere 
richiesta 
l'attribuzione 
di 
cognomi 
di 
importanza 
storica 
o 
comunque 
tali 
da indurre 
in errore 
circa l'appartenenza del 
richiedente 
a famiglie 
illustri 
o particolarmente 
note nel luogo in cui si trova l'atto di nascita del richiedente o nel luogo di sua residenza�. 
(29) la 
disciplina 
del 
decreto concessorio prefettizio � 
disciplinata 
dall�art. 91 del 
citato d.P.r. 
396/2000, 
ad 
avviso 
del 
quale, 
�Trascorso 
il 
termine 
di 
cui 
all'articolo 
91, 
il 
richiedente 
presenta 
al 
prefetto 
un 
esemplare 
dell'avviso 
con 
la 
relazione 
attestante 
l'eseguita 
affissione 
e 
la 
sua 
durata 
nonch� 
la documentazione 
comprovante 
le 
avvenute 
notificazioni, ove 
prescritte. 2. Il 
prefetto, accertata la regolarit� 
delle 
affissioni 
e 
delle 
notificazioni 
e 
vagliate 
le 
eventuali 
opposizioni, 
provvede 
sulla 
domanda 
con decreto. 3. Il 
decreto di 
concessione 
di 
cui 
al 
comma 2, nei 
casi 
in cui 
vi 
� 
stata opposizione, deve 
essere notificato, a cura del richiedente, agli opponenti�. 
(30) 
la 
disciplina 
originaria 
prevedeva 
all�art. 
84 
del 
d.P.r 
396 
del 
2000 
che 
�Chiunque 
vuole 
cambiare 
cognome 
o 
aggiungere 
al 
proprio 
un 
altro 
cognome 
deve 
farne 
richiesta 
al 
Ministero 
dell�Interno 
esponendo 
le 
ragioni 
della 
domanda�, 
e 
al 
successivo 
art. 
85 
che 
�La 
richiesta 
� 
presentata 
al 
prefetto 
della 
provincia 
dove 
il 
richiedente 
ha 
la 
residenza. 
Il 
prefetto 
assume 
sollecitamente 
informazioni 
sulla 
domanda 
e 
la 
spedisce 
al 
Ministero 
dell�Interno 
con 
il 
parere 
e 
con 
tutti 
i 
documenti 
necessari�. 

rASSeGnA 
AVVoCATurA 
Dello 
STATo - n. 1/2017 


denza 
del 
Capo dello Stato che 
provvedeva 
con decreto su proposta 
del 
Ministro 
della 
Giustizia, 
all'esito 
di 
un�istruttoria 
condotta 
dal 
Procuratore 
Generale 
presso la 
Corte 
d'Appello competente, e 
doveva 
fondarsi 
su serie 
e 
gravi 
ragioni 
il 
cui 
apprezzamento era 
soggetto a 
una 
notevole 
discrezionalit�, come 
ultimamente 
ritenuto dal 
Consiglio di 
Stato sezione 
IV 
nella 
sentenza 
n. 106 
del 
1989) (31), se 
pu� risolvere 
problemi 
pratici, osta 
al 
riconoscimento del 
diritto 
fondamentale 
della 
madre 
a 
trasmettere 
il 
proprio 
cognome, 
come 
posto 
in 
luce 
dalla 
giurisprudenza 
di 
Strasburgo 
che 
infra 
sar� 
analizzata. 
Tale 
valida 
ragione 
pu� 
ben 
consistere 
nella 
volont� 
di 
assumere 
il 
cognome 
materno. 
Anche 
sotto la 
previgente 
disciplina, il 
Consiglio di 
Stato, nel 
parere 
della 
sezione 
I del 
17 marzo 2004 n. 515, reso su ricorso straordinario al 
Presidente 
della 
repubblica, 
ha 
invece 
ritenuto 
applicabile 
alla 
predetta, 
appesantita 
procedura 
il 
caso di 
sostituzione 
del 
cognome 
paterno con quello materno per il 
principio che 
era 
inaccettabile 
che 
il 
ministro opponesse, dopo il 
parere 
favorevole 
del 
Procuratore 
Generale 
della 
repubblica, come 
ragione 
ostativa, la 
necessit� 
di 
identificare 
il 
richiedente 
con il 
cognome 
paterno per indicare 
il 
suo status 
di 
figlio legittimo, status 
che 
non era 
deteriore 
rispetto a 
quello di 
figlio naturale 
riconosciuto dalla 
madre. Ci� era 
tanto pi� vero se 
sussisteva 
la 
concorde 
valutazione 
dei 
genitori 
esercenti 
la 
potest� 
ai 
sensi 
dell'art. 316 
del 
cc, valutazione 
alla 
quale 
la 
pubblica 
amministrazione 
non poteva 
sostituirsi, 
potendola 
disattendere 
solo in caso di 
esistenza 
di 
ulteriori 
e 
superiori 
interessi 
attinenti 
alla 
sicurezza 
pubblica 
o 
alla 
necessit� 
di 
evitare 
confusione 
nella 
identificazione 
di 
importanti 
rapporti 
sociali. Con una 
motivazione 
pi� 
stringata, negli 
stessi 
sensi 
la 
sentenza 
del 
Consiglio di 
Stato, sezione 
IV 
n. 
2572 
del 
2004 
che 
valorizza 
le 
ragioni 
di 
carattere 
affettivo 
e 
il 
parere 
positivo 
del 
Procuratore 
Generale 
presso la 
Corte 
d'Appello, competente 
all'istruttoria 
per conto del 
Ministro della 
Giustizia 
ai 
sensi 
del 
regio Decreto del 
9 luglio 
1939 n. 1238, articoli 153 e seguenti (32). 

la 
Corte 
di 
Cassazione, 
con 
sentenza 
n. 
27069 
del 
2011 
ha 
negato, 
nel 
caso 
di 
riconoscimento 
successivo 
del 
padre, 
un 
obbligo 
del 
giudice 
di 
privilegiare 
il 
patronimico 
a 
scapito 
dell'interesse 
del 
minore 
alla 
tutela 
della 
propria 


(31) 
Cons. 
Stato 
Sez. 
IV, 
25 
gennaio 
1999, 
n. 
63, 
ha 
affermato 
che 
�Il 
provvedimento 
che 
autorizza 
o nega l'aggiunta di 
cognome 
ha carattere 
discrezionale, dovendo lo stesso contemperare 
da un lato 
l'interesse 
pubblico (a che 
i 
cognomi 
siano tendenzialmente 
stabili 
nel 
tempo, allo scopo di 
assolvere 
alla funzione 
identificativa degli 
individui) e 
dall'altro l'interesse 
privato (in particolare 
quello del 
richiedente 
-che 
pu� 
fondarsi 
su 
una 
pluralit� 
di 
ragioni, 
di 
ordine 
morale, 
economico, 
familiare, 
affettivo 
ecc. - ma anche 
di 
colui 
che 
� 
gi� portatore 
di 
quel 
cognome); pertanto i 
criteri 
seguiti 
per 
accogliere 
o negare 
l'istanza di 
aggiunta del 
cognome 
sono sindacabili 
dal 
giudice 
amministrativo, sotto il 
profilo 
della loro idoneit� a perseguire e tutelare gli interessi coinvolti�. 
(32) l�art. 154 del 
decreto citato prevede 
che 
�La domanda � 
presentata al 
procuratore 
generale 
presso la Corte 
di 
appello nella cui 
giurisdizione 
il 
richiedente 
ha la sua residenza. Il 
procuratore 
generale 
assume 
sollecitamente 
informazioni 
sulla domanda e 
la spedisce 
al 
ministro per 
la grazia e 
giustizia 
con il suo parere e con tutti i documenti necessari�. 

DoTTrInA 
237 


integrale 
identit�, 
gi� 
assicurato 
dal 
cognome 
materno 
attribuitogli 
(33). 
Conclusivamente, 
pu� 
dirsi 
che, 
anche 
grazie 
all'intervento 
del 
legislatore, 
dopo 
le 
illuminanti 
pronunzie 
del 
Supremo 
Consesso 
amministrativo, 
che 
ha 
incluso 
nella 
snella 
procedura 
prefettizia 
di 
cui 
agli 
articoli 
89 
e 
seguenti 
del 
d.P.r. 
396 
tutti 
i 
casi 
di 
cambiamento 
di 
cognome, 
salvo 
casi 
eccezionali, 
chiunque 
possa 
chiedere 
l'attribuzione 
del 
cognome 
materno 
o 
del 
doppio 
cognome. 


Ci� non esaurisce 
tuttavia 
la 
questione 
che, precisamente, verte 
sulla 
attribuzione 
originaria 
del 
cognome 
materno 
nell'atto 
di 
nascita 
e 
non 
sulla 
soddisfazione 
di 
un 
interesse 
affettivo 
con 
un 
provvedimento 
pur 
sempre 
discrezionale 
e 
successivo della 
pubblica 
amministrazione. Tuttavia 
la 
Cassazione 
con la 
propria 
recentissima 
decisione 
19606 del 
2016 ha 
ritenuto interamente 
soddisfatta 
la 
pretesa 
dei 
genitori 
coniugati 
a 
trasmettere 
il 
doppio 
cognome 
o, in subordine, il 
solo cognome 
materno con il 
decreto prefettizio 
previsto 
dal 
citato 
art. 
89, 
confermando 
la 
declaratoria 
di 
cessazione 
della 
materia 
del 
contendere 
pronunziata 
in 
appello 
e 
collidendo 
con 
i 
precedenti 
di 
Strasburgo: 
dalla 
scarna 
motivazione 
non 
� 
dato 
comprendere 
se 
tale 
beneficio 
grazioso 
della 
pubblica 
amministrazione 
sia 
intervenuto 
a 
breve 
distanza 
dalla 
nascita 
dei 
minori 
o meno (34). Comunque 
pur se 
nel 
rito ex art. 95 del 
d.P.r. 


(33) 
nel 
caso 
di 
specie, 
la 
Corte 
d'Appello 
di 
Caltanissetta, 
con 
provvedimento 
del 
16 
ottobre 
2009, reso nei 
confronti 
di 
l.n. e 
T.A., in riforma 
del 
provvedimento del 
Tribunale 
per i 
minorenni 
di 
Caltanissetta 
del 
26-5/11-6-2009, attribuiva 
ex art. 262 c.c. al 
minore 
D., figlio naturale 
delle 
parti, riconosciuto 
prima 
dalla 
madre 
e 
poi 
dal 
padre, il 
cognome 
di 
entrambi 
i 
genitori. la 
Corte 
di 
Cassazione 
affermava 
che 
�Criterio direttivo deve 
essere 
quello di 
salvaguardare 
l'identit� personale 
del 
soggetto. 
N� 
si 
potrebbe 
affermare 
che 
l'identit� di 
un minore 
in tenerissima et� non sussista. Il 
relativo diritto 
richiama l'esigenza di 
essere 
se 
stessi, nella prospettiva di 
una compiuta rappresentazione 
della personalit� 
individuale 
in 
tutti 
i 
suoi 
aspetti 
ed 
implicazioni, 
nelle 
sue 
qualit� 
ed 
attribuzioni; 
diritto 
alla 
propria identit�, sottoposta ai 
medesimi 
mutamenti 
della personalit� individuale 
(e 
quindi 
diritto "alla 
personalit�" 
e 
alle 
condizioni 
che 
ne 
garantiscono lo sviluppo). Si 
dovr� dunque 
guardare 
al 
"vissuto" 
del minore, alla sua vita trascorsa, ma pure alle eventuali prospettive future. 
Ovviamente 
la valutazione 
concreta del 
giudice 
di 
merito, se 
sorretta da adeguata motivazione, � 
incensurabile 
in questa sede. Chiarisce 
il 
giudice 
a quo che 
il 
minore, pur 
in tenerissima et�, fino ad oggi 
ha vissuto con la madre, e 
non si 
prospetta da parte 
dei 
genitori 
il 
proposito di 
vivere 
stabilmente 
insieme. 
Pur 
mantenendo 
D. 
rapporti 
con 
il 
padre 
-continua 
il 
provvedimento 
impugnato 
-� 
da 
presumere 
che 
egli 
vivr� prevalentemente 
con la madre 
e 
la famiglia di 
lei. Corrisponde 
dunque 
al 
suo interesse 
aggiungere 
il 
cognome 
del 
padre 
a quello originario della madre, e 
garantire, anche 
in prospettiva, la 
tutela della sua identit� personale, in relazione all'instaurato ambiente familiare e sociale di vita�. 
(34) 
nel 
caso 
di 
specie, 
con 
ordinanza 
depositata 
il 
13 
novembre 
2014 
la 
Corte 
d'appello 
di 
Trento 
aveva 
dichiarato cessata 
la 
materia 
del 
contendere, in relazione 
al 
reclamo proposto da 
S.A. e 
G.M. avverso 
la 
decisione 
di 
primo grado, che 
aveva 
respinto la 
loro richiesta 
di 
rettifica 
dell'atto di 
nascita 
dei 
minori 
K. e 
S.e. mediante 
attribuzione 
agli 
stessi 
del 
doppio cognome, con aggiunta 
di 
quello materno 
a 
quello paterno o, in subordine, con attribuzione 
agli 
stessi 
del 
solo cognome 
materno. la 
Corte 
territoriale 
aveva 
ritenuto che 
l'intervento, nel 
corso del 
procedimento, del 
provvedimento del 
Commissario 
del 
Governo, con il 
quale 
era 
stata 
accolta 
la 
richiesta 
principale 
di 
attribuzione 
del 
doppio cognome, 
avesse 
consentito 
ai 
reclamanti 
di 
conseguire 
pienamente 
il 
bene 
della 
vita 
al 
cui 
ottenimento 
era 
diretto 
il 
reclamo. la 
Suprema 
Corte 
confermava 
la 
declaratoria 
di 
cessazione 
di 
materia 
del 
contendere, affermando 
che 
i 
ricorrenti 
avessero 
gi� 
conseguito, 
mediante 
decreto 
prefettizio 
ex 
art. 
89, 
l�utilit� 
perseguita 
con l�iniziativa giurisdizionale. 

rASSeGnA 
AVVoCATurA 
Dello 
STATo - n. 1/2017 


396 del 
2000 scelto dalle 
parti 
nel 
caso di 
specie 
non pu� aver luogo il 
risarcimento 
del 
danno subito dalla 
madre, come 
ritenuto dalla 
Cassazione, nella 
fattispecie 
non pare 
preclusa 
un'autonoma 
e 
successiva 
azione 
risarcitoria 
instaurata 
con rito ordinario. 


5. 
Diverso problema 
� 
quello del 
diritto di 
un minore 
nato da 
coppia 
coniugata 
formata 
da 
coniugi 
di 
diversa 
nazionalit� 
e 
a 
cui 
sia 
trasmessa 
la 
cittadinanza 
di 
ciascun genitore 
a 
mantenere 
in Italia 
il 
doppio cognome 
che 
gli 
spetterebbe 
secondo una 
o entrambe 
tali 
leggi 
nazionali. Premessa 
l'applicabilit� 
del citato art. 89 del d.P.r. n. 396 del 2000, 
I. nei 
casi 
in cui 
il 
minore 
non sia 
nato in Italia 
� 
pacifica 
la 
circolazione 
del 
doppio cognome 
acquisito all'estero, perch� 
l'atto di 
nascita 
cos� 
formato 
proprio per la 
possibilit�, riconosciuta 
anche 
dallo Stato italiano, di 
ottenere 
un doppio cognome 
in via 
amministrativa, non pu� essere 
considerato contrario 
all'ordine 
pubblico internazionale. Va 
ribadito l'insegnamento della 
Corte 
di 
giustizia 
dell'unione 
europea 
dei 
casi 
Garcia 
Avello 
contro 
Belgio 
sentenza 
del 
2 
ottobre 
2003 
C-148/02 
(35) 
e 
Grunckin 
Paul 
contro 
Germania, 
sentenza 
del 
14 
ottobre 
2008 
C-353/2006 
(36). 
Ai 
sensi 
degli 
allora 
rubricati 
articoli 
17 
e 
18 
del 
trattato 
istitutivo 
dell�unione 
europea, 
ora 
articoli 
20 
e 
21 
del 
Trattato 
sul 
Funzionamento dell'unione 
europea, il 
cittadino europeo gode 
del 
diritto 
fondamentale 
di 
circolare 
liberamente 
tra 
gli 
Stati 
membri, 
e 
tale 
diritto 
� 
ostacolato, 
in 
quanto 
reso 
pi� 
difficile, 
dalla 
circostanza 
che 
un 
minore, 
che 
come, 
(35) Con ordinanza 
21 dicembre 
2001, pervenuta 
alla 
Corte 
il 
24 aprile 
2002, il 
Conseil 
d'�tat 
(Consiglio di 
Stato) aveva 
sottoposto alla 
Corte, ai 
sensi 
dell'art. 234 Ce, una 
questione 
pregiudiziale 
vertente 
sull'interpretazione 
degli 
artt. 17 Ce 
e 
18 Ce. la 
questione 
era 
sorta 
nell'ambito di 
una 
controversia 
tra 
il 
sig. C. Garcia 
Avello, in qualit� 
di 
legale 
rappresentante 
dei 
suoi 
figli, e 
lo Stato belga 
in 
merito a 
una 
domanda 
di 
cambiamento del 
cognome 
di 
questi 
ultimi. la 
Corte 
afferm� che 
�Alla luce 
di 
tutte 
le 
considerazioni 
che 
precedono, occorre 
risolvere 
la questione 
pregiudiziale 
dichiarando che 
gli 
artt. 12 CE 
e 
17 CE 
devono essere 
interpretati 
nel 
senso che 
ostano al 
fatto che, in circostanze 
come 
quelle 
della causa principale, l'autorit� amministrativa di 
uno Stato membro respinga una domanda di 
cambiamento del 
cognome 
per 
figli 
minorenni 
residenti 
in questo Stato e 
in possesso della doppia cittadinanza, 
dello stesso Stato e 
di 
un altro Stato membro, allorch� 
la domanda � 
volta a far 
s� 
che 
i 
detti 
figli 
possano portare 
il 
cognome 
di 
cui 
sarebbero titolari 
in forza del 
diritto e 
della tradizione 
del 
secondo 
Stato membro�. 
(36) nel 
caso di 
specie 
veniva 
presentata 
domanda 
di 
pronuncia 
pregiudiziale 
vertente 
verte 
sull�interpretazione 
degli 
artt. 
12 
Ce 
e 
18 
Ce, 
proposta 
alla 
Corte, 
ai 
sensi 
dell�art. 
234 
Ce, 
dall�Amtsgericht 
Flensburg (Germania) con decisione 
16 agosto 2006, pervenuta 
in cancelleria 
il 
28 agosto 2006, nella 
quale 
il 
sig. Grunkin e 
la 
sig.ra 
Paul, da 
una 
parte, e 
lo Standesamt 
nieb�ll 
(ufficio dello stato civile 
della 
citt� 
di 
nieb�ll), dall�altra, in merito al 
rifiuto, da 
parte 
di 
quest�ultimo, di 
riconoscere 
il 
cognome 
del 
figlio 
leonhard 
Matthias, 
cos� 
come 
esso 
� 
stato 
determinato 
e 
registrato 
in 
Danimarca, 
e 
di 
iscrivere 
quest�ultimo 
nel 
libretto 
di 
famiglia 
aperto 
per 
loro 
presso 
il 
detto 
servizio. 
la 
Corte 
afferm� 
che 
occorre 
risolvere 
la 
questione 
sollevata 
nel 
senso che, in circostanze 
come 
quelle 
della 
causa 
principale, l�art. 
18 Ce 
osta 
a 
che 
le 
autorit� 
di 
uno Stato membro, in applicazione 
del 
diritto nazionale, rifiutino di 
riconoscere 
il 
cognome 
di 
un 
figlio 
cos� 
come 
esso 
� 
stato 
determinato 
e 
registrato 
in 
un 
altro 
Stato 
membro 
in cui 
tale 
figlio - che, al 
pari 
dei 
genitori, possiede 
solo la 
cittadinanza 
del 
primo Stato membro - � 
nato 
e risiede sin dalla nascita. 

DoTTrInA 
239 


nel 
primo 
caso, 
sia 
al 
contempo 
cittadino 
spagnolo 
e 
belga 
e 
sia 
nato 
in 
belgio, 
si 
trovi 
ad avere 
cognomi 
diversi 
in diversi 
stati 
membri 
(37). Anche 
le 
norme 
che 
ineriscono 
a 
materie 
riservate 
agli 
stati, 
come 
quelle 
sui 
cognomi, 
non 
possono porre 
ostacoli 
o rendere 
pi� difficile 
l'esercizio di 
tale 
diritto fondamentale. 
nel 
caso Garc�a Avello, � 
noto, il 
belgio, che 
aveva 
formato l'atto di 
nascita, 
non 
aveva 
attribuito 
al 
minore 
il 
doppio 
cognome 
che 
gli 
sarebbe 
spettato 
secondo 
la 
legge 
spagnola. 
la 
Corte 
si 
� 
espressa 
nello 
stesso 
senso 
anche 
nel 
secondo caso, in cui 
il 
minore 
interessato, figlio di 
un tedesco e 
di 
una 
danese, 
divorziati, residente 
con la 
madre 
affidataria 
in Danimarca 
e, per inciso 
soggetto a 
frequenti 
spostamenti 
tra 
i 
due 
Stati 
per il 
pacifico esercizio del 
diritto 
di 
visita, fosse 
in possesso della 
sola 
cittadinanza 
di 
uno Stato membro, 
in 
quel 
caso 
la 
Germania 
(che 
non 
riconosce 
il 
doppio 
cognome), 
ma 
il 
cui 
atto di 
nascita 
era 
stato redatto in Danimarca, applicando il 
doppio cognome 
in 
ossequio 
alla 
legge 
locale. 
Poich� 
la 
Germania 
aveva 
rifiutato 
di 
trascrivere 
l'atto di 
nascita 
con il 
doppio cognome 
perch� 
esso non era 
previsto dalla 
propria 
legge, 
la 
Corte 
aveva 
cionondimeno 
dichiarato 
incompatibile 
con 
l'art. 
18 
del 
Trattato sulla 
Comunit� 
europea 
la 
normativa 
tedesca, nella 
parte 
in cui 
rendeva 
pi� difficili 
i 
frequenti 
passaggi 
di 
frontiera 
del 
minore 
stesso disconoscendogli 
il 
cognome 
attribuitogli 
in 
Danimarca 
e 
ivi 
pacificamente 
portato. 
Questa 
giurisprudenza 
� 
immediatamente 
applicabile 
all'ufficiale 
di 
stato 
civile 
italiano, che 
deve 
applicare, di 
preferenza, il 
diritto comunitario prevalente, 


(37) l�art. 20 del 
TFue 
dispone 
che 
�� 
istituita una cittadinanza dell'Unione. � 
cittadino del-
l'Unione 
chiunque 
abbia la cittadinanza di 
uno Stato membro. La cittadinanza dell'Unione 
si 
aggiunge 
alla 
cittadinanza 
nazionale 
e 
non 
la 
sostituisce. 
I 
cittadini 
dell'Unione 
godono 
dei 
diritti 
e 
sono 
soggetti 
ai doveri previsti nei trattati. Essi hanno, tra l'altro: 
a) il diritto di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri; 
b) il 
diritto di 
voto e 
di 
eleggibilit� alle 
elezioni 
del 
Parlamento europeo e 
alle 
elezioni 
comunali 
nello 
Stato membro in cui risiedono, alle stesse condizioni dei cittadini di detto Stato; 
c) il 
diritto di 
godere, nel 
territorio di 
un paese 
terzo nel 
quale 
lo Stato membro di 
cui 
hanno la cittadinanza 
non � 
rappresentato, della tutela delle 
autorit� diplomatiche 
e 
consolari 
di 
qualsiasi 
Stato membro, 
alle stesse condizioni dei cittadini di detto Stato; 
d) il 
diritto di 
presentare 
petizioni 
al 
Parlamento europeo, di 
ricorrere 
al 
Mediatore 
europeo, di 
rivolgersi 
alle 
istituzioni 
e 
agli 
organi 
consultivi 
dell'Unione 
in una delle 
lingue 
dei 
trattati 
e 
di 
ricevere 
una 
risposta nella stessa lingua. 
Tali 
diritti 
sono esercitati 
secondo le 
condizioni 
e 
i 
limiti 
definiti 
dai 
trattati 
e 
dalle 
misure 
adottate 
in 
applicazione degli stessi�. 
l�art. 21 del 
TFue 
dispone 
che 
�Ogni 
cittadino dell'Unione 
ha il 
diritto di 
circolare 
e 
di 
soggiornare 
liberamente 
nel 
territorio 
degli 
Stati 
membri, 
fatte 
salve 
le 
limitazioni 
e 
le 
condizioni 
previste 
dai 
trattati 
e 
dalle 
disposizioni 
adottate 
in 
applicazione 
degli 
stessi. 
Quando 
un'azione 
dell'Unione 
risulti 
necessaria 
per 
raggiungere 
questo obiettivo e 
salvo che 
i 
trattati 
non abbiano previsto poteri 
di 
azione 
a tal 
fine, 
il 
Parlamento europeo e 
il 
Consiglio, deliberando secondo la procedura legislativa ordinaria, possono 
adottare disposizioni intese a facilitare l'esercizio dei diritti di cui al paragrafo 1. 
Agli 
stessi 
fini 
enunciati 
al 
paragrafo 1 e 
salvo che 
i 
trattati 
non abbiano previsto poteri 
di 
azione 
a 
tale 
scopo, il 
Consiglio, deliberando secondo una procedura legislativa speciale, pu� adottare 
misure 
relative 
alla sicurezza sociale 
o alla protezione 
sociale. Il 
Consiglio delibera all'unanimit� previa consultazione 
del Parlamento europeo�. 

rASSeGnA 
AVVoCATurA 
Dello 
STATo - n. 1/2017 


come 
deciso dal 
Tribunale 
di 
roma 
con decreto del 
30 gennaio 2006 (38). la 
pubblica 
amministrazione 
si 
� 
solo parzialmente 
adeguata 
con una 
circolare 
del 
Ministero dell�Interno la 
n. 397 del 
15 maggio 2008 (39), che 
vieta 
di 
ret


(38) 
Il 
Tribunale 
di 
roma, 
con 
decreto 
30 
gennaio 
2006, 
espressamente 
richiamando 
quanto 
affermato 
dalla 
CGue 
nella 
sentenza 
2 
ottobre 
2003, 
in 
C 
148-2002, 
si 
� 
adeguato 
al 
principio 
secondo 
cui 
gli 
�artt. 
12 
CE 
e 
17 
CE 
devono 
essere 
interpretati 
nel 
senso 
che 
ostano 
al 
fatto 
che, 
in 
circostanze 
come 
quelle 
della 
causa 
principale, 
l'autorit� 
amministrativa 
di 
uno 
Stato 
membro 
respinga 
una 
domanda 
di 
cambiamento 
del 
cognome 
per 
figli 
minorenni 
residenti 
in 
questo 
Stato 
e 
in 
possesso 
della 
doppia 
cittadinanza, 
dello 
stesso 
Stato 
e 
di 
un 
altro 
Stato 
membro, 
allorch� 
la 
domanda 
� 
volta 
a 
far 
s� 
che 
i 
detti 
figli 
possano 
portare 
il 
cognome 
di 
cui 
sarebbero 
titolari 
in 
forza 
del 
diritto 
e 
della 
tradizione 
del 
secondo 
Stato 
membro� 
ed 
ha 
ordinato 
all�ufficiale 
di 
Stato 
civile 
di 
roma 
di 
eliminare 
la 
correzione 
con 
la 
quale 
aveva 
espunto 
il 
cognome 
materno 
da 
una 
registrazione 
di 
atto 
di 
nascita 
di 
un 
minore 
figlio 
legittimo 
di 
cittadino 
italiano 
e 
cittadina 
portoghese, 
nato 
in 
belgio 
e 
perci� 
portatore 
di 
doppia 
cittadinanza. 
(39) A 
fini 
di 
completezza 
si 
riporta 
il 
testo della 
circolare 
del 
Ministero dell�Interno, n. 397 del 
15 maggio 2008, �Come 
� 
noto l'articolo 98 del 
D.P.R. n. 396/2000 prevede 
che 
l'ufficiale 
dello stato 
civile, al 
momento di 
ricevere 
l'atto di 
nascita di 
un cittadino nato all'estero, al 
quale 
sia stato imposto 
un cognome 
diverso da quello spettante 
ai 
sensi 
della normativa italiana, provvede 
d'ufficio alla correzione 
dell'atto di 
nascita secondo la normativa italiana, attribuendo pertanto, allo stato attuale, il 
cognome 
paterno. 
La 
prassi 
amministrativa 
� 
stata 
unanime 
nell'applicare 
il 
predetto 
principio, 
con 
correzione 
ex 
ufficio 
del 
cognome 
senza 
il 
consenso 
dell'interessato, 
sia 
a) 
ai 
casi 
di 
soggetti 
in 
possesso 
della sola cittadinanza italiana, ma nati 
all'estero, sia b) ai 
casi 
di 
soggetti 
in possesso di 
doppia cittadinanza. 
Nessun 
dubbio 
vi 
� 
circa 
la 
necessit� 
di 
una 
correzione 
ex 
lege 
nel 
caso 
di 
soggetto 
in 
possesso 
della 
sola 
cittadinanza 
italiana 
che 
per�, 
essendo 
nato 
all'estero, 
si 
� 
visto 
attribuire 
un 
cognome 
diverso 
da quello spettante 
ai 
sensi 
della legge 
italiana (caso sub a). � 
del 
tutto evidente 
che 
in questi 
casi 
l'articolo 
98 � 
sicuramente 
applicabile, al 
pari 
dei 
casi 
di 
acquisto della cittadinanza italiana e 
perdita di 
quella precedente. Molto pi� delicati 
sono invece 
i 
casi 
(sub b) nei 
quali 
al 
minore 
� 
stato attribuito un 
cognome 
diverso, secondo la normativa del 
Paese 
di 
cui 
pure 
� 
cittadino. Il 
caso pi� frequente 
� 
quello 
relativo ai 
minori 
nati 
in paesi 
di 
tradizione 
spagnola o portoghese 
che 
prevedono l'attribuzione 
al 
minore 
sia 
del 
primo 
cognome 
paterno 
sia 
del 
primo 
cognome 
materno. 
In 
tali 
casi, 
anche 
quando 
il 
minore 
� 
fornito di 
doppia cittadinanza, si 
� 
finora interpretata la legge 
nel 
senso d� 
far 
prevalere 
la legge 
italiana 
e 
procedere 
pertanto alla correzione 
dell'atto di 
nascita, attribuendo al 
minore 
il 
solo cognome 
paterno. 
Tale 
interpretazione 
deve 
ora 
essere 
necessariamente 
rivista. 
In 
primo 
luogo, 
nel 
caso 
di 
minore 
in 
possesso 
di 
doppia 
cittadinanza, 
italiana 
ed 
di 
altro 
paese 
facente 
parte 
dell'Unione 
Europea, 
si 
ritiene 
che 
la modifica, senza il 
consenso dell'interessato, del 
cognome 
originariamente 
attribuito in un 
diverso paese 
UE, si 
ponga in contrasto con la normativa europea. A 
tal 
proposito si 
richiama quanto 
indicato 
dalla 
sentenza 
della 
Corte 
di 
Giustizia 
UE 
del 
2 
Ottobre 
2003, 
resa 
nel 
caso 
C-148/02 
nei 
confronti 
del 
Belgio, 
e 
relativa 
al 
caso 
di 
un 
soggetto 
in 
possesso 
della 
doppia 
cittadinanza 
spagnola 
e 
belga. In questa sentenza, la Corte 
di 
Giustizia UE, pur 
avendo ribadito che 
le 
norme 
che 
disciplinano 
il 
cognome 
rientrano nella competenza degli 
stati 
membri, ha altres� 
statuito che 
l'ordinamento interno 
deve 
consentire 
all'interessato 
la 
possibilit� 
di 
richiedere 
alle 
autorit� 
amministrative 
competenti 
un 
provvedimento che 
consenta di 
conservare 
il 
cognome 
acquisito al 
momento della nascita. Pertanto, 
tenuto 
anche 
conto 
del 
parere 
in 
tal 
senso 
ricevuto 
dal 
Consiglio 
di 
Stato 
in 
sede 
consultiva, 
gli 
ufficiali 
dello stato civile, nelle 
ipotesi 
di 
soggetti 
muniti 
d� 
cittadinanza italiana e 
di 
cittadinanza di 
altro paese 
UE, non potranno, senza il 
consenso dell'interessato, correggere 
ex 
articolo 98 il 
cognome 
attribuito 
nell'altro paese 
di 
cittadinanza, secondo le 
norme 
ivi 
vigenti. Alla medesima conclusione 
si 
ritiene 
d� 
dover 
pervenire, anche 
se 
per 
diverse 
motivazioni 
giuridiche, per 
i 
casi 
di 
cittadini 
italiani 
in possesso 
anche 
della cittadinanza di 
un paese 
extraeuropeo. Infatti, sono state 
emesse 
ormai 
numerose 
decisioni 
dell'autorit� giurisdizionale 
italiana, di 
annullamento dei 
provvedimenti 
di 
correzione 
effettuati 
dagli 
ufficiali 
dello 
stato 
civile. 
La 
gran 
parte 
di 
tali 
provvedimenti 
riguarda 
cittadini 
italiani 
in 
possesso 
anche 
della 
cittadinanza 
di 
un 
paese 
sudamericano, 
dove 
vige 
l'uso, 
di 
tradizione 
spagnola 
e 
portoghese, 
di 
attribuire 
al 
minore 
sia 
il 
cognome 
paterno 
sia 
il 
cognome 
materno. 
Le 
decisioni 
hanno 
messo 
in 

DoTTrInA 
241 


tificare 
ai 
sensi 
dell'art. 98 del 
d.P.r. 396, un doppio cognome 
legittimamente 
acquisito all'estero da 
un minore 
in possesso la 
cui 
legge 
nazionale 
ci� consenta. 
la 
successiva 
circolare 
n. 14 del 
2012, per il 
caso di 
nascita 
all'estero e 
di 
possesso 
di 
una 
sola 
cittadinanza 
raccomanda, 
invece, 
l�accoglimento 
delle 
istanze 
di 
concessione 
del 
doppio cognome 
presentate 
ai 
sensi 
del 
citato art. 
89, dopo la trascrizione dell'atto di nascita in Italia (40). 

luce 
che 
il 
testo 
dell'articolo 
98 
si 
riferisce 
ai 
soli 
casi 
di 
cittadini 
italiani 
nati 
all'estero 
e 
non 
menziona 
la diversa ipotesi 
di 
soggetti 
muniti 
di 
doppia cittadinanza. In aggiunta a tale 
argomentazione 
di 
carattere 
testuale, si 
deve 
inoltre 
tener 
presente 
che 
il 
nome 
� 
incontrovertibilmente 
un diritto della personalit�, 
specificamente 
tutelato anche 
a livello costituzionale 
(articoli 
2 e 
22), oltre 
che 
dalla normativa 
ordinaria (articolo 6 del 
Codice 
Civile). Tenuto conto del 
rango di 
tale 
diritto, una modifica "coattiva" 
del 
cognome 
potrebbe 
essere 
consentita 
solo 
in 
presenza 
di 
diritti 
di 
rango 
parimenti 
elevato. 
Nello 
stesso senso s� 
� 
anche 
espresso il 
Consiglio di 
Stato il 
quale 
ha posto in luce 
come 
l'articolo 7 della 
Convenzione 
di 
New York 
sui 
diritti 
del 
fanciullo 
del 
20 novembre 
1989, ratificata con legge 
27 maggio 
1991 
n. 
176, 
prevede 
la 
protezione 
del 
cognome 
attribuito 
al 
momento 
della 
nascita. 
II 
Consiglio 
di 
Stato, proprio in relazione 
all'ipotesi 
di 
doppio cognome 
attribuito nei 
paesi 
sudamericani, ha pertanto 
indicato 
che 
quando 
il 
doppio 
cognome 
attribuito 
all'estero 
abbia 
ormai 
acquisito 
carattere 
di 
autonomo 
segno distintivo del 
soggetto, non si 
debba procedere 
alla correzione 
ex 
articolo 98. Per 
fini 
di 
completezza 
si 
fa 
notare 
che 
l'articolo 
19 
della 
L. 
218/95 
non 
� 
di 
ostacolo 
alla 
interpretazione 
sopra 
ricordata. 
Infatti, 
tale 
norma 
che 
prevede 
la 
prevalenza, 
in 
via 
generale, 
della 
normativa 
italiana 
nei 
casi 
di 
doppia 
nazionalit�, nulla dice 
sulla necessit� di 
modificare 
il 
cognome 
legittimamente 
attribuito all'estero, al 
minore 
fornito di 
doppia cittadinanza. Sulla base 
di 
quanto precede, in caso di 
soggetti 
nati 
all'estero 
ed in possesso della cittadinanza italiana sia di 
quella di 
un paese 
estero, l'ufficiale 
di 
stato civile 
proceder� 
ad 
iscrivere 
l'atto 
di 
nascita 
attribuendo 
al 
soggetto 
il 
cognome 
indicato 
nell'atto 
di 
nascita. 
Resta fermo che 
l'interessato, in qualit� di 
cittadino italiano, al 
momento della trascrizione 
dell'atto di 
nascita, possa richiedere 
con apposita istanza all'ufficiale 
dello stato civile, l'applicazione 
della normativa 
italiana e 
quindi 
l'acquisizione 
del 
solo cognome 
paterno. Si 
precisa che 
i 
princ�pi 
di 
cui 
sopra 
riguardano il 
solo cognome 
attribuito alla nascita. Come 
� 
noto in alcuni 
paesi 
la donna acquisisce 
il 
cognome 
del 
marito a seguito del 
matrimonio ma � 
importante 
ribadire 
che 
per 
l'ordinamento italiano 
il 
cognome 
da prendere 
a riferimento � 
solo quello attribuito al 
momento della nascita, per 
motivi 
di 
coerenza con il 
sistema complessivo ed in coerenza con i 
principi 
costituzionali 
in materia di 
parit� tra 
i 
sessi. La correzione 
ex 
articolo 98 continua pertanto ad essere 
applicabile 
alle 
ipotesi 
di 
attribuzione 
al 
cittadino italiano che 
nasca all'estero, di 
un cognome 
diverso da quello che 
altrimenti 
spenderebbe 
(ad 
esempio, 
per 
errore 
di 
individuazione 
del 
cognome 
spettante 
da 
parte 
dell'ufficiale 
dello 
stato 
civile 
estero, 
dovuto 
anche 
alla 
mancata 
conoscenza, 
sempre 
da 
parte 
del 
medesimo 
ufficiale 
dello 
stato 
civile, 
della 
norma 
applicabile 
in 
Italia, 
come 
previsto 
dall'articolo 
5 
della 
Convenzione 
di 
Monaco), 
e 
nei 
casi 
di 
trascrizione 
degli 
atti 
di 
nascita di 
stranieri 
divenuti 
cittadini 
italiani, perdendo la cittadinanza 
di origine (articolo 1, e. 2 di detta Convenzione)�. 
(http://servizidemografici.interno.it/sites/default/files/com.%20urg.statocivile-bis.pdf). 


(40) 
la 
circolare 
n. 
14 
del 
21 
maggio 
2012 
del 
Ministero 
dell�Interno 
dispone 
quanto 
segue, 
�In 
generale, 
in 
relazione 
alle 
domande 
di 
modifica 
del 
cognome, 
ora 
assegnate 
alla 
competenza 
decisionale 
del 
Prefetto, 
si 
ricorda 
che 
per 
costante 
giurisprudenza 
l'ordinamento 
dello 
stato 
civile 
prevede 
un 
"ampio 
riconoscimento 
della 
facolt� 
di 
cambiare 
il 
proprio 
cognome, 
a 
fronte 
del 
quale 
la 
sfera 
di 
discrezionalit� 
riservata 
alla 
Pubblica 
Amministrazione 
deve 
intendersi 
circoscritta 
alla 
individuazione 
di 
puntuali 
ragioni 
di 
pubblico 
interesse 
che 
giustifichino 
il 
sacrificio 
dell'interesse 
privato 
del 
soggetto 
al 
cambiamento 
del 
proprio 
cognome, 
ritenuto 
anch'esso 
meritevole 
di 
tutela 
dall'ordinamento" 
(Consiglio 
di 
Stato 
26 
aprile 
2006 
n. 
2320) 
e 
che 
pertanto 
"il 
provvedimento 
ministeriale 
negativo 
debba 
essere 
specificamente 
e 
congruamente 
motivato" 
(Consiglio 
di 
Stato 
26 
giugno 
2002 
n. 
3533). 
Secondo 
il 
Consiglio 
di 
Stato, 
il 
diniego 
ministeriale 
di 
autorizzazione 
al 
mutamento 
del 
cognome 
costituisce 
provvedimento 
eminentemente 
discrezionale 
da 
cui 
discende, 
come 
logico 
corollario 
"che 
il 
sindacato 
giurisdizionale 
dello 
stesso 
pu� 
essere 
condotto, 
quanto 
al 
vizio 
intrinseco 
dello 
sviamento, 
sotto 
il 
limitato 
profilo 
della 

rASSeGnA 
AVVoCATurA 
Dello 
STATo - n. 1/2017 


manifesta 
irragionevolezza 
delle 
argomentazioni 
amministrative 
o 
del 
difetto 
di 
motivazione". 
Tanto premesso, si 
evidenzia in primo luogo che 
le 
fattispecie 
di 
maggiore 
ricorrenza, tra le 
istanze 
ordinariamente 
presentate, attengono alla richiesta di 
aggiunta di 
cognome 
materno a quello paterno o 
di 
sostituzione 
del 
cognome 
materno a quello paterno. Come 
noto, nel 
nostro ordinamento, la regola 
non scritta, ma desumibile 
da vari 
elementi 
ricavabili 
dall'insieme 
delle 
norme 
e 
quella di 
attribuire 
al 
figlio il 
cognome 
paterno. Alle 
ragioni 
tradizionali 
legate 
all'interpretazione 
dell'art. 29 della Costituzione 
in termini 
di 
garanzia dell'unita familiare, si 
contrappongono oggi 
con forza sempre 
crescente 
diritti 
come 
quello alla parit� tra i 
sessi, anche 
nella scelta del 
cognome, e 
di 
tutela dell'identit� di 
ciascun 
genitore. 
A 
fronte 
delle 
considerazioni 
favorevoli 
espresse 
in 
tema 
anche 
dalla 
Corte 
Costituzionale 
con 
sentenza 
del 
16 
febbraio 
2006 
n. 
61, 
in 
merito 
alla 
quale 
si 
rinvia 
alla 
circolare 
n. 
21 
del 
30 
maggio 
2006, la ponderazione 
degli 
interessi 
in gioco � 
legata, a norma invariata, a circostanze 
e 
motivazioni 
tali 
da renderlo meritevole 
di 
tutela. Ovviamente 
il 
giudizio di 
meritevolezza delle 
istanze 
in parola si 
dovr� muovere 
con diversa cautela, distinguendo i 
casi 
di 
aggiunta del 
cognome 
materno e 
quelli 
di 
sostituzione 
al 
cognome 
paterno esigendo, quest'ultima ipotesi, motivazioni 
sottese 
all'istanza particolarmente 
pregnanti. La giurisprudenza (Consiglio di 
Stato 25 gennaio 1999 n. 63), infatti, distingue 
tra 
aggiunta e 
sostituzione, rilevando come 
nella prima ipotesi 
si 
introduca un ulteriore 
elemento identificativo, 
mentre 
nella seconda si 
giunga all'eliminazione 
di 
un segno distintivo. Particolare 
attenzione 
andr� maggiormente 
posta nei 
casi 
di 
sostituzione 
del 
cognome 
paterno con altro cognome 
soprattutto 
se 
riferito a un minore 
(in genere 
cognome 
del 
nuovo coniuge 
o compagno della madre), ove 
andr� valutato 
nel concreto l'interesse del minore, nonch� l'interesse del padre. 
In tutti 
i 
casi 
su indicati, riferiti 
a minori, si 
richiamano in proposito le 
disposizioni 
di 
cui 
alla citata 
circolare 
n. 
15 
del 
12 
novembre 
2008, 
circa 
l'esigenza 
e 
l'opportunit� 
di 
acquisire 
il 
consenso 
comunque 
di 
entrambi 
i 
genitori 
a meno che 
non vi 
siano peculiari 
e 
comprovate 
circostanze 
familiari 
tali 
da arrecare 
pregiudizio al 
minore 
stesso quale 
la decadenza della potest� genitoriale 
a carico di 
uno di 
loro. 
Relativamente 
invece 
alle 
numerose 
istanze 
volte 
a variare 
il 
cognome 
per 
vedersi 
attribuito il 
doppio 
cognome 
paterno 
e 
materno, 
acquisito 
nel 
paese 
estero 
di 
nascita, 
prevalentemente 
secondo 
la 
tradizione 
ispanica o portoghese, si 
ricorda innanzitutto che 
non � 
pi� necessario, nella maggior 
parte 
dei 
casi, 
ricorrere 
al 
procedimento di 
cambiamento di 
cognome. Infatti 
come 
indicato con la circolare 
n. 397 del 
15 maggio 2008 e 
con la circolare 
n. 4 del 
18 febbraio 2010, i 
soggetti 
nati 
all'estero ed in possesso 
alla nascita di 
doppia cittadinanza, italiana e 
del 
paese 
straniero di 
origine, possono rivolgersi 
direttamente 
all'ufficiale 
della 
stato 
civile 
per 
la 
modifica 
del 
cognome 
richiesto, 
senza 
necessit� 
di 
avvalersi 
della procedura del 
cambio di 
cognome. Si 
rinvia, in merito alle 
citate 
circolari, a quanto riportato, nel 
dettaglio, nel 
testo del 
Massimario, che 
ne 
evidenzia l'ambito di 
azione 
con riguardo ai 
casi 
dove 
continua 
a prevalere 
l'applicazione 
dell'art. 98, comma 2, del 
D.P.R. 396/2000 relativo al 
mantenimento 
del 
cognome 
paterno secondo la legge 
italiana. Negli 
altri 
casi 
di 
richiesta di 
aggiunta del 
cognome 
materno, 
sempre 
riferiti 
al 
ripristino 
del 
cognome 
di 
origine, 
ma 
modificato 
in 
sede 
di 
concessione 
della 
cittadinanza, sar� invece 
possibile 
agire 
per 
il 
tramite 
del 
procedimento di 
cambiamento di 
cognome, 
senza che 
al 
riguardo possano esservi, in linea di 
massima, preclusioni 
di 
sorta anche 
alla luce 
degli 
orientamenti 
costituzionali 
in materia, gi� sopra evidenziati, e 
ai 
principi 
rinvenibili 
anche 
nella decisione 
ultima 
della 
Corte 
di 
Giustizia 
UE 
(C-353-2008 
del 
21 
ottobre 
2008) 
che 
ha 
riaffermato 
il 
principio 
generale 
dell'intangibilit� 
del 
cognome 
originario, 
con 
riguardo 
alla 
precedente 
nota 
decisione 
C148/
02 del 
2 ottobre 
2003, in quanta identificativo della persona, statuendo anche 
che 
gli 
ordinamenti 
interni 
dei 
paesi 
membri 
devono consentire 
agli 
interessati 
di 
poter 
mantenere 
il 
cognome 
di 
origine 
secondo 
le 
disposizioni 
interne, 
in 
presenza 
o 
meno 
della 
doppia 
cittadinanza, 
a 
sostegno 
del 
valore 
dell'identit� 
acquisita. 
Sono 
infatti 
numerose 
le 
istanze, 
generalmente 
definite 
ad 
oggi 
in 
termini 
positivi, 
tendenti 
al 
ripristino del 
doppio cognome, anche 
richieste 
a favore 
del 
minore, casi 
che 
attengono prevalentemente 
ad uniformare 
l'identit� del 
soggetto in entrambi 
i 
paesi 
di 
cui 
� 
cittadino, per 
i 
quali 
valgono 
ovviamente 
le 
considerazioni 
in tema di 
consenso di 
entrambi 
i 
genitori. In tale 
ambito rientrano 
anche 
le 
istanze, nel 
tempo sempre 
pi� ricorrenti, presentate 
da donne 
provenienti 
soprattutto dai 
paesi 
dell'Europa dell'est, alle 
quali 
una volta acquisita la cittadinanza italiana, viene 
imposto il 
cognome 
paterno, 
da 
tempo 
abbandonato 
per 
quello 
del 
coniuge 
secondo 
l'ordinamento 
del 
paese 
di 
provenienza. 
Anche 
in tali 
casi, spesso l'esigenza � 
quella di 
uniformare 
il 
cognome 
del 
soggetto in entrambi 
i 
paesi 
di 
cui 
� 
cittadino, esigenza di 
cui 
va tenuto conto soprattutto quando l'interesse 
prevalente 
� 
quello di 
tutelare 
l'identit� acquisita e 
consolidata nel 
tempo in campo lavorativo, finanziario, sociale. Ovvia



DoTTrInA 
243 


II. nei 
casi 
di 
nascita 
in Italia 
di 
bambini 
con due 
cittadinanze, una 
delle 
quali 
garantisca 
il 
doppio cognome, la 
dichiarazione 
di 
nascita 
dovr� 
essere 
resa 
al 
consolato 
di 
quello 
Stato, 
con 
le 
intuibili 
difficolt� 
di 
ordine 
pratico 
che 
ne 
conseguono, 
pena 
l'attribuzione 
del 
solo 
cognome 
paterno; 
la 
stessa 
recente 
decisione 
della 
Consulta 
di 
cui 
infra 
tronca 
il 
problema 
solo nel 
caso di 
auspicabile 
accordo 
tra 
i 
coniugi. 
la 
Corte 
di 
Cassazione, 
con 
sentenza 
17642 
del 
2013, 
relativa 
a 
un 
minore 
peruviano 
cui 
era 
stata 
attribuita 
in 
seguito 
anche 
la 
cittadinanza 
italiana 
e 
di 
conseguenza 
cassato il 
cognome 
materno ai 
sensi 
dell'art. 28 comma 
due 
del 
d.P.r. 396, adducendo a 
pretesto che 
la 
Convenzione 
di 
Monaco, 
sopra 
citata, 
al 
comma 
2 
dell'art. 
1 
prevede 
l'applicazione 
della 
nuova 
legge 
nazionale 
in 
caso 
di 
cambiamento 
di 
cittadinanza, 
ha 
accolto 
il 
ricorso proposto nell'interesse 
del 
minore 
(41). l'art. 1 comma 
2 della 
citata 
Convenzione 
non si 
applica 
quando la 
cittadinanza 
italiana 
semplicemente 
si 
aggiunge 
a 
quella 
originaria 
straniera, 
e 
quindi 
il 
doppio 
cognome 
(segno 
fondamentale 
dell'identificazione 
del 
minore 
e 
suo diritto della 
personalit�) non 
pu� essere modificato con riferimento alle situazioni endonazionali. 
III. 
In 
caso 
di 
nascita 
in 
Italia 
di 
minore 
con 
cittadinanza 
straniera 
che 
consenta 
la 
trasmissione 
del 
cognome 
materno 
ovvero 
plurime 
cittadinanze 
mente 
queste 
considerazioni 
di 
attenzione 
valgono anche 
per 
le 
istanze 
volte 
al 
ripristino del 
cognome 
originario sempre 
modificato con l'assegnazione 
del 
cognome 
paterno in sede 
di 
concessione 
della cittadinanza 
italiana, secondo l'ordinamento nazionale. Particolare 
attenzione 
viene 
evidenziata con riguardo 
non 
solo 
ai 
limiti 
posti 
dall'ultimo 
comma 
dell'art. 
89, 
che 
� 
rimasto 
invariato, 
relativo 
alle 
richieste 
di 
attribuzione 
di 
cognomi 
di 
importanza storica o appartenenti 
a famiglie 
illustri, ma anche 
l'inammissibilit� di 
quelle 
volte 
ad ottenere 
la cognomizzazione 
di 
un predicato nobiliare 
o comunque 
tendenti 
ad aggirare 
l'art. XIV 
delle 
Disposizioni 
finali 
e 
transitorie 
della Costituzione, come 
nel 
dettaglio 
chiarito dalla circolare 
n. 10 del 
3 settembre 
2008, in quanto la cognizione 
di 
tali 
domande 
� 
di 
competenza esclusiva dell'autorit� giudiziaria ordinaria, come 
da ultimo anche 
ribadito dal 
Consiglio 
di 
Stato in data 5 febbraio 2009 n. 668. Si 
ricorda, inoltre, come 
indicato nella circolare 
n. 15 del 
21 
marzo 
2007 
e 
ribadito 
nella 
suindicata 
circolare 
n. 
15/2008, 
che 
qualora 
l'istanza 
sia 
riferita 
ad 
un 
comprovato 
errore 
riportato 
nella 
documentazione 
di 
nascita 
dell'interessato, 
il 
cittadino 
non 
dovr� 
necessariamente 
presentare 
istanza 
di 
cambiamento 
di 
cognome 
e 
dovr� 
essere 
informato 
della 
possibilit� 
di 
ottenere 
la rettifica ai 
sensi 
dell'art. 98, comma 1 del 
D.P.R. 396/2000. Parimenti, come 
riportato 
anche 
nel 
Massimario, 
nei 
casi 
di 
riconoscimento 
di 
figlio 
naturale 
maggiorenne, 
questi 
potr� 
avvalersi 
dell'art. 262 del 
c.c. per 
poter 
scegliere 
nei 
termini 
di 
legge 
il 
cognome 
di 
sua preferenza, senza doversi 
avvalere 
della procedura del 
cambio di 
cognome. Trattasi 
di 
casistiche 
che, in risposta alla semplificazione 
del 
procedimento amministrativo, possono essere 
meglio risolte, a vantaggio del 
cittadino e 
della 
stessa pubblica amministrazione, con una linea di 
azione 
pi� celere 
e 
senza comportare 
alcun onere 
economico. 
Si 
rammenta, infine, che 
nel 
caso in cui 
la richiesta di 
modifica del 
cognome 
sia motivata dall'avere 
l'istante 
ottenuto 
la 
medesima 
modifica 
all'estero, 
il 
procedimento 
amministrativo 
� 
necessario 
solo 
nel-
l'ipotesi 
in cui 
il 
provvedimento straniero abbia carattere 
amministrativo. Se 
invece 
il 
provvedimento � 
stato 
emesso 
all'estero 
da 
un'autorit� 
giurisdizionale, 
esso 
potr� 
essere 
riconosciuto 
direttamente 
in 
Italia, qualora risultino soddisfatte le condizioni di cui agli artt. 64 e seguenti della legge 218/1995�. 
(http://www1.interno.gov.it/mininterno/export/sites/default/it/assets/files/23/0682_Circolare_210512_n1 
4_cambio_cognome.pdf) 


(41) Art. 1, comma 
2, Convenzione 
di 
Monaco, �In caso di 
cambiamento di 
nazionalit�, viene 
applicata la legge dello Stato della nuova nazionalit��. 

rASSeGnA 
AVVoCATurA 
Dello 
STATo - n. 1/2017 


straniere 
una 
delle 
quali 
ci� preveda, il 
doppio cognome 
� 
attribuito d�ufficio, 
in applicazione della citata Convenzione (42). 

IV. 
In 
caso 
di 
nascita 
in 
Italia, 
con 
doppia 
cittadinanza, 
italiana 
e 
straniera, 
la 
quale 
ultima 
consenta 
detta 
trasmissione, occorre 
redigere 
l'atto di 
nascita 
in 
consolato: 
in 
subordine, 
ai 
sensi 
della 
recente 
decisione 
della 
Consulta, 
anche 
in Comune 
con l'accordo dei 
genitori, in estremo subordine 
procedere 
in 
via 
amministrativa 
ai 
sensi 
dell'art. 
89 
del 
decreto 
396. 
In 
difetto 
il 
bambino 
assume il cognome paterno. 
V. 
In 
caso 
di 
nascita 
all'estero, 
e 
di 
cittadinanza 
come 
nel 
caso 
II) 
il 
doppio 
cognome viene mantenuto in caso di trascrizione in Italia. 
VI. 
In 
caso 
di 
nascita 
all'estero 
e 
di 
cittadinanza 
come 
nel 
caso 
III) 
l'atto 
di 
nascita 
redatto 
all'estero 
non 
pu� 
essere 
modificato 
in 
ossequio 
della 
citata 
circolare. 
Appare 
evidente 
che 
la 
prassi 
applica 
direttamente 
proprio i 
principi 
di 
Garcia Avello 
(dove 
la 
nascita 
del 
minore 
era 
avvenuta 
in uno stato in cui 
si 
attribu� 
per 
tradizione 
solo 
il 
cognome 
paterno, 
il 
belgio, 
Stato 
che 
aveva 
quindi 
regole 
identiche 
a 
quelle 
italiane), ma 
che 
le 
nostre 
autorit� 
sembrano 
apprezzare 
i 
problemi 
internazionalprivatistici 
solo 
ove 
la 
fattispecie 
sia 
di 
origine 
straniera, 
mentre 
ove 
la 
stessa 
sia 
di 
origine 
italiana, 
l'applicazione 
uniforme del diritto italiano li oblitera ufficiosamente. 


Il 
cognome, giova 
osservare, � 
conservato anche 
se 
la 
fattispecie 
sia 
concernente 
un cittadino italiano o extracomunitario, stante 
la 
natura 
assoluta 
del 
relativo diritto ai 
sensi 
dell'art. 7 della 
Convenzione 
sui 
Diritti 
del 
Fanciullo, 
come riconosciuto dalla circolare 357 del 2008 sopra citata. 


6. nel 
sistema 
della 
CeDu, il 
diritto al 
nome, sotto i 
profili 
della 
sua 
attribuzione 
e 
mantenimento nonch� 
della 
tutela 
nei 
confronti 
dei 
terzi, ricade 
nelle scelte che attengono alla vita familiare e privata (43). 
Il 
godimento 
dei 
diritti 
tutelati 
dall'art. 
8 
non 
pu� 
essere 
limitato, 
ossia 
soggetto 
a 
ingerenza 
da 
parte 
di 
uno 
Stato 
membro, 
se 
non 
per 
legge, 
e 
se 
la 
limitazione 
risponda 
a 
precisi 
interessi 
enumerati 
dal 
comma 
due 
dell'articolo: 
quali, 
la 
necessit� 
in 
una 
societ� 
democratica 
di 
tutelare 
la 
sicurezza 
nazionale, 
la 
pubblica 
sicurezza 
o 
il 
benessere 
economico 
del 
paese, 
i 
beni 
dell'ordine 
pub


(42) 
I cognomi 
e 
i 
nomi 
di 
una persona vengono determinati 
dalla legge 
dello Stato di 
cui 
� 
cittadino. 
A 
questo 
solo 
scopo, 
le 
situazioni 
da 
cui 
dipendono 
i 
cognomi 
e 
i 
nomi 
vengono 
valutate 
secondo 
la legge 
di 
detto Stato. In caso di 
cambiamento di 
nazionalit�, viene 
applicata la legge 
dello Stato della 
nuova nazionalit�. 
(43) la 
tutela 
del 
diritto al 
nome 
rientra 
nel 
campo di 
azione 
dell�art. 8 della 
CeDu, secondo cui, 
�Ogni 
persona ha diritto al 
rispetto della propria vita privata e 
familiare, del 
proprio domicilio e 
della 
propria corrispondenza. 2. Non pu� esservi 
ingerenza di 
una autorit� pubblica nell�esercizio di 
tale 
diritto 
a meno che 
tale 
ingerenza sia prevista dalla legge 
e 
costituisca una misura che, in una societ� democratica, 
� 
necessaria alla sicurezza nazionale, alla pubblica sicurezza, al 
benessere 
economico del 
paese, alla difesa dell�ordine 
e 
alla prevenzione 
dei 
reati, alla protezione 
della salute 
o della morale, o 
alla protezione dei diritti e delle libert� altrui�. 

DoTTrInA 
245 


blico 
e 
della 
tutela 
della 
salute 
e 
della 
morale 
o 
la 
protezione 
dei 
diritti 
e 
delle 
libert� 
dei 
terzi. 
Sgomberato 
il 
campo 
degli 
interessi 
che 
consentono 
ingerenza 
da 
quelli 
che 
nulla 
hanno 
a 
che 
fare 
con 
il 
cognome 
che 
si 
porta, 
un 
motivo 
plausibile 
per 
giustificare 
un'ingerenza 
nel 
campo 
del 
cognome 
non 
pu� 
essere 
che 
la 
protezione 
dei 
diritti 
dei 
terzi 
che 
sarebbe 
ipotizzabile 
nel 
caso 
di 
una 
confusione 
di 
identit�. 
Altres� 
� 
ipotizzabile 
la 
possibilit� 
di 
tutelare 
l�ordine 
pubblico 
mediante 
un'ingerenza 
nella 
scelta 
di 
un 
cognome 
-si 
supponga 
il 
cognome 
di 
un 
famoso 
boss 
mafioso 
da 
poco 
defunto. 
Ai 
sensi 
dell'art. 
8 
una 
legge 
� 
qualsiasi 
norma 
giuridica 
anche 
regolamentare, 
purch� 
sia 
accessibile, 
prevedibile 
e 
comprensibile: 
in 
tal 
concetto 
rientra 
sicuramente 
il 
complesso 
di 
principi 
e 
norme 
che 
giustifica 
la 
prassi 
dell'attribuzione 
del 
cognome 
paterno 
ai 
figli 
legittimi. 
la 
necessit� 
di 
tutelare 
uno 
di 
questi 
interessi, 
che 
non 
deve 
confondersi 
n� 
con 
l'indispensabilit� 
n� 
con 
la 
mera 
opportunit� 
o 
utilit� 
di 
farlo, 
consente 
a 
ciascuno 
Stato 
membro 
un 
margine 
di 
apprezzamento, 
ma 
esige, 
altres�, 
che 
lo 
Stato 
provveda 
perch� 
spinto 
da 
motivi 
pertinenti 
e 
sufficienti, 
escluso 
quindi 
il 
mero 
arbitrio 
o 
il 
richiamo 
alla 
tradizione. 
D'altro 
canto 
il 
richiamo 
alla 
societ� 
democratica 
deve 
implicare 
il 
rispetto 
degli 
interessi 
tutelati 
nella 
loro 
ragionevole 
valutazione 
in 
un 
procedimento 
equo. 
Tuttavia 
ai 
sensi 
dell'art. 
14 
se 
l'ingerenza 
avviene 
in 
base 
a 
una 
discriminazione 
fondata 
sul 
sesso 
o 
ad 
altro 
fattore 
di 
rischio, 
essa 
� 
di 
principio 
vietata 
(44). 


l'art. 
14 
opera 
solo 
in 
combinato 
disposto 
con 
altra 
disposizione 
della 
CeDu 
o 
dei 
suoi 
protocolli 
aggiuntivi. 
nota 
� 
la 
definizione 
di 
discriminazione 
come 
trattamento deteriore 
ingiustificato. ora, � 
innegabile 
che 
nell'elisione 
del 
cognome 
materno vi 
sia 
un trattamento deteriore 
della 
madre 
e 
del 
sesso femminile 
in generale. In questi 
casi, lo Stato dovrebbe 
dimostrare 
che 
tale 
discriminazione 
non 
solo 
non 
sia 
giustificata, 
ma 
anche 
che 
persegua, 


(44) 
Ai 
sensi 
dell�art. 
14 
CeDu, 
�Il 
godimento 
dei 
diritti 
e 
delle 
libert� 
riconosciuti 
nella 
presente 
Convenzione 
deve 
essere 
assicurato senza nessuna discriminazione, in particolare 
quelle 
fondate 
sul 
sesso, la razza, il 
colore, la lingua, la religione, le 
opinioni 
politiche 
o quelle 
di 
altro genere, l�origine 
nazionale 
o sociale, l�appartenenza a una minoranza nazionale, la ricchezza, la nascita od ogni 
altra 
condizione�. Si 
precisa 
che 
la 
norma 
non ha 
carattere 
sostanziale 
e 
opera 
solo in combinato disposto 
con altre 
disposizioni 
della 
Convenzione 
o dei 
suoi 
protocolli 
aggiuntivi. Secondo DAnISI, 
Il 
principio 
di 
non 
discriminazione 
dalla 
CEDU 
alla 
Carta 
di 
Nizza 
in 
Forum 
Costituzionale: 
�L�art. 
14 
della 
CEDU 
non ha portata generale 
e 
riguarda esclusivamente 
i 
diritti 
in essa enunciati. Al 
di 
l� del 
contributo fornito 
dalla 
Corte 
con 
la 
sua 
giurisprudenza, 
una 
soluzione 
potrebbe 
venire 
dall�entrata 
in 
vigore 
del 
Protocollo n. 12, sebbene 
gli 
Stati 
del 
Consiglio d�Europa non sembrino disposti 
a procedere 
con le 
necessarie 
ratifiche. 
Di 
conseguenza, 
nell�ordinamento 
del 
Consiglio 
d�Europa, 
potrebbe 
acquistare 
sempre 
pi� importanza la Carta Sociale 
Europea. Nell�Unione 
europea, invece, il 
principio solennemente 
riaffermato nella Carta di 
Nizza, rientra tra quei 
diritti 
fondamentali 
che 
l�ordinamento europeo deve 
tutelare. Nel 
momento in cui 
la Carta acquisir� piena validit� giuridica, i 
principi 
in essa contenuti 
saranno 
ancor 
pi� di 
adesso i 
parametri 
di 
legittimit� degli 
atti 
dell�Unione 
e 
delle 
normative 
nazionali 
che 
ne 
danno 
attuazione. 
67 
In 
definitiva, 
nel 
principio 
di 
uguaglianza 
e 
non 
discriminazione 
si 
pu� 
rintracciare 
quell�elemento unificante 
tra Corte 
Europea dei 
Diritti 
dell�Uomo e 
Corte 
di 
Giustizia Europea: 
entrambe 
si 
trovano 
a 
garantirne 
l�applicazione 
in 
ogni 
fattispecie 
che, 
sulla 
base 
delle 
rispettive 
competenze, devono giudicare�. 

rASSeGnA 
AVVoCATurA 
Dello 
STATo - n. 1/2017 


nella 
proporzionalit� 
tra 
mezzi 
e 
fini, 
uno 
scopo 
legittimo. 
Anche 
qui 
lo 
Stato, 
nell'operare 
tale 
bilanciamento d�interessi, dispone 
di 
un margine 
di 
apprezzamento 
variabile 
in un senso comparativo sia 
sulla 
propria 
prassi 
interna 
che 
su quella 
degli 
altri 
Stati 
membri 
del 
Consiglio d'europa. Il 
tradizionale 
insegnamento 
della 
giurisprudenza 
di 
Strasburgo 
� 
che 
le 
violazioni 
dell'art. 
14 
siano esaminate 
solo sussidiariamente 
quando non sussista 
una 
violazione 
diretta 
della norma di riferimento. 


7. 
-I. 
nel 
caso 
del 
cognome 
giova 
prendere 
le 
mosse 
dalla 
decisione 
�nal 
Tekeli, ricorso 29865/96 deciso il 
16 novembre 
2004 (45). la 
ricorrente, cittadina 
turca, gi� 
nota 
in ambito professionale 
forense, aveva 
perso il 
proprio 
cognome 
a 
seguito 
del 
matrimonio 
ai 
sensi 
dell'art. 
163 
del 
cc 
turco 
(46). 
Dopo 
avere 
inutilmente 
percorso tutti 
i 
gradi 
della 
giurisdizione 
ordinaria 
vantando 
il 
diritto a 
mantenere 
il 
proprio cognome 
d'origine, la 
ricorrente 
chiese 
la 
protezione 
di 
tale 
diritto alla 
Corte 
che 
rilev� (47) che 
la 
tutela 
del 
nome 
rientra 
nel 
campo 
d'azione 
dell'art. 
8, 
che 
comprende 
il 
diritto 
di 
ogni 
individuo 
di 
porsi 
in 
relazione 
con 
altri 
usando 
il 
proprio 
nome. 
Il 
caso 
comportava 
una 
flagrante 
violazione 
dell'art. 14 essendo la 
moglie 
e 
non il 
marito a 
perdere 
il 
cognome 
a 
seguito delle 
nozze. Inoltre, la 
disposizione 
violava 
il 
principio di 
proporzionalit� 
a 
fronte 
del 
crescente 
consenso tra 
la 
prassi 
e 
la 
legislazione 
degli 
Stati 
membri 
sulla 
scelta 
paritaria 
dei 
coniugi 
in 
ordine 
al 
cognome 
(48). 
(45) 
http://hudoc.echr.coe.int/eng#{"fulltext":["unaltekeli"],"documentcollectionid2":["GRANDCHAMBER","
CHAMBER"],"itemid":["001-67482"]}. 
(46) l�articolo 153 della 
versione 
originaria 
del 
codice 
civile 
turco, applicabile 
al 
momento del 
fatto, 
disponeva 
che: 
�Le 
donne 
sposate 
devono 
assumere 
il 
cognome 
del 
marito�. 
l�art. 
153 
(modificato 
dalla 
l. 
n. 
4248 
del 
14 
maggio 
1997), 
ora 
articolo 
187 
del 
nuovo 
codice 
civile 
in 
vigore 
dal 
22 
novembre 
2001, 
dispone 
invece 
che: 
�Le 
donne 
sposate 
devono 
assumere 
il 
cognome 
del 
marito. 
Tuttavia 
esse 
possono rendere 
una dichiarazione 
scritta al 
Registro delle 
nascite, matrimoni 
e 
morti 
al 
momento del 
matrimonio 
oppure 
in 
seguito, 
qualora 
desiderino 
mantenere 
il 
loro 
nome 
da 
nubili 
davanti 
al 
cognome�. 
(47) la 
Corte 
afferma 
al 
paragrafo 42 che: 
�The 
Court 
reiterates 
that 
Article 
8 of 
the 
Convention 
does 
not 
contain any 
explicit 
provisions 
on names, but 
as 
a means 
of 
personal 
identification and of 
linking 
to a family, a person�s 
name 
nonetheless 
concerns 
his 
or 
her 
private 
and family 
life. The 
fact 
that 
there 
may 
exist 
a public 
interest 
in regulating the 
use 
of 
names 
is 
not 
sufficient 
to remove 
the 
question 
of 
a person�s 
name 
from 
the 
scope 
of 
private 
and family 
life, which has 
been construed as 
including, to 
a certain degree, the right to establish relationships with others (see Burghartz, cited above, � 24). 
The subject-matter of the complaint thus falls within the scope of 
Article 8 of the Convention�. 
(48) Cos� 
si 
affermava 
al 
paragrafo 61, 
�Moreover, the 
Court 
notes 
the 
emergence 
of 
a consensus 
among the 
Contracting States 
of 
the 
Council 
of 
Europe 
in favour 
of 
choosing the 
spouses� 
family 
name 
on an equal footing. 
Of 
the 
member 
states 
of 
the 
Council 
of 
Europe 
Turkey 
is 
the 
only 
country 
which legally 
imposes 
- even 
where 
the 
couple 
prefers 
an alternative 
arrangement 
- the 
husband�s 
name 
as 
the 
couple�s 
surname 
and 
thus 
the 
automatic 
loss 
of 
the 
woman�s 
own 
surname 
on 
her 
marriage. 
Married 
women 
in 
Turkey 
cannot 
use 
their 
maiden name 
alone 
even if 
both spouses 
agree 
to such an arrangement. The 
possibility 
made 
available 
by 
the 
Turkish legislature 
on 22 November 
2001 of 
putting the 
maiden name 
in front 
of 
the 
husband�s 
surname 
does 
not 
alter 
that 
position. The 
interests 
of 
married women who do not 
want 
their 
marriage to affect their name have not been taken into consideration�. 

DoTTrInA 
247 


Ma 
la 
disposizione 
in materia 
limitava 
imperiosamente 
tale 
diritto, a 
nulla 
rilevando 
le 
sopravvenute 
modifiche 
legislative 
che 
garantivano 
alla 
moglie 
turca 
la 
scelta 
della 
semplice 
aggiunta 
del 
cognome 
del 
marito (49). Tale 
opzione 
restava 
comunque 
discriminatoria 
non essendo consentito al 
marito di 
aggiungere 
al 
proprio 
il 
cognome 
della 
moglie, 
mentre 
l'esigenza 
di 
assicurare 
un 
unico 
cognome 
alla 
famiglia, 
ivi 
compresi 
i 
suoi 
futuri 
membri, 
i 
figli 
della 
coppia, 
ben 
poteva 
essere 
garantita 
anche 
mediante 
una 
scelta 
concorde, 
e 
senza 
l'imposizione 
del 
cognome 
del 
marito. Pertanto risultavano violati 
gli 
articoli 8 e 14 della Convenzione. 


II. nella 
decisione 
Burghartz, del 
22 febbraio 1994 (50) la 
Corte, con riferimento 
a 
una 
coppia 
formata 
da 
un cittadino svizzero e 
da 
una 
cittadina 
tedesca, 
con residenza 
in Svizzera, che 
si 
era 
vista 
negare 
la 
scelta 
consentita 
dalla 
legge 
tedesca 
dei 
loro 
due 
cognomi 
uniti 
come 
cognome 
familiare, 
perch� 
l'art. 
160 
del 
c.c. 
elvetico 
avrebbe 
imposto 
di 
assumere 
il 
cognome 
del 
marito, 
salva 
la 
facolt� 
della 
sposa 
di 
mantenere 
in aggiunta 
il 
proprio cognome 
(51), 
parimenti 
riteneva 
consumata 
la 
violazione 
degli 
artt. 8 e 
14 della 
CeDu, essendo 
detta 
scelta 
legislativa 
priva 
di 
una 
oggettiva 
ragionevole 
giustificazione 
nel sacrificare eguali diritti della moglie. 
III. un altro caso di 
divieto di 
mutamento imperativo del 
nome 
� 
il 
caso 
Dar�czy 
(52), sentenza 
del 
1 luglio 2008. la 
vedova 
del 
signor Dar�czy, cui 
era 
stato per oltre 
quarant'anni 
attribuito il 
cognome 
del 
marito in conformit� 
della 
legge 
ungherese, che 
prevede 
che 
la 
moglie 
assuma 
anche 
il 
nome 
proprio 
del 
marito seguito dal 
suffisso -ne, contestava 
la 
correzione 
del 
cognome 
assunto con il 
matrimonio operato dalle 
locali 
Autorit� 
(53). All'epoca 
delle 
nozze 
le 
Autorit� 
competenti 
non si 
erano accorte 
che 
il 
marito aveva 
un doppio 
prenome, pur utilizzandone 
costantemente 
solo uno, quello che 
era 
stato 
attribuito alla moglie a seguito delle nozze. 
Anche 
la 
mera 
esigenza 
di 
correggere 
il 
risalente 
errore 
non poteva 
alterare 
l'antroponimo con cui, dopo 44 anni, la 
ricorrente 
si 
era 
identificata, per 
cui la ingerenza dello Stato ungherese era ritenuta illegittima dalla Corte. 


IV. Molto peculiare 
invece 
il 
caso 
Losonci 
Rose 
contro Svizzera, deciso 
(49) Vedi nota 43. 
(50) http://hudoc.echr.coe.int/eng?i=001-57865. 
(51) 
All�epoca 
dei 
fatti 
l�art. 
160 
del 
codice 
civile 
elvetico, 
cos� 
disponeva, 
�Il 
cognome 
coniugale 
� 
quello del 
marito. 2 La sposa pu� tuttavia dichiarare 
all�ufficiale 
di 
stato civile 
di 
voler 
mantenere 
il 
proprio cognome, anteponendolo a quello coniugale. 3 Se 
gi� porta un siffatto doppio cognome, pu� 
anteporre soltanto il primo cognome�. 
(52) http://hudoc.echr.coe.int/eng?i=001-8722. 
(53) Act 
no. 4 of 1952 on Marriage, Family and Guardianship - Section 25: 
�After 
the 
marriage, 
the 
wife 
shall 
bear 
a) her 
whole 
maiden name, or 
b) the 
whole 
name 
of 
her 
husband with the 
suffix 
referring 
to the 
marriage, to which she 
may 
attach her 
whole 
maiden name, or 
c) her 
husband�s 
family 
name 
with 
the 
suffix 
referring 
to 
the 
marriage, 
to 
which 
she 
attaches 
her 
whole 
name, 
or 
d) 
her 
husband�s 
family name to which she attaches her first name�. 

rASSeGnA 
AVVoCATurA 
Dello 
STATo - n. 1/2017 


con sentenza 
del 
9 novembre 
2010 (54). una 
coppia, formata 
da 
un cittadino 
ungherese 
e 
da 
una 
cittadina 
svizzera, 
entrambi 
residenti 
nel 
cantone 
di 
berna, 
aveva 
chiesto 
al 
competente 
ufficio 
di 
stato 
civile 
(prima 
delle 
nozze 
) 
ai 
sensi 
dell'art. 30 comma 
2 del 
cc 
(55) l'attribuzione 
alla 
coppia 
di 
un nome 
di 
famiglia 
formato 
dal 
cognome 
della 
moglie 
e, 
al 
contempo, 
ai 
sensi 
dell'art. 
37 
comma 
2 della 
legge 
federale 
sul 
diritto internazionale 
privato (56), che 
consente 
di 
scegliere 
la 
propria 
legge 
nazionale 
per quanto riguarda 
la 
determinazione 
del 
cognome, 
di 
applicare 
la 
legge 
ungherese 
al 
signor 
losonci, 
futuro 
marito, che 
cos� 
avrebbe 
mantenuto il 
cognome 
d'origine. la 
richiesta 
era 
respinta 
perch� 
contraria 
alla 
legge, 
con 
decisione 
amministrativa 
vanamente 
impugnata 
in via 
gerarchica 
e 
successivamente 
con ricorso al 
Tribunale 
amministrativo. 
nelle 
more 
della 
decisione 
del 
ricorso, il 
matrimonio era 
celebrato, 
previa 
la 
proposizione 
di 
una 
nuova 
istanza 
diretta 
alla 
mera 
applicazione 
dell'art. 30 comma 
due 
del 
cc, sicch� 
i 
due 
coniugi 
assumevano 
rispettivamente 
il 
marito il 
cognome 
losonci 
rose, nato losonci 
e 
la 
moglie 
il 
cognome 
rose. 
Con 
istanza 
successiva 
al 
matrimonio, 
proposta 
direttamente 
con ricorso al 
Tribunale 
amministrativo del 
Cantone 
di 
berna 
e 
poi 
al 
Tribunale 
amministrativo 
federale 
in 
sede 
di 
appello, 
le 
parti 
chiedevano 
che 
al 
posto del 
cognome 
provvisoriamente 
loro attribuito fosse 
attribuito al 
marito 
signor losonci 
rose 
il 
solo cognome 
losonci 
ai 
sensi 
delle 
disposizioni 
della 
legge 
ungherese. 
la 
richiesta 
era 
respinta 
perch� 
in 
Svizzera 
sarebbe 
principio 
inderogabile 
che 
il 
cognome 
familiare 
debba 
essere 
unico. Inoltre, la 
nuova 
istanza, 
proposta 
ai 
sensi 
dell'art. 
37 
comma 
due 
della 
legge 
federale 
sul 
diritto 
internazionale 
privato, si 
trovava 
preclusa 
dall�istanza, immediatamente 
precedente 
al 
matrimonio, 
di 
attribuzione 
del 
cognome 
della 
moglie 
come 
cognome 
familiare. 
la 
Corte 
europea 
dei 
Diritti 
dell'uomo, 
premessa 
la 
riconducibilit� 
all'art. 8 CeDu 
della 
fattispecie, riteneva 
flagrante 
l'esistenza 
di 
una 
discriminazione 
basata 
sul 
sesso e 
derivante 
direttamente 
dall'art. 160 
del 
c.c. elvetico (57). laddove 
la 
signora 
rose 
fosse 
stata 
ungherese, infatti, 
avrebbe 
potuto 
evitare 
l'applicazione 
del 
cambio 
di 
cognome 
tanto 
ai 
sensi 
dell'art. 160 quanto ai 
sensi 
dell'art. 30 comma 
due 
del 
cc 
svizzero, mediante 
la 
semplice 
richiesta 
di 
applicare 
la 
legge 
ungherese 
che 
le 
avrebbe 
consentito 
di mantenere il proprio cognome originario. Il ricorso era pertanto accolto. 


(54) http://hudoc.echr.coe.int/eng?i=001-101652. 
(55) �Article 
30 - Changement 
de 
nom: 
�Le 
gouvernement 
du canton de 
domicile 
peut, s'il 
existe 
de 
justes 
motifs, autoriser 
une 
personne 
� changer 
de 
nom. Il 
y 
a lieu d'autoriser 
les 
fianc�s, � leur 
requ�te 
et 
s'ils 
font 
valoir 
des 
int�r�ts 
l�gitimes, 
� 
porter, 
d�s 
la 
c�l�bration 
du 
mariage, 
le 
nom 
de 
la 
femme 
comme 
nom 
de 
famille. 
Toute 
personne 
l�s�e 
par 
un 
changement 
de 
nom 
peut 
l'attaquer 
en 
justice 
dans l'ann�e � compter du jour o� elle en a eu connaissance�. 
(56) 
Art. 
37 
della 
legge 
federale 
sul 
diritto 
internazionale 
privato, 
del 
18 
dicembre 
1987, 
in 
vigore 
dal 
1 gennaio 1989, prevede 
che: 
�Toutefois, une 
personne 
peut 
demander 
que 
son nom 
soit 
r�gi 
par 
son droit national�. 
(57) V. nota 48. 

DoTTrInA 
249 


V. 
Per 
quanto 
riguarda 
il 
diverso 
problema 
della 
scelta 
dell'antroponimo 
dei 
figli, 
la 
Corte 
si 
� 
interessata 
della 
libert� 
di 
scelta 
degli 
stessi 
nella 
decisione 
Johannson 
con 
sentenza 
del 
6 
settembre 
del 
2007 
contro 
la 
Finlandia, 
Stato 
che 
aveva 
impedito 
a 
due 
genitori 
di 
attribuire 
al 
proprio 
figlio 
il 
prenome 
AXl, 
perch� 
non 
conforme 
alle 
regole 
finlandesi 
sulla 
scelta 
dei 
nomi 
di 
persona, 
che 
impongono 
la 
scelta 
di 
nomi 
che 
si 
rifacciano 
alla 
tradizione 
onomastica 
della 
Finlandia, 
per 
quanto 
arricchita 
dall'apporto 
di 
cognomi 
derivanti 
da 
altre 
lingue. 
Applicando 
il 
solo 
art. 
8 
CeDu, 
dunque, 
la 
Corte 
si 
sofferma 
sui 
margini 
di 
apprezzamento 
dello 
Stato, 
la 
cui 
ingerenza 
non 
era 
sorretta 
da 
alcun 
serio 
interesse, 
perch� 
altri 
tre 
cittadini 
finlandesi 
erano 
stati 
registrati 
con 
lo 
stesso 
prenome 
personale 
alla 
nascita, 
che 
era 
un 
prenome 
perfettamente 
pronunciabile 
in 
finlandese 
e 
non 
era 
fantasioso, 
capriccioso 
e, 
soprattutto, 
lesivo 
degli 
interessi 
del 
minore. 
Invero, 
come 
deciso 
nella 
sentenza 
del 
24 
ottobre 
1996 
Guillot 
(58), 
gli 
Stati 
possono 
adottare 
misure 
atte 
a 
limitare 
la 
fantasia 
dei 
genitori, 
che 
nel 
caso 
in 
questione 
volevano 
attribuire 
alla 
figlia 
il 
nome 
Fiore 
di 
Maria, 
tratto 
da 
un 
personaggio 
di 
Hugo 
(59). 
negli 
stessi 
ter(
58) http://hudoc.echr.coe.int/eng?i=001-58069. 
(59) l�art. 1 della 
loi 
du 11 germinal 
an XI prevede: 
�Les 
noms 
en usage 
dans 
les 
diff�rents 
calendriers, 
et 
ceux 
des 
personnages 
connus 
dans 
l'histoire 
ancienne 
pourront 
seuls 
�tre 
re�us, comme 
pr�noms, sur 
les 
registres 
destin�s 
� constater 
la naissance 
des 
enfants; et 
il 
est 
interdit 
aux 
officiers 
publics d'en admettre aucun autre dans leurs actes". 
la 
circolare 
ministeriale 
del 
12 aprile 
modifiant 
l'instruction g�n�rale 
relative 
� 
l'�tat 
civil 
(Journal 
officiel 
du 3 mai 
1966) pr�voyait 
notamment: 
CHoIX 
DeS 
PrenoMS 
Principes 
g�n�raux - Application 
pratique 


a) Il 
y 
a cependant 
lieu d'observer 
que 
la force 
de 
la coutume, en la mati�re, a sensiblement 
�largi 
les 
limites 
initialement 
assign�es 
� la recevabilit� 
des 
pr�noms 
par 
les 
prescriptions 
litt�rales 
de 
la loi 
du 
11 
germinal 
an 
XI. 
Celles-ci 
pr�sentent 
certes 
l'int�r�t 
pratique 
d'offrir 
un 
rempart 
aux 
officiers 
de 
l'�tat 
civil 
contre 
des 
innovations 
qui 
leur 
para�traient 
de 
nature 
� nuire 
plus 
tard aux 
int�r�ts 
des 
enfants 
et 
seraient 
d�s 
lors 
inadmissibles. 
En 
fait, 
on 
voit 
mal 
les 
officiers 
de 
l'�tat 
civil, 
en 
tant 
que 
juges 
imm�diats 
de 
la recevabilit� 
des 
pr�noms, chercher 
� inventorier 
les 
ressources 
exactes 
des 
calendriers 
et 
de 
l'histoire 
ancienne 
afin de 
d�terminer 
si 
tel 
pr�nom 
figure 
ou non parmi 
ceux 
de 
ce 
patrimoine 
du pass�. Il 
leur 
appartient, en r�alit�, d'exercer 
leur 
pouvoir 
d'appr�ciation avec 
bon sens 
afin d'apporter 
� l'application 
de 
la loi 
un certain r�alisme 
et 
un certain lib�ralisme, autrement 
dit 
de 
fa�on, d'une 
part, � ne 
pas 
m�conna�tre 
l'�volution 
des 
moeurs 
lorsque 
celle-ci 
a 
notoirement 
consacr� 
certains 
usages, 
d'autre 
part, � respecter 
les 
particularismes 
locaux 
vivaces 
et 
m�me 
les 
traditions 
familiales 
dont 
il 
peut 
�tre 
justifi�. Ils 
ne 
devront 
pas 
perdre 
de 
vue 
que 
le 
choix 
des 
pr�noms 
appartient 
aux 
parents 
et 
que, dans 
toute la mesure du possible, il convient de tenir compte des d�sirs qu'ils ont pu exprimer. 
b) Outre 
les 
pr�noms 
normalement 
recevables 
dans 
les 
strictes 
limites 
de 
la loi 
de 
germinal, peuvent 
donc, compte 
tenu des 
consid�rations 
qui 
pr�c�dent 
et, le 
cas 
�ch�ant, sous 
r�serve 
des 
justifications 
appropri�es, �tre �ventuellement admis: 
1) Certains pr�noms tir�s de la mythologie (tels: Achille, Diane, Hercule, etc.); 
2) 
Certains 
pr�noms 
propres 
� 
des 
idiomes 
locaux 
du 
territoire 
national 
(basques, 
bretons, 
proven�aux, 
etc.); 
3) Certains pr�noms �trangers (tels: Ivan, Nadine, Manfred, James, etc.); 
4) Certains 
pr�noms 
qui 
correspondent 
� des 
vocables 
pourvus 
d'un sens 
pr�cis 
(tels: Olive, Violette, 
etc.) ou m�me � d'anciens noms de famille (tels: Gonzague, R�gis, Xavier, Chantal, etc.); 
5) 
Les 
pr�noms 
compos�s, 
� 
condition 
qu'ils 
ne 
comportent 
pas 
plus 
de 
deux 
vocables 
simples 
(tels: 
Jean-Pierre, Marie-France, mais non par exemple: Jean-Paul-Yves, qui accolerait trois pr�noms). 
c) Exceptionnellement, les 
officiers 
de 
l'�tat 
civil 
peuvent 
encore 
accepter, mais 
avec 
une 
certaine 
pru



rASSeGnA 
AVVoCATurA 
Dello 
STATo - n. 1/2017 


mini, 
la 
Corte 
si 
esprimeva 
nella 
decisione, 
sempre 
riguardante 
la 
Finlandia, 
del 
25 
novembre 
1994 
Stjerna 
(60) 
(non 
era 
un�ingerenza 
il 
rifiuto 
di 
mutare 
il 
nome 
del 
cittadino 
finlandese 
sig. 
Stjerna 
in 
Tavatstjerna) 
come 
pure 
nella 
decisione 
Salonen 
della 
Commissione 
del 
2 
luglio 
1997 
(inammissibilit� 
del 
ricorso 
alla 
Corte 
per 
manifesta 
infondatezza 
della 
prospettata 
ingerenza 
dello 
Stato 
finlandese 
nel 
rifiuto 
di 
riconoscere 
il 
nome 
�l�unica 
e 
Sola 
Marianna��). 


VI. nella 
decisione 
Garnaga 
del 
16 maggio 2013 la 
Corte 
invece 
censurava 
l�ucraina 
sul 
problema 
del 
cambiamento del 
patronimico, com'� 
noto tipico 
delle 
lingue 
slave 
come 
seconda 
parte 
dell'antroponimo (61). Invero, le 
disposizioni 
sull'onomastica 
della 
legge 
ucraina, mentre 
sono estremamente 
liberali 
quanto al 
cambiamento del 
nome 
e 
dello stesso cognome, ossia 
della 
prima 
e 
terza 
parte 
dell'antroponimo, non consentono il 
cambiamento del 
patronimico, 
anzi 
consentono all'interessato di 
mantenere 
il 
patronimico originario 
nel 
caso in cui 
il 
proprio padre, a 
sua 
volta, avesse 
cambiato nome 
(62). 
nel 
caso di 
specie, l'interessato aveva 
un'importante 
interesse 
ad assumere 
il 
patronimico 
del 
secondo 
marito 
della 
madre, 
che 
si 
era 
sempre 
occupato 
di 
lui, di 
cui 
egli 
aveva 
voluto assumere 
il 
cognome, al 
quale 
solo era 
legato in 
una 
relazione 
sostanzialmente 
filiale, con l'interesse 
non secondario anche 
di 
essere 
identificato come 
appartenente 
alla 
famiglia 
di 
costui, come 
i 
figli 
di 
secondo 
letto 
della 
propria 
madre 
cui 
voleva 
essere 
accomunato 
dal 
medesimo 
dence: 
1o 
Certains 
diminutifs 
(tels: 
"Ginette" 
pour 
Genevi�ve, 
"Annie" 
pour 
Anne, 
ou 
m�me 
"Line", 
qui 
est 
tir� 
des 
pr�noms 
f�minins 
pr�sentant 
cette 
d�sinence); 2o Certaines 
contractions 
de 
pr�noms 
doubles 
(tels: "Marianne" 
pour 
Marie-Anne, "Marl�ne" 
ou "Mil�ne" 
pour 
Marie-H�l�ne, "Ma�t�" 
pour 
Marie-Th�r�se, 
"Sylvianne" 
pour 
Sylvie-Anne, 
etc.); 
3o 
Certaines 
variations 
d'orthographe 
(par 
exemple 
Mich�le 
ou Michelle, Henri 
ou Henry, Ghislaine 
ou Guislaine, Madeleine 
ou Magdeleine, etc.). d) En 
d�finitive, il 
appara�t 
que 
les 
officiers 
de 
l'�tat 
civil 
ne 
doivent 
se 
refuser 
� inscrire, parmi 
les 
vocables 
choisis 
par 
les 
parents, que 
ceux 
qu'un usage 
suffisamment 
r�pandu n'aurait 
pas 
manifestement 
consacr�s 
comme 
pr�noms 
en France. C'est 
ainsi 
notamment 
que 
devraient 
�tre 
syst�matiquement 
rejet�s 
les 
pr�noms 
de 
pure 
fantaisie 
ou les 
vocables 
qui, � raison de 
leur 
nature, de 
leur 
sens 
ou de 
leur 
forme 
ne 
peuvent 
normalement 
constituer 
des 
pr�noms 
(noms 
de 
famille, de 
choses, d'animaux 
ou de 
qualit�s, 
vocables 
utilis�s 
comme 
noms 
ou pr�noms 
de 
th��tre 
ou pseudonymes, vocables 
constituant 
une 
onomatop�e 
ou un rappel de faits politiques). 


(60) http://hudoc.echr.coe.int/eng?i=001-57912. 
(61) Ai 
sensi 
dell�art. 28 del 
cc 
ucraino: 
�An individual 
acquires 
rights 
and responsibilities 
and 
exercises 
them 
under 
his 
or 
her 
own 
name. 
The 
name 
of 
an 
individual 
who 
is 
a 
citizen 
of 
Ukraine 
consists 
of 
his 
or 
her 
surname, forename 
and patronymic, unless 
the 
law or 
custom 
of 
the 
national 
minority 
to 
which they belong provides otherwise�. 
(62) Art. 295 del 
cc 
ucraino: 
�An individual 
who has 
reached the 
age 
of 
sixteen has 
the 
right 
to 
change 
his 
or 
her 
surname 
and forename 
in accordance 
with the 
procedure 
prescribed by 
law. 3. An individual�s 
patronymic 
can be 
changed if 
his 
or 
her 
father 
changes 
his 
forename�. nello stesso senso il 
Family Code 
del 
2002 prevede 
all�articolo 147: 
Determining the 
patronymic 
of 
a child: 1. The 
patronymic 
of 
a child shall 
be 
determined by 
the 
forename 
of 
her 
or 
his 
father. 2. The 
patronymic 
of 
a child who 
was 
born 
to 
an 
unmarried 
woman, 
where 
the 
paternity 
of 
the 
child 
is 
not 
recognised, 
shall 
be 
determined 
by 
the 
forename 
of 
the 
person who the 
child�s 
mother 
called his 
or 
her 
father; all�articolo 149 Change 
of 
patronymic 
�1. If 
a father 
changes 
his 
name, the 
patronymic 
of 
his 
child who has 
reached the 
age 
of 
fourteen years shall be changed with the latter�s consent�. 

DoTTrInA 
251 


patronimico. 
Anche 
qui 
l'ingerenza 
� 
stata 
ritenuta 
sproporzionata 
ai 
sensi 
del-
l'art. 8 comma 2 della Convenzione. 


VII. 
Infine 
la 
Corte 
nella 
decisione 
Cusan 
e 
Fazzo 
contro 
l�Italia 
resa 
dalla 
seconda 
sezione 
il 
7 gennaio del 
2014, divenuta 
definitiva 
il 
7 aprile 
del 
2014, si 
occupava 
della 
richiesta 
di 
due 
coniugi 
di 
attribuire 
ai 
propri 
figli 
il 
solo cognome 
materno (63). l'interesse 
fatto valere 
dai 
ricorrenti 
era 
quello 
di 
evitare 
l'estinzione 
del 
cognome 
della 
madre, dalla 
cui 
famiglia 
i 
bambini 
avrebbero ereditato un cospicuo patrimonio. Tale 
richiesta 
era 
stata 
respinta 
dall'ufficiale 
di 
stato civile 
italiano e 
successivamente 
su ricorso ex art. 95 del 
d.P.r. 396 del 
2000 dal 
Tribunale 
di 
Milano, che 
osservava 
che, ai 
sensi 
del-
l'art. 143 bis 
del 
cc, il 
cognome 
familiare 
era 
da 
intendersi 
quello del 
marito 
che 
la 
moglie 
aggiungeva 
al 
proprio, decisione 
confermata 
dalla 
Corte 
d'Appello 
che 
citava 
le 
ordinanze 
176 e 
586 del 
1988 (64) della 
Corte 
Costituzionale 
che 
aveva 
ritenuto 
inammissibili 
per 
manifesta 
infondatezza 
delle 
questioni 
di 
legittimit� 
costituzionale 
proposte 
ai 
sensi 
degli 
articoli 
3 
e 
29 
della 
Costituzione 
circa 
l'art. 143 cc 
e 
le 
altre 
norme 
che 
cos� 
conformavano 
la 
trasmissione 
del 
cognome 
ai 
figli 
legittimi, in quanto spettava 
al 
legislatore 
la 
discrezionalit� 
in materia. la 
Corte 
di 
Cassazione, su impugnazione 
della 
decisione 
della 
Corte 
d'Appello, 
aveva 
rimesso 
alla 
Corte 
Costituzionale 
della 
repubblica 
italiana 
la 
questione 
di 
legittimit� 
della 
norma, certo non preclusa 
dalle 
due 
ordinanze 
in 
questione. 
la 
Corte, 
tuttavia, 
con 
decisione 
61 
del 
2006 
la 
respingeva 
(65). Pur criticando la 
patriarcalit� 
del 
sistema 
onomastico italiano, 
la 
Consulta 
osservava 
che 
le 
scelte 
da 
adottare 
per 
rimediarvi 
erano 
molteplici. 
Quindi 
solo 
il 
legislatore 
poteva 
adottarle 
essendo 
precluso 
un 
intervento manipolativo della 
Corte 
(66). In conseguenza 
di 
tale 
decisione 
la 
Corte 
di 
Cassazione, cui 
erano stati 
restituiti 
gli 
atti, respingeva 
il 
ricorso. I 
ricorrenti, 
pertanto, 
si 
rivolgevano 
alla 
Corte 
di 
Strasburgo 
dolendosi 
della 
violazione 
degli 
articoli 
8 e 
14 della 
CeDu. nella 
sua 
pregevole 
decisione 
la 
(63) 
http://hudoc.echr.coe.int/eng?i=001-122470. 
(64) Corte 
Cost. ord. n. 176 dell�11 febbraio 1988, pubblicata 
in GU 
1a 
Serie 
Speciale 
- Corte 
Costituzionale 
n. 8 del 
24 febbraio 1988 e 
Corte 
Cost. ord. n. 586 del 
19 maggio 1988, pubblicata 
in 
GU 1a 
Serie Speciale - Corte Costituzionale 
n. 22 del 1 giugno 1988. 
(65) Corte 
Cost. sent. n. 61 del 
16 febbraio 2006 pubblicata 
in GU 
1a 
Serie 
Speciale 
-Corte 
Costituzionale 
n. 8 del 22 febbraio 2006. 
(66) la 
Corte 
affermava 
che, �Tuttavia, l'intervento che 
si 
invoca con la ordinanza di 
rimessione 
richiede 
una operazione 
manipolativa esorbitante 
dai 
poteri 
della Corte. Ed infatti, nonostante 
l'attenzione 
prestata 
dal 
collegio 
rimettente 
a 
circoscrivere 
il 
petitum, 
limitato 
alla 
richiesta 
di 
esclusione 
del-
l'automatismo 
della 
attribuzione 
al 
figlio 
del 
cognome 
paterno 
nelle 
sole 
ipotesi 
in 
cui 
i 
coniugi 
abbiano 
manifestato una concorde 
diversa volont�, viene 
comunque 
lasciata aperta tutta una serie 
di 
opzioni, 
che 
vanno da quella di 
rimettere 
la scelta del 
cognome 
esclusivamente 
a detta volont� - con la conseguente 
necessit� 
di 
stabilire 
i 
criteri 
cui 
l'ufficiale 
dello 
stato 
civile 
dovrebbe 
attenersi 
in 
caso 
di 
mancato 
accordo - ovvero di 
consentire 
ai 
coniugi 
che 
abbiano raggiunto un accordo di 
derogare 
ad una regola 
pur 
sempre 
valida, a quella di 
richiedere 
che 
la scelta dei 
coniugi 
debba avvenire 
una sola volta, con 
effetto per tutti i figli, ovvero debba essere espressa all'atto della nascita di ciascuno di essi�. 

rASSeGnA 
AVVoCATurA 
Dello 
STATo - n. 1/2017 


Corte 
ha 
in primo luogo respinto la 
eccezione 
de 
minimis 
proposta 
dallo Stato 
italiano, 
per 
l�obiettiva 
importanza 
dell'interesse 
dei 
ricorrenti 
a 
conservare 
un 
cognome 
che 
altrimenti 
si 
sarebbe 
estinto. 
la 
Corte 
respingeva, 
altres�, 
l�eccezione 
volta 
alla 
declaratoria 
di 
cessazione 
della 
materia 
del 
contendere: 
il 
Prefetto di 
Milano, infatti, ai 
sensi 
degli 
articoli 
89 e 
seguenti 
del 
d.P.r. n. 
396 
del 
2000, 
aveva 
concesso 
ai 
minori 
il 
doppio 
cognome. 
Come 
giustamente 
osserva 
la 
Corte, la 
richiesta 
delle 
parti 
riguardava 
l'attribuzione 
del 
solo cognome 
materno e 
non, come 
praticato dal 
prefetto, del 
doppio cognome 
di 
entrambi 
i 
genitori. 
Inoltre, 
il 
decreto 
di 
concessione 
era 
intervenuto 
a 
ben 
13 
anni 
di 
distanza 
dalla 
originaria 
richiesta. nel 
merito, la 
Corte 
ricorda 
quanto 
deciso nei 
suoi 
precedenti 
�nal 
Tekeli 
e 
Losonci 
Rose, individuando una 
evidente 
ingerenza 
dello 
Stato 
italiano 
nell'atto, 
profondamente 
attinente 
alla 
vita 
privata 
e 
familiare, 
di 
scegliere 
e 
trasmettere 
il 
cognome 
ai 
figli, 
ingerenza 
che 
non 
dipendeva 
da 
altro 
fattore 
che 
il 
sesso 
della 
madre, 
il 
genitore 
legittimo 
che soccombe per legge in questa vicenda esistenziale. non senza ricordare i 
principi 
egualitari 
anche 
tra 
coniugi 
della 
Carta 
Costituzionale 
italiana, 
la 
Corte 
ritiene 
che 
una 
regola 
rigida 
e 
inderogabile 
di 
attribuzione 
del 
cognome 
paterno 
persino in caso di 
diverso accordo tra 
i 
genitori 
violi 
gli 
articoli 
8 e14 
della 
CeDu. l'unica 
opinione 
dissenziente 
espressa 
dal 
giudice 
della 
Serbia, 
si 
appunta 
sulla 
pretesa 
soddisfazione 
in via 
amministrativa 
dei 
ricorrenti 
mediante 
la 
concessione 
del 
doppio cognome, ricordando anche 
la 
necessit� 
di 
rispettare 
il 
margine 
di 
apprezzamento 
e 
le 
tradizioni 
dei 
singoli 
Stati 
nella 
materia in questione. 


Tuttavia, come 
risulta 
dalla 
nota 
di 
Fabrizi, in questo stesso numero, la 
Corte 
Costituzionale 
non 
ha 
colto 
l�opportunit� 
di 
applicare 
i 
principi 
di 
Cusan 
e 
Fazzo, cos� 
sostanzialmente 
violando l�art. 46 CeDu 
e, di 
converso, l�art. 
117, 1 co. Cost. 


non resta 
che 
affidarsi 
alla 
diligenza 
del 
legislatore 
al 
fine 
di 
introdurre 
nell�ordinamento un sistema 
di 
trasmissione 
del 
doppio cognome 
sul 
modello 
spagnolo e 
francese, non senza 
escludere 
la 
facolt� 
per i 
coniugi 
di 
convenire 
per l�attribuzione di un unico cognome, sia esso quello paterno o materno. 



DoTTrInA 
253 


Considerazioni 
intorno 
alle 
possibili 
ricadute 
della 
misura 
straordinaria 
ex 
art. 
32 
d.l. 
90/2014 
(debiti 
pregressi 
e 
rapporti 
di lavoro) 

Adolfo Mutarelli* 
Matteo Maria Mutarelli** 

SOMMARIO: 
1. 
Natura, 
funzione 
e 
contenuto 
della 
misura 
ex 
art. 
32, 
lett. 
b), 
d.l. 
n. 
90/2014 - 2. Gli 
effetti 
della gestione 
straordinaria e 
i 
rapporti 
con quella ordinaria - 3. Il 
necessario raccordo tra gestione 
straordinaria e 
gestione 
ordinaria - 4. Gestione 
del 
personale 
e responsabilit� patrimoniale verso gli addetti ai servizi amministrati. 

1. 
Natura, 
funzione 
e 
contenuto 
della 
misura 
ex 
art. 
32, 
lett. 
b), 
d.l. 
n. 
90/2014. 
l�art. 
32 
del 
d.l. 
24 
giugno 
2014, 
n. 
90, 
conv. 
con 
modificazioni 
dalla 
legge 
11 
agosto 
2014, 
n. 
114, 
contempla 
distinte 
ipotesi 
di 
intervento 
straordinario 
tra 
loro 
alternative 
(1). 
In 
particolare: 
l�ordine 
di 
rinnovazione 
degli 
organi 
sociali 
(comma 
1, 
lett. 
a); 
la 
straordinaria 
e 
temporanea 
gestione 
dell�impresa, 
limitatamente 
alla 
completa 
esecuzione 
del 
contratto 
di 
appalto 
o 
della 
concessione 
(comma 
1, 
lett. 
b); 
il 
sostegno 
e 
il 
monitoraggio 
dell�impresa 
(comma 
8). 


le 
misure, 
applicabili 
ad 
appaltatori 
di 
opere 
pubbliche, 
servizi 
e 
forniture, 
nonch� 
ai 
concessionari, 
anche 
ove 
destinatari 
di 
interdittive 
antimafia 
(2) 
(cfr. 
comma 
10 
della 
richiamata 
disposizione), 
hanno 
in 
comune 
il 
perseguimento 
degli 
obiettivi 
di 
soddisfacimento 
dell�interesse 
pubblico 
all�esecuzione 
del 
contratto, 
da 
coniugarsi, 
in 
quanto 
compatibili, 
con 
la 
libert� 
di 
impresa 
(art. 
41 
Cost.; 
art. 
16 
Carta 
dei 
Diritti 
Fondamentali 
dell�unione 
europea). 


Mentre 
la 
misura 
prevista 
dal 
primo 
comma, 
lett. 
a), 
tende, 
in 
caso 
di 
inottemperanza 
all�ordine 
di 
sostituzione 
imposto dall�autorit�, alla 
rinnovazione 
degli 
organi 
sociali 
con 
estromissione 
dalla 
governance 
societaria 
dei 
soggetti 
coinvolti 
nei 
fatti 
illeciti, la 
misura 
di 
cui 
all�art. 32, co. 1, lett. b), tende 
a 
rea


(*) Gi� 
Avvocato dello Stato. 
(**) ricercatore confermato di Diritto del lavoro nell�universit� degli Studi di napoli �Federico II�. 


(1) l�art. 1, comma 
704 della 
legge 
208/2015 (legge 
stabilit� 
2016) ha 
esteso l�applicabilit� 
delle 
misure straordinarie di cui all�art. 32 l. 90/2014 anche al settore sanitario. 
(2) Va 
in proposito evidenziato che 
il 
1 comma 
dell�art. 32, d.l. 90/2014, mentre 
con riferimento 
all�appalto 
si 
riferisce 
espressamente 
agli 
appalti 
lavori, 
servizi 
e 
forniture, 
rispetto 
alla 
concessione 
non 
contiene 
alcun 
riferimento 
al 
concessionario 
di 
servizi 
pubblici 
(ma 
solo 
al 
concessionario 
di 
lavori 
pubblici). 
Tuttavia 
si 
� 
in proposito osservato che 
la 
dicitura 
�appalto di 
servizi� di 
cui 
al 
comma 
1 dell'art. 
32 
cit. 
deve 
intendersi 
comprensiva 
di 
tutti 
i 
sistemi 
contrattuali 
di 
affidamento 
di 
pubblici 
servizi, 
anche 
laddove 
si 
sia 
utilizzato lo strumento concessorio (in tal 
senso TAr Campania, Sez. I, 8 febbraio 2016, 
n. 943). In altri 
termini, ci� che 
rileva 
ai 
fini 
dell'applicabilit� 
della 
normativa 
in questione 
� 
la 
presenza 
di 
un 
contratto 
o 
convenzione 
per 
la 
disciplina 
di 
esercizio 
del 
servizio 
pubblico, 
indipendentemente 
dal 
fatto che 
l'espletamento di 
tale 
servizio sia 
inquadrabile 
nello schema 
dell'appalto in senso stretto o 
della concessione. 

rASSeGnA 
AVVoCATurA 
Dello 
STATo - n. 1/2017 


lizzare 
direttamente 
la 
gestione 
straordinaria 
e 
temporanea 
realizzandone 
il 
commissariamento in parte qua. 


Gi� 
all�indomani 
dell�emanazione 
della 
legge 
predetta, 
l�art. 
32, 
co. 
1, 
lett. 
b) 
ha 
posto 
non 
agevoli 
problemi 
interpretativi, 
in 
particolare 
con 
riferimento 
all�inciso 
�limitatamente 
alla 
completa 
esecuzione 
del 
contratto 
di 
appalto 
o 
della 
concessione�. 
�, 
infatti, 
evidente 
che 
ove 
l�avverbio 
�limitatamente� 
venisse 
esclusivamente 
riferito 
alla 
misura 
funzionale 
ad 
contractum, 
ci� 
si 
tradurrebbe 
nella 
mera 
separazione 
dell�assetto 
gestionale 
da 
quello 
proprietario 
dell�impresa. 
Quindi, 
i 
commissari 
non 
sarebbero 
tenuti 
ad 
accollarsi 
l�intera 
attivit� 
sociale 
ma 
unicamente 
ad 
orientare 
la 
propria 
attivit� 
alla 
continuit� 
dell�appalto 
(o 
concessione) 
su 
cui 
� 
caduta 
la 
misura 
straordinaria. 
� 
evidente 
che 
in 
tale 
prospettiva 
interpretativa 
tale 
misura 
non 
sarebbe 
volta 
all�estromissione 
della 
governance 
dell�impresa 
e, 
quindi, 
la 
sospensione 
dei 
poteri 
del-
l�imprenditore 
e 
degli 
organi 
sociali, 
prevista 
dall�art. 
32 
in 
esame, 
andrebbe 
circoscritta 
solo 
ai 
contratti 
e 
alle 
concessioni 
oggetto 
del 
commissariamento. 


Partendo 
da 
altro 
angolo 
ermeneutico 
si 
� 
osservato 
come 
la 
sospensione 
dell�esercizio 
dei 
poteri 
di 
disposizione 
e 
gestione 
dei 
titolari 
dell�impresa, 
ex 
comma 
3 
dell�art. 
32, 
non 
� 
collegata 
nella 
predetta 
disposizione 
ai 
singoli 
contratti 
oggetto 
di 
commissariamento, 
sicch� 
dovrebbe 
ritenersi 
che 
la 
misura 
realizzi 
un 
commissariamento 
globale 
con 
azzeramento 
degli 
organi 
sociali 
(3). 


Si 
� 
dell�avviso che 
la 
prima 
lettura 
sia 
quella 
pi� coerente 
con le 
finalit� 
della 
legge 
anche 
in quanto maggiormente 
rispettosa 
dell�impianto complessivo 
della 
stessa. Si 
aggiunga 
che, seguendo la 
seconda 
opzione 
ermeneutica, 
si 
arriverebbe 
ad 
una 
sorta 
di 
azzeramento 
della 
governance 
aziendale 
che, 
oltre 
a 
costituire 
misura 
del 
tutto 
similare 
a 
quella 
di 
cui 
alla 
lettera 
a), 
parrebbe 
suscitare 
perplessit� 
costituzionali 
rispetto alla 
libert� 
d�impresa, tanto pi� se 
si 
considera 
che 
nella 
ripetuta 
ipotesi 
della 
lett. a), il 
legislatore 
dispone 
l�azzeramento 
della 
governance, 
con 
sostituzione 
dei 
soggetti 
coinvolti, 
solo 
a 
seguito 
di inottemperanza all�ordine di sostituzione impartito all�impresa. 

Deve, pertanto, ritenersi 
che 
la 
corretta 
interpretazione 
dell�art. 32, lett. 
b), contempli 
una 
misura 
idonea 
a 
realizzare 
una 
mera 
gestione 
separata 
temporanea 
circoscritta 
ai 
contratti 
oggetto 
di 
commissariamento, 
con 
sospensione 
dei 
poteri 
dei 
titolari 
dell�impresa 
e 
dell�assemblea, per l�intera 
durata 
della 
misura. Tale 
misura 
non �, perci�, idonea 
a 
scalfire 
la 
titolarit� 
aziendale; 
gli 
organi 
societari 
rimangono 
in 
carica 
e 
con 
pieni 
poteri 
rispetto 
a 
tutte 
le 
attivit� 
che 
esulano 
dai 
contratti 
oggetto 
di 
commissariamento 
(4). 
Del 
resto, 
in 
tal 
senso appare orientata la giurisprudenza amministrativa (5). 


(3) 
In 
tal 
senso 
l. 
GIAMPAolIno, 
Le 
misure 
anticorruzione 
negli 
appalti: 
rimedio 
adeguato 
al 
male?, in http://www.igitalia.it/doc/conv1607-14giamp.pdf. 
(4) 
Per 
la 
disamina 
comparativa 
delle 
misure 
ex 
art. 
32 
d.l. 
90/2014 
e 
quelle 
di 
cui 
al 
D.lgs. 
231/2001 � 
agevole 
il 
rinvio a 
r. GAroFolI, Il 
contrasto ai 
reati 
di 
impresa nel 
d.lgs. n. 231 del 
2001 e 

DoTTrInA 
255 


nella 
riferita 
prospettiva 
appare 
significativo rammentare 
come 
la 
straordinaria 
e 
temporanea 
gestione 
sia 
stata 
concepita 
dall�AnAC quale 
misura 
ad contractum 
sin dalla 
prima 
proposta 
di 
commissariamento, intervenuta 
addirittura 
prima della conversione in legge del d.l. n. 90/2014 (6). 


le 
misure 
di 
straordinaria 
e 
temporanea 
gestione 
disciplinate 
dall�art. 32 
costituiscono una 
sorta 
di 
deroga 
ai 
provvedimenti 
da 
assumersi 
a 
seguito di 
interdittiva 
antimafia, ai 
sensi 
dell�art. 94, comma 
2, d.lgs. 6 settembre 
2011, 


n. 159 (7). In realt�, a 
fronte 
della 
regola 
generale 
che 
imporrebbe 
la 
caducazione 
dei 
contratti 
in corso, l�art. 32 (da 
leggersi 
in sintonia 
con il 
comma 
3 
dell�art. 94 del 
d.lgs. n. 159/2011 (8)) si 
pone 
come 
eccezione 
laddove 
ricorra 
la 
necessit� 
di 
garantire 
la 
continuit� 
di 
funzioni 
e 
servizi 
indifferibili 
per la 
tutela 
dei 
diritti 
fondamentali, nonch� 
per la 
salvaguardia 
dei 
livelli 
occupazionali 
e 
dell�integrit� 
dei 
bilanci 
pubblici 
(9). la 
differenza 
tra 
l�ipotesi 
eccezionale 
di 
cui 
al 
comma 
3 
dell�art. 
94, 
d.lgs. 
n. 
159/2011, 
e 
le 
misure 
eccezionali 
previste 
dall�art. 32 in esame 
� 
data 
dal 
rilievo che 
nel 
primo caso 
nel 
d.l. 
90 
del 
2014: 
non 
solo 
repressione, 
ma 
prevenzione 
e 
continuit� 
aziendale, 
in 
Diritto 
penale 
contemporaneo, 
30 settembre 2015, www.dirittopenalecontemporaneo.it. 

(5) Tar lazio roma, Sez. I-ter, 3 febbraio 2016, n. 1519, secondo cui 
tale 
misura 
non incide 
�in 
modo sproporzionato o irreversibile 
sulla 
governance 
complessiva 
dell�impresa, in quanto gli 
amministratori 
sono tenuti 
a 
realizzare 
una 
forma 
di 
gestione 
separata 
e 
di 
carattere 
temporaneo di 
un segmento 
dell�impresa 
(legato alla 
esecuzione 
di 
quello specifico contratto), mentre 
gli 
organi 
sociali 
restano in 
carica per lo svolgimento delle attivit� di gestione�. 
(6) Cfr. proposta 
di 
commissariamento avente 
ad oggetto la 
straordinaria 
e 
temporanea 
gestione 
dell�impresa 
Maltauro 
S.p.A., 
in 
www.anticorruzione.it, 
nell�apposita 
sezione 
�Misure 
straordinarie 
art. 
32, d.l. 24 giugno 2014, n. 90�. 
(7) 
l�art. 
94, 
comma 
2, 
d.lgs. 
n. 
159/2011 
stabilisce: 
�Qualora 
il 
prefetto 
non 
rilasci 
l'informazione 
interdittiva 
entro i 
termini 
previsti, ovvero nel 
caso di 
lavori 
o forniture 
di 
somma 
urgenza 
di 
cui 
all'articolo 
92, comma 
3 qualora 
la 
sussistenza 
di 
una 
causa 
di 
divieto indicata 
nell'articolo 67 o gli 
elementi 
relativi 
a 
tentativi 
di 
infiltrazione 
mafiosa 
di 
cui 
all'articolo 84, comma 
4, ed all'articolo 91 comma 
7, 
siano accertati 
successivamente 
alla 
stipula 
del 
contratto, i 
soggetti 
di 
cui 
all'articolo 83, commi 
1 e 
2, 
salvo quanto previsto al 
comma 
3, revocano le 
autorizzazioni 
e 
le 
concessioni 
o recedono dai 
contratti 
fatto salvo il 
pagamento del 
valore 
delle 
opere 
gi� 
eseguite 
e 
il 
rimborso delle 
spese 
sostenute 
per l'esecuzione 
del rimanente, nei limiti delle utilit� conseguite�. 
(8) l�art. 94, comma 
3, d.lgs. n. 159/2011 stabilisce: 
�I soggetti 
di 
cui 
all'articolo 83, commi 
1 e 
2, 
non 
procedono 
alle 
revoche 
o 
ai 
recessi 
di 
cui 
al 
comma 
precedente 
nel 
caso 
in 
cui 
l'opera 
sia 
in 
corso 
di 
ultimazione 
ovvero, in caso di 
fornitura 
di 
beni 
e 
servizi 
ritenuta 
essenziale 
per il 
perseguimento del-
l'interesse pubblico, qualora il soggetto che la fornisce non sia sostituibile in tempi rapidi�. 
(9) 
Con 
sentenza 
del 
28 
aprile 
2016, 
n. 
1630, 
il 
Consiglio 
di 
Stato, 
Sez. 
III, 
ha 
osservato 
che 
fino 
all�adozione 
della 
misura 
in 
questione 
-finch� 
il 
Prefetto 
non 
ritenga 
sussistenti 
i 
presupposti 
del-
l�art. 
32, 
comma 
10, 
d.l. 
n. 
90/2014 
-l�informativa 
�mantiene 
inalterati 
tutti 
gli 
effetti 
interdittivi 
di 
cui 
all�art. 
94, 
commi 
1 
e 
2 
d.lgs. 
n. 
159/2011 
salva 
l�eccezionale 
ipotesi 
di 
cui 
a 
suo 
comma 
III 
che 
consente 
alla 
stazione 
appaltante 
di 
non 
procedere 
a 
revoche 
e 
ai 
recessi 
di 
cui 
al 
comma 
2 
nel 
caso 
in 
cui 
l�opera 
sia 
in 
corso 
di 
ultimazione 
ovvero 
in 
caso 
di 
fornitura 
di 
beni 
e 
servizi 
ritenuta 
essenziale 
per 
il 
perseguimento 
dell�interesse 
pubblico. 
Pertanto 
la 
stazione 
appaltante 
� 
vincolata 
a 
recedere 
dal 
contratto 
quando 
sia 
stata 
emessa 
l�informativa 
(e 
salva 
l�eccezionale 
ipotesi 
di 
cui 
all�art. 
94, 
comma 
3, 
d.lgs 
n. 
159/2011) 
se 
e 
fino 
a 
quando 
non 
sopraggiunga 
l�eventuale 
provvedimento 
di 
straordinaria 
e 
temporanea 
gestione 
adottata 
dal 
Prefetto 
per 
le 
eccezionali 
esigenze 
contemplate 
dall�art. 
32, 
comma 
10 
del 
d.l. 
n. 
90/2014�. 

rASSeGnA 
AVVoCATurA 
Dello 
STATo - n. 1/2017 


la 
valutazione 
se 
continuare 
il 
rapporto 
� 
rimessa 
alla 
stazione 
appaltante, 
nel-
l�ipotesi di cui all�art. 32 � rimessa al Prefetto (10). 


Costituendo pertanto l�adozione 
delle 
misure 
straordinarie 
di 
cui 
all�art. 
32 un�ipotesi 
di 
eccezionale 
inoperativit� 
di 
taluni 
degli 
effetti 
propri 
dell�interdittiva 
antimafia 
sui 
contratti, appare 
evidente 
come 
le 
stesse 
siano preordinate 
a 
garantire 
l�interesse 
pubblico 
alla 
realizzazione 
dell�opera 
e 
alla 
continuit� 
del 
servizio, e 
in tal 
senso milita 
dichiaratamente 
anche 
il 
dettato 
normativo del 
comma 
4 della 
disposizione 
qualificando la 
temporanea 
e 
straordinaria 
gestione 
dell�impresa 
come 
attivit� 
�di 
pubblica 
utilit� 
ad ogni 
effetto
� (11). Ancora 
di 
recente 
l�AnAC, nella 
proposta 
di 
commissariamento 
della 
societ� 
Kursal 
S.r.l., 
rileva 
che 
la 
misura 
dell�art. 
32 
comporta 
l�attrazione 
della 
concessione 
nell�alveo 
pubblicistico 
e 
�determina 
la 
prosecuzione 
del 
servizio nell�esclusivo interesse 
dell�amministrazione 
concedente 
e 
non del-
l�impresa 
concessionaria, 
realizzando 
un 
presidio 
di 
garanzia� 
consentendo 
�in 
un�ottica 
di 
prevenzione 
e 
massima 
anticipazione 
della 
soglia 
di 
difesa 
sociale, 
la gestione delle concessioni in un regime di legalit� controllata�. 

Da 
quanto precede, emerge 
che 
la 
misura 
straordinaria 
di 
cui 
all�art. 32, 
lett. 
b), 
in 
caso 
di 
interdittiva 
pu� 
essere 
assunta 
solo 
dopo 
congrua 
valutazione 
che 
la 
prosecuzione 
del 
rapporto 
sia 
idonea 
a 
garantire 
la 
continuit� 
di 
funzioni 
e 
servizi 
indifferibili 
per la 
tutela 
dei 
diritti 
fondamentali, nonch� 
per la 
salvaguardia 
dei 
livelli 
occupazionali 
e 
dell�integrit� 
dei 
bilanci 
pubblici, e 
che 
il 
provvedimento 
interdittivo 
determina 
l�affidamento 
ai 
commissari 
della 
gestione 
dei 
contratti 
commissariati 
nello stato di 
fatto e 
di 
diritto in cui 
si 
trovano, 
comprensivi 
cio� 
di 
tutte 
le 
situazioni 
giuridiche 
attive 
e 
passive 
sino a 
quel momento realizzatesi, in quanto riferibili ai �contratti commissariati�. 


2. Gli effetti della gestione straordinaria e i rapporti con quella ordinaria. 
l�art. 
32 
non 
consente, 
tuttavia, 
di 
evincere 
con 
ragionevole 
certezza 
come 
debba 
svolgersi, 
all�interno 
dell�azienda, 
la 
dialettica 
tra 
amministratori 
straordinari 
e 
titolari 
dell�azienda 
n�, invero, fornisce 
dei 
principi 
cui 
debba 
ispirarsi 
la 
dialettica 
aziendale 
tra 
organi 
sociali 
sospesi 
in 
parte 
qua 
e 
carenza 
di 
potere 
degli 
amministratori 
straordinari 
rispetto 
all�attivit� 
dell�azienda 
non 
oggetto 
di 
commissariamento. 
la 
norma 
non 
chiarisce 
se 
tra 
gestione 
ordinaria 
e gestione straordinaria si realizzi una separatezza reale o ideale. 

Sembra 
doversi 
ritenere 
che 
in realt� 
tra 
le 
gestioni 
si 
realizzi 
una 
separatezza 
solo ideale, in quanto normativamente 
sussiste 
(comma 
7, art. 32) il 
solo obbligo, a 
carico degli 
amministratori 
straordinari, di 
accantonare 
in ap


(10) Cfr. TAr Abruzzo-Pescara, Sez. I, 4 gennaio 2016, n. 1. 
(11) nella 
relazione 
annuale 
AnAC 2015 (pagg. 254-270) in www.anticorruzione.it, si 
osserva 
come 
il 
commissariamento 
della 
CPl 
Concordia 
abbia 
consentito 
la 
possibilit� 
di 
garantire 
la 
continuit� 
di circa 1.300 contratti e di contenere gli effetti negativi sul piano occupazionale. 

DoTTrInA 
257 


posito fondo l�utile 
d�impresa, che 
non pu� essere 
n� 
distribuito n� 
formare 
oggetto di 
pignoramento, sino all�esito dei 
giudizi 
penali 
ovvero, nei 
casi 
di 
cui 
al 
comma 
10, all�esito dei 
giudizi 
di 
impugnazione 
o cautelari 
riguardanti 
informative antimafia o interdittive. 


la 
lacunosit� 
della 
fonte 
normativa 
primaria 
viene 
in parte 
supplita 
dalle 
linee 
guida 
AnAC 
(12) 
che, 
di 
l� 
da 
ogni 
considerazione 
circa 
il 
loro 
possibile 
inquadramento (13), costituiscono �di 
fatto� 
in subiecta materia una 
sorta 
di 
fast 
law 
interpretativa, 
cui 
deve 
conformarsi 
sia 
l�attivit� 
amministrativa 
volta 
all�adozione 
delle 
misure 
di 
cui 
all�art. 32 sia 
la 
stessa 
attivit� 
dei 
commissari 
straordinari. 


la 
carenza 
di 
indicazioni 
nelle 
previsioni 
normative 
e 
regolative, 
l�assenza 
di 
giurisprudenza 
e 
la 
novit� 
delle 
problematiche 
non 
consentono 
di 
delineare 
sicuri 
confini 
di 
disciplina 
in tema 
di 
rapporti 
tra 
gestione 
ordinaria 
e 
straordinaria 
e, soprattutto, in che 
misura 
il 
pacifico rilievo pubblicistico del 
commissariamento determini 
l�estensione 
del 
perimetro delle 
norme 
applicabili 
e, quindi, il 
grado di 
recessione 
delle 
norme 
di 
stampo pi� tipicamente 
civilistico. 
ne 
consegue 
una 
inevitabile 
opinabilit� 
e 
mobilit� 
degli 
esisti 
interpretativi 
relativi 
alla 
disciplina 
applicabile 
a 
seconda 
se, hinc 
ed inde, si 
dia prevalenza all�aspetto pubblicistico o a quello privatistico. 

In 
proposito, 
recentemente, 
� 
stata 
autorevolmente 
sottolineata 
la 
difficolt� 
di 
�delimitare 
anche 
temporalmente, 
il 
perimetro 
delle 
questioni 
di 
competenza 
dei 
commissari 
prefettizi 
per 
quanto 
riguarda 
le 
risorse 
umane 
e 
strumentali 
impiegate 
[�] 
sia 
per 
quanto 
concerne, 
ad 
esempio, 
i 
debiti 
pregressi� 
(14). 


Intervenendo in tale 
aperto dibattito, pu� osservarsi 
che 
il 
comma 
7 del-
l�art. 32 circoscrive 
la 
possibilit� 
dell�accantonamento in un apposito fondo 
solo in relazione 
agli 
utili 
d�impresa, prevedendone 
l�impignorabilit� 
temporanea 
�nel 
periodo di 
applicazione 
della 
misura 
straordinaria� e 
ci�, eviden


(12) V. in proposito le 
Prime 
Linee 
guida per 
l�avvio di 
un circuito collaborativo tra Anac-Prefetture-
UTG 
e 
enti 
locali 
per 
la 
prevenzione 
dei 
fenomeni 
di 
corruzione 
e 
l�attuazione 
della 
trasparenza 
amministrativa, siglate 
il 
15 luglio 2014, in G.u. 18 luglio 2014, n. 165; 
le 
Seconde 
Linee 
guida per 
l�applicazione 
delle 
misure 
straordinarie 
di 
gestione, sostegno e 
monitoraggio di 
imprese 
nell�ambito 
della prevenzione 
anticorruzione 
e 
antimafia, siglate 
il 
27 gennaio 2015; 
le 
Terze 
Linee 
guida per 
la 
determinazione 
dell�importo 
dei 
compensi 
da 
liquidare 
ai 
commissari 
nominati 
dal 
prefetto 
ai 
sensi 
dell�art. 32, commi 
1 e 
10, d.l. n. 90/2014, nell�ambito della prevenzione 
anticorruzione 
e 
antimafia, siglate 
il 
19 gennaio 2016; 
le 
Quarte 
Linee 
guida per 
l�applicazione 
dell�articolo 32, commi 
2 bis 
e 
10 
del 
decreto legge 
24 giugno 2014, n. 90, alle 
imprese 
che 
esercitano attivit� sanitaria per 
conto del 
servizio 
sanitario nazionale 
in base 
agli 
accordi 
contrattuali 
di 
cui 
all�articolo 8-quinquies 
del 
decreto legislativo 
30 dicembre 1992, n. 502, in G.u. 20 agosto 2016, n. 194. 
(13) Con riferimento alla 
natura 
e 
al 
rilievo ordinamentale 
delle 
linee 
guida 
AnAC rispetto alla 
disciplina 
dei 
contratti 
pubblici 
si 
rinvia 
a 
Cons. St., Commissione 
speciale, 1 aprile 
2016, n. 855 e 
2 
agosto 2016, n. 1767. 
(14) Cos�, testualmente, r. CAnTone 
- b. CoCCAGnA, La prevenzione 
della corruzione 
e 
delle 
infiltrazioni 
mafiose 
nei 
contratti 
di 
commissariamento per 
la costituzione 
di 
presidi 
di 
legalit� nelle 
imprese, 
in I.A. nICoTrA 
(a cura di), L�Autorit� Nazionale 
Anticorruzione, Torino, 2016, pag. 74. 

rASSeGnA 
AVVoCATurA 
Dello 
STATo - n. 1/2017 


temente, sia 
in relazione 
ai 
debiti 
contratti 
nella 
gestione 
straordinaria 
sia, a 
maggior 
ragione, 
in 
relazione 
ai 
debiti 
pregressi 
relativi 
all�attivit� 
della 
societ� 
svoltasi in gestione ordinaria. 


Sembra 
opportuno, in proposito, evidenziare 
che 
gli 
utili 
considerati 
dal 
legislatore 
sono 
gli 
utili 
d�impresa 
derivanti 
dai 
contratti 
commissariati, 
senza 
alcuna 
espressa 
differenziazione 
tra 
gli 
esercizi 
realizzati 
prima 
e 
dopo la 
misura 
interdittiva. Ci� depone 
nel 
senso che 
per la 
definizione 
di 
tali 
utili 
sia 
necessario 
considerare 
non 
solo 
i 
ricavi 
e 
i 
costi 
specifici 
degli 
esercizi 
affidati 
ai 
commissari, ma 
anche 
i 
ricavi 
e 
i 
costi 
derivanti 
da 
esercizi 
precedenti 
che 
vangano 
a 
maturazione 
nel 
periodo 
di 
applicazione 
dell�amministrazione 
commissariale, 
ossia 
tutte 
le 
sopravvenienze 
attive 
e 
passive 
derivanti 
dai 
contratti 
commissariati 
e 
dalla 
loro esecuzione 
venute 
ad esistenza 
nel 
periodo di 
applicazione 
della 
misura 
straordinaria 
indipendentemente 
dalla 
circostanza 
che 
il 
momento 
genetico 
del 
debito 
o 
del 
credito 
sia 
antecedente 
al 
provvedimento 
interdittivo. 


Va 
ancora 
sottolineato come 
dal 
comma 
7 dell�art. 32 non sembra 
potersi 
desumere 
l�esistenza 
di 
un patrimonio separato rispetto a 
quello dell�azienda 
ma 
una 
mera 
gestione 
con effetti 
di 
separatezza 
normativa 
unicamente 
con riferimento 
agli 
utili. 
Sicch� 
non 
sembra 
gi� 
assunta 
a 
livello 
normativo 
una 
scelta 
di 
perfetta 
separazione 
patrimoniale. 
In 
senso 
favorevole 
alla 
prospettata 
ricostruzione 
sembrano militare 
le 
stesse 
linee-guida 
dell�AnAC nella 
parte 
in cui 
precisano, da 
una 
parte, che 
�la 
straordinaria 
e 
temporanea 
gestione 
d� 
vita, dunque, ad una 
gestione 
separata�, e, dall�altra 
parte, che 
l�art. 2447-bis 
�consente 
di 
costituire 
un 
patrimonio 
separato 
destinato 
alla 
gestione 
della 
commessa pubblica� (15). 

l�adozione 
di 
misure 
di 
separazione 
patrimoniale 
�, 
pertanto, 
solo 
una 
facolt� 
rimessa 
al 
prudente 
apprezzamento degli 
amministratori 
straordinari 
(con riferimento ai 
contratti 
in gestione 
straordinaria) che 
potranno costituire, 
al 
fine 
di 
realizzare 
una 
separazione 
patrimoniale, 
un 
patrimonio 
destinato 
alla 
esecuzione 
della 
commessa 
pubblica 
attraverso 
gli 
strumenti 
consentiti 
dal-
l�ordinamento, rispetto ai 
quali 
le 
prime 
e 
le 
seconde 
linee 
guida 
dell�AnAC 
individuano, 
per 
le 
societ� 
per 
azioni, 
l�ipotesi 
dell�art. 
2447-bis 
c.c. 
rubricato 
�Patrimonio 
destinato 
ad 
uno 
specifico 
affare�. 
Sino 
a 
quel 
momento 
non 
sembra 
potersi 
ritenere 
che 
la 
separatezza 
gestionale 
comporti 
l�esistenza 
di 
una 
perfetta 
separazione 
patrimoniale 
per i 
contratti 
pubblici 
�commissariati� 
rispetto 
al complesso delle situazioni attive e passive dell�intera azienda. 


Del 
resto 
appare 
utile 
rammentare 
che 
nel 
nostro 
ordinamento 
costituisce 
principio 
generale 
quello 
del 
carattere 
universale 
della 
responsabilit� 
patrimoniale, 
desumibile 
dall�art. 
2740 
c.c. 
secondo 
cui 
�il 
debitore 
risponde 
del


(15) Cos� in Prime linee Guida 
AnAC, pag. 8, e Seconde linee Guida 
AnAC, pag. 6 

DoTTrInA 
259 


l�adempimento delle 
obbligazioni 
con tutti 
i 
suoi 
beni 
presenti 
e 
futuri. le 
limitazioni 
della 
responsabilit� 
non 
sono 
ammesse 
se 
non 
nei 
casi 
stabiliti 
dalla 
legge�. Ci� anche 
in quanto l�universalit� 
del 
patrimonio costituisce 
ulteriore 
profilo della tutela dell�affidamento (16). 

Ci� 
chiarito, 
deve 
anche 
precisarsi 
che 
a 
una 
impignorabilit� 
del 
patrimonio 
destinato 
alla 
realizzazione 
della 
commessa 
pubblica, 
pu� 
pervenirsi 
attraverso indici 
normativi 
diversi 
dall�art. 32 del 
d.l. n. 90/2014. Pu� infatti 
fondatamente 
ritenersi 
che 
l�atto di 
adozione 
della 
misura 
straordinaria 
� 
idoneo 
a 
imprimere 
ai 
beni 
individuati 
e 
specificati 
come 
destinati 
a 
pubblico 
servizio 
un vincolo di 
destinazione 
al 
soddisfacimento del 
servizio pubblico con 
gli 
effetti 
desumibili 
dal 
combinato disposto di 
cui 
agli 
artt. 826, 828 e 
830 


c.c. Costituisce, infatti, giurisprudenza 
pacifica 
quella 
secondo cui 
non sono 
assoggettabili 
ad esecuzione 
forzata 
i 
beni 
facenti 
parte 
del 
patrimonio indisponibile 
fra 
cui 
vanno annoverati 
(oltre 
agli 
edifici 
destinati 
a 
sede 
di 
uffici 
con i 
loro arredi) anche 
gli 
altri 
beni 
�destinati 
a 
pubblico servizio, accertandosi 
tale 
destinazione 
in 
concreto 
e 
con 
riguardo 
ai 
singoli 
beni 
colpiti 
dal-
l�esecuzione� 
(17). 
Con 
specifico 
riferimento 
al 
vincolo 
di 
opponibilit� 
di 
destinazione 
a 
servizio pubblico dei 
beni, in giurisprudenza 
si 
� 
rilevato che 
esso pu� essere 
impresso da 
una 
norma 
di 
legge 
o da 
un atto amministrativo 
che 
trovi 
fondamento 
nella 
legge 
(18) 
e, 
pertanto 
pu� 
ritenersi 
che 
tale 
vincolo, 
nella 
fattispecie 
in esame, possa 
trovare 
la 
sua 
fonte 
costitutiva 
nel 
provvedimento 
amministrativo di 
adozione 
della 
misura 
straordinaria 
assunto in virt� 
della 
previsione 
normativa 
dell�art. 32, lett. b), e 
pi� opportunamente 
previo 
specifico atto commissariale di destinazione a pubblico servizio. 
Da 
quanto sin qui 
osservato sembra 
potersi 
concludere, sul 
piano generale, 
che: 


-l�asset 
dei 
contratti 
commissariati, 
salvo 
gli 
utili 
accantonati, 
risponde 
delle 
passivit� 
pregresse 
al 
commissariamento 
e 
dei 
debiti 
maturati 
nel 
periodo 
della 
misura 
interdittiva 
se 
e 
in 
quanto 
si 
tratti 
di 
impegni 
derivanti 
dai 
contratti 
(poi) 
commissariati, 
dalla 
loro 
esecuzione 
o 
comunque 
strumentali 
a 
quest�ultima. 


-nonostante 
le 
rilevate 
ambiguit� 
del 
dato normativo, deve 
escludersi 
invece 
che 
l�asset 
affidato 
alla 
gestione 
commissariale 
possa 
rispondere 
anche 
di 
eventuali 
debiti 
aziendali 
pregressi 
non 
derivanti 
dai 
contratti 
(poi) 
commissariati. 
Dal 
momento dell�assunzione 
del 
provvedimento interdittivo (e 
limitatamente 
alla 
sua 
durata), 
infatti, 
i 
ricavi 
maturati 
e 
maturandi 
che 
derivano 
dai 
contratti 
amministrati 
possono 
essere 
impiegati 
esclusivamente 
a 
copertura 
dei 
costi 
derivanti 
o derivati 
da 
quegli 
stessi 
contratti, rispetto ai 
quali 
l�even


(16) Del 
resto la 
previsione 
della 
trascrivibilit� 
degli 
atti 
di 
destinazione, di 
cui 
all�art. 2645-ter 
c.c., 
serve 
proprio 
a 
rendere 
opponibile 
ai 
terzi 
il 
vincolo 
di 
destinazione 
con 
preclusione 
dell�esecuzione 
forzata dei beni oggetto del vincolo, salvo che per i beni contratti per lo scopo di destinazione. 
(17) Cass. 10 luglio 1986, n. 4496. 
(18) Cass. 15 settembre 1995, n. 9727. 

rASSeGnA 
AVVoCATurA 
Dello 
STATo - n. 1/2017 


tuale 
saldo positivo costituisce 
l�utile 
che 
i 
commissari 
sono obbligati 
ad accantonare 
ai sensi del comma 7 dell�art. 32. 


3. Il necessario raccordo tra gestione straordinaria e gestione ordinaria. 
� 
di 
solare 
evidenza 
che 
la 
coesistenza 
di 
una 
gestione 
ordinaria 
e 
di 
una 
straordinaria 
� 
fonte 
di 
problematiche 
variegate 
e 
complesse, 
anche 
sotto 
il 
profilo della 
compatibilit� 
costituzionale 
della 
misura 
straordinaria 
allorch�, 
ad esempio, il 
commissariamento riguardi 
contratti 
che 
assorbano tutta 
l�attivit� 
dell�impresa. 
In 
questo 
ipotetico 
caso 
il 
vincolo 
tendenzialmente 
�conformativo� 
(19) 
si 
tradurrebbe 
in 
concreto 
in 
un 
vincolo 
con 
connotazione 
anche espropriativa. 

A 
prescindere 
da 
quanto precede 
� 
peraltro evidente 
che 
sui 
commissari 
grava 
il 
delicato compito di 
individuare 
il 
giusto punto di 
bilanciamento tra 
interesse 
pubblico alla 
prosecuzione 
dei 
contratti 
commissariati 
e 
libert� 
del-
l�impresa. 
Dovranno, 
cio�, 
i 
commissari 
individuare 
la 
linea 
di 
confine 
che 
separa 
la 
gestione 
ordinaria 
da 
quella 
straordinaria, sia 
sotto il 
profilo economico 
e 
contabile, sia 
per quanto riguarda 
le 
risorse 
umane 
e 
strumentali 
impiegate. 
In proposito le 
linee 
guida 
AnAC si 
limitano, invero, a 
individuare 
una 
�gestione 
separata� 
di 
quella 
parte 
dell�azienda 
che 
dovr� 
eseguire 
il 
contratto 
pubblico secondo un modello di 
governance 
che 
dovr� 
essere 
definito 
dagli 
amministratori 
nominati 
dal 
Prefetto (20), senza, tuttavia, fornire 
indicazioni 
di 
modelli 
che 
dovranno 
essere 
di 
volta 
in 
volta 
individuati 
rispetto 
all�assetto aziendale di riferimento. 

In proposito deve 
osservarsi 
che 
per la 
durata 
della 
misura 
straordinaria 
gli 
amministratori 
riassumono in s� 
tutti 
i 
poteri 
e 
le 
funzioni 
degli 
organi 
di 
amministrazione 
dell�impresa, con paralisi 
dell�esercizio dei 
poteri 
di 
disposizione 
e 
gestione 
dei 
titolari, 
con 
sospensione, 
per 
le 
imprese 
costituite 
in 
forma 
societaria, anche 
dei 
poteri 
riservati 
all�assemblea 
(comma 
3, art. 32, 


d.l. n. 90/2014). ne 
consegue 
che, rispetto alle 
commesse 
pubbliche 
commissariate, 
i 
titolari 
dell�impresa 
non 
solo 
non 
hanno 
poteri 
di 
alienazione 
dei 
beni, ma 
neanche 
di 
poter disporre 
degli 
stessi 
costituendo diritti 
reali 
(come 
l�uso) o di 
godimento (come 
la 
locazione) sui 
beni 
funzionali 
alle 
commesse 
commissariate 
e, 
pi� 
in 
generale, 
non 
possono 
compiere 
atti 
idonei, 
nemmeno 
potenzialmente, a 
ripercuotersi 
sulla 
gestione 
del 
servizio. In altre 
parole, rispetto 
ai 
poteri 
di 
gestione, gli 
organi 
ordinari 
titolari 
dell�impresa 
non possono, 
per la 
durata 
della 
misura 
straordinaria, assumere 
iniziative 
gestionali 
(relative 
alle 
risorse 
umane 
e 
strumentali) che 
entrino in conflitto reale 
o virtuale 
con il 
perseguimento dell�interesse 
pubblico che 
il 
commissariamento � 
tenuto a garantire per l�intera durata. 
(19) In tal senso si esprimono le linee guida 
AnAC. 
(20) Seconde linee Guida 
AnAC, pag. 6. 

DoTTrInA 
261 


Da 
parte 
loro, gli 
amministratori 
straordinari, cui 
compete 
la 
somma 
dei 
poteri 
di 
amministrazione 
rispetto ai 
contratti 
commissariati, non possono assumere 
iniziative 
che, 
in 
termini 
di 
gestione 
umane 
e 
strumentali, 
possano 
costituire 
minaccia 
alla 
redditivit� 
dell�azienda. Del 
resto il 
rispetto del 
valore 
dell�azienda 
viene 
confermato dal 
rilievo contenuto nelle 
seconde 
linee 
guida 
AnAC, 
allorch� 
viene 
evidenziato 
l�obbligo 
di 
restituzione 
dell�utile 
all�azienda 
commissariata 
laddove 
il 
giudizio 
concernente 
l�interdittiva 
sia 
consacrato 
in un giudicato favorevole a quest�ultima (21). 


Il 
difficile 
punto 
di 
equilibrio 
tra 
interesse 
pubblico 
e 
tutela 
del 
valore 
aziendale 
va, 
evidentemente, 
ricercato 
e 
realizzato 
attraverso 
una 
articolata 
attivit� 
dei 
commissari 
straordinari, 
che 
di 
volta 
in 
volta 
dovranno 
individuare 
i 
punti 
di 
equilibrio 
tenendo 
conto 
e 
valutando 
anche 
le 
esigenze 
aziendali 
rappresentate 
da 
parte 
degli 
organi 
di 
gestione 
ordinaria. 
Ci� 
al 
fine 
di 
evitare 
crisi 
o 
pregiudizi 
di 
cui 
potrebbero 
rispondere 
patrimonialmente 
gli 
stessi 
commissari 
dinanzi 
alla 
Corte 
dei 
Conti 
per �eventuali 
diseconomie 
dei 
risultati�, 
nei 
soli 
casi 
di 
dolo 
e 
colpa 
grave 
(comma 
4, 
art. 
32). 
nella 
riferita 
prospettiva 
sembra 
opportuna 
misura 
organizzativa 
la 
formalizzazione 
di 
momenti 
di 
raccordo 
tra 
gestione 
straordinaria 
e 
ordinaria 
per condividere 
con quest�ultima 
le scelte gestionali di pi� significativo rilievo aziendale. 


nell�eventualit� 
in 
cui 
sorgano 
conflitti 
tra 
i 
commissari 
straordinari 
prefettizi 
e 
i 
titolari 
dell�impresa 
in 
relazione 
all�adozione 
di 
provvedimenti 
gestori 
da 
assumersi 
in 
modo 
concertato 
alla 
luce 
di 
quanto 
sin 
qui 
osservato, 
il 
compito 
di 
risolvere 
l�impasse 
sembra 
riservato 
agli 
amministratori 
straordinari, 
considerato 
che 
il 
provvedimento 
interdittivo 
� 
finalizzato 
a 
garantire 
la 
prosecuzione 
del 
servizio 
a 
salvaguardia 
di 
interessi 
di 
matrice 
pubblicistica 
ritenuti 
prevalenti 
dal 
legislatore. 
In 
casi 
del 
genere, 
ai 
commissari 
straordinari 
resta 
affidato 
il 
delicato 
compito 
di 
operare 
in 
ultima 
analisi 
la 
valutazione, 
nella 
concreta 
situazione, 
circa 
l�opportunit� 
dell�assunzione 
della 
misura, 
bilanciando, 
da 
una 
parte, 
la 
rilevanza 
dell�adottando 
provvedimento 
sull�esecuzione 
del 
servizio 
considerandone 
il 
profilo 
degli 
interessi 
pubblicistici 
sottesi, 
e, 
dall�altra 
parte, 
la 
rilevanza 
delle 
ripercussioni 
organizzative 
e 
delle 
conseguenze 
economiche 
che 
esso 
� 
idoneo 
a 
produrre 
sull�azienda 
complessivamente, 
assumendo 
quindi 
la 
decisione 
finale 
secondo 
canoni 
di 
necessit� 
(della 
misura) 
e 
proporzionalit� 
(del 
sacrificio 
imposto 
agli 
interessi 
d�impresa). 


4. 
Gestione 
del 
personale 
e 
responsabilit� 
patrimoniale 
verso 
gli 
addetti 
ai 
servizi amministrati. 
� 
possibile, sulla 
base 
di 
quanto sin qui 
osservato, esaminare 
specificamente 
la 
problematica 
della 
responsabilit� 
della 
gestione 
separata 
rispetto 
a 


(21) Seconde linee Guida 
AnAC, pagg. 17 e 18. 

rASSeGnA 
AVVoCATurA 
Dello 
STATo - n. 1/2017 


obblighi 
pregressi, anche 
risarcitori, con particolare 
riferimento alla 
gestione 
delle risorse umane utilizzate nella esecuzione dei contratti commissariati. 

non sembra 
revocabile 
in dubbio che 
la 
titolarit� 
dei 
rapporti 
di 
lavoro 
resti 
in capo alla 
societ� 
(e 
ai 
suoi 
titolari) come 
qualunque 
altro contratto o 
bene 
aziendale, mobile 
e 
immobile, rispetto ai 
quali 
il 
provvedimento interdittivo 
non modifica l�imputazione soggettiva. 


Al 
pari 
di 
quanto 
accade 
in 
relazione 
a 
ogni 
altro 
rapporto 
giuridico 
di 
natura 
reale 
o 
obbligatoria, 
agli 
amministratori 
compete 
la 
gestione 
(e 
dunque 
l�esercizio 
delle 
facolt� 
e 
dei 
poteri 
che 
vi 
sono 
connessi) 
di 
tutti 
i 
rapporti 
di 
lavoro 
che 
siano 
funzionali 
alla 
esecuzione 
di 
quei 
contratti 
di 
concessione 
in 
relazione 
ai 
quali 
il 
provvedimento 
prefettizio 
trova 
il 
proprio 
campo 
d�applicazione. 


Ci� 
consente, 
innanzitutto, 
di 
configurare 
in 
capo 
agli 
amministratori 
straordinari 
il 
potere/dovere 
di 
porre 
in 
essere 
in 
autonomia 
tutti 
gli 
atti 
di 
gestione 
relativi 
allo 
svolgimento 
dei 
rapporti 
di 
lavoro 
(ad 
esempio 
organizzazione 
dei 
turni 
di 
lavoro, 
assegnazione 
dei 
compiti, 
definizione 
degli 
orari 
di 
lavoro) 
del 
personale 
addetto 
in 
via 
esclusiva 
all�esecuzione 
dei 
contratti 
commissariati. 
In 
proposito, 
alla 
luce 
di 
quanto 
supra 
evidenziato, 
la 
gestione 
autonoma 
dei 
commissari 
straordinari 
pu� 
tuttavia 
incontrare 
dei 
limiti 
qualora 
l�adozione 
dei 
provvedimenti 
gestori 
sia 
idonea 
a 
proiettarsi 
stabilmente 
sull�assetto 
organizzativo 
dell�azienda 
ovvero 
ne 
possa 
intaccare 
la 
redditivit�. 
laddove, 
infatti, 
l�adozione 
di 
tali 
provvedimenti, 
pur 
necessitata 
dagli 
interessi 
pubblicistici 
connessi 
alla 
prosecuzione 
dei 
contratti, 
possa 
comportare 
effetti 
duraturi 
idonei 
a 
travalicare 
il 
periodo 
di 
interdittiva 
ovvero 
possa 
realisticamente 
risolversi 
in 
una 
diminuzione 
delle 
redditivit� 
dell�impresa, 
tali 
provvedimenti 
andranno 
assunti 
con 
il 
coinvolgimento 
degli 
organi 
sociali 
titolari 
dell�impresa 
(si 
pensi, 
ad 
esempio, 
all�attribuzione 
di 
inquadramenti 
superiori, 
oppure 
all�introduzione 
di 
trattamenti 
retributivi 
pi� 
elevati 
rispetto 
a 
quelli 
previsti 
dal 
ccnl 
applicato 
o, 
comunque, 
in 
atto 
al 
momento 
del 
provvedimento 
di 
interdizione). 


Per 
quanto 
riguarda 
gli 
atti 
di 
gestione 
del 
personale 
�promiscuo�, 
ossia 
addetto 
non 
solo 
all�esecuzione 
dei 
contratti 
commissariati 
ma 
anche 
ad 
altre 
attivit� 
aziendali 
non 
commissariate, 
sembra 
evidente, 
per 
quanto 
gi� 
osservato, 
che 
tali 
atti 
di 
gestione 
debbano 
essere 
sempre 
assunti 
con 
il 
coinvolgimento 
anche 
dei 
titolari 
dell�impresa, 
considerata 
la 
loro 
idoneit� 
ad 
incidere 
immediatamente 
anche 
su 
segmenti 
di 
attivit� 
che 
esulano 
dalle 
attribuzioni 
dei 
commissari. 


In relazione, poi, all�eventuale 
instaurazione 
o estinzione 
di 
rapporti 
di 
lavoro di 
personale 
da 
adibire 
o addetto a 
funzioni 
relative, in tutto o in parte, 
all�espletamento 
dei 
contratti 
commissariati, 
anche 
tali 
atti 
dovrebbero 
sempre 
essere 
assunti 
dai 
commissari 
straordinari 
coinvolgendo 
gli 
organismi 
ordinari 
dell�impresa. 
le 
assunzioni 
e 
i 
licenziamenti, 
infatti, 
sono 
atti 
intrinsecamente 
destinati 
a 
incidere 
stabilmente 
sull�assetto organizzativo e 
produttivo aziendale, 
anche 
in considerazione 
dell�elemento fiduciario che 
contraddistingue 
i 
rapporti di lavoro. 



DoTTrInA 
263 


Poich�, come 
si 
� 
visto supra, il 
provvedimento interdittivo non sembra 
comportare 
una 
perfetta 
separazione 
patrimoniale 
tra 
le 
risorse 
dell�impresa 
derivanti 
dai 
diversi 
contratti 
(tra 
cui 
quelli 
amministrati) ma 
solo l�impignorabilit� 
e 
la 
separazione, 
peraltro 
temporanea, 
degli 
utili 
relativi 
ai 
contratti 
amministrati 
(oltre 
alla 
separazione 
meramente 
gestionale), non sembra 
possibile 
segregare, 
salvo 
che 
per 
gli 
utili 
accantonati, 
i 
debiti 
riconducibili 
ai 
contratti 
amministrati 
a 
seconda 
che 
essi 
siano sorti 
prima 
o dopo il 
provvedimento 
interdittivo, e 
ci� vale 
anche 
per i 
debiti 
derivanti 
dallo svolgimento 
di rapporti di lavoro. 


Per 
quanto 
attiene, 
dunque, 
ai 
debiti 
verso 
lavoratori 
addetti 
all�esecuzione 
dei 
contratti 
amministrati, non sembra 
possibile 
operare 
alcuna 
distinzione 
temporale 
circa 
il 
momento della 
loro insorgenza, apparendo decisiva 
l�intrinseca 
riconducibilit� 
dei 
rapporti 
di 
lavoro in questione 
all�esecuzione 
dei 
contratti 
affidati 
all�amministrazione 
commissariale. Del 
resto, in proposito, 
vale 
anche 
la 
considerazione 
che 
il 
provvedimento 
interdittivo 
determina 
l�affidamento 
ai 
commissari 
della 
gestione 
dei 
contratti 
di 
appalto/concessione 
nello stato in cui 
si 
trovano, comprensivi 
cio� 
di 
tutte 
le 
situazioni 
giuridiche 
attive 
e 
passive 
sino a 
quel 
momento realizzatesi. eventuali 
debiti 
insorti 
in 
relazione 
ai 
rapporti 
di 
lavoro 
del 
personale 
addetto 
all�esecuzione 
dei 
contratti 
commissariati, dunque, potranno legittimamente 
essere 
estinti 
dagli 
amministratori 
straordinari 
con i 
proventi 
derivanti 
dall�esercizio dei 
servizi 
oggetto 
dei 
contratti 
amministrati, 
indipendentemente 
dal 
momento 
(precedente 
o 
successivo 
al provvedimento interdittivo) in cui tali debiti siano sorti. 

Su un piano pi� generale, del 
resto, pu� osservarsi 
che 
laddove 
sussista 
una 
responsabilit� 
dell�azienda, 
sia 
di 
natura 
contrattuale 
che 
extracontrattuale, 
direttamente 
derivante 
dal 
contratto 
di 
concessione 
(poi) 
commissariato 
o 
dalla 
sua 
esecuzione, indipendentemente 
dal 
momento in cui 
essa 
sia 
insorta, non 
pare 
revocabile 
in dubbio che 
di 
essa 
debba 
rispondere 
l�azienda 
anche 
con il 
patrimonio 
e 
le 
risorse 
affidate 
alla 
gestione 
commissariale, 
dal 
momento 
che, 
come 
si 
� 
visto, 
dal 
tenore 
dell�art. 
32, 
d.l. 
n. 
90/2014, 
e 
dalle 
stesse 
linee 
Guida 
Anac, non sembra 
evincersi 
alcuna 
separazione 
patrimoniale 
e, a 
maggior 
ragione, 
alcuna 
segregazione 
dei 
debiti 
su 
base 
esclusivamente 
temporale 
(eccezion 
fatta, 
come 
gi� 
rilevato, 
per 
l�impignorabilit� 
e 
l�accantonamento 
temporanei 
degli 
utili 
eventualmente 
risultanti 
dall�attivit� 
commissariata 
e 
salva l�adozione di misure ai sensi dell�art. 2447-bis 
c.c.). 

n� 
a 
conclusioni 
diverse 
potrebbe 
giungersi 
in 
considerazione 
dell�obbligo 
dei 
commissari 
di 
agire 
nell�interesse 
pubblico, che 
si 
colloca 
su un diverso 
piano. 
un 
tale 
obbligo, 
infatti, 
certamente 
pervade 
l�attivit� 
dei 
commissari 
che 
devono ispirare 
all�interesse 
pubblico (come 
specificato dal 
comma 
10 dell�art. 32) le 
proprie 
scelte 
gestionali 
e, ancor prima, costituisce 
il 
criterio 
guida 
dell�amministrazione 
per 
l�adozione 
del 
provvedimento 
interdittivo. 
esso, 
tuttavia, 
se 
� 
sicuramente 
riferibile 
alla 
attivit� 
commissariale 



rASSeGnA 
AVVoCATurA 
Dello 
STATo - n. 1/2017 


nel 
suo complesso, non pu� costituire 
di 
per s� 
il 
criterio per distinguere 
le 
diverse 
situazioni 
debitorie 
dell�azienda, le 
quali, laddove 
derivino dai 
contratti 
(poi) 
commissariati 
ovvero 
dal 
loro 
esercizio, 
rientrano 
tutte 
nell�ambito 
della 
gestione affidata ai commissari (nell�interesse pubblico). 


la 
problematicit� 
delle 
questioni 
sollevate 
e 
il 
rilievo che 
le 
stesse 
possono 
evidentemente 
assumere 
nelle 
variegate 
ipotesi 
che 
la 
realt� 
presenta 
agli 
operatori, 
rende 
auspicabile 
l�intervento 
di 
una 
regolazione 
normativa 
che 
esplicitamente 
chiarisca 
se, 
in 
che 
termini 
e 
con 
quali 
modalit�, 
la 
separatezza 
tra 
gestione 
ordinaria 
e 
gestione 
straordinaria 
debba 
o possa 
tradursi 
- nel 
rispetto 
di 
un 
equo 
bilanciamento 
tra 
l�evidente 
rilievo 
pubblicistico 
della 
misura 
straordinaria, la 
tutela 
dell�affidamento (22) e 
la 
libert� 
d�impresa 
- sul 
piano 
della 
responsabilit� 
della 
gestione 
straordinaria 
per debiti 
pregressi, contrattuali 
e non, anteriori al commissariamento. 


(22) 
ComՏ 
noto, 
il 
principio 
del 
legittimo 
affidamento 
trova 
piena 
cittadinanza 
nel 
diritto 
europeo 
grazie 
all�opera 
creativa 
della 
giurisprudenza 
comunitaria, 
la 
quale 
ha 
da 
tempo 
affermato 
che 
�il 
principio 
della 
tutela 
dell�affidamento 
fa 
parte 
dell�ordinamento 
giuridico 
comunitario� 
(Corte 
di 
giustizia, 
3 
maggio 
1978, 
C-112/77, 
T�pfer 
c. 
Commissione; 
Corte 
di 
Giustizia, 
19 
settembre 
2000, 
C-177/99 
e 
C-181/99, 
Ampafrance 
and 
Sanofi; 
Corte 
di 
Giustizia, 
18 
gennaio 
2001, 
C-83/99, 
Commissione 
c. 
Spagna). 
Sul 
punto 
AllA 
l., 
Il 
legittimo 
affidamento 
nel 
diritto 
europeo 
e 
nel 
diritto 
interno, 
in 
http://www.amministrazioneincammino.luiss.it/app/uploads/2012/11/Alla_legittimo-
affidamento.pdf. 

DoTTrInA 
265 


atto di provenienza amministrativa e prova penale 


Antonio Pugliese* 


l�attivit� 
amministrativa 
di 
vigilanza 
ha 
un ruolo da 
�comprimario�, in chiave 
preventiva 
soprattutto, 
nella 
lotta 
alle 
condotte 
che 
possono porsi 
in conflitto con certi 
beni 
tutelati 
dal 
sistema. 
Per�, come 
si 
vedr�, non � 
detto che 
l'atteggiamento del 
cittadino rimanga 
confinato 
nel 
solo ambito dell'illecito amministrativo. Questo � 
vero soprattutto dando uno sguardo ad 
alcune 
frontiere 
del 
diritto 
penale 
sostanziale: 
reati 
ambientali 
e 
tributari. 
Settori 
nei 
quali, 
l'Amministrazione 
spesso 
si 
muove 
quale 
soggetto 
privilegiato 
e, 
inevitabilmente, 
spesse 
volte 
� 
chiamata 
ad assumere 
diverse 
iniziative 
istruttorie. ebbene, sullo stretto confine 
tra 
illecito 
amministrativo 
e 
penale, 
e 
dunque 
sui 
diritti 
che 
devono 
essere 
tutelati 
in 
questa 
fase 
lato 
sensu 
investigativa, 
verter� 
l'approfondimento. 
lo 
scopo 
� 
prettamente 
ricognitivo, 
si 
cercher�, 
in definitiva, di descrivere lo stato dell'arte. 


SOMMARIO. 1. Il 
tema - 2. Gli 
�indizi 
di 
reato� 
e 
gli 
atti 
a finalit� c.d. mista - 3. Rischi 
connessi 
ad 
un�utilizzazione 
poco 
attenta 
-4. 
Polizia 
amministrativa 
e 
giudiziaria 
nell�ambito 
delle 
attivit� ispettive 
e 
di 
vigilanza - 5. Il 
progressivo formarsi 
dell�orientamento pi� garantista 
- 6. Ultimi approdi giurisprudenziali - 7. Conclusioni. 


1. Il tema. 
Al 
momento 
della 
sua 
formulazione, 
l'articolo 
220 
disp. 
att. 
c.p.p. 
(1), 
riferito 
all'emergere 
di 
indizi 
di 
reato 
in 
un�indagine 
pubblica 
extra-penale, 
sembrava 
potesse 
dar 
compiuta 
ed 
espressa 
risposta 
alle 
istanze 
garantiste 
che 
gi� 
da 
anni 
interrogavano 
la 
giurisprudenza 
(2). 
la 
disposizione, 
regola 
il 
caso 
in 
cui, 
nel 
corso 
di 
attivit� 
ispettive 
o 
di 
vigilanza 
-condotte 
in 
sede 
amministrativa 
-si 
scopra 
l�esistenza 
di 
un 
possibile 
reato. 
Affiorato 
l�indizio 
penalmente 
rilevante, 
entrano 
in 
gioco 
le 
garanzie 
assicurate 
dal 
codice 
di 
rito. 
Atti 
successivi, 
posti 
in 
essere 
non 
osservando 
quelle 
garanzie 
sono 
pertanto 
da 
considerare 
invalidi. 


A 
dispetto della 
linearit� 
del 
ragionamento appena 
illustrato, l�interpretazione 
della norma continua ad essere oggetto di incertezze applicative. 

In 
effetti, 
sulla 
questione 
si 
� 
formata 
una 
corposa 
giurisprudenza, 
spesso 
in disaccordo sulle 
soluzioni 
da 
adottare. un punto di 
svolta, a 
favore 
di 
soluzioni 
-vedremo 
-pi� 
garantiste, 
� 
costituito 
dalla 
sentenza 
a 
Sezioni 
unite 
della 
Cassazione 
del 
2001 (3), dopo che 
sul 
punto era 
gi� 
intervenuta 
la 
Corte 
costituzionale (4). 

(*) 
Dottore 
in 
Giurisprudenza, 
ammesso 
alla 
pratica 
forense 
presso 
l�Avvocatura 
distrettuale 
dello 
Stato 
di bolgona. 


(1) r.e. KoSTorIS, Sub art. 220, in e. AMoDIo, o. DoMInIonI, Commentario del 
nuovo codice 
di 
procedura penale, Appendice, Milano, 1990, p. 74. 
(2) Si 
vedano, per stare 
alla 
sola 
giurisprudenza 
costituzionale, Corte 
Cost., n. 86 del 
1968; 
nn. 
148, 149 del 1969; n. 248 del 1983; n. 15 del 1986; n. 330 del 1990. 

rASSeGnA 
AVVoCATurA 
Dello 
STATo - n. 1/2017 


Pi� 
recentemente 
si 
� 
registrata 
un�oscillazione 
all�interno 
della 
Sez. 
3 
pen. dalla 
quale 
� 
opportuno prendere 
le 
mosse 
nel 
tentativo di 
comprendere 
quali 
e 
quante 
difficolt� 
comporti 
il 
quesito in questione. In estrema 
sintesi, la 
Cassazione, a 
distanza 
di 
meno di 
venti 
giorni, ha 
sfornato due 
decisioni 
dal 
contenuto diametralmente 
opposto. In entrambi 
i 
casi 
si 
eccepiva 
l�inutilizzabilit� 
del 
processo verbale 
di 
constatazione 
redatto dalla 
Guardia 
di 
finanza, 
dopo che 
erano emersi 
indizi 
di 
reato: 
la 
prima 
pronuncia 
(5) rigettava 
le 
tesi 
difensive; la seconda (6), invece, le accoglieva. 


nel 
primo caso, si 
� 
ritenuto del 
tutto legittimo l�uso probatorio del 
processo 
verbale 
(d�ora 
in avanti 
Pvc), e 
ci� in quanto esso costituirebbe 
atto irripetibile, 
legittimamente 
acquisibile 
al 
fascicolo 
per 
il 
dibattimento 
e, 
pertanto, liberamente 
valutabile 
dal 
giudice 
ai 
fini 
decisori. nella 
prima 
sentenza, 
la 
Corte 
non ha 
inteso effettuare 
un�attenta 
analisi 
degli 
elementi 
critici 
riconducibili 
a 
questo indiscriminato utilizzo (7). Affatto diverso � 
il 
percorso 
argomentativo offerto dai 
giudici 
di 
legittimit� 
nella 
seconda 
pronuncia, dove 
si 
sono condivise 
le 
critiche 
della 
difesa 
che 
palesavano l�evidente 
limite 
del-
l�argomentazione 
sviluppata 
dal 
giudice 
di 
secondo grado. Secondo l�impostazione 
della 
Corte 
d�appello, 
infatti, 
non 
potrebbe 
essere 
accolta 
una 
questione 
di 
inutilizzabilit�, fondata 
sull�art. 220 disp. att., quando quest�ultima 
si 
riferisca 
ad accertamenti 
fiscali 
della 
Guardia 
di 
finanza 
atti 
ad accertare 
reati 
tributari 
con 
soglia 
di 
punibilit�. 
Il 
motivo: 
l�evidenza 
dei 
reati 
in 
questione 
pu� esservi 
solo a 
seguito dell�espletamento dell�attivit� 
d�accertamento, 
quindi, non vi 
sarebbe 
nessun indizio prima 
di 
quel 
momento. Senza 
entrare 
nel 
merito 
della 
risposta 
della 
Corte 
-comunque 
contraria 
a 
questa 
impostazione 
- che 
sar� 
oggetto delle 
successive 
riflessioni, solo si 
nota 
che 
cos� 
procedendo 
si 
rischia 
di 
non 
dar 
giusta 
lettura 
del 
termine 
indizio, 
il 
quale, 
preme dirlo sin d�ora, � molto distante dall�idea di evidenza di reato. 

la 
disposizione 
in esame 
non poteva 
che 
porre 
i 
numerosi 
interrogativi 
che 
ha 
posto; 
essa 
si 
colloca 
in uno spazio colmo di 
significati, incrocio nevralgico 
del 
procedimento 
penale, 
luogo 
ove 
attuare 
un 
calibrato 
bilanciamento 
tra 
diritti 
di 
difesa, 
da 
un 
lato, 
ed 
efficacia 
repressiva 
delle 
agenzie 
di 
controllo 
sociale, dall�altro. era, dunque, quasi inevitabile lo scontro dialettico. 

(3) Cass. Pen., Sez. un., n. 45477 del 2001. 
(4) V. supra, nota �2�. 
(5) Cass. Pen., sez. III, n. 1973 del 2015. 
(6) Cass. Pen., sez. III, n. 4919 del 2015. 
(7) Conviene 
riportare 
per intero lo stralcio della 
motivazione 
che 
si 
riferisce 
alla 
questione: 
�A 
ben vedere, infatti, il 
giudice 
di 
prime 
cure 
ha 
costruito il 
proprio convincimento anche 
sulla 
base 
di 
altri 
elementi 
tra 
i 
quali 
il 
processo 
verbale 
della 
GDF 
che, 
secondo 
consolidata 
giurisprudenza 
di 
questa 
Corte, ben pu� essere 
utilizzato quale 
prova 
ai 
fini 
della 
decisione 
dibattimentale 
(ex 
pluris 
Cass. sez. 
III 
n. 
36399/2011 
secondo 
la 
quale 
�costituisce 
atto 
irripetibile, 
e 
pu� 
quindi 
essere 
inserito 
nel 
fascicolo 
per 
il 
dibattimento, 
il 
processo 
verbale 
di 
constatazione 
redatto 
dalla 
Guardia 
di 
Finanza 
per 
accertare 
o riferire violazioni a norme di leggi finanziarie o tributarie�)�. 

DoTTrInA 
267 


la 
norma 
fotografa 
una 
situazione 
processuale 
ibrida 
in cui 
� 
probabile 
che 
alcuni 
degli 
atti 
compiuti 
dagli 
organi 
amministrativi 
abbiano 
anche 
un 
valore 
spendibile 
all'interno del 
procedimento penale 
(8). Conoscenze 
acquisite 
in sede 
amministrativa 
ambiscono a 
sortire 
valore 
probatorio in sede 
penale 
(in maniera 
impropria, considerate 
le 
diverse 
regole 
di 
accertamento che 
caratterizzano 
rispettivamente 
l�istruttoria 
amministrativa 
e 
la 
formazione 
della 
prova 
penale). In verit�, quanto detto potrebbe 
anche 
rappresentare 
l�approdo 
fisiologico di 
una 
buona 
attivit� 
di 
controllo e 
vigilanza 
svolta 
dai 
funzionari 
pubblici, ma 
ci� non rende 
certo meno rilevante 
lo studio sui 
limiti 
di 
utilizzabilit� 
di 
questi 
atti 
prodotti 
al 
di 
fuori 
del 
rito, dunque 
- ed � 
questo l'elemento 
che 
pi� di 
ogni 
altro desta 
preoccupazioni 
- al 
di 
fuori 
delle 
garanzie 
assicurate dalla legge processuale. 

Cerchiamo 
di 
centrare 
sin 
da 
subito 
la 
questione 
pi� 
ardua: 
il 
rapporto 
fra 
acquisizione 
processuale 
di 
atti 
a 
finalit� 
c.d. mista 
e 
rispetto delle 
garanzie 
difensive 
pone 
il 
problema 
dei 
�limiti 
che 
l'ammissibilit� 
di 
tali 
[atti] incontra 
nelle 
regole 
concernenti 
il 
diritto 
al 
contraddittorio 
e 
la 
formazione 
dibattimentale 
della prova� (9). 


2. Gli indizi di reato e gli atti a finalit� c.d. mista. 
Gli 
atti 
a 
finalit� 
mista 
hanno 
un 
appiglio 
normativo 
nell'art. 
220 
disp. 
att. c.p.p. Sono quelli 
posti 
in essere 
da 
soggetti 
appartenenti 
all�amministrazione 
pubblica 
in un contesto particolarissimo, ossia 
quando la 
loro attivit� 
si 
muove 
sui 
sottili 
e 
non 
sempre 
ben 
visibili 
confini 
tra 
istruzione 
amministrativa 
e 
attivit� 
cognitiva 
penale. la 
problematica 
a 
ci� riconnessa 
� 
presto individuata: 
si 
deve 
garantire, 
con 
un 
discreto 
grado 
di 
certezza, 
che 
le 
attivit� 
poste 
in 
essere 
dall'Amministrazione, 
nella 
misura 
in 
cui 
le 
informazioni 
da 
essa 
raccolte 
rivestano 
un 
qualche 
significato 
a 
fini 
penali, 
non 
ledano 
diritti 
difensivi 
tutelati 
dal 
codice 
e, ancor prima, dalla 
Costituzione 
(art. 24 comma 
2 e 
art. 111 commi 
3, 4). In altre 
parole, se 
si 
vogliono evitare 
facili 
aggiramenti 
della 
normativa 
processuale 
penale, occorre 
individuare 
con precisione 
il 
momento 
a 
partire 
dal 
quale 
l�accertamento 
va 
condotto 
secondo 
le 
regole 
imposte 
dal 
codice 
di 
rito, assai 
pi� rispettose 
delle 
garanzie 
individuali 
delle 
regole 
che presidiano l�istruttoria amministrativa. 


Compito 
del 
citato 
articolo 
220 
disp. 
att. 
�, 
per 
l�appunto, 
individuare 
tale 
momento. 
Vi 
si 
legge: 
�quando 
nel 
corso 
di 
attivit� 
ispettive 
o 
di 
vigilanza 
previste 
da 
leggi 
o 
decreti 
emergano 
indizi 
di 
reato, 
gli 
atti 
necessari 
per 
assicurare 
le 
fonti 
di 
prova 
(�) 
sono 
compiuti 
con 
l'osservanza 
delle 
disposizioni 
del 
co


(8) In questo senso, T. rAFArACI, Reati 
tributari 
con soglia di 
punibilit� e 
applicazione 
dell'art. 
220 disp. att. c.p.p.: la Cassazione 
rimarca i 
diritti 
della difesa, in Rivista della Guardia di 
finanza, n. 
3 del 2015, p. 674. 
(9) Per un'interessante 
ed approfondita 
analisi 
sul 
tema, anche 
in chiave 
comparata, r. orlAnDI, 
Atti e informazioni della autorit� amministrativa nel processo penale, Giuffr�, 1992, p. 156. 

rASSeGnA 
AVVoCATurA 
Dello 
STATo - n. 1/2017 


dice�. 
Subito 
si 
affacciano 
alcuni 
quesiti: 
bisogna 
attendere 
che 
si 
sia 
mostrato, 
in 
maniera 
compiuta 
o 
quasi, 
un 
reato? 
o 
� 
sufficiente 
che 
sussista 
una 
mera 
possibilit� 
di 
attribuire 
rilevanza 
penale 
ad 
un 
dato 
fatto? 
e 
ancora: 
si 
deve 
essere 
in 
grado 
di 
attribuire 
il 
presunto 
fatto 
di 
reato 
ad 
un 
soggetto 
determinato? 


Dalla 
risposta 
a 
tali 
quesiti 
discende 
tutto il 
sistema 
delle 
garanzie 
che 
il 
codice 
appresta 
alla 
difesa, 
ed 
� 
a 
quest'ultimo 
collegato 
a 
�doppio 
filo� 
il 
tema 
della 
spendibilit� 
in 
sede 
processuale 
di 
quelle 
risultanze 
frutto 
della 
fase, 
lato 
sensu, investigativa. Procrastinare 
eccessivamente 
il 
momento dal 
quale 
si 
ritiene 
emersa 
una 
notitia 
criminis, 
anzi, 
un 
indizio 
di 
reato, 
finirebbe 
con 
l�erodere 
oltre misura lo spazio a legittime aspettative della difesa. 

Questa � dunque la questione da affrontare prioritariamente. 


Come 
gi� 
detto, 
l'art. 
220, 
individua 
il 
tempo 
del 
rito 
penale 
all'emersione 
degli 
indizi 
di 
reato. Diciamo subito che 
qui, il 
termine 
indizi, ha 
significato 
ben 
diverso 
da 
quello 
che 
compare 
nell�art. 
192, 
comma 
2, 
c.p.p. 
con 
riguardo 
al 
prudente 
apprezzamento 
delle 
prove 
da 
parte 
del 
giudice 
di 
merito. 
Gli 
indizi 
di 
cui 
si 
occupa 
il 
citato 
articolo 
220 
non 
evocano 
l�idea 
di 
prova 
critica 
o 
prova 
logica 
fondate 
su ragionamenti 
probabilistici; 
alludono, pi� semplicemente, 
all�insorgere 
del 
personale 
convincimento 
dell�organo 
investigativo 
di 
essere 
in 
presenza 
di 
un 
reato; 
nulla 
di 
pi�. 
Facendo 
un�ispezione 
amministrativa, 
capita 
di 
imbattersi 
occasionalmente 
in un reato. Tale 
� 
la 
situazione 
assunta 
a premessa dell�art. 220. 


Per queste 
ragioni, sembra 
eccessivo ritenere 
formato un indizio, contrariamente 
a 
quanto detto inizialmente 
dalla 
giurisprudenza 
(anche 
costituzionale), 
quando 
ci 
sia 
�una 
sufficiente 
specificazione 
sia 
del 
fatto 
che 
del 
soggetto cui 
� 
attribuibile� (10), questa 
conclusione 
rischia 
di 
spostare 
troppo 
in l� 
il 
momento in cui 
scattano le 
garanzie 
processuali. non bisogna 
inoltre 
dimenticare 
che 
�il 
momento 
in 
cui 
emerge 
l'indizio 
di 
reato 
non 
coincide 
sempre 
e 
necessariamente 
con 
la 
scoperta 
del 
correlativo 
indiziato. 
non 
v'� 
implicazione necessaria fra questi due termini� (11). 


� 
pi� 
conveniente 
alle 
esigenze 
del 
caso, 
oltre 
che 
pi� 
in 
linea 
con 
la 
stessa 
ragion 
d'essere 
della 
norma, 
fare 
riferimento 
ad 
una 
concezione 
quasi 
embrionale 
del 
termine, 
ad 
una 
mera 
possibilit� 
di 
reato. 
� 
dunque 
plausibile 
che 
l'art. 
220 
sia 
destinato 
ad 
operare 
quando 
la 
�pubblica 
amministrazione 
-nelle 
sue 
molteplici 
e 
diversificate 
attivit� 
di 
ispezione 
e 
vigilanza 
-venga 
a 
conoscenza 
di 
un 
possibile 
reato� 
(12). 
In 
ci� 
intravedendosi, 
come 
� 
stato 
segnalato, 
un 
parallelismo, 
in 
riferimento 
agli 
effetti, 
tra 
indizio 
di 
reato 
e 
notitia 
criminis: 
�la 
notizia 
di 
reato 
-allo 
stesso 
modo 
dell'indizio 
ex 
art. 
220 
-� 
il 
presupposto 
al 


(10) In questo senso, M. GuernellI, Aspetti 
operativi 
e 
processuali 
dell'attivit� di 
p.g. nel 
nuovo 
c.p.p., in Arch. nuova proc. pen., 1991. 
(11) r. orlAnDI, Atti e informazioni, cit., p. 156. 
(12) In questo senso, r. orlAnDI, Atti e informazioni, cit., p. 156. 

DoTTrInA 
269 


cui 
verificarsi 
deve 
seguire 
l'applicazione 
della 
normativa 
processuale 
penale� 
(13). 
Il 
fatto 
che 
il 
parallelismo 
sia 
effettuato 
solo 
in 
merito 
agli 
effetti 
non 
� 
certo 
questione 
da 
poco. 
Gli 
indizi 
�si 
collocano 
in 
un 
momento 
necessariamente 
antecedente 
al 
manifestarsi 
degli 
elementi 
che 
integrano 
la 
notizia 
di 
reato� 
(14), 
la 
quale 
sarebbe 
dunque 
contraddistinta 
da 
una 
maggior 
determinatezza 
in 
ordine 
agli 
elementi 
su 
cui 
si 
fonda. 
Ci� 
conferisce 
alla 
norma 
un 
taglio 
giustamente 
garantista, 
molto 
pi� 
di 
quanto 
non 
si 
sia 
disposti 
a 
riconoscerle. 


In definitiva, dando risposta 
agli 
interrogativi 
poc�anzi 
esposti 
(15), si 
ritiene 
sufficiente 
che 
sussista 
una 
mera 
possibilit� 
di 
attribuire 
rilevanza 
penale 
ad un dato fatto, perch� 
possa 
dirsi 
soddisfatta 
la 
condizione 
di 
cui 
all'art. 220 
disp. att. c.p.p. 


Quando si manifesta questa possibilit�, sar� il 
tempo 
del rito penale. 


3. I rischi di un�utilizzazione poco attenta. 
le 
premesse 
poste, 
rappresentano 
un 
accettabile 
punto 
di 
partenza 
per 
verificare 
i 
limiti 
entro i 
quali 
l�atto amministrativo possa 
valere 
come 
prova 
in un giudizio penale di colpevolezza. 


una 
considerazione 
preliminare 
tuttavia 
si 
impone. 
Gli 
atti 
amministrativi 
(pur formati 
da 
un�autorit� 
pubblica) non sono di 
per s� 
equiparabili 
ad atti 
d�indagine 
penale, 
inoltre, 
non 
sono 
tutti 
della 
stessa 
specie. 
Completezza 
espositiva 
imporrebbe 
una 
precisa 
�catalogazione� 
dei 
vari 
e 
possibili 
atti, 
ma 
qui, per comprensibili 
limiti 
di 
brevit�, si 
analizzeranno solo quelli 
a 
finalit� 


c.d. 
mista 
(vale 
a 
dire, 
idonei 
a 
recare 
conoscenze 
riguardanti 
fatti 
penalmente 
rilevanti). Date 
queste 
premesse, si 
pu� procedere 
ad una 
rigorosa 
verifica 
in 
merito alle 
condizioni 
che 
questa 
particolare 
specie 
di 
atti 
misti 
debbono rispettare 
affinch� sia ammesso un qualche loro uso nel processo penale (16). 
Sullo sfondo restano tutte 
le 
regole 
che 
ispirano l'assunzione 
probatoria 
e, 
in 
particolare, 
l�oralit�, 
l�immediatezza, 
il 
principio 
del 
contraddittorio 
nella 
formazione 
della 
prova, quello di 
parit� 
fra 
le 
parti 
e, non ultimo, il 
principio 
di legalit�. 


(13) 
r. 
orlAnDI, 
Atti 
e 
informazione, 
cit. 
p. 
156. 
Ci 
pare 
importante 
rilevare 
come 
il 
parallelismo 
sia 
stato effettuato in riferimento agli 
effetti, e 
non in merito alla 
sostanza. In effetti 
gli 
�indizi� 
che 
ci 
interessano, non debbono essere 
ben formati 
come 
sarebbe 
una 
notizia 
di 
reato, ciononostante 
sono in 
grado 
di 
produrre 
i 
medesimi 
effetti. 
Quanto 
affermato 
da 
questa 
dottrina, 
a 
nostro 
avviso, 
trova 
conferma 
nelle 
parole 
che 
il 
legislatore 
spende 
nell�ambito dell�art. 220 disp. att. c.p.p., ove, similmente 
all�art. 
55 c.p.p., ordina 
a 
chi 
ha 
condotto le 
attivit� 
investigative, di 
procedere 
secondo le 
norme 
del 
codice 
nei 
casi 
in cui 
�emergano indizi 
di 
reato�, che 
� 
ci� che 
sarebbe 
chiamato a 
fare 
un ufficiale 
di 
polizia 
giudiziaria 
nel 
caso in cui 
raccogliesse 
una 
notizia 
di 
reato. A 
nostro avviso, dunque, si 
potrebbe 
guardare 
all�art. 220 come fosse una norma di raccordo del sistema. 
(14) l. nISCo, Paletti 
all�efficacia del 
Pvc, risultanze 
non utilizzabili 
se 
non si 
rispetta la procedura, 
ItaliaOggi7, 23.02.2015. 
(15) Supra, v. � 2. 
(16) r. orlAnDI, Atti e informazioni, cit. p. 133. 

rASSeGnA 
AVVoCATurA 
Dello 
STATo - n. 1/2017 


l'esame 
a 
�viva 
voce�, innanzi 
al 
giudice 
che 
sar� 
poi 
chiamato a 
decidere, 
nel 
contraddittorio 
fra 
le 
parti 
�, 
innegabilmente, 
l'elemento 
maggiormente 
a 
rischio se 
si 
accogliesse 
la 
teoria 
- qui 
criticata 
- che 
considera 
per la 
maggior parte 
acquisibili 
gli 
atti 
provenienti 
dall'amministrazione. Il 
rispetto 
di 
questi 
principi 
costituisce 
uno 
degli 
obiettivi 
della 
legge 
processuale 
penale 
(17). Pare 
opportuno, allora, illustrare 
in questa 
sede 
le 
principali 
problematiche 
che, in termini molto pratici, possono ricondursi agli atti misti. 


Prendiamo 
gli 
atti 
a 
contenuto 
dichiarativo 
che 
documentano 
informazioni 
provenienti 
dalla 
persona 
nei 
cui 
confronti 
si 
svolge 
l�attivit� 
ispettiva 
e 
consideriamo 
a 
parte 
gli 
accertamenti 
tributari, 
intesi 
come 
conclusione 
di 
una 
precedente 
attivit� 
ispettiva 
volta 
a 
stabilire 
il 
quantum 
di 
evasione 
o, comunque, 
la 
condotta 
illecita 
del 
contribuente. Queste 
categorie, anche 
in virt� dei 
materiali 
che 
si 
passeranno in rassegna, sono fra 
le 
pi� problematiche, quelle 
che hanno sollevato la maggior parte delle incertezze in sede applicativa. 

Iniziamo dagli 
atti 
a 
contenuto dichiarativo e, nel 
dettaglio, gli 
atti 
contenenti 
le 
dichiarazioni 
di 
chi 
potrebbe 
divenire, in una 
progressione 
processuale, 
indagato 
prima, 
imputato 
poi. 
la 
situazione 
� 
facile 
da 
immaginare. 
nel 
corso 
di 
un'attivit� 
ispettiva, 
una 
persona 
� 
posta 
nella 
condizione 
di 
dover 
�collaborare� 
con l'amministrazione, magari 
a 
pena 
di 
sanzione 
amministrativa, 
ma nel farlo rischierebbe di rendere dichiarazioni auto-indizianti. 


I 
dubbi 
che 
possono 
nascere 
appaiono 
intuitivi: 
bisogner� 
sentire 
quel 
soggetto affidandosi 
alle 
regole 
codicistiche 
o si 
pu� legittimamente 
restarne 
al 
di 
fuori? 
� 
qui 
che 
affiora 
la 
necessit� 
di 
dare 
giusta 
lettura 
di 
quegli 
�indizi 
di 
reato� 
di 
cui 
al 
220; 
tutto pu� essere 
ricondotto a 
quel 
momento. Se 
si 
ritenesse 
di 
attendere 
l'emersione 
di 
un indizio meglio formato, si 
dovrebbe 
procedere 
a 
prescindere 
dalle 
garanzie 
del 
codice: 
varrebbe 
gi� 
qui 
il 
principio 
nemo tenetur se detegere? 


Sul 
punto si 
torner� 
pi� avanti, ma, sin d�ora, � 
bene 
evidenziare 
come 
sia 
anche 
e 
soprattutto per situazioni 
come 
questa 
che 
si 
ritiene 
pi� corretto 
adoperare 
una 
concezione 
embrionale 
di 
indizio, una 
mera 
possibilit� 
di 
reato 
appunto. non bisogner� 
attendere 
che 
il 
soggetto abbia 
�deposto� 
per aprire 
(paradossalmente) le porte del codice di procedura (18). 

Meno intuitiva, forse, la questione afferente agli accertamenti tributari. 

In 
quest�ambito, 
ed 
ai 
fini 
di 
assicurare 
la 
pi� 
alta 
partecipazione 
dei 
con


(17) 
l�affermazione 
� 
liberamente 
ispirata 
a 
r. 
orlAnDI, 
Atti 
e 
informazioni, 
cit., 
nota 
�7�, 
p. 
139. 
(18) A 
nostro avviso, se 
si 
considerasse 
questa 
come 
unica 
via 
percorribile, si 
giungerebbe 
ad un 
�involuzione� 
del 
sistema. Dovremmo sostenere, infatti, che 
le 
regole 
del 
codice, in riferimento a 
quel 
soggetto, si 
applicheranno solo dopo che 
vi 
sia 
stata 
la 
loro impunita 
violazione. Dal 
nostro punto di 
vista 
ad essere 
messo in crisi 
potrebbe 
essere 
anche 
il 
principio di 
uguaglianza 
e 
ragionevolezza. Pare 
che 
vi 
sia 
il 
rischio di 
dover qualificare 
gli 
indagati 
secondo schemi 
differenti: 
i 
pi� e 
i 
meno fortunati, 
ed i 
pi� fortunati 
sarebbero quelli 
gi� 
inseriti 
nei 
procedimenti 
penali. Si 
segnala 
come 
la 
questione, qui 
solo introdotta, sar� oggetto di un pi approfondito vaglio in sede di conclusioni. 

DoTTrInA 
271 


sociati 
alle 
spese 
pubbliche, � 
consentito �l�esercizio di 
poteri 
istruttori 
[finalizzati 
ad] esercitare 
la 
funzione 
di 
accertamento dei 
tributi, di 
riscossione 
e 
di 
irrogazione 
di 
sanzioni� (19). Il 
mancato rispetto della 
normativa 
tributaria 
pu� condurre 
il 
contribuente, o il 
presunto evasore 
se 
si 
preferisce, verso sanzioni 
sia 
amministrative 
sia 
penali. Da 
questo punto di 
vista, � 
di 
grande 
interesse 
analizzare 
il 
rapporto 
tra 
Amministrazione 
e 
cittadino, 
per 
stabilire 
se 
ed 
entro 
quali 
limiti 
il 
secondo 
sia 
tenuto 
a 
collaborare 
con 
la 
prima, 
anche 
a 
costo 
di nuocere a se stesso (20). 


Sotto 
questo 
aspetto, 
appare 
istruttivo 
soffermarsi 
sui 
Pvc 
redatti 
dalla 
Guardia 
di 
finanza. la 
scelta 
non � 
casuale, essi 
rappresentano gli 
atti 
su cui 
di 
recente 
si 
� 
soffermata 
una 
giurisprudenza 
oscillante 
fra 
ragioni 
repressive 
e ragioni del garantismo. 


In effetti 
i 
Pvc 
hanno sollevato e 
sollevano tutt�ora 
molte 
perplessit� 
in 
merito all�operativit� 
dell�art. 220, ci� in quanto si 
sostiene 
che 
gli 
indizi 
di 
reato possono emergere 
solo al 
compimento degli 
atti 
richiamati, e 
questo soprattutto 
per le 
evasioni 
tributarie 
con soglie 
di 
punibilit�. occorre 
rilevare, a 
riprova 
dell�oscurit� 
che 
ha 
riguardato 
la 
tematica, 
che 
per 
lungo 
tempo 
la 
giurisprudenza 
della 
Cassazione 
ha 
qualificato 
i 
Pvc 
come 
prove 
documentali 
che 
potevano entrare 
nel 
processo per la 
comoda 
via 
dell�art. 234 c.p.p., con conseguente 
aggiramento dell�art. 220. 


non bisogna 
calare 
questo orientamento tanto in l� 
nel 
tempo, basta 
volgere 
lo sguardo al 
2015. Si 
� 
in parte 
gi� 
detto, ma 
pare 
opportuno riprendere 
la 
questione. 
la 
Cassazione 
(21), 
pochi 
giorni 
prima 
di 
un�altra 
sferzante 
pronuncia 
(22), ha 
annoverato, in maniera 
anche 
abbastanza 
semplicistica 
per le 
argomentazioni 
offerte, i 
Pvc 
fra 
gli 
atti 
irripetibili, per questa 
ragione 
acquisibili 
al 
fascicolo per il 
dibattimento ed utilizzabili 
dal 
giudice 
nel 
giudizio di 
colpevolezza 
(23). Ci�, allora, consente 
a 
noi 
di 
ricordare 
come 
le 
modalit� 
di 
acquisizione 
delle 
prove 
sono regolate 
da 
regole 
e 
divieti 
cogenti 
nel 
nostro 
sistema penale. 


non 
sono 
certo 
nuove 
le 
teorie 
che 
sottolineano 
la 
centralit� 
del 
tema 
nell�ambito 
di 
un 
sistema 
votato 
allo 
schema 
accusatorio. 
neppure 
sembra 
opinabile 
il 
rilievo secondo il 
quale 
conferire 
una 
simile 
rilevanza 
al 
modus 
nella 
formazione 
della 
prova 
muove 
nel 
pieno rispetto delle 
intenzioni 
del 
legislatore, 
la 
cui 
aspirazione 
era 
quella 
di 
costruire 
un 
ordinamento 
processuale 
che 
si 
fondasse 
sul 
principio della 
legalit� 
della 
prova 
(24). lo scopo, in con


(19) 
P. 
Sorbello, 
La 
valutazione 
di 
sospetti, 
indizi 
e 
notizie 
di 
reato 
nel 
passaggio 
(incerto) 
dalle 
attivit� ispettive alle funzioni di polizia giudiziaria, Diritto penale contemporaneo, 2/2016, p. 128. 
(20) In merito a questo aspetto si richiamano le considerazioni svolte poche righe pi� su. 
(21) Cass. Pen., sez. III, n. 1973 del 2015. 
(22) Cass. Pen., sez. III, n. 4919 del 2015. 
(23) In quella 
occasione 
la 
Corte 
non ha 
inteso effettuare 
un approfondito vaglio dei 
principi 
che 
ispirano l�acquisizione probatoria. 

rASSeGnA 
AVVoCATurA 
Dello 
STATo - n. 1/2017 


clusione, 
era 
quello 
di 
�sottolineare 
la 
funzionalit� 
delle 
relative 
regole 
rispetto 
alla formazione del convincimento del giudice� (25). 

Se 
l�orientamento della 
passata 
giurisprudenza 
ha 
trascurato i 
principi 
richiamati, 
l�evoluzione pi� recente sembra pi� aperta alle istanze garantiste. 


Merita 
di 
essere 
segnalata, 
in 
particolare, 
una 
recente 
pronuncia 
della 
Cassazione 
(26) 
in 
cui 
si 
� 
provveduto 
a 
prendere 
una 
ferma 
presa 
di 
posizione, 
in 
chiaro 
disaccordo 
con 
quanto 
soli 
pochi 
giorni 
prima 
si 
era 
sostenuto. 
la 
sentenza 
sar� 
oggetto 
di 
una 
pi� 
attenta 
riflessione 
fra 
qualche 
pagina, 
per 
ora 
sar� 
sufficiente 
sapere 
che 
in 
quella 
sede 
� 
stata 
affermata 
l�inutilizzabilit� 
dei 
Pvc 
nella 
parte 
in 
cui 
questi 
si 
fossero 
formati 
solo 
dopo 
l�emersione 
della 
notitia 
criminis. 


Si 
chiude, 
invece, 
questo 
paragrafo 
individuando 
a 
quale 
regime 
di 
invalidit� 
debbono 
essere 
ricondotte 
le 
violazioni 
di 
cui 
si 
� 
detto. 
Si 
condivide 
qui 
la 
tesi, 
maggioritaria, 
che 
vede 
nell�inutilizzabilit� 
(27) 
la 
giusta 
sanzione. 
l�art. 
220 
disp. 
att. 
vuole 
garantire 
il 
rispetto, 
per 
assicurare 
le 
fonti 
di 
prova 
-o 
le 
prove, 
se 
l�atto 
� 
irripetibile 
-delle 
regole 
di 
cui 
al 
codice. 
Dunque, 
�se 
le 
forme 
stabilite 
non 
sono 
rispettate, 
l�atto 
non 
potr� 
avere 
(�) 
valore 
di 
prova� 
(28). 


Questa 
distinzione 
non � 
solamente 
dogmatica, possiede 
anche 
diverse 
e 
rilevanti 
conseguenze 
pratiche: 
il 
regime 
di 
rilevabilit� 
del 
vizio. 
riconducendo 
i 
vizi 
alla 
sanzione 
dell�inutilizzabilit�, 
non 
sfugge 
che 
il 
vizio 
-elemento 
certo non secondario - potr� 
essere 
rilevato anche 
d�ufficio dal 
giudice 
in ogni stato e grado del procedimento. 

4. Polizia amministrativa e 
giudiziaria nell'ambito delle 
attivit� ispettive 
e 
di 
vigilanza. 
Quanto si 
� 
detto, svela 
un altro profilo problematico: 
quello dell'asserita 
distinzione tra funzione di polizia amministrativa e giudiziaria. 


ora, in via 
preliminare, si 
consideri 
come, secondo insegnamento tradizionale 
(29), i 
concetti 
di 
polizia 
amministrativa 
e 
giudiziaria 
debbono tenersi 
distinti, 
perch� 
diversi 
sono 
gli 
interessi 
che 
lo 
Stato 
intende 
perseguire. 
Mentre 
alla 
polizia 
amministrativa 
sarebbero 
assegnate 
per 
lo 
pi� 
funzioni 
preventive 
o 
di 
perseguimento 
di 
illeciti 
posti 
a 
tutela 
di 
interessi 
settoriali 


(24) Molti 
autori 
hanno affrontato la 
questione. Fra 
molti 
si 
vedano M. nobIlI, Principio di 
legalit�, 
processo, 
diritto 
sostanziale, 
in 
Scenari 
e 
trasformazioni 
del 
processo 
penale, 
Padova, 
1998, 
p. 
182; 
V. GreVI, Prove, in Compendio di 
procedura penale, G. ConSo, V. GreVI 
e 
M. bArGIS, settima 
edizione, e, con specifico riguardo alle tematiche qui trattate, r. orlAnDI, Atti e informazioni, cit. 
(25) V. GreVI, Prove, 
in Compendio di procedura penale, cit., p. 314. 
(26) Cass. Pen., sez. III, 4919/2015. 
(27) In giurisprudenza, fra 
le 
altre, Cass. Pen., sez. III, n. 12254 del 
2014; 
Cass. Pen, sez. III, n. 
28053 del 2011. 
(28) Cos�, G. bISCArDI, Atti 
a finalit� mista, indizi 
di 
reato e 
garanzie 
difensiva. Una sintesi 
difficile, 
Processo penale e giustizia, n. 6 del 2015, p. 159 ss. 
(29) Si 
veda, tra 
gli 
altri, S. GIAMbruno, voce 
Polizia giudiziaria, in Dig. dis. pen., vol. IX, utet, 
p. 597 ss.; b. bruno, voce 
Polizia giudiziaria, in Enc. dir., vol XXXIV, Giuffr� 1985, p. 159 ss. 

DoTTrInA 
273 


dell�amministrazione 
pubblica, verificando la 
corrispondenza 
del 
comportamento 
dei 
cittadini 
alle 
leggi, ai 
regolamenti 
e 
agli 
atti 
amministrativi 
in genere; 
alla 
polizia 
giudiziaria 
spetterebbero 
funzioni 
repressive 
nel 
campo 
penale. 
Quindi, 
a 
seguito 
della 
asserita 
commissione 
di 
un 
reato, 
essa 
prender� 
notizia 
del 
reato, 
impedir� 
che 
venga 
portato 
a 
conseguenze 
ulteriori, 
ricercher� 
gli 
autori 
e 
- per quanto qui 
interessa 
- porr� 
in essere 
le 
attivit� 
utili 
per 
assicurare 
le 
fonti 
di 
prova 
(30). Dunque, siccome 
la 
polizia 
amministrativa 
esprime 
un 
potere 
di 
vigilanza, 
mentre 
quella 
giudiziaria 
esprime 
un 
potere 
�istruttorio o preistruttorio, preordinato ai 
fini 
giurisdizionali� (31), le 
due 
attivit� 
debbono tenersi 
su piani 
diversi. le 
prime 
saranno, come 
ha 
affermato 
certa giurisprudenza, neutre 
rispetto al procedimento penale (32). 


non 
sono 
state 
poche 
le 
critiche 
a 
questa 
distinzione, 
non 
� 
raro 
imbattersi 
in 
contributi 
in 
cui 
si 
ritiene 
intollerabile 
che 
sulla 
scorta 
di 
una 
distinzione 
dogmatica, 
sconfessata 
-a 
volte 
-dalla 
pratica 
del 
diritto, 
non 
si 
riconoscano, 
o 
meglio, 
si 
ledano 
le 
tutele 
difensive 
in 
ordine 
alla 
formazione 
della 
prova 
penale 
(33). 


Questo � 
vero soprattutto - elemento che 
ha 
spesso acceso gli 
animi 
-, se 
si 
considera 
che 
l'atteggiamento 
del 
cittadino 
pu� 
di 
frequente 
travalicare 
i 
confini 
dell'illecito 
amministrativo. 
Si 
comprende 
bene, 
quindi, 
come 
la 
discussione 
possa 
facilmente 
assumere 
anche 
un 
certo 
rilievo 
pratico. 
Qualificare 
in maniera 
adeguata 
i 
soggetti 
che 
compiono attivit� 
d'indagine, ampiamente 
intesa, e 
dunque 
asservirli 
a 
certe 
(pi� rigorose) regole 
piuttosto che 
altre, pu� 
anche 
fare 
la 
differenza 
tra 
la 
libert� 
o 
le 
carceri, 
tra 
il 
candore 
di 
un 
certificato 
penale 
bianco o il 
marchio socialmente 
(ancora) infamante 
di 
una 
condanna. 
Molti sono stati gli esempi portati dalla dottrina. 


ed allora, venendo al 
pur particolare 
caso dei 
prelievi 
e 
delle 
analisi, si 
� 
sostenuto che 
queste 
attivit� 
siano �inconsciamente� (34) tese 
alla 
ricerca 
di 
prove 
da 
spendersi 
in un processo penale. Ancora 
pi� incisiva 
l'affermazione 
secondo cui 
sarebbe 
�utopico ed irreale� (35) sostenere 
che 
l'attivit� 
di 
vigilanza 
persegua fini meramente amministrativi. 


Insomma, 
secondo 
questo 
filone 
interpretativo, 
pi� 
che 
a 
reali 
differenze, 
saremmo di fronte ad un �garbuglio� (36). 


(30) V. art. 55 c.p.p. 
(31) 
n. 
FurIn, 
Polizia 
amministrativa 
e 
polizia 
giudiziaria; 
possono 
le 
pretese 
distinzioni 
tra 
queste 
funzioni 
limitare 
le 
garanzie 
difensive 
nell'ambito 
dell'attivit� 
ispettiva 
e 
di 
vigilanza 
amministrativa?, 
in Cassazione Penale, Fasc. 7-8, 1999, p. 2441. 
(32) Fra le tante, Corte cost., n. 69/1968, Corte cost., n. 122/1974. 
(33) Per un'attenta ed interessante analisi sul tema, n. FurIn, Polizia amministrativa, cit. 
(34) 
V. 
e. 
AMoDIo, 
Modalit� 
di 
prelevamento 
di 
campioni 
e 
diritto 
di 
difesa 
nel 
processo 
per 
frodi 
alimentari, in 
Riv. it. dir. e proc. Pen., 1970, p. 116 ss. 
(35) M. nobIlI, Atti 
di 
polizia amministrativa utilizzabili 
nel 
processo penale 
e 
diritto di 
difesa: 
una pronuncia marcatamente innovativa, in Foro italiano, 1984, I, p. 375 ss. 
(36) �Se 
tutto il 
codice 
dovessi 
volgere, se 
tutto l'indice 
dovessi 
leggere, con un equivoco, con un 
sinonimo qualche garbuglio si trover�� 
penserebbe bartolo, ne �le nozze di Figaro�, W.A. Mozart. 

rASSeGnA 
AVVoCATurA 
Dello 
STATo - n. 1/2017 


Incisiva 
appare 
la 
critica 
avanzata 
da 
chi 
crede 
che 
questa 
distinzione 
��si 
risolve 
in uno strumento artificioso, con il 
quale 
si 
tenta 
invano di 
dare 
fondamento 
giuridico 
alla 
scelta 
di 
negare 
i 
diritti 
di 
difesa 
(�), 
privando 
il 
cittadino 
dell'unico mezzo mediante 
il 
quale 
egli 
pu� autogarantirsi 
nei 
confronti 
dello 
Stato durante 
l'espletamento di 
un procedimento che 
lo pu� portare 
all'incriminazione 
e al processo�� (37). 


Si 
noti 
solo 
che, 
secondo 
la 
prima 
lettura, 
sarebbe 
pi� 
facile 
garantire 
l'ingresso 
degli 
atti 
nel 
procedimento penale. Si 
potrebbe 
utilizzare, in ipotesi 
e 
senza 
pretese 
di 
esaustivit�, l'art. 234 c.p.p. aprendo, a 
questi 
atti, le 
porte 
del 
processo (38). 

ovviamente 
le 
posizioni 
che, molto sinteticamente, si 
sono riportate 
- e 
riservandoci 
di 
prendere 
pi� puntuale 
posizione 
solo in sede 
di 
conclusioni 
manifestano 
anche 
due 
modi 
diversi 
di 
guardare 
al 
processo. riaffiora 
quella 
dicotomia 
di 
cui 
molto si 
� 
gi� 
detto: 
chi 
sostiene 
un processo penale 
efficace, 
e 
chi 
vorrebbe 
che 
ad essere 
efficaci 
fossero le 
garanzie 
individuali. Questo, 
in estrema sintesi, l�oggetto della controversia. 


la 
questione 
� 
tutt�altro 
che 
sopita 
e 
molto 
di 
recente 
� 
riemersa 
l�esigenza 
di 
un�attenta 
riflessione 
in 
riferimento 
alla 
qualifica 
da 
attribuire 
ai 
funzionari 
ArPA, materia 
sulla 
quale 
sono tornate 
sia 
la 
Cassazione 
sia 
la 
Corte 
costituzionale 
(39). Dall�analisi 
delle 
due 
pronunce 
si 
comprende 
bene 
quali 
siano i 
criteri 
utili 
per identificare 
con precisione 
quale 
debba 
essere 
la 
qualifica 
da 
attribuire 
ad 
un 
soggetto. 
l�ambito 
in 
cui 
si 
muovono 
i 
giudici 
� 
quello 
ambientale, oggi al centro di un rinnovato dibattito. 

negli 
ultimi 
due 
anni, infatti, il 
legislatore 
si 
� 
mostrato pi� sensibile 
alle 
tematiche 
ambientali 
ed ha 
cos� 
provveduto, nel 
2015 (40), ad un corposo rinnovamento 
della 
risposta 
penale 
a 
comportamenti 
ritenuti 
lesivi 
del 
diritto 
costituzionale 
ad un ambiente 
salubre 
(41). l'intervento legislativo � 
senz'altro 
in 
linea 
coi 
tempi 
moderni, 
nei 
quali 
l'attenzione 
per 
la 
salute, 
che 
passa 
anche 
ed inevitabilmente 
per una 
nuova 
attenzione 
verso l'ambiente, occupa 
buona 
parte 
dei 
dibattiti 
politici. Assume 
pertanto un sicuro rilievo l�interrogativo in 
merito alla qualifica soggettiva dell�operatore 
ArPA. 


ebbene, 
la 
strada 
da 
seguire, 
in 
un'analisi 
critica 
circa 
la 
corretta 
qualifica 
da 
abbinare 
ad 
un 
soggetto, 
deve 
essere 
una 
giusta 
sintesi 
tra 
elementi 
prettamente 
processuali 
ed 
altri 
sostanziali; 
bisogna 
guardare, 
cio�, 
alle 
attivit� 
svolte 


(37) Cos�, n. FurIn, Polizia amministrativa, cit., p. 2446. 
(38) Per un'attenta e minuziosa analisi, r. orlAnDI, Atti e informazioni, cit., p. 133 ss. 
(39) Cass. Pen., sez. III, n. 50352 del 2016 e Corte cost. n. 8 del 2017. 
(40) Il legislatore � intervenuto con la l. n. 68 del 2015. 
(41) Anche 
per questa 
ragione, per la 
nuova 
risposta 
penale, il 
tema 
costituisce 
il 
pi� moderno 
terreno di 
dialogo. oggi 
pi� che 
in passato, infatti, concedere 
o meno l�ingresso al 
dibattimento di 
atti, 
analisi 
nello specifico, spesso irripetibili 
costituisce 
una 
maggiore 
fonte 
di 
rischio, e 
ha 
riacceso le 
luci 
sulla questione che, per la verit�, � stata altre volte affrontata. 

DoTTrInA 
275 


dagli 
operatori, 
ai 
beni 
che 
quell'attivit� 
vuole 
difendere 
e 
alla 
fonte 
del 
loro 
potere. 
In 
pratica 
bisogner� 
affiancare 
agli 
articoli 
57 
e 
55 
del 
codice 
di 
rito, 
che 
descrivono 
chi, 
astrattamente, 
� 
chiamato 
a 
svolgere 
certe 
funzioni 
e 
di 
quali 
funzioni 
si 
tratta, 
una 
domanda 
in 
merito 
a 
cosa 
deve 
essere 
protetto. 
In 
definitiva, 
bisogner� 
chiedersi 
se 
la 
materia 
in 
cui 
si 
interviene 
sia 
presidiata 
dalla 
legge 
penale. 
Tutto 
ci�, 
� 
bene 
ricordarlo, 
non 
pu� 
prescindere 
da 
un�analisi, 
come 
detto, 
circa 
la 
fonte 
del 
potere 
di 
questi 
soggetti, 
fonte 
che 
deve 
essere 
statale. 


In questo senso si 
colloca 
la 
richiamata 
sentenza 
della 
Consulta, ove 
si 
censura 
la 
pratica 
di 
individuare 
tramite 
legge 
regionale 
(nel 
caso di 
specie, 
della 
basilicata) gli 
operatori 
(ArPA) cui 
attribuire 
la 
qualifica 
di 
ufficiali 
di 
polizia 
giudiziaria. 
Questa 
pratica 
si 
pone 
in 
aperto 
conflitto 
con 
l�art. 
117, 
co. 
2, let. l) della 
Costituzione, che 
assegna 
alla 
legislazione 
statale, in via 
esclusiva, 
l�attribuzione 
di 
funzioni 
e 
poteri 
in 
capo 
ai 
soggetti 
processuali, 
ivi 
compresi 
gli organi di polizia giudiziaria (42). 

Si 
torner� 
in seguito sull�argomento, ma 
sin d�ora 
preme 
dire 
che 
una 
simile 
digressione 
� 
tutt�altro 
che 
estranea 
al 
tema 
proposto, 
ci� 
in 
quanto 
la 
qualifica 
soggettiva 
dell�operatore 
ha 
chiari 
riflessi 
sul 
regime 
di 
utilizzabilit� 
degli 
atti 
da 
questi 
posti 
in essere. Si 
pensi, ad esempio, al 
caso in cui 
le 
indagini 
siano condotte, dopo l�emergere 
degli 
indizi 
di 
reato (dunque 
quando gi� 
si 
dovrebbe 
parlare 
di 
indagini 
preliminari 
penali), 
da 
un 
soggetto 
cui 
non 
pu� 
essere 
ricondotta 
la 
qualifica 
di 
polizia 
giudiziaria, quale 
la 
sorte 
processuale 
degli atti prodotti? Saranno radicalmente inutilizzabili? (43). 


5. Il progressivo formarsi dell'orientamento pi� garantista. 
Sino ai 
primi 
anni 
2000 la 
giurisprudenza 
di 
legittimit� 
si 
mostrava 
non 
troppo 
garantista, 
seguiva 
una 
strada 
che 
sembrava 
descrivere 
i 
due 
ambiti, 
quello amministrativo e 
quello penale, come 
nettamente 
diversi 
e, seppur innegabili 
apparivano i 
punti 
d'incontro, non pareva 
preoccuparsi 
troppo dei 
rischi 
o dei pericoli che potevano subentrare ad un incontrollato contatto (44). 


nel 
2001, con una 
sentenza 
di 
notevole 
impatto, le 
Sezioni 
unite 
della 
Cassazione 
(45) 
analizzarono, 
nello 
specifico, 
l'utilizzabilit� 
della 
testimonianza 
di 
un ispettore 
del 
lavoro circa 
dichiarazioni 
a 
lui 
rese 
nel 
corso del


(42) Prendendo spunto dalle 
parole 
della 
Consulta, � 
giusto il 
caso di 
segnalare 
come 
la 
scelta 
del 
legislatore 
regionale 
(ossia 
la 
legge 
della 
regione 
basilicata 
n. 37/2015, il 
cui 
art. 31, co. 4, ha 
subito 
la 
declaratoria 
di 
incostituzionalit�) 
�si 
spiega 
con 
l�obiettivo 
di 
rendere 
maggiormente 
efficacie 
l�attivit� 
ispettiva 
in 
materia 
ambientale, 
in 
un 
contesto 
normativo 
[statale] 
che, 
anteriormente 
alla 
riforma 
recata 
dall�art. 14, comma 
7, della 
legge 
28 giugno 2016, n. 132 (...), si 
prestava 
ad opposte 
interpretazioni 
in 
ordine 
all�esistenza 
di 
una 
fonte 
(appunto, 
statale) 
idonea 
ad 
attribuire 
al 
personale 
ispettivo 
delle 
agenzie 
la qualifica in questione�. 
(43) Sul punto si torner� in sede di conclusioni. 
(44) Fra 
le 
tante, Cass. Pen., sez. II. 25 giugno 1997, Donciglio; 
Cass. Pen., sez. II, 27 novembre 
1998, ricci; Cass. Pen., sez. II, 18 febbraio 2000, Tornatore. 
(45) Cassazione, SS.uu. 45477/2001. 

rASSeGnA 
AVVoCATurA 
Dello 
STATo - n. 1/2017 


l'inchiesta 
amministrativa 
da 
persona 
poi 
sottoposta 
alle 
indagini. 
In 
quella 
circostanza, i 
due 
primi 
giudici 
non reputarono violata 
nessuna 
delle 
disposizioni 
poste 
a 
pena 
di 
inutilizzabilit� 
sull'assunto che 
le 
dichiarazioni 
auto - ed 
etero - accusatorie 
erano state 
rese 
nel 
corso di 
un'indagine 
meramente 
amministrativa, 
non toccava 
il 
processo penale, sicch� 
non vi 
era 
stata 
la 
violazione 
degli articoli 62 e 63 c.p.p. 


Su questa 
linea, trincerandosi 
dietro l�idea 
taumaturgica 
di 
�libero convincimento� 
(art. 192 c.p.p.), si 
riteneva 
ammissibile 
ed utilizzabile 
la 
testimonianza 
�in 
quanto 
(avrebbe) 
ad 
oggetto 
un 
fatto 
storico 
estraneo 
al 
procedimento penale 
e 
liberamente 
valutabile 
dal 
giudice� 
(46). Cos� 
facendo 
per�, 
si 
pu� 
aggiungere, 
si 
rischia 
di 
non 
guardare 
il 
problema 
dalla 
giusta 
prospettiva. VՏ 
di 
pi�, �argomenti 
di 
questo tipo rovesciano i 
termini 
della 
questione, 
in 
quanto 
antepongono 
il 
potere 
giudiziale 
di 
valutazione 
della 
prova 
alle 
regole 
sui 
limiti 
di 
ammissione 
e 
utilizzazione 
della 
stessa. 
In 
realt�, 
sono questi 
ultimi 
a 
circoscrivere 
l�ambito entro cui 
pu� esercitarsi 
il 
convincimento 
giudiziale� (47). e 
poi, sarebbe 
troppo facile 
far leva 
sul 
citato art. 
192, con un�interpretazione 
cos� 
palesemente 
lesiva 
del 
diritto di 
difesa 
e 
del 
complesso di 
regole 
che 
disciplinano le 
modalit� 
di 
formazione 
della 
prova 
a 
pena di nullit� o inutilizzabilit�. 


In quella 
occasione, il 
Supremo Collegio colse 
l�occasione 
(48) per censurare 
questa 
linea 
di 
pensiero, contraria 
ai 
principi 
della 
nostra 
Carta 
fondamentale, 
principi 
sui 
quali, tra 
le 
altre 
cose, e 
proprio in relazione 
alle 
attivit� 
amministrative, si 
era 
espressa 
anche 
la 
Corte 
costituzionale, sotto la 
vigenza 
del vecchio codice di rito (49), sino ad allora inascoltata. 

nel 
2001 le 
Sezioni 
uniti, dando finalmente 
seguito alle 
risalenti 
decisioni 
della 
Consulta, finirono per affermare 
la 
supremazia 
del 
diritto di 
difesa 
rispetto ad altre 
esigenze 
statuali. l'articolo 24 Cost., in effetti, pretende 
che 
la 
difesa 
sia 
effettiva 
e 
le 
argomentazioni 
mosse 
dai 
giudici 
sino ad allora 
non 
giustificavano certo la 
compressione 
del 
diritto che, nei 
fatti, era 
gi� 
in atto. 
All'epoca 
la 
Corte 
non giunse 
ad affermarlo, ma 
oggi, forti 
di 
un'interpreta


(46) Cassazione, SS.uu. 45477/2001. 
(47) r. orlAnDI, Atti 
e 
informazione, cit., p. 197. le 
argomentazioni 
dell�autore 
continuano in 
maniera 
sempre 
pi� 
convincente, 
si 
afferma 
�D�altra 
parte 
sarebbe 
illogico 
asserire 
che 
il 
convincimento 
giudiziale possa esercitarsi su un mezzo di prova vietato ai fini del decidere�. 
(48) nel 
caso esaminato dalla 
Cassazione, l'ispettore 
del 
lavoro, a 
seguito di 
una 
denuncia 
anonima, 
intraprese 
un'attivit� 
istruttoria 
in merito a 
tutti 
i 
rapporti 
di 
lavoro di 
una 
piccola 
colonia 
agraria 
nella 
zona 
di 
Alessandria 
della 
rocca. 
In 
questa 
sua 
attivit�, 
raccolse 
anche 
le 
dichiarazioni 
di 
una 
donna, 
che 
diverr� 
in seguito indagata 
(quindi 
imputato nel 
successivo processo penale), la 
quale 
rese 
delle 
dichiarazioni 
auto-accusatorie. In quel 
caso, dunque, gli 
�indizi 
di 
reato� 
di 
cui 
all'art. 220 disp. att. c.p.p. 
si 
erano palesati 
con forza 
e 
le 
indagini 
non potevano che 
continuare 
nel 
rispetto del 
rito penale 
e 
delle 
sue 
garanzie. 
In 
definitiva, 
gli 
atti 
prodotti 
successivamente 
al 
momento 
dell'emersione 
della 
notitia 
criminis 
erano da considerarsi inutilizzabili. 
(49) Fra le altre, Corte cost. n. 248/1983; n. 15/1986; n. 330/1990. 

DoTTrInA 
277 


zione 
che 
nel 
frattempo si 
� 
fatta 
strada, si 
pu� certamente 
dire 
che 
una 
simile 
impostazione, 
di 
fatto, 
gettava 
nel 
nulla 
la 
disposizione 
di 
cui 
all'art. 
220 
disp. 
att. c.p.p. 


una 
chiosa 
a 
parte 
merita 
la 
giurisprudenza 
costituzionale 
che, 
senza 
paura 
di 
essere 
contraddetti, possiamo dire 
costituisce 
il 
sostrato degli 
odierni 
sviluppi. 
In 
effetti, 
le 
radici 
del 
problema 
affondano 
negli 
oramai 
risalenti 
anni 
�60, �80 e �90. 

non sfugg� 
che 
l�art. 225, del 
previgente 
codice 
di 
rito, nella 
parte 
in cui 
consentiva, in certi 
casi, il 
compimento di 
veri 
e 
propri 
atti 
istruttori 
ad iniziativa 
degli 
ufficiali 
di 
polizia 
giudiziaria 
era 
in attrito con l�art. 24 della 
Costituzione. 
Anche 
oggi, 
ferme 
le 
differenze, 
valgono 
le 
considerazioni 
che 
ricordavano come 
ad essere 
proibite 
non dovevano intendersi, tout 
court, le 
indagini 
di 
polizia, ma 
solo �quelle 
che 
si 
risolvono in veri 
e 
propri 
atti 
istruttori 
da utilizzare nel processo� (50). 

In maniera 
del 
tutto conforme, fu corretto opinare 
che 
se 
� 
lecito che 
in 
sede 
ispettiva 
siano 
effettuati 
dei 
campionamenti 
senza 
preavviso, 
lo 
stesso 
non pu� dirsi 
in merito al 
momento delle 
analisi 
dei 
campioni 
prelevati 
destinate 
ad 
essere 
poi 
utilizzate 
in 
sede 
penale. 
Infatti, 
se 
il 
materiale 
risultasse 
deteriorabile 
(rectius 
irripetibile 
l�accertamento), 
l�anticipazione 
alla 
fase 
amministrativa 
delle 
garanzie 
difensive 
� 
condizione 
necessaria 
per l�uso probatorio 
(in sede 
penale) dei 
relativi 
risultati 
(51). Quando funzionari 
della 
P.A. 
effettuano 
accertamenti 
sotto 
le 
vesti 
di 
ufficiali 
di 
polizia 
giudiziaria, 
e 
questi 
risultino sfavorevoli 
alle 
persone 
interessate, ossia 
quando possono profilarsi 
ipotesi 
delittuose 
a 
loro carico, devono trovare 
spazio i 
meccanismi 
idonei 
a 
garantire 
almeno un minimo di 
contraddittorio e 
di 
assistenza 
e 
di 
difesa 
(52). 
Difatti, se 
� 
vero che 
il 
24, co. 2 Cost., proclama 
come 
inviolabile 
la 
difesa 
in 
ogni 
stato 
e 
grado 
del 
procedimento, 
non 
vi 
sono 
ragioni 
per 
non 
comprendervi 
anche 
gli 
atti 
di 
polizia 
giudiziaria. � 
chiaro come 
il 
disagio fosse 
gi� 
ben radicato 
presso il Giudice delle leggi. 


la 
stessa 
Consulta 
si 
� 
per 
verit� 
mostrata, 
delle 
volte, 
titubante. 
� 
cos� 
capitato 
che 
a 
ferme 
posizioni 
di 
principio 
seguisse 
poi 
una 
pronuncia, 
come 
dire, 
pi� 
accomodante 
nei 
riguardi 
dell'interpretazione 
meno 
garantista 
(53). 
Comunque, 
al 
di 
l� 
di 
questo, 
si 
consideri 
come, 
all'epoca, 
la 
Corte 
non 
poteva 
fare 
riferimento 
ad 
un 
dato 
senza 
il 
quale, 
oggi, 
ogni 
analisi 
sui 
principi 
che 
informano 
la 
materia 
penale 
sarebbe 
incompleta: 
l'art. 
111 
Cost., 
quale 
espressione, 
soprattutto 
in 
campo 
penale, 
di 
una 
concezione 
avversariale 
del 
diritto 
probatorio. 


(50) In questo senso, Corte cost. n. 86 del 1968 e 248 del 1983. 
(51) Corte cost. n. 248 del 1983. 
(52) In questo senso, fra le altre, Corte cost. n. 149/1969 e n. 15/1986. 
(53) Si 
veda, n. FurIn, Polizia amministrativa, cit. p. 2452. lo stesso n. FurIn, op. cit., p. 2447 
ss., porta 
ad esempio il 
rapporto fra 
i 
principi 
contenuti 
nella 
sentenza 
n. 86/1968 e 
la 
successiva 
pronuncia 
n. 149/1969. 

rASSeGnA 
AVVoCATurA 
Dello 
STATo - n. 1/2017 


ed 
allora, 
appare 
stridente 
con 
il 
senso 
del 
111 
tutta 
quella 
giurisprudenza, 
ancora 
presente, 
che, 
a 
dispetto 
dei 
principi 
in 
esso 
solennemente 
affermati 
nei 
commi 
3 
e 
4, 
non 
presta 
la 
giusta 
attenzione 
al 
tema 
dell'utilizzabilit� 
degli 
atti 
c.d. 
misti. 
Molte 
prove, 
o 
elementi 
di 
prova, 
potrebbero 
cos� 
formarsi 
al 
di 
fuori 
del 
contraddittorio, 
senza 
che 
vi 
sia 
il 
consenso 
dell'imputato, 
una 
comprovata 
condotta 
illecita 
o 
una 
(reale) 
accertata 
impossibilit� 
di 
natura 
oggettiva. 


non pu� essere 
neppure 
sottaciuta 
la 
problematica 
riconnessa 
alla 
ragionevole 
durata 
dei 
processi, soprattutto in seguito alla 
recente 
pronuncia 
della 
Corte 
Costituzionale 
(54). la 
sentenza 
da 
ultimo richiamata, infatti, afferma 
che 
il 
processo 
penale 
deve 
considerarsi 
iniziato 
-ai 
fini 
della 
ragionevole 
durata 
-quando 
l'indagato, 
in 
seguito 
ad 
un 
atto 
dell'autorit� 
giudiziaria, 
ha 
avuto 
conoscenza 
del 
procedimento penale 
a 
suo carico. Se 
nel 
corso del 
processo 
dovesse 
emergere 
che 
l�attivit� 
che 
si 
assumeva 
come 
amministrativa, 
in 
realt� 
fosse 
da 
qualificare 
come 
di 
polizia 
giudiziaria, e 
dunque 
dovessero riportarsi 
indietro le 
lancette 
dell�orologio ad un periodo pi� o meno risalente, questo 
avrebbe 
riflessi 
non solo sul 
regime 
dell�utilizzabilit� 
delle 
prove, ma 
anche 
sul 
rispetto del 
principio di 
ragionevole 
durata. Insomma, rischierebbe 
di 
essere 
un lungo ed ingiusto processo. 


Sulla 
scorta 
di 
quanto detto, neppure 
va 
trascurata 
la 
necessit� 
che 
il 
processo 
sia 
ricondotto 
ai 
parametri 
del 
fair 
trial 
secondo 
le 
norme 
della 
Cedu 
cos� 
come 
fatte 
vivere 
dalla 
Corte 
di 
Strasburgo (55). D'altronde, nessuna 
asserita 
esigenza 
di 
giustizia, a 
nostro avviso, pu� dirsi 
soddisfatta 
se 
raggiunta 
per 
compromessi. 
Il 
fine, 
sotto 
questo 
punto 
di 
vista, 
non 
pu� 
giustificare 
i 
mezzi (56). 


6. Ultimi approdi giurisprudenziali. 
A 
far data 
dalla 
sentenza 
delle 
Sezioni 
uniti, come 
anticipato, qualcosa 
� 
cambiato (57), pare 
si 
sia 
acquisita 
una 
consapevolezza 
maggiore 
in merito al 
bisogno 
di 
riconoscere 
agli 
indagati 
tutti 
gli 
strumenti 
concessi 
loro 
dal 
sistema 
per 
difendersi. 
Si 
colloca 
in 
questo 
senso, 
ad 
esempio, 
l'ordinanza 
con 
la 
quale 
il 
Tribunale 
di 
Vicenza 
(58) ha 
escluso l'utilizzabilit� 
dei 
risultati 
di 
accertamenti 
irripetibili 
compiuti 
nel 
corso della 
fase 
di 
indagini, secondo la 
dispo


(54) Corte 
cost. n. 184 del 
2015. Commento di 
M. PAPPone, Irragionevole 
durata del 
processo, 
dopo la pronuncia n. 184/2015 della Consulta: il 
termine 
decorre 
anche 
dalla conoscenza formale 
del 
procedimento durante le indagini preliminari, www.dirittopenalecontemporaneo.it. 
(55) l�art. 4 della 
Convenzione, � 1, afferma 
�ogni 
persona ha diritto a che 
la sua causa sia esaminata 
equamente, pubblicamente ed entro un termine ragionevole�. 
(56) In questo senso, n. FurIn, Diritto di difesa, cit. 
(57) Si vedano, fra le altre, Cass. 6881/2009 e Cass. 15372/2010. 
(58) ordinanza 
del 
Tribunale 
di 
Vicenza 
del 
5 febbraio 2009, nota 
a 
cura 
di 
n. FurIn 
ed e. De 
neGrI, Utilizzabilit� nel 
dibattimento di 
prelievi, campionamenti, analisi 
effettuati 
nelle 
indagini 
preliminari, 
in Ambiente&Sviluppo, 8/2009. 

DoTTrInA 
279 


sizione 
dell'art. 223 disp. att. c.p.p., anzich� 
dell'art. 360 c.p.p., pi� aperto alle 
garanzie difensive (59). 


ed 
ancora, 
proprio 
negli 
ultimi 
anni, 
questa 
consapevolezza 
ha 
raggiunto 
nuove 
frontiere, 
tuttavia 
non 
tutti 
i 
dubbi 
concernenti 
la 
materia 
sembrano 
siano stati 
fugati, ed ancora 
resistono ambiti 
ai 
quali 
il 
problema 
pare 
sconosciuto 
(60). 


Marcatamente 
garantista, come 
detto, � 
la 
recente 
sentenza 
della 
Cassazione 
(61) con la 
quale 
si 
affronta 
il 
problema 
della 
difficile 
relazione 
tra 
indizio 
di reato, spendibile ai fini del 220, e reati con soglie di punibilit� (62). 


la 
pronuncia 
ha 
avuto una 
certa 
eco (63) ed in effetti 
gli 
elementi 
in essa 
contenuti 
sono per buona 
parte 
rassicuranti. Si 
� 
scelta 
la 
via 
di 
una 
radicale 
critica 
ad un modo di 
operare 
irrispettoso delle 
regole 
codicistiche. In effetti, 
nell�affermare 
l�inutilizzabilit� 
del 
Pvc 
nella 
parte 
in cui 
quest�ultimo si 
sia 
formato dopo l�emergere 
di 
indizi 
di 
reato, la 
Cassazione 
ha 
manifestato un 
certo 
disagio. 
la 
sentenza 
si 
distingue 
per 
il 
forte 
invito, 
rivolto 
essenzialmente 
ai 
soggetti 
che 
conducono 
le 
indagini, 
ad 
effettuare 
una 
valutazione 
onesta, 
nel 
senso di 
schietto e, perch� 
no (?), leale 
apprezzamento degli 
elementi 
raccolti 
durante 
la 
fase 
di 
vigilanza 
amministrativa, di 
modo che 
sia 
consentita 
l'operativit� 
del 
rito penale 
non appena 
vi 
sia 
la 
�concreta 
probabilit� 
che 
la 
soglia 
possa 
essere 
superata� senza 
aspettare, quindi, che 
i 
documenti 
diano 
la �prova� del superamento delle soglie (64). 


Senza 
il 
rispetto di 
queste 
indicazioni, il 
Pvc 
� 
inutilizzabile 
come 
prova 


(59) la 
sentenza 
tocca 
un tema 
delicatissimo, ossia 
il 
complesso rapporto tra 
accertamenti 
irripetibili 
ed indizi 
di 
reato. Il 
caso di 
cui 
alla 
pronuncia 
riguardava 
un procedimento relativo ad un�illecita 
gestione 
di 
rifiuti. All�epoca 
l�ArPA 
effettu� delle 
analisi 
e 
dei 
campionamenti 
irripetibili 
a 
norma 
del-
l�art. 223 disp. att. nonostante 
la 
presenza 
di 
persone 
indagate 
alle 
quali, dunque, non fu garantita 
adeguatamente 
la 
difesa. 
Il 
Pm 
chiese 
l�acquisizione 
al 
fascicolo 
dibattimentale, 
ai 
sensi 
dell�art. 
431 
c.p.p., 
degli 
esiti 
delle 
analisi, essendo compiute 
nel 
corso di 
un�investigazione 
meramente 
amministrativa 
e 
secondo le 
regole 
di 
cui 
all�art. 223 disp. att. Innanzi 
alle 
eccezioni 
della 
difesa, per�, il 
giudice, ravvisando 
una 
lesione 
dei 
diritti 
difensivi, 
ed 
affermando 
che 
si 
sarebbe 
dovuto 
procedere 
secondo 
l�art. 
360 
c.p.p., dispose l�estromissione dal fascicolo dibattimentale dei verbali di prelievo e di analisi. 
(60) Questo � 
ancora 
vero per i 
casi 
in cui 
un curatore 
fallimentare 
acquisisca 
informazioni 
dal 
fallito. V. Cass. Pen., Sez. V, n. 41429 del 
2016. Si 
veda 
anche, G. bISCArDI, Atti 
a finalit� mista, cit., 
p. 156. 
(61) Cass. Pen., sez. III, 4919/2015. 
(62) Il 
problema 
� 
stato affrontato in ordine 
ai 
reati 
tributari, segnatamente 
quello di 
cui 
all'art. 4 
del D.lgs. 74/2000, per la cui punibilit� � previsto il superamento di certe soglie. 
(63) Si 
vedano, T. rAFArACI, Reati 
tributari 
con soglia di 
punibilit�, cit., l. nISCo, Paletti 
all�efficacia 
del 
Pvc, cit., 
l. AMbroSI 
- A. IorIo, Indizi 
di 
reato, verbali 
ad utilizzo ridotto, in Sole 
24 ore, 16 
febbraio 2015. 
(64) Del 
tutto onestamente, le 
ultime 
parole 
espresse 
dalla 
Cassazione 
(�concreta 
probabilit��) 
lasciano un po' 
l�amaro in bocca. Difatti, facendo un�analisi 
grammaticale 
ancor prima 
che 
giuridica, si 
nota 
che 
tra 
�mera 
possibilit�� 
- tesi 
qui 
sostenuta 
- e 
�concreta 
probabilit��, corre 
un diverso grado di 
apprezzamento. le 
nostre 
preoccupazioni, per�, possono dirsi 
diminuite 
in virt� dell�oggetto di 
quella 
sentenza, un atto che 
tipicamente 
� 
stato usato per spostare 
in l� 
il 
confine 
tra 
amministrativo e 
penale 
(il Pvc). Sotto questo punto di vista, la sentenza � molto incisiva. 

rASSeGnA 
AVVoCATurA 
Dello 
STATo - n. 1/2017 


nel 
dibattimento penale. la 
sentenza, dunque, si 
colloca 
nel 
senso delle 
cose 
che 
abbiamo 
detto 
e 
sconfessa 
l�assunto 
secondo 
il 
quale 
nei 
reati 
�soglia�, 
come 
quelli 
del 
caso 
di 
cui 
si 
occupava 
la 
Cassazione, 
si 
debba 
attendere 
il 
superamento della 
stessa. Da 
ci� si 
desume 
che 
il 
momento valutativo in riferimento 
all�emersione 
degli 
indizi 
di 
reato � 
certamente 
importante 
e 
merita 
particolare 
attenzione: 
quando 
� 
prevedibile, 
tornando 
per 
un 
attimo 
sul 
punto, 
che 
le 
condotte 
su 
cui 
si 
investiga 
lasceranno 
emergere 
un 
reato, 
bisogner� 
procedere nel rispetto delle garanzie difensive assicurate dal codice (65). 


recentissima 
e 
significativa 
anche 
l�ordinanza 
del 
Tribunale 
di 
Paola 
(66) 
con la 
quale 
si 
accoglie 
la 
questione 
sollevata 
dalla 
difesa 
in ordine 
all�inutilizzabilit� 
degli 
atti 
frutto delle 
analisi 
di 
cui 
all�art. 223 disp. att. c.p.p. (67). 
In effetti 
l�ordinanza 
effettua 
una 
puntuale 
ricognizione 
sul 
tema 
e 
specifica 
quali 
sono le 
condizioni 
che 
giustificano l�operativit� 
dell�art. 223 e 
quali, al 
contrario, prevedono l�abbandono della 
fase 
amministrativa 
e 
l�ingresso nel 
procedimento penale (68). 


l�art. 
223, 
distinguendo 
tra 
analisi 
revisionabili 
e 
non 
(quindi 
irripetibili) 
gi� 
predispone 
alcuni 
strumenti 
di 
tutela. Cos�, ad esempio, � 
previsto, per le 
analisi 
che 
non 
possono 
essere 
oggetto 
di 
revisione, 
che 
gli 
interessati 
assistano, 
anche 
con 
un 
loro 
tecnico, 
al 
compimento 
delle 
stesse. 
Si 
badi 
bene 
per�: 
le 
tutele 
apprestate 
dall�articolo sono sufficienti 
solo nel 
caso in cui 
si 
rimanga 
nello stretto ambito dell�attivit� 
amministrativa; 
in pratica 
anch�esse 


(65) 
Procedendo 
in 
senso 
contrario, 
e 
cio� 
ritenendo 
impossibile 
l�applicazione 
dell�art. 
220 
disp. 
att. nel 
caso dei 
reati 
con soglia 
di 
punibilit�, si 
finirebbe 
per ignorare 
�del 
tutto che 
ben prima del 
momento 
di 
sintesi 
finale 
in cui, ��tirando le 
somme��, si 
prende 
eventualmente 
atto dell�avvenuto superamento 
delle 
soglie, 
possono 
senz�altro 
profilarsi, 
e 
solitamente 
si 
profilano, 
elementi 
sintomatici 
indicativi 
di 
un probabile 
sviluppo nel 
senso della rilevanza penale, tali 
da imporre 
l�applicazione 
del-
l�art. 220 disp. att., in ossequio alla ratio di 
garanzia che 
gli 
� 
propria�, cos�, T. rAFArACI, Reati 
tributari, 
cit., pp. 678 e 679. 
(66) Tribunale Collegiale di Paola, ordinanza del 9 dicembre 2016. 
(67) 
Testualmente 
nell�ordinanza 
� 
detto 
che 
�occorre 
distinguere 
tra 
prelievo 
inerente 
ad 
attivit� 
amministrativa 
disciplinato 
dall�art. 
223 
e 
prelievo 
inerente 
ad 
attivit� 
di 
polizia 
giudiziaria 
nell�ambito 
di 
un�indagine 
preliminare, 
per 
il 
quale 
� 
applicabile 
l�art. 
220 
disp. 
att. 
poich�, 
per 
questa 
ipotesi, 
operano 
in 
via 
generale 
le 
norme 
di 
garanzia 
della 
difesa 
previste 
dal 
codice 
di 
rito, 
mentre 
per 
la 
prima 
i 
diritti 
della 
difesa 
devono 
essere 
assicurati 
solo 
laddove 
emergano 
indizi 
di 
reato, 
nel 
qual 
caso 
l�attivit� 
amministrativa 
non 
pu� 
definirsi 
extraprocessum; 
che 
� 
causa 
di 
inutilizzabilit� 
(�). 
Secondo 
la 
giurisprudenza 
della 
Suprema 
Corte, 
il 
presupposto 
per 
l�operativit� 
dell�art. 
220 
disp. 
att. 
c.p.p., 
e 
dunque 
per 
il 
sorgere 
dell�obbligo 
di 
osservare 
le 
disposizioni 
del 
codice 
di 
procedura 
penale 
per 
assicurare 
le 
fonti 
di 
prova 
e 
raccogliere 
quant�altro 
possa 
servire 
ai 
fini 
dell�applicazione 
della 
legge 
penale, 
� 
costituito 
dalla 
sussistenza 
della 
mera 
possibilit� 
di 
attribuire 
comunque 
rilevanza 
penale 
al 
fatto 
che 
emerge 
dall�inchiesta 
amministrativa 
e 
nel 
momento 
in 
cui 
emerge, 
a 
prescindere 
dalla 
circostanza 
che 
esso 
possa 
essere 
riferito 
ad 
una 
persona 
determinata 
(Sez. 
un., 
28 
novembre 
20014, 
n. 
45477, 
raineri)�. 
(68) 
le 
brevi 
considerazioni 
che 
seguono, 
ovviamente, 
sono 
tutt�altro 
che 
esaustive, 
ma, 
visto 
anche 
le 
finalit� 
ricognitive 
che 
si 
sono poste, � 
sembrato opportuno farne 
menzione. � 
poi 
il 
caso di 
segnalare 
come 
il 
tema, 
seppur 
vicino 
a 
quello 
oggetto 
della 
nostra 
attenzione, 
in 
realt�, 
rischia 
di 
sfociare 
nel 
diverso 
e 
complesso 
campo 
degli 
accertamenti, 
ripetibili 
e 
non. 
Anche 
per 
questa 
ragione, 
di 
seguito 
si tratteranno le questioni che sembrano tangere il presente approfondimento, senza andare oltre. 

DoTTrInA 
281 


sono soggette 
al 
discrimen 
di 
cui 
all�art. 220. Quindi, nel 
caso in cui 
quelle 
attivit�, 
in 
realt�, 
siano 
da 
collocarsi 
entro 
il 
diverso 
ambito 
delle 
indagini 
preliminari, 
le 
garanzie 
offerte 
dall�art. 
223 
risulterebbero 
insufficienti. 
Quelle 
analisi 
non revisionabili, in realt�, costituirebbero accertamenti 
irripetibili 
e 
ci� comporta 
l�utilizzo di 
tutt�altre 
precauzioni. ed allora, in questa 
ipotesi, 
dovrebbe 
trovare 
applicazione 
l�art. 
360 
c.p.p., 
si 
dovr� 
dunque 
provocare 
l�intervento 
del 
difensore 
dell�indagato, al 
quale 
deve 
essere 
consentito di 
avanzare 
riserva di incidente probatorio. 


Se, invece, non dovessero emergere 
indizi 
di 
reato, e 
comunque 
nel 
rispetto 
delle 
regole 
contenute 
nell�art. 
223, 
i 
risultati 
degli 
accertamenti 
potranno 
anche 
confluire 
direttamente 
nel 
fascicolo 
del 
dibattimento; 
se 
cos� 
non 
fosse 
quegli 
atti 
saranno inutilizzabili 
come 
prove 
dibattimentali, ed il 
regime 
di 
inutilizzabilit� 
che 
si 
deve 
applicare, visto anche 
il 
tenore 
del 
terzo comma 
dell�articolo (69), � quello dell�inutilizzabilit� c.d. fisiologica (70). 

7. Conclusioni. 
Si 
� 
compresa 
l�importanza 
di 
attribuire 
un 
giusto 
significato 
all�art. 
220, 
per garantirne 
un�effettiva 
operativit�. ora, come 
emerge 
dalle 
parole 
spese, 
si 
ritiene 
molto pi� confacente 
alla 
ratio 
della 
norma 
e 
pi� coerente 
con il 
nostro 
sistema 
processuale, 
proporre 
una 
lettura 
estensiva 
del 
termine 
indizio. 
Insomma, come 
segnalato pi� volte, si 
deve 
ritenere 
soddisfatta 
la 
condizione 
di 
cui 
all�art. 220 ogniqualvolta 
gli 
organi 
investigativi 
abbiano gi� 
raccolto 
elementi 
che 
gli 
consentono, �anche 
con un amplissimo margine 
di 
dubbio� 
(71), di 
ritenere 
astrattamente 
possibile 
la 
rilevanza 
penale 
di 
un fatto. I nostri 
indizi, 
e 
qui 
si 
apre 
la 
parentesi 
conclusiva, 
non 
solo 
sono 
inadeguati 
a 
fondare 
un giudizio di 
responsabilit� 
(72), ma 
possono esserlo - ed � 
qui 
che 
emerge 


(69) Testualmente, l�art. 223, co. 3, �I verbali 
di 
analisi 
non ripetibili 
e 
i 
verbali 
di 
revisione 
di 
analisi 
sono raccolti 
nel 
fascicolo per il 
dibattimento [art. 431 c.p.p.], sempre 
che 
siano state 
osservate 
le disposizioni di cui ai commi 1 e 2�. 
(70) Valgono per le 
analisi 
di 
campioni, in termini 
generali, le 
considerazioni 
esposte 
in merito 
agli 
accertamenti 
tributari: 
gli 
indizi 
di 
reato in riferimento ai 
reati 
ambientali 
spesse 
volte 
si 
ritengono 
emersi 
solo 
dopo 
il 
compimento 
delle 
analisi. 
A 
differenza 
degli 
altri 
atti 
che 
si 
sono 
passati 
in 
rassegna, 
le 
analisi 
manifestano, 
per�, 
una 
maggiore 
preoccupazione 
del 
legislatore 
che 
dedica 
a 
questi 
ultimi 
una 
specifica 
norma, l�art. 223 disp. att. le 
preoccupazioni 
sono fondate. le 
attivit� 
di 
cui 
al 
223 spesso si 
risolvono in accertamenti 
irripetibili, le 
attenzioni 
debbono essere 
per forza 
maggiori. Anche 
per il 
223 
vale 
per� lo spartiacque 
di 
cui 
al 
220: 
innanzi 
agli 
indizi 
di 
reato si 
deve 
passare 
al 
codice 
di 
procedura. 
lo scopo della 
disposizione 
� 
quello di 
anticipare 
alcune 
delle 
garanzie 
difensive 
gi� 
alla 
fase 
amministrativa, 
si 
consente, 
nello 
specifico, 
all�interessato 
di 
partecipare 
alla 
fase 
di 
analisi. 
le 
tutele, 
per�, 
sono pur sempre 
parziali, e 
neppure 
lontanamente 
paragonabili 
a 
quelle 
offerte 
dalla 
norma 
che 
par fare 
il 
controcanto al 
223, il 
360 c.p.p. Quest�ultimo consentirebbe 
la 
partecipazione 
della 
difesa 
non solo 
durante 
le 
analisi, 
ma 
anche 
a 
quelle 
di 
prelevamento 
e 
campionamento, 
oltre 
che 
concedere 
la 
possibilit� 
di 
avanzare 
richiesta 
di 
incidente 
probatorio, il 
quale, aprendo una 
parentesi 
dibattimentale 
in fase 
d�indagine, 
farebbe salvo il diritto al contraddittorio. 
(71) n. FurIn, Diritto di difesa, cit., p. 2718. 
(72) In questo senso si colloca la distanza tra l�art. 220 e l�art. 192, co. 2, c.p.p. 

rASSeGnA 
AVVoCATurA 
Dello 
STATo - n. 1/2017 


il 
carattere 
marcatamente 
garantista 
della 
norma 
-anche 
in 
riferimento 
ad 
un�eventuale 
rinvio 
a 
giudizio. 
Debbono 
solo 
essere 
in 
grado 
di 
orientare 
quella 
che 
nasce 
come 
indagine 
amministrativa 
verso i 
nuovi 
binari 
dell�indagine 
preliminare. 


In merito all�asserita 
distinzione 
tra 
polizia 
amministrativa 
e 
giudiziaria, 
in 
termini 
generali, 
la 
distinzione 
ha 
senso 
di 
esistere; 
ma 
ha 
senso 
sino 
a 
quando non si 
verifica 
la 
condizione 
di 
cui 
al 
citato art. 220. Vogliamo essere 
pi� chiari: 
in quel 
momento l�attivit� 
di 
polizia 
amministrativa 
� 
gi� 
tesa 
�a 
verificare 
se 
il 
soggetto controllato abbia 
o meno violato norme 
di 
rilievo penale 
[quindi] 
essa 
equivale 
a 
tutti 
gli 
effetti 
ad 
un�attivit� 
di 
polizia 
giudiziaria� 
(73). In merito a ci�, per�, si impone una precisazione. 

non si 
pu� certo affermare 
che 
l�art. 220 disp. att. (74) attribuisca 
automaticamente 
la 
qualifica 
di 
ufficiale 
o 
agente 
di 
polizia 
giudiziaria 
al 
soggetto 
che 
compie 
l�ispezione 
amministrativa 
(75); 
ben pu� profilarsi, al 
contrario, 
l�ipotesi 
in 
cui 
l�operatore 
di 
polizia 
amministrativa 
sia 
destinato 
a 
restare 
tale. 
Sotto 
questo 
punto 
di 
vista, 
l�emergere 
di 
indizi 
di 
reato 
farebbe 
sorgere 
in 
capo 
a 
costui 
(76) 
il 
dovere 
di 
presentare 
denuncia 
per 
iscritto 
ai 
sensi 
dell�art. 
331 c.p.p. Questo vuole 
anche 
dire 
che 
l�operatore 
di 
polizia 
amministrativa 
cui, 
in 
ipotesi, 
non 
pu� 
essere 
attribuita 
la 
qualifica 
di 
polizia 
giudiziaria, 
potr� 
continuare 
a 
svolgere 
legittimamente 
le 
sue 
attivit� 
solo 
e 
rigorosamente 
in 
ambito amministrativo, se, infatti, si 
avventurasse 
in indagini 
penali, emergerebbe 
l�assoluta 
�carenza 
di 
potere�, 
e 
l�intero 
esito 
investigativo 
dovrebbe 
essere 
(patologicamente) 
inutilizzabile 
(77). 
Tutto 
ci� 
svela 
un 
problema 
di 
non 
secondaria 
importanza: 
le 
conoscenze 
acquisite 
in 
sede 
amministrativa 
possono confluire indistintamente in sede penale? 


Come 
si 
� 
avvertito, l�atto amministrativo - riguardato dal 
punto di 
vista 
del 
suo 
ipotizzabile 
valore 
probatorio 
-va 
esaminato 
alla 
stregua 
del 
contenuto 
che 
lo 
caratterizza. 
non 
� 
questa 
la 
sede 
per 
un�esaustiva 
trattazione 
(78): 
basti 


(73) n. FurIn, Diritto di difesa, indizi, cit., p. 2726. 
(74) o meglio, che il solo superamento del confine tra amministrativo e penale. 
(75) Si rimanda, sul punto, a quanto esposto nel � 4. 
(76) Quando si tratti di pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio. 
(77) la 
questione 
� 
stata 
pi� volte 
affrontata 
dalla 
giurisprudenza 
in ordine 
alla 
qualifica 
da 
attribuire 
alle 
guardie 
volontarie 
venatorie, 
o 
alle 
guardie 
nazionali 
e.n.P.A. 
(ente 
nazionale 
protezione 
animali), 
ed in merito all�eventuale 
potere 
di 
procede 
al 
sequestro probatorio. Valga, ad esempio, quanto 
affermato dalla 
Cass. Pen., sez. VI, n. 37491 del 
2010 �le 
guardie 
zoofile 
dell'e.n.P.A. (ente 
nazionale 
protezione 
animali) non rivestono in alcun caso la 
qualifica 
di 
ufficiali 
o agenti 
di 
polizia 
giudiziaria 
e 
non possono procedere 
pertanto al 
sequestro probatorio�, o ancora 
quanto affermato da 
Cass. Pen., sez. 
III, 
n. 
15074 
del 
2007 
�orbene 
alle 
guardie 
volontarie 
delle 
associazioni 
di 
protezione 
dell'ambiente 
(come 
il 
WWF) non risulta 
riconosciuta 
la 
qualifica 
di 
polizia 
giudiziaria 
n� 
dalla 
l. n. 157 del 
1992, 
n� 
da 
altra 
normativa 
speciale 
(�). Stante 
la 
mancanza 
della 
qualifica 
di 
Agente 
o ufficiale 
di 
P.G. nei 
confronti 
delle 
guardie 
volontarie 
che 
hanno operato in concreto il 
sequestro probatorio, consegue 
la 
illegittimit� 
dello stesso, perch� eseguito in violazione delle norme di cui agli artt. 354 e 355 c.p.p�. 
(78) Si rimanda, per l�attenta e minuziosa indagine, a r. orlAnDI, Atti e informazioni, cit. 

DoTTrInA 
283 


considerare 
che 
gli 
atti 
amministrativi 
possono avere 
contenuto dichiarativo 
di 
terzi 
(potenziali 
testimoni); 
possono 
contenere 
dichiarazioni 
compromettenti 
rese 
dal 
futuro imputato; 
pu� contenere 
un accertamento tecnico; 
pu�, infine, 
esprimere 
la 
sintesi 
conoscitiva 
nella 
quale 
si 
� 
complessivamente 
concretata 
l�attivit� 
ispettiva 
o di 
vigilanza 
(come 
accade, ad esempio, con i 
Pvc). Il 
rischio 
appare 
evidente: 
acconsentire 
a 
che 
il 
contenuto 
di 
simili 
atti 
confluisca, 
indiscriminatamente, nel 
processo penale 
- e 
dunque 
anche 
nella 
parte 
dichiarativa 
-, si 
configurerebbe 
come 
un sin troppo facile 
aggiramento delle 
regole 
che 
disciplinano il 
diritto probatorio. Questo impone 
una 
considerazione. I risultati 
dell�istruttoria 
extra-penale 
non 
dovrebbero 
essere 
ricondotti, 
in 
maniera 
semplicistica, al 
concetto di 
prova 
documentale. Ci� rischia 
di 
dar eccessivo 
risalto alla 
loro provenienza 
- formati 
fuori 
dal 
procedimento penale 
- ma 
non 
al loro contenuto. 


Quanto detto vale 
anche 
per i 
Pvc 
(79), i 
quali, essendo atti 
eterogenei, 
possono 
contenere 
delle 
dichiarazioni 
raccolte 
durante 
l�attivit� 
investigativa. 
l�utilizzo 
sommario 
degli 
stessi 
rischia 
di 
produrre 
una 
evidente 
lesione 
ai 
principi 
che 
informano l�accertamento penale. Cos�, ad esempio, se 
le 
dichiarazioni 
rese 
alla 
Guardia 
di 
finanza 
prima 
dell�emergere 
degli 
indizi 
di 
reato, 
potessero 
essere 
indiscriminatamente 
acquisite 
in 
giudizio, 
ci� 
��far� 
s� 
che 
esse 
acquistino una 
valenza 
probatoria 
invece 
negata 
(essendone 
negata 
l�acquisizione) 
alle 
dichiarazioni 
rese 
alla 
polizia 
giudiziaria 
durante 
l�indagine 
penale 
(nonostante 
queste 
ultime 
possano magari 
dirsi 
potenzialmente 
pi� attendibili, 
in 
quanto 
rese 
in 
un 
contesto 
formalizzato 
secondo 
le 
indicazioni 
del 
codice di rito)�� (80). 

Quanto agli 
atti 
amministrativi 
contenenti 
dichiarazioni 
compromettenti 
rese 
da 
chi, successivamente, � 
divenuto imputato nel 
processo penale, vengono 
in considerazione 
rilevantissimi 
principi 
che 
ispirano il 
sistema 
processuale 
penale italiano. Su tutti, come gi� segnalato, il c.d. nemo tenetur. 


In 
questo 
caso 
pare 
opportuno 
considerare 
separatamente 
l�ipotesi 
in 
cui 
il 
soggetto 
che 
procede 
in 
sede 
amministrativa 
possa 
cumulare 
funzioni 
di 
polizia 
giudiziaria 
e 
il 
caso 
in 
cui, 
invece, 
egli 
non 
possa 
accedere 
alla 
diversa 
qualifica. 
ovviamente 
l�analisi, 
per 
quanto 
qui 
interessa, 
deve 
essere 
effettuata 
in 
relazione 
al 
discrimine 
rappresentato 
dal 
220 
disp. 
att. 
nel 
primo 
caso, 
invero, 
il 
problema 
appare 
di 
pi� 
agevole 
soluzione. 
Si 
potrebbe 
sostenere 
che 
l�art. 
63 
c.p.p., 
in 
realt�, 
sia 
comunque 
destinato 
ad 
operare. 


(79) 
Si 
consideri 
che 
la 
giurisprudenza 
pare 
univocamente 
orientata 
nel 
ritenerli 
acquisibili 
ed 
utilizzabili in sede penale ai sensi dell�art. 234 c.p.p. 
(80) T. rAFArACI, Reati 
tributari, cit., p. 684. Sempre 
T. rAFArACI, 
op. cit., continua 
con un�interessante 
chiosa: 
��eventuali 
forzature 
dettate 
dall�aspettativa 
di 
poter fruire 
di 
un (�) largheggiante 
regime 
acquisitivo 
sarebbero 
[comunque] 
del 
tutto 
frustrate 
dalla 
declaratoria 
giurisdizionale 
di 
radicale 
inutilizzabilit� 
del 
processo 
verbale 
di 
constatazione 
nella 
parte 
che 
si 
riferisce 
all�attivit� 
compiuta, 
senza l�osservanza delle disposizioni del codice di rito, dopo l�emersione degli indizi di reato��. 

rASSeGnA 
AVVoCATurA 
Dello 
STATo - n. 1/2017 


Quando 
emergono 
gli 
indizi 
di 
reato 
l'operatore 
gi� 
muoverebbe 
nelle 
diverse 
vesti 
di 
ufficiale 
o 
agente 
di 
P.g. 
e 
dovrebbe, 
quindi, 
interrompere 
l'esame, 
avvisare 
il 
dichiarante 
della 
possibilit� 
che 
sul 
suo 
conto 
potrebbero 
essere 
condotte 
altre 
indagini, 
e 
comunque 
le 
dichiarazioni 
gi� 
rese 
non 
potrebbero 
essere 
usate 
contro 
il 
dichiarante. 


In merito all'ipotesi, invece, in cui 
il 
soggetto che 
riceve 
le 
dichiarazioni 
non possa 
cumulare 
funzioni 
di 
P.g. il 
discorso pare 
pi� complesso. In linea 
di 
massima, per�, si 
potrebbe 
comunque 
applicare 
in via 
analogica 
il 
citato art. 
63, 
che, 
a 
ben 
vedere, 
fa 
retroagire 
la 
garanzia 
del 
nemo 
tenetur 
a 
un 
momento 
in cui 
ancora 
il 
dichiarante 
non ha 
assunto la 
qualifica 
di 
persona 
sottoposta 
alle 
indagini. Pertanto, nel 
caso in cui 
le 
indagini 
amministrative 
si 
siano protratte 
ben 
oltre 
il 
limite 
del 
220, 
si 
potrebbe 
sostenere 
che 
le 
dichiarazioni 
eventualmente 
rese 
dall'indagato non possono essere 
comunque 
utilizzate, e 
ci� in quanto egli, quando ha 
deposto, gi� 
doveva 
essere 
sentito nell'ambito 
di un procedimento penale (81). 

In conclusione, un ultimo dilemma: 
sino a 
che 
punto � 
pensabile 
anticipare 
le 
prerogative 
del 
codice? 
Tutte 
le 
analisi, tutti 
gli 
accertamenti 
tributari 
dovrebbero svolgersi secondo le prerogative del rito? 


Se 
questa 
fosse 
la 
via, 
giungeremmo 
presto 
ad 
una 
situazione 
di 
ingiustizia 
del 
tutto 
paragonabile 
a 
quella 
che 
ha 
contraddistinto 
per 
decenni 
la 
vicenda 
di 
cui 
ci 
si 
occupa. 
Dovremmo, 
infatti, 
far 
gravare 
il 
peso 
di 
un 
procedimento 
penale 
-fardello 
innegabilmente 
pesante 
-ad 
un 
numero 
crescente 
di 
persone 
e 
ci� 
costituirebbe 
comunque, 
da 
un 
lato, 
un 
vulnus 
per 
il 
cittadino 
che 
si 
trover� 
sempre 
nella 
condizione 
di 
doverne 
uscire 
-anche 
quando, 
in 
ipotesi, 
possegga 
abbondante 
documentazione 
per 
provare, 
pur 
in 
sede 
amministrativa, 
la 
legittimit� 
del 
suo 
comportamento 
(82) 
-, 
con 
tutte 
le 
preoccupazioni 
e 
gli 
effetti 
negativi 
ad 
esso 
connesso, 
e 
dall�altro, 
potrebbe 
ingolfare 
gli 
uffici 
di 
procura 
che 
dovrebbero 
mettersi 
in 
moto 
per 
un 
numero 
maggiore 
di 
casi. 
Questo 
aspetto, 
tra 
l�altro, 
verrebbe 
contro 
le 
esigenze 
di 
giustizia 
dello 
Stato, 
difatti, 
uffici 
sovraccarichi 
(come 
gi� 
sono 
in 
maniera 
patologica) 
dovranno 
suddividere 
le 
risorse 
ed 
il 
loro 
tempo 
in 
porzioni 
sempre 
pi� 
piccole, 
insomma 
avrebbero 
meno 
tempo 
da 
dedicare 
a 
questioni 
che 


(81) ove 
il 
citato art. 63 troverebbe 
sicura 
applicazione. Si 
segnala 
per il 
rigore 
e 
la 
completezza 
dell�indagine, r. orlAnDI, Atti e informazioni, cit. p. 170 ss. 
(82) Si 
pu� immaginare 
il 
caso di 
reati 
tributari 
con soglia 
di 
punibilit�. Gi� 
ad un primissimo 
controllo tributario il 
contribuente 
potrebbe 
essere 
in grado di 
fornire 
documentazione, in un dialogo si 
spera 
proficuo con l�Amministrazione, dalla 
quale 
desumere, ad esempio, la 
bont� 
del 
suo comportamento. 
Potrebbe 
per� accadere 
che 
gli 
organi 
investigativi 
ritengano di 
essere 
innanzi 
ad un�evasione 
punibile 
penalmente; 
ed allora, in questo caso, bisognerebbe 
attivare 
le 
garanzie 
processuali 
penali. Potrebbe, 
infine, 
anche 
darsi 
che 
un 
successivo 
approfondimento 
dell�indagine 
(penale) 
conduca 
a 
una 
rettifica 
e 
che 
l�evasione 
appaia 
assai 
meno grave 
di 
quanto inizialmente 
ritenuto e 
tale 
da 
scendere 
�sotto 
soglia�. In ogni 
caso ha 
agito correttamente 
l�agente 
o l�ufficiale 
che 
- convinto di 
essere 
in presenza 
di 
un reato - si � attenuto alle regole del codice. 

DoTTrInA 
285 


gi� 
li 
occupano, 
e 
ne 
avrebbero 
comunque 
poco 
per 
accertare 
nuovi 
reati. 
Per 
questa 
ragione 
la 
risposta 
deve 
essere 
adeguatamente 
ponderata. 
Va 
fatta 
salva 
la 
possibilit� 
di 
interloquire 
con 
la 
P.A.; 
purch� 
questo 
non 
si 
risolva 
in 
una 
(patente) 
violazione 
del 
diritto 
di 
difesa. 
Quindi, 
se 
dalle 
prime 
indagini 
amministrative 
dovesse 
palesarsi 
quella 
possibilit� 
di 
reato 
di 
cui 
diffusamente 
si 
� 
detto, 
sar� 
il 
tempo 
del 
rito 
penale. 
Questa 
appare 
la 
soluzione 
pi� 
garantista, 
l�unica 
praticabile. 


Il 
tema 
si 
presterebbe 
a 
molte 
altre 
considerazioni. 
Su 
tutte, 
lo 
si 
potrebbe 
analizzare 
da 
una 
prospettiva 
particolarissima, ossia 
quella 
extra-dibattimentale 
(83). Qui 
ci 
si 
� 
limitati 
al 
quesito se 
e 
a 
quali 
condizioni 
l�atto ispettivo 


o di 
vigilanza 
di 
cui 
parla 
l�art. 220 disp. att. sia 
utilizzabile 
come 
prova 
in un 
dibattimento penale. restano molti 
altri 
interrogativi 
riguardanti 
l�uso probatorio 
di 
tali 
atti 
per decisioni 
diverse 
da 
quella 
dibattimentale 
di 
merito: 
decisioni 
in 
ambito 
cautelare, 
ad 
esempio, 
oppure 
sentenze 
che 
chiudono 
un 
giudizio 
abbreviato. 
Quali 
limiti, 
in 
questi 
casi? 
le 
regole 
enucleabili 
dal 
citato 
art. 220 vanno in ogni 
caso rispettate. � 
evidente 
per� che, per questi 
altri 
tipi 
di 
possibile 
utilizzazione 
probatoria, non valgono n� 
il 
principio di 
oralit� 
n� 
quello del 
contraddittorio nella 
formazione 
della 
prova. Vi 
saranno pertanto 
meno problemi 
a 
far valere 
come 
prove 
documentali 
(art. 234 c.p.p.) le 
informazioni 
provenienti dall�autorit� amministrativa (84). 
Giunti alla fine, quindi, preme tirare le somme. 
In conclusione, gli 
atti 
amministrativi 
compiuti 
nella 
sede 
propria, prima 
dell�emergere 
di 
indizi 
di 
reato 
possono 
essere 
acquisiti 
al 
processo 
penale 


(83) 
Si 
potrebbe 
comunque 
pensare 
di 
farne 
un 
accenno. 
l�analisi 
� 
ricca 
di 
implicazioni, 
la 
prima 
riguarda 
il 
regime 
dell�inutilizzabilit�. 
Si 
� 
soliti 
distinguere 
tra 
inutilizzabilit� 
patologica 
e 
fisiologica, 
entrambe 
operano 
in 
presenza 
di 
una 
violazione 
�dei 
divieti 
stabiliti 
dalla 
legge�, 
ma 
nella 
seconda 
accezione 
la 
prova 
illegittimamente 
acquisita 
-tendenzialmente 
in 
riferimento 
al 
quomodo 
non 
pu� 
essere 
utilizzata 
in 
sede 
processuale; 
mentre 
con 
il 
termine 
�patologica� 
-violazione 
che 
si 
riferisce, 
senza 
pretese 
di 
esaustivit�, 
ai 
diritti 
fondamentali 
della 
persona 
-si 
individua 
una 
prova 
non 
spendibile 
neppure 
nel 
procedimento. 
ebbene, 
avendo 
l�obiettivo 
di 
analizzare 
la 
fase 
pre-dibattimentale, 
� 
su 
questa 
seconda 
categoria 
che 
concentreremo 
la 
nostra 
attenzione. 
Si 
pensi 
solo 
ad 
una 
sentenza 
nel 
corso 
del 
rito 
abbreviato. 
Innegabilmente 
il 
rito 
in 
esame 
� 
rimesso 
a 
certi 
compromessi: 
si 
rinuncia 
a 
tutto 
o 
a 
buona 
parte 
del 
diritto 
alla 
prova 
e 
ci 
si 
avvantaggia 
di 
una 
condanna 
�scontata�. 
Il 
fatto, 
per�, 
che 
l�imputato 
rinunci 
a 
procedere 
ad 
una 
piena 
attivit� 
istruttoria 
non 
vuol 
certo 
dire 
che 
quei 
(magari 
anche 
pochi) 
elementi 
rimasti 
al 
giudice 
per 
decidere 
possono 
essere 
illegittimamente 
acquisiti. 
Questo 
non 
si 
ricava 
dalla 
norma. 
neppure 
potrebbe 
sostenersi 
una 
simile 
deriva 
appellandosi 
alla 
consapevolezza 
della 
difesa, 
quasi 
come 
se 
questa 
avesse 
voluto 
concludere 
un 
patto 
scellerato. 
Per 
verit�, 
qui 
la 
giurisprudenza 
si 
mostra 
-ora 
-pi� 
attenta. 
ricordiamo 
a 
tal 
proposito 
una 
recentissima 
pronuncia 
della 
Suprema 
Corte 
(Cass. 
Pen., 
sez. 
III, 
n. 
15828/2015), 
nella 
quale, 
ricordando 
che 
l�accesso 
al 
rito 
in 
esame 
non 
produce 
alcun 
effetto 
sanante 
rispetto 
a 
cause 
di 
inutilizzabilit� 
patologica, 
si 
� 
definitivamente 
affermato 
che 
non 
possono 
porsi 
effetti 
preclusivi 
alla 
rilevabilit� 
d�ufficio 
di 
tali 
cause 
e, 
dunque, 
le 
prove 
acquisite 
in 
violazione 
dei 
divieti 
-assoluti 
-posti 
dalla 
legge 
non 
possono 
essere 
utilizzate 
nel 
giudizio 
abbreviato. 
Questa 
causa 
� 
altres� 
rilevabile 
d�ufficio 
dal 
giudice 
di 
legittimit�, 
dunque 
anche 
al 
di 
l� 
del 
devolutum. 
Se 
la 
prova 
� 
assolutamente 
inutilizzabile, 
quindi, 
non 
pu� 
essere 
spesa 
in 
questa 
sede. 
(84) Si veda r. orlAnDI, Atti e informazioni, cit, p 219 ss. 

rASSeGnA 
AVVoCATurA 
Dello 
STATo - n. 1/2017 


(85), nei 
limiti 
e 
alle 
condizioni 
espresse 
in precedenza. Atti 
compiuti 
in sede 
amministrativa, quando in realt� 
gi� 
ci 
si 
trovava 
in sede 
penale, non possono 
valere 
come 
prove 
per accertare 
la 
colpevolezza 
dell�imputato in un dibattimento 
ispirato 
ai 
valori 
dell�oralit� 
e 
del 
contraddittorio 
(nel 
senso 
�forte� 
dell�art. 
111 
comma 
4 
Cost.). 
��Difesa 
e 
contraddittorio 
non 
integrano 
solo 
tributi 
da 
pagare 
sul 
piano 
dei 
principi 
costituzionali 
e 
internazionali. 
Sono 
molto 
di pi�: mezzi e metodi che partoriscono verit��� (86). 


(85) Si 
pensi 
ancora 
ai 
documenti, e 
dunque 
all�art. 234 c.p.p. Questa 
valutazione, per�, vale 
per 
gli 
atti 
che 
si 
sono formati 
nel 
rispetto delle 
regole 
che 
si 
sono previste 
per la 
fase 
amministrativa. Cos�, 
ad 
esempio, 
le 
analisi 
ex 
art. 
223 
disp. 
att. 
non 
sarebbero 
comunque 
utilizzabili 
se 
acquisite 
in 
violazione 
delle regole appositamente previste, e questo anche nel caso in cui non fossero emersi indizi di reato. 
(86) M. nobIlI, 
Diritti 
difensivi, poteri 
del 
pubblico ministero durante 
la fase 
preliminare 
e 
l. 8 
agosto 1996, Cassazione Penale, 1996, p. 347. 

DoTTrInA 
287 


Principio di uguaglianza: 
pregiudizi privati e discriminazione 
dello straniero nell�accesso all�abitazione 


Claudio Tric�* 


The 
current 
housing 
emergency 
and 
the 
spread 
of 
discriminatory 
conducts 
against 
foreigners, 
consisting of the 
refusal 
of owners 
to bargain with them 
and to apply the 
same 
contract 
terms 
applied to non-foreigners, make 
it 
necessary to reflect 
about 
the 
historical 
evolution and the 
prospects 
of the 
relationship between the 
principle 
of equality and the 
contractual 
freedom 
of 
individuals. In light 
of the 
constituzionalization of european contract 
law 
and considering the 
new 
horizontal 
dimension of the 
principle 
of non-discrimination, the 
paper lastly focuses 
on 
the 
identification 
of 
the 
limits 
of 
owner�s 
power 
of 
choice 
and 
the 
remedies 
applicable 
against 
possible discriminatory behavior towards the foreigners. 


SOMMARIO: 
1. 
Crisi 
abitativa 
e 
diffusione 
del 
fenomeno 
discriminatorio 
nel 
mercato 
privato 
degli 
alloggi 
-2. 
Uguaglianza 
e 
libert� 
privata 
nel 
dibattito 
storico 
ed 
europeo: 
la 
nuova 
dimensione 
�orizzontale� 
del 
principio 
di 
non 
discriminazione 
-3. 
Il 
dibattito 
nazionale 
e 
l�esigenza di 
un approccio plurilaterale 
al 
fenomeno discriminatorio - 4. Il 
diritto all�abitazione 
alla luce del principio dell�effettivit� dei rimedi antidiscriminatori. 


1. Crisi 
abitativa e 
diffusione 
del 
fenomeno discriminatorio nel 
mercato privato 
degli alloggi. 
la 
gravit� 
dell�odierna 
crisi 
abitativa, denunciata 
dagli 
operatori 
di 
settore, 
emerge 
con evidenza 
nel 
carattere 
ambiguo e 
paradossale 
della 
stessa, la 
quale 
contrappone 
da 
un 
lato 
una 
crescente 
domanda 
di 
abitazioni, 
conseguenziale 
alla 
diffusa 
difficolt� 
di 
accedere 
al 
bene 
casa 
o di 
sopravvivere 
alla 
generalizzata 
e 
incalzante 
crescita 
dei 
canoni 
locatizi, dall�altro la 
presenza 
di 
un 
numero 
considerevole 
di 
immobili 
sfitti 
o 
in 
disuso, 
cui 
si 
accompagna 
una 
non sempre limpida amministrazione dell�edilizia economica e popolare (1). 


Tale 
ambiguit�, tuttavia, non deve 
stupire, perch� 
in essa 
si 
riflette 
la 
natura 
duplice 
e 
ambivalente 
dello stesso �bene 
casa�, il 
quale 
si 
presta, per le 
sue 
caratteristiche 
teleologiche 
e 
strutturali, a 
soddisfare 
tanto le 
aspirazioni 
personalistiche 
dell�individuo, ponendosi 
quale 
presupposto essenziale 
per il 


(*) Dottore 
in Giurisprudenza, specializzato nelle 
Professioni 
legali, gi� 
tirocinante 
presso la 
Corte 
di 
Cassazione. 


(1) rileva 
efficacemente 
u. breCCIA, Il 
diritto all�abitazione, Giuffr�, Milano, 1980, p. 19: 
�Tra 
le 
solenni 
- e 
spesso tradite 
- proclamazioni 
dei 
diritti 
dell�uomo, quella 
che 
ha 
per contenuto l�aspirazione 
al 
godimento di 
un�abitazione 
realmente 
degna 
di 
un essere 
umano [�] � 
ancora 
smentita 
dal-
l�assetto reale 
dei 
rapporti 
economico-sociali. non si 
esagera 
dicendo che 
il 
fenomeno costituisce 
una 
sorta 
di 
emblematico 
compendio 
degli 
arbitri 
modernamente 
perpetrati 
a 
danno 
della 
convivenza 
umana�. 

rASSeGnA 
AVVoCATurA 
Dello 
STATo - n. 1/2017 


soddisfacimento di 
una 
serie 
complessa 
di 
diritti 
fondamentali, quanto anche 
le 
aspirazioni 
egoistiche 
dello 
speculatore, 
rappresentando 
tuttora 
il 
�mattone�, 
non sempre a buona ragione, il pi� diffuso tra i cosiddetti �beni rifugio� (2). 


la 
stretta 
connessione 
intercorrente 
tra 
il 
bene 
dell�alloggio 
e 
le 
sfere 
pi� 
intime 
dell�individuo 
rende 
oggi 
indifferibile 
un 
dibattito 
vivace 
e 
diffuso 
sul 
tema 
assai 
spinoso 
del 
diritto 
all�abitazione, 
il 
quale, 
essendo 
strumentale 
al 
soddisfacimento 
di 
interessi 
sia 
personalistici 
che 
economici, 
� 
destinato 
a 
coinvolgere 
un 
insieme 
di 
problematiche 
eterogenee 
e 
non 
del 
tutto 
tradizionali, 
come 
quella 
dell�efficacia 
orizzontale 
dei 
diritti 
fondamentali 
e 
della 
progressiva 
�costituzionalizzazione� 
del 
diritto 
privato 
(3). 
Il 
diritto 
all�abitazione, 
infatti, 
anche 
alla 
luce 
della 
sua 
affermazione 
costituzionale, 
rappresenta 
un 
campo 
di 
osservazione 
ideale 
per 
quanti 
si 
occupano 
dello 
studio 
dell�autonomia 
privata, 
delle 
sue 
metamorfosi 
concettuali 
e 
dei 
suoi 
limiti, 
rappresentando 
il 
settore 
in 
cui 
pi� 
vivacemente 
si 
esprime 
la 
tenzone, 
del 
tutto 
umana, 
tra 
i 
valori 
icasticamente 
incarnati 
nei 
simulacri 
dell�homo 
dignus 
e 
dell�homo 
oeconomicus 
(4). 


Particolarmente 
esplicativa, 
sul 
punto, 
appare 
la 
problematica 
dell�accesso 
dello straniero al 
mercato privato delle 
abitazioni, la 
quale 
trae 
origine 
dalla 
diffusa 
tendenza 
dei 
proprietari 
e 
dei 
locatori 
a 
marginalizzare 
potenziali 
acquirenti 
e 
conduttori 
stranieri, 
soprattutto 
extracomunitari, 
escludendoli 
dalle 
contrattazioni 
o proponendo loro condizioni 
contrattuali 
pi� svantaggiose, o 
meno vantaggiose, rispetto a 
quelle 
offerte, in condizioni 
di 
normalit�, a 
una 
controparte di lingua e aspetto �occidentale� (5). 

Dev�essere 
fin 
d�ora 
chiaro 
che 
tale 
comportamento 
potrebbe 
trovare 
giustificazione 
in una 
valutazione 
di 
stampo prettamente 
economico, ad esempio 
legata 
a 
una 
comprovata 
situazione 
di 
insolvibilit� 
dello 
straniero, 
la 
quale 
costituirebbe 
senza 
dubbio 
piena 
e 
legittima 
espressione 
della 
libert� 
contrattuale 
dell�individuo, insindacabile sul piano dell�opportunit�. 

Tuttavia, in tutt�altri 
casi, il 
rifiuto o la 
contrattazione 
di 
condizioni 
sfavorevoli 
sono conseguenza 
di 
pregiudizi 
connessi 
a 
�fattori 
di 
rischio� 
quali 
la 
nazionalit�, la 
lingua, il 
colore 
della 
pelle 
o la 
religione 
della 
controparte, 
che 
producono effetti 
di 
stampo evidentemente 
discriminatorio, la 
cui 
legittimit� 
deve 
essere 
valutata 
nell�ambito di 
una 
pi� ampia 
riconsiderazione 
del 
rapporto, 
solo 
parzialmente 
conflittuale, 
tra 
libert� 
privata 
e 
principio 
di 
uguaglianza, 
per poter definire 
in che 
termini 
quest�ultimo possa 
incidere 
sulla 
li


(2) Cos�, u. breCCIA, Il 
diritto all�abitazione, cit., pp. 73 ss., secondo cui 
l�abitazione 
� 
favorita 
dall�ordinamento costituzionale 
quale 
�bene 
durevole 
di 
consumo� e 
non, piuttosto, quale 
�bene 
strumentale 
d�investimento�. 
(3) Fenomeni 
tradizionalmente 
indicati 
con l�espressione 
tedesca 
�Drittwirkung�, sui 
quali, tra 
molti, 
v. 
A. 
ColoMbI 
CIACCI, 
The 
Constitutionalization 
of 
European 
Contract 
Law: 
Judicial 
Convergence 
and Social Justice, in ERCL, 2/2006, pp. 167 ss. 
(4) S. roDoT�, Antropologia dell��homo dignus�, in 
Riv. crit. dir. priv., 2010, 4, passim. 
(5) M. bAlDInI, M. FeDerICI, 
Non si affitta agli immigrati, disponibile su www.lavoce.info. 

DoTTrInA 
289 


bert� 
di 
scelta 
del 
privato, alla 
luce 
del 
dibattito giuridico europeo e 
del 
progressivo 
superamento 
della 
ideologia 
pandettistica 
del 
diritto 
privato 
quale 
settore intrinsecamente e inevitabilmente idiosincratico. 


2. Uguaglianza e 
libert� privata nel 
dibattito storico ed europeo: la nuova dimensione 
�orizzontale� del principio di non discriminazione. 
�Societas 
nostra�, sentenziava 
efficacemente 
Seneca, �lapidum 
fornicationi 
simillima est�, lasciando intendere 
che 
la 
resistenza 
di 
un patto sociale, 
cos� 
come 
avviene 
nell�architettura 
di 
una 
volta 
di 
pietra, dipende 
da 
un equilibrato 
bilanciamento dei 
valori 
che, opponendosi 
l�un l�altro, ne 
sostengono 
la 
struttura. 
Tale 
modello, 
trovando 
riflesso, 
in 
modo 
pi� 
o 
meno 
consapevole, 
nell�agire 
del 
nomopoieta, fa 
s� 
che 
ciascun istituto giuridico rinvenga 
il 
proprio 
fondamento assiologico in un complesso eterogeneo di 
principi, spesso 
confliggenti, ma comunque l�un l�altro vincolati da legami di reciprocit�. 

la 
stessa 
concezione 
moderna 
del 
contratto, ad esempio, figlia 
di 
una 
rivoluzione 
liberale 
ed egalitaria, non � 
che 
il 
risultato dell�instabile 
equilibrio 
tra 
i 
due 
principi 
dell�autonomia 
privata 
e 
dell�uguaglianza, 
oscillante 
nelle 
evoluzioni della societ� e della scienza giuridica (6). 


Con 
l�abolizione 
delle 
gerarchie 
dell�ancient 
r�gime 
e 
l�affermarsi 
di 
una 
nuova 
concezione 
umanistica 
del 
diritto, 
riassunta 
nel 
motto 
rivoluzionario 
francese: 
�libert�, 
�galit�, 
fraternit��, 
l�uguaglianza 
assunse 
il 
ruolo 
di 
fondamento 
e 
presupposto 
dell�autonomia 
del 
singolo, 
livellato, 
a 
prescindere 
dalle 
sue 
peculiarit� 
individuali, 
nella 
figura 
neutra 
del 
�soggetto 
di 
diritto� 
(7). 
l�illusione 
era 
che 
l�individuo, 
liberato 
dal 
giogo 
dei 
privilegi 
feudali, 
fosse 
libero 
di 
perseguire 
i 
propri 
interessi, 
e 
che 
pertanto 
la 
contrattazione, 
intesa 
quale 
momento 
d�incontro 
degli 
egoismi 
individuali, 
non 
potesse 
che 
condurre 
al 
risultato 
pi� 
conveniente 
per 
il 
singolo 
e 
per 
la 
comunit�, 
secondo 
un 
impianto 
logico 
sintetizzabile 
nel 
noto 
brocardo 
�qui 
dit 
contractuel 
dit 
juste�. 


la 
validit� 
di 
tale 
postulato, 
del 
tutto 
razionale 
su 
un 
piano 
puramente 
astratto, era 
tuttavia 
destinata 
a 
scontrarsi 
con la 
disarmante 
complessit� 
del 
reale, 
caratterizzata 
dal 
permanere 
di 
quelle 
asimmetrie 
culturali, 
economiche 
e 
sociali 
che 
i 
moti 
rivoluzionari, pur smantellata 
la 
struttura 
gerarchica 
del 
passato, non avevano saputo debellare. Sollevato il 
velo di 
Maja 
che 
celava 
le 
contraddizioni 
di 
una 
parit� 
meramente 
formale, perch� 
postulata 
e 
virtuale, 
emergeva 
dunque 
che 
l�illusoria 
equiparazione 
del 
�giusto� 
e 
del 
�voluto�, 
piuttosto 
che 
assicurare 
un 
assetto 
sociale 
pi� 
armonico 
ed 
equo, 
aveva 
invece 
favorito l�acutizzarsi 
delle 
disparit� 
sociali, legittimando uno stato di 
perdurante 
iniquit�, a 
discapito di 
coloro la 
cui 
forza 
contrattuale 
era 
compromessa 


(6) Amplius, D. lA 
roCCA, Uguaglianza e 
libert� contrattuale 
nel 
diritto europeo. Le 
discriminazioni 
nei rapporti di consumo, Giappichelli, Torino, 2008, pp. 85 ss. 
(7) V. roDoT�, Antropologia dell��homo dignus�, cit., p. 552. 

rASSeGnA 
AVVoCATurA 
Dello 
STATo - n. 1/2017 


da 
un 
minore 
disponibilit� 
di 
beni, 
servizi 
o 
informazioni 
(8). 
Si 
affermava 
pertanto 
una 
nuova 
dimensione 
�sostanziale� 
del 
principio 
di 
uguaglianza, 
non 
pi� solo presupposto, ma 
anche 
limite, dell�autonomia 
privata, alla 
luce 
della 
quale 
perdeva 
la 
propria 
assolutezza 
anche 
il 
divieto di 
ingerenze 
del 
legislatore 
nella 
sfera 
degli 
interessi 
negoziabili 
dei 
contraenti, prima 
riservata 
alla 
libera e insindacabile contrattazione delle parti (9). 

Tale 
duplice 
espressione 
del 
principio di 
uguaglianza, da 
intendersi 
comunque 
in via 
unitaria, quale 
fondamento e 
misura 
dell�autonomia 
del 
contraente, 
pur manifestandosi 
nelle 
codificazioni 
nazionali 
(10), ha 
trovato pi� 
evidente 
esplicazione 
nelle 
vicende 
evolutive 
dell�unione 
europea, 
le 
cui 
metamorfosi 
sono state 
specchio di 
una 
crescente 
consapevolezza 
dei 
legami 
intercorrenti 
tra 
l�autonomia 
privata, 
necessaria 
al 
pieno 
sviluppo 
della 
personalit� 
dell�individuo, e 
gli 
altri 
diritti 
fondamentali 
riconosciuti 
dall�ordinamento, 
la 
cui 
lesione 
produce, 
inevitabilmente, 
una 
sensibile 
compressione 
delle libert�, anche economiche, del singolo. 


A 
tal 
proposito, 
la 
dottrina 
pi� 
sensibile 
al 
tema, 
attraverso 
valutazioni 
che, pur riferite 
all�ordinamento europeo, trovano riflesso anche 
a 
livello nazionale, 
ha 
ricondotto tali 
connessioni 
nella 
complessa 
categoria 
della 
�uguaglianza 
formale 
in 
concreto�, 
con 
la 
quale 
si 
� 
voluta 
attenuare, 
pur 
mantenendo una 
terminologia 
di 
stampo tradizionale, la 
storica 
contrapposizione 
tra 
la 
concezione 
formale 
e 
quella 
sostanziale 
del 
principio 
di 
uguaglianza, 
evidenziando 
come 
i 
pi� 
recenti 
interventi 
del 
legislatore 
europeo, 
lungi 
dal 
configurare 
una 
compressione 
degli 
spazi 
riservati 
all�autonomia 
privata, 
abbiano invece 
rappresentato strumenti 
di 
garanzia 
delle 
libert� 
dei 
contraenti 
(11). Difatti, la 
crescente 
attenzione 
dei 
trattati 
comunitari 
per la 
tutela 
dei 
valori 
della 
persona, ora 
formalizzata 
nelle 
disposizioni 
del 
Trattato di 
lisbona, 
non 
ha 
distolto 
l�attenzione 
del 
legislatore 
dall�obiettivo 
della 
tutela 
del 
libero 
mercato, 
i 
cui 
meccanismi 
risultano 
anzi 
potenziati, 
e 
non 
sviliti, 
dalle 
nuove 
spinte 
personalistiche 
del 
diritto europeo. la 
tutela 
degli 
aspetti 
pi� 
sensibili 
dell�individuo, 
non 
pi� 
inteso 
quale 
operatore 
economico 
neutro, 
bens� 
come 
�persona� 
complessa 
nelle 
sue 
peculiarit�, non solo promuove 
il 
rispetto 
di 
valori 
solidaristici 
riconducibili 
alle 
tradizionali 
categorie 
dei 
diritti 
di 
prima 
e 
di 
seconda 
generazione, 
ma 
allo 
stesso 
tempo 
garantisce 
il 
buon 
andamento del 
mercato, eliminando quei 
comportamenti 
che 
di 
fatto costituiscono 
un esercizio scorretto delle libert� economiche garantite dai trattati. 


(8) Cos� 
D. CAruSI, I precedenti, in G. GITTI, G. VIllA 
(a 
cura 
di), Il 
terzo contratto, Il 
Mulino, 
bologna, 2008, pp. 31 ss. 
(9) D. lA 
roCCA, Eguaglianza e libert� contrattuale nel diritto europeo, cit., p. 98. 
(10) Ibid., p. 97, secondo cui 
la 
disciplina 
della 
vendita 
con riserva 
di 
propriet� 
celerebbe 
�una 
prima rudimentale forma di credito al consumo�. 
(11) 
Cos� 
e. 
nAVArreTTA, 
Principio 
di 
uguaglianza, 
principio 
di 
non 
discriminazione 
e 
contratto, 
in Riv. dir. civ., 2014, III, pp. 547 ss. 

DoTTrInA 
291 


Il 
riferimento 
va, 
ovviamente, 
alle 
fonti 
del 
diritto 
antidiscriminatorio 
europeo, 
espressione 
di 
una 
nuova 
dimensione 
�orizzontale� 
del 
principio 
di 
uguaglianza, 
chiamato 
a 
operare 
non 
pi� 
solo 
nei 
rapporti 
�verticali� 
tra 
Stato 
e 
cittadini, 
ma 
anche 
nei 
rapporti 
contrattuali 
interprivati. 
Tale 
espansione, 
a 
dir 
poco 
cartesiana, 
del 
principio 
egalitario, 
recepita 
a 
livello 
pattizio 
dall�art. 
13 
del 
Trattato 
di 
Amsterdam, 
ha 
poi 
trovato 
disordinata 
esplicazione 
nel 
diritto 
europeo 
derivato, 
attraverso 
una 
serie 
frammentaria 
di 
direttive, 
intervenute 
in 
modo 
puntiforme 
nel 
contesto 
di 
un 
discusso 
�patchwork 
of 
protection� 
(12). 


Tuttavia, ancor pi� esplicative 
appaiono le 
fonti 
del 
diritto privato europeo, 
le 
quali, pur dotate 
di 
un�efficacia 
meramente 
persuasiva, hanno per la 
prima 
volta 
esplicitato il 
divieto di 
discriminazione 
nel 
contesto di 
una 
normativa 
dedicata 
esclusivamente 
alla 
materia 
contrattuale. 
Difatti, 
riconosciuta 
nei 
Principi 
Acquis 
l�esistenza 
di 
un generale 
divieto di 
discriminazione 
nel-
l�ambito del 
diritto comunitario contrattuale, il 
Draft 
Common Frame 
of 
Reference 
ha 
poi 
dedicato alla 
materia 
una 
serie 
complessa 
di 
norme 
puntuali 
(le 
cosiddette 
model 
rules), riconoscendo l�esistenza 
di 
un generale 
diritto soggettivo 
a 
non 
essere 
discriminati, 
espressione 
di 
valori 
di 
giustizia 
e 
libert� 
solo 
apparentemente 
contraddittori, 
perch� 
destinati 
a 
risolversi 
in 
una 
pi� 
ampia garanzia delle sfera personale ed economica dell�individuo (13). 


3. 
Il 
dibattito 
nazionale 
e 
l�esigenza 
di 
un 
approccio 
plurilaterale 
al 
fenomeno 
discriminatorio. 
Gli 
spunti 
offerti 
dal 
sistema 
multilivello delle 
fonti 
rivelano dunque 
una 
crescente 
permeabilit� 
del 
diritto dei 
contratti 
alle 
istanze 
sottese 
al 
principio 
di 
non discriminazione, evidenziando l�insostenibilit� 
di 
una 
rigida 
contrapposizione 
tra i valori dell�uguaglianza e dell�autonomia privata. 

Tuttavia, la 
ricezione 
nazionale 
delle 
prime 
direttive 
antidiscriminatorie 
ha 
dato luogo a 
un�aspra 
contestazione, la 
quale 
ha 
raggiunto il 
proprio culmine 
nelle 
resistenze 
della 
dottrina 
tedesca, 
storicamente 
pi� 
sensibile 
al 
tema 
(14). In particolare, tali 
studiosi 
hanno riconosciuto nei 
nuovi 
divieti 
un mal 
celato 
tentativo 
di 
moralizzazione 
del 
diritto, 
esercitato 
attraverso 
l�imposizione 
autoritaria 
e 
antisociale 
di 
valori 
morali, destinata 
a 
trovare 
espressione 
nei 
capricciosi 
interventi 
della 
giurisprudenza, 
in 
piena 
deroga 
ai 
principi 
fon


(12) espressione 
di 
M. bell, A 
Patchwork 
of 
Protection: The 
New Anti-discrimination Law Framework, 
in Modern Law Review, 2004, passim. 
(13) Per una 
pi� ampia 
ricognizione 
delle 
fonti 
del 
diritto contrattuale 
antidiscriminatorio, v. G. 
CArAPezzA 
FIGlIA, Divieto di discriminazione e autonomia contrattuale, eSI, napoli, 2013, pp. 11 ss. 
(14) 
Pionieristici 
gli 
studi 
di 
l. 
rAISer, 
Il 
principio 
d�eguaglianza 
nel 
diritto 
privato, 
in 
l. 
rAISer, 
Il 
compito del 
diritto privato, Giuffr�, Milano, 1990, ben noti 
ai 
primi 
commentatori 
italiani 
degli 
anni 
Settanta, 
tra 
cui 
P. 
reSCIGno, 
Sul 
cosiddetto 
principio 
d�uguaglianza 
nel 
diritto 
privato, 
in 
Foro 
it., 
1959, I, 1, cc. 664 ss. 

rASSeGnA 
AVVoCATurA 
Dello 
STATo - n. 1/2017 


damentali 
dell�ordinamento nazionale 
e, in primis, alla 
libera 
manifestazione 
del pensiero di cui all�art. 5 del 
Grundgesetz 
(15). 


Dietro 
tali 
contestazioni, 
si 
cela, 
dichiaratamente, 
una 
rinnovata 
fede 
nel-
l�ideologia 
liberale 
dell�autosufficienza 
del 
mercato, nella 
quale 
la 
libert� 
di 
scelta 
del 
contraente, o per meglio dire, i 
suoi 
egoismi, divengono polla 
di 
benessere 
per 
la 
collettivit�, 
mettendo 
in 
moto 
automaticamente 
meccanismi 
economici 
di 
repressione 
della 
discriminazione. 
Detto 
altrimenti, 
l�idea 
� 
che, 
nel 
contesto di 
un mercato ben equilibrato, alla 
richiesta 
di 
beni 
e 
servizi 
di 
una 
fascia, anche 
minoritaria, della 
societ�, faccia 
sempre 
riscontro l�offerta 
di 
un 
operatore 
economico 
intenzionato 
a 
profittare 
di 
quella 
percentuale, 
seppur 
limitata, 
di domanda inappagata. 

Al 
di 
l� 
dei 
tradizionali 
rilievi 
dell�irrealizzabilit� 
dell�equilibrio di 
mercato 
perfetto, 
o 
dell�incertezza 
dei 
tempi 
di 
aggiornamento 
dell�offerta, 
tale 
ricostruzione 
non 
sembra 
trovare 
riflesso, 
sul 
piano 
concreto, 
nei 
rapporti 
economici 
quotidiani, dove 
l�elevata 
concorrenzialit� 
del 
mercato, lungi 
dal 
rendere 
pi� 
flessibile 
l�offerta, 
impedisce 
piuttosto 
alle 
imprese 
di 
adeguare 
i 
propri 
apparati 
produttivi 
alle 
esigenze 
e 
alle 
preferenze 
delle 
minoranze, favorendo, 
in 
ogni 
caso, 
un 
aumento 
dei 
prezzi. 
Inoltre, 
gli 
atteggiamenti 
discriminatori 
degli 
agenti 
economici, 
gi� 
fecondi 
delle 
conseguenze 
appena 
descritte, non solo realizzano una 
lesione 
diretta 
della 
dignit� 
e 
della 
libert� 
economica 
delle 
vittime, ma 
ostacolano allo stesso tempo l�accesso a 
beni 
e 
servizi 
strumentali 
a 
diritti 
fondamentali 
(16). Paradigmatico, in tal 
senso, � 
proprio il 
caso del 
mercato delle 
case 
e 
degli 
alloggi, caratterizzato, come 
anticipato, 
da 
profonde 
discriminazioni 
nei 
confronti 
degli 
stranieri, 
oggetto 
delle 
prime sporadiche applicazioni della normativa sopra richiamata (17). 


Del 
resto, lo stesso legislatore 
europeo, pur riconoscendo gli 
effetti 
positivi 
di 
un 
mercato 
concorrenziale, 
ha 
presto 
abbandonato 
l�originaria 
ideologia 
della 
�mano 
invisibile� 
e 
del 
mercato 
quale 
ordo 
naturalis, 
capace 
di 
reprimere 
autonomamente 
le 
proprie 
anomalie, 
configurandolo 
nel 
tempo 
quale 
ordo 
legalis, 
plasmato 
dalla 
�mano 
visibile� 
del 
diritto 
positivo 
(18). 
� 
per 
questo 
che 
l�art. 
3 
del 
nuovo 
Trattato 
sull�unione 
europea, 
una 
volta 
ribadito 
l�obiettivo 
tradizionale 
della 
crescita 
economica 
equilibrata 
e 
della 
stabilit� 
dei 
prezzi, 
vincola 
funzionalmente 
quest�ultimo 
allo 
sviluppo 
di 
�un�economia 


(15) Inter 
alios, particolarmente 
esplicativi 
i 
toni 
di 
V. WInKler, The 
Planned German Anti-Discrimination 
Act: Legal 
Vandalism? A 
Response 
to Karl-Heinz 
Ladeur, German Law Journal 
(2002), 
disponibile su www.germanlawjournal.com. 
(16) Sul 
punto, l. CIAronI, Autonomia privata e 
principio di 
non discriminazione, in Giur. It., 
10, 2006, p. 1820. 
(17) Trib. Milano, ordinanza 
del 
30 marzo 2000, in Quest. giust., n. 3, 2000, con nota 
di 
M. bou-
CHArD, Discriminazione 
a Milano: il 
rifiuto di 
stipulare 
contratti 
di 
locazione 
con extracomunitari 
di 
colore, pp. 594 ss.; 
Trib. bologna, decreto del 22 febbraio 2001, in Dir. imm. citt., 2001, pp. 101 ss. 
(18) Cos� n. IrTI, Persona e mercato, in Riv. dir. priv., 1995, I, pp. 290 ss. 

DoTTrInA 
293 


sociale 
di 
mercato fortemente 
competitiva, che 
mira 
alla 
piena 
occupazione 
e 
al 
progresso 
sociale�, 
nonch� 
a 
un 
�elevato 
livello 
di 
tutela 
e 
di 
miglioramento 
della qualit� dell�ambiente� (19). 


Ci� precisato, i 
rilievi 
della 
dottrina 
tedesca, per quanto eccepibili, sottolineano 
l�esigenza 
di 
un equo bilanciamento dei 
valori 
in gioco nel 
fenomeno 
discriminatorio, al 
fine 
di 
evitare 
che 
l�interpretazione 
delle 
formule 
ambigue 
della 
normativa 
possa 
concretizzarsi 
in 
un 
sacrificio 
ingiustificato 
della 
libert� 
del 
contraente. Quest�ultima 
infatti, nell�ambito di 
un dialogo equilibrato tra 
i 
principi 
dell�ordinamento, 
riveste 
un 
ruolo 
fondamentale 
nella 
definizione 
della 
personalit� 
dell�individuo, che 
mediante 
l�accesso al 
mercato persegue 
i 
propri interessi e le proprie aspirazioni. 

Si 
rende 
dunque 
necessario valutare 
entro che 
termini 
il 
principio di 
non 
discriminazione, incidendo sull�autonomia 
del 
contraente, agisca 
quale 
strumento 
di 
consolidamento, 
e 
non 
di 
svilimento, 
della 
libert� 
privata, 
bilanciando 
il 
sacrificio del 
singolo con una 
pi� ampia 
tutela 
delle 
libert� 
e 
dei 
diritti 
della 
comunit� (20). 


In tal 
senso vanno intese 
le 
considerazioni 
di 
quella 
parte 
della 
dottrina 
che, 
pur 
annoverando 
il 
�super-principio� 
della 
dignit� 
umana 
tra 
i 
valori 
compromessi 
dal 
comportamento 
discriminatorio 
del 
contraente, 
ha 
escluso 
che 
tale 
principio possa, di 
per s� 
solo, costituire 
il 
fondamento assiologico della 
normativa 
antidiscriminatoria 
(21). Difatti, una 
prospettiva 
ermeneutica 
unilaterale, 
disattenta 
al 
carattere 
plurioffensivo della 
discriminazione, destinata 
a 
incidere 
anche 
sulle 
libert� 
economiche 
del 
privato, finirebbe 
per imporre 
autoritariamente 
un�interpretazione 
totalizzante 
del 
divieto, 
il 
quale 
troverebbe 
esplicazione 
nei 
confronti 
di 
qualsiasi 
lesione, 
seppur 
minima, 
della 
dignit� 
del 
discriminato, comprimendo in termini 
non giustificabili 
la 
libert� 
di 
scelta 
del 
discriminatore. � 
del 
resto superata 
l�illusione 
che 
il 
valore 
della 
dignit� 
umana, 
per 
la 
�formidabile 
forza 
retorica� 
(22) 
che 
lo 
caratterizza, 
possa 
essere 
accolto pacificamente 
tra 
i 
principi 
del 
diritto contrattuale, attenuando i 
contrasti 
derivanti 
dall�espansione 
orizzontale 
del 
principio di 
uguaglianza 
(23). 
In realt� 
tale 
valore, cos� 
come 
quello dell�autonomia 
privata 
nelle 
pi� pure 
ricostruzioni 
liberali, 
tende 
a 
imporsi 
unilateralmente 
sulla 
variegata 
molte


(19) 
esplicito 
il 
richiamo 
alle 
tesi 
di 
Alfred 
M�ller 
Armack, 
che 
dedic� 
alla 
teoria 
della 
�economia 
sociale di mercato� la propria attivit� scientifica e politica. 
(20) In tal 
senso, e. nAVArreTTA, Principio di 
uguaglianza, principio di 
non discriminazione 
e 
contratto, cit., 547 ss. 
(21) Sul 
punto, G. CArAPezzA 
FIGlIA, Divieto di 
discriminazione 
e 
autonomia contrattuale, cit., 
pp. 179 ss. e D. lA 
roCCA, Uguaglianza e libert� contrattuale nel diritto europeo, cit., pp. 177 ss. 
(22) M.r. MArellA, Il 
fondamento sociale 
della dignit� umana. Un modello costituzionale 
per 
il diritto europeo dei contratti, in 
Riv. crit. dir. priv., XXV, 1, 2007, p. 68. 
(23) Cos� 
D. lA 
roCCA, Uguaglianza e 
libert� contrattuale 
nel 
diritto europeo, cit., p. 179, secondo 
cui 
� 
illusorio 
credere 
�che 
il 
dilemma 
tra 
dignit� 
e 
libert� 
possa 
assorbire 
quello, 
ancora 
irrisolto, 
tra uguaglianza e autonomia�. 

rASSeGnA 
AVVoCATurA 
Dello 
STATo - n. 1/2017 


plicit� 
del 
reale, con effetti 
evidenti 
in talune 
pronunce 
dei 
giudici 
nazionali, 
nelle 
quali 
il 
riferimento 
al 
valore 
della 
dignit� 
dell�individuo 
si 
� 
tradotto 
nell�imposizione 
�dall�alto� 
di 
modelli 
unici 
di 
comportamento, 
del 
tutto 
svincolati 
dall�effettiva volont� dei soggetti coinvolti (24). 


l�interprete, pertanto, nel 
definire 
l�effettiva 
portata 
del 
divieto di 
discriminazioni 
contrattuali 
e 
il 
sistema 
dei 
rimedi 
a 
esso 
connessi, 
deve 
evitare 
una 
lettura 
riduttiva 
del 
fenomeno discriminatorio, ora 
incentrata 
sul 
valore 
della 
libert� 
contrattuale, 
ora 
sul 
solo 
valore 
dell�uguaglianza 
o 
della 
dignit� 
del-
l�uomo, 
individuando 
quel 
�giusto 
mezzo� 
che 
garantisca 
a 
ambo 
le 
parti 
un�adeguata tutela dei loro diritti e delle loro libert� fondamentali. 


4. Il 
diritto all�abitazione 
alla luce 
del 
principio dell�effettivit� dei 
rimedi 
antidiscriminatori. 
Tali 
considerazioni, 
applicate 
al 
fenomeno 
della 
diffusione 
di 
condotte 
discriminatorie 
nei 
confronti 
degli 
stranieri 
in cerca 
di 
un�abitazione, impongono 
di 
definire 
i 
limiti 
entro cui 
possa 
esplicarsi 
la 
libert� 
di 
scelta 
del 
proprietario, 
nonch� 
i 
rimedi 
effettivamente 
applicabili 
nel 
caso 
in 
cui 
suddetti 
limiti siano travalicati. 


Sul 
piano 
della 
valutabilit� 
del 
carattere 
discriminatorio 
del 
rifiuto 
di 
contrarre, 
espressione 
di 
una 
selezione 
idiosincratica 
della 
controparte 
negoziale, 
particolarmente 
rilevante 
� 
la 
natura 
fondamentale 
del 
diritto all�abitazione, il 
quale, 
pur 
non 
tutelato 
esplicitamente 
dalla 
Costituzione, 
dopo 
un 
primo 
timoroso 
disconoscimento, � 
stato infine 
ricondotto dal 
Giudice 
delle 
leggi 
nel 
novero dei diritti sociali collocabili tra i diritti inviolabili dell�uomo (25). 

Difatti, 
i 
primi 
commentatori, 
focalizzando 
l�attenzione 
sul 
carattere 
pubblico 
o privato delle 
contrattazioni, avevano limitato il 
campo di 
applicazione 
del 
divieto di 
discriminazione, previa 
una 
valutazione 
di 
ragionevolezza, alle 
sole 
proposte 
negoziali 
volte 
a 
esternare 
la 
volont� 
del 
proponente 
a 
un 
numero 
indefinito di 
destinatari, secondo il 
modello dell�offerta 
al 
pubblico (26). Alla 
base 
di 
tale 
limitazione 
vi 
era 
l�idea 
secondo cui 
il 
promittente, rivolgendosi 
alla 
comunit� 
con offerte 
di 
stampo discriminatorio, avrebbe 
rinunciato alla 
tutela 
della 
riservatezza 
delle 
proprie 
corrispondenti 
opinioni 
personali, esponendo 
i 
criteri 
di 
selezione 
cos� 
manifestati 
a 
un 
giudizio 
di 
conformit� 
rispetto 


(24) 
Al 
riguardo, 
ampiamente, 
v. 
M.r. 
MArellA, 
Il 
fondamento 
sociale 
della 
dignit� 
umana, 
cit., 
pp. 70 ss.; 
F.D. buSnellI, Carta dei 
diritti 
fondamentali 
e 
autonomia privata, in A.A.V.V., Le 
fonti 
del 
diritto, oggi. Giornate 
di 
studio in onore 
di 
Alessandro Pizzorusso, Plus, Pisa, 2006, pp. 416 ss.; 
P.M. 
DellA 
roCCA, Il 
principio di 
dignit� della persona umana nella societ� globalizzata, in 
Dem. e 
Dir., 2, 
2004, pp. 201 ss. 
(25) ripercorrono l�evoluzione 
del 
diritto sul 
piano normativo e 
giurisprudenziale, r. rollI, Il 
diritto all�abitazione 
come 
diritto fondamentale, bonomo editore, bologna, 2012, passim; 
G. GuGlIA, 
Il 
diritto all�abitazione 
nella carta sociale 
europea: a proposito di 
una recente 
condanna dell�Italia da 
parte del comitato europeo dei diritti sociali, in AIC telematica, n. 3/2011, passim. 
(26) Cfr. D. MAFFeIS, Offerta al pubblico e divieto di discriminazione, Giuffr�, Milano, 2007. 

DoTTrInA 
295 


ai 
principi 
dell�ordinamento (27). Tuttavia, rilevata 
l�eccessiva 
semplicit� 
di 
siffatta 
ricostruzione 
alla 
luce 
delle 
peculiarit� 
dei 
primi 
casi 
decisi 
dalla 
giurisprudenza, 
si 
� 
fatta 
strada 
l�idea 
dell�estensibilit� 
del 
divieto 
anche 
al 
campo 
delle 
contrattazioni 
individuali, 
secondo 
un 
giudizio 
sempre 
improntato 
al 
criterio 
della 
ragionevolezza, in tutti 
quei 
casi 
in cui 
la 
diffusione 
della 
discriminazione, 
in 
un 
determinato 
mercato 
di 
riferimento, 
precluda 
l�accesso 
a 
un 
bene 
o 
a 
un 
servizio 
connesso 
a 
un 
diritto 
inviolabile, 
quale, 
per 
l�appunto, 
l�abitazione (28). 


le 
indicate 
condizioni, da 
considerarsi 
comunque 
in senso relativo, data 
la 
natura 
fondamentale 
dei 
diritti 
compromessi, 
sono 
dal 
medesimo 
filone 
dottrinale 
considerate 
presupposto 
per 
un�applicazione 
estensiva 
del 
rimedio 
dell�obbligo di 
contrarre, destinato a 
trovare 
applicazione 
al 
di 
l� 
dei 
singoli 
casi espressamente previsti dal legislatore (29). 

Tale 
forma 
di 
tutela, la 
cui 
generalizzazione 
si 
tradurrebbe 
in un�ingiustificata 
menomazione 
dell�autonomia 
privata, 
appare, 
nei 
limiti 
sopraindicati, 
idonea 
a 
soddisfare 
quei 
requisiti 
di 
effettivit�, 
proporzionatezza 
e 
dissuasivit� 
che 
la 
Corte 
di 
giustizia 
europea 
ha 
elevato a 
parametri 
per la 
selezione 
dei 
rimedi 
pi� adeguati 
a 
livello nazionale, nel 
contesto di 
una 
normativa 
comunitaria 
che 
sul 
punto lascia 
ampia 
discrezionalit� 
al 
legislatore 
interno, al 
fine 
di 
consentire 
a 
ciascun ordinamento di 
configurare, secondo le 
proprie 
peculiarit�, 
un apparato efficace 
di 
strumenti 
preventivi 
e 
repressivi 
del 
crescente 
fenomeno discriminatorio (30). 


A 
tal 
proposito, un compendio dei 
rimedi 
adottabili 
dall�autorit� 
giudiziaria 
nazionale 
si 
rinviene 
nell�art. 28 del 
D.lgs. n. 150 del 
2011, relativo alle 
controversie 
in 
materia 
di 
discriminazione, 
a 
detta 
del 
quale 
il 
giudice 
pu� 
condannare 
il 
convenuto al 
risarcimento del 
danno anche 
non patrimoniale 
e 
ordinare 
la 
cessazione 
del 
comportamento 
discriminatorio, 
adottando 
ogni 
altro provvedimento idoneo a rimuoverne gli effetti (31). 


In particolare, il 
rimedio inibitorio appare 
idoneo a 
garantire 
una 
tutela 
effettiva 
tanto nel 
caso in cui 
il 
contraente 
discriminatore 
opponga 
un rifiuto 


(27) Amplius, e. nAVArreTTA, Principio di 
uguaglianza, principio di 
non discriminazione 
e 
contratto, 
cit., 547 ss. 
(28) 
Ibid. 
Contra, 
in 
senso 
estensivo, 
b. 
CHeCCHInI, 
Divieto 
di 
discriminazione 
e 
libert� 
negoziale, 
in C. SAlVI 
(a 
cura 
di), Diritto civile 
e 
principi 
costituzionali, Giappichelli, Torino, 2012, pp. 264 ss.; 
G. 
CArAPezzA 
FIGlIA, Divieto di discriminazione e autonomia contrattuale, cit., p. 201. 
(29) 
Cos� 
e. 
nAVArreTTA, 
Principio 
di 
uguaglianza, 
principio 
di 
non 
discriminazione 
e 
contratto, 
cit., 547 ss.; u. breCCIA, Il diritto all�abitazione, cit., p. 149. 
(30) Cfr. A. GuArISIo, I provvedimenti 
del 
giudice, in M. bArberA 
(a 
cura 
di), Il 
nuovo diritto 
antidiscriminatorio, Giuffr�, Milano, 2007. 
(31) la 
riforma 
del 
2011, difatti, ha 
opportunamente 
esteso l�applicazione 
del 
rito sommario di 
cognizione 
anche 
alle 
controversie 
aventi 
a 
oggetto i 
comportamenti 
di 
cui 
agli 
artt. 43 e 
44 del 
D.lgs. 
n. 
286 
del 
1998 
e 
3 
e 
4 
del 
D.lgs. 
n. 
215 
del 
2003, 
i 
quali 
qualificano 
espressamente 
come 
discriminatori 
tanto 
l�imposizione 
di 
condizioni 
contrattuali 
pi� 
svantaggiose 
per 
gli 
stranieri, 
quanto 
il 
rifiuto 
di 
fornire 
l�accesso all�alloggio per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi. 

rASSeGnA 
AVVoCATurA 
Dello 
STATo - n. 1/2017 


netto di 
trattare, quanto nel 
caso in cui 
tale 
rifiuto intervenga 
a 
trattative 
iniziate, 
laddove 
la 
controparte 
si 
sia 
opposta 
all�inserimento di 
condizioni 
pi� 
svantaggiose 
nel 
contratto. 
Tale 
strumento, 
ad 
esempio, 
ha 
trovato 
concreta 
applicazione 
in un caso oggetto di 
attenzione 
giurisprudenziale 
e 
dottrinale, a 
soluzione 
del 
quale 
il 
Tribunale 
di 
bologna 
ha 
disposto 
l�eliminazione, 
dal 
sito internet 
di 
un�agenzia 
immobiliare, di 
un criterio di 
selezione 
dei 
clienti 
basato 
sulla 
sola 
nazionalit�, 
ordinando 
contestualmente 
la 
pubblicazione 
della 
relativa ordinanza sulla pagina 
web 
dell�intermediario (32). 


Inoltre, 
sempre 
nella 
fase 
precontrattuale, 
il 
provvedimento 
inibitorio 
del 
giudice 
pu� ordinare 
la 
cessazione 
della 
condotta 
discriminatoria 
consistente 
nella 
previsione 
di 
condizioni 
generali 
di 
contratto pi� svantaggiose, o meno 
vantaggiose, 
per 
la 
controparte. 
In 
tal 
caso 
� 
accentuata 
la 
funzione 
preventiva 
del 
rimedio, che 
pu� essere 
domandato tanto dal 
soggetto leso, quanto dagli 
enti 
collettivi 
legittimati, a 
prescindere 
dalla 
concreta 
applicazione 
delle 
condizioni 
discriminatorie e dall�individuazione di una vittima discriminata. 

Sul 
piano 
dell�effettivit�, 
appare 
invece 
meno 
esaustivo 
il 
ricorso 
al 
rimedio 
del 
risarcimento 
del 
danno, 
il 
quale, 
pur 
prestandosi 
a 
una 
pi� 
diffusa 
applicazione, 
data 
la 
minore 
ingerenza 
nella 
sfera 
dell�autonomia 
dell�offerente, 
opera 
comunque 
attraverso 
un 
meccanismo 
di 
monetizzazione 
dell�offesa, 
insufficiente, 
sul 
piano 
concreto, 
a 
soddisfare 
l�aspirazione 
dello 
straniero 
all�alloggio. 


I 
denunciati 
limiti 
del 
rimedio 
risarcitorio, 
gi� 
evidenti 
sul 
piano 
delle 
ponderazioni 
astratte, 
risultano 
peraltro 
accentuati 
nelle 
prime 
applicazioni 
della 
giurisprudenza 
di 
merito, 
la 
quale 
ha 
teso 
a 
liquidare 
il 
danno 
arrecato 
alla 
dignit� 
della 
vittima 
discriminata 
in 
termini 
accentuatamente 
esigui 
e 
sproporzionati, 
pur 
in 
presenza 
di 
lesioni 
non 
riconducibili 
alla 
sfera 
del 
cosiddetto 
danno 
bagatellare. 
Il 
modesto 
ammontare 
del 
risarcimento, 
nel 
caso 
pi� 
eclatante 
fissato 
nella 
somma, 
senza 
dubbio 
simbolica, 
di 
soli 
cento 
euro 
(33), 
rivela 
la 
tendenza 
dei 
giudici 
a 
liquidare 
i 
danni 
sulla 
base 
del 
parametro 
economico 
del 
valore 
delle 
contrattazioni, 
e 
non 
piuttosto 
sulla 
base 
della 
gravit� 
delle 
lesioni 
subite 
dalla 
persona, 
denunciando 
cos� 
un 
approccio 
meramente 
patrimoniale 
al 
fenomeno 
discriminatorio. 
Tuttavia, 
alla 
scarsa 
rilevanza 
economica 
del 
rapporto 
compromesso 
non 
corrisponde 
necessariamente 
una 
minore 
offensivit� 
dell�illecito, 
poich� 
ci� 
che 
pi� 
rileva 
in 
tale 
ambito 
� 
il 
pregiudizio 
arrecato 
alla 
sfera 
personale 
e 
relazionale 
della 
vittima 
discriminata, 
non 
quantificabile 
esclusivamente 
secondo 
logiche 
di 
mercato 
(34). 
la 
scelta 
dei 
giudici, 
invece, 
sottovaluta 
il 
carattere 
plurioffensivo 
della 
condotta 
discriminatoria, 
riducendola 
implicitamente 
a 
una 
banale 
infrazione 
del 
principio 
di 
parit� 
di 
trattamento, 
insufficiente, 
secondo 


(32) Trib. bologna, decreto del 22 febbraio 2001, cit. 
(33) V. Trib. Padova, ordinanza del 19 maggio 2005, in Giur. it., 2006, p. 949. 
(34) D. MAFFeIS, Offerta al pubblico e divieto di discriminazione, cit., pp. 292 ss. 

DoTTrInA 
297 


le 
pi� 
moderne 
ricostruzioni 
dottrinali, 
a 
cogliere 
il 
fenomeno 
discriminatorio 
nella 
sua 
complessit� 
(35). 


nel 
caso 
in 
cui 
invece 
la 
condotta 
discriminatoria 
non 
abbia 
trovato 
esplicazione 
nell�ingiusto rifiuto di 
contrarre, ma 
piuttosto, come 
spesso accade, 
nella 
stipulazione 
di 
condizioni 
meno vantaggiose, o pi� svantaggiose, per la 
vittima 
discriminata, un�efficace 
forma 
di 
tutela 
per lo straniero va 
rinvenuta 
nel 
controllo della 
validit� 
del 
contenuto dell�accordo, attuabile 
a 
prescindere 
dalla 
particolare 
natura, individuale 
o pubblica, della 
contrattazione. l�eventuale 
invalidit� 
delle 
clausole 
discriminatorie, 
del 
resto, 
promana 
direttamente 
dai 
principi 
fondamentali 
dell�uguaglianza 
e 
della 
dignit� 
umana, i 
quali 
rientrano 
senza 
dubbio 
tra 
i 
valori 
di 
rango 
costituzionale 
sintetizzati 
nella 
formula 
dello �ordine pubblico�. 

Mancando chiare 
previsioni 
a 
livello normativo, sembra 
dunque 
potersi 
prospettare 
un�ipotesi 
di 
nullit� 
virtuale, necessaria 
e 
parziale 
della 
clausola 
discriminatoria, 
cui 
faccia 
seguito 
l�esclusione 
della 
medesima 
dal 
regolamento 
negoziale 
ed eventualmente 
l�applicazione 
della 
corrispondente 
clausola 
non 
discriminatoria, 
desumibile 
dal 
tenore 
complessivo 
del 
contratto 
(36). 

Del 
resto, 
l�esigenza 
di 
garantire 
un�effettiva 
tutela 
del 
contraente 
discriminato 
suggerisce 
di 
scartare 
la 
soluzione 
dell�invalidit� 
totale 
del 
negozio, 
dato 
che 
essa 
non 
solo 
verrebbe 
a 
protrarre 
ulteriormente 
lo 
stato 
discriminatorio 
di 
fatto, 
ma 
spingerebbe 
anche 
la 
vittima 
a 
non 
rilevare 
la 
nullit� 
della 
clausola 
svantaggiosa, 
per 
timore 
di 
essere 
esclusa 
completamente 
dall�affare 
(37). 


(35) 
A. 
GenTIlI, 
Il 
principio 
di 
non 
discriminazione 
nei 
rapporti 
civili, 
in 
Riv. 
crit. 
dir. 
priv., 
2009, 
2, p. 221. 
(36) 
Cos� 
e. 
nAVArreTTA, 
Principio 
di 
uguaglianza, 
principio 
di 
non 
discriminazione 
e 
contratto, 
cit., 547 ss. 
(37) 
Sul 
punto, 
P. 
FeMIA, 
Interessi 
e 
conflitti 
culturali 
nell�autonomia 
privata 
e 
nella 
responsabilit� 
civile, eSI, napoli, 1996, pp. 545 ss. 

Finito di stampare nel mese di maggio 2017 
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